Deficienti sui mezzi pubblici e dintorni

di Kim WinterNight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il (quasi) suicidio delle pantofole mascoline ***
Capitolo 2: *** Puffy non mangia! ***
Capitolo 3: *** Intern ***
Capitolo 4: *** Tutta colpa dell'autista! ***
Capitolo 5: *** Anna dai capelli rossi ***
Capitolo 6: *** Che tristezza... ***
Capitolo 7: *** Tutti in traghetto! ***
Capitolo 8: *** La Peste ***
Capitolo 9: *** Brochure e vivavoce ***
Capitolo 10: *** Mademoiselle ***
Capitolo 11: *** Alzheimer ***



Capitolo 1
*** Il (quasi) suicidio delle pantofole mascoline ***


ReggaeFamily

Cari lettori, sono qui per una piccola premessa: come già accennato nella presentazione della storia, tutto ciò che racconterò in questa raccolta di scempiaggini mi è capitato davvero; questa è la dimostrazione del fatto che la realtà è sempre peggio di ciò che è frutto della nostra fantasia o immaginazione!

Quindi, vi dico: tenetevi forti, perché me ne capitano davvero di tutti i colori, nonostante io non salga tutti i giorni sui mezzi pubblici. Bastano un paio di volte a settimana per creare una raccolta molto variegata e ben imbottita di scene raccapriccianti che, siccome non posso dimenticare perché non ho la memoria di un pesce rosso, mi trovo costretta a condividere con voi :D

Buona lettura e grazie per aver scelto di viaggiare sulla mia compagnia di pullman/treni/aerei totalmente gratuita XD


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Il (quasi) suicidio delle pantofole mascoline



Autobus extraurbano, primo pomeriggio


Fa freddo, ho l'impressione che alla prossima fermata salirà a bordo del bus un pinguino in cerca di calore.

Io, mia sorella e una nostra amica siamo sedute comodamente su alcuni sedili poco distanti dal posto di guida. Fortunatamente sul pullman c'è il riscaldamento al massimo.

Mentre stiamo parlando tranquillamente di tutto e di niente, l'autobus si ferma e le mie speranze di conoscere un pinguino si spengono quando fa il suo ingresso sul mezzo una signora attempata che si regge a malapena in piedi.

La prima cosa che mi colpisce sono le sue pantofole di panno, sono piuttosto ingombranti e di pessimo gusto, sospetto si tratti di un modello da uomo di quelli che mia nonna usa in casa perché dice che sono comodissimi. Peccato che quest'esemplare di donna non si trovi in casa sua, e ai piedi porti anche un paio di deliziose calze bianche da calciatore.

Non riesco a capire come riesca a stare al mondo, sta di fatto che smetto di prestarle attenzione, almeno per un po'.

Il mezzo si rimette in movimento e noto che la donna si è seduta sul primo posto davanti, proprio accanto all'autista. Si regge con mano tremante al sostegno di fronte a lei e rimane immobile per almeno metà tragitto.

Un passeggero dietro di lei le pone una domanda sulla prossima fermata e lei si volta nella sua direzione. Si schiarisce la gola e risponde con voce roca e quasi incomprensibile.

«Scusi signora, come dice? Qual è la prossima fermata?» ripete il tipo dietro di lei.

«Non lo so eh, chiedi all'autista...» tossisce l'anziana.

Da quel momento in poi il tranquillo viaggio in autobus si trasforma in un'apocalisse mai conosciuta dall'uomo: la donnina innocua con le pantofole mascoline diventa all'improvviso uno scaricatore di porto con sembianze di lama, e comincia a deliziare noi passeggeri con accessi di tosse e creazione di caramelle non commestibili e pienamente vomitevoli. Intanto, si passa una mano di fronte alla bocca, e poi la posa sul sostegno posto dinnanzi a sé.

Devo ricordarmi di non sedermi assolutamente in quel posto quando prenderò il pullman per il rientro, non si sa mai che possa essere lo stesso.

Mi viene da vomitare e la vecchietta trascorre i dieci minuti che ci separano ancora dalla nostra meta a produrre catarro per sfamare un'intera popolazione in fase di denutrizione.

Quando finalmente scendo dall'autobus, mi sembra di essere sbarcata sulla Luna: la mia felicità raggiunge livelli incontrollabili e sono contenta di essere scampata al pericolo.

L'avventura sembra finita, almeno così penso, ma...



Stazione degli autobus, tardo pomeriggio


Tra poco tornerò a casa e non vedo l'ora. Ho freddo, voglio il mio pigiama in pile e le ciabatte intonate, con tanto di calzettoni al ginocchio. L'inverno mi piace, sul serio, ma specialmente quando non devo mettere il naso fuori casa, il che capita molto di rado.

Il sole ormai sta tramontando, ma ancora tinge la stazione dei pullman di tinte arancio e giallo acceso. Tutto idilliaco, ho perfino dimenticato ciò che è capitato durante il viaggio di andata, finché non la rivedo.

La donna/lama raggiunge a tentoni la piattaforma su cui anche noi stiamo aspettando l'autobus, così posso ammirarla in tutto il suo splendore sotto la luce del sole: indossa le suddette calze e pantofole, abbinate a un gonnellone nero sformato e una giacca di lana vecchia più di lei. La brezza spazza via ogni cosa, compreso l'orlo del suo abito, che rischia pericolosamente di mostrarci le sue vergogne e lascia intravedere un mutandone bianco in pizzo risalente alla Prima Guerra Mondiale.

Sembra infastidita dal sole, così pensa bene di scendere dal marciapiede e di dirigersi, borbottando tra sé e sé, verso un punto ombreggiato. Peccato che stia attraversando il piazzale in cui i bus fanno il loro ingresso e che gli autisti utilizzano per far manovra e fermarsi alla banchina prestabilita.

«Che cazzo sta facendo?» domanda la mia amica con profonda confusione.

«Vorrà suicidarsi...» suggerisco.

Poco dopo, un controllore fuoriesce dal suo ufficio e soffia all'interno di un fischietto, poi grida: «Signora, dove crede di andare? Torni indietro, è vietato attraversare il piazzale! Si sbrighi a tornare sull'apposita postazione d'attesa!».

Lei si volta e, con estrema semplicità, senza muoversi dal pericolosissimo punto in cui si trova, proclama: «Stavo solo andando all'ombra, eh!».

Il controllore, spazientito, ripete: «Torni indietro».

Lei sbuffa e riprende a borbottare tra sé; fa appena in tempo a risalire sul marciapiede, che il mio pullman entra sfrecciando all'interno della stazione.

Sono spaventata all'idea che quell'essere immondo possa salire nuovamente a bordo del mio stesso mezzo, ma fortunatamente lei rimane a terra e io tiro un lungo sospiro di sollievo, vedendo bene di non sedermi sul primo sedile accanto all'autista.



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E rieccoci alla fine di questa prima perla (?) della raccolta Deficienti sui mezzi pubblici!

Che ve ne pare?

Vi giuro che quel giorno ho rischiato di vomitare, visto che – oltre allo schifo di questa “donna” - soffro di mal d'auto e tutto ciò ha contribuito al mio malessere, tenendo conto che avevo finito di pranzare da neanche un'ora... vi lascio immaginare come stavo XD

Io ora vi chiedo: perché le persone anziane credono di essere padrone del mondo solo perché sono anziane e quindi hanno vissuto più degli altri? Me lo sapete spiegare?

Ringrazio chiunque abbia trovato la forza di aprire questa mia nuova raccolta, e vi annuncio che gli aggiornamenti – salvo imprevisti – saranno ogni lunedì :)

Alla prossima e ricordatevi che i deficienti sui mezzi pubblici sono tra noi! ♥

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Capitolo 2
*** Puffy non mangia! ***


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Puffy non mangia!



Autobus extraurbano, tardo pomeriggio


All'andata tutto è stato tranquillo, per quanto tale parola si addica ai viaggi in pullman che mi ritrovo a dover affrontare.

Ma ovviamente le cose non possono mai andare bene del tutto, altrimenti che senso avrebbe creare una raccolta come questa?

In ogni caso, sono seduta in uno dei primi posti dietro l'autista, siamo sempre in inverno e io trovo molto confortante stare dentro l'autobus con il riscaldamento acceso. Il desiderio è sempre lo stesso, comunque: casa, pigiama in pile, calzettoni e pantofole a stivaletto super felpate.

Due fermate dopo di me, sale una ragazza. È tutta impettita, nonostante sia magra come un manico di scopa, mostra il suo abbonamento all'autista e si siede sul primo sedile che trova, ovvero quello alla sinistra della porta d'ingresso.

Sospira pesantemente e sbuffa, per poi cominciare ad armeggiare con il cellulare. Mentre il mezzo si rimette in moto, noto che la fermata si trova proprio accanto a un pub; da come è abbigliata la tizia, immagino lavori proprio lì.

Poco dopo, sobbalzo quasi nel sentirla parlare da sola, poi capisco che sta intrattenendo una conversazione telefonica e, ovviamente, sta urlando e mettendo tutti i passeggeri a conoscenza dei fatti suoi.

Ovviamente, chi non lo farebbe?

«Ciao ma', sono appena uscita dal lavoro! Sono sul pullman! Come sta?» comincia. «Oh no, davvero? Anche oggi non ha mangiato? Ma come sarebbe a dire? Come faccio? Sono disperata!» strilla poi.

Suppongo sia preoccupata per suo figlio o fratello minore, però a noi non interessa granché, forse non le è chiaro. Anzi, senza forse.

«Ascolta... ed è andata... di corpo? Come sarebbe a dire no? Oddio, allora è grave...»

Mi sento veramente a disagio e non capisco perché certa gente non si renda conto di quanto è ridicola e inopportuna. Siamo su un mezzo pubblico!

«Mmh... vediamo... tra circa venti minuti dovrei arrivare alla fermata, quindi... devo chiamare per sapere se è ancora aperto. Sì, mamma, l'ambulatorio, certo, cosa sennò? Non farmi innervosire... sì, scusa, hai ragione, ma lo sai che quando si tratta di Puffy mi viene l'ansia...»

Puffy?!

Ho paura, ma davvero questa demente ha chiamato così suo figlio? E per demente intendo la mia compagna di viaggio o sua madre, in caso si parlasse di suo fratello... sono confusa e vorrei scendere subito dal bus, questa cosa mi sta indisponendo molto.

«Adesso telefono, tu tienimi aggiornata. Se mangia o se fa qualsiasi altra cosa... okay? Ciao, a dopo!»

La ragazza chiude la conversazione, sbuffa e compone un altro numero di telefono. Il volume di voce con il quale parla aumenta sempre più, spero che le manchi durante il tragitto.

«Ciao, sei Titty? Oh, per fortuna! L'ambulatorio è ancora aperto? Mmh... a che ora chiude?» esordisce con impeto la tizia, agitandosi sul sedile.

«Oddio» mormoro tra me e me. Sono sconvolta.

«A che ora hai detto? Le otto? Oh, per fortuna! Sono Alessia, sì, mi avevi riconosciuto? Sarà che non vengo mai da te» ridacchia stupidamente Alessia, passandosi una mano tra i capelli ricci.

Sono contenta di appurare che la mia fermata si avvicina sempre più, tra cinque minuti al massimo sarò libera da questo scempio.

«Sì, be', il fatto è che la mia gatta Puffy non mangia, quindi voglio portarla da te. Mamma mi ha detto che non ha fatto neanche i suoi bisogni!»

Un attimo... ho sentito bene? La sua gatta?! Questa cretina sta facendo tutto 'sto casino per una gatta?

Io sono la prima ad amare i gatti e ad averne in casa, ma non è che questa sta un attimo esagerando? Sono certa che se avesse un figlio, non le importerebbe così tanto di lui. Forse sono cattiva e cinica, ma sta proprio dando spettacolo e informando tutti noi poveri innocenti delle difficoltà fisiologiche del suo animaletto domestico.

Che poi, io questa povera gattina la compatisco, mi fa pena; se deve avere a che fare con una pazza come questa, spero per lei che passi a miglior vita e possa trovare al più presto la pace che merita.

«Sì, tra poco torno in paese. Il tempo di andare a prenderla e arrivo in ambulatorio. Grazie Titty, un bacione! Come al solito, mi salvi la vita

Che dolce, quasi mi commuovo.

Quando arriva il momento di prenotare la fermata, la vedo: la luce bianca in fondo al tunnel, il simbolo della mia salvezza!

Sto per ritornare alla vita, un'aura iridescente mi avvolge e... sono libera!



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E rieccomi ad aggiornare con questa mia nuova raccolta!

Ora voglio sapere, anche stavolta, se queste cose succedono solo a me o se è capitato anche a voi qualcosa di simile XD

Io ero seriamente sconvolta, non riuscivo a credere alle mie orecchie: Puffy era un animale e questa stava davvero parlando del fatto che il suddetto non riuscisse a espletare le sue funzioni fisiologiche...

Non commento oltre, vi dico solo che, forse, ho davvero intravisto quella luce in fondo al tunnel, in corrispondenza della mia fermata :D

Grazie a chiunque si fermerà a leggere e recensire! Se volete esprimere una qualunque opinione, fatelo, non vi mangio mica ;)

Alla prossima ♥

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Capitolo 3
*** Intern ***


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Intern




Autobus extraurbano, primo pomeriggio di un venerdì


Stranamente, non c'è il solito assembramento informe di ragazzini delle superiori a riempire il pullman. Il venerdì è sempre un delirio: tizi di prima o seconda superiore se ne stanno stravaccati sui sedili e li occupano tutti con i loro zaini o poggiandoci sopra i piedi. A volte è difficile trovare un posto libero, ma oggi tutto sembra andare per il verso giusto.

Due fermate dopo la mia, sale a bordo un signore piuttosto anziano. Indossa una giacca di broccato neanche stesse andando a una cerimonia importantissima. È abbastanza instabile sulle gambe, ma subito parte a chiacchierare con l'autista mentre oblitera maldestramente il suo biglietto.

Io intanto parlotto con la mia amica, convinta che questo sarà un viaggio normale. Ah, l'ingenuità dell'essere umano fa quasi tenerezza!

Il nonno nota che ci sono altre persone sul mezzo e, casualmente, si piazza su un sedile accanto al nostro.

Si può ben immaginare cosa succede ora.

«Eh, ragazze, dove andate di bello?» attacca, allungando una mano verso di me come se temesse che io non lo ascolti o non capisca che si sta rivolgendo a me.

Mi volto per farglielo capire, non voglio che mi tocchi. «A fare un giro» dico vaga, regalandogli pure un sorriso.

«Ah, certo, voi siete giovani, è normale...»

Mi viene voglia di fargli notare che siamo entrambi sul pullman, quindi anche lui ha messo il naso fuori di casa e non riesco a capire l'attinenza tra l'età anagrafica e l'uscire dalla propria abitazione per qualsiasi motivo.

«Eh sì...» faccio, sperando non mi rivolga più la parola.

«Di dove siete?» domanda.

Ecco, avevo sperato male. Glielo dico e la mia amica fa lo stesso, e a questo punto lui comincia a elencare tutte le persone che conosce del nostro paese, gente decrepita che non ho la minima idea di chi sia o se sia ancora su questa Terra.

«Io quando ero giovane, compravo sempre il pane al vostro paese... facevo tutta la strada a piedi, dieci chilometri al giorno... da noi non c'erano queste comodità, eh...»

Adesso capisco perché nelle storie e nei libri gli anziani sono stereotipati: sono veramente così, parlano soltanto dei vecchi tempi, di quando c'era la guerra, di quando erano giovani e lavoravano, e bla bla bla...

Io vorrei morire e sono contenta che il viaggio duri poco e che stiamo già per arrivare.

«Certo, ci credo... prima era tutto diverso...» blatero, sbirciando lo schermo del cellulare.

«E poi noi giovani avevamo voglia di fare un sacco di cose! Adesso non è più così...» continua, infervorandosi.

Perché devono capitare tutte a me? Vorrei che qualcuno me lo spiegasse. Non sia mai che trovo gente normale che si fa gli affari suoi, se ne sta seduta in un sedile in silenzio e non importuna il prossimo. Impossibile, è matematico che io debba attirare certi disagiati.

«Sì, è vero» interviene la mia amica con poco entusiasmo.

«Eh, i tempi sono cambiati... adesso sono tutti sempre su intern, quelle cose lì... ah, noi non ci pensavamo, c'era la guerra...»

La guerra è un'istituzione, non un avvenimento storico. Davvero questa gente è convinta che ora la guerra non ci sia? Solo perché non ci sono carri armati fuori dalle loro baracche in pietra del Paleolitico e perché i loro figli non sono obbligati a partire per il fronte...

«Già, ha ragione...»

Sui intern non posso dargli torno, in effetti.

Finalmente dobbiamo scendere e per fortuna lui non scende con noi.

Una volta sul marciapiede, mi sento confusa.

È andata anche questa, sono sopravvissuta e non lo rivedrò più.



Autobus extraurbano, tardo pomeriggio dello stesso venerdì


Siamo sedute ai nostri posti, in attesa che l'autista rientri. È ancora presto, ma noi siamo comodamente sedute e al caldo, non avrei sopportato di stare sulla panchina della stazione degli autobus in balia delle intemperie. Ha proprio ragione quel signore di prima: non ci sono più i giovani di una volta, abituati alla guerra...

E allora lo vedo: zampetta verso l'ingresso dell'autobus, si arrampica su per i gradini e stringe in mano la busta di un negozio di abbigliamento che ha un grande punto vendita in questo paese e ne ha uno più piccolo anche nel mio comune.

Giacca di broccato grigio topo, pelle raggrinzita e occhi attenti che subito mettono a fuoco me e la mia amica.

Ho la peculiarità di richiamare la sfiga come se recitassi una formula magica, anche se poi non faccio proprio niente. Devo aver sbagliato a dargli mentalmente ragione un minuto fa.

«Ah, avete già finito?» ci apostrofa, piantandosi in piedi proprio di fianco a me.

Mi ritraggo istintivamente e annuisco. «Sì, e lei?» replico, cercando di essere educata, nonostante stia vivendo un incubo. Dio, perché?

«Eh, sono andato a comprarmi una camicia... di questi tempi costa tutto un occhio della testa, non si può più acquistare nulla...» comincia a blaterare, e nel frattempo il pullman si mette in moto. Lui, tuttavia, non accenna a volersi sedere e io mi sento sprofondare nello sconforto.

Davvero vuole trascorrere tutto il viaggio con la faccia a due centimetri dalla mia?

«Immagino...»

«Di dove siete, allora?» ripete, avvolgendo la sua mano scheletrica alla maniglia posta sul sedile di fronte al mio.

Glielo ripeto meccanicamente, e lui a questo punto comincia a sproloquiare sull'agricoltura prolifica del mio paese.

«Perché voi siete in pianura, mentre noi in montagna... è più difficile vivere di agricoltura, ma ormai non è più possibile... ormai all'agricoltura non ci pensa più nessuno... i giovani non sono interessati, scappano... non hanno coraggio, eh... ai miei tempi si lavorava la terra! Adesso no, mio nipote dice che lavora su intern... roba da matti!»

Ho voglia di spingerlo via, mi sta soffocando e non capisco perché non si siede e mi lascia in pace. Non riesce a capire dalla mia faccia che mi sta irritando?

«Eh... la tecnologia ormai...» fingo di dargli ragione.

Lui non mi lascia intervenire e continua a blaterare per conto suo, io ormai non lo ascolto più e spero vivamente di arrivare a casa il prima possibile.

Quando capisco che la mia fermata è ormai vicina, la sensazione è sempre quella: luce bianca in fondo al tunnel, sollievo imminente, rinascita dagli inferi...

«Adesso dobbiamo scendere, ci scusi» lo interrompo bruscamente, mentre la mia amica prenota la fermata.

«Eh sì... statemi bene eh! Voi che siete giovani...»

«Certo, non si preoccupi. Stia bene anche lei» borbotto, avviandomi verso la porta d'uscita al seguito della mia accompagnatrice.

Non appena riesco a evadere da quel luogo asfissiante, tiro un profondo sospiro di sollievo.

Come ho fatto a sopravvivere?



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Carissimi lettori!

Scusate, scusate, scusate se non ho più aggiornato qui, mi sento tanto in colpa ç___ç

Il punto è che ero senza connessione fino a qualche giorno prima di Natale, poi non ho più scritto questa raccolta perché per i comici bisogna essere predisposti... non voglio giustificarmi, ma è andata così.

Spero di riuscire a essere più regolare da ora in poi ^^

Be', che ve ne pare? Anche quel giorno me la sono vista brutta (?)

Sapete rispondere a una domanda? Perché capitano tutte a me? O qualcuno di voi ha vissuto un'esperienza analoga?

Fatemelo sapere nelle recensioni, sono curiosissima di scoprire se sono sfigata io o se sono cose comuni :D

Grazie a tutti coloro che saranno ancora qui tra le recensioni, e perdonatemi ancora per la lunga assenza!

Alla prossima ♥

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Capitolo 4
*** Tutta colpa dell'autista! ***


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Tutta colpa dell'autista!




Autobus extraurbano, primo pomeriggio di un altro venerdì qualunque


Oggi il bus trabocca di ragazzini in preda agli ormoni che hanno al massimo sedici anni.

Io, mia sorella e una nostra amica siamo miracolosamente riuscite a trovare qualche posto a sedere, ma siamo state costrette a stare a distanza l'una dall'altra a causa dei marmocchi qui presenti che hanno occupato tutti i sedili con zaini e piedi. Il solito schifo, ecco perché la compagnia dei trasporti si ostina a utilizzare degli autobus vecchissimi e sgangherati, questi sono dei vandali e sarebbe un vero peccato lasciare i mezzi più nuovi nelle loro grinfie.

Arrivati a una fermata nei pressi della stazione ferroviaria, l'autista frena e, inspiegabilmente, lascia il suo posto e si catapulta giù dagli scalini.

Non era mai capitato niente di simile in questa particolare fermata, in genere certi episodi si verificano alla stazione degli autobus situata nel paese in cui mi reco di solito.

Mi guardo attorno e noto che gli adolescenti si stanno innervosendo. Stavano facendo casino anche prima, ma ora le cose stanno gradualmente peggiorando.

«Dove cazzo è andato?!» sbotta un tipo dalla voce piuttosto sottile e l'abbigliamento da vero rapper americano.

«Ma è rincoglionito? Che cazzo di problemi ha?» gli fa eco una ragazzina super truccata con i capelli tinti di biondo platino e schifosamente lisci e appiccicati in testa.

La sua vicina di sedile si mette in piedi e sbircia oltre il finestrino sporco. «Michia, io devo tornare a casa!»

Qualcuno lancia una bestemmia a sproposito, seguito poi da tanti altri. La maggior parte della marmaglia informe ha ancora i denti da latte, ma sfoggia un atteggiamento colmo di superiorità nei confronti del resto del mondo e una sfrontatezza tipica di chi non sa niente di come si vive in mezzo agli altri.

Io mi sento confusa. Perché stanno facendo tutto questo casino? Magari l'autista aveva bisogno di andare in bagno, che ne so! È un essere umano, non un robot!

«Adesso scendo e lo prendo a calci in culo! Ma torna o no questo stronzo? Cazzone di merda!» strilla la ragazzina bionda, per poi uscirsene con tutta una serie di bestemmie irripetibili e che, inoltre, non avevo mai sentito prima d'ora. Che scempio, io vorrei veramente poter scendere di lì e tornarmene a casa, ma ormai mi tocca sopportare anche questa.

«Ho fame, cazzo! Ma questo cosa sta facendo? Siamo qui da un'ora!» sbraita un altro ragazzino che porta un cappellino da baseball con la visiera rivolta all'indietro.

«Secondo me si sta facendo una sega» sghignazza una ragazzina, per poi scoppiare a ridere sguaiatamente.

«Che schifo, ma smettila! Così gli vomito in faccia, se scopro che...»

Questo è troppo. Voglio cancellare questo momento dalla mia memoria, voglio dimenticarmi di ogni cosa e fare finta che il mondo sia un luogo bellissimo dove i Millennials non stanno mandando tutto a rotoli.

«Oh, lo stronzo sta tornando! Era ora, 'sti cazzi!» bofonchia qualcun altro.

L'autista sale nuovamente a bordo, ma nessuno di questi dementi ha il coraggio – neanche a dirlo – di lamentarsi o di insultarlo come stavano facendo fino a poco fa. Sono allibita.

È davvero così problematica la situazione? Sul serio devo condividere il mio spazio vitale con decerebrati di questo calibro?

Voglio morire, giuro.

Ahimè, devo condividere il resto del viaggio con questi esseri insignificanti, pregando che il tempo si consumi con una sigaretta già fumata per metà.



Autobus extraurbano, tardo pomeriggio dello stesso venerdì


Sono nauseata, questo autista guida con i piedi. È lo stesso che all'andata mi ha lasciato in balia di quei mostri degeneri, quindi avrebbe come minimo dovuto rendermi un favore.

Siamo quasi arrivati alla mia fermata e tutto questo mi rincuora, perché oggi è stata dura.

A un tratto, sempre nei pressi della stazione ferroviaria, il pullman si ferma. Sale a bordo una signora piuttosto grassa che si arrampica maldestramente su per i gradini e si aggrappa come un koala alla macchinetta obliteratrice.

Vorrei sapere perché questa gente esce da sola e rischia la vita ogni giorno in questo modo. Possibile che queste persone non abbiano dei parenti o qualcuno che si prendano cura di loro?

A quel punto si siede sul primo sedile libero, ma ovviamente non si accomoda come dovrebbe, ma si sistema di lato con le gambe penzoloni sul corridoio.

Ha il fiatone e fruga freneticamente nella sua grossa borsa. Non appena il mezzo accenna a muoversi, la sento lamentarsi: «Oh, no, cado...».

Oddio, ma non poteva mettersi bene anziché rischiare di ruzzolare giù come una palla da bowling? Non voglio avere vittime sulla coscienza, se si fa male io non voglio saperne niente.

Con il fiato corto, comincia a balbettare: «Scusa, scusate... mi potete... obliterare...».

Mi chiedo se si stia rivolgendo a me, ma la mia amica – seduta sul sedile dietro al mio – mi anticipa e fa il favore alla piattola di obliterare il suo dannato biglietto.

Perché questa gente non tiene in mano il titolo di viaggio prima di salire a bordo e lo oblitera prima di mettersi a sedere, anziché rompere le scatole agli altri passeggeri? È così difficile da capire?

Quest'essere immondo continua a borbottare tra sé e sé finché io, finalmente, non lascio quel dannato autobus e mi riverso con un sospiro sul marciapiede.

Questi viaggi sono tremendamente estenuanti e io non li reggo più.

«Ma quella balena non poteva obliterare prima di sedersi?» commento acida.

«No, altrimenti come potrebbe rompere le palle agli altri?» osserva con ironia la mia amica.

«Ma vogliamo parlare dei ragazzini all'andata?» interviene mia sorella in tono confuso.

Siamo tutte e tre sconvolte, ma ehi, siamo sopravvissute anche stavolta!

Vinceremo un premio prima o poi?



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Cari lettori, come va?

Stavolta vi ho raccontato ben due avventure disastrose sui mezzi pubblici... il punto è che spesso le cose capitano nello stesso giorno, il che è inquietante ma terribilmente reale, ahimè :/

Quei ragazzini mi hanno spaventato, vi giuro... secondo me si tratta di maleducazione bella e buona!

Non che quella della piattola che ho incontrato al ritorno non fosse maleducazione... odio la gente che non si organizza per tempo e perde tempo a importunare il prossimo in quel modo!

È davvero così difficile comportarsi civilmente e educatamente con chi ci sta intorno? E poi quelle signore impertinenti sono le prime a dare dei maleducati a noi giovani, per motivi molto meno gravi... mah -.-”

Comunque, lascio a voi ulteriori commenti e racconti di esperienze simili alla mia, anche se spero non vi sia capitato niente di così raccapricciante :D

Alla prossima e grazie per tutto il supporto che mi state dando anche in questo folle esperimento ♥

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Capitolo 5
*** Anna dai capelli rossi ***


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Anna dai capelli rossi




Autobus extraurbano, tardo pomeriggio


Sono seduta nella terza fila di sedili, sulla destra rispetto all'autista, accanto a me c'è mia sorella.

Poco prima di salire, ho notato una signora sulla settantina che attaccava bottone con un uomo sulla cinquantina. I due sembravano conoscersi.

Il problema è che sono saliti sul nostro stesso pullman e non ho capito perché, se stanno chiacchierando, non si sono seduti uno accanto all'altra.

La donna si è sistemata due sedili avanti a noi, mentre il tizio nella fila accanto ma alcuni sedili più indietro. E no, gli altri posti non sono occupati.

«Eh... io vado sempre a trovare mio padre nella struttura, prendo il pullman e vado... però a volte non passa!» racconta la donna con voce roca e impastata.

Mi verrebbe voglia di suggerirle che forse potrebbe schiarirsi la gola, detesto la gente che sembra avere un foglio di carta vetrata al posto delle corde vocali. Mi irrita tantissimo, non posso proprio farci niente.

Il tizio, con voce calma e pacata, si sporge verso di lei e le domanda: «Ah, ma suo padre non era morto?».

A quel punto sia per me che per mia sorella diventa impossibile non ridere, ma cerchiamo di trattenerci e di trovare qualcosa da dire che possa giustificare eventuali risolini incontrollabili.

Mi chiedo come si possa essere così indelicati. Ma come fa certa gente a stare al mondo? Sono basita.

«No, no! Mio padre è vivo, eh... mamma è morta, ma babbo no!» risponde tranquillamente la signora, senza minimamente rimanere turbata dalle parole del suo interlocutore.

Il che mi spaventa ancora di più, perché allora mi rendo conto che questa qui dev'essere insensibile o qualcosa del genere.

Ci sono delle volte in cui mi domando se certa gente provi dei sentimenti. Mi spiego meglio: ci sono situazioni come queste in cui certe persone mi danno l'impressione di non sapere neanche cosa sia un'emozione o una reazione umana.

«Certo, certo... io ero convinto che era morto.»

I congiuntivi non esistono, chi li ha inventati è proprio un idiota. Non è più semplice usare l'imperfetto in ogni occasione? È molto meno complicato. Chi ce lo fa fare? Mah!

«E tu? Ce li hai mamma e papà?» lo apostrofa la donna.

Ecco, a questo punto è davvero difficile trattenersi. Fingo di indicare a mia sorella qualcosa fuori dal finestrino, così scoppiamo a ridere commentando qualcosa di fittizio che abbiamo adocchiato in strada.

«La forma di quel cespuglio è buffa» sibilo.

Ridiamo senza ritegno per qualche istante.

Che domande sono? Mi viene in mente la sigla di Anna dai capelli rossi che, poverina, non ha una mamma né un papà.

Ho voglia di sbattere la testa contro lo schienale del sedile di fronte al mio. Ma perché? Perché?!

«No, ho solo mamma» bofonchia il tizio.

La signora non lo sente e grida: «Eh?».

«Ho solo mamma!» ripete lui, alzando un po' il tono di voce.

«Ah, e come sta mamma?» vuole sapere lei.

Alzo gli occhi al cielo. Questa non si fa mai gli affari suoi?

«Insomma... le ginocchia ormai non ci sono più» racconto in tono piatto.

MI irrigidisco sul sedile. L'immagine che mi si forma in mente è quella di una donna di una certa età senza ginocchia, ovvero con uno stacco tra la coscia e la gamba; è inquietante perché avrebbe delle gambe sospese in mezzo al niente che hanno vita propria.

Lo mormoro a mia sorella e insieme ridiamo.

A volte le persone hanno un modo di esprimersi che è veramente allucinante, mi fa venire in mente immagini raccapriccianti e inquietanti che vorrei dimenticare subito dopo, ma che poi finiscono per rimanermi impresse per giorni e non posso fare a meno di riderne anche nei momenti meno opportuni.

Tutta colpa della variegata umanità che mi circonda e con cui devo avere a che fare.

«Eh certo, ci credo...» commenta la donna, fingendosi dispiaciuta.

La cosa grave è che, a parte tutto, stanno urlando da un capo all'altro del pullman e io ancora mi chiedo perché non si siano seduti vicini. Certo che sono complicati, eh!

«Quanti anni ha mamma?» indaga ancora la settantenne, sollevando ancora la voce.

«Ottantadue» risponde piano il suo interlocutore.

«Quanti? Settantadue?» strilla lei.

«No, ottantadue!» ripete lui.

Immagino che volesse tenere per sé certe informazioni, ma ovviamente questa qui è sorda e i due sono troppo lontani per poter intrattenere una conversazione intima.

«Allora è normale, dai!»

Continuano a scambiare qualche battuta, ma io smetto di ascoltarli e mi preparo per scendere, visto che ormai sono quasi arrivata a destinazione.

Anche oggi il viaggio è stato sfiancante.

La mia teoria secondo la quale sono vittima di una maledizione durante i tragitti in autobus si fa sempre più reale e credibile. Altrimenti non mi spiego perché devo beccare sempre questi elementi colmi di disagio e di problemi mentali grossi e non diagnosticati.

Quando finalmente scendiamo dal mezzo, io e mia sorella siamo contente di esserci lasciate alle spalle quell'ennesimo scempio.

«Ce li hai mamma e papà?!» fa lei, scoppiando ancora a ridere.

«Le ginocchia non ci sono più, capito?» commento, nella mente ancora chiara l'immagine di questo corpo staccato dalle gambe.

Scuoto il capo e mi avvio verso casa. Finalmente potrò mettermi in pigiama e non pensarci più.

Prima o poi tutto questo mi farà diventare pazza, me lo sento.



- - - -


Cari lettori, ce l'ho fatta ad aggiornare nuovamente questa raccolta!

Scusatemi davvero per l'incostanza, ma spero di avervi fatto sorridere e che questo abbia ripagato in qualche modo il mio mostruoso ritardo negli aggiornamenti ^^

Che ve ne pare? Io ero sconvolta. Voi direte: non dovresti più sorprenderti per nulla, ormai ci sei abituata.

In effetti vorrei tanto che fosse così, ma chissà perché queste cose riescono sempre e comunque a farmi rimanere senza parole.

Secondo me questa gente non ce la può fare, credetemi. Non voglio diventare così: se dovesse succedere, vi autorizzo a prendermi a mazzate XD

Bene, fesserie a parte, a voi è mai capitato? Sono sempre curiosa di sapere i vostri aneddoti, giusto per sentirmi meno aliena :D

Okay, vi ringrazio tanto per essere ancora qui – se avete avuto la pazienza di aspettarmi – e per i commenti e il supporto che sempre mi regalate :3

Alla prossima ♥

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Capitolo 6
*** Che tristezza... ***


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Che tristezza...




Autobus extraurbano, primo pomeriggio


Si sa, le notizie si spargono in fretta nei piccoli centri abitati, specialmente quando finiscono sui giornali locali e le gazzette di quart'ordine che vengono distribuite gratuitamente nelle case di tutti i cittadini.

La gente diventa patriottica quando nota il nome del suo paese su una qualsiasi testata giornalistica, si inorgoglisce tutta e non fa che parlare del grande evento per giorni e giorni. Anche nel caso in cui abbia avuto luogo una tragedia.

Dico questo perché in questi giorni è capitato qualcosa del genere nel mio paese; e dove possono svolgersi le chiacchiere più squallide del mondo? Sull'autobus, è ovvio.

Sono seduta sul terzo sedile dietro a quello dell'autista, accanto a me c'è mia sorella, dietro di noi una nostra amica. Siamo salite da poco e siamo abbastanza tranquille. La verità è che la maggior parte dei nostri viaggi sui mezzi pubblici cominciano sempre così: relax, silenzio quasi totale, tutto va bene.

Finché...

Due fermate dopo di noi, sale a bordo una donnina un po' anziana e barcollante, e inevitabilmente viene a sedersi proprio di fronte a noi. Spero seriamente che non attacchi bottone, non ne ho voglia.

Ma ovviamente le mie speranze si rivelano vane, come c'era da aspettarsi.

«Ma voi lo conoscevate quel ragazzo che è morto?» ci apostrofa subito la signora, voltandosi verso di noi e fissandoci con sguardo rapace.

Mi trattengo per non sbuffare, lo sapevo che sarebbe successo tutto questo, avrei dovuto capirlo fin dall'inizio. La mia intramontabile quanto dubbia fiducia negli esseri umani è in grado di sorprendermi ogni volta.

Mia sorella biascica: «No».

La donna rincara la dose: «Ah, no? E non aveva la vostra età? Era del vostro stesso paese, com'è che non lo conoscevate?».

Ho veramente voglia di sbatterle la testa contro il finestrino, giuro. E ancora una volta mi chiedo perché. Perché questa gente disagiata deve sempre attaccare bottone con me? Secondo me la attiro, c'è qualcosa di afrodisiaco in me, ma non ne sono consapevole e non ho nemmeno idea di cosa si tratti.

«Non so cosa dirle...» ribatto, facendo spallucce e sperando che la smetta. Non perdo neanche tempo a farle notare che noi tre non siamo tutte coetanee, tanto è inutile.

«Ma era da solo? O c'era qualcuno con lui?» prosegue la piattola, tutta presa e infervorata da questo triste accadimento.

Non voglio ascoltare, sarebbe bello avere dei tappi per le orecchie sempre a disposizione. Non ho neanche le cuffie con me, per fingere di ascoltare musica e lasciare che blateri per conto suo.

«Pensate voi... che brutta cosa... ormai questi ragazzi sono sempre depressi e si uccidono per colpa dei telefonini...»

Oddio, non ce la posso fare. Manca ancora troppo prima di arrivare a destinazione. Questi abbondanti dieci minuti di viaggio sono sempre troppo lunghi per i miei gusti, specialmente quando ho a che fare con certi esemplari. Il che, come ben potete capire, mi capita fin troppo spesso. Non so come posso essere ancora viva.

«Chissà qual è il vero motivo» commenta la mia amica.

Ecco, appunto. Come può questa cretina avere la presunzione di sapere quale sia stato il motivo che ha spinto un giovane liceale a togliersi la vita? Poco fa ha espresso addirittura un dubbio su ciò che sia successo, e ora si atteggia a giudice morale. Questa è scellerata, completamente pazza.

«No, no! Io so che era sempre attaccato al cellulare e al computer... quelle cose sono pericolose!» afferma con estrema sicurezza l'anziana, agitandosi sul sedile. «Aveva sedici anni, dai!» aggiunge.

«Io so che ne aveva diciotto» si lascia sfuggire mia sorella, aggrottando la fronte con fare contrariato.

«No, sedici!» la contraddice la signora.

Io neanche apro bocca, perché tanto ho capito che qui le cose sono veramente gravi.

La piaga continua a blaterare cose che solo lei capisce e io la ignoro finché finalmente non arriviamo a destinazione. Sono libera, spero veramente che le cose vadano meglio d'ora in avanti.

È veramente vomitevole il fatto che è un fatto tanto triste e doloroso diventi soltanto un pettegolezzo da dare in pasto a una manica di idioti senza cervello.



Autobus extraurbano, tardo pomeriggio


Il pullman ospita diversi passeggeri stavolta. In genere è quasi completamente vuoto. Ci sono varie persone di diverse età, sparse sui sedili intorno a me.

Dopo due fermate sale una ragazza sui trentacinque anni che si accomoda sul primo sedile accanto all'autista e comincia subito a parlare con il guidatore come se lo conoscesse. Probabilmente si incontrano spesso sui mezzi o abitano nello stesso paese.

Non ci faccio troppo caso, anche perché inizialmente si limitano a scambiarsi convenevoli e a chiacchierare del più e del meno.

Tutto sembra andare bene, anche se la tizia in questione parla a un volume di voce un po' troppo alto per i miei gusti.

Finché, a un certo punto, la sento gridare: «Hai sentito di quel ragazzo che si è buttato sotto il treno? Oddio, che brutta storia!».

Oh no, di nuovo? Io pensavo di essermela scampata! Francamente mi è bastato avere a che fare con quell'altra ignorante che ho incontrato durante il viaggio d'andata.

«Sì, ho sentito. Ma di dov'era?» chiede l'autista, rivelandosi più pettegolo di lei.

Lei allora comincia a sproloquiare nomi di paesi del circondario, ma ovviamente subito mi rendo conto che le sue informazioni sono sbagliate, quindi ancora una volta frutto di pettegolezzi infondati.

Sbuffo e do di gomito a mia sorella, la quale alza gli occhi al cielo e sospira.

«Ah, e quanti anni aveva?» continua l'uomo, mostrandosi interessatissimo alla cosa.

«Diciannove, aveva anche finito il liceo!» afferma la tizia, continuando a gridare. Ho paura che sul pullman ci sia qualcuno che conosceva il giovane in questione. Non so se sperarci o meno: se da un lato vorrei ci fosse un conoscente del ragazzino in modo che insulti chiunque stia spargendo infamie sulla sua dipartita, dall'altro spero che nessuno dei presenti gli fosse tanto vicino; potrebbe rimanerci molto male e soffrire per colpa di due dementi che gridano e sparlano sulle disgrazie altrui.

Ma che problemi hanno? Non hanno un minimo di delicatezza, di tatto, di buon senso. E dovrebbero essere adulti. Mi fanno schifo.

«Si è buttato sotto il treno, ma secondo me qualcuno l'ha spinto. So che giocava a un gioco online, capito? Che tristezza, era così giovane...»

«Io sapevo che ne aveva diciassette, di anni» replica il guidatore.

«No, diciannove. Poveretto. Quei giochi sono pericolosi, mi hanno detto che era in contatto con gente strana e che l'hanno spinto in mezzo ai binari, doveva farlo come punizione per qualcosa che non è riuscito a fare nel videogioco... non ho capito bene, ma ti rendi conto?»

Che abbia problemi di comprendonio non lo metto in dubbio, ma a questo punto mi sembra che stiano davvero esagerando. È un incubo stare qui a sentire certe stronzate.

Ma che ne sanno loro?

«Certo, certo... di questi tempi le cose vanno sempre peggio...»

E i due si lanciano in una serie di frasi fatte e luoghi comuni sui giovani e la tecnologia, ma logicamente sono i primi a non potersi separare neanche un attimo dagli smartphone che non sanno neanche usare.

Quando finalmente scendo dal mezzo, mi sento veramente destabilizzata e faccio di tutto per scacciare quei brutti ricordi dalla mia mente.

Non voglio credere che esista gente tanto cattiva e indelicata.

«Avrei voluto vedere se fosse successo a qualcuno dei loro parenti. Stronzi» bofonchia mia sorella.

«Glielo auguro» sibilo.

Ed è vero. Certa gente si merita il peggio, tanto finché non prova certe cose sulla propria pelle, non capisce quanto sia orribile il proprio comportamento.

Ah no, questi esseri immondi non capirebbero in ogni caso, in quanto completamente privi di cervello.



- - - -


Carissimi lettori!

So che questa è una raccolta che generalmente tende a essere sul genere comico e più leggero, ma la vita a volte ci mette di fronte anche a situazioni come questa. Mi è successo davvero e proprio sui mezzi pubblici, quindi l'ho inserito. Voglio che vi rendiate conto di cosa devo subire quando salgo su quei maledetti trabiccoli! -.-

Ma ora voi ditemi: vi sembra normale che la gente si comporti così? Poi mica stavano parlando di fatti di cronaca accaduti chissà dove, no; si sono messi a spettegolare su qualcosa che poteva riguardare anche qualcuno dei passeggeri presenti sull'autobus. Ci sarebbe potuto essere un famigliare del ragazzo, un suo caro amico, qualcuno che lo conosceva bene e sapeva cos'è effettivamente successo.

Ma, come già detto, chi è privo di cervello non si cura di certe sottigliezze, figuriamoci...

Come sempre attendo i vostri commenti e le vostre esperienze, se avete qualcosa di simile da raccontarmi ^^

Grazie a tutti per il sostegno e per il supporto che mi date ogni volta, anche quando aggiorno con mostruoso ritardo! *-*

Alla prossima ♥

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Capitolo 7
*** Tutti in traghetto! ***


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Tutti in traghetto!




Autobus extraurbano, tardo pomeriggio


Oggi all'andata tutto è stato tranquillo, quindi so già che probabilmente non sarà lo stesso al ritorno.

Io e mia sorella siamo sedute sul primo sedile accanto all'autista, la nostra amica si è piazzata dietro di noi. Quando stiamo per lasciare la stazione dei pullman, sale a bordo una tizia che si siede proprio dietro il guidatore.

Il mezzo si mette in moto e io cerco di rilassarmi, chiacchierando sommessamente con mia sorella.

Poco dopo, però, veniamo inevitabilmente interrotte dalla quarantenne al nostro fianco. Questa, infatti, comincia a parlare al telefono, mettendoci al corrente degli affari suoi.

Ti pareva...

«Sì, sì, certo... ascolta, stavo pensando...»

Già nell'udire stavo pensando mi sorge qualche dubbio, così do di gomito a mia sorella e lei soffoca un sospiro.

«Praticamente stavo guardando i costi del traghetto... se parto alle dieci riesco benissimo ad arrivare in ufficio nel pomeriggio, però costa di più... ti rendi conto? Cinquanta euro in più, invece se parto alle otto mi fanno uno sconto... solo che però devo prendere il treno per arrivare al porto, e se parto con il traghetto delle otto è troppo presto e non ce la faccio...»

Sto seriamente cominciando a non capirci niente. Non che la cosa mi interessi più di tanto, ma visto che quest'esaltata sta sproloquiando ad alta voce e vuole evidentemente metterci a parte dei dettagli del suo viaggio, tanto vale cercare di decifrare qualcosa. Magari le posso pure dare un consiglio.

«... no, poi ho visto anche che se prendo il traghetto alle sei di sera, mi fanno un ulteriore sconto... però non riesco ad arrivare in ufficio, arriverei lì alle nove e mezza... ascolta, e se faccio così? Possiamo andare a mangiarci una pizza appena arrivo, tanto troveremo qualche posto aperto...»

Mia sorella è diventata una mummia. Ha la faccia imbalsamata, visto che sta tentando in tutti i modi di trattenere sospiri e risate.

Mi volto nella sua direzione e sussurro: «Interessante».

«Eh, sapessi...»

«No, ascolta... sono indecisa! Forse parto di mattina, però alle dieci non mi conviene... ah per tornare a casa dici? Eh, allora... arrivo lunedì e poi però mercoledì devo ripartire, perché se parto venerdì è troppo tardi perché devo sostituire Mario e non rientro con i tempi...»

Oddio, voglio morire. Mi chiedo come possa l'autista stare concentrato sulla guida con questa pazza che gli grida in testa.

«Sì, ascolta, parto alle dieci o alle sei? Secondo me alle sei mi conviene perché spendo di meno, però se parto alle dieci posso essere in ufficio nel pomeriggio... capito qual è il problema?»

Vorrei dirle che sì, lo abbiamo capito tutti qual è il problema, visto che da cinque minuti non fa che ripetere sempre le stesse cose. Ma poi, perché sta parlando in pullman dei fatti suoi? Sono queste le cose che non capisco e non capirò mai.

«Okay, e ascolta... allora andiamo a mangiare una pizza? Tanto troviamo qualcosa aperto, dai... una cosa veloce, eh... una pizzetta al volo, mica voglio cose complicate!» Ride e comincia a frugare in borsa.

Siamo solo a metà del viaggio e io vorrei avere a disposizione un'arma per porre fine a questa tortura. Sarò tragica, ma certi elementi mi distruggono psicologicamente. Sarà un problema mio? Sono io che non riesco a vivere in mezzo agli altri?

Le cose si aggravano quando la scellerata scarta una caramella e se la mette in bocca.

Nell'ambiente subito si diffonde un odore nauseabondo che assomiglia a un misto tra puzza di piedi sporchi e frutta marcia. È un qualcosa di vomitevole, dolciastro e insopportabile.

Il mio stomaco si ribella e comincia a ribollire per la nausea. Generalmente soffro di mal d'auto, ma mi capita solo in strade con molte curve o se il guidatore è piuttosto spericolato.

Tenendo conto che stiamo percorrendo un rettilineo, la mia nausea può essere associata soltanto al puzzo pestilenziale che proviene da questa orribile creatura che staziona sulla fila di sedili accanto alla mia.

Mia sorella tossisce e guarda fuori dal finestrino per evitare di mostrare apertamente un'espressione nauseata.

La tipa continua a succhiare beata la sua caramella e prosegue a programmare il suo viaggio, ripetendo sempre le stesse due frasi in loop per tutta la durata del tragitto.

Sono quasi tentata di scaraventarmi fuori dal pullman alla prima fermata, ma devo aspettare alla terza che è quella più vicina a casa mia.

Una volta giunta a destinazione, balzo giù dal pullman e tiro un profondo sospiro di sollievo.

«Oddio, ma che cazzo stava mangiando?» sbotta la mia amica in tono contrariato.

«Forse era un calzino sporco» brontola mia sorella.

«Io voglio morire!» concludo in preda all'esasperazione.

Non riesco a credere che anche stavolta sono riuscita a sopravvivere.



- - - -


Ragazzi miei!

Scusate per il ritardo, ma tra partecipazioni a contest vari e altri imprevisti, non sono riuscita a scrivere qualcosa per questa raccolta!

So che i capitoli sono molto brevi, ma vedete, un comico – per quanto poi rispecchi nient'altro che la realtà dei fatti che mi accadono – per me è sempre molto impegnativo da scrivere.

Per certe mie long o per One Shot a caso, a volte scrivo capitoli di 3000 parole come se niente fosse; ma se devo dedicarmi a un comico, be', tutto cambia.

Ma basta sproloquiare, sennò faccio la stessa fine di questa “simpatica” quarantenne che organizzava il suo viaggetto in traghetto sul pullman in cui c'ero IO! ^^”

A voi è mai capitato? E la storia della caramella poi... che orrore! Ripensandoci, doveva essere una di quelle all'anice o qualcosa del genere, ma era talmente puzzolente che aveva proprio il sentore che ho descritto nel capitolo... e vi assicuro che non è stato PER NIENTE piacevole!

Vi ringrazio per essere ancora qui e per il tempo che dedicate anche solo a leggere 'sta roba :D

Alla prossima ♥

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Capitolo 8
*** La Peste ***


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La Peste




Volo Ryanair, metà mattina


Le disgrazie non capitano solo in pullman, ahimè. Viaggio relativamente poco in aereo, ma ovviamente non può andare tutto liscio durante quelle rare volte in cui ciò accade.

C'è da dire che detesto il fatto di dovermi sedere lontano dalle persone con cui viaggio, visto che quando si prenotano i voli online è impossibile scegliere dove sistemarsi, a meno che non si aggiunga un tot a testa per avere questo comfort.

Stavolta sono capitata in un sedile centrale, in mezzo ad altre due signore. Quella seduta alla mia destra, dalla parte del finestrino, sembra piuttosto tranquilla, l'altra già mi indispone non appena si siede.

Si volta subito nella mia direzione e si rivolge all'altra, così capisco che queste due si conoscono. Peccato che non appena apre bocca, mi rendo anche conto che soffre di una brutta alitosi.

Vorrei alzarmi e andarmene, mi viene da vomitare, soprattutto perché le due cominciano a chiacchierare tranquillamente come se io non ci fossi.

«Allora, anche tu qui? Come stai?» fa quella alla mia sinistra.

«Eh dai, bene... volevo fare un viaggetto e ne ho approfittato adesso, e tu?» risponde la tizia alla mia destra.

«Oh, bene, io sono andata a trovare mio figlio!»

Come cavolo può essersi accoppiata e riprodotta? Il suo alito puzza come uno scarpone da lavoro in piena estate, e tutto il suo essere emana un odore strano, come se i suoi abiti – e anche il suo corpo – fossero rimasti rinchiusi in una bara per centocinquanta anni di fila.

«Hai un figlio che vive a Bologna?»

«Sì, Marco. Vive lì con la sua compagna, poi sai, volevo vedere mio nipotino!» cinguetta la pestilenziale sessantenne.

«Hai fatto bene! E a scuola come va? Stai ancora insegnando lì?» domanda l'altra, intenta però a frugare il suo cellulare.

L'aereo è ancora fermo, così decido che devo fare qualcosa. Mi schiarisco la gola e chiedo alle due: «Se volete, possiamo fare scambio di posto».

Quella alla mia destra dice: «No, grazie, mi piace stare vicino al finestrino».

La Peste aggiunge: «No, no! Ho bisogno di aria!».

Mi trattengo per non sospirare, anche se vorrei tanto farle notare che anche io ho bisogno di aria, non dico pulita, ma almeno respirabile.

Mi appiattisco contro il sedile mentre le due continuano a cianciare belle e tranquille.

«Allora? Insegni ancora lì?»

«Sì, sì! Eh, la pensione per me è ancora lontana... e tu?»

«Io sì, sono in pensione da un anno. Sono rinata, non puoi capire... vado più spesso a trovare mio figlio, ho più tempo per me... e Anna? Come sta? È da molto che non la vedo!»

Quella alla mia destra sospira. «Eh, Anna... ha avuto un tumore.»

L'altra inorridisce. «Un tumore? Ma non è morta, vero?»

Ecco, questo sì che si chiama tatto. Ragazzi, imparate da questa donna come si sta al mondo!

Che poi, a me dispiace per questa Anna, però... obiettivamente... a me...

«No, no... pian piano si sta riprendendo. Ora sta meglio, infatti deve venire a prendermi. Magari la saluti.»

Sì, così se non è morta per il tumore, crepa per l'alitosi di questa mummia egizia!

A volte sono cinica, ma questa gente lo è molto più di me. Come si può parlare con tanta leggerezza – e di fronte a un'estranea – di certi argomenti? Se io fossi questa Anna e sapessi che queste due dementi stanno sbandierando le sue disgrazie ai quattro venti, come minimo le denuncerei per diffamazione!

«Certo! Certo!» accetta La Peste, annuendo come un'esaltata per dare enfasi alle sue parole.

Quando l'aereo finalmente si prepara per il decollo, le due smettono di parlare. Forse La Peste ha bisogno di respirare a fondo – non troppo a fondo, per l'amor del cielo – in vista del decollo, anche se non capisco come un essere del genere possa provare emozioni come l'ansia o la paura, ma tant'è.

Quella alla mia destra, dopo aver impostato il suo smartphone in modalità aerea, comincia a scattare foto durante tutto il decollo. Ora capisco perché le piace stare vicino al finestrino.

Che poi non si vede niente, che senso ha fare delle foto al nulla? Non c'è nemmeno il sole, il vetro è lurido e io dubito fortemente che riuscirà a fare uno scatto degno di nota.

E continua così per tutto il viaggio, mentre La Peste porta fuori un libro e comincia a leggere. La sua alitosi mi raggiunge comunque, anche perché ogni tanto si volta per dire qualcosa alla sua conoscente.

È veramente difficile resistere. La nausea bussa prepotentemente alla bocca del mio stomaco e io devo concentrarmi tantissimo per non lasciarmi sopraffare da essa. È un incubo, non riesco a credere che stia succedendo davvero.

Il viaggio è breve, ma a me sembra passata un'eternità quando infine ci viene annunciato che l'aereo sta per atterrare e che dobbiamo allacciare le cinture di sicurezza.

Ovviamente per tutto il tempo i passeggeri sono stati importunati da un'hostess che voleva venderci di tutto: da biglietti della lotteria a profumi, da orologi a golosi snack e bibite; non sto neanche a soffermarmi tanto su questo aspetto, tanto sappiamo tutti come funziona sui voli Ryanair. Lo sa anche chi non ne ha mai preso uno.

La demente alla mia destra continua a scattare foto con il cellulare anche mentre stiamo atterrando, mentre l'altra sembra piuttosto in ansia, il che non fa che amplificare il puzzo proveniente dal suo corpo – che sospetto sempre più essere in decomposizione.

Il raccapriccio sta per finire, finalmente l'aereo sta per toccare terra e io potrò liberarmi di queste due piattole e tornare a respirare.

Ma no, al peggio non c'è mai fine!

E infatti...

Non appena l'aereo tocca terra, dagli altoparlanti del mezzo si diffonde una musichetta presumibilmente festosa, che però a me sembra molto inquietante. È una melodia strana, sembra un misto tra una canzoncina cinese e un brano in stile film sulla Rivoluzione Francese. Sopra di essa, una voce maschile registrata parla in inglese e dice qualcosa a proposito del viaggio che è riuscito con successo e che la compagnia aerea ci dà il benvenuto a destinazione.

A questo punto mi irrigidisco e non faccio neanche in tempo a formulare la vaga idea di ciò che sta per succedere, che uno scroscio di applausi imbarazzanti e tremendamente ridicoli esplode tra i passeggeri.

Ecco, adesso sì che voglio morire.

Scoppio a ridere, infischiandomene del fatto che anche le due cerebrolese sedute accanto a me stanno partecipando attivamente a questo scempio, e sento da qualche parte dietro di me la risata tonante di mia sorella.

Non vedo l'ora di buttarmi fuori da questo inferno, ne ho davvero abbastanza. È troppo per me.

Quando finalmente tocco terra, mi trattengo a stento per non chinarmi a baciare la terra ai miei piedi.

È stato il viaggio della speranza, l'ennesimo.



- - - -


Ehilà!

Stavolta sono riuscita ad aggiornare regolarmente, visto che ho scritto questo capitolo lo stesso giorno del precedente; avevo una gran bella botta d'ispirazione per creare qualcosa di comico, quindi...

Okay, be'... chi ha vissuto traumi simili in aereo?

Io, ragazzi, non so veramente come posso essere ancora tra voi... questa, più che una raccolta comico-demenziale su piccole disavventure sui mezzi pubblici, si sta trasformando nel diario di una sopravvissuta! ^^”

Allora, attendo i vostri commenti e vi ringrazio per esserci ancora, nonostante la mia irregolarità negli aggiornamenti :3

A presto ♥

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Capitolo 9
*** Brochure e vivavoce ***


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Brochure e vivavoce




Autobus extraurbano, primo pomeriggio


Stavolta me lo sento: morirò.

Sì, perché sono seduta sul primo sedile alla destra dell'autista, e posso vedere cosa sta combinando mentre guida.

È ovvio. Stare attenti alla strada è troppo difficile per chi conduce un autobus per lavoro, diventa noioso. Me ne rendo conto.

Ma forse quest'essere dovrebbe tenere in considerazione che su di lui ricade una certa responsabilità, ovvero l'incolumità di noi passeggeri.

Cerco di non pensarci, di concentrarmi sul panorama piuttosto penoso che si srotola oltre i finestrini e il parabrezza, ma è impossibile non notare il conducente che legge un depliant o una brochure, non sono in grado di capirlo perfettamente.

Cosa ci sarà di così importante in quel pezzo di carta? Non lo so, ma mi sento addosso un'ansia terrificante.

Dopo qualche tempo, il suo cellulare comincia a trillare per avvisarlo dell'arrivo di numerosi messaggi. Allora lui prontamente molla il depliant e afferra lo smartphone, cominciando a leggere messaggi su WhatsApp come se si trovasse nel salotto di casa sua.

Trascorre così alcuni minuti, e inoltre si impegna a rispondere a tutti o digitando sullo schermo, o registrando delle note vocali.

Quanto vorrei che per strada ci fosse un posto di blocco che lo fermi e gli impedisca per il resto della sua vita di guidare legalmente un qualsiasi mezzo di locomozione...

L'autobus rallenta e accelera a caso, visto che l'autista è distratto dalle sue attività super interessanti. Motivo per cui potrei anche rimettere il pranzo, ma meglio cercare di non farci caso.

Quando siamo poco distanti dal paese verso cui siamo diretti, il tizio riceve una chiamata.

E indovinate? Risponde!

«Oh, ciao. Sì, ascolta, per la partita di domenica di' a Fabrizio di portare quel foglio che ti stavo dicendo ieri... sì, sì, tranquillo... lui lo porta, tu firmi e basta. Facciamo una foto, così è tutto chiaro. Sì, tranquillo, è giusto una cosa burocratica, non preoccuparti. Macché, non pensarci! Dai, sì, ti ho detto: lui porta il foglio, tu firmi, stretta di mano, foto, fine. Tranquillo...»

Perché ho la vaga impressione che tutto ciò che sta dicendo assomigli a uno scambio illegale di sostanze stupefacenti o di documenti che potrebbero cambiare il corso dell'intero universo? Sta usando un tono cospiratorio che non mi piace affatto. Oddio, ci mancava solo questa.

«Sì, è tutto calcolato, non entrare in paranoia. I ragazzini poi fanno la partita, il presidente è contento e noi facciamo la nostra bella figura» continua l'autista, raggiungendo a tentoni una rotonda che ci permetterà di entrare in paese.

Stringo le dita attorno alla stoffa del giubbotto, aspettando il momento in cui ci sarà la curva.

«Okay, dai, tranquillo. Capito tutto? Ci vediamo domenica verso le tre. Anzi, alle tre. Puntuale. Ciao.»

Forse è la volta buona che questo mentecatto si concentrerà sulla guida. Giusto il tempo di entrare nel centro abitato, e l'autista afferra nuovamente la brochure, riprendendo a leggerla con estremo interesse.

Per fortuna sto per scendere, non ne posso più.

Una volta all'aria aperta, tiro un sospiro di sollievo. Sono arrivata anche oggi sana e salva.



Autobus extraurbano, tardo pomeriggio


Dopo il viaggio traumatico che ho vissuto all'andata, spero vivamente che ora vada meglio.

Quando mi rendo conto che l'autista è lo stesso che ho incontrato prima, il mio cuore perde un battito.

Posso solo sperare che abbia finito di organizzare la partita di domenica e il rito con tanto di foto e firma di chissà quali documenti, che abbia concluso l'avvincente lettura del depliant e che non abbia milioni di importantissimi messaggi su WhatsApp a cui rispondere nell'immediato.

Per fortuna tutto sembra andare meglio, il viaggio scorre abbastanza bene, tranne qualche interferenza causata dai messaggi sul cellulare dell'autista.

Mancano solo due fermate prima che io possa scendere e tornare finalmente a casa; ci troviamo di fianco alla stazione ferroviaria, e io so bene che gli autobus tendono a fermarsi un po' più a lungo in questo punto. A volte aspettano uno o due minuti, attendendo eventuali treni in ritardo.

Stiamo per ripartire, quando un gruppo di sessantenni raggiunge trafelato il mezzo e si arrampica su per i gradini, facendo un baccano incredibile. Sembra un branco di ragazzini delle medie in gita scolastica.

C'è chi oblitera biglietti, chi ride, chi cerca il posto più adatto a sé, chi grida da un capo all'altro del corridoio, chi ammicca con qualcun altro... un delirio. E poi gli adulti hanno anche il coraggio di criticare i giovani, dando loro dei maleducati? Io sono basita.

Uno di questi esemplari di sesso femminile si posiziona a pochi sedili dal mio, e subito comincia a urlare: «Anna? Anna? Non ti sento! Tu mi senti?».

Non riesco a capire con chi stia parlando, finché non sento una voce metallica provenire dal punto in cui si trova. Realizzo che ha impostato il vivavoce e che sta parlando al telefono.

Con l'altoparlante? Ma ha problemi di udito? Non ha delle cuffie?

«Sì, adesso ti sento! Dove sei?» risponde la voce di una donna al telefono.

«In pullman, stiamo rientrando! Ascolta, quando arrivo ti chiamo? No, aspetta... chiamo Augusto e faccio venire lui alla fermata!»

«Non fa niente, posso venire anche io! Eh, mi devo cambiare perché stavo facendo giardinaggio, però...»

Interessante. Chissà se questa povera vittima di Anna sa che tutto l'autobus sta ascoltando i fatti suoi.

Per fortuna non sento più altro, perché finalmente raggiungiamo la mia fermata e io posso uscire da quell'asilo nido di voci stridenti e pazzi invasati.


Come dice Caparezza in un suo brano:

Vorrei solo una vita serena, minchia!”



- - - -


Cari lettori, sono tornata finalmente a raccontarvi un altro po' di disavventure sui mezzi pubblici ^^

Non commenterò oltre, vorrei solo sapere, per l'ennesima volta, se queste cose succedono solo a me o se posso sentirmi meno sola, rendendomi conto che magari anche a qualcun altro capitano certi elementi fuori di testa o.o

Grazie per essere ancora qui, spero almeno di farvi sorridere con questi piccoli stralci di vita :D

Alla prossima ♥

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Capitolo 10
*** Mademoiselle ***


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Mademoiselle




[Testimonianza di mia sorella Soul_Shine]


Autobus extraurbano, primo pomeriggio


Mia sorella e una sua amica sono sul bus, è autunno inoltrato e non c'è tanto freddo.

Fa piacere stare sull'autobus con il riscaldamento acceso. Loro ovviamente sperano che tutto vada bene, che il viaggio sia piacevole e tranquillo.

Ma ovviamente non può essere così, ormai lo sappiamo tutti.

Ebbene, alla seconda fermata dopo la loro, sale a bordo una ragazza minuta e magra, che indossa un parka verde militare con la pelliccia e un paio di jeans stretti con il risvoltino e delle dubbie scarpe in tela con fantasia indefinita. I capelli scuri sono perfettamente lisci e in ordine, e l'immancabile smartphone da più di cinque pollici sta ben stretto tra le sue mani.

Dopo aver adocchiato l'autista, ancor prima di sedersi, esordisce con voce acuta e squillante: «Ciao! Come stai?».

L'uomo la saluta di rimando. «Io bene, e tu invece?» le chiede poi.

«Bene, dai!» esclama.

Qualche secondo di silenzio, la tizia oblitera il biglietto e si siede sul primo sedile alla destra dell'autista.

«Pensa te, c'è gente che si offende se gli dai del tu come ho fatto io con te... insomma, cosa cambia? Io posso anche rispettarti anche se non ti do del lei, e se ti do del lei posso anche mandarti a quel paese!» riprende a blaterare l'ameba, urlando come se il conducente fosse sordo.

Mia sorella e la sua amica si scambiano un'occhiata, trattenendo un sospiro colmo di disperazione.

«Eh certo, hai ragione... è normale, perché molte persone anziane la vedono come una forma di rispetto...» replica l'uomo, senza distogliere gli occhi dalla strada di fronte a sé.

In teoria dovrebbe essere vietato parlare con il conducente, o sbaglio?

«Sì, ma non ha senso! Io do del tu anche alle persone più grandi, ma mica vuol dire che non le rispetto! Le trovo cose stupide, come in Francia che usano tutti modi strani... dicono mademoiselle!» prosegue imperterrita la tipa, continuando a strillare come se non ci fosse un domani.

«Sì, è vero» le dà corda l'uomo.

«Ma tu di che anno sei?» si informa la ragazza in tono stridulo.

«Sono del '63, ho cinquantacinque anni.»

«Dai! Non si direbbe, non li dimostri!» civetta lei con falsità.

«E tu invece? Di che anno sei?» chiede allora lui.

«Del '90! vedi, posso essere anche giocata al Lotto!» dice, poi scoppia a ridere per la sua stessa battuta.

È raccapricciante, mia sorella è senza parole e non vorrebbe mai aver assistito a un tale scempio.

Dal canto mio, non capisco cosa avesse questa tizia da ridere.

I due continuano a chiacchierare con fare concitato, ma ormai mia sorella non li ascolta più perché sta per scendere, la sua fermata è ormai vicina.

Una volta fuori dal pullman, le due sbuffano.

«Ma questa gente ce la fa a non dare spettacolo?» sbotta mia sorella.

«No, è più forte di loro» ridacchia la sua amica.

Insieme si allontanano lungo il marciapiede e tentano di non pensarci troppo.



- - - -


Cari lettori, oggi capitolo breve, ma dedicato proprio a mia sorella e a una delle sue disavventure sui mezi pubblici.

Quel giorno non ero con lei, e guardate cosa mi sono persa, che perla è sfuggita alla mia attenzione!

Ho una domanda per voi: ma i discorsi che stava facendo questa tizia del '90 voi li avete capiti? Che cosa c'entravano? E la sua “battuta”?

Vi ringrazio per aver letto anche questa volta, e che il raccapriccio sia con voi XD ♥

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Capitolo 11
*** Alzheimer ***


ReggaeFamily

Alzheimer




Autobus extraurbano, primo pomeriggio


Ultimamente non prendo più tanto spesso il bus, così spero che almeno stavolta le cose vadano lisce e che io non faccia incontri raccapriccianti come al solito.

Io e la mia amica, inoltre, siamo pure in ritardo, perché questo dannato pullman fa orari strani, gli autisti se la prendono con calma.

Noi siamo sedute sul terzo sedile alla destra dell'autista e stiamo in silenzio, godendoci il calore confortante all'interno del mezzo.

Trascorre circa un minuto e, quando il bus sta per raggiungere la prossima fermata, un tizio emerge dal sedile dietro a quello del conducente e comincia a balbettare qualcosa che inizialmente fatico a comprendere.

«Scusi, eh, si ferma... oh, deve...»

Mentre parla, rischia di ruzzolare lungo disteso sul corridoio che divide le due file di sedili, facendo un baccano incredibile.

L'autista chiede perplesso: «Come?».

«Si ferma nei pressi dell'ospedale, vero?» continua a biascicare il tizio, ancorandosi all'obliteratrice per non cadere.

«Sì, proprio di fronte» lo rassicura l'autista, cominciando a rallentare e frenare.

Io e la mia amica ci scambiamo un'occhiata confusa e io non so come faccio a non scoppiare a ridere.

Se le cose cominciano così, temo già da ora per la mia vita e la mia sanità mentale.

Sembra quasi un miracolo che il viaggio scorra tranquillo, ma forse è troppo presto per cantare vittoria.



Autobus extraurbano, tardo pomeriggio


Io e la mia amica arriviamo giusto in tempo alla stazione dei pullman. Saliamo a bordo del bus e ci sistemiamo negli stessi posti che avevamo occupato all'andata.

Cominciamo a chiacchierare sommessamente, contente di essere sedute comode e al caldo.

Ma quell'idillio viene bruscamente interrotto da un essere femminile alquanto immondo che sale a bordo e si piazza rumorosamente nel posto dietro a quello dell'autista.

Ancora prima che il mezzo parta, la tizia – che deve avere all'incirca cinquant'anni a giudicare dal timbro vocale – comincia subito a parlare al telefono.

O forse dovrei dire urlare al telefono, dal momento che la sua voce è talmente acuta e squillante che si diffonde fastidiosamente per tutto l'ampio ambiente.

A bordo sale anche il conducente, seguito poi da qualche altro passeggero, e il viaggio finalmente ha inizio.

«Mamma? Sì, stavo dicendo... ero da una mia utente, sai... praticamente è la madre di Teo, il vicesindaco... no, guarda, non ti dico! Questa signora sembra una bambina, ha l'alzheimer, sembra nonno Antonio, mi ha ricordato troppo lui...» blatera la tizia, mettendo tutti noi al corrente dei cavoli suoi e, cosa ancora più importante, di quelli altrui.

Io sono sconvolta, vorrei non ascoltarla, ma è praticamente impossibile.

«Sì, mi ha ricordato nonno! Poi ha i capelli bianchi come nonna... sì, però è come una bambina, ci credi? Gioca con le bambole! Ma la figlia è fuori di testa, disperata proprio... sì, praticamente non sa dove mettere le mani, poverina... eh, mamma, è la sorella di Teo, il vicesindaco! La figlia di signora Amelia! Cosa? La seguiamo noi perché Teo è sempre stato molto disponibile, quindi sua madre è un'utenza molto importante e ci teniamo particolarmente» prosegue, incurante.

La cosa più grave è che l'autista, come se non bastasse, ha pure la radio accesa e all'interno del bus c'è un caos apocalittico, reso ancora più intenso dall'ingresso di altri passeggeri nelle due fermate successive.

La mia amica mi dà di gomito. «Povero autista» commenta, per poi sospirare.

Annuisco. «Non lo invidio» dico.

«Sì, capito? Ah e poi ci ha contattato la figlia di quella tua amica... com'è che si chiama? Anna Maria, te la ricordi? Non sa come fare per l'assistenza della madre, è disperata! Ora le abbiamo consigliato come muoversi per ricevere i giusti aiuti, ma non ti dico... perché non la chiami? Magari la rincuori un po', era veramente disperata! Cioè, io mi chiedo, come fa questa gente a non sapere nulla?»

«Che peccato non averla tutto il giorno in casa» fa la mia amica.

Ridacchio. «Quanto è logorroica questa...»

«Sì, dai, chiamala! Okay, dai mamma, sì... va bene, a domani, ciao ciao!»

Forse questa è la volta buona che stia finalmente zitta, mi ha fatto venire la nausea. Ha detto così tante parole che mi viene difficile credere che qualcosa del genere sia possibile.

Per un attimo cala un rassicurante silenzio, interrotto solo dal basso chiacchiericcio proveniente dall'autoradio.

«Ale? Sì, ciao, sono io! No, tranquilla, sono in pullman, quindi sono in relax, possiamo parlare di tutto quello che vuoi» ricomincia a blaterare la tizia.

Alzo gli occhi al cielo e la mia amica sbuffa.

«Non ci credo» bofonchio.

«Lei è in relax, peccato che non sia così per noi» ironizza lei.

«Sì, sì, sto tornando dal lavoro, ero da un utente... ah, sì? Guarda, non lo so che cosa sia successo a Ornella...»

Per fortuna il viaggio sta per finire, e io riesco miracolosamente a smettere di ascoltarla. Questa telefonata dura meno della precedente, ma ciò non significa che la tizia non parli a raffica.

«Adesso avrà finito?» sussurro, quando sento che l'essere immondo saluta anche la sua seconda vittima.

«Speriamo» commenta la mia amica.

Ma quando tutto sembrava finito, la cretina comincia a mandare in play diversi messaggi vocali e si adopera pure per rispondere, mettendoci molta enfasi e facendo rimbombare la sua voce fastidiosa e irritante per tutto l'autobus.

Miracolosamente arriviamo alla nostra fermata e ci precipitiamo in tutta fretta giù dai gradini.

Per la prima volta sono felice dell'aria fredda che mi schiaffeggia il viso, almeno mi può risvegliare da quest'incubo.

Ora è tutto finito, me lo sento, sono evasa dal manicomio e posso tornare alla civiltà.



Nei pressi della fermata, poco dopo...


Io e la mia amica ci incamminiamo verso casa mia, allontanandoci dalla fermata del bus.

Siamo stremate da quell'ultimo viaggio traumatico e non vediamo l'ora di stare al caldo e riprenderci da quel momento di sconforto.

Attraversiamo la strada e subito dopo ci accorgiamo che qualcosa non va.

Un fischio fastidioso e ripetitivo si espande alle nostre spalle, facendoci sussultare un po'.

Poco dopo mi rendo conto che a produrlo è qualcuno che cammina alle nostre spalle. Per un istante mi sento inquietata, ma subito comincio a ridacchiare senza riuscire a smettere.

Il tizio continua a fischiare, il motivetto pare familiare, ma non riesco ad associarlo a un brano preciso.

Un secondo dopo ci rendiamo conto che il tizio non è solo, più precisamente nell'istante in cui l'essere smette di fischiettare e prende a cantare sguaiatamente la sua canzoncina, senza però articolare le parole. Qualcuno, accanto a lui, comincia a dargli contro e gli intima di smettere.

«Hai rotto i coglioni» lo sento rivoltarsi.

«Ecco, bravo» fa la mia amica, mentre io continuo a ridacchiare.

I miei poveri neuroni chiedono pietà, eppure pare che nessuno sia disposto a concedergliela.

«Ma è ubriaco?»

Scuoto appena il capo. «Probabile.»

Dopo circa cinque minuti i tizi finalmente cambiano strada, ma li sentiamo starnazzare ancora per un po'.

Io scoppio finalmente a ridere. «Ma cosa stava cantando? Tu l'hai capito?»

La mia amica ci riflette. «Mi è sembrata quella canzone che dice bambola...»

«A posto!» esclamo.

Per oggi abbiamo fatto il pienone di mentecatti, voglio solo rifugiarmi a casa e non pensarci più.

Il mondo del disagio mi ha accolto nuovamente a braccia aperte, a quanto pare...



- - - -


Ehilààààà!!!!

Quanto tempo è che non ci sentiamo?

Mi scuso per la mia assenza, ma come ben sapete, per me è sempre un po' complicato riportare queste testimonianze di vita vissuta e – ahimè – reale.

Questo racconto è fresco fresco, accaduto proprio da poco, ed è stato capace di risvegliare in me l'ispirazione per tornare a condividere con voi tanto disagio!

Siete felici? ^^”

Per chi si stesse chiedendo che razza di canzone stesse intonando il folle che passeggiava dietro di noi, be', era questa roba, per intenderci il tizio stava “eseguendo” a ripetizione la melodia iniziale:

Betta Lemme – Bambola

Spero di non trascorrere più tanto tempo lontana da voi, anche perché leggere le vostre spassose recensioni mi rende estremamente felice e gioiosa *___*

Detto questo, attendo i vostri commenti e vi do appuntamento alla mia prossima disavventura!

Grazie a tutti coloro che hanno letto finora e che continueranno a farlo, e a presto (spero) ♥

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