Figlio di Erebor – I’ll follow you until my last breath

di Tigre Rossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo – Una nuova casa ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 – Solo un piccolo hobbit ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 – Cosa significa ‘casa’ ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 – Primi lividi ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 – Canne al vento ***



Capitolo 1
*** Prologo – Una nuova casa ***


 

Figlio di Erebor – I’ll follow you until my last breath

 

 

Prologo – Una nuova casa

 

 

 

 

 

 

“Nessuno di noi può scegliere il proprio destino, e a nessuno di noi è permesso sfuggirgli.”

 

-Merlin

 

 

 

La pioggia cadeva, forte e violenta, sulle dure rocce, antiche come il tempo, che riempivano il paesaggio, e sul carro trasandato la giovane viaggiatrice riusciva con chiarezza a riconoscerle una per una.

Si strinse forte nel suo mantello verde ed oro, mentre i suoi occhi color del mare salivano verso l’alto, ad osservare il regale profilo della sua meta, ormai più vicina che mai.

Un lieve ma sincero sorriso le illuminò il volto, ed il suo cuore prese a battere come un tamburo impazzito nella vista di quella che, tanto tempo prima, aveva imparato a chiamare casa.

Al suo fianco, il vecchio Gandalf tirò fuori la pipa, soddisfatto.

“Ormai ci siamo, amica mia.” sussurrò allegramente con voce roca “Tra meno di mezz’ora saremo finalmente ad Erebor.”.

La piccola donna annuì, e le sue mani sottili corsero, veloci e lievi come un sospiro, a sfiorare il minuscolo fagottino che stringeva al caldo tra le sue braccia.

“Finalmente.” ripeté con voce leggera, abbassando lo sguardo su di esso e, dentro di sé, tirando un sospiro di sollievo.

 

 

“Mi dispiace tantissimo per la tua perdita, Bella.” mormorò piano il Grigio Pellegrino, sedendosi di fronte a lei e torturandosi le lunghe dita in una morsa nervosa.

La giovane hobbit annuì, trattenendo a stento un sospiro “Grazie, Gandalf. E grazie di essere venuto. So che ti ho fatto chiamare di tutta fretta e così all’improvviso, ma . . .”.

Il vecchio alzò la mano in un gesto rassicurante “Non preoccuparti, mia cara. Capisco benissimo. La scomparsa di Bungo . . .” la sua voce si spezzò, ma solo per un momento, prima che egli riprendesse a parlare con più decisione e forza “è stato un duro colpo per tutti. Per te in particolar modo. Eravate sposati da così poco, dopotutto.”.

La donna si morse appena il labbro, prima di rispondere “Si, è stato brutto. Brutto ed improvviso. Ma la morte è sempre così, in fondo. Non chiede mai il permesso. Arriva quando meno te l’aspetti, e difficilmente puoi fare qualcosa per impedirlo.” Si strinse nelle spalle, ed il suo sguardo si fece deciso “Ma non è di questo che voglio parlare. Non ora.”.

Gandalf fece un segno d’assenso “Lo so.” esitò, prima di continuare “Sei proprio sicura di voler partire?”.

Ella annuì “Più che sicura. Non posso restare qui, Gandalf, e tu lo sai meglio di me. La Contea mi andava stretta fin da quando era solo una bambina, e sono scappata via in cerca di avventure alla prima occasione. Ed ora, l’unica ragione per cui ho rinunciato alla vita che tanto a lungo avevo inseguito se n’è andata per sempre. Non posso restare qui a fare la brava hobbit che cura il giardino o sforna tre dozzine di torte al giorno, non da sola. Non potrei sopportare una vita del genere, senza di lui.” I suoi occhi blu erano coperti da un’ombra e lontani, ma la giovane scosse appena la testa per riscuotersi  e aggiunse “Questa non è più casa mia, e io non voglio né posso trascorrerci un secondo di più, restare qui a guardare questo buco-hobbit ora vuoto e chiedermi come sarebbe stata la vita se la Nera Falciatrice non mi avesse tolto ciò che avevo di più caro.”.

Lo stregone sospirò “Capisco.” rispose, la voce tesa e pesante “Ma non credo che partire ora sarebbe la scelta migliore, considerando . . .”

“Considerando cosa, Gandalf?” lo interruppe freddamente la piccola donna “Le mie condizioni? Se non parto ora che la gravidanza è ancora all’inizio, credi che riuscirò a farlo più avanti? Quando il bambino nascerà, forse, ed avrà bisogno di ogni cura possibile? Quando crescerà e sarà capace di comprendere? Quando sarà ormai grande e qualsiasi cambiamento sarebbe per lui un trauma? No, amico mio. Devo partire ora. E devo farlo anche per lui.”

Una mano corse a circondare la pancia, come a voler proteggere fisicamente la nuova vita che stava sbocciando dentro di lei “Non voglio che mio figlio cresca qui, in un posto dove verrebbe disprezzato per il suo lato Tuc e qualsiasi suo comportamento verrebbe osservato con occhio critico e giudicato. Ci sono già passata io, e se questo bambino mi somiglierà anche solo un po’ so che non sarà facile per lui abituarsi a questa vita. Noi Tuc non siamo fatti per una tranquilla esistenza a guardare il cielo ed a fumare l’erba-pipa. Non è nel nostro sangue, Gandalf. E io non voglio che mio figlio debba sentirsi fuori luogo o vivere una vita che non gli appartiene.”.

L’anziano mago scosse la testa “E credi che ad Erebor sia la soluzione alle tue preoccupazioni? E’ un regno di nani, il più potente, ricco ed orgoglioso regno dei nani. Tu e il bambino potrete anche essere accettati, ma non sarete mai come loro.”.

La hobbit scosse la testa “Non è questo che intendo. So che sarà difficile, soprattutto all’inizio, nonostante l’amicizia di re Thror e di Thrain, ma quello è l’unico posto dove io mi sia mai sentita a casa, prima di Bungo. E so che sarà lo stesso anche per mio figlio.”.

Gandalf alzò gli occhi al cielo e sospirò “E’ inutile discutere con te, Belladonna Tuc. Testarda peggio di un esercito di nani, ecco cosa sei. Ci credo che tu gli vada tanto a genio.”

Belladonna sorrise, il primo vero sorriso da tanto, troppo tempo “Allora, mi aiuterai?”.

Lo stregone si sistemò meglio il cappello sulla testa “Pensi davvero che ti lascerei vagare da sola per le Terre Selvagge? Allora ancora non mi conosci bene, mia cara. Certo che ti aiuterò. Ti accompagnerò ad Erebor, come ai vecchi tempi”.

 

 

Quando giunsero, silenziosi e protetti dalla notte, alle porte del regno dei nani, Gandalf non fece in tempo ad scendere dal carro che dall’alto una forte voce, fiera e possente ma allo stesso tempo inconfondibilmente femminile giunse fino a loro, sovrastando il rumore della pioggia.

“Fermi, stranieri! In nome di Thror, Re Sotto la Montagna, identificatevi!”.

Belladonna, riconosciutola, si sporse dal carro e rispose “I figli di Erebor adesso lasciano sotto la pioggia i loro amici, o Drifa la Forte?” e, pronunciate quelle parole, si calò il cappuccio.

Un grande silenzio avvolse il Cancello per qualche momento, fino a quando la voce, adesso emozionata, gridò “M’imnu Mahal! Aprite le porte, aprite subito le porte!”.

Poco dopo le porte si spalancarono e il piccolo carro si infilò dentro le maestose mura di Erebor.

I due viandanti scesero dal loro mezzo di trasporto, e la giovane hobbit non fece in tempo a guardarsi attorno che venne travolta inaspettatamente da quello che per un attimo le sembrò un piccolo uragano.

“Tu, lulkh! Sono secoli che non ti fai viva, maledetta hobbit! Katakhigerun! Ero così in pensiero! Ishkh khakfe andu null! “ gridò la voce, mentre l’uragano si affrettava a stritolarla nelle proprie braccia possenti.

“Ohi, Drifa…” gemette la donna, cercando di liberarsi da quella stretta spacca-ossa “Sono felice anche io di vederti e si, hai ragione, sono una persona terribile, ma per favore, potresti allentare la presa? Credo che tu stia uccidendo non solo me, in questo momento.”

A quelle parole, la stretta improvvisamente si allentò fino a scomparire, e il piccolo uragano indietreggiò di qualche passo.

Non si trattava realmente di un uragano, beninteso, anche se ne aveva tutta l’energia; era in realtà una austera nana dallo sguardo di fiamme e la lunga barba nera, intrecciata in una corta e pratica treccia. Il suo volto, solitamente serio e feroce, era trasfigurato dallo stupore e dall’emozione, ed una ciocca ribelle di capelli corvini le ricadeva davanti agli occhi. Indossava i vestiti del Capitano della Guardia e al suo fianco pendeva la più grande ascia che Bella avesse mai visto in vita sua.

“Cosa . . . oh, Mahal!” esclamò la guerriera, mentre i suoi occhi scorgevano il piccolo fagottino che l’amica stringeva con dolcezza a sé. Alzò lo sguardo, la confusione che si rifletteva nel suo volto “E’ . . .?”.

Belladonna annuì, stringendolo ancora di più a sé, ed abbassò il volto, non riuscendo a sopportare di vedere la delusione nel volto dell’amica “So che non ti ho detto nulla. Non lo sa praticamente nessuno, tranne Gandalf. E’ che sono successe tante cose, in questo ultimo periodo. Troppe cose.”.

La nana sollevò un sopraciglio “Cosa è accaduto?” domandò, avvicinandosi piano.

La hobbit esitò, prima di rispondere con voce tesa e fragile “Bungo è morto.”.

Drifa si bloccò e trattenne il fiato, scioccata. “Io . . . Birashagimi, Bella.” sussurrò, incerta su cosa dire e colpita dalla notizia sconcertante e dal dolore sul volto dell’amica, per poi afferrarle le mani e stringerle nelle sue, callose e rovinate ma calde e familiari “Mi dispiace davvero tanto.”

Lei sospirò, e rialzò lo sguardo “Per questo sono venuta qui. Non potevo restare nella Contea,  non ora, non con lui.” fece un cenno verso il fagottino, che continuava a restare silente e tranquillo “Così ho pensato, beh, di tornare. Re Thror una volta aveva detto che ci sarebbe sempre stato un posto per me, qui.”.

La guerriera sorrise, un sorriso dolce e sincero “E re Thror non mente mai.” decretò, mentre una luce tornava ad illuminarle il viso “Vieni, ti porto da lui. Sarà più che felice di rivederti.” Lanciò uno sguardo a Gandalf, il quale era rimasto indietro per lasciare alle due donne un po’ di intimità. “Tu resta qui, mio marito Fundin ti mostrerà presto le tue stanze.”.

Lo stregone annuì, e la nana si rivolse nuovamente all’amica.

“Andiamo, Bella.” le fece, voltandosi e facendole strada per i lunghi corridoi della bella Erebor, anche a quell’ora piena di vita ed energia.

La hobbit la seguì senza esitazione.

 

 

Bella scese dal suo pony, facendo un breve cenno a Gandalf.

“Dammi solo qualche momento.” disse con voce atona, cercando di controllare il lieve ed impercettibile tremito che le attraversava le mani.

“Ma certo.” rispose lo stregone con dolcezza, i grandi occhi chiari che tentavano di nascondere al tristezza “Prenditi pure tutto il tempo che ti serve.”.

La hobbit si voltò, per poi iniziare a salire la bassa collina, fino a quando davanti a lei comparve un grande e maestoso melo.

Si fermò, cercando di riprendere fiato, e poi si avvicinò pian piano, attenta a non far rumore. Il vento soffiava forte attorno a lei, quasi a voler farla sentire meno sola, ma non poté fare niente contro la nuova pugnalata che quella incisione sul melo, da lei stessa fatta appena qualche settimana prima, le inflisse.

‘Qui giace Bungo Baggins, hobbit della Contea e signore del mio cuore.’.

La piccola donna trattenne a stento un sospiro di dolore. Era stata lei, poco tempo prima, a scegliere quel posto come il luogo del riposo eterno di suo marito. Su quella collina, dove si erano incontrati per non lasciarsi mai più. Sotto quel melo dalle foglie verdi e dai frutti dolci, dove le loro labbra si erano sfiorate per la prima volta e Bungo le aveva chiesto di diventare la sua sposa. Aveva voluto per lui un luogo di pace, che potesse cullarlo nei ricordi di quella calda felicità che era sfiorita troppo presto. Ma avrebbe voluto ancora di più poter riposare al suo fianco per il resto dell’eternità.

‘Ciao, amore.” sussurrò piano al nulla, avvicinandosi lentamente all’albero “Sono io. Sono venuta a dirti che . . . che sto partendo.”

Esitò, cercando di calmare il battito impazzito del proprio cuore “Lo so, è un po’ inaspettato, ma tu sai come sono fatta. Non riesco a restare ferma in un posto tanto a lungo, soprattutto se questo posto è la Contea.”.

Deglutì, per poi continuare piano “Per te l’avrei fatto. Sarei rimasta qui per sempre, e l’avrei accettato con cuore leggero e l’anima lieta. Ma ora . . .” una piccola lacrima scivolo lungo la sua guancia, e lei se l’asciugò con il pugno chiuso “. . . ora non posso. Senza di te, non posso più restare qui. Ogni cosa mi ricorderebbe te e quello che avevamo. E io non posso andare avanti da sola, non questa volta. Ho bisogno della mai famiglia. Ho bisogno della mia vecchia casa. Capisci, non è vero?”.

Restò in silenzio, quasi aspettandosi di sentire la voce allegra e dolce del suo Bungo risponderle che certo, lui capiva, aveva sempre capito. Ma ormai non avrebbe più potuto udire la sua voce, e lei lo sapeva fin troppo bene.

“Io sto ritornando ad Erebor. Se Thror me lo permetterà, crescerò lì mio figlio. Staremo bene, o almeno farò in modo che lui stia bene.” aggiunse, posando entrambe le mani sul grembo “Farò in modo che cresca sereno, e che riesca a trovare il suo posto nel mondo. Gli starò accanto fino a quando potrò. E, soprattutto, lo amerò come avresti fatto tu. Te lo prometto.”.

Chiuse gli occhi, e per un attimo le parve di sentire la sua mano sfiorarle la gota, esattamente come faceva quando era ancora in vita. Sorrise in silenzio, e dentro di sé il dolore per un attimo si acquietò.

Riaprì gli occhi, ed osservò per l’ultima volta quel luogo dove la sua felicità e la sua sofferenza più grandi sarebbero rimasti, eterni ed immutabili, ad aspettare per sempre il suo ritorno.

‘Arrivederci, mio amato Bungo.” sussurrò, certa che il vento gli avrebbe portato le sue parole, e dopo aver mandato un bacio al cielo si girò ed iniziò a ridiscendere la collina.

Non si voltò indietro nemmeno una volta.

 

 

Drifa condusse la piccola donna nella Grande Sala del Consiglio dove il Re , il Principe Ereditario ed i suoi due figli più grandi dovevano aver appena terminato la riunione serale con i propri consiglieri.

Fece un cenno alle guardie che stavano di fronte alla porta, che si misero subito sull’attenti, e bussò con decisione. Dall’interno della stanza giunse una voce rauca ma allo stesso tempo forte “Avanti.”.

La nana si voltò verso l’amica, facendole segno di aspettare fuori, ed aprì la porta.

All’interno della sala, ancora seduti attorno ad un grande tavolo rotondo in ossidiana, c’erano quattro persone con lo stesso sguardo fiero e fiammeggiante.

Seduto al centro stava Thror, il Re Sotto la Montanga, dalla lunga bianca argentata e la ricca corona posata sui lunghi capelli chiari, che da tanto tempo guidava Erebor con la mano di un padre severo ma giusto ed amoroso allo stesso tempo. Al suo fianco c’erano il Principe Ereditario Thrain, il volto solcato dai segni di grandi sofferenze ancora non del tutto dimenticate, ed il suo primogenito Thorin, giovane principe nanico dai lunghi capelli corvini ed occhi di ghiaccio. Accanto a quest’ultimo stava infine suo fratello, l’appena ventisenne Frerin, luminoso come l’oro e prezioso quasi di più di questo metallo tanto ricercato.

La guerriera entrò, per niente intimorita dalla famiglia reale che conosceva quasi meglio di chiunque altro, si inchinò profondamente e disse “Mi spiace interrompervi, Vostre Maestà, ma di fronte alle nostre porte è giunto un’ospite inaspettato che credo vogliate vedere.”.

Thror lanciò uno sguardo sorpreso a proprio figlio Thrain, il quale dopo un attimo di esitazione annuì. Il re allora si voltò di nuovo verso Drifa e rispose lentamente “Fallo entrare, allora.”:

La nana trattene a stento un sorriso soddisfatto, uscì e fece cenno alla hobbit di entrare.

Belladonna prese un respiro profondo e, dopo aver sfiorato il suo fagottino con lo sguardo, entrò con fare sicuro nella stanza.

Il re spalancò gli occhi, sorpreso, ed i due nani più giovani si lanciarono uno sguardo, quasi chiedendosi a vicenda conferma di ciò che stavano vedendo.

“Belladonna!” esclamò a metà voce Thrain, incredulo e stupito.

La giovane donna sorrise, e fece un profondo inchino “Sono lieta di rivedervi, re Thror e principe Thrain. Ed anche di vedere voi, principi Thorin e Frerin. E’ passato molto tempo dall’ultima volta.”.

Il volto del Principe Ereditario si illuminò, ed egli si alzò di scatto dalla tavola e corse incontro alla hobbit, per poi stringerla in un abbraccio soffocante del tutto simile a quello che Drifa.

“Oh Bella, è meraviglioso vederti!” gridò felice, dimenticando per un attimo l’etichetta, per poi staccarsi da lei ed osservarla con gli occhi che brillavano “Non abbiamo tue notizie da secoli. Iniziavamo a preoccuparci.”.

La giovane scosse la testa “Mi spiace, Thrain, ma ho avuto molte . . . cose per la mente.” E, con quelle parole, strinse più forte a sé il piccolo fagottino.

Solo allora Thrain lo notò, ed il suo volto divenne confuso. Aprì la bocca per parlare, ma venne anticipato da suo padre.

“E’ una gioia rivederti, Belladonna Tuc.” fece il re, un sincero sorriso sulle labbra, ma lo sguardo serio e preoccupato “Siediti, e raccontaci cosa ti ha riportato qui alla Montagna. Non abbiamo notizie da dopo il tuo matrimonio.”.

La hobbit annuì e prese posto di fronte all’anziano nano, mentre Thrain si sedeva accanto a lei.

Esitò, prima di iniziare a parlare “Sono successe molte cose da allora, mio signore. Io e mio marito ci eravamo appena trasferiti in un piccolo buco-hobbit ad Hobbiville, quando un giorno decidemmo di fare una gita sul fiume Brandivino. Andava tutto bene, ma poi, all’improvviso . . . la barca si rovesciò.”.

Thrain sobbalzò, ma lei strinse la labbra, decisa a non mostrare alcun segno di debolezza “Cercammo di restare a galla e di chiamare aiuto, ed io riuscii ad aggrapparmi alla barca capovolta. Cercai di afferrare Bungo e ti aiutarlo a stare a galla, ma lui era un Baggins, non sapeva nuotare, entrò nel panico e, nonostante cercassi di salvarlo, annegò di fronte a me.”.

La hobbit chiuse per un momento gli occhi, cercando di scacciare quelle immagini familiari che continuavano a tormentare le sue veglie e le sue notti, per poi riaprirli e continuare, mentre il principe Ereditario le stringeva la mano in un gesto di affetto e comprensione “Poco dopo il funerale, iniziai a sentirmi male ogni giorno. Non riuscivo a dormire, avevo la nausea, vomitavo. All’inizio pensavo fosse legato a ciò che era successo, ma poi capii che non era così. Aspettavo un bambino.”.

I suoi occhi blu scivolarono verso il fagottino che stringeva tra le braccia, dove il suo piccolo dormiva ancora placidamente. Poi alzò il mento, deglutendo “All’inizio pensai di restare lì, nella Contea, e crescere questo figlio da sola, ma poi, con il passare del tempo, io … mi sono resa conto che non ne sarei stata capace. Non potevo affrontare una vita da sola nella Contea. Continuavo a pensare alla Montagna Solitaria, ad Erebor, e la malinconia cresceva sempre di più dentro di me. Alla fine, non ce l’ho fatta più. Continuavano a tornarmi in mente le vostre parole, la promessa che per me ci sarebbe stato sempre un posto nel vostro regno, ed ho deciso di . . . tornare. Per sempre, se voi mi concederete di restare.”.

Gli occhi dell’anziano re, fino a quel momento cupi, vennero illuminati da una scintilla di dolcezza “Non hai nemmeno bisogno di chiederlo. Sei stata e sei una grande amica del nostro popolo, Belladonna. Sei stata al nostro fianco in battaglie e missioni, ed hai salvato la vita a mio figlio più di una volta. Pensi che un paio di anni di lontananza abbiano cancellato tutto quello che hai fatto per noi?”.

Accanto a lei, Thrain annuì e continuò “I nani non dimenticano mai i propri amici, Bella, né li abbandonano nel momento del bisogno. E per noi sarebbe un onore avere te e tuo figlio qui.”.

Belladonna si illuminò e sorrise, sollevata “Io . . . non ho parole. Vi ringrazio davvero di cuore.” mormorò, chinando appena la testa in segno di rispetto “Avrete per sempre la mia gratitudine, miei signori.”.

Thror sorrise, e il Principe Ereditario scosse la testa “Tu non ci devi nulla, amica mia.” le sorrise anche lui e poi fece un segno ai suoi due figli. “Thorin, Frerin, accompagnate Belladonna la Coraggiosa da Fundin e fate in modo che le assegni gli alloggi migliori e le dia tutto ciò di cui ha bisogno.”.

I due principi annuirono e si alzarono dal tavolo. Frerin, che nel tempo trascorso dalla hobbit ad Erebor si era molto affezionato a lei, le si avvicinò con un sorriso gigantesco e le porse la mano allegramente. “Venite, signora Bella.” fece allegramente, mentre il fratello maggiore lo raggiungeva con aria seria.

La giovane mamma accettò la sua mano e si alzò a sua volta, attenta a non fare movimenti bruschi per non svegliare il bambino. Fece un altro profondo inchino in direzione dei due nani più anziani, e si fece guidare dai ragazzi fuori dalla sala.

Il piccolo trio camminò per un po’ in silenzio, attraverso le vaste sale ed gli interminabili corridoi, ma alla fine il giovane Frerin, che fremeva d’impazienza ed era da sempre uno dei più curiosi nani mai nati sotto la Montagna, si voltò verso la hobbit e domandò, non senza una punta d’imbarazzo “Potrei vedere il vostro inùdoy, Belladonna?”.

Thorin lo fulminò con lo sguardo “Non disturbare la nostra ospite, Frerin.” lo rimproverò con voce bassa “Ha fatto un lungo viaggio, e questo non è certo il momento di fare simili richieste.”.

Ma Belladonna rise dolcemente e fece un segno di diniego al giovane “Non si preoccupi, principe Thorin. Non è un problema, anzi.” Sorrise, e facendo molta attenzione porse il fagottino al biondo, scoprendogli il viso in modo che potesse guardarlo meglio.

Il nano si fece più vicino e spalancò gli occhi, mentre vedeva per la prima volta il piccolo hobbit che, avvolto in quei stracci dai colori vivaci, riposava tranquillamente. Aveva già un ricco ciuffo di riccioli scuri sopra la testolina pallida, e due orecchie a punta quasi più grandi del resto del suo volto. I suoi occhi erano chiusi, ed uno dei minuscoli pungi era infilato nella boccuccia socchiusa.

Era molto diverso dai piccoli nani che vedeva ogni giorno, e sembrava incredibilmente fragile.

“E’ dolcissimo.” mormorò il principe, ed al suo fianco Thorin, che aveva ceduto anch’egli alla curiosità e si era avvicinato per vederlo, annuì.

Frerin si mordicchiò il labbro, prima di domandare “Avete già scelto come chiamarlo, signora Belladonna?”.

La hobbit sorrise, accarezzando la testa del bambino con la punta della dita “Oh, si.”.

Guardò il piccolo addormentato, e sussurrò “Il suo nome è Bilbo.”.

“Bilbo.” ripeté piano Thorin, senza mai staccargli gli occhi di dosso, mentre sentiva bruciare nel cuore una strana emozione.

Dentro di sé, qualcosa gli diceva che quel frugoletto dalle orecchie grandi e l’aria delicata, nel bene e nel male, presto sarebbe diventato una parte molto importante nella sua vita.

“Bilbo.”

 

 

 

 

 

La tana dell’autrice

 

 

Si, l’ho rifatto. Ho altre long in cantiere eppure non ho potuto resistere alla tentazione di buttare giù anche questa. Perfetto. Non imparo proprio mai, eh?

Allora, credo che ormai anche le pietre in Cina siano a conoscenza della mia passione per i nani e soprattutto per il meraviglioso regno di Erebor. Cioè, a differenza della maggior parte delle persone che conosco e che adorano gli Elfi, gli Uomini o anche gli Hobbit, io adoro il coraggioso, chiassoso ed unico popolo dei nani. Se la maggior parte dei fan di LOTR vorrebbe vivere a Gran Burrone, a Mordor o anche nella Contea, io vorrei alla follia vivere nella leggendaria Erebor, prima o dopo della venuta del Drago, non mi interessa. Se molti darebbero tutto ciò che hanno per poter far parte della Compagnia dell’Anello e si dannano per imparare almeno i saluti e i titoli in Elfico, io mi strapperei il cuore dal petto per accompagnare Thorin e gli altri alla riconquista di Erebor e sto imparando allegramente tutto quello che trovo in Khuzdul, soprattutto le parolacce e gli insulti -perché ja, so troppo fighi gli insulti detti dai nani-. Fa un po’ strano come cosa in effetti, ma non posso farci niente. Queste personcine diversamente alte, con un gran cuore ma delle maniere degne degli uomini preistorici e con una barba da fare invidia a Babbo Natale sono diventate la mia ossessione fissa. E così, nella mia mente stupida e malata è nata questa Au, che non sono stata davvero capace di lasciare chiusa in un cassetto.

In pratica, ho immaginato come sarebbe stato se Bilbo ci fosse stato dall’inizio, da prima della venuta del Drago fino alla battaglia delle Cinque Armate. Come sarebbe stato se fosse cresciuto con i nani e come uno di loro, se il suo legame con la Compagnia si fosse formato negli anni, se si fosse innamorato pian piano, se avesse lottato ogni giorno per guadagnarsi il pane in esilio, se la sua scelta di partire per quella missione così rischiosa fosse stata dettata dal suo legame con la Montagna e con il suo popolo, e non dal ‘semplice’ desiderio d’avventura. E così è nata questa piccola long, pazza e un bel po’ fuori dagli schemi.  Per riuscire ad inserire Bilbo in questo contesto, ho dovuto ritoccare parecchio avvenimenti e date, di cui l’unica canon è rimasta quella dell’arrivo del Drago, il 2770.

Ah, si tratta dell’ennesima Bagginshield, ma questa volta, diversamente dal solito, cercherò di non trasformare l’amore dei miei fagottini di angst preferiti nell’unico tema della storia. Eh si, almeno all’inizio Belladonna avrà un ruolo abbastanza importante, perché mi ha sempre incuriosita come personaggio. Inoltre ho accennato che all’inizio il nostro hobbit ha i capelli più scuri perché in una scena tagliata del film ‘Un viaggio inaspettato’ si vede Gandalf ad una festa alla Contea che gioca con un piccolo e dolcissimo Bilbo Baggins, il quale ha stranamente i capelli scuri. Glieli farò schiarire con la crescita, non preoccupatevi.

Ovviamente questo è solo il prologo, e quindi più avanti tutto ciò che al momento può sembrare poco chiaro, come la ragione di questa grande amicizia tra i nani di Erebor e la nostra piccola hobbit  verrà spiegato nei prossimi capitoli.

Tolkien probabilmente starà sfasciando la tomba a forza di rigirarcisi dentro, ma beh, pazienza.

E’ tutto, per ora. Fatemi sapere cosa ne pensate!

Tigre rossa e la sua nuova e super figa collana a chiave di Erebor vi salutano!

 

T.r.

 

 

Studiamo insieme . . . –pillole di Khuzdul-

 

M’imnu Mahal : La barba di Mahal

 

Lulkh: Idiota

 

Katakhigerun : Maledizione/Vecchia canaglia

 

Ishkh khakfe andu null: frase usata anche nel film ‘La desolazione di Smaug’  e che uso per insultare mio fratello quando mi fa arrabbiare; secondo il cast dovrebbe significare ‘I defecate on your head and the head of all your kin’ –non fatemi tradurre in italiano, che è meglio- . Sempre educati i nani di Erebor, eh!

 

Birashagimi: Mi dispiace

 

Inùdoy : Figlio

 

P.s. Come ho detto prima, so giusto qualcosina di Khuzdul, imparato su internet e attraverso le fan fiction, quindi le mie note potrebbero non essere del tutto correte . . . ma l’importante è l’impegno, no? :)

 

 


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Capitolo 2
*** Capitolo 1 – Solo un piccolo hobbit ***


Capitolo 1 – Solo un piccolo hobbit

 

 

 

 

 

 

 

Ci preoccupiamo di ciò che un bambino diventerà domani, ma ci dimentichiamo che lui è qualcuno oggi.
- Stacia Tauscher

 

 

 

 

“Bilbo! Dis!”

 

Il principe Frerin si tirò indietro un ciuffo ribelle di capelli biondi e si guardò attentamente attorno, gli occhi scuri e divertiti alla ricerca delle sue due piccole, sfuggenti ombre.

Da dietro una colonna si sentì una risatina sommessa, seguita da un basso ‘Shh!’.

Il giovane nano sorrise vittorioso e, facendo attenzione a non fare rumore, si avvicinò piano alla colonna. Prima che potesse muoversi ancora, però, una voce femminile urlò ‘Ora!’ e due piccole figure schizzarono fuori dal loro nascondiglio, allontanandosi nei lunghi corridoi di Erebor.

“Prendici se ci riesci, Fre!” gridarono, ridendo e lanciandogli vispi sguardi di sfida. Subito il principe partì all’inseguimento, ma le due figure erano molto veloci e riuscirono a distanziarlo in fretta, evitando agilmente le varie persone che incrociavano per la strada.

“Ce l’abbiamo fatta!” gridò allegra la più grande, voltandosi per un attimo verso la sua compagna, ma così facendo finì dritta addosso un nano che non aveva visto arrivare. Cadde a terra di botto, e l’altra si fermò accanto a lei, esclamando preoccupata “Dis! Stai bene?”.

Prima che questa potesse rispondere, una voce più profonda la sovrastò “Che cosa ci fate qui, voi due?”.

I piccoli fuggitivi sobbalzarono, ed alzarono contemporaneamente lo sguardo sul nano che, severo e silenzioso, si ergeva davanti a loro e li fissava con i suoi freddi occhi color del ghiaccio.

“Thorin!” dissero insieme, deglutendo appena.

Il principe di Erebor incrociò le braccia, senza staccare lo sguardo dalla giovane nana dai lunghi capelli biondi e dal piccolo hobbit dagli occhi grandi e più blu del mare che aveva davanti “Dis, Bilbo. Cosa state combinando?”.

La bambina si alzò da terra, spolverandosi la gonna scarlatta ed evitando lo sguardo del fratello maggiore “Niente.” rispose secca, con quella autorità e sicurezza che era propria della stirpe di Durin e che faceva parte di lei nonostante la sua giovane età.

Al suo fianco, il piccolo annuì, passandosi distrattamente una mano tra i capelli.

Thorin alzò appena un sopracciglio, ma non ebbe il tempo di ribattere che si sentirono risuonare nell’aria i passi pesanti e la voce squillante di Frerin.

“Sto arrivando, piccole pesti, e quando vi avrò preso . . .. oh, ciao, Thorin!” esclamò il biondo quando vide il maggiore fermo in mezzo alla via, fermandosi di botto per poi fingere un sorriso, a suo parere completamente innocente e per nulla colpevole, ovviamente “Cosa fai di bello qui, nadad?”.

Il nano lo fissò con aria quasi divertita ”Perso qualcosa, Frerin?” domandò, facendo un cenno ai bambini che stavano in mezzo a loro.

Il principe più giovane fece una smorfia, portandosi una mano alla testa “Stavamo facendo un giro e mi sono, ehm . . . scappati.” spiegò debolmente, imbarazzato.

Il fratello arricciò un angolo della bocca “Ma davvero? Non l’avrei mai detto, guarda.” Poi, però, il suo sguardo si fece immediatamente più severo, così come la sua voce. “Non avresti allenamento a quest’ora, tu?”

Frerin alzò gli occhi al cielo e sospirò stancamente “Andiamo, nadad . . .”

“Non dire ‘andiamo’ a me, Frerin.” lo rimproverò l’altro, fulminandolo con lo sguardo “Allenamento. Ora. Buzun.”

“E di questi due che ne faccio?” ribatté, indicando i due bambini con le grandi mani già segnate da lotte e combattimenti “Avevo promesso a Belladonna ed a nostro padre che avrei badato a loro durante le udienze.”.

Dis, che fino a quel momento aveva seguito quasi con noia la discussione fra i suoi fratelli, si animò all’improvviso e, lanciato un veloce sguardo con l’amico, esclamò assieme a lui, eccitata “Veniamo con te!”.

Il biondo a quella proposta si illuminò, ma prima che qualcuno di loro potesse aggiungere altro Thorin frenò quell’entusiasmo sul nascere con un gesto deciso.

“Non se ne parla. Siete troppo piccoli.” obbiettò con fermezza il principe.

“Bilbo è piccolo, io ho diciannove anni!” ribatté arrabbiata la principessa, voltandosi verso il maggiore e mettendosi le mani sui fianchi.

“Io non sono piccolo!” obbiettò invece lo hobbit, rifilando un’occhiataccia all’amica e mettendo in quelle parole tutta la sicurezza dei suoi tre anni appena compiuti.

“Dai, Thorin!” gli diede man forte Frerin, sorridendo con quell’aria furba che tanto lo caratterizzava “Non sei tu quello che dice sempre che non è mai troppo presto per imparare a cavarsela da soli? E poi, li terrei d’occhio io.”

“A parte il fatto che è proprio questo che mi preoccupa, Dwalin ti staccherebbe la testa se ti presentassi nelle sue sale degli addestramenti con i flagelli di Erebor.” ribatté con un pizzico di fastidio il corvino “E non ho alcuna intenzione di stare a sentire le sue lamentele per le prossime venti lune.”.

Il biondo sbruffò, borbottando tra sé e sé qualcosa di non proprio gentile nei confronti del fratello, per poi dire “E allora, li tieni tu o cosa?”.

A quelle parole Dis strabuzzò gli occhi e fece una faccia orripilata, come se gli fosse stata offerta la peggiore delle morti, ma il piccolo hobbit alzò lo sguardo verso Thorin, speranzoso e pieno di aspettativa.

Il principe ci pensò su giusto qualche secondo, prima di annuire con fare quasi stanco “Li porto su con me.”.

Frerin sbottò un ‘D’accordo’ metà sconsolato e metà seccato, per poi inginocchiarsi di fronte alla sorella e al bambino “Beh, io ci ho provato.” mormorò, facendogli l’occhiolino “Fateglielo rimpiangere, d’accordo?”.

La biondina si batté il petto ed annuì quasi con aria seria, mentre al suo fianco il piccolo strizzò goffamente l’occhio nel tentativo di emulare il gesto del più grande.

Il nano ridacchiò e gli scompigliò i capelli, prima di alzarsi e fare un cenno al fratello “Buona fortuna.”.

Il principe di Erebor gli lanciò uno dei suoi sguardi assassini, sollevò appena il mento e sibilò “Muoviti, nadadith.”.

Quello gli fece la linguaccia, per poi allontanarsi sbruffando.

Quando scomparve, Dis si voltò verso il fratello maggiore “Dobbiamo per forza venire con te, Thorin? Possiamo cavarcela benissimo da soli.” fece con voce decisa, la fronte aggrottata e lo sguardo fiero.

“Quando nostro nonno e nostro padre termineranno le udienze, vorranno trovare ancora qualcosa di Erebor.” obbiettò sarcasticamente l’altro “E dubito che ci riusciranno, se vi lascio girare da soli per la Montagna.”.

La principessa sbruffò “Guastafeste.” ringhiò tra i denti, gli occhi che lampeggiavano.

Thorin accennò ad un sorriso “E’ mio dovere e privilegio esserlo. Adesso su, si torna nelle nostre stanze.” Si rivolse allo hobbit, che lo osservava attentamente con i grandi occhi blu “Tu resterai da noi fino a quando tua madre non verrà a prenderti. Shândabi?”.

Il bambino annuì subito “Shândabi.” rispose, sorridendo appena al nano dai capelli corvini. L’amica lo guardò male e gli rifilò una gomitata nelle costole.

“Ahi! Dis!” gemette, massaggiandosi il punto colpito e lanciandole uno sguardo dolorante.

“Non fraternizzare con il nemico, ‘lbo.” lo sgridò la compagna, incrociando le braccia e storcendo la bocca in una smorfia di disapprovazione.

Bilbo aggrottò la fronte, confuso “Thorin non è il nemico, è tuo fratello.” obbiettò, continuandosi a massaggiare il fianco “Ohi.”

“E’ la stessa cosa.” ribatté lei, infilandosi dietro le orecchie una ciocca di capelli “E smettila, che non ti ho fatto così male.”

“Hai i gomiti fatti di acciaio, mi hai fatto male.” sbruffò il piccolo.

Il figlio di Thrain alzò gli occhi al cielo “Su, andiamo.”.

Si voltò ed iniziò a camminare, e dopo un attimo di esitazione i due lo seguirono, uno ancora massaggiandosi il fianco e l’altra continuando a sbruffare ed a dire “Vedi perché è il nemico? Prima ci manda via Frerin, ed ora ci trascina con lui in un mondo di noia ed oblio.”.

“Non è vero.”.

“Sì, invece” insistette lei, senza smettere di camminare “Vedi Frerin da qualche parte, per caso? Niente Frerin, niente divertimento, lo sai.”.

Lo hobbit tirò su con il naso, non sapendo cosa risponderle, per poi rivolgersi di nuovo al principe nano “Perché hai mandato via Frerin?”.

Il giovane gli lanciò uno sguardo un po’ sorpreso. I suoi occhioni, pieni di aspettativa, lo spinsero a rispondere sinceramente, per quanto dubitasse che tale risposta potesse essere compresa da un bambino così giovane “Perché ogni figlio di Erebor deve fare il proprio dovere, senza eccezioni, e Frerin prima di tutti. E’ uno degli eredi al trono. Deve mettere i propri doveri prima di qualsiasi altra cosa.”

Il piccolo sembrò pensarci su per qualche momento, e poi annuì “E’ giusto.” fece, il viso infantile improvvisamente serio “Quando sarò grande, anche io farò il mio dovere, e combatterò per Erebor come fate tu e Fre’.” esclamò con decisione, gli occhi che gli brillavano di una luce che il nano non aveva mai visto prima di quel momento sul suo volto.

Thorin aggrottò la fronte, preso un po’ alla sprovvista da quelle parole, troppo infantili e troppo adulte allo stesso tempo“Tu non sei costretto a farlo. Puoi scegliere. Non sei un nano come noi, sei uno hobbit. Non devi seguire per forza le nostre usanze ed i nostri obblighi.” ribatté, cercando di non sembrare troppo freddo.

Bilbo lo fissò come se avesse detto la più grande delle idiozie “Anche la mamma è una hobbit, eppure combatte con re Thror e il capitano Drifa. Ha sconfitto branchi di mannari. Ha salvato la vita a Thrain tante volte.” rispose quasi con rabbia, attraversandolo con i suoi grandi occhi blu “E io da grande voglio essere come la mamma. Voglio combattere per Erebor. Sarò Bilbo, il flagello degli orchi e dei mannari!” esclamò, brandendo in aria una spada immaginaria.

Dis rise, divertita “Oh, ti sbagli, Bilbo. Io sarò il flagello di orchi e mannari, tu sarai solo il mio scudiero.” fece, affiancandolo e tirandogli i capelli.

Il piccolo hobbit la guardò male e le allontanò il braccio con una smorfia “Io sarò il flagello di orchi e mannari.”.

“Io!”

“No, io!”

“Ioo!”

“Limitatevi ad essere il mio flagello, per il momento.” il principe gli lanciò uno sguardo ammonitore, zittendoli.

Beh, per circa sette secondi.

La discussione riprese subito, ancora più accesa di prima, e Thorin dovette trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo in un moto di sconforto.

 

Erano passati pochi anni da quella tempestosa sera di fine settembre in cui Belladonna Tuc era arrivata alle porte di Erebor con in braccio il piccolo Bilbo, eppure sembravano solo pochi giorni.

I due ospiti erano stati accolti con tutti gli onori e con tutto il calore di cui il popolo dei nani era capace. Nessuno aveva dimenticato i servigi e la lealtà che la hobbit aveva offerto al Re Sotto la Montagna ed al Principe Ereditario negli anni passati. Fundin aveva assegnato a Bella la Coraggiosa i migliori tra gli alloggi del Regno, vicino alla sezione reale, ed era stata subito nominata consigliera del sovrano.

Tutti, nella famiglia reale, erano già molto affezionati a Bella, e ci volle meno di niente per far sì che prendessero ad adorare  anche il nuovo arrivato.

Frerin l’aveva praticamente adottato come fratello minore dal primo momento in cui l’aveva visto, e Dis, dopo un’iniziale diffidenza, aveva fatto lo stesso. Il maggiore ricordava bene il modo in cui si era oscurata in volto quando le era stato mostrato il nuovo arrivato. Aveva strappato il neonato dalle braccia della madre, per poi studiargli il visetto infantile con aria critica e scontrosa. Il piccolo l’aveva guardata per qualche secondo con i suoi grandi occhioni blu, confuso, per poi spiazzarla completamente regalandole un enorme e dolcissimo sorriso sdentato. E da allora, il cuore della piccola principessa era ben stretto in quelle sue manine minuscole da hobbit.

I due eredi di Durin l’avevano guidato nei primi passi e nelle prime parole, insegnandoli addirittura il Khuzdul. Quando Thror l’aveva scoperto era andato letteralmente su tutte le furie, e con lui l’intera famiglia reale. La loro lingua, donatagli dal Creatore in persona, era sacra; mai, in passato, era stato permesso a qualcuno che non appartenesse al loro popolo di conoscerla. Solo i nani, che la custodivano gelosamente come se fosse il più prezioso dei tesori, potevano parlarla, al sicuro, tra le rocce a cui appartenevano, lontano da orecchie indegne. Il gesto di cui si era macchiata il figlio e la figlia minori di Thrain era imperdonabile, e le conseguenze potevano essere veramente gravi se assieme al proprio istruttore Balin non fossero riusciti, grazie anche al sostengo di Thorin stesso, a dimostrare le loro azioni non solo come naturali e, anzi, addirittura logiche. In fondo, il piccolo Bilbo sarebbe cresciuto lì, ed avrebbe tranquillamente appreso da sé il Khuzdul a forza di sentirlo da coloro che lo circondavano, e la sua vita sarebbe stata condizionata sempre e comunque dalla loro, dalle loro abitudini, usanze, regole e guerre. Perché, allora, impedirgli di essere a tutti gli effetti un vero figlio di Erebor, negandogliene i privilegi e limitandolo solo a seguirne i doveri?

Alla fine, dunque, allo hobbit era stato permesso di apprendere sia il Khuzdul che le loro usanze, in modo che potesse crescer e vivere come uno di loro in tutto e per tutto. Era stata una decisione a lungo sofferta e da molti osteggiata, ma alla fine Thror aveva ceduto, ed il piccolo era entrato a far parte a tutti gli effetti del Regno Sotto la Montagna. Si trattava, probabilmente, del più grande dono mai concesso a qualcuno dal popolo di Mahal, anche se lo hobbit non ne aveva la benché minima idea.

 

Thorin si voltò a guardare i bambini, che dietro di lui continuavano a scherzare tra loro, a tirarsi piccoli colpi ed a rincorrersi, ridendo ed urlando a gran voce, ignari dei suoi pensieri.

 

Prima ancora che il figlio di Belladonna potesse reggersi in piedi decentemente, Dis aveva iniziato a portarselo dietro ovunque andasse, e man mano che entrambi crescevano, il legame tra loro si era rafforzava incredibilmente. Erano inseparabili, il piccolo hobbit dagli occhi profondi e la principessa dai lunghi capelli biondi. Dov’era una, c’era anche l’altro, sempre insieme come se fossero gemelli. Dei gemelli malandrini, certo. Scomparivano per ore intere, piccole pesti senza vergogna, ed al loro passaggio accadevano le cose più incredibili; oggetti e gioielli scomparivano per poi essere ritrovati in posti improbabili il giorno dopo, distrutti o praticamente irriconoscibili, vari nani si ritrovavano con la barba tagliata e i capelli rasati a zero, le fucine venivano puntualmente sconvolte. Erano, secondo il parere di tutti, le più pestifere creature mai vissute sotto l’ombra della Montagna, tanto che il soprannome ‘flagelli di Erebor’ era diventato più che comune tra le povere vittime dei loro scherzi. Non che Bilbo facesse granché, alla fine. Era ancora troppo piccolo per fare davvero danni. Era Dis la vera mente diabolica del duo. Lo hobbit le andava semplicemente dietro, anche se con un entusiasmo a dir poco preoccupante. Ogni singolo nano tremava al solo pensiero di quello che avrebbero combinato, quando tutti e due sarebbero arrivati nella tragica età dell’adolescenza.

 

Comunque, tra i tre discendenti di Durin, Thorin era quello meno legato al piccolo. Non che lo odiasse anzi, ci era ormai affezionato, seppur non come i suoi fratelli. Lo inteneriva e le sue accese discussioni con mastro Bomfur sul perché non potesse mangiare tre torte nello stesso pasto lo divertivano enormemente, ma a parte il tenerlo d’occhio ogni volta che doveva evitava di averci molti contatti. Preferiva non legarsi troppo a lui, sospettando che con il tempo ciò gli avrebbe portato solo preoccupazioni eccessive. Aveva un grandissimo rispetto per sua madre e comprendeva le decisioni di suo nonno, ma dubitava che quello fosse il posto giusto per il bambino o che un giorno potesse sul serio far parte del loro popolo. Se Belladonna aveva dimostrato negli anni il coraggio e la ferocia di una vera nana, Bilbo sembrava troppo fragile e debole per riuscire un giorno a seguire le sue orme ed a guadagnarsi il proprio posto nella Montagna. Perché sì, se voleva davvero appartenere a quel mondo, nonostante tutto ciò che aveva detto e promesso Thror, un giorno avrebbe dovuto guadagnarsi il rispetto del suo popolo, e dimostrare a tutti che era uno di loro, almeno dentro, e fino a quando non l’avrebbe fatto sarebbero stati davvero pochi i nani che l’avrebbero accettato come tale.

Ma più guardava quello scricciolo dai grandi occhi profondi storcere il naso di fronte all’oro ed ai gioielli e spaventarsi ai racconti di Frerin, più dubitava che un giorno ci sarebbe riuscito. Gli sembrava così fuori posto, così innaturale in mezzo a tutti quei bambini nani che, nonostante la giovane età, già parlavano di lame e pietre preziose con la sicurezza degli adulti e che erano capaci di mettere su risse niente male.

Bilbo non poteva appartenere a quel posto, e più ci pensava, più si rattristiva, perché l’entusiasmo di quel piccolo era così toccante e dolce da farlo stare male. Lui voleva profondamente appartenere a Erebor, ma Thorin dubitava che ci sarebbe mai riuscito.

 

“Thorin, ti sei incantato?”

Una voce acuta e una intensa serie di pizzicotti lo riportarono al presente, ed il principe dovette sbattere le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco ciò che lo circondava. Accanto a lui, Dis gli stava torturando il braccio, con un certo divertimento tra l’altro, e Bilbo stava spingendo la pesante porta nel tentativo di aprirla. Thorin, scosse la testa, sbruffò ed allontanò i due bambini, per poi aprire l’ingresso e fargli segno di entrare. I piccoli si infilarono dentro di corsa, per poi correre per i corridoi e nascondersi nelle camere dell’ultimogenita di Thrain, pronti probabilmente per l’ennesimo pomeriggio di giochi, discussioni e storie. Bilbo adorava ascoltare le storie di Dis, e lei si divertiva da morire a raccontargliele, soprattutto se si trattava delle avventure dei loro genitori. Dis era una guerriera, nel suo cuore giovane ed appassionato, e sentire e narrare le imprese di cui i suoi antenati e le persone che conosceva avevano affrontato la entusiasmava oltre ogni dire.

“Non distruggete nulla!” si limitò a gridargli dietro il nano dai capelli corvini, certo che le sue raccomandazioni non sarebbero state comunque ascoltate, e si avviò a sua volta verso la propria stanza, pensando sconsolato alle asce che lo aspettavano nella fucina del padre e che nemmeno quel giorno sarebbe riuscito a completare.

 

 

Quando, molte ore dopo, quella pesante porta si aprì nuovamente e il viso stanco ma comunque allegro di Belladonna fece capolino dall’uscio, come un gufetto curioso alla ricerca di novità, Thorin non se ne accorse nemmeno.

La hobbit rimase sull’uscio, osservando intenerita quel quadretto, non eccessivamente insolito ma capace di stringerle forte il cuore ogni singola volta. Gli eredi di Erebor erano accucciati di fronte al fuoco mentre il maggiore tra loro, seduto su un basso sgabello, lasciava che le sue dita danzassero su un’arpa d’oro, cantando un’antica ninna nanna della sua gente. Di fronte a lui, seduto sul pavimento e con la testa china, stava Frerin, le sue gambe ancora sottili che facevano da guanciale a Dis, profondamente addormentata. E tra di loro, stretto tra le braccia delicate del principe dai capelli dorati, stava il suo piccolo Bilbo, cullato anche lui dalla dolcezza di quella musica antica.

Ella si limitò a guardare ed ascoltare fino a quando la melodia non finì e il più grande dei giovani Durin non alzò lo sguardo dal trio addormentato, e poté vedere una profonda tenerezza e un infinito affetto in quegli occhi di ghiaccio, prima che la sorpresa ne prendesse il posto.

“Signora Belladonna.” si lasciò sfuggire sorpreso il principe, ma in un tono così basso da non poter disturbare i ragazzi addormentati. “Ci avete messo molto.”.

Ella annuì, sistemandosi con un gesto impaziente la gonna. Non si era ancora abituata ai pomposi e pensanti abiti dei Nani, e dubitava che ci sarebbe mai riuscita. “La politica con gli Elfi richiede sempre molto tempo, e presto anche voi scoprirete fin troppo bene il perché. “spiegò, non senza pensare con fastidio all’incontro infinito con i rappresentati del vicino reame elfico. “Vostro padre e vostro nonno vi raggiungeranno a breve.” aggiunse, per poi avvicinarsi piano ai tre ragazzi addormentati e, facendo un’enorme attenzione, sfilò il piccolo hobbit da quell’abbraccio allentato.

Bilbo non si svegliò, ma mugolò un po’ nel sonno, borbottando qualche parola in Khuzdule raggomitolandosi ancora di più tra le braccia della madre.

Belladonna non riuscì a trattenere un sorriso ed accarezzò delicatamente i capelli ricci del figlio, che con il passare degli anni si stavano schiarendo sempre di più, passando da un iniziale bruno scurissimo a un bel biondo ramato. “Grazie per aver badato a lui. Di nuovo.” sussurrò, senza riuscire a smettere di guardare il suo bambino.

“Non preoccupatevi, non è un problema.” replicò piano il giovane nano, e nella sua voce qualcosa colpì la hobbit e la spinse ad alzare lo sguardo.

Il viso del ragazzo era illeggibile, la bocca stretta in una linea sottile e gli occhi di ghiaccio, improvvisamente pensierosi, erano fissi sul piccolo Bilbo, quasi lo stessero studiando alla ricerca di qualcosa di segreto che non poteva vedere.

La giovane madre rimase sorpresa da quello sguardo, e dopo un momento di confusione chiese gentilmente “Sembrate teso, principe Thorin. Qualcosa vi turba?”.

A quelle parole il ragazzo sembrò riscuotersi e si affrettò subito a negare “No, niente affatto.” disse, senza però mai distogliere lo sguardo dal visino addormentato del bambino.

“Siete sicuro?” insistette la donna, avvicinandosi di un passo a lui. In quel momento, con quell’espressione così tenebrosa in volto e quella nuvola cupa nello sguardo, le ricordava tantissimo Thrain, quel vecchio nano testardo che rimuginava sempre su tutto senza lasciare mai che una sola parola gli sfuggisse dalle labbra. E che il suo primogenito gli somigliasse tanto non era una cosa buona, non sotto quel punto di vista. “Non vi ho mai visto con uno sguardo così serio.”

Scosse la testa e fece per negare di nuovo, ma poi il piccolo hobbit mormorò ancora nel sonno e lui rimase in silenzio per un lungo minuto a guardarlo, i suoi occhi di ghiaccio che andavano dal suo visino addormentato a quei pugni chiusi con forza. “Non è nulla.” borbottò infine, stringendosi nelle spalle, per poi aggiungere quasi contro la sua volontà “Solo, oggi Bilbo ha detto una cosa che . . . mi ha fatto pensare, ecco.”.

Aggrottò la fronte, confusa “Che cosa?”.

Thorin esitò, tormentandosi una delle sue corte trecce, e poi ripeté, precisamente come se gliele avessero impresse a fuoco nella testa, parola per parola tutto ciò che era stato detto quel pomeriggio.

La mezzadonna rimase a lungo in silenzio, studiando attentamente il giovane principe che ora non osava nemmeno incontrare il suo sguardo, e alla fine chiese, con una calma che spiazzò completamente il giovane erede al trono “Voi non credete che mio figlio possa far parte della vostra gente, non è vero?”.

Il corvino sobbalzò, come se qualcuno l’avesse appena colpito alle spalle “Non è così!” esclamò con tale forza da rischiare di svegliare i bambini. “Io . . . credo solo che questo posto sia troppo per lui.” aggiunse, abbassando la voce e lasciando di nuovo vagare il proprio sguardo sul corpicino addormentato del piccolo “Questa che tanto desidera non è una vita adatta a lui. E ciò mi preoccupa.”

Belladonna chiuse per un attimo i suoi profondi occhi color del mare, come se avesse aspettato quelle parole per un tempo infinitamente lungo ed adesso erano lì, dolorose e tangibili, a dare voce a tutti i dubbi che l’avevano tormentata per anni e che ancora adesso non riusciva a far tacere e forse non ci sarebbe riuscita mai. Ma, quando riaprì gli occhi in essi c’era forza e decisione, e quando parlò di nuovo la sua voce era ferma.

“Avete ragione. Questo posto è troppo per lui, come lo sarebbe per chiunque altro, e la vostra è una vita più dura e pericolosa di molte. Bilbo è solo un piccolo hobbit, esattamente come me.”

I suoi occhi scuri si posarono lievi sul bambino che stringeva tra le braccia, quel bambino che le ricordava tanto il suo perduto Bungo ma che già così piccolo non poteva essere più diverso da lui.

Alzò fiera il viso, il mento sollevato con fierezza in alto e una consapevolezza segreta che rendeva le sue parole di sillaba in sillaba più forti “Ma ha coraggio da vendere ed un sangue infuocato che non esiterà a versare per voi e Erebor. Se è questo il posto che sente suo, e se continuerà ad essere così, niente e nessuno potrà impedirgli di farne parte. Dategli tempo e vedrete, Thorin. Gli hobbit possono sembrare le più insignificanti delle razze, ma se gli darete un pizzico di fiducia, vi sorprenderanno in modi che adesso non potrete nemmeno immaginare.”

Poi, con un rispettoso cenno del capo, la fiera hobbit si congelò dal principe e scivolò via silenziosa com’era arrivata, lasciando il giovane principe da solo con le sue parole che sapevano di promessa, di destino, e di qualcosa di troppo grande per poter essere negato.

 

 

Thorin cercò a lungo di dimenticare quella conversazione accanto al fuoco con Belladonna, e con esse anche le ingenue e fiduciose parole di Bilbo. Ci provò davvero, in tutti i modi possibili. Ma era praticamente impossibile. La voce sicura di lei e quella candida di lui continuavano a tornare, senza lasciarlo mai in pace. Le sentiva durante gli allenamenti, nella forgia, quando badava a Dis o rimproverava Frerin, quando faceva i turni di guardia. Ovunque andasse, qualsiasi cosa facesse, quegli echi continuavano a tornare.

“Quando sarò grande, anche io farò il mio dovere, e combatterò per Erebor come fate tu e Fre’.”

“Ha coraggio da vendere ed un sangue infuocato che non esiterà a versare per voi e Erebor. Se è questo il posto che sente suo, e se continuerà ad essere così, niente e nessuno potrà impedirgli di farne parte.”

“Voglio combattere per Erebor.”

“Bilbo è solo un piccolo hobbit.”

“Sarò Bilbo, il flagello degli orchi e dei mannari!”

“Solo un piccolo hobbit . . .”

Così, alla fine, decise di dar loro ascolto.

 

Una settimana dopo, Thorin entrò nelle stanze di Dis, dove la sorellina e il piccolo hobbit stavano preparando un non del tutto plausibile piano per colorare di blu i biondissimi capelli di Frerin.

Quando la nanetta lo vide, fece una smorfia infastidita e sbruffò “Nadad, non ora. Io e ‘ilbo siamo in riunione! Dobbiamo organizzare una missione segreta.”.

“Sì, una missione molto segreta!” ripeté entusiasta il bambino, sbattendo le mani ed annuendo fiero di sé.

Il principe si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo e si segnò mentalmente di avvisare il fratello dei complotti di quelle due piccole pesti. “Me ne vado subito, Dis. Devo solo fare una cosa, prima.” disse alla sorella, per poi rivolgersi al più piccolo “Bilbo. Vieni qui, akhûnith.”.

Il bambino lo studiò confuso per un attimo, ma poi si alzò da terra e lo raggiunse, la curiosità che si leggeva chiaramente sul visino colmo di lentiggini.

Thorin si inginocchiò in modo che potesse guardarlo negli occhi e gli porse un involucro rosso scarlatto dalla forma irregolare

“Questo è per te. Prendilo, avanti.” lo incitò gentilmente. Il piccolo, non senza esitazione, gli tolse lo strano pacchetto dalle mani e iniziò a srotolare il tessuto per vedere cosa nascondesse, mentre l’amica gli si avvicinava curiosa.

Una piccola spada di legno, a perfetta misura d’hobbit, fece capolino tra la stoffa, e per un attimo il bambino trattenne il fiato, senza parole, per poi alzare lo sguardo stupefatto sul nano.

Un piccolo sorriso si formò sul viso severo del più grande “È simile a quelle che ho costruito per Dis e Frerin quando erano un po’ più grandi di te.” spiegò con un pizzico di dolcezza “Se devi diventare il flagello di orchi e mannari è meglio iniziare ad allenarsi subito, no?”

Il bimbo si strinse forte la spada al petto, incapace di fare altro per un lunghissimo momento se non lasciarsi sfuggire un  “È bellissima!” estasiato.

Dis studiò bene la spada, storse il naso e disse, con aria da superiorità “E’ più uno stuzzicadenti quello, piuttosto che una vera spada di legno. Non sai più fare giocattoli come una volta, nad’.”.

Quelle parole, stranamente, ebbero l’effetto di spezzare l’incantesimo che aveva colpito il più piccolo, perché sembrò riscuotersi dal suo stupore e, tenendo ben stretta la sua nuova spada nella mano destra, si lanciò contro il principe ereditario, abbracciandolo con tutta la forza che aveva e gridando commosso “Graziegraziegrazie!”.

Thorin restò immobile, senza sapere come reagire a quel gesto improvviso, ma tempo un minuto e lui si era già staccato e sollevava con orgoglio la sua spadina per aria, urlando grida di battaglia mentre l’amica scuoteva la testa, divertita da tutto quell’entusiasmo.

Al principe dai capelli color della notte non restò che rimanere a guardare, guardare Bilbo che saltellava felice nella stanza infilzando nemici immaginari mentre i suoi giganteschi occhi blu brillavano come i più preziosi dei gioielli.

Rimase lì, a guardare quel piccolo hobbit, nemmeno lui seppe per quanto, quasi stregato da quell’esplosione di vita e felicità e luce.

Era solo un piccolo hobbit con una minuscola spada di legno stretta tra le manine. Niente di più, niente di meno. Eppure, quell’immagine gli riempì il cuore, e se la tenne stretta per molto, molto tempo.

 

 

 

 

 


 

La tana dell’autrice

 

E niente.

Sì, ho deciso di riprendere in mano questo progetto dopo non so quanto tempo. Non avrei mai avuto intenzione di abbandonarlo, a dire il vero, ma una serie di cose mi hanno costretto a lasciarlo nel cassetto della mia mente per lungo tempo. Ma alla fine la nostalgia di Erebor ha avuto il sopravvento.

 

Non so cosa dire, se non che mi dispiace di aver fatto passare così tanto tempo tra il prologo e questo primo capitolo e che spero che almeno tutta questa attesa possa essere compensata, anche solo in parte.

 

Un abbraccio tigroso a tutti

 

T.r.

 

P.s.: Se c’è una cosa a cui non mi abituerò mai, nella Terra di Mezzo, è la differente concezione dell’età da popolo e popolo. Insomma, per gli Elfi, che sono immortali tranne se vengono uccisi in battaglia, la giovinezza dura 300 anni, i nani superano tranquillamente i 500 anni di vita, anche se più spesso muoiono attorno ai 250 a causa delle molte battaglie che devono affrontare, e gli hobbit, che sono i più ‘normali’, raggiungono la maggiore età a 33 anni e vivono spesso fino ai 100. Nella mia testa c’è tanta, taaanta confusione. Insomma, quanto corrisponde l’adolescenza per i nani, e fisicamente fino a quanto restano ‘non adulti’? E gli hobbit, quando terminano l’infanzia ed inizia l’adolescenza? Mi sono informata, ma non ho trovato molto, così ho immaginato che la maggiore età per i nani siano i 50 e l’adolescenza sia dai 25 in poi, e che per gli hobbit l’adolescenza inizi dai 16-20 fino ai 33. Non so quanto questa mia visione si avvicini alla realtà, ma beh, è una AU, ci può stare, andiamo. XD

 

Studiamo insieme . . . –pillole di Khuzdul-

 

Nadad: Fratello

 

Buzun : Vai

Nadadith : Fratellino

Shândabi : D’accordo

Akhûnith : piccolino

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 – Cosa significa ‘casa’ ***


Capitolo 2 – Cosa significa ‘casa’

 

 

 

 

“Non devi preoccuparti.

Se tu desideri restare qui con tutto il cuore, allora il tuo cuore è qui. E se il tuo cuore è qui, allora ‘qui’ è il posto dove devi essere.”

- Bleach

 

 

 

 

“Di nuovo, ragazzo. Dall’inizio.”  disse un nano dagli occhi gentili, chiudendo un grosso volume e studiando il suo giovane allievo da sopra gli occhiali.

Bilbo annuì, facendo dondolare le corte gambe sotto il tavolo. “Le grandi Casate sono sette, come i primi sette nani creati di Mahal stesso, all’inizio di tutto.” esordì con sicurezza, o almeno con tutta la sicurezza che può avere un bambino di nove anni, ed iniziò ad elencarle, contandole sulle dita “Ci sono i Barbedure, i Piediroccia e i Nerachiave, che furono l'unica stirpe dei Nani ad allearsi con l'Oscuro Signore. Poi vengono i Pugniferro, che in passato hanno combattuto contro molti dei loro fratelli. Ma le più importanti Casate sono altre tre, i Barbafiamma, i Vastifasci e i Lungobarbi.”

Il maestro sorrise e gli fece segno di continuare, e lo hobbit si affrettò ad aggiungere, come se avesse paura di non riuscire a dire tutto quello che sapeva “I Barbafiamma sono stati i primi a creare maglie di acciaio ad anelli e elmi da guerra capaci di resistere alle fiamme dei Draghi. I Vastifasci sono invece i fabbri più bravi, e a questa Casata appartenevano il grande Telchar e il suo maestro Gamil Zirak .”

“I Lungobarbi, invece?” chiese il nano, inclinando appena la testa.

Il giovane Baggins si morse l’interno della guancia, raccogliendo per bene le idee “In Khuzdul sono chiamati Sigin-tarâgi e sono il clan più antico, numeroso e importante. Sono i guerrieri più valorosi di tutti e gli artigiani più abili. Sono anche maestri nella lavorazione del Mithril, uno dei più grandi tesori dei Nani di cui Erebor ha il monopolio, da quando è caduta Moria.” disse vittorioso, ricordandosi quello che gli aveva raccontato una volta il principe Thorin, quando con i suoi due fratelli era andato a trovarlo nella forgia del Re. “Su di loro regna la Casa di Durin, ovvero i discendenti di Durin il Senzamorte, i cui ultimi eredi diretti sono il Re Sotto la Montagna Thror, il principe Thrain e i suoi figli Thorin, Frerin e Dis.”.

Il nano sorrise ed annuì, accarezzandosi la lunga barba scura già striata d’argento. “Bene, molto bene Bilbo.” si complimentò, facendogli un buffetto affettuoso e guardandolo con orgoglio “Hai un’ottima memoria e la tua mente è sempre disposta ad imparare cose nuove. Quanto vorrei che Dis si fosse applicata anche solo una volta la metà di quanto fai tu ogni singolo giorno.” sospirò, scuotendo la testa rassegnato. “D’accordo, allora adesso vediamo quella traduzione che ti avevo assegnato . . .”.

Il bambino si mosse inquieto sulla sedia “A dire vero, signor Balin, volevo chiedervi un favore.” borbottò incerto, senza riuscire ad incontrare lo sguardo del suo insegnante “Ecco, oggi Frerin si fa il suo primo tatuaggio e io ci terrei tantissimo ad esserci. So che c’è ancora quasi un’ora di lezione, ma mi stavo chiedendo se, almeno per questa volta, potremmo fermarci prima.”.

“Ah è vero, ieri ha avuto la sua prima missione fuori le mura di Erebor.” commentò il figlio di Fundin. I nani erano soliti farsi dei tatuaggi per ricordare gli avvenimenti più dolorosi o quelli più importanti della propria vita, e per molti il primo di questi coincideva con l’iniziazione nel gruppo di ricognizione, al termine del lungo periodo di addestramento. Studiò attentamente l’allievo, come se volesse cercare qualcosa, ma alla fine sospirò “Dubito che riuscirei a tenerti qui anche solo per un altro mezzo minuto, quindi sì, vai pure. Ma domani voglio che tu sia in anticipo, d’accordo?”.

“Davvero? Âkminrûk zu!” esclamò incredulo e felice lo hobbit, saltando giù dalla sedia come se scottasse “Domani recupererò ogni singolo minuto perso oggi, ve lo prometto!”

Balin rise e scosse la testa divertito, facendogli segno di andare “Ci conto, ci conto. Vai pure, ragazzo. E fai a Frerin i miei auguri.”

Il piccolo annuì, mentre infilava alla rifusa i libri nella sua borsa di cuoio. “Aye. A domani, signore!” disse, per poi correre via come se fosse inseguito da uno stormo di corvi arrabbiati mentre il maestro lo osservava con affetto e tratteneva un’altra risata spontanea al suo entusiasmo genuino.

Bilbo chiuse la porta alle sue spalle con abbastanza delicatezza da non farla sbattere come al suo solito e poi riprese a correre, attraversando il lungo corridoio che portava verso il centro della Montagna. Dopo aver superato la quattordicesima porta iniziò a rallentare, riprendendo un po’ fiato, e i suoi vispi occhi blu non ebbero nemmeno il tempo di guardarsi attorno che una voce femminile e calda lo raggiunse “Ci sei riuscito, ‘ilbo?”.

Si fermò e si voltò verso una nicchia riservata, appena un anno fa, ad un grosso candelabro che era andato ‘misteriosamente’ distrutto. Lì stava seduta, come al solito, una giovane nana dai bei capelli d’oro raccolti in una pratica treccia e dai penetranti occhi chiari che lo scrutavano divertiti.

Lo hobbit si strinse nelle spalle, molto semplicemente “Sono qui, no?”.

La bionda si lascò sfuggire un fischio sommesso “Non so come fai a ingannare tutti così. Le tue bugie sono assolutamente perfette.” commentò, sinceramente colpita

Quelle parole parvero indispettire l’altro, che le lanciò un’occhiataccia e incrociò le braccia a mo’ di protesta “Le mie non sono bugie, e io non inganno nessuno. Dico sempre la verità.” negò con decisone, salvo per poi aggiungere con un pizzico di imbarazzo nella voce “Solo che a volte non è proprio tutta tutta.”.

Dis scoppiò definitivamente a ridere e scese dalla nicchia con un salto, per poi spolverarsi gli abiti maschili che indossava “Gli hobbit e i loro giri di parole.” sbruffò, tirandogli una gomitata “E continui a sostenere di non essere un bugiardo?”

L’amico si massaggiò il punto colpito, più per abitudine che per altro. Ormai aveva preso tante di quelle gomitate negli anni che quel particolare punto del suo corpo era diventato insensibile, o quasi almeno. A volte si chiedeva se la pelle dei nani fosse tutta così, talmente abituata ai colpi da non sentire nulla. Questo avrebbe spiegato davvero molte cose.

“Non lo sono. Un bugiardo avrebbe promesso di recuperare quest’ora perduta il giorno dopo?” ribatté ostinato, ma poi decise di lasciar perdere il discorso, almeno per quella volta. Si sfilò la borsa, si sollevò sulle punte e la mise al sicuro nella loro nicchia-nascondiglio, come ogni volta che saltava una lezione e non poteva tornare nella sua stanza a lasciare i pesanti volumi in Khuzdul. “Dai muoviamoci, o faremo davvero tardi per vedere Frerin. Non vale la pena sprecare chiacchierando quest’ora rubata, no?”.

La principessa, allora, sorrise e Bilbo fece lo stesso, e se ci fosse stato qualcun’altro in quel corridoio sempre vuoto probabilmente sarebbe subito corso negli appartamenti reali a cercare il re Thror per avvisarlo che la sua pestifera nipote e il suo fedele complice stavano per combinare un’altra delle loro.

Perché, quando i flagelli di Erebor sorridevano in quel modo, bisognava davvero iniziare a preoccuparsi.

 

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Nascosti al sicuro dietro un angolo, Dis si piegò in avanti, osservando con sguardo attento il corridoio fortunatamente vuoto, mentre al suo fianco lo hobbit, quasi rannicchiato su se stesso, controllava che nessuno li sorprendesse proprio in quel momento.

Dopo essersi assicurati dell’assenza di testimoni, la principessa si voltò verso il compagno e sussurrò, a voce così bassa che le acute orecchie dell’altro riuscirono appena  a coglierla “D’accordo, a quest’ora in cucina ci sono solo il figlio maggiore di Bomfur, Bombur, e un paio di altri apprendisti a rassettare. Se passiamo dall’entrata laterale e evitiamo la zona dei forni non ci vedranno nemmeno.”.

Il bambino tirò su con il naso, facendolo inconsapevolmente ruotare come ogni volta che pensava attentamente a qualcosa “Ne sei sicura?” chiese “Se mastro Bomfur ci prende. . .”

“Hai paura, hobbit?” lo interruppe con tono di sfida l’amica, studiandolo con i grandi occhi chiari mentre le labbra sottili e screpolate, così poco da principessa, si piegavano in un ghigno provocatorio.

Bilbo le rifilò un’occhiataccia “Io non ho mai paura, mia signora.” ribatté con forza, stringendo i piccoli pugni, e quando la nana sorrise vittoriosa, soddisfatta di quella risposta, borbottò un “Andiamo, sì o no?”.

“Aspetta.” sibilò questa, voltandosi a controllare la strada un’ultima volta, e quando fu certa che non sarebbero stati visti scattò in avanti, sapendo che l’amico l’avrebbe seguita come sempre.

I due ragazzini scivolarono silenziosi lungo la parente, attenti a non fare rumore, fino ad una piccola porticina seminascosta da una colonna. Allora, Dis si piegò in modo che l’altro potesse salirle sulle spalle e guardare attraverso la serratura. Non vedendo nessuno, il piccolo hobbit si mise ad armeggiare con la maniglia, fino a quando questa non fece un quasi impercettibile rumore e cedette. Si lasciò scivolare giù dalla schiena dell’amica e dopo uno sguardo d’intesa aprì la porta quanto bastava per scivolare dentro non visti l’uno dietro l’altra. Una volta entrati si nascosero dietro un armadio per scope e stracci, studiando attentamente la situazione.

Le cucine di Erebor erano gigantesche, tanto da poter rivaleggiare con la zona del mercato o addirittura con le sale degli allenamenti. Erano ben due locali enormi, per non contare la gigantesca stanza dedicata alle provviste; un’infinita quantità di cuochi, panettieri e pasticcieri armeggiavano per ore e ore ai numerosi forni, sfornando prelibatezze su prelibatezze. A dirigere il tutto c’era mastro Bomfur, che difendeva quel posto magico come un drago geloso del proprio tesoro. Guai a provare anche solo ad avvicinarsi, con lui nelle vicinanze. Ma visto che a quell’ora andava alla locanda del giovane nipote Bifur per farsi due o tre boccali di birra e un sano riposino pomeridiano . . .

“Dove li avranno nascosti, stavolta?” sussurrò il più piano possibile Bilbo, sperando che gli apprendisti fossero ancora impegnati con la loro altissima torre di stoviglie da lavare.

La bionda si morse il labbro “C’è un unico posto in cui non abbiamo ancora guardato, anche se è assolutamente improbabile. Ma ormai abbiamo scoperto tutti i loro nascondigli, non gli resta che quello.”.

L’altro aggrottò la fronte “Quale?”.

Gli fece segno di seguirla in silenzio e poi sgattaiolò fuori dal loro nascondiglio, dirigendosi verso il fondo della stanza e nascondendosi appena vedeva qualche nano comparire quasi dal nulla alla ricerca di un piatto o roba simile. Il bambino le andò dietro fino a quando non raggiunsero il fondo della sala, dove un’enorme portone di ferro separava il resto dei locali dalla dispensa. Proprio lì accanto, un numero sterminato di botti di vino rosso era disposto in ordinati gruppi da due dozzine, abbastanza per soddisfare un piccolo banchetto. E proprio sopra alcuni di loro, lasciati a raffreddare, stavano i famosissimi biscotti al cioccolato di mastro Bomfur.

“Ma dai!” si lasciò sfuggire ad alta voce il più piccolo, incredulo.

Dis non si degnò nemmeno di zittirlo, troppo stupita anche lei di aver indovinato un nascondiglio talmente improbabile “Prendiamone solo uno per ogni teglia.” propose, guardando vittoriosa il piccolo bottino “Magari non si accorgeranno che li abbia presi e, illudendosi di aver trovato il nascondiglio perfetto, li lasceranno qui anche la prossima volta.”.

Lui annuì e i ragazzi iniziarono a riempirsi i fazzoletti di tutti i biscotti che potevano per poi scivolare via, zitti zitti com’erano venuti, e tornare alla porticina.

Dis si affacciò appena per controllare che non ci fosse nessuno e poi uscì per prima, seguita dallo hobbit che armeggiò un po’ per richiudere per bene la porta senza fare rumore. Poi, i due presero a correre più veloci che potevano e quando furono abbastanza lontani si fermarono a prendere fiato su uno scalino. L’erede di Erebor esclamò, vittoriosa “Ce l’abbiamo fatta! Ce l’abbiamo fatta, e non ci ha visto nessuno, questa volta!”.

“Cos’è che sareste riusciti a fare, esattamente?” chiese alle loro spalle una voce profonda ed inaspettata che li fece letteralmente congelare sul posto. I due piccoli ladri si bloccarono per un lungo, interminabile momento, per poi voltarsi all’unisono con inquietante lentezza.

Il Principe Ereditario Thrain, le braccia incrociate e il cespuglioso sopracciglio sollevato a formare un arco perfetto, li studiava in silenzio, aspettando una risposta.

Dis, tentando di mascherare il proprio terrore, disse con tono incredibilmente controllato “Non pensavo che tu e il nonno aveste finito con le udienze per oggi, adad. Cosa ci fai qui?”.

Quella finta calma non sembrò né turbare né sorprendere il genitore, che si limitò a rispondere, non senza un pizzico di malcelato affetto nella voce “Vi colgo in fragrante, a quanto pare, ghivasha.”. Lanciò uno sguardo a metà strada tra lo sconfortato e il rassegnato alle loro tasche piene e sospirò “E così i flagelli di Erebor sono diventati anche due giovani scassinatori ai danni del povero Bomfur. Dovresti sapere, nathith, che questa non è un’attività onorevole per nessuno, in particolar modo per un’erede di Durin.”.

La biondina abbassò lo sguardo ed esitò, non sapendo cosa dire, e a quel punto Bilbo si fece avanti, la schiena ben dritta e il mento sollevato quasi con fierezza, mentre i profondi occhi blu oceano brillavano in mezzo a quel visino improvvisamente illeggibile “Qui c’è solo un giovane scassinatore, mio signore Thrain.” lo corresse con tutta la serietà e sicurezza di questo mondo, aggiungendo poi con grande stupore della complice “Ho organizzato tutto io. Dis non centra niente. Sono stato io a spingerla.”.

Il nano inclinò appena la testa, studiando ora il piccolo hobbit “Ma davvero?” domandò, sorpreso da quelle parole e da quello sguardo.

Il bambino annuì, senza un momento di esitazione “Sì, mio signore.”.

A quel punto la principessa, rimasta a guardare confusa l’amico, scattò ed affermò con forza “Non è vero! L’ho convinto io a farlo!”.

Il più piccolo abbassò la testa e la sua voce uscì quasi spezzata, come se fosse profondamente pentito “Ora non cercare di proteggermi, Dis. Non ne vale la pena.”

La ragazza lo fissò completamente spiazzata “Ma  . . .” il suo debole tentativo di protesta si spense quando Thrain sbruffò e scosse appena il capo.

“Sei diventato anche un bugiardo, oltre che un pestifero ladro in erba.” borbottò, gli occhi fieri illuminati da divertimento e da qualcosa che i due piccoli non potevano ancora comprendere “Ma almeno hai dell’onore, piccolo Baggins.”. Sorrise e scompigliò i capelli sia alla sua figliola sia al suo protetto “Andate, e non fatevi più ritrovare a girare attorno alle cucine, nessuno dei due.” li ammonì seriamente, prima di andarsene silenzioso com’era arrivato.

La figlia di Erebor seguì il padre con lo sguardo fino a quando quest’ultimo non svanì nei lunghi corridoi. Allora si girò verso il compagno e chiese, sinceramente confusa “Perché hai mentito a mio adad? L’idea è stata mia.”.

Bilbo si strinse nelle spalle, come se ciò che aveva appena fatto non fosse nulla. “Come tu proteggi me, io proteggo te.” spiegò, molto semplicemente. “Siamo una squadra, no?”.

Dis rimase un momento in silenzio, prima di fare il più grande e luminoso dei suoi sorrisi “Certo che siamo una squadra. Siamo i flagelli di Erebor, la scapestrata principessa Dis e il suo hobbit bugiardo.” disse, gli occhi penetranti colmi d’affetto.

Lo hobbit sbruffò, sconfortato “ Per l’ultima volta, non sono un bugiardo.”.

“No.” concordò la ragazza “Sei solo un ingannatore.”. Sorrise un’altra volta e si portò le mani alle tasche, dove la loro refurtiva attendeva pazientemente “Dai, andiamo a vedere Fre che si fa il tatuaggio.”.

Lo hobbit annuì e i due ripresero a correre, riempiendo per l’ennesima volta la Montagna delle loro grida e delle loro risate.

 

 

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La stanzetta solitaria in cui mastro Tudin tatuava nani e nane di tutte le età era vicino al mercato, appena ad un centinaio di passi dal pub di Bifur. Per raggiungerlo in fretta i giovani di Erebor usavano vari corridoi e viuzze secondarie che conoscevano meglio delle proprie tasche, e visto che lo hobbit era ancora troppo piccolo per sapersi orientare bene in quel complesso labirinto fu la bionda a guidarlo, tirandolo per il polso, fino a quando non sbucarono in un grande corridoio ben illuminato e colmo di negozietti. Era insolitamente vuoto; solo un gruppetto di cinque bambini nani, tra i diciannove e i ventisei anni, lo animava con le loro voci alte e le loro battute sgradevoli.

Nel vederli Bilbo esitò e l’amica, notando la sua tensione, gli fece segno di stare tranquillo e di continuare a camminare. I due presero ad attraversare il corridoio come se non fosse successo nulla, ma subito il più giovane del gruppo fischiò sommessamente e richiamò l’attenzione dei proprio compagni “Guardate chi c’è.”.

I cinque si voltarono e alla vista dello hobbit dei ghigni divertiti gli illuminarono di una luce crudele i visi sporchi. Il capo, un giovane nano dai capelli color terra e gli occhi neri, incrociò le braccia e lo studiò con cattiveria “Che ci fai qui, ratto della Contea? Sei scappato dalla gonna multicolore della tua sciocca amad?” chiese, per poi ghignare divertito e indicarlo ai propri amici “Guardate quella specie di vermiciattolo storto che gli pende al lato del viso! Pensi davvero che vestirti come uno di noi e tentare di intrecciarti i capelli ti renderà un nano?“

Il gruppo scoppiò in una risata malvagia e la mano di Bilbo si strinse d’istinto attorno alla sue treccia, che finalmente aveva imparato a fare dopo mille tentativi e di cui andava tanto fiero, mentre i suoi grandi occhi blu tremavano impercettibilmente. Dis strinse con rabbia la mascella e gli posò una mano sulla spalla in maniera rassicurante, mentre il suo sguardo da aquila era fisso sui ragazzi con l’intensità delle fiamme di un drago. “Tappati quel buco che chiami bocca e fila via, Goind, se non vuoi un pugno in faccia.” sibilò, la sua voce colma di gelida furia “Sarebbe dura spiegare a tuo adad perché improvvisamente ti mancano tutti i denti, non credi anche tu?”.

Goind le lanciò uno sguardo di pura rabbia, ma non poteva fare nulla, non contro la figlia di Thrain. Così, si limitò ad inchinarsi in maniera sarcastica, senza mai distogliere quelli occhi freddi dai suoi, e rispondere ironicamente “Le mie scuse, principessa.”. Pronunciò quel ‘principessa’ con tutto il disprezzo che un ragazzo di ventisei anni poteva avere, e gli occhi della bionda bruciarono per questo, ma ella sapeva di dover lasciar correre, almeno per il momento. Dopo uno sguardo di puro disprezzo, trascinò via lo hobbit con sé, dirigendosi decisa verso lo studio di Tudin.

“Lascia stare Goind e la sua banda. Sono solo un gruppo di ishmeti e non sono degni nemmeno di un pizzico della tua considerazione.” gli sussurrò per l’ennesima volta “Tu non sei un ratto, tua madre non è una sciocca, la tua treccia è decisamente a regola d’arte e tu sei più nano di tutti loro messi insieme. Shândabi?”.

Bilbo annuì, tentando di mostrarsi più calmo di quanto in realtà non fosse “Ormai quasi non li ascolto più.” replicò, nonostante non fosse per niente vero. E comunque, non devi prendere sempre le mie difese.”.

Lei alzò gli occhi al cielo, come se fosse la cosa più stupida che avesse mai sentito “Devo, invece.” rispose, per poi ripetere con sicurezza quello che l’amico aveva detto poco prima “Come tu proteggi me, io proteggo te. Siamo una squadra, no?”.

Il piccolo sbruffò “Odio quando usi le mie parole contro di me.” si lamentò, ma l’accenno di un sorriso gli illuminava nuovamente il viso e questo a Dis bastava ed avanzava.

La ragazza ghignò, dandogli una scherzosa pacca sulla schiena “Non sei l’unico intelligente, qui.” disse divertita, per poi aprire la porticina mezza distrutta dello studio ed entrare con l’amico al suo fianco.

Nel sentire la porta scricchiolare, il vecchio nano dai capelli grigi e il giovane che stavano dentro si voltarono verso di loro. Il viso del ragazzo si illuminò come il sole al momento del suo sorgere, e Frerin batté felice le mani come un bambinetto entusiasta e non come un nano che aveva appena concluso la sua prima missione.

“Ma tu guarda chi è venuto a trovarmi!” esclamò felice, guardando con affetto quelli che ormai erano i suoi ragazzi “Tu non avevi una lezione con Balin?”.

Lo hobbit sorrise “Questo era più importante” gli rispose semplicemente, mentre Dis si sfilava dalle tasche un fagottino pieno pieno di biscotti e glielo depositava nelle manone segnate da pugnali e coltelli corti.

“Sono per me?” chiese ancora più felice il biondo, sciogliendo il nodo e sbirciando curioso il contenuto. La sorella annuì, mentre anche Bilbo gli porgeva il suo fagottino “Il nostro regalo post-missione.” spiegò, mettendosi le mani sui fianchi.

“Avete fatto un altro salto nelle cucine?”

“Ma no, cosa te lo fa credere?” replicarono insieme i due ragazzini, strappando una risata cristallina al più grande.

“Beh, credo che questo sarà il nostro piccolo segreto.” sussurrò fingendo di non volersi far sentire dal tatuatore e facendogli l’occhiolino. Dietro di loro la porta si aprì per la seconda volta e i tre si girarono quasi in contemporanea per vedere entrare un giovane nano dai corti capelli neri e gli occhi azzurri come il cielo.

Il viso del principe si illuminò per la seconda volta nell’arco di due minuti “Nadad!” esclamò, raggiungendolo e andandogli quasi addosso per l’entusiasmo “Sei venuto!”.

Un piccolo sorriso si fece spazio sul viso severo di Thorin, che scompigliò al fratellino i capelli come se fosse appena un bambino “Non potevo perdermelo, lo sai.” disse con affetto, per poi aggiungere “Dopotutto, vederti piagnucolare è sempre divertente.”.

“Ah-ah. E io che mi illudevo che ti avesse spinto un qualche istinto fraterno.” sbruffò sarcastico l’altro, mentre i due ragazzini lo affiancavano. Gli occhi azzurri del più grande saettarono verso di loro “Ero certo di trovarvi qui.” borbottò, mentre dava una lieve pacca sulla spalla alla sorella e riservava un minuscolo sorriso allo hobbit. Poi, notando i fagottini tra le mani di Frerin, aggrottò la fronte “Quelli sono biscotti?”.

“Aye.” intervenne la ragazza, affrettandosi ad aggiungere a mo’ di spiegazione “Un regalo di mastro Bomfur per Frerin.”.

Thorin alzò gli occhi al cielo e sbruffò un per niente convinto “Certo, come no.”, ma prima che potesse dire altro mastro Tudin si avvicinò zoppicando con la sua gamba di ferro e chiese “Vogliamo iniziare?”.

Frerin, diventando di colpo serio, annuì e affidò alla sorellina i suoi biscotti, per poi seguire il vecchio nano, sedersi al centro della stanza e togliersi la tunica, mentre gli altri tre si disponevano in silenzio attorno a lui. Tudin tirò fuori i suoi strumenti, si pulì gli occhiali sporchi e domandò con tono severo “Sei sicuro? Non voglio sentire ripensamenti, dopo che avrò iniziato.”.

Il biondo si limitò a stringere la mascella e a sibilare “Non ce ne saranno.”, e solo allora il tatuatore annuì ed iniziò ad incidergli la pelle. I nani non si tatuavano alla stessa maniera degli uomini; la loro era una tecnica infinitamente più dolorosa, e ogni tatuaggio era visto come un passo importante nella vita di un figlio di Mahal, come una cicatrice a vita impressa di propria spontanea volontà nelle carni.

Fre non emise nemmeno un gemito; rimase fermo, con gli occhi luminosi fissi sulla mano del vecchio, ad osservare mentre incideva sul petto nudo due asce nere incrociate, lo stesso identico tatuaggio di suo fratello.

Thorin si lasciò sfuggire un altro sorriso nel vedere la sua serietà e la sua fermezza e gli poggiò una mano sulla spalla, stringendolo forte, mentre i più piccoli non gli staccavano gli occhi di dosso, impressionati com’erano da quel momento che a loro sembrava quasi storico.

“Pensa che tra dieci anni sarà il mio turno.” sussurrò quasi sognante Dis all’amico, la voce già bassissima coperta dai colpi di tosse del vecchio.

Bilbo annuì, mentre osservava Thorin stringere ancora più forte la spalla di Fre e rivolgergli un cenno d’incoraggiamento “Sei preoccupata per domani?” domandò poi, quasi esitante.

“Preoccupata?” ripeté, come se quella domanda l’avesse colta di sorpresa “No, non direi. Eccitata, più che altro.”.

Un sorriso entusiasta le illuminava il volto e nel vederlo lo hobbit non poté non provare un pizzico di invidia. “Beata te. Non sai come vorrei essere al tuo posto.” ammise, stringendosi nelle spalle.

Dis gli tirò la treccia, cercando di risollevarli il morale “Dai, ti manca solo un anno.”.

“Un anno che sembra un’eternità.” sbruffò il più piccolo, i grandi occhi blu ora pieni di sconforto “Io voglio combattere ora!”.

“Combatterai.” gli promise seriamente l’amica, colpendogli il pugno con il proprio “E presto io e te massacreremo orchi insieme.”.

Il bambino la guardò, un po’ rassicurato, e aprì la bocca per dire qualcosa, quando Tudin li riproverò, seccato “Allora, la volete finire? Se siete qui per chiacchierare, quella è la porta.”.

Bilbo arrossì, imbarazzato, e chiese scusa sommessamente mentre la bionda alzava gli occhi al cielo e gli rifilava non vista una vigorosa linguaccia. Poi, si accoccolò meglio e riprese ad osservare il petto di Frerin, già arrossato e un po’ sanguinante nonostante non fossero nemmeno a un terzo del tatuaggio, lasciando vagare la mente.

I nani dividevano il periodo che portava all’età adulta in numerose fasi, che tutti i loro figli dovevano affrontare. Iniziavano a studiare, privatamente o a piccoli gruppi, dall’età di dieci anni, per poi terminare una volta giunti al venticinquesimo anno di età. Dopo, iniziavano gli addestramenti. Ogni nano, che fosse maschio o femmina, ricco o povero, doveva essere capace di proteggere la propria vita, quella dei propri cari e la Montagna. Per dieci anni o anche di più venivano educati alla lotta corpo a corpo, all’uso delle armi, al combattimento con l’ascia e la spada e al lancio della scure. Venivano introdotti nel mondo dei guerrieri e quando erano ritenuti pronti venivano mandati fuori dalla Montagna con un gruppo di ricognizione. Se quell’uscita andava bene e dimostravano il loro valore, potevano iniziare una vita diversa, un lungo periodo che li preparava a diventare dei veri nani di Erebor. Dovevano scegliere con quale arma specializzarsi, trovare qualcuno disposto a prenderli come apprendista nella propria attività per insegnargli un lavoro, iniziavano a prestare servizio obbligatorio nelle guardie. Ciò durava fino al compimento dei cinquanta anni, quando diventavano adulti a tutti gli effetti e gli veniva data la facoltà di scegliere. Potevano abbandonare il loro apprendistato e iniziarne un altro, specializzarsi in qualche attività per iniziare a lavorare seriamente, entrare ufficialmente nell’esercito reale, sposarsi, decidere di andare a vivere in un altro regno. Dai cinquanta anni, la loro vita iniziava davvero.

Dis, proprio come i suoi fratelli, stava seguendo quel percorso. Aveva trascorso gli ultimi quindici anni a studiare con Balin e nonostante avrebbe continuato in seguito con degli studi speciali per prepararsi al proprio ruolo di erede al trono l’indomani mattina, il giorno del suo venticinquesimo anno, avrebbe iniziato il proprio addestramento. Bilbo non dubitava che sarebbe stata bravissima, forse la migliore nana ad essersi mai allenata nelle sale di Erebor. Dis era una guerriera nata e il sangue di Durin le scorreva orgoglioso nelle vene; era certo che non avrebbe avuto problemi a trovare il suo posto nella Montagna.

Il suo cammino di cresciuta era invece stato deciso diversamente, anche a causa del numero molto inferiore di anni che caratterizzano la vita di uno hobbit. Aveva iniziato a studiare attorno ai sei anni, ma già prima accompagnava Dis alle sue lezioni e restava ad ascoltare, quasi stregato dalle spiegazioni del buon Balin. Avrebbe continuato almeno fino ai quindici anni, forse un pochino di più, e al compimento dei dieci anni avrebbe iniziato anche ad addestrarsi con gli altri giovani nani. Poi, il resto spettava a lui. Se fosse stato abbastanza abile, a vent’anni avrebbe potuto fare parte di un gruppo di ricognizione e poi vivere come qualsiasi altro giovane nano fino ai suoi trentatre anni, la maggiore età degli hobbit. Non aveva alcuna idea di quello che avrebbe fatto dopo, ma non gli interessava. Tutto quello che voleva era far parte del popolo di Erebor, essere realmente uno di loro. I figli di Thrain erano buoni con lui e gli volevano bene, e anche il Re e il Principe lo trattavano gentilmente, per non parlare di Balin. Ma ormai Bilbo stava crescendo, e si rendeva conto che la sua presenza non era accettata dalla maggior parte dei nani della Montagna. Sua madre era un’eroina, aveva salvato il Principe ed era consigliera del Re, e di conseguenza aveva guadagnato il diritto di vivere lì e di avere il rispetto del popolo di Durin. Ma lui era solo un bambino hobbit che voleva disperatamente essere come loro e che secondo molti non avrebbe dovuto in alcun modo condividere la loro vita, la loro cultura e le loro tradizioni. Goind e gli altri ne erano la prova. Non importava quanto si sforzasse o quanto ci tenesse: ai loro occhi non sarebbe mai stato uno di loro.

Il piccolo scosse la testa e si alzò, sussurrando a Dis “Devo andare. Se amad non mi vede tornare alla solita ora potrebbe insospettirsi.”.

La ragazza, che sapeva benissimo che l’amico non aveva il permesso di girare per la Montagna dopo le sue lezioni, annuì e sillabò un ‘vengo a prenderti dopo’, a cui il bambino rispose con un sorriso. Fece un segno di saluto a Frerin e Thorin, che risposero appena con un cenno del capo, e uscì dallo studio, seguito dalle lamentele del vecchio Tudin.

Si allontanò di corsa per il corridoio, cercando di non pensare a niente se non recuperare in fretta i propri libri e tornare nelle sue stanze prima che la madre iniziasse a cercarlo. Forse fu per questo che non si accorse dei passi pesanti che iniziarono a seguirlo appena raggiunse il mercato, né di una risatina malvagia soffocata in silenzio proprio alle sue spalle. O forse, il piccolo Bilbo era ancora troppo ingenuo per immaginare di doversi già guardare le spalle.

 

 

~~~~΅΅~~~~

 

 

Bilbo si strinse forte lo stomaco, quasi rannicchiandosi su se stesso e soffocando un gemito. La pancia gli pulsava, reduce di così tanti calci e pugni da averne perso il conto, ma non era nulla rispetto al dolore che provava al viso. Il labbro spaccato bruciava  e poteva sentire in bocca il sapore metallico del sangue, mentre aveva la sensazione che l’occhio destro stesse iniziando a gonfiarsi, tirandolo dolorosamente le pelle che bruciava.

Rimase lì, steso per terra, con la borsa dei libri ancora ordinatamente chiusa accanto a lui, senza nemmeno sapere per quanto tempo. Potevano essere passati benissimo pochi minuti o lunghe ore, quando una voce, l’ultima che avrebbe voluto sentire in quel momento, spezzò quel mortale silenzio, ferendogli le orecchie sensibili.

“Bilbo!”

Lo hobbit udì tre paia di passi raggiungerlo in fretta e poi due braccia gentili sollevarlo delicatamente da terra, attente a non fargli ancora più male. Sentì distintamente Dis trattenere il fiato e Frerin sobbalzare, e dovette letteralmente lottare contro se stesso per aprire gli occhi e guardare i visi sconvolti dei suoi amici.

La principessa lo guardava scioccata, una mano sulla bocca e l’altra stretta a pugno, e al suo fianco il fratello, il petto fasciato da bende fresche, non riusciva a distogliergli gli occhi di dosso. Doveva essere ridotto ancora peggio di quanto immaginava, per sconvolgerli in quel modo.

“Mahal.” imprecò la ragazza a mezza voce, mentre le braccia delicate di Thorin sembravano sorreggerlo e cullarlo allo stesso tempo. “Chi ti ha fatto questo?” chiese, gli occhi d’aquila che si infiammavano di furia selvaggia nel vedere l’amico ridotto in quello stato.

“N-nessuno.” riuscì a balbettare a fatica il piccolo, sentendo lo spacco sul labbro aprirsi ancora di più a quel minimo movimento. Era tutto quello che riusciva a fare, tutto quello che si sentiva di dire.

Frerin aggrottò la fronte, il viso di solito giovale e luminoso colmo di rabbia “Non può essere stato nessuno, Bilbo.” disse, aspettando quasi che lui borbottasse qualche nome. Ma Bilbo non l’avrebbe fatto. Non  poteva farlo. Cosa gli avrebbero fatto la prossima volta, se avessero scoperto che aveva detto tutto ai figli di Thrain?

Dis si avvicinò di un passo a lui, stringendo ancora con più forza entrambi i pugni “Dicci chi è stato a farti questo e gliela faremo pagare.” sibilò, troppo furiosa per riuscire a dire altro.

Lo hobbit provò appena a scuotere la testa ma non ci riuscì, e nel suo silenzio l’amica trovò la conferma di quello che sapeva dal momento stesso in cui l’aveva visto per terra.

“È stato Goind con la sua banda, vero?” insistette, anche se conosceva già fin troppo bene la risposta. Non avrebbe dovuto permettere a Bilbo di andarsene da solo, non dopo aver visto quello sguardo malvagio sul viso di Goind. Avrebbe dovuto capire che sarebbe successo qualcosa. Avrebbe dovuto essere con lui.

Il bambino chiuse gli occhi nel sentire quel nome, come per scacciare le immagini di quell’attacco inaspettato e cercare d’allontanare da sé il dolore che diventava ogni momento più forte.

“Non è stato nessuno.” sussurrò con voce strozzata, deciso a non dire nulla.

Dis strinse la mascella e Frerin le lanciò un’occhiata d’intesa, per poi rivolgersi di nuovo al piccolo “Bilbo . . .” iniziò, ma a quel punto lo hobbit era troppo stanco per continuare. Non avrebbe detto niente, non a loro, e non avrebbe sopportato un momento di più i loro sguardi compassionevoli.

“Non è stato nessuno, va bene?” esclamò con tutto il fiato che aveva in gola, spalancando gli occhi lucidi. “E ora lasciatemi in pace!” gridò, divincolandosi dalle braccia del più grande quasi con disperazione, per poi scivolare a terra, afferrare la sua borsa e correre via più in fretta di quanto il suo corpicino ferito e dolorante glielo permettesse.

“Bilbo!” lo chiamò l’amica e fece per seguirlo, ma Thorin la bloccò e le fece segno di no con la testa.

“Lo seguo io e lo porto al sicuro.” la rassicurò, per poi lanciare uno sguardo attento ai suoi due fratellini. Avrebbe voluto dirgli di non fare sciocchezze, ma li conosceva bene e sapeva quello che avrebbero fatto nel preciso istante in cui gli avrebbe voltato le spalle. E sinceramente non se la sentiva di biasimarli. “Voi due non esagerate.” si limitò ad ammonirli, sapendo che non avrebbero ascoltato nessun altro ordine su quell’argomento “Passereste dalla parte del torto, e allora non sarebbero puniti come meritano.”.

Cercò lo sguardo di Frerin, che capì ed annuì, posando una mano sulla spalla della più piccola e trascinandola delicatamente via. Solo allora il principe dai capelli corvini si voltò e seguì quasi di corsa il piccolo hobbit, che dopo qualche dozzina di passi esitanti si era accasciato contro la parete, stringendosi la pancia e respirando affannosamente.

Il ragazzo lo raggiunse e, quando fu ad appena un paio di passi da lui, lo chiamò dolcemente, con quel soprannome che ormai usava da anni. “Akhûnith . . .”.

Il bambino si chiuse ancora di più a riccio, cercando di allontanarsi da lui il più possibile, come se temesse che potesse fargli del male come gli altri. “Lasciami stare.” sussurrò, la rabbia di qualche momento prima che sfumava in una rassegnazione quasi sofferente.

Il giovane nano sospirò e si inginocchiò di fronte a lui, non troppo vicino per non farlo sentire a disagio e non troppo lontano per non poterlo prendere al volo se le gambe gli fossero cedute.

“Non voglio costringerti a dirmi chi è stato, se non te la senti. Non voglio costringerti a fare niente. Ma lascia che ti riporti a casa.” disse piano, cercando di non spaventarlo ancora di più “Kahomhîlizu.”.

Lo hobbit rimase in silenzio per lunghi minuti, gli occhi chiusi con forza e il cuore che batteva ancora forte, ma alla fine, esitante, annuì. Allora Thorin si fece lentamente più vicino, gli sfilò la borsa dalle manine e se la fece scivolare su una spalla, per poi prenderlo tra le sue braccia come se fosse un qualcosa di fragile sul punto di spezzarsi. Bilbo si rannicchiò quasi senza accorgersene nella sua tunica, stringendone così forte il tessuto da rischiare di strapparlo, ma il nano non sembrò curarsene, intento com’era ad osservare le sue ferite. Il labbro era spaccato e il sangue aveva già iniziato a seccarsi, mentre uno dei suoi spettacolari occhi blu si stava gonfiando e stava diventando nero. Aveva dei tagli superficiali sulle braccia e più profondi sulle manine, piccole dolorose prove di quanto avesse cercato in ogni modo di tenere testa ai propri aggressori. La sua treccia era stata tagliata, più per sfregio che per fargli davvero male.

Il principe si sentì ribollire il cuore di rabbia. Come si faceva a colpire un bambino? Come si poteva fare male volontariamente a qualcosa di così piccolo ed innocente? Come si poteva scegliere di tirare un pugno al suo viso, prenderlo per i capelli e ferirlo ancora ed ancora? Come potevano dei bambini, degli altri bambini che più di chiunque altro avrebbero dovuto essere dalla sua parte, essere così crudeli?

Gli sfiorò appena i capelli, sperando che quel gesto potesse in qualche modo rassicurarlo, e in parte funzionò, poiché sentì il suo respiro rallentare e i battiti del suo cuore terrorizzato diminuire. Allora, facendo attenzione, si sollevò da terra e, quasi cullandolo tra le sue braccia, iniziò a camminare, senza però mai distogliere lo sguardo dal suo visino ferito, che Bilbo nascose d’istinto contro il suo petto appena sentì passi di nani sconosciuti avvicinarsi.

Throin non sapeva come comportarsi. Anche Fre e Dis avevano avuto le loro litigate e risse quando erano più piccoli, ma ovviamente non si erano mai fatti nulla di grave. Erano i figli del Principe Ereditario; nessuno avrebbe potuto torcergli nemmeno un capello senza rischiare l’ira del Re. E sopratutto non erano mai stati attaccati in quel modo, con cieca furia e come unico scopo quello di fargli male, davvero male, solo per la colpa di essere diverso. Cosa poteva dire o fare per curare quel cuoricino sanguinante?

La strada che portava agli alloggi dei due hobbit gli parve diecimila volte più lunga, quella volta, e quando arrivò di fronte alla porticina fu con l’anima pesante che bussò.

La porta si aprì quasi all’istante, mentre il viso preoccupato di Belladonna faceva capolino dall’uscio, sulle labbra sottili già pronto l’ennesimo rimprovero per il ritardo del figlio che soffocò nel momento stesso in cui vide il suo piccolino rannicchiato tra le braccia del nano.

“Bilbo!” esclamò, senza fiato, mentre i suoi occhi ansiosi saettavano dal figlio al principe e poi tornavano sul suo povero figliolo “Che cosa è successo?”.

“L’hanno picchiato.” spiegò il figlio di Thrain “Stava tornando qui da solo quando l’hanno attaccato. L’abbiamo trovato poco fa, steso per un corridoio deserto. Dis crede che sia stato un gruppo di ragazzini più o meno della sua età.”.

Si morse le labbra, l’incredulità, la rabbia e il dolore che le facevano bruciare gli occhi gentili “Grazie di averlo riportato da me, Thorin.” disse, quasi senza fiato “Ci penso io a lui, ora.”. Si piegò in avanti e prese tra le proprie braccia il figlio, che si rifiutava di aprire gli occhi “Non preoccuparti tesoro mio, ci sono qui io ora.” gli sussurrò, accarezzandogli piano i ricci sconvolti e tentando di rassicurarlo, per poi prendere anche la borsa che il nano le porgeva.

Thorin strinse i pugni, senza sapere cosa dire “Troveremo i responsabili e li puniremo come meritano, signora Baggins. Ve lo premetto al nome di mio padre e di mio nonno.”.

Ella annuì “Grazie ancora, principe. Vi siamo debitori.” si limitò a dire, per poi voltarsi e chiudere la porta alle sue spalle, lasciando il ragazzo solo con se stesso e i suoi pensieri.

 

Belladonna strinse il piccolo a sé il più delicatamente possibile, lo fece sedere sul suo letto, poggiò la borsa a terra e si inginocchiò di fronte a lui. Il bambino aveva finalmente aperto gli occhi, ma si ostinava a tenere lo sguardo sui suoi pungi chiusi, come se si vergognasse ad incontrare il suo.

“Bilbo, guardami.” gli ordinò dolcemente la mamma, sollevandogli appena il mento in modo che i loro occhi, così simili eppure così diversi, potessero incontrarsi. “Lo so che ti sei spaventato, ma adesso è tutto finito. Il Re farà punire chi ti ha fatto del male, e sicuramente Dis è la fuori da qualche parte a dargli già una bella lezione con Frerin. Ora pensiamo un po’ a rimetterti in sesto, s’accordo?”.

Lo hobbit non disse nulla e bella gli depositò un bacio leggero sulla fronte, prima di alzarsi per recuperare acqua fresca e bende. Tornò ad inginocchiarsi di fronte a lui e iniziò a pulirgli e a fasciargli le ferite, incominciando da quelle sulle mani. Bilbo rimase in silenzio tutto il tempo, osservando le mani della mamma, segnate da cicatrici di infinite lotte e battaglie, lavorare instancabilmente. Lei lo lasciò calmarsi un po’, ma quando finì di occuparsi del braccio destro decise di parlare. “Sai, anche io sono stata picchiata, quand’ero piccola. Ricordo fin troppo bene ogni singolo pugno, calcio o spinta. Spesso tornavo a casa piena di lividi, e a volte non tornavo proprio, per quanto ero ridotta male. Non ho mai detto nulla a mio padre perché credevo che si sarebbe arrabbiato con me, per non essere stata abbastanza furba da evitare una situazione simile o abbastanza veloce da fuggire via.” raccontò quasi con noncuranza, come se si trattasse di qualcosa di poco conto “Ma ricordo quanto avevo bisogno di parlare, dopo quei momenti, quando la paura e la vergogna svanivano. E sappi che tu puoi parlare con me di qualsiasi cosa, piccolo mio. Anche di questo.”.

Bilbo alzò improvvisamente lo sguardo, guardandola come se fosse un qualche mistero straordinario e sorprendente a cui non riusciva a trovare una soluzione.  Dopo un lungo momento di esitazione una sola parola uscì dalle sue labbra spaccate “Perché?”.

Belladonna inclinò appena la testa, continuando a fasciare l’altro braccio “Perché cosa?”

“Perché ti hanno picchiata?” chiese, guardandola come se non riuscisse a capire “Eri nella Contea, a casa tua, tra mille hobbit tali e quali a te. Allora perché ti hanno picchiata?”.

La madre sospirò “Perché io non ero tale e quale agli altri hobbit. Ero diversa.” spiegò, molto semplicemente “Non mi comportavo come una qualsiasi bambina hobbit e non mi sentivo a casa in quel piccolo mondo a sé stante che era la Contea. Ero sempre lì, a giocare nell’acqua e a cercare elfi nel bosco, eternamente affamata di avventure. Questo agli altri non piaceva, e quindi mi picchiavano. Allora, quando ho raggiunto l’età giusta per andarmene, sono fuggita via alla ricerca di avventure e di una vera casa tutte per me.”.

Il bambino la studiò a lungo con i suoi occhioni intelligenti, cercando di immaginare quello che sua madre aveva vissuto, e allora lei chiese, con tutta la naturalezza di questo mondo, finendo la fasciatura “Perché hanno picchiato te, invece?”.

 Il piccolo abbassò lo sguardo a terra e strinse forte i pugni, il volto trasfigurato dalla rabbia e dal dolore. “Perché io non appartengo ad Erebor. Secondo loro la Montagna Solitaria non è casa mia e non lo sarà mai. Quando gli ho risposto che avevano torto, loro allora hanno riso e mi hanno attaccato. ” mormorò solamente, la voce spezzata “Tanto sapevano che non avrei mai potuto difendermi come uno di loro. Non sono un nano, dopotutto.”

A quelle parole, Bella si fermò all’improvviso, osservando senza parole il viso ferito del figlio.

Rimase in silenzio per qualche momento, per poi fare un grande respiro e prendere le sue manine chiuse tra le proprie.

“Bilbo, ascoltami. Tu cosa credi che sia una casa?” domandò seriamente ma con dolcezza, dopo che il piccolo ebbe finalmente alzato lo sguardo su di lei.

Il bambino restò qualche momento in silenzio, a pensare, per poi rispondere con attenzione “Direi il posto in cui si vive, ma non sarebbe la risposta giusta, vero?”.

Belladonna sorrise ed annuì “Vedi, una casa non deve essere per forza il posto in cui si nasce, si cresce o si vive. Una casa non è nemmeno sempre un luogo.”.

Bilbo le lanciò uno sguardo strano, e la mezzadonna, cogliendo la confusione nei suoi occhi, si affrettò a continuare “È un qualcosa che fa parte di te così tanto che tu non potresti immaginare di vivere senza, che ti cambia dentro e resta nella tua anima e nella tua mente anche quando sei lontano. È un luogo, un edificio o anche una persona a cui senti di appartenere, a cui vuoi appartenere. Una casa è qualcosa che ti manca quando non ce l’hai e che è padrone del tuo cuore. Anzi, la casa è il posto dove sta il tuo cuore, dove torna ogni volta che pensi a qualcosa di bello o di prezioso, a qualcosa che proteggeresti al costo della vita, un qualcosa che senti tuo. “.

Si portò le mani del bambino proprio sopra al cuore, continuando a stringerle con dolcezza tra le sue, e sorrise “Nessuno può dirti se qualcosa è o non è casa tua. Se tu vuoi far parte di Erebor, se senti dentro il tuo cuore che Erebor è casa tua, allora è così, e non importa se tu non sei un nano come tutti gli altri. Nessuno può dirti il contrario. Nessuno.”.

Il ragazzino continuò a fissare le loro mani intrecciate, riflettendo sulle sue parole, e a quel punto la madre sospirò e aggiunse, con il cuore pesante “Ma se tu non senti questo posto come tuo, possiamo andarcene, sai. Non sei costretto a vivere in un posto che non ami, in mezzo a gente che ti tratta male, che non stimi e rispetti. Non voglio costringerti ad un’infanzia come la mia.”. Che illusa che era stata. Era fuggita ad Erebor nella speranza di far sì che il sangue avventuroso della sua famiglia non fosse anche per lui una maledizione, ma avrebbe dovuto immaginare che qui sarebbe stato tutto più difficile “Possiamo tornare nella Contea e ricominciare la nostra vita lì. Forse non sarà facile all’inizio, ma . . .”

“Ma ghukhil!” la interruppe d’istinto il piccolo, i grandi occhi blu che tornavano a brillare mentre strappava le mani da quelle della mamma e iniziava a gesticolare, mosso da qualcosa di troppo intenso per essere controllato. “Io amo Erebor. La amo con tutto me stesso, e voglio che diventi la mia vera casa. La Contea per me non è nulla, se non un posto lontano nei tuoi racconti. Voglio restare qui e dimostrare a tutti che appartengo davvero a questo posto.” affermò con fierezza, l’antica sicurezza che gli illuminava il volto ferito, per poi aggiungere come motivazione, solo in parte scherzosa “E poi, qui c’è Dis. Lo sai che sarebbe persa senza di me.”.

Belladonna sorrise e gli scompigliò affettuosamente i capelli, felice di vedere il viso del suo figlioletto animarsi di nuovo “E tu senza di lei.”. A quel punto non riuscì più a trattenersi e lo strinse forte in un abbraccio che significava tante cose, ma che Bilbo era troppo piccolo per poterle comprendere tutte. Nonostante ciò si fece abbracciare, e madre e figlio rimasero stretti a lungo, fino a quando il piccolo chiese, in una domanda che era solo all’apparenza casuale “Mamma, qual è casa tua?”.

Lei sciolse l’abbraccio, ma non ebbe bisogno di tempo per pensare alla sua risposta “Per lungo tempo è stata Erebor. Poi è stata tuo padre. E adesso sei tu, piccolo mio.” disse, con un altro dolce sorriso, sistemandogli un po’ con le dita i ricci sconvolti.

“Quindi si può avere più di una casa?” chiese ancora il bambino, incuriosito.

“Sì, se si vuole.”

“Allora anche io voglio avere più case.” affermò fieramente e quasi orgoglioso, mentre la mamma si abbassava per riordinare le bende rimaste inutilizzate.

“E quali sarebbero?” domandò sorpresa, non aspettandosi quella risposta.

Iniziò a elencare, contando ogni parole sulle dita “Erebor. Tu. E poi Dis. E Frerin, anche.”.

Bella aggrottò la fronte, un po’ confusa  “E Thorin no? Poverino, cosa ti ha fatto?”  commentò “E’ sempre molto buono con te, e ti tratta come se fossi uno dei suoi fratellini.”

Bilbo improvvisamente arrossì, senza alcuna ragione apparente “N-nulla.” disse, preso alla sprovvista “Semplicemente non avevo pensato a lui, tutto qui.”.

La hobbit osservò per un lungo momento il figlioletto e poi ridacchiò, accarezzandogli le gote rosse e pensando tra sé che sì, in quello somigliava al suo Bungo in una maniera quasi imbarazzante.

 

 

 

 

La tana dell’autrice

 

Ed ecco qui una sopravvissuta alla maturità! Ancora non riesco a crederci, sapete? Eppure è finita davvero! Ed ora finalmente, dopo quasi tre settimane senza computer, posso tornare a scrivere. Sono un vulcano di idee ultimamente, e non vedo l’ora di rendervi partecipi di tutto ciò che sto buttando giù!

Allora, niente da dire su questo capitolo, solo che mi sono divertita davvero tanto a scriverlo, adoro il piccolo Bilbo e tutto quello che lo riguarda. Qui lo troviamo un po’ più cresciutello, alle prese con una realtà che non si aspettava sarebbe stata così dura. Ah, ho preferito non descrivere la scena in cui viene picchiato da Goind e la sua banda, sarebbe venuta troppo cruda e ancora non mi sembra il momento di essere eccessivamente forte, non ancora almeno.

Spero con tutto il cuore che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto! Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate!

Un abbraccio

 

T.r.

 

 

Pillole di Khuzdul

 

Nadad:  Fratello

Nathith : Figlia

Aye:  Sì

Ma ghukhil : Nemmeno per sogno

Âkminrûk zu : Grazie

Ghivasha : Tesoro

Adad  : Padre

Amad : Madre

Ishmeti : Idioti

Shândabi : D’accordo

Akhûnith : Piccolino

Kahomhîlizu : Per favore

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 – Primi lividi ***


 

Capitolo 3 – Primi lividi

 

 


 

 

 

 

Un livido è una lezione e ogni lezione ti rende migliore.

-   Trono di spade

 

 

 

 

Bilbo si abbassò appena in tempo per evitare un pugno diretto al suo viso. Si spostò indietro con un salto per non farsi colpire da un calcio circolare, e subito afferrò la gamba tesa e la tirò con tutta la forza che aveva, cercando di fargli perdere l’equilibrio. Ma non bastò; la gamba si liberò quasi all’istante con uno strattone e il piede mirò al suo volto. Lo hobbit parò l’attacco d’istinto incrociando gli avambracci di fronte al viso, si spostò di lato e cercò di tirare un calcio al ginocchio dell’altra gamba. Parve funzionare, perché l’avversario cadde a terra sul ginocchio colpito, ma prima che il ragazzo potesse attaccare di nuovo usò l’altra gamba per eseguire una spazzata improvvisa e farlo cadere a terra. Poi, gli saltò addosso, gli bloccò entrambi i polsi al pavimento con una mano sola e con l’altra iniziò a fargli il solletico al fianco destro.

Bilbo scoppiò a ridere, senza riuscire a fermarsi “Dis, smettila! H-hai vinto, hai v-vinto!” gridò tra una risata e l’altra, mentre la bionda figlia di Thrain continuava imperterrita a solleticarlo, ora con entrambe le mani.

Dis ghignò, vittoriosa “Nessuna pietà per i perdenti ‘ilbo, dovresti saperlo.” esclamò trionfante, mentre le risate dell’amico diventavano sempre più forti.

“D-dis, dai!” balbettò di nuovo, ormai praticamente piegato in due a forza di ridere, ma la ragazzina non voleva saperne di smetterla.

“'ikhuzh, namadith.” ordinò placidamente una voce dall’altra parte della stanza, cogliendo di sorpresa entrambi. “Se continui così, non avrà più fiato per domani.”.

La nana si voltò nella direzione della voce, scivolando giù dal corpo dello hobbit, che mi mise a sedete tentando di frenare le ultime risatine. “Sei il solito guastafeste, nadad.” sbruffò, fingendosi più seccata di quanto in realtà non fosse “Ci stavamo divertendo un po’, tutto qui.”.

Thorin scosse divertito la testa, chiudendosi la porta alle spalle “L’ho visto.” commentò, per poi chiedere in tono appena più serio “Comunque, chi è che vi ha detto che potete allenarvi nella mia stanza quando non ci sono?”.

Dis alzò le spalle “Nessuno.” rispose con molta semplicità “Di solito stiamo da Frerin, ma ha lasciato la sua camera chiusa a chiave e in salotto c’è Adad che si è addormentato su un libro. E poi qui c’è molto più spazio, la tua camera è tre volte più grande della mia, cosa che trovo profondamente ingiusta.”

Il fratello alzò gli occhi al cielo, mentre si toglieva di dosso la tunica sporca da un intero pomeriggio nella forgia “Credo che dovrò iniziare a chiudere a chiave anche io, d’ora in avanti.” disse, raggiungendo un baule e cercando all’interno qualcosa di pulito da indossare “E comunque è perfettamente giusto che la mia camera sia la più grande. Sono il maggiore, ricordi?”.

La bionda sbruffò “Ci pensi tu a ricordarmelo costantemente.” replicò, per poi alzarsi e porgere una mano all’amico per aiutarlo a fare altrettanto “Da quanto eri alla porta, in ogni caso?”.

Il principe trovò una tunica di un azzurro tendente al grigio e la indossò “Da un po’. Eri troppo presa a cercare di evitare le gomitate e le ginocchiate di Bilbo per notarmi.” disse alla sorella, per poi rivolgersi allo hobbit “A proposito, ghelekhmez, akhûnith. Sei migliorato davvero molto.”.

Le guance di Bilbo si colorarono appena di rosso “Âkminrûk zu.” mormorò, preso alla sprovvista da quel complimento gentile.

Dis lo guardò con aria divertita, prima di tirargli una gomitata nelle costole “Ora non montarti la testa, ‘ilbo. Ti ci vorrà ancora molto lavoro per essere abbastanza abile da diventare il mio scudiero.” lo prese in giro, per poi scompigliargli affettuosa i capelli, ormai sempre più ramati che scuri. “E’ diventato bravo il mio allievo, non è vero?” osservò orgogliosa, facendo sorridere un sempre più imbarazzato Bilbo.

 

Da quando la più piccola della famiglia reale aveva iniziato l’addestramento, aveva anche cominciato ad insegnare all’amico tutto quello che imparava giorno dopo giorno.

Ufficialmente la ragione era quella di volere qualcuno con cui allenarsi anche fuori dalle sale, ma in realtà Dis era rimasta profondamente turbata quando Bilbo era stato aggredito e picchiato senza pietà, e non voleva in alcun modo che ciò si ripetesse ancora. Conosceva il disprezzo che molti degli abitanti di Erebor, sopratutto i ragazzi della sua età o anche più grandi, provavano per lo hobbit, ma non avrebbe mai immaginato che potessero arrivare a tanto. Era furiosa con se stessa di non essere stata lì quando era successo e si era ripromessa che non solo avrebbe fatto di tutto per proteggere Bilbo da quel momento in avanti, ma che avrebbe anche fatto in modo che lui potesse tenere testa a tutti coloro che avrebbero provato a fargli ancora del male.

Certo, questo solo dopo aver cercato Goind e la sua banda con Frerin ed avergliela fatta pagare. Era stato parecchio gratificante mantenere la promessa di qualche ora prima e fargli saltare ben tre denti.

Dopo ovviamente i loro genitori avevano avuto da ridire, ma suo padre aveva gestito la situazione con un controllo e una freddezza assolute. Quando il padre di Goind era andato da lui per lamentarsi della violenza dei suoi due figli più giovani, Thrain aveva tirato fuori la treccia tagliata di Bilbo, che Goind stringeva ancora in mano quando Dis l’aveva colpito. “Questa non è violenza, forse? Vostro figlio ha attaccato un bambino, un ragazzo più piccolo di lui che non ha ancora iniziato ad addestrarsi. L’ha attaccato con ferocia, in netta superiorità numerica e sopratutto senza alcun motivo se non un odio incondizionato.” aveva detto, il viso solitamente gentile colmo di silente indignazione “Non so che educazione abbiate dato a vostro figlio, ma nessun nano degno di questo nome può ferire un innocente e farlo passare per una cosa giusta. Il nostro primo valore è l’onore, prima ancora della forza. Senza onore, la forza non vale nulla. E non c’è niente di onorevole in quello che ha fatto. I miei figli hanno sbagliato ad essere così impulsivi, ma hanno agito per un amico e in nome di chi non poteva difendersi, e hanno dimostrato di sapere cosa significa essere dei veri nani di Erebor. È tempo che anche Goind lo impari.”. Erano state parole dure, che avevano cancellato l’arroganza di quel padre dagli occhi bendati e che avevano fatto sorridere Dis, ma nel sentirle si era ripromessa di far sì che Bilbo non potesse più essere considerato ‘uno che non poteva difendersi’.

Non aveva mai detto tutto questo all’amico, né gli aveva mai rivelato il vero motivo delle loro lunghe ore di allenamento. Ma lui aveva capito lo stesso e le era segretamente grato per quello che faceva per lui. Per mesi e mesi l’aveva ascoltata ed osservata mentre gli spiegava come tirare un buon pugno, come evitare un calcio, come affrontare un avversario più grande di lui e come cadere senza farsi male. Aveva imitato i suoi attacchi e le sue parate e aveva lottato con lei nelle stanze dei suoi fratelli, che li tenevano d’occhio affinché non si facessero male e ogni tanto gli davano qualche consiglio. Pian piano, aveva appreso tutto quello che Dis poteva insegnargli, anche se era stata dura. Non aveva la sua forza, era grande praticamente la metà di lei e così naturalmente aveva iniziato a collezionare lividi su lividi. Ma questo non gli dispiaceva, anzi. Ogni livido era segno che aveva lottato e che, anche se non aveva vinto, era stato abbastanza forte da combattere e resistere. E poi, dopo quello che aveva affrontato con Goind e la sua banda, i lividi violacei e giallognoli che gli coloravano braccia e gambe non gli sembravano poi una grande cosa.

Era terrorizzato da loro, da quando era stato attaccato. Li evitava sempre e comunque, anche se da quel giorno non l’avevano più toccato; sapevano che se avessero fatto del male al cucciolo dei Durin, così ormai lo chiamavano, ‘i marmocchi reali’ non avrebbero esitato a restituire ogni singolo pugno, calcio o colpo. Ma, grazie al piccolo e costante addestramento con Dis, la sua paura irrazionale era pian piano diminuita, anche se non scomparsa. Aveva preso consapevolezza del suo corpo minuto e l’apprendere sempre nuovi modi per difendersi anche contro a qualcuno più grande di lui l’aveva aiutato ad avere più sicurezza e fiducia in sé. Non era certo un guerriero, ma se un giorno di questi gli altri l’avessero di nuovo attaccato, lui avrebbe saputo come vendere cara la pelle. O almeno ci avrebbe provato.

 

“È vero, è diventato molto bravo.” concordò Thorin, annuendo appena “Credo che andrà bene domani.”.

Bilbo deglutì, a disagio. Domani avrebbe compiuto dieci anni e questo, per lui, significava solo una cosa: l’inizio dell’addestramento vero e proprio.

Dis notò la sua tensione e gli avvolse un braccio attorno alle spalle, con fare protettivo e rassicurante “Io non credo, nadad.” disse, sicura “Io so che andrà bene. Lascerai tutti a bocca aperta, ‘ilbo. Ne sono certa.”.

Il piccolo sorrise, un sorriso esitante ma speranzoso, il sorriso di chi teme e desidera con tutto se stesso qualcosa da lungo tempo inseguito nei propri sogni. “Mi basta lasciare te a bocca aperta, Dis.” fu la sua risposta, abbastanza decisa da non sembrare forzata. Doveva avere coraggio, doveva assolutamente avere coraggio e non indietreggiare di fronte a nulla; aveva promesso a se stesso di non permettere più a niente e nessuno di fargli paura. No, lui non poteva avere paura. Soprattutto non ora che la sua vita, la sua vera vita, stava per iniziare.

La ragazza ridacchiò e gli fece la linguaccia “Non puntare troppo in alto, hobbit.” ribatté scherzosa, rifilandogli un’altra dolorosa gomitata “Nulla può stupire me, lo sai fin troppo bene.”.

“Vedremo.” replicò il più piccolo, dandole una spinta scherzosa “Non essere troppo sicura di te, mia signora. Sarà ancora peggior dover ammettere di esserti sbagliata, domani.”.

Dall’altro parte della stanza, il principe dovette soffocare una risata.

 

 

~~~~΅΅~~~~

 

 

Quando Bilbo si svegliò il giorno dopo, suo madre era già alzata da ore, a preparare una delle sue superbe colazioni di buon compleanno. Belladonna era bravissima a cucinare, l’unica cosa da hobbit che le piacesse fare, e suo figlio adorava mangiare, l’unica cosa che hobbit e nani avevano in comune. Così, fin dai suoi primissimi compleanni, lei si alzava di buon’ora e preparava una colazione speciale con tutte le cose preferite dal figlio; biscotti al cioccolato, crostate di mele, torte alle fragole, dolcetti al limone. Era tutto sempre buonissimo e il piccolo adorava quella tradizione, eppure quella mattina, nonostante la fame e il profumino invitante di tutte quelle delizie, si sedette a tavola e rimase a fissare il piatto senza toccare nulla.

La donna sospirò e gli scompigliò con dolcezza i capelli “Lo so che sei nervoso tesoro, ma devi mangiare un po’. Ti servono tutte le energie possibili, oggi.”.

Il bambino annuì, sapendo che aveva ragione, e si sforzò di mandare giù una manciata di biscotti ed un po’ di latte, per poi rannicchiarsi sulla sedia e rifiutarsi di mangiare altro. Bella tentò di distrarlo un po’ e farlo ridere, nonostante capisse la sua tensione e sapesse quanto quella giornata fosse importante per lui. Quello di oggi era il primo vero passo per entrare a far parte del popolo dei nani. Sapeva quanto lui ci tenesse a sentirsi come tutti gli altri bambini della Montagna e ad essere accettato come uno di loro. Quel pensiero l’aveva come ossessionato fin da quando Goind e la sua banda l’avevano attaccato, trasformando un semplice per quanto forte desiderio in una vera e propria fissazione. Sapeva che a lungo tempo tutto ciò non sarebbe stato sano, ma sperava che con l’inizio degli allenamenti avrebbe iniziato ad ambientarsi meglio ed a legare con i ragazzi nani, e così quell’obbiettivo disperato sarebbe divenuto sempre meno oppressivo. Sperava che imparasse a sentirsi a casa anche lì, in un posto che non gli apparteneva e forse non gli sarebbe mai appartenuto del tutto.

Quando giunse l’ora, lo hobbit si alzò, si sistemò al meglio la maglia scura e i pantaloni comodi che sua mamma aveva cucito proprio per quella giornata, si infilò gli stivaletti e si intrecciò i capelli in modo che una piccola treccia gli scendesse lungo il lato sinistro del viso e gli sfiorasse appena la mandibola. Poi sua madre lo abbracciò forte forte, tentando di rassicurarlo “Andrà tutto per il meglio, vedrai.” sussurrò “Stai tranquillo, comportati come se ci fosse solamente Dis lì con te e vedrai che la paura passerà.”.

Il ragazzino annuì, staccandosi piano dal suo abbraccio “Non preoccuparti, amad. Starò bene. Farò in modo che ogni cosa vada bene.” disse, sorridendole e tentando di sembrare il più calmo e fiducioso possibile.

Belladonna rispose al suo sorriso. “Lo so.” rispose, accarezzandogli dolcemente la guancia “Sei il mio piccolo guerriero coraggioso, e sono veramente orgogliosa di te.”.

Bilbo la abbracciò ancora un volta, un po’ commosso, senza preoccuparsi di stropicciarsi gli abiti o disordinarsi ancora i capelli. Poi, dopo un ultimo sorriso, corse alla porta e l’aprì, pronto per affrontare il suo primo giorno d’allenamento.

Proprio lì davanti, ad aspettarlo, stavano Dis, seduta per terra a gambe incrociate, e Frerin, che per passare il tempo giocherellava con una delle sue asce da lancio.

Lo hobbit si fermò, preso alla sprovvista. “Dis! Fre! Cosa ci fate qui?” chiese, sorpreso.

Il principe si voltò verso di lui, infilandosi l’ascia nella cintura, sorrise e spalancò le braccia, gridando un entusiasta “Sorpresa! Siamo venuti a prenderti!”.

Anche la biondina si girò verso di lui e, vedendo la sua espressione genuinamente stupita, si alzò con un salto, lo raggiunse e gli passò un braccio attorno al collo, stringendolo tanto da togliergli quasi il respiro “Non credevi veramente che ti avemmo lasciato entrare nelle sale per la prima volta da solo?” chiese in tono petulante “Allora sei decisamente più stupido di quanto sembri.”.

“Ehi!” esclamò, rifilandole una gomitata leggera nelle costole ma non riuscendo a trattenere un grande e sollevato sorriso “Io non sono stupido.”.

“Sì che lo sei, se pensavi che ti avrei abbandonato proprio ora.”  ribatté lei, allentando appena la presa “Dai, andiamo o faremo tardi.”.

Il piccolo annuì, mentre Frerin gli poggiava una mano sulla spalla e la sorella scioglieva la stretta per poi iniziare a guidarlo attraverso i lunghi corridoi.

Camminarono per un po’, visto che le stanze di Belladonna erano parecchio distanti dalle sale, e il principe approfittò del percorso per dargli alcuni consigli. “Per prima cosa ci sarà un’ora di riscaldamento come tutti i giorni, ti basterà seguire Dis e fare quello che farà lei e tutto andrà più che bene. Poi, Dwalin assegnerà i vari compiti alle fasce di addestramento.” spiegò per l’ennesima volta “Cerca di mantenere la calma in qualsiasi situazione e di pensare. Non perdere la testa e non agitarti. Sei piccolo, quindi difficile da colpire, e sei molto veloce. Evita tutti i colpi che puoi e quando devi colpire fallo in fretta e con ginocchiate e gomitate, che sono il tuo punto forte. Non stare mai fermo. Non . . . ”.

“Fallo respirare, Fre.” si intromise Dis, lanciandogli un’occhiata ammonitrice “Sei più in ansia tu che lui. ‘ilbo se la caverà benissimo.”.

Il più grande si affrettò a sorridere ed annuire “Certo, lo so. Quello che parla è solo l’ossessivo fratello maggiore che è in me e si preoccupa di tutto.”.

“Fratello maggiore? Tu sei quello di mezzo.” lo corresse la sorellina, scuotendo la testa “E preferiamo entrambi la versione di te spensierata e senza ansie infondate. C’è già Thorin a fare la parte del fin troppo protettivo fratello ossessivo.”.

Bilbo si lasciò sfuggire una risata soffocata a quella frase, che contagiò entrambi i nani, e ridacchiando come tre stupidi entrarono dalle porte delle sale.

Le sale d’addestramento erano gigantesche, le più grandi di tutta Erebor. Erano tre, tutte di dimensioni diverse. La principale era la più piccola, dove venivano addestrati i giovani nani fino al momento della loro prima uscita con il gruppo di ricognizione. La seconda, a cui si arrivava da un piccolo corridoio al lato destro della prima, era divisa in tante piccole sale predisposte per gli allenamenti individuali e di coppia dei nani fino ai cinquant’anni. La terza sala, collegata da un enorme portone al lato sinistro della principale, era la più grande, e lì veniva riunito ed addestrato l’esercito. La prima e l’ultima venivano usate prevalentemente la mattina, mentre le seconda aveva libero accesso a qualsiasi ora del giorno e della notte, sempre però sotto sorveglianza di guardie specifiche. Solamente ai soldati, agli addestratori e ai giovani nani veniva permesso di entrare; nessun altro, nemmeno il re in persona poteva entrare nelle sale. Era il posto dei guerrieri e di chi aspirava a diventarlo, di nessun altro tranne loro.

Nel vedere per la prima volta il luogo dove si sarebbe allenato tutti i giorni per i prossimi anni lo hobbit rimase a bocca aperta, i grandi occhi blu spalancati dallo stupore. Il soffitto era altissimo e scuro come l’onice, mentre il pavimento era liscio come una perla. Grandi fiaccole, poste veramente in alto, illuminavano la sala, e sotto di esse, ad avvolgerla come in un grande abbraccio, erano incisi a lettere d’oro i nomi di tutti i più grandi eroi del popolo dei nani, a cominciare da Durin il Senzamorte. Erano tantissimi, ma c’era ancora molto spazio che attendeva nuove generazioni di guerrieri da ricordare per sempre nella roccia. Lì dove la parete incontrava il pavimento erano sistemate, in un ordine solo all’apparenza confusionario, armi e strumenti d’allenamento di tutti i tipi. Asce, spade, lance, pugnali, balestre, ma anche una ricca collezione di tirapugni; c’era di tutto, in quel posto. Qualsiasi arma un guerriero avesse mai sognato era lì, pronta per essere usata.

Bilbo restò immobile ad osservare incantato la sala per un tempo probabilmente fin troppo lungo, perché Dis scosse la testa, a metà strada tra il divertito e il rassegnato, e con due dita gli sollevò il mento “Chiudi la bocca, o sembrerai ancora più stupido di quello che già sei.”.

Il ragazzino strinse in fretta la mascella, risvegliandosi dal suo rapimento, mentre le orecchie a punta gli si coloravano appena di rosso.

Fre ridacchiò e gli diede una pacca sulla spalla “Niente male, eh?” affermò orgoglioso, guardando la sala con affetto “Non preoccuparti, fanno tutti così la prima volta.”.

La principessa storse il naso “Io non ho fatto così, a dire il vero.”.

Il fratello sorrise ancora di più e le scompigliò i capelli “Solo perché tu hai il cuore di pietra, Di-Di.”.

“Non chiamarmi così!” ringhiò la piccola, strappandogli a forza la mano dalla sua testa. Si voltò verso Bilbo alla ricerca di supporto, ma lui non li stava nemmeno ascoltando. La sua attenzione era presa tutta dai ragazzi.

La sala era piena di nani di diverse età, divisi in vari gruppetti. Alcuni erano appoggiati in un angolo a chiacchierare e a fare scommesse sull’allenamento di quella mattinata, su chi si sarebbe rotto il naso per primo e chi sarebbe stato portato da Oin senza sensi. Alcuni dei più piccoli si rincorrevano e giocavano tra di loro, chiamandosi e gridando a gran voce. Un gruppo di nane si specchiava negli scudi per assicurarsi che le loro trecce fossero perfette. Un’altra mezza dozzina era seduta per terra e giocava a dadi in modo molto accesso, senza risparmiare imprecazione. Ma la maggior parte di loro, soprattutto i più grandi, si stavano già allenando. Alcuni facevano la lotta, istigati dai propri amici, altri ancora provavano qualche tiro con l’ascia da lancio, altri ripassavano i colpi con la spada spiegati il giorno prima. E lì, proprio in mezzo a loro, con una serie di pugnali nelle mani, stava Goind, circondato da tutta la sua banda, mentre cercava di lanciarne il più possibile. Ma il suo sguardo non era fisso sul bersaglio, bensì sul giovane hobbit, ed ardeva come le fiamme di un drago infuriato.

Dis strinse con forza un pugno, ma si obbligò a mantenere la calma e chiamare piano l’amico per nome “Bilbo.”.

Lui non riusciva a distogliere lo sguardo dal nano, e la bionda gli si dovette parare di fronte. Stava impercettibilmente tremando, ma i suoi occhi erano scuri e fermi, illeggibili.

“Bilbo, guardami.” comandò, con forza ma al contempo con dolcezza, e alla fine il piccolo riuscì a sollevare il viso tanto da incontrare il suo sguardo.

“Lui non può farti nulla, ora. E se ha il cervello grande anche solo come quello di uno scarafaggio, non ci proverà nemmeno. Tutto quello che può fare in questo momento è metterti paura. Ed è quello che sta già cercando di fare e continuerà a fare sempre.” mormorò a bassa voce in modo che nessuno oltre a lui potesse sentirla, nemmeno Frerin “Ma tu non devi permetterglielo. Non devi permettere a nessuno di farti paura, mai.”.

Lo hobbit rimase immobile per un lungo momento, i suoi occhi color del mare fissi in quelli profondi dell’amica, ma poi, lentamente, rispose con voce soffocata e sicura “Non ho paura. Io non ho mai paura.”.

Dis annuì e sollevò il pugno. Il ragazzo fece altrettanto, colpendole il pugno con il proprio, per poi stringerle la mano in una stretta ferrea.

“Insieme.” mormorò piano, sentendosi più sicuro che mai.

“Insieme.” ripeté la principessa, mentre un piccolo sorriso rassicurante le illuminava il viso.

Sciolsero la presa dopo qualche secondo, così in fretta che nessuno tranne Frerin si era reso conto di quello che era successo.

 Il ragazzo allora, notando la ritrovata serenità, si schiarì la voce e disse piano “Devo andare dagli altri ora. Ti affido il nostro hobbit, namadith. Bilbo, se si comporta male dalle una ginocchiata e vedrai che righerà dritto.”.

La bionda gli rifilò un’occhiataccia “Non ce ne sarà bisogno.” replicò, per poi passare il braccio attorno alle spalle del ragazzino “Ci penso io a lui.”.

Bilbo sorrise appena “Non preoccuparti Fre, in caso so dove colpire.” rispose, rifilando all’amica una leggera gomitata tra le costole che non la smosse di nemmeno un millimetro.

Il principe dai capelli dorati gli fece l’occhiolino.“Fate i bravi, tutti e due.” si raccomandò scherzosamente, prima di dirigersi verso l’angolo dove erano sistemate tutte le lance e un nano dagli occhi stanchi e i capelli arruffati stava sbadigliando.

I due lo seguirono con lo sguardo, poi la ragazza sfilò il braccio e fece all’altro un cenno con la testa “Vieni, andiamo verso il gruppo con cui mi alleno. Qualcuno di simpatico c’è, in mezzo a tutta quella marmaglia, anche se non si direbbe.”.

Lo hobbit annuì e la seguì, camminando al suo fianco e guardandosi di nuovo attorno. L’amica lo guidò per circa mezza sala, fino a raggiungere un gruppo di ragazzini con più o meno la sua età che chiacchieravano allegramente e giocava con dei ciottoli rotondi. Si avvicinò a loro, ma nessuno sembrò prestarle molta attenzione, anzi, la maggior parte di loro la ignorò completamente, mentre pochi altri le lanciarono solo un rapido sguardo.

Bilbo sapeva che Dis non aveva molti rapporti con gli altri giovani della Montagna, se si escludevano i suoi fratelli e lui. Non riusciva veramente a capire come mai, ma nemmeno lei sembrava godere di molta stima tra i ragazzi, nonostante fosse la principessa di Erebor. Forse perché era così insolitamente focosa e selvaggia, anche per un nano, e la sua forza suscitava un po’ di invidia non solo tra i suoi coetanei ma anche tra i ragazzi più grandi. E poi c’era il suo essere così diversa dalle nane della sua età, il suo ostinarsi a vestirsi sempre come un ragazzo e rifiutarsi di comportarsi come le altre. Era vero che agli occhi degli altri popoli nani e nane erano praticamente indistinguibili, ma tra loro le differenze erano abbastanza marcate. Anche la ragazze si allenavano, ovviamente, potevano scegliere della loro vita ed erano autonome ed indipendenti, ma comunque la maggior parte di loro, anche essendo delle grandi guerriere, facendo lavori maschili, servendo nell’esercito o portando una lunghissima barba, erano molto più dolci, eleganti, quasi naturalmente raffinate. Sembravano tante piccole pietre preziose, tutte colorate e luccicanti, mentre i nani erano rocce solide e appuntite. Dis, invece, sembrava mithril allo stato grezzo, ancora da lavorare ma già splendido. Era bella, nonostante non se ne curasse affatto, e con quel suo viso sottile, gli zigomi alti, gli occhi chiari e i capelli biondi spiccava tra tutte le altre. Avrebbe potuto essere benissimo scambiata per una bambina elfica un po’ troppo piccola, e qualsiasi cosa facesse o indossasse aveva sempre un’aria regale, di cui nemmeno si rendeva conto. E questo scatenava l’invidia delle sue coetanee. Ma, dall’altra parte, era tremendamente forte ed orgogliosa, combattiva e fiera, e cercava qualsiasi occasione per dimostrarlo o combinare guai. Era ancora piccola, ma prometteva di diventare tra le migliori guerriere di Erebor, e questo forse la rendeva odiosa ai ragazzi. In più era la figlia del Principe Ereditario, e ciò bastava a causare l’invidia di chiunque. E poi, c’era il fatto che fosse sempre in compagnia sua, dello hobbit, dell’estraneo, del non nano . . .

Dis, ignara dei suoi pensieri, fece un segno di saluto ad un nanetto più o meno della sua età, che quando la vide le rivolse un sorriso enorme e la raggiunse quasi trotterellando. Era alto più o meno come lei, aveva un viso buffo e due lunghe e arruffate trecce di capelli scuri che gli arrivavano a metà petto.

“Ciao, principessa.” la salutò, ma il suo tono non era né sarcastico né offensivo, ma piuttosto affettuoso, e la ragazza si limitò ad alzare gli occhi al cielo, come se fosse abituata a quel saluto ma non le desse davvero fastidio, ed a borbottare un ‘ciao’ a mezza voce.

Poi, il nano si rivolse a lui con un altro sorriso, cogliendolo completamente di sorpresa  “Ciao. Sei nuovo, vero?”.

Lo hobbit sbatté le palpebre, confuso, ma poi si affettò a borbottare “Sì. Inizio ad allenarmi oggi.”.

“Figo.”commentò il nano, sorridendo ancora di più, per poi chinare appena la testa e presentarsi, imitando allegramente i modi degli adulti “Io sono Bofur, figlio di Bomfur.”.

“B-Bilbo, figlio di Belladonna.” rispose il più piccolo, dondolandosi un po’ imbarazzato sui talloni.

Bofur annuì “Sì, so chi sei. Lo scassinatore di dolci, eh? Tu e la principessa siete famosi, in famiglia.” spiegò, indicando anche Dis con il mento, che trattenne a stento un sorrisetto soddisfatto “Mio padre vi ricopre sempre delle più colorite imprecazioni. E rimprovera sempre il mio fratellone Bombur perché non riesce mai a fermarvi.”.

Bilbo, a metà strada tra l’imbarazzato e il divertito, si passò una mano tra i capelli ricci e borbottò “Dovrebbe prendere i nostri furti come un complimento. I suoi manichetti sono così buoni che si fa di tutto per procurarseli.”.

Bofur scoppiò a ridere “Sei simpatico.” osservò quasi con soddisfazione, mentre si tirava una delle sue trecce storte “Era ora che arrivasse qualcun’altro di decente, qui. Ti avviso, a parte me e la principessa qua presente, ci sono solo una mezza dozzina di individui non noiosi.”.

Dis rise e concordò “Per una volta hai detto una cosa giusta.”. Bofur si finse indignato, portandosi le mani al petto e facendo una faccia ferita, per poi scoppiare di nuovo a ridere mentre la bionda alzava per la seconda volta gli occhi al cielo.

Bilbo non riuscì a trattenere una risatina timida, e finalmente la stretta che gli toglieva il fiato si allentò appena, lasciandolo respirare.

Forse non sarebbe stato così difficile come temeva, alla fine.

 

~~~~΅΅~~~~

 

Thorin sapeva che sarebbe stato facile trovare Dwalin, una volta entrato nelle Sale. Ma non credeva che sarebbe stato lui a trovarlo, e soprattutto non a quella velocità. Aveva appena attraversato l’ingresso quando si sentì colpire sul braccio da un pugno improvviso e doloroso, e voltandosi di scatto si ritrovò davanti un nano alto e dall’aria dura che lo guardava con una scintilla di stupore negli occhi scuri.

“Thorin, che sorpresa!” ringhiò tra i denti Dwalin, ghignando ed incrociando le braccia muscolose, già colme di tatuaggi “Cosa ci fai qui? Non dirmi che hai ripensato alla faccenda dell’apprendistato.”.

Il principe si limitò a scuotere la testa, molto semplicemente. Sapeva di doversi aspettare quell’accoglienza, dopotutto. Non gli era mai andato giù il fatto che avesse rinunciato a fare l’apprendistato lì nelle Sale. I nani addetti all’addestramento dei piccoli erano dodici, sei adulti e sei apprendisti, uno per ciascun istruttore fisso. Dwalin gli aveva proposto più volte di essere il suo, ma si era sempre rifiutato, spiegando che avrebbe passato tutta la vita a dare ordini e non voleva iniziare a farlo così giovane. Almeno per quel breve periodo voleva essere come un nano qualsiasi, impegnato in un lavoro manuale che gli facesse davvero sentire la fatica e la pesantezza di un apprendistato. Per questo aveva scelto di lavorare nelle fucine private della sua famiglia, dove suo nonno e suo padre si rifugiavano quando volevano distrarsi dalle intricate vie della politica a prendere a martellate i problemi, piuttosto che cercare di scioglierli.

“No.”

Il cugino sbruffò, come infastidito dalla sua risposta. “Avrei dovuto immaginarlo.” borbottò, per poi aggiungere con un sorriso complice “Allora, come mai se qui? L’ultima volta che sei venuto agli addestramenti mattutini dei piccoli era per tenere d’occhio quella peste di tua sorella. Sono stati tre mesi lunghissimi.”. Finse di rabbrividire al solo ricordo, asciugandosi del sudore inesistente dalla fronte.

Il corvino si strinse nelle spalle, per nulla divertito. Era un anno che lo faceva martire per quella storia, accusandolo di essere il fratello maggiore più protettivo del mondo. E se a dirlo era il fratellino di Balin, era tutto dire “Volevo assicurarmi che non si facesse male.”.

L’altro nano ghignò, scuotendo appena la testa “Io mi preoccupo più per i poverini che devono allenarsi con lei. È una furia di nana, quella.” ribatté, per poi farsi appena più serio e tirarsi la lunga barba blu, risultato della loro ultima scommessa, persa a favore del più giovane. “ Oggi c’è il suo amichetto, a proposito. Primo giorno, per lui.” mormorò, lanciando uno sguardo nella direzione del gruppo dei più piccoli, dove lo hobbit e la principessa spiccavano come due pietre colorate in una distesa di carbone.

Thorin annuì appena, senza però seguire il suo sguardo “Lo so.”.

Dwalin spostò di nuovo l’attenzione su di lui “Sei qui per questo?” domandò, studiandolo con occhi improvvisamente vigili.

“In parte.” concesse, sostenendo il suo sguardo.

Il più grande inclinò appena la testa “E l’altra parte?” insistette, non del tutto convinto dalla sua risposta.

“Voglio vedere come reagisce Dis nell’averlo con sé durante le ore di allenamento.” replicò semplicemente, perché era vero, e forse era davvero quello ad averlo spinto a scendere quella mattina, anche se non ne era del tutto certo “Lo sai quanto è protettiva con lui.”.

Il nano non riuscì a trattenere uno sbruffo divertito. “Ha parlato mamma nana.” lo prese in giro, tirandogli un altro pugno sul braccio, nello stesso esatto punto del primo “Se fosse per te, Frerin e la piccola non uscirebbero mai dalle loro stanze.”

Thorin si limitò ad alzare gli occhi al cielo “Sì, e l’intera Erebor mi ringrazierebbe per questo.” ribadì, strappando un ghigno al cugino.

“Anche questo è vero.” concesse, per poi sfregarsi le mani e dire “Allora, resti con me mentre do’ il via alle danze?”.

 

~~~~΅΅~~~~

 

 

“Ma il signor Dwalin è impazzito, oggi?” ansimò Bofur, tentando di tirarsi indietro una delle sue trecce sbilenche e allo stesso tempo non inciampare nei propri piedi stanchi.

Era passata quasi un’ora dall’inizio dell’addestramento. Avevano fatto qualche esercizio leggero di riscaldamento, flessioni e via dicendo, secondo la solita routine. Ma poi Dwalin, capo delle Sale e giovanissimo responsabile generale dell’addestramento dei ragazzi, aveva scelto di cambiare ancora una volta il solito programma, costringendoli a correre per tutta la lunghezza delle Sale per quella che era probabilmente un’ora.

“Non credo che abbia mai avuto un cervello funzionante, se è per questo.” ribatté Dis, sbruffando appena. Abituata com’era a correre in giro per la Montagna, stava sopportando meglio del compagno l’esercizio, anche se iniziava ad avere un lieve fiatone.

“Perché, non è qualcosa che fate solitamente?” domandò Bilbo, guardando sorpreso i due nani. Era quello che stava sopportando meglio la corsa, e probabilmente avrebbe potuto mantenere anche un ritmo maggiore, ma non aveva alcuna intenzione di staccarsi dagli altri.

“No, non fa parte dei nostri soliti esercizi. Noi nani non siamo fatti per le lunghe distanze. Per quello esistono i pony.” spiegò l’amico, asciugandosi con il dorso della mano il sudore dalla fronte. “E non starmi così vicino, mi fa senso vederti fresco come una rosa dopo questa ammazzata.” borbottò, tentando di fare uno smorfia scherzosa nonostante fosse troppo stanco per riuscirci.

“Risparmia il fiato, piuttosto che dire cavolate.” lo riproverò la bionda, anche se condivideva ampiamente la prima parte del suo discorso.

“Ma se non ne ho più, di fiato!” gemette Bofur.

Prima che Dis potesse aggiungere altro, si sentì la voce tonante di Dwalin gridare “Basta così!”.

Tutti i nani si fermarono di colpo e praticamente insieme, chi esclamano qualche benedizione, chi rifilando all’addestratore una serie di epiteti tutt’altro che lusinghieri. Bofur si limitò ad accasciarsi a terra a mo’ di morto, pancia sul pavimento e braccia e gambe spalancate, tra le risatine di Bilbo e sotto lo sguardo comprensivo di Dis.

Quando Dwalin gridò ancora “Tutti al centro!”, un gemito generale si levò dal gruppo, ma ognuno obbedì praticamente all’istante. Il povero Bofur ebbe bisogno dell’aiuto di entrambi i suoi compagni per alzarsi, ma alla fine anche loro si aggiunsero al grande cerchio che si stava formando attorno all’istruttore.

Bilbo si guardò attorno, un po’ intimorito, e con sua grande sorpresa notò, in un angolo remoto della sala, Thorin, con le braccia incrociate e lo sguardo serio. Sussultò appena e subito tirò Dis per il gomito, indicandole poi il fratello con il mento “Cosa ci fa Thorin qui?”.

La ragazza ci mise un po’ più di lui ad individuarlo, ma quando ci riuscì i suoi occhi si illuminarono di gioia “Sapevo che sarebbe venuto.” sussurrò, quasi vittoriosa.

“Ma cosa ci fa qui?”

“Non è ovvio?” chiese, sorpresa dall’insistenza dell’amico “E’venuto a vedere te.”.

Il piccolo spalancò gli occhi, incredulo, ma non poté dire nulla perché una voce tuonante lo riportò bruscamente alla realtà.

“Bene. Ora, oggi inizia ad allenarsi il giovane Baggins, dico bene? Dove sei, ragazzo?” ruggì Dwlin, le mani sui fianchi e un cipiglio leggero sul volto serio, mentre cercava con lo sguardo il nuovo minuscolo allievo.

Lo gobbi deglutì, ma si fece coraggio e si spinse in avanti, mentre Dis lo seguiva, un paio di passi dietro di lui, come un’ombra silenziosa “Qui!”.

Gli occhi dell’intera sala si concentrarono su di lui, e dovette fare un grande sforzo di volontà per continuare ad andare avanti e, come gli aveva spiegato Frerin, mettersi di fronte a Dwalin, in modo che potesse studiarlo bene.

Il nano si tirò appena la barba, studiandolo attentamente con quegli occhi acuti, così diversi da quelli del fratello. “Mhm. . . ti farò combattere con uno dei gruppi dei più piccoli.” decretò alla fine dopo un momento di silenzio che al bambino parve durare secoli “Credo che la fascia dai nove ai quindici mesi d’addestramento vada bene. Gli altri possono iniziare.”.

Il cerchio si spezzò con un lieve mormorio, mentre ogni gruppo, formato sulla base dei mesi ed anni d’allenamento di ogni singolo allievo, veniva raggiunto da un istruttore e un apprendista diverso. Rimasero attorno a Dwalin solo una ventina di bambini, a cui si aggiunse Frerin, il suo attuale apprendista.

Bilbo si costrinse a restare calmo e respirare, stringendo con forza i pugni, mentre attorno a sé il gruppetto borbottava eccitato, chiedendosi chi sarebbe stato a spaccargli la faccia, quel giorno.

Perché sì, era quella l’iniziazione di ogni giovane nano nelle Sale.

Il primo giorno, veniva scelto un altro allievo per confrontarsi con il nuovo arrivato, che alla fine dello scontro veniva assegnato ad una fascia d’addestramento, a seconda della propria abilità e del proprio livello di partenza. Di solito quest’ultimo non era mai completamente nullo, considerando che i piccoli nani facevano a botte da prima ancora di imparare a camminare, ma comunque raramente era sufficiente ad uscire indenni da quello scontro. Poteva sembrare un’iniziazione un po’ dura, ma per i nani non esisteva un modo dolce per fare le cose. Tu hai scelto di essere un guerriero? Allora devi essere consapevole a cosa stai andando incontro. Fine.

Dwalin batté le mani, richiamando l’attenzione di tutti. “Allora, qualcuno si offre volontario?” chiese, come da rito.

La mano di Dis si alzò prima ancora che avesse finito la frase. Il nano sbruffò, come infastidito da quel gesto.

“Non ci provare nemmeno, principessina.” borbottò un po’ rudemente, incrociando le braccia.

“Perché no?” ribatté a tono la piccola, continuando a tenere la mano alzata in alto “Se voglio combattere, lasciami combattere.”

“Per prima cosa cuciti la bocca quando ti rivolgi a me, o piuttosto che allenarti passerai la prossima settimana a pulire il casino che faranno gli altri.” la minacciò il maestro, lanciandole un’occhiata ammonitrice “E poi, se ti lasciassi combattere contro il tuo amichetto ci andresti piano apposta per favorirlo. Non credere che non lo sappia.”.

Un lieve borbottio scosse il gruppetto, che prese a commentare quell’affermazione, ma Dis si limitò ad abbassare la mano ed a fare un piccolo, gelido sorriso. “Non ha alcun bisogno che io lo favorisca. ” affermò con fierezza, e i suoi occhi penetranti cercarono quelli dell’amico per comunicargli il suo dispiacere. Avrebbe voluto essere lei la sua avversaria; non sarebbe stato diverso da uno dei loro mille altri allenamenti, e Bilbo avrebbe temuto di meno quel momento che tanto lo terrorizzava, nonostante non volesse ammetterlo.

Io ci ho provato’.

Lo hobbit annuì appena, tentando di sembrare il più tranquillo possibile.

Lo so.’.

Dwalin aspettò per qualche altro momento nuovi volontari, ma nessuno alzo la mano. “Bene, nessuno? Come siamo timidi oggi . . . d’accordo, allora uno a caso.” ringhiò, aggrottando a fronte alla ricerca dell’avversario giusto per quella nuova recluta.

Ad un certo punto i suoi occhi si accesero ed esclamò, in maniera così improvvisa da far sobbalzare il povero Bilbo  “Treccine, vieni tu.”.

Il bambino seguì lo sguardo del nano, cercando di capire chi fosse il ragazzo con quel buffo soprannome. Solo quando vide Dis impallidire e tutti gli altri fissare il nanetto che stava accanto a lei capì.

Si trattava di Bofur.

Il piccolo nano sembrava spaesato ancora più dell’amico; i suoi occhi correvano da Dis a lui per poi saettare verso Dwalin, mentre le sue mani improvvisamente sudate tiravano quasi con ansia la sue trecce storte.

“Ehm...” balbettò, senza sapere cosa fare. Era evidente che non aveva alcuna voglia di combattere contro il compagno, nonostante si fossero appena conosciuti; non era giusto, per nessuno dei due. E poi, solamente agli arroganti e agli affamati di lotta piaceva combattere in quella sorta di iniziazione; nessun’altro vedeva una qualche forma di onore o forza nel picchiare un bambino non addestrato.

“Beh, cosa stai aspettando?” lo richiamò l’istruttore, che non sembrava affatto essersi reso conto del suo disagio.

Bofur, sapendo di non poter disubbidire a quell’ordine ma sentendosi terribilmente in colpa per ciò, cercò con lo sguardo lo hobbit. Allora lui gli fece un piccolo sorriso di incoraggiamento e muovendo appena le labbra sussurrò un sincero “Tranquillo, va bene.”.

Con un respiro profondo, il nano si portò al centro del cerchio, fermandosi a una mezza dozzina di passi dall’altro. Dwalin si spostò, lasciando ai due ragazzi più terreno possibile e posizionandosi in modo da poter vedere bene lo scontro.

“Niente morsi, colpi negli occhi o alla gola, calci nelle parti basse o scorrettezze simili. Per il resto, tutto è concesso.” disse, elencando le regole del combattimento “Perde chi cade per primo a terra o chi si arrende. Ma sia chiaro, non c’è nulla di disonorevole nel cadere od arrendersi.”.

Bilbo non lo ascoltava nemmeno, teso com’era e tutto concentrato a decifrare quello che gli stava cercando di sillabare Bofur dall’altra parte “Andrò piano, promesso.”.

“Bene, potete iniziare!” esclamò l’istruttore, battendo le mani come per dare inizio all’incontro e richiamando così l’attenzione del ragazzo, che sussultò e si mise d’istinto in posizione di difesa.

Bofur sollevò i pugni per mettersi in posizione d’attacco e i due iniziarono a muoversi pian piano in cerchio, come due felini  in attesa del momento giusto per colpire.

Bilbo però non stava guardando il suo avversario; i suoi occhi erano un po’ più in là, alla ricerca di Dis e Frerin. Li trovò vicini, con i visi tesi e concentrati, ed appena incontrò lo sguardo di Dis, che sembrava aspettarlo, seppe cosa fare.

In un movimento fulmineo, spezzò il cerchio e si buttò in avanti, proprio addosso a Bofur, la guardia alzata per prevenire un possibile calcio al viso. Ma il nano era troppo spaesato da quel gesto improvviso per attaccare, e così lo hobbit approfittò della sua difesa troppo alta per tirargli un pugno nello stomaco. Non era chissà quanto forte, ma spezzò il respiro dell’altro, che per un momento rimase tramortito. Ma fu solo un momento, perché subito dopo fece per restituirgli il colpo. Bilbo però si era già spostato, portandosi alla sua destra e rispondendo con una gomitata ben piazzata appena sotto la cassa toracica. Il compagno si girò, prendendolo forte al braccio con un pugno circolare. Il più piccolo si abbassò in tempo per evitare che un secondo pugno lo colpisse in pieno viso, e approfittando di quel momento di distrazione gli fece una spazzata, facendolo cadere a terra con un rumoroso botto.

Lo hobbit rimase fermo ed ansimante per un brevissimo momento, nel silenzio generale, mentre Bofur lo fissava dal pavimento con grandi occhi stupiti e spalancati. Poi, sentendosi mortalmente in colpa, si inginocchiò accanto a lui e lo aiutò a mettersi seduto, sussurrando nervosamente “Scusami, scusami, scusami. Ti ho fatto male?”.

Un enorme sorriso comparve sul viso sorpreso del nano, che esclamò con voce entusiasta “Sì, ma che importa? Sei stato grande!”. I suoi occhi brillavano di allegria, e non sembrava affatto offeso di essere stato battuto da un novellino, nemmeno di razza nanica tra l’altro “Non credevo che gli hobbit fossero delle mini macchine da guerra!”.

Bilbo sentì le orecchie diventargli rosse dalla sorpresa e si affrettò a porgergli una mano per farlo alzare. Quando entrambi furono in piedi però, quell’infantile entusiasmo scomparve, lasciando posto allo stupore puro e semplice.

L’intera Sala era immobile, come se avesse seguito di nascosto l’intero breve combattimento e si fosse bloccata nel momento esatto in cui Bofur era caduto, troppo sbalordita per credere a quello che era appena successo. Uno hobbit che sconfiggeva un nano? Non era possibile. Non poteva essere possibile.

Sentendosi ancora di più a disagio, il piccolo cercò Dis, che gli fece un enorme sorriso, sollevando  entrambi i pollici come per dire ‘tutto ok, non sta crollando il mondo, anzi’. Accanto a lei Frerin, che tentava senza riuscirci di nascondere la sua espressione vittoriosa dietro una mano, gli fece segno di voltarsi verso Dwalin.

L’istruttore aveva un’espressione indecifrabile, come se mai in vita sua si fosse trovato davanti a qualcosa del genere “Tu, melekûnh.” fece, riferendosi al più giovane, per poi aggiungere dopo una breve pausa di silenzio “Nel gruppo dai nove ai quindici mesi d’addestramento.”.

Bilbo trattenne il fiato, senza riuscire a credere a quelle parole, e con lui buona parte della Sala.

Il gruppo dai nove ai quindici mesi d’allenamento? Lo considerava davvero allo stesso livello da chi si allenava già da un anno e più, al livello non solo di Bofur, ma anche di Dis? Lui, uno hobbit, poteva davvero competere con nani molto più grandi ed esperti di lui?

“Cosa?” esclamarono quasi all’unisono più voci “Ma non è giusto!”.

“Non può farlo.” protestò infuriato un nano dai lunghi capelli rossi, probabilmente al quindicesimo mese d’allenamento “E’ appena uno scricciolo e non ha nemmeno la metà dei nostri anni. E come se non bastasse, non è nemmeno un nano, ma uno stupido hobbit!”.

Il piccolo sentì il proprio viso andare in fiamme a quelle parole crudeli, e dovette abbassare il viso a terra, incapace di sopportare l’idea che potessero leggere l’umiliazione riflessa nei suoi occhi.

Una voce inaspettata, ferma ma severa, si fece strada tra le varie proteste, riportando un vibrante  ma gelido silenzio “Posso farlo e lo farò.” Dwalin fece un passo in avanti, fissando con intensità tutti coloro che avevano osato protestare, come se volesse incenerirli con lo sguardo. “È vero, è più piccolo e non è nemmeno un nano, eppure combatte meglio di molti di voi senza aver fatto nessun addestramento.”.

Bilbo alzò timidamente lo sguardo, sorpreso che proprio l’istruttore in persona lo stesse difendendo, e rimase ancora di più senza parole nel sentirlo continuare “Non ha bisogno di partire da zero, ha già una base. In più sa come sfruttare il suo essere piccolo e veloce, cosa che dimostra intelligenza. E purtroppo non posso dire lo stesso della maggior parte di voi.”.

Il nano si voltò verso di lui e gli fece segno di tornare nel cerchio, affermando con voce ferma “Ripeto, nel gruppo dai nove ai quindici mesi d’addestramento. E tu . . .” si girò ancora una volta di scatto, fulminando con quegli occhi spaventosi il nano dai capelli rossi “Contraddicimi di nuovo o insulta ancora una volta uno qualsiasi dei tuoi compagni, e giuro che non entrerai mai più in questa Sala. Sono stato abbastanza chiaro?”.

Il nano strinse i pugni, chiaramente arrabbiato per quella minaccia, ma si limitò a borbottare tra i denti un rabbioso “Sì, signor Dwalin.”.

L’istruttore annuì, soddisfatto “Bene. Ora Frerin vi spiegherà il lavoro di oggi.” aggiunse cambiando argomento “Quando torno, voglio vedervi tutti all’opera senza chiacchiere o lamentele. Siamo d’accordo?”.

I ragazzi annuirono e allora Dwalin lasciò il proprio posto a Frerin, che stava usando tutto l’autocontrollo in suo possesso per non saltellare per la felicità e dovette limitarsi a scompigliare i capelli a Bilbo mentre gli passava accanto.

Solo in quel momento lo hobbit, ancora incredulo, si riscosse e seguì Bofur, ancora più entusiasta di lui, verso gli altri ragazzi, che continuavano a scrutarlo con aria truce. Tutti tranne Dis, ovviamente.

La principessa gli saltò letteralmente addosso, stringendolo così forte da soffocarlo “Sei stato bravissimo, ‘ilbo!” esclamò vittoriosa, mentre gli occhi chiari le brillavano di orgoglio “Lo sapevo che avresti lasciato tutti a bocca aperta, lo sapevo!”

“Solo bravissimo? È stato fenomenale, e il mio culo ammaccato può testimoniarlo!” si intromise Bofur, ridendo e portandosi una mano sul sedere, per poi gemere “Ouch!”.

Bilbo avrebbe voluto scoppiare a ridere o dire qualcosa, ma tutto quello che riuscì a fare fu mugolare uno stentato “D-Dì, non r-riesco a r-respirare . . .”

L’amica lo mollò di scatto, ma solo per avvolgergli un braccio attorno alle spalle con fare possessivo e ribattere “Come siamo delicatucci qui . . .”

“Ordine, prego.” esclamò ad alta voce Frerin, tentando di recuperare un po’ di attenzione, senza riuscire però a nascondere un piccolo sorriso “Allora, oggi . . .”.

Dis si avvicinò all’orecchio dell’amico e gli sussurrò  piano, in modo che nessuno potesse sentirla “Indovina chi non riusciva a toglierti gli occhi di dosso mentre combattevi?”.

“Tu?”

“Ovvio, ma chi altro?” insistette ancora, con un sorrisetto monello.

“Fre?”

“Sì, e anche Thorin se è per questo. Ma non solo. Dai, usa un po’ di fantasia.”

“Non ne ho, di fantasia.” replicò, senza riuscire a capire dove volesse arrivare “Allora, chi?”.

“Goind.” rispose vittoriosa, gli occhi più luminosi che mai “E’ impallidito di colpo quando hai buttato a terra Bofur. Dubito che si avvicinerà più a te, dopo questo.”

“Davvero?” Bilbo non riusciva a credere alle sue parole.

“Aye.” gli tirò un pugno su braccio “Hai dimostrato che è sempre un errore sottovalutare uno hobbit di Erebor.”

Lo hobbit arrossì, troppo sorpreso e felice per parlare.

Uno hobbit di Erebor. . .

 

 

~~~~΅΅~~~~

 

 

Dwalin si sedette accanto a Thorin, scrocchiando il collo con una smorfia “Sapevo che il giorno in cui entrambi i flagelli di Erebor sarebbero entrati nelle mie Sale avrebbe segnato l’inizio della fine della mia sanità mentale.” sbruffò, scuotendo appena la testa.

Il principe si strinse nelle spalle “Te l’avevo detto.”.

“Sei avvisato, sopprimerò tua sorella se andrà avanti così.” lo minacciò, a metà strada tra lo scherzoso e il serio. Poi, i suoi occhi si fece pensierosi e tornarono sul piccolo hobbit, che tentava a fatica di non soffocare tra le braccia della principessa.

“È bravo. Lo è davvero.” commentò, come se li stesso non riuscisse a crederci “Come ha imparato a combattere così?”.

Thorin sospirò, tirandosi indietro un ciuffo ribelle di capelli “Diciamo che è stato costretto.” rispose, non sentendosela di raccontare veramente dell’attacco che quel piccolo aveva dovuto affrontare appena un anno prima “Ha imparato sulla sua pelle cosa significa essere diverso, tra chi la diversità non l’accetta, e in che modo difendersi a causa di essa.”.

Dwalin socchiuse gli occhi, come se stesse cercando di scorgere qualcosa di nascosto allo sguardo del mondo, ma non al suo. “Sarà, ma io vedo del mithril grezzo in lui.” Mormorò tra i denti, quasi stesse riflettendo tra sé e sé “E credo che sarà proprio quella diversità a renderlo un grande guerriero.”

“Tu dici?”

Il nano più grande annuì, sicuro di sé “Mi sono mai sbagliato su un allievo?” chiese retoricamente “Avevo detto che saresti stato il migliore spadaccino della Montagna, no?”

“Questo è ancora tutto da vedere.” ribatté d’istinto Thorin, ma senza pensarci davvero, troppo preso ad osservare con una nuova intensità quel piccolo hobbit che ai suoi occhi appariva allo stesso tempo terribilmente fragile e spaventosamente forte.

Del mithril grezzo . . .

 

 

 

 

 

La tana dell’autrice

 

Hallo!

Ok, sì, lo so, sono sparita di nuovo . . . ma cosa posso dirvi? Tra l’università e casini vari, non so più nemmeno da quanto tempo non scrivevo. E lo ammetto, ne ho sentito la mancanza davvero, davvero tanto. Diciamo che ho ricominciato un po’ per esasperazione, perché questa quotidianità mi sta letteralmente uccidendo, sia perché avevo veramente bisogno di ritagliarmi anche poche ore per me e respirare a modo mio. Avevo bisogno di tornare un po’ a casa, in questo luogo che amo tanto e conosco più di me stessa.

 

Allora, torniamo al capitolo, che è la cosa più importante . . .  Mi sono divertita tantissimo a scriverlo, perché finalmente Bilbo inizia a crescere ed a diventare colui che è destinato ad essere, ed ho potuto introdurre anche un paio di personaggi che amo troppo e che in questa storia assumeranno sempre più importanza man mano che andiamo avanti con i capitoli.

Senza dubbio la cosa che ho amato di più è stata descrivere i combattimenti corpo a corpo; è una cosa che non facevo da un po’, ma devo ammettere che mi è mancata terribilmente. Ho praticato arti marziali per tre anni, per cui ho cercato di usare tutte le mie competenze in materia –senza trasformarli in piccoli ninja cazzuti, eh-. E, lo ammetto, mi sono divertita tantissimo.

Non so quanto spesso potrò aggiornare –motivo: sessione invernale e probabile esaurimento nervoso-. Ma, anche se non potrò farmi viva, vi prometto di continuare a lavorare e a sfornare piccole cosine il più spesso possibile.

A presto -spero-

T.r.

 

P.s.: Ah, Dwalin ha la barba blu perché nel libro Tolkien lo descrive con la barba blu e mi sembrava una cosa troppo simpatica da non inserirla, anche se solo momentaneamente. E poi, da ragazzo lo immagino come il tipico ragazzo casinaro e duro, quindi un aspetto un po’ insolito ci sta troppo, almeno nella mia testa. E lo ammetto, l’idea di farlo blu mi faceva scasciare dalle risate.

 

 

 

 

Pillole di Khuzdul

 

'ikhuzh : Basta

Namadith : Sorellina

Nadad:  Fratello

Adad  : Padre

Ghelekhmez : Ben fatto

Akhûnith :Piccolino

Âkminrûk zu : Grazie

Amad : Madre

Melekûnh : Hobbit

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 – Canne al vento ***



Capitolo 4 – Canne al vento

 

 

 

 

 

 


 

L’antidoto contro cinquanta nemici è un amico.

-Aristotele

 

 

 


“Potete ripetermi che cosa stiamo facendo, esattamente?”

“Shh Bofur, o farai saltare la nostra copertura.”

“Ma quale co-ouch! Bilbo, Dis mi ha fatto male!”

“Dis!”

“Volete starvi zitti, voi due? Ci farete scoprire davvero, così!”

“Ma sì può sapere chi è che dovrebbe scoprirci, per Mahal?”

“Bofur, se continui a parlare, giuro . . .”

“Zitta, Dis! Arriva qualcuno!”

 

Dei passi pesanti rimbombarono nella stanza, percorrendola quasi con inquietante lentezza in tutta la sua lunghezza. Si fermarono di fronte ad un piccolo armadio di faggio, così basso e stretto da poter contenere solo una dozzina di spade, e per un lungo, interminabile momento ci fu un silenzio irreale.

Poi, una grande mano callosa spalancò l’armadio di botto e tre piccole figure, fino ad un secondo prima ammucchiate addosso alle ante, caddero a terra in un rumorosissimo tonfo.

“Ahi!” Dis, caduta di faccia, si tirò a sedere stringendosi il naso gonfio, ed accanto a lei Bilbo scalciò, tentando di togliersi Bofur di dosso, fin troppo pesante per lui “Bofur, mi stai schiacciando!”.

Un colpo di tosse richiamò l’attenzione dei piccoli doloranti, che alzarono lo sguardo in contemporanea e sobbalzarono, improvvisamente pallidi. Di fronte a loro, a braccia incrociate, stava Thorin, e la sua espressione prometteva tanti, tanti guai.

“Nadad!” esclamò la bionda alzandosi in piedi di scatto e fingendo un’espressione innocente, cosa un po’ difficile da fare con una mano stretta attorno al naso “Che sorpresa! Cosa ci fai qui?”.

Il principe sollevò appena un sopraciglio “Perché non mi dici piuttosto cosa stavate facendo voi tre chiusi in questo ripostiglio, Dis?” chiese in risposta, aggiungendo con una punta di sarcasmo “Mi sembra una storia decisamente più interessante.”.

“E lo è, lo è infatti.” farfugliò la ragazza, tentando di farsi venire in mente una scusa fattibile per essere stati scoperti lì dentro. Si massaggiò il naso dolorante, cercando di prendere tempo “Stavamo, beh, stavamo . . . “ non riuscendo a pensare a nulla, cercò con la coda degli occhi i due amici, ma Bofur, appena scivolato al fianco dello hobbit, era troppo impegnato a deglutire spaventato per cogliere la sua richiesta d’aiuto.

Bilbo invece, che si era messo seduto proprio in quel momento, notò la sua difficoltà ed intervenne, un po’d’istinto “S-stavamo . . . lo stavamo pulendo!”.

Lo sguardo severo del nano si spostò sul più piccolo “Lo stavate pulendo?” ripeté, certo di non aver mai sentito una scusa tanto ridicola.

Lo hobbit deglutì, teso, ma annuì e continuò imperterrito nella sua bugia “La signora Gin ci ha chiesto di darle una mano con le pulizie, visto che il suo mal di schiena è peggiorato e non riesce più a piegarsi ed a pulire i mobili più piccoli. Non ce la siamo sentita di rifiutare, è così gentile con noi, e così abbiamo deciso di occuparci degli armadietti per le armi come questo.” affermò convinto, tentando di dare più verosimiglianza possibile alla sua storia, per poi aggiungere con una faccia schifata “Non l’avessimo mai fatto! Non puoi immaginare quanta sporcizia ci sia in questi ripostigli, una cosa allucinante, dico davvero.”

Thorin scosse appena la testa, trattenendo a stento un sorrisetto per quella bugia tanto sciocca quanto buffa. “Basta così, akhûnith.“ lo fermò, per poi rivolgersi di nuovo alla sorella, che era rimasta ad ascoltare la storiella dell’amico con una faccia estremamente meravigliata “Vi eravate nascosti qui perché sapevate che io e Dwalin dovevamo vederci per organizzare la sicurezza durante il viaggio, vero?”.

Dis tentò di sembrare il più sorpresa ed offesa possibile “Cosa? No! Che razza di opinione hai di noi, fratellone?” esclamò, portandosi la mano dal naso al cuore.

“Mi stai dicendo che non volevate capire in che modo infilarvi nel gruppo che partirà per i Colli Ferrosi tra due giorni senza essere scoperti?” insistete il principe, lottando contro l’istinto sempre più forte di alzare gli occhi al cielo.

“Era questo che avevamo in mente quindi?” esclamò sorpreso Bofur, e la bionda gli tirò un piccolo calcio nel tentativo di zittirlo prima che facesse ulteriori danni “Ahi!”.

“Davvero, si parte tra due giorni?” ripeté, fingendo di non aver sentito il compagno e di essere all’oscuro di quella notizia “Me n’ero assolutamente dimenticata.”.

Thorin sospirò appena, esasperato “Aye, io, Dwalin, Adad e una dozzina di altri nani partiamo tra due giorni.” confermò, per poi aggiungere in maniera ancora più severa “Ma in quella dozzina non ci sarete né tu né Frerin, e soprattutto non ci saranno Bofur o Bilbo. E questo non cambierà, per quanto voi possiate tentare di venire senza permesso.”.

La già poco convincente recita di Dis cadde del tutto a quelle parole, e subito la ragazza si accigliò, ripetendo per l’ennesima volta con aria ferita ed arrabbiata “Ma perché? Non è giusto!”.

“Conosci le regole. Siete tutti e quattro troppo piccoli. Il Consiglio è stato irremovibile su questo.” spiegò pazientemente il nano dagli occhi azzurri.

“Ma . . .” tentò di obbiettare la più piccola.

“Niente ma.” la fermò il maggiore, ora evidentemente irritato “Non andrai da nessuna parte nell’immediato futuro, signorinella. Nemmeno in giro per Erebor, se è per questo, quando Adad saprà che ti ho trovata qui con i tuoi fedeli complici.”

Nel sentire nominare il padre il viso della principessa perse tutto il suo colore.  “Non oserai . . .” ringhiò piano, forse nel tentativo di intimorire il fratello, ma il tono teso con cui parlò rese la sua più una supplica che una minaccia.

“Certo che oserò.” ribatté severo, gli occhi chiari che trafiggevano la sorellina come piccoli pugnali affilati “Adad ti aveva detto che non avrebbe accettato un’altra disubbidienza su questo, o sbaglio?”.

Dis si morse il labbro, evidentemente in difficoltà. “Per favore, Thorin.” mormorò alla fine, qualsiasi traccia di arroganza e sicurezza scomparsa dal suo viso e della sua voce “Sarà così deluso. E arrabbiato. Ma soprattutto deluso. E mi chiuderà nelle mie stanze a vita.”.

“Probabile.” concordò l’altro annuendo, per poi aggiungere con un mezzo sorriso sarcastico “Ma non preoccuparti, Frerin ti farà decisamente compagnia.”.

Le pupille della bionda si dilatarono appena “È stato lui a farci scoprire?”.

Il più grande si strinse nelle spalle “Più la sua incapacità di fare da diversivo, direi.” ammise, ripensando un filino divertito ai deboli tentativi del fratello di convincerlo che la scomparsa improvvisa delle tre pesti fosse normale e del tutto immotivata.

Bilbo gemette, e Dis non riuscì a trattenere un sbruffo “Te l’avevo detto che non dovevamo affidarci a lui.” si lamentò tra i denti, rivolta all’amico sconfortato quasi quanto lei “Non sa cosa sia la discrezione.”.

“Nemmeno voi, se è per questo.” obbiettò un filino divertito Thorin “La prossima volta che vi nascondete, gridate più forte, mi raccomando. Credo che giù nelle fucine non vi abbiano sentito.”.

Dis gli lanciò un’occhiataccia, ma il principe non ne parve per nulla turbato. “Filate, ora.” ordinò con un cenno del capo.

La principessa lo fulminò un’ultima volta, prima di girarsi ed aiutare i due amici ad alzarsi da terra. Quando entrambi furono in piedi, mormorò un innervosito ‘Andiamo’ e il trio fece per raggiungere la porta, prima che il nano dai capelli corvini chiamasse i due ragazzi.

“Ah, Bilbo e Bofur. Ovviamente anche i vostri genitori saranno informati.” assicurò, scrutando i due con un’espressione tanto severa quanto quella solitamente riservata alla sorellina “E non voglio trovarvi più a combinare guai in giro quando tornerò. Sono stato chiaro?”.

Bofur deglutì visibilmente, quasi terrorizzato “S-sì, principe.”.

Bilbo rimase in silenzio, e Thorin si rivolse direttamente a lui, studiandone il viso arrossato “Sono stato chiaro, akhûnith?”.

Il piccolo si dondolò appena sui talloni “Sì, Thorin.” mormorò piano senza mai distogliere lo sguardo da quello del principe, il quale lo fissò per qualche altro momento prima di fare a tutti loro segno di andarsene.

I tre, per quella volta, gli ubbidirono.

 

~~~~΅΅~~~~

 

“Che cosa?” esclamò ad alta voce Bilbo, facendo voltare verso di lui una mezza dozzina di nani, che gli rifilarono un’occhiataccia. Lui non ci badò ed insistette ancora “Cosa significa che Dis non può più uscire dalle sue stanze?”

“Significa che non può più uscire dalle sue stanze.” replicò Bofur, guardandosi irritato attorno “E se abbassi la voce prima che tutti possano sentirci, ti spiego anche il perché.”.

Lo hobbit sbruffò, ma allo sguardo ammonitore di Frerin, che stava correggendo altri due allievi non troppo distanti da loro, finse di tornare al suo addestramento e ripeté una delle prese al collo che gli erano state mostrate poco prima.

“Dai, dimmi.” sussurrò in modo che solo l’amico potesse sentirlo.

Bofur si liberò rapidamente dalla stretta del compagno, troppo debole per riuscire davvero a trattenerlo “Beh, a quanto padre il principe Thrain si è arrabbiato molto per il nostro ultimo tentativo di partire per i Colli Ferrosi, la settimana scorsa. Così tanto che ho punito sia Dis che il principe Frerin, obbligandoli a restare chiusi nelle loro stanze per un mese, senza poter uscire per alcuna ragione al mondo, controllati ora dopo ora in modo che non possano disubbidire.”.

Il più piccolo aggrottò la fronte “Allora perché Fre è qui?” chiese confuso, indicando il giovane principe con il mento, che ora gli dava le spalle e mostrava per l’ennesima volta ad un nanetto come stringere il collo del compagno senza fargli male.

“Beh, per lui è stato costretto a fare un’eccezione, visto che in assenza di Dwalin è il suo apprendista a dover mandare avanti gli allenamenti.” spiegò, afferrandolo per il collo con una mossa troppo delicata per fargli davvero male “Può uscire solo negli orari di lezione, e solamente per venire qui. Per il resto, deve fare anche lui una vita da recluso per altre tre settimane.”.

“Che storia assurda.” tentò di spezzare la presa, ma senza troppo successo “Non riesco a credere che amad non me lo abbia detto.”.

“Io non riesco a credere che ti abbia proibito di venire agli allenamenti come punizione! E per un’intera settimana!” gemette Bofur, come se solo pensare a quella settimana di solitudine gli mettesse i brividi “Ma come mai è stata così severa? Alla fine non abbiamo fatto nulla di male.”.

“Non lo so, ma posso giurarti che non l’avevo mai vista così arrabbiata.” fece l’altro, riuscendo ad allentare la stretta quel tanto necessario per scivolare via da sotto, come una piccola anguilla “Comunque, tu sei riuscito a vederli partire, Thorin e gli altri?”.

Il nano scosse la testa “Sono partiti in gran segreto, di notte. È tutto quello che so. Hanno fatto ogni cosa in modo che lo sapessero meno persone possibili.” storse la bocca, per niente convinto da quella faccenda “Non riesco a capire perché. Stanno andando in visita ufficiale dal fratello del Re, non in una qualche assurda missione che deve restare segreta.”

Lo hobbit scrollò le spalle “Non riesco a capirlo nemmeno io, è cos-ah!”.

Bilbo sentì un braccio forte stringersi all’improvviso e con decisione attorno al suo collo, togliendogli il fiato, mentre un mano callosa gli teneva stretta la nuca, tirando dai capelli tanto da fare male. D’istinto tentò di liberarsi, ma il suo ignoto avversario era molto più grande e forte di lui e la sua presa ferrea e sicura.

Bofur gridò, ma non riuscì a capire bene cosa, non con le orecchie che iniziavano a fischiargli forte, mentre le sue mani sottili perdevano sempre di più la presa su quelle braccia fin troppo forti per lui e tutto diventava sfumato ed evanescente . . .

Poi, appena un secondo prima che tutto si facesse scuro, la stretta attorno al collo svanì, rapida com’era arrivata.

Il piccolo hobbit si afflosciò su se stesso, e fu solo grazie ad un paio di braccine gentili e pronte che non cadde a terra.

“Bilbo, Bilbo! Riesci a sentirmi?”

Il ragazzino espiro ed inspirò a fondo, reggendosi debolmente al corpo tremante accanto al suo, sentendosi come se stesse per perdere conoscenza da un momento all’altro.

Dopo qualche momento, però, i puntini davanti al suo viso iniziarono a dilatarsi e sotto di lui la terra riprese la sua solita consistenza, smettendo finalmente di girare.

Inspirò a pieni polmoni un’ultima volta, prima di riuscire ad annuire appena, sfiorandosi il collo dolorante.

Bofur emise un sospiro sollevato e aprì la bocca per parlare, ma ogni sua parola fu coperta da un grido terribile.

“Per Mahal, che cosa diavolo avevi in mente?”

Bilbo sollevò con difficoltà lo sguardo, e dritto davanti a lui, come se gli stesse facendo scudo con il proprio corpo, vide Frerin, furioso come un leone di montagna. E appena di fronte, in silenzio ma con un’espressione malvagiamente divertita scolpita su viso, stava Goind.

Il ragazzo perse quel poco di aria che i suoi polmoni affaticati erano riusciti a riconquistare ed indietreggiò, mentre l’antico terrore tornava a farsi sentire, forte e travolgente come se non se ne fosse mai andato.

“Cosa pensavi di fare?” ringhiò ancora il biondo, ancora più rabbioso di fronte al silenzio del nano “Potevi soffocarlo o addirittura spezzargli il collo! Te ne rendi conto, sì o no?”.

Goind si strinse nelle spalle, come se quelle parole non lo scalfissero minimamente “Non stavo facendo nulla di male.” rispose nella maniera più naturale del mondo, come se ci credesse davvero. Un ghigno sprezzante gli curvò le labbra in alto, mentre continuava, indicandolo con il mento “Ho visto che non riusciva ad eseguire correttamente le presa, e ho pensato che se l’avesse provata sul proprio corpo l’avrebbe imparata più in fretta. Con il resto ha funzionato, come abbiamo potuto vedere tutti il mese scorso.”.

Accanto a lui Bofur si irrigidì, lo sguardo solitamente gentile che si induriva, come se fosse sul punto di lanciarsi in avanti e colpirlo lui stesso. Frerin fece un passo in avanti e minacciò, la voce  gelida “Fagli un’altra volta del male e non metterai più piede in queste Sale. Sono stato abbastanza chiaro?”.

Quegli occhi neri come l’oscurità si strinsero, improvvisamente furiosi.

“Certo.” sibilò il nano, con tutto il veleno che aveva dentro, per poi aggiungere sarcastico “Non sia mai che qualcuno tocchi il cucciolo dei Durin, vero?”.

Scoppiò a ridere, e la sua fu una risata breve, ma falsa ed in qualche modo profondamente disturbante.

“Non solo dobbiamo condividere le nostre tradizioni con uno sporco hobbit, ma anche fingere che ciò ci vada bene.” ringhiò, improvvisamente di nuovo severo, per poi aggiungere con tono beffardo e falsamente servile, mimando un piccolo inchino “Oh, ma se questo fa piacere ai giovani principi … “

“Fuori di qui!” ruggì Frerin, i grandi occhi chiari che bruciavano di pura furia “Vattene, prima che sia io a trascinarti fuori con la forza!”.

Goind indietreggiò d’istinto, ma solo di un passo, prima di recuperare il controllo e rispondere velenoso, chinando appena la testa “Come desidera, mio principe.”.

Poi, dopo aver gettato uno sguardo di fuoco al piccolo hobbit, si girò e se ne andò quasi vittorioso, consapevole di avere gli occhi dell’intera sala puntati addosso.

Il giovane Durin lo seguì con lo sguardo fino a quando non si chiuse l’uscio alle spalle. Poi, si guardò attorno ed esclamò a gran voce “Beh, cosa avete tutti da guardare? Tornate al lavoro!”.

I nani si riscossero, come risvegliati da un sonno improvviso, e tutti distolsero lo sguardo e tornarono ad allenarsi, anche se con un lieve bisbiglio qua e là.

Subito, Frerin si voltò e si inginocchiò accanto a Bilbo, sul viso l’espressione più preoccupata che gli avesse mai visto “Stai bene, Bilbo? Riesci a respirare?”.

Lo hobbit annuì appena “Sto bene, non preoccuparti.” sussurrò a fatica, sentendo la gola bruciare ad ogni singola sillaba.

Non convinto, il principe gli fece alzare il capo e gli studiò il collo, per poi prendergli delicatamente il polso e contarne i battiti, accelerati ma più per la paura che per altro. “Forse è meglio che ti stenda un po’.” disse, per poi rivolgersi a Bofur, che non aveva lasciato l’amico nemmeno per un momento “Andresti a chiamare mastro Oin? Voglio che gli dia un’occhiata.”.

“No.” si oppose Bilbo con improvvisa forza, cogliendo entrambi di sorpresa “Non mi stendo e non voglio mastro Oin. Non ne ho bisogno. Sto bene.”.

Frerin storse la bocca “Bilbo . . .”

“Ho detto che sto bene!” ringhiò il piccolo, mettendosi più dritto che poteva e sollevando il mento “Non ci vuole così poco per mettermi fuori gioco.”.

“Bilbo . . .” si intromise Bofur, teso “Il principe Frerin ha ragione. Dovresti . . .”

Lo hobbit si strappò dalla sua stretta “Non dovrei fare nulla. Sto bene.” ripeté freddo, come se quelle premure gli dessero solo fastidio “Riprendiamo l’addestramento, shândabi?”.

Il principe e il nanetto si scambiarono un sguardo preoccupato che ebbe solo l’effetto di irritare il ragazzo ancora di più. “Shandabi?” fece ancora, rivolto al compagno.

Alla fine, non senza indecisione ed incertezza, questi cedette “Shandabi.”sospirò, mettendosi in posizione ma senza riuscire a nascondere la propria preoccupazione.

 

                                                                     ~~~~΅΅~~~~ 

 

Toc-toc.

Un lento e basso bussare alla porta spezzò il silenzio che riempiva l’elegante camera da letto, con l’unico risultato di irritare la già terribilmente scontrosa abitante, che però si ostinò a non rispondere.

Toc-toc.

Dis alzò gli occhi al cielo “Aye, sono ancora chiusa qui, Drondur.” gridò quasi, con un tono particolarmente esasperato “Non me la sono filata, non preoccuparti.”.

“La smetti di gridare? Sono io!” sibilò immediatamente una vocina bassa ma chiara da dietro la porta, con urgenza e un po’ di stizza.

La principessa aggrottò la fronte, pensando per un momento di essersi solo immaginata quella voce. Ma, nel dubbio, si alzò da terra e corse alla porta, aprendola quel poco che bastava per sbirciare fuori, trattenendo poi a stento uno strillo di gioia.

“Bilbo?!”

Il piccolo hobbit le fece segno di tacere, guardandosi ansiosamente alle spalle, e la ragazza aprì la porta il minimo indispensabile per farlo scivolare dentro.

Quando il compagno fu al sicuro dietro di lei chiuse la porta, infilò decisa la chiave nella serratura e la girò, per poi toglierla, farla cadere senza pensarci a terra e spiare dal buco, controllando che nessuno li avesse sentiti e stesse venendo ad accertarsi del motivo di quel casino.

Poi, con un enorme sorriso entusiasta, saltò letteralmente addosso all’amico, stringendolo nell’abbraccio più soffocante che avesse mai ricevuto. “È bellissimo vederti, ‘ilbo!” esclamò, incapace di trattenersi.

Bilbo sorrise appena, tentando senza troppa convinzione di scrollarsela di dosso “La reclusione forzata ti sta facendo male, vedo. Sei diventata addirittura affettuosa.”.

A quelle parole, la ragazza si staccò di scatto e gli tirò un pugno alla spalla, strappandogli un gemito di dolore “Mi hai colta in un momento di debolezza.” rispose, fingendosi irritata “Non succederà mai più.”.

Nonostante le sue parole un sorriso ancora più grande le illuminò il viso “Per la barba pelosa di Mahal, come hai fatto ad arrivare qui e superare le guardie?”.

Lo hobbit scrollò le spalle, come se si trattasse di una cosuccia da nulla “Ho i miei metodi.” rispose solamente, con un ghigno criptico.

La principessa ridacchiò appena, scuotendo la testa e buttandosi a sedere scomposta sull’enorme baldacchino. “Non ci speravo più.” ammise, per poi lamentarsi con una smorfia “Sono quasi due settimane che sono rinchiusa qui. Due settimane, riesci a crederci? Drondur e Gris tengono d’occhio me e Fre, e il nonno passa a controllarci abbastanza spesso. Balin invece trascorre quasi tutto il suo temo con me ed ogni tanto si fa vedere anche la tua amad. È stata lei a farti entrare?” chiese, incuriosita.

“Amad?” ripeté il ragazzo, sedendosi di fronte a lei e tirandosi indietro un ciuffo ribelle di capelli “Figurati. Mi tiene alla larga da qui come ci fosse un drago. Credo che ritenga questa separazione forzata la migliore punizione che potessi avere.”

“Ah giusto, come ti ha punito dopo che Thorin ha fatto la spia? E Bofur? È finito nei guai per colpa mia?” domandò ancora, non riuscendo a nascondere un pizzico di preoccupazione.

Bilbo scosse appena la testa “Bofur è a posto, stai tranquilla. Credo che sia un po’ terrorizzato da Thorin, visto che non ha ancora smesso di tremare, ma per il resto sta benone.” la rassicurò “Si è beccato solo una gridata di due ore e mezza e la promessa solenne che se si farà di nuovo rimproverare da un membro della tua famiglia passerà i prossimi dieci anni ad aiutare suo fratello nelle cucine.”.

All’improvviso si batté una mano sulla fronte, trattenendo un’imprecazione, e si infilò una mano in tasca, tirando fuori dopo qualche secondo sotto lo sguardo curioso di lei un fagottino un po’ rovinato “Stavo quasi per dimenticarmene, ti manda questo.” spiegò, porgendoglielo “Avrebbe voluto portartelo di persona, ma non siamo riusciti a trovare un modo per venire qui entrambi.”.

Dis aggrottò la fronte, afferrò curiosa il fagottino e lo aprì, per poi fissare stupita la dozzina di biscotti al cioccolato un po’ sbriciolati nascosti dalla stoffa.

“Oh.” Per un secondo rimase senza parole, evidentemente toccata da quel gesto gentile ed inaspettato. “Digli grazie da parte mia.” mormorò in fretta, tentando inutilmente di nascondere la sua sorpresa. Si alzò dal letto e poggiò con attenzione il prezioso bottino sul tavolo, accanto ad una marea di vecchi libri.

“Comunque, non posso dargli torto se è rimasto traumatizzato da Thorin, poverino.” fece mentre tornava al letto e ci si ributtava sopra, cercando di riprendere la conversazione nonostante il sorrisetto di Bilbo, divertito da quel momento di stupore sincero e di tenerezza dell’amica. “Nadad sa essere molto intimidatorio quando vuole, con quella sua facciaccia severa e gli occhi freddi. Tutti i ragazzi della Montagna hanno paura di lui, in effetti.”. Gli occhi luminosi della principessa si fecero birichini, e lei aggiunse con finta nonchalance “Tutti tranne un certo hobbit di fronte a me, ovviamente.”.

La punta delle orecchie di Bilbo si colorarono appena di rosa, ma lui non se ne accorse, o forse finse di non accorgersene.

“Perché non c’è alcun motivo per avere paura di Thorin. Siete voi che siete troppo testoni per capirlo.” ribatté semplicemente, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

“Certo, come vuoi.” replicò la bionda con uno sbruffo, per poi ritornare al discorso di prima “Tu, invece? La tua amad si è arrabbiata davvero così tanto?  Non riesco ancora a credere che ci abbiano scoperto, comunque. Era un piano talmente perfetto!” si lamentò, ancora seccata al solo pensiero “Se avessimo saputo in anticipo il loro percorso, avremmo potuto seguirli per un buon tratto e poi mostrarci quando sarebbe stato troppo tardi per riportarci indietro o chiamare qualcuno dalla Montagna affinché ci recuperasse. La scorta di Thorin era già ridotta all’osso, non avrebbero potuto sacrificare una persona per ricondurci a casa, e così avrebbero dovuto per forza farci venire con loro.”.

“Lo so. Forse è proprio perché era così ben fatto che amad era tanto incavolata. ” rispose  lo hobbit, scuotendo la testa come se non riuscisse ancora a crederci veramente “Davvero, non l’ho mai vista più furiosa. Non mi ha permesso di andare agli allenamenti per una settimana intera, né da qualsiasi altra parte, se è per questo. È stata un po’ una punizione anche per Bofur, visto che è rimasto da solo per giorni interi. “ aggiunse sentendosi quasi in colpa, per poi domandare “Tu come passi il tempo qui?”

“Ad annoiarmi. E studiare un sacco.” spiegò, alzando gli occhi al cielo ed indicando i libri aperti che l’aspettavano sul tavolo “Balin trascorre fin troppe ore con me. Credo di fargli pietà, però. Dopo circa una settimana ha smesso di illustrarmi i vari alberi genealogici ed ha iniziato a raccontarmi alcune delle più grandi battaglie della nostra storia. È affascinante, quella parte.” ammise, lo sguardo che brillava appena.

L’amico ovviamente lo notò subito “Non ci credo. Ti sta piacendo studiare. Ti sta finalmente piacendo studiare.” esclamò, incredulo “Balin e l’isolamento forzato ti stanno domando?” chiese divertito, prendendola chiaramente in giro.

La principessa sollevò altezzosamente il mento, come se quella insinuazione fosse una grave offesa da smentire ad ogni costo “Mai.” affermò orgogliosa e decisa, strappando al compagno una risatina.

Lo hobbit scosse di nuovo la testa, per poi farsi un po’ più serio e commentare dopo qualche momento “Non riesco davvero a capire come tuo adad abbia potuto decidere di chiuderti qui. Per un mese, poi! Non credevo che potesse arrabbiarsi tanto. Abbiamo combinato guai mille volte peggiori.”.

A quelle parole, gli occhi vispi dell’amica persero il loro tipico luccichio e la ragazza si morse l’interno della guancia, come improvvisamente a disagio “Lo so.” disse piano, come pesando le parole “Ma per lui, questo è più grave di qualsiasi altri guaio.”.

Bilbo aggrottò la fronte, confuso sia da quella frase che dal suo improvviso cambiamento d’umore “Perché?”.

Dis abbassò lo sguardo, giocherellando con la punta della sua treccia sul punto di sciogliersi “A causa di amad.” mormorò dopo qualche momento di incertezza.

Le pupille dell’amico si dilatarono appena, e questi si mosse a disagio, non sapendo cosa fare.

Non sapeva molto della madre di Dis, Freis, a parte che era morta prima che lei compisse un anno. Era stata molto amata, dal principe e dal suo popolo, ma nessuno ne parlava mai, nemmeno i tre fratelli. Probabilmente faceva ancora troppo male, nonostante fosse passato tanto tempo.

Prima che Bilbo riuscisse a pensare a qualcosa da dire o anche solo sporgersi in avanti e stringere la mano dell’amica, quest’ultima si riscosse e disse, in tono fintamente sereno e scherzoso “Ma non cambiare discorso, ancora non mi hai spiegato come hai fatto ad entrare, mastro scassinatore.”.

Lo hobbit esitò, ma alla fine decise di darle corda, rendendosi conto che evidentemente non se la sentiva di parlarne.

“Non è stato facile, non fanno avvicinare nessuno e le guardie sono praticamente incorruttibili. Alla fine, ho convinto Frerin a portarsi dietro per circa una settimana una sacca, sai, di quelle grandi, che servono per portare in giro gli attrezzi per lucidare asce e spade e quel tipo di roba. Solo che oggi dentro, al posto dei vari attrezzi, c’ero io.” spiegò, non senza un piccolo moto d’orgoglio per quell’astuzia.

Dis fischiò sommessamente, sinceramente colpita “E Drondur non si è accorto di niente?”.

“No. Credo che si sia stancato di controllare ogni giorno che dentro non ci fosse nascosto niente di compromettente. Ci ha fatto passare senza sospettare nulla.”

La bionda batté le mani, gli occhi che riprendevano lentamente a brillare di nuovo “Tu sei uno scassinatore a prova di guardia, Bilbo Baggins.”

“A prova di nano, vorrai dire.” ribatté, aggiungendo ironico  “Cosa non molto difficile, visto che siete talmente scemi . . . ouch!” gemette, piegandosi su se stesso quando la gomitata improvvisa dell’amica lo colpì al petto, togliendogli per un attimo il respiro.

Si aspettava di sentire la compagna ridere al suo lamento e alla sua espressione sofferente, ma invece un silenzio improvviso scese tra di loro, e quando rialzò lo sguardo il viso di Dis era di nuovo scuro, qualsiasi traccia di allegria improvvisamente scomparsa ancora una volta.

“Come stanno andando gli allenamenti?” chiese a bruciapelo, scrutandolo come se stesse cercando su suo viso una verità nascosta.

Lo hobbit si irrigidì appena, ma rispose con fare noncurante “Bene. Frerin tenta di farli durare il più possibile, in modo di non dover tornare troppo presto nelle sue stanze, ma per il resto è tutto come sempre.”.

“Ma davvero?” insistette di nuovo la ragazza con tono severo, mentre i suoi occhi si assottigliarono “E allora perché Frerin mi ha detto che Goind ha iniziato a dare di nuovo problemi?”

Bilbo si immobilizzò praticamente sul posto. Certo, avrebbe dovuto aspettarselo. Frerin non avrebbe mai nascosto una cosa del genere a Dis, nemmeno in un milione di anni. “Non preoccuparti.” si affrettò a rassicurarla, mascherando la sua improvvisa tensione e tirando fuori il suo sorriso più convincente “Non è successo nulla di che. Sto bene, davvero.”.

“Ah sì?” ribatté con stizza la nana, improvvisamente irritata.

Allungò una mano e gli fece sollevare con veemenza la testa, esponendo bene alla luce quei larghi lividi violacei che per tutta la settimana aveva nascosto sotto il colletto alzato della camicia e che lei aveva notato solo quando si era piegato, mostrandoli senza rendersene conto.

“E questi segni sul tuo collo?” sibilò, quasi furiosa per la bugia dell’amico “Dubito fortemente che te li abbia fatti Bofur.”.

Il ragazzino si liberò in fretta da quella presa, allontanandosi un po’ da lei e tirandosi ancora più in su il colletto, anche se ormai era inutile tentare di nasconderli “Non è niente, non preoccuparti.” ripeté ancora una volta.

“Smettila di mentire.” intimò la bionda, incrociando le braccia “Con gli altri funzionerà, forse, ma con me no.”. Sembrava davvero, davvero arrabbiata, e quando continuò il suo tono era quasi velenoso “Frerin mi ha raccontato tutto. Ha detto che Goind ha approfittato di un momento di distrazione e ti ha fatto una presa talmente improvvisa da non darti modo di reagire. Mi ha detto che è intervenuto appena ha sentito Bofur gridare, ma era così forte che stavi già perdendo conoscenza. Mi ha detto che se non l’avesse fermato, nel giro di altri dieci secondi saresti soffocato.”.

“E io ti ho detto che non è successo niente.” ribadì nuovamente il più piccolo, per poi aggiungere tagliente, iniziando ad irritarsi “Non credere a tutto quello che dice Frerin, lo sai che tende a gonfiare le cose per far sembrare le sue storie più affascinanti.”

Dis strinse i pugni, evidentemente furiosa del fatto che stesse tentando di far passare tutta quella storia per una cosa da nulla, dopo quello che era successo in passato. “Bilbo, per favore.” sibilò, lentamente ma con forza.

Lo hobbit scese da letto si scatto, senza più guardarla “Devo andare.”.

“Ora non azzardarti a fare l’offeso!” esclamò la compagna, scendendo a sua volta con un balzo e guardandolo male, aggiungendo poi con un pizzico non abbastanza celato di tensione “Sono solo preoccupata per te.”.

Bilbo sospirò appena a quelle parole, e solo in quel momento rialzò lo sguardo e disse, nuovamente con gentilezza “Lo so, ma non devi esserlo. Non succederà più niente del genere, vedrai.”.

Poteva vedere dai suoi occhi severi che non era affatto convinta, e così si affrettò a continuare prima che potesse aggiungere qualcosa, facendo un piccolo sorriso e usando un tono infinitamente più sincero “E comunque non sto facendo l’offeso. Devo andare davvero ora, prima che amad si accorga che sto facendo tardi e decida di farmi restare lontano dalle sale d’addestramento un altro po’.”.

La principessa storse la bocca, ma sapeva che non sarebbe riuscita a strappargli niente, non quando si impuntava in quel modo. Così chiese, ancora abbastanza irritata “E come fai ad andartene, sentiamo?”.

“Fidati, non vuoi saperlo.” replicò, scuotendo appena la testa.

“Sì invece.”

Lo hobbit si strinse nelle spalle “Beh, hai visto che la vecchia Gin ogni venerdì intorno a quest’ora, viene a ritirare i vestiti sporchi di Frerin per lavarli? Stavolta, in mezzo a tutta quella roba, ci sarò anche io.” spiegò semplicemente.

La nana non riuscì a reprimere una smorfia di disgusto “Ma che schifo!”.

“Ti ho detto che non volevi saperlo.” fece lui, con un sorrisetto da monello.

Lei aggrottò la fronte, chiaramente confusa “Scusa, ma come farai a sgattaiolare via prima che ti butti in acqua con tutte le tuniche luride di Fre?”.

“Ecco. . .” esitò per un momento, prima di ammettere un po’ imbarazzato “Quella è una parte che devo ancora elaborare.”.

La ragazza alzò appena gli occhi al cielo e scosse la testa “Sei un idiota.”.

“Ci deve essere in fondo qualcosa che ci accomuna, no? Altrimenti non andremmo così d’accordo, principessa degli idioti.” ribatté scherzoso l’altro, prima di fingere un piccolo inchino e aggiungere “Ora mi scusi, maestà, ma devo andare ad prendere il mio passaggio, per quanto disgustoso possa essere. “.

Si girò, raggiunse la porta, raccolse la chiave da terra e la infilò nella serratura, ma prima che potesse girarla Dis lo chiamò, questa volta con un tono decisamente preoccupato,

“‘ilbo.”.

Lo hobbit chiuse gli occhi per un attimo, per poi voltarsi e osservare la compagna che, evidentemente tesa, si torturava le dita e lo fissava come se non volesse più lasciarlo andare.

“Per favore, stai attento.” sussurrò lentamente, quasi stesse cercando le parole giuste “Almeno fino a quando non esco da qui. Sta alla larga da Goind e dalla sua banda. Non andare mai in giro da solo. Resta con Bofur. Non staccarti mai da lui.”.

Bilbo fece un respiro profondo, prima di sorridere gentilmente.

“Io sto sempre attento, Dis.” la rassicurò con dolcezza “E, ancora una volta, non preoccuparti. Non succederà nulla, vedrai.”.

Poi con un ultimo, breve sorriso, si girò ancora, spalancò la porta e scivolò via in fretta, silenziosamente come solo lui sapeva fare.

 

 

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Belladonna sentì sbattere con forza la porta, ed avrebbe pensato che si trattasse di Drifa se non avesse sentito i passi leggeri, quasi impercettibili, percorrere in fretta il corridoio.

Alzò gli occhi dal foglio metà scarabocchiato e metà macchiato d’inchiostro, confusa, e ascoltò suo figlio correre verso la sua camera, proprio accanto alla propria, e chiudersi la porta alle spalle con altrettanta decisione. Rimase in ascolto anche mentre gemeva e prendeva a pugni un cuscino, borbottando a mezza voce in Khuzdul.

Solo allora la hobbit sospirò e si alzò, tirandosi indietro i capelli arruffati. Il rapporto per il Re avrebbe aspettato, per il momento.

Aprì la porta della propria stanza e raggiunse quella accanto, rimanendo in attesa qualche secondo – riuscì a cogliere altri borbottii in Khuzdul, troppo veloci e difficili per poterli però comprendere-  prima di bussare.

Per un breve momento ci fu un timido silenzio, ma poi la voce del bambino la raggiunse, controllata quasi a regola d’arte “Aye amad, sono tornato. Ho fatto un po’ tardi, Frerin ci ha trattenuto più del previsto.”.

La donna strinse le labbra. Suo figlio stava diventando un piccolo imbroglione ed era anche un discreto bugiardo quando non si faceva prendere dal panico, ma lei lo conosceva fin troppo bene per non riconoscere quella sfumatura quasi impercettibile nella sua voce.

Socchiuse lentamente la porticina e si affacciò, cercandolo con lo sguardo. Lo trovò rannicchiato sul letto, un cuscino stretto tra le manine e i grandi occhi blu incredibilmente lucidi, molto più di quanto l’avesse mai visti, in effetti.

Allarmata, Belladonna scivolò dentro “Cosa è successo, tesoro?” chiese chiudendosi la porta alle spalle.

Il piccolo scosse la testa, fingendo un sorriso “Nulla, amad. Sono solo un po’ stanco, tutto qui.” rispose, lasciando andare il cuscino “Torna pure a lavorare.”.

La hobbit percorse la stanza in pochi passi, per poi sedersi sul letto proprio accanto a lui “Non torno a lavorare fino a quando non mi spieghi cosa è successo.”.

Il bambino gemette, evidentemente infastidito da quell’ostinazione  “Amad . . .” iniziò, ma ella non gli diede modo di dire altro.

“Bilbo.” fece quasi severamente, incrociando le braccia e fissandolo come se potesse leggergli dentro “Resterò qui fino a quando non sputerai fuori il rospo, sappilo. Quindi, o parli oppure parli. A te la scelta.”

Lui sbruffò, alzando gli occhi al cielo con esasperazione. Sapeva che quando sua madre si impuntava in quel modo niente e nessuno riusciva a farle cambiare idea, nemmeno lui. Anzi, soprattutto lui. Era testarda tanto quanto una qualsiasi nana, purtroppo. Sarebbe davvero rimasta lì fino a quando lui non avrebbe parlato e le avrebbe detto tutta la verità, senza tralasciare o nascondere nulla, e lo sapeva fin troppo benne.

Rimasero in silenzio per una buona decina di minuti, lei in paziente attesa, lui teso e in difficoltà.

Alla fine però, il piccolo sospirò pesantemente e cedette, ammettendo con un filo di voce “Sono andato a trovare di nascosto Dis.”.

Bella lo fissò senza parole, stupita.

Credeva che gli fosse successo qualcosa nelle Sale, qualcosa che l’avesse finalmente spinto ad ammettere almeno a se stesso quando l’ultimo attacco di Goind l’avesse spaventato e ferito. Credeva che si fosse deciso a parlarne, visto che aveva evitato l’argomento per tutta la settimana non solo con lei, ma anche con Bofur e Frerin. Credeva . . . beh, qualsiasi altra cosa, piuttosto che quello. Anche se, tutto sommato, avrebbe dovuto immaginare che avrebbe tentato in tutti i modi di vedere l’amica. Da quando erano arrivati ad Erebor, Bilbo non era stato lontano da lei nemmeno un giorno; quelle due settimane di separazione probabilmente facevano male a lui quanto a lei, e forse ancora di più.

“Come hai . . . no, non voglio saperlo, non ora almeno.” disse, scuotendo appena la testa “Piuttosto, perché sembri così abbattuto? Avete litigato?”.

“No. Non proprio, almeno.” negò “Per un po’ è stato come al solito, ma poi lei . . . lei ha notato i miei lividi.”. Si portò una manina al collo, dove poteva quasi sentire bruciare ancora la pelle nei punti in cui gli erano rimasti i segni “Ha iniziato a chiedermi di Goind, ed ad agitarsi ed arrabbiarsi quando le ho detto che non era successo niente. E poi, quando me ne stavo andando, ha iniziato a farmi mille raccomandazioni ed a dire che era preoccupata per me e roba così.”

“Beh, mi sembra normale.” osservò la mamma, aggrottando confusa la fronte “Dis ti vuole bene, Bilbo. Sei il suo migliore amico ed odia quando qualcuno ti fa del male. Sapere che Goind ti ha ripreso di mira e non poterti proteggere probabilmente la spaventa più di quanto sia disposta ad ammettere.”.

“Ma io non voglio che lei mi protegga!” urlò Bilbo, perdendo il controllo e lasciandola senza fiato.

Sbatté le palpebre un paio di volte per poi abbassare lo sguardo sulle proprie mani, serrate a pugno con tanta forza da rendere le nocche bianche.

“Non voglio che lei mi protegga, né che lo faccia qualcun altro.” sussurrò piano, con un filo di voce “Non voglio che tutti si preoccupino costantemente per me, che pensino sempre che io non possa farcela da solo. Non voglio sembrare talmente fragile da non poter sopravvivere senza un nano qualsiasi a guardarmi le spalle. Perché non lo sono. Io non sono fragile. Non come credono loro.”

Sua madre rimase in silenzio, incerta su cosa dire. Ma il piccolo continuò a parlare, lentamente, come se si fosse tenuto dentro tutto questo per troppo tempo e adesso non riuscisse più a fermarsi.

“Pensavo che fosse finita. Pensavo di aver dimostrato di poter essere forte anche io. Pensavo che ora nessuno mi avrebbe più fatto niente. Ma mi sbagliavo. Un mese, e sono tornato ad essere agli occhi di tutti quello che ero prima.” ammise, quasi con dolore.

Chiuse gli occhi, stringendoli con forza per trattenere quelle lacrime che non aveva alcuna intenzione di mostrare “Sono stanco, amad. Sono stanco di essere visto da tutti solo come uno hobbit, una cosina fragile, capace di spezzarsi per qualsiasi piccola cosa. Non solo Goind, ma anche Bofur, Frerin e Dis. Soprattutto Dis. Per loro sono solo un qualcosa di delicato, di cui bisogna preoccuparsi e che va protetto, altrimenti si spezzerà in mille pezzettini minuscoli.”

Si rannicchiò su se stesso, portandosi le ginocchia al petto ed avvolgendole con le braccia, per poi nasconderci il viso contro. “Ma io non sono questo.” gemette, la voce sul punto di spezzarsi “Non voglio essere questo.”.

Belladonna sentì il proprio cuore stringersi dolorosamente  nel sentire quelle parole “Oh, amore mio.” sussurrò “Vieni qui.”.

Prima che il piccolo potesse sottrarsi, la madre lo prese tra le braccia e se lo portò al grembo, stringendolo con dolcezza e cullandolo quasi.

Gli posò una mano tra i ricci ramati e poi, mentre glieli accarezzava con delicatezza, tentando di tranquillizzarlo, disse piano “Sei uno hobbit, e questo è vero. Gli hobbit sono fisicamente meno forti dei nani, ed anche questo è vero. Ma deve essere per forza un male?”.

Bilbo aggrottò la fronte a quella domanda tanto insolita e alzò lo sguardo, guardando perso la madre.

Lei sorrise alla sua confusione e spiegò, continuando ad accarezzargli i capelli “La quercia è alta, dura e forte, eppure quando arriva una tempesta eccola che si spezza, distrutta dal vento e dalla pioggia. Le canne, invece, sono fragili e all’apparenza insignificanti, ma nei momenti difficili niente può spezzarle come invece succede alla fiera quercia.”.

Si fermò un attimo per prendere le mani del figlio tra le sue e portarne una sul proprio cuore e l’altra su quello di lui “Noi hobbit sembreremo pure fragili, ma siamo come le canne al vento; ci pieghiamo senza spezzarci mai. Nessuna tempesta, per quanto terribile, può piegarci. Per questo devi essere orgoglioso di quello che sei, e non permettere mai a nessuno di farti sentire inferiore. C’è una grande forza in te, qualcosa che nessun nano di Erebor potrà mai avere. E, un giorno, tutti riusciranno a vederla. Posso assicurartelo.”.

Il piccolo si morse il labbro, mentre i suoi occhi blu andavano dalle loro mani al viso del genitore. Alla fine obbiettò, quasi testardamente e con un po’ di amarezza “Ma i nani non sono querce. Sono rocce, impossibili da spezzare.”.

Belladonna sbruffò, divertita da quel paragone un po’ ingenuo. “Posso assicurartelo, tesoro. Come la roccia può sbriciolarsi con il tempo, anche un nano può ridursi in tanti frammenti minuscoli, incapace di tornare com’era prima.” confermò, per poi aggiungere ancora “Ma questo non potrà mai accadere a noi, non una volta che abbiamo imparato a riconoscere il nostro valore e la forza che nasconde la nostra fragilità. Non è una scoperta facile, però. Richiede tanto tempo e pazienza, ed è una ricerca che devi intraprendere per capire davvero chi sei e che non puoi in alcun modo evitare.”.

Il bambino sembrò sinceramente colpito da quelle parole, come se avessero toccato una parte della sua anima che non sapeva d’avere.

Abbassò lo sguardo, pensieroso, e rimase così per un po’, prima che la mamma sciogliesse l’intreccio delle loro mani e, scompigliandogli appena i capelli, dicesse ancora “Fino a quando non sarai consapevole della tua forza però, e forse anche dopo, devi imparare ad affidarti alle persone che ti vogliono bene. Ai tuoi amici. Alla piccola famiglia che ti stai costruendo giorno dopo giorno.”.

Lo hobbit alzò lo sguardo, ancora più confuso di prima “Ma . . .” iniziò ad obbiettare, ma lei lo fermò subito.

“Fammi finire.” lo rimproverò piano, prima di spiegare con un piccolo sorriso “Nessuno può riuscire ad affrontare i propri mostri da solo. Non si possono vincere guerre senza degli alleati. Non si può vivere un vita vera senza degli amici. Tu sei fortunato ad averne, e non puoi permetterti di allontanarli.”

Gli accarezzò la guancia destra con le punta delle dita “Non sono spinti dalla pietà o dalla compassione, Bilbo.” mormorò, come se fosse la cosa più scontata ed ovvia del mondo “Semplicemente fanno quello che tu faresti per loro, se i ruoli fossero invertiti. Perché ti vogliono bene tanto quanto tu ne vuoi a loro. Vederti stare male o essere in pericolo li uccide, proprio come ucciderebbe te se fossero loro al tuo posto.”.

Il bambino si mordicchiò l’interno della guancia, pesando attentamente quelle parole prima di chiedere, quasi senza davvero riuscire a crederci “Sei sicura di questo?”.

“Con tutto il cuore. Uno hobbit non può sopravvivere senza le persone che ama.” confermò, per poi esitare ed aggiungere con gli occhi che le brillavano appena “Non sarei qui, se tanti anni fa non mi fossi fidata di quelli che sono diventati non solo i miei migliori amici, ma anche la prima vera famiglia che io abbia mai avuto.”. Si fermò, prima di chiamarli per nome uno per uno, in un sospiro appena udibile “Drifa, Thrain e Freis.”.

Bilbo, riconoscendo quel nome, aggrottò la fronte. “Freis. . . la principessa Freis?” chiese, evidentemente confuso “Anche lei era tua amica?”.

La madre si limitò ad annuire appena “Io, lei e Drifa, per quanto avessimo tutte età e caratteri molto diversi, eravamo un po’ come te, Dis e Bofur. Thrain, poverino, faceva il Frerin della situazione. Era il più tranquillo e serio, mentre noi eravamo. . . diciamo delle pesti non troppo cresciute.” spiegò, con l’accenno di un timido sogghigno.

Lo hobbit esitò appena, incerto se osare o meno, ma alla fine mormorò piano “Dis ha detto che la sua punizione per la nostra tentata partenza è tanto grave a causa proprio di Freis, sua madre. Perché?”.

A quella domanda il viso della donna si fece scuro ed ella si ritrovò a distogliere lo sguardo.

“Non è una cosa di cui parlo volentieri.” rispose, fredda e sbrigativa.

Il piccolo si morse il labbro inferiore, ma non desistette “Per favore, amad. Non l’avevo mai vista tanto triste come quando l’ha nominata e voglio capire perché.” spiegò, con tutta la sincerità che aveva.

Ella parve colpita profondamente da quella spiegazione. Il ragazzo la vide stringere con forza le labbra tra loro, come se volesse fisicamente impedirsi di parlare.

“Io. . . D’accordo.” sospirò dopo interminabili attimi di esitazione e di silenzio “Ma non è una bella storia.”.

Si sistemò meglio sul letto fin troppo scomodo per lei e si tirò il figlio ancora più vicino, stringendolo tra le sue braccia come se avesse bisogno di assicurarsi che fosse là davvero per poter iniziare a raccontare. Rimase muta ed immobile per lunghissimi momenti, ma il più piccolo aspettò pazientemente, senza mai distogliere i grandi occhi blu dal viso, improvvisamente pallido e serio, di lei.

Quando iniziò a raccontare, la sua voce sembrava provenire da anni ed anni di distanza, tanto era roca e malinconica.

“Ho vissuto qua per anni come una delle guardie personali della Principessa. Lei aveva già Thorin e Frerin all’epoca, ed ero con lei quando nacque Dis. Quando aveva quasi un anno di vita ed era abbastanza grande da poter stare senza di lei per qualche tempo, decise che era ora di riprendere una missione diplomatica che aveva lasciato in sospeso quando aveva scoperto di essere incinta. Vedi, lei non era solo una guerriera, ma un’abile diplomatica, per quanto testarda e spericolata.” chiarì, senza però guardarlo “Veniva dai Colli Ferrosi ed era consapevole che per mantenere Erebor forte ed al sicuro dei buoni rapporti con quel regno fossero essenziali.”.

Il ragazzino inclinò la testa, evidentemente confuso “Ma Erebor non è già in buoni rapporti con i Colli Ferrosi?” chiese, non riuscendo a capire “I due re sono fratelli, no?”.

Belladonna finalmente lo guardò, e nei suoi occhi, per quanto nostalgici, c’era la solita tenerezza.

“Nella politica il sangue non basta a garantire la pace, anzi, a volte può essere un fattore scatenante per la guerra.” tentò di spiegargli, per quanto fosse decisamente complicato spiegare qualcosa che nemmeno lei, dopo tanti anni, riusciva a comprendere appieno “Ma questo è qualcosa di troppo difficile da capire per te ora. Tutto quello che ti serve sapere è che tra due popoli alleati ci deve essere rispetto e fiducia reciproca. Freis era certa che avremmo ottenuto ciò se i futuri re fossero cresciuti come fratelli, conoscendo entrambi i due regni come il palmo della propria mano. Venne firmato un patto tra i due regni e fu deciso che i principi sarebbero andati a fare visita ogni cinque anni al proprio cugino per sei mesi, e che lui avrebbe fatto lo stesso. Lei, essendo originaria di quel regno, li avrebbe accompagnati per tutta la durata del viaggio, assieme a guardie e un certo numero di accompagnatori.”

Si fermò, mentre i suoi occhi tremavano appena.

“Ma durante il primo viaggio tutto andò storto.” ammise quasi con dolore, sospirando e portandogli una mano tra i capelli ramati, mentre lui ascoltava, catturato e allo stesso tempo teso come una corda di violino.

“Una notte, quando non eravamo ancora troppo distanti da Erebor ma abbastanza da non poter essere raggiunti in fretta da messaggeri o truppe, fummo assaliti da un gran numero di orchi. Avevano scoperto del viaggio e credevano fosse l’occasione propizia per eliminare la guardia reale, la principessa e gli eredi al trono tutti in un colpo solo. Ci attaccarono mentre eravamo accampati, cogliendoci di sorpresa. Io ero con Freis in quel momento, mentre i due principi erano con una balia in un’altra tenda. Mi chiese di andare a cercarli e tenerli al sicuro, promettendomi che mi avrebbe raggiunta appena fosse riuscita a mettere gli orchi in fuga. Non volevo lasciarla, ma lei mi ordinò di farlo e fui costretta ad ubbidire.”.

Strinse le labbra con forza dopo aver pronunciato quelle parole, come se le avessero fatto male, e dovette prendersi qualche momento per riuscire a continuare.

“Andai a cercare i ragazzi, e quando li trovai la balia e la guardia che avrebbero dovuto proteggerli erano morti ai loro piedi. Frerin era nascosto dietro il fratello, e Thorin. . .” esitò, per poi aggiungere con un tono chiaramente ammirato, come se ancora dopo tanti anni non riuscisse a credere a quello che aveva visto “Thorin, ad appena quattordici anni, impugnava la spada della guardia caduta e tentava di difendersi da un orco grande il triplo di lui. Aveva già un brutto taglio che gli attraversava il braccio sinistro e uno più piccolo sulla fronte, ma resisteva con tenacia e con un’abilità enorme per un bambino non ancora addestrato.”.

Bilbo trattenne il fiato, incredulo.

Poteva quasi vederli davanti a sé, il gigantesco e disgustoso orco sporco di sangue, Frerin piccolo quanto lui e terrorizzato, e tra loro un giovanissimo Thorin, ferito ma con gli occhi azzurri affilati come lame, che combatteva per difendere la sua vita e quella del fratello.

Sapeva che Thorin era un grande guerriero, ma non aveva idea che il suo battesimo di sangue fosse avvenuto così presto, né che aveva avuto la forza di proteggere, senza alcun addestramento, il fratellino più piccolo ed ancora più indifeso di lui. Aveva visto la morte in faccia a solo quattordici anni e gli aveva tenuto testa per proteggere qualcuno che amava.

Ora, tutta quella sua continua apprensione e quell’istinto protettivo nei confronti dei propri fratelli assumeva di fronte ai suoi occhi un significato e un peso ancora più grandi e, in qualche modo, devastanti.

La voce della madre lo strappò dai suoi pensieri “Intervenni ed uccisi l’orco, poi presi i piccoli e li portai più lontano possibile dal centro della battaglia. Quando il combattimento finì, avevamo vinto, ma a caro prezzo. Venticinque di noi erano morti. E tra quei morti, c’era anche Freis.”.

La hobbit chiuse gli occhi, come se ammettere quella terribile verità ad alta voce l’avesse ferita più profondamente di qualsiasi lama. Bilbo, esitante, prese una mano tra le sue e la strinse forte.

Ella rispose quasi con foga alla sua stretta e dopo qualche lungo momento continuò, riaprendo gli occhi ma senza più guardarlo “Presi il comando. Cancellai la missione e riportai tutti ad Erebor. Thrain, distrutto dal dolore, non rispettò il patto, ma tutti capirono. Aver perso la moglie in quel modo era un dolore enorme, ed il rischio che i bambini avevano corso era troppo grande per lasciare che lo affrontassero ancora. I Colli Ferrosi furono comprensivi, per un po’.”.

Si fermò e poi aggiunse quasi con stizza, sibilando tra i denti “Ma da qualche anno insistono affinché Thrain rispetti il patto firmato da Freis. Lui si è opposto a lungo, ma alla fine ha dovuto cedere, per quanto abbia posto delle limitazioni, come l’età minima affinché un giovane nano possa lasciare il regno. Per questo Thorin, appena raggiunta l’età prestabilita, è dovuto partire in gran segreto, con pochi nani fidati.”.

Il bambino aggrottò la fronte “Se il rischio è tanto alto, perché non cancellare il patto?” chiese “Thrain è un principe e Thror un re, avrebbero potuto farlo.”.

Belladonna sospirò e sorrise allo stesso tempo, intenerita da quell’ingenuità tanto spontanea ed innocente, e finalmente lo guardò ancora una volta. “Non funziona così, piccolo.” rispose, accarezzandogli il viso con la mano libera “La diplomazia è molto difficile ed a volte bisogna fare una scelta tra la sicurezza delle persone care e quella del proprio popolo. È quello il compito più difficile di un sovrano.”

“Ma . . .”

“Abbiamo bisogno che questa alleanza sia forte, Bilbo.” lo fermò prima che potesse obbiettare di nuovo. Sospirò ancora e gli scompigliò con dolcezza malinconica i capelli “Ci sono cose che non puoi ancora capire, cose che solo chi è al potere può sapere. Le scelte che gli adulti prendono non sono superficiali, come voi piccoli spesso credete.”

Bilbo fece una smorfia quasi impercettibile, infastidito dall’essere ritenuto troppo piccolo per non riuscire a capire la realtà delle cose, e la madre, notandola, non riuscì a trattenere uno sbruffo divertito ed esasperato insieme. Con tenerezza, gli diede un buffetto sul naso e spiegò “Spesso tentiamo di proteggervi da qualcosa che ancora non conoscete. Se voi tre non avete potuto lasciare Erebor, c’era un motivo. E il motivo è questo.”.

Il bambino si mordicchiò l’interno della guancia, pensieroso. “Per questo Thrain si è arrabbiato tanto di fronte ai tentativi di Dis e Frerin per partire?” domandò infine.

La guerriera annuì gravemente “Ha già perso una moglie per Erebor, ed adesso sta mettendo in pericolo il suo primogenito. Non può permettersi di rischiare anche le loro vite. Lo ucciderebbe.”.

Dovette lottare per non farsi travolgere dal ricordo di quanto il nano si fosse disperato per la morte di Freis e di come sedesse tra i suoi bambini addormentati per vegliarli nel sonno, temendo che qualcosa o qualcuno nella notte glieli portasse via.

Deglutì ed ostinatamente andò avanti “Per questo è stato tanto severo. Soprattutto con Dis. Più cresce e più è identica a sua madre. E Thrain non potrebbe mai sopportare di vedere gli occhi di Freis spezzati un’altra volta.” Si sentì stringere il cuore in una morsa e non poté trattenersi dall’abbassarsi e stringere in un rapido abbraccio il suo piccolo, sussurrandogli piano tra i riccioli ramati “Come io non potrei mai sopportare di vedere spezzati i tuoi.”.

Lo hobbit, colto alla sprovvista da quel gesto e da quelle parole, rispose con forza all’abbraccio, per poi mormorare dopo qualche momento “È per questo tu eri tanto arrabbiata con me?”.

“Sì.” rispose Bella, lasciandolo andare “Sei tutto quello che di più caro ho al mondo, tesoro mio. Non potrei mai più andare avanti, se ti perdessi.” mormorò, accarezzandogli con dolcezza la guancia ancora una volta.

Bilbo, un po’ commosso, la abbracciò stretta stretta ancora una volta, e i due rimasero così a lungo.

Poi, il più piccolo si stacco e guardò il genitore “Avreste potuto semplicemente spiegarci tutto questo, invece di metterci in punizione.” osservò quasi in tono d’accusa, come se fosse la cosa più ovvia del mondo “Non sarebbe stato più facile?”

Belladonna sbruffò, scuotendo appena la testa “Quando diventerai grande ed avrai dei bambini a cui badare sarai tu a scegliere come farlo.” disse “Ma al momento, sei ancora tu il bambino.”.

Lo hobbit sbruffò e la donna gli scompigliò i capelli, prima di storcere il naso ed ordinare “Ora, fila a farti un bagno. Puzzi in una maniera allucinante. Dove ti sei infilato, in un cesto di panni sporchi?”.

Bilbo arrossì e non rispose.

 

 

                                                                     ~~~~΅΅~~~~

 

 

“Dici sul serio?”

Bofur annuì, sorridendo con entusiasmo “Possiamo andare da lui già oggi, un po’ prima che cali il sole.”.

Bilbo saltellò, ancora incredulo da quella bella notizia “Ma vostro adad non si arrabbierà se ci dà i biscotti?” chiese, un filino preoccupato.

L’amico scosse la testa, attraversando al suo fianco il lungo corridoio “Bombur dice di no, ma dobbiamo promettere di non infilarci più in cucina di nascosto. Se manteniamo la promessa, ci penserà lui a passaci qualcosa di nascosto ogni tanto, in modo che né adad né nessun altro lo scopra. Così ci saranno meno guai e casini per tutti.”.

Il ragazzino batté le mani “E’ un patto fantastico!” esclamò “Credo che nemmeno Dis avrebbe da ridire, se fosse qui. Invisibilità e cibo in cambio di meno rimproveri, cosa si può volere di più?”.

“Non dimentichiamo chi è stato a procurarcelo, eh?” disse il nano scherzoso, portandosi una mano al petto e pavoneggiandosi “Non sono un diplomatico eccellente?”.

Il più piccolo scoppiò a ridere “Certo, come. . .” si bloccò improvvisamente, fermandosi per un momento, come se qualcuno l’avesse colpito all’improvviso.

Bofur aggrottò la fronte, confuso, e si fermò a sua volta. “Bilbo, cosa . . .?” chiese, ma prima che l’altro potesse rispondere seguì il suo sguardo teso e si voltò, per restare a sua volta senza fiato.

Goind gli stava venendo incontro lungo il grande corridoio assieme alla sua banda, ridendo e schiamazzando come se non li avesse visti.

L’amico subito allungò la mano verso di lui e lo prese per il polso, sibilando un rapido “Torniamo indietro”, ma i due non ebbero modo di fare due passi che gli occhi neri come l’oscurità di Goind li individuarono, come un falco che punta da lontano le proprie prede.

“Ma guardate chi abbiamo qui.” disse a gran voce il nano, facendo congelare sul posto i due bambini mentre l’intero gruppo si voltava verso di loro, improvvisamente consapevoli della loro presenza. Si avvicinarono a gran passi e per quanto Bofur lo strattonasse lo hobbit era troppo spaventato per riuscire a muoversi, e il lividi di due settimane prima ripresero a bruciare come ferite fresce.

“Lo melekûnh.” sputò Goind con tutto il disprezzo che aveva “I principini ti hanno dato il permesso di girare per la Montagna senza la loro supervisione? Deve essere sconvolgente, per te.”.

Ora era talmente vicino che gli sarebbero bastati cinque passi per afferrare Bilbo dal polso, e forse fu quello finalmente a smuoverlo. Senza riuscire a guardarlo negli occhi, prese l’amico per il braccio e disse piano “Andiamocene.”.

L’altro annuì e i due fecero per tornare da dove erano venuti, ma furono troppo lenti, perché il gruppetto li stava già circondando, bloccandoli all’interno di un cerchio senza via d’uscita.

“Oh nay.” ghignò il capo banda, sorridendo come un serpente affamato di fornte ai loro visi stupiti e spaventati “Voi due non andate da nessuna parte. Non ancora.”.

Lo hobbit prese un respiro profondo e, raccogliendo tutto il coraggio che aveva ma non osando ancora guardare l’avversario negli occhi, disse con voce incredibilmente ferma “Non vogliamo guai. Lasciaci stare.”.

Goind scoppiò a ridere, una risata colma di disprezzo “Sentitelo, ha anche il coraggio di darci degli ordini!”. Ogni traccia di ilarità svanì dalla sua voce e il suo tono divenne duro e crudele come la roccia quando ringhiò tra i denti “Ti senti tanto superiore, eh? Quando capirai che sei solo un randagio accolto per pietà? Tu sei meno di niente! Sei solo un piccolo sudicio hobbit!”.

A quelle parole, qualcosa dentro di lui si sbloccò e gli tornarono in mente, come in un pallido eco, le rassicurazioni di sua madre.

‘Noi hobbit sembreremo pure fragili, ma siamo come le canne al vento; ci pieghiamo senza spezzarci mai. Nessuna tempesta, per quanto terribile, può piegarci. Per questo devi essere orgoglioso di quello che sei, e non permettere mai a nessuno di farti sentire inferiore. C’è una grande forza in te, qualcosa che nessun nano di Erebor potrà mai avere.’

Fu allora che decise che no, Goind non l’avrebbe spezzato. Niente l’avrebbe mai spezzato. Non lo avrebbe più permesso.

“Sono uno hobbit, e allora?” affermò, alzando il mento in un gesto fiero e lasciando che i suoi occhi blu incontrassero e sfidassero quelli freddi del nano“Questo non mi rende inferiore a te, Goind figlio di Gund.”.

Goind a quelle parole ringhiò e strinse i pugni, pronto a fargli rimpiangere quel gesto di sfida e quelle parole orgogliose. Ma prima che potesse fare altro, Bofur si mise tra lui e l’amico.

“Lascialo stare!” gridò, e la sua voce era sorprendentemente dura e ferma “Non vi ha fatto niente. Non si merita niente di tutto questo.”.

Il nano dai capelli color terra strinse i pugni con maggiore forza “Stai zitto tu! Sei peggio di lui. Un nano che fraternizza con uno hobbit. Solo guardarti mi fa venire da vomitare.” sibilò con disprezzo, prima di sputare ai suoi piedi e ringhiare “Algâbikûn!”.

A quel punto, Bilbo esplose.

“Non osare chiamarlo così!” gridò con tutta la rabbia che aveva dentro, spostandosi in modo da essere di nuovo davanti all’amico, proteggendolo col proprio corpo e fulminando il più grande con uno sguardo di fuoco “Bofur è giusto, buono e generoso. È molto più nano di quanto tu potrai mai essere!”

Goind fece un verso di scherno, quasi divertito dall’improvvisa audacia del bambino, ma i suoi occhi brillavano d’ira.

“Ma sentitelo.” si rivolse ai suoi compagni, per poi tornare a guardarlo e buttare fuori con disgusto “Uno hobbit che dice come deve essere o non deve essere un nano. Ti credi tanto importante, vero, solo perché sei il protetto della famiglia reale?”.

Lo hobbit, invece di negare o fare qualsiasi altra cosa, si limitò a lanciargli uno sguardo sarcastico ed a rispondere con aria sicura e noncurante “Credo solo di avere un cervello funzionante, a differenza tua.”.

Bofur dietro di sé trattenne il fiato, mentre l’intero gruppo si immobilizzava, preso di sorpresa da quella temerarietà e sfrontatezza.

“Tu . . . !” La vena sul collo di Goind pulsò come se fosse su punto di scoppiare e il nano caricò, pronto a farlo pentire per la sua imprudenza.

Bilbo, molto semplicemente, rimase immobile.

Non si spostò né tentò di difendersi, perché sapeva che altrimenti la furia di Goind si sarebbe concentrata su Bofur, e non avrebbe mai permesso una cosa del genere. Poteva fare di tutto a lui, ma non avrebbe mai accettato che sfiorasse anche solo con un dito il suo amico. Adesso finalmente capiva cosa voleva dire sua amad.

Prima che il pugno di Goind potesse colpirlo però, rompendogli il naso e forse anche qualche dente, una voce alta e decisa spaccò l’aria.

“Lasciali stare!”

Tutti i presenti, stupiti, si voltarono nella direzione della voce, e proprio a pochi metri da loro stava un nano dal viso fiero e dai lunghi e meravigliosi capelli rossi. Bilbo ci mise qualche momento a riconoscerlo; era lo stesso nano che, il suo primo giorno, si era opposto a gran voce alla sua inclusione nel proprio gruppo d’addestramento.

Goind lo squadrò dall’alto in basso, più incredulo e sorpreso di chiunque altro “Tashf, cuginetto.” disse infine, senza abbassare il pugno ancora sollevato in aria.

“No.” si oppose il nano, facendosi avanti e raggiungendo quello che, a quanto pareva, doveva essere suo cugino “Ti stai comportando da shekith. Attaccare in sette due ragazzini che non hanno ancora completato il primo anno d’addestramento? Ti sembra una cosa onorevole, Goind?” chiese, evidentemente senza quasi riuscire a credere lui stesso a ciò che aveva visto.

Gli occhi scuri del più grande si spalancarono “Stai proteggendo un sudicio hobbit?” sibilò oltraggiato, girandosi in modo da poterlo fronteggiare.

“Stai attaccando due bambini! Te ne rendi conto, sì o no?” esclamò, indicandoli veementemente con una mano “E questo hobbit sta dimostrando molto più onore di te, in questo momento.”.

Tutti i presenti, Bilbo compreso, trattennero il fiato.

“Kulhu?! Come osi . . .” ruggì il nano, furioso.

“Pensi che Dwalin accetterà mai un futuro apprendista che se la prende con dei ragazzini?” lo bloccò il rosso, guardandolo come se fosse un folle ed un incosciente “Pensi che qualcuno ti considererà mai degno di entrare nell’esercito, sapendo che hai bisogno di avere almeno sei persone al tuo fianco per attaccare due bambini?”.

Goind si bloccò, evidentemente più colpito da quelle parole di quanto avrebbero potuto fare pugni o calci. Ruggì tra i denti per qualche momento, guardando il cugino come se volesse semplicemente afferrarlo per il collo e spezzarglielo “Tu . . .”.

Quello non si scompose minimamente e sostenne il suo sguardo con atteggiamento da sfida, quasi sperando che osasse contraddirlo. I due rimasero così per un momento eterno, nel silenzio e nello sgomento generale, fino a quando Goind non sputò con disprezzo ai suoi piedi.

“Katakhigerizu!” borbottò con odio, per poi fare cenno alla sua banda “Andiamocene, ragazzi.”.

I suoi compagni si lanciarono occhiate confuse ma non osarono contraddirlo. Si allontanarono tutti insieme, ma non dopo aver lanciato ai due bambini uno sguardo colmo di rabbia ed aver sibilato “Non sarete così fortunati, la prossima volta.”

I piccoli rimasero immobili a seguirli con lo sguardo fino a quando non lasciarono il corridoio e solo allora si lasciarono andare contemporaneamente ad un sospiro di sollievo. Bofur fece per parlare, ma Bilbo non glielo permise e si rivolse al loro improbabile salvatore, anche lui intento a studiare il punto in cui erano scomparsi.

“Perché lo hai fatto? Perché ti sei messo in mezzo?” chiese a bruciapelo “Non mi volevi nemmeno nel tuo gruppo di addestramento, poco più di un mese fa.”.

Il rosso si voltò a guardarlo, e nei grandi occhi caldi riuscì a scorgere una nota di imbarazzo.

“Lo so.” ammise, passandosi una mano tra i capelli “E so che ti ho trattato in un modo simile a quello riservatoti da mio cugino.”.

“Allora perché sei intervenuto? Cosa ti importa del modo in cui viene trattato uno hobbit?” insistette il bambino.

Il nano esitò, evidentemente in difficoltà.

“Perché né io né tantomeno lui abbiamo alcun diritto di giudicarti senza conoscerti solo perché non sei un nano, né di trattarti come una nullità. E l’ho capito quando ti ho visto proteggere il tuo amico, senza interessarti di ciò che ti avrebbe fatto purché lui fosse al sicuro.” spiegò, facendo un cenno a Bofur. “In quel momento, sei stato davvero più nano di Goind. Non ce l’ho fatta a restare a guardare. Non mi piace quando qualcuno è ingiusto con gli altri. Anche se devo ammettere che io lo sono stato.” borbottò, tirandosi imbarazzato una treccia che gli scendeva lungo il lato destro de viso “Un po’. Forse anche più di un po’. Mi dispiace.”.

Bofur trattenne rumorosamente il fiato, evidentemente scioccato da quell’affermazione, e dopo lunghi secondi di silenzio finalmente gli occhi di Bilbo si addolcirono e un piccolo sorriso si fece strada sul suo viso.

“Non importa. Tutti sbagliano.” lo rassicurò, per poi aggiungere a mo’ di scherno “Anche i nani.”.

Il rosso sbruffò appena “Aye, credo sia così.”.

Il sorriso dello hobbit si fece ancora più grande “E comunque, credo che tu abbia già rimediato alla grande.” aggiunse, per poi mormorare sinceramente “Grazie, a proposito. Non dovevi.”

“Sì, invece.” replicò l’altro, sbruffando subito dopo “Mio cugino è forte e ha grandi ambizioni, ma si comporta così spavaldamente solo perché il principe Thrain e suo figlio Thorin sono lontani, e Frerin e Dis non possono fargliela pagare, non ora almeno. In realtà è un tale codardo, se conosci le sue insicurezze.”.

Poi, finalmente, sorrise a sua volta e si avvicinò porgendosi allegramente la mano destra “Comunque, io sono Gloin.”.

Bilbo rispose al suo sorriso e gliela strinse con entusiasmo “Lieto di conoscerti.”.

 

 

                                                                     ~~~~΅΅~~~~

 

 

Bilbo fu abbastanza silenzioso per tutto il tragitto verso le cucine e anche mentre festeggiavano il nuovo patto con Bombur divorando una decisamente fornita scorta di biscotti rimase zitto zitto, limitandosi ad ascoltare le chiacchiere infinite di Bofur.

Fu solo quando il nano, infastidito da tutto quel silenzio, lo tormentò per diversi minuti pur di fargli dire a gran voce ciò a cui stava pensando, che alla fine lo hobbit cedette e buttò fuori, senza più guardarlo “Capisco se non vuoi più essere mio amico.”.

Il ragazzo rimase di sasso.

“Cosa?” chiese, confuso e senza parole “Perché dovrei volere una cosa del genere?”.

Il bambino si rigirò un biscotto mezzo mangiucchiato tra le dita affusolate. “Per quello che è successo prima.” spiegò, evidentemente a malincuore “Ho visto come ti ha trattato, solo perché stai con me. Hai rischiato tantissimo, e solamente perché hai preso le mie difese.”.

“E allora?” insistette, non riuscendo a capire il punto.

“E allora, chi vorrebbe essere amico di qualcuno che gli porta solo guai e disprezzo?” disse lo hobbit, abbassando lo sguardo a terra “Dopo quello che è successo, come potresti mai volere essere ancora mio amico?”.

Bofur, a quel punto, non resistette più. “Stai scherzando, vero?” chiese, aggiungendo poi in modo da non dargli la possibilità di rispondere “Certo che voglio essere tuo amico. Perché non dovrei? Non mi interessa quello che pensano gli altri, e se Goind dovesse fare di nuovo l’idiota lo affronteremo insieme, proprio come affrontiamo qualsiasi altra cosa.”.

“Ma. . . “ tentò il più piccolo, ma l’altro lo fermò subito con decisione.

“E non pensare nemmeno di tirarmi fuori la scusa che sei uno hobbit, perché non funziona.” lo ammonì “Non mi interessa cosa sei. Hobbit o nano, resti sempre Bilbo. E questo basta ed avanza per me.”.

Bilbo rimase senza fiato a quelle parole, e dopo qualche momento si sporse in avanti e strinse forte forte l’amico in un abbraccio.

“Grazie, Bofur.” sussurrò, la voce che gli tremava appena “Non sai quanto significhi per me.”.

Il nano, ancora un filo sorpreso da quella reazione, sorrise e rispose con dolcezza al suo abbraccio.

“Non devi ringraziarmi.” mormorò sinceramente “Sarei un idiota più grande di Goind-faccia di troll, a lasciarmi sfuggire un amico come te.”.

Bilbo scoppiò a ridere, mentre gli occhi gli bruciavano appena per le lacrime.

Ma, almeno quella volta, non erano lacrime tristi.

 

 

 


 

La tana dell’autrice


Sì, ogni tanto mi rifaccio viva. Non fateci l’abitudine, eh!

Ed ecco qui un bel capitolo corposo e pieno di spunti ed informazioni importanti. Bilbo sta cercando di ambientarsi e sta stringendo un forte legame non solo con la Montagna, ma soprattutto con i suoi abitanti. Abbiamo avuto qualche informazione in più sulla vita di Bella e la famiglia reale  -oltre a qualche dettaglio sulla crescita di Thorin e i suoi rapporti con gli altri all’interno del regno-, anche se molte altre se ne aggiungeranno col tempo. E bella da’ lezioni div tia a suo figlio, com’è giusto che sia.

Credevate che Goind avesse smesso di dare problemi, vero? Purtroppo i bulli non conoscono il significato della parola fine . . . ma almeno adesso Bilbo ha capito come affrontarlo e come non farsi buttare giù. E sta, piano piano, iniziando a crearsi la sua piccola famiglia, di cui avrà tanto bisogno per crescere e maturare. Il suo cammino è appena all’inizio, ma non lo percorrerà da solo.

Ah, ho voluto introdurre l’amicizia con Gloin così perché ho voluto rifarmi un po’ al modo in cui suo figlio è riuscito ad andare oltre ai pregiudizi verso gli elfi; ci vuole una grande apertura mentale per capire l’assurdità di un pregiudizio ed ammettere di aver sbagliato, e credo che questa apertura sia condivida col genitore, a cui ho voluto dare un percorso simile almeno in questo senso.

Per quanto riguarda le informazioni tecniche: sono dovuto andare a riguardarmi qualche manuale, quindi non posso assicurare la correttezza della mia descrizione, ma comunque una presa al collo a tenaglia, se adeguatamente eseguita, può farti perdere i sensi in pochi secondi, soffocarti o, se eccessiva, spezzarti il collo. È una delle tecniche più pericolose da eseguire nella difesa personale. Quindi è facile immaginare quanto Bilbo, talmente piccolo rispetto al proprio avversario e in situazione di svantaggio, abbia rischiato in quel momento – e quanto sia profonda la stronzaggine di Goind, ma quello è un argomento a parte-.

Per il momento questo è tutto. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e di poter aggiornare relativamente presto. Ma fino a quel momento un abbraccio grande!


 

Pillole di Khuzdul

 

Nadad:  Fratello

Adad  : Padre

Akhûnith : Piccolino

Amad : Madre

Shândabi : D’accordo

Melekûnh : Hobbit

Algâbikûn : traditore

Tashf : Levati!

Shekith : Piccolo codardo

Kulhu? : Cosa?

Katakhigerizu! : Va a quel paese!

 



 

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