Necromancer - Il Risveglio del Corvo di Just_Charlie (/viewuser.php?uid=948232)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 1 *** Uno ***
Ripubblico
questa storia che non so come mai si fosse cancellata.
I
commenti sono molto apprezzati :)
Buona lettura!
CAPITOLO
UNO
Qualcuno
bussò alla
porta.
Merda.
Charlie
mise in pausa la sua serie tv preferita e si fermò in
ascolto di
qualsiasi rumore che potesse provenire dal corridoio. Nulla. Neanche
un respiro. Si preannunciavano guai. Fosse stato uno degli altri
ragazzi, l'avrebbe sentito anche attraverso le cuffie con la musica a
tutto volume. E la sua musica sapeva come essere
rumorosa.
Charlie
cominciò a mordicchiarsi l'interno della guancia e
guardò il letto
vuoto della sua compagna di stanza. Ovvero: non era esattamente
vuoto; prima di sgattaiolare fuori dalla finestra per andare a una
festa con gli altri, Linn aveva incantato i suoi cuscini in modo che
replicassero alla perfezione la sua figura addormentata. Sarebbe
stato necessario uno sguardo più che attento
perché qualcuno si
accorgesse che era solo una Proiezione. Peccato avessero usato quel
trucco almeno un migliaio di volte – e fossero state beccate
per
minimo la metà di esse.
Bussarono
di nuovo.
«Young,
Black, aprite la porta.»
La
voce gracchiante e autoritaria di Mrs Crane mandò Charlie
nel
panico. Senza sapere cosa fare, si alzò in piedi e
cominciò a
mordicchiare le pellicine del pollice, percorrendo a grandi passi lo
spazio ristretto tra la finestra e la porta. David
Tennant la fissava con la bocca aperta e gli occhi
spiritati
attraverso lo schermo del pc. Don't blink. Charlie
si fermò.
Cosa avrebbe fatto il Dottore al suo posto?
Improvvisando,
si tirò su il cappuccio della felpa –
perché i più duri avevano
sempre il cappuccio calato sulla testa – e aprì la
porta di uno
spiraglio. Mise la testa fuori e strizzò appena gli occhi,
abbagliata dal corridoio illuminato a giorno. Mrs Crane stava davanti
a lei, mani sui fianchi ed espressione di chi è pronto a dar
battaglia. Charlie non si vergognava neanche un po' ad ammettere a se
stessa che le faceva paura. Era una donna alta e ben piazzata;
nonostante fosse più vicina ai settanta che ai sessanta
– così le
voci dicevano – aveva folti capelli castani raccolti in una
stretta
treccia che le arrivava fino a metà schiena. Era una delle
combattenti più dotate che Charlie avesse mai conosciuto, e
sorvegliava la casa in cui vivevano come un falco pronto a piombare
sulla preda. Altro che Mrs Purr. C'era un motivo se Linn e i suoi
amici erano usciti prima che cominciassero le sue ronde notturne.
«Sì?»
chiese Charlie, cercando di sembrare innocente. Incrociò con
coraggio lo sguardo di Mrs Crane e lo tenne fermo nel suo il
più a
lungo possibile. Sentiva il cuore batterle forte e una parte di lei
temeva che la donna se ne accorgesse. Non poteva far beccare a tutti
l'ennesima punizione. C'erano già abbastanza persone che la
detestavano cordialmente.
«Dov'è
Eveline?»
«Dorme.»
Mrs
Crane la guardò per qualche secondo di troppo,
assottigliando lo
sguardo, come per decidere se crederle o meno.
Don't
blink.
«Tu
perché non sei ancora a letto?» Per un attimo,
Charlie rischiò di
scoppiare a ridere e mandare all'aria tutta la copertura.
«Sto
guardando una cosa al computer.»
Mrs
Crane arricciò le labbra e controllò l'ora sul
suo vecchio orologio
da polso. Charlie si alzò in punta di piedi per dare una
sbirciatina; era quasi l'una.
«Tra
cinque minuti voglio tutto spento, niente discussioni,»
«Sissignora.»
Poi le pose la domanda peggiore che
avesse mai potuto chiederle.
«Hai
visto Aaron?»
«Come?»
«Aaron.
Non riesco a trovarlo. A letto non c'è e nemmeno nelle aree
comuni o
in uno dei suoi soliti nascondigli.»
Un
orribile presentimento affondò nella pancia di Charlie.
«Ha
provato a guardare in frigo?» chiese, sorridendo con un
angolo della
bocca «Quel gatto ama la cioccolata. Sperando che non abbia
mangiato
quella di Jacob... lei sa come diventa Jacob quando gli mangiano la
cioccolata. Fossi in lei correrei di sotto.»
Un'ombra
passò sul volto della donna. Annuì, non
parlò e si allontanò di
fretta. Non appena ebbe svoltato l'angolo, Charlie si girò e
chiuse
la porta con un piede. Si fiondò a cercare il cellulare
sepolto
nelle coperte; quando lo trovò, scorse la lista dei contatti
alla
velocità della luce.
Uno
squillo, due squilli, tre squilli.
Quattro.
Dannazione, Linn, rispondi.
Stava
per riattaccare al settimo biiip a vuoto quando un'esplosione di
musica orribile le perforò il timpano. Voci strascicate e
sconosciute si accavallavano l'una sull'altra, mentre strani
suoni di cui Charlie non voleva scoprire la provenienza facevano da
sottofondo a... beh, al caos.
«CHARLIE!» urlò Linn
«GIÀ TI MANCO?»
Abbassare il volume del telefono non
sarebbe servito a niente, Charlie ne era certa.
«Non gridare, idiota» le bisbigliò
stizzita.
«COOOOSAAAA?
NON TI SENTO, CHARLIZE,
PARLA A VOCE PIÙ ALTA.» Il rumore della mano di
Charlie che
sbatteva contro la sua faccia sovrastò per un istante la
cacofonia
che proveniva da quell'aggeggio infernale. «ASPETTA, PROVO A
USCIRE.»
Dopodiché non si sentì altro se non eco
di musica a palla e gli sporadici insulti di Linn contro le persone
che non si levavano dalla sua strada. Lentamente, tutto si
affievolì
fino a diventare un debole ronzio di coda.
«Dio, Charlie, perché fa così freddo?
Siamo a Settembre, dovrebbe essere ancora praticamente
estate.»
Charlie non fu mai così felice di poter
riaccostare il cellulare all'orecchio senza dover temere la perdita
dell'udito.
«Forse perché sei uscita mezza nuda? Ma
non è questo il punto.»
«Sono in ascolto, mamma.»
Non
perse neanche il tempo di alzare gli occhi al cielo. Tanto l'altra
non l'avrebbe vista. Si sedette sul letto di Linn, pronta a sentire
la risposta che avrebbe posto fine alla loro vita sociale.
Guardò la
Proiezione della sua amica sovrappensiero. Era davvero identica a
Linn: i ricci scuri scuri e così soffici da sembrare una
nuvola, le
lunghe ciglia tremanti, le labbra carnose, leggermente dischiuse, che
sembravano fatte soltanto per essere disegnate o baciate. Le coperte
si alzavano e si abbassavano in sincronia con il suo respiro;
incorniciavano il vitino da vespa che Charlie aveva invidiato da
morire fin dal giorno in cui si erano conosciute ormai quasi quattro
anni prima. Durante le loro prime scappatelle notturne era stato
stranissimo: vedere la sua amica dormire placidamente e al tempo
stesso sapere che la vera Linn sarebbe andata con lei da qualche
altra parte. Fuggire nel cuore della notte con la protezione di
un'Altra-Charlie-ma-non-la-Vera-Charlie
a giacere nel letto al posto suo. Quando ancora viveva con la sua
famiglia non si sarebbe neanche sognata di rischiare – non
che
avesse avuto posti in cui scappare.
Adesso non ci faceva quasi più caso.
Charlie sospirò, poi si decise.
«Aaron è lì?»
Nononononononononotipregodimmidinodimmidinodimmidi-
Linn scoppiò a ridere. «Oh, sì. Non
sappiamo di preciso come abbia fatto, ma è saltato dentro la
borsa
di Melanie e ce ne siamo accorti quando ormai era troppo tardi per
tornare indietro. Quel gatto è fantastico.»
«Quel gatto ci farà finire in punizione
per il resto delle nostre miserabili esisten-»
«GUARDA DOVE CAMMINI, GENIO!»
E di' addio al tuo apparato uditivo.
Charlie si portò una mano all'orecchio, maledicendo per la
trilionesima volta la sua compagna di stanza.
«Ma ti
pare possibile che ci siano ancora persone che tra tutti i chilometri
di
larghezza del marciapiede scelgano sempre di correre nel centimetro
già occupato?!»
«Dovete riportare Aaron indietro,
adesso.»
«Cosa? No!»
«Ascolta, Linn-»
«No, Charlie! Aaron sta bene, l'ultima
volta che l'ho visto gironzolava con Maya mangiando un leccalecca.
Capisco che tu sia asociale e odi il mondo e quant'altro, ma non per
questo devi rovinare a noi – a me –
la prima festa decente
da-»
«Mrs Crane lo sta cercando.»
Il silenzio raggiunse Charlie come un
vecchio amico che non si vede da anni. E di cui si è
scordato il
nome.
Durò esattamente nove secondi.
«Merda.»
Già. Merda.
***
«GUARDA DOVE CAMMINI, GENIO!»
La scarica che attraversò Logan quando
si scontrò con la ragazza di colore lo lasciò per
un attimo senza
fiato. Si voltò verso di lei, occhi spalancati e cuore
palpitante.
Le dita già gli sfrigolavano, in attesa del colpo che
avrebbero
dovuto parare.
Quel colpo, però, non arrivò mai.
Non è possibile. Non poteva non
averlo riconosciuto, non poteva. Gente come lei era fatta per
cacciare e uccidere quelli come lui, così come lui lei. Era
questione di DNA.
E invece no.
La ragazza gli dava persino le spalle
-completamente indifesa. Stava farfugliando qualcosa al telefono
riguardo marciapiedi troppo grandi e persone maleducate. Come se non
se ne fosse accorta. Come se non l'avesse neanche sentito.
Logan accarezzò l'idea di ucciderla.
Sarebbe stato così facile. Nessuno se ne sarebbe accorto,
umano e
non: avrebbe soltanto dovuto rilasciare un briciolo dell'energia che
gli saltellava sul palmo della mano perché l'aria smettesse
di
raggiungerle i polmoni. O forse le avrebbe fermato il cuore? Arresti
cardiaci da giovani erano rari, certo, ma non impossibili. E Logan
aveva perfezionato un tocco troppo gentile perché qualcuno
potesse
percepire tracce della sua magia. Sarebbe bastato un semplice
schiocco di dita.
(Il più delle volte).
Stava per sfiorare i capelli della
ragazza quando si fermò. Sorrise. No.
Abbassò il braccio con
cautela e proseguì di nuovo in direzione della festa.
La strega sarebbe stata più utile da
viva.
Per il momento.
***
Con uno sbuffo, Charlie chiuse la
chiamata. Maledetta Linn. Non era così che sarebbe dovuta
andare la
sua serata. Mise il cellulare nella tasca dei pantaloni e si
infilò
di corsa il primo paio di scarpe che riuscì a recuperare da
sotto il
letto, lasciandole slacciate. Si girò verso la porta,
pervasa dal
dubbio. Chiuderla o non chiuderla? Se Mrs Crane fosse ripassata di
lì
e l'avesse trovata chiusa a chiave, si sarebbe di certo insospettita.
Dall'altro lato, se fosse entrata e non l'avesse trovata a letto
–
o peggio, se avesse smascherato la Proiezione di Linn –
sarebbero
stati guai seri. Charlie non aveva il tempo materiale per produrre
una Proiezione anche per sé. E poi era Linn quella veramente
brava;
il massimo che lei fosse mai riuscita a ottenere era stata una
figurina minuta e con i capelli corti come i suoi, ma con la faccia
completamente diversa.
Dandole un'ultima occhiata veloce,
Charlie sbuffò di nuovo e girò la chiave nella
serratura. Una porta
chiusa le avrebbe fatto guadagnare un paio di minuti in ogni caso.
Già si sentiva il fiato sul collo.
Io Linn la ammazzo.
Si preparò mentalmente all'impresa e
spalancò la finestra. La scavalcò con una gamba,
sedendosi
sull'infisso, e guardò in basso. Avrebbe potuto scendere a
terra
anche a occhi chiusi; lei e Linn avevano passato un pomeriggio intero
sedute sull'erba davanti a quella parete per studiare tutti gli
appigli più sicuri. Il percorso era perfetto ed era stato collaudato
infinite volte. Non c'era pericolo di cadere.
Se solo quell'orribile presentimento
avesse smesso di tormentarla. Le faceva prudere il naso.
Charlie scacciò dalla testa ogni
pensiero che non riguardasse il recupero di Aaron. Non si
guardò più
indietro, scavalcò la finestra anche con l'altra gamba e
cominciò
la discesa, aggrappandosi ad ogni sporgenza e ai rampicanti
più
resistenti. Quando mancavano un paio di metri si lasciò
cadere nel
vuoto. Atterrò piegando le gambe e rotolando per attutire il
colpo,
silenziosa come un ninja.
«Black»
Le sembrò che la terra le venisse
sfilata da sotto i piedi.
«Yuh-uhuh? C'è nessuno? Avanti, Black,
esci fuori da quei cespugli. Tanto lo sai che ti ho vista»
Charlie, reclutante, si alzò. Ma
l'orizzonte era sgombro fin dove poteva vedere; non c'era traccia del
proprietario della voce.
«Sono qui sotto!» cantilenò. Charlie
si girò un po' verso destra, strizzando gli occhi. A qualche
metro
da lei, nascosto dall'ombra di un albero, stava steso un ragazzo con
una zazzera di capelli tinti di un rosso fuoco quantomai ridicolo.
«Che ci fai fuori da sola nel cuore della notte, Charlie
Brown?»
Charlie, per l'ennesima volta, sbuffò.
«Non ho tempo per i tuoi giochetti,
Bartholomew» Lui
scoppiò a ridere.
Charlie si guardò intorno, sperando che non li vedesse
nessuno
«Bene, è stato bellissimo chiacchierare con te, ma
io adesso dovrei
andare.» Cominciò ad avviarsi nella direzione
opposta, quando la
voce del rosso la bloccò di nuovo.
«A meno che non vada ad avvisare la
nostra cara Mrs Crane?»
Chiuse gli occhi e respirò piano.
«Che cosa vuoi?»
«Oh, finalmente ci siamo» Bartholomew
si alzò lentamente, stiracchiandosi pigro come un gatto
«Dove stai
andando?»
«A salvare il culo a quelli che sono
andati alla festa perché si sono portati Aaron e la Crane lo
sta
cercando.»
Il ragazzo arricciò le labbra e si
avvicinò di qualche passo «Sembra noioso»
«È una fortuna che non sia tu a doverlo
fare, allora» disse Charlie stizzita. Stava perdendo tempo.
Troppo
tempo «Posso andare, ora?»
«Certo che no! Dobbiamo ancora stabilire
che cosa mi devi in cambio del mio silenzio»
«Ma che idiozia è q-»
«Oh, guarda. Si è accesa una luce in
soggiorno» Charlie si girò ad occhi sgranati, lo
sguardo incollato
alle finestre illuminate. Doveva andarsene. Adesso. «Potrei
anche
lanciare un sassolino contro il vetro e vedere se qualcuno
risponde»
«Oppure potrei lanciare io
qualche sassolino e vedere se qualcuno risponde»
A quelle parole, le sopracciglia di
Bartholomew scattarono verso l'alto.
«Io non credo, piccola Nec. A
meno che tu non voglia far visita ai tuoi genitori» Ma
Charlie
leggeva qualcosa di diverso dalla spavalderia nelle sue spalle
d'improvviso più rigide e le mani che fremevano. Incertezza.
Paura.
Ce n'era sempre un po', quando il vento soffiava dal lato sbagliato e
lei era nei paraggi.
Bartholomew rise, una risata leggera che
non raggiungeva gli occhi. Indietreggiò di un passo,
lasciandola
andare. «Sappi però che mi devi un favore,
Black.»
Charlie non lo degnò di un altro sguardo
e si avviò verso i confini del parco. La luna nuova dava un
minimo
di protezione da occhi indiscreti, ma Charlie si tenne comunque
lontana dalla strada sterrata che conduceva al cancello d'entrata.
Nascosta in mezzo ai cespugli, c'era una parte della solida
recinzione in ferro battuto sotto la quale era stato scavato un
passaggio largo abbastanza per il più grande di loro.
Piccolina
com'era, Charlie non dovette nemmeno sforzarsi per sgusciare via.
Qualche metro più avanti si stagliava
invisibile la barriera che avvolgeva la casa come una cupola. Teneva
lontani i nemici – ma soprattutto gli umani. Dall'esterno era
pressoché impenetrabile. Dall'interno... beh, quelle erano
di certo
un altro paio di maniche. Già da prima che Charlie
arrivasse, i
ragazzi erano riusciti a indebolirla in prossimità del
passaggio,
così che la vibrazione di energia durante le loro
uscite-non-esattamente-autorizzate fosse a stento percettibile.
Charlie individuò in fretta il punto, quel debole tremolio
captabile
solo da occhio non-umano che a tratti rifletteva il luccichio delle
stelle. Quando lo attraversò incontrò soltanto
una leggera
resistenza.
Dall'altro lato, le sembrò di respirare
per la prima volta. I campi di forza non erano la sua passione.
Raggiunse la strada e recuperò una
bicicletta malridotta mimetizzata tra i rovi e le radici degli
alberi.
Non le restava che pedalare e pedalare,
sperando che non fosse già troppo tardi.
***
Linn si strinse nella giacca di pelle e,
nonostante i brividi di freddo, decise di restare fuori qualche altro
minuto. Rovistò nella tasca sinistra e prese l'ultima
sigaretta dal
pacchetto. Era il terzo di quella settimana; se Mrs Crane o la
Direttrice Monroe l'avessero scoperta, l'avrebbero di certo rinchiusa
a vita. Non che adesso fosse autorizzata a fare alcunché
– ma
almeno la sorveglianza era ridicola.
Tranne quando scoprivano che Aaron ne
aveva combinata una delle sue.
Linn sospirò, fissando quel piccolo
cilindro bianco con la fronte aggrottata. Se non si contava il
filtro, era lungo quanto il suo indice, fragile e liscio; sotto la
superficie poteva sentire tutti i suoi componenti tritati e pressati
assieme per creare quel piccolo assaggio di peccato. Avrebbe dovuto
premere solo un po' più forte per spezzarlo in due. Se lo
lasciò
rotolare sulla pelle, stretto tra due dita. Poi, senza rimuginarci
ancora, si appoggiò al muricciolo dietro di lei e accese la
sua
ultima sigaretta.
Si godette la sua piccola bolla di
silenzio, estraniandosi dal caos della festa a qualche decina di
metri da lei.
La lasciò insoddisfatta, come sempre.
Spense il mozzicone con la punta delle
décolleté e tornò dentro.
Il calore che la investì fu quasi un
sollievo, la musica a tutto volume, le risate, le luci, i colori.
Appese la giacca sull'unico appendiabiti che non straripasse e si
rituffò nel mare di corpi che si dimenavano al ritmo
dell'house. Non
esattamente il suo genere preferito, ma si accontentava.
Dove diavolo erano finiti i suoi amici?
Quando era uscita per parlare con Charlie li aveva lasciati
praticamente all'entrata, ma di loro non c'era più traccia.
Charlie.
Linn si morse il labbro, e cominciò a
cercare in giro. Doveva ammetterlo: si sentiva un po' in colpa. C'era
un motivo se Charlie non aveva voluto venire alla festa, e davvero,
Linn lo capiva. Non doveva essere bello vedere la ragazza per cui hai
una cotta da quando hai memoria infilare la lingua nella bocca di
qualcun'altra. E dire che Mary Reed non si facesse riserve era
più o
meno l'eufemismo del secolo.
«Jacob!» esclamò Linn, afferrando il
braccio del ragazzo. Lui e gli altri si erano rintanati in un
angolino mal illuminato, accatastati su un divano che aveva visto
giorni migliori. Era impossibile respirare aria che non fosse
contaminata da fumo non-esattamente-di-sigaretta. Seduto nel mezzo
tra i cuscini strappati c'era un tizio – un umano
– con un
sorriso ebete incollato sulla faccia.
Era completamente fatto.
«Linn!» Jacob la avvolse in un mezzo
abbraccio, facendola cadere sopra di lui «Dove ti eri andata
a
cacciare? Ma adesso non importa,» la zittì ancora
prima che
cominciasse a spiegare. Un sorriso sghembo gli uscì sulle
labbra,
mentre cercava (invano) di sembrare serio. «In questa
bellissima e
gloriosa serata, mia cara Eveline, ho l'onore di
presentarti...»
Scoppiò in una risata sguaiata, e diede una pacca sulla
spalla al
ragazzo accanto a lui per richiamare la sua attenzione «Ehi,
com'è
che ti chiamavi?»
Quello si girò verso di loro, aprì
ancora di più il sorriso e si accasciò contro lo
schienale del
divano emettendo versi incomprensibili.
«Non credo abbia mai detto il suo nome,»
commentò Cam dall'altro lato del divano.
«Porca vacca. Ma che diavolo gli avete
dato?»
«Una
delle nostre.»
Cam prese un
sorso del suo drink azzurro puffo e sprofondò l'indice nella
guancia
del ragazzo. Non ottenne alcuna reazione. «Guardalo,
è così
carino. Quando si sveglierà domani... sera –
sì, dai, per domani
sera riuscirà a svegliarsi, no? - gli sembrerà di
essere tornato
dal paese delle meraviglie.»
Linn alzò gli occhi al cielo, ma si
lasciò scappare un mezzo sorriso. Si sistemò
meglio sulle gambe di
Jacob e gli rubò di mano il suo bicchiere. Annusò
il liquido
arancione che conteneva, girando con la cannuccia i cubetti di
ghiaccio che stavano sciogliendo. Prese un piccolo sorso di prova, e
sospirò contenta. Sì, c'era abbastanza alcol.
«Sapete dov'è Aaron?»
«Chi?»
Linn sbuffò e tirò un calcio a Cam,
facendo ondeggiare pericolosamente l'umano tra di loro. Jacob lo
raddrizzò con una mano «Aaron, idiota.»
Di fronte all'espressione persa del
biondo, la ragazza si girò verso Jacob. Il suo sguardo
colpevole
parlava da sé.
«Uhm,» Jacob finse un colpo di tosse.
Linn alzò un sopracciglio. «Anche Cameron potrebbe
essersi fumato
un paio delle nostre sigarette artigianali?»
Gran bel nome per della marijuana
incantata. Almeno lei fumava solo tabacco.
«Definisci un paio.»
«Cinque o sei?»
Linn nascose la testa tra le mani. Erano
proprio nei pasticci.
«È la volta buona che ci uccidono.»
***
Non appena arrivato sul tetto della
fabbrica, Logan fece apparire un fuoco scoppiettante in uno schiocco
di dita e scintille argentate. Si tolse la giacca di jeans cercando
di non badare al freddo e si stiracchiò, tendendo le braccia
per
sciogliere i muscoli.
Tagliò fuori qualsiasi rumore che non
fosse il battito del suo cuore o la voce ancora senza volto che
continuava a chiamare il suo nome.
Logan. Logan. Logan.
Il brivido che gli percorse la schiena
non aveva nulla a che vedere con la temperatura.
Il ragazzo si scrocchiò le dita.
C'era del lavoro da fare.
|
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Capitolo 2 *** Due ***
CAPITOLO
DUE
Charlie lo capì prima ancora di scendere
dalla bicicletta: Linn aveva mentito. Non faceva freddo. Si
gelava.
C'era qualcosa di terribilmente
sbagliato.
Abbandonò la bici accanto a un lampione
senza preoccuparsi di legarla e infilò le mani nelle tasche
della
felpa, rabbrividendo. Faceva davvero troppo freddo. Quasi le
lacrimavano gli occhi, e i suoi respiri si trasformavano in nuvolette
bianche che si disperdevano nell'aria. Non era normale. Non era
naturale.
Doveva trovare Aaron e andarsene di lì
con Linn e gli altri il più in fretta possibile.
Accelerò il passo, seguendo la musica e
le luci. Si trovava in quel genere di aree di periferia
pressoché
abbandonate che una città migliore avrebbe riconvertito in
un
quartiere alla moda. Vecchie fabbriche trasformate in costosi loft,
magazzini in negozi, il canale secco e in disuso in uno skatepark o
in uno spazio per la streetart. Invece la sola gente -umana-
che lo abitava erano spacciatori, drogati, persone poco
raccomandabili e auto di passaggio che prendevano puntualmente la
svolta sbagliata. E, ovviamente, ragazzi che organizzavano feste
clandestine negli edifici fatiscenti.
Era un miracolo che non fosse ancora
arrivata la polizia. Questa volta avevano scelto una tra le fabbriche
più isolate, con un largo spiazzo di cemento attorno e un
muretto
crepato che la circondava. Si sentiva la musica -pessima- a tutto
volume anche senza entrare, e c'era gente ovunque. Gruppi che
fumavano e sghignazzavano seduti sul muretto, un paio che si davano
da fare nascosti tra le macchine parcheggiate; c'era una ragazza che
vomitava in un angolo appoggiata al muro, e un debole scintillio
proveniva persino dal tetto. Charlie si guardò attorno,
spaesata e
sconfortata. Come avrebbe fatto a trovare i suoi amici in mezzo a
tutto quel casino?
Si fermò davanti al cancello d'entrata
quando un tizio grosso e vestito di nero le si parò davanti,
facendola quasi cadere su di lui. Charlie sbuffò. Possono
permettersi un buttafuori ma non un impianto elettrico decente?
L'energumeno la guardò dall'alto in basso, braccia
incrociate e
tipica posa da buttafuori che non si beve le tue bugie. I suoi
piccoli occhi quasi scomparivano sotto le sopracciglia scure e
foltissime.
«Devo entrare,» disse Charlie facendo
un passo indietro. L'uomo le indicò la mano con un cenno
della testa
e divaricò le gambe.
«Se non hai il marchio non passi.»
Ne ho anche troppi, di Marchi.
Charlie alzò gli occhi al cielo, e si girò verso
gli altri ragazzi.
Sul dorso della mano sinistra c'era quello che sembrava lo stampo di
due cerchi blu intrecciati. Fantastico. Controllando per sicurezza
che nessuno stesse guardando dalla sua parte – erano tutti
troppo
impegnati a pomiciare o rigurgitare l'anima – fece un sorriso
accattivante in direzione del buttafuori.
«Giusto, prima hanno sbagliato e me
l'hanno fatto sulla destra» Charlie tirò fuori
dalla tasca anche
quella mano e la mostrò al buttafuori. Un leggero formicolio
le
attraversò le dita, mentre l'incantesimo lavorava nella
mente
dell'uomo e gli faceva vedere due nette circonferenze blu stampate
sul dorso della sua mano. Un vago odore di caramello bruciato si
diffuse nell'aria attorno a loro. Compulsione. Non
era legale
farne uso, ma ehi – a mali estremi, estremi rimedi, no? E poi
era
troppo facile incantare gli umani. A Charlie sembrava quasi una
seconda natura. Non che l'idea non la disgustasse.
Il buttafuori le guardò la mano per
appena un istante, poi annuì e si fece da parte.
L'interno della fabbrica era anche
peggiore di come se lo fosse prospettato: norme di sicurezza (e
igiene) del tutto ignorate, musica assordante che ti rimbombava nelle
ossa, fiumi di gente vestita nelle più disparate maniere
(dalle
minigonne inguinali alle t-shirt di Game of Thrones,
e per un attimo le era parso di vedere allontanarsi un ragazzo con un
paio di scintillanti ali da fata). Ovunque c'erano ragazzi e ragazze
che ballavano, stretti gli uni agli altri, agitando la testa a tempo
o con movimenti sinuosi e sensuali. Lungo le pareti erano stati
sistemati vecchi divani e sedie un po' spagliate. Dall'altra parte
della stanza, in posizione rialzata, si poteva vedere una sorta di
bar improvvisato, affollatissimo. Il barista era un ragazzo con i
capelli blu elettrico sparati in tutte le direzioni e la canottiera
nera appiccicata al petto per il sudore. Lavorava alacremente e
sorrideva a tutti, distorcendo le linee dei tatuaggi che aveva
accanto a entrambi gli occhi allungati.
Charlie non avrebbe mai potuto non
riconoscerlo. Cominciò a farsi strada tra la folla, puntando
verso
di lui. La musica la assordava e il caldo era opprimente, soffocante.
Troppo diverso dal gelo che c'era fuori. Raggiunse il bancone dopo
millenni, schiena sudata e fiato grosso e maniche della felpa
arrotolate fino ai gomiti. Si sollevò in punta dei piedi per
farsi
vedere e si appoggiò al microscopico bancone di metallo,
umido ma
sorprendentemente pulito. A una manciata di metri lampeggiava
debolmente l'insegna di un'uscita d'emergenza. Almeno quella
c'è.
Il barista dava a Charlie le spalle,
indaffarato a mescolare alcolici a succhi coloratissimi. La gente
premeva accanto a lei, sgomitando per trovare un posto e ordinare per
primi. Ma quando il ragazzo si voltò fu lei che
notò per prima. Le
annuì in segno di riconoscimento e servì gli
ultimi ordini pronti;
poi fece un cenno a un altro ragazzo che stava seduto ad un angolo
con una mezza sigaretta spenta stretta tra le labbra. Quello si
alzò
con un grugnito e lo sostituì rapidamente al bancone.
Charlie indicò con la testa l'uscita
d'emergenza e il ragazzo dai capelli blu aprì la strada. Ci
vollero
diverse spinte perché il maniglione si sbloccasse,ma alla
fine la
porta si spalancò e uscirono. Due ragazze all'interno
sibilarono per
il freddo improvviso. Charlie respirò a pieni polmoni,
rabbrividendo, mentre lui si stiracchiò un poco e fece per
accendersi una sigaretta.
«Non farlo.»
Il ragazzo scoppiò a ridere, e fece
scattare l'accendino. Si infilò la sigaretta in bocca e la
accese,
voltandosi verso Charlie con un sorriso a labbra strette.
Inspirò
socchiudendo le palpebre, assaporò per qualche secondo, poi
le
soffiò il fumo in faccia. Charlie strizzò gli
occhi e agitò le
mani per dissipare la nuvola chiara.
«Che vuoi, Black?»
«Dobbiamo trovare i miei amici e far
scappare tutte queste persone il più presto
possibile,» rispose
Charlie tutto d'un fiato. Lui sollevò le sopracciglia.
«E da quando in qua tu hai amici?»
Charlie alzò gli occhi al cielo, ma preferì non
commentare.
«I ragazzi della Monroe,» disse invece.
Lui annuì con un sorriso sarcastico e
fece un altro tiro.
«Altro?»
«Stanno per squarciare il Velo.»
Questo catturò la sua attenzione. Si
levò la sigaretta di bocca e la gettò a terra
come se si fosse
bruciato. «Fottute sigarette. Non ho sentito
niente.»
«Fa freddo,» osservò Charlie a bassa
voce, ma i suoi occhi erano già stati catturati da
qualcos'altro.
Una figura minuta, seminascosta tra le macchine, seduta sul cofano di
una vecchia Honda ammaccata; i capelli lunghissimi sfioravano il
cofano grigio metallizzato; una mano sprofondava in una palla nera
che agitava pigramente la coda.
Maya e Aaron.
«Aaron!» esclamò Charlie, il nodo allo
stomaco che cominciava finalmente ad allentarsi. Gatto e ragazzina si
voltarono in sincronia, e sul viso di lei si dipinse un sorriso.
Saltò giù dal cofano, recuperò uno
zainetto da terra e prese in
braccio il gatto, poi trotterellò fino a raggiungere
Charlie. A
nessuno scappò il sospiro di sollievo di Charlie. Maya le
passò lo
zaino e la guardò con occhi grandi e velati dal sonno.
«Quando torniamo a casa?»
«Presto,» la rassicurò Charlie,
sistemandosi lo zaino sulle spalle. «Dobbiamo solo sistemare
un paio
di cose e poi andiamo.»
«Cosa vuoi che faccia?» disse il
ragazzo.
Charlie si girò verso di lui,
un'espressione decisa sul volto.
«Fa' scattare l'allarme antincendio,
così la gente comincerà ad uscire. Noi intanto
andiamo a cerc-»
«Non c'è.»
Charlie si fermò.
«Cosa?»
«L'allarme antincendio. Non c'è.»
«Dimmi che è uno scherzo.»
Di fronte al suo silenzio, Charlie chiuse
gli occhi e si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli
tutti.
Maledizione. E ora cosa avrebbero dovuto fare?
«Non riesci magari a farlo scattare
comunque? Tanto non penso qualcun altro si sia accorto che manchi.
Sono tutti troppo andati per ricordarsi chi siano, figurarsi-»
«No, ovviamente» la bloccò lui.
Charlie aggrottò la fronte «Ma non puoi
bypassare il Marchio e usare la loro parte di-»
«Tu puoi?» Il ragazzo alzò le
sopracciglia e fece una smorfia «Wow. Quindi quelli del
Consiglio
non sono tutti degli stronzi. Sono sorpreso.»
«Posso farlo io,» disse Maya con voce
esitante, occhi puntati sulle sue scarpe. «Come quando c'era
la
verifica di matematica e io non avevo studiato.»
Charlie si morse il labbro, arricciò la
bocca e poi si arrese: sorrise e si accovacciò un poco per
raggiungere l'altezza di Maya.
«L'hai fatto davvero?»
La ragazzina alzò lentamente lo sguardo,
ma di fronte al sorriso di Charlie si illuminò
«Sì, e non se n'è
accorto nessuno! Neanche il preside o la Direttrice Monroe.»
«Allora è deciso.» Charlie si
rialzò
e posò la mano sulla spalla di Maya, che ancora stringeva
forte
Aaron. Sembrava che il gatto si fosse addormentato tra le sue
braccia. «Noi facciamo questo e vediamo di far scappare la
gente,
mentre tu-»
«Mentre io trovo i tuoi amici e
li sgrido perché sono usciti di domenica sera»
concluse il ragazzo
«Luogo di ritrovo?»
«Ho lasciato la bicicletta a un lampione
a mezzo isolato da qui.»
Lui sbuffò divertito, ma annuì.
Quando rientrarono, quel calore
opprimente li investì di nuovo, facendoli quasi
rabbrividire. Maya
si strinse a Charlie automaticamente. La folla sembrava aumentata
ancora di più. Girandosi verso di lui, Charlie si accorse
che il
ragazzo si stava già allontanando.
«Kyle!» lo chiamò. Anche con tutta
quella musica, lui riuscì a sentirla lo stesso.
«Che c'è?»
Grazie,
pensò Charlie.
«Vedi di muoverti.»
***
Esausto, Logan recuperò la giacca da
terra e si appoggiò al cornicione del tetto della fabbrica.
Si
infilò la giacca e tirò fuori da una tasca il
cellulare. Sarebbero
state le due meno un quarto in una manciata di minuti; era quasi
l'ora.
Ci erano voluti secoli a incidere nel
cemento armato il pentacolo che adesso pulsava costante a qualche
passo da lui. Sembrava quasi ardesse dello stesso colore mutevole del
fuoco, traendone energia inspessendosi e fortificandosi. A pensarci
bene, avrebbe potuto essere veramente così: vi era sempre
stata una
componente dei suoi poteri che Logan non era mai riuscito a dominare
del tutto. Il più delle volte, comunque, le conseguenze non
erano
state così disastrose.
Il più delle volte.
Si sedette a gambe incrociate accanto al
fuoco, un miscuglio di fiamme rosse e argentee che schioccava e
scoppiettava, vibrando nell'aria sempre più fredda della
notte. Nel
giro di qualche minuto, tutto sarebbe stato ricoperto da uno spesso
strato di ghiaccio. E chiunque si fosse ancora trovato alla festa di
sotto... beh, sarebbe morto.
Logan si strinse nella giacca di jeans,
sorprendendosi per un istante che il suo respiro non si trasformasse
in bianche nuvolette di vapore. La realtà era che non faceva
davvero
così freddo; il gelo che Logan sentiva non era in alcun modo
naturale. Proveniva da un mondo diverso dal suo, un piano di
esistenza più alto e più bianco
che per qualche motivo era
in perpetua intersezione con la Terra. Il sottile lembo di
realtà
che li teneva separati era invisibile e teoricamente impenetrabile.
Ma bastava sapere quali fili tirare per cominciare a disfare
l'intreccio e sfumare le linee di confine.
Se eri abbastanza bravo, riuscivi persino
a dare un'occhiata dall'altro lato. E portare indietro qualcosa.
Qualcuno.
Logan. Logan. Logan.
Era da lì che arrivava il freddo. O
meglio, era da lì che il calore veniva risucchiato.
Due meno un quarto.
«Logan.»
Il ragazzo si alzò fulmineo, sul volto
l'espressione colpevole di un bambino che è stato scoperto
dai
genitori a dire le parolacce.
«Maestro.»
L'uomo si avvicinò lentamente, in
silenzio, il viso coperto dal profondo cappuccio di un mantello
bianco. Era a piedi nudi. Logan si mise più composto,
schiena dritta
e braccia lungo i fianchi.
«Sono pronto.»
La sua affermazione si perse nel caos
della festa che continuava a impazzare. Ma il Maestro parve averlo
sentito ugualmente. Si fermò a debita distanza, le spalle
rivolte
verso il vuoto oltre il tetto. Passò lo sguardo dal
pentacolo al
fuoco che ancora ardeva, fino a focalizzarsi su Logan. Il ragazzo
poteva sentire i suoi occhi addosso, lungo la giacca in denim, i
pantaloni chiari, le Converse consumate, i capelli disordinati da
dita nervose. C'era giudizio, in quegli occhi. C'era potere.
Le fiamme crepitanti riuscivano a stento
a violare le ombre che coprivano il suo volto. Restituivano a Logan
poche, frammentate istantanee dell'uomo che aveva imparato ad adorare
e temere. Il guizzo del suo sguardo indagatore. Il bagliore di una
catenina d'argento. Lo scintillio di canini scoperti in un...
sorriso?
«Puoi procedere, Logan.»
Logan annuì.
«E vedi di non deludermi»
Il ragazzo annuì di nuovo, strizzò un
attimo gli occhi, poi distolse lo sguardo. Si posizionò al
centro
del pentacolo, circondato dalle cinque punte della stella
perfettamente simmetrica. Aveva le mani strette a pugno, le nocche
tanto tirate da essere bianche. In fondo non avrebbe dovuto essere
troppo difficile, no? Di solito la Necromanzia non gli dava grandi
problemi. Nel peggiore dei casi, il fuoco sarebbe stato di grande
aiuto.
Il più delle volte.
Il più delle volte.
Logan guardò un'ultima volta il suo
Maestro; stava osservando qualcosa al piano di sotto, sopracciglia
corrucciate ma con una strana espressione divertita. Logan
sospirò.
Le linee che aveva tracciato con mano ormai esperta sul polso
sinistro sembravano quasi bruciare.
Ce la poteva fare.
Chiuse gli occhi.
Lasciò la mente espandersi nel buio,
finché la sua coscienza non intravide uno spiraglio di quel
tunnel a
senso unico che era il Velo.
Logan. Logan. Logan.
Poteva quasi percepirlo.
In quello stesso istante, gli esplose
nelle orecchie il frastuono di un allarme antincendio.
***
Qualcuno la stava guardando dal tetto
della fabbrica. Charlie non riusciva a vederlo bene, ma sapeva
che nel marasma di persone davanti all'entrata stava guardando
proprio lei. Non poteva essere altro; il cappuccio
bianco lo
impediva.
Necromante.
Strinse più forte Maya; anche lei stata
guardando in su, gli occhi grandi e spaventati. Aaron era finito
dentro lo zaino, la testolina nera che sbucava dalla zip chiusa per
metà.
«Ma- ma quello è...»
«Shh» Charlie abbassò lo sguardo e
sorrise a Maya. «Va tutto bene, non può farci del
male. Noi siamo
qua sotto e lui è lì sopra, no?»
Maya parve pensarci un po' su, poi annuì
anche se poco convinta. Stavano cercando di individuare Linn, Kyle e
gli altri nel fiume di gente che stava uscendo dalla fabbrica.
L'allarme di Maya squillava forte e incessante, quasi stordendole. La
quantità di persone che era alla festa era allucinante. La
tragedia
non era ancora stata del tutto evitata, ma almeno ridimensionata.
Charlie era comunque un fascio di nervi.
Sentiva l'energia pulsare tutto attorno a lei, il Velo che si
assottigliava fino a bucarsi. Il richiamo. Logan, Logan,
Logan.
Non aveva idea che le fosse mancato così tanto. Quel guizzo
elettrico che avrebbe potuto incendiare l'aria, la mente che si
apriva e dilatava, la vita, tenuta in punta di dita. Era quasi come
essere un dio.
Charlie chiuse gli occhi, godendosi la
sua dose come un drogato in astinenza da giorni. Un po' la
spaventava, il potere che aveva ancora su di lei. Un po' la eccitava.
Qualcuno le andò a sbattere addosso
facendola tornare alla realtà. Stava per urlare qualcosa di
brutto
alla ragazza che l'aveva spinta, quando si accorse di chi fosse.
Mary Reed.
Correva nella direzione sbagliata.
Senza pensarci due volte, Charlie lasciò
Maya e si lanciò all'inseguimento. Bloccò Mary
con uno strattone al
braccio. La ragazza urlò e si girò spaventata.
La Compulsione la investì come un'onda
anomala. Charlie la vide bloccarsi e rilassarsi di colpo mentre
l'energia la avvolgeva e un sottile filo invisibile legava la sua
mente alla volontà di Charlie. Il Marchio tra le scapole di
Charlie
cominciò a bruciare, consumando la sua energia. Ma lei
strinse i
denti e andò avanti.
Mary le sorrise.
Dio, quanto si sentiva in colpa.
«Reed,» disse Charlie, voce ferma e
sguardo puntato negli occhi dell'altra «Ti sei dimenticata il
cellulare a casa. Corri a prenderlo.»
Mary stava per annuire ed andare quando
il ciondolo che Charlie portava al collo cominciò a
brillare.
Charlie sentì qualcosa sbloccarsi e propagarsi come un
terremoto. Un
brivido le percorse la schiena.
Sapeva esattamente di che cosa si
trattasse.
Fu in quel momento che i corpi
cominciarono a cadere.
***
Logan stava perdendo il controllo.
Logan. Logan. Logan.
La voce che lo chiamava non era più una
semplice voce. Stava prendendo forma nella sua testa, e diventava
ogni secondo più forte, più grande.
Era un mostro.
Stava ridendo.
E Logan... beh, Logan stava morendo.
Il ragazzo aprì di scatto gli occhi e
saltò fuori dal pentagramma, ma ormai era troppo tardi. Le
fiamme
argentee si dimenavano come in una tempesta, e il freddo diventava
ogni secondo più penetrante. Il respiro gli si
ghiacciò in gola.
Adesso poteva davvero vedere il fiato che si congelava in tante
nuvolette di vapore davanti alla sua bocca; la giacca di jeans era
completamente inutile.
Il fuoco si spense in uno sbuffo.
Logan. Logan. Logan.
Violet.
L'ultima cosa che poté fare fu
aggrottare le sopracciglia in confusione, e vedere il suo Maestro
sorridere.
Poi la vita lo lasciò.
E la bestia ne prese il posto.
***
«CHARLIE!»
Charlie si girò per vedere Maya che
correva verso di lei, terrorizzata.
«Resta con me,» disse Charlie a Mary.
Poi le prese la mano senza badare alle farfalle nello stomaco e
cominciò a correre. Si scontrò con Maya in un
abbraccio che le fece
cadere a terra mentre l'ondata di morte le raggiungeva. Il freddo le
bruciò i polmoni, saettandole fin dentro le ossa. Era quello
che
accadeva quando un Necromante non era abbastanza forte: la creatura
evocata si liberava e recuperava l'energia necessaria ad attraversare
il Velo da sola risucchiandola da qualsiasi essere vivente
incontrasse nel suo cammino.
«Va tutto bene,» bisbigliò Charlie
nell'orecchio di Maya, tenendola stretta a sé, l'altra mano
intrecciata a quella di Mary «Il ciondolo della mia famiglia
ci
proteggerà. Lo vedi quanto luccica?» dopo qualche
secondo, Maya
annuì. Anche se aveva la testa girata dall'altra parte,
Charlie
riusciva a vederlo. Era quasi accecante.
Non era mai stata così contenta di
essere una Black.
Logan. Logan. Logan.
Violet.
Charlie alzò lo sguardo.
E vide Linn cadere.
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Capitolo 3 *** Tre ***
CAPITOLO
TRE
I
telegiornali ne
parlavano ancora dopo tre giorni: un terribile incendio
scoppiato in una fabbrica abbandonata dove dei ragazzi avevano
organizzato una festa non autorizzata. Ventisette vittime. La strage
più grande che si fosse mai verificata da quelle parti.
Non
era stato un incidente.
Dio,
non era stato nemmeno un incendio.
Ma
questo, gli umani non l'avrebbero mai saputo.
Charlie
arrancava assonnata tra i corridoi del liceo, non guardando nemmeno
dove stesse andando. Erano giorni che non dormiva – tre
giorni, per essere precisi – e
per quanto riuscisse a resistere, la stanchezza stava cominciando a
farsi sentire.
Ventisette
vittime.
Non
era stato un
incidente.
Linn
non si era ancora svegliata.
Charlie
non aveva la più pallida idea del perché
l'avessero costretta ad
andare a scuola. A cosa le serviva, poi, la scuola? Le nozioni che le
sarebbero state utili nel loro mondo non le avrebbe
di certo
imparate in un banale liceo umano. Eppure eccola lì, a
varcare la
soglia dell'aula di Geografia, mentre la sua compagna di stanza
lottava per restare in vita. Non le avevano nemmeno permesso di
andarla a trovare in infermeria. L'avevano solo cacciata a letto, e
poi dritta a scuola. Non una parola. Non una sgridata. Niente di
niente. Era il terzo giorno che andava avanti così e Charlie
non ne
poteva più. Il non sapere la tormentava.
Si
sedette in uno dei banchi in fondo alla classe e appoggiò la
faccia
sullo zaino a mo' di cuscino, cercando di non farsi vedere dal
professore. Aveva bisogno di una sana dormita. Non ne poteva
più di
rivivere quella notte ogni volta che chiudeva gli occhi.
Lo sguardo di Linn puntato verso l'alto, oltre di lei, sul
tetto
della fabbrica.
Il terrore dipinto nel suo volto.
Quel buco nero di energia che la raggiungeva come l'onda di un
mare in burrasca.
La luce che lasciava i suoi occhi.
E lei che cadeva, come un corpo morto, a terra.
L'urlo disumano che aveva squarciato i polmoni di Charlie e
fatto
scoppiare a piangere Maya.
Basta.
Charlie strizzò gli occhi e si sedette composta, tirando
fuori i
libri della lezione. Qualche suo compagno la salutò entrando
in
classe, compresa Jacqueline Smith. Era una ragazza alta alta con gli
occhi più azzurri che Charlie avesse mai visto, nascosti da
un paio
di spessi occhiali da vista. Era una delle poche persone che Charlie
considerasse amiche in quella scuola. Jackie si sedette accanto a lei
con un sorriso, aggrottando solo per un secondo le sopracciglia di
fronte alle profonde occhiaie di Charlie. Era quello che le piaceva
di lei. Se ne stava al suo posto e non faceva troppe domande. Non
sapeva nulla di chi fosse in realtà Charlie; ma forse era
meglio
così.
Il professore cominciò a parlare e Charlie si perse nella
sua testa,
come ogni volta. Dopo dieci minuti, il suo quaderno degli appunti era
pieno di disegnini orribili e lei quasi non sentiva più la
voce
dell'uomo calvo e pasciuto che stava cercando di insegnar loro
qualcosa sul clima statunitense. Come se me ne fregasse
qualcosa.
L'avvertì molto prima di vederla.
All'inizio fu un semplice solletichio alla nuca, una scia di brividi
che le scese lungo la schiena facendola stringere nella sua maglia.
Le arrivò fin sulla punta delle dita, lasciandole cariche,
pronte a
scattare. Poi la raggiunse l'aura di potere che proveniva dalla fine
del corridoio, ma che per qualche terrificante
motivo Charlie
riusciva comunque a percepire. Il suo istinto da Necromante
agì al
suo posto e si preparò mentalmente a combattere: schiena
più
dritta, mani libere lungo i fianchi, gambe pronte a correre.
Elementale.
Il suo nemico naturale.
Linn.
Il Marchio tra le sue scapole cominciò a bruciare.
Trattenendo il respiro, Charlie si costrinse a calmarsi.
Aveva sentito quel genere di energia soltanto altre quattro volte in
tutta la sua vita. La prima risaliva alla notte in cui i suoi
genitori e suo fratello erano morti. Fu quella la forza che diede
fuoco ai loro corpi perché mai ritornassero sulla terra.
Non avrebbe potuto confonderla con nessun altro.
Un paio di colpi alla porta, ed Aleister Monroe entrò nella
sua
vita.
Charlie era fottuta.
Non era l'atteggiamento a fregarla.
Avrebbe potuto passare tranquillamente per una diciottenne normale.
Giacca verde militare, eyeliner nero, stivaletti con qualche
centimetro di tacco. Un sorriso arrogante sulle labbra dipinte di un
colore naturale pareva gridare che no, nonostante il viso d'angelo
non aveva alcun rispetto per l'autorità. Trasudava
confidenza e
sarcasmo, e osservava l'aula sorprendentemente piombata nel silenzio
con l'ironia che le illuminava gli occhi. Sembrava si celasse un
esilarante segreto tra quelle mura, un segreto di cui nessun altro
poteva essere messo a parte. Charlie dubitava qualcuno avrebbe potuto
reggerne il peso.
Non appena la ragazza era entrata nella classe, la temperatura era
diminuita di svariati gradi. Ma quello non era il freddo pungente
dell'Evocazione. Quello era un freddo che si poteva provare soltanto
di fronte a un fuoco che bruciava così intenso da far
sparire tutto
il resto.
Oltre la sua spalla destra faceva capolino l'elsa decorata di una
spada.
L'insegnante la osservava perplesso, alternando lo sguardo tra il suo
sorriso e le articolate volute che ricordavano la testa di un drago,
cercando di capire. Non che ci sarebbe mai potuto riuscire.
«Alice Monroe,» si presentò lei, la
voce che tintinnò nell'aria come una melodia armoniosa,
scivolando
sulla lingua, sulla pelle, accarezzando la mente, lavando via ogni
qualsiasi possibilità di resistenza.
La puzza di Compulsione era così forte
che Charlie aveva la nausea.
«La nuova studentessa?» provò di
nuovo, addolcendo lo sguardo e rendendo ancora più forte
l'incantesimo «La segretaria mi ha dato dei fogli da farle
firmare.»
Il professore annuì, confuso, e prese i
fogli che la ragazza gli porgeva, senza staccare gli occhi dall'elsa
della spada.
«È di scena,» disse lei, poi
portò un
braccio dietro la schiena e sguainò la spada in un movimento
fluido
ed esperto. Nessuno sussultò al sibilo che
riecheggiò nell'aria o
al luccichio metallico della lama sotto al sole. Nessuno
avvertì
l'energia che irradiava e che chiamava la sua proprietaria,
invitandola a lanciarsi in duello.
Quella spada era stata forgiata secoli e
secoli prima soltanto per lei.
La Prescelta.
Colei che all'età di diciannove anni
avrebbe posto fine all'eterna lotta tra Bene e Male, tra Elementali e
Necromanti. Infinità di ballate e poemi erano stati scritti
in suo
nome, una Profezia marchiata a fuoco nel suo destino che aveva
segnato la sua esistenza ancora prima che nascesse. Charlie ogni
tanto si chiedeva come ci si dovesse sentire, a portare da soli il
peso delle sorti del mondo sulle proprie spalle. Ma in fondo tutti
hanno i loro scheletri nell'armadio, no? E quelli di Charlie non
erano soltanto metaforici.
Aleister mise l'altra mano sul filo della
spada e tagliò.
Finse di tagliare.
Tagliò.
Charlie dovette sforzarsi per non vedere
una lama di plastica rientrare nell'elsa invece del sottile rivolo
rosso che colorò il palmo della mano della ragazza. Dopo
pochi
istanti, anche quello sparì.
Qualcuno esclamò un «Figo!»
e uno persino fischiò in
ammirazione. Aleister continuò a sorridere e
rinfoderò la spada. Il
professore sorrise a sua volta, e le indicò un banco vuoto
dove
sedersi.
Solo in quel momento, Aleister si voltò
verso di lei.
Le fece l'occhiolino.
E andò a sedersi al suo posto.
Charlie non fece nemmeno in tempo a
svoltare l'angolo alla fine della lezione che Aleister la prese a
braccetto, trascinandola quasi di peso esattamente nell'altra
direzione.
«Chimica sarebbe da quella parte,»
provò debolmente Charlie, sapendo già dal
principio che non sarebbe
servito a niente.
«Niente chimica per te quest'oggi,»
Aleister lasciò andare il suo braccio ma mantenne il passo
spedito
«Sei stata convocata dal Consiglio.»
Merda.
Il Consiglio. Se il governo di tutto
il loro mondo voleva davvero parlare con lei... sì, era
proprio nei
pasticci. E il Consiglio non ci andava leggero. Charlie ricordava
alla perfezione il giorno di ormai quattro anni prima in cui aveva
dovuto subire l'inflizione del Marchio che adesso riposava sulla sua
schiena. Era stata una tortura. Ma era quello il prezzo che aveva
dovuto pagare per aver salva la vita.
Rinunciare a se stessa.
«E per quale motivo?»
Aleister non rispose, la guardò e basta,
un sopracciglio inarcato e labbra strette in una rigida e sottile
linea di disapprovazione.
Uscirono dalla scuola, e davanti
all'entrata Charlie vide la cosa più bella su cui avesse mai
avuto
l'onore di posare gli occhi. Si fermò a guardare, incantata.
«Ti prego, dimmi che è tua.»
Aleister fece un sorrisetto con un angolo
della bocca e mostrò a Charlie il casco che teneva
nell'altra mano.
Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni le chiavi dell'Harley
Davidson
nera fiammante che stava parcheggiata accanto ad una macchina
anonima. Era lucida e senza neanche l'idea di un graffio. Sembrava
praticamente nuova; ma Charlie ricordava perfettamente il telo che
nel garage di villa Monroe l'aveva tenuta coperta fin da quando lei
era arrivata.
Qualcosa diceva a Charlie che avrebbe
fatto bene a temere anche solo a toccarla.
«Rovinala soltanto con il pensiero, e
qualunque cosa ti farà il Consiglio ti sembrerà
una passeggiata.»
Ecco.
Charlie alzò gli occhi al cielo, e si lasciò
scappare uno sbuffo.
Non aveva la più pallida idea di come
facesse ad essere ancora così tranquilla.
Forse devo ancora realizzare.
«Vedi di realizzare in fretta, perché
tra mezz'ora ci aspettano» disse Aleister, mettendosi il
casco.
Charlie aggrottò le sopracciglia. Come diavolo ha
fatto a-
«Sì, ti leggo nella mente. Adesso
muoviti.»
Charlie salì sulla moto dietro di lei,
l'elsa della spada che quasi le si piantò in fronte.
«Tieniti forte,» fu l'unico avviso che
Aleister le diede, prima di mettere mano all'acceleratore e partire
alla velocità della luce.
La prima volta in cui aveva incontrato i
membri dell'Alto Consiglio degli Otto -il massimo organo di governo
del mondo elementale- Charlie aveva quattordici anni ed era appena
stata l'artefice della morte di sette persone. Quell'Evocazione le
era quasi costata la vita, ma lei era riuscita comunque a farcela. I
demoni che aveva portato da questa parte del Velo non erano stati
difficili da distruggere; suo fratello Adam se ne era occupato con
una semplice Beretta e un paio di proiettili incantati ciascuno.
Disfarsi dei corpi, invece, era stato un altro paio di maniche.
Normalmente li avrebbero fatti sparire nella magione dei Black, in
attesa di usarli come involucri per le prossime
Evocazioni:
gli incantesimi risultavano nettamente superiori se ad abitare un
corpo fosse stata una sola coscienza. Quella volta, però,
era stato
diverso.
«Quest'oggi vogliamo insegnarti che non
sempre esiste una soluzione semplice,» le aveva detto sua
madre,
mentre la aiutava a caricare i cadaveri su un furgone bianco
«A
volte potresti trovarti in situazioni complicate e nell'immediato
bisogno di disfarti di un alto numero di corpi.» Aveva chiuso
il
portellone con un colpo secco che Charlie si era sentita rimbombare
nella testa nelle ore successive. «Quindi, oggi sarai tu a
doverti
disfare dei cadaveri, da sola. Hai due giorni di tempo.»
«E che nessuno li trovi,» aveva
aggiunto suo padre in un tono che le aveva fatto venire i brividi.
E fu così che un Elementale l'aveva
trovata in un angolo del Mercato delle Due, a piangere sul cadavere
di una donna che doveva aver avuto al massimo trent'anni.
Paradossalmente, era stato proprio il tatuaggio sul suo polso
sinistro a salvarle la vita. Lo stemma della casa dei Black. Un
letterale asso nella manica che aveva portato il Consiglio a
distruggere forse la più potente famiglia di Necromanti al
mondo.
Tutto grazie a lei.
Questa volta, però, non l'avrebbe
aiutata. Charlie ne era certa.
Da come Elizabeth Monroe stava urlando a
sua figlia dall'altra parte della porta, sarebbe stata la sua rovina.
Lei ed Aleister erano sedute per terra in
corridoio, zaini lasciati accanto al muro, in attesa. Aleister si
stava controllando le unghie con fare annoiato mentre con l'altra
mano giocava con le chiavi della sua moto. Il ginocchio destro di
Charlie continuava a tremare, mentre lei cercava invano di calmarsi.
Sarebbe andata male. Molto male. Ma cosa aveva fatto di così
terribile da richiedere l'intervento di un membro del Consiglio?
Aveva soltanto cercato di salvare i suoi compagni e quante
più
persone possibili.
Linn è morta.
Il
pensiero la attraversò paralizzandola da capo a piedi. Linn
è morta.
Il respiro cominciò a
mancarle, mentre il cuore batteva all'impazzata. Linn
è
morta Linn è morta Linn è morta morta
mortamortamortamorta-
«Gesù, Black, datti una calmata,»
sbottò Aleister «Eveline sta bene. Non si
è ancora svegliata, ma
sta bene» Lanciò in aria le chiavi e le riprese
con l'altra mano,
senza guardarla in faccia. Charlie chiuse gli occhi, appoggiando la
testa contro il muro «Stanno discutendo se rendere permanente
il tuo
Marchio o meno»
«Che cosa?!»
«Oh avanti, lo sanno tutti che hai
aiutato quel Necromante domenica sera. Un Marchio permanente
è anche
un trattamento preferenz-»
«CHE COSA?!» Charlie scattò in piedi e
cominciò a camminare avanti e indietro per il corridoio
«Io. Non.
Ho. Fatto. Niente.»
Aleister alzò le sopracciglia.
«Cosa avrei potuto guadagnarci? Nulla.
Assolutamente niente. Non c'ero nemmeno, a quella festa! Ci sono
andata solo perché Aaron era scappato»
«Chi?»
Charlie sbuffò e si passò una mano tra
i capelli, nervosa fino all'estremo. Stava tremando. Un Marchio
permanente non era un incantesimo leggero: l'avrebbe completamente
privata dei suoi poteri, per sempre. Già
quello temporaneo
che aveva tra le scapole era impossibile da sopportare. Non sarebbe
sopravvissuta. Nessuno era mai sopravvissuto. Sarebbe stato come
privare un uccello delle proprie ali; prima o poi avrebbe perso la
ragione. Tutti impazzivano, alla fine.
«Te lo giuro, Aleister, io sono
innocente»
La ragazza non si smosse di un centimetro
«Non è me che devi convincere, Charlotte»
Charlie si irrigidì.
«Non chiamarmi Charlotte.»
«E tu non chiamarmi Aleister. Quel tizio
era uno psicopatico e ci aveva quasi fatti scoprire.»
In quel momento la porta dello studio
della Direttrice Monroe si aprì, e ne uscì una
donna dallo sguardo
fiero e penetrante -e vagamente deluso- e i capelli che tradivano
l'età avanzata. Elizabeth Monroe.
«Signora Consigliere,» si lanciò
subito Charlie «Mi lasci spiegare, io quella sera non
ero-»
«Non c'è bisogno che tu mi dica niente,
signorina Black,» la interruppe lei, avviandosi verso le
scale «Mia
figlia Rebekah ha già parlato in tua difesa» poi
si voltò verso
Aleister con un inspiegabile sorriso magicamente apparso sul suo
volto «Mi dispiace che questa mia visita duri così
poco, Aleister,
ma è un piacere rivederti» Le prese le mani tra le
sue e le diede
un bacio affettuoso sulla guancia «Sei cresciuta molto. E le
tue
imprese sono già leggenda. Siamo tutti molto fieri di
te.»
Per qualche motivo, Charlie capì che
quel tutti non indicava la sua famiglia,
bensì gli altri
membri del Consiglio. Avere una Prescelta come cagnolino deve
essere una gran fortuna.
Anche Aleister sorrise, visibilmente in
imbarazzo. Lasciò andare sua nonna senza abbracciarla o
ricambiare
il bacio.
La Consigliera Monroe se ne andò,
lasciando Charlie, Alice e la Direttrice ferme in corridoio. Il cuore
di Charlie stava battendo a mille. Cosa significava per lei? Era
salva? Cosa aveva deciso il Consiglio?
La Direttrice Monroe sospirò e batté le
mani, richiamando l'attenzione di Charlie ed Alice.
«Su, entrate, ragazze, non perdiamo
altro tempo.» Charlie seguì Alice dentro lo studio
della
Direttrice. Non era molto grande, ma comunque lo spazio era ben
sfruttato e accogliente. Charlie si sedette su una delle familiari
poltroncine rosse di fronte alla scrivania della Direttrice. Nel
primo periodo in cui aveva cominciato a vivere a casa Monroe erano
stati infiniti i colloqui in quello studio; non credeva sarebbe mai
riuscita a dimenticarlo.
La Direttrice chiuse la porta e andò a
sedersi dall'altra parte della scrivania. Anche Alice si sedette e
accavallò le gambe, braccia incrociate al petto in totale
chiusura.
Non va bene.
«Allora, Charlie,» disse la Direttrice
guardandola negli occhi. Charlie si stava torturando le mani in
grembo «Ho parlato con mia madre e sono riuscita a
convincerla a non
toccare il tuo Marchio finché le indagini non saranno finite
e non
sarà dimostratala tua colpevolezza – sempre
ammesso che venga
dimostrata.»
A Charlie sembrò che un peso immenso le
fosse appena stato tolto dal petto. Sospirò pesantemente e
ignorò
del tutto Alice che la guardava con un sopracciglio alzato.
«Grazie infinite,» disse, sorridendo
riconoscente alla Direttrice.
«Non ringraziarmi, piuttosto-»
«Posso partecipare alle indagini, dato
che sono qui?» chiese Alice interrompendo sua madre. La
Direttrice
la guardò e scosse la testa.
«No, non puoi.»
«Ma-»
«È qui che entri in gioco tu» la
bloccò prima che potesse parlare «Dovrai
controllare Charlie e
riferire al Consiglio qualsiasi attività insolita.»
«Cosa?!» esclamò Alice, alzandosi in
piedi.
«È uno scherzo, vero?» Charlie era
allibita. Non può essere.
«No, Charlie» disse la Direttrice
Monroe «È l'unico modo per cui hanno acconsentito
a non rendere
permanente il tuo Marchio: Alice non ti dovrà mai perdere di
vista,
e se-»
«Mi stai dicendo che mi avete fatto
venire qui di corsa dalla Grecia per fare da
babysitter a una
ragazzina Necromante – Alice
pronunciò la parola con
disgusto – di cui non si sa neanche se è innocente
o meno?!»
«Esatto»
«Tutto questo è ridicolo»
«Resta al tuo posto, Alice» Il tono
della Direttrice Monroe non ammetteva repliche; Charlie ne fu
intimorita anche se non era diretto a lei «Sarai anche la
Prescelta
ma resti sempre mia figlia. Farai come ti ho detto. La discussione
è
chiusa.»
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Capitolo 4 *** Quattro ***
CAPITOLO
QUATTRO
Alice
uscì
dall'ufficio di sua madre come una furia, sbattendo la porta e
allontanandosi a grandi passi. Charlie guardò Rebekah, senza
sapere
cosa dire. Da un lato dava ragione ad Alice. Non doveva essere bello
passare da salvatrice del mondo a babysitter di una Necromante
petulante.
«Va'
anche tu,» disse la Monroe, sospirando pesantemente
«Proverò a
calmarla più tardi.»
Charlie
raccolse il suo zaino da terra e cominciò ad allontanarsi.
Ma si
fermò proprio davanti alla porta, girandosi nuovamente verso
l'altra. Si umettò le labbra e guardò in basso,
nervosa.
«Potrei
andare a vedere Linn?»
Dopo
qualche secondo di silenzio, Charlie rialzò lo sguardo. Il
viso
della donna si era addolcito, e le stava sorridendo «Ma
certo. In
realtà non ti ho permesso di andare prima solo
perché il Consiglio
me lo impediva. E Charlie,» disse, alzandosi dalla sedia
«Tu non
c'entri niente con quello che è successo l'altra sera. Di
questo ne
sono sicura.»
Anche
Charlie sorrise, un sorriso a metà che a stento le raggiunse
gli
occhi.
«Grazie,»
disse, e se ne andò.
L'infermeria
era esattamente dall'altra parte della villa in cui abitavano. Non
era una vera e propria infermeria, in realtà: la Direttrice
Monroe
aveva usato una stanza sufficientemente grande che potesse contenere
cinque letti e abbastanza kit da pronto soccorso o qualunque cosa
sarebbe potuta servire in caso di emergenza; risaliva a quando aveva
deciso di trasformare la magione di famiglia in una comunità
in cui
ospitare giovani Elementali – e Necromanti, nel caso di
Charlie –
che avevano perso i loro genitori o che comunque si trovavano in
difficoltà. Proprio come Alice, l'orfana di guerra che aveva
adottato e che si era poi rivelata essere lo strumento più
importante per la vittoria.
Charlie
entrò piano, cercando di non fare rumore. Seduto su una
poltrona in
un angolo c'era Meyer, un ragazzo che aveva vissuto lì e che
dopo
essersi diplomato aveva deciso di restare per dare una mano. Non fece
cenno di aver notato la presenza di Charlie. Stava sfogliando con
poco interesse una rivista umana. Charlie si chiese come facesse a
leggere: tutte le tapparelle erano abbassate e la stanza era in una
penombra troppo fitta perché si riuscisse a distinguere
qualcosa. Il
poco sole che filtrava era bloccato dalle tende e non bastava
comunque a illuminare la stanza. C'era solo una piccola luce accesa,
sul comodino dell'unico letto occupato.
E
lì, pallida e con gli occhi chiusi, c'era Linn.
A
Charlie venne quasi da piangere.
Sembrava
stesse dormendo, come se una piccola spinta o un attacco di solletico
avessero potuto svegliarla. Linn aveva sempre avuto il sonno
più
leggero che Charlie avesse mai visto, persino più leggero
del suo;
bastava una porta chiusa con un po' troppa forza alla fine del
corridoio perché lei si svegliasse in un grugnito. Charlie a
volte
la trovava a vagare per la loro camera alle quattro del mattino,
incapace di riaddormentarsi.
Questa
volta, però, non si sarebbe svegliata.
Linn
si sveglierà,
Charlie ricordò a se stessa, Solo
non subito. Ma prima o poi si sveglierà. Si
sedette sul bordo del letto, zaino abbandonato per terra, e
cominciò
ad accarezzare i capelli di Linn; erano umidi, come se fossero stati
appena lavati. Probabilmente qualcuno si era occupato di lei.
«È
stabile,» disse Meyer, alzando gli occhi dalla rivista.
Charlie si
girò verso di lui e si costrinse a ingoiare il nodo che le
si era
formato in gola «Anzi, è perfettamente in salute.
Ma non riusciamo
a svegliarla, è come se la sua mente fosse da qualche altra
parte.
Tra qualche giorno dovrebbe arrivare una specialista; vedremo se lei
riuscirà a fare qualcosa.»
Charlie
annuì, e si girò di nuovo verso Linn. È
come se la sua mente fosse da qualche altra parte.
Ma
sarebbero riusciti a riportarla di qua.
Dovevano.
Era
appena mezzogiorno e Charlie era già esausta. Dopo essere
andata a
rubare qualcosa dalla cucina, tornò in camera sua
strascicando i
piedi e trascinandosi tra i corridoi come uno zombie. Aveva davvero
bisogno di dormire.
Ma,
a quanto pareva, il suo letto era occupato da qualcun altro.
Aaron
stava dormendo placidamente sopra le coperte, un sorriso d'angelo a
nascondere il suo animo da diavoletto. Questa volta era in forma
umana: un bambino cicciottello con il pigiama di Batman e dei ricci
così belli da far invidia a quelli di Linn. Ma come mai non
era a
scuola? Probabilmente si sarà trasformato in gatto
per scappare
dalla finestra del bagno.
Charlie
sorrise, e gli diede un bacio sulla fronte senza svegliarlo. Poi si
spogliò e si infilò un paio di pantaloni comodi e
una delle felpe
di Linn. Aveva ancora addosso il suo odore. Charlie si strinse nella
felpa, guardò di nuovo Aaron e abbandonò a
malincuore l'idea di
fare un pisolino. Non sarebbe mai riuscita a dormire sul letto di
Linn. Recuperò invece dal cassetto un piccolo cristallo
verde
attaccato ad una catenina, e se lo allacciò al collo. Poi
uscì
dalla camera, chiudendo lievemente la porta.
Adesso
non le restava che trovare Alice.
Non
sapendo esattamente dove cercarla, provò per prima in camera
sua.
Non era molto distante da quella di Charlie: soltanto un rampa di
scale e un corridoio che era sempre stato, per lei, off-limits. Su
quel piano c'era anche la stanza della Direttrice Monroe; ma
avrebbero potuto disturbarla solo in casi di assoluta
emergenza.
Charlie
bussò alla porta di Alice, ottenendo qualche parola di
troppo in
risposta e un «Vattene via,
mamma!» gridato
ma attutito da quello che doveva essere indiscutibilmente un cuscino.
«Non
sono tua madre,»
disse Charlie.
«Gesù,
devi cominciare a lagnarti fin da subito?»
Per
essere la Prescelta si comportava proprio come qualsiasi altra
adolescente. A Charlie venne quasi da ridere.
«Posso
entrare?»
Silenzio.
«Oh,
avanti, Monroe, non facciamone una questione di-»
La
porta si spalancò e Charlie vide Alice con i capelli
arruffati e una
mano sulla maniglia. Dallo sguardo sembrava pronta a uccidere
qualcuno. Dietro di lei, un letto sfatto e una poltrona con una
valigia aperta ma ancora da disfare.
«Perché
non riesco più a sentire i tuoi pensieri?» chiese
Alice.
Charlie
sorrise soddisfatta, e tirò fuori da sotto la felpa il
cristallo che
si era messa al collo «Scudo mentale. Anzi, oserei dire Elementale.
Watson.»
Alice
alzò gli occhi al cielo.
«Che
vuoi, Black?»
«Posso
entrare?»
Alice
inarcò un sopracciglio, ma si fece da parte per farla
passare.
Charlie entrò, e ciò che vide la
lasciò sorpresa. La camera di
Alice non era grandissima, ma ogni singolo centimetro era stato
sfruttato al massimo. Le pareti erano di un blu chiaro a
metà tra il
cielo estivo e un mare limpidissimo. Un letto matrimoniale
troneggiava su tutto e una grande finestra col bovindo inondava di
luce la stanza. Invece di quadri, alle pareti c'erano appese armi;
arco e frecce, pistole, coltelli, daghe, e uno spazio libero per la
spada che Alice aveva portato a scuola e che adesso era appoggiata
sul letto. E poi c'erano libri. Libri ovunque: la libreria ne
straripava, e anche sulla scrivania e sul comodino accanto al letto
ce ne erano diverse pile. Trattavano di qualsiasi argomento: da
romanzi in lingue straniere a manuali di magia. Dominio
elementale
di base. Teoria del viaggio trans-spaziale e applicazioni pratiche.
Tecniche di combattimento elementale VII. Ma quelli
più numerosi
erano i libri sul fuoco. Dominio del fuoco avanzato. Fuoco e
luce.
Principi di correlazione tra fuoco e altri elementi primari.
«Il
tuo elemento è il fuoco, vero?» disse Charlie,
mentre sfiorava in
punta di dita la costa di Pirocinesi applicata.
«Che
occhio,» commentò Alice.
Un
altro libro catturò l'attenzione di Charlie. Evocazione
di base.
«Studi
anche Necromanzia?»
«Per
sconfiggere un nemico bisogna prima di tutto conoscerlo,»
disse
Alice. Si appoggiò alla porta con fare svogliato guardando
Charlie
dritto negli occhi «Ora, hai intenzione di
dirmi perché sei
qui o vuoi passare la giornata a sbirciare tra la mia roba?»
Charlie
si fermò, girandosi completamente verso di lei.
Infilò le mani
nella tasca della felpa, i piedi coperti solo dalle calze che
fremevano.
«Ho
una proposta da farti,» cominciò Charlie
«Tu non vuoi stare qui e
io vorrei avere un minimo di vita privata»
«Vai
avanti,» disse Alice, mettendosi dritta.
«La
mia proposta quindi è: tu mi aiuti a provare che sono
innocente così
te ne puoi tornare in Grecia a uccidere chimere evocate o qualunque
cosa tu stessi facendo prima di venire qui»
Alice
la guardò scettica, questa volta con entrambe le
sopracciglia
alzate. «Avrebbe senso se non ti credessi colpevole»
Charlie
sbuffò e cominciò a guardarsi in giro. La valigia
ancora piena di
vestiti, il letto fatto, l'assenza di un minimo elemento che rendesse
quella camera veramente vissuta. Sembrava più un magazzino
che la
stanza di un'adolescente.
«Si
vede che non vuoi stare qui, allora perché non cogli
l'occasione?»
Alice
alzò gli occhi al cielo e si buttò di schiena sul
letto, evitando
per un pelo la sua spada. Fissava il soffitto con gli occhi
esageratamente aperti. Charlie non aveva bisogno di leggerle la mente
per capire che era ancora arrabbiata.
«Perché
tu non c'entri niente, ti sei solo trovata in mezzo» Charlie
aggrottò la fronte. Alice piegò la testa verso di
lei, e spiegò:
«Tra due mesi è il mio compleanno»
Okay...
«E
allora?»
Alice
schioccò la lingua, stizzita «È
il mio diciannovesimo
compleanno»
Oh.
Quello
spiegava molte cose.
Avrebbe
potuto spiegare anche quanto successo alla festa, in realtà.
Charlie
si morse il labbro e si sedette su un angolo del letto, silenziosa.
Alice la guardò male, ma non disse niente.
Secondo
la Profezia, il diciannovesimo compleanno della «Prescelta
con l'inferno negli occhi»
avrebbe segnato l'inizio della battaglia finale tra Elementali e
Necromanti. Era una guerra che andava avanti da secoli. Andava avanti
da sempre. Certo, i Necromanti avevano subito una sconfitta cocente
quattro anni prima quando i Black erano stati annientati –
con
l'aiuto di Charlie – ma erano ancora molte le carte da
mettere sul
tavolo . Negli ultimi tempi le attività di Necromanzia si
erano
moltiplicate in tutto il mondo. Quanto accaduto qualche sera prima
non era stato altro che uno tra i tanti massacri. Era per questo che
Alice non tornava a casa da mesi: il Consiglio continuava a mandare
lei e la sua squadra nelle zone a più alta
attività necromantica
per tentare di arginare le perdite. In confronto ad altre parti del
mondo, la loro era una zona felice. Il Consiglio faceva in modo che
lo fosse.
«Anche
se tu non avessi combinato tutto questo casino, il Consiglio mi
avrebbe comunque rimandato a casa,» disse Alice, sguardo
perso nel
vuoto «Vogliono tenermi sotto controllo. Hanno paura che
venga
tentata e mi schieri dalla parte dei Necromanti.»
Charlie
annuì, sovrappensiero.
«Il
giorno in cui mi schierai dalla parte degli Elementali e del
Consiglio – il giorno in cui mi schierai dalla parte del Bene,
scelsi di tradire la mia famiglia,» disse
Charlie, guardando
dritto a sé «Scelsi di andare contro l'unica
realtà che fino ad
allora avessi conosciuto. Scelsi di sottopormi all'inflizione del
Marchio per non essere totalmente cacciata nel mondo degli umani,
nonostante sapessi perfettamente che cosa significasse.» Si
girò
verso Alice, una mano che corse automaticamente a toccare la stoffa
che premeva contro le sue scapole «Tu non hai idea di cosa
sia avere
questa... cosa
dentro di te.
È come perdere te stessa»
«Perché
mi stai dicendo tutto questo?»
chiese Alice, ma il suo viso, forse per la prima volta, era neutrale.
«Perché
voglio che tu capisca che non manderei mai tutto a puttane per una
cosa così stupida come un'Evocazione da quattro soldi che
avrebbe e
di fatto ha messo in pericolo i miei unici amici
– e
onestamente? Con questo Marchio non sarei mai riuscita a
farla,» fu
costretta ad ammettere Charlie «I miei poteri da Necromante
sono
totalmente sopiti.»
Alice
schioccò la lingua, stette stesa in silenzio, poi
sospirò
profondamente.
Lo
stomaco di Charlie brontolò rumorosamente.
Alice
sbuffò, quindi si alzò e indicò con un
cenno del capo la porta
chiusa.
«Forse
è meglio se andiamo a mangiare»
Non
aspettò risposta da Charlie; aprì la porta e se
ne andò via.
Charlie
chiuse gli occhi. Non è andata proprio come speravo.
Poi si alzò anche lei e scese in cucina per il pranzo.
Charlie
stava tentando di studiare fisica in soggiorno quando una Maya
scatenata scese al volo le scale, urlando divertita mentre un gatto
nero la rincorreva. Aaron. Charlie sorrise. Quei due erano dei
terremoti.
«Charlie!»
esclamò Maya col fiatone, appoggiandosi al tavolo per
riprendersi un
poco. Charlie appoggiò la penna e si girò verso
di lei. «Dov'è?»
«Dov'è
chi?» chiese Charlie, anche se aveva già una mezza
idea di chi
potesse star parlando.
«Aleister
ovviamente! Voglio l'autografo,» le confessò Maya
con aria sognante
«Quando è tornata l'anno scorso io ero in
campeggio. Le mie amiche
ne saranno così invidiose!»
Charlie,
però, non aveva visto Alice da quando avevano pranzato
assieme. La
Direttrice Monroe, trovandole sedute a tavola una di fronte
all'altra, le aveva guardate in maniera strana, ma non aveva detto
niente. Si era seduta accanto a loro e si era presa un piatto della
deliziosa pasta che aveva cucinato Mrs Crane. Dopo pranzo, Alice era
sparita chissà dove; Charlie aveva sentito il rombo della
sua moto
allontanarsi lungo la strada. Gran bella babysitter, eh.
«Credo
debba ancora tornare a casa,» le rispose Charlie. Aaron le
balzò in
grembo e cominciò a strusciare la testolina contro le sue
gambe.
Charlie gli fece i grattini dietro le orecchie, allungandogli un
biscotto.
«Uffa»
Maya si sedette accanto a Charlie, appoggiando penna e quaderno sul
tavolo. Si mise anche lei a sgranocchiare biscotti mentre Charlie si
arrendeva definitivamente e chiudeva i libri in uno sbuffo.
«È
andata da qualche parte nel Mercato delle Due per conto del
Consiglio,» disse Jacob, seduto all'altro capo del tavolo a
leggere
svogliatamente dei sonetti di Shakespeare per scuola
«Dovrebbe
tornare da un momento all'altro»
«Come
fai a saperlo?» chiese Maya tra un morso e l'altro. Jacob la
guardò
schioccando la lingua.
«L'ho
Visto, ovviamente.»
Charlie
alzò lo sguardo verso di lui, mordendosi il labbro. Gli
aveva sempre
invidiato l'Elemento che padroneggiava, l'Acqua: oltre alle mille
altre cose, era in grado di vedere riflessi degli eventi presenti,
passati e futuri in qualsiasi specchio d'acqua, anche una semplice
tazza piena. Era quel genere di potere che a Charlie avrebbe fatto
comodo, specialmente in una situazione come quella. Avrebbe potuto
provare la sua innocenza una volta per tutte. Peccato servissero anni
e anni perché potesse diventare un'abilità
affidabile; il più
delle volte tendeva a mostrare solo alcuni aspetti degli eventi, che
Charlie era certa non sarebbero riusciti ad aiutarla. Una notte di
forse tre anni prima aveva chiesto a Jacob se avesse mai Visto la
fine della guerra. Se fosse stato ancora vivo, sarebbe stato il
compleanno di suo fratello Adam. Lei lo aveva passato a letto con le
tende chiuse e gli occhi rossi di pianto per ciò che in
fondo non
aveva mai avuto. Anche Linn, dopo aver provato per un po' a
consolarla, ci aveva rinunciato.
«Non
sono del tutto sicuro che ci sarà una fine,» le
aveva risposto
Jacob con la fronte corrucciata, una volta che Charlie aveva trovato
la forza di scendere dal letto «Quando ci provo tutto
ciò che vedo
è il nero»
Il
rombo dell'Harley Davidson di Alice che correva sulla strada sterrata
la riportò alla realtà. Charlie scosse la testa e
strizzò gli
occhi. Maya schizzò giù dalla sedia,
recuperò la penna e il
quaderno e si avviò trotterellando verso il garage, Aaron in
coda.
Charlie li seguì con lo sguardo e un mezzo sorriso. Poi si
rigirò
verso Jacob.
«Non
mi parlare, Black» la bloccò con voce seccata lui
ancora prima che
potesse aprire bocca. Prese il suo libro in mano e si alzò
spostando
rumorosamente la sedia, e si allontanò dal soggiorno,
lasciando
Charlie da sola.
Charlie
non riusciva a dormire. Era la quarta notte che non chiudeva occhio,
ed erano già le due. Aveva davvero bisogno di farsi un
pisolino
lungo diciotto ore.
Stava
ascoltando la musica a tutto volume quando una cosa
sulla sua
spalla la fece trasalire. Aprì gli occhi di scatto e si
cavò le
cuffie con uno strattone, mano già sotto al cuscino per il
pugnale
che però non teneva più lì da quando
se n'era andata di casa.
Certe abitudini erano dure a morire.
Al
diavolo il Marchio tra le sue scapole. Avrebbe preferito un'ustione
di terzo grado alla morte. Stava già radunando le energie
che
riusciva a racimolare sulla punta delle dita, quando si accorse
effettivamente di cosa l'avesse disturbata.
Alice.
Solo
Alice.
«Gesù,
Black, avrò bussato almeno venti volte.» L'unica
luce che proveniva
dal corridoio sempre illuminato lasciava lunghe ombre su tutto il
corpo di Alice. Charlie non riusciva a vederla in faccia; ma sapeva
che aveva un sopracciglio alzato. Pareva essere il suo marchio di
fabbrica.
«Che
vuoi?» chiese Charlie, stizzita.
«Ho
considerato la tua proposta,» disse Alice, poi chiuse la
porta e
accese la luce. Si sedette sul letto di Linn; Charlie si
irrigidì
«Rilassati, santo cielo. Non è ancora
morta.» Si appoggiò al
muro, le gambe che penzolavano dal materasso e che Alice faceva
dondolare come una bambina «Allora. Se io ti aiuto, poi cosa
ottengo
in cambio?»
Charlie
aggrottò la fronte, e si mise a gambe incrociate sul letto.
«In che
senso?»
Alice
la guardò «Nel senso che se io faccio questa cosa
per me, tu devi
fare qualcosa per me.»
«Ti
ho già detto quale sarebbe la tua parte: te ne torneresti da
dovunque tu sia venuta.» Okay, forse le era venuta fuori un
po'
male.
«E
io ti ho già detto che non sono qui solo per te, il
Consiglio non mi
lascerà mai ripartire. Cosa mi dai quindi in
cambio?»
Charlie
ci pensò su. Non aveva molto da offrire, in
realtà. Tutto quello
che aveva era in quella stanza. Ciò che aveva lasciato a
casa sua
era ormai irrecuperabile. Ma forse c'era qualcosa...
«Potrei
darti una mano con Necromanzia.»
Alice
scoppiò a ridere, una risata sarcastica e cattiva.
«Figuriamoci.
Una Necromante Marchiata è completamente inutile.»
«Questo
non è vero.»
Alice
sbuffò; era palese che non le credesse. Charlie allora
chiuse gli
occhi.
Il
Marchio era la pena che tutti i Necromanti dovevano scontare per aver
salva la vita e poter vivere nel mondo Elementale, invece di essere
costretti a nascondersi in quello umano. In base alla forza del
Necromante sedava quasi del tutto i suoi poteri; gli unici a cui si
poteva aver accesso erano le briciole di potere Elementale che tutti
avevano in sé. Charlie, però, era sempre riuscita
a eludere, almeno
in parte, le regole: riusciva a raggiungere un filo del suo vero
potere per rinforzare i suoi incantesimi – o almeno non farli
sembrare totalmente ridicoli. Soltanto così era riuscita a
produrre
una Compulsione abbastanza potente da convincere il buttafuori della
festa a farla entrare. Se non ne fosse stata capace, probabilmente a
quest'ora sarebbero stati tutti morti.
Ma
non era questo ciò che voleva dire ad Alice. Anzi: se
l'avessero
scoperta le ripercussioni sarebbero state di certo terribili.
«Che
cosa vuoi fare?» disse Alice, sembrando all'erta.
«Niente.»
Charlie riaprì gli occhi, un sorriso soddisfatto sulle
labbra «Se i
Necromanti Marchiati sono così inutili, perché tu
ti sei
spaventata?»
Alice
assottigliò lo sguardo, gli occhi diventati due lame azzurre
che
scintillavano nella poca luce, e scosse la testa.
Poi
tese la mano a Charlie.
«Affare
fatto»
Charlie
gliela strinse, cercando di trattenere il sorriso.
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