Until the End

di Koome_94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***







_Until the End_












La Domenica era in assoluto il suo giorno preferito.
Non vi era nulla di più bello in tutto l’universo di restarsene a letto rincantucciato fra le coperte fino ad orari impossibili, leggendo o guardando la tv immerso nel buio, i raggi del sole intrappolati fuori dalle tapparelle e incapaci di filtrare nel suo piccolo mondo ancora assonnato.
Non che Soldato fosse un dormiglione, ma una volta sveglio gli piaceva rimanere ancora un po’ a letto, assaporando il calduccio delle coltri prima di affrontare l’ennesima faticosa giornata.
Perso nei suoi pensieri, si sistemò meglio il cuscino sotto la nuca e si rotolò un paio di volte per trovare una posizione sufficientemente comoda.
Quando qualche giorno prima aveva lasciato casa sua diretto al College dove avrebbe trascorso i cosiddetti “anni più belli della sua vita” si era chiesto se sarebbe riuscito a dormire, così lontano dalla famiglia.
In effetti, Soldato non aveva mai lasciato il suo paesino prima di allora, e ritrovarsi improvvisamente catapultato nel brulichio del campus era stato un pochino destabilizzante.
Come se non fosse bastata la novità di tutte le regole e gli orari da imparare a memoria, era capitato in stanza con un ragazzo decisamente inquietante.
Come lui, aveva diciannove anni ed era una matricola, ma sembrava che sapesse già tutto della scuola e di coloro che la frequentavano.
Mortino, questo era il suo bizzarro e improbabile nome, aveva dimostrato fin da subito di essere un coinquilino piuttosto logorroico, ma nonostante la sua insana venerazione per Julien, un tizio dall’aria imbecille del quarto anno, gli era stato dannatamente utile per districarsi fra i corridoi e le aule dell’enorme edificio scolastico.
Era stato Mortino a spiegargli come dovesse compilare il suo piano di studi, era stato Mortino ad accompagnarlo a cambiare la divisa scolastica che gli avevano assegato –la camicia tirava un po’ in corrispondenza dei bottoni- ed era stato sempre Mortino a ragguagliarlo sulla Giornata dei Club che si sarebbe tenuta l’ultima Domenica prima dell’inizio dei corsi.
Era previsto che ogni studente fosse iscritto a un club scolastico –Atletica, Orientiring, Lettura, Teatro…- e per aiutare le nuove matricole e gli indecisi ad iscriversi al club giusto si sarebbe tenuta una sorta di piccola fiera nella palestra della scuola, dove ognuna delle associazioni avrebbe avuto un proprio stand come punto informazioni; a giornata conclusa, gli studenti avrebbero avuto una settimana di tempo per decidere a quale club iscriversi.
Mortino sembrava avere già deciso ancora prima della Giornata dei Club, convintissimo che l’associazione più adatta per lui fosse quella che portava il nome “Amiamo Re Julien” –sul serio esisteva un club simile?-; per quanto riguardava Soldato, invece, non aveva la più pallida idea di che cosa scegliere.
Non aveva mai avuto qualità particolari, e nonostante fosse un tipo che andava abbastanza a genio alla gente, era in realtà molto timido e impacciato per quanto riguardava le nuove amicizie.
Domenica avrebbe fatto bene a svegliarsi presto e arrivare in palestra per tempo, di modo da poter studiare bene le proposte dei vari club.
Esalò un sospiro sconsolato, sopraffatto dalla fatica che gli si prospettava, salvo accorgersi con orrore di un particolare drammatico.
- Oh cribbio! –
Quel giorno era la fantomatica Domenica dei Club.
- Mort! Mort, che ore sono?! – esclamò, voltandosi di scatto verso il letto del compagno di stanza.
Con terrore crescente si accorse che il letto di Mortino era vuoto.
L’aveva abbandonato? Perché non l’aveva svegliato? Maledizione, che ore erano?
Ancora frastornato dal sonno, balzò in piedi e tirò le tende, lasciando che il sole già alto nel cielo entrasse con prepotenza nella stanza: una cosa era certa, le otto erano già passate da un pezzo.
Si lavò alla velocità della luce e si fiondò fuori da camera sua mentre ancora cercava di infilarsi una scarpa.
Saltellando come un ossesso, svoltò alla fine del corridoio pregando di non perdersi almeno quel giorno, la cravatta mal annodata che minacciava di strozzarlo e la camicia che continuava a uscire dai pantaloni.
Maledetto Mortino, gliene avrebbe dette quattro, il suo non era stato per niente un comportamento carino!
Scendendo gli scalini a due a due, finalmente riuscì ad annodarsi la cravatta in maniera decente e infilarla nel gilet. Nella fretta si era dimenticato di indossare la giacca verde petrolio della divisa scolastica, ma ai primi di Settembre faceva ancora caldo, non sarebbe stato un gran problema.
Fu al penultimo scalino che accadde la catastrofe.
Troppo impegnato a tirare verso il basso l’orlo del gilet di modo da nascondere la camicia, non si accorse che aveva mancato in pieno un gradino, posizionò male il piede e perse completamente l’equilibrio.
Al sentirsi il terreno mancare da sotto i piedi chiuse gli occhi e portò istintivamente le mani in avanti pronto ad ammortizzare l’impatto con il pavimento di marmo.
Peccato che ci fosse qualcosa fra lui e il pavimento di marmo.
Qualcosa di caldo, relativamente morbido e profumato di dopobarba.
Soldato spalancò gli occhi e avvampò: nella caduta aveva travolto un altro ragazzo, che adesso lo stava squadrando con un misto di odio e stupore negli occhi.
Aveva le iridi di una fredda tonalità di azzurro e i capelli neri come la notte erano sistemati all’indietro con l’aiuto di un po’ di gel. I suoi lineamenti erano abbastanza marcati, ma regolari e gli conferivano un aspetto maturo e intelligente.
- Oh cielo! Mi dispiace! – si decise infine ad esclamare, balzando in piedi e liberando lo sconosciuto del suo involontario ma saldo abbraccio.
Quello si alzò in piedi e si spazzolò la giacca della divisa, le guance appena arrossate dall’imbarazzo di una scena a cui avevano assistito almeno una decina di persone, poi gli rivolse uno sguardo di sufficienza.
- Matricola? Sbrigati, o ti fregheranno tutti i posti nei club più belli. – e, senza degnarlo di ulteriore attenzione, girò sui tacchi e se ne andò, le mani ficcate nelle tasche dei pantaloni e l’andatura un po’ troppo veloce per poter sembrare del tutto naturale.
Soldato, il visetto tondo infiammato dalla vergogna, si guardò intorno sorridendo imbarazzato, mentre gli altri studenti, svanito il momento di confusione, se ne tornavano alle loro faccende.
- Bravissimo, Soldato. Hai incominciato la tua carriera scolastica con la peggior figuraccia di sempre. – borbottò fra sé e sé quando fu rimasto solo nel corridoio.
Sospirò e si passò una mano fra i capelli e scese l’ultima rampa di scale che lo separava dalla palestra.
Nonappena ebbe varcato la grande porta antipanico si ritrovò in un ambiente immenso, rumoroso e colorato, dove studenti di tutte le età andavano e venivano con decine di opuscoli fra le braccia.
Gli stand erano dei tipi più disparati: alcuni erano sobri ed eleganti, altri molto artistici e pieni di fotografie e palloncini, alcuni invece erano semplicemente normalissimi banchi sovrastati da degli striscioni, segno che appartenevano a club appena nati e ancora privi di fondi da dedicare alla propaganda.
Dimentico di quanto appena successo, prese ad aggirarsi per la palestra con un grande sorriso di meraviglia sulle labbra, affascinato da quell’aria così ricolma di allegria.
- Soldato! Hey, Soldato! Eccoti qua! Dove ti eri cacciato? – la vocina stridula di Mortino lo fece voltare di scatto.
- Mort? Ma come sei vestito? – si sentì in dovere di domandare.
L’amico infatti non indossava la divisa scolastica, bensì una felpa spropositatamente enorme per il suo corpicino esile. Ad un’analisi più accurata Soldato notò che l’indumento, di un improbabile giallino che però si abbinava bene ai riccioli castani del ragazzo, recava stampata sul davanti una gigantesca J colorata e attorniata da un paio di cuoricini.
- Ti piace? E’ la felpa ufficiale del club “Amiamo Re Julien”! – spiegò quello con un sorriso soddisfatto.
L’altro inarcò un sopracciglio con la speranza che Mortino non si accorgesse della smorfia d’inquietudine che stava cercando di camuffare e annuì.
- E’… pittoresca. Ti sei già iscritto? – chiese poi, sperando di riuscire a cambiare discorso abbastanza velocemente.
Il compagno scosse la testa e lo prese per mano trascinandolo sapientemente fra la folla.
- Non ancora, le iscrizioni si aprono domattina alle otto. Però Julien mi ha già rivolto la parola! Guarda, gli sto portando il caffè! – cinguettò alzando appena il bicchierino di plastica che reggeva nella mano destra.
Improvvisamente, dal caos della palestra emerse uno stand gigantesco, completamente tappezzato di fotografie di un ragazzo alto e allampanato che Soldato riconobbe come Julien.
Ed era proprio Julien quello stravaccato senza la minima decenza su una pila di seggiole sistemate in modo da sembrare un piccolo trono.
- Oh, ciao! Le iscrizioni si aprono domani! Mi raccomando, il club si chiama “Amiamo Re Julien”. Ricordati di scrivere anche “Re”, non solo “Julien”! – lo accolse senza nemmeno chiedere come si chiamasse o presentarsi a sua volta.
Mortino veleggiò verso di lui e sembrò non notare nemmeno che lo studente lo aveva bellamente ignorato, interessato solamente al fumante bicchierino di caffè.
- Ehm, grazie… Ma io, ecco… pensavo di dare un’occhiata intorno prima di… - azzardò il povero Soldato, prontamente interrotto da Julien, sventagliato da un tizio bassino e grassoccio probabilmente fuori corso di un bel po’ che sembrava voler essere ovunque tranne lì.
- Facciamo un sacco di bellissime attività! Tipo “ammirare Re Julien” o “comporre odi in onore di Re Julien” o anche “dipingere ritratti a cavallo di Re Julien” e… - ma Soldato, terrificato da quell’ego dilagante, fece un balzo indietro e, con un sorriso tesissimo, salutò e sparì fra la folla.
- Magari ci faccio un pensierino! – fu l’ultima cosa che gli sentirono dire allo stand.
Nell frattempo, dalla parte opposta della palestra, un ragazzo alto e magro con una sottile montatura d’argento stava cercando di sistemare quattro fogli A4 incollati fra di loro in cima all’intelaiatura del loro stand.
Il cartello improvvisato recava la scritta “Club di Spionaggio”, in cui le O erano rappresentate da enormi lenti d’ingrandimento.
- Rico, dammi una mano invece di startene lì impalato a… RICO! MOLLA IL PROGRAMMA! – il giovane balzò giù dalla scaletta e strappò un plico di fogli di mano al suo compare giusto in tempo perché non divorasse il prezioso mucchietto di cellulosa.
Il ragazzo, di poco più basso dell’occhialuto, emise un mugolio dispiaciuto e si lasciò cadere a peso morto su una seggiola.
- Come pensi che riusciremo a fare proseliti se non avremo nemmeno un programma da presentare? – lo redarguì ancora il compagno.
A quel punto una terza voce si fece sentire allo stand.
- Rilassati, Kowalski. Intanto nessuno si iscriverà al nostro club… -
Kowalski rizzò la schiena e spalancò gli occhi.
- Ma Skipper! – protestò, spiazzato da quella frase sconsolata.
Skipper, il più basso dei tre fratelli del Club di Spionaggio, raggiunse la seggiola più a sinistra e vi si lasciò scivolare sopra con appena un poco di grazia in più rispetto a Rico.
Sbuffò e indicò con un cenno della testa gli altri stand.
- Siamo onesti, quelli del Consiglio Studentesco hanno ragione! Questo club è un fallimento, fa schifo, e ormai siamo rimasti solamente noi. E lo sapete benissimo che se non troveremo un quarto iscritto entro la prossima settimana ci taglieranno i fondi e ci costringeranno a chiudere la baracca… -
Dopo che ebbe parlato calò un profondo silenzio alimentato dalla verità insita in quella frase.
Skipper aveva ragione, in quei due anni il Club di Spionaggio aveva sempre faticato a resistere, schiacciato dalla popolarità delle altre associazioni –in primis quella di Julien-, e nonostante lui e i suoi fratelli fossero abbastanza conosciuti all’interno del campus, nessuno sembrava davvero intenzionato ad unirsi a loro nelle attività extrascolastiche.
Il giovane spostò lo sguardo dalla palestra addobbata ai suoi compagni di sventura, lasciandosi sfuggire un piccolo sorriso di malcelato affetto nel ripensare a quanto, nonostante fossero gemelli, fossero completamente diversi per carattere e aspetto.
Kowalski, alto e studioso, era il più vecchio dei tre, e gli occhialetti dalla montatura sottile e i capelli sempre impeccabilmente pettinati da un lato mettevano in risalto il lato più preciso e puntiglioso della sua disposizione.
Poi c’era Rico, espansivo e solare, che un giorno aveva scoperto il rasoio elettrico nel cassetto del bagno e aveva deciso di farsi i capelli alla mohicana senza avvisare nessuno. Era il più giovane del trio, e nulla sembrava poter fermare il suo carattere esplosivo.
E poi c’era lui, Skipper, il gemello di mezzo. Con la leadership nel sangue, si era sempre occupato di prendersi cura dei suoi fratelli –specialmente di Rico- e non aveva mai accettato di doversi arrendere di fronte a qualcosa di più grande di lui.
Quella volta, purtroppo, avrebbe però dovuto imparare a chinare la testa.
- Skipper, non dirlo nemmeno per sogno! E’ scientificamente impossibile che nessuno scelga nostro club, considerando il numero di matricole iscritte al College ogni anno! Vedrai che prima o poi qualcuno prenderà un volantino e firmerà il modulo! –
La voce decisa di Kowalski fu accompagnata da una sonora pacca sulla spalla da parte di Rico che fece quasi piombare Skipper giù dalla sua sedia.
Il più giovane emise una serie di convinti gorgoglii fra i quali si riuscì a distinguere un “verranno” e un “coraggio”.
Skipper rivolse ai suoi fratelli un sorriso di gratitudine e portò le mani sulle loro spalle.
- Avete ragione, è ancora presto per gettare la spugna! – esclamò, ora più carico che mai.
Due ore dopo, quando  la folla stava scemando lentamente verso la mensa decisa a rifocillarsi prima di riprendere l’esplorazione della fiera, allo stand del Club di Spionaggio non si era ancora presentato nessuno.
Kowalski se ne stava seduto in mezzo ai fratelli, tutto intento a studiare una formula per calcolare i numeri primi all’infinito; alla sua sinistra, il gomito a fare perno sul banco e una mano a sorreggergli il capo, Skipper si stava annoiando come mai in vita sua, concentratissimo a scacciare i pensieri negativi contando le viti dell’intelaiatura dello stand di fronte al loro.
Solo Rico, irriducibile come suo solito, continuava a sventolare bandierine ricavate da fogli A4 da lui colorati con una scatola di pennarelli che aveva soffiato a quelli del Club di Arte.
- Rico, cosa diamine stai facendo?! – esclamò Kowalski dopo qualche minuto nell’accorgersi che il più giovane aveva preso a mitragliare i passanti con aeroplanini di carta da lui costruiti.
Quando gli sventurati osavano rivolgere loro lo sguardo, il ragazzo iniziava a sbracciare urlacchiando frasi inconsulte farcite di “CLUB!”, “QUI!” e “GHEGHE!” che terrorizzavano l’uditorio.
Skipper stava per intervenire e sedare l’entusiasmo del fratello, quando accadde qualcosa di imprevisto.
Uno degli aeroplanini di Rico andò a impigliarsi nei capelli di un ragazzo, che lo prese fra le mani e lo osservò incuriosito.
Guidato dai borbottii e dagli urletti dell’attentatore, individuò lo stand del Club di Spionaggio e vi si diresse a grandi passi.
- Ciao! Questo deve essere tuo! – sorrise con dolcezza nel riconsegnargli l’origami.
Rico annnuì e gli strinse la mano, accartocciando l’aeroplanino e gettandoselo alle spalle come se niente fosse.
- SPIE! CLUB! – esclamò, indicando freneticamente il cartellone improvvisato sopra le loro teste.
La matricola lesse con attenzione e annuì.
- Sembra interessante! Avete un programma? – domandò, mentre Kowalski gli consegnava il plico di fogli che ancora recavano il segno della dentatura del fratello minore, l’espressione a dir poco sconvolta.
Davvero quel ragazzetto aveva definito il loro club “interessante”?
Lo osservò attentamente mentre si mordicchiava il labbro inferiore, concentrato nella lettura.
Non l’aveva mai visto prima, doveva per forza essere una matricola, ma il visetto tondo incorniciato dai corti capelli scuri e la bassa statura lo facevano sembrare ancora più piccolo della sua età.
Si voltò per richiamare l’attenzione di Skipper, ma quello era già concentrato sullo sconosciuto, gli occhi spalancati di incredulità.
Aveva già visto quelle innocenti iridi color del cielo e quel sorriso delicato.
Non poteva essere.
Non voleva crederci.
Il ragazzino terminò la lettura e restituì il programma a Kowalski complimentandosi per la varietà delle attività proposte.
- Niente male, e se volessi iscrivermi dove dovrei consegnare il modulo? – domandò, ma Kowalski sembrava aver perso l’uso della parola, sconvolto dalla concreta eventualità di poter mantenere in vita il club.
Rico fece spallucce e indicò il loro capo e solo a quel punto la matricola notò che allo stand vi era un terzo elemento.
Le sue guanciotte paffute andarono a fuoco, mentre si irrigidiva in preda al più feroce imbarazzo.
- Oh cielo! – si lasciò sfuggire, leggermente stridulo.
Skipper gli rivolse quello che forse voleva essere un sorriso rassicurante, ma che parve molto di più un ghigno malefico.
- Buongiorno, matricola! Le iscrizioni si aprono domani, il modulo devi portarlo a me! – spiegò cercando di mantenersi tranquillo e celare la sua agitazione.
Forse quello era il loro giorno fortunato, forse sarebbero riusciti a slavare il club anche quella volta: il ragazzino che Rico aveva recuperato era proprio lo stesso che lo aveva travolto quella mattina in corridoio.
E questo significava che era in debito con lui.















 
Note:

Buonasera a tutti!
Innanzitutto grazie per aver letto questo capitolo fino in fondo!
Siamo Koome e questa è la nostra prima -e probabilmente ultima xD- fanfiction nel fandom dei Pinguini di Madagascar.
Avendo ignorato la serie tv per tutta la nostra infanzia perchè siamo tendenzialmente due sapiens estremamente stupidi, ci siamo completamente innamorate dei pinguini dopo aver visto il film.
Questo ha significato, fra le altre cose, shipping sfrenato e full immersion nella sopracitata serie tv.
Ne è uscita questa piccola follia.
Abbiate pietà.
Insulti, bombe ad orologeria e commenti di sorta sono più che apprezzati! xD <3

Bacioni,
Koome_94

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***





Capitolo II ~









Soldato si lasciò servire una generosa porzione di purea di patate e si affrettò a seguire Kowalski al tavolo che erano riusciti ad accaparrarsi nella mischia della mensa.
Era stato Rico, fra un gorgheggio e l’altro, a suggerire che pranzasse assieme a loro, e i suoi fratelli erano sembrati favorevoli, specialmente Skipper, che non gli aveva tolto gli occhi di dosso nemmeno per un momento causandogli non poco imbarazzo.
- Allora, matricola! Cosa ne pensi della Giornata dei Club? – gli domandò una volta che ebbe preso posto di fronte a lui.
Soldato si strinse nelle spalle, gli occhi puntati sugli spinaci sistemati malamente vicino al purea.
- Beh, è… interessante! Ci sono davvero un mucchio di club, e… - ma Kowalski lo interruppe.
- Immagino che tu ti sia già fatto un’idea del club che fa per te… -
Il ragazzo sapeva che avrebbe dovuto rispondere di sì, che il Club di Spionaggio sembrava fatto apposta per lui, ma non era mai stato capace a mentire.
Quando non diceva il vero gli si leggeva in faccia.
- In realtà sono ancora un po’ confuso… Pensavo di approfittare della prossima settimana per pensarci con calma! – confessò con uno dei suoi sorrisi educati e un poco impacciati che lo facevano sembrare ancora più piccolo di quanto non fosse.
- RICO! – l’urlo all’unisono dei due studenti di fronte a lui lo fece sobbalzare sulla sedia.
 Il terzo gemello, seduto accanto a lui, avendo finito la sua porzione si era servito con estrema naturalezza della pietanza della matricola pescando direttamente dal suo piatto.
Soldato scoppiò a ridere e scambiò i loro vassoi senza notare gli sguardi di rimprovero che gli altri due stavano lanciando al fratello.
- Dai, finiscili pure, intanto gli spinaci non mi sono mai piaciuti! –
- GRAZIE! – gracchiò Rico con un sorrisone prima di gettarsi a capofitto sul cibo.
Kowalski si massaggiò le tempie con indice e pollice, mentre Skipper sospirava.
- Devi scusarlo, lui è… Insomma, a volte non… - balbettò, incapace di sentenziare il verdetto che Soldato aveva intuito fin dal primo momento.
- Nostra madre ha avuto dei problemi al momento del parto. Le gravidanze trigemellari sono spesso rischiose, e Rico ha subito dei danni permanenti alla corteccia cerebrale. Soffre di una leggera ipercinesia e di disartria corticale, cioè non riesce ad articolare i suoni in parole, salvo alcune eccezioni. – spiegò Kowalski, lapidario.
Il silenzio calò sulla tavola, fatta eccezione per Rico che continuava a mangiare indisturbato.
Il quattrocchi dovette accorgersi di aver parlato troppo, perché arrossì appena e tornò a sorbire ad occhi bassi il suo succo di frutta.
Skipper, dal canto suo, gli aveva rivolto un’occhiata raggelante, per poi concentrarsi sul mucchietto di spinaci bagnaticci spappolati al bordo del suo piatto.
- Rico è esattamente come tutti n… - ma la voce gli morì in gola nel notare che Soldato non lo stava nemmeno ascoltando, intento ad osservare delle fotografie che il minore gli stava mostrando dal suo cellulare.
- Ma va! Sei davvero capace di farlo?! Che figata! – esclamò ammirato, prima di rivolgere a Skipper un’occhiata tranquillizzante.
- Vi invidio, ho sempre desiderato avere un fratello, e voi siete addirittura in tre! – aggiunse poi.
Il capo del Club di Spionaggio rimase per un momento con la forchetta a mezz’aria.
Quel ragazzino stava forse cercando di dirgli che Rico non lo spaventava, che non lo trovava fastidioso o addirittura abominevole?
Quel Soldato aveva davvero visto in Rico un amico e non il solito studente andicappato da “maneggiare con cura”?
Troppo impreparato a una simile reazione da parte di uno sconosciuto, rimase ancora qualche secondo imbambolato a fissare il fratello, indeciso sul da farsi.
- E così sei figlio unico! E dicci, da dove vieni? – optò poi per cambiare completamente discorso.
Quella sera, quando Soldato fece ritorno alla sua stanza, era talmente stanco che nemmeno aspettò Mortino, infilandosi subito sotto le coperte.
Era stata senza dubbio una giornata sfiancante, con tutta la confusione degli stand e dell’incontenibile allegria di Rico.
Anche se aveva delle immense limitazioni di articolazione del linguaggio e spesso si metteva a gridare senza rendersene conto, era perfettamente in grado, con un po’ di attenzione da parte dell’interlocutore, di farsi capire senza problemi, e Soldato sentiva di essersi già affezionato un mondo a quel bizzarro studente.
Anche i fratelli maggiori gli erano sembrati dei ragazzi in gamba, ma il modo in cui l’avevano tenuto d’occhio per il resto della giornata l’aveva messo abbastanza a disagio, inquinando leggermente l’idea che si era fatto di loro.
Era chiaro come il sole che lo volevano nel loro club, ma non era ancora sicuro di che associazione scegliere e non voleva che altri potessero influenzare la sua decisione.
Il giorno dopo, fra una lezione e l’altra, avrebbe dato un’occhiata ai vari opuscoli che aveva raccolto, ma nel frattempo aveva bisogno di una bella dormita.
Detto fatto, si rigirò fra le coperte inspirando a fondo il profumo di pulito, sistemò meglio il cuscino sotto al capo e chiuse gli occhi.
Dopo una manciata di secondi, era già piombato nel mondo dei sogni, sul visetto un’espressione serena e beata.
 





 
- Sveglia Soldato!!! –
Una vocetta stridula e acuta gli fece spalancare gli occhi di scatto con un piccolo urletto spaventato.
- Che c’è? Cosa succede?! – biascicò, ancora intontito dal sonno.
Nonappena fu di nuovo in grado di mettere a fuoco il mondo attorno a sé, notò il capo riccioluto di Mortino ondeggiare in modo inquietante davanti a lui.
- Mortino, potresti cortesemente scendere dal mio letto? – domandò con un’occhiataccia al compagno di stanza, che se ne stava seduto a gambe incrociate in fondo al letto, sul volto un preoccupante sorriso a trentadue denti.
- Oggi è la prima giornata di lezioni e finalmente le iscrizioni ai club sono aperte! Sbrigati, o non avremo più posto per iscriverci al club di Re Julien! – cinguettò mentre saltellava in cerca dei libri giusti.
Soldato sbadigliò e si stropicciò gli occhi.
- Mort, onestamente non avrei tutta questa aspirazione a iscrivermi al club di Julien… - confessò prima di notare che la parete accanto al letto del suo compagno era stata tappezzata di fotografie del capoclub sgraffignate allo stand.
Mortino, che gli dava le spalle, si voltò lentamente verso di lui, negli occhi una luce omicida.
- Che cosa hai detto, scusa? –
Soldato era ancora troppo ingenuo per rendersi conto della catastrofe imminente, ma presto avrebbe scoperto quanto quelle parole fossero state in realtà un drammatico errore.
Il resto della settimana fu un vero delirio.
Non che i corsi fossero eccessivamente complicati, salvo due o tre che comprendevanmo nel pacchetto professori pazzi o stringhe infinite di calcoli impossibili, ma avere tre quarti delle lezioni in comune con Mortino si rivelò presto un incubo ben peggiore dei test in itinere.
Non si sa come, la notizia del suo rifiuto di leccare i piedi a Julien –cosa che Mort avrebbe fatto letteralmente senza pensarci due volte- si era rapidamente sparsa per tutto il campus, fino a giungere alle orecchie del diretto interessato.
Che Julien non ammettesse di essere ignorato dai suoi sudditi era stato chiaro fin dall’inizio, ma mai più Soldato avrebbe immaginato una simile campagna di repressione nei confronti della sua innocente e legittima insubordinazione.
A partire da Lunedì, infatti, la povera matricola fu assediata dalle proposte di iscrizione accompagnate da inquietantissimi messaggi subliminali.
Generalmente era proprio il suo compagno di stanza a fare il lavoro sporco, accucciandosi accanto al suo letto mentre dormiva e sussurrando a ripetizione “uniscitiaReJulien” come un mantra –quando Soldato si era svegliato e l’aveva ritrovato in quello stato a meno di due centimetri dalla sua faccia aveva rischiato l’infarto-, ma capitava che fosse lo stesso Re a presentarsi intimandogli gentilmente di ignorare gli altri club e iscriversi all’unica vera associazione sensata della scuola.
Certo, se si fosse trattato solo di Julien e del suo club, Soldato avrebbe anche potuto resistere per una settimana, ma si dava il caso che altri tenessero alla sua firma in maniera particolare.
Un giorno, uscendo dal corso di Letteratura, era stato placcato da uno studente alto e muscoloso dai glaciali occhi chiari che gli aveva piazzato in mano un minuscolo biglietto da visita con un numero di cellulare e qualche dato.
- Il Vento del Nord è la migliore associazione di questa scuola. Organizziamo gite settimanali di sopravvivenza estrema, Orientiring dell’ultima frontiera. Iscriviti e sarai implacabile: nessuno può fermare il vento. – e con quelle misteriose parole era sparito fra la folla degli studenti.
Soldato aveva poi cercato di ignorare il fatto che, in meno di tre secondi, Rico era apparso dal nulla e si era mangiato il suddetto biglietto da visita dopo averglielo strappato di mano senza alcuna grazia.
Il ragazzino non aveva nemmeno fatto in tempo a stupirsi di quell’assurda condotta che Rico, tutto contento, aveva fatto apparire da dietro la schiena un mazzo di fiori strappati brutalmente alle aiuole del parco, terriccio e radici ancora a penzolare dai gambi.
- Per… per me? – aveva chiesto la matricola, un poco in imbarazzo.
L’altro aveva annuito con un grosso sorriso.
- AMICI! – aveva esclamato, abbracciandolo con enfasi e trascinandolo verso la classe in cui condividevano il corso di Chimica.
- SPIE! – era stato poi il suo gridolino esaltato.
- Ah, certo… Capisco… - aveva esalato Soldato, facendosi forza del fatto che era ormai Venerdì e che in due giorni sarebbe finito tutto.
Quando non aveva lezioni in comune con Mortino o Rico, e quando non rischiava il collasso a causa di oscene bambole di Julien a grandezza naturale nascoste sotto le sue lenzuola –sul serio, ma dove diamine le producevano?!- era il turno di Kowalski di passare all’attacco.
Senza dubbio, almeno, il più vecchio dei gemelli aveva un po’ di discrezione in più rispetto agli altri contendenti.
Generalmente si limitava ad aspettarlo all’uscita delle aule e ad accompagnarlo qua e là per i corridoi, indicandogli su grafici e tabelle le statistiche che dimostravano la supremazia del Club di Spionaggio e le probabilità che indicavano il rischio di non trovarvi più posto se non si fosse affrettato a consegnare il modulo.
In ogni caso, Soldato sentiva di non poterne davvero più.
Ormai i suoi unici momenti di tranquillità erano quelli trascorsi sulla grande terrazza all’ultimo piano dell’edificio centrale, dove nessuno aveva mai pensato di andarlo a cercare.
La terrazza era indubbiamente la parte del campus che Soldato preferiva.
Sopraelevata rispetto a tutti gli altri edifici, era spaziosa e soleggiata e da lì la vista spaziava su tutta la baia di New York, dove navi e traghetti si affaccendavano tutto il giorno in un pittoresco andirivieni.
Era Sabato, appena dopo pranzo, quando in fuga da Mortino e Julien vi si rifugiò senza pensarci due volte.
Chiusosi alle spalle la porta che dava sulla tromba delle scale, si sedette accanto al parapetto e chiuse gli occhi, godendosi il sole e l’aria fresca.
Il giorno dopo avrebbe finalmente consegnato il modulo e avrebbe potuto tirare un sospiro di sollievo.
Animato da questi pensieri, aprì la sua cartella scura e ne estrasse una busta di plastica nella quale aveva sistemato tutti i depliant e i moduli dei vari club a cui si era interessato, sfogliandoli distrattamente.
Un po’ gli dispiaceva di aver scartato il Club di Cucina, gli sembrava davvero molto simpatico, ma ormai aveva fatto la sua scelta.
Stava rileggendo per l’ennesima volta il programma del Club di Teatro quando un rumore secco lo fece voltare di scatto in direzione della porta.
Skipper aveva appena fatto il suo ingresso in terrazza, la cravatta appena allentata e la giacca su una spalla sola trattenuta dall’indice e dal medio all’altezza del colletto.
Guardava in alto, verso il cielo, e fu per questo che non si accorse subito della presenza di Soldato.
- Ciao Skipper! – lo salutò quello, sentendosi in dovere di farsi vedere.
Lo studente più anziano si bloccò, arrestando di botto la sua marcia con la punta del piede ancora sollevata.
- Soldato? Scusa, non ti avevo visto… - fu la sua replica prima che si incamminasse verso di lui e si appoggiasse con i gomiti al parapetto.
- Sai, vengo spesso qui, quando ho bisogno di starmene un po’ per conto mio… - spiegò, negli occhi un velo cupo che la matricola non riuscì a comprendere.
- Oh, scusa… - mormorò quello, sentendosi improvvisamente di troppo.
Skipper scosse appena la testa e si strinse nelle spalle.
- Nessun problema. Anzi, meglio averti incontrato qui senza Julien e i suoi leccapiedi fra le scatole… - commentò con un mezzo sorriso.
Fu a quel punto che Soldato si accorse che non aveva incontrato Skipper nemmeno una volta in quella settimana, salvo a pranzo quando comunque finivano sempre in tavoli diversi.
Dalla Domenica dei Club, quella era la prima volta in cui riuscivano a parlarsi faccia a faccia.
- Avevi bisogno di dirmi qualcosa in particolare? – domandò rendendosi conto forse un po’ troppo tardi della sua sfrontatezza.
Nonostante fosse passata ormai una settimana, si sentiva ancora in imbarazzo per l’incidente delle scale, e aveva paura che a parargli in maniera così diretta potesse apparire irrispettoso.
Skipper non rispose subito.
Si concesse un lungo momento di silenzio, lo sguardo puntato sull’orizzonte, poi trasse un profondo sospiro e si decise a spiegarsi.
- In realtà volevo chiederti scusa per la condotta di Rico e Kowalski… Non volevo che risultassero oprrimenti, ma… -
- Beh, meglio le aiuole di Rico che le intimidazioni di Julien! – rise Soldato, contagiando anche il compagno.
Skipper però fu svelto a ricomporsi.
Si schiarì la gola e tornò all’espressione seria con cui aveva incominciato il discorso.
- In ogni caso, ecco… Credo che sia giusto che tu ti senta libero nella tua scelta. Insomma, non sei obbligato a iscriverti al nostro club, se non vuoi. –
La matricola ripose la busta di plastica nella cartella senza azzardarsi a guardare in faccia il capo del Club di Spionaggio.
- Rico mi ha detto che se nessuno si iscriverà sarete costretti a chiudere tutto… - osservò, una punta di tristezza nella voce.
Non notò che al “Rico mi ha detto” Skipper aveva spalancato gli occhi in sorpresa, ma sentì perfettamente il “Rico dovrebbe imparare a tenere il becco chiuso” che lo studente biascicò fra i denti.
Quello, gli occhi ancora a spaziare sull’ampio abbraccio della baia, abbassò impercettibilmente il tono di voce, tanto che Soldato dovette fare un po’ più di attenzione per essere sicuro che le sue parole non venissero portate via dal vento.
- Sì, è così. Quelli del Consiglio Studentesco hanno introdotto la regola quest’anno. Nessun club che abbia meno di quattro iscritti. E’ che non gli va di finanziare un gruppo come il nostro, non siamo mai andati a genio a Segreto e i suoi. – raccontò con una leggera nota di fastidio.
- Non è molto democratico… - osservò Soldato.
Una raffica di vento spazzò la terrazza mentre le nuvole in arrivo da Ovest a tratti oscuravano il sole.
Sui due studenti calò un silenzio fragile e imbarazzante, fatto di storie raccontate a metà e di intuizioni appena accennate.
Quando Skipper pensò che fosse stato detto a sufficienza, indossò la giacca e mosse qualche passo verso la porta.
- Ad ogni modo hai ancora un giorno e mezzo per pensarci. E qualunque sia la tua scelta ti ringrazio per la pazienza. Non è da tutti sopportare Rico e Kowalski così stoicamente. –
- A dire il vero, Skipper, non credo di aver bisogno di tutto questo tempo… - si decise a confessare il ragazzino.
Quando l’altro si voltò, la matricola se ne stava in piedi, un braccio teso verso di lui e un plico di fogli stretto nella mano destra.
Il suo viso tondo e delicato era illuminato da un sorriso caldo e gentile, mentre il vento gli scompigliava appena i capelli neri come la notte.
Skipper inarcò le sopracciglia e mosse un passo verso di lui, appena titubante.
Prese i fogli fra le mani e scorse le righe febbrilmente, fino a incontrare la firma del ragazzino in basso a destra.
- In realtà avevo già deciso un paio di giorni fa, ma volevo aspettare ancora un po’ prima di consegnare il modulo! – e per la prima volta da quando l’aveva incontrato, Soldato vide sul volto di Skipper un sorriso sincero, di quelli che fanno brillare gli occhi e tremare il cuore.
- Bene, allora! – esclamò, stringendogli la mano in una presa salda e decisa.
Poi i suoi lineamenti si addolcirono in un’espressione di pura gratitudine che non avrebbe mai immaginato di poter scorgere sul suo viso.
Bastarono quattro parole, una semplice pacca sulla spalla, e Soldato capì di aver fatto la scelta giusta.
- Benvenuto in famiglia, Matricola! -
























 
Note:

Ed eccoci qua con il secondo capitolo della nostra storia!
Fra mille peripezie e inquietantissimi compagni di corso - no, seriamente, Mortino è posseduto dal demonio D: -, Soldato ha finalmente scelto a quale club iscriversi!
Insomma, dai, avevate dubbi? xD
Sappiamo che finora non è successo un granchè, ma non temete, presto inizieranno a profilarsi i misteri che aleggiano intorno al Club di Spionaggio, e ne vedremo delle belle!
Menzione speciale a Rico, che è un amore e chi non vuole abbracciarlo fortissimo deve rivedere le sue priorità. V.V xD

Grazie mille a chi ha recensito e chi ha messo la nostra storia fra le seguite o le preferite.
Un bacione!
Koome

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***




Capitolo III~








A Soldato piaceva la scuola. Sin da bambino si era dimostrato un ragazzino studioso e attento, con una marcata predilezione per le materie umanistiche quali l’Arte e la Letteratura.
Ogni tanto  la sua testa perennemente fra le nuvole lo cacciava nei guai e spesso dimenticava a casa libri e quaderni, ma la sua dedizione e la sua voglia di apprendere erano sempre state sufficienti a garantirgli estati tranquille e spensierate.
Nemmeno ora che si era iscritto al college le cose erano cambiate più di tanto: certo, crescendo aveva smesso di dimenticare i compiti sulla scrivania e aveva imparato a non farsi beccare quando si distraeva in aula, ma la passione per lo studio non gli era passata, ed era proprio per questo che la mole spropositata di compiti e progetti che gli avevano rovesciato addosso già al primo giorno di lezioni non lo aveva spaventato per niente.
Da quando le iscrizioni ai club erano divenute ufficiali, Mortino aveva deciso di smettere di rivolgergli la parola, ma il ragazzo aveva la volontà più traballante che Soldato avesse mai visto, e il suo proposito di tenergli il broncio era crollato in meno di una settimana.
- Non capisco come tu abbia potuto voltare le spalle a Re Julien per allearti con quei tre psicopatici del Club di Spionaggio! Insomma, cosa avranno mai da offrire? Non sono belli nemmeno la metà di Julien! –
A quell’invettiva, il giovane si era limitato ad alzare un sopracciglio e fare spallucce.
- Avrebbero chiuso se non mi fossi iscritto. E poi Julien non ha bisogno della mia presenza, suddito più o suddito meno non se ne accorge neppure! –
Il suo compagno di stanza infilò a tracolla la borsa stracarica di libri e lo precedette lungo il corridoio, lasciando che fosse lui ad occuparsi di chiudere a chiave la porta.
- Se un club non è nemmeno capace di rimanere in piedi è giusto che chiuda i battenti! Julien dice che i gemelli sono gente da cui stare alla larga, secondo lui… -
Ma una voce squillante e allegra lo interruppe.
- Ah, non dare retta a quel megalomane di Julien! –
Soldato si sentì circondare le spalle da un braccio esile e tuttavia energico e si ritrovò a fissare un paio di vispi occhi nocciola.
La ragazza a cui appartenevano era poco più alta di lui e aveva un fisico asciutto e atletico, i suoi capelli castani erano raccolti in una sbarazzina coda alta e ai polsi portava un’infinità di tintinnanti braccialetti colorati.
- Tu devi essere Soldato, vero? Ho sentito Skipper parlare di te con i ragazzi! – aggiunse stringendogli energicamente la mano.
Mortino inclinò appena la testa da un lato, i suoi grandi occhi ambrati colmi di domande.
- Oh, giusto, non mi sono nemmeno presentata! Io sono Marlene, quarto anno! – esclamò con un grande sorriso, spostando continuamente il peso da un piede all’altro mentre allungavano il passo per raggiungere le aule in tempo per l’inizio delle lezioni.
- Sei amica di Skipper? – domandò ingenuamente Soldato, Mortino che roteava gli occhi accanto a lui. Probabilmente non aveva apprezzato il commento su Julien della ragazza.
La studentessa arrestò la sua marcia e inclinò leggermente la testa verso sinistra, sul volto un’espressione indecifrabile.
- A-amici? Beh, in un certo senso… - sorrise senza riuscire a celare il velato imbarazzo di quella replica.
- Ad ogni modo è bello che tu abbia voluto salvare il loro club. Qualsiasi cosa dica Julien, Skipper, Rico e Kowalski sono davvero dei buoni amici. Ti troverai bene con loro… - continuò con una luce dolce negli occhi.
Poi, rapida come era apparsa, prese a marciare verso il fondo del corridoio.
- Ah, tu, piccoletto! Dì a Jul che nel suo club non ci entro manco morta e che si può risparmiare gli imbarazzanti bigliettini anonimi! – e, con quell’allucinante sortita, sparì definitivamente dietro la porta della sua aula.
Mortino e Soldato si si scambiarono una lunga occhiata silenziosa, poi fecero spallucce e si affrettarono verso la loro classe.
Anche quel giorno le lezioni trascorsero senza particolari intoppi.
Ogni tanto Mort si appisolava sul banco, e il suo compagno era costretto a svegliarlo con qualche gomitata, ma i professori non sembravano farci caso, e tutto filò liscio fino alla quarta ora, quando Soldato aveva Chimica assieme a Rico.
Mortino li salutò con la mano e si diresse verso l’aula di Economia, lasciandoli soli in mezzo al viavai del corridoio.
- Ciao Rico! Com’è andata oggi? – domandò mentre l’altro lo salutava con un sorriso a trentadue denti.
Il ragazzo fece spallucce e biascicò cose senza senso, fra le quali il più giovane colse una lamentela nei confronti della mania dell’ordine di Kowalski e un invito a pranzo.
- Certo che vengo con voi! Non so se sarei in grado di resistere a un altro pasto con Mort e Julien seduti allo stesso tavolo! – rise, contagiando anche l’amico.
- E non essere così acido nei confronti di Kowalski, sono sicuro che non è così maniacale come dici. –
Rico roteò gli occhi e gli batté qualche comprensiva pacca sulla spalla che Soldato interpretò con un fremito come un “beata ignoranza”.
Quando, due ore dopo, i due raggiunsero la mensa, Skipper si era già premurato di tenergli il posto a tavola.
A vedere suo fratello chiacchierare con il novellino gli si scaldò il cuore. Nessuno -a parte forse Marlene, ma con lei era diverso- aveva mai cercato di spendere il suo tempo a capire i singulti di Rico, e addirittura quel ragazzino sapeva apprezzarli e rideva con lui, anziché di lui.
Senza riuscire a trattenere il sorriso che gli era nato spontaneamente sulle labbra, spostò appena la seggiola perché suo fratello potesse sedersi comodamente e salutò Soldato con un cenno del capo.
- ‘WALSKI? – domandò Rico, guardandosi attorno in cerca del gemello.
Skipper sospirò e poggiò il mento sulla mano con un piccolo sbuffo.
- Oggi è venerdì, ha Idraulica alle ultime due. – spiegò con aria grave.
- E quindi? – cercò di informarsi Soldato, curioso di scoprire qualcosa di più sul trio.
- E quindi oggi è il giorno della settimana in cui Kowalski massacra il suo orgoglio. – sentenziò indicando l’ingresso della mensa.
Marlene era appena entrata nella grande stanza accompagnata da una ragazza alta ed elegante, i lunghi e fini capelli biondi raccolti in una coda di cavallo e un piccolo e delicato neo sullo zigomo sinistro.
Le due chiacchieravano animatamente e di tanto in tanto scoppiavano a ridere.
Dietro di loro, sul viso l’espressione più ebete che si possa immaginare, c’era Kowalski, intento a balbettare chissà cosa all’indirizzo della bionda.
Quella, finalmente, parve accorgersi della sua presenza e fece segno a Marlene di proseguire da sola nella ricerca di un tavolo libero.
- Sì, Doris, ecco, io… Io mi chiedevo se… -
Doris, questo doveva essere il nome della misteriosa fanciulla, annuì e lo incitò a proseguire, mentre al tavolo Rico si spalmava una mano sul volto in segno di pura disperazione e Skipper alzava gli occhi al cielo.
- Sì, insomma… ti andrebbe di fare coppia con me… per il progetto di Idraulica? – riuscì infine ad urlacchiare Kowalski, pericolosamente rosso in viso.
Lei si guardò intorno e mantenne le labbra serrate in un’espressione di puro imbarazzo, poi si decise a rispondere.
- Ecco, Kowalski… Io apprezzo davvero tantissimo la tua proposta e scommetto che sarebbe davvero fico lavorare con te, ma… - borbottò, giocherellando con una ciocca della sua coda.
- Eccola, ci siamo… - anticipò Skipper mentre Soldato assisteva sconvolto alla scena.
- Sì, beh, vedi, mi sono già accordata con Samuel e lui… - ma il ragazzo la interruppe.
- Samuel? Tu vuoi lavorare al progetto di Idraulica con Samuel?! Ma Doris, quello è un idiota! Per la barba di Einstein, non sa nemmeno il Principio di Archimede, come puoi pensare che possa aiutarti? –
Doris incrociò le braccia al petto e gli rivolse un’occhiata raggelante.
- Senti, Kowalski, Samuel è il mio ragazzo e non mi interessa se non sa elencare i numeri primi a sette cifre, quello che conta è che mi ama e con lui sto bene. Quindi farò il progetto di Idraulica con lui, chiusa la questione! Buon appetito. – e, a passo pesante, raggiunse Marlene al loro tavolo.
Solo a quel punto Kowalski si rese conto che l’intera mensa si era voltata a guardarli e filò spedito al tavolo con i suoi fratelli, dove Rico gli riservò una comprensiva pacca sulla spalla.
- Davvero, Kowalski. Perché continui a farti male in questo modo? – lo prese in giro Skipper, ottenendo solo un mugolio di disperazione prima che il fratello si gettasse a capofitto sul pranzo con la morte nel cuore.
- Chi… chi era quella ragazza? – si azzardò a domandare Soldato senza distogliere lo sguardo dal disperato accanto a lui.
- DORIS! – spiegò Rico, come sempre a tono un po’ troppo alto.
Skipper scosse la testa e sorbì una sorsata del suo succo di frutta.
- E’ del secondo anno, è da quando si è iscritta che Kowalski ci prova disperatamente con lei. – raccontò.
- Non così disperatamente! – cercò di salvarsi in corner il gemello più grande.
- No, beh, hai ragione. Ci sono effettivamente cose peggiori di essere rifiutato per ben sedici volte e mezzo! – lo schernì il capo del Club di Spionaggio.
- E mezzo? – Soldato iniziava a non capirci più niente.
A quel punto Rico si esibì in un gesto eloquente con la mano.
“Storia lunga” comprese il ragazzino, incapace di trattenere un sorrisetto. Quei tre erano veramente un gruppetto eterogeneo…
- Comunque non è per parlare di me e Doris che siamo qui. – sentenziò Kowalski sistemandosi meglio gli occhiali sul naso e riacquistando un po’ della sua dignità, mentre gli altri continuavano a sbocconcellare il loro dolce.
- AH NO? – fece Rico, beccandosi un’occhiataccia dal fratello.
Skipper si asciugò la bocca con il tovagliolo e si schiarì la voce, portando le dita intrecciate davanti alla bocca e sporgendosi appena in avanti in modo da calare il tavolo in un’atmosfera di segretezza.
- Kowalski ha ragione. Domani mattina ci sarà la prima riunione ufficiale del Club di Spionaggio, Matricola, e mi aspetto da te la massima puntualità. – fece rivolto al più giovane.
- Signorsì Signore! – esclamò lui con un buffo saluto militare.
- Bene, mi piace la disciplina fra i sottoposti! Allora l’appuntamento è alle nove in aula 106. Mi raccomando, voglio la massima efficienza per la tua prima missione! -  ordinò, piantando i suoi occhi glaciali in quelli grandi e ingenui del ragazzino.
Soldato annuì con convinzione e sentì le labbra tenderglisi in un grande sorriso: non vedeva l’ora di incominciare.
 







 
Prima missione un corno.
Soldato sbuffò, togliendo l’ennesima graffetta ad un plico di fogli per poi ripinzarli semplicemente in ordine diverso, timbrandoli qua e là e crocettando liste e questionari.
Era da quella mattina alle nove, subito dopo il breve discorso di inaugurazione da parte di Skipper, che se ne stava relegato in quello stanzino striminzito a sbrigare noiosissimo lavoro d’ufficio.
Che cosa aveva a che fare quello con lo spionaggio?
Avrebbe dovuto immaginarlo, i ragazzi l’avevano preso nel gruppo solamente affinchè il club non fosse costretto a chiudere, ma non avevano mai davvero avuto intenzione di considerarlo come un membro della squadra.
Dopotutto era solo una matricola, cosa avrebbe dovuto aspettarsi, di essere eletto immediatamente a vice-capo fra gli applausi e la gloria?
Preso com’era dalle sue astiose elucubrazioni, non si accorse nemmeno che avevano bussato alla porta.
- TOC TOC! – fu la voce di Rico, sporto a mezzobusto dall’uscio, a riportarlo alla realtà.
- Ah, ciao… - lo salutò senza enfasi.
Il ragazzo si chiuse la porta alle spalle e trotterellò fino alla scrivania, sedendosi sul ripiano di legno ed esaminando i documenti senza reale interesse.
- Li ho riordinati correttamente? Spero che a Skipper vadano bene, non vorrei mai rovinare la sua divertentissima ed emozionante giornata da spia con il mio noiosissimo lavoro mal fatto. – sbottò, lasciandosi cadere all’indietro sullo schienale della seggiola e incrociando le braccia al petto.
- Perché non sei con gli altri? – chiese poi, notando che l’amico non accennava a muoversi.
Rico gli sorrise e prese una spillatrice per poi aiutarlo nel lavoraccio.
- AMICI! – gracchiò con un occhiolino.
L’espressione della matricola si addolcì.
- Amici… - sussurrò.
- Grazie Rico… -
Rimasero assieme per tutto il pomeriggio, e Soldato si accorse che assieme a Rico il tempo sembrava scorrere molto più velocemente. Se non fosse stato per lui, probabilmente, avrebbe finito per pinzarsi gli occhi in preda alla disperazione.
Quando fu l’ora di dividersi, Skipper si mostrò più che soddisfatto del loro operato, ma un’ombra acquattata nei suoi occhi rendeva evidente che qualcosa lo impensieriva.
La settimana seguente la scena fu replicata, con la variante di qualche sporadica visita alla stanzetta da parte di Kowalski e del capo.
Al di fuori delle riunioni del Club, per assurdo, i gemelli avevano preso a frequentare Soldato sempre più assiduamente, e ormai a pranzo gli tenevano il posto a tavola senza nemmeno bisogno di chiedere.
Se con Rico e Kowalski ormai poteva definirsi amico a tutti gli effetti, però, il rapporto che lo legava a Skipper era molto più difficile da etichettare.
Purchè il più anziano non facesse nulla per meritarsi un simile giudizio, Soldato aveva la netta sensazione di non piacergli, complice forse il perenne atteggiamento di diffidenza, come se il ragazzino avesse dovuto fare qualcosa di terribile da un momento all’altro.
Incapace di trattenere la sua curiosità di fronte a quel comportamento, la matricola aveva preso a sgattaiolare fuori dalla sua stanzetta con le scuse più banali, lasciando a Rico la responsabilità di portare momentaneamente avanti il suo compito.
Gli dispiaceva che a causa sua dovesse perdersi il divertimento e fargli da balia, ma il ragazzo sembrava spassarsela un mondo assieme a lui, e questo lo sollevava molto.
Era stato alla riunione precedente che, fingendo di dover andare al bagno, Soldato era scivolato silenziosamente fuori dal suo “ufficio” e si era messo sulle tracce degli altri due gemelli.
Non aveva dovuto fare troppa strada: Skipper e Kowalski  erano nell’aula accanto e trafficavano con un paio di pc e una stampante.
Il maggiore, che grazie al cielo non lo aveva notato, si era tuttavia accorto di aver lasciato la porta aperta quel tanto che bastava per sbirciare all’interno e si era affrettato a richiuderla.
Su cosa stavano indagando i gemelli di così segreto da non poter essere condiviso nemmeno con un membro del loro gruppo?
Nella settimana seguente Soldato aveva cercato di scoprirlo in tutti i modi, con domande a trabocchetto per Rico e con insinuazioni rivolte agli altri due, ma non c’era stato verso.
Ogni volta che il ragazzo cercava di portare la conversazione su cosa si facesse mentre lui timbrava e pinzava, i tre cambiavano prontamente discorso.
Fu il primo venerdì di Ottobre, in un umido pomeriggio grigio di nebbia, che il giovane decise di essersi stufato.
- Sentite, non voglio mettere in discussione la vostra autorità, ma mi chiedevo se… - esordì, salvo venire prontamente zittito da un’occhiata gelida da parte di Skipper.
- Qual è il problema, Matricola? – fece, tagliente.
Soldato deglutì a vuoto, leggermente intimidito dal suo superiore, poi si fece coraggio e parlò.
- Ecco, mi chiedevo se per caso non potrei incominciare a lavorare assieme a voi. Insomma, ormai è un mese che passo i pomeriggi a riorganizzare i vostri documenti, pensavo che sarebbe carino se potessi unirmi a voi sul serio… -
Prima che Skipper potesse replicare in alcun modo, Kowalski prese la parola.
- Comprendiamo appieno il tuo punto di vista, Soldato, ma riteniamo che sia ancora un po’ presto perché tu possa essere messo a parte… - ma Soldato non gli lasciò il tempo di finire la sua frase.
- Un po’ presto?! Cosa c’è, credete che io non sia capace di fare quello che fate voi? D’accordo, magari sono un po’ impacciato, ma come posso dimostrarvi di essere all’altezza se non mi mettete alla prova? – sbottò, stufo di chinare il capo per via della sua posizione.
Rico protese una mano verso di lui nel tentativo di calmarlo, ma il ragazzino non gli diede minimamente retta.
- C’è un tempo per ogni cosa, Matricola. Non sappiamo ancora se possiamo fidarci di te a sufficienza per…. – ma anche Skipper venne interrotto dalla voce di Soldato, un poco più acuta di prima.
- Fidarsi? Ma stiamo scherzando? Cosa mai avrete di così oscuro da nascondere che io non possa sapere? Credete che andrei a spiattellare in giro i vostri segreti? Siamo amici, santo cielo! –
Questa volta fu il turno di Skipper di alzare la voce.
- Amici? Un amico non è altro che un nemico che non ha ancora attaccato! – gridò facendo minacciosamente un passo in avanti.
Il più giovane era troppo preso ad indignarsi per notare il lampo di dolore nelle iridi del capo.
Per nulla intimorito, rese gli occhi azzurri due fessure incandescenti e strinse i pugni lungo i fianchi.
- A quanto pare abbiamo un concetto completamente diverso di amicizia, Skipper. – e così dicendo girò sui tacchi e se ne andò senza fiatare, scomparendo all’angolo del corridoio.
Il trio rimase muto e immobile nell’aula 106 finchè il rumore dei passi in lontananza non fu completamente assorbito dalle pareti.
- Cosa c’è, adesso? – sbottò Skipper mentre Rico sembrava volerlo uccidere con lo sguardo.
- Sai benissimo che non possiamo parlargli di quella faccenda. E’ solo un ragazzino, è troppo pericoloso! – esclamò per difendersi.
- E’ chiaro che non possiamo raccontargli tutto, ma forse relegarlo a pinzare documenti è stato un po’ eccessivo, non credi che dovremmo cercare di renderlo un po’ più partecipe dei nostri progetti? Insomma, il Club di Spionaggio non lavora solo su quello, abbiamo anche una copertura da mantenere… - osservò Kowalski con un sospiro, mentre Rico annuiva convinto.
- Non sappiamo nemmeno se possiamo fidarci di lui! E se fosse un infiltrato? –
Il gemello più giovane mostrò la lingua in un’espressione schifata.
- Rico ha ragione, sei paranoico! – gli diede manforte Kowalski.
- E con ciò?! Se fossi stato più paranoico a tempo debito, adesso Johnson e Manfredi sarebbero ancora con noi e non avrei bisogno del ragazzino per tenere in piedi il Club! – urlò, improvvisamente paonazzo.
- Skipper, aspetta! – ma il richiamo di Kowalski fu del tutto inutile: il gemello di mezzo se n’era andato sbattendo la porta.
Il week-end fu grigio e piovoso, reso freddo da un fastidioso vento settentrionale che si infilava in ogni fessura generando spifferi e spalancando le finestre mal chiuse.
Skipper aveva passato Sabato e Domenica chiuso in camera sua a studiare.
Sdraiato sul letto, gli capitava spesso di rileggere più volte la stessa riga del manuale, distratto dal pensiero ricorrente della sua discussione con Soldato.
Che i suoi fratelli avessero ragione? Era davvero diventato paranoico?
Poi però lo sguardo gli cadeva sul letto intonso addossato alla parete di fronte, un letto vuoto e freddo che da anni non veniva più occupato, e le sue paranoie gli sembravano il minimo che potesse fare.
Come facevano Rico e Kowalski a non capire? Quella era una faccenda troppo delicata perché si potesse permettere di coinvolgere altre persone, e di certo non potevano pretendere che dopo quello che era successo riuscisse a fidarsi del suo prossimo così, su due piedi.
Lunedì aveva visto Soldato uscire dall’aula di Chimica assieme a Rico. Non era riuscito a capire di cosa parlassero, ma sembrava che il loro rapporto fosse rimasto tale e quale alla settimana precedente.
Per un momento si era illuso che tutto sarebbe filato liscio, ma Soldato aveva salutato suo fratello all’ingresso della mensa e si era diretto verso il tavolo di Julien, che l’aveva salutato con sufficienza.
Avrebbe voluto parlargli, chiarire la faccenda una volta per tutte, ma il suo orgoglio glielo impediva, e ogni volta che si ritrovava nella situazione adatta per spiegargli le sue motivazioni, la voce gli veniva meno.
Giovedì sera, finalmente, stufo di fissare un cuscino freddo e muto che non gli avrebbe mai ridato indietro il passato, uscì da camera sua e si diresse a passo deciso verso la stanza della matricola.
- Cerchi Soldato? E’ uscito una decina di minuti fa, non mi ha detto dove andava… - lo accolse la vocetta stridula di Mortino.
Lo sguardo di Skipper oltrepassò la sua testolina riccia e veleggiò oltre i poster e le fotografie attaccate al muro, fino a posarsi sulla finestra imperlata di gocce di pioggia.
- Penso di sapere dove trovarlo… - e, senza nemmeno ringraziare, lasciò il ragazzino sulla soglia e si incamminò verso l’edificio centrale.
Salì le scale di corsa, tanto che quando raggiunse la porta della terrazza aveva il fiatone.
Individuò immediatamente la schiena esile del compagno seminascosta da un enorme ombrello celeste e mosse un passo all’aperto, immediatamente mitragliato dalle gocce di pioggia.
- Matricola! – esclamò, pentendosi immediatamente della scelta di quel soprannome.
Quella era una scena già vista, una scena che gli portò alla mente ricordi indesiderati.
Scosse la testa e fece ancora qualche passo verso il ragazzino, che non accennava a voltarsi.
- Senti, io… credo di essere stato poco onesto con te. Non avrei dovuto parlarti in quel modo. E’ che, vedi… - ma il silenzio che imperversava su di lui gli chiuse la bocca.
- Davvero, io non credo che tu possa essere… Oh, dannazione, ti chiedo scusa! – sbottò, l’acqua che gli scivolava lungo gli zigomi marcati e giù per il collo, appiccicandogli la camicia alla pelle.
- Capisco se non vuoi più far parte del gruppo, ma volevo solo che sapessi che, insomma… Mi fido di te. Sono pronto a farlo. – e quelle ultime parole uscirono dalla sua bocca come un macigno.
Eppure erano vere, erano sentite.
Le parole più sincere che Skipper avesse pronunciato negli ultimi tre anni.
Finalmente Soldato si voltò, spezzando l’ordine di quello che sembrava un tetro e gocciolante incubo.
Aveva gli occhi rossi, ma le sue guance erano asciutte.
Non disse niente, si limitò a curvare le labbra verso l’alto e accoglierlo sotto il suo grande ombrello celeste.
- Ti verrà un accidente… - sussurrò semplicemente dopo qualche secondo di statico silenzio.
Skipper non replicò subito, stupito da come il ragazzino avesse deciso di perdonarlo senza bisogno di una parola.
- Sono sopravvissuto a cose ben peggiori… - scherzò, cercando di mostrarsi sarcastico nonostante l’imbarazzo che gli stava mandando a fuoco le guance.
L’altro scosse la testa e si incamminò lentamente verso le scale.
- Non volevo mettervi fretta, solo che credevo di non… Io credevo di non essere abbastanza per voi… - mormorò prima di chiudere l’ombrello.
- Soldato. –
Il ragazzino si voltò, sentendo la mano del compagno sulla sua spalla.
Si ritrovò a specchiarsi negli stessi occhi freddi e severi che poco meno di una settimana prima lo avevano fatto sentire il più inutile ed indesiderato fra gli esseri umani e si accorse che adesso erano più dolci, illuminati da un affetto senza nome, una gratitudine senza volto.
Il capo del Club di Spionaggio gli rivolse un caldo sorriso e pronunciò le parole che più gli premeva comunicare da quando i due avevano litigato.
- Tu sei essenziale. –
E Soldato, gli occhi improvvisamente lucidi e il naso che pizzicava, comprese che da quel momento ogni cosa sarebbe stata differente.
In effetti, la sua avventura era appena incominciata.













 
Note:

Buonasera a tutti e buone feste in ritardo! xD
Speriamo che abbiate passato un buon Natale all'insegna dei regali e del cibo! <3
Noi nel frattempo abbiamo preparato il terzo capitolo, nel quale finalmente assistiamo alle avventurose runioni del club di Spionaggio.
Wow. Che emozione. Davvero. -.-
Povero Soldato, deve essere stato seriamente un suicidio passare i pomeriggi in un francobollo di aula a pinzare e timbrare scartoffie... per fortuna che c'era Rico a tenergli compagnia!
Ma per quale motivo Skipper è così paranoico? Cos'ha da nascondere e perchè è così restio a fidarsi del suo prossimo?
Ma soprattutto, cosa è successo a Johnoson e Manfredi!?
Contemporaneamente abbiamo fatto la conoscenza di altri presonaggi che saranno di vitale importanza per la trama, ossia le ragazze. Adoriamo Marlene e Doris e... oh, povero Kowalski! Potrà mai a mettere una pietra sopra questa relazione impossibile? Oppure riuscirà a conquistare il cuore della sua amata? -Rico ha già iniziato a scommeterci denaro- xD
Grazie infinite a chi legge, segue, recensisce o preferisce, speriamo di essere sempre all'alezza delle aspettative! <3

Un bacione, e ancora buone feste!
Koome

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***




Capitolo IV~






La neve ricopre interamente il giardino, silenzioso e candido nella staticità dell’inverno.

I fiocchi continuano a cadere lentamente, dolci e lievi nel loro pacato turbinio.
Ogni cosa sembra come sospesa, quasi la natura stesse trattenendo il respiro in attesa di un grande evento.
Skipper, la fronte contro il vetro della finestra, respira piano.
Non deve pensarci, non deve giungere a conclusioni affrettate.
Poi, all’improvviso, la porta si spalanca e Kowalski fa il suo ingresso a testa bassa.
- Skipper... – mormora, le labbra stranamente pallide.
E all’improvviso le congetture si rivelano corrette, i timori giustificati.
E’ la paura a farsi strada attraverso le sue viscere.
La paura e la consapevolezza che è tutta colpa sua.
- No. – balbetta, sconvolto.
- No, non è vero. Kowalski, non è vero. –
Il fratello alza lo sguardo su di lui, ma i suoi occhi sono vuoti, due orbite cave che rigurgitano sangue.
- Sei stato tu, Skipper. Li hai uccisi tu! – ghigna, ma la voce non è più quella di Kowalski.
- No, non è vero! Non è vero, lo sai! –
- Li hai mandati al patibolo, sono morti per causa tua! – incalza il maggiore, il sangue che continua a sgorgare lungo le guance fino al mento e poi giù, a ticchettare sul pavimento ad ogni goccia scarlatta che si infrange.
Improvvisamente l’aria è pesante e Skipper fatica a respirare. Tutto si muove così lentamente, e lui vorrebbe andarsene, ma i suoi piedi sono incollati a quel lago di sangue.
- Kowalski, ti prego! – ma ora non c’è più Kowalski di fronte a lui.
Riconosce il ghigno, i fini capelli biondi sparsi sulle spalle.
- Buon Natale, Skipper. – la mano si tende verso di lui come un artiglio pronto a ghermirlo, mentre anche la neve in giardino si tramuta in liquido scarlatto.
- Basta, ti prego, lasciami stare! –
Ma la mano avanza e sfiora il suo viso.
- E’ colpa tua... –
- Basta, lasciami stare! –
Gli artigli zuppi di rosso lambiscono il cuore
- Verrò a prenderli tutti, fino all’ultimo... –
- Lasciami andare! –
E il sangue è ovunque, sulle mani, sugli occhi, in gola.
- E tu starai a guardare... -
- BASTA! –
 



 
Skipper si levò a sedere con un grido.
Intorno a lui tutto era statico, e la luce biancastra del mattino filtrava tenue nella stanza, illuminando con disinteresse il letto vuoto addossato all’altra parete.
Un incubo. Era stato solo l’ennesimo dannatissimo incubo.
Il ragazzo si strofinò gli occhi con la mano e si scostò i capelli dalla fronte, pettinandoli all’indietro con le dita. Era in un bagno di sudore, e doveva anche essersi agitato parecchio nel sonno, dal momento in cui le lenzuola erano tutte attorcigliate ai piedi del materasso.
- Maledizione... – mormorò, gli occhi che gli pizzicavano fastidiosamente.
Senza che nemmeno se ne accorgesse, due piccole lacrime sfuggirono alle sue ciglia e rotolarono lungo le sue guance.
Più stanco di quando era andato a dormire, si lasciò cadere a peso morto sul cuscino e portò l’avambraccio a coprirgli il viso, in attesa che la crisi passasse da sola.
Per quanti anni ancora avrebbe dovuto svegliarsi in quel modo? Per quanti anni ancora avrebbe dovuto portare sulle proprie spalle il peso del passato?
Si morse un labbro per trattenere i singhiozzi, ma fu tutto inutile: più cercava di trattenersi, più il cuore gli si lacerava.
Dopo quelle che gli parvero ore, qualcuno bussò alla porta.
Non rispose, la bocca impastata e il respiro ancora affannato dal pianto.
Quando nessuna risposta giunse al visitatore, una voce si levò dal corridoio.
- Skipper, sto entrando! –
Il ragazzo sospirò nel sentire la maniglia della porta abbassarsi mentre Kowalski marciava deciso verso il suo letto.
- Ti ho portato il caffè, immagino che tu non abbia voglia di scendere a colazione... – sussurrò, posando il bicchierino di plastica sulla scrivania e rivolgendo uno sguardo preoccupato al fratello che si strofinava gli occhi con foga.
Skipper scosse la testa e si mise a sedere senza levare lo suardo dalle lenzuola.
I due rimasero in silenzio per un po’, entrambi incapaci di parlare, poi finalmente Kowalski si sforzò di porre la domanda.
- Di nuovo come al solito? –
L’altro annuì lievemente e si passò una mano sul volto.
- Sempre uguale. Sempre quel maledetto sangue, sempre quel maledetto... quel maledetto... – ma il tono irato si mutò presto in un mugolio di sconfitta, mentre nuove lacrime gli sfuggivano bruciando fino al mento.
Kowalski serrò le labbra e strinse i pugni cercando di trattenersi, il cuore calpestato da quella vista miserabile.
Se solitamente si riteneva un ragazzo pragmatico, uno scienziato che non si faceva dominare dalle emozioni, vedere suo fratello ridotto in quello stato lo pervadeva di una rabbia senza paragoni, un delirante desiderio di vendetta che non riusciva a reprimere.
- Coraggio Skipper, vedrai che lo prenderemo. Te lo prometto. – sentenziò, una mano sulla spalla del gemello mentre gli porgeva il bicchierino di caffé fumante.
L’altro tirò su col naso e sorbì un sorso della bevanda scura, il calore a filtrare nel suo corpo ammorbidendogli il cuore.
- Rico è già a lezione? – domandò, cercando di cambiare discorso. Dopotutto Kowalski sapeva ogni cosa senza nemmeno bisogno che pronunciasse parola.
Il quattrocchi annuì e tirò le tende lasciando che la luce fioca delle grige mattine autunnali si facesse strada fino al letto.
- Penso di sì, ha un compitino fino alle dieci. L’ho lasciato in mensa con Soldato e Marlene, ma ormai sarà già andato... –
Al sentir nominare il novellino, Skipper alzò lo sguardo e sorrise debolmente.
- Che c’è? – fece il gemello più grande, incuriosito da quell’espressione assorta.
Il capo del Club di Spionaggio scosse la testa e bevve l’ultimo sorso di caffè, facendo segno a Kowalski di scansarsi cosicchè potesse alzarsi da letto.
- Niente, solo che quel ragazzino mi mette di buonumore. – e, con quell’uscita indecifrabile, gettò il bicchierino di plastica nel cestino della spazzatura accanto alla scrivania, prima di filare in bagno a sciacquarsi la faccia.
Nel frattempo, in mensa, Soldato stava finendo il suo bacon sotto lo sguardo attento di Marlene.
Dopo il chiarimento che avevano avuto in terrazza, le cose fra lui e Skipper avevano preso a filare a gonfie vele, e la matricola aveva scoperto di trovarsi in realtà molto bene in compagnia del più grande.
Quello che gli aveva detto nel dargli il benvenuto nella loro associazione era vero: il Club di Spionaggio l’aveva accolto come una famiglia e proprio come in una famiglia ormai era normale anche per Soldato punzecchiare Kowalski o abbracciare di slancio Rico.
A quasi un mese dalla sua iscrizione sentiva di essersi amalgamato a quei tre bizzarri fratelli alla perfezione, sicuro che non avrebbe potuto prendere decisione migliore di unirsi a loro.
Certo, ogni tanto vi era ancora qualche piccola stranezza che non sapeva come interpretare, ma era convinto che col tempo sarebbe venuto a conoscenza di ogni più piccolo segreto relativo alla combriccola.
Ad esempio, quella mattina Skipper non si era presentato a colazione. Strano, perchè di solito, pur non mangiando niente, non riusciva a rinunciare al suo amarissimo caffè prima di affrontare la giornata.
Lo avevano aspettato per un po’, e alla fine Kowalski era partito alla ricerca del gemello, sostenendo che probabilmente non aveva sentito la sveglia.
Soldato aveva storto il naso, messo sull’attenti dallo sguardo preoccupato dietro alle lenti dell’amico, ma aveva preferito non indagare e l’aveva salutato con un grande sorriso, facendo spazio a Marlene accanto a sé.
Poco più tardi era stato il turno di Rico di salutarli per poi filare dritto verso la sua classe, dove lo attendeva un noiosissimo esame in itinere per il quale probabilmente non si era nemmeno preparato.
- Mamma mia, davvero non so come fare a studiare tutte queste poesie! La prof deve essere impazzita! –
Il ragazzino tornò in sé, gettando un’occhiata distratta al foglio di carta che Marlene teneva fra le mani.
- Coraggio, Marlene, non è poi così terribile! Keats è un poeta meraviglioso, vedrai che ti piacerà! – cercò di consolarla con un grande sorriso.
Un rumore sordo proveniente dalla sua sinistra lo fece sobbalzare.
- La fai facile, tu trovi meraviglioso pure quel mattone di Canterbury Tales! –
Doris aveva appena fatto il suo ingresso in scena, sbattendo il suo vassoio sul tavolo.
I tre frequentavano assieme il corso di Letteratura, e capitava che si vedessero a colazione prima delle lezioni, nei giorni in cui i loro corsi incominciavano alla seconda o terza ora.
Soldato aveva capito immediatamente perchè Kowalski avesse perso la testa per Doris: la ragazza, oltre ad essere innegabilmente molto bella, aveva un carattere amabile e tuttavia deciso, ed era sempre un piacere trascorrere del tempo con lei.
A meno che non fosse arrabbiata.
- Oh, qui qualcuno si è alzato con il piede sbagliato! – cinguettò Marlene sarcastica, mentre la sua compagna di stanza si sedeva di fronte a loro, sul viso un’espressione di puro fastidio.
- Io e Samuel ci siamo mollati. – decretò in spiegazione, sbuffando e portando il mento sui palmi delle mani.
- Oh, mi dispiace... – sussurrò il novellino, sinceramente mortificato dalla notizia.
Doris fece spallucce e rimescolò con foga il suo cappuccino.
- E’ un idiota. Rozzo e privo di qualsivoglia educazione. Mi chiedo come diamine non me ne sia accorta prima. – borbottò mentre Marlene sorrideva.
- Oh, dai, il mare è pieno di pesci, si vede che Sam non era quello giusto! – fece saggiamente.
L’amica gonfiò le guance e ingurgitò la sua colazione senza grazia mentre Soldato studiava con un misto di orrore e ammirazione l’atteggiamento delle ragazze.
- La verità, Lene, è che non esiste quello giusto. – esalò la bionda, sdraiandosi teatralmente sul tavolo.
- Dove lo trovo un ragazzo che sia contemporaneamente bello, gentile, simpatico e intelligente? Insomma, le prime tre categorie sono abbastanza facili da trovare, ma la quarta... – mugolò, rendendosi conto dell’impossibilità del suo sogno.
A quel punto Soldato si decise a intervenire.
- Beh, Doris, forse finora hai semplicemente guardato nel posto sbagliato! Credo che Ko... – ma una voce lo interrupe bruscamente.
- Buongiorno ragazzi! Come state? – Skipper era finalmente arrivato, al suo fianco Kowalski si guardava attorno con impostata nonchalance.
- Ciao Skipper, ciao Walski! – li salutò allegramente Marlene, subito imitata da Soldato.
Doris agitò distrattamente una mano in quello che sembrava più un gesto volto a scacciare qualche mosca fastidiosa.
- Perchè quella faccia? – domandò Skipper alla mora, ben consapevole che non avrebbe ottenuto una sillaba dalla diretta interessata.
Marlene fece per rispondere, ma si ritrovò la bocca tappata dalla mano dell’amica.
- Affari interni, niente che vi riguardi. – sibilò, lanciando un’occhiataccia a Kowalski.
I suoi occhi azzurri si soffermarono per un momento sulla figura del più anziano, poi la ragazza si alzò in piedi e raccolse i suoi libri.
- Scusate, ho dimenticato una cosa in camera. Ci vediamo a lezione, ragazzi. – rivolse a Skipper un sorriso educato e, con un cenno di saluto a Marlene e Soldato, se ne andò rapidamente come era arrivata, la coda bionda a ondeggiarle sulle spalle.
Ci fu un brevissimo momento di silenzio, poi Marlene si voltò verso Kowalski, il braccio poggiato sullo schienale della sua seggiola.
- Cervellone, dai retta a me. Questo è il momento buono. – ma il suo sagace intervento non ottenne nessuna reazione da parte del destinatario.
Il quattrocchi, infatti, si limitò a scuotere la testa e a prendere posto a tavola.
- Faccia quello che vuole, ormai non mi tange più. – sentenziò con la teatralità dell’Amleto morente.
Gli amici gli rivolsero un’occhiata confusa, e fu Skipper a chiarire i loro dubbi.
- Finalmente il mio caro fratellino ha deciso di preservare quel po’ di dignità che gli è rimasta. Basta con questa storia di Doris, il mare è pieno di pesci! –
Soldato però non riuscì ad evitare di notare che, a quelle parole, il più anziano aveva stretto i pugni sotto il tavolo. Quella risoluzione doveva stargli costando parecchio...
Accanto a lui, Marlene sbuffò, seccata da quell’assurda situazione.
Si lasciò cadere all’indietro sullo schienale e incrociò le braccia al petto.
- In ogni caso, ragazzi, il Giornalino ha bisogno di voi! – decretò con aria di chi la sapeva lunga.
Skipper drizzò la schiena, incuriosito.
- Una missione? Sentiamo! –
La ragazza prese a raccontare la losca vicenda di un individuo, tale McEnzie, che si era laureato senza aver apparentemente completato tutti i suoi esami. A quelli del Club del Giornalino, di cui Lene era caporedattrice, era giunta la soffiata anonima, e sarebbe stato compito del Club di Spionaggio indagare e riferire.
- Ah, e Joey chiede se potete pedinare Phil perchè crede che sia lui a rubargli i biscotti al cioccolato. E poi questa gente dovrebbe avere vent’anni suonati... – concluse con un sospiro sconsolato di fronte all’imbecillità dei suoi compagni.
Soldato però aveva smesso di seguire il discorso a metà della terza frase, quando finalmente lo sguardo gli si era soffermato sugli occhi di Skipper.
C’era qualcosa di strano nell’espressione del compagno, ma non era stato in grado di capire subito di che cosa si trattasse.
Quando comprese l’origine del problema, il cuore gli si fermò con un sobbalzo: Skipper aveva pianto.
Come aveva potuto non notarlo subito? Era così evidente! Gli occhi del ragazzo erano gonfi e rossi, adombrati da lievi occhiaie.
Cos’era successo? Perchè era ridotto in quello stato? Vederlo in quel modo lo faceva star male... Avrebbe scoperto che cosa aveva e sarebbe riuscito a farlo sorridere di nuovo, sì!
A quel punto il capo del Club di Spionaggio gli rivolse una rapida occhiata, stupendosi nell’accorgersi di essere osservato.
Colto sul fatto, il novellino distolse lo sguardo, ma quel gesto lo fece sentire terribilmente idiota, così tornò a specchiarsi negli occhi azzurri di Skipper, rivolgendogli il più dolce e incoraggiante dei suoi sorrisi.
Voleva che sapesse che, anche se non era a conoscenza dei suoi segreti, lo avrebbe sempre aiutato, in ogni caso.
Fu un richiamo di Kowalski, che stava pianificando la loro nuova missione, a riportarlo con i piedi per terra; per questo motivo non si accorse nemmeno che Skipper era arrossito e, nonostante lo sguardo puntato distrattamente a terra, stava sorridendo.
Quando la campanella trillò prepotentemente per i corridoi, il gruppetto fu costretto a dividersi.
Kowalski schizzò via alla velocità della luce, balbettando qualcosa su un esperimento di biotecnologia che tale Eva non poteva assolutamente completare prima di lui.
- Chi è Eva? – domandò Soldato, curioso.
Skipper sbuffò e incrociò le braccia al petto.
- E’ una studentessa del quinto anno, fa parte del Consiglio Studentesco ed è nel Club di Segreto. Sai, il gruppo di Orienteering...– biascicò, rendendo evidente la scarsa simpatia che provava per la ragazza e in generale per quelli del Consiglio.
- E’ Russa, parla benissimo la nostra lingua, ma l’accento è ancora forte. Non è proprio quel che si dice una persona calorosa, ma... Dannazione, è terribilmente bella... – continuò Marlene con aria sognante.
Dopo quel commento la ragazza ritenne di aver già perso abbastanza tempo e, salutando con un cenno della testa, si diresse verso l’aula di Letteratura, seguita a ruota da Soldato.
Qualcosa tuttavia lo afferrò per un polso, facendolo voltare di scatto.
In un gesto rapido e fluido, Skipper portò le labbra vicino al suo orecchio, senza azzardarsi a lasciargli il polso.
- Dopo pranzo vediamoci in terrazza. – sussurrò in un soffio.
Non gli sfuggì l’esressione spiazzata del novellino, e si affrettò a fornire ulteriori spiegazioni.
- Credo che sia finalmente giunto il momento per una missione come si deve, matricola... – e, con uno dei suoi soliti ed enigmatici ghigni, gli fece l’occhiolino e lo lasciò andare, dirigendosi a passo deciso nella direzione opposta.
Una missione.
Skipper gli aveva dato appuntamento per una missione.
Soldato trasse un profondo sospiro e deglutì a vuoto, poi, accortosi di essere rimasto imbambolato di fronte alla porta della mensa, cercò con gli occhi Marlene e si sbrigò a raggiungerla.
 








Alla fine, per la sua prima missione, Soldato aveva dovuto aspettare due giorni.
Quando, dopo pranzo, si era recato in terrazza di corsa, aveva scoperto con velato dispiacere che l’appuntamento non riguardava solo lui e Skipper, ma anche gli altri membri del Club.
Non che avesse il desiderio di trascorrere del tempo da solo con Skipper, in realtà il solo pensarci lo metteva terribilmente in imbarazzo –insomma, cosa mai avrebbe potuto dire a uno come Skipper?-, ma l’idea che il capo avesse qualcosa da dire solamente a lui per un attimo lo aveva fatto sentire importante.
Alla fine, dopo un’ora trascorsa a battibeccare su chi si sarebbe dovuto occupare di Joey e dei suoi biscotti mancanti, Skipper aveva decretato che lui avrebbe accompagnato Soldato nella sua prima missione ufficiale, mentre Rico e Kowalski avrebbero pedinato il povero Phil.
E quindi eccoli lì, lui e Skipper, una chiavetta USB in tasca e l’aria più innocente del mondo mentre si avvicinavano all’ufficio del Consiglio Studentesco.
- A quest’ora i ragazzi del Consiglio sono sempre in palestra, non dovremmo avere problemi con loro. – spiegò il capo, guardandosi in giro sospettoso.
- Ma perchè dobbiamo entrare nel loro ufficio di nascosto? Non basterebbe chiedere il permesso? – azzardò la matricola, che davvero non capiva l’utilità di tutta quella segretezza.
- Soldato. Quelle che stiamo cercando sono informazioni secretate dalla legge sulla privacy. Tecnicamente ogni nostra azione da quando avremo varcato quella soglia sarà illegale. L’accesso al database dei curricola completi degli studenti si ha solamente da due pc: questo, e quello del preside. Quale dei due ti sembra più facilmente accessibile?- domandò con aria indulgente.
Soldato sospirò.
- Basta non cacciarci nei guai... –
Il compagno gli scoccò un’occhiata divertita e gli scompigliò i capelli, poi scivolò rapido e silenzioso all’interno dell’ufficio, filando dritto ad accendere il computer.
- Soldato, fai il palo! – ordinò .
- Ma Skipper! –
Il gelo nelle iridi del ragazzo, però, lo fece schizzare verso la porta a sincerarsi che nessuno giungesse a interferire con il loro lavoro.
Dopo qualche minuto passato a pigiare apparentemente a caso sulla tastiera, Skipper inserì la chiavetta USB e fece segno a Soldato di tranquillizzarsi.
- Un minuto e la copia è fatta! – sibilò, soddisfatto.
Soldato tornò a voltarsi verso la porta, contento che la sua prima missione si fosse rivelata un successo, ma dovette fare appello a tutta la sua presenza di spirito per non mettersi a urlare.
- E tu cosa ci fai qui? –
Di fronte a lui, sulla soglia, se ne stava una ragazza alta e slanciata, i capelli biondo platino raccolti in una severa treccia laterale e gli occhi di un azzurro glaciale.
- Eva? – azzardò al sentire l’accento slavo, mentre dietro di lui, nascosto da una scrivania, Skipper imprecava.
La ragazza inarcò un sopracciglio.
- Sì? Sono io. Desideri? –
A quella domanda Soldato andò in tilt.
- Io... Ecco, io... Il punto è che... -
Il più anziano, intanto, osservava con il cuore in gola la barra verde riempirsi fino a svanire nel nulla.
Rapido e indolore, disattivò la USB e spense il computer con una manata al pulsante di accensione, correndo in aiuto della matricola.
- Eva! – esclamò con un grande sorriso impostato.
- Siamo qui per conto di Kowalski! – esclamò contemporaneamente Soldato.
Skipper trattenne il fiato: erano fritti.
Ma proprio quando si sarebbe aspettato che l’indignazione della russa si riversasse su di loro nel più doloroso dei modi, Eva sorrise.
Sempre che il suo leggero curvare le labbra verso l’alto potesse dirsi un sorriso.
- Kowalski? E’ per l’altro giorno a Biotecnologie, vero? Aspettate, io... – e, come se i suoi interlocutori non avessero appena fatto irruzione nel suo ufficio alla ricerca di infromazioni top-secret, strappò un pezzo di carta da uno dei fogli inseriti nella stampante e vi scribacchiò sopra qualcosa, piegando il foglio in quattro e consegnandolo a Soldato.
- Dategli questo, per favore. –
I due membri del Club di Spionaggio si scambiarono uno sguardo confuso, ma Skipper decise che non era il caso di stuzzicare troppo la fortuna e prese la parola.
- Certamente, Eva, glielo consegneremo subito... E scusa per il disturbo... a presto! – e, stringendo saldamente l’amico per un braccio, salutò e sparì in corridoio.
- Complimenti Soldato, ottima azione diversiva! – esclamò poi quando il fiatone per la fuga forsennata gli fu passato.
Il ragazzino, appoggiato al muro con la schiena, si strinse nelle spalle.
- A dire il vero io... Beh, grazie, Skipper! – fece, imbarazzato da quel complimento non del tutto meritato.
Vi fu un lungo momento nel quale i due rimasero a guardarsi negli occhi, il corridoio deserto e silenzioso, poi, contemporaneamente, scoppiarono a ridere.
- Questa sì che è stata una missione carica di adrenalina! – esclamò Skipper, ridacchiando ancora al ricordo dell’espressione di Soldato nel giustificare la loro presenza nello stanzino.
- Sempre meglio di pedinare Phil! – aggiunse la matricola.
- In effetti mi sono divertito un mondo! – confessò, il sorriso ad illuminargli gli occhi.
Fu a quel punto che si resero conto di cosa davvero avesse salvato loro la buccia.
- Chissà che cosa ha scritto a Kowalski? – fece il capo del Club, incuriosito dal misterioso bigliettino che l’altro ancora stringeva in mano.
Il più giovane fece spallucce.
- Non credo che dovremmo leggerlo, dopotutto sono affari privati, altrimenti Eva ci avrebbe detto di comunicare il messaggio a voce... –
Skipper sbuffò e gli accordò la ragione, ma quella verità non aveva fatto altro che aumentare in lui il desiderio di scoprire cosa ci fosse dietro a quella buffa e misteriosa faccenda.
- Dai, lo so che anche tu muori dalla voglia di sapere cosa c’è scritto...- cercò di corromperlo.
- Skipper, non possiamo! – esclamò l’altro, indignato.
- Dai, solo una sbirciatina! Eva e Kowalski non lo sapranno mai! –
Soldato cercò di mostrarsi intransigente, ma Skipper aveva ragione, anche lui moriva dalla curiosità di leggere il bigliettino.
- Solo una sbirciatina. – accordò severo, mentre con mani tremanti spiegava il pezzetto di carta.
Quello che Skipper si trovò sotto gli occhi, però, non lo soddisfece neanche un po’.
- “Noap ofbpyt baq wt gawdqp ftyd?”? Ma che diamine vuol dire? – esclamò, deluso.
Contemporaneamente Soldato si portò una mano alla bocca.
- Oh cielo! Ma questo è un appuntamento! –
Lo studente del quarto anno gli rivolse un’occhiata sconvolta.
- Come hai fatto a capire cosa c’è scritto?! –
- E’ un codice cifrato! E’ anche abbastanza semplice: basta immaginare una tastiera qwerty, ogni lettera del messaggio va letta come se fosse due lettere più indietro sulla tastiera! Zio Nigel mi ha insegnato un sacco di questi trucchetti quando ero piccolo! – spiegò il ragazzino con candore, perso a rimembrare chissà quali ricordi d’infanzia.
Skipper tacque, sul volto un sorriso ammirato.
Ogni giorno che passava si rendeva conto di quanto quella buffa matricola fosse molto più che un semplice elemento per fare numero. Non solo Soldato li aveva salvati dalla chiusura del Club, ma si era rivelato anche un ottimo agente e un amico prezioso.
Amico, una parola che Skipper non assaporava da anni e il cui suono, fino ad allora, aveva significato solo rimpianto e dolore.
- Ski... Skipper, tutto bene? – balbettò il novellino, terribilmente in imbarazzo per via di quella strana espressione.
Il compagno sorrise ancora più sentitamente e gli circondò le spalle con un braccio, conducendolo verso l’uscita dell’edificio.
- Sai cosa ti dico, Soldato? La missione è stata un vero successo, sono fiero di te! Chissà se Rico è riuscito a fregare qualche dolciume a Joey per festeggiare! – e, ridendo di gusto di fronte alla faccia sconvolta del ragazzo, gli scompigliò i capelli e aprì la porta, l’aria frizzante di Ottobre ad accarezzargli il viso assieme alla promessa di una vita nuova, migliore.
E forse, si ritrovò a sperare, addirittura felice.


















 
Note:

Zan-zan-zaaaaaaaaan!!!!!
Salve a tutti, adorati lettori!
Questo capitolo è stato contemporaneamente una tortura e un divertimento da scrivere.
Skipper e i gemelli, ormai è chiaro, nascondo qualcosa. Ma che cosa? Quale sarà mai l'oscuro e terribile mistero che avvolge il loro passato? Chi è che ha causato al nostro leader tanta sofferenza da indurre Kowalski a un cupo e sanguinoso(?) desiderio di vendetta?
Nel frattempo abbiamo avuto modo di vedere in azione altri personaggi, in questo caso le ragazze.
Doris ha rotto con il fantomatico Samuel del progetto di Idraulica, ma Kowalski sembra non volerne approfittare e Marlene lo prenderebbe volentieri a schiaffi. Insomma, perchè nessuno vuole mai ascoltare i consigli di Marlene?!
Contemporaneamente si è fatta avanti la bellissima Eva del consiglio studentesco. Kowalski ha fatto colpo su qualcuno, finalmente! ~
E poi ci sono Skipper e Soldato in missione, che sono la cosa più disagiata del mondo. Soldato è troppo onesto per questo mestiere... xD
Insomma, in questo capitolo abbiamo messo un bel po' di carne al fuoco, e già dal prossimo inizieremo ad avere qualche riscontro delle catastrofi preannunciate qui...
Stay tuned! <3

Un bacione a tutti e grazie per continuare a leggere e commentare la nostra storia, siete persone stupende! <3


Un bacione e un abbraccio,
Koome


Ps: Skipper che piange è un cucciolo e va protetto dal male nel mondo. Oh.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***





Capitolo V~







Il fatto che Kowalski avesse ottenuto un appuntamento con una delle ragazze più belle della scuola era stato decisamente sconvolgente per i suoi fratelli.
Chiusi nell’aula 106, avevano passato il pomeriggio a rileggere increduli il bigliettino, mentre Rico sbuffava contrariato e Skipper tentava in tutti i modi di convincerlo ad andare.
- Skipper, io non so se è una buona idea... – aveva balbettato il maggiore pulendosi gli occhiali nel gilet della divisa e inforcandoli nuovamente con aria nervosa.
Il gemello di mezzo, le mani intrecciate dietro la schiena, continuava a misurare a grandi passi la stanzetta.
- Kowaslki, ti rendi conto di quello che dici? Eva è una bellissima ragazza e ti ha chiesto di uscire! –
- Lo so, ma... –
- E inoltre fa parte del Consiglio Studentesco, ossia il gruppo di pidocchiosi leccapiedi della presidenza che ci mettono i bastoni fra le ruote dal giorno della nostra iscrizione a questo maledettissimo college. Sai cosa vorrebbe dire ottenere la sua fiducia? – lo aveva interrotto, elettrizzato dalla prospettiva.
- SKIPPER! – aveva esclamato Rico, apertamente disgustato da quella macchinazione.
- Oh, Rico, non fare quella faccia! Capirei dovesse uscire con Miccia o Segreto, ma è di Eva che parliamo! E inoltre è stata lei a esporsi! E non abbiamo nemmeno menzionato il fatto che sarebbe la perfetta distrazione per dimenticarsi di Doris... –
A quel punto Kowalski si era alzato in piedi ed aveva raggiunto la finestra, traendo un profondo sospiro prima di voltarsi verso gli altri.
- D’accordo. Uscirò con Eva. – aveva sentenziato con aria convinta.
Skipper si era profuso in un ghigno soddisfatto: il gioco era fatto.
Quella sera Soldato se n’era tornato in camera subito dopo cena; Marlene l’aveva invitato a passare da lei un’oretta prima del coprifuoco, ma il ragazzino aveva gentilmente declinato l’offerta: la sola idea di vedere Doris alla luce dei recenti avvenimenti lo metteva terribilmente a disagio.
Certo, sapeva che la ragazza non provava per Kowalski altro che semplice amicizia, eppure qualcosa gli diceva che non sarebbe riuscito a comportarsi in maniera naturale con lei dopo i discorsi di quel pomeriggio.
Entrando in camera, si preparò psicologicamente alla vocetta stridula di Mortino e per un momento si pentì di non aver accettato l’invito di Marlene.
- Ciao Soldato! – lo salutò nonappena ebbe aperto la porta.
- Che cosa stai facendo? – si sentì in dovere di chiedere, notando che il coinquilino se ne stava seduto alla scrivania circondato da foglietti accartocciati.
Mortino si voltò con un grande sorriso e gli fece segno di avvicinarsi.
- Hai saputo della festa di Halloween, vero? – esordì.
All’espressione disorientata di Soldato capì che avrebbe dovuto introdurre il suo discorso con qualche precisazione.
- Ogni anno la scuola da una festa per Halloween che si tiene in palestra. Musica, cibo, alcool, le solite cose! – spiegò, raspando fra il disordine della scrivania.
Una manciata di secondi dopo fece emergere dal caos un foglietto fitto fitto di appunti scritti con colori diversi.
- Il bello della festa è che ognuno deve indossare un costume. Ed è qui che entri in gioco tu! – esclamò.
- Io?! – Soldato non era del tutto certo di voler conoscere la risposta ai suoi dubbi.
Mortino annuì vigorosamente, indicando gli appunti che aveva preso.
- Vedi, questi sono solo alcuni dei travestimenti che potrebbe scegliere Julien! Non ha ancora detto a nessuno come si vestirà per la festa di Halloween, l’unico a saperlo è Maurice... – fece con atteggiamento cospiratorio.
- Aspetta, Mort... Continuo a non capire che cosa io abbia a che fare con tutta questa storia... –
La luce negli occhi del compagno, però, lo fece pentire di non essere rimasto fuori dalla sua stanza per tutta la notte.
Mortino si sistemò meglio il cappuccio della felpa e sorrise con l’aria di chi la sa lunga.
- Forse la tua gravissima diserzione dal Club di Re Julien può esserci utile in qualche modo... Voglio che tu spii Julien e Maurice finchè non avrai scoperto la verità, così potrò organizzare un travestimento che si abbini al suo! – urlacchiò puntandogli un dito contro teatralmente.
Soldato fece un balzo indietro e scosse la testa.
- Stai scherzando? Non se ne parla nemmeno! Ho di meglio da fare di indagare sul travestimento di Halloween di Julien! – sbottò, basito dalla completa deficienza mentale dell’amico.
- E poi dai, se conosco un minimo Julien si vestirà da sé stesso! – aggiunse, lasciandosi cadere a peso morto sul letto.
Mortino tacque, lo sguardo fisso sul foglio di carta, poi balzò in piedi e si lanciò a pesce sul letto di Soldato, abbracciandolo di slancio.
- Soldato, sei un genio! Mi vestirò da piedi di Julien, così sicuramente saremo abbinati! –
Il membro del Club di Spionaggio diede qualche pacca svogliata sulle spalle dell’amico nel tentativo di porre fine a quell’invadente contatto e rivolse uno sguardo disperato alla finestra, come se al di là del vetro qualcuno avesse potuto vederlo e correre in suo aiuto.
Quella convivenza stava diventando davvero massacrante...
Il giorno dopo, finiti i corsi, ebbe modo di lamentarsi a più riprese coi gemelli, che lo avevano accompagnato in biblioteca alla ricerca di un libro di poesie per il corso di Letteratura.
Beh, con due dei gemelli, dal momento in cui Kowalski si era chiuso a doppia mandata in camera sua, tutto impegnato a prepararsi per l’appuntamento con Eva.
Stando a quello che aveva balbettato convulsamente quella mattina a colazione, l’avrebbe portata al Guggenheim –Eva era una grande appassionata di Avanguardie artistiche- e poi a cena in un locale molto chic poco distante da Central Park.
Nonostante Soldato non fosse troppo entusiasta di come era stata gestita quella faccenda, vedere Kowalski tutto emozionato per l’appuntamento lo faceva sorridere.
Dopotutto anche il vergine sposo della Scienza aveva un cuore che batteva, fra tutti quegli ingranaggi!
- Seriamente quello psicopatico vuole vestirsi da piedi di Julien? – sbottò Skipper mentre spulciava uno scaffale.
Soldato sospirò e controllò il libro che gli porgeva Rico, scuotendo la testa in segno di diniego.
- Da piede di Julien. Il destro, per la precisione. Il sinistro dovrei farlo io. –
Rico buttò fuori la lingua e portò due dita alla bocca, fingendo di causarsi il vomito, mentre gli altri ridacchiavano.
In quel momento, però, qualcosa attirò l’attenzione di Skipper, che si fiondò con il naso attaccato alla finestra.
- Cosa succede? – domandò il più giovane mentre, imitato da Rico, si spalmava contro il vetro in cerca di spiegazioni.
Il capo del Club indicò il cortile con un cenno della testa: Eva, vestita impeccabilmente e con i capelli sciolti sulle spalle, stava aspettando Kowalski di fronte al portone dell’edificio centrale.
- E’ in ritardo? – chiese il ragazzino, già in apprensione.
Skipper scosse la testa.
- No, è lei in anticipo. – spiegò con una rapida occhiata all’orologio che portava al polso.
- WALSKI! – gridò improvvisamente Rico, una ditata sul vetro ad indicare la posizione del gemello.
Quello apparve dal portone, il cappotto scuro aperto a rivelare una camicia chiara al di sotto di un maglioncino dallo scollo a V.
- Almeno ha avuto la decenza di lasciar perdere quei suoi orridi maglioni a rombi... – biascicò Skipper.
Soldato e Rico si scambiarono un sorriso d’intesa, poi il più giovane espresse la sua opinione, mentre in cortile Eva prendeva a braccetto Kowalski e insieme si incamminavano verso i grandi cancelli della scuola.
- E’ molto carino, farà colpo di sicuro! –
Non si accorse dello sguardo serio che gli rivolse il gemello di mezzo, ma a Rico quell’occhiata non passò inosservata.
Un ghigno preoccupante gli si dipinse sul viso, mentre da uno scaffale faceva emergere finalmente il libro giusto.
- JOHN DONNE! – gracchiò porgendo il volume all’amico, che lo ringraziò con un grande sorriso.
Un’altra serie di mugolii e strani versi lo indusse a ripredere il discorso interrotto dall’arrivo di Kowalski.
Soldato si sedette a uno dei grandi tavoli della biblioteca e si passò una mano fra i capelli.
- Voi non capite, è esasperante! Insomma, voglio bene a Mort, è un bravissimo ragazzo e mi ha aiutato tanto, però... Non fa altro che pensare a Julien, in quella stanza non si può parlare d’altro! E’ un chiodo fisso, una mania! E’ paranoico! –
A quel punto una nuova voce si fece sentire squillante nel silenzio della biblioteca.
- Chi è paranoico? Skipper, sta per caso parlando di te? –
Marlene apparve da dietro uno scaffale seguita da Doris, che salutò allegramente con la mano. Sembrava che avesse già dimenticato la faccenda di Samuel...
E fu così che Soldato si ritrovò a raccontare per l’ennesima volta le sue inquietanti avventure con il coinquilino.
- Ci mancava solo il feticista dei piedi... – commentò Doris in un’eloquente espressione di disgusto.
Marlene roteò gli occhi e si sedette sul tavolo.
- Povero Jul, ho pietà di lui... Ieri eravamo al caffé giù al primo piano, non vi dico le scene che ha fatto quando ha visto arrivare il piccoletto. Non ho mai visto Julien così stressato in vita mia! – rise poi, mentre Skipper scuoteva la testa accanto a lei.
Il gruppetto rimase a bivaccare in biblioteca finchè non fu ora di cena, quando si spostò pigramente a mensa.
Nessuno fece notare l’assenza di Kowalski, capitava spesso che saltasse pasto per seguire uno dei suoi strampalati esperimenti e i suoi amici avevano imparato a non badare troppo alle sue improvvise sparizioni, eppure Soldato non poté mancare di notare che Doris si voltava spesso in direzione della porta, quasi avesse sperato di vederlo arrivare all’improvviso.
Nonostante avesse partecipato attivamente alle discussione, ridendo di gusto agli aneddoti di Marlene o ai resoconti delle vecchie missioni del Club di Spionaggio sembrava nervosa, come se qualcosa disturbasse la sua coscienza impedendole di divertirsi davvero.
Skipper fu il primo ad andarsene, quando anche l’ultima porzione di dolce fu terminata. Salutò tutti con un grande sorriso, poi rivolse a Rico una strana occhiata che Soldato non riuscì a interpretare.
Quello annuì impercettibilmente e lo salutò con un cenno del capo.
- Attento ai piedi, matricola! – fu l’ultima cosa che disse con una complice strizzata d’occhio prima di sparire infondo al corridoio.
Il ragazzino gli rivolse una linguaccia divertita e rivolse lo sguardo al tavolo di Julien, che stava parlando fitto fitto con Maurice nel disperato tentativo di ignorare la parlantina irriducibile di Mortino.
Marlene sospirò e si risistemò la coda alta.
- Ho capito, anche questa volta devo salvargli le chiappe! – esclamò dall’alto della sua finezza.
- Ci si vede! – aggiunse poi, congedandoli con una sorta di saluto militare e dirigendosi a grandi passi verso il tavolo di Julien per poi sedersi a forza fra lui e Mortino per sommo dispiacere di quest’ultimo.
- Invidio Marlene, lei è amica di tutti... – sospirò Soldato, esternando senza volere i suoi pensieri.
- TU NO? – gracchiò Rico, inclinando appena la testa in segno di curiosità.
Il ragazzino si strinse nelle spalle e bevve l’ultimo sorso di cocacola dal suo bicchiere.
- A volte ho come la sensazione che la mia amicizia non sia completamente gradita. Sai, come se ci fossero dei segreti che è meglio che io non sappia... – aggiunse, incassando la testa fra le spalle.
Doris alzò le sopracciglia e gli portò una mano su una spalla.
- Scherzi? Tu sei il cosino più adorabile che abbia mai calpestato suolo terrestre! Solo un pazzo non ti vorrebbe come amico! Vero Rico?- esclamò per rincuorarlo.
Ma Rico non rispose subito, sul volto un’espressione colpevole.
Il visetto triste di Soldato era per lui come una pugnalata al cuore: era consapevole che quel commento era rivolto a loro tre, e l’idea di trattare a quel modo l’unico vero amico che avesse mai avuto gli rivoltava le viscere, eppure Skipper era stato chiaro, e lui era più che d’accordo; c’erano cose che era meglio la matricola non sapesse.
Si riscosse in fretta dai quei pensieri e portò le braccia attorno alle spalle esili dell’amico, stritolandolo in un abbraccio forse più stretto del dovuto e schioccandogli un bacio sulla guancia.
- VERO! – esclamò, riuscendo a sussurrare una cosa all’orecchio dell’amico senza che la sua voce sforasse i decibel necessari.
- Sei perfetto... –
Il ragazzino rimase per un momento rigido nel suo abbraccio, poi ricambiò la stretta con affetto, soffocando un sorriso radioso nella sua spalla.
- Grazie... –
Aspettarono Marlene ancora un po’, ma una volta compreso che lei e Julien ne avrebbero avuto ancora per molto –non era molto chiaro che cosa stessero facendo né di che stessero parlando così animatamente, ma teneva a bada Mortino, e questo era un bene- optarono per una passeggiata nel parco prima di recarsi ai dormitori.
Rico tuttavia disertò immediatamente, biascicando che aveva delle cose da fare e che non poteva aspettare. Per un momento Soldato si chiese se non si fosse trattato dell’occhiata di intesa che si erano scambiati prima lui e suo fratello, ma decise di non indagare oltre per non spegnere quel calore che si era impossessato del suo cuore dopo il breve dialogo di quella sera.
Fu così che, rimasti soli, lui e Doris imboccarono un sentiero a caso nel parco, decisi a rimanere ancora un po’ in giro prima di chiudersi nelle rispettive camere.
Quella sera il cielo era terso e punteggiato di stelle.
Beh, non tante quante se ne vedevano in Kansas, si ritrovò a pensare Soldato, ma il freddo dell’inverno in arrivo rendeva il cupo cielo newyorkese un po’ più luminoso.
Doris camminava al suo fianco stretta nella giacca, gli occhi puntati al nero della notte e leggerissime nuvolette di vapore a sfuggirle dalle labbra.
- Credo che Kowalski mi odi. – sbottò all’improvviso, cogliendo l’amico nettamente alla sprovvista.
- Perchè pensi una cosa simile? – replicò quello.
La ragazza sbuffò e incrociò le braccia al petto, svoltando a destra per riavvicinarsi ai dormitori.
- Oggi avevamo Idraulica insieme. C’era la presentazione del progetto, e il suo era il migliore. Come sempre. – e nell’ultimo appunto non vi era la minima traccia d’invidia, bensì un’ammirazione che fece sorridere la matricola: Doris stimava Kowalski, nonostante tutto.
- Alla fine dell’ora volevo complimentarmi con lui, ma... Se n’è andato. Così, senza nemmeno salutarmi né degnarmi di uno sguardo... – mormorò, mortificata.
- Magari non ti ha vista... – cercò di difendere l’amico.
La bionda si piantò in mezzo al sentiero e gli rivolse uno sguardo eloquente.
- In realtà mi ha guardata in faccia. Poi si è girato dall’altra parte. Mi ha deliberatamente ignorata! Io non capisco... E’ per qualcosa che ho fatto? O forse per qualcosa che ho detto? Perchè non me ne può parlare invece di fare il bambino a questo modo? – sbottò, svoltando l’angolo del dormitorio femminile.
- Insomma, non concluderemo mai niente così! Se ho fatto qualcosa sono pronta a chiedergli sc-! – ma la voce le morì in gola.
Soldato inchiodò accanto a lei, di fronte a i suoi occhi una scena a cui non era minimamente preparato.
Kowalski e Eva erano tornati dal loro appuntamento, e a giudicare da come erano avvinghiati doveva essere andato più che bene.
La ragazza aveva le mani affondate fra i suoi capelli scuri, la schiena contro il muro per evitare di perdere l’equilibrio per via della foga con cui si stavano baciando.
Kowalski, d’altro canto, aveva gli occhiali tutti storti e le mani sui fianchi e sulla schiena della compagna che stringeva a sé come se l’avesse baciata in quel momento per l’ultima volta nella sua vita.
I due erano così intenti a fare quello che stavano facendo che nemmeno si accorsero degli intrusi che avevano fatto irruzione nel loro angolino segreto sbraitando a gran voce, e Soldato si ritrovò a pensare che se avesse dovuto scommettere dei soldi su Walski si sarebbe probabilmente ritrovato al verde: mai nella sua vita avrebbe immaginato che lo stesso ragazzo che aveva definito vergine sposo della Scienza ci sapesse fare così dannatamente bene.
Poi un rumore strano, come un lievissimo singulto, lo fece voltare verso Doris, della cui presenza si era completamente dimenticato, troppo sconvolto dall’immagine di Kowalski e Eva che si risucchiavano i polmoni a vicenda.
La ragazza se ne stava in piedi accanto a lui, immobile e pallida, ad occhi spalancati.
Quando si accorse delle lacrime che le bagnavano il viso, Soldato perse un battito.
Non aveva capito niente.
Fece per portarle una mano sulla spalla in segno di consolazione, ma lei fu più rapida di lui: in un guizzo voltò le spalle alla scena e corse via verso il portone del dormitorio, Soldato alle sue calcagna che gridava il suo nome.
Senza nemmeno pensare a cosa stesse facendo, la seguì fin dentro al dormitorio femminile, faticando a starle dietro.
- Doris, aspetta! –
Ma la ragazza aveva già raggiunto la porta di camera sua.
- Buonanotte, Soldato! – e senza nemmeno guardarlo in faccia, si infilò veloce dietro l’uscio e lo chiuse a doppia mandata.
Il ragazzino si trovò quindi solo nel corridoio deserto, sulle labbra parole che sapeva avrebbe dovuto aver pronunciato prima.
Come aveva potuto essere così stupido da non accorgersene?
Lentamente, a capo chino, raggiunse la porta e posò una mano sulla superficie liscia.
- Doris, per favore, lasciami entrare... –
Sapeva che la ragazza l’aveva sentito, e non si stupì nel non venire minimamente considerato.
- Vai a dormire, Soldato... – sentì dopo qualche minuto in un tono flebile e terribilmente triste.
Certo, forse Doris voleva stare da sola, ma proprio non riusciva a concepire di abbandonare l’amica in quel modo.
Stava per arrendersi, quando Marlene apparve da infondo al corridoio.
- Soldato? Che cosa ci fai qui? – esclamò stupita.
Quello abbassò la voce perchè la ragazza dentro alla stanza non lo sentisse.
- Kowalski... Lui e Eva stanno insieme, credo. Li abbiamo... Li abbiamo beccati mentre si baciavano... –
Marlene rimase in silenzio per una manciata di secondi, poi sospirò e si passò una mano sul viso.
Senza aprire bocca, raspò nelle tasche della giacca e ne fece emergere le chiavi della camera, aprendo così la porta senza troppe cerimonie.
Fece cenno a Soldato di entrare e marciò dritta verso il suo letto, balzandoci sopra come se a meno di due metri da lei non ci fosse stata la sua migliore amica in lacrime.
Soldato, imbarazzato, si fece avanti a piccoli passettini e si sedette sul ciglio del letto di Marlene.
- Quando fai così ti prenderei volentieri a sprangate sui denti, sai? – sbottò improvvisamente la mora, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Soldato.
- Sei simpatica come un calcio negli stinchi, Lene... – biascicò l’amica, la faccia ancora nascosta nel cuscino.
A quel punto il ragazzo fece cambio di letto e finalmente riuscì a portare una mano sulla spalla di Doris, accarezzandola piano.
- Coraggio, Doris... Io sono sicuro che Kowalski non... – ma prima che potesse aggiungere altro la bionda si drizzò a sedere, fulminandolo con lo sguardo.
- A me non piace Kowalski! Non sto mica piangendo per quello! – sbraitò, piccata.
Marlene incurvò un sopracciglio con aria sarcastica.
- Oh, tranquilla, nessuno lo aveva nemmeno minimamente pensato! – e, il sorrisetto di scherno ancora sulle labbra, si allungò fino ad aprire un cassetto sotto la scrivania dal quale fece emergere un tubo di patatine alla paprika.
Doris le rivolse un’occhiataccia, poi portò le ginocchia al petto e abbracciò il cuscino, i lunghi capelli biondi tutti appiccicati al viso arrossato dal pianto.
- E’ che non me lo aspettavo. Tutto qui. – borbottò, mentre Soldato rifiutava gentilmente le patatine e Marlene ne ingoiava una manciata.
- Insomma, dai, Kowalski? Kowalski con quella figa pazzesca? – aggiunse poi, aprendo le braccia in un gesto eloquente.
- Scoccia anche a me, ma che ci vuoi fare, c’est la vie... – replicò la compagna di stanza.
- Beh, anche a me sembra strano, ma dopotutto anche Kowalski ha il diritto di trovare qualcuna con cui uscire... – azzardò il più giovane, comunque scontento di quell’accoppiata.
- Ma Eva! Eva! Quella spocchiosa snob saccente scienziatella dei miei stivali! Come può piacergli una che crede che il più grande artista di tutti i tempi sia Kandinsky? Cosa può trovarci di interessante in una che guarda tutti dall’alto in basso? Ma l’avete vista? Sarà pure bella, non lo nego, ma sembra la direttrice di un gulag! Se sgarra quella lo spedisce in Siberia a calci nel sedere! –
A quell’invettiva, che terminò con un violento pugno al materasso, Soldato scoppiò a ridere di gusto, mentre Marlene le lanciava il tubo di patatine.
- Occhio, che così rasenti il razzismo! – la prese ingiro l’amica.
Doris si asciugò gli occhi con le mani e tirò su col naso, per poi sgranocchiare rumorosamente una patatina.
- Credevo che sarebbe sempre rimasto lì. Che non se ne sarebbe mai andato. Mio dio, sono una persona disgustosa... – sussurrò a un certo punto, lo sguardo basso e sinceramente dispiaciuto.
Senza aggiungere nulla, Soldato si sporse appena in avanti e la abbracciò stretta, lasciando che gli inzuppasse la giacca di nuove lacrime.
- Coraggio Doris, vedrai che si sistemerà tutto... – mormorò, continuando ad accarezzarle i capelli mentre quella mugolava frasi senza senso farcite di “sono un’idiota”, “quel brutto bastardo”, “maledetta oca giuliva” e “giuro che lo castro”.
Nel frattempo Marlene aveva preso a rovistare nel’armadio, lanciando libri e custodie vuote di DVD sul suo letto come se niente fosse.
- Ragazzi, in una situazione simile c’è solo una cosa da fare! – comunicò a un certo punto con voce solenne.
- Abbruttimento? – tirò su col naso Doris, Soldato che la interpellava con lo sguardo.
- Non ti sei mai ingozzato di gelato chiuso a chiave in camera nel tuo pigiama preferito dopo una delusione amorosa? – balbettò fra i singhiozzi, l’ombra di un sorriso a farle timidamente capolino sulle labbra.
Il ragazzo annuì, guardandosi intorno in cerca del gelato.
Marlene aprì il suo laptop e inserì un DVD, poi si voltò verso gli amici brandendo in mano la custodia come se fosse stato il Santo Graal.
- Al posto del gelato dobbiamo accontentarci delle patatine e di mezzo barattolo di nutella. Però abbiamo questo! – esclamò trionfante.
Doris si lasciò andare ad una piccola risata e si sdraiò a pancia in giù sul letto, pronta alla visione.
Soldato strizzò gli occhi per leggere il titolo sulla copertina, senza riuscire a trattenere un urletto di giubilo nel riconoscere “Il Diario di Bridget Jones”.
- Oddio! Colin Firth! – fu la sua esclamazione tutt’altro che virile, con tanto di mani portate a coprire la bocca.
Le ragazze lo guardarono per un momento, poi la risata si alzò unanime dalla piccola stanzetta.
Non doveva badare a Kowalski, pensò Doris, non in quel momento.
Delusione o meno, assieme a Lene e a Soldato, quella sera si sarebbe di certo divertita.
 








 
Quella sera, quando Kowalski era rientrato, i suoi fratelli lo stavano aspettando in camera.
Prima che il gemello maggiore tornasse al dormitorio, Skipper e Rico avevano avuto un’accesa discussione riguardo all’intera faccenda: al più giovane proprio non andava giù che Skipper stesse usando il fratello per i suoi piani.
- Rico, mi rendo conto che può sembrare insensibile, ma abbiamo dannatamente bisogno dei file del Consiglio. E quei file sono protetti da una password che cambiano ogni settimana. Senza un’aiuto dall’interno non ce la faremo mai! – aveva cercato di spiegare.
- E poi a Kowalski non può far male cambiare aria per un po’. Anche a me sta più simpatica Doris, cosa credi? Ma prima che a Doris piaccia Walski in quel modo passeranno secoli, lo sai meglio di me... E soprattutto lei non ci può essere utile nelle indagini. – aveva aggiunto poi.
Rico aveva protestato, lamentandosi di come stesse strumentalizzando i sentimenti di una persona cara, biascicando a fatica una domanda che l’altro aveva interpretato dolorosamente come un “sai chi sembri?”.
Skipper si era irrigidito, la bocca improvvisamente asciutta e nemmeno una risposta in mente.
- SCUSA... – aveva poi urlacchiato il fratello, lo sguardo basso nel battergli dolcemente una pacca sulla spalla.
Il ragazzo aveva alzato gli occhi sul fratello e gli aveva rivolto un sorriso spento.
- Prima lo prenderemo prima tutta questa faccenda finirà. Lo sai, Rico, io... io lo sto facendo per voi... – aveva sussurrato, ma prima che potesse aggiungere altro Kowalski aveva spalancato la porta veleggiando dentro la stanza con l’espressione più ebete che gli avessero mai visto in volto.
Rico e Skipper si erano scambiati un’occhiata stupita: a giudicare dai capelli scompigliati e dall’imbarazzante macchia di rossetto sul colletto della camicia, doveva essere andata più che bene.
Il resto della settimana era trascorso in maniera più o meno tranquilla: le riunioni del Club di Spionaggio erano andate avanti fra le mille richieste da parte degli studenti, le lezioni proseguivano noiose come sempre, Kowalski e Eva si avvinghiavano in modo imbarazzante qua e là per i corridoi...
Preso com’era dai suoi affari, Skipper non si era nemmeno accorto che quelli del Consiglio studentesco avevano, dopo quattro anni di tradizionalismo, cambiato tavolo in mensa, avvicinandosi brutalmente al loro.
- Ehm, Skipper... -  richiamò la sua attenzione Soldato, la mattina del 31 Ottobre a colazione.
- Che c’è, matricola? – lo interrogò, voltandosi per seguire lo sguardo del compagno.
- Pensi che Segreto sospetti qualcosa? – chiese poi il ragazzino, abbassando il tono di voce.
Il Leader del Club di Orienteering era seduto al tavolo assieme a Miccia e Caporale, gli altri due fondatori del suo Club nonchè colleghi del Consiglio, e il suo sguardo di ghiaccio era puntato come un mirino in mezzo agli occhi di Kowalski, intento a conversare con Eva e Rico.
A quella vista il gemello di mezzo deglutì sonoramente, prima che un ghigno preoccupante si facesse strada sulle sue labbra.
- La faccenda si fa interessante... Walski dovrà giocarsi bene le sue carte... –
Soldato inclinò appena la testa da un lato, poi si voltò verso il tavolo di Doris e Marlene, che a loro volta lanciavano occhiate incuriosite a Segreto e agli altri. Un sospiro sconsolato lasciò i suoi polmoni mentre si passava una mano sul viso: non ci stava davvero capendo più niente...
Quella fu l’ultima volta che Skipper lo vide fino a tarda sera.
Terminata la colazione, Marlene saltellò allegramente verso il loro tavolo, biascicando qualcosa che nessuno comprese, ma che sembrava avere a che fare con un salvataggio e con il piede destro di Julien. Poi, prima che chiunque avesse potuto trovare il tempo di reagire, prese  Soldato per un braccio e lo trascinò via senza grazia, seguita a ruota da Doris.
Il capo del Club di spionaggio trascorse il resto della giornata da solo, lamentandosi mentalmente per il rognoso impegno che l’avrebbe tenuto occupato tutta la notte.
Non che le feste non gli piacessero, ma non era certo il tipo da lanciarsi sulla pista da ballo e scatenarsi come se non ci fosse un domani –per quello bastavano e avanzavano Julien e Marlene-, e la palestra tutta addobbata e illuminata a giorno dalle luci stroboscopiche gli portava alla mente brutti ricordi.
Forse era anche per quello che, in tutti quegli anni, non aveva mai tentato di rinnovare il suo travestimento.
Dopotutto anche Rico e Kowalski erano sempre rimasti fedeli ai loro costumi, rispettivamente Frankenstein e lo Scienziato Pazzo. Ancora ricordava l’espressione di Walski quando aveva scoperto che il suo costume era stato “copiato” da...
No, non doveva pensarci.
Fu così che, alle sette in punto, inforcò i suoi canini finti e tirò su il colletto del mantello, incamminandosi verso la palestra.
Rico gli aveva mandato un sms per dirgli che Kowalski sarebbe arrivato più tardi assieme a Eva e così, più abbandonati che mai, finirono per lanciarsi sul buffet, dove studenti e professori già stavano pescando a piene mani.
- Soldato non c’è? – domandò a un certo punto, sgranocchiando distrattamente una patatina al formaggio mentre lo sguardo saettava rapido ai quattro angoli della palestra in cerca del più giovane.
Rico inarcò un sopracciglio con un ghigno preoccupante.
- PERCHE’? – gracchiò nel versarsi un bicchiere di cocacola con un’aria preoccupantemente allusiva.
- Beh, è sparito a colazione e non l’ho più visto. Non si può nemmeno chiedere? – sbraitò, terribilmente infastidito da quel comportamento.
Insomma, che cosa insinuava Rico? Soldato era un membro del loro Club, era normale che si interessasse di lui!
Ma prima che riuscisse a farla pagare al fratello per la risatina sommessa che si era lasciato sfuggire, qualcos’altro attirò la sua attenzione.
Eva aveva fatto il suo ingresso in palestra, bellissima nel suo costume da BabaJaga abbinato al trucco sui suoi occhi. Al suo fianco, raggiante e decisamente ridicolo, c’era Kowalski, vestito da... Beh, da qualcosa.
- Kowalski? Si può sapere che cosa ti sei messo addosso? – domandò Skipper, gli occhi incatenati ai due immensi quadrati di cartone che potrava legati alle braccia a mo’ di ali. Sul petto, il fratello recava un grosso triangolo colorato, alla cui base era attaccato con del nastro adesivo un terzo quadrato.
Il gemello maggiore sorrise compiaciuto.
- Questo, Skipper, è il mio meraviglioso travestimento da Teorema di Pitagora! Qualcosa di troppo geniale perchè la massa di menti mediocri che frequenta questo istituto possa coglierne le potenzialità!– esclamò agitando una mano e colpendo un ragazzetto del primo anno con un angolo del quadrato costruito sul cateto più lungo.
A quella vista, Rico scoppiò a ridere senza la minima decenza, ed Eva si guardò attorno imbarazzata.
- Fratellino, hai proprio ragione. Il tuo genio sopraffino va al di là di qualsiasi umana comprensione... – lo schernì Skipper senza che il malcapitato cogliesse l’ironia nelle sue parole.
- Beh, è un travestimento... originale... – tentò di salvarlo la russa, accomodandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Il quartetto rimase a chiacchierare ancora un po’, poi Eva e Kowalski partirono alla ricerca dei ragazzi del Consiglio.
Quando Skipper si voltò verso Rico per decidere il da farsi, però, il ragazzo era scomparso.
Scocciato, sbuffò e si versò l’ennesimo bicchiere di cocacola –era ancora troppo presto per darsi agli alcolici- per poi andarsi a sedere su una panca a debita distanza dalla pista da ballo.
Julien aveva aperto le danze, e assieme a lui un discreto numero di studenti si era lasciato andare a ritmo di musica.
Le casse pompavano a tutto volume, e la temperatura all’interno della palestra stava iniziando a farsi veramente calda.
Skipper chiuse gli occhi e poggiò la schiena contro il muro, reclinando appena il capo alla ricerca di un po’ di tranquillità, ma le immagini di un’altra festa continuavano ad affollarsi di fronte ai suoi occhi.
Stessa musica, stesso caldo soffocante –anzi, forse era anche più caldo all’epoca-, stesso latente senso di irrequietezza che non gli faceva godere il momento.
Poi la memoria prese a punzecchiargli il cuore, le scene di quella sera che continuavano ad avvicendarsi in modo sconnesso come i giochi di colore di un caleidoscopio.
Pioveva, la terrazza era lucida d’acqua, e lui era lassù, alto ed esile come un giunco in balia del vento. Si era voltato e l’aveva guardato dritto negli occhi.
Dritto negli occhi.
- Skipper, tutto bene? –
Una voce lieve e quasi inglobata dalla confusione lo riportò alla realtà con uno strattone.
Aprì gli occhi di scatto e drizzò la schiena, ritrovandosi a tu per tu con il sorriso delicato di Soldato.
- Ah, Matricola, sei tu! Mi chiedevo che fine avessi fatto! – esclamò, quasi sollevato, la respirazione che lentamente tornava regolare.
Lo sguardo si posò sulle sue palpebre appena truccate per dare l’effetto di occhiaie leggere, poi notò le bende che gli fasciavano il corpo e le braccia.
- Marlene e Doris hanno insistito per occuparsi personalmente del mio travestimento. Non lo so, mi hanno detto che è il costume da Mummia Sexy, ma onestamente non mi sento né mummia, né sexy... Solo ridicolo... – borbottò con un piccolo broncio imbarazzato. In effetti era più la superficie nuda che quella coperta dalle bende...
Skipper lasciò che i suoi occhi indugiassero per qualche istante sul ventre piatto e sulle spalle esili del ragazzino.
- Non ti preoccupare, sei sexy da mor...! – ma si interruppe immediatamente, conscio di quello che aveva appena detto.
- Oddio, no! Nel senso... Volevo dire che non sei affatto ridicolo! Insomma, guarda Kowalski , lui sì che dovrebbe vergognarsi! Non fare caso a quello che sto dicendo, okay? – sciorinò senza nemmeno prendere fiato fra una parola e l’altra, il viso un po’ troppo violaceo perchè potesse essere un vampiro credibile.
Ma insomma, perchè si comportava in quel modo? Si era forse bevuto il cervello?
Bevve un sorso dal suo bicchiere prima che la situazione potesse degenerare ulteriormente, poi, quando si fu calmato, ritentò.
- Beh, almeno non sei stato costretto a vestirti da piede di Julien! – esclamò, cogliendo la palla al balzo nel veder entrare Mortino, la testolina che faceva capolino da un’immensa sagoma di gommapiuma a forma di piede.
Soldato spalancò gli occhi e seguì la corsa trionfale del compagno di stanza fino al centro della pista, dove Julien, travestito da sé stesso, ballava assieme a Marlene senza essersi minimamente accorto dell’arrivo del suo suddito più affezionato.
Ci fu qualche momento di silenzio, poi i due membri del Club di Spionaggio scoppiarono a ridere.
- Sai, dove abito io è difficile partecipare a feste come questa. Di solito andiamo tutti al pub e qualcuno si mette a suonare. Non sono molto abituato a questo tipo di party... – confessò il novellino dopo un po’ che chiacchieravano del più e del meno.
Il più anziano gli rivolse un sorriso indulgente.
- Beato te! Al Liceo avevamo una festa come questa almeno una volta alla settimana. Una vera tortura! Ogni volta finiva con qualcuno che si sentiva male o con Kowalski in crisi isterica perchè era stato rifiutato dalla sua cotta del momento... – ridacchiò al ricordo.
E in quel momento, Soldato seduto accanto a lui con un bicchiere di chissà cosa fra le mani e gli occhi che gli brillavano di divertimento, Skipper si accorse che qualcosa era cambiato.
Non avrebbe saputo dire con precisione che cosa, ma era ormai abbbastanza evidente che trovarsi in presenza della matricola lo faceva sentire più rilassato, meno teso, quasi felice, addirittura.
In ogni caso, un insieme di emozioni che da anni ormai non sfioravano il suo cuore.
Era vero quello che aveva detto a Kowalski qualche giorno prima: Soldato, contro ogni pronostico, si era dimostrato capace di metterlo di buonumore.
Il resto della serata trascorse fra le risate e il divertimento; addirittura, Doris e Kowalski riuscirono a scambiare qualche parola senza che nessuno dei due desse segno di cedimento nervoso, approfittando di un momento in cui Eva era a ballare con Segreto.
- Allora, Skipper! Non trovi che il nostro Soldato sia bellissimo? Guarda com’è carino, lo riempirei di baci! – aveva esclamato a un certo punto Marlene, resa ipercinetica dall’alcool, prima di stampare un bacio con lo schiocco sulla guancia del più giovane e volteggiare via verso il buffet.
A quel punto, Rico era apparso dal nulla e aveva rapito Soldato, che aveva dovuto rassegnarsi all’idea di ballare almeno una canzone.
Erano le due e mezza passate quando, finalmente, il marasma cominciò a scemare e i primi studenti si ritirarono presso le loro stanze.
Soldato, che alla fine si era scatenato in pista dando prova di un’incredibile abilità, stava iniziando a dare i primi segni di cedimento, e Skipper ne approfittò per filarsela.
- Dai, ti riaccompagno al dormitorio, sto crollando dal sonno anch’io...- gli propose, mentre con gli occhi cerava i gemelli.
- Doris, hai visto Walski? O Rico? – chiese poi, aggrottando le sopracciglia al cenno di diniego dell’amica.
- Anche Eva è sparita, saranno a sbaciucchiarsi da qualche parte... – sibilò la ragazza, tagliente.
Lo studente più anziano roteò gli occhi e pregò che almeno Rico non si fosse ficcato nei guai come suo solito.
Pazienza, avrebbe riaccompagnato Soldato e poi sarebbe andato a cercare i gemelli.
Uscire dall’ambiente soffocante della palestra fu come rinascere a nuova vita.
Skipper allentò il fazzoletto dalla linea settecentesca che portava legato al collo e inspirò a fondo, alzando gli occhi sulle stelle che punteggiavano il cielo sopra la baia.
- Che bella serata... – si lasciò sfuggire in un sussurro.
- G-già... M-mi sono d-divertito un mondo... – balbettò il ragazzino accanto a lui, battendo i denti dal freddo.
Se Skipper era bardato fino al collo, la matricola era da considerarsi praticamente nuda.
Il gemello di mezzo si sfilò il mantello e lo adagiò sulle sue spalle, fra le accese proteste del più giovane.
- Skipper, non ce n’è bisogno, davvero! – balbettò, rosso d’imbarazzo.
- Ma piantala, non vorrai mica farti venire un febbrone! Ci saranno tre gradi, se va bene! –
A quel punto, sopraffatto dal buon senso di quelle parole, Soldato si vide costretto ad accettare, stringendo il mantello in prossimità del collo affinchè nessuno spiffero d’aria lo disturbasse.
Camminarono in silenzio fino al portone del dormitorio, ognuno immerso nei suoi pensieri, poi la luce calda e familiare del corridoio li accolse.
- Skipper, io... – mormorò improvvisamente il più giovane, le mani ancora strette attorno al mantello e lo sguardo basso.
- Sì? – lo incentivò a contonuare, incuriosito dal suo sguardo basso e dal leggero rossore sulle sue gote che persisteva nonostante il freddo dell’esterno fosse passato.
- Ecco, io... Ad essere sincero all’inizio non ero riuscito bene ad inquadrarti... Sembravi così serio, a volte addirittura tetro... Come se ci fosse qualcosa a tormentarti... –
Skipper si irrigidì impercettibilmente: dove voleva andare a parare? Non gli piaceva per niente la piega che stava prendendo quel discorso.
- Non dico che non mi fossi simpatico, ma... Insomma, volevo chiederti scusa, perchè ho frainteso tutto. –
D’accordo, ora decisamente non stava più capendo niente.
Soldato si fermò all’angolo del corridoio e si decise a guardarlo dritto negli occhi, le labbra tese in un sorriso dolce e carico d’affetto.
- So che ci conosciamo solo da due mesi, ma tu sei un ragazzo così buono e generoso, e mi hai accolto nel tuo Club facendomi sentire a casa. Insomma, volevo ringraziarti per tutto, spero di poter ricambiare, un giorno. E, ecco... mi piacerebbe vederti sorridere più spesso, come stasera. – concluse nel restituirgli il mantello, indugiando appena quando le sue mani fredde e arrossate andarono a sfiorare quelle guantate del compagno.
Skipper sorrise, uno strano calore ad impadronirsi del suo cuore.
Come poteva quel ragazzino essere così dannatamente buono? Così dannatamente perfetto?
Aprì bocca per replicare, ma un boato improvviso fece tremare i muri del dormitorio.
- Soldato! – esclamò istintivamente, abbracciandolo per proteggerlo da qualsiasi cosa avesse causato quel rumore.
Nonappena si accorsero che il pericolo era scampato, svoltarono l’angolo del corridoio, ritrovandosi in una nuvola di polvere e calcinacci.
- Ma che diamine?! – esclamò Skipper, strizzando gli occhi per cercare di capire cosa fosse successo.
Soldato sbiancò improvvisamente.
Fra la camera quarantasei e la cinquanta vi era una voragine fumante che spillava acqua sul pavimento del corridoio, seduto per terra di fronte a quella che un tempo era stata la loro stanza, Mortino e il suo costume da piede di gommapiuma.
- Mort! Santo cielo, cosa è successo!? – esclamò, con le lacrime agli occhi fiondandosi in ginocchio accanto a lui.
Il ragazzino si voltò, gli occhi spalancati dallo shock della detonazione.
- Ciao Soldato! – pigolò con un filo di voce.
Una risatina isterica abbandonò le sue labbra, mentre con un dito indicava quel che rimaneva della loro stanza.
- Sono quasi esplosuto! -















 
Note:

Salve a tutti e ben ritrovati con questo inutile capitolo di transizione!
Davvero, è stato un parto scriverlo: ogni volta che aprivo il documento Word nella mia testa incominciavano a ronzare le mosche...
Che dire, Kowalski ha fatto colpo! A essere onesta l'idea di Kowalski che bacia con passione un essere vivente è leggermente disturbante, ma che ci volete fare, anche lui merita un po' di felicità che non derivi dal sezionare il malandato cervello del suo caro gemellino! <3
In any case, Eva sembra apprezzare, per sommo dispiacere della nostra Doris.
Che poi insomma, poteva anche degnarlo quando era il momento! Sono tutti capaci a lamentarsi col senno di poi!
Se qualcuno aveva ancora dei dubbi sull'orientamento sessuale di Soldato, credo che la sua insana cotta ai limiti della patologia per Colin Firth sia stata abbastanza esplicativa... xD
E poi, Halloween!
Scusate, voglio spendere un momento per Skipper vestito da vampiro con i guanti bianchi, il colletto alto e... ok, la smetto, dobbiamo essere serie nelle note di fine capitolo.
Ma non tipo Kowalski che si traveste da Teorema di Pitagora -sul serio, ma che problemi ha quel ragazzo?!-
Anche se scusate, ma il travestimento più bello se l'è aggiudicato Mortino! xD
In ogni caso, a festa finita, il nostro Skipper ha avuto modo di fare qualche considerazione personale sul nuovo membro del suo Club, almeno fino all'esplosione.
Cosa è successo? Chi ha causato questo improvviso e indesiderato kaboom?
Suvvia, non abbiamo bisogno di dirvelo, vero? Dopotutto questo capitolo è stato disseminato di occhiatine preoccupanti! xD
Come sempre un grosso abbraccio a tutti i lettori e recensori! <3

Saluti e alla prossima -si spera più in fretta di questo maledetto capitolo 5-
Koome

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***





Capitolo VI~











- Mi auguro che vi rendiate conto della gravissima situazione che è venuta a crearsi. –
Più che grave, a dire il vero, a Soldato quella situazione sembrava surreale.
Erano le tre di notte, la sua camera era esplosa in una nuvola di polvere e calcinacci ed ora si trovava nell’ufficio del preside, indosso solamente delle bende succinte che cercava disperatamente di coprire con il mantello del travestimento di Skipper e, seduto accanto a lui, Mortino ancora costretto nel suo piede di gommapiuma.
Punto bonus, il preside aveva il volto truccato da Joker.
- Signore, sono terribilmente mortificato, non so come possa essere successo... – balbettò, gli occhi bassi in segno di sottomissione.
Il suo compagno di stanza prese la parola per dargli manforte.
- Stavo per aprire la porta della camera quando tutto è saltato per aria! Non è stata colpa nostra, signor preside, lo giuro! – pigolò, il viso ancora sporco d’intonaco bianco.
L’uomo si passò stancamente una mano sul volto, spalmandosi il rosso delle cicatrici fino al mento.
Con un sospiro aprì un cassetto ed estrasse un raccoglitore verde, aprendolo a metà.
- Non vi stavo minimamente accusando, ragazzi. Fortunatamente la tubatura che è esplosa ha fatto crollare solo la parete che da sul corridoio, ma in ogni caso grazie a tutte le maledette norme di sicurezza che siamo costretti a rispettare non potrete più occupare la stanza finchè non saranno fatti accertamenti. E il che potrebbe necessitare anche l’intero anno scolastico, data la lentezza della burocrazia... – si lamentò in un discorso rivolto più a sé stesso che agli studenti.
Soldato e Mortino si scambiarono un’occhiata preoccupata, poi spostarono lo sguardo sul foglio che stava leggendo il preside.
Si trattava di una cartina disegnata al computer, e bastò una rapida occhiata per rendersi conto che altro non era che la pianta dei dormitori.
- Quest’anno abbiamo avuto un numero di iscritti più elevato del solito, per cui le stanze sono tutte occupate. – esordì l’uomo, le sopracciglia aggrottate in un’espressione di cupa riflessione.
- Non mi resta altra scelta che... –
Che cosa? Cosa voleva fare?
Espellerli? Ucciderli? Rinchiuderli in un sacco e gettarli nell’Hudson finchè la corrente non li avesse dispersi nell’Atlantico così che non potessero denunciare la mancanza di norme di sicurezza all’interno della scuola facendo fallire l’intero sistema federale con un conseguente superamento economico da parte della Cina che avrebbe condotto ad una gravissima inflazione costringendoli a chiedere prestiti alla Russia e...
- Trovarvi un posto di fortuna in camere già occupate... –
Soldato tornò a respirare, accorgendosi che in quel suo folle e paranoico monologo interiore non aveva lasciato che l’aria giungesse ai suoi polmoni.
- Tutto qui? – si lasciò sfuggire, sconvolto da quella rivelazione.
Il preside gli rivolse un’occhiataccia, colpendo ripetutamente la cartina con l’indice.
- Tutto qui? Le stanze dei dormitori sono strutturate per ospitare solo due individui alla volta. Anche volendo non ci sarebbe lo spazio per inserire altri letti! Eccetto nella 321, ma in ogni caso potrebbe ospitare solamente uno di voi due, o potrei scatenare un terribile incidente diplomatico... –
- Ma la 321 è la stanza di Re Julien! – esclamò Mortino con gli occhi luccicanti di ingenua aspettativa, improvvisamente dimentico di essere reduce da un’esplosione che avrebbe potuto fargli saltare via un occhio.
- Posso andare in camera con lui? Posso? Posso? Posso? – cantilenò con la sua vocetta irritante, i palmi congiunti in segno di preghiera.
Il suo coinquilino impallidì, terrorizzato dall’idea di condividere la stanza con Mortino e Julien contemporaneamente. Poteva esistere prospettiva più funerea per inaugurare il mese di Novembre?
Il preside rivolse al volto che sbucava da quel piede gigante un’occhiata sconcertata, poi tornò a studiare la cartina, alla ricerca di una stanza che potesse soddisfare le loro esigenze.
Scorrendo i piani e i corridoi, continuava a scuotere la testa insoddisfatto, finchè qualcosa non attirò la sua attenzione, congelandolo nel movimento.
Aggrottò appena le sopracciglia e si morse un labbro, annuendo piano.
- Mi domando se... Dopo tutto questo tempo... –
Senza una parola levò gli occhi su Soldato, che si ritrovò a deglutire a vuoto, poi li congedò entrambi, intimandogli di aspettare fuori dal suo ufficio.
- Allora? Che cosa ha detto? – la prima voce ad accoglierli fu quella di Julien, che rientrando al dormitorio aveva scorto il disastro e non era riuscito a trattenere la sua sete di gossip, ma non fece a tempo ad ottenere una risposta, il preside gli intimò di entrare nel suo ufficio e si chiuse la porta alle spalle.
Soldato si accasciò su una panca addossata alla parete del corridoio, i gomiti sulle ginocchia e il mento abbandonato sul palmo delle mani.
- Questo sì che è un bel pasticcio... – mugolò.
Kowalski, che era arrivato sul luogo del delitto assieme a Rico appena dopo l’esplosione, si sedette accanto a lui e gli batté una pacca sulla spalla.
- Effettivamente, considerando il numero di iscritti e la capienza delle camere senza tralasciare l’ipotesi di inserire brandine supplementari in quelle più spaziose la probabilità che tu riesca a trovare una nuova sistemazione entro stasera è più o meno dell’1%! – esclamò, come se quella avesse potuto essere una notizia in qualche modo rassicurante.
- Kowalski! – sbraitò Skipper, gli occhi azzurri ridotti a due cupe pozze di ghiaccio.
- Non ti preoccupare, Matricola, vedrai che si sistemerà tutto... – aggiunse poi, addolcito.
Rico annuì vigorosamente, gracchiando che senz’altro qualcuno avrebbe diviso la sua stanza con lui.
- Saremo con Re Julien! – cinguettò Mortino, seduto per terra e costantemente sbilanciato dalla gommapiuma.
A quel punto Rico rivolse una strana occhiata al gemello più grande, che aggrottò le sopracciglia e considerò qualcosa a fior di labbra.
- Impossibile! Secondo i miei calcoli la stanza di Julien e Maurice può ospitare al massimo un altro letto, non vi sarebbe spazio per una quarta branda aggiuntiva! Ed è estremamente improbabile che un tipo come Julien decida di concedere parte dei suoi possedimenti a qualcuno di esterno al suo Club, perfino se l’alternativa è Mortino. –
- Sì, ma se l’unica stanza utile è quella di Julien e non può ospitare che tre persone, dove metteranno Soldato? – osservò saggiamente Skipper, salvo sgranare gli occhi nel terminare la domanda.
Effettivamente vi era ancora una stanza con un letto disponibile...
Prima che potesse aggiungere altro, la porta dell’ufficio del preside si spalancò, facendo emergere un Julien curvo e sconsolato, gli occhi fissi sul pavimento.
- Coraggio, Mortino, vieni con me... A quanto pare sei stato promosso a valletto personale di Re Julien... – mugolò continuando a camminare e afferrandolo per l’alluce di stoffa.
Il ragazzino esultò, salutando con la mano mentre gli altri quattro rivolgevano al Re uno sguardo colmo di compassione.
Quando quella triste scena venne inghiottita dall’angolo del corridoio, la testa del preside fece nuovamente capolino dalla porta.
- Skipper, dovrei parlarti un momento. –
Il giovane annuì e lo seguì senza un fiato, alle spalle l’osservazione di Kowalski a riecheggiare nel silenzio.
- Che fortuna che la tubatura esplosa fosse in prossimità della porta e non accanto al tuo letto, dove si trovavano tutte le tue cose! –
Il gemello di mezzo chiuse la porta e si accomodò sulla seggiola che poco prima aveva occupato Soldato.
L’uomo però non si sedette, rimase in piedi, le mani allacciate dietro la schiena e sul volto i chiari segni del nervosismo.
- Immagino che ti stia chiedendo per quale motivo ti ho convocato, Skipper. – esordì, terribilmente serio.
- Infatti è così... – annuì quello, anche se in realtà pensava di aver intuito abbastanza bene quale fosse il motivo della sua presenza in quel luogo.
Il preside prese a camminare avanti e indietro per il suo ufficio, alla ricerca delle parole giuste.
- Quella che sto per farti è solamente una proposta, quindi sei libero di rifiutare. Sono perfettamente consapevole della richiesta che facesti tre anni fa, e non voglio forzarti in alcun modo. Dopotutto siamo a conoscenza della tua situazione, e l’ultima cosa che desideriamo è crearti pressioni. Tuttavia credo tu ti renda perfettamente conto che questa è una situazione estrema per la quale non eravamo minimamente preparati. –
Skipper sospirò, il volto ridotto ad un’imperscrutabile maschera di marmo.
Quella volta i suoi fratelli gli avevano giocato davvero un brutto tiro.
- Quello che ti sto chiedendo, Skipper, è se saresti disposto a tornare ad avere nuovamente un coinquilino. – esalò finalmente il preside, il ridicolo trucco da Joker a creare un macabro contrasto con la pesantezza delle sue parole.
Lo studente strinse impercettibilmente i pugni attorno ai polsini svolazzanti della sua camicia settecentesca, le labbra a tremargli impercettibilmente.
- Signore, francamente non credo sia una buona idea... Insomma, io capisco la gravità della situazione, ma... io, ecco, non vorrei... non vorrei causare problemi... più gravi, ecco... – balbettò, la professionalità con cui parlava sempre improvvisamente fagocitata da quello sguardo da bambino spaventato.
L’uomo, finalmente, si sedette dietro la sua scrivania, le dita intrecciate premute contro le labbra.
- Non ti proporrei questa cosa se si trattasse di qualcun altro, ma è evidente che da quando quel ragazzino si è unito al vostro Club sei più rilassato. Tutti i professori lo hanno notato, e persino Julien ha ammesso che da quest’anno ridi più spesso. Non ho ancora avuto l’occasione di parlarne con i tuoi fratelli, ma sono certo che non farebbero che avvalorare la mia teoria. –
Skipper roteò gli occhi.
I suoi fratelli? Era già tanto che i suoi fratelli non fossero in una macchina della polizia con le manette ai polsi per gravi atti vandalici!
Però sì, avrebbero avvalorato la sua teoria, e su questo non poteva controbattere.
- Signore, potrei anche accettare, ma ho ancora molti incubi e le crisi di panico sono abbastanza frequenti. Non so se Soldato potrebbe... – ma fu nuovamente interrotto da un sorriso accondiscendente.
- Non sottovalutarlo. Io analizzo personalmente i curriculum di tutti coloro che presentano domanda di iscrizione a questa scuola, e Soldato proviene da un ambiente scolastico di qualità inferiore, è cresciuto in un paesino sperduto nel Kansas ed è arrivato qui grazie ad una borsa di studio che ha soffiato ai migliori studenti del suo Stato. Può sembrare un sassolino, un umile ciottolo in balia della corrente, ma la sua pazienza e la sua resistenza sono quelle di una roccia. – l’uomo  si prese qualche istante di autocompiacimento per la sua frase ad effetto, poi tornò a puntare i suoi occhi in quelli del giovane.
- Dammi retta, Skipper. Credo che dopo tutti questi anni provare ad aprirti un poco non possa che farti bene. Nel caso non dovesse funzionare, saresti comunque libero di farcelo sapere e ogni cosa tornerebbe al suo status quo... –
Skipper considerò quelle parole, le mani sul volto per trovare concentrazione.
Era tanto, troppo tempo che nessuno occupava più il letto accanto al suo, e l’idea di trovarlo improvvisamente pregno del profumo di un altro era come avere un chiodo arrugginito piantato al centro del cuore.
Tuttavia riconosceva che era vero, forse cambiare aria gli avrebbe fatto bene.
La verità era che aveva paura, dannatamente paura di commettere un passo falso.
Trasse un profondo sospiro, poi levò lo sguardo sul preside, incerto e contemporaneamente deciso nella sua risoluzione.
- D’accordo, farò un tentativo. Ma non vi prometto niente. –
Senza aggiungere altro lo salutò con un cenno del capo e prese congedo, tornando in corridoio dove i tre membri del Club di Spionaggio lo stavano aspettando trepidanti e curiosi.
- Dunque? – chiese Kowalski, imitato da Rico in un mugolio interessato.
Skipper rivolse loro un’occhiata severa, per poi concentrarsi su Soldato.
- Matricola, a quanto pare hai una nuova sistemazione. – si limitò a sentenziare, estraendo le chiavi di camera sua dalla tasca dei pantaloni.
Soldato non notò il sorriso d’intesa che si scambiarono gli altri due, né il segno di OK che Rico fece con il pollice.
Si limitò a puntare i suoi occhi di cielo in quelli di Skipper e arrossire.
Skipper distolse lo sguardo, sopraffatto da quella purezza e sperò, in cuor suo, che l’amico non si accorgesse di essere indesiderato.
Si sarebbe impegnato, davvero, ma sapeva già che quella non sarebbe stata affatto una convivenza semplice.
Per nessuno dei due.
Salutati Rico e Walski, i due si diressero silenziosamente verso la camera di Skipper, non prima di essere passati da Soldato a raccattare le sue cose.
La stanza duecentodiciannove era un po’ più grossa di quella che la matricola aveva occupato fino a quel giorno: ai lati della porta, due letti si estendevano in lunghezza fino a incontrare due piccoli armadi.
Sotto alla finestra campeggiava una scrivania più grande di quella della stanza quarantotto, e a destra una porticina conduceva al piccolo bagno di cui era munita la camera.
Nonostante Skipper fosse un tipo estremamente ordinato era semplice comprendere quale fosse il suo letto; le mensole della parete destra erano piene di libri e riviste e ai piedi del comodino se ne stava abbandonato come un sottile serpente inanimato il cavo del caricabatterie del cellulare.
L’altra branda, invece, era intonsa, immacolata, come se l’unica cosa che l’avesse sfiorata nell’arco di anni fosse stata uno sguardo e nulla di più.
Le mensole erano vuote e coperte da un sottilissimo strato di polvere e sul comodino vi era una candela profumata dallo stoppino bruciato.
Soldato fu attraversato da una sensazione sgradevole: sembrava una reliquia.
Appoggiò la sua valigia accanto al letto e buttò la borsa a tracolla sulle coperte, poi si sedette.
- Skipper, mi dispiace. – sussurrò a capo chino.
Quello si voltò, confuso.
- Come, scusa? – domandò, colto in contropiede.
Soldato si strinse nelle spalle senza tuttavia alzare lo sguardo.
- Mi dispiace. L’ho capito che questa faccenda non è di tuo gradimento. Ma ti prometto che sarò silenzioso, non ti renderai nemmeno conto della mia presenza! E appena la mia vecchia camera sarà pronta me ne andrò, lo giuro! –
Il capo del Club di Spionaggio scosse la testa e recuperò le chiavi dalla scrivania dove le aveva lasciate.
- Non dire stupidaggini, matricola. Questa ora è camera tua tanto quanto è mia. – sentenziò, sfilando una chiave dal mazzo e rigirandosela fra le dita.
Era piccola, grigia e fredda, e non voleva separarsene.
L’aveva conservata nell’assurda speranza che potesse tornare al suo precedente proprietario, ma era un’eventualità impossibile e l’aveva saputo fin dal primo momento, un desiderio irrealizzabile che non avrebbe fatto altro che marcire con lui.
Doveva lasciarlo andare.
Prese la mano del ragazzino fra le sue e vi depositò la chiave, aspettando che lo guardasse dritto negli occhi.
- E’ importante, vedi di non perderla. –
Il più giovane annuì, mentre le bende sul suo petto iniziavano a cedere dopo quella notte di pura follia.
- Grazie... – sussurrò con un sorriso colmo d’affetto.
E per quella notte non furono sprecate altre parole. Era già tardi, avevano sonno: avrebbero avuto modo di chiarire la faccenda quando il sole fosse stato alto nel cielo...
 










 
Il sole è alto nel cielo, e preme sulle teste come se fosse piena estate.
Quell’anno, ai primi di Settembre, a New York fa decisamente più caldo che a Seattle e la colonnina di mercurio saldamente ancorata ai ventotto gradi certo non aiuta nel trasporto delle immense valige.
Skipper è già un bagno di sudore quando lui e i suoi fratelli raggiungono finalmente il porticato dell’edificio centrale.
Non si può negarlo, la scuola è veramente bella, e il parco è enorme. Se riusciranno a superare questa prima giornata campale, il gemello di mezzo ne è sicuro, ogni cosa sarà meravigliosa.
- Kowalski, analisi? – richiama l’attenzione del maggiore, che si sta rigirando fra le mani la cartina del campus già tutta spiegazzata.
- Secondo i miei calcoli se saliamo al secondo piano e prendiamo il corridoio di destra, camminando fino alla quarta aula dovremmo raggiungere la Segreteria! – esclama, gli occhialetti tondi che continuano a scivolargli sulla punta del naso.
- Ehm, WALSKI! – è la voce gracchiante di Rico ad interromperli, mentre prende la cartina dalle mani del fratello e la gira dal verso giusto.
- ECCO. – commenta poi facendogli segno di continuare con le indicazioni.
Skipper ride di gusto, sono veramente una famiglia disastrata, eppure è felice di avere quei due psicopatici per fratelli. Non avrebbe potuto desiderare compagni di sventure migliori di loro.
Finalmente il corridoio giusto si snoda di fronte a loro, conducendoli fino a una grande porta colorata di rosso su cui svetta il cartello “Segreteria Studenti”.
- Fantastico! C’è la coda! – esclama, sedendosi sulla sua grande valigia nera.
Kowalski sta per rispondergli, quando due voci concitate provenienti dalle scale li fanno voltare.
- Cosa ne so io che se tiro mi rimane in mano?! Potevi avvisarmi! –
- Ma se sei un demente cosa ci posso fare? La prossima volta cosa vuoi che faccia, devo imboccarti? Il pannolino riesci a cambiartelo da solo? –
Skipper si ritrova a fissare due figure completamente agli antipodi.
Il “demente” è un tipo basso e tarchiato dal collo taurino, mentre il suo compare esasperato è un tizio alto e magro dalle gambe lunghe e gli occhi sinceri.
- Johnson, dolcezza, stai di nuovo dando spettacolo. – annuncia con naturalezza collo-di-toro, facendo avvampare il compagno.
Quello si volta in loro direzione e sorride imbarazzato.
- Scusate, non fateci caso, è... è tutto a posto... –
Solo a quel punto Skipper si accorge che collo-di-toro stringe, nella mano destra, la maniglia di una porta.
- Come avete fatto? – domanda con tanto d’occhi, senza premurarsi minimamente di presentarsi ai due sconosciuti.
- La porta non si apriva... – minimizza quello basso facendo spallucce.
- E ovviamente questa testa di rapa ha pensato bene di distruggere tutto quanto anzichè riprovare con calma... – esala Johnson al suo fianco.
Rico e Kowalski si scambiano uno sguardo divertito, poi collo-di-toro allunga una mano in loro direzione.
- Manfredi, secondo anno, e questa casalinga frustrata accanto a me è Johnson, il mio coinquilino. Siete matricole? Non vi ho mai visto qui in giro... –
E’ il turno di Skipper di presentare sé stesso e i fratelli mentre stringe la mano di Manfredi per poi passare a Johnson.
A mano a mano che la fila procede, quei due tizi strampalati raccontano aneddoti su aneddoti, si parlano l’uno sopa l’altro, si interrompono e ridono ancor prima di aver cominciato a parlare, e Skipper sente di provare per loro un’innata simpatia.
Sta per intervenire nella discussione che ha sollevato Kowalski, quando la porta della Segreteria si apre e una signora sulla sessantina fa loro cenno di entrare.
Come al solito, la prima mezz’ora la passano a richiedere i test scritti per Rico.
- Non può parlare, dannazione, il certificato non è sufficiente?! – sbotta all’ennesimo storcere il naso della segretaria.
Rico gli fa segno di mantenere la calma, ma fatica a rimanere tranquillo in casi simili. E’ incredibile che ogni volta debbano fare tutte quelle storie, e davvero non si capacita di come suo fratello, solitamente esplosivo e incontrollabile, riesca ad essere pacato in situazioni come quella.
Finalmente anche quel problema viene risolto, e le chiavi delle camere vengono consegnate.
Skipper ha la duecentodiciannove, Rico e Walski sono insieme nella duecentoquarantotto che, nemmeno a farlo apposta, è accanto ad una porta la cui maniglia sembra essere stata brutalmente divelta.
Il gemello di mezzo saluta i fratelli e si dirige a passo strascicato dal lato opposto dell’edificio, dove se ne sta la sua stanza.
Si fa rigirare pigramente la chiave fra le dita, poi finalmente la inserisce nella toppa e spinge piano l’uscio.
La finestra è aperta e le tende verdoline svolazzano lievi nella brezza pomeridiana.
Sulla scrivania, accanto a un lettore CD e una marea di dischi fra i quali riconosce tre album dei Linkin Park, vi sono un libro di Fisica e un quaderno chiuso; una candela per ambienti è abbandonata sul comodino a sinistra della porta.
A quanto pare Skipper non è solo.
- C’è nessuno? – domanda a voce alta, facendosi strada all’interno della stanza alla ricerca del coinquilino.
Ma anche il piccolo bagno sulla destra è deserto, e presto la matricola si arrende all’evidenza che il suo compagno di stanza deve essere in giro a godersi la bella giornata.
A questo punto non gli resta che disfare le valige e togliersi la stanchezza di dosso con una bella doccia fresca.
Una volta indossati dei vestiti puliti, si sdraia su quello che evidentemente sarà il suo letto per i futuri quattro o cinque anni e porta le mani dietro alla testa, chiudendo gli occhi e inspirando a fondo il profumo di pulito che aleggia nella stanza.
Chissà se la sistemazione di Rico e Walski è di loro gradimento...
E’ felice che siano finiti in camera insieme, se fosse stato Rico a trovarsi da solo sarebbe stato davvero un bel problema. Non che il più giovane dei tre gemelli sia un tipo schizzinoso, anzi, di solito il problema è l’esatto opposto: difficilmente le persone si azzardano ad approfondire una relazione con Rico fino a potersi definire amici. L’handicap del ragazzo tiene tutti a distanza, così come il suo eccessivo bisogno di contatto fisico.
Il ragazzo non da mai segno di rimanere male di fronte alla cattiveria della gente, ma i suoi fratelli lo conoscono bene, e sanno che ogni volta la delusione è grande e gli stringe il cuore come filo spinato.
Sì, è decisamente un bene che lui e Walski siano finiti in camera assieme...
Cullato da questi ragionamenti, sta per appisolarsi quando la porta si apre di colpo, rivelando una figura snella e longilinea.
E’ un ragazzo alto, molto alto, più o meno quanto Kowalski, ma la sua bellezza è tale da non permettere paragoni.
Il suo viso è pallido e ovale, incorniciato da fini capelli color della luna raccolti in una coda laterale.
Gli occhi sono plumbei, ma il loro taglio arrotondato conferisce loro un’espressione dolce nonostante la sorpresa che campeggia sul suo volto di albino.
- Ah, sei quello nuovo! Mi avevano detto che saresti arrivato! – esclama, accomodandosi una ciocca dietro l’orecchio e chiudendosi la porta alle spalle.
Skipper si mette a sedere, incuriosito da quel giovane all’apparenza talmente perfetto da sembrare uscito da un quadro.
- Ah, io... Sì, sono arrivato un’oretta fa... Non c’era nessuno in camera, così ho pensato di sistemarmi... – borbotta, assurdamente in imbarazzo.
Ma il coinquilino si affretta a metterlo a suo agio con un grande sorriso luminoso.
- Hai fatto bene! Beh, benvenuto, allora! Spero che la permanenza si riveli piacevole! –
- Lo sarà di sicuro! – riesce a rispondere, ritrovando la sua solita sicurezza di sé.
Ne è convinto, mentre gli stringe la mano e ripete il suo nome, giusto per essere sicuro di non dimenticarlo da lì a pochi minuti come accade di solito con gli sconosciuti.
Non può nemmeno immaginare che quel nome, da lì a poco, cambierà per sempre la sua intera esistenza.
 












 
Novembre si era annunciato con un cielo terso e una lieve brina sui prati che aveva ricordato agli studenti dell’inverno ormai alle porte.
La caffetteria era come sempre stracolma di studenti e trovare un tavolino libero, o anche solo una sedia non occupata, era un’impresa.
- Rico! –
Soldato sbracciò per farsi individuare, mentre correva in direzione dell’amico dribblando la gente sparsa a mucchi per l’androne dell’edificio centrale.
- Ecco, tieni! – sorrise nel porgergli il suo caffé lungo, per poi dare una sorsata al latte caldo con miele che aveva ordinato per sé.
- GRAZIE! – fece Rico con un grande sorriso, portandogli un braccio attorno alle spalle e stringendolo a sé affettuosamente.
Il ragazzino poggiò il capo contro il suo fianco e inspirò a fondo l’odore di caffé che si alzava nell’aria attorno a loro.
Voleva bene a Rico, un bene incondizionato e senza motivazione che lo riempiva come l’ossigeno gli riempiva i polmoni.
Quel giorno il prof di Chimica non aveva potuto recarsi a lezione, e così si erano ritrovati con due ore buche che avevano deciso di impegnare prendendosi qualcosa in caffetteria e facendo una passeggiata nel parco.
Dopotutto non faceva poi così freddo, ed era un peccato trascorrere una bella giornata entro le mura scolastiche.
Camminarono tranquilli per un quarto d’ora abbondante, poi individuarono una panchina libera e si sedettero, Rico con le braccia abbandonate sullo schienale e Soldato sdraiato accanto a lui, il capo sulle sue gambe e i piedi che penzolavano dal bordo della panca.
- Ci voleva proprio una pausetta da Chimica, inizio davvero a non farcela più... – sospirò il più giovane, gli occhi puntati al cielo.
Il più giovane dei gemelli ghignò appena, la cicatrice a tendersi sul suo viso.
- Difficile? – riuscì a misurare i decibel.
L’altro fece spallucce e incrociò le braccia al petto perchè non sporgessero dalla panchina.
- Un pochino, ma la cosa peggiore è il prof... A te non fa venire sonno?- si lamentò, senza opporsi quando la mano del più grande prese a giocherellare con i suoi fini capelli scuri.
Rico annuì distrattamente.
- Dormi! – suggerì con semplicità, facendolo scoppiare a ridere.
- Rico, non posso dormire a lezione! E nemmeno tu dovresti farlo! – lo anticipò, lasciandolo con la bocca aperta e la replica smorzata.
Il ragazzo scosse la testa e alzò gli occhi al cielo: quando si trattava della matricola proprio non riusciva ad opporsi.
Soldato era il primo vero amico che avesse mai avuto. Certo non poteva dimenticare Johnson e Manfredi, ma con Soldato era diverso. Il loro legame non era lo stesso che univa il ragazzino a Kowalski o a Doris o a Marlene.
Si appartenevano, e in quelle poche settimane da quando l’aeroplanino di Rico era andato ad impigliarsi nei capelli del novellino, l’affetto fra di loro si era gonfiato fino ad assumere un significato tutto particolare, profondo e indissolubile.
L’ombra di un sorriso gli attraversò le labbra mentre gli scostava una ciocca dalla fronte.
- Sei bello. – disse semplicemente, mentre le nuvole si rincorrevano in quota.
Soldato avvampò a quelle parole.
Sapeva che Rico spesso diceva quello che pensava senza valutarne le conseguenze o le implicazioni, e sapeva che non vi era malizia in quel commento, ma non era certo abituato a sentirsi rivolgere simili complimenti, e non poté impedire che il sangue gli affluisse veloce alle guance.
- Grazie... – balbettò, torturandosi l’orlo della giacca con le mani.
Vi fu un momento di silenzio, poi il più grande decise di cambiare argomento.
- SKIPPER? – gracchiò, suscitando l’interesse del piccoletto.
Erano ormai due settimane che i due condividevano la camera, e a dire il vero le cose erano andate meno peggio del previsto.
- Continuo a pensare che non sia felicissimo della mia presenza, ma è gentile e cerca di far finta di niente... – spiegò con un tono di voce più mogio del voluto.
Quella notte qualcosa lo aveva svegliato. Subito non aveva capito cosa fosse, ancora stordito dal sonno, ma poi aveva strizzato gli occhi per fendere il buio e, abituatosi all’oscurità, si era accorto che il letto di Skipper era vuoto.
La luce del bagno filtrava attraverso la porta chiusa, al di là della quale l’acqua scrosciava nel silenzio.
Soldato, mosso da una sottile angoscia latente, si era alzato e aveva accostato l’orecchio alla porta, per poi udire dei rumori che lo avevano lasciato paralizzato.
Dall’altra parte dell’uscio Skipper stava piangendo.
- Skipper? Stai... stai bene? – aveva balbettato, spaventato da quello che stava succedendo.
La voce del ragazzo lo aveva raggiunto flebile e dolorosa come una frustata sul viso.
- Sì! Torna a dormire... –
In altre circostanze il ragazzino avrebbe ubbidito senza farselo ripetere due volte, ma quella situazione gli faceva male al cuore, e non se ne sarebbe rimasto con le mani in mano.
- Sei sicuro di non avere bisogno? – aveva replicato, ancora indeciso su quale tono usare.
Skipper non aveva risposto subito, forse aveva tentato di reprimere i singhiozzi e darsi un contegno, poi la sua replica si era fatta sentire, terribilmente stridente con l’evidenza dei suoi desideri.
- Vattene, non ho bisogno di te! –
Soldato aveva aperto la porta bruscamente, quasi arrabbiato di fronte a quelle parole, ma l’espressione sul suo viso era mutata immediatamente.
Il coinquilino se ne stava aggrappato al lavandino, il volto paonazzo e gli occhi gonfi, l’acqua che gocciolava dai suoi capelli lungo il suo collo.
- Skipper? – ma quello non lo aveva degnato di uno sguardo, l’attenzione concentrata sulle mani che, ancora aggrappate al bordo del lavandino, tremavano vistosamente mentre cercava di controllare la respirazione affannata.
Soldato aveva riconosciuto immediatamente i segni di un attacco di panico ed era corso al suo fianco, accarezzandogli i capelli bagnati e la schiena nuda.
- Skipper,va tutto bene... E’ tutto apposto... – aveva sussurrato nella speranza di tranquillizzarlo.
Niente da fare, il più grande si era finalmente voltato piantando gli occhi nei suoi, e il ragazzino si era sentito vacillare, sopraffatto dal peso di tanto dolore.
- Ti prego, torna a dormire... – aveva mugolato fra i fremiti, uno Skipper a cui non era assolutamente abituato né tantomeno preparato.
- Ma tu hai bisogno...! – ma il capo del Club di Spionaggio l’aveva interrotto, l’azzurro ghiaccio come uno stiletto affondato nel suo cuore.
- Ti prego... –
A quel punto Soldato non aveva potuto fare altro che capitolare, lasciando il suo fianco e tornando a rannicchiarsi fra le coperte, sconfitto.
Quando Skipper era tornato, mezz’ora dopo, aveva fatto finta di essersi addormentato, ma in realtà non era più riuscito a chiudere occhio.
Vedere l’amico ridotto a quel modo era straziante, e ancora più straziante era la consapevolezza di non poterlo aiutare.
Come avrebbe potuto fare qualcosa se continuava a tenerlo lontano, a nascondergli il motivo di quella disperazione?
Perchè ormai era evidente che vi era qualcosa di terribile e oscuro a dilaniare il cuore di Skipper.
Era forse per quello che non lo voleva in camera con lui? Che cosa c’era nel suo passato che lo tormentava a quel modo?
Fu la voce di Rico a riportarlo con i piedi per terra.
- VUOLE BENE! – asserì per confortarlo.
- SOLO STUPIDO... – aggiunse con un’alzata di spalle.
Soldato scoppiò a ridere, sollevato da quella confessione.
Almeno sapeva che non ce l’aveva con lui, era già qualcosa...
L’idea che Skipper gli volesse bene, tuttavia,  gli iradiò nel petto uno strano calore che gli impedì di trattenere un sorriso radioso.
Mentre i suoi legami con gli altri amici si erano ormai delineati in modo chiaro, quello che lo legava al gemello di mezzo era ancora un sentimento senza nome e dalle forme cangianti.
A volte aveva l’impresisone di piacergli e si abbandonava all’idea che Skipper lo apprezzasse nonostante la sua ingenuità e il suo essere dannatamente impacciato, altre volte, invece, i suoi occhi lo passavano da parte a parte come se fossero stati una lama di disprezzo, e Soldato non capiva più niente.
Lo odiava? Gli stava simpatico?
Sarebbe mai riuscito a chiarire quella faccenda una volta per tutte?
Poi Rico continuò nel suo discorso, biascicando parole che il ragazzino interpretò come “almeno ti sei tolto Mortino dai piedi”.
Fu un secondo, il guizzo di autocompiacimento negli occhi del più grande, e la matricola scattò a sedere, la bocca spalancata e l’indice puntato contro il petto dell’amico.
- Tu! Sei stato tu?! Oddio, Rico! Sei stato davvero tu?! – sbraitò, scandalizzato.
L’altro annuì, contento di avere finalmente il suo riconoscimento.
- E WALSKI! – si sentì in dovere di specificare.
Soldato si portò entrambe le mani alla bocca, sconvolto.
- Rico, ma sei pazzo?! Si finisce in galera per queste cose! – sibilò, abbassando la voce perchè nessuno lo sentisse.
Quello scosse la testa.
- Walski studiato. Solo incidente! – comunicò con gran soddisfazione.
Grazie al progetto di Idraulica, Kowalski era riuscito a mettere le mani sui disegni originali dell’impianto idraulico della scuola, poi Rico aveva sgraffignato due o tre cosette dal laboratorio di Chimica e il gioco era fatto.
Niente più Mortino e, Soldato iniziava a sospettare come secondo motivo della folle iniziativa, Skipper aveva finalmente un nuovo compagno di stanza.
- Due piccioni con una fava, eh? – commentò senza riuscire a trattenere un sorriso di fronte allo zelo dell’amico.
- Skip vuole bene! – ripeté Rico, questa volta con un ghigno appena più malizioso, tanto che il calore dal cuore di Soldato si irradiò rapido al suo volto.
- Sì, ho capito, l’hai già detto! – pigolò, imbarazzato da quella sortita senza senso.
L’altro rise e gli scompigliò i capelli, per poi abbracciarlo stretto.
Si ritrovò a pensare all’estate del suo secondo anno, quando tornati a casa avevano dovuto consegnare alla mamma tutti gli oggetti pericolosi e i caricabatterie dei cellulari perchè Skipper non si facesse male, ricordò quando, ogni tanto, le urla disperate del fratello lo svegliavano nel cuore della notte, e lui e Walski si sbattevano contro in corridoio per andare a vedere che non fosse nulla di grave.
Per un momento tornò di fronte ai suoi occhi il viso tirato e cupo del gemello quando, di ritorno dalle vacanze di Natale, aveva scoperto che la stanza accanto alla loro sarebbe rimasta vuota per il resto del semestre, e si rese conto che finalmente Skipper aveva ripreso a sorridere, e dovevano tutto alla ventata d’aria fresca che quel ragazzino aveva portato nella loro vita.
La presenza di Soldato stava facendo bene a tutti quanti, era evidente.
Adesso non rimaneva loro che risolvere quella faccenda una volta per tutte, e suo fratello avrebbe trovato la pace.
E loro assieme a lui.
Mancava così poco, e Rico lo sapeva, quella era la volta buona.
Ce l’avrebbero fatta.
 
















 
Note:

Eccoci qui, non siamo morte, giuriamo!
E' che ci siamo prese una meritata pausetta dall'Uni e siamo migrate a Nord per una vacanzina a Londra durante la quale ci siamo nutrite praticamente solo di cinnamon rolls, con la conseguenza che ora vogliamo Hans che ci porti la colazione a letto... x°°°
Che dire invece di questo capitolo?
Mortino è sempre più disagiato, ma gli si vuole bene -anche Juliengliene vuole, pur non volendolo ammettere xD- e Rico e Kowalski sono due psicopatici fatti e finiti.
In ogni caso, anche se a pianificare tutto nei minimi dettagli è stato Walski, l'idea l'ha avuta il bombarolo.
Ovviamente.
Nel frattempo abbiamo gettato uno sguardo sul primo giorno di scuola dei gemelli e sul misterioso compagno di stanza di Skipper e JOHNSON E MANFREDI.
Mi sono divertita tantissimo a scrivere quelle due righe su di loro, li amo già! x°°
Ma a quanto pare il passato di Skipper è più oscuro del previsto, dal momento in cui è il preside stesso a chiedergli il permesso di affibbiargli un nuovo roommate e... beh, i pensieri di Rico a fine capitolo la dicono lunga...
A proposito! Nel prossimo capitolo avremo una notizia interessante riguardo a un nuovo punto della trama... stay tuned! ~
Ps: scusate tanto ma Rico e Soldato in questo capitolo sono amore incondizionato. hkjhdkjfghkh Shippateli tutti.
Ok, la smetto e mi ritiro nel buio con la mia compare. Adieu! <3

Un bacione e un abbraccio,
Koome

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***





Capitolo VII~













La notizia giunse un pomeriggio di pioggia a metà di Dicembre.
I ragazzi del Club di Spionaggio avevano appena finito la loro riunione settimanale e si erano recati al caffé della scuola, dove Marlene li attendeva per raggranellare i gossip per il suo giornalino.
- Come sarebbe a dire che Leonard non c’entra niente?! Maledizione, così dovrò rifare da capo la prima pagina! – si lamentò la ragazza nel ricevere gli ultimi aggiornamenti sulle indagini del quartetto.
Fuori dai grandi finestroni dell’edificio la pioggia scrosciava senza pietà, sferzando violenta i viottoli del parco. Il freddo appannava i vetri e per colpa delle nuvole basse alle tre del pomeriggio sembrava già notte fonda.
Un tempo da lupi, insomma, e nulla poteva essere più piacevole di starsene rintanati al tavolino più remoto del caffé con un bicchiere di cappuccino fumante stretto fra le mani.
- No, sul serio, ragazzi, non posso ridurmi di nuovo a scrivere il solto articolo sulle feste di Capodanno di Julien! Ci vuole qualcosa di nuovo, di fresco, di frizzante! Qualcosa che stimoli la fantasia e la curiosità dei lettori! – spiegò Marlene.
- Non ti basta la notizia dell’esplosione della stanza di Soldato? Insomma, è un affare importante, qualcuno avrebbe anche potuto restarci secco! – suggerì Skipper, rifilando un’occhiata in tralice ai fratelli che Soldato condivise appieno.
Marlene alzò gli occhi al cielo e fece un gesto con la mano come se avesse dovuto scacciare una mosca, bevve un sorso del suo cappuccino e sbuffò.
- E’ passato troppo tempo, non fa più notizia, ormai... – si lamentò, sbuffando ancora e poggiando il mento sui palmi delle mani.
Fu a quel punto che la porta della caffetteria si spalancò, rivelando la figura di Doris, le punte dei capelli inumidite dalla pioggia e un sorriso elettrizzato stampato in faccia.
Senza nemmeno chiedere, prese una seggiola vuota dal tavolo accanto e si sedette vicino a Kowalski, che le rivolse uno sguardo incuriosito.
- Ragazzi, avete saputo la notizia? – domandò nello sporgersi in avanti, senza badare al fatto che non aveva nemmeno salutato.
- NOTIZIA? – si informò Rico prima di dare un morso al suo muffin al cioccolato.
La ragazza annuì e si sistemò una ciocca dietro l’orecchio.
- Ma sì, dai! Lo scambio culturale! Davvero non sapete niente? –
Gli altri cinque fecero segno di diniego con la testa, così che la bionda si sentisse in dovere di proseguire con la speigazione.
Fregò un sorso di cappuccino alla compagna di stanza, si schiarì la voce, e prese a raccontare.
- Oggi durante la lezione pomeridiana di Geologia è venuta la prof responsabile dei Club. A Gennaio, appena dopo le vacanze di Natale, arriveranno degli studenti dall’Europa per uno scambio culturale! –
- Questa sì che è una notizia! Dimmi di più! – esclamò Marlene rizzando la schiena e avvicinando la seggiola al tavolo.
Doris si schiarì la voce e si assicurò di avere l’attenzione di tutti i presenti su di sé, poi, dopo aver accavallato meglio le gambe, si decise a raccontare come si deve.
- In realtà non ho ancora informazioni specifiche, i dettagli arriveranno in settimana, ma il succo della storia è che dopo secoli il College si è deciso a riaprire il programma di scambio culturale con l’Europa. Pare che l’ultima volta risalga ad almeno dieci anni fa... – incominciò.
- Non è chiaro se gli studenti saranno tutti della stessa nazione o se arriveranno da parti diverse del continente, ma di certo sappiamo che rimarranno per tutto il secondo semestre! –
A quel punto, dopo aver ponderato per qualche secondo, Soldato espresse la sua perplessità.
- Ma se i dormitori sono tutti occupati dove metteranno gli studenti dello scambio? – domandò saggiamente.
L’espressione euforica della bionda si rabbuiò appena mentre si portava l’indice al labbro inferiore con fare pensoso.
- A dire il vero non lo so. Che voi sappiate c’è qualche struttura sull’isola che potrebbe ospitarli? Insomma, non credo che li spediranno sulla terraferma, far partire il traghetto tutti i giorni sarebbe un bel costo per la scuola... –
Fu Kowalski a prendere la parola dopo quell’osservazione.
- Vicino ai campi sportivi c’è una vecchia costruzione con dei locali agibili, potrebbero sistemarli lì. Altrimenti credo che la soluzione più semplice sarebbe noleggiare dei prefabbricati, anche se dovrebbero darci dentro per averli pronti da qui a Gennaio. Si sa già quanti saranno gli studenti dello scambio? –
Doris fece spallucce.
-Una decina, credo, non di più. Fra l’altro cercano studenti che si offrano come tutor per i nuovi arrivati, pensavo di mettermi in lista! –
- Sembra divertente! Dove bisogna firmare? – si informò Soldato, sempre più incuriosito da quella faccenda.
Rico fece una smorfia, come a voler dire che lui avrebbe volentieri fatto a meno di sobbarcarsi le grane di uno studente d’oltreoceano, ma Doris lo zittì con un gesto della mano e poi rivolse alla matricola uno sguardo indulgente.
- Mi dispiace, Soldato, il modulo è solo per i secondi e i terzi anni! Per voi primini e per i laureandi non è consigliabile, secondo la presidenza... –
- Venduti... – borbottò il ragazzino, suscitando una risata generale.
Marlene strappò il cappuccino ormai quasi terminato dalle mani della compagna di stanza e ne bevve l’ultimo sorso.
- Perfetto, ora si che ho un vero scoop per il mio giornalino! Ragazzi, mi raccomando, ogni più insignificante informazione su questo progetto dovrà essere riportata alla sottoscritta! Vedrete che articolo! – cinguettò con un sorriso gigantesco, il morale completamente risollevato.
Nei due giorni a seguire per i corridoi non si parlò d’altro che dello scambio con l’Europa. Tutti erano curiosi di sapere chi sarebbero stati i fortunati studenti da oltreoceano e ovviamente grande era l’aspettativa per i presidenti dei club.
Julien sosteneva che i nuovi arrivi sarebbero stati tutti suoi sudditi, Marlene non vedeva l’ora di poter accaparrarsi qualche aspirante giornalista straniero che potesse portare una ventata d’aria fresca al suo club, e quelli di Cucina erano elettrizzati dall’idea di poter finalmente ricevere un italiano fra le loro fila.
Solo Skipper non sembrava particolarmente entusiasta di quella novità e non era preso dall’eccitazione come tutti gli altri.
- E’ incredibile come tu riesca ad essere impassibile davanti a uno sconvolgimento simile! Insomma, è un’occasione rara quella che ci sta capitando! – commentò un venerdì sera Soldato, seduto a gambe incrociate sul suo letto mentre il compagno di stanza ficcava abiti a caso nella sua grande valigia.
I gemelli sarebbero partiti la mattina successiva per Seattle, dove avrebbero trascorso assieme alla famiglia le festività natalizie, e quel pomeriggio erano stati tutti e tre presi dai preparativi, approfittando del fatto che le lezioni erano finite due giorni prima, propriò a metà della settimana.
- Io invece trovo incredibile come tu riesca ad emozionarti per qualsiasi novità! – replicò il ragazzo con quella che si sarebbe potuta definire una nota di affetto nella voce.
- In ogni caso so già come andrà a finire, saranno solo grane e casini burocratici, te lo dico io! – aggiunse, pragmatico come sempre.
- E non sei curioso di vedere chi si iscriverà al Club di Spionaggio? –
Skipper si fermò, le mani che stringevano una camicia immacolata a mezz’aria sulla valigia.
In tutta onestà sperava che nessuno mostrasse interesse nei confronti del suo club. A Settembre aveva avuto bisogno di iscritti per non doverlo chiudere, ma adesso che con loro c’era Soldato e avevano scongiurato il peggio non aveva davvero bisogno di altri elementi, anzi, aggiungere membri alla squadra avrebbe persino potuto considerarsi pericoloso.
Con un grande sospiro ripose anche quella camicia in valigia e si voltò verso il coinquilino.
- Scherzi? Con la squadra che ho già non ho bisogno né interesse in altri nuovi membri! – fece, scompigliandogli i capelli in un gesto di rara affettuosità che gli servì a mascherare una preoccupazione leggera.
- Sei proprio sicuro di non voler tornare a casa per le feste? – chiese poi, sedendosi sul ciglio del letto con i gomiti poggiati sulle ginocchia.
Soldato scosse il capo e si lasciò cadere all’indietro con la testa sul cuscino.
- Mia madre lavora qui a New York, è sempre così impegnata che raramente riesce a venire in Kansas per Natale. Quest’anno visto che io sono già qui pensavo di approfittarne e rimanere assieme a lei. Zia Abby e Zio Nigel se la caveranno anche senza di noi! – sorrise anche se con una vaga punta di malinconia nella voce.
- New York è bella lontana dal Kansas... – osservò Skipper.
- Tuo padre vive qui o è a casa con il resto della famiglia? – chiese poi, curioso di saperne di più sulla famiglia del più giovane.
Soldato parve esitare un momento, e quella lievissima reticenza fece pentire immediatamente Skipper di aver posto una simile domanda.
- Non ho mai conosciuto mio padre, è morto prima che io nascessi. Ma non preoccuparti, non è un problema! – lo rassicurò subito il ragazzino nell’esibire un altro sorriso sincero.
Dopotutto non aveva detto altro che la verità. Certo, ogni tanto sarebbe piaciuto anche a lui avere una famiglia normale, un padre e una madre che lo accompagnassero lungo il tragitto fino alle scuole elementari, ma non poteva certo lamentarsi. Gli zii lo avevano cresciuto come fosse stato figlio loro, e anche se sua madre lavorava lontano si faceva in quattro per non essere assente nella sua vita.
Sì, tutto sommato Soldato era felice della famiglia strampalata che gli era capitata.
- I tuoi come sono, invece? – chiese per toglierlo dall’imbarazzo.
Skipper chiuse la valigia e la sistemò ai piedi del letto, sfilandosi la camicia e indossando i pantaloni del pigiama.
- Lavorano sempre anche loro, è per questo che approfittiamo delle vacanze per tornare a casa. Anche quando vivevamo tutto l’anno a Seattle li vedevamo solo alla sera, e a volte nemmeno tutti i giorni. Mamma è meno impegnata, ma nostro padre è spesso via per periodi lunghi. Da piccoli avevamo una governante che si occupava di noi. – spiegò, strappando un risolino all’amico.
- Che c’è? – fece, lievemente offeso da quella reazione.
- Nulla, solo che il termine “governante” è buffo! Detta così sembra una persona cattiva! – ridacchiò ancora Soldato.
Skipper andò a lavarsi i denti e tornò in camera, scivolando sotto le coperte e mettendo il cellulare sotto carica.
- Non era un mostro di simpatia, in effetti! – concordò con aria divertita.
Poi il suo sguardo si adombrò appena.
C’era un altro motivo se quell’anno, come i precedenti, sarebbero tornati a casa. Skipper in realtà non era così entusiasta di tornare a Seattle, ma sapeva perfettamente che non avrebbe potuto fare altrimenti.
“Rimanere a scuola durante la pausa di Natale non ti fa bene, Skipper. Sai meglio di me che hai bisogno di distrarti in quei giorni.” era solito ricordargli Kowalski, e Rico si dimostrava sempre d’accordo con il fratello.
Ma come poteva distrarsi proprio in quei giorni, sapendo che il suo lavoro non era ancora finito, che era ancora ben lontano dall’offrire giustizia a chi la meritava?
- Skipper? – lo chiamò piano Soldato, preoccupato da quel silenzio improvviso.
Il ragazzo si riscosse dai suoi pensieri e gli rivolse un sorriso tranquillo.
- E’ tardi, sarà meglio andare a dormire o domani al JFK mi ci dovranno trascinare per i piedi! – scherzò.
Augurò la buonanotte al compagno e si sporse fino a raggiungere l’interruttore al di sopra del suo comodino.
La stanza piombò nel buio, fatta eccezione per la lucina del caricabatterie del cellulare che mandava fiochi bagliori a intermittenza.
- Buonanotte, Skipper. – replicò Soldato, sistemandosi meglio il cuscino sotto la testa e accoccolandosi al calduccio fra le coperte.
Quella notte, a causa di due motivi ben diversi, nessuno dei due riuscì a chiudere occhio.
 











 
 
La neve, a Seattle, era un evento raro. Difficile da spiegare con la cartina alla mano, dato che la città si trovava a meno di tre ore di macchina da Vancouver, eppure Skipper ricordava solo una volta, alle elementari, in cui le scuole erano state chiuse per neve.
Di solito gli inverni erano grigi e smorti, intervallati da noiosi acquazzoni, e quelle rare volte in cui la neve riusciva a rimanere ancorata ai marciapiedi per più di dodici ore era già da considerarsi un evento epocale.
Quel giorno, tuttavia, i gemelli si erano svegliati e avevano trovato al di là delle loro finestre un panorama fiabesco e avvolto in un candore silenzioso.
Skipper si era svegliato presto, disturbato da qualcosa la cui natura non era stato in grado di riconoscere. Forse, semplicemente, aveva dormito dodici ore di fila e adesso non aveva più sonno.
Era rimasto qualche minuto sdraiato a letto, immerso nel buio della sua stanza a fissare le stelline luminose che aveva fatto appiccicare al soffitto quando aveva quattro anni.
Se le era giocate con Kowalski a carta-forbice-sasso, e alla fine il gemello più grande aveva dovuto cedere e accontentarsi dello stock con le navicelle spaziali e i piccoli multiocchiuti extraterrestri.
Rico, che aveva ottenuto senza dover combattere gli adesivi con i dinosauri, era stato alla fine quello più soddisfatto del trio.
Sorrise a quel ricordo e allungò una mano fino al comodino, alla ricerca del cellulare. Erano le otto, e dal corridoio riusciva a sentire i passi tranquilli di sua madre che riassettava la casa.
Aveva dormito.
Si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra, portandosi all’indietro le ciocche corvine che gli cadevano sugli occhi, poi spalancò le imposte e quello che vide gli fece spalancare la bocca di stupore.
Il giardino era interamente ricoperto dalla coltre bianca della neve, e il cielo statico sembrava prometterne altra in arrivo per il pomeriggio.
Sorrise e si cambiò in fretta, indossando i pantaloni della tuta e una vecchia felpa del liceo che magicamente gli entrava ancora, poi finalmente uscì dalla sua stanza.
Sua madre era seduta sul divano, il tablet posato sulle ginocchia e un sorriso gentile sulle labbra.
- Buongiorno, tesoro! – lo salutò.
Skipper percepì lo sguardo della donna indugiare sul suo volto alla ricerca del particolare sbagliato, del dettaglio fuori posto, e sentì uno strano calore impadronirsi del suo cuore quando la vide ampliare il suo sorriso.
- Hai dormito bene? – gli chiese.
Annuì e si sedette accanto a lei, guardandosi attorno come se avesse visto quella casa per la prima volta.
- Benissimo! – rispose stiracchiandosi.
- Nemmeno un brutto sogno? –
Lo sguardo di sua madre era dolce, eppure celava una preoccupazione profonda, assieme alla speranza di una svolta, un cambiamento che potesse portare un po’ di pace alla sua famiglia.
Skipper prese una mano della donna fra le sue per tranquillizzarla.
- Nemmeno uno, mamma! Sto bene, non devi preoccuparti. –
La donna gli accarezzò il viso, poi spense il tablet e lo ripose su un tavolino di vetro accanto al divano.
- Allora, raccontami un po’ di questo primo semestre! Kowalski mi ha detto che ve la state cavando alla grande con il Club! – fece poi, l’ombra che fino a poco prima aveva velato il suo viso completamente scomparsa.
- Considerando che quel cane rognoso di Segreto ce lo voleva far chiudere... Sì, devo dire che quest’anno va meglio dei precedenti! – raccontò.
- E poi c’è Soldato... –
Skipper incarcò un sopracciglio a quella considerazione. Sua madre aveva pronunciato il nome del ragazzo con un tono indecifrabile, le labbra arricciate verso l’alto in un sorriso che lo mise impercettibilmente in imbarazzo.
Nel corso del semestre le aveva scritto un’infinità di mail per aggiornarla sulla vita quotidiana al college, per tenerla informata riguardo alla frequenza dei suoi incubi e per tranquillizzarla quando questi avevano iniziato a diminuire la loro intensità. E sì, aveva parlato anche di Soldato, all’inizio con sospetto, poi con ammirazione sempre crescente.
- Certo, ormai è un elemento imprescindibile della nostra squadra. – fece con un mezzo sorriso.
- E come sta andando la convivenza forzata? Ormai sono due mesi che state in camera assieme... – osservò la donna.
Skipper fece spallucce.
- Credevo sarebbe andata peggio, ma il preside ha ragione, forse è giunto il momento di lasciarmi alle spalle quello che è successo. Pensavo che la presenza di Soldato mi avrebbe dato fastidio, invece...– non concluse la frase, non avrebbe saputo nemmeno lui come andare avanti.
Invece Soldato era stato in grado di portare nella sua vita una luce nuova, una sicurezza che non credeva avrebbe mai più ritrovato.
Invece aveva scoperto che non tutto era perduto, che anche se le cose non sarebbero mai tornate come prima, forse poteva permettersi di provare, almeno, a tornare a vivere.
- Mi fa piacere che le cose vadano meglio, quel ragazzino è stato davvero una manna dal cielo per voi... – considerò sua madre, ripensando alla sera prima, quando i figli avevano scartato i loro regali di compleanno.
Anche Skipper tornò con la mente a quel momento, quando tutti e tre, seduti attorno al grande tavolo di cristallo della sala, avevano scartato i pacchetti che ogni ventun dicembre ricevevano da parenti e amici.
Anche Soldato aveva pensato a loro.
La mattina della partenza si era svegliato per salutarli e prima che Skipper abbandonasse la stanza gli aveva consegnato tre pacchetti di carta colorata chiusi con un dubbio scotch a stelline.
- Sono per voi, per il vostro compleanno. Per piacere, apriteli quando sarete arrivati a casa! – era riuscito a dirgli fra balbettii inconsulti e guance intermittenti.
L’idea che la matricola avesse fatto un regalo ad ognuno di loro gli aveva fatto uno strano effetto, ma quando aveva scoperto che i regali erano stati confezionati a mano proprio dal ragazzino non aveva potuto fare a meno di arrossire come una scolaretta.
Come poteva essere così buono, così generoso da spendere il proprio tempo in un’attività simile?
- GUANTI! – aveva esclamanto Rico, sventolando il paio di guanti di lana che aveva ricevuto da Soldato.
Kowalski aveva esibito il suo cappello con un sorriso soddisfatto, e Skipper aveva preso fra le mani la sciarpa che aveva ricevuto in dono, osservandone con attenzione l’intreccio di fili blu e verdi –i suoi colori preferiti- e saggiandone la morbidezza.
Senza nemmeno rendersene conto si era ritrovato ad inspirare a fondo il profumo della lana, il profumo del suo compagno di stanza.
Era stato un regalo semplice, senza troppe pretese, eppure si vedeva in ogni fibra l’attenzione, la cura e l’affetto che il ragazzino vi aveva infuso.
- SKIPPER! – la voce gracchiante di Rico lo riportò alla realtà, subito seguita dallo sbadiglio di Kowalski che, in vestaglia, lo salutò con la mano spuntando dal corridoio assieme al gemello.
- Già in piedi? – biascicò stupito, andando poi a salutare la madre mentre Rico filava in cucina e ne riemergeva con una scatola di riso soffiato al cioccolato dalla quale aveva preso a pescare a piene mani.
- Dopo dodici ore di sonno filato mi sembra il minimo! – rispose, alzandosi anche lui in cerca del suo agognato caffè mattutino.
I fratelli gli rivolsero un’occhiata stupita, poi entrambi si voltarono verso la madre, che in tutta risposta dedicò loro un occhiolino e un segno di vittoria.
Finalmente, dopo tanto dolore, le cose stavano ricominciando a girare per il verso giusto.
Finalmente, dopo tanto dolore, forse quel Natale avrebbe portato un po’ di gioia anche a loro.
 






 






- Lene! Mi passeresti una taglia più grande? –
La voce di Doris giunse appena ovattata dalla pesante tenda violetta del camerino, mentre un braccio faceva capolino nel porgere un abito a fiori.
L’amica si precipitò a metterlo a posto e riapparve immediatamente con il cambio richiesto.
- Non capisco perchè si ostinino a disegnare gli abiti in questo modo! Farebbero difetto a chiunque! E’ ovvio che sembri un lamantino ubriaco poi! – si lamentò la bionda.
Soldato, seduto su un divanetto appena fuori dal camerino, scoppiò a ridere.
- Come sarebbe un lamantino ubriaco, scusa? – domandò.
La tenda si aprì con violenza, rivelando una Doris scura in volto che indicava i suoi fianchi, sui quali la stoffa era afflosciata a grinze e decisamente poco elegante.
- Così. – replicò.
Gli amici rimasero qualche secondo a fissarla, poi scoppiarono a ridere.
- D’accordo, niente lamantino per questo Capodanno, forse ci conviene cambiare negozio! – convenne Marlene con una leggera alzata di spalle.
Mancavano due giorni all’ultimo dell’anno e Julien aveva annunciato ufficialmente la festa per San Silvestro il mattino precedente, gettando la scuola nello scompiglio.
Non si sarebbe trattato di una festa regolare di quelle organizzate dal college: quella sarebbe stata clandestina e, anche se il corpo docenti ne era al corrente da quando Julien si era iscritto all’Università, vi era sempre il vago ed elettrizzante brivido dell’illegalità ad accompagnarne i preparativi.
Doris aveva pregato in ginocchio i suoi amici affinchè la accompagnassero a comprare un vestito adatto, ma dopo due ore passate a percorrere le vie di Brooklyn senza alcun risultato Soldato aveva iniziato a capire perchè Marlene avesse cercato di dissuaderla con tutte le sue forze.
Per quanto Doris fosse obbiettivamente una bellissima ragazza trovare un abito che la soddisfacesse era un’impresa titanica.
Fino a pochi giorni prima avevano creduto che sarebbe tornata a casa per le vacanze, ma aveva bruscamente cambiato idea e la mattina del ventiquattro aveva deciso di rimanere.
“I miei abitano a Brooklyn, possono vedermi quando vogliono, non c’è alcun bisogno che torni a casa da loro. Ci vedremo a pranzo a Natale e poi me ne tornerò al dormitorio.” aveva spiegato, il tono appena nervoso, quando l’avevano beccata a svuotare la valigia già mezza piena.
Marlene gli aveva spiegato che i rapporti fra Doris e i suoi genitori erano particolari, che nonostante fossero brava gente e andassero d’accordo con la figlia, la ragazza non sembrava mai avere smania di rivederli.
Per quanto lo riguardava, gli sembrava assurdo che qualcuno non volesse trascorrere le feste con i propri cari, ma dopotutto la faccenda non lo concerneva e non sapeva cosa rendesse Doris insofferente all’idea di tornare a casa. Forse aveva solo voglia di emanciparsi come tutti gli altri studenti, dopotutto erano in pochi i newyorkesi come lei iscritti al college e restare l’avrebbe fatta sentire più indipendente e meno fuori dal coro.
Soldato, invece, il giorno di Natale lo aveva passato con sua madre: erano andati a mangiare in città e poi a pattinare a Central Park e ogni cosa era stata meravigliosa. Aveva raccontato alla donna del Club, di Skipper, Rico e Kowalski, delle ragazze, di Mortino e Julien, dell’esplosione della sua camera e dei test impossibili nei quali comunque, con un po’ di impegno, riusciva a ottenere voti invidiabili.
Sua madre gli aveva fatto un sacco di domande, specialmente su Skipper e i ragazzi, fino a che non aveva iniziato a sentirsi un pochino in imbarazzo e aveva cambiato discorso, approfittando delle dita congelate e dello Starbucks dall’altro lato della strada.
Certo era che, indipendentemente da sua madre, non aveva fatto altro che pensare a Skipper in quei giorni di vacanza.
La stanza senza di lui sembrava incredibilmente vuota e la sera era un pochino noioso andare a dormire senza scambiarsi le opinioni sugli avvenimenti della giornata, senza parlare del fatto che chiudere gli occhi senza il solito “buonanotte matricola” non era la stessa cosa.
Chissà se a casa con i ragazzi si stava divertendo? Chissà se gli incubi che lo tormentavano erano riusciti a raggiungerlo persino tra le sicure mura domestiche?
Non che non lo avesse più sentito, tutti e tre i gemelli gli avevano scritto a Natale per fargli gli auguri e il ventuno per ringraziarlo dei regali di compleanno. Quando aveva ricevuto il messaggio da Skipper era in camera di Doris e Marlene, e la reazione delle ragazze nel vederlo arrossire come un pomodoro maturo era stata immediata e catastrofica: il lato negativo di avere migliori amiche è che non si può nascondere loro assolutamente niente.
Soldato si lasciò sfuggire un piccolo sospiro sconsolato al pensiero che per Capodanno sarebbe stato ancora da solo, ma si riscosse in fretta da quell’idea davvero poco elettrizzante e si concentrò sulla missione che aveva da compiere.
- Aspettate, prima di arrenderci avevo visto un vestito carino di là! – esclamò, correndo nel locale adiacente e ritornando con un abito corredato da una cintura in vita.
Doris gli diede un’occhiata e annuì, sparendo di nuovo nel camerino.
- Sì! Assolutamente sì! – la sentirono urlacchiare appena prima che riuscisse allo scoperto e facesse una giravolta su se stessa per mostrare come la stoffa le cadesse bene addosso, la vita sottile esaltata dallla cintura a fascia.
- Che ne dite? – domandò con un sorriso, chiaro segno che qualsiasi opinione avessero offerto lei non sarebbe comunque stata a sentirli.
- Meravigliosa come sempre! Approvato! – esclamò Marlene, rivolgendo un occhiolino al ragazzo accanto a lei.
- Soldato, mi hai salvato la vita! – fece Doris schioccandogli un bacio sulla guancia.
- Allora è andata, prendo questo! Aspettate che mi faccio una foto per mio fratello! -  annunciò poi, mettendosi in posa davanti allo specchio del camerino e scattando la fotografia.
- Non sapevo avessi un fratello! – fu la spontanea reazione di Soldato, stupito da quella scoperta.
La bionda si cambiò velocemente e apparve da dietro la tenda con l’acquisto fra le mani.
- E’ più grande di me, adesso vive a Copenhagen, lo ha chiamato l’Università due anni fa, subito dopo la laurea, per un programma di ricerca scientifica super all’avanguardia! Mi avrebbe fatto piacere andarlo a trovare durante le vacanze, ma è sempre così impegnato con il suo team che probabilmente avrei finito per fare un viaggio a vuoto! – raccontò con un sorriso orgoglioso.
- Una famiglia di piccoli geni! – commentò Marlene, che da come aveva ascoltato il resoconto di Doris doveva aver già sentito parlare del misterioso fratello un milione di volte.
Doris pagò e raccolse il sacchetto con il vestito per la festa, poi andò verso la porta del negozio e la tenne aperta per gli amici.
- Piantala! Mio fratello è ad un livello nettamente superiore! Non lo dico per vantarmi, lui è seriamente un genio! –
Soldato sorrise: l’affetto che Doris provava per suo fratello si poteva percepire ad ogni parola, lo sguardo che le brillava di un amore profondo e incondizionato.
- Mi farebbe piacere conoscerlo! – confessò, supportato da Marlene.
- Magari se il progetto di ricerca gli da un po’ di tregua quest’estate possiamo andare a Copenhagen a trovarlo! – propose Doris.
Gli altri due si dimostrarono entusiasti, all’idea di un viaggio in Europa non si poteva certo dire di no!
Nel frattempo, il cielo bianco di neve si riversava sulla città in fiocchi ordinati e soffici, immergendo New York in un’atmosfera fuori dal tempo. Ogni cosa sembrava sospesa, come incantata: i lampioni ancora spenti, le panchine di Battery Park, il traghetto che sbuffando silenziosamente li aveva riportati sull’isola dove sorgeva il college...
A casa, in Kansas, nevicava quasi ogni anno, ma non vi era paragone con la soffice coltre che ricopriva la Grande Mela.
Mentre il traghetto attraccava e le ragazze lo precedevano spettegolando lungo il molo, Soldato si ritrovò a pensare che quella città gli piaceva davvero. Era immensa, caotica e brulicante, ma non dava quell’idea di solitudine che aveva sempre pensato si percepisse nelle grandi metropoli. New York era dinamica, ma aveva angoli tranquilli e facce dai sorrisi cordiali e, giunto lì, si era sentito immediatamente a casa.
- Allora ci vediamo a cena! Passi a prenderci tu? – domandò Marlene distogliendolo dai suoi pensieri, una mano già nella tasca del giaccone alla ricerca delle chiavi della stanza.
Soldato annuì con un grande sorriso.
- Mi raccomando, vedete di farvi trovare pronte che ho una fame tremenda! – e con un ultimo cenno della mano le salutò e scivolò oltre la porta del suo dormitorio, togliendosi il cappellino e sfilandosi i guanti per poi cercare di ficcarli senza grandi risultati nelle tasche già piene del cappotto.
Nel dormitorio faceva decisamente più caldo, ma anche se le sue dita avevano ripreso mobilità le guance erano ancora arrossate dal freddo pungente dell’esterno. Per fortuna in camera aveva il bollitore che gli aveva regalato sua madre per Natale e quattro sacchetti di té, infusi e tisane da perpararsi per rilassarsi un poco prima della cena ed evitare l’ipotermia. Con mano ancora un poco tremante inserì la chiave nella toppa, ma non poté impedirsi di rimanere stupito quando al primo scatto la serratura smise di opporre resistenza. Che avesse dimenticato di chiudere a chiave la porta? Qualcuno era forse entrato nella sua stanza mentre lui non c’era?
Preoccupato dall’idea di poter cogliere qualche losco individuo con le mani nel sacco, spinse lentamente la porta, rivelando una schiena diritta e un paio di spalle ampie che lo fecero sussultare dalla sorpresa.
Sul letto opposto al suo se ne stava una grande valigia metallizzata, alla maniglia ancora legata l’etichetta targata Seattle.
- Skipper! – esclamò, correndogli incontro e abbracciandolo di slancio, senza pensare che quel gesto avrebbe potuto essere un tantino imbarazzante una volta smorzato l’entusiasmo della scoperta.
- Soldato?! – la replica parve talmente stupita che il ragazzino si domandò se per caso durante le vacanze non avesse dimenticato che ormai condividevano la stanza. Lo sentì irrigidirsi appena fra le sue braccia e quella lieve tensione fu più che sufficiente a far piombare Soldato nella realtà con una violenza sorprendente, mandando a fuoco le sue guance già arrossate dal freddo e facendogli fare un balzo indietro, le caviglie a cozzare contro l’angolo del letto.
- Scusa, non volevo, cioè, io... Ciao Skipper! – esclamò, sempre più paonazzo a mano a mano che la consapevolezza di averlo abbracciato senza apparente motivo si faceva strada in lui.
Inaspettatamente però il compagno scoppiò a ridere di una risata sincera e allegra e gli scompigliò i capelli affettuosamente.
- Ciao anche a te, Matricola! – replicò mostrando i denti in un’espressione divertita.
- Che cosa ci fai qui? – fu la domanda istintiva del più giovane, che si pentì immediatamente delle parole che aveva scelto.
- Cioè, non che mi dia fastidio, anzi, mi fa piacere che tu sia tornato, solo che non mi aspettavo che... Da quanto sei arrivato? – terminò con un profondo sospiro sconfitto.
Skipper parve non far caso alla serie di balbettii e strafalcioni dell’amico e si limitò a rivolgergli lo stesso sorriso divertito di poco prima.
- Non avrai mica pensato che avremmo lasciato il nostro preziosissimo Club in mano a una matricola inesperta! – scherzò, aprendo la valigia e incominciando a svuotarla ficcando gli abiti ben ripiegati nel suo armadio.
Poi il suo sguardo si fece appena più serio, le labbra curvate verso l’alto in un’espressione indecifrabile, come persa in un ricordo o in un qualche pensiero profondo.
- Siamo rimasti a Natale, ma a dirla tutta il college è mancato a tutti e tre quest’anno... Abbiamo pensato che fosse meglio tornare qui. Sai, per la festa di Julien! – concluse per sviare la concentrazione da quell’attimo di tenerezza che si era concesso. Soldato non vi cascò: Skipper detestava le feste di Julien.
Che il loro rientro anticipato fosse in qualche modo legato all’oscura attività che portavano avanti parallelamente a quella del Club e di cui ancora non avevano voluto parlargli?
Ma la curiosità fu presto soppiantata da un pensiero che avrebbe fatto meglio a non formulare e che lo fece arrossire senza nemmeno averlo esposto ad alta voce.
- Quindi andrai alla festa? – chiese, ringraziando mentalmente la sua buona stella per non avergli fatto chiedere se aveva voglia di andarci con lui.
Insomma, già aveva dato sufficiente spettacolo in quei trenta secondi da quando era rientrato in camera, non era davvero il caso di peggiorare la situazione. Vero era, però, che una parte di sé, all’annuncio del grande party di fine anno, si era rammaricata del fatto di non poterci andare assieme a Skipper. Lì per lì rendersi conto di aver pensato a lui come singolo e non ai ragazzi del Club nella loro interezza lo aveva fatto sentire un egoista, ma nei giorni successivi si era accorto con un misto di terrore ed euforia del perchè Kowalski e Rico non avessero assunto nel suo immaginario la stessa posizione del capo del Club.
In realtà non era stato felice nel realizzarlo, anzi, quella scoperta aveva portato sui suoi occhi un leggero velo di tristezza. Come poteva anche solo sperare una cosa simile, quando era evidente che il suo desiderio andava a cadere talmente lontano dalla realtà da non poter essere esaudito nemmeno nell’arco di un millennio?
Nonostante le ragazze avessero accolto quella novità con grande entusiasmo, la decisione di Soldato era stata praticamente immediata e non aveva avuto bisogno di eccessive ponderazioni: che Skipper non l'avrebbe mai visto in quel modo era evidente, ragion per cui continuare a sperarci sarebbe stato completamente inutile, senza contare il fatto che uno sbilanciamento da parte sua avrebbe potuto compromettere l'amicizia che con tanta fatica era andato ad instaurare con il compagno in quei mesi.
Era per quel motivo che avrebbe continuato a mantenere un basso profilo, a comportarsi come aveva sempre fatto e a ingoiare ogni volta il battito di troppo che gli causava lo sguardo azzurro di Skipper posato su di lui. Si sarebbe limitato a vivere la sua vita in maniera normale, senza prendere iniziative e si sarebbe accontentato di poter, di tanto in tanto, sognare l’impossibile.
- Beh, Kowalski e Eva ci vanno, Rico anche, non so se avrò voglia di starmene tutta la sera chiuso in camera mentre fuori si fa baldoria. Chiaro, se tu non vai resto anche io! – fu la risposta del ragazzo.
Soldato impiegò qualche secondo a registrare quelle parole e, un poco spiazzato, si limitò a fare spallucce.
- Ho promesso alle ragazze che sarei andato, perciò... –
- Fantastico, allora andremo assieme! –esclamò Skipper.
Un momento, cosa aveva detto? Aveva capito bene? Aveva detto che sarebbero andati assieme?
- Certamente... – balbettò, spiazzato dalla piega che aveva preso la conversazione.
Non lo aveva invitato ad andare alla festa di Julien. Quello non era un invito, quello era un ordine, un dato di fatto: aveva dato per scontato che lo avrebbe accompagnato per non mollarlo solo ad un evento a cui in circostanze differenti avrebbe evitato di partecipare.
Non lo aveva assolutamente invitato alla festa di Julien.
Troppo impegnato a non lasciarsi andare a errate interpretazioni, Soldato non notò lo strano sorriso sulle labbra del compagno di stanza, né si accorse del fatto che le sue guance avevano perso il loro solito pallore e l’ombra in fondo ai suoi occhi sembrava essersi momentaneamente ritirata.
Se il cambiamento era passato inosservato a Soldato, tuttavia, non fu lo stesso per Marlene.
- Ti trovo bene, Skipper! – esclamò infatti a cena, mentre accanto a lei Kowalski e Doris discutevano animatamente di una questione sollevata poco prima durante una conversazione sui buchi neri.
- Le vacanze sono sempre un toccasana dopo un semestre di studio intensivo! – scherzò lui, giocherellando con il bicchiere mezzo vuoto.
Marlene però si fece seria in un modo che attirò l’attenzione degli altri due gemelli.
- Sai che cosa intendo. –
Skipper parve valutare un momento la risposta, poi chinò appena il capo e socchiuse gli occhi, sospirando lievemente.
- Va un po’ meglio, sì. – rispose pacatamente con una rapidissima occhiata a Soldato, seduto fra lui e Rico.
- MOLTO! -  gracchiò quello con una sonora pacca sulle spalle al fratello.
- Mi fa piacere... – fu il commento sollevato di Marlene.
Kowalski non disse nulla, ma Soldato aveva imparato a riconoscere i suoi silenzi e quello era un silenzio di quelli che portavano con sé la soddisfazione di un traguardo raggiunto.
I due giorni successivi non vi fu tempo, tuttavia, di pensare a nulla: la festa andava preparata nei minimi dettagli, e tutti si erano dati da fare sotto la direzione di Julien, che non aveva invece mosso un dito.
Soldato era rimasto decisamente stupito nel vedere Segreto e gli altri membri del Consiglio Studentesco aiutare con cibo e bevande e trasportare qua e là per i dormitori tavole e casse di bicchieri e piatti di plastica e persino dei televisori recuperati chissà dove.
- Il fatto che trattiamo direttamente con la presidenza non significa che anche a noi non piaccia divertirci! – era stato il commento di Eva, divertita dalla sua espressione sconvolta e dagli sbuffi di Segreto che era stato assegnato al trasporto dei televisori da un Julien che lo comandava a bacchetta.
E così il trentun Dicembre era finalmente arrivato, e esattamente alle dieci di sera, due ore dopo la chiusura della mensa, la festa aveva avuto inizio.
Kowalski era stato il primo del gruppo ad incamminarsi; era andato a prendere Eva al dormitorio femminile e poi insieme erano tornati indietro e si erano recati al terzo piano, dove gli studenti avevano messo a disposizione alcune delle loro camere per non dover stare tutti schiacciati nei corridoi.
Rico era poi passato a recuperare Skipper e Soldato, e insieme avevano raggiunto gli altri al piano superiore, dove già la musica e il chiacchiericcio riempivano l’aria.
- Buonasera a tutti! Benvenuti, benvenuti! – continuava a esclamare Julien, contento come non l’avevano mai visto nonostante Mortino gli stesse attaccato come una cozza.
- Ciao ragazzi! – fu il saluto di Doris.
Rico si esibì in un lungo fischio di approvazione e le rivolse un sorriso ammirato.
- BELLA! – esclamò.
La ragazza fece una giravolta su se stessa facendo sì che il vestito si sollevasse appena nel movimento.
- Grazie, ma è tutto merito di Soldato che mi ha aiutata a trovare l’abito adatto! – fece con un occhiolino all’amico.
- La nostra matricola è piena di risorse, eh? – commentò Skipper scompigliandogli i capelli.
Il resto della serata fu un coloratissimo e divertente caos: quelli del Club di Cucina avevano preparato un sacco di manicaretti apposta per l’occasione, e i televisori che Segreto e gli altri avevano trasportato su e giù per le scale si erano rivelati monitor per le consolle che Julien aveva messo a disposizione degli studenti.
Intorno alle undici c’era stato un torneo di Just Dance che aveva visto Marlene sfidare all’ultimo sangue l’organizzatore della festa, rimasto tuttavia imbattuto nonostante l’avversaria si fosse dimostrata un vero osso duro. Anche Doris si era lanciata nella competizione, ma aveva dimostrato di avere doti decisamente più sbalorditive come sterminatrice di zombie nello sparatutto che aveva portato Rico da Seattle.
Un gruppo di incauti primini aveva osato sfidare Kowalski a Trivial Pursuit e ne era uscito massacrato.
- Diamine, Kowalski, potevi anche lasciarli vincere! -  aveva esclamato Skipper con un’occhiata di rimprovero, ma il gemello maggiore aveva gonfiato il petto d’orgoglio e, incurante della sua condotta terribilmente antisportiva, si era limitato ad asserire che se le matricole gli erano inferiori lui non poteva farci niente.
Soldato non ricordava di aver mai riso tanto in vita sua: aveva provato assieme a Doris il gioco di Rico, ma ogni volta che un nemico macilento spuntava da dietro un angolo emettendo versi inquietanti chiudeva gli occhi dallo spavento e si faceva colpire, così si era gettato sul buffet assieme a Skipper e insieme avevano osservato  il resto della folla finchè Julien non si era messo a sbraitare alla ricerca di cavie per il karaoke.
Il primo a offrirsi di cantare un duetto con lui era stato ovviamente Mortino, ma il poveretto non aveva idea di chi si apprestava a sfidare, e le strabilianti capacità di rapper di Julien lo lasciarono letteralmente ammutolito.
Eva cercò di costringere Segreto a cantare assieme a lei, ma il ragazzo, che era diventato di un preoccupante colore violaceo, riuscì a farla franca, mandando Miccia al suo posto con il risultato di offrire la più assurda cover di Bruno Mars che fosse mai stata cantata a un karaoke.
Poi, alla sesta canzone, furono Kowalski e Skipper a venire incastrati.
- Dai, ragazzi! Fuori la voce! – li esortò Marlene, seduta sulle ginocchia di Julien accanto al televisore.
- Questa è una canzone a tre voci, ci manca un elemento! – osservò Kowalski che, complice l’alcool in circolo, sembrava particolarmente allegro.
- Coraggio, Matricola, unisciti a noi! – esclamò Skipper, facendo segno a Soldato di raggiungerli.
Il ragazzino avvampò, scivolando istintivamente dietro a Doris.
- Eh no, caro mio, stavolta ti tocca! – cinguettò l’amica, sospingendolo delicatamente verso gli altri.
- Ma no, davvero! Non sono un granchè, non è il caso! – cercò di difendersi, gli occhi che guardavano dovunque tranne che in direzione degli amici.
- Dai, Soldato! – fece il tifo per lui Mortino, mentre Rico gli faceva segno di unirsi ai suoi fratelli.
Con un sospiro andò ad affiancare Skipper e Kowalski e prese il terzo microfono.
- Questa la sai? – chiese Skipper indicandogli il titolo della canzone sullo schermo.
Soldato annuì, mentre il gemello maggiore selezionava il brano e le prime note iniziavano a diffondersi nell’aria.
Si trattava di una canzone di Natale uscita l’anno prima e che aveva avuto un successo incredibile e purtroppo Soldato la sapeva a memoria: non avrebbe nemmeno avuto la scusa di non conoscere il testo.
La prima strofa, colorata di giallo, andò a Skipper. Era la prima volta che lo sentiva cantare, la sua voce solitamente fredda e tagliente era ora dolce e vellutata, intonata e melodiosa come la canzone richiedeva. Era strano vedere un tipo come lui, sempre poco incline a dare spettacolo, essere così a proprio agio con un microfono fra le mani, ma il vero shock giunse con la strofa di Kowalski.
Quando le parole sullo schermo si colorarono di verde, nell’aria si alzò una voce lievemente roca, potente, ma misurata e Soldato vide diverse ragazze scambiarsi occhiate stupite e gomitatine d’intesa, mentre Doris avvampava e spalancava la bocca in modo indecente.
Non poté concedersi il lusso di stupirsi come tutti gli altri, dal momento in cui sul finire della strofa di Walski lui doveva intervenire come seconda voce, le parole colorate in blu.
Questo poteva significare una cosa sola, una cosa terribile che gli fece puntare lo sguardo sui suoi piedi e stritolare il microfono fino a farsi sbiancare le nocche: a lui sarebbe spettato il ritornello.
Fu così che, dopo un breve botta e risposta con Skipper, il ragazzo si trovò a prendere un profondo respiro e a cantare le note lunghe del ritornello, salendo di un’ottava per seguire la melodia.
Accanto a lui il capo del Club di Spionaggio ebbe la stessa identica reazione che aveva avuto Doris poco prima a causa di suo fratello.
La voce di Soldato era limpida, pulita e intonata, e riusciva a raggiungere le note più alte senza sfociare nel falsetto. Chi avrebbe mai detto che il ragazzino avesse un simile talento?
Dopo un primo momento di silenzio attonito, la piccola folla che stava assistendo alle esibizioni al karaoke scoppiò in un applauso scrosciante e Julien persino si lasciò sfuggire un “bravo!” sentito dal profondo del cuore.
Sostenuto dal pubblico, Soldato si sentiva un po’ meno stupido e un po’ più rilassato, tanto che osò levare gli occhi sugli amici, trattenendo una risata all’espressione sconvolta di Kowalski che lo guardava come se aver taciuto quel talento fosse stato un tradimento diretto alla sua persona.
Quando finirono di cantare i presenti si profusero in un altro applauso, ma Julien fu rapido a stroncarlo.
- Presto! E’ quasi mezzanotte! Tutti sul tetto! – esclamò nell’indicare spasmodicamente l’orologio del cellulare.
- Dannazione, Soldato! Tu si che sai cantare! – osservò ammirato Skipper porgendogli la giacca e sospingendolo dolcemente verso le scale che conducevano al tetto del dormitorio.
- Certo che sei pieno di sorprese! – gli fece eco Marlene avvolgendosi nel suo sciarpone rosso mattone.
Rico, per evitare inutili discorsi, lo strinse in un abbraccio spaccaossa e sollevò un pollice in segno di approvazione, dedicandogli poi un occhiolino che lo fece ridacchiare.
Gli studenti si riversarono sulla terrazza emettendo nuvolette di vapore ad ogni respiro. Il cielo era terso, non nevicava più e da Manhattan provenivano le luci interminttenti dei grattacieli.
- Presto, presto! Tutti insieme! – esclamò Julien, controllando un’ultima volta  il cellulare e dando il via al conto alla rovescia fra l’euforia generale.
Dieci, nove otto!
Pochi secondi e quell’anno sarebbe finito, lasciando il passo a giorni nuovi e ricchi d’avventure.
Sette, sei, cinque!
Sarebbe stato un anno nuovo in quella città che aveva saputo accoglierli tutti quanti appianando le differenze e unendoli come una grande e assurda famiglia.
Quattro, tre, due!
E ogni cosa sarebbe stata meravigliosa, tutto sarebbe filato per il verso giusto e non avrebbero più dovuto preoccuparsi di nulla.
Uno!
Il cielo si accese di mille colori, mentre dalla terrazza del dormitorio si alzava un corale “auguri” e i fuochi d’artificio esplodevano in cielo, crepitando e scendendo lentamente sulle loro teste.
Soldato si guardò attorno: era con i suoi amici ed ogni cosa era perfetta.
Strinse gli occhi ed espresse il suo desiderio, mentre persino il freddo si arrendeva al meraviglioso spettacolo pirotecnico che dal cielo sopra Manhattan si rifletteva sulla superficie del mare.
Sospinto dalla calca attorno a lui, Skipper andò a sfiorargli la mano con le nocche e il ragazzino, senza stare troppo a pensarci, fece scivolare le sue dita fra quelle del compagno.
Skipper si voltò verso di lui, ma Soldato stava ancora guardando i fuochi d’artificio che esplodevano sopra di loro.
Senza dire nulla ricambiò la stretta e tornò a guardare il cielo.
Quella sera aveva diritto a un desiderio anche lui.




















 
Note:

Buonasera a tutti!
Sì, siamo vergognose e siamo consapevoli che è passato un anno e mezzo dall'ultimo aggiornamento, ma abbiamo -purtroppo xD- valide scusanti tipo il peggior anno accademico di sempre con un'Università maledetta che ci ha impedito di vedere la luce del sole per mesi e mesi. In più ci siamo lanciate in un progetto un po' particolare che ci ha tenute lontane dalle fanfiction per un po', ma che speriamo davvero possa andare in porto e che ci auguriamo di potervi svelare presto. <3
In ogni caso non temete, siamo troppo affezionate a questa storia e a voi lettori per abbandonare Until the End al suo destino, perciò sappiate che, anche se a rilento, questa fanfiction continuerà fino all'ultimo capitolo! V.V
Nel frattempo, in questo sono successe COSE.
Come avevamo annunciato nel capitolo 6, qui abbiamo una grande anticipazione sulla piega che prenderà la trama dal prossimo capitolo. Doris ne è estremamente elettrizzata, vedremo poi se questa euforia per lo scambio con l'Europa si rivelerà ben fondata! xD
Rispetto ai capitoli scorsi questo è decisamente meno cupo, finalmente Skipper pare migliorare e forse è sulla strada giusta per risolvere i misteriosi problemi che lo affliggono. E' stato divertente fare un piccolo accenno alle famiglie dei protagonisti, e anche se finora è stato detto molto poco sappiate che si tratta di personaggi che abbiamo tutta l'intenzione di far ricomparire in futuro.
E poi chi meglio di una mamma è in grado di porre le domande più mirate e imbarazzanti su quella certa persona di cui il figlio non fa altro che parlare? xD
Ebbene sì, ormai quei due sono cotti l'uno dell'altro, ma il realizzare questo sentimento non ha avuto gli stessi effetti da entrambe le parti, e riuscire a ritrovarsi sugli stessi binari sarà molto più complicato del previsto.
Intanto alla festa di Julien si  scoprono cose e se ne anticipano altre -non troppo- fra le righe...
Ma non aggiungiamo altro, altrimenti è spoiler xD
Grazie infinite a chi ancora ha la pazienza di seguirci nonostante il buco nero in cui siamo piombate, e grazie a chi deciderà di seguirci per la prima volta, siete tutti bellissimi! <3

Un bacione e un abbraccio,
Koome


Ps: la canzone che Skipper, Kowalski e Soldato cantano al karaoke sarebbe un riadattamento di questa.
Non potevamo non metterla... xD

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***







Capitolo VIII~






Nei giorni immediatamente successivi a Capodanno l’Università era stata un cantiere continuo.
Interi gruppi di studenti erano scomparsi nel nulla, Doris compresa, e le aree comuni si erano trasformate in quello che sembrava più uno stadio che una scuola.
In caffetteria e nell’ingresso erano comparsi striscioni colorati, cartelloni esplicativi erano stati appesi alle pareti e quando gli studenti scomparsi erano ritornati dal loro misterioso ritiro spirituale muniti di badge che citavano “TUTOR SCAMBIO”, improvvisamente era stato come trovarsi in un museo o in un negozio di abbigliamento dalle commesse troppo solerti.
- Ci mancava solo lo scambio con l’Europa! – biascicò Skipper, seduto su una panca in corridoio con i gomiti sule ginocchia mentre in palestra si reiterava la fiera dei Club.
- Ancora non capisco perché non abbiamo partecipato! Un membro in più non può certo far male al Club, no? – fu il commento di Soldato, seduto accanto a lui.
Skipper sospirò.
Fuori nevicava piano, il cortile interamente imbiancato nella quiete del tardo pomeriggio.
A chiunque quella vista avrebbe trasmesso un senso di pace; non a lui.
Per lui la neve significava solo un altro anno gettato alle ortiche, un altro anno nel quale non era riuscito a ottenere giustizia.
Posò gli occhi su Soldato, che buono e ingenuo com’era non poteva nemmeno immaginare ciò che appesantiva il suo cuore.
- Fidati, Matricola. Quattro è un numero sufficiente. – si limitò a ribattere.
- E poi sono solo dieci studenti da smistare, scommetto che se li accaparrerà tutti Julien! – scherzò, felice nel vedere un sorriso sul volto dell’amico.
La porta della palestra si aprì, e dallo spiraglio sgusciò fuori Marlene, il sorriso elettrizzato ad anticipare la notizia.
- Due a uno! – esclamò, volteggiando verso di loro con aria trionfante.
- Due aggiunte al Giornalino contro un solo nuovo adepto di Jul! Qualcuno mi deve offrire una pizza! – cinguettò proprio mentre la porta si spalancava dietro di lei.
- Aspetta a cantare vittoria! C’è ancora mezz’ora per il Grande Re Julien! – sbottò il Grande Re Julien, scuro in volto per l’onta combinata di aver perso potenziali sudditi e di dover offrire una pizza a Marlene.
- Tutto perché Doris mi ha tradito… - sibilò poi nel puntare un dito contro la ragazza, Skipper e Soldato che assistevano incuriositi allo scambio di battute.
- Doris ha tradito anche me, cosa credi? Il suo scambio è andato al Club di Cucina! – gli rise letteralmente in faccia Marlene.
- Quindi alla fine le hanno assegnato uno studente? – si intromise Soldato, che da quando erano arrivati gli scambi non aveva più avuto modo di parlare direttamente con lei.
La ragazza annuì con un grande sorriso, Julien dietro di lei ancora stizzito.
- E’ un tipo in gamba! Ha un accento buffo, mi sta simpatico. Magari stasera a cena potrebbe unirsi a noi! – propose.
Skipper stava già per rifiutare l’offerta, ma il ragazzino fu più svelto di lui.
- Mi sembra un’ottima idea! – esclamò, raggiante.
Il capo del club di Spionaggio gli rivolse un’occhiata sconsolata, ma non si oppose: nonostante non avesse alcuna voglia di fare nuove conoscenze, smorzare l’entusiasmo del più giovane gli dispiaceva.
Si erano presi tutti assieme un caffè alle macchinette in fondo al corridoio, poi Marlene e Julien erano stati nuovamente inglobati dal caos della palestra e gli altri due avevano deciso di tornarsene in camera loro in attesa della cena.
Avevano trascorso un’oretta a chiacchierare del più e del meno, ma Soldato si era accorto che c’era qualcosa che rendeva Skipper vagamente nervoso. La spiegazione era stata che non amava il caos dei nuovi arrivi, e la matricola avrebbe anche potuto crederci se ancora, pochi giorni prima, non si fosse svegliato nel cuore della notte per trovare il letto del suo compagno vuoto e la luce a filtrare dalla porta del bagno chiusa a chiave.
Un’sms da parte di Mort, però, lo aveva distolto da quei cupi pensieri e lo aveva fatto alzare da letto controvoglia.
- Devo passargli dei riassunti, domani ha l’esame di Storia dell’America Latina e credo non abbia studiato una riga… - spiegò a Skipper infilandosi le scarpe con uno sbuffo svogliato. L’unica cosa che lo spingeva a recarsi fino alla stanza del suo compagno era la curiosità nei confronti della scommessa fra Julien e Marlene.
Diede un’occhiata al display del cellulare per controllare l’ora e sbuffò ancora.
- Mi sa che a questo punto ci vediamo direttamente a cena… - commentò.
Skipper gli rivolse un sorriso accondiscendente e annuì.
- Tranquillo, intanto mi faccio una doccia… - annunciò, alzandosi in piedi e andando ad aprirgli cavallerescamente la porta.
- A più tardi, Matricola! –
Soldato rimase qualche istante di troppo imbambolato a fissarlo, poi annuì come uno stupido e, paonazzo, fuggì in corridoio.
Il compagno di stanza rimase un momento a guardarlo, impalato sulla porta finché l’oggetto del suo interesse non ebbe voltato l’angolo alla velocità della luce, poi tornò in camera chiedendosi fra sé e sé cosa diamine gli fosse preso.
Andò dritto in bagno e si sfilò i vestiti velocemente, scivolando sotto il getto della doccia e lasciando che l’acqua calda gli rilassasse i muscoli.
A occhi chiusi si ritrovò a pensare che in effetti, in un certo senso, le cose da Capodanno erano leggermente cambiate fra lui e Soldato. Non che il ragazzino ne fosse causa volontaria, anzi. Se lui stesso si fosse ritratto a quel contatto inaspettato, se avesse tenuto fede alle sue promesse con sé stesso, non avrebbe passato le notti successive ad occhi spalancati chiedendosi come comportarsi in futuro.
La verità era che non era mai stato tanto in conflitto con se stesso come in quei giorni, il cuore a sospingerlo in una direzione e la coscienza, saggia, a tirare le redini dei suoi desideri.
In ogni caso, ormai, le ore trascorse con il compagno di stanza non sembravano mai sufficienti, e quando il ragazzino fuggiva da lui a quel modo aveva sempre la terribile sensazione di essersi esposto troppo, di aver immaginato cose che in realtà non erano mai state suggerite e di essersi messo in ridicolo.
Dopotutto, considerò, non sarebbe stata nemmeno la prima volta.
Un sorriso di disprezzo increspò le sue labbra e il respiro gli mancò dal petto. Boccheggiò, gli occhi di nuovo spalancati.
- No. – disse semplicemente a voce alta, supportato dalla consapevolezza che nessuno avrebbe potuto sentirlo.
Aveva già avuto il suo attacco di panico qualche giorno prima, non era certo il caso di farsene venire uno a venti minuti dalla cena con gli altri.
Si poggiò con entrambe le mani contro le piastrelle, la schiena sferzata dal getto della doccia, e trasse grandi boccate d’aria.
Non doveva pensarci.
Non sarebbe accaduto di nuovo.
Soldato era diverso, non avrebbe mai…
- Respira, idiota! – sibilò digrignando i denti.
Prese a contare lentamente, un respiro profondo dopo ogni numero, il vapore che ormai aveva appannato interamente il plexiglass.
Raggiunti i ventitré respiri il tremore che aveva preso a scuotergli le mani cessò, il nodo in gola meno stretto di come gli era parso all’inizio.
Ok. Ok. Ce l’aveva fatta.
Finì di lavarsi velocemente cercando di impegnare il cervello nei pensieri più disparati e si vestì di fretta, indossando la giacca e le scarpe e recuperando le chiavi dal comodino.
Quella crisi gli aveva fatto perdere un sacco di tempo, avrebbe dovuto sbrigarsi se avesse voluto arrivare in mensa assieme agli altri e non suscitare occhiate scettiche da parte dei fratelli!
Animato da quel pensiero, allungò il passo e svoltò l’angolo del corridoio e fu quasi per miracolo che scartò prontamente a destra evitando di dare una poderosa facciata contro qualcosa.
O qualcuno, a giudicare dal verso sorpreso simile a un singhiozzo che ebbe in cambio.
- Hey, scusa! Ci è mancato poco, eh? –
La voce, particolarissima nelle sue s ed r così originali, apparteneva ad un tizio che Skipper non credeva di conoscere.
Era di poco più basso di lui, portava un orrido cardigan rosso che emanava un vaghissimo sentore di naftalina e un undercut fuori moda quasi quanto i suoi vestiti.
Gli occhi ambrati, disturbati appena dai capelli scuri, avevano un luccichio scanzonato ai limiti dello sfacciato.
No, quel tizio era certo di non averlo mai visto prima.
- Senti, stavo andando a cena ma credo proprio di essermi perso… non è che potresti darmi una mano? Se non è di disturbo, chiaro! Questi sono i dormitori, vero? – lo mitragliò senza nemmeno lasciargli il tempo di replicare.
Skipper soppresse l’istinto di tirare dritto senza rispondergli, ma a giudicare dall’accento e dal discorso doveva essere uno degli europei e questo lo mosse sufficientemente a compassione da non abbandonarlo in mezzo al corridoio.
- Già, la mensa è nell’edificio centrale, hai completamente sbagliato strada… Sto andando a cena anch’io, ti accompagno. – si offrì in un guizzo di generosità.
Lo sconosciuto gli rivolse un sorriso a trentadue denti che mise in risalto le sue guance paffute e il suo naso sgraziato.
- Fantastico! Comunque io sono Hans, dalla Danimarca! – esclamò porgendogli una mano.
Skipper la strinse senza troppo entusiasmo.
- Skipper, Seattle. – rispose, monosillabico.
Non che quell’Hans gli risultasse antipatico, ma aveva appena soppresso un attacco di panico e si sentiva come se lo avesse travolto una schiacciasassi, un danese esagitato era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
Il ragazzo alzò un sopracciglio scuro con aria soddisfatta, quasi avesse vinto alla lotteria.
- Quindi sei tu il famoso Skipper! – commentò, l’angolo destro del labbro superiore alzato a mostrare i denti in un ghignetto.
Il diretto interessato si irrigidì e sperò che l’aria fredda dell’esterno potesse mascherare la sua reazione allo straniero.
- Famoso? – domandò, insospettito da quella strana scelta di vocabolario.
Hans recuperò un cappellino di lana dalla borsa che portava con sé e se lo ficcò in testa.
- Sei il capo del Club di Spionaggio, no? La tua fama ti precede! – scherzò.
- La mia tutor mi ha parlato di te e qualcuno ha nominato il tuo Club oggi pomeriggio. Peccato che non ci foste in palestra, mi sarebbe piaciuto iscrivermi! – aggiunse, forse resosi conto di sembrare un potenziale stalker.
Skipper tornò a rilassarsi e si diede mentalmente del paranoico. Walski aveva ragione, a volte esagerava davvero.
- Il nostro Club è a posto così, troppi membri rischiano di compromettere la segretezza… - commentò distrattamente, senza pensare che tutto sommato quella era proprio la ragione per cui aveva evitato la fiera dei Club.
Intirizzito, si sfregò le mani l’una contro l’altra e accelerò il passo, seguito dal danese che gli trotterellava dietro allegramente.
- E’ divertente questa cosa dei Club! Da noi non usa! E com’è che avete il Club di Spionaggio? Intendo dire, è abbastanza bizzarro, no? Se pensi a roba standard come quelli di Teatro… - commentò.
Quel tizio parlava veramente un sacco.
Skipper gli rivolse una strana occhiata che forse lo mise in soggezione, poi si strinse nelle spalle.
- Storia lunga… - si limitò a replicare, spingendo la porta dell’edificio centrale e salendo le scale.
Fu la voce squillante di Doris ad accoglierli in un’esclamazione che Skipper avrebbe dovuto prevedere.
- Hans! Eccoti qui! Stavo per scriverti un messaggio! – poi si accorse di chi era ad accompagnarlo e un’espressione stupita si fece largo sul suo viso.
- Ah, Skipper! Vi conoscete già? –
- Ci siamo appena incontrati… - tagliò corto, preparandosi a una serata di mal di testa mentre l’altro andava a baciare Doris sulle guance come se si fossero sempre conosciuti.
La ragazza dovette notare il suo scarso entusiasmo, ma fece finta di niente e indicò l’interno della mensa con un cenno della testa.
- Forza, gli altri sono già tutti a tavola! – li esortò, raggiungendo il tavolo seguita a ruota da Hans.
- Sera! – fu il saluto di Skipper.
Rico ricambiò con un sonoro “ciao”, seguito prontamente dalla mano di Marlene e dal sorriso raggiante di Soldato, accanto al quale si sistemò lo studente straniero, Doris accanto a lui a presentarlo agli altri.
- Kowalski? – chiese il gemello di mezzo, non vedendolo da nessuna parte.
- Gli ho scritto, era in biblioteca con Eva, stanno arrivando. – fece Marlene.
Proprio in quel momento i due fecero il loro ingresso e si congedarono con un bacio a fior di labbra, la russa diretta al tavolo del Consiglio Studentesco e il giovane che li raggiunse a passo spedito.
- Scusate, abbiamo perso di vista l’orologio! – si giustificò, in imbarazzo.
Skipper roteò gli occhi e gli fece cenno di sedersi accanto a lui, Doris impegnata a fissare il suo vassoio.
- Risparmiaci i dettagli, per carità! – rise Marlene, Rico e Soldato che si scambiavano un’occhiata divertita, ma Kowalski non si unì all’ilarità e fu proprio l’outsider del tavolo a sbloccare quella strana situazione di imbarazzo che si era inspiegabilmente creata.
- Kowalski! Piacere, io sono Hans, lo scambio di Doris! – si presentò.
Il ragazzo gli strinse la mano con un sorriso distratto e gettò un’ultima occhiata al tavolo di Eva, poi parve dimenticare il pensiero che aveva adombrato i suoi occhi fino a quel momento e, finalmente, il tavolo piombò nella vivace atmosfera che si creava sempre quando c’erano novità.
Hans si dimostrò, a dispetto dei pronostici di Skipper, un buon conversatore. Aveva un buon senso dell’umorismo e un sacco di aneddoti divertenti da raccontare. A parte il buffo accento, che in effetti non faceva che aumentare la simpatia che si provava istintivamente per lui, il suo Inglese era impeccabile.
- In Danimarca lo studiamo fin da bambini, e al liceo ci hanno spedito per due estati in Inghilterra a studiare. Ma mica mi lamento! Dopotutto l’accento britannico è il più sexy del mondo, no? – scherzò in seguito al complimento da parte di Soldato.
Quello ridacchiò fra sé e sé.
- Posso assicurare che da solo l’accento non serve a niente! – fece, le guance appena imporporate.
Skipper distolse lo sguardo, leggermente infastidito, e non notò che il ragazzino aveva fatto saettare rapidamente le iridi in sua direzione.
Chiacchierarono ancora, ognuno desideroso di dire la sua riguardo a qualsiasi argomento tirato in causa, e fu quando Hans chiese se gli altri ragazzi avessero programmi per la settimana a seguire che il gelo si impossessò della tavolata.
- Ho detto qualcosa che non va? – domandò il danese, preoccupato da quella reazione.
Fu Doris a rispondergli, tetra.
- Voi siete ancora in festa. Per noi ci sono gli esami di fine semestre… -
Rico biascicò qualcosa di interpretabile con un “che palle” e fu Soldato a intervenire.
- Durano tutta la settimana, anche se ovviamente non abbiamo esami tutti i giorni. Il problema è che non abbiamo tutti gli stessi corsi, quindi organizzarci per fare qualche uscita di gruppo è un po’ complicato… - spiegò.
Hans annuì con decisione, e il ragazzino stava per chiedergli a quali corsi si fosse iscritto quando un rumore violento li fece voltare tutti quanti, la mensa improvvisamente nel silenzio più totale.
Soldato trattenne il fiato, preoccupato che qualcuno fosse scivolato e si fosse fatto male, ma la voce di Segreto rese immediatamente evidente quale fosse il problema.
- Tutto questo è ridicolo! – tuonò. Era in piedi, le mani sbattute contro la superficie del tavolo e la sedia rovesciata dietro di lui.
Nessuno in tutta la mensa osò muovere un muscolo, persino Miccia e Caporale, seduti uno accanto e uno di fronte al ragazzo, erano immobili.
La replica, inaspettata e disgustata, venne da Eva.
- No, tu sei ridicolo! Hai ventiquattro anni, vedi di crescere! –
La sua voce era alta e indignata, pregna di una rabbia vibrante che nessuno avrebbe mai pensato di poterle attribuire.
Eva, di solito così composta e misurata, era furente.
- Io? Eva, ma fammi il piacere! – ribatté Segreto, altrettanto inedito agli occhi dei presenti.
A quel punto fu il turno della ragazza di alzarsi di scatto.
- Oh no, proprio per niente! Sei tu che hai un problema qui, e vedi di risolverlo da solo perché io non ho alcuna intenzione di dare retta alle tue stronzate! –
Doris strabuzzò gli occhi e scambiò un’occhiata perplessa con Soldato, ma Segreto riportò nuovamente l’attenzione su di sé.
- Sai benissimo che ho ragione, Eva! –
A quel punto Miccia cercò di intervenire e placare i due compagni, ma la ragazza fu più svelta.
- Lo saprò quando ti degnerai di dirmi le cose in faccia! Tira fuori le palle, una volta tanto, invece di dare sempre la colpa agli altri! Non stiamo tutti ad aspettare i tuoi comodi! – ma la voce le si ruppe sul finale e si portò repentinamente una mano alle labbra.
- Ragazzi… - balbettò Miccia, Caporale di fronte a lui ancora congelato.
Eva si voltò di scatto e uscì di corsa dalla mensa: stava piangendo.
Segreto rimase immobile, le mani ancora sul piano del tavolo, poi si sedette lentamente, ammutolito e mortificato da quella reazione. Il silenzio regnò sovrano per ancora una manciata di secondi, poi la mensa tornò caotica e roboante come prima del litigio.
Al tavolo del Club di Spionaggio, però, nessuno ancora osava parlare, tutti gli occhi puntati su Kowalski.
- Allora?! Cosa diamine aspetti? Vai da lei, razza di deficiente! – esclamò Doris all’improvviso, indicando la porta.
Kowalski alzò gli occhi su di lei, la bocca socchiusa forse per dire qualcosa, poi annuì e uscì di corsa.
- Beh, benvenuto, Hans! – commentò Skipper sarcastico.
- Giuro che di solito non siamo così… - cercò di tranquillizzarlo Marlene, vista la sua faccia basita.
- PEGGIO! – gracchiò Rico, facendoli scoppiare a ridere tutti quanti e beccandosi uno scappellotto affettuoso da Soldato.
Quando si salutarono, un’oretta dopo, Kowalski non era ancora tornato, ed era stato Rico a proporsi di andare a vedere che andasse tutto bene.
Doris e Marlene avevano accompagnato Hans al dormitorio degli europei, e Skipper e Soldato si erano trovati nuovamente da soli.
- Hans è davvero un tipo simpatico! – esclamò il più giovane, girando le chiavi nella toppa e spogliandosi velocemente, le mani che tastavano sotto al cuscino in cerca del suo pigiama.
L’altro fece spallucce.
- Parla molto. – commentò senza sbilanciarsi troppo.
Soldato fece spuntare la testa dal colletto e gli rivolse un’occhiata dubbiosa.
- Che hai? – domandò.
- E’ tutta la sera che sei strano. – aggiunse di fronte alla perplessità dell’amico.
Quello si strinse nelle spalle.
- Ho solo detto che Hans parla molto, non c’è niente! – replicò, stranamente acido.
- Che vuoi che ti dica? Sì, è simpatico, ma non so, non mi convince… - continuò, consapevole che il ragazzino non gli avrebbe dato tregua finché non fosse riuscito ad estorcergli una vera opinione.
Soldato lo guardò con tanto d’occhi, poi rise di una risata finta, strana da vedersi sulle sue labbra.
- Skipper! Di cosa hai paura, che sia un agente sotto copertura mandato da Copenhagen per fare controspionaggio? Smettila di essere così sospettoso di tutti! – era palese che scherzasse, ma vi era comunque una sottile nota di rimprovero nella sua voce. Dopotutto lui era stato il primo a doversi guadagnare la sua fiducia con le unghie e con i denti.
Il ragazzo non gradì la battuta e gli rivolse un’occhiata gelida.
- Ho i miei motivi per essere sospettoso, Soldato. – sibilò, stizzito.
Aveva un gran mal di testa e sinceramente non aveva nessuna voglia di commentare il nuovo arrivo. Magari il giorno dopo, ma in quel momento l’unica cosa che desiderava era andarsene a letto ed archiviare la giornata.
Ciò che non si aspettava, però, era che Soldato rispondesse a tono.
- Oh, lo so bene, non ti preoccupare. – fece, risentito.
Skipper serrò le labbra e lanciò camicia e pantaloni sulla sua seggiola, senza premurarsi di piegarli come faceva ogni sera.
- Beh, allora non stupirti ogni volta. Ora me ne vado a dormire, ho mal di testa. – sbottò.
- Bene. Buonanotte. – replicò il ragazzino, filando in bagno a lavarsi i denti.
Quando la luce fu spenta ed entrambi furono al sicuro sotto le coperte, non un’altra parola era stata sprecata.
Soldato si tirò la trapunta fin sopra le orecchie, aggrappato al cuscino con gli occhi che bruciavano dallo sforzo di trattenere le lacrime di rabbia e di tristezza.
Se solo pensava all’euforia che lo aveva colto la sera di Capodanno, adesso gli sembravano trascorsi anni luce.
Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro nel tentativo di sciogliere il nodo in gola e addormentarsi.
Quando il suo lenzuolo prese ad alzarsi e abbassarsi allo stesso ritmo, Skipper era ancora sveglio.
Lo sarebbe rimasto fino al mattino.
 








 
La caffetteria era praticamente deserta. Tutti gli studenti erano a sostenere gli esami o in biblioteca a studiare, e solo qualche sparuto gruppetto se ne stava ai tavolini a procrastinare in attesa del pranzo.
Soldato si era appropriato di un posto vicino alla finestra e aveva abbandonato i suoi appunti di Letteratura vicino alla tazza vuota di cappuccino, consapevole che non sarebbe riuscito a ripassare nemmeno per scherzo.
Quella mattina, quando era suonata la sveglia, il letto di Skipper era vuoto, del suo compagno di stanza non c’era traccia.
Gli aveva mandato un sms con scritto “ho da fare, ci vediamo dopo” e lui si era limitato a rispondergli con l’emoticon del pollice alzato.
Rico aveva un esame e Kowalski non si era più fatto sentire da quando li aveva mollati tutti per correre dietro ad Eva. Avrebbe potuto andare a cercarlo, ma non era dell’umore adatto per prestare supporto emotivo, quel giorno.
La sua anima era piuttosto in tono con il cielo sopra ai prati gelati: grigia e triste, ancora aggrappata ai ricordi della sera prima.
Avevano litigato, avevano litigato e non avevano chiarito, e questa cosa gli rendeva difficile persino respirare.
Si morse un labbro, ci mancava solo che si mettesse a piangere come un imbecille!
- Giornata tetra, eh? – una voce lo fece trasalire: Hans era apparso alle sue spalle con due bicchieroni di carta e ne stava porgendo uno alla matricola.
- Ho visto la tua faccia da funerale e ci ho fatto mettere dentro una tonnellata di cannella! – gli sorrise.
- Mia nonna diceva sempre che è terapeutica! – aggiunse guardandolo bere un piccolo sorso di latte caldo e prendendo posto di fronte a lui.
Il ragazzino gli sorrise debolmente e lo ringraziò.
- Lo dice anche mia zia, ma dobbiamo stare attenti, mio zio è intollerante, se esageriamo con le dosi si riempie di bolle! – gli raccontò.
Hans esibì un sorriso sghembo.
- Ho presente la scena… - commentò quasi affettuosamente, negli occhi ambrati l’ombra di un ricordo.
- Come sta il tuo amico? Quello carino, dico… Com’è che si chiama? - domandò poi.
Soldato alzò un sopracciglio, confuso.
- Skipper? – azzardò, senza rendersi conto di cosa implicasse la sua risposta.
Hans fece schioccare la lingua contro il palato in segno di vittoria.
- Proprio lui! Ieri quando l’ho beccato ai dormitori aveva un’aria terribile… - spiegò prima di bere un sorso del suo latte e cannella.
La matricola bevve a sua volta e si strinse nelle spalle.
- Credo fosse stanco. E’ un tipo che non si risparmia, e poi ne paga le conseguenze… - spiegò senza riuscire a celare la preoccupazione, fregandosene altamente di star parlando di cose private con uno che in fin dei conti era un perfetto sconosciuto.
Dopotutto con Hans veniva estremamente semplice confidarsi, aveva tutta l’aria di essere un buon ascoltatore e un amico sincero, e a tenersi dentro quell’angoscia sarebbe di certo esploso.
Come a voler confermare i suoi pensieri, il danese si sporse in avanti, preoccupato.
- Ma soffre tipo di attacchi d’ansia? –
- Più o meno… -
Le sopracciglia di Hans si curvarono in un’espressione dispiaciuta.
- Poverino… E’ per questo che hai quest’aria afflitta? Vedrai, passati gli esami passerà anche l’ansia! – cercò di rassicurarlo con un’amichevole pacca sulla spalla per poi lasciarsi cadere nuovamente contro lo schienale della seggiola.
Soldato gli avrebbe volentieri confessato che gli esami erano l’ultimo dei problemi di Skipper, ma lasciò perdere: non voleva sembrare una lagna né abusare della gentilezza del nuovo amico.
Fu a quel punto che Doris e Kowalski fecero il loro ingresso in caffetteria discutendo animatamente, Rico subito dietro di loro.
Hans parve illuminarsi nel vedere la sua tutor e prese a sbracciare in loro direzione.
- Hey ragazzi! C’è posto qui! – esclamò nonostante la maggioranza dei tavoli fosse libera.
Soldato alzò una mano in cenno di saluto e scrutò attentamente Kowalski, incuriosito dal suo silenzio stampa la sera precedente.
- Com’è andata Idraulica? – si informò Hans.
Fu proprio Kowalski a rispondergli, sedendosi accanto a Soldato mentre Rico si appoggiava allo schienale della sua seggiola.
- I problemi erano più semplici del previsto. –
Hans rise alla smorfia di Rico: doveva già aver capito che per Walski tutti gli esami erano più semplici del previsto.
- Ho risposto a tutti i quesiti, speriamo bene… - fece invece Doris, decisamente più modesta.
- E Skipper? – inquisì poi.
Il più giovane del gruppetto fece spallucce.
- Ha detto che aveva da fare… - disse solamente, sperando che l’amica non facesse ulteriori domande.
Fu accontentato, Doris non indagò oltre, ma il suo scarso entusiasmo non dovette sfuggire a Rico.
Il ragazzo abbandonò la sua posizione arroccata alle spalle della matricola e sospirò, infastidito.
- A DOPO. – annunciò semplicemente prima di girare sui tacchi e sparire lungo il corridoio a passo di marcia.
A quel punto, ormai roso dalla curiosità, Soldato si lasciò sfuggire una domanda che forse non avrebbe dovuto porre.
- Eva come sta? –
Kowalski gli scoccò un’occhiata sarcastica da dietro la montatura sottile.
- Sicuramente meglio di ieri sera. – esordì.
- Ci siamo lasciati. – aggiunse poi in spiegazione.
Lo sguardo del ragazzino schizzò inevitabilmente verso Doris, ma quella lo teneva basso, l’aria stranamente contrita. Doveva saperlo già.
- Mi dispiace… - fece Hans, che da quando era stato introdotto al gruppo aveva assistito solamente a un turbinio di scene da soap opera.
Contro ogni previsione, tuttavia, Walski sorrise senza traccia di tristezza, le mani ferme e non a tormentare gli occhiali o a grattare il naso come quando era a disagio.
- Tranquillo, è tutto a posto. Lo abbiamo sempre saputo entrambi che non sarebbe potuta funzionare a lungo… E’ stata una separazione pacifica… -
- Beh, non è stata molto carina a mettersi con te se sapeva di provare dei sentimenti per Segreto. – commentò Doris a bassa voce rendendo chiara anche agli altri la causa della rottura.
Teneva ancora il capo chino e sembrava più dispiaciuta di quanto non lo fosse Kowalski stesso.
Il ragazzo aspettò che lo guardasse negli occhi e le rivolse uno strano sorriso che fece arcuare di sospetto le sopracciglia di Hans.
- Hai ragione, ma non la posso biasimare. –
La giovane non rispose, si limitò a reggere il suo sguardo per secondi che parvero interminabili, e Soldato quasi ebbe l’impressione che entrambi si fossero dimenticati della loro presenza al tavolo.
- Sembra proprio che serva dell’altro latte e cannella, dico bene? – si intromise all’improvviso Hans, spezzando il silenzio che doveva aver fatto sentire fuori luogo anche lui.
Kowalski gli rivolse uno sguardo curioso, Doris sorrise.
- Ah, ma come avete fatto a sopravvivere senza di me? – domandò retorico il ragazzo incamminandosi verso il bancone con uno di quei ghignetti che Soldato aveva ormai capito essere la sua espressione distintiva.
- Ce la cavavamo benissimo anche senza di te, non ti preoccupare! – scherzò Doris, un po’ meno pallida di prima.
Il danese si voltò appena, dedicandole una strana occhiata.
- Ce l’avete nel sangue, eh? – commentò, criptico. La bionda inclinò la testa di lato, in attesa di ulteriori spiegazioni, ma il nuovo amico si era già appoggiato al bancone con i gomiti, l’attenzione tutta dedicata alla barista.
Nel frattempo, nell’ala opposta dell’edificio, Rico camminava con le mani ficcate nelle tasche dei pantaloni.
Da quando quella storia dello scambio culturale era stata ufficializzata, la preoccupazione che Skipper potesse risentirne in qualche modo era stata costante. Conosceva bene suo fratello, sapeva quali pensieri abitavano i suoi incubi e non aveva alcuna intenzione che dopo tutta la strada percorsa una simile novità potesse rilanciarlo al punto di partenza.
Ne aveva parlato con Kowalski, ma secondo lui non c’era niente da temere, e aveva voluto fidarsi.
Ancora una volta però, l’istinto sembrava averla avuta vinta contro la ragione.
Aveva capito immediatamente dal tono di Soldato che quella mattina era successo qualcosa, ma mettersi a discuterne davanti agli altri era poco saggio, così aveva preferito defilarsi senza alzare polverone. Dopotutto Walski aveva già i suoi di problemi, di quello in particolare avrebbe potuto occuparsene da solo.
Come da pronostico la luce nell’aula del Club era accesa.
Bussò tre volte come facevano sempre per dichiarare che non si trattava di individui esterni venuti a ficcanasare e, quando non ricevette alcuna risposta, entrò.
- SKIPPER! – lo chiamò.
Il ragazzo era seduto al computer e gli dava la schiena.
Non rispose, l’indice sulla rotellina del mouse che tremava appena.
- SKIPPER! – urlò più forte.
A quel punto il gemello sussultò e si voltò di scatto.
Aveva un’aria terribile: il viso era pallido e gli occhi arrossati dalla fatica di leggere per probabilmente più ore di quanto non fosse saggio erano cerchiati di nero.
Rico sospirò e si sedette a cavalcioni di una sedia, sistemandosi accanto a lui.
Gli rivolse uno sguardo lungo e silenzioso prima di trarre un profondo respiro e chiedergli, con una certa difficoltà, se quella notte fosse riuscito a dormire e se ci fosse qualcosa che doveva raccontargli.
- Ho dormito male. – minimizzò quello, ma a un’occhiata severa del fratello si vide costretto a confessare.
- D’accordo, non ho chiuso occhio. Ma sto bene. Sono venuto a fare qualche ricerca. – tacque qualche istante, poi proseguì, indicando il computer con un cenno e fingendo che tutto quello fosse perfettamente normale.
- Non capisco. Dopo l’evasione è come se l’FBI avesse completamente abbandonato il caso. Non si trova nulla, né una menzione, né un accenno, né… - ma Rico lo interruppe, una mano sulla spalla e gli occhi azzurri cupi e quasi inquietanti nella loro serietà.
Il capo del Club di Spionaggio richiuse la bocca ed espirò l’aria dal naso, rilassando i muscoli e curvando appena la schiena.
- Ieri sera ho litigato con Soldato. A proposito di Hans. – spiegò.
- Hans? – riuscì a domandare Rico ad un normale tono di voce.
Non capiva. Hans era simpatico, nemmeno aveva dato segno di aver notato le sue difficoltà di espressione e si era dimostrato un tipo in gamba, che aveva che non andava?
- Non lo so, qualcosa in lui non mi convince. Soldato ha detto che sono un paranoico… - esalò, gli occhi bassi mentre il gemello annuiva per dare ragione alla matricola.
- Soldato vuole… vuole bene… - mormorò Rico.
- Lo so, è un bravo ragazzo, non avrei dovuto parlargli in quel modo… - convenne Skipper, ma ancora una volta fu interrotto.
- NO! – gracchiò l’altro.
- Soldato vuole bene! E tu! Anche tu! – sputò fuori a fatica.
Strinse i pugni, perché ciò che voleva dire a suo fratello era complesso e difficile e le parole non erano mai state dalla sua parte.
Avrebbe voluto dirgli che lo capiva, che capiva la sua paura, capiva il timore che lo bloccava, ma che iniziava a pensare che forse, dopo tutto quel tempo, le contromisure adottate inizialmente potevano anche essere allentate, che forse, dopo tutti quegli anni, poteva davvero provare a lasciarsi andare senza la consapevolezza che ogni sua azione viaggiasse sul filo di un rasoio ad attanagliargli le viscere.
Rico conosceva il suo gemello nel profondo, e sapeva alla perfezione cosa il suo cuore gli suggerisse la notte, quando il silenzio calava sulla sua stanza e il respiro tranquillo di Soldato proveniva dal letto accanto. Sapeva bene cosa significasse desiderare un amore che per mille ragioni non poteva realizzarsi, ma la differenza fra loro era che Skipper poteva provare, poteva mettersi in gioco, questa volta.
Perché si era rovinato la vita a tal punto, dietro a quella vicenda, che se non si fosse lasciato andare in quel momento, probabilmente, non sarebbe riuscito a farlo mai più, e allora sì che il terrore e il rimorso lo avrebbero divorato.
Meritava di provare ad essere felice.
Avrebbe voluto dirgli tutto quello e molto di più, ma come sempre le parole lo tradivano e non erano che gorgoglii inconsulti a lasciare le sue labbra squarciate e non avrebbe mai potuto essere davvero d’aiuto a suo fratello.
Sospirò, avvilito, poi si alzò in piedi e spense il computer.
- PAUSA – fu il suo verso, sgraziato ma ricolmo di un affetto antico che si insinuò come un pungolo nel cuore del più grande.
- Non è così semplice, Rico. Ma grazie… - sospirò, davvero riconoscente.
Si alzò anche lui e gli batté  una pacca sulla spalla che si trasformò in un rapido abbraccio.
- Ora credo proprio di aver bisogno di un caffè… - commentò, sciogliendo l’abbraccio e recuperando la sua borsa.
Rico annuì e gli rivolse un sorriso più sereno nonostante non fosse riuscito a comunicargli tutto ciò che desiderava.
- NOVITA’! – esclamò, mentre Skipper chiudeva a chiave la porta e lo guardava con tanto d’occhi.
- Kowalski? – inquisì, curioso di sapere cosa fosse successo la sera prima.
Ma il fratello non aggiunse altro e lasciò che la curiosità aumentasse in lui fino alla caffetteria, dove avrebbe scoperto la verità dal diretto interessato.
Quando varcarono la soglia gli altri erano ancora tutti lì, e sul tavolo campeggiava un nuovo giro di tazze e bicchieri di carta.
- Ciao Skipper! Mettiti lì vicino a Soldato, c’è un buco! Vuoi qualcosa? – lo accolse Hans con un grande sorriso, come se non avesse aspettato altro che vederlo arrivare.
Quello ricambiò il saluto, un poco spiazzato da quell’altruismo sfacciato a cui non era particolarmente abituato. Prima che potesse aggiungere altro, però, Rico si incamminò verso il bancone lasciando intendere che ci avrebbe pensato lui e con un cenno della testa intimò al fratello di prendere posto.
Fece come suggerito e raccattò una seggiola da un tavolo vicino, andando a sistemarsi fra il danese e la matricola.
Si accorse che Soldato non lo aveva salutato e che stava accuratamente evitando di guardare in sua direzione. Non era risentito, era in imbarazzo.
Kowalski disse qualcosa che non stette a sentire, troppo concentrato sul ragazzino alla sua destra.
Mentre tutti erano concentrati su ciò che suo fratello aveva da dire, fece scivolare una mano su quella del compagno di stanza, per attirare a sua attenzione.
- Scusami per ieri. – gli sussurrò all’orecchio.
Per un istante sentì la mano del più giovane irrigidirsi sotto la sua, poi gliela strinse appena, dedicandogli un’occhiata fugace ma genuina, priva di ogni rimprovero o stizza.
- Tranquillo. – sussurrò, le guance rosse e le labbra tirate verso l’alto.
Strinse un poco più forte e poi lasciò improvvisamente la presa, raccogliendo un bicchiere dal mucchio abbandonato sul tavolo e bevendo un sorso veloce.
- Ah sì, giusto! Voi non c’eravate! – esclamò poi Hans richiamandolo all’attenzione, Rico che era appena tornato con i due caffè.
- Hans aveva proposto di andare a pattinare sul ghiaccio questo week end, per festeggiare la fine degli esami! – spiegò Doris, elettrizzata dall’idea.
- Potremmo andare a Central Park, non so, forse per voi è troppo turistico? – chiese lo straniero, facendolo sorridere.
- BELLO! – esultò Rico, favorevole a un po’ di divertimento che non prevedesse rimanere bloccati sull’isola dell’Università.
E, come se si fossero sempre conosciuti, presero a parlarsi gli uni sugli altri nella foga dell’organizzazione, scoppiando a ridere alle rettifiche di Kowalski sulle condizioni ottimali del ghiaccio per poter pattinare e auto valutando la propria abilità di scivolare aggraziatamente sui pattini.
Hans era quello che rideva più di tutti, deliziato dall’idea di poter fare qualcosa di familiare con i suoi nuovi amici e a guardarlo così, impegnato in un serrato e scanzonato botta e risposta con Rico come se niente fosse, Skipper si rese conto che quella volta aveva davvero esagerato.
Si unì anche lui alle risate, cercando di non pensare al fatto che, nonostante avesse dato la sua approvazione all’uscita di gruppo, lui a pattinare fosse altamente impedito.
Tutto sommato, però, per una volta avrebbe anche potuto lasciare che la sua più grande preoccupazione fosse quello.
In effetti, considerò riportando istintivamente lo sguardo su Soldato, era vero che aveva i suoi buoni motivi per essere sospettoso, ma questo non significava che dovesse cedere alla paranoia. Forse poteva concedersi una tregua, poteva allentare la tensione e provare a lasciarsi andare anche solo un pochino.
Sarebbe bastato non perdere di vista il suo obbiettivo, continuare a perseguire la giustizia senza tuttavia diventarne uno schiavo, una vittima anche in assenza di delitto.
La sua vita, in tutta onestà, non era mai stata così radiosa come quell’anno.


















 
Note:

Lo avevamo promesso, Until the End sarebbe tornata.
Una minaccia, forse, più che una promessa, ma dopotutto ormai ci conoscete e sapete che razza di pessime autrici siamo.
Prima dei soliti commenti di fine capitolo voglio veramente ringraziare chi con pazienza continua a seguire questa storia nonostante gli aggiornamenti avvengano veramente una volta ogni morte di papa.
Voi siete davvero ciò che porta avanti Until the End e non smetteremo mai di ripetere quanto vi siamo grate. <3
Parlando del capitolo, invece...
Skipper merita tante sberle, ormai lo abbiamo capito.
Con Capodanno si pensava che le cose per lui si fossero un minimo sbloccate e invece per ogni passo in avanti lui e Soldato ne fanno dieci indietro. Aiutateli, vi prego, da soli non ce la possono fare.
Per Skipper ci sta provando Rico, ma poverino, più di tanto non si può combinare quando il proprio gemello è l'essere più cocciuto sulla faccia della terra.
Piccola parentesi: come avrete ormai capito abbiamo una fissa per le relazioni familiari e in particolare quelle fra fratelli. Scrivere la scena fra Skipper e Rico è stato estremamente soddisfacente e dovete tutti amare Rico perchè LA PAZIENZA DI QUEL RAGAZZO.
A proposito di fratelli, Kowalski ed Eva si sono (finalmente coff coff) mollati. Non crediate che la faccenda si sia risolta così facilmente però, gli amici del Vento del Nord non hanno alcuna intenzione di uscire di scena così!
Il vero protagonista del capitolo, tuttavia, è il tanto atteso (almeno da noi e da Doris) studente di scambio.
Scrivere Hans è sempre terribilmente divertente per me, anche se forse, poveretto, non è arrivato a New York nel momento migliore...
Eppure il nostro danese preferito è già riuscito a fare amicizia con il gruppo, e forse la sua allegra presenza riuscirà a smuovere gli equilibri e portare un po' di freschezza nelle giornate dei nostri eroi.
Intanto aspettiamo l'uscita a Central Park... chissà se Skipper riuscirà a nascondere agli altri che non sa pattinare sul ghiaccio? E chissà se le sue misteriose ricerche condotte nella stanza del Club produrranno mai risultati e saranno svelate anche a noi comuni mortali?
Speriamo vivamente che non ci voglia un altro anno per darvi le risposte, ma nel frattempo possiamo dirvi una cosa: godetevi le risate dei ragazzi, perchè questa è esattamente la calma prima della tempesta. 

Un bacione e grazie a chi legge e recensisce, come sempre,

Koome

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