Kamigakushi. di Danail (/viewuser.php?uid=804984)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 Winter's Wind. ***
Capitolo 2: *** 2 A Dream Of Spring. ***
Capitolo 1 *** 1 Winter's Wind. ***
1 Winter's Wind
-Zio Osses?-
Sognava.
Sognava di essere disteso a letto privo di forze, immobile,
paralizzato. Sognava di essere collegato a migliaia di fini tubicini,
attaccati a scatole metalliche di cui non comprendeva i suoni e le
funzioni.
Sognava di essere malato, sognava di essere ferito. Sognava di essere
spezzato da qualcosa che non capiva. Sognava il dolore, sognava la
mancanza, sognava la separazione dai suoi bambini.
Sognava la morte che avanza.
-Zio Osses!-
Sognava una voce, dei sussurri talmente reali e familiari che
riuscirono a sollevarlo dall'immobilità della dimensione
onirica per posarlo nel limbo della dormiveglia.
Sentiva la voce che tanto amava trasportarlo in porti sicuri.
-Zio Osses, svegliati! Fuori
c'è la neve, il sole è già alto e non
ci fanno uscire. Zio Osses...-
Bastò quella frase sussurrata, bastò la
malinconia, bastò l'eccitazione tenuta a freno a convincerlo
ad aprire gli occhi e osservare il visetto ansioso del suo caro
nipotino.
-Ash...-
mormorò, assonnato, rizzandosi a sedere e stropicciandosi
gli occhi.
-Ma che ore sono?-
chiese con uno sbadiglio al piccolo mezzelfo, che intanto si era
accucciato al suo fianco.
-È tardi, Zio
Osses! Dobbiamo andare giù a Malie per gli ultimi regali. Ce
lo avevi promesso!- piagnucolò il piccolo,
abbracciando l'elfo all'altezza dei fianchi. Osses passò una
mano fra i capelli chiari del nipote prima di togliersi le coperte di
dosso e scendere giù dal letto.
Aprì le finestre per permettere alla luce del mattino
d'inondare la semplice camera che gli era stata assegnata, con appena
il letto, un armadio, una scrivania e una piccola libreria.
Ash guardava paziente lo zio cambiarsi per scendere, raggomitolato tra
le coperte calde.
-Gli altri sono
già giù, vero?- gli chiese Osses, una
volta pronto e varcata la soglia della stanza tenendo per mano il
bambino. Ash annuì.
-C'è mamma con loro-
aggiunse.
Osses sorrise nel figurarsi la sua sorellona circondata da quei
bimbetti di razze diverse. Lydia non era abituata ad avere rapporti con
altri se non con altri elfi, non aveva mai viaggiato come aveva fatto
Osses: per cui, era naturale lo stupore in famiglia quando la giovane
primogenita aveva dichiarato di star aspettando un bambino da un
soldato umano, con cui aveva avuto una relazione in segreto.
Mentre camminavano Osses abbassò lo sguardo verso il nipote,
che guardava dritto davanti a sè, e sorrise: nessuno aveva
mai potuto conoscere suo padre, morto in guerra prima che lui nascesse.
Lydia non ne parlava gran che, ma a sentire le sue scarne descrizioni
doveva assomigliare tantissimo al bambino.
-Ecco!-
esclamò il piccolo una volta intravisti da sopra l'ultima
rampa di scale, i suoi amici giocare nel salotto attiguo alla sala
grande del Kamigakushi, vicino al camino e all'alberello verde,
decorato con nastri e palline dipinte. Lasciò quindi la mano
dello zio per precipitarsi verso di loro.
Appena Osses lo raggiunse vide una scena simile a quelle a cui era
abituato, ma ciò non gli impedì di sospirare
rassegnato e scuotere leggermente la testa.
In un impeto di baldanza Guzma, un bambino umano completamente albino,
era rimasto impigliato in alcuni fili per decorare gli alberi e, pieno
di graffi rossi, cercava di liberarsi. Ad aiutarlo c'era il piccolo
Infaustus, figlio di una coppia di nani, e la madre della vittima,
nonché la proprietaria del Kami.
Akareth Sigurdottir non si poteva dire che, nonostante avesse passato
di molto i trent'anni, stesse invecchiando male: alta e dalla
corporatura atletica, l'umana dai capelli ramati riusciva ad avere una
scorta d'energia tale da continuare sia il lavoro di locandiera che la
professione da barda, che l'aiutava moltissimo nel primo ambito ed
essere apprezzata da tutti, anche dopo le avventure che aveva passato.
Era a lei che Osses doveva tutta la sua gratitudine, visto che aveva
dato lavoro sia alla sorella Lydia sia ad altre famiglie, permettendo
così ai bambini d'incontrarsi.
Osses distolse lo sguardo dalla figura della rossa per aiutare il trio
più turbolento del gruppo, quello dei mezzorchi: questo era
composto da due fratelli, Tsadock e Pendragon, e dal cugino Grimbull.
Sebbene quest'ultimo avesse un temperamento più calmo e il
primo avesse più buonsenso, Pendragon e la sua
vivacità li equilibravano entrambi.
-E dimmi un po', signorino,
per che cosa avete litigato stavolta?- gli chiese Osses,
vagamente seccato, mentre gli puliva il sangue che usciva dal naso.
-Pen ha detto a Guzma che i
bardi sono solo degli inutili menestrelli- spiegò
Tsadock, divertito.
-E Guzma gli ha tirato una
craniata sul muso!- completò Grimbull, finendo con
una breve risata.
A quelle parole Pendragon si rabbuiò ancor di
più, ma non rispose.
-I bardi non sono inutili-
brontolò l'albino, una volta tirato su in piedi e liberato
dai fili che, probabilmente, erano stati legati dallo stesso Pen.
-No che non sono inutili,
Guz. Vi ho raccontato tante di quelle storie, la sera, con la musica in
sottofondo, che sarebbe sciocco un pensiero del genere. Come credi che
sarebbero sopravvissute quelle gesta e quegli eroi, se non ci fossi
stata io ad assistere?- gli domandò la madre
mentre s'alzava e gli accarezzava i capelli.
-Signora Akareth, pensa che
noi potremo partecipare a una di quelle avventure?- le chiese
Infaustus, una volta in piedi anche lui.
-Certo, caro ragazzo. Ma
quando sarete più grandi. E allora capirete a quanto serva
un bardo, quando sarete giù di morale e sarete nei guai-.
-Ma adesso c'è
un'altra avventura oggi, proprio quella che fa per noi!-
esclamò Osses che, una volta tirato su un Pendragon
incupito, s'avviò verso la porta di servizio per accostarla.
-Quella dei regali e della
visita a Malie!-
Tutto d'un tratto i bambini dimenticarono i loro problemi e le loro
rivalità e, con urla di gioia, si precipitarono tutti fuori.
-Grazie per tutto quello che
fai per noi, Osses- mormorò Akareth, una volta
arrivata all'uscio.
-Senza di te non sapremo che
fare coi bambini-.
-Oh, non c'è di
che, signora Sigurdottir- rispose l'adolescente con un ampio
sorriso -Lo sa che
è un onore per me lavorare qui al Kamigakushi nei giorni
liberi. È un modo per ripagare i miei genitori, stanno
facendo molti sacrifici per farmi studiare. E poi...-
Osses si voltò verso i bambini, che giocavano felici in
mezzo alla neve.
-...e poi sono troppo
affezionato a queste pesti per lasciarle a loro stesse-
concluse, rivolgendo lo sguardo verso la donna.
Akareth sbuffò divertita e scosse la testa. Si sporse un
poco per regalare un'ultima occhiata al figlioletto, che in quel
momento stava sfruttando il suo candore per mimetizzarsi ed evitare le
palle di neve dei compagni, per poi congedare Osses con una leggera
pacca sulla spalla.
-Adesso vai, ragazzo. E non
chiamarmi più "signora Sigurdottir", che mi fai sentire
vecchia!-.
Ma il giovane elfo era già volato fuori, e all'umana non
restò altro che osservarlo allontanarsi con i bimbi e, con
qualche brontolio, richiudere la porta dietro di loro.
-Ragazzi, voi che avete chiesto
allo spirito di Yule?- chiese Osses mentre scendevano
giù dalla collina in direzione di Malie.
-Io voglio imparare a guarire
la gente e aiutarla a combattere i cattivi!- rispose con
fierezza Infaustus, ergendosi in tutto il suo metro scarso di altezza.
-Ma i nani fanno armi, mica
curano! Dove vorresti andare, con le cure?- lo
canzonò Pendragon, che per fortuna non gli era vicino.
-Non è vero!
Questo non vuol dire niente!- si scaldò il piccolo
nano, arrossendo per la rabbia.
-Bambini, non litigate, su.
Pen, invece di prendere in giro un amico, perché non ci dici
cosa desideri?-
li riprese con decisione Osses, ormai abituato a stroncare i litigi sul
nascere.
-Io voglio una spada, grande
come quella di papà, e imparare a lottare come lui!-
esclamò il piccolo mezzorco.
-Ma se sei alto un tappo e
mezzo e forte meno, pensi davvero di diventare un guerriero come lui?-
rispose il suo gemello, Tsadock.
-Piuttosto, perché
non fai come quei berserker? Sei sempre arrabbiato con tutti, puoi fare
così- continuò, senza dare tempo al
fratello di rispondergli male, come suo solito.
-Bhe, la via del Barbaro non
è poi così male, no Pen?- gli chiese
Osses, accarezzandogli la testolina. Lui fece spallucce, ma non rispose.
-A me quelli fanno paura.
Tanta. Quando l'ira li prende distruggono sempre tutto...-
sussurrò Ash prima di stringersi di più contro lo
zio, intimorito al solo pensiero.
-Oh avanti Ash, se sei loro
amico non ti faranno alcun male, mai!- replicò
Grimbull, che intanto gli si era avvicinato.
-E se succedesse, ti
proteggerò io. Quando sarò grande
diventerò fortissimo, vedrai che ti difenderò a
colpi di spada!-
Ash, a quelle parole, gli rivolse un timido sorriso e un "grazie"
mormorato.
-Io invece voglio aiutare
Infaustus- affermò Tsadock, tra lo stupore
generale?
-Aiutarmi?- gli
chiese dubbioso il nano.
-Sì! Tanto per
guarire e lottare dovrai scegliere una divinità o un ideale
che facciano emergere la magia per entrambi, no? Ecco, io
seguirò un dio per coprire le spalle a tutti-.
Infaustus parve rifletterci un po' su, ma alla fine annuì,
abbastanza convinto.
-E tu Guzma? Cosa pensi di
fare?- chiese Osses al piccolo umano, che per tutto il
viaggio era stato in testa, perso in chissà quali pensieri.
-Cosa voglio fare?-
ripetè, pensieroso.
Erano quasi giunti alle porte di Malie, già s'intravedevano
i primi affollamenti su una delle strade principali.
Guzma osservò quel viavai ancora lontano di persone, poi
alzò lo sguardo verso Osses.
-Io voglio continuare a
suonare e diventare come mamma-. Piccola pausa.
-Perché quando
suono Plumeria sta meglio e gioca sempre con noi. Ma adesso, zio Osses,
neanche la musica di mamma la fa stare bene. Piange sempre e ha la
testa che le fa male, tanto-.
A quelle parole Osses sentì un groppo alla gola. Nessuno dei
bambini osò contestare le parole dell'albino.
-È vero, zio
Osses. Plu sta sempre male. Che le succede?- gli chiese
Infaustus, preoccupato.
-Quando proviamo a bussare ci
urla sempre di andarcene- brontolò Pendragon.
-Io...-
cominciò l'elfo, a disagio.
-Come l'aiutiamo, zio?
Vogliamo che torni a giocare con noi- chiese Ash mentre gli
tirava un lembo del giaccone, cercando di attirare la sua attenzione.
-Un modo ci sarebbe, anche se
non è proprio permanente- rispose Osses mentre
entravano in città e guidava i piccoli in mezzo a strade e
vicoli, cercando di non dare troppo nell'occhio.
-Vi ricordate il regalo che
volevamo farle tutti assieme? Ecco, sono riuscito a trovare un chierico
tiefling in grado di crearlo. Dobbiamo solo ritirarlo-
-E poi starà bene?
Dovrà sempre averlo con sé?-
continuò Grimbull, che s'era infilato fra Ash e Osses.
-Certo che starà
bene! Anche se, sì, dovrà sempre portarlo con
sé- rispose paziente l'elfo, riprendendo per mano
il nipotino irritato da quella intrusione.
-Ma adesso non disperdetevi,
bambini. Dobbiamo prendere i fuochi d'artificio, siamo arrivati al
negozio!-.
A sentire ciò Guzma gridò felice e corse dentro
la bottega dov'erano tutti diretti: gestita da un noto mago
specializzato in Piromanzie e studi sui Piani, spesso e volentieri a
gironzolare fra le cose del padre vi era il figlio in apprendistato, un
coetaneo del resto dei bambini e l'unico esterno a sapere di Plumeria.
-Ragazzi, aspettatemi...-
mormorò il giovane, allungando il passo dopo che tutti
quanti decisero d'ignorarlo e seguire l'umano.
I fuochi
d'artificio chiusi sottochiave nello sgabuzzino: fatto. Lydia ci aveva
pensato personalmente.
I regali erano sistemati vicino al grande albero, i bambini dovevano
aspettare fino a sera per scartarli. Avevano deciso di comune accordo
di andare prima da Plumeria, con la speranza che sarebbe scesa con loro
per avere prima il suo, di regalo, date le sue condizioni.
Ma, per idea di Tsadock, avevano comunque portato il pacchetto con
loro, nel caso servisse.
Nonostante il brontolio impaziente di Pendragon alla fine tutti quanti
salirono le rampe di scale, Guzma in testa, per raggiungere la porta
perennemente chiusa della camera della bambina.
-Sei già sveglia
oppure dormi?
Giochiamo insieme dai!
Da quando non ti vedo
più, mi sento giù, mi manchi molto sai!
Noi siamo tanto amici, o
forse no? Che cosa ti ho fatto mai?
Se tu vuoi spiegarmi come,
faremo un bel pupazzo insieme!- cantilenò Guzma
una volta arrivato alla porta e alla relativa serratura, con la
speranza di farsi sentire meglio.
Pendragon e Tsadock ridacchiarono fra loro, ma il resto dei bambini, in
ansiosa attesa, si radunò attorno all'albino per sentire la
risposta.
-Vattene via!-
ribatté una voce femminile al di là della porta.
-Ma...-
mormorò il bambino, ferito da quelle parole brusche.
-Lascia fare a me, Guzma. Ok?-
gli chiese con tono gentile Osses, appoggiando le mani sulle sue spalle
e chinandosi per raggiungerlo.
Il piccolo annuì in silenzio, cercando di trattenere le
lacrime.
-Plumeria? Sono io, zio
Osses. Aprimi, per favore. Verrò da solo, gli altri bambini
resteranno fuori se vuoi. Ma, per favore, aprimi: così posso
aiutarti!-
A quelle parole la porta s'aprì di poco, giusto uno
spiraglio verso l'interno in penombra.
I bambini arretrarono di un passo, Osses entrò e si richiuse
la porta alle sue spalle.
Le imposte, come aveva intuito l'elfo da fuori, ancora non erano state
aperte. Il lettino non era ancora stato rifatto, armadio e scrivania
avevano graffi e morsi nuovi. A terra c'erano piccole piume nere sparse
ovunque.
Nell'angolo alla sua sinistra ecco un tremante fagottino fatto di
vestiti stropicciati, ali sparute dalle piume corvine, coda terminante
con una punta acuminata e piccole corna sulle tempie.
-Plumeria?- la
chiamò Osses con la stessa gentilezza di prima.
La piccola tiefling alzò lo sguardo verso di lui,
scostandosi i capelli rosa e gialli.
L'elfo le si avvicinò, le si sedette accanto e
l'abbracciò delicatamente. Lei smise di tremare, ma a
smettere di singhiozzare non ne voleva sapere.
-Zio Osses, fa male... fa
tanto male...- ripeteva in continuazione, premendosi le
manine sulla testa e piangendo via via più forte.
-Plu- le
sussurrò lui, massaggiandole le tempie e provando a usare un
po' di magia per alleviarle il dolore.
-Continuano a parlare, zio
Osses! Mi ordinano di uccidere, vogliono il loro sangue. Zio Osses!-
mormorò tutto d'un fiato, alzando lo sguardo per guardarlo
con i suoi occhi gialli e dorati, come quelli di una gatta, ricolmi di
lacrime e angoscia.
-Io non voglio uccidervi,
ma... ma zio Osses, non ce la faccio più. Non ce la faccio!
Continuano a sussurrare, a parlarmi e a farmi del male! Non devono
più avvicinarsi a me, altrimenti...-
singhiozzò ancora senza finire la frase, stringendosi ancora
più forte al ragazzo.
-Plumeria, ascoltami-
sospirò Osses mentre le accarezzava la schiena e le piccole
ali per calmarla.
-Comprendo che tu voglia
proteggere me e i tuoi amici dai tuoi impulsi. Capisco che ti senta un
mostro per quello che sei, ma io non sono d'accordo. E non lo sono
neanche gli altri bambini-.
A quelle parole la tiefling smise di piangere e alzò di
nuovo lo sguardo verso di lui, scettica.
-A nessuno qui importa se hai
delle ali, due corna o una coda. Nessuno ti tirerà sassi o
insulti per il tuo retaggio. Qui ti amano tutti, soprattutto io e i
bambini.
Loro ti adorano, Plumeria, e
lo sai bene. Ti hanno trovata loro in mezzo alla foresta, in balia di
pericoli e predatori. Eppure allora, invece di farti del male,
t'invitarono a giocare con loro e a venire a conoscermi. Ti ricordi?-.
A quelle parole la bambina annuì decisa, poi diresse lo
sguardo verso la porta.
Osses seguì il suo gesto: Guzma e Infaustus erano entrati di
soppiatto e tenevano fra le braccia due scatole: tra le mani del nano
c'era l'ultimo regalo preso a Malie. Invece il ragazzino aveva il suo
vecchio carillon, regalatogli anni e anni prima dalla madre.
Ash e i tre mezzorchi si erano affacciati alla porta incuriositi, ma
troppo intimoriti per poter proseguire.
-Plumeria, noi...-
cominciò Infaustus. Indeciso su come proseguire, il nano
guardò prima Guzma, che lo invitò con lo sguardo
a continuare, e poi gli altri quattro, che si ritrassero un poco dietro
la porta aperta.
-Ecco... ti abbiamo portato
questo. Zio Osses ha detto che aiuta quelli come te a stare meglio, per
cui oggi siamo andati a prenderlo dal tiefling che l'ha costruito-
concluse poi, avvicinandosi a loro due, poggiando la scatola accanto
alla bambina e sedendosi dietro a questa.
Guzma lo seguì a ruota e si piazzò vicino a lui,
con ancora la sua scatola fra le mani, recuperata forse mentre Osses
parlava con Plumeria.
Gli altri bambini si decisero a entrare e a sedersi poco dietro ai due,
in attesa di quello che sarebbe successo.
Plumeria lo guardò uno a uno con aria dubbiosa. Poi si
spostò verso il misterioso pacchetto e lo scartò
con cura. Una volta aperta la scatola, prese l'oggetto protetto da
carta stropicciata e lo sollevò: le sue mani stringevano con
reverenda delicatezza un cerchio d'argento, simile a un'aureola.
-Cos'è?-
chiese incerta.
-Zio ha detto che
è una... un'Aureola della Calma Interiore- le
spiegò Ash, che nel frattempo s'era avvicinato.
Plumeria guardò l'elfo, in cerca di conferme.
-Su, forza, indossala-
la invitò lui con un sorriso.
Senza troppa convinzione, la tiefling si portò l'aureola
sulla testa. Immediatamente l'oggetto cominciò a fluttuare a
pochi centimetri dai suoi capelli.
Sorpresa, la bambina si guardò attorno con occhi spalancati,
per poi tornare a guardare l'elfo, colma di meraviglia.
-Zio Osses, non le sento
più! Non sento più le voci, non mi fa male
più nulla!- esclamò, estasiata.
-Adesso tornerai a giocare
con noi?- le chiese a mezza voce Guzma.
Plumeria sorrise e scosse la testa per esprimere il suo assenso, ma poi
indicò la scatola che l'albino teneva.
-Prima però vuoi
suonarlo? E' da tanto che non lo sento- gli chiese.
E mentre il resto dei bambini scoppiò a ciarlare e a
incoraggiare l'amico, Osses si alzò per andare ad aprire le
imposte.
Il vento dell'inverno e la luce del mattino penetrarono in quella
oscurità sulle note cristalline di un carillon.
Osses li
sorvegliava da sotto il suo albero preferito.
Nel Giardino di Malie c'era neve a sufficienza per farli contenti, non
ce n'era abbastanza per metterli in pericolo e per impedire alla natura
di vivere nonostante il freddo.
Guzma e Plumeria cercavano di pattinare sul ghiaccio del laghetto del
Giardino: o, per essere precisi, la piccola tiefling cercava di aiutare
il suo amico umano a tenersi in piedi.
Osses sorrise: loro due non avevano altri amici all'infuori dei bambini
del Kamigakushi, ma per ora non sembrava pesargli.
"Sono tutti dei rifiutati dalla
società, mezzosangue o troppo diversi dagli standard"
pensò mentre osservava Ash e Infaustus che discutevano sulle
fonti magiche migliori, se quelle divine o naturali, o che fossero
innate o frutto di studio.
"Ma a noi va bene così. Non
vogliamo altro che restare assieme" continuò
sereno mentre spostava lo sguardo ai tre mezzorchi che correvano come
forsennati: Tsadock e Pendragon stavano litigando su qualche cosa,
Grimbull aveva messo in pratica un vecchio detto e aveva tentato di
arraffare l'oggetto conteso, facendosi però scoprire e
attirando l'ira dei cugini.
"Sì. Va tutto bene".
Si era
allontanato solo per un giorno.
Non doveva succedere niente.
Era tornato a Malie per passare il Capodanno umano assieme a dei
colleghi apprendisti.
Aveva sottovalutato i bagliori che provenivano dall'alta collina, in
lontananza.
Aveva pensato con leggerezza che si trattassero dei classici fuochi
d'artificio che venivano scoppiati, quei fuochi che il padre del
piccolo Kukui gli aveva consegnato. Quel mago gli aveva detto che erano
sicuri.
Ma quando i bagliori si trasformarono in vampe Osses capì
che la tragedia era appena iniziata.
Era arrivato assieme ai soccorsi, assieme all'acqua, assieme a una
salvezza rivelatasi tardiva.
Tutti i clienti erano salvi, complice il fatto che non si trovassero al
Kamigakushi per via delle feste a Malie.
Ma Akareth, Lydia, i bambini -i suoi bambini!-
e i loro genitori che lavoravano lì, loro... loro
continuavano a bruciare.
La frenesia del momento aveva annebbiato la sua mente, tanto da
isolarlo dal resto del mondo: contava solo l'acqua che versava ed
evocava, contava solo il fuoco che riusciva a estinguere.
"Zio Osses!" sussurravano delle voci
di bambini. Forse era il vento, forse l'incendio che dilagava, forse
allucinazioni, figlie della sua disperazione.
Le fiamme danzavano e divoravano: sibilavano divertite davanti alla sua
impotenza, ne ridevano a crepapelle.
In fondo, era solo un apprendista, un elfo che aveva superato
l'infanzia solo da poco. Era completamente inutile di fronte alla morte.
"Zio Osses! Aiutaci!" continuavano a
sussurrare le voci dei bambini, sempre più forti, sempre
più strazianti.
"Aiuuuutaaaaciiii!"
Osses non ce la fece più: sentì la mente
crollare, cadde in ginocchio, affondò le unghie nelle guance
fino a far uscire il sangue, reclinò la testa all'indietro e
urlò.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** 2 A Dream Of Spring. ***
2 Dream of Spring
Lo sapeva
Lo sapeva ormai da un bel pezzo ormai: da quando tutti, quando erano
immersi nel lago di mondi e mondi fa, avevano trovato ustioni sui loro
corpi. Tracce del fuoco che aveva minacciato d'inghiottirli tutti
quanti che il tempo aveva sbiadito, assieme alla loro memoria. E le
avevano trovate curiose, visto che sembravano avere tutte un senso
comune.
D'altronde erano tutti piccolissimi quando il Kamigakushi
bruciò. Erano così piccoli quando attraversarono
varchi per altri mondi, varchi verso la salvezza, varchi verso la vita.
Chi li aveva aperti, quei varchi? Uno stregone invitato da Akareth
quella notte, per festeggiare assieme alle altre quella notte in
maniera particolare.
Come potevano ricordarlo dopo così tanto tempo?
Anche lui aveva rischiato di dimenticare.
Eppure, a guardarli in quel momento, il vecchio Osses si chiedeva come
aveva fatto a scordarsi di tutto nonostante i secoli. Plumeria e Guzma
pattinavano assieme sul laghetto di Malie con una grazia quasi
ultraterrena, complici forse i vent'anni passati a correre e a saltare
in mezzo alle foreste, o forse grazie alle ultime avventure che li
avevano forgiati.
Infaustus e Ash parlavano di un argomento che da un bel po' animava le
loro discussioni: magia divina o magia degli elementi?
Osses ormai non interveniva più in quel genere di confronto:
al massimo, si riscuoteva e tergiversava. Differenze simili perdevano
di valore una volta raggiunta una certa età.
Tsadock e Pendragon, come sempre, bisticciavano riguardo la
quantità di denaro da spendere per le armi e su quali
ripiegare. A quanto pare la differenza fra lo stile di lotta di un
Inquisitore e di un Barbaro non contava ancora gran che, per loro.
Il vecchio elfo, nello sporgersi dall'albero su cui si era appoggiato
per guardarli meglio, non fece a meno di sorridere leggermente nel
vedere il cugino dei due, Grimbull, sfruttare la situazione per
arraffare i risparmi dei due ignari mezzorchi e sgattaiolare via.
Ma il Guerriero, invece che farla franca, fu rapidamente scoperto dai
suoi due simili: le urla in orchesco e le corse dei tre attirarono
l'attenzione non solo di Osses, ma anche del resto del gruppo e dei
sfortunati che passavano quel giorno di fine anno nel Giardino, che
dovettero sloggiare il più lontano possibile pur di non
essere travolti.
A risolvere la questione con le persone coinvolte fu la diplomazia di
Guzma e Ash, che convinsero gli scontenti a non dare troppo peso alla
cosa, a lasciar perdere. A rimproverare i tre, tutti malridotti per le
botte che si erano dati l'un l'altro, ci pensò Infaustus,
parecchio seccato per esser stato interrotto nella sua discussione col
Druido, e Plumeria, che riuscì a sequestrare ai mezzorchi il
denaro incriminato senza commettere l'errore di Grimbull e non farsi
scoprire.
"Sono cresciuti. E' normale che non mi
chiedano più di risolvere i problemi al posto loro"
pensò il mago mentre li seguiva con il suo passo un po'
sbilenco: la sera calava, a Malie si sarebbero tenuti i festeggiamenti
per Yule, nessuno voleva perderseli per nulla al mondo.
"Solo Larethian sa quanto tempo sia passato.
Io ho passato secoli e secoli alla ricerca dei miei ragazzi e
nell'approfondire le arti magiche, e loro? Per loro, nei loro mondi,
non è passato neanche mezzo secolo".
Avevano passato tutti i quartieri residenziali di Malie, pullulanti di
persone dalla più diversa etnia e in compagnia di quegli
esseri magici che Osses ricordava vagamente.
Andando più indietro coi ricordi, forse poteva rievocare
sfocate immagini di un essere come quelli: assomigliava al falco che,
nei momenti di difficoltà, chiamava sempre per accecare gli
aggressori e che una volta li aveva salvati, indirettamente, dalla
furia di un'Idra. Ma quello di secoli fa... quello di tanto tempo fa
aveva un altro nome, aveva un altro aspetto: le piume sul dorso erano
marrone chiaro, quelle sul ventre giallo pallido. La coda era composta
da quattro, forti piume rosse. Sulla testa aveva una cresta gialla e
rossa, lunga e bellissima.
"Com'è che si chiamava?"
si chiese il mago mentre entrava nell'immensa locanda dove i
festeggiamenti sarebbero partiti, sedendosi in un angolino mentre gli
altri si sparpagliavano per l'enorme salone.
"Ah, sì, ora ricordo. Pidgeot, si
chiamava. Sì, era proprio lui!" pensò
soddisfatto.
"... E comunque, ora che ci penso, questo
posto mi ricorda troppo il Kamigakushi" riprese dopo qualche
momento. In effetti, in cosa differivano quel posto e quei
festeggiamenti a quelli di tanti, tanti anni fa?
In mezzo al salone vi era lo stesso albero bianco, addobbato come di
consuetudine. C'era il bancone in fondo, proprio di fronte all'entrata.
I tavoli erano disposti in cerchio attorno all'albero. C'era un odore
particolare nell'aria, un odore sottile, qualcosa difficile da
cogliere. Qualcosa che sapeva di gioia, ma che suonava come un
avvertimento.
Tutto gli sembrava pericolosamente familiare.
-Sono cambiati dall'ultima
volta che li ho visti- gli parlò un giovane uomo
che s'era seduto accanto a lui.
Nel girarsi e nel guardarlo, Osses riconobbe l'Arcanista che li aveva
aiutati una volta che Guzma li aveva condotti tutti in quel mondo che
lui chiamava "casa".
Com'è che si chiamava? Kukui? Sì, era quello
sposato con la studiosa di Piani.
-Sono cresciuti, 'ses! E noi
siamo cresciuti con loro- annuì l'elfo. Kukui
stava guardando Guzma, che nel frattempo era saltato su un tavolo per
cominciare a suonare selvaggiamente il violino, e Plumeria, che
serpeggiava silente fra i tavoli per assicurarsi che tutto andasse per
il verso giusto.
Ormai lui era riuscito a farsi accogliere dalla società che
in passato lo aveva rifiutato, non era più un reietto. Lei
ormai non era più "il mostro" a cui tirare sassi, non era
più l'aberrante punizione mandata sull'arcipelago per
chissà quale motivo.
Osses però guardava anche al resto dei ragazzi, uniti in
quel momento dal canto e dalla musica del loro bardo: Ash aveva
risposto al richiamo della natura e trovato il suo cammino personale,
Infaustus era riuscito finalmente a diventare un guaritore e guerriero
di prim'ordine. Tsadock aveva trovato un compromesso fra magia e
combattimento, Pendragon era riuscito a incanalare la sua ira e
Grimbull a combinare tecnica e forza.
- 'ses?-
ripetè Kukui, avvicinandosi un poco al mago per osservarlo
meglio, come se lo vedesse per la primissima volta.
-Eh?- si riscosse
l'elfo, che ricambiò lo sguardo curioso del giovane moro con
aria smarrita.
-Io e te ci conoscevamo
già. Prima di tutto questo, intendo-
affermò l'Arcanista.
-Osses... Osses non ha
memoria di questo- ribattè il vecchio, ancora
più confuso di prima. Negli ultimi tempi la sua memoria
cominciava a non funzionare come un tempo: ma, ne era sicuro, non aveva
mai visto Kukui prima di quel momento.
-Sarà, ma io penso
che ci siamo incontrati, un tempo. Sei proprio sicuro di non ricordare?-
Osses aggrottò la fronte e tornò a guardare al
centro della sala, dove Guzma stava terminando la sua esibizione.
Nel vedere il ragazzo balzare giù dal tavolo, un frammento
di un ricordo tornò alla mente: un ragazzino, uno dei pochi
amici dei suoi bambini, con un padre mago e circondato da portali...
-Kukui!-
esclamò, voltandosi di nuovo verso l'uomo.
-...Zio Osses? Eravamo
tutti...-.
Non finì mai la frase.
Dal retrobottega si sentì l'eco di un'esplosione.
Passò solo un istante di silenzio generale: prima che
l'incendio esplodesse e divorasse le prime strutture già
tutti gridavano e si precipitavano fuori, alla rinfusa, calpestandosi a
vicenda per trarsi in salvo a discapito del vicino.
"Moriranno innocenti!"
pensò disperato l'elfo, arrampicandosi sopra il tavolo per
non farsi travolgere dalla folla.
Kukui era schizzato via per dare manforte ai ragazzi: Osses
già sentiva Pendragon andare in ira per sfondare gli
ostacoli, la musica frenetica di Guzma e le urla di Tsadock e Grimbull
indirizzare i fuggitivi verso le vie più sicure. In mezzo
alle fiamme crescenti, Osses non riusciva a scorgere Ash, Plumeria e
Infaustus.
"Sono tornato nel passato, forse? Dove sono i
miei ragazzi? Stanno rischiando la vita per aiutare feriti e quelli
rimasti intrappolati più su?" continuò
disperato l'elfo mentre li chiamava a gran voce, in mezzo al fuoco.
Le ombre delle ultime persone correvano a fianco a lui, cercando la
tanto agognata uscita.
"Zio Osseees!" sussurravano deboli
voci di bambini.
L'incendio stava facendo crollare le colonne portanti del grande
locale: eppure in quell'inferno un bardo continuava a suonare
imperterrito e dei mezzorchi a urlare per salvare le ultime anime.
L'ombra di una tiefling guizzò via, trasportando sulle
spalle due piccole masse vagamente umanoidi.
"Zio Osseeees!" imploravano. Di Ash
e Infaustus nessuna traccia, se non cenere e voci indistinte.
L'elfo ebbe un fremito prima di levare le braccia verso il cielo.
Qualcuno lo chiamava a gran voce al di là dei muri di fiamme
e del legno.
"Zio Ooosseees! Aiuto!"
Il mago alzò il capo, con gli occhi chiusi per cercare
invano di fermare le lacrime, e cominciò a borbottare parole
d'incantesimi noti solo a lui.
Le fiamme ormai avevano divorato la maggior parte del locale ma, appena
sentirono la magia cantare attraverso il vecchio elfo, si tramutarono
in bestie luminose per scagliarsi felici verso la nuova presenza.
"Bambini. Bambini, no, non piangete. Zio Osses
è qui con voi" pensò tra i singhiozzi e
le parole magiche. La morsa crudele del fuoco si faceva sempre
più stretta, esseri attorno a lui cercavano di aiutare altri
a salvarsi e di raggiungerlo.
"No no, bimbi miei. Andate via, non piangete,
scappate via. Osses è qui per proteggervi. Questo fuoco vi
divorerà anche se siete cresciuti così tanto.
Andate via da qui. Io ormai sono solo uno stupido vecchio".
Bastavano solo leggeri movimenti delle braccia per dare alle fiamme
vorticose quella di una colonna di fuoco, ma la pressione si faceva via
via più insostenibile. Un macigno premeva sopra il cuore, il
calore gli mangiava la pelle, il fuoco gli asciugava le lacrime e
rendeva il suo corpo sempre più avvizzito.
La colonna arrivò al limite, bastavano solo pochissimi gesti
e tutto sarebbe finito.
Osses piangeva a dirotto -o almeno, così credeva: chi lo
sapeva cosa sarebbe uscito dalle ustioni e pus che lo avrebbero
ricoperto?- mentre li compiva.
Gli avevano già raccontato della vita che scorreva negli
istanti che precedevano la morte: lui stava rivivendo la sua
gioventù, e ciò era più doloroso di
qualsiasi altra fiamma.
Sentiva di nuovo le manine dei suoi bambini che lo prendevano, i loro
abbracci, i loro chiacchiericci. I loro sguardi, i loro sorrisi, le
loro facce che con l'età crescevano e cambiavano. E che
urlavano il suo nome mentre bruciavano.
Osses spalancò le braccia, abbandonandosi al suo sacrificio.
Il fuoco ululò prima di disperdersi nell'aria.
Si sentì cadere fra la cenere e il carbone, col corpo
incendiato e con l'anima a pezzi.
Si sentì chiamare dalle voci dei suoi ragazzi. Li sentiva
piangere e pregare, tutti.
Si sentì sollevare in alto e trasportato chissà
dove. Ma, annilichito com'era, a malapena era riuscito a ritagliarsi un
angolino nel suo inconscio per rifugiarvisi, tremante come un pulcino,
in attesa che tutto finisca.
"Bambini miei. Vi avevo promesso che vi avrei
protetto. L'ho fatto bene? Bambini..."
Era a letto
privo di forze, immobile, paralizzato. Era collegato a migliaia di fini
tubicini, attaccati a scatole metalliche di cui ormai conosceva le
funzioni a menadito.
Era così malato, così ferito. Così
irrimediabilmente spezzato. Dentro di sè sentiva solo
dolore, solo vuoto, solo un lunga mancanza che sapeva di straziante
agonia.
Sentiva la morte che avanzava leggera, mascherata da giovane donna
dalla pelle pallida, dai capelli corvini e dal vestiario nero.
Stringeva fra le mani una Chiave della Vita bianca e gli rivolgeva un
sorriso amaro.
-Zio Osses?-
Caldo e freddo, a sinistra e a destra. Una dolce presenza accanto a
lui, dall'altra solo il vuoto. Voce e silenzio. Cenere e Morte.
E un grande nulla tutto intorno.
-Zio Osses!-
Voce e silenzio, luce e ombra, il dolce ignoto che gli prende la mano
per condurlo oltre il Velo degli Dei, verso nuovi orizzonti, lontano
dai suoi preziosi bambini.
Ash, angelo mio, io sono pronto, lasciami morire. Del mio cuore non
restano altro che braci.
-Zio Osses, svegliati! Fuori
c'è la neve, il sole è già alto e non
vogliamo uscire senza di te-.
I sensi lo stavano abbandonando, lasciando il posto a un silenzio che
dava sul nulla.
No Ash, non posso alzarmi più. Bambino mio, non piangere:
non ce la faccio a venire con voi. Siamo stati felici e fortunati
assieme, vedrai che lo sarete anche senza di me. Non ti preoccupare.
Avete tutta la mia anima, l'avete avuta da sempre.
E continuerete a sentirmi, come io ho sempre sentito le vostre voci
nella mia mente. Basterà solo un po' di allenamento. Ma io
sarò lì, con voi, per
sempre.
-Zio Osses...-
I due sussurri si persero in un silenzio assordante.
Il cuore si fece di pietra.
Il mondo si tinse di nero, il suo corpo perse ogni tipo di consistenza.
In sottofondo, appena sussurrate, come se fossero suonate in un punto
indefinito e lontane, le note di un carillon.
NOTE
AUTRICE:
Eeeee
nulla. Anche questa è
completa.
Devo dire che sono riuscita a stupirmi:
arrivare tranquillamente alla scadenza, senza affrettarmi all'ultimo,
non capita spesso con me. Ma va bene così, è un
piccolo traguardo.
Come anticipato dall'intro: questa mini-long
è basata su un "What If?" che coinvolge il mio party di
Pathfinder.
Trasportare tutti i personaggi in
un'età decisamente più giovane del normale
è stato... strano. Ma anche divertente, in un certo senso.
È bello vederli tutti in una sfera ben al di fuori delle
"classiche" avventure che Pathfinder potrebbe regalare, in modo da
sviluppare situazioni che in un altro contesto non potrebbero mai
svilupparsi. No?
Piccoli chiarimenti in più:
Corellon Larethian, per i profani, è il dio elfico della
magia, delle arti e della guerra, oltre che "rappresentante" divino
della razza elfica.
La musica che il carillon di Guzma produce
all'inizio, nella stanza di Plumeria, è -ovviamente- la
stessa che Osses sente alla fine, ed è questa
qui.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3732509
|