Chronicles of the Sands di WhiteRaven_sSR (/viewuser.php?uid=118215)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Gemini ***
Capitolo 2: *** 2.Coming home ***
Capitolo 1 *** 1.Gemini ***
Egitto,
?
“L’amore
fraterno è il più durevole; assomiglia a una
pietra preziosa che
resiste ai più duri metalli e il cui valore si accresce con
gli
anni.”
Hector
Carbonneau
Gemelli.
Due gemelli furono quelli dati alla luce da Tia, ventuno anni di
età
con un nome semplice, derivante dalla sposa di uno dei precedenti
faraoni, Amenofi II, uno dei parenti più stretti di Amenofi
IV, poi
conosciuto con il nome di Akhenaton, il faraone eretico. Insomma, un
collegamento con una serie di nomi, dinastie e reali di nobili
origini, con cui la giovane donna non aveva assolutamente nulla a che
fare.
Nulla
se non un nome. Poichè il significato di un nome, secondo
diverse
credenze, è quello che non solo ci guiderà per
tutta la vita, ma
anche quello che in parte determinerà chi siamo, per
renderci le
persone che siamo.
Non
aveva importanza se in quella notte di una giornata non ben definita,
in un mese dell'anno altrettanto non ben chiaro, come del resto
l'anno stesso, vista la complessità del tempo e delle sue
registrazioni, la ragazza si rese conto che i bambini appena avuti
erano due gemelli. Due maschietti. Sani e forti, perfettamente
paffuti, normali se non fosse stato per piccoli segnali visibili sin
da subito.
Dopo
essere stata assistita da una ex balia, nella periferia del
villaggio, al momento di lavare e fasciare i piccoli, subito erano
saltate all'occhio delle piccole scaglie sulla parte bassa del collo
e sui fianchi, come limitate a macchie, porzioni di si e no una
decina di centimetri di diametro massimo. Per non parlare della cosa
che fece quasi fare un infarto all'anziana signora: quegli occhi
rossi come il sangue.
In
un primo momento, dopo essersi riprese entrambe, le due si guardarono
e osservarono quelle strane creature, sebbene fosse chiaro a tutte e
due che non potevano essere altro che il frutto del demonio. Non
tanto perché avessero un aspetto bizzarro o simili, si
trattava pur
sempre di bambini e come tali la giovane Tia era intenzionata a
trattarli, ma perché la donna prima di rendersi conto di
essere
incinta, era vergine.
Se
le vie del Signore sono infinite, lo sono altrettanto quelle
dell'Angelo Caduto e delle sue schiere demoniache e così
come il
tempo si porta via eventi precisi, nomi e oggetti, allo stesso tempo
il modo o il perché uno dei demoni avesse scelto lei come
proprio
incubatrice personale, ci è tutt'oggi sconosciuto.
“Vi
prego, non dite nulla. Se si venisse a sapere in città, li
condannerebbero a morte e direbbero che sono figli di Apopi! E io non
voglio che muoiano...” disse Tia, rivolta all'anziana.
Presi
tra le braccia i bambini infatti, non era riuscita a resistere dal
coccolarli, stringerli, nutrirli dal proprio corpo appena avessero
reclamato, come una qualsiasi madre si sentirebbe in dovere e diritto
di fare.
La
donna anziana la guardò con una certa apprensione, come
fosse potuta
essere lei stessa la madre di Tia, benché fosse solamente
una balia
ormai al limite delle proprie forze, che con l'età aveva
deciso di
dedicarsi a soccorrere le giovani donne durante il parto. Ormai il
suo nome per tutti era diventato “nonna”, per la
sua propensione
a prendersi cura delle donne, delle neo mamme e dei loro figli, ma
anche di malati e bisognosi, un po' come un piccolo angelo custode a
girovagare per la città, nonostante l'età
avanzata.
Piegata
su un bastone piuttosto resistente dalla forma affusolata, ricurva
sulla cima, in un primo momento guardò Tia con fare severo,
arrendendosi poi alle sue suppliche.
“Farò
come dici, mia cara, ma tu dovrai restare nascosta per un po'. Se si
fosse trattato solo della pelle, per cui cercheremo un rimedio,
avresti potuto coprirli con i vestiti, ma quegli occhi non possono
essere coperti, a meno che tu non li finga ciechi.” disse poi.
Fingersi
ciechi in quel periodo, non era certo semplice come lo sarebbe stato
nell'epoca moderna. Niente lenti contatto, nemmeno quando e se
fossero stati più grandi. Avrebbero potuto impiegare le
terre per
coprirne le scaglie, più scure rispetto alla pelle e appena
rialzate, facenti spessore, più rigido, come vere e proprie
squame,
tingere i capelli con del hennè scuro, misto a kajal o
sostanze
simili, ma per gli occhi non ci sarebbe stato verso. Così
come non
ci sarebbe stato per la lingua. Nel sentirli mugolare, aprendo la
bocca di tanto in tanto per emettere qualche vagito, Tia aveva notato
quel color argento vivo e la biforcazione alla punta, ma non aveva
detto nulla.
Avrebbe
trovato una soluzione, quei bambini erano suoi.
“Se
entro un mese non sarà cambiato nulla o non avremo trovato
una
soluzione, dovrai separartene. Trovagli una sistemazione in caso di
emergenza, e in fretta, o sai anche tu che saranno condannati.
Bambini serpente non potranno mai essere accettati dalla
società,
già è uno scandalo che tu sia rimasta incinta. Lo
dico per te,
bambina mia, avrai bisogno di un marito, non puoi stare da
sola.”
sottolineò la nonna.
Per
i tempi che correvano, avere due bambini senza saperne chi fosse il
padre, senza essere già sposata e accasata, sempre ammesso
che
quella baracca in legno si potesse chiamare “casa”,
era
scandaloso. Per necessità, mica per altro. Non che Tia fosse
una
brutta ragazza, il tipico stile egizio nei tratti del viso, la pelle
color miele e dei lunghi e fluenti capelli neri a incorniciarle il
volto, ma se la si dovesse immaginare come uno di quegli affreschi
dipinti sulle pareti interne delle camere di sepoltura delle
piramidi, nulla sarebbe più sbagliato. Quegli affreschi
rappresentavano i nobili, non una popolana come lei. Sprovvista di
trucco, fatta eccezione per del kajal nero che riusciva a comprare al
mercato di tanto in tanto, perennemente con un cesto o un vaso pieno
d'acqua sulle spalle o intenta a comprare oggetti utili alla propria
aspirazione professionale. Il suo sogno era diventare un'artista
tanto brava da poter decorare le prestigiose case di benestanti e
nobili, così come artefatti quali vasi o arazzi in stoffa,
purchè
di arte si trattasse. E dire che era brava, era poco.
Era
difficile, non avendone i materiali e talvolta nemmeno il tempo
fisico, impegnata a lavorare nei campi quando possibile, per
mantenere una sorta di lavoro stabile quando il Nilo non esondava,
allagando le terre per ricoprirle di limo, fertilizzante naturale dal
colore scuro. Chiamata “la terra nera” dallo stesso
popolo
egiziano, l'Egitto era un paese di vita e morte allo stesso tempo, in
cui la giovane donna non aveva vita facile con il suo status di
popolana semplice.
A
volte le capitava di sognare una vita più agiata, dove poter
rientrare a casa al caldo tra le comodità, possibilmente a
doversi
preoccupare meno della sabbia costantemente presente all'interno
dell'abitazione. Ma chi lo sa, forse anche i nobili avevano lo stesso
problema. A differenza sua però, loro avevano servitori
intenti a
spazzare e pulire tutto il giorno.
Persa
in quei pensieri, Tia passò lo sguardo dapprima sui propri
figli,
poi sull'anziana signora, le cui nocche della mano posta sul bastone,
comunicavano da sole quanti anni potesse avere, così come la
pelle
raggrinzita e i capelli sale e pepe, nonostante tutto. Annuì
semplicemente, ben sapendo cosa comportasse voler tenere con
sé due
bambini simili e potenzialmente pericolosi, se davvero generati da
una forza oscura, ma la cosa sembrava non importarle più di
tanto.
Quella
notte fece un sogno bellissimo e terribile allo stesso tempo.
Un'entità fatta di luce le comunicò i nomi dei
figli, che tali
sarebbero dovuti essere per la loro natura, sebbene l'entità
non
specificò quale fosse o quale sarebbe stato il loro destino.
Solo
due nomi: Achashverosh per il più piccolo e Abiyshalowm, per
il
maggiore.
Le
venne promesso che se l'avesse fatto, gli dèi avrebbero
protetto i
due bambini nei primi anni dell'infanzia e in un primo momento la
donna non comprese le parole della creatura, così come i
nomi
talmente strani da risultarle perfino ridicoli, ma nel sentire quel
calore nel cuore, quella vicinanza all'entità che al solo
pensarla
nel sogno le trasmetteva un senso di pace, decise di obbedirvi. C'era
qualcosa di rassicurante e inspiegabile in quell'entità non
ben
definita, qualcosa che andava oltre alle divinità del
politeismo,
oltre alle moderne religioni, oltre alle credenze stesse.
Non
fu ben chiaro perché o cosa spinse Tia a fare quella scelta
alla
fine, poiché pur sempre di un sogno si era trattato, ma per
le
credenze dell'epoca sogni, visioni e quant'altro avevano enorme
rilevanza e sebbene la questione sarebbe suonata controversa anche
nel corso dei secoli, questo è ciò che accadde.
Il
giorno dopo infatti, i bambini sembravano come protetti da qualcosa
che ne celava la vera natura, quello che al giorno d'oggi chiameremmo
“velo” o “glamour”, una specie
di patina sottile dettata
dalle leggi della magia, per far sì che i comuni mortali, i
Mondani,
non vedano ciò che invece all'occhio di altri, era
così comune
quanto scontato.
Bambini,
egiziani, stregoni. Che coperti dall'incantesimo apparivano come due
semplici neonati dai capelli scuri, neri come la pece, i due occhioni
castani anch'essi piuttosto scuri, ma dolci come poche altre cose e
nessun segno visibile sulla pelle. La loro lingua sembrava essere
tornata normale e la giovane donna ringraziò gli
dèi per averli
resi tanto normali, non scoprendo mai cosa si celasse realmente
dietro a tutta quella storia.
16
anni dopo
Tia
non si fece troppi problemi a trattare i propri figli come bambini
normali, almeno finchè non si rese conto di ciò
che erano in grado
di fare. In un primo momento si spaventò molto, ma col
passare delle
settimane e dei mesi, pensò che quei bambini dovevano essere
speciali e non solo perché erano i propri. Troppi fattori
strani
avevano influenzato la loro nascita, il loro crescere in casa come
semplici bambini egiziani, successivamente come bambini magici,
egiziani. Vietò loro la magia nei luoghi pubblici, compresi
i templi
in cui regolarmente prestavano servizio come aiutanti, ricevendo in
cambio l'unica educazione che la madre fosse in grado di fornirgli,
non potendosi permettere scuole di grande prestigio, ma i due si
rivelarono ben presto poco interessati agli insegnamenti di scribi e
sacerdoti, molto più propensi alla magia autodidatta. Non
conoscevano nessuno come loro, quindi il più delle volte
passavano
il tempo al fiume o nei campi a farsi scherzi tra loro.
Dispettosi
sin da piccoli, Achashverosh, che successivamente nel corso dei
secoli mutò per comodità in
“Ash”, era il più testardo, restio
all'idea di farsi insegnare da “quei vecchi balordi che non
capiscono nulla!”, più dedito alla conoscenza per
conto proprio
dell'astronomia, della medicina e di tutto ciò che riguarda
la sfera
emotiva delle persone. Sarebbe voluto diventare un medico, ma come
capita spesso, il destino sembrava avere altri piani per lui.
A
differenza del fratello, Abiyshalowm, anch'esso poi modificato in
“Salem”, sembrava il più aperto all'idea
di vivere nuove
avventure, scoprire il mondo e uscire dagli schemi, nonché
dal
paese, alla scoperta di chissà quale meraviglia assoluta.
Dopo aver
scoperto di poter aprire degli squarci nello spazio, quelli che oggi
sono comunemente chiamati “portali”, li utilizzava
assieme al
fratello per spostarsi sulle lunghe distanze. Una volta
pensò pure a
un luogo molto distante, ma capì che gli sarebbe stato
impossibile
raggiungerlo per mezzo di un portale, se prima non ci fosse
già
stato fisicamente. A differenza del fratello, più
coscienzioso,
sebbene vivace allo stesso modo, lui si poteva definire quasi un
“irresponsabile”.
“Ti
farai ammazzare.” esordì Ash, scuotendo la testa
nell'osservare il
fratello, intento a fare i bagagli.
Un
panno di lino grezzo riempito con alcuni oggetti di base, giusto per
la sopravvivenza, nulla di più, per ciò che
concerneva il bagaglio
di Salem.
“Fratello
mio, ti preoccupi troppo. Pensa che potremmo fare con i nostri
poteri! Potremmo creare vie di comunicazione, spostarci dove
vogliamo, fare quello che vogliamo! Mamma ci ha raccontato spesso
ciò
che ha sognato su di noi e il faraone ha rivoluzionato l'intero
pantheon delle divinità! Lo sanno tutti che l'arte di Cnosso
sta
decadendo, ormai è sempre più evidente e i
Micenei dilagano per il
Mediterraneo. In più sembra che i caldei si stiano
stabilendo a
Uruk, la città più grande del mondo! Non sei
curioso?”
Salem
lo guardò con due occhi enormi, come fosse un gatto in cerca
di un
nuovo giocattolo, mentre Ash sembrò spazientirsi, sospirando
nel
tirar giù dal tavolino i piedi, finora comodamente poggiati,
le
gambe una sopra all'altra. Entrambi con solo un telo di stoffa in
lino grezzo a coprire la parte inferiore del corpo, indossavano
sandali alla schiava del materiale più economico. Salem a
differenza
del fratello indossava una cintura diagonale che collegava
l'indumento da parte a parte, attraversando schiena e petto
diagonalmente, come avesse una moderna borsa a tracolla, con l'unico
scopo di tenere su meglio il vestito e rimanere il solito
“diverso”.
Perché dei due quello eccentrico era decisamente lui.
Non
era cambiato poi molto da quando erano nati, certo con il loro aiuto
a lavorare nei campi o per i nobili, erano riusciti ad ampliare la
casa di qualche metro e a comprare qualche oggetto in più,
ma il
tenore di vita rientrava comunque in quello del popolo comune, nulla
di eclatante.
“No,
non sono curioso.” in risposta a Salem “Babilonia e
Uruk distano
diverse settimane di viaggio e tu non sei mai uscito dal villaggio se
non per raggiungere qualche città vicina e i loro templi. E
francamente non m'interessa quello che dice il faraone o nostra
madre. Siamo nati per lavorare nei campi, dovresti aiutarla come
faccio io, invece di pensare a girare il mondo alla ricerca di
chissà
quale avventura.”
“Tu
non capisci, non è solo l'avventura, potremmo diventare
ricchi e
aiutare la mamma.”
“In
che modo, facendoti ammazzare? Siamo popolani, Shal, pensi che
potremmo davvero capitare in una città così
grande e metterci in
piazza come se niente fosse?”
“E'
questo il punto! Andrò dal faraone e gli mostrerò
cosa sappiamo
fare. Lui ci ascolterà. E quando avremo abbastanza soldi per
partire, partiremo.”
La
sua idea fece fare una smorfia ad Ash, che scosse la testa,
preoccupato. Entrambi non ci capivano nulla di politica, relazioni
tra i cortigiani così come tra parenti ed eredi al trono, o
simili.
Due semplici contadini che lavorano per lo stato, per l'Astro
dell'Egitto, per costruire qualcosa di più grande, che il
mondo non
aveva mai visto prima e mai avrebbe dimenticato. Non solo le
piramidi, che oggi pare non siano mai state costruite da schiavi,
bensì da lavoratori impossibilitati ad arare i campi durante
le
piene del fiume e ripagati dallo Stato, ma una serie di cose atte a
mantenere l'ordine della scala sociale, al cui picco sorgeva il
faraone, in tutta la sua maestosa possenza.
“Non
posso obbligarti a vederla come me, ma se vorrai fare questa pazzia,
la farai da solo. Non siamo persone normali, ma questo non giustifica
le tue azioni e non ti rende nemmeno un Dio. Nostra madre è
preoccupata, ci ha sempre detto di stare al sicuro e di non dare
nell'occhio...e tu vuoi andare a dire tutto al faraone! Primo, non ti
riceverà mai, e secondo, anche se riuscissi a entrare al
palazzo
reale di soppiatto o con la forza, s'inventeranno qualcosa e finirai
incastrato! Ora va di moda questo Aton, questa divinità
solare che
lui ha...scoperto, inventato, non so bene a cosa credere e tu glie la
servi su un piatto d'argento. Ti userà per il suo culto, non
abbiamo
bisogno che tu perda tempo, ma che porti a casa qualcosa di cui
sfamarci. Se non lo fai per me, fallo per nostra madre.”
concluse
Ash, seccato, alzandosi per andare a prendere dell'acqua all'esterno
dell'abitazione.
Nell'uscire
vide sua madre in procinto di entrare e le cedette il passo senza
troppe remore, nervoso per le solite idee dell'ultimo minuto del
fratello. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di farsi tirare
dentro in quel modo da lui, in una delle sue ennesime stupidate, no,
questa volta se la sarebbe sbrigata da solo! Un conto era prendere in
giro il sacerdote del tempio, spaventare i popolani con ombre
inquietanti e racconti dell'orrore o simili, un altro fare coming out
magico davanti al faraone! Non avrebbe voluto lasciarlo solo, lui e
il fratello avevano un rapporto speciale, come ogni coppia di
gemelli, ma forse Salem avrebbe dovuto prendere un'altra strada da
solo, questa volta.
Recuperata
l'acqua al pozzo più vicino, rientrò a casa, i
sandali pieni di
sabbia che con il calar del sole iniziava a raffreddarsi sempre di
più, trasportata dalla sottile brezza serale proveniente da
ovest.
Rientrato
a casa, li trovò a discutere sull'eventuale partenza
imminente del
fratello, mentre lui da bravo figlio, sarebbe rimasto lì
senza
muovere nemmeno un muscolo, limitandosi ad ascoltarli parlare con
apparente noncuranza. Rimarrebbe fermo sul posto un secondo
nell'udire la voce della madre rivolgersi proprio a lui, cercando un
suo parere.
“Achashverosh,
tu vuoi andare assieme a lui?” chiese Tia, mostrando un dolce
sorriso a entrambi i figli, dapprima rivolta ad Ash, solo poi
spostando lo sguardo su Salem.
“No,
io resterò qui, madre.” tagliando corto. Avrebbe
voluto aggiungere
qualche frecciatina, ma l'arroganza non rientrava nei suoi difetti e
tutt'oggi è ancora così.
“Ne
sei sicuro? Non vuoi andare a vedere la grande Uruk di cui tutti
parlano? Forse potreste trovarci qualcosa di interessante, farvi una
vita migliore...” non fece in tempo a finire la frase.
“Ma
che avete tutti quanti?!” sbottò Ash.
“Il nostro posto è qui,
accanto a voi! Se non ci aveste cresciuti voi, madre, saremmo morti!
E Shal vuole andarsene via a cercare chissà cosa
lì fuori. Non è
giusto!”
Agitato,
non poteva sapere che parte di quel sentimento gli arrivava
automaticamente senza che se ne rendesse conto. Oltre a essere un
adolescente in piena crisi ormonale, non aveva il controllo totale
della propria magia, non ancora almeno, e quel senso di angoscia,
preoccupazione e tristezza non poteva sapere venissero proprio da Tia
stessa.
Negli
ultimi giorni era parsa più preoccupata del solito, come se
fosse
stanca, spossata. Ma d'altra parte nelle condizioni lavorative in cui
vertevano all'epoca, non ci si poteva aspettare di meglio. Per
qualche tempo era anche riuscita a lavorare come artista in proprio,
ma a lungo andare le spese erano dure da affrontare senza un mecenate
che le garantisse almeno uno studio fisso in cui potersi dedicare
alle proprie opere, oltre a poterle vendere. E con due bambini
piccoli a cui badare, figli del demonio, per quel che ne sapeva la
gente, se solo li avessero scoperti, sarebbe stato pressochè
impossibile. Quindi era tornata ai campi, alla manovalanza non troppo
pesante poiché pur sempre donna o a cose come il carico e
scarico
delle merci per una paga misera.
Eppure
eccoli lì tutti e tre, a discutere sul da farsi.
“Acha,
non puoi pretendere di rimanere qui per tutta la vita, non abbiamo
abbastanza di che sfamarci.” disse Salem, sospirando.
L'altro
in risposta prese un piatto in terracotta e glie lo lanciò,
ritrovandosi ben presto ad alzare la voce. Il piatto nello schianto
prese Salem solo di striscio, fracassandosi a terra.
“Allora
rimboccati le maniche e lavora di più invece di andare in
giro a
farti la tua stupida vita da solo!”
Emotivo,
Ash rimase a fissare il gemello per trenta secondi buoni, nessuno dei
due senza professar parola, gli occhi scuri a fissarsi come se non
fossero uno l'esatto riflesso dell'altro in quanto a fisionomia,
colore di occhi e capelli, solo il taglio era differente. Il
caschetto al mento ordinato di Ash infatti, cozzava pesantemente con
il corto sbarazzino del gemello, più corto e sempre
selvaggio.
Fu
Tia a interrompere quel silenzio imbarazzante, alzandosi in piedi in
tutta la sua grazia, il vestito in lino bianco a fasciarle i fianchi,
coprendo il seno per fissarsi sul retro del collo in un nodo, lungo
fino alle caviglie, ai piedi un paio di sandali uguali a quelli dei
figli. Tranquilla nel modo di porsi, un sorriso dolce stampato in
volto come a volerli rassicurare, nonché sistemare le cose.
“Su
ragazzi, datevi una calmata e vediamo di gestire questo pasticcio.
Abiyshalowm, non puoi andare dal faraone a parlargli di ciò
che sei
e lo sai. Ti ucciderebbe probabilmente e metteresti in pericolo tuo
fratello, oltre che l'intera famiglia.” Categorica in merito.
“Ma
puoi partire, se lo desideri.” disse poi, senza smettere di
sorridere.
Un
sorriso caldo il suo, sebbene qualcosa della solita giovane, donna,
sembrava non essere al proprio posto. La pelle abbronzata presentava
un colore a tratti spento, gli occhi segnati da qualche occhiaia di
troppo per l'età che aveva, a entrambi i figli fece pensare
che
doveva essere molto stanca. Ciò spingeva Ash a impegnarsi di
più,
dando il proprio meglio sul posto, mentre Salem sembrava sempre
più
deciso a partire, volendo trovare quel qualcosa che a loro mancava,
qualcosa in grado di rivoluzionare le loro vite a tal punto da
potersi permettere di far smettere di lavorare la madre per
concederle il tanto meritato riposo. Oggi la si chiamerebbe
“migrazione lavorativa” o qualcosa di simile, molto
comune e
sempre più frequente, ma al tempo sarebbe bastata una ferita
seria
per far sorgere delle complicanze durante il tragitto. A piedi o in
groppa a qualche animale, è chiaro che con la mancanza dei
mezzi
moderni, la cosa fosse molto più faticosa.
Il
fatto che la madre avesse consentito al fratello di partire,
lasciò
male Ash, che così su due piedi si sentiva troppo arrabbiato
per
continuare il discorso, mettendosi in disparte per far sì
che il
gemello e lei potessero concordare i termini della cosa. Non era
felice che l'altro partisse, glie lo si poteva tranquillamente
leggere in faccia con quell'espressione corrucciata ai limiti della
decenza, come fosse un bambino. Non che sedici anni facessero di lui
un adulto, ma per l'epoca di fatto lo era già.
In
compenso Salem finì di preparare le quattro cose che si
sarebbe
dovuto portare dietro, una sorta di kit di sopravvivenza del tempo,
con tanto di otre e simili per non morire di fame o di sete nel bel
mezzo del deserto. Vestiti pesanti per la notte, viste le temperature
ad abbassarsi quando il sole tramontava e una tenda montabile in caso
di tempeste di sabbia. Per non parlare della magia.
Quella
faceva testo a parte, gli permetteva di cavarsela anche nelle
situazioni meno ottimali, sfruttando le proprie caratteristiche
simili a quelle di un serpente per facilitarsi gran parte dei
compiti, sebbene tante di esse le avrebbe scoperte solo più
avanti.
Ultimati
i preparativi, decise che sarebbe partito la mattina del giorno
seguente, un po' per la sicurezza di non incappare in minacce di
sorta alcuna, un po' per la luce e la giornata che in quel modo
sarebbe durata di più, in un certo senso.
Ash
non fu contento per la partenza del fratello in mattinata, ma in
fondo non avrebbe certo potuto fermarlo o limitarlo più di
tanto.
Avrebbe voluto, ma dopo aver capito che non ci sarebbe stato verso di
fargli cambiare idea, aveva accettato la cosa senza troppe remore,
limitandosi ad augurargli buon viaggio, assicurandosi che sarebbero
rimasti in contatto con la magia in un qualche modo. I messaggi di
fuoco ancora non erano usati dai due, ennesima comodità che
avrebbero dovuto scoprire, di conseguenza avevano trovato un sistema
tramite l'empatia di Ash stesso, in modo che quando lui fosse stato
in pericolo o talmente scosso da provare una forte emozione, il
gemello lo avrebbe saputo all'istante.
Quindi
una volta rientrato a casa dopo il lavoro, lo stregone andò
a
sedersi, esausto, la testa tirata indietro come potesse prendere
più
aria in quel modo, in attesa del rientro della madre, che sarebbe
rincasata di lì a poco. In effetti Tia non
impiegò molto a
comparire sulla soglia, stanca per la giornata di lavoro, sorridente
per poter essere rientrata anche quella sera ritrovandosi in
compagnia del figlio.
“Com'è
andata la giornata?” chiese Ash, curioso.
Tia
gli sorrise, avviandosi verso la cucina, decisa a iniziare a
preparare la cena.
“Bene,
sono un po' stanca, ma credo sia normale.”
Lo
stregone si alzò a sua volta per andare ad aiutarla,
seguendola
nella cucinetta con lo stretto indispensabile, premurandosi di
accendere il fuoco per poter cuocere alcune cose. Come da usanza,
spesso potevano cuocere le pietanze sotto alla sabbia, tecnica
impiegata tutt'oggi in alcune zone desertiche, ma con il calar del
sole, la sabbia si sarebbe raffreddata man mano e si sa quanto le
zone desertiche possano diventare fredde di notte.
Armatosi
di pazienza e di un pizzico di magia, sempre dopo essersi assicurato
che non ci fosse nessuno nei paraggi, Ash lasciò le
fiammelle
crepitare nel forno, se così si poteva chiamare quell'incavo
adibito
a tale.
Nel
frattempo Tia si avviò verso la dispensa per recuperare il
necessario per la cena e fu poco dopo che si udì un tonfo
secco,
seguito da un rumore di cocci in frantumi.
“Madre,
state bene?” chiese Ash, preoccupato.
Nessuna
risposta. Non un accenno, né un rumore.
Quindi
l'egiziano si precipitò in dispensa, preoccupato per le
condizioni
della madre, che trovò a terra, priva di sensi.
Inutile
dire quanto lui si preoccupò, provando un senso di vuoto
allo
stomaco, un tuffo al cuore nel pensare al peggio, non sapendo di
preciso cosa avrebbe potuto portarla a svenire in quel modo. Sebbene
fosse preso dal panico, non rimase con le mani in mano, dandosi da
fare per prenderla in braccio e portarla nell'unica altra stanza,
dove di solito erano sistemati i loro giacigli su cui dormivano.
Oltre a non pesare troppo di suo lei, non avrebbe fatto fatica a
spostare la madre anche con l'uso della magia, ma al momento la
priorità andava alla ricerca di acqua in cui impregnare
della stoffa
da porle sulla fronte, cosa che fece pochi istanti dopo.
Ash
non era un guaritore e le conoscenze dell'epoca circa il
funzionamento del corpo umano forse non sarebbero state sufficienti a
diagnosticare certi tipi di malattie. Di conseguenza cercò
una causa
a modo proprio, schermando il suo corpo con la magia, come a
ricercare qualcosa che gli lasciasse intendere quale fosse il
problema. In quel modo avrebbe potuto trovare ferite aperte, per i
termini quali “batteri” o
“virus” si sarebbe dovuto aspettare
ancora molto.
Per
ora di conseguenza si limitò a osservare il suo viso e il
suo corpo
per cercare di capirne le condizioni. Che fosse stanca e avesse
febbre alta era evidente dopo un contatto stretto, ma lei non si era
mai lamentata finora, rimanendo sorridente e all'apparenza
spensierata per infondere forza in tutta la famiglia.
Rimase
in attesa che lei si svegliasse, vedendola pian piano aprire gli
occhi, boccheggiando appena per la febbre alta, come se volesse far
fuoriuscire dal proprio corpo tutto quel calore. Sembrava volesse
dirgli qualcosa con quel boccheggiare.
“Non...chiamare
tuo fratello” disse a un certo punto, provando a sorridere.
Ash
serrò i denti, rabbioso. Un tipo di rabbia struggente e
dolce allo
stesso tempo, poiché si trattava pur sempre della propria
famiglia e
non sarebbe mai riuscito a essere davvero arrabbiato con loro.
“Lui
va in giro mentre voi state male e non dovrei riportarlo a casa
all'istante? Con tutto il rispetto, madre mia, ma a volte davvero non
vi capisco.”
Tia
sorrise, rimanendo a guardarlo con una certa dolcezza, annuendo,
senza smettere di spegnere il proprio modo di fare luminoso e
gentile. Sapeva bene quanto i figli la ritenessero un punto fermo
nella loro vita, glie lo si leggeva in viso, ma nonostante
ciò, Ash
non riusciva a capacitarsi di come riuscisse a essere sempre
così
calma e determinata, positiva nonostante le complicanze che avrebbe
scoperto ben presto essere presenti.
Questi personaggi appartengono
alla sottoscritta, gradirei che non infrangeste il copyright e non li
riutilizzaste nelle vostre storie, salvo permesso.
L'opera originale
"Shadowhunters" e personaggi annessi, sono di proprietà di
Cassandra Clare. Ogni riferimento a luoghi, fatti e persone
è puramente casuale, mi scuso in caso di omonimia.
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Capitolo 2 *** 2.Coming home ***
Ash
trascorse la notte ad assistere la madre, percorsa da brividi di
freddo e alte temperature corporee, oltre che una brutta cera ben
visibile anche con quella poca luce. Potè chiamare un
medico, o
meglio un sacerdote, visti i tempi, solamente in mattinata, quando
Tia era finalmente riuscita ad addormentarsi dopo diverse ore passate
a tremare.
Fortunatamente
il sacerdote era accorso sul posto appena possibile, preoccupato per
la salute della donna, tanto da portare con sé statuine di
divinità
atte a fungere da aiutanti assieme ai medicinali rigorosamente
naturali, provenienti da erbe mediche, spezie o simili. Non
mancavano certo intrugli di qualsivoglia tipo dati da sangue animale,
resine o radici e di fatto Ash non seppe bene cosa il sacerdote
stesse somministrando alla madre. Giovane, fin troppo, non era ancora
a conoscenza delle proprie facoltà, avrebbe potuto provare
di tanto
in tanto, ma per uno stregone di soli sedici anni, sarebbe stato
difficile fare qualcosa, era troppa l'inesperienza che aveva addosso,
troppo il dover costantemente nascondere sé stesso al
pubblico,
ignaro del fatto che forse c'erano altri come lui.
“Nascosti”.
Questo termine sarebbe stato coniato solo secoli dopo, non avrebbe
potuto immaginare un simile svolgimento dei fatti nemmeno nella
propria più fervida immaginazione. A essere sinceri non
immaginava
nemmeno sé stesso tra un centinaio di anni, figurarsi tra un
paio di
migliaia.
Certo
fu che pregò per tutto il tempo le divinità di
ogni pantheon,
incerto sulla spedizione o meno di quel pensiero empatico che teneva
in testa ormai da una mezz'ora buona, senza avere il coraggio di
inviarlo. Non era paura, quanto più una richiesta, una
richiesta di
sua madre. Aveva detto di non avvisare Salem, e lui si era ritrovato
combattuto sul da farsi.
Poco
dopo vide il sacerdote uscire dall'abitazione, raggiungendolo
all'esterno, dove aveva preferito aspettare per non disturbare
durante le cure.
“E'
debilitata, ha la febbre alta e si disidrata facilmente. Ho preparato
diverse miscele di erbe da somministrarle e qui troverete le
istruzioni per un'eventuale cura.” disse il sacerdote,
porgendogli
un rotolo di papiro. “Non vi resta che sperare che si
riprenda e
pregare gli dèi, è tutto nelle loro
mani.”
Ovvio
che secondo l'ideologia del periodo, tutto era gestito dal volere
degli dèi. Ogni cosa, dal giorno e la notte, fino alla vita
stessa,
al raccolto, alle piene del fiume, qualsiasi fenomeno non poteva
essere gestito da nessun altro se non le divinità del cosmo,
ognuna
con un compito ben preciso e spesso una tematica o un regno su cui
governare. Akhenaton con il suo monoteismo aveva fatto scalpore e
l'Egitto già di per sé stava vivendo un periodo
di caos scatenato
dal suo credo, ma il popolo aveva sempre le sue tradizioni in cui
rifugiarsi. Non mancavano i metodi di cura alternativi e non
convenzionali, quei rimedi che oggi si potrebbero definire della
nonna, ma anche una serie di credenze popolari legate a creature e
magia.
Forse
la magia, quella vera, era l'unica soluzione. Ash ringraziò
il
sacerdote, un anziano signore in classica tunica di lino bianco, per
poi rientrare nell'abitazione, raggiungendo Tia, ora sveglia, ma poco
presente, mentalmente parlando, a causa del malore. Sembrava scossa,
pallida e fin troppo febbricitante anche solo per poter parlare, ma
nel vederlo raggiungerla, elargì uno dei propri sorrisi
gentili,
spiazzanti per le condizioni in cui verteva.
“Non
avete una bella cera.” disse Ash, piegandosi su di lei per
tastarle
la fronte, ancora bollente.
“Sono
stata peggio.”
Nulla,
quel sorriso non voleva saperne di spegnersi, forte e luminoso come
pochi altri. Un raggio di sole nel freddo glaciale dell'inverno,
così
come un'anima calorosa era la stessa Tia.
Sebbene
Ash fosse un aspirante medico, la difficoltà di leggere
ciò che era
riportato sulla pergamena lasciatagli dal sacerdote non fu cosa da
poco. Per quanto il sapere li entusiasmasse, nessuno dei gemelli era
mai stato portato per l'apprendimento scolastico, tanto meno era
diffusa la capacità di lettura, nel periodo. Forza lavoro,
ecco cosa
serviva per rendere grande quel paese, per seguire la via illuminata
dal faraone.
E
di forza lavoro si trattò almeno per la prima settimana in
cui Tia
non sarebbe mai riuscita a reggersi in piedi. Mentre Salem era in
giro disperso chissà dove, Ash a casa si stava occupando di
tutto,
lavorando duramente durante il giorno, per portare a casa il cibo
necessario a sfamare sé stesso e la madre, passando le notti
in
bianco nel tentativo di capire alcuni scritti, miscelando le piante e
le resine, provando ad applicare la magia in modo naturale.
E'
chiaro che sebbene entrambi i gemelli avessero avuto sedici anni per
dedicarsi alla magia, senza un mentore o delle linee guida, la cosa
sarebbe risultata difficoltosa per chiunque. Autodidatti,
nonché gli
unici della propria razza per quel che potevano saperne all'epoca,
non avrebbero raggiunto una conoscenza imponente nemmeno volendo in
quel breve tempo, vista la durata illimitata della vita di uno
stregone.
Di
fatto, quindi, ad Ash non rimase che rimboccarsi le maniche, provando
in tutti i modi a guarire con la magia quella che al tempo gli
sembrava una malattia impossibile da sconfiggere. E come biasimarlo?
Le sue emozioni iniziavano a pesargli fin troppo, riuscendo a
percepire perfettamente tutto il dolore che la madre provava, il
senso di stanchezza, di nausea, quella voglia instancabile di
alzarsi, senza poterlo fare. Per quanto lo stregone fosse abile, non
aveva la capacità di leggere nel pensiero, ma a giudicare
dagli
sguardi di Tia, fatti di puro dispiacere, immaginava si sentisse in
colpa per non essere stata in grado di aiutare la famiglia in quegli
ultimi giorni.
La
magia rallentò la malattia, non si poteva dire che fu del
tutto
inutile, ma dopo due settimane in quelle condizioni, con poche ore di
sonno e il dover affrontare tutto da solo, Ash dovette richiamare
l'attenzione del gemello.
Non
avrebbe voluto farlo, Tia era stata chiara in merito, ma si sentiva
stanco. Stanco, solo, amareggiato, per non dire sconfitto. Impotente
a essere sinceri, poiché conscio che con la propria
inesperienza non
sarebbe mai riuscito a fare nulla. Il destino lo aveva preso in giro
sin da quando Tia aveva iniziato ad ammalarsi e si malediceva per non
essere stato in grado di scoprirlo prima. Forse se si fosse accorto
subito dei sintomi, sarebbe riuscito a salvarla, forse se Salem non
fosse andato via, anche lui sarebbe stato più forte. Dava la
colpa a
suo fratello per essersene andato, ma allo stesso tempo la dava a
sé
stesso per non essere stato in grado di capire subito in che
situazione vertevano tutti quanti. Salem irrequieto e desideroso di
avventura, Tia sempre più vicina a un baratro buio, in cui
avrebbe
solo potuto pregare gli dèi per uscirne. Si era reso conto
che il
cancello dell'oltretomba aveva iniziato ad aprirsi e nulla avrebbe
vietato a Osiride di soppesare i peccati di Tia, perché
volendo
guardare la realtà delle cose, lei stava morendo.
Attese
una sera inoltrata per inviare quel pensiero telepatico studiato dai
gemelli per contattarsi, ringraziando le divinità che il
proprio
potere si basasse sulle emozioni, rimanendo in attesa per un paio
d'ore.
Così
come Ash non aveva ancora perfezionato i propri poteri empatici ed
emotivi, lo stesso Salem, dotato della mobilità spaziale,
non
riusciva ancora bene a controllare i portali. Spesso si rivelavano un
salto nel vuoto, Ash lo sapeva bene, quindi rimase in attesa per il
tempo necessario senza farne una colpa a nessuno, pregando solo che
il gemello arrivasse in tempo.
Iniziò
a preoccuparsi, quando poi vide un portale aprirsi, facendone uscire
un Salem decisamente in forma, con indosso i tipici abiti della
Babilonia dell'epoca, la classica tunica poiché per i
pantaloni si
sarebbe dovuto aspettare ancora un bel po', in colori non troppo
sgargianti, ma dalle trame ricche e ricercate, quei ricami tipici
delle stoffe d'oriente, simile se non uguale ai damascati degli
Aramei. Come avesse fatto a ottenere vestiti tanto sfarzosi, solo gli
dèi lo sapevano.
“Che
sta succedendo?” chiese Salem, serio in viso.
Chiaramente
con il proprio pensiero telepatico, Ash non solo aveva inviato un
messaggio, ma non era riuscito a trattenere qualche immagine legata
alla propria stessa emotività.
Dall'altro
canto, Salem pareva come irritato per essere stato disturbato in quel
modo, come se avesse avuto qualche impegno inderogabile di sorta e il
gemello lo avesse riportato alla realtà con quelle notizie
poco
simpatiche.
“Si
tratta di nostra madre. Lei...non sta bene.” una pausa nel
dirlo.
“Quello
lo avevo capito, fratello”
Un
“Capitan Ovvio” piuttosto palese a giudicare dal
tono sarcastico,
ma a dirla tutta nemmeno Salem aveva tutti i torti. Non era stato
avvisato fino a quel momento e Ash si aspettava di tutto da quella
testa calda.
“Ha
la febbre alta, trema, fatica a mangiare ed è
disidratata...il
sacerdote ha detto di somministrarle delle erbe e delle resine, ma da
solo non riesco a cavarne un ragno dal buco.” riprese Ash.
Vide
il fratello sollevare le sopracciglia, incrociando le braccia al
petto come a chiedere il da farsi, decidendosi solo dopo a esplicare
ciò che gli passava per la testa.
“Non
sono un medico, fratellino. Per quanto io possa preoccuparmi e
credimi, sono davvero preoccupato, che potrei fare? Ci posso provare
a darti una mano, ma devi spiegarmi cosa fare.”
In
parte è in quelle situazioni che la natura fredda di Salem
si
manifestava, la stessa natura che col tempo lo avrebbe caratterizzato
sempre di più, finendo per inghiottirlo in un baratro da cui
non
sarebbe uscito.
Ash
non potè fare altro che abbassare lo sguardo, gli occhi man
mano
sempre più lucidi, trattenuti dall'essere inondati di
lacrime almeno
finchè sarebbe riuscito a farlo. Sarebbe durato poco, lo
sapeva.
“Sta
morendo, Shal. Nostra madre sta morendo.”
Per
diversi secondi, che parvero ore, il silenzio calò tra i
due,
mietendo le parole come fossero vittime sacrificali. Ash con la testa
bassa, fissava il suolo sabbioso senza muoversi di un millimetro,
Salem lo fissava inerme, senza sapere che dire o che fare. Era ovvio
che suo fratello fosse cascato dalle nuvole. Fino al giorno prima era
convinto di poter tornare a casa dopo aver fatto fortuna e di punto
in bianco Ash gli aveva dato la notizia. In parte erano preparati a
un'eventualità simile, vista l'epoca. Non per una questione
di
pessimismo, né di cattiveria gratuita, visti i loro nemici
politici
inesistenti, quanto perché all'epoca bastava un nonnulla per
morire.
Un animale inferocito, un incidente sul lavoro, una malattia
fulminante, una bacca velenosa. Qualsiasi cosa poteva essere letale e
se oggi le persone sono abituate agli ospedali, con un farmaco
chimico per ogni malore, al tempo anche nelle città
più grandi era
difficile riuscire a guarire da determinati malanni.
Per
quanto tuttavia l'uomo sia mentalmente preparato a una notizia
simile, in realtà non lo è mai abbastanza.
La
reazione di Salem fu migliore del previsto, di primo acchito.
“Da
quanto tempo sta così?”
“Quattordici
lune.”
Tenendo
conto del calcolo del tempo della popolazione egizia e dell'entrata
in vigore del calendario gregoriano solo diversi secoli dopo, quella
risposta era più che comprensibile. Come il sole sorgeva e
tramontava all'epoca, lo stesso accade oggi, in questo non vi
è
nessuna differenza.
Se
la reazione di Salem sembrò fin troppo pacata all'inizio,
poi si
rivelò per ciò che era: un fiume in piena, un
carrarmato con avanti
a sé un muro in gesso nell'allungare le braccia verso il
fratello,
prendendolo per l'unico lembo della tunica a coprirgli quella sottile
parte del petto.
“E
quando avresti avuto intenzione di dirmelo, quando fosse stata da
imbalsamare?! Sei stupido, forse? Nostra madre non sta bene e tu me
lo dici a fatto compiuto? Sei un imbecille!” urlato, senza
fare
pause tra una frase e l'altra quasi, tutto d'un fiato.
Prima
di sferrare al gemello un pugno in viso. Rabbia quella manifestata
dallo stregone che si considerava il fratello maggiore, sebbene
fossero gemelli. Una rabbia incontrollata, capace di radere al suolo
l'intero villaggio, se solo si fosse messo d'impegno e avesse
controllato la propria forza distruttiva in un unico luogo.
Letteralmente, poiché provvisti entrambi di poteri magici.
Ash
non rispose subito e nemmeno reagì alle sue parole. In fin
dei
conti, aveva ragione.
“Mi
ha chiesto di non dirtelo.” si limitò a dire.
Comprensibile
lo stupore sul volto di Salem, quasi impallidito per la risposta.
Non
si sarebbe potuto dare per vinto, quello era certo, quindi si
avviò
verso casa, il gemello alle spalle, entrando poco dopo, trovando la
madre seduta a terra, visibilmente spossata e disfatta, intenta a
cercare di mangiare qualcosa.
Se
lo stregone esprimeva solo rabbia, Tia emetteva una dolcezza tutta
propria. Lo guardò con un che di sorpreso all'inizio,
sciogliendosi
poi in un tenero sorriso che commosse Salem tanto da non fargli
trattenere le lacrime.
Ash
raggiunse la madre appena misero piede all'interno, ponendosi seduto,
dietro di lei, in modo da sostenerle la schiena e aiutarla a mangiare
nel caso non avesse avuto la forza di stringere a sufficienza gli
oggetti o il pane.
“Bentornato
a casa” esordì Tia, senza perdere il sorriso.
“Madre
mia...”
Salem
non seppe dire altro. Quel senso di nostalgia, misto a rammarico e
dolore che aleggiava per la stanza, bastava a sostituire tutte le
parole. Sarebbe bastato ancora per diversi minuti, il tempo per Salem
di raggiungere i due, sedendosi accanto a loro, prima di fargli
balenare in testa qualche idea di troppo, che forse avrebbe dovuto
evitare, col senno di poi.
“Troveremo
una soluzione. La magia risolverà tutto, vi salveremo ad
ogni
costo.” riprese.
“Shal,
no. Dovresti aver capito che la magia per voi ha sempre avuto un
prezzo.” iniziò Tia, dolce nel tono. “E
non intendo una ciotola
di grano o un gioiello, ma un prezzo diverso, di tipo sentimentale.
Per voi la magia è una cosa naturale, siete nati
così e io non
potrei essere più fiera. Ma non si gioca con la vita. Quando
io me
ne andrò...”
“Non
ditelo nemmeno per scherzo!”
Gli
era uscito veloce, un tono più alto del normale, per la
preoccupazione. Ash non disse nulla, ma era palese quanto il fratello
fosse preoccupato e si sentisse inerme almeno quanto lui.
Tia
lo guardò con dolcezza, allungando una mano al viso di
Salem, per
sollevarlo appena con la punta delle dita, riprendendo dove
interrotta.
“Quando
io me ne andrò, voi andrete avanti. Esplorate il mondo,
parlate con
la gente e scoprite più cose possibili su di voi, oltre che
del
mondo. Io sono umana, non so bene cosa ci sia lì fuori, ma
se ci
sono altri come voi, amateli e proteggeteli sempre. Le persone hanno
bisogno di un po' di magia nelle loro vite.”
Amore,
un amore incontrollabile e innegabile, quello che la legava ai figli.
Per quanto strani, per quanto per metà demoni, lei era e
sarebbe
rimasta per sempre la loro giovane mamma. Al di là di ogni
convenzione e di ogni spazio, poiché i due stregoni ancora
acerbi
erano del tutto ignari di essere immortali. Un destino crudele, senza
ombra di dubbio.
I
due gemelli non poterono fare altro che piangere, piangere e pregare
che qualche entità superiore la salvasse, mentre i giorni si
susseguirono e le condizioni di Tia non fecero altro che peggiorare.
Forse le divinità non erano state soddisfatte a sufficienza,
forse
loro avevano sbagliato qualcosa o forse, semplicemente, non
esistevano. Entrambi iniziarono a nutrire dubbi al riguardo,
così
come non furono rare le liti per le cose più futili. Il
nervosismo
aleggiava per la casa, ma mentre i due gemelli bisticciavano come
vipere, Tia spesso e volentieri si metteva a ridere. Vederli
preoccupati non la faceva certo stare bene, ma a differenza loro
sapeva che il giorno della propria morte era vicino e non sarebbe
voluta andarsene senza un sorriso sulle labbra.
Mentre
Ash con la propria empatia ed emotività era in grado di
percepire
quel sentimento di rammarico, misto a tenacia della madre, Salem non
faceva che provare rabbia.
“Sii
gentile con tuo fratello. E' molto sensibile e ci rimane male
facilmente.” Tia continuava a ripeterlo a Salem,
“Porta pazienza
e dagli il tempo di maturare. La sua rabbia gli annebbia la vista,
sta a te tenerlo a bada e riuscire a calmarlo.” era invece il
consiglio dato ad Ash, nei confronti del gemello. Due caratteri
completamente diversi, per due persone identiche nell'aspetto, con
magie altrettanto diverse nella natura e nell'applicazione.
Prima
o poi quel giorno sarebbe dovuto arrivare. Fu un po' come sentirselo
dentro, appena sotto alla pelle, per i gemelli, che la sera
precedente erano rimasti accanto alla madre con la paura di
addormentarsi e non poter sentire mai più la sua voce. Dopo
svariate
ore passate a chiacchierare e a rassicurarli, Tia era riuscita a
farli addormentare come quando erano bambini, tra le proprie braccia,
con un semplice “vi voglio bene” prima di
addormentarsi a propria
volta.
Addormentarsi
per non potersi svegliare mai più.
Quando
Ash l'aveva trovata il mattino seguente, non era riuscito a dire o
fare nulla che non fosse rimboccarle le coperte, stringendosi a lei
ancora per un po', sebbene il corpo fosse ormai un involucro vuoto,
piangendo silenziosamente per non svegliare il fratello. Poi era
stato il turno di Salem, che dopo aver gridato per minuti infiniti,
aveva sfondato il tavolo, maledicendo ogni cosa attorno a
sé. Ogni
cosa, tranne lui. Ash era ancora lì, in attesa che si
sfogasse,
paziente, come sua madre gli aveva chiesto di fare.
L'avevano
persa per sempre e non erano riusciti a salvarla. Forse anche
perché
lei non avrebbe mai voluto ricorrere alla magia per andare in contro
al suo destino, fatto stava che lei era morta e loro erano rimasti
soli. Non sapevano che lo sarebbero stati ancora per molto.
“Noi
li troveremo” inziò Salem, guardando fuori dalla
finestra, le
lacrime ancora a inumidirgli il viso. “Troveremo altri come
noi e
li proteggeremo. Nostra madre lo avrebbe voluto.”
Il
dolore della perdita squarciò l'animo di entrambi e sebbene
Ash
fosse quello che ne risentisse maggiormente per natura magica, i
gemelli sapevano che non sarebbero potuti rimanere lì a
lungo.
Troppi dubbi e troppe domande da fare ora al nulla per il momento,
poiché soli e senza una guida, forse gli unici, vista
l'epoca, forse
solo ciechi a causa del loro dover rimanere nascosti.
Non
poterono nemmeno ricorrere alla mummificazione del corpo di Tia, non
disponendo di sufficiente status e denaro per comprare i vasi canopi
necessari alla sepoltura e poiché all'epoca non c'erano
troppe
regole per le sepolture, optarono semplicemente per una pira
commemorativa, che incendiarono quella sera, poco distante dalla
periferia del villaggio. Mentre la pira bruciava ed entrambi
sostavano in piedi con ancora le torce in mano, diversi pensieri
affollarono la mente di uno e dell'altro, più impegnati a
pensare al
loro futuro che ringraziare quelle quattro persone che avevano preso
parte a quella sottospecie di cerimonia breve e ben poco ufficiale.
Nulla di tradizionale per una popolana che non conosceva nessuno o
quasi, una ragazza madre che aveva cresciuto quei due figli strani da
sola, senza un marito e senza essere sposata o promessa a nessuno.
Non c'era quindi da stupirsi se ad affiancare i gemelli ci fossero
solo il sacerdote e qualche curioso.
Infine
dopo diverse ore dall'aver appiccato le fiamme, si ritrovarono ancora
una volta soli, sulla fredda sabbia del deserto, pronti a rientrare
in quella casa che non sarebbe mai più stata la stessa senza
Tia.
“Quindi
ora che faremo?” chiese Ash, la torcia ancora in mano, quasi
spenta, con una piccola fiamma ancora alimentata dal vento.
“Non
lo so.” sospirò Salem. “Potremmo partire
e vedere cosa c'è in
giro, come avrebbe voluto nostra madre. Partiamo dagli stati vicini e
vediamo.”
Sebbene
l'idea di trovare altre streghe e stregoni fosse buona, era un po'
tutto campato per aria poiché nessuno dei due sapeva da dove
partire.
“Dici
che possiamo trovare altri come noi con qualche incantesimo? Forse
possiamo percepire gli altri, ma ancora non lo sappiamo.”
“Potremmo
provare. Impieghiamo questa settimana per capire cosa vogliamo fare e
poi partiamo. Vendiamo la casa, compriamo delle provviste e andiamo.
Anche a casaccio. Sono stufo di questo posto, abbiamo bisogno di
cambiare aria...”
Visti
gli ultimi avvenimenti. Effettivamente anche se Tia non fosse morta,
tutti nel villaggio li avevano sempre guardati male e ora cambiare
aria gli avrebbe solo giovato.
“Potremmo
andare a nord” la buttò lì Ash,
cercando di sorridere per
sbloccare la tensione. “Dicono ci siano altri imperi, magari
potremmo provare a far fortuna lì.”
Salem
sorrise, amareggiato. Vaggiare era tutto ciò che aveva
sempre
desiderato e ora che sua madre non c'era più in un certo
senso si
trovava obbligato a farlo. In parte, tuttavia, la cosa non gli
sembrava più così interessante, a giudicare dalla
sua espressione.
Stava
per rispondere, la bocca aperta nel tentativo di far uscire le
parole, se non fosse stato interrotto da una voce. Non gli fu ben
chiaro subito da dove provenisse, sembrava rimbombare nell'aria come
fosse ovunque, sebbene fossero in uno spazio aperto e sarebbe stato
difficile ottenere un effetto del genere quando non in un luogo
chiuso.
“Potreste
sempre venire assieme a me.” disse la voce, bassa ma melensa
nel
tono, a tratti fin troppo zuccherina per quella tonalità.
Salem
afferrò il braccio del fratello per automatismo, cercando di
fargli
scudo con il corpo nel tentativo di proteggerlo, sebbene non si
capisse chi o cosa avesse parlato.
“Chi
è? Dove sei?” il tono alzato per lo spavento,
mentre Ash cercava
di capire in silenzio da dove provenisse il rumore.
“Sono
qui giù.”
Entrambi
i gemelli, le torce ancora ben sollevate, si ritrovarono ad abbassare
lo sguardo, rimanendo appiccicati uno all'altro, intimoriti per la
sorpresa con cui la voce li aveva colti, più che altro.
Perché a
essere sinceri, la magia elementale avevano iniziato a praticarla da
quando erano bambini, un po' per scherzo, dispettosi finchè
bastava.
Non
fu tanto ciò che videro a lasciarli sorpresi, quanto il
fatto che
quella cosa parlava. Un animale, anzi, una vipera scura si stava
sollevando di una ventina o trentina di centimetri sulla parte
centrale del corpo, per guardarli con occhi vispi, se così
si
potevano definire.
I
due stregoni sfarfallarono le ciglia un paio di volte, increduli. Va
bene che ormai la magia era appurato che esistesse, ma di animali
parlanti non ne avevano mai visti. Vivendo in un villaggio isolato
come quello, erano probabilmente gli unici nel raggio di chilometri a
essere così.
“Sei
tu che hai parlato?” chiese Salem, ben sapendo che
probabilmente
era una domanda un po' stupida. Più che loro tre, non c'era
nessuno
e solo il serpente li stava fissando.
La
vipera annuì con il capo, osservando la reazione di
entrambi. Ash
sembrò innervosirsi, percependo arrivare un sentimento ben
poco
piacevole nelle membra, facendo di tutto per impedirgli di entrare e
impossessarsi delle proprie emozioni. Tutto psicologico, dall'esterno
non sarebbe stato possibile vedere nulla nemmeno volendo.
“Ho
atteso a lungo questo giorno. Vostra madre mi ha sempre impedito di
vedervi con il suo amore sparso ovunque, ma ora che non c'è
più,
finalmente possiamo conoscerci.” continuò la serpe.
Confusione
da parte dei due stregoni, che se anche avessero conosciuto la storia
del Giardino dell'Eden o cose simili, non avrebbero mai potuto
collegare il tutto.
Non
gli restava altro che cercare di capire con chi o cosa avessero a che
fare, in fondo non avevano nulla da perdere, così Ash prese
la
parola, curioso e intimorito allo stesso tempo.
“Cercavi
noi, signor serpente? Ci hai trovati. Visto che sai parlare magari
presentati, così possiamo capire chi sei e che cosa vuoi da
noi.”
disse, quasi ingenuamente.
Si
sentì un po' idiota a parlare con una serpe nel bel mezzo
del
deserto, ma se avesse lasciato la parola al fratello, vista la
vicinanza con il funerale della madre, forse Salem gli avrebbe
staccato la testa senza pensarci due volte. Era lui quello calmo dei
due.
Non
poterono vedere la vipera sorridere, e non perché
già di per sé la
luce era poca, quanto per le sembianze in cui si presentava. Avete
mai visto un serpente ridere?! Tuttavia la lingua fatta fuoriuscire e
ritirata pochi istanti dopo la riconobbero quasi subito, in quel
colore metallico, luminoso.
L'animale
non rispose dopo quel sorriso, limitandosi a cercare dello spazio in
più, iniziando man mano a contorcersi su sé
stesso, espandendo il
proprio corpo come se si stesse gonfiando, ma non come un pallone,
no, con forme ben precise, schiarendo la pelle, mutando la coda in
gambe, estroflettendo delle braccia da quel busto dapprima coperto di
sole scaglie, ora liscio come pelle umana. Perché umana era
la forma
che stava prendendo, mantenendo tuttavia i denti affilati come rasoi
e quella pupilla verticale tipica dei rettili, su un'iride rossa come
quella dei due stregoni, ma dalla sclera completamente nera. Non era
umano, poco ma sicuro. A differenza dei due stregoni, ciò
che gli
dava un aspetto ancora più minaccioso non era tanto la
stazza, nella
media per un qualunque abitante del Medio Oriente moderno, quindi
piuttosto alto per l'epoca, quanto quella cascata di capelli neri
mossi, dall'aria selvatica e indomabile, lunghi fino alle spalle o
quasi, sormontati da due corna scure, ricurve all'indietro.
La
vipera ora umanizzata emise un ghigno ben poco rassicurante nel
guardare i gemelli, sempre più spaventati e perplessi, Ash
confuso
nel cercare di tenere a bada quelle emozioni negative, Salem pronto a
combattere, visibilmente focoso.
“Ragazzi,
non fate quelle facce e salutate paparino~”
disse l'uomo, allargando le braccia, come se si aspettasse di essere
stretto dai due.
Questi personaggi appartengono
alla sottoscritta, gradirei che non infrangeste il copyright e non li
riutilizzaste nelle vostre storie, salvo permesso.
L'opera originale
"Shadowhunters" e personaggi annessi, sono di proprietà di
Cassandra Clare. Ogni riferimento a luoghi, fatti e persone
è puramente casuale, mi scuso in caso di omonimia.
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