Can a Frozen heart be melt?

di Akane92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Maia. ***
Capitolo 2: *** New York e Malibù. ***
Capitolo 3: *** A new housemate ***



Capitolo 1
*** Maia. ***


MAIA STARK
 
 
Mi chiamo Maia.
Non ho idea del perché mia madre mi abbia chiamata così. Non ho mai avuto l’occasione di chiederglielo ed è strano, visto che col tempo, cercando in giro, ho scoperto che il mio nome ha proprio il significato di “creatrice, madre”.
Per me, la parola “mamma” è come una parola tabù, una parola che non ho mai amato pronunciare e che non ho mai potuto pronunciare con piena consapevolezza.
Mia madre è morta quando io avevo quattro anni e di lei non ricordo quasi nulla. Ricordo solo, vagamente, il suo viso. Ogni volta che mi vedo allo specchio, mi rendo conto che più vado avanti con gli anni più vedo quel viso dei miei ricordi simile al mio.
Mia madre non stava con mio padre quando è morta. Anzi, loro due non sono mai stati insieme. Crescendo ho scoperto, e soprattutto capito, che i miei genitori avevano semplicemente bevuto troppo e che si erano dimenticati di usare precauzioni, tutto qui. Ho scoperto che mia madre mise subito a conoscenza mio padre della gravidanza e che lui ha sempre provveduto ad aiutarla, economicamente. Non ricordo nulla della presenza di mio padre nei miei primi quattro anni di vita, né gli ho mai chiesto se lui ci fosse stato.
Quando mia madre è morta, mio padre mi ha preso subito con sé. Non posso lamentarmi, non potrei mai farlo. Mi ha dato tutto, mi ha insegnato molto, non mi ha mai fatto mancare nulla. Col tempo, non ho molto apprezzato il “fare” di mio padre: il suo essere un donnaiolo, il suo essere tremendamente irritante, cosa che ho ereditato da lui, a quanto mi dicono. Capendo inoltre che costruiva armi per la guerra non apprezzai neanche il suo lavoro, ma lui mi disse che se volevamo continuare a vivere nel lusso, come vivevamo, dovevo accettarlo. Così feci, ma di certo non lo risparmiavo da frecciatine e mie opinioni a lui poco gradite.
Non ho ereditato nulla, fisicamente, da mio padre. Non ho i suoi capelli neri, né i suoi occhi marroni, ma occhi blu e capelli castani. Da lui ho ereditato ben altro: la voglia di conoscere, di costruire, di inventare, di creare cose mie e solo mie. Fin da piccola cominciò ad insegnarmi tante, tantissime cose, fino a farmi appassionare per tutto quello che mio nonno e lui pensavano e rendevano reale. Seguii i suoi stessi studi e con grande sorpresa di tutti, persino la sua, mi laureai a sedici anni, con il massimo dei voti, e continuai a specializzarmi fino ai diciotto, quando iniziai a lavorare insieme a mio padre in maniera ufficiale.
A diciotto anni, però, ho vissuto il più brutto periodo della mia vita. Sebbene a quattro anni non avessi la coscienza giusta e abbastanza matura per capire la perdita di un genitore, l’assenza di una figura materna nella mia vita mi aveva sempre rattristita e appesantita e quindi perdere all’improvviso anche mio padre, crederlo morto, fu un duro colpo.
Furono tre mesi orribili, tre mesi in cui credetti di aver perso tutto quanto. Volevo andare in Afghanistan io stessa per cercare il mio papà, per trovare un indizio, un qualcosa che mi conducesse a lui, ma non me lo concessero. Restai a casa con Pepper, la segretaria personale di mio padre che per me era sempre stata come una sorella maggiore, ed ero sempre in contatto con il migliore amico di papà, James Rhodes, che non smetteva un giorno di cercarlo.
Quando finalmente seppi che era vivo, che l’avevano trovato e che stava tornando a casa, fu come tornare a respirare. Non sono solita mostrare le mie emozioni, soprattutto in pubblico, ma quando vidi mio padre scendere dal jet privato gli corsi incontro per abbracciarlo, tentando di mascherare le lacrime di gioia, per poi dargli uno spintone che lo fece barcollare, rimproverandolo per avermi fatta preoccupare.
Da quel giorno, tutto cambiò. Non avrei mai pensato che mio padre avrebbe mai chiuso l’azienda di famiglia, eppure fu la prima cosa che fece dopo aver mangiato un hamburger. Né avrei mai creduto che nel suo petto ci fosse davvero un elettromagnete che faceva sì che non morisse, se non l’avessi visto con i miei occhi.
Con la scusa di uno stage che aveva a che fare con l’azienda che si doveva tenere a Londra, fui allontanata da tutto ciò che stava per accadere in America. Solo quando vidi l’intervista, solo quando vidi mio padre rispondere a quella giornalista con la frase «Io sono IronMan», cominciai a capire.
Tornata a casa, fu mio padre stesso a raccontarmi tutto quanto. Più mi raccontava, più volevo sapere, più volevo conoscere l’armatura, studiarla, migliorarla, rendere mio padre migliore. Lui non si oppose, almeno non fino a quando proposi di costruire un’armatura anche per me. La sua opposizione, per me, non fu affatto un problema. Sapevo lavorare da sola, di nascosto, e grazie a Jarvis, l’intelligenza artificiale che governa tutto ciò che ha a che fare con la mia famiglia, in poco tempo riuscii a costruire anche la mia, di armatura, tenendo all’oscuro mio padre e Pepper.
Nel frattempo, ovviamente, mio padre stava avendo problemi con il governo a causa dell’armatura e le cose non sembravano di certo migliorare, soprattutto grazie al vecchio/nuovo nemico, Ivan Vanko, e al rompiscatole di turno, Justin Hammer. Dopo l’incidente a Monaco, notai che mio padre stava diventando ogni giorno più irritante del normale. Solo in seguito, grazie a Nick Fury dello S.H.I.E.L.D., l’unico che aveva capito che anche io potevo essere d’aiuto, compresi tutto quanto. Mio padre stava morendo a causa del palladio nel suo corpo ed io non riuscivo a sopportarlo, né riuscivo a vederlo in quelle condizioni. Dovevo fare qualcosa, dovevo aiutarlo, e più lo vedevo peggiorare, più non vedevo l’ora di mostrargli la mia armatura e di cosa anche io ero capace di fare.
Mentre mio padre aveva permesso, durante una delle sue ultime bravate, a Rhodey di entrare in possesso di una delle armature, la Mark II, io e lui entrammo in possesso, sempre grazie a Fury, di vecchi appunti e materiali di mio nonno, che a quanto pare era uno dei fondatori dello S.H.I.E.L.D., e con i quali riuscimmo a compiere qualcosa che ancora oggi mi fa restare sorpresa: creammo un nuovo elemento che faceva sì che mio padre non utilizzasse più il palladio tossico.
Finalmente mio padre si riprese, ma era ancora contro la mia idea di un’armatura tutta per me, ed ovviamente era ancora ignaro del fatto che fosse già bella e pronta. La mia prima apparizione fu proprio dopo quegli eventi e come avevo previsto lasciai mio padre a bocca aperta, oltre che infuriato come mai in vita sua. Io, lui e Rhodey riuscimmo a sconfiggere Vanko e a portare in salvo tutti coloro che si trovavano alla Expo che mio padre aveva organizzato in quel periodo. Non ebbi paura, anzi, tutto quello che mi stava succedendo per me era estremamente emozionante e magnifico. Non mi ero mai sentita, fino a quel momento, più viva.
Fu divertente assistere in silenzio al bacio fra mio padre e Pepper ed esultare alla fine. Pepper mi era da sempre stata simpatica, mi era da sempre stata accanto anche se nessuno le obbligava ad esserci per me e fui contenta nel vedere che mio padre si era finalmente innamorato di una donna giusta per lui. La sfuriata che ebbi in seguito da mio padre non me la dimenticherò mai, ma lui sapeva benissimo che sarebbe stato inutile controbattere, urlarmi contro ed impedirmi di usare ancora la mia armatura di metallo. Infondo, da lui ho ereditato anche la testardaggine.
 
Mi chiamo Maia Stark e tutti mi conoscono come IronGirl. Mio padre è Tony Stark e il mondo lo conosce come IronMan.
Nick Fury si era da poco presentato a me e mio padre perché voleva me nel progetto “Avengers”, mentre riteneva mio padre inadeguato. Ed io non vedevo l’ora di cominciare. 



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Salve a tutti! :3
Rieccomi qui su efp, dopo secoli! Pubblico di nuovo questa fan-fiction su Loki iniziata anni fa, con l'intento di migliorarla e concluderla. Voglio che la storia di Maia e Loki attraversi le varie fasi Marvel, dopo Iron Man 3. 

Spero vi piacerà! Grazie per essere arrivati fin qui :)

 

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Capitolo 2
*** New York e Malibù. ***


New York e Malibù
 
 
La Stark Tower era nata da un’idea di mio padre. Dopo gli avvenimenti che erano accaduti alla Expo, una mattina, alle sei di mattina per essere precisi, mio padre si era introdotto nella mia stanza, nella casa che avevamo a Malibù, scuotendomi e facendomi svegliare.
«Ma che …?» domandai, ancora con gli occhi chiusi.
«Jarvis, accendi la luce!» aveva ordinato mio padre.
«Sì, signore»
«No, no, Jarvis, non …» tentai di protestare, inutilmente. Sbuffai, aprendo gli occhi e guardando il sorriso di mio padre, divertito ed eccitato. «Ma vuoi andare a dormire?! »
«Non ci riesco! Ho avuto un’idea ed ho bisogno anche del cervello di mia figlia! Forza, alzati!»
Sapevo che sarebbe stato inutile controbattere, visto che se mio padre voleva una cosa, la otteneva. Mi avrebbe preso di peso, se mi fossi rifiutata.
Mi alzai, a malincuore, e lo seguii al piano di sotto, dove tenevamo tutto quello che costruivamo insieme, armature comprese. Accese il tavolo olografico, sempre col sorriso sulle labbra, e cominciò a spiegarmi la sua idea.
«La Stark Tower!» esclamò, e con un gesto della mano fece comparire un enorme palazzo con il nostro cognome sopra. «Alimentata da un proprio reattore arc indipendente!»
Corrugai le sopracciglia. «Puoi farlo?»
«Sì, se mi aiuterai»
Non era male, in effetti, come idea.
«Se ci riuscissimo, non daremmo alcun costo alla città. Pensavo a New York!» aggiunse.
Mi avvicinai al tavolo olografico ed alla torre, guardandola più da vicino e leggendo ciò che mio padre aveva scritto.  «È un’idea» esclamai, senza troppo entusiasmo, visto che ero ancora mezza addormentata.
«Inoltre, se mi aiuterai, potrai avere un intero piano tutto per te»
Quelle parole per me furono l’equivalente di cinque tazze di caffè. Spalancai gli occhi, rispondendo al sorriso di mio padre, divertito dalla mia reazione. «Quando cominciamo?»
Una volta terminato il progetto, in poco meno di due giorni ed insieme all’aiuto di Pepper, iniziammo i veri e propri lavori. Mio padre inizialmente non voleva dire nulla allo S.H.I.E.L.D., ma io lo costrinsi a farlo; avrebbe potuto essere anche una specie di base operativa.
Man mano che i giorni e le settimane passavano, la Torre cresceva sempre di più, nel bel mezzo della Grande Mela.
Sottoterra, nascosti dalla vista di tutti, c’erano dei piani: uno per il reattore Arc ed uno per la “stanza delle interrogazioni”, voluta dallo S.H.I.E.L.D.. Al piano terra, la reception e l’atrio. Salendo, le cucine, le sedi centrali, sedi private, sale da pranzo, zone ricreative e per il tempo libero. Dove erano posizionate le enormi lettere che formavano il nostro cognome, c’erano i nostri appartamenti ed ancora più su i laboratori, ed infine l’attico.
Inizialmente la Torre era alimentata con energia normale, fino al giorno in cui mio padre avrebbe acceso il reattore Arc.
Funzionò. La Stark Tower era accesa ed era appena diventata la prima torre ad energia pulita ed auto-sostenibile del mondo.
Non mi sarei mai aspettata che quello stesso giorno, l’agente Phil Coulson dello S.H.I.E.L.D. sarebbe venuto a farci visita.
Non sapevo che Jarvis avesse già avvisato mio padre dell’arrivo di Phil, mentre lui si toglieva l’armatura, pronto per festeggiare insieme a Pepper e me nella Torre, e pronto a scherzare sul fatto che io e Pepper avremmo potuto avere solo una parte del merito, una piccola parte del merito.
«Signore, il telefono. Credo che i protocolli siano stati bypassati» aveva all’improvviso esclamato Jarvis.
Alzai gli occhi al cielo. «Chi stai evitando, papà?»
Ebbi la risposta vedendo il viso di Phil sul telefono di mio padre, mentre gli diceva che doveva parlarci con urgenza. Comparì in ascensore due secondi dopo. Avevo già incontrato l’agente, varie volte, e stranamente mi stava anche simpatico. Era gentile, con me, e non mi trattava come se fossi una ragazzina che non capiva nulla.
Io e Pepper lo accogliemmo sorridenti, lasciando mio padre a bocca aperta.
«Il suo nome di battesimo non è agente?» aveva domandato, ma entrambe avevamo fatto finta che non avesse aperto bocca.
«Maia, devi dare uno sguardo a questo» mi disse Phil, porgendomi dei documenti.
«Ehi, ehi, aspetti. Perché a lei e non a me?!» domandò ancora mio padre.
Lo sorpassai, andando verso il tavolo olografico. «Non odi che ti si pongano le cose?» chiese Pepper, sorridente.
Quando vidi la “A” sul documento, capii immediatamente di cosa si trattava. Mio padre mi raggiunse subito, troppo curioso. «Il progetto Avengers era stato respinto, mi pare, ed io non ero neanche consigliato» aveva esclamato.
«Tu, non io» dissi, ma lui mi ignorò completamente.
«Sembra che io instabile, egocentrico e scontante con gli altri»
«Appunto» aggiunsi.
Mio padre chiamò Pepper, che ci raggiunse subito, ma solo per chiederle come mai chiamasse l’agente Phil. Lei lo ignorò, domandando cosa fosse ciò che stavamo vedendo sul tavolo olografico. Con un rapido gesto, proiettai tutto intorno a noi.
«Non si tratta più di profili di personalità, Stark. Abbiamo bisogno di voi, di entrambi» esclamò Phil, mentre io guardavo intorno a me le immagini di coloro che lo S.H.I.E.L.D. aveva selezionato. Conoscevo Natasha, la Vedova Nera, per gli avvenimenti che erano successi poco prima, e conoscevo per la loro fama anche Captain America, visto che perfino mio nonno ci aveva lavorato insieme, e Thor. Quello che più mi intrigava però era Bruce Banner, Hulk: io e mio padre avevamo una sorta di debole, per lui.
Pepper decise di partire per Washington immediatamente e salutò prima mio padre e poi me, dicendomi di stare attenta e sussurrandomi di tenere d’occhio mio padre. Quando lei e Phil furono andati via, mio padre esclamò «Tu non verrai»
«Tu non decidi. Hai sentito Phil? Serviamo entrambi»
«Hai visto quei due, eh?» indicò prima Thor e poi il tizio dai capelli neri che aveva causato tutto quel macello «Sai cos’è questo?» indicò lo scettro che aveva in mano.
«Conosco il Tesseract, papà»
«Bene, allora sai anche quanto è pericoloso, in mani di tipi del genere» indicò ancora il ragazzo con lo scettro.
Guardai meglio ciò che c’era scritto. «Si chiama Loki» continuai a leggere «Viene anche lui da Asgard, a quanto pare. Il fratello di Thor?! Non si somigliano neanche un po’»
«Maia! Mi ascolti?»
«Ti ignoro» esclamai, restando con gli occhi puntati su quel semidio.
«Maia!»
Mi voltai verso mio padre. «Io vengo con te, ok? Non puoi farci niente. Non decidi tu. Fury si infurierebbe se non fossi lì con voi altri.»
«Dovrei lasciare che tu ti metta in pericolo? E se ti accadesse qualcosa?»
«E se accadesse a te qualcosa!?» domandai, alzando la voce. «Ricordi l’Afghanistan, eh? Io sì, perfettamente. Ricordo ogni giorno passato a sperare che tu fossi vivo e tornassi a casa. Ricordo ogni minuto, ogni secondo, ad aspettare telefonate da Rhodey, a cercare informazioni. Non sopporterei sapere che tu sei là fuori ed io qui ad aspettare notizie. Non ce la faccio. Io non ti lascio andare da solo, chiaro?»
Mi guardò, spiazzato.
«So cavarmela, non preoccuparti»
Sospirò, tornando con lo sguardo su Loki. «So che sai cavartela» disse con un filo di voce. «Allora, caro semidio, dove ti nascondi?»
Sorrisi. L’avevo appena avuta vinta con mio padre, il che non era per nulla facile. In poco tempo studiammo ciò che bisognava sapere, preparammo le armature, scoprimmo dove si trovava l’Helicarrier (il quartier generale dello S.H.I.E.L.D.) e mio padre riuscii ad intromettersi nei loro sistemi, fino al momento in cui scoprirono dove si trovava Loki.
«Preparati, piccolina, andiamo a Stoccarda!»
 
Non ci mettemmo molto per arrivare, grazie al jet privato ed alle armature.
«A quanto pare non siamo i primi» esclamò mio padre, vedendo da lontano Captain America lottare con Loki. «C’è anche l’agente Romanoff!»
«Dobbiamo seriamente combattere con un tizio che porta delle corna in testa?» domandai. Non erano solo corna, erano anche dorate. Cos’era, carnevale?
«Sì, tesoro, e lo faremo con stile!»
«Non fare il megalomane come tuo solito»
Furono parole sprecate, ovviamente. Mio padre fece risuonare in tutto il quartiere gli AC/DC, utilizzando tutta l’energia dell’armatura per volare verso Loki e colpirlo in pieno. Quando misi piede a terra, il semidio stava alzando le braccia al cielo, mentre i suoi vestiti mutavano, facendo scomparire anche le corna.
 
Fu emozionante incontrare Captain America, fino a quel momento ne avevo solo sentito parlare. Mi aveva persino detto di chiamarlo Steve, mentre eravamo in volo verso il quartier generale con Loki ben legato, seduto e soprattutto muto. Mentre mio padre, come suo solito, cominciava a punzecchiare Steve, io mi concentrai sul semidio.
Non si era mosso di una virgola. Aveva lunghi capelli neri, occhi verdi, ed era anche abbastanza alto e sicuramente forte e muscoloso, altrimenti non sarebbe riuscito a tener testa a Captain America, non come aveva fatto poco prima. Fissava il vuoto, in silenzio, pensando a chissà che cosa. Sembrava strano che non ponesse alcuna resistenza.
Si mosse solo quando un fulmine squarciò il cielo, spostandosi in avanti, osservandosi intorno. «Cosa c’è? Paura di un paio di fulmini?» domandò Steve.
Loki lo guardò, solo per un attimo, per poi tornare a guardare il cielo. «Io non apprezzo quello che ne seguirà» rispose.
Il significato di quelle parole lo capimmo solo pochi secondi dopo, quando Thor portò via con sé il fratello, non molto delicatamente, dopo aver anche gettato a terra mio padre con un solo gesto. Non ero mai restata così tanto sorpresa in vita mia e ciò non faceva altro che alimentare la mia adrenalina. Aiutai mio padre a rimettersi in piedi. «Che facciamo?» domandai.
«Seguimi» sussurrò. Sembrava adirato, molto probabilmente perché non gli era piaciuto che ci avesse portato via Loki con tanta facilità.
«Stark! Ci occorre un piano di attacco!» gridò Steve, ad entrambi.
«Io ho un piano: attacco!» esclamò mio padre, per poi volare all’inseguimento degli Asgardiani.
Mi voltai verso Captain America. «Va’, aiutalo» esclamò, facendo un piccolo gesto con la mano. Non me lo feci ripetere due volte.
In lontananza, vidi mio padre scaraventare via Thor, mentre quest’ultimo puntava il martello verso il fratello. Mi fermai proprio davanti a Loki, ritoccando la terra ferma e vedendo mio padre e Thor cadere a metri di distanza. Decisi di restare lì, per il momento. Se mio padre avesse avuto bisogno di aiuto, sarei corsa subito da lui.
Mi voltai verso Loki, togliendomi l’armatura dal viso. Sorrideva, il semidio.
«Ti stai divertendo?»
Alzò le spalle. «Mi domandavo solo perché non andassi ad aiutare il paparino»
«Come diavolo sai che è mio padre?»
«So molte cose su ognuno di voi, l’agente Barton mi ha informato» rispose, sedendosi comodamente sul terreno. «Puoi andare da tuo padre, se vuoi. Non c’è bisogno che tu mi faccia da balia»
Cominciavo a detestare il sorriso che continuava ad avere stampato in viso mentre mi parlava. «Preferisco restare qui. Mio padre saprà tener testa a tuo fratello»
Prima che Loki potesse rispondermi, però, dovetti ricredermi. Il martello di Thor, solo il suo martello, aveva messo mio padre a terra. Grazie al cielo, si rialzò subito.
«Dicevi?» domandò il semidio.
Non gli risposi, anche perché non l’avrei fatto a parole. Osservai mio padre e Thor combattere fino a quando non intervenne Steve, che tentò di mettere fine a quella lotta inutile. Il martello di Thor si scontrò contro il suo scudo, scaraventando via tutti e tre, e solo allora si fermarono, tornando da me e dall’asgardiano.
 
Una volta arrivati sull’Helicarrier, Loki fu portato nella sua cella ed io e mio padre avemmo finalmente l’occasione di incontrare e conoscere Banner, fino a finire nella stessa stanza per metterci al lavoro e trovare il Tesseract.
Mio padre non smetteva un attimo di punzecchiare Bruce per vedere in lui una qualche reazione da parte dell’”Altro tizio”, come lo chiamava Banner. Quando Steve se ne accorse, cominciarono ad infastidirsi anche loro a vicenda. Io, invece, mi limitavo a fare il mio lavoro ed alzare, spesso, gli occhi al cielo.
Su una cosa però ero d’accordo con mio padre: Fury ci nascondeva qualcosa. «Lui è la spia, i suoi segreti hanno segreti.» aveva detto, ed aveva ragione. Perché, visto il successo della Stark Tower, lo S.H.I.E.L.D. non ci aveva coinvolto nel progetto del Tesseract? Che facevano, loro, con quell’energia?
Mio padre, ovviamente, aveva già trovato il modo per scoprirlo. Jarvis, su suo ordine, era già entrato nei sistemi dello S.H.I.E.L.D., bypassandoli, ed in poco tempo avremmo saputo tutto. Non mi aveva detto nulla, preoccupandosi della mia possibile reazione contraria a quell’idea, ma non me la presi con lui. Forse, all’inizio, non sarei stata d’accordo, ma parlando con lui e Banner mi resi conto che qualcosa di segreto doveva esserci, e volevo scoprire cosa.
Nel frattempo, capii che Banner non aveva alcuna intenzione di “indossare l’armatura” e combattere insieme a noi, nel caso in cui sarebbe successo. Mio padre tentò di fargli capire che tutto ciò che doveva fare era controllare Hulk, ma lui sembrava non volere neanche ascoltare.
«Maia, parla anche tu! Aiutami!» esclamò mio padre.
Banner si voltò verso di me, corrugando le sopracciglia. Feci un respiro profondo. «Quell’esposizione ai raggi gamma avrebbe dovuto ucciderla, no?»
Lui annuì.
«Invece è ancora qui con noi. Hulk, cioè... l’altro tizio, l’ha salvata. Letteralmente»
Bruce fece una risata isterica. «Mi ha salvato?!» rise ancora, ma non sembrava affatto divertito. «Una bella convinzione. Mi ha salvato, perché?»
Alzai le spalle.
«Credo che lo scopriremo» rispose mio padre.
 
Tutto stava andando bene, fino a quando non scoprimmo cosa fosse la fase due. Lo S.H.I.E.L.D. utilizzava il cubo per fabbricare armi e nessuno di noi ne era al corrente. Restai delusa ed arrabbiata. Non credevo che potessero arrivare fino a quel punto, né che potessero pensare di nascondercelo sul serio. Lo avremmo scoperto, prima o poi, con o senza la minaccia di Loki.
Fury spiegò che avevano progettato quelle armi a causa di Thor, poiché ormai sapevano che non eravamo soli, ma così facendo non avevano fatto altro che attirare Loki ed i suoi alleati verso il nostro pianeta, verso il Tesseract, verso noi stessi. La questione degenerò subito ed ognuno litigava con qualcuno, persino io mi misi a discutere con Fury, mentre mio padre era impegnato con Steve. Mi divertii per un secondo quando rispose al Capitano che, tolta l’armatura, era un «Genio, miliardario, playboy, filantropo», e pensai che infondo aveva ragione. Continuammo a discutere fra noi fino al momento in cui Banner non confessò di aver provato a suicidarsi, sparandosi in bocca. Provai tristezza per lui, vedendolo raccontare quella parte della sua vita, ma fu spazzata via quando prese lo scettro di Loki fra le sue mani. Mi immobilizzai, insieme a tutti quanti, sperando che Hulk non si facesse sentire proprio in quel momento.
Il computer fece distrarre tutti: aveva localizzato il Tesseract. Mi avvicinai insieme a Banner, che nel frattempo aveva posato lo scettro, al computer, ma qualcosa non quadrava; il Tesseract non poteva essere così vicino a noi. Feci due passi verso mio padre, per cercare di distrarlo dall’inutile ed ennesimo battibecco che stava avendo con Steve, ma non riuscii a raggiungerlo. Ci fu un’esplosione che colse tutti alla sprovvista e che ci fece finire in zone diverse, lontani l’uno dall’altro. Io mi ritrovai con mio padre e Steve, che ci disse di andare a mettere l’armatura, senza però il tono minaccioso che aveva usato poco prima con mio padre.
Io e mio padre, insieme all’aiuto di Steve, dovevamo far ripartire il motore tre, eliminando i detriti che gli impediva di muoversi e dandogli una bella spinta, letteralmente. Le cose, però, non andarono bene.
Hulk si era rifatto vivo e Natasha, da sola, non riusciva a tenergli testa. Mio padre mi obbligò ad andare ad aiutarla, dicendo che se la sarebbe cavato da solo con il motore. Quando arrivai davanti a quel mostro, provai paura. Come potevo comportarmi? Non volevo far del male a Bruce, ma non volevo neanche che lui ne facesse a me. Cercai di distrarlo, anche con l’aiuto di Thor, per portarlo lontano da zone pericolose e piene di gente. Durante la lotta mi colpì varie volte, rovinando l’armatura e facendomi perdere energia, ma la parte peggiore arrivò quando un aereo dello S.H.I.E.L.D. aveva cominciato ad attaccarlo. La furia di Hulk divenne ancora maggiore. Mi guardò per un attimo e poi guardò l’aereo, indeciso sul da farsi. Con un movimento rapido e troppo forte per me, mi prese con un braccio, stringendomi al suo corpo, per poi uscire dall’Helicarrier e buttarsi sull’aereo ed il povero agente che era in esso.
«Jarvis!» urlai, ancora rinchiusa nell’armatura, incapace di muovermi. «Metti tutta l’energia nei razzi!» ordinai.
«L’ho già fatto, signorina. Deve liberarsi dalla presa!»
Mi divincolai, inutilmente. «Non... non riesco a ... muovermi!» urlai.
Hulk mi stringeva troppo a sé, a tal punto che pensai che se avesse messo un altro po’ di forza, mi avrebbe rotto tutte le ossa. Sentivo i rumori dell’armatura, del vento, le grida di Hulk, che nel frattempo aveva scaraventato via dall’aereo l’agente. Stavamo fluttuando in aria, e nessuno dei due in quel momento era capace di volare.
Sentii un grande dolore alla testa, mentre Jarvis cercava di dirmi qualcosa, e poi il buio.
 
Quando riaprii gli occhi, ero sdraiata sulla terraferma. Senza elmetto, con il vento che mi accarezzava il viso. Sbattei le palpebre, chiedendomi dove diavolo fossi finita e soprattutto come facevo ad essere ancora viva.
«Maia?»
La voce di Bruce mi fece sussultare. Mi mossi all’indietro, mettendomi seduta e con le mani avanti, pronta a sparare.
«Ferma! Sono solo io.» esclamò lui, con le mani in aria. Aveva vestiti troppo grandi per lui addosso, ed era tutto sporco. «Come ti senti? Stai bene?»
Mi guardai intorno, abbassando le braccia. Eravamo in una sorta di capannone, con un buco nel soffitto. Probabilmente era da quel buco che eravamo arrivati fin lì. Il dolore alla testa si fece risentire.
«Cosa è successo? Dov’è il mio elmetto?»
«Qui» disse, prendendolo da dietro di lui e porgendomelo «Dopo essermi assicurato che stessi bene, ho notato che lampeggiava. Ho spinto il tasto all’interno, c’era un messaggio di tuo padre»
«Cosa ha detto? Sta bene?»
Annuì. «Era preoccupato, non riusciva a localizzarli. Urlava, chiedendo dove fossi. Gli ho risposto immediatamente, registrando il messaggio. Gli ho spiegato che siamo precipitati qui ma che stiamo bene. Anche lui sta bene. Loki è diretto alla Stark Tower, vuole sfruttare l’energia della Torre per aprire il portale. Stanno andando tutti lì, ha detto che ti aspetta... In realtà, ha detto che ci aspetta»
Quel maledetto Loki! pensai. La Stark Tower! Come avevo fatto a non pensarci prima!?
Mi rimisi in piedi, barcollando. Bruce mi fu subito accanto, sorreggendomi. Mi spostai subito, in parte ancora terrorizzata, in parte troppo arrabbiata.
«Come facciamo ad essere ancora vivi? E tu come fai ad essere vestito?!»
«C’era un custode, qui dentro, mi ha dato dei vestiti. Ha detto che siamo caduti dal cielo, sulla mia schiena. Ti tenevo stretta a me.» spiegò «Mi spiace, Maia. Io non volevo farti del male»
«Non importa»
«Maia, tuo padre ha detto anche un’altra cosa»
«Cosa?» Bruce non mi rispose, non subito. Abbassò lo sguardo, gesticolando appena con le mani «Che è successo?» domandai ancora.
«Loki ha... ha ucciso Coulson»
Spalancai gli occhi, mentre il battito del mio cuore accelerava. Riscoprii la stessa sensazione che ebbi quando credevo mio padre morto, solo che in quel momento era amplificata. Quella volta, c’era davvero di mezzo la morte. Coulson, l’agente che mi aveva sempre aiutata, sempre sostenuta, era morto, per mano di un semidio megalomane con manie di protagonismo. Il mio corpo fu invaso da emozioni diverse, ma quella più forte di tutte fu la rabbia. Non risposi a Banner, non volevo perdere altro tempo. Volevo solo andare a New York e vendicare Coulson, magari prendendo a cazzotti il semidio.
Osservai la mia armatura. Era messa male, molto male. «Io non posso volare, come facciamo ad arrivare fino a New York?»
«C’è una moto, appena fuori di qui. Ti accompagno, puoi lasciarmi all’entrata della città»
«Tu verrai con me e combatterai con noi» esclamai, camminando verso l’uscita.
«Maia, hai visto cosa ho fatto? Non posso rischiare di farlo di nuovo, non mentre cercherete di salvare la città»
Mi voltai verso Bruce, riprendendo il mio elmetto. «Non accetto un “no” come risposta, Banner. Vuoi dimostrare agli altri che puoi anche essere utile, che puoi anche salvare delle vite, oltre che fare casino in giro? Vuoi dimostrarlo a te stesso? Vieni con me. Controllalo, so che puoi farlo. Hulk non mi avrebbe protetta mentre cadevamo. Quello eri tu, non lui. Puoi farcela. Combatti con me, con noi» gli occhi di Bruce sembravano sorpresi dalle mie parole, eppure vedevo in lui un barlume di speranza « Ti prego » aggiunsi.
Lui sospirò «Voi Stark ottenete sempre ciò che volete, vero?»
«Il più delle volte. Non devo volerlo solo io. Ora, devi essere anche tu a volerlo»
Gli angoli della bocca di Bruce si alzarono appena. «Ripetimi quanti anni hai»
«Ne ho ventuno»
«E sai già parlare ed agire così? Sono sorpreso»
Alzai le spalle. «Ho preso da mio padre. Ora, verrai con me?»
Esitò un attimo, prima di rispondermi. «Solo se fai guidare me »
 
Non avevo mai visto uno scenario simile. New York, la New York dove vivevo, era distrutta, in fiamme. I Chitauri erano arrivati, l’esercito di Loki sembrava stesse avendo la meglio. Intorno a noi non c’era altro che distruzione e guerra. La rabbia fu affiancata dalla paura, mentre vedevo quelle immagini. Mi chiedevo se mai avremmo potuto farcela.
Riuscimmo a raggiungere Natasha, Clint, Steve e Thor sulla terraferma e tutti furono sorpresi di vedere Bruce insieme a me. Steve avvisò subito mio padre del nostro arrivo e poco dopo lo rividi. Fui felice di vedere che stava bene, meno felice di vedere che si portava dietro un bestione gigante composto da Chitauri.
«Dottor Banner, questo sarebbe un buon momento per arrabbiarsi» suggerì Steve.
«È questo il mio segreto, Capitano» Bruce si voltò verso tutti noi, sorridendo appena «Sono sempre arrabbiato» aggiunse, e girandosi fece ricomparire Hulk, che con un solo pugno riuscì a mettere k.o. l’enorme bestione.
«Ci avete messo un po’!» esordì mio padre, una volta arrivato sulla terraferma. «Togliti l’armatura» mi ordinò «Durante il mio piccolo colloquio con Loki ho preso i braccialetti della Mark 7 anche per te!» aggiunse.
Feci come mi aveva detto, aiutata da Jarvis che disattivò tutto quanto. Una volta tolta, sentii le braccia di mio padre avvolgermi.
«Non osare mai più farmi spaventare così » sussurrò al mio orecchio.
« Scusami» ricambiai l’abbraccio, per pochi secondi.
«Bene, metti questi» mio padre posizionò entrambi i braccialetti sui miei polsi « Alza le braccia, divarica le gambe e stai ferma. Jarvis, avvia » obbedii agli ordini di mio padre, mentre Natasha ci faceva notare che dal portale stavano uscendo sempre più Chitauri.
L’armatura arrivò subito dopo, avvolgendomi. Mi sentii rinata.
«A te, Capitano!» esclamò mio padre.
Steve, da bravo soldato, cominciò a dare ordini ad ognuno di noi. Io e mio padre dovevamo occuparci del perimetro, non dovevamo permettere che i Chitauri oltrepassassero i tre isolati. Ci coordinammo, come una vera squadra, ed insieme riuscimmo a tenere testa a quel dannato esercito di alieni e creature strane. A dir la verità, riuscii anche a ritrovare l’eccitazione e l’adrenalina che avevo perso dopo la notizia di Phil.
Riuscimmo a contenere i Chitauri, io e mio padre, lavorando insieme. Fu divertente combattere di nuovo insieme a lui, fu stupendo dimostrargli che potevo farcela. Una volta terminato quel compito, mio padre andò insieme a Thor a combattere contro uno squadrone che si era impossessato di una strada intera. Volai, in cerca di qualcuno da aiutare, e mi accorsi che Loki era stato scagliato, da una freccia di Clint, di nuovo sul balcone della Stark Tower e che anche Natasha era finita lì sopra. Mi mossi in quella direzione, giusto in tempo per vedere Loki che veniva buttato dentro casa mia da Hulk.
Me ne restai fuori, volando, godendomi la scena.
«Ora basta!» aveva sbraitato Loki, rimettendosi in piedi «Voi siete inferiori a me! Io sono un Dio, creatura ottusa! Non subirò angherie da parte …» Hulk ne aveva avuta abbastanza e non dette al semidio il tempo di continuare. Lo prese per una gamba, sbattendolo da una parte all’altra del pavimento dell’appartamento di mio padre, per almeno cinque o sei volte. Non potei fare a meno di mettermi a ridere, soprattutto quando sentii Hulk dirgli «Un Dio gracile!».
Volai dentro casa e mi affiancai all’asgardiano, immobile, sofferente, ferito e con la bocca aperta, probabilmente sia per il dolore che per la sorpresa.
«Non ridi più ora, eh, semidio?» chiesi, ridendogli in faccia. «Sta’ fermo qui» aggiunsi, per poi lasciarlo lì e tornare dagli altri.
Guardai mio padre penetrare uno degli enormi bestioni di Chitauri, uscendo senza forze. Volai più in fretta che potei verso di lui, aiutandolo e proteggendolo da quelle creature orribili che lo stavano circondando. La situazione andava degenerando. Dovevamo chiudere il portale, altrimenti sarebbe stato tutto inutile. Prima o poi, tutti noi avremmo perso le forze mentre i Chitauri sembravano essere infiniti.
Mio padre si alzò in piedi all’improvviso, urlandomi «Va’ da Thor o Steve, hanno sicuramente bisogno di aiuto!»
«E tu che fai?» domandai, sparando ad altri Chitauri.
«Io ho da fare! rispose. La sua voce sembrava tremare.
Feci comunque come mi aveva detto, raggiungendo Steve e Thor e combattendo, ancora con altri maledetti alieni.
La voce di Natasha raggiunse tutti noi. «Posso chiuderlo! Mi ricevete? Posso chiudere il portale!»
Non potevo credere a quelle parole! Era fatta! Se il portale veniva chiuso, non avremmo dovuto fare altro che sconfiggere gli alieni rimasti.
«Fallo!» esclamò subito Steve.
«No, aspetta!» l’urlo di mio padre fermò tutto.
Le sue parole, la spiegazione del perché Natasha non potesse ancora chiudere il portale. mi fecero capire che l’umanità era capace di tutto. Come potevano aver deciso di inviare un missile, una bomba, verso Manhattan? Verso la popolazione?!
Quando mio padre spiegò cosa aveva intenzione di fare, sentii le gambe tremare. «Vengo ad aiutarti! » urlai.
«No! Jarvis, spegni i razzi di Maia, immediatamente!»
«No, no, no! Non puoi!» provai a volare, ma Jarvis aveva già eseguito l’ordine. «Jarvis! Riavviali, subito!»
«Mi spiace, signorina, suo padre ha il controllo della sua armatura»
«Cosa!? »
«Stark, è un viaggio di sola andata» sussurrò Steve al mio fianco.
«No, no! Papà, no! Lascia che ti aiuti, ti prego!»
Non ricevemmo più alcuna risposta da lui. Niente.
Non mi sentii più le gambe. Caddi sulle mie stesse ginocchia, mentre vedevo mio padre sorpassarci e volare sopra di noi, sempre più vicino al portale. Mi tolsi l’elmetto, incredula. Non poteva farlo, non poteva prendersi lui, da solo, il carico di tutto! Misi entrambi le mani sulla bocca, impedendo a me stessa di urlare ancora.
Mio padre sparì nel portale.
I mesi che avevo passato a cercarlo mentre lui era in Afghanistan non erano niente a confronto di tutto ciò che stavo provando in quel momento. Pensai che il mio cuore avrebbe ceduto da un momento all’altro. Iniziai a pregare, pregare che mio padre riuscisse ad uscire prima che il portale si chiudesse. Non pensavo ad altro, non mi accorsi che i Chitauri intorno a noi erano tutti caduti, morti, non sentii neanche l’ordine che Steve dette a Natasha, vidi solo il portale rimpicciolirsi sempre di più.
«Ti prego, ti prego, papà, puoi farcela, ti prego» pregavo, sussurrando, con le lacrime che cominciavano a rigarmi il viso e con il cuore ormai che batteva come non aveva mai battuto prima.
Qualcuno, nei cieli o chissà dove, mi doveva aver ascoltato.
Poco prima che il portale si chiudesse, rividi la figura di mio padre. Ce l’aveva fatta!
«Papà!» urlai, rimettendomi in piedi.
Stava volando verso di noi! O forse no? No, stava precipitando. Ed io avevo i razzi fuori uso. Ero totalmente inutile in quel momento. Non riuscii a fare nulla.
«Non rallenta!» esclamò Thor, agitando il martello, pronto ad andare a prenderlo.
Non fece in tempo. Hulk si gettò su mio padre, prendendolo al volo, fino ad arrivare dove eravamo noi. Posò, non troppo delicatamente, mio padre a terra, e Steve fu il primo ad avvicinarsi a lui, togliendogli l’elmo.
Mi buttai letteralmente sul corpo di mio padre. «Papà?» lo chiamai.
Aveva gli occhi chiusi. «Papà?» provai ancora, con un filo di voce.
Non puoi essere morto. Non. Puoi. Essere. Morto.
Sentii la mano di Steve sulla mia spalla. «No, no» sussurrai.
Non potevo perdere mio padre. Non quel giorno. Non così.
L’urlo disperato di Hulk fece sussultare tutti quanti. Anche lui, anche mio padre.
Aprì gli occhi, guardandosi intorno, mentre io ero vicina ad avere un piccolo attacco di cuore. «Che paura!» esclamò «Cos’è successo? Ditemi che nessuno mi ha baciato!» aggiunse.
Sorrisi, come forse non avevo mai fatto in vita mia, ed abbracciai mio padre. «E tu perché piangi?»
«Non osare mai più farmi spaventare così!» risposi, con le stesse parole che aveva usato lui con me.
«Abbiamo vinto» esclamò Steve.
Sì, avevamo vinto. Insieme.
 
Raggiungemmo Loki, che era nella stessa posizione e nello stesso posto in cui l’avevo lasciato. Il semidio ebbe anche il coraggio di scherzare sul fatto di volere accettare un drink, prima di essere preso di peso dal fratello ed incatenato a dovere.
Era finita.
Thor e Loki sarebbero tornati ad Asgard. Steve, Natasha e Clint avrebbero continuato a lavorare per lo S.H.I.E.L.D. come agenti ed io, mio padre e Bruce ce ne saremmo andati alla Stark Tower, per goderci un po’ di meritato riposo.
 
 
Dopo quello che era accaduto a New York, però, cambiò tutto.
Io e mio padre avevamo riprogettato la Stark Tower, con stanze apposite per ogni componente dei Vendicatori, sebbene nessuno era mai venuto ad abitarci, e facendola ancora alimentare autonomamente.
Il governo ed il Presidente si ostinavano a voler sapere ogni minimo particolare di tutto ciò che era successo ma, grazie al cielo, lo S.H.I.E.L.D. li teneva buoni.
Cominciai ad avere degli incubi. Incubi che si ripetevano ogni notte, in cui vedevo mio padre entrare in quell’enorme portale, proprio come era accaduto. Gli incubi però terminavano in maniera diversa, con mio padre bloccato ed il portale chiuso. Sognavo i Chitauri, sognavo Loki ed il suo enorme esercito distruggere la Terra e rendere schiavi tutti i suoi abitanti. Sognavo gli Avengers sconfitti e mio padre morto.
Spesso, mi svegliavo urlando. Mio padre cominciò ad essere preoccupato per me e cercava spesso di parlarmi, ma finivamo il più delle volte per litigare. Sembrava come se fra di noi fosse successo qualcosa di irrimediabile. Notai che anche lui aveva spesso le occhiaie in volto e che ormai passava la maggior parte del suo tempo con le armature, costruendone tantissime, cercando di migliorarle sempre di più. Io, invece, non ne volevo neanche sentire parlare, perché bastava poco per farmi tornare alla mente le immagini di qualche mese prima. Non ero pronta per riviverle.
Fu Pepper a suggerirmi di andare via da New York per qualche tempo, pensando che mi avrebbe fatto bene, e mio padre fu stranamente subito d’accordo con lei.
Non ci volle molto per convincermi: decisi di trasferirmi per un po’ di mesi in Europa, precisamente nelle campagne scozzesi, dove mio padre aveva una villa ben isolata nella quale avrei potuto vivere in tranquillità. Inizialmente ero indecisa se portare con me almeno una delle mie armature, ma non riuscii neanche a sfiorarla. Partii senza, lasciando una parte di me, la parte più oscura e pericolosa di me, a New York.
Durante il primo periodo di lontananza, mio padre mi telefonava ogni mattina, chiedendomi come avessi dormito, e spesso gli mentivo, sebbene i miei incubi stessero pian piano diminuendo grazie alla tranquillità che stavo cominciando a vivere, lontano da tutti.
Man mano che diminuivano gli incubi, diminuivano anche le telefonate di mio padre. Non mi resi conto di quello che stava accadendo, perché nel tentativo di rimanere calma e serena, smisi perfino di aggiornarmi su quello che stava succedendo nel mondo. Nessuno conosceva la posizione della villa Stark in Scozia e così nessuno poteva trovarmi, né i giornalisti né i fan. Mi limitavo a passare le mie giornate leggendo, guardando vecchi film, cucinando e dedicandomi a qualsiasi stupida cosa mi impedisse di pensare a New York. Gli incubi erano ormai spariti del tutto, ma la mia apparente quiete interiore fu sconvolta da una telefonata che ricevetti una sera da Pepper.
«Maia! Stai bene?» fu la prima domanda che mi pose quando risposi.
«Perché non dovrei?»
Sentii Pepper sospirare. «Devo raccontarti una cosa».
E così fece. La nostra casa a Malibù era stata distrutta perché mio padre aveva sfidato, tramite una stupida intervista, un terrorista che si faceva chiamare Il Mandarino e che stava minacciando gli Stati Uniti, pur trovandosi in Medio Oriente. Mio padre era riuscito a salvare Pepper dandole l’armatura ma era scomparso chissà dove, sebbene grazie ad un ultimo messaggio registrato Pepper era sicura fosse vivo.
«Non posso crederci» esclamai, mettendomi seduta. «Preparami il primo aereo disponile»
Dovevo ritrovare mio padre, in qualche modo. Probabilmente era ferito ed in cerca d’aiuto, sperduto chissà dove. I miei mesi di tranquillità erano ufficialmente finiti, ma avevo bisogno di tornare a casa e rimettermi l’armatura per poterlo ritrovare.
«No!» urlò Pepper.
«No?» ero incredula.
«No, Maia. Non puoi immaginare quanto io sia felice che tu sia lontana, non avrei potuto sopportare di perdere anche te»
«Non hai perso papà»
«No, ma pensavo di sì. Tu resta dove sei, sono sicura che tuo padre sta bene e sta tornando a casa. Ti prego, promettimi che resterai lì»
«Ma…»
«Niente ma! Non posso vederti di nuovo in pericolo, non posso. Rimani dove sei, al sicuro. Ti aggiornerò su tutto ma ti prego di non far niente di stupido. Non cercare di contattare nessuno, non voglio che quel folle scopra dove sei»
«Voglio solo aiutare»
«L’unico modo che hai ora per aiutare me e tuo padre è quello di rimanere lì, sana e salva. Ho bisogno di sapere che sei al sicuro, almeno questa volta. Ok?»
Sospirai. Capivo il suo punto di vista ed il suo stato d’animo, soprattutto. Probabilmente mi sarei solo messa in pericolo se davvero un terrorista aveva deciso di minacciare la nostra famiglia ed inoltre prendere un aereo significava comunque arrivare in America almeno dodici ore dopo, forse troppo tardi per essere utile.
«Va bene»
«Grazie, tesoro»
«Però chiamami appena sai qualcosa di nuovo!»
«Te lo prometto. Andrà tutto bene»
Ma Pepper non riuscì a mantenere nessuna delle promesse fatte. Mentre io continuavo a fare avanti e indietro per tutta la villa, senza lasciare mai il mio cellulare, cominciai a pensare che allontanarmi da casa era stata solo una pessima idea. A cosa serviva scappare? Avrei potuto essere vicina a mio padre ed a tutto quello che gli stava succedendo, ed invece ero in un altro continente a tentare di dimenticare che pochi mesi prima avrei potuto perderlo.
Forse, quella volta, l’avrei perso davvero.
Pepper non mi richiamò più e la disperazione cominciava a farsi spazio dentro di me. Tentai di chiamarla più volte ma il suo cellulare risultava staccato. Qualche ora dopo, non ce la feci più. Contattati Rhodey, sperando che lui potesse avere notizie.
«Maia?» ma non era la voce di Rhodey, quella dall’altra parte del telefono.
Non potevo crederci. «Papà?!»
«Tesoro mio» sospirò. «Aspetta un secondo»
Allontanai il cellulare dall’orecchio, intuendo cosa volesse fare. La chiamata si trasformò subito in una videochiamata ed io potei vedere mio padre, finalmente. Era visibilmente stanco ed un po’ deperito, con il viso pieno di lividi e graffi.
«Ma che hai combinato?»
Lui mi sorrise. «Ci sono state un po’ di complicazioni ma ora stiamo riprendendo il controllo, vero Rhodey?»
«Oh, assolutamente» esclamò l’amico, sebbene non risultasse convincente.
«Sei vivo! Che è successo? Dov’è Pepper?»
«Ascolta, tesoro, ora non ho molto tempo di parlare perché dobbiamo agire in fretta. Risolverò tutto, ok? Ti spiegherò quando avrò finito»
«Ma…»
«Non posso, ora, Maia. Tu stai bene?»
«Sto bene ma sono spaventata a morte! Non dovevo andare via, scusami»
«Non c’è bisogno di scusarsi per nulla. È tutta colpa mia se sta succedendo questo casino. Ora ho bisogno che tu resti calma e che aspetti una mia chiamata, ok? Non fare niente di stupido, resta lì e sii al sicuro. Ok?»
Annuii. «State attenti» dissi, sentendo gli occhi inumidirsi.
Mio padre mi sorrise. «Ti voglio bene piccola» furono le ultime sue parole, prima di chiudere la chiamata.
Passai quelle ore riprovando le stesse identiche sensazioni che avevo provato quando mio padre era scomparso in Afghanistan e quando lo avevo visto volare dentro al portale, pochi mesi prima. Non potevo credere di star vivendo di nuovo quelle sensazioni: paura, rabbia ed impotenza. Non dovevo andare via, non dovevo fuggire. Non potevo abbandonare la mia famiglia. Mentre il petto cominciava a farmi male e la testa sembrava stesse per esplodermi, le ore passavano, senza alcuna notizia da parte di nessuno.
 
Poi, quando a New York doveva essere notte fonda e in Scozia tarda mattinata, finalmente, ricevetti di nuovo la chiamata di mio padre.
Lui, Pepper e Rhodey stavano bene.
Mio padre mi spiegò tutto: Il Mandarino non era altro che una copertura per lo scienziato Aldrich Killian, un folle che stava utilizzando un siero sperimentale rigenerante chiamato Extremis che poteva guarire lesioni invalidanti. Persino il vicepresidente degli Stati Uniti era a conoscenza di tutto, sperando di poter curare la figlia. Pepper era stata sottoposta agli esperimenti ed aveva in corpo il siero, ma papà era sicuro di poterla curare.
Presi il primo volo per New York, tornando alla Stark Tower, a casa mia.
La prima cosa che vidi, una volta tornata al piano del mio appartamento, furono gli enormi sorrisi di Pepper e papà. Corsi da loro, abbracciandoli stretti per molto tempo. Non mi resi neanche conto di essere in lacrime, fino a quando mio padre non passò le mani sulle mie guance bagnate.
«State bene?» domandai con un filo di voce.
«Benissimo, ora»
Fu solo in un secondo momento che mio padre mi informò del fatto che aveva distrutto tutte le armature, comprese le mie. Non mi importava, non molto: avremmo potuto ricostruirle, insieme. La sensazione di paura e impotenza era sparita, facendo spazio alla voglia di tornare ad essere IronGirl, Maia Stark, figlia del famosissimo Tony.
 
Non avrei mai pensato che, pochi mesi dopo, sarebbe accaduto un altro avvenimento che mi avrebbe sconvolto la vita. Almeno non così presto.
Era un sabato mattina quando Jarvis mi svegliò, prima del solito, per dirmi che ero richiesta al piano superiore.
«Mmm» mugugnai, mettendomi il cuscino sulla testa «Non può occuparsene mio padre?»
«No, signorina, è richiesta anche la sua presenza»
Sbuffai. «Che seccatura! Almeno puoi dirmi di cosa si tratta?» domandai, mettendomi in piedi ed andando verso il bagno.
«No, il colonnello Fury vuole spiegarle tutto personalmente»
«Ma devono proprio farle di sabato mattina queste dannate cose super importanti e super segrete dello S.H.I.E.L.D.?!»
Mi preparai in fretta, addentai solo un biscotto preso al volo dal tavolo in cucina e presi l’ascensore. Una volta che le porte si aprirono, il resto del biscotto finì a terra.
Cosa diavolo ci facevano, in casa mia, nella stessa stanza, Fury, Thor e Loki?!
 
 


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Ecco anche il primo capitolo! :)
Spero vi sia piaciuto, anche se è più un capitolo di transizione, che mi ha permesso di inserire Maia, velocemente, negli avvenimenti accaduti nei film citati. Dal prossimo capitolo inizierà la vera storia, con Loki.
Alla prossima! <3
 

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Capitolo 3
*** A new housemate ***


New Housemate
 
 
Doveva essere un sogno. Un terribile, terribile sogno. Un sogno al quale io non volevo partecipare. Sbattei più volte le palpebre, sperando che in qualche modo la scena che mi si era presentata davanti cambiasse e io ritornassi nel mio letto, in pigiama, al buio.
Ma non accadde. Fury e Thor erano ancora lì, di fronte a me a guardarmi, e Loki era ancora seduto sul divano, sul divano di casa mia, la stessa casa che pochi mesi prima aveva tentano di conquistare e distruggere, con lo sguardo rivolto verso la finestra. Era possibile che mi irritasse ugualmente, nonostante stesse fermo e zitto?
Non poteva essere vero. Non poteva davvero essere lì.
«Buongiorno, tesoro!» mio padre mi si parò davanti, sorridendo falsamente e mettendomi le mani sulle spalle.
«Questo non è un buongiorno»
«Lo so»
«Dimmi che è uno scherzo, ti prego» sussurrai.
«Lo vorrei tanto fare, ma no, non lo è. Senti, ho parlato con Fury e…»
«Sarò io a spiegare la situazione a tua figlia, Stark» lo interruppe Fury stesso, facendogli alzare gli occhi al cielo.
 Certo, Nick, prego» esclamò mio padre, facendosi da parte.
Sbuffai, pensando che quel sabato era iniziato nel peggiore dei modi. Raggiunsi Fury e Thor, che mi sorrise, prendendomi la mano.
«È un piacere rivederti, Maia» esclamò, baciandola.
Ricambiai il sorriso, non potendo fare a meno di ammirare la bellezza di quel semidio. «Anche io sono contenta di rivederti, Thor. Tu sei il benvenuto qui, ma dovevi per forza portarti dietro il fratellino distruttore con manie di protagonismo?»
«Maia.» mi riprese Fury.
«Cos’è questa storia, Nick?» domandai, incrociando le braccia. «Sappi che mi hai rovinato il sabato mattina»
Fury alzò lo sguardo verso Thor, che fece un lungo respiro prima di iniziare a parlare. «Mio padre, Odino, ha preso la decisione di esiliare Loki da Asgard. Ritiene che non sia più degno neanche di mettere piede nel nostro regno e ritiene Midgard il regno più adatto per fare in modo che sia sorvegliato adeguatamente»
«Non potevate spedirlo su qualche altro pianeta?»
«Non possiamo fidarci degli altri regni. Probabilmente userebbero Loki per altre guerre, altri massacri. Non possiamo permetterlo» spiegò, indicando con un lieve cenno del capo il fratello, ancora immobile ad osservare il cielo.
«Bene, ha senso. Ma la Terra è grande, no? Perché proprio qui?»
«Mio padre crede che solo i Vendicatori abbiano la forza di tenere sotto controllo Loki»
Questo Odino cominciava a starmi sulle scatole.
Mi rivolsi a Fury, perché sapevo che era stato lui a scegliere noi. «Tolto Thor, siamo cinque Vendicatori. Perché io e mio padre?»
«Vuoi che sia Banner ad occuparsi di Loki?»
«Magari gli piace essere sbattuto sul pavimento, che ne sai?» Fury alzò gli occhi al cielo «Va bene, niente Banner. Allora Steve? Clint e Natasha?»
«Captain America, Occhi di Falco e la Vedova Nera sono agenti attivi dello S.H.I.E.L.D., sono in azione ventiquattro ore su ventiquattro. Non hanno il tempo di occuparsi di Loki, lo sai bene»
«Perché, noi lo abbiamo?» domandò mio padre dietro di me.
«Stark, io e te abbiamo già parlato»
«Tu sei d’accordo?» chiesi incredula, voltandomi.
Mio padre aprì la bocca, ma non fu la sua voce quella riempire la stanza.
«Sì, lo è, Maia. Devi esserlo anche tu».
«È un ordine?» domandai con tono di sfida, voltandomi di nuovo verso Fury.
«È una richiesta, fatta in modo gentile» lasciò intendere che la gentilezza non sarebbe durata ancora molto.
«Gentile, sul serio? Mi stai imponendo di fare da babysitter ad un semidio che ha evidentemente qualche problema!» alzai la voce, cominciando ad innervosirmi sul serio. «Posso parlarci io, con questo Odino?»
«Maia...»
«Solo qualche parola, giuro. Mio caro Odino, puoi andare allegramente a ...»
«Maia!» sbraitò Fury, fermandomi. Notai che Loki aveva spostato lo sguardo, ora rivolto verso di me. Sembrava quasi divertito.
«Oh, avanti! È suo figlio, dannazione!» urlai ancora, indicando Loki.
«Veramente...» cominciò Thor, ma non lo feci continuare.
«Lo so che non è veramente suo figlio, lo so! Ma l’ha cresciuto, no? Cosa fa, ogni volta che ha problemi con uno di voi due, vi spedisce sulla Terra? L’ha fatto anche con te. Non sa affrontarvi da solo?» guardai di sfuggita il semidio sul divano: sorrideva davvero questa volta.
«Era diverso»
«Diverso, certo. Quale razza di re farebbe una cosa del genere? Quale re scaricherebbe i suoi problemi ad altri? Anzi, quale padre lo farebbe? Quale padre esilierebbe il figlio, piuttosto che aiutarlo lui stesso?» domandai, esasperata.
Thor mi guardò per qualche secondo prima di rispondermi. Abbassò la voce, insieme al suo sguardo. «Un padre che ha perso la speranza di rivedere il figlio che ha cresciuto»
La risposta mi spiazzò, lasciandomi senza parole. Perfino Loki aveva perso il sorriso.
«Maia, non possiamo andare contro la volontà del re di Asgard. Lo capisci?» mi domandò Fury, con estrema calma.
«Sembra più un dittatore che un re» osservai, a bassa voce.
«Perché ti ostini a non voler collaborare? È stato più facile con tuo padre»
Sospirai, guardando prima il semidio e poi Fury. «Ha ucciso Coulson. Te lo ricordi, questo?»
«Coulson è vivo»
Quelle parole mi fecero quasi sentire male. «Cosa? Come?»
Coulson, vivo? Mio padre mi aveva raccontato che Loki gli aveva trafitto il petto con lo scettro e che era morto poco dopo, sull’Helicarrier, mentre io mi trovavo con Banner. Come poteva essere ritornato in vita?
«È vivo. Ho fatto di tutto per farlo tornare in vita, con operazione di cui non parlo qui, ora. Sappi solo che è vivo e operativo, al momento. Se lo vorrai, potrai vederlo»
«Certo che voglio!»  
«A patto che tu collabori con me, per questa faccenda»
Annuii, in silenzio. «Suppongo che tanto ormai la cosa sia stata già decisa dallo S.H.I.E.L.D., quindi .. »
«Posso spiegarti come andranno le cose?»
«Da quanto è vivo?»
«Coulson? Da un po’, a dire il vero. Sta bene, te lo posso assicurare. Sono anche sicuro che anche lui sarà felice di vederti. Ora, però, possiamo occuparci di questa questione?»
«Parla»
Fury sembrò rilassarsi all’improvviso. «Loki resterà qui, nella Stark Tower, con te, tuo padre e Pepper»
«E Jarvis» lo corressi. Sentii mio padre ridacchiare dietro di me.
Fury alzò l’occhio al cielo. «... e Jarvis. Sta’ a voi decidere dove sistemarlo, l’importante è che resti qui. Vedi quelle manette?» indicò le mani di Loki. Non avevo notato che fosse ammanettato fino a quel momento, visto che quelle non erano le solite manette terrestri. Erano strette, sì, ma non erano collegate fra loro.
«Sembrano più braccialetti, in verità» osservai.
«Avvicinatevi» ordinò a me e mio padre, che obbedimmo, facendo due passi verso il semidio.
«Mostra i polsi, Loki» impose Thor al fratello, che alzò gli occhi al cielo e controvoglia alzò leggermente le mani, mostrandoci meglio quelle “manette”.
«Tecnologia asgardiana?» domandò mio padre, incuriosito.
In effetti, non erano affatto simili a nessuna cosa che avevamo mai visto. Erano dorate, fatte da chissà quale materiale o metallo, con delle scritte in asgardiano e con al centro una barra, trasparente.
«Precisamente. Sono state fatte, a detta di Thor, in modo che Loki sia privo di poteri. Vedete quelle barre, lì?» annuimmo, osservando meglio. Tentai di decifrare quella lingua, ma per me era impossibile. «Nel caso in cui Loki si allontani dalla Torre o si allontani troppo da voi, o nel caso in cui ferisca o usi violenza contro chiunque, contro ogni essere umano, si illumineranno e fermeranno Loki»
«Lo tortureranno, insomma» osservai.
«Mio padre ha detto che, nel caso in cui Loki diventi troppo pericoloso per voi, lo riporterà indietro» aggiunse Thor.
Alzai lo sguardo, incontrando gli occhi chiari del semidio. «Ti va di ferirmi un po’ così te ne torni a casa dal paparino?»
«Maia!» mi sgridò Fury, di nuovo.
«Scherzavo! Calmati!» esclamai, notando l’espressione divertita di Loki e sentendo anche la risatina di mio padre.
«Voi due mi esasperate, ogni volta!»
«Oh avanti, Nick, rilassati. Continua. Hai detto che non può allontanarsi dalla Torre o da noi, che significa? Dobbiamo portarcelo dietro?» domandò mio padre.
«In poche parole, sì. Se entrambi dovrete allontanarvi dalla Torre, Loki dovrà venire con voi, ovunque. Deve essere sorvegliato in ogni momento. Non può allontanarsi per più di cinquanta metri, circa»
«Circa?»
«Sono unità di misura di Asgard, non nostre. Abbiamo tentato di convertirle, ma non possiamo essere precisi al cento per cento.»
«Cinquanta metri, allora. Ricevuto.» esclamò mio padre. «Jarvis, ordina da Amazon un bel guinzaglio »
«Non prenderlo sul serio, Jarvis» mi intromisi, fermando la pazzia di mio padre.
«Non lo stavo facendo, signorina»
«Chi può togliergli le manette?» chiesi, rivolta più a Thor che a Fury.
«Solo Odino e Thor» mi rispose il colonnello.
«In realtà anche voi due» aggiunse il semidio «Solo in casi di estrema necessità e pericolo, ovviamente»
«Questo non me l’avevi detto» esclamò mio padre, sorridendo a Fury, che di rimando alzò, di nuovo e visibilmente esasperato, l’occhio al cielo.
«Heimdall vi terrà d’occhio» 
«Heimdall?»
«È il nostro Guardiano. Può guardare ogni cosa, in ogni luogo, in ogni regno. Se succederà qualcosa, lo sapremo subito»
Ci mancava solo questa. «Quindi siamo come in una specie di Grande Fratello? Osservati tutto il giorno?»
«Grande Fratello?» ovviamente Thor non aveva idea di cosa fosse. Buon per lui, almeno non conosceva tutti gli orrori che i terrestri avevano creato.
«Sì, Maia, sarete osservati dal Guardiano di Asgard. È per il vostro bene» mi rispose Fury.
«C’è altro da sapere?» domandai ancora, sbuffando.
«Diete particolari? Allergie?» continuò mio padre, ma fu ignorato da tutti.
«È tutto. »
«Dove lo metterete?» ci domandò Fury.
«Nella stanza libera dell’appartamento di Maia» rispose mio padre.
Mi voltai verso di lui, con sguardo omicida, e con una gran voglia di picchiarlo. «Come, prego?»
Mio padre alzò le braccia «Tesoro, è l’unica stanza libera. Qui io e Pepper siamo in due, tu giù sei sola»
«Vuoi lasciarmi vivere da sola con lui, seriamente?!»
«Non sei sola, ci siamo noi al piano superiore, e sai bene che ormai lavoriamo più nel tuo appartamento. Si tratta solo di cedere una stanza ed un bagno che non utilizzi»
«Ti sto odiando, sai?»
«Sì, lo noto dal tuo sguardo, tesoro»
«Finitela voi due, la mia pazienza è giunta quasi al limite» si intromise Fury.
«Oh, deve vedere la mia …» esclamai.
«Basta così, ho detto!» alzò la voce, questa volta.
Restai zitta, ma dentro di me gli stavo dicendo le peggiori cose che avessi mai potuto pensare. 
«Loki, ti è tutto chiaro?» chiese Thor al fratello, che alzò la testa verso di lui.
«Oh, avete finalmente smesso di parlare come se io non ci fossi?»
Durante quei mesi, mi ero scordata la voce del semidio: calma, ferma ed irritante. Fu strano risentirla, dopo tutto quel tempo.
«Ti è tutto chiaro? Sì o no?» domandò ancora Thor.
«Sì» rispose semplicemente Loki.
«Devo tornare su Asgard, ora»
Restammo tutti in silenzio, in attesa di una qualche reazione di Loki, che però non arrivò.
Thor si rivolse a noi «Tornerò, non appena potrò. Io … vi ringrazio»
«Figurati, avevamo proprio bisogno di un passatempo!» rispose mio padre.
Thor sorrise appena. «È stato un piacere rivedervi, tutti quanti»
«Resterai in contatto con lo S.H.I.E.L.D.?» domandò Fury.
«Sì, troveremo il modo di farlo» Thor abbassò ancora lo sguardo verso Loki «Arrivederci, fratello»
Loki non alzò lo sguardo, non si mosse nemmeno. «Addio, Thor»
Il semidio col martello fece un lieve cenno col capo verso di noi, per poi andare verso il terrazzo e volare via, sparendo dalla nostra vista. Loki lo aveva seguito con lo sguardo, fin da quando si era voltato, ed era rimasto ad osservare il cielo mentre suo fratello scompariva.
 
Accompagnammo Loki nel mio appartamento e mio padre e Fury gli fecero vedere la stanza dove avrebbe dormito, spiegandogli tutto. Lui non proferì parola, limitandosi ad annuire ogni tanto. La camera della sua stanza era praticamente di fronte alla mia, ma grazie al cielo c’era tutto il resto dell’appartamento a dividerci.
Fury ci lasciò soli con il semidio poco dopo, ringraziandoci. Poco prima di andarsene col suo jet, mi prese in disparte, dicendomi «Se ho scelto voi, è perché ho fiducia, non perché non avevo altra scelta». Ammetto che mi fece sentire un po’ meglio.
Quando restai sola con Loki, lui era nella sua stanza ad osservare, ancora, il cielo.
«Mettiamo in chiaro una cosa» esclamai, attirando la sua attenzione «Tu non disturbi me, io non disturbo te. Ti procureremo dei vestiti, visto che non puoi indossare per sempre quella sottospecie di armatura. Mangerai quello che c’è, quando ti pare. Impiega il tuo tempo come credi, basta che non disturbi né me né mio padre. Chiaro?»
«Chiaro»
 
Quella fu l’ultima parola che sentii dire dal semidio, per i successivi sette giorni. Sette giorni di mutismo assoluto.
Avevamo dato a Loki vestiti nuovi, più che altro jeans, maglioni e magliette nere, e lui li indossò senza far storie. Mangiava quando e cosa mangiavamo noi, mettendosi in disparte sul divano ad osservare il cielo. Già, il cielo. Non faceva altro. Passava le sue giornate con lo sguardo fisso fuori dalla finestra.
Io, mio padre e Pepper ci alternavamo in modo che non restasse mai solo alla Torre, ma ogni volta che tornavamo a casa era sempre lì, in camera sua o in salotto ad osservare fuori. Niente riusciva a farlo parlare, neanche le frecciatine di mio padre.
All’inizio la cosa non mi dispiaceva affatto, anzi, adoravo il fatto che fosse come se lui non esistesse. Col tempo, però, osservandolo meglio, mi ricredetti.
Il suo sguardo sembrava triste, malinconico, come se volesse sfondare quel vetro e volare via verso Asgard. Non capivo come facesse a passare intere giornate muto, senza far nulla. Cominciai a provare pietà per lui, sebbene non in maniera eccessiva.
 
Ero sola alla Torre quando decisi di provare a rivolgergli la parola. Lui ovviamente era seduto sul divano a guardare il cielo, in silenzio e con le gambe accavallate. Mi avvicinai.
«Loki?»
Non rispose.
«Loki?» riprovai, avvicinandomi ancora.
Niente. Mi misi di fronte a lui, con le braccia conserte.
«Sei diventato sordo o vuoi solo essere irritante?»
Finalmente, il semidio alzò lo sguardo su di me. «Cosa c’è?»
«Mesi fa non facevi altro che parlare ed ora pratichi il mutismo?»
«Cosa c’è?» ripeté.
Non potevo credere neanche io alle parole che stavo per rivolgergli. «Hai bisogno di qualcosa?»
Il semidio corrugò le sopracciglia, confuso. Reazione plausibile. «Come?»
Tentai di spiegarmi. «Stai sempre qui, o in camera tua, a guardare il cielo. Non ti annoi?»
Non mi rispose, era ancora dubbioso.
«Come impiegavi il tuo tempo libero ad Asgard, mh? A parte combattendo e complottando contro tuo fratello, intendo. Ti piace far qualcosa?»
Loki aprì leggermente la bocca, mantenendo il suo sguardo incerto. «Mi piace leggere» rispose, dopo qualche secondo di titubanza.
«Leggere! Perfetto. Quale genere?»
«Leggo tutto»
«Jarvis, hai sentito?» domandai.
«Sì, signorina. Quanti libri vuole che compra?»
«Mmm, diciamo una ventina, per ora. Quando potranno arrivare?»
«Domattina saranno qui»
«Bene, grazie!» sorrisi, ritornando verso la mia stanza.
La voce di Loki mi fece fermare sulla soglia. «Perché l’hai fatto?» domandò.
Alzai le spalle. «Mi sono scocciata di vederti sempre con lo sguardo al cielo. Cominci a farmi innervosire»
Non attesi la sua risposta.
 
Il giorno dopo, i libri arrivarono in due grandi scatoloni.
«Tutti per te, Loki. Buon divertimento!» esclamai, mentre lui si avvicinava incuriosito.
Il semidio aprì una delle scatole, sollevando lievemente le labbra mentre guardava il contenuto. «Ti chiami Maia, non è vero?» domandò poi, posando lo sguardo su di me.
«Qualche mese fa sapevi tutto di noi ed adesso non ricordi neanche il mio nome?»
«Riesci mai a rispondere senza risultare insopportabile?»
«Potrei farti la stessa domanda» gli sorrisi, ma lui non ricambiò. Si limitò a sbuffare, tornando a guardare i libri.
«Sì, mi chiamo Maia. Come mai questo interesse?»
Alzò le spalle. «Ti volevo solo ringraziare, Maia»
Sbattei le palpebre, non aspettandomi parole del genere dal semidio. «Prego, Loki, ma non ti ci abituare»
 
La sera stessa, Loki stava leggendo uno dei tanti suoi nuovi libri, seduto comodamente sul mio divano.



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Volevo ringraziare chi ha messo la storia fra le seguite e preferite e chi ha recensito, siete gentilissimi :3
Spero che questo capitolo vi piaccia! A presto :)

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