Pieces of Johnlock

di Watson_my_head
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** No panic ***
Capitolo 2: *** Dear John ***
Capitolo 3: *** The last day ***
Capitolo 4: *** Would you...text me? ***
Capitolo 5: *** Per sempre lui ***
Capitolo 6: *** Keep your eyes fixed on me ***
Capitolo 7: *** 57 ***
Capitolo 8: *** Sono venuto a prenderti ***



Capitolo 1
*** No panic ***


Ciao a tutti! 
Eccomi qui con una raccolta di one shot che spero vi piacerà.
Oggi è il 26 dicembre, e anche se con un giorno di ritardo, mi piaceva iniziare con una storia natalizia. Sherlock vuole fare un regalo a John e chiede a Mrs Hudson un consiglio. La sua risposta lo metterà in difficoltà.
Lasciatemi un commento, se vi va,
Merry Christmas!
A presto.



A Marica.

Queste cose sdolcinate non sono la mia specialità, ma spero che ti piaccia e ti diverta come ha divertito me.

 




NO PANIC

 

 

 

Sherlock non aveva mai amato particolarmente il Natale.

Ma Sherlock non amava in modo particolare praticamente niente. A parte le scene del crimine, i serial killer e John Watson. E quando queste tre cose erano unite, per Sherlock poteva essere Natale anche se il calendario segnava il 14 luglio.

Ma John amava le festività natalizie. Le amava così tanto da indossare quegli orrendi maglioni di ghirlande e renne, i più brutti tra i maglioni brutti. E adorava decorare la casa e mettere lucine ovunque. Inutili lucine e decorazioni pacchiane. E fare l'albero e mangiare i biscotti allo zenzero. Quelli erano buoni, in effetti. Anche Sherlock li adorava. Il resto per lui era solo rumore. L'unica parte che segretamente gli piaceva era quella cosa dello scambiarsi i regali. Anche se nel 99% dei casi riusciva ad indovinare cosa gli avesse regalato chi, trovava comunque divertente scartare i pacchetti e provare a tutti che le sue deduzioni erano corrette. Inoltre, la tediosa parte del comprarli per gli altri era sempre svolta da John, quindi a lui restava solo la parte divertente.

Quell'anno però le cose erano diverse.

John non usciva con una donna da quasi un anno. Anzi, John non andava quasi più da nessuna parte da solo, tranne quando andava a vedere una partita o a bere una birra con Greg. Il resto del suo tempo lo trascorreva tra il lavoro allo studio ed il lavoro con Sherlock. Oppure semplicemente se ne stava a casa a leggere un libro, a scrivere sul suo blog dei loro casi o a guardare stupidi programmi televisivi. Sherlock aveva notato che negli ultimi mesi non facevano che essere sempre più vicini, forse del tutto inconsapevolmente da parte di John, ma era così che andavano le cose. Si sedevano vicini sul divano, camminavano vicini, tanto da sfiorarsi di tanto in tanto, osservavano le scene del crimine quasi appiccicati l'uno all'altro. Facevano gli stessi movimenti, si mettevano nelle stesse posizioni, a volte dicevano la stessa parola all'unisono. Ogni volta che accadeva Sherlock aggrottava la fronte, fintamente infastidito, mentre John sorrideva. Le cose erano decisamente diverse quest'anno. Soprattutto perché, arrivati al periodo di Natale, Sherlock riusciva ogni volta ad indovinare il regalo che John gli aveva comprato con parecchi giorni di anticipo. Una volta addirittura prima che John lo comprasse. Ma quest'anno no. Quest'anno Sherlock brancolava nel buio più totale. Non aveva avuto nessun indizio, nessun accenno, niente di niente su cui lavorare, tanto che alla fine, dopo aver stilato mentalmente una lista di possibili ma improbabili regali, si era deciso che John non gli avrebbe comprato assolutamente nulla. Inutile dire che ci restò parecchio male. Ci pensò per due giorni interi, col broncio, allungato sul divano.

“La smetti di fare così? Tra tre giorni è Natale. Dov'è il tuo spirito festivo?” - lo aveva preso in giro John sedendosi accanto a lui con una tazza di cioccolata calda in mano.

“Lasciami stare.”

“E dai. Che hai? Ti annoi? Non è morto nessuno? Il Natale è proprio rovinato.”- John scosse la testa ma era così divertito che il tono della sua voce lo tradì subito.

“Non è divertente John.”

“Si che lo è. Tu lo sei.”

“Io non sono divertente.”- rispose Sherlock infastidito, usando quel tono che lo faceva assomigliare tanto a suo fratello maggiore.

John rise e gli si appoggiò contro accendendo la tv.

“Vuoi della cioccolata?”

“No.”

“Vuoi un tè?”

“No.”

“Vuoi che uccida qualcuno per te?”

“Non sarebbe così divertente scoprire il colpevole se me lo dici prima.”

“Ah, giusto.”- John sorrise di nuovo e poi smise di parlare per lasciarlo macerare nel suo brodo di scontrosità.

Sherlock decise di distrarsi andando nel suo palazzo mentale a rileggere vecchi file di omicidi irrisolti e quando tornò alla realtà si rese conto che era rimasto solo e che fuori era già notte. Andò a dormire col mal di schiena e un po' di infantile tristezza.

 

La mattina dopo Sherlock si svegliò con quella che secondo lui era un'idea geniale. Magari John sarebbe stato contento di ricevere un regalo vero quest'anno. Dopotutto delegava sempre qualcuno per farlo e forse era giunto il momento di pensare a qualcosa di più personale, visto lo strano andamento della loro “relazione”. Forse John si era stufato di non ricevere mai niente comprato direttamente da lui e quindi aveva deciso di non comprare nulla a sua volta. Sherlock non poteva accettarlo. Lui pretendeva il regalo di John. Anche se indovinava sempre cosa fosse, lo pretendeva. Lo faceva sentire...amato. Gli piaceva immaginare John che entrava in un negozio solo per lui, che sceglieva qualcosa con le sue mani, che lo faceva impacchettare in un certo modo. Paradossalmente gli sarebbe bastato davvero anche solo questo pensiero. Immaginare John fare qualcosa solo per lui. Quindi arrivò alla conclusione che avrebbe comprato qualcosa, così forse nei giorni successivi sarebbe arrivato un regalo, anche se in ritardo.

L'idea era geniale. La realizzazione, praticamente impossibile.

Cosa regalare a John Watson? Sherlock se lo chiese per sei ore, ventidue minuti e quindici secondi. Sei ore in cui suonò ininterrottamente davanti alla finestra. John lo ascoltò per un'oretta, poi lesse un libro, poi un giornale, poi gli parlò inutilmente e alla fine decise di uscire. Quando Sherlock arrivò alla soluzione del problema erano le sei del pomeriggio, fuori era notte e c'era la neve.

“Quella non c'era prima.” - la indicò con l'archetto, ma nessuno lo stava ascoltando perché era rimasto solo. Quindi posò il violino e andò verso la porta, verso la soluzione al suo irrisolvibile problema. Mrs Hudson.

 

Fu accolto amorevolmente, fatto accomodare e messo davanti a tè e biscotti in un movimento che a Sherlock sembrò unico. Non se ne accorse nemmeno. Mangiucchiò un biscotto e bevve un sorso mentre Mrs Hudson lo guardava con fare interrogativo, ma piuttosto divertito.

“Sherlock caro. Dimmi pure.”

Sherlock la guardò come si guarda un sospettato di omicidio.

“Come sa che devo chiederle una cosa?”

“Non essere stupido e sputa il rospo.”

Improvvisamente a Sherlock sembrò di trovarsi nell'ufficio di Lestrade a prendere una ramanzina e l'idea di chiedere aiuto per il regalo di John non fu più così geniale. Ma ormai era tardi.

“Io...”

“Tu?”

“Er...ecco. Secondo lei, cosa potrei regalare a John per Natale?”- sputò alla fine tutto d'un fiato.

Mrs Hudson lo guardò in silenzio per svariati secondi. Poi scoppiò a ridere e non accennava a fermarsi.

“Non capisco.”

“Oh lo so che non capisci. Non capisci mai niente.” Rispose la donna senza smettere di ridere. Poi si ricompose, come se all'improvviso le fosse venuta un'idea geniale. Un'altra.

“Sherlock, caro. Vuoi il regalo perfetto per John?”

Sherlock annuì speranzoso ed entusiasta di aver trovato finalmente la risposta.

“Allora, regalagli te stesso.”- e lo disse con assoluta serietà.

“Cos..? Me stesso? Che significa?”

“Adesso vattene che ho da fare.” - gli disse, costringendolo ad uscire e sbattendolo fuori alla stessa velocità con cui lo aveva fatto accomodare.

Sherlock rimase fuori dalla porta a guardare il pavimento cercando di capire. Ma per quanto si sforzasse quello gli sembrò l'enigma più grande che avesse mai affrontato.

 

Quella sera restò muto, seduto sul divano affianco a John a guardare la tv. Un qualche film natalizio dalla trama quasi inesistente. Pensò a lungo alle parole di Mrs Hudson, con il mento appoggiato sulla mano e il gomito sul bracciolo del divano. John lo osservò in silenzio, poi lentamente gli scompigliò i capelli.

“Che hai in questi giorni?”

Sherlock spostò solo gli occhi verso di lui. Per il resto rimase completamente immobile. Non era la prima volta che John gli accarezzava i capelli, ma ogni volta era una sorpresa.

“Lo so che non ami questo periodo. Passerà presto e poi saremo di nuovo tutti tristi. Va bene?”

“Mh”- Sherlock fece spallucce. John era proprio un idiota. Era lui quello che non capiva mai niente. E poi sorrideva. Cosa avesse da sorridere durante quella crisi internazionale che era la mancanza dei regali, Sherlock non riusciva a spiegarselo.

“Vado a dormire.”- gli disse di nuovo col broncio e poi lo lasciò solo sul divano.

 

La mattina di Natale Sherlock si alzò molto presto. Fece una lunga doccia e poi scelse con cura cosa indossare. Dato lo spirito delle feste, pensò bene di vestirsi completamente di nero. Abito, camicia, scarpe. Poi si mise al centro del soggiorno, in piedi, ad aspettare.

Aspettò quasi due ore prima che John scendesse e gli passasse affianco senza degnarlo di particolare attenzione.

“Buon Natale Sherlock” - gli disse dalla cucina, con tono sarcastico.

Sherlock aggrottò la fronte.

“Buon Natale John.”

Ci fu un breve silenzio, poi John, con una tazza di tè in mano uscì dalla cucina con un'espressione stupita sul volto.

“Ah quindi sei qui con me? Pensavo fossi da qualche parte nel tuo palazzo mentale.”- gesticolò con la mano libera. - “Che ci fai in piedi in mezzo alla stanza?”

“Io..”- perché diavolo faticasse a trovare le risposte, Sherlock non riusciva a spiegarselo.

“Sherlock? Ma stai bene?” - John si affrettò a posare la tazza sul primo posto disponibile e si avvicinò a Sherlock per toccargli la fronte e un polso. - “Non sei caldo, ma hai il battito accelerato, forse dovresti sederti.”

Ma Sherlock non accennava a muoversi.

“No, sto bene. E' che devo darti il mio regalo di Natale.”- disse tutto d'un fiato.

“Oh.”

John fece un passo indietro e attese che accadesse qualcosa. Ma non accadde nulla. Si guardavano, e la situazione stava diventando piuttosto imbarazzante.

“E sarebbe...questo regalo?”

Sherlock si schiarì la voce. La cosa sembrava troppo stupida adesso.

“Io.”

“Tu cosa?”

“Io.”

“Sherlock non capisco.”

“Oh per l'amor di Dio, John. Io. Io sono il regalo. Se chiedi E sarebbe questo regalo? E ti rispondo io, vuol dire che sono io.”- disse, con assoluta saccenteria.

John rimase imbambolato a guardare Sherlock dire quella frase come se avesse letto la lista della spesa. Che cosa voleva intendere con quel “io sono il regalo?”. Si costrinse a non fantasticare troppo, ma in realtà la nave era bella che salpata. Ripensò al suo regalo. Quello su cui aveva riflettuto per giorni e che alla fine aveva deciso di non dargli. Forse era il caso di riprendere quell'idea.

“John?”

“Si.”

“Hai capito cosa ti ho detto?”

“Si.”

“Oh bene, allora spiegamelo perché io invece non ci sono arrivato.”

“Eh?” - ma questo Sherlock Holmes doveva essere proprio un idiota.

“Ho chiesto a Mrs Hudson un consiglio su cosa regalarti e lei mi ha detto di darti me stesso. Quindi eccomi qui.”

John lo guardò completamente frastornato, come se avesse davanti un alieno. Poi, dopo l'iniziale stordimento, scoppiò a ridere. E rise. E rise ancora.

Sherlock reclinò la testa di lato.

“Che avete tutti da ridere?”

“Oh mio Dio. Vieni qui.” - John si avvicinò e lo abbracciò portando le braccia sulle sue spalle e una mano tra i suoi capelli per tenerlo vicino. Sorrideva ancora. - “Sei assolutamente incredibile Sherlock. Ti adoro.” - gli disse, spontaneamente. - “E ti ringrazio. E' stato davvero un bel regalo.”

Sherlock non aveva capito molto, ma si era preso quell'abbraccio e lo aveva restituito con affetto. Ogni contatto con John era oro colato, per lui. Poi John si staccò e lo guardò negli occhi.

“Forse adesso posso darti il mio di regalo.”

“Ma tu non mi hai comprato niente.”

“No.”

“E allora?”

“Mi prometti che non avrai un attacco di panico?”

“Un attacco di panico? Quale attacco di panico? Perché dovrei avere un attacco di panico?”

John prese un respiro.

“Perché sto per baciarti.”

Sherlock aprì bocca per rispondere, poi la richiuse. Nel suo palazzo mentale un milione di sirene suonarono contemporaneamente.

John posò entrambe le sue mani sulle guance di Sherlock. - “Niente, attacchi, di panico.”- gli sussurrò dolcemente e poi lo baciò.

 

Sherlock non aveva mai amato particolarmente il Natale.

Ma Sherlock non amava in modo particolare praticamente niente. A parte le scene del crimine, i serial killer e i baci di John Watson.

 

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Capitolo 2
*** Dear John ***


Ciao a tutti.

Lo so, avevo detto niente angst per un po' e invece ieri notte è venuta fuori questa cosa. Non potevo tenermela. Quindi, ve la beccate pure voi. Prometto che la prossima sarà una roba smielata, così QUALCUNO non mi romperà troppo in privata sede.

Fatemi sapere!

A presto!

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DEAR JOHN

 

 

Caro John,

ti scrivo perché so che non riceverai mai questa lettera. Scrivo più per me che per te, per ricordarmi di essere ancora umano e di essere ancora vivo. Ci sono momenti in cui mi domando se io sia morto davvero. Se mi sia buttato davvero da quel tetto e abbia messo fine alla mia vita davanti ai tuoi occhi. Potrebbe essere mai possibile? Non lo so, ma non è vita questa. Non lo è. E se sono vivo, deve assomigliare alla morte perché a volte mi accorgo di essere ancora al mondo solo perché mi scopro a respirare. Qui è l'inferno. Lontano da casa, lontano da tutto. Lontano da te. Che è come dire lontano da tutto perché non è molto altro quello che ho. Piangi una tomba vuota, lo sai? Piangi ogni giorno e non posso fare niente. Piangerei anche io, se avessi forza e lacrime. Invece devo solo correre, correre senza fermarmi. Fermarsi equivale a morire, ma morire davvero. E non fare mai ritorno. Potrei tornare un giorno invece, quando tutto questo sarà finito, se sarò vivo per raccontartelo, ma la verità è che non credo di farcela a tornare. Ma non è per questo che ti sto scrivendo, che mi sto scrivendo. Perché è a me che scrivo, in realtà. A nessun altro. Forse è proprio per questo che lo sto facendo. Perché non avrò altro modo di dire cose che ho portato qui con me all'inferno e che avrei dovuto lasciare lì con te invece. Non c'è posto qui per questo genere di cose. Avrei giurato che non ci fosse posto nemmeno dentro di me per questo genere di cose, ma tu hai cambiato tutto. Riesci a cambiare tutto sempre. Anche le cose che non possono.

Mycroft mi informa su tutto quando riusciamo a sentirci, ma ho idea che so che mente su molte cose. E forse mi va bene anche così. Vivo una realtà parallela nella quale affronto il mio demone, mentre lì a casa, tutto è immobile, fermo, nell'attesa del mio ritorno. Mi aspetterai? Ti immagino seduto sulla tua poltrona a leggere un libro e con questo pensiero mi cullo nelle notti più buie, quelle in cui temo di non vedere la luce del giorno. Quante notti passiamo insieme John, non puoi neanche immaginare. Quando tornerò per te saranno passati anni, per me, nemmeno un giorno, perché saremo stati insieme sempre. Sei sempre qui con me.

I sentimenti per me sono Credo che i sentimenti Non so definire i sentimenti. Io non so niente di che cosa sia l'affetto, la bellezza, l'amore. Non ne so niente. Non ne saprò mai niente. Non sono stato fatto per queste cose. L'unica cosa che riesco a pensare è che io sia stato fatto per te. E che cosa questo significhi non so decifrarlo. Ma dalla prima volta in cui ti ho visto ho pensato che forse ero stato fatto per te. Perché non so come funzioni per le altre persone, ma sentirsi ferito da un sorriso a me non era mai capitato. Da un coltello, da un pugno, perfino da alcune parole si, ma da un sorriso mai. E questo, qualcosa deve pure significare, sebbene io fatichi a comprenderlo. Eppure ci ho provato a lungo. Ti ho studiato. Ti ho guardato. Ti ho lasciato entrare. E la cosa che più mi ha stupito è che poi, sono stato capace di dirti addio. Io, che sono la cosa persona più egoista di questo mondo, sono stato capace di lasciar andare la cosa a cui tenevo più di tutte pur di proteggerla. Forse avrei potuto trovare un altro modo, lo so. Mi tormento ogni giorno con questo pensiero e so che mi odierai. Forse avrei dovuto dirtelo, spiegarti ogni cosa. E' colpa di Mycroft. Mi ha impedito lui di rivelarti il piano. Non è vero. Sono stato io.

Mi dispiace.

Te lo dovevo. Per ogni volta in cui hai salvato la mia vita. E per ogni volta che continui a farlo, senza nemmeno saperlo.

Io non scrivo lettere. Scrivo per ricordarmi di essere vivo. E quando tornerò, perché voglio tornare, forse non ti dirò niente. Reciterò la parte del solito stronzo per renderti più facile l'odiarmi e forse anche picchiarmi e sfogarti. Mi basterà vedere che ancora vivi e respiri, come ancora respiro io, e se il tempo sarà clemente forse potrò vederti anche sorridere. E così mi salverai, per l'ennesima volta.

Ti Mi Ti scriverò ancora. Anche se non leggerai mai.

Mi manchi immensamente.

S.H.

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Capitolo 3
*** The last day ***


 Rieccomi qui con un regalo di fine anno. John aveva delle cose da dire che non poteva portare con se. E credo che sarebbe una cosa che dovremmo imparare a fare tutti....

Alla prossima e

Buon anno!

 

 

 

The last day

 

 

 

“E' l'ultimo giorno dell'anno.”

“Lo so.”

 

A lungo, furono le uniche cose dette di fronte ad un camino acceso. John guardava le fiamme con un bicchiere di scotch in mano. Il secondo. Sherlock guardava John.

“Ci sono cose che dovrei dire.”

Sherlock non rispose.

“Ci sono molte cose che dovrei dire.”

E poi il silenzio, di nuovo.

 

Erano le dieci di sera. Nevicava ormai da due giorni e tutto era silenzioso. Troppo. La luce del fuoco e le lucine natalizie illuminavano da sole i loro visi, le loro mani. John se ne stava seduto davanti al camino da un paio d'ore, in silenzio. Aveva pensato molto. Aveva pensato a quell'anno terribile, a Mary, a Rosie, a Sherlock. Gli sembrò di essere schiacciato dal peso di tutte le cose che non aveva avuto il coraggio di dire. Tutti i mi dispiace taciuti. Le scuse. I ti voglio bene.

“Ci sono cose che dovrei dire”- pronunciò più per se stesso che per chiunque altro. E Sherlock, che inutilmente stava cercando di dedurre i suoi pensieri, attese.

 

“Non credo che supererò mai quello che è successo nell'obitorio, e no, stai zitto, fammi parlare. Sono certo che non lo supererò mai. Mi tormenta ogni notte, quando cerco di dormire, mentre sto dormendo, quando sono sveglio. Mi tormenta sempre. Anche quando credo di essere felice e vado a dormire con il sorriso perché Rosie ha fatto qualcosa di nuovo, anche quando non ci sto pensando. E' un attimo. Chiudo gli occhi e vedo quella scena.” - prese un respiro - “so che non lo supererò mai. Mi conosco abbastanza.” - chiuse gli occhi al ricordo.

“John..”

“Per favore, lasciami parlare. Non è...facile per me. Non so dire queste cose, non è da me sedermi e discutere per risolvere un problema. Io agisco, e combino casini, questo lo abbiamo appurato più volte. Ma è l'ultimo giorno dell'anno e sono appena un po' annebbiato e so che non voglio portare con me il peso di quello che ho qui dentro, Sherlock. Non ce la farei. Quindi adesso io dirò delle cose e tu le ascolterai.” - lo guardò dritto negli occhi.

“Dirò che mi dispiace. Lo so che l'ho già detto diverse volte, ma non credo che saranno mai abbastanza e quindi lo ripeterò. Ripeterò che mi dispiace e tu non potrai fare niente se non sopportarlo. Perché so che non è questa l'ultima volta in cui sentirai dire che mi dispiace. Lo sentirai ancora e ancora. Ogni volta in cui sarò triste e ogni volta in cui sarò felice. Ogni volta in cui ti farai male o mi farò male. Ogni volta che Rosie piangerà o sorriderà o farà qualcosa che la farà assomigliare a sua madre, ogni volta, dirò che mi dispiace. Perché non so come altro fare ad alleggerire questo peso che porto qui dentro” - si sfiorò il petto - “se non ripetendo che mi dispiace. Lo dico anche quando sono solo, e a volte piango, perché vorrei poter tornare indietro e cancellare cose, molte cose e farne altre e non posso farlo. Vorrei poter mandare indietro il tempo e cambiare tutto, avere il coraggio. Quindi dirò che mi dispiace. Lo dirò sempre e spesso. E starò male. E se davvero vuoi che io torni qui, ed è quello che voglio anche io, voglio che tu sappia che non sarà mai facile, che ci saranno giorni in cui sarò intrattabile e non vorrò parlare, e altri in cui non farò che dire che mi dispiace e potrei volere troppo da te e potresti anche odiarmi per questo. Ma io spero che mi sopporterai. E so che lo farai. A volte un po' ti odio, perché non hai reagito, non hai detto niente, hai accettato tutto come se lo meritassi. Credi davvero di meritare quello che ti ho fatto? L'obitorio, quella...dannata lettera, e poi, il matrimonio e ” - si interruppe all'improvviso. Sherlock, gli occhi fissi su di lui, non ebbe il coraggio di dire niente. John prese un profondo respiro e l'ultimo sorso di scotch.

“Potremmo restare in questo limbo per sempre e farcelo andare bene, vero? Tu ci riusciresti. Perché pensi di non poter meritare altro. Non fare quella faccia, si ti sto deducendo. Ho imparato dal migliore.” - sorrise appena - “Sherlock io posso chiedere scusa fino alla fine dei miei giorni, ed è quello che farò probabilmente, ma tu dovresti imparare che non è così che funzionano le cose. Non è così che va una relazione. Perché questa è una relazione. Si lo è. Non so di che tipo, non so quale sia il mio ruolo e quale sia il tuo, ma oggi è l'ultimo giorno dell'anno e io voglio tornare a vivere qui e tu vuoi che io torni a vivere qui e sono stufo di sentire che c'è qualcosa tra di noi che non riesce ad avere un nome. Perché? Mi sto inventando tutto? Dimmi che mi sto inventando tutto e mi fermo adesso. Non dirò più niente.”

Sherlock non aveva smesso per un solo secondo di guardarlo. Aveva le labbra socchiuse e gli occhi un po' persi. Non disse assolutamente niente.

“Bene. Adesso ho perso il filo del discorso. Forse dovrei bere un altro po'.”

“No.”

John lo guardò.

“Allora potrei dirti” - e combattè a lungo con se stesso per trovare le parole - “potrei dirti che voglio tornare qui e che potrei volere altro. Altre cose. Cose che potrebbero spaventarti e farti allontanare. Non ho idea di...non so niente di te, non so con chi tu sia stato, non so chi tu abbia amato. Se hai mai amato qualcuno. Se qualcuno abbia amato te. Non so niente. Ci conosciamo da così tanto eppure non so niente. Tu conosci tutto, quasi ogni cosa. E io non so niente. Ma io voglio sapere. Voglio sapere ogni cosa. E sai quando è stata la prima volta in cui ho capito che avrei voluto sapere ogni cosa? Lo sai? Quando ti sei buttato da quel dannato tetto. Ero lì sotto e pregavo Dio che non ti buttassi, l'ho pregato e ho sperato così tanto che tu non lo facessi. Fa che non si butti, fa che non mi lasci. Fa che non mi...lasci...” - guardò intensamente le fiamme del camino. Il ricordo faceva ancora così male.

“E' stata quella la prima volta in cui ho pensato che in fondo non sapevo niente di te. E che avrei voluto sapere tutto. Ma poi ti sei buttato.”

Ci fu un lungo silenzio.

“Sono morto anche io quel giorno, non te l'ho mai detto ma è così. E sono stato morto a lungo. Fino a quando non sei tornato. Ti ho odiato così tanto. E odio me stesso per quello che sto per dire, ma devo dirlo perché altrimenti mi consumerà dentro e non mi lascerà in pace mai.” - i suoi occhi si riempirono di lacrime e pianse, silenziosamente.

“Credevo di amare Mary, ci credevo davvero. Ma poi tu sei tornato e all'improvviso è stato come vedere le cose da una prospettiva diversa. L'ho sposata e sono stato così infelice. E devo dirlo, devo dirlo a qualcuno che la sera prima del matrimonio ho pensato a mille modi diversi per fuggire. Mi sono sentito in colpa a lungo e poi quando hai dedotto che aspettavamo una figlia mi sono sentito anche peggio. E ho capito che il nostro tempo era finito. Io ero finito. Non sono mai stato quello che voi credevate che io fossi. Tu, Mary, chiunque altro. Questo sono io. Quello che ha tradito sua moglie, perché non furono solo messaggi Sherlock, quello che ha incolpato il suo migliore amico della sua morte solo perché era sopraffatto dai sensi di colpa, e quello che ti ha picchiato quel giorno. Questo sono io.” - si prese la testa tra le mani. Sherlock tentò di consolarlo allungando una mano verso di lui.

“No. Non fare come quel giorno. Non sono io che ho bisogno di essere abbracciato, consolato, capito. Non sono io. Avrei dovuto chiedere scusa, e invece ho pianto la mia miseria e ho guadagnato la tua compassione. Mentre ancora avevi sul viso i segni di quello che ti avevo fatto. Non voglio più essere quell'uomo.” - si asciugò gli occhi e si rimise dritto sulla poltrona.

“Ci sono altre cose che dovrei dire anche se sento di non averne il diritto. Ma ormai ho detto molto più di quello che mi aspettavo e non credo che a questo punto si possa tornare indietro. Posso prenderti la mano?”

Sherlock ebbe solo la forza di annuire e John gli prese la mano, con delicatezza.

“Questa cosa senza nome che c'è tra noi, io vorrei che lo avesse un nome. Perché non ce la faccio più Sherlock. Non ce la faccio più a vederti e non poterti toccare, a non poter sfiorare queste mani, e i tuoi capelli. A volte è un pensiero così naturale che l'innaturale è il doverli reprimere. Ma se tu non vuoi queste cose, devi dirlo adesso perché io non lo so se sarò in grado di tornare indietro dopo averti sfiorato anche solo una volta.”

Lo guardò negli occhi. Sherlock aveva smesso di muoversi, forse anche di respirare.

“Perché io vorrei baciarti Sherlock, vorrei farlo adesso e ogni giorno e vorrei che tu mi dicessi che tutto andrà bene, che non ci saranno altri tetti e matrimoni, e anni di nulla. Vorrei baciarti adesso e dirti che mi dispiace immensamente per ogni cosa e vorrei toccarti e farti sentire quanto... Ecco, questa è l'ultima cosa di quelle che potrei dirti oggi. Potrei dirti che ti amo e che non riesco più a vivere con il peso di questo segreto. E la voglia che ho di averti è così forte, così come il senso di colpa, che in alcuni giorni fa davvero troppo male.”

Si era avvicinato pericolosamente ed ora i loro visi erano a pochi centimetri l'uno dall'altro.

“Lasciati amare Sherlock. Posso imparare a farlo.” - John aveva posato una mano sulla sua guancia e ormai, piangevano entrambi. - “Lascia che io ti baci ogni giorno.” - gli baciò una palpebra - “lascia che io ti dimostri quanto mi dispiace” - gli baciò la fronte - “lascia che io ti dimostri quanto tu meriti di essere amato.” - lo baciò sulle labbra, dolcemente.

“Lasciati amare.” - ripetè sulle sue labbra, prima di baciarlo ancora.

Sherlock chiuse gli occhi lasciando che le lacrime scivolassero via sulle sue guance e sulle mani e sulle labbra di John. Lo baciò, come aveva fatto migliaia di volte nei suoi sogni, eppure nessuno di quelli era minimamente paragonabile alla realtà.

 

L'orologio segnò la mezzanotte.

E poi l'una.

E poi le due.

 

Sherlock si lasciò amare.

John lasciò all'anno passato il peso di tutte le cose che non era mai riuscito a dire e imparò che essere felici non è mai una cosa di cui avere paura.

 

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Capitolo 4
*** Would you...text me? ***


Ciao a tutti!
Rieccomi qui, con una cosa molto easy che tuttavia mi ha portato via un sacco di tempo per mettere gli orari e le intestazioni. Che fatica. Non ne scriverò mai più! (credo)
Spero vi piaccia.
Lasciatemi un parere, se vi va,
a presto!

 

Would you... text me?

 

 

lun 09:50

John.

 

lun 09:50

Sherlock? E' tutto ok?

 

lun 09:50

Mi manchi.

 

lun 09:51

Ok, che ti serve?

 

lun 09:51

Sono ferito.

 

lun 09:51

In che senso? E' grave? Quanto è grave? Devo preoccuparmi? Dove sei?

 

lun 09:52

Non in quel senso John. Intendevo che sono ferito dalle tue parole.

 

lun 09:52

Posso vederti roteare gli occhi da qui.

 

lun 09:52

Dici scemenze.

 

lun 09:52

Ok, quindi? Che ti serve.

 

lun 09:53

Perché pensi che mi serva per forza qualcosa?

 

lun 09:53

Perché ti conosco Sherlock. E le tue manifestazioni di affetto spesso nascondono un secondo fine.

 

lun 09:56

Sono di nuovo ferito.

 

lun 09:57

Ok, mi manchi anche tu. Sto lavorando, comunque.

 

lun 09:57

Quando finisci?

 

lun 09:57

Lo sai, perché me lo chiedi?

lun 09:58

Sherlock?

 

Lun 09:59

Potresti passare da Molly prima di tornare a casa? Ha una cosa per me.

 

lun 09:59

Lo vedi cosa sei.

 

lun 09:59

Per favore?

 

lun 10:00

Farei uno screen se sapessi come si fa.

 

lun 10:00

Te l'ho detto che non dovevi accettarlo. Non lo sai nemmeno usare.

 

lun 10:00

E' un telefono Sherlock.

 

lun 10:01

Che ti ha regalato mio fratello.

 

Lun 10:01

E quindi?

 

lun 10:03

Chissà cosa ci ha messo dentro.

 

lun 10:03

Che intendi?

 

lun 10:03

Niente.

 

lun 10:05

Lo stai dicendo solo per farmi venire i dubbi.

 

lun 10:05

Assolutamente.

 

lun 10:07

Dici che c'è qualche microspia del governo qui dentro? Magari sta leggendo i nostri messaggi proprio adesso.

 

lun 10:08

Magari può accedere alla tua galleria.

 

lun 10:10

Stai scherzando.

Stai ridendo vero?

lun 10:13

Sherlock?

Dimmi che stai scherzando.

lun 10:17

Sherlock!

 

lun 10:18

Sto scherzando. C'ero anche io quando l'ha comprato. Le tue foto sono al sicuro.

 

lun 10:18

Le TUE foto, vorrai dire. Beh allora smettila. Sarai mica geloso di Mycroft?

 

lun 10:18

Passerai da Molly?

 

lun 10:19

:)

 

lun 10:019

Non essere compiaciuto John Watson.

 

lun 10:19

Adoro quando mi chiami così.

 

lun 10:20

E' il tuo nome. Come altro dovrei chiamarti?

 

lun 10:20

Si va bene. Passerò da Molly.

Ma non porterò a casa cadaveri.

O pezzi di cadaveri.

O roba putrefatta.

lun 10:21

O animali morti.

 

lun 10:22

L'elenco delle cose bandite è finito?

 

lun 10:22

Ci penso. Ho un paziente, a dopo.

lun 10:23

Mi manchi davvero.

 

*

 

lun 12:37

Che fai?

 

lun 12:39

Indovina.

 

lun 12:39

Stai controllando come procede l'esperimento sulle muffe qualcosa.

 

lun 12:39

Qualcosa?

 

lun 12:40

Quello che è.

 

lun 12:40

No. Quell'esperimento l'ho concluso la settimana scorsa. Non presti attenzione a quello che faccio.

 

lun 12:40

Dipende da cosa fai...

 

lun 12:42

John.

 

lun 12:42

Allora non lo so. Ne stai facendo un altro.

 

lun 12:45

Il mio compagno è proprio un genio. Me lo ruberanno.

 

lun 12:45

Non sei simpatico.

Ok, forse un po'.

 

lun 12:52

Ti ricordi l'omicidio Murrey?

 

lun 12:52

Quello della carta da parati?

 

lun 12:52

Si. Sto analizzando 172 diverse carte da parati.

 

lun 12:53

Quanto ne è coinvolto il nostro appartamento?

 

lun 12:58

E' importante?

 

lun 12:58

Sherlock!

 

lun 12:59

Un po'.

 

lun 12:59

Ti odio.

 

lun 12:59

Ricordati di passare da Molly.

 

lun 13:00

Lo so. Non ho l'Alzheimer.

 

lun 13:00

Allora ti ruberanno di certo.

lun 13:12

Che volevi?

 

lun 13:33

Niente.

 

lun 13:33

Mi hai chiesto cosa stessi facendo alle 12:37. Di solito a quell'ora sei occupato con gli ultimi pazienti e non mi scrivi mai. Deduco che qualcuno deve aver disdetto la prenotazione.

 

lun 13:34

Sai sempre tutto.

 

lun 13:34

Volevi qualcosa in particolare?

 

lun 13:37

No Sherlock, ti stavo solo pensando.

 

lun 13:39

...ok.

 

lun 13:39

C'è il pranzo nel frigo, devi solo scaldarlo.

 

lun 12:52

Carta da parati.

 

*

 

lun 14:06

Sto uscendo. Vado da Molly.

 

lun 14:06

Prendi l'autobus.

 

lun 14:08

Perché?

 

lun 14:08

C'è un problema alla metro in quella tratta. Rischieresti di restare lì sotto.

 

lun 14:09

Ma c'è un traffico tremendo. Impiegherò 2 ore per arrivare lì. Ti odio.

Lun 14:12

E' così importante questa cosa?

 

lun 14:15

Analisi per il caso.

 

lun 14:15

Perché non sei uscito tu?

 

lun 14:17

E perdere tempo in mezzo a Londra? L'ho quasi risolto comunque.

 

lun 14:17

Quasi.

 

lun 14:18

92%

lun 14:32

Scrivimi quando arrivi.

 

*

 

 

lun 15:01

Sono ancora sull'autobus. Lo sai che dovrai impegnarti molto per farti perdonare?

 

lun 15:03

Non ho fatto niente.

 

lun 15:04

Mi stai mandando in giro a perdere tempo.

 

lun 15:04

Che avevi da fare?Niente.

 

lun 15:05

Guardarti lavorare.

lun 15:06

Darti fastidio.

lun 15:07

Baciarti.

 

lun 15:07

Posso chiamare Mycroft.

 

lun 15:07

Per?

 

lun 15:08

Per fargli fermare il traffico di tutta Londra e farti andare più veloce. O vuoi che ti mandi un elicottero? Lo faccio atterrare sull'autobus.

 

lun 15:08

Ti amo anche io, Sherlock.

 

lun 15:09

:)

 

lun 15:10

Devo imparare a fare gli screen.

 

 

*

 

lun 15:29

Sherlock. Rispondi al telefono quando ti chiamo.

lun 15:31

Sherlock!

 

lun 15:36

Scusa, ho avuto un piccolo malinteso con un cliente.

 

lun 15:36

Stai bene?

 

lun 15:36

Certo, sennò come facevo a scriverti. Che ti ha detto Molly?

 

lun 15:37

Ha detto che devo andare in un altro posto, perché non so quale collega ha preso per sbaglio le tue stupide analisi e se le sta portando in giro per Londra. Mi sto innervosendo.

 

lun 15:39

Mi dispiace.

 

lun 15:40

Tu lo sapevi.

 

lun 15:43

No.

 

lun 15:43

Si invece, perché mi hai scritto “che ti ha detto Molly?”. Altrimenti avresti scritto “hai preso le fottute analisi?”

 

lun 15:44

Io non lo avrei detto così.

 

lun 15:44

Sherlock.

 

lun 15:51

Si lo sapevo, ma solo perché Molly mi ha avvertito 10 minuti fa e tu ormai eri quasi lì. Se te l'avessi detto io ti saresti arrabbiato. Quindi ho lasciato che te lo dicesse Molly.

 

lun 15:51

Sei assolutamente impossibile.

 

lun 15:51

Andrai a prenderle?

 

lun 15:52

Certo.

 

lun 15:53

Grazie.

 

lun 15:53

Dovrai impegnarti molto di più adesso, per farti perdonare.

 

lun 15:54

Ti lascerò guardare mentre lavoro.

 

lun 15:54

No.

 

lun 15:55

Ti lascerò...toccare ogni tanto?

 

lun 15:55

Meglio.

lun 15:59

Che è successo col cliente?

 

Lun 16:01

Divergenza di opinioni.

 

lun 16:01

Che cosa hai detto?

 

lun 16:03

Perché deve essere automaticamente colpa mia?

 

lun 16:03

Non è colpa tua?

 

lun 16:04

No.

Forse un po'.

Metà e metà.

 

lun 16:09

L'hai picchiato?

 

lun 16:12

Lui ha picchiato me.

 

lun 16:12

Stai bene?

 

lun 16:13

Si, John.

 

lun 16:13

Ok. Puoi cercare di non fare nient'altro mentre aspetti che torno?

 

lun 16:14

Si.

 

*

 

lun 16:42

John?

lun 16:48

John.

 

lun 16:50

Aspetta un attimo.

 

lun 17:11

Un attimo non sono 21 minuti, John.

 

lun 17:12

Scusa, mi sono fermato a prendere un caffè con il collega di Molly.

 

lun 17:12

Perché?

 

lun 17:14

Perché giro da ore, sono stanco e mi andava un caffè.

 

lun 17:14

Chi è il collega di Molly. Quale. Laboratorio analisi? Quello che ha sempre papillon orrendi? Quello con i cani?

 

lun 17:15

Sherlock, non vuoi fare questa conversazione.

 

lun 17:15

Si che voglio.

 

lun 17:16

Allora non voglio io.

 

lun 17:16

Perché?

 

lun 17:16

Perché per quanto mi piaccia quando sei geloso, sono troppo stanco adesso. Voglio tornare a casa.

 

lun 17:16

Non sono geloso.

lun 17:19

John.

lun 17:22

Dove sei?

 

lun 17:24

Sto prendendo la metro.

 

lun 17:24

Non prendere la metro.

Perfetto.

lun 17:26

Chi è che non ha l'Alzheimer?

lun 17:27

John?

lun 17:32

John.

 

 

lun 17:42

Avevi ragione come sempre. Sono bloccato in questo vagone da 10 minuti. E non c'è campo. [non inviato]

lun 17:43

Ovviamente. [non inviato]

lun 17:47

Ho fame, non ho nemmeno pranzato per arrivare subito da Molly. [non inviato]

lun 17:48

Spero che almeno tu abbia mangiato qualcosa. [non inviato]

lun 17:51

Scendo alla prossima fermata. [non inviato]

 

 

lun 17:45

John. [non ricevuto]

lun 17:46

Perché non mi ascolti mai? [non ricevuto]

lun 17:47

Scendi alla prima fermata. [non ricevuto]

 

lun 17:58

Le cose che farei per te. [non inviato]

lun 18:06

C'è questa coppia qui davanti che si sta baciando. E si, ti scrivo anche se non c'è campo così appena esco da qui ti arriveranno mille messaggi e ti daranno fastidio. [non inviato]

lun 18:09

C'è un ragazzo che ha i tuoi stessi capelli. Mi ricorda te la prima volta che ti ho visto. [non inviato]

lun 18:13

Voglio tornare a casa. Questa giornata sembra non finire mai. [non inviato]

lun 18:16

Spero tu non abbia mandato la guardia reale a cercarmi. [non inviato]

lun 18:21

Ho paura di uscire da qui e trovare Greg e mille agenti della polizia con un cartello in mano con scritto il mio nome! [non inviato]

lun 18:27

Mi manchi. [non inviato]

lun 18:29

Ci hanno appena comunicato che il treno davanti al nostro è rotto. Quindi siamo incolonnati sotto questa galleria.* Perché non ti ascolto mai? [non inviato]

lun 18:32

Stamattina stavo pensando una cosa... [non inviato]

lun 18:33

Forse potrebbe essere presto. [non inviato]

Lun 18:34

O forse no. [non inviato]

lun 18:36

Solo che...guardami. Mi sono svegliato alle 6 e mezza per andare a lavoro, sono andato in giro ore solo perché mi hai chiesto una cosa e ora sono anche bloccato qui sotto. E per quanto possa essere affamato e stanco e francamente anche un po' innervosito, non riesco minimamente ad avercela con te e vorrei solo tornare a casa e lasciarmi abbracciare. [non inviato]

lun 18:41

E' per questo che penso non sia troppo presto. [non inviato]

lun 18:42

Penso che dovremmo sposarci. [non inviato]

 

lun 18:45

John. 19 messaggi?

 

lun 18:45

Li hai letti tutti?

 

lun 18:47

Ovvio che no.

 

lun 18:47

Dovresti.

 

lun 18:49

Dove sei?

 

lun 18:49

Paddington. C'era un treno rotto, siamo stati fermi non so quanto. Ci hanno fatto scendere qui. Prendo un taxi.

 

lun 18:50

So del treno.

lun 18:51

E comunque, siamo già sposati.

 

lun 18:52

Non proprio.

 

lun 18:52

Non c'è differenza. C'è differenza?

 

lun 18:53

No, ma...

 

lun 18:53

Appunto.

 

lun 18:53

Lascia stare.

 

lun 18:57

...possiamo chiedere a Mycroft, se è il pezzo di carta quello che vuoi. Sarebbe in grado di farlo in due ore. Forse anche in una se lo sfido.

 

lun 18:57

Non è per il pezzo di carta, Sherlock.

 

Lun 19:02

E' per la cerimonia? Vuoi una cerimonia in grande stile?

Dì di no, ti prego.

 

lun 19:03

No.

 

lun 19:03

Grazie.

 

lun 19:07

E' perché vuoi indossare un bel vestito, per una volta.

 

lun 19:08

No.

 

lun 19:10

Per la torta. Vuoi una torta a 3 piani? Mycroft conosce tute le pasticcerie di Londra. La pagherà lui.

 

lun 19:10

Non è nemmeno per la torta, smettila.

 

lun 19:12

Sei arrabbiato.

 

lun 19:13

No.

 

lun 19:15

Per l'anello. Io non porto gioielli ma per te posso farlo. L'anello va bene.

lun 19:17

John?

lun 19:19

John.

 

lun 19:21

E' perché ti amo stupido idiota.

E voglio passare la mia vita insieme a te.

E voglio che tutti lo sappiano che sei solo mio. E certo che indosserai quel fottuto anello quando te lo comprerò. Perché stai certo che te lo comprerò e ti farò la proposta e sarò schifosamente romantico e tu dirai di si.

lun 19:22

E non dico che piangerai ma ci andrai molto vicino.

E poi faremo una cerimonia intima, te lo concedo. E ti permetterò di scegliere i vestiti, se ci tieni che mi vesta bene, almeno quel giorno. Ti concedo anche questo, visto che avrai tutta la vita davanti per sopportare i miei maglioni “orrendi”. Ne comprerò a centinaia solo per darti fastidio ogni mattina. E ti costringerò a indossarne uno uguale al mio a Natale, con le renne e i fiocchi di neve. Tu metterai il broncio e io ti amerò follemente, perché è così che funziona quando ci si ama come io amo te.

lun 19:24

E come spero tu ami me.

Quindi, si, mi sposerai.

lun 19:25

Hai capito?

 

lun 19:29

Si.

 

lun 19:29

Si hai capito? O Si mi sposerai?

 

lun 19:31

Si, ho capito.

Per il resto aspetto la proposta schifosamente romantica.

 

lun 19:32

Bene.

 

lun 19:33

Bene.

 

lun 19:34

Sono quasi a casa.

 

lun 19:34

Ti amo, John.

 

 

lun 19:35

Anche io...e tra 6 minuti, più o meno, ti faccio vedere quanto.

 

 

 

 

*

 

 

 

lun 20:46

Sherlock, John mi ha detto di dirti che ha dimenticato le analisi sulla metro. Non ti arrabbiare. XD Quando vieni per quei fegati? Fammi sapere. x*

 

 

 

 

* tratto da una storia vera, cioè io che vado per la prima volta a Londra e resto un'ora sotto una galleria per colpa di un treno rotto. XD

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Capitolo 5
*** Per sempre lui ***


Ciao a tutti!
Torno con questa cosa per cui chiedo scusa da subito. Io non le so scrivere certe cose, ma avevo iniziato in un modo e poi mi sono incartata da sola. Quindi, perdono. Facciamo finta che è tutto molto bello, ok?
A presto.

 



PER SEMPRE LUI




John Watson pensava che amare Sherlock Holmes assomigliasse a volte ad amare una creatura mitologica. Qualcosa di troppo bello per essere reale, qualcosa da proteggere e tenere al sicuro. Qualcosa da maneggiare con cura, molta cura.

Per questo la prima volta in cui l'aveva baciato aveva quasi temuto di farlo scappare via. O di romperlo, nel peggiore dei casi, lui, che aveva mani forti, abituate a combattere, a impugnare armi, a sollevare feriti e a fare l'amore come se fosse una guerra, ad afferrare, tirare e tenere ferme, aveva avuto paura di non essere abbastanza di niente, abbastanza delicato, abbastanza coinvolto, abbastanza rude, abbastanza fragile. Aveva temuto di non essere abbastanza, come sempre nella sua vita. E più di ogni altra cosa aveva avuto paura di poterlo perdere all'improvviso per un qualsiasi, inaspettato errore dovuto alla sua naturale irruenza, alla passione, a quel desiderio represso così a lungo da essersi fintamente sopito, soffocato sotto strati di rabbia e repulsione per se stesso. Aveva temuto di fargli del male e ucciderlo allo stesso modo in cui temeva che sarebbe presto morto se non lo avesse afferrato e baciato senza ritegno contro ogni superficie disponibile del loro appartamento, per strada, in ogni luogo pubblico che li aveva visti insieme e davanti a chiunque. E avrebbe reclamato il suo possesso, come avrebbe fatto un animale. Lo avrebbe marchiato con i morsi e con i lividi se fosse servito a legarlo stretto e a non permettergli più di allontanarsi, di morire, di dimenticare. Lo avrebbe piuttosto preso con la forza e tenuto fermo contro un muro, una mano tra i capelli e l'altra sul collo.

E invece... Invece niente.

La prima volta che l'aveva baciato era stato proprio John ad andare quasi in pezzi. A sgretolarsi, a spogliarsi, strato dopo strato, e quasi a morirci su quelle labbra vergini e infernali che lo tentavano nei sogni e nei momenti più bui delle sue lunghe giornate. Era quasi morto. Perché nemmeno un colpo d'arma da fuoco aveva avuto su di lui la potenza di quell'insostenibile tenerezza. Accadde in un giorno qualsiasi, uno senza omicidi strani, senza particolari esperimenti, senza litigate inutili. Un giorno apparentemente vuoto. Perfetto, per essere ricordato. Se ne stavano seduti davanti al camino a non fare niente. L'uno con il violino tra le mani, silenzioso, bellissimo e imbronciato, annoiato dalla vita, e l'altro in pieno tumulto, immobile, ad osservare le fiamme del fuoco e a pensare a quelle che si agitavano dentro di lui. Lo aveva guardato e poi si erano fissati a lungo. Troppo a lungo questa volta per poter tacere oltre. John aveva sentito il suo stesso respiro accelerare e la paura di sbagliare tutto, irradiarsi per metri nella stanza, come uno scudo invisibile. Negli occhi di Sherlock solo la consapevolezza di chi sapeva già da tempo e il timore adolescenziale delle cose che non si conoscono. Poi c'era stato un contatto leggero di mani, uno sfiorarsi che assomigliava al chiedere. “Posso toccarti?” ma nessuno aveva parlato. John si era sporto in avanti e aveva infilato la sua mano destra sotto la manica della vestaglia di Sherlock. Dita contro pelle. Caldo e freddo. E gli occhi, costantemente negli occhi. Fu quasi ucciso, John Watson, da quella fragilità terribile. Un'innocenza così potente che a parole non avrebbe mai saputo spiegare. E l'avvicinarsi inesorabile delle loro labbra segnò per sempre il punto di non ritorno. Così, lo aveva baciato. Aveva abbandonato la poltrona e con una delicatezza di cui si scoprì capace, si era abbandonato su di lui e sulla sua bocca con l'emozione di un condannato a morte che riceve finalmente la sua grazia e il dono di una nuova vita. Lo aveva baciato. Labbra e carne e lingua e respiri. Avrebbe voluto piangere e forse pianse davvero quando Sherlock lo circondò con le braccia, in un muto consenso, e lo strinse così forte da fargli male. Gli accarezzò i capelli, con quelle mani forti che sapevano afferrare e tirare, ma che avevano scelto invece di accarezzare e venerare e proteggere. Aveva piegato la testa e approfondito quel bacio, il primo di tanti. Per sempre il primo. E si erano baciati a lungo, l'uno nell'altro, labbra e carne e lingua. John aveva avuto paura di fargli del male, romperlo, nel peggiore dei casi, e invece l'unico a rompersi, ad andare in mille pezzi, a spogliarsi e quasi a morirci, era stato proprio lui.

“Adesso sono condannato.”- gli aveva sussurrato poi, appoggiando la fronte contro la sua. - “Non sarò mai più in grado di lasciarti andare. Mai.”

Sherlock aveva sorriso. “Allora baciami ancora e non lasciarmi andare”.

E così aveva fatto. Lo aveva baciato a lungo quella sera e il giorno dopo e quelli successivi. Un'infinità di baci, tanti da riempire libri e libri scritti dai più smielati romanzieri, abbastanza da recuperare gli anni persi, ma mai troppi da decidere di fermarsi. Baci, soltanto baci.

 

Baci. Fino a quella sera in cui di baci ce n'erano stati già abbastanza, e le labbra non erano più la sola cosa desiderata. Non lo erano mai state in realtà, ma il desiderio, mitigato dalla paura e dalla tenerezza verso quella creatura inesperta, aveva convogliato altrove le sue aspettative.

Accadde in un altro giorno qualunque, di quelli tranquilli che scorrono piatti tra un caso e l'altro. Tra un bacio e l'altro. Sherlock se ne stava seduto sul divano a leggere. Aveva i capelli arruffati da mani nervose e la vestaglia viola che, tentatrice, era scivolata giù da una spalla lasciando scoperte una clavicola e parte del collo sotto la camicia. Un piede poggiava sul pavimento, l'altro era incastrato sotto la gamba opposta. Il cipiglio concentrato e quei capelli indomabili facevano da cornice ad un'immagine di assoluta perfezione. E la totale inconsapevolezza della propria bellezza lo rendeva agli occhi di John irresistibile in maniera assolutamente indecente. John lo guardò per svariati minuti, in piedi, appoggiato contro il camino con una tazza di tè ormai vuota in mano. Ripensò a tutti i baci, i lunghi baci che da settimane si scambiavano in ogni momento possibile e non possibile, nei luoghi più disparati, davanti agli occhi più indiscreti. E ripensò a tutte le volte in cui ogni desiderio di andare oltre era stato volutamente sopito. Ma Dio solo sa quanto avrebbe voluto lasciar vagare le mani su quel corpo ed esplorare con la bocca ogni centimetro di quella pelle bianca e poi...E poi vide se stesso, come fuori dal proprio corpo, camminare lentamente verso il divano, posare la tazza sulla scrivania e continuare a camminare senza mai distogliere lo sguardo da quella visione. Una visione che si era fatta realtà e che adesso aveva il consenso di toccare, di baciare e di fare sua. Capì che non era più il momento di tirarsi indietro, di contenersi, perché altrimenti ne sarebbe morto, così come quel giorno sarebbe morto se non lo avesse baciato e poi comunque fu quasi morto davvero per averlo fatto. Capì che le paure dovevano essere raccolte e utilizzate per affrontare insieme un territorio inesplorato. Capì di dover scacciare quei demoni e lasciare posto a un demonio solo, o forse un angelo, quell'essere umano strano e meraviglioso che inconsapevole del suo imminente destino continuava a leggere indisturbato. La schiena dritta, lo sguardo concentrato e una sensualità innocente capace di stordire. John fu da lui in un istante. Sembrò un tempo infinito. Sherlock alzò lo sguardo dal suo libro solo nel momento in cui sentì il frusciare debole di vestiti, e lo vide inginocchiarsi di fronte a lui. Si guardarono negli occhi, ma non fu più per chiedere. Fu piuttosto un reclamare, reclamarsi a vicenda, perché ormai quasi tutte le domande avevano trovato una risposta. Quasi tutte.

Il primo contatto fu leggero, come quel giorno. Solo dita contro pelle. Di nuovo, freddo contro caldo. John fece scorrere la sua mano sotto la manica della vestaglia di Sherlock, per sfiorare quella pelle con riverenza. “E' così che ti amo” avrebbero detto i suoi occhi se gli occhi avessero saputo parlare. “E' così che ti voglio”, avrebbero aggiunto quando la pressione delle dita aumentò quel tanto da lasciargli un debole rossore. Poi, tornando appena indietro gli afferrò il polso, delicato ma con decisione. L'altra mano raggiunse il viso di Sherlock e si posò dolcemente sulla sua guancia. Con il pollice tracciò i contorni di quelle labbra dalla forma perfetta, dischiuse nell'accennato stupore di chi ha compreso quello che sta per accadere. E negli occhi di Sherlock un'immediata, irrazionale paura. Occhi grandi, quasi infantili, così innocenti da far stringere il cuore.

“Ti voglio da morire.”- e questa volta le parole erano uscite davvero dalla sua gola, basse e quasi impercettibili, ma reali. - “Ma se tu non vuoi, se tu...”

“Voglio ogni cosa con te.”- rispose Sherlock, la voce bassa, quasi un sussurro.

John credette di non farcela già solo a quell'ammissione e fu costretto a piegare la testa e chiudere gli occhi per concentrarsi e non rovinare ogni cosa. Non rovinare ogni cosa. Si, perché se avesse agito senza riflettere, lo avrebbe afferrato così come sapeva fare, di forza giù su quel divano e lo avrebbe preso senza indugiare un secondo oltre, in un groviglio di braccia e gambe e mani tra i capelli, bocche e lingua e gemiti. Lo avrebbe preso perché è così che aveva sempre funzionato l'amore per John Watson, o quello che aveva sempre creduto tale. Tutto pronto, tutto servito su un piatto d'argento. Prendimi e basta. Ed è così che aveva sempre fatto. Aveva preso. Aveva preso e basta. Aveva dato molto poco in tutta la sua vita, il minimo indispensabile, ma aveva saputo prendere. E si era convinto che funzionasse così l'amore, il sesso, o quello che era. Ma la verità è che non aveva amato mai. Aveva creduto di amare, questo si, e si era anche impegnato quando era successo, ma poi era sempre finito tutto in una bolla di sapone. Non aveva amato nessuno mai, questo era chiaro. Perché mai aveva sentito una tale devozione, un tale attaccamento, un tale desiderio per qualcuno. Quel dolore strano che prende allo stomaco e che assomiglia alla disperazione, ma dolce, come la malinconia. Che ti fa sentire felice di essere vivo e allo stesso tempo triste, che ti fa credere di non aver più bisogno di mangiare, di dormire, di fare le cose più banali, perché adesso sai che al mondo c'è quella persona che può darti tutto quello di cui hai bisogno. Come se si potesse vivere di niente. John non aveva mai amato nessuno così. Mai, fino a Sherlock. E mai aveva avuto quella paura folle di prendere, prendere e basta, ciò che desiderava.

Rialzò la testa lentamente. Sherlock lo stava fissando, quasi con preoccupazione. John gli accarezzò la mano e poi con un movimento lento, sollevandosi appena e coprendo la distanza tra loro, si avvicinò al suo viso e lo baciò, così come aveva fatto mille altre volte. Uguale a mille altre volte, eppure, del tutto diverso.

“Ti voglio...”- gli sussurrò di nuovo a fior di labbra, prima di baciarlo ancora e lasciare che le loro lingue si sfiorassero, dapprima dolcemente e poi via via sempre con maggior foga, fino ad avere entrambi difficoltà a respirare. John fu il primo a cedere. Era sempre il primo a cedere con Sherlock. Si staccò appoggiando la fronte contro la sua. Chiuse gli occhi, come se a non vedere, fosse più facile far uscire le parole. “Le cose che mi fai. Tu non hai idea”. Lo percepì sorridere appena e poi avvicinarsi di nuovo per baciarlo ancora. “Fai di me ciò che vuoi John.” - gli disse, abbandonando le sue labbra per spostarsi sul collo dove tracciò un sentiero di baci che a seguirlo, avrebbe condotto di sicuro alla pazzia.

John piegò la testa all'indietro per lasciarlo fare e intanto appoggiò un ginocchio sul divano, nello spazio tra le gambe dell'altro, per trovare un equilibrio che almeno al suo corpo era assolutamente necessario. Si lasciò sfuggire un gemito quando Sherlock azzardò un morso tra la base del suo collo e la spalla e sussultò appena riaprendo gli occhi. “Non mi aiuti, se fai così”- gli disse, appoggiandogli una mano sul petto per spingerlo lentamente contro lo schienale del divano. “Sta buono. Lasciami fare...”- e riprese a baciarlo, baci dolci e leggeri, per recuperare il controllo e non rovinare ogni cosa, sulle labbra, le guance e poi giù sul collo fino a sentirlo quasi tremare sotto il suo tocco. Si staccò per guardarlo. Occhi negli occhi. E le mani, lente ma inesorabili, sui bottoni della sua camicia.

Li sbottonò. Ad uno ad uno, con una calma da manuale. Senza mai perdere il contatto visivo con quegli occhi meravigliosi, resi ancora più belli dalla paura e dall'attesa che in egual misura si contendevano un posto su quel viso perfetto. John pensò anche di cedere, fermarsi lì, in quel preciso istante e lasciar perdere ogni cosa. Ma fu solo un momento. Sherlock fece un movimento involontario con le labbra e John fu definitivamente perso. Sull'ultimo bottone si avvicinò di nuovo e lo baciò, così profondamente da ridurlo ad un ammasso di gemiti e mormorii sconnessi intervallati soltanto dal suono chiaro del proprio nome. E mentre lo baciava a quel modo, come solo in altre rare occasioni si era concesso di fare, aveva lasciato vagare le mani sotto la camicia ormai completamente aperta per esplorare quel corpo caldo e spigoloso che si muoveva sotto di lui. Le mani di Sherlock si erano aggrappate ai suoi capelli e sembravano non preoccuparsi di tirare troppo. John allora lasciò andare quelle labbra per scivolare giù sul collo e poi sul petto. Sherlock rovesciò la testa all'indietro con un gemito soffocato. Quando sentì la lingua di John sfiorargli leggera un capezzolo, non poté fare a meno di inarcare la schiena e spalancare gli occhi e la bocca in un movimento unico. John fece scorrere un braccio dietro di lui e lo afferrò stretto, mentre con l'altra mano lo teneva per la nuca. Sono qui, non ti lascio. Non ti lascerò andare mai, avrebbero detto quelle mani se anche le mani avessero saputo parlare. E poi, mentre continuava a leccarlo avidamente, con un movimento delicato lo costrinse a sdraiarsi sul divano. Lo guardò. Aveva la camicia completamente aperta e la vestaglia ormai scesa quasi sugli avambracci. Il respiro affannato e le labbra rosse e bagnate, gli occhi lucidi e i capelli disordinati sulla fronte imperlata di sudore. Più giù, un'eccitazione evidente che lo costrinse a distogliere di nuovo lo sguardo, per evitare ancora una volta di rovinare tutto in un secondo. Si concentrò sul suo viso. E ad un tratto, l'amore, perché solo di quello poteva trattarsi, lo colpì con una tale forza da lasciarlo per un momento senza fiato. Fu come essere investito dalla consapevolezza e allo stesso momento dall'incertezza, da tutti i sentimenti e le cose belle che ci sono nel mondo, i posti mai visti e le canzoni ancora non scritte e si sentì vivo, così vivo da voler piangere e da poter giurare in quell'istante che avrebbe amato quell'uomo tutti i giorni che ancora gli restavano da vivere.

“John..?”

“Sei bellissimo.” - gli disse quando trovò la forza di mischiare quella visione alle sue parole. “Sei assolutamente perfetto”- aggiunse togliendosi la maglietta e sdraiandosi lentamente su di lui. “E questo non durerà che un istante perché ti voglio così tanto e tu sei così...troppo...che dubito...”

“John...smettila. Baciami, ti prego.”

John lo guardò negli occhi accarezzandogli i capelli. Vi lesse la paura, l'ansia dell'inesperienza, il timore del confronto, e decise di lavare via ognuno di quei sentimenti con l'assoluta devozione delle sue carezze e la tenerezza dei suoi baci. In un attimo Sherlock fu di nuovo solo gemiti e sussulti e quando John fece scivolare una mano oltre la cintura dei suoi pantaloni fu come se il mondo intero si fosse fermato attorno a quell'unica bolla di perfezione assoluta che erano i loro corpi. Sherlock spalancò la bocca e chiuse gli occhi, inarcandosi sotto di lui e John non potè fare a meno di catturare ancora quelle labbra. Per la prima volta nella sua vita, pensò che non gli importava niente di se stesso e del proprio piacere, e immaginò che se il tempo avesse deciso di fermarsi a quell'istante, avrebbe accettato la fine con gioia se avesse significato morire con l'immagine di Sherlock disinibito e sconvolto sotto di lui. Lo accarezzò al ritmo dei suoi baci, lento e poi via via più veloce, sempre più veloce, fino a quando la necessità di respirare vinse su ogni cosa e Sherlock fu costretto a staccarsi da quella bocca infernale e bramare aria, respirando sulla sua spalla e stringendolo forte, le mani sulla schiena e le unghie a lasciare segni. E poi fu travolto. John lo sentì irrigidirsi sotto di lui e aggrapparsi ai suoi capelli, alla sua schiena, alla sua pelle, come qualcuno che teme di cadere e lotta per la propria vita, e poi un liquido caldo sulla sua mano e respiri affannati e gemiti. Nomi.

“Sono qui, non ti lascio. Non ti lascio.”- sussurrò John al suo orecchio stringendolo forte e lasciando che cavalcasse l'onda di quell'emozione al sicuro, fra le sue braccia.

Gli accarezzò i capelli guardandolo teneramente recuperare il respiro. Non aveva mai guardato nessuno così. Mai aveva desiderato continuare a guardare qualcuno così, per sempre.

E poi accade qualcosa che John non aveva preventivato. Sherlock lasciò scivolare una delle sue mani tra di loro e in quello spazio ristretto si insinuò nei suoi pantaloni per afferrare la sua erezione e liberarla dalla costrizione del tessuto. Al solo contatto John pensò di poter venire e l'immagine di quella mano ricoperta del proprio seme vanificò quasi in un istante tutti i suoi tentativi di non rovinare tutto. Sentì quasi ogni forza abbandonarlo e fu costretto a chiudere gli occhi e ad appoggiare la fronte sul petto di Sherlock, la cui mano, inesperta e forse timida, si muoveva lentamente mimando quello che poco prima John aveva fatto a lui. Ma John non riuscì a trattenersi e con la mano ancora sporca raggiunse quella di Sherlock per guidarla.

“Vieni per me, John”- gli sussurrò all'orecchio e bastò solo questo per fargli perdere completamente ogni contatto con la realtà. Venne quasi disperatamente, tanto da sentire le lacrime inondargli gli occhi e si lasciò andare su di lui, stremato e vinto da quella felicità totalizzante che non poteva essere altro che l'Amore. Era durato meno di niente ma era stato più intenso di qualsiasi cosa avesse mai fatto nella sua vita. Dunque è questo. E' davvero questo.

 

John Watson aveva sempre creduto di essere un uomo tutto d'un pezzo. Un medico ineccepibile, un militare coraggioso e forte. E aveva cercato a lungo il suo posto nel mondo. Credeva anche d'averlo trovato, più volte, nel corso della sua vita. L'alba nel deserto, un profumo dolce, la pioggia di Londra. Ma erano soltanto bugie, specchietti effimeri di quello che poteva essere la realtà. Perché il nostro posto nel mondo non sono mai luoghi specifici, posti da cui partire e poi tornare, fermo immagini colorati di ricordi impressi negli occhi. Non lo sono mai. La verità è che il nostro posto nel mondo sono le persone, e John se ne rese conto nel momento esatto in cui le sue labbra avevano toccato per la prima volta quelle di Sherlock. Non ci sarebbe mai stato nessun altro posto in cui tornare e nessun altro posto da cui partire. Solo lui.

Per sempre lui.

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Capitolo 6
*** Keep your eyes fixed on me ***


Questo pezzo ha partecipato alla #12DaysAfterChristmasChallenge #Task2 del Gruppo fb  Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart

Prompt: "Hey - non guardare, okay? Guarda me. Voltati verso di me, lascia perdere tutto il resto."



 

Keep Your Eyes Fixed On Me




“Ti prego, non farlo.”

La voce di John era rotta dalla disperazione.

Sherlock se ne stava immobile, in piedi sul cornicione del palazzo e fissava il vuoto. Tra lui e l'asfalto, 30 metri di aria e mesi di vessazioni e bugie. Dal suo braccio sinistro colava un rivolo di sangue che, a grosse gocce, si depositava sul cemento del cornicione schizzando le sue costose scarpe italiane.

“Sherlock, ti prego.” - Pregare. Si forse poteva servire.

“Non ti avvicinare John. Non dovresti nemmeno essere qui. Dovresti essere lì.” - indicò un punto imprecisato sotto di lui, nella piazzetta antistante. “Dovresti essere lì e parlare al telefono con me. E' così che deve andare. ”- disse con voce assente, come se stesse parlando con se stesso.

“Sono qui Sherlock, sono qui. Ti prego scendi. Ti prego.” - tentò un passo in avanti. “Sei ferito, lascia che ti aiuti. Permettimi di aiutarti.”

“Non avvicinarti! Tu non...non puoi capire.”- sorrise appena- “non posso salvarti se non...”

“Salvarmi? Ma io sono qui Sherlock! Sherlock..hey...non guardare giù, okay? Guarda me. Ti prego, guarda me. Voltati verso di me. Lascia perdere tutto il resto. Tutto quello che è stato detto in questi mesi. Sono solo menzogne, patetiche menzogne. Io ti conosco, io so chi sei. E tu non sei un impostore. Io credo in te, Sherlock...Io...”

“Tu cosa, John?”

Seguì un breve silenzio.

“Non posso perderti.”

“Perchè?”

“Te lo dico solo se scendi. Ti prego.”

“Dimmi perché John. Il tempo sta per scadere.”

“Io non capisco quello che dici.”- rispose, con voce rotta da un pianto sommesso trattenuto fin troppo a lungo.

Passò qualche secondo, poi fu Sherlock ad interrompere quel silenzio.

“Sai, vorrei poter scendere.”

“Allora prendi la mia mano. Guardami, ti prego. Guardami.”

John si avvicinò ancora, fino a sfiorarlo. E Sherlock si voltò, infine.

“Se scendo, mi abbraccerai?”

Il calore inondò il suo petto.

“Ti abbraccerò, e poi mi occuperò di quel braccio e ti porterò a casa e cucinerò per te. Oppure ordinerò qualcosa, quello che preferisci, ravioli cinesi o quella pizza piena di tutto che ti piace tanto. Ti prego...”

“E mi dirai quello che penso tu voglia dirmi?”

“Dammi la mano, Sherlock.”

“Me lo dirai?”

“Te lo dirò.”

Gli tese la mano che John afferrò con decisione prima di trascinarlo giù al sicuro dall'altro lato del parapetto.

Si abbracciarono.

“Dillo adesso, perché non c'è più tempo.”

John pianse e gli accarezzò i capelli. Lo strinse forte. “Ti amo, Sherlock. Ti amo.”

 

“E il nostro tempo è finito.”

 

 

John scese dal taxi.

.

.

.

“Tieni i tuoi occhi fissi su di me. Lo farai per me? Per favore.”

.

.

.

 

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Capitolo 7
*** 57 ***


Hi everyone! 
Rieccomi con una storiella carina che spero vi faccia un po' sorridere. Ci ho messo molto a scriverla, non perchè sia un poema epico in pentametro giambico, ma semplicemente perché tra l'idea, il concept e le varie stesure è passato molto tempo. Mesi. La storia precendente è difatti posteriore a questa. Vabbè insomma.... Buona lettura! 
(Fatemi sapere!)


 

***




“Voglio saperlo. Voglio l'elenco.”

John aveva sospirato per l'ennesima volta e poi lo aveva ignorato, continuando a leggere il giornale seduto sulla sua poltrona.

Era un giorno qualunque al 221b di Baker Street. Un giorno in cui Sherlock Holmes si era messo in testa di sapere quali fossero stati i giorni più felici della vita di John Watson. Della loro vita insieme, ovviamente.

Era partito tutto per caso, dalla colazione. John sembrava felice in modo particolare quel giorno, forse a causa delle attenzioni che suo marito gli aveva riservato quella notte o forse per il toast al formaggio cotto alla perfezione secondo le sue preferenze. Chi avrebbe potuto dirlo. Sherlock lo aveva guardato e aveva sentenziato:

“Sei felice.”

“Puoi ben dirlo.” - era stata la risposta, seguita da un sorriso compiaciuto ed un'alzata di tazza a mò di brindisi.

“Perché?”

“Come sarebbe a dire perché?”

“Perché sei felice?”

John aveva posato la tazza ed ora lo guardava per cercare di capire cosa gli dicesse quella sua testa.

“E' un modo per farti dire delle cose carine, vero?”

“No.”

“E allora quale sarebbe il punto?”

“Voglio sapere perché sei felice.”

La pazienza di John era già quasi esaurita. Rimase in silenzio per evitare di apostrofarlo malamente e continuò a mangiare.

“Sei sempre così felice? O ci sono dei momenti in cui sei più felice di altri?”

John si sentì già sconfitto. E non era ancora iniziato niente.

“Sono felice con te. Punto.” - e fu quasi comico, perché la dolcezza di quello che aveva appena detto faceva a cazzotti col modo in cui lo aveva pronunciato. Quel tono sarebbe stato perfetto per degli insulti, magari.

“Quindi sei sempre felice. Da quando stai con me, intendo.”

“Sherlock. Al momento mi sento molto meno felice di quanto fossi cinque minuti fa, per esempio. Che ti passa nella testa? Non capisco.”

“Niente. Scusa.”

John rimase a fissarlo per qualche secondo prima di tornare al suo toast. Anche quello sembrava più buono cinque minuti prima.

Sherlock mangiò in silenzio le sue uova, e insieme a quelle ingoiò le altre 46 domande che aveva già preparato, comprese quelle alternative in base alle risposte che John avrebbe potuto dargli. Le immagazzinò da qualche parte per riutilizzarle in un probabile (immediato) futuro.

 

Il silenzio stampa durò tre ore. Tre ore in cui John riuscì ad andare a lavoro, a visitare i primi quattro pazienti e a prendere un caffè di metà mattina con un collega. Poi ci fu il primo di una serie di messaggi che dicevano più o meno tutti la stessa cosa e che potrebbero essere riassunti con: “E quindi se sei sempre felice con me, voglio l'elenco dei momenti in cui sei stato più felice” e per John iniziarono alcuni giorni di assoluta agonia.

 

Sherlock lo aspettava in piedi, dietro le porte, con quel suo fare losco e vagamente inquietante, solo per ripetere la stessa identica affermazione, “voglio sapere quali sono stati i momenti più felici per te”. Oppure si intrufolava nella doccia, o lo svegliava in piena notte, o lo interrompeva mentre era intento a fare qualsiasi cosa. Una volta lo chiamò addirittura al telefono. E lui odiava telefonare.

John fu poco, davvero poco felice in quei giorni. Quasi ci scappò un divorzio la seconda volta che Sherlock lo svegliò nel cuore della notte. Ma fu punito e reso inerme e soddisfatto fino alla mattina dopo.

La tortura continuò per svariati giorni. Ogni momento di silenzio veniva puntualmente interrotto dalle domande di Sherlock e dalla sua ostinata ricerca della verità.

“Voglio sapere quali sono stati i momenti più felici per te.”

Sempre la stessa domanda.

John non era mai stato un uomo dalle grandi abilità oratorie, né un romantico di quelli che si vedono nei film, quelli che regalano rose rosse accompagnate da bigliettini sdolcinati. Lui era uno che andava dritto al sodo. Lo era sempre stato, fin dai tempi della scuola e delle prime ragazzine che gli sorridevano nascondendosi dietro i capelli. Non era un romantico per definizione certo, ma sicuramente era uno che sapeva amare. Decine e decine di conquiste nel corso degli anni e altrettanti cuori infranti e scie di lacrime aveva lasciato dietro di se John H. Watson. Per qualcuna fu difficile accettare che la loro relazione fosse finita e che lui fosse andato oltre, spesso, con qualcun altra. Nella lunga carriera amorosa di John ci furono non poche scenate ridicole e nottate in bianco, serate rovinate, bicchieri rovesciati, maglioni da buttare e periodi (brevi) di “voglio stare da solo per un po'”. Poi tutto ricominciava da capo, nuova ragazza, nuovo amore della vita. Amore della vita che poi non lo era mai.

Nessuno lo fu mai.

 

Fino a Sherlock.

Fino a quel giorno in cui l'incontro fortuito con un vecchio amico trasformò per sempre l'esistenza sua e di quello che sarebbe diventato a breve il suo coinquilino. John pensava spesso a quel giorno, a quanto le cose potessero essere andate diversamente se anche un minimo particolare fosse cambiato. Se non avesse deciso di passeggiare in quel parco per esempio. Se si fosse attardato altrove per bere da solo quel caffè a cui poi aveva rinunciato. O se Mike fosse andato da un'altra parte per la sua pausa. Troppe variabili, così tante da far girare la testa. Ma la fortuna aveva voluto diversamente e John ringraziava ogni giorno per quell'incontro inaspettato. (Ogni giorno tranne quelli in cui Sherlock si trasformava nel più impossibile degli esseri umani.)

Era felice adesso. John Watson era felice. Chi avrebbe mai potuto dirlo. Non ci avrebbe creduto nemmeno se glielo avesse rivelato un se stesso del futuro, perché era davvero troppo difficile anche solo da immaginare. E invece era successo. Certo, era stata una strada lunga e molto tortuosa, a tratti devastante, ma alla fine le cose avevano assunto il profilo inaspettato delle cose felici.

 

Fu dopo quasi una settimana di domande incessanti che John comprese che l'unico modo per liberarsi di suo marito sarebbe stato assecondarlo. Quindi aspettò che uscisse, prese un foglio ed una penna e iniziò a scrivere. Poi piegò il foglio e glielo mise sul cuscino prima di uscire per andare a lavoro.

Sherlock tornò un paio d'ore dopo gelato fin nelle ossa e con l'aria stanca. Fece una doccia calda e poi finalmente, seduto sul letto pronto per indossare il pigiama, trovò il foglio che John aveva lasciato per lui.

 

 

Sei insopportabile.

Sei l'essere umano più insopportabile che sia mai esistito sulla faccia della terra. Ed io ti amo, Sherlock. Mi fai impazzire con le tue richieste irragionevoli e le tue continue domande e quelle cose che a volte dici e che capisci solo tu. Perdo la ragione... E guarda cosa mi stai facendo fare. Vuoi sapere quali siano stati i giorni più felici della mia vita da quando stiamo insieme ma come tu faccia a non capire che ogni giorno è il più felice, questo non lo so. Eppure sei un genio. E non so come tu possa pretendere che io mi metta ad elencarti i momenti in cui mi rendi più felice mentre siamo seduti a fare colazione o mentre leggiamo un libro prima di dormire o in chissà quale altro momento. Non sono capace. Sono un blogger io. Le cose le scrivo (e a detta tua neanche bene), ma è quello che so fare meglio quando si tratta di comunicare e quindi tenterò di spiegarti con le parole scritte quali sono stati i momenti più felici della mia vita con te. E dato che so che sei uno scienziato pignolo (ma molto sexy), ti stilerò un elenco preciso a cui potrai fare riferimento quando vorrai e che potrai catalogare nella tua mente nella stanza che so che hai dedicato a me. C'è il mio nome sulla porta, lo so.

Questa non è una classifica, è un elenco in ordine sparso. (Ti prego non chiedere una classifica. Fai il bravo).

 

-I MOMENTI PIU' FELICI DELLA VITA DI JOHN H. WATSON-

 

  1. Guardarti dormire.

  2. Sentirti suonare il violino solo per me.

  3. Prepararti i vestiti da indossare mentre stai ancora facendo la doccia.

  4. Poterti accarezzare i capelli mentre guardiamo qualcosa alla tv. E stare abbracciati sul divano, l'uno sull'altro come se i nostri corpi fossero l'unico spazio disponibile.

  5. Cucinare per te.

  6. Ordinare cibo da asporto per te.

  7. Portarti a cena fuori e passeggiare lungo il fiume con te.

  8. Metterti il pigiama quando sei troppo assonnato per farlo da solo.

  9. Metterti il pigiama quando lo richiedi espressamente.

  10. Riscaldarti.

  11. Abbracciarti quando un incubo ti sveglia nel cuore della notte e farti addormentare di nuovo.

  12. Ascoltare le tue deduzioni quando siamo su un caso e sentirmi così fiero di essere tuo marito.

  13. Vedere come si illumina una stanza quando entri tu. E constatare che tutta l'attenzione è su di te. E sapere che sei solo mio.

  14. Far vedere a tutti quanto tu sia solo mio.

  15. Tenerti per mano.

  16. Trovarti addormentato con uno dei miei libri addosso.

  17. Toccarti.

  18. Toccarti...

  19. Baciarti.

  20. Lasciarti segni dappertutto su quella pelle bianca e vederti parlare con le persone sapendo cosa c'è sotto quei vestiti.

  21. Morderti.

  22. Prenderti dove voglio. Quando voglio.

  23. Lasciarmi prendere quando vuoi. Dove vuoi.

  24. Ascoltare i discorsi senza senso che fai quando stai per addormentarti.

  25. Prendermi cura di te quando sei malato.

  26. Tornare a casa da lavoro e trovarti raggomitolato sulla mia poltrona.

  27. Ogni volta che pronunci il mio nome.

  28. Pronunciare il tuo nome quando sono dentro di te.

  29. Sfiorarti.

  30. Nasconderti i biscotti.

  31. Fare l'amore con te.

  32. Correre con te per tutta Londra e farmi picchiare pur di proteggere te.

  33. Farti male quando me lo chiedi.

  34. Svegliarmi e trovarti accanto a me.

  35. Quando fai quelle cose che ti fanno assomigliare a un gatto, anche se tu dici che non è vero.

  36. Ogni volta che ti dico ti amo.

  37. Ogni volta che mi dici ti amo.

  38. Leccarti.

  39. Litigare con te. Perché anche solo litigare con te mi fa sentire più vivo di qualsiasi cosa io abbia mai fatto nella mia vita.

  40. Guardarti mentre ti vesti e non mi presti attenzione.

  41. Spogliarti.

  42. Ascoltarti ridere.

  43. Sapere che ci sono sorrisi che nessuno ha mai visto, destinati solo a me.

  44. Saperti geloso di me.

  45. Sapere che obietterai questa lista dicendo che questi non sono nello specifico i momenti più felici (lo sono per me, ogni volta, ogni giorno) e quindi:

  46. La prima volta che ci siamo baciati. Che tu hai baciato me, per l'esattezza. Era un giorno d'autunno, eravamo in cucina e tu eri arrabbiato perché per l'ennesima volta ti avevo toccato i capelli. Eri così bello che pensavo di morire.

  47. La prima volta che abbiamo fatto l'amore. Ricorderò per sempre i tuoi occhi e le tue mani. E la paura folle.

  48. Quando hai detto ti amo la prima volta. Ed eri tutto rosso. (Se adesso fossi qui ti bacerei.)

  49. La prima volta in cui mi sono svegliato nel tuo letto. Il nostro.

  50. Il giorno del nostro matrimonio. Sei stato così bravo ed io non lo dimenticherò mai.

  51. Quella volta in cui mi hai detto “sei l'amore della mia vita”.

  52. Quella volta in cui ti ho detto “non lasciarmi mai.”

     

  53. Averti incontrato.

    E lo so che questo fa parte di un'altra vita, ma non posso evitare di metterlo in questo elenco. E' quando tutto è iniziato. E' lì che cominciamo noi due.

  54. Tornare a casa stasera.

  55. Farti dire il mio nome...

  56. Amarti.

 

E se questo elenco non dovesse essere ancora abbastanza, ti farò vedere questa notte.

Ti amo, Sherlock.

 

Tuo,

John H. Watson, sexy medico militare, sexy blogger, amore della vita di Sherlock S. Holmes.

 

PS: adesso però smettila di chiedere. Ok?"

 

*

 

Sherlock non chiese più niente.

Si sentiva felice come non mai e pretese che venissero messi in atto parecchi punti di quella lista. John fu ben felice di accontentarlo e dopo averlo guardato addormentarsi aggiunse un ultimo numero.

 

57. Quel giorno in cui ho scritto la lista dei momenti più felici insieme a te.

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Capitolo 8
*** Sono venuto a prenderti ***


 

“fanfiction scritta per la “30 days hath September” del gruppo facebook “Non Solo Sherlock – gruppo eventi multifandom” – venite a trovarci!: https://www.facebook.com/groups/366635016782488/

 

Sono venuto a prenderti
 

 

John non riusciva quasi a credere di avere una serata libera, libera dai casi e da Sherlock.

Nell'ultimo periodo, e per ultimo periodo si intendevano i passati due mesi, la loro relazione di coppia aveva raggiunto il culmine, o forse il limite, della decenza. Si interrogava spesso, a tal proposito, su quanto fosse consono per due uomini adulti e con una certa posizione sociale, comportarsi come forse sarebbe stato giusto comportarsi da adolescenti, ma la risposta alla domanda era sempre la stessa, ovvero che in fin dei conti non gli importava. Aveva scoperto quanto fosse incredibile avere a che fare con uno Sherlock emotivamente esigente che non desiderava altro che averlo accanto ogni secondo, che fosse sulla scena del crimine più efferato (e su questo punto le cose non erano cambiate molto), tra le lenzuola del loro letto (usare la parola “loro” gli risultava ancora strano a volte) o semplicemente tra le mura domestiche, in una rinnovata intimità fatta dei soliti gesti già collaudati mille volte e di altri gesti invece sempre nuovi, come gli abbracci improvvisi dopo il caffè al mattino, i baci fugaci tra un turno di lavoro e l'altro, i sorrisi sempre complici, le parole dolci prima di addormentarsi. John aveva quasi paura di pensarlo eppure poteva dirsi felice. Ma la vita con Sherlock Holmes non poteva mai essere facile, non lo era stata negli anni passati e non lo sarebbe stata adesso e anche se ora l'uno poteva esigere dall'altro nuove pretese (e forse questo contribuiva ad inasprire i conflitti quando si presentavano), Sherlock rimaneva Sherlock, nel bene e nel male. Ecco quindi che ai giorni di beata spensieratezza e totale pace seguivano altrettanti giorni di drammi esasperati all'ennesima potenza dalla fatica che Sherlock mostrava di compiere nel gestire i nuovi sentimenti e le nuove dinamiche di coppia. Si può dire che per certe cose fosse del tutto impreparato, e non tanto sul lato sessuale, nel quale dimostrò una spiccata fantasia e una capacità di adattamento e assimilazione quasi incredibile, ma piuttosto sul lato relazionale tra la nuova entità coppia Sherlock-John e il mondo esterno. Su questo versante era un vero disastro.

A John non era permesso (secondo Sherlock) intrattenere rapporti troppo stretti con nuove persone che Sherlock non conoscesse, o che conoscesse poco, o che magari conoscesse bene ma non gli andassero a genio (quindi praticamente tutti). Non poteva uscire da solo (sempre secondo Sherlock) se non per casi del tutto eccezionali o per emergenze. E non c'è nemmeno bisogno di menzionare rapporti di qualsiasi genere con donne (tutte) o con uomini di bell'aspetto, o troppo intelligenti, o troppo saputelli, o che facessero troppo i simpatici ecc. Insomma, la lista era infinita. Quando John aveva capito che queste erano più o meno velatamente le richieste di Sherlock, era scoppiato a ridere, pensando in buona fede (povero John) che Sherlock stesse scherzando. Inutile dire che a quella risata seguirono giorni di broncio sul divano, silenzi esasperanti, mal di testa e quasi ripensamenti, della serie “ma chi me lo ha fatto fare”.

Quindi si, John era felice, perché all'inizio era stato ben disposto a chiudersi in casa con il suo amore dimenticando fuori tutto il resto, ma ad un certo punto si era reso conto che i giorni sul calendario erano passati in fretta e che da quasi due mesi non vedeva Greg se non quando qualcuno veniva squartato in un vicolo puzzolente. Non poteva andare avanti così ancora per molto. Non che volesse intrattenere relazioni con i primi sconosciuti incontrati per strada, chiaro, ma almeno rivedere il suo amico al di fuori del lavoro era qualcosa che gli spettava di diritto. Quella loro nuova relazione aveva bisogno di trovare presto un equilibrio e per John amare Sherlock ed essere effettivamente una coppia, non poteva prescindere il continuare ad avere una vita anche al di fuori del 221B di Baker Street. Sherlock avrebbe dovuto farsene una ragione. Quella sera quindi, dopo ripetuti tentativi (alcuni falliti miseramente, altri ostacolati da casi improvvisi ed emergenze varie) e tira e molla da una parte e dall'altra, John finalmente aveva guadagnato la serata libera, ma la cosa che più lo aveva sconcertato era che Sherlock non aveva fatto una piega. Aveva provveduto ad avvisarlo qualche giorno prima e si era preparato a schivare in tutti i modi bronci molesti e freddezza emotiva, ma le cose erano filate stranamente lisce e la sera dell'appuntamento con Greg era arrivata senza intoppi di nessun genere.

 

“Esco alle 19. Te lo ricordi?”

Sherlock aveva continuato a guardare chissà cosa nel suo microscopio. “Mh-mh.”

“Mi stai ascoltando?”

“Si John.” già esasperato.

“Ok”

“Ok.”

John lo aveva studiato per qualche minuto.

“Pensi di essere in grado di non combinare casini per almeno due, tre ore al massimo?”

Sherlock finalmente lo aveva guardato, lanciandogli uno di quei suoi sguardi taglienti di quelli che potevano terrorizzarti se non lo avessi conosciuto a fondo così come lo conosceva John. “Non sono un bambino”.

John aveva trattenuto una risata per evitare in ogni modi di offenderlo. Dopotutto non era il momento più adatto per ricordagli ad esempio di come era stato occuparsi di lui quando era stato male la settimana prima. Si era quindi limitato ad annuire un “Ok” e fine delle comunicazioni.

 

*

 

“Beh, come si dice. Chi non muore si rivede.”

“Già...”

“Un giorno ho quasi pensato di mandare una squadra a controllare che non ti avesse, che ne so, incatenato da qualche parte pur di non farti uscire”.

Greg era gioviale e sarcastico, come sempre. Come se effettivamente non fossero passati mesi dall'ultima volta che si erano visti davanti ad una birra. John tuttavia subiva un po' l'imbarazzo della colpa. Dopotutto era a causa sua se il numero dei loro incontri di piacere sfiorava lo zero. Anche Sherlock aveva le sue colpe, questo era certo, ma affermare che gli fosse dispiaciuto restare chiuso in casa con lui nei primi tempi della loro nuova relazione sarebbe stato mentire. E poi c'era il fatto che adesso che finalmente aveva ottenuto la “libera uscita” sentiva una strana nostalgia di casa, di Sherlock. Addossargli tutte le colpe sembrava all'improvviso ingiusto. Sorrise.

“Non mi ha incatenato, come puoi ben vedere.”

“I ragazzi hanno fatto delle scommesse. Ma forse questo non dovrei dirtelo.”

“Che prendete?” La cameriera, fin troppo sorridente, si era intromessa nei loro convenevoli. Ordinarono velocemente due birre, senza troppi complimenti.

“Vai spara. Non mi offendo mica”

Greg sorrise. “Donovan è convinta che Sherlock ti abbia raggirato in qualche modo, con qualche ricatto su non so bene cosa. O che ti abbia plagiato con qualche tecnica di ipnotizzazione”

Anche John rise, mentre la cameriera, distratta da altro, porgeva loro le due pinte ghiacciate. “Che altro?”

Greg bevve un sorso. “Mah, Patrick è più o meno della stessa idea di Sally, Harper invece pensa che tu voglia approfittarti di una qualche fantomatica somma di denaro che Sherlock avrebbe in banca. Il resto della squadra è divisa tra il 'si amano davvero' e il 'si lasceranno presto'”

“Confortante.”

“Hai detto che non te la saresti presa.”

“No infatti.” John restò in silenzio qualche secondo. “Comunque è sorprendente che almeno non tutti pensano che sia Sherlock il cattivo. Tu che pensi invece?” Bevve un sorso per affogare un po' di imbarazzo.

“Io? Che ci avete messo troppo tempo. Avevo quasi perso le speranze quando ti sei sposato. Insomma...lo sai no?”

“Già.”

Il silenzio che seguì fu interrotto quasi subito.

“Beh allora? Se non ti ha incatenato devo dedurre che la tua latitanza sia deliberata.”

“Parli come uno di quei cazzo di rapporti che ci costringi a compilare ogni volta.”

Scoppiarono a ridere.

“Sei felice, John?”. La domanda arrivò imprevista.

“Si. Voglio dire... mi fa andare fuori di testa e a volte è assolutamente insopportabile. Lo conosci. Sa tirarti fuori il peggio...”

“Stavamo dicendo che sei felice.”

John rise. “Lo sono. Lo amo.”

Anche Greg sorrise. Sentiva di essere, e in fondo lo era davvero, il testimone di una lunga storia che aveva avuto finalmente un lieto fine.

“Sono felice per voi. Quell'idiota ti ama dal primo momento.”

“Era così evidente?”

“Ma mi prendi per culo? Praticamente solo tu non te ne eri accorto. L'ho visto cambiare da quella sera, la sera del tassista.”

“Uno studio in rosa.”

“Si, da quel caso. Tu non potevi vederlo perché non lo conoscevi, ma io” sorrise “l'ho capito subito. O quasi. E non solo io.”

“Chi altri?”

“Sally Donovan. Ti dirò. Ho sempre creduto che avesse un debole per Sherlock.”

John rimase a fissarlo per cercare di capire se stesse scherzando.

“Sally Donovan?”

“Già.”

“Quella che mi disse che prima o poi avreste trovato un cadavere e sarebbe stato Sherlock a mettercelo? Quella che mi consigliò caldamente di starne alla larga?”

“Ti disse questo?”

“Si. La prima volta che l'ho vista.”

Greg scoppiò a ridere fragorosamente. “Adesso posso quasi dire che i miei sospetti sono fondati.”

John osservò il suo bicchiere ormai mezzo vuoto. “Non l'ho mai interpretata così”

“Ma magari sbaglio. Dovresti chiedere al miglior consulente investigativo del mondo. Vuoi che non lo sappia?” e nascose un sorriso sarcastico all'interno del bicchiere.

“Puoi scommetterci che lo farò. Comunque, Donovan a parte, non me l'hai mai detto.”

“Non sembravi interessato. Ho conosciuto più tue presunte fidanzate che donne in generale.”

Scoppiarono a ridere.

“E guarda invece che fine ho fatto”

“Almeno hai qualcuno. Non come me.”

“Eppure Sherlock dice che ti vedi con una tipa, ma che comunque non è adatta a te e che devi smetterla perché perdi tempo.”

Greg lo guardò incredulo. “Lo conosco da tanti anni e ancora mi stupisco. E' una maestra d'asilo, ci sono uscito due volte. Come cazzo ha fatto a capirlo?”

“Io ci vado a letto e ancora non capisco come abbia fatto la prima volta che ci siamo incontrati. Non chiederlo a me.”

Greg quasi si strozzò con la birra per l'imbarazzo di quella frase così sincera e anche un po' per le risate.

“Forse dovremmo semplicemente smettere di chiedercelo.”

Stavano ancora ridendo quando il cellulare di Greg si mise a squillare fastidiosamente.

“E' la centrale, devo rispondere. Scusami” disse, prima di allontanarsi in fretta verso l'uscita.

John finì di sorseggiare la sua birra con l'intenzione di ordinare un secondo giro. Era passata solo un'ora, Sherlock sarebbe sopravvissuto senza di lui ancora per un po'.

Greg rientrò visibilmente innervosito. Si fermò davanti a John con una faccia che era tutto un programma.

“C'è stata un'emergenza?”

“Peggio.”

“Che è successo?” John aveva già cambiato atteggiamento. Il secondo giro di birre era chiaramente andato a farsi fottere.

“Non ti incazzare.”

“No, non dirmelo.”

“Ok, se vuoi non te lo dico, ma dobbiamo andare in centrale.”

John si massaggiò la fronte con una mano. “Dimmi che non è grave almeno.”

“Sta benissimo. L'hanno solo arrestato.”

“Questa volta lo ammazzo.”

 

*

 

John fece il viaggio in macchina pensando a tutti i modi in cui avrebbe potuto uccidere Sherlock, una volta tornati a casa. Il nervosismo per la serata interrotta e per l'inutile preoccupazione che Sherlock gli stava facendo provare, alimentava la sua incazzatura in modo esponenziale. Greg guidava in silenzio, ma in verità era piuttosto divertito da tutta quella situazione, anche se John sembrava non cogliere affatto questo aspetto della faccenda. Ogni tanto gli lanciava un'occhiata, giusto per assicurarsi che non bruciasse per autocombustione.

Arrivarono in centrale in venti minuti. John quasi non fece fermare del tutto l'auto prima di scendere, tanto era ansioso di scambiare quattro chiacchiere con il suo compagno. Greg lo seguì a ruota, pronto ad intervenire qualunque cosa stesse per accadere.

Quando entrarono nella stanza dove erano stati convocati, la prima persona che John vide fu Sally Donovan. Se ne stava appoggiata al muro, le braccia conserte e un sorriso strafottente sulla faccia, a ridacchiare con un collega che dava le spalle all'ingresso. A quella vista John sentì montare dentro di sé qualcos'altro oltre alla rabbia, qualcosa che solo in un secondo momento avrebbe interpretato come pura e semplice gelosia. Si avvicinò con ampie falcate.

“Dov'è?”

Donovan sembrò piuttosto sorpresa di trovarselo davanti ma il sorriso strafottente non cedette neanche per un secondo.

“Chi?” chiese, con finto stupore.

“Donovan, dacci un taglio” intervenne Greg. “in quale cella l'hai messo.”

“Ah, Sherlock Holmes. Il consulente investigativo. E' nella 3A, insieme con i suoi compari.”

John, che conosceva benissimo dove fossero le celle di detenzione momentanea, le passò affiancò senza degnarla di ulteriori attenzioni e si diresse alla 3A per riprendersi il fidanzato e dirgliene abbastanza da fargli passare la voglia di continuare a fare cazzate.

La voce di Sherlock era già ben udibile nel corridoio. Anche senza sapere dove, lo avrebbero trovato comunque. Stava discutendo con qualcuno sulle lesioni da armi bianche o qualcosa del genere, quando il flusso velocissimo delle sue parole fu interrotto da un “John?”

Ne aveva riconosciuto il passo.

“Si Sherlock, sono venuto a prenderti.” rispose John, senza riuscire a nascondere nel tono della voce la sua ira. Quando però finalmente si trovarono faccia a faccia, tutti i suoi propositi, tutta la sua frustrazione, l'incazzatura, la rabbia, cedettero il posto a qualcos'altro, alla preoccupazione, al bisogno impellente di toccare e di mettere a posto le cose. Di curare.

Sherlock infatti aveva un vistoso taglio sul sopracciglio destro da cui continuava a uscire del sangue che gli imbrattava mezza faccia e anche parte dei capelli. Non era grave e sicuramente sembrava peggio di come era in realtà, ma era comunque una ferita aperta che non era stata trattata in nessun modo e che Sherlock continuava a toccare con delle mani che sicuramente erano tutt'altro che pulite. Si guardarono attraverso le sbarre.

“Ciao John.”

John prese un profondo respiro. Greg alle sue spalle sembrò rassegnato nel vederlo conciato a quel modo e si voltò verso Donovan che nel frattempo li aveva seguiti. Ancora sorrideva.

“Era necessario arrestarlo in quelle condizioni?”

“Era nel bel mezzo di una rissa. Dovevo fare distinzioni? E' colpevole come gli altri.”

Gli altri, un paio di energumeni tutti muscoli e sicuramente non molto cervello, erano seduti sulle panche nella stessa cella di Sherlock.

“Andiamo Sally. Poche cazzate. Fallo uscire subito.”

“Bisogna pagare la cauzione.”

John, che era rimasto zitto tutto il tempo, parlò con un tono basso che non ammetteva repliche e senza distogliere lo sguardo dal viso del suo fidanzato. “Apri questa cazzo di cella.”

Negli istanti successivi, tutti rimasero in silenzio. Il sorriso sarcastico sulla faccia di Sally svanì lentamente. Greg incrociò le braccia al petto avendo già esaurito la poca pazienza rimasta. Sherlock continuò a guardare John evitando intelligentemente di aggiungere altro. Solo Sally fu così coraggiosa o probabilmente stupida da dire qualcosa.

“Oh andiamo, non si è fatto niente. E' solo un graffio.”

John si voltò verso di lei, con uno sguardo che avrebbe inchiodato chiunque.

“Quindi, fammi capire bene, non solo non sai fare il tuo lavoro, ma vorresti fare anche il mio? Mh?”

Greg sentì la necessità di intervenire per placare un attimo gli animi. “Dammi le chiavi.”

Donovan era rimasta in silenzio, colpita dalla durezza delle parole di John. Distolse lo sguardo. “Sono in quel cassetto” rispose soltanto, indicando una scrivania a pochi metri di distanza.

Quando la porta della cella fu aperta John si avvicinò a Sherlock immediatamente. Lo prese per una mano mentre con l'altra controllava la profondità del taglio. Mormorò che forse erano necessari un paio di punti, ma parlava con se stesso e difatti nessuno rispose.

Sherlock sussurrò un “mi dispiace” con la forza necessaria per essere udito solo da John, a pochi centimetri dalla sua faccia.

“Ne parliamo a casa. Adesso andiamo a disinfettare questo taglio prima che ti venga un'infezione. Passiamo a prendere cinese da asporto, ok?”

“Ok”

Percorsero il corridoio mano nella mano.

Greg portò Sally nel suo ufficio per una ramanzina di quelle storiche e per farle compilare tutta la documentazione del caso, mentre i compari di Sherlock, rimasti in cella, non poterono fare altro che constatare che nessuno sarebbe andato a prendere loro. Si preannunciava una lunga, scomoda notte.
 

*


Nota dell'autrice:

Ciao a tutti!
Dopo tanto tempo eccomi qui con questa breve ff frutto di una challenge. Spero un po' vi piaccia, fatemi sapere! 
Lo so che ho delle long in sospeso, lo so, ma prima il covid, poi l'estate, poi il lavoro... Sono stata un attimo risucchiata. Ma l'inverno sta arrivando, e con lui anche i pomeriggi piovosi, il té caldo e la voglia di scrivere (lavoro permettendo). Insomma, sto tornando anche io!
Aspettatemi!
A presto.

 

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