Bloody Castle - All'ombra della luna

di Nana_13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo / L'ultimo giorno di scuola ***
Capitolo 2: *** Il piano ***
Capitolo 3: *** Il Vestito perfetto ***
Capitolo 4: *** Il Ballo ***
Capitolo 5: *** Beccati! ***
Capitolo 6: *** Il Rito ***
Capitolo 7: *** Casa P. / Casa F. / Casa D. ***
Capitolo 8: *** Punti da una rosa ***
Capitolo 9: *** L'aiutante ***
Capitolo 10: *** La valle dei covoni di fieno ***
Capitolo 11: *** Guida completa ai boschi del Montana ***
Capitolo 12: *** Cronache di viaggio ***
Capitolo 13: *** Sospesi ***
Capitolo 14: *** A te il primo assaggio, Beth. ***
Capitolo 15: *** La scelta ***
Capitolo 16: *** Entomofobia ***
Capitolo 17: *** Ancora guai ***
Capitolo 18: *** In ricordo di questa serata ***
Capitolo 19: *** Aria di casa ***
Capitolo 20: *** Voltafaccia ***
Capitolo 21: *** Nella tana del drago ***
Capitolo 22: *** Legami col passato ***
Capitolo 23: *** Evasione ***
Capitolo 24: *** Salto nel vuoto ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo / L'ultimo giorno di scuola ***



 

Prologo


Corro. Corro e basta. 

Non so cosa spinga le mie gambe ad andare avanti, sono sfinita...

È successo tutto così in fretta che non so spiegarmi come diamine abbiamo fatto a ritrovarci in questa situazione. Vorrei solo aver dato retta alle mie amiche e rinunciato a questa stupidaggine. Potevamo passare una normalissima serata in tutta tranquillità e invece mi sono dovuta impuntare. Per cosa poi? Non lo so nemmeno io. E adesso che forse sto per morire ho un solo pensiero che mi rimbalza in testa: non saremmo mai dovuti venire qui.






 

Capitolo 1

 

L'ultimo giorno di scuola

 

Arroccato sulla cima di Jadkson Hill Ridge nella Contea di Beaverhead e circondato da una macchia di fitta foresta, il vecchio castello dominava la cittadina di Greenwood, nel Montana. Quel tipo di architettura non era tipica del luogo, poiché opera dei coloni spagnoli stabilitisi nella regione all'epoca della conquista del continente americano. Durante il puritanesimo, iniziarono a verificarsi misteriose sparizioni e tra la gente cominciò a farsi strada l'idea che il castello fosse abitato da fantasmi, così nessuno volle più frequentare le sue sale e pian piano cadde in rovina.

Fu solo negli anni Cinquanta che il bisogno della città di attrarre visitatori lo riportò agli antichi splendori. Le autorità investirono ingenti capitali nella sua ristrutturazione, con il supporto di albergatori e negozianti del luogo, anch'essi interessati ad acquisire notorietà. 

Da piccolo paese quale era, Greenwood divenne in breve tempo una fiorente e prospera città di provincia. Più di mezzo secolo dopo, il castello continuava ad accogliere turisti e appassionati, senza però vedere mai un proprietario, qualcuno che vi si insediasse stabilmente.

Fino a oggi.

 

-o-

 

Si stava avvicinando l'estate e nel liceo di Greenwood i ragazzi affrontavano gli ultimi esami tra l'afa e la voglia pressante di andarsene finalmente in vacanza. Quelli erano sempre i giorni peggiori dell'anno, perché il tempo sembrava non passare mai. 

Al suono della campanella, che annunciava la pausa pranzo, le classi si svuotarono e tutti si riversarono nei corridoi, mentre il chiacchiericcio aumentava sempre di più.

Rachel aprì l'armadietto e iniziò a svuotarlo da libri e cianfrusaglie varie. Qualunque studente l'avrebbe fatto a fine giornata, se non addirittura l'ultimo giorno, ma lei preferiva avvantaggiarsi. 

La precisione era una dote che aveva ereditato da sua madre, la stessa per cui il padre, tutt'altro che ordinato, la prendeva tanto in giro. Abitando loro due da soli, infatti, erano dovuti scendere a compromessi per non darsi troppo fastidio. Lei cercava di non assillarlo troppo con l'ordine, mentre lui si sforzava di mettere a posto le sue cose e aiutarla nelle faccende domestiche.

Stava infilando gli ultimi libri nella borsa, quando una ragazza mora dall'aria distrutta venne verso di lei, abbandonandosi pesantemente contro l'armadietto accanto al suo. “Ah, finalmente!” sospirò sollevata.

“Buongiorno anche a te, Claire.” le disse Rachel, continuando a sistemare.

“Non ho mai amato così tanto la pausa pranzo in vita mia.” la ignorò lei. “Odio Martin e le sue formule assurde!”

“Pensavo che ti piacesse trigonometria.”

Claire sospirò di nuovo, soffiandosi via un ciuffo corvino dalla fronte. “Dopo quest'esame non più.” sentenziò. “Cambiamo argomento che è meglio. Alla fine hai preso una decisione per quest'estate?”

Rachel frugò nella borsa alla ricerca di un fermaglio e si tirò su i capelli ricci, cercando sollievo dal caldo. “A dire il vero no. Tra gli esami di fine anno e mio padre che mi mette pressione con le domande per il college non ci ho proprio pensato.”

Claire alzò gli occhi al cielo annoiata. Quel discorso era ancora un taboo per lei. Tutti in famiglia premevano perché andasse a Yale, visto che sia suo padre che suo zio si erano laureati lì, ma lei non si era ancora decisa a dir loro che non era stata accettata. Aveva fatto anche altre domande e alcune università avevano risposto positivamente, ma il problema non era scegliere il college quanto piuttosto decidere se andarci o meno. 

Sia lei che Rachel erano all'ultimo anno e, mentre l’amica aveva già le idee chiare riguardo al suo futuro, Claire continuava a rimandare decisioni che prima o poi avrebbe dovuto prendere per forza. Le aspettative di tutti erano che continuasse ad occuparsi dell'impresa di famiglia, un'azienda di telecomunicazioni famosa in tutta la nazione, ma lei non voleva saperne. Aveva in mente di viaggiare e fare nuove esperienze, non di restare incollata a una scrivania per il resto della vita.

“Rachel, rilassati. Questa è la nostra ultima estate da donne libere, dopodiché solo responsabilità.” Rabbrividì al suono di quell'ultima parola. “Comunque, tornando a parlare di vacanze.” riprese. “Zio Gordon ha detto che ci presta la sua casa in California. Potremmo partire subito dopo il diploma...”

Rachel scosse la testa. “Non lo so. Ancora non ho dato una risposta a mia madre.”

Erano anni che passava le vacanze estive in Francia, come specificato da una clausola del contratto di divorzio, ma quest'anno non era sicura di volerci tornare. In fondo, ormai era maggiorenne e poteva scegliere di andare dove voleva. La Provenza non le dispiaceva, aveva anche acquisito un'ottima padronanza della lingua, eppure iniziava a starle stretta e le sarebbe piaciuto visitare altri posti prima di dedicarsi completamente agli studi.

“Va bene, ho capito.” tagliò corto Claire. “Basta che prendi una decisione entro l'inizio dell'anno accademico.”

L'espressione che Rachel le rivolse somigliava più a una smorfia che a un sorriso, ma Claire non vi badò. Aprì il suo armadietto e vi buttò dentro i libri che aveva in mano. Richiuso lo sportello, notò una ragazza alta e bionda che veniva verso di loro a passo svelto, con tutta l'aria di chi sa qualcosa e non vede l’ora di raccontarla. 

“Ciao!” esclamò una volta arrivata.

“Ciao, Juls.” la salutò Rachel di rimando.

Juliet non aspettò oltre per tirare fuori tutto. “Non avete idea di cosa ho appena scoperto.” 

“Se l'avessimo non saresti qui tutta eccitata a raccontarcelo.” ironizzò Claire, che quella mattina doveva essersi alzata dalla parte sbagliata del letto.

Juliet ignorò quel commento. “Avete presente il ballo organizzato dal nuovo proprietario del castello a Jadkson Hill?”

“Quello a cui noi non andremo?” chiese Claire ironica.

“Esatto.” confermò lei. “Indovinate chi è stato invitato.”

Rachel sorrise, scuotendo la testa. “Perché non ce lo dici e basta?” 

“Le tre arpie.” rivelò Juliet finalmente, certa che le altre avessero capito subito a chi si stava riferendo. Le tre arpie non erano altri che Jacqueline, Jasmine e Josephine, che a sentire i nomi sembravano i personaggi di un cartone animato, ma in realtà si trattava di tre galline senza cervello, alte, bionde e con gli occhi azzurri e che neanche a farlo apposta facevano le cheerleader. Una combinazione degna della trama di uno di quegli stupidi filmetti per adolescenti.

Rachel e Claire si scambiarono un'occhiata nello stesso momento, per niente esaltate dalla notizia.

“Beh, non c'è molto da stupirsi.” disse Rachel. “Il padre di Jacqueline è il sindaco.”

Con non poco sforzo, Claire tentò di chiudere il suo vecchio lucchetto, che da anni era difettoso. “Sinceramente non è che mi importi molto di quello che fanno quelle tre.” 

“Ma come?” ribatté Juliet in tono deluso. “Loro andranno a quel ballo da sogno e noi no. Non trovate che sia ingiusto?” Giorni prima, aveva visto il manifesto che parlava dell'evento e da allora non era riuscita a togliersi dalla testa l'idea di partecipare. Per concludere l'ultimo anno di liceo sognava qualcosa di diverso che la solita festicciola organizzata nella palestra della scuola.

“Ammesso che lo trovassimo ingiusto, cosa credi che cambierebbe?” le chiese Rachel. “Noi non abbiamo ricevuto l'invito, quindi non possiamo andarci.” concluse pratica.

“Anche perché non ho intenzione di andare né a quello né a nessun altro ballo.” Claire aveva preso quella decisione subito dopo aver scoperto che il ragazzo con cui stava da quasi quattro anni se la faceva con un'altra di un anno più grande di lei. Avevano frequentato il liceo insieme, poi lui era andato al college e l'aveva lasciata, rifilandole la solita scusa di non volere una relazione a distanza. Prima di scoprire che fosse solo un modo per levarsela di torno senza dover confessare la verità, le aveva promesso di accompagnarla al ballo dell'ultimo anno.

Rachel e Juliet si scambiarono uno sguardo eloquente prima di seguire Claire verso la mensa.

“Credevo che l'avessi superata.” disse Rachel cauta. Era parecchio tempo che non affrontavano l'argomento e credeva che ormai se ne fosse fatta una ragione, anche se era stato un boccone davvero duro da mandar giù. Un conto era lasciarsi di comune accordo, un conto scoprire che lui la tradiva già da tempo.

“Sì, certo.” Claire annuì. “Ma quella storia non c'entra niente, semplicemente non ho voglia di andarci.”

Juliet si pentì di aver introdotto il discorso, così deviò l’argomento su un altro fronte. “Ho sentito dire che il castello è stato allestito a festa e che il nuovo proprietario è un uomo molto affascinante.”

“Stavate parlando di me?”

Si voltarono, mentre un ragazzo dal sorriso familiare usciva da un’aula vicina e veniva loro incontro. 

“Ovviamente.” scherzò Rachel, riprendendo a camminare.

“Lo so, faccio questo effetto alle donne.” continuò Jason Wright con aria superba.

Risero alla battuta del loro migliore amico, ormai praticamente un fratello visto che si conoscevano da quando erano piccoli. Quel giorno era particolarmente contento per via dell’esame di storia, che raccontò entusiasta di aver superato con successo. Tra loro, era l’unico in grado di rivaleggiare con Rachel per quanto riguardava la scuola.

Entrarono in sala mensa e lasciarono le borse al primo tavolo che trovarono, per poi dirigersi ai banconi, dove le cuoche distribuivano il menu del giorno.

Rachel prese un vassoio e cominciò a dare un’occhiata alle pietanze esposte. 

“Cosa passa il convento, oggi?” chiese Jason di fianco a lei; poi guardò le vivande e storse la bocca, facendola ridere.

In effetti, era piuttosto raro trovare cibo decente su quei banchi, così alla fine optarono per pollo fritto e un sostanzioso mestolo di purea, che la cuoca sbatté con ben poca grazia sui loro piatti. 

“Se non ti va bene, cambia ristorante.” disse in tono acido, di fronte all’espressione velatamente disgustata del ragazzo.

Jason ricambiò con un finto sorriso cordiale. “Oggi sei più affabile del solito, Gladys. Si vede che siamo alla fine dell’anno scolastico.” replicò sarcastico, prendendo il suo vassoio e allontanandosi con Rachel, che stentava a nascondere le risate.

 

Quando tornarono al tavolo, Claire e Juliet stavano già mangiando. Non parlarono per un po', ognuno troppo impegnato a consumare il proprio pasto, poi Juliet ruppe il silenzio, rivolgendosi a Jason. “Hai saputo del ballo al castello?” 

Claire alzò gli occhi al cielo, addentando una fetta di pane e chiedendosi per quale motivo quello stupido ballo fosse tanto importante per lei.

“Ho sentito qualcosa.” annuì Jason con scarso interesse. “Ma non è una festa privata?”

“Sì, ma a quanto pare per Juls è un dettaglio.” commentò Rachel.

“Tanto io non potrei venire comunque.” replicò lui. “Quel weekend sono da mio padre. Dobbiamo finire di organizzare le ultime cose per il viaggio post-diploma.”

Il padre di Jason insegnava archeozoologia all’università di Missoula e aveva trasmesso la passione per gli animali morti anche al figlio, che lo seguiva in quasi tutti i suoi viaggi. 

“No, questa non ci voleva.” Rachel lo guardò delusa. “Eri la mia unica chance.”

Jason ricambiò lo sguardo con aria perplessa. “Perché?”

“Speravo che mi avresti accompagnata.”

“Mi dispiace.” si scusò. “Possibile che non te l'abbia chiesto nessuno? In questa scuola ci sono troppi giocatori di football decerebrati.” 

“Beh, non è la sola. Anch'io non so con chi andarci.” disse Juliet affranta.

“Ma smettila.” la rimbeccò Claire. “Ne hai una decina che ti sbavano dietro.”

“Ha ragione.” concordò Rachel. “Per esempio, Nick Henderson non ti ha staccato gli occhi di dosso nemmeno un secondo da quando siamo arrivate.” Fece cenno di guardare dietro di sé. 

Juliet si voltò appena, per poi tornare velocemente sugli amici. “Mi dispiace di averlo mollato, ma era troppo appiccicoso. Comunque…” riprese, cambiando discorso. “Dico solo che sarebbe bello partecipare a un evento così esclusivo. In questa città non capitano tanto spesso occasioni del genere.” Lasciò la forchetta e prese a fissare il vuoto davanti a sé con aria sognante. “Non voglio andarci con il primo che capita, vorrei che fosse un momento speciale e... romantico.”

“Juls è solo uno stupido ballo, non ti aiuterà a trovare l'uomo della tua vita.” replicò Claire con il consueto ottimismo.

L'amica fece per ribattere, ma glielo impedì il suono della campanella che annunciava la fine della pausa pranzo.

“Ragazze, devo scappare.” Jason afferrò il vassoio e si alzò in fretta. “Ho l'esame di biologia tra cinque minuti.” Le salutò, prima di aggregarsi a un gruppo di amici e uscire dalla mensa. 

Visto che avevano un’ora libera, decisero di dirigersi al cortile interno per godersi un po’ di sole e, su insistenza di Rachel, ripassare gli argomenti di filosofia per l'esame dell'ora successiva.

Claire si abbandonò pesantemente sulla solita panchina libera a poca distanza dall'entrata e prese a osservare l’amica mentre tirava fuori gli appunti dalla borsa. “Ti prego, abbi pietà.” sbuffò esausta.

Indifferente alle sue suppliche, lei aprì il quaderno di scatto e le pagine svolazzarono. “Senti, io vorrei diplomarmi con dei voti alti, se non ti dispiace. Tu fai come ti pare.” Accavallò le gambe e vi poggiò il quaderno sopra, preparandosi a isolarsi per un po' da qualsiasi conversazione. Aveva appena finito di leggere la prima riga, quando l’intera squadra delle cheerleader le oltrepassò senza degnarle di uno sguardo, andando a sedersi poco più avanti. 

Per un momento sembrò che fosse finita lì, finché una cascata di risatine non arrivò all'orecchio di Claire, che sollevò la testa per guardare con disappunto nella loro direzione. 

Jacqueline ricambiò l'occhiata, dopodiché si voltò di nuovo verso le amiche e insieme ripresero a starnazzare come oche giulive, senza preoccuparsi di dare fastidio agli altri studenti.

Disturbate dal rumore, anche Rachel e Juliet alzarono gli occhi e le fissarono, ma cercarono di fare finta di niente nella speranza che prima o poi la smettessero. Speranza vana, visto che il chiacchiericcio continuò senza nessun ritegno.

Si sentivano solo loro in tutto il cortile, ma nessuno si decideva a prendere l’iniziativa, così Claire pensò fosse arrivato il momento di farla finita. Con slancio atletico si alzò dalla panchina, avvicinandosi alle cheerleader. “Vi dispiacerebbe piantarla?” domandò in un tono tutt’altro che amichevole, attirando la loro attenzione. “A voi sembrerà strano, ma qui c’è chi vuole studiare. Non potreste andare a perdere tempo da un’altra parte?”

Jacqueline, che non capitanava solo la squadra ma anche i pensieri delle altre, la guardò con finta compassione. “Oh, scusa. Vi stiamo disturbando?” chiese a mo’ di scherno, mentre le altre ridacchiavano stupidamente. “Beh, siamo in un luogo pubblico e non sarai certo tu a dirmi cosa posso o non posso fare.” Detto questo, si riavviò una lunga ciocca di capelli dietro le spalle e, rivolgendosi di nuovo alle amiche, tornò a ignorarla. 

Claire ci avrebbe scommesso. Era esattamente da Jacqueline rispondere in quel modo, ma non per questo gliel’avrebbe fatta passare. In tanti anni che conosceva quelle tre, non era mai riuscita a mandar giù le loro occhiate e il loro modo di fare. Si credevano chissà chi solo perché avevano genitori influenti, ma si dava il caso che anche lei li avesse. “Ti senti potente davanti alle tue dame di corte, vero? Scommetto che da sola non vali neanche la metà di quello che sembri.” la sfidò.

Punta sul vivo, la cheerleader si alzò di scatto con le fiamme negli occhi. “Prova a ripeterlo.” disse tra i denti.

Claire non avrebbe esitato e questo Jacqueline lo intuì. Stavano per passare alle vie di fatto, quando Rachel e Juliet le raggiunsero, giusto in tempo per trattenere l’amica dall’afferrare quella fluente chioma bionda e strappargliela dalla testa.

“Dai, vieni.” mormorò Rachel, cercando di convincerla a lasciar perdere.

“Ecco, brava. È meglio che dai retta alla sfigata.” disse Jacqueline con disprezzo, seguita subito dallo scroscio di risatine delle altre.

Troppo imbufalita per ignorarle ancora, Claire tornò sui suoi passi, decisa ad avere lei l'ultima parola.  “Ti dirò Jacqueline, meglio essere sfigata che una subdola stronzetta come te.”

Dopo quell’insulto, la cheerleader assunse una colorazione tra il rosso e il nero fumo. Fuori di sé, venne verso di lei e con una spinta la mandò a finire per terra. 

“Ma sei fuori di testa?” Juliet raggiunse l'amica, seguita a ruota da Rachel, e insieme la aiutarono a rialzarsi. “Poteva farsi male.” Guardò Jacqueline sconcertata, mentre lei e la squadra scoppiavano a riderle in faccia.

“Questa non ve la faccio passare.” minacciò Rachel furiosa.

Una delle altre cheerleader guardò le amiche e tutte finsero di essere spaventate a morte. “Ragazze, siamo nei guai.” ironizzò, mettendosi una mano sulla bocca. “La secchiona si è arrabbiata.”

“Fammi il piacere.” ribatté Jacqueline spavalda. “Ma l'avete vista? Perfino sua madre è scappata in un altro continente pur di non averci a che fare.”

Quella fu l'ultima goccia e Rachel perse completamente il controllo di sé. Le si avventò contro, mollandole una sberla tale da farle voltare la testa. Subito dopo, sconvolta e incredula per quello che aveva appena fatto, indietreggiò, fissandosi la mano.

Mentre le altre ragazze la fissavano con gli occhi sbarrati, Jacqueline si portò una mano sul viso e quando la abbassò c'era del sangue sulle sue dita. Lo schiaffo di Rachel le aveva spaccato leggermente il labbro e a quella vista impallidì.

“Tu sei una pazza squilibrata!” gridò in tono isterico, prima di spingerla con forza. 

A quel punto Claire scattò in avanti, lanciandosi contro Jacqueline e buttandola a terra. Tra strilli e insulti cominciarono a lottare, menando schiaffi su qualunque parte del corpo scoperta. Claire afferrò una ciocca di capelli dell’avversaria e la tirò con forza, facendola urlare di dolore. Lei comunque non si diede per sconfitta e rispose con altrettanta violenza, provando a darle una ginocchiata per levarsela di dosso. 

Intanto, una folla di curiosi si era avvicinata e si stava godendo la scena, senza fare assolutamente nulla per fermarle, anzi, c’era chi rideva, chi incitava alla lotta e chi addirittura riprendeva il tutto con il cellulare. Claire le avrebbe strappato fino all’ultimo capello, se non fosse intervenuto il signor Ramirez, il professore di geografia, che stava passando per caso da quelle parti. Facendosi largo tra la folla, l’afferrò per la vita e la sollevò, dividendola da Jacqueline, che ansante si rimise in piedi aiutata dalle compagne di squadra. Entrambe erano ridotte in condizioni pietose. La messa in piega della cheerleader era andata a farsi benedire, così come la sua divisa, prima fiammante e ora scomposta. 

Nonostante lui la tenesse sollevata, Claire continuava a scalciare, incurante di star dando spettacolo. 

“Signorina Farthman, si calmi!” le intimò Ramirez, cercando di tenerla ferma. 

Ci mise un po’ a ritrovare il controllo di sé e quando finalmente ci riuscì il professore mollò la presa, permettendole di rimettere piede a terra. 

Jacqueline non le diede neanche il tempo di dare spiegazioni e si lanciò subito all’attacco. “Professore, è una pazza! Mi è saltata addosso senza motivo!” la accusò indignata, puntandole il dito contro e accertandosi che il labbro spaccato fosse in bella mostra. “Lei e le sue amiche ci hanno insultato, per poi aggredirci!” Indicò anche Rachel e Juliet, che la guardarono indignate.

“Non è vero!” scattò Claire, trattenendo l’impulso di picchiarla ancora. “Avete iniziato voi a insultarci!”

“Mi stai dando della bugiarda?”

 “Adesso basta!” le interruppe Ramirez con voce tonante. “Non so chi di voi abbia iniziato, ma queste manifestazioni di violenza non sono tollerabili. Il preside verrà informato.”

 

-o-

 

“Io non capisco perché hanno messo in punizione solo noi.” Claire si abbandonò su una sedia, buttando la borsa per terra in malo modo. “Che vuol dire che quelle imbecilli avevano le prove per lo spettacolo del diploma? È evidente che vengono favorite.”

“Dici?” chiese Juliet, sempre fiduciosa nel prossimo. “Però non me lo aspettavo. Dopo tutte le donazioni che tuo zio ha fatto alla scuola, credevo che l’avresti scampata.”

“Figurati.” rispose Claire, convinta che questo non fosse sufficiente. La figlia del sindaco sarebbe sempre stata in una botte di ferro. “Tanto lo sapevo che andava a finire così. Tu piuttosto, non eri inclusa nella punizione, potevi andartene a casa.”

L’amica fece spallucce. “Nessun problema. L’ho fatto per solidarietà.”

Rachel a malapena le ascoltava. Si sedette in silenzio, tirò fuori un libro dalla borsa e cominciò a ripassare geografia. Dopo lo spettacolo penoso a cui aveva assistito, era certa che Ramirez non ci sarebbe andato tanto leggero. Se non altro era un modo per sfruttare quelle due ore extra. Inoltre, studiare l'avrebbe distratta dal pensiero fisso dell’esame di filosofia e da quello che aveva combinato, talmente era nervosa. Meno male che il diverbio con le cheerleader era avvenuto alla fine dell’anno e la sua domanda per Stanford era stata già accettata, altrimenti quell’episodio avrebbe segnato la fine dei suoi sogni di gloria. 

Dopo aver rimandato tutti in classe, il professor Ramirez le aveva portate nell'ufficio del preside insieme alle cheerleader e lì avevano dovuto spiegare i motivi di quella scenata. Alla fine il preside si era convinto a non chiamare le famiglie, anche perché erano tutte maggiorenni, e a non prendere provvedimenti disciplinari che sarebbero finiti sui loro curricula scolastici. Lei e le amiche però si erano beccate due ore di punizione da scontare dopo gli esami del pomeriggio, mentre le cheerleader se l'erano cavata con la scusa delle prove.

Nella stanza c'erano loro tre, un tizio seduto al primo banco che sembrava strafatto, un metallaro con un giacchetto di pelle e borchie, e una ragazza dai capelli viola con il viso coperto di piercing. Infine, altri due ragazzi all'apparenza anonimi se ne stavano seduti nei banchi in fondo a farsi i fatti loro.

A controllare che non combinassero guai c'era un professore anziano, che se ne stava seduto alla cattedra intento a leggere il giornale.

Juliet decise di imitare Rachel e aprì un libro, mentre Claire metteva le braccia sul tavolo e vi appoggiava il mento, intenzionata a farsi un sonnellino. Al momento, lo studio era l’ultima delle sue fantasie. 

Rachel tentò di concentrarsi sulle pagine, ma il metallaro e la ragazza con i piercing si stavano scambiando effusioni decisamente poco caste e concentrarsi risultava difficile. 

“Cavolo, le sta risucchiando la faccia...” sussurrò Juliet sconcertata. 

Senza staccare gli occhi dal libro, Rachel ridacchiò. 

“Disgustoso eh?” 

Uno dei ragazzi seduti in fondo si era avvicinato senza che se ne accorgessero. Aveva un viso familiare, probabilmente perché era capitato di incrociarlo nei corridoi, ma non si erano mai parlati. Strano però che nessuna di loro avesse ben in mente la sua immagine, visto che nel complesso non era per niente male. Alto, biondo, con profondi occhi azzurri e un sorriso smagliante. Difficile non notarlo.

Senza aggiungere altro, annuirono in segno di approvazione e tornarono a studiare. 

Pensavano che fosse finita lì, ma lui invece spostò una sedia davanti al loro banco e ci si sedette al contrario, in modo da poterle guardare una per una. “Comunque, piacere.” continuò imperterrito, come se fosse stato invitato. “Cedric Butler.” disse cordiale, aspettando di sentire i loro nomi.

Le presentazioni però vennero interrotte dalla risatina disturbata del ragazzo al primo banco, che si fissava le mani in maniera morbosa, come se fosse la prima volta che le vedeva. 

Si voltarono a guardarlo perplessi, prima che Juliet tornasse su Cedric, sorridendo a sua volta. “Piacere, Juliet. E queste sono Rachel e Claire.”

Gli occhi di Cedric si ridussero a due fessure e la guardò con fare pensoso, accarezzandosi il pizzetto. “Dov’è che ti ho già vista? Forse a qualche corso…”

“Può darsi.” rispose lei. “La scuola non è così grande.”

“E come mai siete qui?” chiese curioso, abbandonando già il tentativo di ricordare. “Non avete l'aspetto delle cattive ragazze.”

Rachel intuì subito dove volesse andare a parare con quell’aria da Casanova, ma decise comunque di rispondere per non apparire maleducata. “Abbiamo avuto un diverbio con delle cheerleader...”

“Ah, quindi siete voi quelle che hanno fatto a botte in cortile!” la interruppe stupefatto. 

Sembrava trovasse la cosa estremamente divertente.

“Ced, non esagerare. È imbarazzante.” lo richiamò l’altro ragazzo, visibilmente a disagio. A giudicare dal suo aspetto, era strano pensare che quei due fossero amici. Di solito i tipi come Cedric stavano con i loro simili, alti e ben piazzati. Questo invece era più magro e tutto di lui faceva intuire che fosse una specie di intellettuale: gli occhiali e il modo in cui se li sistemò sul naso, come si esprimeva. Inoltre, con quei capelli scuri e gli occhi verdi, sembrava l’esatto opposto dell’altro. 

“Scusatelo, a volte non riesce a contenersi.”

A quanto pareva, era anche la sua parte razionale, che gli impediva di continuare a dire sciocchezze. Una sorta di coscienza.

Cedric gli lanciò un'occhiataccia. “Che ho detto di male?”

Lui ignorò la domanda e gli parlò sopra. “Mark, piacere di conoscervi.”

Cedric, però, non sembrava voler rinunciare a conoscere i dettagli di quella storia. “Allora, chi di voi è saltata addosso a Jacqueline?”

In un primo momento, Claire fu troppo imbarazzata per rispondere, ma poi alzò appena la mano.

Cedric strabuzzò gli occhi. “Wow! Hai tutta la mia stima.” commentò sorpreso, prima di darle una rapida occhiata generale. “A guardarti non sembri un tipo violento. Sei così piccola...”

“Vuoi mettermi alla prova?” lo sfidò sostenuta, apprezzando comunque il tatto con cui aveva alluso alla sua statura. 

Lui alzò le mani, ridacchiando. “No, no. Però non sai quanto mi è dispiaciuto essermelo perso.”

Juliet guardò i due con aria perplessa. “Quindi, vuoi dire che tutta la scuola lo sa?”

“Scherzi, è l'argomento del giorno. Non si parla d'altro.” 

Rachel richiuse il libro di colpo, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. “Bene, fantastico.” A fatica lo infilò nella borsa, già piena di altri libri e quaderni. “Ci manca solo che la voce arrivi fino a Stanford e posso dire addio alla mia reputazione per i prossimi quattro anni.”

Satura delle sue paranoie sul college, Claire sbuffò e le si rivolse in tono perentorio. “Primo, Stanford è lontana chilometri da qui, secondo, la tua media è la più alta degli ultimi dieci anni, terzo, fai parte di almeno cinque club, tra cui la squadra di Pentathlon, e, quarto, non hai mai trasgredito una regola. Perciò puoi stare tranquilla, questa storia non rovinerà la tua immacolata reputazione.”

Rachel ricambiò lo sguardo afflitta, per poi abbandonarsi a un sospiro. “Certo, se tu avessi lasciato perdere, invece di attaccare briga con Jacqueline...”

“Di nulla, figurati.” ribatté Claire risentita. “Non c'è bisogno che mi ringrazi per averti difesa.”

“Scusate se mi intrometto. Anche tu hai fatto domanda per Stanford?” le chiese Mark interessato. 

Lei distolse l’attenzione da Claire per guardarlo. “Sì, mi hanno accettata.” annuì, rincuorata dal fatto che la cosa interessasse a qualcuno.

“Hanno preso anche me. Lì hanno la migliore facoltà di biologia degli Stati Uniti. E tu che cosa hai scelto?”

“Giurisprudenza...”

“Ehi, scusate...” li interruppe Cedric, annoiato dalla conversazione. “Tutto ciò è molto interessante, ma siamo ancora al liceo. Godetevi quest’ultima estate di libertà, prima di seppellirvi di nuovo tra i libri.” scherzò.

Juliet ridacchiò, anche lei d’accordo. A differenza di Rachel, l’idea di andare al college non l’aveva mai attirata granché. “E voi perché siete finiti in punizione?” chiese curiosa ai ragazzi.

Cedric accennò un sorriso. Chiaramente perché lei gli aveva ricordato il motivo per cui erano lì. “È una storia lunga.” Guardò Mark, che sorrise a sua volta. “Diciamo solo che la chimica non fa per me.”

Juliet assunse un'aria interrogativa, invitandoli a spiegarsi meglio.

“Ced ha rovesciato una provetta durante l'ora di chimica e...” iniziò Mark.

Cedric, però, lo interruppe, lanciandogli un’occhiata di traverso. “Non l’ho mica fatto apposta!”

“E la Shelman ci è scivolata sopra, slogandosi un polso.” concluse lui, facendo finta di non averlo sentito. “Quindi, visto che eravamo in coppia, sono finito qui anch’io. Grazie, Ced.” 

Ricambiando il sorrisetto di scherno dell’amico, Cedric ribatté: “Per quanto tempo pensi di rinfacciarmelo? E poi la Shelman ha avuto una reazione esagerata, secondo me. Dovrebbero prescriverle dei tranquillanti.”

“Mi sembra normale, dato che si è slogata un polso. Sei tu che ti muovi peggio di un elefante in una cristalleria.”

“Okay, è sempre colpa mia…” 

Le ragazze assistevano alla diatriba un po’ spaesate. Continuavano a far finta di discutere, quando si capiva benissimo che si prendevano in giro a vicenda.

“Sshh!”

Non si erano accorti di parlare a voce troppo alta e quando il professore gli intimò il silenzio, si voltarono tutti insieme verso la cattedra, ma lui si era già rimesso a leggere.

Rachel stava per proporre di riprendere lo studio, ma ormai la conversazione era partita e Juliet sembrava trovarsi molto a suo agio nel chiacchierare con i ragazzi. Così rinunciò per una volta al suo lato giudizioso e poco dopo si ritrovò a parlare con Mark dell’università, mentre Cedric provava a strappare a Claire qualche dettaglio in più sulla rissa. 

Grazie a loro, le noiose ore di punizione passarono tutto sommato in modo piacevole, fino a quando non suonò la campanella che li autorizzava a tornarsene a casa.

 

-o-

 

La campanella di fine ora risuonò per i corridoi e decine di studenti uscirono dalle classi, diretti alla prossima lezione. Anche Claire lasciò l'aula per raggiungere il suo armadietto. Lo aprì con difficoltà e iniziò a sistemarne il contenuto in previsione dello sgombero. Quello era l'ultimo giorno che trascorreva in quella scuola e non poteva più rimandare l'inevitabile. Fissò l'interno con aria assorta, indecisa se aspettare l'ultima ora o cominciare a svuotarlo subito. Sarebbe stato meglio iniziare subito, ma non ne aveva nessuna voglia, così sbuffò e richiuse lo sportello, rimandando per l'ennesima volta. 

“Ehilà!”

Colta di sorpresa, Claire sobbalzò, prima di accorgersi che a pochi centimetri da lei, appoggiato all’armadietto accanto al suo,  Cedric le sorrideva con la sua solita aria tronfia.

“Come va?” chiese allegro.

“Prima dell’infarto? Bene, grazie.” rispose, tenendo ancora la mano sul petto per calmare la tachicardia; poi intravide Rachel e Juliet che la stavano aspettando in fondo al corridoio e si avviò nella loro direzione, sperando che lui non la seguisse. 

Speranza vana.

Cedric continuò a camminare dietro di lei, senza smettere di parlare. “Ancora un’ora ed è finita, finalmente.” commentò in tono sollevato. “Da adesso inizia la vita vera.”

Gli occhi azzurri di Claire rotearono, ma lui non se ne accorse. Se in quel modo pensava di accalappiarla aveva decisamente sbagliato metodo. Era stato abbastanza facile per lei inquadrarlo come il solito belloccio che pensa di avere tutte le donne ai suoi piedi. Proprio il tipo che cercava di evitare con tutte le sue forze.

“Dove sei diretta?” le chiese.

“In C9. Ho l’esame di letteratura con la Kellings.” rispose Claire. “Anzi, scusami, ma avrei una certa fretta.” aggiunse, aumentando il passo. 

Cedric però non sembrava demordere. Il dubbio che volesse liberarsi di lui non lo coglieva minimamente. “Davvero? Ma pensa, anch'io.” Sorrise. “Allora ti accompagno.”

Claire pensò che qualcuno lassù in cielo volesse punirla, anche se non sapeva perché. Mentre le amiche ricambiavano il caloroso saluto di Cedric, lanciò loro un'occhiata eloquente e fece cenno di incamminarsi verso l'aula della Kellings, sicura che avrebbero capito. 

“Aspettate, devo darvi una cosa prima di entrare.” le bloccò Cedric, mentre poggiava lo zaino per terra e iniziava a rovistare all'interno.

Le ragazze attesero che riemergesse da lì dentro, preoccupate di non arrivare in tempo per la consegna del test, ma dopo un momento lui si rialzò con in mano un mucchio di volantini gialli e gliene diede uno a testa.

“Sta aprendo un nuovo locale in città.” spiegò. “Domani sera c'è l'inaugurazione e il primo drink è gratis. Potreste andarci, se vi va.”

Juliet lesse il volantino incuriosita, poi guardò le altre. “Sembra carino.” 

“Okay, ci penseremo.” tagliò corto Claire, concedendogli un mezzo sorriso. “Adesso però dovremmo proprio andare.” 

“Aspetta.” la fermò di nuovo. “Perché non mi dai il tuo numero? Non si sa mai, potreste perdervi...”

“Il mio numero?” ripeté lei, per niente sicura di aver sentito bene. 

“Ma sì.” si intromise Juliet. “Ha ragione. In città ci sono parecchi locali, come faremo a riconoscerlo?”

Rachel alzò un sopracciglio. “Juls, siamo a Greenwood non a Las Vegas.”

Juliet ridacchiò. “Vero, ma sarebbe comunque meglio dargli il suo numero.” 

Claire non poté fare a meno di chiedersi perché proprio il suo. La strategia di Juliet era più che ovvia, ma lei era preparata. “Mi piacerebbe, ma non ho il cellulare con me e non me lo ricordo a memoria, perciò…”

 “Va bene, gli do il mio.” si offrì Rachel spazientita. Dopodiché, lo dettò a Cedric, che lo inserì in rubrica; poi le salutò e diede loro le spalle, facendo per andarsene.

 “Ehi, ma non avevi anche tu l'esame di letteratura?” gli chiese Claire alle spalle, ma quando lui si voltò di nuovo per farle l’occhiolino capì che la sua era stata tutta una messinscena per prolungare il loro incontro. Indispettita, lo guardò allontanarsi e, dandosi della cretina, si ripromise di non dargli corda mai più.

“È carino, no?” chiese Juliet maliziosa. 

“E con questo?”

Lei sbuffò seccata. “Niente, era solo un’osservazione. Secondo me dovresti superare questa diffidenza cronica. Non sono mica tutti come…” Si interruppe all’ultimo momento, evitando di pronunciare quel nome, mentre Claire la stava già guardando di traverso.

D'un tratto, alle loro spalle si sentì una cascata di risatine civettuole. Si voltarono insieme per capire cosa le avesse provocate e videro Cedric che distribuiva volantini a un gruppetto di ragazze. Doveva aver fatto una delle sue solite battute piacenti, provocando l'ilarità generale. 

Claire rivolse all’amica un'occhiata eloquente. “Dicevi?” 

“Beh, m-ma che vuol dire...” balbettò Juliet, arrampicandosi sugli specchi.

Con un sospiro annoiato, lei troncò il discorso e si diresse all'aula di letteratura. “Forza, siamo in ritardo.”

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Capitolo 2
*** Il piano ***


Capitolo 2

Il piano

 

“E dai, non fare quella faccia.” la rimbeccò Rachel, mentre girava il volante e imboccava il vialetto sotto casa di Jason. “Almeno ti distrai un po'.”

Claire non si voltò, continuando a guardare fuori dal finestrino. Quella sera le amiche l'avevano praticamente costretta a uscire, per andare a prendere qualcosa da bere in quel nuovo locale di cui parlava il volantino. Oltre a non averne nessuna voglia, aveva paura di incontrare Cedric e dovercisi confrontare ancora una volta. Lui la metteva a disagio, forse perché si era accorta che ci stava provando oppure perché il trauma emotivo della sua precedente relazione le faceva provare diffidenza verso tutti i ragazzi che incontrava. Tra l'altro, per l'occasione si era dovuta mettere addosso qualcosa di decente e perfino truccarsi. Cosa che non faceva da settimane.

Juliet si sporse dal sedile posteriore. “Smettila di fare la musona e cerca di divertirti stasera.” 

“Hai notato il trucco?” Rachel ammiccò verso Claire. “E non voleva neanche venire...”

Lei sbuffò. “Non potevo presentarmi con le occhiaie che mi arrivavano alle ginocchia, vi pare?”

Rachel ridacchiò e finse di crederci, mentre Juliet faceva uno squillo a Jason per dirgli di scendere. 

Non attesero molto, prima di vederlo aprire il cancello e raggiungerle sorridente. 

“Salve!” le salutò, montando in macchina accanto a Juliet. “Pronte per la baldoria?”

“Altroché!” rispose Juliet raggiante. “Non è vero, Claire?”

Senza nemmeno un briciolo della sua euforia, lei ricambiò con una smorfia annoiata. “Oh, sì…”

“Wow, trattieni l’entusiasmo.” ironizzò Jason, facendo ridere le altre. 

Secondo l'indirizzo sul volantino, il locale si trovava fuori dal centro della città, quindi Rachel seguì le indicazioni date dai cartelli e uscì dalla zona residenziale.

Trovarlo non fu tanto difficile, anche perché l'insegna con scritto Golden Caddy era piuttosto appariscente, tuttavia si divertirono lo stesso a prendere in giro Claire, insistendo perché chiamasse Cedric per farsi indicare la strada. Ovviamente, lei rifiutò, fingendosi anche un po' seccata.

Una volta imboccata l'entrata, lasciarono l'auto nello spiazzo adibito a parcheggio e si diressero al giardino davanti al locale, dove si stava svolgendo il party vero e proprio. Per l’occasione era stato addobbato con tavolini stile moderno e lanterne fatte con barattoli di vetro, appese ai rami degli alberi. Lo attraversarono in cerca di un posto libero, ma era già pieno di gente, così dovettero entrare dentro. 

L'interno aveva il pavimento in parquet e tavolini di legno dello stesso colore. Ai lati delle pareti c'erano dei divanetti in pelle nera e con la testiera alta, mentre degli sgabelli foderati giravano tutti intorno al bancone. Sia dentro che fuori la musica risuonava a tutto volume e la gente ballava ovunque ci fosse spazio. 

Dopo aver girato un po’, trovarono un tavolo e si accomodarono, aspettando che qualcuno venisse a prendere le ordinazioni. Nel frattempo, riconobbero e salutarono un sacco di gente, visto che l'intera scuola sembrava aver letto il volantino di Cedric.

D’un tratto, da un angolo della sala videro Mark sventolare la mano per attirare la loro attenzione e, quando li ebbe raggiunti, le ragazze gli presentarono Jason, per poi invitarlo a sedersi con loro. 

“Non vedo Cedric...” disse Juliet, trovando strano che non fossero insieme.

“Stasera ha parecchio da fare, ma dovrebbe essere qui in giro.” 

Claire lo guardò senza capire. “Ha da fare?”

Mark non fece in tempo a spiegarsi che di lì a poco Cedric si presentò davanti a loro con indosso un grembiule verde da cameriere e un blocchetto in mano. Rivolse a tutti un sorriso smagliante, asciugandosi il sudore dalla fronte. “Ragazzi che caldo! Neanche l'aria condizionata mi fa effetto stasera.”

 “Tu lavori qui?” Claire strabuzzò gli occhi allibita.

Lui la guardò, assumendo un'aria innocente. “Non ve l'avevo detto?” Ci rifletté sopra un istante. “Deve essermi sfuggito. Allora? Cosa prendete?”

Una volta che si furono ripresi dalla sorpresa, fecero le loro ordinazioni, mentre Cedric prendeva appunti in modo veloce ed esperto.

“Ok, torno fra poco.” assicurò. “E se ci riesco mi siedo.” aggiunse, sfoderando con le ragazze il solito sorrisetto ammiccante.

“Una mano non mi dispiacerebbe!” lo esortò un ragazzo che gli somigliava molto, mentre trasportava un paio di vassoi traballanti verso il giardino.

“Devo andare. Divertitevi.” tagliò corto Cedric, schizzando verso il bancone.

Alla fine venne fuori da Mark che il locale apparteneva alla famiglia dell’amico e che suo padre aveva chiesto a lui e a suo fratello Daniel di aiutarlo, visto il gran numero di clienti previsti per l’inaugurazione. In effetti, scegliere la fine dell’anno scolastico si era rivelata una mossa furba per attirare gli studenti desiderosi di festeggiare l’inizio delle vacanze.

“Insomma, siamo liberi finalmente.” esordì Jason. “Non vedo l'ora di partire per l'Europa con mio padre e lasciare questo mortorio.” 

“Grazie, Jay.” Lo schernì Claire, fingendosi offesa.

Per consolarla, il ragazzo le passò un braccio intorno alle spalle. “Dai, non fare così. Lo sai che mi mancherete.”

 “Ecco qua.” Cedric era tornato con i loro drink, che poggiò uno alla volta sul tavolo. Si scusò per la fretta, chiedendo di aspettarlo finché non finiva il turno, dopodiché sparì di nuovo.

Intanto, si misero a discutere del futuro e della strada che ognuno avrebbe intrapreso dopo il diploma. A Juliet sarebbe piaciuto frequentare un corso di pasticceria artigianale per poi aprire un'attività in proprio. Aveva sempre adorato cucinare e, anche se i suoi genitori non erano molto entusiasti della sua scelta, avevano comunque acconsentito a lasciarla provare. 

Jason era elettrizzato all'idea dell'Europa e non perse occasione per descrivere il viaggio nei dettagli a Mark, l’unico che lo ascoltava interessato.

Trascorsero la serata chiacchierando e bevendo in allegria. Claire incontrò praticamente tutte le ragazze della sua squadra di calcio, con cui rimase impegnata a parlare per un po’, mentre Jason e Juliet furono gli unici a ballare. Senza che se ne accorgessero il tempo passò e, quando la gente iniziò a diminuire, Cedric fece di nuovo la sua comparsa. Completamente distrutto, si tolse il grembiule e si accasciò vicino a Mark, afferrando il suo bicchiere e mandando giù una lunga sorsata. “Questo lavoro finirà per uccidermi.” ironizzò in tono esausto. “E da domani mi tocca anche stare qui a tempo pieno, visto che la scuola è finita.”

Mark gli diede una pacca sulla spalla con fare comprensivo.

“Oh, poverino. Pesa tutto sulle tue spalle.” commentò Claire sarcastica.

Lui stette al gioco, abbandonandosi a un sospiro e annuendo afflitto. “Già… Però potresti darmi una mano tu.” propose, prima di tornare sui suoi passi. “Anzi, meglio di no, altrimenti andrebbe a finire che passeremmo l'intera giornata nello sgabuzzino, invece di servire i clienti.”

L'espressione di Claire era tutta un programma. Non si sarebbe mai aspettata un’uscita del genere. “Cosa?” replicò confusa, mentre accanto a lei Jason lo squadrava perplesso. 

A quel punto, Juliet pensò che fosse meglio cambiare discorso per uscire dal momentaneo stato di imbarazzo creatosi al tavolo. “Bello il locale, Cedric.” disse, attirando così la sua attenzione su di sé.

“Vero?” annuì lui. “Mio padre ha sempre sognato di aprirne uno. Ci sono voluti anni di risparmi, ma alla fine ce l'abbiamo fatta.”

 “L'insegna è curiosa.” osservò Rachel.

 “Sì, si riferisce al nome di un cocktail degli anni '50, il Golden Cadillac, che a sua volta deriva dalla Cadillac Eldorado, l'auto preferita da mio padre.” le spiegò in tono erudito.

“Che originale.” commentò Juliet interessata.

Non sapendo di cos’altro parlare, per un po’ il silenzio scese su di loro, mentre attendevano che qualcuno trovasse un nuovo argomento. Cosa che fece Cedric di lì a poco. 

“Allora…” sospirò, appoggiando la schiena e stendendo entrambe le braccia lungo la testiera della panca. “Avete programmi per quest’estate?”

 Lieta che avesse rotto il ghiaccio, Juliet annuì. “Stavamo pensando di passare qualche settimana in California. Lo zio di Claire ha una casa a Long Beach.”

A Claire l'idea che lo sbandierasse ai quattro venti non piaceva granché, ma evitò di commentare.

“Niente male!” Cedric la guardò di nuovo, stavolta molto sorpreso. In fondo, non era da tutti a Greenwood possedere una villa in un posto così esclusivo e costoso. 

“Sì…” Lei esitò, cercando di sviare la conversazione. Non voleva che la vedessero come una di quelle riccone con la puzza sotto al naso. “Comunque non è una decisione definitiva.”

“Beh, semmai doveste cambiare idea, fatemelo sapere. Potremmo vederci qualche volta, tanto io me ne starò qui per tutta l’estate.” le informò Cedric, soffermandosi poi su Claire. “Potrebbe essere un'occasione per conoscerci meglio.” 

Non sapendo come comportarsi, lei gli rivolse un sorrisetto accondiscendente. Era la prima volta che le capitava di conoscere uno così sfrontato. Sembrava non vergognarsi di niente.

“Non credo che Claire ne abbia voglia.” Intervenne stavolta Jason, infastidito da tutta quell’insistenza. 

Cedric allora lo guardò. “Come scusa?” 

“A Claire non interessa uscire con te.” chiarì.

“E tu come fai a saperlo? Te l'ha detto lei?”

“Jason...” Claire fece per intromettersi e porre fine alla discussione, prima che degenerasse, ma non servì a molto.

“No, ma la conosco da molto tempo e lo capisco quando qualcuno non le va a genio.” 

Ignorando le occhiate eloquenti di Mark, che gli intimavano di darci un taglio, Cedric non sembrò voler mettere un punto al discorso. “Io credo che sia perfettamente in grado di parlare da sé. Non ha bisogno dell'avvocato.”

“Okay, penso che sia ora di rientrare. Si è fatto tardi.” tagliò corto Rachel, guardando l'orologio e interrompendo così quella diatriba. Insieme alle amiche si alzò e, dopo aver salutato Mark e Cedric, lasciarono il locale insieme a Jason. 

Per fortuna, la festa era finita già da un po’ e il parcheggio era sgombro, quindi la macchina non era incastrata tra decine di altre.

“Si può sapere che ti è preso?” chiese Claire seccata, voltandosi verso Jason dopo aver chiuso lo sportello. “Potevo cavarmela benissimo da sola.”

“Lo so, scusa.” rispose lui, guardando altrove. “Ma è stato più forte di me. Quel tizio è un idiota.”

 

-o-

 

Erano da poco passate le due quando Claire salì le scale di casa sua ed entrò in camera. Prese il pigiama dall'armadio e si preparò per andare a letto, senza smettere di pensare alla serata appena trascorsa. Durante il viaggio di ritorno lei e Jason avevano avuto modo di chiarirsi e adesso era tutto a posto. A dire la verità, non è che avessero proprio litigato, ma a volte era un po’ invadente con la sua mania di comportarsi da fratello maggiore.

Finì di spogliarsi, riflettendo sulla stupidità del sesso maschile, poi si buttò sul letto. Si sentiva stanca pur non avendo fatto nulla.

Fissò il soffitto per un po', prima che il cellulare sopra il suo comodino vibrasse leggermente. -E adesso chi è a quest’ora?- Lo afferrò e vide che il messaggio proveniva da un numero sconosciuto.

 

Ho visto come mi guardavi stasera. Non hai bisogno di fingere, lo so che sei già perdutamente innamorata di me ;)

 

Claire strabuzzò gli occhi, non tanto sicura di aver letto bene. Non aveva bevuto molto durante la serata ed era sicura di non aver guardato nessuno in maniera provocante, tanto da spingerlo a scriverle. Perciò chi poteva essere? Incuriosita mise subito mano alla tastiera per rispondere.

 

Chi sei e come hai avuto il mio numero?

 

Non ottenendo risposta, sentì crescere l'ansia. Poteva essere chiunque della scuola, visto che al locale aveva incontrato parecchie facce conosciute. Forse, volevano solo farsi due risate alle sue spalle, perciò stava per convincersi a spegnere quando il telefono vibrò di nuovo.

 

Ma come? Credevo di aver lasciato il segno…

Dopotutto, sono o non sono il barista più sexy della contea?

 

Dopo quel messaggio, capì al volo di chi si trattava. Alzò gli occhi al cielo, poi si passò una mano sulla fronte con aria stressata. La ragione le diceva di mandarlo a quel paese e mettersi a dormire, ma l'istinto guidò le sue dita alla tastiera.

 

Idiota, mi hai fatto prendere un colpo. Comunque, non credi che sexy sia una parola un po' troppo grossa? È incredibile come il tuo ego non smetta mai di crescere, ormai avrà raggiunto dimensioni titaniche.

 

Con questo sperò di averlo messo al suo posto e di chiudere la conversazione. Tuttavia, restava aperto il quesito principale: come aveva avuto il suo numero? Non ci mise molto a fare due più due e capire che doveva essere stata Rachel. C’erano delle volte in cui avrebbe voluto strozzarla e questa era una di quelle. Stava per poggiare il cellulare, ancora acceso malgrado avesse deciso di troncare il discorso, quando vibrò ancora. Con uno scatto fulmineo se lo riportò davanti agli occhi e lesse:

 

È inutile che fai la sostenuta. Tanto vale parlarsi sinceramente fin da subito, perché sappiamo entrambi come andrà a finire. Nessuna resiste al mio charme... Mi dispiace solo per il tuo ragazzo, perché sarà l'unico a rimetterci.

 

Le sfuggì una risata sommessa. Era davvero la persona più sfacciata che avesse mai conosciuto, questo doveva ammetterlo.

 

Penso che il tuo charme stia perdendo colpi, visto che non funziona proprio con tutte. E comunque, Jason non è il mio ragazzo.

 

Non sapeva neanche perché lo avesse specificato. Avrebbe potuto fargli credere che fosse così, in modo da convincerlo a desistere con lei e invece... 

 

Meglio così, almeno non avrai nessuno sulla coscienza quando ci metteremo insieme.

 

Incredibile. Aveva il muro al posto della faccia.

 

Sì, certo. Continua pure a sognare.

 

La risposta di Cedric non tardò ad arrivare.

 

Allora vorrà dire che ci rivedremo stanotte ;)

 

Lesse e rilesse quel messaggio una decina di volte, mentre il suo viso avvampava. Lanciò il cellulare sul letto in modo brusco, infastidita ed elettrizzata allo stesso tempo. Dopo una risposta simile era sicuro che avrebbe posto fine a quei suoi patetici tentativi di abbordaggio. Anche se ne era passato di tempo dall’ultima volta che si era sentita così e doveva ammettere che la cosa le faceva piacere… Però no, non aveva nessuna intenzione di essere il passatempo di turno di Cedric.

Si sdraiò, rannicchiandosi su un fianco e tentando disperatamente di prendere sonno. Sonno che però non venne. Qualche minuto dopo il cellulare alle sue spalle vibrò ancora. Chiuse gli occhi, senza sapere cosa fare, ma alla fine la curiosità ebbe il sopravvento. 

 

P.S.: Scusa per stasera, ho esagerato. Avrei dovuto lasciar perdere ma a volte parlo senza ragionare. Comunque sono stato davvero bene e spero di rivederti presto :) Buonanotte

 

Claire si lasciò sfuggire un sorriso del tutto involontario e, quando se ne rese conto, si riscosse, dandosi della cretina. Dopodiché, finalmente spense il telefono e lo appoggiò sul comodino, per poi afferrare il lenzuolo e coprirsi con un gesto secco.  

 

Si alzò la mattina seguente più assonnata di quando era andata a letto. Ci aveva messo un bel po’ ad addormentarsi, visto che il pensiero dei messaggi di Cedric era come un chiodo fisso che non la lasciava in pace. Si rendeva conto di stare esagerando, in fondo non le aveva mica fatto la dichiarazione, eppure temeva che se non avesse messo le cose in chiaro fin da subito la situazione le sarebbe sfuggita di mano. Urgeva una decisione drastica. Sarebbe andata di nuovo al locale per parlargli a quattr’occhi.  Il problema era che non se la sentiva di andarci da sola, quindi afferrò il cellulare. 

Stava per chiamare Juliet, ma all’ultimo secondo si rese conto di come avrebbero potuto reagire le amiche se avessero saputo di quei messaggi. L’avrebbero tormentata fino allo stremo affinché si buttasse tra le sue braccia, quando invece per lei era fuori discussione.

Per evitare ciò, accampò la scusa di aver perso un braccialetto alla festa, così da farsi accompagnare lì e magari pranzare insieme.

Alla fine, si erano messe d’accordo che Juliet sarebbe andata a prenderla con la sua auto, mentre Rachel le avrebbe raggiunte più tardi per via di alcune pratiche per il college che doveva sbrigare con suo padre. 

Quando arrivarono, nel locale si respirava tutta un’altra atmosfera. C’era solo una leggera musica di sottofondo e nella tranquillità di una soleggiata mattinata estiva si riusciva a distinguere il cinguettio degli uccelli. 

“Ma sei sicura di averlo perso qui? Non credo che sarà così facile ritrovarlo con tutta la gente che c’era ieri.” Osservò Juliet, chinandosi per guardare sotto i tavoli.

Claire però non la stava a sentire perché interessata a tutt’altro. Allungando il collo cercava di scorgere Cedric all’interno del locale e il suo fare circospetto insospettì Juliet, che intuì in un attimo la vera ragione per cui erano lì. 

“Magari potremmo entrare e chiedere a Cedric. Che ne pensi?” domandò con un sorrisetto malizioso stampato in faccia.

Nel sentire quel nome, Claire si girò verso di lei allarmata. “Cos… No, no non serve… Insomma, non è il caso di…” bofonchiò.

Juliet prese posto a un tavolo e accavallò le gambe. “Guarda che l’ho capito che quella del braccialetto era solo una scusa. Potevi dirlo chiaramente, invece di mettere su tutta questa scena.”

Claire si accasciò sulla sedia davanti a lei. “Okay mi hai scoperto, ma non sono voluta tornare per il motivo che pensi.”

L’arrivo del fratello di Cedric munito di blocchetto per le ordinazioni la salvò dal dover inventare altre giustificazioni, anche se Juliet riuscì a liberarsene in fretta dicendogli che stavano aspettando una persona e che avrebbero ordinato non appena arrivata. Lo seguì con la coda dell’occhio mentre rientrava nel locale e a quel punto si accorse di Cedric dietro al bancone, troppo impegnato a pulire dei bicchieri per accorgersi della loro presenza. 

Quando tornò a rivolgersi all’amica, la vide fissarla in attesa di una spiegazione. “Quindi? Qual è il vero motivo che ci ha portate qui questa mattina?” le chiese candidamente.

“Devo chiarire una cosa con Cedric… ma non farti strane idee.” La frenò, prima che cominciasse a costruire castelli in aria.

Juliet avrebbe voluto discuterne ancora, ma Claire non ne aveva nessuna voglia. Per sua fortuna, Rachel comparve di lì a poco, decisamente di buon umore. 

“Ciao.” Le salutò sorridente, dando un bacio sulla guancia ad entrambe prima di sedersi. 

“Hai risolto?” le chiese Juliet.

“Tutto apposto. Voi avete trovato il braccialetto?”

“Sì, il braccialetto…” mormorò lanciando un’occhiata allusiva a Claire.

Rachel era confusa. “Che significa?”

“Che era solo un pretesto per rivedere Cedric.” spiattellò.

La faccia di Rachel alla notizia era tutto un programma e, immaginando dove entrambe sarebbero andate a parare, Claire si mise subito sulla difensiva. “La colpa è tua. Mi spieghi per quale motivo gli hai dato il mio numero?” la inchiodò, parlando sottovoce. “Pensavo avessi capito che non volevo.”

Lì per lì Rachel rimase perplessa, poi realizzando sbuffò seccata. “Me l'ha chiesto, che dovevo fare secondo te?”

“Ehm, non so… Dirgli di no?”

“Io non volevo darglielo, ma lei ha insistito!” si difese, incolpando Juliet.

Adesso si metteva a fare la scaricabarili, ma Claire sapeva che in realtà c’entravano tutte e due. 

“L’abbiamo fatto per il tuo bene, non farla tanto lunga.” confermò infatti Juliet, senza smentire l’accusa. 

“Esatto. Non capisco perché ti scaldi tant…” Rachel si interruppe, ripensando solo in quel momento alle ultime parole di Claire. “Un momento, ma tu come fai a sapere che gli ho dato il tuo numero?”

Claire rimase impietrita a fissarla. Si era tradita da sola come un'idiota. “Ecco...” esitò, senza avere idea di come uscirne. “L'ho saputo...”

A quel punto, la mano di Juliet le sfilò il cellulare dalla tasca con la rapidità di un fulmine e prese a trafficare con la tastiera. “Vediamo un po'...” 

“Ridammelo!” esclamò Claire, sbracciandosi nel tentativo di riprenderselo. 

Lei allora lo passò a Rachel, che lo afferrò al volo e in poco tempo stava leggendo gli ultimi messaggi arrivati. Gli occhi incorniciati dagli occhiali scorsero sullo schermo, mentre il suo viso assumeva a poco a poco un’espressione esterrefatta. “Oh-mio-Dio!” scandì, continuando a leggere. 

“Che c’è?” chiese Juliet ansiosa, mentre teneva ferma Claire, che arresasi all’inevitabile smise di agitarsi e si accasciò di nuovo sulla sedia, tuffando il viso nelle mani con aria afflitta. 

“Hanno messaggiato!”

“Chi?”

“Lei e Cedric!”

Allarmata, Claire le fece segno di tacere. “Vuoi abbassare il tono? Potrebbe sentirti!”

“Fammi vedere!” la pregò Juliet, che ormai faceva davvero fatica a trattenere la curiosità. Quando Rachel le passò di nuovo il cellulare, lesse uno ad uno tutti i messaggi elettrizzata per poi mostrare a Claire lo schermo del telefono con aria eloquente.

“Ha iniziato lui.” precisò, prima che potesse dire qualunque cosa. “E poi non è niente di che...”

Juliet trasalì alla vista del penultimo messaggio. “Guarda che ti ha scritto!” 

Neanche se l'avessero mandato a lei sarebbe stata così esaltata.

“Okay, se te lo lasci scappare sei completamente pazza.” 

Claire sospirò con aria stanca. “Sarò anche pazza, ma è quello che farò. Voglio chiarire la faccenda una volta per tutte, così eviterò di illuderlo e di farmi del male allo stesso tempo.”

Juliet la guardò allibita. “Ti rendi conto che è cotto di te?”

L’amica abbassò gli occhi e non rispose, così Rachel decise di intervenire per darle man forte. “Adesso non esagerare. Si conoscono da meno di un giorno.”

“Che significa? L’amore merita almeno una possibilità.” ribatté Juliet con aria sognante. 

“In effetti, prima o poi dovrai uscire da questa campana di vetro che ti sei creata intorno, Claire. Non puoi scappare per sempre.” concordò Rachel, pur rimanendo, a differenza dell’amica, con i piedi ben saldi a terra.

Dal canto suo, Claire voleva solo mettere fine al discorso. “Non sono pronta, va bene? Sono passati solo due mesi. Mi serve altro tempo.” Detto questo si alzò, decisa finalmente ad andare a parlare con Cedric, ma lui era appena arrivato e ci andò a sbattere contro. 

“E sta più attent…” fece per replicare, ma poi si accorse chi aveva davanti  e si interruppe, fissandolo come intontita.  

 “Ciao anche a te.” Le sorrise, divertito dalla sua sbadataggine. 

Ora che erano così vicini, dovette riconoscere che la sua forza di volontà non fosse proprio delle più solide e, mentre tornava a sedersi balbettando scuse imbarazzate, Rachel intervenne a bruciapelo per salvarla. “Ciao, stavamo giusto per chiamarti. Siamo pronte per ordinare.”

“Bene, ditemi.” disse lui, sfoderando il solito blocchetto. 

Quando fu il suo turno, Claire non lo guardò in faccia, limitandosi a fissarsi i piedi e a chiedere sommessamente un tè freddo al limone e un sandwich al salmone. 

Una volta finito di annotare il tutto, Cedric rientrò nel locale e lei attese un paio di minuti, prima di decidersi a seguirlo. Non disse nulla, si alzò e basta, attraversando il giardino per dirigersi al bancone, dove lo trovò che stava già preparando le loro ordinazioni. Per fortuna dentro non c’era nessuno e si sentì sollevata. Era già abbastanza difficile parlargli, senza avere intorno altri occhi e orecchie.

Lui era di spalle quando gli si avvicinò e fu solo quando esordì con un “dobbiamo parlare” che si voltò a guardarla spaesato. 

A quel punto, non fu più tanto sicura di quello che stava per fare. “Io...” tentennò nel panico. “Ho cambiato idea, il tè lo vorrei alla pesca.” disse d'un fiato.

Cedric la scrutò, sempre più perplesso. “Okay...”

Le labbra di Claire si piegarono in un sorrisetto tirato, poi girò i tacchi e fece per tornarsene da dove era venuta. A pochi passi dall’uscita, tuttavia, ripensò all’ennesima brutta figura e al fatto di non aver concluso niente, così tornò indietro, decisa a dire le cose come stavano. “No, senti...”

Lui la guardò di nuovo, decisamente confuso da quel suo strano modo di fare.

“Non volevo dirti solo del tè, in realtà.” Claire frugò nella sua testa alla ricerca delle parole adatte. “Volevo parlarti dei messaggi di ieri sera… Cioè di stanotte… Insomma, fa lo stesso.” 

Lo vide arricciare le labbra e trattenere a stento una risata, ma tenne ben presente quello che doveva dire e non si lasciò distrarre. “Ho capito cosa vorresti che fossimo, ma in questo momento non sono in grado di gestire una relazione. Ho passato un periodo davvero difficile e adesso voglio prendermi i miei spazi.” Vedendo come lui continuasse ad ascoltarla senza commentare, pensò che si fosse offeso e preparò una nuova scarica di scuse. “Mi dispiace dirtelo, perché tu sei stato molto carino, ma...”

“Va bene.” la interruppe di colpo. “Saremo solo amici, allora.”

Claire alzò un sopracciglio, non proprio sicura di aver capito bene. “Amici?”

“Sì, amici.”

Non si sarebbe mai aspettata una risposta del genere. “Ma ci conosciamo appena.”

“Appunto, motivo in più per diventarlo.” 

Lo scetticismo sul viso di Claire non accennò a scomparire. Anche se sembrava aver ottenuto quello che voleva, la cosa la convinceva sempre meno.

Cedric se ne accorse e con un sospiro paziente provvide a chiarire le sue intenzioni. “Dico sul serio. Solo perché non stiamo insieme non significa che non possiamo frequentarci. Vorrei solo conoscerti meglio, così, senza impegno. Ci stai?” Detto questo sollevò la mano perché potesse stringergliela.

All’inizio lei rimase titubante a fissarla, poi però convenne che in fondo non c’era niente di male e la strinse, ma quando tornò al tavolo era decisamente frastornata. 

“Allora? Che ha detto?” le chiese Juliet, ansiosa di sapere.  

Claire si sedette lentamente, la testa ancora al bancone del bar. “Ha detto se diventiamo amici...”

Rachel fece spallucce, senza staccare gli occhi dall’e-mail che stava leggendo sul suo tablet. “È pur sempre un inizio.”

“Ma ero convinta che avrebbe insistito di più!” replicò Juliet delusa.

“E invece è stato più facile del previsto. Buon per me.” disse Claire con un sorrisetto, soddisfatta di non aver dovuto faticare chissà quanto per fargli capire le sue ragioni.

Smisero di parlarne quando Cedric arrivò con le ordinazioni.

“Ecco il tuo tè alla pesca.” Prese il bicchiere dal vassoio e lo posò davanti a Claire, per poi servire le altre.

“Perché alla pesca? Non ti è mai piaciuto.” Le chiese Juliet quando se ne fu andato. 

Lei scosse leggermente la testa, portando la cannuccia alle labbra. “Lascia perdere, è una storia lunga.”

Rachel aveva appena preso il suo bicchiere, quando con la coda dell’occhio si accorse che le cheerleader stavano attraversando il giardino e con un cenno della testa lo fece notare alle amiche.

Passando davanti a loro, Jasmine mormorò qualcosa all’orecchio di Jacqueline e lei lanciò a Claire un’occhiata di puro odio, per poi andarsi a sedere qualche tavolo più in là. 

Tentarono di ignorare i loro discorsi sul ballo e sui vestiti che avrebbero indossato, come al solito senza curarsi di parlare a bassa voce, anzi era evidente che lo facessero proprio per vantarsi di aver ricevuto l’invito. 

L'arrivo di Cedric fu provvidenziale. “Salve, ragazze. Che prendete?” lo sentirono chiedere, dicendo qualcos'altro in seguito che però non capirono. Uno scroscio di risatine seguì subito dopo, come quasi sempre accadeva al suo passaggio.

Claire alzò gli occhi al cielo nauseata, ma non disse niente per paura di apparire contraddittoria.

Il ragazzo, infatti, non ci mise molto ad attaccare bottone e ovviamente le cheerleader non fecero niente per scoraggiarlo. Dopo un po’ intuirono dalle parole di Jacqueline che la conversazione doveva essere tornata sul ballo. “Tesoro, è una festa esclusiva, ma magari un bel faccino come il tuo possiamo farlo imbucare.”

Fin qui niente di strano, ma fu la risposta di Cedric a stupire Claire. 

“Grazie, ma non vi disturbate. Questo genere di cose non fa per me. Troppo antiquato.” disse, rifilando loro un sorriso di circostanza e rientrando nel locale.

Poco dopo, le ragazze si alzarono per andare a pagare, oltre che per sfuggire all’odioso cianciare delle arpie, che purtroppo però le seguì anche dentro. 

“Non è che le picchieresti di nuovo?” scherzò Cedric, mentre premeva i tasti del registratore di cassa. “L’ultima volta me lo sono perso.”

Claire ridacchiò divertita, trafficando nella borsa in cerca del portafogli. 

 “Andrei a quello stupido ballo solo per dimostrare che posso imbucarmi anche senza il loro aiuto.” 

“Già, sarebbe bello.” disse Juliet, trovando l’idea davvero invitante.

Le altre fecero finta di non averla sentita, per evitare di darle corda, e salutarono Cedric prima che potesse aggiungere altro. Ci mancava solo che iniziasse a incoraggiarla. Non immaginavano ancora che fosse già troppo tardi. 

Durante il tragitto verso casa, infatti, non disse quasi nulla, le parole di Cedric che continuavano a risuonarle in testa. Non sapeva spiegarselo, ma andare a quel ballo era diventata una specie di ossessione. Il problema era come procurarsi gli inviti, visto che né lei né le altre avevano conoscenze nel giro. 

“Ma certo!” scattò all'improvviso, inchiodando allo stop e facendo prendere uno spavento alle amiche. 

“Sei impazzita!” esclamò Rachel, buttando un’occhio dietro per controllare che non ci fosse nessuno. 

Lei, però, badò appena ai suoi rimproveri, concentrata com’era a delineare i dettagli del suo piano. Aveva sempre avuto la soluzione davanti agli occhi senza riuscire a vederla. Doveva sbrigarsi a tornare a casa e sperare che suo fratello fosse già rientrato, così da poter iniziare la sua opera di convincimento fin da subito. 

 

-o-

 

Juliet raccolse l'ultimo fumetto da sotto il letto, riponendolo con cura sulla mensola della libreria, accanto agli altri. Si era perfino assicurata che fossero in ordine di numero e di altezza. Meglio di così non si poteva fare. 

Al suo rientro, aveva scoperto che il fratello non era ancora tornato e aveva deciso di mettersi a pulire e riordinare la sua stanza, sperando in quel modo di ingraziarselo. Impresa da non prendere assolutamente alla leggera. 

Una volta entrata, però, non si era ritrovata in una camera bensì direttamente nelle fognature di Greenwood. C'erano vestiti sporchi ovunque. Sul letto, sul pavimento... Per non parlare delle cataste di fumetti che invadevano la stanza. Come se non bastasse, la sera prima Richard aveva invitato un gruppo di amici a giocare con un nuovo videogioco e avevano ridotto quel posto alla stregua di un covo di senzatetto. I cartoni della pizza giacevano in un angolo e c'erano lattine vuote di birra disseminate qua e là. Quella mattina poi era uscito senza preoccuparsi di pulire e la madre non si era azzardata a metterci piede. Davanti a quello spettacolo indegno, stava per pentirsi della decisione presa, ma poi si era fatta coraggio. In fondo, era per una buona causa. 

Solo Richard poteva aiutarla. Suo fratello, infatti, lavorava in municipio come tecnico informatico, sebbene sapesse che le sue capacità andassero ben oltre, quindi sarebbe stato uno scherzo per lui trovare delle copie di quei biglietti e modificarli con i loro nomi. Ovviamente Juliet sapeva che quello che stava per chiedergli non era del tutto legale e che avrebbe dovuto faticare parecchio per convincerlo, ma contava sulla gratitudine che le avrebbe dimostrato una volta vista la camera in ordine. 

Le voci al piano di sotto la avvertirono del ritorno del fratello. Sua madre gli stava domandando se volesse qualcosa da mangiare e lui stava rispondendo come al solito in tono piatto e monosillabi. 

Dopodiché lo sentì salire le scale e quando aprì la porta la trovò ancora lì. Chiunque l’avesse visto per la prima volta avrebbe stentato a credere che fosse un Peterson. Nella sua famiglia erano di norma tutti biondi e con gli occhi chiari, lui invece aveva i capelli più scuri e, a differenza della sorella, non aveva ereditato le iridi verdi dal padre.  

“Che ci fai qui?” chiese infastidito.

Juliet incrociò le braccia offesa. “Adesso non saluti nemmeno?”

“Ciao.” mugugnò, tanto per farla contenta. Si tolse la borsa da dosso e fece per appoggiarla sulla sedia, quando si accorse che qualcosa non andava. Era troppo vuota. Si voltò allarmato verso la sorella. “Che hai fatto?” chiese, guardandosi intorno.

“Ho ripulito quel deposito di rifiuti che chiamavi camera.” si giustificò lei. “Non si sapeva più dove mettere i piedi.”

“Quante volte ti avrò detto che non voglio che tocchi la mia roba? Avrei rimesso a posto io.” Si diresse alla libreria e prese a trafficare con fumetti e statuette dei supereroi. “Adesso non trovo più niente! Guarda qua che casino!”

“Scusa se ho voluto fare qualcosa di carino per te!” gracchiò Juliet furiosa. “La prossima volta rimani sommerso dai rifiuti, io me ne lavo le mani!”

“Bene! Non chiedo altro!” ribatté secco.

“Bene!” La rabbia le fece dimenticare il motivo per cui aveva fatto tanta fatica. Girò i tacchi e si diresse in camera sua a passo deciso, chiudendosi dentro. A volte suo fratello si comportava come un ragazzino, nonostante avesse sei anni più di lei. Era davvero insopportabile e le ci sarebbe voluto un po’ per sbollire la rabbia, anche se il bisogno di chiedergli una mano con i biglietti era pressante. 

A tavola non si rivolsero la parola, anche perché non avrebbe potuto aprire l’argomento davanti ai loro genitori, quindi pensò di prenderlo da parte più tardi. Fremette sulla sedia durante tutta la cena, mentre fingeva di ascoltare suo padre parlare delle macchine che aveva venduto quel giorno. In realtà, rimuginava sul modo in cui avrebbe aperto il discorso del ballo e su come essere il più convincente possibile. Non fece in tempo a finire di sparecchiare, però, che Richard era già uscito. In preda alla frustrazione, decise allora che glielo avrebbe chiesto al suo ritorno.

Nell’attesa si sentì per telefono con Rachel e Claire, curiose di sapere cosa avesse in mente, ma preferì rimanere sul vago, finché non fosse riuscita a convincere il fratello a collaborare. 

“Beh, se non ci riesci tu perché non fai provare Rachel?” insinuò Claire con una punta di malizia. “Lo sappiamo tutte che ha un debole per Richard.”

Rachel sbuffò, leggermente imbarazzata. “Ancora con questa storia? Ero solo una bambina…”

“Ma il primo amore non si scorda mai.”

Scherzi a parte, secondo Rachel non sarebbe stata un’impresa facile convincerlo e Juliet si trovò d’accordo. Già immaginava a cosa stesse andando in contro e che il suo caro fratellone avrebbe sicuramente trovato un modo per ricattarla.

“Per me ti sei fissata e basta.” le aveva detto Claire. “Che t’importa di quel ballo? Probabilmente sarà anche noioso. Se proprio ci tieni, puoi andare a quello della scuola.”

Non aveva saputo risponderle. Neanche lei aveva idea del perché ci tenesse tanto a partecipare. Forse la eccitava il fatto di fare qualcosa di diverso per una volta, oltre che la prospettiva di visitare il castello. In ogni caso, ormai era decisa ad andare avanti. 

Salutò le amiche con la promessa di informarle dei successivi sviluppi, dopodiché aspettò con impazienza il ritorno di Richard.

Dopo ore trascorse nell’agitazione, trasalì nel sentire i giri di chiave nella serratura, seguiti dal rumore dei passi sulle scale. In punta di piedi allora raggiunse la porta e la dischiuse in tempo per vederlo entrare in camera sua. Il primo impulso fu quello di seguirlo, ma poi si convinse ad aspettare. Andare subito alla carica avrebbe potuto rivelarsi controproducente.

Dopo qualche minuto, si avvicinò alla porta socchiusa e bussò un paio di volte con cautela. “Posso?” chiese, facendo capolino all’interno.

Semi sdraiato sul letto con il portatile sulle gambe, Richard mugugnò qualcosa interpretabile come un segnale di assenso, così entrò. La prima cosa che vide furono i vestiti che si era appena tolto buttati di nuovo in malo modo sulla sedia, ma evitò di fare commenti. 

“Alla fine sei riuscito a ritrovare le tue cose?” esordì allora con finta nonchalance.

Lui la ignorò, continuando ad armeggiare con la tastiera. 

“Andiamo, non ce l'avrai ancora con me? Dopotutto, ho agito in buona fede.” 

“No. Però la prossima volta, ti prego, lascia tutto com’è. Grazie.” le concesse infine, con un sospiro paziente.

 

Intuendo che ormai fosse tutto sistemato, Juliet si sedette accanto a lui sul bordo del letto. “Okay, fratellone. Non lo farò più.” disse in un tono che aveva un che di mieloso. “Sai, mi dispiace litigare con te. Tra fratelli bisognerebbe sempre andare d'accordo...”

A quel punto, però, lui smise di fare qualunque cosa stesse facendo al pc e alzò lo sguardo indagatore su di lei. “Cosa ti serve?” 

Affatto sorpresa che avesse già intuito quale piega stava prendendo il discorso, Juliet lo guardò con aria conciliante. Era sempre così fra loro. Quello era il segnale che aspettava, tuttavia, ora che il momento era arrivato, non sapeva da che parte iniziare. 

“Ho bisogno di un favore, Richie.” Usava quel ridicolo diminutivo solo quando voleva ottenere qualcosa e stavolta sfoggiò perfino uno dei suoi sorrisi più persuasivi, anche se sapeva che non sarebbe bastato a convincerlo. “È una questione un po' complicata, me ne rendo conto.” disse prendendola alla larga. “Potrebbe essere rischioso...”

“Potresti formulare una frase di senso compiuto, per favore?” 

Lei fece mente locale, riflettendo su ciò che doveva dire. “Hai ragione, scusa.” Ridacchiò nervosa. “Mi servirebbe il tuo aiuto per una faccenda tecnica.”

Richard alzò un sopracciglio, perplesso. “Cioè?”

Gli disse del ballo, stando attenta a sottolineare quanto lei e le amiche tenessero a parteciparvi. Mentire spudoratamente era l’unica strategia da seguire, così non ci pensò due volte. Spiegò anche che era riservato al sindaco e alle maestranze, e ovviamente loro tre non avevano ricevuto l'invito. Infine, gli espose il piano che aveva in mente e in che modo lui ne facesse parte. 

“E io dovrei entrare nella casella e-mail del sindaco e rubare il file con i biglietti?” Dal tono non sembrava molto propenso ad assecondarla.

“So di chiederti molto, ma tu sei l’unico che può aiutarmi. Non lo saprà nessuno. Ti prego, fratellone.” lo implorò. 

Richard chiuse il portatile e si alzò dal letto. “Tu sei matta.”

“Dai, non dovrebbe essere difficile per te. Sei talmente bravo…”

“Hai pensato che se ti scoprono la sera del ballo dovrai dare spiegazioni su come hai avuto l’invito senza essere sulla lista?”

Juliet rimase interdetta. In effetti, non ci aveva pensato. “Beh, ci faremo venire in mente qualcosa.”

“No, non se ne parla. È tutto troppo campato in aria. E poi scordati che lo faccia dal mio computer.”

Lei ci rifletté sopra un momento. “Potresti usarne uno dell’ufficio.” 

Richard annuì. “Certo, ottima idea. Così se mi beccano non solo mi arrestano, ma perdo anche il posto.”

“Va bene, ho capito.” sbuffò Juliet, afflitta. “Non mi aiuterai.”

“Dammi una sola buona ragione per farlo.” 

“Sono tua sorella.”

Lui rise. “Questa non è una buona ragione.” 

Indignata, lo squadrò dall’alto in basso. “Allora poni tu le condizioni.”

Per suo fratello fu come un invito a nozze. “Mi farai da schiava per due mesi.” propose beffardo, cogliendo la palla al balzo.

“Uno.”

“Due.”

“Uno.” insistette Juliet.

“Ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo? Derubare il sindaco!” esclamò in tono melodrammatico.

“D'accordo.” si arrese. Se ne stava chiaramente approfittando, visto che per lui sarebbe stato un gioco da ragazzi avere quel file, ma ormai non aveva scelta. “Un mese e mezzo e la chiudiamo qui.”

Dopo attenta riflessione, Richard convenne che fosse un prezzo equo. “Affare fatto.” approvò compiaciuto.

Juliet si sentiva sfiancata, come appena uscita da una contrattazione in borsa. Ora che aveva ottenuto ciò che voleva, seppur a caro prezzo, poteva anche andarsene a dormire. 

Si alzò e fece per tornare in camera sua, ma Richard la fermò. “Aspetta.”

Temette per un momento che ci avesse ripensato, ma poi lui aggiunse: “Portami un bicchiere d’acqua prima.”

Lo fissò in cagnesco, poi deviò verso le scale.

 

-o-

 

Juliet tornò dalla cucina con un vassoio pieno di bicchieri di tè freddo, che poggiò sul tavolino davanti al divano. Durante la mattinata aveva convocato tutti da lei con un giro di telefonate, compresi Mark e Cedric, accennando qualcosa sul suo piano per imbucarsi al ballo, ma senza anticipare nulla di più. Approfittando del fatto che a quell’ora non ci fosse nessuno in casa, aveva dato loro appuntamento per le quattro, promettendo delle spiegazioni una volta riuniti.

Mentre aspettavano Claire, in ritardo come sempre, bevvero il tè e chiacchierarono del più e del meno, finché il campanello della porta non annunciò il suo arrivo. 

Trafelata, entrò senza troppe cerimonie. “Scusate, dopo pranzo mi sono addorment…” si interruppe alla vista di Mark e Cedric seduti in salotto. “Ciao.” ricambiò il saluto con un sorriso tirato, per poi lanciare una breve occhiata interrogativa a Juliet, che però non ebbe il tempo di spiegarle perché Rachel partì subito con le domande. 

“Ora che ci siamo tutti, vuoi spiegarci cosa stai macchinando?” 

A quel punto, Juliet raccontò eccitata l’idea dei biglietti per filo e per segno, mentre loro la ascoltavano sempre più disorientati, ma anche divertiti dalla follia di quel piano.

Finito il discorso, Rachel non poté esimersi da dire chiaro e tondo quello che pensava. “Io non capisco come ti è venuto in mente. È illegale entrare nella casella di posta di qualcun altro e rubare dei file. Possibile che tu non ci abbia pensato?”

Juliet sentì l’entusiasmo scemare pian piano. “Questo è vero, però ti assicuro che non c’è pericolo. Richard sa il fatto suo.” 

“Sì, ma qui si rischia di finire dentro, Juls. Non credi sia un po’ troppo per uno stupido ballo?” ribatté Claire, per una volta d’accordo con Rachel. 

“Già, se ci scoprono è finita.” aggiunse lei. “Mi dispiace, ma non butterò tutto all’aria per andare a una festa.”

“Secondo me potrebbe essere divertente, invece.” intervenne Cedric, dando man forte a Juliet. “Sarà una di quelle pazzie da ultimo anno che ci ricorderemo per tutta la vita.” aggiunse, beccandosi una sfilza di occhiate per niente convinte.

“Non lo so…” replicò Mark indeciso. “Da una parte sono d’accordo con loro, sembra un’idea troppo azzardata. Dall’altra potrebbe essere un’occasione per visitare il castello, visto che durante l’anno non è aperto al pubblico.”

“E tu rischieresti la galera per amore della cultura?” Rachel lo guardò sconcertata. “No, grazie. Preferisco vederlo da fuori il castello.” Poi si rivolse a Juliet. “Tra l’altro, non capisco perché tu abbia voluto coinvolgere anche loro nel tuo piano geniale.”

“Beh, veramente è partito tutto da Cedric.” Si giustificò lei con aria innocente. “Ieri al locale ha detto che gli sarebbe piaciuto imbucarsi e così mi è venuta l’idea.”

Il ragazzo rise divertito. “Era tanto per dire, non immaginavo di scatenare tutto questo. Comunque io sono con te, Juls. In fondo, chi non si è mai imbucato a una festa?”

“Esatto.” concordò lei, entusiasta di quell’appoggio insperato. “E in più è una festa in maschera, quindi sarà più facile passare inosservati.”

Rachel e Claire si scambiarono con Mark occhiate perplesse. In effetti, non avevano pensato al fatto di essere mascherati e quello sarebbe stato sicuramente un vantaggio, ma la faccenda dei biglietti non li convinceva ancora del tutto. Le ragazze conoscevano le capacità di Richard, eppure non si sentivano sicure. 

“Ma è proprio necessario? Non potremmo semplicemente andare al ballo della scuola?” insistette Claire, in un ultimo disperato tentativo di persuaderla.

“Dai, non si tratta mica di rapinare una banca!” ribatté Cedric. “Che vuoi che succeda? Se ci scoprono al massimo ci buttano fuori.”

Juliet annuì, assumendo un’aria da cane bastonato. “Mi sembrava un’idea divertente. Dopotutto è l’ultimo anno e mi sarebbe piaciuto fare qualcosa tutti insieme. Il ballo della scuola è carino, ma vuoi mettere con questo? Sarà una serata da ricordare, di quelle che si raccontano ai figli…”

“Va bene, ci sto!” tagliò corto Rachel, che si sentiva scoppiare la testa. “In fondo, non si tratta di rapinare una banca.” disse, richiamando le parole di Cedric.

L’abbraccio stritolante di Juliet la travolse subito dopo. “Grazie! Sarà una serata indimenticabile, vedrai!” Poi si staccò per cercare anche l’approvazione di Claire. Non sarebbe andata a quel ballo senza di lei, voleva che fossero tutte d’accordo. “Ti prego, dimmi che verrai anche tu.”

Per come si sentiva in quel periodo, Claire avrebbe preferito evitare qualsiasi festa, ma doveva ammettere che in fondo l’idea di imbucarsi la stuzzicava non poco. Inoltre, sarebbe stata una buona occasione per distrarsi e non pensare al passato. “Non posso mica restare a casa tutta sola a ingozzarmi di gelato e guardare Dirty Dancing, ti pare?” 

Entusiasta di aver ottenuto ciò che voleva, l’amica stritolò anche lei e nello stesso tempo rivolse un’occhiata raggiante a Cedric, proprio mentre suo fratello rientrava a casa dal lavoro. 

Quando si ritrovò gli occhi di tutti quegli adolescenti puntati addosso, rimase interdetto.

“Ciao!” lo salutò Juliet, alzandosi dal divano per andargli incontro; poi lo prese sottobraccio e lo trascinò dagli altri. “Ti presento Mark e Cedric. Ragazzi, lui è mio fratello Richard.”

“Piacere.” rispose Mark per entrambi, mentre gli stringevano la mano.

“Vengono anche loro al ballo.”

“Ah.” constatò Richard. “E che aspettavi a dirmelo? Mi toccherà iniziare subito se devo fare cinque biglietti.”

La sorella lo fissò stupita. “Perché? Li hai già presi?” 

“Sì, certo. Devo solo modificarli e metterci i vostri nomi.” confermò lui. “Visto che mancano solo due giorni ho voluto sbrigarmi. Ho fatto male?”

“No, no, macché.”

Claire lanciò un'occhiata di traverso a Juliet. “Che senso aveva avvertirci se era già tutto pronto?”

“Non immaginavo che facesse così in fretta.” si difese l’amica.

Richard sospirò, ormai abituato alla sbadataggine della sorella. “Okay, allora io vado di sopra a lavorare. Ci vediamo.” salutò gli altri e, imboccate le scale, sparì per il resto del pomeriggio.

Erano da poco passate le sei quando Mark e Cedric decisero che era arrivato il momento di togliere il disturbo. 

“Perché non restate a cena?” propose la madre di Juliet, che nel frattempo era rientrata dalle sue commissioni. Anche se non li conosceva non si fece alcun problema a invitarli, in questo lei e la figlia erano molto simili. 

“Mi piacerebbe molto, ma ho il turno al locale stasera.” Si giustificò Cedric con un sorriso di scuse. 

“Sì e siamo venuti con una sola macchina.” aggiunse Mark. “Comunque grazie lo stesso. Sarà per la prossima volta.” 

Salutati i ragazzi, Juliet e le altre salirono in camera sua per parlare più liberamente di tutti i preparativi che avrebbero dovuto fare, come trovare le maschere, comprare i vestiti, trucco, parrucco e tutto il resto. 

Travolte dall’entusiasmo dell’amica, Rachel e Claire non fecero caso al tempo che passava e alla fine, sentendo brontolare lo stomaco, accettarono volentieri l’invito di Martha di rimanere per cena.

 

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Capitolo 3
*** Il Vestito perfetto ***


Capitolo 3

 

Il vestito perfetto

Rachel diede una controllata all’orologio, constatando di essere arrivata troppo presto. Si era data appuntamento con le amiche sotto casa di Claire, che non si poteva pretendere arrivasse puntuale figurarsi in anticipo. Lei invece preferiva sempre presentarsi qualche minuto prima, perché non voleva che gli altri la aspettassero. 

Di lì a poco arrivò Juliet, contenta e sorridente come ogni volta che stava per comprare qualcosa di nuovo, mentre di Claire neanche l’ombra. Ormai erano abituate ai suoi ritardi e non ci trovarono nulla di strano, ma dopo circa mezz’ora di attesa decisero di suonare il campanello per sapere se almeno fosse viva.  

“Secondo me sta ancora dormendo.” disse Rachel indispettita.

Juliet sventolò la mano. “Ma no, ti pare.”

Il faccino di Megan, la sorellina di otto anni di Claire, fece capolino sulla soglia e, una volta riconosciuti i visi delle ragazze, la bambina aprì completamente la porta.  

“Ciao.” le salutò timida. Più rotondetta della sorella, aveva gli stessi capelli corvini, anche se lunghi e fluenti, ma non gli stessi occhi azzurri. Rachel le sorrise radiosa. “Ciao, Meg. Cercavamo Claire...”

“Sta finendo di vestirsi.” le informò, prima di voltarsi verso le scale e urlare: “CLAAAAAIRE!”

“Megan! Cosa ti ho detto sul gridare a squarciagola?” La rimproverò una voce dall’interno della casa.

“Scusa mamma, ma Ray e Juls cercavano Claire.”

“Sì, ma non c’è bisogno di gridare.” le ripeté Kate, comparendo dietro di lei dalla cucina. “Buongiorno ragazze, entrate. Claire scende subito.” le accolse con uno dei suoi soliti sorrisi smaglianti.

Intanto, dal piano di sopra Claire sentì le amiche chiacchierare con la madre, che per fortuna le stava intrattenendo mentre lei finiva di vestirsi. Era salita solo da qualche minuto, perché aveva perso un sacco di tempo facendo colazione. Per ottimizzare i tempi, tentò di infilare l’altra gamba nei jeans, saltellando dalla sua camera al bagno con in bocca lo spazzolino da denti; poi si risciacquò in fretta, tornò all’armadio e prese la prima maglietta a portata di mano. 

Dopo un buon quarto d’ora fece finalmente la sua comparsa in salotto con le scarpe in mano. “Ehi!” le salutò trafelata, rivolgendo loro un sorrisetto di scuse.

Non appena la vide, l’espressione di Rachel passò dal cordiale al funereo nel giro di pochi secondi, ma lei la batté sul tempo. “So già quello che stai per dire, però stavolta non è stata colpa mia. La sveglia non ha suonato.” 

Rachel annuì, incrociando le braccia. “Certo, tanto con una scusa o con un'altra riesci sempre a fare tardi.”

Lei sbuffò senza replicare, finendo di allacciarsi le scarpe, mentre Kate ridacchiava divertita. “Questa scena mi ricorda i tempi del liceo. Anch’io ero una ritardataria cronica. Dev’essere genetico.” Fece l’occhiolino alla figlia e quando sorrise due fossette le si formarono ai lati della bocca, in un modo del tutto simile a quello di Claire, che infatti le somigliava moltissimo anche fisicamente, oltre che nell’indole.

Una volta pronta, prese le chiavi della macchina che sua madre le porgeva e precedette le amiche alla porta. 

“Comprati un bel vestito.” si raccomandò Kate, mentre si scambiavano un rapido bacio sulla guancia.

Avevano appena oltrepassato la soglia, quando Megan rispuntò all'improvviso, correndo incontro alla sorella. “Compra qualcosa anche a me!” 

Claire alzò gli occhi al cielo. Era dalla sera prima che la assillava. “Sì, sì, va bene.” tagliò corto, chiudendosi la porta di casa alle spalle.

Presero il suo SUV perché i negozi erano concentrati nella zona centrale e loro abitavano tutte negli isolati circostanti. In più, non sapevano quanti pacchi avrebbero dovuto caricare e l’auto di Claire aveva il bagagliaio più capiente. 

Nel giro di poco tempo furono in centro e, una volta parcheggiato, si diressero subito alla Boutique di Carol, l’unico negozio in città che forniva abiti da cerimonia. Il locale interno era molto elegante, diverso dalla maggior parte degli altri negozi, con la tappezzeria color crema e il pavimento di marmo lucido. Al centro del soffitto pendeva un lampadario di cristallo e lungo le pareti una gran varietà di vestiti appesi su aste di metallo rendeva l’ambiente più vivace.

Appena le vide, una ragazza formosa in completo pantaloni nero venne verso di loro, ancheggiando sui tacchi alti. “Salve, posso aiutarvi?” chiese sorridente.

“Volevamo provare qualche vestito.” spiegò Rachel, mentre Juliet alle sue spalle si guardava intorno estasiata.

“Anche voi per il ballo di fine anno, immagino.” Una signora dal fisico asciutto, in tailleur celeste pastello, capelli raccolti in uno chignon e occhiali sul naso, uscì da dietro alla tenda di un camerino con in mano una risma di fogli, che poi porse alla commessa. “Ci pensi tu a riporre l'inventario, Lindsey? Quando hai finito, torna qui ad aiutarmi.”

“Certo, Carol.”

Mentre Lindsey si allontanava a passo svelto, la donna le squadrò da capo a piedi da sotto gli occhiali. “Allora, sapete già su cosa orientarvi?”

Rachel e Juliet mandarono avanti Claire, perché, a differenza loro, non aveva la più vaga idea di cosa mettersi e poi era anche la più complicata in fatto di gusti. Così Carol le fece accomodare su un divano di fronte ai camerini e spedì un’altra commessa, una ragazza filiforme di nome Ashlee, alla ricerca di un vestito che potesse fare al caso suo. 

Al suo ritorno aveva con sé diversi abiti, quasi tutti di forme e colori che a Claire non sarebbero mai piaciuti, ma che Carol la costrinse a provare comunque. “Non si può giudicare un vestito senza prima averlo indossato.” disse compita, mentre Ashlee la aiutava a infilarne uno dalla testa. Dopodiché, con la tipica delicatezza delle commesse, afferrò i nastri sulla schiena e li tirò con forza in modo che il corpetto aderisse al busto. Claire si mise una mano sul petto, tentando di respirare, ma si sentiva strizzata come una sardina in scatola.

Prima di uscire dal camerino per farsi vedere si guardò allo specchio per valutare la situazione da sola. Nel complesso l'abito era bello, anche se troppo lungo e pomposo per i suoi gusti. Per non parlare del colore...

Non appena la vide Rachel storse il naso, mentre Juliet abbozzava un sorrisetto di circostanza. “Beh, magari con le scarpe giuste...”

“Neanche un paio di trampoli basterebbe.” ironizzò Claire, con il fiato mozzato dai lacci troppo stretti. “Per non parlare del fatto che riesco a malapena a respirare. Non credo che arriverei a fine serata, morirei soffocata prima. E poi è rosa pesca.”

Carol le riservò un’altra delle sue occhiate a raggi X, per poi convenire che non le donasse affatto. “Bene, niente rosa. Proviamone un altro.” Fece cenno alle commesse, che subito scattarono ad aiutare Claire. 

Ne provò altri quattro a ripetizione e ogni volta usciva dal camerino sempre più afflitta. Le propinavano tutti abiti lunghi, pieni di pizzi e fiocchi che detestava. Ormai stava cominciando a perdere le speranze, quando Juliet, stanca di aspettare seduta, era tornata con un vestito più corto, di colore blu acceso, senza maniche e con la scollatura a V. “Perché non provi questo?” chiese, mostrandolo all’amica.

“Carino.” approvò lei, con un barlume negli occhi. 

Dopo averlo indossato e stabilito finalmente che si trattasse del vestito perfetto, fu la volta di Juliet. Con lei Carol si sbizzarrì, facendole indossare ogni sorta di modello possibile. Non ce n’era uno che non le stesse bene, ma alla fine optò per un abito bordeaux lungo e svasato sul fondo, senza spalline e con drappeggi sul corpetto. 

Rachel invece, andò sul sicuro scegliendone uno bianco, dalla linea semplice e aderente, con ricami in pizzo nero e scollatura a barchetta. 

L’ora di pranzo era passata da un pezzo quando uscirono dal negozio soddisfatte e cariche di buste. Dopo i vestiti avevano trascorso un’altra ora a scegliere le scarpe, finché i morsi della fame non avevano cominciato a farsi sentire. 

“Vi prego, andiamo a mangiare prima di comprare le maschere.” le implorò Claire, esausta. Così lasciarono gli acquisti in macchina e raggiunsero a piedi una pizzeria lì vicino.

Pranzarono con pizza e crocchette di patate e quando ebbe finito, Claire si poggiò contro lo schienale della sedia con aria satolla. 

“Ma dove la metti tutta questa roba?” commentò Rachel.

Juliet ridacchiò. “Di questo passo non entrerai nel vestito.”

Lei fece spallucce. Se aveva fame, non c’erano vestiti o balli a impedirle di mangiare. Tornata a casa avrebbe fatto una corsetta intorno all’isolato per smaltire tutto.

“Certo… Siamo a corto di un accompagnatore.” osservò Juliet malinconica, disegnando con l'indice cerchi concentrici sul suo tovagliolo. In effetti ci sarebbero stati solo Mark e Cedric, visto che Jason non poteva venire.

“Tanto andiamo al ballo come amici, Juls.” le ricordò Claire

“Amici, eh?“ L’amica le lanciò un’occhiatina ammiccante. “Dì la verità, hai preso il vestito corto per far colpo su Cedric.” Sorrise sorniona.

Per tutte risposta, Claire finse di restare sorpresa. “Accidenti, mi hai scoperto.” ironizzò, assumendo subito dopo un cipiglio eloquente. “Per favore…”

A quella reazione Juliet guardò Rachel e si sorrisero complici. “Magari non l'hai fatto di proposito, ma scommetto che sotto sotto...”

“Okay, andiamo a pagare?” Con fare evasivo, Claire si alzò di scatto dalla sedia, afferrando il cartone della pizza e gettandolo nel secchio, mentre le amiche sghignazzavano alle sue spalle.

Uscirono che era già primo pomeriggio. Il cielo, poco prima limpido, si stava ingrigendo e preannunciava pioggia. D'altronde abitavano in montagna e lì il tempo cambiava velocemente. 

“Mi sta venendo una mezza idea.” esordì Juliet, una volta entrate in macchina. 

“Un’altra? Non ne hai avute già abbastanza di idee geniali per questa settimana?” ribatté Claire ironica.

“Ma anche per tutto il mese, direi.” aggiunse Rachel.

“No, no, ascoltate!” si affrettò lei, quasi parlandole sopra e sporgendosi verso i sedili anteriori per avere la loro attenzione. “Perché non andiamo a dare un'occhiata al vecchio castello?”

Dopo un istante di perplessità, Rachel si voltò a guardarla. “Adesso? Dobbiamo ancora comprare le maschere e poi sta quasi per piovere...”

“E io non ho mai guidato in salita con la pioggia.” aggiunse Claire. Per raggiungere il castello, infatti, avrebbero dovuto affrontare una serie di tornanti piuttosto ripidi, che l’avrebbero messa a dura prova anche con il bel tempo.

“Su, avanti!” insistette Juliet implorante. “Giusto un sopralluogo, per vedere com'è.”

Le assillò a tal punto che alla fine acconsentirono solo per non sentirla più. Se ci si metteva d'impegno, era capace di ottenere tutto ciò che voleva.

La strada per il castello era perfino più ripida di quanto si aspettassero, i tornanti protetti solo da un parapetto d’acciaio non troppo alto. Claire andava a venti chilometri l'ora con le mani inchiodate sul volante, il corpo rigido e la schiena dritta per vedere meglio davanti a sé. Ogni curva era fonte di angoscia, perché era praticamente impossibile prevedere l'arrivo di un altro veicolo dal senso opposto. Per fortuna, nessuno a parte loro aveva deciso di visitare il castello quel pomeriggio. 

D'un tratto la strada si interruppe, mutando forma in un sentiero acciottolato su cui le ruote dell'auto sobbalzavano, tanto che quando Claire si fermò sul vialone che portava all'ingresso e spense il motore, ringraziò il cielo che la sera del ballo non sarebbe toccato a lei ripetere l'esperienza. 

“Guardate che bello!” Juliet abbassò il finestrino e appena si sporse fuori venne investita da una raffica di vento, che le scompigliò i capelli. Sentiva una strana attrazione verso quel posto, come se qualcosa dentro di lei la spingesse a entrare. Non si spiegava il motivo. Forse semplicemente non vedeva l’ora di andare al ballo. 

Nel frattempo, nuvoloni grigi si stavano addensando nel cielo e il vento sempre più impetuoso scuoteva i rami degli alberi che formavano la foresta intorno al maniero, producendo fruscii sinistri. Il vecchio castello si stagliava davanti a loro come in un quadro, con le sue torri merlate e svettanti incorniciate dal cielo plumbeo, e le mura, coperte qua e là da rampicanti, che gli donavano un aspetto ancora più pittoresco. 

Neanche le prime gocce di pioggia spensero l’entusiasmo di Juliet, che prese a frugare nella borsa in cerca del cellulare. “Facciamo qualche foto.”  propose, prima di sporgere fuori il braccio, cercando la posizione migliore per scattare. Ben presto, però, si rese conto di stare scomoda, così sbuffò e scese dalla macchina, mentre le amiche la osservavano perplesse. 

“Dai sbrighiamoci, prima che venga giù il diluvio.” le spronò.

“Sarebbe meglio andarcene. Mi viene l’ansia a guidare con la pioggia, lo sai.” Claire riusciva a stento a trattenere l’inquietudine che quel posto le metteva addosso. Più guardava il castello più faceva fatica a immaginarselo addobbato a festa, anzi, le venne un brivido al pensiero di doverci entrare. 

“Una foto sola.” le pregò Juliet, sfoderando la faccia da cucciolo ferito più convincente che le fosse mai riuscita. 

Alla fine l’ebbe vinta di nuovo e, armate di pazienza, Rachel e Claire scesero dalla macchina, per poi seguirla mentre si avvicinava un po’ di più al castello. 

“Strano, non c'è nessun via vai.” notò Rachel, facendo caso all'insolita calma piatta che regnava nei dintorni. “Tra pochi giorni ci sarà un ballo e non c'è nessuno impegnato nei preparativi.”

Juliet, però, non sembrò ascoltarla. “Dai, venite. Qui si vede benissimo.”

Con il castello a fare da sfondo, si strinsero accanto a Juliet, che sollevò  il cellulare per scattare un selfie

Intanto, la pioggia si era fatta più fastidiosa e una goccia beccò in pieno l'occhio di Rachel, che però non poté asciugarsi perché doveva rimanere in posa. “Juls, sbrigati.” mormorò tra i denti, stretti in un sorriso forzato.

“Che state facendo?” tuonò una voce maschile alle loro spalle.

Le ragazze trasalirono, voltandosi tutte insieme e videro due uomini ben piazzati e in completo nero, dall’aria poco amichevole, venire verso di loro. 

“Questa è proprietà privata.” disse uno in tono fermo, anche se non meno brusco. “Non sono ammesse visite al castello.”

Rachel fu la prima a riaversi dallo spavento. “Ci scusi, noi… noi pensavamo che fosse ancora accessibile.” mentì. In realtà sapeva benissimo che da quando era stato comprato non era più permesso l'accesso ai turisti. 

Dopo essersi scambiato una rapida occhiata con il compagno, il tizio in nero le scrutò con aria sospettosa, prima di capitolare. “Devo chiedervi di andarvene, per favore.”

“Certo, certo. Ce ne andiamo subito” annuì con un sorriso di scuse, mentre con le amiche tornava velocemente alla macchina. “Scusate ancora.” aggiunse, poco prima di chiudere lo sportello. Poi sospirò, guardando Claire. “Metti in moto.”

Durante la discesa nessuna fiatò, Claire perché troppo concentrata a non finire giù nel burrone, ma come le altre anche perché ripensava all’incontro imbarazzante con quei due.

“Che reazione esagerata.” esordì Juliet dopo un po’, la testa abbandonata sullo schienale e il viso rivolto fuori dal finestrino. “Neanche fosse la Casa Bianca.”

“Evitiamo di parlarne, per favore?” la zittì Rachel nervosa.

“Sei ancora convinta di voler andare al ballo?” intervenne Claire, gli occhi sempre fissi sulla strada. “Quei tizi avevano un'aria poco raccomandabile.” Pensò che se andarci significava rischiare di essere scoperti da soggetti del genere, ne avrebbe fatto volentieri a meno. Non avevano usato toni aggressivi, eppure c'era qualcosa in quelle facce che non le era piaciuto per niente. Qualcosa di minaccioso.

 

-o-

 

Juliet mise piede dentro casa completamente zuppa. Il tempo di salutare le amiche, scendere dalla macchina e percorrere i pochi metri dal vialetto alla porta e si era scatenato un nubifragio. 

La madre le venne subito incontro dal salotto, prendendole la borsa e aiutandola con pacchi e buste. “Perché non hai portato l’ombrello?” 

“Stamattina c'era il sole. E poi siamo a giugno inoltrato, chi avrebbe immaginato un diluvio del genere?” Senza muoversi troppo per non bagnare il pavimento, si tolse le scarpe e le lasciò accanto alla porta, mentre aspettava che la madre le portasse un asciugamano. Con la coda dell’occhio vide suo padre seduto sul divano in salotto, intento a guardare la replica di una vecchia partita di baseball in tv, e si sporse oltre l’arco d’ingresso per salutarlo. “Ciao, papi.”

Lui rispose con un qualcosa che assomigliava più a grugnito distratto che a un vero saluto. Quando guardava il baseball era difficile che si distraesse con altro. 

“Hai trovato il vestito? Fammi vedere.” disse la madre di ritorno, indicando le buste con un cenno del capo e porgendole l’asciugamano; poi, senza aspettare la figlia, aprì la busta per guardare dentro. Tirò fuori la scatola contenente il vestito nuovo e la appoggiò sul tavolo in salotto. “Mi piace!” approvò entusiasta, sollevandolo davanti a sé. “Un po’ vecchio stile. Sembra quello che indossai al mio ballo di fine anno, ti ricordi tesoro?” chiese al marito, che però non la sentì, troppo preso dalla partita. 

Quando la figlia ebbe finito di asciugarsi, li raggiunse in salotto. “Aspetta, ma all’epoca non stavi ancora con Kate? Eh, papà?” 

“Sto guardando.” le rammentò Arnold, sviando il discorso. 

Martha sventolò la mano, provvedendo a rispondere per lui. “In realtà tra loro era praticamente finita, visto che Kate sarebbe andata al college e lui no. Poi quella sera mi invitò a ballare e da quel momento...”

“Sì, sì, ti sei innamorata follemente di lui, lo so. Questa parte la conosco già.” concluse Juliet.

“No, non è stato così immediato. Però quando ce ne stavamo lì, mano nella mano e i nostri occhi si sono incontrati, ho sentito… le farfalle.” disse con aria trasognante, mentre le appoggiava addosso il vestito per vedere come le stava. “Bella anche la scollatura.”

Alla parola scollatura, l’attenzione di Arnold si spostò repentinamente dallo schermo alle due donne. “Direi che è anche troppo scollato.” commentò, squadrandola da capo a piedi.

“Dai, Arnold. È un vestito da sera, è normale che sia così.” la difese sua madre.

Lui non sembrava molto convinto, ma non obiettò. “Piuttosto, chi sono questi due con cui uscite? Non li ho mai sentiti.” chiese sospettoso. Evidentemente la moglie gli aveva già accennato qualcosa al riguardo.

“Siamo compagni di scuola.” rispose Juliet, ormai abituata agli interrogatori del padre. “E non ti preoccupare, ci andiamo solo come amici.”

“Beh, vorrei vedere. Neanche li conosco.” ribatté. “Ecco perché vi accompagnerò io.”

Juliet rimase impietrita, presa alla sprovvista da quella decisione improvvisa. Si erano già accordate con i ragazzi che avrebbero preso la macchina di Mark e non poteva certo dire a suo padre che in realtà sarebbero andati da tutt’altra parte. “M-ma, perché?” balbettò. 

“Perché ho deciso così.” tagliò corto lui. E quella doveva essere la sua ultima parola, perché tornò a concentrarsi sulla partita senza aggiungere altro.  

“Papà, non abbiamo mica dieci anni!” esclamò Juliet, guardando poi la madre in cerca di supporto. Lei però fece spallucce, facendole intuire di doversi rassegnare. Ovviamente non si rendeva conto della gravità della situazione, visto che anche lei era all’oscuro di tutto. Il padre le aveva cambiato le carte in tavola con quell’assurdo atteggiamento da genitore iper-apprensivo e ciò avrebbe significato dover rivedere in parte il loro piano. 

Decise che più tardi avrebbe chiamato le amiche per discutere dell'imprevisto, ma per il momento prese con sé gli acquisti e si avviò sbuffando al piano di sopra. 

Era ancora immersa nei suoi pensieri quando, passando davanti alla camera di Richard, vide la porta socchiusa, segno che fosse concesso a chiunque di entrare. Depositò le buste in camera sua, dopodiché entrò dal fratello senza fare troppo rumore e lo trovò davanti al computer con espressione concentrata. Capì subito cosa stava facendo, ma evitò lo stesso di tempestarlo con domande che potessero infastidirlo. 

Lui non si mosse, né la guardò, continuando a lavorare. “Ho quasi finito, se vuoi saperlo.” la informò, leggendole nel pensiero. “Il tempo di qualche ritocco e tu avrai i tuoi biglietti, e io la mia schiava.” Sogghignò, enfatizzando l’ultima parola.

“Tranquillo, finisci pure. Non volevo metterti fretta.” replicò lei, per poi buttarsi a sedere sul letto con aria mesta. “Uffa, papà si è fissato che vuole accompagnarci al ballo.” 

Richard ridacchiò, senza dire niente.

“Il problema è che pensa sia il ballo della scuola.” continuò a lamentarsi Juliet. “E adesso non so come fare, perché se gli dico che non voglio che ci accompagna vorrà sapere il motivo e farà altre domande, a cui non posso rispondere senza svelare tutto.” disse in un fiume di parole. “Che casino...” sbuffò ancora. 

Le dita di Richard continuavano a battere sulla tastiera, senza che accennasse una parola di conforto. Tra loro funzionava così: Juliet si sfogava spesso dei suoi problemi e in cambio lui la ascoltava, anche se a prima vista poteva non sembrare. Qualche volta, poi, le dava anche qualche consiglio utile, ma non era quello il caso.

A un certo punto, si rese conto di doversi fare una doccia prima che arrivasse l’ora di cena, così uscì dalla camera, lasciandolo lavorare. Intanto avrebbe pensato a qualcosa per convincere il padre che farsi accompagnare dai genitori al ballo dell’ultimo anno avrebbe significato essere presa in giro dagli altri ragazzi per il resto della sua vita.

Così a cena tornò alla carica, ma fu tutto inutile. Arnold non si mosse dalla sua decisione e alla fine Juliet desistette, anche per evitare di scendere troppo nei dettagli della questione e insospettirlo. Discuterne ancora non sarebbe servito a niente, perciò, dopo aver aiutato la madre a sparecchiare, salì di sopra con l’unico desiderio di una lunga dormita. Ormai era tardi per chiamare Rachel e Claire, e inoltre era troppo stanca anche solo per stare al telefono. Così, raggiunto il letto, quasi non fece in tempo a sdraiarsi che si addormentò, sprofondando nel mondo dei sogni…

 

Si risvegliò in una radura circondata da alberi dalle folte chiome scure. Era sdraiata sull'erba, faccia in giù, e tutto intorno a lei era avvolto da una fitta nebbia che lasciava intravedere appena l'ambiente.

Piantò i palmi delle mani e fece leva sugli avambracci per tirarsi su. Si guardò intorno per capire dove fosse finita, ma dapprima non vide niente. Tutto era sfocato e anche l'atmosfera era strana, rarefatta, come surreale. 

D'un tratto, a poca distanza da lei due figure umane si fecero più nitide, come se si fossero materializzate lì da poco. Socchiuse gli occhi per distinguerne i tratti e finalmente a fatica riconobbe le sue migliori amiche.

Rachel e Claire erano in piedi, immobili, anche i loro sguardi erano fissi. Sembravano quasi prive di espressione, poi all’improvviso i loro occhi si riempirono di lacrime, che iniziarono a scendere copiose lungo le guance.

Juliet provò a mettersi in piedi e ci riuscì, ma sentiva a malapena le gambe, come se anche il suo corpo non fosse del tutto presente. Voleva andare da loro, così fece il primo passo e poi un altro, e poi un altro ancora, ma non le raggiungeva mai. Rimanevano sempre ferme, eppure non riusciva a coprire la distanza che le separava. Nello stesso tempo, più falliva nel suo intento e più loro si disperavano. Volevano che le raggiungesse, ma lei non ci riusciva.

A quel punto tentò di chiamarle, urlare, ma la voce non uscì. Corse più forte e urlò ancora, inutilmente.

Da un momento all’altro si sentì afferrare una caviglia e, prima che se ne rendesse conto, era di nuovo a terra. Si girò sulla schiena, lottando per liberarsi, e in un primo momento ci riuscì, ma ben presto altre mani uscirono dal terreno e le artigliarono le gambe, i vestiti, arrampicandosi sempre più rapidamente su di lei per trascinarla sotto terra con loro. 

Juliet urlò, implorò che qualcuno la aiutasse, ma non c’era nessuno. 

Proprio quando stava ormai per essere sommersa, scorse un'altra figura, un ragazzo appoggiato al tronco di un albero a pochi passi da lei. I tratti del viso erano confusi, tranne per un unico particolare: gli occhi. Di un grigio ghiaccio, luminosi come non ne aveva mai visti. 

Avrebbe voluto gridargli di fare qualcosa, ma la voce continuava a morirle in gola. Sperò allora che intuisse comunque la sua richiesta d’aiuto, invece lui le diede le spalle e se ne andò indifferente. 

Disperata, si sentì mancare l’aria e l’ultima cosa che vide fu la sua schiena che si allontanava, prima che una mano le raggiungesse il volto, accecandola del tutto...

 
 

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Capitolo 4
*** Il Ballo ***


Capitolo 4

 

Il ballo

 

“Rachel, vuoi darti una mossa?” gridò Claire davanti alla porta del bagno, in cui l’amica si era barricata da almeno venti minuti. “Juls sarà qui a momenti e io non sono ancora pronta!” La serata non era neanche iniziata e la sua pazienza era già stata messa a dura prova. Vagava per la casa con la lampo del vestito aperta, scalza e con i capelli ancora da sistemare. 

La decisione del signor Peterson di accompagnarle al ballo le aveva costrette a un repentino cambio di programma, così solo Rachel era andata a casa di Claire per prepararsi, mentre Juliet le avrebbe raggiunte più tardi con il padre. Nel frattempo, Mark e Cedric le avrebbero aspettate davanti alla palestra della scuola, già informati sulla possibilità di dover reggere il gioco davanti a lui. 

Finalmente la serratura scattò e Rachel uscì, seguita da una scia di profumo. Aveva raccolto i capelli in uno chignon dietro la nuca e un'onda morbida le guarniva la fronte. Per l'occasione aveva perfino sostituito gli occhiali con le odiate lenti a contatto.

“Pensavo che il water ti avesse inghiottito...” ironizzò Claire, voltandosi poi di schiena e indicando la lampo. “Mi dai una mano?”

Lei le chiuse il vestito con un unico rapido movimento. “Non è colpa mia se ti riduci sempre all’ultimo momento per fare le cose.”

Per tutta risposta, l’amica le fece una smorfia, prima di entrare in bagno senza chiudere la porta. 

Mentre lei finiva di truccarsi, Rachel si sedette sul letto dove aveva poggiato la borsa con tutte le sue cose. Trovata la scatola che cercava, la aprì per prendere un paio di guanti di seta bianca.

“Non ti sembra eccessivo?” le chiese Claire, osservandola mentre se li infilava. “È solo un ballo...”

“Un ballo in maschera in un antico castello medievale, a cui è stata invitata solo gente di alto livello.” Precisò lei in tono saccente. “I guanti sono perfetti.”

In seguito, la aiutò con i capelli. Essendo molto corti non si poteva fare granché, così glieli tirò all’indietro, fissandoli con un po’ di lacca. Aveva quasi finito quando il campanello suonò, annunciando l'arrivo di Juliet, che entrò in casa con un'espressione allegra e spensierata dipinta in faccia. 

“Siete pronte?” chiese per le scale, mentre le raggiungeva al piano di sopra in un fruscio di rasi. Portava i capelli sciolti, resi ondulati e vaporosi con il ferro, e al collo una collana piuttosto vistosa per compensare il trucco leggero. “Scusate il ritardo, ma mia madre ha voluto farmi almeno una decina di foto. Una in ogni punto della casa.”

“Stai benissimo.” si complimentò Rachel quando la vide, mentre Claire ridacchiava.

“Anche tu!” ricambiò lei eccitata, mentre si scambiavano un bacio sulla guancia.

“Che bella collana.”

Istintivamente, Juliet si portò la mano al collo. “Grazie. E la tua? Non te ne separi mai…”

Rachel capì subito che si riferiva al ciondolo che le aveva regalato sua nonna qualche mese prima di morire e che da allora non si era più tolta. A eccezione di quella sera. “Non stava bene con il vestito.” spiegò semplicemente.

“Juliet, dove hai lasciato tuo padre?” chiese Kate, appoggiata allo stipite della porta con le braccia incrociate. 

“È rimasto in macchina. Ha detto che ci aspetta fuori.”

La donna arricciò il naso. “Meglio che vada a fargli un po' di compagnia. Conoscendolo, sarà sicuramente agitato per l’ultimo ballo scolastico della sua bambina.” Ridacchiò, dirigendosi alla porta. Prima di scendere però, vide l’espressione grigia di Claire. “Ehi, su con la vita. Andate a una festa, non al patibolo.”

Lei cercò allora di risollevarsi un attimo. In fondo, sua madre non aveva tutti i torti. Sarebbe stato meglio iniziare a godersi la serata fin da subito, altrimenti rischiava di diventare troppo lunga. 

“Ecco fatto.” annunciò Rachel poco dopo, invitandola a specchiarsi.

“Sei bellissima.” disse Juliet raggiante. Era da tempo che non la vedeva così e la cosa le fece un certo effetto. Forse, almeno quella sera sarebbe riuscita a lasciarsi andare. 

Nello stesso momento il cellulare di Claire vibrò. “I ragazzi sono arrivati.” le informò, dopo una rapida occhiata ai messaggi.

“Ah. Un po' in anticipo.” osservò Rachel sorpresa, mentre l’amica rispondeva, premendo velocemente le dita sulla tastiera. 

“È Cedric?” domandò Juliet con una punta di malizia nella voce, che però lasciò Claire del tutto indifferente. 

“Gli ho scritto che saremo là tra una ventina di minuti al massimo.” Dopodiché infilò il cellulare nella borsetta e le precedette di sotto.

Il signor Peterson le stava aspettando davanti all’auto, impegnato in una fitta conversazione con Kate. I due erano molto amici, fin dai tempi del liceo, e tutte sapevano che in passato c’era stato perfino del tenero, anche se poi ognuno aveva preso strade diverse. 

“Ah, eccole qua!” esclamò Arnold alla vista delle ragazze, che procedevano con cautela a causa dei tacchi alti. 

“Ferme, restate dove siete!” le bloccò Kate su di giri. “Voglio immortalare il momento.” Le fece mettere in posa e, preso il cellulare dalla tasca, scattò loro un paio di fotografie sotto il portico. Poi si mise a scorrerle una per una, in cerca di quella meglio riuscita. “Ecco, questa la mando a tuo padre. Era così dispiaciuto di non poterci essere per il tuo ballo di fine anno.”

Intanto, anche Megan era uscita, curiosa di vedere sua sorella per una volta vestita elegante. Si mise accanto alla madre, che le passò un braccio sulle spalle. “Mi raccomando, state attente.” disse Kate, schioccando un bacio sulla guancia a Claire. “E soprattutto divertitevi.”

Quando si furono sistemate in macchina, Arnold la salutò con un cenno della mano e partirono. Il vialetto di casa Farthman si allontanava rapidamente, ma fecero in tempo a sentire Megan che rientrando in casa chiedeva alla madre: “Posso andare con loro, mamma?”

In breve furono davanti alla palestra della scuola, un edificio separato dalla struttura principale e addobbato a festa. La musica alta si sentiva anche da fuori e l'ingresso era parecchio affollato. Un fiume di studenti eccitati e vestiti per l’occasione riempiva tutto il viale, aspettando in coda il momento di entrare nella sala. 

Arnold accostò al marciapiede, cercando con difficoltà di non investire nessuno tanta era la calca, e le ragazze scesero dall’auto.

“Non riesco a vederli con questo casino.” disse Juliet, guardandosi intorno in cerca di Mark e Cedric. 

“Prova a chiamare Cedric, saranno qui in giro.” suggerì Rachel a Claire. 

Lei però non fece neanche in tempo a prendere il telefono dalla borsa che un frenetico agitarsi di braccia attirò la loro attenzione e in poco tempo i ragazzi le raggiunsero. 

Mentre si salutavano, Arnold mise un piede fuori e appoggiò il gomito sul tettuccio dell'auto, esaminando i ragazzi con sguardo indagatore.

“Papà, loro sono Mark e Cedric.” li presentò Juliet in quattro e quattrotto.

Entrambi gli rivolsero un sorriso cordiale e lo salutarono, mentre lui ricambiava con un breve cenno della testa, andando subito al sodo. “Mi raccomando, vi affido le ragazze.”

“Papà...” mormorò Juliet, sbarrando gli occhi al massimo dell'imbarazzo.

Arnold, però, la ignorò. “Ascoltatemi bene: mani in tasca e testa sulle spalle. Niente droga, niente alcol e il rientro a un’ora decente. Siamo intesi?” intimò in tono vagamente minaccioso.

Dopo un attimo di iniziale spaesamento, in cui lui e Cedric si guardarono di traverso, Mark lo rassicurò: “Certo, stia tranquillo.” 

La risposta sembrò soddisfare il signor Peterson che, dopo averli squadrati ancora per un istante, si scambiò con la figlia un frettoloso bacio sulla guancia. “Divertitevi.” si raccomandò, prima di rientrare in macchina e ripartire alla volta di casa.

Juliet si mise una mano sulla fronte, senza osare guardarli. “Scusatelo. Mio padre a volte è un tantino opprimente.” Avrebbe dovuto aspettarsi un'uscita del genere da parte sua, ma fino all’ultimo aveva sperato che si sarebbe contenuto. Speranza vana a quanto pareva.

“È stato… singolare.” commentò Cedric divertito; poi le squadrò da capo a piedi tutte e tre, come se le stesse notando per la prima volta. Poggiò le mani sui fianchi, esibendosi in un fischio di apprezzamento. “Siete una visione.”

“Grazie.” disse Rachel, abbozzando un sorriso imbarazzato e sistemandosi dietro l'orecchio una ciocca ribelle dello chignon. 

“Grazie, anche voi state molto bene.” aggiunse Juliet sorridente.

“D’accordo, vogliamo andare?” chiese Mark ansioso.

“Sì, ma rilassati.” Cedric sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “È tutto il pomeriggio che mi stressa.” spiegò poi alle ragazze. 

Come spesso accadeva, Mark ignorò il commento e li precedette verso la macchina, parcheggiata lì vicino. Con quei vestiti le ragazze stavano un po’ strette sul sedile posteriore, ma in fondo si trattava di un breve tragitto fino a Jadkson Hill.

Man mano che si allontanavano dalla scuola, il traffico si faceva sempre meno intenso, perciò non ci misero molto a uscire dalla città e a raggiungere i piedi della collina, da cui iniziavano i tornanti. 

“Sì, ma accelera un po'!” protestò Cedric annoiato, mentre Mark affrontava la salita con cautela. “Avanti di questo passo la festa sarà già finita.”

“Non ci penso nemmeno. È la macchina di mio padre questa.” ribatté lui piccato; poi dallo specchietto vide Juliet che trafficava con il cellulare. “Non sono ammessi oggetti elettronici al ballo, lo sapete?”

“Come no?” chiese Rachel sorpresa.

“L'ho letto in un articolo sull'evento. Niente cellulari, videocamere o roba del genere. Pare che al proprietario non vada giù che qualcuno riprenda gli interni del castello.”

La delusione comparve sul volto di Juliet. “Quindi niente foto ricordo?” 

“Beh, magari ce ne facciamo una prima di entrare…” rifletté Cedric.

Mark però provvide subito a stroncare l’idea sul nascere. “Oh, certo. E perché no, potremmo farcela con il castello alle spalle, così avranno anche la prova della nostra colpevolezza.” ironizzò, con gli occhi fissi sulla strada. 

“Sempre esagerato...”

Superati gli ultimi tornanti, si iniziarono a intravedere le torri del castello spuntare dalle fronde degli alberi della profonda foresta che lo circondava. In alto, con il cielo notturno privo di nuvole a farle da sfondo, spiccava una splendente luna piena, che come la ciliegina sulla torta completava l’atmosfera da film horror. 

“Che posto da brividi.” mormorò Claire, guardando dal finestrino la facciata che si apriva davanti a loro. 

Juliet rifletté un attimo. “Mi ricorda l’incubo dell’altra notte...”

“Che incubo?” le chiese Rachel incuriosita.

“Ho sognato una cosa strana.” si apprestò a spiegare. “Mi sono svegliata in una foresta buia, c’eravate anche voi e mentre cercavo di raggiungervi delle mani mi hanno afferrata per trascinarmi giù...” Un dettaglio in particolare le era rimasto ben impresso, tanto da ripensarci anche nei giorni successivi. “E poi due occhi… due occhi di ghiaccio che mi fissavano.”

“Che ansia…” commentò Claire, dopo un istante di silenzio.

“Già. Mi viene ancora la pelle d’oca.”

“Rilassati, dai.” intervenne Cedric, senza voltarsi. “È stato solo un sogno.”

“Eppure ho letto in una rivista che incubi del genere non sono altro che il corrispettivo ingigantito delle nostre paure più profonde e che a volte presagiscono eventi futuri.” disse Juliet con un tono quasi mistico, ripetendo meccanicamente le esatte parole dell’articolo. 

L'intero abitacolo si ammutolì, prima che Claire ribattesse con espressione scettica: “Sai, spesso mi chiedo dove le trovi certe riviste.”

Accanto a lei Rachel ridacchiò, tornando poi a guardare fuori dal finestrino. Ormai erano arrivati a destinazione e iniziò a salirle una certa dose di ansia.

Si ritrovarono nello stesso spiazzo di qualche giorno prima, solo che stavolta era pieno di macchine, ordinate in modo da lasciare libero il passaggio verso l’ingresso principale. Lungo il viale erano state disposte due file di luci, come fossero una guida per gli ospiti che entravano, e c'erano vasi di fiori a ornare l'ingresso. 

Poiché erano arrivati a festa già iniziata, i posti vicino all'entrata erano tutti occupati e dovettero girare un po' prima di riuscire a trovarne uno. Alla fine parcheggiarono lontano dal viale illuminato, quasi al limitare della foresta. 

Prima di scendere decisero che fosse più prudente indossare le maschere, in modo da evitare di essere riconosciuti ancor prima di mettere piede dentro. Cedric aprì il vano portaoggetti davanti a sé e le tirò fuori tutte, comprese quelle delle ragazze. Il giorno prima, infatti, li avevano raggiunti al Golden per consegnarle a Mark, visto che non avrebbero potuto portarsele da casa senza destare sospetti. Cedric andava molto fiero del fatto che ormai il suo bar fosse diventato come una specie di Bat-caverna per le loro riunioni strategiche. 

“Abbiamo i biglietti?” chiese Mark a Juliet, mentre chiudeva la macchina. 

Lei aprì subito la borsa per tirarli fuori. “Eccoli.” disse mostrandoglieli; poi si incamminarono verso il castello, dove ancora parecchie persone erano in fila, aspettando di entrare. Molti non indossavano la maschera e tra loro riconobbero alcune personalità di rilievo a Greenwood, autorità e anche il capo della polizia. Si misero in coda e dopo un po' arrivarono finalmente all'ingresso, davanti al quale un uomo in smoking dalla corporatura massiccia controllava che i nomi sugli inviti corrispondessero a quelli sulla lista che aveva in mano. 

“C'è una lista!” esclamò Mark allarmato, consapevole che i loro nomi non sarebbero mai potuti essere là sopra. “C'è una dannata lista!” 

Si guardarono attoniti, senza sapere come comportarsi, poi Rachel ebbe un'idea. 

“Okay, manteniamo la calma.” li tranquillizzò, prendendo in mano la situazione.

Così, quando arrivò il loro turno, si inventò che erano amici di una certa Jacqueline Foster, figlia del sindaco, e che anche se non comparivano nella lista avevano i biglietti. Il tizio li squadrò assorto, indeciso sul da farsi. Per un attimo temettero che facesse chiamare Jacqueline per verificare che fosse la verità, ma poi si limitò a controllare i biglietti e a lasciarli passare. 

“Tuo fratello è davvero un genio.” mormorò Claire a Juliet una volta varcata la soglia. 

Superato un grande arco di pietra, davanti a loro si aprì uno spettacolo che li lasciò a bocca aperta. Le decorazioni dell’interno erano molto eleganti e rievocavano atmosfere d'altri tempi. 

Il loro sguardo fu subito catturato dai due colossali lampadari in bronzo dorato riempiti da un gran numero di candele, che illuminavano soffusamente l’intero salone, sul quale si affacciava un balcone decorato con drappi di velluto. Ad accompagnare il tutto, l’orchestra posizionata su un palchetto in alto suonava una leggera sinfonia di sottofondo.

Su un lato della sala, c'era un lungo tavolo con un ricco buffet di cibi e bevande, mentre tavolini rotondi e divanetti in pelle già tutti occupati circondavano la pista da ballo.

In effetti, c’era molta più gente di quello che si aspettavano. Greenwood era una piccola città e il numero di personalità di spicco piuttosto limitato. Che ci fossero invitati provenienti anche dalle cittadine limitrofe? Una cosa era certa: alcuni avevano decisamente osato quanto ad abbigliamento. 

“Cosa dicevi dei guanti?” mormorò Rachel all'orecchio di Claire. 

A quel punto, si guardarono intorno per trovare un tavolo libero e, mentre passavano tra la folla, videro vestiti esagerati, ricchi di strass e tanto luccicanti da abbagliare. Alcuni invitati dovevano aver frainteso e pensato bene di anticipare Halloween, perché c'era una ragazza vestita da cigno e più in là ne videro una con un costume pieno di piume di pavone. 

Dopo aver girato per un po' e preso in giro certi soggetti, trovarono un tavolo e si accomodarono.

“Che strazio quest'affare.” Claire sollevò leggermente la maschera per far prendere aria al viso, rosso e accaldato. 

“Almeno voi ragazze non dovete portare la cravatta.” ribatté Cedric, infilandosi un dito nel colletto della camicia per allargarlo. 

Concordando con lui, Mark si sfilò la giacca e la appoggiò sullo schienale della sedia. “Dai, andiamo a prendere qualcosa da bere.” lo invitò poi, lasciando che lo seguisse al tavolo degli aperitivi. 

Al sicuro dietro la sua maschera, Rachel si guardò intorno, cercando con gli occhi le cheerleader. Da quando erano entrati non era riuscita a individuarle e non sapeva se questo fosse un bene o un male. D’altra parte, era inutile illudersi che all’ultimo momento avessero deciso di non venire, anzi, c’era da aspettarsi che saltassero fuori da un momento all’altro. La sua paura era che potessero riconoscerle, quindi preferiva sapere dove fossero in modo da non correre rischi. 

“Non posso credere di essere qui.” commentò Juliet eccitata. A differenza sua, non sembrava curarsi affatto del problema. “Avevo ragione a voler venire, guardate che posto.” 

“Bello, sì.” concordò lei, con le dita che tamburellavano nervosamente sul tavolo. Si costrinse a pensare che con le maschere indosso, le luci soffuse e tutta quella gente c’erano pochissime probabilità di essere riconosciuti. Sarebbe bastato mantenere un profilo basso e non mettersi troppo in mostra.

Di lì a poco, il ritorno dei ragazzi con i drink la distrasse da quei pensieri.

“Ecco qua, signore.” disse Cedric, porgendo loro i bicchieri. “Pensavo che almeno stasera non avrei fatto il cameriere, ma a quanto pare è la mia vocazione.” scherzò, per poi sedersi accanto a Juliet. 

Nel frattempo, la musica si stava attenuando, fino a fermarsi del tutto e l’attenzione dei presenti venne attirata dal tintinnio metallico di una posata su un bicchiere di cristallo. Sulla balconata, un uomo vestito di bianco con il volto coperto da una vistosa maschera dorata, sollevò il calice, ringraziando gli ospiti di essere venuti e proponendo un brindisi in onore della serata. 

“E così è quello il misterioso proprietario.” constatò Rachel, mentre applaudiva con gli altri. “Me lo immaginavo più vecchio.”

“Magari lo è. Da qui è difficile dirlo.” replicò Mark.

A un cenno del proprietario, l’orchestra riprese a suonare e in poco tempo la pista si riempì, ma loro rimasero seduti a bere in silenzio. Nessuna delle ragazze notò le eloquenti occhiate che Mark e Cedric si scambiavano da un lato all’altro del tavolino, finché Mark non posò il suo bicchiere e si rivolse a Rachel. “Balliamo?” esordì, porgendole la mano. 

“Oh, no.” rispose lei di getto; poi, resasi conto di essere stata troppo brusca, tentò goffamente di rimediare. “Cioè, volevo dire… Scusa, è che non me la sento. Preferirei restare qui.” In realtà, ballare l’aveva sempre imbarazzata tantissimo. Si sentiva a disagio e in più non è che fosse proprio una ballerina provetta. 

Per fortuna, Mark non parve offendersi e annuì comprensivo. “Non c’è problema, tranquilla.”

“Io invece ballerei volentieri.” Si offrì Juliet con un sorriso. “Adoro questa canzone.” 

Così, lei e Mark si diressero al centro sala, fino ad essere inghiottiti dalla folla. 

Guardandoli allontanarsi, Cedric lanciò un’occhiataccia all’amico. “Mi ha fregato…” sibilò tra i denti, ma si affrettò subito a sviare il discorso quando Rachel lo guardò con aria interrogativa. 

“Allora, vieni a ballare?” chiese a Claire, che alzò lo sguardo dal suo drink, prendendosi del tempo per rispondere mentre deglutiva. 

“Non sono molto brava…” tentò, sperando di cavarsela con poco.

“Non fa niente. Anch’io non sono un granché, quindi siamo apposto.”

Claire cercò disperatamente un'altra patetica scusa a cui appigliarsi. “Rachel rimarrebbe qui da sola...”

“Ma stai scherzando?” si intromise lei, ignorando la sua muta richiesta di soccorso. “Non c'è nessun problema, vai pure.”

“Avanti, non farti pregare.” Interpretandolo come un sì, Cedric la prese per mano, praticamente trascinandola verso la pista da ballo. 

A quel punto, prima di sparire nel tumulto delle danze, Claire si voltò un'ultima volta verso Rachel per lanciarle un'occhiata raggelante.

Raggiunti Mark e Juliet, gli si affiancarono proprio quando la musica iniziava a cambiare, passando a un lento. Claire non ebbe neanche il tempo di elaborare che Cedric l’aveva già stretta, e in un attimo si ritrovò a meno di dieci centimetri dal suo viso. Al culmine dell’imbarazzo, tentò di non dare tanta importanza alla cosa e ricambiò debolmente il sorriso che lui le rivolgeva. 

Quando passarono accanto a Mark, li vide scambiarsi un’occhiata complice e si insospettì. “State tramando qualcosa voi due?” 

Cedric fece finta di non capire. “Perché?” 

“Non lo so, siete strani da quando eravamo al tavolo.”

“Ma no…” Provò a fare il vago, ma lei alzò un sopracciglio con aria scettica e lui capì che non l’avrebbe bevuta. “Va bene, diciamo che la cosa è partita da me. Pensavo che Mark non sarebbe riuscito a invitare una di voi a ballare, visto che di solito con le ragazze è una frana. A quanto pare l’ho sottovalutato.”

Sempre più sorpresa dalla stupidità del sesso maschile, Claire lo guardò di traverso e scosse la testa. “Uomini…” mormorò. “Ma dato che hai perso, che bisogno c’era di invitare me?”

“Te l’avrei chiesto comunque, prima o poi.” replicò lui, facendo spallucce. “Quindi perché non approfittarne? Non potevo perdere l’occasione di stringerti tra le braccia.” 

Lo disse con la solita leggerezza, come quasi tutto ciò che gli usciva di bocca, e proprio per questo in un primo momento la lasciò di sasso. Giusto il tempo di realizzare che fosse una causa persa e scoppiò a ridere. Possibile che non riuscisse a trattenersi dal provocarla? “Che fine hanno fatto i tuoi buoni propositi? Tutta quella storia di essere solo amici, eccetera…”

Cedric rise dietro di lei. “Hai ragione, ma seguire le regole non è il mio forte.” 

Claire preferì troncare l’argomento e continuare a ballare in silenzio, anche se dal canto suo appariva chiaro che stesse ritrattando. In un certo senso, però, la divertiva questo suo lato intraprendente e tutto sommato la situazione non le dispiaceva. Doveva solo accertarsi che non le sfuggisse di mano.

Finita la canzone, si separarono lentamente, per poi tornare al tavolo insieme a Mark e Juliet. 

“Tutto qui il tuo momento di gloria?” lo provocò Cedric spavaldo, mentre si metteva seduto.

“Non ancora.” rispose l’amico con lo stesso tono. “Sta a vedere.” Detto questo, si rivolse a Rachel e le chiese di nuovo di ballare.

Stavolta lei ci pensò un attimo prima di rifiutare. In fondo, con le amiche era filato tutto liscio e nessuno le aveva riconosciute. Quindi perché non godersi la serata come gli altri? Così, abbandonando ogni timore, accettò di buon grado la mano che le porgeva. 

Quando entrambi si furono allontanati, Cedric si sporse verso l’altro lato del tavolo e afferrò il bicchiere di Mark, per poi annusarne il contenuto. “Che diavolo si è bevuto?” Poco convinto, mandò giù le ultime due dita del drink, prima di constatare che non fosse affatto diverso dagli altri.

Intanto Claire aveva appena finito di scolarsi il suo e, quando Cedric annunciò che sarebbe andato a prenderne un altro, gli porse il bicchiere vuoto con un sorrisetto eloquente.

“Ma quanto sono carini?” osservò Juliet, mentre guardava Mark far fare a Rachel un giro su se stessa. “Tu che ne pensi? Io ce li vedo insieme.”

“Ed ecco il ritorno dell’agenzia cuori solitari Juliet Peterson.” ribatté Claire per tutta risposta.

Fingendosi risentita, l’amica le rifilò una smorfia. “Non c’è niente di male nel volere la felicità altrui.”

“Sono perfettamente d’accordo. Ecco perché porto da bere.” disse Cedric puntuale, di ritorno dal buffet.

Rimasero a sorseggiare i drink e a chiacchierare e scherzare del più e del meno, finché Claire non venne colta da un'improvvisa vampata di calore, forse dovuta alla maggiore quantità di alcol del secondo cocktail, così si tolse la maschera dal viso con un gesto secco per riprendere fiato.

“Forse è meglio che la rimetti.” le suggerì Juliet, dando un’occhiata nervosa in giro. “Se qualcuno ti riconosce sono guai.”

Lei, però, sbuffò, sventolandosi con una mano. “Sto morendo di caldo qui dentro.” Non si sentiva molto bene e respirava a fatica, e non sapeva se la colpa fosse del vestito troppo stretto o del fatto che avesse bevuto a stomaco vuoto. In ogni caso, sapeva come risolvere il problema. 

Indossata di nuovo la maschera, si alzò. “Vado un attimo fuori, ho bisogno d'aria.” spiegò sbrigativa, facendo per andarsene.

“Vuoi che ti accompagni?” si offrì Juliet in tono preoccupato. 

Lei scosse la testa. “No, non serve.” 

Attraversò il salone, facendosi largo praticamente a spintoni, e uscì dalla grande finestra a vetri che si apriva sul giardino. L'erba le solleticò i piedi, là dove i sandali li lasciavano scoperti. Aveva rinfrescato rispetto a quando erano arrivati, così si strinse nello scialle e prese a passeggiare tra le aiuole, osservando con scarsa attenzione l'ambiente circostante. Inspirò profondamente e l’aria le riempì i polmoni, dandole sollievo. Odiava quel vestito e le scarpe iniziavano a farle male, ma in fondo doveva ammettere che la serata si stava rivelando piacevole. Perfino stare in compagnia di Cedric non era poi tanto male, anche se non lo avrebbe certo confessato a Juliet. Glielo avrebbe rinfacciato per almeno una settimana. 

Sembrava non esserci nessun altro in giardino, quindi si tolse di nuovo quella maschera insopportabile e poi, in un impeto di libertà, anche le scarpe, godendosi la sensazione dell’erba fresca sotto i piedi. 

D’un tratto, si accorse di un uomo in completo elegante che passeggiava in lontananza tra le siepi, apparentemente incurante di lei. Aveva il volto coperto e lo studiò per qualche minuto, pur continuando a camminare per i fatti suoi, ma stando attenta a non fissarlo troppo per non attirarne l’attenzione. Non aveva idea di chi fosse, ma non poteva rischiare di essere riconosciuta da qualcuno, quindi si affrettò a coprirsi. 

Raggiunta la fine del giardino, si appoggiò alla balaustra che dava sulla vallata e rimase a godersi il panorama, notando solo più tardi lo sconosciuto che la osservava con interesse a qualche metro di distanza.

La cosa la inquietò non poco. Ne aveva sentite di storie sulle molestie subite ai balli scolastici, così pensò che fosse meglio rimettersi le scarpe e rientrare. Mentre, presa dall’ansia, tornava velocemente in sala, incrociò due fidanzatini che probabilmente erano lì per appartarsi. Poco male. L’ultima cosa che voleva era rimanere lì a guardarli mentre si sbaciucchiavano.

Quando tornò al tavolo non c’era più nessuno, così si sedette in attesa. Si sentiva un po’ a disagio da sola e inoltre non faceva che ripensare al tizio in giardino che la fissava. -Forse è solo paranoia- pensò, senza troppa convinzione. L’arrivo di Juliet fu provvidenziale e le impedì di rimuginarci oltre. 

“Dov’eri?” le chiese.

“Un ragazzo mi ha invitata a ballare. È stato carino.” spiegò lei, sedendole accanto. “Tu invece, ti sei ripresa?”

Claire annuì con aria distante. Non ritenne necessario raccontarle dello sconosciuto, visto che probabilmente non l’avrebbe più rivisto in mezzo a quel mare di gente. Quand’ecco che accadde l’insospettabile: l’uomo del giardino stava venendo verso di loro e Claire ebbe giusto il tempo di realizzare che puntasse proprio a lei, prima che le porgesse la mano. 

“Posso avere il piacere di questo ballo?” 

Rimase a fissarlo per qualche secondo, completamente spaesata. Sebbene da sotto la maschera riuscisse solo a intravedere i suoi occhi, bastò per inchiodarla a quella sedia. Il suo tono era gentile, ma lo sguardo deciso di chi non si aspetta un rifiuto. Sembrava più grande di lei, forse sulla trentina, e si stupì che volesse ballare con una diciottenne. Il particolare che più la colpì fu l’anello che portava al mignolo destro: un vistoso rubino incastonato nell’oro, che dava l’idea di valere una fortuna.

Senza sapere cosa fare, cercò il supporto di Juliet, che fece spallucce come a dire -Perché no?- Tuttavia, non le fu di molto aiuto. L’averlo visto fissarla in giardino e ora ritrovarselo davanti le suscitava una certa inquietudine, perciò fu quasi sul punto di rifiutare. Allo stesso tempo, però, si sentiva attratta da quello sconosciuto e l’istinto la spinse ad accettare l’invito. Nell’istante in cui le loro dita si sfiorarono, provò una strana sensazione, come una scarica elettrica lungo tutto il corpo, e trasalì leggermente. Era la prima volta che le succedeva, ma non ebbe il tempo di ragionarci troppo perché lo stava già seguendo verso il centro della sala.

Una volta lì, casualmente la musica cambiò e partì un lento. Claire cominciava a pensare che l'orchestra glielo facesse di proposito, ma stavolta si vergognò ancora di più quando l’uomo le mise una mano sul fianco e la avvicinò a sé. Diversamente che con Cedric, però, ora si sentiva molto meno impacciata e non aveva bisogno di pensare di continuo a come fare per non pestargli i piedi. Era lui a guidarla e sembrava come se sapesse ballare da sempre. Nonostante l’imbarazzo, non riusciva a staccare gli occhi da quelli cerulei di lui, delle vere e proprie calamite. Data la vicinanza, infatti, poté osservarlo meglio e dai tratti del suo viso intuì che non dovesse essere di quelle parti. Con i capelli ramati e gli occhi di quel colore sembrava più europeo, anche se non avrebbe saputo dire di dove precisamente.

Nel complesso, aveva l’impressione che si trattasse di una persona molto attenta al proprio aspetto e anche il suo modo di porsi nell’invitarla a ballare non era certo tipico del posto. 

Mentre ballavano non le aveva più rivolto la parola, troppo impegnato a studiarla per ritenere necessario intavolare una conversazione. Comunque, a Claire non venne in mente di prendere l’iniziativa. Pur volendo, non avrebbe saputo proprio di cosa parlare con un perfetto sconosciuto. 

Intanto, dal tavolo Juliet li guardava ballare, anche se ogni tanto scomparivano in mezzo agli altri invitati e li perdeva di vista. Troppo concentrata, a malapena si accorse di Cedric, di ritorno dalla toilette. 

“Chi è quello?” le chiese, indicando con un cenno del capo l’uomo con cui Claire stava ballando.

“Non lo so, è venuto e l'ha invitata.” rispose distratta. “Sono contenta che si stia divertendo. Le ci voleva proprio dopo il brutto periodo che ha passato.”

“Brutto periodo?” ripeté lui interessato, bevendo un sorso del suo drink.

Presa in contropiede, Juliet si rese conto di aver parlato a sproposito. Era un argomento abbastanza delicato, non certo qualcosa da spifferare ai quattro venti, così cercò di cavarsela balbettando frasi sconnesse, finché un altro ragazzo non le chiese di ballare, salvandola dall’impaccio. 

Non era ancora tornata quando Claire si ripresentò al tavolo. Si sentiva confusa, spaesata, come se negli ultimi dieci minuti la sua capacità di ragionare si fosse interrotta. Sedendo dalla parte opposta a quella di Cedric, prese il suo bicchiere e bevve di getto, restituendoglielo poi vuoto. 

“Prego, fa pure.” disse lui in tono sarcastico. Seguì qualche istante di silenzio, in cui la osservò mentre fissava assorta la direzione da cui era appena venuta. “Lo conoscevi quello?” le chiese allora, con finta noncuranza.

A quel punto, Claire parve accorgersi della sua presenza e un po’ in ritardo fece cenno di no con la testa; poi, notando che erano soli, si guardò intorno. “Gli altri?” 

Lui rispose con un’alzatina di spalle. “Sembra che ti sia divertita. Mi fa piacere.” commentò, tornando sull’argomento.

Claire alzò un sopracciglio, senza capire. Dal tono che aveva usato non sembrava molto sincero, anzi colse una leggera vena polemica. Comunque, preferì non indagare. “In effetti… Stranamente sì.” Quel lento era riuscito a scioglierla, facendole apprezzare la festa ancora di più. Ora pensava perfino di ringraziare Juliet per averla convinta a venire.

“Accidenti, quel tipo deve essere davvero un mago del ballo. Sei quasi in estasi.” scherzò Cedric.

“Ma che dici?” ribatté lei, arrossendo vistosamente.

L’arrivo improvviso di Juliet dalla pista impedì alla conversazione di prendere una piega ancora più imbarazzante. 

“Ci hanno beccato!”

 

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Capitolo 5
*** Beccati! ***


Capitolo 5

 

Beccati

 

Rachel era seduta su un divano in una specie di anticamera adiacente al salone da ballo, le gambe accavallate e il mento poggiato sulla mano. Era talmente in ansia da non riuscire a tenere fermo il piede, che le ballava frenetico. Accanto a lei, Mark cercava di spiegare al ragazzo della sicurezza che avevano sbagliato, ma che non era il caso di chiamare le autorità e che se ne sarebbero andati subito. 

Sperava che gli avrebbe dato ascolto e che quella storia si chiudesse senza troppe conseguenze, ma dentro si malediceva per essere stata tanto stupida. Lei e Mark stavano ballando, quando qualcuno alle sue spalle le aveva pestato l’orlo del vestito, costringendola ad aggrapparsi a lui per non cadere all’indietro. Nel farlo erano andati a sbattere contro un’altra coppia e l’urto le aveva spostato la maschera sul viso. Nella foga del momento, se l’era tolta, per poi voltarsi di scatto con l’intenzione di dirne quattro al responsabile. Tutto si sarebbe immaginata, fuorché di ritrovarsi faccia a faccia con Jacqueline. Per quanto entrambe fossero agghindate a festa, si riconobbero all’istante.  

La cheerleader aveva spalancato gli occhi neanche avesse visto un alieno e in un attimo erano finiti in quella stanza. 

Il fatto che tra tutti loro fosse stata proprio lei a farsi beccare la faceva sentire ancora peggio, visto che fin dall’inizio aveva cercato in tutti i modi di non dare nell’occhio. Poi, invece, come una cretina si era tolta la maschera proprio nel momento meno adatto. Ce l’aveva a morte con se stessa, ma soprattutto con Juliet, che ora avrebbe volentieri strangolato per averla convinta a fare quella pazzia. 

D’un tratto, la discussione fu interrotta da un paio di insistenti colpi alla porta, che attirarono l’attenzione dei presenti. Quando il ragazzo della sicurezza la aprì per capire cosa stesse succedendo, venne travolto dalla veemenza di Cedric, che irruppe nella stanza senza troppe cerimonie. 

“Che state facendo? Questo è sequestro di persona!” esclamò, mentre dietro di lui comparivano anche Claire e Juliet.

“Deduco a questo punto che siate tutti insieme.” disse il tizio, dopo essersi ricomposto. 

Nell’istante in cui aprì bocca e Juliet lo guardò per la prima volta, restò impietrita. Quel ragazzo aveva gli stessi identici occhi dello sconosciuto nel suo incubo, di un grigio-azzurro talmente chiaro da sembrare ghiaccio. Non poteva sbagliarsi, perché era un dettaglio che ricordava con chiarezza. Eppure le sembrava così assurdo.

Mentre lo studiava in cerca di ulteriori conferme, Cedric lo squadrò dalla testa ai piedi. “Infatti.”

“Bene, allora risponderete anche voi di esservi presentati al ricevimento senza invito.” ribatté lui per tutta risposta, per niente intimorito dal suo atteggiamento arrogante. Si voltò verso il suo collaboratore. “Vai a chiamare lo sceriffo.”

 “No, aspettate!” intervenne Mark. “Come stavo cercando di spiegare, non ci siamo imbucati. Ce li abbiamo gli inviti.” Gli mostrò i biglietti, perché potesse esaminarli. 

“Esatto e siamo anche amici di Jacqueline Foster, la figlia del sindaco.” aggiunse Cedric con aria tronfia, ignaro che così facendo avrebbe peggiorato le cose.  

Sentendo quelle parole, infatti, Mark si accasciò affranto sul divano, massaggiandosi le tempie.

“Davvero?” ribatté il tizio, senza alzare gli occhi dai biglietti. “La stessa signorina Foster che vi ha denunciato poco fa?” 

Cedric si ammutolì per un istante, mentre tutta la sua tracotanza andava lentamente scemando. “Beh… Forse non così amici.” riconobbe, grattandosi imbarazzato il pizzetto.

A quel punto, altri due uomini vestiti di nero si affacciarono alla porta per avvertire dello scoppio di una rissa nel salone principale e il ragazzo, che doveva essere il loro capo, espresse il suo disappunto con un sospiro. “Luke, controlla che non si muovano da qui. Torno subito.” ordinò visibilmente infastidito al collega lì vicino, prima di lasciare la stanza. 

Non appena se ne fu andato, Juliet si sedette sul divano accanto a Rachel, mentre gli altri se ne stavano in silenzio con aria assorta. Pensò che quello fosse il momento buono per parlarle dei suoi sospetti. “Ray…” le sussurrò all’orecchio. “Il ragazzo che è appena uscito… Credo che sia quello del mio incubo.”

L’amica sospirò. “Juls, non è proprio il momento…”

“No, ascolta!” la interruppe con enfasi, ma attenta a non farsi sentire. Per fortuna, la musica che arrivava dal salone coprì la sua voce. “È lui ti dico. Ha gli stessi occhi di ghiaccio. Non pensi che sia strano?”

“Non essere ridicola, è stato solo un sogno!” ribatté lei spazientita.

“Per quanto tempo ancora dovremmo restare reclusi qua dentro?” proruppe Cedric di punto in bianco. “Ci farete tornare a casa o dobbiamo accamparci qui per la notte?” Non ottenendo risposta, sfogò su qualcun altro la propria frustrazione. “Siete davvero due fenomeni, bravi!” disse, rivolto a Mark e Rachel. 

Sentendosi chiamata in causa, Rachel rimase basita per un attimo. “Pardon?” 

Cedric, però, la ignorò del tutto e minaccioso avanzò direttamente verso l’amico. “Solo degli idioti si sarebbero fatti beccare in questo modo.”

A quel punto, Mark si alzò, deciso ad affrontarlo. “Guarda che qui l'unico idiota sei tu! Se prima avessi tenuto chiusa quella boccaccia, adesso saremmo fuori da questa stanza!” gli urlò contro.

“Vediamo se hai coraggio di ripeterlo!” Cedric gli diede una spinta, che Mark ricambiò immediatamente. 

“Ehi, piantatela!” intervenne Luke, mettendosi in mezzo per separarli.

Le ragazze osservavano la scena allibite, senza sapere cosa fare. 

“Ragazzi, basta!” gridò Claire, venendo però ignorata da entrambi, che sembravano esitare a saltarsi addosso solo perché c’era Luke a impedirlo.

“Tentare di ragionare con te è solo una perdita di tempo.” lo accusò Mark, lanciandogli un’occhiata di disprezzo. 

“Invece di ragionare, perché non passi ai fatti, coniglio?” replicò lui spavaldo. “Tanto lo sai di non avere speranze.”

“Come mi hai chiamato?” Fuori di sé, Mark strinse la mano a pugno, pronto a regolare i conti nonostante i richiami di Luke; poi accadde l'impensabile. I ragazzi cambiarono improvvisamente bersaglio e, voltatisi verso di lui, gli assestarono in sincrono due pugni dritti in faccia che lo tramortirono, mandandolo a terra. 

Cedric si massaggiò le nocche doloranti, mentre Mark apriva la porta e li esortava a uscire in fretta. 

“Forza! Sbrigatevi!”

“Quindi era tutta una messinscena?” chiese Rachel spiazzata. 

“Sì lo so, siamo due attori da premio Oscar. Adesso andiamo, però.” tagliò corto Cedric, spingendola delicatamente verso la porta.  

Approfittando di quel breve vantaggio, non persero tempo e si dileguarono, tornando a mescolarsi con gli invitati nel salone. Dovettero farsi largo a spintoni per superare quel mare di gente e non fu un’impresa facile, tenendo conto che dovevano anche stare attenti a non dare nell’occhio. Il piano era di raggiungere il portone principale e darsela a gambe verso la macchina, ma una volta arrivati trovarono due energumeni a guardia dell'ingresso. Cedric imprecò.

“Potremmo passare dal giardino sul retro.” propose Claire. “La strada è più lunga, ma non abbiamo molta scelta.”

Ci arrivarono a passo di carica e finalmente uscirono all'aria aperta. Di fronte a loro si apriva la foresta, i cui alberi cominciavano già dal giardino. Copriva parecchi ettari, migliaia di abeti alti e folti si estendevano a perdita d'occhio e da dove si trovavano non se ne indovinava la fine.

Per raggiungere l’auto, parcheggiata dalla parte opposta, avrebbero dovuto fare il giro, quindi non avevano altra scelta se non quella di inoltrarsi nella macchia. Mark provò a illuminare il sentiero davanti a loro con la flebile luce della torcia che portava attaccata alle chiavi, ma più andavano avanti più le fronde si infittivano e ben presto la foresta li inghiottì.

-o-

Dean era ancora in sala a cercare di calmare gli animi quando li vide dai vetri delle finestre percorrere il giardino di corsa. Nello stesso momento, Luke sopraggiunse alle sue spalle per avvertirlo della loro fuga.

“Me ne sono accorto, idiota!” lo apostrofò irritato. Per fortuna gli aveva anche detto di non lasciarli scappare. Era stato uno stupido a fidarsi di lui, ma vista la sua incompetenza adesso lo avrebbe aiutato a recuperarli. Lasciò Blaze a occuparsi degli invitati ubriachi e insieme si precipitarono all’uscita sul retro. Sperava di trovarli ancora nelle vicinanze, invece erano già scomparsi, così non perse tempo e si addentrò nella foresta, tallonato da Luke. A guidarli c’era solo la luce della luna, ma per loro era sufficiente. 

Tutt’ora non capiva il motivo per cui gli fosse stato chiesto di tenere d’occhio quella ragazza in particolare, fra le tante presenti al ballo, ed era rimasto sorpreso nel ritrovarsela davanti proprio un momento dopo aver ricevuto l’ordine. –Un compito facile una volta tanto- aveva pensato. Tenendola in quella stanza tutta la sera, infatti, sarebbe stato più semplice per lui controllarla e con la scusa dello sceriffo credeva di impedirle di lasciare la festa. Ora però tutto si era complicato, grazie a quell’imbecille di Luke, e sarebbe toccato a lui rimediare se non voleva passare dei guai. 

Non impiegarono molto tempo a colmare il distacco e,Ri quando sentì le loro voci farsi più vicine, rallentò il passo e fece cenno a Luke di non fare rumore, in modo da non metterli sull’avviso e coglierli di sorpresa. Intuì che si trovassero pochi metri più avanti, ma ancora non riusciva a vederli. Con un altro cenno gli ordinò di separarsi, così da prenderli da entrambi i lati. 

Rimasto solo, Dean fece per proseguire, quando un suono ben diverso da quelli uditi finora echeggiò nella foresta, lasciandolo impietrito. Riconobbe all’istante quelle urla prolungate e lamentose. Ululati.

-o-

Ululati. Erano chiaramente degli ululati quelli che all’improvviso arrivarono alle loro orecchie mentre cercavano di uscire da quel labirinto di alberi. Impalati, rimasero ad ascoltare quei versi agghiaccianti, faticando a capirne la direzione. 

“Adesso ci sono anche i lupi a Greenwood?” chiese Cedric allarmato.

“Ci mancano solo quelli, stasera.” commentò Rachel.

A quanto ne sapeva, non c'erano mai stati lupi da quelle parti. Forse provenivano dalle montagne, ma era davvero insolito che si fossero spinti a valle e durante la stagione estiva per giunta.

Mark puntò la torcia tra i cespugli intorno a loro, attento al minimo movimento. “Non facciamoci prendere dal panico, potrebbero anche essere a chilometri di distanza.”

“Il rumore è troppo forte.” lo contraddisse Claire spaventata. “Sembrano vicini...” 

“Diamoci una mossa, allora.” Cedric fece il primo passo per incoraggiarli a proseguire, quando una sagoma scura sbucò davanti a loro dagli alberi, cogliendoli di sorpresa. 

“Fine della corsa.” disse, inchiodandoli con il suo sguardo di ghiaccio. 

“Di nuovo tu?” sbuffò Cedric, riconoscendo il tizio pedante dell’anticamera. “Non hai niente di meglio da fare?”

Dalla sua espressione intuirono quanta poca voglia avesse di trovarsi lì con loro. 

“No, purtroppo no.” rispose infatti, annoiato. “Ma se collaborate credo che risolveremo in fretta.” 

Un altro ululato li mise in allerta, senza dar loro il tempo di ribattere alcunché. Rimasero tutti fermi ad ascoltare, compreso il ragazzo, che smise di fissarli per concentrarsi su quel richiamo. 

“Torniamo al castello. Subito.” intimò poi in tono secco. 

“Te lo puoi scordare.” ribatté Cedric. “Noi ce ne andiamo a casa. Mandaci l'invito del commissariato per posta.”

Lui sospirò, sempre più frustrato. Sembrava come se avesse una fretta indiavolata di andarsene. “Non è prudente restare qui. Ne riparliamo al castello...”

Un ringhio rabbioso gli impedì di finire la frase e subito dopo un paio di inquietanti occhi gialli spuntarono dai cespugli e li fissarono.

Oh, mon Dieu!” Rachel si portò le mani al viso, indietreggiando di qualche passo quando il lupo uscì dal suo nascondiglio e avanzò lentamente verso di loro, fermandosi a poca distanza per studiare le sue prede. 

Aveva il respiro pesante a causa della corsa e il ventre si allargava e si stringeva a ritmo regolare. Dopo aver girato loro intorno un paio di volte, emise un lungo e inquietante ululato, probabilmente per richiamare il suo branco.

Erano tutti troppo spaventati per muovere un muscolo. Solo il tipo del castello accennò a fare un impercettibile passo avanti e questo bastò ad attirare l'attenzione della belva, che digrignò i denti in un ringhio minaccioso. Sembrava avere tutta l’intenzione di saltargli addosso, ma il ragazzo lo batté sul tempo raccogliendo fulmineo una pietra da terra e scagliandola contro l’animale, centrandolo in pieno muso. Subito dopo gridò loro di scappare e stavolta non se lo fecero ripetere. 

Con una paura folle e gli occhi di quella belva famelica ancora impressi nella mente, Juliet iniziò a correre dietro agli amici, impresa non da poco per via del vestito che si impigliava nei cespugli di continuo e i tacchi alti. A un certo punto pensò addirittura di fermarsi per togliere le scarpe, ma il tramestio delle zampate sul terreno coperto di foglie la spinse a rinunciare. 

Dovevano arrivare alla macchina e mettere quanta più strada possibile tra loro e quel posto infernale, così si fece forza, correndo come mai prima d’ora, quasi dimenticando di respirare, ma sentiva che la bestia stava per raggiungerla. Senza una fonte di luce ad aiutarla a vedere dove metteva i piedi, inciampò su una radice e cadde a terra. Superato l’iniziale stordimento, si sollevò sui gomiti, guardando davanti a sé in cerca di aiuto, ma non c’era più nessuno. Forse si era sbucciata un ginocchio perché sentiva un forte bruciore, ma si sforzò di ignorarlo e di mettersi di nuovo in piedi. Quando provò ad alzarsi, però, si accorse che qualcosa le bloccava la caviglia e come un flash le tornò subito in mente la scena del suo incubo, con tutte quelle mani che la artigliavano…

Tuttavia, non ebbe il tempo di rifletterci più di tanto, perché nel giro di un attimo un ringhio sommesso le arrivò alle orecchie e, alzato lo sguardo, lo vide. Il lupo era solo a qualche passo, i canini in bella mostra, pronto a fare di lei la sua cena. Si piegò in avanti con il chiaro intento di saltarle addosso e Juliet, pietrificata dalla paura, chiuse gli occhi e lanciò un urlo, credendo che fosse arrivata la sua fine. Cosa che, invece, non avvenne.

Quando li riaprì, infatti, il lupo era da tutt’altra parte, spinto lontano dal ragazzo con gli occhi di ghiaccio, che le si parò davanti per difenderla dal prossimo attacco dell’animale. Certo che non avrebbe tardato ad arrivare, assunse una posizione di difesa e, nell’istante in cui lo aggredì, si schermò il volto con le braccia, prima che entrambi finissero a terra.

La belva si agitava e ringhiava, nel tentativo di azzannarlo e, mentre il ragazzo cercava di respingerla, con una zampata lo raggiunse a una spalla, squarciando il tessuto della giacca come fosse burro. 

A quella vista, Juliet sobbalzò colta dal panico. Avrebbe voluto fare qualcosa, ma la sua caviglia era ancora incastrata e per quanto tirasse non riusciva a liberarsi. 

“Juls!”

Sentì Rachel gridare il suo nome e subito dopo lei e Claire la coinvolsero in un abbraccio che per un momento le tolse la visuale. Le amiche le dissero qualcosa che però non capì, troppo preoccupata per la sorte del ragazzo. 

Anche Mark e Cedric erano lì e osservavano la scena, confusi e spaventati quanto loro.

“Aiutatelo!” li implorò Juliet, dimenandosi per vedere cosa stesse succedendo. 

Alla fine riuscì a vedere come, in un ultimo disperato tentativo di levarselo di dosso, il suo salvatore rifilò alla belva un calcio nel costato, talmente forte da mandarlo a sbattere contro un albero. 

Rintronato, il lupo emise un guaito e, dopo essersi rialzato, si diresse barcollante verso i cespugli, sparendo in pochi istanti nel folto della foresta.

Juliet e gli altri rimasero immobili a fissare il ragazzo, ancora destabilizzati dalla scena a cui avevano appena assistito. Era lì in piedi e dava loro le spalle. Lei avrebbe voluto dirgli qualcosa, assicurarsi che stesse bene, magari anche ringraziarlo, ma non le uscì una parola. 

Alla fine fu lui a voltarsi e a guardarli, ancora ansante per lo sforzo. “Tutto bene?” chiese.

“Noi sì…” rispose Cedric spaesato, aiutando Juliet a rialzarsi. “Piuttosto, è un miracolo che tu sia ancora vivo.”

“Stai sanguinando…” constatò lei in un sussurro. 

Il ragazzo gettò un’occhiata rapida alla manica della giacca da cui colava un rivolo di sangue, ma la cosa non sembrò sconvolgerlo troppo. “Non è niente, sto bene. Spero che ora vi siate convinti a tornare al castello con me.” aggiunse, ancora col fiato corto. 

Non c’era bisogno di consultarsi per capire che quella fosse l'unica soluzione, se non volevano finire sbranati dal resto del branco che probabilmente si aggirava ancora lì intorno. Tra l’altro non sapevano da che parte andare per raggiungere la macchina, così accettarono di seguirlo, anche se ne avrebbero volentieri fatto a meno.

Dopo appena qualche passo, però, con un lamento lui si accasciò in ginocchio, tenendosi il braccio sinistro.

D'istinto, Juliet lo raggiunse e si chinò a sua volta. “Lo vedi? Non stai bene.” disse visibilmente preoccupata. Appena cercò di spostare il lembo di tessuto strappato per controllare il danno, lui si ritrasse all’istante, fulminandola con lo sguardo. Ciò nonostante, non si lasciò intimidire. “Lasciami dare un’occhiata.” insistette decisa. Aveva seguito un corso di primo intervento a scuola e sapeva cosa fare in una situazione simile, anche se il tipo di ferita non rientrava tra quelle con cui si era esercitata. 

Alla fine, il suo atteggiamento determinato lo convinse e le permise di aiutarlo a sfilarsi la giacca.

“Il graffio è bello profondo, ma te la caverai con qualche punto.” valutò Juliet, prima di stracciare quel che restava della manica della sua camicia per usarlo come bendaggio temporaneo. 

“Bene, visto che non è in fin di vita, propongo di lasciarlo qui e andarcene.” concluse allora Cedric. 

Per tutta risposta, lei lo inchiodò con lo sguardo. “Sei impazzito? Mi ha salvato la vita. Non ho intenzione di abbandonarlo in mezzo al nulla!” 

“Tanto non resterà da solo a lungo. I suoi amici lo staranno già cercando.”

Non riusciva a credere che stesse davvero proponendo di lasciarlo alla mercé dei lupi, fregandosene se fosse morto. Era una cosa disumana e non l'avrebbe mai permesso. A costo di caricarselo sulle spalle e tornare al castello da sola. Guardò le amiche, cercando il loro sostegno.

“Ha ragione. Dobbiamo aiutarlo.” la appoggiò Rachel, infatti. 

Indecisi sul da farsi, Mark e Cedric si scambiarono un’occhiata di consulto.

“In effetti, siamo ancora gli imbucati della situazione e sarebbe meglio approfittare di questo momento per filarsela.” rifletté Mark pratico. 

“Io non mi muovo da qui, chiaro?” replicò Juliet furiosa. Non si aspettava quel cinismo da parte sua. Pensava fosse diverso, ma a quanto pare ancora non lo conosceva bene. “Se volete andarvene fate pure, io non lo lascio.”

Claire aggrottò la fronte in segno di disappunto. “Non dire fesserie, ovvio che non ti lasciamo da sola.”

“Non vorrei farvi pressione, ma vi ricordo che c’è ancora un branco di lupi che gira per la foresta...” si intromise allora il ragazzo della sicurezza,  mentre a fatica cercava di rimettersi in piedi. “La via più sicura è quella per il castello.” 

Rachel sospirò rassegnata. “Direi che a questo punto è l’unica soluzione. Una volta lì, cercheremo aiuto e poi ci lascerai in pace. Siamo d’accordo?”

Lui annuì senza pensarci troppo e fece per incamminarsi, ma le gambe non gli ressero e, se non fosse stato per il supporto di Mark e Cedric, sarebbe crollato di nuovo. 

Preceduti dalle ragazze, ripercorsero la stessa strada all'inverso, finché il profilo del castello non si delineò di nuovo davanti a loro.  Riattraversarono il giardino con cautela, nel caso qualcuno li vedesse e cominciasse a fare domande. 

Oltrepassata la soglia d'ingresso, si ritrovarono nel salone, fino a poco tempo prima stracolmo di gente e adesso completamente vuoto.

“Dove sono tutti?” mormorò Claire, guardandosi attorno spaesata. Il silenzio fu l'unica risposta che ricevette. Gli invitati non potevano essersene già andati, ci sarebbe voluto molto più tempo per far sfollare tutte quelle persone da una sala così grande. 

“Potremmo cercare un posto dove mollare questo tizio e poi preoccuparcene?” Cedric si sistemò meglio il braccio del ragazzo sulla spalla, che iniziava a dolergli.

Lui trasalì per il dolore, lasciandosi sfuggire un gemito. “Il mio nome è Dean.” lo informò risentito.

“Dove andiamo?” gli chiese Mark, ignorando la precisazione. 

Dean allora li guidò su per lo scalone centrale della sala e poi per un’altra rampa, fino a ritrovarsi in un ampio corridoio illuminato da versioni più piccole del lampadario che avevano visto di sotto.

Su una delle pareti si susseguivano alte finestre che davano sulla foresta, mentre dal lato opposto una serie di porte tutte uguali disposte a qualche metro l’una dall’altra. Ne superarono parecchie, prima che Dean li fermasse, indicandone una in particolare. 

Vi sostarono davanti, guardandosi attorno nervosi, in attesa che riuscisse a prendere la chiave dalla tasca con il braccio sano e ad aprire. 

Superata l’anticamera, entrarono subito in camera da letto, dove Mark e Cedric scaricarono Dean, massaggiandosi poi le spalle indolenzite. 

L'ambiente era molto spartano, con solo una scrivania in un angolo, un paio di librerie mezze vuote e un camino spento. Il tutto illuminato dalla luce fioca delle lampade e immerso in un'atmosfera macabra e misteriosa.

Mentre reprimeva il dolore causato dall’ennesima fitta, il ragazzo si distese supino e, dopo aver abbozzato un flebile grazie, li congedò con un: “Me la cavo da solo adesso.”

“Figurati, non c’è di che.” tagliò corto Cedric, seguendo poi Mark fuori dalla stanza. “Okay, ora possiamo anche andare.” disse alle ragazze, rimaste nell’anticamera. 

“No che non possiamo.” obiettò Juliet indignata. “Prima dobbiamo cercare qualcuno che lo aiuti.”

“Ma ormai se ne saranno andati tutti. La sala era vuota, l’hai visto anche tu.”

Dal canto suo, anche Claire pensava fosse meglio approfittarne per defilarsi. D’altronde, il loro dovere l’avevano fatto, avevano la coscienza pulita. “Non mi sembra che stia così male, dopotutto. È solo un graffio, Juls…”

“Sì, ma un animale selvatico può portare chissà quali malattie.” la interruppe frustrata. “La ferita va pulita, altrimenti si infetterà.” Possibile che nessuno si rendesse conto della potenziale gravità della situazione? Da come la guardavano sembrava di no. Forse pensavano che stesse esagerando, ma lei era convinta delle sue ragioni. “Bene.” sospirò seccata. “Penserò io a lui e non me ne andrò finché non sarò sicura che è tutto apposto.” sentenziò e, ignorando la volontà popolare, entrò in camera a passo deciso. Non appena si fu avvicinata al letto, però, si accorse con orrore che Dean era privo di sensi e respirava a fatica. Era alquanto improbabile che gli fosse già salita la febbre e invece quando lo toccò per verificare scoprì che scottava parecchio. Allarmata, corse in bagno senza dire niente e, imbevuto d’acqua un asciugamano, lo usò per tamponargli la fronte. 

“Che succede?” chiese Rachel, vedendola così spaventata. 

Juliet non la guardò, continuando a tamponare con una mano, mentre con l’altra sbendava la ferita. Il sangue si era fermato e non sembrava essersi già infettata. “Non capisco, ma sta troppo male. Dobbiamo andare a cercare un dottore.”

Cedric sbuffò alle spalle di Rachel, mettendosi le mani dietro la nuca. “Ma tu guarda che serata. Non so come ho fatto a lasciarmi convincere.” 

“È stata una tua idea.” ribatté Claire, alzando un sopracciglio.

“Non mi pare il caso di discuterne adesso.” li interruppe Rachel, prendendo in mano la situazione. “Facciamo così: io e i ragazzi scendiamo di sotto e vediamo di trovare qualcuno, mentre Juliet rimane qui con Claire a vegliare sul moribondo.”

Cedric, però, scosse la testa in segno di disapprovazione. “Non se ne parla. Io non ce le lascio da sole con Tim...”

“Si chiama Dean.” gli ricordò Juliet, guardandolo male.

“Quello che è. Chi lo conosce in fondo? Potrebbe anche essere un maniaco per quanto ne sappiamo.”

Claire alzò gli occhi al cielo, schioccando la lingua esasperata. “Come sei melodrammatico...”

“Niente da fare.” sentenziò definitivo; poi si rivolse a Rachel. “È meglio che io rimanga qui e voi andiate di sotto.” propose.

“Allora vengo anch’io.” disse Claire all'amica, uscendo dalla camera e borbottando: “Prima che lo strangoli.”

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Capitolo 6
*** Il Rito ***


Capitolo 6


Il rito

 

“Lo sapevo. Ci siamo persi.” commentò Claire, seguendo Mark e Rachel per i cunicoli di quello che aveva tutto l'aspetto di un sotterraneo freddo e umido.

Dopo aver lasciato Juliet e Cedric di sopra, erano scesi di nuovo in salone, nella speranza di trovare qualcuno che li aiutasse con Dean. Sembrava però che durante la loro assenza il castello fosse stato evacuato, perché non c'era anima viva in giro. Alla fine, senza sapere come, si erano ritrovati lì sotto a girovagare a vuoto e Claire aveva sempre più l'impressione di essere finita in un labirinto.

“Sempre ottimista, eh?” ironizzò Rachel. “Non ci siamo persi. Dobbiamo solo capire da che parte andare...”

Claire sbuffò alle sue spalle. “Secondo me stiamo scendendo troppo. Ve l'ho fatto notare già tre corridoi fa.”

“Non potevi sapere quale fosse la strada giusta.”

“E tu non potevi sapere che questa lo fosse. E infatti non lo è.”

“Potreste smetterla?” le rimbeccò Mark infastidito. “C'è qualcuno laggiù.” Indicò un tizio che camminava da solo in fondo al corridoio, vestito elegante e con il volto coperto per metà da una maschera. Sembrava avere molta fretta.

“Era ora.” disse Claire sollevata. 

Aumentarono il passo per raggiungerlo e soprattutto per non lasciarselo scappare. 

“Ehi!” lo chiamò Mark, sicuro che si sarebbe voltato. Invece, il tizio continuò per la sua strada, senza degnarli di attenzione.

Più loro guadagnavano terreno più lui si allontanava, così dovettero mettersi a correre, continuando a scendere e passando per corridoi angusti che puzzavano di muffa.

Rachel sollevò l'orlo del vestito per non inciampare. “Perché non si ferma?” ansimò allarmata, i capelli ormai completamente sciolti.

Erano a pochi metri da lui e proprio quando pensavano di aver a che fare con un sordo o con un matto, il tizio si bloccò di colpo e per poco non gli finirono addosso. Lui comunque non fece una piega, né si voltò per capire chi avesse dietro, continuando a guardare fisso davanti a sé. Ben presto si accorsero che non era l’unico ad avere quell’espressione vuota, ma anche tutta la folla degli invitati che si ritrovarono davanti. Gran parte non portava la maschera, quindi fu facile incrociare qualche volto familiare. Nessuno di loro, però, diede segno di riconoscerli. Sembravano tutti immersi in una sorta di trance.

Mark picchiettò sulla spalla dell’uomo, provando nuovamente a richiamarne l'attenzione. Non ricevendo risposta, si voltò verso le ragazze, che ricambiarono l’occhiata perplesse.

In testa alla processione c'erano alcuni addetti alla sicurezza vestiti di nero, così Claire fece per chiamarli, ma Rachel glielo impedì, tappandole la bocca con una mano. Lei mugugnò qualcosa in segno di protesta, ma poi si lasciò convincere a rimanere in silenzio. In effetti, la situazione era a dir poco strana e forse non era il caso di attirare l’attenzione.

Di lì a poco, un ragazzo della sicurezza richiamò la folla che iniziò a muoversi, seguendo gli uomini in nero lungo il corridoio e senza pensarci due volte Claire si mosse per andargli dietro. 

 “Che stai facendo?” le chiese Mark, per niente convinto che fosse una buona idea.

“Mi pare ovvio. Voglio vedere dove vanno.”

Rachel sgranò gli occhi. “Sei matta? Sembrano drogati, anzi probabilmente lo sono.” Scosse la testa decisa. “No, io dico di tornare da Juliet.” 

“A cosa sarebbe servito venire fin qui, allora?” ribatté lei. “Dai, che vuoi che succeda?” la spronò, per poi riprendere a seguire la processione e costringendoli così ad andarle dietro. 

Si accodarono a tre tipi dall'aria tutt'altro che sveglia, imitando il loro modo di fare per non destare sospetti. Man mano che procedevano, il percorso diventava sempre più buio e stretto, tanto da costringerli a camminare in fila indiana per passarci tutti. Alla fine, in lontananza comparve un arco a sesto acuto, che tutti attraversarono per poi ritrovarsi in una sala circolare molto ampia. Il soffitto, insolitamente alto per un sotterraneo, era sostenuto da una serie di imponenti colonne che seguivano la forma della pianta.

Dentro c’erano già delle persone, anch'esse vestite di nero, che però non li degnarono di uno sguardo. La loro attenzione era rivolta verso il centro della sala, dove si elevava un altare di marmo posto su un rialzo, illuminato ai lati da quattro fiaccole. 

Mentre gli invitati venivano spinti tutti intorno all’altare, Mark sgattaiolò dietro una colonna, trascinando le ragazze con sé. “Meglio rimanere vicino all’uscita.” sussurrò, acquattandosi nel buio.

Claire si guardò attorno. La visibilità era scarsa, ma riuscì lo stesso a intravedere la schiera di figure animalesche che popolava l'ambiente circostante. Dalle colonne e dai muri spuntavano teste con sembianze di mostri e gargoyle, che nelle fauci stringevano lampade di ferro. Nel complesso, c’erano tutti gli elementi per supporre che si trattasse della riunione di una qualche setta satanica. Allarmata dall’idea, fece per suggerirla a Rachel, che però era già troppo presa da quello che stava succedendo e non le prestò attenzione.

Una volta radunatisi intorno all’altare, tra i presenti calò un silenzio carico di agitazione, come se fossero in trepidante attesa, finché una figura incappucciata non uscì dalla penombra e salì i gradini per avere la visuale completa della sala. 

Non appena lo videro arrivare, gli uomini in nero si prostrarono davanti a lui.

Mark e le ragazze erano troppo lontani per distinguerne il volto, celato dal cappuccio e dalla semi oscurità, ma lo sentirono bene quando la sua voce risuonò forte e chiara, rimbalzando sulle pareti. 

“Fratelli!” esordì tonante. “Il momento tanto atteso è giunto. Anche stanotte rinnoviamo il giuramento che i nostri avi fecero alla luna.” Detto questo, fece una pausa a effetto in cui nessuno fiatò, seguita subito dopo da un lieve cenno della mano.

Prontamente, due dei suoi uomini arrivarono da un lato della sala, portando con loro una ragazza. Lei non oppose resistenza mentre la trascinavano su per i gradini e, quando al cospetto dell'uomo incappucciato le tolsero la maschera, Rachel sgranò gli occhi per la sorpresa. 

“Jasmine...” 

Con un altro cenno della mano, l'uomo invitò ad avvicinarsi una figura col cappuccio che, a giudicare dalla corporatura minuta, doveva essere una donna. Avanzando solennemente, gli consegnò un pugnale e una coppa, che lui depose sull’altare. Dopodiché afferrò Jasmine per un braccio, costringendola a porgergli la mano, su cui subito dopo praticò un’incisione netta con il coltello e, mentre il sangue colava all’interno della coppa, il volto della ragazza rimase inespressivo. Non sembrava minimamente consapevole di quello che stava succedendo.

“Ma che...” Mark fissava la scena allibito. “Okay, penso che sia meglio andare.” 

“Sono d'accordo.” approvò Rachel, facendo per tornare verso l’uscita.

Claire, però, insistette per restare. “Aspettate, voglio vedere che succede.” 

L'uomo stava sollevando la coppa in alto, in quello che somigliava a un macabro rito eucaristico, e la mostrò a tutti. “Un modesto sacrificio per un grande obiettivo.” disse, prima di portarsela alle labbra per bere un sorso del sangue di Jasmine. Quando abbassò di nuovo le braccia per posare la coppa sul marmo bianco dell'altare, restò immobile un istante, prima di gridare a gran voce una frase in una lingua sconosciuta, che gli altri ripeterono subito dopo con lo stesso entusiasmo.

“Andiamocene subito!” si impose Mark e stavolta Claire non si sognò di contraddirlo.

Uscirono di soppiatto dalla sala, stando attenti a non dare nell'occhio e, mentre percorrevano di corsa la strada all'inverso, l'urlo agghiacciante di Jasmine li seguì lungo il corridoio, gelandogli il sangue nelle vene.

 

-o-

 

Juliet aveva chiesto a Cedric di andare a prendere dell’acqua in bagno, così avrebbe potuto pulire per bene la ferita da polvere e terra, prima che iniziasse a infettarsi. Oltretutto, non era neanche sicura che gli altri avrebbero trovato un medico, perciò conveniva fare qualcosa già da subito. 

Dean era ancora privo di sensi, ma almeno il respiro era tornato regolare e questo la tranquillizzò. Quando si sporse verso di lui e gli toccò la fronte per sentire se scottava ancora, scoprì con sollievo che era fresco, cosa alquanto insolita visto che fino a poco prima aveva la febbre alta. Forse si era agitata troppo e la situazione era meno grave di quanto aveva pensato.

Tirato un sospiro di sollievo, si prese un momento per guardarlo più da vicino, rendendosi conto per la prima volta di quanto fosse bello. Aveva dei lineamenti molto marcati, ma fra i più regolari che avesse mai visto, e i capelli erano di un nero corvino, che risaltava rispetto alla pelle chiara. Con gli occhi chiusi, non c’era niente che lo legasse al ragazzo del suo incubo. Se poi ripensava a come aveva rischiato la vita per salvarla, invece di abbandonarla al suo destino, le probabilità che si trattasse della stessa persona erano ancora più scarse. In ogni caso, non riusciva a togliersi dalla testa che esistesse un legame tra quanto accaduto nel bosco e il suo incubo. Magari si trattava di una sorta di messaggio subliminale che alludeva a qualcos’altro… O forse stava solo fantasticando.

“Ecco qua.” 

Il ritorno di Cedric con una bacinella piena d’acqua la distolse da quei pensieri. “Questa l'ho trovata in un armadietto.” spiegò, appoggiandola sul comodino accanto a lei, che lo ringraziò. 

“Come va il bello addormentato?” Sbuffando, Cedric si tolse la giacca e la appese con malagrazia sulla spalliera della sedia della scrivania, su cui si sedette cavalcioni, mentre con aria stanca si allentava il nodo della cravatta fin quasi a slacciarla del tutto. 

Juliet immerse l'asciugamano nell'acqua e poi lo passò sulla ferita, tamponandola piano. “Sembra che si stia riprendendo.” rispose, senza distrarsi. “Alla fine ti sei convinto ad aiutarlo. Cosa ti ha fatto cambiare idea?”

La bocca di Cedric si piegò in un sorriso. “Che vuoi che ti dica? Non so resistere agli occhi dolci di una bella ragazza.” 

Se c’era una cosa che apprezzava di lui era la capacità di stemperare la tensione e anche in quel caso riuscì a farla ridere, prima che la loro attenzione venisse attirata dai movimenti di Dean. 

Entrambi si ammutolirono, mentre lo guardavano aprire gli occhi e realizzare dove si trovasse. Aiutandosi con il braccio sano, cercò a fatica di mettersi a sedere e, quando finalmente si accorse di loro, assunse un’aria spaesata. Sembrava non aspettarsi affatto di trovarli ancora lì.

Juliet si sforzò di apparire padrona di sé, ma non riuscì comunque a evitare che la voce le tremasse. “Come ti senti?”

Prima di rispondere, Dean li guardò e parve riflettere un istante. “Meglio.” disse infine in tono asciutto. 

“Eri davvero messo male.” Cedric incrociò le braccia e allungò le gambe, osservandolo dalla sedia. “Ringrazia Juliet se sei ancora tra noi.” 

“Di certo non devo ringraziare te.” ribatté lui, senza battere ciglio. “Ero ancora lucido quando ti ho sentito proporre di lasciarmi nella foresta.” 

Cedric fece per rispondere a tono, ma lui non gliene diede il tempo. “C'erano altri con voi. Che fine hanno fatto?”

“Sono scesi di sotto a cercare un medico. Il tuo braccio va curato come si deve.” Anche a Juliet quel tono iniziava a dare sui nervi. Dopo tutto quello che avevano passato per aiutarlo, sembrava quasi che la loro presenza non fosse gradita.

“Il mio braccio sta benissimo.” 

“Il re della gratitudine...” commentò Cedric infastidito.

“Come fa a stare benissimo? Fino a poco fa eri agonizzante per il dolore!” protestò Juliet in un impeto improvviso; poi si calmò. “È evidente che qualcosa non va. Se mi lasciassi finire di pulirla…” 

Da come la guardò, l’idea non sembrava entusiasmarlo, ma alla fine accettò le sue condizioni e rimase a osservarla lavorare. 

Juliet avvertiva il suo sguardo su di sé, ma finse di non accorgersene nonostante la cosa la mettesse a disagio. La timidezza non rientrava certo nel suo carattere, eppure in quel momento era l’unica cosa che provava.

 “Perché lo stai facendo?” le chiese dopo un po’. 

“Il taglio va pulito, altrimenti si infetterà.” spiegò concentrata. 

Lui allora si affrettò a chiarire. “Intendevo perché ci tieni tanto ad aiutarmi. Anche nella foresta...” 

“Cosa avrei dovuto fare? Lasciarti lì a morire?”

Dean girò lo sguardo da un’altra parte. “Beh, non era un tuo problema...” 

“Ehi!” si intromise Cedric, guardandolo in cagnesco. “Si è preoccupata per te senza neanche conoscerti ed è così che la ringrazi?” Scosse la testa incredulo. “Roba da matti…”

Juliet gli era grata per averla difesa, ma non poté negare di esserci rimasta male. Comunque, continuò a pulire la ferita in silenzio, prima di chiedere a Dean se in camera ci fossero delle bende. 

“Per fare cosa?” chiese lui, lasciandola interdetta.

“Per fasciarti il braccio, mi pare ovvio.” Cominciava a pensare che si divertisse a prenderla in giro. 

“Ah. No, non ho bende. Ma in quel cassetto ci sono delle lenzuola.” disse, indicando l’armadio dietro di lei. “Se per te è lo stesso…”

Juliet ignorò quel commento e si diresse al cassetto, ma non fece in tempo a chinarsi per aprirlo che sentirono un bussare insistente alla porta. Cedric le fece cenno di restare dov’era e uscì dalla stanza. Sentì qualcuno esortarlo ad aprire e subito dopo Mark entrò in camera come un fulmine, fiondandosi su Dean. 

Senza neanche spiegarsi, lo afferrò per la camicia e lo scosse con forza. “Che cosa fanno i tuoi amichetti nei sotterranei? Cosa siete, una specie di setta satanica? PARLA!” 

“Lascialo!” gli intimò Juliet allarmata, proprio mentre comparivano anche Rachel e Claire.

Dean, però, dimostrò di sapersela cavare anche da solo e, dopo aver  spinto via Mark senza troppa fatica, gli lanciò uno sguardo sprezzante, mentre Cedric tratteneva l’amico. 

“Calmati!” esclamò, allontanandolo dal letto. “Si può sapere che è successo?”

“Questi stronzi ammazzano le persone!” gli urlò lui per tutta risposta.

Cedric e Juliet lo fissarono, per niente sicuri di aver sentito bene. Un istante dopo, tutti gli occhi erano puntati su Dean, in attesa di una spiegazione esauriente.

“Noi non ammazziamo nessuno.” chiarì infine in tutta calma.

A fatica, Mark si trattenne dal saltargli di nuovo addosso. “Ah sì? Allora quello che abbiamo visto là sotto è stato frutto di un'allucinazione collettiva, altrimenti non riesco a spiegarmelo.”

“Potresti essere un po’ più chiaro, per favore? Non ci sto capendo niente.” sbuffò Cedric impaziente.

A quel punto Rachel parve riaversi dallo stato di shock in cui versava fino a pochi minuti prima e provvide a spiegare la situazione. “Non l’abbiamo proprio visto ma… So solo che hanno fatto qualcosa a Jasmine.”

“L'abbiamo sentita urlare dal corridoio.” mormorò Claire, ancora tremante. 

Rachel annuì. “Prima abbiamo assistito a una sorta di rito. Non so che senso avesse...” Un brivido le percorse la schiena al solo pensiero. “È stato terribile.”

Cedric rimase in silenzio a fissarle, meditando su quanto aveva sentito, poi si rivolse a Dean. “Ti conviene darci una spiegazione.” Il suo tono minaccioso, però, non sortì alcun effetto e la cosa lo indispose ancora di più. “Allora?” insistette, vedendolo esitare.

“Sì, è vero. Quello che avete visto era un rituale, ma posso assicurarvi che nessuno ha perso la vita.” confermò lui calmo.

“E che mi dici degli invitati?” lo incalzò Mark, tutt'altro che sollevato. “Perché sembravano una massa di zombie?”

Dean sospirò. “Erano consenzienti.”

“Sì, come no...”

“Pensa quello che vuoi. Ne avrai la conferma quando li vedrai vivi.”

Gli occhi di Claire saettarono su di lui. “È comunque disgustoso! Quel tizio ha bevuto il sangue di Jasmine!” esclamò scioccata. “Come riuscite a convivere con una cosa simile senza farvi schifo?”

Per tutta risposta ottenne solo un rapido sguardo di sufficienza.

“Va bene, adesso basta.” intervenne Rachel. “Voglio andarmene. Ne ho abbastanza di questo posto.” Guardò prima Mark e poi Claire, che annuirono con convinzione. Dopo aver assistito a una scena simile, ora più che mai volevano tornarsene a casa e mettere una pietra sopra a tutta quella storia.

Non fecero in tempo a dire altro, però, che qualcuno bussò di nuovo alla porta. Tutti trasalirono, rivolgendo contemporaneamente lo sguardo in quella direzione. Il pensiero che qualcuno di sotto li avesse visti si palesò subito nella mente di Rachel.

A quel punto, Dean scostò il lenzuolo e a fatica scese dal letto. “Rimanete qui.” mormorò perentorio, facendo per uscire dalla stanza. “E non fiatate.” 

Appena si richiuse la porta alle spalle, a stento riconobbe la sua immagine quando la vide riflessa nello specchio sopra alla scrivania. I capelli erano arruffati e sporchi di terra, così come i suoi pantaloni. Per non parlare della camicia imbrattata di sangue. Lo disturbava l’idea che qualcuno lo vedesse in quello stato, ma non c’era tempo di ripulirsi e pensò che l’unica cosa da fare era togliersi al volo la camicia, che lanciò in un angolo prima di aprire la porta. 

Dall’altra parte un ragazzo dalla pelle scura e una ragazza lo studiarono per un istante, non aspettandosi di trovarlo mezzo nudo.

“Abbiamo interrotto qualcosa?” chiese la ragazza in tono allusivo, squadrandolo dall’alto in basso con evidente interesse.

Dean la ignorò, passando subito al sodo. “Che cosa volete?” Diventava ogni minuto più nervoso. Poco prima era riuscito a fatica a mantenere il controllo con quel ragazzo.

“Non volevamo disturbarti, ma Milady ha chiesto di te. La cerimonia è quasi finita e non vedendoti…”

-Fosse la prima volta- pensò infastidito. “Dite a Milady che sto bene. Ho solo avuto un imprevisto, sarò da lei più tardi.” li rassicurò in tono più calmo. 

Fece per chiudere, ma Blaze lo bloccò. “Ci ha chiesto espressamente di accompagnarti di sotto.” 

La pazienza di Dean, però, era agli sgoccioli. “Non ho bisogno della scorta. E adesso andatevene.” li liquidò secca; poi, senza dar loro il tempo di aggiungere altro, rientrò sbattendogli la porta in faccia.

Una volta solo, chiuse gli occhi e si impose di darsi una calmata. Non poteva tornare nell’altra stanza in quelle condizioni. Aveva perso troppo sangue ed era consapevole che non sarebbe riuscito a resistere a lungo, perciò prima si sarebbe liberato dei suoi ospiti e meglio era. Li avrebbe fatti uscire dal portone principale, approfittando del fatto che tutti erano ancora alla cerimonia. In realtà, per lui sarebbe stato molto più conveniente portarli nei sotterranei e lasciare che gli altri facessero il resto, ma stranamente non se la sentiva. Dopotutto, se non fosse stato per loro non sarebbe mai riuscito a tornare al castello e bere la pozione che gli aveva permesso di ristabilirsi. Sarebbe morto di sicuro e molto lentamente. La sola idea gli provocò un crampo allo stomaco. O forse era la fame...

Senza farsi troppi problemi, tornò in camera da letto così come si trovava e rapido tirò fuori dall’armadio una camicia pulita. “Svelti, non perdiamo tempo.” li esortò sbrigativo mentre se la infilava, senza far caso ai loro sguardi confusi puntati addosso. Non c'era tempo per le spiegazioni, doveva portarli subito all'uscita fin tanto che la via era libera. “Andiamo.” insistette, vedendoli titubanti.

“Andare dove?” chiese Mark.

“Non volevate tornarvene a casa?”

Troppo contenti che quella serata da incubo stesse per finire, non fecero altre domande e lo seguirono lungo il corridoio del piano, e poi giù per le scale, finché non si ritrovarono in salone. Il portone principale era chiuso, ma Dean lo aprì con poco sforzo, nonostante il braccio ferito, e subito l’aria fresca della notte li investì. 

Una volta messo piede fuori, Mark e Cedric si allontanarono subito verso la macchina, seguiti a ruota da Rachel e Claire. 

Juliet invece esitò, incerta sul da farsi. Da un lato non vedeva l’ora di fuggire da quel posto, dall’altro le sembrava scortese andarsene così, senza neanche salutare. Quasi d’istinto si voltò indietro, convinta che lui non ci fosse già più, scoprendo invece che era ancora là che la guardava incuriosito. 

“Attento a non fare gesti bruschi. La ferita potrebbe riaprirsi.” si raccomandò timidamente. Lui la metteva a disagio e non era abituata a sentirsi così con qualcuno.

Dean sollevò un sopracciglio, perplesso. “D’accordo.”  

Si scrutarono per qualche istante, mentre lei sceglieva il modo migliore per dimostrargli la sua gratitudine senza sembrare un’imbranata totale. “Comunque, grazie… Per tutto.” mormorò infine, abbassando lo sguardo e mordendosi il labbro per l'imbarazzo. In realtà, si riferiva soprattutto al fatto che l'aveva salvata nella foresta. Non la conosceva, eppure non aveva esitato a frapporsi tra lei e quel lupo. Gli doveva molto più di un semplice grazie.

“L'ho fatto solo per saldare il mio debito. Ora siamo pari.” ribatté pacato.

Juliet annuì in silenzio, un po’ delusa che non avesse capito a cosa si stesse riferendo. 

“Juls, vieni!” le gridò Cedric da lontano.

Il tempo di rispondergli con un cenno e poi guardare di nuovo la porta che Dean era già sparito. Mentre raggiungeva gli amici, si voltò indietro e lanciò un'ultima occhiata al castello, avvilita dalla piega che aveva preso la serata. 

-o-

Un fumo denso pervadeva il laboratorio e dal caminetto nell'angolo proveniva il lento ribollio di un calderone.

Sul tavolo al centro alcuni libri impilati in disordine, insieme ad alambicchi e provette, occupavano gran parte dello spazio e l’arredamento della stanza era tutto lì. Non avrebbe certo potuto trasferire il suo intero laboratorio per quelle poche settimane, ma l’unico oggetto che non avrebbe mai rinunciato a portare con sé era il quadro appeso accanto alla porta. Raffigurava un uomo alto dall’aria distinta, in piedi dietro una grande poltrona di vimini occupata da una donna bionda molto attraente. Accanto a lei due bambini, un maschio e una femmina. La bambina, la più piccola dei due, poggiava una mano sul braccio della madre, alla quale somigliava moltissimo.

Dai vetri della grande finestra stavano filtrando le prime luci dell'alba, che rischiararono l'ambiente offuscato dal fumo, quando il borbottio agitato del calderone attirò l’attenzione di Rosemary, distraendola dal libro che stava consultando. Si avvicinò al camino per controllare l'andamento dell'infuso e dargli un'ultima girata, prima di spegnere il fuoco e tornare ai suoi studi. Per niente convinta di come stava procedendo, scelse un altro libro dal mucchio e lo aprì davanti a sé. I suoi occhi scorrettero veloci sulla pagina, bloccandosi poi di colpo su una riga in particolare. La sua intuizione era giusta. Aveva dimenticato di aggiungere un ingrediente e adesso avrebbe dovuto ricominciare da capo. Imprecò e, afferrato un coltello lì accanto, lo scagliò con rabbia contro il dipinto. La punta andò a conficcarsi proprio al centro della fronte della donna bionda, che continuò a fissarla con quel suo sorrisetto ipocrita.

“Che hai da ridere?” le chiese scocciata, riprendendo poi a lavorare. 

Sembrava che deriderla fosse il passatempo preferito di sua madre anche dall'aldilà. In vita lo era stato senz'altro, visto come le piacesse screditarla e ripeterle che non valeva niente. Più avanti, Rosemary aveva avuto modo di dimostrare il contrario, ma naturalmente lei non c'era più per constatarlo. Da anni pensava di bruciare quel dipinto, eppure le era sempre mancato il coraggio. Sentiva che se lo avesse fatto prima o poi se ne sarebbe pentita. Senza contare che lanciargli coltelli contro era una valvola di sfogo piuttosto efficace.

Dopo aver preparato l’occorrente per un nuovo infuso e svuotato il calderone, spalancò le finestre per far uscire il fumo. Poi tornò ai suoi volumi, ma non passò molto tempo prima che qualcuno bussasse alla porta, facendole perdere di nuovo la concentrazione. “Avanti.” disse spazientita.

Quando Dean entrò il coltello era conficcato esattamente all’altezza del suo naso, ma non diede segno di esserne sorpreso. “Questo giochetto ti diverte ancora, vedo.” commentò con un ghigno. 

Lei lo ignorò, continuando a leggere. “Perché ci hai messo tanto?” 

“Ho avuto qualche problema nel bosco e dovevo rendermi presentabile.”

Stavolta Rosemary alzò gli occhi e si accorse che in effetti era vestito diversamente rispetto al ballo, ma questo non le impedì di provare il solito piacere nel guardarlo. Non se ne sarebbe mai stancata. “Sei stato fortunato, sai. Hanno impiegato ore per ritrovare i resti di Luke.” Cercando di tenere a bada i propri ormoni in subbuglio, assunse un'aria di finto rammarico. “Sbranato dai lupi… Che peccato.”

Per un attimo Dean rimase interdetto. Non aveva più pensato a Luke da quando si erano separati e con tutto quello che era successo se n’era dimenticato. Comunque gli era sempre stato indifferente, così non si sforzò più di tanto di mostrarsi dispiaciuto per la sua morte. Incrociò le braccia e si appoggiò contro il muro, osservandola lavorare. 

“Questa storia dei lupi preoccupa perfino Nickolaij. Credo che presto ce ne andremo.” disse lei. “A proposito, ho saputo che sei stato ferito. Come ti senti adesso?” si informò, assumendo un’aria apprensiva.

-Figurati se non veniva a saperlo- pensò dentro di sé, seccato. Avrebbe preferito tenerlo nascosto, ma era alquanto difficile mantenere un segreto nella Congrega. Meno che mai con lei. “Sto bene, è tutto apposto.” tagliò corto.

Lei lo squadrò per un istante dall’alto in basso e, constatando che fosse la verità, non insistette oltre. “E che ci facevate tu e Luke nella foresta?” 

“Stavamo inseguendo dei ragazzi che Nickolaij aveva chiesto di tenere d’occhio.” spiegò, mentre gironzolava per la stanza. Presa un’ampolla, iniziò a giocherellarci. “Li avevo quasi presi, ma poi un lupo è spuntato fuori dal nulla e ho dovuto lasciar perdere.” 

Rosemary mise da parte ciò che stava facendo e rivolse la sua attenzione su di lui. Avvicinatasi lentamente, gli sorrise, togliendogli l’ampolla dalle mani per rimetterla al suo posto. “Meno male. Mi sono così preoccupata nel saperti lì fuori con quelle bestiacce in giro.” mormorò in tono stucchevole, mentre gli sistemava premurosa il colletto della giacca.

Dean non si mostrò infastidito dal suo tocco, ma lo sguardo raggelante che le rivolse bastò a farle capire che quel fare da civetta non aveva più alcuna presa su di lui. Una volta quegli occhioni e quelle lunghe ciglia avrebbero ottenuto qualsiasi cosa, ma quelli erano altri tempi. 

Piacevolmente infastidita dalla sua riluttanza, Rosemary si voltò di scatto, facendo svolazzare di proposito i fluenti capelli biondi sulla sua faccia, per poi porgergli con gesto sicuro una boccetta chiusa da un tappo di sughero presa dal tavolo. “Te ne ho conservato un po'. Ho pensato che ne avresti avuto bisogno.”

Le labbra di Dean si piegarono leggermente. “Sono cresciuto Mary, non mi serve la balia.” Puntualizzò, mentre apriva la boccetta.

Sentirlo pronunciare il suo diminutivo la fece sorridere di piacere. Lui era l'unico a cui consentisse di chiamarla così, poiché soltanto Nickolaij usava il suo nome completo, mentre per tutti gli altri era Milady. Doveva ammettere poi che il soprannome che da tempo le avevano attribuito non le dispiaceva affatto. Bloodymary le dava un senso di potere ed era indice del rispetto e della paura che incuteva. “Certo, sarebbe stato meglio più fresco, ma in un modo o nell’altro trovi sempre una scusa per svignartela…”

Dean ignorò l’allusione. Non aveva voglia di spiegare ancora i motivi che lo spingevano a evitare la cerimonia, così sviò la conversazione concentrandosi sul contenuto della boccetta. Mandò giù il liquido caldo e denso e finalmente sentì lo stomaco riempirsi. Al solito fu come bere acqua fresca dopo giorni di deserto. 

Dopo averla svuotata in pochi sorsi, la poggiò sul tavolo senza far caso a lei, che lo osservava compiaciuta. 

“Ah, quasi dimenticavo. Nickolaij ti vuole parlare.” esordì, mentre il viso le si illuminava.

“Un particolare da nulla.” commentò sarcastico. “C'è altro?”

“Beh, veramente...” Mary esitò, facendosi più vicina. “È da tanto che non stiamo un po' da soli io e te...” 

Lui sospirò, alzando gli occhi al cielo. Poi fece per andarsene, ma Mary lo tirò per un braccio e tentò di baciarlo, credendo di prenderlo alla sprovvista. 

Dean, però, aveva i riflessi pronti e riuscì a scansarsi in tempo. “Smettila.” le intimò.

Il suo tono minaccioso non ottenne altro effetto se non quello di farla divertire e a quel punto, stanco dei suoi giochetti, uscì dal laboratorio, sbattendosi la porta alle spalle. 

Rimasta sola, Mary se lo immaginò mentre percorreva il corridoio con aria scocciata e un sorrisetto sornione le si dipinse sul viso.

 

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Capitolo 7
*** Casa P. / Casa F. / Casa D. ***


Capitolo 7

 

Casa Peterson 

 

Juliet girò la chiave nella serratura, stando attenta a non farla scattare troppo forte. Entrata in casa, accompagnò la porta, fino a chiuderla delicatamente. Aveva sperato con tutta se stessa che i suoi genitori stessero dormendo, così da sgattaiolare in camera sua e almeno per il momento rimandare l'inevitabile, ma un chiacchiericcio concitato proveniente dalla cucina le fece capire di essersi illusa. Quindi, preso un bel respiro, si preparò ad affrontare l’imminente ramanzina.

Ben presto, infatti, Arnold irruppe nell'ingresso come un fiume in piena, seguito a ruota dalla moglie e da Richard, che però rimase in disparte.

“Eccoti finalmente! Ti sembra questa l'ora di tornare?” tuonò suo padre. 

Juliet iniziò subito con le scuse, nel tentativo di chiudere la questione in fretta. Era davvero troppo stanca per litigare. “Hai ragione, papà. Lo so che è tardi, ma…”

“Perché non rispondi alle chiamate?”

“Non gridare, Arnold. Sveglierai i vicini.” sussurrò Martha, rimproverando il marito invece della figlia. Era talmente sollevata di vederla di nuovo a casa, che la rabbia e il disappunto erano già spariti.

“Me ne infischio di quello che pensano i vicini!” ribatté lui, abbassando comunque il tono della voce. “Tua figlia è andata a un festa ed è tornata alle cinque del mattino!” le ricordò, come se la moglie non fosse già a conoscenza dei fatti. “Ti sembra normale?”

“Dai, papà. Certo che è normale.” si intromise Richard. “Era il ballo dell'ultimo anno. Cosa pretendevi? Che tornasse per cena?”

Arnold gli lanciò un'occhiata delle sue, facendogli capire che non doveva difenderla. Perfino Juliet si stupì dell'iniziativa del fratello. 

“Comunque...” riprese, tornando sulla figlia. “Tu non esci per una settimana. Sei in punizione, signorina.” sentenziò categorico.

“Ancora? Papà, ho diciotto anni...” protestò Juliet.

“Non mi interessa. Finché vivi sotto il mio tetto, seguirai le mie regole. Quando andavo al liceo, non mi sarei mai sognato di rientrare così tardi…”

“Ne sei sicuro?” replicò Martha perplessa.

Juliet però non ci fece caso, troppo indignata dalla presa di posizione del padre. “Ma tra due giorni c'è la cerimonia del diploma!”

Arnold si fermò un attimo a riflettere, riconoscendo che aveva ragione. “Quella non conta, perché ci sarò io a controllarti.” concluse, prima che la moglie mettesse fine alla discussione con i suoi soliti modi affabili.

“Su, caro. Adesso andiamocene a letto.” Gli appoggiò delicatamente la mano su un braccio per rabbonirlo. “Ne riparliamo domani.”

Ringraziando il cielo, e soprattutto sua madre, Juliet lo vide convincersi e poi entrambi salirono al piano di sopra, lasciandola finalmente libera di respirare. 

Quando anche lei fece per imboccare le scale, il fratello la fermò. 

“Aspetta, prima spiegami cos’è successo.”

Juliet lo guardò con aria implorante. “Ti prego, non ora. È una storia troppo lunga e io sono troppo stanca.” Tentò di sfuggirgli salendo di sopra, ma lui la tallonò fino in camera sua.

 “Non hai idea di quello che ho dovuto fare per convincere papà a non venire a cercarti.” Insistette, chiudendosi la porta alle spalle. “Sai cosa sarebbe successo se fosse arrivato a scuola e non ti avesse trovata?”

Juliet sospirò, accasciandosi sul letto e scalciando via le scarpe dai piedi doloranti. “Lo so, mi dispiace di avervi fatto preoccupare.”

“E poi perché hai il vestito sporco di terra e i capelli spettinati?” le chiese, squadrandola da capo a piedi. “Non vi sarete mica appartati in qualche cespuglio...”

Possibile che tutti gli uomini della sua famiglia avessero la stessa mania? “No!” ribatté indignata.

Richard fece spallucce. “Okay, era per sapere.”

“Per favore, voglio andare a dormire...” lo pregò, spingendolo fuori in malo modo. 

Prima che riuscisse a chiudere la porta, la testa di suo fratello rispuntò. “E comunque non ci sarebbe niente di male...” 

“Vattene!”

 

-o-
 

Casa Farthman

 

Claire entrò in casa con passo felpato, quasi certa di non trovare nessuno sveglio ad aspettarla. Suo padre non sarebbe tornato prima di un paio di giorni, mentre sua madre aveva il sonno pesante, quindi non sarebbe stato difficile infilarsi nel letto e fingere di essere tornata da ore. Salì le scale con le scarpe in mano, per fare meno rumore possibile, finché non arrivò sana e salva al piano di sopra. A metà strada tra il corridoio e la sua camera, la porta del bagno si aprì e sua sorella comparve sulla soglia. 

Megan si stropicciò un occhio assonnata, fissando la sorella con aria perplessa.  “Claire?” la chiamò, serrando gli occhi per cercare di metterla a fuoco nel buio. “Sei tornata adesso?”

Claire controllò allarmata la porta della camera dei genitori, che per fortuna non diede segno di stare per aprirsi. “No, questo è solo un sogno.” mentì allora con fare mistico. “Sono in camera mia e sto dormendo…”

 “Sì, come no. Mi prendi per stupida?” ribatté la sorella, alzando un sopracciglio.

A quel punto, Claire rinunciò a ogni tentativo di ingannarla e sbuffò seccata. “Vattene a dormire, Meg.”

“Cosa ci guadagno dal mio silenzio?” la ricattò invece, con un sorrisetto diabolico dipinto in faccia. 

“Un bel niente. E adesso fila a letto!”

La bambina non diede segno di voler obbedire, anzi rimase dov'era, continuando imperterrita con la sua opera di ricatto. “Allora dirò alla mamma a che ora sei tornata.”

“Non ci provare nemmeno.” mormorò Claire. Poi avanzò verso di lei, sollevando le braccia con fare minaccioso. “Se lo fai, ordinerò al mostro che vive sotto al tuo letto di mangiarti il cervello.” 

La minaccia però non sortì l'effetto sperato, perché Megan spalancò gli occhi inorridita, urlando: “MAMMAAA!” 

Claire la acchiappò al volo, tappandole la bocca con una mano e trascinandola di peso in camera sua. Sperava di farla calmare, pregandola poi di non fare la spia e in cambio le avrebbe concesso di usare la sua roba per il trucco ogni volta che voleva. Non fece però in tempo a liberarla, che Megan le morse la mano e sgattaiolò via di nuovo. Claire imprecò, stringendosi le dita su cui erano ancora visibili i segni dei denti, poi uscì di corsa per andarle dietro e invece trovò la madre sulla soglia della sua camera che la scrutava con aria eloquente. Megan si nascondeva dietro le sue gambe, facendo capolino con la testa.

“Speravi davvero di cavartela così facilmente?” chiese Kate, assumendo il classico cipiglio da madre in collera. “Clarissa Florinda Farthman, sono quasi le sei del mattino! Sbaglio o avevamo stabilito un coprifuoco per quando tuo padre non c’è?”

Claire sospirò, reprimendo un brivido di disgusto nel sentire l’assurdo nome delle sue nonne che le avevano affibbiato e che tiravano fuori soltanto quando faceva qualcosa di grave. “Scusa, mamma. Hai ragione.” disse accondiscendente.

“Non puoi fare sempre come ti pare, solo perché ti lasciamo libera. Approfitti troppo della nostra buona fede.” continuò Kate imperterrita. “Ci avete fatto preoccupare. Arnold era nel panico, voleva addirittura chiamare la polizia…”

Niente da fare. Era un fiume in piena. Claire la ascoltava in silenzio, domandandosi quando le avrebbe permesso di andarsene a letto. Giurò a sé stessa che stavolta Megan non l'avrebbe passata liscia. Se non fosse stato per lei, a quell'ora sarebbe stata già nel mondo dei sogni a godersi un meritato riposo. 

“Stai sicura che racconterò tutto a tuo padre.” concluse Kate.

Lei annuì rassegnata, dopo aver sentito a malapena la metà del suo discorso. Dubitava che lo avrebbe fatto davvero, ma in ogni caso ci avrebbe pensato a tempo debito. “Va bene. Posso andare adesso?” chiese quasi implorante. Ora l'unica cosa di cui aveva bisogno era una lunga e sana dormita.

Dopo che Kate le ebbe concesso di ritirarsi, lanciò un'occhiata fulminante a Megan per farle capire che si sarebbe vendicata, poi si chiuse finalmente in camera sua. Il tempo di togliersi quel maledetto vestito che la comprimeva e si buttò sul letto completamente distrutta.

 
-o-
 

Casa Dumont

 

Rachel fissava il soffitto della camera stesa sul suo letto, senza riuscire ad addormentarsi. Sentiva di averne davvero bisogno, se non altro per togliersi dalla testa i ricordi di quella notte. 

Appena rientrata, aveva trovato suo padre sdraiato sul divano con la televisione accesa. Si era sicuramente addormentato mentre la aspettava. 

“Ma che ore sono?” aveva chiesto intontito dal sonno, quando lo aveva svegliato per dirgli che era tornata. Gettato un occhio sull'orologio del salotto, l'aveva guardata stralunato. 

“Sì, lo so. È tardissimo.” Si era premunita, prima che potesse aprire bocca. “Scusa.”

Sapeva di doversi aspettare una bella lavata di testa prima di poter salire di sopra e così era stato. D’altronde, aveva passato tutta la notte fuori senza fare nemmeno una telefonata.

Si girò e rigirò tra le lenzuola, ma il sonno non arrivava. A un certo punto, sentì la porta schiudersi e Baguette entrò in camera con aria circospetta. Con un balzo silenzioso salì sul suo letto e si acciambellò sulla coperta, aspettando attenzioni. Rachel si sollevò sui gomiti e lo guardò, mentre lui drizzava le orecchie. “Anche tu non riesci a dormire?” 

Il gatto dal pelo rossiccio inclinò la testa di lato, fissandola incerto. Allora Rachel sorrise, allungò le braccia e se lo mise in grembo. Sapendo che ne andava pazzo, prese a grattarlo dietro le orecchie e lui la lasciò fare. Glielo aveva regalato la madre per i suoi dodici anni e da allora erano inseparabili. 

Vedendo la porta aperta, suo padre si avvicinò, facendo capolino nella stanza. “Non dormi ancora?” le chiese calmo. Si vedeva che era più tranquillo ora che la sapeva nel suo letto.

“Non ci riesco.” 

“A me è passato il sonno, ormai è mattina.” 

Il silenzio calò su di loro, prima che Pierre rompesse il ghiaccio. “Alla fine non mi hai raccontato niente del ballo. Ti sei divertita almeno?”

Rachel sorrise appena. Per un attimo la tentazione di raccontargli della setta le attraversò la mente, ma qualcosa la trattenne. In fondo, era sempre un uomo solo con una figlia a carico e non se la sentiva di farlo preoccupare, anche se mentirgli non le era mai piaciuto.  “Sì, è stato… Carino.” disse infine.

Pierre annuì. “Bene. Io vado a fare un po' di jogging, ci vediamo più tardi.” 

“Okay.”

“Cerca di dormire.” si raccomandò, poi girò i tacchi e Baguette lo seguì a ruota, probabilmente convinto che stesse scendendo per riempirgli la ciotola.

Di nuovo sola, Rachel pensò a come agire dopo quello che aveva visto. Ben poco, in realtà, e a stento riusciva a immaginare quello che fosse successo dopo il rituale. Le urla disperate di Jasmine costituivano l’unica prova in suo possesso, ma non aveva assistito al suo omicidio. Quindi, se fosse andata alla polizia per denunciare il fatto, non avrebbe saputo comunque cosa raccontare. D’altronde, anche far finta di niente era fuori discussione. Non se ne sarebbe stata con le mani in mano, mentre una setta di pazzoidi compiva sacrifici umani nella sua città.


 

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Capitolo 8
*** Punti da una rosa ***


 

Capitolo 10

 

Punti da una rosa

 

Dean salì gli ultimi gradini della scala a chiocciola, trovandosi nell'atrio principale della grande torre est, la più alta del maniero, dove Nickolaij si era stabilito al loro arrivo. Quella era già la seconda volta che veniva convocato nel suo studio in meno di ventiquattro ore; la prima era stata dopo l’avvertimento di Mary, per fare rapporto sugli ultimi avvenimenti. Era consapevole di doverlo informare, ma aveva cercato fino all’ultimo di rimandare quel momento, sperando di avere più tempo per preparare una storia che avesse senso. Invece, l’assenza di quella ragazza alla cerimonia non doveva essere passata inosservata allo sguardo attento di Nickolaij e sarebbe toccato a lui pagarne le conseguenze. Come previsto, infatti, lo aveva trovato in piena collera e molto poco incline ad ascoltare le sue giustificazioni. Gli aveva spiegato come erano andate le cose nel bosco, dall’attacco dei lupi al suo ferimento e di come, semicosciente, avesse sentito gli umani discutere della scena a cui avevano assistito alla cerimonia, una volta tornati al castello. 

Alla fine, si era prostrato ai suoi piedi, chiedendo perdono per non essere stato in grado di impedire loro di scappare. Visibilmente infastidito, Nickolaij gli aveva lanciato uno dei suoi sguardi raggelanti, per poi cacciarlo in malo modo, assicurandogli che sarebbero tornati sulla questione più avanti. Del resto, non si sarebbe aspettato niente di meno. 

Come previsto, infatti, neanche un giorno dopo era di nuovo lì, davanti a quella porta, pronto a prendersi le proprie responsabilità.

Bussò due volte e una voce all'interno lo invitò subito ad entrare. L’ambiente era immerso nella penombra, ma non se ne stupì. Era al corrente da anni dell’ostilità di Nickolaij per la luce del sole, ciò nonostante i suoi occhi si abituarono presto alla semioscurità e impiegò solo pochi istanti a individuare la sua figura, intenta a prendersi cura di un vaso di rose. Così, senza aspettare una sua parola, mise il ginocchio a terra e chinò il capo in segno di sottomissione. “Mi avete fatto chiamare, mio Signore?” chiese, mantenendo lo sguardo fisso sul pavimento.

Troppo concentrato nel togliere le foglie secche dal mazzo di fiori, lui sembrò non prestare attenzione alla domanda. “La poca luce non giova alle mie rose.” rifletté poco dopo in tutta semplicità, prima di concedergli di alzarsi con un breve gesto della mano. Dalla voce sembrava aver ritrovato la calma, eppure Dean si guardò bene dal trarre conclusioni affrettate. 

Le rose sono belle, ma con esse ti puoi pungere... Ti ha mai punto una rosa?” gli domandò, voltandosi per la prima volta a guardarlo.

Come sempre, Dean cercò di non dare troppo peso a quello sguardo che sembrava scrutarti l’anima e rimase concentrato sulla sua domanda apparentemente innocua, ma contenente chissà quali significati nascosti. 

“No Signore, non mi è mai capitato.” rispose perplesso.  

“Sai, ammiro molto le rose, sono fiori straordinari. All’apparenza così innocenti e delicati, non ti aspetteresti mai di essere tradito da loro.” Prese uno dei fiori e lo sollevò all’altezza del viso, contemplandolo alla luce fioca delle lampade. 

Non parlò per qualche istante, perso nei suoi ragionamenti, e finché stava zitto neanche Dean poteva parlare, così restò a osservarlo, mentre attendeva che continuasse la conversazione. 

Poco dopo, infatti, riprese. “Come procede la guarigione? Ti sei rimesso?” 

Sentendo l’agitazione aumentare, Dean deglutì e lo rassicurò di stare bene, senza sbilanciarsi troppo. Non capiva dove volesse andare a parare, ma era evidente che si stesse solo divertendo a prolungare i tempi di attesa per tenerlo sulle spine. 

“Ne sono lieto.” si compiacque, continuando a curare le sue rose. “Dunque potrai partire senza problemi.” 

Dean gli rivolse un’occhiata interrogativa. “Partire, mio Signore?” 

Quello che a lui suonava insolito, per Nickolaij, invece, sembrava avere perfettamente senso. “Dopo la nostra chiacchierata di ieri notte, ho riflettuto molto e ho trovato una soluzione che risolverà il nostro problema.” Lo informò, sottolineando la parola ‘nostro’ come se riguardasse entrambi. “Dal momento che ti sei lasciato sfuggire gli umani, sarà compito tuo ritrovarli.” sentenziò infine. 

La notizia sorprese Dean più di quanto avrebbe dovuto. In fondo, si era incastrato da solo mettendolo al corrente della presenza degli umani alla cerimonia e ora iniziava a rimpiangere di non aver avuto abbastanza fegato da contrastare le incredibili capacità deduttive di Nickolaij. Gli bastava un’occhiata per percepire ogni dubbio, ogni minimo segnale di incertezza o tentativo di nascondergli la verità. L’unico particolare che era riuscito a omettere era stato il suo coinvolgimento nella fuga degli umani, ma solo perché dirglielo gli avrebbe assicurato un viaggio di sola andata per l’altro mondo.

Ora, però, tutto si sarebbe aspettato fuorché una richiesta del genere. Non aveva molto senso che Nickolaij volesse a tutti i costi cinque persone del tutto insignificanti e senza alcun ruolo socialmente rilevante nella città solo perché avevano intravisto parte della cerimonia. Considerando anche che, se mai avessero deciso di raccontare quella storia a qualcuno, difficilmente gli avrebbe creduto. 

“Volete che mi occupi di loro, mio Signore?” domandò, sperando che la risposta gli chiarisse un po’ le idee.

Nickolaij scosse la testa. “Non voglio che tu li uccida, devi soltanto trovarli e portarli da me. Naturalmente mi riferisco anche alla ragazza.” 

-Naturalmente- pensò Dean tra sé. Vista l’attenzione che le aveva riservato durante il ballo, era scontato che fosse inclusa nel pacchetto. Le sue perplessità erano altre. “Se posso permettermi, a che scopo se solo lei è di vostro interesse?” tentò di informarsi, evitando di apparire troppo curioso. Voleva capire perché li volesse tutti vivi e soprattutto, se veramente era tanto ossessionato da lei, per quale motivo non se l’era presa subito, come aveva fatto con tutte le altre, invece di aspettare che se ne andasse e metterlo in croce dopo. Non gli risultava che Nickolaij si fosse mai fatto chissà quali scrupoli quando voleva una donna, piuttosto si chiedeva cosa potesse avere un’umana qualsiasi di tanto irresistibile ai suoi occhi. Il mistero si infittiva. Chi era quella ragazza?

“Dal momento che sanno, sarebbe uno spreco disfarsi di loro.” 

Fu a dir poco lapidario nella risposta e da ciò Dean intuì che doveva farsela bastare. La sua sete di sapere si era già spinta troppo oltre e comunque la sorte che sarebbe toccata agli umani non lo riguardava. Il suo compito era obbedire e lo avrebbe fatto anche stavolta, senza porsi altre domande.  “Andrò subito a cercarli e li riporterò al castello.” promise quindi, risoluto. Il problema principale sarebbe stato convincerli a tornare in un posto dove credevano di aver assistito a un rito satanico, ma evitò di porre in evidenza la questione. Era certo che a Nickolaij non sarebbe importato come avesse fatto, purché ci fosse riuscito. 

“Li porterai da me, ma non qui.” disse pacato.

“Non a Greenwood?”

“No, partiamo per Bran domani.” chiarì lui. “Non possiamo restare con i lupi in circolazione, perciò è là che dovrai condurli.” 

A quel punto, la situazione non faceva che complicarsi. Dean non poteva sperare che quei ragazzi accettassero di tornare con lui al castello sotto casa, figurarsi seguirlo fino in Romania. Era chiaro come il sole che Nickolaij gli avesse affidato quell'incarico solo per punirlo. Tuttavia, non fece una piega e accettò la missione senza recriminare. “Sarà fatto. Mi preparo immediatamente.” Si prostrò di nuovo al suo cospetto e fece per congedarsi.

“Dean.” lo richiamò. 

Il tempo sembrò fermarsi per un istante e un silenzio tombale precedette il momento successivo, in cui Nickolaij serrò le forbici attorno al gambo di un bocciolo ancora rigoglioso e in procinto di schiudersi, tranciandolo di netto. “Vedi di non deludermi, stavolta.”

Dean avvertì il chiaro riferimento alla sua testa, ma preferì non lasciar trapelare nulla all’esterno. Si limitò a un breve cenno del capo, per poi lasciare la stanza. 

Una volta fuori, un rivolo furtivo di sudore gli scese lungo la tempia. Un evento assai raro. Con la mano si allargò il colletto della camicia e deglutì, cercando di ritrovare il controllo.

Per qualche strano motivo, forse legato ai suoi successi passati, Nickolaij aveva deciso di offrirgli una seconda occasione e lui l’avrebbe colta. Se non altro per restare in vita. Quindi non era il momento di lasciarsi intimorire dalle sue minacce, bensì di pensare lucidamente. 

Riscese i gradini a due a due, con il cervello che intanto lavorava in cerca di una strategia. 

Nickolaij la faceva facile, ma sarebbe toccato a lui inventarsi una scusa abbastanza plausibile da convincere quei ragazzi a seguirlo. Non aveva idea di quanto ci avrebbe messo a trovarli, quindi era meglio partire subito. L'unica soluzione sarebbe stata quella di perlustrare la città da cima a fondo e affidarsi alla fortuna, visto che, trattandosi di imbucati, non disponeva di alcun tipo di recapito.

Tornato in camera sua, si cambiò con abiti più comodi; poi radunò le poche cose che aveva portato dalla Romania in un borsone riposto sotto al letto. Per ogni evenienza prese anche una boccetta di siero antilupo, nel caso gli fosse capitato di nuovo di incontrarne uno. Mentre organizzava tutto per il viaggio, rifletteva su quello che avrebbe dovuto dire per darsi un minimo di credibilità, ma al momento non gli veniva niente di concreto. Ci avrebbe ragionato strada facendo. 

Un'altra questione da risolvere era quella del mezzo di trasporto. Non poteva certo percorrere l’intera città a piedi, così pensò che usare la macchina fosse la scelta migliore. Avrebbe potuto prendere una di quelle che avevano noleggiato per gli spostamenti durante il restauro, ma preferiva di gran lunga la sua. L'aveva comprata qualche settimana prima da un venditore di auto d'epoca, poi ci aveva fatto un giro e adesso non ricordava più dove aveva messo le chiavi. Mentre frugava in ogni angolo della stanza alla loro ricerca, un’illuminazione improvvisa gli rammentò che erano nel cassetto della scrivania. 

Dopo averle prese, l’occhio gli cadde involontariamente sulle bende rimaste ammucchiate lì accanto e subito gli ritornò in mente la ragazza bionda… Juliet, ecco come si chiamava. Si era data tanta pena per curarlo quando non ne aveva poi così bisogno.

Raccolto tutto il necessario, lasciò in fretta la stanza e imboccò le scale per il piano di sotto. Si trovava a pochi gradini dall'atrio principale, quando si imbatté in due uomini.

“Dean.” lo salutò il più alto, sfoggiando la solita aria superiore con cui mascherava sempre il proprio risentimento verso di lui.

“Alekseij, Isaac.” Dean non si dimostrava mai troppo contento di incontrarli. Tra tutti, erano quelli che riusciva a sopportare di meno. 

“Stai andando via?” gli chiese l’altro con finto disinteresse, come se il suo fosse solo un tentativo di fare conversazione.

In realtà, Dean sapeva benissimo quanto a entrambi piacesse impicciarsi degli affari altrui. Soprattutto dei suoi. “Evidentemente.” tagliò corto. Poi fece per superarli e continuare per la sua strada, ma Alekseij tornò alla carica. 

“Abbiamo saputo della faccenda dei lupi...” 

Dean non aveva dubbi in proposito. Le voci nella Congrega circolavano a una velocità incredibile. “Avrete saputo anche di Luke, allora.”

“Già. In fondo, non è stata una gran perdita. Non era molto sveglio.” ghignò Isaac.

-Senti chi parla- pensò Dean annoiato. Sperò che quella conversazione finisse presto e che quei due impiastri si levassero dai piedi.

“Andiamo amico, ammettilo.” insistette Alekseij con un ghigno. “Nick ti ha già affidato un nuovo incarico? Scommetto che riguarda chi so io...” Lui e Isaac si scambiarono uno sguardo d’intesa. 

Consapevole che volesse solo provocarlo, Dean non batté ciglio, né si mostrò minimamente toccato. “Non capisco di cosa parli.” disse calmo.

Sapeva bene che Alekseij soffriva da tempo di un evidente complesso d’inferiorità nei suoi confronti, visto che si era dimostrato più abile ed esperto di lui in numerose occasioni. Col tempo si era distinto agli occhi di Nickolaij e ovviamente questo aveva attirato le invidie di molti. 

“Gli imbucati.” chiarì Isaac. “Quelli che ti sei lasciato sfuggire da sotto il naso come un poppante alle prime armi.”

Dean si irritò, ma non lo diede a vedere. “Non so quanto te ne saresti preoccupato, mentre cercavi di difenderti da un lupo a mani nude.”

Alekseij fece spallucce. “Forse ti vergogni solo di ammettere che per una volta anche l'infallibile Dean ha fatto un buco nell'acqua.”

Lui sospirò. “Sapete, sarebbe stato davvero divertente vedere voi due al mio posto. Anche se, onestamente, avrei tifato per la bestia.” ribatté a tono, senza perdere il controllo. Non ne valeva la pena. “Ora mi scuserete signori, ma ho ben altre cose di cui occuparmi.” tagliò corto, girando i tacchi e lasciandoseli dietro a incassare il colpo. 

Probabilmente sarebbero andati in giro a raccontare del suo fallimento e a ridere di lui per vendicarsi. Che facessero pure, non gli importava.

 

-o-

 

Il pomeriggio della vigilia del diploma, Rachel se ne stava seduta a un tavolo del Golden Caddy, aspettando che Juliet tornasse con le bibite. L’estate era decisamente arrivata e fuori il caldo era soffocante, ma almeno nel locale c’erano i condizionatori e si riusciva a respirare.

Guardava assorta le persone sedute in giardino, mangiucchiando la sua ciambella con aria svogliata e ripensando agli avvenimenti della sera precedente. Fosse stato per lei sarebbe andata alla polizia quella mattina stessa, ma Juliet l'aveva convinta ad aspettare. In fondo, non avevano visto morire nessuno e rischiare di fare una denuncia a vuoto non era una cosa da nulla. Eppure, continuava ad essere convinta che a Jasmine fosse successo qualcosa. Qualcosa di brutto. -Di solito una persona non urla in quel modo perché le stanno facendo una carezza-. Le grida che aveva sentito dal corridoio parlavano chiaro, non c'era alcun bisogno di ulteriori conferme.

Intanto, Juliet stava aspettando al bancone che il padre di Cedric finisse di preparare i loro cocktail. Doveva ringraziare solo la complicità di sua madre se quel pomeriggio era potuta uscire di casa, anche se sarebbe comunque dovuta rientrare entro l’ora di cena, per evitare altri guai.

Tornata dall’amica, posò i tre bicchieri sul tavolo. Come al solito, avevano ordinato anche per Claire, che avrebbe già dovuto essere lì. “Un tipo simpatico Logan.” disse sorridente. “Ci ho scambiato quattro chiacchiere al bancone.”

“Logan?” ripeté Rachel in tono distratto.

“Sì, il padre di Cedric. Ha detto di dargli del tu.” spiegò. “Adesso capisco da chi ha ripreso il figlio.”

Mentre chiacchieravano, la porta del locale si aprì e videro Claire cercarle con lo sguardo, finché Juliet non attirò la sua attenzione con un cenno della mano e lei le raggiunse, facendo lo slalom tra i tavoli. 

“Si lo so, sono in ritardo. Scusate…” esordì affannata, sedendosi pesantemente su una sedia accanto a Rachel, che stavolta evitò di farle la solita paternale, e a quel punto si accorse del piccolo vaso di vetro al centro del tavolo. All'interno c'erano due dita d'acqua in cui era immersa una rosa rossa, che le limitava la visuale su Juliet, così la prese e la spostò sul tavolo accanto. “Detesto le rose. Mi pungo sempre.” si lamentò, prima di avvicinare le labbra alla cannuccia della bibita che avevano preso per lei. 

Bevuto un primo sorso, diede istintivamente un’occhiata in giro, come in cerca di qualcosa. O qualcuno.

“Cedric non è ancora arrivato.” la informò Juliet maliziosa.

Gli occhi di Claire saettarono su di lei. “Non lo stavo mica cercando.” ribatté sulla difensiva, avvampando leggermente.

L’amica ridacchiò sotto i baffi, nascondendo il viso nel bicchiere.

“Comunque...” Poco in vena di risate, Rachel le riportò all’ordine. “C’è un motivo per cui vi ho chiesto di vederci. Dobbiamo parlare di stanotte e prendere una decisione.” 

“Sei ancora convinta di voler raccontare tutto alla polizia?” chiese Claire in un sussurro, facendosi più vicina. 

“Hai un'idea migliore? Abbiamo assistito a un omicidio, non possiamo fare finta di niente.”

Lei alzò gli occhi al cielo. “Ancora? Non sappiamo se c’è stato davvero un omicidio. Non abbiamo effettivamente visto quel tizio piantare un coltello nel petto di Jasmine.” 

“So quello che ho sentito!” esclamò Rachel esasperata, ma stando accorta a non alzare troppo la voce. Per fortuna la fragorosa risata di un tizio seduto a un tavolo poco distante coprì quello che stava dicendo. 

“E poi, ammesso che non l'abbiano uccisa, potrebbero averla rapita, seviziata o chissà che altro. Dobbiamo andare a denunciarli!”

“Ti sei fermata a pensare che se lo facessimo si scoprirebbe che eravamo al castello e non alla festa della scuola?” rifletté Juliet. “Come lo spiegheremmo?”

“Sinceramente preferirei sorbirmi una punizione a vita, piuttosto che passare sopra a una cosa del genere, Juls.”

“Beh, parla per te.” la contraddisse Claire. “Mi sono già sorbita mia madre ieri sera e stamattina ci si è messo anche mio padre da New York. Preferirei non rovinarmi le vacanze, grazie.”

Rachel la fissò allibita. “Tu pensi alle vacanze…” 

“Prima vediamo cosa ne pensano i ragazzi e poi decidiamo, okay?” si intromise Juliet, impedendo alla discussione di degenerare.

Claire le diede ragione, mentre l'espressione di Rachel lasciava chiaramente intendere che non fosse affatto convinta. Avrebbe significato aspettare ancora e dare a quegli psicopatici la possibilità di farla franca.

“Ah, volete sapere cosa ho scoperto prima di venire?” esordì l’amica, preferendo deviare la conversazione su altro. “Anche i miei avevano ricevuto un invito.” rivelò quindi sottovoce. In quanto imprenditore di una certa importanza, suo padre avrebbe dovuto partecipare all’evento, ma casualmente in quel periodo era fuori città per lavoro e così neanche sua madre si era scomodata. “Fortuna che alla fine hanno deciso di non andare.” 

La notizia provocò comunque una buona dose di sconcerto e sia Rachel che Juliet rimasero per un istante a fissarla sbigottite.

“Quindi stai dicendo che il tuo nome era sulla lista?” domandò Rachel frastornata. In quel caso sarebbero stati in regola, risparmiandosi così la seccatura di Jacqueline e tutto ciò che ne era conseguito. 

Claire fece spallucce. “Non avendo chiamato per disdire, immagino di sì.” Subito dopo intuì dalla sua espressione ciò che stava pensando. “Ehi, adesso non prendertela con me, l’ho scoperto solo oggi. Anzi, se mamma non se ne fosse uscita a pranzo non l’avrei mai saputo.”

Entrambe erano basite e solo il tempestivo arrivo di Cedric impedì a Rachel di strozzarla. Entrato nel locale, fece un cenno di saluto al padre, che ricambiò dal bancone; poi le raggiunse e, dopo aver rivolto loro uno dei suoi sorrisi smaglianti, si sedette al tavolo.

“Salve a tutte. Allora, novità?”

“Meglio che tu non le sappia.” brontolò Rachel in risposta.

Lui non afferrò e le rivolse un’occhiata confusa, ma alla fine decise di soprassedere. “Com’è andato il rientro stanotte?” chiese, memore delle loro facce preoccupate quando, tornati in macchina, si erano ritrovate con un numero infinito di chiamate perse sui cellulari.

“Insomma…” tentennò Juliet. “Sarebbe potuto andare meglio. A te, invece?” Non aveva molta voglia di parlarne, perciò preferì glissare. 

Cedric fece spallucce, prendendo a giocherellare con il plettro che portava attaccato alle chiavi della macchina. “Non troppo male. I miei hanno protestato un po’, ma quello che ho fatto è niente paragonato ai guai in cui si caccia mio fratello.”

“Ma chi? Daniel?” fece Claire sorpresa. Le poche volte che le era capitato di parlarci le era sembrato un angelo in confronto a Cedric. Non ce lo vedeva proprio a combinare chissà quali casini. 

Lui, infatti, scosse la testa. “No, figurati, quel nerd. Parlavo di mio fratello Liam. Alla mia età faceva molto di peggio, non che adesso sia tanto diverso. Fa il fotografo ed è sempre in giro. A volte racconta certe storie…  Diciamo solo che è meglio che la mamma non lo venga a sapere.” Ridacchiò al pensiero. “Comunque, non so voi ma io sono stanco morto.” aggiunse in uno sbadiglio, mentre si allungava per stiracchiarsi. 

“A chi lo dici.” Claire non poté che concordare e, seccata, lanciò un’occhiataccia a Rachel, che nonostante l’ora indecente in cui erano tornate, aveva insistito per vedersi quel pomeriggio, quando lei avrebbe preferito di gran lunga trascorrere l’intera giornata a letto.

 Tuttavia, l’amica non vi badò. “Che fine ha fatto Mark?” chiese a Cedric, senza nascondere l’impazienza. 

“Forse non si è svegliato.”

Lei sospirò, sempre più snervata. Non capiva come potessero essere tutti così tranquilli in un momento del genere. Involontariamente le sue dita iniziarono a tamburellare sul tavolo e Cedric se ne accorse. 

“Vedrai che adesso arriva.” tentò allora di rassicurarla e, infatti, di lì a poco il suo migliore amico arrivò trafelato, perdendosi in una serie infinita di scuse, che Rachel accettò senza dargli troppa importanza. Finalmente poteva proporre anche a loro la questione della denuncia e scoprire come la pensavano in proposito. Alla fine, però, venne fuori che lei era l’unica veramente convinta di voler raccontare tutto alla polizia. Nessuno sembrava disposto a correre quel rischio, per di più senza avere in mano uno straccio di prova.

“Sento ancora le urla di Jasmine dentro le orecchie. Come prova mi pare sufficiente.” protestò incredula. 

Mark la guardò dispiaciuto. “Non fraintendermi, anche a me non va a genio questa storia. Mi piacerebbe saperne di più, ma mi hanno già fatto una lavata di testa perché sono tornato tardissimo, figurati se si scopre dove sono stato veramente.” Rabbrividì al solo pensiero. 

 “Concordo. Quello che è successo deve rimanere tra noi.” disse Cedric. “Non ci tengo a rovinarmi le vacanze.” 

“È esattamente quello che le ho detto poco fa!” scattò Claire, contenta di aver finalmente trovato qualcuno che la pensasse allo stesso modo.

Cedric le sorrise in risposta, ma Rachel era tutto fuorché interessata alle loro smancerie. Avrebbe voluto insistere, ma ormai non aveva più argomenti da usare a proprio vantaggio. Così per un po’ un silenzio imbarazzante calò su di loro, interrotto di tanto in tanto solo dal tintinnare dei bicchieri e dalle chiacchiere delle persone ai tavoli vicini.

“Comunque è stata una serata interessante, no?” esordì infine Cedric, rompendo il ghiaccio.

“Fuori dal comune, direi.” replicò Mark. “Ci voleva un'ultima pazzia prima del diploma.” Poi si illuminò. “A proposito, non abbiamo ancora ritirato le toghe.”

Sventolando la mano, l’amico gli fece segno di rilassarsi. “C'è tempo. Possiamo andarci domani mattina.”

“Quindi ci vediamo là?” Juliet si unì alla conversazione, entusiasta. “Dobbiamo ritirarle anche noi.”

“Sì, ma facciamo sul tardi, perché prima ho gli allenamenti.” ribatté Claire. 

Cedric non perse tempo e mostrò subito il suo interesse per l'argomento. “Non ti facevo un’atleta.” Poggiò il mento sulla mano e la guardò.

Lei annuì fiera e convinta. “Sono nella squadra di calcio.”

 “Forte!”

“Ma la stagione non era finita?” chiese Juliet perplessa.

“Sì, però vogliamo continuare a tenerci in forma.” spiegò Claire. “E poi è più che altro un'ultima rimpatriata prima delle vacanze.”

“Basta, io non ce la faccio!” sbottò Rachel, alzandosi di scatto e attirando l’attenzione su di sé. “Non so come facciate a parlare di sport in un momento del genere! C'è una setta di psicopatici in città che droga e sevizia le persone e sono l'unica a preoccuparsene.” Afferrò la borsa, strappandola in malo modo dalla spalliera della sedia, poi girò i tacchi e si diresse all'uscita. Spalancata la porta, per poco non andò a sbattere contro tre ragazze, che invece stavano entrando.

Sconcertata, trasalì e spalancò gli occhi, non potendo fare a meno di mormorare: “Jasmine...”

 

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Capitolo 9
*** L'aiutante ***


Capitolo 11

 

L'aiutante

 

Varcarono la soglia della scuola per quella che probabilmente sarebbe stata l'ultima volta. Rachel entrò come se fosse un giorno qualsiasi, ma con una strana sensazione addosso. La vita da liceale le sarebbe mancata, così come quell'edificio e i compagni di corso. Dopo il diploma ognuno avrebbe preso strade diverse e con alcuni non si sarebbe più incontrata, ma faceva parte del percorso scolastico. Il lato positivo della cosa era che non avrebbe avuto più contatti con Jacqueline e le altre, sperando che prima o poi il brutto ricordo di due sere prima scomparisse da solo. Ritrovarsele davanti, dopo averle credute morte, era stata un'esperienza da dimenticare. Quando Jacqueline le aveva gracchiato in malo modo di spostarsi e lasciarle passare, lei a malapena l'aveva sentita. Alla fine, si era scansata per forza di inerzia, e la cheerleader era entrata con le amiche senza degnarla di uno sguardo.

Per riprendersi dallo shock aveva dovuto appoggiarsi a uno dei tavolini in giardino, impiegando qualche minuto a metabolizzare. Le era addirittura passato per la testa di essersi sbagliata, di averle confuse con qualcun altro, ma poi la tipica freddezza con cui l’avevano trattata le aveva confermato che erano proprio loro. Erano vive e stavano bene, eppure le urla che aveva sentito erano reali. Quindi che diavolo era successo quella notte? Forse le cheerleader erano d'accordo con la setta o addirittura ne facevano parte. Questo avrebbe spiegato molte cose.

“Ehi!” 

Entrate in palestra, Jason venne loro incontro sorridente dal banco dove alcuni studenti distribuivano toghe e annuari, con sottobraccio la sua avvolta nel cellophane. 

Con altrettanto entusiasmo, Juliet lo coinvolse in un abbraccio. “Ciao! Ci sei mancato!” 

“Allora? Com'è andato il ballo? Non mi avete raccontato niente.” chiese poi il ragazzo. 

“Non tocchiamo questo tasto, per favore.” disse Rachel evasiva, mentre Juliet e Claire si scambiavano un'occhiata eloquente.

Jason le squadrò in cerca di risposte. “Scommetto che è stato di una noia mortale.”

“Già, mortale...” ripeté Claire in tono piatto; poi si accorse di una sua compagna di squadra che faceva la fila e ne approfittò per defilarsi. “Scusate, vado a salutare.” 

Jason non sembrò far caso a quel suo palese tentativo di fuga. “Sì, vado anch'io. Ho ancora un po’ di cose da fare, prima della partenza. Ci vediamo nel pomeriggio.” le salutò, allontanandosi. 

“Sarà meglio mettersi in fila.” propose Rachel, avvicinandosi al serpentone di studenti che aspettavano il loro turno.

“Ti dispiace tenermi un attimo il posto?” chiese Juliet, ricordandosi all’improvviso di qualcosa. “Devo vedermi con le ragazze del club di cucina. Non ci metterò molto.” La rassicurò, stampandole un bacio sulla guancia, prima di andarsene e lasciarla solo in compagnia di sé stessa.

Rachel sospirò rassegnata e incrociò le braccia, aspettando che la coda scorresse. Quella mattina non si sentiva particolarmente reattiva agli stimoli, forse perché il suo unico pensiero fisso era quello di dover rivedere Jasmine, far finta di niente e passare ancora una volta per pazza. Aveva talmente la testa tra le nuvole da accorgersi a malapena di una mano che le picchiettava sulla spalla per attirare la sua attenzione. Si voltò come insonnolita e Mark era là. 

“Ciao.” la salutò.

“Ciao.”

“C'è un sacco di gente.” constatò lui, guardandosi intorno. “Credevo di evitare la fila venendo all'ultimo momento, invece...”

“Già...”

Rimasero in silenzio per un po', senza sapere cosa dirsi, poi Mark riaprì la conversazione. “Come va?” 

Rachel intuì il senso della domanda e gli concesse un debole sorriso. “Meglio, grazie.” Si morse un labbro, come faceva spesso quando mentiva. Cosa che a lui non sfuggì.

 “Ci stai ancora pensando, vero?”

Rachel non rispose, ma dall’espressione che fece era chiaro come il sole che fosse così. Non riusciva a capacitarsi del comportamento del tutto indifferente di quelle tre, come se il ballo non ci fosse mai stato. Anche il fatto di averla snobbata al locale di Cedric, senza rinfacciarle quanto accaduto, era inspiegabile. 

“Comunque questa storia non mi convince.” disse lui. “Le urla le ho sentite anch'io.”

Per un attimo quell'affermazione la lasciò perplessa. “Scusa, allora perché non mi hai appoggiata quando volevo andare alla polizia?” chiese poi indispettita. Allora non era matta!

“Perché non avevamo prove che le fosse stato davvero fatto del male.” rispose Mark semplicemente. “Quando poi le abbiamo viste entrare nel locale vive e vegete...”

Rachel fu costretta ad ammettere che aveva ragione. Non c’era niente che potessero fare per dimostrare ciò che avevano visto, a meno che qualcuno non avesse ripreso il rito satanico con una videocamera, ed era alquanto improbabile. Inoltre, se davvero le persone che avevano partecipato erano consenzienti, non avrebbero trovato nessuno disposto ad appoggiare le loro accuse. 

“Sta di fatto che comunque qualcosa di strano è successo, ma non credo che lo sapremo mai.” concluse lui con un sospiro rassegnato. 

Intanto, la fila era avanzata di qualche passo, proprio mentre Juliet e Claire tornavano per unirsi a loro. 

“Sei da solo?” chiese Juliet a Mark, dopo avergli rivolto un sorriso di saluto. 

Lui però non ebbe modo di rispondere, perché un fracasso di risatine si mescolò al vocio generale e attirò la loro attenzione verso un lato della palestra. Un gruppo di ragazze con la toga già indosso si accalcava, cercando di entrare nell'obiettivo di una macchina fotografica.

“Facciamoci una foto!” esclamò qualcuna di loro con entusiasmo, mentre le altre si disponevano a semicerchio, rivelando finalmente chi ci fosse al centro della calca. 

Alla vista di Cedric completamente circondato da ragazze, Juliet strabuzzò gli occhi. “Non sapevo che avesse tutte queste fan.” commentò divertita.

Mark ridacchiò e scosse la testa, guardando l'amico pavoneggiarsi. “È il piccolo inconveniente di essere l’unico maschio del club di economia domestica.”

 “Non mi dire...” Claire alzò un sopracciglio e rimase a osservare la scena. Un Cedric raggiante abbracciava due ragazze e le stringeva a sé per farle entrare nell'obiettivo, mentre un’altra scattava la foto. “Mi stupisce questo suo lato femminile.” 

“In realtà, si è segnato a quel corso solo perché...” Mark fece per continuare, ma con una semplice occhiata lei gli fece intuire di aver capito il resto. Allora, non sapendo cosa dire e dove guardare, rivolse loro un sorrisetto imbarazzato. 

“Ehi!” esclamò, facendo cenno da lontano a un ragazzo appena entrato. “Scusate, vado a salutare un amico. Mi tenete il posto?” 

Rachel annuì rassegnata. “Figurati, tanto non faccio altro da quando sono arrivata.” 

Quel pomeriggio, dopo una rapida tappa a casa per cambiarsi, si ritrovarono nel campo da football, dove si sarebbe svolta la cerimonia del diploma. Al centro avevano allestito un grande palco per la consegna delle pergamene, con un leggio per i discorsi del preside e degli studenti. Il tutto decorato da palloncini con i colori della scuola, gli stessi che seguivano le file di sedie disposte a gruppi di dieci pronte ad accogliere gli studenti, che una volta seduti formarono una grossa e uniforme macchia blu.

Genitori e parenti, invece, riempirono pian piano gli spalti alle loro spalle e, quando tutti si furono accomodati, il preside prese posto dietro al leggio e annunciò l'inizio della cerimonia con un breve discorso, seguito dai discorsi degli studenti più meritevoli. Lo avevano proposto anche a Rachel, ma lei non se l’era sentita. Parlare di fronte a un pubblico l’aveva sempre messa a disagio.

Inforcati gli occhiali, il preside chiamò uno alla volta i nomi degli studenti, che mano a mano salirono sul palco per ricevere il diploma e stringergli la mano. Quando fu il turno di Juliet, il pubblico applaudì come di consueto, ma suo padre si alzò in piedi urlando parole di incoraggiamento, prima che la moglie imbarazzata lo trascinasse di nuovo a sedere. Juliet avvampò e sorrise leggermente, tornando poi a sedersi accanto alle amiche. 

Insieme alle pergamene, vennero consegnate anche delle targhe onorifiche per attività extra svolte dagli studenti durante l'anno e Rachel ricevette la sua per aver vinto la gara di pentathlon, un titolo che la scuola non si aggiudicava da diversi anni.

Alla fine, Jacqueline tornò sul palco per tenere il suo discorso decisamente banale e a dir poco smielato da figlia del sindaco, ma dovettero comunque aspettare con pazienza che finisse e addirittura applaudire, prima di scatenare il loro entusiasmo con il lancio dei cappelli. Dopo averla vista scendere dal palco e mischiarsi al resto della folla, Rachel avvertì di nuovo l’impulso di andare a parlarle, ma aveva timore a farlo da sola. 

In mezzo a quel mare di gente, si guardò intorno alla ricerca di Mark, probabilmente l’unico disposto ad accompagnarla. Si fece largo a spintoni, ma quando lo raggiunse fu investita dal suo entusiasmo e per un attimo dimenticò quello che doveva dirgli.

“Congratulazioni!” esclamò raggiante, sfoggiando un largo sorriso. “Anche la targa! Non sapevo della gara di pentathlon.”

Rachel arrossì senza volerlo. “Grazie.” mormorò imbarazzata, cercando di concentrarsi su questioni più importanti. “Senti, ci ho riflettuto e credo che dovremmo parlare con Jacqueline. È laggiù…” 

Il sorriso sul volto di Mark si spense lentamente. “Ancora?”

“Sì, lo so. Dovrei darci un taglio, ma è più forte di me.” ribatté lei in tono agitato. “Voglio solo capire…”

Lui sospirò. “Pensi davvero che se facesse parte di una setta lo verrebbe a raccontare a noi?” chiese, lasciandola interdetta. “A questo punto, secondo me dovremmo lasciarci tutto alle spalle. Rilassati e goditi la giornata, okay?” Le sorrise di nuovo.

A fatica Rachel riuscì a nascondere la delusione. Si stupiva che proprio lui, spaventato a tal punto da mettere le mani addosso a Dean per farsi dire la verità, ora non volesse più saperne. 

Stava per insistere, ma il tempestivo e rumoroso arrivo di Cedric glielo impedì. Sbucò alle loro spalle come se fosse uscito dal terreno e li abbracciò entrambi. 

“Ragazze venite, li ho trovati!” gridò a Juliet e Claire, che stavano chiacchierando con Jason e suo padre a poca distanza. Sfoderato il cellulare dalla tasca, si mise al centro del gruppo e scattò un paio di foto a raffica.

“Andiamo, sorridi!” disse a Rachel pieno di entusiasmo. “La scuola è finita e sembra che sei a un funerale.” scherzò, mentre faceva un’altra foto. 

Di lì a poco ognuno venne rapito dai propri parenti per le congratulazioni e le fotografie di routine e per un po' si persero di vista. 

Rachel andò a salutare la madre, che la coinvolse in uno dei suoi eleganti ma calorosi abbracci. Qualche giorno prima l'aveva avvertita al telefono che sarebbe venuta per il diploma, eppure non si sarebbe mai abituata alle sue visite. Di solito era lei ad andarla a trovare a Parigi ogni estate e faceva una strana impressione vederla in un contesto a cui evidentemente non apparteneva. 

Rimasero in disparte a parlare e a raccontarsi le ultime novità, finché Rachel non pensò che fosse carino invitarla alla festicciola post-diploma che aveva organizzato per quella sera, a cui avrebbero partecipato anche i genitori di Claire e Juliet. Erano rimasti un po' male quando lei se n'era andata e quella avrebbe potuto essere una buona occasione per farli rincontrare. 

Mark si avvicinò a Juliet per farle firmare il suo annuario. “Scusa, chi è quella donna?” 

“È la madre di Rachel.” gli spiegò. “I suoi sono separati. È venuta apposta dalla Francia.” Anche se stava attento a non darlo a vedere, le sembrò che la cosa lo interessasse. 

Dopo aver annuito, Mark non fece altre domande e Juliet non lo incoraggiò in quel senso. Non che non si fidasse, ma preferiva evitare di parlargli di questioni private che riguardavano le sue amiche. 

Così, dopo essersi scambiati qualche altra firma, loro e alcuni compagni di corso si trasferirono a casa di Rachel per festeggiare. Quando gli aveva parlato della festa che voleva organizzare, Pierre si era prevenuto mettendo al sicuro in garage tutti gli oggetti potenzialmente a rischio e inoltre aveva preteso di essere presente almeno per l’aperitivo; poi lui e gli altri genitori se ne sarebbero andati, lasciando la casa alla mercé di un gruppo di imprevedibili adolescenti. 

In teoria Juliet era ancora in punizione, ma Arnold era talmente contento di vederla diplomata che non dovette neanche chiedergli il permesso di restare anche dopo che lui e sua madre se ne erano andati.

Rimasta senza supervisione, a festa inoltrata c’era più gente in balia dell’alcool che sobria. La musica ad alto volume stordiva i timpani e il salotto era pieno di ragazzi che ballavano scatenati. 

L’anima della festa rimase però sempre Cedric, che si dimostrò un trascinatore senza freni. Incoraggiava tutti a fare baldoria e perfino Mark riuscì a ubriacarsi grazie a lui. A un certo punto si sfidarono a una partita di beer pong, che entrambi erano determinati a vincere, anche se si reggevano in piedi a stento. 

Le ragazze se ne stavano sedute sul divano insieme a Jason a godersi la scena di Mark che si toglieva gli occhiali e concentrava lo sguardo su Cedric. Nel frattempo, lui faceva di tutto per farlo ridere in modo che sbagliasse il tiro, ma l’amico non si distrasse e con un lancio inaspettatamente preciso riuscì a centrare il bicchiere con la pallina. Euforico, esultò con un grido, seguito a ruota dagli altri ragazzi. 

“Sei un grande!” Cedric gli diede una pacca sulla spalla, dopo essersi scolato la sua penitenza. 

Letteralmente incapace di fare un altro passo, Mark andò ad accasciarsi esausto sul divano accanto a Juliet, che lo guardò divertita insieme alle altre. 

“Tutto bene?” gli chiese ridacchiando.

Lui annuì, con una mano sugli occhi. “Se la stanza smettesse di girare andrebbe anche meglio.”

Rachel rise di gusto, anche lei un po’ brilla. Le faceva strano vedere un tipo come lui ridotto in quello stato, ma era davvero divertente. Sperò solo che suo padre tornasse abbastanza tardi per non trovarli in quelle condizioni.

“Bella partita comunque.” Si complimentò Claire. “Finalmente qualcuno ha messo al suo posto quello sbruffone.”

Cedric stava mandando giù un altro mezzo bicchiere, quando si accorse che dal divano lo stavano osservando e si avvicinò. Con la delicatezza di un elefante, si buttò accanto a Rachel, circondandole le spalle con un braccio. 

“Questa festa è fantastica, Dumont!” Urlò per sovrastare la musica e allo stesso tempo stordendola.

Rachel mise le orecchie fuori dalla sua portata, prima di gridare a sua volta: “Grazie!”

“Mille volte meglio di quello stupido ballo! Cavolo, più la gente è ricca e più non sa come ci si diverte.” continuò, prima di mandare giù un’altra sorsata abbondante; poi, vedendo che Juliet era l’unica senza bicchiere, si offrì di portarle qualcosa.

“No, grazie. Sono a posto.” rispose lei, facendo segno di non preoccuparsi. “Non mi piace molto bere.”

“Oh, andiamo!” sbuffò Cedric deluso. “Dobbiamo festeggiare Juls, siamo liberi!” Urlò l’ultima frase e alzò il bicchiere in aria e tutti lo imitarono, gridando a loro volta.

 “E piantala Ced!” Lo rimbeccò Mark, col tono di chi ha un cerchio alla testa. “Direi che hai bevuto abbastanza per stasera.”

Lui sogghignò. “La birra non è mai abbastanza. Tienimi questo, tesoro.” Dopo aver mollato il bicchiere vuoto a Rachel, si allontanò verso il tavolo dove avevano giocato poco prima, per poi urlare ancora: “Chi vuole la rivincita?”

Claire lo guardò divertita farsi largo tra gli altri ragazzi ubriaco perso. “Ce lo siamo proprio giocato.”

 

-o-

 

Era notte fonda e pioveva forte. Raffiche di vento scuotevano gli alberi e i rami sbattevano contro le finestre delle case, producendo rumori sinistri. A dire il vero, tutta la città era in subbuglio. Gente che scappava, bambini che piangevano, madri che urlavano, cercando di proteggerli, ma venivano prese e massacrate.

La ragazza correva a perdifiato, mentre tentava di raggiungere la propria casa e mettersi al sicuro. Una volta dentro, si sarebbe chiusa a chiave e avrebbe sperato che quella notte passasse, lasciandola l'indomani mattina ancora in vita.

Dopo aver corso per chilometri, imboccò finalmente il vialetto e, senza preoccuparsi di chiudere il cancello, corse alla porta. Frugò frenetica nella borsa in cerca delle chiavi, voltandosi di tanto in tanto per controllare di non essere seguita da uno di quei mostri. Finalmente la trovò e con mano malferma la infilò nella serratura, che però era arrugginita e la chiave ci mise un po' a girare. La ragazza imprecò. Tutto sembrava essere contro di lei quella notte. 

Quando riuscì a entrare e a chiudersi la porta dietro, approfittò della calma per riprendere fiato. Si accasciò a terra, respirando a fatica, poi alzò lo sguardo di scatto, colta da un timore improvviso.

“Phil!” Chiamò il suo fidanzato, che doveva essere tornato dal lavoro nel pomeriggio.

Ma Phil non rispose.

“Phil!” Lo chiamò di nuovo, ma niente.

Con uno sforzo si rimise in piedi e a passi lenti raggiunse la cucina. –Meglio armarsi con qualcosa- pensò, e da una credenza prese una grossa padella, per poi dirigersi alla scala e salire con cautela un gradino per volta. 

Arrivata al piano di sopra, sentì scorrere l'acqua nella doccia e tirò un sospiro di sollievo. “Phil?” provò ancora. 

Stavolta le rispose una specie di rantolo, come un grido strozzato. Con il terrore in corpo si precipitò all'interruttore. Provò ad accendere la luce, ma doveva essere saltata a causa del temporale, così aprì il cassetto del mobile in corridoio, dove Phil teneva una torcia per le emergenze. La accese ed entrò in bagno, facendosi luce per vedere davanti a sé e allo stesso tempo stringendo saldamente il manico della padella. 

Immobile sulla soglia, puntò tremante la torcia verso la doccia. Era in funzione, ma nessuno la stava usando; poi mise meglio a fuoco l'immagine e si rese conto del colore insolito dell'acqua. Rosso sangue. 

Il corpo di Phil giaceva inerte metà dentro e metà fuori dalla vasca, dal ventre squarciato uscivano sangue e viscere.

La ragazza urlò dall'orrore. Stava per precipitarsi fuori, insofferente a quella vista, ma non fece in tempo a voltarsi che all'improvviso qualcosa sbucò dal buio e la afferrò, strappandole il volto con un morso...

 

“AAAAAH! Lo sapevo! Lo sapevo!” 

L'urlo di Claire fece eco a quello della ragazza del film, mentre la ciotola che aveva sulle gambe sobbalzava e i popcorn schizzavano fuori; poi, senza avere il coraggio di continuare, con un’imprecazione spense il televisore e si alzò, dirigendosi in cucina per prendere scopa e paletta. 

Maledicendosi per aver avuto quell’idea, raccolse i popcorn caduti per terra e sul divano. Era meglio non incasinare la casa ancora di più, visto che i suoi sarebbero tornati di lì a poco e doveva ancora lavare i piatti della cena. Erano andati fuori città a trovare dei parenti, fortunatamente portando Megan con loro, e lei ne aveva approfittato per una serata in compagnia di se stessa.

Aveva ancora i brividi per colpa di quello stupido film. Di solito preferiva non guardare certe cose e sicuramente avrebbe avuto gli incubi tutta la notte. Come se non bastasse, fuori pioveva a dirotto, proprio come nel film, e sentì crescere l'ansia. Per distrarsi, si concentrò sui piatti, pensando alle vacanze tanto attese e a ciò che avrebbe fatto, o meglio ancora ciò che non avrebbe fatto. Infatti, aveva tutta l’intenzione di godersi l’estate in santa pace e senza pensieri, visto che il modo in cui aveva trascorso gli ultimi mesi non era stato dei migliori.

Fuori intanto non sembrava accennare a smettere, anzi il vento era sempre più insistente e faceva sbattere i rami degli alberi contro la finestra che dava sulla strada. Questo la riportò al film. Per controllare che fosse tutto apposto spostò un lembo della tenda e guardò fuori. I lampioni erano accesi e il vento sferzava gli alberi, ma non c'era anima viva. Rabbrividendo, tornò al lavello, imponendosi di darsi un tono. 

D'un tratto, avvertì dei rumori sinistri in giardino, ma poteva essere di nuovo il vento. Dopo un po’, invece, la vista di un’ombra dietro la tenda per poco non le fece cadere il piatto che stava lavando.

Fu un attimo, perché l’ombra scomparve rapidamente, così Claire pensò che fosse solo suggestione. Si era quasi convinta, quando sentì bussare alla porta. Tre colpi secchi e poi chiunque fosse dall’altra parte rimase in attesa che lei aprisse. 

Si voltò molto lentamente verso il salotto, con il cuore che stava per uscirle dal petto per l'ansia. La prima cosa che le venne in mente fu di non muoversi e rimanere in silenzio, per dare l'impressione che in casa non ci fosse nessuno; poi però realizzò che la luce era accesa e che da fuori si vedeva. –Merda!-

Deglutì, cercando di pensare in fretta, ma altri colpi più insistenti la misero di nuovo in allerta. A quel punto, si chinò e aprì uno degli sportelli sotto il lavello. Con cautela, afferrò la piastra che usavano per i waffle, come aveva visto fare alla protagonista del film, ma nella speranza di fare una fine diversa. Facendosi coraggio, si diresse in punta di piedi verso la porta. “Chi è?” Nello stesso istante, però, il rombo di un tono esplose nell’aria, coprendo la sua voce.

Dall’altra parte nessuno rispose. Evidentemente non l’aveva sentita, così pensò in fretta a un piano: prima lo avrebbe tramortito e poi avrebbe chiamato la polizia. 

Con aria guardinga, controllò l’esterno della casa attraverso i vetri opachi, ma la visione era distorta e non riuscì a mettere a fuoco i tratti del visitatore. Allora prese un respiro profondo, raccolse il coraggio e girò il pomello. 

A porta spalancata, si scagliò contro di lui e fece per assestargli un colpo con la sua arma, ma nel momento in cui si rese conto di chi aveva davanti la sua mano si bloccò a mezz’aria e strabuzzò gli occhi incredula. Non era passata che una settimana dalla prima volta che l’aveva visto e, anche se completamente zuppo e vestito in maniera più sportiva, lo riconobbe subito.

“Dean?” disse scioccata. 

“Sì, sono io.” Confermò lui in tono un po’ sorpreso, data l’accoglienza ricevuta, e gli occhi fissi sulla padella. 

Claire la abbassò lentamente, appoggiandosi poi allo stipite e cercando di riprendere fiato. “Si può sapere che ci fai fuori da casa mia a quest’ora? Stavo quasi per ucciderti!” 

Dean riprese il solito contegno. “Con la piastra dei waffle?” chiese, alzando un sopracciglio con aria scettica. “Non mi sembra la scelta ideale per un’arma.”

Claire, però, sbuffo, scacciandosi un ciuffo ribelle dalla fronte. “Che cosa vuoi?”

“Vi stavo cercando. Devo parlarvi di una questione piuttosto urgente.”

“Adesso?” Non è che si fidasse molto di lui dopo quello che avevano visto al castello e il fatto che si fosse presentato da lei come un ladro non migliorava la situazione. “Ti rendi conto di che ore sono? Di solito la gente normale aspetta che faccia giorno per chiacchierare.”

Lui non fece una piega. “Hai ragione, ma ho voluto approfittare del fatto che fossi sola.”

Da come suonò, quella frase non aveva niente di rassicurante. “Mi stavi spiando?” chiese Claire allibita, indietreggiando d’istinto e stringendo la presa sul manico della piastra. Stavolta niente l’avrebbe distolta dal proposito di usarla.

“Preferirei parlare dentro, se non ti dispiace.” glissò Dean, dando un'occhiata intorno. 

Lei spalancò la bocca indignata. “Mi dispiace eccome! Tu devi essere matto...” Fece per rientrare in casa e sbattergli la porta in faccia, ma lui la afferrò rapido, impedendole di chiuderlo fuori. 

“Per favore. È importante.” Lo disse con un'espressione talmente seria e concentrata da lasciarla per un attimo impalata a fissarlo.

Sembrava molto determinato e capì subito che non se ne sarebbe andato facilmente. Inoltre, ora che erano così vicini, l’occhio le cadde sulla sua maglietta bagnata e soprattutto su ciò che si intravedeva sotto di essa. D’improvviso, non se la sentì più di lasciarlo all’addiaccio e si convinse a farlo entrare. In fondo, se avesse avuto cattive intenzioni non sarebbero stati ancora lì a discuterne. “Va bene, entra.” 

“Grazie.” 

Mentre chiudeva la porta, lui la precedette in salotto, gocciolando dappertutto. Sua madre l'avrebbe uccisa, come se trovare la figlia con uno sconosciuto dentro casa di notte non fosse abbastanza. 

“Forse è meglio se ti prendo qualcosa per asciugarti.” gli propose. 

Prese un asciugamano grande dalla lavanderia e tornò in salotto, dove si aspettava di trovare Dean, ma non certo di trovarlo mezzo nudo. Si era già sfilato la giacca e adesso si stava togliendo la maglietta zuppa, incurante della sua presenza. 

Impietrita, lo guardò con gli occhi sgranati. Se prima sotto la maglia aveva solo intravisto il suo torace, ora se l'era ritrovato davanti, in bella vista. Non che lo spettacolo fosse male, anzi, ma ben presto si rese conto di sembrare una maniaca repressa e distolse lo sguardo. 

“Che stai facendo?” chiese incredula e al contempo imbarazzata.

“Mi tolgo i vestiti bagnati.” rispose lui, sottolineando l’ovvio.

Claire sospirò. “Sì, so cosa stai facendo. Il punto è perché.” Chi gli dava il diritto di spogliarsi nel suo salotto e pretendere che la cosa non la sconvolgesse? Certo, non era la prima volta che vedeva un uomo a petto nudo, ma nel suo caso non si conoscevano nemmeno. 

“Come pretendi che mi asciughi altrimenti?”

Lei dovette riconoscere che aveva ragione. “Tieni.” Gli passò l’asciugamano senza guardarlo in faccia. “Quelle puoi darle a me.” gli disse poi, indicando la maglia e la giacca. Una volta infilate entrambe nell’asciugatrice, prese una maglietta di suo padre e gliela portò perché potesse cambiarsi.

“Non ce n'era bisogno.” commentò lui quando la vide.

“Oh, sì invece. Fidati.” ribatté con sicurezza, appoggiandosi contro un bracciolo del divano. 

Lo osservò mentre si sfregava i capelli con l’asciugamano e si infilava la maglietta. Gli stava un po’ larga, ma non si lamentò. Dopodiché, si sedette sulla poltrona di fronte e per un momento nella stanza calò un silenzio d’attesa, in cui Claire si chiese se mai sarebbe arrivato al punto.

“Vorrei che ci fossero anche gli altri.” Si decise infine. “Ti dispiace chiamarli e dir loro di venire?”

 Lei si era aspettata una richiesta del genere, ma non per questo la trovò meno assurda. “Lo immaginavo, ma non puoi presentarti qui alle dieci di sera e pretendere che stiamo tutti ai tuoi comodi.”

Dean sospirò. “Te l’ho già detto, non potevo rimandare a domani. E comunque ho quasi rischiato una padellata in testa, quindi direi che me lo devi.”

Claire lo guardò sconcertata e fece per ribattere. Non gli doveva proprio un bel niente! Anzi, se mai era il contrario, visto che l’aveva spaventata a morte. Ma qualcosa le diceva che discutere con lui era una causa persa in partenza, così si arrese ed estrasse il cellulare dalla tasca. “Non ti prometto niente.” disse, mentre cercava il primo numero nella rubrica.

Come previsto, Rachel le rispose che era matta a pretendere che venisse da lei a quell’ora e con quel tempo, ma quando le spiegò quello che era successo e chi aveva davanti in quel momento la sua opinione cambiò nel giro di un secondo. 

“Visto? L'avevo detto io che questa storia non sarebbe finita!” le strillò nell'orecchio così forte che Claire dovette allontanare il telefono per non diventare sorda. “Mi invento una scusa con papà e arrivo. Tu intanto chiama Juls.”

Anche con Juliet si ripeté la stessa scena. Al solo sentire il nome Dean, all'improvviso il dover uscire da casa così tardi non rappresentava più un problema. 

Infine, Claire scorrette i numeri sulla rubrica per trovare quello di Cedric. Avrebbe preferito non doverlo chiamare lei, visto che sicuramente avrebbe interpretato nel modo sbagliato quell'iniziativa, ma ormai aveva premuto il tasto verde. 

Le rispose con il solito tono allegro, ma stavolta anche un po' sorpreso. Gli spiegò velocemente la situazione e alla fine le assicurò che ci avrebbe pensato lui ad avvertire Mark e che sarebbero venuti il prima possibile. 

Non passò molto che il campanello suonò e, quando Claire aprì, Juliet le rivolse un saluto frettoloso, già troppo impegnata a perlustrare l’interno con lo sguardo in cerca di Dean. Quando entrò in salotto e i loro occhi si incontrarono, lui si alzò in segno di rispetto. Un gesto davvero all’antica, che al giorno d’oggi nessuna donna si sarebbe aspettata di vedere e che la colse alla sprovvista. Avvertì una strana sensazione alla bocca dello stomaco e per un attimo fu come se in quella stanza ci fossero solo loro due. 

“Buonasera.” la salutò cortese, riportandola alla realtà.

Lei rispose solo con un sorriso accennato, visto che per qualche strano motivo non riusciva ad aprire bocca. “Come va il braccio?” Fu la prima cosa che le venne in mente, tanto per dire qualcosa e non sembrare una stupida. E poi le sembrava educato chiederlo.

Dall'espressione che fece sembrò come sorpreso della domanda o addirittura che non sapesse a cosa si stesse riferendo. “Meglio, grazie.” rispose poi.

In qualche modo, Juliet avrebbe voluto dimostrargli di essere contenta, invece riuscì solo ad annuire. 

“Bene. Volete qualcosa da bere?” chiese Claire, interrompendo l'impasse

Dean spostò la sua attenzione su di lei. “No, sto bene così.” disse in tono cordiale ma distaccato, tornando poi a sedersi. 

“Io sì.” approvò Juliet. “Andiamo, ti aiuto.” 

Insieme all’amica si diressero in cucina, lasciandolo in salotto. Non per essere scortesi, ma non se la sentiva di rimanere sola con lui. Quel suo modo di fare continuava a metterla a disagio, soprattutto dopo giorni che non lo vedeva.

La scodella con i popcorn era rimasta dove l'aveva lasciata, così Claire la svuotò e la mise dentro al lavello insieme alle altre stoviglie; poi aprì il frigo per prendere una soda. 

“Ma che ci fa qui a quest'ora?” le sussurrò Juliet, mentre gliela porgeva.

“Non ne ho idea. Non ha voluto dirmi niente.” rispose lei, stappando una bottiglia anche per sé; poi si sporse oltre la spalla dell'amica per dare un'occhiata in salotto. Dean non sembrava interessarsi a loro, così le raccontò com’era andata. “Tra l’altro era zuppo dalla testa ai piedi quando è arrivato. Non avrei voluto farlo entrare, ma mi sembrava brutto lasciarlo lì fuori.”

 Juliet annuì. “Hai fatto bene.” 

“Gli stavo portando un asciugamano e a un certo punto me lo sono ritrovato davanti mezzo nudo…”

A Juliet andò quasi di traverso la soda. “Come mezzo nudo?” 

“Sì, si stava tranquillamente spogliando nel mio salotto. Per fortuna ho trovato una maglietta da prestargli.”

Non riuscendo a trattenere una risatina imbarazzata, Juliet rivolse lentamente l'attenzione di nuovo sulla sua bottiglia e per un po' rimasero entrambe a bere in silenzio. Continuava a immaginarsi la scena di Claire che entrava in salotto e vedeva Dean mezzo svestito, e alla fine non fu più in grado di trattenersi. “E com'era?” esordì d’istinto.

Per fortuna il campanello suonò proprio in quel momento e Claire si mosse per andare ad aprire, lanciandole in risposta un'occhiata eloquente.

Rachel comparve sull'uscio quasi del tutto fradicia. Diede una sgrullata all'ombrello e agli abiti, rimanendo sulla porta per non bagnare il pavimento. “Mi chiedo cosa ci sia di tanto importante da dire a quest'ora.” borbottò nervosa. “Spero per lui che lo sia davvero.”

“Ciao, Ray.” la salutò Claire, invitandola ad entrare.

Lei le diede un bacio veloce sulla guancia, prima di lasciare l’ombrello nel vaso accanto alla porta e fiondarsi in salotto.

Non appena la vide, Dean fece per alzarsi, ma Rachel si appollaiò subito sul bracciolo del divano e non ci fece caso, così lui tornò a sedersi lentamente. Rimase inespressivo a guardarla, mentre lo riempiva di domande e supposizioni sul motivo della sua presenza, convinta che dipendesse da quanto era successo nei sotterranei del castello. Sempre più agitata, continuava a parlare senza dargli la possibilità di rispondere, finché finalmente non riprese fiato in attesa che le dicesse qualcosa. Non badò nemmeno a Claire e Juliet che erano entrate e la guardavano con aria perplessa. 

“Come ho già detto a Claire, preferirei che ci fossimo tutti prima di chiarire il motivo della mia visita.” tagliò corto, prendendola in contropiede. 

Rachel allora si irrigidì, ma non insistette oltre. Si rese conto che non sarebbe riuscita a estorcergli nulla e si rassegnò ad aspettare l’arrivo di Mark e Cedric. 

Per fortuna l’attesa non durò a lungo, perché il campanello suonò ancora e i ragazzi comparvero di lì a poco, anche loro mezzi fradici e un po’ trafelati. 

“Cavolo, che tempo!” esordì Cedric, mentre entrava con Mark in salotto.

Il saluto che si scambiarono con Dean fu cordiale, ma di certo nessuno impazziva di gioia nel vedere l'altro. Claire li invitò a sedersi, mentre andava a prendere delle sode anche per loro. Quando però furono tutti insieme, pronti a ricevere finalmente le dovute spiegazioni, il telefono di casa squillò, stroncando il discorso di Dean sul nascere.

Claire allora schizzò in avanti. “Scusate!” esclamò, correndo a prendere il cordless. “Pronto?”

Un forte chiacchiericcio misto a un gracchiare di sottofondo precedette la voce acuta di sua madre. “Claire?”

“Mamma?”

“Sì… Accidenti, ti sento malissimo! Volevo avvertirti che faremo un po’ tardi! Ci siamo fermati in un autogrill sull'autostrada, è troppo pericoloso guidare con questo tempo!” gridò Kate dall'altra parte. “Non so a che ora riusciremo ad essere a casa!”

“Va bene!” urlò Claire di rimando; poi pensò che forse era il caso di dirle degli ospiti. “Mamma, ho invitato un paio di amici...”

“Come? Tesoro, non ti sento!” La linea era parecchio disturbata e Kate non sembrò aver capito nulla. “Non andare a letto tardi, okay? Buonanotte.” Detto questo le riattaccò il telefono in faccia.

-Beh, io gliel'ho detto- pensò Claire, facendo spallucce. “Dicevamo?” chiese quando tornò dagli altri.

Juliet la guardò preoccupata. “È successo qualcosa?” 

“No, era solo mia madre. Ha detto che faranno tardi per colpa del temporale.”

Dean si schiarì la voce. “Scusate se vi interrompo, ma vorrei spiegarvi perché sono qui.”

Le due si scambiarono un'occhiata imbarazzata. 

“Hai ragione, scusa.” disse Juliet timida. 

“Sì, non ce la faccio più. Voglio sapere.” Rachel si sistemò meglio sul divano, concentrandosi al massimo su di lui.

L'espressione di Dean era quella di chi ha qualcosa di grave da confessare, ma non sa come farlo. “Non voglio girarci troppo intorno, vi dirò la verità.” Esitò un istante, per poi riprendere. “Hanno scoperto che eravate là quella sera. Sanno che avete assistito alla cerimonia e poi siete scappati…”

 “Aspetta, aspetta.” lo interruppe Rachel spaesata. “Hanno scoperto chi? Di chi stai parlando?”

Lui allora si rese conto di essere stato precipitoso e provvide a spiegarsi meglio. “A questo punto avrete capito che l’organizzatore del ballo è a capo di una setta. Quando parlo di loro, mi riferisco a lui e ai suoi seguaci.”

“Lo sapevo!” proruppe Rachel trionfante, per poi voltarsi rapida verso Juliet e lanciarle un’occhiata accusatrice. “Lo sapevo che era una pessima idea andare a quel ballo. Me lo sentivo che c’era qualcosa di strano. Tutto perché hai voluto provare un'esperienza diversa, invece di accontentarti come tutti gli altri!” la aggredì.

Juliet non era abituata a discutere con lei e quelle accuse la colsero alla sprovvista. “Come fai a dire che lo sapevi? Nessuno avrebbe mai potuto sospettare una cosa del genere.” ribatté risentita.

“Dai, è vero.” la difese Cedric. “Chi avrebbe mai potuto immaginarlo.”

Rachel gli puntò il dito contro minacciosa. “Tu sei l’ultimo che dovrebbe parlare! Se non l’avessi incoraggiata…”

“Okay, calmiamoci un attimo tutti quanti!” intervenne Mark, che cercava ancora di capirci qualcosa. “Dici che sanno che eravamo lì, ma come fai ad esserne sicuro?” chiese a Dean.

“Perché prima di andarmene li ho sentiti. Non ho idea di come l’abbiano scoperto. Fatto sta che non avreste dovuto vedere ciò che avete visto.”

“Ma è questo il punto!” ribatté lui frustrato. “Noi non abbiamo visto niente, a parte un gruppo di gente drogata e un tizio incappucciato che straparlava da dietro un altare. Ce ne siamo andati prima di poter assistere a omicidi o qualunque altra cosa facessero in quel sotterraneo.”

Dean allora incrociò le braccia, assumendo un’aria pensierosa. “Beh, a quanto pare è bastato ad attirare l’attenzione su di voi. Quello che so è che tutti gli invitati avrebbero dovuto radunarsi di sotto, ma qualcuno mancava all’appello e la setta non può rischiare che ci siano testimoni scomodi in giro.”

“Quindi sei qui per questo?” lo incalzò Cedric in tono inquisitorio. “Sei venuto per riportarci al castello in catene?”

Dean scosse la testa. “No, ho chiuso con loro. Ci stavo pensando da tempo e alla fine mi sono deciso. Sono venuto per avvertirvi che vi stanno cercando. Per fortuna, vi ho trovato prima di loro…”

Claire, però, lo interruppe allarmata. “Che vuol dire per fortuna?” Ora cominciava davvero a spaventarsi. 

“Pensi che vogliano farci qualcosa?” Nonostante fosse preoccupata per quello che sarebbe potuto succedere, Juliet era già convinta della sua buona fede e, a differenza degli altri, non lo aggredì. Voleva provare a fidarsi di lui.

Dean annuì. “Non solo lo penso, ne sono sicuro. Per dirlo in modo gentile, vogliono riportarvi al castello in catene…” disse, ripetendo la battuta di Cedric senza la stessa vena di sarcasmo. “E una volta lì, uccidervi.”

A tutti i presenti si gelò il sangue nelle vene e, inorriditi dalla scioccante rivelazione, gli lanciarono occhiate incredule. Nessuno si sarebbe mai aspettato che quella storia si evolvesse in un disastro del genere. Solo Mark però ebbe il coraggio di replicare: “Vorrai scherzare. Tutto questo non ha senso...” 

“Ve l’avevo detto che erano dei pazzi!” esclamò Rachel sconvolta, alzandosi in piedi di scatto. “Dobbiamo andare dalla polizia immediatamente!”

“Non servirà a niente.” la contraddisse Dean, l’unico in quella stanza che sembrava riuscire a mantenere la calma. “Hanno chi li protegge. Servirebbe solo a farvi trovare più in fretta.”

“Sì, ma in che modo?” obiettò Mark. “Come fanno a sapere chi siamo e dove abitiamo? È assurdo…”

Fu allora che Rachel ebbe l’illuminazione. “Il tuo nome era su quella dannata lista, Claire!” realizzò nel panico. 

Lei, però, cercò subito di farla ragionare. “Adesso calmati, è passato un po’ di tempo dal ballo. Non pensi che a quest’ora mi sarebbero già piombati in casa?”

“La città è piccola, quanto vuoi che ci mettano a capire dove abiti? Guarda lui.” Esasperata, Rachel indicò Dean, che la squadrò immobile dalla poltrona. “Gli è bastato qualche giorno. Senza contare che le cheerleader ci hanno viste, sanno che eravamo al ballo.”

“Già, però quando le abbiamo incrociate al bar non hanno detto niente. Magari si sono dimenticate o forse non vogliono denunciarci.” ipotizzò Juliet fiduciosa. 

Per quanto anche lei avrebbe preferito sostenere quella versione, Rachel stentò a crederci. Era ridicolo illudersi che quelle tre oche non ne avrebbero approfittato per metterle nei guai. Probabilmente stavano solo aspettando il momento buono per colpire.

“In ogni caso, meglio non rischiare.” concluse Dean, intromettendosi tra loro. 

“Quindi cosa suggerisci?” gli chiese Mark pratico. 

“Fossi in voi non mi farei vedere in città per un po’.” consigliò lui. “D’altra parte, so che non si tratterranno a lungo. Tra non molto andranno via in cerca di nuovi proseliti. Motivo per cui sono venuto qui.”

Cedric alzò un sopracciglio perplesso. “Scusa, ma non afferro.”

“Partite con me.” propose allora risoluto.

“Partire per dove?” chiese Claire, interpretando il pensiero comune.

“Conosco un posto nei boschi molto isolato, sconosciuto ai più, dove sono sicuro non ci troveranno mai. Si tratterebbe soltanto di qualche settimana, il tempo che le acque si calmino e poi ognuno potrà andare per la propria strada.”

Un silenzio generale calò nella stanza, segno che tutti stavano riflettendo su ciò che aveva detto. Ogni tanto si scambiavano qualche occhiata indagatrice, per capire cosa pensasse l’altro. 

A un certo punto, Claire fece un ultimo tentativo di ridimensionare la gravità della situazione. “Senti, non è che magari hai capito male? Non abbiamo fatto niente di male, perché dovrebbero volerci uccidere?” 

“Per quello che avete visto.” rispose Dean secco. “Le pratiche a cui avete assistito sono molto segrete e a loro non farebbe piacere se venissero rivelate.” Si affrettò a spiegare, vedendoli titubanti. “Sentite, io sono un fuggitivo tanto quanto voi e stanno cercando anche me. In più conosco il loro capo. Non è un tipo amichevole, perciò vi conviene lasciare la città e aspettare che se ne vadano.”

“D'accordo, supponiamo che sia come dici.” disse a quel punto Mark. “Dov’è che si troverebbe questo posto?”

Dean parve riflettere un istante, prima di rispondere. “È una baita in montagna, a qualche chilometro da Wisdom. Dovremmo arrivarci a piedi però, in auto è impossibile.”

“Praticamente ci stai proponendo di fare un campeggio.”

“Sì, mettiamola così.”

“Perché lo stai facendo?” gli chiese allora. “Avresti potuto benissimo disinteressarti della cosa.”

Tuttavia, la domanda non sembrò mettere Dean in difficoltà. “Non mi sembrava giusto. In fondo, mi avete aiutato quando ero ferito e volevo ricambiare.”

Quella risposta sembrò bastare a tutti, ma c'erano altre questioni di cui discutere. Per esempio, parlarne con i genitori, programmare il viaggio, preparare l’occorrente…

Cedric poi doveva lavorare al locale e non era sicuro che suo padre avrebbe acconsentito a lasciarlo partire. Insomma, era assurdo pensare di andarsene così, su due piedi, senza nemmeno prendersi del tempo per organizzarsi. D’altra parte, però, tutto questo diventava superfluo considerando che una setta di psicopatici li stava cercando per ucciderli. 

Nel frattempo, il temporale era passato, ma presi com'erano da tutte quelle novità non se ne accorsero nemmeno. Solo quando Juliet guardò l'orologio sul suo cellulare, si resero conto che era molto tardi. 

“Oddio, è già mezzanotte! Ho detto a mio padre che sarei rientrata presto.” scattò, alzandosi in piedi. “Scusate, ma adesso devo tornare a casa. Vi faccio sapere prima possibile.” Fece per andare, ma nello stesso momento la porta d'ingresso si aprì e i genitori e la sorella di Claire entrarono in casa. 

Sia loro che i ragazzi rimasero in silenzio a fissarsi per un po', prima che Kate mormorasse: “Ciao...”

“Non sapevo che fossero previsti ospiti, stasera.” commentò il padre di Claire, squadrando i ragazzi uno ad uno. Riconosciuti Mark e Cedric, che aveva visto alla festa di Rachel, li salutò con un breve cenno della testa e loro contraccambiarono. Su Dean, invece, si soffermò più a lungo, guardandolo con aria vagamente sospettosa. “Quella non è la mia maglietta?”

Claire, però, glissò con un sorrisetto di scuse. “L'ho accennato a mamma per telefono che avevo invitato degli amici, ma non si sentiva bene...”

“Infatti non ho sentito.” commentò Kate, arricciando le labbra. “Meg vai a lavarti i denti e poi fila a letto, che è tardi.” ordinò alla bambina, che sbuffò ma poi obbedì.

Davis diede un'altra occhiata ai presenti, prima di rivolgersi alla figlia. “Che succede? Perché questa riunione di mezzanotte?” 

Claire non si aspettava di dover affrontare i suoi così presto e ci mise qualche secondo a raccogliere le idee. “Niente, stavamo parlando. Pensavamo di organizzare una vacanza… Magari un campeggio.” spiegò vaga. 

Il padre alzò un sopracciglio, squadrando i tre ragazzi dalla testa ai piedi. “Non credo che sia una buona idea.”

“Perché?” chiese Claire risentita. “Tanto noi tre saremmo comunque partite insieme quest'anno, lo sapevi.” 

“Questo è un altro discorso. E comunque non mi sembra si fosse mai parlato di campeggio…”

“Con tutto il rispetto signore, ma è giusto che alla nostra età si facciano certe esperienze. Non c'è niente di male.” si intromise Cedric.

Davis si irrigidì. “Personalmente ritengo di sapere quello che è giusto per mia figlia, senza che qualcun altro me lo suggerisca.” 

A quel punto Kate intervenne a calmare gli animi. “Okay, non mi sembra il caso di discuterne a quest'ora. Ne riparleremo domani a mente fresca, d’accordo?” 

Davis continuò a scrutare Cedric, come se avesse ancora un conto in sospeso con lui. “Sì, forse è meglio.” capitolò infine. “Andiamocene a letto.”

Prima di seguirlo e imboccare le scale, Kate si rivolse di nuovo a loro. “Buonanotte, ragazzi. Mi raccomando, non fate troppo tardi.”

Rimasti soli, Dean riprese il discorso. “Quindi, cosa avete deciso?”

“Senti, dacci almeno un paio di giorni e poi ti faremo sapere.” disse Mark, cercando approvazione negli altri, che a loro volta annuirono concordi.

Lui parve rifletterci, poi cedette. “Bene, allora ci vediamo tra due giorni nella piazza principale, sotto al monumento ai caduti.” Detto questo, si alzò dal divano, facendo intuire che stava per togliere il disturbo, e anche gli altri lo imitarono. 

“Ah, un momento. I miei vestiti...” 

“Giusto.” rammentò Claire, dirigendosi poi in lavanderia con Dean al seguito. Stavolta lei si premurò di restare fuori mentre si cambiava, per evitare imbarazzi. Poi Dean le restituì la maglietta e tornarono insieme in salotto, dove gli altri si stavano scambiando pareri sottovoce.

Prima di congedarsi e sparire, Dean li guardò tutti un'ultima volta. “Vi prego di prendere sul serio quello che vi ho detto. È pericoloso restare qui... per tutti.” disse serio, prima di aggiungere: “E poi, se fossi in voi, in questi due giorni eviterei di farmi vedere troppo in giro.”

Un po' intimoriti, annuirono e lo guardarono andare via; poco dopo Rachel e Juliet fecero lo stesso e, mentre le guardava allontanarsi, Claire sperò che tra loro fosse tutto a posto e che lo sfogo di Rachel non avesse urtato troppo la sensibilità di Juliet. 

Cedric era già sul portico quando lo fermò. “Aspetta, volevo dirti… Grazie per prima, ma non ce n'era bisogno. Conosco mio padre, a volte sembra più duro di quello che è, ma so come prenderlo.”

Lui sorrise. “Sì, sì lo so che sei una tosta, che sa badare a se stessa e tutto il resto. È solo che ti ho vista in difficoltà e non ho saputo trattenermi, sono fatto così.” scherzò, augurandole la buonanotte prima di seguire Mark lungo il vialetto. 

 

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Capitolo 10
*** La valle dei covoni di fieno ***


Capitolo 12

 

La valle dei covoni di fieno

 

Il tempo era bello la mattina della partenza e l’aria frizzantina di montagna stemperava il calore ancora debole dei primi raggi del sole. 

Richard accostò al marciapiede per far scendere la sorella e le amiche dalla macchina e aiutarle a scaricare gli zaini. Juliet lo aveva convinto ad accompagnarle, visto che era di strada per andare a lavoro.

“Stai attenta e fatti sentire.” si raccomandò sbrigativo, prima di salutarle. Come al solito preferiva farsi vedere freddo e distaccato, quando in realtà era chiaro a tutte che si preoccupasse per la sorella. 

Rachel avrebbe preferito arrivare un po' prima sul luogo dell’appuntamento, ma aveva dovuto aspettare che Juliet e Claire la venissero a prendere. Comunque non erano molto in ritardo, perché Mark e Cedric la rassicurarono dicendo che anche loro erano arrivati da poco. 

Dopo la ricomparsa di Dean, si erano rivisti per discutere ancora della questione del campeggio. Nessuno era del tutto convinto di volerlo fare, ma d’altra parte non sembravano esserci molte alternative. Li aveva davvero spaventati con la storia della setta, quindi alla fine avevano deciso di accettare la sua proposta e partire, prendendola come un’occasione per stare insieme e godersi quelle settimane come fossero una normale vacanza. Due giorni dopo avevano informato Dean, concordando che si sarebbero ritrovati nello stesso posto dopo un altro paio di giorni. Il tempo necessario per organizzarsi. 

Juliet accettò il fagotto contenente tenda e sacco a pelo che Cedric le porgeva. “Alla fine, ce l'hai fatta a convincere tuo padre.” constatò. 

Cedric fece spallucce. “Sì, ma il problema non è stato tanto lui, quanto mia madre. È un tipo abbastanza apprensivo e il fatto che ci siamo decisi all’ultimo momento non le è piaciuto. Senza contare che l’altra sera sono rimasto a dormire fuori senza avvertire...” spiegò, rabbrividendo al solo pensiero.

“Dormire sul mio divano, aggiungerei.” sottolineò Rachel. La sera della festa, infatti, era talmente ubriaco da addormentarsi in salotto e Mark non aveva avuto la forza di tirarlo su e trascinarlo fuori di peso. Così, l’unica soluzione era stata lasciarlo dov’era. La mattina dopo, a malapena ricordava cosa fosse successo e lei aveva dovuto fargli un breve riassunto.

“Comunque, io e i miei fratelli siamo abituati a fare di testa nostra. Quindi alla fine me la sono cavata con poco.” scherzò, mentre passava un altro fagotto a Claire.

Lei lo prese senza ringraziare. Aveva troppo sonno anche solo per aprir bocca. Si chinò per sedersi sul gradino del marciapiede, tuffando il viso nelle mani e isolandosi dal resto del mondo. “Quando arriva Dean?” mugugnò in tono sommesso. 

“È presto, siamo in anticipo.” le rispose Juliet, mentre sistemava le sue cose.

Rimasero a chiacchierare del più e del meno all’ombra della statua e non passò troppo tempo che Dean arrivò, puntuale al secondo, al volante della sua auto d'epoca rosso bordeaux. Lo seguirono con lo sguardo, mentre si accostava al marciapiede e si sporgeva oltre il finestrino abbassato, squadrandoli al di sopra delle lenti scure degli occhiali da sole. “Ma quanta roba vi siete portati?”

Loro ricambiarono le sue occhiate, un po' spiazzati. Era strano vederlo in atteggiamenti così sportivi, lui che sembrava sempre tutto d'un pezzo.

“Lo stretto necessario.” ribatté Rachel per tutta risposta. “Piuttosto, sei sicuro di non essere stato seguito?” La sola idea che proprio in quel momento qualcuno della setta li stesse osservando le faceva accapponare la pelle.  

“Non preoccuparti, sono stato attento.” la rassicurò, con l’aria di chi sembra avere tutto sotto controllo.

Intanto, Cedric si era avvicinato alla macchina con gli occhi che gli brillavano dall'emozione. “Non mi dire...” mormorò stupefatto. “Questa è una Cadillac Eldorado del '79. Sono anni che non viene prodotta. Come hai fatto a trovarla?” Allungò una mano, accarezzandola come per accertarsi che non fosse un miraggio.

Dean, però, non sembrò venire coinvolto dal suo entusiasmo. “È stata un'occasione.” disse semplicemente, mentre iniziava a caricare i bagagli. 

“È l'auto preferita di mio padre. Le ha dedicato perfino il nome del locale.” gli spiegò Cedric trasognante mentre le scattava qualche foto con il cellulare, prendendo poi a trafficare con la tastiera. “Al mio vecchio prenderà un infarto.”

“Mi hai sorpreso, Dean. Sei stato davvero puntuale.” notò Rachel, infilando a forza il suo zaino tra gli altri. “È così che si fa.” 

Claire le lanciò un'occhiataccia, intuendo che si riferisse a lei.

Una volta finito di incastrare tutto, Dean si sedette alla guida, mentre Cedric prendeva posto accanto a lui sul sedile del passeggero. Stava per chiudere la portiera, quando Mark gli comparve vicino. “Forse è il caso che sieda io davanti. Lo sai che soffro il mal d'auto.”

L'amico alzò gli occhi al cielo e uscì di nuovo per lasciargli il posto. “Tu soffri di qualsiasi cosa.” Sbuffò, per poi andare a sedersi dietro. Purtroppo, lo spazio era quello che era e le ragazze dovettero stringersi. 

Lui si accomodò sul sedile con un sospiro rilassato e, stiracchiandosi, stese con nonchalance il braccio sullo schienale alle spalle di Claire, senza che lei ci facesse caso. 

Quando finalmente tutti furono comodi, per così dire, Dean mise in moto e partirono. In breve varcarono il confine e uscirono dalla città, finché l’ambiente circostante non iniziò pian piano a cambiare. Le strade cittadine lasciarono il posto a tratti di arida prateria, intervallati da qualche ranch isolato e alcuni cavalli al pascolo. 

Per un po’ rimasero tranquilli a godersi il paesaggio, finché Cedric non cominciò a diventare insofferente per il caldo. 

“Non è che potresti abbassare il tettuccio?” chiese, sventolandosi con colletto della t-shirt. “Si muore qua dietro.”

Dean non rispose, ma accolse la richiesta e premette uno dei pulsanti sul cruscotto. Il tettuccio prese ad abbassarsi lentamente e l’aria fresca invase l’interno dell’auto. Soddisfatto, Cedric inforcò gli occhiali da sole e si riappoggiò allo schienale, godendosi il vento sferzante sulla faccia. Purtroppo, non rimase fermo e buono a lungo, perché poco dopo si chinò per prendere il piccolo zaino con le cose essenziali che aveva portato con sé. Alla fine, dopo avervi trafficato dentro, trovò quello che stava cercando: un cd con la copertina piena di scritte di vari colori. Si sporse oltre i sedili anteriori per infilarlo nella fessura dello stereo, l’unico elemento moderno all’interno dell’auto. 

“Non vi dispiace, vero?” chiese, quando ormai non c’era più bisogno del loro consenso. 

Mentre una musica prorompente interrompeva all’improvviso la pace che si era creata, lui si sollevò sulle braccia per sedersi sul cofano posteriore. Dopodiché, iniziò a cantare a pieni polmoni una vecchia e famosa canzone rock.

“Che fai? Scendi, è pericoloso.” lo redarguì Rachel allarmata.

“Sì e se ci fermano sono guai.” aggiunse Claire, non ottenendo altro risultato se non quello di farlo scatenare di più.

Alla fine, però, non riuscì a trattenere le risate quando si mise a strimpellare freneticamente una chitarra immaginaria. Mark si voltò a guardarlo, scuotendo la testa rassegnato, ma ben presto sia lui che le ragazze cominciarono ad andargli dietro, facendo un gran chiasso. Anche se non conoscevano bene le parole, si lasciarono guidare da Cedric che, dopo un assolo particolarmente coinvolgente, lanciò un urlo talmente forte da far prendere un colpo a un paio di mucche lì vicino. 

A quel punto Dean, saturo, sfilò il cd dallo stereo e come se niente fosse lo lanciò fuori dall'auto in corsa.

“No!” esclamò Cedric. Ma ormai era troppo tardi. Il cd volò via, senza che potesse fare niente. “Tu non sei normale…” mormorò poi, come se stesse ancora realizzando. “Tu non sei normale per niente! Ci ho messo tre ore per fare quella playlist!”

“Sopravvivrai.” ribatté Dean, che rilassò le spalle ed emise un sospiro sollevato, ritrovando finalmente la serenità perduta.

Quando Cedric tornò a sedersi tra le ragazze, il suo entusiasmo era ormai del tutto spento e Juliet pensò di tirargli su il morale con un complimento. “Hai una bella voce, sai? Segui un corso?”

“No, ma mi piacerebbe.” rispose lui, tutto sommato cortese. “Sono un talento incompreso.” sottolineò in tono più incisivo, con la chiara intenzione di lanciare un messaggio a Dean, che però lo ignorò.

“Dico sul serio, sei bravo.” ribadì Juliet con un sorriso accondiscendente.

“Grazie, splendore.” Cedric ammiccò, visibilmente orgoglioso di tutti quei complimenti. “Almeno c'è qualcuno che mi apprezza.”

Proseguirono il viaggio di nuovo nella noia, di tanto in tanto facendo osservazioni sul panorama. Mark e Rachel riaprirono il discorso college, tanto per parlare di qualcosa, a cui poi si aggiunsero anche Claire e Juliet. Dean non partecipava, troppo impegnato a ''guidare e fare l'asociale'', come aveva sibilato Cedric.

Dopo aver percorso qualche altro chilometro, deviò inaspettatamente dalla strada principale per imboccare l'entrata di una stazione di servizio.

“Perché ci fermiamo?” gli chiese Rachel, sporgendosi verso il sedile del guidatore.

“Devo fare benzina.” Rispose sbrigativo, accostando l’auto a uno dei distributori. 

“Perfetto.” approvò Mark. “Ne approfitto per andare in bagno, allora.”

Anche Rachel e Juliet avvertivano l’urgenza, perciò lo seguirono all'interno del negozio. Cedric e Claire, invece, rimasero con Dean.

“Beh, è inutile restare qui a guardare il Discobolo che fa benzina.” Osservò Cedric, che proprio non riusciva a stare fermo. “Ti va un caffè?”

Claire pensò che fosse una buona idea. Un caffè l’avrebbe aiutata a svegliarsi, così fece spallucce e annuì, seguendolo al bar. 

Intanto, Rachel e Juliet imboccarono lo stretto corridoio che portava al bagno delle donne, stranamente poco affollato. Rachel andò per prima, evitando di toccare troppo in giro, visto che l'ambiente non era il massimo dell'igiene; poi aspettò l'amica, approfittandone per sciacquarsi le mani e darsi una sistemata. Abbassare il tettuccio dell'auto non era stata una gran trovata per i suoi ricci, già indomabili normalmente. 

Quando Juliet uscì, la trovò che cercava ancora di dare una parvenza d'ordine alla sua chioma. “Stupidi capelli.” sbuffò seccata, avvicinando il viso allo specchio.

Lei ridacchiò divertita e, mentre si asciugava le mani, aspettò che l’amica finisse di sistemarsi, nel frattempo riflettendo su quel dubbio che le frullava per la testa da un po'. Non era sicura di voler affrontare l’argomento, ma poi pensò che un suo parere le sarebbe stato d’aiuto. “Che ne pensi di Dean?” le chiese di punto in bianco. 

Presa alla sprovvista, Rachel smise di pettinarsi e la guardò. “In che senso?” Pensava di aver capito, ma preferì approfondire. “Dal punto di vista caratteriale o da quello fisico?”

“Beh, da quello fisico la risposta mi sembra piuttosto scontata.” disse Juliet, senza fare a meno di arrossire lievemente. “Intendo che impressione hai di lui, che idea ti sei fatta...”

Rachel annuì e riprese a specchiarsi. “Sai, non lo so, è ancora presto per dirlo. Certo, ammetterai che ha una personalità piuttosto...” esitò in cerca della parola esatta. “Enigmatica.”

“Già.” concordò lei. “Non sembra uno che ama parlare di sé.” Era stata quella l’impressione che aveva avuto fin dal loro primo incontro e anche nelle volte successive non si era dimostrato molto loquace.

“Comunque, ho il sospetto che ci nasconda qualcosa e ho tutta l’intenzione di scoprire di che si tratta.” aggiunse Rachel seria. 

“E come pensi di fare?”

“Ancora non lo so. Mi inventerò qualcosa.” Detto questo, si guardò un'ultima volta allo specchio, più o meno soddisfatta, poi entrambe uscirono per tornare dagli altri. 

Fuori ad aspettarle trovarono Mark, che nel frattempo aveva recuperato Claire e Cedric, che trasportava una busta carica di merendine e snack vari. 

“Ho pensato di prendere qualche spuntino per il viaggio.” chiarì, rispondendo alle loro occhiate confuse.

“Qualche?” commentò Claire ironica. “Praticamente hai svaligiato il negozio.”

Tornati alla macchina, trovarono Dean già al volante, pronto a riprendere il viaggio, ma dovette aspettare che Cedric finisse di rovistare nel bagagliaio in cerca di chissà cosa.

“Che avete preso?” si informò Rachel in tono curioso, guardando nella busta delle cibarie sfilata dalle mani del ragazzo. “Muoio di fame.”

“Niente che abbia meno di duecento calorie.” ribatté Claire sarcastica, mentre le si sedeva accanto.

Finalmente Cedric riuscì a estrarre il suo zaino incastrato tra gli altri e la guardò perplesso. “Cos'è, sei a dieta?” 

“Mi tengo in forma. Gioco a calcio, ricordi?”

“Appunto, hai bisogno di energia.” replicò lui distrattamente, per poi esultare. “Trovato!” annunciò soddisfatto, sfoderando quella che sembrava la custodia di un piccolo strumento musicale. 

“Non dirmi che è che quello che penso che sia.” disse Mark, assumendo un’aria preoccupata.

“E invece sì.” confermò l’amico in tono diabolico, sventolando allegro il suo ukulele e sistemandosi di nuovo sul cofano. “Visto che i miei cd non sono apprezzati, vorrà dire che improvviserò.”

 

-o-

 

Quando arrivarono era già pomeriggio inoltrato e Wisdom era in fermento. Proprio in quei giorni, infatti, si teneva la fiera annuale della raccolta del fieno e per l'occasione la città era addobbata a festa. C’erano chioschi e bancarelle per le strade e i locali rimanevano aperti fino all'alba. La fiera rappresentava un'occasione importante per attirare turisti e far conoscere i prodotti di artigiani e agricoltori locali. In più era l'unico evento mondano nell'arco di chilometri. Per tutto il viaggio non avevano visto altro che immense distese semi desertiche, intervallate da qualche campo coltivato e sempre incorniciate da una catena infinita di montagne all'orizzonte. Wisdom era il primo centro abitato dopo ore.

Le strade brulicavano di gente e dovevano procedere a passo d'uomo per non rischiare di investire qualcuno ogni due metri. Dean sbuffò, borbottando qualcosa e lasciando intuire di non sapere della fiera, mentre gli altri si guardavano intorno rapiti. Non vedevano l’ora di scendere per godersi i festeggiamenti, oltre che per sgranchirsi le gambe dopo ore di viaggio. A parte la sosta alla stazione di servizio, infatti, Dean aveva proceduto spedito e adesso avevano tutti il fondoschiena dolorante e una gran voglia di mangiare qualcosa di diverso da una merendina.

Le ragazze avrebbero voluto subito andare per bancarelle, ma convennero con gli altri che prima era il caso di trovare un albergo dove passare la notte. Impresa tutt'altro che semplice vista la quantità di turisti arrivati per la fiera. Infatti, non c’era albergo, pensione o B&B che non fosse al completo. 

Girarono a vuoto per un po', finché Juliet non richiamò l'attenzione di tutti. “Là c’è ancora posto!” esclamò sollevata, indicando l’insegna lampeggiante con su scritto vacancy di una locanda dall'aspetto rustico. Colsero la palla al balzo e cercarono subito parcheggio, prima di perdere anche quell’unica possibilità. 

Sopra l'entrata lessero Il Toro Marchiato, nome decisamente appropriato dal momento che tutto all'interno era a tema country. I rivestimenti in legno e la testa di toro impagliata appesa alla parete lo facevano assomigliare più a una baita di caccia che a un albergo. A destra della hall si apriva una piccola sala ritrovo, con un grande camino in pietra e poltrone di pelle scolorita, il tutto sovrastato da un lampadario massiccio dall'aspetto antico. 

Al bancone non c'era nessuno, così Dean suonò il campanello e rimasero in attesa, studiando incuriositi le fotografie di cavalli, profili di città al tramonto e rodei appese alla parete retrostante.

Non ci volle molto prima che un vecchietto vestito da mandriano, quasi completamente calvo a parte due ciuffi bianchi ai lati delle orecchie, venisse loro incontro con un largo sorriso stampato in faccia. 

“Salve, ragazzi! Ditemi pure.” li accolse allegro, appoggiandosi al bancone. 

“Vorremmo tre stanze per stanotte.” disse Dean, arrivando subito al sodo.

Il vecchietto scosse la testa, ma non smise di sorridere. “Mi dispiace, ma ho solo una doppia e una tripla disponibili al momento.” 

Dean non sembrò apprezzare molto la notizia e la cosa non sfuggì a Rachel. Forse avrebbe preferito prendere una stanza singola per sé, ma avrebbe dovuto adattarsi per una notte. “Non c’è problema.” intervenne allora, dando voce a quella che appariva come la soluzione più logica. “Voi ragazzi vi dividete la tripla e noi tre prenderemo la doppia. Tanto siamo abituate a dormire insieme.”

Tutti d’accordo, presero le chiavi delle stanze e ne approfittarono per salire a darsi una rinfrescata e chiamare a casa, prima di uscire a cercare un posto dove cenare.

“Ho davvero bisogno di una doccia.” disse Rachel, una volta entrata in camera. Non era grandissima, ma accettabile. L’arredamento consisteva in un unico letto matrimoniale al centro e un solo armadio. Sui comodini c'erano due lampade, la cui verniciatura dorata stava venendo via a scaglie.

Claire abbandonò lo zaino per terra e si sdraiò distrutta. “E come farai quando inizierà il campeggio vero e proprio?”

“Per il momento preferisco non pensarci.” rispose Rachel inorridita dall’idea, prima di chiudersi in bagno.

Dopo essersi sistemate, tornarono nella hall, dove i ragazzi le stavano già aspettando. Insieme poi scesero giù in città, ma a quel punto iniziavano a sentire fame, quindi decisero di rimandare il giro a dopo cena. 

Il tempo di un panino al primo fast food disponibile e finalmente si addentrarono per le strade in festa. Al centro della piazza principale era stato allestito un grande gazebo su cui la gente ballava al ritmo della quadriglia e in lontananza intravidero anche le attrazioni di un luna-park, con tanto di ruota panoramica. Le insegne dei locali erano tutte accese e i tavolini all'aperto pieni zeppi di persone che bevevano e si divertivano.

Mentre passeggiavano, Cedric indicò a Mark uno di quei giochi in cui bisognava colpire una molla col martello per farla arrivare al gong. “Ho sempre sognato di farlo. Andiamo!” Diede una pacca sulla spalla all'amico e si precipitò in quella direzione.

Dopo aver ricevuto il suo dollaro, il gestore gli consegnò il martello con un sorriso e Cedric si concesse qualche istante di concentrazione. Lo impugnò saldamente con due mani, poi sferrò un colpo con tutta la sua forza, ma non abbastanza da raggiungere il gong posto alla sommità e vincere il premio. Imprecò. “Non sembra così difficile nei film.”

“Tutto qui? Puoi fare di meglio.” lo provocò Mark con un ghigno.

“Perché non provi tu?” lo sfidò lui, porgendogli il martello.

“Birra?”

“Birra.”

Raccolte le forze, Mark colpì la molla, fallendo miseramente nel suo intento.

Cedric rise di lui, prima di rivolgersi a Dean. “Manchi solo tu. Se vinci ti offriamo una birra a testa.”

Lui parve riluttante all’idea. “No, grazie.”

“Dai! Lasciati andare per una volta.” insistette Cedric, alzando gli occhi al cielo con aria annoiata.

Alla fine, Dean si lasciò convincere e tese il braccio per farsi passare il martello; poi si avvicinò alla pedana, rilassò le spalle e con un colpo secco fece schizzare la sfera rossa fino al gong, che risuonò vibrante.

Cedric strabuzzò gli occhi, fissando prima il gong e poi Dean, che intanto riceveva dal gestore un portachiavi a forma di spaventapasseri. Dopo un attimo di esitazione, lo passò a Rachel, che lo accettò un po’ spaesata.

“Allora? Queste birre?” chiese poi ai due ragazzi, senza nascondere una certa spavalderia.

Pagata la penitenza, ripresero il giro, arrivando allo spazio riservato agli stand dei prodotti locali, dove Cedric si comprò un caratteristico cappello da cowboy che indossò subito.

 “Che c'è?” chiese quando Mark lo fissò con aria perplessa. “Mi sto calando nell'atmosfera.”

Superata l’ultima bancarella, che vendeva candele e saponi biologici, si ritrovarono al gazebo, illuminato a festa e addobbato con ghirlande di fiori e spighe di grano. Sopra il palchetto, uomini e donne ballavano e saltavano, seguendo la musica con entusiasmo. Erano tutti vestiti a tema country, con i cappelli, le camicie a quadri e le gonne a fiori.

“Andiamo a vedere!” esclamò Juliet, trascinando le amiche da quella parte. Non ci mise molto a convincerle a unirsi alle danze, mentre gli altri le guardavano scatenarsi divertiti. 

Da sopra il palco Juliet fece un cenno a Cedric, che all'inizio la guardò titubante, poi fece spallucce e salì anche lui, portandosi dietro Mark. 

I ballerini formarono un cerchio, in cui ognuno doveva tenere sottobraccio la persona accanto e girare in sincrono. Dopo un po’ il cerchio si ruppe e si formarono delle coppie, che giravano sempre tenendosi sottobraccio, per poi scambiarsi l’una con l’altra. Così si persero di vista, finendo ognuno a ballare con altre persone, fin quando le ragazze non riuscirono a uscire dal vortice delle danze per riprendere fiato. Mark e Cedric fecero per seguirle, ma furono agguantati e ributtati in pista. 

Presero a battere le mani a ritmo, sentendosi male dalle risate quando Cedric finì sottobraccio a una donna formosa dalla svolazzante gonna a fiori.

In tutto ciò Dean era sparito e Rachel fu l'unica ad accorgersene. Lo cercò nei paraggi, ma non era sul palco con loro, così guardò oltre il recinto del gazebo e alla fine lo individuò non lontano, davanti a una bancarella che vendeva oggetti usati. Passeggiava avanti e indietro, senza mostrare grande interesse per la merce esposta, come se stesse ingannando il tempo in attesa che tornassero. L'istinto le disse che quella era un'ottima occasione per saperne di più e indagare su di lui, così si allontanò senza dire niente alle altre.

Con nonchalance si avvicinò a lui, che continuava a osservare un vecchio orologio da taschino. 

“Oggetto interessante.” commentò, sbucandogli alle spalle.

Si voltò a guardarla, un po' preso alla sprovvista dalla sua apparizione.

“Hai deciso di comprarlo?” gli chiese, pensando che quello fosse un buon argomento per rompere il ghiaccio.

Dean scosse la testa, rimettendo l'orologio al suo posto. “No, ma ne avevo uno simile una volta.” 

“Cimelio di famiglia?”

“Qualcosa del genere.”

Rachel annuì con aria interessata e per un po' rimasero in silenzio a guardare gli oggetti. 

“Ci chiedevamo dove fossi.” mentì poi. “Come mai non ti sei unito a noi?”

“Non amo certe cose.” rispose lui asciutto. 

Era sempre così serio e sembrava come se fosse troppo superiore per lasciarsi coinvolgere in simili sciocchezze. Era vero che una banda di squilibrati li stava cercando per ucciderli, ma dubitava che sarebbero comparsi nel bel mezzo della festa e magari avrebbe anche potuto approfittare di quell’attimo di divertimento. Sebbene fosse la prima ad essere in ansia, si sforzava di prendere la cosa con filosofia. “Se vuoi vado a chiamare gli altri, così continuiamo il giro insieme.” propose, sperando in realtà che le dicesse di non farlo. Voleva cogliere l’occasione per chiedergli dettagli in più su quello che era successo la sera del ballo. Mark e Claire potevano anche mettere la testa sotto la sabbia e fingere di non esserci mai stati, ma lei era sicura di quello che aveva sentito. Una persona aveva urlato e le era stato fatto qualcosa, quindi avrebbe scoperto cosa. Era più forte di lei. Non era abituata a demordere. 

“No, non importa.” disse Dean, mantenendo un tono distaccato.

Rachel non riusciva a capire se lo facesse perché lo stava annoiando con le sue domande o semplicemente per timidezza. Comunque non si lasciò scoraggiare e tornò alla carica. “Volevo approfittarne per ringraziarti…” Esitò, mentre lui le rivolgeva un’occhiata perplessa. “Intendo per averci avvertiti. Non eri obbligato a farlo. Certo, avresti anche potuto evitare di spaventare a morte Claire…”

“Non credo ci sia bisogno di preoccuparsi per Claire.” la interruppe, con un ghigno. “Mi è sembrata più che in grado di difendersi da sola.”

Lo disse in un modo che Rachel trovò piuttosto compito per l'età che dimostrava, ma cogliendo l'allusione, gli sorrise divertita. Claire, infatti, le aveva raccontato dell'accoglienza che gli aveva riservato quella sera, quando era stata sul punto di tramortirlo con una padella.

“Comunque…” riprese. “Trovo che lasciare la setta sia stato un gesto molto coraggioso da parte tua.”

Dean evitò di rispondere, ma si irrigidì di fronte a quell’osservazione e lei se ne accorse. 

Quindi è un tasto dolente- pensò. Doveva battere il ferro finché era caldo. “Essere costretti ad assistere a quel genere di rituali… Immagino non sia stato per niente facile.”

“No, infatti.” si limitò a confermare telegrafico.

“E succedeva spesso?” insistette, fingendosi interessata a uno specchietto lì in vendita. 

A quel punto, Dean puntò il suo sguardo di ghiaccio su di lei, che però lo sostenne, determinata a proseguire il suo interrogatorio. 

“Cos’è successo davvero quella notte?” gli chiese a bruciapelo, senza scendere nei dettagli. Era sicura che sapesse già a cosa si stava riferendo.

Stavolta la sua intraprendenza lo spiazzò e non riuscì a nasconderlo, ma con scaltrezza cercò comunque un modo per togliersi dall’impaccio. Recuperata in fretta la lucidità, finse di buttare l’occhio oltre lei, in direzione del gazebo. “Dovremmo tornare dagli altri. Si chiederanno dove siamo finiti.” glissò, anche se evidentemente non gliene importava nulla e Rachel fu in grado di intuirlo in un attimo.

Stanca di essere presa in giro, mise da parte ogni premura e passò a maniere meno garbate. “Ti ho fatto una domanda. Credo di avere il diritto di sapere.”

Dean, però, distolse lo sguardo e fece per superarla. “Non sono affari che ti riguardano.” 

“Mi riguardano, eccome!” gli gridò dietro infervorata. “Ti ricordo che vogliono uccider…”

Non ebbe il tempo di finire la frase, che prontamente lui le afferrò un polso, tirandola verso di sé in modo che potesse sentirlo solo a breve distanza. “Abbassa la voce. Stai dando spettacolo.” sibilò minaccioso. 

Quel tono e quello sguardo ebbero il potere di raggelarla e per la prima volta sentì davvero di temerlo. Tentò di liberarsi, ma la sua presa era talmente salda che non riuscì a spostarsi di un millimetro. “Lasciami o mi metto a urlare.” gli intimò allora, forte anche degli sguardi indagatori che le persone intorno, compreso il proprietario dello stand, avevano iniziato a posare su di loro. 

Questo bastò a convincerlo a mollarla e subito dopo cercò di assumere di nuovo un’aria indifferente, finché non fu sicuro che l’attenzione generale fosse diretta altrove. 

Mentre si massaggiava il polso dolorante, Rachel evitò di guardarlo, ancora scossa. Forse si era spinta troppo in là, sottovalutando chi aveva di fronte. In fondo, non lo conosceva bene. Anzi, non lo conosceva affatto. “Sarà meglio che torni al gazebo.” lo informò in un fil di voce, consapevole che la conversazione si fosse conclusa. 

Girò i tacchi e fece per andarsene, ma con la solita rapidità Dean la trattenne per un braccio, stavolta con molta meno irruenza. “Aspetta…” tentennò incerto. “Perdonami. Mi dispiace di aver reagito in quel modo. È un argomento delicato e faccio ancora fatica a parlarne. Dammi un po’ di tempo.” 

Sembrava sinceramente pentito e Rachel non se la sentì di serbargli rancore. Dopotutto, in quella storia era una vittima quanto loro. Così, senza dire nulla annuì, lasciandogli intendere di aver accettato le sue scuse. 

Nel frattempo, Juliet si era accorta che Rachel non era più accanto a lei e si era allontanata dalla calca per cercarla, individuandola poco dopo fuori dal gazebo in compagnia di Dean. Lui le aveva preso la mano, attirandola a sé, e le era sembrato che fra loro ci fosse una certa intimità, anche se non avrebbe saputo dire esattamente cosa aveva visto. Riflettendoci, l’idea le apparì subito improbabile. In fondo, si stava parlando di Rachel. Sì, il suo obiettivo era farselo amico e magari quell’atteggiamento compiacente faceva parte della tattica, ma addirittura arrivare a… 

“Ehi, dov’eri finita? Mi sono girata e non ti ho visto più.” 

La voce di Claire la spinse a distogliere lo sguardo e quando tornò sulla bancarella Dean e Rachel erano spariti. 

Vedendola pensierosa, l’amica si accigliò. “Che hai?”

“Niente.” rispose allora, accennando un sorriso. “Fa un caldo… Andiamo a bere qualcosa.”

“Aspetta, non dovremmo cercare Ray prima? Che fine ha fatto?” 

“Non so, sarà in giro.” tagliò corto Juliet, prendendola sottobraccio. “Allora, andiamo?”

Claire annuì non troppo convinta e si lasciò trascinare fuori dal gazebo in cerca di un bar. Dopo averne passati un paio, alla fine ne scelsero uno pieno di gente, con la musica a tutto volume, e si sedettero al bancone. Juliet cercò di attirare l’attenzione del barista, che però non si era neanche accorto del loro arrivo, impegnato com’era a servire gli altri clienti. Lei allora sbuffò frustrata, senza smettere di dimenare il braccio, mentre Claire la guardava come se le mancasse qualche rotella. “Si può sapere che ti prende? Tu odi bere.” 

“Non è vero, non lo odio.” tentò di svicolare, sempre occupata a cercare qualcuno che le desse credito. “Ogni tanto un bicchiere ci può stare. E poi siamo a una festa… Mi scusi!” 

“Serve una mano, ragazze?”

Prese com’erano, non avevano nemmeno fatto caso ai due tizi vestiti da mandriani che, dopo averle notate da un tavolo, si erano avvicinati al loro lato del bancone.

“No, grazie. Siamo apposto.” provò a liquidarli Claire con un mezzo sorriso di circostanza. 

“Tranquille, ci pensiamo noi.” insistette quello che dei due sembrava il più intraprendente. Dopodiché, lanciò un’occhiata complice all’amico, che andò a confabulare più avanti con il barista. 

Rimasti soli, senza perdere tempo offrì la mano a Claire per presentarsi. “Comunque, io sono Simon e quello è Matt.” spiegò, indicando l’altro ragazzo. 

Lei la strinse un po' spaesata, mentre Juliet rispondeva al posto suo: “Piacere, Juliet e Claire.” 

Di lì a poco Matt tornò da loro con aria compiaciuta. “Fatto. È in arrivo.” disse sorridente; poi si concentrò sulle ragazze, senza sforzarsi granché di nascondere l’interesse con cui le stava squadrando. “Siete appena arrivate, vero? Non mi pare di avervi mai visto da queste parti.”

Juliet annuì. “Siamo di passaggio, infatti.” spiegò, ignorando la riluttanza di Claire a socializzare con degli sconosciuti.

Quando arrivò il barista con un vassoio carico di bicchieri, Simon lo ringraziò, dopodiché prese a distribuire i drink dai colori vivaci, decorati con ombrellini e frutta intagliata. “Non vi dispiace se abbiamo scelto per voi, vero? Io e Matt veniamo qui molto spesso e posso assicurarvi che questi sono i migliori.”

Claire annuì, abbozzando un sorriso cortese, prima di scendere dallo sgabello. “Volete scusarci un momento?” Prese Juliet da parte e si allontanarono un po' dal bancone. “Ci stiamo davvero fidando di questi due?” 

Juliet fece spallucce. “Perché no? Sembrano simpatici. E poi è pieno di gente, che vuoi che succeda?” 

“Questa frase l’ho già sentita…”

Vedendo l’amica ancora titubante, continuò. “È solo un drink, Claire. Rilassati.”

 

-o-

 

Mark e Cedric riuscirono a liberarsi delle donnone proprio mentre Dean e Rachel tornavano verso il gazebo. 

“È stato un piacere!” gridò Cedric a una di loro; poi sbuffò e lui e Mark si guardarono. “La prossima volta restiamone fuori, ti prego.” scherzò trafelato.

Lui rise, mentre si riprendeva. “Concordo.”

“Juliet e Claire?” domandò Rachel, guardandosi intorno.

Cedric aggrottò la fronte. “Non erano con te?” 

Lei si alzò in punta di piedi per riuscire a vedere meglio oltre la folla. “Mi pare ovvio di no.” rispose seccata.

Anche Dean le cercò con lo sguardo, prima di controllare l'orologio. “Sarebbe ora di tornare in albergo. Dobbiamo partire presto domattina.”

“Non le vedo in giro.” Rachel iniziava davvero ad allarmarsi. 

Lui sospirò. “Cerchiamole, magari sono qui intorno.”

Si divisero, controllando tra bagni pubblici, bancarelle e locali, ma delle ragazze neanche l'ombra.

Dopo una buona mezzora passata a cercarle si ritrovarono di nuovo al gazebo. Rachel si mordicchiò un’unghia, preoccupata. “Mon Dieu, dove saranno finite?”

“Tranquilla, non possono essere sparite nel nulla.” la rassicurò Mark. “Vedrai che le troviamo.”

Neanche il tempo di dirlo, che da un chiosco nelle vicinanze un'eco di voci attirò la loro attenzione. Un nutrito gruppo di persone si era radunato proprio in quella zona, come mosche al miele. La musica era forte e tutti gridavano a gran voce: “Trinca! Trinca! Trinca!”

“Proviamo lì?” propose Cedric.

Rachel arricciò il naso. “Non sono tipe da posti del genere.”

“Tanto vale provarli tutti.” insistette Mark.

Dopo averle cercate tra la folla che si accalcava davanti al bancone, a furia di spintoni raggiunsero il retro, dove stava avendo luogo lo spettacolo e si trovava gran parte della gente. Da quella distanza, però, era difficile vedere chiaramente cosa stesse succedendo, così si fecero largo tra la calca fino a raggiungere le prime file. 

La scena che si trovarono davanti li lasciò senza parole. Una dozzina di persone si stava sfidando in una gara di bevute e fin qui nulla di strano, se non fosse stato per Juliet e Claire che partecipavano attivamente alla competizione, sollevando i bicchieri in aria per poi scolarseli tutti d’un fiato. 

“Dicevi?” ironizzò Cedric rivolto a Rachel, che le fissava allibita.

Claire, ubriaca persa con in testa un cappello da cowboy e seduta in braccio al tizio a cui probabilmente apparteneva, incoraggiava Juliet a non mollare. Poi, quando fu il suo turno, vuotò di getto il boccale di birra, mentre intorno esplodeva il consenso. Una volta scolatasi tutto, si alzò in piedi esultante, per poi accasciarsi di nuovo sul ragazzo, abbracciandolo euforica.

“Okay, direi che può bastare.” Cedric si fece largo tra la massa di ubriaconi e Dean lo seguì a ruota.

“Ciao!” esclamò Juliet paonazza, non appena li vide. “Siete venuti a divertirvi con noi?” Ciondolò da un lato, facendo cadere il bicchiere per terra, che si frantumò in mille pezzi. “Ops.” disse con aria colpevole, scoppiando a ridere subito dopo.

Cedric intanto cercava di far alzare Claire tirandola per un braccio, ma lei si oppose risentita.

“E tu che vuoi? Non ci vengo con te.” protestò, stringendosi di più a Simon.

“Oh sì che ci vieni, forza.” La afferrò sotto le braccia e la sollevò di peso, finché lei, troppo ubriaca per opporre resistenza, non mollò la presa su Simon. 

“E dai amico, non l'hai sentita?” biascicò lui, intontito dall’alcol, mentre cercava di trattenerla.

“Tu fatti gli affari tuoi.” lo minacciò Cedric per tutta risposta, fulminandolo con lo sguardo e rimettendogli il cappello in testa. 

Finalmente riuscì a portarla fuori da quella bolgia, raggiunto poco dopo da Dean, che si era caricato Juliet su una spalla. 

“Andiamo.” intimò agli altri, precedendoli con un'espressione tutt'altro che serafica.

Mark e Cedric sostennero Claire fino all’albergo, visto che non era in grado di mettere un piede dietro l’altro senza sbandare, mentre Rachel li seguiva. 

“Ma come avete fatto a ridurvi così?” sbuffò. “Vi ho lasciate sole per cinque minuti…”

“Mark, lo sai che da qui sembri proprio minuscolo?” biascicò Juliet, ciondolando a peso morto sulla schiena di Dean. “Sembri quasi una… una formichina!”

 “Formichinaaa!” la imitò Claire, urlandolo in faccia a Mark, che si scansò assordato. 

Dopodiché entrambe iniziarono a ripetere quella parola fino alla nausea, abbandonandosi a risatine incontrollate e strillando senza ritegno. 

Rachel si portò un dito alle labbra. “Zitte! Siete impazzite?”

“No, solo ubriache fradicie.” osservò Cedric. “Buona.” disse poi a Claire, in preda a un nuovo attacco di ridarella. 

Continuarono a straparlare senza freni fino all’arrivo alla locanda, ignorando i richiami di Rachel, che alla fine rinunciò. Il vecchietto non fece commenti quando li vide entrare in quelle condizioni, probabilmente abituato a scene del genere, e consegnò le chiavi con un sorriso. “Spero vi siate divertiti, buonanotte.”

Rachel sorrise a sua volta, prima di precedere gli altri su per le scale. In tre non riuscivano a salire, così Mark lasciò l’amico da solo a vedersela con Claire, che barcollava di qua e di là.

“Deeeaaan… Don, dan!” strillò dietro a Dean, che intanto era salito con Juliet a carico.

“Smettila di urlare!” la rimbeccò Rachel per l’ennesima volta. “Di questo passo sveglieremo tutti!” 

Arrivati davanti alla porta della camera, Dean entrò per primo, stando attento che Juliet non sbattesse la testa contro gli stipiti.

“Non mi sento molto bene…” mormorò intontita, mentre lui si chinava per scaricarla sul letto. 

Intanto, anche Cedric era riuscito con non poche difficoltà a far sedere Claire e adesso ridacchiavano entrambe, completamente perse nel loro mondo. 

Dean le squadrò con le braccia incrociate, scuotendo la testa irritato. “Siete due incoscienti! Abbiamo passato tutta la sera a cercarvi.” Per sovrastare le loro risate, alzò il tono della voce e la cosa parve funzionare, perché entrambe si ammutolirono di colpo. “Domani dobbiamo ripartire e guarda in che stato siete.”

Le ragazze provarono a trattenersi, ma di fronte al suo cipiglio corrucciato scoppiarono a ridere a crepapelle. 

“Volete piantarla? È una cosa seria!” le rimbeccò, sempre più esasperato.

A quel punto, Claire si calmò, ritrovando un minimo di lucidità. “Senti, ce la meritavamo una serata divertente.”

“Esatto!” approvò Juliet. “In fondo non abbiamo fatto niente di ma…” Si interruppe di colpo portandosi le mani alla bocca “Devo vomitare!” Corse in bagno, seguita a ruota da Rachel, che sospirò affranta. 

“Ci penso io.” 

Stufo della situazione, Dean girò i tacchi e fece per uscire. “Vedetevela voi.” Borbottò a Mark e Cedric, che rimasero da soli a gestire Claire. Intanto, di sottofondo si sentivano i conati di Juliet provenienti dal bagno.

“Penso che andrò a letto anch’io.” annunciò Mark con un’espressione disgustata. “Non sopporto questo rumore.”

Cedric annuì e andò a recuperare Claire, che nel frattempo si era alzata e barcollava in direzione della finestra. Non riusciva a stare dritta e se non l'avesse ripresa al volo sarebbe finita col sedere per terra. “E tu dove credi di andare?”

“Volevo prendere un po’ d’aria…” blaterò lei.

“Sì, ma è meglio se la finestra la apro io.” Le fece l’occhiolino, mentre la teneva con un braccio e con l’altro apriva le imposte. 

L’aria fresca della notte pervase la stanza e Claire respirò a pieni polmoni, stringendosi più forte a lui. “Che buon profumo che hai.” mormorò poi sognante, affondando il naso nel bavero della sua camicia.

“Ti piace?”

“Altroché.”

“Bene. Senti...” Le parole gli si bloccarono in gola quando lei cominciò a baciargli il collo. Il tocco delicato delle sue labbra lo fece rabbrividire e per un po' rimase lì impalato a lasciarla fare. Dal collo si spostò lentamente alla mascella, fino ad arrivare all'orecchio, dove sussurrò un grazie dal tono suadente. Il suo respiro caldo sapeva di alcool, eppure la cosa non lo infastidì. 

“Figurati.” Deglutì. “Adesso però sarà meglio andare a letto, se vuoi smaltire la sbornia...” 

Claire si mosse rapidamente e lo zittì, poggiando le labbra sulle sue, senza lasciargli il tempo di rendersene conto.

Sul momento la presa di Cedric si allentò per lo stupore, ma l'esitazione ebbe vita breve. In pochi attimi ritrovò il controllo della situazione e le sue mani tornarono salde sui fianchi di Claire. La strinse con più forza e lei si lasciò sfuggire un gemito sommesso, senza comunque interrompere il contatto. Proprio mentre sembrava che i suoi freni inibitori stessero per abbandonarlo, Cedric fece un ultimo, immane sforzo e riuscì a staccarsi. “Aspetta...” la frenò, mentre riprendeva fiato.

Claire inclinò il viso da un lato, fissandolo incuriosita. “Che c'è? Pensavo di piacerti...”

“Ma no, che c’entra. Certo che mi piaci.” si affrettò a chiarire lui, nel timore di offenderla. “È che in questo momento non sei in te. Domani potresti pentirtene e…”

Lei, però, lo zittì poggiandogli un dito sulle labbra. “Chi se ne importa di domani.” Poi lo guardò con gli occhi da cerbiatta, avvicinandosi di più e facendo aderire il seno al suo petto.

A quel punto, cedere all’istinto fu inevitabile e Cedric la strinse di nuovo, tornando a baciarla con foga e mandando definitivamente in vacanza la sua parte razionale.

Dopo essersi concessa una breve pausa, per un attimo Claire lo fissò lasciva, prima di indietreggiare e in pochi passi trovare il letto, su cui si sdraiò, trascinandolo con sé. 

Ripresero a baciarsi e ben presto la cosa degenerò. Lui scese lungo il collo e l’incavo della spalla, mentre lei sospirava e si aggrappava alla sua camicia. Gemette piano e non sembrò opporsi quando la mano di Cedric si infilò decisa sotto la sua maglietta. Prima che potesse spingersi troppo oltre però, un conato più rumoroso dei precedenti lo riscosse, ricordandogli che c’era soltanto una sottile parete di cartongesso a dividerli da Rachel e Juliet. Sarebbero potute uscire in qualsiasi momento e coglierli sul fatto. 

Resosi conto della situazione, fece appello a tutta la sua forza di volontà e riuscì suo malgrado a dominarsi. “No, senti...” esitò, lanciando un'occhiata allarmata alla porta del bagno. “Quello che stiamo facendo...” riprese, cercando le parole adatte. “Non è il caso. Lo vorrei... Davvero, non sai quanto, ma...”

Quando tornò a guardarla giaceva sotto di lui, gli occhi chiusi, la bocca semi aperta e il respiro regolare.

“Claire?” la chiamò esitante.

Niente. Ormai era nel mondo dei sogni.

Non potendo fare a meno di sorridere a quella vista, sospirò rassegnato, spingendosi sulle braccia per tirarsi su. Le riaggiustò i vestiti e la sistemò meglio sul letto, in modo che non stesse scomoda, poi si diresse alla porta del bagno e si affacciò all’interno. 

Juliet era ancora china sul water, mentre l’amica le teneva indietro i capelli.

“Sto andando via.” la informò.

“Claire?”

“Tutto a posto. L'ho messa a nanna.”

Rachel sorrise debolmente. “Grazie, Ced. Buonanotte.”

“’notte.” rispose lui, ricambiando il sorriso; poi richiuse la porta e uscì.

 

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Capitolo 11
*** Guida completa ai boschi del Montana ***


Capitolo 13

 

Guida completa ai boschi del Montana

 

Claire riuscì a stento ad aprire gli occhi. Uno spiraglio di luce filtrò attraverso la persiana e la colpì in pieno viso, accecandola. Si riparò con la mano, sollevandosi poi a fatica sui gomiti e cercando di mettere a fuoco la stanza, ma venne assalita da un forte capogiro. 

Sembrava come se un martello pneumatico le battesse a intervalli regolari un chiodo nel cervello. Si sentiva come in una bolla, completamente isolata dal mondo, e impiegò del tempo a realizzare dove si trovasse. Alla fine rammentò di essere in una camera d'albergo a Wisdom, ma niente di più. L'ultimo ricordo che aveva era di aver accompagnato Juliet a bere qualcosa, poi il nulla più totale. Accanto a lei, l'amica dormiva imbozzolata nelle lenzuola, forse nelle sue stesse condizioni. 

Sentiva caldo e ne capì il motivo quando si guardò addosso e si accorse di portare ancora i vestiti della sera prima. 

“Ben svegliata.” Rachel uscì dal bagno avvolta in un asciugamano da doccia, mentre con un altro si strizzava i capelli bagnati. 

Claire la guardò con un occhio ancora mezzo chiuso. “Perché ho dormito vestita?”

“Perché stanotte ero troppo esausta per occuparmi anche di te.” le rispose secca; poi, vedendo che continuava a fissarla senza capire, sospirò. “Tu e Juls vi siete prese una sbornia da record ieri sera.” 

Lei annuì, tuffando il viso nelle mani. “Adesso si spiega l'emicrania.” 

Non era la prima volta che le succedeva. Fino a qualche anno prima, le era capitato spesso di andare alle feste e ubriacarsi e ormai era in grado di riconoscere i sintomi.

“Non ti dico in che stato vi abbiamo trovate.” continuò Rachel, mentre si pettinava. “Circondate da gente che urlava e vi incitava a bere...”

“Era da tanto che non lo facevo.” Claire ridacchiò divertita, parlandole sopra. “Avevo quasi dimenticato com'è...”

“Claire, non è uno scherzo!” Rachel poggiò con impeto la spazzola sul comodino e Juliet si scosse, emettendo un lamento. “Non capisco che vi ha detto il cervello! Quei ragazzi potevano avere cattive intenzioni.”

Claire afferrò un cuscino e se lo mise sulle orecchie. “Non urlare, per favore! Mi scoppia la testa!”

Rachel alzò gli occhi al cielo e riprese a pettinarsi con foga, mentre Juliet si rigirava nel letto, lamentandosi ancora. Quando si tirò a sedere barcollante, aveva i capelli biondi annodati e lo sguardo spento. “Ma che avete da gridare tanto?” chiese con uno sbadiglio. “Sveglierete qualcuno.”

“Ne dubito, è mezzogiorno.” ribatté Rachel.

Juliet strabuzzò gli occhi incredula. “Mezzogiorno?” 

“Già, avete dormito un bel po'.”

“Ma dovevamo partire presto. Dean aveva detto...”

“Visto lo stato in cui eravate, parlandone stamattina abbiamo deciso di rimandare la partenza a domani.” spiegò l’amica paziente. “Dean non era entusiasta della cosa, ma...”

L'espressione sul viso di Juliet si fece più tesa. “Si è arrabbiato molto?” chiese, cercando di reprimere la leggera nota di ansia nella voce.

“Beh, eravate scomparse. Si sarà preoccupato, come noi del resto.” minimizzò Rachel. “Avrà pensato che qualcuno della setta vi avesse rapite.”

Nell'ascoltarla a Juliet tornò in mente la scena della sera prima, quando li aveva visti parlare vicino alle bancarelle. Era una delle poche cose che ricordava. Tuttavia, doveva ancora decidere se parlarne con lei oppure no. In fin dei conti, avrebbe potuto trattarsi semplicemente di una sua fantasia. 

“Che pesantezza.” commentò Claire, alzando gli occhi al cielo mentre scendeva dal letto. “Io vado a farmi una doccia. E a mettermi dei vestiti puliti. Questi puzzano di alcol.” aggiunse, per poi sparire in bagno.

Nel breve lasso di tempo in cui Rachel finì di vestirsi, rimasero in silenzio, finché Juliet non deglutì, trattenendo un rigurgito. “Mi sento la gola secca e lo stomaco rivoltato come un calzino.”

“Sfido io, con tutto quello che hai buttato fuori stanotte.” Rachel le indicò una bottiglietta sul comodino con un cenno della testa. “Prendi un po' d'acqua.” 

Lei la afferrò e mandò giù una lunga sorsata. “Giuro che non berrò mai più.” sospirò affranta.

“Proprio perché non lo fai mai non reggi l’alcol. E poi secondo me è stata anche colpa di Dean.” 

Juliet la guardò confusa. “Come sarebbe a dire?” 

“Ti ha portata in spalla dal chiosco fino al letto. A forza di ciondolare è normale che tu abbia dato di stomaco.” spiegò Rachel pacata.

“Mi ha portata in spalla?” 

“Già, ma sarebbe stato meglio lasciarti camminare da sola.”

Juliet poggiò la schiena contro la testiera del letto, volgendo con un sospiro lo sguardo al soffitto. “Che figura... Almeno spero di non aver fatto niente di imbarazzante.”

L’amica non riuscì a trattenere una risatina divertita. “No… a parte chiamare Mark formichina per tutto il tragitto. A squarciagola.”

“Magnifico! Ora posso anche sotterrarmi e sparire dalla faccia della terra.”

“Esagerata! Non è mica successo il finimondo. L'avranno già dimenticato, vedrai.” replicò Rachel con veemenza. “Anche Dean.” aggiunse poi, sottolineando l'ultima frase con una punta di malizia.

Quando Juliet la guardò di nuovo, seppe di aver colto nel segno. Cercava di nasconderlo, ma era evidente, soprattutto ai suoi occhi. La conosceva da troppo e troppo bene.

“Non so ancora se quello che stai pensando sia vero. A malapena lo conosco.” 

Rachel sospirò paziente, sedendosi sul bordo del letto accanto a lei. “E allora perché all'improvviso è diventata tanto importante l'opinione che ha di te?”

“Non lo so. Forse perché l'ho sognato...”

“Ancora con questa storia?” Rachel si dimostrava sempre abbastanza scettica di fronte a quelle sue fissazioni sul destino e stupidaggini del genere. Di solito era abituata a pensare razionalmente.  

“Ma era talmente reale...” insistette Juliet. “Anche se non sono sicura che fosse proprio lui, ricordo i suoi occhi. È l'unico particolare su cui scommetterei la testa. E quello non è un colore che si vede facilmente in giro.”

“Appunto! Io penso che tu abbia solo proiettato l'immagine del ragazzo del sogno su Dean, ma non è possibile che siano la stessa persona.”

Dentro di sé, Juliet era ancora convinta della sua idea, ma non commentò né volle proseguire il discorso, effettivamente poco plausibile. Alla fine, non c'era modo di scoprire se aveva ragione. 

“E comunque…” proseguì Rachel “Ancora non mi fido di lui. Ci ho parlato ieri sera e... non so, si è comportato in modo strano.”

“In che senso?” fece Juliet con aria vaga. Senza neanche chiederglielo, Rachel stava per raccontarle della sera prima, ma non voleva darle l’impressione che la cosa le interessasse particolarmente. 

“Ho cercato di indagare sulle sue intenzioni, ma trova sempre il modo di sviare il discorso. Mi ha anche gentilmente invitato a farmi gli affari miei quando ho cominciato a fargli delle domande scomode.”

“Credi che nasconda qualcosa?” 

Rachel ci pensò su un momento, prima di risponderle. Dean aveva comunque fatto parte di una setta ed era scappato proprio perché in disaccordo con i loro metodi, quindi ormai era libero, ma allora perché quando gli aveva chiesto cosa facessero con esattezza, lui era stato così scostante? “Secondo me, sì. È qualcosa che riguarda la setta e che non si sente di dirci, vista la poca confidenza. O che non vuole dirci.” 

A quell’ultima osservazione seguì il silenzio, durante il quale entrambe rifletterono su quanto detto; poi Rachel, con la solita determinazione che le faceva brillare gli occhi, aggiunse: “Comunque non ho intenzione di mollare. Gli starò addosso finché non avrò scoperto di più e nello stesso tempo potrò aiutare te.”

 “Me?” Juliet la guardò, senza riuscire a fingere di non essere allarmata. “Cosa centro io?” 

“Dai, l'ho capito da un pezzo che ti interessa. Non hai bisogno di nasconderlo ancora.” sospirò lei con aria complice. “Quello che non capisco è perché sei così timida con lui, quando non lo sei mai stata con nessun ragazzo. In genere sei sempre tu a farti avanti.”

“Non lo so…” tentennò Juliet incerta. “Con lui è diverso. Mi fa uno strano effetto che non so spiegare.” 

Rachel fece spallucce, minimizzando la cosa. “Tranquilla, ti aiuto io. È a questo che servono le amiche, no?”

Quel discorso stava cominciando a prendere una brutta piega e Juliet iniziò a preoccuparsi sul serio. La conosceva meglio di chiunque altro e sapeva che una volta messasi in testa una cosa farle cambiare idea era pressoché impossibile. Sarebbe arrivata fino in fondo, con o senza il suo consenso. 

“No, davvero non serve...” Scosse la testa. “Posso cavarmela…”

“Ma non lo vedi? È perfetto! Così avremo entrambe quello che vogliamo.” continuò lei come se non la stesse neanche ascoltando. Le afferrò le mani e sfoderò un convincente sorriso a trentadue denti, che la faceva assomigliare vagamente a una psicopatica.

“Okay, adesso mi stai davvero facendo paura.”

Dietro di loro, Claire si schiarì la voce e la sua testa fece capolino dal bagno. “Quando avete finito con le vostre...” si interruppe, cercando le parole. “Qualunque cosa stiate facendo, una di voi potrebbe passarmi un altro asciugamano? Non so dove poggiare i piedi.”

Rachel si alzò, prese l'asciugamano che aveva usato per i capelli e glielo lanciò dritto in faccia. 

“Grazie.” 

Quando fu il suo turno, Juliet si dileguò in bagno per valutare i danni della sbornia e darsi una sistemata, ma in realtà anche per fuggire da Rachel e dal suo folle piano. Non era ancora sicura di volerle dare corda. Dean non le era indifferente, era vero, però questa volta avrebbe preferito andare per gradi, invece di fiondarsi subito sulla preda. Oltretutto, aveva sempre l'impressione di passare inosservata davanti a lui, come se a malapena si accorgesse della sua esistenza. Come l'avrebbe presa se all'improvviso avesse iniziato a provarci? Già la sera prima, con quell'aria da pazza ubriacona, non doveva avergli fatto una buona impressione.

Trascorse un'altra ora prima che tutte fossero lavate, pettinate e pronte per scendere e lungo il tragitto Rachel non mancò di lasciarsi sfuggire la storia di Juliet con Claire. 

“E quand’è che lo avresti sognato?” chiese lei, trattenendo a stento uno sbadiglio.

Juliet sospirò, stanca di doverlo raccontare ancora. “Qualche giorno prima del ballo.”

L'espressione sul viso dell’amica si fece un tantino più interessata. “Lo hai sognato prima di conoscerlo?”

“Già.”

“Ma chi sei? Una veggente?” scherzò, ridacchiando.

A quel punto, entrarono nella sala comune e lei le intimò di abbassare la voce, perché c’erano i ragazzi ad aspettarle. Dean era in poltrona, intento a leggere il giornale e non si accorse del loro arrivo finché Mark non le salutò calorosamente, dando loro il buongiorno. 

Rachel ricambiò con un mezzo sorriso, mentre le amiche rispondevano a malapena con un cenno del capo, senza guardare in faccia nessuno e vergognandosi come ladre. 

Una volta riuniti, si diressero in sala da pranzo, dove ordinarono al cameriere il menu del giorno. Nei minuti che trascorsero in attesa, l’imbarazzo si fece sentire e nessuno parlò, ma poi Cedric provvide a spezzare la tensione con qualche chiacchiera di circostanza. “Allora? Dormito bene?” Cercando di farla sembrare una domanda generica, intanto lanciava occhiatine in direzione di Claire, senza che lei ci facesse caso, impegnata com’era a contare i quadrati della tovaglia.

“Sì...” mentì Juliet con un sorriso tirato. “Alla grande.” In realtà aveva chiuso occhio sì e no un paio d'ore, dopo aver passato quasi l’intera nottata in bagno a dare di stomaco.

Dean, sempre immerso nella lettura, non si mostrava affatto interessato a quello che dicevano. Come al solito sembrava volersi estraniare dal gruppo di proposito. Juliet pensò che fosse ancora arrabbiato e questo la convinse definitivamente a scusarsi sia con lui che con gli altri. In realtà, voleva già farlo dall’inizio, ma non aveva ancora trovato le parole giuste. Così, raccolto il coraggio, si rivolse a Mark e Cedric, sperando che anche Dean si sentisse chiamato in causa e smettesse di ignorarla. “Ragazzi, volevo scusarmi per ieri sera. È stata una scena pietosa, ce ne rendiamo conto.” ammise, coinvolgendo anche Claire. “Parlando a nome di entrambe, vi giuro che non succederà mai più.”

“Ehi, tranquilla.” la rassicurò Cedric divertito. “Non ci scandalizziamo mica per così poco, tutto apposto.”

“Più che altro, ci siamo preoccupati per voi.” aggiunse Mark.

Juliet annuì, rossa in viso; poi guardò Dean di sottecchi, sperando di essere riuscita ad addolcirlo. 

Lui aveva ancora gli occhi fissi sul giornale, quando la comparsa di un sorriso appena accennato sul suo volto le fece intuire che avesse deciso di soprassedere.

“Scuse accettate.” disse infatti in tono di scarso interesse, mentre voltava pagina.

 

Vista la bella giornata, decisero di fare un altro giro in città, anche per dare il tempo a Juliet e Claire di riprendersi. Un po' d'aria fresca avrebbe risolto gran parte dei problemi causati dalla sbornia. 

Dean, dal canto suo, aveva preferito rimanere in albergo, raccomandandosi senza mezzi termini di non combinare altri guai in sua assenza. 

“Ci ha preso per dei ragazzini.” si lamentò Cedric. “Se ha tanta paura perché non è venuto quell'asociale? Avrà un'allergia alle persone, altrimenti non capisco.”

Mark sorrise. “Forse non ci sopporta.”

“O forse non siamo alla sua altezza. Visto come si atteggia, Mister Perfettino?” Cedric prese a camminare impettito, imitando il passo di Dean in maniera esagerata e facendo ridere sia lui che Claire. 

In città c’era ancora la fiera e Rachel e Juliet si erano allontanate per dare un’altra occhiata agli stand, lasciando Claire con i ragazzi. Aveva ancora mal di testa, ma almeno non c’era più tutto quel frastuono della sera prima a peggiorare la situazione, visto che la maggior parte dei locali era chiusa. 

“Di chi stavate parlando?” chiese Juliet in tono allegro, di ritorno dagli acquisti.

“Del simpatico Dean, è ovvio.” ironizzò Cedric.

Rachel fece una smorfia. “Ah sì, il solito noioso. Certo che poteva anche venire, invece di restarsene chiuso là dentro.” 

Mark fece spallucce. “Beh, affari suoi. Avete fatto?”

Lei annuì e insieme ripresero la passeggiata.

Al posto dei locali, lungo i marciapiedi erano sorti dei chioschetti che vendevano pietanze tipiche a portar via, i cui profumi pervadevano le strade e non contribuivano a migliorare i postumi della sbornia di Claire. “Sento che sto per vomitare.” Si mise una mano sullo stomaco e deglutì a fatica.

Cedric, che le camminava accanto, ridacchiò. “Se non hai il fisico, dovresti evitarle certe esperienze.”

“E scommetto che invece tu ce l'hai il fisico.” ribatté lei pronta, rivolgendogli un sorrisetto sghembo.

“Me la cavo.”

L’attenzione degli altri era stata attirata da una bancarella che vendeva svariati tipi di cianfrusaglie colorate, così loro due erano rimasti indietro e Claire pensò di approfittarne. Voleva togliersi quel cerotto, e poi non le andava di farsi sentire da Rachel. “Ho saputo che sei stato tu a... tirarmi fuori, ieri sera.” esordì esitante. “Volevo ringraziarti.”

“Figurati, non ce n'è bisogno.”

“Mi sembrava giusto farlo.” insistette.

Cedric non fece caso al suo tono pungente. “È stato divertente. Devo ammettere che la Claire ubriaca non mi dispiace.” scherzò.

Quell'insinuazione non le piacque affatto, sapeva di pessima figura e la cosa non poté fare a meno di allarmarla. Lo trattenne per un braccio, costringendolo a fermarsi e a guardarla negli occhi. “Dimmi che non ho fatto niente di stupido.” 

Lui allora le rivolse un altro dei suoi sorrisi impertinenti. “Non direi stupido. Piuttosto diciamo che è stata una di quelle serate che non si scordano facilmente, ecco.” 

Stavolta Claire vide una sospetta aria trasognante dipinta su quella faccia da schiaffi e all’improvviso sentì il panico assalirla. “Che vuoi dire? Spiegati.” Era a un passo dall'afferrarlo per la maglietta e costringerlo a parlare con la forza, ma non servì.

“Davvero non ricordi niente?” le chiese, fingendosi deluso; poi sfoderò un ghigno beffardo e le si avvicinò, sussurrandole all'orecchio: “È stato il miglior sesso della mia vita.”

Claire sentì la terra cederle sotto i piedi e il suo cuore perse un colpo. “No... Non è possibile...” boccheggiò, mettendosi una mano sul petto e sentendosi mancare. “Me lo ricorderei!” esclamò poi, alzando di parecchio il tono della voce. Non poteva aver commesso un errore simile, neanche da ubriaca. Per fortuna si trovava vicino a una panchina, che le impedì di collassare a terra. Si sedette a fissare il vuoto in stato catatonico, cercando disperatamente di ricordare un solo particolare di quella notte. Niente. Buio totale. Pian piano, però, si rese conto che non era solo colpa sua e alzò lo sguardo di scatto, lanciando a Cedric un’occhiata furiosa. “Sei un verme! Come hai potuto? Ero completamente sbronza!” urlò, facendo voltare alcuni passanti.

Lui si avvicinò, facendole segno di calmarsi e di abbassare la voce, ma a Claire non importava nulla della gente che li ascoltava. Era talmente sconvolta che le parole le si bloccarono in gola e rimase a fissarlo per qualche istante, in attesa di una spiegazione. 

 Alla fine, Cedric non fu più in grado di trattenersi e scoppiò a ridere come un pazzo. 

Claire ci mise un po' a realizzare, ma poi capì tutto. “Brutto... Razza di...” Spalancò la bocca incredula. L'aveva presa in giro dall'inizio e lei c'era cascata come un'idiota.

“Vogliamo parlare della tua faccia? Impagabile.” la schernì, mentre lei gli rifilava un pugno sul braccio. Incredibile quanto sapesse essere convincente. Ci aveva messo pochissimo a fregarla, ma ovviamente non lo avrebbe mai ammesso.

Restò a guardarlo ancora per un po', sconcertata dalla stupidità di quello scherzo. Solo a lui poteva venire in mente una cosa del genere. Lo avrebbe volentieri riempito di schiaffi, se non fosse stato per la sua risata, che a lungo andare contagiò anche lei. 

“Avrei dovuto farti una foto.” continuò Cedric, ancora piegato in due.

“E piantala!” Claire si asciugò le lacrime, cercando di darsi un contegno. Fece un bel respiro e lo guardò con aria decisa. “Sei un bastardo e me la pagherai.” sentenziò, prima di andarsene e lasciarlo sulla panchina che ancora rideva.

Quando arrivò dagli altri, Rachel fu l’unica ad accorgersi del sorrisetto sulla sua faccia, anche se impegnata a curiosare tra le bigiotterie. “Che succede tra voi due?” chiese in tono malizioso, notando la stessa espressione sul volto di Cedric, che li stava raggiungendo.

“Niente, che vuoi che succeda?” minimizzò lei, fingendo subito di interessarsi alla merce esposta, ma in realtà controllando con la coda dell’occhio l’aria indagatrice dell’amica. 

“Sì…” mormorò infatti Rachel, in tono sospettoso. “Dopo mi racconti, eh.”

Passarono l'intero pomeriggio in giro per la città, mangiando gelato e chiacchierando di tutto. Mark e Cedric tentarono di nuovo con il gioco del martello, fallendo miseramente ancora una volta, ma Cedric non se la prese troppo. Almeno stavolta non c'era Dean a umiliarlo. In compenso, Mark vinse una mucca di peluche al lancio dei cerchi e inaspettatamente la regalò a Rachel, che accettò un po' confusa. Era già il secondo pupazzo che riceveva in due giorni.

Senza che se ne accorgessero arrivò la sera, così rientrarono in albergo a prendere Dean e andare a cena. Scelsero un ristorante qualsiasi dei tanti aperti in città e dopo cena concordarono di tornare subito in hotel, così da avere la forza di alzarsi presto il mattino seguente.  

Dopo un’accesa discussione sull’orario della partenza, si stabilì che dovesse essere alle sette e, malgrado le lamentele di Cedric, Dean fu irremovibile. 

“Peccato, però.” disse Juliet, guardando con invidia la baldoria fuori dalla finestra, una volta rimaste sole in camera. “Mi sarebbe piaciuto andare di nuovo a ballare.”

Rachel si infilò la maglietta del pigiama e prese a sistemare i vestiti nello zaino. “Che ci vuoi fare? L'hai sentito il capo, no?”

“Che poi, chi ha deciso che Dean è il capo?” ribatté Claire infastidita. “Non vedo perché dobbiamo rendere conto a lui di quello che facciamo. Qualcuno dovrebbe ricordargli che siamo maggiorenni, e per giunta in vacanza. Cavolo, mi sembra di viaggiare con mio padre!”

“Hai ragione, però è abbastanza normale che si senta in dovere verso di noi. Dopotutto, ci ha trascinati lui in questo viaggio.” lo difese Rachel. “E magari è anche un maniaco del controllo. Non lo so, non abito nella sua testa.” tagliò corto, prima di lanciare un’occhiata maliziosamente allusiva a Claire. “Piuttosto, non credi di doverci raccontare qualcosa?”

L’amica la guardò confusa, senza afferrare. “Di che parli?” Il suo sguardo si incrociò con quello di Juliet, che però ne sapeva quanto lei.

“Il sorrisetto che avevate tu e Cedric oggi pomeriggio…” suggerì Rachel sorniona. 

Lei allora realizzò. “Ah, quello...” Alzò gli occhi al cielo esasperata. “Abbiamo parlato di ieri sera e lui ha fatto il cretino come al solito, tutto qui.”

Rachel sollevò un sopracciglio, come faceva sempre quando era poco convinta. “Sarà...” mormorò, riprendendo a sistemare. “Fatto sta che era da un po’ che non ti vedevo sorridere in quel modo...”

A quel punto, Claire pensò che in fondo non avesse tutti i torti. Era passato tanto tempo dall'ultima volta che si era divertita così e solo adesso ci stava davvero facendo caso. Era come se in lei vivessero due personalità: la Claire di un tempo, quella spensierata, e la nuova, quella delusa e ferita, perennemente con una maschera che nascondeva le sue vere emozioni al resto del mondo. In quei due giorni la vecchia Claire era riaffiorata in maniera del tutto spontanea, senza che la nuova se ne rendesse conto. 

“Non è che la vicinanza con una certa persona ti sta facendo bene, alla fine?” insinuò Juliet. 

Ora la conversazione stava deviando su sentieri scomodi e Claire si affrettò subito a troncarla. “Vi prego, non ricominciate.” sbuffò implorante. “Cedric è simpatico, siamo amici e va bene così.”  

 “Noi lo diciamo per te.” insistette Rachel, tirando su le coperte. “Perché siamo preoccupate.”

“Lo so e vi voglio bene. Ma non serve. So gestire da sola la mia vita sentimentale.” ribatté lei, sapendo di mentire. Da quando il suo ex aveva pensato bene di tradirla, non era più riuscita a fidarsi di nessun altro, figurarsi poi di uno come Cedric, con i suoi modi da dongiovanni. Oltretutto, anche se avesse voluto fidarsi, la ferita era ancora troppo fresca e continuava a farla soffrire. “E adesso vediamo di dormire, che sto morendo di sonno.”

 

-o-

 

Avevano lasciato l'Eldorado in una stazione di servizio malridotta sulla novantatreesima, nei pressi di Stevensville, per poi proseguire a piedi. Il gestore era un tipo grasso e sudaticcio che non ispirava molta fiducia, ma Dean l’aveva pagato lo stesso per tenergliela d’occhio fin quando non fosse tornato a riprendersela. 

Si erano subito tolti dalla strada e, percorso il breve tratto di prateria che la separava dal bosco, avevano imboccato un sentiero segnalato da un cartello. Ora era metà mattinata e stavano ancora camminando, senza aver fatto nemmeno una pausa. 

Rachel e Juliet, in coda al gruppo, davano già i primi segni di stanchezza, mentre Claire procedeva spedita, forte della sua resistenza da atleta. Dean poi precedeva tutti, staccandoli addirittura di qualche metro. A un certo punto, superato un cespuglio di rovi, si voltò indietro. “Attenti a quelle spine. Pungono.” li avvertì ironico.

“Sul serio? Non me n'ero accorto.” disse Cedric, cercando di liberare un lembo della camicia impigliato fra i rami. 

Al passaggio di Juliet e Rachel, li scostò per evitare che si facessero male e lei le rivolse un sorriso di gratitudine.

 “Oh, merci. Tu es très gentil.” lo ringraziò, facendolo ridere con quel suo accento francese.

Man mano che avanzavano, la distesa di pini e larici si allargava a perdita d'occhio, il sentiero iniziava a farsi più ripido e le radici più invadenti, costringendoli a stare attenti a dove mettevano i piedi.

Rachel rallentò il passo per poter camminare e contemporaneamente leggere la sua Guida completa ai boschi del Montana, dove non solo erano segnate le foreste e le cime principali, ma anche i tipi di piante e animali originari della zona. Un albero particolarmente alto attirò la sua attenzione e si fermò a controllare di cosa si trattasse. 

“Bello vero?” esordì Mark, che nel frattempo le si era avvicinato. “È un cedro rosso. Di solito si trova in Canada, ma è presente anche qui in Montana.” lesse sulla sua guida.

Rachel annuì. “Ti interessano le piante?” 

“Da sempre.” rispose lui, senza staccare gli occhi dall'albero. “Questa guida poi è molto dettagliata, ho fatto bene a comprarla.”

Rachel guardò meglio. “Ma dai? È la stessa che ho io.” osservò sorpresa, mostrandogli la sua.

“Ma tu guarda la coincidenza.” scherzò Cedric, passando loro accanto. 

Mark però sembrò ignorarlo, gli occhi puntati sulla guida. “Hai letto qui?” chiese a Rachel, indicando il passaggio sulla pagina. “Dice che nei paraggi c'è la più alta concentrazione di grizzly d'America.” 

“Grizzly?” Juliet rabbrividì. 

“Non avere paura, Juls.” le sussurrò Cedric all’orecchio per non farsi sentire. “Dean il Musone farebbe allontanare perfino gli orsi.” 

Lei abbassò lo sguardo, non riuscendo a trattenersi dal ridere. Cedric non perdeva occasione per appioppare a Dean i soprannomi più assurdi. Sembrava quasi impegnarsi per trovarne di nuovi ogni volta.

Si stava avvicinando l'ora di pranzo e Dean non dava ancora segni di volersi fermare. Procedeva spedito davanti a tutti, tanto che a un certo punto neanche Cedric e Claire, quelli più resistenti, riuscirono a stare al passo. Sembrava voler coprire tutta la distanza del bosco in una sola giornata e poco importava se il resto della banda fosse ormai allo stremo. 

Vedendo Mark e le ragazze arrancare dietro di loro, Cedric lo chiamò per dirgli di aspettare e solo allora Dean si decise a voltarsi e a degnarli di attenzione. Dopo aver esaminato le loro condizioni con una rapida occhiata, parve rendersi conto che forse era opportuno fare una pausa. 

“Volete fermarvi un attimo?” chiese in tono rilassato. Al contrario di tutti loro, non sembrava per niente stanco, come se tutto quel tempo passato a scarpinare non lo avesse minimamente provato.

“No, figurati. Potrei andare avanti così per ore.” ironizzò Rachel ansante, interpretando la domanda come retorica e accasciandosi subito dopo su un fazzoletto d’erba. Aveva l’impressione che se non lo avessero fermato avrebbe continuato fino a sera, che fossero riusciti a stargli dietro o meno. 

“Vado a portare l'acqua alla moribonda.” scherzò Cedric, riferendosi a Juliet, che ancora non li aveva raggiunti. 

La trovò appoggiata a un tronco che si teneva il fianco, respirando affannosamente e, quando le porse la bottiglia, lei la afferrò riconoscente. “Grazie. La mia è finita.” Diede un lungo sorso e sentì l’acqua fresca rimetterla al mondo. Non era abituata a quelle scarpinate. 

“Certo che sei ridotta male.” notò lui divertito. 

Juliet annuì, abbozzando un sorriso. “Queste cose non fanno per me.” Buttò giù un'altra sorsata. “Io sono più un tipo da sdraio e occhiali da sole.” Poi fece un cenno con la testa in direzione di Dean. “Lo invidio. Non so come faccia ad essere così fresco.”

Cedric ridacchiò. “Già, sembra indistruttibile. Comunque, se vuoi posso portarti lo zaino per un po'.” propose, prima che si incamminassero di nuovo.

“Sei gentile.” Juliet esitò. “Ma il tuo peserà parecchio. Non voglio caricarti anche di questo.” 

Lui scosse la testa. “Non c'è problema, davvero.” 

Alla fine la ebbe vinta e le portò lo zaino fino al punto in cui si erano fermati gli altri.

“Con me non ti sei offerto di portarmi lo zaino.” lo provocò Mark. 

“Tu non sei biondo e carino.” ribatté l’amico sogghignante.

Pranzarono con panini e frutta fresca, rimanendo fermi a riposarsi per un paio d’ore, prima di riprendere il cammino. Dean disse che sarebbe stato meglio fare un altro po' di strada e poi trovare un luogo dove passare la notte. Dove si trovavano in quel momento non c'era abbastanza spazio e il terreno era troppo in pendenza per piantare le tende.

Fu solo verso sera che arrivarono in una radura erbosa che si prestava bene allo scopo. 

“Perfetto, ci fermiamo qui per stanotte.” annunciò Dean, guardandosi intorno con aria soddisfatta.

Non chiedevano di meglio. Sia Rachel che Juliet non sentivano più le gambe e anche Claire aveva cominciato a dare segni di cedimento già da un pezzo. 

Mentre Juliet si metteva all’opera per preparare la cena, i ragazzi si occupavano delle tende. Dean ammise di non essere molto esperto, quindi alla fine Rachel spedì lui e Cedric a prendere un po’ di legna per il fuoco. Dalla faccia che fece, Cedric non sembrò molto entusiasta della cosa, ma eseguì senza polemizzare.

Una volta montata la sua tenda, Mark passò ad aiutare le ragazze con le loro. In realtà, avrebbe guadagnato molto più tempo lavorando da solo, invece di dare direttive che puntualmente si risolvevano con il suo intervento. Comunque, non perse la pazienza e mostrò a Rachel come inserire i pali nelle asole nel modo giusto. 

“È facile.” disse lei, dopo averlo osservato attentamente. “Grazie.” Gli sorrise.

Lui ricambiò in maniera un po’ goffa, prima di andare in soccorso di Claire. 

Intanto, Juliet era riuscita ad accendere il fornello da campeggio e a mettere su la zuppa, giusto in tempo per il ritorno di Cedric e Dean, che propose di accendere subito il falò, prima che facesse buio. 

“Sì, e poi inizia anche a fare freddo.” aggiunse Juliet, rabbrividendo. In effetti, la temperatura era scesa di qualche grado rispetto al pomeriggio e ora l’aria frizzante di montagna iniziava a farsi sentire.

Così, accatastarono la legna in un punto poco erboso, circondandola con dei sassi; dopodiché, Mark iniziò un lento e laborioso lavoro manuale, strofinando due legnetti fra loro. 

Non passò molto tempo, che Cedric si avvicinò dietro di lui di soppiatto, sfoderando un accendino dalla tasca e provvedendo di persona. Il fuoco prese subito, aggredendo il resto della legna in pochi istanti.

Mark lo fulminò con lo sguardo. “Era una questione di principio.”

“E domani mattina ti avremmo trovato ancora qui.”

“Qui c’è scritto che accendere un fuoco è la miglior difesa contro gli animali selvatici.” esordì Rachel in tono saccente, comparendo con la sua guida aperta sotto al naso.

“Sì, e inoltre evitiamo di mangiare al buio.” aggiunse Claire sarcastica.

Cenarono per lo più in silenzio e di tanto in tanto Juliet lanciava occhiatine di sottecchi a Dean, per accertarsi che la zuppa gli piacesse. Era la prima volta che mangiavano qualcosa cucinato da lei ed era curiosa di vedere la sua reazione. Come al solito, però, lui non aveva lasciato trapelare nulla, ma per fortuna ci aveva pensato Cedric a complimentarsi e ad apprezzare la sua cucina.

Dopo aver tolto di mezzo i rifiuti, si raccolsero intorno al fuoco, mentre Cedric spariva nella sua tenda.

“Non ti rimetterai a suonare?” chiese Mark esausto, vedendolo di ritorno con in mano il suo prezioso ukulele. 

“Perché no?” Lui si sedette di nuovo, incrociando le gambe. “E poi questo è il repertorio della sera.” disse, accarezzandosi il pizzetto con aria compiaciuta. Le sue dita toccarono le corde, intonando una canzone lenta e melodiosa, quasi una ninna nanna per le loro membra stanche. In fondo era piacevole e si rassegnarono a lasciarlo fare.

Il fuoco scoppiettava allegro e Juliet lo osservò danzare, cullata dalla melodia di Cedric. Stava per assopirsi, quando quel calore le fece venire un’idea. Allungò il braccio e prese il suo zaino. Dopo aver frugato un po’, ne trasse un pacco di marshmallow e lo sventolò davanti agli altri. “Che ne dite? Inauguriamo la nostra prima serata in campeggio come vuole la tradizione?”

Infilarono le caramelle su dei rametti, che girando e rigirando sul fuoco arrostirono e diventarono filanti. 

“Che cosa sono?” chiese Dean inaspettatamente, fra lo stupore generale.

Rachel strabuzzò gli occhi. “Stai scherzando? Non hai mai assaggiato un marshmallow.”

“No.”

“Allora devi assolutamente provarne uno.” Juliet gli passò un bastoncino e lui, dopo averlo osservato con aria perplessa, si convinse a mordere un lato della caramella. Lo tenne un po’ in bocca per saggiarne il sapore, poi annuì, dando segno di aver gradito. “Un po’ troppo dolce, ma accettabile.”

 

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Capitolo 12
*** Cronache di viaggio ***


Capitolo 14

 

Cronache di viaggio

 

Diario di Juliet Peterson, estate 2012

 

Caro Diario,

Scusami se ultimamente ti ho un po' trascurato, ma sono riuscita a trovare un momento di pace solo adesso. 

Sono trascorsi appena tre giorni dalla partenza e già mi sento a pezzi. Non facciamo che scarpinare tutto il giorno, per arrivare la sera stremati e oltretutto dover montare le tende. 

Oggi ci siamo fermati un po' prima, perché il tempo non è dei migliori, così ne ho approfittato per tornare a scrivere. 

È ancora troppo presto per parlare con Rachel e Claire di quello che sto provando, perciò preferisco sfogarmi con te. Mi riferisco a Dean (ovviamente). 

Ho capito da un pezzo di essere attratta da lui, ma adesso comincio a pensare che non sia solo una questione fisica. Il legame che ho sentito la prima volta non è sparito, anzi è sempre più presente, ogni giorno che passa. 

Non faccio che pensare a quella notte... Non sono pazza, io l'ho sognato! Continuo ad esserne convinta. 

Deve esserci qualcosa che ci unisce, ma lui non sembra sentire lo stesso per me. A dire il vero, è già tanto se sa che esisto. E questo lo so per certo, perché l'altro giorno sono inciampata su una radice (sono una frana nel trekking, ne sono consapevole), e lui è tornato indietro apposta per aiutarmi! 

Quindi ha una qualche percezione di me o almeno ha capito che è meglio tenermi d'occhio.

    

~o~

 

Stamattina io e Claire siamo andate al torrente per riempire le borracce e abbiamo visto un cervo che si abbeverava. Era un adulto, con un palco di corna stupendo. Peccato non avessi con me il cellulare! Siamo rimaste ad osservarlo per un po', finché non è arrivata Rachel per avvertirci che Dean era già in fermento e voleva ripartire. Mi chiedo come faccia a interessarmi un tipo così noioso, io che frequento sempre persone divertenti. Non fa che starsene per i fatti suoi e parla il minimo indispensabile, ma immagino che sia perché ancora non ci conosce bene. 

In compenso, ci sta pensando Ray a farlo integrare. Rispetto a noi, è l'unica con cui abbia un po’ di confidenza e scambi più di qualche parola. Una volta mi è sembrato addirittura che sorridesse a una sua battuta. Cedric invece lo prende in giro di continuo, ma lui non sembra nemmeno sentirlo. 

Per quel che mi riguarda, non ho fatto grandi progressi da questo punto di vista. Mi sento in colpa a dirlo, ma mi infastidisce che per la prima volta sia Rachel ad avere più successo di me con un ragazzo. Di solito è il contrario. 

Comunque, mi ha detto che lo sta facendo per me, quindi le credo.

 

~o~

 

Finalmente un letto degno di questo nome! 

Ti scrivo da un rifugio per campeggiatori, con delle vere camere e soprattutto un bagno! 

Oggi, dopo pranzo, avevamo ripreso il sentiero, quando a un certo punto è comparso un cartello con le indicazioni per arrivare fin qui. Non ci è parso vero di poter passare una notte con un tetto sulla testa, invece che all'addiaccio, e abbiamo iniziato a discutere se fosse il caso o no di approfittarne. 

Naturalmente noi eravamo già convinti due secondi dopo aver visto il cartello, ma come al solito con Dean ci è voluto più tempo. Alla fine però ha ceduto, visto che la strada non si sarebbe allungata di molto, così abbiamo deviato e siamo arrivati al rifugio poco prima dell'ora di cena. La proprietaria ci ha dato due stanze per la notte, siamo saliti a sistemarci e poi subito scesi per mangiare arrosto di maiale e purea di patate fatti da lei. Una delizia. 

Abbiamo cenato insieme agli altri ospiti ed è stato molto carino. A un certo punto, un signore che aveva alzato un po' il gomito ha iniziato a cantare e Cedric gli è andato subito dietro. Voleva tirare fuori l'ukulele, ma l'occhiata di Mark è bastata a farlo desistere. A parte ciò, ci siamo divertiti molto, anche Dean. 

So che non lo ammetterebbe mai, ma mentre cantavamo ha sorriso, l'ho visto. 

Adesso sono in camera e ti scrivo alla luce di una lampada sul comodino. Rachel e Claire dormono, ma io non ci riesco. Penso sempre a quel sorriso.

 

~o~

 

Rieccomi qua, diario. Sono due giorni che non prendo in mano la penna, perché quando entro in tenda sono troppo esausta e mi addormento subito. 

All’inizio di questo viaggio mi sono proposta come responsabile dei pasti, non pensando di dover scarpinare con questo ritmo ogni giorno. Che ingenua… 

Quindi, oltretutto, ogni sera tocca a me preparare la cena. Rachel e Claire hanno anche provato a darmi una mano qualche volta, ma non è servito a molto, visto che non sono in grado nemmeno di bollire un uovo. Mi dispiace dirlo, ma è così. 

Stasera, per fortuna, Cedric mi ha vista in difficoltà e ha pensato di aiutarmi. In effetti, non ero molto sveglia, Dean ci ha fatto fare un'alzataccia... A volte penso di essermi arruolata nell’esercito, più che essere in vacanza. 

Dopo aver acconsentito per buona grazia a fermarsi al rifugio, sono tre giorni che ci fa fare pause solo per mangiare e dormire, per questo sono così stanca. Anzi, non so dirti come faccia a tenere gli occhi aperti per scrivere queste due righe.

Dicevo… Cedric ha cercato di darmi una mano, ma quando gli ho chiesto se sapesse cucinare mi ha risposto che un vero barman sa fare solo cocktail.

Alla fine ho cacciato tutti quanti e ho preso ufficialmente possesso della ''cucina''. Lo so, sono un po' maniacale da questo punto di vista.

Nei giorni passati insieme, mi sono accorta di essermi molto legata a Cedric. Come amico intendo. Perché è solo così che riesco a vederlo e la cosa mi stupisce un po’, visto che fino a non molto tempo fa non mi sarebbe dispiaciuto nell'altro senso. Appartiene alla stessa categoria di ragazzi con cui esco di solito, eppure ora come ora non mi ci vedo proprio. È davvero simpatico e mi fa sempre ridere, ma fine della storia. E poi a lui piace Claire, quindi...‬‬‬‬‬‬‬‬‬‬

 

~o~

 

L'atteggiamento di Claire inizia a farmi innervosire. È come una sorella per me e le voglio bene, ma a volte mi chiedo cosa le passi per la testa. Ha la fortuna di avere un ragazzo come Cedric che le sbava dietro e lei niente, del tutto indifferente. Io che darei chissà cosa per 

Dovrebbe smetterla di usare la vecchia storia del tradimento come scusa e lasciarsi tutto alle spalle finalmente. So che l'umiliazione le brucia ancora, ma Cedric ha davvero buone intenzioni nei suoi confronti, ne sono sicura. Non ne ho parlato direttamente con lui, ma non ce n’è bisogno perché si vede lontano un miglio che è cotto a puntino. Comunque, non sono affari miei. Io e Rachel ci abbiamo provato a farla ragionare, ma non vuole saperne, perciò pazienza. Prima o poi lo capirà da sola.

Per la verità, non è che Rachel sia molto presente ultimamente. Il suo rapporto con Dean sembra saldarsi sempre di più, mentre il mio perde colpi ogni giorno che passa. È vero, mi rivolge la parola molto più spesso rispetto agli inizi, ma la maggior parte delle volte è perché sono inciampata o strillo se un insetto si avvicina troppo. 

L'altro giorno, per esempio, ero nella mia tenda a farmi gli affari miei, quando un orrendo coso a sei zampe mi è salito su una gamba. Ho gridato talmente forte che mi avranno sentito anche a casa. Per fortuna poi è arrivato Dean e ha ucciso il mostro, da vero eroe che si rispetti. Solo che dopo invece di ricevere un bel bacio dal mio principe azzurro mi ha sgridata per aver spaventato tutti quanti, neanche fossi una bambina, e in un colpo solo credo di essermi bruciata i pochi progressi fatti con lui.

Lo so, ho esagerato, ma è più forte di me, sono insettofobica! Però, anche lui poteva evitare di trattarmi in quel modo, no? Sì, me la sono presa. 

Mi è capitato altre volte di incontrare persone scostanti, magari timide, ma ho sempre trovato il modo di coinvolgerle. Con Dean invece c’è come un muro, contro cui rimbalza ogni mio tentativo di approccio. Non sono abituata a sentirmi così a disagio con qualcuno e mi chiedo ancora come faccia a interessarmi. 

Forse perché il mistero mi ha sempre attratto oppure perché sento questa specie di feeling che mi lega a lui... O magari, ho un'idea migliore, potrei smetterla di farmi tutte queste fantasie e iniziare a pensare in concreto. 

Sicuramente risolverei gran parte dei miei problemi.

 

~o~

 

Stamattina Rachel si è svegliata disperata perché non trovava più la sua collana con la pietra. Per lei è un vero cimelio, così ci siamo subito messi a cercarla ovunque. Sicuramente doveva esserle caduta nella tenda o lì fuori, ma continuava a dire che non c’era.

A un certo punto, dopo aver passato un’ora a frugare come impazzita tra le sue cose, Dean l'ha ritrovata nei pressi della tenda, semisepolta sotto gli aghi di pino. Nel momento stesso in cui gliel'ha sventolata davanti agli occhi, Rachel gli è saltata letteralmente al collo. Non era in sé dalla gioia, continuava a ringraziarlo, a ringraziarlo... 

Dean era parecchio sorpreso e imbarazzato, ma perché non sapeva quanto fosse importante per lei quella collana. 

Io lo so e capisco la sua euforia, eppure devo confessarti che quando li ho visti abbracciati ho provato uno strano fastidio alla bocca dello stomaco…

 

~o~

 

Caro Diario, non puoi capire in che stato sono! 

Ormai non ti scrivo da giorni, e ti chiedo scusa, ma non ne ho proprio avuto la forza. 

Dean è sempre più impaziente di arrivare (per fare poi che cosa non si sa) e a volte sembra dimenticarsi perfino di mangiare. Oggi, all'ora di pranzo, Mark gli ha proposto di fare una pausa e lui lo ha guardato con aria scocciata, come se la richiesta lo avesse infastidito. Mi ha lasciata senza parole. Possibile che non senta mai il bisogno di mettere qualcosa sotto i denti o fermarsi un attimo a riposare? Se non ci fossimo noi a ricordarglielo, probabilmente non mangerebbe affatto. ‬‬‬‬‬‬‬‬‬

A parte questo, non è successo nulla di particolare, tranne che... Ok, forse sto davvero esagerando, ma ho l'impressione che tra Dean e Rachel stia succedendo qualcosa, e non mi riferisco solo al vecchio ’episodio della collana. 

Non ho potuto fare a meno di notare quanto il rapporto che c'è tra quei due si sia consolidato col passare del tempo. Rachel non è mai stata così espansiva con un ragazzo, anzi per timidezza li ha sempre allontanati. 

Invece con Dean ha un’intesa pazzesca e stranamente lui sembra incoraggiarla. All’inizio non le dava tanto peso, la snobbava come fa tutt'ora con noi, ma a lungo andare stanno prendendo sempre più confidenza. È come se in un certo senso solo lei fosse degna di rivolgergli la parola e devo ammettere che la cosa mi infastidisce. Anche perché si tratta di buona educazione! Non è carino concentrarsi solo su una persona e ignorare il resto del gruppo, non credi anche tu? 

Forse Rachel gli è più simpatica o forse tra di loro si capiscono meglio. O forse sono semplicemente paranoica…‬‬‬‬‬‬‬‬

 

~o~

 

Inizio a sentire la mancanza della mia famiglia. Sì, anche di quell'ameba di mio fratello. 

Ora penserai che sono una bambina, ma sono sempre stata molto legata a loro. E poi non mi sono mai allontanata da casa per un periodo così lungo. 

Oltretutto, Cedric mi ha tolto ogni possibilità di chiamarli perché ha pensato bene di rompere l'unico caricabatteria che avevamo. Lo aveva portato Mark e andava a energia solare, l’ideale per il campeggio. Guarda caso, ieri lo stava usando Cedric per il suo cellulare e, non so esattamente cosa abbia fatto, ma a un certo punto non funzionava più. Ha chiesto a Mark se fosse normale e quando lui è andato a controllare ha effettivamente constatato che l'aveva rotto. Hanno cominciato a bisticciare e da ciò ho intuito che non era la prima volta che succedeva. 

Mark mi dà l'idea di uno molto geloso delle sue cose e si vedeva che era seccato. Ha proibito a Cedric di mettere mano a qualsiasi altro oggetto di sua proprietà, senza che ci fosse lui nelle vicinanze. La scena sarebbe stata anche divertente, se non fosse stato che non c'erano altri caricatori e sia io che le altre avevamo il telefono quasi scarico. 

Come al solito, Dean non è stato toccato dalla cosa. D'altronde, niente sembra turbarlo Tra l’altro, non l'ho mai visto caricare il cellulare… anzi, a pensarci non credo neanche che ne abbia uno. Mi chiedo, è possibile che non abbia parenti o amici da chiamare, né qualcuno che potrebbe preoccuparsi se non si fa vivo?

Comunque, alla fine i ragazzi hanno proposto di fermarci al prossimo rifugio per ricaricare i telefoni. La batteria dovrebbe resistere… o almeno spero, altrimenti chi lo sente mio padre?

 

~o~

 

Stasera ti scrivo dalla tenda di Claire. Perché? 

Prima di cena mi sono allontanata per lavare un paio di magliette al torrente e mentre strofinavo ho sentito degli strani fruscii. All'inizio non ho dato peso alla cosa. Sai com'è, siamo in un bosco, è abbastanza normale sentire dei rumori. Ho pensato che magari potesse essere solo il vento o un uccello tra i rami. Invece poi hanno cominciato a farsi più intensi, anzi sembrava come se ci fosse qualcuno, o qualcosa, nascosto tra i cespugli. Solo allora ho realizzato che potesse trattarsi di un grizzly. 

Accidenti a Mark e Rachel e a tutte le loro fantasticherie su quanto siamo fortunati in Montana ad averne ancora! Cosa ci troveranno poi di così affascinante in un enorme bestione peloso capace di staccarti la testa con una zampata? 

Presa dal panico, sono tornata subito indietro.

In realtà, non volevo far vedere di essere spaventata, per non rischiare di fare sempre la figura della fifona, ma ovviamente Rachel non si è lasciata abbindolare. Le è bastata un'occhiata per capire che qualcosa non andava e, tra una domanda e l'altra, è riuscita a farmi sputare il rospo. Com'era prevedibile, tutti hanno minimizzato, dicendo che probabilmente si era trattato di una mia impressione o che al limite poteva essere stato uno scoiattolo e bla, bla, bla...

Quello che mi ha dato più fastidio però è stata l'espressione di Dean. Avrei voluto cancellargli quell'aria di sufficienza dalla faccia. Sembra come se tutto di me, incluso quello che dico, lo scocci. Si può sapere cosa gli ho fatto? Un giorno o l’altro dovrò raccogliere il coraggio e chiederglielo. Non ci sto a farmi trattare da povera imbecille da un estraneo. 

Quel che è peggio è che Ray era d'accordo con lui, come se davvero stessi esagerando a dare importanza a quei rumori. 

La comunanza tra quei due mi dà proprio sui nervi. Concordano sempre su tutto. Certo, non posso dire che siano diventati migliori amici, ma di sicuro lui la considera migliore di noi altri. Non so ancora sotto quale aspetto, ma tant'è…

Comunque, alla fine non me la sono sentita di dormire da sola stanotte, quindi ho chiesto a Claire di dividere la sua tenda con me. Ora come ora, però, inizio a pentirmene, perché non fa altro che dimenarsi e io non riesco a prendere sonno. 

‬‬‬‬‬‬‬‬

~o~

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Caro Diario, non capisco cosa ci stia succedendo. 

Pensavo che questo viaggio potesse essere un modo per stare tutti insieme, divertirsi, ma a quanto pare ci sta facendo più male che bene. 

Adesso non riesco a comunicare nemmeno con Claire. Sono giorni che si comporta in modo strano. A volte è allegra, parla, ride e organizza scherzi con Cedric (la maggior parte a discapito di Dean) e altre ha un'aria stanca, stremata, come se non dormisse a sufficienza.

L'altro giorno sono andata da lei per chiederle se stava bene, e mi ha risposto di avere degli incubi da un po’ di tempo che la svegliano di continuo (questo spiega l’agitazione dell’altra notte). Non è scesa nei dettagli e ho intuito che non le andasse di farlo, così, per cambiare argomento, le ho chiesto di Cedric, se nel frattempo fosse cambiato qualcosa tra loro (visto che ultimamente mi sono sembrati più uniti del solito). Non volevo dare l'impressione di impicciarmi, perciò ci sono andata piano. Comunque Claire ha smentito, dicendo che si stavano conoscendo meglio, ma niente di più. 

A quel punto non ce l’ho fatta e ho dovuto dirglielo. Possibile che ancora non ci arrivi? Quando sta con lui è diversa, torna la Claire di una volta, quella felice e spensierata. Erano mesi che non la vedevo così. 

Purtroppo è stato inutile, visto che continua a negare l'evidenza. Per lei sono solo amici. Tutto qui… 

Parlandone con Rachel, anche lei si è accorta della sua bipolarità, ma non le ha dato tanto peso. Dice che trattandosi di lei è normale. Sarà...‬‬‬‬‬‬

Visto che eravamo in vena di confidenze, cosa che non succedeva da parecchio mi sono fatta coraggio e le ho chiesto di Dean, se avesse fatto progressi con lui, e la sua risposta mi è sembrata un po' troppo vaga. Ha detto che non parla molto di sé, ma da quel poco che è riuscita a cavargli di bocca ha capito che non deve aver avuto un passato facile. Non ha parenti e la setta è stata la sua unica famiglia per anni. Deve essere stata dura lasciarla, anche se per una buona causa. 

Ora che ho saputo certe cose non so se me la sento ancora di criticarlo, forse l'ho giudicato troppo duramente. Di solito non do mai un parere affrettato su una persona, chissà perché stavolta l'ho fatto. Dovrei sforzarmi di più per riuscire a vedere il suo lato migliore.

 

~o~

 

Caro Diario, comincio a pensare che Rachel non mi stia raccontando proprio tutto. 

Quella dell'altro giorno è stata l'ultima volta che abbiamo parlato di Dean in maniera esplicita, dopodiché lei non ha più tirato fuori l'argomento e io continuo a saltellare tra la voglia di chiederle di più e il timore di quello che potrebbe rispondermi. ‬‬‬‬‬

È che continuo a vederli così affiatati... Cioè, non è che l'atteggiamento di Dean sia cambiato poi molto da quando l'abbiamo conosciuto. È sempre rigido, scostante e poco incline alla risata, ma con Rachel sembra avere comunque un rapporto più saldo. 

Qualche pagina fa ti avevo già parlato di questo, ma adesso le cose si sono ingigantite. Allora pensavo di stare esagerando, ma adesso non ne sono più così sicura. So che dicendolo rischio di ripetermi, ma c'è qualcosa tra loro, anche se non sono ancora usciti allo scoperto.

Continuo a vederli chiacchierare, per quanto sia sempre più lei ad aprire bocca che Dean. Che avrà da raccontargli poi? ‬‬‬‬‬

Ad alimentare ancora di più i miei sospetti c'è il fatto che Rachel non ne parli né con me né con Claire. Sembra come se nascondesse un segreto di cui stavolta non intende metterci a parte. Abbiamo sempre parlato di tutto, fin da bambine, e adesso il pensiero che ci sia qualcosa di non detto mi preoccupa. 

In fondo, se c’è qualcosa tra loro perché non lo dice e basta? Perché nasconderlo? Ha paura che la giudichi o la incolpi perché ci piace lo stesso ragazzo? Se il sentimento tra loro è reciproco, sarei anche disposta a farmi da parte, senza problemi...‬‬‬‬‬

Comunque, rileggendo le pagine precedenti inizio a rendermi conto di non aver fatto altro che scrivere l’elenco completo di tutte le mie paturnie su di loro. Forse è arrivato il momento di darci un taglio.

 

~o~

 

Oggi è avvenuto un miracolo! 

Abbiamo trovato un torrente più profondo del solito e per la prima volta dopo giorni ci siamo potuti fare un bagno completo. L'acqua era gelida, ma non ci importava, tanta era la gioia di poterci lavare come si deve, oltre che poter lavare i vestiti sporchi. Insomma, una vera pacchia. 

Stavamo talmente bene in questo angolo di paradiso che non abbiamo voluto saperne di lasciarlo, così siamo rimasti qui tutto il giorno a poltrire (una volta tanto!)

Ma non è questa la novità più eclatante. 

Dopo pranzo, volevo tornare al torrente per finire di lavare alcune cose e Cedric si è offerto di accompagnarmi (per proteggermi dai grizzly a detta sua). Comunque, una volta arrivati, mi sono messa al lavoro e lui si è sdraiato vicino a me con il cappello sugli occhi, pronto ad appisolarsi. Dopo un po’ che eravamo lì, ho avvertito di nuovo quegli strani fruscii tra i cespugli, ma stavolta non ero sola. Anche Cedric li ha sentiti e si è tirato su di scatto. Ci siamo guardati all'istante, capendoci al volo senza dire nulla (Visto? Non sono pazza!). 

Ha suggerito potesse essere stato il vento, ma a dire il vero non tirava un filo d'aria.

Decisi a ignorare la cosa, siamo tornati ai nostri affari, lui a pisolare e io a strizzare la mia maglietta. Non era passato molto che i fruscii si erano fatti risentire, stavolta più intensi e ravvicinati, come se qualcuno si stesse muovendo per trovare una posizione migliore da cui spiarci. 

Cedric è voluto tornare subito all'accampamento e stavolta mi ha sostenuta. Ha chiesto a Dean se per caso fosse possibile che quelli della setta ci avessero trovati, ma lui ha risposto senza scomporsi che l'ipotesi era da escludere. Non c'è modo di sapere dove siamo. 

Devo dire che mi ha rassicurata. Probabilmente si è trattato davvero solo di un animale.

 

~o~

Caro Diario,

è da stamattina che non fa altro che piovere, perciò non abbiamo potuto proseguire.

Dean non l'ha presa molto bene, si intuiva dalla faccia, ma stavolta non ha potuto dare la colpa a nessuno. 

In compenso, Cedric ha avuto la bella idea di unire tutte le tende (cosa che tra l'altro non sapevo nemmeno si potesse fare), così da creare una sorta di tunnel. In questo modo abbiamo potuto stare tutti insieme, senza doverci per forza inzuppare. 

Mi sono davvero divertita e ho visto Dean più partecipe, per quanto il suo carattere gli consenta. Comunque, lo vedo più ''integrato'' rispetto agli inizi e la cosa non potrebbe che farmi piacere, se non fosse che il merito di tutto ciò va a Rachel. ‬‬‬

A questo punto della storia, bando ai mezzi termini, e diciamo le cose come stanno: sono gelosa. 

Ecco, l'ho detto. 

Sembrerò cattiva ed egoista, ma è così. Pensavo di riuscire a farmi da parte (in fondo tra me e lui non c'è niente e non posso pretendere di piacergli) ma più li guardo e più qualcosa dentro di me si rifiuta di accettarlo. 

Forse perché mi sono resa conto che quello che provo è troppo forte e non si tratta di una semplice cotta. Quindi, finché non li vedrò sbaciucchiarsi in un angolo, dovrei lottare? Non so, sono combattuta. 

Questa situazione mi è del tutto estranea. Non mi è mai capitato di entrare in competizione con qualcuno, figurarsi con Ray, e la cosa mi spaventa.

Tra l'altro, credo anche di aver capito perché tra loro stia funzionando. Ho sempre pensato che Dean sembrasse più grande della sua età, per via del suo modo di parlare e di comportarsi, quindi Rachel è la persona più adatta a lui. Senz'altro più adatta di me. 

Che lei sia sempre stata la più matura tra noi tre era una cosa che sapevo già, ma fino ad oggi non aveva mai rappresentato un ostacolo per la nostra amicizia. 

Che fare quindi? 

Visto che non posso impormi di disprezzare Dean o ignorare il fatto che si piacciono, dovrei troncare definitivamente i rapporti con Rachel? Conoscendomi, probabilmente farei prima ad accettarli come coppia...‬‬‬

 

~o~

 

Caro Diario, 

sto cominciando a perdere il conto dei giorni. Ricordo a malapena quando siamo partiti e quanto tempo è passato da allora. 

Questa fantomatica baita sembra il posto più irraggiungibile del pianeta. Dean dice che è perché ci fermiamo ogni due ore, ma visti i ritmi a cui ci sottopone è anche normale che abbiamo bisogno di riposo. Ma lui non è normale 

Sembra come se un branco di cani affamati gli stesse sempre alle calcagna. Ha una fretta indiavolata di arrivare e oltretutto un'aria più nervosa da un po' di tempo a questa parte. Non che prima fosse la persona più affabile del mondo, ma adesso rischia addirittura di superarsi. 

Anche con Ray parla di meno (non che mi dispiaccia).

Durante la scarpinata di oggi andava così veloce che Cedric gli ha chiesto se per caso avesse acceso i razzi e lui lo ha guardato malissimo. Non capisco perché si comporti così, visto che nessuno ci sta correndo dietro. Non doveva essere una specie di vacanza questa? ‬‬

Comunque, alla fine abbiamo puntato i piedi e si è dovuto fermare per forza. Per fortuna, perché un altro passo e sarei stramazzata al suolo. ‬‬

Un'altra che è diventata intrattabile è Claire. Ora le è venuto anche un accenno di occhiaie, a conferma del fatto che dorme male o per niente. È sempre taciturna e se apre bocca è per rispondere a monosillabi. 

A questo punto mi domando se ci sia qualcosa che non va in quello che cucino. ‬‬

In verità, devo riconoscere di avere anch'io qualche problema di dialogo ultimamente. Solo quando ti scrivo sembro una chiacchierona, forse perché non ho la possibilità di sfogarmi in altro modo. Per fortuna ci sei tu diario… a volte penso che se mai dovessi finire nelle mani di qualcun altro, passerei sicuramente per una povera pazza, perciò ti tengo sempre al sicuro nel mio zaino. Sei troppo prezioso.

Ovviamente ti racconto tutto questo nel cuore della notte, mentre gli altri dormono. Io non ci riesco, ho troppe cose che mi frullano per la testa...

Farò meglio a provarci.

Notizia dell'ultimo minuto: stavo per chiuderti e tentare di dormire, quando ho sentito del movimento fuori dalla mia tenda. Mi sono affacciata e ho visto Dean che si allontanava dall'accampamento. L'ho seguito con lo sguardo fino a un certo punto, poi è sparito tra gli alberi. 

Non ho idea di dove stia andando a quest'ora. Forse neanche lui riesce a dormire. Il mistero si infittisce...

 

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Capitolo 13
*** Sospesi ***


 

Capitolo 15

 

Sospesi

 

Dean si fece largo tra la boscaglia, spostando i rami che gli bloccavano il passaggio. Sopra di lui splendeva pallida la luna piena. 

Per quella notte era impossibile sperare di chiudere occhio. Non che le altre volte dormisse molto, al massimo un paio d’ore, ma quella era una serata particolare. 

Alla fine aveva deciso di fare due passi, per restare solo e riflettere, ma anche per un altro motivo. Sapeva che qualcuno li stava seguendo e che quel qualcuno era della Congrega. All’inizio non aveva dato peso agli allarmismi di Juliet, ma poi la conferma di Cedric gli aveva fatto venire il dubbio. Ora era curioso di sapere chi ci fosse nascosto dietro quei cespugli, anche se aveva già preso in considerazione diverse ipotesi.

Non ci fu bisogno di attendere molto per saperlo, perché poco dopo al limitare della radura una figura sinuosa si fece largo tra i cespugli.

“Mi chiedevo quando ti saresti fatto vedere.” disse la donna, mentre veniva a poco a poco illuminata dai raggi di luna.

Dean sogghignò e scosse la testa. “Lo sapevo. Fin troppo prevedibile.”

“Sapevi cosa?” 

“Che eri tu.” chiarì.

A quel punto, Mary si era fatta abbastanza vicina perché riuscisse a vederla in volto. Non appena incontrò il suo sguardo, sorrise compiaciuta, sbattendo le lunghe ciglia. “Scommetto che non vedevi l’ora di rivedermi.” 

Dean ignorò il commento.

“Certo, potevi anche degnarti di salutare, prima di partire.” lo rimproverò, fingendosi risentita. Poi, visto che la sua ironia non sortiva alcun effetto, passò ad altro. “Allora? Come ti trovi con i tuoi nuovi amici?”

“Lo sai benissimo, visto che è una settimana che ci spii.”

Mary sbuffò annoiata. “Il solito esagerato. Spiare. Non è che vi stia spiando, mi assicuro solo che tu faccia il tuo dovere fino in fondo.” lo corresse. 

“Beh, cerca di essere più discreta. Per poco non ti sei fatta scoprire l’altro giorno.”

Per tutta risposta, lei sventolò la mano liquidando la cosa come di scarsa importanza. “Comunque, in questi giorni mi sei sembrato più a tuo agio con loro che con i tuoi compari della Congrega. Non è che ti stai rammollendo, per caso?”

Dean riprese a ignorarla e lei non pretese una risposta, ma continuò ad avvicinarsi, finché non si trovarono a pochi centimetri l’uno dall’altra. 

“Mi sei mancato.” Lo abbracciò nostalgica, appoggiando la guancia al suo petto. Chiuse gli occhi e si lasciò andare a uno sospiro sognante, ma non durò molto perché nel giro di due secondi Dean sciolse l’abbraccio e la allontanò da sé con fare insofferente.

“Mi vuoi dire il vero motivo per cui sei qui? Di certo non per tua iniziativa.” Nessuno della Congrega, infatti, poteva assentarsi per lunghi periodi, a meno che non ne avesse ricevuto il permesso o su esplicito incarico. La regola valeva anche per Mary, anche se a differenza degli altri godeva di maggiori libertà.

Lei annuì e, per nulla sconvolta dal suo rifiuto, riprese le distanze. “Nickolaij mi ha chiesto di controllare che tutto procedesse per il verso giusto, visto il tuo ritardo.” ammise, prendendo a passeggiare nei dintorni. “Infatti, non posso trattenermi a lungo. Devo tornare a riferire.” 

Dean non si mosse, pur seguendola con lo sguardo. Ogni tanto, una parte di lei veniva illuminata dalla luna, per poi scomparire di nuovo nel buio. La trovava ancora attraente, nonostante tutto, e non si poteva negare che di notte desse il meglio di sé. In tutti i sensi. “Cos’è? Nickolaij non si fida di me?”

Le sfuggì una risatina divertita. “Lo sai che lui si fida solo di se stesso.” 

“Vero, ma dovrebbe sapere che ormai non ho più bisogno della balia.” ribatté infastidito. Lo seccava il fatto che qualcun altro si immischiasse. Quella era la sua missione.

Mary lo guardò con aria divertita. “Non dirlo a me. Io eseguo soltanto i suoi ordini, come fai tu. Se ha deciso di mandarmi, è stato perché lo ha ritenuto necessario.”

Dean, però, era troppo nervoso per stare a sentire tutte quelle chiacchiere inutili, così arrivò subito al punto. “Bene, hai fatto il tuo dovere. Puoi dire a Sua grazia che saremo a Bran tra un paio di giorni al massimo. Non c’è da preoccuparsi.”

Lei rise di nuovo. “E chi si preoccupa? Qui l’unico che deve farlo sei tu.” Si fece un’altra passeggiata, stavolta avvicinandosi di più a lui e diventando improvvisamente seria. “Non puoi permetterti di fallire.”

“Non succederà.”

“Lo so, ma è a Nickolaij che devi dimostrare ciò che vali, non a me. Io mi fido ciecamente delle tue capacità.” disse, rivolgendogli un sorriso sincero. Poi gli mise una mano sulla spalla, accostò le labbra al suo orecchio e sussurrò maliziosa: “Perché ti amo.” 

Dean scosse la testa, senza provare a trattenere uno sguardo compassionevole. “Non sai nemmeno che significa.” 

Mary arricciò il naso, lanciandogli un’occhiata accusatoria. “Mi offendi. Io almeno ho il coraggio di dirtelo, a differenza tua.” 

In altri tempi Dean avrebbe assecondato i suoi giochetti, che una volta avrebbe anche trovato divertenti, ma quell’epoca era passata da un pezzo. Così, non si fece troppi scrupoli nel risponderle. “Ti è mai venuto in mente che non l’ho mai detto perché non è vero?” Lo disse con il tono più sgarbato possibile, nella speranza che capisse una volta per tutte. Tra loro era finita da anni, eppure Mary ancora non riusciva ad accettarlo. Una volta avevano condiviso qualcosa insieme, quando lui era appena arrivato nella Congrega, spaventato e confuso, ma si era sempre trattato di attrazione fisica più che di amore vero e proprio. Almeno per quanto lo riguardava.

Lei sapeva come manipolarlo e tirare fuori il lato peggiore del suo carattere. Se ne era reso conto alla fine. Così aveva troncato la relazione, senza aspettarsi di certo quell’ossessione cronica che continuava ad avere nei suoi confronti.

Stavolta però sembrò davvero aver colto nel segno. Mary lo fissò per un attimo, visibilmente provata dalle sue parole, ma si riprese subito e cercò di non darlo a vedere, anche se ormai era tardi. 

“C’è un’ultima cosa.” Il tono della sua voce era cambiato, così come la sua espressione. Si avvertiva che il suo umore non era più lo stesso di quando era arrivata. 

“Dimmela e vattene.” disse Dean secco.

Mary sembrò pensarci su, mentre giocherellava con qualcosa che aveva tirato fuori dalla tasca. “Stasera è plenilunio, in caso non l’avessi notato. Immagino avrai fame...” constatò senza guardarlo. 

Dean non fece fatica a intuire di cosa si trattasse, perciò quando guardò dentro al sacchetto che gli aveva lanciato non si stupì di trovarci tre ampolle piene di liquido denso e rossastro. 

“Bevine una o da qui a tre giorni neanche tu riuscirai a resistere.” ironizzò Mary. “Le altre sono per le emergenze. Non si sa mai.” 

Lui fece come aveva detto e nascose il resto nella tasca interna della giacca. Non pensava che ne avrebbe avuto bisogno, ma era meglio conservarle. Dopodiché tolse il tappo e mandò giù il contenuto, avvertendo fin da subito i suoi benefici. 

Mary lo guardò impassibile. “Visto? Come avresti fatto senza di me?” chiese acida. “Ora vado, devo fare rapporto.” Fece per andarsene, ma poi esitò. “Cerca di sbrigarti. Nickolaij sa pazientare, ma fino a un certo punto.” Detto questo, girò i tacchi, dileguandosi nella boscaglia senza degnarlo di uno sguardo.

Prima di ritornare all’accampamento, Dean si concesse qualche minuto affinché gli effetti visibili del sangue sul suo corpo svanissero. Sollevò lo sguardo verso il cielo scuro, poi chiuse gli occhi, si rilassò e tutto il nervosismo di quei giorni gli scivolò addosso, mentre respirava l’aria della notte. 

Camminando, rimuginò sull’incontro con Mary e su quanto l’avesse infastidito trovarla lì. Dubitava che la scelta di Nickolaij di mandare lei fosse stata casuale, anzi era molto più probabile che si fosse offerta volontaria. Ma di questo non c’era da stupirsi, visto che non perdeva occasione per impicciarsi dei fatti suoi.

Una volta tornato all’accampamento, constatò con sollievo che nessuno si fosse accorto della sua assenza, così si sedette su un tronco come se non se ne fosse mai andato e attese l’alba, di tanto in tanto aggiungendo altri rametti al fuoco per ravvivarlo e approfittando di quel raro momento di quiete. Incredibile la quantità di rumore che solo cinque persone erano in grado di produrre. 

Alle prime luci dell’alba, avvertì dietro di sé il suono metallico di una zip che si apriva e una Juliet assonnata uscì sbadigliando dalla tenda. Non sembrò meravigliata di vederlo già in piedi, dato che era sempre il primo ad alzarsi. 

“Buongiorno.” Mormorò con la voce impastata.

Dean non poté fare a meno di sorridere alla vista dei suoi capelli arruffati. “Buongiorno.”

La guardò affaccendarsi, mentre preparava il caffè. Era interessante vedere come si desse sempre da fare, affinché gli altri trovassero la colazione pronta al risveglio.

“Nei vuoi un po’?” gli chiese, indicando il pentolino che aveva messo a bollire sul fornello. 

Dean riemerse dai suoi pensieri e la guardò spaesato. “No, no, grazie.” rispose con qualche secondo di ritardo. “Non amo il caffè.” Non capiva come facessero le persone a bere tutti i giorni quella brodaglia amarognola. 

Juliet annuì, senza distogliere l’attenzione dal fornello. “In realtà, neanch’io. Lo prendo più che altro la mattina, per svegliarmi. Preferisco il tè, non c’è paragone.” 

Iniziò a parlare a raffica delle proprietà benefiche del tè che aveva scoperto di recente, di quanto le fosse utile per rilassarsi e di altre mille cose, ma stranamente tutte le sue chiacchiere non lo infastidirono. Sembrava come se il sonno, invece di indebolirla, le desse ancora più energia. Aveva un’aria semplice e genuina mentre raccontava di sé, come se si conoscessero da anni e di lei non esisteva altra faccia se non quella che aveva davanti. Riuscì perfino a metterlo di buon umore e, dopo Mary, il confronto tra le due gli risultò inevitabile.

Alla fine, non l’ascoltava più, concentrato com’era sui suoi occhi. Non aveva mai notato come alla luce del sole assumessero quel colore verde brillante e fuori dall’ordinario, come non ricordava di aver mai visto. 

“Juls, che ti è successo stamattina? Non hai mai parlato così tanto prima delle sette.” 

Rachel sbucò fuori dalla sua tenda, grattandosi la testa piena di ricci e distraendolo da Juliet, che arrossì, ma cercò di nasconderlo dando loro le spalle e riprendendo a fare il caffè. Se ne versò un po’ in un bicchiere aggiungendo un paio di bustine di zucchero, prima di sedersi di fronte al fuoco, senza dire altro e bevendo a piccoli sorsi. 

“Ce n’è anche per me?” le chiese Rachel.

L’amica annuì, indicandole il fornello con un cenno della testa. 

Mentre lei si serviva, comparve anche Cedric. “Buongiorno, raggi di sole. Vi porto i saluti dal regno di Morfeo.” disse con fare poetico, senza trattenere uno sbadiglio.

“Buongiorno, Ced.” rispose Juliet, sorridendo divertita.

Lui le rivolse uno dei suoi soliti sorrisi smaglianti. “Anche a te, dolcezza. Non è una magnifica giornata?”

“Sì, splendida.” ribatté Rachel in tono accondiscendente. “Quando hai finito, mi dici se vuoi il caffè?” chiese, offrendosi di prepararglielo.

“Ecco, lo sapevo che la regina dei ghiacci avrebbe rovinato tutto.” Si lamentò lui; poi fece per allontanarsi, dopo essersi stiracchiato. “No, grazie. Penserò da solo al mio caffè, intanto ho altro da fare. La natura chiama.”

Quelle finesse.” Rachel andò a sedersi accanto a Dean, con il bicchiere di caffè fumante in mano. Rimase a sorseggiarlo in silenzio, mentre lui provvedeva a spegnere il fuoco, e quando poco dopo Juliet prese asciugamano e spazzolino e si diresse al torrente, rimasero soli davanti al focolare. 

“Rimpiango il mio letto. Stanotte ho dormito malissimo.” si lamentò Rachel, inarcando la schiena con aria sofferente. “C’era un sasso proprio sotto la tenda che premeva contro il sacco a pelo.” 

Dean accennò un mezzo sorriso accondiscendente, continuando a smuovere la terra sui tizzoni per togliergli l’ossigeno. 

“Finisco il caffè e poi vado a svegliare Claire. Immagino che anche oggi ci aspetti una bella sfacchinata.” osservò poi lei, mandando giù un’altra sorsata. 

Nel frattempo, non si era accorta che Cedric si era avvicinato di soppiatto alle sua spalle, brandendo un pentolino colmo d’acqua ghiacciata. 

“Piove!” esordì all’improvviso, rovesciandoglielo sulla testa, mentre Dean prontamente schizzava in piedi per evitare di bagnarsi a sua volta.

Rachel lanciò un urlo strozzato, poiché il freddo le aveva mozzato il fiato in gola. Di scatto si girò verso Cedric, che rideva con il pentolino ancora a mezz’aria. Lo fissò con gli occhi sgranati e i capelli che grondavano. “Ma sei deficiente?” gli gridò contro furiosa.

“Scusa, ma non ho saputo resistere.” si giustificò, senza neanche provare a trattenere le risate.

Lei boccheggiò incredula. L’acqua le era entrata nel pigiama e gocce gelide le correvano lungo la schiena, facendola rabbrividire. 

“Che succede?” Mark uscì dalla sua tenda con aria stralunata. Si pulì gli occhiali con un lembo della maglietta, prima di inforcarli e mettere a fuoco la scena. 

“Succede che il tuo amico è un povero imbecille.” lo informò Rachel, alzandosi in piedi e puntando un dito inquisitore contro Cedric. 

Qualche istante dopo, comparve anche Claire, più intontita che mai. “Si può sapere cos’è questo casino? Già non riesco a dormire…” Poi squadrò Rachel più volte dalla testa ai piedi, come se non riuscisse a vederla bene. “Ti sei fatta il bagno vestita?”

“Sì, certo. È il mio nuovo hobby, vero Cedric?” ribatté lei acida.

Quando lo nominò, finalmente Claire sembrò unire i puntini. “Ah, sì. Sono giorni che progetta di farvi uno scherzo.” rivelò, alludendo anche a Dean.

“Esatto, anche se il mio piano ha funzionato solo per metà.” concordò Cedric ghignante, con una punta di insoddisfazione nella voce. 

“E tu non hai pensato di dirmelo, vero?” chiese Rachel sempre più infervorata.

Claire fece spallucce, dimostrandosi poco interessata alla questione, e si sedette davanti al fuoco spento.

Nel frattempo, Mark stava preparando altro caffè, quando Rachel si avvicinò ancora tremante. “Fanne un po’ di più, il mio si è annacquato.” Rivolse un’occhiata fulminante a Cedric mentre lo diceva, ma lui era impegnato a descrivere a Claire i dettagli della scena che si era persa. Rachel pensò fosse un buon momento per approfittarne e si guardò intorno in cerca di un modo per vendicarsi. In terra c’erano un paio di bottiglie d’acqua che avevano riempito la sera prima e allora le venne l’idea. Ne afferrò una e, dopo aver svitato il tappo con fare vago, provò a rovesciargliela addosso, ma Cedric intuì il suo piano e fece in tempo a scansarsi, così che riuscì solo a schizzarlo. 

“Mancato!” esclamò trionfante. “Ritenta, sarai più fortunata!”

Rachel imprecò, accorgendosi solo in seguito di aver preso Mark al suo posto. Imbarazzata, tentò allora di abbozzare delle scuse, ma lui non diede segno di essersela presa e continuò a prepararsi il caffè come se niente fosse. 

Claire si coprì la bocca con una mano per celare uno sbadiglio. “Dai, lascia perdere. È una partita persa in partenza.” consigliò all’amica.

Mentre lei faceva per risponderle, Mark sfruttò l’occasione per svuotarle un’altra volta il pentolino sulla testa. Sempre più fradicia, lo guardò allibita, dandosi della stupida per esserci cascata ancora. “Allora, volete la guerra!” 

Claire li guardò con un’espressione sofferente. “No, vi prego…” 

Ignorandola del tutto, ingaggiarono una lotta senza esclusione di colpi, rincorrendosi per la radura, tra risate e schizzi a destra e a manca, facendo un gran baccano e innaffiando un po’ tutto. 

Il gioco coinvolse suo malgrado anche Dean, a cui a un certo punto Cedric riuscì finalmente a fare la doccia. 

“Ce l’ho fatta!” esultò trionfante.

Così facendo, però, si distrasse e Dean ne approfittò per annaffiarlo con l’acqua di un’intera bottiglia. Dopodiché lo fissò, alzando un sopracciglio con aria eloquente.

Proprio in quel momento, Juliet tornava dal torrente e, ignara di tutto, li guardò perplessa uno ad uno. “Che mi sono persa?”

 

-o-

 

Dopo aver raccolto e asciugato, per quanto possibile, la loro roba, ripresero il viaggio. Era una bella giornata e, anche se ormai si trovavano a un’altitudine media, il caldo era considerevole e il sole cadeva a picco sulle teste.

Dean li guidava lungo il sentiero, mentre Mark dietro di lui, bussola alla mano, seguiva il percorso e lo segnava a penna sulla mappa. 

“Continuiamo ad andare verso nord-ovest. Di questo passo rischiamo di sbucare in Canada.” constatò, analizzandola con attenzione. “Sei sicuro che sia la strada giusta?” gli chiese, senza staccare gli occhi dal foglio. 

“Forse ci siamo persi, ma qualcuno non vuole ammetterlo.” si intromise Cedric polemico, vedendo che Dean non rispondeva. “Non ci sarebbe niente di male, comunque.”

A quel punto, lui si voltò, riservandogli una delle sue occhiate glaciali. “Non ci siamo persi, il sentiero è quello giusto. Un altro paio di giorni e saremo arrivati.”

Cedric rivolse lo sguardo altrove, per niente convinto. “Mancavano due giorni anche una settimana fa.”

Nessuno fece più commenti durante il tratto di strada che seguì, anche perché dovevano stare attenti a dove mettevano i piedi. Il sentiero infatti era diventato una salita e il terreno, dapprima erboso, ora era reso sdrucciolevole da sassi e pietrisco. Non potendo fermarsi da nessuna parte, dovettero continuare finché la strada non tornò dritta. A quel punto, però, erano già tutti esausti e madidi di sudore. 

“Scusate, potremmo fare una sosta?” gridò Juliet implorante e indietro come al solito. “C’è chi sta morendo qui in fondo.” 

Rachel annuì in segno di approvazione. “Concordo.” Aveva davvero bisogno di riprendere fiato e darsi un’asciugata. Detestava sentirsi quell’appiccicume addosso. Così, senza aspettare il parere positivo di Dean, si tolse dal sentiero per andare a sedersi all’ombra di un albero, seguita subito dopo dagli altri. Dopo essersi rifocillata, tirò fuori la sua Guida ai boschi del Montana e iniziò a sfogliarla. Non la abbandonò nemmeno quando ripresero a camminare, continuando a guardarsi intorno per cercare di riconoscere qualcosa che fosse riprodotto nelle fotografie. In quei giorni aveva trovato molti fiori e piante indicate nella guida e lei e Mark si erano divertiti a studiarle, ignorando le battute e gli stupidi commenti di Cedric. Era stato piacevole scoprire che a qualcun altro piacesse quel genere di cose e condividesse i suoi interessi.

“Guarda qui!” esordì d’un tratto, accucciandosi in un angolo sul ciglio del sentiero. 

Tornato sui suoi passi, si chinò anche lui per guardare. “Che hai trovato?”. 

“È un Dryas o Driade.” spiegò Rachel, indicando un fiore bianco simile a una comune margherita, solo un po’ cresciuta. “Si tratta di una specie abbastanza rara, che cresce soprattutto nelle regioni del Nord America.” lesse sulla guida.

Come sempre, Mark non nascose il suo interesse. “Ah, sì. Ne ho sentito parlare.”

“Fantastico.” commentò Claire ironica alle loro spalle. “Significa che siamo ancora nel Montana.”

Dopo la breve sosta naturalistica, Mark e Rachel proseguirono vicini in coda al gruppo, scambiandosi opinioni su ciò che vedevano, così presi da accorgersi per ultimi che Dean si era fermato. 

Davanti a loro si apriva un crepaccio, le cui sponde erano collegate da un misero ponticello di legno dall’aspetto tutt’altro che stabile. Purtroppo, attraversarlo sembrava l’unico modo di arrivare dall’altra parte.

Con cautela Claire si avvicinò al bordo, sporgendosi appena per guardare giù. La parete di roccia cadeva a strapiombo per parecchi metri immersa nella vegetazione, e a stento se ne intravedeva la fine. Non avrebbe saputo dire quanto fosse profondo, ma sicuramente lo era abbastanza da fracassarti ogni parte del corpo in caso di caduta. “Wow…” mormorò impressionata.

“Non mi ricordavo di un ponte.” rifletté Dean ad alta voce.

“E poi dici di non esserti perso.” polemizzò Cedric puntuale.

Lui lo ignorò e, rassegnatosi all’evidenza, fece per avviarsi per primo. “Bene. Sarà meglio andare uno alla volta.” Al contrario di tutti loro, il rischio di precipitare nel vuoto non sembrava preoccuparlo più di tanto. 

Rachel però glielo impedì, trattenendolo per un braccio. “Che fai, sei matto? Non vorrai mica salire su quell’affare traballante! Ci dovrà pur essere un altro modo per attraversare.”

“Non ne vedo nessuno.” ribatté. “L’unica alternativa sarebbe quella di fare il giro, ma ci vorrebbe troppo tempo.”

Lei sbuffò esasperata. “Ma chi ci corre dietro, si può sapere?” 

“Dai, vado io per primo.” si offrì Cedric. “Se regge me, reggerà tutti.” Detto questo, partì spedito verso il ponte ma, nel momento in cui ci si ritrovò davanti, tutta la sua spavalderia venne meno. 

“Mi raccomando, stai attento.” disse Juliet, usando un tono che servisse a rassicurarlo e incoraggiarlo allo stesso tempo. In fondo, lo capiva. Chiunque avrebbe esitato di fronte alla prospettiva di cadere in un burrone e morire, perfino uno scemo come Cedric.

Lui annuì, rimanendo concentrato. “Avanti, sei un uomo o no?” lo sentirono mormorare per farsi coraggio. Poi fece un respiro profondo e finalmente partì, reggendosi alle corde e mettendo con prudenza un piede dopo l’altro. Ad ogni suo movimento il ponte oscillava e scricchiolava, facendo salire la tensione alle stelle.

Seguirono con apprensione il suo percorso fin quando non arrivò a metà, senza che il ponte avesse dato segni di cedimento. Questo gli fece acquistare maggiore sicurezza e così aumentò l’andatura, convinto a quel punto che avrebbe retto. “Avete visto? Va tutto bene, è molto più solido di quello che…” Le parole gli morirono in gola, quando una delle assi di legno cedette e per un attimo rischiò di finire di sotto. 

Claire avvertì un tuffo al cuore e d’istinto fece un passo avanti, ma per fortuna il ragazzo aveva i riflessi pronti e fece in tempo ad aggrapparsi con entrambe le braccia alle corde. Per alcuni secondi le sue gambe penzolarono nel vuoto, scalciando l’aria; poi con un notevole sforzo riuscì di nuovo a tirarsi su.

Nel frattempo, dall’altra parte avevano ripreso a respirare e, sollevati, lo videro sventolare una mano, facendo segno di stare bene. 

“Attenti a quella trave… è cedevole…” li avvertì con il fiato corto. Anche dopo aver quasi rischiato la morte riusciva a fare dell’ironia.

Finalmente, dopo quelle che erano sembrate ore, mise piede sano e salvo dall’altra parte.

“Okay, potete venire!” gridò. 

Claire deglutì. In teoria era lei la prossima, così decise che fosse meglio non pensarci troppo e si avviò. Essendo più leggera, il ponte scricchiolava appena e poteva permettersi di andare più svelta, così arrivò in molto meno tempo e senza ulteriori incidenti.

“Mi hai fatto prendere un colpo!” lo rimbeccò, una volta vicini. “Devi sempre fare il cretino, vero?”

Cedric sogghignò, lanciandole un’occhiatina delle sue. “Allora ci tieni a me.” 

Mentre Claire alzava gli occhi al cielo rifiutandosi di rispondere, Juliet era già a metà strada e li raggiunse poco dopo, un po’ pallida in viso per l’agitazione.

Non appena la vide al sicuro, lo sguardo di Dean passò da lei a Rachel. “Tocca a te. Attenta a dove metti i piedi.”

Lei fece per andare, ma poi il panico la trattenne. Aveva sempre sofferto di una paura irrazionale delle altezze e adesso le chiedevano di camminare su un ponte di legno sospeso a mezz’aria? Decisamente una cattiva idea. “No, senti…” tentennò. “Voi andate. Io vi raggiungo.” Era consapevole che prima o poi sarebbe toccato anche a lei, ma era meglio poi che prima.

Mark annuì. “Va bene, vado io.” 

Quando anche lui fu dall’altra parte, Rachel guardò Dean, pensando che l’avrebbe seguito, ma in risposta ricevette un’occhiata che le fece capire di non avere più scuse. 

“Vai. Io passo per ultimo.” Lo disse con un tono che non lasciava spazio a repliche, così lei fece un respiro profondo e iniziò a percorrere il ponte. 

Mentre camminava, cercava in tutti i modi di pensare ad altro e soprattutto di non guardare giù. Una minima occhiata di sotto e non sarebbe più stata in grado di proseguire. Tra l’altro, aveva l’impressione che al suo passaggio le assi scricchiolassero più forte di quanto avessero fatto in precedenza, ma sperò che si trattasse solo di suggestione dovuta alla paura di cadere nel vuoto. 

Le sue mani erano avvinghiate costantemente alle corde, da cui si staccavano solo il tempo necessario per avanzare. La canapa era consumata e secca al contatto con la sua pelle e si domandò come facesse a non sbriciolarsi. Inevitabilmente, si ritrovò a pensare a tutte le persone che prima di lei avevano attraversato quel ponte negli anni e non poté fare a meno di chiedersi da quanto tempo doveva trovarsi lì. Tutto questo ragionare, però, non aiutò a far diminuire la sua ansia, se mai la peggiorò. Si maledì e pregò che, per quanto fosse vecchio e malandato, il ponte resistesse abbastanza da permetterle di arrivare dall’altra parte.

Di fronte a sé intravide Claire e Juliet muovere le labbra e gridarle qualcosa, ma aveva le orecchie ovattate e non riuscì a sentirle. Era troppo impegnata a sforzarsi di mettere un piede dopo l’altro. Sapevano della sua fobia e continuavano a incitarla, senza che riuscisse a distinguere le parole, finché un grido fra tutti non le sturò le orecchie. 

“Rachel! Le corde stanno cedendo!” urlò Dean alle sue spalle. “Accelera!”

A quel punto, tutto divenne confuso e le voci concitate degli amici si sovrapposero l’una con l’altra. Le sue gambe smisero improvvisamente di muoversi e rimase ferma imbalsamata a pochi metri dall’arrivo. Si era resa conto di essere ormai a più di metà percorso e che correre rappresentava l’unico modo per salvarsi, eppure il suo corpo, scosso da tremori, si ostinava a non ascoltare i suoi comandi.

“Vengo a prenderti!” le gridò Mark, che fece per raggiungerla. 

Cedric però lo trattenne. “Certo, ottima idea! Se sali anche tu, cadrete entrambi di sotto.”

Lui lo fissò sconcertato. “E cosa dovrei fare? Lasciarla morire?”

Cedric non seppe rispondergli. Guardò prima l’amico e poi Rachel, incapace di trovare una risposta.

“Forza, sbrigati!” Juliet cercò di risvegliarla dal torpore, ma niente. Era paralizzata.

Fu allora che Dean prese l’iniziativa, anche perché, se il ponte fosse crollato, lui non avrebbe più avuto modo di passare. “Merda…” imprecò tra sé, prima di fare un passo indietro per prendere la rincorsa e scattare in avanti. 

Corse più veloce che poté su quel ponte che all’improvviso sembrava lungo chilometri. Riusciva a vedere la schiena di Rachel che si avvicinava, ma non arrivava mai a toccarla. Il peso di due persone insieme rendeva le assi ancora più cedevoli e i suoi passi in corsa facevano oscillare pericolosamente l’esile struttura di legno. Nel frattempo, dietro di lui avvertiva il rumore minaccioso delle corde che si sfilacciavano.

Dopo un’eternità, finalmente raggiunse la ragazza e la sollevò tra le braccia, senza smettere di correre. A due metri dal toccare terra, era chiaro che non ce l’avrebbero fatta, perché il ponte stava crollando definitivamente. Così, all’ultimo secondo, si decise a saltare. 

Lo slancio in avanti lo avrebbe fatto finire addosso a Rachel, ma con prontezza di riflessi, riuscì a girarsi su un fianco e a buttarsi per terra, proprio nello stesso momento in cui il ponte si staccava dietro di loro, cadendo rovinosamente nel burrone in una nuvola di polvere e detriti.

Ansante per la corsa, rimase a terra per riprendersi, con Rachel ancora avvinghiata a lui come se ne dipendesse la sua vita. Malgrado fossero al sicuro ormai, tremava ancora come una foglia e teneva gli occhi chiusi per non guardare. Dean cercò di tirarsi su, ma non era facile se lei non si staccava. 

 “Va tutto bene.” le sussurrò in tono rassicurante, quando riuscì a mettersi seduto. “È finita. Va tutto bene.” Ripeté. La strinse per darle maggior conforto e a quel punto lei si decise ad aprire gli occhi, lucidi e arrossati per le lacrime. Gradualmente allentò la presa e smise di tremare, così Juliet e Claire la aiutarono a rimettersi in piedi e anche Dean poté alzarsi. Con qualche pacca qua e là si tolse la polvere dai vestiti, senza preoccuparsi troppo del clima di agitazione che si era creato.

Una volta assicuratosi che Rachel stesse bene, Mark si voltò a guardarlo, puntandogli un dito contro. “Non farti più venire in mente un’idea del genere. La prossima volta faremo il giro lungo, non mi importa quanto ci metteremo.”

“Non credo che ci sarà una prossima volta.” 

Cedric lo fissò, esasperato da tutta quella indifferenza. “Possibile che non ti impressioni niente? Avete rischiato di morire!”

“Ma non è successo.” ribatté lui. “Siamo qui e siamo vivi. Non è il caso di discuterne ancora.” sentenziò secco, continuando a spolverarsi i vestiti e lasciando intendere che per lui il discorso fosse concluso. 

Cedric scosse la testa e guardò Mark. “Io ci rinuncio.” 

Rachel, al contrario, era più che impressionata. Affondò il viso nei capelli biondi di Juliet, mentre Claire le abbracciava entrambe. 

“Direi basta con gli infarti, per oggi.”

Rachel ridacchiò tra i singhiozzi e trascorse qualche istante in quella posizione, concedendosi del tempo per riprendersi dallo shock; poi si staccò dalle amiche e si rivolse a Dean. “Grazie.” mormorò, tirando su col naso.

Lui non rispose, ma piegò la bocca in un lieve sorriso. Sistematosi di nuovo lo zaino in spalla, li precedette come sempre. “Troviamo un posto per accamparci. Qui è troppo vicino al burrone, potrebbe essere pericoloso.” 

Fu insolito sentirglielo dire, visto che era ancora primo pomeriggio e avrebbero potuto andare avanti fino a sera, perciò approfittarono della cosa e lo seguirono senza pensarci due volte. Per fortuna, non impiegarono molto a trovare un posto adatto dove piantare le tende e, consumata una cena frugale, per lo più in silenzio, decisero di andarsene subito a letto, troppo stanchi e provati per restare attorno al fuoco a chiacchierare. 

Rachel era ancora un po’ scossa dalla brutta esperienza del ponte, quindi Claire propose alle amiche di dormire tutte nella stessa tenda per non lasciarla sola. Juliet, però, le fece notare che in tre sarebbe stato troppo scomodo e che preferiva rimanere nella sua. Nonostante le insistenze, alla fine l’ebbe vinta. Si rese subito conto che il suo era un comportamento infantile, ma in quel momento non se la sentì di fare altrimenti.

 

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Capitolo 14
*** A te il primo assaggio, Beth. ***


Capitolo 16
 
A te il primo assaggio, Beth
 

 


Juliet avanzava a fatica dietro agli altri, cercando di non inciampare e nello stesso tempo tenendoli d’occhio. Davanti a sé riusciva ancora a scorgere Cedric e Claire, anche se ormai erano quasi scomparsi alla vista. Come al solito, per lei era impossibile tenere il passo e a rallentarla ulteriormente ci si era messo anche il caldo atroce di quel pomeriggio. Si sentiva zuppa di sudore, con il fiatone e le gambe doloranti quasi da non reggersi in piedi. Nonostante ciò, sembrava essere l’unica a stare così male. 

Come se non bastasse, non riusciva a rimuovere dalla mente l’immagine di Rachel attaccata a Dean neanche fosse cosparso di colla. Era felice che fosse viva… Anzi felicissima, ma era stato proprio necessario restare abbracciata a lui tutto quel tempo?

In realtà, non aveva voluto dormire insieme la sera prima per timore che parlassero di quella storia. Non voleva sentire niente al riguardo. Era consapevole che il suo fosse un atteggiamento egoista e maligno, e inoltre detestava di non essere ancora riuscita a ringraziare Dean per aver salvato la vita della sua migliore amica, ma non poteva farci nulla.

Mentre arrancava, si accorse di avere una scarpa slacciata e si fermò. Già rischiava di cadere da sola, figurarsi così. “Aspettate!” li avvertì, sfilandosi lo zaino per potersi chinare ad allacciarla. 

Il tempo di fare il nodo e quando si rialzò non vide più nessuno di fronte a sé, nemmeno in lontananza. Tutto intorno il silenzio. 

“Ragazzi…” Tentò di farsi sentire, ma le uscì solo un fil di voce. Presa dal panico, si rinfilò in fretta lo zaino e corse nella direzione verso cui le sembrava fossero andati gli altri. Per quanto cercasse di sbrigarsi, però, non riusciva a raggiungerli. Sembravano spariti. 

A un certo punto, il sentiero si biforcò in due verso cui la foresta si faceva più fitta. Non aveva idea di quale strada prendere e sentì il panico aumentare. “Ragazzi!” chiamò ancora, sperando che fossero abbastanza vicini da sentirla. Possibile che avessero già fatto tutta quella strada?

Allora imboccò d’istinto a sinistra, pregando che fosse la scelta giusta. Andò avanti in quella direzione per un bel po’, ma continuava a non vedere nessuno e ad ogni passo si convinceva sempre più di aver sbagliato strada. 

Stava per tornare indietro, quando avvertì dei fruscii poco distanti da lei e pensò fiduciosa di aver recuperato lo stacco. 

“Claire!” 

Chiamò l’amica, sicura che le avrebbe risposto, ma non fu così. 

“Ced!” tentò ancora, ma niente. Allora pensò che qualcuno le stesse facendo uno scherzo. Magari Cedric. Sì, era una cosa da lui. Probabilmente aveva coinvolto tutti, dicendo di non rispondere per metterle ansia. Continuò a guardarsi intorno spaesata. 

“Okay, se volevate spaventarmi ci siete riusciti.” li avvertì. “Adesso basta, però.” 

Nessuno rispose, né uscì dai cespugli ridendo, e la sua agitazione non fece che aumentare. Tra l’altro, ora le sembrava che i fruscii non provenissero dal sentiero, bensì dai cespugli circostanti. 

Si fermò un istante e, mentre rifletteva sul da farsi, un altro rumore sinistro la fece trasalire. Che fosse un grizzly? Quel pensiero la colmò d’ansia –Ma no. Un grizzly si vedrebbe- pensò per farsi coraggio. –Niente panico

Si abbassò per raccogliere un sasso abbastanza grande da usare come arma contro qualunque cosa si stesse avvicinando. Un po’ blanda come difesa, ma meglio di niente.

“Ehi!”

Si voltò di scatto pronta a colpire, poi riconobbe Dean, che dal sentiero veniva verso di lei a passo deciso. I fruscii cessarono nell’attimo stesso in cui arrivò. 

Vederlo fu un enorme sollievo, così lasciò cadere il sasso all’istante. Si sarebbe buttata volentieri tra le braccia del suo salvatore, se non fosse stato già sul piede di guerra.

“Si può sapere dove stavi andando?” la rimbeccò severo, piantandosi davanti a lei e rivolgendole un’occhiata torva. “Quante volte ve lo devo dire? Non.dovete.allontanarvi.da soli. Mai!” 

Quell’atteggiamento non le piacque per niente. Chi si credeva di essere? A momenti neanche suo padre l’aveva mai rimproverata così. D’improvviso, tutta la gioia nel vederlo svanì e provò solo rabbia. “Non l’ho fatto apposta, mi sono persa.” disse risentita. “E poi datti una calmata, non sono sotto la tua custodia.” Non seppe nemmeno da dove le uscì quell’insolito temperamento. Normalmente non avrebbe mai avuto il coraggio di dire una cosa del genere. 

Comunque, Dean incassò senza fare una piega. “Come ci sei finita qui?” chiese, sempre in tono seccato ma più calmo. “Noi abbiamo preso il sentiero di destra.”

“Pensi che abbia sbagliato di proposito? Mi sono distratta un attimo e non vi ho più trovato.” spiegò Juliet. Quasi rimpiangeva di aver buttato via il sasso, perché adesso glielo avrebbe volentieri tirato in testa.

Dean sospirò. “Tu ti distrai troppo facilmente.”

Stava per ribattere, quando arrivarono anche gli altri, che, preoccupati di non vederli tornare, avevano deciso di ignorare le disposizioni di Dean di aspettarlo ed erano tornati indietro. 

“Juls, ma dov’eri finita?” Cedric le venne incontro con un sorriso. “A un certo punto ci siamo girati e non c’eri più.”

Lei storse il naso, ancora arrabbiata. “Mi sono persa, okay?” chiarì secca. Per un attimo pensò di raccontare a tutti dei rumori che aveva sentito, ma abbandonò subito l’idea, convinta che l’avrebbe messa ancora più in ridicolo. Era stanca di passare per quella paranoica.

“Potevi dirci di aspettare...” suggerì Claire.

Juliet, però, colse la palla al balzo e non la fece finire. “L’ho fatto! Vi ho gridato di aspettarmi, ma non mi avete sentito.”

“Forse dovevi gridare più forte.” la interruppe Dean sarcastico. “Oppure siamo tutti sordi.”

Lei lo fulminò con lo sguardo. “Non sei affatto spiritoso.” Il tono che aveva usato sorprese tutti, visto che evidentemente non le apparteneva.

“Avanti, non prendertela con lui.” intervenne Rachel. “È dovuto anche tornare indietro per venirti a cercare.”

Quella fu l’ultima goccia. Adesso lo difendeva anche? Come se ne avesse bisogno. Poverino, quattro passi in più dovevano averlo sfiancato. Juliet avvertì la bile salirle fino in gola. “Lasciate perdere, va bene? Ho sbagliato, dovevo stare più attenta.” Suo malgrado, ingoiò il rospo e se ne andò, precedendoli verso il bivio e tornando da dove era venuta. 

“Dai, Juls...” Cedric cercò di recuperare, ma senza successo.

Per il resto della giornata Juliet non rivolse la parola a nessuno, nemmeno durante la cena, che tra l’altro non preparò lei. Per una volta si concesse un po’ di riposo e Rachel la sostituì. Subito dopo mangiato, era tornata nella sua tenda, ancora troppo arrabbiata per restare un altro minuto in loro compagnia. 

Dopo un po’, Claire volle accertarsi che stesse bene, così sollevò un lembo della sua tenda per sbirciare dentro e la trovò seduta a gambe incrociate, intenta ad aggiornare il suo diario. 

“Ehi.” le disse cauta. Succedeva raramente di vederla così, anzi, in diciotto anni l’aveva vista arrabbiata sì e no un paio di volte, perciò non era abituata a gestire la cosa. 

L’amica, però, non rispose, gli occhi incollati alle pagine. 

“Pensavamo di arrostire qualche altro marshmallow. Ti unisci a noi?”

Juliet sospirò seccata. “No, grazie.” 

“Dai, non farti pregare.” insistette Claire, abbozzando un sorriso. “Tu vai matta per i marsh…”

“Claire, ti ho già detto che non ne ho voglia!”

Lei rimase interdetta, non aspettandosi certo un tono del genere da parte sua. Comunque decise di lasciar perdere, avendo intuito di non essere il vero oggetto della sua frustrazione. “Va bene, me ne vado.” disse amareggiata, uscendo dalla tenda e richiudendosela dietro.

Alla muta domanda di Rachel rispose con un’alzata di spalle. “Io ci ho provato, ma stasera è intrattabile.” 

Dopodiché, prese la busta dei marshmallow e insieme agli altri si sedette ad arrostirli. Non c’era molto di cui parlare, visto che nessuno aveva intenzione di tirare in ballo il discorso di Juliet, perciò Cedric, che non riusciva a stare fermo per più di qualche minuto, pensò bene di risollevare un po’ gli animi. 

Claire storse il naso quando lo vide di ritorno con il suo mandolino.

“È un ukulele.” la corresse risentito. 

“Bah, tutti uguali per me.”

Lui si mise di nuovo seduto con un sospiro e, imbracciato il suo strumento, intonò una melodia lenta ma piacevole. Rimasero in silenzio ad ascoltarlo per un po’, ognuno immerso nei propri pensieri, finché Dean non decise di interrompere quella pace con il suo solito, irritante buon senso. 

“Ci conviene andare a dormire. Domani ci aspetta un’altra lunga giornata.” 

Suonò come un consiglio più che come un’imposizione e poco dopo sia Mark che Rachel pensarono bene di accettarlo e ritirarsi ognuno nella propria tenda. 

Claire stava per imitarli, poi vide che Cedric era rimasto seduto davanti al fuoco, continuando a suonare. “Tu non vai?” gli chiese.

“No, si sta bene qui fuori. Penso che resterò ancora un po’.” disse in tono rilassato. 

Lei annuì e fece per andare, quando qualcosa la frenò. In realtà, non aveva poi tanto sonno e inoltre era un peccato non approfittare di una così bella serata, perciò si rimise a sedere accanto a lui, che la guardò incuriosito.  “Resto anch’io. Non si sa mai, potresti essere aggredito da un orso.”

Cedric rise. “Sono sicuro che in tal caso tu faresti la differenza.” 

“Certo.” ribatté sicura di sé.

Lo osservò mentre riprendeva a suonare. Aveva lo sguardo concentrato e le dita sfioravano le corde con una leggerezza che non sembrava appartenergli. Era evidente che stesse facendo qualcosa che amava e che quello non era un semplice passatempo.

Dopo averlo studiato per un po’, Claire non ci rifletté sopra più di tanto e diede fiato ai suoi pensieri. “Certo che non hai proprio l’aria del musicista.” 

“Ah, no?” chiese lui, ridacchiando divertito. “Perché, come sono i musicisti?”

“Beh, un po’ tetri, introversi…” esitò un istante, cercando altri modi per descriverli. “Il contrario di te, insomma.”

Cedric le rivolse un’occhiata interrogativa e smise di suonare. “Quindi, secondo te che tipo sono?” le chiese provocatorio.

“Non lo so, sembri più un tipo da feste in piscina. Arrogante, spaccone…”

“Ma grazie, continua pure.” la interruppe sarcastico. “Fa sempre piacere ricevere complimenti.”

Entrambi risero e subito dopo Claire trovò il modo di rimediare, dicendo qualcosa di gentile. “Però sei bravo, devo concedertelo.”

Lui fece un cenno di assenso con la testa per ringraziarla e seguì un momento di silenzio, prima che aprisse di nuovo bocca. “Hai parlato con Juls? Come sta?” domandò, senza alzare lo sguardo dall’ukulele.

“Veramente non era in vena di confidenze.” rispose lei, in tono sommesso. “Credo che sia ancora arrabbiata.”

“Non posso darle torto. Una certa persona farebbe imbestialire chiunque.” Cedric sottolineò l’ultima frase con più enfasi, facendo chiaramente intuire a chi si stesse riferendo. “Ma l’hai sentito ieri? Non c’è bisogno di discuterne ancora” Scimmiottò la voce di Dean, imitando anche i suoi modi impettiti e Claire dovette coprirsi la bocca per soffocare le risate. Si chiese se Dean fosse ancora sveglio e li avesse sentiti. Non che le interessasse più di tanto. Ogni volta che Cedric lo prendeva in giro o faceva qualche battuta, si sentiva talmente leggera da non pensare a nient’altro.

“Secondo me è inglese.” continuò lui, incoraggiato dall’effetto che era riuscito a ottenere. “Si capisce dall’accento e dall’atteggiamento da damerino.”

A quel punto, visto che avevano toccato l’argomento, un pensiero non poté fare a meno di balenarle nella testa. “Per te dov’è che ci sta portando?” domandò, insinuando così di non credere alla storia della baita. In realtà, la cosa non l’aveva mai convinta del tutto e voleva verificare con qualcuno i suoi sospetti. 

Comunque, neanche Cedric seppe darle una risposta. Disse che Mark aveva provato a saperne di più, almeno per capire a che punto fossero, senza però ottenere granché. Dean gli aveva ripetuto che mancava poco, che erano quasi arrivati. Tutte cose già sentite, così aveva desistito. L’unica soluzione era affidarsi a lui e proseguire, augurandosi di arrivare vivi alla fantomatica baita. 

Claire si limitò ad annuire, mostrandosi d’accordo. Lei, come gli altri, non vedeva l’ora di arrivare. Sperava che, dormendo su un letto vero e non per terra, quegli incubi avrebbero smesso di tormentarla.

A un certo punto, non fecero neanche più caso all’ora e continuarono a parlare del più e del meno. Cedric assunse un’aria colpevole, dopo che Claire gli ebbe rivelato la sua preoccupazione per non essersi più fatta sentire dai suoi. 

“Hai ragione. Sono un idiota.” si scusò per l’ennesima volta, visto che era lui il responsabile della loro impossibilità di comunicare col resto del mondo.

“Pazienza.” Claire fece spallucce. “È anche per questo che ho ansia di arrivare. Speriamo almeno che lì ci sia la corrente.” Lo disse anche per rassicurarlo, vedendolo un po’ in imbarazzo per la storia del caricabatteria; poi pensò a qualche argomento che le consentisse di sviare la conversazione. “Che farai quando torneremo? Pensi di andare al college?”

“Ho fatto domanda, ma ancora non ne sono sicuro. In realtà, mi piacerebbe più qualcosa che riguardi la musica.” rispose lui, con un’insolita luce negli occhi. “Magari frequentare un’accademia... Di certo non ho intenzione di lavorare al bar di mio padre per il resto della vita. Voglio andarmene da Greenwood.”

In quel momento, Claire ebbe come l’impressione di vederlo per la prima volta. Era strano conoscere un lato diverso di Cedric, quello serio e anche un po’ ambizioso. Fino ad allora aveva perfino dubitato che ne avesse uno, lui che scherzava sempre. In un certo senso lo invidiava, perché in confronto a lei aveva le idee molto più chiare, tanto che a quel punto le parve quasi banale parlare dei suoi di progetti. Non che ne avesse di precisi. Era passato il tempo delle certezze, precisamente da quando la fine della sua ultima relazione le aveva aperto gli occhi, facendole riconsiderare tutte le decisioni prese. 

“Tu invece che progetti hai?” 

Claire rifletté se fosse il caso di dirgli in cosa consisteva l’attività di famiglia e di quello che in teoria avrebbe dovuto essere il suo futuro. A pensarci bene, però, l’idea che lo sapesse non le piaceva granché, quindi preferì rimanere sul vago. “I miei vorrebbero che andassi al college e in effetti ho anche vinto una borsa di studio per lo sport, ma io non ne sono sicura. Mi piacerebbe molto di più viaggiare, vedere il mondo…” Dopotutto, non è che gli avesse mentito. Era comunque la verità, almeno in parte.

Lui annuì, dando segno di aver capito. “Visto? Almeno una cosa in comune l’abbiamo io e te.” scherzò. 

A quel punto, sembrò che la conversazione si fosse chiusa, perché Cedric non le chiese più niente e lei gliene fu grata. Esauriti gli argomenti, non rimase che la musica. Non c’era nessun rumore a coprire la melodia, che riecheggiò libera intorno a loro; poi le note cambiarono.

“Mi piace questa.” approvò Claire entusiasta, riconoscendo la canzone e andandogli dietro quando attaccò il ritornello, canticchiando a bassa voce mentre lui suonava. 

Pian piano, però, il ritmo delle sue dita sulle corde rallentò, fino a interrompersi. Poi, dopo un attimo di silenzio, la guardò intensamente e disse l’ultima cosa che si sarebbe aspettata di sentire.

“Sai, una volta ho letto che di tutta la musica terrena quella che penetra più in profondità è il battito di un cuore veramente innamorato.” 

Una volta lanciata la bomba, rimase a fissarla, come aspettandosi una qualche reazione da parte sua. Reazione che stentò ad arrivare, perché lei sembrava aver ricevuto una botta in testa che l’aveva privata di ogni capacità cognitiva. 

In pratica si era appena dichiarato, ma senza farlo in maniera esplicita, e questo la mandò completamente nel pallone. Magari l’aveva detto in generale, senza alcun riferimento specifico a lei…

Tuttavia, le bastò un secondo per capire quanto tutto ciò fosse ridicolo. Nessuno avrebbe mai esordito tanto alla leggera con una frase del genere, anche se si trattava di Cedric.

–Rimaniamo amici un corno!- pensò. Avrebbe dovuto capirlo dall’inizio che era solo un suo piano per farla cedere lentamente e ora doveva pure sbrigarsi a trovare qualcosa da dire per tirarsi fuori dall’impaccio. 

Il primo impulso fu quello di fingere di non aver capito e cambiare discorso, nella speranza che anche lui lasciasse perdere. Così facendo però, avrebbe insultato la sua intelligenza e non voleva.

Comunque doveva decidersi, così disse la prima cosa che le venne in mente. “E questa da dove l’hai presa? Da una scatola di cioccolatini?” Come previsto, le uscì un’idiozia, ma tanto lo sarebbe stata qualsiasi cosa avesse detto.

Dalla faccia che fece, capì di averlo spiazzato. Sicuramente quello non era il tipo di risposta che si sarebbe aspettato di sentire. La reazione successiva, però, fu stranamente posata. Si limitò ad alzare un sopracciglio, poi a sorridere e scuotere la testa, tornando al suo ukulele. 

-Ecco- si disse affranta. –Adesso penserà che sono una cretina. Complimenti Claire, ci sai davvero fare-

Da quando era diventata così incapace nel rapportarsi con l’altro sesso? Ma ormai era tardi per correre ai ripari. L’unica cosa che poteva fare era scappare. Quindi finse uno sbadiglio e sollevò il polso per dare un’occhiata all’orologio. 

“Accidenti, guarda quant’è tardi. Meglio andare a dormire.” Si alzò e lui la seguì con lo sguardo. Dopo avergli lanciato un’occhiata frettolosa, nel timore che se la fosse presa, gli augurò la buonanotte in tono sommesso. Lo sentì ricambiare, ma a quel punto era già praticamente nella tenda. 

 

 “Beth... Beth...”

Una voce familiare la stava chiamando.

“Elizabeth, insomma!”

Con un sussulto Claire dischiuse le palpebre e si ritrovò in un letto, tra lenzuola e coperte di seta, con Juliet seduta sul bordo a poca distanza da lei. O almeno le sembrò di vedere il viso di Juliet, incorniciato com’era da un’elaborata acconciatura. Si tirò a sedere, sbadigliando assonnata e strofinandosi gli occhi, mentre intorno a lei schizzavano un paio di cameriere che trasportavano vassoi e altra roba. 

Quella che riconobbe come Rachel, anche se stranamente vestita di broccato rosso, afferrò i lembi di una delle tende e li tirò con forza, lasciando che la luce del mattino invadesse la stanza e rivelasse un ambiente alquanto insolito. Le pareti erano di pietra, così come il pavimento, e i mobili di legno intarsiato appartenevano a un’altra epoca.

Claire si coprì rapida il volto con le mani, emettendo un gemito di protesta. “Meg! Per l’amor del cielo!” esclamò accecata; poi realizzò quello che aveva appena detto. Meg? Chi era Meg? 

“Coraggio, hai dormito a sufficienza.” la rimbeccò lei autoritaria, mentre con un gesto della mano ordinava alle cameriere di venire avanti. 

Una volta in piedi, la aiutarono a lavarsi e a indossare la biancheria intima. Ci volle un bel po’ per tirare i lacci del corsetto fino al punto giusto, tanto che a un certo punto Claire si sentì mancare il respiro. Infine, un’altra cameriera entrò nella stanza con una grande quantità di stoffa, pizzi e ricami che aveva tutta l’aria di essere un vestito. 

“Ecco a voi, Milady.” disse, rivolgendosi a Juliet in tono reverenziale e sollevando leggermente l’abito perché potesse ammirarlo.

–E adesso? - si chiese Claire allarmata. Non si aspettavano davvero che lo indossasse.

“Buon compleanno!” esclamò Juliet, sfoderando un sorriso e andandole incontro per abbracciarla. 

“Non è incantevole? Guarda la finezza di questi ricami.” Accarezzò delicatamente il vestito, gli occhi che le brillavano quasi fosse commossa. “Dì che ti piace, te ne prego. L’ho scelto con cura e non vedevo l’ora di mostrartelo.” 

“Cordelia, contieniti.” la riprese Meg, spostando lo sguardo verso le cameriere. 

Cordelia? Okay, quelle due non erano le sue amiche e lei si trovava sicuramente nell’ennesimo strano sogno.

“Allora? Cosa ne pensi?” insistette Cordelia, dandosi un tono. 

Claire non sapeva cosa dire. In effetti, era proprio un bel vestito... Per chiunque avesse avuto il coraggio di indossarlo. “È davvero bellissimo. Ti ringrazio.” rispose alla fine, un po’ frastornata.

“E non è finita qui.” Meg tirò fuori una specie di portagioie da non si sa bene dove e lo aprì, mostrando loro il contenuto. 

Entrambe si sporsero per guardare meglio e Claire vide tre medaglioni riposti su una fodera di velluto rosso. Ognuno era composto da una pietra grezza incastonata in oro, di tre colori diversi. Meg li prese e consegnò a lei lo zaffiro e a Cordelia lo smeraldo, tenendo quindi il rubino per sé. Poi lo indossò, invitandole a fare lo stesso e, quando tutte le ebbero al collo, le pietre brillarono all’unisono, anche se solo per un momento. 

Claire non ne rimase granché stupita e la cosa le sembrò insolita, visto il fenomeno. Più che altro quell’immagine apparve familiare. Le sembrava di aver già visto quell’oggetto in particolare, anche se in quel momento non ricordava dove.

“Oh, Meg. Sono splendidi!” approvò Cordelia, ammirando il suo con aria estasiata.

Lei sorrise. “Saranno il simbolo dell’amore che ci unisce. Finché ognuna di noi lo porterà, sarà come se avesse le altre sempre vicino a sé.” 

A quel punto, Claire sentì una sorta di affinità emotiva con loro e fu solo quando Meg la abbracciò che ebbe modo di vederla chiaramente. Si accorse che in realtà il suo viso era diverso da quello di Rachel, anche se le somigliava moltissimo. Ma non ebbe il tempo di rifletterci sopra, perché a un suo cenno venne trascinata dietro il separé, dove una delle cameriere la aiutò a entrare nel vestito, mentre un’altra le infilava le maniche, allacciandole al corpetto. 

Malgrado fosse consapevole di trovarsi in una situazione che non le apparteneva, non ebbe nessuna difficoltà a capire come muoversi. Come se avvertisse dentro di sé un istinto naturale. Anche le cose che diceva non erano coerenti con il suo pensiero, eppure sembrava tutto così reale…

Quando fu pronta, uscì per farsi ammirare dalle altre. 

Vedendola, Cordelia si coprì la bocca con entrambe le mani. “Sei splendida.” disse commossa. “Non trovi anche tu, Margaret?” 

Claire si lisciò l’abito con le mani, avvertendo al tatto la morbidezza del velluto. Incredibile come le sensazioni che provava fossero così autentiche nonostante si trattasse di un sogno. 

Si sentiva un po’ a disagio così addobbata, ma stranamente comoda, come se indossasse quella roba da sempre. 

Margaret le accarezzò la guancia con il dorso della mano, guardandola con una punta di orgoglio misto a malinconia. “Somigli così tanto a nostra madre. Se soltanto potesse vederti…”

Dunque erano le sue sorelle. E perché la loro madre era morta? D’un tratto gli occhi le diventarono lucidi, come se la questione la riguardasse da vicino.

Dopo che le ebbero sistemato i capelli, che scoprì allo specchio di avere lunghi e fluenti, le cameriere uscirono dalla stanza, lasciandole sole. 

Si rimirò ancora per qualche istante, stentando quasi a riconoscersi. “Non è un po’ troppo?” chiese, osservando l’elaborata acconciatura con perline e nastri intrecciati. 

“Niente affatto. Oggi è un giorno importante e devi presentarti al meglio.” ribatté Margaret in tono altezzoso. 

“Sì, sarà un ricevimento splendido! Nostro zio ha invitato tutti i migliori partiti della contea.” disse Cordelia entusiasta, riprendendo i suoi modi concitati. “Persino il nuovo arrivato…” 

Dal tono sembrava volesse insinuare qualcosa, ma Claire non colse l’allusione, eppure il suo cuore perse un battito e si sentì avvampare. 

Al contrario, Margaret parve coglierla, ma non apprezzarla. Aggrottò la fronte in segno di disapprovazione. “Sì... Anche lui.” 

“Perché mai non ti piace?” le chiese la sorella con aria dispiaciuta. “Sembra una persona così a modo. Colto, beneducato…” 

Margaret non rispose, ma si vedeva che non era convinta.

Claire non capiva niente di quello che stavano dicendo, né sapeva chi fosse questo nuovo arrivato, però aveva intuito che quel ricevimento era in onore del suo compleanno e che con l’occasione avrebbero cercato di affibbiarle un pretendente. Stranamente la prospettiva la eccitò, invece di infastidirla. 

“Bene, possiamo andare.” Margaret si diresse alla porta e la aprì, invitando le sorelle a seguirla fuori.

Cordelia si avviò per prima, imitata subito dopo da Claire che, in un attimo, senza sapere come, si ritrovò da tutt’altra parte. Rispetto a prima, quando aveva dovuto coprirsi gli occhi per ripararsi dalla luce, quell’ambiente era quasi immerso nell’oscurità. Sembrava di essere in una specie di sotterraneo, umido e pieno di spifferi. 

Margaret prese una delle torce appese alle pareti e le guidò lungo un corridoio. 

Andarono avanti per un bel po’ e Claire si chiese dove la stessero portando. Non riusciva a orientarsi, eppure quel luogo le sembrava familiare. Alla fine, si fermarono davanti a una cella chiusa da una grata di ferro e custodita da una figura dai tratti indistinti. Quando le vide, aprì senza dire nulla e le lasciò sole non appena furono entrate.

Margaret precedette le sorelle, illuminando l’interno con la luce della torcia. Un odore nauseante di rancido pervadeva l’aria e a Claire venne il voltastomaco. Poi riuscì a sporgersi oltre Cordelia e quello che vide la fece inorridire. C’era un uomo appeso per i polsi da catene arrugginite, privo di sensi e coperto di sangue, e dal suo aspetto emaciato capì che doveva trovarsi lì da giorni. Intuì che non era morto solo perché sentiva il suo flebile respiro.

“A te il primo assaggio, Beth.” disse Margaret, rivolgendole un’occhiata complice.

“Attenta a non sporcare il vestito.” l’avvertì Cordelia come se niente fosse, ma lei a malapena la sentì. 

Che cosa volevano che facesse? “Io?” chiese confusa. “Perché?”

“Che domande sono? Sei la festeggiata.”

“Giusto, Delia.” approvò Margaret compiaciuta; poi la guardò di nuovo. “E poi non sei affamata?”

In effetti, ora che ci pensava Claire si accorse di avere strani crampi allo stomaco, che prima non aveva avvertito. Ma che centrava la fame con quell’uomo? 

Fu un’altra volta l’istinto a dirle cosa fare. Fece un passo avanti e si avvicinò a quel corpo inerte, lo fissò qualche secondo per poi chinarsi su di esso. L’odore del sangue fresco le riempì immediatamente le narici, cancellando di colpo qualunque dubbio, e senza pensarci ancora si avventò sul collo dello sfortunato…

 

Claire si alzò di scatto dal sacco a pelo con la fronte imperlata di sudore. Aveva il respiro pesante e sentiva il cuore batterle all’impazzata per lo spavento. Spostò lo sguardo attonito da una parte all’altra della tenda, per controllare di essere tornata nel mondo reale, scoprendo con sollievo che era così. 

Non era la prima volta che le capitava di svegliarsi nel cuore della notte, ma diversamente dai sogni precedenti che sembravano più che altro dei flash, questo era stato incredibilmente nitido, quasi vero.

Con un gesto improvviso scostò la coperta e agguantò lo zaino, frugando frenetica al suo interno. “Dov'è? Dov'è andato a finire?” mormorò nel panico.

Alla fine, trovò quello che stava cercando e lo sollevò tremante. Esaminò la propria immagine allo specchio e, passandosi una mano sulla nuca, constatò che i suoi capelli erano ancora corti e che quella che aveva davanti era la solita, scapigliata, vecchia Claire di sempre. 

Lentamente riprese a respirare.

 

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Capitolo 15
*** La scelta ***


 

Capitolo 17

 

La scelta

 

“Ti prego, non ne posso più!” aveva protestato Rachel quella mattina, quando Dean aveva accennato a volersi rimettere in cammino. “Pretendo una giornata di riposo.” Era davvero troppo stanca per muoversi ancora di un solo passo e anche gli altri erano della stessa opinione. La sera cercavano di andare a dormire presto, ma nonostante questo non riuscivano del tutto a recuperare le energie e così alzarsi diventava ogni giorno sempre più una tortura. 

Cedric l’aveva appoggiata in pieno. “Tra l’altro, è il compleanno di Mark. Dobbiamo festeggiare.”

“Addirittura.” ribatté lui imbarazzato, mentre gli arrivavano auguri da tutte le direzioni. “Grazie, ma non mi pare il caso…”  

Juliet, però, lo interruppe, cogliendo la palla al balzo. “Ma come no? Motivo in più per fermarsi.” Esattamente come Rachel, se non di più, anche lei non era disposta a trascorrere un’altra giornata a scarpinare per i boschi. 

Non lasciarono a Dean molta libertà di scelta, visto che avevano già deciso a prescindere dalla sua opinione, così alla fine accettò malvolentieri di rimanere nella radura. 

Di comune accordo con le amiche, Juliet pensò di approfittare della sosta per lavare i vestiti sporchi. Non avevano molti cambi e il più delle volte rischiavano di non sapere cosa mettersi, perciò avevano bisogno di lavarli spesso. Si fecero dare anche quelli dei ragazzi e poi lasciarono l’accampamento, dirette al torrente.

Una volta arrivate, scelsero un punto in cui l’acqua era bassa e la corrente meno forte, e iniziarono a darsi da fare. Si chinarono lungo la riva, ginocchia a terra, e immersero i panni nell’acqua gelida, che le fece rabbrividire. Non avevano sapone, così strofinavano i vestiti sui sassi per togliere le macchie, mentre l’acqua pensava a dare una rinfrescata al tutto. 

“Che hai fatto stanotte? Hai una faccia…” chiese Rachel, notando le occhiaie e l’aria stralunata di Claire.

Lei si strinse nelle spalle. “Niente. Ho dormito poco.” In realtà, da quando si era svegliata da quel sogno assurdo non era stata più in grado di chiudere occhio, perché come provava a riaddormentarsi le tornava in mente la scena disgustosa del tizio nella cella.

Mentre lavava le sue cose, le capitò tra le mani una delle t-shirt di Cedric e il sogno passò immediatamente in secondo piano, lasciando il posto al ricordo di loro due soli davanti al fuoco. Era indecisa se parlarne o meno con le amiche, certa che le avrebbero fatto di nuovo pressione, però non riusciva nemmeno più a tenerselo dentro. Aveva urgente bisogno di consigli. Mise da parte la t-shirt e le guardò. “Se vi dico una cosa, mi promettete di rimanere calme?”

Entrambe la fissarono con aria interrogativa.

“Dipende.” fece Rachel, riprendendo a strofinare. “È grave?”

“No, macché…” Claire esitò. Non ne era tanto sicura nemmeno lei. “Cioè, forse...”

“Insomma, di che si tratta?” le chiese Juliet curiosa.

Prendendo coraggio, raccontò delle cose che si erano detti, girando intorno al vero problema per timore di come l’avrebbero presa. Alla fine, però, dovette per forza arrivare al punto cruciale. “E poi ha suonato una bella canzone e si è praticamente dichiarato.” confessò, avvampando per l’imbarazzo.

La reazione di Rachel non fu affatto quella pronosticata. “Beh, avresti dovuto aspettartelo prima o poi.” disse tranquillamente, strizzando un paio di mutandine. 

Juliet, invece, sembrava più su di giri. “Ma che ti ha detto di preciso? Voglio dire, si è proprio dichiarato in maniera esplicita?” 

“No, non proprio.” Claire scosse la testa, abbassando gli occhi sulla maglia che stringeva ancora tra le mani. “Ha detto una cosa strana, che si capiva e non si capiva…”

 “E allora come fai a dire che si è dichiarato?” obiettò Rachel.

“Perché in realtà voleva farmelo capire!” ribatté lei spazientita. “Era più che evidente.”

Quella risposta le lasciò ammutolite per un po’. Nessuna sapeva cosa aggiungere e per qualche istante si sentì solo lo scorrere lento del fiume. 

“Per favore, dite qualcosa.” le implorò Claire d’un tratto. “Voi che fareste al mio posto?” Magari, con il loro aiuto, sarebbe riuscita finalmente a capire cosa fare e a uscire da quella situazione di stallo che durava ormai da troppo tempo.

Juliet sospirò, mentre strizzava i suoi pantaloncini sull’erba. “Io ti ho già detto come la penso. Secondo me dovresti buttarti. Cedric è un bel ragazzo, simpatico, intelligente… Non capisco che altro vuoi. Oltretutto, ha dimostrato di tenere veramente a te lasciandoti i tuoi spazi, senza farti troppe pressioni.” Lo disse con tutta la sincerità di cui era dotata. Voleva davvero che tra quei due nascesse qualcosa. “E poi vi vedo bene insieme.” Aggiunse infine con aria sognante.

Claire sollevò un sopracciglio dopo quell’ultima affermazione. “Bene.” mormorò, rivolgendosi poi a Rachel. “La parte razionale cosa consiglia, invece?”

Lei ridacchiò. “Di solito non sono una che si butta nelle storie e lo sai, ma ammetto che in questo caso sono d’accordo con Juls. Comunque non conta quello che pensiamo noi, ma quello che vuoi tu.” Guardò l’amica, tornando seria. “Che intendi fare? Lui ti piace? Se la risposta è sì, non vedo quale sia il problema.”

Le fissò un po’ delusa. Si era aspettata qualcosa di più del solito tentativo di gettarla tra le braccia di Cedric, cosa che ormai andava avanti da settimane. D’altronde, non avrebbe potuto pretendere di affidare a qualcun altro il compito di chiarirle le idee, quando lei per prima non si sentiva per niente sicura dei suoi sentimenti. “Non lo so…” disse afflitta. “Per ora siamo solo amici e penso mi basti. Non dico che lui non mi piaccia, ma ho paura di rovinare tutto andando oltre.”

Sia Rachel che Juliet conoscevano già il problema e le sue origini, e avevano tentato più volte di farla uscire da quell’impasse, ma senza risultati. A quel punto spettava solo a lei trovare il modo di lasciarsi il passato alle spalle.

“Allora chiarisciti le idee e soprattutto chiarisciti con Cedric. Non è giusto continuare a dargli false speranze.” sentenziò Rachel secca.

Claire sapeva che aveva ragione, ma il suo tono la infastidì lo stesso. Detestava quel suo modo di fare da maestrina, con cui impartiva lezioni su tutto. Certo, era stata lei a chiederle consiglio, ma questo non le dava il diritto di insinuare che stesse tenendo Cedric sulla corda di proposito. Cosa pensava? Che la situazione la divertisse? Comunque incassò il commento, senza aggiungere altro e dedicandosi al resto del bucato. 

Una volta tornate all’accampamento, pensarono di stendere i vestiti sulle tende, per farli asciugare più in fretta.

Juliet era molto presa dal tentativo di sistemare i suoi al meglio, in modo che il sole li raggiungesse il più direttamente possibile, e a malapena fece caso a Dean, che intanto si era avvicinato. Con la coda dell’occhio lo vide venire verso di lei, ma si impose di ignorarlo per far intendere di essere ancora arrabbiata. Non voleva dargli alcuna soddisfazione.

Solo quando si fu schiarito la voce per annunciare la sua presenza, finse di essersi accorta di lui. 

“Dovremmo parlare di ieri.” esordì serio.

Juliet lo squadrò da capo a piedi, per poi rispondere in tono neutro: “Sì, penso che dovremmo.” La prima cosa che le venne in mente fu che si fosse reso conto di aver esagerato e volesse chiederle scusa, ma Dean provvide subito a smontare quell’ipotesi.

“Il tuo è stato un comportamento infantile. Non era il caso di fare quella scenata e di urlarmi contro.” disse, mantenendo la solita espressione distaccata. “Quindi, gradirei le tue scuse.” 

Colta alla sprovvista, Juliet rimase di sasso, non troppo sicura di aver capito bene. Con che faccia le stava chiedendo di scusarsi, dopo averla trattata in quel modo? Stava scherzando! “Le mie scuse?” ripeté sconcertata, tenendo a mezz’aria la maglietta che stava stendendo. “Non credo proprio di essere io a dovermi scusare.” Istintivamente adottò lo stesso tono compito usato da lui, come a dimostrare di sapergli tener testa.

Dean, infatti, rimase un po’ spiazzato. Era evidente che non si aspettasse una risposta simile. “Ma…” 

“No, senti.” Lo interruppe subito, parlandogli sopra. “Non ti ho chiesto io di venirmi a cercare. Non ho urlato Dean ti prego vieni a salvarmi! Non sono una ragazzina, so cavarmela anche da sola.” Si sfogò d’un fiato, senza dargli il tempo di ribattere, convinta questa volta di avere la ragione dalla sua parte.

Si fissarono ancora per qualche istante, studiandosi a vicenda. Più che risentito, Dean sembrava concentrato, come se stesse soppesando ogni parola che lei aveva detto. 

Intorno a loro, intanto, gli altri fingevano di non interessarsi alla discussione, ma lo spazio era limitato ed era difficile non sentire.

Alla fine, Dean distolse lo sguardo, riacquistando il disinteresse che lo contraddistingueva. “Bene, se è questo ciò che pensi...” 

Senza aggiungere altro, le voltò le spalle e se ne andò per conto suo, lasciandola lì impalata come una scema. Anche stavolta l’ultima parola era stata la sua e a Juliet non rimase altro che guardarlo andare via. D’altra parte, cosa si aspettava? Era troppo pretendere che avrebbe ammesso di essersi comportato male, lui che faceva sempre la cosa giusta. 

Il primo sguardo che incrociò fu quello di Cedric, che si picchiettò la tempia con l’indice, con chiaro riferimento alla salute mentale di Dean. 

A poca distanza, Rachel e Claire stavano decidendo chi delle due sarebbe dovuta andare da lei per parlarle. Rachel preferiva non affrontare la situazione, visto che non le era mai capitato di vederla così nervosa. Tra l’altro, pensava che Dean non avesse proprio tutti i torti, ma per ora non era il caso di dirlo. Quindi, delegò l’ingrato compito a Claire.

Quando le si avvicinò, Juliet stava stendendo con un po’ troppa foga le ultime cose rimaste. 

“Tutto a posto?” le chiese cauta.

“Certo. A meraviglia.” ribatté lei punta sul vivo, mentre scaricava la tensione strizzando una maglietta con tutta la sua forza.

Claire provò pietà per quel povero pezzo di stoffa. “Vedo.”

Juliet cercò di calmarsi, prendendo un bel respiro. Si era già pentita di averle risposto con quel tono acido. “Scusa. Anche per ieri. Non ce l’ho con te.” 

“Tranquilla, non me la sono presa.” le sorrise l’amica. “Piuttosto, non stare a pensarci troppo. Si sa che Dean non è la persona più affabile del pianeta.” scherzò.

Lei fece segno di saperlo già, accennando un sorriso a mezza bocca e mettendo poi la maglietta ad asciugare. 

Il resto della mattina lo trascorse in panciolle, evitando di incrociare lo sguardo di Dean o di entrarci in contatto in qualunque altro modo. Si stese sull’erba a prendere il sole fino all’ora di pranzo, quando i brontolii del suo stomaco la avvertirono che forse era il caso di preparare qualcosa da mangiare. 

Rovistò nella borsa dei viveri, ormai quasi vuota, e ne riemerse un po’ affranta. Non sapeva più cosa inventarsi, così prese una delle ultime scatole di fagioli, pensando di farne una zuppa. “Siamo quasi a corto di cibo.” avvertì gli altri. “Dovremmo fermarci da qualche parte a fare scorte o non avremo più niente per il viaggio di ritorno.” 

“In effetti, stavamo giusto pensando di fermarci al minimarket qui dietro.” ironizzò Cedric.

“Potremmo cercare qualcosa in giro.” Propose invece Mark, come sempre il più assennato. “È una foresta no? Ci sarà sicuramente qualche radice commestibile o qualche frutto.” Neanche il tempo di finire la frase, che già aveva aperto la sua guida del Montana, da cui si separava raramente. 

Cedric sollevò un sopracciglio con aria scettica. “Delizioso.” 

“In mancanza di altro…”

“Hai ragione.” concordò Rachel, scorrendo anche lei le pagine della sua guida. “Intanto che aspettiamo di arrivare al prossimo rifugio, mi sembra l’unica soluzione. Dai, andiamo insieme.” propose a Mark, precedendolo verso il bosco.

Juliet fece spallucce, rimettendo a posto i fagioli. Li avrebbe cucinati per cena, mentre a pranzo consumarono le ultime scorte di carne in scatola, miste ai pinoli che avevano portato Mark e Rachel. Dalla loro escursione, erano tornati con radici verdognole simili a carote, ghiande, pigne cariche di pinoli e delle strane bacche che secondo la guida erano commestibili. Raccontarono di aver visto anche qualche fungo qua e là, ma di non averli raccolti per paura che fossero velenosi. 

Juliet ripose tutto nella sacca, contenta di aver trovato qualcos’altro da aggiungere ai fagioli per dare più sapore alla zuppa. Almeno avrebbe potuto cucinare qualcosa di decente per il compleanno di Mark.

Era pomeriggio inoltrato quando Rachel, stanca di starsene con le mani in mano, pensò di rendersi utile accendendo il fuoco. Quando si alzò, nessuno la degnò di attenzione perché preso da altro. Juliet impegnata ad aggiornare il suo diario e Claire stesa in un angolo a sonnecchiare. 

“Mi dai una mano a preparare il fuoco?” le chiese avvicinandosi.

Lei sollevò una palpebra per guardarla. “Proprio adesso doveva venirti tutta questa voglia di fare? Stavo per addormentarmi.”

“Va bene, lascia stare.” ribatté Rachel acida. “Faccio da me.” Iniziò quindi a radunare le pietre attorno al fuoco spento; poi guardò in giro in cerca di legna, ma nelle vicinanze non ce n’era praticamente più, perciò si spinse oltre. Dopo un po’ fece ritorno con un mucchio di rami secchi da bruciare, ma qualcosa le disse di aver esagerato perché a malapena riusciva a trasportarlo. 

Vedendola affannata e in difficoltà per via del peso, Cedric lasciò perdere il suo ukulele e si alzò, offrendosi di aiutarla.

“Non ce n’è bisogno, ce la faccio.” 

Lui, però, fece orecchie da mercante e le tolse la legna dalle mani. “Dai qua su. Potresti farti male.” 

“Ma sentilo, un vrai chevalier. Sempre pronto a soccorrere le donzelle.”

“Che c’entra? Si sa che voi ragazze siete delicate.” commentò, mentre depositava il carico sopra i resti del falò precedente. “E poi è giusto che un vero uomo dimostri il suo valore, quando serve.”

Rachel alzò gli occhi al cielo, per nulla impressionata. “Prolisso e ripetitivo.” 

“Ma piantala, sono solo rami.” Mark passò e lo spinse con fare scherzoso. “Quanto vuoi che pesino?”

Punto sul vivo, Cedric si guardò intorno, alla ricerca di una sfida da proporgli. Quando finalmente la trovò, gli si illuminarono gli occhi. “Ah sì? Vediamo se riesci a spostare quello, allora.” lo provocò, indicando con un cenno della testa un grosso masso a qualche metro dal campo. Era ricoperto di muschio e anche da quella distanza era possibile intuire che fosse ben piantato nel terreno. 

Mark seguì con lo sguardo la direzione indicatagli dall’amico, poi gli rivolse un’occhiata perplessa. “Ancora con questi giochetti? Non siamo più ragazzini.”

Cedric ghignò. “Hai paura di perdere, eh?”

“Dai, fatela finita. Che cosa stupida…” sbuffò Rachel spazientita, venendo ovviamente ignorata.

“Non è questo, è che non sono motivato. Perché dovrei farlo?”

La domanda lasciò Cedric interdetto. “Fammi pensare…”

Entrambi iniziarono a proporre una serie di possibilità sul premio che sarebbe spettato al vincitore, mentre Rachel si convinceva che fosse inutile tentare di dissuaderli e Juliet si godeva la scena divertita, chiedendosi come sarebbe andata a finire.

“Niente. Non riuscirò mai a prendere sonno con tutto questo casino.” si lamentò Claire con aria spenta, sedendosi accanto a lei e affondando il viso nelle mani. 

Fu allora che a Juliet venne l’idea risolutiva. “Perché non un bacio?” propose.

“Come?” chiese Mark.

“Chi vince riceverà un bacio da una di noi.” chiarì sorridente. In realtà, era per Claire che lo stava facendo. Forse in quel modo si sarebbe data una svegliata.

Non appena la sentì, infatti, riemerse dal suo stato di dormiveglia e la fissò con gli occhi sgranati.

Cedric ci pensò su un istante, prima di annuire convinto. “Sì, la cosa non mi dispiace. E chi sarà a baciarmi, dato che sappiamo tutti come andrà a finire?”

“Lo deciderà il vincitore.” rispose Juliet.

Claire le avrebbe volentieri messo le mani al collo. Era ovvio che tra quei due non ci fosse partita e che l’amica lo sapesse quanto lei. Aveva capito il suo gioco, ma per niente al mondo le avrebbe dato quella soddisfazione. Doveva correre ai ripari, ma come? 

Per sua fortuna, Dean stava rientrando dalla sua passeggiata proprio in quel momento, così colse l’attimo. “Rendiamo le cose più interessanti.” disse, lanciando un’occhiata di sfida a Juliet. “Dean, vieni. Gareggia anche tu.” Ignorando la reazione sbalordita di Juliet, gli andò incontro per trascinarlo in mezzo a loro. 

“Che sta succedendo?” chiese confuso, squadrandoli uno ad uno.

“Stiamo per dimostrare di cosa è capace un vero uomo.” spiegò Cedric fiero. 

“E in che modo?”

“Sollevando quel sasso laggiù. Chi riesce a tenerlo più a lungo vince.”

Dean alzò un sopracciglio con aria scettica. Si intuiva che provasse scarso interesse per l’iniziativa. “Di che genere di veri uomini stiamo parlando? Cavernicoli?”

Cedric gli riservò una smorfia di finto divertimento. “Davvero uno spasso. Che c’è? Pensi di non farcela o di sporcarti la camicia?” 

La provocazione sembrò avere un certo effetto su Dean, che dapprima si prese del tempo per pensare e poi annuì, dando segno di voler raccogliere la sfida. “Ci siamo già passati, mi sembra. Sei proprio sicuro di vincere stavolta?” chiese, mentre si arrotolava le maniche per facilitare i movimenti. 

“E tu?” 

Con aria decisa Cedric si diresse al masso, posizionandosi nel punto che ritenne più comodo; poi si tolse la camicia e la lanciò a Mark con un sorriso beffardo, rimanendo in canottiera. La pietra era affossata nel terreno, quindi dovette faticare non poco per rimuoverla dal posto che occupava da chissà quanto tempo. Alla fine, riuscì a sollevarla di qualche centimetro e Juliet contò diciotto secondi. Dopodiché mollò la presa leggermente ansante, lasciando il posto all’amico.

Mark si sforzò parecchio per tenergli testa, senza però riuscire a superare il suo punteggio. “D’accordo, ammetto che avevi ragione.” disse onestamente, mentre si scambiavano un’amichevole pacca sulle spalle.

Quando fu il turno di Dean, tutti trattennero il fiato mentre lo guardavano sollevare il masso, per poi rimanere basiti quando dopo più di venti secondi non lo aveva ancora lasciato. 

Proprio quando Juliet stava contando il ventisettesimo, Claire annunciò soddisfatta: “Beh, direi che abbiamo un vincitore.” 

Solo allora Dean rimise giù il masso, senza scombussolarsi troppo. Poi, mentre si strofinava le mani una con l’altra per pulirle dalla terra, rivolse a Cedric un velato sorriso di vittoria. 

Lui però non diede segno di essere impressionato. “Bravo, complimenti vivissimi. Ma adesso non esaltarti troppo.”

“Ora puoi scegliere chi baciare.” aggiunse Claire.

“Come dici, prego?” 

Lei rimase un attimo interdetta, realizzando che in effetti Dean non era a conoscenza della parte saliente della gara. Nessuno si era preoccupato di dirgli in cosa consistesse il premio finale. 

Fu Rachel a provvedere con aria annoiata. “È la brillante trovata di Juliet. Chi vince deve baciare una di noi.”

A quel punto, Dean fece segno di aver capito. “Beh, se è così per stavolta passo.”

“Eh no, bello mio. Fa parte del gioco.” ribatté Cedric, scuotendo la testa con un ghigno. Era evidente che godesse nel vederlo in difficoltà, così girava il coltello nella piaga. “Hai vinto e adesso devi riscuotere. O il signorino ha paura di baciare una ragazza?” 

Lui si difese dicendo di non essere stato avvisato e che quindi quella regola non valeva, ma Cedric fu irremovibile. Così, per non sentirlo più, si diresse a passo svelto verso Rachel, la tirò a sé e le diede un frettoloso bacio sulle labbra, per poi lasciarla impalata a fissarlo. 

“Contento?” chiese a Cedric in tono seccato, prima di defilarsi e sparire nella sua tenda. 

La sua iniziativa li aveva lasciati a dir poco spiazzati e per un po’ nessuno seppe cosa dire. 

Com’era prevedibile, fu Cedric a interrompere quel silenzio imbarazzante. “Però…” esordì. “Non credevo che lo avrebbe fatto davvero.”

E non era il solo. La scena del bacio restava tutt’ora ben presente nella mente di Juliet. Si sentì una stupida per aver pensato anche solo per un attimo che avrebbe scelto lei. “È quasi ora di cena. Vado a preparare.” disse, sforzandosi di non mostrarsi turbata. 

Subito dopo, anche Mark e Cedric la seguirono, lasciando Rachel ancora congelata nella stessa posizione da cinque minuti. 

Claire le si avvicinò e provò a scuoterla. “Ehi, sei tra noi?” 

L’amica allora reagì, girandosi lentamente verso di lei. “Ma l’hai visto?” Era talmente scioccata che per poco non lo urlò.

“Sì, l’abbiamo visto tutti. Eravamo qui.” ironizzò Claire. “Allora? Com’è stato baciare il freddo Dean?”

Rachel sentì la domanda, ma non rispose subito. D’istinto, si portò una mano alle labbra, ripensando a poco prima; poi si riscosse e le rispose stizzita: “Che ne so! Sarà durato sì e no un secondo.” In effetti, aveva avuto a malapena il tempo di sentire le labbra di Dean sfiorare le sue, ma era bastato a farle mancare la terra sotto i piedi.

Ancora scossa, deglutì, sentendosi la gola secca. “Vieni, ho bisogno di un bicchiere d’acqua.” In realtà, sarebbe stata meglio una tequila, ma meglio di niente… Con convinzione la agguantò per un braccio e fece per trascinarla con sé, ma nel frattempo Cedric era tornato indietro e gliela sottrasse dalle mani. 

“Scusa tesoro, te la rubo solo un momento.” 

Impotente, Claire si vide costretta a lasciarsi trascinare via, senza sapere cosa avesse in mente. “Dove stiamo andando?” chiese confusa e allo stesso tempo irritata.

Lui non si degnò di rispondere, finché non arrivarono al fiume e decise di fermarsi. “Dì un po’, l’hai fatto apposta, vero?” la inchiodò in tono inquisitorio, mollando finalmente la presa sul suo braccio. 

“Non so di cosa tu stia parlando.” rispose candida, evitando di guardarlo negli occhi. 

Cedric, però, non si lasciò incantare. “È inutile che fai la finta tonta. Mi riferisco alla furbata di mettere in mezzo Mister Perfettino.” chiarì. “Avanti, ammettilo. Sapevi che avrei vinto io e che avrei scelto te per riscuotere il premio. Per questo l’hai coinvolto.”

A quel punto, Claire pensò che continuare a fingere non servisse a niente e lo fissò dritto negli occhi con aria di sfida. “Certo che lo sapevo, era fin troppo facile immaginare come sarebbe andata a finire. Ho voluto solo rendere la gara più interessante. Inoltre ho pensato che fosse una buona occasione per toglierti quell’espressione da pallone gonfiato dalla faccia.” Sorrise soddisfatta. “A quanto pare, ha funzionato.”

Per la prima volta, Cedric sembrava a corto di parole e a lei non parve vero di averlo messo finalmente in difficoltà.

“Tra l’altro, me lo dovevi.” aggiunse.

“In che senso?”

Claire sogghignò malevola. “Pensi che mi fossi dimenticata dello scherzetto che mi hai fatto a Wisdom? Ti avevo avvertito che te l’avrei fatta pagare.”

Lui annuì, dando segno di ricordare. “Vendicativa, eh?”

“Puoi ben dirlo. E poi dai, davvero pensavi che bastasse un bacio per farmi cadere ai tuoi piedi? Dovresti aver capito che questi giochetti con me non attaccano.” 

Il sorriso, già fiacco, si spense definitivamente sul volto del ragazzo, che all’improvviso si fece serio. Troppo serio. Non l’aveva mai visto così e quasi se ne preoccupò. Forse, stavolta aveva esagerato.

Venne verso di lei, facendosi sempre più vicino e Claire prese a indietreggiare intimorita. 

A un certo punto, la sua schiena sbatté contro la corteccia di un albero e fu costretta a fermarsi, il viso di Cedric a pochi centimetri dal suo naso. Poteva sentire il loro respiri fondersi per quanto erano vicini. Allora raccolse il coraggio e guardò quegli occhi azzurri, scoprendo con sorpresa che non era arrabbiato, se mai determinato. Si sentì attraversare il corpo da un brivido di eccitazione quando lui si avvicinò ancora, così trattenne il fiato e socchiuse gli occhi, il cuore che le batteva a mille. La sua parte razionale avrebbe voluto scappare da quella situazione, ma l’altra le imponeva di lasciarlo fare. La vecchia Claire non avrebbe rinunciato a quel bacio per niente al mondo e al momento era quella parte ad avere la meglio. Decise di ascoltarla e serrò definitivamente le palpebre, in attesa.

Bacio che però non arrivò, perché Cedric deviò la traiettoria all’ultimo secondo, spostando le labbra vicino al suo orecchio. “Quando vincerò il tuo cuore, e lo vincerò, non sarà grazie a dei giochetti, ma perché lo vorrai anche tu.” le sussurrò con un tono da far accapponare la pelle.

Detto questo, si allontanò da lei, per poi andarsene e lasciarla inchiodata a quell’albero, incapace di respirare. Per una volta che aveva pensato di avere il coltello dalla parte del manico era riuscito a fregarla di nuovo. 

Appoggiò la testa all’indietro, aspettando che il battito del suo cuore tornasse a livelli normali. Sentiva le gambe molli e non era certa che avrebbero retto il suo peso se si fosse mossa subito, così attese quel tanto che bastava per riprendersi. L’idea che la vedesse in quello stato e gioisse per la vittoria ottenuta era insopportabile e cercò di darsi un tono. Non gli avrebbe mai concesso una soddisfazione del genere. 

Dopo diversi minuti, convenne con se stessa di essersi calmata e si incamminò verso il campo, dove Juliet aveva appena finito di preparare la cena.

Come prevedibile, Cedric cercò di sondare il terreno lanciandole occhiatine ammiccanti, per verificare gli effetti che la sua iniziativa aveva provocato, ma Claire lo ignorò completamente e proseguì a testa alta, andando a sedersi accanto a Rachel.

“Che è successo?” le chiese l’amica sottovoce, mentre le passava la ciotola con la zuppa. 

“Te lo spiego dopo.” tagliò corto lei. 

Consumato quello che era riuscita a mettere su con pochi ingredienti e molta fantasia, Juliet stava per alzarsi e sparecchiare, ma Cedric insistette perché almeno quella sera non si affaccendasse subito. Era il compleanno di Mark e dovevano festeggiare. Si armò allora del suo ukulele e iniziò a intonare allegre canzonette, simili a quelle che avevano sentito a Wisdom. 

“Auguri!” urlò all’amico, passandogli accanto senza smettere di suonare. Gli altri risero e stranamente anche Dean sembrò divertirsi quando Rachel prese il festeggiato sottobraccio e lo coinvolse in un balletto, a cui ben presto si unirono anche Juliet e Claire.

Juliet poi li sorprese con una composizione di marshmallow al centro della quale aveva inserito un fiammifero a mo’ di candelina, così che Mark potesse avere anche la sua torta di compleanno. 

Trascorsero la serata tra una canzone e l’altra, rievocando l’atmosfera di Wisdom, finché non concordarono che fosse arrivato il momento di sistemare tutto e andarsene a letto. Niente e nessuno avrebbe convinto Dean a restare un giorno in più in quella radura, quindi l’indomani li aspettava di sicuro un’alzataccia.

Visto che Juliet si era data così tanto da fare nel pomeriggio, Rachel si offrì di andare a lavare le stoviglie che avevano usato.

“Aspetta.” la fermò Cedric, prima di rivolgersi a Mark. “Perché non vai con lei? In due farete prima.” propose. “E poi è buio, non può andare da sola.”

Per un attimo Mark lo guardò incerto, ma poi prese la torcia e la seguì al torrente. Le fece luce lungo tutto il tragitto e Rachel gli camminò affianco nel timore di mettere un piede in fallo e far cadere tutto. 

Giunti al torrente, si chinò verso l’acqua fredda e vi immerse un pentolino. “Comunque, non serviva che mi accompagnassi. Cedric esagera sempre.” disse con un sorriso, mentre iniziava a strofinare.

“Non c’è problema.” tagliò corto Mark, mentre si chinava a sua volta per aiutarla.

A Rachel quel tono piatto suonò strano, ma fece finta di niente e gli passò una scodella. 

Lavarono i piatti in silenzio, mentre intorno a loro si sentivano solo i versi dei grilli e di qualche uccello notturno, ma dopo dieci minuti che non le rivolgeva la parola, Rachel cominciò a insospettirsi. Di solito, era un ragazzo loquace, soprattutto con lei. “Bel modo di concludere un compleanno, eh? A lavare i piatti.” scherzò, pensando in questo modo di stimolare l’inizio di una conversazione. 

“Già.”

Quell’ennesima fredda risposta la convinse definitivamente che qualcosa non andava. Doveva vederci chiaro. “All’improvviso sembri un po’ giù. È successo qualcosa?” chiese con aria innocente. Aveva intuito che non fosse di buon umore e preferì andarci cauta.

Mark fece spallucce, evitando di guardarla direttamente. “No, sono solo stanco.”

“Dai, ti si legge in faccia.” insistette lei. Era inutile che facesse finta di niente, tanto non sarebbe riuscito a ingannarla. 

“Non ti arrendi mai tu, eh?” sbuffò allora, visibilmente irritato.

Quella reazione la spiazzò. Tutto si sarebbe immaginata, tranne una risposta così acida. Pensava che ormai ci fosse più confidenza tra loro. “Scusa, non volevo impicciarmi…”

“Possibile che tu non abbia ancora capito? Eppure sei così intelligente.” la interruppe, con un sospiro malinconico.

Da perplessa che era, adesso Rachel cominciava a chiedersi cosa volesse da lei. Non solo le aveva risposto male, ma pretendeva che decifrasse il suo discorso criptico. Perché non veniva al punto e basta? “Sì e continuo a non capire. Spiegamelo tu, visto che io non ci arrivo.” 

A quel punto, Mark si alzò in piedi, abbandonando sull’erba la ciotola che stava lavando. Agitato e imbarazzato, si tolse gli occhiali e strofinò nervosamente le lenti con un lembo della maglietta, per poi rinforcarli. “Dannazione, non sono pratico di queste cose. Non lo sono mai stato...” esitò, in cerca delle parole giuste. “Il fatto è che non mi era mai capitato di essere geloso.”

Rachel lo squadrò dal basso, tentando di dare un senso a quel comportamento che la stava decisamente mettendo in crisi. “Geloso?” chiese, alzando un sopracciglio. “Geloso di chi?”

Mark tentennò ancora, prima di farsi uscire il fiato. “Di Dean.” confessò alla fine, con una tale tensione nella voce che sembrava si fosse liberato di un peso enorme.

Fu allora che Rachel cominciò a unire i pezzi, ma le riusciva abbastanza difficile credere alla fattibilità di ciò che stava pensando. “Riguarda me, ho indovinato?” 

“Secondo te? Di cosa staremmo parlando?” 

Era un domanda un po’ sciocca in effetti, ma l’intuizione improvvisa che la colse subito dopo gliela fece dimenticare. “Non ti riferirai al bacio di oggi pomeriggio?” chiese quasi divertita, talmente pensava fosse assurdo. 

Dall’altra parte, però, Mark non sembrò cogliere l’ironia e la sua muta risposta bastò a farle capire di aver centrato il punto cruciale della discussione. Incredula come non mai, si alzò in piedi e lo guardò dritto negli occhi. “Pensi che tra me e lui ci sia qualcosa?” 

A quel punto, per lui fu impossibile evitare ancora il suo sguardo. “Non è così?” la incalzò in tono incerto.

Rachel ricambiò basita. Non le sembrava di aver fatto niente che potesse dare adito a un’idea simile, ma evidentemente si sbagliava o altrimenti non si sarebbero ritrovati lì a discuterne. Stava per ribattere e chiarire tutto, ma Mark non glielo permise.

“Dai, sei l’unica a cui si degni di rivolgere più di un monosillabo al giorno.” disse con freddo sarcasmo. “Siete sempre appiccicati e poi ho visto come vi guardate. D’altra parte, se anche fosse non te ne faccio una colpa. Dean è indubbiamente bello, coraggioso, e io non posso certo pretendere che ti sia indifferente…”

“Aspetta, frena un secondo.” intervenne lei, mettendo le mani avanti per interrompere quel fiume di parole. “Io non ho mai detto di essere interessata a Dean. D’accordo, magari mi è capitato di farci un pensierino ogni tanto, ma il fatto che io ci parli non significa che voglia avere una relazione con lui. Ti rendi conto di quanto sia assurdo tutto questo?” Pur non volendo, quella domanda le uscì carica di enfasi. Forse perché sentiva urgentemente la necessità di chiarire l’equivoco.

In un primo momento, Mark le rivolse un’occhiata fugace, ma niente di più. Forse, aveva bisogno di ulteriori conferme, così Rachel si avvicinò cauta, finché non si trovarono l’uno di fronte all’altra. Senza pensarci troppo, gli prese la mano per attirare la sua attenzione. “Dico davvero, lui non fa per me. A dire la verità, sono più attratta dai tipi occhialuti.” confessò con un fil di voce, ma abbastanza chiaramente perché la sentisse.

Fu allora che i loro sguardi si incontrarono, mossi dallo stesso istinto. Lo vide trattenere il fiato, in preda all’imbarazzo più totale, e sorrise quando balbettò qualcosa, senza riuscire a formulare una frase di senso compiuto. 

Lei, però, era stufa di parlare. Quello che si erano detti era più che sufficiente. Così, prese l’iniziativa e gli diede un bacio. Fu breve, ma bastò per paralizzarlo completamente. “Buon compleanno.” gli sussurrò a fior di labbra, sentendo subito dopo le guance avvampare.

Mark le sorrise e, senza darle il tempo di aggiungere altro, la afferrò per i fianchi e la baciò come si deve, facendola trasalire per la sorpresa. Impiegò un secondo per riprendersi e rispondere al bacio con entusiasmo; poi, al settimo cielo per la felicità, si agganciò al suo collo, lasciando che la stringesse più forte. 

 

-o-

 

Dalla torre più alta del castello Nickolaij osservava il villaggio di Bran, le cui luci risaltavano nell’oscurità della foresta circostante. Era frequente trovarlo affacciato alla finestra del suo studio, poiché la visione di tutto ciò che aveva costruito fino a quel momento era l’unica cosa in grado di distrarlo da pensieri meno felici. 

Quello era il solo luogo sicuro per lui e la sua razza, dato che il villaggio e l’intera regione erano stati ormai del tutto assoggettati al suo dominio. Altrove la loro sopravvivenza era minacciata dai cacciatori, le cui spie si erano spinte ovunque. Era per questo che doveva spostarsi continuamente. Perfino nell’insignificante Greenwood c’era il rischio di essere rintracciati. 

Quella lotta tra lui e chi voleva ostacolarlo durava da troppo tempo, senza che nessuna delle due fazioni riuscisse a prevalere sull’altra. Era a causa dei cacciatori se non aveva ancora potuto vedere realizzato il suo progetto, ma finora non era riuscito a trovare il modo di annientare quei seccatori una volta per tutte.

Quei pensieri gli logoravano i nervi ogni volta che si fermava a riflettere e per scacciarli rivolse uno sguardo ai giardini. In particolare, al roseto. Era il suo orgoglio. Aveva continuato a prendersene cura per tutti quei lunghi anni, facendo in modo che non appassisse. Lei avrebbe sicuramente apprezzato.

In quel momento qualcuno bussò alla porta, deviando la sua attenzione dai fiori. Così, senza allontanarsi dalla finestra, lo autorizzò a entrare.

Un uomo magro e dal mento aguzzo fece il suo ingresso nella stanza, prostrandosi in un breve inchino. “Mio Signore.” 

“Byron.” Nickolaij riconobbe all’istante quel tono mellifluo. “Hai qualche novità?” chiese, mentre tornava a sedersi dietro la scrivania. Lì, come spinto da un riflesso condizionato, aprì un cassetto e ne trasse un piccolo ritratto incorniciato d’argento. 

“Sorprendentemente sì.” rispose l’uomo, più esaltato di lui all’idea. “Ho utilizzato tutte le mie risorse e dato fondo alle mie conoscenze, ma finalmente sono giunto a una conclusione.”

Senza dire nulla né mostrare alcuna emozione, Nickolaij prese ad accarezzare il ritratto con zelo. “Esiste un modo.” mormorò, fissando l’immagine dipinta.

“Non è affatto semplice. Come avevo immaginato dall’inizio d’altronde…”

Il negromante cominciò a descrivergli tutte le fasi della sua ricerca: quanto fosse stata ardua e di quanto tempo avesse impiegato per arrivare alla soluzione, eccetera, eccetera. Tutte cose che Nickolaij già sapeva, ma che lo interessavano ben poco. L’unica cosa che gli premeva era sapere se l’ipotesi di cui discutevano da tanto fosse davvero realizzabile. 

“Come.” lo interruppe secco, inchiodandolo con lo sguardo.

Byron si riscosse, un po’ intimorito. “Per far sì che funzioni, è essenziale che la ragazza rimanga pura.” disse schietto. “È il motivo per cui finora ogni nostro sforzo si è risolto in un fallimento. Il corpo prescelto deve essere quello di un’umana. Non c’è altra via.” 

Nickolaij annuì impercettibilmente, riflettendo sulle sue parole. Quindi dipendeva tutto dalla missione che aveva affidato a Dean, ma erano passati giorni e ancora non si era fatto vivo. Come se non bastasse, non aveva ricevuto notizie neanche da Rosemary e questo lo rendeva sempre meno incline a pazientare. 

“E riguardo alle modalità?” chiese poi, senza staccare gli occhi dal ritratto. 

“Devo ancora verificare alcuni dettagli, ma conto di arrivare presto a una soluzione definitiva. Comunque si tratterebbe solo di perfezionare il vecchio metodo.” spiegò lui. “Piuttosto, ho scoperto qualcosa di interessante…”

Qualcun altro bussò alla porta e lo interruppe. Dustin entrò senza aspettare il permesso, come era abitudine quando c’era qualcosa di urgente. 

“Mio Signore, c’è stato un altro attacco da parte dei cacciatori.” lo informò, subito dopo un mezzo inchino frettoloso. “Nei pressi di Düsseldorf.”

La cosa non stupì Nickolaij, che si limitò semplicemente a chiedere: “Perdite?” 

“Considerevoli.”

La sua mascella si contrasse, ma lui riuscì comunque a contenere la rabbia e a incanalarla in un profondo respiro. In breve tempo, le dita serrate intorno alla cornice tornarono a rilassarsi. Non poteva rischiare di distruggere l’unico oggetto che gli permettesse ancora di guardarla negli occhi. 

“Raduna gli uomini. Arrivo fra poco.” dispose con la solita calma, prima di congedare Byron. “Puoi andare. Ne riparleremo.” Dopodiché, ignorato l’inchino che gli rivolse prima di uscire, dedicò un’ultima occhiata di speranza al ritratto della giovane donna che teneva in mano. “A presto, amore mio.”

 

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Capitolo 16
*** Entomofobia ***


Capitolo 18

 

Ancora guai

 

Rachel era seduta su un tronco davanti a quel che restava del falò della sera precedente, sorseggiando caffè mentre si godeva lo spettacolo del sole che faceva capolino da dietro le montagne. Era stata la prima ad alzarsi, stranamente ancora prima di Dean, che di solito era sempre mattiniero. Probabilmente perché aveva passato tutta la notte a ripensare al suo momento con Mark, senza chiudere occhio.

Gli altri erano già andati a dormire al loro ritorno e così avevano potuto darsi la buonanotte come si deve. Una scena il cui solo ricordo bastava a farle sentire le farfalle nello stomaco. E pensare che se Mark non avesse tirato fuori la storia della gelosia, lei sarebbe stata ancora ignara di tutto. Lo aveva trovato interessante fin dall’inizio, ma mai si sarebbe sognata di fare il primo passo. Sotto quel punto di vista si considerava un’incapace totale e il fatto di essere anche un po’ all’antica non facilitava di certo le cose. Perciò era stata una bella sorpresa scoprire che lui la ricambiasse e ancor più scoprire che fosse geloso. Di Dean poi…

Lupus in fabula, una delle tende si aprì proprio in quel momento e Dean ne uscì, come al solito già completamente vestito e con il suo libro in mano. Preso alla sprovvista nel ritrovarsela davanti così presto, esitò un istante prima di salutarla.

Dopo aver ricambiato con un sorriso, lasciò che le si sedesse accanto, pur mantenendo una certa distanza, e quando lo vide aprire il libro e iniziare a leggere, presa dalla curiosità buttò un occhio per cercare di capire di cosa si trattasse. Un romanzo, a giudicare dallo stile della scrittura.

“Di che parla?” esordì, incapace di trattenersi.

Lui distolse l’attenzione dalle pagine e, dopo un attimo di esitazione, glielo passò senza dire nulla. 

Con una mano Rachel si assicurò di tenere il segno, mentre con l’altra girava il volume dalla parte della copertina per leggere il titolo. “Ah, è un giallo.” constatò interessata. “Non ti facevo tipo da gialli.”

Dean fece spallucce. “Sì, mi piace cercare di capire chi sia l’assassino prima del finale.” 

Lei ci rifletté su. “Non credo abbia molto senso, visto che qualunque ipotesi tu faccia sarà comunque quella sbagliata. Tanto vale seguire il ragionamento dell’ispettore di turno e sperare che alla fine coincida con il tuo. È questo il lato divertente della cosa, secondo me.” concluse, restituendogli il libro.

Dall’espressione che fece, si intuiva che Dean stesse rimuginando sulle sue parole, ma poi si limitò a ridacchiare, riprendendo la lettura.

“Che c’è?” gli chiese perplessa. “Perché ridi?”

Lui scosse la testa. “Niente, è che non perdi mai occasione di sfoggiare le tue doti da maestrina. A volte sei quasi irritante.”

Per tutta risposta, Rachel gli fece il verso, mimando il suo modo di parlare per prenderlo in giro. Dopodiché si alzò e, fingendosi risentita, annunciò che sarebbe andata al fiume per lavarsi. 

Durante il percorso la sua mente tornò al primo bacio con Mark e il contatto dell’acqua gelida con la pelle del viso la aiutò a calmare i bollenti spiriti. Si sentiva euforica e sul momento l’impulso di andare dalle amiche a raccontare tutto fu molto forte, ma la frescura dovette contribuire anche a rischiararle le idee, perché di colpo ebbe davanti agli occhi le possibili conseguenze dell’accaduto e cominciò a pensare che forse non era il caso di mettere i manifesti. Non subito almeno. Era successo tutto così in fretta e a stento riusciva a credere di essere stata tanto audace, al punto che ora, a mente lucida, non poté fare a meno di chiedersi se non avesse corso troppo. Sì, Mark le piaceva e tanto, con lui si sentiva a suo agio e avevano più di un interesse in comune, ma per ora preferiva procedere con cautela, sondare il terreno. La prospettiva di doversi sorbire battutine e insinuazioni maliziose da parte di Cedric poi… No, non avrebbe potuto sopportarlo. Doveva fare qualcosa.

Di lì a poco, un rumore di passi sull’erba la distrasse da quei pensieri e, quando si voltò per vedere chi fosse, Cedric era già lì, munito di spazzolino e dentifricio.

“’giorno.” la salutò, mentre assonnato toglieva il tappo al tubetto.

Rachel fece lo stesso, sforzandosi di comportarsi normalmente. “Ciao.” ricambiò, evitando di guardarlo. Si chiese se sapesse già tutto, ma quanto pareva no, visto che prese a lavarsi i denti come se niente fosse.

Continuarono in silenzio a dedicarsi a quell’attività, finché Cedric, finito di sciacquarsi la bocca, non riaprì la conversazione. “Però, ce ne avete messo di tempo ieri per lavare due piatti…” 

L’allusione le giunse forte e chiara, tanto che per poco non si strozzò con il dentifricio. Quindi era già troppo tardi? In fondo, non sarebbe stato così strano se la sera prima Mark fosse subito corso a raccontarglielo.

Sperando di sbagliarsi, si chinò sull’acqua per sciacquarsi a sua volta. “Il tempo necessario.” ribatté secca, nel tentativo di chiudere l’argomento. Quando poi si rese conto che Cedric non avrebbe aggiunto nulla, ne approfittò per svignarsela. 

Tornata al campo, trovò Mark seduto a fare colazione insieme alle amiche. D’istinto gli lanciò un’occhiata sfuggente e stranamente lui fece lo stesso, come se sapesse che lo stava guardando, e la cosa la mandò in confusione. Cercò di darsi un contegno e non darlo a vedere, fingendo di rovistare nello zaino. Si sentiva una cretina. 

Si trattennero giusto il tempo di smontare le tende e raccogliere le loro cose, poi ripresero il cammino.

Mentre seguiva Mark, che la precedeva lungo il sentiero, Rachel non riusciva a togliersi dalla testa le parole allusive di Cedric. Doveva sapere se davvero gliene avesse parlato, così lo raggiunse in fretta, afferrandogli un braccio e trascinandolo dietro un grosso abete. 

“Guarda che ho trovato.” esordì con voce chiara, affinché gli altri la sentissero. Dopodiché, si fece guardinga, come in attesa di un agguato. “Fingi di leggere.” Gli porse la Guida ai boschi del Montana e Mark la aprì su una pagina a caso.

“Che succede?” mormorò alquanto confuso, puntando gli occhi sul libro.

“Assecondami.” Rachel controllò che nessuno stesse facendo caso a loro, poi tornò a guardarlo. “Per caso, hai raccontato a qualcuno di ieri sera?”

Il ragazzo sollevò un sopracciglio, sorpreso dalla domanda e soprattutto da come l’aveva posta. “No…” esitò. 

Rachel annuì con un mezzo sorriso. “Neanche Cedric?” 

“Avrei voluto, ma quando siamo tornati già ronfava e non mi andava di svegliarlo.”

Per lei fu un sollievo saperlo. “Meno male…” mormorò, abbandonandosi a un sospiro. 

“Perché non vuoi che si sappia?” le chiese a quel punto, alzando gli occhi su di lei. “Hai cambiato idea?”

C’era un certo grado di allarmismo nel suo tono e Rachel lo percepì subito. “Stai scherzando? No.” si affrettò a chiarire. “Vorrei solo che per il momento la cosa rimanesse fra noi.” Non voleva che interpretasse le sue parole nel modo sbagliato, né che si offendesse, ma voleva essere chiara. Prima di sbandierare ai quattro venti la loro relazione, doveva essere certa che le cose tra loro funzionassero, perché in caso contrario avrebbe dovuto dare troppe spiegazioni e non le andava di sentirsi compatita. Questo però a Mark non poteva dirlo. 

La sua espressione era piuttosto perplessa, perciò provvide immediatamente a spiegarsi meglio. “Gli altri comincerebbero a fare battute. Li conosci, non avremmo più pace. Credo che sarebbe meglio aspettare a dirlo, almeno per il momento...” esitò imbarazzata. “Che ne pensi?” 

In quel modo sperava che coinvolgendolo nella decisione sarebbe stato più semplice ottenere quello che voleva. Dalla faccia che fece, però, Rachel intuì che la prospettiva di nascondersi non lo allettasse granché. 

Preoccupata di averlo deluso con quel suo atteggiamento paranoico, gli prese la mano, pur stando sempre attenta a non farsi vedere. “Mi dispiace. So di chiederti molto, ma per me è importante.”

Non era sicura se fosse stato merito del tono quasi implorante o dello sguardo intenso da cerbiatta a farlo cedere, ma ottenne il risultato sperato.  

Mark, infatti, sospirò con rassegnazione. “Va bene, se proprio ci tieni…” 

“Grazie.” Sollevata, gli schioccò un rapido bacio sulla guancia, prima di riprendersi la guida e continuare su per il sentiero.

Esclusa la breve sosta per il pranzo, camminarono per tutto il primo pomeriggio. Quel giorno faceva particolarmente caldo e ben presto non poterono contare nemmeno sull’ombra degli alberi. Ben presto, infatti, il bosco iniziò a diradarsi, lasciando spazio a una nuda vallata ricoperta solo da un letto d’erba, con una massiccia catena di montagne a farle da cornice. Un panorama mozzafiato.

Avrebbero potuto godersi la vista molto di più, se solo non avesse fatto così caldo. Camminarono sotto il sole a picco per almeno un’ora, finché gli alberi non tornarono a proteggerli. Di contro, il percorso si fece più difficoltoso, la strada si assottigliò, costringendoli a disporsi in fila indiana. Da un lato avevano la parete scoscesa della montagna, ma dall’altro non c’erano appoggi che impedissero la caduta lungo il pendio. 

“Attenti a dove mettete i piedi.” li avvertì Dean, in testa al gruppo. “Il terreno potrebbe franare.” 

Questa volta pensarono bene di prenderlo sul serio e iniziarono a camminare radenti alla parete rocciosa. Procedevano più lentamente, ma almeno in sicurezza. 

Rachel cercava di andare avanti senza guardare giù. Dopo la brutta esperienza del ponte, la sua paura delle altezze non si era certo attenuata, anzi si era trasformata in vera e propria fobia. 

Juliet, subito dietro di lei, tentava di stare al passo, ma le tremavano le gambe e ogni movimento le costava una fatica enorme. Alla fine, la stanchezza le giocò un brutto tiro. Un ginocchio cedette e perse l’equilibrio, uscendo un po’ fuori dalla fila. Mise un piede in fallo e il terreno sotto di lei franò, trascinandola giù. Non riuscì a trovare un appiglio per evitare di cadere di sotto e in un attimo sparì alla vista, lanciando un urlo. 

“Juliet!” strillò Cedric, che chiudeva la fila. 

Gli altri si voltarono di scatto, attirati dalle grida. 

“Che è successo?” chiese Dean allarmato, guardando prima Cedric e poi il pendio. 

Visibilmente scosso, lui tentò di spiegare l’accaduto. “Non ho fatto in tempo... È-è caduta giù…” 

Dimenticando temporaneamente la sua fobia, Rachel si sporse di sotto, sperando di vedere l’amica aggrappata da qualche parte, ma di lei non c’era traccia. “Ma non ti eri messo per ultimo proprio per evitare incidenti?” urlò a Cedric con il panico nella voce. 

Senza perdere altro tempo, Dean si sfilò lo zaino dalle spalle. “Scendo a vedere.” tagliò corto, troncando la discussione sul nascere.

“Vengo con te.” gli fece eco Cedric, preparandosi a seguirlo. 

Lasciarono Mark con le ragazze e intrapresero la discesa, avanzando lateralmente per evitare di scivolare. 

Mentre scendeva, Cedric si guardò intorno alla ricerca di Juliet. “La vedi?” chiese preoccupato. Sul terreno c’erano solo sterpaglia e rovi secchi, ma per fortuna gli alberi erano troppo diradati perché potesse esserci andata a sbattere contro. D’un tratto, una sagoma familiare tra i cespugli attirò la sua attenzione. 

“Ho trovato il suo zaino!” lo avvertì e, fermandosi per liberarlo dai rovi, si accorse che una delle cinghie si era staccata. 

Dean seguì le tracce lasciate dal corpo di Juliet, foglie schiacciate e rametti spezzati, e da ciò intuì più o meno in quale direzione andare. “Non può essere finita troppo lontano.” informò Cedric, per poi riprendere a scendere senza aspettarlo. 

Giunto alla fine del pendio, controllò attentamente la zona e in poco tempo la individuò, riversa su un fianco. Era finita su un sentiero sterrato e il colpo doveva averla fatta svenire. 

“L’ho trovata!” gridò, precipitandosi verso di lei. Si chinò per constatare le sue condizioni e a prima vista non sembrava ferita. Giusto qualche escoriazione, ma poteva aver battuto la testa, perciò non provò a sollevarla. Con cautela la girò sulla schiena. “Juliet.” La chiamò, cercando di rianimarla con dei leggeri colpetti sul viso. “Ehi, svegliati.” 

Nel frattempo, Cedric lo aveva raggiunto. “Sta bene?” domandò trafelato.

Dean non rispose, continuando a darle schiaffetti e di lì a poco finalmente la ragazza sbatté le palpebre. 

Disorientata, ci mise un po’ a mettere a fuoco l’ambiente circostante e il viso che aveva davanti, ma poi la visione si fece più nitida e lo riconobbe. Dean era a pochi centimetri da lei e la prima cosa che pensò fu di stare sognando. Altrimenti perché quell’aria preoccupata? 

“Rimani sdraiata.” le impose, impedendole di tirarsi su. 

Juliet obbedì, anche perché non appena tentò di farlo la testa le vorticò come una trottola. “Cos’è successo?” chiese confusa.

“Niente. Sei solo rotolata giù dal pendio della morte come un sacco di patate.” scherzò Cedric, cercando di sdrammatizzare e di non allarmarla.

Lei sorrise debolmente e si portò una mano alla fronte per schermarsi gli occhi dalla luce e da quel piccolo movimento si rese conto di avere braccia e gambe indolenzite.  

“Come ti senti?” le chiese Dean, ancora chino su di lei. “Senti dolore?”

Probabilmente voleva sapere se si era rotta qualcosa, così Juliet provò a muoversi, ma non avvertì dolori particolari. “No, non mi sembra.” Sollevò le braccia e constatò di essersi procurata parecchi graffi. 

“Prova a sederti.”

Con il suo aiuto e usando maggiore cautela, stavolta ci riuscì senza che la testa le girasse come un frullatore. Si accorse di avere diverse escoriazioni anche sulle gambe e i suoi vestiti erano sporchi di terra, oltre che strappati in più punti. Il laccio che le legava i capelli si era rotto e adesso le ricadevano spettinati sulle spalle, pieni di residui di rami e foglie secche. “A parte questo disastro, credo di stare bene.” 

Intanto, gli altri attendevano ansiosi di ricevere qualche notizia da Dean e Cedric. 

“Si sarà fatta male?” fece Claire, cercandoli con lo sguardo. “Da qui è una bella caduta.”

Rachel incrociò le braccia e sospirò impaziente. “Sicuramente stava meglio prima.” Era preoccupata da morire e in più nessuno si faceva vivo. Eppure avevano sentito Dean gridare di averla trovata. 

Poi, finalmente la voce di Cedric disse loro di scendere, perché il pendio era troppo scosceso ed era impossibile risalire con Juliet in quello stato. 

Rachel fu la prima a fiondarsi giù, troppo in ansia per preoccuparsi della sua fobia, e Claire la seguì a ruota, lasciando a Mark l’onere di portarsi dietro anche gli zaini di Dean e Cedric. 

“Vedete di non cadere anche voi.” le ammonì, senza però ottenere molto credito.

Quando arrivarono, Juliet era già in piedi e sembrava stare bene. 

“Mi hai fatto morire di paura.” la rimproverò Rachel in tono agitato, mentre l’abbracciava stretta. “Non farlo mai più.”

“Credimi, non era premeditato.” ironizzò lei, rispondendo all’abbraccio; poi rivolse un sorriso a Cedric, che era dietro di loro. “Grazie per aver recuperato il mio zaino.” Dentro c’era il suo prezioso diario, l’unica valvola di sfogo di cui disponeva in quei giorni. Sarebbe stato terribile se lo avesse perso.

“Ma ti pare.” rispose lui, insistendo poi per portarglielo.

“Sei stata fortunata, poteva andarti peggio. Magari, la prossima volta cerca di fare più attenzione.” 

Il tono con cui Dean esordì era in completo contrasto con l’atteggiamento preoccupato di poco prima. 

A Juliet non sfuggì quel cambio repentino, guarda caso proprio nel momento in cui erano arrivati gli altri. Ora lo riconosceva. Ma al momento non aveva la forza di contraddirlo, quindi lasciò correre. 

Rachel ignorò quell’ultimo commento e si voltò verso di lui. “Si deve riposare. Cerchiamo un posto per accamparci.” disse risoluta. Oltretutto, come gli fece notare in seguito, era pomeriggio inoltrato e per montare le tende ci voleva il suo tempo. A quel punto non aveva senso andare avanti, così si misero alla ricerca di uno spiazzo o una radura in cui poter passare la notte. 

Nonostante si sentisse solo un po’ intontita, le amiche costrinsero Juliet ad appoggiarsi a loro per camminare. Fisicamente stava bene, piuttosto le sarebbe piaciuto trovare un modo per ripulirsi. 

Man mano che andavano avanti, un suono d’acqua scrosciante si fece sempre più intenso, finché non arrivarono in prossimità di un laghetto, nel cui specchio si gettava una piccola cascata che fuoriusciva da una fenditura nella roccia. Tutto intorno le sponde erano ampie e ricche d’erba, l’ideale per piantare le tende.

Juliet si abbandonò a un sospiro sollevato, grata per ciò che stava vedendo. “Proporrei di approfittarne.” 

“Bell’idea.” approvò Claire esausta. 

“Sì, ma non vi allontanate troppo e state attente.” si raccomandò Dean, che si era già tolto lo zaino per tirare fuori la tenda.

Claire alzò gli occhi al cielo, mentre prendeva asciugamano e vestiti puliti dallo zaino. “Sì, papà.” 

Lei e le altre andarono a spogliarsi dietro a dei cespugli, dove poi rimasero a fare il bagno lontane da occhi indiscreti. 

Mentre si toglieva di dosso i vestiti luridi e strappati, Juliet constatò che la terra si era infilata fin dentro le ferite e doveva sbrigarsi a pulirle, se non voleva che si infettassero. Così appallottolò quegli stracci nello zaino, senza smettere di ripensare a Dean e a quel suo seccante tono perentorio. “Non lo sopporto più.” esordì d’un tratto scocciata, una volta sicura che non fosse a portata d’orecchio. “Sempre a dare ordini, come se fosse la fonte del sapere universale.” 

“Dai, si preoccupa per noi. Lo trovo gentile da parte sua.” disse Rachel, sfilandosi gli shorts. 

Lei preferì non commentare, troppo attratta dall’acqua cristallina del laghetto, ghiacciata ma invitante. La pelle ci mise un po’ ad adattarsi alla temperatura, ma almeno quel refrigerio diede sollievo alle ferite. 

Claire immerse la punta del piede, ritraendola di scatto. “È gelida!” esclamò con un brivido, prima di farsi coraggio ed entrare. Il fondale non era molto profondo, anche se reso viscido dal muschio, che rendeva più complicato tenersi in equilibrio. 

Prima di seguirle, Rachel diede un’occhiata alla guida. “State attente. Qui dice che potrebbero esserci le sanguisughe. Vivono attaccate alle rocce.” 

“Se è pieno come è pieno di grizzly…” ribatté Claire sarcastica. “E comunque al momento non è il mio principale problema.” Il suo corpo stentava ad abituarsi al gelo e aveva paura di scivolare. Per fortuna, l’acqua era talmente limpida che riusciva a vedere ogni dettaglio del fondale.

Con un colpo secco, Rachel chiuse la guida e la ripose nello zaino, per poi avventurarsi anche lei nelle acque del laghetto. Il freddo era tale che per un attimo pensò quasi di rinunciare, ma alla fine la sua fissazione per l’igiene ebbe la meglio. Non capitava spesso di potersi fare un bagno completo e doveva approfittarne. 

Juliet si mise d’impegno a lavarsi i capelli, togliendo via le foglie e i grumi di terra. “Che schifo.” Storse il naso disgustata.

Per un po’ non parlarono, ognuna troppo presa da se stessa; poi Claire sembrò riemergere da un lungo momento di riflessione. “Ci pensate mai che potrebbe essere tutta una messinscena?” esordì, con lo sguardo perso nel vuoto.

Rachel sollevò un sopracciglio perplessa. “Cioè?”

“Non lo so… Forse la storia della baita è solo una bugia e Dean non aspetta altro che coglierci impreparati per strangolarci nel sonno.” chiarì d’un fiato.

“Certo, è sicuramente la spiegazione più logica.” 

Allora lo sguardo di Claire si spostò su di lei, ignorando il tono sarcastico con cui l’aveva detto. “Che ne sai? Magari i suoi amici della setta sono nascosti qui intorno, pronti a un nuovo rito sacrificale.”

Per qualche istante si limitarono a fissarla, per niente sicure se stesse scherzando o facesse sul serio.

Rachel la guardò con aria scettica. “Penso proprio che se avesse voluto strangolarci lo avrebbe fatto già da un pezzo.”

“Secondo me, guardi troppi film dell’orrore.” aggiunse Juliet, ancora alle prese con i capelli. 

Claire ridacchiò. “Dai, ammettetelo! Ci avete pensato anche voi.”

Entrambe si lanciarono un’occhiata eloquente e Rachel scosse la testa, giunta alla conclusione che all’amica servisse disperatamente un’intera notte di sonno. “Okay, fa davvero troppo freddo. Io esco.” annunciò, raggiungendo la riva con un paio di bracciate. Si mise a frugare nello zaino e, trovata una canottiera e un paio di shorts puliti li indossò. 

Poco dopo, venne raggiunta dalle altre e, mentre si stavano rivestendo, una libellula andò a posarsi leggiadra sulla spalla di Juliet. Non se ne sarebbe neanche accorta, se non fosse stato per Claire, che la indicò affascinata. 

“Guarda che bella.” 

La luce tenue del tramonto faceva risplendere i colori metallici dell’insetto, dandogli continue sfumature cangianti.

Non appena la vide, però, Juliet non condivise l’entusiasmo dell’amica e sobbalzò terrorizzata. “Che schifo!” urlò, agitando il braccio nel tentativo disperato di cacciarla. “Toglimela! Toglimela!” 

“Juls, calmati. Non ti fa niente.” cercò di rassicurarla Rachel, reprimendo una risata. 

“Mi fa schifo! Basta questo, okay?” continuò a strillare, nonostante l’insetto fosse già volato via.

Le sue grida isteriche attirarono l’attenzione dei ragazzi, che accorsero subito a controllare. 

“Che sta succedendo?” chiese Dean allarmato.

Rachel scattò prontamente, andando a pararsi davanti a Claire per nasconderla, visto che era l’unica ad essere ancora mezza nuda. “Mon Dieu…” mormorò. Aveva fatto appena in tempo. “Era solo una libellula. Niente di cui preoccuparsi.” li rassicurò poi, rivolgendo loro un sorrisetto compiacente. 

Dean aggrottò la fronte, guardando Juliet incredulo. “Ancora con questa storia?” 

Lei non si fece impressionare e fronteggiò il suo sguardo. Ci mancava solo che le facesse un’altra lavata di testa. “Non è colpa mia se ho paura degli insetti. Si chiama entomofobia, è una cosa seria!”

Il ragazzo sbuffò, passandosi esausto una mano sugli occhi. “Possibile che ogni volta tu debba urlare come una pazza per un essere di tre centimetri? Non è normale.” 

Quell’atteggiamento cominciava a stancarla sul serio, così gli si avvicinò minacciosa con l’intento di mettere le cose in chiaro una volta per tutte. “Senti, sono più di tre settimane che convivo con insetti di ogni genere. Sto facendo del mio meglio per trattenermi, ma non sempre ci riesco. Soprattutto se mi toccano!” si sfogò isterica. “E poi se la mia voce ti dà tanto fastidio, mettiti i tappi nelle orecchie. Va bene?” 

L’imbarazzo non permise a Dean di rispondere per le rime e lo costrinse a distogliere lo sguardo. “Tu invece dovresti mettere una maglietta.” 

Fu solo allora che Juliet si accorse di non indossare nulla sopra il reggiseno e incrociò le braccia sul petto con aria di sfida, sperando con questo di riuscire a mascherare la sua vergogna.

“Avanti, calmatevi. Non è successo niente di grave in fondo.” si intromise Rachel con fare conciliante.

Claire annuì da dietro la sua schiena. “Sì, infatti. Adesso potreste andarvene, per favore? Dovremmo finire di vestirci.” Sottolineò le ultime parole con una punta di acidità, accortasi delle occhiatine insistenti e maliziose che Cedric le rivolgeva da quando era arrivato.

Dean e Juliet si scambiarono un ultimo sguardo di fuoco, come se entrambi sentissero di non aver ancora finito, prima che lui girasse i tacchi per tornare con gli altri all’accampamento. 

Di nuovo presentabili, li raggiunsero, ma a quel punto si era creato un inevitabile stato di imbarazzo generale, che Mark e Cedric pensarono di smorzare andando anche loro a fare un bagno. Dean li seguì, probabilmente approfittando dell’occasione per non entrare in contatto con Juliet, almeno per un po’. 

Durante la cena non scambiò una parola con nessuno, come se in un colpo solo avesse perso tutta la confidenza guadagnata in quei giorni, e quando ebbe finito se ne tornò nella sua tenda, dopo aver rivolto a tutti un gelido saluto.  

Dal canto suo, Juliet invece aveva deciso di comportarsi normalmente, convinta che ignorarlo fosse l’unico modo di apparire superiore. In fondo, non poteva mica avvelenarsi l’anima a vita. Se aveva qualche problema con lei che lo dicesse, invece di andare a nascondersi.

In seguito, sia Claire che Rachel si offrirono di darle una mano con i piatti, ma l’aiuto di entrambe era superfluo, così Rachel disse di avere mal di testa e augurò la buonanotte. 

“Perché non vai anche tu?” chiese Claire apprensiva. “Finisco io qui.”

Juliet scosse la testa. “No, non ti preoccupare. Sto bene.” In effetti, si sentiva abbastanza in forze, nonostante la caduta. E poi fare qualcos’altro l’avrebbe aiutata a non pensare alla discussione con Dean. 

“Non so come tu riesca a stare ancora in piedi dopo una giornata del genere.” scherzò Claire, mentre raccoglieva le cose da lavare. Non si riferiva solo all’incidente, ma anche a tutto il resto e ne approfittò per farglielo notare una volta rimaste sole. “Sbaglio o tu e Dean non fate altro che litigare ultimamente.” commentò, chinandosi per immergere una scodella nell’acqua. “Prima di lui, non ricordo nessuno capace di farti arrabbiare sul serio. E così tante volte.”

Un po’ spaesata dalla domanda, Juliet smise un istante di strofinare, per poi riprendere subito dopo con un sospiro.  “Sì, beh… Non dipende certo da me. Ogni cosa che faccio lo infastidisce, mi incolpa delle mie fobie e pensa che lo faccia apposta a cacciarmi nei guai. È insopportabile.” si sfogò, punta sul vivo. Era vero che non discuteva mai con nessuno, che preferiva sempre trovare una soluzione accomodante, ma a tutto c’era un limite. 

Claire ridacchiò sotto i baffi, come se i suoi isterismi fossero una fonte di divertimento.

“Che c’è?” chiese allora piccata. “Perché ridi?”

“Ti piace sul serio, eh.” 

Seguì un momento di silenzioso imbarazzo, in cui Juliet tentò boccheggiante di ribattere in maniera sensata. “Cos… No! Al contrario… Ti ho appena detto che non lo sopporto. Come fa a piacermi uno che mi tratta così male?” Per il nervoso, il movimento della sua mano sulla scodella si fece più frenetico. Voleva evitare di guardare l’amica negli occhi, nel timore di tradirsi e rivelare il suo reale stato d’animo, ma non ci riuscì a lungo. Quando alzò lo sguardo, vide Claire fissarla con un’espressione scettica dipinta sul viso e fu costretta a cedere. 

“Va bene.” sospirò rassegnata. “E se anche fosse? È evidente che non sono io quella che gli interessa.”

Claire non dovette sforzarsi molto per capire a chi si stesse riferendo. Quindi anche a Juliet l’atteggiamento di quei due sembrava andare ben oltre la semplice amicizia. Fino a quel momento aveva creduto che fosse solo una sua impressione. “Perché non ne parli con lei? Almeno per chiarire.” propose.

Juliet avrebbe voluto risponderle che in realtà Rachel era già a conoscenza dei suoi sentimenti per Dean e che nonostante ciò se n’era infischiata, ma preferì glissare. Era sicura che se Claire lo avesse saputo, nulla le avrebbe impedito di andare da lei e pretendere spiegazioni. Oltretutto, non aveva nessuna intenzione di fare la figura della patetica andandoci di persona. “Ci ho pensato, ma è una pessima idea. Non voglio creare tensioni tra noi.”

“Sì, ma non puoi ignorare la cosa per sempre! Prima o poi verrà fuori, lo sai.” ribatté l’amica, che iniziava a inalberarsi. Si accorse subito però di non averla convinta, quindi provò a insistere su un altro fronte. “Almeno sei sicura che tra quei due ci sia davvero qualcosa?”

Juliet ci pensò su un istante. In effetti non c’era stato niente fino a quel momento che le avesse dato la certezza di una relazione tra loro, niente di concreto almeno. Giusto quella sera a Wisdom… Ma erano tutte sue supposizioni, anche se basate su impressioni reali avute in quei giorni. “Non proprio…” tentennò incerta. 

“E allora chiediglielo!”

“Non posso!” ribatté esasperata. Possibile che non si rendesse conto della posizione in cui si trovava? “Ho paura della risposta… Non lo sopporterei.”

Claire le rivolse un’occhiata eloquente. “Senti, io sono l’ultima persona sulla faccia della Terra che possa darti consigli di questo tipo, però se non hai prove certe che quei due stiano insieme, nessuno ti impedisce di tentare. Come si dice? In guerra e in amore tutto è lecito.” Non era sicura che il suo discorso avesse colto nel segno, ma vide un barlume di speranza negli occhi dell’amica e questo le confermò che forse qualche risultato lo aveva ottenuto. “E poi l’hai sognato, no? È il destino che vi ha fatti incontrare.” ironizzò.

Juliet scoppiò a ridere e le diede una spintarella che le fece perdere l’equilibrio. “Ma piantala!”

 

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Capitolo 17
*** Ancora guai ***


Capitolo 19
 
Ancora guai
 


“Non potremmo fermarci da qualche parte?” gridò Cedric a Dean dal fondo della fila. “È pericoloso andare avanti con questo vento!” Una raffica lo investì, costringendolo a coprirsi gli occhi con la mano. 

Quel giorno il tempo non era decisamente a loro favore. Il cielo minacciava tempesta e l’aria fredda e sferzante non dava tregua. Quando si erano alzati la situazione non era ancora così brutta e si erano rimessi in marcia senza farsi troppi problemi, ma adesso ne stavano pagando le conseguenze.

“Concordo, ma non possiamo fermarci qui. Dobbiamo aspettare che la strada torni in piano!” gli gridò Dean di rimando. 

Stavano camminando in salita, su una strada sterrata da cui spuntavano a ogni passo le radici degli alberi aggrappate tenacemente al pendio sottostante, molto più ripido del precedente e così nascosto dalla vegetazione che non se ne indovinava la fine. Se qualcuno fosse caduto, stavolta non avrebbe avuto speranze. Visto che tornare indietro era fuori discussione, l’unica soluzione rimasta era di proseguire finché non fossero arrivati a valle.

Juliet stavolta camminava tra Claire e Rachel, per non rischiare di fare passi falsi e magari precipitare di nuovo. Con la stanchezza che si sentiva addosso non era da escludere. Arrancava a fatica da due ore, con i piedi che le facevano un male cane e intanto l’astio nei confronti di Dean aumentava. Non gliene importava niente se dietro di lui qualcuno crollava a terra, continuava ad andare avanti come se nulla fosse. Che nervi!

Claire le si affiancò per parlarle senza farsi sentire dagli altri. “Come va?” 

“Per niente bene.” rispose col fiato corto. “Non so quanto potrò reggere ancora.”

Lei sorrise, scuotendo la testa. “Sì, questo lo vedo. Mi riferivo a…” Evitò di concludere la frase, indicando con un cenno della testa la diretta interessata.

Juliet afferrò al volo, anche senza girarsi verso Rachel, pochi metri dietro di loro con Mark al seguito per precauzione. “Ci ho pensato tutta la notte e ho capito che forse è tutta una mia fantasia.” Dall’espressione scettica dell’amica intuì che fosse pronta a replicare, ma la precedette. “Lasciami finire. Se non ci ha ancora detto niente è perché magari non c’è niente da dire…” mormorò. “Perciò ho deciso di aspettare che la situazione si evolva da sola.”

“Quindi non ti arrendi?” 

Su due piedi non seppe cosa rispondere. Il suo discorso della sera prima l’aveva aiutata a fare chiarezza sulla realtà della situazione: non aveva prove che tra quei due ci fosse davvero qualcosa e, anche ammesso ci fosse stato, valeva la pena rovinare il suo rapporto con Rachel per uno come Dean che non perdeva occasione per umiliarla? No. Era vero, ogni volta che finiva nei guai era il primo ad accorrere, come se si preoccupasse della sua incolumità, ma puntualmente trovava il modo di farglielo pesare, quindi aveva deciso di dire basta. Non sarebbe diventata matta cercando di capire cosa gli passasse per la testa. “Vedremo.” concluse con un sorrisetto, preferendo restare sul vago. “Okay, ho davvero bisogno di una pausa.” sospirò poi, mentre sentiva le forze abbandonarla. Si appoggiò di schiena al tronco di un albero per mandar giù una considerevole quantità d’acqua. Era disidratata e non c’era una sola parte del corpo che non le facesse male.

Cedric arrivò subito dopo, allarmato nel non vederli arrivare. “Che è successo?” 

“Niente, ci stiamo solo riposando un po’.” spiegò Mark.

Lui annuì comprensivo, poi gridò a Dean di fermarsi, visto che non si era accorto di nulla. 

“Ci sono problemi?” chiese lui, tornando sui suoi passi. “Perché vi siete fermati?”

“Perché non ce la facciamo più.” ribatté Juliet semplicemente. 

“Sì, ma non è prudente. Arriviamo almeno alla fine del sentiero.”

Lei sospirò, prendendo un’altra sorsata. “Non ci arrivo viva alla fine del sentiero se non mi riposo adesso.” 

“Non sono tutti indistruttibili come te.” si intromise Cedric. 

Dean però non demorse. “Anch’io sono stanco, ma non mi lamento di continuo. Dobbiamo arrivare a valle.” sentenziò categorico.

Lo sguardo di Cedric indugiò alterato su di lui. “Si può sapere chi ti ha dato lo scettro del comando?”

 “Ced…” lo riprese Mark.

“No, Ced un corno!” ribatté. “Mi sono stancato di sottostare agli ordini di capitan Perfettino!”

Ignorando l’ennesimo soprannome che gli aveva affibbiato, Dean sollevò una mano per fargli segno di tacere e distolse lo sguardo da tutti loro. “Zitto.” gli impose, mentre provava a concentrarsi su qualcosa che evidentemente sentiva solo lui.

L’ordine entrò nell’orecchio di Cedric per uscirne subito dopo. “Forse non ti è chiaro. Conoscere la strada non ti dà il diritto di comandarci a bacchetta...”

“Sta zitto!” tuonò Dean, per la prima volta sovrastando la sua voce. 

Quando finalmente Cedric si decise a chiudere la bocca, anche gli altri riuscirono ad avvertire uno strano rumore di sottofondo. 

“Sarà meglio sbrigarsi. Sta tuonando.” disse Mark, guardando il cielo.

Dean, però, scosse la testa, ancora concentrato. “Non credo siano tuoni.” 

Mentre lo diceva il rimbombo aumentò di intensità. Sembrava il rumore che precede un terremoto, ma quando un attimo dopo sentirono il tonfo di qualcosa che rotolava lungo il pendio della montagna, unito al fracasso provocato dallo scontro delle pietre, di colpo tutto apparve chiaro. 

“Correte!” urlò Dean, precedendoli su per il sentiero. “È una frana! Correte!” li incitò di nuovo, ma il rumore della pietra che si sgretolava e cadeva giù coprì la sua voce.

Presero a correre come forsennati, mentre sopra di loro la valanga di roccia investiva tutto ciò che incontrava sulla sua strada, spezzando rami e arbusti come fossero stuzzicadenti. Per il momento se ne sentiva solo il rumore, ma era questione di tempo prima che li raggiungesse. 

Juliet tentò di stare al passo con Dean, troppo presa dal panico per dare importanza al fatto che le avesse afferrato la mano per trascinarla via con sé. Le sue gambe, già provate dalla fatica di quei giorni, stentavano a stargli dietro e quasi non le parve vero quando lui si fermò di colpo, per poi infilarsi in una rientranza nella roccia. 

Come in un flash, vide Mark e Rachel entrare subito dopo di loro, ma si accorse che non c’erano tutti. 

“Dove sono Cedric e Claire?” chiese Dean allarmato. 

Juliet ricordava con precisione che fossero dietro di lei, ma poi aveva pensato solo a mettersi in salvo e li aveva persi di vista. “Dobbiamo andare a cercarli!” esclamò, togliendosi di dosso il peso dello zaino, pronta a fiondarsi di nuovo fuori. Proprio in quel momento, però, un mucchio di pietre le crollò davanti agli occhi e solo l’intervento tempestivo di Dean evitò che la investisse in pieno. L’afferrò per la vita, tirandola indietro giusto in tempo, ma strattonandola talmente forte che entrambi si sbilanciarono e caddero a terra. Alcuni massi rotolarono fin dentro la grotta e, per evitare che venisse colpita, Dean si voltò su un fianco, facendole scudo col suo corpo.

A quel punto, si ritrovarono completamente al buio…

 

… “Non riesco a capire il motivo del tuo accanimento. Perché lo odi così tanto?” Elizabeth rivolse un’occhiata accusatoria alla sorella. “Dal suo arrivo non hai fatto altro che dimostrare il tuo astio nei suoi confronti.”

Margaret sospirò paziente, senza scomporsi. “Io non ho mai sostenuto di odiarlo. Ritengo semplicemente che non sia adatto a te. Appartiene a una famiglia decaduta ed è qui su richiesta d’asilo. Non mi sembra proprio il partito migliore per la nipote di un principe.”

“Lo immaginavo.” disse Elizabeth trionfante. “Ecco cosa ti infastidisce, il fatto che non sia del mio stesso rango. Tanto è solo questo che ti interessa, non che io sia felice.”

“Non fare la sciocca. È ovvio che mi interessi la tua felicità, ma sono il rango e la posizione sociale a garantirti un futuro e l’uomo che sposerai dovrà corrispondere appunto a tali requisiti. Lo dico solo per il tuo bene, Beth.”

Allora Elizabeth ebbe un’illuminazione e non ci pensò due volte ad esternarla per farle dispiacere. “Forse sei solo invidiosa del fatto che io abbia potuto scegliere con chi stare e tu no. E poi non è forse un umano l’uomo a cui sei stata promessa?” osservò quasi con disgusto. “Sarà anche di nobili natali, ma rimane ciò che è.” 

Le sue intenzioni erano di ferirla, ma quelle parole non sortirono alcun effetto su Margaret. Riusciva sempre a mantenere il controllo, anche di fronte alle intemperanze della sorella minore. “È lui a metterti in testa certe idee, non è vero?” chiese, anche se dal tono sembrava conoscere già la risposta. “Sai bene come la nostra famiglia la pensi a questo proposito. Non devi lasciarti influenzare dalle sue convinzioni retrograde”. 

“È proprio da te esprimere giudizi su una persona senza averla prima conosciuta.” ribatté Elizabeth, che sentiva la rabbia montarle dentro ogni minuto che passava a discutere con lei. Anche se era la maggiore, non aveva l’autorità per disporre della sua vita. Le sue nobili origini non avevano nulla a che fare con la scelta del suo futuro sposo e non avrebbe consentito a nessuno della famiglia di decidere al posto suo. Si sentiva in gabbia dalla nascita, perennemente protetta da una campana di vetro, e adesso che aveva trovato un modo per fuggire volevano tarparle le ali. 

“Continua a pensarla come vuoi. Non mi interessa.” asserì infine, ferma nelle sue decisioni. “Ho già fatto la mia scelta.” Detto questo, infuriata voltò le spalle alla sorella e lasciò la stanza…

 

Claire dischiuse gli occhi intontita e avvertì subito un forte bruciore alla fronte. Ricordava di essere inciampata e la caduta doveva averle fatto perdere i sensi. Ora però non era a terra, ma tra le braccia di Cedric, che la teneva stretta a sé. Era accucciato contro la roccia, nascosto sotto una sorta di cunetta, al riparo dai detriti e dalla polvere che continuavano a venire giù; con un braccio le circondava la vita, mentre con l’altra mano era ancorato a una radice sporgente, per non rischiare di scivolare lungo la discesa. 

“Ced…” mormorò confusa, prima che la cogliesse un altro giramento di testa.

Lo vide riprendere colore quando si accorse che era sveglia. “Va tutto bene, sta tranquilla. Ci sono io.” cercò di rassicurarla, anche se dal tono che usò si avvertì che non ci credeva nemmeno lui. 

Comunque, Claire si sentì rincuorata dal fatto che fosse lì e affondò il viso contro il suo petto.

Passò un po’ di tempo prima che il frastuono della frana si attenuasse completamente, permettendo loro di uscire dal riparo. Cedric si sporse con cautela, per controllare che fosse davvero finita, poi la aiutò a rimettersi in piedi. “Ce la fai a camminare?” 

Lei annuì, ma non appena tentò di fare il primo passo la assalì l’ennesimo capogiro.

Lui se ne accorse. “Non fa niente, ti porto io.” Le passò un braccio sotto le ginocchia e la sollevò senza sforzo. Dapprima si mosse con attenzione, non ancora sicuro di avere via libera, ma poi acquistò sicurezza e si avventurò lungo il sentiero pieno di detriti. Mentre lo percorreva, si guardava intorno alla ricerca degli altri, di cui non c’era più traccia. “Dovrebbero essere nei paraggi. Non possono essere andati lontano.” Iniziò a chiamarli uno ad uno, senza però ottenere risposta.

Infatti, era troppo distante dalla grotta perché qualcuno di loro potesse sentirlo. Dean, ancora sdraiato sopra Juliet per cercare di ripararla, sollevò la testa e i loro occhi si incontrarono. 

 “Ma sei diventata matta?” chiese, una volta accertatosi del cessato pericolo. Non c’era traccia di rimprovero nella voce, solo sincera preoccupazione. “Potevi morire.”

Juliet si limitò a fissarlo, troppo sconvolta per controbattere.

“State bene?” tossì Rachel, ma la sentì a malapena. 

Era ancora rintronata a causa della caduta e, quando Dean le porse la mano per aiutarla ad alzarsi, la afferrò tremante, tentando a fatica di tirarsi su. Non sentiva niente di rotto e ringraziò il cielo di averla salvata anche questa volta. O forse non era il cielo che doveva ringraziare.

Stava per dimostrargli tutta la sua riconoscenza, ma lui era già preso da altro. La loro unica via d’uscita era completamente ostruita dai massi e stava cercando di individuare un punto da cui iniziare a spostarli per liberarla, ma non si riusciva a vedere quasi niente. “Passami una torcia.” disse a Mark, che prontamente la tirò fuori dallo zaino. La puntò contro i massi e si resero subito conto che rimuoverli non sarebbe stata un’impresa facile, vista la quantità di roccia franata e il pericolo di peggiorare ulteriormente le cose. 

“E adesso?” chiese Rachel per tutti.

Dean si voltò, illuminando così l’ambiente in cui si trovavano. A una prima occhiata aveva tutta l’aria di essere l’imbocco di una vecchia miniera abbandonata. Si vedevano ancora i binari su cui scorrevano i carrelli da trasporto, anche se in gran parte erano coperti dalla polvere e dai detriti. Appese al soffitto con dei fili c’erano delle lampade a olio ormai spente e per la maggior parte rotte. La galleria sembrava continuare per chilometri e non era certo il caso di avventurarcisi dentro. 

“Non penso che da quella parte troveremo altre uscite.” disse Mark in tono preoccupato e con il fiato corto.

Proprio in quel momento, sentirono qualcuno di familiare chiamarli dall’esterno e riconobbero la voce di Cedric. 

“Ced!” gridò Mark per tutta risposta, fiondandosi all’uscita. “Ced, siamo qui!” 

“Cristo santo, ti ringrazio!” lo sentirono esclamare dall’altra parte, mentre si avvicinava alla grotta attirato dalla voce dell’amico. “State tutti bene?”

“Più o meno.” rispose Dean. “Claire è con te?” 

“È qui. Sta bene.” 

Rachel chiuse gli occhi e sia lei che Juliet tirarono un sospiro di sollievo.

“Per poter uscire da qui dobbiamo per forza spostare i massi, ma devi aiutarci tu da fuori.” lo avvertì Dean, dopo aver valutato attentamente la situazione. 

“Okay.” rispose Cedric dall’altra parte, già pronto a darsi da fare. 

“Aspetta, però.” lo fermò. “Stai attento a non muovere quelli sbagliati o crollerà tutto.” Detto questo, si inginocchiò a terra e iniziò a togliere le pietre una ad una, aiutato da Mark e le ragazze, mentre sentiva Cedric fare lo stesso.

Con l’ansia che cresceva ogni secondo di più, cercarono di creare un varco abbastanza grande perché potesse passarci un corpo, ma non troppo da far cedere le pietre che stavano più in alto.

Rachel stava facendo la sua parte, quando vide Mark accanto a lei accasciarsi per terra. Respirava a fatica, cercando di allargarsi il collo della maglietta. Allarmata nel vederlo in quello stato, gli fu subito accanto. “Che hai?”

“Pensavo di farcela...” ansimò. “Ma soffro di claustrofobia…”

Lei gli prese la mano e la strinse forte nella sua, cercando di tranquillizzarlo con un sorriso. Al momento non le importava che qualcuno la vedesse. “Stai calmo, tra poco saremo fuori. Fai dei bei respiri profondi.” 

Anche se non riuscivano a vedersi bene, Rachel capì di essergli stata d’aiuto, perché Mark si sforzò di fare come aveva detto e infatti pian piano il contatto con la sua mano si fece meno teso. 

Intanto, Juliet era rimasta sola ad aiutare Dean e iniziava a sentire la fatica. Le pietre che ostruivano l’uscita sembravano non finire mai e le sue dita erano indolenzite a furia di spostarle, ma di lì a poco i loro sforzi vennero ripagati e i primi spiragli di luce illuminarono l’interno della miniera.

“Ci siamo quasi!” esclamò Cedric speranzoso; poi con la coda dell’occhio intravide Claire che nel frattempo si era alzata, probabilmente con l’intenzione di aiutarlo. “Maledizione, Claire! Ti avevo detto di non muoverti!” 

“Sto bene. Lascia che ti aiut…” Non fece in tempo a finire la frase che la testa le girò come una trottola e fu costretta ad appoggiarsi a un albero per non caracollare a terra. Sentendo del liquido colarle sulla fronte, d’istinto la toccò con la mano, credendo fosse sudore, ma quando la ritrasse e la vide sporca di sangue si spaventò. “Ced…” mormorò, troppo flebilmente perché potesse sentirla. Così non poté fare altro che accasciarsi a terra, chiudere gli occhi e sperare che tutto la smettesse in fretta di girare. 

Quando finalmente furono riusciti a ottenere uno spazio abbastanza grande, Dean passò uno per uno gli zaini a Cedric, in modo che tutti fossero liberi nei movimenti. Poi Mark, che non ce la faceva più, fu il primo a uscire dal loro nascondiglio, seguito subito dopo dagli altri. 

“Oh mio Dio, Claire!” Non appena la vide, Juliet corse da lei per dare un’occhiata alle sue condizioni. “Che ti è successo?”

“Non lo so… Sono caduta e devo aver battuto la testa, o forse qualcosa mi ha colpito.” ipotizzò. “Mi gira tutto…”

Juliet annuì concentrata, mentre la esaminava. “Sembra solo un graffio, ma potresti avere una leggera commozione. Meglio se ti sdrai.”

Intanto Rachel era uscita da quel buco ed era corsa loro incontro, preoccupata. “Sta bene?” 

“Se la caverà. Per fortuna ha la testa dura.” scherzò Juliet, già munita del suo kit di pronto soccorso. 

A quel punto, Rachel si voltò di scatto e inchiodò Dean con lo sguardo. “Questa è stata davvero l’ultima goccia!” Da quando erano partiti non avevano passato altro che guai, molti di più di quanti ne avrebbero passati restando a Greenwood, a parer suo. Sperò che quella frana fosse servita almeno a renderlo consapevole di ciò, ma l’espressione perplessa che le rivolse, lasciò intendere tutt’altro. “Ti rendi conto che abbiamo rischiato di morire tutti quanti?” gli chiese sconcertata.

“È stato un incidente. Come potevo prevedere che sarebbe venuta giù la montagna?” si giustificò lui con una calma irritante.

“Non è questo il punto.” intervenne Cedric. “Se mi avessi dato retta fin dall’inizio e fossimo rimasti dov’eravamo…”

Mark, però, si mise in mezzo per porre fine a una discussione inutile e inopportuna. “Va bene, basta così.” li interruppe brusco. “Ne parliamo più tardi. Adesso andiamocene da qui.” 

Con ciò diede voce al pensiero comune. Il tempo stava peggiorando e se avesse iniziato a piovere ci sarebbe stato il rischio di un'altra frana. Nessuno aveva intenzione di ripetere l’esperienza; così, appena Claire fu medicata e di nuovo in grado di camminare, lasciarono rapidamente il sentiero per dirigersi a valle. 

Non fu facile trovare un posto al riparo da eventuali cadute di massi, ma alla fine poterono finalmente fermarsi. Benché fossero stanchissimi, c’erano ancora le tende da montare e il fuoco da accendere. Quindi, mentre Mark e Rachel se ne occupavano, Juliet si diede da fare per curare le ferite riportate dagli altri durante la frana. Cedric e Dean avevano solo qualche escoriazione sulle mani, ma Claire aveva bisogno di una fasciatura decente. Il cerotto che aveva usato era già impregnato di sangue, nonostante il taglio sulla fronte non fosse particolarmente profondo, perciò glielo tolse e disinfettò la ferita con acqua ossigenata; poi lo sostituì con una fasciatura pulita. 

Dopo essersi occupata di lei, passò il disinfettante sulle proprie mani e su quelle di Cedric, fasciandole poi con delle strisce di garza medica. In seguito, si dedicò a Dean. 

“Per fortuna che mi sono ricordata di portare il kit.” commentò, mentre si chinava accanto a lui per medicarlo. Non senza imbarazzo, gli prese le mani, versò il disinfettante su un dischetto d’ovatta e iniziò a passarlo sulle ferite. 

“Mi dispiace, lo so che brucia.” si scusò quando Dean fece una smorfia di dolore. Di sottecchi, lo scoprì che la guardava mentre si dava da fare e fece di tutto pur di non ricambiarlo. Si concentrò sul suo lavoro, senza dire una parola. Non sapeva come comportarsi dopo quello che era successo nella miniera, se continuare ad avercela con lui oppure dimenticare i loro recenti screzi e ringraziarlo per averle salvato la vita. La coscienza le diceva, anzi le imponeva, di scegliere la seconda opzione, ma non ne aveva il coraggio. Come fargli capire che gli era grata e nel contempo evitare di fare la figura della stupida? Bel dilemma.

Quel continuo rimuginare la distrasse e inavvertitamente si ritrovò a strofinare l’ovatta con più forza di quanto fosse necessario.

“Ahia!” esclamò Dean, ritraendo la mano.

A quel punto, non poté fare a meno di guardarlo. “Scusa! Ero sovrappensiero.”

Lui allora si rilassò. “Sì, l’ho notato. L’espressione che hai quando pensi è inconfondibile.” disse spontaneo, lasciando che gli bendasse le mani con la garza. 

Juliet trovò incredibile che avesse colto quel particolare e rimase interdetta. Aveva sempre pensato di non suscitare alcun interesse in lui, nemmeno quando gli passava il piatto della cena. Figurarsi se avrebbe potuto notare un suo atteggiamento. Presa alla sprovvista, cercò di riordinare in fretta le idee e di non mostrarsi nervosa. “Ah, sì? E che espressione avrei?” chiese, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e continuando a testa bassa a sistemargli le bende.

Dean sembrò rifletterci su un istante. “Assente.” rispose infine. “Come se il tuo corpo fosse qui, ma la tua mente persa chissà dove.”

-Da pesce lesso, quindi- pensò Juliet affranta. –Fantastico-. Era davvero confortante sapere che avesse tale opinione di lei. Forse era meglio cambiare argomento. “Ascolta…” esitò incerta. “Volevo ringraziarti per quello che hai fatto nella grotta. Se non ci fossi stato tu, quelle pietre mi avrebbero schiacciata.” 

Le labbra di Dean si piegarono in un sorriso composto. “Figurati. Ormai mi ci sono abituato.”

Ecco. Adesso, oltre ad avere l’espressione da pesce lesso, era anche l’imbranata che non perdeva occasione per mettersi nei guai. Di bene in meglio. Stava per rispondergli a tono quando lo stato della sua maglietta, strappata all’altezza della spalla, le saltò all’occhio. “Ma tu sanguini!”

“Davvero?” fece Dean, girando la testa nella direzione che lei gli stava indicando. “Ah, sì. Non è niente…”

“Come sarebbe non è niente? Dai, fammi vedere.” 

“Sul serio, non ce n’è bisogno.”

Ma lei non era il tipo che mollava, soprattutto se c’era di mezzo qualcuno da medicare. “Avanti, piantala di fare il super uomo.” gli impose in tono categorico, mentre andava a prendere altre garze dal kit medico.

La sua intenzione era quella di sollevargli la manica e dare un’occhiata alla ferita, ma tutto si sarebbe aspettata fuorché Dean si sfilasse improvvisamente la maglietta davanti ai suoi occhi. Pur volendo, non avrebbe saputo trovare un difetto a ciò che le si presentava davanti. Meno male che gli altri erano troppo affaccendati per prestar loro attenzione.

Con la bottiglietta di disinfettante in mano, restò a fissarlo come pietrificata per almeno un minuto, mentre lui attendeva il suo intervento. Alla fine, si voltò per verificare che ci fosse ancora. “Beh?”

“A-Arrivo!” Juliet allora si riscosse, fingendo di frugare nella scatola del kit alla ricerca di ovatta con cui tamponare il sangue. Poi, ripreso il controllo di sé, si rimise all’opera. 

“E dici che non è niente?” fece allarmata, quando vide i brutti graffi che si era procurato per proteggerla. “Guarda qua.” 

Mentre era intenta a pulirli da terra e altra sporcizia, Dean esordì con una frase del tutto inaspettata. “Prima, quando eravamo in quella grotta… Mi ha sorpreso vedere come hai reagito al problema. Pensavo che avresti avuto paura, invece ti sei subito messa al lavoro per liberare l’uscita.” 

“Sì beh, so rendermi utile anch’io quando serve.” ribatté Juliet con una punta di risentimento, che a lui non parve sfuggire. 

“Non intendevo offenderti…” 

“Non mi sono offesa.” mentì, quasi interrompendolo. D’altra parte, non è che avesse proprio tutti i torti. “Pare che io sia più imbranata del solito ultimamente.” ammise in tono amaro.

Quell’affermazione lo fece sorridere. “Davvero? Non me ne ero accorto.” scherzò.

“Già…” Gli lanciò un’occhiataccia. “E credo che la colpa sia tua.” D’un tratto parve ritrovare tutta la spontaneità che le apparteneva da sempre e che sembrava aver perso solo da quando lo frequentava. 

Lui distolse lo sguardo e sbuffò, come a dire che se lo aspettava.

“È la tua presenza.” continuò imperterrita. “Mi rendi nervosa, ecco.” Lo disse e basta, senza pensare; poi però le venne da mangiarsi i gomiti di fronte al suo silenzio. 

Una volta finito di pulire la ferita, medicò il tutto con una buona dose di disinfettante, un paio di garze e qualche cerotto, prima di permettergli di rivestirsi. Gli stava passando la maglietta, quando le tornò in mente che era strappata. “Posso provare a sistemarla, se vuoi.” si offrì. Non avendo portato con loro molti cambi, non era il caso di sprecare vestiti. E poi le aveva salvato la vita e quello era il minimo che potesse fare per sdebitarsi.

Dean le rivolse un’occhiata a metà tra il perplesso e il divertito. “Ti sei portata dietro anche ago e filo?”

“Certo.” rispose lei con orgoglio, mentre rovistava nel suo zaino alla ricerca dell’occorrente per rammendare. “Mia madre mi ha insegnato che una donna saggia non dovrebbe mai viaggiare senza.”

Non riuscendo più a trattenere le risate, Dean lasciò che se ne occupasse. “Grazie.” disse poi, con un tono che per la prima volta mise in luce un’inedita spontaneità.

Juliet gli sorrise un po’ esitante, cercando di ignorare il suo battito cardiaco paurosamente accelerato da quando lo aveva sentito ridere. Purtroppo quel momento tra loro non durò a lungo, anche se avrebbe voluto, perché, dopo aver indossato al volo un’altra maglietta, Dean andò subito ad aiutare gli altri con le tende. Quel sorriso… Era durato solo qualche istante, ma abbastanza da mandarla in confusione totale. 

Fu allora che si rese conto di quanto in fondo nascondesse di se stesso. In lui non c’era solo il lato petulante e scorbutico, ma anche la capacità di essere gentile al momento giusto. Fare una simile piacevole scoperta risollevò una giornata che ormai aveva dato per irrecuperabile. 

D’un tratto si riscosse, ripensando all’espressione da pesce lesso che probabilmente aveva assunto anche in quel momento, e smise di perdere tempo. Doveva sbrigarsi a ricucire la maglietta e poi mettersi subito ai fornelli. Aveva una ben misera cena da preparare.

Poche ore dopo erano tutti davanti al fuoco, intenti a consumare un pasto silenzioso, ancora troppo provati per intavolare alcun tipo di conversazione. Rachel, però, aveva qualcosa dentro che sentiva di non riuscire più a trattenere. La terribile esperienza di quel pomeriggio le aveva confermato ciò che stava ormai pensando da diversi giorni, e cioè che su quel viaggio doveva essere messa la parola fine.

“Credo che sia arrivato il momento di tornare a Greenwood.” esordì, rompendo il silenzio. Era stanca di quel viaggio, stanca di dover rischiare continuamente la vita. 

Dean distolse l’attenzione dal suo piatto e la guardò, facendosi serio. “Proprio adesso che siamo a due passi dall’arrivare? Mi sembra sciocco.”

“Ma per favore.” Cedric alzò gli occhi al cielo, incredulo del fatto che continuasse a sostenere le proprie ragioni anche di fronte all’evidenza. “Ci propini la stessa solfa da giorni, eppure è passato quasi un mese e siamo ancora in mezzo al nulla.”

“Ci sono stati degli imprevisti, mi sembra. Abbiamo dovuto cambiare strada diverse volte e il percorso si è prolungato. Altrimenti, a quest’ora saremmo già arrivati.”

Rachel sospirò affranta. “Senti, non so se questo posto dove dici di voler andare esista o meno, e neanche mi interessa più di tanto a questo punto. So solo che sono esausta e che voglio tornare a casa mia.” sentenziò definitiva. 

Lui non disse niente, limitandosi a guardarli. Era chiaro a tutti, però, che ci stesse riflettendo.

“Pensi che quelli della setta ci stiano ancora cercando?” gli chiese Mark.

Dean esitò un istante. “Non ne sono sicuro. Potrebbe ancora essere così.”

“Beh, comunque sia preferisco tornare a Greenwood e affrontare quello che mi aspetta, piuttosto che continuare a vagare senza meta, con il rischio di finire in un burrone o schiacciata da un sasso.” replicò Rachel; poi guardò gli altri con aria decisa. “Se siete d’accordo, direi di incamminarci già da domani.” 

Mark, però, intervenne subito per farla ragionare. “Non vedo come, visto che stiamo finendo i viveri e ci vorrà minimo un altro mese per tornare.”

L’evidenza dei fatti le fece perdere quel poco di entusiasmo guadagnato. In effetti, era impensabile rifare all’indietro lo stesso percorso senza scorte.

“Per non parlare del fatto che il ponte è andato in pezzi, perciò chissà di quanto dovremmo allungare la strada stavolta.” aggiunse Cedric malinconico.

Dopo un attimo di silenzio, in cui ognuno rifletté per conto proprio, a Claire venne un’idea. “Potrei chiamare mio zio e chiedergli di mandare qualcuno a prenderci.” propose. “Non penso ci siano problemi.”

Cedric allora sollevò un sopracciglio con aria perplessa e la guardò. “Perché? Tuo zio ha una ditta di trasporti?” chiese ironico.

Lei esitò, come sempre in imbarazzo quando si parlava della situazione finanziaria della sua famiglia. “No… Ma ha l’autista.” 

Et voilà! Trovata la soluzione.” approvò Rachel arzilla, ignorando l’espressione colpita di Cedric e prima che Juliet spegnesse di nuovo il suo entusiasmo. 

“Sì, peccato che nessuno di noi abbia il cellulare carico.” 

A quel punto, Dean afferrò al volo l’occasione. “Motivo in più per arrivare alla baita. Una volta là, potrete ricaricare i telefoni e chiamare chi volete.”

Anche se a malincuore, dovettero riconoscere che aveva ragione. Non avevano scelta. Così si misero l’anima in pace e, almeno per il momento, la discussione terminò lì.



 

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Capitolo 18
*** In ricordo di questa serata ***


Capitolo 20

 

In ricordo di questa serata

 

“Sei solo un bastardo! Come hai potuto?” urlò Elizabeth furiosa contro l’uomo che le stava davanti. Adesso che aveva scoperto la verità si sentiva delusa e umiliata. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che mentire. Anche se aveva giurato più volte di amarla, si era trattato solo di uno stratagemma per guadagnarsi la sua fiducia e servirsi di lei per i propri scopi. Avrebbe dovuto dare ascolto a Margaret fin dall’inizio e mai come in quel momento avrebbe voluto che fosse lì, per implorare il suo perdono. Ma ormai era troppo tardi. Tutta la sua famiglia era stata assassinata da quel mostro e dai suoi seguaci.

“Ho semplicemente restituito il favore.” rispose serafico.

Elizabeth conosceva la storia della sua famiglia e sapeva in quale modo avesse conquistato il potere, ma non le importava. Non c’erano scusanti per ciò che le aveva fatto. “Noi ti abbiamo accolto senza riserve e nonostante questo hai continuato a mentire, a fingere di amarmi…” Un singulto le bloccò le parole in gola, ma si trattenne dallo scoppiare in lacrime. Si rifiutava di perdere la dignità davanti a lui. “Voglio che tu subisca la stessa sorte che hai inflitto alle mie sorelle.” sibilò poi, implacabile. 

Lui la guardò intensamente, rivolgendole un sorriso. “È per questo che sei venuta? Per vendicarti?” le chiese, fingendosi stupito. “Ma come? Credevo di farti piacere. Credevo che le odiassi.”

Quel suo prendersi gioco di lei non fece altro che alimentare la rabbia e la disperazione che già la pervadevano, dandole un’energia inaspettata. 

Senza pensare, si scagliò contro l’uomo che le aveva tolto tutto, ma lui la bloccò prima ancora che potesse sfiorarlo e la spinse contro la parete della sala, tenendola ferma con un braccio.

Elizabeth lottò per liberarsi, ma fu tutto inutile. Non aveva la forza di guardarlo, così serrò gli occhi e lasciò che le lacrime, ormai incontenibili, le rigassero il viso. Si sentiva così impotente. “Io ti amavo…” mormorò, mentre smetteva a poco a poco di dibattersi.

“Anch’io. È per questo che devo ucciderti.” rispose lui in tono freddo. “I sentimenti che provo per te non sono altro che una distrazione.” Con l’altra mano prese ad accarezzarle il viso. Dalla guancia scese lungo il collo, fino a toccare la catena d'oro del suo medaglione. Lo prese tra le dita, fissandolo come incantato per qualche istante, prima di strapparglielo via. “In ricordo di questa serata.” le sussurrò all’orecchio.

In quel momento, lo odiò più che mai e, approfittando di quell’attimo di esitazione, afferrò il pugnale che teneva in tasca e lo piantò dritto nel petto del suo aguzzino.

Colpito al cuore, l’uomo lanciò un urlo e si ritrasse piegato in due dal dolore, lasciandola libera. 

“Questo è per la mia famiglia!” esclamò Elizabeth trionfante. Aveva vinto. Uccidendo quel verme avrebbe vendicato tutti coloro che avevano sofferto a causa sua, compresa se stessa. Purtroppo la sua gioia durò molto poco, perché non trascorsero che pochi attimi prima che lui si risollevasse, ansante come in seguito a una lunga corsa, ma inaspettatamente incolume. 

Si strappò il pugnale e gli diede una breve occhiata incuriosita, mentre se lo rigirava tra le dita, incurante del sangue che gocciava sul pavimento. “Che cosa credevi di fare, Liz?” le domandò candido. “Non avrai pensato che bastasse questo per liberarti di me?”

Paralizzata dal terrore, Elizabeth fissò quegli occhi iniettati di sangue. Nessuno sarebbe potuto sopravvivere a un colpo del genere. Era talmente scioccata che non tentò nemmeno di scappare. Rimase là dov’era, inchiodata al muro.

Fu allora che l’uomo le si scagliò contro ed Elizabeth urlò un istante prima che, con un movimento repentino della mano, le strappasse il cuore dal petto…

 

Juliet si svegliò di soprassalto, allertata dalle urla agghiaccianti di Claire, sdraiata affianco a lei. La sera prima avevano concordato di dormire insieme perché era ferita e non le andava che stesse da sola, ma ora avrebbe preferito non aver avuto quell’idea. 

Cercando di riprendersi, si voltò verso l’amica, che aveva smesso di gridare e che adesso era seduta immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto. Le toccò una spalla, accorgendosi così che stava tremando. “Claire, che succede? Ti senti male?” La scosse leggermente, ma lei non reagì e la cosa non fece che spaventarla di più. “Ti prego, dì qualcosa!”

Claire, tuttavia, non le prestò la minima attenzione. Ansimante, continuò a guardare davanti a sé con una mano sul cuore, come a voler controllare che ci fosse ancora. Il taglio sulla fronte le pulsava, anche se pareva quasi non sentirlo.

In quel momento, i lembi della tenda si aprirono e la testa di Rachel fece capolino da fuori. Aveva gli occhi a palla per lo spavento e i capelli arruffati. “Santo cielo, che è successo? Mi si è gelato il sangue!”

Contemporaneamente si sentì Dean dietro di lei che diceva scocciato: “Se è un altro insetto, giuro che stavolta…” 

Juliet, però, coprì il resto della frase. “Non lo so! Deve aver avuto un incubo, ma non riesco a farla parlare!”

Si scambiarono un’occhiata confusa e agitata allo stesso tempo, poi Rachel entrò e, parandosi di fronte a Claire, le prese il viso tra le mani, costringendola a guardarla negli occhi. “Ehi, va tutto bene. Stai tranquilla, sei sveglia adesso.” disse in tono rassicurante, ma senza ottenere risposta. Sentendo l’ansia salire a mille, la scosse con delicatezza e finalmente parve riuscire a riportarla alla realtà. “Claire?” la chiamò con dolcezza, mentre anche Juliet aspettava una sua reazione. 

Finalmente Claire sbatté le palpebre, iniziando a poco a poco a rendersi conto di dove si trovasse. Appena sveglia, aveva creduto ancora di essere chiusa in quella stanza insieme all’uomo che voleva ucciderla. Continuava a sentirsi addosso tutta la paura e l’ansia di Elizabeth e il suo grido di dolore le risuonava ancora nelle orecchie, come se lo stesse ascoltando in quel momento. Non era certo la prima volta che la sognava e a quel punto era chiaro che non potesse trattarsi di semplici incubi. Più andava avanti più ne prendeva coscienza. “Sto bene…” mormorò incerta.

Non si era accorta che anche Cedric si era affacciato e la stava studiando con la stessa espressione ansiosa delle amiche. 

“Vuoi un bicchiere d’acqua? Te lo porto.” le chiese premuroso. 

Claire rimase in silenzio a riflettere, come se non avesse sentito. “No, grazie. Posso fare da sola.” rispose poi, tirandosi su per uscire carponi dalla tenda. “Ho bisogno d’aria.”

Fuori trovò Dean e Mark, svegliati anche loro dalle sue urla, ma non aveva voglia di vedere altri sguardi preoccupati, così andò subito a prendere una delle bottiglie d’acqua che tenevano di riserva accanto al fornello. 

Gli altri la guardarono stapparla con mani tremanti e bere avidamente. 

“Hai avuto un altro dei tuoi incubi, vero?” le chiese Rachel.

Dopo aver bevuto, Claire fece un lungo respiro e annuì. “Continuano a perseguitarmi dalla sera del ballo.” Un fruscio tra i cespugli la fece trasalire e si guardò intorno in cerca della causa. Sapeva che non era niente, ma si sentiva tesa come una corda di violino e ogni minimo rumore la metteva in allarme, come se da un momento all’altro l’uomo dell’incubo potesse spuntare da chissà dove.

“Beh, prova a parlarcene. Magari aiuta.” le propose Juliet, sempre più preoccupata. 

Claire, però, non aveva tanta voglia di rivivere quel momento. Era davvero morta per mano di qualcuno. Anche se ora, da sveglia, si rendeva conto di non essere lei la vittima, nell’incubo le era sembrato di esserlo, perché aveva sentito distintamente la mano di quel tizio entrarle nel petto. Ogni volta acquistava sempre maggiore consapevolezza di essere protagonista degli eventi e non più spettatrice.

Alzò lo sguardo e vide che tutti gli occhi erano puntati su di lei, così alla fine si convinse che forse era il caso di confidarsi, almeno per avere un consiglio, un’opinione dall’esterno.

Si prese un istante per riordinare le idee, dopodiché iniziò a raccontare, senza tuttavia entrare troppo nei particolari. Raccontò di quello che aveva visto e delle scene a cui aveva assistito, vivendole in prima persona, come se facessero parte di un passato lontano ma reale. “Più che sogni sembrano dei ricordi. Come se rivivessi la vita di questa Elizabeth, qualcosa che le è successo davvero, non frutto della mia fantasia.” spiegò. “E poi ci siete anche voi.” aggiunse, riferendosi alle amiche. “Solo che nei sogni noi tre siamo sorelle.” Pensò che non fosse il caso di dire che nell’ultimo incubo erano morte e tralasciò quel dettaglio. “La cosa assurda è che questi fatti hanno una successione cronologica, come se facessero parte di un’unica storia, ma sono anche discontinui. Ogni volta sembra che manchi qualche pezzo.” Esasperata, si tirò indietro sbuffando un ciuffo di capelli che le ricadeva sulla fronte. 

Gli altri continuarono a fissarla perplessi. Nessuno sapeva cosa dire, perché in realtà nessuno si rendeva conto di quello che stava vivendo e fino a che punto quei sogni le apparissero concreti.

“Certo, è una situazione strana.” ammise Dean, prendendo per primo la parola. “Non capita a tutti di sognare più volte le stesse persone e gli stessi contesti. Comunque, penso che non sia il caso di prendere sul serio queste cose. Sono solo sogni, in fondo. Estrapolazioni del subconscio che il cervello rielabora nel sonno sotto forma di immagini e suoni. Probabilmente è solo colpa dello stress.” minimizzò con il solito tono saccente.

Cedric sollevò un sopracciglio, guardandolo di traverso. “Eccellente spiegazione, professor Freud.” 

Dal canto suo, Claire era riuscita a stento a seguire il suo discorso, di cui aveva capito ben poco. L’unica cosa di cui sentiva assoluto bisogno era dormire almeno un’altra ora. Tutti quei ragionamenti riuscivano solo a farle aumentare il mal di testa. 

“Pensi che questi sogni abbiano a che fare con quello di Juls?” esordì Rachel d’un tratto.

Lo sguardo di Dean si spostò su di lei, assumendo un’aria indagatrice. “Di che parli?”

“Di niente, lascia stare.” tagliò corto Juliet, scuotendo la testa.

“Sinceramente non ne ho idea.” riprese Claire con aria esausta. “So solo che mi stanno facendo impazzire. Vorrei solo dormire come si deve, almeno per una notte.”

“Vieni allora. È ancora presto, prova a stenderti un altro po’.” disse Cedric, offrendosi di accompagnarla di nuovo nella sua tenda. 

Anche gli altri furono d’accordo con lui, così si convinse ad approfittarne. Magari ora che si era sfogata sarebbe riuscita a riposare meglio. 

Si sdraiò nel sacco a pelo, mentre Cedric si sedeva accanto a lei, e cercò di addormentarsi. Per un po’ non fece altro che girarsi e rigirarsi, ma il cuscino era piatto e allora si sollevò per sistemarlo. Infastidita, gli sferrò due o tre pugni decisi, per poi sdraiarsi di nuovo. Non contenta della posizione, si girò su un fianco, ma fu tutto inutile. La verità era che aveva troppa paura di chiudere gli occhi. Alla fine sbuffò, voltandosi un’altra volta a guardare fisso davanti a sé. 

“Beh?” fece Cedric, lanciandole un’occhiata eloquente. 

“Non ci riesco. Potrei sognarle ancora.”

“Le sorelle?”

Claire annuì, facendo leva sui gomiti per mettersi seduta. “Sai, non è che siano proprio umane. Sembrano più una specie di mostri.” gli rivelò in tono sommesso. “Tipo… Vampiri.”

L’espressione di Cedric era sorpresa. “Caspita...” commentò. “Agghiacciante.”

Il tono che usò la fece ridere e subito dopo contagiò anche lui; poi a Claire venne in mente che aveva rischiato la vita per aiutarla e non si era ancora degnata di ringraziarlo. “Grazie per essere tornato indietro oggi.” disse allora. “È stato un gesto davvero eroico.” scherzò. 

“Mah, all’inizio ho quasi pensato di lasciarti lì. Sai, l’istinto di sopravvivenza…” ribatté lui ironico. “Poi, però, la mia coscienza me l’ha impedito. Non è da me abbandonare una donzella in difficoltà.”

Claire scosse la testa incredula ed entrambi scoppiarono a ridere di nuovo. Solo lui avrebbe potuto dire una cosa del genere in modo così convinto e pensò che fosse la persona più stupida sulla faccia della terra. 

“Che idiota.” Lo colpì su una spalla con un pugno leggero, per un attimo dimenticando tutte le angosce.

Fingendosi risentito, lui si vendicò dandole un pizzico nello stesso punto. “Idiota a chi?” chiese piccato.

Claire boccheggiò indignata e per tutta risposta afferrò il cuscino per darglielo in faccia. Stava per sferrare il secondo colpo, quando Cedric le bloccò il braccio per impedirglielo e in men che non si dica si ritrovò praticamente sulle sue gambe. A quel punto, prese a pungolarla dappertutto, facendole il solletico.

“Basta!” implorò Claire, tentando con scarso successo di trattenere le risate. Chissà che cosa avrebbero pensato gli altri di fuori. 

“Non la smetto finché non mi chiedi scusa!” ribatté Cedric.

Lei allora ebbe un’idea. “Okay, okay!” mentì. Poi vedendolo abbassare la guardia, si rimise a sedere e cercò di ricomporsi.

“Allora? Sto aspettando.” la sfidò, trattenendola ancora per un braccio. “Hai intenzione di scusarti o no?”

“Mai.” gli sussurrò, sfoderando un ghigno di sfida. Subito dopo, si accorse di quanto fossero vicini e l’occhio le cadde inevitabilmente sulla bocca di Cedric, per poi perdersi nei suoi occhi. Le loro labbra iniziarono ad avvicinarsi pericolosamente e, prima ancora che potesse rendersene conto, erano diventate un tutt’uno. 

Quando lui approfondì il bacio con più ardore non ebbe niente da ridire. Voleva che accadesse, lo voleva da tempo, anche se stupidamente non aveva mai avuto il coraggio di ammetterlo. Con il cuore che batteva all’impazzata, lo sentì posare la mano sul suo fianco per attirarla a sé e d’istinto lo assecondò. Pian piano salì ad accarezzargli i capelli, mentre Cedric non accennava a fermarsi. Non che lo volesse ovviamente. Di pari passo all’intensità di quel contatto, Claire sentiva crescere dentro di sé l’attrazione che provava per lui, repressa per troppo tempo e, quando dovettero interrompersi per riprendere fiato, quasi si infastidì. Ad ogni modo, il distacco avvenne per gradi e per un po’ gli occhi dell’uno rimasero incollati a quelli dell’altra.

Cedric si mosse per primo, accarezzandole la guancia dopo averle rivolto un sorriso mozzafiato. “Adesso cerca di dormire.” disse con fare amorevole.

Dopo quel momento, Claire era certa che sarebbe stato ancora più difficile riuscirci, ma non lo disse. “Resta qui.” lo pregò, cercando istintivamente la sua mano. Non voleva rimanere sola. “Per favore.”

“Non vado da nessuna parte.”

Rassicurata da quelle parole, si sdraiò di nuovo, la mano di Cedric stretta ancora nella sua. Malgrado l’eccitazione per ciò che era appena successo, stavolta la stanchezza ebbe il sopravvento e il sonno non tardò ad arrivare.

Fuori, intanto, Juliet se ne stava seduta in un angolo con il viso affondato tra le mani. Si era talmente spaventata che difficilmente sarebbe riuscita a chiudere occhio. In più ci si era messa anche Rachel con i suoi ragionamenti a proposito del suo sogno, che come tipologia in effetti sembrava assomigliare a quelli di Claire. Lei però aveva visto degli eventi accaduti in passato, mentre il suo si riferiva al futuro, anche se in maniera metaforica, e inoltre aveva più le caratteristiche di un incubo nel senso tradizionale del termine.

Qualcuno le sfiorò la spalla, riportandola alla realtà, e quando alzò lo sguardo vide Rachel che le porgeva una tazza di caffè. “Vuoi?” 

Accettò volentieri, ne aveva proprio bisogno. Nello stesso momento, si sentirono le risate di Cedric e Claire provenire dalla tenda ed entrambe si lanciarono un’occhiata eloquente. Rachel sorrise e scosse la testa divertita, portando la tazza alle labbra e godendosi quell’attimo di pace, ognuna immersa nei propri pensieri.

“Non so che fare con Claire.” esordì Rachel dopo un po’, decidendo infine di renderla partecipe. “Se prenderla sul serio o lasciar perdere.”

Juliet le prestò attenzione, alzando lo sguardo dalla tazza. Era da tempo che non parlavano da sole e la cosa le fece uno strano effetto. A quanto pareva, Rachel non sembrava essersi resa conto che qualcosa si era incrinato nel loro rapporto e continuava a comportarsi con lei come se niente fosse. Quindi pensò che forse era il caso di mettere da parte ogni risentimento e concentrarsi su Claire. “Sembrava così sicura mentre ne parlava. Crede veramente in quello che dice.”

“Lo so, l’ho vista ed è proprio questo che mi preoccupa. Insomma, saranno pure molto realistici, ma rimangono pur sempre sogni.”

“Prima però non sembravi dello stesso avviso. È stata tua l’idea di un possibile rapporto tra i suoi incubi e il mio.” puntualizzò Juliet.

Lei annuì con un sospiro. “È vero, in effetti non so nemmeno perché l’ho detto. Lo sai che non ho mai creduto a queste stupidaggini.” Bevve un’altra sorsata, prima di riprendere. “È impossibile che ci sia una relazione. Sicuramente si tratta solo di coincidenze.” concluse risoluta.

Dal canto suo, Juliet non poté fare altro che essere d’accordo. “Forse è solo stanchezza.” minimizzò.

Fu allora che Cedric uscì dalla tenda ed entrambe si voltarono nella sua direzione. Quando Rachel gli chiese se Claire dormisse, lui la guardò con aria vagamente intontita, prima di fare cenno di sì con la testa e andare a prendersi il caffè. 

“Direi che per noi ormai è inutile tornare a dormire.” osservò Mark, mentre gliene porgeva una tazza. “È quasi l’alba”.

Dean si mostrò d’accordo. “Ce ne andremo non appena Claire si sarà svegliata.”

Quando il sole iniziò a fare capolino dalle montagne, avevano già in gran parte smontato il campo e Juliet andò a svegliare Claire. Le cambiò la fasciatura del giorno prima con un una pulita e poi la lasciò a vestirsi. 

In breve furono tutti pronti a partire. Il tempo si stava rimettendo, nonostante le premesse, e il cielo quasi libero da nuvole presagiva una bella giornata. Fu quella la scusa che Dean utilizzò per farli scarpinare fino all’ora di pranzo, senza concedere loro neanche una piccola sosta a metà mattinata. Così, quando finalmente arrivò il momento di mangiare, lo accolsero con sospiri sollevati ed espressioni di gratitudine. 

Si sedettero stremati all’ombra di un enorme abete, ma quando Juliet aprì la sacca dei viveri si rese subito conto che a malapena sarebbero bastati per il pranzo. 

“Beh, era abbastanza scontato.” commentò Cedric, guardando Dean di traverso. “Chi immaginava di dover fare tutta questa strada?” 

Pur avendo colto l’allusione, lui si limitò come al solito a ignorarlo. 

Finiti anche gli ultimi residui di cibo, si incamminarono di nuovo e non fecero più soste, finché una recinzione metallica non sbarrò loro la strada e li costrinse a fermarsi. Doveva essere molto estesa, visto che in entrambe le direzioni non se ne vedeva la fine. A ulteriore protezione, sulla sommità avevano posto una cortina di filo spinato, per evitare che qualcuno scavalcasse. 

Per un po’ la costeggiarono, incerti sul da farsi. Di sicuro non potevano tornare indietro, ma apparentemente non c’era alcun modo per oltrepassarla. 

Andarono avanti così per parecchio, finché Dean non individuò un punto dove il metallo sembrava essere stato piegato, come se un animale ci fosse passato sotto per arrivare dall’altra parte. Approfittando della piccola falla che si era creata, si inginocchiò e con poco sforzo riuscì a piegarla ancora di più, in modo che ci si potesse passare uno alla volta. 

“Che stai facendo?” gli chiese Mark allibito. “Non hai letto il cartello?” Indicò un rettangolo di latta posto a poca distanza da loro che intimava: Proprietà privata. Vietato l’accesso.

Dean annuì. “Ho visto, ma l’alternativa richiederebbe troppo tempo e non abbiamo viveri a sufficienza.” Poi si voltò a guardarli. “Quindi, preferite fare il giro e morire di fame o prendere la scorciatoia?”

Quell’ultima domanda li convinse a seguirlo oltre la recinzione, anche se con non poca fatica, dato l’ingombro degli zaini. 

“Comodo, sempre più comodo.” si lamentò Cedric, mentre si toglieva il suo e lo spingeva oltre l’apertura, per poi chinarsi carponi e passare.

Dall’altra parte non c’era più un sentiero da seguire e la vegetazione si faceva più fitta, tanto da schermare i raggi del sole. Procedettero senza meta, finché il ringhiare allarmante di un animale attirò la loro attenzione.

Si guardarono intorno, cercando di capirne la provenienza, ma all’inizio non videro niente. Di lì a poco, però, un grosso segugio sbucò dalle fronde di un cespuglio e venne verso di loro con aria minacciosa. Camminava lentamente e mostrava i denti, accucciato in posizione d’attacco.

“Ehm… Che facciamo adesso?” chiese Juliet, fissandolo allarmata. 

In un primo momento, rimasero tutti fermi a studiarsi a vicenda. Compreso il cane. 

 “Lasciate fare a me.” si offrì Cedric infine, avvicinandosi per cercare di ammansirlo. “Ehi, bello!” Ma l’unico risultato che ottenne fu di aizzarlo ancora di più. “Okay, come non detto.” 

“Marvin!” Sentirono chiamare d’un tratto in lontananza. “Dove sei?”

Al suono di quella voce il cane abbaiò, come per farsi trovare dal padrone. Poco dopo, infatti, venne raggiunto di corsa da un signore dall’aspetto rude, probabilmente sulla settantina, che imbracciava un grosso fucile da caccia. Indossava un vecchio gilet di pelle su una camicia a quadri e un cappello da mandriano sotto il quale però non c’erano capelli. 

“Hai trovato quel maledetto coyote?” chiese al segugio, un attimo prima di accorgersi della loro presenza. Quando li vide si fermò di colpo, visibilmente stupito. “E voi chi diavolo siete?” Senza neanche aspettare una risposta, sollevò il fucile, puntandoglielo contro. “Che ci fate nella mia proprietà?” Dal tono e dall’espressione non sembrava il tipo che accoglieva di buon cuore i visitatori.

Mark si fece avanti per primo, le mani sollevate in segno di resa. “Okay, manteniamo la calma...” 

“Ho messo un cartello che vieta l’accesso.” lo interruppe brusco, senza abbassare il fucile. “Non sapete leggere voi dannati turisti?”

“Ci scusi, non avevamo cattive intenzioni…”

“Sì, come no. Dicono tutti così.” lo interruppe di nuovo. “E poi ti ritrovi con un pollo in meno. Mi prendete per fesso?”

“Non siamo ladri, siamo campeggiatori.” ribatté Dean punto sul vivo.

Intuendo che quel tono non li avrebbe aiutati ad amicarsi il vecchietto, Rachel decise di correre ai ripari. “Senta, ci dispiace di essere entrati qui senza permesso, ma sa siamo in viaggio da settimane e non abbiamo più niente da mangiare.” spiegò, rivolgendogli il sorriso più cordiale che le riuscì. “Ci chiedevamo se potesse aiutarci. Giusto qualche provvista e toglieremo subito il disturbo.”

“Gliene saremmo davvero grati.” si aggiunse Juliet, sbucando da dietro la spalla di Cedric.

In un primo momento, l’uomo non sembrò molto convinto. Si mise a squadrarli uno ad uno, come a cercare ulteriori conferme nei loro sguardi. Forse fu la richiesta, che sapeva molto di supplica, o la vista di come erano ridotti a fargli abbassare il fucile, che comunque continuò a tenere ben saldo. 

“D’accordo.” acconsentì alla fine, con un cenno del capo. “Ma solo il tempo di rifocillarvi. Non voglio avervi sulla coscienza.” Con un gesto brusco della mano fece loro capire che dovevano seguirlo e li precedette nella boscaglia, con il fedele Marvin che gli trotterellava accanto. 

Non sapevano dove li stesse portando, ma non aveva importanza. La sola certezza di mangiare di nuovo qualcosa di decente bastò a rimettere tutti in forze e di buon umore.

In presenza del vecchietto nessuno fiatò, anche perché non c’era niente da dire. Ogni tanto Marvin si allontanava chissà dove, forse all’inseguimento di qualche scoiattolo, per poi ricomparire al richiamo del padrone.

Man mano che camminavano, la boscaglia si faceva sempre meno fitta, finché non lasciò spazio a una vasta area di campi coltivati. Poco distante sentirono anche dei muggiti, segno che da qualche parte dovesse esserci una mandria di mucche al pascolo. 

Era già il tramonto quando riuscirono a intravedere il profilo della costruzione in legno all’orizzonte e più si avvicinavano più ne scorgevano i dettagli. Era a due piani, dipinta di bianco e dall’aspetto vissuto. I davanzali esterni delle finestre erano ornati da vasi di fiori accuditi con cura e sulla sinistra, a poca distanza dalla casa, c’era un fienile con accanto quella una grande stalla. 

“Sarah! Sono tornato!” gridò l’uomo, una volta varcato il cancelletto del giardino antistante l’entrata. Sulla cassetta della posta lessero il nome Weaver dipinto con la vernice rossa.

“Dove accidenti sei, moglie?” gridò ancora.

A quel punto, una donna anzianotta in grembiule e cappello di paglia sbucò a passo svelto dal retro della casa, tenendo tra le braccia un cestino di vimini. “Non c’è bisogno di urlare, sono qui.” rispose trafelata. “Stavo finendo di raccogliere i pomodori.” Poi, quando si accorse che il marito non era solo, la sua espressione si fece interrogativa. “E questi ragazzi?”

Lui fece spallucce con aria rassegnata. “I soliti turisti. Li ho pescati nel bosco che vagabondavano.” spiegò con fare sbrigativo, come se non fosse una novità. “Dicono che hanno finito da mangiare.”

“Salve signora, piacere di conoscerla.” La salutò Rachel, porgendole la mano con un sorriso.

La donna ricambiò cordiale, anche se ancora un po’ confusa. “Il piacere è mio, ma ti prego chiamami Sarah.”

“Io sono Rachel. Ci dispiace disturbare, ma siamo proprio a corto di cibo e non sapevamo a chi altro rivolgerci.” chiarì subito dopo. Qualcosa le diceva che con lei trattare sarebbe stato più semplice.

La signora Weaver la squadrò da capo a piedi, per poi passare agli altri, e in poco meno di cinque secondi capì la situazione. Non era difficile intuire che non stavano mentendo. Più che campeggiatori dovevano sembrare degli sfollati. “Poveri ragazzi, come siete ridotti. Che vi è successo?” chiese preoccupata, accorgendosi tra le altre cose del cerotto che Claire sfoggiava in bella vista sulla fronte. 

“È una storia lunga.” rispose Cedric, abbozzando un sorriso. “Diciamo solo che abbiamo quasi rischiato di essere schiacciati da una montagna.” scherzò amaro.

Lei spalancò gli occhi incredula. “Ah sì, la frana! Ne parlavano al telegiornale proprio stamane. Non ditemi che voi eravate là.”

Tutti annuirono e Cedric confermò. “Già.”

“Ma allora dovete assolutamente restare! Non posso permettervi di andarvene in queste condizioni.” sentenziò lei in tono definitivo.

Quella proposta inaspettata lasciò di stucco sia loro che il marito, che esclamò indignato: “Donna, ma che dici? Ti ha dato di volta il cervello?” 

Evidentemente non gradiva la presenza di estranei in casa sua.

La signora però gli fece segno di tacere, sventolando la mano. “Oh, smettila Stuart.”

Lui stava per ribattere, ma la moglie non volle sentire ragioni. 

“Grazie infinite, ma non ce n’è bisogno.” intervenne Mark. “Non vorremmo essere di peso…”

“Stai scherzando? Assolutamente no.” lo interruppe categorica. “Ormai è deciso. Sarete nostri ospiti anche per la notte.” 

“Pure?” protestò il signor Weaver polemico.

Lei gli lanciò un’occhiata raggelante. “Non pretenderai che dormano all’addiaccio dopo quello che hanno passato?” Poi tornò su di loro e la sua espressione mutò, divenendo di nuovo cortese. “Prego, entrate pure.” li invitò, facendo strada in giardino fino alla porta di casa.

Il marito dimostrò il proprio dissenso girando i tacchi e, senza smettere di borbottare, si diresse alla stalla con il fedele Marvin al seguito.

“Non badate a Stuart. È così sospettoso perché non vi conosce, ma gli passerà.” li rassicurò, guidandoli all’interno. 

L’ambiente era rustico, ma accogliente. In fondo al salotto spiccava un grosso camino in pietra, davanti al quale erano poste due poltrone dal gusto un po’ retrò, e sulle pareti rivestite da carta da parati a motivi floreali erano appesi diversi quadri e fotografie di famiglia. Una famiglia alquanto numerosa. 

“Ha davvero una splendida casa, signora Weaver.” si complimentò Claire, guardandosi intorno.

“Oh, grazie tesoro.” sorrise lei di rimando. “Se volete usare il telefono, fate pure. Non oso immaginare quanto debbano essere in pensiero i vostri genitori.” Indicò l’apparecchio posto su un tavolino basso accanto alla cristalliera. In effetti non sentivano le proprie famiglie da almeno due settimane, ma nel trambusto di quei giorni era passato di mente a tutti. 

Per prima cosa, Claire chiamò suo zio e lo pregò di venirli a recuperare, anche se non le permise di spiegarsi finché non lo ebbe rassicurato di stare bene. Evidentemente aveva saputo dai suoi che era un bel po’ che non si faceva sentire e soprattutto che in quella zona si era verificata una frana. 

Poi approfittò della sua influenza su di lui per chiedergli di fare da mediatore con i suoi genitori, di sicuro già arrabbiatissimi. Il solo pensiero di doverli affrontare le faceva perdere la voglia di tornare a casa. Zio Gordon la trattenne un quarto d’ora al telefono, assicurandole il suo appoggio ma facendole anche promettere che li avrebbe chiamati.

“Allora?” chiese Rachel quando la vide riagganciare. “Che ha detto?”

“Che manderà qualcuno a prenderci, ma dobbiamo aspettare un paio di giorni.”

Cedric si abbandonò afflitto contro lo schienale della poltrona su cui era seduto. “Per favore, dimmi che scherzi.” 

Claire scosse la testa, ma evitò di guardarlo. “Prima è impossibile.”

“Bene, perfetto.” commentò Rachel, incrociando le braccia con un sospiro. “Non so dove passeremo questi due giorni. Di scarpinare ancora non se ne parla…”

“Se volete rimanere qui non c’è nessun problema.” La voce della signora Sarah arrivò dalle loro spalle, mentre scendeva dal piano di sopra con un grosso cesto tra le braccia pieno di lenzuola aggrovigliate. 

“Ma le pare?” intervenne Juliet. “Ci mancherebbe che le invadiamo casa per due giorni.” 

“Se non volete camminare mi sembra l’unica soluzione.” osservò Dean con il solito tono pratico.

Juliet non rispose, ma lo fissò ad occhi spalancati e il messaggio fu chiaro. Possibile che non si rendesse conto di essere inopportuno?

“Ma suo marito…” fece per dire Rachel. Dubitava che sarebbe stato contento della notizia.

Invece la signora minimizzò, sventolando la mano con fare rassicurante. “Non preoccuparti, cara. Qui si fa quello che dico io.” disse, facendoli sorridere. “Allora è deciso. Vado a mettere le lenzuola in lavatrice e poi prendo quelle pulite per rifarvi i letti.”

All’inizio fece un po’ di resistenza quando le ragazze si offrirono di aiutarla, ma poi accettò. Era il minimo che potessero fare, vista la sua gentilezza. 

Prima di seguirla, però, si presero del tempo per telefonare ai genitori, così da togliersi il pensiero. Il padre di Juliet fu decisamente l’osso più duro, ansioso com’era, ma alla fine riuscì a rabbonirlo spiegandogli la storia dello zio di Claire e promettendo di richiamarlo quella sera stessa, dopo cena.

Una volta che ebbero chiamato tutti, Sarah li precedette su per le scale per mostrare loro le stanze da letto. Le ragazze avrebbero dormito nella camera delle sue figlie, mentre i ragazzi in quella del figlio, che a quanto pareva non era in casa. Dopodiché, si offrì di lavare i loro vestiti sporchi e li invitò a non fare complimenti se volevano farsi una doccia. Ovviamente non ne fecero.

Mon Dieu, un bagno!” Rachel si lasciò sfuggire un’esclamazione di gioia mista a commozione la prima volta che mise piede nella stanza da bagno adiacente alla loro camera. “Un bagno vero!” Era trascorso quasi un mese dall’ultima volta che aveva visto una doccia e adesso non vedeva l’ora di poterla usare.

Come se non bastasse, visto che non avevano niente di pulito da mettersi, Sarah mise a disposizione gli armadi dei figli. 

“Non le sarò mai grata abbastanza.” disse Juliet, mentre sceglieva tra due vestiti a fiori appartenuti alle figlie della signora, che ormai non abitavano più lì. “È incredibile che esistano ancora persone così.”

“Già.” concordò Claire, che alla fine optò per un paio di shorts e una camicia. I fiori non facevano per lei. La proprietaria dei vestiti doveva essere stata più alta e decisamente più robusta, ma avrebbe dovuto adattarsi, visto che tutto ciò che possedeva era rovinato o da lavare.

Era quasi ora di cena quando furono tutte pulite e sistemate, così decisero di scendere per aiutare ad apparecchiare. Passando davanti al salotto trovarono Stuart seduto sul divano a guardare la televisione ad alto volume. Non sapevano se la moglie lo avesse già avvertito della loro permanenza, perciò cercarono di fare meno rumore possibile per non infastidirlo. Accucciato ai suoi piedi, Marvin fu l’unico a sentirli arrivare e sollevò la testa incuriosito, prima di distogliere di nuovo lo sguardo con aria annoiata. 

Alla cucina si accedeva tramite un arco che la separava dalla sala da pranzo, dove c’era il tavolo già completo di tovaglia. Dopo essersi fatte dare il resto dell’occorrente, si diedero da fare per rendersi utili. 

“Serve una mano?”

Mentre posizionava posate e tovaglioli, Claire non si accorse della presenza di Cedric e, presa alla sprovvista, si irrigidì tutto a un tratto, per poi rivolgergli un sorriso quasi impercettibile e passargli qualche forchetta. 

Da quando si era svegliata quella mattina non aveva pensato ad altro che a quanto era successo tra loro e soprattutto al fatto che le fosse piaciuto. E molto. Purtroppo era proprio questo il problema che le corrodeva il cervello. Era più di un mese che il suo rapporto con lui oscillava peggio di un’altalena, senza riuscire a definirlo, e forse proprio per questo si era lasciata andare. In un certo senso aveva sperato che quel bacio le chiarisse le idee, mentre invece non aveva fatto altro che confondergliele ancora di più. Una parte di lei voleva davvero aprirsi a Cedric e rendersi disponibile, ma ce n’era un’altra che le suggeriva il contrario, perché in fondo aveva paura di soffrire di nuovo. 

“Volevo chiederti se va tutto bene.” 

Il volume della televisione le avrebbe impedito di sentirlo, se non le avesse quasi parlato all’orecchio, probabilmente per non attirare l’attenzione delle altre. A quel punto, fu costretta a guardarlo e si accorse che si era fatto la barba. Il suo aspetto curato lo rendeva più attraente del solito e non poté fare a meno di ripensare a qualche ora prima, quando le loro labbra erano incollate le une alle altre. Per un po’ rimase imbambolata a studiare ogni particolare del suo viso, prima di ricordare che le aveva fatto una domanda. “Sì, certo…” esitò, schiarendosi la gola. “Perché non dovrebbe?” Aveva intuito quale piega stava prendendo il discorso e sperava di poterne uscire facendo la vaga.

“Perché è tutto il giorno che mi eviti e ho pensato che forse è colpa mia.” spiegò, più preoccupato che altro. “Ti sei offesa per qualcosa che ho fatto?”

Senza la minima idea di cosa dire, Claire si concentrò sulla tavola, anche se ormai aveva finito le posate. Eppure qualcosa doveva rispondergli. “No, non dipende da te.” disse infine. “Sono solo stanca. Ho dormito talmente poco…” Cercò di usare un tono rassicurante e anche di sorridere, in modo da non metterlo sull’avviso e non fargli capire cosa provava. Sapeva che con lui bastava un solo passo falso per tradirsi. Gli avrebbe parlato, prima o poi, ma non era quello il momento.

Cedric continuò a studiarla per qualche istante, poi non trovò niente su cui insistere e annuì, anche se poco convinto.  

Claire iniziava a sudare freddo, ma per sua fortuna arrivò Juliet a salvarla. 

“Parlano della frana in tv.” annunciò a voce bassa, rivolgendosi sia a loro due che a Rachel, che arrivava dalla cucina con i bicchieri.

Insieme si avvicinarono all’ingresso del salotto, rimanendo sulla soglia per non sembrare invadenti, e guardarono il servizio che riprendeva la valanga di roccia rotolata giù dalla montagna. Una scena davvero impressionante, anche se mai quanto viverla di persona. D’un tratto si resero conto di essere stati davvero miracolati.

“Dopo questa, non voglio più sentir parlare di campeggio in vita mia.” commentò Rachel, con lo sguardo ancora fisso sullo schermo.

Intanto, anche Dean e Mark erano scesi, giusto in tempo per sentire la voce della signora avvertirli che la cena era pronta. 

Il tavolo non era abbastanza grande per tutti, così dovettero stringersi, ma la fame era così tanta che stare scomodi non rappresentava affatto un problema. 

La signora mise al centro un grosso piatto colmo di cosce di pollo e c’erano due cestini con pane e grissini vari. Nonostante l’aspetto invitante, per educazione non si fiondarono subito sul cibo e attesero che fosse lei a riempire i piatti con porzioni più che abbondanti. 

Alla vista di tutto quel ben di Dio, Cedric non riuscì a trattenersi. “Finalmente! Cibo vero.” Poi guardò Juliet, seduta accanto a lui. “Senza offesa, Juls.”

Lei non si risentì, anzi sorrise. In fondo aveva ragione, ma non era stata colpa sua. Se solo avesse avuto più ingredienti a disposizione avrebbero mangiato meglio.

Anche la signora Sarah ridacchiò, prima di sedersi a sua volta. “Buon appetito.” augurò a tutti, invitandoli a iniziare.

Non sapevano se fosse la fame a parlare per loro, fatto sta che trovarono tutto delizioso. Per un po’ mangiarono di gusto senza dire nulla, poi la signora ruppe il ghiaccio. “Allora, raccontateci. Da dove venite?”

Mark aveva la bocca libera e rispose per tutti. “Siamo partiti da Greenwood circa un mese fa.”

“Greenwood?” Il signor Weaver lo fissò alquanto sorpreso. “Dovete aver camminato parecchio.”

Cedric annuì con un sospiro. “Già. Non sa quanto.”

Per prima cosa, raccontarono del tragitto in macchina fino a Wisdom e della festa.

“Ah, sì? C’è andato anche nostro figlio.” disse la signora. “Forse l’avete incontrato.”

Il marito agitò la mano per farla tacere. “Ma che ne sanno? Lasciali continuare.”

Proseguirono parlando del viaggio a piedi attraverso i sentieri di montagna e delle peripezie che avevano dovuto affrontare. Tutto per raggiungere la famosa baita, che secondo Dean non era poi molto lontana da lì. 

“E perché non avete continuato in macchina?” chiese Stuart perplesso, dopo essere rimasto ad ascoltarli fino alla fine. “Capisco la voglia di fare campeggio…”

“Perché non esiste una strada asfaltata che porti fin là.” disse Dean per tutta risposta. “L’unico modo era lasciare l’auto e andare a piedi.”

L’uomo si scambiò un’occhiata con la moglie, prima di rivolgersi di nuovo a lui. “Ma vorrai scherzare! Se da Wisdom continuavate sulla novantatreesima fino a Stevensville, poi c’era la Creek road che è a un tiro di schioppo da qui.”

Il silenzio scese sui presenti e Cedric puntò lo stesso sguardo sconcertato degli altri su Dean. “In parole povere, ci hai fatto buttare sangue per un mese su quei maledetti sentieri, quando avremmo potuto comodamente viaggiare in macchina?” Il tono della domanda era retorico, ma si aspettava lo stesso una qualche reazione da parte sua. Se l’aspettavano tutti, in realtà.

Dean passò in rassegna le loro facce, probabilmente sentendosi sotto processo e dalla sua espressione si intuiva che stesse cercando un modo per tirarsi fuori dall’impaccio. 

“Anche se l’avessi saputo, non si poteva arrivare alla baita con l’auto. Avremmo dovuto comunque lasciarla da qualche parte.” 

“Ma ci saremmo risparmiati un sacco di strada!” ribatté Claire incredula, interpretando il pensiero comune. Oltretutto, avrebbero anche evitato di rischiare più volte la vita. 

Per fortuna, intervenne la signora Weaver a salvare Dean dal linciaggio. “Suvvia, non pensateci più. Quel che è fatto è fatto.” disse per calmare gli animi. “Godiamoci la cena adesso.”

Decisi a tornare sulla questione in un altro momento, accettarono il consiglio e ripresero a mangiare.

Dopo aver finito pollo e purè, la signora tornò dalla cucina con un cesto di mele di vari colori. “Queste dovete assaggiarle. Vengono dal nostro frutteto.” 

Juliet era già piena come un uovo, ma ne prese una lo stesso per non sembrare sgarbata. “Volevo ringraziarla a nome di tutti per l’ospitalità.” disse alla signora, mentre iniziava a sbucciare la mela. “Già era stata generosa a farci restare per la notte, ma addirittura ospitarci per due giorni…”

Quell’ultima frase attirò l’attenzione del signor Weaver, prima rivolta alla tv. “Due giorni? In che senso, donna?” chiese in tono inquisitorio.

“Non te l’avevo detto?” Lei sembrò realizzare solo allora della dimenticanza. “I ragazzi rimarranno qui finché non vengono a prenderli.” spiegò innocente, per poi tornare a rivolgersi a Juliet con un sorriso. “Comunque, non c’è di che tesoro.”

Il marito non sembrava affatto contento della cosa e stava già per opporsi, quando Mark corse ai ripari. “Stia tranquillo, non vogliamo approfittarne per stare qui a sbafo. Potremmo aiutarla con i suoi lavori, se è d’accordo.” 

“Non è necessario. Siete ospiti…” ribatté la signora.

“Insistiamo.” 

L’espressione sul volto dell’uomo divenne pensierosa, segno che ci stesse riflettendo e che l’idea non gli dispiacesse affatto. “In effetti, un po’ di braccia in più ci farebbero comodo a me e a Bob.”

“Stuart!” La moglie gli lanciò un’occhiataccia.

“Che c’è? Il ragazzo si è offerto.” si difese, indicando Mark. “Dì un po’, avete mai lavorato in un ranch voi?” 

“Mio nonno ne aveva uno.” rispose Cedric. “Ma ci andavo da piccolo...”

“Visto?” Stuart si rivolse di nuovo alla moglie. “Sarà una bella esperienza.” Detto questo, si versò dell’altro vino nel bicchiere e lo sollevò a mo’ di brindisi. “Allora abbiamo un accordo.”

Sia Mark che Cedric risposero a quel gesto un po’ teatrale, alzando a loro volta i bicchieri con aria allegra, se non altro contenti di essere riusciti a convincerlo. 

Ne ebbero la conferma quando dopo cena, mentre sua moglie e le ragazze sparecchiavano, li invitò a bere un bicchiere di scotch in salotto. Il suo atteggiamento nei loro confronti si era fatto stranamente molto più amichevole ora che si erano offerti di lavorare per lui.

Una volta ultimate le faccende, anche le ragazze si spostarono in salotto, dove il signor Weaver si stava vantando con i ragazzi dei premi che aveva vinto negli anni alla fiera del paese. Una fotografia di cui andava particolarmente fiero era quella di lui che esibiva orgoglioso un’enorme zucca e si mise a raccontare la storia di come era riuscito a farla crescere così tanto.

Per un po’ Juliet rimase ad ascoltarlo, finché non sentì il bisogno di prendere una boccata d’aria, così si defilò senza farsi vedere. 

Il portico era ampio, arredato con un divano di vimini e vasi di fiori sparsi qua e là; tuttavia non si sedette, preferendo affacciarsi alla ringhiera che dava sul giardino e mettendosi a osservare il cielo limpido e carico di stelle. Guardarle le faceva tornare in mente lei e suo fratello da piccoli, quando facevano a gara a chi ne contava di più, e in quel momento si rese conto di quanto ne sentisse la mancanza. Stare in quella casa con delle persone così gentili, cenare tutti insieme, l’aveva resa nostalgica.

Era talmente presa da quei puntini luminosi da non accorgersi dell’arrivo di Dean. 

“Ehi.” esordì, sorpreso di trovarla lì fuori. 

“Ehi.” ripeté lei, sentendosi un po’ sciocca. “Come mai qui?”

Lui si appoggiò al parapetto poco più in là. “Dentro cominciavo a soffocare. Tu invece?”

Juliet fece spallucce. “Niente di che. Avevo solo bisogno di un po’ d’aria fresca e volevo dare un’occhiata alle stelle.”

“Le stelle?” Dean sembrò non capire.

“Sì, le guardo sempre quando sono triste.” spiegò. “Se immagino che anche i miei genitori le stiano guardando, mi sento più vicina a loro.” 

La squadrò con aria perplessa, lasciandole intuire che per lui quel discorso non avesse molto senso. 

Un po’ imbarazzata, distolse lo sguardo, fiera ancora una volta dell’immagine da disturbata che aveva dato di se stessa. Quindi cercò di elaborare al più presto un nuovo argomento, ma l’unico che le venne in mente non era dei migliori. “Non hai chiamato nessuno prima…” esordì incerta.

“Non c’è nessuno da chiamare.” le rispose in tono piatto.

Non sembrava infastidito, ma Juliet si rese comunque conto di aver parlato a sproposito. “Scusami, non avrei dovuto chiedertelo.”

“È tutto apposto.” la rassicurò.

Trascorsero i minuti successivi in un silenzio imbarazzante, mentre lei ogni tanto gli lanciava qualche occhiata di sottecchi di cui Dean parve non accorgersi. Poi l’attenzione le cadde sulle sue mani ancora bendate e la domanda sorse spontanea. “Non credi che sia il caso di cambiare le fasciature?”

Dean abbassò lo sguardo non appena glielo fece notare, dopodiché girò i palmi e li osservò come se a malapena ricordasse di essersi ferito.

Senza dargli il tempo di rispondere, Juliet si mosse e gli afferrò una mano per controllare lo stato delle escoriazioni. “Vediamo…” Sfilò una delle estremità per iniziare a srotolare la fasciatura, ma Dean fu più veloce e le impedì di continuare. Improvvisamente, si ritrovò nella situazione opposta, con lui che le teneva la mano e la guardava fisso. 

I suoi occhi, spalancati in un’espressione incredula, si spostarono dalle loro mani intrecciate a quelli di Dean, che come al solito ebbero il potere di ipnotizzarla. Se ne sentiva attratta come il metallo alla calamita.

“Sto bene.” le assicurò serio. “Non preoccuparti.”

Juliet non sapeva cosa dire, la voce completamente andata e la salivazione a zero. Avrebbe dato qualsiasi cosa per smettere di guardarlo, per togliersi da quell’impaccio, ma non ne aveva la forza. Adesso erano più vicini, non abbastanza da provocare ciò che stava pensando, ma vicini…

Mon Dieu! Sono sfinita.” Rachel spalancò con poca grazia la porta d’ingresso e si accasciò con un sospiro sul divanetto di vimini di fronte a loro. 

Colti alla sprovvista, entrambi reagirono allo stesso modo. Ritrassero le mani contemporaneamente, provvedendo così a ristabilire le giuste distanze. Solo che, mentre lui riuscì bene o male a nascondere l’imbarazzo guardando da un’altra parte, Juliet rimase lì impalata nella stessa posizione. 

Rachel comunque non fece caso a nessuno dei due, troppo stanca per notare certi dettagli. “Non posso credere che stanotte dormirò in un letto vero.” 

“Già.” concordò Juliet distratta. “Infatti, penso che me ne andrò di sopra. Sono davvero a pezzi.” tagliò corto, augurando poi la buonanotte a entrambi e rientrando in casa. 

Si sentiva al settimo cielo e non voleva rischiare di guastarsi la serata proprio adesso. Quella notte sperava di sognare la stessa scena di lei e Dean sul portico e che almeno stavolta Rachel non sarebbe intervenuta per rovinare tutto.

 

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Capitolo 19
*** Aria di casa ***


Capitolo 21

Aria di casa
 

 

Il canto del gallo annunciò l’arrivo dell’alba e l’ora di alzarsi, cosa che a Rachel non riuscì difficile, visto che non era praticamente riuscita a chiudere occhio. La sera prima, quando tutti erano riuniti in salotto per dare la buona notte ai padroni di casa, le era venuta un’idea, così, stando attenta a non farsi notare, si era avvicinata a Mark e gliel’aveva sussurrata all’orecchio. In seguito, dopo essersi accertata che le amiche dormissero, era uscita di soppiatto dalla camera. Nello stesso istante, lui usciva dalla sua e si erano incontrati sul corridoio. Come poi fossero finiti a scambiarsi effusioni in bagno non avrebbe saputo spiegarlo e, a ripensarci adesso, non era stata una gran trovata. Che sarebbe successo se qualcuno avesse bussato? Di certo non sarebbero potuti uscire insieme. Per fortuna, però, nessuno aveva avvertito l’urgenza e loro si erano salvati. 

La separazione poi era stata davvero sofferta, dato che non si sfioravano dalla sera del primo bacio e nessuno dei due voleva saperne di staccarsi dall’altro. Comunque, alla fine avevano deciso a malincuore di uscire dal nascondiglio e tornare nelle rispettive camere.

Il resto della notte l’aveva passato a girarsi e rigirarsi, con l’immagine indelebile di lei e Mark appiccicati impressa nella mente. Era la prima volta che si sentiva così presa da un ragazzo e non avrebbe mai creduto di poter provare tante emozioni tutte insieme.

“Maledetto pollo…”

Accanto a lei, il lamento sommesso di Claire la riportò al presente. L’amica si girò scocciata dall’altra parte, premendosi con forza il cuscino sulle orecchie, mentre Juliet sbadigliava seduta sul suo letto. L’avevano trovata già lì quando erano salite in camera, così loro due avevano dovuto dividersi l’unico rimanente.

Non impiegarono molto tempo a lavarsi e vestirsi, abituate ai ritmi da caserma delle ultime settimane, e in breve furono pronte a scendere per la colazione. Giunte sulla soglia della cucina, però, trovarono un ragazzo vestito solo con un paio di jeans che stava cucinando quelle che dall’odore sembravano uova. Da lì riuscivano a vedergli solo la schiena, ma bastò per far intuire tutto il resto. Aveva la classica corporatura robusta di chi lavora nei campi e la sua pelle abbronzata ne era un’ulteriore conferma. 

Rimasero impalate a osservarlo, senza accorgersi che intanto erano scesi anche i ragazzi. A quel punto, lo sconosciuto ai fornelli sentì il rumore di passi e si voltò. 

“Ben svegliati. Voi dovete essere quelli che mi hanno rubato la stanza.” disse, per niente sorpreso di vederli. “Sedetevi di là. È quasi pronto.”

Poco dopo, infatti, arrivò con la padella ancora fumante, che mise al centro del tavolo. “Ecco. Servitevi pure.” Poi si sedette anche lui e, presa la sua parte, si fiondò sul cibo senza aspettarli. 

Juliet, che da quando lo aveva visto non smetteva di pensarci, all’improvviso venne colta da un’illuminazione. “Simon?” osservò cauta, rivolgendogli un’occhiata interrogativa. All’inizio, non era riuscita a focalizzare i tratti del suo viso, anche se fin da subito aveva avuto la sensazione di conoscerlo. 

Sentendosi chiamare per nome, il ragazzo lasciò perdere le uova e la guardò a sua volta. 

“Sei Simon, vero?” insistette lei. “Sono Juliet! Ti ricordi? A Wisdom…” continuò, vedendo che non reagiva.

Simon strizzò gli occhi, studiandola con maggiore attenzione, finché finalmente parve riconoscerla. “Juliet, ma certo! Scusa, è che è passato un po’ di tempo.” Si giustificò, dopo aver mandato giù il boccone. “Ehi! Ci sei anche tu...” esitò, notando Claire, ma non ricordandosi il suo nome. 

“Claire.” confermò lei con un sorriso. 

“Giusto!”

“Ma è incredibile! Chi se lo immaginava che ci saremmo rivisti?” Juliet era davvero sorpresa dalla coincidenza e le fece piacere averlo rincontrato. Da quel poco che ricordava, lei e Claire avevano trascorso una bella serata con Simon e i suoi amici. “Ragazzi, lui è Simon. Ci siamo conosciuti a Wisdom.” spiegò, presentandolo agli altri.

“Sì, l’avevamo capito.” ribatté Cedric sarcastico, sforzandosi di sorridere mentre gli stringeva la mano. 

Simon non fece caso al suo tono, né sembrava ricordare il loro breve incontro. “Cavolo, quella sì che è stata una serata memorabile!” esclamò con aria nostalgica, mentre le ragazze annuivano divertite. “Ce la siamo proprio spassata, eh?”

La signora Weaver entrò proprio mentre parlavano e rimase sorpresa di vederli in tale confidenza. “Buongiorno, ragazzi. Avete dormito bene?” li salutò, gentile come sempre, per poi lanciare un’occhiataccia al figlio. “Simon! Ti pare il modo davanti a degli ospiti? Vatti a mettere una maglietta.” Lo rimbrottò, assumendo un insolito cipiglio severo.

 “Hai ragione, Ma’.” sbuffò lui. “È che la mia roba è tutta di sopra.”

“Beh, adesso non c’è nessuno in camera, perciò puoi salire.”

Simon annuì e fece per obbedire, quando un particolare dei ragazzi che prima non aveva notato attirò la sua attenzione. “A proposito, quelle non sono le mie camicie?” osservò, aggrottando la fronte. 

La madre rispose al posto loro. “Sì, lo sono. Ho lavato i loro vestiti e dovevano pur mettersi qualcosa, no? E adesso vai.”

Nello stesso momento in cui Simon lasciava il salotto, arrivò Stuart da fuori, già in tenuta da mandriano e pronto a mettersi al lavoro. Prima però, augurò il buongiorno e si sedette al tavolo, servendosi anche lui un abbondante piatto di uova e bacon. 

“Buongiorno, caro.” ricambiò la moglie, lasciandogli un bacio sulla guancia mentre passava di là con il cesto dei panni.

Non trascorse troppo tempo che Simon ricomparve, stavolta vestito da capo a piedi, salutando il padre sbrigativo.

“Sei ancora qui?” ribatté Stuart in tono perentorio. “Bob ti aspetta nel fienile da un’ora.”

“Ho fatto, adesso vado.” lo rassicurò. Passò davanti al tavolo e prima di uscire afferrò un toast dal piatto che la madre stava porgendo al marito.

Lui lo seguì con sguardo torvo, finché non si richiuse la porta alle spalle. “Non so più che fare con tuo figlio.” Si lamentò, addentando a sua volta una fetta di pane.

La signora Weaver alzò un sopracciglio risentita. “È anche tuo figlio, Stuart.”

Il marito, però, ignorò il commento, per rivolgere la sua attenzione altrove. Informò i ragazzi che li aspettava una mattinata piuttosto intensa. Per prima cosa, c’era da accudire le mucche, mungerle e dar loro da mangiare. “Andate al fienile e fatevi spiegare il lavoro da Simon e Jeremy.” dispose pratico. 

“Noi ci occuperemo dell’orto e del pollaio.” disse invece la signora alle ragazze.

“Perfetto.” approvò Juliet sorridente. 

Finito di fare colazione, Stuart si diresse alla stalla con i ragazzi, mentre loro, dopo aver sparecchiato velocemente, si recarono nel retro della casa, munite di grembiule e stivali di gomma. L’orto, che fungeva anche da frutteto, non era particolarmente grande, ma lo spazio distribuito molto bene. Ogni pianta era posizionata in modo tale da avere aria e luce a sufficienza. 

La signora le condusse al centro dell’orto per dar loro istruzioni. “Allora…” sospirò, guardandosi intorno per riordinare le idee. “In tre dovremmo bastare qui. Mi serve qualcuno al pollaio.”

“Non c’è problema, vado io.” si offrì Rachel.

Lei sorrise riconoscente. “Grazie, cara. È proprio lì, lo vedi?” Le indicò una specie di voliera racchiusa da una rete metallica. “Il mangime è già pronto in un secchio, devi solo darlo alle galline e recuperare le uova di oggi.”

“Va bene, sembra facile.” 

“Sapete, stasera viene mio figlio più grande e voglio preparare una cena speciale.” spiegò la signora tutta contenta, prima di assegnare alle altre i loro compiti. 

Mentre Juliet si arrampicava sulla scala per raccogliere le mele e Claire si occupava dei pomodori, Rachel aveva appena messo piede nel recinto, portando con sé il secchio del mangime che aveva trovato fuori. L’entrata della piccola casupola di legno che fungeva da rifugio era ostruita dalle galline, così prese una manciata di granaglie e la lanciò lontano per levarsele di torno. Sicura di averle distratte, entrò e subito l’odore acre dei polli la investì. Storse il naso un po’ schifata e si chiese cosa l’avesse spinta a offrirsi volontaria. Era sempre stata schizzinosa e quell’aroma non rientrava certo tra le sue fragranze preferite. 

Comunque, il suo arrivo non sembrò turbare i pochi volatili rimasti all’interno, che continuarono a gironzolare, incuranti delle uova lasciate incustodite. Si guardò intorno per accertarsi che fosse tutto tranquillo, poi si avvicinò con passo felpato alle cassette piene di paglia e iniziò a riempire il cestino più in fretta che poteva. Si rese conto che qualche gallina era rientrata solo quando si ritrovò completamente accerchiata dai pennuti che la fissavano con aria famelica, puntando al secchio col mangime. 

Rachel trasalì spaventata e fece un passo indietro, urtando alcuni giacigli. Era incredibile la velocità con cui avevano spazzolato tutto e adesso erano venuti a riscuotere il resto della colazione. Il problema era che se avesse sparso il mangime lì dentro si sarebbe scatenato il putiferio, quindi pensò bene di uscire e spargerlo fuori, ma non appena si mosse le galline reagirono chiocciando e svolazzando frenetiche nella sua direzione. Probabilmente pensavano che volesse svignarsela con il cibo.

Terrorizzata, lanciò uno strillo e fece cadere il secchio, per poi fiondarsi all’uscita. Imboccata la porta del recinto, la oltrepassò di corsa senza preoccuparsi di richiuderla. 

“Che è successo, cara?” le chiese la signora Weaver, vedendola di ritorno ansante. “Abbiamo sentito gridare…”

Rachel esitò a rispondere, cercando di riprendersi. “Le galline…” mormorò infine, con una mano sul cuore. “Mi hanno aggredita.” 

La signora la fissò perplessa, mentre dietro di lei Juliet e Claire stentavano a trattenere le risate. “Mi pare strano… Hai sparso prima il mangime in terra?”

“Ci ho provato, ma mi sono saltate addosso.” Si giustificò, piuttosto imbarazzata; poi le consegnò le poche uova raccolte, ammettendo che preferiva dedicarsi all’orto. 

“Va bene, non preoccuparti.” la rassicurò la signora, rivolgendole un sorriso paziente. “Alle uova penso io.”

Dopo aver trascorso le due ore successive a lasciarsi sfottere dalle amiche, che continuavano a farle il verso della gallina alle spalle, Rachel e le altre aiutarono la signora a portare tutto il raccolto in casa e a sistemarlo, finché a lavoro concluso lei non si abbandonò con un sospiro su una sedia della cucina. 

“Sono esausta. Direi che ci siamo meritate una pausa. Perché non andate a vedere che fanno i ragazzi?” propose. “Potreste portargli uno spuntino.”

Riempito così un cestino di frutta appena raccolta e acqua fresca, tutte e tre raggiunsero la stalla, attirate dal vociare all’interno e, una volta lì, trovarono una scena benché mai insolita ad aspettarle: Dean seduto su uno sgabello che tentava di mungere una mucca, mentre un omone grande e grosso accanto a lui impartiva istruzioni.

“Non così forte, ci fai male.” Lo rimbeccò in tono rozzo. “Bravo! Già meglio. Così mi piaci, ragazzo!” approvò quando vide che aveva capito, scoppiando poi in una fragorosa risata, a cui seguì quella di Simon. 

Dean smise per un attimo di mungere e li guardò entrambi piuttosto male, ma a quel punto l’attenzione di Simon era già rivolta altrove. 

“Salve bellezze!” esclamò alla vista delle ragazze. “Che avete portato di buono?” Sbriciò all’interno del cestino e prese una bottiglia d’acqua, scolandosene metà tutta in una volta. Dopodiché, si lasciò andare a un sospiro soddisfatto. “Ci voleva proprio.” 

“Beh, che fai? Non ce le presenti?” L’omone si avvicinò con un’andatura sgraziata e strinse la mano a ciascuna di loro. “Bob. Lavoro per il signor Weaver.” Aveva l’aspetto del tipico contadino, con le braccia e il torace massicci di chi è abituato a sollevare molti pesi. Scandito da tratti rudi, anche il viso era evidentemente provato dalle fatiche, con guance e mento coperti da una barba trascurata. Nel complesso, non proprio quello che si definirebbe un bell’uomo. 

Subito dopo, Bob presentò alle ragazze suo figlio Jeremy, un adolescente magro e dall’aria cupa che le salutò con un breve cenno della testa, per poi tornare ad occuparsi delle mucche. Non si mosse dal suo posto e non disse una parola, finché Rachel non si presentò da lui con il cestino in mano. 

“Ciao. Ti va una mela?” chiese con un sorriso cordiale.

Il ragazzo sollevò appena lo sguardo e la fissò diffidente, prima di accettare senza neanche ringraziarla; poi si voltò di nuovo, addentando il frutto e dandole le spalle.

“Okay ragazzi, pausa!” urlò Stuart a Mark e Cedric, che spalavano fieno più in là. 

Dean fu sollevato di poter abbandonare definitivamente l’esperienza della mungitura e ne approfittò per andarsi a lavare le mani. Se le stava asciugando con uno strofinaccio, quando Juliet gli si avvicinò, porgendogli una bottiglietta d’acqua.

“Tieni. Avrai sete.”

Lui ebbe un attimo di esitazione, poi la accettò. “Grazie.”

Lo guardò mentre beveva una sorsata, un po’ in imbarazzo perché come al solito quando si trovava con lui non sapeva mai cosa dire. “È stato strano vederti in difficoltà prima. Sembri uno capace di fare tutto.” esordì poi, nel tentativo di rompere il ghiaccio.

Dean la scrutò con aria interrogativa, un po’ spiazzato da tanta ingenuità. “Beh…” tentennò, senza riuscire a trattenere un sorriso. “Nessuno è perfetto.”

Resasi conto della sua stupidità, anche a Juliet venne spontaneo imitarlo. 

Nel frattempo, appartati in un angolo della stalla, Simon e Claire ridevano a crepapelle. Lui le stava raccontando gli ultimi aneddoti della mattinata, facendo battute sui ragazzi e su quanto fossero imbranati con le mucche. 

“…Sì e poi se l’è rovesciato tutto in testa!” concluse, mimando la scena e provocando di nuovo le risate di Claire.

“Ah sì, davvero esilarante!” 

Non si accorsero dell’arrivo di Cedric, finché non spuntò accanto a Simon e gli mise un braccio intorno alle spalle con fare amichevole, fingendosi divertito; poi tornò subito serio e guardò Claire. “Posso parlarti un momento?” chiese, prima di specificare: “In privato.”

Simon dovette intuire di essere di troppo e si allontanò per lasciarli soli, così Claire si ritrovò faccia a faccia con l’ultima persona che si sentiva di affrontare. 

“Che cosa sta succedendo?” le chiese Cedric, fissandola dritta negli occhi.

Lei ricambiò, piuttosto perplessa. “In che senso?”

“Non so, ho come l’impressione che tu mi stia evitando.”

Ecco che tornava alla carica con quella storia. “Ancora?” ribatté scocciata. “Te l’ho già detto, non ti sto evitando.”

“Ah, okay. Quindi parlare con tutti, incluso quell’idiota, tranne che con me, non è evitare.”

Claire aggrottò la fronte, un po’ sorpresa. Non le piaceva il tono che stava usando, aveva un che di accusatorio. “È venuto lui a parlarmi. Cosa dovevo fare, ignorarlo?” Tutto lasciava supporre che fosse geloso di Simon, malgrado lei non avesse fatto niente per incoraggiarlo. Comunque, la cosa non le fece piacere come avrebbe dovuto. “E poi noi due non siamo una coppia. Non mi pare il caso di fare una scenata.”

Quell’ultima affermazione doveva averlo spiazzato, se ne rese conto, visto che l’atteggiamento spavaldo di poco prima lasciò il posto a un’evidente delusione. 

“Già, infatti.” Annuì convinto, incrociando le braccia al petto. “E cosa siamo Claire? No perché non l’ho ancora capito. Da quando ci siamo baciati non hai detto una parola e io sto impazzendo!” Sottolineò il finale con tale enfasi che per poco non gli uscì gridando. 

“Abbassa la voce.” gli impose, rivolgendo un’occhiata apprensiva agli altri e constatando con sollievo che stavano continuando a chiacchierare come se niente fosse.

Cedric, però, non diede peso alla cosa e rimase concentrato su di lei. “Guarda che se ti sei pentita basta dirlo. Non mi offendo.” 

“No!” La risposta le venne d’impulso, ma un secondo dopo già non ne era più sicura. “Cioè, io… Non lo so, va bene?” tentennò in preda al panico. “Sono confusa…”

Tuttavia, quel suo goffo tentativo di giustificarsi parve solo peggiorare la situazione. 

“Sei incredibile!” esclamò Cedric esasperato. “Smettila di complicarti la vita da sola. Se quel bacio ha significato qualcosa per te, c’è poco da essere confusi!”

Claire avrebbe voluto replicare, ma le parole le morirono in gola. La faceva facile lui e invece non lo era per niente. Certo, avrebbe potuto dirgli tutto, raccontargli della sua precedente esperienza, ma questo avrebbe significato riviverla. Da quando era successo, aveva cercato in tutti i modi di seppellirlo nella mente e adesso il solo pensiero di parlarne le metteva i brividi. “Non è così semplice. Tu non sai quello che ho passato…” mormorò in tono sommesso. Si sentiva sotto pressione come mai prima.

Cedric sembrò accorgersi della sua crisi, perché si calmò e rilassò le spalle. “Hai ragione.” ammise con un sospiro. “L’ho capito che c’è qualcosa che ti blocca, ma di me ti puoi fidare. Se solo me ne parlassi…”

Negli istanti che seguirono, Claire tentò di sostenere il suo sguardo. Era davvero sincero, glielo leggeva negli occhi, e si sentiva in colpa per averlo illuso in quel modo. Quando si erano baciati, aveva pensato per un attimo di riuscire a lasciarsi andare, di potersi dare una chance con lui, ma poi si era resa conto di non essere ancora pronta per quel passo. La prospettiva di soffrire di nuovo era inconcepibile. “Scusami, ma non ce la faccio. Ho bisogno di più tempo…”

“Altro?” la interruppe, alzando di nuovo la voce e stavolta attirando l’attenzione di tutti. “Mi sembra di avertene dato parecchio.”

“Ti sto chiedendo di darmene ancora.” insistette più decisa. “Quello che c’è stato tra noi… Non mi aspettavo che accadesse, non ero preparata e mi serve più tempo per capire cosa provo davvero. Perciò non mettermi pressione, se è vero che tieni a me.”

A quel punto, Cedric abbassò lo sguardo, visibilmente amareggiato. “È proprio per questo che non posso continuare così, lo capisci?” Tornò su di lei. “Io so cosa provo e vorrei dimostrartelo. Vorrei stare con te, abbracciarti, baciarti, mentre tu riesci a malapena a guardarmi in faccia. Poi però quando ne hai voglia…”

Quell’insinuazione la fece tornare sicura di sé. “Scusami? Che intendi?” Le uscì un tono inacidito, come se già immaginasse la risposta.

“Ieri mattina nella tenda, tanto per fare un esempio.” chiarì lui, infastidito dalla domanda. “O a Wisdom…”

“Che c’entra Wisdom?” All’inizio Claire non capì, ma poi tornò con la mente a quel giorno e venne assalita da un sospetto. “Un momento, avevi detto che era uno scherzo...”

“Claire, che succede?” intervenne Rachel allarmata, mentre con Juliet raggiungeva l’amica. 

Cedric annuì, ignorandole. “In parte lo era, ma non è questo il punto adesso.” Un’espressione di vittoria gli si dipinse in faccia. “Ci ho messo un po’, ma finalmente ho capito che tipo sei. Non credevo che fossi una di quelle che fanno tanto le sostenute, per poi saltarti addosso ogni volta che ne hanno voglia.”

Un silenzio raggelante scese nella stalla e gli sguardi sconvolti dei presenti si concentrarono su di lui, primo fra tutti quello di Claire. In un attimo, il vero significato di quelle parole la trafisse come una pugnalata e lo schiaffo che gli rifilò subito dopo fu l’unico modo di sfogare la rabbia che sentiva salirle da dentro. Ignorando la sua espressione sbalordita, lo trafisse con lo sguardo, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime, trasmettendogli tutta la sofferenza che stava provando a causa sua. Poi non riuscì più a sopportare la sua vista e scappò via.  

“Claire!” scattò Juliet, correndole dietro. 

Prima di fare lo stesso, Rachel passò davanti a Cedric, visibilmente frastornato, e lo squadrò dall’alto in basso con aria disgustata. “Sei proprio un idiota.”

 

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Capitolo 20
*** Voltafaccia ***


 

Capitolo 22

 

Voltafaccia

 

La signora portò le ultime cose in tavola con l’aiuto delle ragazze e poi si sedettero con gli altri in giardino, dove era stata allestita la cena. Oltre a quelle del portico, il signor Weaver aveva portato altre lampade che poi aveva appeso sui rami degli alberi, per fare più luce, così che sembrassero sospese nell’aria.

Era una bella tavolata numerosa.  Nel pomeriggio era arrivato anche Steve, il figlio maggiore dei Weaver, insieme alla moglie e al figlio di un anno, e i padroni di casa avevano invitato anche Bob e Jeremy, che ormai erano di famiglia. 

Juliet poggiò la scodella dell’insalata e si sedette accanto a Claire, taciturna da quando era scesa. Dopo la discussione con Cedric si era barricata in camera e per quanto avessero insistito non c’era stato verso di farla uscire, né aveva permesso loro di entrare. Alla fine avevano rinunciato e a pranzo si erano inventate una scusa con la signora Weaver, dicendo che non si sentiva bene. 

In seguito, dopo averla persuasa ad aprire la porta, pian piano erano riuscite a farla sfogare, faticando notevolmente perché stentava a trattenere le lacrime. Convincerla poi a scendere per la cena era stata l’impresa più ardua, ma alla fine aveva ceduto.

Lei e Cedric erano seduti esattamente agli antipodi, in modo da non dover incrociare gli sguardi neanche per sbaglio, ed entrambi erano stati di pochissime parole. Giusto i monosillabi sufficienti ad accettare o rifiutare il cibo che veniva loro offerto.

A parte questo, a tavola si respirava un clima allegro e conviviale. Steve stava raccontando alla madre gli ultimi progressi del figlio, che iniziava a muovere i primi passi, mentre il signor Weaver giocava con il nipotino, facendo le boccacce per farlo divertire. 

Intanto, Bob e Simon si alternavano nel prendere in giro i ragazzi, secondo loro totalmente negati per la vita contadina e, cosa più paradossale di tutte, Dean sorrideva alle loro battute quando invece Cedric non provava nemmeno a ribattere. Sembrava che le parti si fossero invertite e a Juliet fece piacere vedere Dean così integrato. 

“Mi servirebbe il sale…” esordì Rachel, allungando il collo per cercarlo sulla tavola.

“Tieni.” Jeremy glielo passò più veloce della luce, addirittura scavalcando il padre che gli sedeva accanto.

Sul momento lei rimase un po’ sorpresa dall’iniziativa. “Oh, grazie Jeremy.” rispose poi con un sorriso.

Dopo aver spazzolato la cena, per altro squisita, si radunarono tutti in salotto per bere un bicchiere e fare due chiacchiere. Ben presto, però, Claire non ne poté più di stare nella stessa stanza con Cedric e si avvicinò a Juliet per avvertirla. “Io vado di sopra. Stasera non sono dell’umore.” disse, scura in volto. 

L’amica la guardò comprensiva, poi annuì. “Okay, a dopo.”

Mentre Claire lasciava la stanza, Cedric se ne accorse e istintivamente fece per seguirla, ma Juliet lo intercettò a metà strada per impedirglielo. 

“Lasciala stare. So che vuoi scusarti, ma adesso non è il momento. È troppo arrabbiata e finireste col litigare di nuovo.” 

Dopo il litigio con Claire, era tornata alla stalla per capirci qualcosa e lui le aveva raccontato i dettagli di quella storia. Nonostante avesse le sue ragioni, si era subito reso conto di aver esagerato e che non avrebbe mai voluto insultarla in quel modo. Per quanto ora conoscesse i motivi del suo comportamento, perché non aveva potuto fare a meno di spiegarglieli, ormai era fatta e, sebbene fosse pentito, doveva lasciare a Claire il tempo di sbollire. 

Consapevole di ciò, Cedric evitò di insistere e uscì di casa. Visto che non poteva rimediare al suo errore, voleva restare solo e Juliet lo capiva, ma allo stesso tempo non poteva giustificarlo, anche se era amica di entrambi. Il suo comportamento non aveva scusanti.

Per fortuna, ci pensò il bambino di Steve a rallegrare l’atmosfera, ridendo come un pazzo mentre la nonna gli faceva fare cavalluccio sulle sue ginocchia. Accanto a loro, Gwenda, la nuora, e Rachel assistevano alla scena divertite. 

“È troppo dolce.” commentò Juliet intenerita.

Rachel annuì concorde e rimase a guardarli ancora un po’, prima di rivolgersi di nuovo all’amica. “Sto morendo di sete. Vado a prendere un bicchiere d’acqua.” mentì e, senza farsi vedere, fece un cenno con la testa a Mark, invitandolo a seguirla. 

Attraversata la cucina, aprì la porta che dava sul retro e attese il suo arrivo. Si aspettava che uscisse dallo stesso lato, ma quando invece lo vide comparire dall’altra parte quasi le venne un colpo. “Da dove sbuchi?”

“Ho dovuto fare il giro largo, per non destare sospetti.” spiegò, mentre saliva i pochi gradini e la raggiungeva sotto il porticciolo. 

Una volta lì, Rachel gli mise le braccia al collo e lui le cinse la vita, stringendola a sé. “A meno che non abbia interpretato male il tuo segnale.” ironizzò.

“Hai capito benissimo.” rispose lei sorridente, lasciandogli subito dopo un leggero bacio sulle labbra. 

Per un po’ non parlarono, troppo occupati a fare altro, finché Mark non si interruppe per poterla guardare negli occhi. “Ma dobbiamo sempre incontrarci così?”

Lo disse a mo’ di battuta, anche se in realtà la domanda era seria, ma Rachel rise comunque e lo mise a tacere con un altro bacio. Si sentiva troppo bene per rovinare tutto con le chiacchiere.

Tuttavia, lui non sembrò abboccare all’amo e, dopo averla assecondata, tornò alla carica. “Davvero, non potremmo semplicemente dire la verità e basta? Ogni volta ho l’impressione che stiamo facendo qualcosa di illegale. Sta diventando frustrante.”

Rachel sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il momento di affrontare quel discorso, perciò non ne rimase sorpresa. Capiva che per lui era importante e che, per quanto avere quel segreto la eccitasse, era arrivato il momento di uscire allo scoperto. Non aveva senso continuare a tenerlo nascosto, anche perché così rischiava di perdere Mark ed era inconcepibile.

Ci rifletté un ultimo istante, prima di abbandonarsi a un lungo sospiro. “Hai ragione. Ti prometto che lo dirò a Juliet e Claire al più presto.” si impegnò. “Basta segreti.”

“Grazie. Così potrò dirlo a Ced, finalmente. Già sospetta qualcosa, in certe faccende è peggio di un cane da tartufo.” scherzò, facendola ridere. “Tra l’altro, tenerlo nascosto diventa sempre più pericoloso per me. Non vorrei che altri si mettessero strane idee in testa.”

Rachel lo guardò stranita. “Per favore, non dirmi che anche tu hai problemi con Simon...”

“Macché. Non mi riferivo a Simon.” la interruppe.

“E allora a chi?”

Mark esitò, incerto se parlare o meno; poi si decise. “A Jeremy.”

“In che senso, scusa?” ribatté lei, sempre più confusa.

“Credo che tu abbia fatto colpo oggi. Non ti ha tolto gli occhi di dosso per tutta la cena.”

Rachel sollevò un sopracciglio. “Ah sì?”

“Non te ne sei accorta?”

“No.”

“Eppure era di fronte a te.”

“E io non ci ho fatto caso. Ero impegnata a guardare qualcun altro…” scherzò, rivolgendogli un sorriso malizioso, ma Mark sembrò ignorare l’allusione e a quel punto Rachel sospirò. “Ha quattordici anni.”

“E con questo?”

“Per favore. Dobbiamo proprio continuare a discuterne?” Lo guardò come se non ci fosse nient’altro da aggiungere e lui parve rendersi conto che quel discorso era assurdo. 

“No, hai ragione. Volevo solo metterti alla prova.”

Rachel sorrise e lo baciò. Doveva ammettere che quando faceva il geloso le piaceva ancora di più. 

Mentre si scambiavano qualche altra effusione e lei stava quasi per perdere il controllo della propria razionalità, sentì distintamente dei passi che si avvicinavano dalla cucina. Fece appena in tempo a staccarsi da Mark e a spingerlo giù, in mezzo alle siepi, che la porta si aprì e Dean comparve sulla soglia, trovandola appoggiata alla ringhiera con le gambe accavallate che gli sorrideva innocente. “Ciao!” lo salutò, forse con troppa enfasi.

Per un attimo lui rimase interdetto. “Steve sta andando via e Juliet si chiedeva dove fossi…” spiegò poi brevemente. 

Senza dargli tempo di aggiungere altro, Rachel lo prese sotto braccio, praticamente trascinandolo dentro. “Stavo prendendo una boccata d’aria. Andiamo?” Alzò il tono di voce per coprire i rantolii di Mark che si riprendeva dalla caduta e in cuor suo sperò che non si fosse fatto troppo male. 

Quello che Dean disse subito dopo, però, la lasciò senza parole.

“Credi che fosse davvero necessario buttarlo lì sotto?” chiese con la solita calma, anche se stavolta colse una leggera ironia nella sua voce. “In fondo, che abbiate una relazione è abbastanza evidente.”

Rimasta di sasso, Rachel boccheggiò incredula, prima di riuscire a formulare una frase di senso compiuto. “Da quanto lo sai?” Era impossibile che lo sapesse. Non che la cosa fosse grave, d’altra parte aveva appena promesso di dirlo a tutti, ma venirlo a scoprire così fu inaspettato.  “Eppure siamo stati così attenti…”

“Sono un buon osservatore.” 

Perfetto. Adesso, oltre a sentirsi in colpa per aver spinto Mark in quel modo, si diede della cretina per aver pensato di essere riuscita a tenerlo nascosto. 

Istintivamente guardò Dean e, dopo essersi fissati per un istante, a entrambi venne da ridere. Si rendeva conto che non fosse il caso, ma non riuscì a trattenersi. Tutta quella faccenda era a dir poco ridicola.

Arrivarono in salotto che ancora sorridevano, mentre tutti stavano dando la buonanotte a Steve e Gwenda, che tornavano a casa. Il piccolo Scott non voleva saperne, tanto che a un certo punto scoppiò a piangere e la madre ci mise un po’ a calmarlo. Alla fine le si addormentò in braccio e lo trasportarono così fino alla macchina. Dovendo andare a trovare degli amici, Simon ne approfittò per farsi dare un passaggio in città e se ne andò con loro.

Salutati sia i figli che Bob e Jeremy, i Weaver annunciarono che sarebbero andati a letto, ma che loro erano liberi di rimanere di sotto quanto volevano. 

“Dov’è Claire?” chiese Rachel, notando solo in quel momento l’assenza dell’amica. 

“È salita dopo cena. Non se la sentiva di rimanere.” spiegò Juliet secca. 

Tutto a un tratto il suo tono era diventato freddo e distaccato e Rachel non capì il perché, visto che fino a un attimo prima stava ridendo spensierata. “Ah.” ribatté, decidendo di soprassedere. “Magari dovremmo andare a vedere come sta.”

“Sì, infatti sto andando.” Confermò lei, sempre indisponente, imboccando poi le scale senza aspettarla. 

Stava per andarle dietro, quando una sagoma non ben definita attraversò la stanza veloce come un fulmine e la prese per mano, trascinandola con sé.

Una volta fuori, Mark la lasciò e richiuse la porta. “Okay, chiariamo questa storia una volta per tutte.” Aveva foglie e residui di rami nei capelli, gli occhiali storti sul naso e i vestiti macchiati di terriccio. “Io non mi vergogno di quello che c’è fra noi Rachel, ma a questo punto mi chiedo se per te sia lo stesso.” 

“Ma come ti viene in mente? No che non mi vergogno!” esclamò lei indignata. Non voleva che pensasse una cosa del genere e corse subito ai ripari. “Scusa, hai perfettamente ragione ad essere arrabbiato, ma mi ha presa alla sprovvista.” Si giustificò in tono quasi implorante. “Non mi aspettavo che spuntasse così all’improvviso, non ero pronta per…”

“Per cosa? Per dirgli di noi?” la interruppe, ancora infervorato. “Mi era sembrato che lo fossi. Avevi detto basta segreti, o sbaglio?”

“Sì, ricordo cosa ho detto, ma…” ci riprovò.

“E allora perché tutto a un tratto mi sono ritrovato ad annaspare in una siepe?” 

A Rachel tornò in mente il fatto che Dean sapesse, ma si guardò bene dal dirglielo per non peggiorare la propria situazione. Alla fine, si abbandonò a un sospiro e incrociò il suo sguardo. “Mi dispiace. So che suona banale, ma è tutto ciò che posso dire. Ti giuro che domani racconterò tutto, anzi lo urlerò se sarà necessario. Lo urlerò così forte che lo sapranno anche le mucche nella stalla.”

La battuta sortì l’effetto sperato e Mark sorrise, finalmente più rilassato. 

Si guardarono negli occhi per un po’, infine Rachel abbozzò un sorriso timido e gli tolse una foglia dai capelli. “Mi perdoni?” 

Per tutta risposta, Mark si avvicinò per baciarla dolcemente, rivolgendole poi quel sorriso che adorava. 

“Ma chi me l’ha fatto fare?” scherzò in tono di finta rassegnazione; poi si diede una rapida occhiata generale e concluse: “Sarà meglio che vada a farmi una doccia.”

 

-o-

 

Quando Claire si guardò nello specchio appeso in bagno, l’immagine che le restituì non era delle migliori. Gli occhi erano ancora mezzi arrossati dal pianto e i suoi capelli, cresciuti parecchio negli ultimi tempi, non avevano più una forma vera e propria. Il cerotto che Juliet le aveva messo sulla fronte stava per staccarsi, così provvide a toglierlo definitivamente e, dopo aver lavato via il sangue rappreso, constatò che la ferita si stava cicatrizzando. Sperava solo che non le rimanesse il segno.  

Si stava asciugando il viso, quando Rachel entrò per passarle il cellulare che squillava. 

“Telefono.” disse sbrigativa, prima di richiudere la porta. 

In camera Juliet stava finendo di vestirsi, questa volta con la sua roba fresca di bucato, e quando Rachel rientrò non la degnò di uno sguardo. 

Si comportava così dalla sera prima e lei avrebbe tanto voluto sapere perché. Chiederglielo sembrava la scelta più ovvia, ma qualcosa la trattenne, forse perché da qualche tempo il loro rapporto non era più lo stesso, anche se lei aveva cercato di non darlo a vedere. Neanche raccontarle di Mark in quel momento le parve una buona idea, così prese a trafficare con il contenuto del suo zaino, pensando a un’alternativa per rompere il ghiaccio. 

“Non vedo l’ora di tornare a casa.” esordì infine con un sospiro, lanciandole un’occhiata di sottecchi per controllare la sua reazione. 

Con un leggero cenno della testa, Juliet si mostrò d’accordo, ma per il resto continuò ad allacciarsi le scarpe come se nulla fosse. 

Quell’atteggiamento iniziava un po’ a stancarla, ma non fece in tempo a lamentarsene perché proprio in quel momento Claire tornò dal bagno. 

“Era zio Gordon. Domattina presto ci vengono a prendere.” annunciò, lanciando il cellulare sul letto. Solo un altro giorno e poi non avrebbe più dovuto sopportare la vista di Cedric. Doveva resistere solo un altro giorno.

“Sia lodato il cielo.” commentò Rachel sollevata.

Una volta finito di prepararsi, scesero di sotto e dopo colazione trascorsero la mattinata ad aiutare la signora Weaver con le faccende. C’erano ancora i piatti della sera prima da lavare, oltre a mettere in ordine la casa e il giardino. 

Da bello che era, il tempo andò peggiorando fino all’ora di pranzo, finché il cielo non si riempì completamente di nuvoloni neri carichi di pioggia. 

“Sarà meglio mettere dentro gli animali.” disse il signor Stuart apprensivo, guardando dalla finestra.

Usciti lui e i ragazzi, Sarah le pregò di rimanere in salotto a rilassarsi, dicendo che ai piatti avrebbero pensato dopo. 

“Che ne dite se preparo del tè?” propose, cordiale come sempre.

“Bell’idea. Le do una mano.” approvò Juliet, facendo per seguirla in cucina.

“Aspetta, devo dirvi una cosa…” Rachel pensò che fosse arrivato il momento di rivelare il suo segreto. Anche perché, se non l’avesse fatto ora, non c’era speranza di riuscirci entro la fine della giornata. E chi se lo sarebbe sentito poi Mark?

“Mi sembra scortese non aiutare.”

Lei si risentì. “Non puoi proprio farne a meno?” chiese seccata. “È importante.”

Juliet, però, fece orecchie da mercante e Rachel la fissò allibita mentre usciva dalla stanza. Adesso era arrivata addirittura a ignorarla completamente.

Fu Claire a mostrarsi interessata, seppur solo per allentare la tensione. “Allora? Cos’è che stavi dicendo?”

In realtà, avrebbe preferito aspettare che ci fossero entrambe, per non dover ripetere la stessa cosa due volte, ma Rachel era talmente offesa che non gliene importò niente. Intanto lo avrebbe detto a Claire e poi, se si fosse degnata di ascoltarla, anche a Juliet. Forse. 

Così raccolse i pensieri e tirò fuori tutto in una volta: “Mi sono fidanzata!” Subito dopo averlo detto, si rese conto di averci messo troppa enfasi, ma ormai era fatta. 

Il silenzio calò nella stanza, mentre restava in attesa di una sua reazione. Si era aspettata che saltasse per la sorpresa e le chiedesse di scendere nei dettagli, come qualunque migliore amica che si rispetti, ma la sua faccia diceva tutto il contrario. 

Quando Claire mormorò un ah… in tono sommesso, le sembrò più disorientata che entusiasta e lei sentì l’eccitazione iniziale spegnersi lentamente. 

“Non dirmi che già lo sapevi.”

“No, ma lo immaginavo. Insomma, sembrate molto affiatati…”

Affiatati? Quello non era esattamente il termine che avrebbe usato per definire lei e Mark in quei giorni, anzi avevano fatto di tutto pur di non lasciar trasparire nulla. A quanto pareva, invece, il suo piano si era rivelato un fiasco totale. Così si affrettò a spiegare meglio la situazione. “Lo so, magari ho aspettato troppo a dirvelo, ma volevo prima essere sicura che le cose andassero bene. Non mi andava di affrettare i tempi.”

“Pensa se avessi voluto affrettarli.” ribatté lei pungente. “Vi sareste già sposati.”

Rachel però non fece caso al tono e, presa dall’eccitazione del momento, ridacchiò divertita. “Sono pazza, lo so. Pensa, ogni volta dovevo trovare una scusa per defilarmi con lui.” Rise ancora, ripensando a quelle assurdità. “Anche ieri sera, nel retro…” esitò imbarazzata. Si vergognava di raccontare i particolari, ma alla fine lo ammise. “Non facciamo altro che saltarci addosso.”

Il frastuono di stoviglie rotte d’improvviso le fece sobbalzare. Si voltarono e dietro di loro c’era Juliet immobile, con i resti della tazza da tè ai suoi piedi. 

“Juls, ma che fai?” Claire si alzò di scatto dalla poltrona e le venne incontro, chinandosi subito per raccoglierli. Il pavimento era bagnato tutto intorno e dovette fare attenzione a non metterci i piedi sopra.

La signora Weaver accorse dalla cucina, allertata dal rumore. “Oh cielo, vi siete fatte male?”

“No, non si preoccupi.” la rassicurò Rachel con un mezzo sorriso, mentre si chinava a sua volta. “Si è solo rotta una tazza. Ci dispiace.”

Lei minimizzò. “Figurati, cose che capitano. Vado a prendere uno straccio per asciugare.”

Mentre la aiutava, Rachel guardò l’amica con aria preoccupata. “Si può sapere che ti prende?”

Juliet, però, non diede segno di risposta. Sembrava concentrata solo sul disastro che aveva combinato, come se loro non esistessero.

“Va tutto bene?” Ritentò, ma la vide irrigidirsi e intuì che avesse un problema con lei. Ne ebbe la conferma nel momento in cui le loro dita si sfiorarono per raccogliere un frammento e Juliet ritrasse la mano, come se il solo toccarla la ripugnasse. Subito dopo lasciò perdere tutto, si alzò e a passo spedito uscì di casa. 

Claire e Rachel si lanciarono un’occhiata confusa, poi lei non perse tempo e le corse dietro. Questa volta non aveva nessuna intenzione di lasciar perdere.

Trovò Juliet appoggiata alla balaustra con lo sguardo torvo fisso davanti a sé, incurante del vento che le sferzava i capelli sul viso. Intanto era iniziato a piovere e il cielo talmente scuro che sembrava rispecchiare il suo umore.

“Okay, mi spieghi qual è il tuo problema?” le chiese irritata. 

Lei però non si disturbò nemmeno a girarsi. 

“Ehi, sto parlando con te!” 

Quando finalmente si degnò di guardarla, l’espressione che aveva la spiazzò. Era a dir poco glaciale.

“Ho sentito, non sono sorda.” ribatté secca. “Stavo solo cercando di ignorarti.”

“Direi che ti riesce piuttosto bene, visto che non fai altro da giorni. Potrei sapere cosa ti ho fatto?” Per quanto si scervellasse sulla risposta, non ne trovava neanche una. Al contrario, sentiva di avere la coscienza pulita. 

 “Il punto è che sono io la stupida! Mi faccio sempre troppe illusioni, vedo cose che non esistono e puntualmente non sono mai come le avevo immaginate.” 

Quel discorso non aveva minimamente senso per Rachel. “Ma di che stai parlando?” 

Juliet alzò gli occhi al cielo, frustrata. “Lo sai benissimo, vi ho sentite prima.”

Forse si riferiva al fatto che avesse aspettato tanto a dir loro di Mark e adesso si era offesa. Era l’unica spiegazione che riuscì a darsi, anche se le sembrava insolito che Juliet potesse risentirsi per certe cose. “Scusa, vi ho già detto che mi dispiace di non avervene parlato subito. Adesso cosa devo fare, buttarmi a terra e implorare il tuo perdono? Non pensavo che la cosa ti sconvolgesse tanto.”

“Certo, dopotutto si tratta solo di me.” Juliet rise. Una risata amara. “Io sono quella buona, quella che non se la prende mai… Perché dovrebbe importarti di ciò che provo?”

Rachel rimase interdetta per un istante, prima di ribattere. “Come sarebbe a dire?” Ora stava davvero iniziando a pensare che le avesse dato di volta il cervello. 

“Sai che è così. È sempre stato così. Tu vai avanti per la tua strada, fregandotene degli altri. L’importante è raggiungere lo scopo. Beh complimenti, hai vinto anche stavolta.” 

Quando le sbatté in faccia quella sentenza, Rachel capì che dovesse tenersela dentro da chissà quanto tempo e adesso aveva deciso improvvisamente di sputare il rospo. Non sapeva più cosa pensare, tranne che fosse invidiosa della sua situazione, al punto da accusarla di aver anteposto i suoi interessi alla loro amicizia. “Ma che problemi hai?” la attaccò, stavolta alzando il tono della voce. “Ti dà così fastidio che per una volta si tratti di me? Certo, deve essere frustrante per una abituata ad avere tutti ai suoi piedi.”

“Wow… Pensi ancora alla storia di Jason? Quindi è per questo che lo stai facendo?” replicò Juliet, con l’espressione di chi ha appena capito tutto. 

Rachel la squadrò allibita. “Ma che…” boccheggiò. “Prima di tutto, no. Secondo, cosa diavolo c’entra Jason adesso? Avevamo tredici anni!” Che senso aveva tirare in ballo Jason dopo tutto quel tempo? Ovviamente le era passata da un pezzo, ma Juliet sapeva quanto ci fosse stata male all’epoca e non poteva credere che glielo stesse rinfacciando apposta per ferirla. “La verità è che per una volta mi sono fatta coraggio e ho preso l’iniziativa, cosa che tu non fai mai. Aspetti sempre che siano gli altri a correrti dietro.”

A quel punto, Juliet perse definitivamente le staffe. L’espressione sul suo viso si contrasse e venne avanti aggressiva, dandole uno spintone. “Che te ne pare di questa come iniziativa?”

“Juls!” esclamò Claire, che finora le aveva guardate discutere dalla soglia di casa. 

Anche Rachel la guardò sbigottita. Tutto si poteva dire di Juliet, tranne che fosse una persona violenta. Si rifiutava perfino di uccidere un insetto, sebbene ne avesse il terrore, figurarsi provocare una rissa. 

Sentendo montare la rabbia, rispose alla provocazione con un’altra spinta. “Non provare mai più a mettermi le mani addosso!”

“Se no che fai?” Juliet la spinse di nuovo.

Claire tentò di mettersi in mezzo, ma rischiò di beccarsene una anche lei. “Andiamo, piantatela!” gridò. “Siete impazzite?”

Non le diedero retta e continuarono a litigare, fino a che le urla non attirarono la signora Sarah. “Oh santo cielo! Ragazze, calmatevi!” esclamò allarmata.

Nel frattempo, i ragazzi stavano rientrando di corsa dalla stalla e, quando furono abbastanza vicini da sentirle gridare, accorsero per separarle.

“È diventata matta, ecco che succede!” si difese Rachel con gli occhi fiammeggianti, quando Mark le chiese spiegazioni. 

Si lanciarono un’ultima occhiata fulminante, prima che Juliet girasse i tacchi, lasciando il portico a passo deciso. La pioggia battente la aggredì, inzuppandole capelli e vestiti, ma non se ne curò. 

“Dove stai andando?” 

Fece solo pochi metri, prima che Dean la raggiungesse, mettendole una mano sulla spalla per convincerla a voltarsi. 

“Non mi toccare.” intimò in un sibilo minaccioso, scansandosi all’istante, per poi andarsene e lasciarlo lì impalato sotto la pioggia.

“Ma sì, brava. Vattene!” le urlò dietro Rachel. “Vai a schiarirti le idee. Ammesso che tu ci riesca!” 

Poi rientrò in casa come una furia, con gli altri ancora sul portico che guardavano la figura di Juliet farsi sempre più piccola, fino a scomparire dentro il fienile.

Tornata in salotto, Claire trovò Rachel seduta su una poltrona con le braccia incrociate e l’espressione più seria che le avesse mai visto. Sembrava di pietra. 

“Ma che vi è preso? Ci è mancato poco che vi strappaste i capelli a vicenda!” esclamò sconcertata.

Lei si irrigidì ancora di più, se possibile, e la fulminò con lo sguardo. “Non chiederlo a me! È lei che ha dato di matto non appena ha saputo di me e Mark.”

Claire la fissò per un istante, senza capire. La sua testa stava riavvolgendo il nastro per analizzare quell’ultima frase. “Aspetta…” Sbatté un paio di volte le palpebre come intontita. “Tu e Mark?” 

“Sì, io e Mark! Si può sapere che diavolo di problema avete tutti quanti? Vi sembra così strano che alla fine anch’io abbia trovato qualcuno con cui stare?”

Mark tossicchiò e distolse lo sguardo, imbarazzato.

“Certo che no! È solo che credevo…” Claire esitò. Aveva il cervello in confusione. “Insomma, credevo che stessi con Dean!” rivelò infine, come liberandosi da un grosso peso. 

Rachel spalancò gli occhi. “Che?”

“Cosa?” esordì Dean allo stesso tempo, comparendo nella stanza zuppo dalla testa ai piedi.

Entrambi la guardarono come se fosse pazza e Claire si sentì di colpo gli occhi di tutti addosso. “Ma vi siete visti nelle ultime settimane? Eravate così… intimi! Chiunque sarebbe arrivato alla stessa conclusione.” si difese. Ci mancava solo che adesso la colpa fosse sua che aveva equivocato. “E poi anche tu, potevi dirlo subito che stavi parlando di Mark! Per tutto il tempo non sei stata capace di pronunciare un nome!” 

“Vedi? L’avevo detto io che non era il caso di tenerlo nascosto.” si intromise lui.

Troppo occupata a riflettere, Rachel non diede adito a nessuno dei due. 

“Tra l’altro, mi spieghi cos’è questa storia di Jason? Di che stavate parlando?” le chiese Claire, ansiosa di capirci qualcosa in più.

“A tredici anni avevo una cotta per lui, mi sono dichiarata, ma mi ha respinta e poi ho saputo che gli piaceva Juliet.” la liquidò meccanicamente in due parole, con la testa ancora impegnata a elaborare l’enorme equivoco che si era creato. Ora che aveva tutti i pezzi, non ci mise molto a ricostruire il puzzle e a quel punto i suoi occhi slittarono verso quelli di Dean, che sembrò realizzare nello stesso momento. 

Claire rimase scioccata da quella rivelazione. “Cosa? E perché io lo vengo a sapere solo adesso?” 

Rachel, però, non le prestò attenzione. “Devo andare da lei.” mormorò, alzandosi di scatto dalla poltrona. Superata Claire, si fiondò a passo svelto verso la porta e Dean fece per seguirla, ma glielo impedì. “No, peggioreresti solo le cose.” sentenziò definitiva. Dopodiché, afferrò un ombrello dal vaso lì accanto e uscì di casa, lasciandoli soli a metabolizzare.

Claire la seguì con lo sguardo finché non scomparve, dopodiché si accasciò sul divano con aria sofferente. “Che casino…” 

La signora Weaver si affacciò dalla cucina, preoccupata per averli sentiti gridare in quel modo. “Tutto bene? Spero che non sia nulla di grave.”

“No, no, si è trattato solo di un malinteso.” rispose Mark sorridente. “Anzi, ci scusi per il disturbo. Abbiamo esagerato.” 

Lei ricambiò il sorriso, seppur con meno convinzione del solito. “L’importante è che vi siate chiariti.” Detto questo tornò di nuovo in cucina a farsi i fatti suoi.

“Chiamalo malinteso...” commentò Cedric in tono sommesso. 

Claire finse di non averlo sentito e gli parlò sopra, rivolgendosi a Mark. “Un malinteso? Forse non ti rendi conto di quello che è successo perché non eri qui. Io non le ho mai viste litigare in diciotto anni. Figurarsi così!” si sfogò senza mezzi termini. 

“Tranquilla, vedrai che Rachel le spiegherà come stanno le cose e tutto tornerà apposto.” 

Claire sospirò, per niente rassicurata da quel suo minimizzare, e si appoggiò esausta contro lo schienale del divano. Intanto, fuori continuava a piovere a dirotto e un lampo preannunciò l’arrivo di un rombo assordante che la fece sussultare. Non le erano mai piaciuti i temporali. Si rendeva conto che fosse una cosa da ragazzini, ma aveva il terrore dei tuoni.

Il signor Weaver rientrò in casa proprio in quel momento, insieme al fedele Marvin. “Che tempaccio!” esclamò infastidito, mentre si puliva le scarpe sullo zerbino e il cane si scrollava di dosso il bagnato. 

All’improvviso ci fu un lampo accecante, seguito da un frastuono tale da sembrare che il cielo si fosse spaccato in due, e subito dopo la luce si spense di colpo, lasciandoli al buio. 

“Perfetto.” commentò Stuart sarcastico. 

La signora li raggiunse in salotto, seppur a tastoni. “Stuart, è andata via la luce!” constatò allarmata. 

“Sì, ce ne siamo accorti, cara.” ribatté il marito accondiscendente. “Deve essere saltato il contatore.” 

“Andiamo noi a dare un’occhiata, se vuole. Lei resti qui all’asciutto.” si offrì Mark, dicendo poi a Cedric di seguirlo al piano di sopra per prendere le torce dai loro zaini.

In tutto questo, Claire era rimasta seduta nel suo angolo a rimuginare preoccupata su Rachel e Juliet da sole nel fienile con la tempesta che infuriava. Dean era a pochi passi da lei, la schiena appoggiata al muro e l’aria pensierosa. Non aveva detto una parola da quando Rachel se ne era andata. Nella penombra, lo vide scostare con la mano un lembo della tenda e sbirciare fuori dalla finestra, nel caso stessero tornando, ma in lui non ci fu nessuna reazione a confermarlo. 

D’un tratto, un getto di luce la investì in piena faccia, abbagliandola, e capì che Mark aveva trovato la torcia. 

“Sei sicuro di capirci qualcosa?” gli chiese Stuart dubbioso. 

Lui fece segno di non preoccuparsi. “Me ne intendo, stia tranquillo.” 

“Okay, come vuoi. Il contatore è nel capanno in giardino.” 

Il rumore della porta che si chiudeva si sovrappose a quello del cassetto chiuso di scatto dalla signora, che sbuffò, accovacciata di fronte al mobile dell’argenteria. “Accidenti, non riesco a trovare le candele. Eppure ero sicura di averle messe qui.” 

“Lo vedi? Cominci a non ricordare più niente.” la rimbeccò il marito in tono scherzoso. “È la vecchiaia...”

“Ha parlato il giovincello.” ribatté lei, guardandolo storto; poi ebbe un’illuminazione. “Ecco! Ora ricordo. Sono in cucina.” Si rialzò con uno scatto insolito per la sua età e lasciò il salotto, con Stuart alle calcagna.

Claire li sentì battibeccare ancora, accompagnati da un tramestio di oggetti spostati in cerca delle candele. Sorrise e pensò che dopotutto erano stati fortunati a incontrare persone come loro. Le sembrava quasi di essere a casa e sentire i suoi genitori. Si ripromise di ripagarli per l’ospitalità, magari convincendo suo padre a mandare loro un bell’assegno. 

Intanto, Dean non dava segni di reazione, l’espressione tesa e concentrata di chi ha mille pensieri per la testa. Se ne stava immobile nella stessa posizione da mezzora e la luce fredda che penetrava dallo spiraglio della tenda, unita al colorito già di per sé pallido della sua pelle, lo facevano sembrare una statua di gesso. Probabilmente non si era neanche accorto di essere al buio. 

Dal canto suo, Claire però non se la sentiva proprio di compatirlo. Dopotutto aveva avuto il suo ruolo in quel disastro e Rachel poteva inventarsi con qualcun altro la balla di non averci flirtato. Adesso usciva fuori all’improvviso che tra loro non c’era mai stato niente, se non un’innocente amicizia, quando chiunque vedendoli avrebbe dedotto il contrario. 

“Oh mio Dio, Sarah!” 

L’urlo agghiacciante del signor Weaver la trascinò fuori da quei pensieri, facendola sobbalzare dallo spavento. Nello stesso momento, anche Dean reagì, puntando lo sguardo in quella direzione. 

“No!” urlò ancora Stuart.

A quel punto, non attese un altro istante e si fiondò in cucina. 

Claire lo seguì di corsa, attirata anche lei dal frastuono che proveniva da lì. Sembrava come se il signor Weaver stesse lottando contro qualcuno, tentando disperatamente di difendersi, ma quando lei e Dean arrivarono era già troppo tardi. Ebbero solo il tempo di intravedere un’ombra scura che lo tratteneva per il collo, per poi sgozzarlo con una rapidità inverosimile. 

Il sangue uscito dalla carotide recisa schizzò con violenza da tutte le parti, arrivando perfino addosso a loro, e il corpo di Stuart si accasciò inerte al suolo non appena lo sconosciuto lo lasciò andare. Subito dopo lo calciò via, facendolo rotolare su un fianco. 

Poco distante da lui Claire vide anche sua moglie, immersa in una pozza di sangue e con gli occhi vitrei, fissi nel vuoto. In preda all’orrore, urlò a squarciagola, mentre sentiva le gambe non reggerla più e finiva in ginocchio sul pavimento. 

L’urlo attirò l’attenzione dell’assassino, che sollevò di scatto la testa e si rese conto solo allora della loro presenza. A malapena la degnò di uno sguardo, concentrandosi fin da subito su Dean, che lo fissava immobile sulla soglia. 

Fu allora che un lampo improvviso gli illuminò il volto, prima seminascosto nell’ombra, mostrando un ghigno da sadico e due occhi talmente iniettati di sangue da non riuscire a distinguere l’iride dalla pupilla. Portava un lungo mantello nero da viaggio, con il cappuccio a coprirgli la testa, e anche se non c’era abbastanza luce per dirlo si intuiva che fosse vestito interamente di nero. Era probabile che i Weaver non l’avessero visto finché non li aveva sorpresi alle spalle.

Sollevò la mano coperta di sangue e con un gesto provocatorio si leccò le dita una ad una. “Non male, anche se li preferisco più giovani.” disse in un tono così mellifluo da far accapponare la pelle. 

La voce, però, giunse attutita nella testa di Claire che, incapace di staccare gli occhi dai cadaveri riversi al suolo, non si accorse nemmeno dell’interesse che ora l’assassino le aveva rivolto. 

“Proviamo lei.” La indicò con il mento. “Magari ha un gusto migliore.”

Non si mosse per attaccarla, ma l’intenzione era più che evidente, così Dean le si parò davanti per proteggerla, dimostrando così che non sarebbe stato facile arrivare a lei.

Lo sconosciuto finse di rabbrividire e indietreggiò. “Sto tremando di paura.” ghignò ancora, in realtà per niente spaventato.

“Chi sei?” Ignorando la sua spavalderia, Dean lo inchiodò con lo sguardo.

Per tutta risposta, lui gli sbatté in faccia una grassa risata e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. 

Dean gli si scagliò contro come una furia, afferrandolo per il bavero del mantello e sbattendolo contro il frigorifero. L’urto fece cadere a terra le calamite e i post-it attaccati allo sportello, mentre dall’interno si sentì il rumore delle bottiglie di vetro che sbattevano l’una contro l’altra.

“Dimmi chi ti manda.” gli intimò a denti stretti.

L’unica cosa che ottenne, però, fu un calcio ben assestato nello stomaco con cui l’assassino lo spinse via, ma riuscì a rimanere in piedi e in un attimo gli fu di nuovo addosso.

Presero a lottare ferocemente per tutta la cucina, rovesciando a terra ogni cosa, in un tremendo fracasso di stoviglie rotte. Si alternavano scagliandosi colpi a vicenda e cercando di pararli, finché lo sconosciuto non riuscì a fare breccia nella difesa di Dean e, afferratolo per il collo, lo buttò a terra con forza. 

A Dean si mozzò il fiato, ma si riprese in fretta e, raccolte le gambe al petto, se lo tolse di dosso con una spinta, mandandolo a sbattere contro la parete retrostante. Libero dalla sua presa, fece appena in tempo a rimettersi in piedi con un colpo di reni che l’avversario si era già rialzato come se niente fosse, pronto a fiondarsi su Claire, con la chiara intenzione di riservarle la stessa sorte dei due vecchietti. 

Tuttavia, non fece neanche in tempo a raggiungerla, perché Dean lo intercettò, afferrandolo con entrambe le braccia e ripresero a lottare. 

Non si accorsero nemmeno che nel frattempo era tornata la luce e dell’arrivo di Mark e Cedric, che comparvero in cucina proprio nel momento in cui lo sconosciuto parava il calcio di Dean, bloccandogli la gamba in una morsa d’acciaio e scaraventandolo con violenza contro un pensile dall’altra parte della stanza. L’urto fu talmente forte da farlo staccare dal muro e tutto ciò che conteneva cadde a terra, sommergendo Dean e alzando un gran polverone.

Approfittando del vantaggio, l’assassino si diresse di corsa alla porta sul retro e si fiondò fuori, defilandosi nella pioggia. 

Mentre tutto intorno a loro tornava a immergersi nel silenzio, Mark e Cedric non poterono fare altro che fissare scioccati i due corpi riversi a terra in un lago di sangue e la cucina ridotta a un campo di battaglia, in quella che sembrava la scena post-apocalittica di un film.

Cedric riuscì a muoversi per primo, calpestando cocci rotti e pezzi di intonaco crollati. “Cristo santo…” mormorò incredulo. 

Nello stesso momento Mark si era chinato vicino a Claire, in stato catatonico da quando i Weaver erano stati sgozzati davanti ai suoi occhi. Lo sentì dirle qualcosa per confortarla e anche per convincerla a distogliere lo sguardo da quella orrenda visione, ma stranamente non ci riusciva. 

D’un tratto, dei colpi di tosse, uniti a rantolii soffocati, attirarono l’attenzione dei ragazzi verso il cumulo di macerie da dove Dean stava tentando di uscire. 

Mark e Cedric si affrettarono a togliergli di dosso piatti rotti e resti di mobilio, poi Mark gli porse un braccio che lui afferrò saldamente, spingendosi sulle gambe e riuscendo finalmente a rimettersi in piedi. 

Entrambi lo fissarono sconcertati. Era incredibile che fosse ancora tutto intero. 

“Si può sapere che diavolo è successo?” lo aggredì subito Mark, urlandoglielo in faccia e senza dargli il tempo di riprendersi. 

Dean però non sembrava molto presente e non accennò a dare spiegazioni. Si appoggiò a l’unico pezzo di credenza ancora integro, visibilmente stordito dall’impatto. Del sangue gli colava da una ferita sulla tempia. 

Implacabile, Mark allora lo afferrò per le spalle e lo scosse. “Dean!”

A quel punto, infastidito dalla sua insistenza, lui reagì e lo scansò con un gesto brusco, iniziando a togliersi di dosso polvere e frammenti vari.

“Allora? Chi era quello?” insistette Cedric.

Dean però sembrava troppo impegnato a pensare e non si degnò di dargli risposta. All’improvviso, smise di spolverarsi i vestiti e si irrigidì, come colto da un’illuminazione, e in un attimo si diresse alla porta, schizzando fuori senza dire una parola. 

“Ma dove vai?” gli urlò dietro Mark, fermandosi sulla soglia. Lo vide attraversare l’orto di corsa, per poi dirigersi verso il fienile, e ben presto intuì tutto. “Rachel…” mormorò nel panico, mentre il suo sguardo incrociava per un istante quello dell’amico. Dopodiché, non attese oltre e seguì Dean. 

Cedric stava per fare lo stesso, ma la vista di Claire in quelle condizioni bastò a fargli cambiare idea. 

Non si era mossa da quando l’avevano trovata, ansante e con lo sguardo perso nel vuoto. Nella sua testa il tempo era fermo al momento in cui lo sconosciuto aveva brutalmente assassinato il signor Weaver e quell’immagine non faceva che ripetersi davanti ai suoi occhi, come un nastro inceppato. Era in uno stato di incoscienza tale da convincersi di essere in uno dei suoi incubi. Non poteva essere altrimenti. Solo che di solito a quel punto si svegliava. Perché non si svegliava?

-Svegliati…- pensò, senza accorgersi che in realtà lo stava mormorando. “Svegliati. Svegliati. Svegliati.” Ogni volta lo diceva a voce più alta, come se in quel modo lo rendesse più efficace. Mentre lo ripeteva, iniziò a tremare e gli occhi le si riempirono di lacrime. Sentì fuoriuscire di colpo tutto ciò che aveva represso per giorni. Rabbia, paura, dolore…

Prima che quella crisi la coinvolgesse completamente, mandandola in pezzi, si sentì scuotere con forza e qualcuno le si parò davanti. Ci mise un po’ a capire che si trattava di Cedric, in ginocchio davanti a lei e talmente vicino da coprire completamente quel macabro scenario. 

“Claire!” L’afferrò per le spalle e la scosse delicatamente. “Mi devi ascoltare. Dobbiamo andarcene da qui, hai capito?” 

Il suo tono fermo la riscosse, riuscendo a riportarla alla realtà. Con gli occhi ancora lucidi mise a fuoco i tratti del suo volto, determinato come non l’aveva mai visto. Malgrado fosse ancora in collera con lui, era contenta che fosse lì. Le sue mani calde e forti le infondevano sicurezza. D’un tratto il tempo riprese a scorrere e capì di non trovarsi in un incubo, anche se ci andava molto vicino. 

“Forza, andiamo.”

Lei tirò su col naso e annuì, lasciando che l’aiutasse ad alzarsi; poi entrambi corsero fuori nel temporale e la pioggia incessante li inzuppò in meno di un secondo. Il cielo era completamente nero e la visibilità scarsa, ma riuscirono comunque ad arrivare al fienile.

Raggiunta l’entrata, Cedric andò avanti per primo, mentre lei rimaneva esitante sulla soglia, terrorizzata da quello che avrebbe potuto attenderla. La paura di assistere a una scena simile alla precedente era troppa e le immobilizzava le gambe. Stavolta il suo cuore non avrebbe retto di sicuro. Allo stesso tempo però non voleva rimanere sola, quindi si fece forza e con cautela mise un piede dopo l’altro. 

La prima cosa che vide fu Rachel distesa a terra e questo bastò a gelarle il sangue nelle vene. 

Chino su di lei, Mark cercava di rianimarla dandole leggeri schiaffetti sulle guance. Per fortuna parve funzionare, perché poco dopo aprì gli occhi lentamente e sia lui che Claire tirarono un sospiro di sollievo.

 “Grazie…” mormorò Mark in tono sommesso, prima di chiederle come si sentisse. 

Rachel emise un rantolio e si portò una mano alla fronte, l’espressione confusa di chi non sa nemmeno dove si trovi. Cercò di tirarsi su, ma un giramento di testa improvviso la persuase a restare sdraiata. Non ricordava come avesse fatto a finire sul pavimento del fienile, ma solo di esserci entrata per cercare Juliet e poco dopo aveva sentito un forte dolore alla nuca. Poi il buio.

Non si accorse del biglietto che qualcuno le aveva messo addosso finché Cedric non lo raccolse e, dopo averlo letto, lo girò verso Dean per mostrargli cosa c’era scritto. “Chi diavolo è R.M.?” 

Per tutta risposta, lui glielo strappò dalle mani per rileggere quelle poche parole scritte in bella calligrafia: 

Per Dean. 

Con amore, R.M. 

 

Accanto alla firma c’era l’impronta di un bacio lasciata con il rossetto. 

Dopo circa mezzo secondo, il suo sguardo s’incupì e la mascella gli si contrasse pericolosamente, segno evidente che avesse capito di chi si trattava. La mano si richiuse sopra il foglietto, riducendolo a una pallina da ping-pong, per poi lanciarlo lontano accompagnato da un’imprecazione.

A quel punto, Claire realizzò che mancava qualcuno all’appello. “Dov’è Juliet?”

“Dimmi cosa hai visto.” Dean le parlò sopra, rivolto a Rachel. “C’era qualcuno quando sei arrivata, vero?”

Lei lo scrutò confusa, sforzandosi di focalizzare l’ultima immagine che la sua testa aveva registrato prima di svenire, ma le ci volle un po’ per riorganizzare i pensieri.

“Rachel! Chi hai visto?” 

“Non lo so! Sto tentando di ricordare!” esclamò esasperata.

“Ehi! Vacci piano!” lo redarguì Mark, mettendosi tra loro.

“Sono entrata e ho visto Juliet per terra…” mormorò lei, mentre faceva mente locale; poi il suo viso s’illuminò. “Sì, c’era qualcuno in effetti! Era una donna! Era incappucciata, ma l’ho vista.” 

Dean annuì, come se quella fosse solo una conferma di ciò che già sapeva. Con un sospiro si mise una mano sugli occhi, ignorando completamente le domande di Cedric.

“Ma che significa?” lo sentì chiedergli allarmato. “Dov’è Juliet?”

Rachel aveva ancora un cerchio alla testa, ma era abbastanza lucida da intuire che qualcosa non andava visto che, al contrario di tutti loro, quella assurda situazione non sembrava aver colto Dean di sorpresa. “Tu lo sai cos’è successo, vero?” esordì in tono inquisitorio. 

Il modo in cui la guardò non lasciava trasparire nulla, ma lei non si fece abbindolare. 

“Che cosa ci stai nascondendo?” insistette.

Sebbene sembrasse restio a parlare, Dean aveva tutti gli occhi puntati addosso e alla fine non poté tirarsi indietro. “Juliet è stata rapita.” constatò, mantenendo basso lo sguardo.

“Ma dai?” ironizzò Mark, visibilmente irritato. “La domanda è da chi e soprattutto perché. Prima la morte dei Weaver, adesso anche Juliet scomparsa. Come abbiamo fatto a finire in questo casino?”

“I Weaver sono morti?” Rachel lo interruppe di colpo, fissandolo con gli occhi spalancati. Subito dopo passò in rassegna i volti degli altri cercando conferma, e vi lesse la sua stessa incredulità e tristezza. Prestando più attenzione, si accorse in seguito delle macchie di sangue sui vestiti di Claire, come se glielo avessero spruzzato addosso e venne travolta dall’orrore quando l’amica le raccontò in breve quello che aveva visto. Riusciva a stento a immaginare quanto potesse essere stato traumatico assistere alla scena. 

Mentre la ascoltava, la sua mente si era già messa in moto, così che alla fine il suo volto si illuminò, come colto da un’improvvisa intuizione. “Certo! Come ho fatto a non capirlo subito? Sono stati loro!”

“Ma di chi parli?” chiese Claire in un fil di voce.

“Della sua dannata setta di psicopatici, ecco di chi!” Si voltò di scatto verso Dean e lo inchiodò con uno sguardo accusatorio. “È così, vero? Non provare a negarlo!”

Lui infatti non lo fece, anzi, non tentò nemmeno di giustificarsi e questo bastò a confermare la sua teoria. 

“Basta, io chiamo la polizia.” A quel punto Mark, stufo di perdersi in chiacchiere, agguantò il telefono che aveva in tasca e prese a digitare rapido il numero sulla tastiera. 

Stava per premere il tasto verde, quando Dean finalmente reagì. “È inutile, non c’è niente che possano fare.”

Mark, però, scosse la testa. “Oh no, stavolta non ci casco. Ci hai già fregati convincendoci a fare questo stupido viaggio, ma a quanto pare la situazione ti è sfuggita di mano. Perciò, se permetti…” 

Non fece in tempo a portare il cellulare all’orecchio, che Dean glielo aveva già strappato dalle mani, per poi farlo a pezzi davanti ai suoi occhi. 

Gli sguardi attoniti dei presenti si fermarono sulle sue dita strette attorno a quello che ormai non era altro che un inutilizzabile pezzo di plastica sbriciolata.

“Il mio telefono…” boccheggiò Mark, fissando i frammenti che cadevano sul pavimento. 

“Statemi bene a sentire.” mormorò Dean a denti stretti, senza curarsene. Il suo nervosismo si percepiva a pelle. “Voi non sapete con chi avete a che fare, non ne avete la minima idea. Qui non si tratta della solita setta satanica gestita da uomini in maschera e cappuccio. Quelli che avete visto al ballo e che ora vi danno la caccia non sono esseri umani normali…” esitò. “Sono vampiri.”

Un silenzio carico di tensione e incredulità scese tutto attorno a loro, come se ognuno stesse cercando di assimilare e dare un senso a quella rivelazione.

“Vampiri.” ripeté Cedric scettico. Dall’espressione che gli rivolse era evidente che stesse seriamente dubitando delle sue facoltà mentali. “Sei serio?”

L’espressione sul volto di Dean era la più seria che avessero mai visto. Quindi sì, era davvero consapevole di ciò che stava dicendo. 

“Assurdo…” mormorò lui di rimando. “Ti metti a dire queste stronzate proprio adesso? Nel casino in cui ci troviamo?”

“È proprio per il casino in cui ci troviamo che vi sto dicendo le cose come stanno. La storia della setta era solo una copertura. I vampiri esistono…” sospirò esitante. “E anche io sono uno di loro.”

Nonostante lo avessero appena visto sbriciolare un cellulare a mani nude, la cosa era talmente inconcepibile che sul momento nessuno riuscì a credere a una sola parola.

“Tu sei matto.” concluse Rachel infine. “Ti ha davvero dato di volta il cervello. I vampiri sono solo leggende, fanno parte del folklore. Non puoi dire sul serio…” Rimase stupita da se stessa perché cercava di convincerlo di una cosa assolutamente scontata. Le sembrava di parlare con un folle.

Dean, però, aveva già smesso di ascoltarla e adesso stava frugando con aria frustrata nella tasca interna della giacca, da cui trasse una boccetta colma di liquido rosso intenso. Un contenuto non difficile da indovinare, visto il tema della discussione. La stappò e mandò giù tutto in un attimo, senza neanche prendere fiato.

Quello che accadde subito dopo aveva dell’inverosimile. In pochi istanti il colore dei suoi occhi passò dal grigio ghiaccio al rosso scarlatto, talmente vivo da brillare anche nella penombra, e Claire riconobbe in quegli occhi gli stessi che aveva l’assassino dei Weaver. 

Nello stesso momento, le punte di due canini innaturalmente lunghi gli sporsero da sotto il labbro superiore, facendogli assumere un aspetto a dir poco inquietante di fronte al quale tutti trasalirono, arretrando istintivamente di qualche passo. 

“Non è possibile…” mormorò Rachel, portandosi una mano alla bocca. “I vampiri non esistono.” Pensava che intestardirsi su quel punto avrebbe aiutato a confermarlo, ma ora come ora significava negare l’evidenza dei fatti. Inoltre, la spiegazione di Dean era paradossalmente la più logica. Adesso capiva il vero senso del rituale a cui avevano assistito. 

“Esistiamo.” la contraddisse.

-Le sorelle- Istantaneamente, l’immagine di quell’uomo rinchiuso nei sotterranei del castello e di loro tre che si accanivano su di lui attraversò la mente di Claire. Non ci mise molto a fare due più due. Quella era la prova definitiva che i suoi non fossero dei semplici incubi e che ciò che stavano vivendo doveva per forza essere collegato alle sue notti insonni. Subito dopo un pensiero le sorse spontaneo, ma era incerta se chiedere a Dean per sedare ogni dubbio. La paura che provava alla sua sola vista la frenava. Alla fine, però, si fece coraggio. “Quindi, anche quelli che hanno preso Juliet…”

“Sono come me.”

 

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Capitolo 21
*** Nella tana del drago ***


 

Capitolo 23

 

Nella tana del drago

 

Mary camminava a passo svelto dietro a Carlos, mentre Benedict la seguiva subito dopo con in spalla la ragazza svenuta. Aveva smesso di piovere, anche se il terreno era ridotto a un pantano e lei non sapeva dove mettere i piedi. Per fortuna, non mancava molto al portale. 

Era soddisfatta del modo in cui erano andate le cose, ma quasi le dispiaceva di essersi persa la faccia di Dean mentre leggeva il biglietto che gli aveva lasciato. Era certa che quella sua piccola intromissione non gli avesse fatto piacere e il solo pensiero di vederlo infuriato la eccitava da morire. Un po’ meno vedere infuriato Nickolaij, ma stavolta ne sarebbe valsa la pena. Infatti, nonostante le avesse ordinato di tornare subito a riferire, non si era attenuta al piano e aveva preferito continuare a seguire Dean. 

Nei giorni precedenti le era parso di capire che il suo controllo sugli umani si stesse indebolendo sempre di più e così aveva deciso di dargli una piccola spinta. Non voleva che sfigurasse agli occhi di Nickolaij, non riuscendo a portare a termine la missione e perdendo così la fiducia del loro signore. Inoltre, in quel modo avrebbe potuto finalmente osservare con i propri occhi quegli umani tanto desiderati e capire cosa avessero di tanto speciale. 

Un fruscio sinistro e un violento scuotere di rami li mise in allerta e subito Carlos si parò davanti a lei per proteggerla. Non che ne avesse bisogno, ma in quanto pupilla di Nickolaij non poteva correre rischi. 

Attesero immobili, finché una figura vestita di nero come loro non sbucò dai cespugli.

“Milady!” 

Si rilassarono non appena videro che era Connor, di ritorno dalla fattoria coperto di schizzi di sangue. 

Mary non si preoccupò di chiedergliene il motivo. “Ah, sei tu.” constatò in tono annoiato. “Pensavo ti fossi perso.”

“Chiedo perdono, Milady, ma…”

“Ebbene?” gli domandò, interrompendo le sue inutili scuse. L’unica cosa che le interessava era sapere se avesse adempiuto al suo compito: attirare Dean nel fienile e assicurarsi che capisse la situazione. 

“Tutto come previsto.” confermò il vampiro, sfoggiando un ghigno soddisfatto. “Dopo il nostro scambio di vedute, è corso subito al fienile e dalla faccia che ha fatto quando ha visto il vostro biglietto…” 

Le labbra di Mary si incurvarono leggermente in un sorrisetto compiaciuto. “Splendido.” L’ordine di Nickolaij era di portare quei ragazzi a Bran e di portarglieli vivi, e conosceva Dean troppo bene per non immaginare che, con Connor in giro, avrebbe fatto di tutto pur di non compromettere la missione. “E gli umani?”

“Arriveranno presto.” Connor fece un cenno in direzione della ragazza. “Lei sembra essere importante.”

 “Sarà meglio muoversi allora.” Senza aggiungere altro, lasciò che Carlos la precedesse e si diressero di nuovo verso il portale, il cui ingresso ormai si intravedeva in lontananza. 

Una volta sulla soglia, gli altri entrarono per primi, mentre Mary attese ancora un istante. Si voltò indietro, verso il sentiero da cui erano venuti e dentro di sé sperò che Dean fosse già sulle sue tracce; poi, dopo una rapida occhiata al cielo ancora carico di pioggia, entrò.

 

-o-

 

“Quindi eri d’accordo con loro fin dall’inizio!” esclamò Rachel fuori di sé. Già sapere di Juliet rapita e dei Weaver uccisi era stato un colpo, ora le veniva addirittura a raccontare che quel viaggio non era stato altro che una trappola ben escogitata per finire catturati da un’orda di vampiri? Quella storia stava decisamente rasentando la fantascienza.

Dean emise un sospiro e abbassò lo sguardo, all’evidente ricerca di una giustificazione. “Sì…” confermò, affrettandosi a chiarire il resto, prima che l’espressione indignata di Rachel si trasformasse in parole. “All’inizio lo ero, ma poi è cambiato qualcosa. Stavo pensando di raccontarvi la verità già da un po’…”

“Certo, è comodo dirlo adesso!” ribatté lei incredula, sforzandosi di guardarlo in faccia nonostante il suo aspetto inquietante. “E magari pretendi pure che ti crediamo.”

“Invece di pensare a questo, possiamo concentrarci sul fatto che Juliet è stata rapita?” intervenne Mark, facendoli ragionare sulla priorità del momento. “Dovremmo rientrare in casa e chiamare la polizia…”

“Scordatelo! Non esiste che io torni là dentro.” si oppose Claire risoluta.

“E che cosa racconteresti ai poliziotti?” obiettò Rachel, parlandole sopra. “Buonasera, la nostra amica è stata appena rapita da un gruppo di vampiri assetati di sangue, potete mandare una volante?”

Lui ci rifletté un istante, riconoscendo che avesse ragione. “Beh, in effetti…”

A quel punto, Cedric propose l’unica alternativa rimasta. “Quindi, non ci resta altro da fare che inseguirli.”

“Inseguirli dove?” ribatté lei. “Non abbiamo idea di dove stiano andando.”

“Alla baita.” rispose Dean secco. 

Cedric lo guardò con finta sorpresa. “Ma non mi dire. Esattamente nel posto in cui volevi portarci tu.” osservò sarcastico.

“Si può sapere perché questa mania della baita? Che diavolo c’è là dentro?” Claire sentiva il cervello scoppiarle, mentre tentava di capirci qualcosa in più.

Dean parve soppesare le parole, prima di rispondere. “Un portale.”

Per la seconda volta il silenzio scese sui presenti, mentre ognuno cercava di elaborare quanto appena sentito.

“Un portale?” Mark sollevò un sopracciglio perplesso. “Di quelli che si aprono su altre dimensioni?” chiese con evidente interesse, mentre accanto a lui Cedric alzava gli occhi al cielo.

“Qualcosa del genere.” confermò Dean.

Rachel gli rivolse un’occhiata tra l’incredulo e lo stremato. Quella discussione stava decisamente rasentando la follia. Un portale per altre dimensioni? Ma dov’erano finiti, in un film di Steven Spielberg?

Dean sbuffò, sempre più fremente. “Ora non c’è tempo per questo. Devo rimediare al mio errore e andare a salvare Juliet, prima che sia troppo tardi.” Fece per uscire, ma Cedric glielo impedì.

“Aspetta un attimo. Pensi davvero che siamo così stupidi da fidarci di te?” domandò ostile. “Dopo che ci hai fatti arrivare fin qui solo per finire ammazzati? No, grazie. Noi andiamo a riprenderci Juliet, tu fa come ti pare. Basta che ti levi di torno.”

“Ma ti senti quando parli? Non possiamo fare a meno di lui, è l’unico che sappia dove andare!” Malgrado i precedenti, Claire non riusciva a non rimanere stupita dalle idiozie che era capace di farsi uscire di bocca. 

Cedric la fissò come se fosse impazzita. “Questo qui…” Puntò un indice accusatore contro Dean. “si nutre di sangue umano per vivere. Uno dei suoi amici ha appena massacrato due persone. Cosa ti fa pensare che alla prima occasione non finiremo anche noi sul menu dell’aperitivo?” 

“Credi che non lo sappia? Ti ricordo che io c’ero quando è successo!” gli gridò contro. Era la prima a cui non piaceva l’idea di dover ancora godere della compagnia di Dean, soprattutto dopo la sua scioccante rivelazione, ma non avevano scelta se volevano salvare Juliet.

“Quindi stai suggerendo di portarcelo dietro?”

“Se solo ragionassi con la testa ogni tanto, invece di sparare sentenze a caso, ti renderesti conto che è l’unica scelta possibile.” ribatté velenosa.

Cedric sembrò cogliere la frecciata, perché rimase interdetto. Si fissarono per qualche istante con aria di sfida, finché Mark non si mise in mezzo.  

“Finitela! Abbiamo perso fin troppo tempo a litigare.” Poi spostò l’attenzione su Dean, inchiodandolo con lo sguardo. “Facci strada.”

Lui, però, sospirò paziente. “No. Ve l’ho detto, devo pensarci io. È troppo pericoloso per voi venire con me.”

A quel punto, Rachel aveva sentito abbastanza. Minacciosa, gli si avvicinò, intenzionata a mettere le cose in chiaro. “Ora ascoltami bene.” mormorò, fissandolo dritto negli occhi, che stavano tornando del loro colore naturale. “Juliet è la mia migliore amica e non esiste al mondo che la lasci nelle mani di uno stronzo doppiogiochista come te. Veniamo anche noi e non sento ragioni su questo.” 

Quando fu chiaro che non potesse opporsi in alcun modo, Dean capitolò. 

“Aspettate.” li fermò Claire, mentre stavano per seguirlo fuori. “E con i Weaver come facciamo?” 

“Ormai non c’è più niente che possiamo fare.” sentenziò Dean, nonostante la domanda non fosse rivolta a lui. 

La risposta che le aveva dato era alquanto scontata, ma l’indifferenza con cui stava liquidando l’assassinio di quei due poveri vecchietti la lasciò comunque senza parole. Dal suo tono non trapelava alcuna emozione, neppure il minimo dispiacere, come se la morte di quelle persone così gentili non lo toccasse minimamente. Decisa comunque a non mostrarsi debole, ricacciò indietro le lacrime e si apprestò con gli altri a lasciare il fienile. 

Fecero fatica fin da subito a stargli dietro, talmente andava veloce, e anche se aveva smesso di piovere il terreno era ridotto a un immenso pantano in cui le scarpe affondavano a ogni passo. A peggiorare la situazione poi contribuivano i poco gradevoli effluvi di erba bagnata mista a concime per i campi.  

Mentre cercava di stare al passo, Rachel non smise un attimo di tartassare Dean. Nonostante le avesse più volte confermato che il rapimento non faceva parte del suo piano, non era affatto convinta che quella fosse la verità. “Sai, il mio istinto mi diceva di non fidarmi di te già da quando sei piombato in casa di Claire come un ladro. All’inizio volevo solo capire cosa avessi in mente, ma poi…” Si interruppe a metà quando rischiò di ammazzarsi su una radice. “Ma poi mi hai salvato la vita su quel ponte e ho abbassato la guardia. Pensavo fossimo davvero diventati amici… Che imbecille.”

La sua era una provocazione, con cui sperava di riuscire a pungerlo sul vivo e fargli vuotare il sacco, ma lui continuò a ignorarla e così tornò alla carica. Non aveva nessuna intenzione di darsi per vinta. “Se solo fossi riuscita a capirlo prima, magari adesso non mi ritroverei a vagare per i boschi con il fango fino alle caviglie!”

“Se solo mi avessi lasciato venire con te al fienile, magari Juliet non sarebbe stata rapita.” ribatté Dean a tono, stufo di starla a sentire.

Rachel spalancò occhi e bocca indignata. “Quindi adesso sarebbe colpa mia?”

Vista la piega che stava prendendo la discussione, Mark pensò bene di intervenire, così velocizzò il passo per affiancarsi a loro. “Piuttosto, pensi che le faranno del male?” chiese pratico, cambiando discorso.

“No, li conosco. L’hanno fatto solo per infastidirmi.”

“Siete grandi amici allora.” commentò Cedric sarcastico alle sue spalle.

Dean accennò un sorriso amaro, ma nessuno se ne accorse. “Da una vita.”

 

…Era ormai notte fonda e la nebbia era scesa sulla città. Dean vagava senza meta per le strade buie e fredde dell'East End, non proprio il posto ideale per un ragazzo di quindici anni. A quell’ora le vie di Londra erano sempre semideserte, ad eccezione di qualche vagabondo e alcuni operai che tornavano ubriachi dai pub. Si infilò in uno stretto vicolo per evitare di incrociarli. Pochi momenti prima aveva avuto un incontro molto ravvicinato con un uomo, un poveraccio che bazzicava da quelle parti, e proprio da lui aveva ottenuto ciò che voleva da giorni. Sangue fresco. 

Una volta soddisfatto l’appetito, era rimasto a fissare la sua opera con un'espressione vuota sul viso, dopodiché aveva trascinato il cadavere in un angolo nascosto, assicurandosi di non essere visto. 

Voleva evitare che succedesse ancora. Almeno per quella notte.

Era ormai da qualche mese che sentiva il bisogno di bere sangue umano con regolarità, se non voleva impazzire. Doveva essere successo qualcosa al suo corpo, qualcosa che non riusciva a spiegarsi e che faceva ancora fatica ad accettare, ma sapeva che quello era l’unico modo per sopravvivere. E comunque ormai era tardi per farsi venire i rimorsi di coscienza. 

Ne aveva già uccisi parecchi. Agiva sempre di notte e mai in strade troppo frequentate. Di solito sceglieva ubriaconi o senzatetto, attendeva che si avvicinassero al vicolo in cui era nascosto e poi li tirava dentro, cercando di fare meno rumore possibile. Di notte rapine e stupri erano la norma e nessuno faceva caso più di tanto alle urla, ma preferiva comunque essere prudente.

Mentre percorreva il vicolo, all’improvviso avvertì una presenza alle sue spalle. Qualcuno lo stava seguendo e forse lo aveva anche visto uccidere quell’uomo, così non perse tempo e si mise a correre. Doveva seminarlo. 

Sfortuna volle che fosse incappato in un vicolo cieco e quando la sua corsa venne interrotta da un muro, si voltò e l’inseguitore era là. Portava un lungo mantello e aveva il viso coperto da un cappuccio. 

Dean era spaventato, ma non voleva darlo a vedere. Non aveva vie di fuga, perciò si fece coraggio e l’affrontò. “Chi siete?” 

Lo sconosciuto non rispose, limitandosi a fissarlo nell’ombra, e per un momento Dean pensò di liberarsene come aveva fatto con gli altri. Quello però non aveva l’aria di un senzatetto. 

La figura avanzò verso di lui, togliendosi il cappuccio e scoprendo finalmente il proprio volto alla luce della luna, quello di una giovane donna dai lunghi capelli biondi e gli occhi di un azzurro intenso. Era talmente bella che Dean ne rimase per un momento incantato. Da quelle parti non capitava spesso di vedere donne così e con una rapida occhiata generale intuì che doveva trattarsi di una straniera. Subito dopo, il suo accento glielo confermò. 

“Finalmente ti ho trovato. Perché stavi scappando da me?”

Non riuscì a capire da dove venisse, ma al momento non gli importava. Voleva solo che lo lasciasse in pace. “Che cosa volete?” insistette, cercando di mantenere un tono fermo. 

La donna sorrise amabilmente, come divertita dal suo fingersi spavaldo. In realtà, riusciva a percepire la sua paura. “Non avere timore. Sono qui per offrirti aiuto.”

“Io non vi conosco…”

“Ma io sì. Ti sto osservando da tempo.” spiegò candida.

Dean si chiese come avesse fatto a non accorgersene. Eppure era stato attento. 

“So cosa ti sta succedendo. Ci sono passata anch’io.” 

Non fu difficile per lui intuire di cosa stesse parlando, ma dubitava che quella donna potesse davvero capire. Nel suo sguardo, però, non c’era traccia di menzogna e d’altronde perché avrebbe dovuto mentirgli? “Voi sapete perché sono diventato così?” azzardò, cominciando a pensare che lei avesse una risposta alle sue domande. “Il perché della mia sete di sangue.”

La donna annuì. “Tu sei un vampiro.” gli svelò con un certo grado di compiacimento nella voce. “E noi due non siamo gli unici. Ce ne sono molti altri sparsi per il mondo.”

Dean sentì il cuore perdere un battito. Se non fosse stato costretto a viverlo sulla propria pelle per mesi, non le avrebbe mai creduto. “Un...” esitò, incapace di ripetere quella parola. Gli sembrava impossibile. “Com’è potuto succedere? Io non sono nato così…”

“La nostra vera natura si manifesta in età diverse per ognuno di noi. È imprevedibile, nessuno è mai riuscito a spiegarne la ragione.”

Dean avvertì la paura farsi strada dentro di sé. “Esiste un modo per tornare normali? Così da non dover più uccidere nessuno.” 

“No.” La donna scosse la testa, lasciandosi andare subito dopo a una risatina divertita. Probabilmente pensava che fosse un ingenuo. “La nostra esistenza dipende da questo, così come la nostra forza. E comunque noi siamo superiori agli esseri umani, siamo più resistenti, più veloci, più intelligenti. Inoltre, possiamo vivere molto più a lungo.” Spiegò come pervasa da una strana euforia. Si intuiva che ne andasse davvero fiera.

Invece di gioire per questo, di sentirsi fortunato, Dean ne rimase deluso. L’idea di dover continuare in quel modo per il resto della sua vita non lo allettava affatto. 

La donna sembrò leggergli nel pensiero. “Non preoccuparti. Col tempo imparerai a moderare i tuoi istinti e a controllare la fame. E poi non sei costretto a uccidere. Puoi nutrirti del sangue di un uomo anche senza togliergli la vita.”

“Dite sul serio?”

“Certo, anche se personalmente non ne vedo il motivo. Comunque, se proprio ci tieni, ti insegnerò come fare. Ma dovrai venire con me.” 

“Con voi? Dove?”

“In un posto in cui le tue capacità saranno apprezzate e valorizzate.” rispose. “Credimi, ti sentirai finalmente a casa e non dovrai più nasconderti.”

Tutt’a un tratto, la proposta della donna gli apparve come l’unica scelta possibile. Da tempo, infatti, aveva rinunciato all’idea di tornare da sua madre, per non rischiare di metterla in pericolo, dunque non aveva niente da perdere e nessuna vita avrebbe potuto essere peggiore di quella che conduceva attualmente.

“Allora? Cosa hai deciso?” lo incalzò la donna, dopo avergli lasciato qualche istante di riflessione. 

A quel punto, Dean non ci pensò oltre e si lasciò guidare dall’istinto. “Verrò.” acconsentì con voce ferma.

Lei sorrise compiaciuta. “Hai fatto la scelta giusta.” 

Girò i tacchi, dando per scontato che l’avrebbe seguita, ma Dean esitò. “Aspettate…”

La donna allora si voltò appena per sentire cosa avesse da dire.

“Non conosco ancora il vostro nome.” 

Lei sollevò un angolo della bocca in un sorriso quasi impercettibile, poi rispose: “Rosemary.”

 

“Ci siamo.” 

Dean li guidò verso una piccola costruzione in legno dall’aspetto fatiscente, al centro di una radura circondata dalla boscaglia. Vista da vicino sembrava sul punto di crollare sotto il peso dei rampicanti avvinghiati lungo le pareti e, varcata la soglia, apparve subito chiaro che l’interno non fosse messo meglio. C’era più polvere di quanta ne avessero mai vista e ragnatele in ogni angolo. Le radici degli alberi poi erano cresciute fin sotto il pavimento, rialzandolo in molti punti.

“Così questa è la famosa baita.” constatò Cedric, mentre si guardava intorno. “Accogliente…”

“Attenti al soffitto.” li avvertì Dean, che evidentemente sapeva già come muoversi. “Potrebbe cadere qualcosa.”

In effetti, del tetto rimaneva ben poco e quel poco minacciava di crollare sulle loro teste da un momento all’altro. 

Claire camminava al fianco di Cedric, cercando di mantenere un certo autocontrollo, anche quando intravide un animale simile a un grosso topo sgattaiolare nell’ombra. Istintivamente si strinse a lui, ma poi ricordò di essere ancora arrabbiata e si scansò. Cedric se ne accorse, ma non disse niente.

Nel frattempo, Dean era già arrivato davanti al grande camino sulla parete di fondo, anch’esso ridotto in pezzi come tutto il resto, eccetto una statuetta a forma di drago posta sopra la mensola. Era scolpita in avorio e dall’aspetto pregiato, decisamente fuori luogo lì dentro, oltre ad essere l’unico oggetto integro e non ricoperto di polvere. 

Il ragazzo rimase per un momento fermo a fissarla e tutti attesero la sua prossima mossa, finché non afferrò la statuetta, spingendo all’indietro la testa del drago, che ora sembrava sputare fuoco verso l’alto. 

Dopo qualche istante di silenzio in cui non accadde nulla, il pavimento iniziò a tremare e un rombo riecheggiò nella baita, facendo scricchiolare pericolosamente le travi di legno; poi la parete davanti a loro prese a scorrere lentamente da un lato. D’improvviso vennero investiti da un forte vento e da una luce abbagliante, che li costrinsero a indietreggiare e a coprirsi gli occhi. 

Mark strinse Rachel a sé, nel tentativo di riparare entrambi. “Ma che diavolo…” 

“Dobbiamo attraversarlo!” urlò Dean per sovrastare il rumore del vento.

“Sei impazzito?” gridò Claire di rimando.

Lui però stava già per oltrepassare il portale, il vento che gli sferzava con violenza i vestiti. “Non c’è altro modo! Andiamo!” Poi, senza aspettare che prendessero una decisione, scomparve, inghiottito dalla luce.

 

-o-

 

Era quasi l’alba ormai e di Dean neanche l’ombra. Con la schiena appoggiata al tronco di un albero, in disparte dai suoi accompagnatori, Mary continuava a fissare l’arco d’ingresso della vecchia torre diroccata che celava l’uscita del portale, in attesa del suo arrivo. Distava dal castello solo un breve tratto a piedi, dato che in origine veniva usata per gli avvistamenti, ma ormai era ridotta a un rudere. La parte superiore non esisteva più, mucchi di detriti erano sparpagliati ovunque e sembrava star su per miracolo, ma continuava a svolgere il suo compito. Da secoli, infatti, fungeva da collegamento con gli Stati Uniti, permettendo ai vampiri di spostarsi con facilità da un capo all’altro del mondo.

Mary sbuffò impaziente, spostando poi lo sguardo sulla ragazza, che Benedict aveva scaricato temporaneamente accanto a lei. Le rivolse una rapida occhiata dall’alto in basso e vide che dormiva ancora della grossa. Forse le aveva fatto inalare un sonnifero un po’ troppo forte, ma almeno se ne stava buona e non dava fastidio.

Mentre rifletteva su questo, un flebile bagliore dall’ingresso della torre attirò la sua attenzione. Di lì a poco la luce si fece più intensa e intuì che il portale si stava riaprendo. Giusto il tempo di darsi una sistemata a vestiti e capelli, che Dean lo oltrepassò e, dopo aver realizzato che era rimasta lì ad aspettarlo, si diresse verso di lei come una furia. 

“Cosa credevi di fare?” la accusò immediatamente. “Non avevi il diritto di intrometterti!”

Lei, però, non perse la calma. D’altronde aveva già previsto la sua reazione. “È sempre una gioia rivederti, caro.” ironizzò, regalandogli un candido sorriso a cui Dean non diede la minima importanza.

“Era la mia missione! Era compito mio!”

Il suo sguardo carico di risentimento la colpì, portandola a cambiare atteggiamento e a prenderlo un po’ più sul serio. “E quando avevi intenzione di portarla a termine? Se non fossi intervenuta, ti troveresti ancora in quella fattoria a giocare al contadino e poi te la saresti vista con Nickolaij. Credimi, ti ho risparmiato una bella seccatura.”

Dean fece per replicare, ma a quel punto anche gli altri umani uscirono dalla torre, frastornati e confusi nel trovarsi in tutt’altro luogo rispetto a quello in cui erano prima. 

Fu brava a nasconderlo, ma dovette ammettere che la cosa la sollevò. Non vedendoli arrivare con lui aveva pensato che non fosse riuscito a portarli con sé, e allora sì che ci sarebbe stato da preoccuparsi. Forse doveva smetterla di sottovalutare le sue capacità.

“Juls!” esclamò una delle due ragazze, fissando terrorizzata la biondina ancora svenuta ai suoi piedi. 

Sia lei che Dean la ignorarono, continuando a squadrarsi con aria di sfida, finché lui non sembrò riacquistare la calma. “Che le hai fatto?” le chiese quindi in tono piatto, indicando la ragazza con un cenno del mento. 

“Tranquillo, sta solo dormendo.” minimizzò Mary, sventolando una mano con noncuranza. “Sai che non farei mai niente per compromettere la missione.”

“Che ne facciamo di loro, Milady?” chiese Carlos, con il suo marcato accento latino.

Mary guardò subito Dean con aria serafica. “Chiedilo a lui. La missione è sua, dopotutto.”

Così il vampiro si rivolse a Dean, che sembrò rifletterci sopra, mentre studiava gli umani attentamente. 

Loro ricambiarono confusi, visto che stavano parlando in rumeno ed era evidente che non capissero una parola. 

“Prendeteli.” ordinò in tono distaccato, riassumendo la sua solita aria di sufficienza.

Fu solo quando i tre galoppini si avvicinarono con aria minacciosa che Cedric intuì cosa potesse aver detto. “Tu! Miserabile figlio di…” Fece per avventarglisi contro, ma prontamente venne afferrato da Carlos, che gli impedì di fare un altro passo. “Lo sapevo che non dovevamo fidarci di te, bastardo!” insistette furioso.

Nel frattempo, Mark si era parato coraggiosamente davanti alle ragazze per proteggerle da Benedict e Connor.

“Chi si rivede.” Sogghignò l’assassino dei Weaver, riconoscendo Claire. “Non preoccupatevi. Se fate i bravi non vi verrà fatto alcun male.” Dal tono sembrava più una minaccia che un tentativo di tranquillizzarli.

Mary sorrise, divertita da quell’affermazione. Come se avessero potuto fare qualcosa per opporsi. Al contrario degli altri, che sembravano aver afferrato il concetto, il ragazzo biondo continuava a fare resistenza, tanto che Carlos dovette bloccarlo a terra per farlo stare fermo. 

Dopo avergli rivolto un’occhiata di spregio, Dean gli si avvicinò, chinandosi per guardarlo negli occhi. “Adesso non fai più tanto lo spiritoso, vero?” lo provocò sogghignante. Detto questo, con un breve cenno della testa indicò a Carlos di tirarlo su e insieme agli altri di precedere lui e Mary verso il castello.

Le alte torri con i loro tetti a punta sbucavano da sopra le cime degli alberi, segno che il maniero era vicino. Mentre camminavano, Mary aumentò leggermente il passo per affiancarsi a Dean, il quale non sembrava molto propenso alle chiacchiere. “Andiamo, smettila di essere così serio.” sbuffò, fingendosi seccata. “Rischi di risultare noioso.” 

“Non dovevi metterti in mezzo.” ribatté lui categorico. 

“Questo l’hai già detto.” Alzò gli occhi al cielo. “Piuttosto, mi spieghi cosa è successo? Ormai eri arrivato, il portale distava solo pochi chilometri. Perché non ce li hai portati subito? Cosa stavi aspettando?”

“Il momento opportuno.” 

“Ossia?”

Dall’espressione di Dean, però, trapelò solo fastidio e capì che non aveva intenzione di risponderle. “Non è a te che devo spiegazioni, ma a Nickolaij. Ti sei intromessa fin troppo.” la liquidò.

Tuttavia, Mary non si lasciò impressionare. Sapeva che in fondo le era grato, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Un altro dei lati del suo carattere che la mandava in estasi. “Ho solo eseguito un ordine. Nickolaij mi ha chiesto di tenerti d’occhio...” mentì. In realtà, non era esattamente ciò che le aveva ordinato, ma quelli erano dettagli.

Dean però non abboccò all’amo. “Scommetto che ti aveva chiesto anche di accelerare i tempi.” insinuò sottilmente. 

“E va bene, è stata una mia iniziativa. Contento?” ammise in tono arrendevole. “Cosa vuoi fare? Rinfacciarmelo per il resto della vita? Perché sai che sarebbe alquanto impegnativo.”

Non ottenne risposta, ma avrebbe potuto giurare di averlo fatto sorridere.

Ormai erano praticamente sotto le mura del castello. Dovevano solo attraversare il ponte sopra il fossato e poi avrebbero raggiunto l’ingresso. La pesante grata di ferro che serrava l’accesso era sollevata, come sempre d’altronde, visto che da anni non si temeva nessun visitatore sgradito. Di guardia c’erano solo due sentinelle, che rimasero alquanto interdette nel vederli arrivare. 

Senza mezzi termini, Mary ordinò a uno di loro di annunciarli a Nickolaij, mentre si avviavano verso la sala del trono. 

Dopo aver attraversato il cortile interno, con al centro il vecchio pozzo ormai inutilizzato, e superato il porticato imponente, oltrepassarono il portone che faceva da ingresso alla fortezza vera e propria. Non fecero che pochi metri prima di ritrovarsene di fronte un altro, stavolta in legno massiccio con figure di draghi intagliati. Là attesero, finché la guardia non si affacciò dall’interno per avvertirli che potevano entrare. Si fece da parte per farli passare, poi uscì, richiudendosi il portone alle spalle e il silenzio scese sui presenti. 

Nessuno poteva evitare di sentirsi schiacciato dalla maestosità di quel luogo: una grande sala di rappresentanza, la cui unica fonte di luce naturale era costituita da un’enorme vetrata semicircolare sulla parete di fondo. Sui vetri erano rappresentate figure stilizzate di draghi sputafuoco, che attraversati dalla luce del sole proiettavano raggi di mille colori sul pavimento. Sulle pareti laterali, mezzi pilastri si alternavano a orridi gargoyle dallo sguardo famelico, mentre a terra dei candelabri illuminavano lo spazio, che altrimenti sarebbe rimasto immerso nel buio. 

Alla fine del lungo tappeto bordato d’oro che percorreva la stanza, c’era il trono posto su un rialzo. Qualcuno vi era seduto sopra, ma non se ne indovinavano le fattezze perché seminascoste dalla penombra. Mary e gli altri vampiri però sapevano bene di chi si trattava. Avvicinatisi di più, infatti, tutti chinarono il capo in segno di sottomissione.

Bine ati venit.” li salutò una voce profonda in rumeno. 

Malgrado avesse usato un tono posato, risuonò comunque duro, privo di calore e così penetrante da infondere una certa inquietudine. 

Fece una pausa e, in quel momento, Mary immaginò il suo sguardo concentrato che li studiava uno a uno. Anche se da quella distanza riusciva a vedere soltanto le sue mani appoggiate ai braccioli a forma di drago, sapeva che era così. 

Nessuno osò fiatare, mentre aspettavano che parlasse di nuovo. Infine, Nickolaij si alzò e scese lentamente i gradini che lo separavano da loro, finché non si trovò di fronte a Dean, ancora con la testa china. La luce dei candelabri rivelò finalmente i tratti squadrati del suo viso. 

“È un piacere riaverti tra noi.” lo accolse, continuando a parlare nella sua lingua madre. “Sarò lieto di conoscere i motivi all’origine del tuo ritardo.” Con ciò fece subito intendere che per ora non gli concedeva di parlare e si allontanò da lui per dare un rapido sguardo ai prigionieri. I suoi occhi gelidi e privi di emozione li passarono in rassegna, fino a soffermarsi su Claire in particolare. 

Mantenendo un profilo basso, Mary sbirciò alla sua destra e la vide così impaurita da non riuscire nemmeno a respirare. Non poteva biasimarla, la presenza di Nickolaij faceva quell’effetto perfino a lei che lo conosceva da anni. Mentre lo osservava esaminare la ragazza, vide un angolo della sua bocca incurvarsi in maniera quasi impercettibile, come fosse compiaciuto di trovarsela davanti.

Con un rapido gesto della mano, richiamò qualcuno finora rimasto in disparte e Dustin lo raggiunse a passo svelto.

Nickolaij si chinò leggermente per sussurrargli all’orecchio qualcosa che nessuno, a parte loro due, riuscì a captare. Poi, ricevuti gli ordini, il galoppino afferrò Claire per un braccio, con il chiaro intento di portarla via. 

Lei sussultò spaventata. “Che volete da me?” Provò a sfuggirgli, ma inutilmente, e alla fine Dustin la trascinò con sé quasi di peso. 

La reazione dei suoi compagni fu immediata e Mary li guardò dimenarsi, gridando il suo nome, ma ogni tentativo di andare a soccorrerla fu del tutto inutile.

Alla fine, bastò un’unica occhiata raggelante di Nickolaij perché i vampiri rafforzassero le loro prese sui prigionieri, anche se Carlos dovette sforzarsi un po’ di più per riuscire a domare i bollenti spiriti di Cedric. 

“Ah. Un momento.” Nickolaij sembrò ricordare qualcos’altro e richiamò Dustin prima che uscisse. “Tornando, avverti Byron che lo attendo qui.”

Mentre lui chinava leggermente il capo in segno di assenso, per poi lasciare la sala con la ragazza, Mary provò un moto di repulsione al solo sentir pronunciare quel nome. Senza farsi notare, roteò gli occhi, sperando di venire congedata prima dell’arrivo di quel druido da strapazzo.

“Quanto a loro, signori, sapete cosa fare.” disse poi Nickolaij a Benedict e gli altri, che obbedirono all’istante portando via gli umani ancora piuttosto agitati.

Una volta usciti tutti, Mary e Dean rimasero soli al suo cospetto. La tensione iniziava a farsi sentire, ora che era arrivato il momento delle spiegazioni. Nessuno dei due, però, si azzardò a proferire parola per primo, attendendo un segnale da parte sua che li invitasse a farlo. Segnale che non tardò ad arrivare.

“Dunque.” Esordì infatti di lì a poco. “Sono molto curioso di sentire cosa avete da raccontarmi.” Puntò su di loro il suo sguardo penetrante, che entrambi fecero fatica a sostenere. Ogni volta sembrava capace di leggere i loro pensieri più reconditi. 

Accanto a lei, Dean si inginocchiò con aria penitente, mostrando tutto il suo rammarico per l’accaduto. 

“Imploro il vostro perdono, mio Signore. Fin dall’inizio non è stato facile convincere gli umani a seguirmi e, anche dopo esserci riuscito, una serie di imprevisti mi ha costretto a cambiare più volte percorso e a compiere un giro più lungo.” spiegò frettolosamente. “Credevo di poter rientrare nei tempi, ma mi sbagliavo. È stata una mia mancanza.”

Intanto, Nickolaij era tornato a sedersi senza lasciar trapelare alcuna emozione, anzi, sarebbe stato difficile dire se fosse interessato o meno alle sue giustificazioni. “Avevo incaricato Rosemary di controllare che tutto procedesse come stabilito, per poi tornare a riferire.” Sorrise leggermente, posando lo sguardo su di lei. “Ma a quanto pare la mia parola è stata interpretata diversamente.” 

Mary alzò gli occhi e sorrise a sua volta, in verità alquanto sollevata. A quel punto, lo vide più rilassato e anche la tensione nell’aria si attenuò. Le faceva piacere vederlo soddisfatto e al momento lo era, sebbene non lo dimostrasse apertamente. Questo significava non averlo deluso. 

“Comunque, in futuro preferirei che vi atteneste alle mie disposizioni.” chiarì Nickolaij subito dopo. 

Entrambi annuirono, consapevoli che in caso contrario non sarebbe stato altrettanto comprensivo. Nello stesso momento, Dustin fece nuovamente ingresso nella sala, stavolta accompagnato da Byron. 

Seccata per non essere riuscita a evitare quell’incontro, Mary lanciò di sottecchi un’occhiata fulminante all’odiato rivale. I suoi modi tronfi e impertinenti non le erano mai andati a genio, tantomeno l’atteggiamento di superiorità con cui le si rivolgeva di solito, condito dal suo insopportabile attaccamento a Nickolaij, che da sempre lo considerava più di chiunque altro. 

“Ad ogni modo entrambi avete svolto i vostri compiti come richiesto, quindi siete liberi di andare.” li congedò il loro Signore. 

Dopo il consueto inchino di riverenza, per raggiungere l’uscita passarono inevitabilmente accanto al negromante, che la salutò con quel suo sorrisetto ipocrita che la mandava in bestia. “Oh, Milady. Bentornata.” Si finse sorpreso, ma Mary sapeva che in realtà non lo era affatto. Si divertiva solo a prenderla in giro, come sempre.

Solo la presenza di Nickolaij le strappò a fatica un grazie dalla bocca; poi si premurò di lasciare la sala prima che il suo impulso omicida prendesse il sopravvento. 

Una volta fuori e avvertendo il suo disappunto, Dean non mancò di scherzarci sopra. “Certe cose non cambiano mai, eh?”

“Lo detesto, è così viscido. Sempre appiccicato alle sottane di Nickolaij.” sibilò tra i denti, tesa come una corda di violino. “Cosa avranno di tanto segreto da dirsi…”

Dean sbuffò, parlandole sopra. “La tua gelosia rasenta la paranoia. Da quanto tempo va avanti questa storia? Un paio di secoli? Rischi di risultare noiosa.”

Mary colse l’allusione, ma non ribatté. D’altra parte non aveva tutti i torti. Non sopportava che Nickolaij preferisse quell’idiota a lei, come se fosse più degno della sua fiducia, e il tarlo della gelosia la stava facendo uscire di testa. 

Rimasero in silenzio per il resto del tragitto, ognuno in compagnia dei propri pensieri, finché non arrivarono ai piedi del grande scalone che portava ai piani superiori. Dean fece per salire, ma si fermò al richiamo di Mary. 

“Ti rivedrò più tardi in sala comune?” gli chiese, sperando in una sua risposta positiva. “Saranno tutti ansiosi di conoscere le tue gesta.” ironizzò.

Lui però non parve divertito dalla cosa. “Non so. Vedremo.”

Le fece piacere sentire che il tono delle sue risposte non era cambiato di una virgola. Indisponente come al solito. “È bello vedere che sei sempre lo stesso.” commentò, accennando un sorrisetto compiaciuto.

Dopodiché le loro strade si divisero e Mary scese le scale dalla parte opposta, diretta al suo laboratorio nei sotterranei. Nessuno tranne lei vi aveva accesso, ma dopo una lunga assenza preferiva sempre controllare che fosse tutto in ordine. Era una specie di mania. 

Non appena entrò, l’odore inconfondibile di erbe macinate le giunse alle narici. Diede una rapida occhiata generale e alla fine non trovò niente fuori posto. D’altra parte, chiunque al castello sapeva che se avesse spostato qualcosa, anche solo di un centimetro, lei se ne sarebbe accorta. Soddisfatta, ne approfittò per riporre alcune piante utili che aveva raccolto durante il viaggio e anche il rimanente della sua pozione soporifera. Prepararla richiedeva molto tempo e non era saggio sprecarne neanche una goccia. Aprì l’armadietto dove conservava le bottigliette, tutte catalogate secondo l’utilizzo, e la mise al suo posto. Mentre lo faceva, le tornò in mente il pensiero di quelle settimane passate nei boschi a spiare Dean e una piccola parte di lei aveva il timore che qualcosa in lui fosse cambiato, che stare tutto quel tempo a contatto con gli umani gli avesse fatto venire strane idee. Non riusciva a togliersi dalla testa il fatto che si trovasse a pochi metri dal portale e avesse comunque esitato. La spiegazione che lo aveva sentito dare a Nickolaij continuava a non convincerla del tutto. –Ma no… Perché avrebbe dovuto mentire?- si disse. Non avrebbe mai messo a rischio la sua vita per un gruppetto di umani insignificanti. Non era da lui, lo conosceva troppo bene. Così scacciò l’idea.

Una volta finito di sistemare, si assicurò che la porta fosse ben chiusa a chiave e si diresse ai suoi appartamenti, per darsi una rinfrescata e togliersi di dosso l’odore dei boschi. 

Decise poi di riposare qualche ora, giusto il tempo di recuperare le forze, e si buttò esausta sul letto con solo l’intimo addosso. Più tardi avrebbe scelto dei vestiti puliti e sarebbe scesa in sala comune. Non che morisse dalla voglia, ma sperava che alla fine Dean si sarebbe fatto vivo. Da quella sera del plenilunio non c’era stata più occasione di vedersi e lui le era mancato tanto. 

Era ormai pomeriggio inoltrato quando fece il suo ingresso nella sala gremita di gente. Più del solito, in effetti. Mary sapeva che non si trattava certo di un caso, perché era sempre così quando qualcuno tornava da una missione particolarmente delicata. 

C’era chi beveva, chi giocava a poker, fumava o semplicemente chiacchierava. Negli anni, infatti, i vampiri avevano acquisito molte delle abitudini tipiche degli umani, tanto per ammazzare il tempo tra un plenilunio e l’altro.

Non appena si accorsero che era entrata, il chiacchiericcio però si affievolì e lei captò le occhiatine di sottecchi che le venivano rivolte, ma non vi badò. Era abituata a incutere timore e non faceva mai nulla per nascondere il proprio compiacimento al riguardo. Con noncuranza si diresse direttamente al mobile bar per servirsi un whisky, mentre i presenti si spostavano per lasciarla passare. Le era sempre piaciuto il gusto dell’alcol ed essendo un vampiro poteva berne a volontà, senza che le facesse alcun effetto. Certo, la cosa aveva anche i suoi lati negativi, perché c’erano stati dei momenti nella sua vita in cui avrebbe preferito ubriacarsi e dimenticare. 

Le bastò una rapida occhiata in giro per capire che Dean non c’era e la cosa la indispose. Non fosse stato per lui, avrebbe volentieri evitato di mischiarsi a quel branco di idioti, ma ormai era là. Tanto valeva scolarsi un drink. Se lo versò in un bicchiere a cui aggiunse due cubetti di ghiaccio, e buttò giù il primo sorso, dando così agli altri il pretesto per ignorarla e tornare alle loro occupazioni. 

Tra i discorsi che sentì c’era soprattutto la notizia del ritorno di Dean. Erano eccitati per l’arrivo degli umani, visto che era da un po’ che non se ne vedevano nei dintorni di Bran. Quella zona ormai era interamente sotto il controllo dei vampiri. 

Un ragazzo stava confidando a un compagno la propria impazienza in vista della nuova cerimonia in programma, a cui non vedeva l’ora di partecipare. Finalmente qualcosa da fare dopo il periodo morto trascorso dall’attacco a Düsseldorf. 

Altro argomento di conversazione era il fatto che Nickolaij avesse ordinato di rinchiudere da sola una delle ragazze e capirne il motivo rappresentava la sfida del momento. 

Quella notizia riaccese per un istante l’interesse di Mary, che finora si era limitata a osservarli in disparte, cogliendo di tanto in tanto qualche parola mentre sorseggiava il suo whisky. Ben presto però si rese conto che erano solo speculazioni prive di fondamento, così tornò ad annoiarsi, nella vaga speranza di veder comparire Dean.  

Quando stava quasi per desistere e tornarsene in laboratorio, si accorse di un gruppetto di vampiri che si accalcava all’ingresso. A quanto pareva, finalmente Dean si era deciso a scendere. 

Si liberò in poco tempo della calca, dirigendosi poi verso di lei, o forse solo verso il mobile bar. Mentre si versava da bere, Mary non poté fare a meno di notare quanto fosse ancora più bello del solito ora che si era dato una ripulita. 

Ovviamente non fu l’unica ad accorgersene. Tutto intorno continuavano a rivolgergli saluti di bentornato e le donne lo squadravano da capo a piedi con occhiate languide e bramose, che si interruppero solo quando, con un eloquente cenno del capo, lei le invitò a girare a largo. 

“Oche giulive.” mormorò nauseata, scambiandosi un’occhiata con Dean, che scosse la testa annoiato, prima di mandare giù un altro sorso del suo drink. Anche se era perfettamente consapevole che ai suoi occhi non fossero altro che misere mosche, se paragonate a lei, tutte quelle attenzioni non potevano fare a meno di seccarla.

 “Allora è vero, sei di nuovo tra noi!” 

Da un tavolo in fondo alla sala un vampiro si alzò e venne verso di loro con le braccia spalancate. 

“Se fosse stata solo una diceria non l’avrei sopportato.” ironizzò con un sorriso finto stampato in faccia, mentre si versava da bere. 

“Alekseij!” esclamò Dean, ricambiando l’entusiasmo. “L’unica cosa che mi è davvero mancata in questi giorni è stato il suono soave della tua voce.”

I vampiri là intorno sghignazzarono divertiti. Tra i due non correva buon sangue, lo sapevano tutti. Perfino Mary, che di solito non era interessata alle stupide rivalità all’interno della Congrega, conosceva i modi detestabili di quel gradasso. Era sempre pronto ad attaccare briga con Dean, chiaramente invidioso di ogni successo che riusciva a ottenere. 

Alekseij colse la provocazione, ma era abituato alle sue frecciate e non perse la calma. “Vedo che il contatto ravvicinato con gli umani non ha leso il tuo sarcasmo.”

Dean lo fissò un istante, poi sogghignò. “Quindi sono queste le voci che girano sul mio conto?” 

“C’è chi la pensa così, chi no…” rispose lui, facendo spallucce. “Qual è la tua versione?”

L’attenzione generale si focalizzò su Dean, che parve rifletterci sopra, mentre faceva roteare il bicchiere con il liquore rimanente; poi prese una bottiglia e se ne versò dell’altro, abbandonandosi a un sospiro. “La verità è che…” 

Mary lo osservava attentamente, divertita dal vederlo giocare a tenerli sulle spine. Chissà cosa si aspettavano di sentire. 

“L’unico pregio degli umani è che hanno un ottimo sapore.” rivelò infine, mandando giù un altro sorso e non mancando di deludere l’intera sala. 

Era chiaro come il sole che quella risposta fosse solo un espediente per interrompere la conversazione, ma qualcuno pensò bene di insistere.

“Come hai fatto a trattenerti?” chiese una vampira di nome Lucy. “Non avevi voglia del loro sangue durante il plenilunio?”

“Ammetto che non è stato facile. Perfino per me. A un certo punto, sono quasi andato vicino ad assaggiare una delle ragazze…”

“E poi?” chiese Alekseij impaziente, vedendolo esitare.

“Sono riuscito a evitarlo.” Dean scambiò con Mary uno sguardo complice. “Con un piccolo aiuto.”

Compiaciuta, lei sollevò leggermente il bicchiere, lasciando intendere un implicito non c’è di che.

“D’altronde…” riprese. “Gli ordini di Nickolaij erano chiari. Voleva che arrivassero tutti integri.” 

Il chiacchiericcio si levò di nuovo dopo quell’affermazione. La domanda che tutti si ponevano era perché Nickolaij tenesse tanto alla vita di cinque umani qualunque e cosa intendesse fare di loro. 

“E non è abbastanza chiaro? Vuole divertirsi un po’.” rispose Alekseij, come se qualcuno gliel’avesse chiesto direttamente. Lui e Isaac, il suo compare di sempre, ghignarono divertiti. 

“Sì, ma perché tenere in isolamento una delle ragazze?” chiese Carlos, semisdraiato su una sedia con i piedi sul tavolo, intento a godersi un meritato riposo.

Accanto, Benedict gli rivolse un’occhiata ammiccante, pungolandogli il fianco con il gomito. “Quella vuole tenersela tutta per sé, te lo dico io.”

Carlos rise a sua volta. “Allora sarà meglio sbrigarsi quando verrà il momento, prima che Nickolaij si prenda anche le altre e ci lasci solo gli avanzi.” osservò sarcastico, senza preoccuparsi della presenza di Mary e sollevando l’ilarità generale.

“Già.” approvò Connor esaltato dall’idea del pasto imminente. “Mi piacerebbe mettere le mani sulla biondina. È davvero un bocconcino niente male.” Detto questo, incontrò lo sguardo di Dean, con cui non aveva più avuto modo di parlare dallo scontro avuto alla fattoria. “A proposito, spero che tu non ce l’abbia con me per l’altra sera. Niente di personale…” 

Lo disse con finto rammarico. Di certo non era davvero dispiaciuto e Mary era sicura che Dean lo sapesse. 

“Come se non fosse mai successo.” rispose infatti calmissimo, concedendogli poi quello che si poteva definire un sorriso di cortesia.

A quel punto, Mary avvertì una certa tensione fra i due, ma si trattò di un momento. Poi l’interesse degli altri per la conversazione iniziò a scemare e tutti preferirono tornare a farsi i fatti propri, finché la porta d’ingresso non si spalancò di colpo, attirando l’attenzione dell’intera sala. 

“Ascoltate tutti!” esordì il vampiro appena entrato. “Nickolaij ci vuole immediatamente nella sala delle cerimonie. Ha un annuncio importante da fare.”

 

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Capitolo 22
*** Legami col passato ***


 

Capitolo 24

 

Legami col passato

 

L’ultimo a entrare nella cella fu Cedric, spinto in malo modo da Carlos, visibilmente stufo di sentirlo protestare.

Dopo aver lasciato la sala, i loro aguzzini li avevano costretti a scendere parecchie rampe di scale fino al sotterraneo, dove si trovavano le celle per i prigionieri. Lì si respirava aria stantia, l’umidità penetrava nelle ossa e la pochissima luce proveniva dalle torce appese ai muri lungo il corridoio. Una volta che tutti furono dentro, la grata venne chiusa a chiave e i vampiri se ne andarono senza nemmeno degnarli di uno sguardo.

Il fatto che non gli mostrassero la minima attenzione non bastò a calmare i bollenti spiriti di Cedric, che continuò a chiedere di Claire, nonostante ormai gli avessero già voltato le spalle da un pezzo.

In un altro contesto Rachel lo avrebbe ritenuto un ingenuo, ma ora come ora lo capiva. Anche lei era in ansia per l’amica e pregava con tutte le sue forze che stesse bene. Assistere impotente mentre veniva trascinata via era una scena di cui tuttora stentava a sopportare il ricordo. Tra l’altro, non erano riusciti a capire nulla della conversazione tra Dean e gli altri vampiri, se non che lui li aveva ingannati e che li stava consegnando senza alcuno scrupolo. 

Agitata come non mai, iniziò a fare avanti e indietro in quello spazio ristretto, il cervello che rimuginava sugli ultimi avvenimenti alla velocità di un flipper impazzito. Trovava tuttora inconcepibile pensare che quella che era iniziata come una vacanza si fosse poi trasformata in quell’inferno. Come se non bastasse, Juliet non si era ancora svegliata e questo contribuiva a metterle angoscia. Chissà cosa le avevano dato per farla dormire così tanto.

Mark venne verso di lei e le prese la mano, che teneva stretta attorno alla catena del suo ciondolo con la pietra rossa. Era talmente nervosa da non accorgersi che stava per ferirsi le dita. Quando entrambi si guardarono negli occhi, Rachel non riuscì più a trattenersi e si tuffò sul suo petto, scoppiando in lacrime. Era la prima volta in vita sua che non sapeva davvero come uscirne. 

“Mi sembra di vivere in un incubo…” si sfogò tra i singhiozzi. “Tra vampiri, portali magici e castelli inquietanti non riesco più a distinguere cosa è reale da cosa non lo è. Non lo sopporto…” 

Mark la abbracciò, cercando per quanto poteva di offrirle calore e sicurezza. “Lo so, ti capisco. Fino a due ore fa pensavo di vivere in un mondo normale e invece guardaci adesso, rinchiusi in un posto da brividi.” Esitò. “Però, c’è un lato positivo…”

Per quanto si sforzasse, Rachel non riusciva proprio a trovare niente di positivo in quella storia. “E quale sarebbe?”

“Almeno siamo insieme.”

Lei alzò lo sguardo e gli sorrise debolmente, grata che fosse lì. Se li avessero separati, difficilmente sarebbe riuscita a sopportare tutta quella situazione. Una lacrima le solcò la guancia e Mark la asciugò con il pollice, sorridendole a sua volta. Di lì a poco, il frastuono del calcio che Cedric rifilò alle sbarre li fece sobbalzare. 

“Maledizione!” imprecò fuori di sé. 

Mark sospirò spazientito, distogliendo lo sguardo da Rachel. “Ced! A questo punto mi sembra chiaro che non serve a niente.”

“Meglio che stare fermi ad aspettare che ci servano per cena.” 

“E cosa proponi di fare? Prendere a testate la grata finché non si apre?” ribatté Mark, cogliendo la sottile nota polemica. “Non c’è modo di uscire da qui. Mettitelo in testa.”

In risposta, l’amico gli lanciò un’occhiata risentita. “Se solo mi aiutassi…”

“Hai ragione, scusa. In due avremmo sicuramente più probabilità.”

“Piantatela!” li interruppe Rachel. L’ultima cosa di cui avevano bisogno in quel momento era litigare fra loro. “Senti, capisco che tu sia preoccupato per Claire. Lo siamo tutti, ma non l’aiuterai in questo modo.” disse poi a Cedric.

“Perché? Cosa le è successo?” 

Una voce preoccupata alle loro spalle li fece voltare. Juliet li stava scrutando uno a uno con l’aria spaesata di chi non sa nemmeno dove si trova. Evidentemente il loro discutere a voce alta l’aveva svegliata. “Dove siamo?” 

In due passi Rachel le si avvicinò, chinandosi su di lei per abbracciarla. “Come ti senti? Avevo paura che non ti riprendessi…”

L’amica ricambiò l’abbraccio, anche se con poca energia. “Sento la testa che mi scoppia. Si può sapere dove siamo?”

“Questa è la domanda del secolo.” commentò Cedric acido. “Ne avessimo una vaga idea…”

Mark ci rifletté sopra un momento. “Da quel poco che ho sentito, sembravano parlare una specie di russo, ma non ne sono così sicuro.”

Rachel annuì, mentre nella sua mente riaffioravano i ricordi delle sue letture. “Sì, oppure poteva essere rumeno. Trattandosi di vampiri...”

“Vampiri?” ripeté Juliet, sgranando gli occhi. 

Nonostante la voglia di ripercorrere gli ultimi eventi fosse pari a zero, Rachel sapeva che l’amica dovesse esserne informata, ma prima sentì il bisogno di chiarire l’equivoco che c’era stato tra loro. Quando le spiegò che fin dall’inizio si era sempre trattato di Mark, la vide talmente sollevata che lì per lì le mancò il coraggio di dirle della triste fine dei Weaver. Come se non bastasse, dovette anche raccontarle della rivelazione di Dean nel fienile e tutto ciò che ne era conseguito. 

Di fronte alla sua espressione incredula, Cedric annuì nervosamente. “Lo so. Sembra assurdo, ma è la verità.”

A quel punto, calò il silenzio e lei abbassò lo sguardo, cercando di elaborare tutta la storia. “E lui dov’è?” La domanda le sorse spontanea, per quanto si rendesse conto che in quel momento non fosse importante. In qualche modo immaginava la risposta e ne aveva paura, ma doveva sapere.

“All’inferno, spero.” replicò Cedric secco.

Rachel le spiegò che Dean aveva mentito fin dall’inizio e che il viaggio era stato solo un pretesto per attirarli in quel castello. Poi raccontò cosa era successo alla torre e di come fosse rimasto a guardare mentre li catturavano e a Juliet tornò in mente il sogno fatto settimane prima. Anche lì era rimasto impassibile di fronte a quell’esercito di mani che la sommergeva e il paragone le risultò inevitabile. 

“Ci ha raccontato solo balle. Il suo piano è sempre stato di portarci qui e venderci tutti.” ribadì Cedric, rimarcando il concetto.

Sul volto di Juliet si dipinse un’evidente delusione. Certo, aveva capito subito che Dean non fosse un tipo facile con cui entrare in sintonia, ma niente l’aveva mai fatta dubitare della sua buona fede. Dopo tutto quello che avevano passato e le innumerevoli volte in cui l’aveva aiutata, pensava che ormai fossero almeno diventati amici…

Di colpo, invece, la realtà dei fatti le piombò addosso come un macigno e si sentì una perfetta idiota. Solo ora iniziava a rendersi conto di essersi lasciata ingannare dai suoi sentimenti e che da quando l’aveva conosciuto la sua vita era stata stravolta. 

“È tutta colpa mia.” mormorò in tono amaro. “Non saremmo mai dovuti andare a quel ballo. Questo perché mi lascio sempre trasportare dalle situazioni e non penso mai alle conseguenze…” Un singhiozzo improvviso la interruppe, mentre sentiva gli occhi riempirsi di lacrime. La cosa peggiore era che, nonostante tutto, ciò che provava per lui era rimasto immutato. L’aveva delusa, più di quanto nessuno avesse mai fatto, eppure non riusciva a odiarlo.

A quel punto, Cedric la fermò prima che potesse aggiungere altro. “Non potevi sapere come sarebbe andata a finire. Se c’è qualcuno a cui dare la colpa di tutto questo casino è quel bastardo. Perciò piantala di piangerti addosso, tu non c’entri niente.” 

Il tono che usò non era esattamente cordiale, ma capì che non ce l’aveva con lei e non se la prese.

Rachel sospirò affranta. “Non credo a quello che sto per dire, ma ha ragione lui. Non dovevamo fidarci e basta. Siamo stati ingenui.”

“Avevi ragione.” ammise Juliet, asciugandosi le lacrime. “Avremmo dovuto darti retta quando ci assillavi con la storia della setta.”

“Lo so. Come sempre.” ribatté l’amica con aria altezzosa. 

Entrambe si sorrisero, felici di aver ritrovato la sintonia di un tempo. Riflettendo, Juliet capì allora che fosse arrivato il momento di scusarsi. “Mi dispiace per quello che ho detto.” confessò, riferendosi alla sua scenata di gelosia. “Non lo pensavo veramente…”

Rachel le prese la mano per rassicurarla, stringendola saldamente nella sua. “Tranquilla.” 

Dopo essersi finalmente chiarite, si sedettero l’una accanto all’altra, aspettando insieme ai ragazzi di capire quale sarebbe stata la loro sorte. Talvolta il silenzio veniva interrotto dal brontolio di qualche stomaco e in cuor loro rimpiangevano i pranzi succulenti della signora Weaver. Solo il ricordo di lei e della sua gentilezza bastavano però ad accrescere la malinconia, così si sforzavano di non pensarci.

Dopo un po’, un rumore di passi attirò la loro attenzione e un vampiro dal giubbotto di pelle e i capelli mezzi verdi si avvicinò alla grata, facendo passare un vassoio dalla piccola fessura in basso. Non poteva definirsi un pasto abbondante, per lo più si trattava di ciotole di zuppa e fette di pane stantio, ma in quel momento avrebbero mangiato qualunque cosa pur di riempire lo stomaco. Senza aspettare oltre, infatti, si avventarono famelici sul cibo.

“Affamati eh?” Il vampiro sogghignò, mettendo in bella mostra il piercing sul labbro e beccandosi un’occhiata in cagnesco da Cedric. 

Continuando a sghignazzare, fece per andarsene, ma lui si alzò di scatto per raggiungere la grata. “Dov’è Claire? Che le avete fatto?” urlò fuori di sé.

L’unica risposta che ricevette fu un'altra risata dell’aguzzino, che stava già tornando sui suoi passi. “Venite, Nickolaij ci ha convocati tutti di sopra.” lo sentirono dire a quelli di guardia all’entrata del sotterraneo.

“E i prigionieri?” 

“Dove vuoi che vadano? Forza, andiamo. Lui odia aspettare.”

 

-o-

 

La sala del trono era gremita, ormai mancavano in pochi all’appello, e tutti erano in attesa dell’arrivo di Nickolaij. Nessuno conosceva il motivo di quella convocazione e tutti si chiedevano quale fosse, visto che non capitava spesso di vedere l’intero castello riunito al di fuori della consueta cerimonia del plenilunio. 

Quando Mary fece il suo ingresso, accompagnata da Dean, molti dei vampiri la salutarono chinando il capo in segno di rispetto, ma ricevette anche qualche occhiata indagatrice. Forse si aspettavano che sapesse qualcosa e lei si assicurò di confermare quell’impressione. 

Mescolata nella folla, si guardò intorno e vide parecchie facce conosciute che non aveva avuto occasione di incontrare da tempo. Erano tutti veterani a cui Nickolaij affidava gli incarichi più delicati e che per questo si sentivano autorizzati a saltar fuori solo quando faceva loro comodo. 

Ipocriti- pensò, storcendo il naso.

Davanti a sé vide poi Byron, già posizionato accanto al trono come una specie di fidato animale domestico. 

“Guardalo com’è borioso. Crede di essere la persona più importante qui dentro.” commentò stizzita.

Dean alzò gli occhi al cielo con aria annoiata. “Ritieni che debba esserci tu al suo posto?”

“Non pretendo di esserci io, ma mi secca che ci stia lui…”

Avrebbe voluto continuare a sparare cattiverie sul suo rivale, ma l’arrivo di Nickolaij pose fine alla conversazione. Non appena lui e Dustin entrarono, l’intera sala si ammutolì e tutti i presenti chinarono il capo, mentre il loro Signore prendeva posto davanti al trono. 

“Fratelli.” Li apostrofò in tono solenne, invitandoli così ad alzare lo sguardo su di lui.

Mary constatò con sollievo che aveva un’aria più rilassata rispetto a quando erano arrivati quella mattina e ne ebbe la conferma quando ricominciò a parlare. Nella sua voce calma e concentrata non c’era traccia di nervosismo.

“Quest’anno ricorre il cinquecento ottantesimo anniversario della nascita di Vlad Dracul III, il più grande esponente della nostra razza e mio illustre antenato.” annunciò con fierezza. 

Dalla folla si levò subito un’ovazione. Vlad III, detto l’Impalatore, era stato uno dei primi vampiri della storia, erede diretto della stirpe dei Basarabidi, coloro che avevano manifestato e diffuso il gene, dando così inizio alla loro specie. Nickolaij era l’ultimo dei suoi discendenti e questo gli conferiva di diritto la guida della Congrega, poiché poteva vantare un sangue completamente puro da generazioni. In realtà, documentandosi sulla storia della sua famiglia, Mary aveva scoperto da tempo che apparteneva a un ramo cadetto dei principi di Valacchia e che per ottenere il trono aveva dovuto prenderlo con la forza dopo anni di lotte, ma nonostante ciò pochissimi fino ad allora avevano osato mettere in discussione la sua legittimità e in ogni caso la loro sorte non era stata delle più felici. 

Con un cenno della mano, Nickolaij ripristinò il silenzio. “Per celebrare degnamente questa ricorrenza, ho deciso di anticipare di qualche giorno la consueta cerimonia, durante la quale nessuno porrà freni alla vostra sete di sangue.”

Quell’annuncio suscitò una nuova ondata di entusiasmo nei vampiri, perché di solito non veniva concesso loro di uccidere gli umani di cui si nutrivano. Nickolaij ordinava ad alcuni particolarmente addestrati di controllare gli altri, in modo che consumassero solo la quantità di sangue sufficiente per sopravvivere fino al plenilunio successivo. La vittima poi veniva trasformata anch’essa in vampiro, così che ogni mese la Congrega contasse un numero di proseliti sempre maggiore. 

Negli ultimi tempi erano rare le occasioni di un buffet aperto, segno evidente dell’importanza che quella ricorrenza rivestiva per il loro signore. 

“Inoltre…”

Nickolaij fece una pausa, durante la quale ogni singolo vampiro presente in sala pendette dalle sue labbra. 

“In tale occasione avrò il piacere di presentarvi colei che diventerà la mia sposa.” rivelò infine. 

A quel punto, il silenzio tombale cedette definitivamente il posto a un mormorio sempre più concitato. 

Sconcertata da ciò che aveva appena sentito, Mary rimase impalata a fissarlo. Tutto si sarebbe aspettata fuorché avesse trovato una compagna realmente degna di lui, dopo aver trascorso secoli a cercarla.

Non che con il termine sposa intendesse davvero che l’avrebbe sposata. Tra i vampiri non esisteva il matrimonio in senso convenzionale, piuttosto una sorta di rituale in cui si ufficializzava l’unione attraverso un patto di sangue. Una tradizione antica di secoli e niente aveva più valore per Nickolaij delle tradizioni. Ma perché proprio ora? E con chi poi?

All’improvviso, la mente la riportò alla ragazzina rinchiusa nella torre e un terribile presentimento la colse. Che si trattasse di lei? No, non era concepibile. Tra tutte le donne che aveva avuto e quelle che avrebbe potuto avere non c’era motivo di scegliere un’umana insignificante. Tuttavia, per ora quella sembrava l’unica spiegazione plausibile al fatto che avesse deciso di separarla dagli altri. Se fosse stato davvero così, Nickolaij doveva sicuramente avere un piano, perché non poteva essere impazzito tutto d’un colpo.

Cercò lo sguardo di Dean e lui ricambiò altrettanto perplesso, mentre intorno a loro l’intera sala era in subbuglio, visto che nessuno si sarebbe mai aspettato una rivelazione del genere. 

Dall’alto del trono, Dustin ripristinò l’ordine nella sala, permettendo a Nickolaij di continuare. “Sono consapevole dei cambiamenti che questa mia decisione potrà comportare per la Congrega, ma non datevi pena. Vi posso assicurare che essa ha il solo obiettivo di rafforzarla. Tutti voi sapete che da sempre ho a cuore soltanto il vostro interesse.”

Dopo una simile dichiarazione, il mormorio non poté che acquietarsi e anche i più scettici parvero ricredersi. Alla maggior parte dei vampiri, infatti, l’idea del nuovo non andava per niente a genio, ma Mary sapeva bene quanto Nickolaij fosse abile nel portare le persone dalla propria parte. 

“La cerimonia si svolgerà tra una settimana a partire da oggi.” li informò per concludere.

Detto questo lasciò la sala seguito da Byron e Dustin, mentre tutti chinavano il capo in segno di saluto. 

Dopo che se ne fu andato, il silenzio non durò a lungo. Molti dei vampiri, infatti, presero a discutere animatamente, scambiandosi opinioni, ma c’era anche chi si stava già avviando verso l’uscita.

Ovviamente Dean era tra questi, perché nel momento in cui Mary si voltò per parlargli non c’era già più. Poi lo vide poco lontano e si affrettò a raggiungerlo, con una voglia matta di sapere cosa ne pensasse di tutta quella storia. 

“Ti prego, dimmi che la cosa non ha sconvolto solo me.” disse quando furono vicini. “Ha intenzione di sposarsi! Quando l’ha detto non potevo crederci.”

Lui non si pronunciò, troppo impegnato a farsi largo tra la folla.

“Spero tanto di sbagliarmi, ma secondo me si tratta dell’umana che tiene in isolamento. Questo spiegherebbe perché era tanto ansioso del tuo ritorno.” continuò Mary imperterrita, ormai abituata ai suoi silenzi. Non era certo il suo essere loquace ad attrarla, ma ben altre qualità.

“Forse.” 

Com’era prevedibile, Dean sembrò dimostrare scarso interesse per la questione. Lei però non era dello stesso avviso. Voleva saperne di più e l’unico modo era chiederlo direttamente a Nickolaij. “È assurdo. Come può aver preso una decisione del genere? Mescolare il proprio sangue con quello di un’umana…” Storse la bocca in una smorfia di disgusto. La sola idea la ripugnava. 

“E se anche fosse?” ribatté Dean esasperato. “Non sta certo a te decidere con chi debba accoppiarsi.”

Purtroppo aveva ragione. Anche se detestava ammetterlo, lei non aveva nessun potere sulle decisioni di Nickolaij. Ciò non toglieva che avrebbe potuto parlagli lo stesso, nella speranza di ricavare qualche informazione in più. Dopotutto, godeva di una certa confidenza con lui. 

“Le nostre vite non cambieranno solo perché ha deciso di sposarsi. Perciò fattene una ragione e vai avanti.” Con questo Dean pose fine alla discussione e se ne andò scocciato, lasciandola fuori dalla sala, immersa nei suoi pensieri. 

Vai avanti” aveva detto, e lei lo avrebbe anche fatto, ma non prima di averci visto chiaro. Decisa sul da farsi, tornò indietro e prese le scale che portavano alla torre. 

Non era passato molto tempo da quando Nickolaij se n’era andato, quindi riuscì a intercettarlo sul corridoio prima che arrivasse nelle sue stanze. Con lui c’erano ancora Byron e Dustin, che furono un po’ sorpresi nel vederla arrivare. 

Mary non lasciò trapelare nulla dalla sua espressione e si diresse a passo svelto verso di loro, già preparata su cosa doveva dire. “Mi spiace disturbarvi mio Signore, ma c’è una questione importante di cui vi vorrei parlare.” disse d’un fiato, concentrandosi poi sullo sguardo di Nickolaij e ignorando quei due che la fissavano con aria indagatrice.

Dopo averla studiata per qualche istante, Nickolaij congedò i suoi accompagnatori e la invitò a seguirlo nel suo studio. Una volta entrati, si appoggiò contro la scrivania a braccia incrociate, in attesa delle sue domande. 

Ora che erano faccia a faccia, però, Mary si vide costretta a sostenere quello sguardo e d’un tratto tutta la sua sicurezza venne meno. Era incredibile constatare quanto a distanza di anni si sentisse ancora in soggezione davanti a lui, nonostante l’avesse salvata, nonostante le avesse fatto da padre quando non aveva più nessuno. -Forse sono stata troppo avventata…-

“Dunque, mia cara?” la incalzò, vedendola esitante.

Fu allora che Mary si decise. “Mio Signore, avrei delle domande da farvi in merito all’annuncio di stasera.” iniziò cauta. “Ho un dubbio che mi assilla.”

Nickolaij sogghignò divertito, come se già sapesse cosa stava per chiedergli. “Di che genere?”

“So bene che non dovrei interessarmene, ma non ho potuto fare a meno di pensare alla ragazza umana tenuta in isolamento. Mi chiedevo se per caso vi steste riferendo a lei...” Il suo cervello si rifiutava di menzionare la faccenda del matrimonio e sperò che da un momento all’altro Nickolaij le confermasse che si stava sbagliando.

Lui invece non disse niente, troppo impegnato a contemplare i boccioli delle rose rosse sulla scrivania, che risplendevano illuminati dai raggi di luna.

Da sempre, Mary trovava strana quella sua ossessione per le rose, quasi inquietante, ma col tempo ci aveva fatto l’abitudine. 

“Mia cara Rosemary…” sospirò quindi in tono rassegnato. “Sei sempre stata una ragazza sveglia, l’ho intuito dal primo istante in cui ti ho visto.”

Mary la interpretò come una risposta affermativa ai suoi timori e a quel punto lasciò che le parole andassero a briglia sciolta. “Mi preoccupo dei danni che questa decisione potrebbe arrecare al vostro prestigio. È solo un’umana, assolutamente indegna di voi…” 

“Ti sono molto grato per le tue premure, ma ti assicuro che non sono affatto necessarie.” la interruppe lapidario. “Tu più di tutti dovresti sapere che non prendo mai decisioni alla leggera.”  

Quel discorso avrebbe dovuto rassicurarla, eppure non fu così. Per quanto ormai fosse chiaro che dovesse arrendersi all’evidenza, c’era ancora una domanda senza risposta. Quell’umana aveva qualcosa di diverso dagli altri, qualcosa capace di attrarre l’attenzione di Nickolaij, e l’ossessione di sapere cosa fosse la stava tormentando. A quel punto, la curiosità prese definitivamente il sopravvento sulla prudenza. “Dunque, perché proprio lei? Dev’esserci un motivo se è così importante.” 

Lui allora sollevò la mano, impedendole di continuare. “Basta così.” ordinò con un tono che non ammetteva repliche. Il gelo s’impadronì del suo volto, come ogni volta che qualcuno usciva fuori dagli schemi consentiti, ma durò solo qualche istante. Avvertita la tensione che si era creata tra loro, tornò più cordiale. “Piuttosto, non abbiamo ancora avuto modo di parlare della tua avventura negli States. Raccontami.”

Pur aspettandosi presto o tardi un’uscita del genere, per un istante Mary rimase interdetta. Che fosse più che altro un pretesto per eludere le sue domande era chiaro, tuttavia non si considerava temeraria al punto da insistere. 

“Sin dal vostro ritorno non faccio che domandarmi per quale ragione tu sia rimasta lì tanto a lungo, invece di tornare come ti avevo chiesto.” osservò Nickolaij, senza lasciarle il tempo di rispondere. “Qualcosa ti ha fatto pensare che la missione potesse in qualche modo essere compromessa?”

Più che una domanda era un’insinuazione e Mary non faticò a capirlo. “Sappiamo com’è fatto Dean.” replicò allora, provando a restare sul vago. “Avevo solo il timore che la sua nota indulgenza nei confronti degli umani avrebbe potuto essergli di ostacolo.” ammise, consapevole che dire la verità fosse una scelta di gran lunga più furba che tentare di accampare scuse poco credibili. Se avesse mentito, Nickolaij se ne sarebbe accorto nel giro di un battito di ciglia.

“L’ho scelto proprio per questo. La sua notevole capacità di autocontrollo, nonché il suo non totale disprezzo per la razza umana hanno contribuito a renderlo il più adatto all’incarico.”

Mary annuì convinta. “Su questo non ho mai avuto dubbi, ma ho pensato che rimanendo nelle vicinanze…”

“Mia cara Rosemary.” la interruppe dopo un lungo sospiro paziente. “Sei sempre stata troppo protettiva nei suoi riguardi, te lo ripeto da anni. Non è più il bambino che incontrasti in quel vicolo, se commette degli errori dovrà affrontarne le conseguenze.”

Quell’ultima frase apparentemente innocua la mise in allerta. Che voleva dire con errori? “Ma la missione è andata a buon fine, non è vero?” domandò, sforzandosi di mascherare il nervosismo. “L’importante è che abbiate ottenuto ciò che volevate.”

Ormai Nickolaij le dava le spalle, ma questo non gli impedì di captare la più trascurabile anomalia nel tono di voce che potesse tradire il suo stato d’animo. “Sì, dopotutto Dean ha portato a termine il suo compito e posso ritenermi soddisfatto. Sarebbe davvero un peccato se…”

Sul finale emise un mormorio quasi impercettibile, ma che nel silenzio della stanza a Mary non sfuggì. “Mio Signore?” Quel se non prometteva nulla di buono e in cuor suo sperava di esserselo immaginato. 

A quel punto, lui si riscosse, voltandosi nuovamente a guardarla. “Nulla. Ragionavo a voce alta.” glissò con aria distratta. “Puoi andare, ora.”

Più che un congedo lo fece suonare come un invito, anche se Mary lo lesse chiaramente come un ordine e, recepito il messaggio di non occuparsi di questioni che non la riguardavano, chinò la testa deferente, girò i tacchi e uscì.

 

-o-

 

Claire se ne stava raggomitolata in un angolo della cella in cui era rinchiusa da chissà quanti giorni. Non avrebbe saputo dirlo. All’inizio aveva provato a regolarsi in base all’alternanza della luce e del buio dalla finestrella in alto, ma poi aveva ceduto al sonno e smesso di farci caso. A volte le capitava di addormentarsi di giorno e risvegliarsi che era ancora giorno, senza avere idea di quanto tempo fosse passato. La solitudine e l’incertezza sulla sorte degli amici poi non facevano che peggiorare le cose. 

Da quando si trovava lì dentro, era stata tenuta completamente all’oscuro di tutto, nonostante avesse più volte urlato a squarciagola, chiedendo cosa avessero fatto degli altri. 

L’unico lato positivo era di non essere più assillata dagli incubi. Almeno riusciva a chiudere occhio di tanto in tanto, anche se addormentarsi rappresentava più una fuga momentanea dalla realtà che un sollievo. 

Del resto, chiunque sarebbe volentieri fuggito da quel luogo. Le pareti erano sempre umide e, nonostante la stagione, di notte faceva molto freddo. A un certo punto le avevano portato una coperta, che in principio si era rifiutata di usare per orgoglio; poi però era stata costretta a cedere per non rischiare il congelamento. 

Il letto consisteva in un cantuccio ricavato da un cumulo di paglia ed era costretta a fare i suoi bisogni in un vaso da notte. Due volte al giorno una guardia veniva a portarle i pasti, ovviamente guardandosi bene dal fornirle qualsiasi informazione sui suoi amici. Si limitava a lasciar scivolare all’interno un vassoio carico di cibo, mai sempre uguale; poi se ne andava così come era venuta. Comunque, malgrado l’abbondanza dei pasti offerti, si limitava a sbocconcellare qualcosa senza goderne veramente, troppo in ansia anche solo per soffrire la fame. E poi le era venuto il sospetto che intendessero metterla all’ingrasso, per renderla più appetibile. Una cosa stile Hänsel e Gretel.

L’unica cosa che voleva era uscire da lì, rivedere le sue amiche. Rivedere Cedric. Si era pentita quasi subito di non aver chiarito con lui quando ne aveva avuto l’occasione e adesso non poteva che incolpare se stessa per essere stata una codarda. Lo aveva illuso e poi si era tirata indietro, e a ripensarci ora la sua rabbia era stata più che comprensibile. 

Se solo avesse potuto prevedere una sorte del genere, magari avrebbe agito diversamente, senza farsi condizionare dal fallimento della sua precedente relazione. 

Ad aumentare l’angoscia contribuiva l’idea di non poter rivedere più nemmeno la sua famiglia. Perfino Megan le mancava terribilmente.

Ma l’aspetto più inquietante di tutta quella situazione erano le visite inaspettate che aveva ricevuto nei giorni precedenti. La prima era stata di notte, mentre tentava invano di chiudere occhio. Un rumore di passi in avvicinamento l’aveva messa in allerta e, alzatasi di scatto dal giaciglio, aveva visto un’ombra scura che la osservava da dietro la grata. Quando la luce della torcia che trasportava aveva illuminato il suo viso, Claire l’aveva riconosciuto come l’uomo che avevano incontrato all’arrivo, quello seduto sul trono. 

Il suo primo istinto era stato di urlargli in faccia tutta la rabbia e la frustrazione accumulate, ma vedendo nel suo sguardo qualcosa di familiare si era bloccata. All’improvviso, aveva avuto una strana sensazione, come se non fosse la prima volta che si trovava faccia a faccia con lui. O forse era stata solo paura.

Dopo aver ripreso coraggio, aveva provato a fargli delle domande su dove si trovasse e cosa volesse farne di lei, ma lo sconosciuto si era limitato a fissarla senza fiatare, per poi andarsene tranquillamente. Non c’era davvero nessuno che si degnasse di fornirle uno straccio di spiegazione, anche minima, su cosa aspettarsi dal suo soggiorno in quel posto?

In seguito, era venuto a trovarla ancora, a orari diversi e anche più di una volta al giorno, ma continuando a non rivolgerle la parola. Questo finché, in un impeto di esasperazione, non gli aveva lanciato contro il vassoio del cibo, urlandogli di smettere di fissarla, di andarsene una volta per tutte. Non le importava cosa avrebbe potuto farle, visto che dubitava potesse andare peggio di così. 

Nonostante questo, gli unici risultati ottenuti erano stati silenzi e languide occhiate da lontano. Dapprima aveva provato a sostenere il suo sguardo per dimostrargli di non avere paura, ma poi l’insistenza con cui continuava ad osservarla l’aveva messa in soggezione ed era andata a rintanarsi in un angolo, aspettando che si decidesse a lasciarla in pace. In quel momento, si era sentita come uno di quegli animali esposti allo zoo.

Una notte, sentendo il solito rumore di passi, non aveva avuto dubbi che fosse di nuovo lui, e invece si era ritrovata davanti la donna bionda che aveva fatto loro da guida turistica, l’amichetta di Dean. 

“Che guardi?” le aveva chiesto sprezzante. “Sei venuta a vedere la tua opera? Sarai soddisfatta.” 

La provocazione però non era andata a segno, perché la donna aveva continuato a squadrarla dall’altro in basso con disgusto, per andarsene poco dopo. Quella era stata l’unica volta che si era presentata davanti alla sua cella. 

Era di nuovo scesa la sera, mentre ripensava a tutto questo. Se ne accorse dalla luce che andava lentamente affievolendosi. Un altro giorno passava e lei aveva sempre più la certezza che sarebbe rimasta in quella cella per sempre. 

Di lì a poco, l’uomo con la lanterna tornò a farle visita. Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse rimasto immobile a fissarla, senza mai cambiare posizione, peggio di una statua di gesso. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, come se trovasse appagante la sua visione. Ormai, però, c’era talmente abituata che la cosa non la turbò più del solito, anzi, da un momento all’altro si aspettava che tirasse fuori un blocco da disegno e si mettesse a ritrarla. Magari l’avrebbe aggiunta all’enciclopedia delle specie rare. 

Fu quando lo vide armeggiare con la serratura che iniziò a preoccuparsi e, quando lo vide mettere piede nella cella, sparì anche quel briciolo di coraggio che le era rimasto. Spaventata, si tirò su e d’istinto indietreggiò verso la parete di fondo, facendo scivolare sul pavimento la coperta che aveva addosso. Avvertiva una minaccia palpabile, come quella volta in gita scolastica, quando si era trovata faccia a faccia con un serpente.

Accortosi dell’agitazione che aveva provocato, lui si fermò, pur mantenendo il contatto visivo. Poi lentamente poggiò in terra la lanterna, che illuminò in parte l’ambiente circostante, compresa Claire. Distolse lo sguardo solo per chinarsi a raccogliere la coperta, che poi le porse. 

“Avrai freddo.” 

Claire, però, ignorò la premura, troppo sorpresa dal sentirlo parlare in inglese. Fino a quel momento, aveva pensato che non le rivolgesse la parola perché non conosceva la sua lingua e adesso scopriva che invece la parlava benissimo. “Sei venuto per uccidermi?” la domanda le uscì a bruciapelo.

“Chi ti dice che voglia farlo?” 

Il tono che usò la lasciò interdetta. Era molto più pacato rispetto a quello che aveva usato nella sala del trono, come se ci tenesse a non spaventarla, ma questo non significava che avesse buone intenzioni. Non poteva fidarsi di qualcuno che l’aveva rinchiusa in una cella per motivi che poteva facilmente immaginare. Quella gente si nutriva di sangue umano…

Interpretando quell’attesa come un rifiuto, l’uomo poggiò la coperta in terra e fece un altro passo avanti. Di conseguenza, Claire indietreggiò ancora, fino a toccare il muro. Pur volendo, non avrebbe potuto allontanarsi più di così. 

“Non temere.” la rassicurò. “Non ho intenzione di farti del male.” 

Lei provò una strana sensazione a stargli così vicino. Avvertì un brivido lungo la schiena e le pareti dello stomaco attorcigliarsi, ma non era paura, piuttosto una sorta di attrazione. Allora si rese conto di aver già provato una sensazione simile, solo che non ricordava quando. 

La sua mano le sfiorò la guancia, prima che potesse rendersene conto…

 “Io ti amavo…” mormorò Elizabeth, mentre smetteva a poco a poco di dibattersi. La luce fioca della lanterna bastava a illuminare i capelli del suo aguzzino, che emanavano leggeri riflessi ramati. In realtà, erano quegli occhi chiari ma penetranti che la inchiodavano al muro, non le sue braccia.

“Anch’io. È per questo che devo ucciderti.” rispose lui in tono freddo. “I sentimenti che provo per te non sono altro che una distrazione.” Con l’altra mano prese ad accarezzarle il viso. Dalla guancia scese lungo il collo, fino a toccare la catena d'oro del suo medaglione. Lo prese tra le dita, fissandolo come incantato per qualche istante, prima di strapparglielo via. “In ricordo di questa serata.” le sussurrò all’orecchio…

Claire sussultò, ritraendosi spaventata. Non sapeva esattamente cosa fosse successo, ma appena erano entranti in contatto la sua mente l’aveva trascinata di nuovo in quell’incubo, solo che stavolta era sveglia e in un attimo tutto fu chiaro. Chi aveva davanti era lo stesso uomo che chissà quando aveva ucciso Elizabeth, solo che l’altra volta non era riuscita a distinguerne il volto, mentre adesso aveva potuto vederlo in ogni dettaglio. Era sicura che fosse proprio lui, anche se per certi aspetti sembrava diverso. Come indurito dal tempo, vissuto. 

Accortosi della sua reazione, allontanò la mano e Claire intuì che dovesse esserne rimasto deluso. Non che la cosa le importasse. Comunque non durò molto, perché riacquistò subito la solita aria imperturbabile, più fredda rispetto a pochi momenti prima. 

Indietreggiò e fece per andarsene, ma poi ci ripensò, estrasse una rosa rossa dalla giacca e gliela porse. “Un dono.” disse in tono distaccato. 

Claire, però, si limitò a osservarla. Nonostante detestasse le rose, doveva ammettere che raramente le era capitato di vedere un fiore così bello e per un attimo fu tentata di accettarlo. Questo, però, avrebbe significato avvicinarsi di nuovo a lui ed era escluso.

L’uomo allora la lasciò ai suoi piedi e, mentre si chinava, Claire intravide il medaglione con la pietra blu fuoriuscire dalla sua camicia, lo stesso che aveva strappato dal collo di Elizabeth.

Giusto il tempo di realizzare la cosa ed era già uscito dalla cella, richiudendo a chiave la grata.  

Per quanto la riguardava, avrebbe anche potuto lasciarla aperta, perché in quel momento non c’era alcuna possibilità che le venisse in mente di scappare. Troppo sconvolta per muovere un solo passo, si accasciò contro la parete, portando le ginocchia al petto. Aveva appena realizzato che i suoi incubi erano reali, che quelle cose erano accadute davvero, anche se chissà quanti secoli prima. Questo significava che quel tizio doveva avere quanto? Duecento, trecento anni? Assurdo.

Tra l’altro, visto quello che era stato capace di fare a Elizabeth, non c’era da illudersi che ci sarebbe andato leggero con lei. Non aveva un’idea precisa di cosa volesse, ma a quel punto era chiaro che tra lei e quella donna del passato esisteva un legame ben più forte di una casuale somiglianza e che era questo legame a interessarlo. Ecco perché la teneva isolata dagli altri. Inoltre, questo avrebbe spiegato come mai tutto in quel castello le era sembrato familiare fin da quando ci aveva messo piede. 

L’evidenza dei fatti le piombò addosso come un macigno, tanto che non riuscì più a trattenere le lacrime. Mai come in quel momento avrebbe voluto accanto a sé una persona amica, qualcuno che le offrisse almeno una spalla su cui piangere. Affondò il viso tra le ginocchia, in un gesto di auto consolazione, e pian piano il pianto servì a conciliarle il sonno. Le palpebre si fecero sempre più pesanti, fino a chiudersi definitivamente.  

Dopo quelli che le parvero pochi minuti, fu svegliata da un rumore di passi che salivano di corsa le scale della torre e per un attimo ebbe il timore che quel pazzoide fosse tornato per tormentarla. Sollevò la testa di scatto e vide una figura incappucciata che trafficava con un mazzo di chiavi alla luce di una lanterna. Le infilò una ad una nella serratura e alla fine, pur con qualche difficoltà, riuscì a trovare quella giusta e ad aprire la grata. 

Claire rimase immobile a fissare lo sconosciuto vestito di nero, senza avere il coraggio di muovere un dito e chiedendosi se stavolta fosse davvero giunta la sua ora.

La risposta arrivò quando lui si tolse il cappuccio e rivelò la sua identità. Fu allora che incontrò quei familiari occhi di ghiaccio e lo riconobbe.

“Ciao, Claire.”

 

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Capitolo 23
*** Evasione ***


 

Capitolo 25

 

Salto nel vuoto

 

Erano trascorsi un paio di giorni dalla convocazione nella sala del trono e, dopo un lungo meditare, finalmente si era deciso ad andare da Nickolaij. La notizia che la cerimonia sarebbe stata anticipata aveva accelerato i tempi e agire al più presto era d’obbligo, se non voleva che succedesse l’inevitabile.

Il suo piano era quello di estorcergli con una scusa il luogo esatto dove teneva rinchiusa Claire. Gli avrebbe raccontato che gli uomini di guardia alle celle si lamentavano a causa dell’insistenza dei prigionieri, che continuavano a chiedere della loro compagna, e che magari una risposta al riguardo li avrebbe messi definitivamente a tacere. In questo modo sperava di indurlo a parlare, conservando nel contempo la sua apparente buona fede. Era consapevole di correre un grosso rischio esponendosi direttamente con Nickolaij, ma proprio per questo gli era sembrata l’unica strategia possibile. A lungo andare, infatti, gli altri vampiri avrebbero potuto insospettirsi delle sue domande.

Mentre rifletteva su questo, Dean si trovava già nel corridoio e in breve aveva raggiunto la porta dello studio, stranamente socchiusa. Stava per bussare, ma due voci all’interno lo avevano dissuaso. Una era chiaramente di Byron e l’altra era quella concitata di Nickolaij. 

Chissà perché, l’istinto gli aveva suggerito che quanto avrebbe ascoltato si sarebbe rivelato molto utile, quindi era rimasto immobile dov’era, prestando la massima attenzione. A giudicare dai toni, non sembrava una conversazione piacevole.

“Come sarebbe a dire?” 

Alla domanda di Nickolaij era seguito un attimo di esitazione, poi Byron aveva risposto: “Il novilunio ci sarà fra tre giorni e l’esperimento non ha speranza di riuscire senza di esso.”

-Esperimento? -

Quella spiegazione non doveva aver incontrato il favore di Nickolaij che, sempre più adirato, aveva battuto con violenza il pugno sul tavolo, che scricchiolò pericolosamente. “Dovrò attendere ancora, dunque?”

“Sono addolorato, mio Signore.” si era scusato l’altro, in tono contrito. “Ma secondo i miei calcoli la luna dovrà essere perfettamente allineata con il sole, affinché possa avvenire il trasferimento. In assenza di tale condizione, tutti i nostri sforzi andranno in fumo.”

A quel punto, dopo una breve pausa di riflessione, Nickolaij gli aveva chiesto: “E una volta effettuato lo scambio, che ne sarà della ragazza?” 

“Quando la duchessa avrà preso il suo posto, di lei non resterà neanche il ricordo.”

 

Dean camminava a passo svelto lungo il corridoio con Claire alle calcagna, senza che quella frase smettesse di rimbombargli nella testa. Nel momento esatto in cui aveva sentito Byron pronunciarla, si era defilato senza pensarci un secondo e la sera stessa aveva messo in atto il suo piano di fuga.

Ora capiva il motivo dell’insolito interesse che Nickolaij nutriva per Claire. Fin dal primo momento che l’aveva vista a Greenwood gli aveva chiesto di tenerla d’occhio e, quando si era palesata per difendere i suoi amici, aveva pensato a un bel colpo di fortuna. Meno male che le cose erano andate diversamente. Sia per loro che per lui. 

Ora sentiva il bisogno di portarla via, di risparmiarle un destino orribile, dato che evidentemente c’era qualcos’altro in ballo, oltre alla volontà di Nickolaij di sposarla. Quei due avevano in mente qualcosa di spaventoso, anche se non era rimasto dietro la porta abbastanza da scoprire nei dettagli cosa fosse. 

Alle sue spalle poteva sentire il fruscio dei mantelli neri che entrambi indossavano, ma si voltò comunque per assicurarsi che la ragazza non fosse rimasta troppo indietro. La vide sistemarsi meglio il cappuccio sulla testa, in modo da nascondere completamente il viso, e affrettarsi a seguirlo. Si era raccomandato di non toglierlo mai e di tenere sempre gli occhi bassi e la bocca chiusa. Solo così avrebbero avuto qualche speranza di passare inosservati fino ai sotterranei. 

Claire era rimasta visibilmente scossa nel vederselo comparire davanti e in un primo momento Dean aveva temuto che volesse rifiutarsi di venire con lui. Il fatto che invece gli fosse saltata al collo l’aveva alquanto sorpreso. L’abbraccio comunque era durato pochi istanti, prima che lei si scostasse e gli mollasse uno ceffone. 

“Bastardo traditore, che ci fai qui?” aveva chiesto, guardandolo con astio.

Dopo aver concluso che quando si trattava di Claire finiva sempre col prenderle, le aveva assicurato che era lì per tirarla fuori, prima di farle indossare il mantello. Per un attimo aveva anche pensato di raccontarle ciò che aveva sentito, visto che era chiaramente lei la vittima di quello che Byron aveva definito esperimento, ma in seguito si era convinto che sarebbe stato meglio tenerselo per sé, almeno per il momento. Così facendo, avrebbe evitato di scatenare un putiferio in una situazione già abbastanza critica.

Scavalcati i corpi dei vampiri di guardia, che Dean aveva steso e legato, si erano allontanati dalla torre per imboccare una lunga rampa di scale. 

Per loro sfortuna, prima di scendere nei sotterranei a prendere gli altri, avrebbero dovuto passare necessariamente davanti alla sala comune, dove il rischio di incrociare qualcuno si faceva più alto. L’ideale quindi sarebbe stato di rimanere in silenzio e fare più in fretta possibile, ma era ovvio che Claire scegliesse proprio quel momento per riempirlo di domande. Naturalmente voleva sapere dove fossero, come avesse fatto a trovarla, oltre al perché avesse cambiato idea e tante altre cose che lui non aveva né tempo né voglia di spiegare. Si limitò a rispondere che si trovavano in Romania e che era riuscito a strappare di bocca a un vampiro il luogo della sua detenzione, prima di imporle di tacere. Ora doveva tenere gli occhi aperti e avere la sua voce nell’orecchio era una distrazione, oltre che pericoloso. 

Si sforzò di mantenere un’andatura normale, sia per darle modo di seguirlo che per non destare sospetti. Se tutto fosse andato secondo i piani, non avrebbero avuto problemi.

Anche se intorno a loro regnava il silenzio, nella sua testa vorticava chiassosa una miriade di pensieri. Per la prima volta sentiva il bisogno di proteggere qualcuno che non fosse se stesso e fin da quando avevano attraversato il portale aveva iniziato a elaborare un piano di fuga. Era consapevole che ciò che stava facendo significava dare una svolta definitiva alla sua vita e che Nickolaij gli avrebbe dato la caccia fino in capo al mondo pur di vendicarsi, ma non gli importava. Prima di allora sarebbe stato impensabile rischiare così tanto per qualcuno, ma da quando aveva intrapreso quel viaggio erano cambiate molte cose. Lui era cambiato. Il periodo di tempo trascorso con gli umani era stata la spinta che cercava da anni. Grazie a loro, aveva riscoperto cosa volesse dire legarsi a qualcuno, sentirsi parte di un gruppo. E non avrebbe mai pensato di dirlo, ma gli piaceva. 

Preso da queste riflessioni, a malapena si rese conto che avevano appena superato l’ingresso della sala comune, quindi si riscosse e pensò solo a quello che c’era da fare. Aveva scelto di muoversi a notte fonda proprio per evitare incontri scomodi, ma poteva capitare che qualche vampiro girasse per il castello anche a quell’ora e la sala comune era il posto più frequentato. 

“Nascondi bene il viso e soprattutto, se incontriamo qualcuno, lascia parlare me.” disse sottovoce a Claire, che fece cenno di assenso da sotto il cappuccio. 

Rapidamente oltrepassarono l’ingresso e, quando riuscirono a raggiungere la rampa di scale che conduceva ai piani inferiori, Dean fece quasi l’errore di illudersi che fosse andato tutto liscio. 

“Dean!” 

Si sentì chiamare d’un tratto da una voce tonante alle loro spalle e, quando si voltarono, un vampiro stava uscendo dalla sala comune, seguito da un altro che Dean non conosceva.  

“Mi pareva che fossi tu.” 

“Darius!” rispose comunque, senza dare alcun segno di nervosismo. 

Il vampiro si avvicinò con un ghigno sdentato dipinto sul volto. “Si può sapere che fine hai fatto? Possibile che non ti si veda mai in giro?” Gli diede una poderosa pacca sulla spalla, mentre entrambi si stringevano la mano in segno di saluto. Si conoscevano fin dal primo giorno che era entrato nella Congrega ed era stato lui a fargli da mentore i primi tempi. In seguito aveva ricevuto il compito di occuparsi dei nuovi arrivi insieme a lui, vista la sua particolare predisposizione all’autocontrollo. “Alek voleva la rivincita a poker, ma non ti ha più trovato. Lo sai che detesta perdere.”

“Tranquillo, ci è abituato con me. Gli passerà.” minimizzò Dean. “Vedo che sei sempre impegnato con il tuo lavoro. Nuova recluta?” chiese, accennando al ragazzo mingherlino che lo accompagnava. 

Darius annuì. “Già e promette molto bene.” rispose con una punta di orgoglio. “Pensa che per completare il processo di trasformazione ha ucciso suo padre.” Rise, anche se non era certo una cosa di cui ridere. 

Dall’espressione smunta del ragazzo, infatti, Dean dedusse che non doveva andarne particolarmente fiero. Non era euforico come la maggioranza dei neo-vampiri, ma stranamente spento, apatico.

Deciso comunque a non perdere altro tempo, cercò di liberarsi dello scocciatore con una scusa inventata al momento. “Mi piacerebbe rimanere a parlare con te, ma vado di fretta. Devo portare la ragazza da Lady Mary.” spiegò; poi fece per andare per la sua strada, ma Darius bloccò Claire per un braccio. 

“E tu chi sei? Non mi pare che fossi nel gruppo dei nuovi.” Cercò di tirarle giù il cappuccio per vederla in viso, mentre lei tentava in tutti i modi di ritrarsi. 

“Fossi in te non la toccherei.” lo avvertì Dean, intervenendo prontamente a salvarla. “L’ho trovata nei boschi che vagava e ha un brutto taglio sulla guancia che sospetto abbia a che fare con i lupi.”

Alla parola lupi, Darius si allontanò di scatto, spaventato e disgustato al tempo stesso. Così, Dean ne approfittò per provare a dileguarsi, facendo cenno a Claire di seguirlo e lei non se lo fece ripetere due volte.

“Sbrigati a portarla da Milady.” si raccomandò il vampiro. “Non vorrei che infettasse l’intero castello.” Dopodiché esortò il compagno a darsi una mossa. “Vieni Jason, andiamo.”

Quella fu l’unica frase che pronunciò in inglese, e Claire si voltò non appena udì quel nome, rimanendo impalata a fissarli, mentre un pensiero le attraversava la mente. Subito dopo però si convinse che doveva trattarsi di una coincidenza. Quante persone al mondo si chiamavano allo stesso modo del suo migliore amico? No, non poteva essere...

“Che aspetti? Sbrigati.” Dean la richiamò all’ordine e aumentò il passo, deciso a evitare altri incontri, magari con gente più sveglia di Darius.

“Ma che gli hai detto?” bisbigliò Claire, che arrancava dietro di lui. Non aveva capito niente di tutto il discorso, ma il fatto che fossero liberi di andare le fece intuire che doveva essersi inventato qualcosa di credibile.

Dean sogghignò. “Che sei stata infettata da un lupo. Entrare in contatto con loro può essere letale per i vampiri.” spiegò in breve. 

Alla ragazza venne subito in mente la sera del ballo, quando per poco non ci restava secco, e annuì in segno di assenso.

Dean camminava spedito, preoccupato che potessero aver già scoperto che Claire non era più nella sua cella. Prima di mettere in atto il piano, aveva studiato con attenzione i tempi e la strada da percorrere, sia per andare da lei che per raggiungere i sotterranei, e ovviamente anche per uscirne. La chiacchierata imprevista con Darius, però, gli aveva fatto perdere minuti preziosi e ora doveva recuperare. 

Il corridoio di accesso ai sotterranei era avvolto nel buio, tranne per qualche sporadica torcia appesa al muro che faceva ben poca luce. In fin dei conti, quella non era una zona molto frequentata. In più faceva piuttosto freddo e Dean avvertì accanto a sé Claire rabbrividire.

Alla fine delle scale, arrivarono davanti a una grata chiusa con a guardia due vampiri impegnati a sfidarsi ai dadi. Dean ne osservò le corporature e capì che non sarebbe stato facile sbarazzarsene, a meno che non li avesse colti di sorpresa. 

“E adesso?” sussurrò Claire, acquattata con lui dietro un angolo buio. 

“Aspetta qui.” le impose. “E cerca di non fare rumore.”

Detto questo, di soppiatto si avvicinò ai due, troppo concentrati sul gioco per badare a lui, finché non si rivelò quando fu abbastanza vicino. “Buonasera, signori.” li salutò candidamente.

I vampiri si guardarono, per poi alzarsi in piedi, ma non fecero in tempo a dire o fare nulla perché Dean li afferrò per la nuca, facendo sbattere con forza le loro teste l’una contro l’altra e mandandoli al tappeto. 

Dopo essersi accertato che fossero davvero svenuti, rubò le chiavi che uno dei due portava attaccate alla cintura e le sostituì con quelle della prigione nella torre, così da rallentarli una volta svegli. Poi fece segno a Claire di raggiungerlo.

Quando si sentì chiamare, la testa della ragazza sbucò dal suo nascondiglio. “Okay, ricordami di non farti mai arrabbiare.” commentò impressionata, mentre lui cercava la chiave giusta. Quando finalmente la trovò, la toppa si aprì di scatto ed entrambi si richiusero il cancello alle spalle, lasciando le guardie stese a terra dall’altra parte. 

“Bene, ora vediamo di trovare gli altri.”

 

-o-

 

Rachel sentiva le palpebre farsi sempre più pesanti ogni minuto che passava. Era stanca morta e avrebbe tanto voluto addormentarsi, così da smettere di pensare almeno per qualche ora. Ma il sonno veniva a singhiozzo. Quello stato di incertezza non faceva altro che peggiorare il suo equilibrio emotivo, già abbastanza precario. Da giorni erano rinchiusi in quella cella, senza che nessuno dicesse loro cosa aspettarsi, se la reclusione a vita o la morte. 

Guardò Juliet che dormiva poco distante e provò un moto di invidia, così poggiò esausta la testa sulla spalla di Mark, che in risposta le accarezzò la mano stretta nella sua in un gesto ormai automatico. Rachel gli rivolse un flebile sorriso, mentre con l’altra mano stringeva il suo ciondolo, che emise un bagliore fluorescente al riflesso delle lampade appese fuori. Se lo mise sul palmo e lo osservò. La nonna glielo aveva regalato a nove anni, spiegandole che apparteneva alla famiglia da tanto tempo e veniva tramandato di madre in figlia. Quindi, visto che lei non aveva avuto femmine, ora toccava a sua nipote tenerlo. Le aveva anche detto che era un talismano portafortuna, così lo strinse nel pugno come a sperare che si attivasse magicamente e li facesse uscire, ma a quanto pareva il salto di generazione lo aveva privato dei poteri originali. D’un tratto si rese conto della stupidità di quel pensiero.

Ripensando alla situazione in cui si trovavano e di chi fosse la colpa, per la rabbia lo strinse ancora fino a farsi male e quando riaprì la mano vide il segno impresso sulla pelle. “Quanto sono stata stupida…” mormorò tra i denti.

Mark aggrottò la fronte e la guardò. “Di che parli?”

“Di Dean, ovviamente. Come ho potuto credere che fossimo diventati amici? Pensavo di conoscerlo almeno un po’, visto quante volte abbiamo parlato. Invece, erano solo bugie.” sospirò affranta. “Anche quando mi ha salvato la vita su quel ponte… Lo ha fatto solo per potermi portare fin qui.”

“Non sei stata l’unica.” la rassicurò, appoggiando la testa contro il muro con aria stanca. “Ci ha fregato tutti per bene. Ora, però, non ha più senso tormentarsi. Cerchiamo di dormire un po’ anche noi.” suggerì.

“Magari ci riuscissi.”

Lui annuì comprensivo, per poi rivolgere un’occhiata a Cedric, che sonnecchiava tranquillo in un angolo. “Ci ho messo una vita a calmarlo e guardalo adesso. Mi fa quasi rabbia vederlo così rilassato.”

Suo malgrado, a Rachel non riuscì di sorridere. “So come si sente. Anch’io vorrei che Claire fosse qui, almeno saremmo insieme.” Quel senso di impotenza la faceva impazzire. “Se solo ci fosse un modo per andarsene…”

“Lo so, ma hai visto com’è finita con le forcine?” sospirò il ragazzo di rimando. “È tutto inutile, purtroppo.” 

Avevano fatto diversi tentativi di fuga da quando erano là, uno più inefficace dell’altro, così alla fine si erano rassegnati. Senza la chiave non c’era verso di aprire quella grata.

“Sai, non condivido molti lati del suo carattere, ma in questi giorni ho capito che ci tiene veramente a lei.” Gli confidò, mentre osservava Cedric dormire.

“Già.” 

“Certo, esistono modi migliori per dimostrarlo…”

“Non sai quante volte gli avrò detto di riflettere prima di aprire bocca.” ridacchiò Mark divertito.

Rachel annuì. “Sarebbe il caso.”

“In realtà, non pensava davvero quelle cose. Era solo arrabbiato. In apparenza Ced può sembrare un impulsivo, un superficiale… Però, credimi, è la prima volta che lo vedo darsi così tanta pena per una ragazza. E ne ha avute di ragazze.”

A quel punto, lei alzò la testa per poterlo guardare negli occhi. “E tu?” chiese, sorridendogli maliziosa. “Ti daresti tanta pena per una ragazza?” 

Per tutta risposta, Mark le sorrise e fece per avvicinarsi. Le loro labbra erano così vicine da sfiorarsi, ma all’improvviso a Rachel sembrò di sentire delle voci provenienti dal corridoio. Voci familiari. 

“Hai sentito?” chiese allarmata, scostandosi e guardando fuori dalla cella. 

“Ehm… No.” fece lui perplesso e anche un po’ deluso. “Che cosa?”

Senza rispondere, Rachel si alzò e raggiunse la grata per tentare di vedere qualcosa. Intanto, le voci continuavano a farsi più distinte. “È la voce di Claire…” mormorò, mentre sentiva dentro di sé riaccendersi una speranza.

Mark le si accostò, concentrandosi a sua volta. “Non è possibile.”

“Ti dico che è lei.” insistette risoluta. “La riconoscerei tra mille.”

Ne ebbe definitivamente la conferma poco dopo, quando l’inconfondibile sagoma dell’amica comparve dal fondo del corridoio, facendosi sempre più vicina.

“Oh mio Dio, Claire!” esclamò Rachel, senza riuscire a trattenere la gioia. “Claire, siamo qui!”

“Laggiù!” la sentì gridare.

“Vuoi abbassare il tono?” la rimbeccò subito dopo un’altra voce più in lontananza.

Lei, però, la ignorò del tutto e si diresse di corsa alla cella, dove finalmente incontrò lo sguardo dell’amica. Le loro mani si intrecciarono sulle sbarre, mentre anche Cedric e Juliet, svegliati dal trambusto, si precipitavano a vedere cosa stesse succedendo. 

“Stai bene?” le chiese Rachel con le lacrime agli occhi. “Dove ti hanno tenuto per tutto questo tempo?” 

“Non lo so di preciso.” ribatté lei raggiante, al settimo cielo per averli ritrovati; poi inevitabilmente il suo sguardo incrociò quello di Cedric, ma durò un attimo, prima che la sua attenzione tornasse su Rachel. “In una specie di torre, credo.”

“E come hai fatto a scappare?” 

Claire era consapevole che alla risposta non avrebbero fatto i salti di gioia, ma ormai lui era lì. “Con un piccolo aiuto.” Detto questo, fece un sorrisetto e indicò dietro di sé. 

Nel momento in cui videro di chi si trattava, intorno a loro scese il gelo; poi Cedric scosse la testa incredulo. “No…” mormorò. “Ditemi che è uno scherzo.” 

 “Non ci credo…” boccheggiò Rachel allibita. “Hai ancora il coraggio di farti vedere?” Era inconcepibile avere Dean di nuovo davanti a loro, con la solita faccia di marmo, come se niente fosse successo. 

Vedendoli già sul piede di guerra, Claire si affrettò a placare gli animi e spiegare la situazione. “Okay, stiamo calmi. È stato lui a liberarmi e a portarmi fin qui…”

“E tu ti sei fidata?” la rimbeccò l’amica. “Dopo tutte le bugie che ha raccontato?”

“Che cosa avrei dovuto fare secondo te? Ero disperata e quando l’ho visto aprire quella cella non ci ho pensato due volte a seguirlo.”

Cedric puntò un’occhiata accusatrice sul vampiro. “E come fai a sapere quali sono le sue vere intenzioni? Magari si annoiava e questo è solo un modo per ammazzare il tempo.”

Dean a quel punto pensò che fosse ora di intervenire. “Certo, come se non avessi altro da fare che giocare al gatto col topo.” 

“Ringrazia che ci sono queste sbarre, altrimenti…” minacciò Cedric.

 “Cosa? Mi uccideresti?” lo provocò, completando la frase per lui. “Sono curioso di sapere come fareste poi ad andarvene dal castello senza di me.”

Mark allora si mise in mezzo. “Non sei nella posizione di fare dell’ironia. Piuttosto, spiegaci perché sei qui. Che hai in mente?”

“Forse sarebbe meglio se prima vi facessi uscire, non trovi?” propose lui, iniziando subito a fare tentativi con le chiavi.

“Non so se ti conviene farmi uscire.” disse Cedric, prima che Mark gli parlasse sopra.

“Prima spiegati.”

Dean non lo guardò nemmeno, troppo concentrato su quello che stava facendo. “Non c’è tempo.” Tagliò corto. “A quest’ora sapranno già che Claire è fuggita e di sicuro questo è il primo posto in cui verrebbero a cercarla.”

Lui però non volle sentire ragioni. “Piantala con le stronzate! Pensi che siamo così stupidi da seguirti di nuovo senza fare domande? Devi essere fuori di testa.”

Cedric intervenne a dargli man forte. “Già, stavolta non attacca.”

A quel punto, Dean capì che non c’era speranza di convincerli senza prima essersi spiegato, così, esasperato, smise di cercare la chiave e alzò lo sguardo su di loro. “D’accordo sentite, ho solo finto di stare al gioco per guadagnare tempo, ma sono sempre stato dalla vostra parte.” disse sbrigativo. Più tempo rimanevano fermi a perdersi in chiacchiere e più il pericolo di essere scoperti diventava concreto. 

“Sì, certo. E io sono la fatina dei denti.” commentò Cedric sarcastico.

Dean alzò gli occhi al cielo. “In quel momento mi sembrava la cosa migliore da fare, per voi e per me. Non c’era altro modo.” Li fissò uno ad uno per cercare un segnale, un debole cenno di consenso e, quando i suoi occhi incontrarono quelli di Juliet, per un istante lei ricambiò, ma subito dopo abbassò lo sguardo malinconica. Gli altri invece rimasero su di lui, per sentirlo arrancare in altre giustificazioni. 

“Sapevo che Nickolaij non vi avrebbe fatto del male fino al plenilunio. Con tutto quel tempo a disposizione avrei potuto elaborare un piano di fuga.” Preferì astenersi dal dire che la cerimonia era stata anticipata, per non creare panico inutile e perché sapeva che riconquistare la loro fiducia era già un’impresa difficile. Certo, aveva sperato che salvare Claire gli avrebbe fatto guadagnare qualche punto in più, anche se ovviamente non era abbastanza. Al momento, però, non sapeva davvero cos’altro fare.

Oltretutto, stavano perdendo un sacco di tempo, che invece sarebbe stato meglio usare a proprio vantaggio. I vampiri a guardia della torre dovevano essersi già ripresi da un pezzo e quelli che aveva appena sistemato non avrebbero tardato ad arrivare. Presto avrebbero dato l’allarme, se non era già successo, mentre lui se ne stava lì a cercare di convincere quel branco di idioti a seguirlo. 

Dalle loro espressioni perplesse intuì quanto poco credessero alle sue parole, anzi, probabilmente non ci credevano affatto, ma doveva trovare un modo per convincerli.

“Ascoltatemi, per favore!” esclamò esasperato. Subito dopo, si rese conto che forse quello non era l’approccio giusto e cercò di ritrovare il controllo. “Ascoltatemi.” ripeté più pacato. “Non vi sto mentendo. Volevo riportarvi a casa ancora prima di arrivare qui e, anche se poi è andato tutto a rotoli, le mie intenzioni non sono cambiate.”

Stavolta il suo discorso sembrò ottenere un minimo dell’effetto sperato. Se non altro, stavano iniziando a prenderlo sul serio. 

“Fidatevi di me un’ultima volta.” insistette, non potendo fare a meno di guardare ancora Juliet. 

Dopo un breve momento di riflessione, Mark disse la cosa meno ovvia che si aspettavano di sentirgli dire: “D’accordo.” 

“Ti ha dato di volta il cervello?” chiese Cedric sconcertato.

Tuttavia, Mark lo ignorò, concentrandosi sul vampiro. “Mi assicuri che ci farai uscire di qui e ci riporterai a casa?”

“Sulla mia vita.” rispose lui serio.

Ignorando ancora le proteste di Cedric e i tentativi di Rachel di farlo ragionare, Mark fece cenno a Dean di aprire la cella e in breve tempo lui trovò la chiave giusta per far scattare la serratura. 

“Ecco, ci siam…” 

Ma non riuscì a completare la frase, perché all’improvviso si vide arrivare il ferro della grata in piena faccia e il colpo fu tale da farlo finire a terra svenuto.

Non appena si rese conto che era stata opera di Mark, Claire fece un balzo indietro spaventata, fissando prima il corpo steso di Dean e poi lui. “Ma… Perché l’hai fatto? Ci stava aiutando!” 

“Perché non credo a sola una parola di quello che ha detto.” sentenziò, mentre tutti gli puntavano addosso i loro sguardi sconcertati. L’ultima cosa che si sarebbero aspettati era di vederlo tramortire qualcuno con tanta facilità. 

“Chi sei tu? Che ne hai fatto del mio migliore amico?” scherzò Cedric.

Mark gli rivolse un mezzo sorriso, prima di incitare lui e gli altri. “Forza, è ora di andarsene da questo posto.” Tuttavia, il corpo di Dean impediva l’apertura della cella, così dovette chiedere a Claire di spostarlo quel tanto che bastava per permettere loro di uscire. 

“Aiutami.” disse poi all’amico, che non se lo fece ripetere due volte. Insieme lo afferrarono per le gambe e lo trascinarono in cella, per poi chiudere a chiave. 

Non appena rimise piede fuori, Rachel non riuscì più a trattenersi e saltò al collo del suo fidanzato. “Mio eroe!” esclamò con gli occhi che le brillavano, stampandogli un bacio sulle labbra.

Intanto, Claire e Cedric facevano a gara per togliersi dall’imbarazzo, inevitabile dopo essersi separati senza potersi chiarire, ma con scarsi risultati. Erano entrambi felici di rivedersi, eppure sembrava che rivolgersi di nuovo la parola fosse troppo difficile.

“Mi dispiace.” riuscì a dire lui infine, guardandola negli occhi. 

In un’altra occasione le ci sarebbe voluto più tempo per perdonarlo di averla insultata, ma quello che avevano passato in quei giorni era bastato a cancellare tutto il rancore. E poi era stufa della tensione che si era creata fra loro, per una volta aveva solo voglia di lasciarsi andare. “Parte della colpa è anche mia. Mi sono comportata male con te.”

Cedric scosse la testa. “Non importa.”

“Sì, invece.” insistette lei. Erano giorni che un’idea le girava e rigirava in testa e adesso sentiva il bisogno di esprimerla. Così, gli prese la mano, guardandolo intensamente. “Basta ripensare al passato, voglio provare a vivere il presente.”

La frase non era delle più eloquenti, ma bastò ad accendere un barlume di speranza negli occhi del ragazzo. 

“Scusate, non vorrei interrompere, ma vogliamo andare?” si intromise Mark un po’ in imbarazzo, spezzando l’idillio.

“Sì, il problema è dove?” gli fece notare Rachel. “Qui è un labirinto.”

Claire ci pensò un attimo. “Di tornare indietro non se ne parla. Dean ha steso le guardie, ma ormai si saranno riprese.”

“Fantastico, e come ne usciamo allora?”

“Mentre vi stavamo cercando, mi ha detto che avremmo preso un’altra uscita per andarcene. Mi pare di ricordare che si trovi dal lato opposto a dove siamo ora.” spiegò. “Potremmo provare ad arrivarci.”

Mark annuì rassegnato. “Non vedo altra scelta.”

“Sbrighiamoci allora. Ne ho abbastanza di questo posto.” approvò Cedric, che prima di andare diede un calcio al mazzo di chiavi per allontanarlo dalla portata di Dean.

Non persero altro tempo e si incamminarono per il corridoio, senza accorgersi che Juliet era rimasta impalata a fissare Dean svenuto sul pavimento della cella. Il colpo gli aveva inferto un brutto taglio sulla fronte, che ora sanguinava lentamente. Era sempre stata contraria alla violenza, in qualunque forma, e di certo avrebbe preferito che Mark avesse usato un metodo più civile per liberarsi di lui. Ciò nonostante, sentì che in fondo se l’era meritato. 

“Juls?” la chiamò Rachel. 

Lei allora distolse lo sguardo e si affrettò a raggiungerli. “Arrivo.”

Per un po’ si limitarono a seguire il lungo corridoio su cui si affacciavano celle vuote, con Claire in testa che fingeva di sapere dove stavano andando, quando invece non ne aveva idea. Teneva la lampada alta davanti a sé, ripercorrendo a mente quello che Dean le aveva detto in precedenza, ma non impiegò molto tempo a perdere l’orientamento. Prima, con lui a guidarla, era sembrato tutto così semplice. Ora invece si sentiva completamente persa e avrebbe tanto voluto che fosse ancora lì. Come se non bastasse, l’aria si faceva sempre più fredda e rabbrividì stringendosi nel mantello. Come diavolo era finita in quella situazione? Non poté fare a meno di pensare. Quella avrebbe dovuto essere la sua ultima estate di totale relax prima del college. Avrebbe dovuto pensare solo a divertirsi, all’abbronzatura e ai party in spiaggia e non a scappare dalle grinfie di un maniaco psicopatico che abitava in un castello da film horror. Si maledì per non aver usato quella padella per i waffle quando era il momento e aver dato retta a quello stupido Dean, assecondandolo nel suo folle piano, invece di chiudergli la porta in faccia.

Gli altri non le facevano domande per paura delle risposte e così andarono avanti in quel modo finché non finirono in un vicolo cieco. 

“Ecco.” commentò Rachel. “Non avevi detto di sapere la strada?”

“No, lo stai dicendo tu adesso.” ribatté frustrata.

“Fantastico! Di bene in meglio…”

Lei alzò gli occhi al cielo e sbuffò. “Senti, non è stata mia l’idea di mettere Dean fuori gioco. Prenditela con il tuo ragazzo.”

“D’accordo, basta adesso.” si intromise Mark. “Cerchiamo di mantenere i nervi saldi.” 

“Concordo, meglio non perdere la calma.”

Tutti si voltarono di scatto al suono di quella voce così familiare. Dean infatti era dietro di loro, appoggiato al muro che si studiava le unghie e l’espressione più rilassata del mondo dipinta in faccia.

 

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Capitolo 24
*** Salto nel vuoto ***


Capitolo 26
Salto nel vuoto

 

“Come diavolo hai fatto a uscire?” boccheggiò Cedric, strabuzzando gli occhi.

“Ho i miei metodi.” rispose pacato. Sul suo viso non c’era traccia di rabbia o risentimento. 

“Davvero impressionante. Ora però da bravo Houdini, togliti dai piedi.” lo minacciò Cedric, facendo un passo avanti verso di lui. 

Dean comunque non fece una piega, per nulla intimorito. “Fatti sotto.” lo sfidò, fronteggiandolo.

“Per l’amor del cielo, finitela!” Esasperata da tutta quella situazione, Juliet si sentì animata da un improvviso spirito d’iniziativa e si interpose tra i due, impedendo che venissero alle mani; poi trafisse Dean con lo sguardo e con una spinta lo allontanò dall’amico. “Perché continui a torturarci così? Non ti è bastato quello che ci ha fatto passare? Lasciaci in pace una buona volta!”

Il tono che usò era combattivo, ma allo stesso tempo amareggiato, e Dean provò un forte senso di colpa nel vederla così. Non avrebbe mai voluto ferirla, ancor meno da quando si era accorto dei sentimenti che provava nei suoi confronti, ma ormai era successo e non poteva farci nulla. L’unica speranza che aveva di rimediare era fare uno sforzo e tentare di aprirsi una volta per tutte.

“Non posso!” ribatté di getto. “C’è un motivo per cui non posso farlo…” esitò, cercando di trovare le parole giuste. Erano giorni che meditava su quello che avrebbe detto, ma adesso a malapena riusciva a raccogliere le idee. Incredibile come in un attimo una ragazza fosse riuscita a farlo sentire così impacciato, una sensazione che non aveva mai provato in vita sua. L’incoraggiamento venne da Juliet stessa, che rimase lì dov’era, in attesa che proseguisse. 

“È difficile per me…” continuò allora, approfittando di quella possibilità. “Tu mi hai incuriosito fin dalla sera del ballo. C’è qualcosa in te che ti rende diversa, anche se non mi spiego cosa. Hai la strana capacità di rendermi nervoso.”

Quando lei incrociò le braccia e lo guardò confusa, probabilmente chiedendosi dove volesse andare a parare, Dean capì che si stava solo perdendo in chiacchiere. Doveva arrivare al sodo, ma non era certo un’impresa facile. Temeva di non uscirne bene. “Mi rendo conto di averti causato solo guai da quando mi hai incontrato e vorrei poter tornare indietro. So che suona banale, ma è la verità. Ora spero solo che non sia troppo tardi…”

“Troppo tardi per cosa?” chiese Juliet con un fil di voce. 

Dean allora raccolse il coraggio e la guardò intensamente negli occhi. “Credo di essere innamorato di te.” rivelò infine, tra lo sbalordimento generale.

Fu allora che accadde quello che meno si sarebbe aspettato. Da sorpresa che era, Juliet s’impietrì di colpo, come se l’avesse gravemente insultata. “Tu… Credi?” sottolineò quella parola con più determinazione. “Tu credi di essere…” Fuori di sé come non mai, si avvicinò e lo spinse di nuovo, riversando in quel gesto tutto il proprio risentimento. “Con che faccia tosta me lo vieni a dire adesso? Quando non c’è stato un momento in cui tu non mi abbia fatta sentire stupida, gelosa… inadeguata!” Lo spinse ancora, stavolta con le lacrime agli occhi. “Ho perfino litigato con Rachel, perché credevo provassi qualcosa per lei!” esclamò, dandogli un’altra spinta. 

“Juls…” L’amica cercò di calmarla, ma lei la ignorò. 

“Perché non hai chiarito le cose quando potevi, invece di limitarti a guardare?” La sua rabbia era incontenibile, tanto che riusciva a stento a parlare senza che le tremasse la voce, mentre invece lui se ne stava lì fermo, senza provare in alcun modo a giustificarsi. 

Guardandolo meglio, Juliet si accorse che la ferita sulla sua fronte si era già praticamente rimarginata. Di sicuro si trattava di un’altra diavoleria da vampiro. E lei che si era data tanto da fare per curare e disinfettare ogni insignificante graffietto che si era procurato nel bosco. Anche su quello le aveva mentito.

Nuove lacrime le solcarono le guance e frustrata cercò di asciugarsele, senza molto successo. Continuavano a sgorgare a fiotti e, malgrado non volesse piangere davanti a lui, alla fine si rassegnò a lasciarle uscire. “La verità è che sei solo un bastardo egoista!”

Stava per spingerlo di nuovo, ma a quel punto Dean ne aveva abbastanza. Tutta quella fatica non era servita a farsi insultare senza poter dire la sua. Rapido la afferrò per i polsi, costringendola a guardarlo in faccia. 

Juliet tentò di divincolarsi, ma fu tutto inutile. “Lasciami!”

“Mi ascolti?” domandò deciso, riuscendo per un momento a calmarla. Quando lei lo guardò di nuovo, riprese. “Hai ragione. Tutto quello che hai detto è vero e ti chiedo scusa. Avrei dovuto dirtelo prima, ma è proprio questo il problema. Non riesco a ragionare quando ci sei di mezzo tu.” ammise. “Riflettendo ho concluso che forse è a causa di quello che provo, ma non ne sono totalmente sicuro perché non mi era mai capitata una cosa del genere.”

Quello che stava dicendo lasciò Juliet senza parole. Lo fissava come intontita, finché, dopo un istante che sembrò un’eternità, trovò la forza di reagire. “Che cosa vuoi da me?” chiese a quel punto, sfinita. 

Questo Dean lo sapeva. “Ti chiedo solo una possibilità e di avere ancora un po’ di pazienza con me.” Detto ciò, le liberò i polsi e attese una risposta. Una qualunque. Anche se lo avesse rifiutato, si sarebbe fatto da parte, se era quello che voleva. 

Juliet sentì le gambe cedere e per poco non cadde in ginocchio, ma si fece forza. Quello non era il momento di svenire. Sentiva il cuore palpitarle a mille nel petto e sperò che non le venisse un infarto proprio ora. “Non è che hai tirato fuori un’altra dote da vampiro e adesso mi stai ipnotizzando per convincermi?” scherzò, rivolgendogli un sorriso timido.

Dapprima perplesso, lui ricambiò con ghigno divertito, che bastò a metterla definitivamente fuori combattimento.  Anche se niente era certo quando si trattava di Dean, l’istinto le diceva di provare a dargli fiducia. Dopotutto, lei non era Claire, non avrebbe commesso gli stessi errori.

Dean capì e si mosse per prenderle la mano. Le loro dita s’intrecciarono e bastò che si guardassero negli occhi perché tutto fosse chiarito. Non ci fu bisogno di aggiungere altro.

Intanto, gli altri erano rimasti fermi a osservare la scena, senza sapere bene come comportarsi. Aspettavano di vedere quale sarebbe stata la sua prossima mossa, ora che aveva Juliet dalla sua parte. 

“Dovete lasciare che vi aiuti.” sentenziò risoluto, mentre Cedric alzava gli occhi al cielo e scuoteva la testa. “Non c’è una sola possibilità che usciate vivi dal castello senza di me.” 

Questa volta Mark sembrava veramente intenzionato a prendere in considerazione la proposta. Alla fine, dopo averci riflettuto su per qualche istante, guardò di nuovo Cedric e si abbandonò a un sospiro. “Odio doverlo ammettere, ma ha ragione. Abbiamo sottovalutato la situazione, Ced.” constatò. “Non possiamo farcela da soli.”

Dean era sollevato. “Finalmente qualcuno con un po’ di buonsenso.” 

“Non credere che questo cambi le cose.” lo interruppe Mark, puntandogli un dito contro. “Su di te resto comunque della mia idea e se accetto di seguirti è solo per convenienza.”

Dean annuì, intuendo di aver ottenuto una tregua almeno per il momento, ma consapevole di non potersi più permettere errori. 

Senza lasciare la mano di Juliet, li guidò fuori dal vicolo cieco, attraverso i cunicoli del sotterraneo. Mentre camminavano, nessuno disse una parola. L’unico rumore era quello dei loro passi che riecheggiava sulle pareti. 

Per un po’ tutto sembrò filare liscio, anche se Dean non aveva abbassato la guardia neanche per un secondo. Aveva messo in conto che non avrebbero potuto lasciare il castello indisturbati, senza che qualcuno tentasse di fermarli, quindi non si stupì più di tanto quando una figura comparve dall’altra parte del corridoio, sbarrando loro la strada. 

“Dean.” lo chiamò Rosemary. “Che stai facendo?” La domanda suonò retorica, visto che era piuttosto evidente. Con sguardo minaccioso li squadrò uno a uno, come se volesse inchiodarli al muro con la sola forza del pensiero.

Quando Dean vide i suoi occhi saettare da Juliet alle loro mani intrecciate, istintivamente aumentò la presa. “Come ci hai trovato?” chiese gelido. 

Mary lo fissò incredula. “È tutto quello che sai dire?” 

Dean non sentiva di doverle alcun tipo di spiegazione, così continuò deciso a sostenere il suo sguardo, in attesa di una risposta. 

“Sei davvero un ingenuo.” disse lei allora. “Sul serio hai creduto che Nickolaij si fidasse ancora di te dopo tutto quel tempo passato con gli umani? Ho provato ad avvertirti non so quante volte in questi giorni, ma continuavi a evitarmi.” Con un sospiro frustrato, si passò una mano tra i capelli, prima di tornare a guardarlo. “Ti ha fatto pedinare, idiota.” rivelò. “Presto avrai tutti addosso, è solo questione di minuti.”

La mascella di Dean si contrasse, in preda a un moto di rabbia. Come aveva potuto essere così stupido? Era stato talmente preso dall’esigenza di trovare un modo per salvare Juliet e gli altri da non accorgersi di aver qualcuno alle calcagna. 

“Sai bene quanto Nickolaij sia abile nel capire le intenzioni altrui.” continuò Mary. “Quando sei tornato, ha intuito subito che qualcosa in te non andava e a quanto pare ci aveva visto giusto.”

Il suo tono s’intristì, ma a Dean non importava di averla delusa. “Non vedo come tutto questo possa riguardarti.” la provocò aspro.

“Come puoi dire una cosa simile? Lo sai quanto tengo a te…” ribatté punta sul vivo; poi, come era prevedibile che facesse, tentò di fargli cambiare idea. “Andiamo, non penserai di riuscire ad andartene come se niente fosse. Siamo ancora in tempo, aiutami a riportarli in cella e forse Nickolaij potrebbe ancora…”

“Basta!” la interruppe di colpo. Era davvero stanco di sentire sempre la stessa canzone, stanco di dover vivere nell’ombra di Nickolaij e nel terrore della sua vendetta. “Stai solo sprecando fiato. Ormai ho preso la mia decisione ed è definitiva. Adesso vattene, Mary.”

Quell’ennesimo rifiuto provocò in lei un cambio di atteggiamento. Il suo sguardo si fece affilato e la preoccupazione scomparve, mentre l’attenzione si focalizzò su Juliet e d’improvviso intuì tutto. “Non dirmi che è per lei che fai tutto questo?” chiese infatti subito dopo. “Per una… umana?” Pronunciò l’ultima parola con evidente disprezzo. “Patetico.” mormorò disgustata. 

Dean la ignorò, voltandosi verso gli altri per dire loro di andare avanti e che li avrebbe raggiunti presto. Juliet era visibilmente restia a seguire le sue istruzioni, ma le assicurò con lo sguardo che tutto sarebbe andato per il meglio. 

Le sue mani fecero appena in tempo a lasciare quelle di Dean, che Mary era già scattata per impedire loro la fuga, ma lui la intercettò prima che potesse raggiungerli.

Dopo una breve colluttazione, Mary ebbe il sopravvento e con considerevole energia lo afferrò per le spalle, sbattendolo contro il muro e stringendo la morsa affinché non potesse liberarsi. Malgrado fosse una donna, la sua forza non aveva nulla da invidiare a quella di un vampiro prestante. 

“Ora ascoltami bene.” Lo inchiodò con lo sguardo. “Come pensi che finirà? Nickolaij ha già messo l’intero castello sotto sorveglianza. Ogni uscita, ogni passaggio sono controllati. Dove credete di andare tu e il tuo gruppetto di amici?”

Dean, però, non si mostrò impressionato. Immaginava che non stesse mentendo, ma non voleva prestarsi al suo gioco. Se davvero Nickolaij si era già mosso, l’unica possibilità era di batterlo sul tempo e lasciare il castello prima di ritrovarsi circondati dai suoi uomini. La priorità comunque era quella di liberarsi di lei, quindi con una spinta si liberò dalla stretta di Mary, togliendosela di dosso. 

Non fecero che studiarsi, entrambi sulla difensiva e concentrati nel cercare di prevedere l’uno le mosse dell’altra. 

Lei lo squadrò sprezzante, con i nervi a fior di pelle. “Sai, ho sospettato fin dall’inizio che qualcosa in te era cambiato, ma non volevo crederci. Ho sempre creduto che non saresti mai stato così stupido da tradire Nickolaij e invece...” Scosse la testa, dispiaciuta e delusa allo stesso tempo. “Quando vi avrà catturato, sappi che non sprecherò neanche una parola in tua difesa. Sono stanca di dover continuamente giustificare le tue uscite di testa.” 

Dean ghignò. “Nessuno te l’ha mai chiesto.”

La sua provocazione sortì l’effetto sperato, perché Mary si avventò di nuovo contro di lui, che questa volta però non aveva intenzione di farsi sopraffare. Prima che potesse attaccarlo, infatti, le afferrò le braccia, bloccandola contro la parete con molta più forza di quanta ne avesse usata lei. 

“Lasciami, traditore!” intimò Mary fuori di sé, tentando di divincolarsi. “Ti giuro che non avrò pace finché tu e la tua puttanella non sarete morti e sepolti!”

Quando alluse a Juliet, Dean si sentì punto sul vivo e la bile gli risalì dallo stomaco. “Tu non la toccherai.” sibilò a denti stretti.

Lei allora si abbandonò a una risata maligna. “Ma guarda come ti sei ridotto. Protettore degli umani.” lo schernì. “Potrai anche riuscire ad andartene stanotte, ma se Nickolaij li vuole prima o poi li avrà. Compresa la tua puttanel…”

A quel punto però, Dean non poteva più sopportare un’altra parola. Con un violento strattone le fece sbattere la testa contro la pietra e Mary si accasciò al suolo priva di sensi.

La osservò dall’alto in basso con disprezzo, riflettendo su quanto la considerasse diversamente rispetto a molti anni prima, quando era stata la sua unica ancora di salvezza. 

Senza perdere altro tempo, la lasciò dov’era e corse a cercare Juliet e gli altri, trovandoli ad aspettarlo qualche metro più avanti. 

Lei gli venne incontro allarmata. “Sei ferito?” chiese, notando i suoi vestiti impolverati e i piccoli graffi che si era procurato durante lo scontro. Roba da niente, ma che la fece preoccupare comunque e questo a Dean non poté che far piacere. 

“Non è nulla.” la tranquillizzò, cercando subito la sua mano. 

“Che fine ha fatto quella donna?” si informò Mark cauto. “Non l’avrai mica… ammazzata?”

“Magari bastasse così poco.”

“Ma chi era?” Alla domanda Juliet si accorse che Dean era leggermente imbarazzato, come se stesse cercando le parole giuste. 

“La mia ex.” rispose infine, con una semplicità inaspettata. “Ma è finita da un pezzo.” Si affrettò a chiarire, quando lei gli rivolse un’occhiata perplessa.

“Ah, ecco.” intervenne Cedric sarcastico. “Adesso si spiegano tante cose.”

Dean sorrise impercettibilmente, prima di far loro cenno di muoversi. “Forza, dobbiamo sbrigarci.” 

Dopo aver messo quanta più distanza possibile tra loro e Mary, si fermarono un momento per riprendere fiato e permettergli di valutare la direzione da prendere. 

“Sei sicuro che questa strada conduca all’uscita?” chiese Mark tenendosi un fianco, provato dallo sforzo di stargli dietro. 

“Sì. Vivo qui da decenni e conosco ogni anfratto di questo posto.”

Il ragazzo annuì di risposta. “Ah, volevo dirti…” esitò incerto. “Scusa per prima. Mi dispiace di averti colpito.” 

“Tranquillo, è acqua passata.”

“A proposito, dov’è che siamo esattamente?” chiese Cedric, parlandogli sopra. “Non nel Montana, questo è poco ma sicuro.”

“In Romania. Per essere precisi nel villaggio di Bran, in Transilvania.”

Rachel si scambiò un’occhiata d’intesa con Mark. “Visto? Avevamo ragione.” Gli fece notare.

Cedric boccheggiò incredulo. “E come diavolo ci siamo finiti in Romania?”

“Il portale.” gli ricordò Dean.

Lui annuì. “Già, stupido io a chiederlo.”

Mentre attendevano che la loro guida decidesse in quale direzione andare, Rachel rifletté su quello che aveva detto a proposito della sua permanenza al castello e una domanda le sorse spontanea. “Mi rendo conto che non sia proprio il momento adatto, ma... suppongo che tu non abbia esattamente l’età che dimostri, vero?” In ogni romanzo sui vampiri che avesse letto, tutti erano molto vecchi, magari addirittura di secoli, ed era curiosa di sapere se valeva anche per lui.

Dean non rispose subito alla domanda, probabilmente colto alla sprovvista, poi però scosse la testa. “In effetti no.” 

“E posso chiederti quanti anni hai veramente?” insistette cauta, temendo di risultare inopportuna.

“Ne compio centodieci il prossimo dicembre.” rispose invece con naturalezza.

Quella rivelazione li lasciò per un attimo ammutoliti. Nessuno si aspettava che avesse tutti quegli anni, visto che sembrava più o meno loro coetaneo. 

“Però… Te li porti bene.” commentò Claire colpita.

La battuta lo fece sorridere, ma durò giusto il tempo di ricordarsi che Nickolaij sapeva delle sue intenzioni e che, se non si fossero sbrigati a lasciare il castello, sarebbero stati guai. Quindi, non appena ebbe deciso quale strada intraprendere, li spronò a seguirlo in fretta lungo uno dei due corridoi che si erano trovati davanti. 

L’illuminazione era così scarsa che per un po’ non parlarono, troppo occupati a guardare dove mettevano i piedi, finché Mark non ruppe di nuovo il silenzio. “Non voglio fare il petulante, ma non ci hai ancora spiegato come faremo a tornare a casa, ammesso che riusciamo a uscire vivi da qui.” 

“C’è un altro portale nella foresta, al limitare del castello. È lì che stiamo andando.” 

“E una volta attraversato ci porterà direttamente a Greenwood o dovremo rifarci mezzo paese a piedi?” chiese Cedric in tono polemico.

Dean sogghignò, continuando a guardare fisso davanti a sé. “Stavolta no.”

“Visto che siamo in vena di domande, ce n’è una che mi gira in testa da un po’.” esordì Claire alle sue spalle. “Se tu esisti, o meglio voi vampiri esistete… Esistono anche i lupi mannari e altre creature simili?”

L’ironia della domanda apparve subito evidente a tutti, ma Dean fece finta di niente e rispose con pazienza. “Quella dei licantropi è solo una storia inventata dai nostri antenati per coprire le loro tracce. Nei tempi antichi, i vampiri usavano indossare pelli di lupo per mimetizzarsi e cacciare indisturbati. Così tra gli umani si sono diffuse leggende su uomini-lupo che si nutrivano di sangue nelle notti di luna piena.” 

“Quindi è tutta una montatura?” constatò Rachel interessata. 

Lui annuì. “Del resto, è assurdo pensare che esistano uomini capaci di trasformarsi in lupi.”

“Beh, fino a poco tempo fa per me era assurdo pensare che esistessero i vampiri...” Sentirsi dire da uno di loro che i lupi mannari erano solo una favola, quello sì che era paradossale.

“E invece per quanto riguarda tutti quei cliché su di voi?” chiese Juliet qualche istante dopo. “Le croci, l’aglio, la luce del sole, eccetera?”

Divertito dall’ingenuità di quel discorso, Dean ridacchiò. “Sono tutte dicerie senza fondamento.”

“Tranne il fatto che vi mantenete in vita succhiando il sangue della gente.” precisò Cedric piccato.

“Non tutto quello che si sente in giro corrisponde a verità.” si difese lui prontamente. “Non siamo bestie assetate di sangue. Non tutti almeno. In realtà, per sopravvivere ci basta nutrirci una volta al mese, durante il plenilunio.”

A Rachel si illuminarono gli occhi, colta da un’improvvisa intuizione. “Quindi è per questo che ci tenevano chiusi in quella cella! Aspettavano il plenilunio per ucciderci.”

“Però non si spiega perché Claire fosse in isolamento.” aggiunse Juliet, che subito dopo trasalì a causa di un rumore sinistro. “Cos’è stato?” 

Grato che quel rumore avesse deviato la loro attenzione dal discorso, Dean le strinse la mano per incoraggiarla a proseguire. Probabilmente si era trattato solo di un topo. Fossero stati i vampiri, a quel punto li avrebbero già circondati e invece calma piatta. Era quella a preoccuparlo più di tutto. Se davvero Nickolaij li stava facendo cercare, perché non era ancora arrivato nessuno?

Juliet si strinse nelle spalle, trattenendo un brivido. “Ho sempre l’impressione che qualcuno ci piombi addosso da un momento all’altro.”

“Sarà solo suggestione.” disse Cedric. “Dopotutto stiamo vagando da un’ora nel sotterraneo di un castello con una setta di vampiri alle calcagna. Cosa potrebbe succederci di male?”

Dean comunque provvide subito a rassicurarli. “Ci siamo quasi. C’è un’uscita secondaria dopo questo corridoio, dobbiamo solo arrivarci.”

Di lì a poco, infatti, la galleria iniziò ad allargarsi, confluendo in uno spazio più ampio, simile a un piccolo atrio. Non c’erano porte o archi, ma solo una botola chiusa da due sportelli di legno, alla quale si accedeva tramite pochi gradini. 

Mark e Cedric si mossero per andare ad aprirla, ma Dean glielo impedì.

“Che c’è adesso?” protestò Cedric.

“Vi avverto fin da ora: è probabile che quando usciremo ci sarà qualcuno dall’altra parte ad attenderci…”

“E allora che siamo venuti a fare?” si intromise Rachel esasperata. Tutta quella fatica per ritrovarsi comunque in trappola. “Potevamo uscire da un’altra parte.”

Dean la guardò. “Credi che non ci abbia pensato? Ma quando Mary ha detto che Nickolaij aveva circondato il castello ho ritenuto che valesse la pena tentare. Questa uscita potrebbe non essere ancora sorvegliata e poi è la più vicina al portale.” spiegò risoluto, prima di riprendere da dove lo aveva interrotto. “Voglio essere chiaro, dovrete fare esattamente quello che vi dirò. Se la situazione si mette male e io vi dico di scappare, voi scappate senza fare obiezioni.”

“E lasciarti qui?” boccheggiò Juliet incredula. “Scordatelo, non se ne parla.”

“Invece lo farete, perché se so che siete al sicuro ho maggiori possibilità di cavarmela anch’io.” Dean parlò al plurale, ma da come la guardava si intuì che si riferisse principalmente a lei.

“E dov’è che saremmo al sicuro precisamente?” chiese Claire scettica.

“Nella foresta c’è un pozzo. Quando lo trovate, tuffatevi dentro. È quello il portale.” A quel punto, li fissò uno dopo l’altro per accertarsi di averli convinti. “Ho la vostra parola?”

Sia Juliet che gli altri tentennarono qualche istante, poi Mark rispose per tutti. “Va bene. Ma cerchiamo di restare uniti.”

Raggiunto così un accordo, Cedric si sentì libero di proseguire verso la botola e tentare di aprirla. Costretto a chinarsi per via del soffitto troppo basso, sollevò le braccia e iniziò a spingere, anche se malgrado gli sforzi non ottenne risultati. A quel punto, Mark provò ad aiutarlo, ma neanche insieme riuscirono a smuoverla di un millimetro. 

“Potresti anche darci una mano!” esclamò Cedric con la voce rotta dalla fatica. 

“Dev’essere chiusa dall’esterno.” constatò Dean in tutta semplicità. “Ecco perché non riuscite ad aprirla.” Salì i gradini per raggiungerli, lasciando intendere che dovevano fargli spazio, e iniziò a tastare il legno. In breve tempo si rese conto che era marcio per l’umidità, visto che quel passaggio non veniva utilizzato da anni e di conseguenza anche i cardini erano arrugginiti. Senza starci a pensare troppo, sferrò la prima gomitata al centro dei due sportelli. I cardini cigolarono, ma non si aprirono e, quando una pioggia di terra penetrò dalla fessura finendogli in testa, ebbe la conferma che la botola era bloccata. Si ripulì in fretta e tentò di nuovo con un’altra gomitata, stavolta più decisa, che riuscì a spaccare uno sportello. 

Un’altra cascata di terra mista a foglie secche cadde all’interno e Mark tossì, coprendosi naso e bocca con la mano mentre Dean, aiutato da Cedric, riusciva ad aprire completamente la botola. 

Dopo aver tolto anche gli ultimi residui di radici ed erbacce che ostruivano l’uscita, finalmente la tenue luce dell’alba illuminò il sotterraneo e la via fu libera.

Ritrovarsi all’aria aperta dopo giorni di reclusione fu un sollievo insperato. I suoni e gli odori del mondo esterno li investirono di nuovo, mentre i primi raggi di sole facevano capolino da dietro gli alberi della foresta che si estendeva a perdita d’occhio intorno al castello.

Si godettero quel meritato attimo di tranquillità, prima che l’eco di un battito di mani lo interrompesse.

Con un sussulto, si voltarono tutti in quella direzione e, anche se Dean non aveva certo bisogno di vederlo in faccia per sapere chi fosse, restò comunque impietrito quando lo sguardo penetrante di Nickolaij incontrò il suo. 

“Complimenti.” disse compiaciuto. “Sei stato davvero bravo, Dean. Anche se, ammetterai, alquanto prevedibile.” Accanto a lui c’erano Mary e Dustin, insieme ad altri quattro vampiri, tra cui anche Connor. A quanto pareva, Nickolaij non doveva considerarlo una grossa minaccia, visto che per fermarlo non aveva scomodato più di quattro uomini, oltre ai suoi soliti due galoppini.

Dean comunque cercò di mostrarsi preoccupato. “Mio signore, come mai da queste parti?” chiese pacato. In effetti, di rado si occupava personalmente di simili faccende, preferiva delegare il lavoro sporco ad altri.

“Ero curioso di vedere fino a che punto ti saresti spinto.” spiegò Nickolaij, guardandolo fisso. 

Dean in quel momento intuì stesse cercando di leggergli dentro e percepire le sue paure, che all’improvviso non si sentì più in grado di nascondere.

“Non appena Rosemary ha scoperto le tue intenzioni ed è venuta a riferirmelo, sul momento confesso di essere stato colto di sorpresa. Non pensavo di aver avuto ragione su di te, speravo di sbagliarmi stavolta.” Lo disse con una vena di malinconia nella voce, deluso e annoiato allo stesso tempo.

Ecco come aveva fatto a sapere in anticipo il punto esatto da cui sarebbero usciti. Dean imprecò tra sé, lanciando a Mary un’occhiata di puro odio.  

“Non credi sia arrivato il momento di porre fine a questa follia?” proseguì Nickolaij. “Sai perfettamente come andrà. È inutile sprecare energie in atti tanto eroici quanto stupidi. Arrenditi e ti concederò una morte clemente.”

-Sì, certo- pensò Dean, che nel frattempo si guardava intorno alla disperata ricerca di una via di fuga. Mentre parlavano, infatti, si era accorto che i vampiri li stavano accerchiando lentamente. Se avessero attaccato, non sarebbe stato difficile intuire chi avrebbe avuto la meglio. Due poteva anche atterrarli, ma contro quattro non aveva speranze. Senza contare Mary e Dustin. “E se mi rifiutassi?” chiese sicuro di sé, cercando di prendere tempo.

Nickolaij gli lanciò un’occhiata tagliente, infastidito da quell’atteggiamento ribelle. “Allora non credo ci sia nient’altro da aggiungere. Vediamo di concludere.” Dopodiché rivolse un cenno alle sue guardie del corpo, lasciando a loro il compito di occuparsi dei fuggiaschi; poi girò i tacchi e tornò da dove era venuto.

Come volevasi dimostrare, non era nel suo stile provvedere di persona a certe seccature, ma non per questo la faccenda si fece meno seria. I vampiri si avvicinarono minacciosi, e due di loro puntarono subito alle ragazze, l’anello debole del gruppo.

“Scappate!” urlò loro Dean. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, per questo li aveva avvertiti. Non fece comunque in tempo a verificare che gli avessero obbedito, perché Connor e un altro vampiro gli furono subito addosso. Gli altri due non avrebbero impiegato molto tempo a raggiungerli, ma al momento non poteva fare niente per impedirlo. 

Mentre lottavano, Connor lo lasciò al suo compare, per andare a dar man forte ai compagni, ma Dean se ne liberò facilmente con un paio di pugni e si fiondò al suo inseguimento. 

Poco più avanti, trovò Mark e Cedric che tentavano di trattenere i vampiri, per dare un minimo di vantaggio alle ragazze, ma Dean non fece in tempo a impedire che venissero messi k.o. Subito dopo vide Connor sparire tra gli alberi e provò ad andargli dietro, ma gli altri due vampiri gli sbarrarono la strada. Durante la lotta uno riuscì a bloccargli le braccia, mentre l’altro gli sferrava un pugno nello stomaco. Stordito, perse la lucidità per qualche istante, prima di riuscire a liberarsi con una testata. Il vampiro dietro di lui urlò di dolore, coprendosi il naso sanguinante e Dean ne approfittò per afferrarlo per le spalle e buttarlo addosso al suo compare, così da liberarsi di entrambi in un colpo solo e inseguire Connor.

A quel punto Dustin, finora rimasto in disparte, fece per intervenire, ma Mary lo fermò. 

“Lascia, me ne occupo io.” 

Il vampiro chinò il capo obbediente. “Come volete, ma ricordate che l’obiettivo è la ragazza.” 

-Come dimenticarlo- pensò lei, prima di fiondarsi dietro a Dean.

 

-o-

 

Nel frattempo, le ragazze correvano a perdifiato nella foresta, senza neanche sapere dove stessero andando. Dietro di loro continuavano a sentire i passi degli inseguitori. Non avevano idea di quanti vampiri avessero alle calcagna, ma sapevano che uno solo sarebbe bastato per tutte e tre. L’unica speranza era che il pozzo non fosse troppo lontano.

“Non ce la faccio più!” ansimò Juliet, in coda al gruppo.

 “Coraggio, non ti puoi fermare adesso!” le gridò Claire, voltandosi indietro.

Lei cercò di resistere, di non pensare alla fatica ma alla salvezza, non solo sua ma anche dei ragazzi. Erano rimasti indietro per proteggerle e ora chissà cosa gli era successo. 

All’improvviso, uno degli inseguitori sbucò alle sue spalle e la afferrò per un braccio, strattonandola e facendola cadere. 

“Ti ho presa, bambolina!” esclamò divertito, mentre le montava sopra sbattendole in faccia quel suo perfido ghigno.

Le grida atterrite dell’amica misero in allerta Rachel e Claire, che tornarono indietro per soccorrerla. Tentarono di toglierglielo di dosso, ma lui con una spinta le allontanò senza troppe difficoltà. 

Juliet lottò disperatamente contro l’aggressore, sferrando calci all’impazzata per cercare di liberarsi, ma tutto ciò che ottenne fu che la tenesse più stretta, per poi chinarsi famelico su di lei.

Poteva sentire il suo alito sul collo, segno che fosse pronto a morderla. A quel punto, paralizzata com’era dalla paura, smise di dimenarsi e pensò che ormai fosse davvero finita. Avrebbe tanto voluto che Dean fosse lì e, come per miracolo, il suo desiderio venne esaudito. Il corpo del vampiro cessò di pesarle addosso e in un attimo fu libera. Qualcuno, infatti, l’aveva afferrato per gli abiti e scaraventato lontano contro un albero, facendogli perdere i sensi. 

Per aiutarla ad alzarsi Dean la sollevò praticamente di peso e Juliet non poté fare a meno di abbracciarlo disperata.

Lui le accarezzò la nuca, stringendola a sé. “Stai bene?” Poi, senza aspettare una risposta, la guardò negli occhi e con aria apprensiva le scostò i capelli dal collo, per controllare che non fosse stata morsa. Subito dopo, si voltò di scatto verso Connor, che si stava già riprendendo.

“Dovete andare.” disse risoluto a Rachel e Claire, che intanto si erano avvicinate. Lui e Juliet si scambiarono un’ultima, rapida occhiata, prima che la affidasse a loro. 

Ebbe appena il tempo di vederle sparire tra gli alberi, che Connor era in piedi, pronto a un nuovo scontro.

Dean, però, agì prima che fosse in grado di difendersi e in un attimo lo sbatté a terra con violenza, sollevando nuvole di polvere. Il vampiro spingeva con la schiena e con le gambe per liberarsi, ma la presa era salda.

“Oh, allora è così che sei quando ti incazzi.” lo provocò ghignante. “Finalmente hai tirato fuori le palle.”

“Sta zitto, animale.” gli intimò Dean a denti stretti.

Il vampiro ridacchiò ancora, per nulla impressionato. “L’ho capito che tieni alla biondina, sai. Quando la prenderemo, chiederò a Nickolaij di poterla mordere personalmente. E lo farò proprio davanti ai tuoi occhi. Vedrai come urlerà poi…”

Dean si sentì travolgere da una rabbia incontenibile, che gli fece perdere ogni freno e l’impulso di porre fine a quell’ignobile vita prese il sopravvento sulla ragione. Con un gesto fulmineo lo infilzò nel petto con la mano, strappandogli via il cuore di netto, e il vampiro si abbandonò a un ultimo spasmo, prima di accasciarsi al suolo. 

Ansante, Dean si alzò in piedi con l’organo ancora caldo e pulsante in mano, che subito dopo gettò disgustato in mezzo ai cespugli. Poi fissò il corpo inerte di Connor, lo sguardo vitreo e la bocca contratta in un’espressione sorpresa. Finalmente era riuscito a toglierli quel ghigno dalla faccia una volta per tutte.

“Niente di personale.” mormorò ancora provato, ma soddisfatto. Stava per voltarsi e tornare dalle ragazze, quando qualcosa lo colpì alla testa e tutto divenne scuro.

 

-o-

 

I tronchi degli alberi cominciavano ad apparire come una massa indistinta e, se non stava attenta, Rachel avrebbe rischiato di andarci a sbattere contro. Sembrava che stessero correndo da una vita e del pozzo non c’era ancora traccia. A peggiorare la sua ansia contribuiva il fatto che i ragazzi non le avevano ancora raggiunte. Quando erano rimasti indietro per dar loro una possibilità, si era opposta. Non sopportava l’idea di separarsi da Mark, ma lui e Cedric avevano insistito fin quando l’unica scelta non era stata quella di scappare. 

Più volte era stata tentata di tornare indietro, ma così facendo avrebbe annullato tutti gli sforzi di Dean, perciò aveva continuato a correre, pensando solo a mettere quanta più distanza possibile tra loro e il castello.

Il sole era quasi sorto, ma la luce non era ancora abbastanza per rischiarare l’ambiente. Inoltre, la foresta era talmente fitta che a malapena riuscirono a scorgere una sagoma bassa e tozza in lontananza. 

Il viso di Rachel si illuminò. “Quello deve essere il pozzo!” esclamò, indicandolo alle amiche.

Finalmente rallentarono un po’, riprendendo fiato, e una volta vicine si concessero qualche istante, nella speranza di veder comparire gli altri.

Mancavano pochi metri al portale che le avrebbe riportate a casa, talmente poco che stentavano a crederci. Senza di loro, però, nessuna se la sentiva di proseguire, così rimasero lì impalate, scrutando ansiose la direzione da cui erano appena venute. 

“Forza, avanti…” mormorò Claire nervosa, come per auto convincersi che i ragazzi sarebbero comparsi da un momento all’altro. Di loro, però, neanche l’ombra e non potevano permettersi di aspettarli a lungo.

Stavano per decidersi a mettere finalmente la parola fine a quella storia, quando Juliet strillò di dolore. Qualcosa l’aveva colpita di striscio a un fianco, strappandole la maglia. Poco più in là, vide infatti il luccichio di una lama nell’erba; poi sentì le ginocchia cedere e cadde a terra, colta da una fitta improvvisa, e d’istinto si portò una mano sulla ferita, ritraendola sporca di sangue. 

“Che cos’hai?” le chiese Claire allarmata, correndole subito accanto insieme a Rachel. 

Juliet tenne premuta la mano sul taglio, che non sembrava profondo, ma che stranamente bruciava. “È solo un graffio. Sto bene...” mentì, per non allarmarle. 

“Peccato.” intervenne una voce familiare alle loro spalle. “Si vede che la mia mira non è più quella di una volta. Devo aver perso esercizio.” commentò Mary ironica, uscendo dai cespugli.

Le ragazze puntarono gli occhi su di lei, troppo spaventate per muoversi. 

“Dove credevate di andare?” chiese civettuola. “Nessun essere umano lascia questo castello. Il cibo entra, ma non esce mai.” Le sfuggì una risatina impertinente; poi sembrò rifletterci su. “Voglio offrirvi una possibilità. Tornate al castello con me e vi prometto che non vi terremo troppo tempo rinchiuse. Lascerete questo mondo in fretta.”

“Grazie, ma penso che declineremo l’invito.” ribatté Claire con lo stesso tono ironico. 

Lo sguardo di Mary saettò su di lei. “Siete delle illuse se pensate che una volta varcato quel portale sarete fuori pericolo. Nickolaij vuole il vostro il sangue e non sarà certo la distanza a fermarlo.”

Sapevano che aveva ragione. Neanche a Greenwood sarebbero state al sicuro. D’altronde, era proprio là che tutto era iniziato.

Mary si avvicinò, compiaciuta nel vederle trasalire, e i suoi occhi incontrarono quelli di Juliet. “Mi chiedo cosa ci trovi di tanto speciale in te…” mormorò seria, dopo averla studiata per un po’. 

Juliet capì subito a chi si stava riferendo e la risposta le uscì spontanea. “Me lo chiedo anch’io.” disse candida. “Il Dean che conosco non proverebbe alcun interesse per un mostro come te.”

Quell’affermazione, che avrebbe dovuto offenderla, ebbe invece su Mary l’effetto contrario. “Tu non hai idea di come sia in realtà. Non lo conosci neanche la metà di quanto lo conosco io.” Scoppiò in una risata tra l’isterico e il divertito; poi si chinò su di lei, finché i loro volti non furono a pochi centimetri di distanza. “Sei una stupida se credi che sia innamorato di te. Una povera ingenua.”

Tentando di reprimere le lacrime, Juliet si sforzò di non darle ascolto. Si rendeva conto di non conoscere Dean abbastanza da potersi fidare di quello che le aveva detto, ma confidava nella sincerità dei suoi sentimenti. Era già stato difficile per lui esternarli, figurarsi se avrebbe potuto mentire. E a che scopo poi? Aveva capito a che gioco stava giocando quella donna e non l’avrebbe lasciata vincere. “Tu conosci solo il vecchio Dean. Non sai quanto sia cambiato…”

“La gente non cambia, ragazzina. Lui è incapace di amare.” la interruppe, stavolta con un che di amaro nella voce. 

Juliet scosse la testa. “Ti sbagli. Sento che il tempo trascorso con noi lo ha aiutato a diventare una persona diversa. Tiene davvero a noi…” esitò, ripensando a quell’ultima parola. “A me.” specificò. “E se pensi che non ti abbia mai amata magari è perché non lo meritavi.” 

Non avrebbe voluto provocarla, non era da lei, ma doveva pur difendersi dalle sue insinuazioni. Il fatto che continuasse a screditare Dean poi confermava la sua incapacità di lasciarlo andare. Voleva farle capire una volta per tutte che lui non era una sua proprietà.

Le sue parole suscitarono in Mary una rabbia cieca e, da posata che era, la sua espressione divenne furiosa.

Di colpo si avventò su Juliet, afferrandola per il collo con tanta forza da rimetterla in piedi. Lei emise un rantolio strozzato, mentre cercava inutilmente di liberarsi. A nulla valsero i tentativi di Rachel e Claire di aiutarla. 

Mary continuò a stringere, ormai a un passo dallo strangolarla, quando all’improvviso qualcosa la costrinse a mollare la presa. 

Juliet si accasciò in ginocchio, portandosi una mano alla gola nel tentativo di tornare a respirare. Alzato di nuovo lo sguardo, vide Mary che si teneva la spalla sanguinante, dalla quale fuoriusciva il manico dello stesso pugnale che prima aveva lanciato contro di lei. 

La donna indietreggiò, continuando a lamentarsi, mentre lì accanto Claire la fissava scioccata, incapace di credere a ciò che aveva appena fatto.

Approfittando di quel momento, Rachel prese in mano la situazione. “Forza, andiamo!” le esortò. Dopodiché, insieme a Claire sollevò l’amica di peso e raggiunsero il bordo del pozzo. A fatica riuscirono a scavalcarlo, per poi chiudere gli occhi e lanciarsi nel vuoto. 


 

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Capitolo 25
*** Epilogo ***


 

Epilogo

 

Con il cuore in gola, chiudo gli occhi e salto. Li chiudo per non vedere dove sono finita, ma anche se trovassi il coraggio e li aprissi non vedrei altro che buio.

Sono in caduta libera. All'improvviso il mondo rallenta e non riesco a smettere di pensare. Pensare che sono di nuovo senza di lui. Dean. Neanche il tempo di trovarci che già ci siamo persi e non so se mai ci rincontreremo, ammesso che sia ancora vivo. Cerco di allontanare questo pensiero.

Sì, come se la mia testa riuscisse a formularne di diversi. Dovrei cominciare ad abituarmi all'idea, eppure mi è impossibile.

L'unica cosa che posso fare è abbandonarmi e cadere, cadere nel vuoto…

All’improvviso una strana forza mi strattona, scuote il mio corpo con violenza, finché non mi sento risucchiata verso il basso. Per un po’ non mi riesce di respirare, ma poi l’aria torna a riempirmi i polmoni, come quando esci dall’acqua dopo una lunga apnea.

Finalmente sono fuori e provo a riaprire gli occhi. Dopo tutta quella oscurità, la luce è accecante, così sbatto velocemente le palpebre, tentando di mettere a fuoco ciò che mi circonda e per la prima volta mi rendo conto della triste realtà.

Credevamo di tornare a casa, ma quella non era Greenwood.

 

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