Guardians

di nightmerd
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** È lo stress ***
Capitolo 2: *** Io non ti credo ***



Capitolo 1
*** È lo stress ***


NOTE INTRODUTTIVE: Ho scritto solo due storie in vita mia. La trama era mediocre, e credo che lo sia ancora.
Nonostante ciò, questa è la seconda opera che scrissi e, dopo aver apportato alcune modifiche, non me la sono sentita di abbandonarla. 

La scrissi che avevo quindici anni ed ero fissatissima con angeli e demoni - il genere andava pure molto di moda, in quel periodo.
La trama di questa storia non è stata affatto ritoccata né modificata radicalmente. Mi sono limitata ad aggiustare la coerenza qua e là, e riscrivere semplicemente i capitoli in modo più corretto. Non volevo toglierle quell'infantilità, non so, l'ho amata così com'era, non ho voluto modificarla.
È una storia infantile e leggera sotto certi aspetti, nonostante le tematiche trattate, e anche lo stile con cui è scritta è molto semplice e MOLTO POCO articolato. Spero comunque che possa risultarvi una lettura piacevole.
La trama potrebbe risultare banale, viste le storie che ormai girano su EFP e Wattpad, ma per l'epoca in cui la pubblicai era all'avanguardia HAHAH!

La storia nella sua versione originale è ancora presente su EFP. Non me la sono sentita di cancellarla, scusate-

 

 


È colpa dello stress.
Come no, dicono sempre così.
Quando vai da un medico per spiegazioni concrete a fenomeni particolari, è sempre colpa dello stress. Loro mi stressano, con queste affermazioni idiote, altro che.
Sono mesi ormai che chiedo a destra e a manca, a medici e neurologi di vario genere, a cosa fosse dovuto il costante fischio nella mia testa. All’inizio pensai fosse un problema di udito, che ne so, ma le mie orecchie non hanno proprio nulla che non va. È tutto nella mia testa ed è questa la cosa peggiore.
Avevo intenzione di iscrivermi all’università, ma a causa di questo problema non riesco a concentrarmi e studiare sarebbe impossibile. Non riesco neanche a farci l’abitudine: come mi distraggo un po’ e smetto di far caso al fischio, questo si intensifica.
Ormai non so più dove andare a sbattere la testa. In tutti i sensi.
Ma io sono una testa di legno, e le provo tutte pur di distrarmi un po’.

Per esempio ora sono con la mia amica Esther al bar in cui lavora, e mi racconta delle ultime novità.
«Spero che mi chiameranno presto, per il concorso in polizia» mi dice, è seria ma i suoi occhi sono sognanti.
Esther era nella mia classe alle superiori. È la mia migliore amica dal primo liceo ed è una bomba di energia positiva. Davvero, la mia vita è più luminosa da quando c’è lei. Con quei capelli ricci e rossi come fiamme, quegli occhi enormi e ambrati, sembra una fiammella ambulante. A volte è una sconsiderata, ma ha un senso della giustizia disarmante e sono felice che abbia fatto il concorso per entrare in polizia!
«Se non ti chiamano sono pazzi»
«Tu invece? Qualche bella nova
«Ho fatto la visita dal neurologo, stamattina. Quello in gamba, che ti dicevo l’altro giorno, sai…»
«E…?»
«E niente. È lo stress» giro il cucchiaino nella tazzina di caffè, e la guardo da sotto le ciglia con aria eloquente. Chi vogliono prendere in giro?!
Esther mi capisce al volo e trattiene una risata. O almeno ci prova, le esce un grugnito orribile tipico dei maiali. Ma lo ha fatto lei, quindi risulta aggraziato.
«Sei la persona più stressata del mondo, eh?»
«Eh. Conduco una vita davvero agitata, stressante. Non immagini. È la mia vita segreta» replico con amaro sarcasmo.
Lei scuote la testa, divertita, e prende il cellulare. «Ho conosciuto una persona. Non esattamente un medico ma credo che potrebbe aiutarti con la tua situazione attuale»
«Se anche lui da colpa allo stress, ti vengo a prendere per i capelli. Avvisata»
Esther scoppia a ridere, con quella sua voce serena e cristallina. «Non è il tipo! Lo conosco, sicuramente ti aiuterà!»
Mi faccio passare il numero e decido di chiamarlo in serata.
Do un’occhiata al mio orologio da polso, sono già le tre del pomeriggio ed è ora di andare a riaprire la libreria in cui lavoro. Altrimenti il capo mi fa una testa come un pallone!
Fortunatamente non è molto lontano dal bar in cui lavora Esther. Solo un paio di isolati più su sulla Ramblas.

Arrivo alla libreria, ma il mio capo l’ha già aperta.
È un signore anziano, la schiena gobba e gli occhiali tondi sulla punta del naso aquilino. Non ha la barba, solo capelli radi e candidi sulla testa. Spesso gli ho chiesto perché, essendo così anziano, non se ne andava in pensione; la sua risposta è stata sempre la stessa: “È la libreria da famiglia, e non ho eredi, finché sarò in vita la gestisco io.”
Un tipo tosto.
«Signor Gutierrez! Ho fatto tardi?»
«Sette minuti di ritardo, Delgado. Sette!»
«Il caffè è durato più del previsto» cerco di scusarmi, mentre poso la borsa sul retro e metto il cartellino con il nome sulla camicia.
Il signor Gutierrez mi dà incarichi precisi: sistemare i nuovi arrivi sugli scaffali, riordinare il macello che fanno i bambini quando entrano, controllare gli ordini e tutte queste cose noiose.
La libreria è davvero grande. Ci sono varie sezioni perfettamente ordinate – eccetto quella dei bambini, s’intende – e i libri sono tutti allineati. Il signor Gutierrez è bravo a gestire l’impresa familiare. Ciò non toglie che è ora di andare in pensione.
Gli scatoloni con i nuovi arrivi sono sotto il bancone della reception, ma almeno sono già in ordine di genere. Thriller, romantici, biografie, spiritualità.
...Aspetta, spiritualità?
«Signor Gutierrez, ha aperto una nuova sezione?»
«No»
«Ci sono libri sulla spiritualità. Forse ha sbagliato ordine»
«Sezione Misteri e Occultismo, Delgado. Datti da fare» e mi liquida con un gesto della mano.
Mi imbroncio e comincio a riordinare dai libri romantici, i più noiosi.
Preferirei concentrarmi sul fischio nella mia testa piuttosto che leggere questa roba melensa, lo giuro. Mi tengo i libri spirituali per ultimi ma sono comunque restìa a sistemarli.
Non ho mai creduto in Dio, in Satana, e in tutte quelle robe lì.  Se non vedo non credo, punto e fine.
Mio padre invece era credente e mi ha sempre considerata un po’ blasfema: cercava di farmi apprezzare la religione, anche una qualunque, ma purtroppo è finito per farmi saltare i nervi ancora di più. Effettivamente non ho mai avuto molta pazienza.
I libri nella cassa contrassegnata con “Spiritualità” sono testi apocrifi e vangeli scartati.
Non me ne intendo, non ho mai aperto una Bibbia, ma sono quasi sicura che non c’è il vangelo di Giuda Iscariota, tra quelli del libro. Beh qui c’è però, e a questo punto sono curiosa di sapere il punto di vista del cattivone della storia di Cristo.
Leggendolo, noto che non è il brutto ceffo che volevano farci credere poiché il suo “tradimento” era in realtà un favore che gli aveva chiesto Gesù Cristo per liberarlo dal corpo fisico. Alquanto interessante, da una visione delle cose diversa.
Tra una pagina e l’altra, si è fatta l’ora di cena e io devo tornare a casa. Mi aspetta una pizza surgelata tutta da riscaldare e una chiamata telefonica al tizio che può aiutarmi. Una serata allettante, oserei dire.
 
«Pronto?»
Mi risponde una voce dal timbro sporco, magnetica. Parla spagnolo, ma il suo accento è strano.
«Salve, mi chiamo Beatrìz Delgado. Una mia amica, Esther, dice di conoscerla e mi ha passato il suo numero. Non ho neanche chiesto il suo nome, mi perdoni. Ad ogni modo, mi ha detto che lei può aiutarmi con un piccolo problema che ho»
«Mi ha accennato qualcosa di te, sì. Ma preferisco parlarne di persona, se per te non è un problema. Facciamo domani in mattinata?»
Boccheggio. È stato rapido. «Sì, magari. È urgente. Dove ci vediamo?»
«Starbucks?»
Arriccio il naso, non è molto vicino a dove lavoro. Ci metterei un quarto d’ora… Però la mia salute è importante, non ho idea di quando questo tizio potrebbe essere nuovamente disponibile. Prendo la palla al balzo, che è meglio. «Va più che bene!»
«Ci vediamo domani. Starbucks alle dieci»
«Aspetti, come la… riconosco» ma aveva già attaccato. Dannazione devo incontrare uno sconosciuto di cui conosco solo la voce. Spero che almeno sia un tipo puntuale.
Mi aspettava una bella camminata.
 
 
Okay. Bene. Sono seduta ad uno dei tavoli di Starbucks e gioco nervosamente con i lacci della felpa. Alterno il gioco alle occhiate all’orologio da polso. Non sono neanche le dieci ma ho l’ansia per andare a lavorare e non voglio di sentire le ramanzine del signor Gutierrez.
D’improvviso sento un formicolio al collo e l’adrenalina ribollirmi nelle vene, come se il mio istinto primordiale mi stesse dicendo che c’è un pericolo e stesse preparando i riflessi per fuggire a gambe levate. Mi irrigidisco e ruoto lentamente la testa verso la porta d’ingresso della caffetteria.
Sta entrando un ragazzo. Tremendamente bello, dotato di quel fascino magnetico che paralizza le signorine. Non deve avere più di ventidue o ventitré anni. Non ha il volto spigoloso, da modello; ma è dannatamente affascinante. I capelli sono neri e disordinati, la mascella è leggermente pronunciata. Non riesco a formulare un pensiero sensato, no.
Però ad un certo punto si sente osservato da me e mi inchioda con i suoi occhi d’acciaio, lo sguardo penetrante. E, lentamente, sfoggia un sorriso astuto e affascinante. Non è di questo mondo. Nonostante vorrei sbavare, qualcosa in lui mi ricorda un predatore, una pantera. E mi fa stare con i sensi all’erta.
«Buongiorno. Sei tu Beatrìz Delgado?»
Oh no, non ditemi che è lui quello con cui dovrei parlare dei miei problemi mentali.
«Sì, sono io»
«Mi chiamo Nicholas. Sono lo ‘specialista’».
È gentile. Terribilmente gentile. E non so dire se sia una farsa, perché è davvero troppo gentile.
Si siede di fronte a me, e io mi muovo agitata sulla sedia. Eppure… Perché mi dà l’idea di essere pericoloso? E perché mi sembra d’averlo già visto?
«Hai già preso qualcosa?» mi chiede, riportandomi alla realtà. Merda, temo di essere rimasta ipnotizzata. Da lui, ovviamente.
«No. Ma vorrei un caffè e- »
Il gesto che fa chiamando la cameriera mi fa fermare bruscamente. Chiede due caffè ed un cornetto. La ragazza dietro al bancone rimane sgomenta ─ ti capisco, sorella ─ poi arrossisce e prepara ciò che deve. Nicholas si mette comodo, e appoggia i gomiti al tavolino. Ora mi sta fissando intensamente e io ho le mani sudate.
«Vuoi parlarmi dei tuoi problemi?»
Detto così, poi. Noto allora che i suoi occhi sono di un particolare grigio chiaro, sembrano platino o acciaio. Ed effettivamente era quella l’impressione che mi hanno dato appena l’ho guardato.
«Io… ho un fischio nella testa. E so che è davvero strano da ascoltare, ma è esattamente così. Lo sento anche ora. Sto impazzendo, e non voglio finire come la vecchia zia della famiglia Norton».
In sintesi, questa vecchia zia sentiva le voci nella sua testa e si è uccisa con delle forbici nella tempia per non sentirle più. La storia di quella famiglia è raccontata in ogni blog horror.
Non tutti la conoscono, ma lui sembra cogliere il riferimento e i suoi occhi brillano di divertimento.
Non c’è da divertirsi, maledetto bell’imbusto.
«Da quanto tempo va avanti?»
«Tra una settimana saranno tre mesi»
Tre mesi sono davvero lunghissimi. Davvero non so con quale forza non mi sono infilata delle forbici nella tempia, come la vecchia zia dei Norton.
Lui mi fissa, intensamente. Sembra voglia mettermi a fuoco, il suo sguardo è indecifrabile. Comincio a sentirmi a disagio, mi muovo nervosamente sulla sedia.
«Capisco il problema» dice infine.
«È lo stress?» borbotto acida.
Lui aggrotta le sopracciglia. «Non direi, no. Ci sono cose che non si possono spiegare e non si possono risolvere, Beatrìz. Il tuo problema è uno di quelli, ma solo per il momento, credo»
Un lampo di preoccupazione gli attraversa lo sguardo e io mi sento svuotata da ogni speranza di uscita da questa situazione. «Davvero niente?»
«Posso darti solo un consiglio per il momento, ma devi farne tesoro. Stai attenta alle Ombre».

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Capitolo 2
*** Io non ti credo ***


Medici, neurologi, psichiatri, otorino, specialisti…. Mi state tutti pendendo per il culo o cosa?
Prima era colpa dello stress, “dormici su e riposati”.
Ora quel Nicholas mi dice che non ci si può fare nulla, accompagnato da una frase tetra come “Attenta alle Ombre”. E lo dice come se stesse parlando del meteo.
Io, davvero, li prenderei tutti a testate.
A causa di queste presunte Ombre me la sono fatta sotto, sono andata a dormire tre giorni a casa di Esther. Poi quando ho finito la fase cagasotto sono tornata a casa mia.

È mercoledì, e sono le sette di mattina.
Mi sto affrettando a sgomberare la casa di Esther, gliel’ho praticamente invasa. E non sono famosa per il mio ordine, ecco. Lei è già uscita per andare a lavoro, invece la mia libreria apre alle dieci.
Non sono neppure riuscita a dormire bene, questa notte. Il tipico fischio tormentatore è sovrastato da un rumore strano, basso, simile a sussurri. Il che non mi rassicura, anzi mi sale una certa dose di ansia.
 
 
È passata una settimana. Oggi sono tre mesi che ho problemi nel cervello.
Segniamo il mesiversario sul calendario, suvvia.
Sapete qual è la cosa peggiore? Che in questa settimana non c’è stato solo un fischio ed un sussurro. Quei maledetti sussurri si sono intensificati, sono diventate vere e proprie urla.
Come se mille fantasmi mi urlassero nella testa ininterrottamente. Ho arrancato per tutta la settimana, a lavoro e nelle solite faccende domestiche. Ma, davvero, spesso hanno sfiorato apici esagerati e ho avuto diversi attacchi di panico.
Non ci penso neanche a chiamare quel ciarlatano d’un Nicholas. Mi ha fatto cagare sotto l’ultima volta. E poi non mi piace. È dannatamente sexy, ma non mi piace: è pericoloso, è un istinto di pancia e mi fido dei miei istinti di pancia.
Perciò mi ficco sotto le coperte, infastidita dal continuo chiacchiericcio nella mia testa.
 
 
Non so cosa diavolo sia successo.
Sono in cucina. Qualcuno mi tiene le mani bloccate in una morsa ferrea ma non dolorosa.
Sbatto ripetutamente le palpebre per tornare in me. Possibile che io sia sonnambula e in venti anni nessuno me l’abbia mai detto? Non credo proprio.
Metto a fuoco la persona che mi tiene i polsi fermi: Nicholas.
I suoi occhi d’acciaio mi scrutano cauti, attenti e allarmati. Un luccichio si riflette tra le sue iridi e la mia attenzione si sposta all’oggetto nella mia mano destra: un coltellaccio. Quello che uso per sfilettare il pesce, gente, quello che taglia solo guardandolo.
Emetto un gridolino strozzato e lo lancio nel lavandino, alla mia destra. Torno a fissare Nicholas e prendo fiato, prima di sbraitare: «Che cosa cazzo sta succedendo?!»
Lui alza le mani, dichiarandosi innocente. «Sei sonnambula, cara»
«Non chiamarmi così, sono mentalmente instabile al momento! ─ strillo. ─Perché sei qui e perché cazzo avevo in mano quell’affare?»
«Se te lo dico non mi crederesti. Ma eri in trance e sono arrivato in tempo»
«Porca vacca. In trance?» mi sento improvvisamente priva di forze e scivolo lungo la parete fino a sedermi a terra. Alzo lo sguardo su di lui: «Che cos’ho? Dimmelo, per favore»
Storce la bocca, poco convinto. «Temo che tu non mi crederesti e non potresti farti aiutare come di regola in certi casi»
Snervata, chiudo gli occhi. «Le ho sentite tutte. Non può essere peggio della scusa sullo stress»
Si accovaccia di fronte a me e mi guarda intensamente, enigmatico. Io davvero non saprei dire che pensieri ronzano dietro quegli occhi di platino, il che mi fa sentire a disagio.
Aggrotto le sopracciglia. Continua a fissarmi come se mi stesse valutando.
«È come se tu fossi posseduta da un demone. Come se ci fosse uno spirito maligno nella tua testa, che ti provoca tutto ciò».
Se fossi un personaggio di un cartone animato, probabilmente mi sarebbero cadute le braccia a terra. Letteralmente. Non so come prenderla, perché non gli credo. «Ah»
«Ti ho appena detto che è come se fossi posseduta e dici solo “ah”? Davvero?» è divertito e sbigottito.
«Sì, davvero, perché non ti credo» replico piccata, incrociando le braccia al petto.
«Beh, faresti meglio a farlo, testina. Finora sei stata al sicuro, perché eri con la tua amica Esther e il tuo tempo non era scaduto. Tuttavia, secondo i piani del demone che voleva farti fuori, questa era la notte per il suicidio»
Che c’entra Esther?
«Come fai a dirmi queste cose? Come fai a saperle, ad esserne convinto?»
Sono scettica. Forse dice sul serio, ma ciò proverebbe che sia un pazzo che vive in un mondo tutto suo. Qualcosa nei suoi occhi, nel suo sguardo, però, mi dice che non si sta inventando nulla e comincio a dargli ascolto sul serio.
«Lavoro in questo campo» si stringe nelle spalle. Come se mi stesse raccontando del pranzo.
«Sei una specie di esorcista?»
La domanda nella mia testa è un’altra: Esther mi ha messo nelle mani di un esorcista? E perché? Anche lei crede che io sia posseduta?
Nicholas inarca un sopracciglio e si lascia sfuggire una risata terribilmente chiassosa, come se trovasse la cosa assolutamente divertente e spassosa.
Gli do una pacca sulla fronte, e lo guardo in cagnesco. «Cosa c’è da ridere? Ero seria»
«Ah scusa, pensavo stessi scherzando. Non sono niente del genere, sono l’opposto»
«Un cacciatore di demoni?» non credo sia l’opposto di un esorcista, ma piuttosto colleghi.
Ci avevano fatto anche un film sui cacciatori di demoni, o sbaglio? Qualcosa chiamata tipo Shadowhunters, credo.
Mi lancia un’occhiata colma di pietà. «Credo che esistano solo nei film, sai?»
Ci ha pensato anche lui. Questo tizio legge nel pensiero, maledizione. Mi fa un mezzo sorriso, pare compatirmi. Maledetto, non guardarmi così.
«Smettila di girarci intorno, parla chiaro»
«Io sono un demone».
Ora sono io a ridere. E di gusto. Per un momento temo di svegliare le persone del palazzo, ma poi ricordo che non me ne frega nulla e continuo a ridere. Arrivo perfino alle lacrime.
Quando torno alla realtà mi do un’asciugata agli occhi con la manica della maglietta, e scopro con un certo divertimento che Nicholas mi sta fissando. Malamente. Se gli sguardi potessero uccidere, probabilmente sarei già morta da un po’, pugnalata come Giulio Cesare, ma non sulla schiena. Attacco frontale, capite che intendo?
«Okay, a questo punto vorrei essere la fatina dei denti, se il posto è libero»
«Non devi prendere in giro» sbuffa.
«Hai cominciato tu con le cose strampalate. ─ mi difendo. –Dai, sul serio. Chi diavolo sei?»
Questa discussione sta diventando più lunga del previsto.
Ribadisce di essere un demone, convintissimo. Stavolta non rido, non mi azzardo. Non perché gli credo, ma perché mi rendo conto di avere in casa un pazzo assassino, probabilmente anche satanico. Come quel tizio che si definiva un sicario di Satana, o qualcosa del genere.
Sono ancora seduta e non ho intenzione di alzarmi. I sussurri nella mia testa si sono interrotti da quando lui è qui. Non so se significa davvero qualcosa.
«Va’ via, per favore» mormoro.
«Bambina. – dice a bassa voce, con dolcezza. – Devo aiutarti».
Il modo in cui lo dice e il suo sguardo… ferreo ma quasi supplicante, mi smuovono qualcosa dentro e mi fanno capire che è lucido. Non è uno di quei pazzi lucidi, non è pazzo proprio. È del tutto apposto con la testa e vuole aiutarmi. Ma almeno così dice. Se è vero che è un demone, non ci metterà nulla a gettarmi giù da un precipizio, fisicamente o metaforicamente s’intende.
«Non mi fido di te. Non ti credo e non mi fido. Se è vero quello che dici, devi dimostrarmelo. E se è vero ciò che dici di essere, dimostrami che posso fidarmi di te»
L’ho fregato. I demoni non esistono e non ha modo di mostrarmi qualche strano potere che possa provare la sua tesi. Così potrà tornarsene in casa sua, una volta smascherato. Uno a zero, gringo.
«Mettila così: se avessi voluto ucciderti, l’avrei già fatto»
«Solo parole» replico piccata.
«Vuoi che tenti di ucciderti?» gli occhi gli brillano di divertimento. Ma c’è anche dell’altro. È come se un istinto primordiale si fosse acceso, come se si fosse eccitato pregustando il divertimento della caccia. Lo sguardo è così predatorio che mi sembra quasi di vedergli spuntare le zanne.
«Non ho detto questo» sussurro, spaventata.
«Trìz, non posso dimostrarti la mia natura. Non qui, non ora. È distruttiva. Ma posso offrirti il mio aiuto, cerca solo di aprire la mente e fidarti di me»
«Ma se sei un demone davvero, non posso fidarmi di te» lo dico quasi rammaricata. Perché io vorrei davvero fidarmi di lui e accettare serenamente il suo aiuto, ma per quanto ne so potrebbe essere un pazzo satanico. E se per assurdo fosse realmente un demone, non impiegherebbe molto a fottermi.
… Non in quel senso.
Si accarezza la mascella. «Questo è un luogo comune. Noi non diciamo le bugie, non ne avremmo motivo. – mi sorride affabile. – Davvero, non ti chiedo di credere nei demoni. Credi in me e basta, fidati»
È paziente con me. Mi parla come se fossi una bambina, come un maestro paziente che deve rispiegare la stessa cosa innumerevoli volte all’alunna dura di comprendonio. E se questo è davvero un demone, porca vacca sei un diavoletto rammollito, Nick!
«Va bene» sospiro, sentendomi quasi più leggera.
Sorride, da orecchio a orecchio, e sembra la creatura più innocente sulla faccia della Terra. Ma non lo sei, bastardo, non lo sei. Demone o no.
Mi alzo in piedi e mi do una ripulita passando le mani sui pantaloni. Improvvisamente spero di avere un aspetto decente e un alito sopportabile.
Mi schiarisco la gola. «E ora?»
«La tua mente non è sicura. – grazie, Sherlock. ─Se vuoi tornare a dormire vai, io starò di guardia»
«Posso fidarmi?»
Alza gli occhi al cielo, spazientito. «Non dormire se non vuoi, allora. Ma io devo restare con te, così la tua testa non rischia di nuovo la possessione. Intesi?»
Sgrano gli occhi. «Per quanto tempo ti avrò tra i piedi, scusa?!»
«Semmai il contrario, io avrò tra i piedi te»
Okay, ora è un po’ meno gentile rispetto a prima.
Si mette seduto sul divano e si accende la televisione a basso volume. Oh, certo, fa’ pure come se fossi a casa tua. Sembra intuire i miei pensieri dallo sguardo truce che gli sto lanciando, e mi fa un sorriso furbo e smagliante, da bambino birichino.
Ci rinuncio. Voglio dormire e magari risvegliarmi domani mattina.

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