Memorie nel vento di adelhait13 (/viewuser.php?uid=838931)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inizio ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 1 *** Inizio ***
Okey,
questa storia ha un bel po’ di anni, ma era solo il primo capitolo.
Giorni fa rimettendo un po’ in ordine nel mio cassetto ho trovato una
vecchia pennetta. Beh, dentro vi erano vari progetti tra cui questa
storia.
Un po’ strana…ma spero che apprezziate. Un bacio.
Memorie
nel vento
(Memories in the wind)
10 Agosto- Paesino del sud d’Italia.
Respiro a pieno, mentre il vento s’insinua sotto il mio vestito di lino
beige. Mi piace sentire il suo dolce tocco, molto simile alle mani di
un amante.
Sento un brivido piacevole percorrermi la schiena, mentre lo sento
scivolare tra le mie gambe.
Mi piace.
L’aria profuma di mare. Di salsiccia alla brace. Di noci tostate. Di
vita di paese.
E’ la festa padronale di un piccolo paese nel sud d’Italia.
Mi poggio con i gomiti sulla balaustra di pietra, mentre osservo il
mare. Un mare tinto di rosso.
“Sembra sangue”.
Sussurro, ammaliata da quel colore. Socchiudo gli occhi.
Mi sento rapita, mentre intorno a me la vita scorre.
Sento le risate dei bimbi che si rincorrono nella piazzetta. I
venditori di panini gridare la bontà della loro merce.
La gente cantare.
Parlare.
Le campane che suonano a festa.
Il mare che s’infrange sotto la scogliera.
Il vento trasporta leggiadre goccioline che toccano il mio viso.
Stille salate.
Sorrido, mentre assaporo la vita che mi circonda.
Sento il mio corpo così leggero, non so come, ma lentamente poggio i
piedi sulla pietra e mi sporgo di più.
“Il vento con le sue amorevoli
braccia mi afferrerà”.
Penso, mentre mi spingo più avanti. È forte il suo richiamo. Il vento
scompiglia i miei capelli neri.
Li avvolge.
Li accarezza.
Gioca con i miei riccioli ribelli.
Sorrido, mentre mi sporgo sempre di più. Sempre di più verso il vuoto.
“Se ti sporgi di più, finirai di sotto”.
Un sussurro nel vento.
“E se anche fosse così? Non sono cose che ti riguardano”.
Rispondo infastidita. Come osa fermarmi?
Come osa destarmi dal mio sogno?
“Mfh! La solita insolenza di voi ningen”.
Mi blocco. Quella parola ha un’assonanza di antichi ricordi. Quella
voce, calma dall’ accento straniero.
Il mio corpo vibra di fronte a quella frase…a quella parola. Mi volto
veloce verso quest’uomo.
Voglio vederlo in faccia.
Vedere chi mi ha parlato così.
Giro il capo e lo vedo, ma è breve la sua visione. Il vento sposta una
ciocca di fronte a miei occhi e mi offusca la vista.
Ma ricordo quel che ho visto, anche se breve.
Pelle diafana.
Capelli chiarissimi che brillavano sotto un sole morente.
Scendo veloce dalla pietra e mi guardo intorno.
“Dove sei?”.
Penso. Intanto m’incammino tra la folla. Sarà assurdo ma sento un forte
odore di muschio.
Di bosco.
Di libertà.
Cammino tra la gente che guarda le bancarelle di dolciumi, ma di lui
neanche l’ombra. Sembro una bimba sperduta in cerca dei suoi genitori.
Voglio parlare con lui e questa voglia cresce sempre di più, ma non
riesco a trovarlo.
“Pazienza”.
Mi dico, mentre mi fermo. Scuoto il capo cercando di togliermi dalla
testa quella parola, ma non ci riesco.
Lentamente m’incammino verso la macchina, però la speranza di vederlo,
di incrociarlo, è sempre viva in me.
Esco dalla piazza, intanto incrocio la processione della Santa Patrona
che rientra. Mi fermo a osservare il corteo.
La maggior parte è composta di anziane donne, vestite di scuro con dei
vecchi rosari in mano. Intonano una preghiera in un latino
stentato…rimembranze di un’antica consuetudine.
Mi trovo a sorridere, mentre mi passano accanto, però alcune di loro mi
osservano. Guardano il modo in cui sono vestita. Un leggero vestito di
lino, un po’ trasparente.
Parlottano in dialetto, non comprendo cosa dicono, ma intuisco. Sorrido
di più, intanto m’incammino verso la mia vettura.
Apro la portiera ma quella parola non vuol andar via.
“Chi sei? Perché quella frase? Detta
con un’assonanza di un vecchio rancore, ma anche di nostalgia”.
Non riesco a capirmi. Troppi pensieri e ipotesi contrastanti.
Un unico cruccio…non averti trovato. Individuo del vento…
Continua…
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Capitolo 2 *** I ***
I
Tum…
Lo sento. Un suono dolce e
caldo.
Tum…
Un suono che mi fa sentire
viva…libera.
Tum…
È dolore. Rammarico
Tum…
Una catena che si spezza.
Tum…
Ora sono libera, anche se…ho un
rimpianto. Non averti detto la verità.
Ningen.
Questa parola ancora rimbomba nella mia mente. Perché?
Per quale motivo?
Ho tante domande mi roteano in mente ma nessuna risposta.
Come: chi sei sconosciuto della piazza?
Perché quella parola ha fatto vibrare il mio corpo? Perché?
“No! Ora basta! Se continuo così, divento pazza!”.
Mi dico mentre lascio che, l’acqua della doccia scivoli sul mio corpo.
L’acqua dolcemente fa andar via quella parola dalla mia mente.
“Devo lavorare.”. Sussurro.
Già, lavorare. Sono in ritardo di due settimane con le foto da inviare
alla redazione e ancora non ho terminato nulla. Cavoli!
“Katia sei davvero in un mare di guai”.
Mi dico ridendo sarcastica, mentre mi avvolgo in un soffice telo da
bagno che profuma di sapone di marsiglia.
Esco dal bagno e mi dirigo in salone dove, una borsa nera è poggiata
accanto al divano. So bene cosa c’è e ne sono consapevole che,
nell’ultimo periodo non l’ho toccata come oggi.
Sospiro e mi avvicino a essa, afferro la cinghia e la alzo. Alzo un
sopracciglio mentre corruccio le labbra.
“Sono davvero nei guai”.
Mi ripeto mentre la osservo, quando il telefono squilla facendomi
girare. So chi è, infatti, alzo gli occhi al cielo.
“James”. Sospiro avvilita.
Lo lascio squillare fino a far partire la segreteria telefonica.
[Katia, sono io James…].
“Ma va? Non lo sapevo”. Penso
sarcastica.
[…allora le foto sono pronte? Sai il 25 agosto si avvicina e il
direttore non sarà più clemente con te! Perciò sbrigati!].
Chiuse la chiamata. Già la scadenza è vicina ed io non ho combinato
nulla…solo poche foto scattate mesi fa. Sospiro, mentre ripoggio a
terra la borsa.
“Beh, domani rimedierò…lo giuro”.
Sospiro, mentre vado in stanza da letto. Ho davvero bisogno di dormire.
Mi vesto e m’infilo sotto le lenzuola, quando la mente mi fa ricordare
lui.
Afferro il cuscino e lo metto sulla testa, mentre mi urlo di non
pensare a lui.
“Che cavolo!”.
Beh, la notte passa veloce, anche se non ho dormito per nulla. Mi sento
uno straccio, ma devo lavorare.
Afferro la borsa e mi dirigo di nuovo al paesino, quando mi dico.
“Chissà forse ho la fortuna di
rivederlo…”.
Già, vorrei vedere il viso di quell’uomo che, ha destato in me un
brivido…di un antico ricordo.
La giornata scorre tranquilla, ma di lui niente.
Sospiro, mentre scatto l’ultima foto di un anziano uomo che lento
intreccia dei rami di salice per ricreare un paniere. Mi trovo ad
ammirarlo.
Scatto e riscatto. Il rumore metallico della mia compagna mi fa
piombare in un mondo magico.
Di libertà.
Già con lei mi sento libera…
Sorrido compiaciuta, mentre entro in macchina e ritorno a casa.
“Stavolta James sarà felice…ho
scattato un sacco di foto”.
Sorrido, mentre apro la porta di casa. Entro e poggio la borsa sul
divano, mentre vado in bagno.
“Ora serve una doccia, un buon pasto e poi…si torna a lavorare”.
Mi lavo veloce e mangio un pasto frugale, fatto di un panino e un buon
bicchiere di vino bianco. Adoro il vino bianco così fresco e dolce,
quello rosso…beh, mi ricorda il sangue e questo non mi piace molto.
Afferro la mia borsa, faccio scivolare la zip e tolgo fuori la mia
compagna. Mi volto e mi dirigo verso il mio computer.
“Ora si lavora”. Mi dico.
Poggio la macchina sulla scrivania. Accendo il pc, mi siedo e attendo
bevendo un altro sorso di vino.
“Avrei voluto vederti”.
Mi trovo a pensare mentre il monitor s’illumina. Sospiro scuotendo il
capo.
“Devo lavorare”. Sibilo.
Attacco il cavetto al computer e comincio la mia cernita di foto da
inviare. Mi sento soddisfatta, quando il mio sguardo cade sull’icona
d’internet.
Mi fermo a guardarla qualche istante, quando.
“Sono curiosa di sapere il termine di ningen. Beh, una piccola
pausa me la posso concedere o no?”.
Mi dico, mentre cerco su Google il termine. Sono curiosa come non mai.
Perché?
Varie voci fuoriescono, legate per di più ad antiche credenze…quando…
“Il termine
ningen era utilizzato, in modo dispregiativo, da entità sovrannaturali
come gli youkai per definire la razza inferiore a loro, cioè, quella
umana.”.
“Youkai”.
Sussurrai, mentre continuavo a leggere, quando mi trovai a dire.
“Quell’uomo…no, non può essere!”.
Urlo, mentre mi alzo dalla sedia.
“Non può essere!”.
Mi trovo a ridere.
“Katia sei davvero una stupida…esseri così non esistono! Quel tipo ti
prendeva in giro…anche se…quella parola…”.
Chiudo gli occhi e cerco di scacciare quella dannata parola dalla mia
testa. È tutto così assurdo. Troppo assurdo.
Sospiro e riapro gli occhi.
“Devo lavorare”.
Mi risiedo, chiudo la finestra e ricomincio a lavorare, anche se quella
sensazione riamane.
E se fosse vero? Se quell’uomo fosse uno spirito nella cultura
nipponica?
Quante domande che aspettano una giusta risposta. Una risposta per il
mio animo…
Continua…
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