Amami senza lasciare traccia

di Samy92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scoperte e Segreti ***
Capitolo 2: *** Distanze incolmabili ***
Capitolo 3: *** Come neve ***



Capitolo 1
*** Scoperte e Segreti ***


Nick EFP/ Forum: Samy92 – Samy.92
Titolo: Amami senza lasciare traccia
Citazione canzone scelta: Neve, insegnami tu come cadere nelle notti che bruciano a nascondere ogni mio passo sbagliato
Rating: Arancione
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico
Note: Questa storia partecipa al Contest “Come neve nella notte di Natale” indetto da Nede.
 



Amami senza lasciare traccia 

 
Capitolo 1_ Scoperte e Segreti
 
La magia di quel momento si racchiuse tutta in quel bacio: le loro labbra si accarezzavano mentre la neve che accompagnava l’arrivo del Natale scendeva sopra di loro. In quello stesso momento le sette sfere si congelarono e in loro si creò una profonda crepa che le ridusse in mille pezzi. Al contrario, invece, il solco che si era creato nei loro cuori, grazie a quel bacio, finalmente veniva completamente risanato.
Vegeta aveva scelto lei e sarebbero stati così, insieme, per sempre.
 
Regione Polare a Nord della Terra, Novembre 778
 
Le prime luci dell’aurora avevano iniziato a colorare il cielo terso di un forte colore violaceo, striato solo dalle bande luminose che cambiavano velocemente colore, facendo passare gli archi aurorali per le diverse e assolutamente tutte bellissime tonalità che dal rosso diventavano di un più meraviglioso verde e azzurro.
Bulma se ne stava accoccolata con le ginocchia piegate contro il petto, seduta sulla neve sotto di lei, a fantasticare come quando era ancora una ragazzina di sedici anni, partita con solo un astuccio di capsule e un radar alla mano per andare a cercare delle sfere dei desideri: la sola razionalità umana avrebbe dovuto classificare quella assurda ricerca come una nozione ai limiti dell’assurdo.
Eppure, solo sei mesi prima, anche pensare che potesse esistere una particella in grado di assorbire completamente l’azione dei gas serra dall’atmosfera terrestre sarebbe stata etichettata come un qualcosa ai limiti dell’assurdo. Invece Bulma Brief, scienziata di punta della Capsule Corporation e, perché continuare a negarlo dopotutto, anche dell’intero pianeta, era riuscita a scovare la molecola di Ralgite e farla interagire con la ionosfera terrestre riuscendo a sintetizzare il veleno che si annidava nella stessa aria che respiravano.
Quella scoperta, però, l’aveva anche portata lontana da casa, insieme al suo staff e ad una folta schiera di trenta scienziati, per sei lunghi mesi. Il termine della spedizione era ancora lontano e, infondo, la mancanza di casa iniziava a pizzicarle il cuore. Le mancavano le urla scalmanate di Trunks, in netta contraddizione con i silenzi di Vegeta che però riuscivano a colmarle il cuore in ognuna delle loro diverse forme.
Fissava il cielo, avvolta in una pesante coperta termica, stringendosi con le braccia nella sua tuta, notandone ogni singola sfumatura, compresi gli angoli più bui che le ricordavano gli occhi scuri e profondi di colui che era, ormai a tutti gli effetti, suo marito. Sospirò profondamente, proprio pensando a Vegeta, godendosi gli ultimi istanti dell’aurora boreale, mentre il freddo condensava il suo respiro davanti ai suoi occhi in una nuvola di fumo.
Era passato quasi un anno da quando la minaccia di Majin Bu era svanita per sempre e molto, da quel punto in poi della sua vita, era cambiato. Con Vegeta era sempre stata una lotta e, soprattutto, lo era stata per i primi dieci buoni anni della loro vita insieme più vissuta come una sottospecie di relazione. Lo era ancora in realtà, una lotta, ma adesso riusciva ad affrontarlo con la certezza che, almeno per una volta, quando aveva scelto di morire, lo avesse fatto anteponendo lei e Trunks al suo orgoglio. Era cambiato e infondo, al tempo stesso, non lo era neanche poi così tanto, riuscendo a restare se stesso, solo un po’ migliorato. Ma, infondo, Bulma non lo avrebbe voluto diverso da quello che era. Forse…
Non riusciva a smettere di pensare che il principe dei Saiyan avrebbe potuto raggiungerla forse in meno di un’ora di volo. Eppure, per quanto lei desiderasse che fosse lì insieme a lei, Vegeta non si era mai fatto vedere. Non che se lo aspettasse, Bulma, ma il suo animo romantico non sarebbe mai guarito del tutto…
Sorrise di se stessa, per l’assurdità di quei pensieri e, consapevole che Vegeta mai e poi mai avrebbe fatto un qualcosa di quella categoria di gesti che lui avrebbe definito “inutili smancerie terrestri”, rientrò nel suo rifugio per riuscire a riprendere sonno per almeno qualche altra ora buona. Il giorno dopo ci sarebbe stata l’installazione definitiva dell’impianto per il rilascio delle molecole di Ralgite e nulla doveva, in nessun caso, andare storto…
 
***
 
“Trunks, hai fatto tutti i compiti?!”
Il fuso orario le aveva indicato che a casa sua, nella Città dell’Ovest erano appena le tre del pomeriggio e se Trunks voleva proprio che Goten lo raggiungesse alla Capsule Corporation avrebbe fatto meglio a non farsi trovare impreparato per le interrogazioni del giorno dopo. Guardò dallo schermo del pc il volto tenero e ancora paffuto del suo bambino di otto anni dai capelli lilla e gli occhi azzurri come i suoi, sbuffarle, prima che a prendere la parola e a dominare la scena fosse l’esuberanza di sua madre:
“Ma sicuro, tesoro! L’ho aiutato io stessa!” cinguettò Bunny, facendo alzare gli occhi azzurrissimi della figlia verso il cielo.
“Una garanzia, mamma!” borbottò tra sé e sé, prima di azzardare la domanda che tutti i giorni veniva posta e che trovava sempre la solita risposta.
“Trunks… dov’è tuo padre?!” chiese, con il masochistico desiderio di vederlo, anche senza poterlo toccare. Il loro rapporto era sempre stato molto fisico. Vegeta non parlava, Vegeta agiva e i loro contatti erano sempre stati la base imprescindibile della loro relazione.
“E’ nella Gravity Room…si sta allenando!” disse il bambino, masticando la merenda che la nonna gli aveva appena portato. Bulma sbuffò di nuovo:
Ovviamente” si ritrovò a pensare, sforzandosi di sorriderci di nuovo su. Era ben consapevole del destino a cui sarebbe andata incontro quando aveva, o forse non aveva affatto, deciso di innamorarsi di lui.
“Va bene, Trunks! Mi raccomando, tu e Goten fate i bravi e non fatelo arrabbiare… A presto, tesoro!” concluse mimandogli un bacio che Trunks corrispose prima di fuggire via dalla videochiamata.
Quando l’immagine di sua madre e del suo bambino svanì come una nuvola di fumo, Bulma richiuse il suo laptop, nello stesso istante in cui una mano fece una leggera pressione sulla sua spalla:
“Ti mancano, eh?!”
Il dottor Brief aveva assistito a tutta la scena, alle spalle di sua figlia, sorridendole per rincuorarla. Era una donna forte, sua figlia, ma tremendamente fragile quando si trattava di suo marito e di suo figlio, soprattutto dopo che aveva rischiato di perderli entrambi e, dopo solo un anno, non era sicuro che la ferita si fosse rimarginata del tutto.   
“Abbastanza, papà!” ammise fissando un punto davanti a sé, senza però perdersi d’animo. Se tutto fosse andato per il meglio, sarebbe riuscita a tornare a casa entro la settimana seguente. 
 
***
 
Una settimana dopo, nonostante qualche difficoltà incontrata durante l’installazione dell’impianto, i lavori erano completati. Avrebbero dovuto solo aspettare l’attivazione del diffusore di Ralgite che sarebbe avvenuta da lì a due settimane e, prima di quella scadenza, Bulma aveva deciso di approfittarne per tornarsene a casa per passare un po’ di tempo con la sua famiglia.
A pochi chilometri dalla distesa di ghiaccio in cui avevano installato il sistema di rilascio di Ralgite e dall’ acquartieramento degli scienziati, si ergeva il Villaggio Jingle e ormai, da diverso tempo, era abitudine di tutti gli scienziati e di tutti coloro che lavoravano alla base, recarsi in una piccola baita che per loro era diventato una sorta di punto di ritrovo in cui bevevano tazze fumanti di sidro bollente e mettevano qualcosa sotto i denti prima di tornare ognuno nei propri alloggi. Quella sera ritrovarsi aveva un sapore decisamente diverso, vista l’enorme vittoria che avevano riportato a casa gli scienziati.
Anche Bulma, come accadeva ogni sera, vi si recò a bordo della sua motoslitta, sapientemente confezionata da lei stessa in una delle sue Capsule Oplà e, come ogni sera, trovo già Kim, Ivar e Nikolai, tre dei suoi maggiori collaboratori della sede distaccata della Capsule Corporation della Città del Nord, già svaccati al bancone a scolare i loro boccali di sidro bollente mentre rivolgevano frasi tutt’altro che innocenti alla biondona e nordica barista di turno.
“Ehilà, Brief!” la salutò Ivar, un giovane alto e piazzato dai capelli rossicci e gli occhi azzurri, sbracciandosi per farle segno di raggiungerli, mentre Bulma si scrollava di dosso la neve che le si era attaccata sulla tuta a causa delle bufere di neve che puntualmente impazzavano a quell’ora della sera. La donna sorrise al loro indirizzo e si passò il casco sotto il braccio, iniziando ad avanzare verso di loro.
“Ragazzi, dovreste davvero smetterla di importunare ogni povera donna che capita lungo il vostro cammino!” scherzò la donna, sedendosi e prendendo anche per sé la sua parte di sidro, precedentemente preparata da uno dei tre ragazzi, insieme a qualcosa da mettere sotto i denti.
“Le donne non sono tutte cazzute come te, Brief! Alcune hanno profondamente bisogno delle nostre attenzioni e del nostro amore!” replicò Kim, scontrando i boccali, con quelli degli altri due, mentre un “Oh-oh” si levava tra i tre ragazzi e Bulma ghignando si portava il suo boccale alle labbra.
Finito di scaldarsi e rifocillarsi, la turchina si levò per congedarsi e tornarsene nel suo alloggio, con la speranza di trovare Trunks ancora sveglio per la buonanotte e per dargli la buona notizia: ancora due giorni e sarebbe tornata a casa per due settimane.
“Ehi, Bulma! Vai già via?!” chiese Nikolai, vedendo la turchina pronta ad abbandonare la comitiva, e all’assenso della turchina continuò “Allora posso scroccarti un passaggio Brief!” disse il giovane uomo, senza che fosse necessariamente una domanda.
“Come vuoi Nikolai, purchè tu tenga le tue manacce lontane da me!” precisò Bulma, scherzando, alzandogli l’indice contro mentre l’altra mano veniva poggiata sul fianco coperto dall’enorme tuta termica. L’altro alzò le mani in segno di resa esplodendo in una sonora risata, insieme agli altri due e, dopo essersi congedati, si avviarono insieme all’uscita, mentre Ivar e Kim seguivano la loro ritirata.
“Sarà anche prossima ai quaranta, ma donna come quella non l’ho mai conosciuta… una bella ripassata gliela darei volentieri!” disse Ivar, studiando la sagoma di Bulma allontanarsi, mentre Kim gli tirava una gomitata nel fianco.
“Falla finita imbecille… l’ho sentita più volte dire di avere un figlio!” lo rimproverò Kim.
“Già ma non l’ho mai sentita parlare del suo compagno!” lo corresse Ivar alzando un sopracciglio, scetticamente.
“Non fare stronzate con lei, Ivar, ricordati sempre che è il tuo capo e non dovresti neanche dire certe cose ad alta voce, quindi falla finita” cercò di rimettergli un po’ di sale in zucca il giovane dai capelli biondi, mettendo un punto a quella conversazione.
Nel frattempo, Bulma e Nikolai avevano già raggiunto l’uscita e, una volta fuori, si resero piacevolmente conto che la tempesta di neve era cessata. Ciò permise a Bulma, mentre faceva esplodere la capsula della motoslitta, di notare un dettaglio particolare a cui non aveva fatto mai caso fino a quel momento.
Ad attirare la sua attenzione, infatti, fu l’insegna di una strana baita di legno a una decina di metri di distanza da lì. Non serviva avere la vista di un falco per notare lo strano simbolo rosso sul rettangolo in legno laminato al fianco della porta: una sorta di tridente stilizzato che posava su una “C” ruotata di novanta gradi, un simbolo troppo singolare e, allo stesso tempo, troppo familiare per Bulma.
La sua mente si azionò iniziando a formulare dentro di sé le più svariate domande. Tra tutte spiccava la più ovvia: cosa ci faceva il tridente della casata reale dei Saiyan spiaccicato su un’insegna ai confini di un mondo ricoperto di ghiaccio?!
Anche Nikolai dovette notare lo stato confusionario della turchina e il suo viso che aveva assunto un colore decisamente più pallidiccio del suo splendido incarnato candido naturale:
“Bulma… stai bene?!” azzardò a chiederle, visto che la donna non schiodava i suoi occhi da un punto fisso di fronte a sé.
La scienziata si ridestò quando la mano di Nikolai si posò sulla sua spalla, reclamando di nuovo la sua attenzione:
“Sì, sì… è tutto ok!” affermò la turchina, stampandosi sul viso un sorriso di circostanza, prima di iniziare ad indagare. Sapeva che Nikolai e gli altri bazzicavano molto più di lei nel villaggio e di certo doveva avere qualche informazione importante che a lei, in tutto quel tempo, era decisamente sfuggita:
“Sai per caso a chi appartiene quella piccola baita?!” chiese la ragazza, indicando il punto che aveva osservato fino a quel momento.
“Perché ti interessa?!” chiese Nikolai, guardando scettico la scienziata. In genere non era una tipa attenta a certi dettagli.
“Oh… pura curiosità!” disse Bulma, cercando di nascondersi con il suo sorriso più convincente e ammaliante al suo interlocutore.
“Beh, se proprio ti interessa so che ci vive una sorta di vecchia megera, o forse una veggente… una ciarlatana in ogni caso” disse il ragazzo, facendo un gesto con la mano per liquidare la faccenda, montando sulla motoslitta in attesa che la proprietaria si decidesse a mettere in moto e a riportare il suo culo all’accampamento.
Ma Bulma non era ancora soddisfatta e c’era decisamente qualcosa di troppo strano. Quel simbolo, la sua presenza lì, quella baita… non potevano essere un caso.
“Ti dispiace se vado a dare un’occhiata?!” disse Bulma, ma prima che potesse ottenere una risposta, che di certo sarebbe stata negativa, si era già incamminata verso la piccola casetta di legno, mentre Nikolai continuava a chiamarla, sbuffando.
 
***
 
Lo scampanellio e il cigolio del legno ammuffito e tarlato dal tempo, anticiparono l’ingresso della scienziata all’interno del piccolo ambiente impolverato. Se da fuori la baita sembrava ben tenuta e conservata, dentro decisamente la situazione era ben peggiore. La misera saletta che dava sull’ingresso era completamente ricolma delle più svariate cianfrusaglie tanto che persino Bulma, che non aveva mai stretto un accordo particolare con l’ordine, si ritrovò a stupirsi di tanta confusione.
“Sapevo che prima o poi saresti arrivata da me, principessa Bulma! Lo speravo da quando il villaggio ha iniziato a parlare di te e del tuo arrivo!” disse una voce gracchiante e malaticcia alle sue spalle e, per un attimo, Bulma si ritrovò a deglutire il vuoto. O era impazzita o la donna l’aveva chiamata per nome con tanto di appellativo “principessa”. Si voltò lentamente e si ritrovò davanti la figura di una vecchia donna, alta e impostata per quanto le risultasse visibile, visto che era seduta su una vecchia e strana sedia a rotelle. Nonostante il peso degli anni su di lei fosse piuttosto evidente, Bulma notò subito i suoi capelli, ancora perfettamente corvini, senza la minima striatura di bianco, raccolti in una lunga treccia e i suoi occhi neri e ardenti come il carbone.
“Principessa?!” chiese Bulma, cercando di non vacillare, provando a convincersi che quella che aveva di fronte non fosse una Saiyan… non poteva essere una Saiyan… era impossibile.
“Sei la compagna del principe Vegeta, questo fa di te la principessa del popolo Saiyan” disse l’anziana e visibilmente malata donna, piegando le labbra in un ghigno.
“Come fai a sapere chi sono?!” chiese Bulma, iniziando a spazientirsi. Se il suo sesto senso non sbagliava, da quella situazione non ne sarebbe venuto fuori nulla di buono.
La strana donna esplose in una sonora risata, per quanto le riuscisse, tendendo i nervi di Bulma più di quanto non lo fossero già. Era più che decisa a prendere l’uscita, vista la piega che aveva preso la conversazione se la donna, capendo le sue intenzioni non l’avesse fermata:
“Mi chiamo Gula e, come avrai già notato da te, sono una Saiyan…” ammise la donna, confermando i sospetti di Bulma “una Saiyan abbastanza vecchia da aver visto nascere e crescere l’ultimo erede della dinastia dei Vegeta prima che Lord Freezer distruggesse il nostro pianeta riducendomi alla fuga con i miei figli e i miei poveri nipoti che non sono stati fortunati quanto me e non hanno trovato la salvezza”
A quelle parole, Bulma poté giurare di aver visto una scintilla omicida animare quelle due perle nere che erano gli occhi della donna.
“E’ per questo che sei venuta sulla Terra?! Per rifugiarti qui?!” chiese con una punta di disprezzo malcelata Bulma. Da quello che negli anni era diventato il suo bagaglio culturale sui Saiyan, l’atteggiamento della donna sarebbe stato da classificare come “vigliacco”.
“Rifugiarmi?!” chiese la donna, ridendo di nuovo “No, Bulma Brief... sono qui perché quello che voglio è che il mio popolo e il mio pianeta tornino a rivedere i loro splendenti giorni di gloria… e tu puoi aiutarmi, ragazza mia” ammise Gula, lasciando Bulma a macchinare per diversi istanti sui possibili significati di quella frase.
“Se è le sfere del drago che vuoi, ti avverto… non possono esaudire il desiderio di ripristinare il Pianeta Vegeta. Non hanno potere su quella parte della galassia e anche se lo avessero, il Supremo della Terra ha negato la possibilità di ripristinare Vegeta in quanto, insieme all’intera razza Saiyan, rappresenterebbe un pericolo per l’intero universo!” disse di getto la turchina, ricordando una conversazione avuta con Junior e Goku diversi anni prima, appena dopo la sconfitta di Freezer, quando ancora temeva che Vegeta avrebbe potuto commettere mille e più follie in nome della gloria e della sete di potere.
Gula si spostò con la sua sedia nei pressi di un vecchio mobile per poi chinarsi e tirare fuori uno strano scrigno di legno nero che dava l’idea di essere stato bruciato molti anni prima, aprendolo subito dopo, facendo arretrare Bulma di qualche passo dalla sorpresa e dallo sconcerto
No, non poteva essere vero. Era quello il mantra che la scienziata continuava a ripetersi, osservando le sette sfere nere come la notte più buia, le cui stelle rosso cremisi, con i numeri che andavano dall’uno al sette, scintillavano di una luce che brillava del colore del richiamo del sangue.
“Cosa diavolo sono?!” chiese Bulma, ai limiti dell’incredulità.
“Sfere del drago…” disse ovvia la Saiyan “realizzate per me da un namecciano. Devi sapere che mentre fuggivo dal Pianeta Vegeta che esplodeva sotto i miei occhi, sette frammenti del nucleo centrale del pianeta si sono conficcati nella mia navicella. Ho girato l’universo in lungo ed in largo alla ricerca di un namecciano che realizzasse per me le sfere che avrebbero riportato alla gloria il mio pianeta, ma avrei potuto esaudire il mio desiderio ad una sola condizione, anche dopo aver ottenuto le sfere…”
“E quale sarebbe questa condizione?!” chiese Bulma, affascinata e turbata dal racconto.
“A dover esprimere il desiderio dovrà essere il principe Vegeta, ultimo erede di sangue puro della razza Saiyan, proclamandosi finalmente re e tornando alla guida del suo popolo!” concluse la donna e Bulma pensò davvero che la terra potesse aprirsi sotto ai suoi piedi. Non poteva essere. Non doveva essere e soprattutto non sarebbe mai dovuta accadere una cosa del genere.  
“Perché non hai mai cercato Vegeta in tutti questi anni?! Avresti potuto dargli le sfere la prima volta che è arrivato sulla Terra” E tu probabilmente non lo avresti mai conosciuto la pizzicò la coscienza, mentre finiva di formulare la frase, mentre il cuore le si prosciugava lentamente.
“Guardami ragazza… sono troppo vecchia e malata per muovermi e sono rimasta bloccata qui da quando arrivai per la prima volta sulla Terra… i miei giorni ormai sono giunti al termine, ma il principe… lui può ancora avere la gloria che gli è stata portata via. Prendi queste sfere ragazza e portale da lui… questo è il mio ultimo desiderio” concluse l’anziana tossicchiando, ormai visibilmente provata dalla conversazione.
Le sue parole schiaffeggiarono Bulma in pieno volto.
La gloria, il potere, il suo orgoglio Saiyan erano le cose che avevano sempre creato un muro tra lei e Vegeta e, per quanto avesse imparato a fidarsi di lui, era sicura che tra lei e la sua gloria, la scelta non sarebbe ricaduta su di lei.
“Va bene… farò come chiedi” disse la scienziata, richiudendo lo scrigno di legno con un solo scatto, portandoselo sotto al braccio e, senza neanche congedarsi dall’anziana, con il vuoto nel cuore, uscì dalla porta con un solo pensiero: un paio di giorni e sarebbe finalmente tornata a casa.
Un paio di giorni e avrebbe trovato il modo di sbarazzarsi di quelle sfere cancellando via ogni traccia della loro esistenza.
 
***
 
Due giorni erano volati velocemente e, con loro, anche le ore del viaggio in aereo che dalla Regione Polare l’avrebbe riportata insieme a suo padre nella Città dell’Ovest.
Bulma da quel famigerato incontro era stata nervosa e turbata per tutto il tempo. Anche suo padre aveva notato il suo strano atteggiamento, sapendo perfettamente che dietro alle sue urla isteriche si celasse qualcos’altro ma, discreto come al solito, aveva preferito non chiedere per non infierire sull’umore già visibilmente instabile di sua figlia.
Mentre l’air car atterrava nel giardino della Capsule Corporation, Bulma continuava a domandarsi se sarebbe riuscita a nascondere a Vegeta quanto aveva scoperto e quanto si nascondesse nella sua valigia, almeno per il tempo necessario per recarsi da Dende al Palazzo del Supremo e trovare un modo per distruggere quelle sfere maledette, il cui colore da solo bastava ad evocare la morte.
Non fece neanche in tempo a posare un piede sull’erba fresca di taglio, mentre il torpore del caldo della Città dell’Ovest le scongelava le ossa dal gelo del clima nordico, nonostante fossero ormai ai primi di dicembre, che il suo Trunks le corse incontro, gettandosi tra le sue braccia facendola quasi finire per terra per lo slancio con cui l’abbracciò.
“Mamma!” gridò il bambino, stringendosi a lei che ricambiò l’abbraccio mentre sentiva tutte le lacrime, ricacciate indietro durante quei due giorni, pizzicarle gli occhi. Solo in quel momento, mentre stringeva suo figlio tra le braccia, passandogli una mano a scompigliargli i capelli lilla, si chiese cosa ne sarebbe stato di lui se Vegeta avesse scoperto delle sfere e avesse deciso di ripristinare il suo pianeta di origine e così, esattamente in quell’istante, come il richiamo di una luce che si staglia nelle ombre della notte, sentì i suoi occhi penetrarla da parte a parte come accadeva ogni volta che Vegeta la guardava, prima ancora di vederlo, mentre se ne stava con le braccia conserte, poggiato sotto uno degli alberi ormai spogli dell’immenso parco della loro casa.
Il cuore iniziò a batterle forte nel petto quando i loro occhi si incontrarono, soprattutto quando vide le labbra dell’uomo piegarsi in un sorriso. Quello era il suo modo per darle il benvenuto e, per quanto avesse una voglia matta di correre da lui e stringerlo tra le braccia, per cercare un conforto nel suo corpo, sapeva che avrebbe dovuto rimandare quel tipo di ricongiungimento a quando sarebbero stati da soli, con solo le mura della loro camera a testimoniare quanto il principe dei Saiyan potesse essere suo almeno nel loro letto.
Bastò quel sorriso a convincerla però che non lo avrebbe perso, non ora che, da poco più di un anno, la loro storia aveva raggiunto finalmente una stabilità. Quel sorriso sbieco che Vegeta le aveva elargito, era bastato da solo a spazzare via da lei ogni dubbio sul da farsi.   
 
***
 
Soltanto un’ora dopo, dopo aver salutato anche sua madre e aver assaggiato sotto costrizione gli ultimi dolcetti che aveva scoperto nella pasticceria dietro l’angolo, finalmente si ritirò nella stanza che oramai da diversi anni divideva con Vegeta.
Gettò a terra la sua valigia, sospirando profondamente, prima di piegarsi ai piedi dell’enorme letto che dominava la stanza, per iniziare a svuotarla degli innumerevoli vestiti che al solito si portava dietro. Aprendola, tuttavia, la vista dello scrigno contenente le sfere nere tornò a tormentarla e fece a malapena in tempo a nasconderlo con uno dei suoi maglioni, quando sentì due mani forti posarsi sui suoi fianchi, afferrandola da dietro, per poi voltarla di scatto con un solo gesto.
“Ve-Vegeta!” balbettò, sbiancando di colpo, temendo per un attimo di essere stata scoperta.
“Tsk! Non dirmi che sono riuscito finalmente a farti paura, donna!” disse il Saiyan, piegando la testa di lato studiandola, riducendo gli occhi a due fessure.
“No… mi hai solo colta alla sprovvista!” rispose lei piccata, alzando la voce di qualche tono, cercando di districarsi dalla sua presa, mentre di nuovo una voglia disperata di piangere era tornata a far capolino dai suoi occhi, chiedendosi, proprio mentre quei suoi magnifici occhi scuri che per primi l’avevano fatta innamorare la fissavano, se sarebbe riuscita a portarsi dietro il fardello di averlo ingannato nascondendogli una cosa tanto importante per lui.
“Sei tornata da meno di un’ora e mi stai già dando sui nervi, donna… forse è il caso che io faccia qualcosa per farti tacere” ghignò il Saiyan, cercando le sue labbra, trovandole, mentre provava ad intrufolare le mani sotto il suo maglioncino, nello stesso modo in cui la sua lingua aveva trovato uno spiraglio nella bocca di Bulma. Dopotutto, per quanto non glielo avrebbe mai detto a parole, gli era mancata.
“Vegeta” sussurrò Bulma, staccandosi dal bacio, cercando una scusa per sfuggire alle sue attenzioni che gli permettesse di mettere un po’ di distanza tra di loro “E’ appena pomeriggio e Trunks è in giro per ca…” venne interrotta di nuovo dalle labbra di Vegeta che tornarono a baciarla.
“E’ appena arrivato quell’inetto dei figlio di Kakaroth” le fece presente Vegeta, che aveva avvertito in quel preciso momento l’aura di Goten atterrare nel giardino, mollando le sue labbra solo per scendere a baciarle il collo, accarezzandole la pelle sotto il maglione e, senza darle modo di sottrarsi al suo darle il “bentornata a casa” con qualche altra scusa, l’afferrò per i glutei sollevandola, per poi farla ricadere sul morbido materasso alle loro spalle, prima di raggiungerla e coprirla con il suo corpo, mettendo fine alla conversazione nel modo che ad entrambi riusciva meglio, permettendo ai secondi, ai minuti e alle ore di portare il buio su di loro, lasciando che la notte avvolgesse i loro corpi avvinghiati in un unico abbraccio.
Quando Vegeta si addormentò al suo fianco, Bulma si fermò ad ammirarlo in tutta la sua bellezza selvaggia. Gli era mancato da morire e per un attimo fu tentata di allungare una mano per accarezzare la linea perfetta della sua schiena muscolosa, mentre se ne stava nudo, disteso con il ventre rivolto verso il basso. Non lo fece solo perché sapeva che lo avrebbe svegliato all’istante, visto che i suoi sensi di Saiyan erano sempre all’erta.
Si sollevò sul gomito continuando ad osservarlo riposare, rilassato e finalmente tranquillo dopo anni passati nell’inquietudine e nel non riuscire ad accettare quella nuova vita. Da qualche tempo aveva perso persino il cipiglio imbronciato che compariva sempre tra le sue sopracciglia, rendendolo, ora, innaturalmente pacato e rilassato durante il sonno.
Bastò notare quel piccolo particolare per risvegliare in Bulma il senso di colpa e, insieme ad esso, quello del bisogno di agire. Aveva fatto molta fatica per impedire che Vegeta scoprisse ciò che continuava a nascondere sotto la tensione e il nervosismo e non avrebbe permesso che i suoi tentativi si rivelassero vani.
Stando attenta a non svegliarlo, si alzò dal letto, infilandosi la vestaglia di seta nera per poi arrivare accanto alla valigia senza emettere neanche il minimo suono, recuperando lo scrigno in legno, prima di uscire silenziosamente dalla stanza. Troppo presa nel tentativo di non fare rumore per non farsi scoprire, non si rese conto che il sonno di Vegeta si era inevitabilmente spezzato.
Nello stesso istante in cui Bulma uscì dalla camera, Vegeta sgattaiolò via da sotto le coperte, infilandosi al volo un paio di boxer, per seguirla. Aveva osservato ogni singolo atteggiamento di Bulma dal suo ritorno e solo uno sciocco non avrebbe notato che in lei ci fosse qualcosa che non andava affatto, tanto più che lui non era uno sciocco e aveva percepito perfettamente come fosse tesa anche mentre facevano l’amore, cosa che non era mai capitata. Era sempre stato lui quello più restio a lasciarsi andare e lei gli aveva insegnato come sciogliere la neve che aveva congelato il suo cuore durante gli anni di cattività sotto il comando di Freezer. Come era possibile che adesso fosse lei a volerlo tenere a distanza?!
La risposta arrivò chiara e limpida al Saiyan, quando i passi nell’ombra di Bulma lo condussero davanti alla porta dei laboratori, mentre la turchina riponeva uno scrigno nero che teneva tra le mani in uno degli angoli più remoti del laboratorio.
Bulma gli stava volutamente nascondendo qualcosa. 





Buonasera a tutti!
Torno con una mini-long scritta per un bellissimo contest indetto da Nede, che ringrazio per la bellissima idea e opportunità, insieme alla mia cara Rohan che mi ha suggerito di partecipare a questo contest. 
Vi ringrazio in anticipo tutti per la lettura e spero che questa idea, abbastanza bizzarra sia di vostro gradimento!
Un grande abbraccio!!!
Sam 

 

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Capitolo 2
*** Distanze incolmabili ***


Capitolo 2_ Distanze incolmabili
 
La mattina seguente, Bulma aprì gli occhi svegliata dai raggi del sole che le accarezzavano la pelle. Prima ancora di schiudere le palpebre, stese il braccio accanto a sé, non meravigliandosi di aver trovato il lato del letto, occupato da Vegeta, vuoto. Non se ne sorprese, era sempre così… si limitò a sorridere mentre il suo profumo tra le lenzuola ancora le accarezzava le narici, decidendosi finalmente ad alzarsi per andare a svegliare il suo bambino.
Dopo una doccia veloce ed essersi vestita e sistemata, uscì dalla sua stanza, per percorrere il piccolo tratto di corridoio che la separava da quella di Trunks. Il bambino dormiva scompostamente, con le coperte attorcigliate attorno alla gamba, decisamente troppo muscolosa per un bambino di otto anni, mentre con le braccia si stringeva al cuscino come se questo fosse dotato di un’anima propria.
Bulma approfittò per osservarlo dormire ancora un po’, prima di avvicinarsi a lui per scompigliargli delicatamente i capelli, destandolo dal suo sonno, schioccandogli un bacio sulla guancia.
“Sveglia giovanotto, è ora di andare a scuola…” gli sussurrò, quando finalmente Trunks aprì i suoi occhi azzurrissimi come i propri, dispensandole un lieve sorriso.
“Mamma… è bellissimo che tu sia di nuovo a casa” disse genuino il bambino, voltandosi all’altro lato, riappisolandosi. Bulma rise di gusto. Come poteva non amare la propria famiglia?! Come poteva non combattere per loro?! Per Trunks e Vegeta?!
Le menzogne a volte hanno una luce strana. Alcune, per quanto possa risultare strano, vengono dette a fin di bene. Bisogna solo valutarne cause ed effetti. La causa erano quelle sfere che pendevano sulla sua testa come un flagello, l’effetto era l’inevitabile sgretolamento della sua famiglia. La soluzione l’aveva trovata nel sorriso di suo figlio e nel calore delle braccia di Vegeta. “Occhio non vede, cuore non duole” cita il detto. E probabilmente ne ha le sue ragioni…
Bulma si stampò uno dei suoi sorrisi più belli e spensierati sul volto. Con Trunks, si diresse al piano inferiore, ignara che avrebbe trovato una sorpresa ad attenderla. Occhio non vede, cuore non duole, ma, se poi l’occhio vede, il cuore finirà inevitabilmente per farsi male perché le menzogne hanno pur sempre una data di scadenza… prima o poi tutto viene a galla ma nel frattempo la fiducia per l’altro è morta, forse per sempre.
 
***
 
Quando finalmente, insieme, madre e figlio arrivarono in cucina per la colazione, trovarono Vegeta seduto ad attenderli. La sua usuale espressione, fredda ed imperturbabile, era macchiata di un qualcosa di diverso che generò un brivido lungo la schiena di Bulma, facendole venire la pelle d’oca.
Due dettagli bastarono per toglierle l’aria dai polmoni e la terra da sotto i piedi. Il cuore le si congelò in gola insieme al sorriso, che le morì sulle labbra, nel vedere sotto la sua mano guantata di bianco, in netto contrasto con il candore della stoffa che lei stessa aveva ricreato per Vegeta, una delle sfere nere, quella con quattro stelle, per la precisione. Vegeta continuava a farla roteare con l’indice contro il piano del tavolo, non distogliendo neanche per un secondo lo sguardo da Bulma. Alla donna non rimase altro che la voglia di piangere e sprofondare, mentre deglutiva il vuoto.
Aveva paura. Per la prima volta sembrava quasi tremare al cospetto di Vegeta. Non era mai accaduto, neanche quando il principe dei Saiyan ancora vantava la sua fama di assassinio sanguinario e, proprio quel pensiero, la condusse a quelle quattro stelle che scintillavano sanguinolente sulla sfera: non era un caso che Vegeta avesse scelto proprio quella con il numero quattro… era la stessa che Bulma, Gohan e Crilin gli avevano rubato sotto il naso. Quando avevano osato prenderlo in giro. Come aveva fatto Bulma, quella stessa notte…
Ressero reciprocamente i propri sguardi. Vegeta non distolse il suo, cinico e penetrante, dell’essere che era sempre stato, da quello di Bulma, neanche quando Trunks, saltellando allegro, ignaro di ciò che stesse succedendo tra i suoi genitori, si avvicinò a suo padre, piegandosi per portare i suoi occhi all’altezza della sfera con la bocca aperta in un “Oh!” di sorpresa.
“Che cos’è, papà?!” chiese, con la curiosità tipica dei bambini della sua età e sua spiccata eredità materna.
Neanche in quel momento Vegeta spostò il suo sguardo da quello di Bulma. Neanche mentre con una stilettata aprì la bocca per la prima volta, rendendo palese a sua moglie, quello che la donna aveva già percepito appena messo piede nella stanza:
“Dovresti chiederlo a tua madre” sputò quasi via, con una punta di disprezzo, freddo e distaccato. Bulma si sentì morire dentro, come se fosse precipitata al suolo, cadendo in volo da cinquanta metri d’altezza.
“Trunks!” richiamò il bambino, che stava ancora osservando la sfera, passandosi con fare pensoso la mano sotto al mento “perché non vai dalla nonna?! Dovrebbe aver comprato i pasticcini che ti piacciono tanto!” disse, provando a celare il tremore della voce, rotta dal pianto ormai prossimo.
“Ma, mamma! Io voglio sapere cos’è quella sfe…” tentò una protesta il bambino.
“Trunks!” alzò a quel punto la voce Bulma “ti ho detto di andare da tua nonna, obbedisci!” disse, gridando a suo figlio come non aveva mai fatto prima. Ad avere il ruolo di genitore duro e severo era sempre stato Vegeta, non lei, che cercava sempre di compensare la dolcezza e la tenerezza nell’educazione di Trunks che a Vegeta, invece, mancava. Lo notò anche Trunks, che ferito, incassò il colpo. Bulma non poté non notare il luccichio ferito dei suoi occhi azzurri e, nel giro di pochi secondi, si sentì morire per la seconda volta.
Senza aggiungere altro, il piccolo bambino dai capelli lilla, si allontanò prendendo la via della porta per impedire che suo padre vedesse che era prossimo al pianto, evitandosi la seconda sviolinata della mattinata, su quanto fosse l’erede della razza Saiyan e su quanto i Saiyan non piangessero. Mai.
Rimasti soli, Bulma e Vegeta, continuarono a studiarsi e a scrutarsi a vicenda. Il silenzio pesava tra di loro, rendendo impossibile non sentire il suo rumore che stava scavando tra di loro una distanza incolmabile.
Lui, troppo orgoglioso per chiedere apertamente spiegazioni, ma fin troppo determinato e testardo per andarsene via senza averle ottenute. Lei, incapace di riuscire ad affrontare la situazione, anche se non era mai stata una codarda. E non lo sarebbe stata neanche in quel momento: fece qualche passo avanti, decisa a parlare. Sentiva ormai le lacrime prossime a sfuggire dai suoi occhi, esattamente come sentiva il senso di colpa accarezzarla, insieme alla consapevolezza che Vegeta non l’avrebbe mai perdonata.
Si sedette di fronte a lui: i suoi occhi azzurri ancora immersi nella notte oscura di quel cielo non più così facile da guardare che erano quelli di lui.
“Ho trovato quelle sfere qualche giorno fa, è stata una donna Saiyan a darmele, affinché io le portassi a te…”
Dicendo quelle parole non distolse neanche un attimo lo sguardo da Vegeta, cercando di carpire qualcosa dalle sue reazioni. Riuscì a scorgere a malapena un lampo di sorpresa e stupore. E non se ne sorprese, perché Vegeta riusciva sempre a celare le proprie emozioni a chiunque, anche a lei…
Bulma trasse un sospiro per darsi forza, riprendendo a parlare, sapendo di avere la sua attenzione… e gli disse tutto. Gli raccontò di Gula, di quello che le era accaduto dopo la distruzione del Pianeta Vegeta, di come la donna avesse raggiunto la Terra e cosa più importante, a cosa servissero quelle maledette sfere.
Vegeta non si perse neanche una parola del suo racconto, continuando ad ascoltare tutto quello che Bulma aveva da dirgli rimanendo serio ed imperturbabile. Almeno all’apparenza. La realtà era ben altra… la verità era che si sentiva strano, confuso, dubbioso, ma, più di qualsiasi altra cosa, si sentiva tradito, come mai accaduto prima, visto che il tradimento arrivava dall’unica persona nell’universo di cui aveva imparato a fidarsi:
“Perché volevi tenermelo nascosto?!” chiese, continuando a scrutarla.
Fu in quel momento che Bulma distolse lo sguardo da lui, colpevole, posandolo sulle sue mani incrociate dinanzi a lei, sul tavolo.
“Vegeta… mi dispiace, io non vole-…” iniziò a dire, tentando di giustificarsi, incapace ormai di arginare le lacrime che scesero come due venature d’acqua, amara, eppure così cristallina sulle sue guance.
Il rumore della sedia di Vegeta che veniva tirata furiosamente indietro e la furia del suo pugno che per poco non ridusse il tavolo di vetro in mille pezzi, calamitò di nuovo l’attenzione di Bulma su di lui con un sussulto.
“Dimmi per quale cazzo di motivo hai deciso di tenermi nascosta una cosa del genere! Volevi scegliere per me, Bulma?! E’ questo che volevi?!” urlò Vegeta, incapace di frenare la sua rabbia. Bulma trasalì, sbiancando. Vegeta non aveva mai urlato, non con lei. L’aveva ignorata, disprezzata, insultata… ma non le aveva mai urlato contro.
Si dimenticò un attimo del tremore e scattò in piedi come una molla. Non era nessuno per urlarle contro in quel modo! Aveva sbagliato a non parlargliene, ma ne aveva tutte le ragioni. Specularmente a quello che aveva fatto lui, si alzò sbattendo furiosamente i palmi aperti sul tavolo, esattamente di fronte a lui, alzando la voce come sempre faceva quando voleva ficcargli qualcosa in quella sua testa granitica:
“L’ho fatto perchè non volevo che mi abbandonassi di nuovo, maledetto stupido! La tua… gloria” disse, vomitando con disprezzo l’ultima parola “il tuo maledetto ego, sono le cose che hai sempre anteposto a me! Mi hai abbandonata quando ero incinta di tuo figlio, te ne sei sbattuto il cazzo di me e di Trunks che aveva appena sei mesi quando il dottor Gelo mi ha quasi fatta schiantare contro le rocce e neanche un anno fa ti sei venduto ad un mago da strapazzo, uccidendo più persone di quante io riesca a contare solo perché la tua rivalità con Goku era più importante di quello che io ho fatto per te da quando dieci anni fa sei entrato da quella fottuta porta. Adesso questo, Io non ce la faccio più, Vegeta! Sono stanca di dover sempre combattere contro il muro che alzi tra te e il resto del mondo! Non so cosa pensi, so solo che hai sempre odiato questa vita, schifosamente troppo terrestre per te. Non mi hai mai detto, neanche mezza volta, che mi ami e adesso questo” disse di getto, indicando la sfera tra di loro “Non ne posso più di vivere nell’incertezza che tu possa andartene da un giorno all’altro, vivendo con la paura di non riuscire ad essere mai abbastanza per te… sono stufa Vegeta!” disse inasprendo il tono, anche se le lacrime le soffocavano la voce.
Per anni, Bulma non aveva mai osato dirgli o rinfacciarli nulla, solo perché era fermamente convinta che infondo fosse stata colpa sua l’essersi innamorata dell’uomo peggiore dell’intero cosmo, avendo accettato Vegeta e tutti i suoi difetti. In quel modo aveva lasciato che gli eventi scivolassero nel corso degli anni senza valutare completamente il peso che entrambi si sarebbero portati dietro. Aveva sperato che quell’animale selvaggio che aveva accolto in casa sua, nel suo letto, un giorno sarebbe riuscito ad amarla completamente, ma in quel momento, mentre lo vedeva di fronte a lei, tanto infuriato solo perché aveva scelto, per una volta, egoisticamente, di tenerlo legato a sé, era sicura di aver fallito e di aver sbagliato tutto dal principio.
Le sue parole, aspre e amare, arrivarono a Vegeta, schiaffeggiandolo ripetutamente in pieno volto, sillaba dopo sillaba. Era la verità, aveva sbagliato molto e continuava a sbagliare anche solo respirando, ma non quella volta. Lei poteva rinfacciargli quello che voleva, ma se Bulma sperava che quella volta avrebbe ceduto, si sbagliava di grosso.
Ognuno per se stesso ascolta la sua verità lasciando muta la propria metà opposta e Vegeta aveva le sue ragioni, esattamente come Bulma aveva le proprie. Ed era quello che li aveva sempre accumunati e separati. Troppo orgogliosi, troppo testardi per coprire le loro distanze. Le parole di Bulma lo ferirono, più di quanto il suo orgoglio fosse disposto a riconoscere. In tutti i modi stava provando a fare ammenda, ma se quella stupida non era disposta a capirlo, allora forse non meritava neanche i suoi sforzi.
“Tsk!” disse, infatti, dandole le spalle “Sarai felice di non dovermi rivedere mai più, allora” e così, dicendo prese la sfera sul tavolo, riunendola insieme alle altre rimaste nello scrigno ai suoi piedi, incamminandosi verso la porta-finestra. La aprì con lentezza estenuante, prima di arrivare in giardino. Non si voltò mai indietro, ma, non ammettendolo apertamente neanche a se stesso, per un attimo sperò che Bulma lo fermasse, ma la donna non lo fece. Lasciò che spiccasse il volo, nel cielo nuvoloso e ombroso di quella giornata dei primi di dicembre, mandandolo incontro al destino che aveva scelto per sé, in cui aveva deciso che lei non avrebbe fatto parte.
A Bulma non restò altro che guardare la sua scia luminosa svanire nel cielo, scivolando a terra, versando tutte le sue lacrime.
 
***
 
Le due settimane di permesso di Bulma passarono in fretta, senza che la donna avesse più notizie di Vegeta. Non aveva ancora lasciato la Terra, di quello ne era certa: non le aveva chiesto né preso alcuna navicella e Trunks ne aveva percepito l’aura in qualche sporadica occasione, quando lei distrattamente gli aveva chiesto se riuscisse a percepirne la presenza, cercando di non turbarlo o insospettirlo.
Il dottor Brief la stava già aspettando alla guida della loro air car, diretti all’aeroporto, quando Bulma uscì in giardino accompagnata dal piccolo Trunks e da sua madre.
La scuola era finita il giorno prima, visto che le vacanze di Natale erano ormai alle porte, e, come di rito, il bambino avrebbe approfittato di quei giorni per passare del tempo con il suo papà. Per i suoi occhi di bambino era normale che Vegeta stesse via per diversi giorni. Il Saiyan non era insolito, infatti, allontanarsi per allenarsi da solo, tornando dopo una settimana o, al massimo, dieci giorni.
Con il cuore in gola, Bulma si chinò in ginocchio davanti a lui, prima di scompigliargli i capelli:
“Trunks, fai il bravo… non far arrabbiare la nonna mentre sarò via!” disse seria, raccomandandosi con suo figlio, mentre Bunny se ne stava dietro di lui, con l’aria melodrammatica e il fazzoletto tra le mani pronto ad asciugare eventuali lacrime che avrebbero inevitabilmente fatto capolino dai suoi occhi, nella simulazione di un pianto isterico.
“Si, mamma!” disse, quasi schernendola, Trunks, roteando i suoi occhi azzurrissimi al cielo “E non farò arrabbiare neanche papà durante il nostro allenamento, te lo prometto! Anzi, chissà perché non è ancora tornato, di solito non sta via più di dieci giorni…” disse il bambino, visibilmente entusiasta all’idea che Vegeta sarebbe presto tornato a casa.
Trunks venerava suo padre come una divinità, era il suo eroe e lei aveva fatto in modo che lui lo perdesse per sempre. Il vuoto allo stomaco che provava ormai da giorni si aprì in una profondissima voragine. Avrebbe solo voluto piangere ed urlare al cielo che era stata una stupida, una sciocca, ma non trovava più la forza neanche per quello. Si limitò a stringere tra le braccia il suo bambino… codarda di nuovo:
“Sono sicura che a quest’ora sarà già sulla via di casa, tesoro!” disse, ingoiando le sue stesse menzogne.
Anche il dottor Brief, attirato dalla strana tristezza di quel quadretto familiare, era arrivato alle sue spalle, sentendo la conversazione di sua figlia con il nipote, mentre salutava sua moglie. A differenza di tutti gli altri membri della sua famiglia, lui era quello che conosceva Bulma più di chiunque altro, ed era l’unico che si era accorto di quanto fosse ormai scarna in volto e triste. La notte non dormiva, preferendo il caffè e il lavoro al calore del suo letto. Il giorno se ne stava chiusa in laboratorio, dimenticandosi anche di mangiare e l’assenza di Vegeta proprio durante i suoi unici giorni di permesso, puzzavano decisamente troppo allo scienziato per non porsi qualche domanda di troppo.
Una volta sull’aereo che li avrebbe riportati nella Regione Polare, infatti, il dottor Brief, notando sua figlia perdersi ad osservare le nuvole dall’oblò dell’aereo con aria triste e stanca non resistette più all’impulso di chiederle il motivo del suo strano comportamento:
“Perchè hai mentito a tuo figlio, tesoro?! E’ chiaro che Vegeta è andato via a causa di qualcosa che è accaduto tra di voi e non per allenarsi… lo vedo dai tuoi occhi, Bulma, hai lo stesso sguardo di quando eri incinta e lui è andato via per allenarsi nello spazio” trasse da solo le sue conclusioni il genitore. 
Bulma non poté far altro che abbassare lo sguardo sulle sue mani incrociate in grembo. Perché quando si trattava di Vegeta le sue emozioni dovevano per forza essere così amplificate?!
“Perchè lo ami, sciocca, tanto da nascondergli un’importantissima verità pur di tenerlo con te!” fu la sua coscienza sporca a rispondere per lei. 
Si era portata quella realtà dei fatti dietro per quindici lunghissimi giorni, sopportandone il peso e, in quel momento, non riuscì a non vedere in suo padre l’unico appiglio che avesse per riuscire a sopprimere il macigno che aveva sul cuore. 
“Oh, papà…” si buttò tra le braccia dell’anziano scienziato, che l’accolse stringendola al suo petto, cullandola tra le sue braccia, come faceva quando era solo una bambina “Sono stata una stupida…” 
Gli raccontò tutto. Per la seconda volta rivelò la scoperta che l’aveva portata a separarsi dall’uomo che amava. Il dottor Brief l’ascoltò senza battere ciglio.
Dubitò, quando sua figlia arrivò a raccontargli della discussione avuta con Vegeta, in cui, il dottor Brief non riusciva a vedere la colpevolezza dell’uomo, se non nell’impulsività con cui era andato via senza farsi più vedere. Per quanto parlasse molto poco con suo genero, aveva imparato a conoscerlo abbastanza bene da sapere che le accuse di Bulma lo avessero ferito più di quanto fosse disposto ad ammettere, in primis a se stesso. E sua figlia… lei si era tenuta dentro tutta la sua sofferenza per anni, accontentandosi di averlo con sé, tirandola fuori nel peggiore dei modi e nel momento meno opportuno.
“Bulma…” la richiamò, non senza sottolineare la severità del richiamo che stava per farle “Hai sbagliato figliola… Vegeta non ti ha detto che avrebbe utilizzato le sfere, ma tu lo hai comunque attaccato, rinfacciandogli cose del passato che forse non avresti dovuto più riportare a galla…” disse spicciolo il genitore “E comunque non penso che abbia intenzione di ripristinare il suo pianeta, vedrai che tornerà da te e da Trunks…è vero, ti ha fatta soffrire molto, ma ricordati che è anche morto per te e per il vostro bambino… vedrai che tornerà, ama te e ama Trunks più di ogni alta cosa” concluse lo scienziato, guardandola dritto negli occhi. 
“Non più del suo ego!” incaponì lei, testarda fino infondo, distogliendo lo sguardo da quello di suo padre “Per quanto riguarda l’amore… non ha mai detto di amarmi, anzi, mi ha sempre detto esplicitamente di non contemplare neanche il significato di quella parola” disse franca e abbattuta, gonfiando le guance dal disappunto, con gli occhi ancora velati dal pianto. 
“La neve, quando cade, lo fa in silenzio, figlia mia…” il dottor Brief rise dell’espressione buffa di sua figlia “Forse non te lo ha mai detto a parole, ma ti ama… glielo si legge in faccia ogni volta che posa gli occhi su di te e tu sei una folle a non averlo ancora capito, anche se lui non lascia alcuna traccia dei suoi sentimenti” concluse infine, asciugandole le lacrime con i pollici, prendendole il viso tra le mani. 
Bulma non ne era affatto convinta, ma, ancora stretta tra le braccia di suo padre, abbozzò, provando a credere alle sue parole, tornando a guardare fuori dal finestrino. 
 
***
 
Il freddo pungente delle Montagne Rocciose gli sferzava il viso, senza però riuscire a sconvolgere più di tanto il suo fisico, abituato a situazioni ben peggiori di quella.
Vegeta era arrivato lì ormai da due settimane e da due settimane non faceva altro che starsene tra quelle alture, a riflettere. Le sfere rilucevano di rosso scarlatto alle sue spalle, in netto contrasto con la neve e la loro presenza pesava alle sue spalle, nonostante fossero poggiate sul morbido manto bianco. 
Non era ancora riuscito ad usarle e si dava del codardo, lì, tra quelle rocce inanimate, dove nessuno avrebbe potuto testimoniare la debolezza del suo animo, diviso tra ciò che sarebbe dovuto essere e ciò che era diventato. Perché una parte di sé non desiderava altro che tornare ad essere il principe dei Saiyan che era sempre stato, mentre l’altra aveva ben altro motivo per non desiderarlo affatto e quel motivo erano un paio di occhi azzurri e dei capelli rilucenti come acqua cristallina. 
Digrignò i denti, serrando la mascella e, per pura frustrazione, con un solo grido sprigionò la sua aura, rilasciando tutta la potenza che in quei giorni aveva tenuto sotto chiave, dentro di sé, per evitare che Trunks o chi per lui, scoprisse dove fosse. 
La terra iniziò a tremare, la neve iniziò a percorrere il fianco delle montagne in enormi valanghe e le rocce si sgretolarono sotto le onde che si diramavano dal suo corpo, impattando su di loro. Finirono in mille pezzi, quando Vegeta caricò un ki-blast distruttivo, scagliandolo contro di loro, mettendo in quel colpo tutta la rabbia che si sentiva addosso.
Delusione, confusione, disorientamento… tutto era racchiuso in quell’unico bagliore che si estinse veloce, così come era stato generato. Il Saiyan, si guardò le mani, guantate e tremanti, riconoscendo in quel tremore la propria insicurezza, odiandosi ancora di più per essere diventato così debole.
Il finimondo che Vegeta stava mettendo su arrivò persino a Goku, sui lontani monti Paoz, che riconobbe subito l’aura del suo amico e rivale, percependo qualcosa di decisamente fuori posto in tutta quella furia sprigionata da Vegeta. 
Il giovane Saiyan se ne stava tranquillo, steso sui prati a riposare dopo un intenso allenamento con suo figlio, Goten, quando avvertì l’aura di Vegeta e la terra muoversi sotto di loro. Si sollevò dal prato, e insieme a lui anche Goten, che lo seguì con lo sguardo ingenuo e carico della sua curiosità di bambino:
“Papà… ma questa non è l’aura di Vegeta?!” chiese il piccolo Goten, prima di continuare “Uffa! Trunks mi ha mentito… ha detto che non si sarebbero allenati e invece stanno combattendo!” disse teneramente il bambino, gonfiando le guance.
“Dimmi, Goten… senti per caso l’aura di Trunks?!” gli chiese Goku, con il sorriso sulle labbra, passandogli una mano tra i capelli ribelli, identici ai suoi. Solo allora il bambino si rese conto che la forza spirituale di Trunks non arrivava dallo stesso posto da cui proveniva quella di Vegeta:
“Figliolo, che ne dici di aiutare tua madre in cucina?!” disse, leggendo la consapevolezza sul volto del bambino, che con un piccolo assenso si congedò da lui, per tornarsene a casa.
Goku, a quel punto, si portò le dita alla fronte e in meno di un secondo si tele-trasportò nel posto in cui si trovava Vegeta. Si materializzò di fronte a lui, proprio mentre il principe caricava l’ennesimo pugno da scagliare contro le rocce.
Goku bloccò la sua mano a mezz’aria, stringendola con forza nella propria:
“Non dirmi che ti sei rimesso in testa di voler distruggere di nuovo la Terra, Vegeta, perché ci stai riuscendo…” disse Goku con ironia pungente, notando all’istante, che, al contrario, Vegeta non aveva propriamente la stessa voglia di scherzare, senza considerare l’aura grigia e l’umore tetro e nero che aleggiavano attorno al suo corpo, visibilmente provato e trascurato, visto che dava l’idea di non nutrirsi da giorni e di non dormire da altrettanto tempo, benché i graffi, le ferite superficiali sul corpo e lo stato in cui riversava la sua tuta da combattimento gli tolsero tutti i dubbi su quanto avesse fatto in quel tempo.
“Che hai, Vegeta?!” chiese preoccupato il più giovane dei Saiyan, inarcando le sopracciglia.
Vegeta non si era mai comportato in quel modo e in un certo senso il suo atteggiamento disorientò e stupì non poco Goku, soprattutto quando il moro dai capelli a fiamma, si liberò bruscamente dalla sua presa, voltandosi dandogli le spalle, arrossendo impercettibilmente per l’imbarazzo e per il fastidio, pronto ad esplodere dalla rabbia da un momento all’altro:
“Non sono affari tuoi, Kakaroth… e vedi di andartene, la tua presenza mi irrita!” sbottò e, in quel preciso momento, Goku fece l’unica cosa che Vegeta avrebbe voluto evitare: vide lo scrigno poggiato a terra, proprio sotto di loro, che ancora si libravano, volando, a mezz’aria.
Prima ancora che Vegeta potesse pensare di fermarlo, Goku era già sceso a terra e lo aveva preso, aprendolo per studiarne il contenuto, prendendo una delle sfere tra le mani, fissando il suo sguardo a metà tra il curioso e il rimprovero in quello dell’altro Saiyan:
“Vegeta, che significa questo?! Da dove diavolo hai preso queste strane sfere del drago?!” chiese, aspettandosi una risposta che però non arrivò, ma che, anzi venne sostituita da un violento pugno che impattò sulla sua guancia.
Con un repentino sbalzo d’aura, Vegeta raggiunse il secondo livello del Super Saiyan e a Goku non rimase altro da fare se non raggiungere il suo stesso livello di combattimento, per pararsi dai suoi attacchi, lasciando ricadere a terra la sfera, insieme allo scrigno.
Vegeta continuava a colpirlo con pugni che impattavano sulla difesa delle sue braccia, con una foga che varcava la linea sottile tra la collera e la follia, senza dargli tregua:
“Che ti succede, Kakaroth?! Non dirmi che non hai il coraggio di attaccare!” gli disse il principe, sbeffeggiandolo, in un’immagine che era più simile al Vegeta arrivato per la prima volta sulla Terra che all’uomo e padre di famiglia che era diventato, per lui ormai più un fratello che un rivale.
“No!” disse di nuovo Goku, bloccandogli il polso per poi scagliarlo furiosamente con la schiena contro un masso distante una decina di metri da loro “Non combatterò contro di te, Vegeta, almeno fino a quando non mi avrai detto cosa diavolo ti sta succedendo! Sei irriconoscibile e sei fuori di te… inoltre non mi hai ancora detto a cosa servono quelle sfere che ti porti dietro” disse Goku, chiudendogli ogni possibilità di attacco o di fuga, parandoglisi di fronte, con le mani incrociate sul petto, in una posa più tipica di Vegeta che propria.
“Tsk!” biascicò Vegeta, recuperando la calma, sebbene il ticchettio al suo occhio sinistro non volesse saperne di fermarsi, scostando Goku con una spallata, recuperando la libertà che quell’inetto, con la sua presenza asfissiante gli aveva ostruito “quelle le ha trovate Bulma…”
“Bulma?!” chiese Goku incredulo, rispondendogli con un’altra domanda, studiando il suo andamento mentre Vegeta rimetteva la giusta distanza tra di loro.
“Possono esprimere un solo desiderio e quel desiderio può essere espresso da una sola persona…” continuò Vegeta, più parlando al vento che alla fastidiosa presenza alle sue spalle.
“Che-che desiderio?!” chiese ancora Goku, mentre l’incertezza si faceva sempre più spazio in lui.
“Rispristinare il Pianeta Vegeta” concluse spicciolo l’altro Saiyan, voltandosi, ben attento ad individuare ogni minima reazione dell’altro, trovandovi una buona dose di stupore e perplessità. Goku era così… incapace di nascondere le proprie emozioni, a differenza sua che non lasciava mai intravederne alcuna.  
“E chi sarebbe l’unica persona che potrebbe esprimere il desiderio?!” continuò con le sue domande Goku, passandosi l’indice sotto al naso, con fare pensoso.
Un’occhiataccia di Vegeta fu più che sufficiente a dargli la risposta che cercava e a quel punto, per Goku, tutto si delineò e si fece più chiaro:
“Lasciami indovinare…Bulma te lo ha tenuto nascosto ma tu l’hai scoperto lo stesso. E’ così Vegeta?!” disse Goku, portandosi le mani sui fianchi, inclinando la testa di lato per studiarlo, con uno strano sorriso sulle labbra. Conosceva Bulma abbastanza da sapere cosa fosse disposta a fare per la sua famiglia. Esattamente come la ragazzina di sedici anni, che si era presentata da lui con tutta la sua incoscienza per intraprendere la ricerca di sette sfere dei desideri che le avrebbero dato il principe azzurro che aveva sempre sognato e che, alla fine, invece, l’avevano condotta dall’unico principe che le aveva rubato il cuore.
Se non altro, adesso, Goku aveva ben chiara la causa del turbamento di Vegeta. Non aveva bisogno che lui gli rispondesse, sapeva che non lo avrebbe fatto… gli bastò vedere Vegeta voltarsi di nuovo a dargli le spalle, stringendosi le braccia al petto, chiudendosi nel suo guscio personale, per capire.
"Sai, Vegeta…” ricominciò Goku, dopo una breve pausa, ben sapendo che l’altro Saiyan non avrebbe aggiunto altro, aspettando solo il momento in cui lo avrebbe lasciato in santa pace “Mi piacerebbe molto vedere il nostro pianeta di origine, ma vedi, credo che forse, in un certo senso, doveva andare così. Io sono stato impacchettato e spedito via quando ero ancora un neonato… Tu sei stato usato come merce di scambio con Freezer quando eri solo un bambino e Bulma… credo che lei ci abbia salvati entrambi. Infondo merita una seconda possibilità. Se tu avessi voluto ripristinare il Pianeta Vegeta lo avresti già fatto senza esitazione. Stai solo prendendo tempo per non dover ammettere a te stesso che hai già scelto lei e non il tuo orgoglio di guerriero e Saiyan. Tutti sbagliamo…e tu lo hai fatto più di tutti in passato, ma lei non ti ha mai negato il suo perdono” concluse il suo discorso, Goku, tirandogli la sfera. Vegeta l’afferrò senza neanche voltarsi a guardarlo, nello stesso momento in cui Goku sparì, usando di nuovo il tele-trasporto, lasciandolo solo.
Forse, dopotutto, per quanto fosse insopportabile doverlo riconoscere, Kakaroth aveva ragione…
 
***
 
Era il 23 dicembre. Quella mattina l’impianto per il rilascio delle molecole di Ralgite era stato attivato, collaudato e dichiarato funzionante. I laboratori, le attrezzatture, i tralicci di montaggio… tutto era stato smantellato lasciando nella distesa di ghiaccio solo la base con gli alloggi degli scienziati che li avrebbero ospitati soltanto per quella notte ancora.
La mensa comune, quella sera, si era trasformata in un’enorme sala per festeggiare la riuscita del progetto e l’ormai imminente arrivo del Natale, per il quale gli scienziati si sarebbero separati in via definitiva, per tornare ognuno alle proprie vite, alle proprie case e alle proprie famiglie.
Bulma, se ne stava da sola, nell’angolo più remoto della sala ad osservare i vari gruppi di persone: tra di loro c’era chi parlava e rideva animatamente, chi ormai, a causa dell’alcol, aveva già salutato i livelli di lucidità da un bel pezzo, arrivando anche a destreggiarsi in discutibili performance canore e ballerine e chi invece continuava ad ingurgitare sidro bollente e qualche altro schifosissimo super alcolico per riscaldarsi dal freddo di quella nottata tra i ghiacci, particolarmente gelida, come il gruppetto formato da Ivar, Kim e Nikolai.
Forse loro non percepivano il freddo di quella nottata come invece lo percepiva lei… ed era solo colpa sua, se sentiva la sua anima fredda ed inanimata, rimasta congelata a più di due settimane prima.
L’indomani, come tutti gli altri, Bulma sarebbe ripartita per tornarsene a casa. Avrebbe trovato Trunks ad attenderla, per festeggiare con lui il Natale. Ma non ci sarebbe stato Vegeta. Vegeta a cui non importava nulla delle “loro stupide usanze terrestri” e che, anche se ci fosse stato, avrebbe trascorso comunque la sua giornata di Natale ad allenarsi nella Gravity Room. Eppure quella volta, le sarebbe bastato anche quello: saperlo a pochi passi da lei, consapevole che, in ogni caso, al calare delle ombre avrebbe sempre trovato il suo corpo caldo a scaldarla durante la notte. Perché Vegeta era cosi: amava senza lasciare traccia e lei aveva coperto, come una sciocca, anche le poche che era riuscita a scorgere in quegli anni sotto il timore, l’egoismo e la paura.
Senza trattenersi oltre in quell’atmosfera di festa che non le apparteneva per nulla, si alzò dal suo posto per andare a rifugiarsi nel suo alloggio, ignara di essere seguita lungo il corridoio della base, almeno fino a quando non si sentì richiamare da una voce biascicata nel buio alle sue spalle:
“Bulma!”
Per un attimo il fiato le si smorzò in gola dal timore, fino a quando non si voltò riconoscendo il soggetto a cui apparteneva quella voce consunta dall’alcol:
“Ivar, sei tu!” sospirò, quasi di sollievo. Per un attimo aveva temuto fosse qualcun altro.
Eppure, non era ancora troppo tardi per temere, perché, cogliendola del tutto impreparata, il rosso le si gettò addosso sbattendola contro la parete alle sue spalle, afferrandola per il sedere spingendosi contro di lei con un’eccitazione che la donna sentì chiaramente contro la sua gamba, facendole provate terrore e repulsione.
“Perché, speravi fosse qualcun altro, Brief?! Il tuo compagno forse?! Mi chiedo come faccia a stare lontano dalle cosce di una donna calda come te” le alitò sulle labbra, afferrandole violentemente i polsi portandoglieli sopra la testa, mentre con foga le bloccava le labbra, incastrandole con le sue, baciandole contro la volontà della donna che non faceva altro che dimenarsi e respingere il suo bacio, fino a quando non riuscì a morderlo con violenza, fino a sentire il suo sangue defluirle nella bocca, accompagnato da un conato di vomito che le salì nello stomaco.
Approfittando della sua momentanea distrazione, Bulma alzò il ginocchio, colpendolo violentemente dritto tra le gambe, facendolo crollare a terra, quasi privo di sensi. Fuggì, correndo lungo il corridoio, pulendosi schifata la bocca, tenendosi una mano sul petto per cercare di calmare il respiro, che si regolarizzò solo quando non si richiuse a doppia mandata la porta del suo alloggio alle spalle.
Solo quando fu nella totale tranquillità della sua stanza, ripensò con orrore a quanto stava per accadere, scivolando a terra contro il freddo metallo della porta, regolarizzando il respiro e il battito del cuore, passando a rassegna tutto quello che la sua mente aveva registrato durante l’assalto di Ivar.
Dopo averlo colpito, però, era fuggita via subito… troppo presa dal panico per soffermarsi sull’importante dettaglio di una luce azzurrognola che illuminò, poco distante da lei, la mano e il volto di una figura nascosta nell’ombra, che sgusciò via, portando i suoi stivaletti bianchi, di fronte agli occhi riversi al suolo di quell’uomo viscido che aveva osato metterle le mani addosso...
 





Salve a tutti! Eccomi con il secondo capitolo, che anticipa quello di chiusura che verrà pubbliato tra oggi e domani! Colgo l'occasione per ringraziare tutti voi che avete letto e accolto questa storia, ringraziando in special modo voi che mi avete lasciato le vostre bellissime recensioni a cui risponderò quanto prima questa sera! GRAZIE MILLE!!!
A prestissimo, baci!....

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Capitolo 3
*** Come neve ***



Capitolo 3_ Come neve
 
L’aereo diretto alla Città dell’Ovest arrivò alle diciannove in punto. Non appena Bulma poggiò il suo piede sul freddo strato di asfalto al di fuori del Gate, qualcosa di leggero e freddo accarezzò la sua fronte, rimasta scoperta grazie al suo nuovo taglio di capelli, ancora cortissimi, ma non più aggiustati in una frangetta spartana, bensì scalati in una versione più sbarazzina. Aveva approfittato proprio dello scalo alla Città del Nord e di una donna incinta che si annoiava sulla porta del suo salone di bellezza, che l’aveva pregata di lasciarle mettere le mani su quei suoi capelli di un colore tanto singolare. Bulma, dopo mille insistenze, aveva finito per fare spallucce e acconsentire. Le cambiava ben poco dopotutto. I suoi capelli erano l’ultimo pensiero che aveva in quel momento.
Un secondo fiocco di neve accompagnò il primo…poi un terzo, e poi ancora un quarto.
La donna si ritrovò ad aprire il palmo della mano, lasciandoveli ricadere sopra, mentre un filo di commozione le attraversava l’animo: ce l’aveva fatta. L’impianto era funzionante e stava già facendo il suo lavoro. Erano anni che i fiocchi di neve non cadevano sulla Città dell’Ovest e grazie alla sua molecola, attiva nell’aria già da più di ventiquattro ore, il clima della Terra stava già tornando alla normalità.
Alzò gli occhi verso il cielo e sorrise.
Per un attimo tornò bambina perdendosi nei fiocchi che si ricamavano nel cielo, già privo delle luci del giorno.
Suo padre le poggiò la mano sulla spalla, sorridendole:
“Congratulazioni, bambina mia! Si direbbe che la tua molecola funzioni…” le sorrise, dandole un bacio sulla fronte. A Bulma scappò una lacrima che suo padre asciugò prontamente, prima di continuare a parlare “Che dici se adesso ce ne torniamo a casa?! Sono sicuro che tua madre abbia messo su una cena di Natale di tutto rispetto!” disse scherzando il dottor Brief, passandosi teatralmente la mano sulla pancia.
“Ti dispiace se torno a casa a piedi, papà?!” disse Bulma, aggrappandosi alla sua giacca.
“Certo che no, figliola… ma ne sei sicura?! Trunks ti starà aspettando!” disse ovvio suo padre, accarezzandole il volto.
“Trunks mi odierà quando saprà la verità, papà…” rispose la donna, abbassando lo sguardo a terra. Il dottor Brief la strinse di nuovo tra le sue braccia.
“Credo che Trunks non riuscirebbe ad odiarti neanche volendolo, Bulma! E’ tuo figlio e ti adora…” rispose il genitore con tono ovvio.
“Ma adora anche suo padre e io ho fatto in modo che lui andasse via… ci vediamo a casa, papà!” disse, tagliando corto la conversazione prima di permettere di nuovo al pianto di prendere il sopravvento, ricambiando suo padre con un bacio sulla guancia, avviandosi fuori dall’aeroporto. 
Iniziò a vagare per le strade della Città dell’Ovest, mentre la neve continuava a scendere silenziosamente, imbiancando e purificando ogni cosa. Cadeva senza fare rumore, senza pesare, senza farsi del male. Così come lei, che continuava ad avanzare tra le vetrine illuminate dalle mille lucine colorate e tra le famiglie che, felici, uscivano mano nella mano, sorridendo ai loro bambini eccitati che provavano a raccogliere i piccoli cristalli di neve nelle loro mani. Sorrise continuando a camminare, ritrovando la gioia in quei volti. Era riuscita a ridonare un sorriso genuino solo grazie a dei piccoli fiocchi di neve, lì dove invece, alle uniche persone che rischiaravano il suo cuore, era stata in grado di toglierli.
“Neve, insegnami tu come cadere, nelle notti che bruciano, a nascondere ogni mio passo sbagliato…” pensava a come fosse facile, per quei fiocchi, scendere e cadere senza soffrire. Coprire e nascondere sotto un manto candido e puro le imperfezioni che vi si celavano al di sotto. Imperfezioni come lei, che era un essere imperfetto. Come la sua relazione con Vegeta, anche quella imperfetta. E forse il bello era proprio quello. Due esseri imperfetti avevano trovato un modo tutto loro per elevarsi alla perfezione. Perfezione che lei aveva sgretolato con un calcio ben assestato a tutto quello in cui aveva sempre creduto.
Continuava ad ammirarla e venerarla la neve, Bulma. Perché lei sapeva come fare a celare i passi sbagliati dei bambini che barcollavano incerti su di essa dopo solo qualche minuto. E lei?! Quanto ci avrebbe messo per rimettere a posto tutti i suoi passi sbagliati ora che Vegeta non sarebbe stato più al suo fianco?!
Ormai era arrivata alla Capsule Corporation. La cupola gialla si stagliava come una mezza luna al centro del parco innevato della sua casa, mentre i led bianchi che percorrevano la strada battuta tra gli alberi sembravano tante piccole stelle immerse nel buio di quel bianco splendore. Era uno spettacolo che non vedeva più da quando aveva sette, o forse otto anni. Forse un incanto come quello sarebbe piaciuto anche ad un tipo come Vegeta…
Scosse la testa per scacciare via quel pensiero. Era la notte di Natale. Di un Natale innevato, di quelli rari e belli che non si vedevano più da anni. Decise di prendersi del tempo, prima di rientrare in casa. Le luci della sala da pranzo erano accese, segno che i suoi genitori e Trunks, probabilmente stessero ancora finendo di consumare la loro cena. Si avviò verso il parco illuminato, immerso nella neve, addentrandosi nel punto che le piaceva di più. Il piccolo ruscello che attraversava la proprietà dei Brief aveva una piccola insenatura sulla quale da poco era stato montato un gazebo a cupola, bianco. I passi la condussero lì, prima che potesse rendersene conto. Si accoccolò nella sua giacca a vento, sedendosi sul piano in legno, aggettante esternamente alla struttura, ad ammirare la neve che cadeva sul ruscello che iniziava già a congelarsi per il rigore delle temperature, ormai già scese a picco sotto lo zero, aspettando lì l’arrivo della mezzanotte.
 
***
 
All’interno della casa, il piccolo Trunks, dopo cena si era appisolato sul divano.
I suoi nonni si erano ritirati da poco, visto che il nonno Brief era ancora stanco per il jet lag. Il bambino si era fermato a guardare il suo anime preferito alla tv, prima di seguirli ed andare a dormire anche lui. In realtà aspettava che sua madre tornasse finalmente a casa. Aveva aspettato suo padre per giorni e Vegeta non si era fatto vivo. Non capiva Trunks, cosa li trattenesse così lontani da casa, l’unico posto in cui loro, tutti loro, erano sempre stati se stessi: una famiglia.
Imperfetta forse, ma pur sempre una famiglia.
Si addormentò con quel pensiero, il piccolo Trunks, mentre il fuoco scoppiettava nel camino e le voci gracchianti provenienti dalla tv gli accarezzavano le orecchie.
Si accorse a malapena, dopo qualche minuto, che due braccia forti e tremendamente familiari lo avevano sollevato dal divano, per lasciargli poggiare il capo nell’incavo del suo collo nerboruto e dal profumo inconfondibile:
“Papà, sei tornato…” sussurrò il piccolo, mezzo addormentato, aggrappandosi a Vegeta, avvolgendogli le braccia al collo e le gambe all’addome, come se da quel contatto dipendesse la sua intera esistenza “Dov’è la mamma?!” chiese, inciampando teneramente nelle parole, a causa del sonno non del tutto perso.
“E’ qui…” e diceva la verità, Vegeta, perché ne aveva avvertito la presenza a pochi passi da lì “tra poco passerà a salutarti…adesso dormi” gli ordinò il principe dei Saiyan, scostando le coperte per adagiarlo nel suo letto, per poi ricoprirlo, prima di uscire dalla sua stanza.
Aveva sentito l’aura di Bulma avvicinarsi, prima ancora di guardarla attraversare il parco dalla finestra della cameretta del loro bambino. La neve ricopriva i suoi passi dopo il suo passaggio, come aveva coperto quelli che li avevano allontanati l’uno dall’altra… eppure li aveva anche ricondotti lì, in quello stesso punto, in quella stessa casa, dove quel loro amore distorto era nato, germogliato, inciampato. Si era spezzato, ricomposto e riplasmato più e più volte quel sentimento che Vegeta aveva scacciato via come la peggiore delle malattie. Lo aveva sempre visto per quello che era, quel rapporto: un legame che avrebbe contaminato la purezza del suo essere Saiyan. Ma quel sentimento adesso aveva bisogno di avere una certezza. Bulma gliel’aveva insegnato e lui lo aveva imparato da lei.
Senza esitare oltre, uscì dalla stanza di Trunks per recarsi nella propria. Afferrò lo scrigno contenente le sfere del drago nere e scese di sotto, recandosi nel parco, con l’unico scopo di raggiungerla e mettere fine una volta per tutte a quella storia...
 
*** 
 
Regione Polare a Nord della Terra, due giorni prima
La vecchia porta in legno tarlato si richiuse alle sue spalle con un tonfo assordante.
Vegeta avanzò all’interno di quella sottospecie di bettola con il naso arricciato, a causa del fetore di umido e di invecchiato che si respirava lì dentro.
“Non mi aspettavo che sareste venuto a cercarmi di persona, principe dei Saiyan…” gracchiò una voce che uscì dal buio di una porticina che dava sul retro, seguito dall’anziana Saiyan che si mosse con la sua insperabile sedia, in mezzo allo scricchiolio delle tavole di legno del pavimento “per me è un onore, rivedervi… l’ultima volta eravate solo un bambino, principe Vegeta!”
“Tsk! Risparmiami la tua ipocrisia e i tuoi raggiri!” sbottò Vegeta, portandosi le braccia al petto.
“Siete voi ad essere venuto da me, principe… e a questo punto non mi resta che chiedermi il perché” constatò la donna.
Vegeta digrignò i denti, tracimando bile dal fegato. Avrebbe ingoiato la sabbia piuttosto che sottomettersi a quella megera ma, se voleva una risposta, non avrebbe potuto fare altrimenti.
“Le sfere…” disse, breve e conciso “voglio sapere come liberarmene, per sempre” 
Gula si aprì in una risata dal gusto palesemente amaro e denigratorio.
“E’ questo che vuoi per te, Vegeta?!” chiese, quasi sputando via quelle parole con malcelato disprezzo, scavalcando anche la formalità e il rispetto che doveva al suo rango “Dopo che io non ho fatto altro che cercare un modo di riportare la nostra razza e il nostro pianeta alla gloria?!”
“Rispondi e basta, vecchia! Non ho tempo da perdere!” bofonchiò Vegeta, stringendo con le dita il tessuto logoro della sua battle-suit, provando a mandare giù e ignorare l’insulto della donna al suo orgoglio.
“Come vuoi… anche se non penso ti piacerà, mio principe!” disse soddisfatta, spostandosi con la sedia per avvicinarsi a lui, arrivando a fronteggiarlo dal basso “Le sfere sono legate all’essenza Saiyan dell’ultimo erede della stirpe dei Vegeta… escludendo ovviamente il bastardo mezzosangue che hai con la terrestre” precisò la vecchia. Non fece neanche in tempo a terminare la sua frase, che Vegeta l’aveva già afferrata per il collo del suo maglione, sollevandola da quella carretta di una sedia. Gula rabbrividì sotto lo sguardo minatorio e nero come la pece del proprio sovrano, ingoiando il grumo di saliva che le si era bloccato in gola.
“Attenta vecchia… ho ammazzato gente per molto meno. La prossima volta che darai a mio figlio del bastardo ti strapperò via quella lingua da serpe sorridendo e compiacendomi del tuo dolore!” gli alitò sulla faccia, facendola ricadere sulla sedia.
“Devi rinnegare quello che sei… il tuo essere Saiyan, l’orgoglio del tuo popolo. Rinnega il tuo ego, ciò a cui più tieni e le sfere finiranno in mille pezzi” disse Gula, ghignando a Vegeta, che le aveva dato le spalle, e che ricevette le sue parole come una pugnalata dritta nel mezzo della schiena.
“Non rinnegherei mai il mio orgoglio Saiyan…” disse Vegeta, aprendo la porta, ma prima che potesse richiudersela alle spalle, la voce di Gula arrivò di nuovo alle sue orecchie, come una frustata:
 “Lo hai già fatto, principe dei Saiyan… hai già rinnegato quello che sei quando hai deciso di innamorarti di quella terrestre…”
 
***
 
“Bulma…”
La voce di Vegeta le arrivò ovattata, come un’illusione.
Non era riuscita ad impedire al pianto di sorprenderla di nuovo, mentre se ne stava ancora accoccolata sotto il padiglione a stringersi nella sua giacca, con le ginocchia al petto.
Quando capì che l’uomo era alle sue spalle, ripresasi dalla sorpresa iniziale, che le fece tornare a scalciare furiosamente il cuore nel petto, si asciugò il volto come meglio poté per non dargli la soddisfazione di vederla “frignare”, come soleva ripetere sempre a Trunks quando piangeva.
“Che ci fai qui, Vegeta?! Pensavo te ne fossi già andato da un bel pezzo ormai…” constatò acida, tirando su con il naso, asciugandosi il viso, incorniciato dal pesante cappuccio della sua giacca.
L’uomo sbuffò, ghignando della tenacia di quella testarda. Stava palesemente piangendo per lui, eppure continuava a rintanarsi dentro la sua fortezza per non dargli la soddisfazione di aver vinto su di lei, almeno quella volta. Due facce della stessa medaglia… niente di più. Ecco cos’erano.
Senza dire nulla si avvicinò a lei, sedendosi al suo fianco mentre una luce biancastra incendiò l’atmosfera invernale attorno a lui, iniziando a circondare il suo corpo. Incrementò la sua aura, portandola fino al limite generando un alone caldo che avvolse prima lui e, quando le fu abbastanza vicino, anche Bulma, visibilmente infreddolita, sotto la neve che continuava a cadere su di loro… non fosse che la testarda si era voltata, dandogli le spalle per non essere costretta a fronteggiarlo.
Sbuffando di nuovo, il Saiyan l’afferrò di prepotenza per i fianchi e, con un solo gesto, la costrinse a sistemarsi a cavalcioni su di sé.
“Lasciami, Vegeta! Sei sempre il solito scimmione!” bofonchiò e sbraitò lei, colpendolo ripetutamente sul petto, ben consapevole che non sarebbe stata in grado di generargli dolore alcuno, ma giusto per la soddisfazione di colpirlo come avrebbe voluto fare da molto tempo prima. Vegeta, dopo averla lasciata sfogare per qualche secondo, bloccò i polsi di quell’invasata portandoglieli dietro la schiena, prima di perdere ogni brandello di pazienza, visto che quest’ultima stava già abbandonandolo da un bel pezzo.
“Sta’ ferma, maledetta sciocca e apri bene le orecchie, perché parlerò una sola volta!” la fermò, alzando la voce solo per attirare la sua attenzione, senza la rabbia con cui l’aveva aggredita diversi giorni prima, non ottenendo comunque ciò che voleva, visto che Bulma provò, inutilmente, a sgattaiolare via dalla sua presa:
“Ti ho detto di lasciarmi, Vegeta!” continuò infatti la sua protesta, provando ad evitare i suoi occhi “Sono una persona spregevole, fai bene ad odiarmi dopo quello che ti ho detto… capirò perfettamente la tua scelta di tornartene sul tuo pianeta, ma non costringermi ad assistere, non lo sopporterei” ammise sincera, strattonando le mani per liberarsi dalla presa dell’uomo. Ma Vegeta, al contrario, rafforzò la sua presa salda sui polsi di Bulma, approfittandone, per farla cozzare di nuovo contro di sé, spingendola contro il suo petto. Inevitabilmente i loro occhi morirono e rinacquero gli uni dentro quelli dell’altra.
“Pensi che qualche stronzata detta per rabbia e pura stupidità valga come la vita di centinaia di persone, donna?! Non hai detto nulla che io non sapessi già. Non ho alcuna intenzione di ripristinare il Pianeta Vegeta, se è questo che ti ha fatta tanto stare male e che ti ha spinta a mentirmi e a dirmi tutto quello che avresti dovuto vomitarmi in faccia molto tempo fa. Il mio posto è un altro ormai, anche se è una vita che non desideravo e che non volevo per me… ma che ho imparato ad apprezzare. Perché me lo hai insegnato tu…” disse, tutto d’un fiato, tanto era lo sforzo che stava facendo per tirare fuori quelle parole, mentre tentava di combattere in ogni modo il rossore che iniziava ad imporporargli le guance. Supremo! Aveva sconfitto nemici ben peggiori di una donna senza la minima forza spirituale, ma mai aveva fatto un discorso lungo, smielato e profondo come quello.
“Vegeta…” sussurrò commossa Bulma, vedendo davanti a sé un uomo che a stento riconosceva. Così burberamente se stesso, ma tremendamente diverso per le parole che le stava dicendo. Parole che Bulma aveva sempre sperato di ascoltare dalla sua voce e che ora voleva solo ricacciare indietro, nel timore che potesse esploderle il cuore nel petto da un momento all’altro:
“Sta’ zitta, e fammi finire donna!” grugnì Vegeta, indispettito, provando a rimanere concentrato per finire il suo discorso “E’ vero, non mi hai mai chiesto niente, ma neanche io l’ho fatto. Non ti ho chiesto io di innamorarti di me, eppure hai ben pensato di darmi una famiglia, un figlio, un erede… tutte cose che mio padre e il mio popolo mi hanno negato quando mi hanno messo nelle mani di Freezer, avevo solo l’età di Trunks… ed hai ragione, sono stato stronzo, cattivo, egoista ed arrogante… lo sono e lo sarò sempre, per il resto della mia vita. Questo non potrai mai cambiarlo, così come non potrai mai cambiare il mio essere un orgoglioso combattente della razza Saiyan, quindi mi dispiace per te, ma dovrai fartene una ragione!”
Bulma provò a controbattere alle sue parole dimenandosi su di lui e iniziando una breve protesta, ma Vegeta mollandole un polso, le portò l’indice sulle labbra per zittirla. La donna sbuffò, gonfiando le guance per il dispetto, ma si riaccoccolò sulle sue gambe, lasciando che finisse di parlare. E fece bene, perché quella era la parte più importante, il tassello che mancava nelle loro vite. La risposta che mancava ad entrambi, le luci che esplosero tra di loro incendiando l’inverno dei loro cuori, scaldandoli, lasciando che si incontrassero e che i brandelli dell’uno si confondessero con quelli dell’altro. Come la neve, che cade e si confonde leggera: delicata, silenziosa esplosione di emozioni che risvegliano l’anima.
Vegeta le portò una mano sulla guancia, intrufolandosi sotto il tessuto del cappuccio, aggrottando le sopracciglia, notando il nuovo taglio di capelli di Bulma. Riscoprì anche quella pelle di alabastro che aveva abbandonato il freddo, lasciando spazio ad un più delicato tepore, grazie al calore della sua aura che li avvolgeva entrambi. La accarezzò dolcemente, prendendo il suo volto nella propria mano, mentre Bulma chiudeva gli occhi assaporando il suo tocco, deciso ma leggero, portando la mano sulla sua, inspirando il suo profumo che gli era mancato come l’aria che non respirava quasi più. Vegeta l’attirò, contro il suo volto, facendo scontrare le loro fronti, prima di iniziare a parlare di nuovo, togliendole la vista dei propri occhi serrando le palpebre. Codardo ed incapace di mostrarsi completamente a lei, mettendo a nudo la sua anima per la verità che le stava rivelando e a cui, qualche giorno prima, non avrebbe mai osato dare voce: ignaro del fatto che a Bulma bastasse anche solo avvertire il suo respiro accarezzarle il volto per sentirlo vicino, vero, reale… suo.    
“In questi anni non ho fatto altro che vedere riflesso nello specchio un uomo in cui non mi riconoscevo e che non mi piaceva, ma che, con il passare del tempo ho imparato ad accettare e ad apprezzare, grazie a te… perché ti amo, sciocca e stupida terrestre!” concluse finalmente e poté giurare che il mondo si fosse fermato in quella sua dichiarazione.
“Vegeta…” sussurrò di nuovo, incredula, Bulma, portandogli entrambe le mani sul volto. Il Saiyan riaprì gli occhi, trovandosi a pochi centimetri quelli lucidi, azzurrissimi ed emozionati della sua donna. La neve continuava a cadere, così come le ultime due lacrime solcarono il bellissimo viso di Bulma. Lacrime di felicità pura, lacrime di gioia che Vegeta raccolse dal suo viso con le sue labbra, prima di passare ad accarezzarle la bocca. Impacciato e timoroso, come non lo era stato neanche la prima volta che era finito tra le grinfie di quella ninfa. La sua ninfa.
Come la neve che continuava ad accarezzare le case, gli alberi spogli e i loro corpi, le labbra di Vegeta si posarono leggere, ma calde su quelle di Bulma. L’accolse tra le sue braccia avvicinandola a sé, stringendola sul suo grembo, lasciando che le sue mani di assassino, combattente e amante vagassero sulla sua schiena, mentre intrufolava la lingua nella sua bocca, senza chiederle il permesso.
La magia di quel momento si racchiuse tutta in quel bacio: le loro labbra si accarezzavano mentre la neve che accompagnava l’arrivo del Natale, allo scoccare della mezzanotte, scendeva sopra di loro. In quello stesso momento le sette sfere, rimaste ai loro piedi, dove Vegeta le aveva posate, si congelarono e in loro si creò una profonda crepa che le ridusse in mille pezzi. Si ridussero in niente più che polvere, come il pianeta che avrebbero dovuto riportare agli antichi splendori e che invece sarebbe rimasto seppellito per sempre nei ricordi e nella storia.
Al contrario, invece, il solco che in quei giorni si era creato nei loro cuori, grazie a quel bacio, finalmente veniva completamente risanato. Vegeta aveva scelto lei e sarebbero stati così, insieme, per sempre.
Bulma sorrise sulle sue labbra, continuando a baciarlo, come non faceva ormai da troppo tempo, portandogli le braccia al collo, stringendolo a sé con la paura che potesse sciogliersi e svanire da un momento all’altro come un bellissimo sogno di una notte d’inverno. Si separò da lui solo per respirare, allontanandosi per poterlo guardare meglio, immergendo le mani in quei suoi bellissimi capelli corvini, ormai quasi completamente innevati, piegando la testa di lato con un sorriso birbante sulle labbra:  
“Da quando sei diventato così bravo con le parole, principe dei Saiyan?! Credo di essermi persa qualcosa…” disse furba, piegando le labbra in un ghigno.
“Anche questo l’ho imparato da te” concluse lui, spicciolo, troncando quella conversazione sul nascere, afferrandola per i glutei, per attirarla di nuovo contro il suo corpo, prima di tornare a baciarla.
Questa volta ad interromperli fu il suono del cellulare di lei, che le trillò nella tasca della giacca. Provò ad ignorarlo una volta, troppo impegnata ad assaporare le labbra di Vegeta, ma dopo una seconda ed una terza si decise a rispondere, mentre Vegeta le sbottonava la giacca per riuscire a baciarle e mordicchiarle il collo.
“Pronto” disse la turchina, inarcando la testa indietro, sorridendo birichina a causa del trattamento decisamente poco casto di Vegeta.
“Ehi, Bulma… sono Kim! Volevo solo dirti che Ivar sta bene, lo hanno appena dichiarato fuori pericolo” disse la voce all’altro capo. Kim, Ivar, fuori pericolo… Bulma ci mise del tempo a registrare quelle informazioni, fermando l’esplorazione di Vegeta, che aveva ascoltato e si era allontanato da lei con un ghigno degno del peggiore dei bastardi esistenti sulla faccia della Terra.
“Ma che cosa significa fuori pericolo?!” chiese la turchina, allarmata. Insomma, non pensava che una ginocchiata nelle parti basse potesse causargli chissà quali complicazioni.
“Ma come, non lo sai?! La notte scorsa lo abbiamo ritrovato privo di sensi lungo il corridoio” disse il ragazzo. “Ovvio, ce l’ho lasciato io” pensò Bulma, prima che Kim continuasse a parlare:
“Aveva diverse ossa rotte e un’evidente trauma cranico… nulla di grave in ogni caso, sta già meglio” concluse la voce all’altro lato dell’apparecchio e Bulma sgranò la bocca e lo sguardo per l’incredulità. Un’occhiata a Vegeta fu più che sufficiente per capire…
Poco dopo mise fine alla chiamata, puntando le mani sui fianchi. Avevano chiarito da meno di cinque minuti e Vegeta era già riuscito a farle perdere di nuovo il lume della ragione.
“Dì un po’, sei per caso impazzito, Vegeta?! Perché è inutile che cerchi di negare… sei stato tu a ridurre Ivar in quel modo!” sbraitò la donna, fumante dalla rabbia.
“Tsk! Ritieniti fortunata… Quando ho visto che ti stava baciando vi avrei ammazzati volentieri entrambi! Puoi solo compiacerti di averlo atterrato prima che ci pensassi io a sistemarvi entrambi” rispose lui, portandosi le braccia al petto, voltando il viso di lato.
“Questa non è una giustificazione...” lo rimbeccò lei, alzando ancora di più la voce.
“Lo è il fatto che ha toccato ciò che è mio, per di più contro la tua volontà, però…” fu la replica di lui.
“Sei per caso geloso, mio principe?!” chiese lei, inarcando un sopracciglio, spostandosi di lato per raggiungere il suo volto e guardarlo di nuovo negli occhi.
“Tsk! Ma smettila… tu piuttosto, hai bisogno di qualche allenamento! La tua difesa fa schifo…” deviò il discorso lui.
“E tu non saresti dovuto neanche essere lì, invece! Si può sapere che diavolo ci facevi?!” continuò lei, a cui il tentativo di cambiare discorso e il leggero rossore sul viso di Vegeta fece illuminare la lampadina “Eri lì perché volevi parlarmi, non è vero, Vegeta?!” lo punzecchiò, irritandolo non poco.
“Se tu fossi stata meno stupida e con la testa tra le nuvole, ti saresti accorta di me anche prima di quella sera…” si morse la lingua per quella rivelazione, riprendendosi, cercando di deviare ancora la piega che aveva preso la conversazione “In ogni caso ero lì perché sono venuto a cercare la vecchia Saiyan”
Ma Bulma era fin troppo attenta ed astuta per perdersi la prima frase detta da Vegeta.
“Che intendi dire con “ti saresti accorta di me anche prima di quella sera” ?!” chiese scettica mentre un’ipotesi, quella giusta prendeva finalmente vita nella sua mente e nel suo cuore.
Vegeta, in quei mesi che lei era lontana, due volte a settimana volava fino alla lontana Regione Polare del Nord, raggiungendo la base degli scienziati, senza mai dar mostra di sé, ma continuando a vegliare sulla sua donna tutta la notte, prima di spiccare il volo per tornarsene a casa. Mentre lei guardava lo splendore delle luci dell’aurora boreale, lui ammirava lei, l’unica luce di cui avesse bisogno.
“Quello che ho detto, donna… e adesso sta’ zitta!” disse Vegeta, sporgendosi in avanti per catturare di nuovo le sue labbra. La neve continuava a cadere, l’aura di Vegeta continuava a scaldarli e il mondo era fermo attorno alle loro labbra “Anzi visto che è Natale e mi hai trasformato in un volgare terrestre, pretendo di avere il mio regalo!” concluse il Saiyan, stupendo non poco la sua interlocutrice, che dopo un tentennamento iniziale per quell’assurda richiesta, esplose in una sonora risata, che si concluse con un bacio a stampo e gli occhi che le lacrimavano per il troppo ridere, mentre Vegeta, al contrario, aveva messo su un furiosissimo broncio offeso:
“A che regalo stavi pensando mio principe?! Non ho nulla per te…” ammise lei, inclinando le labbra in una smorfia di disappunto, ancorandosi al suo collo taurino.
“Sei proprio sicura di non avere niente per me, donna?!” ghignò lui, non senza malizia.
“Che io sappia, no… mio principe” disse lei, impostandosi in una posa pensosa “Ma dimmi pure quello che vuoi e vedrò cosa posso fare” concluse, birichina, passandogli il dito sul petto fasciato in una semplice canottiera nera. Quello che assolutamente non si aspettava era che Vegeta si avvicinasse al suo collo, alitandole nell’orecchio quattro parole che la sconvolsero nel profondo. Si portò una mano a tenersi la bocca, mentre gli occhi le si velarono di nuovo di lacrime. Evidentemente, per quella notte di Natale, le sorprese per lei non erano ancora finite.
“Vegeta… ne sei sicuro?! E’ davvero quello che vuoi?!” chiese, incerta ed esitante, in preda ad un leggero tremore dovuto alla commozione.
“Con Trunks ho fallito… con questo non sarà lo stesso, se è questo che ti preoccupa!” fu la replica decisa e convinta del Saiyan.
“Sei e sarai un ottimo padre, Vegeta!” disse Bulma, gettandogli le braccia al collo, accoccolandosi sulla sua spalla per minuti che parvero eterni.
“Vegeta, dillo di nuovo…” gli sussurrò sulla pelle, dopo un tempo indefinito, cercando di nuovo le sue labbra.
Il Saiyan capì al volo a cosa si riferisse e non riuscì ad evitare che le sue gote si imporporassero… di nuovo.
“Tsk! Una volta è già troppa… quindi vedi di fartela bastare, donna!” rispose, afferrandola di nuovo dal sedere, per alzarsi in piedi, tenendola in braccio, prima di ributtarla sulla neve, facendola esplodere in una risata cristallina.
Bulma rise e prendendolo per una mano lo fece ricadere su di sé, afferrandogli il viso ancora accaldato tra le mani, per rincontrare i suoi occhi, avvicinandosi al suo volto per far sfregare i loro nasi.
“Hai ragione, mio principe…” disse, prima di baciarlo di nuovo “Penso che dopotutto potrei farmelo bastare, quindi continua pure ad amarmi senza lasciare traccia…” 

Fine





Salve a tutti! Bene, sono arrivata alla fine di questa "avventura" breve, ma intensa xD 
Vi cito solo qualche riferimento, in particolare al gazebo bianco della CC, che è ovviamente lo stesso della puntata di super in cui 


***SPOILER***

Vegeta dice a Bulma la frase che personalmente mi sono cucita nel mio cuoricino da shipper:
"I should be with her"
Riferendosi proprio al fatto che Bulma fosse in procinto di partorire... non è un caso la scelta di far chiedere a Vegeta di avere un secondo figlio a Bulma, proprio lì, in quel posto *Lo so, troppo romantica. Awwwwww* Stesso discorso vale anche per il taglio di capelli di Bulma, volutamente riportato, che segna il passaggio dalla Bulma di "Z" a quella di "Super" per quanto il cambiamento sia solo a livello di look.

*** FINE SPOILER***



Spero comunque di non aver portato troppo i personaggi fuori dalla loro caratterizzazione canonica, in particolare quella di Vegeta, che segue ovviamente più quella di Super che quella di Z, per motivi di scelta del tempo dell'ambientazione e anche per esigenze di trama.
A proposito del Vegeta di super...Quanti di voi in super hype?! Io tantissimo eheheheh xD sto ancora provando a riprendermi da questa mattina!
Non mi resta che ringraziare tutti voi che avete letto e recensito e in particolare chi mi ha sostenuto in questa storia:
-Rohan, per avermi suggerito di partecipare a questo magnifico contest. 
-Nede per averlo indetto.
-Berrysama che si è sorbita, insieme a quell' altra santa donna di perolandia90 i miei scleri sui dubbi della trama. 
-La mia sorellina che mi ha dato una grandissima ispirazione per questa storia.


Ringrazio ancora tutti voi che mi avete seguita e vi do l'appuntamento con le altre due long "I'd come for you" e "God's Revenge- la giustizia degli Dei" oltre a "Kingdom's Sword Fire" scritta a quattro mani con quella deviatona della mia Sensei, Cri cri. 
A presto! Baci
Sam

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