Risvegli

di fantasy93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'imprevisto ***
Capitolo 3: *** Il Dono degli Dei ***
Capitolo 4: *** Il viaggio ***
Capitolo 5: *** Lo Straniero ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Bruciava.
Fu questo il suo primo pensiero razionale.
Non riusciva a muoversi.
Non poteva scappare.
Non riusciva ad aprire gli occhi.
Rosse. Verdi. Le fiamme gli lambivano tutto il corpo.
Sperò che la morte arrivasse in fretta a placare le sue sofferenze.
Forse era già morto e questo non era altro che l’Inferno.
Gli parve di sentire una voce lontana.
Perse finalmente conoscenza.

 
*******************************************************************************

Ancora quella voce.
Non riusciva a pensare a nulla.
C’erano ancora le fiamme. Stavolta erano solo attorno alla gamba.
Forse il resto del suo corpo era già cenere.
Non sentiva altro che le fiamme.

 
********************************************************************************

Una donna. Era una voce di donna.
L’aveva capito giusto in tempo, prima che svanisse.
Anche le fiamme sembravano essersi placate.
C’ era silenzio.
Provò ad aprire gli occhi. Ci mise un po’ a mettere a fuoco, la luce era troppo forte. Era in un letto. Si trovava in una stanzetta piccola, con una finestra, un piccolo focolare e uno scrittoio. La porta si spalancò all’improvviso e ad entrare fu un uomo sorridente sulla cinquantina, dal naso grosso e pieno di venuzze. Reggeva in mano una grande ciotola.

- Ah vedo che finalmente ti sei svegliato! Hai dormito parecchio…”

Si accorse che gli era difficile parlare.

- Shhh! Non ti sforzare. Tranquillo, ormai sei fuori pericolo. Qualche altro giorno a letto e tornerai come nuovo! Ecco, bevi un po’ d’acqua.”

L’uomo avvicinò un mestolo colmo d’acqua alla sua bocca. Bevve con avidità, e dopo provò a schiarirsi la voce.

- Tu chi sei? –

Il sorriso dell’uomo si incrinò leggermente.

- Sono il confratello anziano dell’Isola Silenziosa. Ti ho trovato io, al bivio per Padelle Salate. Ricordi? –

- No. –

- Eri ferito. Avevi combattuto. Ricordi? –

- No. –

Il sorriso dell’uomo svanì del tutto.

- Ricordi il tuo nome? –

- No.-

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Capitolo 2
*** L'imprevisto ***


Alayne
 
Erano in viaggio da almeno un paio d’ore. Il sole stava pian piano calando. Non avrebbero raggiunto il castello di Lady Waynwood prima della mezzanotte probabilmente. Si erano attardati come al solito a causa del piccolo Robin Arryn, aveva avuto un’altra delle sue crisi prima della partenza. Alla fine Ditocorto aveva insistito per somministrargli poche gocce di latte di papavero, e adesso il ragazzino se ne stava mezzo addormentato, con la testa penzolante al trotto del suo pony. Non esattamente un bello spettacolo per il Lord protettore dell’Est. Almeno la cavalleria di Lady Waynwood sarebbe giunta a scortarli soltanto a poche miglia dal castello, c’erano buone possibilità che Robin si risvegliasse e assumesse una posizione dignitosa fino a quel momento.

Avevano lasciato le Porte della Luna scortati da una fanteria di almeno cinquanta uomini, senza contare il seguito della corte, e i carri. In tutto erano almeno un centinaio di persone. Lei cavalcava al centro della lunga fila, subito dietro al piccolo Robin. Petyr era al suo fianco, spesso lo sorprendeva a guardarla intensamente, ma a lui sembrava non importare, si limitava a sorriderle compiaciuto e lei rispondeva con grazia al suo sorriso. Dopotutto era suo padre e si aspettava che lei si comportasse da figlia amorevole.

- Alayne, tesoro. Ti senti bene? Sei un po’ pallida. – Petyr le si era avvicinato e le aveva sfiorato il volto con fare amorevole.

- Sto bene, padre. Sono soltanto un po’ stanca. –

- Tranquilla mia cara. Appena arrivati al castello potrai riposare e recuperare le energie. Domani sarà un grande giorno per te. Anche se sono certo che nonostante la stanchezza, il giovane Harry faticherebbe a staccarti gli occhi di dosso. –

- Sono le parole di un padre amorevole. –

- Certo, ma non per questo sono meno vere, mia cara. -

Continuarono a cavalcare vicini per un altro tratto. Alayne sapeva che l’indomani sarebbe stato determinante per i piani di Ditocorto. Le aveva già parlato della sua intenzione di farle sposare Harrold Hardyng, meglio conosciuto come Harry l’Erede. L’erede degli Arryn, una volta Robin fosse morto. Era solo questione di tempo, il ragazzino era debole e malato, ma ogni volta che ci pensava le si stringeva il cuore. Nonostante fosse un ragazzino volubile e viziato, Alayne non desiderava affatto la sua morte, nemmeno se questo significava riavvicinarsi a casa.

Non era per niente ansiosa di conoscere il suo futuro sposo. Un tempo Sansa Stark avrebbe passato ore ed ore a fantasticare sulla bellezza e sul valore del suo futuro sposo, un cavaliere! Alayne invece, aveva imparato a non aspettarsi niente da nessuno, e come Petyr le aveva insegnato, a non fidarsi di nessuno. L’indomani si sarebbe comportata in maniera ineccepibile, ma qualunque cosa fosse successa, lei non si sarebbe lasciata scalfire.

Era ancora persa nei suoi pensieri, quando si accorse che Ditocorto aveva ricevuto un messaggio. Si distaccò dalla fila, insieme a Lothor Brune, uno dei suoi uomini più fidati, e la invitò a seguirlo. Si allontanarono quel tanto che bastava per essere lontani da orecchie indiscrete, e smontarono da cavallo.

- Alayne, tesoro. C’è un piccolo cambio di programma. –

- Che succede, padre? –

- A quanto pare, a mezza giornata a cavallo da qui, c’è una truppa di Lannister. Sapendo che Lady Waynwood sta organizzando un torneo, hanno deciso di venire a dare un’occhiata. –

- Non capisco, padre. Potrebbero riconoscermi? Siete stato voi a dirmi che gli uomini vedono solo ciò che vogliono vedere… -

- Sono felice che tu mi risponda così, cara, Ebbene sì, è vero. Non sarei minimamente preoccupato se si trattasse di una truppa qualunque, ma a quanto pare si tratta Jamie Lannister. Non sono mai rientrato tra le sue simpatie. Sansa Stark è accusata di aver assassinato suo… ”nipote”. Lo Sterminatore di re non è del tutto stupido. Potrebbe fare due più due. Rivelare la nostra posizione politica in questo momento sarebbe fin troppo prematuro, cara. –

- Non possiamo tornare indietro a Nido dell’Aquila, non faremmo in tempo! –

- Nessuno ha parlato di tornare indietro, tesoro. Ascoltami, ti proteggerò, stai tranquilla. Ho scommesso tutto su di te, bambina mia. Come sai so essere un uomo molto previdente, e avevo già un piano pronto in caso di emergenza. Noi continueremo indisturbati la nostra marcia fino al castello, senza insospettire nessuno. Tu scapperai. Lothor Brune ti accompagnerà. Non temere: staremo lontani al massino poche settimane. Il torneo sarà rinviato in attesa del tuo ritorno. Per tutti tu sarai tornata al convento, poiché la sorella che ti ha praticamente cresciuta è in fin di vita e ha chiesto di te. In realtà Brune ti porterà in un luogo sicuro. –

- Cosa succederà se a qualcuno verrà in mente di controllare il convento? –

- C’è già una giovane ragazza dai capelli scuri, che piange una povera sorella malata, e dice di chiamarsi Alayne. -

- E cosa dirai al giovane Robin quando si sveglierà e non mi troverà? –

- Il giovane Lord PettiRosso saprà quello che sapranno tutti e pregherà per un tuo rapido ritorno. –

Petyr Baelish le si avvicinò e le diede un lungo bacio sulle labbra, molto più affettuoso di quello di un padre alla propria figlia. Alayne lo lasciò fare.

- Ora andate. Non c’è tempo da perdere! Mi metterò io in contatto con voi. –

- A presto, padre. –

Rimontarono in sella. Alayne seguì Lothor Brune che si stava allontanando a tutta velocità dalla carovana diretta al castello.
Alayne si stava allontanando dal suo unico protettore.

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Capitolo 3
*** Il Dono degli Dei ***


Lo smemorato
 
La luce filtrava appena attraverso la spessa coltre di nubi, a rischiarare la stanza c’erano solo il fuoco del caminetto e un moccolo di candela sullo scrittoio… Come se avesse avuto qualcosa da scrivere!

- Se è vero che mi conosci così bene, perché ti ostini a non volermi dire chi diavolo sono?! –

Erano trascorsi diversi giorni da quando si era risvegliato. Pian piano si era ripreso grazie alle cure del confratello anziano. Aveva appreso che si trovava sull’Isola Silenziosa, un luogo dedicato alla cura dello spirito e abitato esclusivamente da confratelli devoti ai Sette Dei. Una volta entrati a far parte di quell’ordine, gli uomini dovevano prestare voto di silenzio. Usavano la voce solo per pregare. Lo stesso confratello anziano poteva parlare un solo giorno alla settimana, a meno di non dover confessare qualcuno. Ecco che quindi pur di avere delle risposte, aveva chiesto di confessarsi ogni giorno. In realtà c’era una sola domanda ed era sempre la stessa.

- Perché credo che la tua amnesia sia un dono degli Dei! È la tua opportunità di ricominciare tutto da capo, di vivere una vita serena! –

Anche la risposta era sempre la stessa. Quello stupido vecchio era così certo di essere nel giusto! In alcuni momenti desiderava alzarlo per il collo e costringerlo a rivelargli ogni cosa, ma temeva che piuttosto che parlare si sarebbe lasciato uccidere. Inoltre la sua gamba a stento riusciva a sostenere il suo peso, figurarsi compiere questo tipo di sforzo. Doveva provocarlo e sperare che gli sfuggisse qualcosa…

- E se io non volessi?! –

- E cosa vuoi allora? –

- La verità. –

- Molto bene. La verità è che ti ho trovato sotto un albero, in fin di vita. Mi hai chiesto pietà, quando per te significava darti il colpo di grazia. Mi hai raccontato la storia della tua vita. Eri un uomo solo, solo come un cane, vivevi consumato dall’odio e dalla rabbia e sebbene vi fosse del buono in te, hai compiuto atti indicibili e sognavi di compierne altri. Non hai niente e nessuno a cui tornare. Vuoi davvero ricordare tutto ciò? –

Quindi era quella la verità. Era un mostro sanguinario. Non c’era nessuna famiglia ad aspettare il suo ritorno, nessuna donna, nessun affetto. Che senso aveva allora sopravvivere? Eppure era come se gli sfuggisse qualcosa…

- Perché dovrei fidarmi di te? Chi mi dice che tu non stia mentendo?! –

- Sono il confratello anziano di un ordine religioso: non posso mentire. Se questo non ti bastasse, pensa che ti ho salvato la vita, e che non avevo idea che avresti perso la memoria. Se questo non ti bastasse, sappi che sei libero, nessuno ti lega a questo posto, nessuno ti impedirà di andartene. Se anche questo non ti bastasse, allora guarda dentro di te. Ti ho sentito urlare. Tutte le notti. Grida strazianti. –

I suoi incubi.
Le fiamme tornavano a tormentarlo tutte le notti. Non era certo un mistero il motivo. Il suo corpo le aveva conosciute fin troppo bene. In un primo momento aveva perso anche la percezione di sé stesso e del suo aspetto. Quand’era ancora costretto a letto si era portato una mano al volto ed aveva capito che c’era qualcosa che non andava. Si era sforzato di ricordare, ma era stato tutto inutile. Nella sua stanza non c’erano specchi, aveva quindi dovuto chiedere al vecchio. Quello gliene aveva portato uno il giorno dopo, almeno questo non glielo aveva rifiutato.

Non poteva negare di aver provato un certo sgomento e orrore nel guardarsi, ma dopo pochi istanti si era riconosciuto: quello era sempre stato il suo volto. Capelli e sopracciglia nere come il carbone, un naso aquilino a confine tra quella che era la metà di una faccia e un groviglio di cicatrici informe e deturpante. Grandi occhi grigi, di cui però non ne aveva colto lo sguardo, troppo spaventato forse. Aveva appoggiato lo specchio sul comodino senza dire una parola, il vecchio aveva capito e lo aveva lasciato in pace.

Si riscosse da quei pensieri scuotendo il capo.

- Dimmi almeno il mio nome. –

Il vecchio sembrò sul punto di vacillare. - Non sono certo che sia una buona idea, ma ti prometto che semmai tu dovessi ricordarlo o indovinarlo non mi tirerò indietro. –

- D’altronde non puoi mentire. Non è forse così? –

- È proprio così infatti. –

- Varrà per qualunque cosa io dovessi ricordare allora. –

- Così sia. Resterai dunque qui tra noi? –

- Sembro non avere scelta. Non ti assicuro che prenderò i voti, in ogni caso. –

- Non sei obbligato. –

- Se non vuoi rivelarmi il mio nome, dovrai pur chiamarmi in qualche modo. –

Il vecchio parve pensarci su un secondo. – Che ne dici di Rodnas? Mi sembra appropriato… Per gli amici Rod. Frate Rod. È perfetto! –

Non gli piaceva quell’espressione compiaciuta sulla faccia del vecchio, doveva avergli affibbiato un nome che trovava divertente forse, o che magari aveva effettivamente qualcosa a che fare con lui… Non volle dargli la soddisfazione di aver forse intuito i suoi giochetti. - Bah, probabilmente è un nome come un altro. Non ci sperare troppo nel “frate”! -

Il confratello anziano si concesse una breve risata. – Sai Rod, che tu scelga o no di unirti alla nostra fratellanza, dovrai rispettare le regole dell’Isola. Prenditi quest’ultimo giorno per riposare e recuperare meglio le forze. Ti aspetto domani per la preghiera dell’alba. Puoi cominciare a studiare da qui. –

Nel dirlo gli porse un piccolo libricino abbastanza consunto. Nel decifrare le scritte Rod si accorse di saper leggere, evidentemente il vecchio doveva saperlo. Forse era per questo che se ne stava lì tutto gongolante. Gli lanciò un ultimo sguardo e lo lasciò solo nella stanza. Rod si sedette allo scrittoio, alla luce della candela e aprì il libricino alla prima pagina.
Inno alla Madre
 
 

NOTE DELL'AUTRICE: Mi scuso tantissimo per il ritardo abissale con cui carico questo capitolo, per i prossimi cercherò di essere più rapida. A volte è difficile conciliare tutti gli impegni... Ringrazio tutti quelli che hanno letto i primi due capitoli e soprattutto chi mi ha lasciato una recensione. Spero continuiate a seguirmi! Grazie infinite! Alla prossima! :*
 

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Capitolo 4
*** Il viaggio ***


Alayne
 
Non aveva mai viaggiato sola con un uomo. Ser Dontos non contava, erano rimasti soli per poche ore prima di raggiungere la nave su cui la aspettava Petyr. Sembrava passata un’infinità da quei giorni, quando era ancora Sansa Stark e credeva nelle ballate e nei cavalieri. Nemmeno Lothor Brune era un vero cavaliere, ovviamente. Era un uomo fidato di Ditocorto, non aveva niente da temere da lui, eppure Alayne era preda di una strana inquietudine. Forse perché stava scappando di nuovo. La stupiva il fatto che Petyr avesse deciso di allontanarla: non era da lui una simile mossa. Forse questa volta aveva preferito non rischiare, dopotutto un abile giocatore sa quando giocare d’azzardo, e Ditocorto era il più abile di tutti. Non c’erano dubbi. Aveva ancora bisogno di lei, perciò non l’avrebbe messa in pericolo.

Spronò il suo cavallo quel tanto che bastava a non rimanere indietro, mentre Brune manteneva un andamento veloce. In passato, la ragazzina che era cresciuta a Grande Inverno, si era limitata ad andare al trotto e a cavalcare in maniera dignitosa da vera lady, ma Alayne invece aveva imparato ad apprezzare la velocità e forse comprendeva meglio le passioni di un’altra ragazzina che un tempo aveva chiamato sorella.
Doveva smettere di pensare a quelle cose: Alayne non era mai stata a Grande Inverno e soprattutto non aveva sorelle.

Si accorse che l’uomo stava rallentando, a qualche centinaia di metri da loro poteva scorgere un fiume. Si decise a rivolgergli la parola, un modo come un altro per spezzare il filo di quei pensieri dolorosi.

- Lasciamo abbeverare i cavalli? –

Brune sembrò sorpreso, quasi come se si fosse dimenticato della sua presenza. In effetti, non avevano affatto parlato durante il viaggio, e la notte ormai era calata silenziosa e scura.

- Si, ma ci fermiamo anche noi. Sono ormai diverse ore che cavalchiamo, abbiamo bisogno di riposare. Ci fermeremo lì per la notte, ai bordi di quella radura. Le locande sono troppo pericolose di questi tempi. –

Alayne annuì con fare consapevole. – Dov’è che stiamo andando? –

-In un luogo sicuro. Domattina costeggeremo il fiume. Se tutto va come spero e senza imprevisti, per domani sera saremo arrivati. –

Alayne osservò il cielo nuvoloso e sperò che tra gli imprevisti a cui si riferiva Brune non fosse contemplato anche un acquazzone. Lasciarono che i cavalli si dissetassero e poi si sistemarono ai bordi della radura. Si raggomitolò nel suo mantello, mentre Brune le porse una mela dalla sacca legata al suo cavallo, ne prese una anche per lui e due per i cavalli. Non si era resa conto di avere tanta fame, quella mela le sembrò una vera prelibatezza.

- Pensi che ci scopriranno? Potrebbero insospettirsi. Non credi? – chiese dando fiato alla sua ansia.

- Chi? I Lannister? – l’uomo sembrò soffocare una risata. – Senza offesa, fanciulla, ma nessuno presta tanta attenzione a una ragazzina bastarda, men che meno se è la sconosciuta figlia di Ditocorto. Dai retta e me, Jamie Lannister deve avere altri motivi per cercare Lord Baelish. Non mi stupirei se gli chiedesse di tornare ad Approdo del Re insieme a lui, per riprendere il ruolo di maestro del conio. Quindi stai tranquilla, dubito che avremo Lannister alle calcagna. –

Quindi Petyr l’aveva allontanata per un eccesso di sicurezza? Forse, ma doveva esserci dell’altro…

- Ovviamente mio padre non ha alcuna intenzione di tornare ad Approdo del Re in questo momento. –

Se Jamie Lannister gli avesse fatto una tale proposta, Ditocorto non avrebbe potuto rifiutare, non senza scoprire le sue carte. Forse allontanarla lo avrebbe aiutato a temporeggiare, o forse era l’unico modo per proteggerla davvero: Petyr le aveva promesso che non sarebbe più tornata ad Approdo del Re.

- Beh, certo io non so quali siano le sue intenzioni, ma ricorda questo, bambina: Ditocorto è sempre un passo avanti a tutti. Nessuno l’ha mai fregato. –
Brune era un misto di orgoglio e avvertimento.

- Lo ammiri molto. –

- Ammiro la sua mente, la sua astuzia. Inoltre sa essere molto generoso con chi lo serve fedelmente, devo ammetterlo. L’importante è non deluderlo. Ormai sono tanti anni che sono al suo servizio. –

- Si, credo che tu abbia ragione. –

Lasciarono cadere così la discussione, e restarono in silenzio ad ascoltare i rumori della notte. A parte lo scrosciare dell’acqua del fiume, però, Alayne non avvertì nessun altro suono. Si rese conto di non avere sonno.

- Penso di poter fare io il primo turno di guardia. –

Brune per poco non le rise in faccia. – Turno di guardia? –

- Potrebbero esserci belve nella radura, è bene stare all’erta, no? -

- Potrebbe esserci qualcosa di peggio delle belve nella radura, ma hai ragione è bene stare all’erta. Pensavo di lasciarti dormire fino all’alba, ma se sei così convinta di poter star sveglia, ne approfitto per farmi un paio d’ore di sonno. -

Lothor Brune si addormentò di colpo, doveva essere un’abilità di chi sa quanto il sonno sia prezioso in certe circostanze. Doveva avere circa cinquant’anni, non era un bell’uomo, ma nemmeno era brutto… Aveva una faccia onesta.
La notte era calata silenziosa, tutto era immobile, anche i cavalli erano come pietrificati, non un rumore proveniva dalla vicina foresta. Brune, però, aveva il respiro pesante.

Continuò a scrutare il volto dell’uomo, senza però vederlo veramente: nella sua mente, a poco a poco, affiorò un altro viso, che non aveva nulla a che vedere con Brune, un viso tagliato a metà, raccapricciante, ma di cui col tempo si era fidata… Forse non abbastanza. Era la prima volta che viaggiava sola con un uomo, ma non era la prima volta che le si era presentata l’occasione. La notte della Battaglia delle Acque Nere, la fanciulla che era stata Sansa Stark, si era rifiutata di scappare insieme a quell’uomo dal volto sfigurato. Il suo rifiuto non era stato dettato semplicemente da una mancanza di coraggio, ma da un ben più grave errore di valutazione! Quella ragazzina ingenua aveva creduto che il Cervo avrebbe sconfitto il Leone, e che da nobile animale qual era, l’avrebbe restituita all’abbraccio dei Metalupi. Quella stupida ragazzina non aveva nemmeno accarezzato l’idea di poter diventare nuovamente un ostaggio; ma il problema non si era mai posto, perché il Cervo era stato sopraffatto dal Leone, i Metalupi erano scomparsi, e la ragazzina era stata costretta a subire nuovi soprusi, finché non era stata prelevata dall’Usignolo, che col suo dolce canto ingannatore l’aveva tramutata in Alayne.
Ora se ne rendeva conto: era stato il rifiuto di quella notte a portarla lì dov’era. Sembrava proprio che la vita si facesse beffe di lei: se quella notte fosse scappata, a riposare con il busto appoggiato a una quercia ci sarebbe stato l’uomo dal volto sfregiato e a fare la guardia ci sarebbe stata Sansa Stark, o forse la guardia l’avrebbe fatta quell’uomo, che tanto aveva a cuore il definirsi un mastino. Invece di quel mastino non c’era traccia, e lì c’era Alayne, persa tra i suoi pensieri, a lottare con ricordi che non avrebbe dovuto avere.

- Credo che sia ora di darci il cambio, fanciulla. –

Alayne quasi sobbalzò. Di colpo, come si era addormentato, Lothor Brune si era svegliato, sguardo vigile e riposato. Quanto tempo era passato? Tre? Quattro ore?

- Sì, credo di essere un po’ stanca in effetti. –

- Tranquilla, manca ancora qualche ora all’alba, non ci rimetteremo in viaggio prima che spunti il primo raggio di sole. –

Si sistemò meglio il mantello addosso, e mise un fagotto dietro la testa per stare più comoda. Non si era resa conto di essere così tanto stanca. Appena chiuse gli occhi sentì il sonno impadronirsi di lei, risucchiando nell’oblio il suo ultimo pensiero lucido: “Se ci fosse stata lei al posto di Sansa Stark quella notte…”.

 
NOTE DELL'AUTRICE: Salve a tutti! Questo è un capitolo un po' introspettivo, inizialmente doveva essere un tutt'uno con il prossimo, ma poi ho preferito pubblicarlo come capitolo a sé, un po' per non rendere la lettura troppo pesante, un po' per rendere omaggio ai pensieri contorti di Alayne! 
Ringrazio tutti quelli che mi leggono, mi seguono, e in particolar modo chi mi recensisce! <3 
A presto,
fantasy93

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Capitolo 5
*** Lo Straniero ***


Alayne
 
L’alba arrivò in fretta e si portò via tutti i pensieri tempestosi di Alayne, che si svegliò con rinnovata lucidità, desiderosa di raggiungere questo cosiddetto “luogo sicuro” e capire come mettersi in contatto con Petyr. Se i suoi pensieri dopo aver dormito si erano schiariti, lo stesso non poteva dirsi per il cielo. Enormi nuvole cariche di tempesta si preparavano ad esplodere, e già in lontananza poteva sentire il rumore di tuoni lontani.

- Sarà meglio sbrigarci, Alayne. Quando arriverà la tempesta voglio essere il più lontano possibile dalla zona paludosa. Passeremo vicini a un villaggio qui vicino. Avrei voluto evitarlo, in tempi di guerra due cavalli non passano certo inosservati, ma considerando il temporale in arrivo… Beh cercheremo di non attirare l’attenzione. Ricorda: qualunque cosa tu veda, galoppa dritta per la tua strada. –

E qual è la mia strada?” Alayne avrebbe tanto voluto chiederglielo, invece si limitò a rispondere seria - Va bene. –

Lothor Brune parve aver esaurito tutte le parole. Sistemarono i cavalli e partirono al galoppo come il giorno prima.

Dovevano essere in viaggio ormai da diverse ore, dirlo in base alla posizione del sole era impossibile: le nubi si erano fatte talmente spesse, che quasi sembrava stesse calando la notte. In compenso fino a quel momento erano miracolosamente riusciti a scampare alla pioggia; lampi e tuoni si manifestavano alle loro spalle, quasi come se li stessero inseguendo. Non si sarebbero fermati per pranzare e avrebbero spronato i cavalli allo stremo, in modo da raggiungere la loro destinazione il prima possibile. Lothor Brune non le aveva ancora rivelato dove fossero diretti, ad Alayne venne il dubbio che temesse fossero spiati… Ma come sarebbe stato possibile? Erano sempre in movimento, al galoppo veloce, e il territorio attorno a loro era spoglio: se ci fosse stato qualcuno in appostamento lo avrebbero notato facilmente.

- Quando arriveremo in prossimità del villaggio? –

Brune le rivolse uno sguardo carico di amarezza.

- Credo che ci siamo già. -

-Ma io non vedo… -

Nulla! Non vedeva nulla, perché non c’era più alcun villaggio! Quelle che da lontano aveva scambiato per macchie di terra nella vegetazione, erano invece ceneri! Erano tutte ceneri! Poteva quasi seguirne l’intricato disegno che aveva costituito il villaggio. Non c’era più nulla. Qua e là, ora che guardava meglio, poteva scorgere i resti dei roghi.

- Alayne! Forza, dobbiamo andare. Non possiamo fermarci qui. –

Non si era nemmeno accorta di essersi fermata. Chi aveva potuto portare una tale distruzione? Erano stati i Lannister? Uomini di Stannis? Mercenari? Ma soprattutto dove erano finite le persone? Possibile che non ci fosse più nessuno?

- Gli abitanti del villaggio… Credi che siano tutti morti? –

- Morti o deportati da qualche parte, peggio che morti. Andiamo, bambina. –

Ripresero il viaggio, ma Alayne non riusciva a pensare ad altro che al villaggio. Il suo cavallo dovette percepire la sua agitazione e cominciò a spazientirsi, finché non s’impennò. Alayne urlò e riuscì a rimanere in sella per miracolo. Lothor Brune accorse in suo aiuto riuscendo a calmare il cavallo.

- Tutto bene? Ce la fai a continuare? Preferisci riposare un attimo? –

- No, no. Sto bene, grazie. Prima ce ne andiamo da qui e meglio è. –

D’un tratto udirono il latrare di una cane provenire da una boscaglia a pochi metri da loro.

- C’è qualcuno qui. Alayne, sta’ dietro di me! –

Non c’era possibilità di nascondersi in quel luogo, dovevano solo sperare che non fosse un’imboscata. Se avessero voluto attaccarli l’avrebbero già fatto, no? Il cane intanto continuava ad abbaiare e sembrava sempre più vicino, finché non lo scorsero al limitare della boscaglia. Dietro di lui un vecchio cercava di acciuffarlo, ma senza successo. – CANE! CANE! FERMATI! –

Lothor Brune aveva estratto la spada ben prima che il vecchio comparisse. Questi, parve accorgersi solo in quel momento di loro. Il cane si fermò a metà strada tra loro e la boscaglia, aspettando che il padrone lo raggiungesse. Brune decise di anticiparlo.

- Ehi tu, vecchio. Chi sei? –

- Signori tranquilli, vengo in pace. Sono solo un povero vecchio. Septon Meribald è il mio nome. Percorro queste strade da molti anni, per portare cibo e sollievo a poveri e peccatori. –

Brune non sembrò molto convinto. – Non vedo né poveri, né peccatori da queste parti. E anche tu mi sembri solo, o non è così? –

- Io sono con Cane. Questo malandrino che mi è sfuggito. In genere è un cane molto tranquillo. Ma avete ragione, a parte me e Cane, ormai è difficile trovare gente in queste terre. Sono giorni che giriamo, ma qui sembra non esserci rimasto più nessuno, Cane deve avervi sentito, ed è scappato per portarmi da voi. È un animale molto intelligente. –

- Noi siamo di passaggio. Stavamo giusto andando via. –

- Bene, allora vi consiglio di sbrigarvi ad andare ovunque siate diretti. È in arrivo una tempesta, e da queste parti non è rimasta nemmeno più una locanda sicura. –

Brune si decise a riporre la spada. Alayne era rimasta in silenzio fino a quel momento, ma poi fu più forte di lei, dovette fare al septon quella domanda:

- Lei sa cosa è successo agli abitanti di questo villaggio? –

Septon Meribald la guardò con una certa tenerezza e occhi pieni di tristezza.

- Ah, fanciulla! è una storia molto triste, ma in tempi di guerra come questi, purtroppo, non si tratta di una novità. Un essere abietto si è scagliato su questo villaggio saccheggiando e distruggendo tutto ciò che ha trovato sul suo cammino. Lo chiamano il Mastino. –

Ad Alayne si ghiacciò il sangue nelle vene. Non era possibile. L’uomo che aveva conosciuto lei era brutale si, ma non era un mostro. Non poteva essere. Non riuscì a proferire parola, ma non ebbe bisogno: ci pensò Lothor Brune a dar voce ai suoi pensieri.

- Il Mastino? Sandor Clegane? L’uomo con la faccia bruciata? Ha fatto lui tutto questo? –

- Il Mastino e i suoi uomini hanno fatto tutto questo, si. Credo che si tratti di un nuovo Mastino in ogni caso, dicono che Sandor Clegane sia morto. E da molto tempo pure. –

- E questo nuovo Mastino è ancora da queste parti? –

- Questo non lo so, ma non credo ci sia rimasto molto da depredare in zona. –

Alayne semplicemente non stava ascoltando più. Sandor Clegane era morto. Da molto tempo pure. Non era stato lui a devastare il villaggio. Non era lui il mostro. Aveva pensato a lui proprio la sera prima, ed ora scopriva che era morto. Chiunque avesse mostrato affetto verso Sansa Stark finiva col morire. Ricordò la preghiera che Sansa espresse per lui la notte della Battaglia delle Acque Nere: “Non è un vero cavaliere ma mi ha salvato lo stesso.” aveva chiesto alla Madre “Salvalo, se puoi, e placa la furia dentro di lui.”. La sua furia era stata senz’altro placata: era morto.

- Alayne! Forza, dobbiamo andare. – Lothor Brune la stava gentilmente strattonando per il braccio. Septon Meribald se ne stava tornando insieme a Cane alla boscaglia. Evidentemente dovevano essersi già salutati, ma lei non li aveva sentiti. Annuì, ancora incapace di parlare.

Si rimisero in marcia. Dopo pochi minuti, le prime gocce di pioggia li raggiunsero. Alayne ne fu lieta: niente nasconde le lacrime meglio della pioggia.
 
************
 
Rod
 

Spalava. Anche se pioveva, spalava. Non si lamentava. Non poteva lamentarsi. Tutto sommato stava bene, aveva ripreso le forze. La gamba gli doleva ancora, quindi era costretto a zoppicare, tuttavia sentiva di avere energia da vendere, quindi spalava. C’era sempre bisogno di spalare la terra, che fosse per coltivarla o per scavare fosse. Decine e decine di fosse, non faceva in tempo a riempirle, che il fiume portava a riva altri cadaveri. Uomini di tutte le età e schieramenti, neri, rossi, alti, bassi, lord e poveracci, Lo Straniero1 non faceva alcuna differenza, li prendeva tutti con sé.


Straniero. Era così che l’uomo che era stato aveva chiamato il suo cavallo. Perché era suo quel cavallo, adesso lo ricordava. Ricordava la sensazione di stargli in groppa, di montargli la sella, di spazzolargli il crine. Soprattutto ricordava i suoi occhi, neri come la notte, come il suo manto d’altronde, oscuro come la morte. Forse era per questo che gli aveva dato quel nome; per questo, oppure per la sua ferocia. Perché si trattava di un bellissimo esemplare testardo e indomabile. Quei coglioni dei monaci gli avevano tagliato le palle, pensando così di renderlo più docile. Idioti. L’avevano chiamato “Legno Vagante”. Un nome ridicolo. Era un animale intelligente quello, sicuramente più della metà di quegli stupidi monaci, su quella stupida isola. Il confratello anziano, nonostante tutto, era l’unico che rispettava per davvero; gli aveva anche proposto, visto che era riuscito a ricordare il vero nome del cavallo (blasfemo per lui ovviamente), di sceglierne lui uno nuovo, dopotutto “Legno Vagante” sembrava non piacere nemmeno al cavallo. Per tutta risposta Rod non aveva saputo cosa dire: aveva appena ricordato qualcosa della sua vecchia vita, qualcosa che in qualche modo non faceva che confermare quanto fosse stata terribile e dissoluta, ma era pur sempre qualcosa di reale; non se l’era sentita di dare un altro nome a quel cavallo (il suo cavallo!). Sebbene non ricordasse perché lo avesse chiamato in quel modo, o se davvero glielo avesse dato lui quel nome, non era riuscito a cambiarglielo nuovamente. Quindi per il resto dell’Isola, il cavallo continuava a chiamarsi “Legno Vagante”, ma quando erano soli e Rod si prendeva un po’ di tempo per dedicarsi a lui, gli sussurrava all’orecchio il suo vero nome: “Straniero”.

Straniero era il suo unico amico su quell’isola, e sospettava lo fosse sempre stato, anche prima. Tutti sembravano temerlo e gli stavano alla larga il più possibile: i monaci veri e propri, avevano la scusa del voto di silenzio, ma faticavano a guardarlo in faccia; i novizi come lui invece, sembravano non riuscire a distogliere lo sguardo dalle sue cicatrici, e forse per questo restavano ammutoliti, pur non avendo nessun voto da rispettare. Non che lui avesse granché voglia di parlare con loro, ma la vita “sociale” si rivelava piuttosto pesante talvolta; per questo preferiva scaricare le sue energie nel lavoro (tanto c’era sempre qualcosa da fare!) e dedicarsi al suo cavallo.

Era stato Straniero ad andargli incontro. Non subito. Rod si era recato nelle stalle per dare da mangiare agli animali destinati ai lavori nei campi. Erano tutti mansueti, tranne uno, almeno così gli era stato detto: “Fa’ attenzione allo stallone nero, Rod! Un confratello si è già beccato uno zoccolo dritto in petto e un paio di costole rotte!”. Così, lui ci era andato, pronto a stare all’erta. Aveva dato da mangiare prima a tutti gli altri animali, ma quando si era avvicinato al cavallo, invece che una bestia indomabile si era trovato davanti un animale diffidente, quasi risentito, come una donna tradita. Rod, incuriosito dall’atteggiamento del cavallo, gli aveva messo la biada nella mangiatoia ed era rimasto a fissarlo, come a volerlo sfidare a mangiare. Quello per tutta risposta aveva sbuffato sonoramente, e non aveva mosso nemmeno un passo verso il cibo. “Cos’è? Non hai fame, bello?” così gli aveva detto. A quel punto il cavallo l’aveva guardato dritto negli occhi e gli si era avvicinato continuando a fissarlo, era come se avesse capito che c’era qualcosa che non andava in lui. Rod non aveva lo temuto nemmeno per un secondo, anzi era rimasto come ipnotizzato. Si erano fissati a lungo e senza nemmeno accorgersene Rod si era ritrovato ad accarezzare il manto nero dello stallone, questo improvvisamente si era chinato, come ad invitarlo a salirgli in groppa, e lui l’aveva fatto, senza pensarci due volte. Non sapeva di saper cavalcare, ma una volta in sella, fu certo di averlo fatto tutta la vita. Avevano cavalcato per ore, fino a quando il buio della notte non li aveva investiti; allora Rod aveva riportato il cavallo in stalla ed era andato a letto, l’orario di cena e della preghiera dovevano essere passati da un pezzo. Non ricordava di aver sognato quella notte, con molta probabilità le solite fiamme erano tornate a tormentarlo, ma non lo ricordava. L’indomani si era svegliato con una nuova consapevolezza. Era corso alla cella del confratello anziano e aveva bussato finché non gli aveva aperto, ancora mezzo addormentato.

Rodnas, cosa ci fai qui? Non è ancora l’alba…

Il cavallo. Lo stallone nero. È mio, non è vero?

Il vecchio l’aveva guardato a metà tra lo stupito e il preoccupato “Si, lo è stato. È appartenuto all’uomo che eri.

È ancora mio a quanto pare. Abbiamo cavalcato ieri sera.

A quella rivelazione il vecchio era parso quasi compiaciuto, ma gli aveva comunque chiesto “Ricordi altro?”.

No, non ricordo nient’altro. So una cosa però, il mio cavallo si chiama Straniero.

Sì. Quello era il suo nome.

Tutto questo era successo ormai molti mesi prima. Non aveva più ricordato altro. Si era adeguato alla vita tranquilla e monotona dell’Isola Silenziosa. Gli piacevano i giorni in cui lavorava fino allo stremo, e una volta a letto poteva sentire tutti i muscoli dolenti, ma le fiamme un po’ più lontane; gli piacevano invece un po’ meno i giorni in cui c’erano visitatori sull’isola. Il confratello anziano gli aveva suggerito di stare in disparte in quelle occasioni: la sua faccia non si scordava facilmente! Principalmente arrivavano straccioni e mendicanti in cerca di cibo e riparo, altre volte fuggiaschi, in qualche altro caso familiari dei monaci. Una volta era arrivata anche una donna tanto alta e di grossa stazza che pareva un uomo, era venuta con una bizzarra compagnia, capeggiata da quel vecchio septon col suo altrettanto vecchio cane, che invece tornavano ogni mese. In ogni caso, loro li accoglievano tutti, spezzavano insieme il pane e gli offrivano un posto per dormire. Tutti loro portavano ventate di novità, che anche i più diligenti confratelli silenziosi non potevano che apprezzare, sebbene facessero di tutto per nasconderlo.

Si era fatto decisamente tardi, rischiava di perdere la cena anche quella sera. Si guardò intorno, aveva spalato due fosse più profonde del solito, probabilmente era stata tutta fatica sprecata, visto che il temporale non accennava a fermarsi… Si sarebbero trasformate presto in piscine di fango. Ci avrebbe pensato l’indomani, dopotutto. Un lampo rischiarò tutto il paesaggio intorno, e fu allora che li vide: due nuovi visitatori, a cavallo, sul sentiero che veniva dalla foce del fiume. Una figura massiccia, probabilmente di un uomo, e una più piccola e minuta di una donna o forse di un bambino, completamente zuppi.

 
NOTE DELL'AUTRICE: Salve a tutti! Eccomi con un nuovo capitolo. Ho una precisazione da fare, ma che credo abbiate intuito:
[1]- Lo Straniero. Questo è il tipico caso in cui la traduzione in italiano del testo di ASOIAF fa perdere riferimenti e giochi di parole. Straniero è la traduzione di Stranger, che nella versione inglese del libro è sia il nome del cavallo di Sandor, nonché quello che in italiano è stato tradotto come "Lo Sconosciuto", l'aspetto dei Sette Dei che rappresenta la morte. Nella frase "Lo Straniero non faceva alcuna differenza" ovviamente mi riferivo allo Sconosciuto. Ho preferito chiamarlo Straniero proprio per non perdere il gioco di parole, un po' come se fosse un altro modo per definirlo.

Ringrazio tutti quelli che continuano a leggere questa storia, specialmente chi mi lascia commenti e considerazioni! E' davvero gratificante per me vedere tutte le visualizzazioni che sta collezionando questa storia, e soprattutto la curiosità che sta suscitando in alcuni di voi. Grazie di vero cuore!
A presto!

 

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