Il nido del cuculo

di summers001
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


​Capitolo 1




"Posso chiamarla?" gli chiedo come un mantra, alla fine di ogni seduta di terapia, dopo avermi fatto parlare delle arene, della prigionia, della guerra e persino della mia infanzia. Mi ha vietato di tornare a casa per la mia salute e per quella di lei ed in fin dei conti non posso dargli torto.

Il dottor Aurelius mi guarda, mi studia, sembra soppesare ogni minima espressione del mio sguardo, ogni inclinazione della mia voce e persino la mia postura irrequieta su questa poltrona eccessivamente comoda. Non mi piacciono le comodità e lo sa benissimo.

Una settimana fa mi ha detto che sta bene, che Haymitch è con lei e che dovrei pensare a me per una volta. Ed io invece non riesco a smettere di pensare a lei. E' un pensiero costante, anche se non la amo più, come abbiamo convenuto di recente. Persino quando credevo di odiarla, persino quando credevo di averla dimenticata, c'era questa costante parte di me che voleva starle vicino, che voleva salvarla e proteggerla. Che voleva che lei scegliesse me.
"Gale? Non gli parla da mesi." si è lasciato sfuggire il dottore dopo avergli chiesto se ci fosse almeno lui con lei ad aiutarla. Avrei preferito che lui fosse lì piuttosto che lasciarla da sola. Se l'è lasciato scappare perché di solito non parliamo di Katniss, vuole che eviti completamente storie che riguardano lei, vuole che prima riesca a controllarmi del tutto prima di chiarire i miei ricordi. Fu quello il giorno che cominciai a preoccuparmi ed a chiedere costantemente di poterla chiamare. Se non potevo vederla, dovevo almeno sentirla. Avevo bisogno, ho bisogno di sentirla.

In questo ospedale i telefono sono sotto custodia del personale. Non posso chiamare nessuno senza un preciso permesso. C'è una donna, l'arpia come la chiamo io, che conserva gelosamente la chiave che apre una cabina telefonica bianca. L'arpia mi guarda ogni giorno sfidandomi a raggiungere il telefono. So che non dovrei chiamarla così, so che è scortese e che lei lo sa. So che questo è un nomignolo affibbiatole dal Peeta depistato e per cui il vecchio Peeta si sente addirittura in colpa. Mi sono concesso però questa piccola scorrettezza per far fare pace ai due, per trovare un nuovo me stesso che mi calzi, che non si senta in colpa per un velato insulto appena pensato e che non urli contro la donna perché mi dia la maledettissima chiave.

Il dottor Aurelius continua a guardarmi, poi recupera un mazzo di fogli dalla scrivania, la mia cartella clinica. Ho dannatamente paura di quei fogli e stringo i pugni forte. Sembra cercare qualcosa, sfoglia tra le date delle nostre ultime conversazioni o quella del mio ultimo episodio, fino a che si decide, mi fa un segno e mi scrive una nota su un fogliettino.

"Autorizzo il paziente Peeta Mellark ad usare il telefono..." ... timbro e firma.
Finalmente! Credevo ci sarebbe voluto molto di più. Sono felice di essermela cavata con così poco che quasi non ci credo.

Di corsa raggiungo la cabina telefonica. Agito il lucchetto che lo blocca ed il rumore metallico avverte il personale della mia presenza. Senza guardare chi mi sta raggiungendo sventolo l'autorizzazione scritta e firmata del dottor Aurelius. L'arpia mi vede, sbuffa per aver perso e mi raggiunge. Intanto saltello quasi dall'emozione, provando a ricordare il suono della sua voce, la musicalità delle parole che le uscivano scontrose dalla bocca.

Mi si affollano ricordi nella testa: qualche conversazione fatta durante gli addestramenti, Katniss su un albero che lascia cadere il nido di api, quel bacio a Capitol City prima di riuscire ad arrivare da Tigris. E poi mi ricordo di quella ragazza, quella senza sorella, che ferita ci aveva raggiunto alla riunione dei vincitori. Mi guardava attraverso le increspature dell'acqua, mentre io curioso la studiavo e poi fuggivo con lo sguardo, un copione che abbiamo già recitato prima di conoscerci.

Quando mi trovo davanti alla tastiera compongo il numero senza esitare e mi sorprendo di me stesso di quanto facilmente riesca a ricordare queste piccole cose come i numeri di telefono, ma di come mi sembrano sfuggenti i pomeriggi passati con lei durante il tour della vittoria o durante le due arene.

Uno squillo, due squilli, tre squilli e il mio entusiamo comincia a scemare. Ci riprovo di nuovo senza ottenere un risultato diverso. Mi dico che forse è sotto la doccia o in giardino e così provo ancora. D'altronde la follia non è ripetere gli stessi gesti aspettandosi ogni volta un risultato diverso? Alla quarta volta comincio ad agitarmi e l'arpia mi chiude la chiamata con un dito sul telefono dove poggia la cornetta.

Non risponde. Non risponde. Scivolo piano piano nella delusione e nel disappunto. Corro verso lo studio del dottore mentre quella cerca di fermarmi, ma sono più veloce io.

"Non risponde." ringhio al dottor Aurelius e lo sentenzio come se fosse un'accusa.

"Lo so." mi dice lui senza staccare gli occhi dal foglio su cui sta scrivendo.

"Lo sa?" gli urlo in faccia e sento un altro di quei flashback tornare, il Peeta depistato mettermi in un angolo e prendere il sopravvento, mentre l'ultima cosa che ricordo è l'aver pensato di dover ricominciare tutto d'accapo. Qualcosa mi sorprende dietro alla nuca. Una puntura? E poi il buio.
 

**


Mi sveglio più tardi nella mia stanza, legato come un salame ad un letto. Due cinghie mi tengono il petto ed altre due le gambe. Faccio per alzare le mani per liberarmi, ma sono bloccate anche quelle.

Mi assale un'ansia che conosco molto bene, quella di credere ancora di essere là a Capitol City nel centro di addestramento, legato e torturato con decine e decine di buchi sulle braccia dentro le mie vene. Subito dopo aver realizzato che non sono più là, ricordo immediatamente quello che è successo: il telefono, Katniss, un episodio, settimane di terapie buttate al vento.

Non mi lascio andare di nuovo all'ansia, alla rabbia che quel Peeta mi suggerisce invece di usare per tirarmi fuori da questa situazione. Prendo un respiro profondo, chiudo gli occhi, caccio via l'aria e mi guardo attorno. Ho vinto io stavolta, mi dico soddisfatto. La stanza è calda ed accogliente, la finestra aperta lascia entrare i raggi i sole del tramonto mentre particelle di polvere vi danzano attraverso. Il dottor Aurelius è seduto su una sedia, quasi addormentato col faccione pieno poggiato sul pugno chiuso. Mi schiarisco la voce e lui si sveglia.

"Le dispiace?" gli chiedo alzando la mano, cercando di ricompormi e provare ad essere gentile un po' per abitudine un po' per convincerlo a lasciarmi andare.

Il dottor Aurelius si alza e si stiracchia come un gatto. Si sfrega gli occhi coi pugni mentre le sue lenti a semiluna si sollevano sulla fronte e si appannano. Alla fine decide di venire da me, recupera dalla tasca una piccolissima chiave, me la mostra e finalmente scioglie le catene. Mi tiro su a sedere e mi massaggio i polsi doloranti. Sotto le dita sento le cicatrici dei tagli che mi sono procurato durante la guerra ed in questi mesi di prigionia.

Sento gli occhi del dottore su di me. Non voglio restituirgli lo sguardo perché so cosa mi sta per dire e non voglio sentirlo. Sebbene lo riconosca, non voglio che mi ricordi del mio fallimento, del mio episodio e della mia incapacità a controllarli. "Capisci perché ero contrario?" mi chiede alla fine, anche se sembra più un'affermazione che una domanda.

Sospiro, chiudo gli occhi così forte da non lasciar passare il minimo filo di luce. Lui non dice niente ed allora mi ricordo delle nostre conversazioni, di quando fino ad un mese fa mi spronava ad affrontare i miei flash, a fare pace con i due Peeta, a non cercare di essere né l'uno né l'altro ma a trovarmi una nuova dimensione. "Già." gli rispondo. Mi offre un bicchiere d'acqua che bevo avidamente. "Non so a cosa stessi pensando." continuo mentre lui si trascina una sedia per sedersi accanto a me.

"Peeta," mi chiama con la solita voce pacata ed impenetrabile. Sembra indeciso se continuare oppure no, si massaggia una mano con l'altro pollice come fa di solito, resta a bocca aperta sperando che ne escano parole. "parlami di Katniss Everdeen." dice alla fine.

Rimango immobile mentre il sole s'è spostato e mi colpisce gli occhi.

Vuole che gliene parli perché evitarla non funziona? Perché sono peggiorato o perché sono migliorato? O fa semplicemente parte della terapia? Sembro di pietra e sembro non avere niente da dire, quando la luce del tramonto mi ricorda qualcosa: un pomeriggio su una terrazza, lei con la testa sulle mie gambe e gli occhi chiusi che mi dice che vuole restare con me. Così inizio a raccontarglielo e non riesco a smettere.

Qualunque sia la ragione so che non voglio smettere di parlare di lei.
 

**


Quando dopo altre due settimane riaquisto l'uso del telefono, mi faccio furbo e non chiamo lei. Chiamo qualcunaltro che so essere con lei.

"Haymitch!" urlo felice quando lo sento alzare la cornetta. L'arpia mi guarda con le braccia conserte e capisco che devo sembrarle pazzo, ma non importa perché lo sono.

"Ragazzo." mi risponde lui. Sembra stanco, appena uscito dal sonno, forse ancora un po' confuso, pieno d'alcol. Una rabbia mi pervade: dovrebbe badare a lei, perché continua a bere? Schifoso, ubriacone... No, no. Scuoto la testa e mi riprendo, ignorando qualunque cosa il Peeta depistato volesse dire.

"Come sta?" gli chiedo stringendo un po' troppo forte la cornetta e risistemandomi sui miei piedi. L'infermiera si allontana ed allunga una mano per chiamare qualcuno, questo dovrebbe significare che il mio tempo a telefono sta già per finire.

"Io bene, ragazzo innamorato, grazie dell'interesse."

Ragazzo innamorato? Nessuno mi chiamava così da quanto? Dalla prima arena? Mi blocco davanti a quell'epiteto, quello che apparteneva al vecchio Peeta. Non mi ci riconosco più, eppure so che devo saper di lei, devo sentirla e vederla, almeno un'altra volta. E non posso sprecare quest'occasione. Ragazzo innamorato. Mi ci aggrappo sperando di trovarlo da qualche parte nella mia testa ed intanto prego Haymitch sperando che lui capisca. Mi giro e vedo altre due persone con tanto di siringhe in mano, pronte a stendermi se dovessi cominciare a dare di matto. Sospiro e mi ripeto in testa: ragazzo innamorato, ragazzo innamorato, ragazzo innamorato.

"Non bene, ragazzo." risponde alla fine. "Non mangia, non esce da quella stanza." mi racconta ed io la immagino lì, piccola, indifesa, dimagrita. La mia Katniss. La Katniss che non amo più come una volta (come continuo a ripetermi), ma a cui non riesco a smettere di pensare. La mia Katniss rotta. So che devo andare da lei. Devo tornare a casa ed andare da lei. "Non si lava." aggiunge Haymitch in un inutile tentativo di farmi ridere.

Comincio a piangere al pensiero di lei sola nel distretto dodici, perseguitata dai fantasmi. Sebbene io sia qui, quasi prigioniero, impossibilitato a fare una sola chiamata senza avere prima il permesso, so che ho tutto l'aiuto che mi serve, che se volessi potrei andare via, che per quanto non sembri sto facendo dei progressi enormi e che adesso quando sento un episodio che arriva riesco a controllarmi ed a mandarlo via prima di fare del male a qualcuno.

L'arpia intanto si è fatta più coraggiosa. Ha capito che non le avrei fatto del male e si è avvicinata. Allunga una mano indicandomi il suo orologio, facendomi capire che il tempo e scaduto. Alza il palmo e mi suggerisce di darle il telefono.

"Tenete duro" dico al mio vecchio mentore con la fronte poggiata sulla plastica bianca di quella cabina.

"Anche tu, ragazzo." gli sento dire prima di allungare loro la cornetta.
 

**


"Beh, Peeta," fa il dottor Arelius prendendosi una mano nell'altra seduto dietro la sua possente scrivania "finalmente ci siamo!" esclama. Penso che una notizia del genere dovrebbe essere data con più entusiasmo, che dovrebbe esserci, se non felicità, soddisfazione nella sua voce invece di questa costernante ed avvilente preoccupazione.

"Posso andare a casa?" chiedo allora pieno di speranza, non sicuro di aver ben capito, confuso dal suo tono di voce. Dopo settimane e settimane di terapia, dopo aver guardato video sui giochi, i pas-pro e tutte le interviste, parlato e parlato di come mi facessero sentire, di quello che credevo di ricordare, di come le cose piano piano ricominciassero ad avere un senso e farsi chiare, finalmente mi lascia andare. Sono guarito! O meglio, non più un pericolo per me stesso e per gli altri. Cerco di sopprimere il sorriso davanti alla compostezza del mio dottore.

"Già." mi dice di nuovo con lo stesso entusiasmo. Si batte le mani l'una sull'altra e poi sulla scrivania. Si tira su e lo guardo confuso. Mi allunga una mano e realizzo finalmente che ci stiamo per salutare. "E' stato un piacere avere un paziente come te."

"E' stato un piacere avere un dottore come lei!" gli rispondo io senza nascondere la felicità. Gli prendo la mano e la agitiamo.

Quando apro finalmente la porta del suo ufficio e sento già il profumo fresco della libertà, il dottor Aurelius mi richiama e l'odore pungente della candeggina nei corridoi mi torna al naso. Mi giro sopprimendo una incontentabile irrequietezza. "Dì a Katniss di alzare la cornetta di tanto in tanto. Non posso pretendere di averla in cura per sempre." mi dice alla fine e tiro un sospiro di sollievo. Poi lui mi strizza un occhio e mi fa "A presto!".

"Oh non ci conti troppo!" gli rispondo, prima di correre via senza portare niente con me, verso il treno, verso il distretto Dodici, verso casa, verso Katniss.




 



An​golo dell'autrice
​Salve a tutti!
​Come avrete ben capito, questa è la milionesima storia che pretende di continuare la saga e dal punto di vista di Peeta per di più. Tra l'altro nemmeno la mia prima sullo stesso argomento. Capisco che potrebbe essere noiosa dal vostro punto di vista, quindi non mi aspetto una buonissima accoglienza. Tuttavia ci tengo per diverse ragioni: il narratore in prima persona maschile, poi ho rivisto i film su italia uno e riletto i libri quindi sto di nuovo in fissa (lol) e perché, come al solito, se dovessi fare una selezione delle storie che mi piacciono su efp ne sceglierei pochissime, mentre ao3 o altri sono pienissime di storie davvero toccanti. Ci tengo a raccontare soprattutto quei momenti in cui Katniss piano piano si scopre innamorata... La trovo dolce! Voglio lasciare quindi il mio contributo e sperare in meglio. Mi basta una sola persona con cui saltellare e shippare xD 
​Il titolo ovviamente riprende il film "qualcuno volò sul nido del cuculo". Il riferimento ovviamente vuole lasciar intendere la natura rotta ormai di Katniss e Peeta, la follia che un po' li accompagnerà fino alla fine, ma anche l'ottima capicità di resilienza di entrambi: sebbene a pezzi riusciranno a rimettersi insieme. Quindi vuole essere anche una ff un po' profonda sotto questo punto di vista. 
​Il primo capitolo è stato ovviamente breve, introduttivo e lento. Con un Peeta depistato e confuso per di più. Dal prossimo si torna a casa, ricompaiono Katniss, Haymitch, Sae, Thom.. tutti! 
​Spero di avervi stuzzicato abbastanza la curiosità. Fatemi sapere se la storia vi piace e (soprattutto) se i personaggi vi sembrano IC.
​Xoxo

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 

Capitolo 2




Il villaggio dei vincitori non si è ancora svegliato e liberato della sua brina mattutina. Le piante, i mattoni, i cancelli, persino le antenne fuori da tutte le case sono rivestite da una pellicola brillante d'acqua. I colori freddi delle case sembrano abbinarsi perfettamente a questo momento della giornata. L'odore di terra bagnata e di erba strappata è ovunque, acuito dal freddo pungente che pizzica le narici.
Tutto sembra immobile. Ricorda un monumento più che un quartiere. Sembra tutto perfetto, inviolato, eterno, conservato dal ghiaccio. Il terriccio nelle aiuole è ancora rigido, congelato dal freddo notturno, sembra una lastra di vetro scura.
Guardo con soddisfazione le primule che circondano la casa di Katniss. Le radici sono avvolte da una montagnetta di terra che ho dovuto raschiare e colpire con la pala per poterla lavorare. E' così che devo averla svegliata.

E' appena volata via, Katniss. Era corsa qui, mi ha riconosciuto ed è scappata di nuovo, così in uno schiocco di dita. Preso in contropiede le ho recitato a memoria le parole del dottor Aurelius, che altro potevo fare?
Adesso invece le imposte della sua finestra rompono la pace mattutina in cui mi ha lasciato. E' solo un istante ma vedo le sue mani scivolare frettolose lungo le tende ed i capelli aggrovigliati volare via mentre si gira e torna dentro.
Non so cosa mi aspettavo. Forse un lungo silenzio, un momento carico di tensione e forse, ma sapevo già che era sperare troppo, un abbraccio. Dopo tutto siamo amici e gli amici possono abbracciarsi, non è così? Ma che sto facendo, mi chiedo mentre sto ancora impalato qua, sotto alla sua finestra, al freddo, con le mani in tasca pur di ritrovare un po' di calore.

Faccio per andarmene, pensando a casa mia ed alle mura spoglie che mi aspettano, quando mi sento chiamare. "Ragazzo," dice qualcuno dietro di me. Mi giro e la riconosco: lavorava al forno, cucinava la carne che Katniss le portava, offriva una zuppa calda anche ai pacificatori. Non la vedevamo spesso in panetteria, ma la sua fama la precede. "Mellark, giusto?" mi chiede lei fingendo di non ricordare chi io sia, forse per cortesia o per via della superbia che la sua età le ha regalato. Faccio per annuire con la testa ma quella mi anticipa. "Perché non ci porti un po' di pane?" mi chiede coinvolgendomi e se ne va di fretta e furia, pulendosi le mani sul grembiule bianco a fiori gialli che ha addosso. Ma cos'è questo, un vizio? Scappare e non far capire niente?

"Cosa?" le chiedo confuso. Ci? "A chi?" urlo prima che quella possa girare l'angolo. La donna non mi sente e la seguo allora a grandi passi. Non sembra, ma è davvero veloce per la sua età. Gira attorno casa di Katniss ed entra poi dalla porta sul retro.
Ci. Ma certo, a Katniss e lei! E' lei allora a prendersi cura di Katniss, a cucinarle e tenerla viva, non Haymitch, non per davvero lui. Haymitch! Non sono ancora passato a salutarlo. Sbuffo e mi metto le mani nei capelli chiedendomi dove ho la testa.

Corro allora di volata a casa mia. Le chiavi girano a stento nella toppa arruginita, cigolando e costringendomi a più movimenti di polso per sbloccarla. Quando entro dentro è tutto buio, ma ricordo bene l'ambiente. C'è odore di chiuso e di polvere, fa freddo e non si vede niente, ma so con estrema certezza che due passi a destra del divano c'è il piede del tavolino e che devo fare attenzione a non urtarlo.
Il dottor Aurelius mi aveva espresso più volte la sua preoccupazione per questo momento e quando lui è preoccupato io sono preoccupato. Ero stato però io a rassicurarlo, pur di lasciarmi tornare: quella non è mai stata casa mia. Ora che ci sono non posso fare altro che confermare: non sapevo neanche come si apriva la porta! Devo aver passato qui solo poche notti. Non c'è niente di mio in giro, niente che appartenga alla mia famiglia, nemmeno un guanto o un calzino, nemmeno le mie matite e pennelli. Forse ci sono solo alcuni vestiti che mi sono portato dietro dal tour della memoria e neanche quelli sono davvero i miei.
Dove sono le cose del vecchio Peeta? Perché non ci ho mai pensato? Perché non mi sono tenuto neanche una felpa o una camicia? Perché sei cresciuto, stupido, risponde il Peeta depistato. Ok, questa te la concedo Peeta depistato, hai ragione.

Ma che ci sono venuto a fare io qua? Ah sì, il pane!

Mi ci vuole un'oretta ma alla fine ci riesco: metto insieme gli ingredienti, lavoro la pasta come vedevo sempre fare a mio padre e forse indugio un po' troppo pensando a lui. La cottura è veloce, il pane croccante, anche se non era come quello perfetto che faceva lui, ma è sufficiente e mi congratulo da solo: bel lavoro vecchio Peeta!
Sono venute fuori solo due pagnotte con la poca farina che avevo. L'odore del pane caldo mi riporta indietro di anni, ma cerco di ignorare, ho già pianto abbastanza. Le avvolgo entrambe in un telo bianco, quello che mi sembra più pulito e volo da Katniss, passando per la porta di servizio come aveva fatto quella donna. Sae! Sae, si chiama Sae.

Mi ritrovo in cucina, dove c'è un gran baccano. Sae sta trafficando vicino al lavello, lava i piatti forse dalla sera prima, un gran pentolone che difficilmente potrebbe essere servito per solo uno o due persone. Mi faccio prendere dalla curiosità di sapere chi altro mangia qui con loro, ma la ignoro perché non è affar mio saperlo: siamo amici, confini, paletti. Me lo dirà lei se o quando vorrà.
Sul tavolo dall'altro lato della stanza c'è una tazza di tè mezza vuota con la bustina ancora appesa, un piatto untuoso d'olio giallo ed il gatto che mangia la pancetta in un angolo.
"Katniss?" chiedo ansioso.

"A caccia." risponde Sae. "Finalmente!" aggiunge e mi guarda studiandomi confusa e scettica insieme, poi scrolla le spalle.

"Il pane." gli allungo una pagnotta un po' deluso. Anzi, forse dovevo aspettarmelo. Katniss è sempre stata inarrivabile per me, che cos'è cambiato ora che non abbiamo più niente in comune? Ora che non c'è più il destino di una morte imminente a legarci? Volevi vederla, l'hai vista; volevi parlarci, ci hai parlato, adesso che cosa ti aspetti? Va a caccia, sta bene, mi dico sciogliendomi su una sedia attorno al tavolo.

"Non lo mangerà." mi risponde Sae raccogliendo il piatto sporco e cominciando a lavarlo. "Uova?" mi chiede subito dopo. Non faccio in tempo a rispondere che mi lascia davanti un piatto di uova strapazzate. Strappa un pezzo del mio stesso pane e ce lo mette affianco e mi guarda fino a che non inizio a mangiare, quindi se ne torna alle sue mansioni soddisfatta.
"Non te la prendere," cerca di consolarmi lei dopo un po' "lo sai com'è fatta, no?"
E no, in realtà no, non lo so. So che quando andavamo a scuola si sedeva sempre da sola o che aveva solo un'amica; so che le uniche persone che riuscivano a capirla sono uno parzialmente responsabile della morte della sorella, l'altro perennemente ubriaco dall'altro lato dell'isolato; so che farebbe di tutto pur di sopravvivere, che sia baciarmi o uccidere qualcuno; so che quando tira una freccia centra sempre il bersaglio, che le piace lo stufato di agnello e che il suo colore preferito è il verde.

"Mangia!" mi incita Sae, come una anziana nonna farebbe mentre io mi ero perso a giocare col cibo.
Che mi aspettavo quando sono tornato? Che lei stesse immobile, triste, depressa ad attendere me? Di arrivare in groppa ad un cavallo bianco per tirarla fuori dalla spirale di disperazione nella quale s'era cacciata? Ma chi, Katniss? La verità è che non ha bisogno di me, anche se vorrei proteggerla come io e lei dovremmo sempre fare.

Quanodo finisce e si siede anche lei a mangiare, Sae mi racconta che ha una nipote e che viene qui con lei qualche volta. Mi fa ripromettere di tornare la mattina successiva, di portarle di nuovo una pagnotta ed un dolcino per la piccolina. Mi suggerisce di fare un giro in città perché servono braccia forti. Mi spiega come devo fare per ordinare della farina, il lievito e le uova e mi dice che posso averle già stasera se mi sbrigo. Tutte le nuove informazioni mi mandano in confusione e così mi dice che per oggi ci penserà lei, ma solo oggi. La ringrazio, prendo l'altra pagnotta e vado da Haymitch.

L'aria si è già riscaldata ed il sole è più alto in cielo. Il vialetto ed il terriccio sono già asciutti ed il cinguettio degli uccelli sembra aver risvegliato l'intero villaggio. Busso davanti casa sua ed aspetto, ma non mi apre nessuno. Mi sporgo a spiare da una finestra, ma deve averle coperte tutte con delle lenzuola. Sembra quasi un bunker di rifugiati, come quelli che stavano smontando a Capitol City.
Alla fine entro e basta e lo trovo afflosciato su una poltrona, con le mani attorno al collo di una bottiglia ed i piedi sul tavolino. E' circondato da piatti sporchi, cibo tutto mangiucchiato e bicchieri di carta, tanto che mi chiedo se ci abbia banchettato da solo o con una famiglia di ratti.
"Haymitch!" lo chiamo, ma non risponde "Haymitch!" continuo scuotendolo con una mano sulla spalla. Allora lui si sveglia di scatto, si alza subito in piedi e tira fuori un coltello. Io arretro ed alzo le mani in segno di arresa.

"Ragazzo." mi dice confuso alla fine dopo avermi riconosciuto.

"Sembra che tu abbia visto un fantasma." gli faccio, sapendo che in effetti potrebbe essere così. Mi credeva a Capitol City e questa è la prima volta che mi vede da mesi. Lui intanto barcolla e poi cade di nuovo a sedere. "Colazione?"
Haymitch sbuffa, si alza e si stiracchia. Le sue ginocchia schioccano come fossero rimaste bloccate per giorni e con la schiena curva sembra invecchiato di dieci anni in dieci settimane. Fa finta che lo stia importunando, che la nostra presenza, mia e di Katniss, gli dia fastidio ma in realtà so che ci vuole bene. Mi rendo conto di pensare ancora al plurale per me e per lei, così mi ripeto ancora una volta: confini, siete solo amici.

"Non dovresti essere di là ad aiutare la pazza dall'altro lato del vialetto?" mi chiede il mio mentore mettendosi a tavola.

Apro il suo frigo, recupero una bottiglia di latte che dall'odore sembra fresco e glielo verso in una tazza. "E' andata a caccia." gli rispondo solo, cercando di nascondere il mio disappunto, ma se ne accorge.

"Ma davvero?" mi domanda divertito e se la ride tra sé e sé, come se avesse colto qualcosa che a me invece sfugge. "Chapeau!" mi dice poi alzando la tazza e dedicandomi un brindisi.

"No, io non centro niente." gli dico infastidito, perché dovrebbe saperlo che lei non prova niente per me, dovrebbero saperlo tutti ormai. Ed anche io per lei, aggiungo subito.

"Se lo dici tu." risponde scrollando le spalle e mettendosi finalmente a mangiare. Lo vedo inzuppare il pane nel latte e non credo di riuscire a nascondere la mia espressione perplessa. "E perché sei qui?" mi chiede dopo averla notata.
Scrollo le spalle cercando di nascondergli la verità, che volevo vederlo, che non voglio tornare in quella casa vuota e che non so dove andare. Haymitch sbuffa di nuovo, ma alla fine rimaniamo a parlare di come se la sta passando lui, di quello che sta succedendo al Dodici ed in tutti i distretti, della mia terapia, di Plutarch e del suo nuovo programma musicale di cui guardiamo addirittura un'anteprima. Nel pomeriggio in nome dei vecchi tempi tiriamo fuori una scacchiera e ci facciamo una partita.

"L'uccellino torna al nido." mi annuncia ad una certa ora ed io capisco immediatamente di chi stia parlando. Corro alla finestra, sollevo le lenzuola sistemate a mo di tenda e vedo la sua figura. Questa mattina, avvolta dal pigiama e strati di tessuto, non l'avevo guardata bene. La giacca da caccia di suo padre le sta appesa addosso come se fosse su una stampella e sembra due volte più pesante di lei. Le gambe la sorreggono appena, quasi si spezzassero. E' magra, esageratamente magra. Ha sistemato finalmente i capelli, messo dei pantaloni scuri e cammina piegata dal peso dell'arco. Non è la stessa ragazza che ricordavo e mi sento persino egoista a pensare che questo per lo meno potrebbe allontanare i miei flash, mentre il Peeta depistato sta gioendo da qualche parte.
Oltre il cancello del villaggio dei vincitori un ragazzo dalla pelle olivastra del Giacimento si allontana guidando un carretto. "Chi è?" domando ad Haymitch.

Il mio mentore si avvicina, strappa via il lenzuolo e guarda. "Thom." mi risponde lui "Quello che vuole ricostruire il distretto." mi spiega, alludendo alla storia che mi ha raccontato prima.
Quando mi rigiro a cercare lei, Katniss non c'è più.
Sospiro e quando torno a sedermi qualcosa è cambiato. Dal depistaggio e durante la terapia, ho capito che sia il troppo ordine che l'eccessiva confusione mi davano l'ansia e l'ansia era direttamente collegata all'arrivo di un attacco. Ero riuscito a sopportare quella baraonda per mezza giornata, ma vedere Katniss e la preoccupazione che ne è seguita ha cambiato qualcosa. Mi alzo allora in tutta fretta e mi armo di sacchi neri e guanti. Comincio col togliere tutta la spazzatura dal pavimento ed a liberare le finestre. Haymitch non commenta, mi osserva solo affaccendarmi qua e là. E' snervante. Vorrei urlargli di smetterla, di lasciarmi in pace ed andarsene fuori e sono io quello che vorrebbe urlare, non l'altro Peeta.
Mi prendo la testa e comincio a tirare i capelli per farmi male, spaventato senza riconoscermi. Quando la mano di Haymitch mi stringe una spalla mi rendo conto di essere a terra a dondolarmi sui piedi. Stringo gli occhi e rimango così per almeno cinque minuti, poi il telefono squilla e mi riporta alla realtà.

"Che fai, non rispondi?" chiedo e riconosco io stesso la paura nella mia voce. Lui mi fa una smorfia che non significa niente ed allora vado io al posto suo per sottrarmi dai miei incubi. "Casa di Haymitch." mi esce quasi con disgusto, nauseato.

Dall'altra parte qualcuno farfuglia, poi sembra pensare in un lungo "mmh" fino a che mi riconosce anche se un po' scettico. "Peeta?" mi domanda e dal tono di voce piatto con cui pronuncia il mio nome lo riconosco.

"Dottore!" rispondo e cambio immediatamente atteggiamento. Bravo, così non ti riporta in quel manicomio, si complimenta con me il Peeta deviato. Stringo la cornetta e colpisco il muro più volte fino a farmi male, ma riesco a celare tutto. Dopo tutto sono un attore nato! E le interviste di Caesar Flickerman ne sono la prova.

"Haymitch?" mi chiede subito dopo, sbrigativo e pratico. Allungo una mano e lo chiamo così che possa finalmente fuggire dal giudizio del mio dottore, ma prima che possa passare la cornetta quello mi ferma. "Peeta, aspetta." mi ripongo il ricevitore di nuovo vicino all'orecchio mentre un filo d'ansia mi fischia nell'orecchio.

"Grazie. Per Katniss" borbottà lui.

Credo che non mi abbia mai ringraziato prima di adesso. E per cosa poi? Tutta l'ansia che stavo provando prima scompare. "Cosa?" chiedo scettico ma sincero "L'ho vista solo per pochi secondi."

"Beh, oggi ha alzato la cornetta. Ha per lo più annuito, ma direi che è già qualcosa." e me lo riesco ad immaginare con la penna in mano che riempie gli spazi vuoti delle lettere sulle sue cartelle cliniche.

"Oh." non faccio in tempo a replicare che Haymitch mi toglie via il telefono di mano. Se ne va nell'altra stanza e parla a voce bassa e so che stanno parlando prima di lei e poi di me, ma non mi importa. Mi affloscio sul bracciolo della poltrona che puzza di alcol, ma non fa niente. Non provo più quel fastidio ed anzi, mi sento abbastanza coraggioso da poter anche tornare a casa mia più tardi.

"Mi ha ascoltato!" gli dico estesiato quando lui ritorna. Devo avere un sorriso da ebete stampato sulla faccia, perché Haymitch fa una smorfia. Sembra quasi un déjà vu e per pochi secondi mi sento il vecchio Peeta che farebbe di tutto pur di salvare lei.

"Beh prova a farle da mentore e ne riparliamo." replica Haymitch che intanto sta recuperando una giacca di velluto rossa e se la sta infilando. Mi guarda come se stesse aspettando che lo segua e quando capisce che sono ancora preso nel mio autocompiacimento, le sue spalle si abbassano in segno d'arresa. "Ne dubitavi, ragazzo?"
Annuisco solo ancora sbalordito, perché non me lo sta dicendo per farmi contento, ma ne ho avute le prove.
Haymitch scuote il capo, mi viene dietro e con una mano sulla schiena mi porta fino al giardino. "Avanti, è ora di cena." dice solo e si avvia a grandi passi verso casa di Katniss.
Quando capisco le sue intenzioni mi blocco terrorizzato: ho quasi avuto un episodio oggi, per poco non lasciavo che quel Peeta prendesse il sopravvento e vuole portarmi da lei? Indietreggio e tutto quello che so è che tornerei più volentieri al disordine di quella casa. E se capisse?
"Avanti!" mi fa di nuovo quasi urlando e questo di certo non mi fa stare più tranquillo. Mi raggiunge con uno sguardo torvo che quasi mi ricorda lei e credo che mi porterà di peso se non lo seguo. Alzo le mani, mi arrendo e vado con lui.

Quando apre la porta l'odore di verdure calde e brodo ci accoglie. Sembra già un'atmosfera più familiare che fa a cazzotti col freddo immutabile che stamattina circondava questa casa. Il cibo caldo mi tranquillizza, prendo un respiro e ce la posso fare.
Loro sono in cucina, Katniss e Sae. Cerco di non guardarla troppo, di non metterla a disagio, di non farle capire quanto sia preoccupato per lei e di fingere che sia un giorno come tanti, una cena come tante altre. Katniss non alza gli occhi dal piatto vuoto, le sue mani sono nascoste sotto le maniche lunghe di una felpa blu, le dita ne sporgono piccole e sottili lasciando vedere solo le unghie rovinate. Non si accorge di niente, non parla, non ascolta, sembra persa in un mondo che esiste solo nella sua testa ed in quel piatto bianco.

Haymitch mi sorpassa e saluta la vecchia cuoca, ignorando completamente Katniss proprio come lei sta facendo col resto del mondo. Due cocciuti che giocano allo stesso gioco."Buona sera, Sae!"

"Abernathy!" gli risponde quella con la migliore voce più entusiasta che riesce a trovare "Chi non muore si rivede!" e ci si avvicina con un mestolo vuoto e fumante che si tiene sul palmo e mi chiedo come faccia a non bruciarsi.

"E siamo entrambi bravissimi in questo, vero?" si dicono come se fossero amici di lunga data. Mi domando se non fosse lei a procurargli l'alcol al mercato nero.

"Peeta," e arriva finalmente da me, chiamandomi animatamente per nome e sventolando quel mestolo quasi fosse una bandiera. Indietreggio ma alla fine arriva a darmi una pacca sulla spalla e sorrido per tenermela buona. "Mia nipote ha gradito moltissimo il pane che le hai portato."

"Oh, non è niente." rispondo cortesemente come mi hanno insegnato ed attraverso la sua nuvola di capelli bianchi spio verso il tavolo. Trovo lo sguardo di Katniss già su di me. Quando i nostri occhi si incrociano, si mette le mani tra le gambe e si nasconde dietro i capelli sciolti che le coprono entrambe le guance, pesanti come se fossero delle tende sulla sua faccia, un po' come quelle a casa di Haymitch.

"Ciao Katniss." le dico sollevandoci entrambi da un silenzio imbarazzante. Sento gli sguardi di Sae ed Haymitch su di noi, come se aspettassero questo momento da tutto il giorno.
Katniss storce il naso, si guarda attorno, vede gli altri e mi risponde per farli contenti "Ciao." risponde sbrigativa. La sua voce è diversa da quella di questa mattina. Allora era poco più un sospiro tanto che non ero sicuro di non essermela sognata. Ora pare rianimata dall'orgoglio ed ho il sospetto che centrino questi due o forse è a me che non vuole darla vinta.

"E neanche un saluto per il tuo vecchio mentore!" la rimprovera Haymitch con fare deluso e si mette a sedere proprio vicino a lei. Vorrei dirgli di lasciarla stare, di non forzarla, di lasciarle i suoi tempi, ma Katniss alza gli occhi e lo fulmina con lo sguardo e mi ritorna in mente quel rapporto di amore e odio che corre tra di loro. Come ho fatto a dimenticare una cosa del genere? E' lui che sa come prenderla, era lui a dovergli dire di alzare quella cazzo di cornetta, era lui che...

Una mano sulla spalla mi riporta alla realtà. Sae mi accompagna al tavolo, ma io devo appendermi ad una sedia per non cadere. Katniss alza gli occhi e mi guarda. No, non adesso Katniss, non adesso.
Tutto sembra rallentare e devo essermi perso qualche passaggio, perché mi trovo seduto, davanti ad un piatto pieno con Haymitch che mi allunga un bicchiere d'acqua. In un modo o nell'altro alla fine riesco a mandare giù bocconi di non so neanche cosa. E' carne, mi dico. "E' delizioso, Sae, complimenti." le dico tanto per sembrare normale ed il dottor Aurelius solo sa quanto ci tenga a sembrare normale adesso.
Come questa mattina Sae parla e parla. Racconta di nuovo le stesse storie sul distretto, sul tanto famoso Thom, su sua nipote e sull'idea di riaprire il forno più in là. Parla, parla e parla con questa voce veloce e fastidiosa, quasi dovesse vomitare tutto quello che dice. Ma non si stanca mai? Perché non chiude quel... Sento la mia lingua muoversi, come se quel Peeta dovesse dire qualcosa. Devo combatterlo, devo combatterlo, so che posso farlo. Non davanti a lei, non davanti a lei.

Qualcosa, un piede, mi colpisce sotto al tavolo e ce l'ho fatta. Tiro un sospiro di sollievo e mi guardo intorno. Haymitch si gira confuso verso di me, Katniss si sistema meglio sulla sedia, Sae continua a raccontarci di Thom, il suo nuovo eroe a quanto pare. E' stata lei, è stata Katniss. Mi spia con occhiate fugaci, batte le palpebre ed abbassa la testa quando nota che anch'io la sto guardando.

Non è un ibrido, non è malvagia, pianificatrice o crudele. E' tenera, dolce, forte e premurosa, una forza della natura. Katniss protegge sempre la sua famiglia e chi le sta accanto. Ed anche me. Forse è questo che siamo: una famiglia, noi tre e di recente anche Sae. Mi perdo come uno stupido di nuovo nei miei pensieri e non ascolto più niente, un po' come fa lei, ma questa volta sto sorridendo.

Katniss alza di nuovo gli occhi e si accorge che la sto guardando, ma non voglio smettere, non stavolta. Mi sento forte ed al sicuro. Mi sento coraggioso abbastanza da poter allungare la mano e richiamare la sua attenzione sul mio viso per ringraziarla, ma devo averci pensato troppo perché lei spinge via la sedia e si alza. "Vado a dormire." dice solo e se ne va senza guardarsi indietro.

Il suo piatto è ancora pieno, deve aver mandato giù solo pochi bocconi. La preoccupazione prende il posto della gratitudine. E' magra, troppo magra. Si vuole lasciar morire? No, non mi puoi lasciare.
La porta della sua camera da letto sbatte e tutti guardiamo in alto. Penso di ricambiare il suo aiuto e correrle dietro, ma la voce di Sae mi blocca. "Beh, è già qualcosa." dice. Poi prende il piatto di Katniss, impacchetta gli avanzi e se li sistema in una sacca. Forse vorrà portarli a sua nipote.

"Se non altro non puzza più." commenta Haymitch continuando a mangiare.

"Non profumi di rose neanche tu." gli ribatto io quasi offeso.

"Un giorno per volta." ci interrompe Sae riportando di nuovo il silenzio.



 






Angolo dell'autrice
​Quando ho pubblicato il primo capitolo mi aspettavo al massimo qualcuno che mi seguisse, figuratevi i commenti. Invece ci siete!!! Incredibile! *saltella, fangirlizza come una cretina* Grazie veramente! 
​Passando alla storia, volevo prima rassicurarvi del fatto che nonho intenzione di scrivere una storia lenta ma nemmeno troppo veloce. Le scarse interazioni tra Katniss e Peeta in questo capitolo sono legate ai personaggi ed alla storia della Collins. La Katniss che mi immagino io (diversissima dai film) ha perso la sorella (immaginiamo Anna senza Elsa, per dire), è depressa ed ha bisogno di ricominciare la vita giorno per giorno, ma soprattutto che qualcuno gliela insegni. E' come dover ricominciare tutto daccapo, ma da dove? Peeta è invece più adulto ormai, confuso e sa che tutto quello che è successo ha riconfigurato il suo rapporto con Katniss, senza contare che si trova nella sua stessa condizione. Che fare? E adesso? In più la sua testa gli dice di proteggere Katniss, il lavaggio del cervello che la odia, tutti attorno a lui che la ama. Ricorda poi un pezzo alla volta di lei e la mia intenzione è di fargliela conoscere e farlo innamorare di lei e viceversa. 
Insomma ci aspettano belle cose xD 
​Beh grazie ancora a tutti di cuore, ma davvero. Commentate per perplessità e suggerimenti (lunghezza capitoli, velocità storia, tutto ok?). Al prossimo capito ;)

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

Capitolo 3




E' strano. Dopo la mietitura non facevo altro che pensare a tutto quello che avrei potuto o voluto fare con la mia vita. Ora invece le giornate sembrano lunghissime ed infinite. Una dopo l'altra, non cambia mai niente. Sono pieno di tempo che non so come usare. In questo Katniss se la cava meglio di me. Caccia, l'ha sempre fatto, non credo smetterà mai. Persino nel distretto tredici a quanto mi è stato detto, persino dopo i primi giochi, persino adesso.

"E se provassi a cercarti un lavoro?" mi propone un giorno il dottor Aurelius.

"Un lavoro?" domando scettico. Quando ero piccolo avevo dato per scontato che avrei continuato a lavorare in panetteria senza potermi permettere il lusso di cercarmi una mia strada. Durante i giochi, i primi ed i secondi immaginai di non aver mai più avuto anni per lavorare, guadagnare, una famiglia... E così per quanto sembra strano anche questo, accetto.

So che il vecchio Peeta avrebbe voluto dipingere o magari continuare la tradizione di famiglia, perché nonostante tutto gli piaceva la panetteria, ammirava suo padre e forse sperava di diventare come lui. Ma il nuovo Peeta? Così una mattina dopo colazione, dopo aver visto Katniss sorpassarmi senza rivolgermi la parola ed andare a caccia, vado in città. O dove la città sarebbe dovuta essere.
La paura che qualcosa possa provocarmi un flashback mi paralizza proprio all'inizio del grande viale principale che rappresentava la via commerciale, quella che portava dritta al palazzo di giustizia ed alla grande piazza antistante. Non so se è l'idea di rivedere la mia vecchia casa, la paura di scoprire di non distinguere i ricordi veri da quelli finti, di ritrovare i corpi della mia famiglia o il ricordo della mietitura a perseguitarmi. Qualunque cosa sia decido di andare oltre ed evitare i fantasmi.
Penso alle scuole che sono poco più lontane. Istintivamente mi dirigo lì, forse perché di quel posto e dell'infanzia ricordo ancora tutto. Lì trovo Thom, tornato al distretto da prima di me, lo stesso Thom che ho visto aiutare Katniss più e più volte mentre lavorava alla ricostruzione del distretto, quello di cui Sae non smette mai di parlare. Insieme a lui ci sono tanti altri giovani, poco più grandi di me, tutti con i tratti indimenticabili del giacimento: gli occhi grigi, la pelle olivastra e sudata. Non sono scheletrici come una volta però. Nella mia mente è sempre stato questo che li distingueva, più dei colori. Il distretto tredici deve aver giovato a tutti per un po'.

Nessuno di loro si accorge della mia presenza, presi come sono a sollevare pietre grandi quanto muri, ammassandole tutte lungo la rete metallica, frantumandole quando possono, cercando di liberare il liberabile per pulire il distretto dalle macerie. I ragazzi si dispongono a cerchio attorno a quello che sembra essere un vecchio pezzo di muro, con tanto di venice colorata annebbiata dalla polvere. Per esperienza personale, quando una volta provai a tirarci contro un pugno per sorprendere Delly ed un gruppetto di ragazze, so che è fatto di calce durissima, quasi indistruttibile.
"Al mio tre. Uno, due..." sento dire da Thom mentre mi sorprendo di tutto quello che riesco a ricordare qui. "Tre!" Le loro braccia si tendono, i loro tendini guizzano sotto la pelle dei loro polsi, tutti stringono i denti, provano a muoversi, fin quando uno di loro cede, avvisa gli altri e tutti lasciano andare il peso a terra, spostandosi velocemente perché quello non cada sui piedi. "Così non funziona." esordisce sempre Thom.

Istintivamente mi avvicino a loro, mi spoglio del maglione della pregiata lana grigia di Capitol City rimanendo con addosso una sottile canotta bianca del distretto Tredici. I ragazzi mi guardano, mi riconoscono, mi studiano per un momento cercando di capire se sia uno di loro oppure no. Lancio via il maglione e quelli mi fanno spazio. Non sono più né un panettiere, né un vincitore. Sono uno di loro, un sopravvissuto del distretto dodici.

Un senso di appartenenza mi pervade.

Raggiungo gli altri, dove si è aperto un piccolo spazio per me. Thom mi guarda come se volesse farmi una qualche domanda. Annuisco e basta ed in qualche modo, anche se non abbiamo mai davvero parlato io e lui, ci capiamo. Quello che abbiamo perso ci ricorda del legame che abbiamo con gli altri. Quelle pietre, quelle macerie, la polvere, i corpi mutilanti dei nostri compatrioti, sono come la colla che ci tiene uniti adesso, che ci ricorda che dobbiamo essere uniti per un futuro migliore.
"Di nuovo, al tre." riprende lui "uno, due, tre!"
Dopo metà giornata la maggior parte del posto sembra più in ordine. Sotto i nostri piedi abbiamo trovato fogli di carta, vecchi disegni di qualche bambino che aveva frequentato quelle aule, che forse non c'è più. Decidiamo di conservarli, tenerli da parte per quelli che forse torneranno, per quelli che conoscevano Noah, Adeline, Brayson, Emma o Madison.
Piano piano tra la polvere riusciamo a riconoscere il vecchio campo da giochi, la liberia, l'aula grande adibita a mensa, quella più piccola con le lavagne dove ci facevano lezione. Miriade di ricordi mi invadono e non mi sento minimamente sul punto di avere uno dei tanti flashback. Non so quale dei due Peeta questo sia, se il vecchio Peeta di prima dei giochi o l'ibrido di Capitol City, ma ammetto con una certa soddisfazione che si sente bene! Devo ringraziare il dottor Aurelius per questo.

Quando il sole è alto ed il caldo insostenibile ci prendiamo la pausa, sperando che intanto i vestiti si asciughino del nostro stesso sudore. Micah mi allunga una mano, l'afferro al volo e la scuoto. Lui mi da una pacca sulla spalla e poi mi supera per complimentarsi anche con Oliver e Thom. Duane mi allunga una bottiglia d'acqua piena a metà e per abitudine, non so se dei giochi o dell'infanzia, decido di non sprecarne neanche una goccia e farmela scendere tutta in gola. Butto via il recipiente vuoto e quando alzo gli occhi vedo una figura lontana.

E' più alta e magra di quanto sembri da vicino. La sagomatura del suo corpo mi ricorda il giorno della mietitura quando scheletrica s'era dimenata per prendere il posto della sorella. Tiene in mano un tacchino stecchito per le zampe, una freccia gli attraversa il corpo da parte a parte. L'ha già spennato ed è pronto per la cottura. Thom mi sorpassa e la raggiunge. Raccoglie la fiera e la alza trionfante verso i suoi compagni, che lanciano un urlo di giubilo da dietro di me. Li sento trafficare per accendere un fuoco mentre io ancora immobile guardo lei.
Si preoccupa ancora di saziare la fame degli altri, sembra stanca con le spalle curve ed un'espressione indecifrabile che a stento riesco a scorgere da quaggiù, ma soddisfatta. Prova piacere nell'aiutare chiunque. Indossa ancora la vecchia giacca di suo padre, i soliti stivali marroni e porta l'arco in spalla che ha smesso di nascondere nei boschi. I suoi capelli sono in ordine questa volta. Porta di nuovo la sua treccia, il suo marchio di fabbrica, anche se un po' più corta delle altre volte, i capelli ancora non le sono ricresciuti del tutto.
Katniss è diversa, persino diversa da quanto non fosse questa mattina. E' ancora più bella. Nonostante tutto, nonostante ogni aspettativa, nonostante sia caduta e si sia rotta più e più volte negli ultimi due anni, ha trovato non so dove la forza di rialzarsi, di ricominciare da qualche parte in qualche modo. Indossa fiera quelle cicatrici che sembrano fatte d'oro, come un bellissimo vaso cinese, è ancora più preziosa e bella di quanto non fosse prima della guerra, prima di tutto.
La sua fierezza la rende quasi irragiungibile e resto così a guardarla, mentre lei in piedi guarda me, mi fissa. Forse non s'aspettava di trovarmi qui, forse ho invaso il suo territorio troppe volte, prima a casa sua ora tra i ragazzi che le somigliano, o forse vorrebbe parlarmi ma non sa che dire.

Imbarazzato, sono io ad avvicinarmi per primo. Non voleva parlarmi questa mattina, perché dovrebbe farlo adesso?
Mi ritrovo a camminare verso di lei senza neanche pensarci due volte, con un sorriso scemo stampato sulla faccia, semplicemente felice di vederla fuori casa e davanti a me, come se fossi sorpreso che abbiamo altri interessi in comune. "Non sapevo che portassi carne fresca a tutto il distretto." dice allegro un Peeta che non riconosco.

Katniss sussulta come se non sentisse la mia voce da secoli e poi risponde. "Thom mi ha aiutato qualche giorno fa."

Non so a cosa si riferisca, ma ricordo quanto lei odi sentirsi in debito con qualcun altro e penso: ecco un'altra cosa che ricordo di Katniss. E' riconoscente ed onesta. Fino a che non si tratta di mentire in diretta nazionale per salvarsi il culo. No, no, no, era per tornare dalla sua famiglia e per proteggere anche me, l'abbiamo già chiarito. Ed ecco il Peeta allegro che se ne va.
Quando alzo gli occhi Katniss mi sta fissando. "Tutto ok?" mi chiede indicandomi con un cenno del mento i miei pugni chiusi.

Da quando sono tornato non facciamo altro che questo: guardarci. Katniss mi guarda come io guardo lei: ci cerchiamo le cicatrici a vicenda, anche se alcune possono essere più difficili da trovare. Io noto quant'è magra, lei che non riesco a tenere gli occhi aperti quando quel Peeta nella mia testa parla; io vedo quella treccia più corta di prima, i capelli bruciati, le patch di pelle sintetica sul collo e lei mi fissa quella linee di pelle bianca sui polsi. E' come se ci stessimo riadattando ai nuovi Katniss e Peeta, è come se sapessimo entrambi che ci siamo ancora noi qua sotto, ma non possiamo non trovare le differenze.

Prima o poi dovremmo smetterla di cercare quelle vecchie persone, io dovrò smetterla di sentire un vecchio Peeta ed un nuovo Peeta ed accettare quello di oggi. Così come in lei dovrò smettere di cercare la Katniss di Capitol City, quella dei giochi e la Ghiandaia Imititatrice. Smettila di fare il pazzo. O il traumatizzato, come dice il dottor Aurelius. "Hai subito un trauma, è normale!" scimmiotta il Peeta deviato. Argh, maledizione!

La conversazione per lei deve essere finita lì perché mi guarda, abbassa la testa e si volta per andare via.

"Aspetta!" la chiamo e sento la mia voce venire fuori con una certa urgenza. "Vuoi restare? Puoi aiutarci a ricostruire la recinsione, tagliare via le erbacce o..." continuo elencando una serie di mansioni che potrebbe coprire senza stancarsi troppo dopo una mattinata di caccia.
Devo essere pazzo, mi ripeto per la milionesima volta in questi ultimi mesi. Hai continuato a provare a parlarle per anni prima della mietitura, per mesi dopo i primi giochi, per settimane dopo i secondi e dopo la guerra. Perché ti aspetti qualcosa di diverso? Perché dovrebbe voler rimanere qui con me con questa volta? Tra i detriti, la polvere e i ricordi che tanto la tormentano per di più.

"No," mi interrompe lei con voce fioca "scusa," aggiunge e quasi non credo alle mie orecchie "ci vediamo stasera." dice alla fine e se ne va, mentre io resto a guardarla camminare via e girare per il villaggio dei vincitori.
Più tardi torno a lavoro tra i sorrisi complici degli altri ragazzi. Sorrido imbarazzato scuotendo le mani, sperando che capiscano che invece non c'è niente. Siamo solo amici. 

 

**



Di recente io ed Haymitch ci siamo aggiunti alle cene di Sae e Katniss a casa di lei. Mangiamo alle sette in punto, non un minuto in più né uno di meno. L'anziana donna è molto precisa su queste cose. Immagino che come ognuno di noi abbia bisogno di una qualche certezza, che sia l'orario della cena o la pace tra i distetti.
Alle sette di sera sono preciso davanti alla porta stringendo una bustina di carta marrone. Per la verità sono un po' in anticipo, non lo neanch'io perché. Sae sarà in cucina affaccendata e raramente parla quando è di là, Katniss sarà invece davanti al fuoco da sola.
Quando apro la porta mi accoglie il solito odore di piatto caldo. Il tepore del fuoco nel camino si è diffuso in tutto l'ambiente e la finestra è leggermente aperta, lasciando un piccolo spiraglio che rende l'aria ancora respirabile. Manca il solito rumore di stoviglie e piatti dalla cucina. La camera da pranzo è deserta se non fosse per Ranuncolo che se ne sta seduto sul tavolo ad aspettare, come se sapesse che è quasi ora di cena. Dal salotto sento invece un ronzio continuo sopra il fuoco che scoppietta. Me lo ricordo bene, è il rumore che fa la penna sulla carta, un graffiare continuo di una calligrafia piccola, discontinua e veloce.

Katniss è seduta per terra di fronte al fuoco, piegata sul tavolino. Indossa vestiti pesanti, sebbene fuori non faccia così freddo, che la nascondono completamente. Dal maglione di lana nera escono solo i capelli intrecciati e due mani sottili, di cui noto subito il pollice sporco di inchiostro mentre muove le dita freneticamente per scrivere.

"Ehi!" la saluto.

Katniss sobbalza. E' strano che non mi abbia sentito, ha l'udito di un cacciatore ed un orecchio bionico perfettamente funzionante. Deve essere presa da qualunque cosa ci sia su quei fogli.
"Ehi." risponde girandosi verso di me.

"Haymitch non c'è?" le chiedo tanto per fare conversazione. So che sono in anticipo e so che lui non è mai stato puntuale, neanche davanti alle regole che Sae ci ha imposto.

"L'ho svegliato poco fa e Sae non viene." risponde giocherellando con la penna che tiene tesa tra il pollice e l'indice di entrambe le mani "La nipote ha la febbre." mi spiega.

"Oh, mi dispiace." dico avvicinandomi e prendendo posto sul divano dietro di lei. Katniss si accuccia di nuovo sul tavolino e quel graffiare della punta della penna ricomincia. Non tiene niente sotto al foglio che sta usando e la carta si piega sotto il suo tratto pesante. Vorrei suggerirle di usare una carta più spessa o un tratto più leggero e mi sorprendo di quanta praticità abbia ancora per queste cose. Sorrido per aver recuperato un piccolo pezzo del vecchio me. "Scrivi qualcosa?" le chiedo allora per distrarmi e seriamente interessato.

"Sì." risponde solo e non dice altro.

Immagino che sia una cosa che voglia tenersi per sé ed allora lascio perdere. "Ti ho portato una cosa." le faccio allora allungandole la bustina di carta.

Katniss aggrotta le sopracciglia. Le si forma una fossetta in mezzo agli occhi quando lo fa, sembra una bambina curiosa ed è così carina che mi fa sorridere. Mi tira via la confezione da mano con fare deciso e per niente aggrazziato, la scarta e quando vede cosa c'è dentro si addolcisce. "Panini al formaggio." dice con sorpresa, più a sé stessa che a me, ma mi ritrovo ad annuire comunque ed allora mi guarda come se cercasse qualcosa.

So cosa vuole sapere: se è una coincidenza o mi sono ricordato. E' quello che vogliono sapere sempre tutti quando faccio una cosa che il vecchio Peeta (il vecchio me, mi correggo) farebbe. "Sono i tuoi preferiti, vero o falso?" le chiedo, anche se lo so già. Forse sto cercando solo una connessione con lei con questo giochino.

"Vero." mi risponde dolce ed abbassa la testa. Poi sorride, ne prende uno e lo mangia tutto ed io rimango a guardare a bocca aperta Katniss che finalmente sembra mangiare di gusto qualcosa, senza allungarla al gatto o lasciarla nel piatto. Ne prende un altro e lo finisce quasi le fosse venuta fame tutta in una volta. Ma perché non ci ho pensato prima?
"Che c'è?" chiede scontrosa quando mi nota, come se fosse davvero stupida della mia reazione.

"Niente, niente." le rispondo alzando le mani, proclamandomi innocente, ma non riesco a smettere di sorridere quando appallottola la busta di carta vuota e la lancia nel fuoco.
Il calduccio del focolare, Katniss che mangia e sorride, il suo viso nuovamente espressivo ed i ricordi che aleggiano ancora tra di noi creano un atmosfera comfortevole in cui ci troviamo bene io e lei. Riusciamo ad interagire di nuovo senza quel fastidioso imbarazzo e lontani dalle aspettative di tutti. Anche Ranuncolo deve aver fiutato la tranquillità ed il ritrovato dinamismo tra noi due, perché lo vediamo arrivare e mettersi in mezzo facendo le fusa prima a lei e poi a me. Pare fare avanti ed indietro, indeciso tra noi due e stranito dalla possibilità di avere così tante attenzioni, fino a che si decide ed allunga le zampe sulle mie ginocchia. Mi abbasso e lo prendo in braccio e lui si acciambella continuando a ronfare e strisciandomi il pelo arruffato sui pantaloni. Katniss sembra cogliere qualcosa che io non vedo, ricomincia a scrivere veloce e poi quando finisce fissa il gatto. "Gli piaci." dice solo, continuando a guardare lui con gli occhi lucidi ed allora la vedo anch'io. Prim.

"Ho ancora un certo fascino." scherzo sperando di destarla dal ricordo della sorella che persino io riesco a sentire in questo momento.

Katniss alza lo sguardo, mi studia per un attimo e poi si sforza di non sorridere combattendo con le guance le labbra che si stirano, mentre le cade una lacrima che le cola fino al mento. Vorrei dirle che non c'è niente di male a sorridere, che Prim lo farebbe e lo vorrebbe per lei, che anche se questo dovesse farla sentire in colpa può cercare dei ricordi felici di lei e sorridere per quelli.

Sfortunatamente non ne ho né il coraggio, né il tempo. Haymitch entra dalla porta principale in modo burbero e lasciandola sbattere. Non deve essersi svegliato col piede giusto. Guardo Katniss sospettando che lei centri qualcosa. Lei centra sempre qualcosa.
Ci avviamo verso la sala da pranzo, Katniss di nuovo muta e triste, Haymitch che sta bevendo qualcosa ed io che mi sento di troppo e so già che dovrò cercare di mettere pace tra i due.
"Che buon odore!" dico complimentandomi con lo chef, perché il silenzio mi ricorda l'ospedale del distretto tredici e quei ricordi mi danno fastidio come un prurito. Haymitch si siede a capo tavola e sospira davanti alle mie smancerie, o buona educazione. Si sistema un fazzoletto nel colletto della camicia e pare quasi un bambino educato di Capitol City. Ne prendo nota per la prossima volta che vorrà prendermi in giro.

Katniss ci riempie i piatti. Un pezzo grande di carne cade, mentre del brodo cola e schizza ovunque sulla tovaglia già martoriata dalla colazione. "L'ha cucinato Sae." ci spiega solo lei, rifiutando il mio complimento e mettendosi a sedere di fronte a me, come ogni sera. Recupera il pane di questa mattina, ne strappa un'ampia fetta irregolare ed a pezzi più piccoli lo immerge nel brodo.

"Buon appetito." dico prima di cominciare a mangiare, ma nessuno mi risponde. Che tipini per niente facili!
Per molto tempo si sentono solo rumori umidi di bocche che succhiano il brodo dai cucchiai, metallici tintinnii delle posate e silenzi imbarazzanti. E' tutto così strano, noi tre dopo tutto ancora qui e da soli. Senza Sae sembriamo gli ultimi pezzi di una vecchia epoca ormai in rottamazione.

"Uno di voi due deve andare alla stazione per me domani" è Haymitch a rompere il silenzio, mentre si sfila via con la lingua un pezzo di carne dai denti. "e portarmi il solito carico." conclude e recupera una fiaschetta dalla tasca del giacca, riempe il bicchiere e manda giù tutto d'un fiato.

"E perché dovremmo?" chiede Katniss parlando scontrosa per entrambi senza alzare minimamente gli occhi dal piatto. Mangia di nuovo lenta, come al solito, e ricomincia a giocare con la cena. Le quantità di cibo che mangia però sono gradualmente aumentate e presto sono sicuro che riuscirà a rimettere un po' di peso.

L'imbarazzo di prima è completamente scomparso, rimpiazzato da vecchie abitudini che non moriranno mai, non per noi almeno. Mi compiaccio nel ricordarlo, questa sembra una di quelle tante cene sul treno o nel centro di addestramento. E' una vecchia abitudine che ci fa bene. I miei occhi saltano da lei a lui e da lui a lei come prendono la parola e si colpiscono con frasi taglienti, proprio come facevano una volta.

"Perché ti ho salvato il culo due volte, dolcezza, ecco perché." le risponde Haymitch.

"Non mi sembrava che ci fossi anche tu lì dentro." risponde lei riferendosi alle due arene, ma so che sa benissimo che senza di lui nessuno di noi due ne sarebbe uscito vivo.

"Ci vado io." mi intrometto alla fine per farli smettere ed anche questo ha il sapore di qualcosa già fatto.

"Vedi?" fa Haymitch sollevando di nuovo il bicchiere ed indicando me "Questa si chiama riconoscenza." manda di nuovo tutto giù nell'esofago e ride col suo solito fare da ubriaco. "Impara!". L'ultimo sorso lo prende direttamente dalla fiaschetta, che cade a terra e non riesce più a recuperare. Ci siamo, ha raggiunto il limite.

Prima che Katniss possa rispondere e finire a tirarci piatti in faccia, mi alzo e mi infilo tra i due. "Andiamo," gli dico "ti porto a casa." e lo sprono allungandogli le mani. Haymitch le rifiuta, si tira su, barcolla e poi mi cade addosso. Sbuffo e mi sforzo perché quasi mi buttava a terra: devono avergli dato da mangiare sassi nel distretto Tredici per quanto pesa adesso. Gli giro un braccio sulle mie spalle e faccio per trascinarmelo via.

"Ce la fai?" mi chiede Katniss preoccupata, che in un lampo è giunta vicino a me. Lo prende dall'altro lato e lo tira su così che non dobbiamo trascinarlo del tutto.

"Certo." le dico issandolo con un braccio attorno alla vita. Nel farlo la sfioro appena lungo un fianco e lei si blocca. Cerco di ignorare la forma del contorno del suo corpo e mi carico Haytmich addosso, scrollando lei del suo peso, anche se mi sta uccidendo una spalla e la gamba buona sta cominciando a fare i capricci. "Ce la faccio." la rassicuro, ma la mia faccia non deve essere tanto convincente.

Mi accompagna alla porta, la apre e veniamo accolti nel giardino dal canto dei grilli e dall'aria fresca della sera. Sembra tutto così pacifico qua fuori: il cielo scuro fa calare una pace surreale e le lucciole regalano un'atmosfera magica che mi fa dimenticare per un attimo della polvere e delle macerie a pochi passi da casa nostra. Inspiro e mi godo di nuovo l'odore di libertà, ricordandomi per un momento di quando ho aperto per l'ultima volta la porta dello studio del dottor Aurelius e sono andato via. Sarebbe tutto perfetto adesso se non fosse per la puzza di alcol e sudore che mi vien su dal peso sulla mia spalla. Raddrizzo Haytmich e mi giro verso Katniss. "Grazie della cena." le dico sforzandomi di sorriderle.

"Figurati." mi risponde lei e mi sembra di scorgere qualcosa di diverso nel suo viso. Disappunto forse? Non voleva che finisse così? Mi chiedo se si renda conto di quanto sia facile leggerla guardando solo la luce nei suoi occhi e la piega delle sue sopracciglia. "A domani." mi dice alla fine.

"A domani." rispondo, mentre lei socchiude la porta e si nasconde in quello spiraglio di luce che rimane e che piano piano si fa sempre più sottile fino a scomparire del tutto e ci troviamo io fuori e lei dentro. Quando sono al buio finalmente caccio fuori quel respiro che non mi ero reso conto di trattenere.

Mi sento strano solo perché lei non c'è più, solo perché mi sembrava finalmente di nuovo giusto e normale che lei ci fosse. Rimango qua fuori impalato come un baccalà, come se lei potesse uscire di nuovo da un momento all'altro, come se...
"Ehi, ragazzo innamorato!" mi pungola Haymitch, facendomi saltare per aria, ed urla quasi e deve averlo sentito tutto il distretto e sicuramente Katniss da dietro alla porta e questo sicuramente l'avrà messa a disagio ed avrà rovinato ancora di più la serata.

"Shh!" lo zittisco con le guance in fiamme e mi allontano, ma in fondo in fondo sorrido e sorride anche l'altro me stesso. Insieme guardiamo per un'ultima volta la porta e speriamo che nessun altro abbia sentito i vaneggi di questo vecchio ubriaco per poterci tenere il segreto tutto per noi.

Haymitch ha sempre avuto ragione su di noi.

 




Angolo dell'autrice 
Salve a tutti, come va? 
​Terzo capitolo: stiamo piano piano uscendo dal baratro e risalendo già verso la montagna. Che ve ne pare? Troppi progressi? Troppi pochi? Poche interazioni? Non so, fatemi sapere davvero tutte le criticità su cui devo lavorare! 
​Scrivendo mi sto rendendo conto di quanto sia difficile inquadrare un personaggio usando la prima persona. Ho paura di come stia venendo fuori Katniss, dovendo mischiare contemporaneamente quello che sappiamo di lei con "non sa l'effetto che fa", quindi mostrarla uguale e diversa se mi capite. E' una sfida. 
​Chiudo con un grandissimo grazie per le recensioni, preferiti, seguiti, letture, tutto tutto tutto. Vi invito a lasciarmi un commentino se la storia vi piace (per dirmi qualunque cosa davvero!) e vi aspetto la prossima settimana, probabilmente sempre di giovedì ;)  
​Al prossimo capitolo xoxo

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 

Capitolo 4




Sembrava troppo bello per essere vero.

Un episodio, un altro, dopo poco più di un mese. Ricordo a malapena quello che è successo: era arrivato il treno con le scorte, avevo portato il liquore ad Haymitch, che mi aveva chiesto se stessi bene. Certo che sto bene, gli avevo detto. Certo, come no. Poi ho raggiunto Thom e gli altri, erano sulla piazza, vicino ai negozi, proprio vicino a tutti i negozi. La panetteria era là, a terra. E sotto quelle macerie non c'erano neanche più i loro corpi. Avrei voluto avere un posto su cui piangerli. Non mi importava che fossero carbonizzati e ridotti in polvere. Avrei voluto avere mio padre e mia madre ed i miei fratelli da qualche parte. Invece era stata creata una fossa comune e loro erano là ed io come avrei potuto riconoscerli? Sono corso sul prato e ho visto quella catasta di scheletri, ne erano un mucchio. Tutti neri, tutti uguali. Neanche brandelli di vestiti addosso che potessero aiutarmi. Credo di aver vomitato a quel punto e poi più nulla.

Apro gli occhi e cerco di capire dove mi trovo. Sono steso di lato, la parete di fronte a me è larga, il sole che sta tramontando si taglia in raggi attraverso le imposte ed illumina granelli di polvere danzanti. Ci sono delle tende davanti alla finestra, malamente tirate su. Sono blu e non ricordo se quelle tende le ho viste nella clinica o a casa mia. Strizzo gli occhi e me li sfrego. Mi dico che devo solo risvegliarmi e non agitarmi.
"Hai dormito per cinque ore." dice una voce ed anche questa so di conoscerla, ma proprio mi sfugge la persona a cui appartiene. L'altro Peeta se la ride come se avesse capito già tutto.

Mi giro di scatto tenendomi strette le coperte, preso alla sprovvista. E' Katniss ed io non sono né a casa né in una clinica. "Che...che..." comincio a balbettare, ma non so neanche io che dire. Forse sono solo imbarazzato per la mia condizione, i miei episodi.

"Sei nella mia camera." mi spiega Katniss, poi si alza e va verso il comò, prende un vassoio con del cibo e me lo piazza sul letto affianco a me. "Hai avuto un episodio." mi spiega nel frattempo "Ti ha portato Haymitch dopo che ti ha fatto questa." e apre una mano con una siringa. L'etichetta ha il bordo giallo e la riconosco benissimo per quante devono avermene fatte a Capitol. Mi sedavano e così l'episodio passava, come quella volta che provai a chiamare qui al distretto. "Gli ho detto di non farlo più. Quello l'ha cucinato Sae," si affretta a spiegarmi poi Katniss cambiando completamente argomento, quasi difficile da seguire in questo momento ed interrompendo i miei ricordi. Mi indica un risotto con pezzi di carne grandi quanto pietre "puoi mangiarlo, non è avvelenato." aggiunge ed io mi chiedo se volesse essere solo simpatica o se avesse notato la mia titubanza e l'avesse confusa con i pensieri di quel Peeta deviato, di quello che crede che persino una colazione sia un colpo letale da parte sua. Che idiozia.

"Lo so." le rispondo nell'indecisione con voce ancora frastornata. Mi stiracchio malamente con i pugni chiusi tra le lenzuola e mi tiro su. Katniss è di nuovo seduta di fronte a me, mi guarda immobile e con gli occhi segue ogni mio gesto, tanto da mettermi a disagio. Le iridi grigie sono attente. Aspettano solo che io mi muova, quasi fossi una preda e non appena muovo il cucchiaio e mastico lei sospira ed i suoi occhi si rilassano. Con l'espressione di sollievo dipinta sul suo viso, perde quella di mamma severa e preoccupata. Sorrido per le attenzioni che mi ha riservato e mi dispiace averle procurato così tanto scompiglio. "Prendi qualcosa." la invito allungando il vassoio verso di lei. E' troppo per una persona sola e sospetto che Sae stia aumentando sempre di più le nostre porzioni di cibo per farci ingrassare e tornare in forma. Io ce l'ho quasi fatta. Episodio a parte, mi sento più forte e quasi quello di prima. Katniss è ancora tanto magra, ma le sue guance sembrano più piene e la pelle sta riprendendo il suo naturale incarnato.

"Già fatto." risponde e mi indica dietro di lei un piatto vuoto.

Annuisco e vorrei mandare giù un altro boccone, ma ho un macigno che mi chiude lo stomaco. Devo sapere una cosa che mi preme prima di farmi divorare dall'ansia o al contrario di cullarmi nell'illusione che non sia successo niente. Non so mai come reagire, se preoccuparmi o tirare un sospiro di sollievo. Il dottor Aurelius sostiene che dovrei semplicemente chiedere e così chiedo. "Ho... Ho fatto male a qualcuno?"

"No." risponde subito Katniss, così velocemente che sembra quasi offesa. Poi si gira, guarda la finestra, batte una mano nervosa sul ginocchio e sospira. Quando mi guarda di nuovo pare più tranquilla. "Tu non sei uno che fa male alle persone." mi dice e capisco che questo è un suo tentativo di farmi un complimento. Sorrido perplesso ed appena sto per dirle qualcosa e ringraziarla, lei si alza in piedi. "Fatti una doccia e vieni di sotto quando sei pronto." dice e si volatilizza.

Sento il rumore frettoloso dei suoi piedi lungo le scale, fino a che arriva al piano di sotto e poi più niente.
Rimango da solo, piuttosto inebetito e con il solito sorriso stampato sulla faccia, quello che ho quando Katniss è nei paraggi. Fu Haymitch a farmelo notare a Capitol City due anni fa. Mi disse di rifarlo nell'arena ed io lo feci e probabilmente non me lo sono mai tolto. Non me l'ha tolto neanche Snow col depistaggio. Agito un pugno soddisfatto per la vittoria, per Katniss, per un altro pezzo di me che torna e finalmente con rinnovato appetito finisco la cena. Alla fine il mio stomaco si lamenta, forse perché è troppo o forse è stata la medicina. Quando mi alzo prendo la siringa vuota che Katniss aveva lasciato sul comodino, vado in bagno e la lascio cadere drammaticamente nel cestino. Non voglio vederne una mai più.

Non li lascerò vincere di nuovo. Possono portarmi via qualche istante, un paio di minuti, ma non più cinque ore. Non me ne starò a dormire mentre Katniss mi sorveglia e si preoccupa su una poltrona. Quando sentirò un altro episodio, lascerò che sia la sua forza ad ispirarmi ed a farmi vincere di nuovo. Lo so che succederà e lo so che posso farcela così.

Mi faccio quella doccia, lasciando che l'acqua calda mi sciolga i muscoli e mi rilassi le braccia e la schiena, dove c'era quasi un nodo che mi bloccava. E penso a lei. Penso così tanto a lei. Penso a lei nella sua stanza, nel suo letto, nel suo bagno, nella sua doccia, in questa doccia. Il cuore mi batte forte ed il sangue mi defluisce dal cervello verso il basso e devo cambiare il getto dell'acqua da caldo a freddo per tornare in me. Mi afferro e la penso ancora, ma man mano che l'acqua si raffredda lascio perdere e mi lavo.

 

**



Quando arrivo al piano di sotto, Katniss scatta in piedi. Questa volta mi ha sentito ed ha fatto cadere rumorosamente la penna sul tavolino. "C'è il tè." mi dice prima che possa raggiungerla e mi indica un paio di tazze fumanti vicino ai suoi fogli. Vuole che io mi sieda accanto a lei e così la raggiungo.
Il fuoco danza nel camino creando disegni di giallo, arancione e rosso. C'è odore di foglie secche bruciate e di bucce d'arancia e limone che coprono quelle del carbone, creando un'atmosfera tutta nuova. Mi sembra quasi di vedere rivoli di fumo profumato che riempiono la stanza.

Prendo la tazza e tiro su un sorso di tè. "L'hai fatto tu?" le chiedo per stuzzicarla, perché forse è la prima cosa che riscalda sul fuoco da una vita. Katniss scrolla le spalle ed io le cado affianco con la tazza fumante nelle mani. Un altro odore forte che si aggiunge a tutto il resto.
Prendo un altro sorso e penso che potrei far finta che sia troppo amaro, imbevibile o qualcosa del genere, per farla ridere. "E' buonissimo." le sussurro invece a voce bassa e non so neanch'io perché mi è uscita così. Deve essere quell'altro Peeta, quello più malizioso, che non si farebbe alcun problema a parlare con Katniss o provarci con lei (o ucciderla). Già, senza neppure rispettarla, senza neppure aspettarla, infilandosi nella sua vita e nel suo dolore come una serpe, mentre lei affanna per galleggiare. La tirerebbe giù di nuovo. Forse è stata quella doccia o forse sono io e non esiste nessun Peeta deviato e malizioso.

Katniss arrossisce ed abbassa gli occhi. "Non è niente." dice, usando sempre più parole del solito. Adesso siamo arrivati addirittura a tre.

Qualunque cosa abbia detto, non l'ha tirata a fondo, anzi. Con le guance arrossate sembra ancora più viva ed ancora più dolce ed ancora più diversa dall'immagine distorta che avevo lei. Hai visto? Dice lui, mentre mi ritrovo di nuovo a sorridere.
Katniss abbassa la testa, raccoglie la penna, se la rigira un po' tra il pollice e l'indice e poi ricomincia a scrivere. Per la prima volta mi trovo vicino abbastanza a questi fogli. Non me li allunga per farmi leggere ma neanche li nasconde. Mi sporgo un po' e su uno di quelli sparpagliati trovo una pergamena che tesse le lodi di Cinna. E' incompleta, così come lo sono tutte le altre.
"Che stai scrivendo?" le chiedo, mentre prende il foglio su cui sta scarabocchiando, lo appallottola e lo lancia via, raggiungendo un cumulo già disordinato di pagine e pagine.

Katniss prende un respiro profondo, lascia la penna e guarda il fuoco. "Prim." risponde solo. "Non voglio dimenticare niente." mi dice con una lacrima agli occhi e poi afferra la penna di nuovo e ricomincia a scrivere.

"Posso aiutarti?" mi esce spontaneo senza neanche pensarci, anche se avrei dovuto: del resto mi sono appena svegliato da un episodio.

Katniss sembra pensarci, poi alza lo sguardo ed annuisce. Si sposta e mi fa spazio affianco a lei. Siamo seduti così vicini che le nostre ginocchia si sfiorano, ma lei non si allontana. Si allunga sul tavolo, facendosi ancora più vicina tanto che riesco a sentire l'odore di sapone della sua pelle. Mi piazza davanti tre fogli, che impila e mette in ordine e poi aspetta che li legga.
Ha scritto una vera e propria commemoriazione a sua sorella: ci sono tutti i suoi pregi e tutti i suoi difetti, c'è tutto quello che le piaceva fare, ci sono il suo gatto e la sua capra, le sue abilità come curatrice ed una commovente descrizione su come le brillavano gli occhi quando nevicava. Rimango estasiato da tutto quello che ha scritto, dalla sensibilità e dall'attenzione che ha avuto per sua sorella. Katniss ha la capicità di amare con una forza tale da spingerla a sopravvivere a tutto purché il ricordo di sua sorella non muoia con lei.
"Mancano le immagini." mi suggerisce.

"Vuoi che disegni?" le chiedo titubante. Non mi sta chiedendo solo di riprodurre un'immagine o dei ricordi per lei, ma dei veri e propri sentimenti e mi chiedo se ne sarò capace. Non prendo una matita in mano da oltre un anno.

"Ce la fai?"

Penso che ci posso provare, ma poi alzo gli occhi e vedo i suoi. Mi perdo in quelle iridi grigie che hanno bisogno di qualcosa di tangibile da guardare per non credere di poter dimenticare. "Certo." le rispondo e lei mi allunga subito una matita.

Guardo la carta come se fosse una sfida, inizio a vorticare con la mano a mezz'aria prima di disegnare linee, indeciso su dove e come dovrei iniziare. Alla fine mi faccio coraggio e comincio.
Senza nemmeno rendermene conto, quelle che sembravano all'inizio solo curve disordinate prendono forma in qualcosa. Traccio la forma di un viso, una croce centrale per aiutarmi con la simmetria, gli ovali un po' allungati degli occhi e quelli più pieni delle labbra. Prim aveva sempre gli occhi dolci, non una ruga sulla fronte ma sempre il viso disteso e l'espressione confortante.

Quando dietro di me Katniss cambia posizione, esco dal mio mondo di linee e comincio a fare attenzione a lei. Fissa la carta, segue i segni della matita, piega la testa da un lato e poi dall'altro cercando di capire come si combinino tutti quei segni. E' attenta e mi passa la gomma quando crede che abbia sbagliato. Cambia di nuovo inclinazione del capo e dalle linee passa a fissare me. La lascio fare per un attimo, pensando che sia normale guardarsi attorno, ma lei non mi molla ed allora alzo io gli occhi per guardarla e non appena ci incrociamo, lei allontana i suoi.
"Così mi fai arrossire." le confido sinceramente. Le guance di Katniss hanno preso colore ed ha abbassato subito la testa. Quando ricomincio, con la coda dell'occhio la vedo che piano piano si rimette in posizione: guarda le linee, poi la mia mano e poi sale su. "Non strapperò il foglio e me ne andrò urlando, tranquilla." le faccio, sdrammatizzando anche sulla mia condizione così che possa sentirsi a suo agio anche lei.

"N-no, non era per quello." mi risponde un po' indecisa. Si è ritratta e si è portata le mani in grembo.

Forse posso capirla: quando ero bambino amavo restare con mio padre in panetteria. Mi faceva sedere sul bancone ed io lo guardavo mentre stendeva la pasta e tagliava le forme dei biscotti. C'è qualcosa di magico nel guardare una persona fare qualcosa che ama, nel proprio elemento, come Katniss nei boschi.
Alzo di nuovo gli occhi e questa volta lei non li allontana. Le sorrido appena e continuo a disegnare. Quando mi scappa una linea di troppo, Katniss è pronta di nuovo con la gomma in mano. Si sporge appena sul tavolino, la treccia le cade sui fogli e cancella. Ha il viso così vicino al mio che riesco a notare una piccola cicatrice rosa e tonda, quasi fosse una goccia vicino all'attaccatura dei capelli.
"Ecco." dice distraendomi e mostrando con soddisfazione quel punto che è tornato bianco.

E' davanti a questa scena che mi torna in mente un ricordo che fa quasi a cazzotti con l'immagine che ho davanti, eppure per quanto lo riguardi nella mia testa come un film non trovo niente che scintilli. "Ti ricordi le lezioni d'arte a scuola?" le chiedo mentre riprendo a disegnare. Katniss alza gli occhi ed aggrotta lo sguardo dove le si forma una piega di pelle confusa. "Sembravi così fuori posto."

"Ah!" si ricorda finalmente. Sorride appena mentre esplora anche lei il passato nei recessi della sua mente. "Non sono mai stata capace."

"Non hai mai provato." provo gentilmente e ci credo davvero in fin dei conti: come puoi sapere se sei capace o non sei capace a fare qualcosa se non ci provi mai? E' adesso che Katniss mi sorprende. Prende un foglio, lo rigira per vedere se è vuoto, mi strappa la matita da mano e prova a disegnare anche lei guardandomi attraverso le ciocche di capelli. Le vien fuori qualcosa che sembra un quadro impressionista: un omino con una penna... no, una matita in mano, seduto accanto a quello che sembra un tavolino. Quando completa aggiungendo i capelli ricci capisco che ha disegnato me.

Non riesco a trattenere una risata guardandolo, guardandomi e quando scoppio spero solo che lei non si offenda. Sembra il disegno di un bambino, disordinato e storto. Aspetto che cominci a ridere pure lei, ma non ce la faccio. Mi tengo la pancia e mi fanno male gli angoli della bocca. Indico il foglio ed indico lei, che mi lancia addosso la matita e poi incrocia le braccia.

"Non è divertente." dice solo.

Oh sì che lo è! La sua reazione non fa altro che renderla ancora più buffa, ma dagli occhi sembra quasi che voglia picchiarmi per davvero, così mi sforzo e provo a calmarmi. "Scusa, scusa!" alzo le mani e mi allontano, ma Katniss è veloce e mi afferra per la felpa e mi da un pizzicotto sul braccio, che mi massaggio per darle almeno questa soddisfazione. Poi recupera di nuovo la matita che nel frattempo era caduta a terra e me la allunga. Si riposiziona come prima ed aspetta.

Appena abbasso gli occhi mi sembra di scorgere l'accenno di un sorriso ed allora non riesco a trattenere il mio. Chiacchieriamo di nuovo della scuola, delle lezioni di arte e di quelle di storia. Mi dice che le piaceva la biologia, capire le piante e gli animali, che quando tornava a casa suo padre le parlava di quella o quell'altra radice, perché una facesse bene e l'altra facesse male. Mi rendo conto che mi sta raccontando storie che non ho mai sentito, di quest'uomo fantastico che aveva in comune tanto con sua sorella e tutto il resto con lei e capisco perché l'amasse tanto. Magari più tardi potrei proporle di scrivere anche di lui.

Man mano che il disegno prende forma qualcosa cambia. Chiacchieriamo ancora ma Katniss non sorride più. Si copre la bocca ogni tanto e poi chiude gli occhi cercando di sopprimere quello sprazzo di vita che le si forma sulle labbra. Non sembra più a suo agio: cambia posizione continuamente, prima si tiene una gamba, poi la mette sotto al cuscino su cui è seduta e poi ancora si nasconde dietro alle ginocchia.
Quando vede sulla carta sua sorella tendere una mano verso la sua capretta, Katniss si ammutolisce del tutto.
"Ti piace?" le chiedo per ottenere una reazione.

"E' perfetto." mi risponde a voce bassa e sbattendo le palpebre.
Vorrei allungare una mano ed abbracciarla, accarezzarle la schiena e tenerla stretta mentre piange, ma ho paura che qualunque contatto possa solo metterla più a disagio, così me ne sto al mio posto, nervoso, a guardarla. Katniss allunga una mano, tocca il disegno con la punta delle dita e come se quel gesto avesse potuto aprire le dighe, dai suoi occhi cadono un fiume di lacrime. Non bada minimamente a me, piange come se non ci fosse nessuno a guardarla. Mi fa conoscere quella parte distrutta di sé. Non quella algida, fredda e muta, ma quella ferita. Rotta.

"Non dovrei essere qui." irrompe tra le lacrime con voce singhiozzante, alta, come se stesse dando voce alla sua sofferenza. "Non io, non io..." continua e allora mi sciolgo, la raggiungo e lascio che pianga sulla mia spalla. La stringo forte, chiudo tra i pugni la sua maglietta e nascondo il viso nell'incavo del collo.

Ecco un'altra cosa che ho imparato del vecchio me: non sopporto vedere Katniss che soffre. Non ho sopportato nemmeno sapere che lei non mangiava quando ero a Capitol, cosa mi faceva pensare che sarei stato forte abbastanza da resistere qui? Ogni cosa che lei fa, che lei dice o che prova mi colpisce nel profondo su tutto il petto. Mi faccio coinvolgere in questa spirale di sofferenza e penso anch'io ai miei genitori ed ai miei fratelli, che non possono vedere questo nuovo mondo, non possono conoscere la pace e non possono avere una loro tomba. Non possono aiutare nella ricostruzione come sto facendo io, non possono più mangiare uno stufato come quelli che fa Sae, non possono preparare il pane per sua nipote, non possono sentirsi parte del distretto, camminare per le strade oltre il coprifuoco, progettare un futuro senza gli hunger games o prendere la vita un giorno per volta senza avere paura.

Quando le mie lacrime si mischiano alle sue, entrambi ci calmiamo. Me ne sto ad occhi chiusi ispirando l'odore di shampoo fruttato nei suoi capelli, rubandole calore dalla pelle e dal fuoco nel caminetto. Mi sento gli occhi gonfi e pesanti, complice anche il fumo profumato della frutta bruciata.
Katniss si poggia col mento sulla mia spalla. Strofina una tempia contro la mia guancia ed io la stringo più forte. "Mi sento in colpa." confessa Katniss di punto in bianco, con un filo di voce che è appena un sussurro. Stringe nei pugni l'orlo della mia maglietta alla base del collo. Le sue dita mi sfiorano sulla nuca e rabbrividisco nonostante faccia così caldo.

"Per cosa?" le domando, cercando di mantenere il contegno. Mi raddrizzo, la avvolgo meglio e nascondo di nuovo la testa tra il collo e la sua spalla.

Katniss prende un respiro profondo. Complice il fuoco, sembra sentirsi in vena di confessioni. "Mi piace andare a caccia, l'acqua calda della doccia, i tuoi panini" elenca "e lei non c'è." conclude. La sua voce è pesante e sembra quasi far fatica ad uscirle dalla bocca, lo scoppietto delle fiamme la copre quasi del tutto e devo far fatica per capire.

"Katniss," comincio a dirle e lei alza il capo sull'attenti, quasi sorpresa di sentirmi pronunciare il suo nome, per poi riaffondare il naso sulla mia spalla, redendomi sempre più difficile esprimere un discorso coerente. Adesso capisco perché per Capitol è stato così facile manipolarmi. "non c'è niente di male a voler vivere." riesco a dirle "Lo vorrebbe anche lei." le indico col mento e guardo quei fogli che ha scritto di suo stesso pugno.

Katniss rompe l'abbraccio e segue i miei occhi. Guarda anche lei quei fogli e li sfiora con le dita, cercando un contatto fisico con la sorella. Sorride triste mentre i suoi occhi si imperlano di lacrime. Quando torna su di me si pulisce gli occhi con la manica della felpa e cerca di parlare come niente fosse. "E questa dove l'hai sentita?" mi chiede con scetticismo, quasi le avessi detto una sciocchezza ed un po' ha ragione. E' quello che pensavo anch'io quando l'ho sentito per la prima volta.

"Il Dottor Aurelius." confesso alla fine e lei sorride nervosa tra le lacrime ed allora sorrido anch'io. Mi fissa ed anch'io la fisso. "Ti prometto che andrà meglio.". Una ciocca di capelli è sfuggita da quell'ordinata treccia che le cade su una spalla. Vorrei prenderla e rigirargliela delicatamente attorno all'orecchio, ma ho quasi paura di quello che possa farmi la sensazione della sua pelle sotto la punta delle mie dita. Katniss avrebbe i brividi, chiuderebbe gli occhi e schiuderebbe le labbra. Ed allora io come potrei rimanere seduto e non fare niente? Come potrei restare fermo e trattenermi col profumo di arancia bruciata ed il caldo del caminetto che sembrano spingermi verso di lei?

"Anche questa il dottor Aurelius?" mi chiede lei di nuovo perplessa, interrompendo quasi, ma non del tutto, le mie fantasie. Con un movimento impercettibile si fa più vicina, tanto che forse non deve essersene accorta neanche lei. Chiudo gli occhi e la rivedo con le labbra aperte che quasi mi chiama. "Ti ha riempito di stupidaggini." aggiunge lei e ridacchia nervosa con gli occhi ancora gonfi ed umidi.

"Meglio di quelle di Capitol." confermo io e ridacchio con lei. Mi fa ridere e questo non lo ricordavo. E' intelligente, determinata, forte, bella ed anche spiritosa. Sono affascinato da tutte le qualità che possiede. Poi si gira, guarda il fuoco che si sta per spegnere e sbadiglia. Il nostro momento di debolezza è finito ed è meglio tornare a casa, perché se resto le chiederò di dormire con me, parleremo di Prim, della mia famiglia, piangeremo e... Lei è pronta? Io sono pronto? Per parlare, intendo. Ovvio, certo che intendessi quello. "E' meglio che vada."

Katniss mi guarda come se fosse sul punto di dirmi qualcosa, si lecca le labbra imporporandole ancora di più alla luce del fuoco, ma torna sui suoi passi ed annuisce soltanto.
Mi sembra di essere rimasto qui un tempo infinito. Quando mi rialzo la gamba buona scricchiola mentre l'altra cigola. "Buona notte." Le sussurro e vorrei baciarla tra i capelli. Mi volto subito per non restare qui a fissarla ripetendomi che siamo amici e null'altro.

"Peeta!" mi chiama. Nella voce c'è un'urgenza che quasi mi ricorda l'arena. Mi giro aspettando che mi chieda di restare. Sembra pensarci e tentennare indecisa. "Buona notte." mi dice alla fine ed io le sorrido e basta. Nell'ultima immagine che ho di lei, è ferma a guardare il disegno di sua sorella. Me ne vado e spero solo che stanotte riesca a dormire.

Quando sono a casa da solo, mi butto sul letto, chiudo gli occhi e la rivedo. Katniss abbassa la testa, una ciocca di capelli le copre una guancia e mi guarda da sotto alle sopracciglia. La bocca è schiusa, la pelle calda, il cuore che le batte a mille. Avrei dovuto prenderle una mano. Avrei dovuto farle sapere che c'ero, rassicurarla, aiutarla. Perché non sembra mai abbastanza? Perché ogni volta che ottengo qualcosa da lei voglio sempre di più?
Mi rigiro e mi lascio cullare e per la prima volta da mesi riesco a sognare.


 




Angolo dell'autrice
Buon giorno, care mie! 
Chiedo scusa per il ritardo, ma sto avendo non pochi problemi a lavoro ed il tempo per scrivere si è vagamente ridotto. E' probabile che impieghi un paio di settimane anche per il prossimo capitolo, ma tornerò!
Beh in questo capitolo le cose cominciano a smuoversi. Che ve ne pare? Soprattutto di Katniss :P vi chiedo perché il mio terrore folle è di andare OOC.
Resto in attesa di pareri, spero che la storia finora vi stia piacendo e bacioni :* Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5




La ricostruzione del distretto procede lentamente: troppa polvere, troppe macerie, troppi morti, troppi edifici da dover tirare di nuovo su e troppi pochi vivi.

Abbiamo deciso tutti che il nuovo distretto non sarà una copia del vecchio, dovrà essere tutto diverso, ma noi non siamo così bravi ed i soldi che abbiamo non sono molti. Procediamo dall'essenziale e per prima pensiamo ad un tetto e quattro mura per tutti in vista del prossimo inverno. Le nuove abitazioni, per chi pian piano torna, circondano il villaggio dei vincitori, dove ci sembrava più logico che fossero, dove ormai abitano tutti. Abbiamo tirato giù le inferriate, i cancelli ed i muretti. Il nuovo quartiere parte da lì e si estende fino a dove c'era il centro città e la zona commerciale da un lato e la stazione dall'altra. Sarà qualcosa di enorme e magnifico, sicuro soprattutto. Abbiamo delimitato i nuovi edifici con dello spago tirato tra dei paletti di ferro ed alcuni di noi si sono già assegnati uno spazio.

Thom ha già deciso quale di quelle sagome sarà la sua: vuole costruire con le sue mani una casa grande per sé e sua moglie Sarah per metter su famiglia. Micah invece ha già occupato una delle ville già esistenti e lì adesso abita con suo padre. Sae e sua nipote abitano proprio tra me e Katniss e di tanto in tanto ci dirige anche nei lavori. Oliver, che è da solo, non ha bisogno di molto spazio ed ha proposto la costruzione di una palazzina per quelli che sono nella sua stessa situazione e che torneranno presto.

E' proprio da lì che abbiamo deciso di partire. Sono giorni che ci stiamo lavorando: avrà solo tre piani divisi per famiglie. Sarà alta abbastanza da far sentire un senso di compagnia a chi la abita, ma bassa a sufficienza da non tagliare la luce al resto del quartiere. Sorgerà proprio sul vecchio palazzo di giustizia, vicino alla stazione, così che non dobbiamo fare troppa strada nel trasportare tutti i materiali che arrivano man mano col treno.

Le fondamenta sono state la parte più difficile, dopodichè per i muri portanti non dobbiamo fare altro che impilare mattoni e coprire tutti i buchi. Sarà solida e calda. Riesco già a vederla alta, in piedi, perfetta e tutta da dipingere. Alzo gli occhi per vederne i fumosi contorni nella mia fantasia. Il sole è già alto ed accecante, tanto da costringermi a guardare di nuovo giù, sul realissimo mattone che sto impilando sulla calce dura e pesante.

"Mi prendo una pausa." ci avvisa Thom, vuotando la carriola a pochi passi da me. Gli facciamo tutti un cenno di assenso, poi ci guardiamo tutti noi altri, indecisi se continuare senza la nostra guida. A volte sembriamo persi senza di lui, un branco senza l'alfa, così allungo una mano ad Oliver, che chiude gli occhi, agita il capo e mi passa il secchio con la calce ed altri due mattoni che sistemo meccanicamente alzando il muro di altri dieci centimetri. Non vedo l'ora che sia finita! Il grigio dell'uno e l'arancione dell'altro si alternano in maniera disordinata davanti ai miei occhi. Li guardo soddisfatto asciugandomi il sudore dalla fronte.

"Peeta." mi richiama Oliver, passandomi affianco e dandomi un buffetto sul braccio. Mi giro e lo vedo raggiungere Thom, che a sua volta è affianco a Katniss da cui prende due sacchetti e se li porta via per raggiungere Micah che ha già allestito un focolare per il pranzo.

Meccanicamente avanzo verso Katniss, mentre gli altri ragazzi la ringraziano con una mano e poi ringraziano anche me, come se io c'entrassi qualcosa con lei e con quello che fa. Agli occhi dei miei concittadini è come se avessi preso il posto di Gale: siamo legati da qualcosa che non abbiamo chiarito, facciamo squadra e ci aiutiamo ad andare avanti. Sono certo che gli altri sappiano la verità, ma è come se vedessero qualcosa di più. Parlano a me di lei lusingandola e facendomi i complimenti, mi consegnano messaggi da recapitarle.

Quando le arrivo vicino, Katniss mi spia da sotto la fronte sudata, gli angoli della bocca le si curvano in alto e per nasconderli guarda dentro il suo borsone da cui caccia un sacchetto ed una ciotola di metallo piena di fragole fino all'orlo, coperta da una pellicola trasparente da cui gocciola succo rosso. Mi allunga il sacchetto e mi dice cauta: "l'ha preparato Sae". E' una cosa che dice ogni volta che mi offre del cibo.

Prendo il sacchetto, lo apro e trovo un panino con la carne di tacchino, che deve aver cacciato e cucinato lei stessa. Katniss non è brava mentire, adesso lo so. Non mi guarda quando lo fa: pretende di essere distratta o impegnata, cerca qualcosa nelle foglie d'erba attorno ai suoi piedi o nella polvere che calcia via. E' come se lei non volesse che io pensassi che ha avuto un pensiero gentile nei miei riguardi. E' tosta e tenera. E' dolce.

"Ricordami di ringraziarla." ammicco, stuzzicandola e fingendo di crederle insieme.

"Lo sa già." mi risponde subito lei, poi si gira e fa per andarsene, abbracciando ancora quel ciotolone pieno di fragole.

"Aspetta," la chiamo, ma mi rendo conto di sembrare supplichevole e cambio tono "resta."

"No, io..." comincia mentre cerca di pensare ad una scusa, ma la fermo sul tempo e, imitando Haymitch, con una spintarella sulla schiena ed un "andiamo" riesco a convincerla a seguirmi. Camminiamo lungo il viale principale, ci allontaniamo dalla piazza e dagli altri per raggiungere un viottolo che ricordo bene. E' a due isolati dalla panetteria, qui giocavano tutti i bambini del quartiere poco dopo pranzo. Io mi nascondevo da mia madre ed aspettavo Delly ed insieme facevamo il gioco alla campana saltellando sui numeri disegnati con un gessetto.

Adesso il posto è un po' diverso: i palazzi sono stati buttati a terra, ma le macerie allontanate nei giorni; è così pieno di polvere da aver cancellato quel disegno e quei numeri bianchi. Salto su e mi siedo su quel che rimane di un muro di cinta. Picchietto sulla pietra affianco a me ed anche Katniss si siede. Sistema tra noi due la ciotola con le fragole, mi fa segno con la mano di mangiare il mio panino ed appena finisco passiamo alla frutta.

"Devi provarle con lo zucchero." le suggerisco mordendone una e lanciando via le foglioline che mi restano in mano.

"O la cioccolata." rilancia lei. Prende un morso ed una goccia di succo le cola dall'angolo della bocca. Si pulisce allora col dorso della mano e sorride imbarazzata o nervosa e quasi non la riconosco.

Katniss nota la mia espressione perplessa e si stringe nelle spalle, nascondendo le mani tra le cosce e facendosi piccola piccola. I suoi occhi vagano da una parte all'altra cercando di tenersi lontano dai miei, ma non ci riesce e quando ci guardiamo di nuovo lei sorride. "Hai bisogno di un taglio." mi dice pensierosa ed allunga una mano. Mi sposta i capelli dalla fronte, costringendomi a chiudere gli occhi e liberandomi intanto la vista.

"Difficile trovare uno stilista che sappia valorizzarmi di questi tempi." le dico scherzando. Quando apro gli occhi lei mi guarda col viso piegato di lato, quasi mi stesse studiando. Sembra seria e continua a pettinarmi la fragia da un lato con quattro dita. Mi perdo nei suoi occhi e sento che mi manca un battito. Mi sento un adolescente con la cottarella.

Gli angoli della sua bocca sembrano combattere per non sorridere. Abbassa la testa e recupera la sua ordinaria postura. "Posso farlo io." mi suggerisce poi ed io non posso non pensare alla sua mano tra i miei capelli, a lei dietro di me alla distanza di uno sbadiglio.

Poi Katniss tira fuori le forbici e mi sale un brivido involontario di paura dietro alla schiena. Le lame riflettono i raggi del sole, illuminando con una lingua di luce cristallina prima il suo mento e poi l'erba e le pietre non appena lei rigira il polso.

"Adesso?" le chiedo scettico, tirandomi indietro, mentre mi chiedo che diamine ci fa con un paio di forbici nella borsa.

"Perché no?" fa però lei scrollando le spalle.

Non riesco a trovare neanche una ragione per cui non possa farlo ora: fa caldo, sto sudando, i capelli mi danno veramente fastidio da quando me l'ha fatto notare e non sento nessun attacco in arrivo. Katniss prende il mio silenzio come un assenso, salta giù e mi invita a sedermi più in basso su una pietra. Mi metto a ridere per questo suo salone di bellezza improvvisato, alché anche lei sorride e poi nasconde le labbra dentro alla bocca, decisa a rimanere seria.

Si avvicina cautamente, mi tocca i capelli prima con le dita e poi appena prende coraggio ci affonda una mano e li scompiglia. Passa da un lato all'altro, mi studia e poi comincia a tagliare. Il rumore delle sforbiciate veloci e sicure mi rilassa. Chiudo gli occhi e la lascio fare. Sento la sua mano prima a destra e poi a sinistra. Potrei reclinare la testa e trovarmi addosso a lei. Inebriarmi del suo odore, lasciarmi avvolgere e tanti cari saluti ai confini tra amici!

"Ok." borbotta tra sé e sé concentrata. Si alza sulle punte da dietro di me. Studia la mia testa dall'alto ed è così vicina che la sua treccia mi cade sulle spalle.

Le sue mani sanno di frutta. Mi si mette davanti e taglia gli ultimi riccioli sulla fronte. Mi resta di fronte ed ammira poi il suo lavoro dall'alto di nuovo ed io vedo le sue labbra tinte di rosso fragola con una macchiolina che le è caduta ed ha imbrattato la pelle più scura della guancia, la stessa di prima che non è riuscita a pulir via. Allungo la mano e col pollice la tolgo.

Katniss si blocca. Con le braccia ancora a mezza altezza, seduta sui talloni davanti a me, mi guarda. Sembra congelata ed è lei stavolta ad essere stata paralizzata dal mio sguardo. Ho le dita ancora sulla sua guancia e sembrano bruciare.

Dovrei andarmene. Dovrei mollare la presa e tornare a lavorare, ma ormai il danno è fatto e col pollice mi sposto e le accarezzo le labbra. Katniss chiude gli occhi e schiude le labbra. Sono screpolate e morbide. Una piccola pellicina mi punge il polpastrello. Se ne accorge anche lei ed in automatico si lecca le labbra, così velocemente che non sono sicuro che sia successo. Con la punta del dito però le sfioro involontariamente la lingua e mi ritraggo, fino a trovarmi con l'indice sotto il suo mento.

Non voglio andarmene, non voglio lasciarla correre via. Eppure una piccola parte di me si chiede come questa storia andrà a finire. I confini della nostra relazione devono essre ben definiti, come tra Haymitch e me, cercando però di dimenticare di averlo visto nudo una volta.

Con un po' di buona fortuna forse... Comincio a pensare, ma cancello immediatamente.

No, non posso.

Katniss non mi ha mai voluto, non così. E seppur fosse, appena qualche settimana fa ha pianto disperata abbracciandomi per la morte della sorella, perché non credeva fosse giusto continuare a vivere, figurarsi se... E poi non posso approfittare di lei così, adesso che è fragile, adesso che...

Katniss apre gli occhi e si allontana all'istante. Cade a sedere sull'erba e sulla polvere e questo le dà la scusa giusta per alzarsi, allontanarsi e scrollarsi tutto di dosso e dà a me l'occasione invece per riprendermi e chiedermi che diamine stavo per fare.

Si pulisce muovendo una mano veloce sulle gambe e poi sfregando le mani tra di loro. Da dietro di me la sento saltare a sedersi di nuovo sul muretto di prima. Penso che stia guardando le fragole, galeotte, indecisa se cedere alla gola e prenderne un'altra.
Quando mi alzo sta invece agitando i piedi che non toccano terra, come una bambina. E' nervosa, ma finge quella compostezza algida e sobria.

"Non hai avuto un altro episodio oggi." mi dice dopo che l'ho raggiunta.

"Hm?" chiedo cercando di ritrovar contegno, cercando di trattenere il pulsare dell'inguine dentro i pantaloni e quella voce che mi dice che avrei dovuto baciarla. Mi sono dimenticato anche di ringraziarla per i capelli.

"L'altra volta eri sul prato, pensavo che la panetteria e tutto il resto..." dice lasciando appesa la frase, cambiando completamente discorso, seppellendo il nostro momento di prima.

"Oh." riesco a dire soltanto, mentre un ricordo mi solletica i pensieri: il giorno prima avevamo cenato insieme, Haymitch si era ubriacato, aveva detto quelle cose e... Scaccio l'idea come un parassita.

 

**

 

Di notte non riesco a dormire.

A volte penso ai miei fratelli, a mio padre, a mia madre, a tutte le cose buone che hanno fatto per me, alle volte che ci sentivamo una famiglia e che stavamo in casa davanti al camino. Altre volte ancora penso a Johanna, poi a Finnick ed Annie. Quindi a tutti i tributi, a Rue, che mi ricorda Prim e da qui arrivo di nuovo a Katniss. Ultimamente però anche il modo in cui penso a lei è cambiato.

Me la ricordo quando urlava dal dolore, durante i giochi. Il viso stropicciato e la voce soffocata. Quella parte deviata di me se la ricorda bene, almeno. Quando ci ripenso cerco di cambiare quei ricordi. Me la immagino con la stessa espressione contratta, la stessa voce, ma in un altro contesto, vicina a me, che mi stringe le mani e mugola e geme.

Tutte le notti. La penso così tutte le notti. Mi faccio trascinare e penso che sia con me, che la mia mano sia la sua, che mi incateni coi suoi occhi come fa sempre, che posi la bocca sul mio collo, che cerchi un attimo per respirare e riprendersi, ma io so che davvero non lo vuole e non glielo lascio e allora lei mi stringe e mi stringe, fino a quando non ce la fa più e mi crolla addosso e allora la lascio andare anch'io. Aspetto fino a che i suoi occhi mi cercano, sorride con gli occhi lucidi, quasi ridesse e piangesse insieme e restiamo a guardarci.

Ed è allora che lo sento. L'altro Peeta, io, un attacco, una scarica di rabbia che mi prende e che dovrei contenere e voglio contenere. Mi alzo e mi piego sulla pancia, con le mani nei capelli. Li sento più corti, non riesco a tirarli per farmi male e questa sensazione mi ricorda dello scorso pomeriggio, di Katniss e del pensiero sopito che possa essere lei a scatenarmi quelle crisi; mi ricorda delle volte in cui non è successo, della macchia di fragole e del rumore ammaliante delle forbici.

Quando riapro gli occhi quella rabbia non c'è più. Dovrei essere fiero di me, ma non ci riesco. E se lei ci fosse stata? E se lei non fosse stata solo una fantasia? E se un giorno...

Senza pensarci afferro il cappotto ed esco di casa. L'aria fredda della notte si infrange sulle mie guance all'improvviso e mi calma. Resto immobile, fino a che non riesco a pensare di nuovo lucidamente e mi chiedo che ci faccio qui fuori da solo e vado da Haymitch.

Sta dormendo sul divano come sempre. Casa sua puzza un po' di meno da quando io e Sae abbiamo cominciato ad occuparcene e le fineste finalmente libere da ogni tendaggio lasciano entrare quel poco di luce bianca che c'è di notte. Accendo il lume che tiene proprio sopra alla testa, sperando che la lampadina lo svegli, ma così non succede ed allora lo agito prendendolo per la spalla.

Haymitch si sveglia, le sue pupille si riadattano alla luce. Le vedo subito stringersi per riflesso e poi allargarsi di nuovo per mettermi a fuoco ed appena ci riescono lui urla. "Porca puttana, ragazzo!"

"Haymitch" comincio a dirgli, ma lui si alza e mi sposta, buttandomi a terra senza tante cerimonie.

"Non farlo mai più." mi minaccia con un dito, come al solito. "Ma che ora è?" mi chiede poi guardandosi attorno.

"Haymitch," gli ripeto tirandomi su, ignorando ogni sua parola e mettendomi a sedere al suo posto. "posso dormire qui?" gli chiedo ed appena vedo che inizia a sbuffare e protestare confesso: "ho paura." dico solo e lui si ferma.

"Ragazzo, non posso aiutarti." dice serio. Si siede affianco a me e si giustifica "Non sono il tuo terapista, di quello che ti hanno fatto non ci capisco niente."

"E' Katniss." continuo io. Sono parole sconclusionate, lo so, ma al momento non riesco ad ammetterlo nemmeno ad alta voce. Quando la penso, quando perdo di vista la nostra amicizia e mi faccio illusioni, qualcosa dentro di me scatta e cambio. Mi si insinuano un milione di dubbi e non posso usare sempre quello stupido giochino ed assillarla. Mi arrabbio con lei, con me, con Haymitch, Sae e chiunque mi sia attorno. E quando mi arrabbio qualunque cosa stessi facendo è indissolubilmente rovinata, macchiata. Vedo tutto con un filtro di rabbia rosso e persino il più piccolo dei fastidi, come la maglia di lana che pizzica o il nervoso tamburellare dei piedi del mio mentore, diventano amplificati e mi vien voglia di urlare.

Haymitch sospira e capisce subito cosa intendo. Mi mette una mano sulla spalla nell'unico gesto di affetto che gli ho mai visto fare in vita sua ed indeciso la muove energicamente. Dalla sua espressione si direbbe che è tutto tranne che a suo agio. "Ragazzo," comincia a dire, sospira di nuovo e poi prosegue "è notte." dice solo, sperando che con solo questo riesca a spiegare un intero concetto. "Dormici su." mi incita poi. "Domattina andrà meglio."

Dubito che domani andrà meglio, che mi sembrerà tutto diverso alla luce del giorno o man mano che il tempo passa dall'ultimo episodio. Apprezzo il tentativo ed abbozzo un sorriso, ma dentro lo so a cosa penso e cosa vorrei fare. I miei raptus sono cambiati. Non vorrei più ucciderla come una volta, ma farle del male in un altro modo. Prenderla, usarla. E questo forse mi spaventa ancora di più perché c'è una parte di me dentro a questa fantasia. E se fossi un pervertito a cui piace strangolare le ragazze? A volte mi prende il panico e non ricordo più neanche chi sono.

Haymitch deve aver capito che il suo discorsetto è stato vano. Sospira di nuovo e poi dà voce ai suoi pensieri. "Puoi sempre tornare dal tuo dottore." propone "Se ti serve." aggiunge, come se volesse scusarsi di averlo detto. Più di tutti lui sa quanto abbiamo bisogno, sia io che Katniss, di restare qui, di avere gente che conosciamo attorno, di non sentirci abbandonati ancora. Sa quanto ci sentiamo reietti, quanto abbiamo bisogno tutti e tre l'uno dell'altro. Siamo tre pezzi rovinati di puzzle diversi che stranamente combaciano.

Ecco. Era proprio di questo che avevo paura. Non riesco a rispondergli, ma neanche a smettere di guardarlo come se avessi intenzione di rispondergli. Tra le sopracciglia ha qualche capello bianco, che poco si nota su quella capigliatura chiara. Attorno agli occhi la pelle si piega in rughe. Sulle guance è cresciuta incolta la barba, che gli copre il mento ed i lineamenti. Forse è il suo aspetto saggio a farmi pensare che ha ragione.
Quando mi arrendo e distolgo lo sguardo, Haymitch torna quello di sempre. Con un dito mi martella la spalla facendomi girare verso di lui. "C'è un uccellino origlione lì fuori."

Uccellino? Mi giro e attraverso la finestra riconosco una figura. Ah, certo: uccellino, ghiandaia, Katniss! Prendo un respiro profondo e penso che mi sono già umiliato una volta, che non mi è rimasto più nemmeno un briciolo di dignità e che può entrare se ci tiene, piuttosto che nascondersi al buio dietro una porta. Ma questo è così da Katniss.

Mi alzo e vado ad aprire. Lei entra. E' bianca in viso, sembra ancora più pallida di notte con la luce della luna che entra dalle imposte. Sulle braccia la pelle le si è accapponata per il freddo e sembra davvero un uccellino come ha detto Haymitch.

Katniss con poche falcate copre la distanza tra lei ed il mentore, gli lancia uno sguardo torvo e cattivo. Avrà sentito tutto o quasi e voleva probabilmente che Haymitch mi dicesse qualcos'altro e che andasse a chiamarla. Riesco a leggerla così bene. Poi si gira verso di me e noto che sta facendo di tutto per evitare che il labbro le tremi, costringendosi anche a tenere gli occhi aperti perché le palpebre non spazzino via quelle lacrime che sta mascherando così bene. Vorrei rassicurarla che va tutto bene, che vincerò di nuovo, che presto potrò stare vicino a lei, con lei, sempre, anche se non lo so davvero. Ma le parole mi muoiono in bocca, impastate di lacrime e saliva.

"E' Katniss?" ripete le mie parole, dandole un'intonazione incredula e sarcastica. "Sono io? Io ti faccio venire gli episodi?" continua con rabbia.

Haymitch sospira. Da questo momento in poi sa che non tornerà più a dormire stanotte e così si mette seduto per bene, a braccia incrociate con un tallone sull'altro ginocchio e guarda lo show come se lo stesse seguendo in televisione.

"N-no." mento "Non lo so."

Ma Katniss non mi crede, avanza sicura fregandosene della distanza che provo a mettere tra noi a passi indietro, di Haymitch che ci guarda, della puzza di alcol di questa stanza e parla risoluta. "L'altra sera, quando abbiamo cominciato il libro, hai avuto un episodio?"

"No." Sospiro perché ho capito dove vuole arrivare e non è così che funziona. Non è così, non mi succede ogni volta e poi ero strafatto degli ansiolitici che Haymitch mi aveva iniettato. Mi torna in mente l'immagine della siringa con l'etichetta dal bordo giallo nella mia mano e cerco di allontanarla scuotendo il capo.

Katniss intanto pare soddisfatta della mia risposta e va avanti, incarando la dose. "Te l'ha detto il dottor Aurelius?" domanda e sembra di nuovo che stia cercando di contenere le lacrime.

"No." Era quello di cui il dottore aveva paura all'inizio, ma non me l'ha mai espressamente detto. Poi da quella telefonata, abbiamo cominciato a parlare di lei, una terapia di riadattamento l'aveva chiamata lui fino a quando gli episodi si sono fatti più rari ed allora mi ha fatto tornare. Non abbiamo mai potuto effettivamente appurare se fosse Katniss a scatenare i miei episodi.

"E allora non è così!" mi fa lei quasi arrabbiata. "Resto con te." dice alla fine "E non ti verrà niente."

"Oh Gesù." sospira Haymitch e si lascia cadere le braccia sulle gambe. "Vuoi invitare anche Sae ed il resto del distretto?" chiede ironicamente.

Katniss mi tira via e saliamo, quasi corriamo, al piano di sopra, a casa di Haymitch, in una delle tante camere chiuse, spolverate di recente, immobili, immutabili. Ci sistemiamo tra lenzuola che non sono mai state abitate e c'è una specie di frenesia nell'aria. Non ci importa di niente: che non è casa nostra, dei brontolii del nostro mentore, dei miei episodi, del suo pigiama sottile, del mio pigiama a quadri, dell'aria che sembra elettrica.

Mi sembra di essere qui per la prima volta. Sono qui per la prima volta, ne sono sicuro. Ma insieme a me c'è lei e quella sensazione di famigliare conforto che porta con sé. Si raccoglie sul mio petto, respira sulla mia maglietta e lì si aggrappa con le dita. Combatto per quelle che sembrano delle ore la tentazione di stringerle quella mano. Quando mi decido lei comincia a parlare.

"Peeta, tu stai bene." dice Katniss come se fosse un'affermazione, come se lo sapesse lei meglio di me. "Non tornerai a Capitol, non ne hai bisogno, vero o falso?" mi domanda, tirando di nuovo in ballo quel giochino che ormai serve più a lei per parlare con me che a me per capire lei.

"Vero."

"Tu non te ne andrai, perché mi vuoi bene, non è così?" chiede insicura con un filo di voce, le labbra socchiuse e gli occhi timidi e lucidi, che riesco appena ad ammirare da questa posizione. "Vero o falso?" ripete con voce più acuta quasi disperata, quasi ne avesse bisogno ed io non so come risponderle. Falso, perché la amo? Vero, perché le vorrò comunque sempre bene? "Vero o..." ripete ancora e viene interrotta da un singhiozzo e sta piangendo. Perché piangi, amore mio?

Allora mi alzo, mi metto a sedere, la afferro subito, la abbraccio forte, la stringo con entrambe le braccia e lascio che pianga sulla mia spalla mentre io ondeggio e le riempio i capelli di baci. "Vero, vero, vero." le ripeto fino a quando siamo stanchi e crolliamo a dormire.


 




Angolo dell'autrice
Eccomi, eccomi! Come vi avevo anticipato, un po' di ritardo, ma torno. Torno sempre mhahuahua
Scherzi a parte, che ve ne pare? Mi sono emozionata nello scrivere questo capitolo, ma vi esprimo le mie perplessità: innanzitutto Katniss che piange e cerca sicurezze. Allora, mi è tornata in mente la Kat che si nascondeva e giocava con la perla nel distretto 13. Sia lì che qui sta facendo un po' l'adolescente innamorata. In più (cosa che chiarirò anche nel prossimo capitolo) soffre, oltre che per la morte della sorella, dell'abbandono della madre. Però ci ho tenuto comunque a renderla combattiva ed impulsiva. Poi Peeta: pensieri troppo spinti? Io credo di no, ma vorrei sondare un po' il terreno non conoscendo il pubblico. Oltre questo la sua infinita dolcezza so che non è OOC <3 
Beh, that's all! Fatemi sapere, aspetto con ansia. Vi ringrazio tutti comunque per i commenti, letture, preferiti... tutto, tutto, tutto! Sono felicissima che la storia vi stia piacendo. Vi lancio un bacio ed un abbraccio virtuale ed alla prossima xoxo

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 

Capitolo 6

 

Bagnato. Bagnato. Freddo. Ma dove sono? E’ Capitol?

“Haymitch!” urla qualcuno affianco a me. E’ Katniss e sembra arrabbiata. Dove siamo? E’ l’arena? Neanche me ne rendo conto che sono già in piedi con le mani davanti alla faccia ed il petto piegato per proteggermi da attacchi all’addome.

Quando metto finalmente a fuoco, vedo Katniss, ancora arrampicata sul letto, che agita le mani per scrollarsi gocce d’acqua da dosso. Ha i capelli zuppi ed i vestiti appiccicati addosso. Davanti a noi il nostro mentore se ne sta in piedi a guardarci con un secchio di latta in mano che finisce di vuotare sul pavimento.

“Così impari, pazza!” dice guardando Katniss ed ignorando completamente me che non sono altro che un danno collaterale alla loro resa dei conti. E’ per questo la secchiata d’acqua? Un altro dei loro stupidi battibecchi?

Katniss si afferra il lembo della sua maglietta e lo strizza sul tappeto in modo teatrale, mi supera come se neanche ci fossi e, faccia a faccia con Haymitch, sembra volergli dire che non è finita, che ci sarà una prossima volta e si vendicherà. Paiono volare scintille tra di loro. Si guardano fissi con simil furia negli occhi, più ardente quella di lei e più saggia quella di lui, fino a quando Katniss perde quella battaglia e se ne va, ma non prima di avergli fatto cadere a terra quello stupido secchio di latta, rompendo così i timpani di tutti.

“E la prossima volta le vostre porcate andate a farle dall’altro lato del vialetto!” le urla appresso lui, ignorando di nuovo me, l’altra metà di quel voi. I vetri della finestra tremano allo sbattere della porta d’ingresso, richiamando la nostra attenzione. Poi finalmente Haymitch abbassa lo sguardo e sembra vedermi.
Forse forse stavo meglio prima. Il suo sguardo mi penetra nel cervello, mi scruta piegando il capo alla ricerca di risposte a domande che non vuole pormi.

“Non è successo niente!” gli dico alla fine per rassicurarlo con tono seccato. Mi metto a sedere sul letto bagnato e lo ignoro io adesso, concentrato come sono ad infilarmi le scarpe. Come si faceva? Prima la destra, poi la sinistra, poi il coniglio con due orecchie gira attorno all'albero e...

“Già, già…” mi risponde lui come se non mi credesse “La prossima volta…” ricomincia poi, distraendomi e costringendomi a ricominciare tutto d'accapo. Due orecchie, gira attorno all'albero e va nella buca. Sì!

“Dall’altro lato del vialetto, ho capito.” Continuo io per lui, chiudendo il discorso una volta e per tutte e me ne vado. Ma che gli importa? Dovrebbe essere felice per me, per noi, o no? Quelle stanze neanche le usa, che importa se ci dorme qualcun altro qui? Cavolo! Ci abbiamo dormito noi. Possibile che realizzi così all’improvviso che ero in questo letto, tra queste lenzuola con Katniss Everdeen? Nessuno potrà mai togliermi il sorriso dalla faccia. E sono riuscito ad allacciarmi anche le scarpe.

Dopo questa notte casa mia non sembra più così vuota ed in un certo senso mi sembra riconoscerla, almeno dall’esterno. Cerco le chiavi prima di ricordarmi di non aver chiuso ieri sera, quando un veloce scalpiccio rovina la quiete della mattina. Mi giro e vedo Sae.

“Peeta!” mi urla ed appena le alzo la mano per salutarla lei si ferma per riprendere fiato. Si piega con le mani rugose sulle ginocchia malconce, boccheggia rumorosamente supplicandomi senza usare una parola di raggiungerla e non farla correre di nuovo.

“Buon giorno!” la saluto cortesemente con un sorriso a trentadue denti, mentre lei si ricompone terminando la sceneggiata.

“Per te.” Mi dice alla fine, senza mezzi convenevoli, tirando fuori dalla tasca del grembiule diverse lettere.

Chi mi scrive? Incuriosito la ringrazio e seduto sui gradini di pietra antistanti la villetta studio la corrispondenza. Sono ben tre lettere: due bianche ed immacolate, sottili, e l'altra gonfia ed azzurrina. Metto da parte l'ultima, più interessante, e comincio dalle altre.

La prima viene dal dottor Aurelius. Riuscirei a riconoscere la carta bianca e sterile con cui compilava le sue ricette ovunque. Si complimenta con me e Katniss per la buona riuscita del nostro libro di cui lei gli ha parlato. Mi ringrazia di nuovo e mi avvisa che arriveranno pacchi con altra carta, colori e tutte le foto che ci servivano.

La seconda lettera è da parte di Delly. Dice di essere a Capitol City, che sta girando il paese ora che può finalmente e che probabilmente tornerà al Dodici quando ci saranno più persone, per insegnare ai bambini, aggiunge. Non riesco a pensare ad una persona più adatta.

La notizia che presto potrei rivedere una vecchia amica mi mette ancor più di buon umore se possibile. Vorrei risponderle o chiamarla per ringraziarla e raccontarle dei miei progressi. Mi è stata vicino nel Tredici e credo di doverglielo. Poi penso a Katniss. Anche a lei glielo devo. Le voglio raccontare tutto degli ultimi minuti, da come ho risposto ad Haymitch a come mi sono sbattuto fuori casa sua, da Sae che mi rincorre per tutto il villaggio alla lettera di Delly ed ai fogli che devono arrivarci.

Mi metto in tasca l’ultima lettera e corro da lei. La porta è aperta come al solito, tutte le luci sono spente e le imposte aperte lasciano filtrare i tenui raggi del mattino, colorando di bianco il salotto d'ingresso.

“Katniss!” la chiamo euforico a tutto volume, ma lei non risponde. “Katniss!” urlo ancora e mi decido a salire le scale ed andare a cercarla. Il mio umore cambia di punto in bianco e tutta l'esaltazione di prima scompare, lasciando il posto ad un'ansia che mi stringe il petto. Continuo a chiamarla e lei continua a non rispondere, scoprendo un’altra parte di me che non ricordavo, quella ansiosa, quella che ha paura in ogni momento che le sia successo qualcosa come quella notte dentro all’orologio o nella grotta. Gli hunger games mi hanno lasciato una cicatrice che sanguina di continuo.

Casa sua si è fatta all’improvviso più grande. Gira tutto e le forme si perdono. Non scorgendola neanche sul letto, varco in fretta e furia la porta aperta della sua stanza, dirigendomi direttamente verso il bagno. La chiamo un’ultima volta prima di scontrarmi contro qualcosa di morbido, bagnato, profumato e più basso di me. E‘ lei. La prendo per le spalle, la guardo e mi tranquillizzo.
Dovrei abbracciarla e dirle di non farlo mai più, di rispondermi e che mi ha fatto quasi venire un infarto, ma non so se va bene, non so se posso e così mi limito a guardarla cercando di controllare il respiro.

“Ciao!” mi dice piano lei imbarazzata, in piedi in accappatoio, tutta bagnata e con le spalle strette nella mia presa.

“Ciao.” Le rispondo io che ancora cerco inutilmente di rallentare i battiti del cuore. La guardo e devo sembrarle così spaesato e perso da farle allungare il dorso della mano che mi sfiora la fronte e mi controlla.

Una manica le scivola morbida come una nuvola fino al gomito. Dall’altro lato la spugna bianca rivela un triangolo di pelle che dalle clavicole si allunga fino al petto, lasciando scorgere la curva appena accennata dei due seni dove un piccolo neo cattura la mia attenzione. Il profumo di sapone comincia a riempirmi le narici, mentre una nube di vapore mi tiene al caldo nella stanza.

La sua mano è fresca e piacevole a contatto con la mia fronte, che quasi mi sento febbricitante. Sulla pelle le scorrono numerose goccioline d’acqua che mi ricordano la rugiada sulle piante al mattino. Katniss è una bellissima alba. Guardarla oggi, adesso, mi regala calma e sollievo, niente a che vedere con la rabbia e la disperazione di quell’io che non riesco a controllare.

“Stai bene?” mi chiede confusa.

“S-sì” borbotto ed abbasso la testa perché adesso sono io quello imbarazzato che non riesce a guardarla negli occhi. Mi rendo conto che le mie dita la stanno ancora stringendo ed allora mollo la presa e mi porto le mani alla bocca, fingendo di grattare qualcosa tra i baffetti ispidi che mi stanno appena crescendo. Sapevo essere un attore migliore. “Scusa.” Le dico alla fine, rinunciando a tutti i miei tentativi dissimulatori. “Quando sei pronta vieni di sotto.”

Katniss mi fa cenno di sì con la testa, quindi fa qualche passo all’indietro e torna in bagno, mentre io le chiudo dietro la porta e ci sbatto contro la testa. Stupido, stupido, stupido. E non le hai ancora detto di Delly.

Al piano di sotto sfoglio le poche pagine del nostro libro. Lo abbiamo rilegato con un filo di cotone cercando di replicare in tutto e per tutto quello del padre di Katniss, ma ci manca una copertina ed è tutto in disordine. Riflette me e lei in fin dei conti.

Non passa molto tempo che lei mi raggiunge. Ha ancora il suo passo felpato e devo aspettare di vederla per sapere che è qui. I suoi capelli non sono più bagnati, indossa una maglia di lana grigia, vecchia ed infeltrita in cui sembra ancora ballare dentro. Da sotto spuntano come spilli le gambe lunghe che invece stanno recuperando tono, merito delle tante passeggiate nei boschi.

Katniss va in cucina, porta del pane vecchio e cioccolata per entrambi e mi si siede accanto sul divano. Sgranocchiamo in questa luce eterea del mattino che filtra dalle tende col suono del distretto che si risveglia a farci da colonna sonora.

Katniss nasconde i piedi tra i cuscini e si sfrega le mani. Quando mi guarda le sue labbra accennano ad un sorriso indeciso. Si sta ancora riadattando alla vita e così sorrido io più risoluto per farle coraggio. Pochi secondi e s'illumina anche lei, curva le labbra e le nasconde dietro ad una mano, mentre l'altra è schiacciata tra la sua coscia ed il divano per riscaldarsi. Senza pensarci le afferro entrambe le mani, me le porto alla bocca e le riscaldo io senza rompere il contatto visivo.

Mi guarda negli occhi e non mi lascia. I capelli che le cadono dritti ai due lati del capo le fanno risaltare il rossore delle guance, ma nonostante l'imbarazzo Katniss resta ferma, rigida e riconosco la cacciatrice che vive sotto la sua pelle.

Quando le lascio andare le mani, due dita le cadono sul mio mento e lei comincia a fissarle come se fossero la cosa più interessante del mondo. E' curiosa, come lo ero io delle sue labbra solo il giorno prima. Mi sfiora e poi decide che è abbastanza e si ritrae.

Non so se tirare un sospiro di sollievo o disperarmi.

“Continuiamo il libro?” le chiedo alla fine per distrarmi senza pensarci troppo su.

“Sì, certo.” risponde subito e sbrigativa lei, scivolando a terra sul tavolino e disponendo tutti i fogli in quel solito ordine caotico in cui si trova a suo agio.

“Qualche richiesta?”

“I vecchi tributi?” propone “Mags?” aggiunge in un tentativo di personalizzarli, di non limitarli solo agli Hunger Games.

“E Mags sia!”

Lavoriamo per i fatti nostri per un po'. Cerco di pensare a Mags, alle sue esche, ai capelli bianchi e quello sguardo dolce che amava tutta Panem. Traccio linee e sfumature e mi perdo tra le matite. Piano piano l'atmosfera cambia: una luce giallina fa capolino dalla finestra, puntandomi proprio un occhio, obbligandomi più volte a spostarmi. Katniss invece continua a scrivere fino a riempire una pagina intera che copia e ricopia un'infinità di volte fino ad ottonere finalmente un foglio pulito.

Quando la porta si apre ed entra Haymitch, in una mossa che sembra quasi studiata perdiamo entrambi il segno di quello che stavamo facendo e guardiamo verso di lui, per poi tornare sui nostri fogli.

“Ehi, maleducati!” ci appella lui. Alzo di nuovo gli occhi confuso, indeciso se stia parlando di stanotte o di adesso. Katniss prova invece ad ignorarlo.
Haymitch prende posto dietro di noi sul divano. Ha ancora una bottiglia in mano, questa volta sembra birra e quindi non deve essere completamente ubriaco. La sua scelta di bevande mi fa tirare un sospiro di sollievo ultimamente. Pare aver ridotto i super alcolici per passare gradualmente prima al vino e poi alla birra. Mi chiedo se abbia intenzione di smettere o se le sue scorte si siano semplicemente ridotte.

“E’ Mags?” chiede dopo qualche minuto, indicando il disegno che sto cercando di terminare. Il suo alito mi arriva al collo come una ventata calda e disgustosa che mi fa storcere il naso. Sa di vino scadente e vomito e mi fa rimuginare di nuovo sulle sue pessime scelte.“No, no, no.” Si continua a lamentare lui. “Gli occhi più piccoli” mi istruisce “e le mani più…” continua alla ricerca di un termine ed intanto mima un gesto, che forse mi ricorda proprio della donna, con una mano dentro l’altra e quasi ad altezza del petto. “Capito?” farfuglia alla fine.

“Credo di sì.” Gli rispondo. In realtà no, ma va bene, forse forse mi ha fatto venire un’idea.

“E tu che combini?” chiede a Katniss, sporgendosi per sbirciare prima che gli arrivi la risposta.

Katniss lo guarda e nelle sue pupille brucia ancora il fuoco che una secchiata d’acqua gelida non è riuscito a domare. Sta per rispondere e dalla sua espressione intuisco che quello che dirà sarà un'altra battuta cattiva ed acida che riaprirà la guerra. Non sopporto vederli litigare e prendo la parola al posto suo.

“Lei scrive, io disegno.” Rispondo ad Haymitch per semplificare le cose.

Li guardo entrambi. Prima lui e poi lei ed aspetto che uno dei due mi dia dello stupido per aver ripreso la parola ed averli oscurati entrambi. E’ in momenti come questi che sento la mancanza di Effie. Lei riusciva a contenerci tutti, sapeva come prendere ognuno di noi. E’ il collante che manca tra noi tre.

Alla fine sembrano entrambi soddisfatti e, mentre Katniss torna alla sua occupazione, Haymitch dice qualcosa di sorprendente. “Volete una mano?”

Finiamo così tutti e tre a lavorare sul libro. Io disegno, Katniss continua a scrivere tutto quello che ricorda: le esche, il suo sacrificio prima per Annie poi per Finnick, il suo modo accondiscendente di fare o quello di comunicare. Di tanto in tanto invece Haymitch corregge me e racconta qualche aneddoto di cui nessuno di noi due altri eravamo a conoscenza, aggiungendo pezzetti di storia alle nostre pagine.

Siamo così presi che non ci rendiamo conto come il tempo passi. Abbiamo superato l’ora di pranzo e solo quando ci fermiamo con gli occhi che bruciano, le nostre pance iniziano a brontolare.

Nel frigo abbiamo gli avanzi conservati dalla cena prima. Katniss si alza, accende il forno e ce li mette dentro. Nel frattempo mi ricordo della busta azzurrina e la tiro fuori dalle tasche. Con accortezza faccio per aprirla senza rompere la carta e mi vuoto il contenuto sulle gambe. Ci sono due fogli dentro, molto sottili e ripiegati più volte. E' carta del Distretto Quattro ed in mezzo al mazzo spicca invece una foto, quadrata col bordo inferiore bello spesso, scattata forse da una macchina istantanea.

“Chi ti scrive, ragazzo?” mi chiede Haymitch incuriosito. Lo capisco, le uniche persone che vorrebbero scrivere a noi tre sono tutte in questa stanza. Persino Katniss si incuriosisce e ci raggiunge.

“E’ Annie.” rispondo e gli allungo la lettera con la foto che mi strappa quasi di mano per la fretta.

L’immagine mostra una Annie visibilmente incinta, che si tiene la pancia ed incredibilmente sorride. Accanto a lei c’è Johanna, ben messa in posa con una mano attorno alle sue spalle e sorride anche lei. Sembrano entrambe stare meglio. Dietro di loro il mare azzurrino del Distretto Quattro completa la cartolina. E’ un quadretto delizioso che mi mette di buon umore. È un’altra fantastica testimonianza di vita che va avanti a dispetto di tutto e nel migliore dei modi.

Non tutti però devono essere d’accordo. Dietro il mio mentore con il collo allungato Katniss guarda prima la foto e poi me. Sul suo viso riesco a leggere una serie numerosa di emozioni: prima confusione, poi incredulità, scetticismo e alla fine, per qualche strana ragione, rabbia.

“Guarda, guarda.” Fa Haymitch con un mezzo sorriso stampato sul viso “Centro al primo colpo!” dice compiaciuto e mi strizza l’occhio alla ricerca di un qualche tipo di solidarietà maschile.

“Finnick è…” comincia Katniss mettendosi tra noi due. Lo so che vorrebbe dire: Finnick è morto e adesso nel mondo c’è un altro bambino senza padre. Avrebbe dovuto stare attento, non avrebbe dovuto sacrificarsi, avrebbe dovuto dircelo, non avrebbe dovuto sposarsi…

Katniss disapprova ed ha ragione, ma non le lascio il tempo di finire, non questa volta. “E’ stato veloce.” Rispondo allungando un occhio verso Haymitch, sperando che il nostro scherzare le tolga quel broncio dal viso.

“Fate schifo.” Dice invece a tutti e due e si volatilizza lasciandoci soli.

“Non si può dire che abbia perso il suo caratterino.” Sospira Haymitch mentre spiega la lettera “Sempre la sorella?” chiede fingendo interesse e poi invece comincia a leggere. Sorride man mano che gli occhi gli corrono sulle parole.

“O il padre.” Ipotizzo io.

Haymitch alza gli occhi, mi fa un cenno distratto col capo e poi riprende la lettura. Il sorriso gli si apre sul volto ed il discorso cade. Non ho avuto il tempo di guardarla e voglio sapere anch’io cosa dice, così gli giro attorno, prendo il posto di Katniss e leggo più veloce che posso, prima che lui cambi pagina.

“Che fai, non vai a controllare?” mi chiede il mio mentore, nascondendomi quasi i fogli. Se non lo conoscessi abbastanza direi che si preoccupa anche lui per la nostra ragazza di fuoco!

Quando Haymitch si preoccupa per Katniss, fa la stessa cosa di quello che fanno i ragazzi del distretto: si rivolge a me. Qualunque cosa la riguardi, suppone sempre che io debba sapere cosa fa o cosa le succede. E’ come se tutti attorno a noi abbiano deciso che siamo una strana coppia, non in senso romantico, ma come compagni di vita. Siamo due pezzi spaiati e rotti di meccanismi simili, che stranamente insieme fanno girare qualche ingranaggio.

Katniss ha un problema? E’ a Peeta che chiedono cos’ha e di andare a controllare. Sono il primo filtro che hanno gli altri per raggiungere lei e viceversa. Quando sono stato io quello a letto, è a lei che tutti hanno chiesto che mi fosse preso.

E’ strano. Non ci sono abituato. E’ come perdere parte della propria identità, quando io stavo già disperatamente cercando di ritrovarla. Eppure mi piace, mi dà una certa adrenalina, una scossa che fa il solletico.

Quando arrivo al piano di sopra, trovo Katniss nel suo letto distesa su un fianco con una mano sotto al cuscino e l’altra chiusa a pugno sul petto coi capelli le coprono il viso.
"Lo so che non stai dormendo." le faccio come si fa coi bambini, quando non vogliono andare a scuola o affrontare le loro piccole realtà. Katniss si rigira a guardarmi. Il naso che spunta tra i capelli li separa come se fossero una tendina, rivelando il suo viso nascosto dietro alle quinte.
“Allora,” le dico sedendomi sul letto accanto a lei “me lo vuoi dire che succede?”

Katniss alza gli occhi, mi guarda e ci pensa fino a che si decide e con uno sbuffo comincia a parlare. “Mia madre.” comincia e mi indica con un cenno del capo una serie di lettere accanto al comodino.

La sua risposta enigmatica mi lascia con ancora più dubbi di prima. Mi alzo ed afferro il blocco. Su tutte le buste c’è un francobollo di Capitol City, che conosco bene, da parte del dottor Aurelius. Solo una busta spicca tra tutte: è azzurrina proprio come quella che mi ha mandato Annie, ma riporta una firma completamente diversa. E' della signora Everdeen. Un'unica lettera, solo una e proveniente dal distretto Quattro, il posto in cui evidentemente ha scelto di stare, lontano da qui per andare avanti cercando di ignorare quella vita in cui c'era anche Prim con loro.

“Si è dimenticata di avere una figlia" mi dice allora con voce furente, afferrando un cuscino e tenendoselo stretto al petto, dove forse le manca qualcosa. Istivamente penso a Prim e vorrei quasi dirle che non è possibile che l'abbia dimenticata, che è lì proprio perché non ci riesce, ma subito capisco che non era alla sua sorellina che si riferiva. Parla di sé stessa, del fatto che sia rimasta orfana con un genitore in vita. Sento solo perfino dalla sua voce quanto ha bisogno di sua madre per piangere sua sorella, ma lei non c'è. Fuggita di nuovo, ha preferito di nuovo qualcun altro a lei.

Mi sento ferito come deve sentirsi pure lei. Vorrei piangere e strappare questa lettera e quella di sotto e mi chiedo come abbia fatto lei a trattenersi.
Mi giro a guardarla ed ha ancora le labbra contratte in uno sforzo rabbioso e disperato di contenere le sue emozioni dentro.

“Non guardarmi con quella faccia.” Si lamenta poi, come se persino la mia faccia le facesse saltare qualche corda in questo precario equilibrio.

Non so davvero a quale faccia si stia riferendo, ma ha una voce da bambina capricciosa ed il suo stringere il cuscino mi fanno ridere e non riesco a trattenermi, facendomi dimenticare subito di tutto il resto. “Ho solo questa!” mi lamento, ma non attacca ed allora mi faccio serio di nuovo. "Io non ti lascerei mai qui da sola." le dico e le accarezzo una guancia morbida.

Katniss sorride, chiude gli occhi e si lascia coccolare. "Lo so." risponde solo.

Lo sa.

 



Angolo dell'autrice
​Ragazzi, perdonate l'importante ritardo, ma ho avuto un (chiamiamolo così) problema col PC -.- Ho dovuto letteralmente comprarne uno nuovo ed ecco il risultato. 
​Dunque, non è un capitolo emozionante come gli altri a mio parere. I capitoli di passaggio sono sempre così. Mi serviva per creare più intimità (es Peeta che non si fa problemi a prendere le mani di Katniss per riscaldargliele) e per mostrare Kat sempre più curiosa ed intraprendente. Prometto progressi nel prossimo capitolo e soprattutto di essere puntuale :) 10 giorni!
​Fatemi sapere se questo vi piace o no. Bacioni e abbracci xoxo

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 

Capitolo 7


 

Dopo l'altra sera, io e Katniss ci siamo addormentati insieme sul divano. Ricordo solo il camino acceso, le fiamme che lambivano complici i nostri respiri e lei che si sfregava gli occhi prima di afflosciarsi addormentata sulla mia spalla.

Mi sono risvegliato a fuoco ormai spento e con un silenzio tombale in casa. Sono sempre stato abituato alla confusione in questo salotto: prima sua madre e Prim, poi me ed Haymitch, poi Sae e sua nipote, poi me, lei e il fruscio di penne e matite sui fogli.
Mi ritrovo steso sul fianco, i capelli di Katniss mi solleticano il naso ed una coperta se ne sta arrotolata ai nostri piedi. Si deve essere risvegliata lei prima di me ed ha coperto entrambi, per poi rintanarsi sotto al mio mento, con le mani al petto ed i suoi piedi tra i miei.

Avrei voluto essere sveglio per abbracciarla o vorrei che fosse sveglia lei adesso per sentire le mie carezze sulla tempia.

Chiudo gli occhi e li riapro quando sciabole luminose di polvere vibrano nell'aria, riflettendo saette di luce ovunque: sul tavolino, sui fogli, nei miei occhi, sui capelli di Katniss. Sembra di essersi addormentato in purgatorio ed essersi svegliato in paradiso. Lei è ancora accanto a me. Si è girata durante la notte e con la schiena aderisce al mio petto, ma è sempre qui e mi riscalda. La coperta di pile ci avvolge i fianchi adesso, pizzica sulla pelle nuda e crea una cappa di calore che, non appena mi alzo, mi manca da morire.

Katniss sembra serena finalmente. Quando dorme quel cipiglio arrabbiato, che le serve a nascondere la tristezza che la tiene in ostaggio da mesi, non c'è. I suoi lineamenti sono distesi e per una volta sembra la ragazza spensierata che sarebbe dovuta sempre essere. Mugugna qualcosa, poi si rigira e stringe l'orlo della coperta scoprendosi i piedi. Gliela tiro appena risestemandogliela al meglio, quando lei mi chiama. "Peeta." pronuncia il mio nome, cosciente del fatto che mi trovassi lì, con voce assonata ed in appena un sussurro.

"Ehi." le rispondo e le rimbocco la coperta ancora una volta in uno stupido pretesto di avvicinarmi al suo viso e respirare la stessa aria viziata. Voglio ricordare quel calore e la sensazione del suo fiato sulla guancia.

"Dove vai?" domanda senza aprire gli occhi, ma allungando una mano per afferrarmi il braccio cercando di convincermi a restare con lei.

Io mi lascio afferrare, mi abbasso di nuovo e con la punta del naso sono a pochi centimetri da lei. Poggio la mia fronte alla sua e godo del piacere che quel piccolo contatto può darmi. Sembra un sogno, sembra incredibile che io possa farlo. "A lavorare con i ragazzi." le dico beato, dimenticandomi del fatto di essere sveglio, ma Katniss se ne accorge prima di me ed apre gli occhi. Mi ritrova ad un soffio da lei, forse ancora più vicino di quanto si aspettasse, coi suoi capelli che si mischiano ai miei. Il cuore mi si ferma in gola e la guardo mentre lei mi guarda. Ci fissiamo imbarazzati, non sapendo come scollarci l'uno dall'altra o persino se vogliamo farlo. Riesco a decidermi quando le sue ciglia nere battono titubanti sulle guance. Con un respiro profondo decido come uscire da questa situazione. "E poi non esisti solo tu." scherzo per tirarci fuori entrambi, pretendendo che la mia vita non le vortichi comunque attorno.

Katniss pare sollevata. "Già." conviene con me ed appena mi molla, sento la tentazione di smentire tutto e di dirle che provo una stretta al centro del petto quando lei non c'è.

Fuori alla porta di casa mi accorgo che è già tardi e che Thom e gli altri ragazzi si saranno già messi a lavorare. E' tardi persino per passare da Sae a prendere la colazione. Mi viene in mente l'anziana donna e penso che non me la perdonerebbe mai se non andassi nemmeno a salutare. Percorro i pochi metri che separano casa di Katniss dalla sua e con una mano picchietto alla finestra della cucina, dove so di trovarla come sempre, ma invece mi sorprende e vedo la stanza vuota. Sarà per un'altra volta.

Il villaggio dei vincitori a quest'ora sembra perfetto, immutabile. Il sole si è levato su un mattino fresca di ruggiada. Sembra tutto eterno, immobile. Le case, le piante. E' così diverso dalla confusione della pomeriggio o dal rumoroso frinire dei grilli della sera che tanto adoro. Il caos è vita, la staticità è morte. Tuttavia anche questa mattina immobile ha il suo fascino.

Respiro aria fresca e mi avvio fuori verso i disegni delle palazzine che abbiamo tracciato sul cemento spoglio, aspettandomi di trovare sudore e duro lavoro, quando invece vedo una figura correre a perdifiato verso la recinsione. Appena mi nota mi viene incontro rompendo la magia, facendo gocciolare tutta quella ruggiada sul terreno morbido e freddo.

"Peeta." mi dice Thom quasi urlando, senza riuscire a controllare la voce.

"Thom," rispondo come ha fatto lui, prima che finisse di parlare, così che i nostri suoni si sovrappongano "che succede?" domando alla fine.

"Il padre di Micah non sta bene." mi spiega e prima che io possa chiedere cosa possiamo fare, lui mi illustra il suo piano d'azione. E' una persona così pratica che ha già pensato a tutto in pochi istanti. "Oliver è andato a recuperare un po' di tiglio sul lato ovest della stazione; io vado a cercare la radice di salice bianco nei boschi, anche se non ho la più pallida idea di che aspetto abbia." si lascia sfuggire.

Siamo una famiglia, penso. Loro lo erano da prima che arrivassi io, che sono l'ultimo intruso in questa cerchia. Automaticamente hanno pensato che non fosse affar mio, che non avessi alcun tipo di interesse nel dare una mano. Ho visto il padre di Micah solo una volta e mai prima della guerra e nonostante questo sento che è mio dovere dare una mano.

"No, aspetta." gli dico fermandolo. Io lo so che aspetto ha un salice bianco. "Ci vado io nel bosco." mi offro, ripensando al libro del signor Everdeen. "E Katniss è brava in queste cose. Faremo molto prima." ed offro anche lei, senza avere la più pallida idea di quella che sarà la sua reazione, ma tutti parlano al plurale di me e di lei, che male c'è se per una volta lo faccio io?

Thom mi guarda, cercando di decidere se sono affidabile per questioni che riguardano la famiglia e non il lavoro. "Va bene." mi dice alla fine e dopo una pacca sulla spalla mi offre un foglietto di carta con tutte le indicazioni. "Ci vediamo a casa sua." mi saluta e se ne va.

Com'è che è fatto un salice bianco? Ha le foglie lunghe e... chiare?

Torno da Katniss con le idee confuse, senza neanche controllare se su quel fogliettino c'è un disegno o cos'altro. Controllerò sul libro delle piante e con lei sarà enormemente più facile.

Entro in casa e senza chiudere la porta vado da lei che sta ancora sul divano, avvolta in un bozzolo di coperte. La sento lamentarsi forse per la luce o per l'aria fresce che mi tiro dietro. Le do due scossette sulla spalla e la sveglio spiegandole la situazione.
Katniss entra in allarme e si mette subito a sedere. E' come se la malattia e la morte non vogliano proprio lasciarla in pace, è come se la sofferenza di chiunque la metta subito in agitazione, forse per paura che arrivino anche da lei. Mi toglie di mano il foglietto con le indicazioni di Thom, se lo studia e sembra ricordare qualcosa. Poi lo ripiega e lo mette in tasca. "Va bene." dice, mentre recupera la sua solita giacca da caccia, arco, frecce ed il libro con le piante del padre riponendolo nella borsa in cui in genere trasporta la selvaggina. "Faccio più veloce che posso." mi rassicura e si avvia fuori dalla porta.

"No, che fai, io..." comincio cercando di spiegarle il fraintendimento. "Volevo chiederti di accompagnarmi, non di andare da sola." le spiego rincorrendola per tutto il villaggio.

"Non è un problema, non mi dà fastidio." mi risponde ed accellera il passo. Tutto quello che vedo è la sua schiena ed una treccia ancora mezza bruciacchiata che ci rimbalza sopra.

"Voglio andare io." protesto di nuovo, cominciando ad irritarmi per avermi lasciato indietro.

Allora Katniss si ferma. Lascia cadere a terra la borsa e mi studia. "Tu da solo nei boschi?" mi chiede scettica e questo un po' mi offende. "Non ce la farai." decide alla fine.

"Oh sì, che ce la faccio!" le rispondo. Recupero la sua borsa come se non pesasse niente e mi avvio verso la recinsione. Nel frattempo penso che questo è un altro dei tanti lavori che dovremmo fare: tirare giù la recinsione.

Katniss mi segue, ma è silenziosa, sembra dubbiosa. Passiamo attraverso fenditure ritagliate nelle maglie metalliche e ci troviamo subito su un terreno muschioso. Le fronde degli alberi creano un tappeto d'ombra che sembra voler limitare il bosco da tutto il resto. Camminiamo in salita e mi rendo conto di non essere più abituato a questi sforzi ed allora affanno, mentre lei respira silenziosamente. A volte devo rallentare per colpa della mia gamba artificiale. Pizzica ed è come sentire ancora il mio ginocchio che scricchiola, niente che un leggero calcio al vuoto non possa sistemare, ma per lei deve essere come un'ammissione di impotenza, una delle tante cose che non posso più fare, come il pane, o entrare in casa mia senza provare ansia ed angoscia o starmene fermo sulla fossa comune dove riposano i miei genitori senza l'aiuto di una dose di quel sedativo di Capitol City.

Quando mi devo fermare per l'ennesima volta, rimango indietro e non la vedo più. Colgo l'occasione per riprendere fiato, conscio del fatto che dovrò correre per arrivare di nuovo da lei. Prima che possa farlo però, la sento chiamarmi e tornare indietro. Si ferma sull'apice di un alto dosso che riesce a percorrere sopra e sotto con grande agilità. Mi guarda da là sopra e sulla sua faccia c'è un'espressione esasperata o preoccupata.

"Puoi aspettarmi qui se vuoi." mi accenna e a quelle parole mi rimetto in marcia e la raggiungo.

Non capisce che lo devo fare io e non lei. Non capisce che ho bisogno di sentirmi utile per una volta, di continuare su questa strada, di dimostrarmi che faccio parte di qualcosa che somigli almeno vagamente alla mia famiglia. "Cosa?" le chiedo con l'ultimo briciolo di tempra che mi rimane.

Katniss mi guarda, sembra pensare, balla sui piedi, a tratti trema fino a che strizza gli occhi e riprende il controllo del suo corpo. "Niente," dice alla fine "andiamo." mi fa e mi supera ancora un'altra volta.

Per tutto il cammino Katniss si comporta con me da sorella maggiore, come faceva con Prim. Non riesce a scucirsi quel vestito da dosso che ormai è parte della sua identità. Fà esattamente come facevano i miei fratelli con me: mi cerca e mi controlla con la coda dell'occhio, a volte allunga la mano e mi ferma perché non cammini in quella o un'altra pozzanghera, non cada nella radice di un albero o sul terriccio friabile. E' estenuante, persino offensivo. A volte, come adesso, non mi sembra di essere suo pari e questo mi fa arrabbiare, mi irrita nel cervello da qualche parte sotto ai capelli, facendomi venire voglia di urlare. Non devo essere difeso.

Eppure lo so che è colpa del depistaggio. Tutto quello che mi ricorda anche solo lontanamente una delle due arene, come questo bosco o un bosco qualsiasi, mi punzecchia quella crosticina sulla pelle che non cicatrizzerà mai. Nella mia testa è come sentire un prurito costante, che come mi ha insegnato il dottor Aurelius focalizzo sul dorso della mano e come lo gratto la tensione un po' si attenua. Katniss però continua a camminarmi due passi avanti. Fa strada e non mi resta che seguirla e non servono più a niente i milioni di trucchetti mentali da psichiatra.

Vorrei rifugiarmi nella solita bugia del Peeta buono e di quello cattivo ed irascibile, ma mi ripeto più volte che avevo deciso di smetterla e che questa persona che a volte perde le staffe per cavolate sono io e devo accettarlo.

"Ehi," la chiamo, stufo marcio di doverle guardare solo la schiena. "ehi." le ridico afferrandole la spalla.

Katniss si irrigidisce e poi si gira. "Cosa?" chiede a voce bassa, cercando di tenere gli occhi su qualcosa che stava fissando prima, sfuggendo così al mio sguardo.

"Non devi fare così, sai." provo a dirle sfogando questo impeto di rabbia improvviso, ma lei mi guarda confusa e mi pento già di aver iniziato questa conversazione. "So cavarmela e possiamo aiutarci a vicenda." aggiungo allora, abbassando i toni.

Sul suo viso non c'è più traccia di confusione, che ha anzi lasciato spazio ad una consapevolezza che non mi aspettavo di ritrovare. Katniss abbassa gli occhi e l'arco, chiude le gambe strisciando coi talloni nel fango e si tiene un braccio con l'altro, chiudendosi completamente come se fossi stato io adesso a solleticare una sua ferita. Vedo sul suo viso i ricordi di tutto quello che ha passato. Ha perso tutto quello che contava per lei ed ha paura che possa succedere di nuovo. Come posso biasimarla per cercare di proteggere ciò che le è più caro, al costo persino di diventare assillante? Dovrei essere felice anzi che abbia trovato la forza di lottare per qualcosa o per qualcuno, soprattutto perché quel qualcuno sono io. Non dovrebbe importarmi del modo in cui lo fa.

Eppure sì, mi importa. Voglio starle accanto e non due passi dietro. Voglio stare con lei e non essere suo fratello o l'amico da proteggere. Da qualche parte nella mia testa si accende un ricordo e so che ci sono già passato e che sono solo io a rivivere tutta la nostra storia dall'inizio. Vorrei chiederle scusa, chiederle di essere paziente e poi forse stringere i pugni e mettermi ad urlare.

Mi sento instabile ed insicuro. Devo aver chiuso gli occhi senza essermene accorto, perché quando il nero delle palpebre si solleva, lei è accanto a me e mi offre il manico di un coltello. Una parte di me urla di non accontentarmi, di sbraitare ancora fino a farle vedere chi comanda ed essere io quello che cammina avanti, ma no, no, no. Non voglio neanche questo. Non sarebbe Katniss e non sarei io. Non sarebbe giusto, non sarebbe bello, non sarebbe niente che ho immaginato.

"Andiamo." la voce di Katniss mi salva dall'abisso interiore nel quale stavo annaspando. "Continuiamo a cercare."

Mi guardo la mano accorgendomi di stringere il coltello. Trema tutta, dal polso fino alla punta delle dita. Mi aggrappo al manico di legno cercando di ritrovare il mio controllo. Chiudo gli occhi per non vederla, ingoio una palla di saliva e quando li riapro sono di nuovo in me. "Katniss," la chiamo, sperando che capisca, che mi perdoni e di non aver rovinato quell'idillio che era cominciato questa mattina. "quello che intendevo è che non c'è bisogno che tu mi protegga o che faccia le cose al posto mio." L'immagine di lei, stretta nelle sue stesse braccia, indifesa e spaventata, è ancora fresca.

"Lo so." ammette Katniss e si avvicina. "Hai solo bisogno di una mano ogni tanto." risponde stringendomi la mia, stabilizzandola. "Come me."

Le sorrido e ricominciamo a camminare. Le faccio strada tranciando rami ingombranti, lei mi insegna come muovermi ed insieme, con il libro di suo padre alla mano, cerchiamo di riconoscere le foglie giuste. Continuiamo a camminare fino a quando con un braccio mi sbarra la strada. Lo ritira subito, ricordando quello che ci siamo appena detti e poi si abbassa e con un dito sulle labbra mi fa segno di fare silenzio.

La imito come meglio posso, cerco di stare zitto ed ascoltare soltanto, ma non sento niente. Non distinguo niente di diverso dal solito fruscio delle foglie e dal ronzio degli insetti. La guardo con la mia domanda scritta in faccia, alla quale Katniss sorride e mi indica col dito in una direzione. C'è un cervo poco più lontano, nascosto tra i cespugli, che probabilmente fa le stesse cose che stiamo facendo noi e ci studia.

E' strano e bello da guardare. E' maestoso con quelle corna, libero nella sua struttura slanciata, dolce nei suoi occhi confusi. Questo è ciò per cui abbiamo lottato. Questa è la vita che tutti avremmo dovuto sempre avere, la libertà che avremmo dovuto respirare.

Ora capisco perché Katniss qui sembra diversa. Ha il viso più rilassato e una luce diversa che la illumina tutta. Qui sembra prendere vita, come se i suoi problemi avessero un peso diverso e la lasciassero galleggiare da terra. Guarda la natura e rinasce con lei.

Quando alza l'arco con una freccia incoccata, la imito e faccio come aveva fatto lei poco fa, alzo una mano e la blocco. Le faccio segno di no col capo, di lasciarlo stare, poi mi alzo e le tendo una mano per tirarla su.

Katniss mi guarda dal basso. Sembra cercare qualcosa piena di speranza e sollevata. I suoi occhi si aprono sempre di più mentre mi guarda, le iridi sembrano così piccole e non sbatte mai le palpebre. Schiude le labbra e studia la mia mano, poi studia me e mi guarda come io guardavo quel cervo. Ho la tentazione di voltare lo sguardo e cercarlo di nuovo, ma poi sento il respiro di lei che mi attira.

Si rigira le labbra nella bocca e se le lecca. Quando mi prende la mano, il contatto è quasi elettrico. Si fa forza sulle gambe e si alza lentamente, quasi volesse rimandare il momento in cui si troverà con i suoi occhi alla stessa altezza dei miei.

L'ho toccata un milione di volte. L'ho baciata quasi altrettante ed adesso le ricordo anche tutte, ma nessuna di quelle era neanche lontanamente paragonabile ad adesso. Non capisco se sono io che mi sto innamorando di nuovo di lei, di più ogni giorno, o è lei che è più vicina. Non capisco se crede di riavere il suo amico, quello buono e gentile, o qualcos'altro, di più.

E' davanti a me e mi guarda. Come questa mattina respiriamo la stessa aria a meno di un soffio di distanza, entrambi incapaci di andare avanti o tornare indietro. Questa volta non sono stato solo io, questa volta io le ho offerto l'opportunità e lei si è lanciata in questo vortice. Dovrei chiudere gli occhi, piegare la testa e baciarla? Dovrei aspettare lei ed incontrarla a metà strada? Come posso sapere che verrà? Mi muovo di un passo e copro metà della distanza che ci divide. Katniss ha capito, mi guarda e non abbassa le palpebre come stamattina. Con la coda dell'occhio vedo il suo petto alzarsi ed abbassarsi come se ci fosse un macigno ad impedirglielo, come se avesse fatto una corsa a perdifiato e non avesse più ossigeno. Respira rumorosamente, con la bocca aperta e gli occhi nei miei.

Sembra che stia per farlo, che stia per avvicinarsi e comincio già a chiedermi "e poi cosa faccio?", "e poi che succede?", "e poi posso baciarla?". Posso davvero, da soli, nella foresta, senza nessuno che ci guardi? Invece qualcosa si muove tra le piante e ci distraiamo entrambi per vedere il cervo di prima correre via. Lo odio tanto quanto l'ho amato all'inizio. Dio, quanto lo odio adesso!

Gli occhi di Katniss si focalizzano su qualcosa dietro di me. Li vedo stringersi e poi sorridere appena. "Salice." bisbiglia e la nostra ricerca è finita. Quasi mi dispiace.

La terra è dura, secca e difficile da scavare, ma ce la caviamo. Stacchiamo delle radici e ci rempiamo una sacca. Ci assicuriamo che siano sufficienti per il padre di Micah e per una prossima volta, sperando che non ci debbano servire.

Torniamo indietro io con lo zaino in spalle, Katniss che stringe il libro di suo padre. Camminiamo silenziosi, sfiniti dal lungo momento di silenzio che c'è stato tra noi, più che da questa gita. Katniss cammina ancora avanti, ma si gira spesso e sorride appena con un angolo della bocca, con i raggi di sole gialli che filtrano tra le foglie e le illuminano prima una guancia e poi il collo. Vorrei non dover lasciare questo posto. Vorrei rimanere nel verde con lei, all'aria aperta ad ammirare la natura piuttosto che quattro mura in cemento.

Vedo già la recensione che mi minaccia da lontano e quel confine tra luce e ombra sotto il tetto di alberi.

"Katniss." La chiamo prima ancora di decidere. Mi trovo con una mano sul suo braccio, che scivola e le sfiora la sua. Lei si gira, guarda me, guarda quel gesto e si lascia cadere il libro di lato, premuto tra un fianco e l'altro avambraccio. Forse avrei dovuto pensare prima a come proseguire. La verità è che avrei voluto maldestramente ricreare l'atmosfera di prima. Mi chiedo come abbia fatto una vita fa e perché fosse più semplice davanti alle telecamere.

Mi aspettavo che mi guardasse confusa, che mi chiedesse "che c'è, Peeta?" o più semplicemente "cosa?", ma non dice niente. In un attimo scaccia via la mia mano e nei suoi occhi vedo quel fuoco che non si estinguerà mai. So che sta per succedere, so quelle fiamme che significano, so che si sta avvicinando in uno scatto e so che dovrei farlo anch'io, ma non mi muovo ed è lei è farlo per entrambi. Non c'è niente di più terrificante ed esaltante che prendere l'iniziativa. In un attimo la sento addosso e sulle mie labbra.

E' così delicato che neanche ho il modo di rendermi conto se sia reale oppure no. Tiene gli occhi chiusi, mi sfiora appena ed in una frazione di secondo mi lascia andare.

Sono interdetto. Non so se ridere o prenderla e stringerla a me. La vedo abbassarsi sui talloni, si era alzata sulle punte dei piedi e neanche me ne ero accorto. Non so perché questo dettaglio che mi fa sorridere, prima ancora di rendermi conto che Katniss mi ha appena baciato.

"Che fai, non vieni?" mi chiede lei come se niente fosse, mentre io me ne sto in piedi all'ombra a toccarmi le labbra con due dita, cercando un segno della sua presenza ancora incredulo.

Le faccio cenno di sì con la testa e la seguo, mentre la sento sogghignare imbarazzata o seriamente divertita dalla mia reazione.

Katniss mi bacia e ride. E' così irreale che non ci credo. Me lo sono immaginato? Me lo sto immaginando? Sto sognando? Il caldo è reale, il sudore dietro alla nuca è reale, il dolore alla gamba lo è. Mi volto e le sorrido anch'io e allora lei mi guarda di nuovo e smette, corre avanti ed in men che non si dica raggiungiamo casa di Micah.

Il tiglio che gli ha portato Oliver ha cominciato già a fare effetto e la febbre è scesa rispetto a questa mattina. La casa è buia e silenziosa, tutte le persiane sono abbassate. Così consegnamo le nostre radici di salice e ce ne andiamo.

"Spettrale!" commento solo quando la porta si richiude in un tentativo di conversazione.

"Già." mi risponde solo lei, che abbassa la testa e gira i tacchi.

Non è più la Katniss di prima, pare essersi spenta davanti a quella casa vuota. Di nuovo mi prende quell'idea che abbia paura delle malattie di qualunque natura siano, da una semplice febbre ad una gamba infetta. Eppure prima ho visto una Katniss, un'altra Katniss. Prendo allora una decisione stupida, molto stupida. Non ci sto a far passare quel momento, a far finta che nulla fosse, ad andare a casa a deprimermi e continuare come se non fosse successo, come se non mi avesse baciato.

Mi fermo ed aspetto che lei si accorga di camminare da sola. "Katniss." la chiamo allora quando lei si gira, così mi guarda ed aspetta.

La raggiungo, le prendo la mano che ancora stringe il libro e lo faccio come andava fatto. Con le dita le sfioro la guancia e le alzo il mento. Sembra timida ed indifesa adesso che non è lei a fare la prima mossa, ma non protesta, non si oppone. Allora mi abbasso appena un po' e le prendo le labbra tra le mie. Avrei voluto che il mio bacio fosse breve e delicato come il suo, ma una volta qui non riesco a trattenermi e ci imprimo tutta l'eccitazione e l'esaltazione che trattenevo da mesi, o anni se solo me ne ricordassi.

Non appena iniziavo a pensare di essermi spinto troppo oltre, Katniss si alza sulle punte spingendomi all'indietro. Mi avvolge le braccia attorno al collo così che non mi allontani troppo, così che la sua risposta maldestra non ci faccia rompere quel bacio, ma il bacio si rompe lo stesso quando sentiamo un tonfo. Il libro le è caduto a terra, facendo spaventare entrambi che ci giriamo e controlliamo. Appena ci rendiamo conto che quello è il libro del signor Everdeen, entrambi cerchiamo di capire se sia sano oppure no. Ci abbassiamo sulle ginocchia e sfogliamo le pagine e la copertina. Sembra apposto, è ancora intero. Facciamo un sospiro di sollievo e ci guardiamo.

Ha una luce diversa negli occhi. Le brillano ed il sorriso finalmente le prende tutto il viso. Sorrido anch'io allo stesso modo e questo fa sorridere ancora di più lei e poi me e poi insieme scoppiamo a ridere.

Ridiamo fino allo sfinimento, fino a piegarci sulla pancia, fino a non ricordare nemmeno perché avevamo iniziato, fino a cadere all'indietro esausti.

Ritrovo il fiato e le prendo la mano. La stringo, la bacio e non la lascio più andare.


 




Angolo dell'autrice
​Hello.
​Dunque, ehm da dove iniziare. Diciamo che da quando ho iniziato la storia avevo la fobia di questo capitolo. Mi continuavo a domandare come farò, riuscirò a metterci tutto quello che volevo metterci, mi piacerà, piacerà a chi legge... Devo dire  invece che sono abbastanza soddisfatta. 
​La mia idea era quella di far risultare Peeta in difficoltà, quindi vulnerabile, condito dal fatto che può scattare da un momento all'altro, facendolo diventare quindi insicuro. Per quanto riguarda Katniss (come Gale ci ha spiegato nei libri), è particolarmente sensibile alla gente che soffre: più sono in difficoltà più lei prevale e prende l'iniziativa. In più credo che lei sia molto materna e protettiva e che la paura e i lutti l'abbiano trasformata addirittura in una persona apprensiva (oltre all'abitudine di voler proteggere Peeta a tutti i costi). Pensavo però che il loro rapporto non deve essere basato solo su cose negative e che dovrebbe esistere anche in momenti belli e che quindi servivano delle risate e sensazioni positive. Avrei voluto tenervi col fiato sospeso una volta o due e non so se ci sono riuscita. Beh tutto questo mi ha portato al capitolo. 
​Detto questo, chiudo o non la finisco più xD non credo che la storia sarà ancora lunga, non ho ben chiaro il da farsi ma me la caverò, promesso :*
​Vi chiedo recensioni stavolta (sono davvero davvero in ansia xD) e vi saluto. Un abbraccio ed un bacione grandi così!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 

Capitolo 8

 

Il nostro libro si è fatto grande ormai. Forse chiamarlo libro è addirittura sbagliato, perché si tratta solo di fogli sparsi in tutto il salotto ed avere Ranuncolo a gironzolare per casa non ci ha certo aiutati, costringendoci a riscrivere pagine e pagine. Ormai ne avremmo almeno una centinaia.

Una sera decidiamo che è ora di rilegarle, facendo in modo però di lasciare ancora spazio per poter aggiungere di più. Mancano ancora molte persone di cui scrivere. I primi grandi assenti sono la mia famiglia, di cui Katniss ha ancora paura di chiedermi e Maysilee Donner di cui invece io e Katniss abbiamo paura di chiedere. Da questo io e Haymitch sappiamo che è lei quella più forte tra tutti noi, quella più veloce a piangere ed elaborare. Forse anche la più coraggiosa a parlarne.

Alle sei di sera siamo in salotto, armati di spago e un ago dalla cruna abbastanza grande da farcelo passare dentro. Ci siamo procurati persino una copertina: è marrone e di pelle, resistente e molto grande, forse di un vecchio album di fotografie.

Haymitch ci ha raggiunto da poco. E' seduto sul divano, dietro di noi, mentre tiene in mano una bottiglia di liquido ambrato senza etichetta, ma che ormai ho imparato a riconoscere come scotch. Da questo invece capiamo che non ha nessuna intenzione di smettere e che il treno con i suoi rifornimenti è arrivato in anticipo questa settimana e la cosa ci infastidisce, perché un po' ci piaceva il nostro mentore sobrio. A me soprattutto.

Katniss mi guarda mentre faccio passare l'ago attentamente tra le pagine, cercando di infilzarle tutte alla stessa altezza, concentrandomi solo ed esclusivamente su quel puntino che abbiamo disegnato a matita come guida.

"Mi passi le forbici?" le chiedo, stringendo l'ultimo nodo.

Katniss raccoglie delle grandi forbicione nere dal tavolo. Sono attrezzi da sarto che abbiamo recuperato da una delle vecchie ceste di sua madre, che usava probabilmente per rammendare i vestiti. Me le porge stringendo le lame in un pugno e quando le prendo indugio più del dovuto sulle sue dita, sfiorandole coi polpastrelli. Vorrei che lasciasse cadere le forbici e potessi intrecciare le dita alle sue. Vorrei che non ci fosse Haymitch e che potessi baciarla comodamente distesi sul divano dietro di me. Eppure mi piace anche questo nuovo indugiare, i suoi sguardi fugaci che sono solo per me e quella irresistibile sensazione di scosse elettriche che provo nel toccarla.

In tutta risposta, Katniss alza un mignolo ed afferra il mio, facendomi ritrovare la mano che copre la sua. Solo quando Haymitch tossisce o finge di farlo, le sfilo le forbici da mano e con una mossa veloce taglio lo spago e mi metto in contemplazione del blocco di fogli finalmente al sicuro.

"Che ne pensi?" le chiedo.

"H-hm." mugugna Katniss in approvazione. Si mette a contemplare l'opera anche lei, fingendo che le interessi davvero se ci sono o no fogli che sporgono o spago troppo a vista, intanto si avvicina facendo aderire il fianco e tutto il lato sinistro del suo corpo a me. Questa innocente intraprendenza mi sorprende e fa a cazzotti con la Katniss impacciata ed innocente che la mia testa vuole ricordare. Col fiato trattenuto la studio e lei alza gli occhi e guarda me nel movimento più ammaliante e felino che abbia visto fare, sconvolgendomi ancora di più e facendomi pensare a tutto fuorché al libro.

Immagino di cingerle i fianchi e stringerla addosso a me. Immagino di inspirare il suo respiro ed indugiare con le labbra sulla sua pelle calda, mentre lei mi mette fretta e mi sollecita con piccoli movimenti del capo che la fanno ancora più vicina.

Lei non saprebbe aspettare, mi dico. E' impulsiva, nonostante la straordinaria pazienza che usa per cacciare. Forse lo sarebbe anche con me o forse la sua voglia di vita sarebbe così dirompente da togliermi il respiro. Non faccio che pensarci ed immaginarmelo e questo è nato solo dalla sua vicinanza e dai due baci di ieri. Mi chiedo a cosa lei stia pensando adesso con quei grandi e luminosi occhi grigi e se scapperebbe se sapesse cosa mi vortica nella testa.

Katniss alza un dito ed accarezza il bordo regolare e perfetto delle pagine, arrivando a sfiorare anche me. Abbozza un sorriso imbarazzato che imito anch'io alla perfezione. Potrei sentire una piccola scossa elettrica che dal suo pollice va al mio, ma mi arriva un calcio dietro alla schiena che mi fa sbandare e spezza la magia.

"La piantate voi due?" ci interrompe Haymitch con fare di disappunto. "L'hanno capito tutti."

In realtà non abbiamo neanche iniziato, vorrei dirgli io, ma mi trattengo, non sapendo come lei possa prenderla ed aspettandomi già qualche battuta sprezzante tra i due che ci rovinerebbe la giornata. E poi non ho voglia di litigare. No, proprio per niente.

"Capito tutti cosa?" chiede Katniss con una voce da finto angioletto, mentre mi sorride e mi cerca come complice, per poi girarsi e giocare con le dita sulla copertina marrone orfana. Si sorregge ed arriccia i capelli alla base della nuca, mentre le labbra si curvano ancora di più e quando non riesce più a trattenersi si copre la bocca fingendosi disinvolta. E' spensierata adesso. E' una ragazza giovane che vive nel presente, che nasconde una cottarella alla persona adulta più vicina, che ha un segreto e che pensa che sia imbarazzante.

"Dì un po', dolcezza," comincia Haymitch in tono arrogante ed insolente. Solo sentire la sua voce così mi fa pensare al peggio, so già che il nostro pomeriggio si è incrinato. "Hai già smesso di piangere la sorellina?" chiede, poi si sporge in avanti e mi mette entrambe le mani sulle spalle per coinvolgermi. Da così vicino sento l'odore di alcol e la cosa mi piace ancora meno. "Il nostro Peeta ha le mani magiche?" sospiro e mi arrendo all'inevitabile scontro che sta per arrivare. Ma dov'è quel mentore furbo ed intelligente che ci ha salvati entrambi?

Katniss lo guarda incredula e ferita. Si allontana da me e poi si rigira offesa, guardando i fogli vuoti sparsi ovunque ed il fuoco che scoppietta nel camino. La osservo ed aspetto che un'onda di rabbia si infranga su noi due, ma non succede e questo mi preoccupa ancora di più.

Haymitch nel frattempo è di nuovo con la bottiglia in mano, se la porta alla bocca e lo vedo fare un lungo sorso, mentre riesco solo ad immaginare quanto possa bruciare tutto quell'alcol nell'esofago. Si lecca le labbra, poi si asciuga la bocca col dorso di una mano, trovandosela impasticciata ed appiccicosa e se la pulisce alla fine sul divano. Tutte le mie fantasie che riguardavano quel divano muoiono all'istante. Vedo ripetere al mio mentore lo stesso gesto, così decido di intervenire. Contento? Ce l'hai fatta a coinvolgermi.

"Questa la prendo io." faccio tirandogli via la bottiglia. La allungo a Katniss verso il tavolino, aspettandomi le sue dita che mi sfioravano di nuovo, ma lei non reagisce e gliela metto affianco. "Adesso ti porto a casa e basta bere per oggi."

Haymitch si divincola dalla mia presa. Agita il braccio ed anche se un po' istabile, si tira su e mi punta un dito contro. "Non ho bisogno della tata." mi dice e si allontana. Arranca e quasi cade a terra, ma si salva all'ultimo secondo piantando un piede a terra. "Però portami da mangiare." mi dice aprendo la porta "E non quel pasticcio di carne di Sae." aggiunge, riferendosi alla cena del giorno prima.

Annuisco anche se non mi sta guardando, mentre gioco con le dita nelle tasche, aspettando impaziente il momento in cui esca di scena. La porta si chiude e tiro un sospiro di sollievo: pericolo scampato. Dov'eravamo rimasti?

Le dita di Katniss tamburellano nervose nel tavolino. Sembra trattenersi e cercare di contenere la rabbia, nata forse dal tentativo di Haymitch di sminuire il suo dolore o forse dall'allusione troppo spinta per i suoi gusti. Non ho neanche il tempo di rifletterci su che la vedo afferrare la bottiglia che le avevo posato di fianco. All'inizio temo che voglia bere lei al posto suo. Invece, quando il suo braccio prende la carica dietro alla testa, capisco cosa sta per fare e stringo solo gli occhi in attesa che il vetro si infranga nel caminetto e una scia di fuoco segua a ritroso la traiettoria dell'alcol. Una fiammata invade la stanza e quasi sembra toccare Katniss, che invece se ne sta ferma impalata a farsi sfiorare dalla vampata bruciante. Vorrei controllare che stia bene, ma la sua faccia impassibile è già piuttosto eloquente. E poi adesso sono io quello che arrabbiato: poteva farsi male, poteva uccidersi ed uccidere anche me, dare fuoco alla casa o distruggere solo qualcosa, come il libro. I miei occhi allora cercano immediatamente il libro, che per fortuna non pare neanche aver sentito caldo.

"D'accordo," comincio cercando di contenere la rabbia, cosa in cui sono diventato bravissimo. "che hai?" le chiedo, anche se lo so già, ma non ho voglia di starle dietro.

"Che ho? Niente." risponde subito lei come se io fossi pazzo, mal celando disprezzo e disappunto, ma nei miei confronti non in quelli del nostro mentore.

"Haymitch ti ha..." cerco una parola e lascio cadere una pausa ad effetto, ma non voglio che sia troppo lunga ed uso la prima che mi viene in mente "turbata?" mi rendo conto da solo che suoni come un esagerato eufemismo.

"Questa cosa" comincia lei indicandosi prima il petto e poi me "non può funzionare." mi dice secca.

Tutta la rabbia mi scivola via, facendo spazio ad una incertezza mista a disperata ansia. "Questa cosa?" le chiedo confuso dalla voglia contemporaneamente di sapere e di non sapere cosa intenda con "questa cosa".

Katniss prende un respiro profondo, mi guarda di nuovo ed intanto stringe le pagine appena rilegate del libro con una mano nervosa. Adesso lo so che sta facendo: scarica la rabbia su di me e mi fa male per allontanarmi, per poter stare da sola, leggere di nuovo di Prim crogiolandosi nel suo ricordo e smentendo le insinuazioni di Haymitch su come l'abbia così velocemente dimenticata.

La rabbia scompare definitivamente e con quella anche la mia insicurezza. Le allungo una mano per massaggiarle una spalla, cercando di consolarla col contatto, ma lei si allontana e capisco che questo non funziona.

Katniss comincia a tirare su col naso da sola e respira a grandi boccate, mentre io mi preparo alle lacrime. "Non posso lasciarla andare." mi dice e gli argini si rompono e cadono le lacrime, ma dura solo un momento perché torna a combattere, per lei, per Prim, per il suo ricordo. Guardandola mi chiedo come faccia solo a pensare che sia possibile per lei lasciarla andare e dimenticarsela o come possa dubitare di averlo già fatto.

Non appena si riprende, mi guarda con fare da guerriera, pronta ad attaccarmi per difendersi ed a tirare su il suo scudo di forza che maschera il suo cuore a pezzi. "Non sono come te." insinua, ma non ci casco.

Non so come affrontarla. Escludo immediatamente un abbraccio e passo in rassegna nuove idee, fino a quando non trovo quella giusta. Vuole soffrire? Bene, facciamolo, ma facciamolo insieme. Così mi faccio male per lei. E' come se ai suoi piedi avesse una serie di vetri rotti e per aiutarla dovessi passarci sopra anch'io e sanguinare.

"Io neanche l'ho fatto." rispondo con voce spezzata, mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime all'idea di quello che sto per dire. "Penso a mia madre ogni santo giorno. Non siamo mai andati d'accordo. Avrei voluto avere più bei ricordi, come te con Prim e con questo dicendo che tu sia fortunata di me, anzi forse il contrario." dico tutto d'un fiato. Le frasi mi escono da sole e controvoglia, nonostante sia stato io ad iniziare, come infilarsi due dita in gola e lamentarsi poi dei conati. E' un vomito di parole, ecco cos'è. "E nonostante tutto questo non hai mai spesso di fare male. Posso assicurarti che il tempo non te la farà dimenticare." le confesso. Poi continuo e le parlo come non ho mai parlato neanche al dottor Aurelius: una volta aperto il barattolo non riesci più a richiuderlo. "Quando ho saputo cosa era successo al distretto, ho messo da parte tutto il resto un attimo. Tutto," ripeto con più enfasi "Capitol, quello che mi avevano fatto, la guerra, tu coi pas-pro. Ero..." comincio a pensare a come dirlo meglio e nel frattempo sorrido e questo mi fa pensare che sono uno stupido che sorride al posto di piangere, che questo mi rende meno credibile, che la mia faccia non è sintonizzata con quello che provo. "...un bambino. E ricordavo quella mia madre di quando ero bambino." alzo gli occhi e trovo Katniss a labbra schiuse che pende dal mio racconto, dal mio dolore, dal mio sangue sui suoi vetri rotti e so che nel frattempo si riconosce in quello che dico. Ci riconosciamo e comprendiamo. "E' successo di nuovo qualche settimana fa, sul prato." le ricordo "E stamattina. La aspettavo con la mia tazza di latte caldo mentre urlava ai miei fratelli di preparsi per la scuola." al ricordo sorrido e Katniss abbozza un sorriso, che mi ricorda il mio quando mi parla di Prim. Ma basta parlare di me.

Katniss stringe le labbra ed abbassa gli occhi grigi. Si muovono come se stesse leggendo qualcosa nell'aria davanti a sé e mi fermo a guardarli incuriosito. Le sue palpebre sono gonfie e mi ostruiscono la visuale. Le lacrime le si sono seccate sulle guance, dove hanno appiccicato ciglia e ciuffi di capelli ribelli ancora un po' rovinati. Tira su col naso di continuo, dilatandone le ali color pomodoro che non riescono a catturare abbastanza aria. Allora alterna un risucchio d'ossigeno con la bocca ed uno col naso ostruito.

Non oso immaginare in che stato sia la mia faccia e non voglio saperlo, per non perdere il coraggio di allungare una mano e prenderle la guancia. Con la manica blu della maglietta le pulisco le lacrime dalle guance, ma una sola non basta e così aggiungo l'altra e la guardo completamente perso nel suo viso. "Fatto." dico più a me stesso. All'improvviso mi torna in mente il nostro aspetto devastato la prima volta che arrivammo a Capitol City. Quell'aspetto quasi da selvaggi che contrastava con lo sfarzo ed il lusso della città. Ma non è un pensiero triste, no anzi: è strano come il tempo che passa cancella le brutte sensazioni e ti lascia solo quelle più belle, come Effie che ci ammira estasiati prima che Cinna ci andesse le fiamme. Il ricordo mi fa sorridere e lo uso per far sorridere anche lei. "Se Effie ti vedesse adesso, ti farebbe ripartire dal livello di bellezza zero."

Piano piano gli occhi di Katniss si alzano. Mi guarda come se si stesse chiedendo se l'ho detto per davvero ed alla fine cede e ride addirittura, con una risata che le esplode in gola, dirompendo dalle labbra e dalle narici. Si copre bocca e naso, mentre riesco ancora a vedere le due fossette sulle guance. "Neanche tu sei bellissimo." mi risponde poi a tono ed eccola di nuovo qui la mia ragazza di fuoco.

"Non è vero, sono sempre bellissimo!" scherzo, ma neanche mi impegno a fare il finto offeso preso come sono dall'ammirare lei.

"Adesso sembri Finnick." mi deride.

"Ho imparato dal migliore." le dico e mi aspetto un'altra battuta sul fatto che fosse insopportabile o magari sul fatto che avesse troppe ammiratrici. Invece Katniss sta zitta. Allunga una mano ed istintivamente mi accarezza una guancia. Mi pulisce col pollice lacrime che neanche sapevo di avere, mi guarda ed io chiudo gli occhi per sentire solo il suo tocco sulla pelle. Poi mi lascia e si appoggia al divano. Ha le mani bloccate tra le gambe chiuse, quasi dovesse proteggersi. La schiena è piegata e gli occhi sono bassi, persi di nuovo. Le giro un braccio attorno alle spalle e la stringo tra il petto ed una mano. Katniss sospira e la sento lasciarsi andare contro di me. All'improvviso mi scappa un sorriso, che non riesco a trattenere: Katniss è qui con me. Abbiamo pianto, abbiamo litigato, ci siamo arrabbiati ed ora siamo più legati di prima. C'è qualcosa di speciale nelle lacrime, nel piangere e nel farlo con qualcuno. E' come se ogni lacrima fosse un filo che lega lei a me.

Katniss deve avermi sentito sghignazzare, perché si solleva e mi guarda stranita, non capendo cosa ci sia da ridere. "Che hai?" mi chiede incuriosita.

"Che ho? Niente." faccio io, imitando lei e prima che me ne accorga mi rifila una gomitata nel fianco che mi farebbe ridere ancora di più se non sapessi che me ne arriverebbe ancora un'altra in quel caso. "Niente, niente." mi difendo "Sono solo contento."

"Per cosa?" mi chiede poi, ma credo che lo sappia e che voglia solo sentirselo dire.

"Per questa cosa." rispondo in estasi, imitando di nuovo il suo gesto della sua mano di poco fa, indicando me e poi lei compulsivamente. Katniss capisce e non risponde. Lo so, è troppo presto per pretendere che esprima qualunque tipo di emozione. Mi aspetto altra ritrosia ed invece si rilassa e torna di nuovo nella stessa posizione, poggiando la testa sulla mia spalla. La vicinanza mi offre l'occasione di rifilarle un veloce bacio tra i capelli.

Se adesso potessi scegliere una qualunque persona, viva o morta che sia, per poterci parlare, chiamerei banalmente il mio terapista, senza scomodare i miei genitori dall'oltretomba. Gli direi che ha sbagliato sin dall'inizio con me, che avrebbe dovuto lasciarmi tornare al distretto e stare con Katniss da subito. Gli direi che con lei ho ritrovato me stesso, che con lei sono un po' più Peeta. Non che non lo fossi prima, ormai l'ho accettato, ma mi riconosco finalmente e la sua forza indomita mi dà il coraggio di mollare la presa qualche volta, di sentirmi arrabbiato di tanto in tanto e poi di rilassarmi. Non ne conosco la ragione e non ha senso, niente di tutto quello che ci è successo ne ha, ma è così e lo accetto. Con lei voglio essere la persona migliore che so di poter diventare, con lei non ho più paura di uccidere qualcuno. Forse si tratta solo di voler fare bella figura per conquistare la ragazza o forse no. Tutto quello che so è che sono quello che sono oggi grazie a lei; che i miei successi, per quanto futili e banali per una persona normale possano essere, sono in parte merito suo.

"Peeta?" mi chiama lei, distraendomi dai miei pensieri che però sono ancora contagiosi e non possono non farmi notare quanto sia melodiosa la sua voce quando pronuncia il mio nome.

"Hm?" le chiedo sopraffatto dal momento, inspirando profumo di shampoo e ossigeno dai suoi capelli.

"E Haymitch?" mi chiede.

E' incredibile come un solo nome possa rompere un incanto. Haymitch sta diventando oggetto delle nostre conversazioni un po' troppo spesso: è diventato ancora più scostante ed impertinente, al punto che siamo entrambi ad un passo dall'obbligarlo a chiudere con l'alcol una volta e per tutte. Sono sicuro che uno di questi giorni l'urgenza ci spingerà a studiare una strategia. Questa è una di quelle cose che il Peeta migliore vuole fare, ma deve farla per forza adesso?

"Cosa?" fingo di non capire perché voglio tornare nell'incanto, in quel mondo che profuma di shampoo e dove sembra tutto voltare per il verso giusto.

"Che facciamo?"

"Niente. Che si fotta!" gli dico in uno sprazzo di ribellione, abbracciando quella parte più oscura e disinibita di me. Katniss mi guarda come se non credesse a quello che ho detto. "Voglio dire," mi rimangio subito "credo che abbia solo paura di essere tagliato fuori." le spiego. "Non succederà." e la tranquillizzo.

Katniss sospira. "Io voglio tagliarlo fuori."

Mi metto a ridere perché so che non è seria, ma poi alza lo sguardo di nuovo, come ha fatto prima, con quegli occhi luminosi concentrati su di me, che sembrano cantare come una sirena.

"Oh." riesco a dire solo, prima di precipitarmi sulle sue labbra.

 




Angolo dell'autrice
​Grazieeeee! Cioè ho visto un'impennata di letture esagerata O_O no vabbè, grazie!
​Grazie mille! Mi piacerebbe ricambiare con aggiornamenti più veloci, però purtroppo non ho tantissimo tempo.
​Comincia comunque la parte carina della storia, quella dove si esplora una relazione. Vi dico la verità, ero partita con l'idea di arrivare fino allo scorso capitolo, ma man mano che scrivevo continuavano a venirmi diverse idee in mente. La mia idea di partenza era solo di guardare Katniss dall'esterno, dagli occhi di qualcun altro, guardare quell' "effetto che faceva alla gente". Adesso mi rendo conto in prima persona davvero di quell'effetto xD Mi voglio mettere alla prova per darle un'identità in una relazione e speriamo di arrivarci. Comunque tranquilli, so dove sto andando a parare. 
​Come al solito fatemi sapere che ne pensate, pensieri belli o brutti che siano :) 
​Un saluto, un bacione gigantesco ed alla prossima!

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 

Capitolo 9



 

Da quando io e Katniss abbiamo cominciato a farci vedere sempre assieme, da quando abbiamo iniziato ad usare sempre di più il "noi" piuttosto che "io" o (e forse questa è una ipotesi più plausibile) da quando Sae mi ha visto uscire da casa di lei la mattina presto per poi spifferarlo a tutto il distretto, qualunque persona con cui parlassi si sentiva in dovere di dirmi la sua in tema di relazioni.

Il primo è stato il dottor Aurelius che, in una lunga chiacchierata telefonica in cui lui aveva stranamente parlato più di me, mi aveva detto così tante cose che si potevano riassumere in poche parole: quando cominci una relazione ci sono degli equilibri da stabilire o da creare, per meglio dire; gli equilibri si creano col tempo e avrei dovuto trovare la giusta dimensione per la nostra relazione, senza dimenticarmi di me e dei progressi che stavo facendo.

Poi è arrivata la volta di Sae. Fiuto pericolo da prima di incontrarla. Non faccio in tempo ad annusare l'aria fresca di primo mattino che me la ritrovo sotto al mio naso. Mi ha aspettato davanti alla porta di casa prima che andassi a lavoro, con fare serio e minaccioso. Stringe in mano un sacchetto che mi allunga e mi annuncia essere il mio pranzo. Stendo la mano, ma lei continua a stringere e non molla.

"Lo so, sai." mi dice solo, come se volesse spaventarmi, come se fosse un avvertimento.

"Lo so." rispondo solo.

Ci guardiamo per un lungo istante, io ancora con una mano allungata e lei ancora titubante a mollare il sacchetto. "Quella lì" si decide alla fine e dice indicando il piano di sopra dove dorme ancora Katniss. "è una ragazza d'oro." proferisce solo, ma so dove vuole andare a parare e più che essere spaventato, mi intenerisce il fatto che ci sia qualcuno a prendersi cura di lei. Vorrei rassicurarla, dirle che lo so, che l'amo per questo, che mi conosce, che sarò gentile, premuroso e rispettoso con lei, ma mi interrompe e continua con fare minaccioso. "Porta pazienza. Non spingerla e guai a te se smette di nuovo di mangiare!" mi dice puntandomi un dito addosso un paio di volte.

"Certo." riesco a rispondere, rendendomi conto che Sae è stata addirittura più terrificante della madre di Katniss, che qualche anno fa mi ha passivamente accettato come presenza costante nel salotto di casa sua. Mi massaggio il petto dove sono stato colpito, ma la donna non contenta mi scruta e, non avendo colto sufficiente dolore nella mia espressione, mi regala due pacche sulla schiena che le avrebbero sicuramente fatto vincere la peggiore edizione degli Hunger Games.

"Ho capito, ho capito." mi difendo "Se smette di mangiare è colpa mia." ripeto per sembrare più convincente.

E' solo allora, anche se con sguardo ancora torvo, che mi lascia il pranzo e se ne va, anche se non prima di avermi lanciato un'altra occhiataccia.

 

**

 

I lavori al distretto stanno procedendo velocemente. Diverse villette sono pronte per essere dipinte ed arredate. Mancano i condotti dell'acqua ed i fili dell'elettricità di cui noi capiamo poco, ma il nuovo governo ci ha promesso di inviarci tecnici dal distretto Quattro e dal distretto Tre per insegnarci. Li aspettavamo con l'ultimo treno, lo stesso che ha portato le bottiglie ad Haymitch, ma così non è stato, alimentando sfiducia e disappunto nei confronti delle istituzioni da parte dei miei compagni di lavoro.

Quello stesso treno però ci ha portato tre sorprese: Olivia, Alan e Connor. Alan, un omaccione grande e grosso, nuovo membro della nostra squadra. Era uno dei pezzi grossi della miniera e conosciuto da tutti nelle parti del Giacimento. Era compito suo arruolare i giovani che volevano guadagnare quei pochi spicci per campare le famiglie. Lo faceva con tristezza, compatendo i suoi compaesani e scegliendo sempre i più disperati. Olivia, sua moglie, viene invece dal Tredici. Si sono conosciuti durante il mio periodo di prigionia, sposati dopo meno di un mese ed ora sono qui per aiutarci. Porta gli stessi abiti gigi, i capelli chiari legati stretti dietro alla testa, favorendo ancora quella omologazione che li distingueva, ma è un'infermiera e ci fa comodo da queste parti. Suo fratello invece, Connor, ha solo tredici anni.

Connor ha deciso di lavorare con noi. Se lo trascina Alan ogni mattina e lo lascia sempre da parte a pitturare i muri. Guardandolo con quel pennello in mano, mi ricorda me stesso e mi ricorda Prim, che aveva la sua stessa età. E' la prima volta che mi fermo a pensare al fatto che ho quasi vent'anni, cioè quelli che aveva uno dei miei fratelli prima di morire.

Pulisco via una lacrima, mi costringo a pensare ad altro e mi avvicino al ragazzino con l'intenzione di farlo tornare a casa da sua sorella: un bambino non dovrebbe lavorare. Soprattutto se affamato, penso guardandolo sorreggersi la pancia. Lo raggiungo e gli indico il mio pasto. "Lo vuoi?" gli chiedo allungandogli il sacchetto di Sae.

"E tu?" mi domanda lui abbassando il pennello.

Non si fida di me e lo capisco. D'altra parte ero considerato un antirivoluzionario dove era cresciuto lui, senza dover aggiungere le parole tributo e vincitore alla mia descrizione. Gli lascio il sacchetto davanti ai piedi e prendo invece quello che era il suo pennello. "E' un pasticcio di carne." gli spiego, facendo un po' come faceva Katniss le prime volte che mi offriva il pranzo. "Non è avvelenato." aggiungo in tono gioviale. Poi senza neanche pensarci affondo il pennello nella vernice fino a porcarmi le dita.

La pittura verde sui polpastrelli mi ricorda qualcosa. Li scruto come se dentro potessi trovarci chissà quale grande rivelazione e poi decido di andare a braccio. Apro tutti i secchi di colore, rivelando un blu cielo, un arancione pallido ed un bianco ormai sporco e lì mi viene un'idea.

A metà mattina so di aver finalmente ottenuto la fiducia di Connor e di averlo fatto smettere di sudare per cominciare a disegnare, so di aver abbellito la facciata della triste nuova palazzina vicino alla stazione ed ho ritrovato uno dei tanti altri pezzi che mi mancava di me. Sono un pittore, ha ragione Katniss, lo sono sempre stato.

Dipingere su una tela è diverso dal dipingere su una parete, ma me la cavo. Mi allontano dalla parete colorata per ammirarla da lontano e poi mi avvicino di nuovo per migliorare i dettagli. Ad ora di pranzo Connor è diventato il mio assistente e mi passa i pennelli di diverse dimensioni bagnati nelle tempere. Ogni tanto si mette in piedi su una sedia per raggiungermi in altezza e disegna qualche foglia col verde.

Quando finiamo tutti i ragazzi si avvicinano a cerchio, ammirando la nostra opera d'arte. Micah ed Oliver mi sorridono e lanciano cenni di approvazione. Gli altri invece non sembrano convinti. Alan scrolla le spalle e poi torna a lavorare.

"Wow." commenta invece Thom secco.

Cerco di coinvolgerlo allora nel mio sprazzo di entusiasmo. Gli porto un braccio dietro alle spalle, sporcandolo di colore ed immergendolo in questa sinfonia di verde, blu ed arancione.

"Posso farlo su tutti gli altri edifici." gli propongo "Facciamo il distretto nuovo, colorato. Posso dipingere lì il mare" gli dico indicando una villetta "e lì delle persone" faccio passando a quella dopo "oppure dei paesaggi diversi per quartiere." continuo a proporre estasiato. Riesco già a vedere il nuovo Distretto Dodici davanti ai miei occhi, come se già esistesse: colorato, moderno, allegro, vivo.

"Sì, Peeta," mi interrompe con un tono che smorza il mio entusiasmo "ma dobbiamo finire di costruire. Dobbiamo portare l'acqua, l'elettricità, il gas e le fogne." mi elenca, numerando sulle dita tutto quello che ci manca.

Lo capisco: è una persona pratica e so che pensa partendo dalle basi e procedendo per livelli. Il livello su cui siamo fermi adesso è quello della costruzione. Ha ragione. Abbandono il pennello e torno da loro. "A lavoro!" rispondo solo, avviandomi come se fosse la cosa più bella del mondo.

Per tutto il resto del giorno mi dimentico di quel dipinto. Lavoro e mangio insieme agli altri. A tratti scherziamo tutti insieme, ci raccontiamo qualcosa come quello che abbiamo fatto il giorno prima, Micah ci informa sulla salute di suo padre che è in miglioramento ed Alan propone che Olivia gli dia un'occhiata.

A metà pomeriggio il cielo si è oscurato e preannuncia pioggia. Ha un aspetto singolare e strano: i nuvoloni grigi nascondono i forti e tenui raggi del tramonto, sottraendo alla vista il sole che cala. Luci arancioni e grigie si alternano sul distretto, come se fosse uno spettacolo coreografato e pilotato da Capitol City, come quando nelle arene il tempo cambiava dal giorno alla notte in uno schiocco di dita.

Stringo i pugni e mi riprendo subito. Raccolgo le mie cose insieme a tutti gli altri e poi mi fermo davanti a quel muro. Quello che mi sorprende più di tutto non è l'aver dipinto di nuovo, l'ho fatto anche qualche volta a Capitol ed ho disegnato tutte quelle persone sul nostro libro a casa. No, quello che mi stupisce è il soggetto che ho scelto: è un tramonto. Penso che è una bella coincidenza come i colori che ho scelto e quelli di questo pomeriggio coincidano, ma non è questo che mi ha turbato. Mi sforzo un po' di più e capisco: ho dipinto un ricordo.

Con il secchio di vernice ancora in mano, mi ci metto davanti e mi sforzo cercando di ricordare, perché so che è imporante: cosa mi sta suggerendo la mia testa? Cosa sto cercando di dirmi? Solo quando decido di andarmene mi torna in mente tutto. Mi faccio prendere da una euforia strana e corro a casa come se fosse la cosa più importante del mondo. Quando arrivo quasi sfondo la porta al posto di aprirla.

Al piano di sotto trovo solo Ranuncolo sul divano che ha alzato la testa spaventato, le orecchie girate verso di me e le pupille larghe che mi guardano. A terra arco e frecce sono abbandonati sul pavimento.

"Katniss?" la chiamo allora, sapendo che è in casa, forse tornata da poco, forse si sta lavando.

Per un attimo non mi risponde e di nuovo mi faccio prendere da quell'ansia inutile e immotivata, mia cicatrice dei giochi oltre alla mia gamba. Stringo un pugno e la chiamo di nuovo fino a che non mi chiama anche lei. La sua voce viene dalla sua stanza da letto, la nostra stanza da letto. La porta chiusa mi fa temere che sia di nuovo sotto alle coperte a guardare il vuoto e per un attimo mi dico che Sae mi aveva avvisato e che adesso mi ucciderà.

"Peeta?" mi chiama di nuovo lei non vedendomi arrivare e questo un po' mi smorza la tensione.

"Sei vestita?" le chiedo prima di entrare. Ho imparato dall'incidente di quella mattina. Vorrei comunque entrare e sbirciare, ma mi compare di nuovo la faccia di Sae che mi dice di portare pazienza ed allora stringo solo con impellenza il pomello della porta. E poi non lo farei, almeno così mi voglio convincere.

"Sì." risponde ed è Katniss ad aprire la porta.

Ha i capelli bagnati, i vestiti appiccicati addosso che le circondano le forme dei fianchi e del seno. E' cambiata: ogni giorno prende sempre più peso, le sue guance hanno un aspetto sano e le gambe hanno acquistato la tonicità di un tempo. E' persino più bella di come la ricordavo da prima della guerra. E' più grande, più matura, eppure ancora una ragazza. Ha tagliato le punte dei capelli, lo noto all'istante. Ora le poggiano sulle spalle, dove creano una pozza d'acqua sui vestiti.

"Stai bene?" mi chiede confusa dalle mie numerose incursioni a cui ancora non si è abituata.

Le faccio cenno di sì col capo. Dovrei scusarmi, chiederle di seguirmi, ma non sto nella pelle. Le prendo una mano sperando che mi assecondi e la tiro giù per le scale e fuori dalla porta d'ingresso. "Vieni." le intimo nel frattempo.

Katniss non si divincola, mi asseconda e mi segue a grandi passi, quasi correndo, però protesta. "Dove andiamo?" si lamenta lei, ma corre. Allora accellero il passo, evito calcinacci e pozzanghere per le strade e la porto fino al nostro posto di lavoro, dove ricomincio a camminare e mollo la presa.

"E' una sorpresa." le dico fiducioso.

Katniss si guarda attorno. Erano giorni che non veniva qui ed è stupita da quanto siamo riusciti a fare e costruire. Biascica qualcosa, forse dei complimenti a noi, la nostra squadra, ma nemmeno la ascolto. Potrà congratularsi con Thom quando lo vedrà.

Intanto continuo a correre finché ci siamo. Mi blocco di colpo davanti al muro colorato di quella casa e lo guardo di nuovo. Guardo il muro, poi guardo lei, avanti ed indietro, aspettando che dica qualcosa, qualunque cosa.

Katniss se ne sta in piedi più stupita di me. Sbatte gli occhi e resta a bocca aperta. Per un attimo temo di aver risvegliato qualche vecchio demone, ma quando sente i miei occhi addosso si gira e parla. "Wow. E'..." comincia e quasi trema.

"L'arena, l'ultimo tramonto." concludo io per lei.

Katniss è irrequieta. Cambia posizione sui piedi più di due volte. Si passa una mano sotto i capelli ancora bagnati e guarda di nuovo, sempre con timore, quello che ho dipinto. Forse ho sbagliato, sono stato stupido a portarla qui per farle rivivere una delle esperienze più dolorose e terrificanti che abbiamo vissuto insieme. Non so cosa mi aspettassi, forse una catarsi, come direbbe il dottor Aurelius. Speravo forse che tirar fuori dal nostro subconscio queste esperienze ci avrebbe liberato entrambi di un altro pezzo, come quando scriviamo il libro e ricordiamo di Rue e Faccia di Volpe. Che stupido, come ho potuto pensarlo?

Poi Katniss fa un'altra di quelle cose che mi sorprendono: abbassa lo sguardo e sorride. "Credevo non te lo ricordassi."

Si tratta di questo? E' solo questo? Pensava che me lo fossi dimenticato? Chiudo gli occhi e me lo ricordo, come se fosse un pas-pro: avevo un ciondolo, dentro c'erano delle foto; gliel'avevo dato e le avevo detto che la vita si misura in base al numero di persone che hanno bisogno di te, che in una mano ne stava stringendo due e che quindi lei era più preziosa di me, era matematica; lei mi aveva bisbigliato che aveva bisogno di me e mi aveva baciato. Era un bacio vero, uno di quelli a cui mi ero aggrappato durante la prigionia.

Riapro gli occhi e torno da lei. "Lo credevo anch'io." le dico sorridendo anch'io.

Katniss continua a guardare con gli occhi, mentre con la testa è altrove. Poi si gira verso di me. Mi sorprende ad ammirarla ed abbassa lo sguardo. Mi chiedo cosa le passi per la testa, se davanti a quel ricordo provi paura, vergogna o dolore. "Non so mai che dire davanti ai tuoi quadri." dice alla fine, incrociando le braccia e stringendosi nelle spalle, a volersi scusare del suo silenzio. Guarda di nuovo quel tramonto, poi guarda me e poi di nuovo a terra.

No, non è dolore. No, Katniss piange ed urla con me, mi parla di Prim, di Finnick, dei giochi. No, non è questo. Quanto sono stato stupido? Katniss è imbarazzata di quelle confidenze fatte sotto quella luce arancione. Ora siamo solo io e lei. Ora non recitiamo, non c'è tutta la nazione a guardarci. Ed ora lo so che è vero che lei ha bisogno di me ed io di lei. Mi commuovo e mentre rumori di tuoni vengono dal cielo e le nuvole coprono la luce, il cuore mi batte all'impazzata nel petto, pieno di un calore che mi sale fino alla testa e mi fa sentire leggero.

La abbraccio e le stringo la vita. Mi accuccio un po' e sono sulla sua spalla. "Non è bello come quello vero, ma un po' si avvicina." E' rigida sotto il mio tocco. Dietro al suo collo, tra i capelli, vedo la sua pelle sollevarsi in tanti piccoli bozzetti. Anche il suo respiro è cambiato. E' diventato veloce e meno ampio, come se per un attimo avesse dimenticato come si respira.

"Più di un po'."

"Ti piace?" le chiedo e le sue reazioni mi fanno diventare intraprendente. Le sposto i capelli con una mano e le raggiungo il collo. La accarezzo prima con la punta del naso e poi le lascio una scia di baci da sotto l'attaccatura di capelli fino a dove sento il pulsante battito della sua carotide.

Katniss intreccia le dita alle mie, reclina il capo e mi offre ancora più spazio. Fa un cenno col mento e poi aggiunge un mugugno che interpreto come un "sì". Mi chiedo solo per un momento se si riferisca all'affresco o ai baci.

Stringe le labbra e non si abbandona a questo momento. No, che sto facendo? Con grande dispiacere lascio la sua pelle. La mia mano è ancora persa tra quei capelli color della pece. Appena la lascio andare, quelli le piombano di nuovo ai lati del viso.

Katniss si gira e mi guarda. Mi preparo alla ramanzina, invece il suo viso è rilassato. Mi guarda mentre sorride e mi fa rimbalzare con dita delicate un riccio sulla testa. Sogghigna guardandolo. Poi con le dita scende ai lati della testa. Chiudo gli occhi perché non voglio vedere il mondo, ma sentire solo il suo tocco addosso. Sento il suo respiro sulla pelle e so che si è fatta più vicina.

Quando credo che mi stia per baciare invece mi lascia ad agognare quel bacio. "Sei ancora sporco di vernice." dice invece e mi pulisce con un dito umido una guancia.

Non oso aprire gli occhi. Per me va bene così, basta così. Mi tirano i pantaloni e provo impazienza nello star fermo, ma mi accontento. "Vuoi lavarmi tu?" le chiedo malizioso, ritrovando un po' della spensieratezza della mia età. Appena mi rendo conto di averlo detto davvero ed ad alta voce, apro gli occhi terrorizzato e li allontano vergognandomi come un verme davanti a lei. "Scusa." le chiedo. Mi aspetto che alzi i tacchi e se ne vada, perché so quanto pudica, quanto candida, perfetta ed immacolata lei sia.

Katniss invece sorride. "Non fa niente." bisbiglia divertita ed anche un po' imbarazzata, con le guance rosse e lo sguardo basso. Sorrido allo stesso modo anch'io, estasiato da quell'espressione da bambina.

Con un'unghia intanto lei continua il suo lavoro e mi scrosta la vernice dalle spalle, poi mi accarezza e scende sul mio petto e adesso sono io quello immobile con la pelle d'oca. E' così incredibile che penso di essermele immaginate tutte queste cose. Prendo le sue mani ed intreccio le dita come aveva fatto lei poco fa. La guardo e lei mi guarda. Prendo un respiro profondo perché mi sembra di non respirare.

La conclusione perfetta sarebbe darle un bacio adesso, davanti a questo tramonto dipinto che ci riporta indietro nel tempo, ma non riesco a staccarmi dai suoi occhi e forse anche per Katniss è così, perché mi guarda come persa o rapita, come se stesse ammirando un paesaggio.

"Ti amo." le confesso invece. E' stato spontaneo e va bene. Quasi mi metto a ridere perché è bello poterglielo dire. In un qualche recesso della mia mente, una parte di me vuole suggerirmi che è presto, che sarei dovuto entrare in punta di piedi nel suo cuore, che conosco Katniss e lei ha paura dell'affetto, ma questa è la nuova Katniss e tutto quello che sapevo di lei non conta più.

"Davvero?" mi chiede, mentre i suoi occhi grigi si inumidiscono.

Penso a quanto sia singolare come domanda. Mi domando se stesse aspettando che glielo dicessi, se già lo sapesse o se ne avesse avuto il dubbio. Me la figuro nel letto da sola, in quelle notti ancora solitarie, a domandarsi cosa provo io per lei, mentre io dall'altro lato del vialetto facevo lo stesso. "Certo." le dico alla fine. Allungo una mano, le asciugo una lacrima, poi ne cade subito un'altra ed un'altra ancora, veloce, sempre più veloce.

Alzo gli occhi, guardo in alto e mi riempio di lacrime cadute dal cielo anch'io. Piove e piove a dirotto. Mi rigiro la maglia sopra alla testa, ma ormai è tardi e sono fradicio. Cerco Katniss che, di nuovo coi capelli bagnati, se ne sta riparata sotto i balconi, mi indica e ride come se fossi uno spettacolo comico.

In due passi sono subito da lei, la raggiungo e la tiro, pretendendo che si bagni anche lei, che ci faccia anche lei la figura dell'imbranata sotto alla pioggia. Katniss ride e si oppone, cerca di fare resistenza e tirare me dall'altro lato, ma sono più forte e con uno strattone mi rimbalza addosso e si ritrova tutta bagnata anche lei. Apre la bocca per la sorpresa, dell'acqua fredda o della mia sfacciataggine, che era una prerogativa solo sua fino ad adesso, e quando si riprende si allontana con sguardo combattivo. Affonda lo stivale in una pozzanghera e con un calcio mi schizza acqua addosso.

Cerco di pararmi con le braccia, ma non serve a niente. "Questo non dovevi farlo." la minaccio per gioco.

"Volevi essere lavato?" mi domanda e scoppia a ridere.

Mi guardo intorno, ma non ho armi. Mi guardo le mani fradice e sporche e senza neanche pensarci mi lancio su di lei, la afferro per le gambe e finisco di imbrattarle i vestiti di acqua e fango.

Katniss urla di metterla giù, si agita e ci fa cadere a terra. Finiamo tutti inzuppati nell'erba, per la seconda volta in pochi giorni. Ridiamo fino ad avere le lacrime agli occhi, fino a non capire se siano lacrime davvero o ancora una volta gocce di pioggia. Ridiamo fino a quando dai nostri capelli gocciola acqua sporca. Siamo vivi, siamo qui, io e lei adesso. "Se Snow o la Coin ci vedessero adesso..." comincio a pensare, ma lo allontano subito, perché la nostra grande vittoria sta nel non provare risentimento. Non stiamo rivendicando un passato che non abbiamo vissuto a pieno. Stiamo solo vivendo il presente. Guardiamo avanti, ma tutto ha senso solo se guardiamo indietro.

E' un pensiero complicato, che forse non significa niente, ma mi basta alzare gli occhi, scoprirla a guardarmi e ridere, coi capelli bagnati, in piedi sotto alla pioggia, che lo so. Lei lo sa, lei capisce. E' finita la rabbia, la vendetta, adesso ci siamo solo noi.

"Andiamo?" mi domanda Katniss tenendomi la mano. La prendo, mi rialzo e mi faccio trascinare. Corro e corriamo insieme, come abbiamo fatto prima per venire qui. Ridiamo ancora fino ad arrivare a casa, sfondare di nuovo la porta per entrare e sentire il sollievo del calduccio che si respira qui dentro.

Ranuncolo scappa. Starà pensando che siamo pazzi e sì, certo che lo siamo! Vado ad accendere il fuoco, quando Katniss scappa davanti alla finestra. Pulisce via la condensa dal vetro con una mano e poi ci si appiccica sopra come se potesse raggiungere qualunque cosa sia dall'altro lato. "Si rovinerà?" mi chiede non appena la raggiungo, parlando del dipinto.

Non lo so, forse, non ci avevo mai provato. La guardo, scrollo le spalle e sto per dirle la verità, ma mi distraggo. Katniss incrocia le nostre dita, stringe la mia mano ed aspetta. "No." le rispondo e la bacio.

Non si rovinerà, non noi due.


 




Angolo dell'autrice
​Salve a tutti e ben trovati. 
​Mi scuso come al solito per il mortalmente lungo ritardo: ho ricevuto recentemente una promozione a lavoro che mi impegna quindi più tempo, da qui i ritardi. Mi auguro di riuscirmi ad organizzare meglio per le prossime settimane, così da non lasciarvi troppo nell'attesa. 
​Colgo l'occasione per ringraziarvi tantissimo ed esprimere la mia enorme gratituidine per tutti i commenti, ma anche solo per le letture. Davvero, ragazzi, senza qualcuno che lo segue un autore sarebbe perso! Vi abbraccerei tutti! :)
Vi invito a lasciarmi una recensione se si va. Un salutone ed un bacione grande così xD al prossimo capitolo ;)

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


 

Capitolo 10

 


Sono giorni che piove e pare che non abbia intenzione di smettere.

La pioggia ci ha costretti a cambiare completamente le nostre abitudini: niente lavoro, niente caccia, niente treni che portano alcol. Dobbiamo dedicarci ad altre attività: Katniss sul divano scrive lettere da inviare a chissà chi, forse Johanna o Annie; Ranuncolo è accanto a lei, appiccicato alle sue gambe nella sua solita posa da gatto, a venire sballonzolato ogni volta che lei si muove sul divano; Sae da giorni non passa più da noi per badare alla nipote, ma mi ha lasciato un blocco di fogli su cui ha scritto a penna le sue migliori ricette; Haymitch, ormai sobrio da quasi una settimana, si fa un bagno sotto la pioggia, passa da noi, si piazza sulla sedia a dondolo ed aspetta che io lo raggiunga per giocare a scacchi mentre il tepore del camino acceso gli asciuga i vestiti e le ossa; io tra una partita e l'altra provo le ricette di Sae, metto a marinare la carne e passo al tavolo da giochi.

Il mio affresco si è sbavato alla fine. Non ha avuto tempo di asciugare e tutta quell'acqua ha tirato giù rigagnoli di colore. Il muro pareva che piangesse, ma non fa niente.

Passo accanto al divano, vicino a Katniss, le metto una mano sulla spalla e poi le lascio un bacio tra i capelli. Lei copre le mie dita con le sue e stringe. E' fatta così ormai la nostra quotidianità. Ci sono tutti questi piccoli gesti che mi mandano in visibilio, che con lei non mi sarei mai aspettato. O forse sì. Mi piacciono ancor più dei baci. Forse. D'accordo, non fino a questo punto, ma mi piace!

"Siete disgustosamente smielati." ci interrompe Haymitch ad un certo punto e solo per questo mi verrebbe voglia di esagerare, prendere Katniss e baciarla davanti a lui. Così solo per fargli vedere quanto la sua sfontatezza mi abbia contaggiato e migliorato, o peggiorato in un certo senso. Alla fine però non faccio niente e mi limito a sorridere. "Era così difficile quando ne valeva delle vostre vite?" ci domanda parlando tra sé e sé "Tocca a te, ragazzo." mi dice poi muovendo un pedone, saltando da un argomento all'altro.

Lo raggiungo, mi siedo e glielo mangio. Sono giorni che giochiamo a scacchi ed ormai conosco tutte le sue mosse, sono capace di anticiparle e bloccarle. Mi ha aiutato il fatto che nel suo ultimo giorno di sbronza ha provato a giocare ed a suggerirmi anche cosa fare. Katniss spia sulla scacchiera e sorride dopo aver contato i pezzi neri di Haymitch dal mio lato e poi i mei bianchi, che sono ancora quasi tutti sulla tavola.

"Questo gioco sta diventando noioso." bofonchia lui dopo aver perso uno degli ultimi pezzi a guardia della regina. Fa sempre così quando sta per perdere, ma lo comprendo e lo lascio fare. Immagino che dopo aver giocato con noi come pedine, la voglia di perdere ti passi.

"Perché non ti trovi un hobby?" gli chiedo, facendo eco al dottor Aurelius, pescando nella mia testa uno dei suoi tanti precetti.

"Ce l'ho un hobby, ragazzo." mi dice mentre pensa con una mano sotto al mento che si accarezza la barba "E' stracciarti il culo." conclude alla fine, mangiandomi due pedoni con un cavallo.

"Se lo dici tu." mi limito a rispondere, prendo la torre e gli mangio la regina. Ormai è inutile andare avanti e lo capisce da solo. Con una mano, infatti, Haymitch sconquassa tutta la scacchiera, come se ci fosse un terremoto su questo mondo a quadri, si alza e se ne va. Va' a farsi una doccia, dice, ma lo so che va a vomitare, a nascondere la mano che trema ed a sperare che l'acqua fredda gli faccia tornare un po' di quel genio che l'astinenza da alcol gli ha obnubilato. Mi dispiace vederlo così, ma va bene, significa che ci sta provando, almeno.

"E' sempre divertente." dice Katniss sghignazzando tra sé e sé davanti a quella scenata. A volte giurerei di averla vista suggerirmi qualche mossa solo per il piacere di veder Haymitch perdere.

"Lascialo stare." provo a rabbonirla e mi avvio nell'altra stanza.

Katniss scrolla le spalle e torna alle sue cose. Legge una delle lettere che aveva scritto nel pomeriggio, decide che non le piace e, come questa mattina, la straccia in quattro parti, la appallottola e la lancia nel camino. Quella forse era per sua madre. "Che fai?" mi chiede poi raggiungendomi in cucina.

"Cucino." le rispondo ovvio. Prendo la carne triturata e la mischio con le spezie, sporcandomi le mani di olio, prezzemolo ed altre polveri. "E' una ricetta che mi ha lasciato Sae." le spiego.

"Non quel pasticcio di carne, mi auguro." bonfonchia lei. Odia il pasticcio di carne di Sae, ma non ha mai avuto il coraggio di dirglielo ed ha sempre continuato a masticare ed ingoiare muta. Per diversi giorni è stata l'unica cosa che ci dava da mangiare. Le provviste col treno non arrivavano sempre puntuali e tutto quello che ci rimaneva era carne e farina ed il pasticcio era l'unico modo che la donna conosce per cucinare e conservare quegli ingredienti insieme. Forse per questo lo odiamo tutti: ha il sapore degli stenti che abbiamo patito in passato.

"Proprio lui." le rispondo. "Benedetto ragazzo, provaci almeno tu, Katniss non ne è capace!" scimmiotto Sae per far ridere Katniss, che si è stampata sul viso quell'espressione da bambina capricciosa. A volte credo che lo faccia apposta.

"Ha detto così?" mi domanda sorpresa e ridendo.

"C'è scritto qui addirittura." le dico allungandole il foglio della ricetta con le mani sporche. Katniss si allunga curiosa per sbirciare. Aspetto che legga con occhi veloci tutto il testo, fino a quando confusa fa quasi per alzare la testa. Allora le prendo il naso tra due dita, lo inzuppo d'olio ed aspetto che reagisca.

"Stupido." mi dice solo allontanandosi e pulendosi il naso. Vorrebbe essere arrabbiata, lo leggo nei suoi occhi, finge di esserlo ma sebbene non sorrida, quelli mi guardano maliziosi, come se volesse ricambiare presto con la stessa moneta.

"Avanti, vieni." le dico un po' per scongiurare il pericolo, un po' come scusa per averla vicino.

"Non sono capace." si lamenta ripetendo le mie stesse parole con voce grossa che mi vorrebbe imitare, mentre la tiro vicino al bancone.

"E perché io sì?" le domando ovvio, ma non sembra cedere ed allora provo con un'altra carta. "Dai, proviamo insieme." la supplico a mani giunte. Mi pulisco persino l'olio sul grembiule per rassicurarla.

Titubante alla fine Katniss si avvicina. Mettiamo insieme le mani nella carne e mescoliamo tutto per bene. Ci sporchiamo entrambi di nuovo. Siamo oleosi e scivolosi, con la farina appiccicata alle dita che sanno di sale. Per un momento mi torna in mente mio padre, sporco di pasta di pane fino agli avambracci, e mi chiedo se deve essersi sentito almeno una volta così con mia madre, se ha riso come stiamo ridendo noi fino al mal di pancia, se ha provato ad abbracciarla e gli è scivolata via, se ha usato la sua statura per imprigionarla tra il banco e il suo petto e se lei l'ha guardato allo stesso modo con cui Katniss guarda me. Quello che spero è che tutto questo non sia accaduto, che noi possiamo vivere una storia diversa dalla sua. Questa speranza mi colpisce come un pugno allo stomaco e fa male due volte: perché non gli è successo e perché non gli può più succedere. E poi perché so che pensare alla mia famiglia scatenerà un episodio e non voglio rovinare questa giornata piovosa e perfetta. Per un momento guardo Katniss, con la luce grigia delle nuvole che le valorizza gli occhi e la pelle che sembra argento, e non ho paura. Che mi venga quell'episodio!

"Che c'è?" mi chiede Katniss riportandomi alla realtà, confusa ed imbarazzata sotto il mio sguardo assillante.

"Niente." le rispondo sorridendo, sicuro che mi stia prendendo per pazzo. Le do un'ultima occhiata e torno a mescolare.

Quando la pasta sembra pronta, anche se non abbiamo idea dell'aspetto che dovrebbe avere, la stendiamo nella teglia, ci versiamo la carne, la copriamo con altra pasta e ci divertiamo a fare tanti buchi con una forchetta, ridendo e facendo a gara a chi è il più veloce. Mettiamo il pasticcio in forno e ci pieghiamo sulle ginocchia per studiarlo più da vicino per qualche secondo.

Quando Katniss capisce che non cambierà niente, non subito almeno, si alza e si stiracchia le gambe. "Ho vinto io comunque." mi dice riferendosi alla nostra guerra di forchette.

"Non credo proprio." le faccio raggiungendola all'impiedi. Le giro il mio braccio attorno alla vita e ci schiaccio l'uno contro l'altro. Di nuovo Katniss non se ne lamenta ed alzi mette le mani attorno al mio collo, costringendomi a guardare in basso verso di lei. "Mi sembra di ricordare qualcuno leccarsi la forchetta." la stuzzico alla fine. "Sei squalificata solo per questo." concludo avvicinandomi e quasi con la punta del naso riesco a toccare la sua.

"L'hai fatto anche tu." mi fa notare lei e si avvicina alzandosi sulle punte dei piedi.

Può essere che l'abbia fatto, non mi ricordo. E' difficile pensare con lei così vicina, schiacciata addosso, col suo respiro sulle labbra ed il seno così perfettamente aderente al mio petto. Sì, forse, può essere, non me ne frega più niente. Mi abbasso di quel poco che manca e con la bocca sono subito sulla sua. Non so cosa ci prenda, ma siamo frenetici. Ci muoviamo goffamente e casualmente con le mani, le bocche aperte che non si lasciano mai e le gambe che in simultanea arrivano fino ai ripiani della cucina. Prima che me ne renda conto la prendo in braccio e la faccio sedere sui banconi sporchi, proprio sopra al forno. Fa caldissimo e mi sto ustionando le gambe, ma neanche di questo mi frega niente. Sento il desiderio, no anzi il bisogno di premermi tra le sue gambe, di sentire il calore, la sua pelle premuta contro la mia. Katniss mi asseconda ancora e quando apre la gambe, ho l'impressione che sia tutto un suo piano per uccidermi davvero questa volta. Oh, quanto sarebbe dolce la morte adesso. Gemo solo al sentirmi schiacciato su di lei con tutti i vestiti addosso.

Sono giorni che ci baciamo così: prima di andare a dormire, al risveglio al mattino, alla sera appena Haymitch se ne va, mentre leggiamo insieme la mia corrispondenza, quando mettiamo insieme altre pagine del libro... Eppure adesso è diverso. Sento che non ragiono più, che non voglio niente se non lei, qui, adesso, ma Katniss mi salva e si allontana. Prende un respiro profondo e scende sui suoi piedi. Adesso lo so che è un piano per farmi soffrire! Recepisco il messaggio e prendo un respiro profondo, solo che non può chiedermi di starle lontana e poggio la fronte sulla sua. Chiudo gli occhi, prendo di nuovo fiato e cerco di pensare a tutte le cose raccapriccianti del mondo: le rughe sotto le braccia di Sae, l'odore dell'alito di Haymitch, Haymitch nudo nella vasca da bagno, le magliette sudate degli altri ragazzi sotto al sole...

"Scusa." bisbiglia Katniss richiamandomi alla realtà. Vorrei chiederle di cosa, ma mi precede "Dobbiamo..." inizia a dire, ma lascia sospesa la domanda come se volesse che io capisca.

"Cosa?" le chiedo lento e confuso. "No, no," mi affretto a rassicurarla appena ci arrivo "non dobbiamo se non vuoi, non c'è nessuna fretta." riesco a mettere insieme.

"Già," mi fa lei ovvia, come se si aspettasse quella risposta o non ci credesse "ma tu stai aspettando." fatica a dire, omettendo forzatamente e volontariamente ogni parola che potesse riferirsi a quello che stavamo per fare.

"Cosa?" esordisco sconvolto "Non sto aspettando." cerco di difendermi e mi allontano anche da lei per sembrarle più sincero, ma il suo sguardo è così eloquente che adesso le confesserei persino che una volta ho rubato dei soldi dal salvadanaio dei miei fratelli. "Va bene," le concedo alla fine la verità ridendo "sto aspettando," le dico e torno da lei ad abbracciarla "ma non succederà niente finché non sarai pronta." . Vorrei aggiungere che non sono un mostro senza cuore, che capisco che è troppo presto e che non spetta solo a me decidere se o quanto aspettare, ma stretto a lei sembra tutto così perfetto ed è impossibile anche solo pensare che le mie parole possano avere un'accezione negativa alle sue orecchie.

Quelle infatti sembrano non consolarla. Katnsiss anzi sospira e sfugge al mio sguardo. Rafforzo la presa e cerco i suoi occhi e solo allora parla. "E se non fossi mai pronta?" mi chiede.

L'idea mi pare così assurda che quasi mi viene da ridere. Come può Katniss Everdeen, la persona più forte, più combattiva, determinata, impulsiva, impetuosa, affettuosa e viscerale che conosca, pensare una cosa del genere? Pensare che non sarà mai capace di amare al cento per cento? "Succederà." le dico solo, ma non basta, non mi crede ed allora continuo "Lo so e basta." rispondo alla sua muta domanda. "Quando tu vuoi bene ad una persona, lo fai in questo modo così profondo che non riesco proprio ad immaginarti terrorizzata per sempre." e mentre lo dico penso a quel video che Snow mi fece vedere, quando fu lei a baciare Gale per la prima volta. "Un giorno ti innamorerai e vorrai qualcuno." le dico immaginandomi già per qualche motivo fuori dalla scena. Come ho fatto a passare dai giochi ai baci alla depressione così velocemente?

Katniss mi guarda, forse impietosita. "Peeta, io..."

Temo che stia per dirmi che mi ama, forse mossa da quello che le ho detto o dal mio tentativo di tagliarmi via dalla sua vita ed allora la blocco. Cambio argomento e cerco di spiegarle che probabilmente ha fatto bene, che nessuno dei due è pronto anche se mi piace pensare il contrario. "Posso essere sincero con te un momento?" le chiedo con la mia solita voglia di fare retorica. Mi siedo per terra con la schiena sul forno e Katniss mi viene dietro e fa segno di sì curiosa con la testa "A volte ho paura anch'io." le confido. La sua testa si piega di lato confusa e passo a spiegare. "E se mentre io e te..." comincio a dire, ma lascio cadere come ha fatto lei poco fa, intimorito dal fatto che solo dire che voglio fare l'amore con lei possa agitarla un po' come agita anche me. "Se avessi dei ricordi di te che provi ad uccidermi o di te che baci Gale o che uccidi la mia famiglia o se mi ricordassi della mia famiglia e basta? Sai, non sarebbe così attraente." provo a scherzae alla fine. Non me ne ero accorto, ma sono di nuovo con la fronte sulla sua.

"Ah no?" mi domanda scherzando e si allunga per darmi un bacio a fior di labbra. "Pensavo ti piacesse questo di me." dice e ricomincia a stuzzicarmi e tutto quello che le ho detto scompare, come se non avesse mai avuto senso.

"No." rido ad occhi chiusi per mascherare l'emozione che mi procurano le sue parole "Ma ti farò sapere." rispondo poco brillantemente.

Ride anche lei e mi bacia di nuovo. "Significa che entrambi non siamo pronti." sospira finalmente rasserenata, tirandosi su di morale perché sa che non è la sola a dover fare quel passo. Vorrei che fosse tranquilla a riguardo, che rimanesse così convinta, eppure non mi sento di ingannarla. Deve sapere che in qualunque momento, semmai volesse, io sarò qui.

"Posso essere di nuovo sincero con te?" le domando, ma stavolta non aspetto. "Sarei pronto quando vuoi, me lo farei passare subito, adesso qui o sul divano o sulla tomba dei miei genitori se solo me lo chiedessi." esagero "Dove vuoi." scherzo perché non sia sotto pressione, ma sono sincero. Il ricordo di Gale è del tutto scomparso e di nuovo non ho paura. Non so come si faccia ad accendere e spegnere questo sentimento, ma credo che centri lei. Mi guardo prenderle la mano, le sue dita sottili e piccole nelle mie e non ho più paura. Potrei vincere altre cento guerre con lei, penso baciandole le nocche.

Katniss arrossisce, abbassa gli occhi, guarda altrove e poi sembra pensarci. "Stupido." mi apostrofa alla fine come fa sempre. Forse dovrebbe anche sapere che quando mi dice che sono stupido io capisco che mi ama.

"Ehi, sono un ragazzo alle prese con la sua prima volta." scherzo colpendole una spalla con la mia. "Dammi tregua." Nel mio quadretto mentale sono di nuovo dentro, io e lei per sempre: cuciniamo quando piove, scriviamo lettere, ci baciamo, faciamo l'amore, ci sposiamo e viviamo felici e contenti fino alla fine. Ci saranno delle difficoltà, non mi illudo che sarà facile, ma sarà proprio questo a renderlo perfetto. Com'è possibile che solo guardarla scacci via tutte le mie paure? Le stringo la mano più forte e le do un altro bacio.

Katniss mi risponde con un colpetto di spalla, risvegliandomi dai miei sogni. "Tregua sia." risponde poi e col capo si poggia al mio. Chiude gli occhi ed inspiro il profumo di sapone dei suoi capelli.

"Katniss," la richiamo sovrappensiero. Il forno ci tiene così caldi la schiena che ci siamo dimenticati persino del pavimento freddo e della pioggia fuori. "lo sai che ti amo, vero o falso?"

"Vero." mi risponde dopo un respiro profondo.

"Lo sai che," ricomincio a parlare "ti amo e ti voglio tantissimo" ripeto "e che ti aspetterò per sempre, ma se non dovessi mai essere pronta, non fa niente. Sarò sempre qui, così, con te." confido alla fine e quando mi ricordo del nostro giochetto aggiungo "vero o falso?"

Katniss sbuffa aria che le esce tra i denti di un sorriso amaro. "Falso." risponde alla fine.

Beh, questa non me l'aspettavo. "Ehi." Alzo il capo, la guardo allarmato e cerco i suoi occhi che mi sfuggono. "Per sempre, hai capito?" insisto. Vorrei confidarle tutto quello che ho immaginato per noi due, la felicità che ci riserverà il futuro, la certezza che questa è davvero lì ad aspettarci e che per questo non c'è bisogno di andare di fretta.

La porta sbanda, qualcuno la apre, una folata di vento freddo ci costringe a tirarci su e spiare in quella direzione. Haymitch entra ancora una volta bagnato ed infreddolito, afferra la sedia a dondolo e se la trasporta davanti al fuoco. "Brrr." si lamenta. Insieme io e Katniss lo raggiungiamo tenendoci per mano. Haymitch lo nota subito, guarda le nostre dita che sembrano incollate e non dice niente. Se non lo conoscessi così bene, crederei di averlo visto sorridere. "E' pronto?" chiede invece, scaricando un brivido di freddo nel tepore del camino.

Ci voltiamo entrambi a guardare la finestrella del forno. Il profumo ci avvolge e quel tortino sembra quasi chiedere di essere sfornato. Katniss mi guarda con un punto di domanda appiccicato in faccia, proprio sopra a quella rughetta che le si forma tra le sopracciglia. "Quasi." rispondo io.

Haymitch fa una mossa per annusare una invisibile scia di profumino che dal forno va direttamente sotto al suo naso. "Pasticcio di carne?"

"Pasticcio di carne." conferma Katniss e lo raggiunge.

"Ancora!" protesta Haymitch.

"Prenditela con lui!" gli risponde lei e per una volta si trovano d'accordo nell'allearsi contro di me.

Sorrido mentre Haymitch fa il verso di Sae "Benedetto ragazzo!", la imita e guarda Katniss che, forse ricordandosi di poco fa, abbassa la testa e sorride. L'uomo la nota e prende la sua espressione per un incoraggiamento, allora lui continua e lei ride ancora e si divertono insieme ed io mi diverto nel guardarli: la mia famiglia.

D'un tratto le risate si fermano, alzo gli occhi e li trovo entrambi intenti a guardarmi, coalizzati per farmi sentire escluso. "Che fai in piedi come uno stoccafisso?" mi domanda alla fine Haymitch con le mani ancora alzate davanti al fuoco.

"Niente, io... il forno." abbozzo una risposta, colto di sorpresa.

L'uomo si gira, guarda verso Katniss che stranamente ha la stessa espressione divertita ed un po' arrogante sul viso. "Crede di essere migliore di noi perché sa cucinare?" le chiede lui con fare divertito, con il chiaro intento di prendermi in giro forse per vendicarsi delle partite perse a scacchi.

"Già." risponde lei.

"O come quando mette tutto in ordine e ti fa sentire un maiale?" continua lui. Ma che cos'è questa, una congiura? Vorrei rispondere e ridere insieme, ma li guardo e basta prima l'uno e poi l'altro. Mi piace che mi prendano in giro, che non abbiano paura di farmi scattare qualcosa dentro, che provino a farmi ridere e mi piace la leggerezza che c'è nell'aria.

"Tu sei un maiale." puntualizza Katniss e ride e fa ridere anche me. Sembra diversa, è più serena e loquace, quasi mi congratulo con me stesso affibbiandomene il merito.

Haymitch si ritrae e la guarda come se si fosse offeso, ma lei non cede ed allora lo fa lui quasi per miracolo. "Per una volta che stavamo legando io e te!"

"Vi voglio bene." confido io dal nulla, nascondendomi dietro un sorriso.

I due mi guardano come se fossi pazzo. Alzano entrambi un sopracciglio e sembrano identici, speculari, addirittura comici. Per fortuna suona l'allarme del forno: è pronto e devo scappare in cucina, non posso sentirvi prendermi in giro di nuovo anche se il vocio mi arriva alle orecchie.

Impiatto la cena, prendo le posate, i bicchieri, una bottiglia d'acqua e quando torno in salotto loro sono già a tavola ad aspettare. Stavolta bisticciano tra di loro, neanche so di cosa, ma finalmente adesso so che siamo tornati alla normalità. Faccio loro da arbitro quando i torni si fanno infuocati, quando addirittura Katniss comincia a tirargli addosso fazzoletti appallottolati come fossero dardi.

Il pasticcio di carne è finito più a terra che nei nostri stomaci, ma non fa niente, perché il tramonto è rosso e significa che domani smetterà di piovere e cominceranno ad arrivare di nuovo le nostre provviste coi treni. La nostra piovosa vacanza sta terminando e tutto quello che riesco a pensare è che non voglio che finisca: Haymitch sobrio, Katniss che mi bacia e parla di fare l'amore con me, il calduccio di questo salotto, le nostre cose sparse ovunque, i miei due amici che mi prendono in giro. Persino Ranuncolo oggi mi sembra più affettuoso nei miei confronti. E quando la giornata volge al termine, mi stendo nel letto accanto a lei, che si nasconde infreddolita sotto alle coperte. Un finale perfetto.

Credevo che non potesse andare meglio ed invece Katniss si stringe contro di me, mi mette le mani sul petto e poi mi accarezza con studiato languore lo stomaco, gli addominali e la schiena. "Peeta?" mi chiama.

Dovrei rispondere, ma le parole non mi arrivano alla bocca, forse non so neanche che dire. La imito solo e la cingo fino ad abbracciarla.

"Peeta?" ripete in una litania, una dolce ninna nanna, un canto di sirena solo per me. Mi bacia e mi schiude le labbra con dolce e frenetica irruenza, tutta per me, solo mia. Le sue braccia mi sono passate dietro al collo e sotto alle dita sento i brividi correrle su tutta la pelle. "Vero." mormora solo e continua a dirlo "Vero, vero, vero." dice ancora tra un bacio e l'altro.

Sto per chiedermi cosa significa, ma all'improvviso non ha importanza. I suoi polpastelli trovano l'unico filo di pelle tra i pantaloni e la maglia del mio pigiama. Mi sfiora e si ritrae, quasi l'avessi scottata. Poi afferra il lembo della maglietta e me la tira su ed io l'assecondo.

Mezzo nudo, seduto ed addirittura timido davanti a lei, la guardo col cuore in gola che batte così forte quasi volesse scoppiare. Forse avrei dovuto pensarci prima, forse non sono pronto, forse è troppo per me, forse sta per venirmi un attacco. Katniss mi guarda e forse si sta chiedendo la stessa cosa e sta pensando che sono un bugiardo, che non erano vere tutte quelle cose che le ho detto. Tortura il lembo del lenzuolo e non mi molla con lo sguardo. Rimaniamo a fissarci e quando alla fine cedo e mi decido a dirle che sono un vigliacco, lei taglia le distanze per entrambi. Si mette seduta sui talloni davanti a me, si toglie la maglietta e non ha niente sotto. Si copre con le mani e con le braccia, ma è bellissima lo stesso.

Siamo pari, siamo uguali.

Mi avvicino commosso e la bacio e tutto il resto è finalmente un segreto solo nostro.


 




​Angolo dell'autrice 
Salve a tutti :) 
​Scusatemi dell'immenso ritardo. Questa volta non ho molto da aggiungere, soltanto tremila scuse per averci messo tanto xD 
​In quanti aspettavano un capitolo del genere?( io io io!) xD  fatemi sapere nei commenti. Un bacio :*

 

 

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