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di summers001
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Meno 12 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - meno 11 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - meno 10 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - meno 9 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - meno 8 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - meno 7 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - meno 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - meno 5 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - meno 4 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - meno 3 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - meno 2 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - meno 1 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Meno 12 ***


1.
 

18 aprile 2016, mezzanotte
Una giovane ragazza, forse di ventidue, massimo ventitre anni, uscì da dietro una porta, sorpassò le tende di velo rosate e si impiantò sul palco scenico, accanto ad un palo da lap dance, immobile per farsi ammirare. Era bella, anzi no, di più. Aveva i capelli rossi e mossi, le lentiggini in viso ed un trucco leggero. Ma non era quello che spiccava di più in lei. Era soda, sinuosa, perfetta, una vera 90 60 90, con tutto quello che le serviva al punto giusto. E le si riusciva a vedere tutto chiaramente, da quella posizione in basso e con quei vestiti: un reggiseno blu sulla quale a malapena si distingueva la scritta gialla police, un gonnellino nero con una cintura ingombrante ed un cappellino degli stessi colori con una stella gialla incollata in cima. "Allora," fece la poliziotta sexy "chi è lo sposo?"
Dal fondo della sala partirono una serie di urla di ragazzi e uomini più adulti che gridavano una serie di "io, io, io" per cercare di convincere la spogliarellista.
L'unica altra donna in sala, alta, mora, eccentrica quanto meno con le sue mesches rosse ed il vestiti stretti e corti, seduta al primo tavolo davanti a tutti, si alzò in piedi ed urlò "Eccolo qui!" ed indicò verso il basso, dove seduto alla sedia accanto alla sua c'era un uomo in jeans e camicia dai capelli scuri. L'uomo alzò la testa al cielo e cominciò a ridere. Si morse le labbra quando vide la spogliarellista scendere le scale con fare aggressivo ed avvicinarsi. Gli si sedette addosso, mentre dal fondo della sala qualcuno ululava.
La storia gli piaceva e non poco, si dovette concentrare perché non voleva che quella lo notasse, ma non poteva fare a meno di guardarla dimenarglisi praticamente in faccia. Un po' si sentiva in imbarazzo in effetti e sperò che lei non riuscisse a capire neanche quello.
L'amica gli passò sul tavolo una serie di banconote, tutte in taglio da uno o cinque dollari. L'uomo le strinse, non sicuro di voler mettere le mani in tutta quell'abbondanza.
"Che direbbe tua moglie?" gli sussurrò la spogliarellista all'orecchio.
"E chi lo sa!" rispose l'uomo quasi intimorito. Non s'aspettava di scoprirsi timido in quella situazione.
"E dai, Killian!" lo spronò l'amica, che s'avvicinò alla spogliarellista e le infilò un paio di banconote nel reggiseno. "Uuh!" ululò poi soddisfatta.
A Killian faceva comodo di sicuro avere un'amica lesbica e così estroversa. Non sapeva infatti cosa aspettarsi per il suo addio al celibato e a tutto poteva pensare eccetto che ad uno strip tease. S'aspettava di ubriacarsi ed invece aveva bevuto solo due bicchierini, insufficienti sia per farlo ululare come Ruby (era così che l'amica si chiamava) sia per non fargli ricordare niente la mattina dopo. Killian guardò sul tavolo in cerca di qualcosa da mandare giù. La spogliarellista allora gli si sedette addosso e gli allungò una bottiglia di rum che stava là sopra e gliela inclinò sulla sua bocca in attesa che lui schiudesse le labbra. Killian ne rispose e mandò giù alla fine decisamente più di un sorso, sporcandosi la faccia, la barba e forse il collo della camicia. Ruby ululò di nuovo.
Alla fine la ballerina riuscì a metter su uno spogliarello ed uno spettacolino come si deve. Dopo i primi cinque minuti anche Killian Jones riuscì ad infilare tutte le sue banconote nel sottile elastico del perizoma di quella. Non l'avrebbe mai ammesso ma quella era una delle sue dieci cose da fare prima dei trent'anni, anche se con un po' di ritardo.
"Allora?" chiese Ruby che sorrideva e quando lei sorrideva, anzi rideva, le si apriva un sorriso tutto denti, ma nel complesso bello e radioso. Aveva le guance evidentemente in fiamme dall'alcol e dall'eccitazione. Si fece aria infatti, con le mani ai lati della testa, mente si accasciava sulla poltroncina.
"Wow!" disse solo Killian.
"L'hai detto!" confermò lei "Wow!" guardando la ballerina che sculettava ed andava via. "Potei abituarmici."
"Ma sta' zitta!" la rimproverò lui che la conosceva troppo bene e sapeva troppo bene che non sarebbe mai più tornata in quel locale, se non al massimo per il suo addio al nubilato. Attaccò di colpo una musica pop, coprendo le voci degli altri ospiti in estasi che brusiavano nel silenzio.
"Ma io dico, l'hai vista?" urlò lei per farsi sentire. "Con quelle.." e si portò le mani al petto, mimando le tette giganti che lei evidentemente non aveva.
Killian prese un respiro profondo. Si stava da poco riavendo e ripensarci gli mandava in confusione il cervello. Si sistemò i pantaloni ed accavallò le gambe. "Da domani ce ne saranno solo due per me!" considerò poi con una di quella frasi scontante che si dicono sempre a tutti gli addii al celibato che si fossero mai fatti. Mancava solo che qualcuno gli dicesse che da domani non ci sarebbe stato più sesso per lui, ed il quadro era terminato.
"Non mi dispiacciono, se ti devo dire la verità." fece Ruby pensando alla futura signora Jones.
"Lo sa, lo sa." sorrise poi lui, ricordandosi di quel giorno in cui Ruby s'era fatta sfuggire un commento quando l'aveva conosciuta.
Anche Ruby partì a ridere ripensandoci, quasi riuscì a sputacchiare tutto il rum che teneva in bocca. Quando si ricompose, gettò i capelli lunghi all'indietro ed urlò "Il mio amico si sposa!". Tutti in sala urlarono ed alzarono i bicchieri. Killian alzò il suo e fece un cenno di grazie con la testa, sorridendo tra i baffi.
Dopo altri due shots, lo sposo sapeva troppo bene che la sua amica aveva ancora poco di autonomia. Era passata dall'euforia, all'eccitazione, poi di nuovo all'euforia ed infine alla sonnolenza. Si era finalmente appoggiata con la testa sulla mano e il gomito sul tavolo. La guancia si stava deformando con lo scivolare del pugno. Sbandò quando le cadde il braccio di lato ed il mento quasi sul tavolo.
Killian guardò l'orologio, l'una mento venti. In undici ore o poco più si sarebbe dovuto sposare. "Andiamo s'è fatta ora." disse poi, preso un attimo dall'ansia. Avrebbe dovuto dormire per arrivare pronto alle nozze e già alle nove non era sicuro di riuscirci, figurarsi in poche ore.
"No! No!" si riebbe e protestò lei "E' la tua festa!"
"Non muoio domani, possiamo tornarci quando ti pare!" rispose Killian, alzandosi dal tavolo. Era decisamente scettico nei confronti di tutta questa storia degli addii: la vita che finisce dopo il matrimonio, non poter più guardare le altre donne dopo il matrimonio... Nonostante questo la festa e il sentirsi protagonista per una notte gli era piaciuta.
Ruby lo afferrò con entrambi le mani per il polso e lo trascinò di nuovo giù sulla sedia. "No, no, no," protestò di nuovo. "Dai, restiamo, parliamo un po' qui." La vide versarsi e scolarsi un altro bicchierino e non la fermò, anche se sapeva che più tardi l'avrebbe pagata. In effetti aveva immaginato che non si fosse alzata in piedi perché non ci riusciva. Lei gli alzò la testa poi e gli chiese "Ti ricordi quando tutta questa storia è iniziata?"


3 aprile 2013
Emma Swan, cacciatrice di taglie, all'occorrenza investigatrice privata, s'avvicinò alla macchinetta del caffé con in mano le due tazze. "Vuole dell'altro caffè?" chiese alla sua prossima cliente.
"No, no, grazie." rispose la donna. Tamburellava con le dita sulla scrivania, visibilmente nervosa. Era ordinata, precisa. Aveva capelli neri perfettamente sistemati in una complicata coda alla base della testa, con due riccioli larghi che le cadevano ai due lati della testa. Era una compulsiva. Portava una camicia bianchissima, larga, infilata perfettamente nei pantaloni blu scuro, con una giacca dello stesso precisissimo colore, evidentemente costosa, dalle cui maniche venivano fuori i polsini della camicia, tenuti fermi un unico bottone a forma di perla dorata. Stava con lo sguardo basso a fissarsi le dita della mano, su cui figurava un anello con un diamante sufficientemente grande. Prese poi a rigirari l'anello attorno all'anulare.
Emma si riempì la tazza, tornò a sedersi dietro la scrivania e tornò ai suoi affari. "Quindi mi dica se ho capito bene." cominciò riassumendo tutto "Lei vuole che segua il suo attuale fidanzato che deve sposare tra venti giorni, che scatti qualche foto quando le dice che va al bar, che scopra eventualmente qualcosa sul suo passato e che le dia tutto entro una settimana dal matrimonio."
La donna fece sì con la testa. "Le sembra pazzesco, vero?" chiese poi.
"Affatto!" rispose Emma, fingendo un sorriso sincero. Recuperò dalla scrivania un paio di fogli spillati tra di loro e glieli allungò. Un contratto standard. La donna firmò.
Emma si ristudiò il contratto, cercò diretta gli spazi da dover compilare e lesse il nome della sua cliente: Milah. A proposito, pensò. "Come si chiama il suo uomo?" chiese poi, mentre riempiva i campi lasciati in bianco del contratto. La data, il compenso..
"Killian Jones." rispose lei.
Le strinse poi la mano e se ne andò.

Nei giorni successivi Emma cominciò a lavorare al suo caso. Recuperò in un batti baleno tutti i rapporti della polizia relativi al suo uomo. Si era dato parecchio da fare, pensò leggendoli: furto con scasso, guida in stato d'ebbrezza, violazione di domicilio. Non che lei fosse stata una santarellina e non era tipa da giudicare in base alla fedina penale, ma questo le diceva molto di quella persona. La lista si fermava al 2008 quando improvvisamente tutte le attività illegali si fermavano. Oppure l'uomo s'era fatto furbo. Era stato assunto nel 2009 come commerciante. Il suo ruolo nell'azienda, in base al contratto di lavoro, era quello di acquistare beni alle aste e rivenderli ad un prezzo più alto a ricchi facoltosi. Doveva essere una specie di esperto d'arte o d'antichità. Tuttavia non viaggiava molto, probabilmente lavorava al computer tramite internet. L'unico viaggio di lavoro per cui erano stati consegnati scontrini e ricevute risaliva al 2011. Emma escluse allora un possibile traffico illegale che potesse celarsi dietro.
Dai pedinamenti non ottenne niente, o quasi. Di giorno l'uomo andava a lavoro, si fermava al chioschetto del caffè e lo beveva nero, accompagnato da una ciambella. Si fermava a pranzo ad una mensa sotto al suo ufficio, pranzava per lo più da solo o con più persone, ma mai sempre con le stesse. Dopo l'orario di lavoro andava davvero al bar, chiacchierava con la barista lesbica e la sua ragazza, le guardava scambiarsi qualche bacino al massimo e poi se ne tornava a casa. Aveva promesso di non seguirlo però alla sera. Emma scattò qualche foto comunque, tanto per essere sicura di avere del materiale da consegnare.
All'ultimo giorno di pedinamenti, decise di avvicinarsi un po' di più, guardargli le mani, cercare magari segni di tabacco, annusargli l'alito se ci riusciva per sapere se beveva e magari guardargli le pupille. Il momento migliore per non essere notata era la mattina, in fila al chiostro del caffé. Si portò una giacca nera, annodò i capelli, tenne la testa bassa e si mise in fila proprio dietro di lui. Aveva un sottile odore di colonia. Si chiese se magari non dovesse nascondere la puzza di qualcos'altro. Tuttavia pareva pulito e ordinato. Decise che l'unico neo in quel tipo era la fidanzata paranoica. Lo lasciò perdere allora e si avviò di nuovo verso l'auto che aveva lasciato ad un isolato di distanza, tanto per star sicura. Se non altro era riuscita a rimediarsi un caffé. Girò l'angolo, tenendo lo sguardo basso verso il telefono e poi l'unica cosa che sentì fu prima un urto poi il caffé bollente addosso. "Ma che diavolo!" urlò Emma. Alzò lo sguardo e si trovò davanti proprio Killian Jones.
Quello se ne stava lì davanti a lei, fermo impalato, con la giacca pulita, senza neanche la minima intenzione di scusarsi. "Oh, andiamo, mi sembra il minimo dopo che mi hai seguito per almeno una settimana." fece lui.
Diavolo, pensò Emma. "Che?" finse.
"E' Milah che te l'ha chiesto? Cos'è una sua amica o l'ha pagata?" sbraitò Jones visibilmente arrabbiato. Una reazione spropositata, pensò Emma.
"Milah, chi è questa Milah?" continuò a pretendere di non saperne niente.
"La mia ex che non riesce a mettersi in testa che è finita. Giuro che è l'ultima volta che la avviso, le dica di lasciarmi in pace."
Questa era nuova. Ex? Non era affatto la storia che conosceva lei. Le stava bene spiare mariti e fidanzati, mettere il naso dove non doveva, scoprire crimini da non poter dichiarare alla polizia, ma essere presa in giro per collaborare ad un reato di stalking non era tra le sue principali aspirazioni. Decise di vederci chiaro, capire chi dei due la stava fregando. "Ehi! Non conosco nessuna Milah, si calmi. E poi credo che lei mi debba un caffé ed un giro in lavanderia." fece. Doveva parlarci allora, sentire l'altra controparte e poi mettere insieme i pezzi.
Quel Jones si rilassò. I tratti cupi del viso s'ammorbidirono e quel che ne rimase fu un paio di occhi azzurro mare e un'espressione probabilmente preoccupata. "Certo, venga." le fece lui e la riportò indietro al chioschetto. L'uomo portava una mano nella tasca della giacca ed agitava l'altra, sfregandosi i polpastrelli del pollice e l'indice tra di loro. Nervoso?
Emma buttò via il cartone ormai svuotato, ordinò di nuovo il suo caffé con panna e latte e passò a studiare il suo nuovo conoscente. Killian Jones tirò fuori dalle tasche un portafogli di pelle marrone scuro. Cacciò una banconota da dieci, si riprese il resto di cinque e lasciò il resto in mancia. L'anziana donna dietro al bancone lo ringraziò chiamandolo per nome.
"Allora come devo chiamarla? O le sta bene uomo del caffé?" fece Emma cominciando a camminare, di nuovo in direzione della macchina.
"Killian." rispose lui. Si guardava attorno con viso preoccupato. Emma ne concluse che sì, era nervoso o più che nervoso era preoccupato ed in cerca di qualcosa.
"Swan. Emma." si presentò lei, allungandogli la mano.
"Ah sì, mi scusi." si indicò la testa, allundendo ad una banale distrazione. "Killian Jones." rispose poi e le strinse la mano. Aveva una stretta forte e decisa, segno di un carattere forte e sicuro di sé.
"Allora, Killian Jones, come ha fatto ad uscire con la sua ex di cui blatera tanto?" chiese lei. Voleva vederci chiaro in quella faccenda. Aveva visto in effetti una vena di maniacalità in quella donna, ma l'aveva solo affibiata ad una ossessione al controllo per un uomo probabilmente incontrollabile.
"Non lo so neanch'io, mi creda." fece poi lui un po' più rilassato guardandola in viso. "E' pazza, lei non immagina quanto." spiegò con un sorriso. Era una di quelle persone carismatiche, che quando sorridono ti portano a sorridere. Emma sapeva che doveva farsi trascinare per scoprirne di più e così sorrise. Sapeva di non potersi fidare, ma la sua storia pareva convincente. Quando non urlava poi la sua voce era pacata, parlava con un accento morbido sulle vocali e duro sulle consonanti. Si rese conto di aver dato per scontato che si trattasse di un americano, ma chiaramente non era così.
"Credo di averne un'idea." rispose poi lei.
Killian Jones si fermò. "Posso raccontarle tutta la storia a cena." disse poi con voce ferma, naturale e forse un po' dolce. Si morse le labbra in trepidante attesa della sua risposta. O forse c'era una certa malizia?
"A cena?" chiese Emma. La situazione era completamente cambiata ed Emma non era sicura che le piacesse. Non le piaceva non avere sotto controllo la situazione. Chi era la maniaca del controllo adesso?
"Certo! Domani sera alle otto."
Emma si rese conto che lui non le avesse mai chiesto se le stava bene. Tutto quello che aveva detto fino a quel momento erano solo affermazioni, col punto esclamativo, non c'era neanche una domanda per di mezzo. Non era di sicuro la povera vittima che le voleva far credere. "Dove?" chiese allora lei che ormai aveva deciso di volerci vedere chiaro in quella faccenda e se non altro quell'invito poteva essere la prova della sua scarsa fedeltà. Qualora la storia di Milah fosse vera ovviamente. Anche di questo cominciava comunque a dubitarne sul serio.
"Mi lasci organizzare qualcosa di indimenticabile." disse lui. Le allungò la mano di nuovo per salutarla. Era educato almeno.
"Va bene, uomo del caffè." lo salutò lei.

La sera seguente Emma non aveva ancora scoperto dove quel Killian Jones la volesse portare. Sembrava un segreto di stato. Lui l'aveva chiamata quella mattina, si era scritto l'indirizzo di casa sua, che poi era lo stesso del suo ufficio, e le aveva detto di indossare qualcosa di elegante. Emma non voleva strafare e non voleva dare l'idea di dare importanza a quell'appuntamento, anche se in effetti non le dispiaceva per niente. Non usciva con un uomo da quelli che potevano essere secoli. La sua ultima relazione, per lo più instabile, risaliva ad un paio di anni prima e da allora solo storie occasionali. D'accordo, un'unica storia occasionale. Non era di certo un tipo facile. Si poteva dire che le mancava tutto quello che era collegato agli appuntamenti: una buona cena, un uomo con cui parlare, una persona con cui confrontarsi, i baci, quelle carezze innocenti, il sesso. Oh dio, il sesso. L'aveva guardato bene quel Killian Jones, doveva ammetterlo. Con tutta onestà capiva perfettamente la sua cliente, che fosse in torto o ragione. Si ammonì pensando che appunto quei due erano la sua cliente ed il suo lavoro. Cancellò tutto, si guardò allo specchio, indossò un'espressione risoluta e s'avviò fuori dall'edificio.
Decise di aspettare quel Killian Jones davanti al portone. Aveva deciso di indossare un vestito rosso, non troppo corto, il cappotto nero e i capelli sciolti. Se ne stava là, appoggiata al muro in tutta la sua figura slanciata ad aspettare. Guardò l'orologio e notò che quello era già in ritardo.
Ci vollero altri dieci minuti perché finalmente quello si presentasse. Conosceva già l'auto, ma si ricordò giusto in tempo che lui questo non doveva saperlo. Si schiodò allora dal muro solo quando lo vide accostare ed abbassare il finestrino. Si scusò per il ritardo e la invitò a salire. La prima cosa che Emma notò fu la fragranza di quel deodorante per ambienti a forma di alberello appeso allo specchietto.
"Come va?" chiese lui, ripartendo. Teneva un occhio su di lei ed un altro sulla strada. Ad Emma non era mai piaciuto restare in auto mentre guidava qualcun altro, figurarsi se questo non stava attento ai semafori. Tenne le mani tese sul cruscotto ed ogni tanto indicò la via con l'indice perché lui la guardasse.
"Molto bene, grazie."
"Sono molto contento che abbia accettato! Non credevo davvero che lo facesse!"
Emma si girò a guardarlo. Sorrideva guardando prima lei, poi si girò di colpo, in attesa d'essere ammonito di nuovo da quel suo dito e sorrise di nuovo. Anche ad Emma scappò un sorriso.
"In effetti non mi piace non sapere dove sto andando." disse lei. Killian Jones sorrise di nuovo, questa volta divertito.
Alla fine raggiunsero un bel ristorante, elegante, dalle calde luci giallo aranciate che partivano da una serie di plaffoniere lungo i muri dipinti di un rosa antico. Sui tavoli erano disposti delle morbide tovaglie bianche a fiori e su ognuna di queste era posta già una brocca d'acqua, due piatti e le posate. Ovunque erano disperse superfici riflettenti, da specchi a cristalli che scendevano come pendenti dal soffitto. Era un tripudio di luci. Sembrava un piccolo ristorantino in stile francese che fino ad allora Emma non aveva mai visto.
Killian Jones si presentò all'ingresso e si fece mostrare il tavolo che gli era stato riservato. Prima che Emma si riuscisse a sedere, la aiutò a sfilarsi la giacca, poi le spostò la sedia e gliela riaccostò sotto al tavolo dopo che lei si fu avvicinata. Ordinò della carne e lasciò a lei tutto il tempo necessario per decidere. Si stava comportando gentilmente e tutte quelle premure erano una delizia anche se inutili. Non aveva ancora deciso se potersi fidare oppure no.
"Allora che lavoro fa?" chiese lui ad un certo punto, mentre lei sorseggiava del vino bianco da un bicchiere.
"Puoi darmi del tu." fece lei, che non era mai stata portata per le formalità.
"Che lavoro fai, Emma?" chiese di nuovo lui e s'appoggiò col mento sull'indice e il pollice, sporgendosi in avanti per studiarla meglio.
"Io-io.." cominciò a pensare lei, balbettando per guadagnar tempo per recuperare una scusa. E poi bingo! "Polizia. Lavoro per la polizia." Sapeva però che quella bugia le sarebbe potuta costare l'opportunità di vederlo di nuovo. Sempre nel caso in cui la sua storia fosse quella giusta. Sì, le piaceva in fin dei conti.
"Oh, allora puoi aiutarmi col mio piccolo problema." fece lui. Era sempre gentile e posato, ma in più c'era quella sfumatura di malizia che credeva di aver colto nel giorno precedente.
"Milah?" chiese lei divertita, giocherellando coi bordi del piatto con le dita.
Killian Jones fece solo segno di sì con la testa. Poi guardò l'orologio.
"Certo, puoi passare al mio ufficio quando ne hai voglia." rispose Emma in automatico. Ormai era entrata nella parte. Sperò soltanto che non gli chiedesse dettagli tecnici per la sua posizione.
Poi lui fece una cosa strana. Alzò la testa, salutò qualcuno dietro di lei con cenno del capo, fece "Ehi, tesoro." e si alzò.
"Tesoro?" fece Emma, girandosi indietro per guardare. Quello che vide la lasciò basita. Tesoro? Tesoro? Davvero? La sua dolce fidanzatina Milah era appena entrata nel locale, vestita di tutto punto con un tailler color cammello e i capelli mossi lasciasti sciolti sulle spalle. Killian Jones le andò incontro ad ampie falcate, facendosi spazio tra i tavoli. La raggiunse, la abbracciò e le diede un bacio sulle labbra. "Ehi!" fece lei sorridendo. Il suo stupido diamante spiccava tra le sue dita avvinghiate alle spalle di lui.
"Che ci fai qui?" chiese Killian, pretendendo che niente fosse.
"Sono col signor Gold," rispose Milah indicando un uomo dietro di lei con il pollice. Si girò poi per guardarsi attorno evidentemente spaesata "il mio capo, te l'avevo detto ieri sera, non te lo ricordi?" Era chiaro che neanche lei ci capiva niente e tuttalpiù si stava chiedendo che cosa lui ci facesse lì e per di più con l'investigatore che lei stessa aveva assunto. "Signorina Swan, ma cosa..."
Emma sorrise. L'aveva fregata per bene. Era così sorpresa che decise addirittura di ignorare che le avesse fatto fare una figuraccia per l'ammirazione. Poteva considerare il suo silenzio come un complimento. S'alzò, recuperò il suo cappotto e se lo infilò.
Killian Jones le si avvicinò con sorriso soddisfatto sul viso, le mani in tasca e tutto gongolante e trionfante. La guardò recuperare la sua dignità ed avviarsi via. Quello di sicuro era un sorriso malizioso, forse addirittura un po' cattivo. Solo allora Emma riconobbe il bullo che descrivevano le sue ricerche. "L'avevo detto che sarebbe stato indimenticabile." le fece poi lui quasi con cattiveria. Killian Jones tornò dalla sua fidanzata, la abbracciò di nuovo e sussurrò "Ma certo che me lo ricordo, tesoro, va' alla tua cena. Ci vediamo a casa stasera."
Ora era troppo.
Emma si voltò, recuperò il calice di vino dal tavolo e glielo versò in faccia. Sorrise soddisfatta, mentre lui stava con gli occhi chiusi e la faccia strizzata, tutto bagnato, con una serie di gocce di vino che gli cadevano dal naso. Milah la guardò sconvolta con la bocca aperto.
"E' pulito." le disse poi. "E ringrazia che non sia rosso." fece a lui e se ne andò.

 




Angolo dell'autrice
"Kids, this is the story of how I met your mother.." pa pa pa... Lol, no, no scherzo!
Buona sera, italiani!!! Allegria!!! COme va? Qui non c'è male, grazie. 
Tornando seri.
Riguardo alla storia: l'ispirazione nasce dall'ultima stagione di how I met your mother" che ho rivisto di recente (che netflix sia lodato!). Ogni capitolo è ambientato ad un'ora prima dal matrimonio, per un totale di dodici, con pretesti per richiamare qualche flashback che ci porteranno a capire chi è la futura signora Jones. Ovviamente il 2016 è dal punto di vista di Killian (per ora) e il 2013 da quello di Emma. Lo so che le avete già capite leggendo queste cose, ma tenevo a precisare che questa è la struttura di ogni capitolo.
Che ne dite, che ne dite, che ne dite? Ci riempirà il vuoto che lascerà prossimamente "Il mio posto"? Sono molto curiosa delle vostre reazioni, perché con questa storia faccio io uno sforzo "nuovo" nello scriverla. QUindi lasciatemi un commentino qui sotto. 
Alla prossima! ;)

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - meno 11 ***



 

2.

18 aprile 2016, l'una di notte.
Precisamente all'una ed un minuto, all'uscita dal locale, dieci metri dopo aver superato il buttafuori Ruby si accovacciò per terra, si tirò su i capelli e cominciò a vomitare.
Killian chiuse gli occhi. Lo sapeva, cazzo! Doveva convincerla prima ad andarsene via. "Coraggio, cammina." le fece prendendola per il braccio ed aiutandola a rialzarsi. S'avviarono verso la sua macchina a passo di lumaca. Le aprì la portiera di destra, la spinse a sedere e le rigirò le gambe dentro all'abitacolo.
"Dove andiamo?"
"A casa tua, no?" le disse ovvio prima di fare il giro dell'auto, raggiungendo il suo posto a sedere.
"Poi te ne vai?" chiese lei quando lui richiuse la portiera.
"No, resto con te." Killian mise in moto, poi aprì il cruscotto di davanti prima di ripartire. Tirò fuori una serie di sacchetti di carta. Così tanti che sembrava che avesse svaligiato un supermercato. Caddero tutti addosso a Ruby sulle sue gambe. "Prendine uno." disse Killian mandandoli a quel paese e rinunciando a risistemarli.
"E che ci dovrei fare?" chiese lei prima che le salisse un altro conato di vomito. Allora capì alla svelta e ci vomitò dentro. Killian non poteva togliere gli occhi dalla strada e non riuscì a seguire tutta la scena. Sapeva solo che l'indomani avrebbe dovuto usare quell'auto e che non voleva arrivarci con la puzza di vomito.
"Non farmi otturare il lavello come l'altra volta." disse Ruby, riferendosi all'ultima delle sue colossali ubriacature, quando aveva così tanto alcol nel sangue che non capiva neanche dove stesse vomitando cosa. Né tanto meno quando. Neanche Killian, che ovviamente era con lei, lo capiva in realtà. Il mattino dopo sapevano soltanto che non scendeva l'acqua dal lavandino e che dovettero infilare a turno una mano per tirare via sporcizia dalle tubature. Si ripromisero di non ubriacarsi mai più così tanto contemporaneamente.
"Non ti faccio neanche sporcare i capelli." la rassicurò Killian. Quindi continuò a guidare fin quando arrivarono a casa di lei. Lui cercò le chiavi nella sua borsa viola. Era forse l'unico uomo sulla terra a saper mettere mano nella borsa di una donna ed uscirne dopo pochi secondi col bottino.
"Sbrigati, sbrigrati, sbrigati!" gli mise fretta Ruby e non appena lui aprì se la fece di corsa sui dei tacchi vertiginosi fino al bagno. Di lì in poi la sentì solo vomitare. La rincorse fino a là dentro, aprì la porta e si voltò non appena la vide, intenta a... non essere poi così carina come al solito. Le raccolse i capelli con una mano e con l'altra la spinse via verso il water. Rimase lì accucciato accanto a lei per una buona mezz'ora.
"Che schifo di notte, scusa." fece lei che stava ancora abbracciando il water. Si sentì forte abbastanza da chiudere il coperchio, scaricare e sedersi accanto all'amico. Gli prese la mano e la strinse, in segno di ringraziamento.
"La futura signora Jones ne sarà contenta, non siamo stati ad uno strip tease in fondo." le fece l'occhiolino "E poi non è stata uno schifo." Alzò gli occhi al soffitto e cominciò ad immaginare di nuovo la spogliarellista. Non c'è niente di male nel pensare in fondo, no? Poi non vedeva la sua futura moglie da una settimana. Aveva accettato quello stupido accordo prima ancora di rendersi conto in che cosa consistesse. Ma poteva una donna immaginare cosa significasse? E Ruby poteva? Tutto quello che avrebbe voluto per la serata era alcol, alcol e tanto alcol per non pensare assolutamente e fargli abbassare il coso che aveva nelle mutande. Era sicuro che era stata lei a programmare tutto, lo streap, convincendo Ruby a portarlo in quel posto, solo per il piacere di torturarlo. Lei lo torturava sempre. E come lo torturava poi... Se la immaginava con un sorriso soddisfatto sulle labbra. Però s'era divertito in fin dei conti. Ah, quella ballerina!
"Alla fine ha deciso di prendere il tuo cognome?" chiese Ruby, ricordandosi di quella discussione avuta nel suo locale una settimana prima, in cui lei le aveva spiegato quanto il suo cognome fosse importante per lei. Decisamente troppo pesante per i suoi gusti, ma se era importante per lei... Sì, dai, in fin dei conti era comprensibile.
"E chi lo sa, lo scopriremo domani!" A Killian non dispiaceva alla fine. Anzi, le piaceva addirittura quella parte di lei: l'orgoglio. Ce l'aveva anche lui, era forte. All'inizio pensava che non sarebbero durati molto proprio per quello. Poi hanno imparato l'uno a convivere con l'orgoglio dell'altro. Da una parte però avrebbe voluto sentirsi più parte di una famiglia. Ed era per questo che si stava per sposare, no? Gesù, gli scoppiava la testa. E se fossero scoppiati?
"Vuoi dire oggi." precisò Ruby e questo non fece decisamente bene al suo mal di testa. Cominciò a pensare ad un bel pacco di aspirine. Dove le teneva Ruby? Il mobile in cucina. Guardò l'orologio e contò quanto tempo fosse passato dall'ultimo conato di vomito e se ce l'avesse fatta in tempo ad andare in cucina, prendere l'aspirina, sbattere la testa contro il muro e poi tornare.
"Già."
"Quanto manca?"
Ovviamente aveva già dimenticato che ora fosse. Rialzò il polso, guardò di nuovo l'orologio. "Dieci ore. Più del tempo che ti serve per vomitare tutto comunque." Purtroppo. Si disse che quell'ansia era solo legata alla sbronza. Ma quando mai un paio di birre l'avevano messo in ansia? Allora era decisamente colpa del matrimonio. Cavolo, non conosceva nessuno che si fosse sposato prima di lui. L'unica era Ruby, che non poteva farlo, se non da pochi mesi (grazie Obama!) e ovviamente ancora non l'aveva fatto. C'era un tale forse, che conosceva dal bar, un certo Robin, che si era sposato, ma sembrava tranquillo e rilassato prima delle nozze. Coi suoi colleghi non era certo in confidenza per poterglielo chiedere. Forse anche lui da fuori sembrava tranquillo e rilassato. Avrebbe davvero gradito un altro paio di giorni per poterci pensare per bene, stare con lei, convincersi che stava facendo la cosa giusta. Per lei. Non voleva che lei andasse incontro ad un'altra rottura o un altro abbandono.
"Magari con un'aspirina..." Ruby gli interruppe il filo di pensieri. Finalmente, comunque pensò. Riguardò l'orologio e ormai i conati erano più sporadici. Si alzò e decise allora di andare in cucina. Prima però Ruby alzò un dito e meno di due secondi dopo stava di nuovo vomitando nel water. Killian la raggiunse e le sollevò i capelli. Si risedette a terra vicino alla tazza e vicino all'amica.
"Quando smetti di vomitare." Le rispose. Non voleva di certo scendere a comprare altre pillole perché le aveva risputate tutte. E non era un medico, ma era abbastanza sicuro che non fosse l'ideale prendere due pillole per poi vomitarle. E poi avrebbero funzionato? Si ricordò di quando Milah aveva vomitato la pillola del giorno dopo ed erano stati nel panico per due giorni, non sapendo se doverne prendere un'altra o no e se avesse funzionato o no. Sorrise ripensandoci, perché in fondo, molto in fondo, era un bel ricordo. Automaticamente la testa gli volò alle sue prime volte. Erano anni che non ci pensava! Sembrava tutto perfetto all'epoca. Aveva quanti, diciott'anni forse? Quando le tette di Milah erano ancora belle gonfie, prima che decidesse di dimagrire e le si ammosciassero. Non poteva negare di essersi innamorato di quelle per prima. Non che dopo fossero diventate così terribili poi, ma erano decisamente meglio prima. Era solo un ragazzetto pieno di ormoni all'epoca. E comunque non era stata lei la sua prima.
Ah! La testa di nuovo! Aspettò che l'amica alzasse la testa dalla tazza. Doveva parlarne con qualcuno. "Ruby?"
"Che c'è?" chiede lei ancora disgustata. Sputò nel water un pezzo di patatina e fece un verso di disgusto. Che schifo, che schifo, che schifo.
"Sto facendo la cosa giusta?"
"In che senso?"
Killian guardò la patatina che era uscita dalla bocca di Ruby scivolare con lo sciacquone. Pensò a quella volta quando con Emma aveva mangiato le patatine sulla pizza. Se l'erano fatte portare a casa un giorno che erano rimasti a letto. Avevano abbassato le tapparelle e nascosto tutti gli orologi dalla sera prima, non volevano neanche sapere che ore fossero. Avevano fatto l'amore cinque volte, si era fatto un segno nero con un pennarello sul braccio ogni volta. Tra la seconda e la terza avevano chiamato una pizzeria e quelli gli avevano chiesto se sapesse che ore fossero e di aspettare. Loro avevano risposto ridendo di no. La pizza arrivò tra la quarta e la quinta. Andò Emma a recuperare gli scatoli, aprì prima quello della pizza, poi quello delle patatine, ci infilò una mano dentro e le rovesciò sulla pizza. Le urlò qualcosa appresso, chiedendole se fosse matta o cosa, ma alla fine scoprì che non era male e glielo disse. Lei gli sorrise mentre teneva ancora in bocca un cornicione e da lì cominciò la quinta.
Era successo solo tre anni prima.
Certo, ora non avrebbe più guardato alle patatine come prima. Avrebbe visto solo vomito. Ma a chi voleva darla a bere. Ma certo che le avrebbe mangiate ancora. Magari con Emma?
"E se non era lei che dovevo sposare?"



19 aprile 2013
Quella mattina Emma si svegliò mal volentieri davvero tardi per colpa di un pedinamento notturno. Le ci sarebbe voluto molto alcol ed un sedativo da elefanti per tornare a dormire ad un orario decente. Ed una nuova sveglia.
Accese la macchinetta del caffé, aspettò cinque minuti, mandò giù qualche biscotto e finalmente il caffé. Caldo, dolce. Buono. Si leccò le labbra, gustandoselo fino in fondo.
Poco dopo la porta cominciò a sbattere. Per la precisione, qualcuno dietro alla porta cominciò a sbattere un pugno contro la porta. Per la sua testa, sembrava che le stessero martellando nel cranio. Guardò l'orologio, allungò la testa verso l'agenda e ne concluse di non aver nessun appuntamento. A piedi scalzi ancora con la tazza in mano raggiunse la porta, che continuava a sbattere, e l'aprì.
"Tu di nuovo!" disse sorpresa. Tutti si poteva aspettare, persino quello che stava inseguendo l'altra sera, ma non Killian Jones davanti alla porta. Dopo quello che le aveva fatto, dopo averla resa ridicola davanti a tutti. Che aveva intenzione di fare? Affondare di nuovo il coltello? Strinse la tazza che teneva in mano e si chiese se fosse il caso di rovesciargli anche quella addosso. L'espressione "ustioni di secondo grado" aveva un sapore dolce.
"Swan, devi aiutarmi."
Emma stava per aprire bocca, rispondere di no, mai e poi mai, non se ne parla proprio, ma poi decise solo di chiudere la porta e basta. Problema risolto. Tirò un sospiro di sollievo.
"Ti prego!" gridò lui da dietro la porta e ricominciò a sbattervi il pugno. Emma fissò l'intonaco attorno allo stipite sbriciolarsi e raccogliersi come polverina bianca sulle mattonelle. D'accordo, non era così ingenua da credere di averla davvero scampata.
Chiuse gli occhi, aprì la porta e si stava già pentendo. Killian Jones sorrise e dio, aveva quel sorriso, i denti troppo bianchi, quelle fossette ai lati delle guance, gli occhi così luminosi... Emma poteva scegliere di richiudere la porta, infilarsi le cuffiette nelle orecchie, aspettare finché non se ne andasse e non rivederlo mai più. Oppure poteva rimanere là a fissarlo e farsi coinvolgere, sperare che alla prima occasione avrebbe avuto la forza di abbandonarlo. In entrambi i casi doveva fare i conti col fatto che le piacesse quell'uomo. Maledizione! Un'altra opzione era diventare insopportabile ed insostenibile, godere della sua presenza fino a quando non si sarebbe scocciato e sarebbe andato via. Questa faceva più al caso suo. "Cinquecento dollari al giorno." disse allora.
"Come? Sono troppi." disse lui con disappunto. Fece gli occhi da cucciolo ferito, con l'espressione supplicante e cavolo, quella doveva essere una sua tecnica.
"E va bene. Che è successo?" Ma che cavolo?! Quando aveva deciso di accettare? Vide Killian Jones sorridere di già, soddisfatto, sapendo che la sua tecnica aveva funzionato. Ma che cavolo? E doveva darla vinta a questo qui? Ma non se ne parla proprio. Era così bello però quand'era felice.
"Milah sta continuando a posticipare le nozze."
E boom! Emma s'era quasi dimenticata dell'elefante nella stanza. Milah quasi-Jones. Che deficiente, perché se l'era scordata? Per due microscopici secondi poi. Evidentemente troppi. Si arrabbiò prima con sé stessa e poi con lui. "Perché nessuno dei due parla con l'altro e venite entrambi da me? Per chi mi avete presa? Ti sembro un consulente matrimoniale?" blaterò e si allontanò dalla porta per non stargli di fronte, perché non sia mai che lui avesse notato che le tremeva un labbro quando era nervosa.
"Certo che no, guarda come sei ridotta." disse lui indicando lei prima e poi tutto il suo appartamento, il disordine e tutto il resto. Emma chiuse la porta della camera da letto che stava là vicino e s'appoggiò al muro.
"Seicento dollari al giorno." rettificò. Procedura ordinaria se insulti chi ti fa la bolletta.
Killian Jones la guardò stranito e sconcertato. "E' almeno legale?" chiese ironico.
E' legale prendermi in giro? Aumentarsi il compenso le pareva solo il minimo che potesse fare, si era limitata, avrebbe dovuto dire addirittura grazie!"Lo vuoi il mio aiuto sì o no?"
"Sii seria però." fece Jones e fu lui a diventare serio.
Emma sospirò. Perché si lasciava sempre coinvolgere? Poteva farlo per quegli occhi solo per una volta. L'ultima. E basta. "D'accordo. Spara."
"Dopo..." fece un gesto con le mani "quella sera, il suo capo le ha offerto una promozione a patto che lei partecipasse al suo stupido viaggio di lavoro in Egitto. E siamo al primo posticipo. Poi là s'è ammalata, sai la..."
"...maledizione."E ben le sta! Pensò Emma. Cavolo perché ce l'aveva con Milah? Lei non era altro che una vittima di quello spietato stronzo, come lei. No, anzi, stava per sposare lo stronzo. Era forse gelosa? Se la immaginò in un bagno in Egitto a piangere per posticipare le nozze. Che bel quadretto!
"Esatto. E' tornata dopo un mese. E siamo a quota due. Non abbiamo ancora deciso la data e lei continua a tornare tardi la sera. Mi dice che è lavoro ogni volta, ma non lo so, non le credo. E poi assumere te, sembra che cercasse soltanto una scusa per lasciarmi."
Killian Jones le si avvicinò. Stava fin troppo vicino, tanto che sentiva l'odore del suo dopobarba di nuovo. Emma sollevò una gamba poggiando il piede al muro, costringendolo ad allontanarsi e fare un po' di spazio. L'odore scomparve per un attimo. Jones fece un passo indietro, si spostò di lato e le si mise accanto. Ecco di nuovo l'odore.
Emma prese un respiro profondo. "E non ne ha trovate?" Commentò sarcastica. Poteva farle una lista lunga quanto una casa. Avrebbe potuto scriverle su una pergamena lunga due metri e poi crearci un cappio per strozzarcelo.
"Che posso dirti, sono perfetto."

E così alla fine Emma s'era messa a spiare la stessa persona che appena due settimane prima l'aveva ingaggiata per spiare il fidanzato, nonché il suo attuale mandante. Da rompersi il capo. Stava aspettando sotto l'ufficio di Milah quasi-Jones.
Stava là ormai da due ore, non sapendo di preciso a che ora sarebbe uscita. Persino il fidanzatino non lo sapeva. E parlando del diavolo. Killian Jones entrò nella sua auto di punto in bianco, abbaiandola con la luce gialla di cortesia.
"Che diavolo ci fai qui?" chiese Emma strofinandosi gli occhi.
Quello si contorse per riuscire ad entrare nel piccolo abitacolo. Era stretto, doveva ammetterlo. Forse era fatto apposta. La prossima volta si sarebbe chiusa a chiave e coi finestrini abbassati soprattutto.
"Posso dirti che hai un'auto ridicola?" disse lui. Neanche un buon giorno o buona sera o ciao posso entrare. Niente.
"Settecento." Emma rettificò.
"Che cosa? Continuerai ad aumentare la parcella ad ogni parola che dico?" si lamentò quello. E sì, perché aveva deciso che da quel momento in poi Killian Jones sarebbe stato solo "quello" per lei. 
E poi più o meno sì, l'idea era quella.
"Puoi chiudere bene la portiera o sei qui per farmi sgamare?"
Quello riaprì e chiuse meglio. La luce si spense. Perfetto, almeno. Emma fece finta di niente, pretese d'esser sola e continuò a guardare.
Quello cominciò a battere prima il piede sul tappetino, poi a tamburellarsi le ginocchia con le dita, poi a muoversi irrequieto. Sbuffava in più. Era impossibile lavorare così. Lo faceva apposta? Emma guardò verso di lui, che strinse le labbra e scrollò le spalle, come fosse tutto normale. Un bambino irrequieto, ecco cos'era!
Tornò a guardare verso il portone dell'ufficio di Milah quasi-Jones. Qualcuno aprì le porte a vetri. Emma recuperò la macchina fotografica dal sedile posteriore, cercando di evitare quanto più possibile quello, che occupava fin troppo spazio. Profumava di nuovo di dopo barba. Ma come faceva?
Puntò l'obiettivo, mise a fuoco, scattò qualche foto e continuò a guardare concentrata. C'era lei, la sua vittima, con un uomo anziano, forse lo stesso che aveva visto la sfortunata sera dell'appuntamento. Non ci aveva fatto troppo caso quella volta.
Quello stava diventando di nuovo irrequieto, se possibile ancora più di prima. Cercò di aguzzare la vista e muovere la testa, strizzare gli occhi, ma da quella posizione era quasi impossibile vedere bene a occhio nudo. Si addosso allora ad Emma, quell'odore di nuovo, le sfiorò la guancia con la barba e cercò di vedere anche lui attraverso la macchinetta. "Posso vedere?" chiese cercando di toglierle di mano l'obiettivo.
"No!" fece lei, strattonandolo. E cavolo, quell'attrezzatura costava soldi, e tanti!
Killian Jones si ritrasse, capendo che in questo modo non avrebbe cavato un ragno dal buco. "Per favore?" chiese allora, provando con un altro approccio. Come se fare gli occhioni da cucciolo l'avrebbe aiutato! Ma cosa credeva, che tutto il mondo gli girasse attorno?
Il breve, si fa per dire, battibecco le fece perdere di vista Milah quasi-Jones ed il suo accompagnatore, che si stavano pericolosamente avvicinando all'automobile. "Cazzo!" fece lei "Sta giù." Si sistemò il cappuccio dell'impermeabile nero in testa e scivolò sul sedile, dritta dritta con il sedere sul tappetino bagnato. All'improvviso sentì due labbra prenderle le sue. Spalancò gli occhi sorpresa e quello che vide fu un orecchio, il collo, i capelli di Jones e il maglione blu che teneva addosso. Evitò di ribellarsi per non fare casino, ma tutto quello che avrebbe voluto era prenderlo a sberle, un calcio nelle palle qualcosa. Intanto però non si poteva muovere. Allora per un secondo, un breve, brevissimo ma sufficiente per farla impazzire, secondo, chiuse gli occhi e schiuse le labbra. Sentì la punta della lingua di Killian Jones al centro del suo labbro superiore ed il sapore della sua saliva in bocca. Sapeva di fresco, di gomma da masticare e di acqua. Ed il suo sapore si mischiava a quell'odore muschiato di dopobarba che s'emava dritto dritto dalla carotide, dove la sua pelle era più calda, e creava una fragranza ed un'esperienza unica.
Emma, riprenditi. Hai baciato tanti altri, hai sentito l'odore del collo di tanti altri. E se invece baciassi quel punto preciso, dove sotto la pelle sentiva il pulsare del suo cuore, tra la trachea ed il muscolo, sotto la mascella, dietro l'orecchio?
Invece lui si stacccò e lo sentì, per fortuna, imprecare "Gold, brutto figlio di..." uscire dall'auto, non chiudere neanche la portiera e farsela di corsa per raggiungere la sua fidanzata. "Dove la sta portando?"
Oh dio, pensò Emma. Uscì, girò attorno al maggiolino giallo e raggiunse Jones, prendendolo per un braccio e bloccandolo. Lo strattonò indietro, ma lui non ne voleva sapere, così gli si parò davanti. "Killian," lo chiamò. Si rese conto di aver usato il suo nome per la prima volta. "va' a casa. Ci penso io."
Killian la guardò dall'alto. Sembrò pensarci un attimo mentre sbolliva, respirando faticosamente dal naso. "Grazie." le disse facendo cenno di sì con la testa.
Lo vide andar via, di nuovo senza salutare, a grandi passi guardando a terra, con una mano in faccia e l'altra a penzoloni affianco ai fianchi.
Era tenero. Ad Emma fece uno strano effetto al cuore. Si toccò poi le labbra senza neanche rendersene conto.

La sera successiva era di nuovo lì: stesso posto, stessa ora, stesso impermeabile nero. Un giorno avrebbe comprato un'altra auto meno vistosa. Per ora si accontentava di mettersi nascosta tra le piante che superavano le ringhiere dei giardini. Ovviamente era parcheggiata in una posizione diversa.
Guardò l'orologio. Erano le otto passate. Il giorno prima Killian Jones era arrivato almeno mezz'ora prima. Non si sarebbe presentato. La sorprendeva? Non era forse quello che s'aspettava? Non era quello che gli aveva detto? Non era quello che voleva? Guardò l'angolo della strada da cui se ne era andato il giorno prima. Niente.
Tanto male!
Aprì il portadocumenti nel cruscotto e recuperò un giornale. Lo girò sul retro, cercò una penna e cominciò a completare le parole crociate.
Si schiarì la voce. Dovevano essere ore che non parlava. "Dieci orizzontale..." fece scattare freneticamente un paio di volte la penna. Niente. Alzò gli occhi, nessun segno. Ok. "Undici...". Quella la sapeva. Cominciò a scrivere quando la portiera s'aprì e di nuovo saltò sul sedile, sorpresa dal rumore e dalla luce, pronta a lanciarsi al collo del suo ospite.
"Latte e panna, giusto?" chiese Killian Jones con due caffé in mano, con la testa e le braccia nell'abitacolo, piegato in avanti.
"Che cavolo!" gli diede un pugno.
"Ehi! Mi stavi facendo versare tutto."
"Dentro o fuori."
Lui non rispose e non si muoveva nemmeno. Emma si girò e lo vide che sorrideva con un'espressione da ebete malizioso sul viso. "Dall'auto!" precisò lei. Si fingeva esasperata, ma in realtà le piacevano le allusioni, le sue soprattutto, le piaceva che lui pretendesse di fraintenderla, che ci fosse quel gioco. Ecco cos'era! Un gioco, nient'altro che un gioco! Ovviamente dovette ripeterselo più volte prima di convincersi a mala pena.
Alla fine Killian Jones salì in auto, chiuse la portiera, le luci si spensero di nuovo. Passò ad Emma il caffé che le aveva portato e poi si mise a bere il suo. Emma pensò che Jones non avrebbe mai smesso di essere l'uomo dei caffé. Sorrise pensando al loro incontro. Chissà se già da lì aveva programmato tutto, si era accorto di essere seguito ed aveva deciso di versarle il caffé addosso. Le piaceva che fosse così furbo ed intelligente, non le era mai successo durante il lavoro: la maggior parte dei clienti erano semplicemente stupidi. Era impossibile non rendersi conto di una macchina fotografica gigante, che fa un casino del diavolo, che ti sta facendo foto a dieci metri di distanza.
"Da quanto sei qui?" chiese lui.
Emma si domandò invece se la sua domanda non fosse mirata a capire: 1) a che ora cominciasse a lavorare per raggiungerla prima, o 2) da quanto tempo la sua fidanzata stava facendo gli straordinari.
"Un'oretta." rispose lei sul vago.
Killian Jones fece cenno di aver capito. Si guardò attorno, giocherellò col bicchiere del caffé. Doveva pensare che era un mestiere noioso il suo. Trovò le pagine del cruciverba e la penna e cominciò a leggere. "Ah questa è semplice." fece lui e scrisse qualcosa a penna. Emma spiò: gli aveva completato la dannatissima dieci orizzontale.
Gli strappò il giornale di mano. Doveva finirlo lei. E poi una volta concluso quel lavoro non avrebbe voluto trovare delle tracce della sua presenza nella sua auto. Una strisciata di penna blu rigò a metà il cruciverba. "Ehi!" si lamentò lui. La penna gli finì sui jeans scuri. Richiuse il cappuccio e poi sfregò quel punto, osservando che non si fosse macchiato il tessuto. Ricominciò a guardarsi allora attorno irrequieto.
"Eri molto carina quella sera." disse poi lui, di punto in bianco.
Emma sapeva benissimo a quale sera si stava riferendo. Quella in cui credeva che non ci fosse davvero Milah quasi-Jones e che aveva deciso che una cenetta fuori non le avrebbe di certo fatto male, anzi tutt'altro. Due settimane prima. "Ah! Seicento." rispose lei. In realtà stava arrossendo, ma porca miseria non avrebbe mai lasciato che lo vedesse. Continuò allora a far finta di lavorare. In realtà sperava che Milah si facesse viva accompagnata a quell'uomo in atteggiamenti ben più che equivoci, che i due si fossero mollati, che Killian Jones avesse deciso di andare avanti e... E cosa? Ma andiamo. Quella cosa, quel gioco, le stava sfuggendo di mano.
"Oh, lascia stare la parcella." fece lui agitando la mano "Davvero." puntualizzò "Pensa, avevo quasi deciso di non dire niente a Milah."
Emma prese un respiro profondo, ma non ribatté. Non le piaceva essere paragonata a... quella. "Grazie." disse solo. "Stavi bene anche tu." ma non volle girarsi, non volle vedere che faccia stava facendo o quanto si sentiva soddisfatto del complimento.
"Come credi che sarebbe andata a finire?" chiese poi lui sorseggiando il suo caffè.
"Che cosa?" chiese lei. Ovviamente aveva capito, ma sperava che lui ci ripensasse e cambiasse il senso della sua domanda salvandola in calcio d'angolo.
"Immaginaci in un sistema parallelo," cominciò Jones, disegnando il suo mondo fantastico con le dita per aria "senza Milah, senza lavoro. Io e te a cena. Mi avresti invitato a salire a casa tua?"
"Neanche per idea." rispose allora secca Emma. Ovviamente ci aveva pensato, non a farlo salire a casa sua, al sesso. Ma non gliel'avrebbe detto. Mai, mai, mai. Neanche sotto giuramento, neanche davanti a testimoni o sotto tortura. A parte che non si sarebbe mai fatta torturare per una cazzata simile.
"Ma andiamo, ci saresti stata! Ti piacevo," disse. Emma si voltò allarmata, come diavolo l'aveva capito? E lei che cosa diavolo stava ammettendo a sé stessa? "e ti piaccio ancora, lo sentivo, sai."
E per lui era una cosa normale? Era normale starle così vicino ogni sera, invitarla a cena, baciarla, sapendo di piacerle e di essere fidanzato allo stesso tempo? Cos'era un pallone gonfiato che viveva dell'approvazione e dell'amore degli altri? "Te lo sei sognato." rispose dura. Si rese conto che oltre al bell'aspetto, quell'uomo aveva una lista di difetti lunga quanto una casa per davvero: partiva da questa insicurezza mascherata da auto ammirazione, la classica sindrome del fratello minore; il bisogno di certezze patologico, probabilmente legato ad un'insoddisfazione affettiva che la portava dritta dritta al prossimo difetto, che era l'incapacità di troncare un rapporto che non lo soddisfava. Quante cose si possono sapere da quattro battute ironiche messe in croce!
"L'avresti fatto!" confermò lui, che intanto aveva intuito un certo imbarazzo che, d'accordo, c'era, ma al quale Emma aveva smesso di pensare e porca miseria, ci stava ritornando a pensare.
"Non faccio salire nessuno da me." rispose secca di nuovo ed era una cosa che diceva sempre a tutti per fortuna: nessuno sale a casa mia, nessuno sa com'è casa mia. Eccetto i clienti è chiaro, ma quelli vedono solo una parte della casa. Per fortuna s'era allenata a lungo negli anni a ripetere quella tiritela.
"Ancora meglio!" incalzò lui. Che cosa, voleva chiedere Emma, ma la risposta le arrivò prima che potesse aprir bocca "L'avremmo fatto in auto! Dio, Swan, quanto mi saresti piaciuta!" fece quello eccitato.
Ad Emma corse un brivido dietro la schiena. Gli piaceva? Cacchio, ma che importava? Pensò di saltargli addosso, abbassargli i pantaloni e fare sesso lì, sul sedile del passeggero, vedere appannarsi i vetri e poi abbassare i finestrini, far entrare aria dopo. Però sì, doveva piacergli e quella Milah doveva essere la classica donna da due volte al mese, che stava sotto e sempre sul letto, che non sapeva di preciso bene che le succedeva, che voleva e che le piaceva. E questo doveva annoiarlo. Eppure stava ancora con lei. Beh forse l'amava davvero in fin dei conti. All'amore Emma non ci aveva pensato. Emma pensò a quanto potesse essere diversa lei da Milah, a cosa poteva esserci. La risposta fu sesso intenso senza amore, qualcosa alla nove settimane e mezzo e poi niente e poi se ne sarebbe sbarazzata, perché lei non era fatta per l'amore e forse Killian Jones, in fondo in fondo, tutte quelle battute, tutta quella malizia la usava anche per nascondere un bisogno patologico di amore. Ed ecco un altro difetto. Alla fine comunque Emma si riprese e schiarì la voce. "Stiamo spiando la tua ragazza!" disse.
"Fidanzata." corresse lui.
"Appunto!"
"Era tutto ipotetico."
Emma sorrise. Beh, chissà. "Sì, certo." Le sfiorò il pensiero di provarci con lui solo per dimostrare il suo punto.
"Ehi, sono fidanzato, ho anche dei piatti a casa." Killian Jones prese un altro sorso di caffé e poi si pulì le labbra con la lingua.
"Piatti?"
"E che ne so," scrollò le spalle "è la prima cosa che ti regalano quando ti fidanzi." Dal tono pareva un po' arrabbiato, la voce era diventata un crescendo di irritabilità. Si girò dall'altro lato e guardò fuori dal finestrino. Afferrò la maniglia per abbassare il vetro ma non lo girò. Strinse e basta. "Lo sapresti se non fossi così insopportabile." disse poi alla fine.
Emma lo fissò. Sapeva che c'era qualcosa che non andava. Avrebbe dovuto chiedergli che gli stava succedendo? Se per caso quelle visite inaspettate non nascondessero altro? Era questo quello che faceva la gente normale? Si stava facendo coinvolgere troppo. Sperò intensamente di risolvere al più presto quel caso e tornare poi alla vita normale. Lontano da Killian Jones, lontano da Milah quasi-Jones. Alla normalità. E come se qualcuno avesse ascoltato le sue preghiere, comparve la famosa fidanzata da sola, che s'avviava verso la sua auto.
"Sta' zitto." fece Emma, rompendo il silenzio.
"Lo vedi?" disse Jones girandosi verso di lei, ovviamente non avendo notato la donna che camminava per strada. Era distratto. Che non gli importasse? Però intanto Emma ci teneva anche che quella non sentisse la voce del suo fidanzato (che, per inciso, era strano come epiteto da associare a Killian Jones). Gli mise una mano sulla bocca e con l'altra gli indicò Milah che camminava furtivamente. I peli della barba di lui le tintillarono e punsero i polpastrelli ed il palmo della mano. Era stata con uno, una volta, tempo fa, che portava la barba allo stesso modo, un certo August. Si ricordò che le sarebbe piaciuto accarezzarla o spettinarla contro pelo, ma sarebbe stato un gesto troppo intimo e carino per poterlo fare. Emma abbassò la mano e se la lisciò sui pantaloni per cancellare quella sensazione, mentre Milah continuava a camminare. Si preparò a mettere in moto per inseguirla.
"Ora basta." disse Killian e prima che Emma potesse fermarlo, uscì dall'auto, la raggiunse chiamandola a gran voce per nome. Emma scese anche lei ma non lo seguì, guardò solo la scena. Le spalle di Milah si irrigidirono e ci mise una vita per rigirarsi. Aveva un'espressione mortificata sul viso e neanche tanto sorpresa. Jones la raggiunse, parlarono sotto voce per un po'. Vide lui alzare le braccia, lei avvicinarsi e toccargli le spalle e lui allontanarsi. Poi Jones urlò "Il signor Gold?"
Emma pensò che forse avrebbe dovuto avvicinarsi, quanto meno per assicurarsi che nessuno facesse del male all'altro. Li raggiunse rimanendo ad appena tre metri lontano da loro. Forse troppo vicino.
"Il signor Gold mi stava aiutando," replicò Milah disperata e dalla sua voce Emma capì che era innocente, che non aveva fatto niente, che lui l'avrebbe perdonata e che si sarebbero sposati. Beh che si aspettava? "voleva presentarmi ad un medico che... Un ginecologo perché, sai..."
"Che cosa?" urlò Jones, esasperato che una volta e per tutte voleva vederci chiaro.
"Ti ricordi quando un anno fa credevo di essere incinta? E che poi l'ho perso?"
Lui fece sì con la testa, già più calmo.
"E se magari non potessi avere figli? E se per qualche strana ragione noi non... Volevo essere sicura che tu sposassi una donna che potesse darti un figlio. Ecco tutto." e Milah cominciò a piangere. Jones la raggiunse in meno di un secondo, esclamando solo un "Oh dio." ed abbracciandola.
"Milah," fece lui, che ancora la stringeva e se la accarezzava "l'hai sentito il dottore, capita al 90% delle donne la prima volta."
"Sì, lo so, lo so." fece lei come se stesse ascoltando una vecchia nenia, che lui comunque pazientemente le ripeteva. "Ma non può certo guastare, ti pare?"
"Tu sei pazza!"
Un velo di tristezza coprì gli occhi di Emma. Si sentì improvvisamente imbarazzata davanti a quello scambio di effusioni dolci e tenere. Guardò a terra e calciò una ghianda sull'asfalto. S'immaginò di essere al posto di lei, di doversi sposare presto, di farsi prendere dal panico e farsi abbracciare e consolare. S'immaginò di piangere ed essere stretta tra un paio di braccia che la cullavano. Mise le mani in tasca e diede un altro calcio alla stessa ghianda.
Milah stava ancora singhiozzando, ma intanto rideva e sorrideva, mentre lui non emetteva un suono. Quando si staccarono la donna la chiamò. "Signorina Swan!" Emma alzò la testa e la guardò e stava ancora abbracciando Killian Jones, che aveva gli occhi azzurri e le pupille gonfie, gli angoli della bocca inclinati in basso e le sopracciglia strette al centro sopra al naso. "Sembra che ci stia aiutando a salvare il nostro matrimonio ogni volta!"
Salvare.
Il bacio di lui della sera prima le colpì la memoria come una lama. Voleva sentirselo dire da lui. Dimmi che sei felice che ho salvato il tuo matrimonio. Killian continuava a guardarla con la stessa espressione, come una preda o come un nemico. Emma aggrottò le sopracciglia anche lei e lo guardò in sfida. "Già!" rispose.
Poi Milah prese di nuovo Jones per mano, lo tirò giù per il collo e sorridendo gli diede un bacio. Ora lui era girato di spalle.

Emma rimase a guardare senza riuscire ad ammettere che avrebbe tanto voluto essere al posto di quella. 


 




Angolo dell'autrice
Buon giorno! 
Io mi sono da poco ripresa dalla fine de "il mio posto", e voi? Tuttavia, voglio anche mettere in pratica tutto quello che ho imparato con quella storia e scriverne un'altra con più attenzione. E così continuiamo! *canticchia la siglia di how I met your mother*
Che ve ne pare? Ho notato di aver suscitato meno interesse di quanto l'altra ff ne avesse fatto all'inizio, quindi vi rimando la palla e vi chiedo se c'è qualcosa che non vi piace (trama a parte ovviamente!) e che posso migliorare, quindi recensioni? :-) 
I migliori saluti a voi, buone vacanze e VVB! :*

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - meno 10 ***


3.



18 aprile 2016, due di notte
"Che cavolo stai dicendo? Certo che è lei che dovevi sposare." Ruby si alzò "Guarda non mi far arrabbiare che.." e poi si accasciò. Ce la fece appena in tempo ad aggrapparsi al lavandino. Killian incrociò le dita perché lo scarico non si otturasse.
"Andiamo a dormire."
"No, lasciami finire questo discorso." si divincolò e continuò a parlare tutto d'un fiato. "Ti sta solo prendendo il panico, di solito succede alla sposa, ma chi sono io per giudicare? E a te succede sempre, lo sai che ti succede sempre! Io so che da quando stai con lei sei diverso, sei meglio, sei più Killian, sei più tu, quindi lasciamelo dire, lei, ..." Un lapsus e non si ricordò il nome della donna. Oh dio, pensò lei. Poi le venne un conato, si girò di scattò, non ebbe il tempo di alzarsi di nuovo i capelli "... è la donna giusta per te."
"Ho capito il concetto, avanti, ho bisogno di dormire." le mise fretta Killian che aveva bisogno assoluto di dormire e di pensare da solo. O forse era meglio lasciar perdere i pensieri e dormire e basta.
"Sì, sì, anch'io." Ruby allungò una mano verso l'amico in alto, lui le allungò la sua e la tirò su. Si appoggiò allora a lui, con le mani su una spalla e la testa appisolata sulle sue stesse dita. Killian la prese per i fianchi e la tenne stretta, accompagnandola un passetto alla volta verso la camera da letto. Ad un tratto, passo passo, Ruby scoppiò a ridere. Non aveva ancora metabolizzato tutto l'alcol che aveva buttato giù. Se il tempo non lo ingannava, ora doveva essere ai fumi dell'ultimo giro di shottini, tra un paio d'ore avrebbe vomitato anche quelli e poi sarebbe tutto finito. A meno che non riuscisse a farla bere in abbondanza prima. Intanto lei continuava a ridere e incespicava nei passi. "Sei il mio bastone da sbronza!" borbottò lei. 
Killian si girò, alzò un sopracciglio e la guardò storto. "Certo, certo." disse poi. Sempre assecondare gli ubriachi. E i pazzi. Quale delle due fosse lei era un dannato mistero!
Raggiunsero finalmente la camera da letto. Ruby crollò col sedere sul materasso, alzò i piedi per aria e si indicò gli stivali.
"Pure?" chiese Killian.
Ruby incrociò le dita sul petto e fece un'espressione supplicante. La sentiva nella sua testa ripetere "ti prego, ti prego, ti prego" come una ragazzina. Sospirò allora e si sedette accanto a lei. Le abbassò la cerniera prima dell'uno poi dell'altro stivale e glieli sfilò. Li raccolse anche da terra, perché gli dava fastidio vedere cose in disordine, figuriamocene mettercele. Quando si girò lei si stava sfilando via le calze nere e la maglietta nera e argento, rivelando un reggiseno a coppe, anche quello nero e ricamato. Fortuna che non era trasparente. "Ehi!" si lamentò Killian, che avrebbe preferito non vedere, non perché lei non gli piacesse, anzi, però avrebbe dovuto fare i conti con un'erezione più tardi e stava cercando di evitare. Già dopo quella ballerina gli ci era voluto molto autocontrollo per tornare in sé, anche se magari non lo dava a vedere. Si girò verso il muro bianco, su cui era appeso un poster delle Spice Girls, sotto vetro, come fosse un quadro. Fissò negli occhi Mel C, aspettano di sentire il fruscio di un lenzuolo.
"Tanto non mi potrai mai piacere!" farfugliò Ruby, pensando se avesse usato o no i tempi giusti nella frase. Puoi... Potrai... Potresti... Insomma!
"La cosa non è reciproca." rispose lui.
"Ti puoi girare, sir." fece lei prendendolo in giro e sbuffando. Si mise giù con la testa sul cuscino poi e blaterò qualche bestemmia per averlo fatto troppo velocemente. La testa cominciava a girare sempre più forte. Piegò la testa da un lato, perché stranamente sembrava la cosa da fare per farselo passare. Ovviamente non passò.
"Si può girare." la corresse lui, voltandosi verso di lei e sedendosi sul letto nello spazio che lei gli aveva lasciato tra le braccia e le gambe, rannicchiata in posizione fetale.
"Che?" fece lei.
"Si può girare. Mi hai detto sir..." cominciò. Si rese conto di essere irritabile, sovrappensiero e sgorbutico. Si mise una mano sopra agli occhi e si massaggiò le tempie. "Lascia perdere."
"No, ti ho detto che sei palloso e che devi calmarti." la voce di Ruby si fece più dolce. Allungò una mano verso di lui e con il dorso delle dita gli accarezzò una guancia. Killian le prese le mano e se la strinse vicino all'orecchio. Entrambi sorrisero. L'amicizia con Ruby era così: scambi di dolci tenerezze ed insulti insieme, prendersi cura l'uno dell'altra, dare l'approvazione sulle ragazze, scambiarsi numeri di telefono, gare di bevute e di recente anche strip tease. Era una delle cose più preziose che aveva e lei lo sapeva.
"Killian?" chiamò lei a bassavoce.
"Hm?"
"Ti ricordi quando eravamo piccoli e facevamo a gara per conquistare la rossa della quinta C?" raccontò Ruby.
Killian sorrise subito al ricordo. Certo che se lo ricordava. E quella della quarta B e più tardi al college la bruna del corso di storia moderna. Poi più tardi aveva mollato il collage e la bruna del corso di storia moderna, però certo che se lo ricordava, anche bene. Si ricordava anche le assurde tecniche di conquista di Ruby: quegli assurdi "devi baciarmi se vuoi salvare il mondo" e l'assurdo modo in cui funzionavano.
"Hai vinto tu." concluse lei e sorrise.
"Anche tu." rispose lui, pensando a Dorothy, la preziosa ultima e stranamente duratura ragazza di Ruby. Si rese conto di starle stringendo ancora la mano. Quindi gliela riposò in grembo e si alzò in piedi. Si stiracchiò e guardò l'orologio: due e quaranta. "Credo ti sia meritata la tua aspirina."
"Oh grazie." disse felice Ruby, cominciando intanto anche a sbadigliare.
Killian si avviò verso la cucina. Preparò una bottiglia d'acqua fresca, un bicchiere pulito e due aspirine. Tornò nella camera da letto e trovò l'amica già addormentata. Le posò tutto sul comodino affianco alla testa, recuperò un pezzo di carta da dentro ai cassetti ed una penna. Scrisse solo "bevi" e poi lasciò il bigliettino dentro al bicchiere. Uscì dalla stanza e chiuse la porta.
Ed ora? Considerò l'idea di tornarsene a casa sua o poteva più semplicemente dormire lì ed andare a recuperare il vestito del matrimonio l'indomani mattina. Sbuffò e decise di rimanere là. Raggiunse il salotto, si stese su un fianco sul divano e fissò la televisione spenta. Cominciò a pensare che i tv al plasma avevano lo schermo più nero di quelle col tubo catodico. Era in HD? Cercò con gli occhi il telecomando, lo vide sul tavolino e allungò una mano a prenderlo.
Se lo rigirò più volte in mano, facendolo roteare come una ruota tenendolo a perno tra il pollice e il medio. Che c'era in tv alle tre di notte? Porno. Porno di sicuro. No, non voleva fare la parte del ragazzino eccitato davanti ad un porno. Anche se... No, no. Si rigirò sull'altro lato guardando i cuscini del divano. Provò a chiudere gli occhi.
Tutto era così silenzioso. Si perse ascoltando il rumore di una goccia che cadeva dal rubinetto della cucina da cui aveva preso l'acqua poco prima. Lo scarico si stava ancora riempiendo in bagno, un fruscio di vento ogni tanto agitava i vetri delle finestre.
Aveva ragione Ruby? Aveva vinto? Era diverso con lei? Era la donna giusta? Che stupido anche solo a pensarlo. Si era battuto così tanto per lei, certo che era quella giusta.
Cercò di ricordare il momento più bello che aveva passato con la sua lei, la sua principessa. Quella volta sulla spiaggia, sicuramente. A Miami. Lei lo aveva portato a passeggiare sul bagno asciuga, aveva un vestito bianco con una gonna lunga ed i capelli mossi dal vento. Si era messa un fiore rosa dietro all'orecchio per ridere e quello le esaltava il rosa delle guance. Sorrideva sotto il sole mentre un raggio arancione del tramonto le sfiorava la pelle.
Non ce la faceva a rimanere su quel divano un secondo di più. Aveva bisogno di aria.
Cercò il giubotto, si rese conto di non esserselo mai tolto da dosso. Prese le chiavi di Ruby che le aveva appeso al gancio affianco alla porta un'ora prima e s'avviò.
L'aria fresca era come una manna dal cielo. L'ossigeno gli arrivava finalmente al cervello e gli faceva usare anche quella parte che l'ansia gli aveva offuscato. Cominciò a camminare in una direzione, non sapendo esattamente dove stava andando. Le strade erano vuote. Era venerdì sera e le uniche anime vive erano quelle dei bar. Decise che avrebbe raggiunto un bar, si sarebbe fatto una birra e poi sarebbe tornato a dormire. Probabilmente sarebbe riuscito a collezionare la bellezza di due ore di sonno nel giorno prima del suo matrimonio, fantastico.
Ripensò di nuovo a quella volta sulla spiaggia, a Miami. Si ricordò di avere una foto. Prese il cellulare e raggiunse la galleria. Scrollò fino alle foto del 2014 e ne aprì una a caso.
La prima era lei davanti all'albergo che avevano prenotato. Si teneva un cappello di paglia in testa con una mano e sul suo viso c'erano disegnate, tra raggi di sole ed ombre, gli intrecci del cappello stesso. Strizzava gli occhi poi per la troppa luce. Erano appena usciti dal taxi che li aveva portati fin lì, erano rimasti al buio di quell'auto per quasi quarantacinque minuti e ce ne erano voluti più di dieci per abituarsi alla luce una volta fuori. L'albergo dietro di lei era bianco, una palazzina bassa che nascondeva dietro una serie di bangalow sulla spiaggia, che sarebbero stati poi i loro alloggi. Killian sorrise.
Nella foto successiva lei sorrideva. Era così contenta. Avevano cominciato a sognare quel viaggio insieme sin dalla prima notte, ma non avevano mai deciso veramente di andarci, fino a quando a lui venne l'idea di farle una sorpresa per il suo compleanno. Si presentò nel suo ufficio con una scatola di cioccolattini, di cui sapeva che ne era ingorda, e ficcò i biglietti dell'aereo sul fondo della scatola. Lei era stupita perché non si aspettava quella sorpresa: non il viaggio, di cui ancora non sapeva niente, ma il cioccolato. Neanche credeva che si fosse ricordato. La lasciò poi a lavorare e mangiare i suoi dolci in pace, fino a quando quella stessa sera lei lo chiamò chiedendo solo "Miami?" e riusciva a vedere la sua faccia eccitata persino nella sua voce.
Nella seconda foto lei sorrideva e gli teneva una mano fra i capelli, mentre lui le dava un bacio sulla guancia e scattava la foto con l'altra. Avevano entrambi la faccia stanca. Anche lì erano appena arrivati, erano in fila per il check in.
Era stata una bella avventura arrivare fin lì. A New York c'era stata una bella tempesta e tutti i voli erano stati posticipati. Non fecero a tempo ad arrivare a prendere una camera. A dire il vero neanche una sedia nella sala d'attesa. Erano rimasti accucciati contro un muro tutta la notte e lui l'aveva guardata dormire sulla sua spalla tutta la notte (in parte anche perché non riusciva a dormire con le vertebre schiacciate una ad una contro un muro). Era bella, bella da morire. Quando finalmente furono lì avevano giocato sulla sabbia, fatto immersioni, si erano persino persi su un'isoletta. Una sera lei l'aveva trascinato dalla stanza fino in spiaggia e avevano fatto l'amore lì. Era più scomodo di quel che si immaginava. Sorrise pensandoci.
Come poteva avere dei dubbi nonostante tutto quello?




27 aprile 2013
Un di nuovo incessante bussare alla porta di Emma fece cominciare di nuovo bene (si fa per dire) la sua giornata. Confessò tra sé e sé di aver alzato un po' il gomito negli ultimi giorni. E non con roba semplice. Stava (ri)cominciando a darsi ai super alcolici. A volte pensava che sarebbe morta giovane di cirrosi epatica se non ci avesse dato un taglio.
Ed ecco cosa era successo la sera prima di quel toc-toc contro la porta: l'alcol. Non che ci fosse qualche motivo particolare per bere, anzi sì, ma non quello che chiunque potrebbe immaginare. Ok, sì. Sì, d'accordo, era per Killian Jones. Erano questi più o meno i discorsi che si faceva tra sé e sé quando beveva. Si diceva anche che per fortuna l'indomani non li avrebbe ricordati, ma li ricordava sempre. Fortuna che sapeva regolarsi benissimo tra il troppo e il troppo poco: riusciva sempre a bere quella quantità d'alcol giusta per stordirsi, ma mai per non riuscire a camminare o peggio, vomitare! Forse un ansiolitico avrebbe funzionato meglio e sarebbe costato anche meno. Ma meno buono!
Aprì la porta ancora assonnata. Era certa di avere due cerchi neri in faccia, due per occhio si intende, e l'espressione da zombie. Se fosse stato qualche cliente l'avrebbe probabilmente mandato a quel paese. No, non l'avrebbe fatto.
Quando aprì la porta invece, si trovò davanti il peggiore dei suoi incubi: Killian Jones di nuovo! Associò immediatamente la sua faccia all'odore dell'alcol nello scotch.
"Ancora?" fece lei esasperata. Davvero non ne poteva più di vederlo. Era riuscita ad ammettere che lui le piaceva ed anche tanto, ma non poteva farci niente perché lui stava sempre per sposare un'altra. Meglio allontanarsi.
Neanche la faccia di lui pareva esattamente felice. "Milah ti vuole ringraziare." Se ne stava appoggiato con un braccio ed il gomito allo stipite della porta, aspettando probabilmente lei. Intanto ovviamente nessuno dei due aveva salutato l'altro. La mancanza di buon giorno e buona sera era ormai un marchio di fabbrica delle loro conversazioni. Killian si rialzò dal suo appoggio e si mise faccia a faccia davanti a lei. La guardava dritto negli occhi. Aveva uno sguardo che le ricordava quello dell'ultima sera in cui l'aveva visto.
"Prego. Ora smamma."
La debolezza che lui le cacciava, il modo in cui la faceva sentire debole, la irritava a morte. Scalfiva la sua superficie dura, mentre il suo cuore tenero filtrava tramite le fenditure. Era come se ci fosse un'altra Emma che graffiava per venire alla luce quando c'era lui, che voleva farsi conoscere, rompere il guscio e voleva così tanto uscire. Ma era anche la stessa Emma che si era creata quel guscio e ci si era chiusa dentro. Odiava sentirsi così. Sapeva di doversi chiudere stretta sempre di più, odiava non volerlo fare.
"No." fece lui, mettendo il piede davanti alla porta e bloccandola. "A cena. Vuole farti conoscere un suo amico e..." si fermò cercando delle parole che non arrivarono.
Emma riprese allora il controllo arrabbiata ed offesa. "Che ne sa Milah che non esco già con qualcuno?". E se anche lei l'avesse capito? E se lo facesse solo per allontanarla da Jones? Ma non era meglio non mandarla a chiamare e basta, non rivederla mai più? No, così sarebbe stata sempre un pericolo ed imprevedibile per di più. Doveva eliminarla. Dio, ma che stava dicendo? Ma che stava pensando? Che stupida. Come se Jones stesse per sposare un agente della CIA.
"Beh..." fece lui guardandosi attorno. Emma seguì il suo sguardo e considerò che casa sua doveva proprio essere come la grotta dei single, l'appartamento di uno scapolone incallito.
"Stronzo. Non ho ancora ricevuto il tuo assegno." si ricordò lei, che in effetti non ci aveva ancora pensato. Strano. A volte richiedeva anche il pagamento anticipato, un acconto ecco. Per lui non ci aveva ancora pensato. Da Milah l'aveva preso? No, perché era sicura che sarebbe tornata. Non gli aveva neanche fatto firmare nessun contratto.
Quanto gli aveva dato alla testa?
"Lo spedisco domani." si scusò lui.
"Giacché ci sei, correggi. Sono mille." disse lei, ma era sovrappensiero. Davvero davvero non gli aveva neanche fatto firmare un contratto? Cos'è, sperava pr caso sin dall'inizio che lei lo stesse tradendo? Che la storia sarebbe finita? Che lui sarebbe diventato magicamente il suo fidanzato e che di certo un fidanzato non paga? O che lui sarebbe stato troppo triste dopo per anche solo pensare ad un assegno? O magari immaginava di compilare il modello delle tasse con lui un giorno, seduti a tavolo bevendo caffé (sempre il caffé), scorgere il mancato pagamento, ricordare i bei tempi andati e ricevere un bacio? Ma che l'era preso?
"Ancora?"
Emma scrollò le spalle.
"Allora?" chiese Killian, mente lei ancora pensava, riportandola alla realtà.
"Cosa?" chiese lei rinvenendo.
"Ti ho convinta?" chiese lui e rifece quello sguardo, il suo famoso sguardo da cucciolo ferito e bastonato, quello con cui l'aveva convinta a prendere il suo caso e farlo entrare in casa la settimana prima. Emma fissò quelle iridi azzurre riflettere raggi di sole.
Roteò gli occhi, giò sapendo a cosa stava andando incontro.
Killian si morse il labbro e poi sorrise soddisfatto. Era il primo sorriso della giornata. Doveva esserlo. Come la prima sigaretta: le prime cose della giornata sono sempre le migliori.
Emma non voleva farlo. Per quale motivo al mondo avrebbe dovuto farlo?


Emma si guardava davanti allo specchio in quella fatidica sera.
La sua vita era volata come saltando da un momento all'altro, dall'incontro con Jones fino direttamente a quell'appuntamento. C'era stato un altro appuntamento poche settimane prima, con uno solo dei due Jones. Era stata molto più felice di andare a quello lì, quando ancora non sapeva niente, quando ancora non aveva le idee chiare sulla situazione.
Si era legata e sciolta i capelli cento volte. Si era coperte le occhiaie, aveva provato a disegnarsi linee dritte sugli occhi e poi aveva lavato tutto via. Aveva l'autostima sotto i tacchi, non le piaceva niente di quello che vedeva riflesso, ma andava bene così. Si sarebbe comportata sempre fieramente. Non sarebbe stata diversa. Sii normale, si ripeteva continuamente come un mantra da quella mattina.
Alla fine s'avviò alla sua auto, mise in moto e raggiunse il ristorante. E che ristorante! Già, proprio quello, proprio lo stesso della prima cena, quella a cui Emma aveva preso un bicchiere di vino bianco e l'aveva tirato addosso a Killian Jones. Era lo stesso locale di quel primo appuntamento. Milah voleva scusarsi anche per quel cafone del suo fidanzato. Ovviamente. Come se non bastasse. Era l'ultima coltellata che le mancava.
Parcheggiò ed entrò nel locale.
Ed eccoli là, i due fidanzatini alla sera della fatidica cena a parlottare tra di loro a bassa voce, davanti al ristorante. Dovette ripetersi di tenere lo sguardo alto e camminare.
"Wow, Swan!" disse Killian quando li raggiunse.
"Sì, stai benissimo Emma! Posso chiamarti per nome, vero?" la assalì Milah quasi-Jones, che le si avvicinò e le prese le mani, probabilmente credendo di parlare con la sua migliore amica.
"Certo." rispose alla fine "Stai bene anche tu. Tutti e due." si corresse guardando anche Jones. Sorrise lievemente ed anche lui ricambiò quel sorriso appena accennato. Neanche i suoi occhi però sorridevano.
"A Walsh piacerai moltissimo." disse Milah estasiata, contenta probabilmente di poter giocare al dottor Stranamore. "Oh eccolo lì!" disse indicando un uomo lontano. Piegò il gomito in alto ed alzò la mano per chiamarlo. Poi si avviò a raggiungere l'amico, lasciando Emma sola con Killian. Ok, no, Milah non era per niente preoccupata che le potesse piacere il suo fidanzato. Emma tirò un sospiro di sollievo prima di rendersi conto che era rimasta davvero sola con Killian.
"Li ho convinti a farti entrare di nuovo." disse Killian avvicinandosi ed indicando col pollice l'ingresso del ristorante dietro di sé. Indossava un cappotto nero, lungo a metà coscia, di lana probabilmente, ed una sciarpa grigia che pareva così calda. Si chiese che odore potesse avere.
"Hm?" chiese Emma con un mezzo suono.
"Ho dovuto promettere che non ci sarebbero stati altri omicidi." scherzò lui. Emma notò come il suo viso cambiò totalmente, come si ravvivò. Era come se Killian volesse godere di quei pochi secondi da soli, come se volesse fingere che erano soli davvero, che era davvero un appuntamento, che non c'era Milah, il suo amico Walsh. Come se volesse fingere per pochi secondi di essere felice.
"Prego?"
"Hai ucciso un ottimo Chardonnay bianco ed una camicia l'ultima volta." lui la guardava con le mani nelle tasche del cappotto. Si avvicinò di più a lei per sentire bene la sua risposta e forse per incuterle un po' di timore con quella mossa, che con lei comunque non avrebbe mai funzionato.
Emma sorrise. Avrebbe voluto ridere davvero, ma non voleva neanche dargli quella soddisfazione. "Oh, è stato per legittima difesa," scherzò lei " vostro onore." aggiunse con ironia portando avanti la sua sceneggiata.
A quello rise anche Killian. Si leccò le labbra e si preparò la risposta. "Assolta." disse solo.
Da quanto tempo non scherzava con qualcuno? Forse proprio dall'ultima sera con lui.
Si stava preparando per rispondere "Caso chiuso." ma Milah e il suo amico Walsh si avvicinarono, raggiungendoli finalmente. O avrebbe dovuto dire purtroppo?
Alzarono entrambi gli occhi. Killian salutò il nuovo arrivato con uno sguardo ed un cenno del capo. L'altro uomo rispose con una strizzata d'occhio. Emma si trovò di fronte a quello. Era alto, capelli castano chiaro, sguardo dolce, un sorriso solare nonostante fosse sera e buio. Era elegante, dal cappotto blu scuro si vedeva il colletto di una camicia bianca. Le scarpe nere erano lucide, forse in pelle. Portava i capelli spettinati, cosa che un po' stonava con tutto il resto, però gli dava un certo tono. Non si poteva dire che non fosse attraente di certo!
Walsh le allungò la mano, Emma la prese e si presentarono entrambi, senza l'aiuto di Milah che intanto sorrideva prima interdetta poi soddisfatta. Si girò verso Killian cercando complicità, che però non trovò.
"Andiamo?" chiese Killian.
Tutti si avviarono allora seguendolo. Milah allungò una mano e lui la prese a braccetto e gliela accarezzò dal polso verso il basso. Venne indicato loro un tavolo già apparecchiato e con l'aiuto di un cameriere lo raggiunsero.
Emma si sedette subito, seguita da Walsh. Forse avrebbe dovuto parlargli, dire qualcosa. Fu poi rapita da quello che fece Killian Jones: spostò la sedia, prese il foulard e il cappotto di Milah e la aiutò a sedersi. Le tornò in mente quella sera: stesso posto, stesso gesto, diversa ragazza. Già.
"L'avrei fatto anch'io se conoscessi meglio le buone maniere." disse Walsh. Non era offeso, no per niente, stava scherzando, forse prendendo un po' in giro l'amico a cui piaceva esagerare e mostrarsi galante, fin troppo. La fece sorridere. Ok, era simpatico.
"Vergogna!" rispose lei. Anche lui sorrise alla sua battuta. Forse stava riuscendo a trovare una certa intesa, che sebbene non le sarebbe servito il giorno dopo, poteva farle comodo per quella sera.
"Walsh?" lo chiamò Killian, che intanto s'era messo a sedere ed aveva in mano un menù, attirando la sua attenzione. "Vino?" chiese.
"Certo." rispose l'altro.
"Emma?" chiese sempre Killian.
"Vino." rispose lei.
Ordinarono da bere ed anche da mangiare. Piano piano arrivò prima un piatto e poi un altro. Ogni tanto Milah bisbigliava qualcosa all'orecchio di Killian, che intanto fissava Emma e Walsh fare conoscenza. In circa mezz'ora Emma aveva appreso che Walsh aveva una madre anziana che andava a trovare ogni martedì e giovedì pomeriggio, e che non aveva mai conosciuto suo padre che era morto in Vietnam, lo stesso anno della fine della guerra. Le aveva raccontato che sua madre conservava gelosamente l'ultima lettera che suo padre le aveva spedito e che era cresciuto col mito di un uomo dal cuore d'oro, che da sempre cercava di imitare. Emma, cresciuta invece senza alcun genitore, trovava tutto così dolce e decise che alla fine non avrebbe trattato né risposto male a quel Walsh, che un po' cominciava ad andarle a genio.
Ogni tanto Killian Jones si schiariva la voce, portando tutti a guardare verso di lui.
Emma lo guardò bene. Guardò bene entrambi. Le mani di Milah erano poggiate sul tavolo ai due lati delle posate. La destra accanto al coltello, la signistra vicino alla forchetta. Killian automaticamente coprì la mano più vicina a lui con la sua. Emma distolse lo sguardo quasi offesa o arrabbiata. Che diavolo stava facendo? Tossiva e la interrompeva ogni volta che cercava di conoscere lo stesso uomo che lui e la sua fidanzatina le avevano presentato? Attirava la sua attenzione per farle vedere come si scambiava tenerezze con Milah cara? Cos'è, era geloso e voleva far ingelosire anche lei? A che gioco stava giocando? Come si permetteva soprattutto?
"Quindi a quando sono rimandate le nozze?" chiese Walsh alla sua amica, per alleggerire l'atmosfera. Allungò una mano verso di lei, forse con l'intenzione di prendere anche lui la sua, di imitare Killian e lì allora Emma si lasciò distrarre e sospettò qualcosa. Milah allontanò quella mano, si sistemò con quella i capelli e con l'altra strinse quella di Killian.
Il cameriere arrivò poi con le loro ordinazioni. Poggiò un piatto di carne spessa davanti a Killian e Walsh, un piatto di pasta con la salvia davanti ad Emma ed un filetto di pesce per Milah. Emma recuperò la sua forchetta da destra a sinistra e cominciò a mangiare. Qualcuno disse "buon appetito" e lei ricambiò. Alzò gli occhi, era Killian. Gli altri seguirono a ruota.
"Non abbiamo ancora scelto una data precisa, ma sarà a luglio." rispose alla fine Milah, impegnata ma con una certa allegria ed eccitazione. Sorrideva masticando. Si coprì la bocca con una mano e guardò verso il suo fidanzato.
Emma notò come lui non parlasse. Si limitava a mangiare in silenzio e a guardare il resto dei commensali. Ogni tanto faceva un cenno di sì con la testa o accarezzava la mano della sua fidanzata.
"Quel posto che avete scelto per il viaggio di nozze è stupendo!" disse Walsh. Metteva giù la forchetta quando parlava, cercando di essere educato. Killian lo guardava senza che nessun emozione gli trasparisse sul volto. Emma era convinta che Walsh avesse un debole per Milah, ma a Killian non importava. Se lo aspettava geloso, si aspettava facesse qualcosa, una smorfia almeno, come aveva appena fatto con lei. Killian alzò gli occhi e notò come lei lo stesse guardando. Cominciò a fissarla. Emma abbassò allora lo sguardo e tornò sul suo piatto prima. Si girò poi verso Walsh che stava parlando, cercando di partecipare alla conversazione mentre sentiva gli occhi di Killian ancora addosso."Ci sono stato per quella trasferta a Miami, ti ricordi?"
"Andrete a Miami? Non ci sono mai stata." disse Emma. Cercò di pensare alle vacanze, ai posti che avrebbe voluto sempre vedere. Era pronta per quell'argomento perché aveva sempre una lista piena. Era indecisa tra quello, le Maldive o magari la Grecia. Al mare insomma.
"Dio del cielo, no!" rispose Milah quasi offesa "Quella era solo un'idea di Killian" e nel dirlo con una mano gli accarezzò una spalla. Emma dovette guardare di nuovo altrove. "Abbiamo deciso per la montagna assolutamente. Non sai che effetto terribile mi fa il mare alla pelle e ai capelli. Killian ne sa qualcosa, vero tesoro?" cercò lei di coinvolgerlo nel discorso.
Killian ne sapeva qualcosa? Emma s'immaginò pomeriggi in spiaggia in cui Killian tesoro spalmava crema solare sulla schiena, sulla pancia, sui fianchi, sul seno di Milah quasi-Jones (o sarebbe stata Milah ormai-Jones per allora?). Magari lui avrebbe provato ad avvicinarla per fare l'amore con lei sul bagnasciuga, ma lei si sarebbe ritratta per paura di insabbiarsi i capelli o rovinarsi il costume. Magari lui le avevrebbe baciato la pelle scottata, cocente, e lei non avrebbe più sentito il venticello e la brezza, ma un caldo crescerle dentro. Magari...
"Assolutamente terribile, mia signora." e le diede un bacio sulle nocche. Milah lo abbracciò con un sorriso beante sul viso, mentre lui le mise solo una mano attorno al braccio che lo stringeva. Killian alzò gli occhi ed incrociò quelli di Emma che lo stavano fissando. Schiuse le labbra, forse per provare a dirle qualcosa, ma Milah si sistemò meglio tra le braccia di lui, strofinandosi la testa sulla sua spalla. Killian si dovette girare, la vide e le diede un bacio poco convinto sui capelli.
"Scusate, con permesso." Emma si alzò e recuperò il cappotto. Non aveva neanche finito il piatto. Avrebbe dovuto inventare qualche scusa per lasciare il tavolo, ma non le venne in mente niente. Si allontanò e basta verso l'uscita. Sentì Milah dire "ma che le prende?" dal suo tavolo, poi delle sedie che si muovevano e finalmente era fuori e non le importava più niente.
Avrebbe voluto piangere come una cretina mentre camminava. Ma no, lei non piangeva mai. Non l'avrebbe fatto, non l'avrebbe fatto.
"Swan!"
Emma si girò. Killian Jones era giusto dietro di lei, nella sua camicia nera, senza neanche una giacca addosso e persino lei sentiva freddo. "Che c'è?" chiese tra l'arrabbiato e l'esasperato.
"Dove stai andando?"
Emma prese un respiro profondo. Doveva spiegarglielo? Vederlo geloso e poi guardarlo con la sua fidanzata a scambiarsi coccole e carezze, guardarlo guardare lei e non poter fare niente, perché se da una parte lo voleva, non voleva mandare neanche per aria tutta la sua vita. Allora s'era resa conto di essere fottuta. Completamente fottuta. Si rigirò e cominciò ad allontanarsi di nuovo, camminando quanto più velocemente potesse. Killian la raggiunse, le prese il polso, la fermò e le si parò davanti. Con i tacchi che lei portava era quasi alla sua altezza.
"Mi puoi almeno spiegare al posto di comportarti da pazza?" fece lui.
"Ah, io sarei la pazza?" chiese puntandosi un dito al petto "Peccato non poter vedere un dottore, un amico del mio capo magari! O vuoi assumere un altro investigatore privato? Vediamo se insieme riuscite a risolvere il caso!" alluse lei. Touché. Ricominciò a camminare dopo essersi liberata dalla sua stretta.
"No, no, ok, non sei tu." ammise lui rincorrendola "Ma puoi tornare dentro, per favore?" usò di nuovo lo stesso sguardo con cui l'aveva convinta a venire in primo luogo. Lo sapeva fin troppo bene allora che effetto le faceva.
Emma si fermò. Ci pensò un attimo, non a tornare ma a come dire di no. Questa volta non avrebbe funzionato. Ed eccoli lì, alla resa. "Non posso farlo." spiegò solo lei.
"Perché?" chiese lui e la sua espressione si ruppe, probabilmente deluso. Cercò le mani di lei con le sue. Le toccò le dita, provò ad incrociare l'indice e il medio tra i suoi, ma Emma si ritrasse. Fece un passo indietro e si portò le mani al petto, quanto più lontane dalle sue.
"Lo sai." disse solo.
Abbassò la testa e continuò a camminare, andando via.



 




Angolo dell'autrice
Saaaalve! Come va? Che si dice? Io sono appena tornata dalle vacanze, ahimè! 
Mi scuso di nuovo, come al solito, per il ritardo! Ma veniamo a noi. Mi fa piacere che la storia stia cominciando ad ingranare e che ci sia più attenzione a riguardo! Come al solito, vi chiedo di dirmi se c'è qualcosa che non va, qualche errore, qualcosa che dovrebbe essere modificato ecc... Ho corretto le date comunque :P Ah, qualcuno mi ha scritto di "descrivere i sentimenti di Emma in modo diverso", e mi va bene, ma diverso come? E' troppo colloquiale questo stile? Non va bene la terza/prima persona (non so manco che sto a dì lol), dovrebbe essere tutto in terza? Fatemi capire!!
Vi auguro intanto una buona estate, spero di poterci "risentire" questo agosto. 
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Tanti carissimi saluti ed un bacione a tutti!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - meno 9 ***


 

4.


18 aprile 2016, tre di notte
Killian non sapeva di preciso dove stava andando. Sapeva di aver paura, di preciso non sapeva di cosa. Sapeva che stava cercando una risposta giusta. Si diceva che in fondo sapeva quale fosse quella risposta, ma quando se lo chiedeva l'ansia, o il panico che fosse, gli annebbiava la vista e la risposta scompariva.
Conosceva il quartiere fino ad un massimo di un chilometro da casa di Ruby, non s'era mai spinto oltre. A cosa gli sarebbe mai servito? Cominciò a camminare lungo strade che non aveva mai visto. Prima pensò di doversi tenere a mente il percorso che stava facendo. Dopo due incroci decise di mandare tutto al diavolo e camminare e basta. In qualche modo sarebbe tornato.
Si sentiva già perso però a camminare così. Lui era il tipo di persona che cammina per andare da qualche parte. Non sapeva godersi una passeggiata, anzi non sapeva neanche perché era uscito di casa in primo luogo.
Si guardò attorno, cercando qualche cartello o qualche indicazione particolare. Niente. Era il quartiere forse più desolato di New York. Era tutto spento e tutto buio.
C'era un leggero venticello che tirava. Scrollò le spalle, bloccando un brivido che gli stava risalendo sulla colonna vertebrale. Il venticello intanto si portava via bicchieri di plastica e palline accartocciate di carta. Una di queste gli si bloccò davanti alla punta della scarpa. Killian la calciò via. Riprese a camminare e dopo pochi passi, la pallina si bloccò di nuovo tra il marciapiede e la sua suola. Gli diede allora un altro calcio e continuò a camminare così. Girò un angolo ed il suo giochino si mise a rotolare di nuovo da solo lontano. Prese allora a seguirla, come se fosse l'indicazione o il segno che stava aspettando. Strano era strano, ma di sicuro quella non era una notte come le altre, quindi perché non seguire spazzatura che rotola via?
La seguì lungo tutto un percorso rettilineo di strade. Delle luci verdi e gialle si stavano cominciando a riflettere sull'asfalto, finalmente si trovava nei pressi di un quartiere civilizzato. Continuò a camminare, fino a quando ad un tratto quella pallina si fermò, incastrandosi tra le mattonelle di quella strada. Killian alzò gli occhi e vide l'insegna di una farmacia aperta. Pensò ad un sonnifero. Poi la stessa pallina di carta riprese la sua corsa e si infilò oltre il cancelletto di un locale dall'altro lato della strada. L'uomo alzò gli occhi di nuovo e vide una di quelle tavole calde a conduzione familiare.
Perché no?
S'infilò lì dentro, percependo immediatamente una ventata d'aria calda di un condizionatore fissato sopra alla porta. Gli diede sollievo e riconobbe solo allora la differenza con il freddo notturno dell'esterno. Appena chiuse la porta suonò una campanella. S'aspettò gli occhi dei presenti addosso, ma erano probabilmente tutti troppo assonnati per un tale sforzo.
S'avviò direttamente al banco, ignorando tutto il resto. Rifletté un attimo su cosa stava facendo. Avrebbe forse voluto bere di nuovo, un'altra birra leggera magari. No. Invece aveva fame. Abbandonò con piacere l'idea dell'alcol.
Intanto una cameriera, l'unica che lavorava a quell'ora e che stava servendo qualcun altro, si avviò dietro il bancone raggiungendolo. Si schiarì la voce prima e poi chiese "Ciao, che ti porto?", recuperando un taccuino dalla tasca del grembiule. Era una ragazza alta, molto magra, con la voce grave, vagamente mascolina. Compensava la voce con due codini bassi, i capelli castani lunghi e dei pantaloncini rossi con una camicia bianca come uniforme sotto al grembiule.
"Pancake." disse solo lui. Rispose automaticamente senza neanche pensarci su. Sapeva cosa voleva perché era cosa avrebbe voluto il bambino che era stato, era la risposta automatica che dava sempre e comunque, come lo era "il pompiere" quando gli chiedevano cosa avrebbe voluto fare da grande.
Quella scarabocchiò sulla carta e se ne andò via. Killian allora si mise ad aspettare. Tamburellò le dita sul tavolo e si guardò attorno. L'ambiente dava quellla sensazione di familiare deja vù, come se fosse un posto che avesse già visto, la comune tavola calda che trovi in america. C'era così tanto bianco, grigio e rosso sparsi qua e là: sui tavoli, le poltrone, i fazzoletti, le mattonelle. C'erano tavoli da quattro con le panche disposti sotto alle finestre uno dietro l'altro, due al centro con solo due sedie attorno ed appena un altro più grande accanto alla porta coi divanetti. Due di quelli più grandi erano occupati: un uomo sulla cinquantina con un cappello di lana rosso da marinaio e dall'altro lato uno più giovane con la giacca da vento marrone che beveva solo caffé, che doveva probabilmente tenersi sveglio per tutta la notte. Da Emma aveva imparato a fare attenzione alle piccole cose che rivelano la vita delle persone.
Dopo un po' la cameriera gli portò quello che aveva ordinato ed una bottiglia di plastica con un beccuccio in cima, di quelle che si capovoltano e si schiacciano, di sciroppo d'acero.
Affondò la forchetta nei pancake mente quella rimase lì, forse ad aspettare un suo giudizio. Gli prese poi una tazza e gli versò dentro del caffé.
"Non posso," cominciò lui. Strano per lui rinunciarci. "domani mi sposo." disse poi alla ragazza.
"Davvero?" chiese lei con gli occhi emozionati e la voce un po' stridula.
Killian fece segno di sì con la testa.
"Allora aspetta." fece lei. S'abbassò, recuperò qualcosa da sotto al bancone. Prese una bomboletta di panna spray, la agitò e disegnò due punti ed una parentesi chiusa sui pancake: una faccina che sorride. Fece sorridere Killian.
"Grazie." gli venne da dire solo scrollando le spalle.
"Prego. Emozionato?" chiese solo.
"Non riesco a dormire." fece lui, infilando la forchetta ed infilzando la bocca di quell'omino di pastella.
"Dove vi sposate?" chiese allora lei. Ma poi la campanella all'ingresso suonò. La ragazza guardò verso la porta e poi di nuovo verso di lui. "Aspetta non rispondere, arrivo subito" disse, chiedendo un minuto alzando il dito indice. Killian fece cenno di sì ed aspettò.
Un ragazzo entrò nel locale. Non era né troppo giovane né troppo adulto. Portava il giubbino di pelle ed una di quelle T shirt con una battuta scritta sul petto, come se volesse far ridere già solo presentandosi. Si sedette accanto a lui, si mise coi gomiti sul banco, ordinò "un numero due" e tirò su col naso.
Normalmente non gli dispiaceva che qualcuno gli si sedesse affianco, però quella era una giornata un po' particolare e stava diventando appassionato al silenzio. Voleva riuscire a pensare e farsi guidare dalla malinconia.
La cameriera gli portò presto un caffé, due uova strapazzate e bacon, come se stesse facendo colazione a quell'ora.
"Ti stanno facendo lavorare sempre prima, Will?" chiese lei.
"Dovrei lavorare con te piuttosto!" gli rispose quello con la voce smielata. Si mise un'intera fetta di bacon in bocca e poi tirò fuori il cellulare dalla tasca. "Guarda qua." disse quello alla ragazza in pantaloncini.
Cercò delle foto facendo scorrere il dito e mostrò poi una foto alla cameriera. Nella foto quello stava assieme ad una ragazza coi capelli castano rosso, che sorrideva timidamente guardandolo. Le teneva una mano sulla spalla avvicinandosela, mentre lei probabilmente non sapeva cosa fare e neanche guardava l'obiettivo.
"E guarda quest'altra." continuò, mangiando contemporaneamente. Doveva avere una fame da lupi.
Nell'altra foto una ragazza bionda con le labbra ben evidenti e rosso acceso. Lei invece sembrava diversa. Gli teneva una mano, con le unghie smaltate di rosso (doveva proprio piacerle quel colore), sul mento ed una guancia attirandoselo a sé, mentre lui guardava verso la fotocamera e scattava.
"Dici che riesco a convincerle?" chiese a quella cameriera, facendo il cascamorto anche con lei.
"A fare che?"
"Noi tre.." cominciò lui muovendo le mani e con voce da babbeo "Tre cuori una capanna... Ma ti puoi unire anche tu se ti va. Saremo un po' stretti, ma felici."
La ragazza aprì la bocca sconvolta e poi alzò i tacchi e se ne andò senza neanche versargli il caffé che aveva finito.
Killian sorrise beffardo. Che sciocco quel ragazzo. Un po' però si rivedeva. Gli ricordava un po' il ragazzino che aveva dormito per tanto tempo dentro la sua testa. Anche lui da giovane, prima di incontrare Milah, sognava di vivere in un film porno, convincere due ragazze a stare con lui. Fatti più recenti lo avevano convinto che non era una buona idea e che avere il cuore diviso tra due donne, un po' invece te lo spezza.
"Lasciala stare." disse Killian. Si sentì più adulto di quel che credesse.
"E chi sei tu, il suo avvocato?"
Killian sorrise. Sebbene i suoi ricordi fossero un po' datati, aveva ben presente cosa significava quella frase. L'aveva sentita centinaia e centinaia di volte, fino a quando aveva venticinque anni su per giù, poco dopo la laurea in economia di Milah. Fino ad allora erano insieme da quasi sette anni, poi in quell'anno, sempre quello dei venticinque, qualcosa era cambiato. Lei gli chiese un cambiamento. Decise che andava bene, decise che lo poteva fare. Chiuse con le risse da bar, cominciò a comportarsi come una persona adulta, si cercò addirittura un lavoro. Rimbalzò da un impiego all'altro per qualche mese, ma finalmente arrivò poi quello giusto. S'affittò una casa da solo e piano piano lei cominciò a trasferirvisi dentro. Era felice all'epoca. Il ragazzino del locale gli fece tornare alla mente quegli anni. Non quelli prima, ma quelli dopo il cambiamento.
Credette probabilmente di sorridere come un adulto sorride ad un bambino, come quando i bambini promettono che non si sarebbero mai innamorati, mai sposati, mai toccato una femmina. L'aveva fatta pure lui quella promessa. Si trovava adesso invece dalla parte dei navigati.
"Non sono problemi tuoi amico." continuò ad incarare quel tipo. Si risistemò la giacca e s'alzò dalla sedia.
Nel frattempo la ragazza coi codini sospirò, ancora con la caraffa di caffé in mano. La posò e chiuse gli occhi sollevata, vedendo il ragazzo andare via. Killian non si perse il gesto.
"Chiedi scusa." disse al ragazzo, allungando una sola mano e bloccandolo ad altezza del petto.
"Come?" rispose quello.
"Ho detto," cominciò piano per dare enfasi "chiedi scusa."
Il ragazzo, Will, forse scherzava, anzi sicuramente scherzava. E la ragazza era sicuramente abituata a quelle povere allusioni. Tuttavia quella era per lui una serata speciale e se si poteva permettere di metter bocca in qualunque cosa, proprio come aveva fatto con Ruby sconsigliandole vivamente di bere troppo. Si sentiva puntiglioso ed arrogante ed a giusta ragione. Ed in più non ci aveva mai pensato, ma era finalmente libero di poter fare come gli pareva. Così quando vide quel Will alzare i tacchi ed andar via, lo prese per la manica della giacca, lo fece girare e gli suonò un destro sul naso.
"Ma sei scemo?" urlò il ragazzo.
Dietro di loro la cameriera si era messa le mani sulla bocca e gli unici altri due clienti avevano alzato gli occhi per guardare la scena, ma per niente sorpresi.
"Chiedi scusa." ripeté di nuovo Killian allora, forte dal suo piedistallo.
Credette di poter sentire quelle scuse per davvero, si sentì per un attimo un eroe o un giustiziere, si sentiva avvolto da un'aura di gloria, quando all'improvviso arrivò una mano stretta a pugno che gli colpì lo zigomo, proprio sotto all'occhio. Un male lancinante gli partì dalla testa. Si sentì per un attimo come se avesse una guancia gigante che piano piano riprendeva forma. Cavolo se faceva male! Si coprì col palmo della mano, si controllò che il naso fosse sano e che non perdesse sangue. Tutto apposto. Alzò lo sguardo ed il ragazzo era ancora lì.
"Fermi!" urlò la cameriera, che aveva capito l'andazzo. Corse tra di loro e si mise in mezzo. Killian non riusciva più a vedere il ragazzo da dietro di lei. Tra la spalla e l'ascella di quella, vedeva una mano di lui che andava in tasca e cacciava due banconote, le depositava sul bancone. Poi sentì solo "Scusa, Wendy." e il campanello sulla porta che suonava e quest'ultima che si chiudeva.
La cameriera sospirò di nuovo. Si girò verso di lui, gli si avvicinò e cominciò ad urlare "E tu che ti è preso? Non ti devi sposare domani?". L'adrenalina scese subito e gli venne addirittura in mente di aver sonno. La voce di quella gli rimbombò in testa. Si portò la mano alla fronte. Realizzò poi all'improvviso cosa quella gli avesse detto. Cazzo, si doveva sposare.
"Ti verrà un bel livido!" incarò lei, come a girare il dito nella piaga. Avrebbe dovuto raggiungere il ponte di Brooklyn, presentarsi all'officiante e scattare qualche foto con un bel livido viola e gonfio sullo zigomo. Per non parlare del fatto che avrebbe dovuto spiegarlo alla sua dolce metà. Che avrebbe inventato? Cacchio.
"Ti prendo del ghiaccio, magari non si gonfia." propose premurosa la cameriera. Wendy.
"Magari." rispose lui.
La ragazza s'avviò verso la cucina. Killian nel frattempo s'appoggiò col gomito al bancone e la mano ancora sulla fronte a massaggiarsi. Raccolse il cellulare e guardò l'orario: quattro meno venti. Perfetto. Tra poco più di sette ore avrebbe avuto una moglie. Cominciò a studiare i graffi bianchi sul bancone grigio chiaro. Disegnavano delle linee seghettate di coltello, che Killian ricalcò con l'unghia del dito.
"Eccomi!" s'annunciò la ragazza. Wendy, si ricordò.
Killian alzò gli occhi e la vide tenere in mano un hamburger avvolto nel celofan. Glielo avvicinò e glielo piazzò sulla guancia, senza che lui avesse le forze di opporre resistenza. Ci voleva un pugno per metterlo al tappeto. "Grazie." bisbigliò lui.
"Prego." rispose gentile lei, abbozzando un sorriso, mentre gli teneva ancora la carne sulla faccia.
"Il ponte di Brooklyn." disse lui ad un certo punto a voce bassa. Poggiò le dita sulla carne fredda, tenendosela addosso, in modo da liberare la mano di lei che si doveva essere ormai addormentata ed anestetizzata.
"Come?" chiese Wendy, agitandosi la mano e ruotando il polso per farsi circolare di nuovo il sangue.
"Mi avevi chiesto dove mi sposo."
"Che cosa carina!" fece lei e si portò istitivamente le mani al petto.
Killian sorrise ripensandoci. Un giorno stava andando con la sua bellissima fidanzata a Manhattan, dove lei aveva avuto un lavoro importante. La sua auto si era rotta quella mattina, come era ovvio che fosse nel momento del bisogno, e gli aveva chiesto a malincuore di portarcela. Arrivati sul ponte di Brooklyn, imbottigliati di nuovo ovviamente nel traffico, Killian tirò fuori il discorso del matrimonio, di cui non riusciva a cavare un ragno da lei sin dal giorno della proposta e cioè da quasi un anno. Le chiese dove e quando avrebbe preferito sposarsi. Lei era esasperata, sudata, stressata, coi capelli appiccicati alla fronte. Accese l'aria condizionata probabilmente per coprire anche col rumore il discorso. Così lui spense l'auto, costringendola a parlargli. Le disse che era la sua ultima opportunità e che se non avesse collaborato si sarebbero sposati lì su quel ponte, entro un mese esatto. Era il giorno 17 marzo, stranamente caldo per New York. Lei strabuzzò prima gli occhi, gli urlò un "cosa?" ed un "sei pazzo?", ma alla fine si lasciò ricattare. Killian riusciva a capire quando a lei piaceva davvero un'idea ma non lo ammetteva o quando lo lasciava vincere perché stanca di discuterne. Fortunatamente in quella occasione si travvava del primo caso.
Ricordare quel momente fu come venire colto da una folgorazione. "Devo andare." disse solo lui.
Wendy sorrise intenerita. "Sì." disse solo.
Killian si mise in piedi, le porse la carne che teneva sulla faccia e nel frattempo cercò il portafogli.
"Tienila." fece lei. "Per ricordo." aggiunse scherzosamente. Gli batté uno scontrino, si prese i soldi e la sua mancia. Lo ringraziò per la scazzottata che aveva fatto per lei e lo salutò.
Fuori da quel locale c'era ancora la pallina che ce l'aveva guidato. Gli diede un calcio e la vide rotolare via.
Finalmente aveva la sua risposta.



4 maggio 2013
Quando Emma sentì bussare alla porta, non era mattina, come al solito. Anzi la luce delle stelle ed il buio del cielo avevano mangiato il sole e le nuvole delle ore precedenti. Si trovava al portatile a studiare dai rilievi GPS il percorso di un cliente. Con una mano si reggeva la testa, con l'altra teneva in piedi una penna su un pezzo di carta, su cui annotava orario e indirizzo. Ogni tanto la mollava per afferrare il manico color crema della sua tazza del caffé.
Non era orario da clienti, però ogni tanto qualcuno che non voleva essere notato da un investigatore privato lo attirava sempre. Così urlò semplicemente un "avanti", rovesciando poi il pezzo di carta su cui stava scrivendo.
"Permesso." fece uno con voce stranamente allegra, non cosa comune da cliente di un investigatore. Era tra l'altro anche una voce già sentita. Alzò allora gli occhi e vide un nido disordinato di capelli castano chiaro su un cappotto lungo e scuro. Emma strinse gli occhi, poi quello alzò il mento e riconobbe allora quel Walsh.
"Riuscirò mai a liberarmi di tutti voi?" fece allora lei disperata. Abbassò lo schermo del suo portatile ed intecciò le braccia.
"Spero per te di sì." le rispose lui e lei sorrise e fece cennò di sì con la testa. Già, magari. Aveva da pochi giorni chiuso con l'alcol, con cui aveva cominciato per colpa loro, di tutta quella loro pagliacciata. Aveva cominciato a notare di aver messo su peso, di dover far forza per chiudere il bottone dei jeans e quello le aveva aperto gli occhi: era nel pieno di una crisi da rottura. Lei non se le permetteva mai quelle crisi, si sentì quasi offesa da sé stessa. Così aveva deciso di buttare tutte le bottiglie. Vedere Walsh però le fece sentire di nuovo l'odore di alcol, sensazione che aveva già avuto in precedenza con Killian.
"Accomodati." disse allora. Sembrò arresa probabilmente.
Walsh si avvicinò alla scrivania, si sfilò il cappotto e lo piegò sulla sedia. Si accomodò ed Emma tornò alla sua postazione, dall'altro lato del tavolo. Lo vide poi fissare la sua tazza color crema di caffé. "Caffé?" gli chiese allora, credendo di aver intuito un desiderio.
Quello fece di no con la testa e poi spiegò "Non mi piace." con una smorfia che voleva sembrar simpatica sul viso.
"Ah." fece solo lei. A lui non piace. Strano. A chi non piace? A Killian piaceva, a lui piaceva così tanto che ogni mattina prendeva il solito caffé, al solito posto. Gli piaceva così tanto che glielo aveva portato quando lavorava e gliel'aveva offerto la prima volta, quando s'erano conosciuti. Sapeva che era un vizio più che un piacere, dipendenza addirittura. Non s'era accorta di aver piegato la bocca in un mezzo sorriso.
"Come va?" la interruppe la voce di lui.
Emma scosse la testa e ritornò sulla Terra. Walsh stava per ripetere la sua domanda, ma lei lo bloccò subito con una mano aperta davanti a lui attraverso la scrivania. "Senti, mi dispiace averti lasciato così l'altra sera, ma davvero non credo sia il momento per me per una storia o per uscire con qualcuno o..."
"No, lo so. E' quello che ho risposto anch'io a Milah quando ha deciso di organizzare l'incontro." le spiegò lui pacato.
"Grandioso!"
"Vedi, siamo già sulla stessa lunghezza d'onda?"
Emma prese un respiro profondo e doveva aver lasciato trapelare qualcosa dalla sua espressione perché lui subito s'affrettò a correggere. "No, no, no, scusa! Lo so perché te ne sei andata." Emma non rispose, rimase solo ad ascoltare. Che poteva saperne uno sconosciuto? Però non Walsh non era stato arrogante e questo la calmò. Era pacato ed educato, ogni suo gesto o persino la sua voce era moderato, ma non rigido. Solo morbido, come una carezza. "Ero innamorato anch'io di Milah prima che arrivasse Killian Jones." ammise lui naturalmente, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se lo sapessero persino le piante. Emma cominciò a riflettere. C'erano due cose che stonavano in quella frase. 1) Prima che arrivasse Killian: quei due stavano insieme da più di dieci anni. Walsh era innamorato di Milah da più di dieci anni? 2) Anch'io? Si chiese Emma. Parlava di Killian che era anche lui innamorato di Milah o di lei che era innamorata di Jones? Innamorata poi.
"Vedi?" fece lui, alzando lievemente il palmo della mano "Te l'avevo detto che lo sapevo."
Si rese conto di essersi soffermata troppo a pensare. Inutile negare. Avrebbe voluto controbattere poi, ma quella parola, innamorata, le tintillava ancora nella testa, come un allarme anticendio, invitando i suoi neuroni a fuggire via dalle fiamme che le stavano bruciando prima nelle guance poi nel cranio. Oh cavolo!
"Prima di te a quanto pare." aggiunse Walsh incrociandosi le dita in grembo.
Emma si sentì a disagio. Cercò di guardare altrove e bramò per un po' di solitudine in cui avrebbe potuto pesare a quelle parole e farle sue. Forse avrebbe pianto un po', forse stando da sola si sarebbe potuta concendere cinque minuti di debolezza prima di reagire, senza far finta che non fosse vero. Poi non appena capì che stava succedendo si sentì così stupida. Nell'istante in cui aveva pensato di piangere, un'unica lacrima, una sola fottuta stronza impertinente, le cadde su una guancia portandosi con sé tutto il fondotinta in polvere che incontrava.
"Non volevo sconvolgerti." disse Walsh piano. Si girò allora dietro, verso il suo cappotto, recuperò un fazzoletto di cotone da una tasca e glielo porse, prima di notare che Emma aveva già risolto con la manica di lana bianca del suo cardigan
Sconvolta era proprio la parola giusta. Era sconvolta. Non sapeva dire in quale senso però si sentiva sconvolta: tristemente sconvolta? Felicemente sconvolta? O ancora peggio, entrambe? Le dava forza sapere ed aver definitivamente ammesso quello che le stava succedendo, ma allo stesso tempo avrebbe preferito che tutto non fosse mai successo, perché sapeva che ne avrebbe sofferto e dopo quell'ammissione l'avrebbe fatto ancor più di prima. Allungò la manica della maglia nella mano, tirandosela su oltre il polso e ripulendosi alla fine le guance. Via tutte quelle stronzate, non ne aveva bisogno. Non avrebbe pianto, né quella sera, né un'altra.
"Come mi hai trovata?" chiese poi ripulendosi di nuovo meglio le guance fino al contorno degli occhi. Notò una linea nera sbavata di matita che s'era improntata sul maglione bianco. Come si lava via il trucco? Si chiese per un attimo.
"L'elenco telefonico." rispose Walsh piano. Ripiegò il fazzoletto e glielo lasciò sulla scrivania.
"Oh." fece lei continuando a guardare quella linea.
"Stai bene?"
Emma lo guardò. Le piaceva che non avesse fatto domande, che non la stesse guardando come un fenomeno da baraccone, che forse l'avesse capita e sapeva che non aveva bisogno di essere compatita, solo di qualche momento per pensare e magari di un fazzoletto. Pensò che Milah era stata una stupida a non volerlo, tuttavia si rese subito conto che avrebbe fatto la stessa scelta stupida. Capì allora di essere come lui, di essere una di quelle persone spezzate, empatiche, che nessuno avrebbe scelto per prime e che bramavano di entrare nel mondo dei non spezzati, imitandone le decisioni.
Emma prese un respiro profondo, si calmò una volta e per tutte, soffiò via l'aria pesante che si teneva nei polmoni e cercò di mascherarsi di un sorriso almeno accennato o se non altro gentile. Le dispiaceva per Walsh, perché lei era Walsh. "Volevi dirmi qualcosa?" chiese allora cercando di essere carina.
Lui ci pensò un attimo, poi fece segno di sì con la testa, ci pensò di nuovo, ingoiò saliva e si leccò le labbra probabilmente in cerca delle parole più moderate che conosceva. "Sono venuto a dirti che" e fece una pausa pensando ancora "credo proprio che Milah non mollerà la presa con noi due."
Non che non se lo aspettasse. Sin dalla prima volta aveva notato tutte quelle manie di controllo. S'immaginò che approfondendo la conoscenza con lei quelle sarebbero peggiorate ed era per quel motivo che aveva sempre voluto chiudere il suo file al più presto. Purtroppo non tutto va come programmato. Lo guardò poi come per chiedergli "allora?".
"Io non sono capace di dirle di no." ammise lui e guardò in basso intimidito. Si fissò le dita, mentre il suo pollice gli scavava nella carne dell'altra mano.
"Che uomo!" commentò lei e si pentì subito del tono che aveva usato. Lei era Walsh. Non avrebbe dovuto.
Lui scrollò le spalle, avendo accettato la cosa da anni, come a voler dire che non era più un problema ormai. "Ti ho già spiegato di mia madre."
Emma avrebbe voluto abbracciarlo, avvicinarlo, consolarlo e dirgli sinceramente che Milah non lo meritava, che non si può far aspettare un uomo per così tanto, che lei era stata solo un egoista a tenerselo stretto nonostante sapesse cosa lui provasse per lei. Ed era sicura al 100% che lei lo sapeva. Era sicura al 100% che Milah stava solo giocando a quello strano gioco delle coppie, allontanando in una sola volta le due persone che minacciavano il suo matrimonio.
"E tu non puoi dire di no a Jones." Walsh aggiunse interrompendo i suoi pensieri.
Emma lo guardò. "Questo non è vero." Sapeva anche al 100% che non era vero. Le venne in mente per un micro secondo la faccia che faceva Killian quando voleva farle fare qualcosa: gli occhi tristi da cucciolo, le labbra curve, il luccichio nelle iridi. Ok, forse al 99%, ma ne era abbastanza sicura. O forse no. Troppe rivelazioni per soli cinque minuti in una sola sera.
Walsh sorrise. Forse avrebbe voluto abbracciarla e consolarla, come avrebbe voluto fare lei un attimo prima. Mise due dita sul fazzoletto che aveva ripiegato a quadrato poco prima e glielo allungò sulla scrivania, facendoglielo più vicino.
"Pff." sbuffò Emma. Credeva che avrebbe pianto come una scema, proprio come la sua Milah adorata? Ma poi lui sorrise divertito e così sorrise anche lei.
"Siamo alleati?" le chiese lui.
"Dobbiamo prima stringere un patto di sangue, partecipare ad un'orgia e poi giurare davanti alla bandiera." scherzò lei.
"Sei impegnativa!"
Emma scrollò le spalle. "Me lo dicono tutti."
Passò qualche altro minuto a scherzare e fu piacevole. Forse poteva considerarlo un amico? Sapeva però che sarebbe durata poco e quando Milah avrebbe capito che non era il caso di insistere, non si sarebbero visti più, ognuno preso dalla propria routine. Per un po', si disse, avrebbe avuto un amico e per fortuna era una brava persona.
Lo accompagnò alla porta, quando stava lì lì per raccontargli quella storiella divertente di quella donna che le chiese di indagare l'anno precedente su suo marito, che aveva da poco cominciato a messaggiare con una sconosciuta. Se non che era proprio lei, la moglie, la sconosciuta: si erano conosciuti di nuovo su un sito d'incontri, tradendosi a vicenda. Al momento Emma non l'aveva presa bene, ma sapeva che sarebbe diventata un'ottima barzelletta in futuro.
Senza rendersene conto, tra un dettaglio di lei ed un "veramente?" di lui, arrivarono al portone. Emma teneva addosso ancora quel cardigan bianco macchiato di linee nere ed una canotta nera davvero sottile sotto. Sentì immediatamente la differenza tra l'aria calda del suo piano in alto, dove il calore si accumula, ed il piano terra.
"Mi ha fatto piacere parlare con te." le disse Walsh dopo aver abbottonato fino all'ultimo i bottoni del suo cappotto. Nonostante fosse aprile faceva decisamente freddo.
"Ti accompagno alla tua auto." decise lei. In fin dei conti, anche se adorava stare da sola, spiaccicarsi davanti al televisore e guardare serie tv, le piaceva la compagnia. Era entusiasta di avere un amico. Sperava solo di non essere diventata assillante ed appiccicosa.
Walsh sorrise, fece cenno di sì con la testa e s'incamminò. Magari neanche a lui dispiaceva tanto.
Emma si strinse nella lana bianca ed alzò il passo per riscaldarsi. Nonostante il fatto che indossasse i suoi comodissimi stivali da casa raso terra, imbottiti e color sabbia, la mancanza dei calzini le fece congelare entrambi i mignoli dei piedi. Cominciò a prendere a calci qualsiasi ghianda o pezzo di carta e plastica che incontrava per strada per riscaldarsi.
Walsh le mise una mano davanti per fermarla. Tirò un cuscinetto pieno di acqua colorata dalla tasca e le fece "guarda qua!" tirò fuori una linguetta e glielo mise in mano. In pochi secondi Emma vide il liquido diventar solido, un disco rosso, e liberare calore.
"Oh mio dio!" fece lei appena sentì il calore sulle dita. Se lo passò nell'altra mano e sul petto scoperto e godette di ogni macchia rossa che le compariva sulla pelle.
"Tienilo." le disse lui, continuando a camminare. In pochi secondi il sorriso gentile se ne andò, coperto da un cipiglio triste che aveva notato anche prima a casa sua. Ricominciarono a camminare in silenzio. Solo quando girarono l'angolo e Walsh le indicò una piccola nissan grigio scuro, Emma si rese conto di aver camminato per oltre due isolati.
"Quella cosa di tua madre." cominciò lei, cercando di distrarlo per non lasciarlo tornare con quell'espressione triste a casa. Sapeva di essere una frana. "E' dolce. Lo dico davvero. Sei molto dolce e meriteresti una donna come lei."
"Milah lo è." disse solo lui.
Emma sospirò, poi sorrise. Si sforzò di pensare che anche Killian l'avesse scelta per una qualche ragione.
"Sto per calpestare la mia autostima." riconsiderò lei. Non avrebbe dovuto accettar di rivedere, se ci fossero state delle altre occasioni, Killian Jones. Non era nel suo stile, non era quello che una persona sana di mente farebbe.
Walsh entrò in auto, guardò oltre Emma dall'altro lato della strada. Sorrise facendo un cenno con la testa in quella direzione. "Vedremo." disse solo. Le indicò dietro di lei con il naso, poi mise in moto e se ne andò.
Emma si rigirò e guardò dietro. Killian Jones era in piedi e stringeva i pugni. Ecco chi aveva visto Walsh, che intanto era andato via. Quando lo notò, Emma si sentiva entusiasta, non vedeva l'ora di rivederlo e non l'aveva capito o non l'aveva saputo prima di quella sera. Lo raggiunse a grandi passi e quando fu finalmente di fronte a lui, lo salutò "Killian." bisbigliò Emma. Lui sembrava averla aspettata, con le mani in tasca guardando a terra.
"Emma." rispose lui. Cominciò a guardare in terra, poi di lato verso un bidone e poi verso di lei. Emma lo vide fissare, incantanto e quasi arrabbiato, le sue mani in petto strette attorno all'arnese colorato ed al cardigan bianco. Agitò le dita risvegliandolo dal torpore. Si vestì della migliore faccia interrogativa che riusciva a tirar fuori ed aspettò una risposta.
"Milah adora quei cosi." disse Killian indicandogli lo scalda mani. Guardò in alto o da un'altra parte e fece finta di niente. Come se non gli piacesse essere lì o fosse a disagio.
"Oh." capì Emma e lanciò il cuscinetto-barra-dischetto rosso caldo a terra. "Che fai da queste parti?" gli chiese poi.
"Niente, ero solo passato per..." cominciò a dire. Per un attimo gli comparve un sorriso sul viso che a mano a mano poi sfumò, fino a quando chiese "Eri con Walsh?"
La domanda sembrava normale, innocente. Tanto per fare conversazione, no? Emma sentì la risposta bruciargli dentro. Non avrebbe voluto rispondere, non quel giorno almeno. Sapeva come sarebbe suonata alle sue orecchie e non era quello che voleva lasciargli intendere. "Sì, era venuto a casa mia, ma..." non è niente? Non c'è niente?
"Sai una cosa? Non fa niente, non sono fatti miei. Ci vediamo Emma."
"Aspetta!" fece lei all'improvviso. "Che ti prende?" gli chiese parandosi davanti a lui, abbassando un po' la voce, bloccandolo con le mani avanti. Avrebbe voluto toccarlo, avere la confidenza giusta per mettergli le mani sul petto e mantenerlo saldo lì.
Sorrise triste o forse beffardo, non riuscì a capirlo bene e disse "Lo sai." imitando le parole di lei, di quella notte di poche settimane prima.
Touché.
Al momento, quella volta le era sembrata una cosa giusta ed intelligente persino da dire. Porca puttana.
Fino a pochi secondi prima di incontrarlo si sentiva addirittura contenta di aver capito di essere forse probabilmente in futuro o magari anche ora, innamorata di Killian Jones, che però con due parole aveva cancellato tutto. E guarda un po' le parole erano persino le sue.
Camminò per strada senza meta per dieci metri. Notò un tovagliolo di carta appallottolato venir fuori da un locale ed andar via. Alzò gli occhi e vide la scritta luminosa blu di un bar. Mandò a quel paese la sua promessa di viver sano e mangiar sano, bere meno e compagnia bella e s'infilò là dentro, con gli stivali UGG, il cardigan macchiato di trucco e qualche striscia nera che le era probabilmente rimasta sulla guancia.
Raggiunse il banco si sedette ed attese.
La barista arrivò subito. Era alta, magra e piuttosto vistosa. Lo capì dalla camicia bianca trasparente ed il reggiseno nero davvero troppo evidente, che Emma vide senza alzare la testa. "Wisky." disse.
"Che tette!" fece di rimando la ragazza.
"Hm?" mugugnò Emma e si guardò addosso. La stupida canotta nera sotto al cardigan bianco non le copriva niente, anzi. E le stava anche facendo la morale. Una ragazza più gentile le avrebbe chiesto però di coprirsi, al massimo. Emma alzò gli occhi e vide la barista allora. Ci pensò un attimo, perché sapeva di averla già vista. Strizzò gli occhi pensandoci e quella allora si mise in posa per essere guardata. Ma certo! L'amica lesbica di Killian Jones! Quella da cui passava una buona parte delle sue serate, a cui l'aveva spedita Milah a spiarla.
Porca miseria. Di male in peggio. Ecco che stava facendo lui lì da quelle parti. Ecco perché era là. Ecco perché l'aveva incontrata. Non poteva capirlo prima di entrare? Guardò la porta e pensò di andar via. Intanto la ragazza le versò da bere nel bicchiere che le aveva appena messo davanti e glielo riempì fino all'orlo. D'accordo, l'aveva convinta a restare.
"Problemi d'amore?" chiese
"Qualcosa del genere." rispose Emma studiandosi il bicchiere e rigirandoselo tra le mani, mentre qualche goccia di liquore le scivolò sulle dita.
"Ti capisco. Non sai quante ne ho passate!"
"Già." Emma immaginò che le donne dovessero esser ancor peggio degli uomini. "Ti conosco," le confidò poi comunque "sei l'amica di Killian Jones."
"Oh, Ruby." si presentò lei. "Era qui fino a qualche minuto fa." fece guardando l'orologio appeso alla parete dietro di lei. "Oh dio, non mi dire che è per lui che stai bevendo. Sarebbe così tipico." Quella aveva una lunga serie di espressioni facciali, tutte quante vivaci, attente e gioviali. Era un tipo vispo ed allegro, così perfetto per fare la barista. In più ogni tanto si girava e faceva l'occhiolino a qualcuno che si complimentava con lei per il suo sedere, le sue tette o le sue cosce lunghissime. Era versatile anche e per niente irascibile o permalosa. Poteva capire perché a Killian Jones piacesse lei.
"Cosa? No!" Negò Emma offesa.
"D'accordo." Accettò Ruby alzando le mani. Cominciò a dedicarsi poi ai tanti calici che si erano accumulati accanto al lavello. "Tu devi essere Emma, l'investigatrice o cacciatrice di taglie... Come si dice?" chiese mentre lavavaun bicchiere, lo asciugava e poi lo riappendeva.
"Entrambe." scrollò le spalle. Non perse altro tempo a negare e tornò a guardare il bicchiere. Un sorso alla volta mandò giù tutto.
"Killian mi ha parlato così bene di te ed aveva ragione!" Ruby parlava spesso e velocemente. Non le dava il tempo di rispondere, non dava il tempo di riflettere, né a quei silenzi imbarazzanti di formarsi. Ogni tanto forse però parlava a sproposito. Emma ebbe la tentazione di chiederle cosa avesse detto di lei. Avrebbe voluto chiederle se ne parlava spesso, se era rimasto segnato almeno quanto lei dal loro strano incontro, se la pensava spesso, se aveva cominciato a bere e mangiare pensando a lei.
"Sai cosa dico sempre a lui?" riprese sempre lei, sempre Ruby, dopo aver riempito di nuovo il bicchiere di Emma. Pieno fino all'orlo. "Se son rose, fioriranno!"
Emma alzò la testa come se avesse sentito le campane del paradiso suonare. "A che proposito?"
Ruby sorrise capendo finalmente come ottenere l'attenzione della sua nuova amica "E chi lo sa!" strizzò un occhio e fece spallucce.
"Non è sempre così semplice." rispose Emma delusa, aspettandosi chissà quale grande confessione. E non stava parlando solo di loro due. Ognuna delle sue storie non era mai stata semplice.
"Sì che lo è, quando una cosa la sai, la sai." Ruby appese un altro calice e poi ne cominciò a lavare di nuovo un altro mentre parlava.
"E cosa ti risponde lui?" chiese Emma. Un po' le piaceva guardare Killian Jones e conoscerlo da dietro alle quinte. In più le piaceva anche parlare con quella strana ragazza e prima che se ne accorse, decise di non voler tornare tanto presto a casa. La compagnia di Walsh all'inizio della serata le aveva fatto sentire la malinconia dell'avere dei buoni amici. Una volta ce li aveva anche lei.
"Di chiudere il becco."
Emma sorrise. Se lo poteva immaginare a dire così. Cominciò a ricostruire Killian come un puzzle. Aggiunse piano piano dei pezzi, creandosi un uomo immaginario con cui poter vivere delle fantasie nella sua testa. Si ritrovò a sorridere perché quella frase era la stessa che avrebbe detto anche lei.
"Di solito è gentile però, eh!"
Emma ripensò a quella cena finta a cui l'aveva portata all'inizio, a come si comportava, al caffé che le aveva ripagato, quello che le aveva portato in auto mentre stavano pedinando Milah. "Lo so." rispose Emma. "Non dirglielo." aggiunse poi.
"No, no, tranquilla." rispose Ruby che probabilmente aveva già capito di che parlava.
Rimase fino alla chiusura alle due di notte. Ascoltò le storie andate male di Ruby, di quando aveva provato coi ragazzi, di quando la prendevano per il culo, di quando aveva capito di essere lesbica e di esserci arrivata tardi per i suoi gusti, se ne sarebbe risparmiate tante, diceva.
Emma le raccontò di quando stava con uno e di quando l'aveva lasciata e si era sentita un'idiota messa da parte, che nessuno avrebbe mai voluto. Le raccontò di un altro che era morto per un attacco di cuore così giovane, proprio dopo che lei ci si era affezionata, di un paio di storie occasionali che aveva avuto dopo quelle. Le disse che non le succedeva che le piacesse qualcuno da tanto. E proprio uno quasi sposato doveva scegliere.
"Ehi, sai una cosa? Se adesso Killian Jones entrasse da quella porta e mi dicesse di voler lasciare Milah per sposare te, gli direi che non poteva fare una scelta migliore!" le confidò Ruby, quando ormai anche il suo alito sapeva d'alcol.
Capì di nuovo perché a Jones piaceva quella ragazza, perché gli era amica così tanto. Emma sorrise. "Grazie."
"E di che? E' la verità! E poi ti confido una cosa:" la barista ubriaca si guardò attorno come se volesse dirle un gran segreto "quella Milah non mi piace neanche un po'."
Emma rise di gusto. "La strangolerei se potessi!"


 




Angolo dell'autrice
Salve a tutti ragazzi!
Come al solito scusate per il ritardo!
Vi dico due cose veloci su questo capitolo: c'è un indizio su chi sia la donna (anche se credo lo sappiate, ma a me piace credermi) in quello che dice Ruby (e ce l'ho ficcato apposta da taaaanto tempo!), e due il capitolo in realtà nella parte di Emma è un insieme di due capitoli. Non mi è piaciuto mettere due incontri in uno o fare un solo capitolo come se fosse dedicato all'amicizia. Però dovevo far capitare i due incontri velocemente. Ho deciso la trama dettagliata fino alla fine e sono molto contenta di come verrà fuori. Spero dal profondo del cuore quindi che vi piaccia! 
Quindi, reviews? Un saluto particolare a Chipped Cup che commenta sempre ed è di una dolcezza infinita ed un bacio a tutte ragazze dei messaggi privati :*

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - meno 8 ***


 

5.

 

2016, quattro di notte
Si dice che la notte porti consiglio. Forse più che la notte a farlo sono gli sconosciuti che incontri nei locali che ti regalano carne congelata, che a proposito gli stava congelando la mano. 
Una pallina di carta cominciò a volare via, prima rotolando poi portata via dal vento, ruotò vorticosamente a mezz'aria e poi sparì dietro un palazzo. L'universo gli stava dicendo che il suo problema era risolto. Ma perché aveva dato di matto? Da dove erano venuti i suoi dubbi?
Sarà che forse i suoi genitori erano divorziati e non credeva nell'amore per sempre? Che sapeva che prima o poi sarebbe arrivato quel giorno in cui davanti ad un avvocato avrebbe dovuto litigare per la casa e la custodia dei figli con sua moglie, e che ci si stava già praticamente mettendo la firma così? I figli. Chissà se ne avrebbero mai avuti, non ne avevano ancora parlato. Avrebbe messo la firma anche su quelli.
"Ehi, aspetta!" sentì urlare Killian da dietro. Non credeva ce l'avessero con lui, chi poteva chiamarlo alle quattro di notte, su una strada deserta? "Ehi, occhi blu!" Forse invece sì. Si girò e vide una di quelle cameriere in pantaloncini rossi e camicetta corrergli dietro. Non sentivano freddo queste ragazze? La raggiunse, così che potesse tornare subito dentro e magari rivestirsi. Non era la stessa con cui aveva parlato, Wendy, quella per cui si era preso anche un bel cazzotto. Oh dio, il cazzotto! Strinse un pugno per non toccarsi la guancia a controllare.
La ragazza era non era molto alta, capelli rossi, viso innocente. Riconobbe la sua figura che aveva spiato con la coda dell'occhio nel locale. Quella si mise le mani sulle ginocchia per prendere fiato e poi sfregò le cosce fra di loro. Si soffiò le mani e alzò il viso verso di lui. Si mise una mano in tasca e tirò fuori un pezzo di carta. "Lo scontrino." gli disse lei.
Killian sorrise tra sé e sé grattandosi la nuca. Non era uno stupido, non in quel senso almeno. Prese lo scontrino, le strinse una mano per farle piacere e le sorrise di nuovo. Le bisbigliò un dolce grazie, le fece l'occhiolino e poi le suggerì di tornare dentro a riscaldarsi. Quando fu di nuovo solo si girò il pezzo di carta tra le mani e dietro alla ricevuta lesse un numero di telefono. Se l'aspettava. Non ebbe il cuore di buttarlo. Quella notte si sentiva insolitamente tenero. L'avrebbe probabilmente tenuto e l'avrebbe ficcato magari nell'album di fotografie. Prese il cellulare e ci fece una foto. Non perché gli interessasse quel numero, ma quella notte e tutto quello che gli stava succedendo, a partire dalla spogliarellista a quel momento, gli pareva importante. Ne scattò un'altra al pezzo di carne poggiato sulla sua guancia.
Che coglione.
Che stava combinando?
Per qualche motivo gli saltò in mente una notte. Aveva conosciuto Emma non da molto, le aveva presentato Walsh, lei era scappata quella sera perché non poteva sopportare di vederlo con un'altra e a dire il vero, neanche a lui faceva molto piacere. Aveva deciso qualche sera dopo di trovare una scusa, una qualsiasi, presentarsi col libretto degli assegni da lei e rimanere lì a parlare. Giurò a sé stesso di aver pensato solo di parlare con lei. E si sentì ancora più coglione di prima. Era andato prima da Ruby, le aveva confidato di questa donna fantastica, di come lei gli avesse fatto ripensare al suo matrimonio, a Milah ed a tutto quello che credeva di sapere. Poi si era fatto a piedi solo due isolati, perché caso volle che lei abitasse proprio lì vicino. Era rimasto sotto la sua finestra per un po', aveva guardato la luce spegnersi e poi se n'era andato. Che le avrebbe detto, s'era chiesto quella notte, che idiota ad essersi presentato là sotto senza dirle niente. Poi l'aveva vista con lui ed aveva pensato chissà che ed era scoppiato di gelosia. Forse in quel momento aveva capito.
Forse allora l'aveva saputo. Che amava Emma. Da pazzi, eh?
Si guardò attorno cercando di riconoscere la strada. Ad occhio e croce sapeva dove andare, non s'era allontanato poi tanto. Si sorprese di quanto poco gli fosse funzionato il cervello fino a mezz'ora prima.
Ad un tratto gli squillò il cellulare. Le note di Holiday dei Green Day suonarono per tutta la via deserta, attutite dalle tasche dei jeans. Recuperò l'arnese, silenziò la suoneria e rispose alla chiamata ancora camminando.
"Ehi fratello!" disse un uomo dall'altra parte della cornetta. Liam. Il suo aereo. Ma certo, pensò Killian portandosi due dita tra gli occhi. Come aveva fatto a scondarlo?
"Liam." rispose mesto allora il fratellino.
"Va tutto bene?" chiese allora Liam allarmato, aspettandosi di sentire una voce più allegra ed emozionata, magari nervosa, ma felice.
Killian sentì una fitta venire dalla guancia, mentre il sangue gli pulsava sotto la pelle gonfia. Con l'altra mano si piazzò di nuovo la carne congelata sulla faccia. "Lo vedrai." rispose. Ci fu del silenzio. Probabilmente Liam non sapeva cosa rispondere, se non un "ok" standard, o molto più probabilmente era preoccupato per lui e si stava immaginando qualunque tipo di scenario in cui potesse essersi cacciato. In mezzo minuto di converazione Killian tornò ad essere nella sua testa il ragazzo scapestrato che andava a rubare nei negozi di liquori, quello che veniva chiuso al fresco per una notte e Liam quello che non pagava la cauzione e gli lasciava imparare da solo la lezione, che guarda caso non imparava mai. Non voleva vederlo. Non voleva vedere ancora quello sguardo di disapprovazione sulla sua faccia. "Puoi prendere un taxi?" gli chiese allora.
"Non ti ho chiamato per un passaggio." rispose Liam, con quel tono freddo e quasi offeso che usava quando il fratello diceva una cazzata. "D'accordo, Killian," provò poi a fare il diplomatico "dormi, ci vediamo alle sette a casa di Ruby."
Killian si fermò e smise di camminare, poi prese un respiro. Forse aveva esagerato, non era più quella persona, né lui né Liam. A volte con lui doveva ricordarselo. "Certo, sai dov'è?". Liam conosceva Ruby ovviamente, anche bene. Una volta ingenuamente ci aveva anche provato con lei. Poi era partito, aveva trovato un lavoro che gli piaceva in Australia, dall'altra parte del mondo. Era la prima volta che ritornava a New York da sette anni. Non aveva mai visto la casa dove viveva, quella di Ruby, non aveva mai conosciuto la sua fidanzata. L'aveva vista solo in foto ed un paio di volte in video chiamata su skype. Alla prima volta lei non gli aveva fatto una buona impressione, poi aveva cambiato idea. Sapeva che lei gli faceva nient'altro che bene ed era stato felice di sapere che si sarebbero sposati. Il fratellino scapestrato stava finalmente mettendo la testa apposto. Di nuovo.
"Ho l'indirizzo." rispose Liam "Prenderò un taxi." gli lanciò una frecciatina, che fece sorridere Killian e allora dall'altro capo del telefono sentì un ghigno soddisfatto e divertito. In un secondo passò tutto e realizzò di non vedere l'ora di rivederlo! "A più tardi." salutò. La chiamata si chiuse e Killian rimase un attimo a sorridere ancora col cellulare in mano per poi riposarlo nella tasca.
Uno sbadiglio.
Finalmente! Aveva sonno! Affrettò il passo per raggiungere presto di nuovo il divano.
Intanto si mise a pensare ad un milione di cose: a Liam, a cui doveva ancora restituire un calcio nelle palle da più di vent'anni; a sua madre che aveva lasciato che la prossima signora Jones avesse il suo anello, che le era stato lasciato dalla madre di sua madre, che aveva avuto da sua madre ancora; a suo padre che aveva ricominciato a frequentare solo da pochi anni, che era stato rintracciato dalla sua attuale fidanzata e futura signora Jones (cosa che aveva fatto cambiare idea a Liam su di lei).
Gli piaceva troppo come suonava: signora Jones. Ma ovviamente poteva tenersi il suo cognome, se voleva. Per lei era importante. Ma meglio non farsi sentire a pensare quelle cose. Tornò allora su suo padre. Era stata lei a spingerlo da suo padre ed era stato lui a dirle cinquantamila volte che non avrebbe mai voluto incontrarlo. Ma lei no, s'era impuntata fino a negargli il sesso per due mesi. E l'aveva fatto per davvero! Santa donna! E dannata donna.
Da quando l'aveva conosciuta, la sua vita era stato un continuo cambiamento, che l'aveva spinto fuori dalla sua "zona di comfort", come l'aveva chiamata lei, che l'avevano reso spesso e volentieri irascibile e difficile da sopportare. Però c'era lei, pronta sempre a dargli una sberla (metaforica) e farlo tornare in sé. Ce l'aveva fatta a sopportarli tutti.
Una notte, a letto, parlando soltanto, gliel'aveva confessato: odiava i cambiamenti. C'erano tante ragioni per cui Killian odiava i cambiamenti. Se doveva proprio sceglierne uno, quello sarebbe stato l'abuso di cambiamenti che i suoi genitori gli avevano imposto a partire dai dieci anni: il trasferimento in America, terra di opportunità (del diavolo); la morte di sua madre; l'abbandono di suo padre alle sue zie (dopo aver insistito per il trasferimento); la morte della zia da cui stavano lui e suo fratello; il lavoro di suo fratello. L'unica costante in tutti quegli anni, che aveva adorato ed a cui si era aggrappato come ad una cima durante una tempesta era Ruby. Per questo erano così legati. Lei gli rispose che le sapeva già tutte quelle cose e sorrise e gli accarezzò una guancia. Andava tutto bene allora.
Invece, sposare Milah la prima volta sarebbe stato solo semplice perché non sarebbe cambiato niente. Le cose erano rimaste più o meno le stesse da quando si era messo con lei. O meglio erano cambiate un poco per volta: Milah non si era trasferita da lui e basta, lei lo sapeva che l'avrebbe fatto urlare come un pazzo. Allora era stata dolce e si era portata dietro prima solo lo spazzolino, poi le ciabatte, poi un cambio di vestiti ed alla fine era rimasta lì con lui. Alla fine passavano comunque tutto il giorno insieme. Col tempo però lei aveva cominciato a volere altri tipi di cambiamenti e no, non era pronto, non poteva essere assolutamente pronto. Per esempio una mattina trovò dei cuoricini disegnati sul suo calendario in cucina, quando chiese spiegazioni lei gli rispose che erano i suoi giorni fertili. Fu quello il preciso momento in cui tutto cominciò a vacillare e Killian capì tante cose.
Finalmente arrivò sotto casa di Ruby, cacciò le chiavi che s'era portato dietro ed aprì il portone. Cercò di fare piano piano quando si trovò davanti alla porta d'ingresso. La porta cigolò e lui la mandò a quel paese, maledicendo un secondo dopo anche se stesso per aver aperto bocca. La richiuse poi con la stessa attenzione.
Andò in cucina e aprì il frigorifero per posare quell'hamburger che teneva ancora in mano. Si dimenticò del piatto e lasciò lo sportello aperto mentre ne recuperava uno dalla credenza. Mise la carne al fresco, bevve un sorso d'acqua e richiuse il frigo.
Sul frigorifero di Ruby c'erano una serie di foto appese. Alcune avevano più di dieci anni, come il giorno del loro diploma con le tuniche blu brillanti ed i cappelli che erano finalmente volati via. Un'altra risalva al giorno di apertura del bar di lei. Ruby era seduta su una sedia di plastica bianca con le gambe incrociate e rideva, si portava una mano indietro acchiappando il braccio di Killian e con l'altra teneva le dita intrecciate alla fidanzata dell'epoca, una orientale dai lunghissimi capelli neri. In un'altra ancora c'erano solo loro due al gay pride del 2012, tutti sporchi di vernice colorata e brillantini appiccicati ovunque. Si ricordò di essere andato a lavorare coi capelli sporchi di blu e viola per una settimana. La foto più recente invece risaliva all'anno prima, il 2015, subito dopo la sua proposta di matrimonio, quando tutti li costrinsero a festeggiare: Ruby allungava il braccio mantenendo il cellulare, dietro di lei la futura signora Jones (ormai non se lo sarebbe mai levato dalla testa) che aveva appena tolto gli occhi dallo schermo del computer mentre stava ancora bevendo il caffé dalla sua tazza color crema con cui era fissata, e lui, Killian, in mezzo ad entrambe che alzava due dita contento, facendo le corna dietro la testa di entrambe.
Sorrise ricordandosi ognuno di quei momenti, ripercorrendo la sua vita da adolescente per un attimo, le sbronze al bar, le feste impossibili a cui Ruby lo trascinava, saltando poi alla sua vita attuale.
Un altro sbadiglio.
Il sonno finalmente divenne difficile da ignorare. Raggiunse il divano davanti alla televisione su cui si era già disteso qualche ora prima, ma questa volta fu facile addormentarsi.
Il suo ultimo pensiero fu alla sua fidanzata, non vedeva l'ora di vederla l'indomani.




13 maggio 2013
Proprio come Walsh aveva predetto e come Milah aveva fatto, un secondo invito non era tardato ad arrivare. Quando Milah la chiamò, al posto di mandare Jones da lei, sottolineò con voce acida che a quella cena "non ci sarebbero stati imprevisti", riferendosi alle sue fughe. Ad Emma toccò addirittura doversi scusare, inventandosi di una nonna in fin di vita che le risucchiava tutti i pensieri. Efficace, semplice. E' impossibile arrabbiarsi con la fittizia nonnina malata! Ovviamente Milah non sapeva che Emma non aveva mai conosciuto i suoi genitori, né tanto meno i suoi nonni.
Si mise d'accordo con Walsh perché quella volta sarebbe andata con lui all'appuntamento, così da non aver neanche il modo di scappare via, a meno che non se la fosse voluta fare a piedi. Così si era vestita, truccata, sistemata e spaparanzata sul divano aspettando il suo cavaliere dall'armatura splendente. Le scarpe erano davanti alla porta, il cappotto appeso ad un gancio proprio lì accanto: mancava solo lui.
Erano solo le otto di sera quando stava tamburellando con le dita sui polsi, fissando i numeretti dell'orologio digitale che cambiavano molto, molto, molto lentamente. Accese la tv e seguì uno chef infornare una crostata e tirarla fuori tutta croccante e dorata in meno di cinque minuti. Pensò di avere del gelato nel freezer.
Quando qualcuno bussò col pugno alla porta, pensò "ci siamo" e s'avviò ad aprire. Infilò prima i piedi nelle scarpe, appendendosi alla maniglia della porta, poi sganciò la catena di sicurezza ed aprì la porta.
Chi si ritrovò di fronte non fu il gentile nuovo amico Walsh, che probabilmente le avrebbe fatto un complimento, l'avrebbe ringraziata per l'enorme favore che gli stava facendo e sarebbero andati in auto, forse con un po' di imbarazzo durante la corsa, ad affrontare quella strana coppia di cui s'erano innamorati.
"Sei bellissima." le disse invece Killian Jones.
Emma neanche si fece troppe domande. Sembrava che stesse aspettando lui, che fosse lui il suo cavaliere. Aveva una giacca nera, la camicia grigio scuro e le scarpe tirate a lucido.
Emma si guardò la gonna, ne appiattì le pieghe sulle cosce nervosa, poi incrociò le braccia per proteggersi e bisbigliò un timido "Grazie." Si schiarì la voce per non sembrare una completa stupida e lo guardò con l'intenzione di fargli un complimento. La camicia gli stava un incanto, la giacca era lunga il giusto sotto alla cintura e coi polsini grigi che spuntavano fuori dalle maniche, i pantaloni gli fasciavano le gambe ed aveva un aspetto così pulito. E' così dannatamente facile innamorarsi di un uomo in giacca e cravatta, così facile farlo nelle serate speciali.
"Anche tu." ricambiò allora lei.
Killian sorrise, senza rispondere. Per qualche strano e assurdo motivo nessuno dei due riusciva ad alzare la voce o a spiccicare più di due parole. Era come se avessero le labbra incollate da una qualche magia esterna che toglieva le forze.
Emma continuò a guardarlo meglio. Persino la sua barba era ben curata, rada sul collo, che finiva appena sotto il mento sfumandosi, senza linee nette ed antiestetiche. Solo una cosa stonava ed Emma la notò quasi subito. C'era una macchia bianca punteggiata di blu, di dentifricio probabilmente, sul petto della giacca. Era sceso di casa velocemente e non se n'era accorto.
"Posso?" chiese lei.
Killian non capì subito, non finché lei si avvicinò e con l'unghia del pollice gli grattò via della polvere bianca. Teneva la testa bassa e la lasciò fare.
Le piaceva, le piaceva così dannatamente quella situazione. Profumava ancora di menta fresca. Le sarebbe piaciuto vederlo vestirsi e prepararsi per una cena nella sua camera da letto. Gli avrebbe annodato la cravatta e magari pizzicato il sedere nell'occasione. Voleva lavargli via il latte dalle labbra la mattina o leccargli il caffé agli angoli della bocca. Ed intanto, quando tutte quelle fantasie le ronzavano in testa, l'emozione era potenziata all'ennesima potenza dal suo alito caldo che le arrivava sulla fronte prima e sulle guance poi.
"Ecco." bisbigliò lei, alla fine.
Fece per allontanarsi perché doveva farlo, doveva prima di combinare una sciocchezza. Non ci aveva ancora mai pensato, ma sapeva che non avrebbe mai dovuto avere alcun tipo di contatto fisico con lui. Non l'avrebbe mai avuto, fine. Tutto quello che avrebbe avuto da lui sarebbe stata qualche fantasia che si sarebbe costruita in testa prima di addormentarsi, qualche sguardo fugace ed il piacere di vederlo da lontano mentre stava con un'altra. Poi però Killian le prese la mano, quella che ancora teneva il lembo della sua giacca per smacchiarla, e tutto le scivolò tra le dita, come se la realtà fosse acqua che cadeva via. Senza neanche pensarci Emma si allungò e lo baciò.
Non sapeva che aspettarsi.
Per due secondi si ritrovò a piggiare le sue labbra contro quelle immobili di lui, colte di sorpresa. Poi invece si mossero e stamparono un timido bacio tra quelle di lei, a cui Emma rispose di nuovo e tutto sfuggì di nuovo via dalle mani di entrambi.
Di certo Emma non li contò, ma di sicuro erano stati tanti. Dopo forse una vita o due, Killian si allontanò, non così lontano da non sentire più il suo alito, ma abbastanza da non sentire il calore della sua pelle. "E ora?" le chiese, senza neanche aprire gli occhi. La sua voce era calda e spensierata. Era dolce e morbida, era come il caramello. Come il caramello in una calda tazza di caffé quando fuori fa freddo.
Emma prese un respiro profondo e ripiombò nella realtà, come se l'acqua che le era scivolata prima via si fosse trasformata in pioggia e stesse cadendo su entrambi. Si allontanò e per fortuna non ebbe il tempo di rispondergli. Qualcuno stava salendo le scale ritmicamente. Si allontanò da lui, ricordandosi immediatamente di Milah, che magari per qualche oscuro motivo era lì anche lei. A proposito perché Killian era lì?
Alla fine Walsh salì le scale, ritrovando i due imbarazzati, uno con la mano sulla bocca, l'altra che si leccava le labbra. Solo uno stupido non avrebbe capito. "Ciao." disse solo lui allora. Fece finta di niente ed allungò una mano a Killian, che la prese e gliela strinse, si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla. Poi si avvicinò ad Emma, la abbracciò con le mani sulle spalle e le disse "Sei carina". Emma bisbigliò il secondo "grazie" della serata e gli depositò un bacio umido sulla guancia.
Si ritrovarono allora tutti e tre sul pianerottolo, con la porta di casa di Emma ancora aperta e la tv che risuonava nella tromba delle scale, mentre il solito chef mescolava uova e farina. Emma si schiarì la voce per riempire il silenzio. Quindi intervenne Killian, che tossì prima e poi si scusò con tutti "Vi lascio soli," bisbigliò ed Emma lo vide guardare altrove, negli angoli tra i muri. "ci vediamo al locale." Emma immaginò dovesse passare per casa sua, andare a prendere Milah e poi raggiungerli, mettendoci decisamente troppo tempo, in cui lui sarebbe stato lontano da lei, lasciandola sola con l'altro, morendo dentro di gelosia ad ogni chilometro che segnava il cruscotto della sua auto. Killian guardò verso Emma "Non fate tardi." disse e la sua voce tornò fredda, diversa da quella morbida e calda che aveva sentito prima.
Walsh doveva aver capito tutto quello che era successo prima e che stava succedendo in quell'istante, perché ridacchiò tra sé e sé con il viso nascosto nella solita sciarpa. "Non ci contare!" urlò a Killian che nel frattempo stava andando via. Si fermò un attimo per le scale, appendendosi al corrimano e poi ricominciò a scappare, per andare da Milah. Milah-quasi-Jones.
Emma guardò Walsh come a chiedergli che cavolo stesse dicendo. Si ricordò della faccia che lui aveva il giorno che lo incontrò fuori dal bar dove lavorava Ruby, la sua migliore amica. Walsh sembrò far finta di niente. No, quell'alleanza non sarebbe andata avanti a lungo.
Si morse le labbra arrabbiata, perché sapeva che avrebbero tremato dalla rabbia tutto il tempo. Ce l'aveva con lui, ce l'aveva con Walsh che aveva fatto di nuovo male a Killian, il suo Killian Jones, l'uomo dolce che si era paralizzato davanti a lei, incantato, e che non aveva preso l'iniziativa con lei. Lo stesso stronzo che aveva anche una fidanzata a casa. Emma ammise tra sé e sé di avere le idee confuse. Così partì col pilota automatico: sempre in silenzio con le labbra tra i denti, si infilò il cappotto nero, chiuse la porta senza tante cerimonie e volò giù per le scale, lasciando solo che Walsh la seguisse in silenzio.
In auto, la sua auto, quella di lui, le chiese "Qualcosa non va?". Emma rispose solo con un cenno del capo. Ma lui lo sapeva, aveva capito cosa c'era che non andava. Ad Emma non sembrava di aver parlato a Milah di lui, di averle lasciato capire che c'era qualcosa tra loro, e per di più tra Walsh e Milah non c'era lo stesso che c'era tra lei e Killian. Già, non era la stessa cosa. La serata si stava già trasformando, non che non se lo aspettasse, anzi.
Per quell'appuntamento era stata di nuovo Milah, sempre e solo Milah, a decidere un posto diverso dal solito. L'idea però era più appetitosa, almeno questo le si doveva riconoscere. Aveva scelto un sushi bar.
Dovettero aspettare pochi minuti perché Jones e Milah arrivassero al locale. Si salutarono tuttti. Killian le baciò a guancia, come se la stesse vedendo per la prima volta nella giornata. Poi entrarono tutti. Il posto era decorato a dovere: intrecci di bambù si arrampicavano sulle pareti e sul soffitto, lampadari tondi e lanterne di tutte le dimensioni scendevano su ogni tavolo ed al centro c'era un grande rullo che dalla cucina girava per tutto il locale, su cui c'erano già tanti micro piattini con appena due pezzi di sushi in ognuno. Emma pensò che avrebbe sofferto la fame.
Una cameriera mostrò loro quattro posti a sedere al centro della tavola, in linea dritta, uno accanto all'altro. Emma raggiunse il rullo per prima. Si sedette su quelle sedie alte, dal cuscino morbidissimo, poi si girò a guardare gli altri. Killian la raggiunse subito e la guardò dritto negli occhi. Lui si voltò non appena sentì i tacchi di Milah avvicinarsi, ma i suoi occhi erano fissi su di lei. Si disconnesse solo per prendere la sedia alla sua fidanzata, facendola accomodare lontano da Emma, vicino a lui, così da ritrovarsi al centro tra Emma e Milah. Walsh fu costretto a sedersi dal capo apposto.
Ordinarono del vino bianco, poi Milah cominciò ad aprire la cena con uno di quegli assaggini che ruotavano per la sala. Nel suo piattino c'erano due pezzi di sushi col polipo al centro. Ne prese uno con le bacchette e poi allungò l'altro al suo fidanzato, che si voltò verso di lei e lo prese in bocca. Emma avrebbe preferito trovarsi dall'altro lato del tavolo, evitando di ritrovarsi vicino a quello spettacolo pietoso. A venti centimetri da lei, Killian mangiava dal piatto della sua fidanzata, solo un'ora dopo averla baciata. Ed aveva avuto persino l'ardire di mostrarsi geloso. Ed Emma ne era rimasta dispiaciuta.
Incrociò per un attimo gli occhi di Milah che la stavano fissando chissà da quanto. Emma finse un sorriso, ma lei non ricambiò. Accidenti!
"Ti piace qualcosa in particolare?"
La voce di Walsh la salvò in extremis. Sapeva di non essere davvero arrabbiata con lui, sapeva di essere arrabbiata con Killian, forse sin dall'inizio, così si girò, pretese che nulla fosse e sorrise di nuovo. Anche Walsh allora le sorrise e questo la tranquillizzò. "Tonno." rispose, sorprendendosi della sicurezza che emanava la sua voce. Così si fa, Emma Swan!
"Tonno? Davvero?" chiese Walsh, mettendosi intanto a cercare tra i piatti che gli passavano davanti.
"Certo, che c'è di sbagliato nel tonno?" chiese Emma sorridendo e mettendosi a cercare anche lei. All'angolo dell'occhio riusciva ancora a vedere Milah che ancora afferrava piatti, mangiava, imboccava Killian e ripeteva lo stesso gesto. Lui stava giocando con una pietra di finta giada su cui c'era inciso a caldo il numero 3, tavolo numero 3. Sospirava e mangiava.
"Niente, niente!" le rispose Walsh, ridendo sotto i baffi, passando finalmente ad Emma il suo piatto di sushi col tonno. Si beccò un bello spintone che lo fece solo sorridere di più.
Emma si avvicinò il piatto, litigò con le bacchette non ricordando precisamente come andavano prese, finché alla fine con la mano acciuffò il rotolo di riso e se lo mise in bocca.
"Che classe." le disse Killian e tutti si girarono verso di lui, che guardava lei. Il labbro di Emma cominciò a tremare.
Oggi non ti era dispiaciuta la mia classe, pensò lei. Ingoiò saliva, stava per rispondere acidamente, come al solito, poi sentì il suo piede o meglio la scarpa, quella che si ricordava Emma essere nera lucida, sulla sua caviglia, scendere poi sul dorso del suo piede e di nuovo su, sulla caviglia. Che diamine stava facendo? Lo guardò per un attimo e lui la stava ancora fissando. Avevano ancora gli occhi di tutti addosso. Che cavolo doveva fare? Come cavolo ne poteva uscire? Si girò verso Walsh, sorrise, poi verso Milah-quasi-Jones e sorrise di nuovo. Quindi si scusò ed andò in bagno.
Che cazzo stava combinando? Che cavolo stava facendo Jones? Perché? Non se ne poteva andare a casa. No, quello era fuori discussione. Né poteva chiedere a Walsh di cambiare posto a sedere. Cosa avrebbe pensato Milah? E se lei avesse già capito? Si sciacquo le mani, la bocca e si mise le mani dei capelli, sperando di poterseli sistemare meglio davanti alla faccia.
Che stava facendo? Che diamine stava facendo?
Prese un respiro profondo, pronta a ritornare dall'altra parte, decisa a non fare niente, comportarsi normalmente, fare finta, fingere. Fingere, fingere. Non sarebbe mai stata l'altra. Poteva essere innamorata, ma amava più sé stessa, più di chiunque altro mondo.
Con la testa alta aprì la porta del bagno. Vide Killian Jones raggiungerla dal tavolo. Lasciò lì Milah bisbigliando una scusa e poi a grandi falcate percorse il locale.
No, no, no, no, no, no.
Emma si nascose dietro alla porta, ma cavolo non voleva. Doveva finirla, doveva smetterla. Decise in un lampo che sarebbe finito tutto, qualunque cosa ci fosse tra loro a cui non avevano saputo dare un nome. Sarebbe rimasta calma e avrebbe chiuso tutto. Ebbe il tempo solo di camminare avanti e dietro davanti alle porte chiuse delle toilette, prima che lui arrivasse. Emma prese un respiro e lo affrontò.
Avrebbe voluto chiedergli che stava facendo, perché, se per caso si fosse bevuto il cervello, che cosa voleva da lei, ma invece no. Era voltata di spalle quando lui entrò. Vide la sua figura riflessa nello specchio sopra al lavandino. "Non possiamo restare qui." disse solo.
"No." rispose lui. Con la stessa decisione di prima con cui s'era alzato e l'aveva raggiunta in bagno, con un solo passo la raggiunse, la costrinse a girarsi e la spinse contro un muro. Non era quello che avrebbe voluto Emma, non era come aveva deciso che andasse. "Voglio fare l'amore con te." le bisbigliò poi sulle labbra, con la stessa voce timida, pacata e calda, la stessa voce che le ricordava il caramello, con cui le aveva parlato a casa sua. Ed ancora non aveva capito che ci stesse facendo lì.
"Killian, che diavolo..." fece lei ribellandosi togliendoselo di dosso. Per quanto quella voce le piacesse, per quanto provasse a portarla via su un altro pianeta in cui erano soli, non era così. Lui le afferrò un polso, ma Emma semplicemente agitando la mano si liberò di nuovo. "Credevi davvero che mi sarebbe stato bene? Che l'avremmo fatto qui?" chiese sarcastica lei. Le parole che le fluivano dalla bocca le montarono di nuovo quella rabbia che covava dentro. Come osava.
"Non stavo pensando, però..." continuò lui con la stessa voce. Come al solito, aveva trovato un punto debole e continuava a battere lo stesso chiodo. Le si riavvicinò di nuovo, le prese entrambe le mani, la costrinse di nuovo e spinse il bacino verso di lei, schiacciandosela addosso e contro il muro. Emma riusciva a sentire quanto lui davvero volesse fare l'amore con lei. Di nuovo una fiamma di rabbia le bruciò nel cranio e spinse via Killian. Credeva di essere l'ultimo uomo sulla terra? Credeva di poterla usare così e poi tornare a cenare dalla sua futura moglie? Che schifo, che schifo, che schifo.
"Fottiti." gli sputò lei addosso. Lo spinse via e si liberò. Riaprì il rubinetto, si bagnò di nuovo le mani. Voleva sciacquarsi quello schifo da dosso.
Killian invece pareva non aver dato peso a niente di quello che aveva detto e fatto. Questo le bruciava ancora di più. Voleva fargli male, così come lui e la sua fottutissima futura moglie gliene avevano fatto a lei. Dallo specchio lo guardò mettersi le mani in tasca e fissarla. "C'è stato qualcosa con quel Walsh?" chiese poi.
"Che cosa?" fece lei. Sapeva di aver capito bene, forse voleva dargli l'opportunità di dire qualunque altra stronzata.
Killian chiuse gli occhi e alzò il mento per aria. Emma aspettò curiosa quello che stava per dire. Lo vide ingoiare saliva e farsi coraggio. Forse aveva esagerato, forse era difficile anche per lui. Ben gli sta, pensò anche. "Credo di essere geloso." disse lui poi. Non che non fosse chiaro, non che non avesse capito la prima volta. Quella nota di insicurezza che ci aveva messo, mescolata a quella spiazzante sincerità tuttavia non avevano cambiato la situazione. Un punto per il coraggio, certo, ma c'era una donna di là, la sua fidanzatina, che lo stava aspettando.
"Un po' ipocrita, non credi?" fece Emma sperando di averci messo tutto il disprezzo che sentiva di provare. Le tremava il labbro di nuovo e lo sapeva, ma non riusciva a fermarlo.
"Stiamo litigando?" chiese Killian serio.
"E per cosa?" rispose Emma. Si girò e si appoggiò col bacino sul lavandino. Sentì il vestito bagnarsi a quell'altezza. "Non c'è niente tra di noi."
Killian piegò il capo, fingendo confusione, e la guardò meglio. Probabilmente si stava chiendendo chi fosse quella che l'aveva baciato quella sera stessa. Si avvicinò a lei, portandola ad indietreggiare. Emma avrebbe voluto mantenersi salda sul posto, rimbalzarlo via, diventare all'improvviso imponente. O forse tirargli un calcio nelle palle e guardarlo steso per terra. I tacchi, però, ed il vestito elegante la rendevano impotente. In altre circostanze l'avrebbe fatto, anzi l'aveva già fatto. Poteva farlo, si convinse. E perché doveva? Perché stavano davvero litigando.
Decise di rimanere salda dov'era. Aveva il lavandino bagnato da una parte e lui dall'altra. Killian le sfiorò la mano con la punta delle dita prima e poi col palmo risalì in alto, fino ad afferrarle la spalla, il collo e poi i capelli. Le pupille degli occhi gli si fecero a mano a mano sempre più tonde e diedero ad Emma un brivido freddo sulla schiena, che la paralizzò. Una paura primordiale la prese per un attimo, chiuse gli occhi e cercò di non guardarlo mentre le diceva "Sai che non è così."
Ricominciarono allora con quella solita manfrina di frasi non dette, situazioni non spiegate. C'erano solo un mucchio di "lo sai" e la cosa snervante era che lo sapevano entrambi per davvero.
Gli occhi chiusi furono una vera salvezze e così Emma non si fece fregare di nuovo. Alzò le mani e mise gomiti e braccia tra loro due, spingendolo via. "Fammi essere chiara: tu vuoi stare con me," cominciò lei cercando di sottolineare parola per parola "e poi tornare a casa dalla tua fidanzata che probabilmente starà seguendo qualche stupido rito vodoo alla televisione per farsi mettere incinta da te?". A mano a mano che parlava si sentiva sempre più fiera di avergli tenuto testa.
Killian allora si fece serio. Ogni accenno di malizia scomparve dalla sua faccia. "Le cose non stanno come credi." cominciò a spiegarsi "Io... Milah ed io, noi non..." Tornò di nuovo quel ragazzetto un po' imbranato che non riusciva a dire che non faceva più sesso con la sua fidanzata e magari forse le stava dando anche la colpa. Dio, perché anche i cliché? Fu lì che Emma perse il controllo delle parole, non spiazzata ma forte.
"Ah, allora sì, allora va meglio, scusa per avertelo chiesto!" blaterò lei arrabbiata. Si guardò attorno e si rese conto di essere ancora in uno schifosissimo bagno, di non aver mai controllato se ci fosse qualcuno nelle toilette, di avere il vestito sporco di acqua e ruggine di lavandino e chissà cos'altro e quanto tutta quella situazione fosse patetica. Si diresse verso la porta, fece per aprirla, ma lui le afferrò la mano e la guardò con viso implorante accennando ad una serie di no con le labbra.
"No, no, Emma hai ragione. Io sono solo confuso, noi stiamo insieme da sempre, poi sei arrivata tu e..." cominciò ad implorare per davvero, evidentemente a corto di munizioni.
"Killian, basta!" urlò Emma e se ne rese contro troppo tardi "Perché ne vuoi parlare?" Ed aspettò per davvero una sua risposta. Rimase lì ad aspettare, lo guardò, lo vide aprire la bocca e poi richiuderla. Ed eccola, eccola la risposta che stava aspettando. Appunto. Così sorrise mestamente e se ne andò.
Quando aprì la porta vi trovò due ragazze ferme lì impalate, che non si guardavano neanche tra di loro. E poco più dietro di loro c'era Milah. Doveva aver sentito tutto o quasi. Forse anche la parte in cui l'aveva insultata. I capelli le ricadevano dritti e tristi sulle braccia nude, che copriva con una mano. Emma si rese conto solo allora dell'enorme casino che aveva combinato. E così erano in tre a soffrire. Neanche ci provò ad avvicinarsi o chiederle scusa.
Tornò da Walsh che era rimasto l'unico seduto al tavolo. Avrebbe dovuto ringraziarlo forse per non essersi piazzato anche lui davanti alla porta del bagno. "Potrei averti fatto un favore." gli bisbigliò poi. Afferrò la borsa, lo prese per il braccio e lo costrinse a seguirla. Walsh si portò via il cappotto e si fece trascinare verso l'auto senza chiedere spiegazioni.
Quando furono sotto casa sua, Emma lo ringraziò, aprì il portone, si tolse le scarpe e cominciò a salire appendendosi alla ringhiera passo dopo passo. Non fu mai così felice di rivedere il suo letto. Si lasciò cadere di peso e chiuse gli occhi. Poi fissò il soffitto. Che scema. Che scema, che scema, che scema. Recuperò una bottiglia di vino già aperta dal frigo e si promise solo un bicchiere, perché non voleva credere di essere contemporaneamente innamorata ed avere una dipendenza. Era confusa, arrabbiata, triste e sapeva che lo sarebbe rimasta per giorni. Voleva piangere, ma il suo orgoglio ed amor proprio glielo impedirono. Si consolò con quella bottiglia e s'addormentò con gli occhi che bruciavano per le lacrime prosciugate.


Quando qualcuno suonò non uno, ma una serie di pugni contro la porta, Emma si svegliò di colpo ed affianco al letto c'era la bottiglia di vino vuota. Mando a quel paese chiunque ci fosse dietro, immaginando che chiunque fosse se lo meritasse.
Poi i pugni ricominciarono e lei si ricordò che quello era proprio il motivo per cui non aveva un campanello: scarsa pazienza mentre qualcuno si divertiva ad imitare l'orchestra de La Traviata.
Era decisamente confusa. Guardò la sveglia sul comodino segnare le due e trentacinque di notte. Per un po' lasciò che chiunque fosse dietro a quella porta continuasse a rimanere da quel lato a bussare, magari si sarebbe stancato.
"Continuo fino a svegliare tutto il palazzo se non mi apri." urlò una voce, che riconobbe subito essere di Killian Jones. E non in versione docile che non spiccicava più di due parole una dopo l'altra.
"O entro da solo." annunciò alla fine, colpito da un lampo di genio. Non ci voleva molto ad accorgersi che la porta non era chiusa a chiave.
Emma si strinse il cuscino sulle orecchie attorno alla testa prima di alzarsi. Era ovvio che non potesse scappare se non dalla finestra, ed in più nel suo pigiama si sentiva cazzuta abbastanza da tirargli quel famoso calcio nelle palle che si era meritato fino a poche ore prima. Si alzò, raggiunse la porta, urlò un "finiscila" a lui che continuava a sbattere le nocche delle dita. Finalmente gli aprì. Per qualche strana ragione Emma si era immaginata che di lì a qualche decimo di secondo Killian Jones sarebbe entrato a casa sua a ritmo di furia, riprendendo il discorso dove l'aveva lasciato al ristorante. Qualunque cosa si fosse aspettata sarebbe stata decisamente meglio della realtà, che si presentò con un sonoro burp in faccia al sapore di vino scadente del supermercato. Dopodiché Killian cadde a terra e solo allora notò che in un mano teneva una busta di carta ed una bottiglia di plastica. Sul pavimento cominciò a formarsi una bella macchia di vino rosso e caffé.
"Vuoi un po'?" chiese lui da terra allungandole la bottiglia.
L'espressione di Emma espresse tutto il disgusto che sentiva dentro.
"Preferisco il bianco." ironizzò lei aiutandolo a rialzarsi.
"Lo so." rispose lui. Poi rimase fermo ad aspettare. Ci pensò un attimo ed alla fine riprese a parlare. "L'ho lasciata." annunciò solo.
"Che cosa?" chiese Emma. La notizia ebbe lo stesso effetto di un altro pugno contro la porta, rimbombando come un ossesso nel suo cranio, scavandole di già quelle occhiaie che l'avrebbero accompagnata per tutta la giornata successiva.
"Guarda." disse indicandole il suo cellulare, poi piazzandoglielo davanti alla faccia, mentre le sue pupille si riducevano allo spessore di un ago in mezzo ad un mare verde. Sullo schermo c'erano una miriade di messaggi, tutti dallo stesso mittente, che dicevano "mi fai schifo", "la devi pagare", "sei un verme", "torna a casa se hai il coraggio", e così via. Emma non era sicura di esserne felice. Assorbì la notizia come qualunque altra.
"E perché sei qui?" gli chiese battendo il piede a terra. Ma aveva davvero importanza? Tutta la rabbia che aveva provato fino a poco più di un'ora fa, svanì davanti alla vista di lui disperato, in quelle condizioni. Si sentì in colpa e chiese "Come stai?"
Killian si guardò addosso, poi guardò lei. Ok, era ovvio. Dai pantaloni sporchi di vino e caffé e dall'odore che emanavano era abbastanza chiaro che non stesse affatto bene. Le belle scarpe ed i bei pantaloni che avevano notato quella sera... beh, non erano più così belli. Poi gli si gonfiarono le guance ed Emma ebbe paura che stesse per vomitare e gli si avventò addosso, tirandolo via per le spalle per aiutarlo ad alzarsi. Killian si mise una mano davanti alla bocca e tutto finì lì. Per fortuna!
Si appoggiò con la schiena al muro dell'ingresso. Da quella posizione poteva vedere il letto sfatto, la bottiglia di vino di Emma accanto al letto, i vestiti appallottolati in un angolo. Rimase per un po' a fissare la casa. Poi Emma si accasciò anche lei al muro e scivolò piano piano fino a trovarsi col sedere sul pavimento freddo accanto a lui. Si prese le ginocchia con le braccia e contemplò le stanze vuote insieme a lui, non sapendo esattaente cosa dire. "Dovrei ringraziarti." fece lui alla fine.
"Prego." rispose lei. Era sicura che qualunque cosa stesse uscendo dalla sua bocca, fossero parole ubriache e non ci diede peso. Decise di dover essere solo di compagnia e allora rimase lì.
"Non ho mai cambiato niente in vita mia." cominciò lui girandosi verso di lei. Le parole puzzavano di alcol, stava per singhiozzare e non si reggeva bene. Teneva la testa bassa e le spalle curve, mentre coi piedi sguazzava ancora nel mare marroncino e rossiccio che le aveva versato sul pavimento.
Emma lo aiutò a tirarsi su a sedere, lo appoggiò meglio al muro meglio e gli allontanò un piede dalla macchia a terra. Ci finì dentro con una mano e se la pulì poi sui suoi pantaloni, che ormai erano già una tela artitica. "Come ogni uomo su questo pianeta." abbozzò una risposta.
"No, no, no, no, no, no." la corresse lui, vaneggiando "Niente, niente." disse deciso. Poi le puntò un dito vicino alla faccia "Ma tu, ma grazie a te..." e gli si gonfiarono di nuovo le guance. Emma incrociò le dita e pregò che non vomitasse e per fortuna tutto finì di nuovo.
Per quanto fossero ubriache però, quelle parole accesero una piccola fiammella nel petto di Emma. Grazie a lei, perché contava qualcosa nella sua vita aveva lasciato la fidanzata. La voleva davvero? La voleva così tanto da decidere di fare il primo cambiamento della sua vita? L'aveva così tanto sperato e desiderato, ma non si era mai preparata alla possibilità che sarebbe potuto succedere. Non voleva parlarne, credeva di averlo messo in chiaro in quel bagno. Non era sicura di riuscir a reggere quella conversazione. Sapeva che gli ubriachi hanno la lingua lunga e non era pronta a sentire qualsiasi altra rivelazione le avrebbe fatto, per quanto bella sarebbe stata. E se l'avesse detto che s'era innamorato di lei? Così s'alzò in piedi, lo aiutò a tirarsi su, se lo appoggiò con un braccio di lui sulle sue spalle e lo trascinò fino al suo letto.
"Domani sarà un nuovo giorno." biascicò poi lui, facendosi trasportare, e sorrise come un ebete verso di lei. "E tu starai qui con me." si mise addirittura a ridere "Per sempre!" esagerò, ruotando anche una mano e facendole perdere l'equilibrio. Quasi cadevano a terra insieme.
"Si chiama sequestro di persona." rispose lei affaticata, mentre se lo trascinava per tutta casa. Arrivarono finalmente al letto e lo lasciò cadere, facendo attenzione a non farsi trascinare.
"Non se sei d'accordo." Gli occhi di lui piano piano si chiusero. Allungò una mano e raggiunse un cuscino, che strinse in un pugno sotto al mento.
"E chi te lo dice?"
"Un'amica." disse solo, poi boccheggiò con la bocca impastata di saliva e s'addormentò. Emma collegò subito che quell'amica doveva essere Ruby.
Rimase qualche secondo a guardare l'uomo nel suo letto. Era una vita che non lasciava qualcuno dormire nel suo letto. Che cos'era successo in una sola notte? Osservò Killian e vide un sorriso sul suo viso e quella fiammella di prima le scaldò il torace, le tagliò il respiro e le fermò il cuore. Una piccola lacrima si presentò sul bordo delle palpebre, pronta a cadere. Prima che succedesse Emma prese un respiro profondo, ricaccio dentro la piccola bastarda, chiuse piano la porta e si avviò verso il salotto. La macchia di vino e caffé era ancora a terra. Raggiunse il divano e s'addormentò, bagnando nel sonno il cuscino. 


 




Angolo dell'autrice
Buon giorno a voi, pulzelle!
Ed eccoci qui di nuovo, quinto capitolo! Oggi apro dicendo che ci sono novità in vista, oltre il capitolo è chiaro. Essendo finalmente piena così di tempo libero (eh sì, qualcuno ha finalmente finito l'università lol), ho avuto modo di concludere questo capitolo e farmi ballonzolare in testa un paio di idee interessanti, di cui tre sono quelle che vorrei realizzare più di tutte: 1) una oneshot, missing moments, captain swan, tra l'ultima puntata della quinta stagione e la prima della sesta, riguardante la notte subito dopo il ritorno di tutti a casa. Sarà una fluff (credo), magari si trasformerà in NC17 lol (non credo), però non lo escludo. 2) Qualcuno ha mai letto The Selection? L'idea di partenza del libro mi è piaciuta molto, ma è stata realizzata veramente male, così avevo pensato "mo ci faccio una ff profonda!" e avevo buttato giù qualcosina, ma devo pensare bene alla struttura della potenziale storia. 3) Il lago dei cigni. Ho sempre associato Emma a questa fiaba, però quale? Il balletto o il cartone animato? Se il balletto, quale versione?
Sono aperta a consigli!
Nel frattempo fatemi sapere se questa storia vi sta piacendo, se c'è qualcosa che posso fare a riguardo e lasciatemi una recensione anche piccina picciò per darmi carburante ;P
Poi grazie un mondo a tutti quelli che mi seguono, alla velocità con cui leggete ogni mio capitolo ed ai messaggi privati ed i commenti che ricevo. Grazie!
Un bacio, un abbraccio e alla prossima! 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - meno 7 ***


 

 

6.



2016, cinque di mattina
Killian Jones rimase fermo nella stessa posizione tutta la notte. O per tutto il tempo che dormì per meglio dire.
Il divano era piccolo, ma comodo. Ci stava perfettamente sdraiato sul fianco. Aveva ancora le scarpe ai piedi, s'era tolto solo la giacca che aveva usato come coperta. Se avesse avuto più tempo quella notte si sarebbe messo a cercare un piumone o qualcosa del genere.
Non appena chiuse gli occhi cominciò a sognare. Si ricordò di sua zia, quella dei pancake, quella che lo aveva cresciuto quando suo padre se n'era andato. Era una donna malinconica, lo era sempre stata o almeno così diceva il suo ex promesso sposo prima di mollarla il giorno prima del suo matrimonio. Forse questo aveva contribuito alla sua ansia della sera prima: nessun Jones era mai stato felicemente sposato a lungo!
Quella notte, per qualche ragione, i suoi sogni seppur brevi furono popolati da ricordi. Più che veri ricordi erano sensazioni e momenti, che da sveglio riusciva a sentire bene come i calli sulle sue mani. Magari non riusciva a ricordare che vestiti indossava in una tale occasione, o anche dove si trovava, però si ricordava come si sentiva.
Passò da una sensazione di inadeguatezza, che sapeva bene a quando ricollegare. Ci fu quel giorno, quando litigò per la prima volta con Emma, quel giorno quando qualcuno la chiamò e lei rispose con un "Ti aspetto a casa." e lui le chiese con chi stava parlando. Emma rispose solo "la mia coinquilina". All'epoca lui non sapeva nemmeno che avesse una coinquilina. Chi cavolo era questa? Eppure era stato a casa di Emma così tante volte per più di tre mesi da quando avevano cominciato a frequentarsi, non aveva mai visto una coinquilina e lei non gliene aveva mai parlato. Credeva di essere importante per lei, credeva di essere degno di tale informazione. All'epoca era così arrabbiato, aveva rinunciato a tutto per lei. E così lei capovolse la situazione e lui imparò in quell'occasione che ogni donna è esperta in quell'arte, non si trattava solo di Milah che padroneggiava quell'arte per fargliela pagare. Allora Emma gli urlò che "quante altre volte avrebbe dovuto sbatterglielo in faccia?" e gli disse che "era stufa di sentirsi in colpa". La raggiunse poi mentre era da sola al parco, seduta sull'erba davanti al lago, che lanciava sassolini. Le promise che da quel momento non avrebbe mai più parlato di Milah, non le avrebbe più sbattuto in faccia quello a cui aveva rinunciato per lei e che da lì in avanti sarebbe cominciata una nuova vita. Era la prima mezzanotte del 2014. Avrebbero cominciato l'anno nuovo insieme. Fu l'anno più bello della sua vita.
E conobbe anche la coinquilina. Lili, brava ragazza. In fondo. Molto in fondo. Era anche invitata al matrimonio.
In quello stesso anno poi Emma gli aveva fatto un regalo speciale più in là. Gli aveva regalato un telescopio. Si era sentito un bambino.
Emma era così, Emma era capace di farlo sentire un adolescente ed un bambino, come se ogni cosa che gli succedesse fosse nuova ed una scoperta, come se ci fossero una marea di prime volte. Fu felice persino il giorno in cui ricontattò suo padre e scoprì che s'era rifatto una famiglia.
Sognò e si ricordò anche di sua madre, prima che morisse. Non andava più d'accordo col marito da tempo. Sognò di essere bambino, accanto a suo fratello, davanti a lei e alla sua gonna lunga, mente lei con una sigaretta tra le dita diceva ad entrambi "per amor del cielo non vi sposate mai".
Nessun Jones era stato felicemente sposato a lungo!
In realtà non sapeva se era successo davvero.
Aveva risognato quella stessa scena anche prima di chiedere a Milah di sposarlo. Doveva essere una costante e forse quella era un'altra incoscia ragione della sua recente ansia.
Killian aprì gli occhi per davvero. Per un breve attimo fu cosciente e l'unica cosa che riuscì a fare fu recuperare il cellulare e controllare l'ora. Si era addormentato da poco più di mezz'ora, così richiuse gli occhi e si riaddormentò.
Ripiombò nel mondo sfumato dei sogni. Dopo Emma, sua madre, sua zia, suo fratello, toccò anche a Milah. C'erano stati due momenti chiave nella loro storia che Killian non avrebbe mai dimenticato.
Era giovane, aveva appena lasciato la scuola ed il college. Aveva comprato un'auto vecchia, l'aveva più o meno rimessa apposto. Camminava, accellerava, frenava, ma il condizionatore era definitivamente rotto. Così quando rimaneva lì con Milah, perché una casa ancora non ce l'aveva, faceva un freddo cane alla sera tardi. Allora parcheggiava sotto casa di lei. Ce la riportava e poi aspettavano lì insieme che il tempo scorresse. Milah si schiacciava con la schiena sul petto di lui, si rannichiavano l'uno contro l'altro e contro il volante. Lì per lì le chiese "se trovassi un posto in affitto per me?", lei dapprima sobbalzò perché lo sapeva così bene che bambino non cresciuto si celava al buio di quel veicolo, poi sorrise e scrollò le spalle senza dire niente. Gli strinse però la mano un poco di più e in quel preciso momento Killian sapeva di amarla.
Il secondo momento invece fu prima di conoscere Emma. Erano in auto in silenzio. La sua auto era dal meccanico, Milah era passata a prenderlo a lavoro e stavano in silenzio. Lei non aveva voglia di dirgli niente, lui non aveva voglia di farlo. Poi due mesi dopo si trovò quei cuoricini sul calendario. Era il modo di lei di mettere apposto le cose. Quando non stava funzionando poi lei aveva fatto una mossa ancora più stupida ed ingaggiato Emma.
Il resto non c'era bisogno di ricordarlo.
Si rigirò di nuovo sul divano. Per un attimo ebbe di nuovo la sensazione di essere sveglio, poi scomparve ancora e piombò nel buio. I ricordi non c'erano più e Killian Jones continuò a dormire fino a quando poté.



14 maggio 2013
Quando Emma aprì gli occhi, si trovò con la luce del mattino dritta sugli occhi che entrava dalla finestra e la suddetta finestra di certo non era quella della sua camera. Sentì con le dita il tessuto del divano e si ricordò tutto. S'alzò di scatto. I capelli le caddero annodati e spettinati davanti alla faccia, gli occhi erano impastati e dovette strofinarseli più volte per riuscire a vedere qualcosa. Sentì rumori provenienti dalla cucina e s'affrettò in quella direzione, ancora confusa con gli occhi appannati di sonno. Appena riuscì a vedere qualcosa notò prima una figura alta, che mise a fuoco e riconobbe alla fine essere Killian Jones, nella sua cucina a pulire pentole.
Che fare, che fare?
Come prima cosa, prima che la vedesse si appiattì i capelli alla testa. Si impigliò in un grande nodo ad altezza del collo e decise di rimandare indietro l'intera massa. Ci mise evidentemente troppo tempo e troppo rumore, tanto da far girare il diretto interessato e vederla in piedi.
"Buon giorno!" fece lui. La sua voce era stranamente allegra e riposata, come ci si aspetta di sentirla in ogni pubblicità dei biscotti in televisione. "Ho preparato la colazione." disse come se fosse normale, la cosa più normale del mondo, come se lo facesse tutte le mattine. Emma si grattò il capo dietro un orecchio. "E il caffé." Killian prese poi una tazza e la piazzò sul tavolo, di fronte ad Emma che stava ancora sotto lo stipite della porta a guardarsi attorno. "Latte" disse "e panna." Aggiunse spruzzando schiuma bianca sul caffé già marroncino chiaro. Prese un'altra tazza, piena fino all'orlo di caffé nero pece forse un po' bruciato, e si sedette dall'altro lato.
Emma prese un respiro e decise di chiedere la cosa più stupida ed ovvia che le venisse in mente. "Come stai?"
"Benissimo." rispose lui, prendendo un sorso di caffé. Fece poi una smorfia e forse a fare il caffé non era poi tanto bravo, ma in fondo si trattava di un vizio. Le labbra gli rimasero sporche e marroncine, così si leccò via quella patina liquida incosciamente.
Sul viso di Emma invece si stampò un'espressione interrogativa. Com'era possibile? Stava quasi per vomitare sul suo pavimento, sopra quella grande macchia di vino e caffé. A proposito. Si girò, si sporse col capo verso l'ingresso e ispezionò il pavimento. Era pulito. Le aveva pulito anche il pavimento.
"Come..." cominciò a chiedere lei. Come... Come cosa? Come aveva fatto a riprendersi?
"Le aspirine nel tuo comodino e tanta acqua." rispose lui scrollando le spalle dopo aver inutito la domanda. "Pancake?" chiese e si girò, recuperò due piatti e li dispose sul tavolo.
Emma guardò l'orologio vicino alla televisione. Era l'una di pomeriggio. Oh cavolo. Si alzò, raggiunse il tavolo. C'erano quattro pancake per piatto, tutti uno sopra all'altro a creare due piccole pile, ed una forchetta in cima come una bandiera. L'allunaggio dei pancake. Emma si sedette davanti ad un piatto. Poi riuscì a connettere il cervello con quello che aveva detto lui. "Hai aperto il mio comodino?" chiese lei infastidita dalla violazione dei suoi spazi.
"Solo il sinistro." rispose lui e la vide tirare un sospiro di sollievo di troppo. "A destra ci avrei trovato un vibratore?" chiese lui scherzando. Incrociò le braccia e riuscì addirittura a sorridere, nel modo malizioso che faceva lui quando diceva una porcata.
Davvero? Si chiese lei. Queste battute da quinta elementare? "Ti preferivo ubriaco e depresso."
Killian sorrise di nuovo, intenerito dalla sua spavalderia. "No, non è vero." rispose solo e si mise a sedere davanti a lei. "Assaggia." la esortò poi. Così Emma prese la forchetta dal piatto e cominciò a mangiare. Beh erano buoni, ma erano solo pancake. Persino un ragazzino ci sarebbe riuscito.
"Buono." commentò lei e cominciò a mangiare. A mano a mano che ne metteva in bocca si rendeva conto che il sapore migliorava. Si sentiva la pasta morbida che si scioglieva in bocca, la cioccolata, la panna e la polvere di cacao. I sapori erano netti e si riconoscevano ad uno ad uno per poi mischiarsi in un'unica crema dolce ed irresistibile.
"Mia zia li faceva così." spiegò Killian sorridendo, probabilmente aveva apprezzato più la voracità di Emma che il suo complimento. "Milah è sempre a dieta, non potevo mai farli." continuò.
"Oh."
Ed ecco l'elefante nella stanza. Milah di nuovo. Milah-non-più-quasi-Jones. La fidanzata per eccellenza. Doveva esserne gelosa? Poteva? Si sentiva gelosa in effetti, ma aveva senso esserlo? Nonostante fosse come parlare di un fantasma, l'idea di lei riempiva come un gas la stanza: occupava tutti gli spazi disponibili, si espandeva, soffocava. Emma non stava più mangiando e si rese conto troppo tardi, che anche lui s'era reso conto che lei se n'era resa conto e si fermò prima, poi riprese a mangiare abbassando la testa.
E c'era un'altra cosa, un'altra grande cosa. Chi era sua zia? Chi era questa donna che gli faceva i pancake? Perché non sua madre? Non era tanto il non sapere chi fossero queste persone, ma chi fosse lui. Emma sapeva com'era fatto fuori, che era vendicativo, un vero stronzo, ma era anche simpatico, allegro e vitale. Era sufficiente? Milah conosceva questa zia?
"Perché l'hai fatto?" chiese Emma, impaziente di sapere se fosse per lei o per sé stesso che aveva lasciato Milah, l'elefante nella stanza.
"Avevo fame, non c'era niente in frigo..." cominciò lui, che aveva capito, in un insufficiente tentativo di cambiar discorso.
"No." cominciò lei, decisa a spiegare cosa intendeva, ma si sentiva a disagio e non ci riuscì. Ruotò la mano per aria cercando di fargli intendere che c'era altro, altre cose a cui si riferiva. "Lo sai." concluse alla fine.
Killian sorrise debolmente con un lato della bocca, tagliò un pezzo di pancake con la forchetta che infilò a taglio nella pastella cotta e se lo mise in bocca. "Lo sai." rispose lui.
Emma sospirò: non sarebbero mai andati da nessuna parte. Riprese a mangiare con una strana sensazione nella pancia. Aveva pensato così spesso di amarlo, ma non s'era mai soffermata sugli ostacoli che c'erano in mezzo. Aveva visto sempre e solo Milah e nient'altro.
Killian finì tutto quello che aveva nel piatto, si pulì la bocca ed aspettò lei, che non ci mise molto in più e si massaggiò la pancia non appena posò la forchetta. Emma voleva rimanere occupata quanto più tempo possibile ed allora aveva mangiato con molta, troppa calma. Cominciò a tamburellare le dita sul tavolo e guardare sul legno chiaro. Grattò via una macchia di pastella che doveva essere caduta durante la preparazione.
Killian allora s'alzò, recuperò il suo piatto, le posate, poi si girò verso Emma e le tese una mano. Lei non capì all'inizio, troppo presa dai suoi pensieri e gli rivolse un'occhiata interrogativa, a cui lui rispose con un cenno del capo indicando il piatto. Emma allora gli passò il piatto e le posate. Killian si girò e cominciò a lavare i piatti rivolgendole le spalle.
Killian Jones era lì a casa sua, nella sua cucina, che faceva cose normalissime, come cucinare e lavare i piatti, come se la casa fosse anche sua. Non era questo che voleva fino alla sera prima? E allora perché sembrava strano? Capì all'improvviso quanto fosse stato stupido quel piccolo sogno da giovane adolescente.
S'alzò e s'affiancò a lui, decisa a badare da sola alla sua cucina, togliergli quella famigliarità con la sua casa di mano. Cominciò a sciacquare i piatti che lui stava lavando e finirono così in metà del tempo. Voleva fare tutto da sola, ma erano finiti per dividersi i compiti.
"Che squadra!" commentò lui asciugandosi le mani.
Emma chiuse gli occhi e sorrise, non erano proprio quelle le sue intenzioni. Eppure così erano finiti. Quando aprì gli occhi e si girò verso di lui, non riuscì a vedere molto. Un riflesse incoscio glieli serrò di nuovo. Le labbra di lui erano sulle sue e nonostante le stesse rubando quel bacio, era di una dolcezza sconvolgente.
Emma ricambiò il bacio e gustò il sapore di cioccolata che Killian aveva ancora sulla lingua e tra i denti. Lui si raddrizzò e si fece più vicino senza lasciarla. Le prese un fianco con una mano e con l'altra le schiacciò i capelli sul collo. Si staccò da lei a suon di piccoli baci, ognuno più leggero dell'altro. Il fiato caldo di lui si posò poi sul suo naso. Emma non riuscì ad aprire gli occhi, catturata da quel momento. Forse neanche lui ne fu tanto capace.
"E se ci stessi pensando adesso?" disse Killian, stringedosela tra le braccia e ributtando Emma in quel mondo di fraintendimenti, frasi a metà e cose dette e non dette. Lui sorrise con quel fare malizioso e dolce insieme, riscaldandole il viso con quelle smorfie che le soffiavano aria calda sul viso.
Chissà come Emma capì subito che cosa lui stesse dicendo, ricollegando all'istante alla conversazione nel bagno della sera precedente, quando lui non aveva esattamente pensato ed aveva però progettato uno squallido incontro nei bagni. Da quella prospettiva, sotto il suo viso, sotto le sue labbra, Emma pensò che se non l'avesse respinto la sera prima, quell'invinto poteva suonarla anche dolce e romantico come suonava l'ultima proposta in quello stesso momento.
Emma cominciò a sorridere e così anche lui, che le si avvicinò di nuovo con la stessa espressione e quasi le coprì di nuovo le labbra. E stava per abbandonarsi di nuovo, per baciarlo di nuovo e chissà cos'altro sarebbe venuto dopo. S'immaginò il suo letto, corpi nudi avvinghiati, frenesia, dita che s'aggrappavano alla pelle. Cancellò tutto scuotendo appena il capo ed allora aprì gli occhi. L'elefante. Era lì gigante, nella sua cucina, davanti a loro a guardarli con quei suoi giganti occhioni tristi.
"Scusa, io.." cominciò lei. Gli occhi di lui dipendenvano dalle parole di lei, così in attesa, ad aspettare lei, dolci, romantici, un po' maliziosi, perfetti.
"Hai perso la lingua, Swan." disse sorridendo, con voce roca e bassa, mettendole un dito sulle labbra.
"Già." rispose lei ad occhi chiusi, gustando la sensazione di quel dito sulle labbra, immaginando di posargli un bacio e rimangiarsi tutto quello che aveva detto.
"Posso aspettare." rispose lui, allontanandosi di mezzo passo, rispettando i suoi spazi. Le posò un bacio sulla fronte e le prese le mani.
"Non credo che io riuscirò ad essere così paziente." ammise lei sorridendo, mentre di nuovo le tornò in testa quell'immagine dei due corpi sul letto, con le sue dita affondate nella schiena di lui. Non se ne rese neanche conto e neanche le importò di essersi lasciata andata andare per qualche secondo. Ma andava bene così. "E' solo che..." cominciò non sapendo come continuare, ma volendo continuare. Abbassò gli occhi e vide le dita di lui intrecciarsi alle sue ed il pollice giocare con le vene sul suo polso. Rialzò lo sguardo ed incrociò gli occhi cristallini di Killian. Così si leccò le labbra e proseguì. "Mi sento come se ci fosse un grande elefante nella stanza." si spiegò. E si stupì di averlo detto davvero, così come lo vedeva e lo aveva pensato, l'elefante, con le stesse esatte parole.
Killian sorrise di nuovo. Lo sapeva chi era quell'elefante, l'aveva capito prima, era chiaro in quello stesso momento. "Io non vedo elefanti." scherzò allora.
Emma sorrise. "Idiota." bisbigliò.
"Vuoi che ti parli" cominciò lui "dell'elefante?" chiese sottolineando la parola. Aveva capito ovviamente chi era l'elefante. Nella mente di Emma l'elefante si trasformò in Milah-(non più)-quasi-Jones sotto i suoi occhi: i capelli neri crebbero da quella testa grigia pelata, le orecchie si ridimensionarono, il naso divenne sottile. Eccola, Milah a guardare quel bacio, quella conversazione, quella relazione. Il termine relazione sembrava sbagliato così.
"No." rispose Emma piano. Aveva paura di quella conversazione. E se lui avesse fatto un tremendo sbaglio a lasciare la sua ex promessa sposa per lei? Lei che non sapeva niente di lui, che non centrava niente con lui.
"Di me e te?" chiese allora lui, impaziente evidentemente di dire qualcosa.
"Nemmeno." rispose lei decisa. Era anzi l'ultima cosa di cui avrebbe voluto parlare.
"Film, pop corn e caffé?" propose allora lui, cercando di cambiare argomento e di distorgliela da qualunque pensiero la stesse disturbando. Era il primo giorno di una nuova vita per lui e, come aveva detto la sera prima, l'aveva sequestrata in casa sua.
Emma decise di dargli corda e cambiare argomento, mettere l'elefante da parte e non fare niente di male. "Pop corn e caffé insieme? In bocca contemporaneamente?"
"Che schifo, no!" rispose lui offeso.
E allora si divisero i compiti, di nuovo come una squadra, lavorando benissimo nella metà del tempo. Killian accese la televisione, cercò un film in lungo e largo dopo aver entrambi concordato sull'horror splatter, tanto per rendere la cosa ancora più schifosa. Emma invece accese la macchinetta del caffé, avendo capito che lui non era tanto bravo a prepararlo, recuperò la sua tazza color crema, ne prese un'altra celestina dalla credenza e mise i pop corn nel micronde.
Dopo cinque minuti si ritrovarono sul divano e cominciarono prima dai popcorn, che finirono nelle bocche, tra i cuscini del divano e sulle loro magliette dopo esserseli tirati addosso più volte per colpa di una battuta di troppo.
A metà film però, dopo non aver capito molto bene la trama, erano di nuovo appiccicati per le labbra. Emma era quasi pronta a salirgli addosso a cavalcioni, modificando la sua fantasia, e sentiva che anche lui era davvero davvero pronto per lei, ma l'elefante era là, di nuovo là davanti al televisore, a darle fastidio. Si spiccicò solo un attimo da lui, che nel buio della stanza, alla luce di un film dalla trama cupa e dai colori tetri, le chiese "E' sempre nella stanza?"
Emma aprì gli occhi e vide Milah di nuovo. "H-hm" mugugnò in tutta risposta senza rompere il bacio.
"Ok." rispose lui e si staccò da lei. Killian si alzò in piedi e si stiracchiò. "Andiamo, ti porto con me." disse, invitandola con una mano a sollevarsi.
"Cosa?" chiese Emma, senza scomodarsi da dove si trovava. Prese una manciata di pop corn dalla ciotola e se lo ficcò in bocca. Con gli occhi poi guardò prima lui e poi il film, vagamente incuriosita tutto ad un tratto. Un urlo provenì dalla televisione. Killian allora disturbato, recuperò il telecomando e la spense. Emma allora, privata all'improvviso del suo interesse, si girò verso di lui. "Dove?" chiese infastidita.
"Sorpresa." rispose lui, ritardando apposta, mentre lei s'alzava, perché sapeva che non le sarebbe piaciuta la risposta. La prese per le mani e se la tirò fuori dalla porta d'ingresso.
"Non mi piacciono le sorprese." fece Emma, ma senza divincolarsi. Odiava tanto non sapere cosa stesse succedendo, quanto le piacevano invece i giochi. Si trovò divertita in quella situazione. Pretese allora di essere sempre la solita perché lui non lo capisse, ma il clima disteso doveva averla tradita.
"E allora ti devi fidare." fece lui. Cominciarono a salire le scale
"Non..." cominciò, volendo dire che non le piaceva neanche fidarsi o più semplicemente che no, non si fidava di lui. Ed invece forse sì, ma non poteva dirglielo e non poteva non dire niente.
"Lo so." rispose lui.
Arrivarono alla fine all'ultimo piano di quel palazzo. La temperatura era salita sempre di più ed entrambi sentivano bruciare nei polpacci e lungo tutta la coscia per tutte quelle scale. Avevano il fiatone e una riga di sudore colava dall'attaccatura dei capelli di lei e dal collo di lui. Emma voleva commentare che avrebbero potuto prendere l'ascensore. L'aria era viziata e c'era solo una porta tutta arruginita, malamente riverniciata di bianco. Killian abbassò la maniglia e spinse con forza la porta, che si scollò e si aprì. Una ventata d'aria fresca li invase all'improvviso e quelle due gocce di sudore si congelarono all'istante. Emma si sfregò le braccia coperte solo da una sottile magliettina di un pigiama per farsi calore e guardò in alto. Lassù le luci della città erano distanti, i lampioni non inquinavano il cielo e le stelle spiccavano luminose, come puntini trapuntati su quella coperta di costellazioni. Le scappò un "wow" dalle labbra. Non si era mai fermata a guardare il cielo così bene. Aveva sempre cercato la sua libertà nella velocità della meccanica, nella letterale fuga in pullman o in treno. Il cielo le trasmise invece una sensazione di pace invadente.
Emma si ricordò all'improvviso di essere così vicino a casa sua, a pochi metri in verticale dal suo soffitto e che con lei c'era Killian Jones, che prima di quel giorno non era mai rimasto più di mezz'ora in quel palazzo. "Come sapevi che c'era un terrazzo?" gli chiese lei.
"Ho improvvisato." rispose lui, spolverandosi le mani tra di loro.
Il pavimento era cementoso, polveroso, con qualche piuma d'uccello qui e lì e palline di carta bloccate negli angoli. C'era una sola grade finestra rettangolare a terra, di cinquanta centimetri più alta del pavimento, che sotto s'apriva sulla buia tromba delle scale.
Killian tastò prima col piede quella finestrella. Addosso aveva ancora i vestiti della sera prima. Era rimasto coi pantaloni eleganti, una maglietta a mezze maniche bianca e la giacca. Ai piedi portava invece solo i calzini. Quel particolare fece sorridere Emma. Lei invece teneva addosso solo i pantaloni bianchi di un pigiama ed una felpa vecchia che usava in casa. Il tutto era impreziosito dalle ciabatte marroncine e pelose.
Quando il vetro sotto non scricchiolò, Killian provò con l'altro piede, mettendosi in equilibrio sul vetro. Si tenne con le braccia in orizzontale per mantenere il baricentro e non muovere neanche un dito. Emma spalancò prima gli occhi: già lo vedeva al piano di sotto, con mille vetri addosso, poi gli allungò le mani per aiutarlo a tenersi in piedi. Killian ne approfittò e la tirò su.
"Idiota." mormorò lei una volta su.
"Già, già." rispose lui, credendoci poco. Poi si distese sul vetro, a pancia in su, con un braccio sotto alla testa a mò di cuscino e guardò le stelle.
Emma lo imitò e lo raggiunse, distendendosi accanto a lui. Procedette molto lentamente all'inizio, poi prese confidenza e si trovò una posizione comoda con un braccio allungato accanto al corpo in mezzo ad entrambi, e l'altro sotto la schiena a darsi sostegno lombare. Quando Killian le prese una mano nella sua, Emma sobbalzò, cominciò a sfilarla via, ma lui la strinse la sua e lei la sentì calda attorno alle dita. Si ricordò quando a colazione l'aveva visto intrecciare le dita alle sue e lasciò allora che la sua stessa mano riprese quella posizione.
Killian allora, con la mano che teneva quella di lei, si grattò prima il mento, poi con l'indice di Emma ed il suo iniziò a puntare "Quello è il grande Carro," cominciò "accanto c'è Orione, la cintura che lo taglia a metà..." Poi prese a pensare. Era assorto e guardava bene in quel mare di puntini disposti a casaccio sul nero della notte.
Emma lo guardava ammirata: c'era di più di quello che sembrava sotto la barba scura. Sapeva che come tutti, anche lui doveva essere bravo in qualcosa, avere qualcosa di speciale, come per lei era la straordinaria capacità di capire la mente degli altri (eccetto quella di Killian, tanto per cambiare). Conoscere la cosa che lo rendeva speciale, la passione evidente per l'astronomia, la fantasia di vedere un cacciatore inseguire un carro e una lepre in una serie di puntini in cielo, lo rese più umano, una persona vera. "Come fai a sapere queste cose?" chiese. E poi c'era quell'altra cosa: non lo conosceva. No, non lo conosceva per niente. Come faceva a dirsi innamorata prima?
Killian s'interruppe e si girò verso di lei."E' stata l'unica cosa che ho studiato a scuola." rispose con naturalezza, come se il fatto che la ragazza sconosciuta che aveva scelto non sapesse niente di lui fosse naturale, semplice, forse addirittura intrigante.
Emma allora non disse niente. No, non rispose, recepì solo il messaggio e decise di archiviare l'informazione in una cartella mentale intitolata "cose che so di Killian Jones". Le pareva di averne già cominciata una, quando voleva solo guardarlo da lontano. Perché la cosa turbava? Perché sembrava un improvviso peso? Cercò di concentrarsi sulle stelle e pensò che anche quelle dovessero essere pesanti.
"Andiamo a Miami." propose di punto in bianco Killian.
Emma si girò quasi spaventata verso di lui. Dalla finestra sotto di loro si sentì un leggero crack come se rispondesse anche quella alla proposta folle. "Che cosa?"
"Non ci sei mai stata." cominciò lui ed Emma fu colpita dal fatto che lui se lo ricordasse. Ne avevano parlato poche settimane prima a cena, quella da cui lei era scappata. Anche lui aveva una cartella chiamata "cose che so di Emma" probabilmente. "Così mi racconti chi era Emma Swan fino all'anno scorso." continuò "E non ci sono elefanti a mare." aggiunse con un sorriso sdrammatizzante.
E così aveva capito cosa la turbava. "Killian." cominciò lei, che non sapeva bene come rifiutare, perché era ovvio dovesse rifiutare. Era una follia ed Emma non era mai stata una persona romantica o folle o peggio, romanticamente folle. "Killian, non credo che noi..." cominciò lei e di nuovo si sentì quel crack. Se prima non ci aveva dato peso, adesso la maggiore intensità di quel suono reclamò ogni attenzione e fece cadere il discorso.
"Oh-oh!" fece lui, esattamente come si farebbe in un film. "Non ti muovere." ordinò, immobile come una statua, seguendo le sue stesse direttive.
Emma invece istintivamente s'era già alzata ed era saltata giù, atterrando con le ciabatte sull'asfalto grigio del terrazzo. "Vieni via!" fece lei allarmata, allungandogli già una mano per afferrarlo al volo.
Al terzo crack l'espressione concentrata di entrambi si destabilizzò e cominciò a tremare, come trema un urlo o una risata prima di uscire fuori dalla bocca. "No, no, no." fece lui.
"Avanti!" incintò lei.
Killian si mise rapidamente a sedere allora. Con le gambe lunghe raggiunse subito l'asfalto e si tirò su in tempo record. Prese le mani di Emma e si allontanò con un solo passo dalla finestra che nel frattempo continuava a gracchiare e farsi sentire. Si girarono entrambi in tempo per veder cadere al piano di sotto una pioggia unica e violenta di vetri rotti, che si infransero in altri mille scintille che volarono via, colpendo le pareti, i battiscopa e gli angoli delle mura. Si sporsero entrambi per vedere il casino che avevano combinato.
Quando Emma e Killian si voltarono, guardandosi tra di loro, quel tremolio sulle labbra che prima era di ansia e adrenalina, si trasformò in una fragorosa risata. Dovettero appendersi l'uno sulle braccia dell'altro per mantenersi in piedi.
In fondo sarebbe potuto essere divertente!


 




Angolo dell'autrice
Salve a tutti, ragazzi e ragazze :)
Mi scuso per il ritardo, aspettavo qualche altra recensione prima di pubblicare. Cooomunque capitolo un po' moscio, però mi serviva. Sapete volevo essere un po' divertente e anche realista, mi serviva un capitolo che fosse "imbarazzante", come ad un primo appuntamento con una persona, mi spiego? :) Il prossimo sarà, beh, movimentato. Sono un po' nervosa per questo capitolo perché temo che non vi sia piaciuto.
Un saluto ed un bacio a tutti, grazie per le letture, aggiungere la storia ai preferiti/seguiti/ecc e grazie mille per i commenti. 
Alla prossima ;) 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - meno 6 ***


7.

 

2016, sei di mattina
Killian Jones non poteva dire con certezza di dormire. Forse perché in quel momento non era in grado di parlare, ma a parte questo, era consapevole di star dormendo e sognando, riusciva però anche a sentire chi si muoveva attorno a lui, attorno a quel divano nero, e mischiava quelle informazioni col casino che si era creato in testa.
Aveva sentito il campanello suonare, dei passi trascinarsi fino alla porta e poi la voce di Liam. Nella sua testa, nel suo sogno, c'erano Liam e sua madre che parlavano. Sua madre che gli chiedeva dove diavolo fosse stato tutto quel tempo, perché gli aveva detto di tornare prima a casa. Si ricordò di quando sua madre era sempre arrabbiata, quando non funzionava più con suo padre ed ogni cosa la faceva infuriare, soprattutto coi suoi figli. E forse sapeva già allora di essere malata.
Voleva smettere di ricordare quel momento, voleva ricordarsela che sorrideva, che giocava con lui e suo fratello in un giardino, anche se non era mai successo. Si agitò e sudò lungo il collo. Forse quello lo portò un po' più lontano da quel sogno fastidioso, tuttavia l'ansia rimase.
"Ciao Ruby." disse la voce di Liam nella realtà.
"Liam." ci fu un momento di attesa, probabilmente un abbraccio o qualcosa del genere. Killian sentì persino qualcosa che veniva ruotato e trascinato sul pavimento, quasi sicuramente una valigia. Ci furono una serie di brusii ed il fatto che non riuscisse a comprenderli, si disse, era la prova che stava ancora dormendo. Si rigirò ancora una volta e il braccio gli scivolò sugli occhi così da proteggerlo dalla luce che stava già entrando dal balcone affianco al divano. Sentì i loro sguardi addosso.
"Che diavolo è successo alla sua faccia?" chiese poi Liam.
"Non ne ho idea, non era così ieri sera.." spiegò Ruby "Credo."
Sentì Liam mugugnare, probabilmente ricollegando quello che gli aveva detto suo fratello stesso per telefono.
"Caffé?" chiese Ruby. E poi di nuovo si allontanarono e non li sentì più.
Killian in quel barlume di dormiveglia si chiese come faceva anche Ruby stessa ad essere così sveglia e fresca dopo aver dormito solo cinque ore, o forse meno.
Si rigirò di nuovo ed alleggerito si rimise a dormire.
Il pensiero di sua madre non riusciva ad allontanarlo. Il suo dito con l'anello d'oro bianco e quel diamante che luccicava sempre alla luce del sole lo ossessionava. La vedeva puntargli quel dito davanti di continuo. La vedeva raccomandargli di non sporsarsi mai, di non farsi incastrare mai. La vedeva dirgli che la vita era breve e allora sì, ci rifletté, e sì lei lo sapeva, lei sapeva già di essere malata allora. E per tutta la sua adolescenza seguì il suo consiglio alla lettera, un consiglio che trovava un terreno fertile in un giovane maschio bombardato dagli ormoni e col complesso dell'abbandono.
Fu qualche anno dopo, ad uno dei tanti anniversari della morte di sua madre che cominciò a sentire un gran vuoto dentro. Si era svegliato ed aveva visto alcune delle cose di Milah: il suo pigiama e lo spazzolino. Era andato in cucina e s'aspettava di vedere la sua borsa o un rossetto o il crocifisso che indossava sempre lasciato in giro per casa. Invece tutte le sue cose erano ben nascoste, lontano dalla sua vista.
Come un lampo rivide un ricordo: era davanti alla vetrina di quel gioiellieri di tanti anni prima, dove vide l'anello che avrebbe voluto comprare a Milah e che riuscì ad avere solo un anno dopo, quando le chiese di sposarlo. Anche allora aveva ripensato a sua madre ed aveva deciso di vivere il presente e lasciarla andare. Fu quella l'ultima volta che pensò ai suoi assurdi consigli, alla vita triste che lei aveva vissuto, al suo voto di seguire le sue orme.
Di nuovo ricominciò a sudare, voleva uscire da quell'incubo, non era quello a cui voleva pensare il giorno del suo matrimonio. Avrebbe voluto che sua madre fosse lì, che fosse felice per lui. Sapeva che se ci fosse stata lei sarebbe stata felice.
Si ritrovò così di nuovo in quel limbo in cui dormiva, ma sapeva di dormire, e pensava, ma sapeva di pensare. C'era sempre sua madre in testa, così si agitò sperando che il movimento portasse via con sé anche quei ricordi spiacevoli. Sua madre non se ne andava. Era molto che non gli capitava di averla come un pensiero insistente, che non riusciva ad allontanare. A volte era contento perché poteva così immaginarsela tutta intera. E perché vi chiederete voi?
Provate ad immaginare una persona, un vostro caro. Partite da un dettaglio e poi come una brutta ripresa di un film di seconda categoria riducete lo zoom: inquadrate prima la sua bocca, gli occhi, il naso, poi il suo viso nel suo insieme. Ce l'avete fatta? Beh Killian no, Killian mai. Era da quando lei era morta che si appendeva ad ogni dettaglio e lo metteva insieme agli altri solo quando dormiva. Quel dettaglio, quell'episodio però credeva di averlo allontanato per sempre. Il suo dito non gli era mai tornato in mente da quella mattina davanti al gioielliere, neppure quando alla fine aveva comprato il diamante. Eppure quel ricordo gli dava fastidio e voleva eliminarlo. E allora agitò di nuovo la testa.
Quando non ne poté più di rigirarsi, di sudare e degli incubi, decise di aprire gli occhi. Erano pesanti e tutto il suo corpo gli urlava di rimanere lì e non muoversi per il resto del giorno. Il display del televisore però gli faceva presente che erano già le sette meno e cinque. Lasciò perdere quegli ultimi minuti di sonno che gli potevano rimanere e s'alzò.
Massaggiandosi la testa arrivò in cucina, dove una sagoma gli augurava "buon giorno" seduto al tavolo.
"Ruby?" chiese, senza connettere ancora bene. Si sfregò gli occhi e riconobbe Liam. Si colpì col palmo della mano la testa per essere stato così stupido, ma se ne pentì immediatamente. Una chiara smorfia sul viso annunciò anche a suo fratello il mal di testa violento e lo stato confusionario in cui versava.
Liam gli allungò lo scatolino che stava sul tavolo, afferrò una bottiglia d'acqua e gliene versò in un bicchiere. Gli allungò poi pure quella. Aspirine immaginò. La prima cosa positiva di quella lunga giornata fu non riuscire a vedere l'espressione di disapprovazione di Liam.
"Tutto ok?" chiese lui.
"Hm." mugugnò Killian, non sapendo bene come rispondere "Ho sognato la mamma." accennò poi. Da bambini si raccontavano sempre qualunque cosa riguardasse la mamma.
"Mi riferivo al tuo occhio." accennò il fratello, indicandogli il viso come con una freccia.
Killian si portò una mano alla faccia, sentì un dolore sotto le dita e poi sull'intera metà della faccia. Se n'era scordato. Prese le aspirine e cercò di ricordarsi dove poteva trovare uno specchio in quella casa.
Corse in corridoio, aprì la porta del bagno. C'era vapore ovunque e rumore d'acqua che veniva dalla doccia
"Ehi!" urlò Ruby protestando, che immediatamente chiuse tutto e cercò di coprirsi con le mani.
Killian le diede poco conto ed invece pulì lo specchio con una mano, creandosi una finestra sul bianco acquoso appiccicato al vetro. Si guardò attentamente, ma non c'era bisogno. Già sul vapore riusciva a vedere la macchia viola e verde stampata a fresco sulla sua faccia.
"Cazzo." imprecò.
"Cazzo." lo imitò Ruby, che nel frattempo era uscita e s'era infilata un accappatoio bianco di spugna.
"Cazzo, cazzo, cazzo." continuò lui mettendosi a sedere sulla tazza chiusa con le mani nei capelli. Un fischio nel frattempo cominciò a dargli fastidio all'orecchio.
Liam comparve davanti alla porta e s'annunciò sospirando. Non l'aveva sentito arrivare, né aveva visto la sua amica girargli attorno e tentare di guardargli meglio il livido sulla faccia. Le persone gli giravano attorno, a volte se le perdeva e poi gli ricomparivano davanti. Strizzò gli occhi e sperò che l'aspirina gli facesse subito effetto, desiderando intanto litri di caffé bollente.
"Andiamo di là alla luce, proviamo a sistemare questo pasticcio." propose Liam.
Killian si alzò scettico, ma immediatamente, rispondendo agli ordini di suo fratello come da vecchia abitudine.
Ruby recuperò i suoi vestiti appesi al termosifone, afferrò la sua scatola dei trucchi e li seguì a ruota. "A proposito," aggiunse "che ci fa un hamburger nel mio frigo?"



14 maggio 2013
"Dimmi qualcosa di te." chiese Killian Jones steso su una coperta sul pavimento del terrazzo, accanto ad Emma. Guardavano il soffitto buio intessuto di stelle, tutte quelle che lui le aveva indicato e lei non aveva capito, contemplando i puntini luminosi e riflettendo sul senso della vita e l'origine dell'universo.
"Cosa?" chiese Emma confusa dalla strana richiesta.
"Sto cercando di conoscere la vera Emma." esclamò lui, girandosi verso di lei. Si mise una mano sotto la testa e cercò di alzarsi un pochetto per guardarla meglio.
Emma gli diede un colpetto al fianco. Non voleva che lui fosse così sentimentale e non lo faceva tanto sentimentale. Poteva dirsi colpita, ma era troppo presto per esserne felice: come al solito Emma Swan ci andava coi piedi di piombo. "Ma smettila!"
"No, davvero." fece lui, non dando peso ai suoi colpi "Sto raccogliendo tutte le informazioni su di te in una specie di cartella mentale, sai come quelle del computer."
Emma lo guardò senza parlare. Era esattamente quello che aveva pensato lei dall'inizio. Erano esattamente le stesse parole, la stessa immagine stupida che s'era fatta in testa. Cercò di ricordare se avesse espresso a voce quel pensiero, se l'avesse scritto o cos'altro.
"Allora," cominciò lui vedendola persa. "Com'è successo che sei diventata brava in questo lavoro?"
"Non te lo dico." rispose subito Emma in un capriccio, dettato dalla paura. Paura di cosa? Paura che qualcuno fosse come lei, che qualcuno la capisse o la conoscesse. O paura che scoprisse chi era lei davvero? Chi era stata l'ultima persona ad averla conosciuta almeno un po' ? Era così abituata a tenersi tutto per sé che non avrebbe neanche saputo come rispondere.
"Ok, cose semplici, va bene?" le chiese Killian, mettendosi a sedere. Scrollò le spalle e alzò le mani, fingendo non curanza per la domanda che le aveva fatto in precedenza. "Colore preferito?"
"Cosa?" chiese Emma, che si alzò a sedere anche lei. Cercò di evitare il suo sguardo, ma lui non le staccava gli occhi di dosso, facendola sentire osservata ed a disagio. Così si girò e vide che lui stava ancora aspettando e non demordeva. Pensò ad una risposta che potesse accontentarlo ed alla fine riuscì a mettere insieme solo un "Rosso." O almeno così credeva.
Killian Jones fece cenno di sì col capo, poi si lecco il labbro e si perse un attimo nei suoi pensieri mentre la guardava con sguardo languido. "Sexy." esclamò solo. Emma fece cenno di dargli un buffetto, poi alla fine roteò solo gli occhi dietro alla testa e allora tutto tornò alla normalità. Poi lui guardò di nuovo in alto, si tenne la lingua tra i denti e bacchettò con un dito sul plaid a quadri. Dopo che ebbe finito si girò verso di lei. "Più grande desiderio da bambina?"
"E che ne so!" rispose lei infastidita dalle strane e troppe domande. Non è così che si conosce una persona! "Un cane?" immaginò che fosse quello che voleva. Ricordava di desiderarne uno quando aveva tra i cinque ed i dieci anni, ma era impossibile che glielo lasciassero tenere all'orfanotrofio, figuriamoci nelle case affidatarie. Se n'era completamente dimenticata e probabilmente non l'aveva mai detto a nessuno.
Tutte quelle domande stavano cominciando a darle sui nervi. Si distese di nuovo, per aggiungere un po' di spazio tra loro e riprese a guardare le stelle. Era strano che lui le fosse accanto, così vicino. Era a tutti gli effetti un estraneo e per tutto il tempo con cui era stata con lui non ci aveva mai fatto caso. Non ne conosceva la forma del corpo, l'odore, le abitudini: come metteva le mani, se era solito reggersi sui palmi o sui gomiti. La consapevolezza aumentò le distanze.
Killian la guardò un po' demoralizzato, poi decise di seguirla, rincorrendola. "Okay, okay!" mise le mani davanti come se volesse mettere qualcosa in mezzo per rassicurarla "La smetto." Mise le braccia sotto la testa a mò di cuscino.
Emma si portò le mani al petto ed incrociò le dita. Voleva cercare di non toccarlo neanche per errore, scappando di nuovo. Poi però ebbe voglia di sbirciarlo, così senza assolutamente girare il capo, con la coda dell'occhio lo spiò. Vedere il suo profilo perso nelle stelle ed immaginarselo da bambino a studiarle la addolcì. "Sei un cretino." mormorò.
Killian sorrise. "E' uno dei motivi per cui ti piaccio." replicò per stuzzicarla.
"Chi ti ha detto che mi piaci?" si difese lei senza neanche pensarci.
Killian abbozzò una piccola risata. La guardò, pensando a cosa rispondere. Emma gli restituì lo sguardo e un sorriso le affiorò tra le labbra. "Lo so." disse alla fine lui, in una variante delle mille volte che s'erano detti quella solita frase.
Emma slacciò le mani allora, cominciò a dire qualcosa ma poi s'arrese. "Non per quello almeno!" tentò.
"Oh! Invece sì!" non le concesse Killian e si lanciò addosso a lei con le dita pronte. Cominciò a solletticarla sui fianchi, la sovrastò e la costrinse distesa sul letto, continuando a cercare punti sensibili, fin quando lo trovò, il piccolo bastardo. Era una piccola linea di pelle tra l'elastico dei pantaloni e l'ombelico. Killian lo scovò in men che non si dica, facendola dimenare dalle risate. Emma tentò prima di trattenersi, stringendo le labbra le une con le altre, fingendosi di pietra, fino a che non esplose e le sue risa, unite poi a quelle divertite di lui, si persero nella notte.
Più tardi tornarono a casa di lei. Ripresero a guardare quel film a cui non avevano prestato attenzione. Lo rimisero daccapo, ma presto dovettero arrendersi a non scoprirne mai il finale, o tutta la trama dopo i primi dieci minuti. Si addormentarono sul divano. Killian si ridestò soltanto ai titoli di coda, così la scosse gentilmente per svegliarla e nella nuvola di confusione del sonno Emma alzò e raggiunse il letto. Dopo mezz'ora però era di nuovo in piedi, dopo essersi ricordata della cosa strana che stava succedendo a casa sua. Raggiunse allora a grandi passi il divano, dove lui stava guardando un programma alla tv, dove un uomo con una tuta da lavoro, davanti ad attrezzi industriali, spiegava i passaggi che una melma marroncina faceva prima in un'impastatrice, poi nei barattoli.
"Cos'è?" chiese allora lei.
Killian si ridestò, come incantato, forse non l'aveva sentita arrivare. La luce blu scuro della televisione gli illuminava la faccia ed una mano con cui si sorreggeva il mento. "Hm?" chiese lui. Recepì in ritardo il messaggio ed allora rispose "Burro d'arachidi." rispose. Poi sollevò un sopracciglio e guardò bene la televisione "Credo." aggiunse.
Era sovrappensiero, poco attento. Nonostante le occhiaie non chiudeva un attimo gli occhi. Fissava la televisione senza guardare attentamente, poi passava ad un altro punto qualunque, come l'attaccapanni o la porta d'ingresso. Le sue pupille erano dilatate e gli occhi neri.
Emma si strofinò gli occhi e si sedette accanto a lui. "Qualcosa non va?" si preoccupò lei.
Killian abbozzò un sorriso di convenienza, toccato dal suo interesse. "Ho appena realizzato che..." cominciò a spiegare, ma in realtà non sapeva neanche cosa dire.
Emma sapeva benissimo a cosa si riferisse. "Lo so." ricominciando con quel ritornello che tanto conoscevano.
"Devo andare a lavoro domani."
"Dovrei anch'io."
"E' stato bello." commentò poi.
Emma si chiese di cosa stesse parlando. Forse non pensare a Milah, alla sua vita che stava cambiando, avere una distrazione o passare forse del tempo con lei. Sembrava un punto a qualunque cosa che fosse stato a cui si stava riferendo. "Lo so." rispose di nuovo. "Puoi dormire qui se vuoi."
"Emma." cominciò lui, cercando di spiegare qualunque cosa gli stesse frullando in testa. Le afferrò la mano e poi la lasciò subito, come se non avesse voluto.
"Lo so, lo so." ripeté lei e se ne andò.
Gli recuperò una coperta calda, gliela lasciò sul divano accanto a lui, ancora piegata a quattro e se ne andò in camera da letto. Chiuse la porta per poter restare sola. Sentiva gli occhi bruciare, ma non l'avrebbero avuta vinta, così si lanciò sul letto, strizzò le palpebre e cercò di dormire.

Il mattino seguente Emma sapeva che non l'avrebbe trovato nell'altra stanza. La magnifica scena in cui si era imbattuta il giorno prima quando lui trafficava nella sua cucina non si sarebbe mai ripetuta. Non voleva aprire la porta della stanza. Finché stava dentro e non guardava fuori, lui poteva esserci e non esserci. Quel magnifico dubbio poteva sparire.
Si fece coraggio allora ed uscì. Non si stupì per niente di vedere il divano vuoto e la coperta ripiegata ed abbandonata in un nuovo punto. Quando la toccò era ancora calda.
Raggiunse la cucina e sorrise quando ci trovò una sorpresa: una tazza di caffé sul tavolo. Veniva da un bar, sotto al suo appartamento. Aprì il coperchio e vide la panna quasi del tutto sciolta nel liquido nero. Killian sapeva come le piaceva il caffé. Sorrise di nuovo come un'ebete. Quando lui non c'era, le pareva che lui la conoscesse come le sue tasche.
La giornata andò avanti col pilota automatico. Emma silenziò il cellulare, decisa a prendersi una pausa ed a pensare a tutto quello che sarebbe stato e che era stato. Ricevette due clienti e tra una pratica e l'altra fu difficile avere il tempo di riflettere. A metà giornata la lucina in alto sinistra sul suo smartphone segnalava una notifica, un mesaggio forse. Fissò per un attimo la lucina bianca, tamburellò il dito sulla plastica della sua cover e lo riposò, nascondendolo addirittura in un cassetto.
Quando finì erano le otto di sera. Aveva fame, si era rimpilzata di dolci e di schifezze e sentiva il bisogno di una cena vera. Sapeva che cucinando avrebbe soltanto evitato l'inevitabile. Guardò il cassetto in cui aveva chiuso il cellulare.
Cosa poteva dirle il messaggio? Che la stava lasciando? (Erano mai stati insieme?) Che non c'era mai stato niente? Che doveva tornare da Milah? Che non era stato niente quello con lei?
Non poteva saperlo se non prendeva quel dannato cellulare e leggeva quel dannato messaggio. In una esplosione di coraggio allora aprì il cassetto, afferrò il telefono e lesse il messaggio. Come togliersi un cerotto.
"Sto recuperando le mie cose all'appartamento. Cena?"
Chiedeva lui alle sei e mezzo. Niente di tutto quello che aveva immaginato. Le spuntò un sorriso sulle labbra e per il momento stava bene.
"Dove sei?" Digitò.
Dopo pochi secondi un altro messaggino le comunicava un indirizzo, quello dove aveva casa. Non sapeva nemmeno dove abitava. E così Emma, dimenticandosi persino della cena, saltò in auto e guidò fino al posto.

Killian era sulla strada, seduto sul marciappiedi circondato da macchie bianche e celesti sull'asfalto nero. Avvicinandosi Emma notò dei cocci di quella che pareva essere ceramica. Riconobbe poi piatti piani e fondi sfasciati e polverizzati, lanciati probabilmente dal palazzo di fronte.
"Che cavolo..." disse Emma, camminando tra i cocci.
Guardò in alto e vide Milah al piano di sopra, che tirava le ceramiche, uno alla volta dalla finestra, mentre prima uno e poi un altro spettatore si riunivano a guardare. La maggior parte delle persone però scappava, terrorizzata dai piatti volanti.
Con la punta del piede studiò e rigirò uno di quei frammenti: era bianco a bordi lisci e lavorati, con ghirigori a fiori celestini appena accennati. Si ricordò di una conversazione avuta con Killian Jones, che le spiegava che quando decidi di sposarti, i primi regali che ti recapitano a casa sono sempre piatti e bicchieri. Dovevano essere quei piatti che quell'isterica stava lanciando dal piano di sopra, i piatti del matrimonio.
"Scusa, sono stato un po' occupato e non ho potuto.." dovette evitare un piatto e tutti i cocci "...avvisare." fece ad Emma. Ed in quell'istante fu un attimo e la sua espressione cambiò. Killian diede un calcio ad uno dei cocci rimasti, si fermò le tempie con una mano per non lasciare i suoi pensieri correre via e scappare. Dopo quell'istante il suo respiro si regolarizzò di nuovo e si calmò.
"Lo vedo." fece Emma, non sapendo esattamente cosa rispondere. Ci si sente sempre un po' a disagio quando qualcuno che amiamo prova quella furia cieca che ti fa esplodere o ti rimbomba violentemente nel cranio. Killian esplodeva e la riversava nei calci e nei pugni, perché se li sarebbe voluti tirare addosso, farsi male, provare dolore fisico piuttosto che emotivo, perché non sapeva come gestirlo.
"Puoi farmi almeno il piacere di non tirarmeli in testa?" urlò lui.
Emma guardava tutti i piatti andare in frantumi. Killian anche fissava un piatto dopo l'altro e aveva quell'espressione sul viso. Emma sospirò, capì cosa era necessario fare. "Aspettami qui." gli disse e corse nel portone. Si fece tre rampe di scale a piedi, ma non aveva importanza. Arrivò finalmente a destinazione col fiatone. Non era mai stata lì e non sapeva quale fosse l'appartamento giusto. C'erano cinque porte ed un corridoio sul pianerottolo. Cercò tra i nomi e riconobbe una placchetta con inciso "Killian Jones, Milah Gold".
Bussò allora ed aspettò, ma non ebbe nessuna risposta. Allora con la mano cominciò a battere sulla porta. "Milah, possiamo parlare?"
"Non ci parlo con te!" le rispose lei urlando. La sua voce era fin troppo chiara, doveva essere appena dietro alla porta.
"No, hai ragione. Puoi solo ascoltarmi allora, d'accordo?" Lei si appoggia alla porta. "Ho sbagliato, è stata colpa mia. Killian, il tuo Killian, è un po' come me, sai? Ho dato di matto anch'io una volta. C'era questo ragazzo, perfetto, ho fatto in modo che mi mollasse perché ero spaventata dall'impegno, non ce la facevo dopo tanto tempo a non pensarmi più da sola. Ancora oggi mi chiedo cosa sarebbe successo se lui avesse tenuto duro con me. Forse oggi sarei felice. Capisci dove voglio arrivare?" chiese, ma l'altra non rispose e così s'accontentò sperando che bastasse. S'accorse anche di essersi ispirata al presente per quella tragica storiella. "Ok, ho capito io. Me ne vado, ma tu pensaci d'accordo. Ama te, non me."
La porta si aprì. "E tu?"
Emma si voltò verso Milah. Provò pena vedendola. Aveva le sclere rosse e gli occhi cerchiati di nero. Si sentì in colpa per davvero.
"Tu lo ami?" chiese lei più chiaramente.
"Non è importante."
Sapeva che la sua ammissione l'avrebbe calmata. Sperava che capisse che doveva mettere da parte la sua gelosia. Perché sì, avrebbe davvero potuto salvare tutto. Doveva, era la cosa giusta da fare.
Arrivò di nuovo al piano di sotto, si avvicinò a lui, seduto sul marciapiedi con le mani sulle tempie. Guardò in alto per controllare che Milah non fosse ancora lì e si concesse un ultimo contatto. Gli mise una mano sulla spalla, ultimo assaggio di una intimità rubata e desiderata.
"Che le hai detto?" le chiese lui con le lacrime agli occhi.
Emma sorrise. Per quanto facesse male, aveva fatto qualcosa per quelle lacrime e presto qualcuno gliele avrebbe asciugate e sarebbe andato tutto bene. "Sali." bisbigliò. Stava per piangere anche lei, ma non poteva, così inghiottì il singhiozzo che le stava salendo alla gola e strinse le labbra, cercando di sembrare tranquilla, sapendo che stava facendo un pessimo lavoro.
Killian s'alzò e si fermò a guardarla. Sbarrò gli occhi ed aprì la bocca, quasi fosse spaventato. Allungò una mano per prendere la sua, ma lei si ritrasse e strinse i pugni. "Sali." ripeté lei e finalmente quelle lacrime caddero traditrici sulle guance.
"Aspettami qui." cercò di assicurarsi lui, combattuto perché doveva andare almeno, glielo doveva, ma non voleva che la nuova vita che s'era scelto, quella tanto desiderata, se ne andasse e gli sfuggisse.
Ci fu un secondo, in cui si guardarono negli occhi ed entrambi videro un bivio, due scelte ed una sola possibilità. Rimasero in sospeso per quella che pareva un'eternità. Quando poi Killian abbassò gli occhi, nascondendo le iridi azzurre dietro le palpebre, il bivio si trasformò in una strada dritta.
"Certo." gli assicurò Emma.
Allora Killian, che quasi ci credeva, sollevato e pieno di speranze, aprì il portone e salì di corsa le scale a due a due.
Emma, dottor Stranamore, non rimase a guardare il resto. Sospirò, salì in auto e pianse. Mise in moto più veloce che poteva, così che nessuno potesse vederla neanche da una finestra. 



 




Angolo dell'autrice
Buon giorno a tutti!
Scommetto che siete in balia di sentimenti contrastanti: contenti che sia tornata, ma mi vorreste far fuori per l'assenza; contenti che ho aggiornato, ma non come ho aggiornato ;P 
Ops, I did it again! Scherzi a parte, chiedo umilmente pietà (tanto per cambiare) e credo e spero di avere più tempo ora per rimediare. 
Intanto vorrei chiedervi com'è andato il capitolo, se v'è sembrato affrettato oppure magari vi è piaciuto. Sto cercando di mantenere un tempo di narrazione intermedio nel passato, lento nel presente, per cui può essere facile che mi imbrogli. 
Spero vi sia piaciuto, almeno quanto è piaciuto a me scriverlo :)
Vi aspetto alla prossima, un bacio :*

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - meno 5 ***


 

8.




2016, sette di mattina
La carnagione di Ruby era sempre stata particolare. Nonostante avesse sempre avuto una pelle liscia e priva di imperfezioni per fortuna genetica, le piaceva usare il fondotinta. Le piaceva sentirsi come coperta. Qualcuno avrebbe potuto obiettare che si metteva soltanto una maschera in faccia tutte le mattine. Probabilmente avevano ragione, ma non era quello il punto.
Il punto era che il colore della sua pelle era impossibile da replicare con una sola crema. Nel suo beauty case aveva infatti ben tre colori diversi: un primo che usava da base, come il bianco di un pittore sulla tela, poi un secondo più scuro per l'estate per la pelle abbronzata ed un terzo intermedio che usava per sfumare sul collo.
Si era così ritrovata in quella folle mattina a tentarla tutte, a miscelare quelle tre tinte, prima a due a due, poi addirittura tutti e tre per coprire la macchia viola attorno all'occhio e sulla palpebra del suo amico. Killian intanto continuava a fissare la mano di lei con quelle strisce di fondotinta di diversi colori sul dorso, che si muovevano così come le sue dita sulla sua faccia. Era una situazione paradossale: si stava facendo truccare il giorno del suo matrimonio dalla sua migliore amica. Forse avevano fatto una scommessa al liceo del genere e le doveva dei soldi.
"Allora?" chiese quando non riuscì più a sopportare il disagio.
"Ehm.." fece Ruby, chiudendosi poi la lingua tra i denti. Guardò verso Liam, seduto su una sedia a distanza, che aspettava. Lui si avvicinò e si chiusero entrambi attorno a Killian, che riusciva a vedere solo i loro nasi, schiacciati quasi sulla sua faccia, con le loro dita che gli stiravano e pizzicavano la pelle per spostarla alla luce.
"Aglia." esclamò Killian spazientito.
Ruby gli diede uno schiaffetto sulla guancia, intimandogli così di restar fermo. Poi fece un verso a denti stretti e Killian la vide stropicciare il naso. Aveva già capito: niente non ci era riuscita. Liam si allontanò, si sfregò le mani e storse il naso come la sua amica poco prima. Stufo di quelle facce e dell'assurda situazione, Killian si alzò e se ne andò verso il bagno. Accese le due lampadine sopra allo specchio per essere sicuro al cento per cento che la luce non lo ingannasse, facendogli credere che fosse tutto okay, anche se teneva sempre a mente le facce storte della sua squadra. Si guardò allora allo specchio e vide la solita macchia viola che dall'occhio andava verso lo zigomo. Era gonfio, colorato e decisamente mal coperto dal make up. Si lavò la faccia e si asciugò sulle asciugamani bianche, lasciando una bella macchia color carne.
Quando si guardò di nuovo allo specchio la macchia era di un viola più acceso, decisamente più visibile, ma forse meno pasticciata. Se la toccò e tastò il gonfiore. Un dolore pungente partì da sotto al suo dito fino all'intero zigomo. Chiuse gli occhi e strinse i denti.
"Tua moglie ti ucciderà." sentì dire a Liam.
Guardò di lato e lo vide riflesso nello specchio, appena entrato nel bagno, con le mani nelle tasche che lo guardava. Si sentì ancora una volta come un bambino che l'ha combinata grossa, ma stavolta Liam non cercava di coprirlo o aiutarlo, non più di Ruby almeno e così Killian tornò adulto. Sospirò e cercò di pensare a cosa fare, tornandosi a fissare allo specchio.
"Sempre che ne avrà una per la fine della giornata." urlò Ruby dall'altra stanza e non poteva che darle ragione. Se avesse dovuto decidere forse lui stesso non si sarebbe mai scelto in sposo. Sospirò e cercò ancora di pensare. "Dopo tutto quello che ho fatto per convincerla!" scherzò lui stesso.
Ruby comparve nell'angolo dello specchio, guardandolo con una faccia che sembrava dirgli "in effetti!", così le rispose con una smorfia, ringraziandola molto della fiducia. Liam poi si schiarì la voce attirando l'attenzione di entrambi. "Qualche idea?" chiese Killian al suo geniale fratello, la sua risorsa, il suo salvatore e pensò che certi retaggi sono duri a scomparire.
Liam scrollò le spalle. "Ho lasciato la macchina del tempo a casa!" scherzò e si tamburellò le dita sulle cosce.
Killian non ne fu divertito. Ripeté la stessa domanda all'amica, che alzò le spalle anche lei e strinse le labbra. La vide aprire la bocca e pensò che stesse per tirar fuori un'idea geniale e si sentì subito speranzoso.
"Puoi abbinarlo ad una cravatta dello stesso colore?" propose lei, accodandosi a Liam che nascose un sorriso dietro il palmo della mano, prima di scoppiare entrambi a ridere.
Lo sguardo di Killian si spense immediatamente deluso. "Mi faccio una doccia." disse alla fine, così che sia Liam che Ruby lo lasciassero solo nel bagno. Lì si guardò di nuovo la faccia. Si chiese se la sposa non avesse dato di matto vedendolo così, oppure che ne avrebbe pensato tra un anno o dieci o quindici guardando le foto. Lasciò poi perdere, che succeda quel che succeda ed entrò davvero in doccia a lavarsi via la polvere del divano.
Sotto l'acqua calda fu di nuovo investito dai ricordi: era con Emma questa volta, su uno schifosissimo divano, con una coperta a quadri sulle gambe, mentre guardavano alla televisione una stupida serie televisiva coi draghi. A lei piacevano quelle cose, le piaceva vedere cose straordinarie. Era quel periodo in cui passavano tutte le sere a casa di lei e nonostante tutto si divertivano, ridevano da matti, anche senza farsi il solletico a vicenda. Doveva essere il 2013, o il 2014? Poco dopo che lui cambiasse lavoro. Forse il 2014 allora. Quella sera Emma s'era addormentata con la testa sul suo petto e le gambe allungate sul divano, a cui aveva tirato non sapeva quanti calci ed ormai la forma della pianta della sua scarpa era stampata innumerevoli volte sul tessuto giallo. Quando s'era risvegliata il telefilm era già finito e stava supplicando per farsi raccontare tutto. Allora l'aveva ricattata, le aveva detto che avrebbe rivelato una frase per volta ad ogni bacino che riceveva e gliel'aveva detto moredendosi la bocca, sottolineando parola per parola ed erano finiti a fare l'amore davanti alla televisione, mentre passava la pubblicità di una nuova pizza surgelata. Se la ricordava ancora come se fosse stato solo il giorno prima!
C'era questa sensazione di una nuova adolescenza con Emma, di poter ripetere e correggere qualche errore. C'era il profumo di una storia nuova e profonda, un odore che Milah aveva perso. Sorrise a ricordarselo e pensò a quanto sarebbe stata bella invece la sua sposa, coi capelli lunghi, sciolti, ribelli, da amazzone.
Oppure c'era stata quella volta, ad una festa in maschera...
"Killian!" lo chiamò Liam, facendolo tornare dal mondo delle favole "La doccia serve a tutti, non hai più quindici anni!" gli urlò ed il pensiero lo fece quasi sorridere, nonostante l'allusione neanche poco velata al suo passato da adolescente con gli ormoni a palla.
Recuperò un accappatoio, uscì, bisbigliò un "tutto tuo" al fratello e se ne andò in cucina. C'era fumo, come se avessero arrostito qualcosa sulla griglia, addirittura sentì gli occhi bruciare prima di strofinarseli. Ruby era seduta al tavolo, intenta a tagliarsi un pezzo di hamburger con la forchetta per poi mettersela in bocca.
Killian la fissò. Quel pezzo di carne era stato sulla sua faccia e probabilmente c'erano rimaste macchie di sangue sopra.
"Che c'è?" chiese lei.



14 luglio 2013
Che si prova quando il tuo promesso sposo ti lascia per un'altra?
Che si prova quando lui distrugge i tuoi ultimi dieci anni di vita per un'altra e ti costringe a ripartire da zero?
Si era sempre promessa di non voler mai essere l'altra, di non voler mai rovinare la vita di qualcuno e alla fine ne aveva rovinate due, esclusa la sua.
Aveva costretto Killian a rovinare la sua vita, a mollare tutto per lei. Per cosa? Per niente. Per un caffé a prima mattina, il piacere di svegliarsi con lui. L'aveva quasi costretto a rinunciare ad un matrimonio sicuro, dei figli, una famiglia sicura porca miseria! Cose importanti! Quella sera, sotto casa sua, Killian teneva scritto negli occhi tutto quello che stava perdendo. E così Emma era fuggita, aveva fatto una scelta coraggiosa per entrambi.
Si tratta solo di saper considerare i pro ed i contro. Emma lo faceva da una vita, in ogni scelta che prendeva, pesava vantaggi e svantaggi con la freddezza necessaria. Si guardò attorno: i piatti sporchi nel lavandino, un televisore vecchio, un divano che stonava con tutto. Non era neanche suo quel divano. Qualcuno l'aveva lasciato lì quando s'era trasferita. Per quanto il pensiero mortificasse la sua autostima, quella vita poteva essere considerata non più di uno svantaggio per la gente comune, gente con un lavoro fisso, che sogna una villa e di tornare a casa dai suoi bambini. Gente come Killian.
E così erano passati due mesi da allora. I due mesi più lunghi della sua vita. Era riuscita persino a convincersi di provare un senso di pace: aveva assaporato la vita con Killian quindi era pronta ad andare avanti, in più aveva fatto la cosa giusta per una volta.
Aveva ricominciato a fare tutto quello che faceva prima. S'era detta che avrebbe aggiustato qualcosa, così anche se non aveva vinto, da quella storia avrebbe tratto almeno qualche vantaggio. Si concedeva una birra solo nel week end, aveva chiuso coi super alcolici e comprava una sola bottiglia di vino a settimana. Andava persino a correre a giorni alterni. Era impossibile farlo sempre alla stessa ora coi suoi orari mutevoli, ma almeno era già qualcosa.
Aveva ricominciato a sentirsi come prima. Si sentiva irrimediabilmente più in forze, più decisa in qualsiasi cosa. Ed in più aveva ricominciato a notare qualche uomo che qui e lì incontrava. Stava guardando finalmente avanti. Le cose avevano ricominciato a girare per il verso giusto.
Fu di ritorno da una corsa, due mesi dall'ultima volta, che un giorno lo incontrò. Sapeva che prima o poi sarebbe successo, vivevano pur sempre nella stessa città! Non s'aspettava così presto, ma era preparata, andava bene. Le dispiacque di essere sudata, puzzare ed avere i capelli appiccicati alla schiena. Era solo quello il problema. Niente di che.
Era sera inoltrata, il sole estivo stava calando ed il cielo aveva quella sfumatura tra il celeste ed il blu notte. Si trovavano sul lungofiume, dove tirava aria fresca anche nelle giornate più afose. Erano a soli due isolati dal pub di Ruby, prevedibile che ce lo trovasse! Killian l'aveva vista, aveva alzato una mano ed Emma aveva sospirato, s'era fermata e saltellava sul posto. Provò ad annusarsi e decise alla fine di stargli lontana comunque di qualche passo. Aspettò che attraversasse la strada e lo salutò con tutta la noncholance di cui era capace. "Killian!"
"Emma!" rispose lui. Sollevò la mano dove teneva una bottiglietta di coca cola, ancora fredda ed appannata, come se fosse appena uscita da un congelatore. E poi sorrideva, come se fosse davvero felice di incontrarla, come se non aspettasse altro, come se avesse davvero aspettato. Che ci faceva da quelle parti?
"Fa troppo caldo per il caffé?" chiese lei ad alta voce indicandogli la mano. Credeva di esserselo domandato tra sé e sé, invece le era subito uscito da bocca. Cercò di mascherare un mezzo sorriso, ma era più forte di lei. Quelle battute gli uscivano sempre in sua presenza e finivano irrimediabilmente per scherzare.
Killian si guardò, capì, sollevò il braccio provando ad offrirle un po' di quella bevanda, ma Emma rifiutò. Allora lui scrollò le spalle e ne prese un sorso, cacciando poi un verso di soddisfatto piacere. "C'è caffeina dentro!" spiegò alla fine.
"Ah." rispose solo lei ed il momento era già passato. Sentì dei brividi salirle da dietro la schiena, un venticello tiepido continuava a soffiare, mitigato dall'acqua fredda del fiume. Sentì freddo addirittura e probabilmente le si increspò una smorfia sulla faccia.
"Sei arrabbiata con me?" chiese Killian dopo una serie di secondi di silenzio imbarazzante. Era diventato serio anche lui, quel sorriso di poco prima era completamente scomparso.
Emma si chiese se non dovesse scappare ancora pur di evitare il confronto da cui si era sottrata mesi prima. "No, no, che dici." Un'altra ventata le colpì la schiena semiscoperta. Emma si massaggiò le braccia pur di farsi calore. Le si stava congelando il sudore addosso ed aveva l'improvvisa voglia di tornare a casa.
Killian sorrise malinconico, coinvolgendo con le labbra anche gli occhi su cui comparve un luccichio che gli faceva brillare le iridi azzurre. "Ti trema la bocca quando sei arrabbiata." disse lui indicandosi le labbra.
Avrebbe voluto rispondergli male, avrebbe voluto dirgli che non la conosceva affatto, invece sapeva che era il contrario. Si morse la bocca facendo finta di niente ed ingoiò quel grumo di saliva che le si era fermato dietro alla lingua. "Ho freddo." disse poi. Sapeva che avrebbe cominciato a piangere se fosse rimasta così inventò una scusa qualunque, che poi era anche abbastanza credibile. "Sono sudata, vado a farmi una doccia, ok?" chiese e corse di nuovo via. Si promise di non piangere, si rese conto di non aver salutato, così alzò solo una mano e fuggì.
Quando fu di nuovo a casa, si rese conto che andava quasi tutto bene. Le aveva fatto male, certo, ma per un lasso di tempo piuttosto limitato. Sotto alla doccia riuscì solo a pensare alla figuraccia che aveva fatto ed a quanto le sarebbe piaciuto di più profumare di borotalco.
Passarono altri quattro giorni. Emma ignorò gli allenamenti, fino a quando il quinto giorno decise che era ridicolo, che non poteva incontrarlo di nuovo e non doveva dargli la soddisfazione di essersi chiusa in casa. Così nel bel mezzo del pomeriggio si mise le scarpe da ginnastica ed uscì, cominciando a correre di nuovo lungo il fiume. Si portò appresso anche l'ipod, alzò la musica al massimo e cercò di ignorare il mondo esterno, guardandosi solo i piedi e qualche metro più avanti.
Sembrò incredibile, ma successe di nuovo. Lo incontrò e fu di nuovo lui a salutare lei per primo. Emma borbottò qualche parolaccia, pronta a replicare di nuovo la brutta figura di qualche giorno prima e se quella volta aveva solo avuto il dubbio che Killian la stesse aspettando, quel sentore si trasformò in certezza.
Il sole era più alto, caldo, e decisamente non poteva sentire freddo. Si fermò di nuovo, aspettò che lui la raggiungesse come qualche giorno prima, tamburellando il piede per terra.
"Strano come prima di questa nostra piccola disavventura non ci siamo mai incontrati e ora continuiamo a scontrarci ovunque." fece lui dopo averla raggiunta. Non teneva niente in mano questa volta. Indossava dei pantaloni blu scuri, una camicia celeste ed addirittura una giacca, che probabilmente serviva a coprire le macchie di una lunga giornata estiva.
Già. Emma sospirò, si guardò attorno, cercando di capire dove fosse arrivata. Era lo stesso identico punto dell'altra volta, ad un orario completamente diverso, lavorativo per di più. "Già." Strano davvero. "Che vuoi?" chiese scostante, irritata da questo pedinamento. Che avrebbe dovuto fare, chiudersi in casa per non trovarlo ovunque?
"Caffé?" chiese lui. Vide lo scetticismo disegnato sulla sua faccia e provò con una mossa subdola. "Ti prego?" chiese, facendo l'espressione da cucciolo ferito o bambino viziato, che le aveva già rivolto qualche volta.
"Io veramente..." cominciò Emma. Guardò l'orologio al polso e notò che ormai era tardi. Avrebbe dovuto lavorare quella sera e non poteva trattenersi ancora: per una volta non si trattava di un mare di scuse. O quasi.
"Cinque minuti." la supplicò lui, di nuovo con quella faccia, che irritò Emma ancora di più, mettendole addosso solo una fretta di andarsene via.
"No, no, davvero." rispose velocemente, cominciando ad incamminarsi. "Scusa, non posso.". E corse più veloce che potesse, più di quanto avesse fatto fino ad allora. Corse per sfogarsi, fino a che le gambe non le facevano male, fino a quando la fatica le tagliò il respiro ed allora urlò e pianse. E no, non era passata, non ce l'aveva fatta. Era troppo presto per incontrarlo di nuovo o per fare finta di niente. E perché diavolo doveva? Erano stati due mesi intensi e pianse perché non voleva buttarli al vento. Non l'avrebbe permesso. Così s'asciugò lacrime e sudore, s'armò di coraggio e ricominciò. Dopo altri due mesi sarebbe andato di nuovo tutto bene e dopo ancora altri due forse sarebbe stata pronta.
Il tempo era la sua risposta e fino ad allora aveva funzionato.
Si replicò di nuovo tutto come qualche giorno prima. Rimase chiusa a casa per un po' e poi riprese a correre. Correre aveva sostituito l'alcol e tutto andava bene. Quando tornò sul lungofiume, si rese conto con una certa soddisfazione che non l'aveva incontrato e non aveva neanche provato ad evitarlo. Aveva fatto avanti e dietro più volte, aveva raggiunto i suoi dieci chilometri ed era andato tutto bene. Forse s'era deciso a lasciarla in pace, si convinse con una certa soddisfazione ed un certo rammarico insieme, ma provò ad ignorarlo ed andava tutto bene. Non sapeva quante volte se l'era ripetuto ormai.
S'era messa in testa di programmarsi le giornate, nonostante la cosa le facesse storcere il naso: il mattino si svegliava presto, eccetto che dopo un appostamento, pranzava all'una, cenava alle otto, lavorava tra le due pause e la sera, quando poteva, riusciva persino a godersi uno o due film su netflix o in tv. Le cose avevano cominciato a girare di nuovo.
Un giorno, una settimana dopo, il telefono cominciò a squillare. Quando prese la cornetta e raccolse la chiamata non sentì niente, né tanto meno lei disse niente. Sapeva che era lui, come lo era stato nella decina di chiamate che le aveva già fatto nei mesi prima. Lo sentì respirare dall'altra parte della cornetta. Una pausa, poi un flusso veloce d'aria fuori. Pausa, aria. Emma abbassò la cornetta, interrogandosi se dovesse riagganciare oppure no, procedendo lentamente, sperando che Killian alla fine dicesse qualcosa.
"Emma!" alla fine la chiamò. Forse aveva smesso di sentirla respirare, forse stava contando anche lui i suoi respiri ed aveva capito. Riavvicinò il telefono all'orecchio e lo sentì di nuovo tirare fuori l'aria. La volta dopo però uscirono insieme anche delle parole, in uno scoppio o flusso veloce, come se le avesse preparate e stesse recitando nervosamente una battuta. "Te lo volevo dire l'altro giorno. Quello che c'è stato tra noi due..." cominciò.
"Non era niente lo so." lo bloccò subito lei, che non voleva sentire nient'altro. Avrebbe riagganciato e sarebbe finita lì.
"Non era quello che intendevo." rispose lui. E di nuovo pausa, aria, pausa, aria.
"Lo so." non convinta di aver capito cosa invece volesse dire, ma non gliene fregava più niente. O almeno così si recitò.
"No, no, davvero non lo sai." Killian sospirò esasperato.
"Killian," cominciò Emma e sentì un sussurro di speranza dall'altro lato della cornetta. "questo mi fa male." Con la scusa di prendere fiato aspettò una risposta da lui. Andava bene qualunque cosa: un sussurro, un "ehm", un "Emma", qualunque cosa pur di poter aggiungere "scusa" e "ciao". Invece lo sentì tirare su col naso e questo fece ancora più male. Chiese allora solo scusa e chiuse la chiamata.
Rimase sul suo letto col telefono in mano a guardare il soffitto. Cercava le linee nere di muffa che disegnavano una nuvola.
Cinque minuti dopo il cellulare squillo di nuovo. In trance si girò verso il telefono, lesse il nome di Killian e rifiutò la chiamata. Poco dopo squillò il telefono fisso, ma non ce la faceva ad alzarsi e rifiutare anche quella. Lasciò che suonasse e poi non squillò più.
Addio, Killian. Pensò tra sé e sé per la centesima volta nell'ultimo anno. Chiuse gli occhi e pianse.


Riprese di nuovo tutto d'accapo.
Si tuffò nella corsa e nel lavoro. Decise di prendere due casi contemporaneamente. Dovette seguire due tizi. Così si risolse pedinandone uno e infilando trasmettitori e microspie sulle auto dell'altro. Pian piano ci prese mano con questa cosa dei trasmettitori GPS. Cominciò ad usarli anche per minimi spostamenti, seguendo chi doveva da casa. I risultati erano gli stessi, gli sforzi minimi. Era più efficiente e ne era contenta.
Una mattina trovò una mail insolita nella sua posta. Di solito stampava tutte quelle che avessero un mittente e poi le leggeva, così nel frattempo poteva usare il computer per il lavoro. C'erano nuovi clienti per fortuna. Ne scelse alcuni a cui avrebbe risposto più tardi. Se questi si fossero rivelati seri avrebbe rifiutato gli altri. In caso contrario ne aveva di scorta. Stava bevendo caffé, leggendo le mail e controllando il percorso di un segnale gps che stava seguendo, quando il mittente di uno di quei fogli attirò la sua attenzione: Killian. Buttò il foglio a terra, nervosa. Poi si reclinò sullo schienale della sedia, mise una mano tremante davanti alla bocca e piano piano trovò il coraggio di leggere. Recuperò allora il biglietto e lesse solo "Sai dove sono a quest'ora, Killian". Poche criptiche parole a cui Emma seppe dare una spiegazione quando guardò l'ora a cui la mail era stata spedita: le otto di mattina. Erano le otto la prima volta che l'aveva incontrato, davanti al chiosco del caffé. Puntuale, come sempre, pronto per andare in ufficio. Guardò l'orologio, erano le dieci e tredici. L'aveva mancato per fortuna.
Il giorno seguente si svegliò presto. Era l'alba quando accese di nuovo il computer col pretesto di seguire sempre il segnale di quel GPS. Finì per tamburellare con le dita sul tavolo, sorseggiando caffé, fino alle otto ed un minuto. L'aveva mancato di nuovo.
Lo stesso si ripeté per altri due giorni, fino a quando una mattina si svegliò di nuovo prestissimo, non mise a scaldare la caffettiera, ma si vestì e decise di entrare in auto e raggiungere il chiosco delle colazioni.
Quando arrivò, lo riconobbe subito in fila e gli andò incontro. Killian non l'aveva neanche vista arrivare, stava là, aspettava il suo turno, aveva una mano in tasca e con l'altra giocava con una pallina di carta sporca.
Avrebbe voluto fiondarglisi addosso, chiedere che significava, dirgli che aveva deciso di lasciar perdere tutto, ma non era così arrabbiata da reagire in quel modo. Rimase imbambolata a guardarlo e quando lui la salutò, finse nonchalance.
Il sorriso di Killian si illuminò da parte a parte.
"Ciao!" disse lui. Recuperò il caffé che aveva ordinato poco prima e glielo allungò. Era difficile leggere la sua espressione. Era semplicemente tranquillo, fermo sotto al sole azzurrino di prima mattina, con un caffé caldo in mano. Le allungò il bicchiere ancora più vicino, costringendola a prenderlo. Scottava contro le dita. Lo vide bere un sorso e così lo imitò come se fosse uno specchio.
"Sei enigmatico." disse lei, rendendosi conto che erano le prima parole che le erano uscite dalla bocca dacchè s'era svegliata quella mattina. Suonarono impastate e basse.
"Sto cercando un maledetto modo per parlarti." esordì lui veloce, ma sembrava contento.
Emma sollevò un sopracciglio confusa dalla sua irruenza. Pensò che quel messaggio le era arrivato quasi una settimana prima e che l'aveva ignorato per giorni e forse Killian stava cercando di parlarle da giorni, stava provando un discorso da giorni, che era stato poi costretto a trattenere. Forse ancora da prima, quando l'aveva incontrato mentre correva.
"Scusa." fece poi lui e si riavviò quel piccolo ciuffo di capelli dietro alla testa.
"Cosa mi volevi dire?" chiese lei gentile. O almeno così credeva di essere stata. Era suonata indifferente e l'indifferenza faceva male.
"Sh, zitta." le ordinò Killian. Emma strinse le labbra infastidita, piegò la testa incuriosita ed aspettò che lui parlasse. Aveva già idea di quello che voleva dirle. Aveva capito dalle chiamate, dal messaggio e dal sorriso nervoso che gli si era montato sulle labbra. Killian cercò di ricomporsi e cominciò a dire tutto d'un fiato "E' finita, è finita con Milah, davvero, per sempre. Abbiamo pianto, ci siamo abbracciati e salutati..." era probabilmente da due mesi che non vedeva l'ora di dirle quelle cose. Le parole gli esplosero dalla bocca e dalla sua faccia non riusciva a togliersi quel sorriso.
"Killian." lo chiamò lei alla realtà.
"... ho persino cambiato appartamento e sto per cambiare lavoro. E' il mio penultimo giorno là dentro." disse indicando il palazzo alle sue spalle "Possiamo ricominciare da quella sera o solo vederci qui tutte le mattine..." continuò lui, riferendosi alla sera in cui aveva chiuso con Milah, era tornato di sotto ed era rimasto da solo. Emma aveva capito immediatamente a quale sera lui si riferisse.
"Killian, fermati!" lo bloccò alzando un po' la voce. Ottenne la sua attenzione e solo allora si rese conto che non avevano mai parlato davvero di quello che poteva essere tra loro, continuavano solo a dirsi "lo so" e "lo sai". Non avevano mai parlato del passato o del futuro, di quello che volevano, di come s'aspettavano sarebbe stata la loro vita o solo la sua, di come volevano fosse fatta. Insomma quelle cose che di solito si mettono in chiaro all'inizio di una relazione. Emma ballò sui piedi, cambiò posizione, guardò in alto, sospirò nervosa. S'era di nuovo abituata all'idea che lui non ci fosse più nella sua vita. Ci aveva rinunciato così tante volte che non ricordava nemmeno quante fossero. Voleva così tanto stare con lui, vedere il suo nuovo appartamento, tutto. Eppure quel sorriso gli ricordò la cosa più importante di tutte e capì improvvisamente perché quella sera aveva davvero deciso di andarsene. Si portò le mani alla faccia per nasconderla, perché si sarebbe pentita probabilmente per sempre per quello che stava per dire. "Non me ne sono andata perché credevo avessi scelto Milah." Lo guardò con la coda dell'occhio e aspettò recepisse il messaggio, che metabolizzasse e che lo facesse anche lei. Non riusciva a guardarlo in faccia e si fissava continuamente i piedi e l'auto grigia in fondo alla strada. "Non sono pronta per niente del genere. Tu sei il tipo di uomo che sta dieci anni con una donna, che vuole prendere il caffé tutte le mattine, io il tipo di persona che è stata da sola tutta la vita," stranamente l'ultima frase le uscì con orgoglio e non riuscì proprio a piangere mentre lo diceva "che non vuole niente del genere e che si prepara il caffé da sola a casa. Non so neanche se voglio rimanere qui in questa città!" concluse esasperata, dando voce a quell'incertezza che l'aveva accompagnata da sempre.
Di nuovo si sentì fiera di sé, come quando era andata via quella notte: stava facendo la cosa giusta. Lui era una persona troppo buona per lei, era un uomo di famiglia, quello ideale, non avrebbe faticato a trovare un'altra ragazza più adatta. Lei era quella che per una settimana si svegliava alle quattro di mattina, per un'altra a mezzogiorno; era il tipo di persona che non poteva avere un'abitudine, che ci stava provando ed un po' le andava stretta. Non voleva sposarsi presto, non voleva dover badare a qualcuno, non voleva doversi preoccupare dei sentimenti di un altro per qualsiasi cosa le venisse in mente di fare, non voleva in fin dei conti che la sua vita cambiasse. In un mondo ideale, Killian Jones era una persona libera, senza legami, obblighi, che poteva e voleva starle dietro con quel ritmo, mollare tutto un giorno e cambiare vita. Invece qualcosa doveva essergli successo ed era diventato un uomo che aveva bisogno di radici ed abitudini. Le loro vite semplicemente non erano compatibili e seppure avessero iniziato qualcosa presto sarebbe finito. Non era mai stato così chiaro.
Quando Emma alzò gli occhi credeva che l'avrebbe visto triste e disperato o quanto meno deluso. Si rese conto di non essere mai stata chiara con lui e che avrebbe dovuto dirgli qualcosa prima di permettergli di mollare tutto. Invece no, il suo viso era indifferente, deciso, forte. Killian strinse le labbra, mordendo le parole che stavano per uscire.
Emma gli portò il foglio con la mail che le aveva mandato al petto, glielo incollò sulla camicia aspettando che lui l'afferrasse, poi si girò e fece per andarsene.
"Emma," la chiamò lui. Si girò e lo vide in piedi nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato, con in più il riflesso castano dei suoi capelli e della barba che catturò la sua attenzione. "non mi arrendo."



 




Angolo dell'autrice
Ho letteralmente paura di scrivere questo little corner. 
E' un ritardo scandaloso, avete ragione. Mi merito fustigazioni in piazza, il rogo o cose del genere. Non ho alcuna giustificazione! Diciamo che l'unica che riesco a trovare è che piano piano il mio interesse verso questa serie tv è calato, insieme alla sua qualità, ed ho cominciato a rimandare, complice il fatto anche di non aver ricevuto recensioni. Non che mi servissero per continuare, ma pensavo che non è un male così grande se rimando un pochettino! Rimanda oggi, rimanda domani, inizia a venirmi un po' di vergogna a ripresentarmi così di punto in bianco. Addirittura mi sono arrivate due fantastiche recensioni, che ho ignorato per vergogna. Poi mi è arrivato un MP e mi sono letteralmente sciolta! In due giorni ho ripreso la storia, sono tornata al punto dove ero rimasta ed ho finito il capitolo. 
Ho letto anche le recensioni e grazie, grazie di cuore! Grazie a Chipped cup soprattutto! Ringraziatela perché è suo il merito se sto scrivendo sta cosa xD 
Un lungo exploit per scrivere questo "angolo"! Tornando a noi, prometto che non mollo più! Non posso dirvi ogni quanto, perché attualmente sto portando avanti anche un'altra storia, ma lo farò! So che penserete che tanto succederà, che l'ho detto mille volte, che non vi fidate e avreste ragione, quindi vi convincerò coi fatti! E continuerò anche "The selection" una volta smaltite queste storie.
Tornando alla nostra storia, la parte del presente l'ho resa abbastanza leggera, e sì ad Emma piace game of thrones lol personalmente a me non troppo, ma comunque. C'è un punto in cui Killian non ricorda se quella cosa davanti alla TV è successa nel 2013 o nel 2014. E' fatta apposta per alleggerirvi l'angst successivo xD Ragazzi, non sappiamo chi si sta sposando, era ovvio che ci sarebbe stato un tira e molla u.u 
Non so se ve l'ho già detto, ma ho già la trama dei prossimi (ultimi 4 sigh) capitoli e vi anticipo che ne avremo uno nel presente con la sposa, uno nel passato con lo sposo e che Milah tornerà. Mhuahuahuahauhauhaua
Ok, adesso chiudo. Tornerò :* 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - meno 4 ***


9.




2016, otto di mattina
Dopo una veloce doccia, avevano aperto la finestra per far uscire via il fumo e la puzza di bruciato, s'erano radunati attorno al tavolo ed avevano mangiato. Il silenzio era così profondo che il rumore dei denti che scranocchiavano cereali, dolciumi e frittelle era assordante.
Ruby aveva lasciato da soli i due fratelli per andare a recuperare il vestito per il matrimonio dall'armadio. Era tornata velocemente per farlo vedere ad entrambi: era un pezzo unico, rosa, con la gonna morbida, qualcosa che nessuno le aveva visto addosso. Non ne era così sicuro, ma Killian poté giurare di averci visto dei fiori ricamati. Quando Ruby batté le mani per attirare la loro attenzione, dovettero per forza farle i complimenti. Se ne tornò allora scontenta nella sua camera e ne venne fuori poco dopo, vestita in jeans in canotta, recuperò le chiavi e s'avviò alla porta. "Io vado." urlò.
"Dove vai?" le rispose Killian con lo stesso tono di voce, senza neanche alzarsi dalla sedia. Da là riusciva a vedere la porta e la spiò sovrappensiero.
"Dalla sposa, dove sennò?" fece lei ovvia e raggiungendo i due "Solidarietà femminile!" si spiegò. Recuperò un messaggio sul cellulare e lo mostrò a tutti.
Killian dovette stringere gli occhi per poter leggere bene. Diceva chiaramente "aiuto", cosa che lo fece sorridere perché non era l'unico che era andato nel panico. "E da quando?" chiese con rinnovata allegria. Gli andava tutto a un tratto di scherzare.
"Ah. Ah. Ah." finse una risata Ruby. "Sono una femmina e siamo amiche!" rispose fingendosi offesa, aprì la porta e poi se la chiuse violentemente alle spalle.
"Sono davvero così amiche?" chiese Liam scettico, mentre le mura vibravano ancora.
Il caffé cominciò a bollire, schiantandosi contro il vetro della caraffa. Killian s'alzò per recuperarlo, prese due tazze ed un cucchiaino dalla credenza e ne versò per entrambi. Di fronte al fratello scrollò le spalle "Così dicono loro."
Rimasero per qualche attimo in silenzio sorseggiando caffé. E' strano il rapporto tra due fratelli: puoi stare con l'altro senza dire niente e sentirti perfettamente a tuo agio, come se fossi in compagnia di un altro te stesso, anche se non vi vedete da tanto tempo.
"E..." cominciò Liam, non sapendo come porre la domanda in modo delicato. "La tua ex?" disse alla fine sinceramente. Studiò con attenzione l'espressione di Killian, temendo di aver tirato alla superficie vecchi rancori di anni prima. Lo vide sospirare, rigirarsi il cucchiaino tra le dita ed aspettò. Sembrava pensieroso.
"Una volta mi disse che sarebbe venuta." ricordò Killian con un sorriso. Era stata una brutta giornata quella e forse per quello se la ricordava bene. S'era seduto vicino a lei ed avevano parlato tanto, come non facevano da mesi. Era sicuro di averle anche spedito una partecipazione, a cui lei però non aveva risposto. Tipico del suo modo di fare.
"Verrà?" chiese poi Liam.
Killian sorrise, lo guardò e pensò che forse se ne stava interessando un po' troppo. "Non dirmi che stai cercando una botta sicura!" scherzò ed istintivamente mimò un gesto col palmo della mano, come fanno i ragazzini a quindici anni. A pensarci bene il pensiero avrebbe dovuto infastidirlo. Beh, meglio Liam che qualcun altro, concluse alla fine.
"No!" rispose subito il fratello, quasi offeso e gli tirò un pugno sul braccio. "Voglio solo capire quante tragedie dovrò gestire."
Killian si massaggiò sul braccio sorridendo: gli era mancato Liam, era felice di averlo lì per qualche ora solo per sé. "Nessuna, nessuna." lo tranquillizzò. "Spero." aggiunse. "E c'è Ruby." spiegò, cosa che avrebbe dovuto di nuovo tranquillizzarlo.
Liam sorrise. Si guardò attorno, nella casa di Ruby, spiando tra le cose che teneva in giro. Una volta qualcuno gli aveva detto che per conoscere davvero qualcuno avrebbe dovuto guardargli la casa. Era un appartamento ampio, arioso, minimalista, ma con tante foto qua e là. Si concentrò su di una appesa al frigorifero. C'erano due coppie in un pub, Ruby con la fidanzata e Killian con la fidanzata, stampata in formato più piccolo del normale. Un'etichetta appiccicata sopra riportava la data "17 marzo 2016". Doveva essere del giorno in cui il fratello l'aveva chiamato e gli aveva detto che finalmente aveva una data.
"Di chi è stata l'idea di sposarvi sul ponte?" chiese Liam, ricordandosi di quella strana telefonata.
Killian sorrise quando quella storiella divertente gli tornò alla memoria, storia che tra l'altro gli era anche capitato di raccontare già ad una cameriera in una tavola calda proprio la sera prima. "Mia, ma sarebbe dovuta essere una minaccia!" gli raccontò. Quando gliel'aveva detto la prima volta gli aveva dato del pazzo e basta, senza sapere tutta la storia. Sorrise ricordandosi di quel giorno. Lei gli stava affianco e se la rideva a crepa pelle. Voleva così tanto prendere il cellulare, mandarle un messaggio e dirle tutto.
"Siete due pazzi!" commentò il fratello.
"Già." rispose Killian, pensando che avrebbe voluto raccontarle anche quello.



12 agosto 2013
Emma era sempre stata una persona solitaria. Non sentiva il bisogno di avere amici, né credeva di sentirsi mai a suo agio con qualcun altro o come era stato per gli uomini, non voleva curarsi anche dei sentimenti di qualcun altro. Una sera però successe che stava guardando il suo calice di vino. Adesso lo beveva in un bicchiere vero e proprio, non nella tazza del caffé. Guardò il bicchiere e lo alzò per aria brindando da sola.
Si sentiva sola. Per la prima volta si sentiva sola. Sbuffò: non poteva sentirsi sola! Tamburellò indecisa le dita sulla scrivania, sul computer sempre acceso, sul bicchiere e quando alzò gli occhi e vide il giacchetto rosso, decise impulsiva di alzarsi, buttare per sicurezza il bicchiere nel lavandino ed andare in qualche bar e le venne in mente proprio quello di Ruby, non distante da lì.
Percorse la strada così velocemente da chiedersi per quale motivo stesse correndo tanto. Quando fu là davanti prese un respiro profondo ed aprì la porta trattenendo il fiato. Dentro non c'era quasi nessuno per fortuna. L'atmosfera era rimasta la stessa di un vecchio pub inglese, con legno ovunque, orologi qui e lì, un double decker in miniatura ed una cabina telefonica stipati di un angolo, mentre un unico televisore nell'angolo opposto era circondato da tifosi vestiti con una sciarpa in piena estate ed un paio di trombette in mano.
Ruby era dietro al bancone, seduta su uno sgabello. Guardava la partita anche lei e da quando la porta s'era aperta aveva attizzato le antenne, fino a quando non sentì qualcuno avvicinarsi, quindi si girò e vide Emma ed era così contenta che le rivolse un largo sorriso. Quel dolce saluto amichevole ammorbidì la donna, che le sorrise di rimando, si sedette e le ordinò una birra da bere. Tanto per cominciare!
"Te ne faccio provare una buonissima," rispose subito Ruby. "un po' amara." aggiunse mentre apriva il frigo, alle sue spalle, recuperava una bottiglia dopo averla cercata col dito e poi la posò sul bancone, stappandola, insieme ad un bicchiere. "Avanti prova!" la incitò poi.
Emma era rimasta spiazzata da quella gentilezza. Le parlava come se fossero amiche di vecchia data che non si vedevano da tanto tempo. Amava quell'atteggiamento, amava persone del genere ed amava provare quella sensazione di insolito agio, cosa che forse l'aveva colpita anche di Killian Jones.
Assaggiò quella birra e porca miseria se non aveva ragione! Lo stupore le si stampò sul viso. Rischiò di versarla e dovette recuperarsela dal mento e leccarsi il dito. "Sei un angelo!" disse alla fine.
Ruby sorrise "So come viziare una donna!" si fece un complimento ed un sorrisino. Una battuta del genere le ricordava così tanto Killian Jones. Era forse per questo che cercava lei? Era evidente che passassero molto tempo insieme: scherzavano allo stesso modo, facevano lo stesso tipo di battute, a volte anche gli stessi gesti.
"Hai un amico in me!" ironizzò Emma, imitando la frase di un vecchio cartone animato ed alzando poi il bicchiere per fare un brindisi per aria con sé stessa.
Ruby riconobbe la citazione e sorrise. "Non ne devi avere così tanti se vieni a cercare me qui dentro." disse tanto per parlare. Lei diceva sempre la prima cosa che le passava per la testa senza pensarci molto. Sperò di non essere stata offensiva e allora recuperò una pezzuola e fece finta di mettersi a pulire per non doverla guardare negli occhi. Forse aveva esagerato!
"Oh no, solo uno." rispose Emma tranquilla, guardando la birra come se attraverso liquido dorato riuscisse a leggere chissà quale grande rivelazione.
Ruby aveva alzato gli occhi e l'aveva vista assorta. Aveva pensato che non se la stesse passando così bene e che forse avrebbe voluto avere qualcuno a cui raccontarlo. "Ti va di uscire domani?" chiese, facendo mente locale anche sugli impegni della sua fidanzata, Dorothy.
Emma sbatté gli occhi, la guardò dritta dritta e poi fissò il bicchiere. "Ehm..." aveva cominciato confusa senza sapere come continuare e senza sapere cosa cavolo avesse capito.
"Non in quel senso!" aggiunse subito Ruby quasi urlando. Recuperò la pezzuola che stava usando e la usò per colpire Emma giocosamente "Non sono una stronza!" blaterò finta offesa. "E sei stata con Killian, brrr!" aggiunse alla fine con una smorfia disgustata.
La gioiosità della brunetta fece sorridere Emma, che però si sentì costretta a dire la verità. "Non ci sono stata!" confessò stringendo il bicchiere, quasi come fosse una vergogna ed in effetti lo era! Perché non ci era stata?
"Che cosa?" fece allora Ruby con voce finta ed acuta. "Potevi approfittare!"
"No." rispose Emma e si sentì quasi imbarazzata o in colpa per non aver davvero approfittato dell'occasione. Cavolo, avrebbe dovuto! Perché non l'aveva fatto? Avrebbe dovuto spogliarlo almeno, cavolo se non avrebbe dovuto.
"Cosa?" si ripeté di nuovo la brunetta con la stessa vocina acuta e fastidiosa.
"Lo so che ti dice tutto." sentenziò Emma distratta, che nel frattempo pensava a Killian Jones, a quelle stupide giacche che gli piaceva indossare ed a quanti strati di vestiti si portava sempre appresso che quasi lo nascondevano. Se potesse solo dare una sbirciatina... Perché non poteva essere solo quello? Perché non potevano fare sesso e basta? Una sveltina! Con tutti gli uomini a cui piacciono le sveltine, solo a lei doveva capitarne uno per bene che non si approfittava?
"Sì, ok." concluse Ruby, chiudendo quella pantomima. Studiò la nuova amica assorta e si chiese a cosa stesse pensando, prima che fosse lei a rivelarglielo.
"Gli uomini diventano delle ragazze quindicenni dopo i trenta." cominciò Emma in un monologo. "Sono lì che sognano la loro perfetta vita romantica, il loro perfetto matrimonio, i loro perfetti figli." continuò rigirandosi il bicchiere quasi vuoto tra le dita "Devono rendere tutto così pesante." biascicò alla fine, buttando giù quello che rimaneva.
Ruby sorrise ascoltando. Poi si abbassò e prese due bicchierini. Recuperò poi due bottiglie dietro di lei, una blu ed una rossa. Le versò entrambe in entrambi i recipienti creando due shottini che parevano arte astratta col rosso che si sfumava nel blu passando per il viola. Tracannò il suo incitando Emma a fare lo stesso, aspettando quella scarica di adrenalina che serviva. "E' che a trent'anni superano quel punto." spiegò alla fine la barista bruna.
"Quale punto?" chiese Emma, per niente pronta ad ascoltare chissà quale teoria assurda, quando in realtà voleva solo lamentarsi e basta con qualcuno.
Ruby sembrò pensarci bene prima di parlare. Voltò gli occhi in alto a sinistra, ammirando chissà quale immagine che si stava figurando nel cervelo. "Un giorno ti svegli e lo sai. Tutte le altre femmine non contano più un cazzo." concluse volgare ma sorridente.
"E' ridicolo." rispose Emma. Avrebbe voluto dire "gran cazzata" ma doveva essere gentile. Era sicura che per lei quel giorno non sarebbe mai arrivato: perché complicarsi la vita così? Perché mettere un punto così perenne lungo una strada che potrebbe sempre cambiare? Era una cazzata. E sapeva di volere qualcosa di diverso per sé stessa. Forse viaggiare, tanto per cominciare.
"Vedrai." sospirò poi Ruby, come fa una che la sa lunga. "Nel frattempo dobbiamo trovarti un uomo!" rinsavì alla fine.
"Oh dio, no!" si lamentò Emma, ma Ruby aveva già fatto il giro del bancone, l'aveva presa sotto braccio e l'aveva trascinata sul fondo della sala dove tutti potevano vederla e la presentò urlando agli uomini che erano lì. Quella sera Emma conobbe uno sceriffo, un fotografo ed uno scrittore. Ruby le aveva rubato il telefono, lasciando il suo numero ad ognuno di loro, ma nessuno l'aveva mai richiamata per fortuna. Quella sera s'era divertita se non altro ed aveva guadagnato un'amica.


Col cavolo che Killian Jones non si sarebbe arreso con lei.
All'inizio, subito dopo quella mattina di luglio, aveva provato a chiamarla in perfetto stile romantico tutte le mattine alla stessa ora. Una volta le aveva inviato persino la foto di una tazza di caffé ed una ciambella. Emma l'aveva cancellata ed era finita lì. Le telefonate e le email non erano finite però e ci aveva riprovato. Ancora una volta, Emma ignorava e poi cancellava. Fine. Era arrivata al punto che di mattina si sedeva alla scrivania, guardava il cellulare precisa alle otto e un quarto, aspettava quella chiamata e premeva "ignora" automaticamente.
Poi a volte Killian non lo faceva. A volte non chiamava. A volte era meno di un nome sul display del cellulare e nei primi giorni di agosto la cosa cominciò a scemare. Emma quasi ci rimaneva male quando l'orologio segnava le otto e sedici minuti. Si rialzava ed andava a fare colazione. La prima volta che lui non chiamò, provò ad aspettare fino alle otto e diciassette prima di decidere che era ridicolo.
Il 13 agosto erano cinque giorni che Killian Jones non chiamava. Era seduta di nuovo alla scrivania, tamburellando il pollice sul cellulare e sperando come una quindicenne che quella chiamata arrivasse, che lui non avesse deciso di arrendersi o che se la fosse dimenticata. Col dito apriva applicazioni e poi le chiudeva. Alle otto e sedici era diventata nervosa. Solo una volta quella chiamata era arrivata in ritardo. Di nuovo si ripeté che era ridicolo, così alzò gli occhi per controllare il computer e nel frattempo continuava nervosa a suonare il tamburo sul cellulare. Guardava, ma non vedeva niente, fino a quando sentì il rumore di uno squillo ed alzò il telefono allarmata. "Oh cazzo!" aveva cominciato lei una chiamata per sbaglio. "Oh cazzo, cazzo, cazzo, cazzo." cominciò a ripetere mentre provava a chiuderla compulsivamente. Attivò poi il silenzioso e lo buttò in un cassetto. Se avesse potuto l'avrebbe anche chiuso con un lucchetto.
Diavolo! E adesso?
Che lui stesse pensando che lei lo stava pensando? Ma come diavolo si stava comportando! Si alzò, si andò a lanciare sul letto a faccia in giù e si strinse il cuscino sopra alla testa. Sentì il cellulare squillare dall'altra stanza, ma lasciò perdere, schiacciandosi le piume nelle orecchie. Si addormentò senza pensarci e si svegliò più tardi quando invece era il telefono fisso a squillare.
Era ancora in quella fase di confusione da dormiveglia quando s'alzò, recuperò la cornetta e biascicò un "Pronto?" confuso.
"Apri la porta." disse solo una voce maschile dall'altro lato.
Emma scattò sull'attenti. Killian.
Raddrizzò la schiena, si pettinò i capelli con le dita, si tirò su i pantaloni, aggiustò il reggiseno e si infilò un paio di scarpe da ginnastica bianche e sporche. Non si rese conto neanche del fatto che stesse aprendo la porta quando si trovò là davanti ad abbassare la maniglia ed ormai era tardi per ripensarci.
Killian era là che l'aspettava, con lo sguardo dritto e gli occhi scuri nell'ombra. Teneva una mano sullo stipite della porta mentre stringeva il cellulare e l'altra appesa alla cintura. Emma rimase impalata senza sapere cosa dire, poi si ricordò di quello che era successo e disse solo "Ok, perché?" indicando il suo cellulare, col quale probabilmente l'aveva chiamata.
"Non volevo perdere l'abitudine." spiegò velocemente. "Posso entrare?"
Emma sospirò e lo lasciò passare.
"Possiamo sederci da qualche parte?" chiese lui dopo essersi guardato attorno in tutto quel disordine.
Fare una discussione da seduti è completamente diverso dal farla in piedi. Quando sei piedi c'è già quel minimo di adrenalina che ti gira in circolo e che piano piano, discutendo, s'amplifica e ti da coraggio di dire certe cose o semplicemente la spinta per rispondere a tono. Da seduti invece, sembra che tutto vada più lentamente. C'è una calma insolita, impropria, che fa a cazzotti con le parole che senti e pronunci. Manca l'impeto che dovrebbe esserci in qualsiasi discussione. Emma non sarebbe mai riuscita ad essere sincera da seduta ed aveva persino paura di doverlo essere. Incrociò le braccia e si tamburellò le dita addosso. Cedette e s'avviò al divano, spostò i cuscini ed appallottolò una coperta che nascose dietro. Lo invitò quindi a sedersi ed aspettò per fare lo stesso.
"Io e te non abbiamo mai parlato davvero." disse Killian e pareva sicuro con la sua voce. Eppure faceva delle lunghe pause, la studiava bene ed incamerava così tanta aria da rimanere col fiato sospeso. Emma non rispose e tenne la testa bassa, un po' concordando con quell'affermazione un po' per assumersi la metà delle responsabilità. "Facciamolo ora." concluse lui alla fine.
"Ok." rispose lei, nell'illusione di dover riaprire le ferite che s'era fatta da quando l'aveva conosciuto, per chiuderle alla fine con la stoccata epocale che l'avrebbe convinta a dimenticarselo per sempre. Come quand'era bambina, che aveva mangiato così tanti funghi da farsi venire mal di pancia e vomitarli, così da dimenticarseli per sempre. Ancora oggi l'odore dei funghi le dava la nausea! E' un meccanismo fisiologico, serve a farti evitare una cosa che ti fa male. Si sarebbe fatta così tanto male che avrebbe poi voluto evitare per sempre Killian Jones. E cosa fa più male di una chiacchierata sincera a quattr'occhi?
"Mi piaci davvero." confessò lui senza mezzi giri "Sei la donna più forte, coraggiosa e bella che abbia conosciuto finora e non riesco a non pensarti."
Emma aveva ormai messo in conto la fine di quella storia. Sentire quelle parole chiaramente le fece più male di quanto s'aspettasse. Sentirle era diverso dal saperle. Bene, stava funzionando.
"Stavo per sposarmi e stavo per fare una cazzata. Ho avuto l'esperienza di una storia lunga quasi la metà della mia vita ed era diventata solo un'abitudine." si confidò con lei. Allungò una mano nel frattempo e prese quella di lei, che si chiuse istintivamente prima di allentare la presa. "Non dobbiamo mettere un'etichetta. Voglio solo vedere come va, cenare con te, andare a vedere un film, fare l'amore..." lasciò cadere la frase, sperando che lei reagisse in qualche modo all'ultima proposta ed in effetti la fece sorridere. Poi Killian distolse lo sguardo un attimo, guardò a terra, cominciò a sorridere nervoso. "Un giorno spero di avere una famiglia, un posto dove tornare, persone ad aspettarmi. Un cane?" Si chiese indeciso. Poi tornò a guardare lei, come se per esprimere quel desiderio gli servisse intimità dal contatto visivo. "Ma non adesso. Per ora voglio te." Era stato molto chiaro, aveva scandito bene ogni parola. Chissà se l'aveva provato quel discorso.
Era così semplice per lui dire che la voleva? Dirglielo negli occhi? Emma s'alzò, per cercare quell'adrenalina che sperava le avrebbe infuso coraggio. "Non funzionerà. Ci risparmieremmo mesi di terapia." Si guardò attorno e vide il frigorifero e pensò immediatamente alla bottiglia di vino che c'era dentro "O una cirrosi." Cercò di ironizzare alla fine, utilizzando l'ironia come uno scudo.
"E se funziona?" chiese Killian con lo sguardo più sincero, curioso ed emozionato che avesse mai visto fargli.
"Finirà." mise in chiaro lei, cercando autocontrollo nella sua voce ferma che addirittura la stupì. Si ricordò di dover parlar chiaro allora e cercò le parole per spiegarsi meglio. Finì per dire qualcosa che aveva sentito forse in un film, ma era quello che sentiva. "Siamo su due strade diverse."
"Per ora ci siamo incrociati." rispose lui, mantenendo lo stesso paragone e la stessa scontatezza di una commedia di serie B. "Anche se preferivo in una posizione più orizzontale." aggiunse allusivo, senza mai smentirsi ed alleggerendo l'intera situazione.
Emma chiuse gli occhi, cercò di estraniarsi e di riflettere. Poi però d'impulso le uscì un "Ok." dalle labbra. Quando risollevò le palpebre Killian era davanti a lei, sorrideva. La luce giallo acceso di mezzogiorno entrava dalla finestra, aveva un che di etereo e schifosamente romantico, ma anche caldo, familiare e dolce. Lo sapeva di volerlo ancora, ma non s'aspettava di poterlo volere così spontaneamente e naturalmente. C'era qualcosa che lui le tirava fuori.
"Ok." fece Killian, che forse s'aspettava una reazione diversa, forse più entusiasta? Si ritrovò poi nel silenzio più lungo che avessero passato assieme. "Mi vuoi sposare?" chiese all'improvviso, con lo stesso tono di voce di Emma.
L'espressione di lei cambiò improvvisamente: sbarrò gli occhi ed aprì la bocca che quasi le cadde a terra. Pensò che la sua reazione non doveva essere stata così sottile, perché Killian scoppiò a riderle in faccia, sputacchiando addirittura e piegandosi in avanti. "Scherzavo, scherzavo!" la tranquillizzò.
"Non è divertente!" si lamentò lei.
"Sì che lo è." disse ancora sorridendo. S'alzò e le andò vicino. Le mise le mani sui fianchi ottenendo subito la sua attenzione, ma c'era quella smorfia quasi offesa sulla faccia di lei. Le massaggiò allora la costole oltre la maglietta con un movimento lento e circolare, monotono quasi fosse un tenero cucciolo. Killian pensò che si sarebbe dovuto abituare a quella sensazione al tatto, rispetto alla curve morbide di Milah e non vedeva l'ora di farlo e sapere esattamente la forma di Emma tra le sue dita. "Vieni qui." le bisbigliò in un orecchio e stranamente Emma sorrideva. Baciarla fu spontaneo e naturale. Breve, asciutto, ma andava bene così, era solo l'inizio. "Cominciamo dalle cose normali." le propose.
"Mi stai chiedendo un appuntamento?" domandò lei che teneva ancora gli occhi chiusi. Gli si avvicinò e gli prese le labbra, gesto a cui lui rispose con trasporto e sorpresa.
"La mia amica dà una festa." spiegò invece.
Emma stava sudando nel suo appartamento a mezzogiorno di metà agosto. Oppure sudava perché si era appena ricordata quel discorso fatto con Ruby sull'approfittare della situazione. Gli girò le braccia attorno al collo e sentì sulla pelle che anche lui stava sudando e tutto si stava trasformando in una rovente sauna sexy. "Festa?" domandò.
"Stasera, in maschera, al pub." le spiegò. Si avvicinò di più a lei, chiuse gli occhi e poi sembrò come ripensarci. Prese il cellulare e guardò l'orario. "Cavolo." bestemmiò, perché era tardi e si stava emozionando un po' troppo più in basso.
"Ok." rispose Emma, mentre seguiva il suo sguardo.
"Ok?" chiese Killian stupito.
"Sì." rispose Emma facendosi scappare una risata "Ok." confermò un'ultima volta mordendosi il labbro.
"Ok." ripeté Killian. Le prese una mano, chiuse gli occhi per non pensare a quello che stava per dire ma dirglielo e basta. "Devo tornare a lavoro, la mia pausa è finita dieci minuti fa." spiegò. La mollò e basta per non doverci pensare un'altra volta e s'avviò fuori alla porta. Per un momento l'idea di chiamare in ufficio e restare a casa con lei gli aveva tintillato il cervello, ma non poteva. Aveva quel nuovo senso di responsabilità in testa che lo faceva sentire una persona diversa. Era lei che glielo faceva fare. Si girò per guardarla un'ultima volta, la sua Emma, e lei era là e sorrideva. La raggiunse di nuovo per un ultimo bacio, le bisbigliò un "A stasera." e se ne andò.
Quando chiuse la porta, Emma si portò le mani alla bocca incredula. Fu difficile tornare a lavorare per quella giornata e dovette impiegare tutto l'autocontrollo di cui era capace prima di chiudere tutto ed andarsi a preparare.
Sembrava tutto un cavolo di film.


Quella sera stessa bussarono alla porta. Emma non guardò nemmeno dallo spioncino. Aprì e basta, sapeva già chi c'era dall'altro lato. Aveva ancora una tazza di caffé freddo e stantio in mano che puzzava quasi, così volò in cucina e lo buttò prima che potesse macchiare tutto.
"Swan?" si sentì chiamare dal salotto.
"Arrivo!" rispose in automatico e pareva così surreale e così normale. Si guardò nel vetro della credenza, cercando capelli fuori posto e poi andò da lui. Killian se ne stava al centro della stanza con una benda sull'occhio, un lunghissimo cappotto di pelle nera, pantaloni aderenti ed una camicia a sbuffo. Tutto nero, completamente nero. Aveva anche una spada di plastica appesa alla cinura, così finta e piccola che probabilmente era destinata ad un costume per bambini. Emma scoppiò a ridere e non riuscì a fermarsi subito, riaccendendosi anzi ogni tanto come un motorino. "E chi saresti, un incrocio tra la morte ed un pirata gay?" scherzò.
"Capitan Uncino!" fece lui finto offeso, tirando fuori dalla manica un manicotto di plastica a cui era attaccato un bel uncino finto almeno quanto la spada.
"Aah!" rispose solo Emma, cercando di trattenere le risate.
"E tu..." provò Killian che voleva indovinare, studiandola con una mano appesa al vuoto, ma non gli veniva niente in mente.
Emma teneva i capelli fissati in alto, stretti stretti ed arrotolati in uno chigon per nasconderli. Portava una camicia bianca, un paio di pantaloni eleganti neri a vita alta e scarpe stringate da uomo. Non gli veniva proprio niente in mente.
Emma allora, cercando di rendergli più facile l'impresa, prese un cappotto, un impermeabile marroncino dall'attaccapanni, lo indossò e poi cacciò dalla tasca una lente d'ingrandimento. Killian fece finta di annuire con la testa, ma era evidente che ancora non ci fosse arrivato. "Sherlock Holmes!" fece ovvia.
A Killian comparve un sorriso sulle labbra. Forse s'aspettava una damina indifesa? "Elementare!" scherzò poi.
Emma gli si parò davanti e sospirò. "Cominciamo?" chiese col sorriso sulle labbra, annodandosi al suo collo.
"Cominciamo!" ripeté lui prima di baciarla.



 




 
Angolo dell'autrice
Hellloooo!
Sono tornata abbastanza presto, nevvero? Mi stanno ignorando in altre storie, ecco tutto, non vi credete speciali u.u 
Ok, sto peggiorando la mia precaria situazione xD
Avviso velocissimo: per una settimana non avrò proprio il pc a disposizione quindi penso che ci vorranno almeno una ventina di giorni per il prossimo aggiornamento! Ci siamo tolti il primo peso. 
Secondo: mancano 3 capitoli!! Non so se sono più triste o emozionata! Dunque forse ve l'ho già detto ma... Il penultimo sarà un capitolo sia su Killian sia "tappa buchi". Non so se avete notato ma la trama è molto frammentata (ma va xD). Per esempio ho usato molto il presente per raccontare la storia passata di Killian con Emma e con Milah. Ho tirato in ballo questa volta la foto del 17 marzo 2016, perché se vi ricordate (capitolo 4), Killian ripensa a quando lui e donna X hanno deciso di sposarsi sul ponte di Brooklyn ed in quali circorstanze. Oppure una volta (forse capitolo 3?!) Killian guarda delle foto della fidanzata in una vacanza al mare. Beh il penultimo capitolo rivedrà la storia dall'inizio ma a casa di Killian, tirando le somme dalla parte di lui (e quindi del suo rapporto con Milah all'epoca) e poi, non voglio descrivere precisamente questi momenti che sono stati già "raccontati", ma metterli in un contesto. Non so se mi sono spiegata. Vi volevo preparare insomma a porre attenzione a queste piccole cose. Ho lavorato così tanto a questa storia della frammentazione che mi dispiace farla perdere xD 
Mi sono fatta la recensione da sola lol
Colgo l'occasione per salutare di nuovo Chipped Cup e mi dileguo. Alla prossima :*

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - meno 3 ***


10.




2016, nove di mattina
"Che te ne pare?" chiese Killian guardandosi allo specchio del bagno rivolto verso il fratello. Si rifletteva fino a non oltre il primo bottone della giacca, ma era sufficiente perché non riusciva a staccare gli occhi dalla cravatta. Ne teneva in mano una rossa, una verde nell'altra ed una azzurra annodata al collo. Il cellulare vibbrò da sopra al lavanino, ma non ci fece troppo caso impegnato com'era.
"Non hai ancora scelto?" fece Liam con voce di disapprovazione, come se volesse sgridarlo perché si riduceva sempre all'ultimo secondo. Fece invece uno sbadiglio, poi un sospiro e con le mani in tasca propose. "Si dice di scegliere la cravatta del colore dei suoi occhi."
Killian si sciolse allora la cravatta celeste, la buttò a terra insieme a quella rossa senza pensarci troppo e si accostò la verde al collo. Si ritenne soddisfatto e la annodò. N0n ebbe bisogno di controllare come gli stava più di una volta. Prese il cellulare, lesse il messaggino ed andò in soggiorno. Cercò le chiavi della sua automobile, ma niente: non erano nella ciotola all'ingresso, non erano appese ai gancetti dietro alla porta, non erano nel suo giubbino, dove diavolo erano?
"Non è ancora presto?" domandò Liam, vedendolo affaccendato e controllando l'orologio. Mancavano ancora due ore e non erano molto distanti.
"Devo passare a dare una cosa alla sposa." avvisò l'altro sollevando cuscini del divano, cercando ancora quelle maledette chiavi. "Abbiamo tutto sotto controllo." borbottò Killian, facendo il verso alla sua amica Ruby, che così gli aveva detto due giorni prima quando le aveva chiesto se aveva fatto tutto quello che le aveva chiesto.
"Una cosa?" domandò Liam con voce a metà tra il sorpreso e il seccato. Poi sentì il borbottio, ma ormai era partito e tanto valeva finire di fare quella batutta. "Adesso?" fece di nuovo indicando con un dito sull'orologio che teneva al polso, sottointendendo il doppio senso che credeva di aver letto.
"Già!" rispose Killian non curante, che aveva capito il fratello ma non aveva tempo e poi in un lampo di genio si ricordò della sera prima, di quando aveva aiutato Ruby a vomitare anche l'anima. Corse nell'altra stanza e trovò le tanto agognate chiavi a terra accanto al water. Porca miseria! Raggiunse Liam con una rinnovata voglia di scherzare. "E giacchè ci siamo..." disse allusivo, sorridendo sornione, ma Liam ormai non lo stava più seguendo "Devo solo tenere gli occhi chiusi per non vedere il vestito!" e niente ancora "Una cosa veloce." aggiunse.
"Killian!" lo sgridò allora l'altro, fingendo disapprovazione "E' di tua moglie che stai parlando."
"Fantastico, vero?" fece, mentre la faccia di Liam si sforzava inutilmente di non ridere. "Comunque parlavo del bouquet, dobbiamo ritirarlo e portarglielo. Tranquillo adesso?" Spiegò alla fine. Aprì la porta, la tenne facendo passare avanti il fratello un po' per abitudine, un po' per far capire a Liam che si doveva spicciare e alla fine arrivarono in auto.
La puzza di chiuso che ne venne fuori colpì i nasi dei due fratelli che in due avevano accumulato appena quattro ore di sonno. Il fastidio si trasformò in nausea, che scomparve subito dopo aver abbassato il finestrino, come se quello fosse una bacchetta magica.
Recuperarono i fiori dalla faccia perplessa di una commessa che s'aspettava di vedere la damigella d'onore invece che due uomini. Era un bel mazzo lungo, per niente ampio, sottile ed elegante di rose rosse e calle bianche, che sarebbero saltate all'occhio accostate ad un vestito da sposa. Liam se lo tenne in mano per tutto il resto del tragitto, così che non si rovinasse. 
"Come sta andando il nuovo lavoro?" chiese Liam cercando di parlare in mezzo al traffico del primo mattino, di chi doveva lavorare invece. Non poteva abbassare completamente il finestrino, sempre per i fiori. Lascì allora aperto un solo spiraglio a cui alzava il mento ogni tanto per respirare aria fresca. Il completo di giacca e cravatta era soffocante.
Killian era di nuovo sovrappensiero. S'era dimenticato persino dell'occhio viola. Non faceva che guardare il mazzo di fiori con la coda dell'occhio.
"Killian?" lo svegliò Liam, sventolandogli una mano davanti alla faccia.
"Bene." rispose l'altro scuotendo la testa. "Tra un mese comincia la nuova stagione." rispose. S'era abituato già a quello stile di vita. Dal 2013 aveva mollato il suo vecchio lavoro stabile ed aveva sudato per guadagnarsi la patente nautica, duramente conquistata a novembre di quello stesso anno. Da allora lavorava come tenente a bordo di navi turistiche: viaggiava molto per alcuni mesi, era praticamente assente per settimane e poi restava a casa nei mesi più freddi. Era una bella vita, gli piaceva, lo appassionava e gli era permesso di fare delle vacanze gratuite insieme alla sua fidanzata. Era così che si era guadagnato Miami. Aveva quel pizzico di avventura nella sua vita, che gi faceva venire voglia quando tornava della solita quotidianità.
"H-hm." mugugnò Liam in risposta. Non aveva apprezzato quel gesto avventato del fratello. Più volte aveva cercato di convincerlo che nella vita non sempre si può fare il lavoro dei propri sogni, che a volte ci si deve adeguare. Era la stessa identica cosa che gli diceva Milah e forse era per quello che erano andati così d'accordo in passato.
Invece nel 2013 qualcosa era scattato e Killian non aveva dato retta a nessuno! "Possiamo non parlarne?" chiese, sentendo che vecchi rancori stavano tornando a galla.
"Certo." rispose Liam e poi cominciò a tamburellarsi le uniche due dita libere sulle gambe avvolte in quei pantaloni eleganti e scomodi, pensando ad un argomento da tirar fuori. "Ho preparato un discorso." gli venne poi in mente.
Killian guardò il fratello, poi guardò la strada, poi di nuovo il fratello. "Davvero?"
"Su quanto siate perfetti insieme!" cercò di scherzare l'altro, facendo scoppiare a ridere Killian che davvero non vedeva l'ora di ascoltare questo fantomatico discorso e probabilmente ci avrebbero fatto un filmino, che avrebbe riguardato negli anni a venire e ci avrebbe riso su ogni volta. Il filmino sarebbe rimasto su uno scaffale in salotto, che i suoi figli avrebbero potuto prendere e guardare con curiosità, cercando le facce dei loro genitori giovani. Ed avrebbero ascoltato la storia di quel pugno preso in un bar, della zia Ruby che aveva dimenticato il bouquet, dello zio Liam che aveva viaggiato per due giorni ed una notte per esserci e della loro storia, di quanto all'inizio fosse stata complicata ma di come alla fine ce l'avessero fatta. E stranamente tutte quelle idee non lo terrorizzavano più a morte e non vedeva l'ora di cominciare la sua nuova vita. Sapeva di averlo già pensato, sapeva di esserne già sicuro, ma quella fu la sua vera epifania: sì, voleva sposarla. Dio, se lo voleva!
Finalmente raggiunsero la casa dove la sposa si stava preparando, che tra l'altro era casa sua! Killian parcheggiò e soffiò via quel fiotto d'ansia ed anidride carbonica che s'era tenuto nei polmoni per tutto il viaggio. Si guardò nello specchietto, cercando di ignorare il più possibile quella macchia viola sotto all'occhio e sistemandosi cravatta e colletto. Se non altro verde e viola stanno bene insieme! Recuperò il mazzo di fiori e liquidò Liam con un "torno subito" prima d'avviarsi sopra alle scale.
Arrivò al primo piano facendosela a piedi e col fiato in gola, più per il nervoso che per la fatica. Aspettò che la respirazione gli tornasse normale e premette sul pulsante del campanello.
"Arrivo!" gridò una voce femminile dall'altro lato e subito Killian tornò sereno. Gli venne una strana impazienza che si tramutò in ansia quando sentì i tacchi di due scarpe affrettarsi verso la porta. Alla fine sorrise quando quella cominciava ad aprirsi.



15 settembre 2013
"Quand'è il tuo compleanno?" chiese Killian, steso su un fianco, sul suo nuovo letto muovendo su e giù la punta delle dita sul fianco di Emma, distesa accanto a lui. Non aveva la pelle morbida come credeva, non era come Milah, formosa ed accogliente. Emma era un fulmine: elettrizzante, pericolosa, spinosa e dannatamente bella da guardare. Tutte quelle caratteristiche si rispecchiavano nel suo aspetto fisico. Persino, alla fine della tempesta, lei si mitigava e sorrideva, splendendo come il sole.
Stava ancora sorridendo quando gli rispose acidamente "Perché vuoi saperlo?" con le dita invischiate su quella linea di peli che dal petto gli scendeva sull'ombelico. Si rese conto da sola di diventare insopportabile quando si parlava appena vagamente della sua nascita e del compleanno. Se ne pentì subito e desiderò di aver risposto subito invece, così si leccò le labbra, scrollò le spalle, guardò in basso dove c'erano i suoi capelli sparsi sul materasso e poi indietro su una poltrona, dove c'era ancora il suo cappotto dalla festa di più di quindici giorni prima, due camicie ed un paio di suoi pantaloni che avrebbe dovuto proprio lavare.
Killian sorrise sghembo, forse pensando a qualcosa o forse ridendo di lei e di quel comportamento così dolcemente infantile. Poi sventagliò le dita e le strinse il fianco, dove l'anca diventava spigolosa. "Scartocciare i regali è sacro santo e..." cominciò a rispondere lui sulla difensiva, facendo scendere piano piano una mano e forse non stava parlando di regali veri e propri.
I compleanni risvegliano sempre il bambino che si nasconde in ognuno di noi. E se quello di Killian aveva la fissa con la carta da regalo ed i presenti, quello di Emma non voleva dargli peso per non restare deluso perché nessuno aveva mai festeggiato il suo compleanno. Era così evidente, riusciva a leggerla come se fosse un libro aperto. Pensò che per l'anno successivo avrebbe dovuto fare qualcosa di importante. Emma non era mai stata a Miami... Poteva farle una sorpresa e portarla là o nascondere i biglietti dell'aereo in una scatola gigante tutta addobbata, o in un mazzo di fiori o sul fondo di una scatola di cioccolattini. (*)
"Lascia stare." tagliò poi corto lei, pensando a tutti i pacchi che non aveva mai avuto, alle feste che non aveva mai organizzato, alle cene noiose coi parenti che non c'erano mai state.
"E' il giorno in cui sei venuta al mondo e mi hai fatto..." voleva provare a spiegarsi, ma non trovava le parole, così agitò la mano su di lei, nuda nel suo letto "...un gran regalo," disse alla fine, ma poi pensò che era stato lui a fare un gran regalo a lei, ma non voleva rovinare il momento e lasciò perdere la battuta sporca ed infantile. "devo ricambiare almeno una volta all'anno."
Emma, che s'aspettava anche lei un gioco di parole di qualche natura, non riuscì a trattenere quello "Stupido!" spontaneo ed appena bisbigliato e pensò invece alla complicità che aveva già trovato con lui nell'insultarlo senza neanche farci caso. Aveva avuto dei dubbi sin dall'inizio e continuava ancora a giorni alterni: si raccontava che non era giusto far soffrire così una persona, che non era quello che avrebbe voluto per sé stessa e che quindi, sapendo che sarebbe finita, avrebbe dovuto troncare tutto, ma poi non lo faceva mai e si ritrovava la sera con lui sul divano a scherzare, a tirargli pop corn addosso, ad andare a bere e ridere con i suoi amici ed a fare l'amore a casa sua. Si era portata addirittura il cambio per la notte. Ed a volte se lo portava anche a lavoro. Roba da pazzi!
"Voglio saperlo." disse Killian, cercando di attirare la sua attenzione. "Davvero." sottolineò quando vide gli occhi di lei allinearsi coi suoi.
"A marzo." rispose alla fine. Non voleva dirlo, ma alla fine l'aveva fatto. Avrebbe voluto poi addirittura confidargli che non conosceva il giorno preciso in cui era nata, forse il 20 o il 21. Da piccola, insieme agli altri bambini, festeggiava la data in cui era arrivata all'orfanotrofio, cioè il 22. Era rimasto quello il suo compleanno.
"Non ci conoscevamo ancora." cominciò a ragionare lui, grattandosi con una mano la barba "Allora sono ancora in tempo!"
"Che? Per cosa?" chiese Emma imbarazzata per la prima volta davanti a lui, nonostante fosse nuda ed appena mezza coperta da un lenzuolino.
Killian cominciò a ridere già sapendo come avrebbe voluto rispondere. Si sollevò sulle mani affondando nel materasso duro ed ancora nuovo. La scavalcò e finì su di lei, come un mantello o come un'ombra che la copriva. Le baciò le labbra, poi il mento, il collo e dietro all'orecchio. Emma s'inarcò sulla schiena e quasi gli dispiacque di fare quella battuta, ma Killian era Killian e non poteva trattenersi: "un gran regalo!" le bisbigliò con enfasi e malizia.
Emma sorrise e cercò poi malamente di nasconderlo, poi arrotolò le braccia attorno al suo collo e la giornata degenerò fino a chiudersi del tutto.


21 ottobre 2013
Toc toc
Emma stava cercando di leggere la targa di un'automobile, quando il suono di cinque nocche battute sul vetro del suo maggiolino giallo la fece sobbalzare. Abbassò il piccolo binocolo che lei chiamava "da viaggio" ed aprì la portiera.
"Ehi!" la salutò Killian, infilandosi in quell'auto così piccola che ogni volta si stupiva di entrarci. Si abbassava, faceva attenzione alla testa e ce la faceva. Le allungò il vassoio di cartone con due bicchieri bollenti.
"Ehi." fece Emma di rimando e ne toccò uno, si scottò le punte delle dita e poi lo afferrò da poco più in alto. S'era messa in testa di cambiare ogni tanto, così aveva cominciato a provare il cappuccino con cioccolato, il caffé macchiato con caramello, quello con panna e cannella. In mano aveva un latte macchiato, che più tardi avrebbe scoperto che non l'aiutava per niente a rimanere sveglia.
"Allora?" chiese lui, prendendo un sorso del solito caffé nero amaro, che Emma si chiedeva come facessero le sue papille gustative a non essersi ancora suicidate. L'aveva anche assaggiato una volta e le aveva fatto così schifo che avrebbe vomitato. Era rimasta a bocca aperta con la lingua da fuori mentre lui rideva.
Emma indicò una palazzina con il mignolo, da cui notò immediatamente un uomo che usciva. Era stata ingaggiata da una moglie gelosa per spiare quell'uomo, che stava appena uscendo da un appartamento da cui di certo non abitava. "Accidenti!" bisbigliò delusa.
Killian allora che ormai sapeva come funzionava il suo lavoro, recuperò la macchinetta fotografica dal cruscotto, proprio vicino al solito cruciverba incompleto, la accese, applicò lo zoom e scattò diverse fotografie che sarebbero servite a lei per ricevere il suo compenso. "Magari sta meglio con lei." fece, cercando di giustificare l'uomo e rivedendosi in lui in un certo qual senso.
Emma gli avrebbe voluto dire "ma andiamo!" o "è completamente diverso" o "quello stronzo ha una moglie ed un figlio a casa", ma poi decise di lasciar perdere per non litigare. Scoccò la lingua e s'appese alle chiavi per mettere in moto e tornarsene a casa. Aveva così tanto bisogno di dormire nel suo letto.
"O magari tra qualche anno ti assumerà l'altra, che sarà sua moglie!" propose lui, cercando di assomigliare a lei e vedere il lato mezzo vuoto del bicchiere e la prospettiva più pessimista che gli veniva in mente.
"O lui." rettificò Emma "Come hai fatto tu." cercando di mantenere il parallelismo. Si chiese intanto se fosse quello che s'aspettava lui nel futuro: che lei lo sposasse e forse che un giorno fosse gelosa. Ma certo che era così.
Lo sapeva come faceva lui. Ci provava. Lanciava qualche frecciatina e cercava di capire che pensava lei. Alla faccia del parlar chiaro ed essere chiari, come s'erano detti quel giorno a casa sua. Quel giorno quando s'era presentato alla sua porta, dopo una chiamata partita per sbaglio e forse aveva deciso troppo in fretta. Perché era sempre così avventata e così confusa? Perché gli piaceva e la faceva ridere e stava bene con lui, ma poi ogni tanto, ogni due settimane all'incirca parlava di matrimoni, di gente che si sposava, del fratello che non l'aveva ancora fatto, della madre che gli diceva di non farlo, di colleghi di lavoro che erano appena tornati dalla famiglia e vivevano una vita perfetta ed allora Emma sentiva un formicolio. C'era qualcosa di strano, che non andava e lo sapeva. Sentiva una pressione sul collo e lo sapeva che sarebbe arrivata e gliel'aveva detto, ma lui non l'aveva ascoltata e s'era presentato a casa sua. Perché?
"Era solo un pretesto per stare con te." le rispose Killian sorridendo, contento che glielo potesse finalmente confessare.
Lo guardò. Ah ecco, perché."Lo so."


13 novembre 2013
"Scusa, non ho avuto il tempo di cambiarmi!" accorse Emma, indossando ancora un paio di pantaloni neri ed una maglia a quadri che s'era messa quella mattina. Doveva solo lavorare e poi incontrare Killian in quel ristorante elegante in cui l'aveva invitata a cena. Doveva dirle una cosa importante ed aveva sottolineato la parola "importante" mentre lo diceva.
Forse il suo intento era quello di sabotarlo a partire dal deshabille, perché era tornata a casa in anticipo, si era sciacquata la faccia, legato i capelli e poi aveva cominciato a guardare qualcosa alla tv prima di rendersi conto che s'era fatto tardi. Tipico di Emma, insomma.
"Non importa." rispose Killian.
Era elegante, affascinante, tanto da metterla a disagio e far sentire lei invece fuori posto. Aveva un completo nero addosso, una cravatta verde ed una camicia chiara tra il bianco ed il grigio pallido. Quando s'alzò per accompagnarla al posto, Emma notò la mano nascosta dietro alla schiena e si chiese quale fosse la ragione, che avesse lì tra le pieghe delle maniche e se fosse qualcosa da cui potesse scappare.
Killian le fece ordinare del pesce e dei frutti di mare, convincendola, dicendole che era il pasto giusto che ci voleva per la notizia che le doveva dare. C'era del vino bianco ed alla fine un soufflè al cioccolato. Emma sperò talmente tanto che ci fosse solo cioccolata dentro.
"Emma," fece lui alla fine della cena, cercando di richiamare la sua attenzione. Si schiarì la gola e pareva cercare le parole giuste. Allungò una mano e prese la sua, che invece si ritrasse e si finse impegnata con il tovagliolo. "ok." fece nervoso lui, dimenticando della mano e cercando di concentrarsi. "Ti amo." provò ad introdurre. "So che non dovrei dirlo, ma voglio passare tutta la v..." continuava a dire.
"No." lo interruppe subito lei. Alzò le mani, cercando quasi di pararsi con quelle. Avrebbe voluto alzarsi ed andarsene via, ma non voleva fare una scenata e rimase seduta al posto. Decise che avrebbe chiarito la faccenda una volta e per tutte.
"Cosa?" fece lui confuso "Non ti ho chiesto mica..." e proprio non ce la faceva a finire una frase.
"Stai cercando di sostituire Milah con me?" chiese Emma a voce bassa. Era strano, ma era l'unica volta che il nome di lei non le aveva dato fastidio "Pensi che la nostra storia possa essere uguale a quella che avevi prima? Che io viva per te, che accetti dopo pochi mesi come un'ingenua?" continuò a sproloquiare agitata. Un cameriere che passava di lì si girò a guardarli, allora lei abbassò la voce di nuovo, ma quello ormai aveva capito ed aveva cambiato strada.
"Punto primo, sono stato con Milah per anni prima di chiederle di sposarmi." sentì il bisogno di puntualizzare lui, perché, dio, quanto la odiava quando tirava in ballo Milah e la sua ingenuità. Va bene, lei viveva per lui, e allora? Se non altro non si atteggiava a donna ostinatamente indipendente! "Secondo, no, l'esatto contrario e credevo di avertelo spiegato." aggiunse incazzato, puntando un dito sul tavolo, quasi servisse per affermare meglio la sua posizione, mentre nell'altra mano stringeva qualcosa.
Rimasero poi entrambi arrabbiati fermi nelle loro convinzioni, senza cercare di capire il punto dell'altro, senza darsi la possibilità di spiegarsi e senza aver voglia di continuare a parlarne. Emma incrociò le braccia, mentre Killian con una mano giocava con le posate puntando il coltello sul tavolo e poi facendolo girare, mentre muoveva l'altra nella tasca.
"Killian," lo chiamò poi lei seria, facendo sparire tutta la rabbia come se si fosse tolta un peso "io non ne sono più sicura." disse solo. Quando ebbe il coraggio di alzare lo sguardo, lo trovò solo confuso. "Di tutto questo." provò a spiegarsi, agitando la mano tutt'attorno.
"Non ne sei sicura?" ripeté lui le sue parole, cercando di schiacciarsele bene anche lui in testa perché sapeva che avrebbe pensato tutta la sera ed i giorni dopo a quelle parole e gli conveniva capirle bene.
"Mi dispiace." disse solo Emma e dal suo tono di voce sembrava davvero dispiaciuta, anche se proprio non riusciva a togliersi la sensazione delle sue spalle improvviamente libere.
"E non potevi dirmelo prima?" le chiese lui secco, offeso, distrutto, stringendo nella tasca quella che era la sua patente nautica nuova di zecca, ormai stropicciata, e quelli che erano dei biglietti d'aereo per Miami. Già perché voleva scusarsi, come le avrebbe annunciato quella sera, di dover restare lontano da lei per un mese, perché aveva finalmente cominciato quel suo nuovo lavoro tanto agognato. Avrebbe voluto dirle che aveva programmato tutto, che sarebbe stata una bellissima vacanza, ma lei invece no, doveva per forza tirare in ballo la solita storia e non ce la faceva più. Non poteva smettere neanche per una sera di usare la storia di Milah contro di lui! Ma non le entrava in testa che l'aveva lasciata?
"Prima di cosa, prima che la mollassi?" l'accusò lei.
"Diavolo!" esclamò lui in una risata isterica ed Emma sapeva che quello era il momento di andar via, dopo cui non avrebbe più parlato. Allora s'alzò, ma non voleva lasciargli l'ultima parola ed allora tornò indietro e puntandogli il dito addosso lo accusò. "Continui a scherzare chiedendomi di sposarti e mi assilli e mi opprimi e..." cominciò a spiegarsi e le girava la testa e sapeva quello che voleva dire all'inizio, ma aveva cominciato a perdere le parole.
Killian sospirò. Si mise le mani in tasca e si calmò. Non gli piaceva litigare, non gli piaceva per niente. Non gli era piaciuto con sua madre, con suo fratello, con Milah e non gli piaceva neanche con Emma. "Ti giuro che non è mai stata una mia intenzione." provò solo a dire. Sapeva che era inutile, ma almeno voleva che lei sapesse come stavano le cose. Certo, voleva sposarla un giorno, ma un giorno. Non presto, non subito.
La strana calma di Killian calmò anche Emma, che si rese conto di aver attirato l'attenzione, che troppe persone li stavano guardando forse in attesa di applaudire quando lui le avrebbe fatto la proposta e lei avrebbe detto di sì, alla fine. Ma non è così che vanno tutte le storie e quella gente se ne srarebbe dovuta fare una ragione. "Killian," gli prese la mano in un improvviso lampo d'affetto, forse perché voleva farsi perdonare, forse perché ne sentiva giù la mancanza "siamo troppo diversi." abbozzò, tirando in mezzo di nuovo la solita scusa.
"Sì, certo." concluse Killian sorridendo di nuovo. Poi s'alzò, andò a pagare e tornò a casa sua a piedi, da solo, pensando come previsto a tutto quello che lei gli aveva detto, cercando un modo per agirarlo. Non dormì tutta la notte e qualche mattina dopo partì. Le lasciò un messaggio in segreteria aggiornandola sulla sua vita per l'ultima volta e poi spense il cellulare, sapendo già di non ricevere risposta.


4 dicembre 2013
"Avanti, accendi!" gli urlò quasi Ruby, nel suo locale, indicandogli il cellulare che Killian le aveva praticamente buttato davanti appena era entrato, senza neanche salutarla. Con che coraggio poi! Dopo un mese e mezzo senza dire niente, senza un "a", un "buon giorno" e "buona sera". Ma l'avrebbe fatto ragionare, ah se non l'avrebbe fatto! Aveva così tante frecce al suo arco che quasi se le perdeva.
"Tanto non c'è niente." rispose disilluso, bevendo la sua birra. E gli sembrava di essere tornato un adolescente innamorato, anche se forse non lo era mai stato per davvero.
"Se non lo accendi adesso..." aveva cominciato la barista, puntandogli un dito al petto, ma non aveva fatto in tempo a finire che una voce femminile esclamò un "ehi" entrando nel locale e guarda un po', era proprio Emma! Era arrivata prima del previsto. E già, Emma era una delle sue frecce per far tornare a ragionare quel povero fesso ubriaco. Non che Emma ne fosse consapevole ovviamente.
"Oh perfetto, grazie mille, Ruby!" fece Killian ironico, vedendo entrare Emma, vedendola sbuffare anche lei, che aveva davvero poca voglia di stargli affianco e starlo a sentire. L'aveva detto, no? Erano troppo diversi, non era sicura che fosse la scelta giusta stare assieme, anzi a quanto si ricordava ne era più che sicura. Quindi che senso aveva? Fece per alzarsi, portandosi dietro il boccale, ma Ruby lo recuperò al volo e poi lo afferrò per la manica della giacca da tenente.
"Tu zitto!" gli ordinò lei decisa "E tu siediti." intimò invece ad Emma e sembrava che avesse più confidenza con lei, come se avessero passato molto più tempo insieme di quel che Killian sapeva.
Emma fece come le era stato ordinato, quasi volesse essere incastrata da Ruby. Guardò Killian, che nemmeno pareva aver fatto tante storie per ribellarsi, e forse era cocciuto tanto quanto lei ed aspettava la spintarella di un'amica.
"Vi lascio soli." fece Ruby più calma e più seria. Fece per andarsene, ma poi si ricordò di una cosa. Recuperò una bottiglia di liquore da dietro agli scaffali. Era rhum. Lo mise in mezzo tra i due, porse un bicchiere a testa e poi se ne andò davvero.
Killian cominciò a tamburellare le dita sul bancone. Mise da parte la birra e decise che l'amica ci aveva visto giusto a prendere qualcosa di più forte. "Vuoi?" chiese ad Emma con la bocca impastata ed una voce decisamente confusa. Avrebbe voluto dirle qualcos'altro dopo un mese, dopo essere stato mollato, dopo averle quasi pianto nella segreteria telefonica.
"Cosa?" domandò lei confusa, non certa di aver capito.
Killian prese la bottiglia, la stappò e la inclinò sul bicchiere di lei. "Ti ho chiesto se ne vuoi un po'." ripeté dopo essersi schiarito la gola.
"Versa." e poi entrambi mandarono giù. Rimasero poi di nuovo in silenzio. Emma non voleva guardarlo, cercava già una scusa per poter andare via: lo yogurt in frigo che scadeva, il lavoro, la lavatrice da caricare... Se le stava passando tutte in rassegna e pensava e guardava il bicchiere vuoto, dove sul fondo s'era fatto un piccolo alone tra il giallo e il marroncino.
"Perché diavolo sei arrabbiata con me?" chiese Killian di punto in bianco. Si girò sullo sgabello, ruotando fino a trovarsi di fronte a lei e guardandola per la prima volta. Teneva le labbra strette, le sopracciglia accavallate e quell'espressione concentrata o arrabbiata che si ricordava così bene.
"Perché dovresti essere tu quello arrabbiato, che ha rinunciato a tutto per me, giusto?" ripeté lei come un mantra, perché era quello di cui si accusava, quello che lei pensava che lui pensasse di lei, che era il motivo per cui era finita. E se un giorno, qualora avesse ceduto alla sua idea di vita perfetta, le rimproverasse di averlo costretto a quella scelta obbligata? E se fosse finita più avanti, ancora peggio, per il risentimento di lui? Se si fosse reso conto che Milah era decisamente migliore di lei?
"Che cosa?" ripeté Killian con voce più acuta, uscita così per la birra che gli stava andando di traverso e che avrebbe vomitato se non si fosse controllato. "La smetti con questa storia?" 
"E' quello che vorresti dire." disse Emma quasi a sé stessa, rigirandosi il bicchierino tra le dita, massaggiando il vetro coi polpastrelli.
"No." rispose Killian, quasi offeso, con più convinzione perché stava mettendo in dubbio la genuinità dei sentimenti che provava per lei, nonché la sua parola. "Emma," la chiamò e decise di parlare con lo stesso tono di voce con cui aveva parlato quella famosa volta a casa sua "io ti avevo detto che ti amo ed era questo il tuo vero problema." cercò di bisbigliare perché solo lei sentisse. Ma Emma ancora non lo guardava nemmeno ed allora la prese per le braccia, costringendola a girarsi. Lei si ribellò, era normale, se lo aspettava, ma almeno aveva alzato gli occhi infuocati "Il resto erano scuse." e si rese conto di urlare, ma doveva reggere il suo sguardo in qualche modo.
"Non erano scuse." rispose lei stizzita, perché l'aveva ripetuto di nuovo. Ok, forse erano scuse, forse avrebbe dovuto dirgli la verità, ma come faceva? Come avrebbe fatto poi? Killian le aveva detto di nuovo che la amava e se voleva ancora andare in fondo alla faccenda, avrebbe dovuto dirglielo anche lei. Ma come si sarebbe protetta poi? Come avrebbe fatto a stare con lui con tutte quelle difese abbassate? E se poi lui se ne fosse andato? Sentiva le lacrime cominciare a formarsi nell'angolo dell'occhio e cominciò a guardarsi i piedi, dove una bella impronta bianca svettava sullo stivale nero. "Ed abbassa la voce." gli ordinò per tornare in vantaggio, girandosi attorno e vedendo Ruby che fingenva di chiacchierare con Dorothy che era con lei e che nessuno dei due aveva neanche notato quando erano arrivati.
"Non ti preoccupare!" sentì urlare da quella direzione "Tanto vedrò tutto sui nastri della sicurezza."
A quelle parole l'atmosfera si alleggerì, diventando quasi divertente, quasi come trovarsi in una commedia dove una battuta risolve tutto. Killian ed Emma si sentirono riuniti, schierati dalla stessa parte contro un'amica invadente. Strinsero entrambi istintivamente i pugni e si voltarono in quella direzione.
Quando Killian vide la mano chiusa di Emma a pochi centimetri dalla sua, posata su quel bancone, lanciata con la stessa veemenza, si diede dell'idiota perché ovviamente sapeva già di quella sua fobia di legarsi, di parlare anche soltanto di un possibile futuro che nessuno dei due sapeva che sarebbe mai arrivato, per non parlare di quella di soffrire e come un deficiente aveva pensato solo a sé stesso. Era stato facile con Milah, una volta deciso, parlare di futuro, di matrimonio, anche se poi aveva capito che non era quello che voleva. Ma con Emma era diverso, con Emma sentiva che era giusto e le sue vecchie abitutini erano tornate a galla ed aveva pensato che non c'era nessun problema ad esternare quei desideri. Anzi, cavolo, non ci aveva nemmeno pensato, l'aveva fatto e basta! Avrebbe dovuto prendersi invece del tempo per riadattarsi e per far adattare anche lei, farla abituare all'idea di non essere più da sola, farle sentire che anche se non aveva bisogno di lui, lui c'era. Aveva sbagliato a lanciarle tutte quelle frecciatine, doveva averla spaventata a morte. Si voltò di scatto verso Emma e l'abbracciò, facendo dondolare e quasi cadere lo sgabello sul quale era seduto.
Emma rimase paralizzata da quello scatto. Si lasciò cadere le braccia lungo il corpo e strizzò le palpebre fino a vedere tutto scuro. C'era la radio accesa, i Nickelback in sottofondo ed una partita di base-ball messi in muto. Sentiva il suo odore sul suo collo e qualcosa che le sembrava pesce o salsedine sulla sua giacca della divisa inamidata. Sembrava qualcosa di un altro mondo, i suoi abbracci avevano come un potere a cui non voleva ribellarsi. Era come essere circondati dell'amore che Emma aveva cercato per tutta la vita. Lo abbracciò di rimando, perché non poteva mandare all'aria tutto per paura. "Ti spavento così tanto?" gli sentì dire mentre si beava di quelle sensazioni ed allora lei gli schiacciò le tempie contro la camicia sotto alla giacca. Era un po' sudato, colpa dell'alcol, ma non le importava, forse lo era anche lei.
"La vita non è già decisa, Emma." cominciò a parlare lui, in quello che lei decise sarebbe stato il suo miglior monologo "Tutto può cambiare: tu, io." si fermò accarezzandole la testa mentre lei ascoltava. Parlava come se fosse solo davanti ad uno specchio. "Ho cambiato lavoro, sono diverso, migliore. Mi rendi l'uomo che avevo deciso di diventare da bambino. Io sono cambiato e odio cambiare persino taglio di capelli." scherzò e la strinse più forte e dovette farlo per non piangere lui, non per consolare lei. "Scusa, sei la persona più importante che esista, non mi allontanare." disse dopo un po'.
Emma sapeva che aveva ragione ed erano tutte le stesse critiche che si era mossa in tutto quel mese in cui non l'aveva visto, né sentito. Ma sapeva dov'era! Aveva sentito il messaggio ed aveva chiesto a Ruby tante e tante volte. In fin dei conti sapeva che sarebbe andata così. "Killian?" gli legò le braccia al collo ed aspettò che lui la guardasse.
"Sì?"
"Ti amo."
Sorrisero allora insieme e prima che lui potesse avvicinarsi per baciarla di nuovo, Emma scese in un lampo giù da quei sgabelli esageratamente alti. Lo trascinò verso il bagno degli uomini, tenendolo saldo per la mano. Se lo schiacciò addosso, finendo tra il suo petto ed i muri sporchi, pieni di scritte disgustose sulle mattonelle bianche, mentre a tratti tra un bacio e l'altro riusciva a vedersi nello specchio oltre le spalle larghe di Killian, che rideva e lui la baciava e la toccava.
Quando all'ora di chiusura fecero per andarsene, una voce chiamò "Ragazzi," fece Ruby "i nastri!" disse indicando una telecamera in un angolo.
Emma e Killian si guardarono. Emma arrossì e si coprì la faccia con una mano quasi imbarazzata, mentre l'altra era ancora intrecciata. Killian sorrise anche per la sua reazione e prese in mano la situazione "Divertiti a guardarli!" suggerì all'amica prima di andar via.
"Spiritoso!" la sentirono urlare.
"Idiota." fece Emma alla fine. 


 




Angolo dell'autrice
Eccomi, di nuovo!
Meno due!! Yeeeee! Intanto avete capito chi sia la donna del mistero? Mi sa di sì ormai xD il prossimo capitolo è decisamente il mio preferito. L'ultimo sarà l'epilogo ovviamente, è un po' più breve degli altri, ma bello bello bello. 
Permettetemi di chiarirvi questo (*): ho introdotto Miami nel capitolo 3. Andatevelo a rileggere!! Per i più pigri piccolo riassuntino: Killian regala alla sua sposa un viaggio a Miami, facendole trovare i biglietti sul fondo di una scatola di cioccolattini. Nello stesso capitolo Killian guarda delle foto che ora sapete chi dipingono xD tadaaaan!
Vabbè basta xD 
Il prossimo capitolo vi avviso che sarà diverso. Nel presente c'è lei, nel passato c'è solo lui e riprendiamo dall'inizio mostrando tutto quello che non potevamo sapere guardando la storia solo dal punto di vista di Emma: la separazione con Milah, tutto quello che succede a casa sua... cose del genere. Inoltre volevo solo farvi notare che se nei capitoli precedenti i pezzi nel passato riguardavano solo Emma, cioè la storia le ruotava attorno, sapevamo solo quello che succedeva a lei o perché lei ne veniva a conoscenza; non abbiamo mai visto lui da solo o Milah sola e cose così. Nel prossimo capitolo farò l'opposto. Questo capitolo (e l'ultimo) è stato invece "condiviso", non ci sono mai stati loro due da soli, né sappiamo che succedeva quando non si incontravano... 
Vabbè mi sto facendo la recensione da sola xD 
Un saluto ed un bacio a tutti, a prestissimo per il PENULTIMO capitolo!

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - meno 2 ***


11.



2016
"No, non puoi!"
"Andiamo, un saluto e basta!"
Emma sentì delle urla provenire dall'ingresso. Ruby l'aveva lasciata qualche attimo prima, dicendole di restare ferma dove si trovava e non muoversi di un millimetro, addirittura di nascondersi. Quella richiesta sembrava ridicola ed esagerata, ma Emma era su di giri e la lasciò fare, tenendole il gioco e divertendosi anche nel sentire il suo futuro marito litigare con la sua migliore amica per poter entrare e vederla in abito da sposa. Si guardò addosso: il merletto le cadeva addosso avvolgendola morbidamente, la scollatura tonda era delicata ed elegante, una fascia in vita le dava la parvenza di avere dei fianchi. Si sentiva diversa nel portarlo addosso, a suo agio e perfetta così. Avrebbe voluto indossarlo più spesso anche per andare a fare la spesa o per accogliere i suoi clienti! Proprio perchè quel vestito le piaceva, si nascose dietro la porta della camera da letto, facendo sporgere solo la testa, il tanto che bastava per poter spiare la situazione.
"Vattene!" urlò Ruby, spingendo via quello che sembrava un braccio impomatato che cercava di farsi strada oltre la porta. "Te lo taglio!" minacciò alla fine strillando isterica "E non parlo della mano."
"Solo un minuto!" pregò Killian, che intanto non si beveva per niente quelle minacce e con l'altra mano cercava di spingere.
Emma vide l'amica in difficoltà, sballottata sulla porta che quasi si apriva ed allora la raggiunse, correndo sui tacchi che tintinnarono nel corridoio. Allungò le mani e spinse più che poteva fino a quando non ebbe davvero paura di tagliargli la mano. S'immaginò una nottata al pronto soccorso, così si tirò appresso la porta, spinse via il braccio di Killian ed alla fine richiuse tutto, fregandolo e lasciandolo fuori sul pianerottolo.
"Conta anche questo!" urlò Killian ridendo ed alla fine se ne andò, lasciando Emma e Ruby a sghignazzare come due scolarette.
Ruby batté le mani, scivolò a terra coi capelli che le si appicarono alla porta di metallo, lasciandoglieli carichi ed elettrostatici, sollevati in parte dritti sulla testa. Emma invece, con le mani giunte tra le gambe, continuò a ridere anche a quello spettacolo e si lasciò andare, quasi a sedersi fino a che l'amica non le urlò di stare attenta e le piantò due mani sotto il sedere per impedire che il vestito bianchissimo si sporcasse.
Quando entrambe si furono riprese, interrompendo quelle risate a singhiozzi, Ruby guardò la sposa e tornò seria. Ci aveva scommesso sin dall'inizio su quella improbabile coppia ed era quasi strano per lei avere ragione. Ma lo sapeva, questa cosa la sapeva con una sicurezza sconcertante. "Allora avevo ragione o no?" le chiese all'improvviso.
"Su cosa?" domandò Emma, con le sopracciglia accartocciate sul naso, le spalle contro la porta di metallo ed il sedere a mezz'aria. Davanti a quella faccia seria, si risistemò e torno dritta in piedi. Allungò una mano su cui portava un braccialetto di perle di vetro blu, vecchio e prestato da Ruby in persona come simbolo della loro amicizia, e le si risistemò i capelli sulla testa, appiantendoglieli col palmo.
La mora dopo aver capito, s'affrettò a pettinarsi e tornò dritta. "Un giorno ti svegli e all'improvviso ti vuoi sposare." le rispose stiracchiandosi, facendole ricordare un discorso fatto non troppi anni prima.
Emma la guardò con un'espressione che diceva "che idiota", quasi ce l'avesse stampato sulla fronte. Chi le orbitava attorno era ormai abituato a quella faccia, che si era ritrovata a dover portare spesso negli ultimi anni, e non le davano neanche il tempo di esprimersi a parole. Ruby infatti aggiunse velocemente: "E' o non è così?" con quella voce esplosiva che si ritrovava.
"Avevi ragione." confessò alla fine Emma e poi scostò lo sguardo, fissando la macchiolina nera del pavimento pomellato, imbarazzata dalla confessione che s'era ritrovata a dover fare. Quando rialzò gli occhi, Ruby era ancora là e le stava sorridendo, non perché colta in un momento di commozione, ma teneramente come una sorella. Spinta da emozioni che aveva cominciato a provare da quella mattina l'abbracciò e le bisbigliò in un orecchio "Grazie per essermi amica." coscia del fatto che insieme ad un marito, Emma stesse ereditando una famiglia intera di affetti.
"Emma Swan," le fece Ruby tentando un tono di voce accusatorio, che però le uscì spezzato dalle lacrime "non ti starai commuovendo?"
"No, no, no." le rispose la bionda, allontandosi da lei ed asciugandosi con le dita quelle due gocce d'acqua che erano sicuramente cadute dal soffitto piuttosto che dai suoi occhi "Non dire idiozie."
"Ma che sposina!" la prese in giro l'altra
Emma avrebbe voluto con più convizione contraddirla, ma ad un certo punto era arrivata anche a pensare che non fosse una tragedia tradire un'emozione di tanto in tanto, specialmente il giorno delle proprie nozze. "Un'altra parola e ti chiudo la bocca!" minacciò però alla fine, retaggio di una vecchia abitudine che ormai usava per far ridere.
Ruby sorrise, comprendendo la donna a pieno. Si passò allora due dita sulle labbra serrata da una parte all'altra, chiudedonsele con una cerniera invisibile.



4 aprile 2013
"Ehi splendore!" fece Killian entrando nel locale, con le mani alzate, in quel suo modo teatrale di fare che tradiva sempre un tentativo di distogliere l'attenzione dalla faccia triste e dagli eventi ancora più tristi che gli si stavano succedendo.
"Tesoro mio!" esclamò Ruby e si protese con le labbra allungate. Si fece stampare un bacio sulle labbra. Guardò verso Dorothy che si era fermata con il solito sguardo sulla faccia, la solita faccia che faceva quando li vedeva baciarsi così. Era infastidita, ma col tempo si sarebbe abituata."Scusa." le chiese Ruby con il faccino dolce.
Dorothy sospirò rassegnata e se ne andò a recuperare i bicchieri tra i tavoli. Nonostante non stessero insieme da molto, aveva deciso che poteva accettarlo, purché Ruby si scusasse dopo con lei e mostrasse comunque interesse nel proseguire quella relazione.
"Ti ha addomesticata per bene." esclamò Killian. Si tolse la giacca e si sedette al solito posto al banco di fronte a lei.
Ruby recuperò un bicchiere e la bottiglia di rhum, glielo versò e glielo allungò. "Liscio?" chiese, ovviamente dopo aver preparato l'ordine che implicitamente gli aveva chiesto.
Killian le prese il bicchiere da mano e buttò il liquore giù tutto in una volta, le allungò poi di nuovo il bicchierino e guardò sul bancone di legno e su quei graffi vecchi e sporchi, per nascondere le lacrime provocategli dal liquore forte.
"D'accordo," cominciò lei "che c'è che non va?"
Killian alzò la faccia, si gonfiò le guance e la guardò dritta negli occhi senza dire niente, sorpreso ogni volta come lei riuscisse a saltare i convenevoli ed arrivare direttamente al punto in mezzo secondo. "Milah." rispose lui.
"Che novità!" fece Ruby con voce acuta, alzando una mano e agitandosela vicino alla testa, riferendosi alla solita storia: Milah la pazza, la stalker, la fissata, l'incapace... Quando cominciava con quella storia gli dava i nervi, ma per la prima volta allora capì che forse avrebbe dovuto darle retta tempo addietro.
"Ha assunto questa donna," cominciò a spiegarsi "un investigatore privato, per seguirmi e spiarmi. Probabilmente ci sta guardando ora da fuori alla porta. Una dilettante, mi è venuta addosso ieri mattina e si è inventata una commedia." sputò fuori, infervorandosi mentre raccontava "Credono di prendermi in giro? Che sia stupido?" domandò retorico "Ho un appuntamento con quella stasera, non vedo l'ora di smascherarla davanti a Milah. Dio, che soddisfazione." fece poi pregustando già l'idea e la scena. "Versa un altro." aggiunse alla fine.
"Wow!" esclamò Ruby sorpresa, non sicura al cento per cento di aver afferrato tutto. "Una donna? Davvero?"
"Ti sorprende?" Ed un po' in effetti sorprendeva entrambi. Milah non avrebbe fatto avvicinare neanche un dottore a Killian se fosse stato una donna.
"Belle tette?" chiese Ruby per sdrammatizzare.
Killian sorrise complice.


17 aprile 2013
"Tesoro?" lo chiamò Milah dall'open space in cui c'era salotto e cucina. Quella mattina avevano consegnato un pacco, uno dei tanti regali di nozze che lei non aveva il permesso di aprire da sola. Aveva dato però una sola sbirciata ed aveva visto ceramica bianca. L'aveva studiato per bene, rivelando un avviso che diceva "fragile", frenandola dall'agitarlo per scoprire che cosa contenesse.
Killian s'alzò dal letto, posò le parole crociate sul comodino e si infilò le scarpe sbuffando: se non si fosse mosso presto avrebbero cominciato a litigare, accusato di non ascoltarla persino quando gridava il suo nome. I lacci degli stivali gli stavano però dando il tormento, maledicendosi del fatto di non aver mai voluto usare un paio di ciabatte come tutte le persone normali, così per frenare la follia della futura moglie le urlò un "Sì?"
"Puoi venire un attimo?"
Killian sbuffò di nuovo varcando la soglia della stanza. Se ne andò però direttamente al frigo e recuperò una bottiglia di vino aperta la sera prima. Se ne versò mezzo bicchiere, ne bevve un sorso dalla bottiglia e poi la riposò in frigo. S'avviò poi verso Milah che se ne stava in piedi davanti al tavolo.
"Che schifo, vuoi berlo davvero?" chiese lei non appena lo vide, con sguardo disgustato stampato sul viso.
Già, la sua stupida teoria che se una bottiglia è già stata aperta e va in frigo praticamente si può buttare. Le molecole d'acqua del frigo alterano il sapore fruttato del vino. Conosceva quel ritornello a memoria. Si limitò a scrollare le spalle per evitare una discussione. "Che c'è?" chiese alla fine in un tentativo anche di distrarla.
"E' arrivato un altro regalo stamattina. Non l'ho ancora aperto e..." spiegò lei con le mani sui fianchi.
"Strano." commentò solo lui, riferendosi al fatto che lei avesse praticamente aperto e sbirciato all'interno di tutti i pacchi man mano che arrivavano, ovviamente senza di lui e senza dirgli niente.
"La finisci?" chiese lei, sbottando, cercando di rimettere insieme la situazione al punto di partenza. Non sopportava quelle frecciatine, aveva quasi l'impressione che lui non la sopportasse più, per cui ogni volta che ne sparava una cercava di riportare l'ordine, di cancellarle quasi.
"Scusa." fece Killian poco convinto. Si sedette sul divano, dietro di lei e bevve un altro sorso. "Apri." le intimò poi.
Milah aprì il pacco, ormai con l'umore spento. Accartocciò la carta e la mise da parte per poterla buttare subito. Guardò dentro e sospirò delusa. Tirò su un piatto bianco con la cornice a fiori celeste, un oggetto classico, di campagna, di cattivo gusto. Lo fece vedere a lui che si finì il vino. "Piatti."
"Già, ancora."
"Ancora." ripeté lei. "Vado a fare una doccia."
Killian s'alzò, posò il bicchiere sul tavolo dimenticandosi che avrebbe lasciato l'alone sul mogano e guardò nello scatolo.


1 maggio 2013
"Killian, che ci succede?" chiese Milah, posandosi il libro che stava leggendo aperto in grembo. S'arricciò nervosa le lenzuola tra le mani. Il gesto le fece cadere sul braccio la spallina della vestaglia da notte che indossava e s'apprestò timidamente a tirarla su, sperando che lui non l'avesse notata. Una volta s'eccitava per cose come quella. La guardava e le tirava giù anche l'altra. A Milah dava quasi fastidio perché le immobilizzava le braccia nell'indumento stretto, ma lo lasciava fare perché era bello avere le sue attenzioni addosso.
"Cosa?" chiese lui, che invece stava solo fissando il soffitto con una penna in mano.
"Noi non..." accennò lei.
Killian sapeva che quando lei intraprendeva un discorso del genere, sarebbe finita a piangere e sapeva anche che si sarebbe dovuto svegliare. Accese la luce sul comodino e si mise a sedere. "E' solo un periodo." biascicò con la scusa meno credibile del mondo. Forse di peggio c'era solo fingere un mal di testa. "Siamo entrambi stressati."
"No, non è questo, lo sai anche tu." insistette Milah, agitandosi da seduta coi piedi tra le coperte.
Killian sospirò perché sì, certo, lo sapeva, l'aveva capito da mesi ormai.
Milah scoppiò a piangere e gli si aggrappò alla maglietta di cotone. "Non ti voglio perdere." disse tra le lacrime disperata.
Per quanto la loro storia stesse andando male, Killian odiava vederla così. La sentiva piangere ed anche una parte di lui piangeva. La strinse tra le braccia e le asciugò le lacrime con le dita. "Sono ancora qui." riuscì a dire solo. C'erano così tante parole che avrebbe potuto aggiungere e lo sapeva. Avrebbe potuto dire che non si stavano perdendo, che avrebbero tenuto duro e sarebbero andati avanti, che ce l'avrebbero fatta a superarlo e che se chiudeva gli occhi e s'immaginava tra tre o quattro anni sarebbero stati ancora innamorati e sposati, insieme. Ma non voleva dire niente del genere. Non ne era convinto e si sentiva perso tanto quanto lei. Le lacrime di Milah intanto non si fermavano, s'erano solo fatte più silenziose.
"A volte la mattina ho paura di non trovarti." sibilò tirando su col naso. Le lacrime le impedivano persino di sentire l'odore confortante che veniva dalla sua pelle, che da tempo le aveva sempre dato la sicurezza che cercava, riuscendo ad essere forte per entrambi quando lui dimostrava una promessa.
"Ti faccio una promessa:" si preoccupò allora Killian, scegliendo accuratamente le parole "qualunque cosa accada non ti abbandonerò mai e basta. Ok? Non devi preoccuparti di questo."
"Lo so," fece lei "sei un brav'uomo."
"Magari."


13 maggio 2013
Aveva aperto da poco eppure Ruby aveva già il suo primo cliente, che non si sorprese affatto che fosse il suo migliore amico Killian Jones. Se ne stava lì a guardarsi le dita e il cellulare, il bicchiere, poi l'orologio e poi di nuovo il cellulare, controllando nervoso tutto. Ruby sapeva cosa stava succedendo nella vita di lui e da giorni provava ad indirizzarlo verso quella che era la sua volontà, frenata però dal rispetto e vecchio amore per una donna che tuttavia a lei non era mai piaciuta. Tifava per Emma, le era piaciuta dal primo momento che l'aveva vista ed aveva visto in lei molto del suo amico. Emma non era quello di cui aveva avuto Killian in passato, non era la donna accogliente che gli aveva insegnato ad amare in qualche modo. Sapeva che una volta lui aveva avuto bisogno di Milah, per trasformarsi dal don giovanni che era nell'uomo che era diventato, ma quel tempo era finito. Adesso gli serviva invece una donna con cui condividere la vita, una che gli tenesse testa e che non lo mandasse al manicomio. Sorrise, perché era diventata più saggia da quando aveva conosciuto Dorothy.
"Avevi ragione sai?" cominciò allora Ruby, cercando di intraprendere un discorso, per spiccicargli il racconto di una storia che sapeva già come sarebbe andata a finire.
"Cosa?" chiese lui, uscendo da bolla in cui s'era chiuso.
"E' carina." rispose solo e Killian sorrise, capendo subito a chi si stesse riferendo lei. Questo diede ancora di più la prova a Ruby che Emma s'era insinuata nella testa del suo amico e non gli stava dando un attimo di tregua.
"Lo so." rispose solo lui, sorridendo ancora.
"Ed è cotta." aggiunse.
"Lo so."
"Davvero?" domandò Ruby sorpresa. Di quello era sorpresa veramente, sì. Non credeva che fossero già a quel punto. S'era immaginata una storia lenta ed infinita, mesi di rimorsi e rammarico. Beh, meglio per tutti!
"L'ho baciata." cominciò a raccontare lui e si spiegò immediatamente il motivo di quel sorriso impertinente e sognante sulla faccia. La bocca di Ruby s'aprì in una O bella piena. Gli diede uno schiaffetto sul braccio, perché quel brutto impertinente si era tenuto per sé quell'informazione così essenziale. Stava quasi per dargli addosso e riprenderlo, ma poi quel sorriso sparì e lo lasciò continuare. "Ed ora devo andare a prendere Milah che si è fissata con questa stronzata di Emma e Walsh e vuole farli accoppiare come cani."
Ruby sospirò: come previsto sarebbe andata per le lunghe.
Killian la guardò, aspettandosi un consiglio o forse, più probabilmente, un commento cattivo su Milah che giocava a fare dottor stranamore per allontanare da lui qualunque altra donna. L'amica però non parlava, non diceva niente e quasi quel silenzio lo infastidiva. "Non mi dici niente?"
"Che dovrei dirti?" chiese lei e recuperò uno strofinaccio da sotto al bancone che usò per asciugare i bicchieri prima di riappenderli a testa in giù sopra alla sua testa.
"Che sto facendo una stronzata?" propose Killian. "Forse." aggiunse insicuro, non sapendo nemmeno se davvero stesse facendo una stronzata, se fosse qualcosa di serio o solo una cottarella. E poi quando mai aveva mai aveva guardato un'altra donna pensando a qualcosa di serio.
"Quale delle due sarebbe la stronzata, il bacio o il matrimonio?"
Touchè. Killian sospirò. "Che devo fare?" si chiese più a sé stesso che alla sua amica. Scivolò sul bancone e ci diede una finta testata.
"Fare pace col cervello." gli suggerì Ruby, tirandolo su dal bancone "E bere." aggiunse versandogli un altro bicchierino che l'avrebbe fatto arrivare quasi ubriaco al secondo doppio appuntamento con Milah, Walsh ed Emma. Più tardi Ruby gli consigliò anche di baciarla di nuovo e concluse con "se son rose, fioriranno."
"Chiudi il becco!" rispose lui.


15 maggio 2013
Avrebbe voluto andar via con lei, con Emma, voleva quella vita così ardentemente. Cavolo, avrebbe voluto addirittura trasferirsi da lei e stravolgere tutto, per la prima volta in vita sua voleva cambiare non una sola cosa ma tutto. Non aveva mai così ardentemente desiderato una persona, una vita diversa. Con la coda dell'occhio riconobbe però un coccio di ceramica lanciato da Milah sull'asfalto sotto casa sua, i fiorellini azzurri attorno ai piatti. Si ricordò della sera in cui aveva aperto quel pacco con lei e così gli tornò in mente una promessa: non se ne sarebbe mai andato e basta, mai di punto in bianco.
Quando arrivò in cima alle scale, la porta era già aperta. Riusciva a riconoscere pezzi di normalità in mezzo a quel casino fisico e mentale: il pavimento era in ordine e sul divano c'era Milah, seduta ad aspettarlo. Il mascara era sciolto sotto agli occhi, i capelli annodati dietro alla testa.
Killian sospirò cercando di prendere coraggio e poi si sedette accanto a lei. "Dobbiamo parlare." Mai si sarebbe aspettato di pronunciare una frase tanto crudele in vita sua.
Milah fece cenno di sì con la testa. "E' finita, vero?" gli chiese.
Killian non sapeva bene come rispondere. Prese fiato e cercò di essere quanto più sincero potesse. Glielo doveva e lo sapeva. Parlarle era una cosa che doveva fare. "E' finita da molto tempo, per entrambi. Il bambino che volevi" cominciò accennando delicatamente alla questione "era solo un tuo tentativo per avvicinarci di nuovo.". Le allungò le braccia perché sapeva quanto spinoso fosse l'argomento, invitandola ad abbracciarlo e stringersi per prendere coraggio.
"Lo so." fece lei e singhiozzò, macchiandogli la maglia sporca che indossava. Ormai da troppo tempo gli piangeva sul petto. Quella posizione a poco a poco era però cambiata. C'era sempre la forma del suo corpo contro quello di lui, ci stava ancora comoda, ma era diverso, come una piuma che vien fuori dal piumone, come se qualcuno le avesse rassettato il cuscino. Persino il suo odore era diverso. "Ho paura."
"Sai che faccio quando ho paura io?" cercò di consolarla Killian con la voce più dolce che riuscì a tirare fuori.
"Ti chiudi in quello stupido bar con la tua amica e bevete?" chiese lei, ironizzando e con un sorriso nervoso sulla faccia.
Killian sorrise con lei, perché sì, forse era quello, decidendo invece di ignorare il fatto che Milah non avesse mai voluto pronunciare il nome della sua amica, come a tenersi distante dal suo mondo. Ma non era lì che voleva arrivare. "No." rispose e si stupì del fatto che nonostante i tanti anni passati insieme lei, lei non lo sapesse. "Penso a mia madre." aspettò un attimo e la guardò. Lei aveva un'espressione confusa sul viso. "Sorpresa?"
"Posso pensare a te?" chiese lei, cercando ancora un minimo contatto che l'aiutasse per tutto quello che sarebbe venuto dopo.
"Per un po'." cominciò lui ed al pensiero di quello che stava per dire si sorprese a piangere. "Poi dovrai andare avanti."
Milah chiuse gli occhi e lasciò correre delle lacrime. Non s'era mai vergognata di piangere con lui. S'asciugò il naso con un fazzoletto e poi provò a parlare, sempre con quel fare nervoso, come se ormai si fosse creata una voragine tra loro. "Se riuscirai a sposarti devi invitarmi."
Killian si girò verso di lei. Non ci aveva mai pensato alla possibilità di poter sposare qualcun'altra, tipo Emma per esempio. Cercò di ignorare il pensiero e di rimanere nel presente, d'altronde non sapeva neanche se lei fosse ancora giù al piano di sotto ad aspettarlo. Un giorno gliel'avrebbe chiesto. "Fammi indovinare, hai visto un vestito perfetto in qualche vetrina?"
Milah scoppiò in un misto tra una risata isterica e un sorriso vero. "Abbastanza da farti chiedere se hai fatto la cosa giusta."
Killian teneva la testa bassa, senza aver il coraggio di guardarla. Sorrise pensando al giorno in cui l'avrebbe rivista, a quando sarebbe stata diversa allora la sua vita, al fatto che non vedeva l'ora che cambiasse. E per la prima volta non aveva paura. Si girò verso Milah, le diede un bacio sulle tempie e fu finalmente pronto per andare.
Quando poi non trovò più Emma, pensò intensamente a sua madre. Guardò in alto dove c'era il balcone dell'appartamento in cui aveva vissuto per tanti anni, dove c'era il suo passato e poi avanti lungo la strada dove se n'era appena andato il suo futuro.


16 maggio 2013
Erano le due del mattino, stava sotto casa della sua migliore amica e non era per niente sicuro che quella luce accesa significasse che era ancora sveglia o che si era addormentata guardando la tv. Killian sospirò, decise di fare un tentativo piuttosto che aspettare su una panchina per tutto il tempo. Suonò il campanello sperando di non svegliare tutto il condominio nel frattempo.
Sentì delle risate che venivano da dentro, voci ben distinte di due donne che conosceva bene ed una serie di piedi ancora avvolti negli stivali che s'avvicinavano. Gli aprì la porta Ruby in una nuvola sconvolta di capelli scuri, seguita dalla sua fidanzata Dorothy che le stava appesa con le mani ai fianchi ed il mento sulle spalle. "Che faccia!" fece subito ed evidentemente non si era vista la sua.
Killian decise di soprassedere, conoscendo bene quel sorriso che teneva sul viso e passò al dunque. "Posso dormire da te?" chiese entrando direttamente in casa, senza aspettare che lei rispondesse. Arrivò al divano e vi si lanciò sopra, strizzandosi gli occhi dietro il pollice e l'indice della mano destra.
"Sì." rispose Ruby sospettosa, seguita da un ironico "accomodati pure" di Dorothy, che aveva simpatia per Killian a giorni alterni. Quando l'aveva conosciuto l'aveva definito "cafone maschilista", ma poi aveva deciso di fidarsi di quella ragazza che le piaceva tanto ed aveva iniziato a sopportarlo ed a capirlo.
"Sono un'idiota." sospirò lui, ignorando le frecciatine.
Ruby diede un pizzicotto alla fidanzata, con sguardo che implorava pietà verso l'amico ferito e poi lo raggiunse sedendoglisi accanto. "Spiegati meglio." gli chiese, aspettando che Dorothy li raggiungesse posizionandosi sulla poltrona accanto a lei.
"Il matrimonio è cancellato, è finita con Milah." gli spiegò Killian, partendo dall'inizio, sperando di non sentire grida di esaltazione e di gioia dalla brunetta. "E lei se n'è andata comunque, porca puttana!" bestemmiò alla fine e preso dalla rabbia lanciò per terra un cuscino tondo e rosso, che rimalzò sul tappeto senza produrre alcun rumore e senza lasciargli almeno il minimo di soddisfazione che s'aspettava. Ruby sospirò, s'abbassò, recuperò il cuscino e lo lanciò alla fidanzata che senza pensarci troppo se lo strinse addosso abbracciandoselo. "Emma." riprese a spiegare lui, che non aveva sentito alcun commento venire dalle due parti.
"L'avevo capito." rispose Ruby. Guardò la fidanzata, le sfiorò un ginocchio con la mano e cercò di immaginare che fosse successo se lei l'avesse mollata dopo una settimana. "Mi dispiace." riuscì a dire solo sinceramente.
"Se ti può aiutare," cominciò Dorothy, sollevando i piedi sulla poltrona, appollaiandocisi sopra "credo che lei abbia paura di te." gli spiegò.
"Di me?" chiese lui scettico, pronto a sparare un velato insulto. La puntò con gli occhi, ma poi vide le mani delle due intrecciate e lasciò perdere. Da quando non prendeva più la mano di Milah e lasciava che lei ci si allacciasse in automatico? Se solo avesse capito prima Emma non sarebbe andata via. Sarebbe stato meglio per tutti e tre. Che gran coglione!
Dorothy schiarì la voce, pensando che fosse ovvio che lui non avesse capito e che come al solito gli uomini non capiscono un cazzo. "Che non ti potesse dare quello che ti dava Milah..." passò a spiegare.
"Non che fosse molto." aggiunse Ruby ironicamente.
"... in termini di vita." continuò dopo l'interruzzione "Se non avete le stesse prospettive perchè provarci?" cercò di essere chiara una volta per tutte. Il punto era che quella Emma la capiva benissimo, o meglio forse era lui che capiva benissimo: quando Dorothy aveva conosciuto Ruby, qualcuno l'aveva messa in guardia su quanto quella ragazza cambiasse idea velocemente. Il giorno che lei le chiese di uscire, le mise subito in chiaro che nel suo futuro vedeva una casa in periferia, un lavoro onesto e dei bambini. Ruby non l'aveva presa troppo bene, si era spaventata ed era andata via, ma a lei andava meglio così: aveva paura di innamorarsi e poi scoprire di non avere un futuro con lei. Accettò di uscire una seconda volta solo dopo un "ci penserò" da parte dell'altra e si rivelò essere la scelta più sensata: Ruby aveva cambiato idea, si era svegliata una mattina e le era scattato qualcosa.
"Io non la voglio sposare," si lamentò Killian, rompendo subito l'incanto di quella situazione "non voglio fare il paragone, non le ho chiesto niente! E lo sa."
Ruby sospirò. "E' confusa, siete confusi entrambi." provò a dire, mettendogli una mano sulla spalla con fare consolatorio, ma lui si divincolò presto, s'alzò, cominciò a fare avanti e dietro dal divano al televisore con fare nervoso. "Prenditi del tempo anche tu, lavora su te stesso." gli suggerì Ruby.
Killian si girò vero di lei, come se proprio in quel momento avesse avuto un'epifania: gli venne in mente quello sguardo di disapprovazione con cui Emma lo guardava, quella silenziosa predica di non farsi mettere i piedi in testa da Milah che decideva tutto per entrambi, che lo obbligava a cene a quattro, che lo tratteneva con la sua ansia costante, con il suo intimargli di tenersi il lavoro e di accettare quella mediocrità che aveva trovato a favore di un rapido impiego.
Forse poteva...


5 dicembre 2014
"Se vuoi stare con me, ti deve piacere quello che piace a me!" gli impose Emma, che teneva in una mano il telecomando del televisore e con l'altra a tratti gli toccava i capelli con la scusa di controllare che il nodo della benda che gli aveva messo sugli occhi tenesse. Era strano, ma aveva notato che lei aveva un feticcio per i suoi capelli. Non che gli dispiacesse!
"E dove sta scritto?" chiese Killian che vedeva solo attraverso una piccola fessura tra il tessuto nero e le guance. Alzava la testa ogni tanto, così da poter spiare che stesse facendo, ma non appena lei lo notava gli tirava il naso, riportandolo giù e rovinandogli la festa. Quello che lei non sapeva era che con quel gesto, lui poteva guardarle il seno. Decise di ammirarla senza dire niente.
Killian, per fortuna di Emma, non poteva vedere la faccia che lei stava facendo: si teneva un'unghia tra i denti nervosamente, guardava lui e poi il televisore. Fissava quei peli della barba che gli crescevano sul collo ed aspettava di vedere il suo pomo d'adamo fare su e giù.
"E dai, provaci!" si lamentò lei e poteva immaginarsela mentre si sbatteva le mani sulle gambe, lamentandosi come una bambina, facendo riemergere quei lati divertenti del suo carattere spigoloso.
"Va bene!" s'arrese lui per dargliela vinta, anche se già sapeva dall'inizio che l'avrebbe fatto. "Posso?" chiese poi, appendendosi con le dita davanti agli occhi a quella stupida benda improvvisata, che altro non era che una fascia per capelli. Ottenne il via libera e finalmente ci vide di nuovo. Emma lo lasciò piantato davanti alla televisione a guardare uno stupido show sui draghi, castelli ed intrighi di corte che, a dire il vero, non gli dispiaceva poi tanto. Quello che però a Killian piaceva di più era vedere lei sorridere: di tanto in tanto Emma spiava lui, poi tornava al televisore, quindi spiava lui di nuovo e sorrideva contenta. Chissà poi per quale motivo era così contenta.
Quando i titoli di coda partirono, con un gesto veloce del telecomando che altro non era che un'appendice della mano di lei, la donna saltò a sedere sul divano, si portò un piede sotto al sedere e guardò l'uomo con le labbra che stringevano un sorriso. "Allora?" chiese poi sulle spine.
"Carino!" le rispose lui, scrollando le spalle, facendola aspettare per quel momento di soddisfazione che prima o poi le avrebbe concesso.
"Carino?" ripeté lei sconvolta "Ma se non riuscivi a staccare gli occhi dallo schermo!"
"E' vero." s'arrese Killian, forse troppo presto.
Il sorriso di Emma s'allungò da parte a parte sulla sua faccia. "Dillo!" fece allora incitandolo come faceva di solito, ma Killian stava zitto e la guardava, mossa che sapeva avrebbe avuto l'effetto di punzecchiarla. "Dillo!" ripeté lei.
"Avevi ragione." fece allora lui, alzando entrambe le mani, in un gesto che ormai era diventato così usuale per lui. Era un gioco, andava a finire quasi sempre così: Emma proponeva un'attività, un discorso, una serie televisiva da seguire; Killian controbatteva solo per il gusto di vederla agitarsi o mettersi d'impegno e solo alla fine le dava ragione, s'arrendeva, anche se sapeva che l'avrebbe fatto sin dall'inizio. Quando s'arrendeva, Emma cercava di passare dalla sua parte e capire le sue ragioni, anche quando non c'erano.
"Oh finalmente!" esclamò Emma. "Sai, non ero sicura che ti sarebbe piaciuto, ma..."
E allora Killian si perse di nuovo nei suoi pensieri e smise di ascoltare. Quando lui s'arrendeva, Emma cercava di passare dalla sua parte e si rimetteva in discussione. E fu un lampo, un colpo di genio. "Emma?" la chiamò subito. Si girò, ma lei non era più sul divano. S'alzò di corsa e la raggiunse in cucina da dove sentì il rumore metallico di una pentola cadere sopra un'altra. "Emma?" chiamò di nuovo.
"Hm?" chiese lei in piedi sulle punte, con le mani allungate alle padelle sugli scaffali più in alto.
Killian sospirò, preparandosi. S'appoggiò allo stipite della porta della cucina, si montò in faccia quell'espressione di triste arresa che, anche se finta, avrebbe colpito lei, facendola ritornare sui suoi passi. Odiava fingere con lei, odiava dover pensare a stupidi piani e sapeva benissimo che così facendo non migliorava quei problemi di comunicazione che avevano sempre avuto sin dall'inizio. Ma erano bazzecole, lo sapeva, lo sapeva benissimo, tanto che nella sua testa vedeva un futuro radioso con lei. "Mi arrendo." disse solo.
"Cosa?" chiese lei confusa, pensando probabilmente al telefilm, alla televisione o alla discussione semi seria che avevano avuto sulla cena.
"Ti ricordi quando credevi che volessi chiederti di sposarmi?" domandò retoricamente lui e dal suo silenzio piombale che era caduto in quella stanza, poteva dire che sì, Emma se lo ricordava: quella sera quando voleva dirle del suo nuovo lavoro, avrebbe voluto chiedere di aspettarlo, di guardare avanti, di chiedersi se si vedeva in un futuro accanto a lui. Non aspettò che lei rispose. "Mi arrendo." ripeté di nuovo, scrollando le spalle.
Studiò ogni minima risposta e lei se ne stava là a fissarlo. Nessun "oh finalmente!", né un "dì che avevo ragione", niente di niente. Lo guardava e basta. Potette giurare di averla sentita ingoiare saliva. Poi con il sorriso più forzato del mondo fece un sì con la testa e bisbigliò un "ok", prima di tornare giù sui suoi piedi, guardare intensamente la padella che stringeva in mano e mettersi confusa a cucinare.
Forse era la tecnica migliore che avesse mai adottato.


28 Luglio 2015
"Vuole chiederle di sposarla?" chiese il gioielliere di fronte a lui, dopo avergli piazzato davanti una serie di scatoline ed anelli, che a guardarli da vicino gli facevano girare la testa e quasi vomitare.
"Già." fece Killian, pensando che era ovvio, altrimenti perché entrare in una gioielleria e chiedere un anello di fidanzamento? Aveva deciso però di non essere sgarbato, di sperare di poter ottenere un qualche sconto se si fosse mostrato gentile. In questo era decisamente più brava Emma!
"Complimenti, sono sicuro che le dirà di sì." fece il gioielliere, giocando con le mani e continuando a guardare lui e gli anelli, lui e gli anelli, quasi volesse dirgli di sbrigarsi a scegliere.
"Non ne sia così sicuro." rispose Killian sovrappensiero. Col passare dei mesi aveva deciso tante cose: che se prima il matrimonio con Emma era solo un pensiero o un sogno, nell'ultimo periodo s'era trasformato in tutto quello che lui voleva davvero; che nonostante avesse dovuto aspettare che lei tornasse sui suoi passi e ci pensasse davvero, voleva farle la proposta proprio l'indomani a Miami, durante il viaggio che stavano programmando sin dal compleanno di lei, quando le aveva fatto trovare il biglietto dell'aereo sul fondo di una scatola di cioccolattini.
L'uomo tirò dentro aria come a volersi rimangiare l'ultima affermazione. "Le donne difficili sono quelle che regalano una vita più piena." disse al suo cliente, col fare di un vecchio saggio che a Killian ricordava il personaggio di numerosi film sul kung fu.
Killian lo guardò, decidendo di tralasciare il commento che gli era venuto in mente. Guardò verso il basso di nuovo, verso gli anelli, perdendocisi completamente, quasi pensando che niente fosse adatto ad Emma, quasi pensando che non le avrebbe mai messo un anello al dito. "In realtà non so cosa scegliere."
"Si dice che la pietra migliore sia quella che rispecchia perfettamente il colore degli occhi di lei." fece l'uomo consigliandolo.
Killian sospirò. Già, questa l'aveva già sentita, ma era banale e lui non voleva essere banale. Sospirò, pensò a lei, al loro rapporto, a quello che era cambiato negli ultimi anni che stavano insieme, al fatto che dopo più di sei mesi, nonostante il suo piano stupido di arrendersi con lei che era sicuro che l'avrebbe portato da qualche parte, niente era cambiato. Si guardò attorno e vide nella vetrina accanto diversi ciondoli, alcuni erano degli animali e gli venne un'idea. "Sa che le dico? Lasciamo perdere. Facciamole un regalo e basta." Il gioielliere lo guardò pensieroso, stringedo le labbra e massaggiandosi le mani di nuovo ed ancora, forse pensando a qualche altra frase banale e scontata, come un "la prossima volta andrà meglio" o un ancora più ovvio "non s'arrenda". Killian sospirò di nuovo, chiuse gli occhi e s'arrese davvero anche con sé stesso. "Ce l'ha un cigno?" chiese.


17 marzo 2016
Stesso posto, stessa ora di sempre. Il pub di Ruby, tavolo vicino al bancone dove lei poteva sentire tutto se doveva lavorare, alle nove di sera, dopo cena, dopo la prima tv di quella stupida serie. Killian ed Emma avevano chiesto quell'incontro con voce emozionata ed una certa fretta che si leggeva tra le righe.
"Secondo te che ci devono dire?" chiese Dorothy, prendendo un sorso di schiuma dalla solita birra scura che ordinava ogni volta.
Ruby alzò un sopracciglio e la guardò. "Lo sai cosa ci devono dire." rispose solo, ovvia, che altro avrebbero dovuto voler dire? Si versò l'ultima manciata di salatini dalla scodellina di plastica rosa sul tavolo, poi allungò il piattino verso uno dei suoi camerieri che lo riampiazzò subito con uno pieno.
"Lo faranno davvero?" si chiese la fidanzata, più tra sé e sé che come una vera domanda. Raccolse i biscottini salati dalla ciotolina e lasciò all'altra i rimanenti.
Ruby batté le dita sul tavolo, poi il piede a terra ed infine si rigirò stufa gli anelli attorno alle dita. Guardò l'orario sullo schermo della tv, che trasmetteva una partita di football come al solito, attirando i tifosi nel locale. Ed intanto i suoi amici erano in ritardo e presto avrebbe dovuto dare il cambio al sad un suo dipendente al bancone. "Cinquanta dollari che si sposeranno tra un paio di mesi al massimo."
"Così pochi?" chiese Dorothy dandole corda, perché lo sapeva che le piaceva far vedere che conosceva i suoi amici.
Ruby prese un sorso dalla sua birra rossa, ormai quasi, e scrollò le spalle. Avrebbe voluto dire che conosceva bene i suoi polli, ma proprio mentre stava per aprire bocca vide Killian spingere la porta del locale, tenendo Emma per mano. Sorridevano entrambi percorrendo quei pochi passi, fino al tavolo. "Finalmente!" esclamò Ruby.
"Ehi!" risposero invece solo i due. Abbracciarono tutti, mostrandosi stranamente affettuosi e suscitando sguardi confusi da parte di Dorothy, un "visto?" da parte dell'altra ed un cenno di consenso di nuovo da Dorothy.
Killian ed Emma si sedettero al loro solito posto, occupando però un intero angolo di tavolo senza separarsi e mantenere un proprio spazio vitale, sistemandosi così vicini che le loro gambe si toccavano. Si guardarono, strinsero le labbra e sorrisero entrambi. "Siamo stati a Manhattan oggi. Siamo passati per il ponte di Brooklyn e..." fece Killian e poi guardò Emma.
"Ah sì?" fece Ruby, sperando che andassero avanti presto con quella storia che avevano deciso di prendere per le lunghe. Sospirò pensando però poi che per i suoi amici era un momento importante e che quindi Phil dietro al bancone poteva trattenersi per altri cinque minuti.
"La mia auto è ancora dal meccanico." fece Emma poi bombardandole di informazioni, che teoricamente dovevano spiegare tutto ma che in realtà non spiegarono niente.
"Interessante!" rispose Dorothy, suscitando una risatina da parte della fidanzata.
Emma fece un cenno col capo e poi ricominciò "Ci chiedevamo.." Strinse le labbra e guardò Killian, che prese al volo la parola, raccogliendo l'incipit che lei gli aveva dato "Che avete da fare il 18 aprile?"
Le due ragazze si congratularono con la coppia, che sapeva che sapevano. S'abbracciarono tutti, ricevendo i complimenti anche da parte di Phil e di qualche cliente che era al bancone, mentre sotto al tavolo Ruby allungava una mano, aspettando i suoi cinquanta dollari. 


 




Angolo dell'autrice
Ehilà! 
Arrivo oggi col mio capitolo preferito. Ho tentato di mostrarvi altre parti del carattere di Milah: se prima l'abbiamo guardata solo attraverso Emma, qui compare il punto di vista (più dolce) di Killian. Questo capitolo poi inserisce gli ultimi tasselli al puzzle, che mi rendo conto essere complicato per qualcuno che mi segue di aggiornamento in aggiornamento e non ricorda più i primi capitoli, ma molto semplice per chi sta leggendo tutta la storia dall'inizio.  Molti degli eventi qui citati (la scelta della data, del ponte di Brooklyn, il richiamo ai piatti, al viaggio a Miami, al fatto che Killian avesse insistito molto sul matrimonio fino a causare la rottura) sono cose che ho già inserito nei primi capitoli, nella maggior parte dei casi tra i ricordi di Killian. Manca l'ultimo capitolo e l'epilogo, quindi due aggiornamenti e siamo alla fine! Il prossimo capitolo sono sicura che vi piacerà molto ;D
Beh, che dire, grazie a tutti per avermi seguita e per aver letto. Vi invito a lasciarmi una recensione qui sotto ed alla prossima :*

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - meno 1 ***


 

12.




18 aprile 2016, undici di mattina
"Ci siamo!" fece Killian dopo aver parcheggiato tra due coni arancioni della polizia stradale, in un posto che gli era stato detto riservato solo a lui. Spense l'auto mentre la radio rimase accesa col rumore di sottofondo del telecronista che annunciava la canzone che sarebbe diventata la prossima hit dell'estate. Ascoltò la musica per un po', provò a decidere se gli piacesse oppure no per poi rinunciare, già sapendo che l'avrebbe canticchiata ed avuta in testa per tutta la stagione.
"Killian," gli fece il fratello Liam facendosi serio, scrollando il fratello dal suo mondo di note musicali. Cominciò a giocare con le dita, cosa che gli era completamente estranea, guardarsi le unghie e leccarsi le labbra. "avrei dovuto dirtelo prima, ma..." continuò poi e sembrò un momento infinito in cui studiò le espressioni di Killian, preoccupato, che si metteva meglio a sedere girandosi verso di lui, come se s'aspettasse una cattiva notizia. "l'azienda mi trasferisce." andò avanti Liam a dire, guardando qualcosa rompersi dentro al fratello che di certo si stava ricordando dell'ultima volta in cui gli aveva detto una frase del genere e si sentì subito in colpa. "Nel Maine." aggiunse allora veloce sorridendo. "Torno a casa.".
Il volto di Killian si distese immediatamente e dopo che il pericolo di un secondo trasferimento, magari in Groellandia o in Australia, fu scampato, la consapevolezza di riavere suo fratello a casa lo fece sorridere e saltare ad allugargli la mano e tirarselo addosso per abbracciarlo per la prima volta dopo l'infanzia. "Credevo dovessi dirmi che hai pochi mesi di vita." esagerò per piazzare una battuta e sdrammatizzare.
"Consideralo un regalo di nozze." aggiunse Liam ed allora si separò da lui, facendo cenno verso il finestrino ed invitandolo ad uscire finalmente verso il giorno che Killian aveva tanto atteso.
La magia si stava realizzando: era lì per sposarsi. Poco importava l'occhio ammaccato, il vestito nero e non blu, i gemelli che non aveva, la fretta con cui avevano organizzato quella cerimonia, la mancanza dei fiori e i pochi invitati che avevano potuto racimolare in così poco tempo. Non gli importava niente. Eppure appena mise il piede fuori dall'auto sapeva che c'era qualcosa che non andava.
Fino al giorno prima, Killian Jones non aveva ancora neanche immaginato come il suo matrimonio si sarebbe presentato: delle bruttissime transenne in acciaio limitavano il traffico sul ponte di Brooklyn, tre file di auto erano bloccate davanti ad un cartello che avvertiva della limitazione del traffico, il rumore dei clacson riempiva l'aria rendendo impossibile sentire qualsiasi cosa; il vento gli colpiva la faccia (ed il livido) e faceva ondeggiare i vestiti di quei pochi invitati che erano già sul posto e che se ne stavano in piedi stufi ad aspettare; l'odore di carburante e di frizione bruciata disturbava il naso, facendo a tratti agitare lo stomaco che domandava cibo; il celebrante davanti a tutti, dall'altro capo della carovana di persone, che conversava a squarciagola col violinista, che si teneva una mano sul padiglione dell'orecchio per sentire meglio; l'asfalto era già caldo ed un po' bruciava sotto le scarpe; il sole si rifletteva sull'acciaio delle sospensioni del ponte, ingannando la vista ed accecando, costringendo gli invitati che passeggiavano a portarsi una mano tesa sulla fronte.
Killian era forse disposto ad ammettere a posteriori che sposarsi su quel ponte non era stata poi una grande idea. "Un sogno che si avvera." bisbigliò ironico tra sé e sé, senza staccare gli occhi dalla visione sconfortante che gli si parava davanti.
"Hm?" fece Liam dietro di lui, tirando le sopracciglia all'insù confuso. Forse era l'unico che s'era aspettato un gran macello, ma, poco prima in auto, si era ripromesso di non dire niente e di non interferire nella vita del fratello a cui non avrebbe fatto piacere una nuova intromissione. "Che fai lì impalato?" gli urlò perché lo sentisse. Gli diede un colpetto col gomito tra le costole, risvegliandolo dal torpore e lo incitò con un "Andiamo!".
I due camminarono venti metri prima di arrivare sul punto preciso dove si sarebbe tenuta la cerimonia. I bordi di una grande X rossa incollata sull'asfalto sporgevano da sotto un tavolo lungo e stretto, coperto da una tovaglia bianca col merletto ed un libro che aveva le sembianze di un registro su cui era posata una penna biro nera vecchia e consumata. Killian immaginò di doversi far trovare lì davanti a quel tavolo. Prese un respiro profondo, ingoiò saliva e si avviò. Man mano che camminava le persone gli si aprivano ai due lati, dandogli proprio l'impressione di percorrere una navata. Il fratello si era fermato indietro sul lato sinistro della folla.
Killian guardò tutti i presenti girandosi prima da un lato poi dall'altro, all'inizio senza riconoscere nessuno, poi i volti si schiarirono come se li avesse appena messi a fuoco e mano mano che succedeva si mise a salutare. Fece un cenno del capo a Walsh che era in fondo ad una delle due file e stringeva la mano di una ragazza sconosciuta; sorrise a Lily, l'amica di vecchia data di Emma con cui avevano perso i contatti fino a qualche giorno prima, unica sua vera invitata; si prese una pacca sulla spalla da Robin ed una stretta di mano da sua moglie che gli fece gli auguri. Dorothy, vestito verde lungo fino al ginocchio con una cintura sotto al seno, gli si avvicinò e gli allungò freddamente la mano. Killian, confuso, gliela prese e l'agitò. La vide allora sorridere con quell'espressione di velato disprezzo a cui era abituato che piano piano si addolciva, fino a che lei mollò la presa e l'abbracciò, così dal nulla, per la prima volta in tutta la sua vita. S'adeguò allora anche lui, tirando un sospiro di sollievo tra i suoi capelli ed una mano tra le scapole.
"Imbecille." gli sussurrò lei, per non smentirsi e per non perdere l'abitudine. Era uno dei primi complimenti che lei gli aveva regalato, che lui aveva portato dignitosamente per tanto tempo e che gli si era spiccicato da dosso la notte in cui aveva lasciato Milah ed i due avevano capito di essere in fondo molto simili.
"Stronza." rispose lui, in nome dei bei vecchi tempi.
Dorothy sorrise, lo prese per le spalle e lo guardò. Decise che quel momento di tenerezza poteva durare solo pochi secondi e lo salutò per allontanarsi e tornare al suo posto, dove si mise ad aspettare controllando il suo telefono in attesa della fidanzata.
Dietro di lei comparve una seconda figura femminile familiare, più bassa, meno slanciata ma più morbida, lunghi capelli neri sciolti sulle spalle, un vestito elegante color cipria ed oro dai delicati disegni baroccheggianti, con uno scialle bianco che copriva la pelle nuda dal vento primaverile. Milah. Aveva una borsa appesa alla spalla ed una giacca stretta in una mano e lo guardava con un faccia incredula. Appena le fu davanti, l'atteggiamento di lei cambiò, diventando imbarazzato e confuso. Si strinse il polso unendo le braccia sotto al seno ed abbassò lo sguardo. Quel semplice gesto accese un flash nella mente di Killian, che ricordò in un momento tutta la loro storia: quando l'aveva conosciuta e lei s'era portata i capelli dietro all'orecchio; quella sera che erano usciti per la prima volta e le aveva comprato lo zucchero filato; il giorno del diploma, quello in cui lei lo abbandonò per andare al college, quello in cui lui la raggiunse perché non riusciva più a stare da solo; il giorno che arredarono casa e la baciò nel mezzo di un corridoio di un mobilificio svedese; il lavoro, le persone e la vita che li allontanarono fino alla sera in cui si lasciarono e lui le promise che l'avrebbe invitata al suo matrimonio e lei gli promise che sarebbe venuta. Ed eccola là nel suo vestito firmato in piedi davanti a lui che non sapeva cosa dire, proprio come la prima volta.
"Non credevo saresti venuta." fece Killian ed in ritardo si rese conto di non averla neanche salutata o ringraziata per essere là, che con quello che aveva detto pareva la stesse cacciando dalla festa. Strinse gli occhi, agitò una mano affrettandosi a correggersi e tentennando con le parole. "Non hai risposto all'invito."
Stranamente Milah sorrise. Il velo di imbarazzo le copriva ancora il viso, ma si era aggiunto qualcos'altro che forse era malinconia e che era sicuro trasparisse anche dai suoi occhi. "Stai sposando una persona molto persuasiva." si limitò a spiegare lei.
Killian guardò verso la strada davanti alle transenne, come se in quel momento potesse materializzarsi Emma, che in passato aveva odiato a tal punto la sua ex fidanzata da pregarla di venire al loro matrimonio per farlo felice. Si passò due dita sopra agli occhi emozionato e, di nuovo in quella giornata, la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta lo colpì come un fiume in piena.
Non riusciva ancora a dire niente o a guardarsi attorno quando due dita fredde gli toccarono lo zigomo ammaccato ed un dolore pungente lo riportò alla realtà. "Ahi!" esclamò balzando quasi.
"Che hai fatto alla faccia?" gli domandò Milah allungata verso di lui.
Killian si coprì istintivamente il volto con una mano prima di ricordarsi che aveva combinato. "Stanotte ho avuto voglia di pancake." rispose, cercando di spiegarsi.
Milah lo guardò confusa. "Accipicchia, te l'ho sempre detto che fa male mangiare tardi!" rispose lei con educazione ed una frase di circostana, condita però con quel tono da maestrina o da mammina che Killian aveva completamente dimenticato, offuscato dall'effetto della malinconia. Per un momento pensò che se avesse sposato lei, sarebbe stato come sposare suo fratello. Si ricordò immediatamente allora di Liam, della sua domanda quella mattina e lo cercò con lo sguardo.
"Già." rispose solo Killian, perso in quel pensiero, immaginandosi a giocare al gioco delle coppie proprio come aveva fatto lei diversi anni prima. "Ti ricordi di mio fratello?" chiese mentre lo cercava e gli faceva cenno di avvicinarsi.
Milah gli stava rispondendo qualcosa, ma Killian aveva già smesso di ascoltare e guardava il fratello che invece si avvicinava con le mani nelle tasche dei pantaloni e la giacca leggermente sollevata ed arricciata sui polsi. "Oh!" cominciò Liam con voce di finto stupore una volta raggiunti i due "E chi è questo giovanotto?"
La fronte di Killian si corrugò chiedendosi dove il fratello avesse battuto la testa. Lo vide poi abbassarsi e sedersi quasi sui talloni a meno di un metro da lui, ma guardava oltre. Allora si girò anche lui e vide un bambino dai capelli neri e gli occhi chiari che si manteneva goffamente in piedi, sorretto per entrambe le mani dalla madre, Milah, che lo incoraggiava e faceva le presentazioni. "Neal." rispose lei, usando la sua voce per lui "Mi chiamo Neal." parlò piano perché anche il bambino assorbisse e capisse.
Killian la guardò a bocca aperta. Si sentì trasportato indietro nel tempo a quando lei gli raccontava di tutti i suoi cambiamenti del ciclo mestruale ed un po' rimase stranito o interdetto: avrebbe voluto chiederle perché non gli avesse mai detto niente, un messaggio, una chiamata, o perché non avesse menzionato alla cosa in quei pochi minuti. Tuttavia le sorrise lo stesso e lei sorrise a lui ed andava bene così. Era andata come doveva andare ed era felice.
Dopo lo stupore iniziale era arrivata la consapevolezza: la vita si stava completando per tutti, era la fine di un viaggio di incertezze che li aveva portati tutti alla coscienza finale, che altro non era che l'inizio di un nuovo percorso ancora più bello di quello di prima. Guardò Milah tenere in braccio suo figlio di poco più di un anno, tenergli la mano e far finta di salutare; guardò Liam, prossimo al trasferimento nel più vicino Maine, la sua vecchia famiglia riunita; il vecchio amico Walsh, che finalmente era andato avanti e si era trovato una bella ragazza dai capelli rossi; Lily, l'amica di Emma, tornata per riallacciare i rapporti; Robin e gli altri colleghi di lavoro, che l'avevano accolto in quella piccola comunità, portandolo un passo più vicino al suo sogno; Dorothy, che staccava gli occhi dal cellulare, per alzarli e vedere poi lei; Ruby, appena arrivata in uno strettissimo abito rosso, che salutava la fidanzata, raggiungeva Killian e lo abbracciava forte, spingendogli prima in mano e poi in una tasca una scatolina di velluto, che lui già sapeva essere blu coi bordi dorati. Ne ricordava perfettamente il peso, l'aspetto, la sensazione del tessuto sotto i polpastrelli.
Sentì la sua amica singhiozzare ed allora se la staccò da dosso e la guardò: le linee nere nette attorno agli occhi le mettevano più in evidenza il rossore delle sclere; la punta del naso cominciava ad abbinarcisi e Ruby fu costretta ad asciugarsi col dorso della mano. "Sono felice per te." riuscì a dire solo e lo abbracciò di nuovo.
Killian si strinse in quella morsa emozionante, riuscendo a tirar fuori solo un misero "lo so" dalle labbra ed un "grazie" prima di cader preda delle lacrime anche lui.
"Se non mi piacessero le donne..." cominciò ad ipotizzare lei, mentre con gli occhi aperti ed il mento sulla spalla dell'amico cercava di ritrovar contegno. Era un mantra che chi li conosceva recitava sempre: se a lei non piacessero le donne, fareste una gran bella coppia. Col tempo avevano cominciato a crederci anche loro ed a giocare su quell'affermazione, usando sempre più spesso parole come "tesoro" ed "amore", scambiandosi toccatine fugaci e giocose, baci a fior di labbra che Dorothy feceva fatica a capire all'inizio, di cui Killian doveva vergognarsi con Milah, ma a cui ad Emma non aveva mai dato peso.
"Lo so." rispose Killian di nuovo, stringendosela ancora di più ed inalando l'odore del suo balsamo e della lacca per capelli. Per qualche secondo si figurò la vita con Ruby, le serate spericolate, una casa in perenne disordine, la gestione del pub, le partite e le birre allo stadio, la malizia e forse anche la gelosia. Pensò a quanto un solo dettaglio, un incontro casuale, una tazza di caffé versata o le paranoie di un'ex fidanzata potessero cambiare la vita. Pensò che tutto quello che gli era successo fino ad allora non era altro che un lungo percorso di coincidenze fortunate che l'aveva portato fino a quel momento, tra le braccia della sua migliore amica ad aspettare la sua fidanzata, prossima ad essere sua moglie, sotto all'altare ad una cerimonia improvvisata, brutta e con pochi invitati, che però aveva lo spirito di un'avventura, di lui e di lei.
Vide tutto questo anche negli occhi di Ruby, che gli fece un cenno con la testa e con gli occhi, come se avesse capito. Poi lei si pulì quella unica lacrima solitaria sulle labbra con la lingua, più chiara del suo rossetto. "Sta arrivando." gli bisbigliò di nuovo ed in un istante fu via, prima che Killian potesse capire di cosa stesse parlando, perso nei suoi pensieri, distratto come se non fosse il giorno del suo matrimonio.
Allora alzò lo sguardo ed ancora immerso in quella spirale di stupore e confusione che lo circodava e circondava la vita di tutti, vide lei. Emma.



29 Luglio 2015
Il giorno prima si poteva che fosse stato il più lungo della vita di Emma.
Si era svegliata alle tre del mattino dopo solo due ore di sonno con la sveglia del cellulare di Killian che le martellava contro il cranio, vibrava sul comodino urtando continuamente la superficie dura di legno e come se non bastasse, lui s'era messo a punzecchiarla, togliendole anche quei decisivi cinque minuti che normalmente si sarebbe presa. Gli aveva lasciato il bagno ed era corsa invece in cucina, dove aveva preparato il caffé, che aveva bevuto nero per una volta, come lo prendeva sempre lui, più per caso che per volontà, ancora troppo pigra per poter recuperare il latte dal frigo e lo zucchero dalla mensola. Il sapore era stato talmente disgustoso da aver avuto però l'effetto di svegliarla all'istante con un sol sorso. Si era poi preparata la valigia, cosa che aveva sempre rimandato, e poi alle quattro era arrivato il taxi che li aveva portati alla stazione, dove avevano preso un treno che li aveva portati all'aeroporto alle sei di mattina, dove avrebbero dovuto fare il check-in ed essere pronti ad imbarcarsi per le sette per essere poi a miami alle otto ed in spiaggia alle nove. Il programma era rigido e non era da Emma seguire uno schema così definito, ma si era ripromessa di farlo: per la spiaggia, per il mare, per galleggiare nell'acqua salata.
Tutto quello che poteva andare storto però era andato storto: il taxi aveva trovato traffico nonostante il cielo fosse ancora buio, il treno si era bloccato per dieci minuti in galleria, la fila per il check-in sembrava infinita e come se non bastasse le condizioni metereologiche avevano interferito con le partenze.
Killian ed Emma erano rimasti bloccati all'aeroporto di New York, seduti a terra ai piedi di un gigantesco cartonato pubblicitario, in mezzo a tanta altra gente che sbraitava e sbuffava per i ritardi. Come se non bastasse, tutta quella gente aveva delle borse, che ingobravano, con cui si scontravano e a volte lasciavano i lividi, che li rendevano goffi e li appesantivano, rendendo ancora più intollerabile quella permanenza ed estremamente difficile muoversi. Persino il secondo caffé della giornata non servì a metterli di buon umore: dovetterlo berlo in piedi o di nuovo a terra, al massimo seduti sul bagaglio a mano. Gli altri passeggeri continuavano ad urtarli e i due continuavano ad urtare loro, così che il caffé che finì a terra fu più di quello che riuscirono a mandar giù. Avevano deciso allora di prendere le loro borse, sistemarsele a mò di zainetto e fare un giro tra i negozi. Emma si era comprata un cappello di paglia per il sole, anche se le sembrava estremamente lontano e Killian aveva provveduto a rifornirsi di parole crociate che avrebbe compilato più tardi con lei, prima davanti al gate e poi sull'aereo.
Quando finalmente partirono erano le quattro di pomeriggio. Erano arrivati a Miami affamati, con la vescica piena di coca cola comprata a bordo ed i vestiti ricoperti di briciole di salatini. Il secondo taxi che li portò davanti all'albergo sembrava una fornace. Presero la via più veloce, poco panoramica, così tutto quello che entrambi potettero ammirare erano palazzi e negozi. Niente di diverso da New York.
Avevano entrambi le occhiaie lunghe fino a terra e seppur stremati, nessuno dei due aveva perso il buon umore. Killian aveva cominciato a scattare foto, cosa che in genere faceva lei, lasciandola stranita ma sorridente. Si stava sbizzarrendo, cercando le giuste angolazioni e la luce giusta per farle una foto e poi farla ad entrambi. Quella fotografia sarebbe finita un mese dopo sul piano della cucina, tra il portabiscotti e il frullatore.
Quella sera passeggiarono sul lungomare, mangiando un panino, patatine fritte e più tardi un gelato. Non parlarono molto, impegnati com'erano prima a combattere la fame poi il sonno, se non per commentare ancora una volta l'ultimo episodio di quella serie tv coi draghi. Tornarono in hotel alle dieci e un quarto di sera, addormentandosi poco dopo essersi infilati il pigiama.
Successe allora che una mattina che sembrava come tante, Emma si svegliò, ma era a Miami in una stanza d'albergo che dava sul mare, con le tende bianche che sventolavano nella luce fioca della prima parte del giorno. Si girò e c'era Killian che dormiva ancora stremato dall'orrendo viaggio. Aveva i capelli in disordine, la bocca aperta ed una maglietta blu di pigiama sollevata sulla pancia gonfia da abbuffata della sera prima. Insomma non proprio nella sua forma migliore, eppure era diverso. Le fece uno strano effetto al cuore, come se mancasse un battito e poi ripartisse come un razzo. Diversi pensieri cominciarono a fare capolino nella sua mente, ma erano troppo confusi per capirli bene.
La scatolina piccola e blu scuro di una gioielleria era posata su un comodino. La guardò, si allungò per prenderla e la aprì. Una catenina con un ciondolo tondo ed un cigno incastonato occupavano interamente il cuscinetto bianco. La squadrò, forse un po' delusa perché credeva che fosse qualcos'altro e poi se la appese al collo.
Il telaio della finestra creava una cornice perfetta attorno al dipinto ad olio che altro non era che il paesaggio che si poteva ammirare da qualsiasi camera di quell'albergo: il colore grigio tenero del cielo presagiva pioggia; le palme alte raggiungevano con le loro foglie il secondo piano, mostrando come un pennacchio verde in mezzo a quel mare di nuvole. Era come essere immersi in un oceano di sensazioni: l'odore del mare filtrava prepotentemente attraverso le tende, il rumore delle onde era coperto dal chiacchiericcio dei surfisti mattinieri.
Più tardi in spiaggia sul tramonto arancione, con i piedi nell'acqua, il mare da un lato e Killian che le teneva la mano dall'altra, le ricapitò la stessa sensazione ed uno di quei pensieri incasinati divenne chiaro. Fu proprio come disse Ruby l'anno prima: un giorno ti svegli e sei diversa.
"Ehi." disse lei fermandosi. Gli si mise davanti tendendogli ancora la mano. Le punte dei capelli le ondeggiavano col vento. La gonna bianca era sporca di acqua e sabbia, in un fango granuloso che s'era appiccicato all'orlo.
"Ehi." disse lui senza capire.
Emma si abbassò piano piano. Gli mise le mani sul petto e cominciò a scendere fino ad arrivare con le ginocchia a terra, un po' instabile per l'emozione. Nel frattempo arricciava le mani all'orlo della camicia di lui, s'appendeva ai passanti dei suoi pantaloni, toccava la cintura, il tessuto ruvido dei jeans, gli passò il dito indice sulla coscia mente sorrideva soddisfatta e divertita nel vedere lui spalancare piano piano sorpreso la bocca, domandosi forse cosa lei avesse intenzioni di fare.
"Ci sono troppe persone." disse solo lui, scherzando malizioso. Gli si stampò sulla faccia quel solito sorriso che aveva quando credeva di aver detto qualcosa di divertente, facendo sorridere paradossalmente intenerita anche lei.
Emma sapeva che Killian non se lo sarebbe mai aspettato e che ormai ci aveva rinunciato, lasciandola delusa e costringendola, finalmente convinta, a fare quel lungo passo verso di lui. All'inizio credeva che la sua fosse una strategia: arrendersi per farsi smentire. Quando poi però il giorno prima di partire, le aveva dato quella scatolina regalo aveva creduto con tutta sé stessa che ci fosse un anello dentro, che quindi era tornato sui suoi passi e non credeva di essere pronta. Vedere quel cigno appeso ad una catena le aveva fatto scattare invece qualcosa dentro, di cui rimase sorpresa lei stessa. Sapeva (e negava) di cosa si trattasse. Aveva deciso allora così su due piedi, camminando sulla sabbia e nell'oceano per la prima volta in vita sua. Sapeva che quello che aveva in mente di fare era solo un piccolo passo a cui sarebbero dovuti seguire tanti altri, che non sarebbe stato un percorso semplice, ma era pronta a cominciare a camminare. "Non era quello che avevo in mente," disse Emma mentre sorrideva, realizzando piano piano per davvero cosa stava facendo. Non si era fermata neanche un attimo a pensarci davvero su. "ma terrò in cosiderazione il suggerimento."
Killian sorrise, si leccò le labbra, guardò in alto, perché come lei sapeva, non poteva guardarla quando era là sotto, non per troppo tempo almeno e non in pubblico. Si stava già mordendo le labbra ed agitava le ginocchia. Emma sorrise di nuovo e neanche questo l'aiutò a togliersi quell'immagine dalla testa. "Avanti alzati." disse lui, allungandole la mano perché lei giela prendesse.
"Devo prima chiederti una cosa." disse lei ed all'improvviso si fece seria. Non sorrideva più, anzi deglutiva. Killian poteva giurare di averla sentito agitare la lingua, accumulare saliva davanti l'ugola per poi mandarla giù per la gola, mentre la sua laringe s'alzava ed abbassava.
"Sarebbe?" rispose lui. E si rese conto in ritardo di quello che stava succedendo, perché Emma ebbe il tempo di prendergli una mano tra le sue, agitarsi e tremare quasi, farsi venire la pelle d'oca, prima che lui la guardasse di nuovo tra il sorpreso e l'agitato.
"Vuoi sposarmi?" chiese lei a brucia pelo.

 

 


 

 


Angolo dell'autrice
Oh dio, ragazzi ci risiamo: manca solo l'epilogo! Sono assolutamente stupita di essere di nuovo qua, a questo punto, a dire che un'altra ff è quasi finita. Posso ringraziarvi e stringervi tutti, anche a voi lettori silenziosi? Vi adoro! Grazie, grazie davvero. Scrivere e sapere che c'è qualcuno dall'altro lato che legge, aspetta, gioisce con te è qualcosa di unico davvero. Voglio anche scusarmi con voi per questo percorso un po' travagliato, fatto di lunghissime attese di cui mi pento davvero tanto. 
Posso dire con assoluta certezza che questa è la ff per cui mi sono più impegnata (dal puzzle da riunire tutto alla fine alla psicologia dei personaggi), che sapevo come doveva essere dall'inizio alla fine, che ho riletto milioni di volte per far quadrare e coincidere tutto. Credo di non aver commesso errori coi tempi della storia. Anzi, se ce ne sono, di qualunque tipo segnalatemeli e li correggo subito. 
Ora, lasciatemi ad un'ultima spiegazione/polpettone. Creando in Killian l'idea di vedere una bella coppia tra 
Milah a Liam volevo sottolineare una cosa: Milah era quello di cui Killian aveva avuto bisogno da giovane, quando aveva bisogno del ricordo della sua famiglia (e di una visione decisa del proprio futuro, di regole, di stabilità) per crescere. Superato il trauma della separazione e della morte della madre, ha cominciato a volere qualcosa di diverso, che mettesse alla prova (sfidando quasi) l'uomo, non il bambino: Emma. Sono convinta che chiunque in un compagno veda una questione irrisolta della propria vita, che scelga qualcuno con qualità che egli stesso vorrebbe avere, mettendosi un po' in gioco. Dal suo lato invece Emma vede in lui l'infantilità, la spontaneità e quell'infanzia perduta, che a sua volta lui aveva già fatto suoi grazie a Milah. E' un gioco di incastri che è semplicemente la vita e che spero di avervi raccontato con leggerezza.
Detto questo, chiudo. Ci vediamo per l'ULTIMISSIMO capitolo a breve. 
Vi mando un bacione ed un abbraccio a tutti ed auguri per un bellissimo natale! :*

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - epilogo ***


 

13.




Emma scendeva da un'auto vecchia e brutta, gialla, ammaccata di nuovo nonostante l'ultimo giro dal meccanico fosse stato non più di due mesi prima, quando l'idea di quel folle matrimonio aveva affascinato entrambi. Attraverso la portiera aperta del lato passeggero, Killian la vide mettere prima un piede a terra, il vestito bianco scivolarle sulla caviglia, poi l'altro e finalmente fu fuori.
Le scarpe blu che s'era fatta prestare da Dorothy riflettevano quel tocco di tradizione che faceva parte anche del suo carattere. Il vestito nuovo, bianco, completamente ricamato le cadeva addosso morbido e le regalava un aspetto angelico che nessun altro tra i presenti avrebbe saputo replicare. Si guardava addosso, sistemandosi le pieghe della gonna sulle gambe. I capelli le cadevano sul viso nascondendoglielo completamente.
Forse ci stava mettendo più tempo del previsto, ma per qualche strana ragione sentiva la colazione bussare dietro la lingua e la cena contro l'ombelico, mentre più su tutto bruciava. Indugiava e se ne stava ferma a testa bassa ed occhi chiusi a ritrovar contegno respirando con la bocca aria calda ed umida. Sospirò ed il suo fiato si aggiunse a quell'atmosfera pesante. Tutto sembrava aver rallentato e corso troppo veloce insieme. Era spacciata, lo sapeva, non sarebbe riuscita ad andare avanti, quando qualcuno in mezzo a quella folla se ne accorse.
Ruby si fece subito spazio tra la folla. A grandi falcate i suoi tacchi ticchettarono sull'asfalto, mente si teneva giù con entrambe le mani il corto vestito rosso. Le due si guardarono. La moretta prese il viso della bionda tra le mani con fare amorevole da mamma, commuovendo anche i presenti che quasi si sentirono imbarazzati ad assistere ad una scena del genere. Poi quella tornò a posto ed Emma alzò finalmente il capo e cominciò un passo, un altro ancora ed anche il violinista iniziò a suonare.
La musica danzava dolcemente nell'ambiente. I rumori molesti sembravano essere scomparsi ed aver fatto posto a quella melodia vibrata ed emozionante. Emma aveva sempre pensato che ci fosse qualcosa di magico nel suono del violino ed in quel momento potevano sentirlo tutti.
Quando finalmente fu più vicina tutti poterono ammirarla: una donna bellissima, naturale, coi fiori bianchi nei capelli e piccolissime trecce annodate sul capo. Indossava il suo sorriso come se fosse un gioiello, il più bello di tutti, che nessun diamante e nessuna perla potevano eguagliare. Era una ninfa belllissima e bianca. Il suo viso unico e pazzesco; il vestito la avvolgeva e la slanciava insieme, si muoveva come fosse seta agitata dal vento ed a Killian non poté che ricordare un altro momento molto importante di pochi mesi prima su una spiaggia. Emma pareva così leggera che gli invitati avevano paura che potesse volar via.
Killian avrebbe voluto prendere quel momento e riguararlo a loop per sempre. Nessuna fotografia, nessuno schermo ad alta risoluzione, nessun filmato e nessuna tecnologia avrebbero potuto catturare e rendere la vera bellezza che gli si parava davanti. Si ritrovò inebetito che non si ricordava neanche come sorridere o nemmeno a che servisse. Era sbalordito, assordato, stupefatto.
Emma intanto camminava e sorrideva, circondata da una luce tutta sua. Quando arrivò davanti a quella piccola cerchia di invitati, le si chiusero attorno pretendendo un cenno, un saluto, come se quelle persone potessero risplendere della sua stessa luce riflessa.
Anche se nessuno gliel'aveva detto o gliel'aveva insegnato, Emma cominciò salutare chiunque: abbracciò Dorothy mentre chiudeva gli occhi e forse piangeva; si avvicinava e sorrideva, forse un po' imbarazzata a Lili che non rivedeva da così tanto, salutandola quasi fosse la prima volta ed insieme un'abitudine. Vide Walsh e gli fece un cenno del capo, ricordandosi di alcuni anni fa, di una vecchia discussione. Lui le indicò con gli occhi una ragazza dai capelli fiammeggianti, le loro mani unite e sorrise. Riconobbe subito Liam dagli occhi, che le allungò una mano che Emma raccolse facendosi accogliere in quella scapestrata e piccola famiglia.
Poi successe l'impossibile: si trovò davanti a Milah-non-più-quasi-Jones che salutava Emma-Swan-quasi-Jones (perché sì, aveva deciso di tenere entrambi i cognomi, le radici del passato insieme ai rami rigogliosi del futuro).
Killian stava aspettando quel momento con ansia, preoccupato dalla reazione delle due, ancor più di quella che la sua sposa avrebbe potuto avere davanti al suo occhio ammaccato. In tutte le sue simulazioni mentali un silenzio piombale cadeva nell'ambiente ed una delle due fuggiva offesa. Se non che, si ricordò, era stata Emma a convincere Milah a farsi viva ed infatti successe l'impossibile. Se Killian avesse dovuto descrivere quel momento avrebbe usato una similitudine sportiva: la corsa, il passaggio del testimone.
Emma capì in quel momento, e Killian con lei, che non c'era mai stata una vera competizione, che nessuna delle due aveva mai sfidato l'altra e che si erano trovate invece insieme a collaorare in una corsa che era anche la vita, portandola a compimento. Milah era stata lo slancio iniziale per cominciare ed Emma lo sprint finale per raggiungere il traguardo. Non c'era astio o rancore. Emma vide Milah e riconobbe il passato. Milah vide Emma e, stringendo suo figlio, vide il futuro.
Le corde del violino continuavano a tremare armoniosamente quando la folla si riaprì ed Emma si trovò là, a due passi, a serrare le labbra coi denti per non scoppiare a ridere davanti il suo fidanzato, quasi sposo, quasi marito. Sulla sua faccia una bella ghirlanda viola e verde rendeva tutto più festoso e come si faceva a non riderne? Ma ci provò e ci riuscì e si trattenne.
Il celebrante intanto, col panciotto e la voce grossa, di fronte a loro li accoglieva a braccia aperte e quando furono finalmente uno affianco all'altro, lei poté bisbigliare un emozionato "Ciao".
"Ciao." rispose Killian con voce invece sognante.
"Ciao." replicò di nuovo lei e la morsa sulle sue labbra si aprì, liberando un enorme sorriso. Un boccolo di capelli dorati le cadde su quegli occhi smeraldo mentre cercava di nascondere uno strano imbrazzo che non aveva mai provato, un'emozione che le imporporava le guance meglio di qualsiasi trucco.
"Sei bellissima." riuscì solo a dire lui, che non ci credeva che era riuscito a mettere insieme quelle due parole.
"Sei viola." rispose lei ridendo e fece ridere anche lui, stirando la guancia così che una scossa di dolore gli arrivò fino a dietro l'occhio. "Che cavolo hai combinato?" aggiunse lei divertita dall'espressione sofferente.
"Serataccia." provò a scherzare lui, ma lo sguardo di lei sembrava chiedere di più e così decise di accontentarla "Colpa dei pancake." disse, rendendosi conto troppo tardi che questo non spiegava per niente perché aveva fatto a botte in una tavola calda.
Emma si morse la bocca di nuovo, cercò di trattenere una risata senza riuscirci molto bene. Sputacchiò ridendo e, stranamente per i presenti, Killian pensò che gli piaceva anche questo di lei: le risate sguaiate e bagnate. "Ti sei fatto picchiare dai pancake?" domandò lei forse alzando un po' troppo la voce.
Un "shh" si alzò tra la piccola folla.
"Ho fatto l'eroe!" provò invece a vendersi lui.
"Chi, tu?" chiese lei scettica.
"Shh." ripeté Killian prima e mimò poi con le labbra un bacio riattaccando il battibecco, a cui Emma replicò sillabando un "smettila" silenzioso ed aggiunse alla fine un occhiolino e Killian sorrise di nuovo.
Si resero conto in quel momento di non aver ascoltato neanche una parola del celebrante, che se ne stava impalato davanti a loro e tra di loro, tenendendo tra i due una penna, mentre col dito dell'altra mano indicava su un paio di righe stampate sul documento. Killian allora raccolse la penna e firmò per primo. Ripeté a bassa voce il suo nome mentre scriveva, suscitando risatine nascoste nella sua compagna. "Moglie." fece lui e lei raccolse la penna.
Emma scrisse il suo nome lentamente e chiaramente lasciando a lui il tempo di leggere entrambi i cognomi, cosa che non lo stupì affatto. "Marito." gli disse lei alla fine guardandolo sorridere con tutta la faccia. Tutta la faccia ammaccata.
Tra una firma e l'altra si sentirono i click delle macchine fotografiche. Tra i capelli di Emma e sulla penna che ancora stringeva tra le mani si rifletterono i lampi dei flash che davano la giusta luce.
Pochi secondi dopo furono entrambi invasi da una pioggia di riso e petali di rose. Avrebbero macchiato i vestiti e le strade ma non importava. Sembrava di essere sotto una tempesta nella foresta incantata tra fate e folletti. Entrambi gli sposi abbassarono il capo, cercando di proteggersi sotto il bouquet di fiori di lei, che a mala pena le riusciva a coprire una guancia.
Camminarono tenendosi per mano in mezzo ad un corridoio fatto dalle persone più care, tra risa e grida di giubilo a fare da colonna sonora a quella giornata magica che non pareva minimamente cominciata nel migliore dei modi. Eppure il rumore, il caldo, l'asfalto che pareva sciogliersi sotto i piedi e persino il livido sull'occhio di Killian, non parevano importanti. Facevano da cornice a quella giornata unica, diventando una storia che avrebbero raccontato tutti i presenti alla generazione successiva.
"Il bouquet, il bouquet!" urlò Ruby tra la folla, aizzandola e spronandola tutta a ridere divertita.
Era come essere immersi in un bagno di felicità. Emma guardò Killian, che senza mai mollare la presa su di lei, le si parò dietro. La sposa si rigirò, tenendo gli occhi fissi nel suo novello. Lui le indicò la sinistra girando gli occhi ed allora lei strinse forte forte i suoi e poi lanciò a sinistra.
"Dorothy!" urlò Liam davanti alla donna che se ne stava a bocca aperta coi fiori in mano. Il fratello lo guardò sconcertato, incredulo del fatto che quello sapesse come urlare. Poi Ruby raggiunse la ragazza, la strinse forte e la baciò con le labbra a stampo sulle sue immergendosi con le mani nei suoi capelli.
La musica ricominciò a suonare e da un lato della folla Walsh si portò la ragazza dai capelli rossi a ballare un lento in mezzo al gruppo. Si unirono subito Ruby e Dorothy che più scalmanate si agitavano quasi come se fosse una tarantella. I colleghi di lavoro di Killian, Robin e sua moglie, si aggiunsero romanticamente. Liam che non voleva ballare da solo fece invece un inchino all'unica ragazza rimasta sola, Lili che accettò, mentre Milah con in braccio il suo bambino ondeggiava.
"Mi concede l'onore?" fece Emma allungando una mano e facendo un inchin, mentre un fiorellino le cadde dalla testa sulla spalla e rotolò via. 
"Non posso," rispose Killian ma afferrandola comunque, in netta contraddizione con le sue parole, tirandosela in pista e facendola girare "sono sposato." scherzò.
I capelli di Emma si aprirono in una ruota disordinata ma perfetta. Buttò la testa all'indietro e si godette quei rumori, quelle risate, la musica e persino i clacson più in fondo. "Anch'io." bisbigliò poi tornando su di lui con la fronte sulla fronte ed il naso contro il naso.
"E vissero per sempre felici e contenti." disse Killian.
"No," lo corresse lei seria. "c'era una volta..."

 




Angolo dell'autrice
​Ok.
Quindi??? Che ne pensate?? 
​Mamma mia che emozione!! Non c'è bisogno che vi ripeta quanto abbia lavorato e ci abbia tenuto a questa storia. Mi è piaciuto da morire scriverla ed anche se le recensioni non sono state molte, mi ha dato tantissima soddisfazione. 
​Sono felicissima di com'è andata, davvero davvero tanto e non saprei che altro aggiungere se non grazie, grazie, grazie di cuore!
​Vi aspetto nelle recensioni e nella prossima storia ;*

 

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