Il treno 201718 è in partenza dal binario 12

di Rohchan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I'll fly to the moon and back, if you'd be my baby (Savage Garden) ***
Capitolo 2: *** Perfetti come macchine, miracolo di nervi ed anime (Nek) ***
Capitolo 3: *** Quando canterai la tua canzone, e te ne fregherai di quanto piove, la urlerai in faccia a chi non vuole e non sa sentire (Ligabue) ***
Capitolo 4: *** Never care for what they say, never care for games they play, never care for what they do, never care for what they know, and I hope...(Metallica) ***
Capitolo 5: *** Ogni passo è una scelta, ogni passo fa l'impronta, quante cose spegne la prudenza (Ligabue) ***
Capitolo 6: *** Un bacio non conosce l'innocenza (Negramaro) ***
Capitolo 7: *** And I wonder if I ever cross your mind...for me it happens all the time (Lady Antebellum) ***
Capitolo 8: *** Why do we fall in love so easy, even when it's not right? (Pink ft. Nate Ruess) ***
Capitolo 9: *** Just forget the wit, it's the best use (X-Ambassadors) ***
Capitolo 10: *** Fool, death ain't nothin' but a heartbeat away (Cooliio) ***
Capitolo 11: *** If I look hard enough into the settlin'sun, my love will laugh with me before the mornin' glows (Ciara) ***
Capitolo 12: *** When it all falls down, I'll be your fire when the lights go out (Madonna) ***
Capitolo 13: *** My body is tired of travelling and my heart don't wish to roam (Murray Gold ft. Neil Hannon) ***
Capitolo 14: *** And when the nighttime's falling, and my eyes are closing, you appear (Laura Pausini ft. Kylie Minogue) ***
Capitolo 15: *** I know we ain't got much to say before I let you go away (Jet) ***
Capitolo 16: *** Ci incontreremo stasera, menta e rosmarino, ché ho preso a calci le notti per starti più vicino (Zucchero) ***



Capitolo 1
*** I'll fly to the moon and back, if you'd be my baby (Savage Garden) ***


1- I'll fly to the moon and back, if you'd be my baby (Savage Garden)

 

A lui non piaceva, quel gruppo. Lo trovava talmente melenso da puzzargli di imbroglio.

Ma lei li adorava, e lui adorava guardarla mentre, senza sapere di essere vista, cantava le loro canzoni con una voce chiara e limpida che sembrava far sue le loro parole.

Così, quella notte di capodanno, lui aveva preparato un regalo speciale: un biglietto di auguri, con quella frase dentro, illustrato da sé stesso, costato diverse ore di tentativi inguardabili ed imprecazioni a mezza voce. Non era bravo in quel genere di cose, ma voleva che tutto fosse perfetto, per lei.

L'albero di Natale splendeva, con le sue luci colorate.

Nel camino, il fuoco era acceso.

Sulla tavola troneggiava un enorme barattolo di Nutella.

Fuori, la neve aveva iniziato a limare gli spigoli delle cose, rendendo tutto candido.

E quando lei era entrata, e l'aveva visto nella luce fioca del soggiorno sorriderle di sbieco, e poi aveva preso dalle sue mani il biglietto e aveva visto cosa c'era dentro, lui aveva sentito, nel profondo della sua anima, .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oggi doppia razione...perchè non so contare e se non ne metto due finiamo il 2 Gennaio, e non l'1 come avevo progettato...quindi, su! Quaando avrete finito qui potrete passare alla seconda storia ;)

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Capitolo 2
*** Perfetti come macchine, miracolo di nervi ed anime (Nek) ***


2- Perfetti come macchine, miracolo di nervi ed anime (Nek)

 

Quella era la maniera migliore di passare l'ultimo dell'anno.

Nessuno tra i piedi. Nessun invito da accettare. I loro amici ormai sapevano, capivano, accettavano. L'ultimo dell'anno era un momento solo loro. Sarebbero andati a trovarli il pomeriggio del giorno dopo, portando del caffè bello forte e qualche cornetto, osservando gli occhi spenti riaccendersi piano piano, grazie alla caffeina.

Ma il 31 Dicembre era solo per loro.

Mangiavano quello che c'era, dallo stesso piatto, quando avevano fame. Mettevano la musica che amavano, ad alto volume. Il palazzo era vuoto, nessuno avrebbe protestato. Si amavano senza preoccuparsi di nient'altro, godendosi il miracolo che erano l'uno per l'altra. Riguardavano le foto dell'anno che stava finendo, facevano progetti per quello nuovo. Se nevicava, magari uscivano a fare gli angeli in giardino, solo per avere poi la scusa di rientrare in casa gelati fino alle ossa e fare la doccia insieme. Se pioveva, ascoltavano il ticchettio delle gocce sui vetri e si muovevano a tempo con loro.

Con il sole, rimanevano nudi a letto, a farsi scaldare dai raggi tiepidi che attraversavano le finestre.

Facevano giochi stupidi, ridevano delle facce buffe l'uno dell'altra, vedevano chi si ricordava più citazioni dai libri. Spegnevano i cellulari, sparivano dal mondo, e a mezzanotte uscivano sul balcone, avvoltolati entrambi nella stessa coperta, a guardare i fuochi d'artificio, esprimendo un desiderio per ognuno di loro.

Erano di una meraviglia accecante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A domani per la terza storia...e per favore, ditemi cosa ne pensate ;) voglio sapere quanta ruggine ho addosso...

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Capitolo 3
*** Quando canterai la tua canzone, e te ne fregherai di quanto piove, la urlerai in faccia a chi non vuole e non sa sentire (Ligabue) ***


3- Quando canterai la tua canzone e te ne fregherai di quanto piove, la urlerai in faccia a chi non vuole e non sa sentire (Ligabue)

 

C'era un angolo, alla stazione.

Un angolo particolare, con un'acustica incredibile, e abbastanza luce anche nelle giornate cupe.

 

Lei l'aveva scelto per cantare.

Studiava al conservatorio, e non aveva paura del pubblico. Le piaceva spingere la sua voce in alto, sempre più forte, fino a fermare i passanti.

Cantava quello che le passava per il cuore, a volte arie d'opera, a volte pezzi pop, altre ancora saliva e scendeva scale di note che inventava al momento, per il solo piacere di farle sentire a tutti.

Qualche volta altri studenti del conservatorio la seguivano, suonando uno strumento o cantando insieme a lei, ma quel giorno non c'era nessuno. Era l'ultimo giorno dell'anno, e i suoi compagni erano tutti in viaggio per trascorrere la festa con amici e parenti sparsi per il resto dell'Italia.

 

Si era messa nel suo angolo, il cappotto blu scuro aperto per permetterle di respirare nella maniera migliore ed una sciarpa arancio attorno al collo per proteggere la gola dall'aria fredda che si insinuava in stazione dalle porte lasciate aperte.

Fuori nevicava, grossi fiocchi candidi ed asciutti che in breve tempo avrebbero ammantato tutta la piazza, rendendola irriconoscibile.

 

Quando aveva iniziato a cantare nessuno le aveva prestato attenzione, ma non se n'era avuta a male. Era sempre così: il suo canto aveva bisogno di un po' di tempo per crescere e diventare udibile sopra i rumori della stazione, e quella mattina sarebbe stato ancora un po' più complicato perchè l'andirivieni era maggiore del solito.

 

Piano piano la sua voce s'era fatta piena e ricca, e lei aveva smesso di vedere quello che la circondava e aveva seguito le immagini che le si creavano nella mente con le note.

Schizzi di colore, uccelli in volo, il fragore delle onde del mare, risate di bambini, e poi giù, verso abissi di oceani inesplorati e tristezze da strappare il cuore e solitudini indicibili.

La sua voce tagliava l'aria come una spada, e la gente si fermava ad ascoltare.

 

Si domandava sempre se qualcuno vedeva ciò che lei creava con la voce, ma la maggior parte delle volte gli sguardi che rispondevano al suo erano vacui, imbambolati. Si accontentavano di sentire la bellezza dei suoni, e non pensavano minimamente che potessero avere un significato.

 

Stava vedendo il sole sorgere su un mare di lapislazzulo e diamante quando l'aveva scorto nella piccola folla.

Lo vedeva spesso, ma mai da vicino; si metteva in disparte, poco lontano dalla gente che la circondava, a circa sette, otto passi da lei, leggermente spostato sulla sinistra.

Aveva i capelli castani lunghi fino alle spalle e il pizzetto da Jhonny Depp, la fronte corrugata sopra gli occhi scuri, il viso concentrato nell'ascolto.

Non la guardava mai direttamente. Ascoltava.

Lei non ci aveva fatto caso all'inizio, ma poi un giorno, per caso, si era accorta che quel viso era spesso in mezzo alla gente che ascoltava, e aveva iniziato a vederlo.

Forse era un impiegato della stazione, o uno dei tanti lavoratori dei negozi che si trovavano al suo interno; dubitava fosse un pendolare, perchè lei non aveva giorni ed orari fissi in cui veniva in stazione, ma era difficile che lui non venisse ad ascoltarla.

 

Lentamente, aveva modulato la voce fino al suo punto più alto, e poi l'aveva fatta scendere saltellando come l'acqua sui sassi di un fiume in discesa verso il mare. L'aveva visto stendere la labbra in un sorriso lieve e si era chiesta che cosa vedesse lui.

Fuori la neve continuava a scendere, e lei continuava a cantare. La gente andava e veniva, ma lui era sempre lì fermo ad ascoltare. Non sapeva quando fosse arrivato, ma sapeva che non se ne sarebbe andato finchè lei non avesse smesso di cantare.

Quando la sua voce si era spenta rimbalzando in echi sui soffitti della stazione, lui aveva sollevato leggermente il viso e l'aveva guardata serio.

L'aveva salutata con un cenno e si era allontanato.

 

Chissà se ne avrebbe mai saputo di più.

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Capitolo 4
*** Never care for what they say, never care for games they play, never care for what they do, never care for what they know, and I hope...(Metallica) ***


4- Never care for what they say, never care for games they play, never care for what they do, never care for what they know, and I hope...(Metallica)

 

La speranza. Era la speranza a mantenerla legata a lui, un sottile filo spinato che le avvolgeva l'anima e a volte le feriva il cuore.

Tutti le avevano detto di lasciar perdere. Tutte le persone che per lei contavano l'avevano avvertita, avevano detto cose sensate, intelligenti, avevano cercato di proteggerla, di toglierle il velo che le copriva gli occhi e farle vedere com'era lui in realtà.

Non era il tipo di ragazza che faceva per lui.

Lui era orientato verso altre bellezze.

Lui corteggiava ragazze più grandi, più appariscenti, più curate.

Lui apprezzava la femminilità, la fragilità. Lui voleva una bambola di cristallo da proteggere.

 

Lei litigava con lo specchio ogni mattina, e aveva smesso da tempo di preoccuparsi dei suoi capelli. Aveva adeguato il taglio al loro volume, aveva trovato una pettinatura semplice da mantenere, perchè non si prendeva mai tempo per sé stessa.

Lei era magra, non le piaceva apparire, odiava i vestiti provocanti e preferiva più spesso passare inosservata.

Lei aveva dovuto salvarsi, proteggersi da sola. Aveva dovuto abbracciarsi quando le erano venuti gli incubi, e quando era rimasta sola si era rimboccata le maniche ed aveva creato la vita che voleva per sé stessa, anche senza il suo cavaliere.

 

Tutti l'avevano avvisata. Lascia perdere. Si bea solo delle tue attenzioni, ma non vuole altro, da te. Sa cercarlo da altre donne.

Ma lei era lo stesso seduta su quella panchina, ad osservare la gente che scendeva dal treno aprendo gli ombrelli per ripararsi dalla pioggia fine che aveva iniziato a cadere, quasi in risonanza con la sua anima.

 

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Capitolo 5
*** Ogni passo è una scelta, ogni passo fa l'impronta, quante cose spegne la prudenza (Ligabue) ***


5- Ogni passo è una scelta, ogni passo fa l'impronta, quante cose spegne la prudenza (Ligabue)

 

Per essere folle, lo era stata.

La sera prima aveva infilato nella tasca della sua giacca una lettera, ripiegata così tante volte da aver preso le dimensioni di una carta da gioco.

Aveva cercato di essere diretta, ma senza mettergli paura. In due fogli aveva fatto stare un mondo di sentimenti, ed ora era seduta al bar della stazione, in attesa. Erano quasi due ore che aspettava, e la pioggia che scendeva oltre i vetri della stazione la faceva sentire particolarmente malinconica.

Come se l'universo avesse già deciso ciò che doveva accadere.

 

Sarò qui fino alle undici e un quarto, aveva scritto, seduta al bar della stazione, vicino al binario 1, e aspetterò. Ieri sera ho mentito sul mio orario di partenza, ma non avevo il coraggio di dirti a voce la verità. L'ho fatto perchè...

...

se vorrai venire, io sarò qui ad aspettarti, e sarò pronta ad ascoltare qualunque cosa tu voglia dirmi. In caso contrario, sparirò dalla tua vita e potrai considerare ciò che hai letto in queste righe come i vaneggiamenti di una ragazzina, e farne ciò che vorrai.

In entrambi i casi, grazie.

 

L'orologio della stazione segnava le undici meno cinque, e sul tavolino davanti a lei c'erano una brioche intatta e una tazzina di caffè, di cui aveva bevuto solo un sorso, ormai gelato.

Se fosse andata bene, si era detta, avrebbe avuto una cosa meravigliosa da portare con sé nel nuovo anno; se invece fosse andata male, l'anno era quasi finito, e lei avrebbe chiuso i suoi sentimenti con l'ultima notte, guardandoli scoppiare nel cielo insieme ai fuochi artificiali.

Aveva frugato nella borsa fino a trovare un fazzolettino di carta, e si era soffiata il naso.

 

Undici e cinque. Di lui ancora nessuna traccia. Aveva gli occhi piantati sulle scale che salivano in stazione, il cuore un uccello impazzito nella gabbia delle costole.

 

Undici e otto minuti. Una signora era venuta a chiederle una sedia in prestito, e lei aveva abbozzato un sorriso. La signora le aveva augurato buon anno, e lei aveva risposto allo stesso modo, la bocca così secca che si era sorpresa di essere ancora in grado di articolare dei suoni.

 

Undici e dieci minuti. Un cameriere era arrivato, chiedendole se poteva portare via la tazzina. Lei gli aveva chiesto, per favore, un sacchettino in cui mettere la brioche. Lui aveva sorriso, e dopo appena un momento era tornato con un sacchettino bianco e lei ci aveva messo dentro la brioche, le mani che tremavano di freddo e tensione.

 

Undici e dodici minuti. Si sentiva gli occhi appannati, e non si era stupita quando, sbattendo le palpebre, due grosse lacrime erano cadute sullo schermo del cellulare che teneva in grembo, aspettando...non sapeva nemmeno lei cosa aspettarsi davvero.

 

Undici e quattordici minuti. Il treno partiva alle undici e venti, ed era ora, per lei, di andare al binario. Si era alzata dalla sedia e aveva preso in mano la borsa, che aveva appoggiato per terra lì accanto. Ci aveva messo dentro il sacchettino con la brioche, e tirando su col naso aveva fatto un passo verso lo spazio aperto oltre i tavolini del bar.

 

E allora si era sentita fermare dolcemente da qualcuno che le aveva poggiato una mano sulla spalla.

 

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Capitolo 6
*** Un bacio non conosce l'innocenza (Negramaro) ***


6- Un bacio non conosce l'innocenza (Negramaro)

 

Si era portata un libro, per passare il tempo mentre aspettava il treno. La confusione la stordiva, e infilare la mente in una buona storia la aiutava a non perdere il controllo.

Non era nuovo; l'aveva già letto una volta, ma le piaceva, di tanto in tanto, tornare a leggere storie che già conosceva, per vedere se riusciva a trovare qualcosa che la volta precedente non aveva visto.

 

Stava cercando un posto libero per potersi sedere -possibilmente nei pressi del suo binario, così da poter tenere d'occhio il tabellone- quando li aveva visti.

Erano fermi prima dell'ingresso ai binari, e dal punto in cui si trovava lei era sicura che non potevano vederla, non bene come lei vedeva loro, almeno. Avevano attirato la sua attenzione perchè, nel mezzo dell'andirivieni di gente, in partenza o in arrivo per la festa di capodanno, loro due erano fermi, e non erano né tristi né felici.

Erano, semplicemente, il che implicava qualcosa in divenire; non un addio, non un ritrovarsi dopo tanto tempo, non un arrivederci a un futuro immediato.

Lui aveva una giacca di pelle nera, il bavero alzato a proteggersi dal vento che in quel punto era piuttosto forte, e dei pantaloni scuri. Ai piedi aveva delle scarpe da ginnastica, e una mano reggeva una borsa di carta di una nota libreria. Aveva il viso leggermente chino, perchè lei era più piccola di lui e nonostante gli stivaletti con il tacco che portava non aveva il viso alla sua stessa altezza.

Sorrideva, le sembrava, una mezzaluna dubbiosa che gli dava un'aria intrigante.

Lei aveva una giacca a vento nera, aperta, da cui vedeva spuntare una camicia bianca ed un golfino color ciclamino. Aveva dei pantaloni chiari e il vento che aveva fatto alzare a lui il bavero della giacca le scompigliava i capelli, lunghi e ricci, dandole un aspetto disordinato, ma grazioso. In una mano aveva un libro dalla copertina nera, e l'altra mano era invece appoggiata al braccio piegato di lui, metà a tenerla in equilibrio e l'altra metà a tenerla vicino a lui.

Aveva il viso rivolto verso di lui, aperto in un sorriso, e gli stava dicendo qualcosa, entusiasta. Quando si erano salutati, e lei si era incamminata verso i tornelli d'ingresso, lui si era voltato senza aspettare di vederla entrare in stazione.

 

Peccato, si era detta, tenendo un po' più stretta la borsa. Aveva visto lei voltarsi, una volta passato il controllo, e il suo viso farsi improvvisamente triste nel vedere che lui non c'era più. Poi aveva sollevato la mano destra a toccarsi la guancia, all'angolo della bocca, ed era tornata a sorridere.

Aveva stretto al petto il suo libro, e sorridendo tra sè a sua volta le aveva augurato buona fortuna.

 

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Capitolo 7
*** And I wonder if I ever cross your mind...for me it happens all the time (Lady Antebellum) ***


7- And I wonder if I ever cross your mind...for me it happens all the time (Lady Antebellum)

 

Di solito, i desideri si esprimono la notte del 10 Agosto. Era, invece, l'ultimo giorno dell'anno, e lei si era ritrovata a pensare a lui. Di nuovo.

Non che questo facesse qualche differenza, è chiaro; pensava a lui ogni giorno, molto o poco, intenzionalmente o meno. Le si era piantato nella testa come un chiodo nel muro, e sapeva che sarebbe stata una faccenda maledettamente complicata toglierlo da lì.

Sperava che, almeno quel giorno...e invece.

 

Stava salendo le scale della stazione ferroviaria, un cupo casermone sovrastato da una cupola di vetro cui sarebbe tanto piaciuto essere trasparente, diretta al treno che l'avrebbe portata in un'altra città, a festeggiare. O almeno, a provarci.

Schivava la gente con movimenti esperti, automatici, il bavero del cappotto alzato contro il freddo e gli occhi bene aperti a guardare dove camminava. Un passo avanti all'altro, movimento meccanico, cadenzato e involontario.

Poi, era caduta.

Era stata travolta. Qualcuno che correva verso un treno -come lei- non l'aveva vista, e le era finito addosso.

Aveva smozzicato un'imprecazione, mentre le cuffie del lettore portatile le si strappavano via dalle orecchie e lei perdeva il filo della canzone.

  • Scusa...davvero scusami...-una mano guantata si era tesa verso la sua, offrendo aiuto per alzarsi. Lei, che era abituata a cavarsela da sola, non ci aveva fatto caso.

Poi, il cervello aveva finalmente fatto contatto, e la voce le era risuonata nelle orecchie come una campana.

Merda.

Aveva chinato il viso più che poteva, facendolo sparire fino al naso nella grossa sciarpa di lana arancione che indossava.

Di tutte le persone...

  • Non preoccuparti, davvero, non mi sono fatta nulla.- si era ripulita lo sporco immaginario dalle ginocchia e dal sedere, arricciando il naso. La voce gracchiante dagli altoparlanti aveva interrotto la carola di Natale per dare l'annuncio di un treno in partenza dal binario 2, ma le fischiavano le orecchie e non aveva capito quale.

  • Ero distratto, scusami. Sono in ritardo...-aveva borbottato lui, imbarazzato.

Lei aveva cercato di non guardarlo, ma era dura. Aveva preso tempo spegnendo il lettore e avvolgendosi le cuffie intorno alle dita della mano sinistra, ma alla fine non aveva resistito.

 

Aveva un cappotto blu scuro, dal cui colletto rialzato spuntava un sciarpa bianca. La tesa del cappello a borsalino creava una zona d'ombra che scuriva le sue iridi, facendo perdere loro le sfumature luminose che avevano alla luce.

  • Dovresti sbrigarti, allora...-aveva mormorato in risposta, osservando il sorriso di lui nascere e poi morire in un battito di ciglia.- Anche io devo, comunque. Dovrei.-

  • Sì, sì certo. Immagino. Beh, auguri allora. Buon anno nuovo.-

Le aveva teso nuovamente la mano, e lei l'aveva presa nella sua. La pelle nera del guanto di lui era tiepida contro la sua mano gelata.

  • Buon anno a te.-

Aveva un profumo forte, speziato. Forse era dopobarba, ma non se l'era poi domandato davvero. Si era limitata ad inspirarlo, sapendo che sarebbe stata insieme una grazia ed una maledizione.

Si era sollevata sulle punte dei piedi e gli aveva baciato la guancia. Un bacio da bambini -non sapeva salutare in altro modo, lei-, con uno schiocco leggero che era risuonato nell'orecchio sinistro di lui, consapevole della sua vicinanza.

Aveva un profumo dolce, di fiori. Non ne capiva granchè, ma avrebbe detto fresie.

Sarebbe stato strano salire sul treno con quel profumo nelle narici.

 

Poi lei si era staccata e si era voltata, e in un attimo era sparita nel vociare della stazione.

 

Lui non poteva vederla, ma sorrideva, con una gioia negli occhi che non aveva un minuto prima.

Lei non poteva vederlo, mentre la destra toglieva il guanto alla sinistra, che si alzava e carezzava piano la guancia.

 

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Capitolo 8
*** Why do we fall in love so easy, even when it's not right? (Pink ft. Nate Ruess) ***


8- Why do we fall in love so easy, even when it's not right? (Pink feat. Nate Ruess)

 

Si era detta che, per un po', ne aveva abbastanza. Aveva il cuore a brandelli e ci sarebbe voluto tempo per curarlo, perchè lui aveva spezzato la sua fiducia come una spada piantata nel ghiaccio, e lei non aveva voglia di fidarsi di nessuno.

Ah, sì, usciva. Vedeva le amiche, accettava che le presentassero questo o quell'amico, conoscente o collega di lavoro. Lei sorrideva gentile, si interessava a loro quel tanto che bastava a non essere maleducata, ma non rispondeva mai ai loro inviti ad uscire.

Non ne aveva voglia. Non voleva rischiare, ancora, di farsi fare a pezzi da un altro idiota che fingeva una maturità che non aveva.

 

Poi, un giorno di sole, era successa una cosa che lei non si aspettava. Sotto gli alberi in un grande parco, l'aveva visto, e lui l'aveva vista. L'aveva guardata in un modo che l'aveva quasi fatta vergognare, perchè gli occhi – castani, così castani e dorati e una punta di nero- sembravano trapanare i suoi. Aveva preso un po' di coraggio da un bicchiere, e non si era tirata indietro quando lui aveva iniziato a parlarle.

Era stato tre mesi prima.

E adesso, alla vigilia del nuovo anno, scendeva da un treno in quella città che sapeva così grigia, ma di cui lui era riuscito a mostrarle i colori, i sogni nascosti dietro le grigie facciate dei palazzi.

E sette mesi dopo aver giurato a sé stessa che non ci sarebbe più cascata così facilmente, sentiva di nuovo il cuore pulsare nel petto con un entusiasmo che non sentiva più da tanto, tanto tempo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buona Vigilia a tutti voi. :)

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Capitolo 9
*** Just forget the wit, it's the best use (X-Ambassadors) ***


9- Just forget the wit, it's the best use. (X-Ambassadors)

 

Oh, era una bella scusa. Splendida, davvero, con quei capelli lunghi e morbidi che lei non aveva, con quelle labbra rosse di trucco che lei non portava, con quelle unghie laccate e le ciglia lunghe, gli stivali di pelle nera al ginocchio con il tacco alto e le gambe -chilometriche- fasciate nei jeans così attillati che, sicuro, le mancava il respiro.

A lui era mancato, nel guardarla.

 

Portava un cappotto rosso corto sui fianchi ed era concentrata sullo schermo del cellulare, gli occhi che guizzavano da un punto all'altro seguendo le dita, del tutto assorta nei suoi pensieri.

Dimentica il buonsenso, è la cosa migliore da fare.

  • Ciao.- si era buttato.

  • Ciao.- aveva risposto lei dopo un momento, quando si era accorta che le si stava rivolgendo.

  • È questo il treno per Roma...?-

Lei aveva indicato con la destra il tabellone alle sue spalle, il viso perfettamente truccato corrugato in un'espressione di dubbio. Un profumo deciso, dolce, l'aveva raggiunto.

  • Certo. È scritto lì.- L'aveva guardato, con attenzione. Lui aveva cercato di mostrarsi il più affascinante possibile. Era una cosa che gli riusciva sempre bene. - Sei nuovo di queste parti?- gli aveva chiesto. Il cellulare le era scivolato nella tasca del cappotto.

Aveva la sua attenzione.

  • Vengo dalla provincia, sai. Non mi capita spesso di viaggiare in treno, di solito uso la macchina. Ma con questa neve...-

  • Sì...la neve. A me piace molto. A Roma non nevica quasi mai, sai. È un peccato, ma immagino sia il prezzo da pagare per vivere vicino al mare.-

Non era una conversazione brillante, ma in fondo, a lui non interessava conversare.

  • Suppongo di sì. Come mai vai a Roma?- le si era avvicinato di un passo, e lei non si era ritratta. Un angolo di bocca si era sollevato in un sorriso, mostrando dei denti bianchi e ben curati.

  • La città eterna ha sempre dei capodanno magnifici. Soprattutto nel centro. Si può fare festa tutta la notte andando da un locale all'altro, finchè non arriva l'alba. E tu?-

Aveva stretto le spalle nel cappotto scuro, abbozzando un sorriso.

  • Un amico mi ha invitato. Non avevo programmi, e allora ho accettato.-

Lei l'aveva guardato. Studiato. Aveva sentito distintamente gli occhi di lei misurarlo attentamente, e poi il sorriso le si era allargato in volto.

  • Se non avete programmi particolari, potremmo girare assieme. Conosco dei bei posti dove andare.-

  • Oh certo, perchè no?- aveva risposto, la voce che si fletteva leggermente per dar l'idea della sorpresa. Era esattamente quello che voleva.

 

L'altoparlante in stazione aveva dato l'annuncio del loro treno in partenza. Lui aveva galantemente ceduto il passo, approfittando per guardarla meglio.

Magnifica.

 

L'attenzione ai discorsi di circostanza era durata meno di un quarto d'ora. Continuava a fissarla in viso, ma non avrebbe saputo raccontare a nessuno la conversazione, perchè il suo cervello era totalmente concentrato sul movimento delle labbra di lei.

Nel giro di un'ora la desiderava con un'intensità tale che gli sembrava impossibile riuscire ancora a nasconderlo.

Era affamato.

 

Il treno era entrato in stazione nel primo pomeriggio; a Roma non nevicava.

Lui sperava che vederla col cappotto di nuovo addosso avrebbe placato le sue fantasie, ma era stata una speranza vana; al contrario, il desiderio di passare le mani su quel corpo così bello era diventato bruciante.

Nel tirare fuori dalla tasca il telefono, che non aveva guardato per tutto il viaggio, aveva trovato alcuni messaggi.

  • Qualcosa non va?- aveva chiesto lei, guardandolo. Alla luce del sole era, se possibile, ancora più bella.

  • No, nulla. Non preoccuparti. Dove alloggerai?-

  • Oh, in un bed and breakfast qui vicino. Andrò a posare la borsa e poi magari mi concederò una passeggiata. -

L'aveva accompagnata e poi si erano scambiati i numeri di telefono, dandosi appuntamento per quella sera alle dieci. Lei aveva baciato l'aria intorno alle sue guance, inondandolo di profumo, e poi era entrata nel portone del b&b.

 

Aveva girovagato per un po', finendo a sedersi su una panchina nei pressi del Colosseo. La città era già in pieno fermento, con macchine che correvano avanti e indietro senza sosta, schivando gli incauti pedoni che attraversavano la strada per poco più di un soffio.

Scusa, non posso venire oggi. Ieri sera mi sono messo a letto che non stavo troppo bene, e mi sono svegliato un'ora fa con la febbre. Mi dispiace non aver avvisato prima. Sarà per la prossima volta...cerca di divertirti, e buon anno!

Aveva inviato il messaggio, e dopo appena un minuto -lei rispondeva sempre subito- aveva letto:

Mi dispiace che tu non ti senta bene, ma non preoccuparti. Rimanderemo alla prossima volta, non ti lascio scappare così :) Cerca di aver cura di te...ti scriverò più tardi per farti gli auguri e sapere come stai.

Aveva sorriso, guardando il messaggio. Che sciocca, credeva davvero di avere una possibilità.

 

Alle dieci era davanti al portone del b&b.

Quando lei era scesa in strada, alle dieci e un quarto, il cervello gli era andato in corto.

Aveva addosso una giacca di panno marrone chiaro, che le arrivava poco più in alto del ginocchio e si apriva ad ogni suo passo, mostrando la curva provocante dei fianchi in movimento. Sotto portava un abito di pizzo nero corto e scarpe dal tacco alto e sottile, dello stesso colore. Nonostante il freddo, avrebbe giurato che non portava calze.

Teneva in mano una pochette microscopica che doveva contenere giusto il cellulare, ed capelli erano fermati su un lato del capo a formare un grosso boccolo, con il lato libero del collo adornato da un orecchino a pendente, brillante nelle luci dei lampioni.

  • Il tuo amico...?- aveva chiesto, vedendolo solo.

Poi aveva riso, un suono gorgogliante che gli aveva ricordato una gatta che fa le fusa, e l'aveva fissato, non sapeva se incredula o calcolatrice.

  • Non c'è nessun amico, dico bene?- si era sporta verso di lui, soffiandogli le parole sul viso.

Non aveva risposto.

 

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Capitolo 10
*** Fool, death ain't nothin' but a heartbeat away (Cooliio) ***


10- Fool, death ain't nothin' but a heartbeat away (Coolio)

 

Buttati buttati buttati. Diglielo diglielo, digli tutto.

Cos'hai da perdere? Di cosa ti vergogni? La gente si innamora ogni giorno, si lascia ogni giorno.

Di cosa hai paura? Solo alla morte non esiste rimedio, perciò, diglielo.

Se è ciò che vuoi, diglielo, ora.

 

Ma le parole le rimanevano incastrate in gola, mentre lo guardava, seduto su quella sedia a qualche metro da lei guardare il viso di un'altra ragazza, e il rumore della pioggia fuori da quella sala, nell'ultimo giorno dell'anno, le portava via ogni raggio di sole rimasto.

 

 

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Capitolo 11
*** If I look hard enough into the settlin'sun, my love will laugh with me before the mornin' glows (Ciara) ***


11- If I look hard enough into the settlin' sun my love will laugh with me before the mornin' glows (Ciara)

 

Tutta quella strada. Tutte quelle ore di viaggio. Tutti quei pensieri, tutte quelle risposte preparate a qualsiasi considerazione, domanda.

Quelle belle.

Quelle brutte.

Quelle che le spezzavano il cuore.

Quelle che glie lo riempivano di calore.

Ascoltava la musica dal suo lettore portatile, lo sguardo perso oltre il finestrino a guardare l'enorme gonna di Madre Terra mostrare uno scampolo dopo l'altro.

Campi.

Boschi.

Risaie.

Città.

Paesi.

Il sole del pomeriggio le scaldava il viso. Non sentiva più il rollio della carrozza del treno, ma solo il cuore che le batteva nel petto, agitato come un mare in tempesta.

Aveva detto che voleva vedere l'enorme albero di Natale che avevano montato in centro.

Aveva detto a tutti che sarebbe andata sola. Una gita, per mettersi alla prova.

Aveva mandato un messaggio, che era stato visualizzato, ma che non aveva avuto risposta.

Maledizione anche alla tecnologia dell'era moderna, si era detta. Si respirava meglio quando non si sapeva cosa aspettarsi.

 

Il sole al tramonto incendiava la piazza, e la cima dell'albero che era stato montato al suo centro sembrava in fiamme. La cattedrale di pietra bianca passava dall'arancione all'azzurro pallido man mano che la luce la abbandonava.

La gente camminava in tutte le direzioni; coppie, famiglie, comitive di amici, uomini e donne soli diretti chi alle stazioni della metro e chi ai locali che offrivano l'aperitivo più glamour della città.

Lei si era seduta su una delle panchine che avevano sistemato intorno all'albero, perchè la gente potesse ammirarlo comodamente. Quell'anno l'avevano decorato con palline bianche e argento e festoni argentati; lunghi nastri di piccole luci bianche si accendevano ad intermittenza sui suoi rami.

Aveva sospirato e aveva iniziato ad aspettare cercando di farsi distrarre dalla danza delle luci.

 

La luce del giorno si affievoliva sempre di più, ed era stata sostituita dai lampioni che si erano accesi lungo tutto il perimetro della piazza. L'andirivieni delle persone era aumentato ancora, e sentiva alle sue spalle la cacofonia di suoni prodotta dalla serata di divertimento.

Aveva continuato a guardare le luci, memorizzandone i tempi di accensione, studiando i riflessi che producevano sulle palline. Aveva osservato il suo fiato condensarsi in nuvolette sempre più nitide, e la gola le faceva male per colpa del groppo che le impediva di respirare normalmente.

Le bruciavano gli occhi e stava cercando di convincersi che era colpa dell'aria fredda che aveva iniziato a soffiare, investendola dai portici in marmo, quando una voce l'aveva strappata alle sue riflessioni.

Si era voltata, e l'ultimo raggio di sole che ancora le intiepidiva la schiena aveva illuminato il viso sorridente di lui.

 

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Capitolo 12
*** When it all falls down, I'll be your fire when the lights go out (Madonna) ***


12- When it all falls down I'll be your fire when the lights go out (Madonna)

 

Erano passati anni dall'ultima volta che si erano visti.

Lui era stato innamorato di lei, ma lei non l'aveva visto. E lui, un poco alla volta, aveva ritirato quei sentimenti dentro il suo cuore, come la marea si ritira col sorgere della luna.

Aveva accettato il suo invito perchè era rimasta sola. Lui non aveva mai perso le speranze, come quell'uomo in Cent'anni di Solitudine. Non l'aveva mai letto, ma era esattamente così che si sentiva...come se, per cento anni, non avesse fatto altro che attendere.

Avrebbe voluto essere inflessibile. Avrebbe voluto essere menefreghista.

Avrebbe voluto sbatterle in faccia le delusioni, l'amore sprecato, le uscite rovinate all'ultimo da un messaggio, ma quando l'aveva vista scendere dal treno, gli occhi rossi di pianto recente ed il viso dal colorito spento, non ce l'aveva fatta.

Sapeva che sarebbe sempre stato un fuoco pronto a scaldarla, qualunque cosa fosse successa tra loro.

 

 

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Capitolo 13
*** My body is tired of travelling and my heart don't wish to roam (Murray Gold ft. Neil Hannon) ***


13- My body is tired of travelling and my heart don't wish to roam (Murray Gold feat Neil Hannon)

 

Era l'ultimo dell'anno, e la stazione era affollata. Avanti e indietro, da sole o in coppia, in gruppi, le persone si muovevano sotto la volta di vetro sporco, ognuna diretta verso il luogo in cui avrebbe trascorso la serata.

Il rumore era fastidioso, un cicaleccio che rimbombava nelle orecchie, irritante più della carola di Natale che stava risentendo per la quarta volta, da quando era arrivato.

Accanto al binario, poco distante da lui, tra le diverse persone in attesa ce n'era una che aveva attirato il suo sguardo. Un ragazzo, ai suoi occhi. Un uomo sulla quarantina, alto e magro come un ramo di salice, avvolto in un cappotto scuro. Aveva i capelli scuri tagliati corti e un paio di occhiali da vista sul naso leggermente ricurvo. Il rumore doveva dare fastidio anche a lui, perchè aveva la bocca atteggiata in una smorfia di malcelato disgusto.

Aveva pensato che, magari, non voleva trovarsi lì, ma poi aveva visto cosa stringeva in mano: un girasole, una macchia gialla di colore in mezzo a tutto il grigiore della stazione, e si dondolava lentamente da un piede all'altro, quasi cullando il fiore.

 

Dopo un minuto, era riuscito a distinguere la sagoma della motrice in ingresso alla stazione; era coperta di neve al punto da sembrare un gigantesco marshmallow, e solo il parabrezza era libero. Distingueva vagamente la figura del macchinista al suo interno, intento a spingere leve e pigiare bottoni.

Il ragazzo aveva allungato il collo, carico di aspettativa.

 

Quando finalmente, con uno stridore di freni, il treno si era fermato ed erano state aperte le porte, una fiumana di gente si era riversata sulla banchina, costringendolo a spostarsi più indietro. Sua sorella sarebbe scesa tra gli ultimi, perchè era anziana e faticava a muoversi, perciò era rimasto ad osservare il ragazzo, il collo sempre più lungo, gli occhi vigili alla ricerca di qualcuno.

Aveva lasciato andare una risata che somigliava piuttosto ad un colpo di tosse, e una giovane con i capelli ricci raccolti in una coda l'aveva guardato e gli aveva sorriso, abbassando in fretta gli occhi.

Lui non se n'era quasi accorto. Continuava ad osservare il ragazzo, finchè, tra le ultime persone a scendere dal treno, non aveva visto sua sorella.

La stava aiutando una donna in divisa blu, e lui ci aveva messo un momento a realizzare che era un ufficiale di Marina in permesso. Sosteneva sua sorella per un braccio mentre la aiutava a scendere i gradini, e quando erano state sulla banchina le aveva viste voltarsi entrambe verso di lui.

Sua sorella aveva detto qualcosa alla giovane in divisa, che aveva riso e l'aveva lasciata appoggiata al bastone da passeggio, per poi cercare con lo sguardo lungo la banchina fino a trovare il ragazzo con il girasole in mano.

Lui l'aveva fissata appena per un momento prima di correrle incontro a braccia spalancate, e la ragazza si era messa a correre verso di lui, finchè, quando si erano trovati a metà strada, lui l'aveva sollevata e fatta girare come una bambina. Il cappello bianco di lei era scivolato a terra, liberando una cascata di capelli color mogano, ma nessuno dei due sembrava averci fatto caso. Ogni altra cosa era sparita, intorno a loro, come fossero stati all'interno di uno di quei soprammobili di Natale con la neve che sua nipote adorava tanto.

Sua sorella camminava piano verso di lui, e quando era arrivato a prenderla a braccetto e si era voltato per tornare indietro, i due ragazzi si stavano ancora baciando e il girasole era a terra, ai loro piedi.

 

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Capitolo 14
*** And when the nighttime's falling, and my eyes are closing, you appear (Laura Pausini ft. Kylie Minogue) ***


14- And when the nighttime's falling, and my eyes are closing, you appear (Laura Pausini feat. Kylie Minogue)

 

Di giorno era più facile. Il lavoro, la casa, gli amici la distraevano e le permettevano di vedere altre cose, concentrarsi su altri obbiettivi.

Ma di notte, quando aveva esaurito tutte le faccende della giornata e non le restava altro che sdraiarsi a letto ed aspettare il sonno, lui tornava ad esploderle nel petto e nella mente come una supernova.

Lo intuiva, più che conoscerlo; sapeva che preferiva lo zucchero di canna, la cioccolata fondente, l'inverno all'estate, la pioggia al sole. Il resto lo immaginava, e si addormentava sognando risposte a domande che non aveva il coraggio di porgli, nell'attesa che lui le desse l'occasione per farlo.

 

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Capitolo 15
*** I know we ain't got much to say before I let you go away (Jet) ***


15- I know we ain't got much to say before I let you go away (Jet)

 

Avevano entrambi percorso quella banchina su e giù almeno un migliaio di volte, durante la loro storia, ma l'ultimo giorno dell'anno erano sempre stati insieme. Avevano sempre avuto entrambi una valigia, e lo sguardo nella stessa direzione, e mani nelle mani e tazze di caffè e piccole risate e sacchettini della colazione da portare sul treno.

Ma non questa volta.

 

Si erano conosciuti per caso, ad una festa. Erano stati amici, poi amanti, poi...qualcosa di più.

La loro era diventata una cosa seria, e lei aveva spinto tanto, troppo, agli occhi di lui, soprattutto negli ultimi tempi, perchè si smettesse di viaggiare avanti e indietro.

Lui aveva tergiversato, accampato scuse. Si era barricato dietro le esigenze di lavoro, il contratto d'affitto, la difficoltà nel trovare un altro posto di lavoro dove viveva lei.

Lei ci aveva provato, con tutta sé stessa. Colloqui, giornate prova, piccoli contratti, ma era stata dura, e lui non riusciva più a darle la sicurezza che lei cercava.

Quelle braccia che l'avevano protetta contro il mondo adesso le sembravano una gabbia orribile.

Quella bocca che credeva dicesse solo verità adesso le sembrava una cloaca da cui uscivano soltanto bugie.

Così, aveva preparato la valigia per l'ultima volta. Aveva preso anche lo spazzolino e il pigiama, e così com'era stata stordita e felice quando li aveva portati la prima volta e poi lasciati da lui, ora era stordita e confusa nella consapevolezza di averli presi per non riportarli più indietro.

Ma sapeva che sarebbe passata.

 

Lui, non sapeva bene cosa fare. Non capiva fino in fondo, forse, ma la sola cosa di cui era certo era che vederla ferma su quella banchina, con la valigia accanto piena di tutte le sue cose che aveva imparato ad amare -e sopportare- il cappotto stretto addosso e lo sguardo piantato sull'ingresso alla stazione, era un'immagine definitiva.

Non ne avrebbe mai più avuta un'altra.

Non l'avrebbe più vista tornare. Gli aveva anche restituito la copia delle chiavi di casa, e si era fatta dare quelle che gli aveva lasciato a sua volta.

 

Lei andava via, e lui non aveva nulla da dirle.

 

 

 

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Capitolo 16
*** Ci incontreremo stasera, menta e rosmarino, ché ho preso a calci le notti per starti più vicino (Zucchero) ***


16- Ci incontreremo stasera, menta e rosmarino, ché ho preso a calci le notti per starti più vicino (Zucchero)

 

Erano anni che non metteva più piede in una discoteca.

Di solito festeggiava il capodanno a casa di amici, ma quell'anno erano tutti impazziti e avevano deciso di andare in un club alla moda a divertirsi senza il pensiero della casa da riordinare la mattina dopo.

Il nome del locale le aveva fatto storcere il naso; sembrava uno di quei posti con mille pretese, che poi però immancabilmente offrivano stuzzichini stantii e cocktails imbevibili.

La lista degli invitati invece le aveva provocato un tuffo al cuore, e senza farsi altre domande aveva dato la sua presenza senza nemmeno preoccuparsi di controllare il programma della serata.

Poi aveva passato i successivi dieci giorni a lambiccarsi il cervello in cerca di qualcosa da mettere.

 

Il “qualcosa” era risultato essere un abitino di pizzo blu notte lungo fino a metà coscia che le lasciava la schiena parzialmente scoperta, comprato on-line e spedito per posta prioritaria. Non che nell'armadio non avesse vestiti, ma almeno in questo era come tutte le altre ragazze: quando c'è un'occasione speciale, non c'è mai nulla di adatto da indossare. Tra le scarpe col tacco che aveva comprato e non indossava praticamente mai ne aveva trovato un paio nere, di velluto, che aveva ripreso ad usare solo per abituarsi ad averle nei piedi, e che erano risultate anche comode.

Un girocollo d'argento sottile, trucco leggero e chignon morbido con un pettine incrostato di brillantini completavano il tutto.

 

Il viaggio era stato traumatico. Aveva avuto freddo nonostante il cappotto pesante, la gente la guardava e lei si sentiva tremendamente in imbarazzo. Arrivare al locale era stato un sollievo, perchè parte della compagnia era già lì.

Lui era arrivato dopo, con altri amici. L'aveva visto riflesso nello specchio del bar, mentre aspettava la sua bibita. Aveva mangiato al buffet, chiacchierato, riso, ballato. L'aveva guardato, senza osare avvicinarsi, ma ogni volta che lui la guardava sorrideva e lei non poteva fare a meno di sorridere a sua volta, arrossendo.

 

Più tardi aveva ordinato qualcosa di alcolico. Menta e rosmarino, una cosa che non aveva mai assaggiato ma che era curiosa di provare. Sentiva caldo, adesso, e si era spostata verso l'uscita di sicurezza alla ricerca di aria fredda.

Fuori nevicava.

Senza pensarci due volte, aveva indossato il cappotto ed era uscita.

Stava osservando la danza lenta dei fiocchi, sorridendo persa nei suoi pensieri, quando la pesante porta alle sue spalle si era aperta riversando fuori una vampata di calore ed il rumore assordante della festa.

  • Non capita quasi mai che nevichi, sai?-

Il liquido nel bicchiere aveva oscillato pericolosamente. Imprecando tra sé e sé, aveva cercato di riprendere il controllo.

  • Allora sono fortunata.- aveva detto, mentre si voltava a guardarlo. La linea del collo spariva nel colletto della camicia che aveva il primo bottone slacciato, e il cappotto scuro era aperto sulla giacca blu notte. Aveva in mano un bicchiere pieno per metà, e l'aveva usato per indicare il cielo.

  • Molto, decisamente. Che io ricordi, l'ultima volta che ha nevicato andavo ancora a scuola.-

  • Nel Neolitico, praticamente...- rideva leggera mentre parlava, cercando di nascondere il tremito della voce.

Lui aveva riso. Non l'aveva mai sentito ridere, ma era un suono bellissimo.

  • Che cos'hai nel bicchiere?- si era avvicinato, appoggiandosi alla ringhiera del dehor. Il suo corpo la riparava parzialmente dal vento freddo che spingeva fiocchi di neve sul viso di entrambi.

  • Menta e rosmarino. Una cosa strana...vuoi assaggiare?- gli aveva porto il bicchiere, sorridendo.

Lui aveva fatto spallucce e si era sporto in avanti, mentre qualcuno alle loro spalle apriva la porta.

 

Lei aveva registrato la porta chiudersi con un tonfo secco, mentre lui assaggiava il cocktail direttamente dalle sue labbra. Presa in contropiede, aveva impiegato un secondo a rispondere al bacio.

Quando si erano separati, la neve cadeva più fitta che mai; nel dehor non c'era nessuno.

  • Che fatica...!- si era schernito lui, sorridendo a due dita dal suo naso mentre le accarezzava una guancia con la mano libera.

  • Fa...fatica?- aveva aggrottato le sopracciglia, piegando leggermente la testa di lato.

  • Sì, fatica. È tutta la sera che aspetto l'occasione buona.-

Le aveva tolto il bicchiere di mano e si era allontanato quel che bastava per poggiarlo su un tavolino lì accanto, già coperto di neve per metà.

  • Questo cocktail è tremendo. Assaggia il mio.-

  • Che cosa...?-

  • Su, assaggia...- le aveva avvicinato il bicchiere alle labbra, e lei aveva bevuto. Il suo aveva un gusto secco, deciso, con un retrogusto amarognolo appena mitigato dallo zucchero di canna. Non le piaceva granchè, ma non glie l'avrebbe detto per niente al mondo. - Allora?- le aveva chiesto, allontanando il bicchiere.

Lei aveva fatto una faccia buffa che gli aveva strappato una risata simile ad un colpo di tosse, poi l'aveva baciata di nuovo.

  • Decisamente meglio...- le aveva soffiato sulle labbra, quando l'aveva lasciata andare.

 

 

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