I tarocchi della Papessa Nera

di Old Fashioned
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Tarocchi 1
I TAROCCHI DELLA PAPESSA NERA




Capitolo 1

L’agente Hayes era quello che si potrebbe definire un poliziotto di esperienza. La sua lanterna era così vecchia che a forza di lucidature ormai brillava. Quello che aveva in testa era già il quinto casco che cambiava, e per la fine di ognuno dei precedenti aveva da raccontare una storia talmente avventurosa che le reclute rimanevano ad ascoltarlo con il fiato sospeso.
Conosceva a menadito ogni strada, vicolo, cortile e anfratto di Whitechapel, e anche se c'erano buio, nebbia o pioggia era in grado di orientarsi nel quartiere con la sicurezza di un piccione viaggiatore.
Quella sera, la nebbia era solo moderatamente fitta, la qual cosa significava che la luce della lanterna era un cono lattescente che gli rimbalzava davanti in sincronia con i suoi passi, ma consentiva di distinguere almeno i contorni delle cose. Non come cinque anni prima, quando in pieno giorno era quasi caduto nel Tamigi perché non si vedeva che la strada era finita.
Tirò fuori lo sfollagente e con quello picchiettò qualche porta e finestra chiusa per controllare che fosse effettivamente tale.
'Sera, Jeff,” disse a un viluppo di stracci raggomitolato sotto una tettoia.
'Sera, agente Hayes,” provenne la risposta.
Arrivò al Raglan's Rest, un pub orgogliosamente gestito da un ex combattente della guerra di Crimea. Il posto era aperto e illuminato a giorno. Il padrone, in maniche di camicia e grembiule, era sulla soglia e scrutava ansiosamente il fondo della strada.
'Sera, signor Olson,” disse il poliziotto, portandosi la punta dello sfollagente al bordo del casco in segno di saluto.
Buona sera, agente Hayes,” rispose l'uomo. Tornò a scrutare la strada nebbiosa.
Aspettate qualcuno, signor Olson?”
L'altro abbandonò l'osservazione e lo fissò orgoglioso. “Potete scommetterci. Un intero carro della migliore birra di Burton. La faccio arrivare di notte perché le strade sono più libere.”
Il poliziotto annuì. “Molto ben ragionato, signor Olson,” approvò.
È con la logistica che si vincono le offensive,” sentenziò l'oste, che nel corso della guerra aveva servito in una Compagnia Comando e Servizi. Stava per aggiungere altro, quando dal fondo della strada cominciò a farsi udire un lieve scampanellio.
Eccolo!” esclamò. Poi, rivolto verso l'interno del pub: “Venite fuori, sta arrivando.”
Alcuni robusti operai si riversarono sul marciapiede.
Lo scampanellio nel frattempo andava aumentando. A esso si associarono lo sferragliare di pesanti ruote e il battere ritmico di molti zoccoli equini. “Forza, belli!” esclamò una voce possente.
Svoltò l'angolo un carro che trasportava una piramide di barili di birra.
Eccolo!” ripeté Olson. Si fregò le mani soddisfatto.
Il veicolo percorse l'ultimo pezzo del tragitto a un trotto vivace, quindi si fermò davanti al pub.
Subito vennero sistemate le rampe di legno, e gli uomini cominciarono a far scendere i barili. I corpi poderosi dei cavalli fumavano nell'aria fredda mentre essi lasciavano ciondolare la testa.
L'orologio batté tre colpi. “È l'ora del lupo,” constatò distrattamente Hayes.
Olson si voltò verso di lui. “Che cosa?”
Con lo stesso tono di mistero con cui raccontava gli aneddoti alle reclute, l'agente spiegò: “È l'ora in cui il sonno è più profondo e gli incubi sono più vividi. Ogni poliziotto la conosce bene, caro signore, perché è il momento in cui vengono commessi i crimini più efferati.” Tacque con fare significativo, poi soggiunse: “Con permesso.” Si allontanò di qualche passo lungo la via buia. Non era infrequente che bande di ladruncoli si organizzassero durante le consegne per portare via qualcosa, e voleva controllare i dintorni del pub.
Non appena uscì dal cerchio di luce del Raglan's Rest, fu investito da una sensazione di gelo mortale. Nello stesso momento udì delle urla scomposte alle sue spalle, rumore di legno che si fracassava e un baccano infernale di ruote e zoccoli. Si voltò e vide il tiro a sei al galoppo sfrenato nella sua direzione. Le bestie avevano gli occhi fuori dalla testa e schiumavano dalla bocca.

§

Questo è tutto,” disse l'agente Jackson, “Se qualcuno vuole lasciare donazioni per la vedova, la procedura è la solita, andate dal sergente Kelsey.”
La folla di poliziotti si disperse brontolando.
È un maledetto schifo,” sbottò a un certo punto l'agente Wyndham, uno dei veterani. “Uno stramaledettissimo schifo!”
Ridotto come il ripieno della cottage pie,” rincarò un altro.
Per quale motivo nessuno ha tenuto a bada quei cavalli, eh?” volle sapere un terzo, guardandosi intorno come se il responsabile dell'accaduto fosse in quella stanza. “Ma che accidenti avevano in testa?”
Forse pensavano già alla birra che si sarebbero bevuti.”
E intanto il povero George c'è rimasto secco.”
Uno schifo,” ripeté Wyndham.
Dall'angolino in cui l'avevano relegato, l'agente MacLeod, sei mesi scarsi di servizio, seguiva in silenzio la scena. Aveva conosciuto solo di sfuggita l'agente Hayes. Lo ricordava come un uomo dai capelli brizzolati, piuttosto imponente e con l'espressione bonaria. Si chiese se fosse suo dovere andare da Kelsey e lasciare qualcosa per la vedova. Quanto, poi? Non che ne avesse da sprecare, con sedici scellini la settimana, tuttavia avrebbe donato volentieri una parte della sua paga.
Mentre era immerso in quei pensieri, l'agente Wyndham lo apostrofò: “E tu che hai da guardare?”
Il giovanotto si affrettò ad abbassare gli occhi. “Niente, signore.”
Vedi di andare a fare qualcosa, invece di stare qui a squadrarmi con quella faccia da pesce lesso.”
Scusate, signore.”
Intervenne a questo punto l'agente Jackson: “Lascia stare il ragazzo. Dispiace a tutti per Hayes, ma lui non ne ha colpa.”
Non sa neanche ammanettare un ladro come si deve, eppure è ancora qui che porta a spasso la sua faccia da poppante.”
Dai, James, lascia perdere,” disse l'altro. Lo prese per una spalla. “Andiamo a berci una birra dopo il servizio? Offro io.”
Uscirono dalla stanza che Wyndham stava ancora recriminando.
MacLeod li seguì per un attimo con lo sguardo, poi si girò e vide che Kelsey lo stava fissando.
Ho detto qualcosa di sbagliato, sergente?” volle sapere.
I vecchi poliziotti sono più ombrosi dei cavalli guerci, ragazzo,” gli rivelò il superiore. “Ognuno ha i suoi pallini.”
Scusate, sergente.”
Ah, lascia perdere. A stare dietro alle manie di tutti vai a finire al Bedlam.”

§

Nonostante fosse novembre, la notte era limpida. C'erano addirittura le stelle, che facevano capolino qua e là tra le cime dei palazzi.
L'agente Pierce fece girare la lanterna, mandando il pennello di luce a frugare nel fondo di un vicolo. Un gatto saltò giù dal davanzale di una finestra e scomparve nell'ombra. Una figura rannicchiata, un bambino a giudicare dalle dimensioni, si tirò sulla testa un lembo del fagotto di stracci nel quale stava dormendo.
Riprese a camminare sulla strada. Una ragazza che non poteva avere più di quindici anni, pallida, con le labbra dipinte di carminio e un abito troppo leggero per il freddo pungente della notte autunnale, si ritirò in un adrone al suo apparire.
Va’ a casa, Molly,” le disse il poliziotto passando.
Me la paghi tu la cena?” replicò la ragazza in tono provocatorio.
L’agente si fermò. “Molly, su, fa la brava.”
Illuminata dalla lanterna, la giovane prostituta pallida aveva un’aria spettrale. Cerchiati, brucianti di febbre, gli occhi erano enormi nel viso emaciato. La pennellata di rosso delle guance sembrava dovuta più alla tisi che al belletto.
Pierce si frugò in tasca, ne trasse alcune monete e gliele mise in mano. “Tieni, ma non comprarti del gin, questa volta.”
Lei gli rivolse un sorrisetto. “Non vuoi niente, in cambio?”
È meglio di no, Molly. Buona notte.”
Riprese a camminare.
Aveva percorso quasi tutto il giro di ronda quando l’orologio della chiesa batté tre colpi. Sollevò la testa in direzione del campanile, e quando tornò a fissare lo sguardo sulla strada vide che circa trenta iarde più avanti c’era una donna. Vestita di nero, si distingueva a stento contro il buio della via.
Ella si voltò brevemente nella sua direzione – Pierce percepì l’ovale bianchissimo del viso – poi si girò e prese ad allontanarsi a passo svelto.
Signora, aspettate!” esclamò l’agente. Che ci faceva una donna sola, dall’apparenza rispettabile, in giro per Whitechapel all’ora del lupo? Decise di andarle dietro.
Signora!”
La donna proseguiva senza rallentare. La lanterna, che la illuminava a sprazzi, mostrava un severo abito nero e uno scialle frangiato, sempre nero. Portava un ampio cappello immerso in una nuvola di velo nero.
Signora, aspettate!”
La misteriosa figura sembrò indugiare per un attimo, quindi voltò bruscamente ed entrò nel cortile di una casa abbandonata che nel quartiere veniva chiamata ‘il castello’, per la sua architettura neogotica e le quattro torri angolari. Percorse il vialetto, quindi salì i tre gradini che conducevano alla porta e spinse l’anta, che cedette cigolando. Scomparve all’interno.
Signora!” ripeté per l’ennesima volta il poliziotto, a questo punto ben deciso a scoprire chi fosse la persona che stava inseguendo e cosa cercasse in quella casa. Considerò fugacemente che il castello era una magione antica e fatiscente, le cui strutture non erano più solide come apparivano, ma al momento gli parve preponderante scoprire le intenzioni della misteriosa donna.
Entrò a sua volta nell’androne buio, che puzzava di polvere vecchia e muffa. I suoi passi fecero scricchiolare le assi del pavimento.
Fece girare tutt’intorno la luce della lanterna, ma non vide nessuno. “Signora?” chiamò. Si guardò intorno e scorse il volto bianco nel vano di una porta. Si mosse in quella direzione e percepì un suono di tacchi femminili che si allontanava lungo un corridoio.
Seguendo quel rumore arrivò a una scala a chiocciola che andava verso l’alto.
Cominciò a salire. I gradini erano dissestati, e più volte si trovò a fare affidamento sulla luce della lanterna per poggiare il piede su porzioni di essi relativamente solide. Guardò in su e per l’ennesima volta chiamò: “Signora? Siete qui?”
Quando la scala finì, si rese conto di trovarsi in una delle torrette. Era in una stanza ottagonale, sulla quale si aprivano tre alte bifore, che in alcuni punti conservavano ancora qualche vestigia dei vetri colorati che le avevano chiuse. Le pareti erano attraversate da profonde crepe, l’intonaco qua e là era caduto. D’improvviso, l’aria si era fatta mortalmente gelida. L’agente fece un passo avanti e il pavimento scricchiolò. Dai muri caddero altri calcinacci. “Maledizione!” esclamò. Cercò di farsi indietro, ma con un rombo cupo la torretta collassò su se stessa.

§

Ma che accidenti ci faceva, nel castello, dico io! Che ci faceva? Lo sanno tutti che sta in piedi per miracolo, che non si entra in quel dannato tugurio.”
L’agente Jackson girava in tondo e intanto sacramentava, imprecando contro gli edifici pericolanti, il Governo che non faceva nulla per abbatterli, la dabbenaggine dei colleghi e in generale il servizio di Polizia, mal pagato e pieno di insidie.
Due incidenti mortali in meno di dieci giorni,” disse poi. “Cosa aspettano, che crepiamo uno dopo l’altro?”
Memore dell’esperienza precedente, MacLeod se ne stava fermo nel suo angolo, intento a fissarsi con il più grande interesse la punta delle scarpe.
Aveva intravisto l’agente Pierce qualche volta, ma non si poteva certo dire che lo conoscesse. Sapeva solo che era uno dei vecchi, e che era reputato da tutti un buon poliziotto.
Sono sempre i migliori che se ne vanno,” sentenziò infatti l’agente Gardner.
Già,” grugnì qualcun altro.
Calò il silenzio. Anche le imprecazioni di Jackson erano andate pian piano esaurendosi e l’unico rumore che si sentiva, a parte qualche sospettato che sbraitava nell’altra stanza, era il camminare nervoso dell’agente.
MacLeod osò alzare lo sguardo. Temeva una sfuriata, ma nessuno fece caso a lui.
Fu un altro agente giovane, Charles Campbell, che dopo un po’ andò a chiamarlo. “Mi serve qualcuno per aiutarmi a registrare gli arresti di oggi,” gli disse. L’altro si limitò ad alzarsi e a seguirlo.
Poveraccio Chris Pierce, vero?” gli disse il collega quando furono nella stanza attigua.
MacLeod annuì. “Già.” Poi, Dopo una pausa: “Voi lo conoscevate?”
Campbell sorrise. “Puoi darmi del tu, non ho tutti questi anni più di te. Comunque sì, lo conoscevo. È stato lui che mi ha insegnato tutto quando ero recluta.”
Era un agente esperto, vero?”
Sì. Ora non cominciare a dire anche tu che non ti spieghi come mai sia entrato in quella casa pericolante.”
No no, non volevo dire niente di questo,” si affrettò a rispondere il ragazzo.
D’accordo. Andiamo a vedere questi sospettati, forza.”

§

L’agente Banks fece girare la lanterna per lo spiazzo deserto. Un refolo di vento spinse una cartaccia nel fascio di luce, ma per il resto non colse il più piccolo movimento.
Era notte fonda, il freddo era pungente. Dappertutto regnava un gran silenzio.
Fece qualche passo. Davanti a lui, visibile solo per il numero di stelle che oscurava, si ergeva la mole imponente della Malley and co., una fabbrica di tessuti.
Il poliziotto si avvicinò all’edificio, di nuovo sollevò la lanterna e fece scorrere il pennello di luce lungo la recinzione.
Con un moto di stupore notò che il cancello era accostato: la catena che lo chiudeva era penzoloni su un ricciolo di ferro battuto, e il lucchetto giaceva al suolo aperto.
Si avvicinò e guardò verso la porta della fabbrica, trovando anche quella socchiusa. Strinse gli occhi. Sapeva che c’erano bande di ladri che di notte entravano nelle fabbriche e portavano via quel che trovavano, e probabilmente era incappato proprio in una di esse.
Con l’intento di sorprendere i malfattori sul fatto, si avvicinò cauto all’edificio.
Quando fu sul punto di entrare, schermò la lanterna in modo che il fascio di luce non lo tradisse, aspettò qualche secondo per abituare gli occhi al buio e si introdusse nella fabbrica.
All’interno c’era un silenzio perfetto. La luce della luna entrava dai finestroni, delineando i contorni dei grandi macchinari immoti e facendoli assomigliare a strani mostri dormienti. Camminando lungo le pareti, fece un giro d’ispezione dappertutto, senza però trovare nulla di insolito.
Fissò lo sguardo su una scaletta di ghisa che saliva. Seguì il percorso dei gradini e notò che tutt’intorno al perimetro della fabbrica correva un ballatoio di metallo sospeso al soffitto, probabilmente per controllare dall’alto il funzionamento dei macchinari.
Salì. Nel silenzio che regnava ovunque, i suoi passi risuonarono come altrettanti colpi di maglio.
Quando fu arrivato al ballatoio si guardò intorno, e gli parve di vedere una sagoma in fondo alla passerella. Si sarebbe detta una donna, con un abito nero e un ampio cappello.
Si mosse in quella direzione, e quando raggiunse il punto in cui aveva avvistato la misteriosa figura, udì il campanile battere tre colpi. Un attimo dopo, con un lungo gemito di metallo, una gigantesca ruota dentata si mise in movimento.
Che succede?” disse l’agente a voce alta, guardandosi intorno con apprensione. “C’è qualcuno?”
D’improvviso nell’enorme ambiente era calato un freddo mortale.
La ruota intanto si stava muovendo sempre più veloce, solo che non c’era nessuno ad azionarla.
Si sporse a guardare, e in quel momento una botta sulla schiena gli fece perdere l’equilibrio.

§

Era un mattino grigio. C’era una nebbia lattiginosa, che toglieva i colori alle cose. Di fronte alla Malley and co. Si muoveva un insolito assembramento di poliziotti. Tutt’intorno, a rispettosa distanza, operai silenziosi attendevano il permesso di entrare, chiedendosi nel frattempo di quanto il signor Malley avrebbe ridotto loro la paga per quel ritardo nella produzione.
Si avvicinò un carro chiuso dell’obitorio. Da esso scesero due uomini, che presero una barella ed entrarono nella fabbrica.
Non guardare quando esce,” suggerì Campbell a MacLeod.
Perché?” chiese ingenuamente il giovane poliziotto.
Stanno togliendo i resti da in mezzo agli ingranaggi. Se vedi com’è ridotto, vomiti anche quello che hai mangiato lo scorso Natale.”
Mac Leod deglutì. “Com’è possibile?” chiese poi. “In neanche un mese, tre agenti morti in servizio.”
Ti stai pentendo di aver scelto questo mestiere?”
No, ma...”
Ma?”
Il ragazzo scosse la testa e non aggiunse altro. Dopo un po’ vide approssimarsi i due uomini dell’obitorio, che portavano la barella coperta da un lenzuolo, e previdentemente distolse lo sguardo. “Non mi sembra normale,” disse alla fine.
Che cosa?”
Tutti questi morti.”
L’altro diede un’occhiata agli inservienti che chiudevano lo sportello del carro, quindi disse: “Hayes, Pierce e Banks erano poliziotti esperti, gente che aveva vent’anni di servizio come minimo. Chissà, magari dopo tanto tempo che ne vedi di tutti i colori sei portato a crederti invulnerabile. Pensi che a te non toccherà mai.”
MacLeod si voltò verso di lui. “Pensi che toccherà anche a te?”
Spero di no,” rispose l’altro con un mezzo sorriso. “In ogni caso, farò del mio meglio per non abbassare mai la guardia.”

Rientrarono alla stazione di Polizia. Gli agenti in servizio li accolsero con qualche saluto brontolato fra i denti. “Allora?” chiese uno di essi.
Fatto,” rispose Campbell. “Kelsey è qui in giro?”
Di là. Sta parlando con l’ispettore.”
Come mai?”
Vuole sapere di tutti questi incidenti. Saranno due ore che sta facendo domande su qualsiasi cosa.”
Campbell si sedette. “C’è un po’ di tè?”
Woods lo sta facendo.”
L’altro emise un sospiro. “Bene. Faceva un freddo cane su quel piazzale. E poi, Mike non è stato un bello spettacolo.” Si girò verso la recluta e disse: “Vieni a scaldarti, MacLeod.”
Il giovane si avvicinò senza parlare.
Quando furono tutti seduti intorno alla vecchia stufa di ghisa con una tazza in mano, l’agente Woods domandò: “Qualcuno di voi era in servizio ieri sera?”
I presenti scossero la testa.
Ve lo chiedo perché Brennan ha parlato con Lynch, che invece era di servizio, e lui gli ha detto che a un certo punto si è trovato davanti una vecchia vestita di nero che gli chiedeva di Banks.”
Una vecchia? E chi era?” volle sapere Campbell.
E che ne so. Ha detto che era una vecchia con un cappello grande così,” allargò le braccia, “tutta vestita a lutto.”
Che allegria,” commentò l’agente Dobbins dalla finestra cui era appoggiato, “Magari era la Morte.” Fece una risata cupa, tirò fuori qualcosa dalla tasca e si avvicinò ai colleghi intorno alla stufa. Mostrò quello che aveva in mano, ovvero una fiaschetta di metallo, e chiese: “Qualcuno ne vuole?”
Siamo in servizio, Sam,” gli ricordò Woods.
E dai, solo un goccio. Chi vuoi che se ne accorga?” Poi, dopo una pausa: “Io direi che ne abbiamo bisogno.”
In quel momento la porta si aprì e sulla soglia comparve l’agente Wyndham. Sul gruppetto attorno alla stufa calò il silenzio. Dobbins rimase fermo con la fiaschetta in mano e l’aria irresoluta.
Il veterano si avvicinò in silenzio. “Cos’hai lì?” chiese alla fine.
È solo un po’ di scotch, James.”
Dà qua,” disse, tendendo la mano con il palmo in alto. Dopo un’esitazione, l’altro vi depose la fiaschetta.
E adesso una tazza,” ordinò Wyndham. Sotto gli sguardi silenziosi dei colleghi, vi versò una buona metà della fiaschetta, vi aggiunse il tè e poi rivolse un’occhiata storta a MacLeod, che si affrettò a cedergli il posto.
L’uomo si accomodò con un sospiro, e per un po’ si limitò a sorbire la bevanda ignorando gli sguardi incuriositi dei colleghi. Infine disse: “Non avete un accidenti da fare?”
Nessuno rispose.
Cosa siete, agenti di Polizia o comari che passano la giornata a spettegolare?”
I presenti finirono in fretta le rispettive tazze di tè e si dispersero in silenzio.

Campbell e MacLeod si limitarono a uscire dalla stanza. “Il vecchio Wyndham non è mai stato molto amichevole, ma adesso esagera.” disse il primo.
Sarà preoccupato,” rispose l’altro.
Dici che ha paura che capiti anche a lui un incidente?”
Forse.” Poi, dopo una pausa: “Ma senti, quella donna… quella vecchia...”
Sì?”
Secondo te ha qualche correlazione con la fine del povero Banks?”
Campbell scosse la testa. “Sicuramente era una di quelle che si presentano a denunciare il marito che le picchia ma all'ultimo momento rinunciano.”
Perché a quell’ora? E perché avrebbe chiesto di Banks?”
L’altro alzò le spalle. “Magari il marito è rientrato a casa ubriaco e ha cominciato a dargliele. Lei non ce l'ha fatta più ed è venuta qui.”
Sì, ma perché proprio Banks?”
E chi lo sa. Si vede che per quale motivo sapeva il suo nome e ha chiesto di lui perché preferiva parlare con una persona conosciuta.”
MacLeod rimase in silenzio. C'erano ancora così tante cose che non sapeva del servizio di Polizia che non avrebbe avuto gli strumenti per contraddire il collega. “Penso che andrò in archivio,” disse poi, “Webster aveva promesso di farmi vedere come funziona.”
Auguri. Se comincia a parlare dei suoi faldoni, non finisce più.”

Il giovane agente andò a presentarsi al collega. Quando lo vide arrivare, Webster si illuminò in volto e disse: “È bello avere a che fare con i nuovi, perché sono gli unici che stanno a sentire quando parlo.”
MacLeod annuì con aria diligente.
L'archivista, un uomo gracile e precocemente ingrigito, con l'uniforme larga sulle spalle, si sistemò gli occhiali sul naso e proseguì: “Eppure, l'archivio è la memoria storica del posto di Polizia. Sapendo cercare bene, qui si trova tutto.” Si guardò intorno con aria fiera.
L'altro fece a sua volta girare lo sguardo sugli scaffali carichi di faldoni.
Bello, eh?” gli chiese Webster.
Ecco...”
Ai nuovi fa sempre questo effetto. Vieni, ti faccio archiviare delle denunce, così cominci a prendere confidenza.”
Sissignore.”
Non chiamarmi signore, siamo colleghi. Chiamami Paul. E tu sei?...”
Alistair.”
Ah, Alistair. Scozzese?”
Di Edimburgo. I miei sono venuti a Londra quando ero piccolo.”
Ma pensa un po'.” Poi, dopo una pausa: “Beh, adesso sei qui con noi!”
Prendendolo familiarmente per una spalla, l'archivista lo condusse a una scrivania su cui era ammucchiato quella che a prima vista parve a MacLeod una pila di carta straccia. “Queste sono le denunce da archiviare,” lo informò. “Io vorrei sapere come diamine le conservano, quelli di là.” Prese un registro, lo aprì su una pagina compilata a metà che lisciò quasi con affetto, quindi disse: “Qui va il nome di chi ha sporto denuncia, qui il motivo, poi la data e infine il nome dell'agente che l'ha raccolta. Tutto chiaro?”
Sì.”
Molto bene. Io vado a sedermi un po'. Sai, l'età... Se hai bisogno, chiamami.” Prese una sedia e si sistemò accanto alla stufa con un sospiro di soddisfazione.
MacLeod cominciò a lavorare. Dopo un po' Webster, che evidentemente si annoiava, disse: “Certo che è triste quello che è successo a Banks, vero?”
Già.”
Beh, qui in archivio non può succedere. Al massimo ti può cadere un faldone su un piede.” Fece una risatina.
MacLeod sollevò la testa dal registro e disse: “Mi hanno detto che è venuta una donna a chiedere di lui, ieri sera. Secondo te può avere qualche attinenza con quello che gli è successo?”
Si aspettava che Webster liquidasse la faccenda come l'eccessivo zelo del novellino, invece l'altro rispose: “Ma tu guarda che roba.”
Che cosa?” chiese il più giovane incuriosito.
L’altro assunse un’aria di mistero e disse: “Io ero in servizio, la sera che morì il povero Pierce. Ero seduto nella sala grande, con il mio bel registro davanti. A un certo punto si è presentata una vecchietta tutta vestita di nero, con un cappello che sembrava una tinozza del bucato. Me lo ricordo come se fosse ieri, anche perché quando ha aperto la porta mi ha fatto gelare anche le chiappe. È venuta avanti a passettini, poi mi ha salutato e mi ha chiesto se c’era l’agente Pierce. Credevo che fosse una sua parente, magari mezza stramba per l'età.”
Che ore erano?”
Mah, parecchio dopo mezzanotte, direi, perché le ragazze di Red avevano già smesso di lavorare.”
Perplesso, MacLeod chiese: “Che ci faceva una vecchia signora in giro a quell’ora?”
E che ne so. Però mi ha chiesto di Chris. Quando gli ho detto che stava facendo il giro di ronda se n’è andata.”
Che aspetto aveva?”
Non l’ho vista in faccia, aveva un velo nero. Sai, di quelli che portano le donne...”
Certo, ho capito.”
La conversazione si arenò. MacLeod riprese il suo lavoro, l'altro rimase a sonnecchiare accanto alla stufa. Il giovane agente ripensò a quello che Webster aveva detto: Ero seduto nella sala grande, con il mio bel registro davanti.
Controllò che il collega si fosse addormentato, quindi uscì in silenzio e andò alla ricerca dell'ultimo registro, che era ancora in uso e si trovava su un tavolino.
Risalì alla data in cui Hayes era stato travolto da un carro e trovò una nota: Ore 02.30: persona di sesso femminile e di età avanzata chiede dell'agente George Hayes, quindi si allontana evitando di fornire le generalità.

§

Mentre camminava per la strada accanto a Campbell, MacLeod disse: “Sai che la vecchia vestita di nero è arrivata anche quando sono morti gli altri due?”
L'altro si voltò a fissarlo. “Sul serio?”
La sera che è morto Pierce c'era Webster in servizio, e l'ha vista. Per quella prima sono andato a controllare nei registri.”
Hm.”
Al silenzio del collega, il più giovane chiese: “Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
Ai vecchi non piace molto che si vada a spulciare nei registri. Quello che è fatto, è fatto, dicono. Se vuoi fare bella impressione, è meglio che non lo sbandieri troppo in giro che sei andato a guardare.”
Ho capito.” Poi, dopo una pausa: “E se quella vecchia in qualche modo fosse implicata?”
Hayes, Pierce e Banks erano tre pezzi d'uomini. Cosa vuoi che possa fare una vecchia contro un agente robusto e abituato a trattare con i peggiori delinquenti?”
Però si è presentata tutte le volte. Tu come lo spieghi?”
Sarà un caso.”
Tre volte? Io dico che è la madre di qualche delinquente. Magari viene ad accertarsi di dove siano gli agenti, poi manda qualcuno a occuparsene.”
L'altro non rispose.
Dici che è il caso di parlarne al sergente Kelsey?” insisté MacLeod.
Campbell stava per rispondere quando in un negozio poco lontano espose una cacofonia di grida. Un ragazzino vestito di stracci schizzò fuori come un fulmine con un involto stretto al petto.
Al ladro!” gridò dalla soglia un uomo corpulento, con un grembiule che arrivava quasi fino ai piedi.
Al ladro! Al ladro!” fece eco la folla che si andava raggruppando intorno al negozio. “Io l'ho visto!” strillò una donna, “ha preso un intero pasticcio!”
I due dovettero lanciarsi all'inseguimento del giovane malfattore e la questione venne accantonata.

Per quanto ancora inesperto, MacLeod una cosa l'aveva capita: i vecchi non parlavano volentieri con le reclute, soprattutto se si sentivano chiamati in causa su azioni passate. “Quel che è fatto è fatto,” ripetevano invariabilmente, “se non c'eri, non hai il diritto di entrare nel merito delle decisioni prese dai colleghi.”
Come tutte le regole non scritte, anche quella veniva scrupolosamente rispettata. Persino da Campbell, che pure gli era sembrato più disponibile rispetto agli altri.
Si chiese se ci fosse qualcosa che accomunava i deceduti. La morte era stata violenta per tutti e tre, ma non sembrava in nessun caso opera umana: dei cavalli si erano imbizzarriti, un edificio pericolante aveva avuto un crollo e infine un macchinario industriale si era messo in movimento, e sembrava accertato che l'incidente fosse stato causato da una valvola del vapore incautamente dimenticata aperta.
Entrò in archivio. “Salve, Alistair,” lo accolse Webster, “sei venuto a farmi compagnia?”
La recluta sorrise. “Sì, ecco... tu mi hai detto che sapendo cercare, qui si trova tutto, giusto?”
Assolutamente tutto!” asserì l'altro categorico. Poi, sistemandosi gli occhiali sul naso: “Che cosa cerchi?”
Beh, ecco...” Il giovane agente si chiese se fosse opportuno spiegare a Webster il motivo della sua presenza in archivio. Considerando l'ammonimento di Campbell, preferì evitarlo. Con la massima tranquillità, disse: “Vorrei leggere un po' di cose, giusto per farmi un'idea di come funziona questa stazione di Polizia.”
Ah, i casi più spettacolari? Ce ne sono da far accapponare la pelle, credimi.” Indicò uno scaffale che si incurvava sotto il peso di enormi faldoni gonfi di carte. “Qui ci sono le copie dei rapporti degli ultimi dieci anni, in ordine cronologico. Se mi prometti di non mettere in disordine nulla, puoi leggerli.”
Certo, prometto.”
Bravo ragazzo. E guarda quello del cinque novembre dell'ottantadue, quando arrivò un tizio che diceva di essere Guy Fawkes con la pretesa di far saltare la stazione di Polizia. Ci vollero dodici agenti per ridurlo all'impotenza.”
Va bene.”
Oppure quella della notte di Natale dell'anno scorso, quando trovammo un'intera famiglia fatta a pezzi con l'accetta, impacchettata e messa sotto l’albero come i regali.”
MacLeod estrasse il primo e più recente dei faldoni. “Darò sicuramente un'occhiata,” gli assicurò, quindi posò il contenitore sulla scrivania e sciolse i laccetti che lo tenevano chiuso.

Era ormai notte fonda quando MacLeod trovò qualcosa di interessante. Data l’ora tarda, Webster se n’era andato a casa affidandogli l’archivio, per cui il giovane agente era solo nella stanza semibuia.
Aprì il faldone che risaliva a sette anni prima, e dopo aver sfogliato alcune vicende di poco conto, si imbatté in un fascicolo piuttosto grosso, sul quale era scritto solo Malcolm O’Hanigan.
Lo tolse dal contenitore e lo posò sulla scrivania, quindi cominciò a sfogliarlo lentamente. Dapprima di imbatté in una lista di reati commessi da O’Hanigan. Il soggetto era giovane, ma aveva già una serie impressionante di violazioni a suo carico. Non solo banali furtarelli, anche ricettazione, truffa, taglieggiamento e cose del genere.
Successivamente, trovò un accertamento di decesso, del quale però era presente solo il frontespizio. Su di esso si leggeva che Malcolm O’Hanigan era morto il primo di novembre, alle tre di notte. Mancava tutta la parte relativa alle cause.
MacLeod realizzò che il primo di novembre era anche la data in cui l’agente Hayes era stato travolto dal carro. Sulla base delle testimonianze e dell’esame necroscopico, l’ora del suo decesso era stata approssimativamente fissata alle tre di notte.
Nel fascicolo c’era anche il rapporto di un arresto. Malcolm O’Hanigan era stato fermato all’una del primo di novermbre, arrestato e avviato alle celle del posto di Polizia, dove però non era mai giunto.
Lesse la lista degli agenti che avevano partecipato all’operazione e il cuore gli saltò un battito: George Hayes, Michael Banks, Clifford Adamson, Alfred Taggart, Christopher Pierce, James Wyndham, Reginald Jackson e Charles Campbell.
Emise un fischio, che nel silenzio della stanza sembrò quello di un treno in avvicinamento.
Tutti gli agenti che avevano partecipato a quell’arresto stavano morendo. Che fosse uno dei complici che voleva vendicarsi?
Pensò alla stranezza dei modi usati per eliminare i poliziotti. Forse quel qualcuno voleva che le morti sembrassero incidenti.
Quello che non capiva, era come avesse fatto il misterioso attentatore a far imbizzarrire i cavalli, a far crollare la torretta della casa e a mettere in moto il macchinario proprio nel momento giusto.
Ripose pensoso il fascicolo.

§

Il giorno dopo, Alistair MacLeod andò dal sergente Kelsey.
L’altro lo accolse affabile nel proprio studio, e gli offrì la sedia che si trovava dall’altra parte della scrivania. “Ebbene, ragazzo mio, stai cominciando ad ambientarti?” volle sapere.
Sì, signore,” rispose l’altro.
Molto bene. I giri di ronda come vanno? Le hai imparate le strade?”
Il giovane annuì. “Sì, sergente. I colleghi hanno molta pazienza con me, mi spiegano sempre tutto.”
Ma certo, voglio essere sicuri che tu impari bene il mestiere.” Gli rivolse un sorriso compiaciuto.
MacLeod annuì con fare diligente, quindi disse: “C’è una cosa che credo dovreste sapere, signore.”
Che cosa?”
Ecco, io penso di avere scoperto qualcosa a proposito della morte degli agenti, signore.”
Kelsey aggrottò le sopracciglia. Il sorriso da padre che guarda il figlio farsi la barba per la prima volta scomparve. “Sono solo tragici incidenti,” tagliò corto.
MacLeod non abbandonò il suo proposito nemmeno di fronte all’espressione di fastidio che il suo superiore aveva assunto. “Signore, ho scoperto che gli agenti morti erano tutti presenti a un fatto verificatosi sette anni fa.”
E quindi?”
Lì morì un sospettato. Ho pensato che potrebbe essere qualcuno che vuole vendicarsi, signore, magari un complice del deceduto. Se così fosse, anche gli altri agenti coinvolti sono in pericolo.”
L’altro lo fissò senza preoccuparsi di nascondere la propria irritazione. “E così, abbiamo qui un grande investigatore,” lo schernì, “uno che perde il suo tempo qui a Whitechapel, tra ladri e puttane, e che dovrebbe come minimo finire nei ranghi di Scotland Yard.”
MacLeod ritirò la testa fra le spalle.
Chi credi di essere, giovanotto?” lo redarguì il superiore. “Sei qui da neanche sei mesi e già pretendi di insegnare il mestiere ai detective?”
Ma io volevo solo...”
Te lo dico io, cosa volevi,” lo interruppe l’altro con voce dura. “Volevi metterti in mostra. Quelli che sono successi sono solo incidenti. Tragici, ma incidenti.”
Sergente Kelsey, forse avvisando gli agenti coinvolti potremmo salvare delle vite,” si permise comunque di replicare la recluta.
Chi deve stare attento lo sa già da solo. E ora va’, ho un sacco di cose da fare.” Fece un gesto come per scacciare i polli.

MacLeod si trovò in corridoio senza aver ben capito perché il sergente si fosse arrabbiato in quel modo. In fondo aveva solo cercato di dare una mano.
Si imbatté nell’agente Jackson, che lo squadrò e disse: “Che faccia! Oggi Kelsey era di cattivo umore?”
Si è arrabbiato su una cosa.”
Che cosa? Scommetto che hai lasciato aperta la finestra dello spogliatoio ed è di nuovo entrato il gatto randagio che sta nel vicolo.”
No, ecco… ho fatto delle ricerche in archivio e gli volevo far sapere i risultati, ma non mi ha voluto ascoltare.”
Mentre parlavano si incamminarono verso la zona riservata agli agenti, Jackson chiese: “Che genere di ricerche?”
MacLeod si morse un labbro. “Ecco… ti dice niente il nome di Malcolm O’Hanigan?”
L’altro si immobilizzò e gli rivolse uno sguardo di fuoco. “E tu che ne sai di quel bastardo di O’Hanigan?” sibilò, stringendo gli occhi fino a farli diventare due minacciose fessure.
Il ragazzo dovette fare uno sforzo di volontà per impedirsi di indietreggiare. “Com’è morto?” chiese.
È morto e basta. E se vuoi saperlo, non meritava altro. Visto che ti piace tanto frugare nell’archivio, perché non vai a vedere la sua fedina penale?”
L’ho già fatto, Reggie.”
Agente Jackson, d’ora in poi, per te, stramaledetto moccioso.” Gli girò le spalle e si allontanò.
MacLeod rimase a fissarlo perplesso, poi con un sospiro raggiunse i colleghi. Lì trovò Dobbins e Lynch che stavano smontando dal turno. Il primo aveva già la fiaschetta in mano e stava apprestandosi e versarne una discreta quantità nel suo tè e in quello del collega. Il giovane si accertò che nella stanza non ci fosse nessun altro e li raggiunse.
Ah, il nostro ragazzo!” lo accolse Dobbins. Allungò verso di lui la fiaschetta. “Vuoi un sorso?”
MacLeod scosse la testa. “No, grazie.”
Molto bravo,” approvò Lynch. Poi, con una risata soggiunse: “Così ne resta di più per noi.”
Forte del fatto che quando la gente ride di solito è ben disposta, il giovane agente si avvicinò e chiese: “Posso farvi una domanda?”
Oh, ma certo!” rispose bonario Dobbins. Si slacciò con un sospiro di soddisfazione il primo bottone dell’uniforme e tese una mano verso la stufa per scaldarsi. “Cosa vuoi sapere, qualcosa sul servizio?”
Ecco, non proprio. Sapete qualcosa di Malcolm O’Hanigan?”
Il sorriso scomparve dal volto di entrambi come neve al sole. I due si scambiarono un’occhiata e Dobbins bevve un generoso sorso di Whisky.
Non c’è niente da sapere su quel bastardo,” disse infine Lynch. Il tono era di quelli che non ammettevano repliche.
MacLeod li fissò uno dopo l’altro: gli sguardi bonari con cui l’avevano accolto erano stati sostituiti da espressioni di rabbia mista ad apprensione.
Potete almeno dirmi com’è morto?” tentò.
È morto e basta,” fu la lapidaria risposta. “Ha fatto la fine che si meritava.”

§

Seduti a un tavolino del pub dove erano soliti andare dopo il servizio, MacLeod e Campbell stavano sorseggiando una birra.
Che ne dici, ti stai abituando al lavoro?” chiese il secondo.
Sto cominciando ad ambientarmi.”
Beh, hai fatto un bel lavoro ieri, con quel ragazzino che era scappato di casa.”
Ho solo fatto quello che credevo giusto.”
Sei un bravo ragazzo, Alistair, lo dico sempre. Probabilmente oggi la famiglia avrà rivenduto quel ragazzino a qualcun altro, ma intanto ieri non è finito in nessun bordello.”
Il più giovane, che stava bevendo, appoggiò il bicchiere e lo fissò stupefatto. “Cosa?”
Certo, credevi che fosse andato via di sua volontà?”
L’altro annuì in silenzio.
Ti sei guardato intorno quando l’abbiamo riportato ai suoi?”
Di nuovo, MacLeod annuì: l’aveva fatto. Un tugurio sordido, miserabile, buio e gremito di ragazzini di varie età cenciosi e sporchi. La madre era una donna ossuta, con i capelli scarmigliati e la gonna rattoppata, del padre non s’era trovata traccia.
Te lo sto dicendo,” gli giunse la voce di Campbell, “giusto per farti capire alcune cose.”
Il ragazzo si voltò verso di lui. “Quali cose?”
Che hai ancora tanto da imparare, ad esempio. E che, per quanto volenteroso e rapido nell’apprendere, solo l’esperienza potrà insegnarti che cosa è come appare e che cosa, invece, è in tutt’altro modo.”
McLeod bevve un altro po’ di birra. Immaginava dove volesse andare a parare il collega, tuttavia gli chiese: “Che cosa intendi dire, Charles?”
Jackson si scusa, dice che puoi continuare a chiamarlo Reggie, ma avrebbe piacere che tu smettessi di andare a rivangare le cose del passato. Quello che è successo, è successo, è così che si dice da noi, e se non c’eri, fai bene a non metterci becco.”
L’altro emise un sospiro. “Quindi mi stai dicendo che dovrei smettere di far domande su quel Malcolm O’Hanigan.”
Campbell sorrise. “Lo vedi che quando vuoi capisci le cose al volo?”
Ma Charles, e se questo tizio aveva dei complici che adesso vogliono far fuori tutti quelli che erano presenti durante il suo arresto? Riflettici: sono già tre su otto. Quando arriverà il prossimo?”
Quando un altro agente si distrarrà durante il servizio. Quelli che hanno ucciso i nostri colleghi sono solo degli incidenti.”
MacLeod finì la birra. Rimase per qualche istante a guardare il mondo deformato dal fondo della pinta, poi riabbassò il bicchiere e disse: “Ci sei anche tu in quella lista, Charles.”
Il collega fece una breve risata. “Vuoi che non lo sappia? Ero appena una recluta, forse più giovane di te. E come te, capivo le cose solo a metà.” Finì a sua volta la birra, poi soggiunse: “Ci vogliono anni per comprendere certe faccende fino in fondo. Per entrare veramente nella mentalità dell’agente.” Tacque con l’aria di essere immerso nei suoi pensieri, infine propose: “Un altro giro?”
Il più giovane scosse la testa. “No, grazie.”
Vuoi fare bella impressione su Kelsey?”
No, è che non ne reggo più di una,” rispose MacLeod quasi con aria di scusa.
Va bene, allora ci vediamo domani in Centrale. E ricordati quello che ti ho detto, Alistair: il passato è passato. Rivangarlo non serve a nulla.”

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Tarocchi 2 Capitolo 2


Alistair MacLeod pensò che quella era la notte più tranquilla che avesse mai trascorso in servizio. Non che avesse chissà quale casistica al suo attivo, ma da quando era montato non aveva praticamente fatto altro che alzarsi di tanto in tanto per andare a mettere un po’ di carbone nella stufa.
Guardò fuori dalla finestra. Nel cono di luce del lampione stavano turbinando enormi fiocchi candidi, regnava il gran silenzio tipico delle nevicate.
L’orologio del campanile batté due rintocchi gravi e uno più acuto. L’agente bevve un sorso del tè che nel frattempo si era preparato e prese a scrivere sul registro. Gli unici suoni che si udivano nella stanza erano lo scricchiolio della penna sulla carta e il raro cigolio della sedia.
A un certo punto, MacLeod udì distrattamente il rumore della porta che si apriva e dei passi leggeri che si avvicinavano. Prima ancora di alzare la testa dalla pagina che stava compilando, fu investito da un’ondata di freddo che gli penetrò fin dentro le ossa. Alzò lo sguardo e dovette farsi forza per non sussultare: di fronte a lui c’era una signora anziana e vestita a lutto, con un gran cappello velato in testa. “Buona sera,” salutò compita, con una voce che sembrava lo sfiato di un vecchio mantice.
Il giovane deglutì e rabbrividì per il freddo. Salutò a sua volta e chiese: “Che cosa posso fare per voi, signora?” Nel frattempo cercava di scrutare in viso la misteriosa visitatrice, ma sotto gli strati di tulle riusciva a distinguere soltanto un ovale bianco con due aloni neri in corrispondenza degli occhi.
La signora tentennò il capo, giunse sul petto mani che anche sotto i guanti si intuivano magrissime e disse: “Sto cercando l’agente Jackson, per favore.”
MacLeod sentì il cuore saltargli un battito. “Come… come avete detto, signora?”
“L’agente Reginald Jackson,” ripeté gentilissima la misteriosa avventrice. “Per favore,” soggiunse poi, facendo un passo avanti e incurvandosi appena verso il giovane poliziotto.
Questi si trovò involontariamente ad arretrare. Prese comunque la penna e la intinse nel calamaio. “Le vostre generalità, signora… gentilmente...”
L’altra inclinò appena la testa da un lato.
“Come vi chia...” Una porta che si apriva lo fece letteralmente saltare sulla sedia. Si girò verso la provenienza del rumore e vide arrivare L’agente Brennan che disse: “MacLeod, vuoi che stia io al registro per un po’?”
“Aspetta,” rispose il giovane, poi si girò, ma la vecchia signora era scomparsa. Alzò gli occhi sulla porta d’ingresso e vide che si stava chiudendo lentamente.
In un attimo saltò in piedi, infilò il pastrano e accese la prima lanterna che gli capitò a tiro, poi si lanciò con quella in mano all’inseguimento della donna. “Coprimi per un po’!” urlò dalla soglia al collega, quindi si immerse nella notte silenziosa senza nemmeno aspettare la sua risposta.


Tra l’oscurità e la fitta nevicata, la vecchia signora era scomparsa alla vista, ma erano ancora ben distinguibili le sue impronte.
MacLeod cominciò a seguirle. Allungò il passo con l’intento di raggiungere l’anziana donna, ma ella sembrava essersi dissolta nel buio.
La lanterna illuminava solo le sue tracce, che serpeggiavano sicure tra i vicoli di Whitechapel. Il poliziotto aumentò l'andatura, certo che avrebbe in breve sopravanzato la vecchia signora, ma non fu così: per quanto corresse, c’erano solo le orme a condurlo, ed ebbe la sensazione che come le briciole di Pollicino lo stessero portando a perdersi dentro la foresta.
Proseguì per un po'. I suoi passi suonavano soffici sul manto di neve fresca, rompendo un silenzio misterioso e carico di attesa.
L'agente arrivò a un vecchio magazzino intorno al quale erano state erette delle impalcature. Lì lo strato di neve si assottigliava fin quasi a scomparire, e le impronte si perdevano. Il poliziotto fece girare la lanterna tutt'intorno: le tacce lasciavano supporre che la vecchia signora fosse entrata nell'edificio.
“C'è qualcuno?” chiese a voce alta. “Signora? Siete qui?”
Non gli giunse risposta.
Fece qualche altro passo, che all'interno del magazzino vuoto si riverberò in decine di echi, poi di nuovo sollevò la lanterna e fece scorrere il fascio di luce lungo le pareti, rivelando impalcature che le coprivano completamente.
“Signora?” chiamò di nuovo.
Il campanile batté tre rintocchi, e quando si ristabilì il silenzio, MacLeod si rese conto che da una delle impalcature proveniva uno sgocciolio. Volse il fascio di luce in quella direzione, rivelando una pozza rossa che si allargava sul pavimento.
Si avvicinò: colore, odore e consistenza non davano adito a dubbi. Alzò lo sguardo per scoprirne l'origine, e il respiro gli si mozzò in gola
L'unica cosa di lui per lunghi secondi fu sicuro, fu che si trattava di un agente di Polizia. Dopo aver fatto alcuni profondi respiri guardò meglio, e si accorse che era Reginald Jackson.
“Reggie...” mormorò, mentre una sensazione di freddo glaciale lo invadeva.
L'agente aveva una corda da cantiere attorcigliata a una gamba e pendeva a testa in giù come una mezzena nella bottega del macellaio, dondolando lentamente. Sul cranio aveva una profonda ferita, dalla quale sgorgava il sangue che si stava raccogliendo sul pavimento. Gli occhi spalancati e vitrei facevano capire che era morto.
Interpretarlo come un incidente sarebbe stato facile: l'agente era salito per qualche motivo sulle impalcature, nel buio aveva finito per mettere il piede nella corda di una carrucola, se l'era attorcigliata alla gamba e aveva perso l'equilibrio, sbattendo poi la testa da qualche parte nella caduta.
Diventava però sempre più difficile credere che quelli fossero solo incidenti.
“Signora?” chiamò di nuovo, “Siete qui?”
Fece un giro tutt'intorno allo stabile: le impronte arrivavano, ma non ripartivano.
“Signora?”
Controllò ovunque, compatibilmente con le possibilità di una donna anziana e in abito lungo di arrampicarsi su malsicuri ponteggi di legno, ma non trovò anima viva. In quel magazzino c'erano solo lui e il corpo del povero Jackson.
E una pervasiva, angustiante sensazione di essere osservato, così intensa che un paio di volte aveva spinto il giovane agente a girarsi di scatto come per sorprendere qualcuno alle sue spalle.


§


“È un maledetto schifo!” accolse la notizia James Wyndham. “Reggie era un agente esperto, con vent'anni di servizio alle spalle. Come accidenti ha fatto a cadere da quel ponteggio?” Si girò verso MacLeod e in tono velenoso chiese: “Non è che gli hai dato una spintarella tu, moccioso?”
“E dai, Jim!” lo richiamò Kelsey.
“Il moccioso sta facendo troppe domande, secondo me c'entra qualcosa,” ribatté imperterrito il veterano.
Campbell lo prese per un braccio come per invitarlo alla calma. “Sai bene che il ragazzo non c'entra niente,” gli disse in tono significativo. “Sai bene che il problema non è lui.”
L'altro lo fissò teso e rosso in viso, ma pian piano si rilassò e riprese a respirare normalmente. Si girò verso i colleghi riuniti a capannello e chiese: “Dobs, ce l'hai ancora quella fiaschetta?”
“Sì, certo, James.”
“Dà qua.”
L'interpellato gli porse il recipiente, Wyndham lo stappò, fece girare tutt'intorno uno sguardo come di sfida e se lo portò alle labbra.
Bere in servizio era un'infrazione grave, ma Kelsey preferì voltarsi dall'altra parte.
L'altro vuotò la fiaschetta, poi la restituì al legittimo proprietario, rivolse un'altra occhiata storta a MacLeod e disse: “Beh, il giro di ronda non si fa da sé. Sarà meglio che vada.”
Senza aggiungere altro, si buttò il pastrano sulle spalle, si calcò in testa il casco e uscì sbattendo la porta.
Nel silenzio che l'agente si era lasciato dietro, echeggiò la voce mite di Webster: “C'è da capirlo, poveretto. Reggie era suo amico.”
“Era amico anche di tutti noi,” replicò ruvido Lynch, “eppure nessuno sente il bisogno di fare il melodramma.”
Dal capannello degli agenti si levò una voce: “E comunque, non penso proprio che sia l'amicizia con Reggie il problema.”
Tutti si voltarono in quella direzione. Le braccia dietro la schiena, Woods disse: “Andiamo, lo sapete tutti di cosa stiamo parlando. Volete scommettere con me su chi sarà il prossimo?”
Nessuno rispose. Gli agenti si dispersero anzi brontolando e ognuno tornò alle proprie occupazioni.
MacLeod cercò di captare lo sguardo di Campbell in una muta richiesta di spiegazioni, ma il collega gli girava ostinatamente le spalle.


§


MacLeod si affacciò alla porta dell'archivio. “È permesso?”
Webster gli rivolse un'occhiata indecisa. “Ah... ehm... Certo, certo. Vieni pure.” Rimase a guardarlo con aria irresoluta.
“Avevi da fare, Paul? Ti disturbo?”
“Ecco, non proprio...” L'archivista dardeggiò intorno uno sguardo apprensivo.
“Vuoi che torni dopo?”
“Beh...”
Il giovane si ritirò in buon ordine. Andò alla ricerca di Campbell. “Hai un minuto?” gli chiese una volta che l'ebbe trovato.
“Certo, per che cosa?”
“Andiamo a bere un po' di tè,” gli disse l'altro, quindi lo prese familiarmente sottobraccio e lo condusse nella stanza riservata agli agenti, che in quel momento era vuota.
Quando furono entrati, chiuse la porta, quindi preparò due tazze e ne fece scivolare una verso il collega, che nel frattempo si era seduto al tavolo. Campbell continuava a fissarlo senza dire nulla, ma il suo sguardo faceva chiaramente capire che sapeva benissimo quale sarebbe stato l'argomento della conversazione.
Alla fine, MacLeod chiese: “Cos'è successo sette anni fa?”
L'altro sollevò le sopracciglia. “Diciamo che sei uno che non si perde in chiacchiere.”
“Io sono un novellino e non so nulla,” fu la risposta, “ma non sono stupido, Charles. Qui c'è qualcosa che nessuno dice, ma che tutti sapete benissimo.”
“Tu sei qui da nemmeno sei mesi,” replicò Campbell, in tono insolitamente aggressivo, “e lavori con gente che a momenti è in servizio da quando sir Robert Peel[1] andava ancora al college. È normale che ci siano cose che sanno tutti tranne te.”
Sullo stesso registro, MacLeod ribatté: “Certo, ma di solito, quando chiedo qualcosa che non so, tutti me la spiegano. Quando si parla degli agenti morti, invece, nessuno apre bocca. Anzi, mi prendo anche degli insulti.”
“Lo credo bene, per molti qui dentro i colleghi sono come la famiglia. Se tu perdessi un fratello, ti farebbe piacere che l'ultimo dei novellini ti venisse a chiedere se per caso è morto perché aveva commesso qualche irregolarità sul servizio?”
“Con la differenza che qui non siamo parenti.”
“Ma è come se lo fossimo. In servizio bisogna potersi fidare ciecamente gli uni degli altri. Bisogna essere certi che i compagni ci copriranno le spalle, a prescindere da qualsiasi cosa.” Tacque per qualche secondo, poi chiese: “Tu pensi che i colleghi possano fidarsi di te, con tutto il casino che stai facendo?”
MacLeod lo fissò negli occhi. “E io, posso fidarmi di loro? Posso essere sicuro che non piegheranno le norme di servizio a loro uso e consumo quando se ne presenterà la necessità?”
“Adesso non esagerare,” disse Campbell. “A sentire te, sarebbero peggio dei Fratelli della Costa.”
Il più giovane non rispose. Si limitò a sorbire il tè in silenzio. Fu solo dopo aver vuotato la tazza che chiese: “Che cos’è successo a Malcolm O’Hanigan?”
Campbell lo fissò negli occhi. “Niente.”
“Senti, Charles,” disse il primo, “i tuoi colleghi, la tua famiglia, per dirla in un modo che ti piace, stanno morendo uno dopo l’altro. Sei anche tu in quella lista. Che cosa aspetti a fare qualcosa?”
“Non c’è niente da fare.”
“Ma in nome di Dio, perché?”
“Non puoi capire,” tagliò corto Campbell. “Hai troppo pochi mesi di servizio, non sai nulla, hai in testa solo norme e regolamenti, e ti rifai a quelli come al Vangelo. Non capisci che sono più importanti l’esperienza sul campo e la fiducia nei colleghi.” Si interruppe, emise un sospiro, poi concluse: “Lascia perdere, Alistair. Non c’è niente che tu possa fare.”
Detto questo si alzò, depose sul tavolo la tazza ancora piena e uscì chiudendosi la porta alle spalle. MacLeod rimase seduto per un po’, forse sperando che l’altro tornasse sui suoi passi, poi si alzò, rimise via le tazze e riempì nuovamente il bricco dell’acqua calda.


Per andare nell’archivio, MacLeod attese che Webster uscisse a pranzo. Il collega era un uomo assai abitudinario: tutti i giorni smontava dal servizio alla stessa ora, andava nel pub dall’altra parte della strada, consumava un sandwich o una fetta di pasticcio, e poi, dopo mezz’ora esatta, rientrava in centrale.
Non appena Webster ebbe fatto il suo ingresso nel locale, MacLeod si diede un rapida occhiata intorno, constatò che nessuno lo stava osservando e si infilò nell’archivio.
Ringraziò che nei giorni precedenti il collega gli avesse mostrato l’ubicazione di tutti gli schedari, e andò subito ai fascicoli degli arrestati alla ricerca di quello di O’Hanigan, già aspettandosi che fosse infilato in qualsiasi posto tranne il suo.
In realtà non faticò particolarmente a trovarlo, ma una volta che lo ebbe posato sul tavolo e aperto, ebbe un’amara sorpresa: il suo contenuto consisteva in fogli bianchi. Qualcuno aveva rimosso tutto il resto. Rimaneva solo il frontespizio, sul quale si trovavano scarne notizie anagrafiche: data di nascita, indirizzo e cose del genere. Copiò tutto su un foglio, quindi rimise al suo posto il fascicolo.
Abbandonò l’archivio con il suo magro bottino. Per svolgere le indagini aveva a disposizione l’ultimo indirizzo noto di O’Hanigan, la sua data di nascita e il nome di sua madre: Catriona O’Hanigan. Il nome del padre non era noto.
Andò alla mappa del quartiere che si trovava nella sala principale: la casa che stava cercando era situata nella zona più miserabile di Whitechapel, vicino a una conceria di pelli che giorno e notte ammorbava l’aria con i miasmi dei processi di lavorazione. In quel posto, dicevano i suoi colleghi, non andavano nemmeno i cani randagi, in primo luogo perché se no sarebbero finiti anche loro nella conceria, e poi perché lì la gente era talmente miserabile che nei rifiuti non c’era nemmeno il più misero avanzo da contendersi.
Si annotò il posto, quindi andò dal sergente Kelsey e disse: “Signore, chiedo il permesso di uscire.”
Il graduato, che stava compilando delle carte, alzò lo sguardo e lo fissò scettico. “Tu? Da solo?”
“Devo controllare l’indirizzo di un sospettato, signore,” fu la risposta, proferita nel tono più innocente che MacLeod riuscì a tirare fuori.
L’altro si raddrizzò, poi appoggiò le mani sul piano della scrivania come per puntellarsi. Infine disse: “Senti un po’, lo sai che tu sei la preda ideale di qualsiasi grassatore, delinquente e teppista del quartiere, vero? Hai scritto in fronte ‘novellino’, scommetto che sei più ingenuo della mia nipotina di sette anni.”
“Ho già imparato molto, signore,” insisté il giovane.
Il graduato emise un sospiro. “E va bene. Vedi di non rendere ridicolo il corpo di Polizia.”
“Sissignore. Grazie, signore.”
“Ora va’, lasciami lavorare.”


MacLeod si incamminò verso l’indirizzo che si era annotato. Man mano che procedeva, i dintorni si facevano sempre più degradati. Frotte di bambini magri e cenciosi, chi col moccio al naso, chi con la testa rasata a zero per scongiurare infestazioni di parassiti, sedevano sulla soglia di spelonche buie.
Alcuni inseguivano schiamazzando una palla di stracci. Un ragazzino più grande ne spintonò un altro, che si muoveva sostenendosi con una stampella, e lo mandò a rotolare sul marciapiede. Il poliziotto fece per intervenire, ma non appena si mosse verso di loro, i bambini si dileguarono in ogni direzione come ratti sorpresi in un granaio. La stampella rimase abbandonata al suolo.
Mentre l’agente si guardava intorno stupefatto, uscì da una delle porte una donna che poteva avere l’età sua madre. Aveva i capelli grigi raccolti in una crocchia e un abito dall’ampia scollatura, che lasciava vedere il seno vizzo. Sorrise mettendo in mostra pochi denti giallastri.
“Hai un penny, bel giovane?” gli chiese.
“Signora, sono un poliziotto,” le ricordò MacLeod.
“E non hai niente in mezzo alle gambe?” chiese lei, piazzandogli una mano esattamente nella parte che aveva menzionato.
L’agente fece un salto indietro e si allontanò inseguito dalle risate inframmezzate a colpi di tosse della prostituta.
Controllò che il borsellino fosse ancora al suo posto, quindi proseguì per la sua strada.
L’aria frattanto andava facendosi pesante, caliginosa e gravata sempre più del tanfo della conceria. Resistendo all’impulso di mettersi il fazzoletto su naso e bocca, MacLeod si chiese come fosse possibile vivere in quel posto. L’odore di carbone delle altre fabbriche, in confronto, poteva quasi essere considerato un profumo.
La neve caduta negli ultimi giorni aveva già assunto una tonalità giallastra, malata. Corde per il bucato tese attraverso i vicoli sostenevano miseri panni che a loro volta si impregnavano di quel veleno.
In giro non c’era nessuno, probabilmente gli adulti erano al lavoro nella conceria e i bambini chissà dove.
Nell’aria vi era un silenzio raggelante, i suoi passi risuonavano cupi sul selciato sconnesso.
Trovò infine la casa che cercava. Si trattava di un piccolo edificio isolato, situato al centro di quello che restava di un giardino. L’abituro era buio, lugubre, con le pareti annerite e scrostate dalle intemperie, chiaramente disabitato. Le persiane erano tutte serrate, su quelle del piano superiore erano state inchiodate delle assi disposte a X.
Il piccolo appezzamento recintato che lo circondava conteneva ormai solo qualche sterpo secco. Gli alberi probabilmente si erano già da tempo trasformati in legna da ardere per qualcuna delle abitazioni vicine, e delle statue rimanevano solo i basamenti.
Il poliziotto spinse il cancello arrugginito, che cedette stridendo sui cardini, quindi percorse il vialetto invaso dalle erbacce e salì i tre gradini che conducevano alla porta d’ingresso.
Abbassò la maniglia coperta da uno strato di polvere e l’uscio si socchiuse.
MacLeod aggrottò le sopracciglia. Dentro c’era una densa penombra, odorosa di polvere e muffa. Non si udiva il più piccolo rumore.
“C’è nessuno?” chiese.
Non giunse risposta.
“Polizia,” riprese l’agente a voce più alta, “Sto cercando la signora Catriona O’Hanigan.”
Di nuovo, non ottenne risposta.
Fece un passo indietro e si guardò intorno, ma la zona continuava a essere, o ad apparire, completamente deserta.
Scrutò ancora una volta all’interno. Alla luce che penetrava dalla porta, intravide qualche mobile coperto da lenzuola ormai ingrigite.
“Signora O’Hanigan?”
Ancora una volta, gli rispose solo un silenzio corposo, che gli evocò l'attesa paziente di un ragno. Aprì adagio la porta e si trovò a posare i piedi su un pentacolo che era stato tracciato con la vernice rossa direttamente sul pavimento, proprio davanti alla soglia.
A parte questo, lo colpì il fatto che dall’ingresso che stava contemplando non era stato asportato il più piccolo oggetto. Eppure la porta era aperta, e il quartiere versava in uno stato di povertà a dir poco spaventosa.
Era tutto lì, portacenere, quadretti alle pareti, persino il vaso da fiori con ancora dentro un mazzo di ortensie polverose. Sul tavolino c’era addirittura un cofanetto che conteneva dei bonbon di zucchero. Possibile che a nessuno dei bambini miserabili che aveva incrociato fosse passato per la mente di appropriarsene?
Notò che le specchiere appese ai muri erano tutte velate.
Rabbrividì: in quella casa c’era un freddo terribile, che penetrava nelle ossa. Forse perché era stata chiusa per tutto quel tempo. Si guardò intorno: gli occhi ormai si erano abituati alla scarsa luce, e man mano riusciva a cogliere sempre più particolari di quello che stava osservando. Appeso a una parete c’era il ritratto fotografico di una donna, l’agente si chiese se fosse Catriona O’Hanigan. Era una signora di mezz’età, olivastra, con uno chignon corvino e uno scialle frangiato sulle spalle, che in una mano teneva un mazzo di carte dall’aspetto antico, mentre l’altra era chiusa a pugno e puntata contro il fianco. Posava orgogliosamente sullo sfondo di un carrozzone dalla forma cilindrica, trainato da due robusti cavalli pezzati.
Lo colpì il suo sguardo: duro, imperioso, magnetico. Sembrava seguirlo mentre si spostava nella stanza. Dava l’idea di una volontà selvaggia, disposta a qualsiasi cosa pur di raggiungere lo scopo.
Tutt’intorno al ritratto, direttamente sulla parete, erano stati tracciati dei segni che l’agente riconobbe come celtici, ma ai quali non seppe dare un significato.
Sul pavimento, proprio sotto la fotografia, c’erano un polveroso mozzicone di candela e delle foglie accartocciate.
Esplorò altre stanze: dappertutto vi erano mobili coperti da lenzuola. Di tanto in tanto si imbatteva in pentacoli o altri simboli, perlopiù incisi con uno strumento acuminato sugli infissi delle finestre.
Salì una scricchiolante rampa di scale e raggiunse il piano superiore. Si guardò intorno, ma riuscì a scoprire ben poco: l’unica fonte di luce proveniva dalle fessure tra le persiane, il che permetteva giusto di distinguere i contorni delle cose. Intravide una camera da letto, con lo specchio come sempre coperto, e un bagno dall’altra parte del corridoio. Percepì una generica impressione di qualcosa che non era come sarebbe dovuto essere, ma prima che potesse anche solo analizzare meglio la strana sensazione, un richiamo lo fece sussultare: da fuori una voce femminile chiamava: “Signor poliziotto! Siete lì dentro, signor poliziotto?”
Il tono aveva una strana nota di apprensione.
“Signor poliziotto?”
La persona che lo stava chiamando doveva trovarsi sulla porta di casa.
MacLeod tornò al piano di sotto. “Eccomi!” disse. “Dove siete, signora?”
Sulla soglia c’era una giovane donna con le maniche rimboccate e le mani arrossate allacciate in grembo. Aveva un abito grigio e una cuffia bianca, dalla quale usciva qualche ciocca castana. Pur non osando fare un passo all’interno, stava allungando il collo per guardare dentro.
“Eccomi,” ripeté l’agente raggiungendola.
Ella sussultò all’udire la sua voce, quindi emise un sospiro di sollievo. “Dio sia lodato!” esalò. “Sta calando il sole. Presto, venite fuori.”
“Cosa?”
“Vi ho visto entrare, sapete? Stavo lavando i panni e mi sono detta: ‘Gwen, quell’agente si sta cacciando proprio in un bel pasticcio.’ Ho lasciato stare il bucato e sono venuta a cercarvi. Dove eravate finito? È un po' che vi chiamo, stavo cominciando a preoccuparmi.”
L’agente le rivolse un lieve sorriso, quindi le disse: “Vi ringrazio molto per la vostra premura, signorina, ma non dovete preoccuparvi: sono un agente di Polizia, posso affrontare qualunque malvivente.”
La ragazza scosse la testa. “Ho, no. No. Non ci sono malviventi là dentro, solo fantasmi. Nelle notti senza luna si sente la strega che urla, sapete?”
“Che strega?”
La giovane donna rivolse uno sguardo alla casa, che nella caligine dell’imbrunire s’era fatta più che mai sinistra e incombente. “Andiamo via,” mormorò. “Non vorrei che ci sentisse. Poi mi manda il malocchio.”
“Ma chi?”
“La Papessa Nera. Ma non dite che ve l’ho detto io, mi raccomando.”
“Chi è la Papessa Nera?”
La ragazza si morse il labbro. Senza rispondere scese i gradini e ripercorse a passo svelto il vialetto, quindi si fermò sul cancello. “Venite, signor poliziotto, presto!”
MacLeod la raggiunse. “Chi è la Papessa Nera?”
L’altra prese un gran respiro e aprì la bocca come per rispondere, ma in quel momento echeggiò poco lontano una voce che chiamava: “Gwen! Gwen! Vieni qui subito!”
La ragazza quasi sussultò. “È mamma. Devo andare.” Fece per incamminarsi, ma dopo un istante si fermò e si girò di nuovo verso di lui: “E andate anche voi, fatemi questa grazia. Sta venendo buio.”
“Volete dirmi perché, signorina? Cosa...”
Ma la giovane donna stava già correndo via. “Andate!” gli gridò prima di scomparire in un portone. Subito dopo si udì il rumore di chiavistelli che venivano tirati.


§


MacLeod rientrò al posto di Polizia quando ormai i primi lampioni erano accesi. Inspiegabilmente, si sentiva stanco morto e indolenzito ovunque, come se avesse svolto qualche lavoro pesantissimo. La sensazione di freddo che aveva percepito all’interno di quella casa non voleva abbandonarlo.
“Forse con una buona tazza di tè andrà via,” disse fra sé e sé, appendendo il pastrano all’attaccapanni.
Si avvicinò alla stufa e tese le mani per scaldarsele.
“Alla buon’ora!” esclamò il sergente Kelsey alle sue spalle. “Credevo che ti avessero venduto al circo.”
“Scusate, sergente,” mormorò il giovane.
“Dove sei stato, eh?” Poi, imitando il suo tono di voce: “Devo controllare l’indirizzo di un sospettato… dove abitava, questo tizio, in Cina?”
“Nossignore.”
“Beh, che non ti venga in mente mai più di andare a zonzo per mezzo pomeriggio come se fossi ai giardini pubblici. Siamo poliziotti, qui, non perdigiorno.”
“Sissignore.”
Si sentì una porta sbattere: il sergente se n’era andato.
Con un sospiro, MacLeod si lasciò cadere su una sedia accanto alla stufa e chiuse gli occhi. Mentre si trovava in quello stato di torpore, udì delle voci nella stanza attigua.
“Dà qua, Dobbins. Un goccio è quello che mi ci vuole, con questa storia.”
“Siamo in servizio, Jim.”
“E piantala, con lo stramaledetto servizio.”
Ci fu qualche secondo di silenzio, durante il quale si udirono il rumore di un oggetto metallico che veniva manipolato, e poi passi che si allontanavano, quindi risuonò di nuovo la voce di Wyndham. MacLeod non riuscì a capire bene, perché l’agente se ne stava andando, tuttavia gli parve che dicesse: “Io non voglio essere il prossimo.”
Poi la stanchezza finalmente lo vinse, ed egli si addormentò profondamente.


Quando riaprì gli occhi era tarda notte. I suoi colleghi l’avevano lasciato dormire, o più probabilmente non si erano nemmeno accorti che lui era lì sulla sedia.
Si guardò intorno stirando le membra intorpidite, aggiunse un po’ di carbone alla stufa e fece qualche passo nella stanza in penombra. Prestò un orecchio distratto a un agente, forse Woods, che nella stanza attigua stava raccogliendo una denuncia. Colse le domande di rito: quando, quanti erano, cos’hanno portato via…
Poiché nessuno faceva caso a lui, andò alla ricerca del bricco dell’acqua e lo mise a scaldare, poi si sistemò di nuovo accanto alla stufa e prese a riflettere su tutta la faccenda.
Sette anni prima, un tale di nome Malcolm O’Hanigan era morto in circostanze misteriose. Gli agenti che avevano preso parte al suo arresto stavano a loro volta morendo uno dopo l’altro, apparentemente a causa di terribili incidenti. Prima di ogni decesso, compariva presso il posto di Polizia una vecchia signora vestita a lutto, che chiedeva dell’agente che sarebbe morto e poi scompariva, letteralmente senza lasciare tracce.
C’era di che farsi venire il mal di testa. Chi era la signora? E come faceva a sapere chi sarebbe morto, se quelli che accadevano erano incidenti, e quindi, in quanto tali, per definizione imprevedibili?
Emise un sospiro sconsolato. Per quanto sir Robert Peel si fosse industriato a rendere scientifico il mestiere del poliziotto, ogni agente aveva ben chiaro che nel servizio c’era anche un aspetto irrazionale, che nulla aveva a che vedere con scienza o statistica. Non si trattava del celebre istinto da poliziotto, era piuttosto una messe di fatti inspiegabili, leggende e superstizioni che venivano tramandati perlopiù a bassa voce, con allusioni o giri di parole, nelle lunghe notti di servizio.
Il sergente Kelsey in persona, poliziotto anziano con anni di esperienza alle spalle, giurava sulla testa dei suoi figli che una volta il cadaverino di un bimbo ucciso aveva riaperto gli occhi, l’aveva fissato e gli aveva rivelato chi era stato a strangolarlo, poi era tornato a un gelido rigor mortis.
Tra gli agenti che pattugliavano le rive del Tamigi era diffusa la convinzione che nelle notti di luna piena una bestia scivolasse fuori dai sotterranei che si trovavano sotto i vecchi docks e si aggirasse per i vicoli intorno al fiume, cosa che veniva invocata per spiegare l’aumento dei ritrovamenti di cadaveri in quei periodi.
Un agente di nome Marsh sosteneva di averla anche vista. “Da qui a lì, com’è vero Dio!” raccontava, normalmente a beneficio delle giovani reclute, “era grossa come un pony, puzzava come una fogna e aveva in bocca un braccio umano!”
Kirkpatrick, un irlandese in forza al distretto di St. James, aveva un’autentica collezione di simili fenomeni, dalle voci degli appestati che si lamentavano sotto Haymarket – appestati morti nel seicento – ai ratti posseduti dal demonio che si gettavano da soli nel fuoco e bruciavano vivi.
Il rumore dell’acqua che bolliva distolse il giovane agente dagli episodi soprannaturali. Preparò la teiera, aggiungendo foglie anche per i ragazzi del turno di notte, vi versò l’acqua calda e attese.
Nel frattempo il pensiero corse di nuovo alla vecchia signora. Chissà, forse era davvero la Morte, che veniva ad annunciare la sua decisione di portarsi via questo o quell’agente.
Pensò che indubbiamente sarebbe stata un’ottima storia per spaventare le reclute – le altre reclute – ma che la presenza dell’anziana doveva per forza avere una spiegazione logica.
Fece mente locale: degli otto agenti che avevano partecipato all’arresto, quattro erano già morti. In forza al distretto di Whitechapel rimanevano Wyndham e Campbell, mentre degli altri due, tali Taggart e Adamson, non aveva mai sentito parlare.
Raccolse la teiera e raggiunse i colleghi.
“Ah, ma sei qui!” lo accolse Woods. “Credevo che fossi smontato due ore fa.”
“Veramente mi sono addormentato,” confessò il giovane.
“Uhm,” commentò l’altro, alzando con fare teatrale le sopracciglia. “Addormentato in servizio? Male. Malissimo. Vi perdono unicamente perché avete portato del tè caldo, agente MacLeod, ma che non si ripeta più.”
Recuperò una tazza da un cassetto della scrivania e gliela tese affinché fosse riempita. “Ci voleva,” sospirò poi, stringendola fra le mani. A voce più alta chiamò: “Gordon, vieni qui. Il ragazzo ha portato del tè.”
Si udirono lo scricchiolio di una sedia e lo scorrere del cassetto dello schedario, poi anche l’agente Lynch si avvicinò con una tazza in mano. “Ah, bello caldo come piace a me,” apprezzò notando la teiera fumante.
MacLeod sogguardò i due e per un attimo ebbe quasi la tentazione di chiedere loro che fine avessero fatto Taggart e Adamson: il clima era disteso, la situazione tranquilla. Sembrava il momento ideale.
Rinunciò al proposito. Chiunque, compreso Campbell, col quale era sempre stato più in confidenza, cambiava faccia al solo nominare la faccenda di O’Hanigan, e al posto di sorrisi e battute, comparivano facce scure e risposte sgarbate, peraltro di nessuna utilità per la faccenda, giacché il più delle volte erano solo insulti diretti a lui.
Riempì di nuovo la propria tazza e annunciò: “Beh, penso proprio che dopo questa me ne tornerò a casa.”
“Perché? Non vuoi restare qui con noi?” gli chiese Lynch.
“Ti facciamo scrivere le deposizioni dei cittadini,” intervenne Woods.
MacLeod scosse la testa. “Grazie, ma sono di turno anche domani notte, vorrei cercare di dormire un po’.”
“Non è quello che hai fatto fino ad ora?”
“E dai,” disse Lynch, “lascia stare il giovanotto. Altrimenti poi non ci porta più il tè.”
“Già, hai ragione,” considerò l’altro. Poi, rivolto a MacLeod: “Va’ pure a letto, ragazzo. Sogni d’oro.”
Il giovane raccolse la teiera ormai vuota, quindi tornò nella stanza attigua. Si chiuse la porta alle spalle con cura, accese una lampada ed entrò nell’archivio. Andò agli schedari che contenevano le note personali degli agenti, poi rimase a fissarli esitante. Quella era una violazione grave. Fino a quel momento non aveva fatto nulla di diverso da ciò che qualsiasi altro poliziotto avrebbe potuto fare per indagare su un caso. Andare a mettere le mani nel fascicolo personale di colleghi, invece, peraltro senza alcun permesso, non era decisamente un’azione consentita. Non senza motivi gravi.
Aprì il primo cassetto.


Alla fine delle sue ricerche scoprì che sei anni e mezzo prima, ovvero circa sei mesi dopo la faccenda di O’Hanigan, Alfred Taggart aveva chiesto il congedo e aveva cambiato lavoro. La faccenda era piuttosto strana, perché le sue note caratteristiche e il suo stato di servizio erano impeccabili, il che significava che di sicuro sarebbe stato candidato a una fulgida carriera nella Polizia. Però, a quanto pareva, se n’era andato in fretta e furia, adducendo come motivazione solo questioni personali.
Nel fascicolo trovò un indirizzo, lasciato per eventuali comunicazioni. Se lo annotò ripromettendosi di andare a fare due chiacchiere con l’ex collega il prima possibile.
Clifford Adamson gli riservò qualche sorpresa in più.
A quanto pareva, l’agente era impazzito. In un rapporto risalente a circa tre mesi dopo la faccenda di O’Hanigan, lesse che Adamson aveva avuto un accesso di mania furiosa che aveva richiesto l’intervento di otto colleghi per essere contenuto. Nel corso di tale episodio, egli aveva più volte ripetuto che una donna, da lui definita Papessa Nera, parlava dentro la sua testa. Nessuno era riuscito a dare un senso alle farneticazioni del disgraziato, che una volta ridotto con fatica all’impotenza era stato immediatamente trasportato al Bethlehem Royal Hospital.
MacLeod rimase perplesso: anche Adamson era un agente scelto. Mai un problema, mai un richiamo. Invidiabili nervi saldi.
Ed era finito pazzo al Bedlam.
Se era ancora là, ovviamente. Poiché non poteva chiedere ai colleghi, decise che sarebbe andato a controllare di persona il giorno dopo.
Sistemò tutto, uscì dall’archivio e si richiuse con cura la porta alle spalle. “Beh, io penso che ora me ne tornerò a casa,” annunciò a voce alta, a beneficio dei colleghi nell’altra stanza.
“Sogni d’oro, piccino!” gli giunse la risposta di Lynch, alla quale fece seguito la risata di Woods.


§


Gli infermieri che lo accolsero erano due: un tanghero mal rasato e corpulento e un piccoletto con la faccia da faina.
“Venite per lo spettacolo?” s’informò il primo.
MacLeod aggrottò le sopracciglia. “Che spettacolo?”
“I pazzi,” rispose l’altro, col tono di chi sta parlando del tempo. “Comincia fra dieci minuti. Posso farvi un buon prezzo, se volete.” Tirò fuori una tabacchiera di latta, ne trasse una presa di tabacco da fiuto, se la pose sul dorso della mano e la inalò. Fatto questo lo fissò come se non stesse aspettando altro che il suo assenso.
“Non vedete che sono un poliziotto in uniforme?” gli fece notare invece l’agente.
Per nulla impressionato, l’altro replicò: “Vengono qui nobildonne e ministri, se è per questo.” La tabacchiera tornò nella tasca. “Allora, questo spettacolo?”
“Insomma, basta. Sono qui per parlare con un medico.”
Intervenne a questo punto il piccoletto: “Lascia, Bob.”
L’altro, che vedeva sfumare il guadagno, lo guardò storto. “Cosa?”
“Bob, guarda le mostrine: è di Whitechapel.”
“Ah.” Il tanghero annuì come se l’informazione spiegasse tutto. Tornò a rivolgersi all’agente: “Allora voi lo spettacolo lo vedete gratis tutti i giorni, nevvero?”
“Fatemi parlare con un dottore,” ripeté MacLeod per tutta risposta.
“Sì sì. Venite con me,” brontolò l’uomo. “Sta attento al pubblico,” raccomandò al collega prima di allontanarsi.
“Certo, Bob.”
I due si inoltrarono nelle profondità dell’istituto. Man mano che si allontanavano dalla zona di degenza, le grida dei furiosi si facevano sempre più fioche, e l’unico rumore che si udiva, a parte i passi, era il tintinnio del mazzo di chiavi che Bob portava in cintura.
“Perché siete qui, se non vi interessa lo spettacolo?” chiese di punto in bianco l’infermiere.
“Mi servono informazioni.”
“Su cosa?”
MacLeod si voltò verso di lui e lo squadrò con espressione severa. “Dite un po’, non vedete che sono un agente in servizio?” chiese per la seconda volta.
Al solito poco impressionato, l’altro alzò le spalle. “Sì, lo vedo. Ma sapete, il vecchio Bob lavora qui da più tempo di qualsiasi dottore, e sa tutto di tutti.”
Per quanto ancora di poca esperienza, il giovane agente capì che l’adozione della terza persona preludeva probabilmente a proposte di trattative commerciali. “E il vecchio Bob cosa vorrebbe per le sue informazioni?” chiese, rimpiangendo che non ci fosse con lui qualcuno come Campbell o Woods, che si sarebbe cucinato quell’insolente secondino di alienati come un pollo allo spiedo.
“Il tabacco da fiuto che ho qui è di cattiva qualità, mi fa venire la tosse.”
“Ah, capisco. Ne vorreste di migliore, giusto?”
“Come siete perspicace. Si vede proprio che siete un investigatore.”
MacLeod si frugò in tasca e ne estrasse di che comprare un buon tabacco. Porse la cifra all’infermiere. “Ecco qui. E ora le informazioni, per favore.”
L’altro contò i soldi, annuì soddisfatto e disse: “Ma certo, signor poliziotto. Venite con me.”
Si spostarono in una stanza che poteva essere un gabinetto di consultazione, con una scrivania, un lettino e alcune sedie. Lungo una delle pareti si trovavano armadietti dalle ante in vetro, con dentro strumenti medici.
Bob si accomodò alla scrivania e fece cenno all’agente di prendere posto su una sedia. “Ditemi pure,” lo incoraggiò, assumendo il tono del dottore che raccoglie i sintomi del paziente.
“Sto cercando un mio ex collega,” esordì MacLeod, “che è stato portato qui quasi sette anni fa dopo aver avuto un accesso di mania furiosa in servizio.”
L’altro annuì. “Ah, certo. Lo sbirro.” Captò lo sguardo torvo dell’agente e si corresse: “Il poliziotto. Volevo dire il poliziotto, naturalmente. Adamson.”
“Proprio lui. È ancora qui?”
“Certo,” fu la risposta, proferita col tono dell’ovvietà.
“Come si comporta?”
“È tranquillo. Dice solo che una donna gli parla nella testa, ma per il resto non crea problemi.”
“Vorrei parlargli.”
L’infermiere si appoggiò all’indietro sullo schienale come se avesse ricevuto la più strana delle richieste. “Parlargli, dite?” chiese dopo un po’, grattandosi perplesso la testa.
“Precisamente.”
“Però non volete vedere lo spettacolo, giusto?”
“No, non voglio vederlo.”
“Questo è curioso, sapete? Rifiutate di vedere gli alienati, cosa che rappresenta uno spettacolo istruttivo e divertente, ma pretendete di parlare a tu per tu con uno di essi. Io sono confuso.”
Il poliziotto si protese verso di lui. “Ascoltatemi bene, Bob,” parlava lentamente, scandendo le parole. “Io non voglio vedere lo spettacolo, non mi interessa l’alienazione mentale. Ho solo bisogno di parlare con il signor Clifford Adamson per un’indagine. È chiaro?”
L’altro lasciò passare qualche secondo, infine rispose: “Ah. Certo. Potevate dirmelo subito, comunque.”


Il parlatorio ricordava quello della prigione di Newgate: una stanza dalle pareti imbiancate a calce, il pavimento di mattonelle grigie e un tavolo al centro, con due sedie, una da una parte e una dall’altra.
Da un lato della stanza accedevano i visitatori, dall’altro i ricoverati, che una volta seduti venivano assicurati con una catena a un anello che si trovava sul pavimento, per evitare che facessero del male a qualcuno se venivano presi da un accesso di mania furiosa durante il colloquio.
MacLeod era già seduto a uno dei due lati del tavolo quando udì lo scatto metallico di una serratura, e subito dopo il cigolio di una porta. Alzò gli occhi e vide che due infermieri stavano accompagnando verso di lui un uomo alto e magro, con una zazzera scomposta di capelli bianchi e il mento ispido. Gli occhi erano due biglie inquiete che si spostavano in continuazione. Si posarono anche su di lui, indugiando sulla sua uniforme, soprattutto sulle mostrine.
L’uomo non disse nulla, ma ebbe un’esitazione, tanto che i due infermieri dovettero spingerlo avanti.
“Buon giorno, signor Adamson,” lo salutò MacLeod con fare incoraggiante.
L’altro non rispose. Si sedette sulla sedia e si lasciò incatenare all’anello del pavimento senza opporre resistenza, poi continuò a fissarlo con espressione tesa.
L’agente si rivolse agli infermieri: “Potreste lasciarci soli, per favore?”
Uno dei due tentennò. “Ma veramente...”
“Sono un poliziotto,” disse il giovane.
“Lo vedo, signore, ma non è consentito dal regolamento… sapete com’è...”
MacLeod era una recluta, ma era perspicace. “Andate a bere una pinta,” disse, mettendo qualche moneta in mano all’infermiere, “voi e il vostro collega. Quando tornerete indietro, io avrò già finito e potrete riportare il signor Adamson in corsia.”
“Molto bene, signore, faremo come dite. Una mezz’oretta può bastare?”
“Sì.”
“Molto bene signore. A dopo.”
I due uscirono chiudendosi con cura la porta alle spalle.
Una volta che lui e Adamson furono soli, MacLeod ripeté: “Buon giorno, signore.”
L’altro fece un cenno con la testa.
“Mi chiamo Alistair MacLeod,” proseguì il giovane agente, “e sono qui per un’indagine.”
L’uomo non rispose.
“Hayes, Jackson, Pierce e Banks sono morti,” lo informò allora il poliziotto, “Se questo vi dice qualcosa.”
L’altro rimase impassibile. Passarono lunghi secondi, infine con voce incolore disse: “Lo so.”
“Come lo sapete?”
“La Papessa Nera me l’ha detto. È tanto che me lo ripete: sette anni, e poi comincerà la vendetta. Ora il momento è arrivato.”
I due si fissarono negli occhi. MacLeod fece fatica a sostenere lo sguardo dell’altro, spalancato su abissi di follia senza nome. “In nome di Dio,” gli disse alla fine, “Almeno voi volete raccontarmi finalmente quello che è successo? Nessuno in Centrale ne vuole parlare.”
Adamson annuì grave, ma non rispose.
“Per favore,” insisté il giovane poliziotto.
L’altro rimase immobile, lo sguardo assorto nella contemplazione di qualcosa che probabilmente solo lui vedeva.
Passò in quel modo quasi un minuto, mentre in sottofondo di sentivano sferragliare lontano di catenacci e un fioco echeggiare urla.
Infine, con voce assente, Adamson cominciò a raccontare: “Malcolm O’Hanigan era il peggior criminale di Whitechapel. Era una persona malvagia, corrotta, che provava piacere nell’infliggere sofferenze alle creature inermi. Una delle cose che faceva più spesso era raccogliere orfani per la strada, portarseli a casa facendo loro credere che li avrebbe nutriti e avrebbe offerto loro rifugio, e poi torturarli fino alla morte. Non immaginate quello che faceva alle donne, soprattutto se giovani e belle. È ancora in giro Beth Senza Faccia?”
“Quella poveretta che vende i fiori vicino alla chiesa del Sacro Cuore?”
“Non era senza faccia, una volta. Anzi, era bella come un angelo, tutti erano innamorati di lei. O’Hanigan le ha tirato addosso dell’acido.”
“Ma perché?”
Adamson alzò le spalle. “Per divertimento, perché non sapeva cosa fare. Per il gusto di rovinare qualcosa di bello.”
“Capisco.”
L’uomo scosse la testa. “No, non potete capire. O’Hanigan rubava, compiva rapine, taglieggiava. Voi non immaginate quanti piccoli negozianti abbia ridotto sul lastrico. Sembrava che lo facesse apposta, per il gusto di rovinare delle famiglie.”
“Ma perché un delinquente del genere non era in prigione?” non poté fare a meno di chiedere MacLeod.
“Sua madre,” rispose l’altro.
“Cosa?”
“Non era O’Hanigan il più cattivo della famiglia. Sua madre era una zingara irlandese e una strega. Si faceva chiamare la Papessa Nera. Per quanto fosse ormai invalida e costretta a letto, tutti ne avevano il terrore, e per paura delle sue ritorsioni, sopportavano le malefatte del figlio senza denunciarlo. Anche molti poliziotti la temevano, motivo per cui spesso facevano finta di non vedere, quando si imbattevano in Malcolm O’Hanigan intento a combinarne una delle sue.”
“Ma che cosa poteva fare questa Papessa Nera di così terribile?”
Adamson lo fissò negli occhi, quindi con l’aria di dire qualcosa di ovvio spiegò: “Entra nei sogni, ti parla nella testa, fa succedere incidenti.”
“Che cosa?”
“Avete capito benissimo. A me parla tutte le notti, nei sogni. È stata lei a farmi impazzire.”
L’agente rinunciò a tirare in ballo la razionalità: ormai si erano addentrati in un territorio che era decisamente molto lontano da essa. “Perché a voi?” si limitò a chiedere.
“Perché sono stato io a spingere tutti gli altri a fare quello che abbiamo fatto.”
“Ovvero?”
L’uomo sospirò, si passò una mano fra i capelli scarmigliati. Il suo sguardo si spostò di nuovo verso un punto all’infinito, tanto che il più giovane si sentì in dovere di chiedergli: “Va tutto bene, signor Adamson?”
L’altro ebbe un sorriso amaro. “No, nulla va bene.” Poi, dopo una pausa, riprese: “A un certo punto, eravamo tutti stufi di tollerare che O’Hanigan facesse il bello e il cattivo tempo, e così io proposi di arrestarlo e di fare in modo che gli capitasse un incidente, per così dire.”
“Cioè volevate ucciderlo?”
“Proprio così.”
“Senza processo, senza niente?”
“Giustizia.”
MacLeod scosse la testa con veemenza. “Oh, no. Questa non è giustizia. È assassinio.”
Per nulla toccato da quella manifestazione di sdegno, l’altro rispose: “Se voi aveste veduto come riduceva quei poveri orfani, non parlereste certo di assassinio.”
“Andate avanti,” disse soltanto l’altro.
“Lo arrestammo. Avreste dovuto sentire come strepitava: non riusciva a crederci. Ci minacciava, tirava in ballo sua madre, ma noi avevamo deciso che non ci saremmo lasciati piegare. Non quella volta.”
“E poi?”
“Lo abbiamo ammazzato. A calci e pugni, per fargli provare un po’ di quello che si divertiva a infliggere alle sue vittime. All’ora del lupo, il corpo è finito nel Tamigi, con un peso legato al collo.”
Il giovane agente deglutì. Lo sguardo del suo interlocutore era diventato talmente feroce che fu tentato di farsi indietro. “E la madre?” chiese semplicemente.
“Ci siamo occupati anche di lei. Ci ha pensato Wyndham, con un cuscino in faccia.” Emise un sospiro, lo sguardo lentamente si spense. “Ma ovviamente uccidere il corpo della strega non è servito a nulla,” concluse sconsolato.
“Che intendete dire?”
“È ancora viva. Mi parla nella testa, mi promette vendetta. E io so che arriverà, prima o poi. Non c’è modo di fermarla.”
MacLeod avrebbe voluto chiedergli altro, ma in quel momento il chiavistello della porta alle sue spalle scattò e l’infermiere si affacciò dicendo: “Tempo scaduto, agente.”










[1] Fondatore della moderna Polizia Britannica.





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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Tarocchi 3 Salve a tutti/e! Eccoci qui con un nuovo aggiornamento del nostro horror londinese e vittoriano. Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito, e soprattutto chi ha avuto la gentilezza di lasciarmi un commento.
E ora vi lascio ai nebbiosi vicoli di Londra^^






Capitolo 3


MacLeod uscì dal Bedlam piuttosto perplesso. Ciò che aveva sentito era la realtà dei fatti o la farneticazione di un pazzo?
Difficile non pensare alla seconda opzione: come poteva esistere una donna che moriva fisicamente ma continuava a parlare nella testa delle persone e a far succedere incidenti? Più probabilmente il povero Adamson era impazzito, forse schiacciato dalla colpa di quello che aveva fatto lui stesso e fatto fare ai colleghi, e la sua mente sconvolta aveva elaborato la strana storia che poi gli aveva esposto.
Naturalmente, dopo sette anni non avrebbe avuto alcun senso far dragare il fondo del Tamigi, anche perché con ogni probabilità non avrebbero trovato un solo corpo, ma almeno duecento: i suoi colleghi non erano certo stati gli unici a pensare di disfarsi di un cadavere buttandolo nel fiume con un peso al collo.
Si chiese dove fosse la madre di O’Hanigan, quella Catriona che si faceva chiamare Papessa Nera, e di cui tutti sembravano avere un sacro terrore. Stabilì che doveva tornare il prima possibile al Bedlam, per farsi dire da Adamson in cosa consisteva, concretamente, ‘ci ha pensato Wyndham, con un cuscino in faccia.’
Mentre stava così ragionando, l’orologio batté le dodici, ed egli realizzò che era quasi ora di pranzo. Meccanicamente, si diresse al pub che si trovava di fronte al posto di Polizia, dove tutti i colleghi andavano a pranzare quando erano in servizio.
Appena entrato si imbatté in Campbell, che era seduto al suo tavolino preferito e stava mangiando una generosa porzione di kidney pie annaffiata con birra leggera.
Non appena si accorse di lui, il collega lo salutò e gli fece cenno di avvicinarsi. “Non hai il turno di notte, Alistair?” gli chiese quando si fu seduto.
Il più giovane annuì.
E che ci fai in giro a quest’ora? Dovresti essere a dormire.”
L’altro stava per rispondere quando arrivò il cameriere e chiese: “Che cosa vi porto, agente MacLeod? Abbiamo la kidney pie, la cottage pie e dei sandwich col prosciutto.”
Il giovane fece distrattamente la sua ordinazione – dopo le ultime rivelazioni non aveva una gran voglia di mangiare – e quando l’uomo si fu allontanato, fissò Campbell negli occhi e gli disse: “Sono stato al Bedlam stamattina.”
L’altro non parve molto impressionato. “E quindi?”
Ho parlato con Adamson.”
All’udire quel nome, Campbell gli fece bruscamente cenno di abbassare la voce, poi dardeggiò un’occhiata apprensiva in giro. Quando fu certo che nelle immediate vicinanze non ci fosse nessun volto conosciuto, emise un sospiro e disse: “Ti avevo già chiesto di lasciar perdere questa storia, se non sbaglio.”
Charles, quell’uomo mi ha raccontato la verità.”
La verità? I deliri di un ammalato di nervi, vorrai dire.”
Tornò il cameriere, e i due si zittirono. L’uomo posò il piatto davanti a MacLeod, gli consegnò anche una pinta di birra e gli augurò buon appetito, quindi se ne andò.
Appena furono di nuovo soli, Campbell disse: “Te lo ripeto, Alistair: lascia perdere questa storia.”
Perché?”
L’altro emise un sospiro di esasperazione. “Sei un novellino con sei mesi di servizio, non sai nemmeno allacciarti le scarpe se non hai un veterano di fianco, cosa pensi di fare?”
Se stare con i veterani significa imparare a fare quello che avete fatto voi, grazie tante, sto con i novellini.”
Campbell si passò una mano sul viso e rispose: “Pagherei qualsiasi cosa perché tu ti potessi riascoltare fra dieci anni, così capiresti che idiozia hai appena proferito. Tu non sai niente del servizio, vedi le cose solo da fuori, come i giornalisti e i giudici, perché non ti ci sei ancora calato dentro. E da fuori, caro mio, sono bravi tutti a dirti cosa avresti dovuto fare.”
Beh, non ci vuole poi chissà che mentalità strana per pensare che ammazzare di botte qualcuno per toglierlo di mezzo non sia esattamente il comportamento dell’agente modello.”
Ma che bravo,” replicò l’altro con tono sarcastico, “sei come tutti gli altri, solo pronti a puntare il dito e a giudicare. Uno come te, che vive nel castello fatato, dovrebbe fare il reverendo, non il poliziotto.” Si alzò bruscamente in piedi.
Aspetta, Charles,” lo richiamò MacLeod.
Il collega lo fissò sprezzante. “Mi piacerebbe che l’avessi ritrovato tu, uno dei bambini uccisi da quel bastardo. Forse adesso ragioneresti in maniera diversa. Forse capiresti che ci sono individui che nella loro schifosa vita non potranno fare altro che del male, e vanno eliminati come se fossero bestie rabbiose.”
Detto questo, gli girò le spalle e uscì.

§

Seduto alla scrivania, MacLeod giocherellava con la penna. La sala era talmente silenziosa che si percepivano distintamente il lieve sibilo del gas che usciva dai cannelli delle lampade e il respiro pesante di Gardner, che sicuramente si era già addormentato.
Tanto per fare qualcosa, si mise a sfogliare il registro.
Ripensava alle parole che Campbell gli aveva rivolto poche ore prima e si chiedeva se e quanto Bene e Giustizia coincidessero. Davvero non capiva quale fosse il modo giusto di comportarsi perché era solo una recluta? Con l’esperienza avrebbe capito dove e fino a che punto fosse lecito violare la Legge in nome di un bene superiore, e dove invece essa fosse da applicare con il massimo rigore?
Ma chi faceva le leggi? Chi stabiliva cosa fosse bene o male?
Posò la penna e si passò una mano fra i capelli con un sospiro di frustrazione. A pensare a certe cose c’era il rischio di farsi venire mal di testa.
Si alzò e andò nella stanza attigua a prendere il bricco dell’acqua.
Preparò la teiera, prese due tazze e tornò alla sala principale. Quando arrivò sulla soglia, fu investito da un’ondata di freddo mortale e quello che aveva in mano minacciò di cadergli: al centro del locale c’era la vecchia signora. La misteriosa figura era in lutto strettissimo, portava come al solito uno scialle frangiato, un ampio cappello con la veletta e i guanti.
Non appena lo vide, prese ad avanzare a passettini nella sua direzione.
MacLeod deglutì e dovette fare uno sforzo per impedirsi di indietreggiare. Gettò una fugace occhiata a Gardner, che però era abbandonato sulla sedia con la testa all’indietro e la bocca aperta, e non sembrava in grado di intervenire in suo favore.
Buona sera, agente,” salutò la signora, al solito con una voce che sembrava fatta di polvere e ragnatele. “Sto cercando l’agente Clifford Adamson, per favore.”
Non… non è più in servizio, signora. Posso… ehm… sapere il motivo per cui lo cercate?” Rabbrividì, il freddo sembrava farsi di attimo in attimo più intenso. Ebbe la sensazione che se fosse rimasto al cospetto di quella strana figura ancora per qualche secondo, la teiera fumante gli si sarebbe trasformata in un blocco di ghiaccio.
La signora emise un suono rauco e fischiante che gli parve una grottesca risata, quindi si voltò impercettibilmente verso Gardner.
Improvvisamente, la sedia su cui l’agente dormiva scivolò, e con un fracasso da fine del mondo egli rovinò a terra trascinandosi dietro tutto quello che c’era sulla sua scrivania. All’improvviso rumore, MacLeod fece un salto, la teiera di latta gli rotolò via rimbalzando sul pavimento e versando tè bollente ovunque, le tazze andarono in frantumi.
Quando i due poliziotti riuscirono a riprendersi dallo spavento, della signora non c’era più traccia.
William Gardner si alzò dolorante e disse: “Per la miseria, MacLeod, ma si può sapere che ti è preso? Un altro po’ e mi facevi venire un colpo.”
Tu l'hai fatto venire a me.”
Stai scherzando? Che ti salta in mente di lanciare la teiera come se fosse una palla da rugby?”
Veramente, io ho mollato la teiera dopo che tu hai fatto tutto quel fracasso.”
Impossibile: dormivo,” gli rispose candidamente Gardner.
Devo mandare un messaggio al Bedlam,” disse l’altro per tutta risposta.
Eh? Un che? Dove?”
Un messaggio, al Bedlam. Un paziente è in grave pericolo.”
Ma cosa stai dicendo?”
So che è in pericolo. Non ho tempo per spiegarti.”
Secondo me ci devi andare tu, al Bedlam,” brontolò Gardner.
Senza ascoltarlo, MacLeod si infilò nell’ufficio del sergente Kelsey, dove si trovava l’apparecchio telefonico che metteva in contatto tutti i posti di Polizia di Londra. Cercò il numero di quello più vicino all’asilo per alienati e lo compose.
Posto di Polizia di Kennington, agente Harris,” rispose una voce assonnata dall'altro capo del filo.
MacLeod, di Whitechapel,” disse rapido il giovane, “chiamo per segnalarvi che un paziente del Bedlam si trova in grave pericolo.”
Seguirono alcuni secondi di silenzio, poi l'agente Harris chiese: “E voi come fate a saperlo da laggiù?”
Ve lo spiego dopo. Mandate qualcuno a cercare un paziente che si chiama Clifford Adamson. È stato un nostro collega, e in questo momento è in grave pericolo.”
Ma l'altro sembrava ancora poco convinto. “Un agente impazzito?” chiese, come se fosse quella la cosa più importante.
Vi ho detto che vi spiegherò tutto dopo,” replicò MacLeod con una punta di fastidio nella voce, “Ora andate. Clifford Adamson.”
Sì, l'avete già detto.”
La comunicazione si chiuse.
MacLeod abbassò la cornetta e si girò: alle sue spalle c'era Gardner che lo fissava con aria perplessa. “Sei sicuro di stare bene?” gli chiese.
Sto benissimo.”
Cosa gli racconti domani, a Kelsey?”
Perché?”
L'apparecchio telefonico. Lo sai che farebbe usare più volentieri sua moglie, piuttosto che quell'affare.”
Il più giovane emise un sospiro, quindi gettò un'occhiata alla sala e disse: “Sarà meglio che vada a prendere uno straccio.”

Un'ora dopo, squillò il telefono. L'insolito richiamo fece sussultare i già tesi agenti.
MacLeod abbandonò quello che stava facendo e si precipitò sull'apparecchio. “Posto di Polizia di Whitechapel, agente MacLeod,” recitò nella cornetta.
Oh, giusto voi,” disse l'agente Harris dall'altra parte del filo. “Siete veggente, per caso?”
Che intendete dire?”
Quel paziente di cui mi avevate dato le generalità, Adamson.”
Il giovane sentì che il cuore gli balzava nel petto. “Sì?”
Beh, appena ho smesso di parlare con voi, ci hanno chiamati dal Bedlam: il tizio era stato strangolato da un altro paziente. Quando siamo arrivati sul posto, il dottore ha detto che l'assassino era sempre stato un pazzo tranquillo, che prima di allora non aveva mai fatto male a nessuno, ma io dico che con quella gente non si può mai sapere, giusto?”
MacLeod rimase a guardare la cornetta come inebetito.
Giusto?” lo richiamò alla realtà la voce del collega.
L'altro sussultò. “Ehm, certo. Certo, scusate.”
Avreste dovuto vederlo, l'assassino: un ometto alto come un soldo di cacio. Ma dove la trovano, quella forza, dico io...”
Il giovane agente ringraziò e chiuse la comunicazione. Deglutì a fatica a causa della bocca secca e si passò una mano sul viso. “Mio Dio...” esalò.
Che c'è?” chiese Gardner dalla sala.
Sarà meglio che vada a fare dell'altro tè. Bello forte, questa volta.”

§

I dintorni della conceria avevano un aspetto sinistro anche nel pieno di una mattinata di sole. La luce forte faceva impietosamente risaltare i muri anneriti dalla polvere di carbone e le finestre buie. Sembrava addirittura che il calore dei raggi rendesse più disgustoso il tanfo che aleggiava dappertutto.
Come al solito, per strada non c'era anima viva.
La casa sorgeva lugubre al centro del suo giardino di sterpi. Nonostante fosse sereno, si era mantenuta intorno all'edificio, forse a causa dell'umidità del suolo, una lieve caligine che strisciava rasoterra e si annidava negli anfratti più ombrosi.
MacLeod salì i gradini che conducevano alla porta d'ingresso e abbassò la maniglia, che come la volta precedente cedette morbida.
Nonostante la temperatura mite dell'esterno, una volta oltrepassata la soglia l'agente si trovò a rabbrividire nel pesante pastrano.
C'è nessuno?” chiese a voce alta. Non gli giunse alcuna risposta.
Si addentrò nell'ingresso, alla ricerca di una fonte di luce. Ricordò il mozzicone di candela che aveva visto sotto il ritratto della zingara, lo raccolse staccando la colata di cenere che l'aveva incollato al pavimento e lo accese. Con quello in mano, salì cautamente al piano di sopra.
Il primo ambiente nel quale entrò, ovvero una camera da letto, conservava ancora biancheria e lenzuola, come se il suo occupante si fosse assentato col proposito di fare ritorno quanto prima. Nei cassetti c'erano abiti maschili, alcuni anche di un certo pregio. Sotto il letto c'era un paio di scarpe di buona fattura. Sotto il cuscino, l'agente trovò una rivoltella carica.
Proteggendo con la mano la fiammella tremolante, si spostò nella stanza da bagno. Lì trovò un assortimento di articoli da toeletta, sia maschili che femminili. Di nuovo, oggetti di pregio, in avorio e argento.
Sollevò un lembo del telo che copriva lo specchio, e gli parve di vedere, riflessa nella lastra, un'ombra alle sue spalle. Sussultò e si girò bruscamente, ma i suoi occhi incontrarono solo il vuoto.
Aspettò che il ritmo del respiro tornasse normale, quindi stabilì che si era trattato di un gioco di luci causato dalla fiamma della candela e proseguì con la sua esplorazione.
Il corridoio si biforcava a T. La cosa che lo lasciò perplesso, e che anche la volta precedente, ricordò, l'aveva colpito, fu la presenza di un armadio enorme proprio nell'incrocio dei due bracci della T, appoggiato al muro nel braccio orizzontale. Il mobile, di solido rovere, era pesante e ingombrante, tanto che tra esso e il muro antistante si passava a stento.
Con fatica si spostò verso una stanza che fungeva da guardaroba femminile. Dentro c'erano abiti dai colori sgargianti, ma di una foggia che non si vedeva più in giro da almeno una quindicina di anni. Trovò anche stivaletti, guanti, cappelli, biancheria e altro. Le cose erano sia riposte negli armadi che abbandonate in cumuli sulle spalliere delle sedie. Sollevò la candela per osservare meglio, e notò su una parete la tipica sagoma lasciata da un mobile che viene portato via.
La fiamma ebbe un'oscillazione, e MacLeod si girò di scatto: la sensazione di avere qualcuno alle spalle era tornata, più forte di prima, ma di nuovo non vide nessuno. Emise in un lungo sospiro il fiato che aveva trattenuto. Uscì dalla stanza dei vestiti, la fiamma oscillò di nuovo minacciando di spegnersi. Il poliziotto vi mise intorno la mano a coppa per proteggerla, ma non c'erano correnti d'aria. “Questo è curioso,” mormorò a disagio.
Tornò sui suoi passi, ripercorse il corridoio, oltrepassò l'armadio e arrivò a un salottino che aveva al centro un tavolo rotondo coperto da una tovaglia che arrivava fino a terra. Ne sollevò un lembo, ma non vide nulla di particolare al di sotto.
Fece girare intorno la fiamma della candela: c'erano delle vetrine con dentro delle ceramiche, qualche fotografia alle pareti, una cornice velata che doveva racchiudere uno specchio.
La fiamma della candela cominciò a farsi sempre più piccola, come se lo stoppino stesse per consumarsi definitivamente. Il che era impossibile, dal momento che nel mozzicone ce n'era ancora almeno un pollice.
Quando la luce assunse l'intensità di una brace di sigaro, l'agente fu costretto a interrompere le sue osservazioni.
Tornò verso la scala, e la fiamma riprese ad ardere normalmente.
MacLeod si girò, e di nuovo rimase a guardare le stanze buie che aveva appena lasciato, faticando a convincersi che non ci fosse nessuno.
Andò alla camera da letto e infilò la mano sotto il cuscino, ma la pistola era ancora dove l'aveva lasciata.
Scese al piano terreno, spense la candela soffiandovi sopra e la depose su un tavolo, quindi si strofinò le mani infreddolito e uscì all'aria aperta.
Per quanto il posto fosse lugubre, quando fu nel giardino si concesse un sospiro di sollievo. Realizzò di avere tutti i muscoli della schiena indolenziti per la tensione. “Domani mi faranno un male d'inferno,” borbottò.
Mentre stava percorrendo il vialetto, vide due donne fermarsi a osservarlo dalla strada. Si scambiarono qualche frase, poi una di esse a voce alta lo avvisò: “Non ci abita nessuno, là dentro!”
Il cancelletto era aperto, ma nessuna delle due sembrava essere intenzionata a mettere piede nel giardino.
MacLeod le raggiunse. “Buon giorno,” salutò, portandosi due dita alla fronte come aveva visto fare ai vecchi, “Da quanto tempo è disabitata questa casa?”
Le due si scambiarono un'occhiata, poi una disse: “Saranno sette anni, signore.”
Di chi era?”
Di nuovo uno sguardo tra le due donne, poi quella che sembrava più autorevole disse: “È meglio se andate a parlare con l'ebreo, signore.”
“L'ebreo? E chi sarebbe?”
L'altra intervenne: “È uno che ha un negozio di libri vecchi. Sta a due isolati da qui.” Sollevò un braccio per indicare la direzione.
“Lui vi parlerà,” intervenne l'altra. “Parla sempre con tutti.”
“E voi perché non mi parlate?”
“Di questa casa?” replicò la più giovane, “Oh, no. Proprio no. Scusate, signore.” Arretrò di un passo, come per sottrarsi all'influenza nefasta della magione, poi disse all'altra donna: “È meglio che andiamo.”
“Sì, si è fatto tardi.”
Si allontanarono rapide, piantando l'agente lì su due piedi, attraversarono la strada e scomparvero dietro l'angolo camminando a passo svelto.

All'agente non rimase altro da fare che recarsi dove gli avevano suggerito le due donne, ovvero al negozio di libri vecchi dell'ebreo.
Dovette chiedere un po' in giro, ma alla fine riuscì a identificare il luogo: si trattava di una vetrina polverosa, nella quale erano disposti libri che sembravano usciti da un monastero benedettino. I testi non davano l’idea di essere in esposizione, piuttosto sembravano riposti come in un armadio. Tutto il luogo in effetti dava l'idea di un ritrovo di intenditori, più che di un esercizio commerciale.
Mentre era fermo con aria irresoluta sul marciapiede, dal negozio uscì un signore anziano, che gli si avvicinò e in tono cortese gli domandò: “Posso fare qualcosa per voi, agente?”
L'uomo aveva un'espressione buona, premurosa, faceva pensare al nonno che ogni nipotino vorrebbe avere.
Aveva i capelli grigi lunghi fin sulle spalle e una barba da patriarca che gli arrivava al petto. Portava un dignitoso completo nero un po' liso sui gomiti.
L'agente gli rivolse un sorriso e rispose: “Sto cercando un negozio di libri gestito da un ebreo. È questo, per caso?”
L'altro accennò di sì. “Temo proprio che sia questo, agente,” rispose in tono bonario, “anche se non sono ebreo, sono armeno.” Gli porse la mano. “Petros Kasparian,” si presentò.
“Alistair MacLeod,” si presentò a sua volta l'agente. “E allora perché vi chiamano ebreo?”
L'uomo alzò le spalle. “Forse perché si dà per scontato che chiunque venga dall'est e venda libri antichi appartenga a una delle tribù di Israele.” Gli accennò l'ingresso del negozio: “Prego, entrate.”
Il poliziotto si piegò un po’ per oltrepassare la porta, e si infilò con qualche difficoltà tra scaffali carichi di libri antichi. Si mosse adagio cercando di non urtare nulla.
“Ebbene, come posso aiutarvi?” gli chiese il signor Kasparian raggiungendolo.
“Si tratta di una vecchia casa abbandonata della quale nessuno sa o vuole fornirmi informazioni. L’unica cosa che sono riuscito a cavare fuori a due passanti è stato il consiglio di venire a parlare con voi.”
L’altro aggrottò le sopracciglia e annuì grave. “È la casa della cartomante, vero?”
“Della cartomante?”
Kasparian annuì di nuovo, poi disse: “Una villetta isolata, con le persiane del piano superiore inchiodate, giusto?”
MacLeod si trovò involontariamente a sorridere. “Proprio quella.”
“Un posto piuttosto sinistro, non è vero?”
“Già,” rispose l’agente.
“E ditemi, che cosa posso fare per voi?”
“Potete raccontarmi quello che sapete. C’è un mistero, intorno a quella casa, e non riesco a venirne a capo.”
Il vecchio assentì con un vago sorriso. Persi tra decine di piccole rughe d’espressione, i suoi occhi neri, straordinariamente vivi, brillavano. “Omero diceva che Il fascino dell’ignoto domina tutto. Voi siete d’accordo?”
“Io voglio scoprire la verità,” si limitò a rispondere l’agente.
“E non è anche questo un modo di addentrarsi nell’ignoto? Di portare la luce dove regnavano le tenebre?”
MacLeod non rispose.
Kasparian lo prese gentilmente per una spalla, e sospingendolo verso un retrobottega che sembrava ancora più piccolo e ingombro di carta del negozio, gli disse: “Vi racconterò quello che so.”

Seduto su uno sgabello fra due traballanti pile di libri, un bicchiere di vino di melagrana in mano, il poliziotto fissava con aspettativa il libraio.
Veramente non avrebbe potuto bere, dal momento che era in servizio, ma Kasparian aveva insistito per fargli assaggiare quella che aveva definito una specialità della sua terra. Trovandosi così vicino all’acquisizione di informazioni che aveva inseguito per settimane, MacLeod non si era sentito di declinare l’offerta. Immaginò che se Kelsey lo fosse venuto a sapere l’avrebbe spedito a contare i merluzzi che scendevano dai pescherecci ai docks, ma si sentiva di dire che quello era un caso di forza maggiore.
Il libraio si versò a sua volta un bicchiere di vino, che alla luce delle lanterne a gas prendeva una cupa tonalità di granato, poi disse: “Bene, bene. Da dove volete che cominci?”
“Dall’inizio.” MacLeod si bagnò appena le labbra con la bevanda, in un tentativo di compiacere il suo ospite e al tempo stesso non venire meno all’obbligo di mantenere la sobrietà.
“Dall’inizio,” fece eco Kasparian. “Molto bene.” Bevve un sorso, poi disse: “Avete mai sentito il nome di Malcolm O’Hanigan?”
“Sono qui per lui.”
Ebbene, era Malcolm O’Hanigan il padrone di quella casa. Credo che sia ancora intestata a lui, fra l’altro. Quando le sue azioni criminose cominciarono a fruttargli, la comprò per viverci con sua madre.”
Che tipo era la madre?” chiese l’agente.
La gente diceva che era una strega e che i tarocchi che usava per leggere il futuro erano quelli di Satana. Tutti la chiamavano la Papessa Nera, e anche se andavano a consultarla ne avevano una paura tremenda. Correva voce che le sue maledizioni fossero terribili.”
Voi l’avete mai vista?”
Sì, certo. Una volta andai addirittura a farmi leggere le carte da lei.”
Davvero?”
Ve l’ho detto: il fascino dell’ignoto domina tutto. E poi in effetti i suoi tarocchi erano veramente pregevoli. Dallo stile direi che dovevano avere almeno cinque secoli, anche se le figure erano del tutto particolari, e si mantenevano stranamente vivide, nonostante lei manipolasse quel mazzo praticamente tutti i giorni.” Sollevò le sopracciglia e soggiunse: “Io glieli avrei comprati volentieri, anche pagandoli molto bene, ma figuratevi se ha mai accettato di venderli.”
Affascinato dalla narrazione, soprappensiero MacLeod bevve un generoso sorso di vino e assunse un’espressione soddisfatta, poi chiese: “E adesso dov’è la donna?”
Dopo aver spadroneggiato per anni con le sue fatture, a un certo punto rimase invalida e fu costretta a letto. Ci furono parecchi che tirarono un sospiro di sollievo, ma in breve si accorsero che la Papessa Nera era più potente che mai, e a quelli che avevano esultato maggiormente capitarono inspiegabili incidenti, naturalmente mortali. Ricominciò a fare le carte, solo che invece del tavolino tondo del salotto, adoperava una tavola di legno che si teneva in grembo mentre era sdraiata nel suo letto.”
Sì, ma… adesso sarà morta, no?”
L’altro assentì col capo. “Quando scomparve il figlio, scomparve anche lei. Si sparse la voce che fosse morta, e nessuno ha mai avuto il coraggio di entrare in quella casa per controllare. Un giorno trovai le persiane inchiodate, non so se per impedire alla gente di entrare o a chissà cosa di uscire, e da allora nulla è cambiato, a parte il fatto che pian piano gli alberi e le statue del giardino sono spariti.”
Il poliziotto bevve un altro sorso. “Questo è strano,” disse poi. “Sapete, la porta d'ingresso è aperta. Io ho abbassato la maniglia e sono entrato come se niente fosse.”
Fu la volta di Kasparian di fare tanto d'occhi. “Siete entrato?”
Dovevo controllare,” fu la candida risposta.
La gente del quartiere si sarà fatta l'idea che siate un pazzo, o che abbiate il coraggio di un leone.”
MacLeod fece una breve risata. “Nessuna delle due cose, signore. O almeno spero non la prima. È compito dell'agente di Polizia addentrarsi laddove altri non osano spingersi. Altrimenti, come potremmo contrastare il crimine?”
L'armeno assentì con un sorriso.
Per tornare a noi,” riprese il poliziotto, “Non capisco perché abbiano inchiodato le persiane, se poi hanno lasciato la porta aperta. È strano, non credete?”
Di solito, le cose ci sembrano strane quando non abbiamo abbastanza elementi per comprenderle fino in fondo.”
Voi dite?”
Se ripercorrete la storia della conoscenza, vi accorgerete che è così. Pensate a quante cose venivano credute magia nei tempi antichi. Ora invece la Scienza ci spiega che sono solo fenomeni naturali.”
MacLeod abbassò lo sguardo sul proprio bicchiere, che fra un discorso e l'altro era ormai quasi vuoto. “Voi credete che la magia esista?” domandò pensoso.
Perché mi fate una domanda del genere?”
L'altro alzò gli occhi. “Non lo so. È che quello che sta succedendo non ha una spiegazione logica, signor Kasparian.”
Io penso che l'acquisirà una volta che avrete in mano tutti gli elementi della vicenda, agente.” gli disse il libraio con fare incoraggiante.
Voglia il Cielo che sia così,” sospirò il giovane poco convinto.

§

Stasera non fai altro che sbadigliare,” disse Campbell. “Mi sembra di fare il giro di ronda con un coccodrillo del Nilo.”
Contrito, MacLeod rispose: “Scusa, Charles. Ho dormito poco.”
L'altro fece girare intorno la lanterna, la fissò su un cumulo che si rivelò essere una persona avvolta in una coperta e sbuffò. “Se non la smetti di stare in servizio di notte e correre dietro ai tuoi fantasmi di giorno, tra un po' cadrai per terra come una pera marcia.”
Sono così vicino, che...”
Sei vicino al collasso,” lo interruppe l'altro bruscamente. “Devi dormire. Hai una faccia che sembri scappato dal sanatorio.”
Continuarono a camminare fianco a fianco per un po’. La notte sembrava tranquilla, nemmeno particolarmente fredda, considerando la stagione. Alla fine, MacLeod disse: “Perché invece non mi aiuti, Charles?”
Non ci voglio entrare in questa storia.”
L’altro si fermò, costringendo il primo a imitarlo. Infilò la lanterna dentro una finestra semiaperta e diede un’occhiata a quello che c’era dall’altra parte, facendo scappare un paio di gatti randagi. “Ci sei già dentro,” disse poi, apparentemente parlando fra sé e sé. “Ci sei dentro fino al collo, dal momento che in quella lista di sei anche tu, e di otto che eravate, siete rimasti in tre.”
Sei premuroso a farmelo notare.”
Sono realista. Ora non puoi alzarti e andartene come al pub, quindi mi devi stare a sentire. Io non so se qualcuno ti abbia ordinato di tenere la bocca chiusa o che altro, fatto sta che gli agenti che hanno partecipato a quell’arresto stanno morendo uno dopo l’altro.”
Lo so.”
Mancate tu e altri due.”
So anche questo, dannazione!” ringhiò Campbell. “Credi che non ce l’abbia sempre scolpito in mente, il fatto che siamo rimasti in tre?”
E allora aiutami, no? Cos’hanno fatto per te i veterani, a parte ordinarti di non parlare?”
Tu non capisci. La fedeltà al corpo viene prima di tutto.”
Anche prima della verità?”
Tu non capisci,” ripeté Campbell, quindi lo distaccò di qualche passo.
Il più giovane lo seguì per un po’ in silenzio, poi disse: “Almeno posso raccontarti quello che ho scoperto finora? Magari tu riesci a capire cosa sto trascurando.”
L'altro sospirò con fare esasperato e replicò: “Pensavo di essere uno scozzese cocciuto, MacLeod, ma in confronto a te sono più volubile di un'adolescente ubriaca.”
Non sono cocciuto,” fu la piccata risposta, “non mi piace lasciare le cose a metà, ecco tutto. E ora, vuoi aiutarmi o no?”
Va bene, senti, ti aiuto. Basta che la smetti.”
Grazie!”
Bah. Fermiamoci a bere una tazza di caffè mentre parli, almeno. Sto gelando.”
Fecero una sosta a un chiosco che teneva aperto fino a tardi, ordinarono la bevanda e diligentemente il più giovane cominciò a esporre i fatti.
Alla fine della narrazione, Campbell lo stava fissando con tanto d'occhi. “Da non credere,” disse.
MacLeod rispose: “Te l'avevo detto che c'era qualcosa di strano.”
Il primo vuotò la tazza e la spinse sul bancone per farsela riempire di nuovo, quindi brontolò: “Quasi quasi mi dispiace che non ci sia Dobbins con la sua fiaschetta. Mi sono venuti i brividi, e non per il freddo.”
È una brutta storia,” assentì il più giovane.
Quella roba che hai visto nella casa… insomma, sembra magia nera.”
Probabilmente lo è. Ma c’è qualcosa che non sto capendo, qualcosa che mi sfugge. Dove dormiva la donna? Perché non ho trovato la camera?”
L’altro si strinse nelle spalle.
MacLeod finì a sua volta il caffè, quindi si voltò verso il collega e gli chiese: “Cos’è successo quella notte? Io so che...”
Zitto!” lo interruppe Campbell. Fece girare una rapida occhiata, ma nessuno sembrava fare caso a loro. “Vieni, andiamo a controllare come stanno le cose verso Spitalfields,” gli disse, prendendolo per una spalla e sospingendolo avanti.
Quando si furono allontanati dalla mescita, l’agente disse: “Quello che è successo lo sai, no? Hai detto che te l’ha raccontato Adamson.”
So che qualcuno di voi è andato anche alla casa.”
Non io. So che ci andarono Wyndham e Taggart. Quando tornarono, dissero che la vecchia non sarebbe più stata un problema.”
Non sai cos’hanno fatto?”
Non l’hanno mai detto. E nessuno l'ha mai chiesto, ovviamente.”
Continuarono a camminare per un po’, i fasci di luce delle lanterne danzavano sul selciato davanti ai loro piedi, i passi echeggiavano cadenzati. Alla fine, MacLeod propose: “E se provassimo a chiedere qualcosa a Wyndham? In fondo, anche lui è in pericolo.”
Non ti parlerebbe mai.”
Dici che preferisce morire?”
Campbell alzò le spalle. “Forse.”
Allora è più matto del povero Adamson.”
Un dubbio che ho sempre avuto.” Poi, dopo una pausa: “Non andare a stuzzicarlo, Alistair, va bene?”
Perché?”
Lascia perdere e basta. Piuttosto, possiamo andare alla casa di O’Hanigan domani pomeriggio, se vuoi.”
MacLeod non poté impedirsi un sorriso. Subito dopo però chiese: “Perché non domattina?”
L’altro sospirò. “Chi sei, lo scozzese testardo delle storielle comiche? Domattina dobbiamo dormire. Puoi anche fermarti da me, se ti va, tanto vivo per conto mio.”
Posso andarci anche da solo,” replicò caparbio il più giovane.
Non è il caso.”
So badare a me stesso.”
L'ho notato, ma se non ti accompagnassi non sarei un buon poliziotto. Siamo colleghi, in fin dei conti.”
MacLeod avrebbe voluto chiedergli da dove spuntava, all’improvviso, tutta quell’etica, ma preferì non rischiare di rovinare l’alleanza che si stava così faticosamente creando.
Colleghi, certo,” ripeté, poi continuò a camminare al suo fianco senza più aggiungere altro.

§

I due poliziotti si fermarono di fronte alla casa. Questa volta si erano portati le lanterne, ognuno la propria, e una buona scorta di fiammiferi.
Appoggiati al recinto, rimasero per un po' a contemplare la sinistra magione, poi MacLeod chiese: “Tu ci eri mai stato, qui, Charles?”
L'altro scosse la testa. “Tutti sapevano della casa di O’Hanigan. Io però non ci sono mai entrato.”
Percorsero il vialetto.
Campbell si guardava intorno, l'espressione faceva chiaramente capire quanto poco gli piacesse quello che stava vedendo. “Mette i brividi,” brontolò.
Aspetta di vedere com’è dentro,” replicò l'altro.
Salirono i tre gradini che conducevano alla porta, poi MacLeod abbassò la maniglia e spinse l’uscio, che cedette con un cigolio. Da dentro giunse l'ormai consueto odore di muffa e polvere, accompagnato da un'ondata di freddo che spinse Campbell a indietreggiare brontolando un'imprecazione.
Entrarono. Al chiarore che proveniva dall'esterno accesero le lanterne, quindi si chiusero la porta alle spalle. Cominciarono a esplorare il luogo facendo girare dappertutto i fasci di luce.
Campbell indicò il pentacolo di vernice rossa subito davanti alla soglia. “E questo?”
MacLeod alzò le spalle. “Ce n'è così tanti che ci si stanca di contarli, soprattutto sulle porte e sulle finestre. Tu sai cosa significhino?”
Protezione, credo. Ci vorrebbe un'altra strega per dircelo con sicurezza.”
Quella che abbiamo qui basta e avanza, direi.”
Esplorarono il piano inferiore, incluse le stanze che MacLeod non aveva ispezionato le volte precedenti, ma trovarono solo altri pentacoli, principalmente graffiati sugli infissi delle finestre, e i residui di qualche genere di rituale, candele, rami secchi e un ritaglio bruciacchiato di pergamena, sul tavolo di marmo della cucina.
Si scambiarono un’occhiata: il silenzio era assoluto, non si sentivano nemmeno i pochi rumori dell’esterno. Dappertutto gravava un tanfo di chiuso che si mescolava all’odore della conceria dando luogo a una mistura venefica, putrescente, che sembrava succhiare pian piano le energie con il suo lezzo nauseabondo.
Peggio di un cimitero,” commentò Campbell. “Vediamo cosa c’è di sopra?”
Salirono al piano superiore, ispezionarono le camere presenti. A un certo punto, Campbell si fermò a metà del corridoio, puntò il fascio di luce contro l’armadio che si trovava esattamente di fronte a loro e disse: “E questo qui?”
MacLeod lo fissò con aria interrogativa.
Non ti sembra un posto strano, per un armadio? Voglio dire, proprio qui, nell’incrocio tra i due corridoi...”
Le lampade si affievolirono, i fasci di luce presero una tonalità giallastra.
Ecco che ricomincia,” disse MacLeod.
Cosa?”
È successo anche l’altra volta: quando sono arrivato qui, la luce ha cominciato a fare così.”
Per tutta risposta, l’altro allungò la mano verso una delle maniglie dell’armadio e tirò. Si udì uno scricchiolio, l’anta si schiuse e qualcosa cadde sul pavimento con un rumore metallico. I due sussultarono e fecero un salto indietro.
Simultaneamente puntarono gli ormai fiochi fasci di luce sull’oggetto, e videro che si trattava di un ferro da stiro. Illuminarono l’interno del mobile, e lo trovarono pieno delle cose più pesanti che si potevano rinvenire in una casa: alari del caminetto, pentole di ghisa, ciocchi di legno, addirittura un sacco di carbone.
Togliamo questa roba,” disse Campbell.
Posarono le lanterne da una parte e cominciarono a estrarre cose dall’armadio. La sensazione di aver fatto una scoperta importante li riempiva di un’aspettativa febbrile, che conferiva loro una foga sempre maggiore nel portare a termine il compito.
Alla fine, ansanti, contemplarono il mobile vuotato di ogni suo contenuto.
MacLeod si terse il sudore dalla fronte e propose: “Lo spostiamo?”
Fianco a fianco, si posero con la schiena contro un lato di esso e fecero forza con le gambe. Dopo qualche tentativo, il pesante armadio di rovere ebbe un sussulto e si spostò leggermente.
Forza!” esclamò Campbell.
Continuarono a spingere, guadagnando pollice dopo pollice. Sul pavimento comparve il cerchio esterno di un pentacolo.
Alzarono gli occhi sulla parete e videro il telaio di una porta.
Raddoppiarono gli sforzi.

Alla fine, ansanti e sudati, i due agenti si trovarono a contemplare quello che verosimilmente era l’ingresso alla camera di Catriona O’Hanigan. Sull’anta era stato disegnato un pentacolo che ne occupava tutta la larghezza, accompagnato dagli stessi simboli che si trovavano anche intorno al ritratto fotografico. Per terra c’erano mazzetti ormai disseccati di erica e vischio.
Si scambiarono un’occhiata, poi MacLeod allungò lentamente una mano verso a maniglia e la abbassò, ma la porta era stata chiusa a chiave.
Sollevò le sopracciglia e disse: “Curioso: quella d’ingresso no e questa sì.” Fece una risatina nervosa.
Di là ci dev’essere qualcosa di importante,” gli suggerì Campbell, quindi arretrò di un passo e colpì sotto la maniglia con una potente pedata. La porta scricchiolò ma rimase al suo posto. “È bella solida,” constatò l’agente, “Normalmente le faccio saltare al primo colpo.”
Ci vollero altri due tentativi, poi l’anta si spalancò bruscamente, andando a sbattere contro la parete con uno schiocco che fece sussultare i due. Dall’interno della stanza, immerso in tenebre picee, provenne l’odore greve che si respirava negli ossari.
Fermi sulla soglia, i due agenti si scambiarono un’occhiata, poi MacLeod andò a prendere la lanterna e guardò dentro. Si trattava di una camera da letto femminile. Sulla sinistra c’era un armadio con l’anta a specchio, sulla destra una pettiniera con il piano disseminato di cosmetici. Accanto a essa era disposto un paravento che pur coperto dalla polvere conservava il brillio di sete cinesi. La parete centrale e opposta alla porta era occupata da un monumentale letto a baldacchino con i cortinaggi tirati.
Il pavimento era coperto di tappeti e disseminato di capi di vestiario e oggetti.
MacLeod in testa, i due entrarono cauti, facendo scorrere qua e là il fascio di luce delle lanterne. Girarono intorno al letto, cercarono di scrutare all’interno, ma pesanti strati di broccato rosso e oro lo impedivano.
Alla fine, Campbell sottovoce suggerì: “Bisogna guardare dentro.”
L’altro annuì e tese la mano verso il bordo della tenda. Deglutì irresoluto. Un po’ si vergognava a dirlo al collega, ma da quando aveva messo piede in quella camera aveva cominciato a provare una sensazione terribile: come la paura, ma più forte. Un terrore ancestrale, che gli faceva tremare le gambe e battere il cuore come se avesse voluto saltargli fuori dal petto. Percepì gocce di sudore gelido corrergli lungo le tempie.
Alistair?” sussurrò Campbell in tono interrogativo.
L’altro deglutì. “A posto,” gli assicurò, poi afferrò il lembo di stoffa e lo tirò da una parte.
Subito dopo, entrambi sussultarono e fecero un salto indietro. MacLeod quasi si fece sfuggire di mano la lanterna.
Rimasero qualche secondo a guardarsi, come per raccogliere un coraggio che sembrava sul punto di abbandonarli, quindi si riavvicinarono adagio.
Nel letto c’era un cadavere mummificato. Era sotto le coperte, con la schiena appoggiata a due cuscini. Gli abiti e la pettinatura lo identificavano come femminile. Il volto era brunastro, scavato. Gli zigomi protrudevano come creste. I denti, di un inquietante candore, sporgevano come quelli di una fiera. Luce fioca conferiva alle orbite ormai vuote l’aspetto di buchi neri, dal fondo dei quali uno sguardo carico di malevolenza sembrava seguire i due agenti.
Le mani, lunghe, rinsecchite, con il bianco delle falangi che spuntava qua e là nelle giunture, erano posate su una tavoletta di legno, proprio sotto una fila di otto carte.
Gli agenti le osservarono incuriositi: si trattava di arcani maggiori dei tarocchi. Erano grandi circa il doppio di carte da gioco normali, e sembravano fatte di pergamena. Sul dorso avevano un intricato disegno nero e rosso nel quale brillava ancora qualche residuo di foglia d’oro.
MacLeod si chinò a osservarle meglio. Da una parte c’era un mazzo coperto. Le otto carte erano in fila, e da sinistra a destra le prime cinque erano scoperte e le ultime tre coperte.
L’agente allungò cautamente una mano e raccolse la prima. Rappresentava un carro visto di fronte, trainato da due cavalli. A bordo del veicolo c’era un re con scettro e corona. “Il carro,” lesse.
La posò e prese la seconda: una torre colpita da un fulmine, che crollava facendo precipitare un uomo. “La torre.”
La terza rappresentava una ruota alla quale erano avvinghiati degli animali grotteschi. “La ruota.”
Nella quarta c’era un uomo a testa in giù, sospeso per un piede. “L’appeso.”
La quinta rappresentava un uomo vestito come un giullare, ma con gli abiti stracciati. Teneva un fagotto in spalla, aveva un bastone da viaggio ed era seguito da un cane. “Il matto.”
A questo punto, MacLeod alzò gli occhi sul collega. “Tutto questo non ti suggerisce niente?” mormorò con voce incerta.
Campbell annuì. “Il povero Hayes travolto da un carro, Pierce precipitato nel crollo della torre, Banks stritolato sotto la ruota dentata, Jackson impiccato a testa in giù, Adamson ucciso da un matto. Qui bisogna immediatamente chiamare un prete.” Fece per muoversi, ma l’altro lo trattenne. “Aspetta, vediamo quelle coperte.”
No! E se scoprendole li fai morire?” Deglutì. “Cioè… ci fai morire?”
Riflettici, Charles: questa stanza era sigillata, chi avrebbe potuto girare le carte? L’entità che sta agendo qui dentro non è qualcosa di umano.”
Già, forse hai ragione.”
Mac Leod prese la prima carta coperta e la girò. “Questa è strana,” disse aggrottando le sopracciglia. C’erano due torri o colonne ai lati di una spianata. In primo piano si vedeva un lago, sulla cui sponda c’erano due cani, o due lupi. Nel cielo brillava una luna che però sembrava un mezzo sole, perché era circondata da raggi arancioni. “La luna.”
La seconda era una donna in abiti eleganti, con un ampio cappello, che spalancava le mascelle di un leone. “La forza,” lesse l’agente.
Si scambiarono un’occhiata. “Prendi l’ultima,” suggerì Campbell.
L’altro la sollevò e la girò. Rappresentava una donna dall’aria autorevole seduta su uno scanno, con una mitria papale in testa e un libro aperto sulle ginocchia. “La papessa.”
Seguì un lungo silenzio. MacLeod rimise la carta al suo posto e si fece indietro, richiudendo i cortinaggi sul sinistro spettacolo. “Da brividi,” commentò.
Fece qualche passo nella stanza, quindi andò all’armadio e lo aprì: dentro c’erano un abito nero, uno scialle frangiato, sempre nero, un cappello con un’ampia veletta di tulle e un paio di scarpe. Ne prese una e osservò la suola: era infangata. La toccò e si accorse che era ancora umida.





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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Tarocchi 4 Ciao cari/e,
rieccoci qui per la chiusura della faccenda.
Ringrazio sentitamente tutti coloro che sono passati di qui, mi hanno letto o addirittura mi hanno lasciato un parere!^^







Capitolo 4

Raccolta lungo i marciapiedi, una piccola folla seguiva con attenzione quello che stava succedendo intorno alla casa di O’Hanigan.
Il movimento era iniziato al mattino presto: era arrivato un gruppetto di poliziotti, che avevano cominciato a girare su e giù davanti alla tetra magione scambiandosi commenti. Nessuno era entrato.
Successivamente erano arrivati due veicoli: un carro chiuso dell’obitorio e una carrozza di strada. Dalla seconda era sceso un reverendo con tanto di paramenti e Sacra Bibbia, che appena messo piede a terra aveva tirato fuori un fazzoletto inamidato e se l’era premuto su naso e bocca con aria disgustata, poi si era guardato intorno con l’aria di chi si rende conto di essere sceso dalla carrozza nel posto sbagliato e non sa come tornarsene indietro.
Dalla piccola folla un uomo, mani in tasca e cappello calcato in testa, sprezzante osservò: “Sembra uno che deve farla e non trova la latrina.”
Al suo fianco, un altro brontolò: “E tutte queste aragoste crude[1], qui in giro, che vogliono? Non è bene svegliare il cane che dorme.”
Già, eravamo stati tranquilli per un bel po’, e adesso...”
Sopraggiunse un altro veicolo, che scaricò un’ulteriore piccola frotta di agenti. Gli spettatori rivolsero al gruppetto dei nuovi arrivati sguardi poco amichevoli.
Un poliziotto passò lungo la folla e ruvidamente disse: “Non c’è niente da vedere. Circolare.”
Fece un gesto inequivocabile con lo sfollagente. “Circolare,” ripeté.
Gli astanti si dispersero. I più audaci si spostarono solo più indietro, chi ne aveva la possibilità si affacciò alle finestre che davano sulla scena. Gli altri tornarono scontenti alle rispettive occupazioni.

L’agente MacLeod spinse il cancello arrugginito, quindi si fece da parte e disse: “Se volete seguirmi, sergente Kelsey, vi farò vedere quello che l’agente Campbell e io abbiamo scoperto.”
L’altro annuì e si incamminarono lungo il vialetto. Quando furono a una certa distanza dai colleghi, disse: “Mi è venuto il dubbio che tu fossi ubriaco, quando mi hai raccontato quella storia, ragazzo.”
Nossignore, ero perfettamente sobrio.”
Intendo dire: che tu e Campbell abbiate trovato un corpo nascosto in una stanza ci può stare, in fondo non sarà il primo crimine che rimane impunito, ma il resto...”
Ci sono correlazioni molto chiare, signore, mi riesce difficile pensare che siano semplicemente coincidenze. In ogni caso, se volete seguirmi, vi mostrerò tutto.”
Entrarono in casa, l’agente vide il sergente Kelsey rabbrividire quando la ben nota sensazione di freddo lo colse all’atto di mettere piede nell’ingresso. “È una dannata ghiacciaia,” brontolò con fare risentito. Abbassò gli occhi sul pavimento. “E questi segni cosa sono?”
È un pentacolo, signore.”
Un pentacolo? Cos'è, roba di magia?”
Temo di sì, signore. Abbiate la bontà di seguirmi, prego.”
E quel ritratto?” Kelsey stava indicando la zingara davanti al carrozzone.
Credo che si tratti di Catriona O’Hanigan.”
Ma perché ha tutti quei segni intorno?”
MacLeod tolse il piede dal primo gradino della scala e raggiunse il superiore. Fissò lo sguardo imperioso e spiritato della donna. “Qui ci sono cose che la logica non può spiegare, signore,” gli disse in tono tranquillo. “All’inizio ho provato anch’io a trovare una ragione scientifica per tutto questo, ma vi renderete conto anche voi che non esiste. E ora, se volete seguirmi, vi faccio vedere cosa c’è al piano superiore.”
Arrivarono su, e subito MacLeod diresse il fascio di luce della lanterna verso la porta che lui e Campbell avevano scoperto. “È là, signore,” disse.
Entrarono.
Il corpo era ancora dove l’avevano lasciato, le carte nel frattempo non si erano mosse. MacLeod si chiese speranzoso se per caso non fosse bastato l’intervento suo e di Campbell per vanificare l’incantesimo, un po’ come succedeva quando da ragazzino toccava le uova di un nido, e poi chi le aveva deposte percepiva l’odore estraneo e non le covava più.
Kelsey intanto stava osservando le spoglie mummificate con il distacco dell’abitudine. “Non è la prima vecchia stecchita che trovo, ragazzo,” gli disse alla fine dell’ispezione, “e non vedo il motivo di fare tanto teatro. Ora chiama su il reverendo Smith e gli inservienti dell’obitorio e sistemiamo le cose.”
MacLeod lo fissò sbigottito. “Ma signore...” mormorò.
Che c’è?”
Ecco… volete farla portare via e basta? Senza fare nient'altro?”
L’altro sospirò. “MacLeod, tu sei un bravo ragazzo e diventerai un agente coscienzioso, ma devi imparare a non farti prendere dall’emotività. Alla vecchia sarà venuto un colpo mentre faceva le carte, e suo figlio l’avrà chiusa qui dentro per non pagare i soldi del becchino. Considerato che tipo era, non mi stupirebbe affatto.”
Il più giovane trasecolò. “Ma signore, e quelle carte? Non vedete che sono tutte collegate ai modi in cui gli agenti sono morti? Il carro, la torre, la ruota...”
Tu sei troppo suggestionabile, ragazzo,” lo interruppe Kelsey. Raccolse le carte, le unì al resto del mazzo e appoggiò il tutto sul comodino. “Ecco qui: i tarocchi cattivi non ci sono più. Adesso va', in Centrale mi aspettano cose importanti.”
Ma signore,” tentò ancora il giovane poliziotto, “Tutti gli agenti morti avevano partecipato alla stessa operazione.”
A quella e a mille altre. Ora su, da bravo.” Gli indicò la porta con fare significativo.
Sissignore.”
MacLeod uscì dalla stanza sentendosi un cretino. Aveva fatto muovere mezzo posto di Polizia per delle superstizioni da comari? A sentire Kelsey, sembrava proprio di sì.
Eppure, anche Campbell la pensava come lui, e non era mica una recluta. I suoi quasi otto anni di servizio li aveva.

Poco dopo, una piccola processione composta da lui, l'agente Campbell, il reverendo e i due becchini che trasportavano una bara da poco prezzo si mosse verso la casa.
Quando furono dentro, i necrofori non guardarono né a destra né a sinistra. “Dov'è?” chiese soltanto il più vecchio dei due.
Al piano di sopra,” rispose Campbell.
L’altro si rivolse al proprio collega e severamente gli disse: “Che non ti venga in mente di inciampare come l'ultima volta.” Alzò gli occhi sui due agenti e soggiunse: “È caduto per le scale e ha mollato la bara. Vi lascio immaginare il resto. C'è da dire che era ubriaco, comunque.”
Non ero affatto ubriaco,” protestò il primo.
Senza rispondere, l'altro batté un paio di volte la mano aperta sulla cassa e indicò le scale con un cenno della testa.
La bara cominciò a procedere verso il piano superiore.
A questo punto, l'agente Campbell si rivolse a Smith: “Dopo di voi, reverendo.”
Quando arrivarono in camera, i due becchini avevano già deposto la cassa a lato del letto, e anche loro con la disinvoltura dell'abitudine, stavano tirando vie le coperte. “Almeno non puzza,” osservò uno dei due.
Già, e neanche si disfa, visto che è rinsecchita.”
Quelli rinsecchiti sono i migliori.”
Già.”
Per sollevare il corpo, usarono il lenzuolo sul quale esso giaceva. Lo deposero nella bara, poi il più giovane chiese: “Che cosa facciamo con questo?” Sollevò un lembo di stoffa.
L'altro gettò un'occhiata significativa alle varie uniformi che giravano su e giù e scosse impercettibilmente la testa. Il lenzuolo ricadde nella bara.
A questo punto si avvicinò Kelsey, che diede un'occhiata al corpo avviluppato nel percalle e disse: “Una benedizione e poi chiudiamo, reverendo.”
Smith si fece avanti e prese a recitare: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla...[2]”
Tutti si scoprirono la testa e rimasero ad ascoltare le parole del reverendo con espressione compunta.
Mentre l'uomo parlava, MacLeod fece cenno a Campbell di spostarsi. Quando si furono allontanati di qualche passo, sottovoce gli chiese: “Adesso dove la portano?”
Immagino al Tower Hamlets.”
E lì la seppelliranno?”
Non scavano con questo freddo, la metteranno da qualche parte finché non si riescono a fare le fosse.”
Si spostarono in corridoio, e il più giovane chiese: “Cosa pensi che succederà?”
Campbell si strinse nelle spalle. “Non lo so. Niente, immagino.” Poi, dopo una pausa: “O almeno lo spero.”
Dici che basterà una sepoltura cristiana per fermare la maledizione?”
Di solito funziona così, no?”
Dalla camera provennero i colpi del martello che inchiodava il coperchio della cassa. Successivamente uscirono dapprima il sergente Kelsey e il reverendo Smith, quindi i becchini che trasportavano la bara.
I due agenti rimasero a guardarla in silenzio. MacLeod avrebbe voluto avvisare il collega che sentiva ancora invariati sia il freddo mortale che la sensazione di essere osservato, ma di fronte alla sua espressione sollevata non ne ebbe il coraggio.

§

Era mattino presto, e l'agente MacLeod era appena montato di servizio. Era passata una settimana dagli ultimi eventi, e sembrava che la signora in lutto non fosse più ricomparsa. Campbell cominciava ad avere un'espressione più distesa e Wyndham era leggermente meno intrattabile.
Il poliziotto stava preparando il necessario per uscire di ronda quando proprio Campbell lo raggiunse nella stanza riservata agli agenti. Era di un pallore mortale, e aveva la faccia di chi ha appena visto un fantasma.
Il più giovane lo fissò stupito e gli chiese: “Cosa c'è, Charles, stai male?”
Lynch l'ha vista,” esalò lui per tutta risposta. Si passò fra i capelli una mano vagamente tremante.
MacLeod non ebbe nemmeno bisogno di domandare chiarimenti. “Quando?” chiese soltanto.
La notte scorsa. È arrivata come al solito verso le due e mezza.”
Il più giovane deglutì, lo sogguardò incerto. “Chi...?” osò chiedere alla fine.
Il vecchio Fred.” Poi, notando l'espressione perplessa del collega, precisò: “Alfred Taggart, quello che ha cambiato mestiere.”
E lui sta... bene?”
È quello che vorrei sapere,” fu la cupa risposta.
Si scambiarono un'occhiata, poi MacLeod chiese: “Sta nel nostro distretto?”
No, in quello di Rochester Row.”
Magari possiamo andare dopo il servizio a sentire se sanno qualcosa, che ne dici?”
L'altro emise un sospiro. “Sì, mi sembra l'unica cosa da fare.”
Uscirono. Nonostante la stagione, il tempo era sereno e non faceva nemmeno particolarmente freddo. Ogni tanto si vedevano piccole ghirlande di agrifoglio o nastri rossi attaccati alle finestre. “Tra un po' è Natale,” buttò lì MacLeod.
Già.”
A me piace il Natale, e a te?”
Campbell esitò un po' prima di rispondere. “Non particolarmente.”
Il più giovane lo fissò stupefatto. “Perché?”
È triste, Ally. Mentre chi può si rimpinza di roast beef, pudding di prugne e salmone, qui c'è gente che non ha da mangiare nemmeno una crosta di pane, e invece di passare la sera a guardare un bel fuoco che scoppietta nel camino, se ne starà rincantucciata in qualche angolo a tremare con addosso pochi stracci. Fai presto a perdere l'innocenza, quando lavori in un posto come questo.”
L'altro non rispose. Procedettero per un po', poi riprese il discorso: “Ma tu... stai coi tuoi per Natale...” Esitò qualche secondo, poi con tono incerto, quasi temendo di venire redarguito per la libertà che stava per prendersi, soggiunse: “...Charlie?”
Penso che mi farò mettere di servizio.”
Perché?”
La mia famiglia sta troppo lontano.”
Il più giovane lo fissò con espressione triste. “Mi spiace.”
L'altro alzò le spalle. “Ci ho fatto l'abitudine.”
Ma senti... e se vieni da noi per Natale? I miei sarebbero contentissimi di conoscerti, gli parlo sempre di te.”
L'altro serrò le labbra mentre la sua espressione si induriva. “Non credo sia il caso.”
Per favore, Charlie.”
Ho già promesso a Kelsey che faccio il giorno di Natale.”
MacLeod sospirò avvilito, ma non ebbe il coraggio di ribattere. Aveva notato che il collega era teso, e non voleva infastidirlo con un'eccessiva insistenza.
Mentre immerso in quei pensieri procedeva al suo fianco lungo il giro di ronda, si avvicinò un ragazzino con un fascio di giornali sul braccio. Tolse da esso una copia, la porse agli agenti e disse: “Daily Telegraph, signori?”
Il giovane stava per rifiutare quando si accorse che sulla prima pagina c'era una fotografia che rappresentava uno spiazzo con due torri ai lati e uno specchio d'acqua in primo piano.
Trasse di tasca qualche moneta e la allungò al ragazzino, quindi prese il quotidiano e lo osservò. La didascalia dell'immagine recitava: Rotten Row, il luogo in cui si è consumata la tragedia.
Fece scorrere lo sguardo sulla pagina. Il titolo dell'articolo era: Muore sbranato dai cani randagi.
Si voltò: Campbell era sbiancato. “È lui, vero?” disse con voce atona.
MacLeod scorse rapidamente il testo. Sembrava che la vittima fosse rientrata tardi dal pub. Una volta raggiunta la zona di Rotten Row, isolata e piena di vegetazione, sarebbe stata assalita e sbranata da una muta di cani. Dappertutto erano state trovate tracce delle bestie, sebbene i motivi della letale aggressione rimanessero ignoti. Il corpo, orribilmente sfigurato, era stato identificato solo grazie a un tatuaggio che risaliva al periodo trascorso sotto le armi. “Alfred Taggart,” confermò MacLeod alla fine.
I cani, come nella carta,” mormorò Campbell. “Sbranato dai cani.” Si appoggiò con la spalla al palo di un lampione.
Stai bene, Charlie?” chiese il più giovane.
Tu che ne dici?” fu la ruvida risposta.
Beh, no. Ovvio che no. Ma senti, ci dev’essere un modo per fermare questa cosa.”
E se non ci fosse?”
Ci deve essere,”
L’altro gli rivolse un pallido sorriso. “Dimenticavo che hai la testa più dura della mia.”
In certi casi è utile, come vedi.”
Ripresero a camminare affiancati. Il sole nel frattempo stava cominciando a coprirsi, l’aria si era fatta fredda e prometteva altra neve. Passò una vecchia scarmigliata, con tre cappotti uno sopra l’altro, che spingeva una carrozzina malandata con dentro i suoi pochi averi. Si allontanò borbottando qualcosa di incomprensibile.
Andiamo dall’armeno,” disse MacLeod dopo un lungo silenzio.
Da chi?”
Il libraio. Quello che mi ha detto delle carte. Magari sa darci qualche informazione utile.”
Campbell lo fissò, sul volto un’espressione a metà fra diffidenza e ottimismo. “Tu credi?”
Tentare non costa nulla. È poco lontano dalla nostra zona, possiamo andarci anche subito.”

Sembrava che Kasparian li stesse aspettando. Uscì dal negozio sorridendo ed esclamò: “Bentornato, agente MacLeod!” Poi scrutò l’altro poliziotto e disse: “Temo di non conoscere il vostro collega.”
Lui è l’agente Charles Campbell.”
Molto piacere,” disse il libraio, tendendo la mano. “Petros Kasparian. Ma entrate, non restate qui sulla porta.”
Li condusse all’interno, e come già aveva fatto quando MacLeod si era presentato da solo, li invitò a sedere tra malferme pile di libri. Offrì loro vino di melagrana.
Campbell tentò di rifiutare, ma il collega gli fece cenno di non offendere l’ospitalità armena.
Ebbene, agenti, cosa posso fare per voi?” chiese il libraio, una volta che si furono tutti accomodati.
Ricordate le carte?” gli chiese MacLeod, “I tarocchi della Papessa Nera?”
Certo che li ricordo. So che c’è stato un po’ di movimento ultimamente intorno alla casa.”
Sì, è stata condotta un’operazione di Polizia all’interno.”
Il libraio sogguardò alternativamente i due agenti e chiese: “C’eravate anche voi?”
MacLeod annuì grave.
E i tarocchi? Li avete visti?”
È proprio di quelli che vorrei parlarvi, signor Kasparian,” rispose il giovane poliziotto, “Io temo che siano veramente quelli di Satana. Oppure sono maledetti.”
L’uomo lo fissò stupefatto. “State scherzando, spero.”
Vorrei potervi dire di sì, signore, ma quando vi racconterò quello che è successo, temo che anche voi mi darete ragione.”
L’altro scosse la testa. “No, agente, la Scienza è in grado di spiegare tutto.”
Non quello che sto per narrarvi, signore.”
Alla fine della storia, Kasparian era comprensibilmente senza parole. Prese la bottiglia di vino di melagrana e si riempì il bicchiere fino all’orlo, quindi fece lo stesso con quelli dei due agenti, che nel frattempo si erano vuotati esattamente come il suo. Sebbene fossero in servizio, i poliziotti non obiettarono.
Che cosa ne pensate, signore?” volle sapere MacLeod. Bevve un cauto sorso.
L’uomo aggrottò le sopracciglia e borbottò qualcosa nella sua lingua, quindi si alzò e imboccò uno stretto corridoio ricavato fra due pareti di libri. Campbell fissò il collega, poi sollevò il mento nella direzione in cui era sparito Kasparian e si picchiettò una tempia con la punta dell’indice. L’altro scosse la testa e gli fece segno di abbassare la mano.
Si sentiva il rumore di antichi tomi sfogliati e spostati.
Eccolo qui,” disse alla fine il libraio. “Eccolo, proprio quello che cercavo.”
Si udirono i passi di ritorno, poi il volto barbuto del vecchio spuntò dalla penombra. “Eccolo qui,” ripeté. Aveva in mano un libro grande e rilegato in pelle, che dava l’idea di essere molto antico. Lo aprì: le pagine erano spesse e coperte di scrittura e disegni. In alcuni punti erano strappate o macchiate.
I due agenti si scambiarono un'occhiata, poi Campbell chiese: “Che cos'è?”
Il titolo non vi direbbe niente, è un trattato di magia del diciassettesimo secolo, verosimilmente proveniente dall'Europa centrale. Per quanto, ribadisco, io sia devoto alla Scienza, riconosco che ci sono in cielo e in terra anche fenomeni che la Scienza non può, o forse non può ancora, spiegare. Qui si parla di argomenti che potrebbero fare al caso vostro.”
Ovvero?”
Oggetti in grado di incanalare o serbare potere magico, come sembrerebbe il caso di quel famoso mazzo di tarocchi.”
I due poliziotti si chinarono sul libro, ma i caratteri parvero loro del tutto incomprensibili. Si scambiarono un'occhiata e simultaneamente alzarono sul libraio uno sguardo che esprimeva una muta domanda.
È ebraico,” chiarì Kasparian, “scritto con la grafia di due secoli fa. È abbastanza normale che non ci capiate niente.”
Cosa dice?” chiese Campbell.
Il libraio emise un sospiro e rispose: “Qui c'è scritto che è necessario compiere un rituale sull'oggetto. Una volta effettuato quello, viene eliminato il tramite della persona con il nostro piano di esistenza.”
Il nostro... che?”
Lascia perdere,” si intromise MacLeod, “l'importante è che adesso sappiamo come liberarci di quella maledetta strega.” Poi, rivolto Kasparian: “Vi siamo molto obbligati, signore. Quindi adesso cosa dobbiamo fare?”
Dovete procurarvi quei tarocchi.”
Sì, ma chi sa fare... il rituale? Che rituale, poi?”
Quando la Papessa Nera sparì, la gente del quartiere chiamò una cosiddetta maga bianca a sigillare la casa, qualunque cosa significhi. Dovrebbe essere la persona adatta.”
Voi sapete dove trovarla?”
La chiamerò per voi.”
MacLeod si rialzò in piedi, imitato subito dopo dal collega. “D'accordo, signor Kasparian,” disse, “torneremo il prima possibile con quelle carte. Per il momento grazie, siete stato molto gentile.”
E grazie anche per il vino,” soggiunse Campbell, “ne avevo bisogno.”

§

E adesso?” chiese Campbell, allontanandosi a grandi passi dal negozio di Petros Kasparian. Teneva le mani allacciate dietro la schiena e lo sguardo incupito rivolto al marciapiede.
Beh, adesso andiamo a prendere quelle maledette carte e le portiamo all'armeno.”
E stiamo a controllare che faccia quel che deve fare. L'hai visto anche tu quando ne parlava: gli brillavano gli occhi.”
Cosa vorresti dire?”
Che secondo me non gliene frega niente se un paio di aragoste crude in più o in meno ci lasciano la pelle, per lui è importante mettere le mani su quei dannati tarocchi.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Quindi Ally, se permetti, io starò a guardare cosa fa e mi accerterò che sia veramente la cosa giusta. Altrimenti, quant'è vero Dio, prima di crepare glieli brucio assieme a tutto il suo negozio di carta straccia.”
Ma se li bruci, forse non si potrà più sciogliere la maledizione?”
Scherzi? Da che mondo è mondo, queste cose sono sempre state combattute col fuoco. Hai presente che fine facevano le streghe?”
In effetti...”
Ecco perché la faccenda del rituale mi sa di fregatura. Avremmo dovuto dare fuoco a quella maledetta casa, invece di chiamare Kelsey. Comunque, intanto mettiamo le mani su quei dannati tarocchi, poi vedremo.”
Continuarono a camminare per un po'. Nel frattempo aveva cominciato a nevicare, e radi fiocchi fluttuavano lenti verso terra. MacLeod si voltò verso il collega e timidamente gli chiese: “Senti... per Natale, allora?”
Cosa?” replicò l'altro senza voltarsi.
Voglio dire...” si morse un labbro con fare indeciso. “Ti va di venire da noi?”
Sono di servizio. Posto che sia ancora vivo, naturalmente.”
Ma che stai dicendo?”
Rimaniamo solo io e Wyndham. Considerato che oggi è il venti, e che da qualche giorno la vecchia non si presenta, direi che tra un po' toccherà o a me o a lui.”
L'altro si trovò involontariamente a deglutire. “Troveremo un modo,” disse, quasi più per rassicurare se stesso che il collega.
Raggiunsero la casa di O'Hanigan. Il cancelletto semiaperto sembrava quasi invitare la gente all'interno, ma la neve caduta negli ultimi giorni, perfettamente intatta, faceva capire che gli abitanti del quartiere si erano mantenuti a rispettosa distanza dalla magione.
MacLeod in testa, i due percorsero il vialetto e raggiunsero la porta d'ingresso, che come al solito cedette dolcemente quando venne abbassata la maniglia.
Fuori era già freddo, ma l'interno parve a entrambi una ghiacciaia. Addirittura il fiato si condensava in nuvole bianche, e sulle superfici metalliche si stendeva un sottilissimo velo di brina.
Ci vorrebbe una candela,” disse Campbell rabbrividendo. “Non si vede niente.”
MacLeod si guardò intorno e ritrovò il mozzicone che aveva lasciato giorni prima sul tavolo. “Eccola qui.”
La accesero, e alla sua luce tremolante notarono che era successo qualcosa al ritratto della Papessa Nera: sembrava che qualcuno avesse malamente cancellato con una spugna bagnata tutti i segni che erano stati tracciati intorno alla cornice. Righe di colore rosso colavano giù come sangue imbrattando il vetro. “Chi accidenti ha fatto una cosa del genere?” disse Campbell, “Non è entrato nessuno a parte noi.”
L’altro aggrottò le sopracciglia, la sensazione di non essere soli nella stanza era più intensa che mai. “Muoviamoci, Charlie,” disse soltanto, reprimendo un brivido di freddo.
Salirono rapidi su per le scale. Tutto appariva esattamente come l’avevano lasciato, l’armadio era ancora dove lo avevano trascinato giorni prima, il suo contenuto anche. La porta della camera da letto era una voragine oscura che sembrava inghiottire ogni luce.
Di nuovo, quando si avvicinarono la fiamma si affievolì fin quasi a diventare una brace di sigaro. Sebbene l’aria fosse immobile, MacLeod vi mise intorno la mano a coppa. La candela pian piano riprese un po’ di vigore.
Prendiamo quelle dannate carte e andiamocene,” ringhiò Campbell, “Questo posto mi dà i brividi.”
Sono sul comodino.”
Entrarono nella camera, e pur alla scarsa luce si accorsero che le carte erano sparite.
Qualcuno le ha prese,” disse MacLeod.
Qualcuno, chi? Hai visto anche tu che non c’erano tracce intorno alla casa.”
Allora è stato qualcuno di quelli che sono entrati qui quando l’abbiamo portata via.”
Controlla meglio.”
MacLeod guardò dappertutto, spostò le coperte, si chinò addirittura a scrutare sotto il letto, ma delle carte, e della tavoletta sulla quale esse erano state disposte, non c’era alcuna traccia.
I due agenti si scambiarono uno sguardo preoccupato. “E adesso?” chiese Campbell. Aveva l’espressione del naufrago che vede l’ultima scialuppa allontanarsi.
Non possono essersi volatilizzate,” disse il più giovane. Poi, in tono conciliante, aggiunse: “Ragioniamo: nella casa sono entrati solo il reverendo, i nostri colleghi e i due tizi del cimitero. Basterà chiedere a costoro, vedrai che a un certo punto salteranno fuori.”
Dio benedica gli ingenui,” sospirò l’altro, “E pensi che chi le ha prese te lo venga a dire come se niente fosse?”
Perché?”
Gesù, Ally, perché prendere cose in casa di un morto significa rubare, e nessuno confessa a un poliziotto di aver rubato.”
Non ci avevo pensato,” borbottò MacLeod con espressione contrita. “Scusami, Charlie.”
Seguì qualche secondo di silenzio, infine Campbell disse: “Scusami tu, è che questa faccenda mi rende un po’ nervoso.”

§

L’agente Wyndham si sedette accanto alla stufa e mise i piedi sull’angolo della scrivania. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra: alla luce dei lampioni, non si vedeva altro che il turbinare furioso della neve. “È un maledetto schifo,” brontolò.
Si stropicciò le mani al calore, poi disse: “Quasi mi dispiace per i giovani. Pensa, Dobbins, essere di ronda con questo tempaccio. Ma noi ai nostri tempi l’abbiamo fatto, e ora tocca a loro. Giusto?” Poi, senza attendere risposta: “Ehi, che ne dici di tirare fuori quella tua fiaschetta?”
L’interpellato, che stava sistemando dei rapporti in uno schedario, si voltò verso di lui e come al solito rispose: “Ma James, lo sai che non si può bere in servizio. E se ci beccano?”
Lo voglio proprio vedere, Kelsey che fa un’ispezione alle due di notte. Cos’hai portato stasera, dello scotch?”
Sì.”
Allora dà qua.” Tese la mano con una certa imperiosità. Dopo una breve esitazione, l’altro vi depose il contenitore di metallo e si diresse verso la porta. “Vado a vedere come procedono le cose di là,” annunciò.
Sì, vai, così ne resta di più per me.”
L’altro si spostò nella stanza attigua, quella alla quale avevano accesso i cittadini. Anche lì c’era una piccola stufa in un angolo, e un paio di scrivanie, alle quali sedevano Woods e Northwood.
Come va?” chiese il secondo.
Dobbins alzò le spalle. “Ne approfittavo per mettere via delle scartoffie. Voi?”
Almeno con questa neve non c’è nessuno in giro. È una notte calma.”
Vuoi il cambio?”
Vorrei un giro dalla tua fiaschetta, se non se la scola tutta Jim.”
Dobbins alzò le spalle. “Ah, lascialo perdere. Almeno se beve non viene di qua a rognare.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Del resto, posso capirlo: ormai non ne mancano più molti.”
Northwood annuì. “Lui e il Jock[3], giusto?”
Sì, anche se il Jock era un moccioso, all’epoca.”
Però mi dicono che non si è tirato indietro, quando gli hanno chiesto di fare la sua parte.”
Non vuol dire niente, poveraccio. I mocciosi fanno sempre quello che dicono i vecchi, lo sai. Ti ricordi quando il povero Jackson ordinò al quel ragazzo di buttarsi nel Tamigi per cercare le tracce del tizio che era scappato a nuoto?”
Diavolo, sì. Che risate.” Si appoggiò all’indietro contro lo schienale e soggiunse: “Lo tirarono su bagnato come un pulcino.”
L’altro annuì. “Io mi ricordo ancora Jackson che sbraitava: e me lo dici adesso che non sai nuotare, razza di idiota?”
I due ridacchiarono un po’ al ricordo dell’episodio. Nel frattempo li raggiunse Woods con la teiera fumante in mano. “Ne volete?” chiese.
Un sorso di tè non si rifiuta mai,” rispose Dobbins, poi rabbrividì e disse: “Cos’è questo freddo, all’improvviso?”
Sembra di essere in una ghiacciaia,” confermò Northwood. Si alzò e si diresse verso la stufa nell’angolo. “Ora controllo se questo dannato ferrovecchio sta funzionando a dovere.”
Mentre Northwood era così impegnato e Woods stava versando il tè, Dobbins vide la porta che dava sull’esterno schiudersi lentamente. In un silenzio mortale, da essa entrò una vecchia signora in lutto strettissimo, con uno scialle frangiato e un ampio cappello con la veletta. Nonostante fuori nevicasse forte, non un fiocco turbava il nero integrale della sua tenuta. Si avvicinò a passettini, emettendo di tanto in tanto un sinistro scrocchiare, come di giunture ferme da molto tempo.
Quando fu a pochi passi dalla scrivania, disse: “Buona sera. Sto cercando l’agente James Wyndham, per favore.”
Dobbins deglutì come se stesse mandando giù un dado da due pollici. “Che… che cosa?” riuscì appena a balbettare. Gli altri due agenti, rispettivamente accanto alla stufa e presso lo stipo delle tazze, erano diventati statue di sale.
James Wyndham,” scandì la misteriosa signora. La voce si sovrappose ai tre colpi del campanile.
In quel momento si spalancò la porta che dava sulla stanza degli agenti. Nel riquadro c’era proprio l’agente Wyndham, con lo sfollagente in mano e lo sguardo spiritato. “Specie di lurida baldracca!” sbraitò.
Tutti si girarono stupefatti nella sua direzione.
Vuoi ammazzarmi, eh? Ma ti ammazzo prima io!” Il poliziotto stava per aggiungere altro, ma il rumore della porta che si richiudeva gli impedì di continuare.
Wyndham balzò in avanti, ghermì il pastrano e lo indossò mentre si precipitava fuori.
Sparì nella notte.

Il primo a riprendersi fu Dobbins. “Bisogna andargli dietro,” disse in tono concitato, “è fuori di sé e mezzo ubriaco. Poi sapete anche voi come va a finire.”
Già,” brontolò Northwood. “Si caccia sicuramente nei guai.” Raccolse il pastrano e lo indossò, quindi accese una lanterna. “Dobs, vieni anche tu?” chiese.
Arrivo.”
I due agenti uscirono. Fuori nevicava forte e c’era un gran silenzio. I rumori erano attutiti e la visibilità ridotta al minimo. L’unica testimonianza del passaggio di Wyndham era una fila di impronte che si sovrapponeva a quelle della vecchia e si perdeva con esse nel buio .
Dobbins vi avvicinò la lanterna, quindi disse: “Recuperiamo Jim, prima che ne combini una delle sue.”
Procedettero veloci per un po’, seguendo le impronte del collega, poi cominciarono a sentire un frenetico galoppo di cavalli, accompagnato da sferragliare di ruote e nitriti.
A un certo punto dovettero farsi bruscamente da parte per evitare di essere travolti. Quello che passò era un carro chiuso, trainato da due cavalli imbizzarriti con gli occhi spiritati e la schiuma alla bocca. A cassetta non c’era nessuno.
Il carro si trascinava dietro una lunga e pesante catena con un gancio alla fine, che tintinnava rimbalzando sul selciato.
Subito dopo videro una figura che correva più avanti.
Eccolo!” esclamò Dobbins.
Il carro curvò bruscamente, la catena si tese sotto l'effetto della forza centrifuga, si allungò e il gancio intercettò Wyndham. Fin da quella distanza, gli altri due agenti sentirono un rumore come di rami spezzati, poi il collega venne sollevato, si torse in aria e ricadde in uno spruzzo di neve rossa. Fu trascinato per un po’, poi arrivò contro un ostacolo. Si udì un suono lacerante e il carro proseguì da solo. I due videro che attaccata al gancio, saltellante dietro il veicolo che si allontanava, era rimasta una cosa rossastra, che a ogni rimbalzo lasciava impronte sanguigne sulla neve fresca.

§

Campbell aggrottò le sopracciglia e disse: “E tu che ci fai qui?”
MacLeod si strinse nelle spalle. “Visto che sei di servizio, ho pensato di venire a farti compagnia: ho chiesto un cambio a Gardner.”
Ma è Natale.”
E allora buon Natale, Charlie.” Mise sulla scrivania un involto che fino a quel momento aveva tenuto con ogni cura fra le braccia. “Questi sono dolci delle nostre parti, li ha fatti mia madre. Ha detto che così ti sentirai a casa anche tu.”
Non dovevi.”
Scherzi? Mi fa piacere.” Aprì il pacchetto, rivelando biscotti e pasticcini di varie fogge, poi a voce alta disse: “Ragazzi, venite anche voi a mangiare qualche dolce?”
Woods si avvicinò dubbioso. “Non sarà mica la vostra robaccia da montanari, vero?” chiese, scrutando il contenuto dell’incarto. Annusò odori misti di cioccolato, cannella e vaniglia. “Uhm, che profumino, però. Ne assaggio uno.”
Sparì il primo biscotto.
A quel punto Lynch lo raggiunse. Gli diede una scherzosa gomitata e gli disse: “Fatti in là, se non sai apprezzare la buona pasticceria.” Poi, rivolto a MacLeod: “Bravo ragazzo. Forse non sei poi così male, per essere una recluta.”
Il più giovane sorrise. Gli piacevano quei momenti: vi coglieva spirito di corpo e cameratismo. C’era quella speciale vicinanza che derivava dal condividere tutti i giorni la stessa missione e gli stessi pericoli.
Prendete e mangiatene tutti,” disse con una risata, accompagnando le parole con un gesto benedicente, poi aprì il pacco in modo che si vedesse meglio il suo contenuto.
Dopo un po’ si voltò verso Campbell, che era l’unico che non aveva ancora preso nulla. Stava per dirgli qualcosa, ma l’altro si allontanò di qualche passo e rimase a fissare fuori dalla finestra dandogli le spalle.
MacLeod gli rivolse un’occhiata, ma prima che potesse decidere di fare qualsiasi cosa, la voce di Woods lo richiamò alla realtà: “Ci vorrebbe un po’ di tè, ragazzo, se no questa tua roba delle Highlands fa fatica a scendere.” Con fare significativo, si batté il pugno all’altezza dello sterno, come a mostrare dove si verificasse l’ostruzione del canale.
Arriva,” disse il più giovane.
Preparò l’infuso e lo portò ai colleghi, che l’accolsero con gioia. “Ci vorrebbe solo la fiaschetta di Dobs e poi sarebbe il paradiso,” sospirò Lynch.
Woods, che stava per addentare uno shortbread, abbassò il dolcetto e assunse un’espressione triste. “Quando parli della fiaschetta di Sam mi viene sempre in mente il povero James.”
Già, poveretto. Una fine veramente schifosa.”
MacLeod non disse nulla. Non aveva visto il corpo di James Wyndham, ma aveva sentito i racconti degli inorriditi colleghi: il gancio che pendeva dal carro gli si era piantato sotto il mento per effetto della forza centrifuga, gli aveva rotto il collo, l’aveva trascinato e alla fine gli aveva strappato via la mandibola. La cosa lo aveva colpito per due motivi: il primo era senz’altro l’orrore di quella fine spaventosa, ma il secondo era ancora una volta l’attinenza con l’arcano dei tarocchi.
La Forza rappresentava una donna che spacca le mascelle a un leone, e Wyndham era morto con le mascelle spaccate.
Lanciò un’occhiata a Campbell, che nel frattempo aveva abbandonato la posizione accanto alla finestra per sedere alla scrivania dall’altra parte della stanza. Aveva davanti un registro aperto, ma invece di compilarlo si limitava a tamburellare nervosamente con la penna sulla pagina bianca.
Lo vide passarsi l’altra mano fra i capelli, stringendo come se avesse voluto strapparseli via.
Versò due tazze di tè e lo raggiunse.
È appena fatto, Charlie,” disse, spingendone una verso di lui.
Grazie,” rispose l’altro senza guardarlo.
Ti spiace se mi siedo?”
Campbell si limitò ad alzare le spalle.
MacLeod prese una sedia e si accomodò. “Che stai facendo?”
Niente.”
Vuoi che ti porti un paio di shortbread per quel tè?”
L’altro emise un sospiro. “Ally, per favore...”
Il più giovane assunse un’espressione costernata. “Vuoi che me ne vada?”
Sì, per favore. Scusa, ma non sarei molto di compagnia.”
MacLeod aprì la bocca per replicare, poi ci ripensò, raccolse la sua tazza e tornò dagli altri.

§

La giornata era stata singolarmente tranquilla. Poche persone avevano turbato la quiete del posto di Polizia, e gli agenti in servizio si erano limitati a mangiare i dolci, bere tè e fare di tanto in tanto qualche giro di ronda nei dintorni.
Il cielo era coperto, per cui non si vedeva il movimento del sole, ma la luce stava comunque scemando verso un cupo crepuscolo.
MacLeod ripercorse per l’ennesima volta tutto ciò che sapeva sulla faccenda dei tarocchi.
Per prima cosa, c’era un collegamento tra le carte estratte e gli agenti morti, questo era indubitabile. Il modo in cui essi morivano aveva a che fare con l’immagine delle carte, e sembrava che il decesso sopraggiungesse una volta scoperta la carta.
Il che implicava, visto che gli agenti continuavano a morire, che ci fosse qualche posto in cui le carte continuavano a venir scoperte una dopo l’altra.
Si prese la radice nel naso fra pollice e indice, chiuse gli occhi come per concentrarsi meglio. Dove potevano essere le carte?
Ciò che gli venne in mente andava contro ogni logica, ma in effetti in quella faccenda di logico non c’era molto.
Vale la pena di fare un tentativo,” disse a mezza voce alzandosi in piedi. Poi, più forte: “Sapete se il Tower Hamlets è aperto?”
Oggi è Natale,” gli rispose Lynch, “Però se bussi alla porta del guardiano, puoi farti dare le chiavi. È la comodità di avere addosso un’uniforme.”
Bene, faccio un salto prima che venga buio.”
A fare che?”
Devo assolutamente controllare una cosa. Vado e torno.”
Si infilò il pastrano, raccolse la lanterna e uscì.
Prese a percorrere a passo svelto le strade innevate. La luce stava calando rapidamente, e in giro non si vedeva nessuno. Fiochi lampioni emettevano coni di luce giallastra, che per contrasto rendevano ancora più oscuro quanto si trovava intorno.
Non si fece intimidire: man mano che procedeva verso il cimitero, l’idea che gli era balenata in mente, e che all’inizio gli era parsa assurda, si stava facendo sempre più plausibile.

Poco dopo si stagliò in fondo alla strada, sinistro nella luce calante, l’ingresso neogotico del Tower Hamlets, una sorta di frontone di cattedrale con guglie e statue dolenti. Il cancello di ferro era serrato, ma dall’edificio del custode filtrava una debole luce.
Il giovane poliziotto si avvicinò alla porta: da dentro provenivano un lieve cicaleccio di conversazioni, risa di bambini e gli accordi di un pianoforte malamente strimpellato.
Bussò alla porta: i rumori si interruppero, ma non successe altro.
Bussò più forte.
Passò un tempo imprecisato. MacLeod stava per bussare ancora, quando da dentro si udirono un passo strascicato e una voce maschile che diceva: “Lascia in pace tuo marito almeno il giorno di Natale, Edith!”
Polizia, signore. Aprite la porta!” ordinò l’altro per tutta risposta.
La Polizia?”
Sì, signore. Abbiate la bontà di aprire.”
Seguì ancora qualche secondo di silenzio, poi il chiavistello scattò e l’uscio si schiuse. Nella fessura comparve un volto rubizzo e adorno di due rispettabili favoriti. Da dietro l’uomo provenne una voce femminile: “Chi è, Archibald?”
È veramente la Polizia, cara.” Poi, rivolto a MacLeod: “Scusate per prima, signore. Pensavo fosse di nuovo la vedova Brewster. Non manca un giorno, sapete.” Poi, dopo una pausa: “Che cosa posso fare per voi?”
Sono l’agente Alistair MacLeod,” si presentò innanzitutto il poliziotto, poi chiese: “Dove tenete i corpi in attesa di sepoltura?”
L’altro trasecolò. “Eh?”
Un paio di settimane fa dovrebbero aver portato qui il corpo di una donna trovato all’interno di una casa chiusa da molti anni. Catriona O’Hanigan.”
Il custode annuì. “Ah, quella,” disse. “Ma certo, agente. Non l’abbiamo ancora seppellita, è ovvio. Come si fa a scavare una tomba con questo freddo? La terra è dura come la pietra, sapete? E allora li teniamo nella cripta fino al disgelo. A parte quelli delle tombe ricche, naturalmente. In quel caso non si può certo rimandare il funerale, dico bene?”
Posso vedere questa cripta?”
Il custode si guardò alle spalle e assunse un’espressione afflitta: non aveva chiaramente la minima voglia di indossare pastrano e stivali e uscire per accompagnare un poliziotto in una ghiacciaia piena di morti. “Non potreste tornare domani?” propose speranzoso.
L’altro fu inamovibile. “No, non posso.”
L’afflizione del custode si fece più profonda. Dai recessi della casa, la voce femminile di prima ripeté: “Ma chi è, Archibald?” Il tono aveva una punta di stizza.
Ti ho detto che è la Polizia, cara.”
La Polizia? Ma è Natale!”
Facciamo una cosa,” propose MacLeod, “Datemi la chiave e spiegatemi dove trovo la cripta. Io vado, controllo quello che mi serve e poi ve la riporto. Può andare bene?”
Preso tra i due fuochi dell’atmosfera familiare e del dovere civico, il custode non ebbe che una breve esitazione, poi si staccò dalla cintura un mazzo di chiavi e lo tese a Macleod. “Quella lunga apre il cancello. Abbiate la bontà di richiuderlo dopo che siete passato, se no poi mi trovo chiunque a fare i suoi comodi in mezzo alle tombe. Quella di fianco apre la cripta, che è alla fine del viale principale sulla destra, non potete sbagliare. Mettete le chiavi nella cassetta della posta quando avete finito. E ora, scusatemi ma devo proprio rientrare.”
Lo piantò lì su due piedi.
MacLeod andò al cancello di ferro. Dovette armeggiare parecchio, prima di riuscire a far scattare a serratura, quindi per non perdere tempo a richiuderlo. Lo lasciò solo accostato, più che altro nel timore di rimanere poi chiuso dentro.
Facendosi precedere dal fascio di luce della lanterna, percorse il viale principale, che appariva come un’inviolata distesa bianca, lievemente scintillante nei punti dove si era formato più ghiaccio. Ai lati si intravedevano monumenti funebri coperti di neve e lapidi variamente corrose dal tempo. Mausolei si levavano oscuri tra gli alberi, alcuni con la porta socchiusa in un sinistro invito.
Il silenzio era tale che all’agente sembrava di riuscire a sentire il battito accelerato del proprio cuore.
Finalmente giunse a uno spiazzo intorno al quale erano disposti alcuni edifici: vi erano sulla sinistra una chiesa neogotica, di fronte una specie di grande mausoleo in stile vagamente egizio, con tanto di sfingi addormentate ai due lati della porta, e finalmente sulla destra un terzo edificio, dall’aspetto molto più funzionale e chiuso da una porta di ferro.
L’agente si avvicinò, estrasse il mazzo di chiavi, scelse quella che avrebbe dovuto aprire la cripta e la inserì nella toppa. La serratura scattò, il rumore del meccanismo si riverberò in decine di echi metallici.
Tirò la porta, che cedette cigolando, e proiettò all’interno il fascio di luce: vide una specie di ampio vestibolo, sui lati del quale erano allineati tipici carrelli da cimitero. Nella parete di fronte c’erano un largo montacarichi e una scala che scendeva.

Di sotto c’era un’enorme sala con il soffitto sostenuto da colonne. Sui due lati lunghi c’erano scaffali a più piani, sui quali erano appoggiate innumerevoli bare, da quelle di legno pregiato ornate di maniglie di bronzo, a quelle da poco prezzo, messe su alla buona con assi di recupero.
Il silenzio di quella lugubre necropoli era così profondo che faceva quasi male alle orecchie. MacLeod tossì, e il rumore si riverberò sulla volta come un colpo di cannone.
Il poliziotto mosse qualche cauto passo, facendo girare tutt’intorno la luce della lanterna. Si accorse che su ogni bara era appuntato un cartellino con il nome del defunto e altri dati.
Trovò alla fine la bara di Catriona O’Hanigan in un angolo, accanto a una specie di tavolo di lavoro. Probabilmente donata da qualche associazione benefica, essa era talmente misera che stava insieme per miracolo. Evidentemente il guardiano aveva pensato di consolidarla in qualche modo per evitare che gli si sfasciasse durante la sepoltura.
Si avvicinò e per un po’ si limitò ad osservarla. C’erano un paio di fessure sul lato, da una parte sporgeva un lembo del lenzuolo con cui avevano avvolto il corpo. Il coperchio era incurvato come se fosse rimasto per anni in qualche posto molto umido.
L’agente deglutì e si guardò intorno reprimendo un brivido. L’idea di fare quel controllo, che nel rassicurante tepore del posto di Polizia gli era sembrata così buona, presentava sempre minori attrattive. Posò la lanterna sul tavolo, in una posizione dalla quale illuminasse bene il feretro, quindi prese un piede di porco e lo infilò con decisione sotto il coperchio. Fece forza verso il basso.
In quel silenzio raggelante, lo scricchiolio del legno che cedeva risuonò come un lamento. Subito dopo il coperchio cadde a terra con un rimbombo cupo.
Il corpo giaceva nella cassa esattamente come era giaciuto nel letto: ieratico e composto. Le mani scheletrite erano posate sulla tavoletta di legno, proprio sotto una fila di nove carte, sette delle quali scoperte.
MacLeod si fece indietro, indeciso se pregare, scappare o spaccare il cranio del cadavere con il palanchino che stringeva ancora in mano. Si accorse di ansimare, il cuore gli batteva come se avesse voluto scoppiargli nel petto. Si sentiva la bocca più secca di una manciata di segatura.
Per un po’ rimase a fissare la scena impietrito, poi adagio si fece avanti. Le carte scoperte erano quelle che aveva già visto, esattamente nella sequenza in cui le aveva viste la prima volta.
Allungò una mano tremante verso la prima delle carte coperte e la sollevò: la papessa. Anche quella l’aveva già vista.
La posò e volse lo sguardo verso l’ultima carta coperta. Era sicuro che quella non ci fosse quando avevano trovato il corpo.
La prese e la voltò: la morte.
In quel momento, dal piano di sopra provenne un poderoso rimbombo metallico: qualcuno aveva chiuso la porta. MacLeod sussultò e si voltò verso la scala, ma un nuovo, spaventoso rumore comparso alle sue spalle lo indusse a girarsi di nuovo bruscamente verso la bara.
L’orrore di ciò che vide minacciò di fargli perdere i sensi: in un osceno scrocchiare di giunture irrigidite, il corpo stava sorgendo dalla cassa. I suoi movimenti, dapprima scoordinati e lenti, si facevano con inquietante velocità sempre più rapidi e più precisi.
Volse verso di lui il volto scheletrito, nel quale le orbite scavate erano nere voragini di malvagità.
MacLeod si fece indietro con l’intento di colpirla, essa si spostò sul pavimento con la rapidità fluida di un serpente, quindi si raccolse e gli si avventò addosso.
Ribaltato all’indietro dall’impatto, il poliziotto perse la presa sul piede di porco, che sferragliò sul pavimento. Annaspando cercò di farsi indietro, ma le mani ossute della Papessa Nera gli percorsero l’uniforme come orrendi, giganteschi ragni, risalirono fino a circondargli il collo e presero a stringere con forza sovrumana.
Il giovane agente si divincolò con tutte le sue forze, ma era come cercare di togliersi un collare di ferro, che però si stava inesorabilmente stringendo.
Un velo nero gli oscurò la vista.
Poi qualcosa d’improvviso sembrò trarlo dalla melma nella quale stava sprofondando: l’aria gli entrò di nuovo in gola, una luce gli si proiettò in faccia facendogli sbattere gli occhi. “Ally!” esclamò una voce.
Charles?” mormorò il giovane agente con voce roca.
Alzati, presto!” disse l’altro per tutta risposta. Lo tirò con urgenza per un braccio. “Alzati, prima che quello schifo ritorni.”
Tossendo e barcollando, MacLeod si alzò. Il corpo si stava raddrizzando come una grottesca marionetta.
Cristo...” mormorò l’agente.
Via! Vattene!” urlò l’altro. Raccolse da terra il palanchino e si parò fra lui e il corpo animato. Sotto gli occhi inorriditi di MacLeod, Campbell si fece avanti e colpì con tutte le forze la Papessa Nera, che però non fece altro che barcollare appena ed emettere la sua raschiante, orribile risata. Poi ghermì lo strumento che l’agente aveva ancora in mano, glielo strappò via e glielo piantò nel petto con tale forza che la punta uscì dalla schiena.
Prima che MacLeod potesse fare qualsiasi cosa, la Papessa Nera gli fu addosso, e di nuovo gli strinse le mani intorno al collo.
Il giovane si divincolò annaspando, ma presto gli mancò il fiato, e si trovò a lottare per mantenere la lucidità.
L’orrendo teschio chino su di lui, di cui nel buio percepiva solo il candido ghigno, divenne pian piano una macchia sfocata.
E poi la Papessa Nera abbandonò la presa, e si fece indietro emettendo un urlo raccapricciante. Sebbene ancora stordito, MacLeod percepì danzanti bagliori rossastri.
Il corpo della donna nel frattempo si contorceva sul pavimento, e man mano si consumava, spargendo intorno una polvere impalpabile.
Sollevò lo sguardo e vide che dalla bara si stavano levando delle fiamme.
Accanto alla cassa c’era Campbell, riverso in una pozza di sangue. E di fianco a lui, la sua lanterna con il serbatoio dell’olio aperto.
Charlie!” gridò MacLeod. Corse a inginocchiarglisi accanto.
L’altro schiuse faticosamente gli occhi, tossì facendosi scorrere un rivolo di sangue lungo il mento. “Quella là… è morta?” chiese faticosamente.
MacLeod si girò a guardare. “Un mucchio di cenere.”
Lo dicevo che ci voleva… il fuoco.”
Sì, avevi ragione.” Si tolse di tasca il fazzoletto, lo premette sulla ferita, ma era come cercare di arginare un torrente in piena. Si guardò intorno: doveva chiamare soccorsi, ma come? Dove?
La voce flebile di Campbell lo distrasse dalle sue angosciose meditazioni: “Alla fine avrei fatto meglio ad accettare il tuo invito, Ally.”
Ti inviterò tante altre volte,” rispose il più giovane. Una lacrima gli rotolò lungo la guancia.
Temo di no.” Un altro colpo di tosse, che strappò al ferito una smorfia di dolore. “Mi dispiace di non aver assaggiato i tuoi dolci.”
Mia madre ne farà altri,” gli assicurò MacLeod precipitosamente, “li mangeremo insieme.” Le lacrime continuavano a scendergli lungo le guance.
Passò qualche secondo, scandito solo dal respiro sempre più faticoso di Campbell, che alla fine disse: “Ora rimani tu l’unico Jock di Whitechapel.”
L’altro avrebbe voluto dire che non era vero, che presto l’avrebbe rivisto in salute, ma riuscì solo a mormorare: “Insegnerò a questi Sassenach[4] di che pasta sono fatti i veri scozzesi.” In quel momento cominciò a sentire passi e voci, e fasci di luce si proiettarono fuori dalla tromba delle scale. Sentì Lynch dire qualcosa.
Si chinò su Campbell. “Glielo insegnerò io,” ripeté, ma l’amico non rispose. MacLeod lo sollevò, ma era come se qualcosa, nella consistenza e nell’abbandono del corpo del compagno, gli comunicasse che non c’era più niente da fare, che ormai Charles Campbell era in un posto dal quale non avrebbe più potuto richiamarlo indietro.
Svariati agenti sciamarono nella stanza.
Avrebbe volentieri continuato a piangere, ma ricordò la promessa che aveva appena fato all’amico. Si asciugò gli occhi con la manica.
È tutto finito,” si limitò ad annunciare agli attoniti colleghi.






[1] “Raw Lobster”, nomignolo dispregiativo in uso nella Londra vittoriana per definire i poliziotti. Fa riferimento al colore delle uniformi (all’epoca blu/grigio).
[2] Salmo 23.
[3] Diminutivo di John con cui gli inglesi definiscono genericamente gli scozzesi, tipo “Fritz” per i tedeschi o “Tommy” per gli inglesi.
[4] Termine scozzese derivato dal gaelico saussnach (sassone) per definire gli inglesi.













Piccolo angolo dell’autore

Inclito lettore, inclita lettrice,
ora che siamo arrivati a questo punto, e che mi hai seguito così fedelmente per i vicoli di Londra e per le case infestate, voglio ancora una volta ringraziarti, e assicurarti come sempre che senza di te (sì, proprio tu che mi stai leggendo) questa storia non sarebbe mai esistita.

Grazie ancora a chiunque mi abbia commentato, ma anche a chi ha messo la storia in qualche lista o si è anche solo fermato a leggere.



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