Una vita, tante storie

di Urban BlackWolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quattro ante per due ***
Capitolo 2: *** Apologia felis ***
Capitolo 3: *** Sliding doors ***
Capitolo 4: *** La prima di mille notti ***
Capitolo 5: *** Il cosplay di Haruka ***
Capitolo 6: *** Elona Gay ***
Capitolo 7: *** La dissacrante ironia della mia donna ***



Capitolo 1
*** Quattro ante per due ***


Quattro ante per due

 

Legato ai racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

La vita che ho scelto”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Bellinzona - Svizzera meridionale

Autunno 2018

 

 

Un attico situato al terzo piano di una struttura a cortina affacciante sulla valle. Una camera da letto come tante, senza troppe pretese, elegante nella sua semplicità. Pareti color crema, il letto matrimoniale abbastanza minimalista, un paio di comodini in radica, una cassettiera, i quadri dipinti da una delle due proprietarie raffiguranti il mare e le sue coste, una finestra a doppia anta con le tende di organza blu, la porta a scrigno di uno dei due bagni della casa e poi... lui.

Ferme a braccia conserte, sguardo accigliato e pazienza ormai ridotta alla parodia di se stessa, le due donne respirarono all’unisono mentre all’esterno la prima nevicata della stagione iniziava a scendere lentamente sul complesso abitativo di Monte Carasso.

“Perché ci riduciamo sempre all’ultimo giorno prima di morire di freddo?!” Sospirò Michiru guardando dall’alto in basso le ante aperte dell'armadio laccate di bianco.

“Perché fino a due giorni fa facevano quindici gradi mentre adesso…” Inclinando il busto all’indietro la bionda uscì dal cono d’ombra della compagna perdendo lo sguardo al pulviscolo bianco provando un brivido di piacere. Al diavolo il cambio estivo-invernale, se avesse continuato così quella domenica l’avrebbe passata all’aperto con o senza il “permesso” della sua dea.

Un rapido sguardo e l’altra capì al volo. “Haruka Tenou, non pensarci nemmeno!”

“Di far che?!” Chiese alzando con finta ingenuità le sopracciglia chiare.

“Non mi lascerai qui da sola mentre siamo in piena crisi da fallout atomico per andare di sotto a far casino con i ragazzini del nostro stabile.”

Serrando la mascella e mettendo sul viso l'espressione più stupita di questo mondo, la compagna tornò a fissare le scaffalature scrollando leggermente le spalle. Chi le aveva detto niente.

“Ecco, brava. Adesso cerchiamo di capire perché i nostri vestiti ci abbiano dichiarato guerra.”

“Il bello è che l’anno scorso non abbiamo comprato praticamente nulla. Ci sta sfuggendo qualcosa Michi.”

“Certo è, che se piegassi le cose in maniera più decente Ruka mia.” Puntualizzò Kaiou indicando con il mento le felpe dimenticate in un angolo del ripiano dell'altra.

“Te l’ho già detto; non siamo in una boutique!”

“Tu hai una concezione dell’ordine tutta tua Tenou. E questa? Amore ha i gomiti lisi. Buttala via!” Estraendo l’ultimo capo della pila lo mosse sconsolata sotto in naso di una bionda per niente convinta.

Una felpa grigia, con il disegno di un gatto tigrato immerso tra pesci tropicali, pancia bianca, satolla, con una maschera da sub a protezione di due occhi grandi e tondi che alla bionda mettevano allegria da quando l’aveva acquistata circa una decina di anni prima e che aveva soprannominato; massima espressione di godimento, per via delle zampette rosa completamente dilatate.

“E allora? - Strappandogliela letteralmente dalle mani, Haruka se la guardò come se avesse appena sentito una bestemmia. - Lo sai che è una delle mie felpe preferite in senso assoluto!"

“Senti senso assoluto, tutto ha una fine, incluso questo cencio.”

“Se è per i gomiti che ti preoccupi potrei metterci su due belle toppe! Farebbero tanto anni settanta.”

“Tu provaci e ti assicuro che ogni volta che te la vedrò addosso ti darò il tormento ... e sai che sono capacissima di farlo.

Oddio del cielo che supplizio pensò l’altra riponendo il così detto cencio alle sue spalle per afferrare poi una stampella della compagna con un paio di pantaloni di velluto nero. Voleva giocare duro la sua dea? Sfida accettata!

“E questi allora?”

Allargando le braccia Michiru se li guardò compiaciuta stirando un sorrisetto sornione. “Non vedo parti rovinate da coprire con toppe assurde alla “professore universitario” bisognoso d’attenzioni.”

“Piantala di fare la finta tonta Kaiou!”

“Ogni volta che l'indosso dici sempre che mi stanno da Dio!”

“Certo, ti stanno talmente tanto da Dio che oltre me, fai girare la testa anche agli uomini, alle donne e ai pali della luce! - Togliendoli dalla stampella li lanciò sulla sua povera felpa. - Se mi costringi a buttare lei.... loro la seguono!"

Respirando affondo a quell’infantile ripicca gelosa, Michiru tornò a guardare i ripiani accorgendosi solo in quel momento di uno strano ritorno numerico.

“Ruka perdonami, ma… perché ti sei presa tre scaffali mentre io ne ho solo due?”

“Mica vero.”

“A no? Sei un ingegnere meccanico e credo tu sappia fare due più due.”

Mi ha beccata!, pensò la bionda storcendo la bocca. “Mio amore dolcissimo è una questione di massa.”

“Massa?” Un’altra bella novità in quella domenica mattina dal tempo orrendo.

“Certo, massa! Io ne ho più di te, ergo… ho bisogno di più spazio! Facile, logico, matematico.”

“Massa eh? E questo discorso analitico comprenderebbe anche le due tute nuove di zecca che ti sei comprata per la moto?”

Colta in fragranza di reato Haruka fece spallucce sorridendo ed accarezzando con uno sguardo di sfacciato compiacimento quel fantastico patrimonio in pelle multicolore che faceva bella mostra di se tra un paio di Lavis ed un completo Armani. Acquisto d’impulso, pagamento immediato con Visa ed immancabile sfuriata fattale dalla compagna al ritorno a casa. In realtà Michiru non tendeva mai o quasi ad alzare la voce, limitandosi al dialogo costruttivo o al mutismo cronico. In quell’occasione però, dopo una serie d’improperi sul costo sproporzionato ed inutile di una cosa che la compagna possedeva già, era seguito il “carico da novanta” del non darle più cibo, attenzioni e coccole di ogni grado per ben tre giorni. Un calvario stile Golgota che di fatto aveva costretto la bionda a dormire raggomitolata in un angolo solitario del loro letto e a nutrirsi alla mensa aziendale anche per cena.

“Ne abbiamo già discusso. Ormai ci sono e passi, ma potresti benissimo lasciarle in garage con le altre.”

“Per trovarle congelate alla mattina?”

“Forse non sono stata abbastanza chiara quando ti ho detto che la moto d'inverno te la scordi? Basta il simulatore che avete in scuderia.”

“Non è la stessa cosa! E come se tu ti mettessi a dipingere con un mouse su uno schermo invece che imbrattarti con i pennelli come fai di solito.”

“Scusami?”

Tirando leggermente indietro il collo la bionda si rese conto troppo tardi dell’imperdonabile autogol. Spostando lo sguardo altrove tossicchiò sperando di passarla liscia.

“Che mangiamo per pranzo?” Gettò pastura sperando che la compagna abboccasse con tutto l’amo.

“Si Ruka, spostala sul cibo. Comunque se continuiamo così… un panino.”

Il silenzio tornò sovrano fino a quando, conoscendo molto bene l’indole della compagna, Michiru non giocò d’astuzia. Haruka era timida, ma non le dispiaceva affatto farsi guardare dagli altri, soprattutto quando sfrecciava in moto per le strade della loro città diventando un tutt’uno con la sua Panigale.

“Certo non si può dire che siano brutte tute, ma…” E fece finta di stare immaginandosi chissà cosa.

“Ma?”

“Ma vedi Haruka, la tuta della Ducati ti calza molto meglio. E’ un fatto.”

“Molto meglio dici? - Socchiudendo gli occhi la vide fissarle il fondo schiena. - E perché me lo dici solo ora, scusa?!”

Kaiou ammise candidamente di non essere mai stata interpellata a riguardo.

Grugnendo di malavoglia, la bionda afferrò le due tute per ripiegarle poi con cura sul letto mentre l’altra manteneva un contegno labiale cercando di non ridere all’ennesimo trionfo. Quanto poteva essere ingenua la sua donna.

“Questo risolve parzialmente lo spazio riservato alle stampelle, ma non quello dei ripiani.” Disse ringraziando il cielo di aver messo già da tempo la scarpiera con il suo preziosissimo contenuto dietro alla porta del suo laboratorio, là dove, come in una zona off limits, le “pinne” che portava ai piedi Haruka non sarebbero mai potuto arrivare ad invaderla.

“Tesoro ti prego, dammi requie! Io proprio non capisco perché tu non faccia come me. - Afferrando il legno di un ripiano di Michiru, lo tirò leggermente in avanti guadagnando una decina di centimetri. - Se fai così potrai riporre i tuoi maglioni su due file.” E tornò ad afferrare la sua felpa preferita piegandola in malo modo.

Michiru gliela riprese ratta dalle mani frullandola alla sua destra. “Perché così facendo non vedrei cosa c’è dietro alla prima fila mettendo immancabilmente sempre le stesse cose per tutta la stagione. Tanto vale dar via qualcosa.”

Iniziando ad innervosirsi l’altra si sedette sul bordo del letto allungandosi dietro le gambe della compagna riafferrando il suo “tesoro”. Tenou aveva molto buon gusto nel vestire e disponeva di una giusta serie di capi che potevano essere messi in qualunque occasione, dall’informale all’elegante, indumenti forse anche più costosi di quelli della compagna, ma quando si affezionava a qualche cosa per lei diventava difficile separarsene.

“Senti Michi fa come vuoi con i tuoi vestiti, ma lascia stare i miei!"

“E allora dammi metà del tuo ripiano! Massa o non massa la mia roba così non c’entra!”

“Ma che palle, ogni sei mesi la stessa storia!”

“Haruka!”

“Eh Haruka, Haruka! La fai facile tu! Di maglioni ne hai pochissimi, perché usi prettamente giacche, gonne e vestiti. Pantaloni meno che a parlarne. Prova ad avere quindici chili in più e poi ne riparliamo Kaiou. Ma si può sapere che vuoi da me?!”

“Il mezzo ripiano che mi spetta!”

“Oddio e prenditelo tutto, così la facciamo finita!” Afferrando stizzita le felpe dalla tavola le sbatté sul materasso uscendo poi dalla stanza masticando male parole.

Massaggiandosi la fronte l’altra cercò la calma. Far mantenere ordine alla compagna era un’impresa. Praticamente impossibile farle gettare qualcosa.

“Fammi capire bene Tenou; stiamo discutendo per una cretinata del genere?”

“Sei tu che vuoi discutere! Non io!” Precisò con l’aiuto dell’indice riaffacciarsi sulla porta.

“Dai amore, vieni qui e dammi una mano. Non finiremo mai se continuiamo a girarci in torno.”

Come una bambina indispettita Haruka le tornò accanto accettando una ruffiana carezza sulla guancia avendo nel frattempo un’idea. “E se dessi qualcosa a Giovanna? Quando viene qui finisce sempre per mettersi le mie cose. Felpe, magliette, in pratica mi fregherebbe anche calzoni e mutande se non fosse un tappo. Tanto vale che…”

“No, per carità.”

“Perché?”

“Perché ogni volta che lo fa sembra Cucciolo, tu inizi a prenderla in giro trasformandola in Brontolo, ed in men che non si dica in questa casa abbiamo la parodia dei sette nani. Ti prego amore mio... no.”

“E allora dimmi tu.” Pregò Haruka allargando le braccia vinta.

Riflettendoci su per poi fiondarsi verso l’ultimo cassetto del comò, Michiru lo aprì tirandone fuori un sacchetto di plastica trasparente con una ventina di pioli di legno usati per bloccare a varie altezze i ripiani. Alzandolo a mezz’aria lo scosse un poco come fosse davanti ad un cane.

“Nel box abbiamo del legno o sbaglio?”

“S…si e allora?” Chiese la bionda seguendo con lo sguardo quello dell’altra fino ai ripiani.

“Vuoi che te ne costruisca uno?”

“Perché no?! “

A pensarci bene nulla di apparentemente complicato. In garage Haruka aveva tutto l’occorrente per smontare, assemblare o modificare una moto, figuriamoci tagliare un pezzo di legno. Ci avrebbe messo nulla.

“Non c’è bisogno di rifinirlo, mi basta che non abbia schegge e sia pulito.”

Ci volle un attimo ed il buonumore tornò sul viso e nell’animo della sua dolce metà. Come se stesse per affrontare un progetto di alta ingegneria robotica, l'Ingegner Tenou si guardò in torno galvanizzata andando poi in soggiorno e ritornando con metro, carta e matita. Non afferrando affatto il sottile piano messo in campo da Kaiou, iniziò a prendere le misure congratulandosi per la splendida idea. Nel vederla tanto indaffarata l'altra rise pregustandosi la vittoria. Mentre la sua testona sarebbe stata indaffarata a fare il carpentiere, lei ne avrebbe approfittato per far sparire indumenti qui e la provando a riordinare un po’.

Dopo cinque minuti neanche troppo abbondanti, Haruka sparì dietro le porte automatiche dell’ascensore diretta ai box, lasciando così campo libero al piano delittuoso della sua dea.

Un’ora più tardi e qualche bestemmione di troppo, la bionda fece ritorno con la tanto agognata tavola sotto braccio. Richiudendosi la porta blindata alle spalle e guardando il direzione della porta finestra del salone, sospirò alla coltre bianca che man mano stava accumulandosi sul lastrico della terrazza, ammettendo a se stessa di essere stata fregata l’ennesima volta.

E si che non imparo mai pensò poggiando il legno al muro per togliersi giacca e scarpe.

“Hai finito amore?” Sentì dalla penisola della cucina.

Hai finito sti gran ca… “Si!” Rispose vedendola affacciarsi dal tavolo in granito con una tazza bollente tra le dita affusolate e curatissime.

“Ho acceso il camino. Com’è andata?”

Contrariata da tanta casalinga tranquillità Haruka grugnì che da basso faceva un freddo cane.

“Vuoi un po’ di tisana?”

“Tisana?! Ma che non si mangia in questa casa?! E’ quasi l'ora di pranzo!” Protestò pretendendo peggio di un marito isterico.

“In realtà stavo aspettando che tu tornassi dal bosco con la legna per accendere il fuoco e dare cosi' da mangiare ai nostri quattro figli! - Le rispose l'altra a tono. - Ma quanto ci hai messo per tagliare un pezzo di… che sarebbe poi? Truciolato?”

“No! Q.U.E.R.C.I.A. amore mio… grande! Quercia!”

“Non sarà troppo pesante?”

Gli stessi gran cazzi di prima, pensò la bionda entrando nel bagno degli ospiti per lavarsi e disinfettarsi le dita uscendone qualche minuto dopo premendosi dell’ovatta su indice e medio della destra.

Michiru capì posando la tazza per andarla ad aiutare. Guanti mai! “Che ti sei fatta? Fammi vedere.”

“Nulla.” E peggio di una bambina davanti al trapano di un dentista, scansò la mano ferita proteggendosela con l’altra.

“Ruka! Ci tengo alle tue dita sai?! Fammi dare un’occhiata!”

“Vorrei ben vedere.” Replicò guardandola con sguardo lascivo.

“Finiscila di pensare cose porche. Ma guarda qua! Mai possibile?!” E scattò l’inesorabile reprimenda sul perché si ostinasse a fare quel generi di lavori senza guanti di protezione.

“Ho usato quelli in lattice. Con quelli più spessi non riesco a lavorare bene.”

“Utilissimi vedo.” Spingendo sul taglio lungo circa un centimetro procurò nell’altra un gemito rabbioso.

“Fa’ piano… Mi fai male!”

“O zitta un po’! Io quella sega circolare te la faccio sparire! E’ vecchia e prima o poi finirà con l’amputarti un dito.” Aiutandola a fermare il sangue con un grosso cerotto, evitò di controbattere al viso d’estrema supponenza messo su dalla Grande Tenou.

Che esagerata pensò la bionda guardandosi la mano offesa una volta finita la medicazione. Era stata un’idiota a farsi male, lo sapeva benissimo da sola senza che Kaiou spingesse letteralmente il coltello nella piaga. Mentre stava tagliando l’asse immersa nel rumore metallico prodotto dai dentelli d’acciaio, con la coda dell'occhio l'era sembrato di vedere una piccola ombra alla sua sinistra e la cosa l’aveva alquanto deconcentrata. Se la sega non avesse avuto il sistema di auto bloccaggio l’avrebbe perso sul serio il dito. Adesso, senza dire nulla alla sua compagna, avrebbe dovuto cercare, snidare e cacciare la piccola bestiola dai denti famelici che aveva prodotto quell'ombra tanto sinistra. Se Michiru avesse anche lontanamente immaginato di un nuovo locatario chiamato topo, non sarebbe mai più scesa al piano dei box.

“Quand’è che Giovanna dovrebbe tornare?” Chiese a bruciapelo mentre andava a riprendere l’asse abbandonata vicino alla porta d’ingresso.

“Tra un paio di giorni. Perché?” Le confermò seguendola in camera da letto.

“Nulla. Chiedevo così per chiedere.” Anche alla bionda facevano un po’ schifo i topi, soprattutto se grossi e scuri come quello che aveva intravisto muoversi tra il muro e la pila degli pneumatici estivi della sua Mazda. Avrebbe chiesto supporto alla sorella e nel caso l’azione di guerriglia non fosse andata a buon fine, l’avrebbe lanciata nel box armata di randello richiudendo poi la serranda elettrica. Chi fosse sopravvissuto all’incontro face to face avrebbe avuto il suo rispetto.

Preso il martello Haruka piantò i quattro pioli negli appositi buchi, due a destra e due a sinistra, poi vi poggiò sopra la tavola di quercia arretrando fino alla spalla di una compagna leggermente accigliata. Quel lavoro a Michiru non la convinceva affatto.

“Non ti sembra un tantino... sproporzionata?” Chiese osservando come quei piccolissimi pioli di legno dolce stonassero se paragonati ad una tavola in legno massello alta quasi due centimetri.

Haruka scrollò le spalle con la testa altrove, precisamente al box ed al suo contenuto. Quel piccolo bastardo non mi rosicchierà mica qualcosa? Pensò passandosi il martello da una mano all’altra mentre la voce di Kaiou le arrivava alle orecchie come un suono lontanissimo.

Non sarà certo tanto imbecille d’attaccarsi ad un cacciavite, ma se dovesse riuscisse ad arrivare all’armadio dove sono appesi i miei giubbotti, sarebbero casini veri.

“Ruka mi stai ascoltando!?”

Ho anche i guanti. .. Oddio le tute da sci! Devo comprare al più presto un repellente.

“Ruka!”

Domani prima di andare a lavoro farò una deviazione per il centro città. Traffico permettendo dovrei riuscire a comprare il tutto senza fare troppo tardi.

“Haruka!”

“Che c’è?!”

Michiru tolse lentamente la mano dalla sua spalla indicandole il ripiano ribadendo la sua perplessità. Non era un’asse troppo grande per un armadio come quello?

“Me lo dici solo adesso? Prima che mi affettassi un dito, no?!”

“Scusa tanto, ma non ricordavo affatto che la tavola fosse tanto spessa. Non credo vada bene amore.”

“No! Va benissimo invece. Michiru ascolta, sono più di tre ore che stiamo qui ferme peggio di due vidiote davanti ad un tubo catodico. Adesso basta! Se non ti convince il ripiano lo prenderò io, ma ti prego diamoci una mossa che ho una fame allucinante!” E ho il brutto presentimento che il box sia locato da una piccola carogna! Concluse tra se e se mentre afferrava felpe, maglioni e magliette gettandoli sul nuovo ripiano.

Poco convinta l’altra la seguì riponendo in bell’ordine gran parte dei suoi maglioni, i sotto giacca e qualcosina di carino indicato per le uscite speciali. Poi ricontrollati i pochi pantaloni che possedeva, ora disposti tutti in fila sulle stampelle come bravi soldatini assieme alle camicette di seta, sfiorò il tutto con l’indice soddisfatta nel vedere finalmente un barlume di decenza. Dall’altra parte del cielo… , il buio cosmico, il delirio, l’innaturale propensione alla sublimazione del caos.

“Haruka io ti amo, ma sei proprio un casino di donna.” Se ne uscì mentre scuotendo la testa chiudeva le ante centrali.

“Scusa?” Due occhi innocenti puntati come subdola arma di distruzione.

“Nulla.” Rispose Kaiou sconsolata ormai impantanata in un dejavu semestrale già vissuto in anni di convivenza.

Amava quella ragazzona anche per questo ed era inutile girarci in torno. Afferrandola per l’avambraccio le sorrise stampandole un bacio sulle labbra per poi chiederle cosa le sarebbe piaciuto mangiare per pranzo, quando una sorta di crac proveniente dall’interno dell’armadio non le gelò il sangue. Voltandosi verso le ante si strinse alla compagna corrugando la fronte.

“…Ruka?”

“Un semplice assestamento.” Rispose l’altra poco convinta l’altra sapendo di aver detto una fesseria.

“Non è una faglia tettonica. Amore..., vai a vedere.” E nuovamente quel rumore al limite del cedimento.

“Ma porca…” Prendendo il coraggio a due mani la bionda le piazzò saldamente sulle maniglie delle ante e lentamente, molto lentamente, fece per riaprirle quando ormai in vista del faticoso lavoro, l’ennesimo crac, questa volta più violento e senza dubbio definitivo, riecheggiò per tutta la stanza.

Gonfiando i muscoli e chiudendo di scatto ad Haruka non rimase altro che chinare la testa, digrignare i denti e mettere in fila una serie d’imprecazioni in tedesco degne di un teutone ubriaco.

“Für alle Götter der Hölle!“ Più o meno una chiamata generale agli spiriti cornuti di tutto l’Ade.

“Liebe ist genug!” Un amore basta che non fece altro che solleticare i nervi ormai sfilacciati di una Tenou in fase di disarmo.

La sua dea bernese, spostatasi in zona franca immobile accanto allo stipite della porta, mano sulla bocca e pupille drammaticamente dilatate, la guardò non sapendo se piangere o ridere.

“Vuoi ancora che guardi cos’è successo… amore?”

Scuotendo il capo in segno di diniego Michiru sparì seguita da un “e adesso che fai Kaiou? Butti il sasso per nascondere la mano? Torna qui!”

“Non ci penso proprio!” Urlò mentre si dirigeva a passo svelto verso la porta del suo studio.

“Cosa? Kaiou! Non fare la bambina e vieni qui immediatamente! Non lasciarmi sola sai…” Continuando a tenere ferme le ante la vide far capolino pochi istanti dopo.

“E’ tanto grave?” Chiese Michiru alzando le sopracciglia.

“E’ più che grave. E’ una tragedia!”

“Nooo.” Si lamentò poggiando la fronte allo stipite mentre l’altra le chiedeva di passarle il martello abbandonato sulla cassettiera durante i brevi, ma intensi, momenti di trionfo che sentiva di avere avuto come falegname.

“Prendere a martellate tutto il resto della struttura non cambierà le cose Ruka.” E tra lo scherzoso ed il serio le passò l’attrezzo ed una volta afferratolo, Haruka ne infilò il lungo manico tra le due maniglie per poi lasciare la presa alzando le braccia come dopo un pit stop.

“Molto ingegnoso amor mio… ma adesso?”

“Adesso andiamo a pranzo.”

“Vorresti metterti a cucinare con quel mostro pronto all’esplosione?” Indicò mentre la bionda le cingeva la vita stampandole un bacio sulla bocca.

“Assolutamente no. Vieni, ti invito fuori.” Uscendo andò dritta al camino spegnendolo e poi alla porta d'ingresso pronta ad infilarsi le scarpe.

“Ma Ruka..., sta nevicando e comunque fuggire non risolverà il problema.”

“Può anche darsi, ma ora ho troppa fame per pensare a come disinnescare quella mina! Dai Kaiou, questa volta offro io.

La compagna dovette cedere alla realtà e ridacchiando andò nel suo studio uscendone poco dopo con in mano un paio di caldi stivaletti da montagna.

Haruka aspettò che si preparasse per poi aprirle la porta e lasciarla passare consegnando di fatto la casa all’enorme mostro dalle quattro ante.

Scendendo coccolandosi un po’, arrivarono al piano interrato dei box avvertendo la corrente gelida frustare loro i visi appena aperta la porta anti incendio che dava sul grande corridoio di manovra. Michiru rabbrividì rimpiangendo il tepore del loro appartamento e la comodità del divano che in genere le accoglieva nelle giornate domenicali come quella. Schiacciando il tasto verde sul suo telecomando, la bionda attese pochi istanti che la basculante metallica con sopra dipinto il numero sette si aprisse, ricordando solo in quel momento il locatario dentato dalla pelliccia grigio topo. Cosi mentre Michiru apriva la portiera sul lato passeggero della Mazda RX-9 nera orgoglio della proprietaria, quest'ultima si ritrovó a scannerizzare con lo sguardo la pila degli pneumatici, l’armadio e le scaffalature.

“Ruka cosa stai facendo?”

“Nulla! Tranquilla Michi. I guanti, sto cercando i guanti.” Dove sei bastardello di fogna! Dove!

“I guanti? Ma sono qui sul cruscotto. Dove li lasci sempre.”

Alzando gli occhi al cielo maledicendo la sua vena troppo abitudinari, Haruka si voltò verso la compagna stampandosi sul viso il sorriso falso di una reginetta di bellezza arrivata al secondo posto. E poi lo vide! Grosso, peloso, grigio da far schifo, con la coda corta e sottile, acquattato dietro la ruota anteriore destra, a pochi centimetri dal polpaccio di Michiru.

Soffocando l’istinto di scattare verso l’altra e strattonarla via, iniziò a gesticolare cercando di rimanere calma, perché se Kaiou avesse preso ad urlare sarebbe stato il non plus ultra della tragicommedia di quella domenica di fine novembre.

“Amore mio grande, perché non vieni qui?” Invitò allargando le braccia montando nuovamente su quel sorriso forzato da serial killer.

“Ma che dici! Dai andiamo. Non eri tu che avevi una fame allucinante!” Le fece il verso imitandone la voce alle parole fame allucinante.

Si certo, così da schiacciarlo sotto le ruote appena ingranata la prima? Neanche per sogno.

“Haruka… Che c’è?”

“Nulla… Vorrei solo un bacino, tutto qui.” Ed aumentando la distanza tra un braccio e l’altro, iniziò a muovere le dita per incoraggiarla.

“Amore… che succede? Hai messo su un viso… inquietante.”

“Noo… Vieni dai…”

“Insomma basta! Che cos’altro hai combinato?”

Sospirando pesantemente la bionda abbassò le braccia contando mentalmente fino a tre, poi visto che la sua dolce metà quel giorno aveva fortissima la vena del masochismo, preparando le orecchie ai decibel le consigliò di guardare accanto alla sua gamba sinistra.

“Per terra dici? Dove?”

Non volendo assistere all’orrore, Haruka voltò la testa verso l’apertura puntando l’indice incerottato al muso dell’auto.

“Guarda amore, guarda pure che bella sorpresina che c’è li. Poi non dirmi che non ti avevo avvis…”

“Oddio mio!” Riecheggiò per tutti i venticinque metri quadrati del mondo Tenou, scaffalature incluse.

Ecco, lo sapevo pensò l'altra tornando a guardare la macchina non trovando piu' la sua donna.

“Michi?”

“Ma quanto sei dolce! Ma sei bellissimo!”

“Che?” Le sfuggì dalle labbra mentre la compagna riemergeva da dietro lo sportello nero con un batuffolo grigio tra le mani guantate.

“Non puoi averlo fatto davvero. Michiru lascialo! Lascia subito quel ratto prima che ti morda o ti salti in faccia!” Urlò.

“Ratto?! Calmati non è un ratto, ma un gatto. Guarda…”

Agli occhi di un’allucinata Haruka comparve una creaturina miciforme, grigia si, ma senza quelle sembianze abbastanza orripilanti proprie di un topo di fogna. Aprendo leggermente la bocca la bionda iniziò ad avvicinarsi al primo miu.

Da sempre amante del mondo felino, quando riuscì finalmente a riconoscere in quella palletta tigrata e sporca un gattino di circa due mesi, si sciolse come un mucchietto di neve al sole. Portandosi i pugni alle labbra alzò le sopracciglia al secondo miu.

“Siii… sei bellissimo…” Il che non era del tutto vero visto in quali condizioni di lordume si trovasse il piccolo felino. Ma faceva lo stesso.

Prendendolo tra le mani la bionda iniziò a guardarselo come se fosse stato un pezzo di motore, ovvero adorante. Era rarissimo vedere Haruka in quello stato di grazia paragonabile a poche altre cose nella vita di una donna. Michiru stirò le labbra scuotendo la testa prevedendo già a cosa avrebbe portato tutta quell’avventura.

“Ecco, credo proprio che i nostri giorni di coppia solo tu ed io siano belli che finiti.”

“Cosa?”

“Nulla. Stavo solo dicendo che sarebbe meglio portarlo su. E’ tutto intirizzito e credo che anche lui abbia una fame allucinante.” Disse chiudendo piano la portiera dell’auto mentre Haruka annuiva continuando a tenere nei palmi il gattino.

“Abbiamo ancora del latte in frigo?”

“Si amore.”

“E se non bastasse?”

“Vuol dire che lo chiederemo alla dirimpettaia.”

“E se non ne avesse?”

“Allora lo chiederemo ai condomini del secondo piano. Stai tranquilla, non lo lasceremo certo morire di fame.”

“Hai sentito piccoletto? Ora pappa, poi ti diamo una pulita e domani veterinario.”

“Perché piccoletto e non piccoletta? Credi sia un maschio?” Azionando il telecomando Michiru attese la completa chiusura della bascula.

“In realtà non lo so e qui sotto non si vede ancora nulla, ma ho come l’impressione che sia un lui e poi diciamocela tutta, di micine la nostra casa è già piena, no?”

“Haruka!” Un buffetto fulmineo dietro la nuca.

“E che avrò detto mai!”

“Parla pulito Tenou.”

Guardandosela di soppiatto, la bionda avvicinò la bocca al gattino parlandogli sommessamente. “Hai sentito la mamma, piccoletto? Bisogna parlare pulito o ce le da!”

“Ti stai spalleggiando con un gatto?”

“Paura eh?!” Le rispose e ghignando attese che la compagna le aprisse la porta antincendio per insinuarsi su per le scale.

“Guarda Tenou… sto tremando tutta.”

La porta si chiuse con un suono sordo e nuovamente l’ambiente del corridoio tornò silenzioso e spettrale. Dopo qualche secondo anche la luce temporizzata si spense lasciando così le saracinesche metalliche nella penombra, ma dietro una di queste, precisamente in quella del box numero sette della prima palazzina del comprensorio di Monte Carasso, tra il sibilo del vento gelido di fine autunno, riecheggiò alto e forte un verso; squit!

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve. Non potevo esimermi dal comporre la mia prima one-shot. Me la sono figurata più di un mese fa, mentre stavo dipanandomi tra il cambio estivo – invernale, pensando che se io che ho a disposizione un armadio tutto per me non riesco a farci entrare mai nulla, come avrebbero potuto fare due donne così diverse come Haruka e Michiru? Poi da cosa nasce cosa ed alla fine ha fatto la sua comparsa un altro personaggio, un po’ peloso, ma che a mio modestissimo parere in casa Tenou-Kaiou mancava. E’ vero che una bestiola loro già ce l’hanno, ovvero Giovanna, ma non abitando con loro ed essendo molto più ingombrante e rumorosa, non può essere considerata un animaletto da compagnia.

Questa storia, che si colloca dopo il secondo racconto, è voluta essere un piccolo omaggio a tutte le lettrici che mi seguono. Grazie ragazze!

 

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Capitolo 2
*** Apologia felis ***


Apologia felis

 

Legato ai racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

La vita che ho scelto”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Bellinzona - Svizzera meridionale

Natale 2018

 

 

Il piede destro dolcemente appoggiato sul pedale dell’acceleratore, solo un po’, il giusto per far contenta la sua Mazda RX-9, la mano sinistra serrata alla pelle del volante, la destra mollemente adagiata sulla coscia, pronta ad inserire la marcia successiva. A quell’ora la strada che la stava riportando a casa era abbastanza scorrevole. Era tardi. L’ennesimo straordinario dell’ennesimo periodo frenetico che sotto le feste di fine anno costringeva i tecnici della Ducati ai salti mortali per soddisfare le richieste dei fornitori.

Haruka era stanca, ma tutto sommato soddisfatta. Il lavoro andava bene, in più, un paio di giorni ancora e sarebbe entrata in ferie. Fuori dall’abitacolo il sottile strato di neve accumulatosi durante il corso della giornata preannunciava un bel manto compatto in alta quota e di conseguenza, la strameritata sessione sciistica promessale dalla sua compagna più di due settimane prima e che l’avrebbe vista sfrecciare sulle piste in quell’ultimo weekend pre natalizio. Ingranando la terza tornò a distendere entrambe le braccia. Di fronte a lei la capitale del Canton Ticino scintillante nei suoi addobbi, le torri merlate dei suoi castelli sapientemente illuminate, l’accuratezza dei parchi, la quiete di una bella cittadina svizzera. Ai lati dell’auto lo scuro della sera con i picchi nascosti nell’ombra.

Respirando forte la bionda cambiò stazione radio cercando un qualcosa di più adatto a lei. “Che palle! Solo canzoni di Natale!” Borbottò muovendo convulsamente il pollice destro sul comando inserito al lato del volante.

Tenou era sufficientemente adulta per capire quanto la sua adorata, nonché subdola compagna, con quel contentino sciistico l’avesse intortata, ingannata, forzata a prendere la ferale decisione di passare il loro primo Natale con la famiglia Aulis. Complice il trasferimento in Svizzera che Giovanna aveva affrontato in estate, adesso non poteva più tirarsi indietro e avrebbe dovuto accompagnare la sorella in quel trittico di giorni che la bionda aveva magistralmente evitato l’anno precedente. Questo l’innervosiva in maniera pazzesca, innescando lotte casalinghe ogni tre per due. In più e cosa ben più grave, erano settimane che colpa un lavoro particolarmente rognoso, Michiru sembrava sul punto di esplodere e lei, capita la malaparata, non potendo tirar troppo la corda aveva dovuto spesso e volentieri abbassare la testa per non rischiare danni peggiori. Compromessi. La vita di coppia.

“Ho cose più pressanti alle quali pensare ora! Non lagnarti e ringrazia il cielo di avere quello che hai Tenou!” Le aveva detto il giorno precedente, indaffaratissima nel trasportare un secchio d’acqua bollente dal lavabo della cucina al suo bagno.

“Michi, per favore… non ho voglia di passare il Natale con loro. Non li conosco…”

“Accompagneremo tua sorella e passeremo tre giorni sereni. Questo è tutto Haruka. Ne abbiamo già parlato mille volte. E’ deciso! Fattene una ragione!” E giù nel secchio vagonate di antisettico dall’odore di bosco alpino.

A quel diktat, la bionda aveva sospirato. Non se la sentiva di scendere in Italia per fingere davanti a quei quattro sconosciuti, che l’essersi ritrovata tutto d’un tratto una famiglia fosse la cosa più normale del mondo. Era sinceramente stanca di vedere sua sorella gongolare nell’attesa del loro primo Natale insieme e nel costatare quanto la sua dolcissima metà non capisse il suo disagio, anzi investisse ogni stilla d’energia nel voler cambiare quella sua condizione di figliol prodiga.

”Michi...” Aveva lagnato mentre l’altra iniziava a borbottare frasi senza senso all’indirizzo del piccolo Tigre.

E li, afferrando al volo il guizzo, Tenou aveva allora cercato d’infilarsi li dove non avrebbe mai voluto, ovvero il pertugio di Giona e la sua sfiga cosmica. Facendo finta di pensarci su aveva iniziato con non scia lance ad elencare la miriade di possibili danni che il loro piccolo coinquilino avrebbe potuto fare se lasciato da solo. “E poi sono convinta che il piccoletto farà un gran casino senza di noi. Lo sai che non ama stare da solo.”

“Non gli serve compagnia, ma disciplina!” Aveva sentito ringhiare da dentro il bagno.

“Non farla così grave, Kaiou. E’ solo esuberante. E’ un maschio.” Le aveva risposto intimamente contrariata che la sua compagna non prestasse minimamente ascolto alle sue esigenze.

A quell’innocente frase gettata sul tavolo del compromesso famigliare, così, quasi senza rendersene conto, Kaiou aveva bloccato il suo da fare e riapparendo dietro lo stipite della porta l’aveva trafitta con uno degli sguardi più seriali che Haruka avesse subito negli ultimi tempi.

“E allora pulisci TU il porcaio che l’esuberanza del TUO gatto MASCHIO ha lasciato nel MIO bagno!”

Certo questa volta quel felide tigrato non l’aveva fatto apposta, ma il casino che era riuscito a creare aveva veramente qualcosa di disgustoso al pari di una vomitata di pelo.

Scalando la marcia Haruka sogghignò. Non aveva assistito a tutta la scena, ma quel che era accaduto aveva una vena epicamente spassosa. Scesa per andare a gettare la differenziata, la bionda aveva lasciato una casa calma e tranquillamente sonnacchiosa. La compagna a spalmarsi della crema idratante sulle gambe dopo una bella doccia ed il botolo peloso a scorrazzare dietro ogni cosa potesse anche solo lontanamente ricordare una preda. Nulla di più piacevole, intimo e famigliare. Sta di fatto che l’urlo agghiacciante che al ritorno Tenou aveva avvertito provenire dall’appartamento non appena le porte dell’ascensore si erano aperte sul pianerottolo, aveva drasticamente modificato l’atmosfera. Inserendo velocemente la chiave nel nottolino della porta si era vista una palla pelosa investita da una vagonata imdustriale di sassolini di lettiera, correre per tutto il salone mentre parole gettate a caso non proprio in stile Kaiou, riempivano l’ambiente.

“Tigre...?!” Aveva esclamato togliendosi di corsa le scarpe per fiondarsi verso il bagno principale.

“Cosa, cosa, cosa gli diamo da mangiare a quel micio!? COSA?!”

Affacciandosi alla porta, Haruka aveva toccato con mano, anzi piede, l’apocalisse.

“Ferma! Non entrare!”

“Ma che…” Guardandosi il calzino, la bionda aveva aggrottato la fronte non afferrando a pieno la complessità del dramma che si era appena consumato.

“Basterà una bacinella, quanta vuoi che ne faccia! Avevi detto… Ed io a darti retta! Stupida, sono una stupida!”

Il mattonato del pavimento disseminato di lettiera e non solo, la compagna nevrotica ed il cucciolo che impaurito, intanto schizzava verso l’universo Kaiou, ovvero la cucina.

“Prendilo Haruka, prima che s’infili sotto al frigo come al solito!”

Presto fatto, il piccoletto era stato recuperato, pulito alla bene e meglio con un paio di energiche carezze e riportato all’ordine.

“Ma si può sapere cosa…”

“Si è ribaltato! Stava per fare i suoi bisogni quando si è ribaltato. Te l’avevo detto che ormai è diventato troppo grande per quella bacinella. Ha bisogno di una lettiera più grande. Una da adulto. Da gatto vero!”

“Cioè, fammi capire.”

Passandole accanto per andare a prendere una scopa, Michiru le aveva mimato la scena; lui che salta dentro la sabbietta per sporgersi poi sul bordo tutto impettito. Gli occhi chiusi, la concentrazione nelle vibrisse leggermente tremanti, lo sforzo della spinta e bang, il ribaltamento. La bacinella che gli avevano messo per farlo andare di corpo che s’inclina paurosamente, lui che ne viene travolto rimanendone sotto e colto dall’ovvio panico, l’inizio di una disperata corsa per tutto il bagno andando a sbattere contro ogni superficie. Un disco bianco impazzito che ad Haruka aveva fatto distorcere la bocca a tal punto che Michiru le aveva intimato di sparire.

“Scusami, ma è… comico.”

“Un accidente! Lavalo, perché così conciato a me non si avvicina ed il divano se lo scorda?!”

“Ecco vedi, a tal proposito vorrei sottolineare come non sia il caso di lasciarlo solo per tre giorni. Chissà cosa potrebbe combinare in nostra assenza e poi è troppo piccolo, non mi fido. L’albero…” Aveva provato disperatamente ad usare l’ennesimo mezzuccio, ma l’altra, più nera di una formica nera, su di una pietra nera, nella notte nera, le aveva caldamente consigliato di farla finita.

“Scenderemo dalla tua famiglia dovessimo portarlo con noi! Ed ora scusami, ma ho da fare.” E Tenou era stata liquidata rimanendo con il mostro fetido a penzolarle tra le mani.

Gonfiando le guance, Haruka decelerò in vista di un incrocio. Quei due proprio non andavano d’accordo. Troppo perfezionista lei e troppo cucciolo lui. Due cieli a confronto che se da una parte le facevano gonfiare il cuore d’amore, dall’altro la preoccupavano e non poco.

“Se Michiru continuerà a non voler capire che stiamo parlando di un animale con le sue esigenze di spazio e comportamento, finiremo col doverlo dare via.” Si disse scorata.

Voleva bene a quel micino trovato settimane prima tutto intirizzito nel loro box, ma non poteva certo costringere la sua compagna a vivere male. Fin dalla prima sera, Kaiou aveva cercato di metter su paletti su paletti, pretendendo che al piccolo fossero interdette alcune zone della casa, come ad esempio il suo studio, la cucina e la loro camera da letto e la prima cosa che il cucciolo aveva fatto come risposta, era stata quella di prendere il sotto del frigorifero come la sua personale Bat caverna.

“Amore abbiamo una penisola a vista. La vedo dura non lasciarlo scorrazzare tra i pensili.”

E Michiru si era convinta, ma la sacralità della loro camera da letto avrebbe dovuto rimanere tale. “Siamo intesi Ruka?!”

Come no! Due giorni di miagolii persistenti e trapanosi a scandire le ore della notte ed un piccolo cuscino era magicamente apparso sul finire del loro materasso.

“D’accordo, può salire, ma bada Tenou… non ce lo voglio a fissarci quando facciamo l’amore.”

“Non credo si scandalizzerebbe…”

“Ruka!”

“Va bene, va bene.” Alzando le mani la bionda aveva esultato e da li a qualche giorno il piccoletto aveva preso, non ad occupare un angolo anonimo del letto, no, bensì a dormire in pianta stabile tra i loro due cuscini.

Voltando a sinistra verso le colline che dominavano la valle cittadina, Haruka spense definitivamente la radio mettendo su un cd di metallo pesante. “Quello schizzo non soltanto ci dorme addosso, ma ci guarda di continuo ed alla mia dolce metà questo manda in bestia.”

Due occhietti verde acqua sempre attenti sia nell'intimità del loro talamo, che in bagno, durante i pasti o mentre guardavano la televisione o parlavano sedute sul divano con il fuoco a riscaldare l’ambiente.

“Ma i gatti non dovrebbero dormire sempre?” Le aveva chiesto Kaiou contraccambiando quello sguardo sfacciato e noncurante mentre lui se ne stava tranquillamente seduto accanto alla bocca del camino a formare la siluette di una grossa pera Abate.

“E’ solo curioso, non farci caso.” Le aveva risposto distratta dal film che stavano guardando una domenica pomeriggio.

“E’ inquietante.”

Ed in effetti un po’ lo era e la cosa buffa era che più Michiru cercava di prendere le distanze e più lui le andava dietro, soprattutto quando era ai fornelli. Cercando di muoversi senza pestarlo, la compagna aveva spesso e volentieri rischiato l’osso del collo.

“Mettiti qui e rimanici…” Ordinava posandolo sul limite della cucina sperando così che obbedisse e puntualmente lui ed il suo fare ancora goffo rientravano nella zona rossa.

Questo per il primo mese. Successivamente al periodo della scoperta del territorio, Michiru era stata scambiata per una goduriosa parete per arrampicate con piccole unghiette acuminate a mo di ardite piccozze. Haruka aveva imparato a riconoscere i sintomi del climbing felino ad un primo sguardo. Era facile, bastava aspettare che Michiru iniziasse a spignattare ai fornelli e lui, che dormisse o giocasse, drizzava le orecchie abbandonando tutto per avvicinarsi, poi, dopo un paio di minuti acquattato nell’ombra della penisola con fare furtivo da grande predatore africano, prendeva a gattonare verso le pantofole della compagna con il sedere all'insù. Il tempo di un sospiro e la bionda vedeva le spalle di Kaiou contrarsi ed il fiato morirle nella gola, sintomo certo che qualcuno aveva preso ad arpionarle un polpaccio.

“Nooo! Giù, vai giù! Ruka toglimelo di dosso!”

Quasi ogni sera lo stesso copione. Una cadenza svizzera degna di ogni orologio che si rispetti, tanto che Tenou aveva iniziato a domandarsi se quei due non lo facessero apposta.

“Accidenti! Eppure ero più che convinta che a Michi piacessero i gatti.” Strofinandosi il mento imboccò la strada per il loro comprensorio.

“Forse è anche colpa mia, sono stata troppo indulgente con quel micio. Gli sto sempre addosso e tendo a viziarlo.”

Niente di più vero. Haruka adorava i felini e non era certo un segreto. Il loro modo di approcciarsi alla vita era per lei la forma più idilliaca e perfetta del vivere comune. Solitari quanto basta. Puliti quanto basta. Autosufficienti quanto basta. Ruffiani quanto basta. In altre parole… Haruka Tenou. Ma tutto l’affetto riversato per il cucciolo era inevitabilmente stato sottratto all’altra padrona di casa.

Una sera, di ritorno da Castelgrande dove stava seguendo il restauro di un affresco, vogliosa di un massaggio ai piedi ed un bicchiere di Prosecco, Michiru si era vista spodestata dal piccolo mostro entrato in modalità inseguimento puntatore laser.

Sedendosi sul divano mentre la bionda eccitatissima lo faceva correre a destra e a sinistra, aveva sospirato borbottato una frase del tipo – bisogna avere le unghie retrattili qui, per avere un po’ di coccole!

L’ennesima curva ed il trittico di palazzine del comprensorio dove vivevano apparve scintillante di lucette colorate quasi ad ogni piano. “Neanche sul nome siamo state d’accordo. Avrei dovuto scegliere quello che aveva proposto lei invece d’impuntarmi.” Un’ammissione di colpa o forse la semplice conseguenza del fatto che quando Michiru lo chiamava, lui sembrava non sentire, mentre quando lo chiamava lei, lui arrivava, ed anche di corsa.

“Prova con del cibo.”

“Non lo farò diventare un botolo solo per il gusto di vedermelo comparire davanti, Ruka.”

Armata di buona pazienza la bionda aveva allora cercato di far capire alla compagna che il nome Tigre era sicuramente più adatto di... Tigro.

“Non siamo orsetti alla Winnie the Pooh, Michi.”

“E’ molto più carino che il solito Tigre.”

“Non ha gli stessi colori e poi ci vuole un nome cazzuto.”

“Haruka… non deve diventare il boss del quartierino. E’ un gatto.”

“E allora? Il nome è importante e segna tutta la nostra vita e poi non voglio che i vicini lo prendano per i fondelli ogni volta che in primavera uscirà sul terrazzo.”

“Farò finta di non aver sentito. Fai come vuoi, il gatto è il tuo.”

“Nostro! Tigre è nostro!”

“E allora io lo chiamerò Tigro.”

“E allora non aspettarti che risponda. Non gli piace, non l’hai ancora capito?!”

Guardando un punto indecifrato del salone, la compagna aveva scosso la testa tirandosene fuori. “Non innescherò l’ennesima discussione per una cosa tanto idiota!” E si era ritirata nel suo studio a dipingere lasciando la bionda con l’amaro in bocca.

Varcando finalmente il cancello condominiale, Haruka voltò a sinistra per imboccare la rampa che l’avrebbe portata ai box, non prima però di aver gettato un occhio alla terza palazzina, dove all’ultimo piano era andata a vivere la sorella.

Forse dovrei chiedere asilo. Chissà che guerra troverò a casa, pensò afferrando il telecomando della serranda elettrica.

Giovanna si era trasformata in mediatrice più di una volta per cercare di spiegare ad una Michiru che non aveva mai posseduto un animale, che la convivenza con un gatto, per giunta cucciolo e maschio, alle volte poteva essere un tantino faticosa, ma ricchissima di soddisfazioni ed amore.

“Per il primo anno e mezzo non potrete muovere le gambe sotto le coperte senza ricevere un attacco, perciò ricordalo quando sarete in… intimità. I vostri spazi non saranno più tali, ogni superficie pseudo morbida diventerà la sua, panni lavati inclusi, ed avrete il pavimento disseminato di giochini e più gliene comprerete e più questi spariranno. E’ vero che dovrai dire addio all’idea di casa ordinata, ma d'altronde lo hai fatto anche con Haruka e lei è molto più impegnativa.” Le aveva detto dopo la prima vera crisi nella quale Michiru aveva scoperto Tigre a farsi le unghie sul bracciolo del suo adorato divano.

La sorella l’aveva guardata sgranando gli occhi cercando di mimarle di darci un taglio. “Giò non farla tanto drammatica…” Aveva tirato fuori dai denti.

“Ma è la pura verità. E' tutta la vita che convivo con gatti e so di quel che parlo. Michiru deve essere preparata, ma - e li era tornata a parlare direttamente con Kaiou poggiandole una mano sulla spalla - l’avere un gatto per casa è una cosa bellissima. Finirai con l’apprezzare la loro incredibile dolcezza. Sono divertenti e possono diventare dei complici perfetti. Per adesso Kaiou… dissemina l’appartamento di tiragraffi e scatole di cartone.”

Spegnendo il motore la bionda uscì dall’abitacolo ricordando quella conversazione. “Dissemina l’appartamento di tiragraffi e scatole. Bel consiglio del cacchio Giovanna!”

Rabbrividendo al cambio climatico, si diresse a passo svelto verso una delle porte anti incendio che portava all’ascensore.

E se fosse riuscito a tirar giù l’albero? Dio non voglia. Le palline di Michiru… Ipotizzò premendo il pulsante di chiamata.

Quando avevano fatto l’albero, Haruka era stata scettica sull’addobbarlo con il servizio buono, come scherzosamente chiamava il set di palline di murano che Kaiou aveva comprato a Venezia, avendo sentito da più parti della famigerata nomea che i gatti di casa si erano fatti in decenni di pratica come boscaioli natalizi.

“A me capitò anni fa, ma era pur vero che stavamo a febbraio ed io non mi ero ancora decisa a togliere l’alberello dall’ingresso. - Aveva confessato Giovanna. - Allora il fatto che il mio Janek avesse falcidiato le ultime palline di vetro lo considerai un aiuto al decoro della casa.”

“Michiru non vuole assolutamente usare quelle di plastica, perciò dovrò incrociare le dita e sperare che il periodo passi in fretta.”

“L'avere un albero finto aiuta. I gatti sembrano attratti da quelli naturali.”

“Speriamo…”

Guardando apaticamente le porte della cabina aprirsi, la bionda tese l’orecchio cercando di captare suoni di guerriglia famigliare, poi facendosi coraggio, s’infilò la mano nella tasca del giubbotto afferrando le chiavi.

Aprendo lentamente la porta puntò istintivamente lo sguardo al pavimento, perché di solito Tigre le trotterellava incontro o era già fermo sull’uscio ad aspettarla.

“Credo riconosca il suono del motore della tua auto.” Ci scherzava su Michiru.

“Facile, è il gatto di una pilota.” Gongolava l’altra prendendolo in braccio ancor prima di essersi tolta le scarpe.

Ma questa volta nessuno in vista. La casa calda ed accogliente come sempre. I lampadari della sala da pranzo e della cucina accesi, un paio di pentole sui fornelli ad emanare un ottimo odore di cibo, la televisione accesa, ma bassa, sintonizzata sul telegiornale della sera.

Iniziando a spogliarsi della sciarpa e del giaccone, Haruka socchiuse gli occhi scannerizzando l’ambiente. La tavola non era ancora apparecchiata perché di norma toccava a lei. L’albero nell’angolo in fondo alla stanza era ancora in piedi e pulsava di luci bianche e gialle. Il fuoco nel camino era basso e costante, indice che la compagna era rientrata a casa da molto prima di lei.

Già, la compagna. Dov’era? “Michi?” Chiamò piano sfilandosi gli stivaletti per avanzare con circospezione verso il divano.

“Tigre?” E poi superata la spalliera li vide.

Bloccandosi senza quasi respirare ad Haruka apparve l’immagine dolcissima della sua dea distesa tra i cuscini, addormentata al tepore del plaid che usavano per coprirsi, vestita della sua tutona felpata. I capelli raccolti dietro la nuca e qualche ciuffo abbandonato sul collo e sul viso rilassato. Il braccio destro dimenticato accanto alla fronte mentre il sinistro stretto a qualcosa di grigio. Inclinando la testa da un lato la bionda sorrise notando Tigre placidamente adagiato sul petto della compagna.

“Si sta bene li sopra mmm?”

Anche se la frase le uscì sottile dalle labbra lui l’avvertì lo stesso iniziando a far fusa ciucciando la stoffa dilatando e comprimendo le zampette anteriori.

“In teoria quella pratica spetterebbe a me.” Ridacchiò alzando le spalle grata per la tregua natalizia avuta in sorte quella sera.

“Be, sarà il caso che mi lavi le mani ed inizi a dare il mio contributo.” Disse voltandosi per tornare alla consolle accanto alla porta d’ingresso dove l’aspettavano le sue pantofole.

Un passo, poi l’altro e qualcosa di freddo, freddissimo le si insinuò sotto la pianta del calzino destro e da li, tra le dita del piede. Un viscidume anomalo, sicuramente biologico, che la costrinse ad alzare immediatamente l’arto, a serrare occhi e pugni, a stringere labbra e denti e ad imprecare mentalmente chiamando a raccolta tutte o quasi le schiere celesti.

“TIGRE!!!”

 

 

 

NOTE: Salve. Avevo in testa questa storia da quando ho scritto la prima one-shot l’anno scorso, ma presa con “le gru della Manciuria” non sono riuscita a scriverla che tra ieri ed oggi. Veloce, veloce. Cotta e mangiata. Ho pensato che avrebbe potuto essere un pensierino natalizio per tutti coloro che mi seguono e credo strapperà più di un sorriso, soprattutto a chi ha un dittatore peloso tra le mura di casa.

La storia è autobiografica, ovvero tutte le situazioni che ho cercato di descrivere mi sono accadute sul serio, bacinella in testa ed albero abbattuto in coda.

Questa seconda storia andrà a far parte di una raccolta e visto che ho descritto Tigre come un cucciolo di pochi mesi, ho dovuto spostare di un anno avanti la one-shot precedente.

Vi auguro un buonissimo periodo natalizio e spero di avere presto qualche nuova idea.

Ciauuuuu

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Capitolo 3
*** Sliding doors ***


Sliding doors

 

Legato ai racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

La vita che ho scelto”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

Ciau. In molte mi hanno chiesto se fosse stato possibile avere lo spaccato del primo incontro tra Haruka e Michiru nella ff l’atto più grande. In effetti l’ho sempre solo accennato, perciò credo che a questo punto meriti un capitolo tutto suo. Sperando che vi piaccia, vi auguro buonissima lettura.

 

 

 

 

Dal suo finestrino i sobborghi di Berna le sembravano quasi una cartolina. Quell’anno la neve pareva non voler finire mai. Alternanze di sole e nuvole cariche di quella che per lei era la cosa più fantastica che la natura avesse mai creato; quella coltre bianca dove poteva far scivolare le lamine dei suoi sci diventando un tutt’uno con il vento stesso. Una sensazione paragonabile solo alle sue corse in moto. Ma quel fine settimana era intenzionata a passarlo tra palazzi barocchi e cultura, perché c’era una temporanea alla quale proprio non voleva rinunciare ed anche se le inenarrabili congiunture astronomiche negative iniziate dalla prima mattina avrebbero fatto desistere chiunque, Haruka Tenou sarebbe stata più tenace e testarda della sfiga stessa.

Sistemandosi meglio sulla poltrona del diretto che era stata costretta per forza di cose a prendere, ripensò alla sua povera auto bloccata in officina a causa della rottura improvvisa della trasmissione. Nulla di grave, l’avrebbe personalmente sostituita, ma non aveva tempo, perciò sta di fatto che per arrivare nella Capitale, aveva dovuto piegarsi alle pur eccellenti ferrovie svizzere e lei non amava per natura lasciare ad altri il compito di scorrazzarla in giro.

Che gran rottura, pensò passando energicamente i palmi delle mani sui pantaloni di flanella mentre la voce dell’interfono annunciava ai viaggiatori l’imminente arrivo alla stazione centrale.

Il tempo per coprire quei centocinquanta chilometri erano stati noiosi da morire. Se non impegnata in cose per lei interessanti, Haruka faceva una gran fatica a rimanere per troppo tempo seduta, perciò aveva cercato di ovviare alla mancanza di un buon libro concentrandosi nel leggere dal suo Iphone notizie utili sui quadri che avrebbe visto da li a breve, flirtando di tanto in tanto con un paio di ragazze sedute due file avanti a lei che con molta probabilità, non avevano assolutamente capito quanto lei fosse una donna dalla testa ai piedi.

“Avrei dovuto portarmi un passatempo.” Borbottò sommessamente mentre si alzava per prendere cappotto e sciarpa.

ma le piaceva viaggiare leggera, così per comodità preferiva mettersi tutto nelle tasche lasciando a casa il superfluo.

Arrivata in stazione e salutate con un accattivante sorrisetto le due ragazze, scese controllando l’ora su uno dei grandi orologi digitali posti proprio all’inizio dei binari. Puntualitâ impeccabile, come da buon copione elvetico.

Dunque, se non ho capito male dovrei trovare il primo dei due tram che devo prendere proprio davanti all'entrata principale, si disse iniziando ad allacciarsi il cappotto. Faceva un freddo assurdo per il periodo.

E così fu. Bello, pulito, veloce. Nulla da dire. La linea rossa la portò al randevu con la verde in meno di venti minuti. Ma qui le cose iniziarono a complicarsi. E non poco. Galeotto il ghiaccio e lo spirito da educato cavalier servente che la bionda aveva sempre avuto sin da ragazzina.

Per aiutare una signora abbastanza in là con gli anni a riaversi dopo lo spavento per una brutta scivolata, Haruka assistette dalle vetrate del caffè dove avevano trovato riparo, ad una quantità imbarazzante di corse perse. E più l’anziana ritrovava la baldanza di coriacea bernese doc e più lei s’incupiva chiedendosi a quale divinità avesse fatto torto per meritarsi tutto quello. Di questo passo non arriverò mai, pensava e via gran sorrisi alla donna che nel frattempo si stava scaldando al fumo di un corroborante te caldo.

“Siete stato molto gentile signore, ma non c’è bisogno che aspettiate l’arrivo di mio nipote.”

“Si figuri. Non è nulla.” E per tutto il tempo non le rimase che clissare sul suo essere donna.

Sciarpa premuta al collo, cappotto militare, pantaloni non certo dal taglio frivolo ed il gioco era fatto. Anche se l’avessero guardata distrattamente, in estate il seno bene o male aiutava la gente a capire, ma d’inverno e con quelle temperature...

Ma ad Haruka poco importava, anzi, passare per un giovane uomo era la via più semplice per evitare gli scoccianti approcci maschili. Bella di viso ed estremamente proporzionata, era solita attirare alcuni tipi di uomini che, capite o sapute le sue tendenze saffiche, provavano in tutti i modi a convincerla che non l’essersi mai addentrata nell’altra metà del cielo, fosse sia uno spreco che un peccato mortale. Quanta arroganza.

“A… eccolo!” Esplose ad un certo punto la signora alzando il braccio per attirare l’attenzione di un bel ragazzo bruno colpito dai primi fiocchi che stavano riprendendo a cadere dal cielo bianco.

Ricevuti i dovuti ringraziamenti di rito, Haruka schizzò verso la fermata prendendo al volo l’ennesimo tram per il Museo d’Arte non potendo immaginare che anche se iniziata maluccio, ben presto quell’Odissea si sarebbe trasformata in uno dei viaggi più importanti di tutta la sua vita.

 

 

La sveglia non aveva suonato facendole saltare a piè pari la colazione. Il soffione della doccia aveva ripreso a perdere tornando a stuzzicarle i nervi. Infine, una volta avuto il coraggio di uscire al freddo e l’aver scoperto di non avere nella borsa un ombrello, le due colleghe con le quali avrebbe dovuto pranzare, avevano disdetto quando lei era già a metà strada ed ora a Michiru Kaiou non rimanevano che poche alternative; o sedersi da sola in un bistrò, cosa che francamente la deprimeva, o tornarsene a casa gettando al vento gran parte della giornata. Idea di gran lunga più odiosa.

Chiudendo il laconico messaggio inviatole, alzò il viso alla neve. E si che con quel tempo orribile si era forzata per rotolare fuori dal suo monolocale fatto di cose belle raccolte in anni di viaggi e dove ora non vedeva l’ora di recuperare le ore di sonno perse a causa di un lavoro parecchio complicato. Pur se bernese, doveva ammettere di non amare i colori lividi dell’inverno, né le basse temperature. Il suo corpo, ma soprattutto la sua anima, bramavano il mare, il sole e le coste bagnate dalla risacca. Gli odori e le sfumature pastello della sua città non avevano su di lei alcun ascendente se non per gli stili architettonici e gli affreschi dei suoi palazzi, vero punto d’orgoglio di una Berna comunque da sempre internazionale. Forse la causa di quel suo lieve senso di non appartenenza stava nel fatto che per assecondare il lavoro dei suoi genitori non era potuta crescere in Svizzera, o forse per colpa della sua ultima relazione sentimentale, interrottasi bruscamente quasi tre anni prima, ma sta di fatto che nella sua città natale, Michiru non aveva legami affettivi solidi. Orfana di padre e con una madre violinista praticamente sempre in turnè, a Berna le rimanevano si e no un paio di amicizie e questo non aiutava la guarigione delle sue sottilissime radici.

Sospirando una densa nuvola di vapore, guardò la strada pronta per attraversare quando una macchina un po’ troppo vicina al marciapiedi, passò ad andatura sostenuta schizzandole di nevischio fangoso il bordo del cappotto.

Arretrando prontamente con un balzello, si guardò allargando un poco le braccia. “O, ma andiamo!”

Si, decisamente quella non era una buona giornata! Stringendo nervosamente labbra e cinghia della borsa puntò al bar più vicino masticando amaro. Qualunque cosa avesse deciso di fare non sarebbe certo andata in giro conciata in quel modo. Entrata nel locale, ordinato un caffè e chiesto dove fosse la toilette, cercò di porre rimedio al guazzabuglio e convintissima che quella fosse la giornata più sfortunata dell’anno, decise di tornarsene a casa prima che la sua sfida alla sorte avesse potuto portare esiti peggiori.

Questa cosa è ridicola! Sono due ore che giro a vuoto, pensò sorridendo forzatamente all’addetto della cassa prima di pagare la sua consumazione ed uscire. Michiru non era una donna che amava perdere tempo, non cincischiava avendo insito un pragmatismo invidiabile e se decideva che avrebbe fatto una cosa, il non riuscire la portava alla nevrosi. Così, con un diavolo per capello, si diresse verso una delle fermate della linea verde cittadina.

“Avrei anche potuto portarmi un ombrello, furba che sono!” Si schernì avvertendo fiocchi gelidi sul viso.

Cinque minuti dopo vide arrivare lentamente la vettura ed estraendo dal portafogli la tessera ferroviaria, attese con svizzera compostezza il suo fermarsi e l’apertura. Salì seguita da un altro paio di persone ed obliterato, si scelse un posticino singolo accanto ad uno degli snodi da dove avrebbe potuto godersi il centro in tutta la sua fiabesca atmosfera invernale. Passò svariato tempo e diverse fermate prima che si accorgesse di lui. Un ragazzo bellissimo, dritto in piedi a circa tre metri da lei, con la destra saldamente arpionata ad un palo e la sinistra che stringeva una brossure, concentratissimo nella lettura tanto dall’essere completamente avulso dal vociare degli altri passeggeri.

Nell’istante esatto nel quale riuscì a metterlo a fuoco, Michiru avvertì nel petto una scossa, la gola chiudersi di colpo, gli occhi spalancarsi e le guance andarle a fuoco. Distogliendo lo sguardo ebbe la certezza di essere arrossita e questo la destabilizzò ancora di più. Non pensò, non riuscì a farlo, strinse solamente la borsetta che aveva dimenticato sulle gambe cercando d’inalare ossigeno. Non era certo una novellina, aveva passato i trenta già da un po’ e il mondo lo conosceva bene, come conosceva l’amore, l’attrazione, il desiderio, la passione, ma quell’effetto choc, quel sentirsi improvvisamente stravolta da una semplice immagine non l’aveva mai provato.

Forzata da una curiosità dilagante, tornò a guardare in direzione del ragazzo iniziando ad osservarlo e più il suo occhio esercitato da anni di studi artistici indugiava su di lui, più ne era colpita. Così poté apprezzarne l’altezza, non spropositata, ma importante, il colore dei capelli, di un biondo quasi zecchino, il naso dritto, le orecchie piccole, i lineamenti delicati, estremamente delicati e quando il ragazzo alzò un poco il mento per controllare il tabellone della tratta, a Michiru balenò l’idea che potesse trattarsi di una donna. Le dita troppo affusolate. Le ciglia troppo lunghe. Lo sguardo troppo dolce.

 

 

Cazzo, cazzo, cazzassimo, stai a vedere che mi sono persa! Questi palazzi sembrano tutti uguali! Dannazione! Rendendo gli occhi simili a due fessure, Haruka comparò mentalmente le fermate del tabellone con quelle riportate sul retro della piantina disegnata sulla brossure del museo. Imbecille che sono! Devo averlo passato! Eppure dovrebbe essere bello grosso! Ma guarda che situazione di merda!

Sbuffando iniziò ad agitarsi. Non conosceva per niente Berna, c’era stata si e no tre volte e la neve non la stava aiutando rendendo tutto piatto ed omogeneo. Avrebbe potuto chiedere all’autista o ad un passeggero, ma era pur sempre Haruka Tenou e la cosa non era minimamente presa in considerazione, l’avessero arrestata per vagabondaggio. Poi, d’un tratto, dopo una lunga curva ed uno stridere di freni, comparve un massiccio edificio a due piani in stile classico, bugnato sotto, semi colonne sopra e alla bionda tornò il buonumore.

Eccoti qui grandissima carogna! Ed esplodendo un sorriso entusiasta, premendo il campanello di fermata saltò praticamente giù dal tram.

A passo svelto si diresse verso l’entrata del Kunstmuseum, dove un enorme cartellone annunciava una temporanea dal titolo il Futurismo e la velocità. Sfregandosi le mani eccitata come una ragazzina, oltrepassò la soglia per dirigersi alla cassa. Bagni, Bookshop, bar, sale, Haruka sapeva pianificare i suoi divertimenti al pari di un lavoro e quando ebbe tutto sott’occhio, partì alla scoperta delle prime opere.

 

 

Venti minuti ed era ancora li, in piedi di fronte all’entrata del museo a gelarsi le ossa e a chiedersi cosa diavolo le fosse saltato in mente. L’aveva seguita! Aveva spento la razionalità, il controllo e non appena la bionda era corsa fuori dalla vettura lei aveva fatto altrettanto non rendendosi neanche conto di farlo. Una cosa solo sapeva Michiru Kaiou; che non poteva lasciarla scappare. L’aveva vista guardarsi intorno confusa con l’aria corrucciata e vagamente preoccupata di chi non trova più un punto di riferimento, aveva stirato le labbra a quel fare spavaldo polverizzato man mano che le fermate passavano e la certezza di essersi persa montava, provando quasi tenerezza in quella caparbia ostinazione di dovercela fare da sola.

Ferma come un fuso intuendo di avere una profonda ruga in mezzo alla fronte, Michiru scosse la testa incredula. Sei impazzita! Comportarsi in questo modo è sciocco e volgare. Sei una Kaiou! Ma il panico di vedere quella donna allontanarsi, la consapevolezza che non l’avrebbe più rivista, l’avevano spinta al fare di un’adolescente ed ora era li, sguardo al cartellone pubblicitario mani sul grembo, a bagnarsi sotto la neve.

E per cosa? Cosa pensava di poter ottenere!

“Ormai la stupidaggine l’ho fatta. Tanto vale entrare. Comunque vada avrò visto una bella mostra.” Disse alzando leggermente le spalle protette dal suo cappotto avana e così mosse i primi passi verso la vetrata d'ingresso.

Mantenendo la calma chiese un biglietto alla cassa, oltrepassò il punto ristoro ed entrò nella prima sala stupendosi della poca affluenza nonostante fosse un fine settimana. Il tempo orribile di oggi, si disse iniziando ad osservare le prime opere, artisti italiani per lo più, ed anche se non poteva certo dire che quella fosse la sua corrente preferita, apprezzò lo stesso i colori e le forme dinamiche che inondavano l’ambiente. Leggendo le varie didascalie rise di se stessa e della paura che aveva di guardarsi intorno.

Così camminando compostamente lasciò che il suono cadenzato dei suoi passi rimbombasse per l’ambiente oltrepassando la prima sala per entrare nella seconda e proprio alla sua sinistra, voltata di spalle verso un pannello di plexiglass dov’erano esposte alcune opere, trovò lei che mani serrate ai reni se ne stava inchiodata tra un Balla ed un Depero. E a quell’immagine, a quelle spalle, a quei capelli corti un poco arruffati dall'umidità, Kaiou sentì l’adrenalina esploderle ai lati della fronte, lo stomaco infuocarsi e contorcersi allo stesso tempo, la salivazione sparire e la mascella serrarsi automaticamente fin quasi al tremore. Di nuovo.

Puntando lo sguardo al pavimento questa volta si diede dell’idiota. No, decisamente non era da lei comportarsi così e provare cose simili per una perfetta estranea.

Michi, ma che cosa ti sta succedendo! Alzando di scatto il viso sfidò se stessa in quello che per i suoi poveri nervi stava diventando un gioco al massacro e avvicinandosi alla sconosciuta l’affiancò sfoderando una sicurezza inimmaginabile fino a cinque secondi prima.

 

 

“Fichissimi!” Disse sommessamente con un sibilo ammirato.

Lo sapeva dalle recensioni che quella temporanea era una bomba, ma non avrebbe mai creduto che fosse tanto bella, tanto perfetta per lei. Dovrei sceglierne uno per il poster che vorrei, anzi, prima dovrei terminare la mostra e solo dopo decidere quale comprare. Certo… chi mi direbbe qualcosa se mi facessi un bel regalo e me li portassi a casa tutti e due?

Respirando distorse la bocca pensando al suo angusto bilocale ed al casino cosmico che regnava già così, senza che ci fossero altre cianfrusaglie tra i piedi.

Continuando ad osservare rapita le sfumature blu di Depero e quelle molto più calde di Balla, non si accorse di un’altra persona fermatasi accanto a lei se non quando un buon odore di mare unito al senso di disagio per essere sfacciatamente fissata, presero il sopravvento costringendola a voltarsi un poco. Guardando alla sua sinistra incrociò lo sguardo cobalto di una bellissima donna apparsa dal nulla, tanto che dovette fare proprio una faccia strana perché con un “mi permetto, ma credo che lei sia più un tipo da Balla” l’altra ruppe immediatamente il silenzio della sala colpendo ed affondando la corazzata Tenou in men che non si dica.

Dio se è bella, pensò la bionda travolta dall’intensità e dalla cromia di quelle iridi.

“A si? - Esordì sorniona mentre la sconosciuta muoveva leggermente la testa in segno d’assenso. - Io credo invece che sceglierò Depero... in omaggio ai suoi splendidi occhi.”

Stupita da quello sfrontato complimento, Michiru si fece forte della sua femminilità accettando la partita e rispondendo per le rime abbandonò completamente le paure che l’avevano guidata in quel folle pedinamento. “ Ben gentile, ma io sono sempre più convinta che lei sia un tipo da Balla.”

Apparentemente per nulla colpita, Kaiou si vide costretta ad ammettere quanto quella bionda fosse non soltanto affascinante, ma anche sapiente. Si vedeva, si toccava con mano quanta coscienza avesse di quel potenziale avuto in dote dalla natura e quanto avesse imparato a servirsene. Non le sfuggì infatti il suo calzarsi le mani nelle tasche di un cappotto che sembrava fatto su misura per lei, il metter su una postura rilassata, ma estremamente sicura, il sovrastarla con la statura dandole però spazio e lo schiudersi in un sorriso guascone di quelle labbra leggermente arrossate dal freddo in un misto d’innocenza e malizia.

“Non è da molto che è entrata alla mostra." Affermò Haruka guardando le leggere tracce di neve che ancora aveva la sconosciuta sulla spalla.

“ In effetti…”

“Ho dunque qualche altro minuto per convincerla della mia buona fede. Piancere, Haruka Tenou.” E le porse la destra.

“Piacere mio, Michiru Kaiou.” Rispose all’invito non prima di essersi tolta il guanto.

Un brivido, una scintilla, una folgore d’anima, questo provarono entrambe al contatto deciso dei palmi, tanto che stupendosi, continuarono a fissarsi azzerando tutto il resto.

 

 

“E così vivi a Bellinzona.”

“Lo so, non è Berna, ma la trovo più adatta alle mie esigenze.”

Abbandonato subito il lei per passare ad un più informale e volendo intimo tu, le due avevano proseguito la visita insieme, iniziando lentamente a scoprirsi, a svelarsi grazie a piccole concessioni di due caratteri a loro modo molto schivi. Non si erano fermate a parlare in un angolo, ma avevano sostato compostamente davanti ad ogni opera, lasciando spazio agli artisti così come alla voglia che avevano di conoscersi. Delicatamente. Senza fretta. Così Haruka aveva saputo che l’altra lavorava nel campo artistico, così come Michiru aveva capito come gli studi ingegneristici della bionda un giorno avrebbero potuto portarla a realizzare uno dei suoi più grandi sogni, ovvero lavorare per una casa automobilistica.

“E quali sarebbero le tue esigenze?”

Sedute ad un tavolino del punto ristoro provando piacere l’una dell’altra senza neanche domandarsi il perché si trovassero in quello stato di grazia, avevano deciso che fin quando il tempo non fosse migliorato, avrebbero atteso al caldo e davanti ad una buona consumazione, l’orario del treno che avrebbe riportato Tenou a casa.

“Il lavoro. Le bellezze naturali. L’insofferenza che da sempre ho per i posti troppo affollati.” Sincera alzò le spalle facendo ridere l’altra.

“Insofferenza per le persone?!” Chiese Michiru portandosi astutamente l’aperitivo alle labbra per assaggiarne un po’.

“Sarà che sono nata e cresciuta in una piccola cittadina di provincia, ma non amo le metropoli. Troppo caotiche e piene di gente per un tipo come me. E tu? Ti sei mai allontanata da qui?”

O si che si era allontanata e di svariati chilometri e per così tanto tempo che alle volte le sembrava di essere un’estranea in patria. “Diciamo che la domanda più corretta dovrebbe essere da quanto sono rientrata in Svizzera.” Un altro sorriso prima di spiegarle del lavoro di diplomatico del padre e del talento musicale della madre.

“A però! Allora sei una international woman.” Se ne uscì Tenou sinceramente ammirata tornando a farla divertire.

Sembra ancora più bella quando ride, pensò la bionda inondando le orecchie di quel suono.

“Diciamo che…, si, credo sia la definizione più appropriata che abbia mai ricevuto per il mio girovagare.”

Diverse, diversissime, sia fisicamente; una bionda, alta, spavalda ed un poco rozza, l’altra di statura media, castano chiara, composta come un felino, elegante. Una, international, l’altra restia ad allontanarsi dalla sua terra. Una riflessiva, l’altra irruenta e spesso per questo circondata da un mare di guai. Ma entrambe alla ricerca della metà del cuore sottratto loro alla nascita dal fato che rende tutti gli uomini soli fino al ritrovamento di quell’unico, piccolo, fragile componente di se.

“E dimmi, hai avuto modo di vedere qualche altra mostra sui futuristi? Magari in altri paesi?”

“In realtà… no. Ammetto che sia una corrente artistica molto interessante, ma preferisco l’arte fiamminga.”

Haruka ne fu sorpresa. “A me invece piace molto. La trovo calzante con quello che sono e che faccio.”

“La pilota?”

“Te l’ho già detto, mi piacerebbe, ma per adesso sono solo un meccanico qualunque. Non so se ti sia mai capitato di andare talmente veloce da sembrare di riuscire a fonderti con il vento, ma è questo quello che provo quando inforco una sella. E’ una sensazione pazzesca. Senti il cuore galopparti nel petto, la pelle del viso bruciare, l’adrenalina ribollirti dentro. - Presa dall’entusiasmo si rese conto di aver parlato più del dovuto. - Ma ti sto annoiando. Non credo tu sia una donna da moto.”

“Esatto, ma… potrei diventarlo.”

“E come?!”

“Se ne valesse la pena.”

Un sorrisetto sghembo e la bionda tornò a guardarle quella piccola frezza color acqua marina già notata in precedenza, semi nascosta sul lato destro della sua tempia. “Ed è in una delle terre dove hai vissuto che ti sei fatta fare questa?” Allungando due dita la sfiorò leggermente.

Abbassando la mano che stava sorreggendo il flute, Michiru distolse per una frazione di secondo lo sguardo facendole intuire di avere osato un po’ troppo.

Ritirando immediatamente la mano Haruka si morse il labbro. “Non sono affari miei. Perdonami.”

“No! Non ce n’è motivo. E’ solo… un promemoria.”

Già, un promemoria, per ricordarle, se ce ne fosse stato bisogno, di vivere sempre in pienezza la sua vita e tutto quello che il mondo ha da offrire, in particolar modo gli amori e gli affetti più cari. Alla morte del padre, avvenuta anni prima, Michiru si era resa conto che quello shock non l’aveva solamente maturata, ma le aveva lasciato una sorta di ricordo fisico imbiancandole una ciocca di capelli. Così aveva deciso di tingersela del colore del mare, elemento che adorava e che sentiva suo.

“Come un tatuaggio.”

“Esattamente. Come un tatuaggio, con il vantaggio però di potermene liberare quando più mi aggrada.” Nuovamente quella risata leggera, mai fuori posto, forse solo un tantino controllata e che ogni volta che esplodeva prendeva a vibrare nel petto di Haruka come la più armonica delle risonanze.

“Dimmi Tenou, sincerità per sincerità… , tu hai un promemoria?” Chiese Michiru tornando a guardare quel colore così compatto, denso, che faceva degli occhi di quella bionda un’arma micidiale al pari dei suoi.

“Questo non posso dirtelo Kaiou.”

“O Dio! E cosa potrebbe mai essere?! Un tatuaggio in qualche posto … compromettente?”

Serrando le labbra in una smorfia di finta disapprovazione l’altra le porse il piattino con gli stuzzichini per cercare di cambiare discorso. “Vuoi mangiarci su?”

Di contro, poggiando il mento nell’incavo della mano, Michiru le mostrò il calice colorato a tinte rosa. “Ho preso un analcolico... se vuoi intendere qualcosa.”

“Stavo scherzando. E' che non hai mangiato niente.

“Tranquilla, va bene così. Poi non credo sia molto importante ciò che si fa, ma… con chi lo si fa. Non trovi?”

Haruka raccolse l’esca lanciatale rispondendo con un timbro particolarmente basso. “Sono pienamente d’accordo.”

“Allora… me lo dici?”

“Accidenti! Non sei solita mollare l’osso... vedo.”

“Difficile.” Una voce soffice come il cotone.

“Mmmm. Va bene, te lo dico, ma non giudicarmi troppo severamente. - Indicando la gamba destra proseguì sporgendosi verso di lei. - Ho una piccola cicatrice sulla caviglia. Nulla di trascendentale se non fosse che me la sono fatta a tredici anni… in moto.”

“In moto?!”

“Già.”

”A tredici anni?!”

Allora Haruka scosse fieramente la testa in un assenso più che convinto.

”Ma era una mini moto.”

”No no. Una da Trial.”

”Santo cielo, un cucciolo volante.”

”Hei! Cucciolo si, ma anche allora ero parecchio tosta.”

E al vedere la bionda puntarsi il pollice al petto in una posa compiaciuta, Kaiou tornò a ridere. “E che promemoria sarebbe?!”

Poggiando le spalle allo schienale della sedia l’altra mosse in aria la mano con non curanza. “Mai scommettere di saper saltare un fosso dopo aver bevuto mezza birra e soprattutto mai farlo sapere alla propria madre se non si vogliono danni peggiori. Non ho mai capito se me le diede per la paura di aver saputo che sua figlia giocherellava con una moto o per il semplice fatto di aver soffiato una birra.”

“Credo per entrambe. Però, sapevi andare in moto già da bambina!” Una considerazione immediatamente smentita.

“In realtà non tanto da poter saltare ed in più in quelle condizioni. Figuriamoci, non avevo mai assaggiato un goccio d’alcol, perciò il risultato era praticamente scontato. Comunque non pensavo che avrei perso.”

“Non sei solita farlo?”

“Cosa, perdere? A parte la stupidaggine che feci allora, no, non mi capita spesso.”

Michiru iniziò allora a toccarsi le labbra con un pollice. “Interessante. Sei dunque una vincente.”

Alla bionda non sfuggì il gesto e ne godette. “In genere ottengo sempre quello che voglio.”

“Tranne nelle sfide sotto rallentamento etilico.” Sfotté bonariamente a quella frase che non conteneva ne conferme, ne smentite.

Poggiando gli avambracci al marmo del tavolo l’altra iniziò a sfregarsi le mani. “Ti do il punto.”

“Ben gentile. - Ricambiò Kaiou lasciando poi che lo sguardo cadesse al polso dove l’orologio non concedeva loro altro tempo. - Accidenti, a che ora hai detto di avere il treno?”

“Alle diciotto. Si… credo sia il caso che mi avvii.”

Fecero per alzarsi all’unisono quando posandole una mano sul braccio Haruka la bloccò. - Lascia. Faccio io. - E s’infilò il cappotto.

“Ma… sei nella mia città e perciò mia ospite.”

“Permettimi lo stesso. Vuol dire che la prossima volta toccherà a te offrirmi un aperitivo.” E zittendola con un occhiolino si diresse sicura alla cassa.

Ne sarei felice, pensò Kaiou mentre l’osservava fare la fila e l’idea di doversene privare così presto iniziava a roderla dal di dentro. Prese allora dalla borsa il cellulare compiendo l’ennesimo gesto irrazionale della giornata; ovvero scattarle una foto di nascosto. Non le importava di avere passato i trenta, di essere matura, così come non le importava che il suo leggero flirtare potesse essere scoperto, anzi in realtà ci sperava.

Prendendo il resto, la bionda ringraziò il cassiere avvertendo nuovamente quell’odore di mare provenire dalle sue spalle. “Sei pronta?” Chiese per poi voltarsi.

“Come?”

“Il tuo profumo… E’ molto buono. Ti dona.” E gli occhi di Haruka ebbero il potere di penetrarla ancora una volta.

Non guardarmi così, pregò porgendole il poster che aveva comprato al Bookshop. “Ti ringrazio. Tieni, il tuo Depero.” E vedendosi aprire la porta, uscirono dalla caffetteria iniziando a camminare verso l’uscita. Lentamente, molto lentamente.

Fuori buio e gelo le riportarono drasticamente alla realtà. Berna, i suoni del traffico, il via vai dei tram, la gente che frenetica aveva ripreso a camminare dopo la fine della nevicata, i primi spazzaneve già in funzione. Attraversando si ritrovarono alla fermata con un peso enorme addosso.

“Eccoci qui.” Disse Haruka infilandosi le mani nelle tasche.

“Vuoi che ti accompagni alla stazione?”

Certo che avrebbe voluto, avrebbe fatto di tutto per strappare qualche altro minuto in sua compagnia, ma non con il buio e con quel freddo. “Ti ringrazio Michiru, ma non ti disturbare. Non mi perderò vedrai.”

“Sicura?” E fece una faccia buffa tanto che l’altra scoppiò a ridere.

“Parola d’onore e poi non vorrei che non vedendoti tornare… qualcuno si preoccupasse.” Lanciò sul tavolo.

Era tutto il pomeriggio che avrebbe voluto farle quella domanda, chiederle se avesse il cuore impegnato. Aveva capito di non esserle indifferente, ma doveva sapere se poteva esserci un dopo o sarebbe finito tutto li; davanti ad una palina della linea verde di una delle tratte tranviarie di Berna.

Michiru scosse la testa. “Nessuno.”

“O… Allora vorrei che mi facessi una cortesia. - Tirando fuori dalla tasca interna del cappotto una penna, le prese il polso destro sfilandole il guanto per spostarle poi delicatamente la manica. - Mi avvertiresti quando sarai arrivata sana e salva alla tua magione?” Ed iniziò a scriverle sulla pelle.

Ridacchiando per il solletico, il gesto e la gioia, Kaiou alzò le sopracciglia inclinando la testa da un lato. “Hai sempre una penna a portata di mano?”

“Sono un tipo molto previdente. Ho anche un coltellino multiuso se lo voi sapere.”

“Svizzero?”

“Naturalmente.” Rispose giocosa non lasciando però subito quel calore. Lo tenne per se permettendosi di accarezzarla un poco con il pollice per poi tornare a fissarle gli occhi.

“Così fino a quando non laverai via il mio numero, penserai un po’ a questa imbrattatrice seriale conosciuta in un freddissimo pomeriggio bernese.”

A Michiru tremarono le gambe. “Lo avrei fatto comunque.”

“Davvero?”

“Si.” Soffiò mentre sopraggiungeva il tram ed Haruka le faceva scivolare la mano nella sua. Era così dannatamente difficile lasciarla andare.

“Allora, arrivederci Dottoressa Kaiou.”

“Arrivederci Ingegner Tenou. Mi raccomando… dritta a casa.”

La bionda stirò le labbra, si sforzò di allargare il palmo per abbandonare quel calore, lo alzò al gelo per richiamare l’attenzione dell’autista ed attese che le porte si aprissero. Michiru la vide salire per poi voltarsi e farle un ultimo saluto. In quel momento si sentì sola da morire.

 

 

Guardando la sua immagine riflessa nel vetro del finestrino, Haruka sbuffò ripensando a tutta quell’interminabile giornata. La serie negativa di coincidenze che l’avevano portata ad accumulare ritardi su ritardi le aveva donato l’incontro con una donna speciale, una perla rara. Il suo sguardo dolce condito da una leggera vena di tristezza, era stato in grado d’irretire un cuore da sempre autosufficiente, tanto da farle pensare che sarebbe stato bellissimo avere Michiru nella sua vita. Non le era mai accaduto di considerarsi una donna a metà, un essere incompleto, perché Haruka Tenou era una corazzata, una combattente, un falco solitario che sapeva benissimo provvedere ai suoi bisogni, di qualunque natura essi fossero. Non le mancava niente tranne l’affetto di una famiglia, un amore che la completasse, la scaldasse nei giorni gelidi come quello, la spronasse, la pungolasse, le andasse contro, ed era bastato il calore emanato dal palmo di quella donna per mettere in discussione tutto il suo stile di vita.

Notando solo in quel momento il contrasto stridente tra la luce dei led del vagone con il nero pece del panorama esterno, Haruka provò tristezza per quel distacco. Bianco e nero. Positivo e negativo. Inferno e Paradiso. Possibile che la linea di demarcazione fosse tanto netta? Che bastasse un incontro casuale per cambiare tutto? E se la trasmissione della sua auto non avesse ceduto? Se non si fosse fermata ad aiutare quella signora? O semplicemente, a più largo spettro, non avesse mai deciso di sfidare le intemperie per andare a vedere quella temporanea?

Portandosi la destra al viso respirò cercando il profumo di lei. Leggerissimo, quasi del tutto perso. Porca miseria, Kaiou, pensò mentre il cellulare le vibrava nella tasca.

Prendendolo al volo avvertì ansia.

-Arrivata sana e salva. Grazie ancora per questo piacevolissimo pomeriggio. Sei una persona bellissima. Hai saputo darmi tanto calore pur non conoscendomi affatto. Michiru.-

Haruka digrignò i denti. Un nodo alla gola forte come un maglio. Mai, mai aveva provato tutta quell’agitazione per una donna. Mai! Ne per il suo primo amore, in realtà una violenta infatuazione per una ragazza di poco più grande che a sedici anni le aveva portato in dote l’esperienza che come adolescente ancora non aveva, ne per le avventure consumate all’ombra di un’estate o quelle di una sera di solitudini. Mai. Mai quella tensione nella voce che aveva cercato di controllare per tutto il pomeriggio, mai quella costante nausea smorzata solo dall’alcol di un aperitivo, mai quelle deflagranti botte d’adrenalina ad ogni suo sguardo. Haruka Tenou era stata ingabbiata in qualcosa di più grande di lei e ne era pienamente cosciente. Inalando un grosso boccone d’aria si sistemò meglio sul sedile iniziando a digitare.

 

 

Michiru notò il cellulare illuminarsi e vibrare sul comodino di vetro vicino al divano. Sapeva già chi fosse. Non mancava mai di avvisarla quando stava sulla strada verso casa, soprattutto quando fuori era buio ed il tempo tendeva al brutto come in quella sera. Alle volte era solo uno squillo, altre un messaggio, altre ancora una serie di emoticon senza capo ne coda.

Posando sul granito della penisola il piatto di carne preparato per cena, andò a vedere. E si, un messaggio vocale. “Sto arrivando amore. Ho appena imboccato l’ultima salita. Ho una fame da lupi! Cibooo.”

Scuotendo la testa sorrise, ma non rispose per evitare di distrarla mentre era alla guida. Si concentrò invece sulla legna incandescente del camino. Prendendo l’ennesimo ciocco dal contenitore lo posò accortamente sul fuoco sistemando meglio un alamaro. Ipnotizzata dallo sprigionasi di nuove fiamme si accovacciò qualche secondo. Come era calda la loro casa di Bellinzona e come si sentiva protetta tra quelle mura. Niente a che vedere con l’appartamento che fino a cinque anni prima aveva occupato a Berna. Michiru ricordava perfettamente la velata sensazione di solitudine che l’accoglieva ogni qual volta faceva ritorno. Freddo. Sia che si trovasse in inverno che in estate. Vuoto d’anima. Era andata avanti per anni non curandosene, facendo finta di non avvertire nulla di diverso che un comodo e bene arredato contenitore per i suoi ricordi, i quadri e i libri collezionati in anni di viaggi. Ma poi era accaduto qualcosa, il destino o chi per lui le aveva donato un sole splendente al quale affidarsi e di colpo non era stata più sola. Improvvisamente la pelle e il cuore erano stati scaldati da due forti braccia che l’avevano desiderata prima e resa completa poi.

Alzandosi guardò sul ripiano una serie di foto incorniciate prendendone una; quella alla quale teneva di più, che non dimenticava mai di portare con se quando per lavoro era costretta a star lontano più di qualche giorno. Le aveva dato forza nei momenti bui, accendendole il cuore quando il suo sguardo si posava sull’immagine di quella bella donna alta, bionda, nell’atto di saldare una consumazione nel punto ristoro di un museo di Berna.

La chiave nella toppa girò e lei quasi non se ne accorse. La sentì entrare rimuginando qualcosa riferito alla pioggia che aveva preso a cadere già dalle prime ore del pomeriggio.

“Che tempaccio. Speravo nevicasse un po’, invece niente! Michi ci sei?!”

“Si Ruka, sono qui.” Rispose non staccando gli occhi dalla foto.

Era passato un lustro da quel giorno, da quell’incontro, da quel messaggio. Cinque anni nei quali le loro vite si erano fuse in una.

Sei una persona bellissima. Hai saputo darmi tanto calore pur non conoscendomi affatto. Non appena il pollice aveva premuto sul tasto d'invio ed il messaggio era partito, Michiru era stata attanagliata dalla paura di essersi esposta troppo, ma realmente Haruka era riuscita a darle tanto e la cosa l’aveva scossa a tal punto da infonderle il coraggio di gettarsi senza rete di sicurezza. Ed era stato un salto che avevano finito per fare in due. Dopo qualche minuto la bionda le aveva risposto ed improvvisamente quel monolocale non era stato più freddo, ne solitario.

-Tu sei bellissima… da mozzare il fiato e mi piacerebbe rivederti ancora. Questa volta però… da me.-

“Sfacciata.” Disse sentendo le braccia di Haruka avvolgerla da dietro.

“Che ho fatto questa volta?”

“Hai la coda di paglia, Tenou?”

“Ho imparato che con te è sempre meglio mettere le mani avanti.” Sfotté ridacchiandole nel collo provocandole un brivido.

“Stavo ripensando a quel giorno. Sono quasi cinque anni.” Mostrandole la cornice si accoccolò tra quel tepore.

“Già, l’anniversario del nostro primo incontro è vicino. Hai in mente qualcosa?”

“Potresti sorprendermi.”

“Mmmm… ci risiamo. Lo sai che in queste cose sono una zappa!”

“Non è vero. Sei solo pigra.” Voltando la testa la guardò di soppiatto.

“Come pigra?!”

“I primi tempi eri sempre sul pezzo…”

“Con un po’ d’impegno so ancora come farti tremare le gambe Kaiou.” Le sibilò maliziosa nell’orecchio.

“A si? - Girandosi nell’abbraccio alzò il mento stuzzicandola. - Sentiamo dunque.”

Sei tremenda, pensò Haruka serrando le labbra. Qualche secondo per pensarci su poi vergognandosi un po’ rilasciò un pesantissimo sospiro.

“Sai… certe volte… quando sono in macchina e sto tornando da te, o guardo l’ora seduta in qualche caffè aspettando di vederti comparire da un momento all’altro nel tuo incedere leggero, dopo un periodo di lavoro particolarmente stressante dove non siamo riuscite a vederci se non in orari assurdi, quando la sera entri in camera assonnata nel tuo pigiamone felpato, o la mattina, mentre sei ai fornelli intenta a preparare la colazione, di schiena, canticchiando, quando indossi un vestito per un’uscita speciale e sei abbagliante o ti guardo dormirmi accanto, nel nostro letto, serena come una bambina, bè… in quei momenti sento di amarti come il primo giorno, come quando mi moriva il fiato nella gola ad ogni tuo sguardo. Riesci ad emozionarmi, a stupirmi proprio come cinque anni fa, a farmi sentire la donna più felice e completa della terra e non credo proprio di aver fatto qualcosa per meritarmi tutto questo, ma ringrazio il cielo per avermi concesso tanto."

Prendendo fiato si rese conto di aver detto tutto in apnea. Sfiorandole il viso con un dito le sorrise dolcemente aspettando una reazione.

“Allora? Sono stata sufficientemente chiara?”

“Si.” Soffiò l’altra chiudendo gli occhi al tocco di quella carezza.

“Dunque questa pigra bionda è riuscita ancora a farti tremare le gambe…”

“Sss… si.”

“Bene… Perché ci ho messo un quarto d’ora di macchina per pensarla… e molto di più per impararla a memoria.” Se ne uscì soddisfatta.

Spalancando gli occhi Michiru le mollò una manata sulla spalla arretrando. “O… sei impossibile! Per te è sempre tutto una sfida!” E ripose la cornice sulla mensola del caminetto.

“Ed io che ci casco ancora! Muoviti che la cena è pronta.” Disse andando veloce verso la penisola continuando a borbottare come una vecchia comare.

Rimasta in piedi davanti alla bocca del camino, l’altra ghignò mettendosi le mani nelle tasche dei jeans. Era così facile coglierla in castagna quando riusciva ad aprirle il cuore come aveva appena fatto, così immensamente gratificante vederla ancora arrossire dopo tanto tempo. Michiru adorava sentirsi dire certe frasi, ma sapeva anche quanto non fosse da lei esporsi tanto, quanto fosse timida e quanto cercasse di eludere con lo scherzo l’enorme pudore che provava ogni volta che le diceva di amarla.

“So che fai del tuo meglio per essere romantica ed è per questo che non ti farò restare senza cena! Ma bada Tenou… dovrai sforzarti molto più di così per il nostro anniversario. Chiaro?” Minacciò con l’indice mimandole poi di avvicinarsi per aiutarla ai fornelli.

Stringendosi nelle spalle ed iniziando a tirarsi su le maniche del maglione, la bionda accettò la sfida e con uno dei suoi soliti sorrisetti andò verso la compagna pronta a rendersi utile. A pochi centimetri la costrinse a darle il viso con un dito sotto al mento.

“Dai che si raffredda tutto.” Cercò di opporsi Michiru ancora un po’ irritata.

“Amore…”

“Che c’è!?” Chiese sentendo la fronte di Haruka poggiarsi alla sua.

“Senza di te non sarei niente.” Sospirò prima di prenderle le labbra in un profondissimo bacio.

 

 

Note: Ciau, spero che questa one-shot vi sia piaciuta. Questa volta niente cose buffe, solo tanto sentimento e non essendo da me, spero di non aver combinato un casino. Comunque sono qui a vostra disposizione. Se qualcuna avesse il desiderio o la curiosità di approfondire una o più parti delle mie ff, fatemelo sapere. Anche in privato. Mi piacerebbe interagire con voi.

Per adesso un salutone e a presto!

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Capitolo 4
*** La prima di mille notti ***


La prima di mille notti

 

Legato ai racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

La vita che ho scelto”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

 

 

Lo specchio del suo armadio le diede di rimando l’immagine di una bella donna dall’aria nervosa. I capelli tagliati corti con la frangia leggermente cerata a coprirle parte della fronte, gli occhi di un verde intenso ed omogeneo, le spalle importanti, la corporatura slanciata e soda. Sbuffando sonoramente non concesse alla sua attenzione altro, soffermandosi invece sulla camicia bianca che avrebbe indossato per quella giornata speciale. Iniziando ad allacciarne i bottoni, sentì uno scampanellio lasciando momentaneamente che la T shirt rivelasse la morbidezza del suo essere donna per correre al cellulare lasciato sul comodino e leggere il messaggio che l’era appena entrato.

Non era ciò che avrebbe indossato a renderla nervosa, tantomeno quel ciuffo ribelle che da quando si era alzata quella mattina, aveva deciso di star dritto come un soldato prima del cambio della guardia. No, non era nessuna di queste cose che già di per se avrebbero mandato in paranoia qualsiasi donna sulla faccia della terra. Lo stomaco in bocca, la salivazione completamente azzerata, lo sfarfallio addominale e la convinzione, totalmente errata, di avvertire sul maglione scuro che avrebbe fatto da corollario alla sua vestizione, tutti gli odori tranne quello di pulito. E la cosa curiosa, quella che stava facendo imbestialire quella giovane donna ormai più che trent’enne, era che non aveva mai provato una tale ritorsione fisica per nessuna.

Proprio in virtù della sua bellezza e del fascino che aveva imparato a dominare e sfruttare nel corso degli anni, Haruka Tenou poteva dirsi esperta e talentuosa amante. Non che si considerasse una collezionista, un’avventuriera di letto, questo no, ma in quel contesto l’esperienza non le mancava e d’incontri galanti ne aveva avuti e condotti tanti. Soprattutto dopo l’adolescenza. Questa volta però era diverso. La donna che da li a breve sarebbe andata a prendere alla stazione, era diversa.

Leggendo velocemente il brevissimo messaggio di conferma del suo prossimo arrivo, rispose con uno scherzoso yes sedendosi sul materasso. Ecco una delle cose che rendevano speciale Michiru Kaiou; il pragmatismo. Non si soffermava mai in inutili e puerili giri di parole andando sempre dritta al punto, a volte riuscendo persino a spiazzarla e questo ad Haruka piaceva. Piaceva da matti. Aveva un potere negli occhi, in quel sorriso gentile, nel suo modo di porsi educato ed elegante, nella voce dal timbro pulito, che stuzzicava, destabilizzava, eccitava come prima di una gara, quando i dischi luminosi della partenza da rossi diventano verdi.

Ormai erano passate cinque settimane da quando si erano conosciute, cinque settimane dove la distanza tra Berna e Bellinzona non l’era mai sembrata tanto opprimente e come una scolaretta al primo amore, Haruka l’aveva percorsa con trepidante eccitazione ogni fine settimana, evitando così che fosse l’altra a spaccarsi la schiena nel freddo abitacolo di un’automobile. Con la neve a sputarle sul tergicristallo scattoso o il ghiaccio a laminare l’asfalto, con il sole tiepido dell’inverno o la nebbia del mattino, lei lo aveva fatto con diligente concentrazione, conscia di quanto valesse il passare tanto tempo a far su e giù fra i due Cantoni, di quanto questo non le pesasse affatto.

Afferrando distrattamente i jeans si beò dell’immagine del contatto. Una foto fatta ad una restia Kaiou solo un paio di domeniche prima, quasi di forza ad una donna che tutto sembrava sapere tranne quanto risultasse meravigliosamente bella anche in una semplice immagine.

O si che lo sai, si disse stirando le labbra, è solo che proprio non ce la fai a darmi una soddisfazione. Aveva lottato per farle quello scatto ignara di quanti invece gliene avesse rubati lei quando non guardava o era distratta da qualcosa e Tenou aveva mantenuto il punto sentendo lamentele e vedendo smorfie d’intolleranza solo per avere qualcosa di lei che le alleviasse almeno un po’ la distanza.

Ad Haruka era risultato subito chiaro quanto il carattere di Michiru fosse forte ed indipendente e quanto non amasse le imposizioni, quanto il suo essere una femmina alfa alle volte la rendesse impopolare soprattutto accanto a persone mediocri. Un comportamento che ai più sarebbe andato stretto, ma che a lei invece non dispiaceva, perché era più che ovvio che quella sorta di spocchia purosangue in realtà nascondesse ben altro. I rispettivi lavori avevano permesso alle due d’incontrarsi solamente poche volte, ma di telefonate ce n’erano state tante e pian piano Haruka aveva iniziato a capire che quella che Michiru portava sul viso era solo una maschera, una sorta di provocazione verso il mondo o forse sarebbe stato meglio dire verso un passato abbastanza duro a cui lei era sopravvissuta. Come la bionda, anche Kaiou era orfana di un genitore, come lei era uscita abbastanza malconcia dall’ultima storia importante, avvilita e ormai stanca della parola amore aveva costruito la sua personalissima fortezza della solitudine e come lei viveva circondata da pochissimi legami, soprattutto famigliari. Ma a differenza di una Tenou che poteva dirsi fortunata di portare ancora stretti nel pugno tutti i propri sogni, per l’altra non era affatto così.

Con semplice chiarezza la bernese le aveva confessato di aver subito un incidente che a soli sedici anni le aveva lasciato una piccola menomazione all’anulare sinistro. Nulla di particolarmente sconvolgente se non si fosse trattato della fine della carriera di una violinista già parzialmente affermata. Nel sentirla parlare di quello strumento che non avrebbe mai più potuto impugnare, Haruka l’aveva vista guardare lontano montando su un velo di malinconia che anche a distanza di vent’anni, immancabilmente, ogni sacrosanta volta, le velava gli occhi. Ma con altrettanta forza Michiru aveva cambiato discorso scostandosi dall’ennesima ferita, cosa questa che aveva provocato nell’altra un senso di protezione e di stima.

Controllando l’ora sul display, la bionda si sfilò il sotto della tuta per indossare i jeans finendo poi di allacciarsi la camicia ed infine indossando il maglione. Era al massimo. Michiru le aveva detto che sarebbe rimasta a Bellinzona due giorni e chissà, magari quella sarebbe stata una sera speciale.

Arrivando all’ingresso si fermò facendo il punto della situazione. Portafogli, cellulare, un pacchetto di gomme, cappotto, sciarpa, guanti e via, verso l’uscita chiavi in mano. Bloccandosi sulla porta già parzialmente aperta l’occhio le cadde sul bianco dei calzini e muovendo le dita si diede dell’imbecille.

“Si, però se non metto le scarpe…”

Cinque minuti dopo era seduta alla guida della sua vecchia Opel pronta per andare ad accogliere la sua ospite alla stazione per il loro primo weekend insieme.

 

 

Bellinzona le apparve all’improvviso come la più classica delle cittadine di provincia. Ben curata nel suo verde, tranquilla e sapientemente adagiata in una valle, fece bella mostra di se qualche minuto prima di arrivare in stazione. Michiru sorrise schiacciando la schiena contro il sedile imbottito del suo diretto. Per il lavoro dei suoi genitori prima e per il proprio poi, aveva viaggiato tanto, forse anche troppo per i suoi gusti e proprio per questo ci fosse mai stata una volta che si fosse trovata tanto bene in un posto da poterlo chiamare casa. Forse in Grecia, ad Atene, quando adolescente e complice il suo primo amore, aveva scoperto la propria sessualità sentendosi finalmente libera o in Giappone, a Tokyo, ultimo paese dove aveva potuto assaporare a pieno il gusto di avere la sua famiglia accanto. Brevi periodi intervallati dalla malattia del padre e dall’oppressione della madre. Sarebbe stato perciò bellissimo se quella città apparentemente tanto diversa dalle grandi metropoli dove aveva vissuto, fosse diventata talmente importante da riuscire a metterci radici.

Quanto lo spero, pensò socchiudendo gli occhi chiari alla luce filtrante dal finestrino. Nel profondo Michiru era basita da se stessa e del comportamento che aveva preso sin dal primo istante nel quale il suo sguardo si era posato sulla figura slanciata di Haruka Tenou. L’aveva seguita per mezza Berna, l’aveva abbordata e ci si era messa a parlare, così, come se nulla fosse, come se fosse stata quella la sua indole o il suo modo di fare. Nulla di più falso.

Si era forzata, ma nonostante un carattere schivo era riuscita a nascondere con summa maestria l’agitazione e la vergogna per quella serie di mosse per lei assurde, vincendo e direzionando l’attenzione di quella bionda meglio di un giocatore di scacchi, tanto da indurre l’altra a credere erroneamente di essere stata lei ad allacciare quella conoscenza. Era stata geniale e spiccatamente femminile e a distanza di settimane ancora si stupiva di tanta sfrontata capacità.

Guardandosi intorno notò le prime persone alzarsi e decise di farlo a sua volta. L’andare del treno era riuscito ad attenuare un poco l’agitazione che l’aveva portata a saltare a piè pari una buona notte di sonno, ma ora che la voce dell’interfono stava avvertendo dell’imminente arrivo sentiva prepotente il riaffacciarsi dell’ansia.

Teneva a quella donna, ci teneva talmente tanto da pensare di poter metter su famiglia anche senza conoscerla ancora bene, di spostare la sua residenza dall’internazionale Berna alla più rustica Bellinzona e di rimettersi in gioco nonostante le ferite che ancora sentiva di avere sul cuore. Ci teneva e la voleva nella sua vita nonostante avesse intuito quanto Haruka non fosse un tipo facile. Burbera, introversa, severa, erano gli appellativi che meglio dipingevano quella donna di un anno più grande, ma che sapeva anche mostrare con formidabile franchezza i suoi lati positivi.

Tenou era divertente, estremamente capace, empatica, soprattutto con le persone anziane e gli animali, intuitiva sotto molti punti di vista, bizzosa si, ma con simpatia, protettiva e neanche troppo velatamente gelosa, cosa che in un primissimo momento aveva dato fastidio alla libera Kaiou, ma che con il passare del tempo e soprattutto dopo il loro primo bacio, era iniziato a piacerle.

Si vede che ci tiene, aveva pensato all’occhiataccia che un paio di domeniche prima la bionda aveva riservato allo sguardo un po’ troppo indiscreto di un avventore di un caffè. E da come la studiava o le sfiorava la vita per lasciarla passare all’uscita di un locale, le teneva la mano o le aggiustava un ciuffo di capelli dietro all’orecchio, quella donna doveva essere anche molto, molto passionale. Per Michiru era diventato un tarlo ormai. Immediatamente dopo avere assaporato teneramente quelle labbra morbide davanti allo sportello aperto della macchina prima di doversi lasciare per l’ennesima settimana passata a distanza, la fantasia della bernese si era accesa di una serpeggiante libido ed ormai non passava notte che non pensasse e ripensasse a come sarebbe stato avere il corpo nudo di Haruka sopra il proprio.

Ed eccola nuovamente quella voglia di lei. Sospirando Michiru s’infilò il cappotto ed afferrando la borsetta e quella più voluminosa del suo cambio, si preparò a scendere. Molto probabilmente se si fossero potute vedere tutti i giorni avrebbero già dormito insieme ed invece con quel centinaio di chilometri a dividerle era tutto più difficile. E lei non voleva più aspettare. Questa volta non avrebbe avuto solo una giornata smozzicata, ma quarant’otto ore dove le avrebbe tentate tutte per alzare l’asticella di quel rapporto a distanza.

Quando scese attese sulla banchina controllando più volte il cellulare. Cercando uno spicchio di sole si piantò come una meridiana fino a quando non la vide arrivare con fare sicuro ed un tantino affrettato.

Alzando il braccio Haruka le sorrise e a Michiru sembrò di spiccare il volo. “Hei, … sono qui!”

“Sei in ritardo.” Rimproverò tenendosi per se quanto invece avrebbe voluto abbracciarla.

“Lo so, scusa, ma volevo fermarmi a prenderti questo.” E da dietro la schiena comparve un giovane stelo di orchidea alpina.

“Avrei voluto cogliertela io stessa durante una delle mie escursioni, ma non è periodo. E’ di serra. Ma è il pensiero che conta, no? Tieni, per il tuo primo fine settimana nel Ticino.” Disse sfoderando uno dei suoi classici sorrisetti ammaliatori.

“O Haruka, è bellissima.”

“Ti piace?”

“Si, tanto. Grazie.”

“Di nulla. Volevo che avessi qualcosa di bello proveniente dalle mie parti.”

“Ma io ho già qualcosa di bello proveniente dalle tue parti…”

E di tutta risposta Haruka le prese il viso tra le mani donandole un bacio. “Vogliamo andare?”

“Dove mi porti?”

“Un po’ in giro. Non sarà Berna, ma anche qui ci sono tante cose da vedere.”

“Finalmente vedrò la tua città. Sono settimane che aspetto.” Disse prendendola sotto braccio.

In effetti dopo essersi incontrate la prima volta in un freddissimo pomeriggio bernese, era stata Haruka ad invitarla da lei con un sms anche abbastanza sfacciato, ma poi, a mente fredda, si era resa conto di quanto non avesse pensato alle conseguenze. Aveva deciso di comprarsi una macchina nuova e perciò avrebbe dovuto iniziare a lavorare come una forsennata e questo se da una parte strizzava l’occhio al portafogli, dall’altra affossava l’ordine già precario del suo povero bilocale. I quaranta metri quadrati dove ora stava vivendo non erano poco curati o sporchi, ma di certo la mancanza di tempo non le permetteva nulla di più di un paio di lavatrici alla settimana ed una rapida spazzata. In più, anche se Bellinzona era una città gradevole, non poteva certo essere paragonata alla bellezza ed alle infinite possibilità di svago che aveva Berna, soprattutto in inverno, ed essendo Michiru un’appassionata e studiosa di arte, Haruka si sentiva un po’ in difficoltà nel farle da Cicerone. Per finire e cosa forse più importante di tutte, quell’inverno il tempo era spesso impietoso e non voleva che l’altra lo trascorresse sull’asfalto di un’autostrada. Questa volta però era stata Kaiou ad impuntarsi azzerando tutte le paranoie, a prenotare un albergo e a scendere da lei.

Così visto la giornata dal cielo variabile, si affrettarono nel tour dei castelli della zona per poi, allo scoccare dell’una, entrare a pranzare in un piccolo ristorante proprio dalla parte opposta della strada dove si affacciava la grande costruzione medioevale del museo Civico. Il locale era affollato di famiglie e vacanzieri in procinto di partire per le piste da sci, ma sembravano esserci solo loro due, sedute in un angolino appartato con vista sul giardinetto interno ancora parzialmente spruzzato dall’ultima neve.

“Erano anni che non faceva un freddo simile. - Sentenziò Haruka versandole dell’acqua. - Mi sorprende che tu non abbia voluto del vino.”

“Lo sai che non bevo molto.”

“Già, è vero… Ma credevo che visto il tempo…”

Michiru scosse la testa sorridendo. “Sto bene così, grazie.”

“Mi fa piacere… E’ un posto carino. - Ammiccò con timbro profondo. - Allora, raccontami… Com’è andato il viaggio? Questa notte al telefono abbiamo fatto le ore piccole e avevo paura che non saresti riuscita a svegliarti o ti saresti addormentata sul treno.”

“Niente di meno? Guarda che non sono più un cucciolo. Comunque durante il viaggio ne ho approfittato per leggere qualche articolo on line sulla tua città, tanto per non essere impreparata.” Rispose con nonchalance afferrando la forchetta.

“Ma che tipo che sei! Ed io che ti ho fatto da guida per tutta la mattina.”

“Non temere…, sei stata perfetta.” Disse afferrando negli occhi di Tenou uno scintillio soddisfatto.

“Sarà, ma non è giusto. La prossima volta ti porterò sulle piste, così vedremo.”

Alzando le sopracciglia Michiru le fece intendere di non aver capito ed Haruka iniziò a vantarsi di quanto fosse un asso sugli sci e di come fosse difficile starle dietro.

“Si può dire che io abbia imparato prima a sciare e poi a camminare.”

“A però! E cosa ti fa pensare che non sarei in grado di seguirti?” Stuzzicò assaggiando la portata.

Ingoiando a fatica il suo boccone l’altra si sporse in avanti socchiudendo gli occhi. “E’ così?”

“Può darsi.”

Tornando con la schiena eretta Haruka iniziò a studiarle il viso in cerca di un qualsiasi indizio che rivelasse un bluff, ma nulla, Kaiou era imperturbabile.

“Mi hai detto che sei nata a Berna, ma che hai sempre viaggiato molto...”

“Esattamente.”

“…in quanti paesi con il mare tu abbia vissuto e quanto ti piaccia il nuoto.”

Con lo sguardo Michiru la invitò a proseguire.

“Perciò penso che tu mi stia prendendo in giro.”

“A si? E perché? Ammetto che lo sci non sia tra i miei sport preferiti, come ammetto di non andare pazza per la neve ed il freddo in generale, ma non lasciare che questo ti forvi.”

“Vorrà dire che dovrò scoprirlo da me.”

“E’ una sfida?”

“Può darsi.”

“Allora dovremo far presto, perché la primavera è alle porte.”

“Tranquilla, c’è sempre l’inverno prossimo.”

“Sei tanto lungimirante?” Le venne da sorridere al pensiero che con quell’affermazione, implicitamente, anche Haruka pensasse al consolidarsi del loro rapporto.

“Io lo sono sempre, soprattutto quando vale la pena esserlo. Ti dispiace?”

Non abbassando lo sguardo Michiru scosse leggermente la testa e soddisfatte tornarono a mangiare.

Si presero tutto il tempo del mondo, fino a quando lo sguardo ferale del cameriere non suggerì che fosse il caso di andarsene. Aiutando Michiru ad infilarsi il cappotto, Haruka ne approfittò per rubarle un altro bacio, poi passando di fronte alla cassa salutarono ed uscirono in strada accorgendosi di quanto il tempo fosse cambiato. Le nuvole, che per tutta la mattina si erano alternate al sole, erano diventate una distesa grigio scura abbastanza minacciosa.

“Porca miseria, stai a vedere che piove?! Hai per caso visto le previsioni?”

“No.” Mentì.

“Faremo meglio ad avvicinarci alla macchina o rischiamo di bagnarci.”

Ma Michiru, che aveva un piano ben preciso e che sperava in quella perturbazione già ampiamente prevista dal meteo, si puntò sul basalto del marciapiede arpionandole un braccio. “No, dai! C’è ancora il museo Civico da visitare.”

“Lo vedremo domani. Ora sarà meglio andare. Quando il cielo è così scuro viene sempre un grosso scroscio.”

“E allora? Saremo al chiuso.”

“Come meccanico mi piange il cuore l’ammettere quanto sotto l’acqua la mia macchina faccia i capricci, perciò ti assicuro..., è meglio che quel rottame la pioggia non la veda neanche dipinta.”

“Ti prego Tenou. Il tempo reggerà. Vedrai.” E quella moina fu talmente convincente che sospirando l’altra cedete.

Così, forte dell’ennesimo punto conquistato, Kaiou gongolò fino all’entrata. Guardarono tutto abbastanza rapidamente, i quadri e le statue fiamminghe, le punte di freccia e i monili dell’età neolitica, il vasellame del settecento e dell’ottocento ticinese. Poi, alla sezione di paleontologia, Haruka spense il turbo rivelando l’ennesimo tassello di se, ovvero quello che molte donne, Michiru in testa, trovano più morbosamente rivoltante e spesso associato all’emisfero maschile; la curiosità per il macabro e le cose viscide. Passi per qualche animale impagliato o fossile di dinosauro trovato nella zona, ma quando alla bernese comparvero davanti agli occhi barattoli di rettili in formalina di ogni tipo e dimensione, fu chiaro che smaniare per andarsene non sarebbe stato sufficiente. La sezione di entomologia sugli aracnidi sudamericani fu ancora più raccapricciante ed Haruka ne venne attratta come un cane con un giochino gommoso.

“Non eri tu a volere entrare? Ora perché te ne rimani sulla porta?” Bacchettò dal centro di una grande sala piena zeppa di peluria strisciante illuminata da un’inquietante luce giallastra.

“Si, ma io volevo entrare in un museo, non nella sala degli orrori…”

“Questi non sono i quadri fiamminghi che ti piacciono tanto, vero?” Chiese con gusto spostando lo sguardo da una delle teche alla donna.

“Non è questo.”

“Ti fanno schifo, eh?!

“Abbastanza. Vogliamo andare?”

“E no Kaiou. Adesso ce lo godiamo tutto il giretto nel magico mondo della cultura.” Sfotté tornando a fissare le zampe pelose di una tarantola dalle dimensioni impressionanti.

Serrando la mascella Michiru guardò una delle finestre. Di pioggia neanche l’ombra. Accidenti, pensò scocciata, vatti a fidare delle previsioni.

Se non avesse piovuto il suo programma sarebbe anche potuto andare a monte o comunque subire una serie di variabili e lei quella sera voleva giocare sul sicuro. Decise perciò di soprassedere allo schifo che quelle repellenti creaturine le stavano provocando, concentrandosi invece sull’espressione assorta che la bionda aveva messo su. Era bella piegata in avanti con i palmi delle mani appoggiati alle ginocchia mentre avida leggeva le schede illustrative. Bella e cristallina quella che nella sua testa, ma soprattutto nel suo cuore, stava iniziando a considerare come la sua donna.

“Qui dice che un solo filo di ragnatela può portare duecento volte il peso del ragno che l’ha prodotta. Pensa che in ingegneria si stanno studiando dei prodotti molecolarmente simili, se non addirittura uguali.”

“Fantastico…” Sospirò massaggiandosi la fronte.

Infilandosi le mani nelle tasche Haruka tornò a guardarla. “I ragni sono su questo pianeta da duecentomila anni.”

“Ma… che… fortuna.“

“Non ce la fai più, he?”

“No, no. Fai pure! Ma non pretendere che mi avvicini più di così!” Sembra un racconto gotico scritto a quattro mani, aggiunse mentalmente.

Ritenendosi soddisfatta l’altra decise di finirla li. Questa volta il punto era suo. Andandole accanto la seguì nel corridoio, ma quando la vide sufficientemente tranquilla da poter sciogliere le spalle, gliele toccò con i polpastrelli ritmando una cantilena inventata sul momento. “Sono il ragno giallo che ti porta al ballo…”

Il sobbalzo fu immediato. “Haruka!”

Cercando di trattenersi dal riderle in faccia la bionda alzò le mani in segno di resa. “Ok, ok. Pace?”

“Non farlo mai più.” Minacciò alzandole l’indice davanti al viso.

“Va bene. - E la baciò. - Ma ora sarà meglio uscire prima che ti prenda un colpo.”

“Non sfottere…, credo di rasentare la patologia.”

“Guarda che sono parecchie le donne che hanno paura o semplicemente non amano i ragni.”

“Non mi consola affatto.” Chiuse scocciata per quella piccola fragilità.

Percorsero un lungo corridoio voltato che costeggiava le varie sezioni appena visitate, ed una volta scese le scale dell’ingresso si ritrovarono in strada proprio mentre la tanto agognata pioggia iniziava a scendere.

“Ma… è già buio?”

“Si, sono le cinque, ma è anche colpa di questo schifo di tempo. Dai Michiru, andiamo.” E prendendosi per mano iniziarono a correre tra passanti ben muniti di ombrello.

Il parcheggio dove avevano lasciato l’auto era abbastanza vicino, ma lungo quei seicento metri il cielo tirò giù talmente tanta di quella pioggia gelida che una volta sedute nell’abitacolo non rimase loro che guardarsi e mettersi a ridere.

“Accidenti a te Kaiou. Lo sapevo.”

“Ma che vuoi che sia. Per quattro goccie.”

“Quattro gocce? Aspetta e vedrai… Quattro gocce dice lei… “

Inserendo e girando la chiave nel cruscotto Haruka tentò di avviare il motore. Un suono tra il gutturale ed il cavernoso, una serie di sobbalzi, ma non avvenne altro. La bionda riprovò un altro paio di volte dando poi un colpo sul volante in segno di resa.

“Ecco le tue quattro gocce. La neve la regge pure, ma l’acqua… Tu non puoi neanche immaginare quanto tempo speso a star dietro a questo problema e quante volte la pioggia abbia già fermato questo vecchio scassone! E’ ora che mi compri un’auto nuova. Una come dico io!”

“Mi dispiace…”

“Dai, non importa. Più tosto sarà meglio che ti accompagni al tuo albergo prima che ti buschi un malanno. Ho un ombrello nel portabagagli. Ce lo faremo bastare.” Tenou stava per scendere quando si sentì bloccata per l’avambraccio.

“Haru…”

“Si?”

“Dovrei confessarti una cosa, ma non vorrei che mi considerassi… un po’ troppo audace.”

Sbattendo le palpebre l’altra sembrò perdersi. “E cioè?”

“La prenotazione dell’albergo...”

“Si?”

Una piccola pausa poi Michiru sparò. “Non esiste.”

“A no?”

“No.”

“Allora fammi capire…, dove pensavi che avresti passato la not…” Bloccandosi guardò un sorrisetto furbetto nascere sulle labbra dell’altra e finalmente comprese.

“Dunque…, sono stata troppo audace?”

Questa volta fu Haruka a fare una lunga pausa ad effetto per poi afferrarle la nuca e baciarla profondamente. Staccandosi a fatica da quel nettare inebriante che erano le tracce del suo lucidalabbra, se la guardò studiandone i lineamenti, come a volerseli imprimere nella memoria. I capelli bagnati a sgocciolarle lungo i lati delle guance, gli occhi di cobalto ardente, il sorriso sicuro. Michiru era spettacolare.

“Assolutamente no. Aspettami qui.” Soffiò raucamente aprendo lo sportello al cielo acquoso.

Il tempo di afferrare l’ombrello e la piccola borsa da viaggio di Kaiou nel portabagagli ed in due salti le arrivò davanti. Michiru si vide aperta la portiera ed issandosi alla sua mano tesa si sentì cingere in un forte abbraccio.

“Casa mia è un po’ lontana e non credo che un misero ombrellino ci salverà, ma tieniti ben stretta, ok?”

“Ok.” Ed iniziarono a camminare a passo svelto.

In effetti ci misero un po’, ma dopo una mezz’ora la palazzina dove risiedeva Haruka apparve loro come la prima di una piccola strada secondaria. Passato il vialetto, la bionda lasciò ombrello e borsa all’altra ed estraendo le chiavi dalla tasca del cappotto aprì il portone di vetro facendola passare.

Era abbastanza agitata, perché avendo visto il bilocale di Kaiou così ben curato e ricco di cose belle, il suo, dozzinale e disordinato, era imparagonabile e stridente.

Cercando di non badare al nervosismo le afferrò una mano portandola verso le scale. “Non c’è l’ascensore, ma per fortuna vivo al primo piano.”

“Allora andiamo.” Incoraggiò l’ospite non staccandole gli occhi di dosso.

Michiru non badò minimamente alle anonime pareti color tortora dell’ingresso, alle scale dai gradini in breccia bianca, alle cassette della posta in legno o alle piante che cercavano di abbellire l’ambiente, a lei interessava solamente Haruka e il dove viveva o quello che faceva per farlo, francamente poco le importava. Quello che invece notò fu il repentino cambio termico che avvertì non appena la bionda aprì la porta per accendere la luce dell’ingresso. Dal freddo pianerottolo dove una corrente abbastanza maligna stava filtrando dai finestroni a nastro delle scale, si passò ad una temperatura più mite e piacevole.

“Grazie al cielo i termosifoni sono accesi. Senti qui che bel calduccio. - Disse richiudendo l’anta blindata prima d’invitare la sua ospite a passarle il cappotto fradicio. - Tu e il tuo museo… Guarda qui come ti sei conciata.” Rimproverò notando come Michiru la stesse guardando.

Quegli occhi erano tutto un programma ed Haruka, che aveva spesso visto il desiderio nello sguardo di una donna, dovette forzarsi per fare la degna padrona di casa invece di lasciarsi andare alla passione. Inginocchiandosi afferrò un paio di pantofole dimenticate al lato della porta iniziando a sfilarle gli stivaletti.

“Purtroppo ho solo queste, perciò usale tu. Si può dire che per casa io giri solo in calzini.” E notando quanto il piede di Kaiou fosse gelido iniziò a massaggiarlo causandole un immediato brivido di piacere.

“Che piede piccolo che hai. Nulla a che vedere con il mio quarantatrè. Per me rimarrà sempre un mistero il vedere come tu faccia ad essere tanto agile con i tacchi.”

“Tacchi? Cinque centimetri li chiami tacchi?”

“Sei un tipo da spillo?” Chiese guardandola stupita.

“A volte, ma bisogna vedere il contesto. Per esempio… con un vestito da sera…” Ammiccò lasciando cadere volutamente la frase.

“Mi piacerebbe vederteli addosso. - I polpastrelli si spostarono sinuosi alla caviglia. - Tra circa un mese la stagione concertistica entrerà nel vivo… - Poi più su, al polpaccio. - … e visto che la classica ti piace tanto, potremmo andare a vedere qualcosa… “

“Mi faresti felice.”

“Allora è deciso. Vorrà dire che ti mostrerò quanto bene io stia in abito scuro.”

Socchiudendo per un attimo gli occhi al caldo tocco delle mani della bionda, Michiru le accarezzò la testa umida. “Le tratti sempre così le tue ospiti.”

“Questa è la prima volta che mi sento talmente a mio agio con una donna da lasciarla entrare nel mio caotico casino.”

“Davvero?”

“Davvero.” Confermò passando all’altro piede.

Michiru non commentò. Non era una cosa detta per caso e lei ne apprezzò ogni singola sfumatura.

Quando Haruka ritenne che i piedi della sua ospite si fossero sufficientemente riscaldati, si alzò facendole strada al centro della sala da pranzo dove sul tavolo un pezzo di motore faceva bella mostra di se. Notando la faccia perplessa messa su da Michiru, la bionda mise prontamente le mani avanti.

“Capita spesso che mi porti il lavoro a casa. - Si scusò accendendo la luce del bagno. - Vuoi farti una doccia calda? Io intanto metto su un po’ di acqua. Ti va un te?”

“Non disturbarti…”

“Hei, non sono mica stata allevata dai lupi, perciò tranquilla. Allora, qui ci sono gli asciugamani puliti e nella doccia troverai tutto quello che serve. Come si dice in questi casi? Fai come se fossi a casa tua.”

“Grazie.” Disse rimanendo però ferma fuori dal bagno mani nelle mani.

“Che c’è?”

“Tu non hai voglia di farti… una bella doccia?”

“No, per ora sto bene così. Fai con calma, io metto su il bollitore.” E lasciandole un bacio sulla fronte le sorrise andando a prenderle la borsa con il cambio.

Li per li Michiru rimase un po’ spiazzata, ma imputando quella sorta di rifiuto al carattere introverso della bionda, chiuse la porta iniziando a spogliarsi.

Altro che rifiuto. In realtà Haruka avrebbe non soltanto voluto farsi una doccia di coppia, ma usare su di lei tutto il bagnoschiuma per insaponarle la schiena, le spalle, il petto e qualcos’altro, con voluttà ed una buona dose d’indecenza. Ora però doveva assolutamente fare una cosa prima. Ne andava della sua immagine. Fiondandosi in camera accese l’interruttore aspettandosi il casino che faceva ogni qual volta aveva un appuntamento e puntualmente questo apparve in tutta la sua smisurata magnificenza.

“Cazzo, lo sapevo!” Lamentò alla distesa d’indumenti sparsi sul letto mentre l’acqua della doccia iniziava a scrosciare.

“Va bene, calme. Stiamo calme. Ho tempo. Noi donne abbiamo un rapporto carmico con le docce. Ce la posso fare!”

Maglioni, un paio di pantaloni, tre magliette, calzini sporchi e puliti a raggiera, più il telecomando dello stereo e, non si sa perché, quello del televisore della sala da pranzo.

“Ecco dov’eri. - Disse stupita fissandolo per poi fargli fare una palombella dalla sua stanza al divano. - Vai li che a te penso dopo.”

Iniziando il rastrellamento afferrò tutto scaraventandolo nella prima anta dell’armadio, poi procedette a sfilarsi i pantaloni, i calzini zuppi ed il maglione ridotto leggermente meno peggio. A rigor di logica quella roba sarebbe dovuta andare dritta dritta in lavatrice, che però ricordò improvvisamente essere nel bagno. Rimanendo con quei panni umidi tra le braccia Haruka ebbe un black out. E ora?

Guardandosi intorno cercò mentalmente una soluzione e non trovandola alzò le spalle e con un chi se ne frega, aprì la seconda anta gettandovi tutto dentro. “Ci penserò domani.”

Saltando sul letto che si trovava al centro della stanza arrivò alla cassettiera afferrando una coppia di calzini asciutti e riprendendo il sotto della tuta dimenticato qualche ora prima, indossò il tutto per poi compiere a ritroso lo stesso percorso e fiondarsi in soggiorno.

“E nooo, qui è anche peggio.”

Ormai il pezzo di motore era stato visto, ma per tutto il resto doveva fare qualcosa. Via in un cassetto il controller della play e rimesso a posto il telecomando della televisione non le rimaneva che tutto il resto. Iniziando a raccogliere le riviste di moto sparpagliate sul divano e mettendole con cura sul tavolinetto insieme ad un paio di libri, tolse di mezzo una tazzina sporca con piattino e cucchiaino al seguito maledicendo la sua scarsa vena casalinga.

“Voi andate nella lavas…” Guardando in direzione dell’angolo cottura si rese conto della presenza dei piatti non lavati del giorno precedente.

Merda, pensò sentendo lo scroscio d’acqua interrompersi di colpo. Colta dal panico guardò in direzione del bagno. No, no, no, no…

Mentre stava per uscire dal box, Michiru sentì la voce di Haruka da un punto indistinto dell’appartamento. “Puoi anche lavarti i capelli se vuoi.”

“No, grazie. Vorrei però dargli una botta di phon. Posso?”

“Certo. Lo trovi sul davanzale della finestra.” Urlò giubilando al tempo guadagnato.

Tutto nella lavastoviglie che mai come in quel momento le sembrò l’elettrodomestico più utile per una single e poi via, alla ricerca del bollitore. Allora Ruka, concentrati. Sai di averlo, adesso devi solo trovarlo, pensò, ma naturalmente con i secondi contati, le pulsazioni nel cervello e l’adrenalina a mille, non fu cosa facile e dovette aprire tutti i pensili prima di arrivare a dama.

Eccoti bestia, ringhiò impacciatissima riuscendo a tirarselo sul piede.

“Fanculo…” Sfondò salticchiando sull’altro mentre reprimeva di peggio.

Raccogliendolo lo riempì d’acqua prima di metterlo sul fornello. Un grosso respiro per non darsi fuoco nell’accensione del gas e non avvertendo più il suono della pioggia sui vetri della finestra, gettò uno sguardo fuori. Stava spiovendo.

“Neanche a farlo apposta…” Borbottò dando una botta di straccio ai ripiani disseminati di briciole.

Così quando Kaiou ricomparve ignara del panico che aveva scatenato, tutto l’appartamento Tenou sembrava apparentemente essere stato domato e messo a catena.

“Fatto?!” Le chiese la bionda voltandosi per rimanere di sasso.

Michiru comparve come una Venere cinta dal suo accappatoio. I capelli leggermente arruffati. La pelle accaldata dall’acqua bollente. Lo sguardo sicuro di una donna che sa quello che vuole e come ottenerlo.

“Si. Vieni qui un attimo.”

E lei obbedì senza neanche un fiato. Prendendole un polso Michiru la portò al centro del bagno ed accendendo il phon iniziò ad asciugarle la testa.

“Ora tocca a me prendermi cura di te.” Disse lasciando che le dita le sfiorassero la base della nuca.

Il fremito fu immediato. Di tutta risposta Haruka strinse i pugni arrivando a conficcarsi le unghie nella carne.

“Hai messo su l’acqua per il te?” Chiese intimamente soddisfatta della reazione che le stava provocando.

“Si.”

“Sei veramente una perfetta padrona di casa.”

“Mmmmm…”

“Dico sul serio. Sono molto a mio agio. Come tu non sei solita portare donne nel tuo appartamento, io non sono solita entrarvi.”

“Ti sta bene il mio accappatoio. Solo un po’ lungo.”

“Mi sono permessa.” Soffiò spegnendo il phon.

Un rapido movimento di bacino e la bionda se la strinse contro accarezzandole il bordo del mento col il dorso di un dito. “Hai fatto bene.”

“Sa di te. Non ho potuto resistere.”

Le loro labbra stavano per sfiorarsi quando un fischio acuto le fece allontanare di colpo.

“Cosa…?!”

“Il bollitore?” Ipotizzò Kaiou.

A si, quello stramaledetto. “Già… Non c’è che dire; ottimo tempismo.” Ed entrambe scoppiarono a ridere.

“Haruka…, lo vuoi davvero il te?”

“No… Io avrei voglia di un’altra cosa.”

“Allora… sarà meglio che tu vada a spegnere quel coso.”

 

 

L’acqua calda le formicolò sulle spalle inondando ogni centimetro del suo corpo. Sentendosi accolta come in un bozzolo liquido, Haruka poggiò la schiena al piano delle mattonelle alzando il viso al doccione. Era presto? O era tardi? Uscendo furtivamente dalla stanza per non svegliare Michiru, non aveva controllato che ore fossero. Non le interessava. Con molta probabilità era già domenica mattina e visto il silenzio che regnava fuori, dovevano essere al massimo le sei o le sette.

Passandosi una goccia di sciampo sulla mano iniziò a massaggiarsi i capelli serrando gli occhi alla schiuma. Era stanca, leggermente apatica. Soddisfatta, soprattutto fisicamente. L’ansia che l’aveva accompagnata per tutto il giorno precedente aveva ceduto il posto a sensazioni dimenticate da anni, come la gioia, il tenere fra le mani una cosa bella, il doverla maneggiare con cura perché preziosa, il volerla proteggere perché rara. Non era stata solo una notte ininterrotta di sesso e di scoperta, ma il completamento di un percorso che due donne si erano ritrovate a fare insieme, con voglia, speranza ed una buona dose di paura per le incertezze che l’inizio di ogni nuova storia porta con se. Il completamento di un percorso dunque e l’inizio di un altro, perché adesso che l’asticella si era alzata, tutto avrebbe dovuto prendere contorni nuovi e più impegnativi. E questo spaventava ed eccitava allo stesso tempo.

Abbassando il viso al getto, Haruka iniziò ad insaponarsi con il bagnoschiuma. Accarezzandosi le braccia riattivò le sensazioni tattili avvertite solamente qualche ora prima, quando Michiru le aveva tolto la camicia lasciando che la stoffa le scivolasse sugli avambracci. Un brivido l’accese mentre le dita dell’altra andavano sovrapponendosi alle sue nel ricordo del loro vagare. Prima al viso, mentre baciandosi si erano spostate dal soggiorno alla camera da letto, poi alla T shirt, che la bernese le aveva afferrato dalla vita sfilandogliela sapientemente dalla testa, ed infine al seno, privato del suo intimo e rimasto così nudo ed esposto mentre ad un assaggio di labbra ne seguiva un’altro ed un altro ancora, sempre con maggior voracità.

Si erano baciate, assaggiandosi la pelle del collo, del mento, delle clavicole, prima che stirando un sorriso libertino, Haruka non andasse a scioglierle la cinta di spugna dell’accappatoio rivelando alla sua crescente bramosia le grazie che Michiru ancora nascondeva.

“Dio del cielo, quanto sei bella.” Aveva elogiato di meraviglia.

Da quanto tempo non si sentivano così coinvolte, quanto tempo avevano trascorso nell’errata consapevolezza che mai nessuna donna sarebbe più riuscita a riaccendere quel fuoco dilagante che adesso le stava consumando. Haruka l’aveva allora trascinata sul letto permettendole di toglierle con leggerezza il sotto della tuta.

Lo scrosciare dell’acqua distolse per un secondo la bionda da quel freschissimo ricordo. Sospirando pesantemente lasciò correre la destra al fianco e da li alla sua nudità. “Ma cosa mi stai facendo Michiru?”

Una domanda che quella notte aveva già espresso all’altra dopo aver raggiunto l’apice del loro piacere.

Tra respiri smozzati e sudore, perdendo il viso nei capelli di un’altrettanto scossa Kaiou, la risposta l’era arrivata con la medesima sconvolta scoperta. “La stessa cosa che stai facendo tu a me, Haruka.”

L’amore le aveva consunte fino a lasciarle prive di forza l’una nelle braccia dell’altra e quando il sonno era arrivato, finalmente si erano arrese alla stanchezza e senza neanche accorgersene si erano addormentate. Il giorno le avrebbe trovate ancora così se Haruka non avesse sentito la necessità di alzarsi.

Chiudendo l’acqua la bionda uscì dal box afferrando un asciugamano. Prima di forzarsi ad allontanarsi dal letto si era beata dei respiri morbidi dell’altra, domandandosi a più riprese cosa stesse succedendo. Fino a due mesi prima la sua vita ruotava attorno al lavoro, a qualche amico e ad un paio di hobby, tra i quali guidare la sua amata moto, ora grazie a Michiru tutto aveva preso ad assumere contorni nuovi. Era stata già innamorata in passato, ma mai così, anzi, il pensare di dividere gli spazi, le cose, i sogni con qualcuna, l’aveva sempre spaventata. Improvvisamente, non soltanto c’era una splendida donna avvolta fra le lenzuola del suo letto, ma la cosa non l’impensieriva affatto, semmai non capiva come avesse potuto farne a meno prima.

“E’ quella giusta… - Si disse guardandosi allo specchio. - Ne sono sicura.”

Di Kaiou le piaceva tutto; il fisico, la fragranza della pelle, la morale, l’orgoglio, lo spirito, il cervello, la cultura, il modo di porsi e quello di ascoltare. Con due caratteri come i loro si sarebbero certamente scontrate ogni tre per due, ma Haruka n’era convinta, ne sarebbe sempre valsa la pena.

Una volta asciugatasi la testa e preso dell’intimo pulito dalla asciugatrice, uscì dal bagno trovando in un angolo del soggiorno la sua camicia e raccogliendola, ridestò quel sorrisetto sardonico che parecchie volte quella notte le aveva disegnato le labbra. Di Michiru gradiva anche la sensualità con la quale era riuscita a spogliarla. Le sue mani addosso erano state un idillio dall’inizio alla fine. Prima l’avevano accesa per poi placarla, quando ormai sazia, Tenou si era lasciata accarezzare i capelli come un cucciolo sfiancato. Dolce e perversa quella figlia di Berna, gioia per l’udito, per il tatto, per l’olfatto, per la vista ed infine, per il gusto.

Infilando alla meno peggio i bottoni nelle asole, Haruka aprì uno stipite afferrando caffè e biscotti. Avendo una fame pazzesca decise d’iniziare a preparare la colazione per fare cosa gradita anche alla sua ospite e concentrata nel ricordo di quell’amore, non si accorse minimamente che Kaiou la stava guardando appoggiata allo stipite della stanza da letto.

Michiru stirò le labbra. Illuminata dalla luce del giorno quella ragazzona bionda era davvero uno splendore. E pensare che in un primissimo istante aveva addirittura creduto fosse un ragazzo. In questo momento in te non c’è proprio nulla di maschile, mia bella Haruka, si disse inclinando il viso da un lato per guardarle meglio le gambe. Ottenebrata dal desiderio, la notte precedente non ne aveva avuto la lucidità, così ora si prese un po’ di tempo per studiarne le onde del corpo. Oltre naturalmente al viso, le spalle erano forse la cosa che insieme al suo lato B le piacevano di più. Erano forti e fiere ed invogliavano ad essere strette. Anche le sue mani davano un senso di protezione. Sapevano stringere, ma con rispetto, sapevano accarezzare e sciogliere qualsiasi resistenza. Erano riuscite a farle inarcare la schiena più volte e di rimpetto aveva dovuto mordersi le labbra per non urlare di disperata voglia.

Forse solo il suo primo amore l’aveva fatta sentire così amata, ma allora era ancora troppo giovane per apprezzare a pieno ogni cosa di quel sentimento. Di Haruka ancora non conosceva molte sfaccettature, ma quali altre sorprese avrebbe ancora rivelato quel meraviglioso scrigno fatto di gesti irruenti e modi gentili? Mi sto innamorando, ammise iniziando a camminare. E non ne aveva paura.

Quando la bionda si sentì stringere da dietro trattenne per un attimo il respiro per poi afferrarle le mani. Accoccolandosi sulla sua schiena Michiru ne catturò il tepore.

“Sei calda.” Affermò.

“In inverno posso far comodo, ma d’estate… le persone scappano.”

“Addirittura?”

“Da piccola mi chiamavano il termosifone. - E sentendola ridacchiare gonfiò il petto tronfia. - Hai fame?”

“Si. Cosa stai preparando?”

“Caffè, te e quello che in questa casa non manca mai, ovvero un pacco di biscotti e della cioccolata.”

“A però Tenou, siamo golose?”

“Non sai ancora quanto. Dammi un attimo.”

“Io l’ho detto che eri una perfetta padrona di casa.”

“Mia madre mi diceva sempre, Ruka, l’ospite va onorato.”

“Ruka?”

“Si, mi chiamava così. Tranne quando combinavo qualche casino, allora il sentire HARUKA TENOU, mi faceva gelare il sangue nelle vene.” Ricordò indicando con il pollice una piccola cornice d’argento dove una foto ritraeva sua madre e lei poco più che vent’enne.

“Che bella donna. Le somigli tanto.” Ammise capendo da chi avesse preso l’oro dei capelli, il colore degli occhi e la forma del naso.

“Grazie, ma in realtà sono sputata a mio padre, soprattutto caratterialmente. Il che non mi fa impazzire di gioia. Questa però … è un’altra storia.” Voltandosi scoprì solo in quel momento il pizzo di una camicia da notte sotto una sensuale vestaglia a binata.

Inarcando le sopracciglia se la guardò con una leggera punta di lussuria. “E queste?”

“Il tuo accappatoio era ancora umido.”

“Capisco…”

“Ti piacciono?” Chiese avvicinando le labbra al lobo dell’orecchio sinistro.

“Parecchio. Anche perché lasciano intravedere quello che c’è sotto.”

“Sfacciata.” Articolò chiedendole le labbra per un bacio che si protrasse fino all’inevitabile fischio del bollitore.

Guardandosi tornarono ancora a ridere, perché la cosa stava diventando comica. “Ho capito… Tu vai pure a sederti sul divano, io vado a mettermi qualcosa addosso e poi facciamo colazione.”

“A me stai benissimo così.”

“Si?”

“Assolutamente...” Michiru sorrise iniziando a guardarsi intorno.

Nulla da dire, in quell’appartamento tutto parlava di lei ed era per questo che aveva fatto di tutto per entrarvi, per capire ancora meglio il complicato mondo Tenou. I poster sportivi appesi alle pareti, i libri un po’ messi alla rinfusa sulle scaffalature di una libreria d’angolo, il televisore, sproporzionatamente grande e il tavolo da pranzo pieno zeppo di cacciaviti e chiavi inglesi. Dimenticato su una sedia c’era persino un casco, retaggio delle corse sfrenate che la bionda faceva nei mesi più caldi. Perfettamente incorniciato ed appeso con una cura tutta speciale, c’era anche il poster di Depero che Haruka aveva acquistato il giorno che si erano conosciute. Riconoscendolo Michiru si avvicinò ricordando il motivo di quella scelta. Credo che sceglierò Depero... in omaggio hai suoi splendidi occhi.

“Sta bene in quella cornice cobalto, vero?” Chiese la bionda riportandola nel presente.

“Molto. Come mai per gli altri non hai usato la stessa accortezza?”

Tenendo fra le mani un vassoio con un bel po’ di roba sopra, Haruka fu talmente diretta da lasciarla quasi stordita. “Perché non rappresentano nulla, lui invece mi ricorda la fortuna che ho avuto nell’averti incontrata.”

Non vedendola muoversi, la bionda aggrottò le sopracciglia. “Che c’è?”

“Hai detto una cosa bellissima.” Ammise facendola vergognare.

Poggiando tutto sulle riviste dimenticate in bell’ordine sul tavolino, le andò vicino afferrandola per i fianchi. “Tu credi nel destino?”

“A volte. In queste ultime settimane mi sono spesso domandata cosa sarebbe successo se anche una delle cose che ci hanno portate ad incontrarci non fosse accaduta.”

Haruka guardò altrove. Non si sarebbero mai conosciute, le loro vite sarebbero rimaste le stesse e tutto avrebbe continuato a scorrere come al solito. Colta da un lampo di tristezza se la strinse al petto.

“Ma ora siamo qui.”

“Si e voglio godermi ogni singolo istante… Inclusa la colazione che hai preparato.”

Sentendosi scompigliare la frangia, la bionda si riprese e portandola verso il divano la fece accomodare iniziando a versarle del te che l’altra accettò mentre tornava a guardare la foto nella cornice argentata.

“Ruka… E’ molto dolce.”

“Se ti fa piacere… usalo. Non mi dispiacerebbe tornare a sentirlo.”

Michiru se ne stupì. “Lo usava solo lei?”

“Si. Non ho mai permesso a nessuno o a NESSUNA di chiamami così. Era una cosa nostra. Della nostra famiglia.”

“E tu vorresti…” Le tremò la voce e di colpo abbassò lo sguardo.

“Scusa. Chiamami come ti pare. Anche termosifone, se ti va.”

Rialzando immediatamente il mento Michiru tornò a guardarla dritta negli occhi. “Ne sarei onorata.”

“Di chiamarmi termosifone?” Ci scherzò su per stemperare l’imbarazzo.

“No, sciocca.”

“Ah, meno male. Non è che mi piacesse un gran che.”

“Ruka…” Ripeté cercandole nuovamente le labbra.

No, non si stava innamorando. Lo era già e con tutta se stessa.

 

 

Note: Ciau, spinta da più parti mi sono decisa a scrivere un’altra one shot di questa raccolta. Spero vi sia piaciuta. Chi mi segue sa già che non amo sconfinare nella zona rossa, non tanto per incapacità, quanto per pudore, perciò accontentatevi di questo vedo non vedo e dei vari sottointesi che ho lasciato qua e la.

Vi auguro un buon Natale, anche se non so quanti di noi riusciranno a passarlo in famiglia o con le persone che amate.

Mi farò presto viva. Per il momento un abbraccio fortissimo!

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Capitolo 5
*** Il cosplay di Haruka ***


Il cosplay di Haruka

 

Legato ai racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

La vita che ho svelto”

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou e del gruppo Sailor appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

Ringrazio Arwen297 per la chicca di avermi informata di questo evento appena svoltosi a Bellinzona ed avermi suggerito di far passare ad Haruka un brutto quarto d’ora hahaha.

 

 

 

Bellinzona - Aprile 2019

 

 

Haruka voltò il busto sterzando il volante con cinica indolenza. Possibile che anche quella strada fosse chiusa? In retromarcia provò ad addolcire il piede evitando l’ennesima coppia di folletti dalle folte acconciature turchesi.

“Porca di quella puttana!”

“Amore…” La redarguì una Michiru tranquillamente seduta lato passeggero con l’Iphone nelle mani.

“AMORE questo cavolo, Michi! E’ mezzora che giriamo! Per la miseria… ,voglio tornare a casa! Lo sai che c’è il Gran Premio oggi!”

“Certo che lo so, ma montar su rabbia non servirà a nulla.” Sottolineò serafica continuando a far scorrere il pollice destro sul display.

“Ma di un po’, il sito del Comune non dice proprio niente su tutto sto' casino?!” Chiese una bionda esasperata compiendo un plateale gesto con la mano per poi tornare a concentrarsi sulla guida.

“Ma che. Qui danno solo le date del Festival, ma di strade interdette ai mezzi privati neanche un cenno.”

“Potevamo starcene a casa e invece no!”

“Adesso sarebbe colpa mia Haruka?!” Staccando definitivamente lo sguardo dal sito chiuse per poi fissare la compagna armeggiare con la leva del cambio.

In effetti era stata sua l’idea di una colazione in uno dei locali più graziosi del centro, ed approfittando del fatto che anche Tigre avesse finito il latte e del sole splendido di quell’inizio di primavera che sembrava invitare ad una passeggiata domenicale, era riuscita a schiodare un’abitudinaria Haruka dal consueto rito pre gara per trascinarla con orgoglio fuori dalle quattro mura domestiche. Ma mai scelta si era rivelata più nefasta ed ora, riuscite chissà come ad entrare nella zona rossa, si ritrovavano a non poter più uscire a causa d’improvvisi blocchi municipali saltati fuori ad ogni dove.

Respirando sonoramente, Tenou strinse con frenetico istinto omicida il volante di pelle puntando un Pokemon di specie acquatica piantatosi proprio al centro della carreggiata. Chissà quanti punti guadagnerei se lo mettessi sotto, pensò prima di rispondere stizzita.

“Non ho detto che la colpa sia tua Kaiou.”

“Bene, anche perché vorrei ricordarti che ieri sera era tuo il compito di…”

“… di prendere il latte per Tigre. Si, lo so, lo so. Va bene, scusa.”

“Meglio.” Soffiò tornando a guardarsi in torno.

Nervosismo a parte stavano vivendo una situazione al limite del paradossale. Il centro storico di Bellinzona, con i suoi palazzi ottocenteschi, le strade curate dal verde pubblico, le piazze ingentilite dalle fontane barocche, le mura delle sue rocche medioevali, erano state letteralmente prese d’assalto da un’orda di simpatizzanti cosplayers venuti da tutta la Svizzera, Italia settentrionale compresa, per partecipare all’annuale Festival Giapponese e lei, assolutamente avulsa dal mondo degli anime e dei videogiochi, non si era neanche presa la briga di verificare dove e quando la kermesse si sarebbe svolta. E la ciliegina sulla torta era stata quella di portarsi dietro una compagna in piena astinenza da televisione. Nelle ultime tre settimane Haruka aveva lavorato talmente tanto in scuderia che il Gran Premio d’Argentina per lei era veramente diventato un premio, una medaglia alla dedizione per un periodo particolarmente stressante che Michiru, inconsapevolmente si intende, stava rovinando.

Accidenti, questa volta credo proprio di averla combinata grossa, si ritrovò a pensare la donna abbassando leggermente la testa. Forse sarebbe quanto meno il caso di comprarle un dolcetto, anche perché non credo che ne usciremo tanto presto.

“Senti amore, parcheggiamo un attimo. Vado a parlare con uno dei vigili.” Optò sperando che una rapida capatina in una pasticceria e delle buone notizie viarie sarebbero bastate per raddrizzare la situazione.

“Come vuoi, ma fa presto. Ho come l’impressione che ci guardino tutti.”

“Non essere paranoica. E’ la macchina che guardano, non te mia splendida bionda.” Concluse languida come solo lei sapeva fare e schioccando un bacio sulla guancia di Haruka, si sciolse dalla cintura di sicurezza per uscire dall’abitacolo borsetta alla mano.

Si, si… la macchina. Ghignò l’altra squadrandole il lato B mentre si allontanava nella sua gonna fluttuante per inserire poi le quattro frecce ed iniziare a messaggiarsi con un paio di tecnici della sua squadra.

Una decina di minuti dopo, una ventina di guerrieri di diverso ordine e grado, quattro elfi e sette bambini travestiti da Hobbit, Tenou iniziò a dare di matto fulminando qualsiasi cosa si muovesse intorno alla sua Mazda. Inforcando i Ray ban ed aprendo la portiera al sole, piantò le suole sull’asfalto alzandosi pronta a guerreggiare con il primo drago di turno. Letteralmente. Una cosa a forma di lucertolone gigante le passò accanto osando darle un mezzo spintone.

“Hei! Stai attento! - Abbaiò sentendosi chiede scusa dalla pancia del costume. - “E che diamine, ma non ce l’hai una casa!”

Intollerante fino alla nevrosi, la bionda iniziò a scrutare tra quella informe folla colorata fatta di personaggi allegri di ogni forma e natura in cerca della sua compagna, ma di Michiru neanche l’ombra. “Dove sei Kaiou?!” Si domandò mentre poggiando entrambi gli avambracci sulla carrozzeria del tettuccio prendeva a scuotere la testa sconsolata e fu allora, tra tante voci, che ne saltò fuori una dall’accento squillante.

“Scusi?!” Ed una pacca sulla schiena la costrinse a voltarsi di scatto.

“Si?” Rispose sulle sue inquadrando il soggetto.

E qui si trovò di fronte una batteria di sette ragazze in minigonna e body attillati, con acconciature al limite dell’assurdo, grandi fiocchi appuntati al petto ed armate, per così dire, chi di lunghe aste, chi con spada o scettro. Rosso, verde, azzurro, in pratica ognuna di loro aveva un colore specifico che ne caratterizzava quella specie di divisa pseudo marinaresca ed alquanto succinta. Sbattendo le palpebre Haruka si tolse gli occhiali mandando in visibilio la piccola truppa.

“E’ identica!” Urlò una di loro portandosi le mani alla bocca mentre quella che l’aveva fatta voltare le arpionava con fare sicuro il braccio fasciato dal chiodo.

“Uranus!” Giubilò dilatandole contro due fari azzurrissimi imbevuti di una sorta di rispetto.

“Chi?”

“Potrebbe anche essere.” Sottolineò un’altra figurante dall’aspetto leggermente più maturo delle altre. Alta, magrissima, con lunghi capelli neri ed una specie di alabarda con una grossa sfera vermiglia all’estremità stretta fra le mani guantate di bianco e nero.

“Ma dai Pluto… è lei!” Continuò la più giovane stringendo con maggior forza il braccio della bionda.

“No… guardi signorina che qui ci deve essere un errore.”

“Nessun errore. Noi ci conosciamo da tanto!” Se ne uscì scherzosamente.

Il panico. Il panico vero! Tenou iniziò a pensare di stare facendo una colossale gaffe. Mentalmente scorse con meticolosa accortezza tutte le storie di una sera e non, avute prima d'incontrare la sua Michiru, poi, vista la giovane età della ragazza, prese random i ricordi degli ultimi anni non trovando però alcun collegamento con quella buffa faccia paffuta dai capelli acconciati in due grossi odango biondi.

“E Neptune?” Continuò senza alcuna pietà gettandola ancora più in confusione.

“Dai Usa, non credere che ci sia anche lei, sarebbe troppo bello.” Ne convenne un’altra dall’aria leggermente meno frivola dell’amica.

“No Mina, io sono sicura che ci sia anche una Sailor Naptune, vero?” E rivolgendosi direttamente ad una bionda ormai completamente fuori fase logica, attese conferma.

In tutta onestà Haruka non poté che ammettere che un’altra donna ci fosse. “Dovrebbe tornare a momenti, ma non credo proprio si tratti di questa Sailor non so ché di cui state parlando…”

“Uauuuu.” E i decibel esplosi da quella piccola bocca contornata da un leggero velo di lucidalabbra ebbero il potere di polverizzarle l’udito.

“O Dio del cielo, ma ti sei drogata?!” Abbaiò strattonando via il braccio.

“Lascia perdere l’entusiasmo della nostra amica e cerca di capire che la tua somiglianza con Uranus è davvero impressionante.” Scusò glaciale quella con l’asta mettendo maternamente una mano sulla spalla della più giovane.

“Mi fa tanto piacere per voi, anche se non so assolutamente di chi stiate parlando.” Haruka lo vide, la percepì lampante la delusione che innescò in alcune componenti del gruppo e ne provò inconsciamente vergogna. In fin dei conti non le avevano chiesto nulla e lei le stava trattando male senza alcun motivo.

Provando a recuperare uno straccio di decenza stirò le labbra scusandosi spiegando loro di capirne molto più di albi Marvel che del mondo anime.

“Io non so di cosa stiate parlando, mi dispiace. Vorrei avere il vostro stesso entusiasmo, ma non…”

"Guarda.” L’interruppe quella vestita d’arancio mostrandole un disegno raffigurante il gruppo al completo.

Ed in effetti. “Tu sei tale e quale alla guerriera del sistema solare esterno che noi chiamiamo Uranus. Stesso viso. Stessa corporatura. Stesso sguardo.”

E stesso caratteraccio, ne convenne mentalmente la donna dal nome Pluto bloccando la sua arma tra le braccia conserte.

“Cosa stai guardando di tanto interessante… amore?” Michiru riemerse tra il fusto di un grosso albero ed un gruppetto d’inquietanti Shinigami.

La Sailor arancione e la piccola Usa, che fino a quel momento erano state le uniche del gruppo a provare tanto interesse per Tenou, si voltarono all’unisono sgranando gli occhi.

“O porca…” Grufolò la prima mentre l’altra tirava indietro il collo colpita ed affondata.

“Michi, dov’eri finita?” Chiese la compagna speranzosa nel potersi finalmente liberare del gruppo.

E come in una sottile vendetta di coppia, Kaiou, che da lontano aveva assistito a tutta la scena non cogliendo però il succo della conversazione, per la faccia leggermente intimorita della compagna si sentì soddisfatta come dopo un buon punto di stoccata. Haruka era per natura una donna riservata, ma non disdegnava affatto, di tanto in tanto, fermarsi ad attaccar bottone con qualche ragazza particolarmente graziosa o interessante. Non lo faceva per ottenere qualcosa, perché nulla voleva da altre che non avesse già dalla sua dolce metà, ne caricava di malizia i suoi approcci, ma pur sapendo quanto la cosa infastidisse una Kaiou piuttosto gelosa, se la rideva innescando spesso e volentieri musi lunghi e discussioni di varia natura.

“Dopo aver parlato con i vigili ho pensato di fare una capatina in pasticceria per prenderti questi. - Sorniona sventolò leggermente il sacchetto bianco continuando. - Ho trovato parecchia fila alla cassa, ma vedo che hai comunque avuto modo di passare il tempo in piacevole compagnia.”

Colpo di taglio ed Haruka serrò la mascella con vittimismo lasciandola quasi intenerita. “Si, vedi…, ecco no è che le signorine qui mi stavano dicendo che assomiglierei ad un certo personaggio di… quale anime sarebbe?” Chiese alla Sailor arancione sempre con gli occhi fissi su Michiru.

“Sailor Moon…” Soffiò lei puntando l’attenzione alla frezza acquamarina che s’intravedeva sul lato destro della folta capigliatura castano chiara di Michiru.

“Interessante. - Ammise mentre Tenou le porgeva il disegno. - Ma non conosco.”

“O cribbio… E’ Neptune!” E quella chiamata Usagi ripiombò stivali e scettro nel loop interrotto qualche secondo prima.

“Ci risiamo. - Sbuffò Haruka mentre la compagna alzava le sopracciglia divertita. - Ok, è stato un piacere, ma adesso dovremmo andare. Buona prosecuzione e…”

“Aspetta!" Tornando a bloccarle il braccio, la ragazzina si voltò verso le altre chiedendo loro d'invitarle a partecipare al concorso.

“Cosa?”

“Perchè no, Pluto?" A quella innocente domanda, che ad ogni singola persona amante di quella particolare opera nata come molte altre da un manga e poi sviluppatasi in un anime dalle fortunatissime vicende, sarebbe nata spontanea nel vedere quelle due donne, tutto il restante gruppo iniziò a prendere in esame la cosa.

“A quale concorso vi stareste riferendo?” Chiese Michiru immaginandosi qualcosa.

Fu allora che Setsuna, la più matura, al secolo Sailor Pluto, iniziò a spiegare alle due l’idea di Usagi. “Vedete, noi rappresentiamo le Sailor, ovvero le guerriere del Sistema Solare, sia esterno, che interno. Siamo venute qui per partecipare al concorso indetto dal Comune per il Festival Giapponese. Ci stiamo preparando da sei mesi, ma proprio all’ultimo due di noi hanno dovuto rinunciare.”

“Fatemi indovinare… - L’interruppe Haruka. - Sailor Neptune e Sailor Uranus?!”

“Esattamente. Per carità, siamo intenzionate a gareggiare lo stesso, ma sappiamo di partire svantaggiate rispetto ad altri gruppi sailor.”

Ma perché… ce ne sarebbero altre come queste qui? E mentre una dissacrante bionda sfotteva mentalmente la cosa, in Michiru iniziava a formicolare per la testa una fantasia.

“Credi davvero che potremmo essere all’altezza delle vostre compagne?” Chiese umile.

“Michi?”

“Lasciami fare Haruka.” La zittì con un gesto permettendo a Setsuna di proseguire.

“Non potete neanche immaginarvi quanto.”

“Ma vi siete viste?” Rincarò la Sailor arancione con il simbolo di Venere bene evidenziato tra il fiocco.

“Alla luce di questo devo ammettere che potremmo anche essere convincenti, ma… i costumi?”

“Michi!” Continuo' a guaire Haruka.

“I Fuku li abbiamo noi!” Confermò Usagi guardando adorante una Tenou terrorizzata dalla piega che stavano prendendo le cose.

“I che? Occhio, vediamo di non scherzare! Ma poi… chi vi conosce!”

“Haruka non essere maleducata. E’ solo un concorso dai, potrebbe essere divertente! Cerca di essere elastica ogni tanto. In fin dei conti la nostra Bellinzona è piena di gente spensierata, vorrà pur dire qualcosa, no?!”

“Si, che si sono tutti pippati funghetti allucinogeni!”

“Ruka!”

“Ruka un accidente!” Liberandosi da quei piccoli artigli che erano le mani della biondina dall’acconciatura a polpetta, fece dietro front aprendo lo sportello dell’auto per sedersi pronta alla ritirata più fulminea della storia dei cosplay.

“Aspetta… - Michiru si sporse all’interno avvicinandole la bocca all’orecchio. - Mi concedi almeno il diritto di replica,... per favore?!”

“Io me ne vado a casa, Kaiou. Se vuoi rimanere qui a farti prendere per il culo da mezza città, fai pure. Ho un GP da vedermi ed una scura da gustarmi. Verrò a prenderti non appena avrai finito di giocare alla guerriera planetaria con queste quattro sgallettate in minigonna.”

“Vorresti lasciarmi qui da sola?” Sottolineò offesa.

“Vorresti farmi indossare quel costume?” Controbatté viso a viso.

Haruka non poteva saperlo, perché Michiru non aveva mai osato confessarglielo, ma era da quando l’aveva vista gironzolare la mattina dopo aver fatto l’amore per la prima volta vestita solamente di una camicia, che sognava di guardarle le gambe accarezzate da una plissettata minigonna. Ora che vedeva tra i chiaroscuri di un’innocente gara il succo dolce di quella perversione, non si sarebbe fatta scappare l’occasione avesse dovuto giocar sporco per ottenerla. E così fece. Giocò sporco e sotto sotto, ci provò anche un discreto gusto.

Soffiandole sadica nel timpano le rivelò di avere una cosa che la bionda stava desiderando e cercando da tempo.

“Scambio equivalente Tenou.”

“Non c’è nulla che tu possa offrirmi che non riesca già a prendermi almeno un paio di volte alla settimana… mia cara Michiru.” E si piantò gli occhiali sul naso pronta ad accendere il motore.

“Non essere volgare e comunque sei tu che dovresti ammettere che spesso e volentieri sono IO a prendermi il dovuto tra le pieghe del nostro letto, mia cara Haruka.”

“Tzs… Cosa potresti offrirmi per costringermi a fare quello che non voglio?”

“Una cosa che potrebbe chiudere una volta per tutte la tua spasmodica ricerca da nerd…”

La bionda si riportò allora gli occhiali sulla testa girando il collo per guardarla con freddezza. “Stai bleffando! Non può essere quello che penso….”

“Chi può dirlo?! Forse si. Forse no.” Disse sottovoce come in un confessionale.

“Non giochi con me, mia bella signora. - Sbuffò sonoramente stringendo tra pollice ed indice la chiave già inserita nel cruscotto. - Ma si può sapere cosa avrei fatto di male per meritarmi tutto questo?”

“Nulla, è solo che vorrei fare questa cosa con te amore. Il tuo regalino te lo darò comunque…, magari tra una settimana o… a Natale. Perciò sta a te scegliere.” Concluse sfiorandole il lobo dell’orecchio con un bacio gentile per poi uscire dall’abitacolo e tornare dalle ragazze.

Tra una settimana? A Natale?.... No! Io lo VOGLIO SUBITO, CAZZO! Sbattendo il palmo contro al volante uscì di scatto chiudendo violentemente lo sportello. “Ma sia ben chiara una cosa e lo dico a tutte! Ho una reputazione da difendere, perciò non mi metterò nulla se prima non mi garantirete l’anonimato!”

“Ti daremo una mascherina…” Suggerì Setsuna di malavoglia. Che bisogno c’era di fare tante storie poi.

“Come Tuxedo Masc!” Esplose Usagi e ad Haruka vennero le lacrime agli occhi.

“Cosa sarebbe un Tuxedo Masc?” Chiese lamentosa sapendo di stare per fare una delle più grandi figure di M della sua vita.

 

 

Tornarono a casa in un orario indecente. Saltarono il pranzo, saltarono la gara GP, saltarono il riposino pomeridiano e i lavoretti domenicali ai quali erano abituate. Saltano tutto.

Strusciando i piedi come dopo un turno in miniera, Haruka accese la luce dell’ingresso mentre la compagna richiudeva la porta alle loro spalle intimamente soddisfatta del buon risultato della loro performance. Avevano vinto. Paradossalmente erano riuscite a sbaragliare la pur eccelsa concorrenza. Ma se da un lato il risultato aveva inorgoglito tutte, Michiru in testa, dall’altro aveva innescato un retroscena fatto di foto in pose plastiche, autografi e ritiro del premio. La bionda, nei panni della guerriera di Urano, aveva accettato tutto, parlando poco e grugnendo anche meno, aspettando con pazienza quasi orientale il momento nel quale, arrivata in zona franca, sarebbe eruttata come se non peggio di un super vulcano. Kaiou sapeva per esperienza che la quiete avuta durante il ritorno si sarebbe ben presto evoluta nella più temibile delle tempeste, come sapeva che quella finta bonaccia nascondeva la certezza quasi matematica di una litigata epocale e preparandosi alle folate, sgattaiolò nel suo studio prima dell’accensione della miccia.

“Batti in ritirata Kaiou?” Esordì la bionda sfilandosi la giacca di pelle per togliersi poi le scarpe.

“Fai bene! Non avrei mai creduto che un giorno saresti arrivata a farmi fare una cosa tanto umiliante. Sei stata… “ Cercò la parola giusta non trovandola.

Meschina? Dittatoriale? Egoista? Respirando pesantemente calzò le pantofole provando un irrefrenabile voglia di sfasciare qualcosa.

Passando accanto al piano della penisola, baciò la testa del suo piccolo Tigre accettando il miagolio di bentornato. “Mi fa salire il sangue alla testa e ti ho vista sai, come mi hai guardata una volta uscita dal camerino con quello striminzito costume addosso. Il mantello… La mascherina… - Prendendo una ciotola di vetro iniziò a versarci il latte comprato al ritorno. - Ma che senso ha?!”

Dallo studio nessuna replica. “E quella piccoletta poi! Mi è stata incollata addosso tutto il tempo! - Aprendo e riponendo il cartone del latte nel frigo, guardò sconsolata le poche provviste rimaste. - Non sono mica fatta di pietra! Poi t’incazzi se guardo le altre!” Rimuginò volando con la mente al succinto costumino indossato dal gruppo.

Che palle, ho una fame. Neanche la spesa abbiamo fatto! “Michiru... allora! - Urlò per farsi sentire. - Che scuse abbiamo?!”

Ancora nulla e questo le fece saltare la vena del collo ancora di più. Afferrando birra e bicchiere, stappò e si versò da bere per poi andarsi a sedere sul divano. Al sentore di una brutta discussione, Michiru faceva sempre così; la lasciava sfogare sapendo che troppo spesso la lingua tagliente della sua bionda poteva far male, poi, una volta finito d’inveire contro il soggetto di turno, le si piazzava davanti pronta ad un dialogo costruttivo. La maggior parte delle volte finiva tutto in una bolla di sapone.

E così avvenne. Passata più di mezz’ora, Kaiou venne fuori dalla stanza tenendo un pacchetto tra le mani. Mettendosi a cavalcioni sulle gambe della compagna le sfiorò le labbra con le sue chiedendole scusa.

“Ti sei comportata in un modo orribile Michi.” Sentenziò l’altra continuando a tenere gli occhi sullo schermo attaccato al camino che aveva acceso per cercare di calmare i nervi.

“Lo so. - Le alitò al lato del collo provocandole un brivido. - Ma se ti fossi vista bene non…”

“Mi sono vista benissimo ed è per questo che mi fumano a mille!” La bloccò per i fianchi guardandola seria.

“Mi hanno fissato tutti per tutto lo stramaledettissimo pomeriggio.”

“Erano ammirati Ruka!”

“Ma piantala…”

“Fammi parlare. - Pregò posandole un palmo sulla guancia. - Ho mancato di tatto lo riconosco, ma è da sempre che sognavo di vederti in gonna. Sei così bella. Lo so, è stata un’azione sleale, ma quante volte ti ho chiesto d’indossarne una e tu mi hai dato il due di picche?”

“È per questo ti sei sentita in diritto di ricattarmi!”

“Haruka mi conosci troppo bene per non sapere che questo pacchetto te l’avrei dato comunque questa sera, concorso o meno.”

“E’ il gesto che non mi è piaciuto Michiru!”

“Hai ragione scusa… - Disse pentita. - Lo vuoi aprire?”

Sbirciando per una frazione di secondo il pacchetto marrone, mantenne il punto per un altro paio di secondi. “Vorrei ben vedere!” E lo accettò leggendo la bolla d’accompagno.

“Fa che sia quello che spero…”

“Non credo ci siano dubbi… mia bella guerriera.” Sogghignò stuzzicandola prendendo a massaggiarle una coscia.

“Bada Michiru! Non giocare con la bestia… Se non lo avessi capito sono incavolata nera!”

Strappando via le graffette di chiusura la bionda si trovò così a tu per tu con l’oggetto dei suoi desideri ludici. Il modellino di un sidecar verde militare.

“Era questo che desideravi, no? Un Zündappks 750 in uso alla Wehrmacht durante la Seconda Guerra Mondiale, motore due cilindri boxer, tutto in metallo satinato, ruote gommate, sedile in pelle e che con molta probabilità sarò io a spolverare ogni tre per due come faccio già con tutti gli altri?" Un singulto come risposta e Michiru capì di aver fatto centro.

“Come hai fatto? Dove lo hai trovato? E’ una vita che lo cerco per finire la mia collezione.” Chiese illuminata come una bambina di fronte ad un nuovo gioco.

“Un’asta militare su wiki, ed accontentati del colore, perché sabbiato non c’era.”

Accontentarsi?! Haruka la guardò con un misto di riconoscenza, amore e gioia infantile. Lasciando il modellino su uno dei cuscini del divano se la strinse contro stampandole un bacio sulla bocca.

“Mmmm, posso considerarmi perdonata?” Pigolò fra le labbra.

“Ti perdono tutto! Gli urletti della biondina, gli sguardi di sfida lanciati da quella vestita di rosso, Pluto o vattela a pesca che mi diceva come muovermi e cosa fare. Il Gran Premio perso. Il frigo vuoto… Tutto!”

Michiru capì così che la compagna intimamente, molto intimamente, si era divertita anche se non lo avrebbe mai ammesso, perché se si fosse trattata di una cosa davvero seria, non sarebbero bastate quattro coccole o un pensierino, anche se agognato come quello, per farla sbollire tanto in fretta.

Un ciuffo di capelli raccolti dietro l’orecchio della compagna ed Haruka finalmente sorrise. ”Sai Michi, devo ammettere che quella parrucca acquamarina ti dava un certo non so che.”

“A... un certo non so che?”

”Si.” Ammise rauca.

”Sei stanca?” Chiese stuzzicandole la nuca bionda con una mano.

“Perché? Che intenzioni abbiamo?”

“Portami di la e ti farò vedere... mia bella guerriera di Urano.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Elona Gay ***


Elona Gay

 

Legato al racconto:

 

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

 

 

Chiuse l’acqua guardando apaticamente le verdure che avrebbe cotto per pranzo non riuscendo a capire perché da qualche giorno si sentisse così strana. Eppure nella sua vita stava andando tutto a gonfie vele; il lavoro, la casa, il suo rapporto con Haruka. Tutto. Dunque perché quella sensazione di disagio nata e cresciuta fino a renderla inquieta e scostante? Dal suo risveglio aveva la netta sensazione che in quel sabato mattina di fine inverno sarebbe accaduto qualcosa di poco piacevole o al più, incontrollabile. E quella strana sensazione d’ineluttabile catastrofe l’aveva turbata tanto che la sua compagna le aveva addirittura suggerito di andare con lei e Giovanna a fare una corsetta sulle pendici della montagna che sovrastava il loro comprensorio. Ormai per quelle due era diventato quasi un rito fisso che si spezzava solamente quando faceva troppo freddo o pioveva forte.

La cosa l’aveva tanto solleticata che guardando la sua bionda vestirsi si era quasi decisa ad accettare, poi però, ricordando come a causa della competizione con la sorella, Haruka ritornasse sfiancata, sporca e sudata, aveva declinato preferendo rimanersene un po’ in panciolle sotto le lenzuola. Ne aveva così approfittato per farsi una buona tazza di tisana calda, respirando il tepore casalingo che regnava quando Haruka non le spalancava la portafinestra del terrazzo mentre faceva su e giù per qualche assurdo lavoretto domestico, ciondolando sorniona assieme a Tigre e pensando con santa calma a cosa avrebbero fatto nel pomeriggio, conscia che senza programmi sportivi, quel fine settimana la sua donna sarebbe stata finalmente costretta a darle retta.

Contro ogni pronostico tutto andò discretamente bene fino a quando, quasi giunto mezzogiorno, Michiru si decise a mettersi ai fornelli. Con molta probabilità per pranzo avrebbero avuto anche Giovanna e così pensò a qualcosa di sostanzioso e optando per un arrosto, stava per metterlo in forno quando il campanello suonò. Controllando l’ora sull’orologio a muro si asciugò le mani nel grembiule e badando a non pestare l’invadenza di Tigre, si diresse alla porta borbottando.

“Lo so che quando esci a correre non vuoi intralci, ma Ruka mia… le chiavi potresti anche portartele dietro. E se fossi uscita?” Disse non guardando neanche dallo spioncino.

“Ci avete messo meno del previsto… Cosa sei, stanca?!” Sfotté e dopo un giro di chiave aprì l’anta alla corrente del pianerottolo.

Quello che vide o per meglio dire, la persona che si presentò ai suoi occhi con fare sicuro ed un tantino altolocato, la lasciò francamente di sasso.

 

 

Spalancando con una manata il metallo grigliato del cancelletto che divideva il comprensorio dal sottobosco, Haruka calpestò con violenza l’asfalto del parcheggio voltandosi di scatto. “Fregata!” Urlò con il poco fiato che ancora aveva nei polmoni.

“Lenta! Sei lenta, Giovanna!”

“Fo…tti…ti…” Ansimò l’altra di risposta mentre percorreva gli ultimi metri di sentiero.

“E’ una questione di fisico. Hai le gambe corte.” Infierì arpionandosi i fianchi nel disperato tentativo di riprendere ossigeno.

“Ripeto… Fottiti!”

“Si. Si.” Sogghignando soddisfatta per l’ennesimo smacco riservato alla sorella, la vide attraversare il cancello e fermarsi accanto a lei mani sulle ginocchia.

“Prima o poi… il portiere si dimenticherà di slucchettarlo e tu su questo cancello ti ci schianterai come un moscerino sul cofano di un’auto, ed io…, io quel giorno godrò come un riccio!”

“Ma quanto sei poco sportiva…”

“Un paio di pifferi, Ruka! Hai barato… Come al solito.”

“Sciocchezze. Vorresti forse che per pietismo ti lasciassi vincere?”

“No, vorrei solo che al mio via tu non fossi già cinque metri avanti. E poi non si era detto che avremmo solo corricchiato?” Disse Giovanna prendendo a camminare pesantemente verso la prima delle tre palazzine del loro comprensorio.

“Io corricchio così…”

“Ed io ti ripeto di andare a farti fottere. Allegramente. Con un bel sorriso stampato in faccia!” Sbuffò mentre un taxi passava loro davanti per uscire subito dopo dal cancello principale.

“Chi sarà arrivato?”

“Boh…, vieni per pranzo?” Chiese la bionda iniziando a fare stretching.

“Volentieri. Per la mezza?”

Controllando l’ora, Haruka annuì costatando quanto poco ci avevano messo. “Ok, ma ti avverto che oggi Michiru è particolarmente nervosa.”

Usando la spalla della sorella come appoggio, Giovanna si afferrò il dorso del piede opposto mettendo in tensione il femorale della coscia.“Come mai?”

La bionda sospirò facendo altrettanto. “Non chiedermelo. Tu che ci lavori insieme non hai nulla da dirmi?”

“Assolutamente no. E tu che ci dormi insieme?” Ridacchiò.

“Sono giorni che proprio non si tiene. Sei veramente sicura che al museo vada tutto ok?”

A quell’insistenza Giovanna pensò rapidamente. Lei e Michiru avevano preso a lavorare a Castel Grande, una come tecnico e l’altra come responsabile e curatrice delle temporanee. Un lavoro che a Kaiou piaceva e che, pur se meno affascinante del restauro di una pala d’altare, le stava portando un’entrata fissa e di conseguenza la certezza di una momentanea tranquillità economica, che di quei tempi non era certo poco.

“In realtà ho visto Michiru particolarmente entusiasta per la prossima mostra, perciò non credo che il suo nervosismo casalingo dipenda da questo. E’ molto carica e non vede l’ora che arrivi il catalogo delle opere per iniziare il progetto delle varie disposizioni.”

“E allora valla a capire…”

“Non sarà per il fatto che le hai chiesto di sposarla?” Insinuò con la voce in falsetto.

Una settimana prima, Michiru si era presentata al lavoro tutta scombussolata rivelandole, dopo non poche reticenze caratteriali, che tra un fornello e l’altro Haruka se n’era uscita con l’ombra di una mezza proposta di matrimonio.

“Non le ho chiesto di sposarmi. - Si difese la bionda cambiando gamba d’appoggio. - Le ho solo detto che se dovesse ricevere la carica di Direttrice del museo ed ottenere così un lavoro fisso… io me la sposo.”

La maggiore allora la guardò scuotendo leggermente la testa. “E questa non sarebbe una proposta?”

“NO! Passi che secondo il target della mia dolce metà quanto a romanticismo io non sarei più sul pezzo da anni, come dice lei, ma che cazzo, almeno un po’ d’impegno…”

“Ok, ok… Avrò capito male.”

“E’ vero che ho accennato al matrimonio, ma era solo per parlare. Manca ancora qualche mese alla fine del mandato dell’attuale Direttore e potrebbe anche scegliere di non andare in pensione. E per Michiru questo vorrebbe dire tornare a fare la libera professionista a sbattersi su e giù per le committenze ecclesiastiche di mezzo Cantone.”

“Michi si è fatta scappare che se dopo otto anni non vi siete ancora sposate è perché lavorando spesso per la Chiesa, tu sia convinta che al far sapere in giro che è gay potrebbe non trovare più molto lavoro.”

“Esatto. Quando lavoraste in Vaticano non vi chiesero lo stato di famiglia?”

“Si.”

“E se pur brava, pensi sarebbe stata scelta se fosse stata sposata con una donna?”

“Conoscendo l’ottusità di alcuni tipi di persone…”

“Brava… Se avesse fatto l’avvocato o la commessa ti assicuro su quello che ho di più caro che me la sarei già portata all’altare dopo il primo anno di fidanzamento. Ma sai quanto le piace il suo lavoro, no? Tele, pale, affreschi…, ci perderebbe gli occhi dietro quella roba. In più Giovanna, abbiamo un mutuo da pagare e tre veicoli da mantenere. I soldi ci servono e il mio stipendio da solo non basta. Sei la prima a dire quanto la vita qui sia cara. Che diavolo pensi accadrebbe se Michiru iniziasse a perdere committenze a causa della sua vita privata?”

“D’accordo sorella, questo lo capisco, ma l’anno mille è passato da un pezzo.”

“Se è per questo anche il duemila, ma se non lo avessi notato, da questo punto di vista la curia è ancora abbastanza bigotta. Non sono tutti come il Cardinal Berti o il parroco della cattedrale che stravede per lei e le molla quadri su quadri pur sapendo da anni che convive con una donna.”

Salticchiando sulle punte Haruka guardò le vette ancora imbiancate. “Comunque non è questo che la turba. La conosco troppo bene. Michi sa da sempre che quando i tempi saranno maturi mi metterò in ginocchio e le chiederò di diventare mia moglie. E non lo farò certo in cucina, potete entrambe scommetterci quello che volete! No... Ci deve essere qualcos’altro.”

“Magari è solo un momento. A noi donne capita spesso di avere la luna girata per centomila motivi diversi.”

“Questo è vero, anche se lei è sempre malto lineare ed è difficile che svalvoli senza un vero e proprio motivo. Vorrà dire che questa sera le farò un po’ di coccole delle mie, tanto per scioglierla un po’. La dottoressa Kaiou ha un paio di punti che se toccati nel modo giusto…”

“O… K… La cosa sta diventando un po’ troppo intima. Meglio che vada.” Ne convenne scherzosamente l’altra.

“Allora ci vediamo dopo e… mi raccomando acqua in bocca. Michi non ama che si parli di lei.”

“Lo so Ruka, tranquilla. Sarò la solita di sempre.”

“Ottimo. Allora a dopo…” E salutandosi Haruka approfittò della bellezza delle prime primule sbocciate in un vaso e oltrepassando il portone lasciato aperto per le pulizie, schizzò su per le scale con la voglia matta di stuzzicare la sua donna.

 

 

“Buongiorno cara. Ti trovo bene.”

Con la mano ferma sulla maniglia, lo sguardo perplesso ed il viso di chi ha appena visto un ectoplasma, Michiru neanche rispose e alla donna che le appariva come uno specchio proteso verso il futuro, si limitò solamente a corrugare la fronte.

La sua immagine, ecco cosa stava guardando. Una bella donna composta, dal viso pieno ed ancora giovanile anche se inevitabilmente solcato dall’ineluttabilità delle sofferenze della vita. Solo gli occhi avevano un taglio diverso, non certo riconducibile alla famiglia Kaiou, ma il colore blu profondo che le animava le iridi, Michiru lo aveva sicuramente ereditato da lei.

“Mamma?!” Disse aprendo completamente l’anta.

Ecco la mefitica rogna che da giorni sentiva aleggiarle intorno. Il nervosismo anomalo, la tensione che neanche la compagna era riuscita a stemperare. La netta sensazione di un’ineluttabile catastrofe. Michiru sapeva da sempre di avere un più che ottimo intuito e così, un po’ sibilla, un po’ strega, sin da bambina aveva imparato a servirsene per arrivare preparata ai vari appuntamenti con il destino. Come alla sua prima audizione, quando violino in mano aveva capito ancor prima di salire sul palco che sarebbe stata presa per entrare in accademia, o la notte prima della morte di suo padre, quando presa da uno strano senso d’ansia per cercare un po’ di pace si era rifugiata tra le braccia di un sonnifero, o il giorno che aveva incontrato la sua bionda, quando l’irrazionale scelta di seguirla senza neanche sapere chi fosse, le aveva consegnato una delle fortune più grandi della sua vita. Anche la mattina che aveva conosciuto Giovanna si era alzata dal letto con la consapevolezza che da li a breve sarebbe successo qualcosa d’importante, sia per lei che per la stessa Haruka. E il latte fresco comprato prima dell’entrata in casa di Tigre, o il suo viaggio in Grecia, ad Atene, città scelta a caso tra le centinaia possibili, che le aveva però aperto la strada alla riappacificazione con se stessa.

E ora lei, Flora Kaiou, che mai si era degnata di farsi vedere dalle parti del Ticino e più nello specifico, nella casa che sua figlia divideva da anni con una donna mai veramente accettata da una madre ancora aggrappata alla speranza di vederla un giorno accasata con qualche buon partito

“Michiru…” Sorrise rimanendo immobile.

Allo shock iniziale prese il posto l’imbarazzo più feroce e Michiru dovette richiamare a se tutti i Santi del Paradiso per dare al suo viso una parvenza di normalità.

Deglutendo stirò le labbra rimanendo però sempre sul chi vive. “ Mamma… Ma che sorpresa.” E lo era davvero visto che non ricordava neanche di averle mai dato il suo indirizzo.

“Scusa dell’improvvisata. Ho provato a chiamarti, ma il tuo cellulare risulta sempre irraggiungibile.”

Guardando in direzione del posto dove di solito era solita lasciarlo in carica, Michiru si ricordò di averlo dimenticato nella macchina di Haruka la sera precedente.

“E’ nel box. Li non c’è campo. Ma …, accomodati dai.”

“Visto che non hai il fisso, dovresti quanto meno tenertelo da conto.” Bacchettò entrando.

“Be, siamo in due e Haruka non è solita lasciarlo dappertutto come invece faccio io.” Stoccò di rimando.

Solo in quel momento Michiru si accorse che Flora stava stringendo nella mano sinistra l’asta di un trolley di media grandezza e in un nano secondo un brivido le invase la pelle. “Mamma… è successo qualcosa? Perché sei qui?”

Richiudendo la porta la vide fermarsi poco oltre e continuando a mantenere l’espressione di chi sta per ricevere una mattonata sulla schiena, attese la risposta che però non arrivò.

Notando la profonda ruga sulla fronte della figlia, a Flora scappò invece una risata. “Tesoro mio, se continui ad increspare la pelle del viso così, tra non molto sarai piena di rughe.”

Toccandosi per istinto la fronte, finalmente anche Michiru sorrise rilassandosi.

“Adesso va meglio. Ad una bella donna come te non si addicono l’espressioni contrariate.”

“Non sono contrariata... - Disse prendendole il cappotto. - ..., ma stupita. Tu non sei proprio solita fare queste cose.”

“Cosa? Una visita a mia figlia?”

Esattamente, avrebbe voluto risponderle, ma non lo fece limitandosi ad appendere il soprabito al muro.

“Devo dedurre di stare mettendoti in difficoltà, ma è tanto tempo che non ci vediamo e dato che è stato il tuo compleanno, ho pensato ti avrebbe fatto piacere stare un po’ con tua madre.”

A quelle parole, stranissime e completamente fuori luogo per un rapporto abbastanza asettico come il loro, Michiru non seppe più cosa pensare. Le sembrava di stare vivendo una sorta di stranissimo sogno, come se il suo universo si fosse improvvisamente capovolto sotto una distorsione spazio temporale alla dottor Who.

“Per il mio compleanno…, ci siamo sentite.”

“Si, ma volevo darti il tuo regalo di persona. I quarant’anni sono importanti.”

Sempre più allibita, Michiru le fece cenno di sedersi sul divano chiedendole se volesse un caffè.

“Volentieri.”

“Mentre lo preparo vuoi rinfrescarti? Immagino tu venga dall’aeroporto. Eri in turnè, giusto?”

“A Zurigo, si, ma ho preferito un taxi.” Rispose osservando le spalle della figlia mentre iniziava ad armeggiare con la macchinetta espressa.

Erano passati tre anni da quando si erano incontrate ad Atene e Flora volle prendersi qualche secondo per studiarne la siluette. Michiru aveva preso peso riacquistando le onde sane di quando era ragazza, sintomo questo di una ritrovata salute psicofisica.

“Ti trovo bene.” Disse con convinzione vedendola voltarsi di tre quarti.

“Ti avevo detto di stare meglio.”

“Lo so, ma una madre preferisce sempre accertarsene con i propri occhi. Anche se in effetti… ci ho messo un po’.” E il sorriso che illuminò il volto di entrambe finalmente diede inizio al disgelo.

Il loro rapporto era così, perché girarci intorno.

“Allora, il lavoro? Novità per quel posto di Direttrice a cui accennavi qualche settimana fa?”

“Ancora tutto fermo.”

Fissando un quadro raffigurante un paesaggio marino, la donna più grande respirò profondamente riconoscendo lo stile della figlia. “Ti prenderanno. Sei brava nel tuo campo.” Affermò iniziando a guardarsi intorno. Quella casa dava un senso di calore ed accoglienza e ne fu lieta.

“Non dipende da me, ma grazie comunque dell’incoraggiamento. Ci speriamo tanto.” Se ne uscì non rendendosi conto di aver parlato al plurale.

Già. E l’altra padrona di casa dov’era?

“La signora Tenou?”

“E’ a correre. Così mi si scarica un po’.”

Flora si vide recapitato un vassoio con biscotti e caffè che afferrò mentre Michiru le si sedeva accanto. “Grazie.”

“Prego. Lo prendi sempre amaro, giusto?”

“Giusto.”

“Mamma…”

“E’ molto graziosa la vostra casa, devo farti i complimenti. Trovo sia arredata con gusto, anche se è molto diversa dall’appartamento che avevi a Berna.”

A Michiru non sfuggì la ratta elusione con la quale la madre cambiò discorso. “Be, ero più giovane ed ero sola. Ora sono una quarantenne e vivo con un’altra persona. Tutto quello che vedi è il frutto di una marea di compromessi, anche se devo ammettere che da questo punto di vista Haruka mi ha lasciato carta bianca praticamente su quasi tutto.”

Alzando un sopracciglio Flora assaggiò il caffè. “Quasi?”

E Michiru le indicò una teca ad angolo in fondo alla sala da pranzo dove campeggiavano modellini di moto e sidecar di ogni epoca in scala 1 a 25.

“O buon Dio.” Esplose sorridendo.

“Dovevo pur cedere su qualcosa. Ma tranquilla, si sfoga nel box. E’ quello il suo regno.”

“Immagino che i vostri caratteri siamo abbastanza diversi.”

“Si, ma dopo otto anni di vita in comune credo di essere riuscita a sgrezzarla un po’.”

“Già otto anni…” Quanto tempo aveva passato a fare la guerra alla figlia dopo aver saputo che si era messa con un meccanico del Ticino.

Ma questa guerra era continuata anche dopo l’aver scoperto che Haruka era un Ingegnere ed era stata presa alla Ducati, perché il problema non era la posizione economica o sociale di colei che aveva saputo irretire il cuore di sua figlia, quanto appunto il fatto che fosse una lei. Flora ci aveva perso il sonno, aveva sbraitato, arrivando addirittura alle minacce, ma Michiru era stata irremovibile. La donna si era rifiutata d’accettare la cosa anche quando aveva saputo della malattia al sangue che aveva colpito Tenou. Non che desiderasse il male di quella mezzosangue bionda, semplicemente non riusciva a capire come la sua ragazza potesse sentirsi soddisfatta e completa rinunciando ad avere una famiglia convenzionale. L’uomo era diverso dalla donna, sia fisicamente che mentalmente, ed era questo che stimolava Flora, questo che per lei rendeva bello un rapporto di coppia etero. Per Michiru invece era proprio tutto l’opposto. A parte il fatto che il corpo maschile non l’aveva mai attratta più di tanto, era nel cervello che trovava il relazionarsi con il proprio sesso benedettamente coinvolgente.

“Otto anni, si. - Riprese Michiru fissandola poi seria. - Mamma…, stai morendo?”

“Cosa?!” Chiese l’altra scoppiando poi in una composta risata.

“No tesoro, sono sana come un pesce. Ammetto di non essere mai stata troppo presente, soprattutto dalla morte di tuo padre, ma arrivare addirittura a farmi una domanda tanto macabra…”

Abbassando la testa la figlia chiese scusa.

“No, non è colpa tua cara, sono io che negli anni ho mancato anteponendo a te, prima la malattia di Victor, poi il dolore per la sua scomparsa ed infine la mia carriera.”

“Conta poi il fatto di non avere mai accettato la mia omosessualità…” Un colpo che Flora incassò a fatica.

“L’ultima volta che ci siamo viste ti chiesi tempo Michiru. Credo che ne sia passato a sufficienza.” Ammise staccando d’improvviso gli occhi da quelli della figlia per rivolgerli alle sue gambe.

Sentendo qualcosa di caldo e morbido strusciarsi contro il suo polpaccio, si sporse in avanti. “E tu?”

“E’ Tigre. L’abbiamo trovato nel nostro box un paio d’anni fa.”

“Mia figlia con un gatto?”

“Un’altra cosa che ho dovuto concedere. Ma sono contenta di averlo fatto.”

“Ha un musetto impertinente, ma simpatico. - Ammise Flora facendo al felide tigrato un paio di grattini sotto al mento. - E sembra anche parecchio spavaldo.”

La madre aveva sempre avuto il potere di vederci giusto. “Gli piaci, il che è strano, perché è molto diffidente con chi non conosce. E’ disarmante come alle volte assomigli ad Haruka. Devo ammettere di sentirmi spesso e volentieri in inferiorità numerica.”

“Alludi alla spavalderia? Mi ricordo come l’unica volta che abbiamo avuto modo d’incontrarci, la signora Tenou abbia trattato Paul.”

Forse sarebbe stato tutto molto meno imbarazzante se quel giorno Haruka avesse capito sin da subito chi fosse la coppia che aveva davanti.

“Glielo rimprovero a tutt’oggi.”

Compiendo un movimento con la sinistra, la madre ridimensionò la cosa. “O poco male. Di motori Paul non ne ha mai capito nulla! E poi non sono stata io a dirti di esserti trovata un cavallo di razza?”

“Si…” Ed un velo si posò sulla conversazione fino a quando Michiru non chiese alla madre del signor Maiers.

“Sta bene. E’ rimasto a Zurigo per delle faccende.” Disse tornando a guardare Tigre che stranamente sembrava molto attratto da lei fino a quando, dilatando impercettibilmente le iridi, il piccolo rizzò il collo all’insù per poi correre verso la porta.

“Che succede?”

“Scommetto che ha sentito il passo di Haruka. Riconosce anche il suono del motore delle nostre auto.” Confessò orgogliosamente prima di alzarsi e seguirlo.

Cinque secondi ed uno scampanellio inondò l’appartamento e l’ansia di Michiru tornò a montare come una marea. Ora cosa sarebbe successo? Ovvio che ad Haruka sarebbe venuto un infarto, ma dopo superato l’embolo, sarebbe riuscita a tenere testa a sua madre? Certo che si e questo non avrebbe fatto altro che inasprire a suon di frasi sgradevoli il già precario equilibrio che si sarebbe istaurato tra loro.

Quando Michiru aprì la porta si vide recapitata una primula condita da un rapido bacio sulle labbra.

“Eccomi! Non dirlo al portiere, ma era troppo bella per non portarla alla mia dea.”

“Ruka…” Sibilò l’altra cercando di mantenere una certa distanza.

“Ei piccoletto! Quando sono uscita non mi hai filata di pezza!” Disse gasatissima lasciando il fiore alla compagna per issarsi Tigre tra le braccia.

“Ruka…”

“Michi mia, però sabato prossimo ti accodi. C’è un odore di primavera! Il sottobosco è spettacolare.”

“Amore…” Richiamò interrompendola.

“Che c’è?”

“Abbiamo ospiti… - E mormorando aggiunse. - Non è colpa mia.” Lasciando poi che la bionda inquadrasse Flora dietro la linea della sua spalla.

Quando il cervello di Haruka riconobbe la donna ancora seduta sul divano, uno stranissimo suono le uscì dalla gola, un misto tra il rantolo di una bestia morente e il porpottare di un furetto davanti ai fari di un tir. Il consequenziale e comprensibilissimo o cazzo che riecheggiò potente nella sua mente costrinse Tigre a saltarle giù dalle braccia prima di essere stritolato.

“Si… gnora Kaiou?!”

“Signora Tenou…” Rispose l’altra alzandosi dalla seduta per fissarla da pari.

Il viso di Haruka cambiò tanto rapidamente espressione che Flora sentì intimamente di aver portato un primo, ipotetico punto. La giovane donna che ora se ne stava impietrita accanto a sua figlia, non ricordava affatto la bionda spavalda ed un tantino strafottente vista ad Atene. Non una camicia nera calzata con disinvoltura, non un paio di Ray ban dall’inconfondibile stile a gocci anni ottanta posati sul naso e una mano infilata con nonchalance nei jeans, ma una donna dal tronco fradicio cinto da una semplice canottiera tecnica inscurita dal sudore, con la capigliatura corta arruffata ed un paio di ciclisti macchiati d’erba.

“La trovo in splendida forma.” Infierì Flora solcando le labbra con un sorriso malizioso.

Abbassando immediatamente lo sguardo al petto, Haruka si rese conto dell’indecenza con la quale era salita su per le scale.

“Ruka… è meglio che tu vada a farti una doccia e a metterti qualcosa di più… pesante.” Consigliò Michiru iniziando a spingere quella locomotiva accaldata su per i reni.

“S…si. Vado.” Obbedì rauca contraccambiando lo sguardo della compagna con uno molto, ma molto più enigmatico.

“Hai pronunciato per tre volte il suo nome ed è spuntata fuori dal camino?” Bisbigliò togliersi le scarpe da ginnastica.

“Smettila… Ne so quanto te.” Rispose l’altra.

Sgattaiolando in camera da letto, Haruka ci si rintanò per una mezz’ora buona lasciando al pragmatismo della dottoressa Kaiou l’incombenza e, perché no, l’arduo compito di scoprire cosa ci fosse realmente sotto a quella visita a sorpresa.

Così messo il fiorellino in acqua, Michiru tornò dalla madre sentendosi dentro una strana soddisfazione. Aveva infatti notato come Flora avesse registrato quel gesto d’amore e non mancò di sottolinearglielo

“Ricordo che anche papà ti portava spesso degli omaggi floreali, anche se non andava a sradicarli nelle fioriere condominiali. La rimprovero quando vandalizza il verde giù da basso, ma devo ammettere che mi fa piacere quando lo fa.” Disse, ma la madre non commentò tornando a guardarsi intorno.

Tirare fuori qualcosa da Michiru era sempre stata un’impresa, ma in quei minuti Flora dimostrò di essere ancor più coriacea. Non ci fu partita; ad ogni domanda la donna glissò con rapidità e maestria così che alla fine la figlia si arrese.

“Per quanto resti?”

“Ho qualche giorno libero. Vorrei approfittarne per riposare un po’. Credo andrò alle terme.” Laconica e diretta non convinse Michiru neanche un po’.

“E il signor Paul ti raggiungerà?”

“No. Non credo proprio.”

Ed improvvisamente eccolo l’indizio che stava cercando! Da anni quei due erano praticamente inseparabili, sia sul lavoro, che nella vita di tutti i giorni. I dodici anni di differenza che dividevano la madre e il signor Maiers non erano mai stati un ostacolo; troppo composto lui, troppa femmina alfa lei. All’interno di quella strana coppia ognuno era riuscito a ritagliarsi pertugi ideali per un rapporto equilibrato e duraturo. Era perciò stranissimo non vederli insieme. Stranissimo ed indicativo.

“Mamma… Vi siete lasciati?” Ancora una domanda diretta e questa volta Flora contrattaccò.

“Cara, non ti ricordavo con così poca mancanza di tatto.”

Il viaggio che la figlia aveva fatto in Grecia tre anni prima l’aveva cambiata lacerando quella barriera emozionale che con tanta fatica Michiru era riuscita a tessere in anni di duro e controproducente lavoro. La mancanza di savoir-faire che Flora stava notato in lei, era la lampante conseguenza di un repentino cambiamento interiore.

“Scusami.”

“No, non farlo. Non con tua madre. E’ un bene che tu riesca finalmente ad esprimere quello che pensi. Diciamo che Paul ed io ci stiamo prendendo una pausa di riflessione. Ecco tutto.” Ammise mentre la porta della camera da letto si riapriva lentamente.

Cazzo… è ancora qui! Pensò Haruka che sotto la doccia aveva ingenuamente sperato in un assurdo abbaglio psicotropo.

“Allora signora Tenou…, come andiamo?” Domandò fulminea Flora tornando a guardarla con quel suo fare indagatore.

Cacchio vuole fare? Conversazione?! “Molto bene, grazie. E lei?” E lei? Questa si degna di entrare in casa nostra dopo otto anni e tu fai il coniglietto bagnato? Andiamo Tenou… Sai fare meglio di così!

“Un po’ stanca, ma bene. Poc’anzi stavo dicendo a Michiru quanto sia accogliente la vostra casa.”

Bada Tenou… c’è l’inchiappettata… Stai attenta. “Grazie, ma è tutto merito di sua figlia.” Ammise avvicinandosi, ma rimanendo a debita distanza accanto al camino.

“Il lavoro?”

“Procede.” Molto vaga appoggiò le spalle alla mensola non staccandole gli occhi di dosso.

In quel sabato mattina dall’aria mite, Haruka si era alzata tutta contenta, perché il programma che aveva scelto insieme a Michiru era così benedettamente rilassante che solo la copia spiccicata della boma atomica avrebbe potuto farglielo saltare in aria. E puntuale Elona Gay era arrivata! E aveva la faccia tosta di una donna che la detestava da sempre e che per di più non si era mai degnata di farsi vedere dalle loro parti. Neanche nei momenti più neri della figlia. Questa consapevolezza l’incattivì portandola ad esporsi per prima.

“Invece lei? Qual buon vento la porta qui da noi? Francamente avevo perso le speranze.” Ghignò mentre la compagna le lanciava un’occhiataccia.

“Il mio compagno parla ancora del nostro fortuito incontro ad Atene e di come sia stata tanto cortese nell’aiutarlo….” Incalzò Flora rimettendo così la bionda al suo posto.

“Mmmmm….”

“Comunque sono qui per i quarant’anni di mia figlia. A proposito cara… - Disse rivolgendosi direttamente all’altra donna. - Ti ho portato un presente!” Ed aprendo la borsa dimenticata tra i cuscini della seduta ne estrasse un pacchetto dall’incarto molto curato.

Dire che Michiru fosse frastornata era poco, dire che era in ansia per la postura aggressiva a braccia incrociate messa su da Haruka, lo era ancora di più, ma quando aprendo il pacchetto le comparve davanti agli occhi un bracciale d’oro bianco con un ciondolo a forma di delfino marcatamente Swarovski, rimase senza parole.

“Oddio mamma…, è bellissimo.”

“Ho pensato che nonostante le montagne di qui siano piacevoli, questo potrà alleviarti la malinconia del non poter vivere accanto al tuo VERO ed unico amore; il mare.”

“Piacevoli?” Inquisì la bionda socchiudendo gli occhi.

“Be signora Tenou…”

“Haruka!”

“… Haruka. Volevo solo dire che mia figlia ha sempre amato più il mare che le montagne. Già quando eravamo tornati a Berna la sapevo a disagio per il freddo e le giornate cupe, ma almeno li c’era del sano svago culturale.”

“Sano svago culturale?!”

“Pensi perciò la mia sorpresa quando qualche anno fa mi disse dov’era andata a vivere.”

“Mamma!” Cercò d’intromettersi Michiru.

“Questa non è mica la montagna del sapone. Sono le alpi, signora!”

“Indubbiamente dal punto di vista paesaggistico questo è… un bel posto, ma deve ammettere che Bellinzona non può certo essere paragonata alle grandi metropoli dove mia figlia è cresciuta, come Tokyo, Atene o la stessa Berna.”

“Credo che nella vita ci siano cose un tantino più importanti del mare o dell’andare in giro per musei e teatri.”

Flora fece leggermente finta di stupirsi. “Vedo che conosce bene gli interessi della mia ragazza.”

“E non soltanto quelli!”

“Va bene! Perché non pensiamo seriamente a cosa fare per pranzo? Mamma gradiresti riposarti o andare in un ristorante del centro?” Chiese Michiru scattando in piedi mentre la compagna alzava un indice verso l’ospite.

“Visto signora? Abbiamo anche noi un centro.”

“Non prenda subito d’aceto Haruka. Non intendevo certo offenderla, quanto sottolineare l’ovvietà di alcune cose.”

Per esempio di quanto lei possa essere una grandissima stronza? Si… lo sapevo già! Pensò la bionda mentre il cellulare nella borsa dell’ospite iniziava a suonare.

Prendendo l’apparecchio Flora si scusò andando a rispondere in terrazza.

“Haruka, cosa stai facendo?” Domandò sottovoce Michiru.

“E’ lei! Ma l’hai sentita?!”

“Certo, come ho sentito te!! Ti sta solo provocando per metterti alla prova. Lo fa con tutti, figuriamoci con la donna di sua figlia. Ti consiglio di non abboccare ai suoi giochetti, perché finiresti con il perdere, amore.”

“Ma dico! Viene in casa nostra a dirmi che in pratica ti ho relegata nel paesello e non dovrei neanche avere il diritto di una replica?”

“Non ha detto questo.”

“Certo che l’ha detto! E poi, andiamo Michiru…, la mia ragazza? Ma se non ti si è mai inculat…”

“Basta così! - Ordinò con durezza per poi scendere a più miti consigli. - Ti prego Ruka, cerca di farlo per me.”

Sospirando pesantemente la bionda accettò la stretta al braccio muovendo impercettibilmente la testa. “Ok Michi, ma non te la prendere se nella nostra storia, Flora Kaiou non sarà mai uno dei miei personaggi preferiti.”

“O amore.” Sorrise dolcemente sfiorandole le labbra.

Quando Flora terminò la telefonata, la figlia la trovò ferma in piedi al centro della terrazza

“Quell’uomo è impossibile!” Dichiarò stentorea fissando il cellulare.

“Tutto bene mamma?”

“Michiru, sono troppo sfacciata nel chiederti di mangiare a casa? Non mi sento di vedere gente.”

“No, certo. Tanto più che oggi abbiamo un bel menu.” Affermò sicura posandole affettuosamente una mano sulla spalla.

Menu che però comprendeva anche la solita carica briosa di Giovanna, il che vista l’aria non era il caso di far scatenare. Michiru decise così di chiamare l’amica per chiederle di non venire a pranzo. Cosa che naturalmente non trovò Haruka affatto d’accorso.

“Non è giusto!”

Ringhiò a denti stretti cercando di non farsi sentire da Flora ormai votata a gustarsi un po’ di sole all’esterno.

“Giovanna capirà.”

“Allora sarò più chiara. Non è giusto nei MIEI confronti.”

“Scusami?” Chiese afferrando il cellulare dell’altra per chiamare l’amica.

Bloccandole la mano Haruka la costrinse a guardarla. “Siamo una contro due. Che fai Kaiou, vuoi togliermi i rinforzi?”

“Io sarò sempre dalla tua parte amore.”

“In questo caso ne dubito.”

“Cosa?!”

“Guardami bene e dimmi che a parte lo shock iniziale, tu non sia contenta di vederla.”

“Certo che lo sono, ma questo non vuol dire che alla bisogna non ti spalleggerò.”

“Invece penso che per farla star buona finirai per schierarti con lei.”

Staccando bruscamente il contatto, Michiru tornò a scorrere la rubrica. “Non dire assurdità, Tenou!”

“Visto? Già mi dai contro.”

“Haruka, si comprensiva. Credo che mia madre stia avendo problemi con il signor Maiers, perciò sarebbe oltremodo carino starle un po’ accanto e farla sentire a suo agio.”

“A maggior ragione! Non intendo fare Madre Teresa senza avere l’artiglieria pesante, perciò non rinuncerò a Giovanna!” Intimò sentendo suonare il citofono.

Guardandolo entrambe, la bionda tirò su le spalle sorridendo. “Oh…, ma che peccato. E’ già qui!” E andò a rispondere mentre Michiru rendeva gli occhi a due fessure infuocate.

Ti assicuro che quando fai così di ammazzerei…. Posando il cellulare sulla penisola e contando mentalmente fino a dieci, Kaiou uscì dalla porta a vetri annunciando alla madre l’arrivo di un’altra ospite e pregandola di parlare da li in avanti in italiano.

Quando Haruka aprì l’anta della porta vedendosi recapitato un vassoio di dolcetti, afferrò il polso della mano che lo stava reggendo scaraventandolo dentro l’appartamento con tutto il resto.

“Ci hai messo troppo!”

“Ci ho messo il giusto. Ma che ti prende?”

“Mi prende che siamo nella merda!”

“Siamo?! Cosa avrei fatto se sono appena arrivata?” Si difese togliendosi le scarpe.

“Ti ricordi il taxi di prima? Ecco cos’ha scaricato sull’uscio della mia povera casa.” Lagnò indicando con il mento la terrazza.

Uscendo da dietro il muro, la maggiore intravide due donne parlare sedute attorno al tavolino in ferro battuto che decorava l’esterno. “Avete ospiti?”

“Abbiamo un grossissimo dito al… - Fermandosi scosse la testa vinta. - E’ la madre di Michiru.”

Giovanna sapeva tutto di Flora Steiner Kaiou; del suo rapporto con la figlia, del suo detestare Haruka e della negazione ad oltranza del loro rapporto, ed è per questo che guardando la sorella sorrise come se avesse appena detto un’eresia. “Ma stai scherzando?!”

“Ho la faccia di una che ha voglia di scherzare?”

“No… a guardarti meglio hai la faccia di una che non sa se prendere a testate uno spigolo o buttarsi di sotto a volo d’angelo.”

“Brava…, vedo che hai capito.”

“Ma che ci fa qui?” Chiese tornando a sbirciare la scena.

“Michi pensa che abbia problemi con il compagno.”

“E viene a risolverli qui da voi?”

"Così pare…”

Un paio di secondi e Giovanna esplose divertita. “Che culo! - Per poi mollarle una pacca sulla spalla e fare per andarsene. - Ok… Allora ciao.”

Haruka scattò come una molla bloccandola per un braccio. “Come allora ciao. Dove vai?!”

“A casa.”

“E no! Tu resti qui a giocare di squadra.”

“Squadra?! Nooo. Io contro una suocera non mi ci metto.”

Suocera. Forse per la prima volta da quando aveva conosciuto Michiru, nel rapporto di coppia Tenou-Kaiou questa parola stava iniziando ad avere un senso, un significato ben preciso che spiazzò la bionda facendola deglutire a vuoto.

“Cazzate Giovanna! Io non ho suocere!”

“Non è la madre della tua donna? E allora è una suocera. Hai una suocera.”

“E piantala di dire quella parola.” Supplicò grattandosi la testa.

“Ma di cosa ti lamenti?! Sei riuscita ad evitarla per anni.”

“Vorrei puntualizzare che è stata LEI ad evitarmi, non io.”

“Va bene. Ora però vai a fare la brava padrona di casa. Ci sentiamo questa sera.” E fece per rimettersi le scarpe.

“Giovanna, ti prego... aiutami! Sei mia sorella, cazzo!”

”Oddio, stai proprio nel panico.” Dissacrò l’altra alzando le sopracciglia.

Da quando in qua Tenou si prostrava nel chiederle una mano? La maggiore la guardò talmente stupita che la bionda cercò immediatamente di correggere il tiro.

“Cosa vuoi per rimanere?” Chiese aprendo le contrattazioni come in una casba berbera.

Facendo finta di pensarci su, Giovanna prese tempo dilatando a dismisura l’ansia dell’altra. “Mmmmm, vediamo un po’…”

“Giò…”

“E aspetta! Non mettermi fretta. Dunque…”

“Volevi gli sci? Ti regalo gli sci!”

“Naaaa. Quelli posso benissimo comprarmeli da sola. Meglio un qualcosa di più intimo. Un qualcosa che proprio non ti riesce.”

“Allora?!”

“Otto abbracci e due ti voglio bene. Fatti e detti convinti, da spendere nell’arco di una settimana!”

“Ma… Che ca… - Dilatando le narici in un grosso boccone d’aria Haruka cercò di non cedere. - Tre abbracci e BASTA!”

“Cinque e un ti voglio bene.”

“Quattro. Quattro abbracci e la mia parola d’onore che non mi legherò al dito questa tua becera estorsione! E bada Aulis, sai che se voglio posso essere una gran bastarda.”

“Ma tu non lo vuoi perché mi ami troppo!” Sogghignò. Era davvero insolito e oltremodo spassoso vedere Haruka tanto smarrita.

Ispirando nuovamente la bionda raddrizzò la postura allungando la destra. “Andata.”

Ma Giovanna di risposta allargò le braccia pronta a giocarsi il primo bonus. Stirando le labbra e strizzando gli occhi mosse il busto a destra e a sinistra aspettando il suo pegno.

“Oddio, perché?!”

“Non borbottare e vieni qui, mia bella sorellina spacca culi.”

 

 

“Ma come fa! Come diamine fa!”

“Non lo so. - Rispose Michiru posando la pila di piatti del servizio buono sul granito della penisola. - Sembra che si conoscano da sempre.”

Voltandosi per controllare i fuochi, Haruka alzò le spalle ormai priva di una qual si voglia risposta. Giovanna non soltanto era riuscita ad integrarsi perfettamente con il carattere di Flora, ma sembrava addirittura che le due si piacessero. Si vedeva gesticolare la donna più giovane e di risposta ridere l’altra, in una specie di balletto sincronizzato dove Michiru ed Haruka erano ignare osservatrici. E se alla prima la cosa non poteva che far piacere regalandole un gran sollievo, alla seconda iniziavano a girare vorticosamente le scatole.

“Solo per il fatto che non ti porti a letto, non vedo perché tua madre debba apprezzarla più di me!” Vomitò aprendo di scatto il cassetto delle posate.

“Ruka, non esagerare.”

“Ma guardale li! Sembrano pappa e ciccia.”

Nella speranza di smuovere quel transatlantico sul punto d’affondare, Michiru le soffiò in un orecchio che sarebbe stato carino raggiungerle in terrazza. “Perché non esci a parlare con loro? Qui ci penso io. Se mia madre riuscisse a conoscerti per quello che sei veramente, ti adorerebbe.”

Ma niente. Haruka la guardò come una bambina offesa ed afferrando la pila dei piatti li portò sulla sobria tovaglia che ricopriva il piano vetrato del tavolo della sala da pranzo. Dio, quanto si sentiva insofferente. Non era certo colpa della sorella, ma era lampante che il suo ingresso avesse rotto gli equilibri a favore di una distensione che Michiru stessa definiva benedetta.

Le starà raccontando le barzellette, pensò iniziando a disporre con non troppa cura quattro piatti piani e quattro fondi.

“Per me è merito del suo sangue latino. Da quando la conosco, Giovanna non ha mai fatto troppa fatica a fare amicizia con le persone.” Disse la compagna portando a tavola i bicchieri.

“Non lo so! Può essere.” Acidissima iniziò a piegare i tovaglioli freschi di bucato.

E Kaiou esplose. “Allora visto che di sangue latino ne hai anche tu, forse sarebbe il caso che lo facessi saltar fuori!” Stilettò a brutto muso per poi tornare verso l’arrosto che intanto stava facendo bella mostra di se nel forno.

Serrando occhi e labbra la povera bionda cedette alla prevista inferiorità numerica. Stava decisamente vivendo un incubo che non sembrava voler trovare fine.

Poco più tardi si sedettero a mangiare desinando tranquillamente tra una chiacchiera e l’altra, tutte tranne Haruka, che tra bocconi mandati giù a forza si riempì di vino e cibo come se fosse stata la sua ultima cena. Michiru naturalmente non approvò, ma non disse nulla. Non le piaceva neanche come la madre le stesse guardando. Era lampante che Flora stesse analizzando e valutando il loro rapporto, sezionandolo nei minimi particolari. Un gesto, una carezza, insomma tutto. Com’era lampante che stesse provando un indicibile gusto a mettere in difficoltà una Tenou mai stata brava nel nascondere i sentimenti d’intolleranza.

Se si fosse trovata di fronte un’altra donna e non la signora Kaiou, Haruka avrebbe sicuramente saputo come far finire la cosa, ma per quieto vivere e per rispetto della sua compagna, stette al gioco evitando ogni confronto, ogni agguato. Non sarebbe diventata il pasto di quella famelica leonessa, avesse dovuto trascorrere i suoi ultimi giorni metaforicamente rannicchiata sul ramo di un’acacia.

Verso il primo pomeriggio il tempo si guastò ed un forte vento proveniente da nord abbassò improvvisamente le temperature tanto che si decise di accendere il caminetto. Sprovviste della legna sufficiente per l’intera serata, Haruka costrinse Giovanna ad andare a prendere qualche ciocco dimenticato nel box. Almeno sarebbe riuscita a prendere un po’ d’aria.

Così rimaste nuovamente sole, madre e figlia ripresero una conversazione più intima e personale.

“Hai mangiato bene?”

“Molto. Non sapevo fossi tanto brava ai fornelli.”

“Mi piace e mi rilassa, anche se per mancanza di tempo posso sbizzarrirmi solamente il fine settimana.” Sistemandosi più comodamente sul divano, Michiru iniziò a rilassarsi mentre Flora le chiedeva da quanto tempo conoscesse Giovanna. Tempo addietro aveva saputo che tra la donna italiana ed Haruka non ci fosse un rapporto fraterno per così dire, normale.

“Questa estate saranno quattro anni.”

“Allora vi siete incontrate durante il tuo lavoro in Vaticano.”

“Già. E non sapeva di avere una sorella. Sono stata io a dirle di Haruka ed in pratica ha farle conoscere.”

“Che straordinaria coincidenza. Quante possibilità c’erano di fare amicizia con la sorella segreta della tua… compagna.” Ammise non sforzandosi neanche più di tanto nel pronunciare quel sostantivo per lei tanto difficile d’accettare.

Michiru colse e ne gioì. “Immagino pochissime. Ancora oggi, quando ci penso, non mi sembra possibile.”

“Giovanna ha un buon carattere. Mi piace.”

“Ho visto. E’ raro vederti tanto a tuo agio.” Piccò dolcemente vedendola sorridere.

“E con Haruka va d’accordo?”

“Per alcuni versi hanno caratteri molto simili; sono testarde e competitive, ma anche molto generose. Entrambe avrebbero voluto una sorella con cui crescere, ma ritrovarsela superati i trent’anni è stato abbastanza sconvolgente. Soprattutto per Haruka. Ci ha messo un po’ prima di riuscire ad aprirsi.”

Alzando le sopracciglia Flora affermò di non essere affatto stupita della cosa. “Tenou è d’indole guardinga.”

“Lo so mamma. Proprio come te.” E questa volta toccò alla figlia sorridere divertita.

Cambiando un discorso che avrebbe potuto metterla in difficoltà, Flora chiese delle sue lezioni di violino. A tal riguardo Michiru era sempre abbastanza vaga al telefono.

“Come procedono? Hai fatto progressi?”

Ma sospirando Michiru le rispose di no. “Riesco a suonare scolasticamente qualche partitura, ma è come se la mano destra fosse scollegata da tutto il resto. In più te l’ho detto; non ho proprio tempo.”

“Per ciò che si ama il tempo lo si trova sempre.”

“Questo è vero, ma nel caso preferisco rilassarmi in cucina o nuotare piuttosto che inquietarmi con l’archetto.”

Una frase detta talmente a cuore aperto che Flora se ne dispiacque. Sporgendosi verso la figlia per accarezzarle una mano le chiese di poterla ascoltare.

“O no mamma. Ti prego. Ricordami come suonavo a sedici anni.”

“Che sciocchezze cara. Molto probabilmente posso aiutarti.”

“Ne dubito.”

“Lascia che sia io a giudicare.” Disse rendendo la voce simile ad un comando e Michiru, che conosceva molto bene quel timbro dittatoriale, si arrese alzandosi.

Andando verso il mobile dove si trovavano il giradischi e i vinili di classica, ne aprì un’anta per estrarre una custodia scura. Facendo scattare le cerniere alzò il coperchio afferrando il violino. Non le piaceva affatto suonare sapendo di essere ascoltata. Aveva addirittura costretto Haruka ad insonorizzare il suo studio perché non voleva che i vicini sentissero. Soltanto alla compagna permetteva di assistere agli esercizi e comunque sempre con disappunto. Si vergognava Michiru. Per lei era insopportabile che il talento cristallino che era stata da giovane, fosse ora costretto dalla fragilità di un maledetto tendine a fare accademia sulle partiture scolastiche. Eppure continuava, nonostante tutto il supplizio che sentiva nell’anima ogni volta che provava e falliva.

“Andiamo nel mio studio. Preferisco suonare li.”

Flora la seguì senza commentare ed una volta chiusasi la porta alle spalle vide la figlia fare un paio di grossi respiri prima di assumere la classica postura di una violinista. Nel vederla ebbe un brivido sovrapponendo per istinto la siluette della donna che ora le stava davanti, alla ragazza di un tempo. Posizionando la mentoniera, Michiru strinse l’archetto nella sinistra iniziando a farlo scivolare sulle corde. Lo fece rapidamente. Come se fosse un compito mal digerito.

Il suono si diffuse per la stanza, tra le scaffalature, i pennelli, il tavolo da lavoro ed il cavalletto dove riposava un quadro che aspettava ancora di essere terminato. Si diffuse anche nell’animo di Flora che provò una specie di scossa nel sentire nuovamente la figlia dopo venticinque anni. Aveva conservato delle registrazioni e le ascoltava spesso, ma non era la stessa cosa.

Dopo un paio di minuti Michiru staccò improvvisamente l’archetto dalle corde serrando con forza le labbra. Alzando il mento chiuse gli occhi scuotendo la testa.

“Che cos’è che non va? Ci penso e ci ripenso, ma proprio non riesco a focalizzare quale sia il problema.”

“Te lo dissi che non sarebbe stato facile riappropriarti del ritmo.”

“Come io ti dissi che non mi sarebbe importato, perché tornare a fare una musica quanto meno decente sarebbe stato lo stesso appagante.” Ricordò.

“Ma non lo è.”

“No. Per niente.”

A Flora venne quasi da ridere. Sua figlia non si smentiva mai. Troppo perfezionista, troppo caparbia, troppo meticolosa.

“E’ la mente cara. Tu pensi troppo.”

“A cosa?! I movimenti li conosco a memoria.”

“No. Conosci a memoria i movimenti della mano sinistra sulle corde e la fluidità della destra nel guidare l’archetto su di esse, non viceversa.”

“E allora?” Chiese stizzita per tanta calma.

“E allora devi ingannare il tuo cervello.”

Non riuscendo a seguirla, Michiru le chiese di spiegarle meglio e la madre voltandosi verso il grande specchio montato dietro la porta la invitò accanto a se.

“Vieni qui e prova a suonare guardandoti riflessa.” Consigliò e la figlia iniziò a capire.

“Il tuo cervello ricorda perfettamente come si suona con l’impugnatura classica, devi solo convincerlo che lo stai ancora facendo. Con l’aiuto dello specchio i tuoi occhi gli manderanno l’immagine corretta. L’immagine che ha memorizzato in anni di studio.”

“Possibile sia così semplice?”

“Può darsi. Prova…” Incoraggiò posandole per qualche istante le mani sulle spalle.

Michiru si guardò. Di rimando l’immagine di una bellissima quarantenne con un maglione chiaro a valorizzarle le forme del petto ed una gonna lunga fino al ginocchio. Nelle mani un violino ed un archetto; amici, compagni della sua gioventù.

Impugnando nuovamente lo strumento tornò a formare le prime note e quello che notò subito fu la scioltezza nei movimenti della mano destra. La madre aveva ragione; la differenza era abissale, soprattutto per una purista del suono come lei. Non avrebbe certo ripreso la destrezza di una volta, ma almeno poteva dirsi un vibrato sicuro e pulito.

Gettando uno sguardo alla madre dietro di lei, la vide sorridere e lo fece a sua volta interrompendosi per voltarsi e gettarle le braccia al collo.

“O mamma!”

“Visto? Ogni tanto dovresti fidarti dell’esperienza di tua madre. Non pensare di essere la prima violinista ad avere avuto un infortunio.”

“Grazie.” Soffiò sentendosi stringere a sua volta.

 

 

Lanciando l’ultimo ciocco nella cassetta, Haruka impugnò un manico aspettando che la sorella facesse altrettanto. “Credo possa bastare.”

“Pensavo che sul terrazzo di legna ne avessi ancora.”

“Certo che ne ho, ma avevo bisogno di sparire dai radar di quell’arpia.” Ammise uscendo ed aspettando che la bascula del box si chiudesse del tutto.

“In effetti ti ha studiato tutto il tempo.”

“Bella roba. Ma di un po’, prima di pranzo, sulla terrazza, di cosa avete parlato che rideva tanto?”

Una vigorosa spinta al maniglione d’emergenza e la porta anti incendio che portava all’ascensore si aprì e Giovanna passò per prima bilanciando il peso con la forza dei bicipiti. “Nulla di che. Visto che è una donna che mette parecchia soggezione, per rompere il ghiaccio le ho raccontato di come l’altro giorno io abbia fatto saltare l’impianto elettrico delle sale delle temporanee e Michiru abbia sclerato convinta fosse stato un topo.”

“Sempre la solita casinista! Cerca di tenertelo da conto questo lavoro.”

“Siiii. Tranquilla.”

“Tranquilla ha fatto una gran brutta finaccia.” Richiamando l’ascensore Haruka la fulminò chiedendole se fosse tutto li.

“Si, perché?”

“Non ti ha chiesto nulla di me?”

“No. E che avrei potuto dirle, scusa. So che Michiru le ha accennato della nostra storia, perciò sa benissimo che su di me non può contare più di tanto.”

“Be, in questi quattro anni qualcosa di me l’avrai pur capita.”

“Certo, che freghi a Pes, nella corsa, mi rubi tutte le patatine bruciacchiate che lascio per ultime ai lati del piatto, quando vieni da me mi finisci sempre la birra e non me la ricompri mai, che devo estorcerti gli abbracci con l’inganno e sto ancora aspettando il libro che ti ho prestato questo inverno.”

Guardandola storta Haruka ammise che erano altre le cose serie che sapeva.

“Tu dici?”

“Certo! Potevi dirle che sono affidabile, onesta, volenterosa, una gran lavoratrice, che sono leale sul lavoro e con gli amici e che amo sua figlia come se non più di me!

“Questo dovresti dirglielo tu.”

“A me quello che mi rode più di tutto è sapere quanto quella donna non mi possa soffrire. Non sono stata io a far fare a Michiru coming out e anche se fosse, sarebbe un punto d’onore e non di demerito!”

“Però venire è venuta.”

“Si, dopo otto anni!”

“Meglio tardi che mai. - Giovanna sorrise serafica avendo capito quanto all’amica avesse fatto piacere rivedere la madre. - Sai, mentre oggi le guardavo pensavo che tra le tre, Michiru è l’unica ad avere ancora un genitore. A me sarebbe piaciuto farvi conoscere la mia mamma. Come mi sarebbe piaciuto parlare con la tua, anche se visto il casino che ha combinato nostro padre non so se la cosa sarebbe stata reciproca.”

“Io credo di si.” Borbottò la bionda guardando le porte scorrevoli dell’ascensore aprirsi.

“Dici?”

“Sei appiccicosa Giovanna, appiccicosa e strana e quando hai la luna girata ti sbatterei al muro, ma le saresti andata a genio.

“Be, grazie. Non farmi tutti questi complimenti o potrei anche montarmi la testa.”

”Posso dirlo perché sono tua sorella e fai parte della mia famiglia.”

“Ok, passi. Dimmi, com’era tua madre?”

Per assurdo che fosse, non avevano mai parlato delle loro rispettive madri, forse per paura di ferirsi o di starci male. “Era una donna tenace, forte ed orgogliosa, ma anche dannatamente innamorata dell’amore, proprio come Michiru. Vedeva il buono in tutti anche se mi raccomandava sempre di farne passare di acqua sotto i ponti prima d’iniziare a fidarmi di qualcuno. - Sorrise spingendo il pulsante del terzo piano. - Ricordo che mi spalleggiava di continuo, soprattutto in campo sentimentale. Con le ragazze mi diceva sempre di andarci piano e mi tirava le orecchie quando secondo lei ,quella di turno non la trattavo a dovere. Era così diversa da Flora. Per lei la mia omosessualità non era un problema, invece pare che per quella donna sia il centro di tutto.”

“Non lo sarebbe stata neanche per la mia. Nel sapere che Sebastiano aveva avuto un’altra figlia non dicendomelo, credo ci sarebbe rimasta un po’ male, ma poi nel vederci insieme avrebbe sorriso e sarebbe stata contenta.”

Haruka stemperò guardandola di sottecchi. “Contenta che mi estorci baci e abbracci?”

“Anche. Sei così stitica… Devo pure inventarmi qualcosa. Sai, il mio più grande rammarico è di non avere ricordi che comprendano entrambe, perciò se puoi… provaci Ruka. Prova a soprassedere al fatto che Flora non ti accetti.”

“Non è facile Giovanna!”

“Lo so. Come so che per amore ci proverai.”

Ricordi, pensò la bionda. Michiru era l’unica che poteva ancora costruirne e la sorella aveva ragione.

Quando aprirono la porta dell’appartamento trovarono Flora e Michiru che guardavano le foto che quest’ultima voleva da sempre sul davanzale del caminetto. Cosa che mandò per l’ennesima volta Tenou fuori rotta.

“Non tornavate più.” Esplose la compagna con un sorriso luminosissimo.

“Scusa amore. Il box è un macello. Ho fatto fatica a trovare la legna. Però mi sono ricordata di prenderti il cellulare.”

“Grazie.”

“Voi cosa stavate facendo?”

“Sto facendo vedere a mamma le foto che ritengo essere più belle. Ci sei anche tu Giò.”

“Si, quella oscenità che continui a chiamare la vostra prima foto insieme. Signora Flora, di grazia, glielo dica anche lei che va tolta da li. Mi si vede solo il naso e la cosa non è affatto lusinghiera.” Disse neanche troppo scherzosamente lasciando la cassetta alla sorella per poi fare per congedarsi.

“Ragazze, si è fatto tardi. Io andrei. Signora Flora è stato un piacere. Se vuole, più tardi posso accompagnarla io al suo albergo. Ho la macchina ancora sul piazzale.”

“Grazie. Non ho prenotato, ma ho visto che c’era una gran disponibilità di camere praticamente in tutti gli alberghi della città.” Commentò tranquilla chiedendo poi alla figlia d’indicarle la struttura che secondo lei avrebbe fatto al suo caso.

“Sono tutte valenti, puoi scegliere quello che vuoi…”

“Io avrei un’altra idea. - Intervenne Haruka iniziando a sistemare la legna nella bocca del camino. - Potrebbe sempre restare qui da noi.”

 

 

Passando l’ultimo cuscino alla compagna, Michiru aprì con un semplice gesto il divano letto che si trovava nel suo studio. Questa mossa Haruka doveva proprio spiegargliela.

“Mi hai stupita, lo riconosco. Mai mi sarei aspettata un invito simile da parte tua. Primo perché non sopporti avere gente per casa e secondo… - Abbassando la voce le sorrise grata. - …perché non sopporti lei.”

Alzando le spalle Haruka distolse lo sguardo facendo una smorfia. “Che vuoi che ti dica…”

“Dimmi che mi ami.” Suggerì posandole gli avambracci sul collo.

“Mi sembra di avertelo appena dimostrato.”

“E’ vero e ti ringrazio, ma… dimmelo.”

“Mamma mia! Non ti sarai presa la stessa malattia di Giovanna?!”

“In che senso?”

“Lo so io. Comunque si… ti amo.” Le sussurrò all’orecchio facendola rabbrividire.

“Sai, la mamma mi ha insegnato un trucchetto per suonare meno scolasticamente.”

“Ecco perché sei tanto euforica.” Affermò iniziando ad accarezzarle la vita. Era calda e perfetta la sua Michiru.

“Si.”

“E funziona?”

“Mi sembra. In più mi ha chiesto di raccontarle un po’ di noi. Ecco perché le stavo facendo vedere le foto sul camino.” Occhi negli occhi si avvicinò tanto da strofinare il naso contro la punta di quello dell’altra.

Haruka percepì una certa eccitazione nel comportamento della sua dea, tanto che dovette monasticamente farsi forza per allontanarsela un po’ dal corpo.

“C’è tua madre di la e se ci vedesse… Addio a tutti i progressi fatti non so neanche io come.”

“Va bene…”

“Dai, finisci di farle il letto. Io vado stoicamente a reggere le barricate.”

Un fugace bacio e la bionda tornò dalla loro ospite intanto molto concentrata sulla collezione di modellini. Occhi incollati alla vetrina, Flora sembrava realmente interessata a quella che per Michiru era invece un vero accumulo di polvere.

“Credevo che l’avrei trovata a guardare la collezione di dischi di sua figlia.”

“In realtà stavo provando a vedere se tra i tanti modellini ci fosse la moto che mio marito aveva da giovane.”

Spalla a spalla la bionda se la guardò stupita. “Il modello?”

“BMW R75 - Rispose fieramente gonfiando il petto. - Erano gli anni settanta e a me e mio marito ci piaceva passare le giornate libere su e giù per le strade. Poi la nascita di una figlia e gli impegni sempre più pressanti ci suggerirono di mettere la testa a posto. Ma la vedo stupita…”

“Un po’… Comunque no, quel modello non ce l’ho.”

“Ma come, è un must!”

“Lei ha ragione, moto teutone estremamente affidabile, ma sono anche conscia che se aumentassi il numero dei miei modellini sua figlia mi caccerebbe di casa.”

E per la prima volta da sempre, contro ogni logica e previsione, due donne bizzose che si erano fatte la guerra per anni, una attaccando e l’altra difendendosi, risero insieme.

“Michiru mi ha detto che anche lei ha una moto.”

“Si! Aspetti…” Andando verso la libreria, la bionda afferrò un testo dalla copertina rossa e bianca che poi altri non era che l’annuario della Ducati del 2018. Sfogliando le pagine patinate arrivò ad un paio di fotto a suo giudizio mozzafiato.

“Ducati Panigale 959. E’ una bellezza, glielo assicuro. 955 centimetri cubici di potenza, motore quattro tempi, cilindri a V. Una volta risolti i problemi al forcellone, questa bambina me ne ha date di soddisfazioni…”

Nell’esprimere ciò che vedeva fotografato su quelle pagine, Haruka s’infervorò talmente tanto che Flora sorrise chinando leggermente la testa da una parte. La bionda rivide in quel gesto la sua dea e vergognandosi si ammutolì di colpo.

“Certo è parecchio sportiva. Sta attenta quando ci porta mia figlia, vero?”

Riprendendo quota la donna più giovane richiuse il libro facendosi seria. “Si, certo.”

“Allora intesi.”

“Mamma, la stanza è pronta.” Michiru uscì dal suo studio e nel vederle insieme in quella sorta di tregua, rimase bloccata con le dita sull’interruttore.

“Grazie cara, credo che ne approfitterò per coricarmi subito.”

“Non vuoi cenare?”

Flora andò vicino al trolley dimenticato in un angolo dell’ingresso ammettendo di essersi saziata a pranzo. “Quale dei due bagni posso usare per non darvi troppo disturbo?”

“Usa pure il mio. Vieni, ti do gli asciugamani.”

Haruka le vide entrare nell’ambiente dalle maioliche gialle che oltre alla cucina e al suo studio, componevano il regno della compagna, iniziando a sentirsi ancora più nervosa di quanto non lo fosse già stata per tutto il giorno. Ruka, prega di non avere fatto il passo più lungo della gamba, pensò tornando a concentrarsi sul camino.

 

 

Quella domenica mattina Michiru si svegliò di buon ora. Intenzionata a preparare una sostanziosa colazione, si prese tutto il tempo per fare le cose per bene, alla sua maniera. Abbandonando la penisola che in genere vedeva lei e la compagna iniziare la giornata, sistemò il tavolo disponendo tutto l’occorrente per soddisfare i gusti di sua madre, poi, una volta davanti ai fuochi, iniziò a preparare le uova alla Benedict, un piatto che a Flora, bernese purosangue, era sempre piaciuto molto.

Quando cinque minuti dopo Haruka uscì dalla loro stanza, tutto si sarebbe aspettata tranne di avere le narici invase da quell’olezzo terrificante. “Dio del cielo… Ma che cosa stai facendo?” Chiese avvicinandosi con circospezione.

“Sei svizzera e non riconosci una tipica colazione elvetica?”

“Sarà colpa della parte italica che ieri mi hai intimato di tirar fuori.” Rispose scherzosamente afferrandole i fianchi da dietro per cercarne il collo con le labbra.

A quel tocco però, Michiru si scansò un poco non staccando gli occhi dalla padella.

“Che c’è?”

“Nulla. Ho da fare, amore. Voglio che sia tutto perfetto.”

“Sei sicura?”

Ma sentendola nuovamente vogliosa di un contatto, Kaiou si scansò ulteriormente.

“Michi… - Voltandole un poco il mento per costringerla a guardarla, Haruka cercò d’imporsi anche con l’aiuto della statura. - Che cosa avrei fatto questa volta?”

“Non lo capisci da sola?” Ed ecco la conferma.

Lasciandole il viso per poggiarsi al piano di granito della penisola, la bionda scosse la testa aspettando una spiegazione.

“Ti sei scansata!”

“Quando?”

“Questa notte! Non hai accettato le mie carezze ed è stata la prima volta Haruka!”

L’altra sbatté le palpebre ricordando. In effetti la compagna aveva ragione. L’aveva sentita accoccolarsi contro la sua schiena, preludio ad uno dei classici approcci che usava quando la voleva. Da li, le sue dita avevano iniziato ad insinuarsi tra le pieghe della T shirt della bionda puntando decise all’attaccatura del seno.

Haruka l’aveva fermata un attimo prima che iniziasse e giocherellare con uno dei suoi capezzoli.

“No, Michi mia… E’ tardi. Dormi.” Le aveva sussurrato per poi raggomitolarsi ancor più in posizione fetale.

“Tutto qui?! Ero stanca, dai.” Cercò di tagliar corto.

“Eri stanca? Da quando ti conosco non sei MAI stata troppo stanca da sottrarti alle mie carezze. - Disse voltandosi di scatto. - E smettila di minimizzare! Questa cosa mi ferisce ancora di più.”

“Non voglio che tu ti senta ferita o offesa.”

“Ma lo sono!”

Allora vista la situazione, Haruka dovette cedere e confessare l’esatto motivo di quel gesto. “E’ da quando eravamo nel tuo studio che ho capito che mi volevi, ma…”

“Ma?” Incalzò.

“Porca miseria, non lo capisci? C’è tua madre di la!”

“Se credi ci avrebbe sentite, ti ricordo che tra la nostra stanza e lo studio ci sono due bagni… Alias tre muri e circa quattro metri!”

“Si…, va bene…” Lamentò poco convinta cercando di chiuderla li, ma andandole sotto Kaiou non demorse.

Si va bene, cosa?”

“Lascia perdere. Non voglio essere fraintesa.”

“E no! Adesso parli.”

“Se proprio insisti. Vedi Michi mia, forse tu non te ne rendi conto, ma quando… - Abbassando la voce al minimo, Haruka si sporse verso il suo viso. - …quando hai un orgasmo, spesso e volentieri ti capita di essere, come posso dire,…, un po’ esuberante.”

“Esuberante?!”

“Rumorosa! Sei rumorosa amore. E tanto!”

Spalancando gli occhi e corrugando la fronte l’altra tirò il busto indietro non credendo alle proprie orecchie. Haruka fu lesta nel mettere immediatamente le mani avanti.

“Non fare quella faccia, non è una cosa brutta, anzi mi ha sempre eccitata da morire, ma converrai con me che con tua madre nello stesso appartamento…”

Bastarono solamente un indice ed un medio alzati di scatto a mezz’aria e la bionda si azzittì di colpo. Lo sguardo di Michiru fu più eloquente di mille insulti urlatigli contro e quando dopo aver spento i fornelli si diresse a passo di carica verso la loro stanza, Haruka capì inequivocabilmente che questa volta il dazio da pagare all’Olimpo della sua dea sarebbe stato salatissimo.

 

 

A Flora venne da ridere, si perché altro non poteva fare vista la situazione nella quale sua figlia l’aveva cacciata. A braccia conserte si strinse nella giacca da motociclista che proprio quella stessa subdola creatura le aveva prestato.

“Non c’è che dire Haruka…,; Michiru ci ha proprio intortate per bene.” Ammise voltando il collo verso la donna che poggiata alla sella della sua moto, si stava godendo il panorama usando la sua identica postura.

“E noi ci siamo cascate come due allocche. Senza offesa.” Aggiunse sospirando rumorosamente.

“Senza offesa.” Rimarcò tornando alla valle che si estendeva sotto di loro.

Flora non avrebbe mai pensato che sua figlia sarebbe arrivata a tanto, o forse avrebbe dovuto quanto meno immaginarselo quando dalla porta dello studio, l’aveva intravista parlottare animatamente con Tenou per poi defilarsi imbufalita nella loro camera da letto.

Per le restanti due ore Michiru era stata con la bionda, intrattabile, ostile, dittatoriale, insomma, una vera e propria spina nel fianco. Haruka si era lasciata comandare a bacchetta girando come una trottola per casa dietro a puerili faccende che come un buon soldato aveva eseguito senza batter ciglio, masticando amaro, lanciando occhiatacce, ma non rispondendo mai a quelle che a Flora sembravano provocazioni.

Conosceva molto bene quell’atteggiamento d’arpia, perché lei stessa lo aveva usato in gioventù con suo marito Victor e negli ultimi anni con Paul, per punirli di qualche loro mancanza, ma oltre a questo Flora non aveva visto e non pensando minimamente a qualche assurda subdola strategia militare, aveva accantonato quella rappresaglia di coppia non volendosene minimamente occupare. Tutto sommato la signora Tenou era una persona gradevole, ma lungi da lei immischiarsi nel suo rapporto con Michiru. Ed invece avrebbe fatto meglio ad essere più accorta, perché, quando francamente stanca di quel suo assurdo comportamento, Haruka aveva espresso il desiderio di uscire, la compagna ne aveva approfittato andando a dama con entrambe.

“Ricordati che abbiamo un ospite e l’andarsene la trovo una cosa estremamente maleducata…” Le aveva detto guardandola indossare giubbotto e sciarpa.

“Senti Michiru, a me dispiace di averti involontariamente offesa, questa notte, questa mattina o in una vita precedente, ma sono stufa del tuo comportamento, perciò se non vuoi che ti manchi di rispetto un’altra volta rispondendoti male di fronte a tua madre, sarà meglio che mi lasci un’oretta in santa pace.”

“Vuoi uscire proprio adesso?!”

“Si! Il tempo è splendido per una corsetta.” Afferrando le chiavi della Ducati aveva cercato di non badare agli occhi di brace che l’altra le stava puntando contro.

Andarsene sarebbe stata un’azione veramente scortese e Haruka sapeva perfettamente di stare per innescare una critica da parte della signora Flora. Ma poco le importava.

“Bene…, allora vai Haruka, ma… - Il sorrisetto sornione da disfida cavalleresca che aveva sollevato leggermente gli angoli della bocca di Michiru, avevano preannunciato la disfatta della sua povera compagna. - … sarebbe carino che portassi anche mia madre.”

Haruka e Flora, seduta su uno sgabello della penisola, avevano allora esploso un cosa all’unisono.

“Amore…, vado in moto.” E le aveva tintinnato davanti le chiavi.

“Lo so. Non vedo quale sia il problema. A mia madre piacciono. Vero mamma?”

“Cara, non credo sia il caso.”

“O e perché mai?”

“Te lo spiego io il perché Michi. Non pretenderai mica che la faccia salire in moto all’amazzone?!”

Aveva abboccato con tutte le scarpe Haruka. scarpe, calzini e tutto il resto, così come Flora, che sentendosi forse derisa, forse sfidata, era intervenuta per mettere i puntini bene evidenziati sulle I.

“Mi dispiace deluderla, ma so come si va in moto.”

“A si? - Arpionandosi i fianchi la bionda aveva allora alzato il mento convintissima che quella donna non si sarebbe mai spinta oltre. - Vogliamo provare? Ma badi; i motori di oggi sono assai più performanti di quelli del secolo scorso. Non so se mi spiego.”

“Cara, non sono stata giovane nella preistoria. Crede forse che io abbia paura della velocità?”

“Ne sono quasi certa.”

“Non so cosa le dia tutta questa smisurata sicurezza, ma per me va benissimo. Ho un paio di pantaloni comodi che faranno proprio al caso nostro.”

Così era stato; Michiru le aveva salutate mezz’ora più tardi complimentandosi con se stessa e tornando a godersi la pace ritrovata.

“Secondo lei quand’è che sua figlia avrebbe deciso questa cosa?” Chiese Haruka alzandosi gli occhiali da sole dal naso per guardare Flora dritta negli occhi.

“Non saprei, ma le posso assicurare che sapeva già come sarebbe andata a finire. Ci ha pungolate quanto basta aspettando la nostra reazione.”

“Sa una cosa? Sua figlia è diabolica.” Ammise la bionda scuotendo la testa.

“Non lo aveva ancora capito?”

“Riesce sempre a farmi fare tutto ciò che vuole, questo è vero, ma… - Stringendo le labbra s’interruppe una frazione di secondo. - Si. In effetti…, lo sapevo già.” E non le rimase altro che ridersela.

“Comunque aveva ragione sulla sua moto; è veramente molto, aspetti come ha detto? Performante.”

Haruka si grattò la testa tornando ad inforcare gli occhiali. “Mi perdoni. Non intendevo offenderla.”

“Non si preoccupi. E’ stata una bella corsa, anche se spero che con Michiru non corra così tanto.”

No. Mai. Lo aveva fatto solo per fargliela fare nei pantaloni, ma visto il viso serafico di Flora, aveva fatto clamorosamente cilecca anche in quello.

“No, signora Kaiou. Amo troppo sua figlia.” Si lasciò scappare e non se ne pentì affatto, perché era la sacrosanta verità.

“Vogliamo andare?”

“D’accordo.” Disse la bionda inforcando la sella ed infilandosi il casco.

Proprio al ritorno da quell’assurdo giro su due ruote, sul piazzale del parcheggio di fronte alla palazzina dove viveva sua figlia, Flora vi trovò Paul ritto in piedi accanto alla sua auto. La sorpresa della donna non fu neanche lontanamente paragonabile a quella di lui nel trovarsela aggrappata alla schiena di un centauro che altri non era che la donna di Michiru. Haruka lo salutò, aspettando che la passeggera scendesse e dopo aver ripreso il casco li lasciò da soli imboccando la discesa che portava ai box.

“Non avrei mai pensato di trovarti qui.” Esordì la donna passandosi per puro vezzo femminile una mano fra i capelli per ravvivarli un po’.

“Ma lo speravi.” Sorrise lui sornione penetrandola con i suoi grandi occhi castani.

“Non scherzare con me Paul. Lo sai che non ti conviene.” Eppure era così felice di vederlo.

“Lo so Flora, ma converrai che questa volta non sia mia la colpa. Sei stata tu a travisare le cose, tu a sbattermi davanti al tavolo dei giudici e tu a farmi condannare pur sapendo della mia innocenza.”

“Di questo non posso ancora esserne certa.”

Paul l’aveva tradita un’infinità di volte, ma mai con i sentimenti, ed anche se questo per una qualsiasi donna equivale sempre ad un’umiliazione, il sostegno che quell’uomo terribile sapeva darle non aveva prezzo. Lui tornava ogni volta. Ma dopo tanti anni passati insieme e tanti rospi ingoiati a forza, complice anche la drastica riduzione dei concerti e perciò la mancanza di una valvola di sfogo, Flora non era più disposta al perdono. Anche se forse questa volta, l’aspettarsi il peggio l’aveva fatta scattare ancor prima che quest’ultimo si fosse realmente consumato.

“Ancora non mi credi? Nonostante tutte le prove in tuo possesso?” Avvicinandosi la vide abbassare per un attimo lo sguardo. Era testarda, ma non stupida.

“Sei scappata come una scolaretta.” Le bisbigliò all’orecchio provocandole stizza.

“Piantala! Mi ci hai costretta.”

“Si e ti è piaciuto, perché sapevi che ti avrei inseguita.”

“Come facevi a sapere che fossi venuta proprio qui?” Domandò cercando di non badare a quello che il suo fiato caldo stava facendo ai suoi sensi.

“L'altro giorno non è stato il compleanno di Michiru?”

“E allora?”

“Ho provato ad indovinare. Le ho fatto una telefonata, ma è stata una tomba, perciò se non fossi arrivata avrei dovuto aspettare qui per tutto il giorno sperando di averci visto giusto.”

Flora sorrise arpionandogli il sale e pepe dei capelli. “Le donne Kaiou sanno sempre come comportarsi.”

 

 

Inarcando schiena e collo, Haruka urlò all’esplosione del suo piacere schiacciando subito dopo le spalle al materasso.

“Oddio… “Ansimò sentendo il corpo nudo della sua dea scivolarle languido lungo il fianco.

Per un lungo istante nella loro camera da letto immersa nella penombra e nel silenzio della notte ci fù l'immobilità piu' assoluta, poi colei che aveva iniziato e condotto quell’univoca danza, ridacchiò vittoriosa costringendo la bionda a rivedere gran parte delle cose che le aveva detto quella stessa mattina.

“Lo hai fatto apposta…” Inquisì affannata.

“Non so assolutamente a cosa tu stia alludendo, amore.” Rispose Michiru tornando ad accarezzarle la pelle dello sterno come se stesse disegnando non so quale figura ancestrale.

“Si che lo sai. Cosa ti sarebbe preso altrimenti?!”

“Avevo solo voglia di farmi perdonare...”

“Non ti credo.”

“… per averti trattata male…”

“Bugiarda.”

“…per il tiro mancino che ti ho lanciato con mia madre…”

“Tzs…”

“… e per averti costretta ad andare al ristorante con lei ed il signor Maiers prima del loro ritorno a Zurigo.” Concluse tornando a ridergli nell’incavo del collo.

“Kaiou… Slegami!” Soffiò divincolando le mani saldamente bloccate alla testiera dalla grazia di un foulard colorato.

“Perché? Mi sembrava stessi gradendo.”

“Non mi piace stare sotto, lo sai.” Si difese voltando il viso verso la porta, perché anche se sapeva che nella penombra della stanza Michiru non avrebbe mai potuto metterla a fuoco, si stava vergognando da morire.

“Ma ogni tanto ami che sia IO a prendere il controllo…”

“Si, ma ora sciogli questi nodi.”

“Ne sei proprio sicura? Eppure Haruka, ti ho vista così… esuberante.”

E la bionda ebbe la conferma dell’enorme astuzia della sua donna. Si era presa la vendetta che tanto aveva bramato e pianificato per tutta la giornata e lei era stata l’inconsapevole preda di quel banchetto lussurioso iniziato come un gioco e finito con l’estasi.

“Michi…”

“Non ci sarà mia madre, ma non so se hai notato come la testiera del nostro letto confini con il vano scala…”

“Michi…” Piagnucolò disperata rilassando le braccia sopra la testa.

“… Ed essendo le due del mattino non avresti dovuto fare così TANTO RUMORE, amore mio.”

“Ti ho detto che mi eccita sentirti gemere.”

“Sapessi quanto eccita me sentirti urlare.” E scoppiarono a ridere tornando a baciarsi.

“Si, ma adesso slegami. Voglio sentire la mia dea sotto di me e renderle la giusta pariglia.”

 

 

 

Salve a tutte/i. Torno a bussare alla vostra attenzione con un’altra one shot, ringraziando TenouHaruka10 per l’idea di far nuovamente scendere in campo Flora. Ecco perché, pur non amando quello che ha rappresentato per il mondo il nome Elona Gay, ho voluto chiamare questo capitolo così; una sorta di bombardiere a forma di madre piombato sulle teste delle nostre ragazze senza il ben che minimo preavviso. Spero vi sia piaciuto e che vi abbia portato un po’ di allegria.

Ciauuuu

 

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Capitolo 7
*** La dissacrante ironia della mia donna ***


La dissacrante ironia della mia donna

 

Legato ai racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

La vita che ho scelto”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Arpionandosi la vita con fare sicuro guardò soddisfatta la piccola porzione in ferro battuto del tavolino che aveva appena saldato. Nulla di che, si schernì sogghignando tronfia riprendendo a gonfiare il suo già vertiginoso ego. Sentendo sotto i polpastrelli il cuoio della cintura multiuso in stile “Bob l’aggiusta tutto” che calzava ogni volta che girava per casa con qualche compito da fare, respirò forte l’odore della brezza che si stava alzando da nord. Il gran caldo stava finendo e lei amava starsene al fresco di una qualsiasi corrente.

“Questa volta la mia donna non potrà che essere contenta.” Disse spostando gli occhi dalla brunitura del ferro al saldatore dimenticato a raffreddarsi poco oltre.

Erano infatti giorni che la Dottoressa Kaiou aveva preso a martellarle i nervi sulla necessità di mettere a posto quel piccolo pezzetto di ferro sporgente da un tavolino per esterni che, a dirla tutta, utilizzavano pochissimo e la cosa non aveva dato ad Haruka altro che fastidio fino a quando quella stessa dea del male per spronarla e costringerla alla resa, non aveva giocato d’astuzia suggerendole l’acquisto di un nuovo saldatore. Figuriamoci, il così detto invito a nozze era stato per la bionda tanto stuzzicante che nel giro di tre giorni, dopo non poche spasmodiche ricerche sulle qualità prestazionali dell’oggetto, l’aveva acquistato e se ne era servita per aggiustare finalmente la ghiera del tavolino.

“Così per un po’ la finirà di sfasciarmi l’anima.” Gongolò pulendosi i palmi delle mani sulla stoffa scura dei suoi pantaloncini.

Haruka amava la sua compagnia, con tutto il cuore e tutta se stessa, ma quando Michiru si metteva in mente una cosa non c’era verso di farla desistere, ancor più se si trattava della casa.

“Amore... - Mormorava a volte sorniona, altre tra più sonori sbuffi e bronci vari. - Ti prego…”

E con tutta la malavoglia del mondo, prima o poi Haruka cedeva, non di meno per tacitarla e tornare a godersi i suoi pochi ritagli casalinghi di dolce far niente. Ma era pur vero che sotto sotto, quella condizione all’Ingegner Tenou piaceva, perché lo sguardo d’ammirazione e ringraziamento che il cobalto della sua donna prendeva ogni volta che terminava qualche riparazione, era per lei impareggiabile.

Andando verso la porta finestra aperta, la bionda rimase piantata in mezzo la corrente a godersi il lavoro svolto e la frescura sulla pelle sudata. Aveva anche messo in ordine i vasi delle piante riprogrammando per l’autunno il sistema d’irrigazione automatica. Aveva spazzato, cambiato l’interruttore della luce, potato gli arbusti bruciati dal sole, pulito la legnaia snidando e cacciando via bestiole di ogni razza ed appunto, saldato quel piccolo pezzetto di ferro che stava impedendo da settimane di utilizzare al meglio il tavolino della terrazza. E tutto con metodica calma, conscia che nessuno, ne Michiru, Tigre che dormiva o Giovanna, sarebbero venuti a disturbarla. Il problema di Haruka, se di problema si poteva parlare, era la malavoglia, il partire con un progetto, soprattutto se in ferie. Poi una volta iniziato un lavoro, ci si dedicava con tutta se stessa terminandolo e provandoci anche un gran gusto, soprattutto quando veniva bene come quello.

“Ohhh… Me la sono proprio meritata una birra!” Disse stirarsi avvertendo un latente senso di disagio ai reni.

Io esco amore. Se sudi bada a non rimanere in mezzo alla corrente.” Le aveva detto tre ore prima Michiru già con un piede sulla porta di casa.

“Come se avessi cent’anni!” Grugnì la bionda ricordando.

E già, ormai Haruka, come d'altronde la stessa compagna, aveva passato quella fase della vita dove si può fare e mangiare di tutto senza apparenti ed immediate rappresaglie fisiche, ed anche se in perfetta salute, lo vedeva da sola che non poteva tirare la corda come faceva a vent’anni. Doveva semplicemente andarci più piano, ed accettare la cosa. Ma da quell’orecchio Tenou proprio non voleva sentirci ed ogni volta che un doloretto prendeva a morderle le ossa o i muscoli, prima provava a nascondere la cosa, a se stessa, alla sua donna e al mondo intero, per poi prendere a mugolare insofferente. E li, Michiru si scatenava con tutti i più scontati te l’avevo detto del caso.

Massaggiandosi i reni la donna rientrò sbuffando. Si fosse fottuta l’età e tutte le raccomandazioni sul piegare bene le ginocchia quando si alzano grossi pesi. “Per due vasi di fiori…” Schernì conscia che forse avrebbe dovuto dar retta al suo Giona dagli occhi cobalto.

“Nulla che una chiara non possa curare.” Se la rise slacciandosi la cintura per poi dirigersi verso il frigorifero.

“Una bella doccia calda e passerà tutto.”

 

 

Michiru tornò un’ora più tardi carica di buste della spesa. La stessa storia; ogni volta che si fermava per prendere due o tre cose, si ritrovava chissà come carica come una bestia da soma.

“Almeno spero di non aver dimenticato nulla.” Ansimò richiudendo con un calcetto la porta di casa.

“Amore! - Chiamò mentre adagiava le buste sulla penisola della cucina non prima di aver spostato il lordume della cintura tutto fare di Haruka dimenticata sul granito. - Ci sei?!”

Non ottenendo risposta la donna iniziò a riporre i surgelati nel freezer gettando un occhio alla terrazza. Tutto sembrava in ordine e questo la rilassò. La sua bionda era si, una casinista, ma sapeva usare il cervello e le mani come poche altre persone ed era quella una delle cose che più amava di quel carattere coriaceo e testardo.

“Quando ci se mette…” Disse a mezza voce facendo capolino dalla porta finestra per ammirare meglio l’opera e li, tra il sibilo ventoso della corrente ed un rapace in lontananza, Michiru avvertì il miagolio di Tigre proveniente dalla camera da letto.

“Cosa stai combinando?” Domandò entrata ormai anima e cuore in quel meraviglioso mondo animale fatto di domande e mai nessuna risposta comprensibile.

Un altro miagolio e sospirando rientrò. “Tigre…”

Guerra persa pensare che avrebbe mai potuto insegnare a quel mostro mangia tutto un briciolo di buona educazione casalinga e rispetto per il mobilio, ma quando rimaneva da solo almeno le porte della camera da letto e del suo studio dovevano rimanere chiuse.

“Lo sai che non voglio che rimani qui dentro quando in casa non ci siamo…” E questa volta una risposta arrivò, ma non dal piccoletto.

“Non era… da… solo…” Una voce strana, più baritonale del solito e Kaiou aggrottò la fronte puntando la porta della stanza e da lì quella del secondo bagno.

“Ruka…, allora ci sei!”

“Si… Ma non ti aggitare…” Frase che ebbe il potere di drizzare le antenne dell’altra in un nano secondo.

“Oddio. Cos’altro si è rotto?” E dalla sua comodissima posizione fetale, schiacciata contro le mattonelle del pavimento con il corpo nudo completamente bagnato avvolto da un grande telo da doccia bianco, Haruka sospirò un IO, che diventò il preludio alle ventiquattro ore più avvilenti dei suoi primi quarant’anni.

 

 

“Cosa diamine hai fatto?!”

“Indovina!?”

“La schiena!”

“Corretto. Lei ha vinto un premio, Dottoressa Kaiou!” Abbaiò la bionda cercando di guardarla dal suo bozzolo di dolore.

“Fai poco la spiritosa! Riesci ad alzarti?” Inquisì l’altra trovando lo spazio per accovacciarsi.

“Pensi che se avessi potuto farlo sarei rimasta qui a fissare la base della tazza del cesso?!”

Sorvolando, Michiru cercò allora di afferrarla per le ascelle procurandole un latrato doloroso.

“Nooo, no, no! Non mi toccare!”

“E come pensi che possa aiutarti allora?!”

“Non lo so. Ci sto pensando.”

“E’ meglio farlo alla svelta prima che tu faccia i funghi.”

“La tua ironia non mi aiuta, Michi!”

“Ma da quanto sei qui?”

“Non lo so. Tutta la vita, credo.”

“Dai, cerca di mettermi un braccio attorno al collo. - Spronò evitando qualsiasi commento. - E tu, togliti, che non è cosa.” Terminò fulminando la serafica impassibilità che gli occhi di Tigre avevano preso mentre dall’angolo del bagno le stava fissando.

“Ringrazia Dio che sia stato buono. Ad un certo punto ho creduto volesse saltarmi addosso per mangiarmi.”

Il bagno della loro camera da letto, scelto sin da subito dalla bionda per la presenza di un box doccia dal piatto in ardesia nera dalle notevoli dimensioni, non era altrettanto largo come quello di Michiru e così ci vollero svariati minuti prima che tra un’imprecazione e l’altra della prima, le due riuscissero ad uscire. Adagiando lentamente sul letto quello che più di un corpo sembrava ormai un ciocco di legno stagionato, Kaiou sospirò scuotendo la testa.

“Quanto è il dolore da uno a dieci?”

“Duecentosessantatre! Ti basta?!”

“Non te la prendere con me! Io non c’entro niente!”

Rendendosi conto di stare esagerando, Haruka chiese scusa nascondendo il viso nella sopracoperta. “Questa volta ho sentito come un tac.” Ammise con la voce camuffata dal cotone.

“Un tac?”

“Si. Mi sono piegata per raccogliere la spugna e mi sono bloccata.”

E fu tutto più chiaro. Mordendosi la lingua e frenandosi dall’infierire, Michiru tornò a scuotere la testa sbuffando forte. Il solito copione. La sua donna aveva tirato troppo la corda e questa le era rimbalzata in faccia con il poderoso suono di un tac.

“Lo sai vero che non se ne uscirà fuori tanto facilmente.”

“Sempre positiva. - Rigettò l’altra cercando di sistemarsi meglio sul materasso. - Portami un paio di antidolorifici e tra un’ora sarò nuovamente in piedi.”

“Disse l’animale spiaggiato…”

“E allora cosa dovrei fare, sentiamo!?”

“Un giretto al Pronto Soccorso?”

“Ma anche NO!”

“Haruka, per favore. Lo sai come vanno queste cose. Non è la prima volta che ti blocchi!”

“Io al Pronto Soccorso non ci vado!”

“Va bene. Allora ti porto dal medico.”

“E’ in vacanza!”

“Bè, ci sarà un sostituto.”

“Ed io dovrei farmi mettere le mani addosso da un estraneo?!”

“Sarebbe tanto disdicevole!?” E i decibel salirono.

“Senti Kaiou, la schiena è mia e me la faccio toccare da chi voglio IO. Chiaro?!”

“E allora fai come ti pare! Ma poi non lamentarti se non riesci a stare in piedi!” Fine delle trasmissioni. Esasperata Michiru afferrò la canottiera ed i pantaloncini sporchi lasciati sulla sopracoperta dalla compagna inforcando la porta dalla camera.

“Michi…”

“Che c’è?!” Chiese affacciandosi dallo stipite.

“Devo andare in bagno…”

 

 

La sera passò. La notte passò. Le prime luci dell’alba arrivarono, ma la situazione non cambiò di una virgola. La sicurezza che Haruka aveva riposto negli antidolorifici andò polverizzandosi nel corso delle ore fino ad arrivare a lambire lo stato della depressione. Distesa sul letto mani nelle mani come la mummia di un faraone, fissò il soffitto macerando rabbia ed avvilimento fino a non poterne più. Gettando uno sguardo alla sua destra, vide Michiru dormire nella sua sottoveste bianca e ostinatamente convinta di potercela fare da sola, rotolò sul fianco opposto ritrovandosi a denti stretti sulle doghe del pavimento. Un grosso sospiro coadiuvato da un incoraggiamento mentale ed iniziò a gattonare verso il salone. Voleva un caffè e se possibile, una pallottola in mezzo agli occhi che le togliesse finalmente quel senso di torsione che dal pomeriggio precedente si era impadronito dei suoi lombari.

Era francamente imbarazzante tutto questo; stare carponi come una lattante alla scoperta del mondo sapendo in cuor suo che tutta quella situazione dipendeva solamente da lei. In moto tutti i giorni, su e giù in officina, sali e scendi per gli uffici e a casa anche peggio. Erano tutte azioni che non potevano certo trasformarsi di colpo nelle magiche dita di una fisiatra professionista, anzi, semmai tutto l’opposto. Si era strapazzata troppo giocando sul fatto che una volta iniziate le vacanze estive avrebbe riposato tutto il giorno.

“Una fisiatra… Potrei pensarci… - Disse cercando di issarsi sul piano della penisola scivolando con l’addome sul granito. - A Michiru non piacerebbe, ma alla mia schiena farebbe un gran bene.”

L’ennesima fitta dolorosa e il fiato le morì nella gola. “Fanculo a quegli stradannatissimi vasi. Fanculo!” E la sua avventura alla caccia di un caffè terminò così, senza appello o soccorso da parte di nessuno.

Michiru la trovò prona come un Santo redentore e poggiandosi sul legno dello stipite a braccia conserte, se la guardò trattenendosi dal non ridere. “Tutto bene?”

“Ti sembra che lo sia?!” Rispose la bionda voltando lentamente il collo nella sua direzione.

“Arguisco che gli antidolorifici ti abbiano delusa.”

“Si fottano anche loro…”

“Come, scusa?”

“Niente, niente.” Disse cercando di alzarsi sugli avambracci mentre implacabilmente serafica la sua compagna affermava che sarebbe bastato davvero molto poco per lasciarsi tutta quella grottesca situazione alle spalle.

“Non ci voglio andare!”

“E’ solo una visita. Ti stai comportando da bambina. Quando cadi dalla moto non te ne torni a casa a leccarti le ferite come un’animale, ma vai da un professionista. O sbaglio forse?”

“Non è la stessa cosa!”

“Si che lo è.”

“Non sono scivolata in pista. Non mi sono fatta male sul lavoro.”

Intuendo dalla voce un leggerissimo cedimento, Michiru andò allora verso i pensili continuando. Accendendo la macchina del caffè inarcò i lati delle labbra sentendo la meta ad un passo. “Non credere che quel posto non ricordi anche a me un periodo della nostra vita che francamente vorrei dimenticare, comunque…, te lo ripeto; fai come credi. Se vuoi passare le nostre vacanze così …”

“Ora voglio solo un dannato caffè.”

Detto fatto. La bionda se lo vide recapitato sul piano della penisola fumante e già zuccherato. Fissando la tazzina con sfida si fece coraggio forzando i muscoli delle spalle, ma una schicchera dolorosa la costrinse a puntellarsi sulla fronte. Cazzo, pensò stringendo i pugni mentre la mano di Michiru iniziava a massaggiarle l’oro dei capelli.

“Allora…?”

Un silenzio lungo quasi un minuto, poi Haruka dovette cedere all’evidenza e rimanendo petto e fronte premuti contro il granito mosse leggermente la testa in segno di resa.

 

 

Rannicchiata sul fianco a braccia incrociate, l’istrice ferito Tenou guardò dal suo lettino di prostrazione la compagna rientrare nella stanza dalle immancabili pareti verde acqua. Respirando forte l’odore di antisettico tipico degli ambienti ospedalieri attese le novità non riuscendo quasi più a tenere a bada la sua smania di scappare.

“Sono quarantacinque minuti che siamo qui!”

“L’infermiera del triage mi ha garantito che un dottore sarà presto da noi. Sei un codice bianco Ruka, non potevamo certo pretendere che ti visitassero subito, no?”

“Tzs…”

Avvicinandosi docile, Michiru le chiese per l’ennesima volta se volesse qualcosa da bere alle macchinette e per l’ennesima volta la bionda scosse la testa. “E’ inutile Michi. Non posso ingoiare nulla senza il pericolo di versarmelo in faccia e mi rifiuto di bere un caffè da una cannuccia!”

Alzando gli occhi al cielo, Kaiou pensò che forse se avesse scelto un’aranciata la cosa sarebbe sembrata agli occhi del mondo meno disdicevole. Ma questo, naturalmente, se lo tenne per se. Haruka non era riuscita a fare la sua canonica colazione di rito e questo l’aveva incattivita ancora di più. Una condizione che unita al dolore, alla frustrazione di non potersi muovere, al dover dipendere dagli altri e al trovarsi in un posto che francamente odiava, era diventata esplosiva e sapendolo, Michiru stava cercando di bilanciare la cosa mostrando una calma serafica al limite dell’ascetismo. Una volta schiodata la possente Tenou dallo spiaggiamento della penisola della loro cucina e riuscita a riportarla in camera, si era velocemente vestita riuscendo poi a fare altrettanto con l’altra che ancora con le infradito da casa calzate ai piedi, si era lasciata condurre a velocità moderata verso l’ascensore e da li, per grazia divina non incontrando nessuno che avrebbe potuto far loro qualche compromettente domanda, al loro box, dove la bionda aveva dovuto definitivamente dare le chiavi del comando alla sua donna. La macchina! Michiru, se pur brava alla guida, non aveva quasi mai guidato la sua Mazda e nel trovarsi a doverlo fare, senza poi che in quel momento la cosa fosse minimamente messa in discussione, aveva fatto raggiungere alla bionda l’apice dello scoramento.

“Fa piano!”

“Scusa amore, non vorrei farti provare ancora più male.”

“Non è per la schiena! - Aveva confessato con gli occhi iniettati di sangue mentre con la sinistra si teneva i reni e con la destra arpionava il cruscotto. - Vacci più gentile di frizione!”

“E’ dura da morire! Se tu non ti fossi lagnata tanto sulla disgraziata eventualità di essere vista da qualcuno sul piazzale del parcheggio, avremmo potuto usare la mia Prius!”

Questo è un fottuto incubo! Si era detta la bionda sperando di arrivare presto e poter finalmente chiudere quello schifo d’avventura.

Il San Giovanni di Bellinzona non era un ospedale grandissimo e per via dei suoi trascorsi, Haruka al pronto soccorso conosceva un po’ tutti e tutto si sarebbe aspettata di vedere entrare nella stanza, tranne una ragazzetta fresca di specializzazione tutta sorridente e con una cartellina in mano. Appena lo sguardo della bionda riuscì a posarsi sulla figura longilinea della dottoressa, la sua colonna vertebrale scattò come una molla tornando eretta come niente fosse. Lo scotto pagato al suo amor proprio fu talmente terrificante che quasi le uscì un gemito dalla bocca. Michiru, rimasta accanto al lettino, se la rise sotto i baffi alzando leggermente le spalle. La sua donna è e sarebbe rimasta sempre la stessa.

“Signora Tenou buongiorno. Quanto dolore prova da uno a dieci?” Chiese la moretta nel suo bel camice bianco stirato di fresco mentre con assoluta professionalità continuava a tenere i suoi occhi castani sulle scarne righe riportate dopo il triage.

Kaiou fu lesta nel rispondere. “Duecentosessantatre.”

“Come scusi?”

“Cinque. Sei al massimo.” Corresse Tenou stringendo le labbra al fare divertito dell’altra che di contro replicò piatta.

“Credo più un nove pieno.”

“Esagerata…” Controbatté sparando addosso al medico uno sguardo sicuro unito ad un sorriso sornione. Quella che aveva davanti era sempre una giovane donna e lei era pur sempre il fuego del viento, dentro e fuori dalle piste.

Leggermente interdetta, ma per sfortuna di Haruka completamente immune a quell’occhiata sottilmente accattivante, la dottoressa non più che trent’enne abbandonò la cartellina sul lettino girandoci intorno per posizionarsi dietro la sua paziente e sollevarle poi la maglietta. “Fare le stoiche non serve a nulla, sa? - E giù con la prima energica pressione dei pollici. - Se non so l’esatta entità del dolore dovrò procedere con una Tac…”

Alla seconda pressione e minacciata di dover restare in quel posto forse anche per tutta la giornata, Tenou sputò letteralmente fuori la verità ammettendo che ormai stava per sfiorare il dieci.

“Da un po’ mi da noia anche quando respiro.”

“Immagino visto quanto sono incordati i suoi lombari. Posso chiederle cosa ha fatto per ridursi in questo stato?” Disse tornando a leggere le informazioni riportate sui fogli intestati.

“Nulla di che. Qualche lavoretto per casa.” Tagliò corto guardando di sottecchi la compagna che mani nelle mani, stava continuando impassibile a rimanere accanto al lettino.

“Ho capito. Va bene, adesso le inietterò un potente rilassante unito ad un antinfiammatorio. Appena tornata a casa assoluto riposo e ghiaccio. Se tra due giorni non dovesse vedere miglioramenti, dovrà ritornare per degli accertamenti più mirati.”

“Ma nel caso troverei ancora lei?”

“O non saprei. Sono una sostituta.”

“Peccato. Allora dovrò guarire per forza.” E giù un altro sorrisetto, questa volta rafforzato da un leggero occhiolino.

Dirigendosi verso un armadietto la dottoressa si lasciò scivolare addosso la cosa, anzi, volente o meno a suo modo si difese. “Sa, ne ho viste parecchie di situazioni come la sua; persone che superati i quaranta tendono comunque a strafare ritrovandosi come se non peggio di lei. Vede, dopo una certa le fibre muscolari non riescono più a rigenerarsi velocemente come prima ed è molto facile farsi venire questo tipo di contratture.”

Infilandosi i guanti in lattice per prendere poi il necessario per l’intramuscolo, continuò come se nulla fosse ignara di avere appena dato alla grande Tenou una bastonata tra capo e collo. “Ma non si preoccupi, E ora… - voltandosi siringa nelle mani sorrise togliendo l’aria dall’ago. - … si cali i pantaloni, per favore. Sarò una piuma, vedrà.”

Si cali i pantaloni.” Una frase questa che ad una Tenou trent’enne avrebbe fatto girare la testa scatenando ormoni a pioggia e porcate mentali pensate, dette e magari dopo una cena e due moine bene assestate, anche fatte, ma che attualmente non fu minimamente ascoltata. “Dopo una certa…” Fu l’unica cosa che il suo cervello riuscì a recepire. Come dopo una certa!? La faccia della bionda fu talmente eloquente che Michiru dovette richiamarla invitandola a distendersi.

“Amore…”

“Ssssi…” Sibilò l’altra mentre piano tornava a rannicchiarsi sulla carta del lettino.

Ed ecco servita su un piatto d’argento ben lucidato da una ragazzetta che certo non avrebbe ancora potuto essere sua figlia, ma sua nipote si, la pistolettata che tanto aveva bramato dall’inizio di quella schifosissima giornata.

 

 

Michiru voltò una pagina del libro di storia dell’arte che stava leggendo sistemandosi meglio sul cuscino. Le ventitré di un giorno di riposo e già si erano coricate. Il faraone Tenou, che tornata a casa aveva ripreso la sua posizione da mummia sulla sua porzione di letto matrimoniale, se la guardò sospirando piano. Bella anche con gli occhiali da lettura calzati sul naso e la treccia adagiata con noncuranza sulla spalla sinistra.

Al ritorno a casa non avevano parlato dell’accaduto, ovvero di come una semplice frase unita al comportamento distaccato del giovane medico avessero spinto Haruka al mutismo per tutto il resto del pomeriggio. Michiru non aveva sottolineato quanto quella giornata fosse stata stressante e sul leggero disappunto che aveva provato nel vedere la sua donna continuare a far lagne riservando invece ad un’altra sguardi che non le erano piaciuti per niente. Ma ora che la fase del pietismo per la condizione dolorosa della compagna era finita e l’intramuscolare sembrava aver fatto il suo dovere, forse era arrivata l’ora di sputare tutto fuori per evitare di tenersi sciocchezze dentro. Continuando a tenere fissi gli occhi sulle pagine, alzò leggermente le sopraciglia chiedendole per l’ennesima volta come si sentisse.

Rigirandosi i pollici nelle mani dimenticate sull’addome, la bionda diede vita ad uno dei suoi soliti grugniti.

“Meno male.” Rispose la compagna sapendo da conclamata esperienza di coppia cosa significasse quel suono.

“Michi…”

“Dimmi.”

“Secondo te quanti anni avrà avuto quella dottoressa?”

Sempre fissa alle pagine l’altra rispose sulla trentina.

“Per me sui ventisette. Vent’otto al massimo.” Puntualizzò Haruka.

“Può essere.”

“Credevo mi avrebbe chiamato zia…”

“Non sarebbe stato professionale. Anche se sono convinta che leggendo i tuoi dati anagrafici e vedendo il tuo comportamento, ad un certo punto l’abbia pensato.” Chiudendo finalmente il testo e riponendolo sul comodino assieme agli occhiali, Kaiou se la guardò cercando di mantenersi lucida. Era stupido essere gelosa, soprattutto visto il contesto, ma nonostante riuscisse sempre a mantenere un certo distacco, Michiru non sopportava quel lato galletto della sua bionda.

“Professionale o meno è stato avvilente.”

“Anche il vederti flirtare con quel cucciolo.” Una scivolata a gamba tesa che fece finalmente schiodare gli occhi dell’altra dal soffitto.

“Non ho flirtato. Stavo male come un cane e ti assicuro che in quella stanza tutto ho pensato tranne a farmi bella di fronte ad una ragazzina.”

“Già! Ti viene naturale, come le code delle lucertole che anche una volta tagliate, continuano a muoversi da sole!”

“Vuoi davvero iniziare una discussione per questa stronzata!”

“Haruka!”

“Scusa amore, ma ancora non mi è passata! Tu trovi avvilente che io faccia un occhiolino ad una dottoressa per cercare di stemperare il fatto che per due lavoretti mi sia incordata come un’imbecille, mentre IO sto pensando al fatto di essere stata trattata come una vecchia scarpa rotta!”

“Non dire assurdità!”

“A si? Dopo una certa, mi ha detto! Dopo una certa, cosa!? Ma chi cavolo si crede di essere! Ma gliela faccio vedere io la certa!”

Fu allora che il nervosismo di Michiru si azzerò di colpo. Nascondendo la bocca nell’incavo del palmo destro iniziò a ridere talmente di gusto che Haruka quasi se la prese.

“A bene. Sono contenta.”

“Ma, amore…”

“Ma amore un accidente… - Masticò incrociando le braccia al petto. - Che poi la sai una cosa? Non mi ricordo neanche più di averli avuti ventisette anni.”

Facendosi più vicina Michiru iniziò ad accarezzarle una guancia. “ Ei, guarda che ci siamo conosciute solamente qualche anno più tardi.”

“Ecco! Appunto! Da quanto tempo è che stiamo insieme?”

“Ancora troppo poco…”

“Mmmm…”

Distendendosi al suo fianco, Kaiou le si schiacciò contro. “Non ti farai mica venire la sindrome della mezza età, spero.”

“Se fosse per me, assolutamente no!”

“Ecco. Brava… L'età non conta e comunque a parte questo piccolo fuori programma, non ti ho mai vista tanto in forma. “ Ed iniziando a baciarle la porzione di collo sotto l’orecchio destro la sentì sospirare arrendevole.

“Kaiou…”

“Si?”

“Non credo di poter stare sopra questa sera…”

“Poco male… - Disse la compagna continuando a stuzzicarla. - In fin dei conti in questa casa sono ancora io la più giovane…”

 

 

 

Note dell’autrice: Per i tuoi primi quarant’anni.

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