Falling Like Rain

di Ode To Joy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Esplosioni ***
Capitolo 2: *** Prigioniero ***
Capitolo 3: *** Lealtà ***
Capitolo 4: *** Silenzio ***
Capitolo 5: *** Scontro ***
Capitolo 6: *** Protezione ***
Capitolo 7: *** Assedio ***
Capitolo 8: *** Nome ***
Capitolo 9: *** Capire ***
Capitolo 10: *** Blu ***
Capitolo 11: *** Pioggia ***
Capitolo 12: *** Interludio: stelle ***
Capitolo 13: *** Lance ***
Capitolo 14: *** Piano ***
Capitolo 15: *** Sognatore ***
Capitolo 16: *** Favola ***
Capitolo 17: *** Tentazione ***
Capitolo 18: *** Castigo ***



Capitolo 1
*** Prologo: Esplosioni ***


Note introduttive:
Probabilmente, il modo più semplice per definire questa storia è self-indulgent fic.
Ho voglia di scrivere su questi due da molto prima che di Lotor conoscessimo il character design nella sua gloriosa completezza e nelle sette puntate in cui è comparso ha superato tanto le mie aspettative (buttate sotto terra per amor di autoconversazione). Ora, quindi, me lo scrivo un po’ prima che gli eventi della serie me lo rovinino completamente (evviva l’ottimisto!)
Informazioni di carattere pratico. La storia ha luogo dopo la S3 e, per tanto, il contenuto è Spoiler!. Di fatto, questa piccola long è una raccolto di ricordi/”immagini” (più un prologo ed un epilogo) dal punto di vista di Lance… Ma privo di vista. Tutto il resto è Lancelot e mi emoziona (siate clementi!).
Buona lettura!

Questa storia partecipa al contest “Humans +” a cura di Fanwriter.it!
Numero Parole: 2622
Prompt/Traccia: P. 14. Benda


 

Prologo:
Esplosione



Oscurità.

Caos ed oscurità.

Lance cominciava a non poterne più.

Si tastò ai lati del viso, cercò un modo per togliersi quell’arnese che gli comprimeva la testa in una morsa e gli oscurava gli occhi. Era un fastidio sopportabile ma a cui stava diventando intollerante istante dopo istante.

Udiva le esplosioni in lontananza e Red ne subiva gli urti ma la sentiva avanzare.

Red, torna indietro! La pregò Lance nella sua testa. La voce era venuta meno da qualche minuto: aveva urlato contro il generale Galra che lo aveva scortato di forza al suo leone troppo a lungo.

Red, però, non fece alcuna inversione di rotta.

Red, ti supplico!

Lei sapeva cosa fare, non gli avrebbe mai ubbidito. Lance non riusciva a stare in piedi, a trovare appigli a cui aggrapparsi. Gli era impossibile anche capire in che punto della cabina di pilotaggio fosse. Continuava a scivolare, a farsi male da solo ma non poteva starsene fermo ad aspettare che altri decidessero per lui.

Devo tornare da lui, Red! Torna indietro!

Stava piangendo, Lance. Non aveva più smesso di farlo da quando le porte della cabina di pilotaggio si erano chiuse ed aveva compreso di non poter fare più nulla per restare.

Devo vederlo, Red… Ti prego… Ho bisogno di vederlo, almeno una volta.

Troppo tardi. Si erano fermati.

Ti prego… Ti prego… Ho bisogno di vederlo…

Era tutto finito.

“Lance!”

Sentì il respiro venire meno.

“Lance!”
“Ehi, amico, rispondi!”

Per quanto tempo aveva sperato di udire quelle voci nell’oscurità che lo aveva circondato in quei mesi?

“Maledizione, Lance! Rispondi!”

Suo malgrado, sorrise. Avrebbe riconosciuto le loro voci tra mille. “Keith!” Fu il primo nome che chiamò ma la sua voce fosse roca, poco chiara. “Keith!” Riprovò. “Shiro!” Un singhiozzo. “Hunk… Pidge…”

Udì le porte della cabina di pilotaggio aprirsi: non era più solo.

“Lance!” Le prime mani che lo toccarono lo fecero con urgenza ma con poca gentilezza.

Era Keith.

“Piano, piano…” Sussurrò Shiro.

“Che diavolo…?” Una mano più piccola sul suo viso, quella di Pidge.

Qualcuno stava singhiozzando: Hunk, probabilmente.

“Toglietegli questa cosa di dosso!” Ordinò Keith.

“Cerca di mantenere il controllo,” lo rimproverò una voce femminile. Doveva essere arrivata anche Allura.

“Non dirmi di stare calmo!”

Lance non riuscì a dire niente. Udire le loro voci, sentire le loro mani su di lui era come un sogno divenuto realtà.

Era a casa. Finalmente, era a casa.

Tuttavia…

“Keith,” chiamò allungando il braccio, cercandolo alla cieca. “Keith! Shiro!”

Una mano afferrò la sua. Keith, probabilmente: era troppo piccola per essere quella del loro vecchio leader.

“Siamo qui, Lance.” Fu Shiro a parlare, però.

“La nave… La nave imperiale…”

“Eri sulla nave imperiale?” Indagò Allura.

Lance scosse la testa. “Dobbiamo fermare la nave imperiale! Noi dobbiamo…”

“I Galra stanno facendo fuoco l’uno contro l’altro,” spiegò Shiro. “Non sappiamo perchè ma ne stiamo approfittando per andarcene e…”

“No! No!” Lance cercò di farsi leva sulla stretta di Keith, di alzarsi in piedi. “Dobbiamo combattere! Dobbiamo fermarli!”

Altre mani lo aiutarono.

“Lance, che stai dicendo?” Domandò Allura pazientemente. “Si stanno distruggendo a vicenda.”

“Dobbiamo impedirlo!” Insistette Lance appoggiando la schiena alla parete alle sue spalle. “Dobbiamo… Dobbiamo…” Gli girava la testa, aveva la nausea.

Non ne poteva più di tutta quell’oscurità.

“Si può sapere che sta succedendo?” Riconobbe la voce di Coran.

Nessuno gli rispose.

“Oh, ragazzo mio…” Aggiunse il vecchio Altean. Lance lo sentì farsi più vicino e gli altri farsi da parte tutti insieme. Un brivido freddo gli attraversò la schiena ma non se ne lamentò. Avvertì le mani di Coran sulla sua nuca.

Un click metallico e la pressione intorno alla sua testa diminuì.

Lance lasciò andare un sospiro ma fu un sollievo breve. La luce artificiale della cabina di pilotaggio gli trafisse gli occhi come centinaia di piccole lame invisibili. Si coprì il viso con le mani e lasciò andare un urlo di dolore.

La gambe cedettero e si raggomitolò su se stesso.

Gli altri presero a chiamare il suo nome spaventati.

“Che cosa gli hanno fatto?” Sbraitò Keith con rabbia. “Lance! Lance! Parlami!”
Lance strinse gli occhi e portò entrambe le mani davanti al viso come a dire di aspettare un attimo. Altre lacrime si staccarono dalle ciglia scure rigandogli le guance.

Le dita di Keith afferrarono di nuovo la sua mano e Shiro gli strinse le spalla. “Prenditi il tuo tempo,” gli disse gentilmente.

In sottofondo, Hunk continuava a singhiozzare.

Lance annuì inspirando profondamente dal naso.

“Ti hanno fatto qualcosa agli occhi, Lance?” Domandò Pidge. Le sue piccole dita gli tirarono la frangia all’indietro. Lui si limitò a dire sì con un cenno del capo.

La mano di Keith lo strinse con più forza ma non disse altro.

Lance prese un altro respiro profondo. Il dolore era passato.

Sollevò le palpebre lentamente. Era assurdo ma era un po’ come se avesse dimenticato come fare. Si sentiva come un neonato che apriva gli occhi sul mondo per la prima volta.

Fu più semplice di quello che si era aspettato.

Nessun dolore lancinante alla testa, nessuna immagine sfocata.

Lance aprì gli occhi e, semplicemente, vide.

Vide il pavimento della cabina di pilotaggio di Red. Vide le sue mani coperte dalla suit viola che gli avevano messo addosso. Aprì e chiuse le dita per assicurarsi di essere sveglio.

“Lance?”

Rispose a quel richiamo in modo meccanico. Due iridi viola che conosceva bene ricambiarono il suo sguardo. Era pallido, Keith e, forse, un poco spaventato. Accanto a lui, Shiro lo guardava con la medesima espressione ma era rassicurante il grigio dei suoi occhi.

Era davvero a casa.

Lance sentì il nodo alla sua gola stringere più forte. Eppure, sorrise. “Avete gli occhi più belli dell’intero universo,” disse con voce rotta, senza rifletterci neanche un secondo.

Shiro provò ad abbozzare un sorriso. “Grazie…?”

Keith rimase in completo silenzio.

“Non gli hanno fatto qualcosa solo agli occhi, temo,” commentò Pidge.

“Lance!” Hunk sollevò l’amico di peso stringendolo un po’ troppo forte. “Ti credevamo morto!” Lo lasciò andare ma Lance riusciva a reggersi sulle gambe a malapena.

“Devi andare in una capsula di guarigione, ragazzo mio,” intervenne Coran aiutandolo a restare in piedi.

“No,” Lance prese a scuotere la testa freneticamente. “No, io... “ Si voltò verso il pannello di controllo di Red. “Io devo tornare là fuori!”

Fece per andare a sedersi al suo posto ma le mani dei suoi compagni lo fermarono.

“Dove credi di andare?” Quasi abbaiò Keith parandosi davanti a lui. “Sei sparito per mesi ed ora torni a bordo di Red dopo essere fuggito dalla nave di…”  

“Non sono fuggito!” Esclamò Lance sedendosi al suo posto. Red, però, restò inattiva.

Ti prego, bellezza! Ti prego!

Keith emise una specie di ringhio. “Lance, cosa stai cercando di fare?” Domandò portandosi alla sua destra.

“Devo fermarli!” Lance li guardò in completo panico. “Devo fermare quella nave imperiale!”

“Lance,” Allura si sporse in avanti e gli afferrò il polso. “Non stai ragionando lucidamente!”

“Sono lucidissimo, invece!” Replicò il Paladino Blu. “Non importa se non volete aiutarmi! Ma lasciatemi andare! Io devo andare! Red!”

Il suo leone ignorò il suo richiamo.

Red, ti prego! Lo sai cosa significa per me, ti prego!

“Lance…” Keith si mise tra di lui ed il pannello di controllo ma c’era più gentilezza nella sua voce. “Lance, guardami. Parla con me.”

Lance serrò i denti sul labbro inferiore con frustrazione. “Keith, devi lasciarmelo fare! Devi lasciarmi andare, io…”

Fu una turbolenza ad interromperlo e fu tanto violenta da sbalzarlo via dal suo posto. L’allarme coprì ogni altro rumore.

Sentì la voce di Keith vicino a lui ma non comprese le sue parole. Avvertì la sua mano sulla nuca.

“Keith! Lance!” Chiamò Shiro avvicinandosi a carponi. Pidge e Hunk erano finiti contro la parete sul lato opposto della cabina di pilotaggio.

Allura e Coran erano riusciti a sorreggersi vicino alla porta.

“Ce ne andiamo!” Ordinò lei  uscendo dal leone per prima. “Coran, sul punte!”

“Agli ordini, Principessa!” Il vecchio Altean la seguì senza indugiare.

Lance si sollevò sui gomiti. “Aspettate! Aspettate!”

Provò ad alzarsi ma Shiro lo costrinse a terra senza sforzo. “Lance, hai battuto la testa!”
“Shiro, lasciami andare! Ti prego!”

“Maledizione, Lance!” Sibilò Keith afferrandolo a sua volta.

Il Paladino Blu era troppo debole per combatterli entrambi. “No, voi non capite! Io devo andare! Io devo…”

Avverti un senso di vuoto allo stomaco. Una sensazione che conosceva bene: erano entrati in un wormhole. Lance rimase immobile, in ascolto.

Non udiva più alcuna esplosione all’esterno.

Se ne erano andati.

Era finita. Era tutto finito.

Lance smise di combattere contro le mani che lo tenevano fermo. Poggiò la nuca sulle ginocchia di Keith. La mano di Shiro era ancora sul suo petto ma non lo bloccava più.

Si coprì gli occhi con un braccio e scoppiò a piangere.

Keith e Shiro non si mossero. Si lanciarono un’occhiata veloce, poi il Paladino Rosso si umettò le labbra e strinse con gentilezza le spalle del compagno che giaceva contro di lui. “Che cosa ti è successo, Lance?”

Il Paladino Blu scosse la testa.

Hunk e Pidge si avvicinarono. Lei prese tra le mani la benda metallica da cui Coran lo aveva liberato. “Hai detto che ti hanno fatto qualcosa agli occhi,” disse.

Lance annuì.

“A cosa serviva questo arnese?” Domandò Hunk osservando l’oggetto tra le mani di Pidge. “Volevano accecarti, per caso?”

“No…” Rispose Lance con un filo di voce. “Ero cieco. Mi hanno guarito…”
 



”I tuoi occhi sono blu…”
Avvertì una nota sorpresa nella sua voce. Sorrise.
“Adesso, però, devi dirmi di che colore sono i tuoi.”





“Eccezionale!” Esclamò Coran entusiasta tenendogli la palpebra dell’occhio destro sollevata di forza. “Diecimila anni fa non avevamo nulla di simile! Ad occhio nudo non si vede assolutamente niente!”

“Forse, perchè non c’è niente,” propose Allura.

Lance allontanò la mano del vecchio Altean da sè con poca gentilezza. “Mi hanno guarito!” Esclamò rivolgendosi alla Principessa. “I Galra mi hanno guarito! Pensavo avessimo superato la fase in cui pensavano che tutti loro fossero l’incarnazione del male!”

Allura lo guardò più sorpresa che offesa ed anche Coran inarcò le sopracciglia. “Avverto delle vibrazioni poco collaborative, ragazzo.”

Lance incrociò le braccia contro il petto ed allontanò lo sguardo dai visi dei due Altean. “Dove sono gli altri?” Domandò.

“Stanno aspettando fuori,” rispose Coran. “Volevo visitarti senza che i due saputelli cercassero di metterti le dita negli occhi.”

Lance evitò di fargli notare che lui non aveva fatto molto di più.

“Lance…” Il materasso del suo letto si abbassò un poco sotto il peso di Allura. Cercò la sua mano e lui la lasciò fare. “Volevo parlarti.”
Il Paladino Blu non sfuggì al suo sguardo ma lei non era la persona giusta a cui raccontare tutto. “L’ho già detto cosa è successo,” replicò. “Durante l’ultima battaglia mi sono schiantato con Red sul pianeta più vicino. Avevo il casco abbassato solo a metà ed il gas nell’atmosfera mi ha completamente fottuto gli occhi.”

“Linguaggio, ragazzino,” lo rimproverò non troppo seriamente Coran.

“Ed un Galra ti ha salvato?” Domandò Allura.

“Sì!” Esclamò Lance esasperato. Non era completamente la verità, però. “No…” Ritrattò con una smorfia. “Mi ha tenuto in vita perchè sono un Paladino di Voltron. Ero un prigioniero utile.”

“Quindi, sei stato fatto prigioniero?”

“Sì, Allura, ma…” Lance sospirò frustrato. “Voglio parlare con Keith.”

La Principessa inarcò le sopracciglia chiare. “Con Keith?” Non pareva sorpresa ma, forse, un poco delusa. “Lance, preferisci che…” Guardò Coran. “Saresti più a tuo agio se fossimo solo io e te?”

Lance si umettò le labbra imbarazzato. “Non è questo, Allura.”

“Non sono qui come Principessa.”

“Lo so.” Lance prese un respiro profondo e s’impose di comportarsi gentilmente. “Voglio parlare con Keith,” ripeté. “Per favore…”

Un istante di esitazione e la mano di Allura lasciò andare la sua.

“Mi dispiace,” si sentì in dovere di aggiungere Lance.

Lei le rivolse un sorriso appena accennato. “Non preoccuparti. Capisco.”

I due Altean uscirono insieme.

Come la porta si richiuse, Lance si strinse le ginocchia al petto. Vi appoggiò la guancia stancamente. Coran aveva abbassato le luci della sua camera per il bene dei suoi occhi ma Lance riusciva a vedere come se i mesi di cecità che si era lasciato alle spalle non fossero mai esistiti.

Si era guardato allo specchio ed aveva cercato nel suo riflesso qualcosa che potesse confermargli che tutto quel che aveva vissuto era accaduto realmente, che non era stato solo un sogno particolarmente vivido.

Era così assurdo ripensarci e realizzare che di quei ricordi tanto intensi non aveva nemmeno un’immagine ma solo le sensazioni che quegli eventi avevano lasciato sulla sua pelle.

“Lance…”

Il Paladino Blu sobbalzò appena e sollevò lo sguardo: Keith era di fronte a lui con quell’espressione tra il preoccupato ed il confuso che lo faceva apparire ancor più giovane dei suoi diciotto anni.

Lance accennò un sorriso. “Ehi…”

Keith lo interpretò come un invito ad avvicinarsi e si sedette in fondo a letto. “Allura ha detto che vuoi parlare con me.”

L’altro annuì.

“Sono qui. Ti ascolto.”

Lance lo guardò fisso per alcuni istanti. “Non potevo parlarne con lei,” tentò di giustificarsi. “Non avrebbe capito.”

“E pensi che io potrei capire?”

“Non lo so...” Ammise Lance. “Spero di sì?”

Keith inarcò le sopracciglia. “Me lo stai chiedendo?”

Lance sbuffò, poi drizzò la schiena guardando il nuovo leader di Voltron a testa alta. “Puoi promettere di restare ad ascoltarmi fino alla fine?”

“Non vuoi che ti faccia delle domande?”

“No! Cioè… Sì, se vuoi!”

“Lo voglio!” Rispose Keith con fare intimidatorio.

“Allora, falle e basta!” Esclamò Lance alzando entrambe le mani. “Non c’è bisogno di essere così aggressivo.”

“Che ci facevi sulla nave di…?”

“Mi hanno catturato!” Tagliò corto il Paladino Blu. “L’ultima volta che abbiamo formato Voltron, ricordi? Io sono precipitato dopo che ci hanno colpiti…”

“Tutti ci dicevano che dovevi essere morto per forza per via dei gas naturali di quel pianeta,” disse Keith con espressione grave. “Tutti continuavano a ripeterci che recuperare Red era più importante. Ti credevamo morto, Lance.”

Il Paladino Blu abbassò gli occhi. “Mi dispiace,” mormorò. “Se avessi avuto un modo per farvi sapere che ero vivo, lo avrei usato.”

Keith inspirò profondamente dal naso. “Poi ci hanno informato che Red era in mano ai Galra e, quindi, abbiamo cominciato a credere che fossi lì, prigioniero.”

“Ero lì,” confermò Lance. “Però, non era prigioniero… Cioè, non fino alla fine.”

Keith si concesse un attimo per studiare la sua espressione. “Stiamo entrando nella parte complicata della storia?” Domandò. “Quella di cui non vuoi parlare con Allura?”

“No, Keith, devo dirti cosa è successo prima,” rispose Lance. “Devo cominciare dal principio e potrebbe volerci del tempo.”

“Abbiamo tutto il tempo che ti serve,” lo rassicurò Keith. “Non vado da nessuna parte, Lance. Ci sei stato per me. Anche quando sbagliavo, sei rimasto. Se vuoi che ti ascolti, lo farò.”

Gli angoli della bocca di Lance si sollevarono un poco, il cuore un poco più leggero. “Ero ancora cosciente dopo che la formazione è andata distruttai e ho perso il controllo di Red. Ho sentito lo schianto e ho avuto paura di essermi rotto qualcosa ma ho mantenuto la calma… Il peggio è cominciato quando ho capito che la radio non funzionava ed il gas ha riempito la cabina di pilotaggio.” Artigliò le lenzuola sotto di sè. “Ricordo ancora quel dolore....”

Keith si fece più vicino. “Con calma, Lance. Non devi rivivere tutto se non vuoi.”

“Invece, sì!” Esclamò Lance con le lacrime agli occhi. “Devo farlo o non riuscirai a capire che cosa è successo dentro di me e…”

“Lance, respira,” Keith gli afferrò le braccia. “Eri nella cabina di pilotaggio ed il gas ha cominciato a fare effetto. E dopo? Che cosa è successo dopo?”

Lance inspirò dalla bocca. “Ero certo che sarei morto,” raccontò. “Ed un Galra mi ha salvato…”









 
 

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Capitolo 2
*** Prigioniero ***



Numero Parole: 1567
Prompt/Traccia: P. 24. Senza respiro
 
I
Prigioniero


 

Qualche mese prima...
 


”Lance!” Keith prese ad urlare il suo nome nella radio ancor prima che il Paladino Blu si rendesse conto di quello che stava succedendo.

Lance era ancora cosciente. Aveva avvertito chiaramente il legame con i suoi compagni venire meno e la formazione Voltron spezzarsi.

”Lance!”

“Keith, non riesco a… Ah!” Qualcosa lo colpì e Red prese a precipitare più velocemente. Lance strinse i controller con tutta la forza che aveva ma non servì a molto.

Avanti! Urlò nella sua testa. Avanti, Red!

Il leone, però, non rispose al suo richiamo.

Fu allora che cominciò ad avere paura. “Keith!” Chiamò in una disperata richiesta di aiuto. “Keith!”

Lo schianto fu tanto violento che venne sbalzato via dal posto di pilotaggio.

Batté la testa.

L’ultima cosa che Lance vide fu il cielo stellato sopra quel pianeta senza nome.




Non fu la mancanza d’aria a svegliarlo ma il dolore lancinante agli occhi.

Lance provò ad urlare ma respirare gli era difficile, come se tutto l’ossigeno nella cabina di pilotaggio fosse stato risucchiato lasciandolo ad agonizzare in una scatola senza uscita.

Gli occhi bruciavano dietro la palpebre chiuse.
Non riusciva ad aprirli.

Non riusciva a capire cosa stava succedendo intorno a lui.

“Keith!” Chiamò con il poco fiato che gli era rimasto. “Keith!”

Non gli rispose. La radio era morta e molto presto la sarebbe stato anche lui.

Red! Red!

Se il suo leone avvertì il suo dolore, però, non fece nulla per aiutarlo.

Lance provò a mantenere la calma, a respirare ma fu come inalare polvere e cenere. Tossì, si girò sullo stomaco e provò a muoversi. Piangeva ed il dolore agli occhi continuava ad aumentare.

Gli veniva da vomitare ma sapeva che se avesse ceduto alla nausea sarebbe morto soffocato nel suo stesso schifo.

Si portò le mani al viso ed il casco gli scivolò via dalla testa. Non c’era nulla sui suoi occhi, eppure il dolore era tale che gli pareva di avere qualcosa di ardente dentro la testa.

Spalancò la bocca in un urlo silenzioso.

Basta! Fa male! Basta!

Sentì il sangue scorrere giù dal naso ed avvertì il sapore metallico sulla lingua.

Collassò sulla schiena e lasciò che il terrore ed il dolore si prendessero quello che rimaneva di lui.

Stava morendo. Stava morendo davvero.

“Ma… Mamma…” Era il pianto disperato di un bambino ma non era nella posizione per vergognarsene. Tutto stava per finire e non aveva avuto nemmeno l’opportunità di salutarla, di riabbracciare suo padre, i suoi fratelli ed i suoi nipoti.

Lasciò andare un singhiozzo e seppe di aver sprecato l’ultima briciolo di ossigeno di cui disponeva.

Spalancò la bocca e, nonostante il dolore, sgranò gli occhi.

Non vide niente. Prese a contorcersi spasmodicamente cercando una fonte d’aria che non esisteva.

Nessun ricordo felice riemerse dalla memoria per consolarlo in quegli ultimi istanti.

Non ci fu niente di poetico, solo il suo corpo che moriva tra atroci sofferenze.

Lance desiderò solo che finisse in fretta.

Non accadde.

Ad un passo dal suo ultimo battito di cuore, il destino fece marcia indietro per Lance McClain.

Non si rese conto che delle mani lo stavano toccando, nè sentì il casco scivolare di nuovo sopra la sua testa. L’unica cosa che riuscì a registrare fu l’ossigeno che di colpo gli inondò i polmoni.

Ingoiò aria tra un colpo di tosse e l’altro ignorando deliberatamente il dolore al petto. Quello passò un respiro alla volta ma gli occhi continuarono a bruciare. Chiuse di nuovo le palpebre e cercò di recuperare il controllo di sè.

Stava respirando. Era vivo.

Qualcuno lo aveva salvato.

“Sì, l’ho trovato,” disse una voce maschile sopra di lui. “È quello ross… Blu.”

“È quello rosso o blu?”

Domandò una vocetta allegra, resa un poco meccanica dal ricevitore.

”Ahia!”

“Lascia parlare me, Ezor.”
Una voce di donna, più matura delle precedente. ”Serve il nostro intervento?”

“No,” rispose il suo misterioso salvatore. “Ce la faccio da solo.”

Solo allora Lance sentì la pressione di una mano contro il suo petto. Avrebbe voluto aprire gli occhi ma aveva paura che il dolore sarebbe aumentato. Dischiuse le labbra.

Che sei?

Emise solo dei versi sconnessi.

“Non provare a parlare,” gli disse il suo salvatore con tono incolore. “Devi avere un polmone collassato o un’emorragia interna di qualche tipo. Mi sorprende che tu riesca ancora a respirare da solo.”

Lance aveva paura di muoversi, di scoprire che aveva subito più danni di quelli che poteva avvertire. Come se non riuscire ad aprire gli occhi fosse una cosa da poco.

“Mandate una nave da carico a recuperare il Red Lion,” ordinò l’uomo che lo aveva salvato. “Al Paladino penso io.”

Fu allora che Lance cominciò ad intuire in che tipo di situazione era finito.

”Ricevuto.” Rispose la voce di donna all’altro capo del canale di comunicazione.

Lance scosse la testa: non si sarebbe lasciato catturare così facilmente.

Cercò di sollevarsi a sedere ma fu facile per la sua mano sul suo petto tenerlo fermo. “Non essere stupido,” disse l’uomo senza nome. “Sei a pezzi, non puoi scappare. Hai perso questa battaglia, Paladino.”

Lance strinse i pugni, poi afferrò il braccio che lo costringeva a terra: non aveva perso fino a che poteva ancora lottare. Il suo tentativo di liberarsi si concluse con un violento colpo alla testa.

L’assenza di sensazioni che seguì fu quasi un sollievo.




Quando riprese conoscenza, qualcosa gli copriva gli occhi e le spalle gli dolevano: gli avevano legato i polsi sopra la testa.

Qualcosa lo toccò. Sussultò.

“È cosciente,” decreto la stessa voce di donna che aveva udito attraverso il canale di comunicazione del suo salvatore. La seconda, quella più matura.

No, ricordò, nessuno lo aveva salvato affatto.

Sentiva freddo, Lance. Doveva essere in una stanza molto grande perchè il rumore di passi che spezzò il silenzio riecheggiò contro le pareti. “Sai dove ti trovi?” Era l’uomo che lo aveva catturato.

Lance strinse i pugni. “È una battuta?”

Un istante di silenzio, poi avvertì il ronzio familiare di una blaster in carica.

Trattenne il fiato.

“Ferma,” ordinò l’uomo. “È un Paladino di Voltron, dopotutto. Non ci aspettavamo collaborasse.”

Era divertito? Lance non poteva esserne certo ma aveva la netta sensazione che stesse ghignando. Uno di quei ghigni insopportabili da cancellare a suon di pugni.

“Ma è quello Rosso o quello Blu?” Domandò una vocetta allegra, da ragazzina. La stessa che Lance aveva udito nella cabina di pilotaggio di Red.

“Sta un po’ zitta, Ezor!” Ringhiò qualcun altro.

Letteralmente, ringhiò. E lo fece con un tono femminile per di più!

Nelle mani di chi era finito?

“Sono il Paladino Blu!” Affermò con fierezza. Potevano anche averlo fatto prigioniero ma aveva ancora il suo orgoglio. Quanto utile potesse essergli in quella situazione non lo sapeva neanche lui, ma non si sarebbe lasciato piegare dalla paura.

Ancora rumori di passi. “Allora perchè pilotavi il leone del Re di Altea?”

Non esisteva una risposta semplice a quella domanda e, soprattutto, era un’informazione di cui il nemico non doveva venire a conoscenza. Ci mancava solo che i Galra scoprissero che il Black Lion continuava a rifiutare il Paladino Nero che aveva sconfitto Zarkon e che, per ovviare al problema, la Principessa Allura era entrata a far parte della formazione di Voltron.

Lance strinse le labbra e rimase in silenzio.

“Torturiamolo!” Propose la donna dalla voce animalesca. “Gli si scioglierà la lingua in un attimo!”

Lance serrò i pugni e cercò di preparare se stesso al dolore che stava per arrivare.

Non accadde nulla, però.

“È vivo per miracolo,” obiettò l’uomo. “Potrebbe non resistere ad un altro trauma fisico.”

Lance fu sorpreso da tanta magnanimità da parte di un Galra dell’impero.

“Ci serve vivo,” aggiunse. “Abbiamo il Red Lion ma la vita di un compagno alza di gran lunga il prezzo per gli altri Paladini.”

“E se tentasse di scappare?” Domandò la donna con la voce più matura.

Lance fece una smorfia: quanto gli dava fastidio non poter associare un volto a tutti loro.

Gli facevano girare la testa.

“Ha perso la vista,” rispose l’uomo con voce incolore, come se non fosse un fatto importante.

Lance sentì il respiro venire meno.

“Anche volendo, non saprebbe come andarsene.”

Ancora rumore di passi: si stavano allontanando.

“Asp-Aspettate!” Li richiamò. “Aspettate! Che cosa significa che ho perso la vista?”

Come se ci fosse bisogno di aggiungere inutili dettagli ad una realtà tanto semplice. Ripensò al dolore che aveva provato nella cabina di pilotaggio, all’impressione di avere qualcosa d’incandescente dentro la testa.

“Aspettate!”

Nessuno lo ascoltò.

Udì il rumore veloce di una porta automatica che si richiudeva e seppe di essere rimasto da solo. Completamente da solo.

Urlò. Urlò fino a non avere più fiato.

Che tornassero per chiudergli la bocca, se volevano. Non aveva paura di loro.

Non aveva… Era terrorizzato.

“Shiro…” Chiamò con un filo di voce. Quanto gli serviva un suo incoraggiamento in quel momento, uno di quelli che lo facevano sentire forte anche ad un passo da una sconfitta certa. “Hunk… Pidge…” Loro, invece, gli aveva sempre ricordato casa… Quella che, aveva realizzato, non avrebbe rivisto mai più.

“Keith…” Fu l’ultimo. “Keith…”

Quanto si stava sentendo in colpa per non essere riuscito a salvarlo?

Lance chinò la testa in avanti e lasciò andare le lacrime.




 

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Capitolo 3
*** Lealtà ***


Numero Parole: 1958
Prompt/Traccia: P. 2. Pelle
 


II
Lealtà



L’uomo non venne mai ad interrogarlo.

Oppure, fu lì per tutto il tempo ma non parlò mai.

Lance non poteva saperlo.

Furono le donne a fare tutto il lavoro.

“Perchè eri sul micio Rosso se sei il Paladino Blu?” Domandò una vocetta allegra da ragazzina. Era Ezor.

Era quella che Lance preferiva: era l’unica a non fare le domande serie. Probabilmente, era una strategia per metterlo a suo agio, per indurlo ad aprirsi più del dovuto.

Sorrise incrociando le gambe sul materasso su cui l’avevano spostato durante il suo secondo giorno di prigionia.

Lance non aveva osato muoversi da lì.

“Spiacente, signorina ma non rilascio dichiarazioni!” Esclamò con un’allegria che non aveva nulla di sincero. Poteva quasi sentire la voce di Keith nella sua testa che gli diceva quanto era sciocco.

Gli mancava Keith. Gli mancavano tutti.

Non potevano essere passati che pochi giorni e a Lance pareva fosse trascorso un secolo dall’ultima volta che aveva visto le stelle… O qualsiasi altra cosa.

“Questo Gattino Blu parla strano,” commentò Ezor.

Gattino Blu. Sì, Ezor gli piaceva.

“Ma perchè non lo torturiamo?”

Zethrid. Quella era Zethrid.

“Perchè così ci direbbe solo quello che vogliamo sentirci dire,” intervenne l’ultima donna del gruppo di cui Lance aveva imparato il nome: Acxa. Non sapeva perchè ma suonava più grande delle altre. Più matura.

Di norma, era lei a cercare le informazioni che davvero contavano. “Che tipo di accordo c’è tra i Paladini di Voltron e la Lama di Marmora?” Domandò.

Lance inarcò le sopracciglia – si chiedeva se fossero visibili con quella sorta di benda d’acciaio che gli avevano messo sugli occhi. “Accordo?” Chiese.

“Siete alleati, no?” La voce di Acxa era calma, incolore.

C’era qualcosa di lei che gli ricordava Shiro. Gli trasmetteva la stessa forza e solidità.

“Sì, lo siamo!” Esclamò Lance annoiato. Non era un segreto di stato, solo che i popoli dei pianeti che liberavano non ne parlavano perchè era difficile accettare dei Galra come salvatori. “Non capisco cosa vogliate sapere. A voi dell’Impero suona così strano il concetto di alleanza?”

“Bada a come parli, insetto!” Ringhiò Zethrid.

Lance premette la schiena contro il muro freddo alle sue spalle ma il timore scivolò via velocemente: non poteva permettersi di mostrarsi debole o i suoi nemici ne avrebbero approfittato subito.

“Per cosa pensate che la Lama di Marmora stia combattendo?” Ribatté. “Per cosa pensate che chiunque nell’universo stia combattendo?”

Ci fu un lungo istante di silenzio ed immobilità.

Lance odiava i momenti così: i rumori e le voci erano le uniche cose che potevano aiutarlo ad intuire cosa accadeva intorno a lui. Il silenzio non gli era mai piaciuto un granchè ma ora lo terrorizzava.

“Vieni da un pianeta conquistato?” Domandò Acxa.

Lance venne preso alla sprovvista da quella domanda. “Prego?”

“Vieni da un pianeta conquistato?” Ripeté lei.

“Che diavolo centra questo?”

“Tu perchè combatti questa guerra?”

Lance aprì la bocca, poi la richiuse. Si concesse un attimo per pensare, poi l’aprì di nuovo: “perchè eravate tanto così d’arrivare sul mio pianeta quando tutta questa storia è iniziata!” Rispose con rabbia. “Perchè, per quel che ne so, potreste averci riprovato! Potreste averlo conquistato mentre io sono qui a rispondere alle vostre stupide domande!”

Si stava scoprendo troppo e lo sapeva. Lance, però, era stanco e l’oscurità in cui si trovava stava cominciando a farlo impazzire. Si portò le mani al viso e cercò un modo per liberarsi da quell’arnese che gli copriva gli occhi.

“Che cerchi di fare?” Domandò Acxa.

“Non è evidente?” Lance si tastò la nuca alla ricerca di un pulsante, un… Qualcosa che potesse liberarlo da quell’affare.

“Non puoi aprirlo…”

“Stai zitta!” Urlò Lance.

“Io ne ho abbastanza!” Ringhiò Zethrid. “Abbiamo Narti! Facciamogli il lavaggio del cervello e facciamolo cantare!”

Lance si fece rigido.

Narti. Era un nome che non avevano pronunciato fino a quel momento. Che fosse il nome dell’uomo che lo aveva catturato?

Lance scartò quell’ipotesi immediatamente: non poteva dirsi un esperto di nomi Galra ma ne aveva sentiti abbastanza per sapere che Narti non aveva il suono giusto per essere il nome di un uomo.

“Siete in quattro…” Disse ingenuamente. “Siete quattro ragazze più… Quall’altro?”

“No, no, no! Nessuna domanda, Gattino Blu,” cinguettò Ezor e Lance poteva quasi vederla mentre muoveva l’indice da destra a sinistra come se stesse sgridando un bambino piccolo. “Solo noi facciamo le domande. Tu rispondi. Questo è il gioco.”

“Ed io non mi sto divertendo affatto…” Commentò Lance abbandonando la nuca contro la parete.

“Anche questo è previsto dalle regole,” aggiunse lei.

“Ezor…” La rimproverò Acxa. “Non siamo qui per giocare.”

“Perchè Narti non partecipa al gioco?” Domandò Lance con sarcasmo. “Il gatto le ha mangiato la lingua?”

Il silenzio che cadde dopo fu inquietante ed il Paladino Blu ebbe la sensazione di aver detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire.

“Uscite,” ordinò una voce maschile che Lance non aveva udito dal giorno in cui era stato fatto prigioniero. Come aveva sospettato: l’altro era stato lì per tutto il tempo senza dire una parola.

“Narti, vieni con me,” aggiunse.

Lance udì il rumore di passi allontanarsi, poi quello di una porta che si apriva e si spinse contro la parete come se questa potesse offrirgli qualche riparo. Una mano ben più grande della sua gli afferrò il polso ed un’esclamazione spaventata sfuggì al suo controllo.

“Guarda,” ordinò l’uomo.

Se non avesse significato condannarsi a morte da solo, Lance lo avrebbe preso a pugni. “E come dovrei… Ah!”

Si sentì tirare in avanti e si ritrovò con le mani appoggiate sulle spalle di qualcuno.

“Guarda,” ripetè l’uomo.

Da principio, Lance rimase completamente immobile. Aveva capito cosa doveva fare ma non si sentiva del tutto a suo agio a farlò. Si morse l’interno della guancia e risalì la linea di quelle spalle con mani tremanti. Poteva sentire il tessuto della suit sotto le dita: non aveva una consistenza così diversa dalla sua, solo le linee dell’armatura erano diverse.

Quando arrivò a toccarle il viso, però, Lance si assicurò di farlo solo con la punta delle dita. La pelle era fredda in modo singolare. Tracciò la linea di quella che doveva essere una bocca ma assomigliava più a quella di un animale che di una persona.

Lance decise di non soffermarsi troppo su quel dettaglio. Proseguì. Il naso era schiacciato come quello di un rettile ma quel particolare non lo atterrì quanto quello che seguì.

All’inizio, non comprese. Arrivò anche a far aderire completamente i polpastrelli a quel viso alieno per capire e… No, quella creatura non aveva gli occhi.

Lance si ritrasse come se fosse stato scottato.

Non lo vedeva ma sapeva che l’uomo che lo stava guardando era soddisfatto da quella sua reazione. “Puoi andare, Narti,” lo sentì dire.

La donna non replicò in alcuno modo. Si limitò a fare quello che le era stato detto.

Lance udì la porta della cella aprirsi e richiudersi ancora una volta ma sapeva di non essere solo. Piegò le gambe stringendo le ginocchia contro il petto in un infantile tentativo di proteggere se stesso. “Che cosa le è successo?” Si ritrovò a chiedere.

“Niente,” rispose l’uomo. “È nata così.”

Lance sollevò la testa seguendo la direzione della voce dell’altro in modo meccanico. “I Galra non sono così.”

“Non è solo Galra.”

“Che cosa significa che non è…” Lance si bloccò, colto da un pensiero improvviso. Un ricordo era riemerso di colpo, come se qualcuno avesse inaspettatamente acceso una luce nella sua mente. “Quattro donne. Quattro soldati Galra… Che non sembrano Galra.”

Come aveva potuto non pensarci prima? Erano state le uniche guerriere contro cui avevano combattuto!

“Siete gli uomini del Principe Lotor,” concluse e realizzarlo gli spezzò il respiro per un lungo battito di cuore.

L’uomo che aveva di fronte non provò nemmeno a negarlo. “Sì, esatto.”

Il Paladino inspirò profondamente dal naso cercando di mantenere il controllo di sè. “E tu chi sei?” Domandò. “Sei un suo Generale? Sei il Sendak del Principe o qualcosa del genere?”

Per una volta, l’altro non ebbe la risposta pronta. “Sendak era uno schiavo,” replicò. “Io non appartengo a nessuno.”

Se non fosse stato tanto teso, Lance sarebbe anche scoppiato a ridere. “Fai il lavoro sporco per il figlio di Zarkon,” sottolineò. “Non so quanto questo si accosti bene al concetto di libertà.”

“E tu sai qualcosa del concetto di lealtà?”

“Oh,” Lance annuì con una smorfia. “Lealtà… È così che il Principe definisce quelle strategie da guerra tipiche dell’Impero in cui un disgraziato a caso viene trasformato in un mostro gigante e mandato contro Voltron come carne da macello?”

“Quelli erano Zarkon e la sua strega,” replicò l’uomo. “Il Principe Lotor non è nessuno dei due.”

Lance sbuffò. “Non m’interessa,” replicò. “Combatte contro Voltron e tanto mi basta. Dimmi, piuttosto, perchè hai voluto che toccassi il viso di Narti?”

“Perchè avete qualcosa in comune,” spiegò il Generale. “E quel qualcosa in comune è ciò che m’impedisce di farti parlare con la forza.”

Lance ridacchiò con sarcasmo. “Alle tue ragazze non piace la violenza o si sentono male al pensiero di rovinare tanta bellezza?” Indicò se stesso con un sorrisetto arrogante.

“Ad una di loro non piace usarla senza motivo.”

“Fammi indovinare… Non è Zethrid!”

“Se volessi, potrei ordinare a Narti di entrare nella tua testa e rovistare tra i tuoi pensieri come se fossi un bambolotto privo di qualsiasi volontà.”

Lance smise di sorridere immediatamente.

“Sarebbe comodo per me,” aggiunse il Generale. “Non ci sarebbe alcuna possibilità per te di resistere e non rischierei di perdere un ostaggio prezioso da usare contro i tuoi compagni.”

Il Paladino strinse i pugni. “Allora perchè non lo fai?” Sfidare le persone sbagliate era sempre stato un suo difetto.

“Perchè so che a lei non farebbe piacere.”

“Eh?” No, non era il genere di risposta che si era aspettato. “Non vuoi dare ad un tuo sottoposto un ordine per non arrecarle dispiacere?”

“Lo farei se non avessi altra scelta e Narti obbedirebbe senza portarmi rancore. Tuttavia... esistono molti modi in cui puoi esserci utile e, in tutta franchezza, qualunque informazione tu possegga non mi è indispensabile quanto la tua vita.”

“Come sarebbe a dire?” Domandò Lance allarmato.

“Lealtà,” disse il Generale con tono derisorio. “È una prerogativa dei Paladini. Non ha importanza che tu mi dica dove si trovano i tuoi compagni. Saranno loro a venire da te.” Una pausa. “E noi saremo qui ad aspettarli.”

Lance non seppe cosa lo spinse a muoversi. Non aveva mai percepito una forza simile ma ebbe l’impressione che la rabbia ne fosse una componente fondamentale.

Era disarmato, accecato ed il Galra che aveva davanti doveva essere almeno il doppio di lui ma non poteva restarsene immobile mentre quel bastardo progettava la disfatta dei suoi compagni. In particolar modo, non poteva accettare che lo facesse usando lui.

Protese le braccia in avanti per afferrarlo, colpirlo, qualcosa ma finì rovinosamente sul pavimento senza essere nemmeno riuscito a sfiorare il suo nemico.

Una risatina sarcastica alle sue spalle gli fece ribollire il sangue nelle vene.

“Deludente, Paladino Blu,” disse il Generale. “Immagino che, alla fine, la leggenda di Voltron non sia altro che quello che è…”

Lance si sollevò sui gomiti. Strinse i pugni ma non tentò altri colpi di testa: aveva imparato presto cosa significava subire una sconfitta e quella lo era sotto ogni punto di vista.

Il Generale si mosse, si fece più vicino. Lance pensò che avesse appoggiato un ginocchio a terra perchè la sua voce scivolò direttamente nel suo orecchio quando parlò di nuovo.

“Puoi consolarti sapendo che i tuoi compagni cadranno per te.” Disse. “In guerra, penso che sia la più alta forma d’amore.”





 

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Capitolo 4
*** Silenzio ***


Numero Parole: 2789
Prompt/Traccia: P. 6. Malfunzionamento

III
Silenzio

 


Da quel giorno, fu il Generale a parlare con lui per la maggior parte del tempo. “Il tuo pianeta si chiama Terra, vero?”

Non lo interrogava. Non cercava di ricavare da lui informazioni utili alla guerra.

Era stato di parola: Lance non avrebbe recitato altro ruolo in quella terribile storia se non quello dell’ostaggio e dell’esca. L’unica cosa che poteva fare era starsene disteso su quel dannato materasso circondato da quell’opprimente oscurità da cui, suo malgrado, solo le voci del Generale e delle sue ragazze riuscivano a strapparlo.

Lance se ne vergoganava. Non voleva che la vicinanza del nemico rappresentasse un qualche tipo di conforto per lui. Non quando sarebbero stati i proprietari di quelle stesse voci a massacrare i suoi compagni.

“Mi hai sentito?” Domandò il Generale.

Sì, Lance lo aveva sentito chiaramente ma non aveva alcuna voglia di rispondere. Se ne stava disteso su quel materasso dalle lenzuola ormai luride con il viso rivolto verso il soffitto. Non lo vedeva ma sapeva che gli non avrebbe prestato particolare attenzione se avesse potuto. Era solo un modo come un altro per contemplare l’inevitabile: Keith stava per portare se stesso e tutti gli altri in una trappola mortale e Lance non poteva fare assolutamente nulla per evitarlo.

Quella consapevolezza lo dilaniava.

Si girò su un fianco, si raggomitolò su se stesso: aveva ancora addosso l’armatura e cominciava a fare male in più punti della schiena, oltre a fare ribrezzo.

“Mi hai sentito ma non mi stai ascoltando,” notò il Generale.

Un pregio ce lo aveva: non bisognava dargli troppe spiegazioni.

Era intuitivo, abile nell’usare le parole e Lance provava un sincero timore a dialogare con lui. Il fatto che non lo stesse interrogando non significava che avesse rinunciato a studiarlo. Era pur sempre il Paladino Blu e conoscere lui significava conoscere una delle cinque parti di Voltron.

C’erano momenti in cui Lance aveva voglia d’informarlo che era l’ultima ruota del carro della sua squadra, che si era creato un talento quasi dal nulla e che vi si era attaccato con le unghie e con i denti pur di riconoscere a se stesso qualche valore.

Voleva farlo per incrinare la compostezza con cui il Generale si atteggiava nei suoi confronti, per sbattergli in faccia che, forse, il suo piano diabolico per attirare i restanti quattro Paladini in trappola non era poi così perfetto.  

Poteva percepire la sua sicurezza nel tono della sua voce, nel modo in cui gli parlava ed anche dalle parole che usava.

Era curioso. Passava il tempo con lui come lo avrebbe fatto un terrestre con una curiosa creaturina aliena.

In fin dei conti, Lance era proprio questo per quel Generale: un alieno.

“Raccontavano che il Campione era figlio di un pianeta chiamato Terra,” disse il suo carceriere con tono casuale. “Tu appartieni alla sua stessa specie.”

Suo malgrado, Lance sentì le labbra piegarsi in un sorriso divertito: c’era qualcosa di poetico nel modo in cui gli alieni riuscivano a concepire gli abitanti di ogni singolo pianeta come un popolo unico.

Di contro, rendeva ancor più ridicolo che, in molti casi,  i terrestri non fossero capaci di vedere il loro prossimo come un proprio simile.

In fondo, avevano solo un pianeta in comune, no?

Sulla Terra, un giovane uomo di origini giapponesi e un ragazzino di Cuba erano due individui lontani, completamente diversi. Nello spazio le cose erano diverse. Lì, tra le stelle, essere terrestri era un po’ come essere fratelli.

Ora che aveva il tempo di rifletterci, Lance doveva ammettere che era una cosa che gli piaceva. Sì, essere il fratello di altri quattro giovani completamente diversi da lui ma con un pianeta in comune ed era qualcosa di assurdamente bello.

Perchè non lo aveva detto a tutti loro quando ancora ne aveva la possibilità?

Perchè ci pensava solo in quel momento, mentre era troppo tardi per dire o fare qualsiasi cosa?

Campione non è il suo nome,” replicò Lance distrattamente.

Non voleva partecipare a quella conversazione ma non poteva nemmeno rischiare di far annoiare il suo carceriere: finchè era vivo poteva sempre a provare a fare qualcosa per i suoi compagni.

Anche se non era ancora riuscito a capire cosa.

Il Generale esitò un istante. “Shiro…” Disse con un poco d’insicurezza. “Shiro è il suo vero nome, giusto?”

Lance voltò il viso nella direzione in cui credeva che l’altro si trovasse. “Come lo sai?”

“Nell’Impero il suo nome è più conosciuto di quello del Principe,” spiegò il Generale. “La speranza nasce da una piccola cosa e diviene più grande un sussurro dopo l’altro. Così nascono gli eroi del popolo.”

“Shiro non è solo una speranza sussurrata,” replicò Lance con astio. “Zarkon ne sa qualcosa!”

Il Generale non parlò per un lungo istante. Forse, nominare il suo Imperatore non era stata una grande idea. Lance, tuttavia, non era certo che la lealtà di cui avevano parlato in precedenza valesse per Zarkon quanto valeva per il Principe Lotor. Non per quell’uomo e per le donne ai suoi ordini, almeno.

“È stato Zarkon stesso a plasmare la sua  caduta,” disse il Generale.

Per Lance, quelle parole furono la conferma che la sua intuizione era giusta: l’equilibrio del potere nell’Impero non era così fermo come i Galra facevano credere ai loro nemici. Lance non era certo che questa fosse una buona cosa.

Zarkon era una minaccia instabile. Se il Principe Lotor era come lui, uno scontro tra i due non avrebbe coinvolto solo i membri dell’Impero ma anche tutto ciò che vi era intorno.

E la coalizione di Voltron non si sarebbe salvata dall’onda d’urto.

“Sono parole tue?” Domandò Lance mettendosi a sedere. “O sono del Principe?”

“Non permetto a nessuno di mettermi delle idee in testa,” replicò il Generale. “Lotor non è Zarkon ed io non sono uno schiavo.”

Lance sbuffò. “L’hai già ripetuta questa storia della schiavitù ma perdonami se non riesco a vedere nel tuo Principe questo sovrano illuminato di cui vai tanto fiero!”

“Avete esplorato le sue colonie?” Domandò il Generale.

Lance venne preso di sorpresa. “Ha delle colonie?”

“L’universo è grande, Paladino Blu. Potrà sorprenderti ma è ben più grande di un Impero creato in diecimila anni.”

“Lotor ha un impero suo?”

“Stai facendo troppe domande.”

“Tu non fai altro con me da giorni,” ribatté Lance annoiato. “Perchè t’interessa sapere del mio pianeta? Non saprei nemmeno indicarti la rotta per raggiungerlo!”

Il silenzio che seguì diede al Paladino l’idea che fu il Generale ad essere preso di sorpresa quella volta. “Non sai dove è il tuo pianeta?”

“No e non ne voglio parlare!” Tagliò corto Lance incrociando le braccia contro il petto ed appoggiando la schiena alla parete.

Il Generale rimase non forzò il suo silenzio. Al contrario, tacque a sua volta ma Lance lo sentì muoversi nella stanza avanti ed indietro.

Il Paladino trasalì quando sentì il materasso abbassarsi sotto il peso di una seconda persona. Premette la nuca contro la parete fredda e rimase immobile. Poteva percepire il respiro del Generale a poca distanza da lui ma, per sua fortuna, quella vicinanza fu breve.

L’uomo si allontanò dal suo letto emettendo un verso disgustato.

Lance inarcò le sopracciglia. “Cosa c’è?” Domandò scocciato.

“Emani un odore pungente,” rispose il Generale.

Sotto la benda d’acciaio, Lance sgranò gli occhi. “Prego?”

“Puzzi, Paladino,” ripetè l’altro in modo decisamente meno galante.

Lance spalancò la bocca scandalizzato. Provò a dire qualcosa ma l’indignazione era tale che riuscì solo ad aprire e chiudere le labbra come un pesce fuor d’acqua.

Il Generale lasciò andare uno sbuffo terribilmente simile ad un risata mal trattenuta.

“Non osare deridermi, bastardo!” Esclamò Lance. Sentì il sangue riversarsi sulle guance e seppe di essere arrossito. “Sono un prigioniero di guerra, non un damerino da compagnia! Sì, mi piacerebbe essere presentabile ma non ho molta voce in capitolo!”

“Ordinerò ad Acxa e le altre di prendersi cura di te,” disse il Generale. “Non mi sei utile in alcun modo se ti ammali. Non ho idea di quanto sia fragile la tua razza e non voglio rischiare.”

“Fragile?!” Urlò Lance spostandosi verso il bordo del materasso. “Vieni qui e ti faccio vedere io quanto sono fragile! Sono sopravvissuto a battaglia catastrofiche! Sono ancora vivo dopo aver respirato un gas letale e non credere…”

La porta della cella si riaprì e richiuse.

“E non te ne andare mentre ti sto ancora urlando contro!”


Il Generale fu di parola anche in quell’occasione.

Poche ore ed Acza ed Ezor si presentarono nella sua cella.

“Dobbiamo metterti queste, Gattino Blu,” disse quest’ultima allegramente afferrandogli un polso. “È più per la tua sicurezza che per la nostra! Non vogliamo mica che tu faccia qualche sciocchezza che ci induca a decapitarti, vero?”

Lei non lo vide ma Lance alzò gli occhi al cielo. Si lasciò ammanettare e non fece nulla per ribellarsi quando sentì le mani di entrambe le donne Galra sulle braccia.

Lo guidarono in silenzio lungo i corridoi della nave o della base. Lance non sapeva nemmeno se stessero ancora navigando o fossero fermi in un punto preciso. Per i primi metri, tentò anche di contare i passi, di memorizzare quando svoltavano ed in che direzione ma, alla fine, il mal di testa ebbe la meglio e dovette lasciar perdere.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi togliere quella benda e riuscire a vedere intorno a sè.

”Ha perso la vista. Anche volendo, non saprebbe dove andare.”

Quelle parole erano riecheggiate contro le pareti della sua mente molte volte in quei lunghi giorni di prigionia ma Lance continuava ad essere scettico. Sì, aveva avvertito un dolore agli occhi che non avrebbe mai trovato le parole per descrivere ma, fino a prova a contrario, l’unica prova che aveva della sua cecità era l’affermazione di un nemico.

E quella benda d’acciaio sui suoi occhi non faceva che renderlo più sospettoso.

Il rumore di una porta automatica che si apriva lo strappò dai suoi pensieri.

“Ce lo dobbiamo bollire dentro?” Udì domandare Zethrid.

Suo malgrado, Lance ridacchiò: la sete di violenza di quella Galra e la puntualità con cui non riusciva mai a soddisfarla era quasi comico.

“Sono più buono da crudo,” replicò. “Morbido e condito con un po’ d’olio.”

Alla sua destra, Acxa sospirò.

Ezor, invece, rise. “Questo Gattino Blu è divertente.”

“Non possiamo nemmeno annegarlo?” Domandò Zethrid disperata.

“L’ordine è di prendersi cura di lui,” spiegò Acxa. “Se non badiamo al suo igiene, si ammalerà.”

“Ed il mio naturale charme potrebbe rimetterci drammaticamente,” aggiunse Lance. “Non posso permettermelo mentre sono circondato da tante fanciulle.”

Ezor rise di nuovo. “Non puoi nemmeno vederci, Micino.”

“Non essere presentabile in presenza di una donna è contro i miei principi morali!” Esclamò Lance. “Bene, c’è qualche… Valletto nella stanza?”

Nessuno gli rispose. Forse, non lo avevano capito.

“C’è qualcuno che può aiutarmi a svestirmi ed entrare nella vasca?” Rivolse entrambi gli indici verso il suo viso. “Ho qualche problema tecnico a farlo da solo…”

“Oh! Ma ce ne occupiamo noi!” Lo informò Ezor con un po’ troppo entusiasmo.

Lance rimase calmo alcuni istanti aspettando che Acxa intervenisse e la riportasse alla ragione. L’altra Galra, però, rimase in silenzio e cominciò a temere che si trattasse di una cosa seria.

“Eh?” Domandò smarrito.

Non si curarono di lui nè del suo sgomento.

“Ti tolgo le manette,” lo informò Acxa e, per un volta, il Paladino credette di udire una nota minacciosa nella sua voce. “Se provi a fare qualcosa…”

“Siete in quattro contro uno, cosa potrei mai fare?” Domandò Lance esasperato. “E comunque non voglio essere…” Arrossì di nuovo e strinse le labbra.

“Oh, non sentirti imbarazzato!” Intervenne Ezor. “Per noi non sei un uomo, sei come un animaletto carino e curioso a cui stiamo per fare il bagno.”

Lance aveva sempre creduto che ci fosse un limite al numero di volte che un povero ragazzo poteva essere insultato gentilmente in un solo giorno ma il Generale e le sue ragazze non sembrano conoscerlo.

“Io non sono un animaletto!” Esclamò irritato mentre Acxa lo liberava delle manette. “Sono un giovane nel fiore degli anni che…”

Qualcuno tentò di togliergli l’armatura e Lance si ritrasse con un urletto. “Faccio da solo!” Disse tremolante. “Voltantevi tutte!”

“Se ci voltiamo come facciamo a portarti alla vasca?” Domandò Ezor.

“Non sei nella posizione di dare alcun ordine,” gli ricordò Acza duramente.

“No, non voglio!” Lance sapeva che quello non era il momento migliore per perdere la calma ma sapeva anche che non voleva che quella fosse la prima volta che una donna gli metteva le mani addosso. “State lontano da me!”

Zethrid emise un ringhio animalesco e Lance fu certo di avvertire la terra tremare sotto i suoi piedi mentre lei attraversava la stanza. Lo afferrò e gli strappò l’armatura di dosso senza alcuna premura.

Nudo come un verme, Lance non riuscì a dire e fare niente. Poté solo urlare istericamente, mentre Zethrid lo sollevava di peso e lo gettava come un rifiuto dentro la vasca piena d’acqua. Il suo sedere urtò il fondo dolorosamente e gli ci volle un istante di troppo prima di recuperare il controllo di sè abbastanza da tornare in superficie.

Tossì ed ingoiò aria, poi si passò una mano tra i capelli bagnati.

L’acqua era calda, confortevole ma si avvolse le braccia intorno al corpo come se avesse freddo.

“Uffa, volevo dargli un’occhiatina,” si lamentò Ezor.

“A cosa c’è da osservare?” Domandò Zethrid annoiata. “Niente cosa, orecchie terribilmente piccole, niente con cui possa difendersi in assenza di un’arma! I terrestri sono davvero degli insetti…”

Lance chinò la testa affondando nell’acqua fino alle spalle. Voleva sparire.

“Sì, ma ha un coso tra le gambe, volevo guardarlo meglio!” Esclamò Ezor.

D’istinto, il Paladino si strinse le ginocchia al petto.

Voleva sparire. Voleva sparire. Voleva sparire.

Qualcosa di freddo gli sfiorò la guancia e si ritrasse. Sentì le lacrime pungere agli angoli degli occhi e non si sforzò di trattenerle.

Appoggiò la fronte alle ginocchia e si lasciò andare.

“Che cosa gli prende?” Domandò Zethrid.

“Ezor, vallo a chiamare!” Ordinò Acxa.

“Perchè sta piangendo?”

“Ezor…”

“Va bene, vado!”

“Zethrid, Narti, aspettate fuori.”

Lance era tanto sconvolto da non riuscire più a distinguere le loro voci. A stento era in grado di capire quello che dicevano. Sentì la porta riaprirsi, la voce di Acxa farsi più lontana.

Il Paladino smise di singhiozzare. Prese un respiro profondo ma il caos nella sua testa non si placò. Quanto sarebbe stato bello mettere la testa sotto la superficie dell’acqua e fingere che tutto quello che stava accadendo intorno a lui fosse solo un brutto sogno.

Appoggiò la nuca al bordo della vasca e scivolò.

Sotto l’acqua, tutto gli parve improvvisamente più semplice.

Il calore lo avvolgeva come uno degli abbracci della mamma e l’assenza di suoni non era più una cosa negativa.

L’oscurità non era appariva più così minacciosa. Si chiese se era così essere nel grembo materno e desiderò che quel singolo minuto d’apnea che i suoi polmoni potevano concedergli durasse per sempre.

Venne strappato da quell’illusione contro la sua volontà.

Una mano gli afferrò i capelli più corti sulla nuca e lo tirò verso la superficie senza gentilezza.

Tossì di nuovo e riempì i polmoni d’aria.

La mano sulla sua testa, però, gli artigliò i capelli con rabbia e Lance inarcò la schiena lasciando andare un’esclamazione di dolore.

“Ti ho detto che mi servi vivo,” sibilò la voce del Generale molto vicino al suo orecchio.

Quello di Lance, però, non era stato un tentativo estremo di sfuggire a quella situazione.

No, era stato solo un banale, temporaneo tentativo di fuga dalla realtà.

E ad accoglierlo fuori da quell’illusione trovò di nuovo l’oscurità.

Agitò la testa e si liberò dalla presa del Generale, poi si portò le mani alla nuca afferrando spasmodicamente i bordi di quella benda d’acciaio.

Il Generale gli strinse il viso tra le dita. “Che cosa credi di fare?”

Lance si fece indietro. “Toglimela!” Urlò istericamente. “Toglimela immediatamente!”

“Cosa pensi di ottenere, Paladino Blu?”

”Toglimela!”

In risposta gli arrivò un colpo in pieno viso e fu tanto forte da sbatterlo contro il bordo della vasca. Stordito, Lance vi si aggrappó con le poche forze che gli erano rimaste.

“Acxa, esci di qui…”

“Mio signore…”

“Fuori.”

Lance non rimase attento abbastanza da capire se Acxa obbedì all’ordine o no. Riprese completamente il controllo di sé solo quando il Generale infilò le dita tra i suoi capelli cercando i bordi della benda d’acciaio. Non appena avvertì la pressione intorno alle sue tempie scomparire, Lance trattenne il fiato.

“Apri gli occhi.” Ordinò il Generale.

E Lance lo fece.





 

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Capitolo 5
*** Scontro ***


Numero Parole: 2757
Prompt/Traccia: P. 4. Bambini curiosi

IV
Scontro



Il Paladino sollevò le palpebre lentamente e le sbatté un paio di volte.

Non disse niente e Lotor rimase seduto sul bordo della vasca ad osservarne il profilo con interesse: aveva il naso piccolo, con la punta un poco all’insù.

Non era sicuro di quanto gravi fossero i danni riportati dagli occhi del Paladino a causa del gas ma una tale assenza di reazione lo sorprese.

“Che cosa vedi?” Domandò.

Il Paladino trasalì, come se si fosse dimenticato della sua presenza.

Non seguì il suono della sua voce, non voltò il viso nella sua direzione.

Si ritrasse fino al bordo della vasca stringendo le ginocchia al petto.

Il suo sguardo era perso nel vuoto.

“Niente…”

La sua voce suonò estranea alle orecchie di Lotor. Era priva di qualsiasi intonazione.

“Non vedo niente,” aggiunse ed altre lacrime gli rigarono le guance.

Quanta emotività per un guerriero.

“È la prima volta che ti succede?”

“Cosa?” Domandò il Paladino girando appena il viso verso di lui ma tenendo gli occhi bassi. “Di essere fatto prigioniero o di avere un crollo nervoso?”

“È così che lo chiamate, voi terrestri?” Domandò Lotor. “Crollo nervoso?”

“Tu come lo definiresti, Generale?”

Il Principe non rispose a quella domanda. “Ed è la prima volta che sei fatto prigioniero?”

Le labbra del Paladino si piegarono appena in una smorfia sarcastica. “Sono un Paladino, Generale e, mio malgrado, devo confessarti che la pietà per i prigionieri non è mai stata un’opzione prima dell’arrivo del tuo Principe.”

Era una risposta più che sufficiente.

Lotor annuì. “Sì, sei un Paladino. Proprio per questo dovresti essere preparato a tutto questo.”

“Preparato?” Ripetè l’altro aggrottando la fronte. “Pensi che mi abbiano preparato ad essere un Paladino? Pensi che abbia seguito un addestramento che mi abbia reso idoneo a pilotare il Blue Lion?”

Lotor inarcò un sopracciglio: non era a bordo del Blue Lion che aveva trovato quel Paladino ed era il Red Lion ad essere rinchiuso nel loro hangar. Non lo corresse, però: stava parlando spontaneamente e voleva ascoltare dalla prima all’ultima parola.

“Non ti hanno insegnato niente su Voltron, Generale?” Domandò il Paladino con tono quasi velenoso. “Il tuo Principe non conosce i dettagli del Difensore Leggendario? Dovrebbe, Zarkon ha contribuito enormemente a scriverne sia l’inizio che la fine!”

Lotor strinse i pugni nel sentir nominare suo padre ma mantenne il controllo.

“Non si sceglie di essere Paladini, Generale. Sono i leoni a scegliere e non sempre le loro decisioni rispettano i nostri desideri.”

“Odi essere un Paladino?”

Il viso del giovane terrestre s’illuminò un poco. “Amo essere un Paladino,” rispose. “Temo, però, che tu non possa capire.”
Lotor si alzò dal bordo della vasca e raccolse da terra una bottiglietta di shampoo che doveva essere caduta dalle mani di una delle ragazze durante il caos di poco prima. “Conosco le storie di Voltron meglio di quanto pensi,” disse poggiando un ginocchio a terra, alle spalle del prigioniero. “Forse, anche più di te.”

Si versò un poco di shampoo sul palmo della mancina, poi la strofinò con la destra. “Voltron è una macchina da guerra,” disse. “Che cosa c’è da capire?”

Il Paladino ridacchiò. “Visto?” Disse. “Non puoi comprendere, Generale.”

Lotor non replicò ed infilò le mani insaponate tra i capelli castani del Paladino senza alcun preavviso. L’altro si fece immediatamente rigido. “Che cosa stai facendo?”

“Non ti sto facendo del male,” rispose il Principe. “Fattelo bastare. Perchè non mi aiuti a comprendere?”

“Cosa?” Domandò il Paladino con voce notevolmente più intimorita.

Lotor pensò che doveva sentirsi a disagio con le sue mani addosso ma non si fermò. “Voltron…” Disse. “Cerca di farmi capire Voltron.”

Il Paladino tentò di voltarsi. “Non puoi capire Voltron, devi viverlo!”

“Fermo con la testa,” ordinò il Principe. “Cosa c’è da vivere? La guerra? Quella la vivo da quando ho memoria, Paladino.”

“Te l’ho detto, non puoi capire.”

“Ed io ti ho ordinato di spiegarmi.”

Il Paladino sbuffò e rimase a pensare per un istante. “Tu tieni a loro, vero?”

“A chi?”

“Alle tue ragazze.”
Le mani di Lotor si fecero immobili per un istante e tanto bastò a tradirlo.

“Lo sapevo…” Disse il Paladino.

Lotor non poteva vedere il suo viso ma era certo che stesse sorridendo. Allontanò le mani dalla testa del prigionero, si alzò in piedi e prese un asciugamano. Alle sue spalle, sentì l’acqua muoversi mentre il Paladino s’immergeva e tornava in superficie velocemente.

Quando lo guardò di nuovo, lo vide passarsi le dita tra i capelli tirandoli indietro.

“Che cosa sapevi, Paladino?” Domandò Lotor.

L’altro sospirò appoggiando la nuca contro il bordo della vasca. “Ci ho pensato per un po’. Quando non mi annoi con le tue continue domande, devo coprire il silenzio con i miei pensieri.”

Lotor sapeva per esperienza che era un’ottima strategia per farsi del male da soli ma non lo disse.

“Quando hai detto che la più grande dimostrazione d’amore in guerra è cadere per un proprio compagno e quando hai parlato di lealtà... All’inizio, ho creduto che si trattasse del tuo Principe, poi ho capito… La tua lealtà non è per Lotor, nè per l’Impero. Tu sei leale a loro.”

Lotor lo guardò fisso. Qualunque parola lo avrebbe tradito ma il silenzio non giocò a suo favore. Gli angoli della bocca del Paladino si sollevarono. “Sei il loro leader ma loro non combattono per te… Loro combattono con te.”

Improvvisamente, Lotor si pentì di averlo lasciato parlare, di avergli dato il modo di dare voce ai suoi pensieri. Lo aveva sottovalutato. “Parli di sfumature invisibili agli occhi,” disse.

“Parlo di ciò che distingue Shiro da Zarkon.” Replicò il giovane terrestre.

“Potrebbe essere quello che distingue il Principe da suo padre.”

Il Paladino sospirò annoiato. “Se Lotor odia tanto suo padre come dici, perchè combatte contro di noi?” Domandò esasperato. “Perchè dovrebbe essere qualcosa di diverso dall’ennesimo folle assetato di potere? Non mi pare abbia rinunciato a quello che Zarkon ha creato macchiandosi le mani di sangue per secoli!”

Sì, lo aveva lasciato parlare troppo.

Lotor dimenticò ogni autocontrollo e si ritrovò con le dita strette tra i capelli del prigioniero. “Pensi di sapere tutto, Paladino?” Sibilò mentre il terrestre stringeva le palpebre per il dolore. “Pensi che questa guerra millenaria, perchè è di questo che si tratta, possa essere raccontata solo da due punti di vista? Gli Altean sono stati massacrati ed i Galra massacrano l’universo da allora. È questa la tragica storia che ti ha raccontato la tua Principessa, giusto?”

Lo lasciò andare.

Il Paladino piegò la testa in avanti massaggiandosi la nuca con entrambe le mani.

“Forse combatti con il tuo leader ed i tuoi compagni, Paladino,” aggiunse Lotor con voce velenosa. “Ma tutti e cinque combattere per qualcuno ed essere un liberatore, alle volte, è solo un modo diverso d’indossare i panni di un conquistatore.”

Se ne andò e lasciò il prigionero da solo.



Da quel giorno, il Principe non si disturbò più a mettere piede nella cella del Paladino.



C’era una telecamera nella cella del Paladino Blu ed era collegata ad uno degli schermi del ponte della nave. In quel modo, Lotor poteva osservarlo regolarmente anche quando non era con lui… Quando le ragazze si facevano da parte e gli permettevano di dare un’occhiata.

“È carino,” commentò Ezor con un sorrisetto appoggiando i gomiti sul pannello di controllo. “È anche divertente… Quando capisco quello che dice.”

“È un prigioniero, Ezor,” le ricordò Acxa pazientemente.

“Può essere carino anche come prigioniero!”

“Io devo capire perchè ancora non lo abbiamo torturato,” intervenne Zethrid seduta alla sua postazione con le braccia incrociate contro il petto. Era imbronciata come una bambina a cui era stato negato il suo dolce preferito.

Acxa sospirò stancamente, poi cercò lo sguardo del Principe.

“Perchè non ci serve torturarlo,” disse Lotor, il viso appoggiato al pugno chiuso. “E non voglio che nessuna di voi sprechi energie per qualcosa d’inutile.”

“A me rilassa torturare,” borbottò Zetrhid.

“Ma il Gattino Blu ci serve intero o gli altri Paladini potrebbero non volerlo più,” disse Ezor.

Acxa riportò gli occhi sullo schermo. “Non fa altro che piangere.”

Lotor sapeva che quelle parole erano rivolte a lui ma non sapeva come replicare.

“Se Zethrid non lo avesse malmenato,” disse Ezor con un fare petulante.

“Se Ezor non avesse deriso il suo coso!” Ringhiò Zethrid.

Il Principe guardò Narti. Lei se ne stava in un angolo ad accarezzare la schiena di Kova come se loro non fossero nemmeno lì. Lotor non sapeva cosa le passava per la testa, solo che provava pietà per quel Paladino, per aver perso la capacità di vedere.

“Qualcuno sa come si chiama?” Domandò Ezor distogliendo lo sguardo dallo schermo per guardare il Principe e le compagne di squadra.

Acxa rimase in silenzio e Zethrid scrollò le spalle.

Ezor storse la bocca. “È qui da settimane ed ancora non sappiamo come si chiama?”

“E non lo abbiamo torturato!” Aggiunse Zethrid.

Acxa alzò gli occhi al cielo.

A Lotor sfuggì un sorriso ma lo nascose appoggiando la bocca contro il pugno chiuso.

“Glielo andiamo a chiedere?” Propose Ezor con un gran sorriso.

“Ezor, il Paladino non è un animale da compagnia con cui giocare,” le ricordò Acxa come se il concetto non fosse già stato ribadito ripetutamente.

“Sì, ma ci era anche stato ordinato di studiarlo, vero?” Domandò Ezor lanciando un’occhiata speranzosa al Principe seduto sul trono.

“Prima che il moscerino blu facesse arrabbiare Lotor,” intervenne Zethrid.

Il Principe venne preso alla sprovvista da quelle parole ma seppe nasconderlo: non aveva detto a nessuna di loro come era finita la conversazione tra lui ed il Paladino Blu ma immaginava di aver reso le ragazze sospettose quando aveva ordinato loro di non fargli più visita.

“Non è un moscerino,” replicò Ezor incrociando le braccia contro il petto. “È un gattino ed io voglio sapere perchè non possiamo più giocarci.”

“Ed io voglio sapere perchè lei può giocarci ed io non posso torturarlo!” Esclamò Zethrid.

“Smettetela di discutere gli ordini!” Esclamò Acxa esasperata. “Ora!” Aggiunse quando Ezor tentò di aprire gli nuovo la bocca.

Quest’ultima sospirò ed alzò le mani in segno di resa. “Va bene.” Un attimo di pausa. “Possiamo scommettere su come si chiama, però!”

Acxa prese a massaggiarsi la fronte e sospirò stancamente.

“Chissà che avrà da piangere?” Domandò Zethrid alzandosi dal suo posto per dare un’occhiata allo schermo sul pannello di controllo. “I Paladini non dovrebbero essere dei guerrieri leggendari? Questo qui mi sembra più un moccioso nel posto sbagliato al momento sbagliato.”
Lotor non riuscì a far scivolar via quel commento. Ci riflettè in silenzio. Sentiva lo sguardo di Kova su di sè e seppe che Narti lo stava osservando. Se Acxa non aveva capito quanto in profondità quel Paladino era riuscito ad arrivare con le sue parole, forse, lei lo aveva intuito.

Lotor, però, non aveva mai condiviso i suoi pensieri con nessuno. Nemmeno con loro.

Si alzò dal trono e gli sguardi delle ragazze furono tutti su di lui.

“Principe Lotor?” Domandò Acxa.

Lui le guardò. “Vado da lui. Se collassa saremo costretti ad attraccare alla base più vicina e non voglio rischiare che qualcuno fedele a Haggar o a mio padre gli metta le mani addosso.”



Il Paladino Blu giaceva sul letto in modo da dargli le spalle.

La schiena era scossa dai singhiozzi ed appariva ancor più gracilino con i vestiti puliti che gli avevano messo addosso. Erano larghi. I terrestri erano davvero piccoli o, forse, era lui ad esserlo.

Lotor aveva sentito molte storie sulla forza del Campione, su come fosse capace di sconfiggere il suo nemico anche a mani nude. Come sempre, le voci dovevano aver esagerato o quello Shiro doveva essere un raro esempio di guerriero tanto bravo ad uccidere quanto ad usare la testa.

Gli sarebbe piaciuto duellare contro di lui un giorno. A differenza dei Generali di suo padre, avrebbe potuto rivelarsi un avversario degno.

Non avrebbe sottovalutato il Paladino Blu per il suo aspetto, però. Era un errore che aveva già compiuto.

“Paladino…” Chiamò.

La figura raggomitolata sul letto trasalì ma non si voltò. “Vattene…”

Lotor non replicò.

“Vattene!” Urlò il Paladino. “Vattene! Lasciami solo!”

“Mi era parso di capire che non tollerassi il silenzio.”
Il giovane terrestre si mise a sedere di scatto. Sebbene Lotor fosse alla sua destra, gli occhi erano rivolti alla parete opposta al letto. “Tollerare?” Domandò con voce tremante ma non di paura, bensì di rabbia. “Vuoi sapere che cosa davvero non riesco a tollerare, Generale? L’attesa! L’inevitabile!”

Non si vergognava di piangere, di singhiozzare.

Qualunque addestramento quel Paladino avesse seguito, Lotor dedusse che non doveva aver avuto molto a che fare con la disciplina. Zethrid aveva ragione: sembrava un ragazzino nel posto sbagliato al momento sbagliato.

“Li vedo nei miei incubi!” Il Paladino si asciugò il viso alla male e peggio con il dorso della mano. “Li vedo mentre fate loro del male. Avete il Red Lion e non possono formare Voltron senza quello!”

Lotor fu incuriosito da quella scelta di parole. “Non possono formare Voltron senza di te.”

“Sono cieco, maledizione!” Urlò il Paladino. “Che differenza vuoi che faccia la mia presenza? Io sono sostituibile ma loro no. Non possiamo perdere ancora Shiro! Keith non ce la fa… Fa del suo meglio ma non può sopportare una cosa del genere per la terza volta! E Pidge… Lei già non dorme per suo fratello e perchè è una fottuta nerd, non può caricarsi sulle spalle tutta la squadra! E Hunk… Moriranno di fame senza Hunk!”

Lotor comprese solo metà di quello che stava dicendo ma gli bastò. “Avete perso il Paladino Nero?”

Il giovane terrestre si fece subito calmo, silenzioso. Aveva parlato troppo.

“Chi sta guidando Voltron?” Domandò Lotor.

“Pensavo che la fama di Shiro lo precedesse.”

“È inutile mentire, sapevo già che era successo qualcosa al pilota del Black Lion...”

Il Paladino voltò il viso nella sua direzione ma tenne lo sguardo basso. “Che cosa sapevi?”

“Che il Paladino Nero contro cui ho combattuto la prima volta che ci siamo scontrati non poteva essere quello che aveva sconfitto Zarkon.”

L’altro non disse nulla a proposito.

“È scomparso dopo quella battaglia, vero?” Lotor non ne era sicuro ma qualcosa gli diceva che qualunque cosa fosse successa al Paladino Nero doveva aver influenzato in qualche modo anche le condizioni di suo padre.

“Shiro è a casa,” affermò il Paladino. “Voltron è ancora in piedi…”

“Hai appena detto che senza il Red Lion…”

“Lo recupereranno!”

“Ma quel leone si fa pilotare solo da te, no?”

“No! Io…” Il Paladino si morse il labbro inferiore, poi si lasciò cadere sul letto dandogli di nuovo le spalle. “Lasciami in pace!”

Era troppo emotivo, troppo impulsivo, troppo tutto.

Poteva essere un Paladino ma la sua natura non era quella di un soldato.

“Sei ancora qui?” Sbottò con astio.

Già… Era anche arrogante.

“Come ti chiami?” Domandò Lotor senza girarci troppo intorno.

Il Paladino si fece immobile e silenzioso per un lungo minuto, poi si girò lentamente ma i suoi occhi ciechi continuarono a fissare il punto sbagliato. “Perchè vuoi saperlo?”

“Perchè non lo so e voglio saperlo.”

“Ma perchè t’interessa saperlo?” Insistette il Paladino.

Irritante. Lotor aggiunse anche quella alla lunga lista di caratteristiche che rendevano quel giovane poco degno del suo titolo. “Ti ho ordinato di dirmi il tuo nome, Paladino Blu.” Disse col tono di chi non ammette altre obiezioni.

L’altro s’imbronciò come un bambino annoiato, poi sollevò gli occhi.

Per un istante, Lotor pensò che riuscisse a vederlo.

“Lance…” Rispose. “Mi chiamo Lance.”

Lotor memorizzò quel nome velocemente. Aveva un suono semplice, facile da pronunciare.

“Io devo continuare a chiamarti Generale?” Domandò il Paladino.

Non poteva rispondere a quella domanda e non si disturbò ad inventare una bugia che reggesse. Si voltò ed uscì.

Una volta richiusa la porta della cella, però, Lotor non potè evitare di udire il Paladino imprecare contro di lui: “ma tu guarda questo stronzo!”

Suo malgrado, gli venne da ridere.



Pochi minuti dopo, Lotor era di nuovo sul ponte di comando.

“Lance,” informò i suoi Generali. “Si chiama Lance.”

Detto quello, tornò sui suoi passi: aveva ordinato al Paladino Blu di fargli comprendere la natura di Voltron e non era ancora stato accontentato.

Rimaste sole, le quattro non dissero nulla per alcuni istanti.

Alla fine, Ezor sbuffò. “Così non è giusto, però!”













 

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Capitolo 6
*** Protezione ***


Numero Parole: 2264
Prompt/Traccia: P. 28, Battaglia personale


V
Protezione


 

“Dove stiamo andando?” Domandò Lance.

Lotor lo guardò ma non rispose.

“Dove sono le ragazze?”

“Bastiamo io e te,” rispose il Principe.

Non aveva informato i suoi Generali dei suoi piani per il Paladino, non quel giorno. Non era mancanza di fiducia. Semplicemente, quella era una cosa che doveva fare da solo.

“Le tue ragazze sono più efficienti di te, però,” commentò Lance. “Non mi hai nemmeno messo le manette.”

Lotor lo stava guidando attraverso i corridoi della nave stringendogli un braccio. Gli sarebbe bastato applicare un po’ più di pressione per spezzare l’osso. “Non mi serve ammanettarti,” si limitò a dire.

Le labbra di Lance si piegarono in un ghignetto. “E se ti attaccassi di sorpresa.”

Lotor gli lanciò un’occhiata annoiata. “Quanto sei alto?”
Il Paladino sbatté le palpebre un paio di volte. “In termini umani, sono piuttosto nella media.”

“E quanto pensi sia alto io?”

Nessuna risposta.

Lotor non se ne sorprese. “Non ci vedi. Questo non significa che tu non possa combattere ma farlo senza aver studiato il tuo nemico è decisamente stupido.”

“E come dovrei studiarti?” Domandò Lance irritato. “Non ci vedo e, per tua informazione, ho solo cinque sensi. Quattro adesso… E solo toccarti mi aiuterebbe in qualche modo. Tornano a noi, quanto sei alto?”

“La tua testa arriva appena alla mia spalla,” rispose Lotor. Non era un’informazione pericolosa. Al contrario, avrebbe impedito al suo prigioniero di fare cose stupide e fargli perdere tempo.

Lance si bloccò, gli occhi sgranati.

Lotor sospirò. “Cosa c’è, ora?”

“Sei alto!” Esclamò il Paladino con voce stridula.

Il Principe prese a tirarlo lungo il corridoio con urgenza. “Sono un Galra, ricordi?”

“Le tue ragazze, però, non sono solo Galra,” replicò Lance. “Me lo hai detto tu... “

“È una cosa strana per te?” Domandò Lotor

Lance scrollò le spalle. “Ai Galra dell’Impero i mezzosangue non piacciono.”

Lotor rallentò il passo per un istante, uno solo. Dopo, riprese a tirare il Paladino per il braccio come se fosse un animale al guinzaglio.

“E vai piano!” Si lamentò Lance. “Le tue gambe sono lunghe il doppio delle mie!”

Se avesse continuato ad essere così rumoroso, avrebbe preso seriamente in considerazione l’idea di accontentare Zethrid.


L’hangar era deserto.

Lotor sapeva che le ragazze lo stavano guardando attraverso gli schermi del ponte di comando. Non aveva ordinato loro di farlo: i suoi Generali sapevano benissimo che era in grado di cavarsela da solo. Semplicemente, lo facevano e lui non aveva nulla in contrario.

“Fa freddo qui,” si lamentò Lance.

Lotor lo ignorò. Era lì che tenevano la prima parte della nave ricavata dalla cometa edd accanto a quella vi era…

“Red!” Urlò il Paladino lanciandosi in avanti ma la mano stretta intorno al suo braccio lo trattenne. “Lasciami!” Ordinò con voce stridula..

Lotor lo osservò con attenzione. “Ci vedi?” Domandò tirandolo verso di sè con forza. “Mi hai mentito?” Aggiunse quasi ringhiando.

Lance s’irrigidì, gli occhi lucidi di lacrime. “Mentire?” Domandò. “Come posso mentire su una così?”

“Come fai a sapere dove sei, allora?”

“Non lo so!” Esclamò Lance. “Permettimi almeno di toccarla…”

“Come fai a sapere che è qui se non riesci a vedere?” Domandò Lotor scuotendolo.

Lo sguardo di Lance era puntato contro il suo petto ma il Principe non dubitava che lo avrebbe sfidato fissandolo dritto negli occhi se avesse saputo dopo guardare. “Vuoi comprendere la natura dei Paladini, no?”

Lotor rilassò le spalle allentando la stretta sul braccio del giovane terrestre. “Vieni…”

“La trovo da solo,” insistette Lance.

Il Principe non si mosse e non disse niente.

“Dove vuoi che vada in queste condizioni miserabili?!” Esclamò Lance esasperato.

Lotor alzò gli occhi al cielo e lo lasciò andare. “È davanti a te.”

“Lo so!” Rispose Lance irritato.

Il Principe incrociò le braccia contro il petto e lo lasciò fare. Lance sollevò le mani di fronte a sè e procedette un passo alla volta. Trasalì un poco quando le sue dita toccarono la superficie vibrante di una barriera di contenimento. Un sorriso tremolante gli illuminò il viso. “Red…”


Quando Acxa arrivò sul ponte di comando, Ezor e Zethrid erano già chine sullo schermo del pannello di controllo. Narti era accanto a loro ma sembrava più interessata al pelo di Kova che alla scena che stava avendo luogo nell’hangar. Le bastò per capire che non era ancora successo nulla di grave.

“Va tutto come deve andare?” Domandò.

Sia Ezor che Zethrid annuirono senza guardarla.

“Il Gattino dice di vedere il suo leone ma senza… Vederlo,” disse la prima con una smorfia confusa.

“E Lotor si è irritato,” aggiunse la seconda. “Ancora, però, non gli ha messo le mani addosso,” aggiunse con una smorfia.

Ezor le rivolse un sorrisetto malizioso. “Non ti facevo interessata a queste cose, Zethrid.”

Acxa sgranò gli occhi. “Ezor!” La rimproverò. “Stai parlando del nostro Principe e di un Paladino di Voltron!”

“Ma è carino!” Si lamentò Ezor come una bambina capricciosa.

“È un nemico,” le ricordò Acxa con più calma.

“Allora è un nemico carino!”

“Ezor…”



Non appena il Paladino toccò la barriera di contenimento, gli occhi dorati del Red Lion si accesero. Lotor si ritrovò con le dita strette intorno all’elsa della sua spada prima di capire che cosa stesse succedendo: non se l’era aspettato. “Che cosa stai facendo?” Domandò con rabbia.

Lance si voltò e gli rispose con lo stesso tono. “Niente!”

“Il leone si è attivato senza nessun pilota!” Replicò Lotor con forza esaurendo la distanza tra loro. “Smettila di mentirmi!” Afferrò il braccio del Paladino ancora una volta e lo strattonò malamente.

Il Re Lion si mosse, colpì la barriera di contenimento con la testa e ruggì.

Lotor si bloccò, come congelato.

Lance, al contrario, non sembrava affatto sorpreso. “Se non mi lasci, peggiorerai la situazione,” lo informò.

Il Principe gli lanciò un’occhiata storta e lo liberò dalla sua stretta. “Dovrei temere una bestia chiusa in gabbia?”

Lance sbuffò e storse la bocca in una smorfia. “Dicevi di conoscere la leggenda di Voltron meglio di me, eppure mi sembra che tu capisca meno di chiunque altro io abbia mai incontrato in questo viaggio!”

Lotor strinse i pugni. “Come osi?” Sibilò.

Il Paladino, però, non lo temeva. Anche il Red Lion lo fissava con quegli occhi dorati, accesi da una luce che aveva ben poco di artificiale. Non era la prima volta che lo vedeva. Non era la prima volta che si ritrovava al suo cospetto ponendosi domande che non avevano mai ricevuto una risposta.

Quella bestia aveva riposato nell’angolo più buio delle nave madre di Zarkon per diecimila anni. Lotor aveva speso gran parte della sua infanzia nascosto nella stessa oscurità per osservarla, aspettando che la leggenda che aveva reso pazzo suo padre acquistasse un qualche senso anche per lui. Non era mai accaduto. Quella macchina da guerra non era rimasta altro che un guscio vuoto fino a che non era divenuto troppo grande per prestarle attenzione.

Alla fine, aveva concluso che le leggende delle imprese di suo padre e degli altri quattro Paladini erano solo belle storie per bambini.

Sì...

Belle storie per bambini che aveva reso la sua intera vita un delirio di onnipotenza.

Lance si avvicinò di nuovo alla barriera di contenimento. Vi appoggiò le mani e la fronte e parlò come se si stesse rivolgendo una vecchia amica. “Dobbiamo resistere, Red,” le disse. “Non possiamo far preoccupare Keith più del dovuto.” Ridacchiò. “Mi farà passare l’inferno per aver fatto rapire la sua ragazza.”

Ed il leone tornò al suo posto, come se non si fosse mai risvegliato.

Lance, però, non si mosse. Chiuse gli occhi ma questo non impedì alle lacrime di scendere lungo le sue guance ancora una volta. Gli altri avevano bisogno di Red e l’universo aveva bisogno di Voltron ma Lance non voleva che rischiassero tutto per lui. Non quando non poteva più essere di alcuna utilità.

Una mano sulla sua spalla gli ricordò che non era solo. “Ti riporto nella tua cella,” lo informò il Galra alle sue spalle.

Lance annuì e lo seguì senza opporre resistenza.



Non appena entrambi misero piede nella cella, Lotor lo lasciò andare e Lance si mosse fino al letto in completa autonomia. Ormai, aveva imparato a conoscere il piccolo spazio in cui lo avevano costretto a vivere.

Lotor lo guardò mentre si liberava degli stivaletti e si accocolava sul letto, sotto quella specie di coperta che gli avevano rimediato. Non erano abituati ad avere prigionieri, non sulla nave. Quando richiuse la porta della cella, però, quegli occhi ciechi si sollevarono nella sua direzione. “Sei ancora qui…”

“Devo capire, ricordi?” Lotor si sedette in fondo al letto, lo sguardo fisso sulla parete di fronte a sè.

“Lo hai visto con i tuoi occhi,” disse Lance.

“Mio malgrado, penso di essere piuttosto ottuso,” ammise il Principe.

Il giovane terrestre si mise a sedere con le gambe incrociate sul materasso. “Che cosa è Voltron per te?”

Lotor aggrottò la fronte. “Cosa?”

“Per molti è una leggenda,” disse Lance. “Per me ed i miei compagni non era niente… Fino a che non è diventato tutto. Che cosa è per te?”

Non esisteva una risposta semplice a quella domanda, non per Lotor. Rimase in silenzio ma Lance non demorse. “Che cosa sai? Che cosa ti hanno raccontato?”

Lotor alzò gli occhi al cielo: sapeva tutto quello che poteva sapere il figlio di un Paladino ma questo non poteva dirlo al suo prigioniero. Così, decise di dare voce al suo scetticismo. “Il Red Lion ha scelto te? Funziona davvero così?”

Lance inspirò profondamente dal naso. “Il mio leone mi ha scelto, sì.”

Lotor lo guardò. “E non è il Red Lion,” concluse.

Il Paladino prese a giocare con l’orlo della sua coperta, le labbra piegate in un sorriso malinconico. “Blue era la mia ragazza. Red è quella di Keith.”

Il Principe annuì. “Quel leone, però, ha ascoltato te.”

Lance ridacchiò. “Cominci a capire…”

“Che vuoi dire?”

“Hai detto che Red mi ha ascoltato. È quello che fa. È quello che facciamo tutti con i nostri leoni,” spiegò Lance. “Ci ascoltiamo a vicenda, io e Red. Anche se con Blue era diverso.”

Lotor lo guardò, studiò quell’espressione nostalgica senza capirne il senso. “Ne parli come una persona cara.”

“Blue è stata la cosa più bella della mia vita fino ad oggi,” disse Lance senza vergognarsene. “Questo ha avuto il suo prezzo ma sono felice che sia stata mia per un periodo e che io sia stato suo.”

Lotor inarcò le sopracciglia. “Adesso ne parli come un amante.”

Le guance del Paladino si colorarono un poco. “Era la mia ragazza…”

“Perchè?” Domandò il Principe. Quella conversazione cominciava a divenire frustrante. “È una macchina…”

Dios mìo!” Sbottò Lance esasperato. “Lo hai visto quello che è successo nell’hangar?” Domandò.

Lotor artigliò le lenzuola sotto di lui. “Non è sufficiente per capire, Paladino.”

Lance scosse la testa e sbuffò ancora. “Hai bisogno di pilotare un leone per ottenere il tipo di conoscenza a cui aspiri tu!”

Lotor si alzò in piedi. “Non ne piloterei uno nemmeno se da questo dipendesse la mia vita!”

Il viso di Lance si fece sorpreso, un poco smarrito. “Davvero?” Domandò. “Ma sono l’arma più potente dell’intero universo…”

“Fino ad ora,” replicò Lotor con un ghigno.

Lance dischiuse le labbra per chiedere altro, poi si bloccò e rifletté. “Parli della seconda cometa, vero? Quella in mano a Lotor. Ha già costruito una navicella con quella.”

“E chi ti dice che quella fosse l’arma definitiva?”

Lance sgranò gli occhi ed impallidì. “Lotor sta cercando di costruire un secondo Voltron?”

Il Principe non rispose. “L’era di Voltron sta per finire, Paladino,” lo informò. “Insieme a quella di Zarkon e della sua strega.”

Il giovane terrestre abbassò lo sguardo per un istante, le labbra imbronciate. “Perchè non è ancora venuto da me?”

Lotor non comprese. “Di chi stai parlando?”

“Del tuo Principe,” rispose Lance. “Dal modo in cui me ne parli, dovrebbe essere il primo a gestire questa situazione: me, Red e tutto il resto.”

“Ci sono questioni che possono essere affidate ad un gruppo di pochi soldati leali.” Fu la scusa del Principe dei Galra.

Lance non replicò immediatamente. Rimase a giocare con l’orlo della sua coperta distrattamente, gli occhi fissi sul vuoto. Quando parlò di nuovo, lo fece a voce tanto bassa e l’altro non lo udì.

“Che cosa hai detto?” Domandò Lotor.

“Hai detto che non piloteresti un leone nemmeno se da questo dipendesse la tua vita,” disse Lance. “Ma lo faresti per proteggere qualcuno che ami?”

Ancora silenzio.

Il Paladino Blu sorrise. “Voltron sta tutto lì, Generale: fiducia e protezione. Visto il ruolo che ricopri non dovrebbe essere così difficile per te capire.”

Lotor dischiuse le labbra ma non fece in tempo a dire nulla: l’interfono all’interno della cella si attivò.

”Sir, mi sentite?”

Era Acxa.

“Che cosa c’è?” Domandò Lotor.

“Una nave imperiale ci ha contattati. Dicono di essere qui per ordine della strega. Hanno saputo che abbiamo il Red Lion.”

Il Principe strinse le labbra ed a stento riuscì ad ingoiare un’imprecazione rabbiosa: ci mancava solo un altro tentativo di Haggar di controllarlo come un pupazzo.

“Che cosa succede?” Domandò Lance.

Lotor scosse la testa, poi ricordò che non poteva vederlo. “Nulla che ti debba interessare,” disse freddamente. “Resta qui e non ti muovere.”

Lance storse la bocca in una smorfia. “E dove vuoi che vada?”

Il Galra, però, se ne era già andato.







 

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Capitolo 7
*** Assedio ***


Numero parole: 2325
Prompt/Traccia: P. 36. Fede
 

VI
Assedio



“Mio Principe, quale onore!”

Lotor ricevette l’uomo di Haggar seduto sul trono del ponte di comando e passò il minuto e mezzo che impiegò per salutarlo teatralmente a cercare di ricordare chi fosse. Non ci riuscì.

“Che cosa vuoi?” Domandò senza girarci troppo intorno.

Il tizio drizzò la schiena e gli rivolse un sorriso viscido. “Ci è giunta voce della vostra grande impresa e di come siete riuscito a catturare il Red Lion ed il suo Paladino.”

“Oh,” Lotor gli sorrise con fare sarcastico. “Sarei curioso di conoscere i dettagli di questa grande impresa! Che io ricordi, il Red Lion è solo precipitato e ci siamo limitati a raccoglierlo.”

Il tipo cominciò visibilmente a sudare freddo. Il suo sorriso si fece tirato ma fu ben attento a non perdere il controllo.

C’erano molti idioti tra gli uomini di suo padre ma come quella cosa troppo bassa e troppo grassa per essere un Galra si fosse guadagnata l’attenzione di suo padre era un mistero su cui Lotor si ritrovò ad interrogarsi.

Sì, definire diverso il modo in cui lui e Zarkon sceglievano i loro Generali non avrebbe reso adeguatamente l’idea ma nè l’Imperatore nè la sua strega erano tipi da lasciarsi incantare dalle lusinghe del primo verme che capitava.

In fin dei conti, Lotor non biasimava completamente suo padre per mandare quelle nullità al macello contro Voltron. Lui stesso non avrebbe saputo trovargli una migliore utilità.

“Uno dei vostri Generali manca all’appello,” notò lo sgradevole piccoletto osservando le tre donne mezze Galra accanto al trono con evidente disprezzo.

Lotor si alzò in piedi ed il nanerottolo s’irrigidì immediatamente. “I miei Generali non devono essere oggetto d’interesse per te.”

Udì Zethrid ringhiare a bassa voce e Kova soffiare minaccioso.

Acxa rimase in silenzio: si sarebbe mossa solo ad un suo ordine.

Ezor, invece, era con Lance.

Questo, però, il nanerottolo non doveva scoprirlo.

“Chiarisci i motivi della tua visita e poi sparisci dalla mia vista,” disse Lotor con tono scocciato. Non aveva tempo per i giochetti di Haggar e non poteva rischiare che uno degli uomini che le erano fedeli sapesse che il Paladino Blu era vivo sotto la sua custodia.

“Con tutto il rispetto, mio Principe,” disse il nanerottolo facendo un passo in avanti. “La questione potrebbe non essere così semplice.”

Lotor strinse i pugni: stava per perdere la pazienza.

Una mano gli toccò il braccio senza preavviso ma non attirò la sua attenzione quanto il flebile richiamo che seguì: “Lotor…”

Acxa non era solita rivolgersi a lui in quel modo e, specialmente, non in una stanza tanto affollata. Al Principe, però, bastò guardarla negli occhi per capire che qualcosa non andava.

Sembrava spaventata.

Lotor sollevò lo sguardo e vide altre due navi imperiali fuori dalle vetrate del ponte di comando. Erano state lì per tutto il tempo, nascoste ai loro schermi.

Haggar conosceva il loro protocollo di sicurezza e sapeva come evitarlo. Lo aveva già fatto una volta.

E Lotor, distratto da altre questioni, non aveva fatto nulla per evitare che accadesse ancora.

Tornò a guardare il nanerottolo ai piedi del suo trono. Morvok, ricordò. Il suo nome era Morvok.

“L’Imperatore Zarkon pretende la vostra presenza alla nave madre, mio Principe.”




“Eccoci qua!”

Ezor appoggiò il vassoio al centro del letto e, sebbene lui non l’avesse invitata, si sedette a gambe incrociate di fronte a Lance. “Prendi,” disse allegramente aiutandolo ad afferrare il cucchiaio.

Il Paladino cercò il bordo del vassoio con la mano libera, poi affondò il cucchiaio nel suo pasto con relativa facilità. Storse la bocca non appena lo assaggiò. “Questa poltiglia verde mi perseguita!” Si lamentò.

Ezor ridacchiò. “Non fare il bambino e sentiti fortunato: non siamo obbligati a nutrirti, ricordalo.”

Lance la guardò storto, sebbene non potesse avere la certezza di dove fosse. “Il Generale?” Domandò.

Ezor sbatté le palpebre un paio di volte prima di ricordare a chi apparteneva quel nome in codice. “Oh, noie burocratiche, sai…”

“No, non lo so,” ammise Lance buttando giù un altro boccone. “Non mi annoiano con questioni burocratiche. Non a me. Io sono più il tipo da incantare le folle, non so se mi spiego.”

Ezor reclinò la testa da un lato. “Ti credi tanto bello, Gattino?”

“Io sono la massima espressione della bellezza terrestre, mia cara!” Esclamò Lance con orgoglio agitando il cucchiaio come se fosse lo scettro di un re.

Ezor storse la bocca in una smorfia. “Deludente…”

Il Paladino sgranò gli occhi. “Prego?”

“Non fraintendermi!” Esclamò Ezor allegramente. “Sei tanto carino!”

“Io non sono carino! I gatti sono carini! I sono splendido!”

“Ma tu sei un Gattino!”

Lance s’imbronciò. “Libera di non credermi ma le donne del mio pianeta si uccidevano tra di loro per avere la mia attenzione.”

Ezor ridacchiò. “Infatti, non ci credo neanche un po’!”

Il Paladino per poco non si strozzò con il suo pranzo e la Galra lo aiutò ad afferrare il suo bicchiere e bere. “A voi ragazze Galra cosa piace, sentiamo?”

Ezor scrollò le spalle. “Dipende a chi lo chiedi…”

“Il vostro Generale, ad esempio?” Domandò Lance continuando a mangiare. “Lui come lo definiresti?”

Sulla labbra della giovane Galra comparve un sorriso furbetto. “Bello…” Rispose.

Lance inarcò le sopracciglia. “Bello? Davvero?”

“Bellissimo, oserei dire.”

“E che avrebbe di tanto bello?” Domandò il Paladino. “Senza offesa ma ne ho visti parecchi di Galra…”
“Beh, qui nessuno è completamente Galra,” spiegò Ezor.

Lance sbattè le palpebre un paio di volte. “Nemmeno lui?”

“Siamo tutti piccoli ibridi che fanno poco piacere all’Impero.”

Il Paladino sbuffò. “Che assurdità…”

“Perchè dici questo?”

“Abbiamo combattuto contro di voi una volta, ricordi?” Lance prese un altro sorso d’acqua. “Se escludiamo Sendak ed i suoi uomini, siete le uniche ad averci messo seriamente in difficoltà in uno scontro corpo a corpo. Anche se con Sendak eravamo ancora inesperti… Non tutti ma… Insomma, il pilota che ci ha sfidato su Thayserix è l’unico Galra che ci abbia affrontato con una stretegia.” Si portò alla bocca un altro boccone ma smise di masticarlo a metà. Lo ingoiò molto lentamente e sospirò sapendo di essersi danneggiato da solo. “Era lui, vero? Era il vostro Generale…”

Ezor rise. “Esatto!” Rispose battendo le mani. “Stavo aspettando che te ne rendessi conto!”

Lance sbuffò. “Io non capisco,” ammise. “Dove è il Principe Lotor in tutto questo?”

“Lascia perdere il Principe,” disse la Galra. “Torniamo al Generale. C’è altro che vuoi sapere?”

Il Paladino scrollò le spalle. “Che cosa lo rende tanto bello?”

“È alto…”

“Questo lo avevo capito anche da cieco.”

“Ha lunghi capelli fluenti.”

“Eh?”

Ezor rise di gusto. “Dovresti vedere la tua faccia!”

“Chiarisci questo punto dei capelli fluenti!” Ordinò Lance con particolare premura. “Ci manca solo che abbia i capelli più belli dei miei!”
“Oh, senza ombra di dubbio!”

“Ezor!”

“Potete giocarvela sugli occhi, però!” Ezor allungò una mano tirando indietro la frangia di capelli castani. “Anche tu hai degli occhi molto belli, Gattino.”

Suo malgrado, Lance sorrise e si tirò indietro per sfuggire a quella carezza. “Quelli del Generale come sono?”

“Oh, devi chiederlo a lui!”

Il Paladino non se ne sorprese. “Ci avrei scommesso…” Mormorò con fare rassegnato.

Ezor ridacchiò di nuovo.

Qualcuno bussò alla porta della cella. “Aprite!” Ordinò una voce che Lance non riuscì a riconoscere. “Che succede?” Domandò.

Sentì Ezor alzarsi dal letto e le sue dita gli strinsero brevemente la spalla. “Lascia fare a me…”

Il Paladino non si preoccupò di dire altro. Finì il suo cibo e la sua acqua in silenzio.

Di colpo, qualcosa lo toccò. Non qualcosa di fisico.

“Red?” Mormorò.

La porta della sua cella si riaprì. Sentì le dita di Ezor stringersi con urgenza sul suo braccio.

“Che cosa succede?” Domandò Lance alzandosi in piedi.

“Non attirare l’attenzione e lasciati guidare,” gli ordinò la Galra con voce sospettosamente tesa. “Non sei più al sicuro qui.”

“Perchè?” Lance l’assecondò ma aveva bisogno di capire. “Che cosa sta succedendo?”

La presa di Ezor sul suo braccio si fece ferrea. “Abbiamo perso la nave…”



Lotor sedeva sul suo trono a testa alta, come se il ponte di comando della sua nave non fosse affollato.

“Perchè non li massacriamo e basta?” Propose Zethrid a bassa voce.

“Non riusciremmo mai a vincere, sono troppi,” rispose Acxa.

“Usiamo il potere di Narti!”

“È un piano troppo azzardato, Zethrid! Non sappiamo nemmeno dove si trova Ezor!”

Lotor le ascoltava e rifletteva in completo silenzio. Prorok aveva raggiunto Morvok e stavano discutendo sul da farsi. Già litigavano su chi avrebbe avuto più gloria per sè.

Lotor non poteva cadere per mano di due simili imbecilli.

Preferiva di gran lunga venir decapitato da suo padre, piuttosto.

Perchè era ovvio che non si sarebbe limitato ad esiliarlo una seconda volta. Non era nella natura di Zarkon commettere lo stesso errore due volte.

“Dobbiamo arrivare all’hangar,” disse il Principe a bassa voce. “Prendiamo la nave ed il Red Lion e ce ne andiamo di qui.”

“Dove?” Domandò Acxa.

“Fuori dai confini dell’Impero,” rispose Lotor. “Non abbiamo altra scelta…”

L’attenzione di tutti i soldati sul ponte di comando era attirata dal litigio in corso tra Prorok e Morvok. Era il momento giusto.

Avrebbero combattuto fino alla fine. Lotor non avrebbe mai preso in considerazione nessuna altra opzione. Strinse le dita intorno all’elsa della sua spada. Gli idioti non aveva neanche pensato di disarmarlo, oppure gli avevano lasciato la sua arma per indurlo a compiere un gesto impulsivo.

Vittoria o morte. Lotor aveva ben poche scelte.

“Al mio segnale…”



“Se abbiamo perso la nave, che cosa hai detto a quel soldato per lasciarti tornare indietro a prendermi?” Domandò Lance.

“Nulla!” Rispose Ezor allegramente. “L’ho steso e basta. Ha avuto la superbia di affrontarmi da solo, l’idiota.”

“Soluzione pratica,” commentò Lance con un sorrisetto. “Dove stiamo andando?”

“Nell’hangar,” rispose la Galra. “Devo recuperare la nave che abbiamo costruito con la cometa. Possiamo abbattere le navi imperiali con un solo colpo grazie a quella.”
Lance si bloccò. “Un momento... Non posso lasciare Red qui!

Ezor lo spinse a camminare con più urgenza. “Ci penseremo dopo, Gattino! L’hangar è proprio dietro l’angolo, dobbiamo solo…Ah!”

Dopo quell’esclamazione di dolore, Lance si sentì trascinare a terra e cadde rovinosamente sul pavimento freddo.

“Se tenete alla vita, non muovetevi.” Ordinò la voce di un soldato.

Lance poteva udire chiaramente il rumore vibrante delle blaster cariche puntate contro le loro teste. Ezor doveva essere a terra, vicino a lui.

“Piano perfetto…” Commentò Lance con sarcasmo.

“Pensavo che non fossero arrivati fino a quaggiù,” sibilò Ezor irritata.

“Fate silenzio!” Sbottò lo stesso soldato di prima.

Lance appoggiò la guancia contro il pavimento freddo. “Che facciamo? Aspettiamo che il vostro Principe venga a salvarci?”

Gattino, sei carino ma taci.”

“Silenzio, ho detto!” Ringhiò il soldato.

Lance fece per alzare la testa e dire qualcosa di poco piacevole ma un calcio in piena faccia lo mise a tacere.

No, la faccia no! Pensò rotolando sulla schiena.

Se il Principe Lotor era davvero il magico stratega di cui il Generale aveva parlato, era meglio che gli mostrasse il suo talento ed alla svelta.

“Disattivate la barriera di contenimento del Red Lion,” ordinò qualcuno.

Lance sollevò la testa. “Non osate toccarla!” Urlò.

In risposta, gli arrivò un altro calcio ma sulla schiena.

“Il Generale ha ragione,” disse Ezor da qualche parte alla sua destra. “Non sai proprio quando chiudere la bocca, vero?”

Il Paladino non replicò. Red! Chiamò nella sua testa.

Aveva funzionato con Keith e lei aveva reagito quando il Generale lo aveva minacciato fisicamente.

Tu, però, non sei Keith, gli ricordò una voce diabolica nella sua testa. Tu non puoi più pilotarla.

Lance si distese sull’addome tenendosi sollevato sui gomiti. Sentì la canna di una blaster premuta contro la nuca. “Non fare movimenti azzardati.”

Se solo avesse avuto il suo bayard con sè…

Non puoi essere un tiratore se non puoi vedere.

Lance chinò la testa e prese un respiro profondo: non era il momento più adatto per farsi prendere dal panico e dare ascolto alla voce delle sue insicurezze. Red aveva reagito a lui, quindi era ancora il suo Paladino… Almeno fino a che non sarebbero riusciti a tornare a casa entrambi.

“In piedi!”

Il giovane terrestre si sentì afferrare per le braccia, i polsi costretti dietro la schiena.

Finire nelle mani del Principe Lotor non era stata una grande fortuna ma cadere in quelle dell’Impero era una condanna a morte certa. Lance, però, era disarmato, cieco, completamente impotente nelle mani del nemico.

Era caduto in un’oscurità senza via d’uscita e non c’era nessuna luce che potesse rischiararla.

Lance.

Il Paladino Blu sollevò lo sguardo.

Non era vero.

Non poteva essere vero.

Red era lì, di fronte a lui. Riusciva a vederla.

No, l’oscurità non si era diradata ma la figura del suo leone era nitida, brillante. Era il bagliore della speranza che Lance aveva quasi perduto.

Sorrise. Ho capito.

La bestia ringhiò e Lance sentì la terra tremare sotto i suoi piedi.

Tanto bastò a mandare i soldati in panico.

Qualcuno gli andò contro. “Che cosa hai fatto?” Riconobbe la voce di Ezor.

Lance non sapeva come risponderle. Poteva vedere Red e sapeva che doveva arrivare a lei.

Cosa sarebbe successo dopo… Beh, chi sarebbe sopravvissuto avrebbe visto.

Era tutto un atto di fede.

“Puoi combattere?” Domandò ad Ezor a bassa voce.

“Non mi muovo prima di capire che cosa vuoi fare!”

“Devo arrivare a Red.”

“Neanche per sogno, Gattino! Non puoi…”

“Volete riprendere la nave o no?” Domandò Lance voltando il viso nella sua direzione. “Puoi fidarti di me o finire nelle mani dei soldati di Zarkon. A te la scelta, Ezor.”
Nemmeno per lei ve ne era una.

“Aspetto il tuo segnale…” Mormorò lei premendo la spalla contro la sua.

Lance riportò gli occhi su Red, sull’unica cosa che poteva guidarlo in quell’oscurità.

Gli occhi dorati si accesero e seppe cosa doveva fare.

“Ora!”




 

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Capitolo 8
*** Nome ***


​Numero parole: 2942
Prompt/Traccia: P. 18. Sopravvissuto
.

VII
Nome



Le prime cose che Lance vide furono le stelle fuori dal portellone dell’hangar..

E ci mancò poco che non scoppiasse a piangere per la commozione.

Vedeva attraverso gli occhi di Red ed era fantastico.

Raggiungerla era stato piuttosto caotico. Ezor lo aveva coperto come poteva e Lance era inciampato su un paio di soldati lungo la strada. Alla fine, tutto era andato secondo i piani e Lance era arrivato cabina di pilotaggio del suo leone.

Tuttavia, non sapeva dove fosse Ezor.

Si sporse in avanti, i soldati nell’hangar continuavano a sparargli contro. Lance sapeva che era solo uno spreco di energie ma non aveva intenzione di restare in quel posto un momento di più. “Andiamo, bellezza!”

Fu fuori dal portellone dell’hangar in un battito di ciglia più tardi e la situazione all’esterno non gli piacque affatto. Due navi da guerra imperiali erano ai lati di quella del Principe Lotor ed uno sciame di navicelle da combattimento chiudeva il cerchio.

Anche volendo, non sarebbe mai riuscito a scappare da lì da solo.

Abbandonò quel pensiero velocemente: suo malgrado, il Generale gli aveva salvato la vita..

“Coraggio, Red!”

Abbattuta una delle due nave imperiali, sarebbe stato facile andarsene. Tutto quello che il Generale doveva fare era far decollare l’arma volante che il Principe Lotor aveva fatto costruire per sconfiggere Voltron.

Le navicelle da combattimento gli volarono incontro non appena lo videro. Lance decise di non deluderle.

Liberarsene fu facile.

Non era ancora in grado di sfruttare la velocità di Red bene quanto Keith ma fece del suo meglio ed il suo leone seppe ripagarlo. Le navicelle esplodevano intorno a lui come fuochi d’artificio. Ancora poco ed avrebbe avuto sotto tiro la nave imperiale.

Il bayard era ancora al suo posto. Lance lo afferrò e piegò le labbra in un ghignetto arrogante. “È il momento di fare scintille, bellezza!”

Non ebbe il tempo di fare nulla.

Non seppe da dove arrivò il colpo ma lo centrò e l’impatto fu tanto violento che Lance andò a finire contro il pannello di controllo. Il bayard cadde a terra e Red cominciò a precipitare ruotando nel vuoto come una trottola.

Lance cercò di rimettersi al suo posto. Aprì gli occhi ma l’oscurità era tornata.

“No…” Scosse la testa. “No! No! No!” Cercò di riprendere il controllo del suo leone ma il sistema si era spento e non ne voleva sapere di riavviarsi.

“Forza, Red!” Urlò in panico. “Red, non mi lasciare adesso! Red!”

Non era la prima volta che precipitava nel vuoto ma farlo avvolti nella più completa oscurità era un’esperienza terribile. “Red!”

Il leone si arrestò di colpo e Lance cadde di nuovo a terra.

“Che diavolo sta succedendo?” Urlò rabbioso, frustrato e spaventato nello stesso momento.

Sentii un ronzio provenire dal pannello di controllo. Qualcuno era riuscito ad aprire un canale di comunicazione. “Paladino Blu?”

Lance chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Era folle ma era terribilmente felice di sentire la sua voce. “Generale…”

Ezor era arrivata alla nave del Principe Lotor ed era riuscita a trarli tutti in salvo. Dovevano aver agganciato il suo leone mentre precipitava.

“Grazie per aver fatto da diversivo,” disse il Generale.

A Lance bastò udire il suono della sua voce per vedere il ghignetto sarcastico che doveva aver stampato in faccia. Gonfiò le guance: non appena fossero stati di nuovo faccia a faccia, gli avrebbe tirato quei fluenti capelli di cui gli aveva parlato Ezor.

”Occhio alle turbolenze, Gattino!” Udì esclamare la Galra in questione.

Lance cercò di trascinarsi fino al posto di pilotaggio. “Quali turbole… Ah!” Quella volta cadde di faccia. L’esplosione che seguì fu tanto violenta che dovette coprirsi le orecchie con entrambe le mani. “ Ci manca solo che diventi sordo!” Esclamò ma a stento riuscì ad udire la sua stessa voce con tutto quel caos.

Dovevano aver abbattuto una delle navi imperiali.

”Reggiti, Gattino! Pronti al salto nell’iperspazio!”

Lance sospirò sedendosi sul pavimento, la schiena appoggiata al pannello di controllo. “Era ora…” Mormorò con una nota acida.

Chiuse gli occhi non appena avvertì un familiare senso di vuoto allo stomaco.

Le esplosioni lasciarono il posto al più totale silenzio.

”Veniamo a prenderti,” disse il Generale attraverso il canale di comunicazione.

“Uhm-Uhm…” Fu la sola risposta di Lance.

Era riuscito a pilotare Red solo per pochi istanti e non era stato d’aiuto in nessun modo, eppure si sentiva tremendamente stanco. Si mosse a carponi sul pavimento della cabina di pilotaggio. Il suo bayard era finito da qualche parte e voleva recuperarlo.

Non aveva intenzione di usarlo contro il Generale o una delle ragazze ma voleva assicurarsi che non andasse perduto. Non appena le sue dita trovarono l’impugnatura dell’arma, sorrise ma era un’espressione malinconica la sua. Si mise a sedere sulle ginocchia stringendo al petto quell’oggetto come se fosse qualcosa di prezioso.

A chi sarebbe passato? Forse, sarebbe tornato a Keith e Black, finalmente, avrebbe accettato di nuovo Shiro. Era la soluzione più intelligente. Lance si sarebbe fatto da parte ed avrebbe trovato il suo posto in quella storia in un altro modo.

Sempre ammesso che ve ne fosse uno per lui.

Udì il rumore di passi che si avvicinavano. Non tentò di nascondere il bayard ma dissimulò la tristezza che lo aveva investito con un gran sorriso. “Sei Ezor o il Generale?” Domandò.

Chiunque fosse venuto a prenderlo non rispose.

Lance ridacchiò alzandosi in piedi. “Sei il Generale, vero? Ezor avrebbe cominciato a chiacchierare ancor prima di mettere piede qui dentro.” Si mosse in avanti. “Allora? Alla fine sei salito su uno dei cinque leoni per venirmi a prendere. La devo considerare un’eccezione alla regola o eri preoccupato per me?”

L’altro era ad appena un paio di passi da lui. Lance poteva percepirlo ma tutto quel silenzio lo sorprese. “Genera…?”

La voce gli morì in gola. In principio, l’assenza d’immagini rese tutto così confuso da impedirgli di capire da dove arrivasse il dolore. Quando il suo aggressore ritrasse la lama, però, seppe di essere stato ferito al fianco destro.

Indietreggiò e collassò contro lo schienale del posto di pilotaggio. Non aveva ancora perso conoscenza, però.

Faceva male. Faceva dannatamente male ma per Lance era difficile il solo respirare, figurarsi urlare.

“Ancora vivo, piccolo verme?” Ruggì il suo aggressore.

Il Paladino Blu strinse i denti. S’impose di resistere: poteva accettare di rinunciare al suo posto accanto ai suoi compagni ma non sarebbe morto prima di tornare da loro.

No, questo non poteva proprio permetterselo.

Il bayard nelle sue mani assunse la familiare forma di un’arma da fuoco. La puntò come se stesse prendendo la mira e prese a sparare completamente alla cieca. Il suo aggressore non ebbe il tempo di reagire ma Lance non smise di sparare fino a che non sentì il tonfo sordo di un corpo morto che cadeva a terra.

Riprese a respirare solo allora ma faceva male. Faceva così male...

Il bayard riprese la sua forma originale e Lance lo lasciò cadere a terra. Si portò entrambe le mani al fianco ferito ma non poteva fare nulla da solo per fermare il sangue.

“Lotor!” Urlò qualcuno in lontananza ma non troppo. “Lotor, è successo qualcosa a Lance!”

Era Ezor.

Il Principe Lotor era lì? E perchè lei lo chiamava tanto disperatamente per una cosa che lo riguardava? Prima di allora, non si era mai interessato a lui. Non sapeva nemmeno che aspetto avesse.

Udì altri rumori di passi. Erano più di uno.

Il Generale e le sue ragazze? Il Generale ed il Principe Lotor?

Lance avrebbe tanto voluto saperlo.

“Come ha fatto ad entrare?” La voce di Zethrid fu la prima che riconobbe.

“Deve essersi infilato nel leone quando eravamo nell’hangar,” rispose Ezor.

Lance scosse la testa. “No, Red non l’avrebbe mai fatto… No…”

“Non parlare,” gli ordinò Acxa. Era vicina, doveva essersi inginocchiata accanto a lui. “Lotor, sta perdendo molto sangue.”

Il Principe dei Galra era lì? Lance si sforzò di rimanere cosciente ma anche il dolore cominciava a sfumare e sapeva che non era una cosa positiva.

Qualcuno lo sollevò di peso. “Preparate una capsula.”

Era la voce del Generale.

“Lotor, non sappiamo se…”

“Vi ho ordinato di preparare una capsula!”
Lance strinse le dita intorno alla spalla del Galra che lo teneva tra le braccia. Sollevò lo sguardo dove credeva si trovasse il suo viso. “Lotor?”

Il Generale non rispose.

Sfinito, il Paladino Blu si lasciò andare contro di lui. “Per questo non potevi dirmi il tuo nome…” Furono le ultime parole che riuscì a pronunciare.



Lance sognò il mare.

Sì, il mare dalle acque trasparenti che accarezzava la spiaggia bianca su cui aveva fatto i suoi primi passi e poi aveva imparato a correre. Non sognò la sua famiglia, però. Non sognò la casetta di legno in cui avevano vissuto, prima di trasferirsi sul continente.

Quelli erano i luoghi della sua infanzia, ma era Keith quello in piedi sulla riva con la braccia incrociate contro il petto ed era Shiro quello in ginocchio nell’acqua più bassa che cercava di convincerlo a fare un bagno.

Hunk, da parte sua, non aveva avuto bisogno di farsi convincere da nessuno e si lasciava trasportare dalla corrente galleggiando sulla schiena. Le ragazze erano sedute sulla spiaggia e li guardavano, mentre Coran osservava i due pezzi di un ombrellone come se fossero un gran mistero da risolvere.

Erano tutti insieme, andava tutto bene e Lance pensò che non aveva mai detto loro quanto li amava.

Non ricordava quando aveva smesso di sognare la sua famiglia ma quello che vedeva gli piaceva, lo faceva sentire in pace con se stesso.

No, non aveva dimenticato la Terra.

Aveva solo cominciato ad accettare che aveva una casa ma non sulla spiaggia e , sì, aveva anche una famiglia.

E sapeva che, ovunque fossero, lo stavano aspettando.



“Non sarei riuscita a ridurlo tanto male nemmeno se lo avessi torturato.” Le amorevoli parole di Zethrid furono le prime che Lance udì recuperando i sensi.

“Mi sorprende che sia ancora vivo con tutto il sangue che ha perso.” Quella era Acxa.

“Io l’ho chiamato Gattino ma immagino che questo provi che non è un Leoncino di Voltron per niente!” Esclamò Ezor allegramente.

Narti non disse nulla ma Lance sapeva che era lì, come sempre.

Si umettò le labbra, provò a stiracchiarsi e lasciò andare un gemito di dolore: gli faceva male tutto.

“Oh, bentornato!” Lo accolse Ezor.

Era carina ma Lance aveva bisogno solo di silenzio in quel momento. “Sono vivo?” Domandò con gli occhi ancora chiusi. Aprirli non avrebbe cambiato niente.

“A quanto pare…” Gli rispose Zethrid come se fosse delusa.

“Sei rimasto in una capsula di guarigione per due quintant,” lo informò Acxa. “Credevamo che la macchina non avrebbe riconosciuto la tua anatomia ma ha funzionato. La ferita è guarita ma il tuo corpo non ha ancora recuperato le forze.”

“In breve, hai la febbre!” Tagliò corto Ezor posando un panno umido contro la sua fronte.

Lance prese un respiro profondo. Per una volta, voleva solo che l’oscurità che lo circondava lo inghiottisse di nuovo e gli permettesse di tornare alla spiaggia bianca della sua infanzia e dai suoi compagni.

C’era una questione che doveva affrontare, però. “Lui è qui?” Domandò.

Nessuna delle ragazze parlò e Lance se la fece bastare come risposta. “Posso parlarti?” Domandò all’uomo che si era abituato a chiamare Generale.

Seguì un altro istante di silenzio.

“Andate.” Ordinò la voce che, ora Lance lo sapeva, apparteneva al Principe dei Galra.

Avvertì le ragazze allontanarsi da lui ed udì il rumore dei loro passi farsi sempre più lontano. Quando seppe che erano rimasti soli, Lance si mise a sedere sul letto. Il panno umido che Ezor gli aveva appoggiato sulla fronte cadde sulle lenzuola.

“Avvicinati.”

“Impartisci ordini, ora, Paladino Blu?”

“Non è un ordine,” chiarì Lance. “Solo una richiesta.”

Il Principe esitò.

Il giovane terrestre contò fino a dieci, poi di avvertire il materasso abbassarsi sotto il peso di un’altra persona. Prese un respiro profondo. “Posso toccarti?” Domandò senza girarci troppo intorno.

L’altro rimase in silenzio.

“Voglio vederti... Se così si può dire…” Chiarì il Paladino.

Seguì un altro istante di assoluta immobilità.

Lance trasalì nel percepire le dita fredde del Principe sui suoi polsi ma lasciò che lo guidasse. La pelle che avvertì sotto le dita era calda come quella umana. Questo lo rassicurò. Mise la timidezza da parte e tracciò le linee di quel viso lentamente, cercando di cogliere i dettagli: la linea elegante del naso e quella perfettamente disegnata della bocca. Sfiorò gli zigomi e risalì fino alle orecchie. Ridacchiò.

“Che cosa c’è di così divertente?” Domandò Lotor.

“Hai le orecchie a punta,” rispose Lance.

“Avrai visto centinaia di popoli diversi e ti sorprendi per delle orecchie a punta?”

“No è che…” Il Paladino scrollò le spalle. “È qualcosa che mi ricorda casa.”

Lotor non indagò oltre e lasciò che il giovane terrestre continuasse la sua esplorazione.
Il sorriso di Lance divenne ancor più luminoso quando le sue dita trovarono i lunghi capelli del Principe. “Ezor è stata sincera, allora.”

“Riguardo a cosa?”

“Al fatto che sei…” Lance interruppe la frase a metà, le sue guance si colorarono appena ed abbassò lo sguardo. Allontanò le mani dal viso dell’altro e se le portò in grembo. “Quindi sei tu… Sei Lotor.”

Era inutile negare, a quel punto. “Mi sorprende che tu non l’abbia intuito prima,” ammise il Principe.

Il Paladino Blu gonfiò le guance. “Mi stai dando dell’idiota?”

“Perchè ti comporti così?” Domandò Lotor.

“Così come?”

“Come se non fosse successo niente.”

Lance scrollò di nuovo le spalle. “Stavo per morire, di nuovo,” disse. “Mi hai salvato, di nuovo.”

“Mi sembra di averti detto più di una volta quanto potresti essermi utile,” gli ricordò il Principe.

“Lontano dall’Impero?” Domandò Lance. “Mentre scappi da Zarkon?”

Lotor strinse i pugni e puntò lo sguardo sulla parete di fronte al letto, come se il Paladino potesse vedere sul suo volto le emozioni che udire il nome di suo padre gli provocava.

“Ti da fastidio parlare di lui, vero?” Domandò Lance.

Evidentemente, non aveva bisogno di guardarlo in faccia per comprenderlo.

“Stai osando troppo, Paladino Blu.”

“Lance,” lo corresse il giovane terrestre. “Mi chiamo Lance.” Una pausa. “E mi manca la pioggia…” Aggiunse.

Lotor tornò a guardarlo con espressione confusa. “La pioggia?”

“Io ti dico qualcosa di me, tu mi dici qualcosa di te?” Propose Lance. “Sembra che abbiamo un nemico in comune, tanto vale provare ad avvicinarsi… No?”

Lotor lo fissò per un lungo istante di silenzio. “Non riesco a capire se tu sia incredibilmente intelligente o assurdamente stupido, Paladino.”

“Disse l’uomo che tesseva le lodi di se stesso in terza persona in presenza del prigioniero cieco!” Replicò Lance con una smorfia. “Avrai ripetuto il Principe non è come Zarkon almeno un centinaio di volte.”

“Perchè è la verità!” Esclamò Lotor. “Io non sono mio padre.”

Lance annuì lentamente. “No, non avete un bel rapporto,” concluse. “Puoi anche smettere di ripeterlo, ora. L’ho capito che non sei come tuo padre… L’ho capito benissimo.”

“Eppure, non hai dato alcun valore alle mie parole,” gli ricordò Lotor.

“Non è affatto vero,” replicò Lance. “Solo che non riesco a capire… Come tu non riesci a capire Voltron.”

“Immagino che siamo entrambi condannati a non comprenderci l’un con l’altro, Paladino.”

Il giovane terrestre si umettò le labbra e si concesse un secondo per pensare. “Che cosa sei?” Domandò. “Ezor mi ha detto che siete tutti Galra solo a metà e a giudicare dal tuo aspetto… Come ho detto a lei, ne ho visti molti di Galra ed alcuni li ho guardati molto bene, mio malgrado.”

Aveva guardato molto bene anche Keith e, per quanto assurdo fosse, sapeva che dai Galra potevano nascere creature gradevoli da guardare. Keith, però, non aveva bisogno di essere a conoscenza di questo suo pensiero e nemmeno il Principe.

Lotor non rispose mai a quella domanda. “Quando parli di pioggia,” disse, invece. “Intendi una moltitudine di gocce d’acqua che cade dal cielo?”

Il viso di Lance s’illuminò di una luce completamente nuova. “Sì!” Esclamò con entusiasmo. “Allora esiste anche in un altro pianeta! Ho provato a chiedere a Coran ma lui ha cominciato a raccontarmi di rocce incandescenti ed altri eventi apocalittici simili!”

“Capita anche quello nell’universo,” confermò Lotor.

Il Paladino Blu sospirò. “Mi manca la pioggia,” ammise. “Mi manca il mare, la sabbia ed i tramonti!” Il suo sorriso divenne malinconico. “Immagino che per quelli dovrò accontentarmi dei ricordi, ormai.”

Lotor finse di non aver udito quelle ultime parole. “C’è il mare sulla Terra?”

“Noi terrestri lo chiamiamo il pianeta azzurro.”

“Ti manca…” Non era una domanda.

“A te non manca il tuo pianeta?” Domandò Lance.

“Non ho mai avuto un pianeta.”

Il Paladino Blu aggrottò la fronte, poi ricordò la storia che Coran aveva raccontato a lui e ai suoi compagni. “Oh..:” Mormorò. “I Galra non hanno più un pianeta da diecimila anni.”

Lotor storse le labbra in una smorfia. “Gli Altean per cui combatti ti hanno informato bene,” disse con sarcasmo.

Lance lo guardò duramente. “Se conosci quella storia, sai anche perchè è finita così!”

“Se conosco quella storia?” Replicò Lotor freddamente. “Pensa prima di parlare, Paladino.”

Suo malgrado, Lance abbassò lo sguardo. “Scusa…” Disse e mezza bocca. “Ti ho detto che il mio nome è Lance.”

Suo malgrado, Lotor sorrise. “Vuoi che ti chiami per nome, Paladino?”

Le labbra di Lance si piegarono in una smorfietta arrogante. “Se pensi che mi rivolgerò a te chiamandoti mio Principe, ti sbagli di grosso, Lotor.”






 

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Capitolo 9
*** Capire ***


VIII
Capire




Dopo l’assedio, qualcosa cambiò nella nuova vita di Lance.

Lotor smise di essere la sua unica compagnia ed Ezor non fu più la sola dei suoi Generali a provare ad instaurare un rapporto con lui.

“Abbiamo una scuola sulla terra. È lì che io e gli altri Paladini siamo stati addestrati... Per così dire.” Si ritrovò a raccontare passando distrattamente le dita tra il pelo morbido del gatto accoccolato sulle sue gambe. “In realtà, solo uno di noi l’ha portato a termine.”

Zethrid non parve convinta. “Che significa?” Quasi ringhiò. “Siete Paladini leggendari senza addestramento?”

Lance scrollò le spalle accennando un sorriso. “Uno di noi è un prodigio del pilotaggio ma i suoi talenti finiscono lì. Un altro è capace di aggiustare qualsiasi nave spaziale mai costruita, oltre a riuscire rendere la poltiglia verde con cui ci nutrono una vera delizia. Infine, abbiamo un Gremlin femmina dalla natura nerd capace di fare breccia in ogni protocollo di sicurezza.”

Ezor inarcò le sopracciglia. “Che cosa è un Gremlin?”

“E che cosa è nerd?” Aggiunse Zethrid.

“C’è una donna nella vostra squadra?” Domandò Acxa sorpresa ed interessata al tempo stesso. Era stata l’ultima ad unirsi al loro gruppetto di chiacchiere e Lance, alle volte, si dimenticava che fosse lì: era una presenza silenziosa.

Mai quanto Narti, certo ma Kova aveva preso l’abitudine di cercare le carezze di Lance non appena entrava nella stanza e questo aiutava il Paladino a sapere se c’era o no.

“Donna è una parola grossa,” rispose Lance con una smorfia che Pidge non avrebbe esitato a cancellargli dalla faccia se fosse stata lì. “È una ragazzina...”

“Ah, come te!” Lo prese in giro Ezor.

“Io non sono una ragazzina! La bellezza non è solo per le femmine!” Replicò Lance aggiustandosi i capelli alla cieca. Si erano allungati parecchio e si erano arricciati sulle punte. Dubitava sarebbe riuscito a riconoscere se stesso se si fosse guardata allo specchio.

Problema inutile: non avrebbe più visto la sua immagine riflessa da nessuna parte.

Kova miagolò perchè la sua mano aveva smesso di accarezzarlo.

“Perchè ti sei rattristato, ora?” Domandò Ezor.

Il Paladino scosse la testa. “Un pensiero malinconico…”

“Ti manca casa?” Provò lei.

Lance non ebbe il tempo di rispondere.

“Io ricordo una donna nella tua squadra, moscerino! Una donna non questo Gremlin nerd di cui parli tu!” Esclamò Zethrid. “E mi ha dato anche del filo da torcere!”

Lance si fece rigido per un istante: aveva già superato più di un confine con Lotor ed i suoi Generali ma non voleva parlare di Allura.

“Quando attacchiamo le basi dell’Impero, non attacchiamo solo noi.” Non era completamente una bugia. “Poteva essere chiunque.”
Zethrid non parve convinta. “Aveva un’arma come quella che stringevi quando hai abbattuto quel soldato nel tuo leone!”
Ezor alzò gli occhi al cielo. “Non farti disturbare da lei, Lance! Raccontaci della Terra!”

“È un popolo di guerrieri?” Domandò Acxa. “È pur sempre il pianeta natale del Campione.”

Lance sospirò. “Sì, Shiro è gran bel biglietto da visita…” Disse con una smorfietta.

“Non ti è simpatico?” Domandò Ezor.

“Niente affatto!” Esclamò il Paladino. “È il mio eroe. Volevo diventare un pilota per essere come lui.”

“Alla fine dell’addestramento che non hai mai completato,” intervenne Zethrid.

“Se tornassi sulla Terra adesso, mi diplomerei in anticipo di un anno e non dovrei nemmeno fare l’addestramento di livello successivo. Ho più esperienza io di tutta la mia classe, professori compresi!” Replicò Lance con orgoglio… Poi ricordò che, anche se fosse tornato sulla Terra, non avrebbe mai potuto finire gli studi alla Garrison: aveva perso un requisito fisico fondamentale.

“Che state facendo?”

Lance sobbalzò nell’udire la voce di Lotor. Kova si alzò dalle sue gambe e tornò da Narti ed Ezor scivolò giù dal letto. “Stavamo… Stavamo…” Provò a dire quest’ultima.

“Lo stavamo torturando,” concluse Zethrid.

Lance udì Acxa sospirare e, sebbene non conoscesse nemmeno il suo viso, riuscì ad immagine la sua espressione esasperata. Da parte sua, strinse le labbra per trattenere una risata.

“Ho scelto un pianeta su cui potremo riposare un po’. È fuori dall’Impero, in un sistema che già conosciamo.” Disse Lotor.

Nessuna delle ragazze di mosse.

“Andate a controllare che la nave proceda come deve,” aggiunse il Principe con tono un poco scocciato.

A quel punto, Lance dovette mordersi l’interno della guancia per trattenere le risa.  

“Oh, sì! Sì!” Esclamò Ezor. “Andiamo a controllare il pilota automatico che non ha mai avuto un problema!”
“Ezor…” La rimproverò Acxa.

“Possiamo far esplodere una nave se ci passa davanti?” Domandò Zethrid sapendo che sarebbe seguita troppa noia per poterla quantificare.
“Avete ricevuto un ordine,” disse Acxa con tono fermo. “Eseguitelo senza discutere.”

Nè il Principe nè il Paladino dissero nulla fino a che le ragazze non uscirono tutte dalla cella.

Fu Lance a spezzare il silenzio per primo. “Dove stiamo andando?” Domandò curioso.

“In un posto sicuro,” rispose Lotor sedendosi in fondo al letto.

“Al sicuro da tuo padre o da Voltron?”

“Al sicuro.” Concluse il Principe.

Lance si lasciò ricadere tra le lenzuola. “Hai deciso cosa fare di me? Siete in fuga, non potete più aspettare che mi vengano a prendere e tutto il resto.”

“Ne sei felice.” Non era una domanda.

“Ho passato i miei primi giorni qui ad avere incubi terribili di come i miei compagni morivano per me,” ammise Lance senza vergogna, gli occhi ciechi persi nel vuoto.

Lotor lo osservò. “Non hai più incubi, ora?”

Il Paladino sollevò un poco la testa, come se potesse guardarlo. “Lo chiedi come se già conoscessi la risposta.”
Il Principe non replicò immediatamente. “Quando tornerai a casa i tuoi incubi scompariranno.”

Lance salto a sedere. “Hai detto quando?”

Se,” si corresse Lotor. “Se tornerai a casa. Dovranno venirti a prendere.”

Il Paladino sbuffò. “Non posso credere che tu voglia continuare su questa strada insensata…” Borbottò.

“Che cosa proponi?” Domandò Lotor. “Un’alleanza con i tuoi? Tutti insieme contro mio padre?”

Lance assottigliò gli occhi. “Se riuscissi a dirlo in maniera tale che non suoni stupido, forse capiresti il mio punto di vista.” Disse con lo stesso tono che avrebbe usato per sgridare un bambino. “Suoni come Keith, alle volte e non hai idea di quanta voglia ho di prenderti a schiaffi! Io parlo e lui pensa che io sia stupido! Lui si ostina a seguire piani sbagliati ed io sto lì a raccogliere i pezzi!” Non erano esattamente così. Lo erano stati, fino a che l’assenza di Shiro non li aveva costretti a diventare un po’ più grandi.

“Stai di nuovo parlando di cose che non capisco perchè non le conosco,” gli fece notare Lotor.

“Ti sembrerà strano ma Keith non è una cosa ma una persona.” Lance fece finta di riflettere. “E un po’ bestiola selvatica... Specie quando Shiro non è nei paraggi.”

“Allora è una cosa che avete in comune,” commentò Lotor distrattamente.

Lance sgranò occhi e bocca. “Come osi?!”

“Non sono venuto qui a parlarti di questo,” chiarì il Principe.

Il giovane terrestre alzò gli occhi al cielo. “Eccolo che riparte con le domande noiose…”

“Perchè non sei scappato?”

Suo malgrado, Lance fu costretto a farsi attento. “Parli dell’assedio?”

“Riuscivi a vedere attraverso gli occhi del tuo leone, hai detto,” disse Lotor. “È il più veloce, mi è stato detto e sa essere più distruttivo del Black Lion. Avresti potuto evitare le due navi Imperiali e fare breccia nel cerchio di navicelle da combattimento. Loro volevano me ed io non avrei mai potuto fermarti.”

Lance sbuffò. “Devi per forza descrivere nei dettagli la più grande stupidaggine che ho mai fatto?”

“Perchè sei andato contro quella nave imperiale? Perchè ti sei battuto come se avessi qualcosa da proteggere?”

Il giovane terrestre scrollò le spalle. “Lo hai detto tu: sono terribilmente stupido.”

“Paladino…”

“O era tremendamente stupido?”

“Lance.”

Lance si bloccò e puntò gli occhi nel punto in cui pensava si trovasse Lotor. Sorrise. “Ce l’ho fatta a farti dire il mio nome.”

“Se riesce a farti smettere di parlare a vanvera.”

“Non farmi pentire di averti salvato più di quanto già non faccia, Lotor.”

“Sei stato colpito in pieno…”

“Ma senza di me quelli colpiti in pieno sareste stati voi!” Ribatté Lance quasi con astio. “Avevo un debito da saldare, va bene? Ora, non mi sentirò in colpa se ti dovrò atterrare nel bel mezzo di una battaglia!”

“Non ti ho salvato la vita per carità, Paladino.”

“Sì, ma non mi hai fatto del male solo per il gusto di farlo,” replicò Lance. “Non dico che la tua sia gentilezza ma, di sicuro, hai qualcosa che tuo padre non ha… E non andare subito in modalità difensiva perchè nomino l’innominabile, sto cercando di riconoscerti qualche merito.” Una pausa. “Ed è frustrante.”

Lotor ghignò divertito. “Questo potrebbe farmi piacere. Farti sentire frustrato, intendo.”

Lance strinse le labbra fino a farle diventare una linea sottile. “Dimentica tutto: sei uno stronzo, punto.”



“Ma il pianeta su cui andiamo non ha nemmeno un nome!” Esclamò Ezor dando un’occhiata al piano di viaggio con cui Lotor aveva programmato il pilota automatico. “Ha un numero identificativo. Perchè andiamo su di un pianeta con un numero identificativo? Sarà quasi disabitato, se non del tutto.”

“Di sicuro, nessuno verrà a cercarci lì,” replicò Acxa studiando le scritte sullo stesso schermo.

“È un piccolo pianeta caratterizzato per lo più da distese di acqua.” Commentò Ezor proiettando le immagini del sistema solare in questione al centro del ponte di comando.

“Ah,” commentò Zethrid distrattamente giocando con il controller del fucile esterno per combattere la noia, “come la Terra del moscerino.”

Ezor sollevò la testa e lo sguardo di Acxa fu il primo che incrociò.

Zethrid si rese conto di quello che aveva realmente detto solo per ultima ed abbandonò il controller per avvicinarsi alle compagne. “Sta succedendo qualcosa di cui nessuno ci ha ancora informate?”

Ezor ridacchiò. “In realtà, gli unici a non esserne informati penso siano loro due.”

Acxa sospirò. “Ezor, non farti trascinare troppo dalla fantasia…”

“Quale fantasia?” Domandò Zethrid.

“Non è una fantasia!” Replicò la più giovane offesa. “Lo avete pensato tutte!”

“Non siamo nella posizione di perdere tempo in simili pensieri,” le ricordò Acxa. “Possiamo affrontare Voltron ma non tutte le navi Imperiali di questo universo.”

Ezor alzò gli occhi al cielo. “Lotor ci ha messo al sicuro!” Esclamò. “E ha messo al sicuro Lance!”

“Ezor…” Acxa le parlò pazientemente. “Lotor ha salvato Lance perchè ha un piano.”

Aveva...” La corresse la più giovane con un broncio.

“Ma Lotor non si arrende!” Esclamò Zethrid convinta. “Lotor combatte! Lo ha sempre fatto!”

“Abbiamo notato tutte, però, che ultimamente lo fa un po’ meno,” disse Ezor. “O no?”

Nessuna delle altre due replicò.

“Non dobbiamo perdere fiducia in Lotor,” disse Acxa.

Ezor sbuffò. “Ho detto qualcosa che potrebbe farlo pensare?” Domandò un poco irritata. “Sto solo ammettendo ad alta voce, a differenza di tutte voi, che sta cambiando qualcosa!” Si voltò verso Narti. “Lei è d’accordo con me solo che non è una gran chiacchierona.”

“Il moscerino ci ha descritto un pianeta azzurro chiamato Terra ed ora stiamo andando su di un pianeta azzurro senza nome per lui?”

“Ci stiamo andando perchè è un posto sicuro,” ripeté Acxa con convinzione.

“E perchè è azzurro!” Insistette Ezor.

Acxa prese un respiro profondo ed incrociò le braccia sotto al seno. “Ascoltatemi, tutte e tre,” dissa guardando in faccia ognuna delle sue compagne. “Lance non è un nostro alleato…”

“Non è neanche più un prigioniero, però!” Ribatté Ezor come una bambina indispettita.

“Lance è un Paladino di Voltron!” Esclamò Acxa sul punto di perdere la pazienza. “Qualunque simpatia possiamo provare per lui, questa realtà non cambia!”

Per un attimo, si udirono solo i soffici versi di Kova mentre Narti l’accarezzava.

Ovviamente, fu Ezor la prima a riprendere a parlare. “Perchè non provi a farci amicizia?”

Acxa inarcò le sopracciglia. “Cosa?”

“Non ti fidi di lui,” disse Ezor. “Non ti piace che Lotor sia così interessato ma gli hai sempre dato fiducia e non puoi cominciare a dubitare di lui ora.”

Zethrid passò lo sguardo da una compagna di squadra all’altra. “Di cosa stiamo parlando?”

“Ecco!” Ezor la indicò come se si fosse accorta della sua presenza solo in quel momento. “Persino all’amichevole sta simpatico!”

“Chi? Il moscerino?” Zethrid la guardò scandalizzata.

Ezor, però, la ignorò. “Parlaci pochi minuti, Acxa. Non è difficile da conoscere. Lance è così… Cristallino.” Sospirò. “Troppo per il suo bene.”

Acxa non fu dura nel risponderle ma ferma. “Parliamo di un nemico, niente di più e niente di meno.”

“Parliamo di un nemico con cui Lotor passa la maggior parte del suo tempo,” ribatté Ezor innocentemente. “E non dirmi che lo fa per motivi strategici! Passano ore a parlare di tutto e niente! L’altro giorno hanno dialogato un’intera mattina su una cosa chiamata pioggia.”

Zethrid inarcò le sopracciglia. “Hanno parlato mezza giornata di pietre incandescenti che cadono dal cielo?”

“No, non è quel genere di pioggia. Mi è parso di capire che questa sia bagnata.”

“E perchè parlare della pioggia dovrebbe farmi cambiare idea?” Domandò Acxa.

“Perchè sei la più gentile di tutte noi,” rispose Ezor. “Se puoi avere pietà per dei prigionieri senza nome, forse dovresti provare a conoscere il Paladino che Lotor ha deciso di salvare.”

Acxa rispose al suo sguardo senza replicare.

“Perchè siamo tutte d’accordo che, a questo punto, la storia dell’ostaggio non regge più,” aggiunse Ezor.

Zethrid prese a grattarsi dietro una delle grandi orecchie. “Io ancora non ho capito di che cosa stiamo parlando.”

Acxa accennò un sorriso. “Non ne siamo del tutto certe nemmeno noi. Vero, Ezor?”

La più giovane piegò le labbra in una smorfietta furbetta. “Io mi fido solo del giudizio finale della mamma.”

“La mamma di chi?” Domandò Zethrid.

Acxa alzò gli occhi al cielo a quel nomignolo, poi osservò l’ologramma del sistema solare a cui erano diretti. “Un pianeta azzurro…” Mormorò osservando il globo più piccolo. “Avete notato di colore sono i suoi occhi?”

Ezor la guardò confusa ma non fece in tempo a chiedere nulla: la porta automatica si aprì. Nel mezzo istante che Lotor impiegò per mostrarsi, le ragazze avevano fatto sparire l’ologramma ed erano tornate alle loro postazioni.

Lotor le guardò una ad una. “È successo qualcosa?”

“Niente,” risposero Acxa, Ezor e Zethrid all’unisono.

Kova miagolò.

Il Principe non ci credette nemmeno per un istante. “Ezor, vai a fare compagnia a Lance.”

La giovane Galra si allontanò felicemente dalla sua postazione.

“Perchè lei?” Domandò Zethrid indicandola con astio.

“Perchè io sono quella carina ed allegra!”

“Vado io,” disse Acxa e gli occhi del suo Principe furono immediatamente sui suoi. “Vado io questa volta, Lotor.”

Il Principe la fissò, studiò la sua espressione. Fece lo stesso con Ezor e Zethrid. Sapeva che si erano messe in testa qualcosa ma non riusciva ad intuire cosa. Non gli restava che aspettare e scoprirlo da solo. “Va bene, Acxa.”

Il Generale chinò la testa in segno di rispetto. Lasciò il ponte di comando senza far rumore ma Lotor non le tolse gli occhi di dosso fino a che non fu sparita oltre la porta automatica. Riportò la sua attenzione sul resto dei suoi Generali e notò immediatamente che sia Ezor che Zethrid erano scivolate fino allo schermo che monitorava la cella di Lance.

“Voi due…” Le richiamò.

Il sorriso innocente sul viso di Ezor sommato all’espressione completamente disinteressata di Zethrid lo convinsero che, sì, erano impegnate in qualcosa. Lotor rivolse ad entrambe un ghigno dalle sfumature inquietanti. “Andate.” Ordinò.

Le altre due sgranarono gli occhi e fecero per aprire la bocca e ribattere.

“Ora.” Aggiunse il Principe con voce più ferma.

Ezor s’imbronciò, Zethrid incrociò le braccia contro il petto ma nessuna delle due disse nulla nel lasciare il ponte di comando. Narti fu dietro di loro.

La porta si richiuse e Lotor si spostò davanti al pannello di controllo. Proiettò le immagini della cella di Lance al centro del ponte di comando e si accomodò sul suo trono. Lance era disteso sul letto, le braccia incrociate dietro la testa e gli occhi rivolti al soffitto.

Era sereno.

Aveva perso il dono della vista ed era prigioniero del nemico da mesi ma sembrava sereno.

Lotor vide le labbra del Paladino piegarsi in un sorriso che non aveva alcun motivo di essere lì. Appoggiò ill viso al pugno chiuso. “Che cosa stai guardando?” Chiese a bassa voce. “Perchè stai sorridendo?”

Perchè non riesco a capirti?

Un flebile miagolio lo prese di sorpresa. Si sporse oltre il bracciolo del suo trono e trovò Kova raggomitolato contro la parete. Lo fissava dal basso con arroganza, come se avesse tutto il diritto di stare lì.

Lotor alzò gli occhi al cielo: i suoi Generali dovevano tenere a Lance più di quanto avesse ipotizzato, se erano disposte a mettere così a dura prova la sua pazienza.

Afferrò il gatto per la collottola e si alzò.

Non appena aprì la porta, trovò Narti di fronte a lui ed Ezor e Zethrid alle sue spalle. Entrambe stringevano un braccio della compagna di squadra. Lo ritrassero non appena incrociarono lo sguardo annoiato del Principe.

Lotor ingoiò l’irritazione senza particolare sforzo e consegnò il gatto alla sua legittima proprietaria. Tornò sul ponte di comando senza dire una parola.

Zethrid diede una gomitata ad Ezor. “Ti avevo detto che non era un buon piano!”




Acxa esitò, prima di aprire la porta della cella.

Non era certa del perchè aveva seguito il consiglio di Ezor di parlare con quel Paladino ma non poteva più ignorare che Lotor stava dedicando a quel fanciullo più attenzioni di quelle che un ostaggio avrebbe dovuto ricevere.

C’era qualcosa che le sfuggiva, qualcosa che alle altre ragazze sembrava essere piuttosto chiara. Qualcosa di cui Ezor parlava a modo suo, che Zethrid negava e che Narti comunicava con i suoi silenzi lasciando che quel giovane terrestre toccasse Kova.

Non poteva più permettersi di definire quel Paladino un nemico e basta. Aveva la brutta sensazione che non sarebbe riuscita a guidare le altre e proteggere Lotor se non avesse risolto.

Quegli occhi ciechi furono su di lei non appena mise un piede all’interno della cella.

“Ezor!” Disse il Paladino allegramente mettendosi a sedere. “Mi hai portato qualcosa da mangiare? Sto  morendo di fame e Lotor…”

“Non sono Ezor,” lo interruppe Acxa gentilmente.

Lance sbatté le palpebre un paio di volte. “Acxa?” Domandò incerto.

Il Generale annuì, poi ricordò che l’altro non poteva vederlo. “Sì, Paladino.”

“Lance,” disse il giovane terrestre accennando un sorriso. “Chiamami Lance. Anche Lotor lo fa. Non spesso ma sta cominciando ad abituarsi.”

“Mi permetti di parlare con te?” Domandò lei cortesemente.

“Certo, accomodati!” Disse Lance con un’allegria che il Generale trovò fuori luogo. “Vorrei fare gli onori di casa ma non sono nemmeno certo dello stato in cui versi questo letto! Sei sola, vero?”

“Sì,” confermò lei sedendosi sul bordo del letto. “Ma questa cella è videosorvegliata e…”

“Sì, lo so,” Lance annuì. “Ezor me lo ha detto. Dice che guardate sempre me e Lotor mentre parliamo. Siete curiose, eh?” Domandò con un sorrisetto.

Acxa davvero non capiva dove trovava tutta quella sicurezza. “Sei ancora consapevole della tua posizione, Paladino?”

Lo sguardo di Lance si fece incerto. “Sei una mamma?” Domandò di colpo.

Acxa inarcò le sopracciglia. “Perchè?”

“Perchè mi stai parlando con la stessa voce che usava mia madre quando doveva spiegarmi che alcune cose sono e restano impossibili… Anche quando le desideravo con tutto me stesso.”

Il giudizio di quegli occhi ciechi le pesò più di quanto le fece piacere ammettere con se stessa. Abbassò lo sguardo. “Non ho la superbia di dire cosa sia possibile o cosa no, Lance,” disse con pazienza. “Ma ho il dovere di proteggere il mio Principe e le mie compagne e tu sei un elemento nuovo in questa equazione. Ho bisogno di conoscere anche te.”
Il sorriso di Lance si fece ancor più luminoso. “Ah, ho capito.”

“Cosa hai capito?”

“Tu sei la loro Shiro,” spiegò il giovane terrestre a modo suo. “Lasci a Lotor il comando ma ti prendi cura di lui e delle altre.”

Acxa dischiuse le labbra ma non riuscì a dire niente per alcuni istanti. “È Lotor che si occupa di noi. Gli dobbiamo tutto.”

“Ma nessuna si sente in debito con lui quanto te.”

“Perchè lo dici?”

Lance scrollò la testa. “Per te non è mai la missione prima di tutto ma loro prima di tutto.”

“Sono leale al mio Principe.”

“Ma se il tuo Principe decidesse di buttarsi nella fossa dei leoni, non esiteresti a tramortirlo per impedirglielo.”

Acxa strinse le labbra fino a farle diventare una linea sottile. “Ci stai studiando?”

“Prego?” Domandò Lance confuso.

“Ci stai studiando per sapere come meglio colpirci, vero?”

Il Paladino scosse la testa. “No, io…”

“Allora perchè raccogli tutte queste informazioni?”

“Non le raccolgo!”

“Come fai a sapere così tanto su di noi?!” Esclamò Acxa alzandosi in piedi. “Non ci siamo mai parlati ed ora è come se fossi dentro la mia testa. Hai un potere di cui non ci hai parlato?”

“No, Acxa, io…”

“Smettila di mentire!” Acxa gli strinse un braccio con forza. C’era della paura riflessa negli occhi ciechi del Paladino ma non si mosse. “Se stai pianificando di far loro del male…”

Lance le afferrò il polso ma senza farle male. “Pensi che stia cercando di avvicinarmi a loro per ferirli?”

Acxa si umettò le labbra. “Lotor non permette a nessuno di avvicinarsi,” disse. “Mai.”

“Fa avvicinare voi.”

“Ci è voluto molto tempo…”

Lance la guardò come se potesse vederla. “Io credo che Lotor stia cercando di capire Voltron attraverso di me,” confessò. “Credo che cerchi di capire il Paladino che è stato suo padre.”

Acxa trattenne il respiro per un istante. Non lasciò andare il braccio del Paladino ma la sua presa si fece più gentile.

“Lo avevi intuito, vero?” Domandò Lance gentilmente. “Lo avevate intuito tutte.”

“Te lo ha detto lui?”

Lance ridacchiò. “Non mi pare che a Lotor piaccia scoprirsi così tanto.”

“Allora Ezor o Zethrid…”

“L’ho capito, Acxa,” disse Lance come se fosse una cosa naturale. “Non riesco a vedervi, posso solo udire le vostre voci e le voci sono piene di sfumature. Non ci avevo mai pensato prima di perdere la vista, ma dicono molto delle persone a cui appartengono.”

“E che cosa senti nelle nostre voci?” Domandò Acxa.

“Nulla che possa nuocervi,” le assicurò Lance. “Sento che sei preoccupata, che ti senti poco preparata e penso sia colpa mia. Sono ancora vostro prigioniero e non ho il potere di far del male a nessuno di voi.” Ridacchiò.

“Che cosa c’è?” Domandò Acxa.

“È un pensiero idiota!” Ammise Lance.

“Ti ho aggredito senza motivo, non sono nella posizione di giudicarti.”

Le guance del Paladino si colorarono un poco e si passò la mano tra i capelli nervosamente. “Sono un ottimista,” disse. “O, forse, sono un inguaribile ingenuo ma vedere il lato positivo delle cose mi aiuta.”

Acxa annuì. “Penso di capire.”

“Vedi? È proprio questo!” Esclamò Lance con entusiasmo. “Capire! Fino ad ora non abbiamo fatto altro che combattere ma, forse, ora possiamo provare a conoscerci? Non strategicamente parlando ma umanamente. O, almeno, questo è il mio stupido ed ostinato modo di ricavare qualcosa di buono da questa situazione.”

Suo malgrado, Acxa sentì un moto di tenerezza nei confronti di quel giovane terrestre. “Che cosa senti nella voce di Lotor?”

Il sorriso di Lance si fece amaro. “È dura prendersi cura di qualcuno che non sa gestire i suoi sentimenti, eh?” Sospirò. “Ne so qualcosa…”

“Pensi questo di Lotor?” Non c’era più astio nella voce di Acxa.

“Lotor è arrabbiato,” disse Lance. “È tanto arrabbiato… Così arrabbiato che penso che Red lo lascerebbe pilotare: le piacciono i ragazzi arrabbiati.”

“Tu sei il suo pilota e in te vedo tutto meno che rabbia, Lance. Mi sorprende: nella tua posizione sarebbe più che comprensibile.”

“Io e Red non siamo una coppia. Io e Blue lo eravamo,” spiegò Lance. “Diciamo che io e Red vogliamo prenderci cura della stessa persona.”

Acxa non comprese e si rese conto che non ci sarebbe riuscita nemmeno se si fosse sforzata. “Ecco cosa sta cercando di fare Lotor con te,” concluse a voce bassissima.

Lance non la udì chiaramente. “Come?”

Acxa lo guardò  ed accennò un sorriso. “Hai dei begli occhi,” commentò con sincerità.

Il viso di Lance si accese di colpo e prese ad aprire e chiudere la bocca come un pesce fuor d’acqua.

Il Generale si accorse solo allora di quanto doveva essere giovane.

Un sonoro thud contro la porta attirò l’attenzione di entrambi.

“Fai piano!” Esclamò la voce di Ezor. “Sei sempre così violenta!”

“Sei tu che mi sei venuta addosso!” Ringhio Zethrid.

Kova miagolò sonoramente.

Acxa sospirò: non si sorprendeva affatto che il Paladino Blu non avesse paura di loro. “Se riesci a capirle, fammelo sapere,” disse.

Lance ridacchiò.








 

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Capitolo 10
*** Blu ***


IX
Blu



Lance attraversò l’hangar da solo e posò entrambe le mani sull’enorme zampa del suo leone come se fosse qualcosa di prezioso.

Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e cercò di dimenticare l’ambiente circostante.

Fu facile: era sereno.

Una confortevole e pulsante luce rossa comparve in fondo all’oscurità, come un cuore senza una forma precisa ma non per questo meno vivo.

Non riuscì a mantenere quella concentrazione per molto. Sorrise.

“Mi stai guardando, Lotor?”

Appoggiato alla parete accanto all’entrata dell’hangar, il Principe venne strappato bruscamente dai suoi pensieri. “È il mio dovere.”

Lance rise. “Sei un Principe, non un secondino. Sei tu che hai deciso di rendermi il tuo dovere.”

“Ti ho ordinato di farmi capire, rammenti?”

Lance annuì, poi allontanò una mano da Red allungandola in una direzione a caso. “Vieni qui.”

“Per quale ragione?”

“Non riesci a capire a parole, posso provare a farti sentire.”

Lotor accettò l’offerta senza nessuna aspettativa. Ignorò deliberatamente la mano del Paladino e premette il palmo contro la superficie fredda, artificiale.

“Che cosa si presume debba sentire?”

“Con questo atteggiamento niente!” Replicò Lance. “Chiudi gli occhi, rilassati.”

Lotor fece come gli era stato detto. Attese ma nulla cambiò. Qualcosa di caldo aderì al dorso della sua mano. Aprì gli occhi: era quella di Lance.

“Keith ha sentito questa cosa dentro di lui molto prima di tutti noi,” raccontò il Paladino. “Aveva perso la persona amata ma ha continuato ad aspettarla senza curarsi del buon senso. L’ha sentito… Quando la sua persona speciale è tornata, lo ha sentito.”

Lotor lo guardò con la coda dell’occhio. “Parli come un moccioso…”

Lance non si offese. “Non so cosa siano l’uno per l’altro con precisione, so solo che non credo che l’uno potrebbe esistere in un mondo dove l’altro non c’è.”

“L’universo è fatto di troppe possibilità per poter credere ad assoluti di questo tipo.”

“E se ti dicessi che Keith è come te ma è cresciuto sulla Terra?” Domandò Lance. “Se ti dicessi che la sua persona speciale è il Campione di cui tutti parlano? Una storia così sarebbe assurda anche da inventare!”

Lotor si dimenticò completamente del leone. “Che cosa significa che questo Keith è come me?”

Lance sbattè le palpebre un paio di volte come se avesse appena realizzato di aver detto una cosa che non avrebbe mai dovuto dire. “Io… Non lo so… Per la precisione, non lo sa nemmeno lui.”

“È un Galra?” Insistette Lotor.

“Per metà… Credo. Non c’è niente di lui che ricordi un Galra. È anche più basso di me. Perché sei tanto sorpreso? I Galra sono arrivati ovunque a lasciare il loro segno!”

Lotor rilassò le spalle: il primo Paladino Nero era stato il Re di tutti i Galra. No, non aveva ragione di sorprendersi.

“Ci sono altri alieni tra di voi?”

Lance s’indispettì. “Keith non è un alieno. È nato sulla Terra come tutti noi, ha solo una mamma speciale… Forse…” Una pausa. “Come te…”

Lotor inarcò le sopracciglia. “Come me, cosa?”

“Non mi serve vederti per capire che non assomigli a tuo padre,” disse Lance. “Sei alto ed hai le orecchie a punta ma non sei poi così diverso da me.”

Lotor l’osservó. “Non abbiamo la pelle delle stesso colore.”

“Ah, sai che stranezza! Nemmeno la mia è come quella dei miei compagni.”

“È viola, Paladino.”

Lance rimase in silenzio per un istante, poi scoppiò a ridere. Lotor strinse i denti ed allontanò la mano da Red. Quella di Lance, però, era ancora sopra la sua e lo afferrò. “Aspetta!” Esclamò tra le risa. “Keith ha gli occhi viola! Immagino che avere qualcosa di viola faccia parte del pacchetto.”

Lotor lo guardò storto. “Le prendi seriamente tutte le idiozie che dici?”

Lance gli si puntò davanti e lo guardò in faccia come se potesse vederlo. “Di che colore sono i tuoi capelli?”

“Chiari.”

“Come quelli di Allura?”

“Non so come siano quelli di Allura.”

“Come quelli degli Altean importanti!” Esclamò Lance. “Coran mi ha detto qualcosa in proposito, una volta…”

Lui parlava ma Lotor non lo ascoltava più: un dettaglio aveva catturato l’attenzione del Principe. Afferrò il mento del Paladino obbligandolo a stare fermo.

“Che fai?” Domandò Lance intimorito.

“Hai gli occhi blu…” Rispose Lotor a bassa voce.

“Eh?”

“I tuoi occhi sono blu…”

La confusione iniziale sul viso di Lance venne sostituita da un sorriso gentile. Coprì la mano che lo toccava con la sua. “Non li avevi mai notati?”

Lotor non rispose.

Lance ridacchiò. “Ora, devi dirmi di che colore sono i tuoi.”

“Gli Altean avevano gli occhi blu,” disse, invece, Lotor. “Quelli di alto lignaggio.”

“Wow!” Esclamò Lance. “Forse, in una realtà alternativa siamo entrambi Principi!”

“O, forse, non ci siamo mai incontrati.”

L’allegria scivoló via dal viso del Paladino. “Mi piace pensare che, per quante realtà esistano, dei dettagli non cambino mai.”

“Può essere una teoria,” concordò Lotor.

“No, non parlo di teorie, Lotor,” Lance scosse la testa. “Parlo di anima, dell’essere destinati ad altri.”

Ci mancò poco che Lotor lo deridesse. “Era scritto nelle stelle che io e te c’incontrassimo? È questo che vuoi dire?”

Lance strinse le labbra. “Lascia perdere.” Allontanò la mano dell’altro dal suo viso.

Era arrabbiato. Lotor se ne accorse ma non sapeva perché. “Paladino…”

“Lance! Maledizione! Mi chiamo Lance!”




Lance chiese di rimanere solo per il resto del giorno. Come Lotor si era aspettato, però, le ragazze non dichiararono la giornata finita senza prima dire la loro.

“Avete litigato?” Domandò Acxa educatamente.

“Si è arrabbiato da solo,” rispose Lotor distrattamente controllando le ultime intercettazioni del radar esterno: nessuno li stava seguendo.

“Lance è sensibile,” commentò Ezor. “Magari sei stato brusco con lui?”

Zethrid sbuffò. “Non è materiale da guerriero! L’ho toccato una volta e ha avuto una crisi di panico.”

Ezor la fissò. “Gli hai strappato i vestiti di dosso e lo hai buttato di peso nella vasca,” le ricordò.

“Non l’ho mica torturato!” Si difese Zethrid.

“Basta chiacchiere,” disse Acxa. “Domani arriveremo a destinazione e vi voglio riposate.” Si voltò verso il suo Principe. “Lotor?”

“Io resto in piedi ancora un po’,” rispose lui senza neanche guardarla. Acxa, però, continuò a guardarlo: lei sapeva che non si sarebbe limitato a trattenersi solo un po’, che si sarebbe perso nel caos dei suoi pensieri fino a che il sonno non avrebbe avuto la meglio.

Tuttavia, finse di credergli.

“Andiamo, ragazze,” ordinò. Fu l’ultima ad andarsene.

Lotor sentì i suoi occhi di sè ancora una volta ma fece finta di nulla.

Non lo avrebbero più disturbato.

Appena rimasto solo, Lotor mise da una parte i risultati del rilevatore per proiettare al centro del ponte di comando le immagini della cella di Lance.

Era sveglio. La schiena appoggiata alla parete e le ginocchia strette intorno al petto.

Tutta la serenità che aveva dimostrato quella mattina sembrava essere svanita.

Lotor pensò che fosse l’effetto che faceva ritrovarsi da solo nell’oscurità.

Spense tutti i monitor e lasciò il ponte di comando.



Lance trasalì visibilmente quando Lotor aprì la porta della sua cella: non si aspettava visite.

Ci mise poco a rilassarsi, però. “Oh, sei tu…”

Il Principe inarcò le sopracciglia chiare. “Come hai fatto a capirlo?”

Lance scrollò le spalle. “Ad essere sincero, non so spiegarlo.”

Lotor non indagò oltre. “Non riesci a dormire?”

“Nemmeno tu.”

“Non è mia abitudine farlo,” confesso Lotor.

Lance sgranò gli occhi. “Questo non è possibile…”

“Per un essere umano…”

“Sono circondato da Altean e Galra e ti assicuro che anche due irriducibili come Allura e Keith crollano dopo un po’...”

“Ho imparato a fare a meno di un’intera notte di sonno per sopravvivere,” disse Lotor con voce incolore.

“Ma non fa bene!” Insistette Lance. “Sono certo che le tue ragazze farebbero dei turni di guardia ben volentieri per farti riposare, se è la sicurezza della nave che ti preoccupa.”

Non riesco a dormire, Paladino,” tagliò corto il Principe. “Non sono venuto fino a qui per parlare di questo.”

Lance tenne una gamba piegata, l’altra la distese sul materasso. Sorrise. “Hai visto che non dormivo e hai pensato che potrei farti compagnia.”

“No, pensavo ad altro.”

Lance sbatté le palpebre un paio di volte. “Qualcosa che non potevi proporre con le ragazze ancora sveglie?”

“Non è nel carattere dei miei Generali ostacolarmi.”

“Ma preferisci fare questa cosa senza che loro lo sappiano,” aggiunse Lance con un sorrisetto malizioso. “La mia abbagliante bellezza ha finalmente fatto colpo?”

“Voglio che piloti il Red Lion.”

Lance non reagì immediatamente. Le sue labbra divennero una linea sottile, poi una smorfia. “Non ho capito…” Ammise.

“Voglio che piloti il Red Lion,” ripeté Lotor. “Con me a bordo.”

Ancora una volta, il Paladino Blu non rispose immediatamente. “Gran bel rischio, mio Principe,” disse con una smorfietta. “Devo credere che sei arrivato al punto di fidarti di me?”

“Hai detto una cosa ad Acxa qualche giorno fa.” Lotor si avvicinò di un paio di passi. “Le hai detto che pensi che io stia cercando di capire chi era il Paladino Nero, mio padre.”

Lance abbassò lo sguardo. “Devo dirti una cosa…”

Lotor strinse le labbra. “Se lo dici con quell’espressione devo dedurre che non mi piacerà.”

“È solo per mettere tutte le carte in tavola,” ammise Lance. “Io sono solo un ragazzo di Cuba, non c’è molto da sapere su di me. Potrei raccontarti tutto e non ti servirebbe a nulla. Tu, invece… Io so qualcosa di te,” si umettò le labbra. “Dei tuoi genitori.”

Il Principe non disse nulla per un lungo minuto. Strinse i pugni e mantenne la calma. “Se sai tutto, perchè mi hai chiesto…”

“Loro non sanno di te,” lo interruppe Lance un po’ nervosamente. “Allura non sa di te e nemmeno Coran. Loro ci sono stati fin dall’inizio ma tu non ci sei nella storia dei tuoi genitori.” Una scrollata di spalla. “Non riuscivo a capire.”

Lotor si concesse un istante prima di rispondere. “Sono il figlio di Zarkon e Honerva,” disse con voce incolore, come se quel fatto non lo riguardasse affatto. “E questa è la prima e l’ultima volta che ne parleremo.”

Lance annuì. “Hai mai desiderato essere un Paladino?” Domandò di colpo.

“No,” rispose Lotor senza riflettere. Non poteva dirgli che l’idea di esserlo lo spaventava.

Lance storse la bocca. “Non ci credo! Vuoi capire Voltron ma non vorresti essere un Paladino.”

“Non voglio essere nulla che mi renda simile a mio padre.”

Lance tornò serio. “Sei il suo erede, Lotor,” disse quasi malinconicamente. “Non puoi sfuggire ad un confronto con lui, non importa cosa tu faccia.”

Quelle erano il genere di parole che avrebbe potuto rivolgergli Haggar: una pacata maledizione che si reggeva su fatti inconfutabili. Non erano quelle, però, le intenzioni del Paladino. La sua voce non era gelida ed oscura come quella della strega.

Lance gli stava mostrando la realtà per quella che era ma non la stava usando per trascinarlo a fondo.

Lotor non sentì il bisogno di arrabbiarsi di fronte alla sua sincerità. “Il pianeta su cui stiamo andando è a poche ore da qui. Con la velocità del Red Lion sarà facile arrivarci in pochi minuti. Se tu lo attivi, io posso inserire le coordinate.”

Lance lo fissò a lungo.

Tanto a lungo che Lotor si sentì in difficoltà. “Che cosa c’è?”

“Va bene, andiamo con Red,” accettò il Paladino trascinandosi fino al bordo del letto. “Non sarò io a pilotare, però.”



Lotor non aveva mai avuto paura di volare.

Aveva costruito la sua prima navicella con le sue stesse mani ed aveva imparato a pilotarla da solo. Gli era bastato uscire dall’hangar della Nave Madre una volta per guadagnarsi tutta la disapprovazione di suo padre e della strega. A lui non era mai bastato sapere di essere il Principe di un Impero sconfinato. No, quell’Impero aveva sempre sentito il bisogno di viverlo, conoscerlo, sentirlo suo.

Era dovuto diventare grande per capire che non c’era nulla in quell’universo che gli appartenesse davvero, compresa la sua vita.

A quel punto si era dato due opzioni: ribellarsi o morire.

E non gli erano mai piaciute le strade in discesa.

Tuttavia, ritrovarsi seduto nella cabine del Red Lion non era una cosa che aveva previsto.

Lance continuava a saltellare allegramente da una parte all’altra del pannello di controllo. “Avanti, bellezza mia! Ci sono qui io, niente di cui preoccuparsi! Abbiamo solo un ospite…”

Lotor si massaggiò la fronte: lo mal tollerava quando parlava da solo. Fu anche peggio quando il sistema si accese come per magia e Lance cominciò ad agitarsi con entusiasmo. “Red, lui è Lotor! Lotor, saluta Red!”

Il Principe si limitò a fissare il Paladino in silenzio.

Alla fine, Lance fece un gesto scocciato con la mano. “Non credo che il sistema dei leoni sia così diverso da quello delle vostre navi, perchè non inserisci le coordinate e partiamo?”

Lotor si sporse in avanti ma il pannello inserì i dati necessari al decollo ancor prima che riuscisse a toccarlo. Inarcò le sopracciglia. “Ma che…”

Lotor…

Il Principe scattò in piedi e Lance lasciò andare un’esclamazione spaventata.

Rimasero entrambi immobili per alcuni istanti, poi il Paladino allungò la mano. “Va tutto bene,” disse. “Mi hai spaventato.”

Lotor lo guardò con rabbia ma non disse nulla.

“Sta solo cercando di comunicare con te!” Esclamò Lance come se fosse una cosa ovvia e naturale. La sua espressione si addolcì di colpo. “Ti sei spaventato?”

Lotor scosse la testa, poi ricordò che l’altro non poteva vederlo. “No.”

“Stai mentendo,” replicò Lance.

“Non superare il limite, Paladino,” disse il Principe fermamente.

Lance strinse le labbra ed annuì. “Siediti.”

“Come fa a sapere le coordinate per…?”

“Le ha trovate nella tua testa,” spiegò Lance. “So che può suonare strano ma col tempo viene naturale. Noi ci sentiamo a vicenda. È una sorta di simbiosi.”

“Ne parli come una cosa positiva...” Disse Lotor tornano a sedersi.

Lance si accomodò a terra incrociando le braccia sul bracciolo della poltrona del pilota. “Non ti piace che ti entrino nella testa, vero?”

“Non capisco perchè piaccia a te.”

“Lascia perdere,” disse Lance. “Ora devi afferrare…”

“So pilotare, Paladino.”

Uscirono dall’hangar ad una velocità tale che il Paladino Blu si ritrovò a terra. Imprecò tra i denti e sentì Lotor ridacchiare. “Il leone più veloce, eh?”

Lance riuscì ad aggrapparsi a qualcosa e a mettersi a sedere. “Red, non lo assecondare… Ah!”

Un altro scatto in avanti ed il Paladino Blu rotolò – letteralmente – in fondo alla cabina di pilotaggio.

“Mi metti alla prova, Red?” Domandò Lotor e Lance riuscì quasi a vedere il ghigno divertito che era comparso sulle sue labbra. “Pensi che non riesca a domarti?”

Costretto a testa in giù, Lance alzò gli occhi al cielo. “Chi è che parla da solo, ora?”






 

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Capitolo 11
*** Pioggia ***


X
Pioggia




Lance ricordò che erano passati mesi dall’ultima volta che il vento gli aveva accarezzato il viso solo quando fece il suo primo passo su quel pianeta senza nome.

Non aveva indossato il casco: Lotor gli aveva assicurato che non ce ne era alcun bisogno. Inspirò l’aria a pieni polmoni e gli fu impossibile non avvertire la differenza con quella artificiale nella nave del Principe.

C’era un mondo di odori lì fuori e, per un attimo, l’oscurità che lo circondava non gli parve più così soffocante. Fece un passo oltre la piattaforma di Red e gli sfuggì un’esclamazione sorpresa nell'avvertire il terreno cedere sotto i suoi piedi. Non di molto, però.

Mise insieme un po’ di coraggio e fece un passo ancora. La sensazione di affondare si ripeté ma rimase in piedi. Annusò di nuovo l’aria cercando di distinguere ciò che era familiare da quello che non lo era.

In sottofondo, vi era un rumore ritmico, continuo.

Un sospetto lo riempì di speranza. S’inginocchió sul terreno goffamente e vi affondò le dita. Il suo cuore saltò un battito quando chiuse i pugni ed i granelli di sabbia scivolarono tra le sue dita.

Che sensazione meravigliosa!

“È il mare…” Mormorò con voce tremante per l’emozione. Rimase in ascolto e riuscì a riconoscere l’inconfondibile rumore dell’acqua che accarezzava la spiaggia. “Questo pianeta ha un mare!” Esclamò rivolgendosi al giovane Galra rimasto alle sue spalle.

“È un grande lago,” lo corresse Lotor con voce incolore.

“Come si chiama questo posto?” Domandò Lance alzandosi in piedi con un saltello. “A chi appartiene?”

“Non ha un nome, solo un numero identificativo,” spiegò il Principe. “È molto piccolo, l’Impero non ne vanta la proprietà.”

“È bellissimo!” Commentò Lance. “Non c’è il sole?”

Lotor sollevò gli occhi al cielo. “È coperto.”

“Da cosa?”

“Lo scoprirai.”

Lance s’imbronciò e tornò sui suoi passi.

“Fermo,” ordinò Lotor con voce pacata.

Il Paladino ubbidì. “Perché?”

“Rimani dove sei e non discutere.”

“Mi hai portato sul luogo della mia esecuzione?” Domandò sarcastico. “La sabbia ed il mare sono una sorta di ultimo desiderio per il condannato?”

“Non so di cosa stai parlando, Paladino.”

“Ti ho raccontato di essere cresciuto sul mare, mannaggia a me!”

Lotor continuo a guardare il cielo plumbeo sopra di loro e si assicurò di fare ancora un passo indietro, all’interno della bocca del leone. “Ci siamo quasi, credo…”

“A cosa?” Domandò Lance irritato. “Ad io che vengo lì e ti faccio passare la voglia di prendermi in giro?”

Il boato di un tuono lo zittì un istante più tardi.

La pioggia arrivò improvvisa, vigorosa.

Lance lasciò andare un’esclamazione stridula, quasi spaventata, poi si fece immobile.

Le labbra di Lotor si piegarono in una smorfia soddisfatta nel vedere l’espressione di assoluta sorpresa sul viso del Paladino. Gli occhi blu si accesero e, lentamente, gli angoli della bocca di Lance si sollevarono. “Sta piovendo…” Mormorò..

Allargò le braccia e sollevò il viso verso il cielo col sorriso più felice e luminoso che Lotor avesse mai visto.

“Sta piovendo!” Esclamò Lance guardando il Principe, sebbene non potesse vederlo realmente. “Sta piovendo! Sta piovendo davvero!”

Quanta innocenza c’era in quell’esclamazione?

Troppa per un giovane che avrebbe dovuto essere la personificazione del guardiano del fuoco – o dell’acqua, Lotor non ne era certo.

Quel Paladino era così inadatto per essere qualunque cosa il suo titolo gli imponeva, eppure Lotor non lo trovava patetico o fuori luogo.

Lance fece un paio di piroette sotto la pioggia. Alla seconda, rischiò quasi di cadere e rise di se stesso.

Non si era mai fermato a riflettere sul concetto di bellezza, il Principe dei Galra. Gli era sempre sembrato qualcosa di troppo lontano dalla realtà in cui era nato. Inutile, quasi.

Aveva la netta sensazione, però, che l’immagine che aveva davanti ne fosse un buon esempio.

Un altro boato, un altro tuono.

Lotor tornò alla realtà e si accorse che Lance si era fatto immobile e gli dava le spalle.

Attese alcuni istanti ma non accadde nulla.

La pioggia si fece più fitta ed un fulmine cadde al centro del lago. Lotor decise che era giunto il momento di rientrare. “Torniamo dentro, Paladino. Le altre saranno qui prima che il temporale finisca.”

Lance, però, non si mosse.

“Paladino.” Riprovò Lotor con voce più ferma.

L’altro non sembrava riuscire ad udirlo.

Lotor imprecò tra i denti ed uscì fuori dalla bocca del leone, sotto la pioggia. “Lance.” Chiamò afferrando una spalla del.giovane.

Quesi si ritrasse immediatamente e lo guardò con un astio che non gli aveva mai rivolto prima. “Perché?”

Lotor vide che stava piangendo. “Perché cosa?”

“Perché mi hai portato qui?” Urlò Lance. “Dovresti odiarmi, no? Siamo nemici! Perché mi porti in un luogo in cui c’è tutto quello che mi manca della mia casa?”

Lotor strinse le labbra per un istante. “Mi sembrava uno scambio equo,” disse. “Tu mi aiuti a capire tutta questa assurdità di Voltron e dei Paladini ed io… Io potevo solo darti questo.”

“Solo questo?” Ripeté Lance con rabbia. “E riportarmi dai miei amici? E provare a capire Voltron facendone parte?”

Lotor strinse i pugni. “Preferisco la morte, piuttosto che combattere in nome di Voltron!”

“Possibile che tu non lo capisca!” Urlò Lance tra le lacrime. “Non è Voltron che ti ha portato via tuo padre e tua madre, Lotor!”

Fu troppo.

Qualcosa si ruppe.

Lance non vide l’espressione atterrita ed iraconda di Lotor. Non vide la maschera della bestia orgogliosa costretta in un angolo da chi avrebbe dovuto proteggerla.

Lance sentì solo la sabbia bagnata contro la schiena e le mani di Lotor strette intorno alla sua gola.

Sapeva che era colpa sua. Si era cacciato da solo in quella situazione. Lotor non gli aveva mai davvero fatto del male e Lance aveva sfogato su di lui una frustrazione che aveva cominciato a covare da molto prima che le loro strade s’incrociassero.

Forse, se entrambi non si fossero aggrappati con tanta fiducia al desiderio di comprendersi a vicenda, le cose sarebbero state molto più semplici.

Si erano sfiorati. Per farsi del male, per respingersi ancora ma si erano sfiorati.

Tanto bastava a renderli qualcosa di diverso da semplici nemici.

Anche Lotor lo sapeva.

Per questo lo lasciò andare.

Lance ingoiò aria con disperazione e si girò su di un fianco. Tossì.

Lotor non lo toccò più. Si alzò in piedi e lo lasciò lì, sotto la pioggia.



Pioveva appena quando Lotor tornò a cercarlo.

Lance si era trascinato fino alla bocca di Red e lì era rimasto, seduto a terra con le ginocchia strette al petto. L’odore della terra bagnata gli fece compagnia fino a che un rumore di passi alle sue spalle non lo costrinse a stare sull’attenti.

Lotor, però, non fece nulla per minacciarlo: si limitò a  sedersi accanto a lui.

“Come fai a dirlo?” Domandò.

Lance rimase in silenzio.

“Come fai a dire che non è stato Voltron la ragione della caduta di Zarkon?” Domandò il Principe.

Lance si umettò le labbra. “La quintessenza ti corrompe, così mi hanno detto,” rispose. “Voltron, no. Voltron non ti porta ad annullare te stesso, ti permette di essere un tutt’uno con cinque esseri ed altre quattro persone.”

“Ti entra nella testa,” insistette Lotor.

“Red non ha provato a sottometterti mentre la pilotavi,” gli fece notare Lance. “Stava cercando un legame con te.”

“Perché glielo hai chiesto tu.”

“Perché si fida di me,” disse Lance gentilmente. “Siamo una cosa sola.”

“È invasivo,” disse Lotor.

“È simbiotico,” replicò Lance.

Lo sguardo del Principe si spostò sul profilo del Paladino. “E non è per tutti.”

“No,” confermò Lance. “Non è per tutti.”

Lotor lasciò andare un sospiro rassegnato. Il Paladino Blu, però, aveva qualcos’altro d’aggiungere. “Shiro ha avuto più difficoltà di tutti noi a divenire il nuovo Paladino Nero.”

Lotor gli concesse di nuovo tutta la sua attenzione. “Perché me lo stai dicendo?”

“Perché è l’unica cosa che ho che possa farti capire chi era il primo Paladino Nero,” disse Lance. “Diecimila anni ed un Impero di terrore dopo, Black non riusciva ancora a spezzare definitivamente il suo legame con Zarkon. Potranno raccontarti di tuo padre in cento, in mille… Ma nessuno lo conosceva come Black. Nessuno sa che uomo fosse quanto lei e… Dopo tutto questo tempo, dopo tutto quello che Zarkon ha fatto, esisteva ancora un’eco del loro legame. Se questo non ha valore per te, allora rinuncia a capire chi era tuo padre.”

Lotor non disse nulla e Lance non detestò mai la sua cecità come in quel momento. Allungò una mano alla cieca e trovò il profilo di uno zigomo.

“Che cosa stai facendo?” Domandò Lotor afferrandogli il polso.

“Ti sto guardando,” rispose Lance con semplicità.

Il Principe non lo lasciò andare ma gli concesse abbastanza libertà di movimento per fare quello che voleva.

Aveva un bel viso, pensò Lance. C’era poco da fare.

“Hai i capelli tutti bagnati,” notò distrattamente infilando le dita tra le lunghe ciocche di cui non conosceva il colore preciso.

“Anche tu sei tutto bagnato,” replicò Lotor.

Il Paladino scrollò le spalle. “Non ho freddo.”

Il Principe portò le dita sul collo dell’altro, risalì la gola, gli tenne il mento sollevato per guardare meglio i suoi occhi. “È un pianeta caldo.”

Lance trattenne il respiro e Lotor se ne accorse ma non smisero di toccarsi.

“Assomigli a tua madre?” Domandò il giovane terrestre.

“Non lo so,” ammise Lotor. “Tutti parlano di mio padre e nessuno di mia madre. La strega dice che gli somiglio ma credo che lo faccia solo per indispettirmi.”

Lance reclinò la testa da un lato ma Lotor non allontanò la mano dal suo viso. “Non mi hai ancora detto di che colore sono i tuoi occhi.”

“Tu come li immagini?”

Lance sorrise. “Sono influenzato dall’immagine degli occhi di Keith,” ammise. “Devi avere uno sguardo intelligente. Non per forza tagliente ma, sì, intelligente. Determinato. Lo sguardo di un Re. Immagino i tuoi occhi basandomi sulla tua voce.”

Lotor sospirò risalendo il profilo del viso di Lance, fino a toccare i capelli castani arricciolati sulle punte. “Che cosa ne pensi della mia voce?”

Lance scrollò le spalle e non rispose. “Ti piace guardarmi?”

Il Principe si fece rigido e ritrasse la mano. “Sarebbe controproducente perderti d’occhio.”

“Ezor mi ha detto che mi guardi dormire tutta la notte.”

Lotor strinse le labbra: era troppo chiedere che Ezor non parlasse a sproposito? “I primi tempi piangevi continuamente,” si giustificò. “Avevo bisogno di assicurarmi che non facessi nulla di stupido.”

Lance sorrise amaramente. “Sono troppo codardo per togliermi la vita, Lotor. Te lo assicuro.”

“Dare valore alla propria vita non è codardia,” replicò il Principe. “L’idea che i tuoi compagni potessero cadere per te ti era tanto insopportabile?”

“Non voglio che nessuno si faccia male per me.”

“Siamo in guerra, Paladino.”

“Keith non mi salverebbe per il bene della guerra. Quella sarebbe la scusa, il modo di convincere Allura ma Keith, Pidge, Hunk e Shiro…”

“E tu moriresti per ognuno di loro,” concluse Lotor.

Lance aprì e chiuse le labbra. “Io non valgo la vita di nessuno di loro.”

Lotor aggrottò la fronte. “E tutti quei discorsi sull’essere Paladini insieme? Sull’essere un tutt’uno?”

Il Paladino strinse gli occhi e cercò di ricacciare indietro le lacrime. “È tutto vero.” Confermò. “Ciò non cambia quello che ho nella testa.”

“Pensi di non essere degno?” Domandò Lotor.

Lance scosse la testa e voltò lo sguardo altrove.

Il Principe si sporse in avanti ed il Paladino si fece immobile nell’avvertire il respiro di lui sulla guancia.

“Non importa quello che credi. Se i tuoi compagni sono disposti a morire per te, allora quello è il valore che hai per loro.”

Lance si umettò le labbra. “Come tuo padre con tua madre.”

Lotor si fece indietro e lo guardò dritto negli occhi. Mantenne la calma. “Ti ho detto che…”

“Con tutto il rispetto, Lotor, mi hai ordinato di farti capire ma hai la tra le mani tutto quello che ti serve per farlo,” lo interruppe Lance. “Ti chiedi che uomo fosse tuo padre quando sai bene per cosa è caduto. Sai bene che non è stato per Voltron.”

Le labbra di Lotor si piegarono in una smorfia sarcastica. “Coraggio, Lance,” disse. “Raccontami la storia dei miei genitori a modo tuo, perchè ho la netta sensazione che non sia la stessa che conosco io.”

Le labbra di Lance si strinsero in una linea dura. “Tuo padre ha voltato le spalle ai suoi amici e ha messo in pericolo loro e tutta la sua gente per salvare tua madre.”

“E come è finita lo sappiamo tutti e due,” concluse Lotor. “Avanti, Lance, usa il tuo talento, trova qualcosa di buono e rendila una bella storia.” Aggiunse con velenoso sarcasmo.

Il blu degli occhi di Lance si fece più cupo. “Zarkon è caduto per amore,” disse senza rifletterci troppo. “Sei figlio di un uomo che è arrivato a distruggere se stesso per sua moglie. Sei nato da quell’amore.”

Fu il turno di Lotor di trattenere il fiato e quando riuscì a respirare, un’ondata di rabbia lo travolse. Strinse i pugni, puntò gli occhi sul cielo fuori dalla bocca del leone ed impose a se stesso di non perdere il controllo come era successo poche ore prima, sotto la pioggia.

“Lotor…” Lance sollevò una mano e trovò i capelli del Principe. Lotor non si sottrasse a quella carezza ma si fece rigido. “Non puoi allearti con Voltron perchè tu non vuoi distruggere tuo padre. Vuoi che lui ti riconosca un valore.”

Lotor sbattè il pugno a terra e si alzò in piedi.

Lance fu più veloce. “Aspetta!” Pur nell’oscurità, riuscì a trovare la mano del Principe e la strinse tra le sue.

Lotor prese un respiro profondo. “Voglio restare solo, Paladino,” sibilò con rabbia. “Vuoi sfidare di nuovo la mia ira?”

“Hai gli occhi blu, vero?” Domandò Lance.

Il Principe rimase immobile, come congelato.

Il giovane terrestre accennò un sorriso. “Quando ti sei accorto di che colore erano i miei, c’era una nota sorpresa nella tua voce,” disse. “All’inizio, ho pensato che ti piacessero. Poi mi hai detto quella cosa sugli Altean e ho capito: sono la prima persona che incontri con gli occhi blu come i tuoi, vero?”

Lotor non aveva parole per rispondere. Come potevano gli occhi ciechi di quel Paladino guardargli dentro con tanta facilità? Era stato lui a dargli quel potere nei mesi che avevano passato insieme? O, forse, quello era il talento che Lance non aveva ancora riconosciuto a se stesso.

“Ezor ha gli occhi azzurri, non è la stessa cosa ma... Ed i nostri non sono proprio uguali,” disse Lotor. “I tuoi sono blu. Semplicemente blu. C’è qualcosa di viola nei miei.”

Lance sorrise. “Semplicemente blu,” ripeté. “In tutto il tempo che siamo stati insieme, questa penso che sia la prima volta che mi guardi davvero.”

Lotor rispose con un cenno del capo, troppo distratto da quegli occhi blu per ricordarsi che non potevano vederlo.

Lance voltò lo sguardo verso l’esterno. “Ha smesso di piovere?”

“Sì,” rispose Lotor senza verificarlo davvero.

“Sento il sole sulla pelle,” disse Lance con un sorriso. “Sta tramontando?”

“Sì,” rispose Lotor ma non prestò nessuna attenzione al cielo.

Lance sbatté le palpebre un paio di volte. “Puoi descriverlo?”
“È rosso,” si limitò a dire il Principe. “È bello…” Aggiunse a voce più bassa.

Lance smise di sorridere e riportò lo sguardo dove credeva si trovasse il Principe. “Perchè lo dici guardando me?”

Un colpo alle spalle lo avrebbe preso meno di sorpresa. Lotor non rispose, non poteva.

Lance, però, era più coraggioso di lui. Fece un passo in avanti, le sue dita trovarono di nuovo i suoi capelli. Quegli occhi blu disarmanti puntati sui suoi.

Non si muoveva, Lance.

Aspettava.

E Lotor sapeva cosa.

Sfiorò il viso di Lance con la punta delle dita… Poi qualcun altro spezzò il silenzio.

“No, la sabbia bagnata no!” Ringhiò Zethrid non troppo distante. “Odio la natura!”

Lotor fece due passi indietro e Lance avvertì una fitta al cuore.

“Oh! Eccoli!” Esclamò la voce di Ezor.

Li avevano trovati.

“Perchè siete tutti bagnati?” Domandò Acxa confusa.

Ezor ridacchiò. “Avete fatto il bagno vestiti?”

Lance non rispose e Lotor si allontanò da lui ulteriormente. “Riportatelo alla nave, ha bisogno di vestiti asciutti.”

“E tu dove vai?” Domandò Acxa.

“Ho una questione da risolvere,” tagliò corto il Principe.

Lance non disse niente, gli occhi persi nel vuoto. Si avvolse le braccia intorno al corpo: improvvisamente, aveva freddo.




Lance gli aveva raccontato una storia d’amore.

La storia dei suoi genitori. Lotor, però, non gli aveva detto che a quell’amore non aveva mai creduto, che era sempre riuscito a dare solo interpretazioni oscure alle azioni di suo padre.

Se fosse stato onesto con Lance anche su quello, quegli occhi blu lo avrebbero guardato nello stesso modo?

Non lo sapeva. Non doveva interessargli.

Perchè, se così non fosse stato, avrebbe dovuto accettare che per lui era importante.

“Cercate qualcosa in particolare, sir?” Domandò la padrone del bordello.

Di norma, Lotor non aveva bisogno di pagare per ottenere quel genere di attenzioni ma non era un semplice sfogo che cercava. Non quella volta.

Gli serviva qualcosa che potesse togliergli dalla testa l’immagine degli occhi blu di Lance e l’idea di quel bacio che non c’era stato.

“Un ragazzo…” Rispose distrattamente.

“Oh, abbiamo i giovani più belli dell’intero universo!”

Lotor ne dubitava ma quello che desiderava aveva un volto ed un nome ed aveva deciso di lasciarselo alle spalle. Si sarebbe accontentato.

“Qualche dettaglio in più, giovane signore?”

“Corporatura minuta,” rispose. “Capelli castani.”



Lance vagava nella sua cella come un’anima in pena.

Una mano appoggiata alla parete e le dita dell’altra che si aprivano e chiudevano nervosamente. Le ragazze si erano prese cura di lui ma si era aspettato di trovare Lotor ad attenderlo quando lo avevano lasciato solo.

Non era accaduto.

Erano passate ore e del Principe non c’era traccia.

Lo stava evitando? Lotor non era un codardo. Se voleva tenerlo a distanza, lo avrebbe fatto in un altro modo. Con rabbia, forse.

Lotor era sempre così arrabbiato, anche nei momenti in cui era più controllato.

Lance lo avrebbe preferito a quel silenzio prolungato.

Prese a torcersi le dita, a cercare un’eco della presenza di Red attraverso le pareti della nave.
Non servì a nulla: la fitta che avvertiva al cuore continuò a persistere.



Il giovane che gli portarono non aveva assolutamente nulla di Lance.

Sì, forse il colore della pelle poteva essere simile e così quello dei capelli. Aveva gli occhi grandi, sì, ma erano spenti e scuri. Il naso era troppo piccolo e le labbra troppo sporgenti.

“È quello che cercavate, mio signore?” Domandò la padrona del bordello.

No, non lo era. Quello che cercava lo possedeva già ma non aveva il coraggio di toccarlo.

“Sì…” Rispose con voce incolore.



Nell’udire la porta della cella aprirsi, Lance sentì il cuore farsi più leggero di colpo.

Un sorriso spontaneo gli illuminò il viso ma si assicurò di trasformarlo subito in un broncio. “Era ora!” Esclamò. “Ti avevo dato per disperso!”

Allungò una mano per toccarlo ma le dita che s’intrecciarono alle sue erano troppo piccole per essere quelle di Lotor.

La luce negli occhi di Lance si spense immediatamente. “Chi…?”

“Mi dispiace, Lance.” Era Acxa. “Lotor non è qui.”

Il Paladino Blu si umettò le labbra. “È impegnato in qualche strategia da grande Principe ribelle?” Domandò.

“No, non è sulla nave,” chiarì Acxa. “Non aspettarlo alzato. Non ha detto nemmeno a noi quando tornerà.”

Lance sbatté le palpebre un paio di volte. “Capisco…” Mormorò.

La fitta al cuore si fece più dolorosa.

“Buona notte, Lance.”

Troppo dolorosa.

“Buona notte, Acxa.”



Il giovane dagli occhi scuri cercò di toccargli il viso.

Lotor gli afferrò il polso prima che potesse riuscirci.

“Voltati.” Ordinò.

Non cercava tenerezza.

Non cercava nemmeno piacere.

Voleva solo che Lance uscisse dalla sua testa.

Il giovane ubbidì senza fare storie.



Lance credeva di conoscere il dolore provocato da un cuore spezzato.

Lo avvertiva ogni volta che non riusciva ad essere fedele alle sue aspettative. E, suo malgrado, gli era capitato spesso in diciassette anni di vita.

Aveva imparato a farci i conti da solo. Aveva imparato a nasconderlo, persino.

Un sorriso e passava tutto.

Perchè in quel momento non ci riusciva, allora?

Perchè le lacrime non volevano smettere di scorrere sulle sue guance.

Strapparsi il cuore dal petto sarebbe stato meno doloroso. Non sapeva cosa fosse ma si rifiutava di chiamarlo amore.

Non poteva credere che facesse tanto male.

Non chiuse occhio tutta la notte.

Alla fine, le lacrime cessarono ma non il dolore.

Lance non sappe quante ore passarono dalla visita di Acxa a quando la porta della sua cella si aprì nuovamente ma era certo che la notte fosse finita e non si fermò ad interrogarsi sull’identità del suo visitatore.

“Che cosa vuoi?” Sibilò senza voltarsi o alzarsi dal letto. “Hai voglia di fare conversazione, per caso?”

Nessuna risposta.

“Perchè io sono qui per questo, no? Aiutarti ad ingannare il tempo mentre trovi il modo perfetto per raggiungere i tuoi gloriosi scopi!”

Ancora silenzio.

“Non parli?” Lance si sollevò a sedere. “Non vuoi essere come tuo padre, Lotor? Bene, perchè ho una notizia per te: Zarkon non è codardo nemmeno la metà di te!”

A quel punto, non gli importava nemmeno più di udire la versione di Lotor.

Era rabbia pura, Lance e voleva gettarla tutta contro al Principe che gli aveva spezzato il cuore.

“Se volevi baciarmi, dovevi farlo!” Urlò e le lacrime scesero di nuovo a bagnargli il viso. “Dovevi baciare me ed affrontare le conseguenze, non fuggire! E…” Lance sentì il respiro venire meno ma non per la rabbia o per le lacrime. Si portò una mano alla gola come se vi fosse qualcosa che la stessa stringendo ma nessuno lo stava toccando.

“Mi trovi completamente d’accordo, Paladino Blu,” disse la voce di una donna che non conosceva. “Il nostro Principe ha bisogno d’imparare la lezione.”






 

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Capitolo 12
*** Interludio: stelle ***


Interludio:
Stelle




“Allora ho urlato: se volevi baciarmi, dovevi farlo! Poi…”

“Non ho capito.”

Lance smise di parlare, le labbra dischiuse in una frase lasciata a metà. “Cosa?”

Keith non aveva emesso un suono nè si era mosso per tutto il tempo, ma ora lo fissava come se avesse parlato di colpo in una lingua sconosciuta. “Non ho capito,” ripeté confuso.

Lance aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Keith, mi stai guardando con la stessa espressione che avevi quella volta del io dico Vol….”
“Non ho mai capito nemmeno quella,” ammise Keith guardandolo come se l’idiota fosse lui.

Il Paladino Blu nascose il viso tra le mani e fece appello a tutta la sua pazienza. “Va bene,” disse prendendo un respiro profondo e puntando gli occhi blu in quelli viola di Keith. “Che cosa c’è che non ti torna?”

“Tutto!” Ammise il mezzo Galra irritato. “Mi stai prendendo in giro, Lance?”

Lance sgranò gli occhi. “Prego?”

“Ti ho chiesto se mi stai prendendo in giro!”

“Ho pianto per metà del tempo e pensi che ti stia prendendo in giro?”

Keith storse le labbra. A Lance aveva sempre ricordato un gatto con quell’espressione… Peccato non fosse altrettanto sveglio.

“Hai permesso a Lotor di pilotare Red!” Soffiò il micio.

Lance strinse le labbra ed annuì molto lentamente. “Complimenti, la tua reazione è in ritardo di almeno mezz’ora,” disse, “ma questo lo hai capito, vittoria!”

“Hai permesso a Lotor di pilotare Red!” Ripeté Keith come se l’altro non riuscisse a comprendere la gravità del gesto..

“E lei si è fatta pilotare da lui!” Ribatté Lance. “Ci hai pensato?”

Keith abbassò lo sguardo per un istante. Quando tornò a guardarlo, era risentito quanto prima. “Perchè hai fatto pilotare Red da Lotor?”

Lance alzò gli occhi al cielo. “Sei riuscito a registrare qualche altra informazione o ho parlato da solo per tutto il tempo?”

Keith emise un suono gutturale simile ad un ringhio. “Tutto questo deve essere uno scherzo,” sibilò. “Perchè se non lo è, Lance, allora mi stai confessando di aver passato informazioni che ci riguardano al nemico!”

Gli occhi di Lance si fecero grandi. “Sei impazzito?” Domandò. “Hai ascoltato una sola parola di quello che ti ho raccontato?”

“Ti ho ascoltato molto bene!” Urlò Keith. “Ti sei confidato con Lotor! Gli hai parlato di noi! Gli hai fatto pilotare Red!”

Lance artigliò le lenzuola del suo letto. “Pensi che vi abbia tradito?” Era arrabbiato. “Pensi che vi abbia venduto a Lotor?” Non lo era mai stato così tanto in tutta la sua vita.

Keith lo guardava con disprezzo e Lance avrebbe voluto cancellargli quell’espressione dal viso a pugni. Non era mai stato un violento, il Paladino Blu. Aveva punzecchiato il compagno di squadra in più di un’occasione, sì, ma non lo aveva mai fatto con l’intenzione di mettergli le mani addosso.

Tuttavia, in quel momento…

“Rimangiatelo…” Lance avrebbe voluto urlare ma il nodo che gli stringeva la gola a stento gli permetteva di respirare.

Keith rimase in silenzio, gli occhi gelidi.

Lance non poteva crederci. “È questo che credi di me?”

L’espressione del mezzo Galra divenne un poco più gentile, forse perchè vide le lacrime che gli erano salite agli occhi. Scosse la testa, si alzò in piedi ma non per andarsene. Rimase lì, al centro della stanza. Lance non poteva più guardarlo in faccia ma riusciva comunque ad immaginare l’espressione combattuta sul suo volto.

“Perchè ti sei aperto con lui?” Domandò il Paladino Rosso.

Lance chiuse gli occhi. “Ecco fatto…” Mormorò. “È questo che t’infastidisce.”

Keith strinse i pugni. “Tutto quello che hai detto m’infastidisce, Lance! Tutto!”

Il Paladino Blu prese un respiro profondo. “Sì… Mi ero aspettato una reazione del genere da parte tua.”

Keith si voltò di scatto. Gli occhi viola erano grandi, animati da qualcosa che era un po’ rabbia ed un po’ confusione. Almeno, però, non erano più gelidi. “Allora perchè hai voluto parlare con me?” Domandò. “Hai detto che solo io potevo capire! Perchè?”

Lance abbassò lo sguardo. Tremava. “Perchè ho bisogno che tu mi capisca, Keith,” disse con voce tremante. “Capisci? Ne ho bisogno.”

Suo malgrado, Keith gli tornò accanto. “Lance…” Si sedette sul bordo del letto. “Perchè solo io, allora? Pensi che Hunk e Pidge non ti ascolterebbero? Erano distrutti per te!”

Le labbra di Lance si piegarono in un sorriso amaro. “È una cosa diversa…”

“Perchè?”

“Perchè sei tu che hai passato settimane a cercare Shiro in ogni angolo dell’universo.”

Si guardarono. Lance stava per scoppiare a piangere ma era Keith quello con l’espressione più vulnerabile. “Lance, che genere di storia mi stai raccontando?”

Il Paladino Blu ridacchiò e tirò su col naso. “Sai cosa è davvero triste, Keith? Se ti avessi detto che mi aveva torturato, non avresti battuto ciglio.”

“Questa è una stronzata, Lance!” Esclamò Keith. “Avrei solo avuto una ragione in più per volerlo morto!”

“E ora che ragioni hai per desiderarlo?” Domandò Lance completamente serio.

“Sei serio, Lance? Lotor è il figlio di Zarkon!”

“E tanto basta per volerlo morto?”
“È un nemico di Voltron! Un nostro nemico!”

“Non mi ha toccato con un dito, Keith!”

“Hai detto che voleva usarti per arrivare a noi,” replicò Keith. “Solo le circostanze glielo hanno impedito.”

Lance scosse la testa. “Non siete voi ad avermi trovato!”

Keith inarcò le sopracciglia. “Che diavolo stai dicendo? Red ha mandato un segnale! Ti ha tratto in salvo! Sei fuggito da lui!”

“È stato Lotor a mandare quel segnale!” Urlò Lance ed allora le lacrime scesero a bagnargli le guance. “È stato Lotor a trascinarmi su Red!”

A quel punto, Keith fu incapace di parlare. Lance non aveva semplicemente una storia da raccontargli, aveva dei segreti da confessare, dei pensieri a cui dare voce e delle emozioni da confidare. Nel momento in cui il compagno di squadra gli aveva chiesto di ascoltarlo, Keith non si era aspettato un rapporto distaccato ed oggettivo di quanto gli era successo ma, forse, non aveva realizzato quanto intimo fosse quello che Lance aveva scelto di portare alla luce.

Keith ingoiò a vuoto ed annuì. “Va bene. Aiutami a mettere insieme i pezzi e magari riuscirò a vedere il quadro completo. Lotor ti ha salvato la vita. Non sapevi che fosse lui perchè non potevi vederlo ed avete cominciato a parlare.”

Lance annuì.

“Voleva usarti come esca contro di noi. Non ti hanno torturato ma eri loro prigioniero… Fino a che Lotor non è stato dichiarato un ricercato dall’Impero e lo hai aiutato a fuggire dagli uomini di Zarkon.”

Lance scrollò le spalle. “Ci ho provato. Mi sono cacciato nei guai e lui mi ha salvato di nuovo.”

“E avete continuato a parlare anche dopo che hai scoperto chi era,” proseguì Keith.

“È stato allora che abbiamo cominciato a parlare davvero,” sottolineò Lance. “Non c’erano più…” Sorrise e scosse la testa. “Non è vero, non sono riuscito a far breccia in tutte le mura dietro cui si nasconde Lotor. Sta sempre sulla difensiva, pronto ad attaccare in qualsiasi momento… Un po’ come te.”

Keith corrugò la fronte. “Che centro io?”

Lance si guardò bene dal continuare quel discorso. “Niente.” Accennò un sorriso: sarebbe stato un buon argomento di conversazione per un’altra volta. “Lui aveva bisogno di capire delle cose su Voltron, su suo padre ed io sono un Paladino…”

“Quindi voleva informazioni da te!” Keith ripartì subito all’attacco.

Lance scosse la testa. “Non era una questione bellica!” Esclamò. “Lotor non vuole il trono! Non vuole dominare l’universo!”

Keith assurse l’espressione più smarrita del suo repertorio. “Non ho capito…”

Il Paladino Blu sbuffò esasperato. “Ci risiamo!”

“Lotor è il Principe dei Galra,” disse Keith sollevando il pollice della mano destra. “Combatte contro di noi,” sollevò l’indice. “Zarkon lo vuole morto.” Concluse distendendo il dito medio. “Perchè qualcuno dovrebbe fare tutto questo se non per dominare l’universo, Lance?!”

“Non urlare, mi fai venire il mal di testa!”

“Che cosa può averti mai detto Lotor per convincerti che non è il potere quello che vuole?”

“È complicato, Keith!”

“E allora rendilo più chiaro!”

“Ci sto provando!” Sbottò Lance. “Ma tu ti sei inceppato non appena ho detto che mi aspettavo un bacio da lui!”

A quel punto, Keith reagì nel modo meno maturo possibile: si premette i palmi contro le orecchie e scosse la testa.

Lance sgranò gli occhi. “Sei serio, Keith?!” Sbottò afferrandogli i polsi e costringendolo ad abbassare le mani.

Era un gatto arruffato. Miglior modo per descrivere Keith in quel momento, Lance non lo conosceva. “Lance, ti sei fatto rubare Blue perchè una ragazza ti ha concesso la sua attenzione!” Gli ricordò il Paladino Rosso.

Lance si sentì avvampare. “Perchè stiamo parlando di cose successe secoli fa?”

“Perchè tu sei così!” Esclamò Keith. “Tu credi che ci sia del buono nelle persone! Qualcuno ti tratta gentilmente e tu gli dai fiducia! Lotor si è dimostrato lontanamente umano con te e tu…”

“Keith,” Lance sorrise pazientemente stringendogli le mani in un gesto d’affetto. “Quello che abbiamo vissuto io e Lotor è stato… Non so come descrivertelo.”

La faccia di Keith divenne una maschera di puro orrore. “Descrivermi cosa?”

In un’altra occasione, Lance l’avrebbe anche trovato divertente ma era il segreto più importante della sua vita quello che stava per rivelargli ed aveva bisogno che lo prendesse sul serio. “Keith, io e Lotor…”

“No,” lo interruppe il Paladino Rosso con espressione terribilmente seria.

Lance inarcò le sopracciglia e fece per chiedere qualcosa ma Keith si liberò della stretta delle sue mani e si alzò in piedi. “No,” ripetè con convinzione ed uscì dalla camera da letto a passo di marcia.

Una volta rimasto solo, Lance nascose il viso tra le mani e lasciò andare una risata nervosa terribilmente simile ad un singhiozzo. “Avevo ragione,” mormorò alla stanza vuota. “Hai capito, Keith.”



Keith si era innamorato per la prima ed unica volta a quindici anni e – come se il destino non lo avesse già messo alla prova abbastanza dal giorno in cui era nato – era accaduto con la persona che più gli era vicina, l’unica che non avrebbe mai potuto avere.

“Keith?”

Gli occhi viola si allontanarono dalle stelle e si fissarono in quelli grigi del giovane uomo che negli ultimi tempi non era più certo di conoscere. “Oh, Shiro…” Non lo aveva sentito entrare. Non sapeva nemmeno a cosa servisse quella stanza dalle basse luci verdognole, ma Shiro vi si era rifugiato dopo la morte di Ulaz e Keith vi tornava ogni volta che sentiva il bisogno di stare da solo.

Di norma, quel sentimento non avrebbe riguardato anche Shiro ma Keith si ritrasse, come se fosse stato colto di sorpresa in un momento spiacevole.

Shiro riadagiò lungo il fianco la mano con cui l’aveva toccato. Se aveva notato qualcosa di strano, non disse nulla. “Come sta Lance?”

In un’altra occasione, Keith non sapeva se sarebbe riuscito a mentirgli o, forse, non avrebbe sentito nemmeno la necessità di farlo. Gli occhi di Shiro, però, erano troppo spenti perchè la dolcezza del suo sorriso fosse completamente autentica.

Era così da un po’... Da quando Black lo aveva guidato da lui e lo avevano salvato per un pelo. Nemmeno dopo un anno nelle mani dei Galra, Keith aveva avvertito un simile cambiamento e ne soffriva. Lo faceva in silenzio perchè non sapeva dargli una spiegazione ma l’eco di quel dolore doveva essere arrivato a Lance, in un modo o nell’altro.

Doveva essere quello che lo aveva spinto a scegliere lui come custode del suo segreto.

Un segreto che non gli aveva nemmeno dato il tempo di rivelare

“Non molto bene,” rispose.

“Hunk e Pidge sono andati da lui,” disse Shiro. “Ha parlato di tutto e niente per un po’ e poi ha detto di essere stanco.”

Keith scrollò le spalle. “Allora che si riposi.”

“Anche Allura ha provato a farlo parlare,” aggiunse Shiro. “Non è riuscito nemmeno a guardarla negli occhi.”

Keith si morse l’interno della bocca e non disse nulla.

“Keith,” Shiro gli strinse la spalla. “Se Lance avesse detto qualcosa d’importante, me lo diresti, vero?”

In quel momento, Keith non seppe se odiava Lance più per la storia sua e di Lotor – qualunque essa fosse – o perchè lo obbligava a rendersi conto di quanto fosse divenuto semplice per lui mentire a Shiro. “Certo…” Rispose e, per un istante, riuscì a guardarlo negli occhi. “Sai che te lo direi.”

E la cosa peggiore era che Shiro gli credeva.



Keith tornò da Lance mentre tutti erano a cena: non sarebbe riuscito a buttare giù un singolo boccone e non era nel suo carattere lasciare le cose in sospeso. Non era la prima volta che Keith fuggiva da una situazione caotica a livello emozionale ma essere codardo non era nella sua natura e se Lance aveva scelto lui…

Non era certo di quello che stava per fare ma sapeva che se ci avesse riflettuto troppo, sarebbe finito col non fare niente. Non era un’opzione accettabile.

Appena mise piede nella camera da letto, Lance si sollevò a sedere. Aveva ancora gli occhi rossi e l’espressione stanca. Il bisogno di riposare era stato solo una scusa per rimanere solo con i suoi pensieri.

“Te lo chiederò solo una volta,” disse Keith con voce fin troppo intimidatoria. “Ti ha fatto del male?”

Lance scosse appena la testa e gli angoli della sua bocca si sollevarono un poco in un sorriso tristissimo. “Mi ha spezzato il cuore,” rispose. “Ma penso di averlo ferito anche io in qualche modo, in più di un’occasione.”

Keith si strinse nelle braccia ma non aveva freddo. Si sentiva come se si stesse preparando a ricevere un colpo. Sapeva che stava per arrivare ma non sapeva dove avrebbe colpito o quanto male avrebbe fatto. “Come sai di me e Shiro?”

Lance si fece serio, gli occhi grandi. “Oh, Keith…” Pareva dispiaciuto.

“Non fingere di non saperlo,” sibilò il Paladino Rosso. “Ti sei fidato di me per il modo in cui ho cercato Shiro dopo lo scontro contro Zarkon. Lo sapevi.”

Lance scosse di nuovo la testa, quella volta con più urgenza. “Non lo sapevo, lo giuro,” disse. “Stando con lui ho ripensato a delle cose e le ho guardate con occhi diversi.”

Keith avvertì un brivido lungo la schiena. “Hai intuito che c’è un legame particolare tra me e Shiro stando con Lotor?”
Lance scrollò le spalle. “È come quando impari a riconoscere le stelle. All’inizio sono solo puntini luminosi lontanissimi. Qualcuno brilla meno, qualcuno di più ma, di fatto, sono tutte uguali. Solo dopo vedi le costellazioni ed allora cominci a comprenderne il senso… E solo allora ti rendi conto di quanto sia bello il cielo.”

Era la miglior metafora sulla scoperta dell’amore che Keith avesse mai sentito ma decise che a Lance non l’avrebbe mai detto. “Lotor ti ha insegnato a riconoscere le stelle?”

Il Paladino Blu si umettò le labbra. “Vogliamo parlarne in codice, Keith?”

“Rispondi e basta.”

Lance non esitò oltre. Non arrossì nemmeno. Non provava vergogna o imbarazzo per quel suo segreto, così come non l’aveva provato Keith quando si era innamorato del giovane pilota che era suo tutore.

“Sì,” rispose. “Sì, Lotor mi ha insegnato a… Riconoscere le stelle.”

Keith aveva ripromesso a se stesso di mantenere la calma. Si era detto che avrebbe incassato quel colpo con nonchalance e che avrebbe permesso a Lance di continuare a raccontare la sua storia nel modo più libero ed onesto possibile.

Keith, però, era un ragazzino.

Sì, un ragazzino mezzo Galra, trascinato al centro di una guerra universale e con particolari problemi a gestire le proprie emozioni… Sentirsi addosso anche quelle di Lance fu una cosa devastante.

Perchè Keith aveva già imparato a riconoscere le stelle ed era stato bellissimo prima di divenire terribile.

Anche per Lance era stato così? C’era qualcosa di familiare in quegli occhi blu, qualcosa che Keith aveva trovato riflesso nello specchio dopo che la missione su Kerberos era stata data per fallita.

Lui, però, aveva avuto Shiro.

Lance, invece…

Si voltò ed uscì dalla stanza senza aggiungere una parola di più.

“Keith!” Lo chiamò Lance esasperato.

Non gli diede ascolto.



C’era una scorta di Nunvill sotto il bancone della cucina.

Keith non ricordava come era venuto a conoscenza di quell’informazione ma non l’aveva trovata di alcuna utilità, fino a quel giorno.

Attraversò la sala da pranzo come se non ci fosse nessuno e non fece caso al silenzio che calò al suo passaggio, nè alle cinque persone che lo fissarono confuse mentre spariva nella stanza accanto.

Quando Shiro si decise ad alzarsi dal suo posto e raggiungerlo, Keith aveva già tracannato metà della sua prima bottiglia di Nunvill, pallido in volto per lo sforzo che ingoiare quel veleno senza strozzarsi implicava.

Ci volle l’intervento di tutti per impedirgli di arrivare alla seconda bottiglia e Shiro dovette portarlo in bagno di peso per evitare che vomitasse tutto sul pavimento della cucina.

Fu uno schifo ma ne valse la pena: per qualche ora, riuscì a non pensare a Lance e Lotor.



Lance sapeva che gli altri erano andati a dormire.

Hunk, Pidge e Coran erano passati poco prima che le luci si spegnessero per convincerlo a mangiare qualcosa. Il Paladino Blu aveva rifiutato con un sorriso stanco ma si era arreso all’evidenza che non sarebbe potuto restare lontano dai suoi compagni per sempre.

Prima o poi, Hunk e Pidge si sarebbero chiesti che fine aveva fatto il buffone della squadra e Coran sarebbe tornato ad interrogarlo sui dettagli degli interventi medici a cui era stato sottoposto. Evitare Allura a lungo sarebbe stato impossibile e così anche Shiro.

Poi c’era Keith…

Keith che sapeva tutto pur non sapendo nulla e non riusciva ad accettare la sua verità nemmeno così, raccontata a metà.

Forse, dopo tutto quello che gli era successo, era stato troppo chiedergli di portarsi sulle spalle anche il suo segreto. Forse, era stato troppo frettoloso nel giudicare Keith in grado di ascoltare la sua storia e di capire i suoi sentimenti.

Ma se non lui, chi altri?

”Non ci posso credere, sei proprio come Keith! Siete tutti uguali! Vi fanno in serie, per caso? Nel vostro habitat naturale di battaglie e continui pericoli di morte siete espressione di pura e letale perfezione! Fuori da quello… Siete una sintesi ben bilanciata di stupidità e disastro!”
“Più parli di questo Keith e meno capisco se si tratta di una persona o di un insulto.”
“Tutti e due!”


Lance sorrise, poi premette il viso contro il cuscino in un futile tentativo di arginare le lacrime che erano tornate a bagnargli il viso.

“I mezzi Galra sono tutti stupidi…”

“Che cosa hai detto?”

Lance sobbalzò e picchiò la fronte contro la parete per lo spavento. Quando si voltò, Keith era in piedi accanto al suo letto, con un cuscino stretto al petto e l’espressione più miserabile con cui Lance l’avesse mai visto.

“Che cosa ti è successo?” Domandò il Paladino Blu con voce stridula.

“Fatti più in là,” gemette Keith dandogli praticamente il cuscino in testa e quasi cascandogli  addosso. “Non riesco a reggermi sulle gambe per più di cinque minuti.”

Lance lo fissò con occhi e bocca spalancati. “Ti sei ubriacato?”

“No,” Keith s’infilò sotto la coperta senza chiedere il permesso. “Mi sono stordito con un po’ di Nunvill.”

“Il Nunvill?” Urlò Lance. “Keith, quello per noi è veleno!”

Il mezzo Galra si premette le mani contro le orecchie. “Non urlare!” Si lamentò.

“Non urlare? T’infili nel mio letto dopo aver cercato di avvelenarti e dovrei anche restare calmo?”

“Non riesco a dormire,” si giustificò Keith fissando il soffitto.

Lance si coricò con uno sbuffo assicurandosi di mettere tra di loro tutto lo spazio possibile. “E cosa vuoi da me?”

Keith lo guardò con espressione stanca. “Capire…” Confessò.

Il viso di Lance si addolcì immediatamente. Sospirò. “Hai tentato il suicidio per quello che ti ho detto?”

“Non ho tentato il suicidio,” ribatté Keith indignato. “Volevo solo stordirmi un po’...”

Lance sollevò l’angolo destro della bocca. “Quando mi pensi lo fai tanto intensamente?”

“Fanculo, Lance.”

“Linguaggio, giovanotto!” Lo rimproverò il Paladino Blu ma rideva. “Che cosa vuoi capire?” Aggiunse, dopo un sospiro.

“Che cosa è successo,” rispose Keith. “Tutto quello che è successo… Anche quello che potrebbe darmi fastidio.”

Lance si accomodò su di un fianco. “Da quanto lo ami?”

Keith sospirò. “Da quanto lo amo o quando l’ho capito?”

“Sempre il solito lento, Keith.”
“Fanculo di nuovo…”

“Oh, essere ubriaco ti rende una boccaccia!”

“Non sono ubriaco. Sono stordito!” Keith prese un respiro profondo e chiuse gli occhi per un istante. “Non farmelo chiedere, Lance. Dimmelo e basta.”

Lance abbassò lo sguardo ed il suo viso si tinse di sfumature che il Paladino Rosso conosceva fin troppo bene. “È successo e basta, Keith.”

“Sì, me lo sono detto anche io, Lance.”

“È la verità. La prima volta che ho desiderato che mi baciasse, non sapevo nemmeno che aspetto avesse. Di lui conoscevo solo quello che potevo vedere attraverso le mie mani.”

Keith inarcò le sopracciglia. “La prima volta?” Domandò. “Pensavo fossi tornato a vedere solo dopo che ti abbiamo tolto quell’arnese dalla faccia.”

Lance annuì. “In via definitiva, sì.”

“Che significa in via definitiva?”

“È successo qualcosa prima dell’intervento,” spiegò Lance. “Per un po’, i miei occhi sono guariti completamente.”

Keith non gli chiese come: era certo che lo avrebbe scoperto ascoltando il resto della storia. “Non conosci solo la sua voce,” concluse.

Lance accennò un sorriso e scosse la testa. “No. Conosco tutto di lui.” Strinse le federe del cuscino tra le dita. “O meglio, conosco tutto ciò di lui che si può vedere o che si può toccare. Quello che ha nella testa è un po’ più complicato.”

“Tutto ciò che si può toccare?” Keith sentì la rabbia ed il panico risalire su per la gola come un altro conato di vomito. Strinse le labbra e decise di sopportare.

C’era dell’imbarazzo nell’espressione di Lance ma non allontanò gli occhi dai suoi. “Lo volevo, Keith,” lo rassicurò. “Lo volevo davvero.”

Il Paladino Rosso nascose il viso tra le mani. “Cazzo, Lance…”

“Non vi ho mai venduti,” aggiunse Lance velocemente. “Lotor non vi ha più minacciati dopo la mia cattura. Sì, all’inizio faceva parte del piano ma…”

“E se fosse cambiato qualcosa solo perchè Zarkon lo ha accusato di tradimento? Perchè credi che Lotor ti avrebbe lasciato libero anche se avesse avuto l’opportunità di agire liberamente?”

Lance strinse le labbra per un istante e cercò di ricacciare indietro le lacrime. “Perchè è per me che è divenuto un traditore.”

Keith sgranò gli occhi.

“No, non credo di esserne stata la causa in sè per sè,” ammise Lance. “Zarkon aveva bisogno di una conferma e Lotor gliel’ha data. Io ero solo un mezzo… Uno strumento…”

“Che conferma?” Domandò Keith. “Che cosa voleva Zarkon?”

“Voleva che Lotor mi uccidesse.”



 

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Capitolo 13
*** Lance ***


XI
Lance



”Che cosa sei per lui?”



C’era odore di pioggia nell’aria.

I capelli tra le sue dita erano umidi e così la pelle del corpo premuto contro il suo.

Eppure, erano solo brividi caldi quelli che Lance avvertiva lungo la schiena.

Tutto merito della bocca bollente contro la sua.

Lance rise ed il bacio finì. “Stiamo bagnando tutte le lenzuola!” Anche la sua pelle era umida.

Erano stati sorpresi da un temporale?

La stanza era completamente buia. Lance non poteva vedere niente ma poteva sentire tutto.

Davvero tutto.

“Sei così caldo…” Divaricò le gambe e si spinse verso l’amante con un’audacia che non gli apparteneva. Di norma, tutta la sua sicurezza si fermava alle parole. Non era mai andato oltre. Non ne aveva mai avuto l’occasione.

Si sentiva così bene. Per quanto tempo aveva desiderato vivere un momento così?

Lo cercò nel buio, trovò la sua bocca e si baciarono di nuovo. Era alto, forte. Lance si sentiva così piccolo tra le sue braccia ma non era un motivo per sentirsi intimorito. Al contrario…

“Facciamo l’amore?” Soffiò su quelle labbra calde.

Lo voleva… Lo voleva tanto.

Il suo amante gli accarezzò i capelli. Lance reclinò la testa all’indietro scoprendo la gola. Il respiro caldo dell’altro sulla pelle umida lo fece tremare di aspettativa. Si aggrappò alle sue spalle, si spinse nuovamente contro di lui alla ricerca di un po’ di sollievo da quell’eccitazione che gli spezzava il respiro.

“Che cosa sono per te?” Un sussurrò contro il suo orecchio.

“Uhm… Cosa?”

“Che cosa sono per te, Paladino Blu?”



”Che valore hai per loro?”



“Lance?”

Lance sbattè le palpebre un paio di volte. Il buio si era diradato completamente e così anche il calore, l’eccitazione. C’era un caffè d’asporto tra le sue mani: una doppia G arancione era stampata sul bicchiere di carta. Inarcò le sopracciglia. “Ci vedo…” Mormorò incredulo. “Ma che diavolo…?”

“Lance?”

Il Paladino Blu sollevò lo sguardo ed il timore di essere completamente impazzito ebbe la meglio su di ogni cosa. “Sto sognando, vero?”

Era seduto ad un tavolo della caffetteria della Garrison con una tazza d’asporto tra le mani ed i suoi compagni erano lì, con lui. Hunk era alla sua destra e Pidge alla sua sinistra. Aveva i capelli lunghi, come nella foto con suo fratello.

Fu lei ad interrompere il silenzio: “che cosa c’è?” Domandò.

Lance si rese conto che la stava fissando con la bocca spalancata. “Sembri una ragazza... “

Pidge aggrottò la fronte. “Ti sei svegliato più scemo del solito?”

Hunk gli tolse la tazza dalle mani con gentilezza. “Siamo certi sia caffè?” Domandò prendendone un sorso per controllare.

“Non è caffè. È una creazione firmata Galaxy Garrison che assomiglia a caffè,” disse Shiro. Era seduto di fronte a lui e sorrideva. Non era il sorriso spento e triste a cui Lance era abituato. No, era luminoso, pieno di speranze… Era il sorriso della foto che aveva visto al telegiornale dopo che la missione su Kerberos era stata dichiarata fallita. Non c’era alcuna traccia di bianco tra i suoi capelli ed il bel viso non era segnato da alcuna cicatrice.

Accanto a lui, Keith mangiava un cornetto al cioccolato, gli occhi viola fissi su di lui. “Sì, sembri più stupido del solito.”

Pidge si voltò a guardarlo e risero insieme.

“Keith…” Lo rimproverò bonariamente Shiro aggiustando una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio del mezzo Galra.

Lance inarcò un sopracciglio: si erano mai toccati così in loro presenza?

“Ehi! Cos’è questa assenza di reazioni?” Domandò Hunk.

Il Paladino Blu spostò lo sguardo su di lui. “Come?”

“Non ti offendi,” notò Hunk sospettoso. “Non replichi a modo tuo. Che ti passa per la testa?”

Lance dischiuse le labbra ma non disse niente per un lungo istante. “Tu eri il mio unico amico alla Garrison, Hunk,” disse senza pensarci troppo.

Pidge gli diede una gomitata. “Oh, grazie!” Esclamò acida. “E noi?”

Lance la guardò. “Tu sei arrivata per ultima!” Esclamò. “E loro…” Indicò Keith e Shiro. “Loro erano in un mondo tutto loro, a quel tempo!”

“Quale tempo?” Domandò Keith addentando di nuovo il suo cornetto. “Di cosa stai parlando?”

Lance sbuffò e si guardò intorno con urgenza. “È un sogno, vero? Sì, deve essere un sogno!”

“Sicuro di stare bene, Lance?” Disse Shiro con gentilezza.

Il Paladino Blu lo ignorò. “Dov’è Allura?”

“Chi?” Domandò Hunk.

“E Coran?” Lance si alzò in piedi ed i suoi compagni lo guardarono come se fosse completamente impazzito. “Noi non dovremmo essere qui! Noi non siamo mai stati tutti insieme alla Garrison! È Voltron che ci ha uniti!”

Shiro si alzò lentamente. “Che cos’è Voltron?”

Keith lasciò andare il suo cornetto ed allungò una mano verso Hunk. “Fammi provare quel caffè.”

“Non c’è niente nel caffè!” Sbottò Lance esasperato. Si prese la testa tra le mani. “È tutto sbagliato!”

Decine di occhi lo guardavano ma non gli importava: tutto quello non era reale.

“Mi hai sentito?” Urlò alzando lo sguardo verso il soffitto. “Tutto questo è sbagliato! Non otterrai niente da me in questo modo!”

Non sapeva contro chi stava urlando. Non era nemmeno certo di quello che gli stava succedendo ma ricordava bene le storie di Shiro riguardo al modo in cui i Galra avevano cercato di entrargli nella testa.

Lance strinse i pugni e chiuse gli occhi. “Non è reale, non è reale,” prese a ripetere. “Non è reale, non è reale, non è-”



”Che cosa ti manca di più?”



Quando riaprì gli occhi, Lance non era più alla Garrison.

La divisa bianca ed arancione era sparita e lo erano anche i suoi compagni.

Quel luogo, però, gli era altrettanto familiare e rivederlo ebbe il potere di chiudergli lo stomaco e fargli salire le lacrime agli occhi. Il rumore del mare fuori dalle finestra era l’unica cosa a spezzare il silenzio. Decine di fotografie decoravano le pareti bianche. L’arredamento era modesto ma la stanza era pulita, solo la vecchia poltrona che era appartenuta a suo nonno e poi a suo padre aveva visto giorni migliori.

Lance si spostò dal centro del piccolo salotto per toccarla. Le cuciture stavano cedendo sullo schienale e su uno dei braccioli. Quando era bambino, la maggior parte delle discussioni tra i suoi genitori avveniva a causa di quel vecchio mobile.

Sua madre era riuscita a liberarsene solo dopo che si erano trasferiti sul continente.

“Durante i traslochi qualcosa va sempre perso.” Era stata la sua giustificazione. Suo padre era stato in lutto per almeno un mese.

Lance prese tra le dita un batuffola bianco dell’imbottitura e prese a giocarci distrattamente. Un sorriso nostalgico gli illuminava il viso.

Un rumore di passi attirò la sua attenzione.

Sollevò lo sguardo. Un piccolo arco divideva il salotto dall’ingresso, dove si trovavano le scale. La cucina era dalla parte opposta ma Lance poteva vedere da lì che non c’era nessuno.

Il suono della risata di un bambino lo fece sobbalzare.

“Emily!” Chiamò correndo su per le scale. “Danny!”

Non c’era nessuno al piano di sopra.

“Mamma? Papà?” Riprovò aprendo la porta della stanza in fondo al corridoio. La camera matrimoniale era perfettamente in ordine, nessuna traccia dei suoi genitori.

“Che cosa stai facendo?”

Lance sobbalzò e si voltò. Un bambino era comparso dalla parte opposta del corridoio, di fronte alla porta della sua vecchia camera.

Non appena lo riconobbe, Lance sentì il respiro venire meno.

“Cerchi mamma e papà?” Domandò il piccolo avvicinandosi. Aveva addosso una piccola canotta bianca ed un paio di pantaloncini.

“Io…” Lance non sapeva come rispondere. “Dove sono Arth, Morgan e Percy?” Domandò poggiando un ginocchio a terra per guardare il bambino dritto negli occhi. Erano blu, proprio come i suoi.

“Sono cresciuti,” spiegò il bambino. “Non sono più qui.”

Lance sorrise tristemente ed annuì. “Sei rimasto solo tu, Lancelot?”

Il piccolo… Il se stesso bambino s’imbronciò. “Non mi piace quel nome, sa di vecchio!”

“Tranquillo,” replicò Lance. “Riuscirai a liberartene molto presto.”

“Promesso?”

Il Paladino Blu annuì. “Sarai solo Lance. Ti piace l’idea?”

Il viso del bambino s’illuminò con un gran sorriso. “E viaggerò tra le stelle?”

Lance si fece serio di colpo. “Sei sicuro di volerlo fare?” Domandò. “Non saresti più felice a casa con la mamma, il papà e tutti gli altri?”

Il bambino ci pensò. “Ma io ho sempre sognato di esplorare lo spazio!”

“Ma non ci sono solo belle cose nello spazio,” replicò Lance. “Andare lassù significherebbe rinunciare a tutto quello che hai qui, sulla Terra.”

Lancelot reclinò la testa da un lato. “Non posso avere tutti e due?” Domandò. “Le stelle e la Terra?”

Lance strinse le labbra. “Vorrei tanto che fosse possibile, piccolo.” Gli accarezzò i capelli castani e si sforzò di trattenere le lacrime. Sapeva che non era reale ma non poteva non provare tenerezza per quella creatura innocente, piena di sogni.

Non aveva ancora avuto il tempo di deludere se stesso.

“Che cosa desideri di più?”

Lance sbattè le palpebre un paio di volte. “Cosa?”

Il piccolo Lancelot sorrise di nuovo. “I tuoi sogni!” Esclamò. “È quelli che devi inseguire! Non il tuo passato, Lance!”

Il Paladino Blu gli sorrise e lo abbracciò.



”Qual è la tua più grande paura?”



“La-Lance…”

Il bambino tra le sue braccia era scomparso.

“La… La-Lance…”

Qualcuno lo chiamava.

La scena era cambiata di nuovo. La casa della sua infanzia era stata sostituita dall’hangar del Castello. Qualcosa, però, non andava.

“Che cosa…?” Le luci andavano e venivano e c’era troppo silenzio. Aveva di nuovo addosso la sua armatura ma era freddo, tanto freddo. I portelloni dovevano essere rimasti aperti.

Fece un passo, scivolò su qualcosa e cadde a terra. Imprecò a denti stretti e si fece leva su di una mano per alzarsi in piedi. Toccò qualcosa di bagnato. A causa della luce che andava e veniva, impiegò un lungo istante a rendersi conto che le sue dita erano sporche di rosso.

Era caduto su di una pozza di sangue.

Sgranò gli occhi ed il respiro venne meno.

“Non è reale…” Disse tremando. “Non è reale, non è…” Si voltò, la voce gli morì in gola. Tutti i suoi sforzi di restare calmo ed essere razionale finirono in pezzi… Come lo era il leone che aveva di fronte.

“Blue!” Urlò correndo verso di lei. “Blue!” Sollevò le mani ma non riuscì a toccarla: non aveva più la testa ed il resto di lei era in ogni angolo dell’hangar.

“Blue…” Lance singhiozzò. Non riuscì più a trattenere le lacrime. “Che cosa ti hanno fatto?”

Un ringhio in lontananza gli fece distogliere lo sguardo da lei: una luce dorata illuminava l’hangar accanto.

“Red!” Chiamò disperatamente. “Red!” Corse lungo il corridoio che collegava i due ambienti. Il leone che Keith gli aveva ceduto giaceva scompostamente al suo posto. Era flebile il bagliore dei suoi occhi ma non appena il Paladino Blu comparve di fronte a lei, il portellone d’ingresso si aprì.

Lance si sentì morire. “Keith!” Entrò nel leone tanto velocemente che per poco non inciampò sui suoi stessi piedi. “Keith!”

Il Paladino Rosso era seduto nella cabina di pilotaggio. La visiera del casco era sporca di sangue.

“Keith!” Lance lo afferrò per le spalle. “Resisti, Keith!” S’inginocchiò sul pavimento e prese il compagno tra le braccia. Lo liberò dal casco molto lentamente: non sapeva che danni aveva riportato e non voleva fargli male.

Gli occhi di Keith erano chiusi, era terribilmente pallido e perdeva sangue dal naso. “Keith!” chiamò tirandogli i capelli indietro. “Keith, ti prego, rispondi!”

Il Paladino Rosso si mosse debolmente.

Lance gli afferrò la mano. “Sono qui, Keith,” disse, piangeva ancora. “Sono io… Sono Lance!”

Keith riuscì ad aprire appena gli occhi. “Lance…”

“Shhh… Non parlare. Risparmia le forze.” Il Paladino Blu recuperò il casco dal pavimento con l’unica mano libera e lo indossò. “Coran?” Chiamò aprendo il canale di comunicamente con il ponte di comando. “Coran? Allura? Mi serve aiuto! Keith è ferito e non riesco a portarlo di sopra da solo!”

In risposta ricevette solo interferenze.

“Allura!” Urlò. “Coran!”

Ancora interferenze.

“Maledizione!” Lance si tolse il casco e lo lanciò contro il pavimento. Tra le sue braccia, Keith tremava violentemente. “Ehi, amico…” Lance lo abbracciò. “Va tutto bene,” mormorò tra le lacrime. “Stanno arrivando, va tutto bene.”

Appena un istante più tardi, Keith smise di muoversi. Anche Lance si fece immobile, come congelato, gli occhi blu persi nel vuoto. Piangeva ancora ma non sentiva niente, solo tanto freddo.

Era come se qualcuno lo avesse svuotato.

“Non è reale,” disse accarezzando distrattamente i capelli di Keith. “Non è reale…” Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. “Non è reale! Non è reale! Non è reale!”

Urlò fino a perdere i sensi.



”Che cosa desideri di più?”



Fu il rumore di un aspirapolvere a svegliarlo.

Gemette a bassa voce infilando le dita tra i capelli. “No…” Mormorò. “No, non di nuovo.”

“Invece sì!” Era Keith.

Lance aprì immediatamente gli occhi: era di nuovo nel salotto della casa della sua infanzia ma l’arredamente era diverso, più moderno. Quella, però, non era la cosa più assurda.

Keith che dava l’aspirapolvere lo era. Non aveva più l’aria da gatto selvatico con cui l’aveva conosciuto. Niente guanti da motociclista. Nessun mullet.

“Ma che…?”

“Cosa?” Ringhiò Keith girando intorno al basso tavolino al centro della stanza. “Ho disturbato il tuo pisolino di bellezza di metà mattinata?”

Lance si sollevò sui gomiti. “Mi sono addormentato sul divano?”

“E a me tocca fare le pulizie che avresti dovuto fare tu!” Continuò a lamentarsi Keith. “Quella bambina ti garantisce troppi privilegi! Allura si è addolcita con te grazie a lei!”

“Di cosa stai parlando?” Domandò Lance. “Quale bambina?”

Keith spense l’aspirapolvere e lo guardò storto. “Vuoi liberarti anche delle tue responsabilità come genitore?”

Lance sgranò gli occhi. “Keith, ti prego, dimmi di che cosa stai parlando?”

L’altro alzò gli occhi al cielo e sbuffò. “È tardi, valla a svegliare,” ordinò trascinando l’aspirapolvere fino alla cucina.

“Svegliare chi?” Domandò Lance.

Guinevere!” Urlò Keith dalla cucina.

Lance si bloccò. “Guinevere…” Ripetè, poi si spostò verso la cucina. “Tu come fai a sapere di Guinevere?”

Keith agganciò l’aspirapolvere al caricatore a muro vicino al frigorifero. “Mi prendi in giro?”

“Io non ti ho mai parlato di Guinevere,” disse Lance. “Non l’ho fatto nemmeno con Hunk. Penso che non se lo ricordi nemmeno mia madre… Era una fantasia di quando ero bambino!”

Keith inarcò le sopracciglia. “Beh… La tua fantasia ha due anni e dorme nella tua vecchia camera al piano di sopra. Trovi la strada da solo o vuoi che ti accompagni?”

Lance sbuffò e scosse la testa. “Non riesco a capire perchè sei così tanto presente nella mia testa.”

“Come faccio ad essere presente nella tua testa?” Ribattè Keith. “La tua testa è completamente vuota.”
Lance, però, era già a metà delle scale che portavano al piano superiore. La sua vecchia stanza era in posizione opposta a quella dei suoi genitori. Vi era una grande nuvola di peluche appesa alla porta, simile ad un fiocco nascita. Al centro, vi erano ricamate in azzurro un nome.

Guinevere…” Mormorò Lance passando le dita sulle nove lettere. Aprì la porta con cautela. Le persiane erano ancora chiuse ma la luce del sole filtrava dalle fessure permettendogli di muoversi liberamente. Il piccolo letto con le sponde era sotto la finestra, proprio dove, un tempo, era stato il suo.

Lance prese a torcersi le mani nervosamente prendendo un respiro profondo ad ogni passo. La bambina dormiva stringendo tra le braccia un peluche di leone azzurro. Il Paladino Blu sorrise tra sè e sè: lo aveva cucito lui? Era sempre stato più bravo di sua sorella in quelle cose e poteva immaginarsi mentre preparava il corredino per i suoi bambini.

”Non è reale.”

Lance si bloccò a metà di un passo, ingoiò a vuoto ed annuì. “Giusto…” Mormorò. Quella consapevolezza, però, non gli impedì di andare avanti, di stringere tra le dita la sponda di legno di quel lettino e di guardare la creatura che vi dormiva dentro.

I lunghi capelli ricciuti di lei erano sparsi sul cuscino. Erano dello stesso colore dei suoi. Lance allungò una mano tremante e glieli accarezzò. “Guinevere…” Chiamò dolcemente. La bambina lasciò andare il suo peluche e si stiracchiò assecondando il tocco della sua mano. Due occhi blu identici ai suoi si aprirono sul mondo e Lance sentì il respiro venire meno per un lungo istante. Sorrise.

“Ciao…” Disse lei con un sorriso assonnato.

“Ciao,” rispose Lance con un filo di voce. “Sei proprio come ti avevo sognata.”

Sì, lo era perchè quello era un sogno.

Eppure, i riccioli castani tra le sue dita erano così reali ed il sorriso sulle labbra di Guinevere era in grado di scaldargli il cuore.

”Non è reale.”

“Lo so, ho capito,” disse a voce abbastanza bassa per non farsi sentire dalla bambina.

”Lance! Non è reale!”

“Lasciami in pace,” disse alla voce nella sua testa. Afferrò la bambina sotto le braccia e la sollevò per stringerla al petto. Guinevere gli circondò il collo con le piccole braccia ed appoggiò la guancia alla sua spalla.

Lance affondò il viso tra i suoi capelli inspirandone il profumo a pieni polmoni. La sua bambina sapeva di buono, di casa.

”Lance!”

“Lasciami in pace, ho detto,” ripeté stringendo Guinevere ancor di più.

”Lance! Non è reale!”

“Smettila!”



”Lance!”



Ritornare alla realtà fu come salire in superficie dopo essere stati costretti a lungo sott’acqua. Spalancò gli occhi e la luce violetta quasi lo accecò. Strinse le palpebre, cercò di muoversi ma qualcosa gli bloccava un braccio, gli penetrava nella carne come un ago appuntito. Faceva male.

Lo cercò alla cieca per liberarsene. Qualcuno glielo strappò di dosso prima che ci riuscisse. Urlò di dolore. Si girò su di un fianco stringendo il braccio al petto, pulsava dolorosamente.

“Lance?”

“No…”

“Lance!” Gli afferrarono le spalle e lo costrinsero a sedersi. La testa gli cadde all’indietro, una mano scivolò sulla sua nuca e la tenne sollevata. “Respira!” Ordinò una voce che conosceva bene. “Lance, respira!”

Una mano era premuta contro il suo petto, Lance l’afferrò e fece come gli era stato detto. Dopo tre respiri profondi, la tensione che sentiva all’altezza dello stomaco si allentò ed aprì gli occhi: la luce viola non era forte come aveva creduto. Ci vedeva.,, Ci vedeva davvero.

“Lance…”

Il Paladino Blu sollevò gli occhi, rispose a quel richiamo senza pensarci. Conosceva quella voce. Era l’unica cosa che conosceva di lui.

Uno sguardo e non lo fu più.

Lance sorrise prendendo tra le dita una delle lunghe ciocche candide che ricadevano sulle spalle del suo salvatore. “Sei tu…” Mormorò. “Sei davvero tu.”

Lotor non disse nulla, la sua espressione era indecifrabile. “Quintessenza,” disse ma non era al Paladino che si stava rivolgendo. “Gli hai iniettato della Quintessenza?”

Lance inarcò le sopracciglia ma non ebbe il tempo di chiedere nulla.

“Non sei nella posizione di porre alcuna domanda, Lotor.”

Nell’udire quella voce, Lance rabbrividì. Allungò il collo per vedere oltre la spalla di Lotor: c’era qualcuno nell’angolo più buio della stanza, solo i lunghi capelli bianchi erano visibili oltre l’orlo del cappuccio scuro.

Lance dischiuse le labbra ma, ancora una volta, non riuscì a dire niente.

Lotor lo sollevò senza sforzo. “Hai finito di giocare con la sua mente, strega.”



 

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Capitolo 14
*** Piano ***


XII
Piano




La parete esterna della stanza era una grande vetrata che dava sul resto del quartier generale. Quell’enorme ed inquietante macchina di distruzione era il cuore dell’Impero Galra. Lance ricordava la battaglia in cui avevano tentato di distruggerla, la stessa in cui avevano perso Shiro. Non erano mai stati tanto vicino alla morte come in quel momento.

Era così assurdo essere di nuovo lì,  a vagare nella camera da letto del Principe come se fosse un ospite come tanti.

Lance appoggiò la fronte al vetro freddo e prese un respiro profondo. Lotor lo aveva portato lì e, dopo avergli ordinato di non fare sciocchezze, se ne era andato.

Lance non aveva avuto il tempo di ribattere in alcun modo. Aveva annuito e lo aveva lasciato andare.

Non dovevano essere passate che poche ore, eppure a Lance parevano secoli. Non era abituato al silenzio e tutto quel viola lo deprimeva. In compenso, il mal di testa era passato.

Lance si allontanò dalla vetrata ed osservò il proprio riflesso. Addosso aveva una tuta scura, priva di armatura, aderiva al suo corpo come una seconda pelle e, a dire la verità, lo faceva sentire nudo, a disagio. La manica destra era strappata e l’interno del gomito era gonfio, di colore violaceo. Dovevano avergli conficcato qualcosa nel braccio: quando Lotor lo aveva strappato dal sogno, aveva avvertito un forte dolore in quel punto.
“Quintessenza…” Mormorò. Aveva udito Lotor parlarne alla donna inquietante alle sue spalle. Gli avevano iniettato della Quintessenza? A che scopo?
Arrivò al grande letto al centro della stanza. Non c’era niente di personale in quella camera. Era esageratamente spaziosa e terribilmente vuota. Vi si accedeva attraverso un salottino privato e non aveva ancora visto il bagno. Era una suite spaziale, non la camera di un Principe.

Lotor non doveva dormire su quel letto da molto tempo o, forse, non era mai riuscito a considerare quel luogo casa. Lance lanciò un’altra occhiata all’esterno, alle navi da guerra che andavano e venivano. Storse la bocca in una smorfia: non biasimava il suo salvatore per non amare quel posto.

Non era nato in una famiglia benestante e la sua non era stata un’infanzia propriamente dorata ma aveva sempre avuto il mare e l’immensità del cielo stellato. Da lì, la luce delle stelle appariva fredda, artificiale, morta.

L’oscurità di quel luogo sembrava penetrargli fin sotto la pelle.

Si strinse nelle braccia per combattere un brivido freddo. Si passò una mano tra i capelli e cercò di pensare ad altro. L’immagine di due occhi color indaco gli strappò un sorriso. Lance aveva cercato di dipingere un ritratto mentale di Lotor attraverso le sue mani, il suono delle sua voce, le sensazioni che provava quando gli era accanto. Tuttavia, la realtà aveva di gran lunga superato la sua fantasia.

Ridacchiò con se stesso lasciandosi ricadere sul letto. Era un Paladino di Voltron alla corte dell’Imperatore Zarkon e, fino a prova contraria, era un prigioniero del Principe Lotor. Eppure, non riusciva a smettere di sorridere. Aver recuperato la vista contribuiva enormemente al suo buon umore, ma era a Lotor che continuava a pensare e a quegli occhi blu con qualcosa di viola.Il ricordo di un tramonto che non aveva mai visto e di un bacio che non gli era mai stato rubato spensero il suo sorriso.

“Lance.”
Il Paladino reclinò la testa all’indietro: il Principe dei Galra era sotto l’arco che divideva la camera da letto dal salotto privato. Non indossava più l’armatura, solo una tuta blu scuro. “Alzati,” ordinò ma il Terrestre stava già scivolando giù dal letto. “Raccontami tutto quello che è successo,” ordinò esaurendo la distanza tra loro. “Le domande che ti hanno fatto e quello che hai visto nei tuoi sogn-”

Lotor non vide lo schiaffo arrivare e non potè fare nulla per evitarlo. Lance si sorprese della sua stessa azione e rimase con il braccio sospeso a mezz’aria, gli occhi sgranati. “Mi… Mi…” Non riuscì a dire niente.

Lotor lo afferrò per le braccia e lo sbattè con forza contro la vetrata. Lance chiuse gli occhi e strinse i denti: gli stava facendo male.

“Stammi bene a sentire,” sibilò Lotor contro il suo orecchio. “Non credo che tu sia tanto stupido da non comprendere la nostra attuale posizione. Per tanto, evita di comportarti come un idiota o non uscirai vivo di qui.”

Lance strinse i pugni. “Se non te ne fossi andato, non saremo in questa situazione.”

Le dita di Lotor gli artigliarono le braccia ed il Paladino strinse le labbra per non lamentarsi: aveva toccato un nervo scoperto. Forse, si sentiva in colpa… O era solo frustrato perchè suo padre lo aveva costretto con le spalle al muro.

Lance aggrottò la fronte. Un pensiero molesto prese velocemente forma nella sua mente: perchè Lotor era lì?

Al momento dell’attacco, non era sulla nave e non avevano rapito le ragazze. Almeno, Lance non le aveva viste in quella specie di camera delle torture in cui si era risvegliato. Dovevano aver preso Red ma Lotor non era Zarkon, non era ossessionato da Voltron al punto d’affrontare suo padre per un singolo leone.

“Perchè sei qui?” Domandò Lance con un filo di voce.

Lotor si fece indietro, ma senza lasciarlo andare. La sua espressione era indecifrabile.

“Sei venuto da solo?” Domandò il Paladino.

Il Principe non rispose.

Lance scosse appena la testa: non aveva senso. “Perchè?” Domandò nuovamente. “È un comportamente senza senso.”

Lotor continuò a rimanere in silenzio. Abbassò gli occhi e Lance seguì il suo sguardo: stava guardando il livido violaceo che stava comparendo sull’interno del suo gomito.

“Non fa male,” lo rassicurò Lance, sebbene l’altro non avesse chiesto niente. “Non molto…”

Il viso del Principe continuò ad essere una maschera inespressiva. “Vieni con me.” Lo tirò per un braccio ma con più gentilezza.

Lance si lasciò guidare senza opporre resistenza.

Il bagno non era poi così diverso da quello della sua stanza al Castello, solo più grande e decisamente più viola.

Lotor lo lasciò andare per aprire il box della doccia e far scorrere l’acqua. “Voltati…” Ordinò.

Lance lo fece, rabbrividì nel sentire le dita del Principe sul retro del collo e si avvolse le braccia intorno al corpo. Lotor se ne accorse. “Hai freddo?”

“No,” disse Lance. Non mentiva.

“Stai tremando.”

Il Paladino si umettò le labbra. “Soltanto un po’...” Lo disse solo per giustificarsi.

Lotor fissò la sua nuca per un lungo istante: i capelli castani si erano allungati nelle settimane di prigionia. Erano spettinati, un po’ selvaggi.

“Hai i capelli ricci?” Domandò il Principe passando le dita tra le ciocche ondulate per scoprire la zip alla base del collo.

Lance sgranò gli occhi e s’irrigidì. “Oh, no! No! No! Si sono allungati fino a quel punto!”

“Stai fermo,” ordinò Lotor e prese ad aprire la cerniera della tuta nera.

“Tu non capisci!” Si lamentò Lance. “Quando ero bambino, mia madre mi faceva sempre crescere i capelli finchè non avevo un orrendo casco di riccioli in testa, Lei diceva che erano adorabili ed io li odiavo! Mi hanno scambiato per una bambina fino alla prima elementare! Mia sorella mi faceva i codini! I codini, capisci? Mi diceva che ero bello ed io ci credevo! Mi portava al parco con quei maledetti codini!”

Lotor lo lasciò parlare scoprendo la sua schiena lentamente, stando attento a non ferirlo con la cerniera per sbaglio. Notò che la fossetta della colonna vertebrale era accentuata ma non in un modo che potesse suggerire un lungo periodo di denutrimento. Pur non toccandolo, Lotor poteva avvertire il calore della sua pelle ed i suoi occhi seguirono le linea di quella schiena man mano che la zip scendeva. Vi erano altre due fossette alla basa della spina dorsale. La struttura ossea di Lance non sembrava diversa dalla sua, solo più piccola. La massa muscolare era nettamente inferiore ma questo non lo rendeva meno gradevole da guardare.

Soprapensiero, Lotor tirò la zip un paio di volte, prima di rendersi conto che aveva aperto la cerniera fino in fondo. Lo spettacolo finiva lì.

Quando Lotor sollevò gli occhi, quelli blu di Lance lo stavano osservando da sopra la spalla. Aveva dimenticato che ora poteva vederlo.

“Mi stavi guardando?” Domandò il Paladino. Non sembrava offeso, nè spaventato. Sorpreso, forse.

“Ti stavo spogliando,” rispose Lotor. “Dove volevi che tenessi gli occhi?”

Lance si voltò. “Hai capito cosa intendo!”

“No, non capisco la maggior parte delle cose che dici,” mentì Lotor. “Fatti una doccia, poi la farò io.”

“Non ho altri vestiti,” disse Lance.

“Te li procurerò io.”

Lotor lo superò evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.

Lance si morse con forza il labbro inferiore, prima di trovare il coraggio di parlare. “Dove sei stato quella notte?”

Lotor si bloccò ad un passo dalla porta ma non si voltò. “Non è una cosa che ti-”

“Non avresti dovuto mandare Acxa ad informarmi che non c’eri, se è una cosa che non mi riguarda,” disse Lance.

Lotor sentiva quegli occhi blu contro la sua schiena. Gli sarebbe bastato fare un passo per liberarsene e lasciare il Paladino da solo con i suoi dubbi. Fu il fruscio della tuta che cadeva a terra ad indurlo a voltarsi. Tutto quello che la zip non gli aveva permesso di scoprire era lì, davanti ai suoi occhi.

Lance resse il suo sguardo per un lungo istante. Le guance erano rosse ma l’orgoglio era più forte dell’imbarazzo. Lotor sollevò l’angolo destro della bocca ed incrociò le braccia contro il petto. “Ti sto guardando, contento?” Se il Paladino voleva giocare, allora perchè non divertirsi?
Lance aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi abbassò lo sguardo e lo invitò ad avvicinarsi con un gesto della mano. Lotor lo assecondò. “La tua prossima mossa?” Era curioso.

Il Paladino tornò a guardarlo in faccia. “Voltati…”

Lotor inarcò le sopracciglia. “Prego?”

“Devo farmi una doccia,” disse Lance. “Tu devi farti una doccia, ma io voglio risposte e non sono un tipo paziente. Quindi…” Fece un gesto nervoso con la mano. “Voltati… E togliti quell’espressione divertita dalla faccia.”

Lotor non poté accontentare quell’ultima richiesta ma non si fece ripetere l’ordine una terza volta. Liberò il collo dai lunghi capelli e le mani di Lance afferrarono frettolosamente la zip della sua tuta. Non la abbassò con la stessa cura che gli aveva dedicato lui.

Era nervoso e Lotor ne era divertito. Prima che riuscisse a spogliarsi completamente, Lance battè in ritirata sotto la doccia.

Il getto d’acqua calda fu una benedizione per il Paladino. Le palpebre si abbassarono sugli occhi blu ed un sospiro sfuggì dalle belle labbra carnose.

Per un momento, ogni muscolo del corpo di Lance si rilassò completamente. Non appena il vetro della doccia si aprì, tornò a fissare la parete e s’irrigidì completamente.

“Intendi darmi le spalle per tutto il tempo?” Domandò Lotor.

C’era abbastanza spazio perchè entrambi potessero stare sotto il getto della doccia senza toccarsi. Lance ne fu sollevato: aveva cominciato quel gioco impulsivamente e non era certo di sapere come mandarlo avanti.

“Mi hanno iniettato della Quintessenza?” Domandò Lance.

“Sì.”

“È per questo che vedo di nuovo?”

“Probabile…”

“Perchè lo hanno fatto?”

“Hai fatto dei sogni, vero?” Domandò Lotor. “Sogni molto vividi…”

Lance annuì. “Era come passare da una realtà all’altra in un battito di ciglia. Ho capito subito che non poteva essere reale ma ho creduto d’impazzire.”

“L’intento era quello,” disse Lotor allungando un braccio oltre la spalla del Paladino. Lance trattenne il fiato ma non si mosse.

C’era un display accanto al miscelatore della doccia. Lance non era in grado di leggere ciò che vi era scritto. Lotor vi premette il palmo ed un pannello della parete si sollevò rivelando un piccolo scompartimento.

Lance sobbalzò e fece un passo indietro. Non appena sentì il calore del corpo di Lotor contro la schiena, si rintanò nell’angolo con un gridolino.

Lotor ridacchiò a bassa voce.

“Non ridere!” Urlò Lance isterico. “Perchè volevano farmi impazzire?”

“Ti hanno fatto delle domande, immagino. Attraverso la Quintessenza, la tua mente risponde automaticamente creando delle immagini. È impossibile mentire ad un interrogatorio del genere,” spiegò Lotor afferrando una delle bottigliette all’interno dello scompartimento che aveva aperto.

Lance ripensò ai sogni in cui si era ritrovato prigioniero ed alle domande che li avevano provocati. “Mi hanno chiesto di te.”

Lotor fissò la schiena del Paladino. Si versò dello shampoo sulla mano. “Che cosa ti hanno chiesto?”

Che cosa sei per lui?” Disse Lance appoggiando la fronte alla parete fredda. “Sì, la domanda era: che cosa sei per lui?

Lotor strofinò i palmi l’uno contro l’altro, poi s’infilò le dita insaponate tra i capelli. “E la tua mente come ha risposto?”

Lance chiuse gli occhi serrando i denti sul labbro inferiore. Non poteva confessare al Principe dei Galra di essersi risvegliato in un sogno erotico che lo riguardava. Non poteva davvero, ne andava del suo orgoglio.  Perchè la sua mente gli aveva giocato uno scherzo simile?

Confuso dal suo silenzio, Lotor puntò gli occhi indaco sulla nuca del Paladino. “Lance.” Incalzò.

Lance inspirò profondamente dal naso. “Dov’eri quella notte?” Se doveva umiliarsi, tanto valeva giocare il tutto per tutto.

“Ti ho detto che-”

“Ti risponderò solo se sarai sincero con me!” Esclamò Lance. “Sapevi che sarei rimasto sveglio ad aspettarti. Sapevi di aver creato un’aspettativa ed è per questo che hai mandato Acxa nella mia cella.”

“Qualunque aspettativa tu avessi, era solamente nella tua testa,” replicò Lotor. “Sono andato dove sapevo di trovare compagnia… Avevo bisogno di liberarmi la testa.”

Lance sgranò gli occhi e strinse i pugni. Ingoiò a vuoto ma la rabbia rimase lì, all’altezza del petto. “Pezzo di merda…” Sibilò.

“Hai detto qualcosa?” Domandò Lotor spostandosi sotto il getto dell’acqua per lavare via il sapone. Lo aveva udito benissimo.

“Ho sognato che scopavamo,” sibilò il Paladino lanciandogli un’occhiata astiosa da sopra la spalla. “Adesso, probabilmente, credono che siamo amanti.”

Lotor lo guardò senza una reale espressione. Non si era aspettato una risposta simile. “Finisci di lavarti,” disse, prima di uscire dalla doccia. “Ti farò trovare dei vestiti in camera da letto. Non metterci troppo.”

Quando la porta del bagno si richiuse, Lance appoggiò la fronte alla parete e scoppiò a piangere.





Quando uscì dal bagno, Lotor era in piedi di fronte alla vetrata ed osservava l’esterno con espressione pensierosa. “Mettiti quei vestiti,” disse indicando il letto con un cenno del capo.

Lance non poté fare a meno di fissarlo: aveva raccolto i lunghi capelli alla base del collo e gli abiti che indossava erano dello stesso stile di quelli di Allura e Coran, solo dai colori più scuri. Nero e blu scuro per la precisione, non molto diversi da quelli dell’armatura che gli aveva visto addosso quando lo aveva salvato. Assomigliava davvero ad un Principe vestito in quel modo.

Lotor dovette percepire l’insistenza del suo sguardo perchè gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Hai recuperato la vista e perso l’udito?” Domandò spazientito.

Lance si strinse di più nell’asciugamano in cui si era avvolto. Abbassò lo sguardo sugli abiti che avrebbe dovuto indossare: sembravano identici a quelli di Lotor.

“Perchè io non ho un mantello?” Domandò con lo stesso tono di un bambino viziato.

“Vestiti e taci.”

Lance sbuffò ed ubbidì. I vestiti non gli calzavano a pennello ma potevano andare. “Dove li hai trovati così piccoli?”

Mentre il Paladino tentava di allacciarsi la cintura in un modo che non facesse apparire la lunga casacca come un sacco in cui era caduto per sbaglio, Lotor lo guardò con un sorrisetto divertito. “Sono vestiti di quanto ero un ragazzino.”

Lance fissò la cintura tra le sue mani, poi sorrise sarcastico. “Bel tentativo di minare alla mia virilità ma, tecnicamente, io sono un ragazzino.”

“Sei un prepubescente?” Domandò Lotor con altrettanto sarcasmo.

Lance scosse la testa spazientito. “Non importa!” Sbottò stringendo la cintura fino all’ultimo buco – e gli rimase comunque lenta sulla vita. “Quale sarebbe il piano?”

Lotor diede le spalle alla vetrata per guardarlo. “Chi ti dice che ho un piano?”

Il Paladino sbuffò di nuovo. “Ti piace perdere tempo, Lotor? Sei venuto qui da solo, pur sapendo che tuo padre ti voleva a costo di farti spezzare le gambe e trascinarti al suo cospetto. Questo mi ha fatto giungere a tre conclusioni: uno, sei un idiota; due, desideri suicidarti con stile; tre, hai un fottuto piano di cui io faccio fottutamente parte!”

Lotor lo fissò annoiato. “Pensi di poter parlare senza urla-?”

“No!”

Il Principe sospirò e si spostò verso il salotto accanto alla camera da letto. “Siediti,” ordinò indicando indicando il grande divano a mezzaluna. Quella stanza non era poi così diversa da quella comune in cui lui ed i suoi compagni solevano rilassarsi.

Lance alzò gli occhi al cielo ed ubbidì. “Bene!” Esclamò isterico lasciandosi cadere proprio sulla curva. “Quale sarebbe il piano?”

Lotor rimase in piedi di fronte a lui. “Continua a parlarmi del tuo interrogatorio.”

Il Paladino si calmò di colpo, lo sguardo serio. “Non mi hanno chiesto altro su di te,” disse.

“Allora devono aver scavato dentro di te,” ipotizzò Lotor. “Ti hanno fatto domande sui tuoi desideri? Sulle tue paure? Su ciò che ami?”

Lance annuì. “Sì, tutto questo,” confermò. “Non ne ho ancora capito la ragione.”

“Sei un Paladino, Lance,” disse Lotor. “Ti hanno preso per quello che sei, non per arrivare a me. Ti hanno fatto una sola domanda sulla nostra relazione proprio per questo. Una volta chiarito cosa siamo l’uno per l’altro, si sono concentrati solo su di te.”

“Hai detto che è impossibile mentire durante un simile interrogatorio,” disse Lance. “Perchè allora ho sognato di fare sesso con te? Gli altri sogni che ho fatto erano inerenti alle domande, ma…” Scosse la testa. “Perchè la mia mente ha risposto in quel modo?”

“Non lo so,” disse Lotor con tono incolore. “Dillo tu a me.”

Lance lo fissò. “Ti sei divertito mentre giocavamo a toglierci i vestiti e dividevamo la doccia.”

Il Principe inarcò un sopracciglio. “E questo cosa vorrebbe dire?”

“Non ti diverte sapere che ci ho visti insieme mentre la Quintessenza mi dava alla testa,” notò Lance. “Quello di cui parlo è solo un sogno, quello che è accaduto prima era reale.”

“Prima era un gioco, lo hai detto tu,” spiegò Lotor. “Quel sogno è ciò provi, ciò che hai nella testa…”

Lance prese un respiro profondo ed affondò le spalle nell’imbottitura dello schienale. “Non ti diverte che sia attratto da te?”

“Non era quella la domanda,” disse Lotor sedendosi ad un paio di metri di distanza dal Paladino. “La domanda era: che cosa sei per lui?.”

Lance riuscì a reggere il suo sguardo ma con molta difficoltà.

“Siamo amanti nella tua testa, Lance?” Domandò il Principe quasi freddamente. “Hai avuto questa impressione in queste settimane di prigionia?”

“Va tutto bene se qualcuno fantastica su di te, ma è vietato implicare dei sentimenti?” Domandò Lance con tono altrettanto glaciale. “Perchè è questo che ha fatto la Quintessenza, vero? Mi ha scavato dentro…”

“Provi qualcosa per me, Lance?”

“Mi stai interrogando tu, ora?”

Il Principe decise di cambiare argomento. “Cos’altro hai visto?”

“La scuola dove io ed i miei compagni siamo stati addestrati. Immagini della mia infanzia… Il Castello dei Leoni distrutto. Ho dato loro un ritratto di me in brevi spezzoni di sogno.”

Lotor annuì. “E c’era qualcosa che potesse far pensare che detesti Voltron?”

Lance si fece immobile. Sbattè le palpebre un paio di volte. “Non ho capito…”

“C’è qualcosa nei tuoi sogni che potrebbe essere interpretato come una prova che detesti Voltron?” Ripetè Lotor con insistenza.

Il Paladino scosse la testa. “Di che cosa stai parlando? Sono i miei compagni! Sono tutto ciò che ho lontano dalla Terra!”

Lotor annuì di nuovo. “Certo, la Terra…” Ci pensò. “Ti manca, non è vero? Ricordo che me lo hai confidato.”

“E che cosa centra con l’odiare Voltron?” Domandò Lance.

“Tu ami i tuoi compagni ma ami anche quello che ti sei lasciato alle spalle, vero?” Se Lotor si rese conto del dolore che comparve negli occhi blu del Paladino, non se ne curò. “Tu rinunceresti a Voltron per quello hai lasciato sul tuo pianeta?”

“Io…” Lance boccheggiò. “Non lo so…” Distolse lo sguardo.

Lotor sorrise con soddisfazione a quella reazione. “La tua lealtà non è totale.”

Lance lo guardò con rabbia. “Se pensi che tradirò i miei compagni…”
“Io non voglio che tu dia l’impressione di essere un traditore,” disse Lotor. “Non mi serve un traditore. Mi serve un ragazzino spaventato che non sa come sia finito in questa storia e che farebbe qualsiasi cosa per tornare a casa, al sicuro ed insieme ai suoi compagni.”

Lance aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Mi stai cucendo addosso un ruolo?”

Il sorriso del Principe si fece più sicuro, arrogante. “Credono che siamo amanti,” disse. “Sfruttiamolo a nostro favore.”

Il Paladino rifletté. “Non posso essere tuo amante e, contemporaneamente, un Paladino leale,” concluse. “E questo non lo chiami essere un traditore?!”

“Non stai vendendo i tuoi compagni, Lance. Credi che stando al mio fianco tu possa sottrarre te stesso e chi ami da questa guerra e tornare a casa più velocemente. In altre parole, io sono la tua via d’uscita.”

Lance aggrottò la fronte. “Solo uno stupido penserebbe una cosa del genere!”

“Non mi serve che ti credano intelligente.”

“Ehi!”

“Se ti credono un pupazzetto nelle mie mani, abbiamo una possibilità di uscirne.” C’era qualcosa negli occhi di Lotor che assomigliava ad entusiasmo ma Lance non si disturbo ad indagare oltre.

“Non dirò o farò niente che possa danneggiare i miei compagni,” sottolineò il Paladino. “A costo di morire, Lotor. A costo di condannare anche te. Se si arriverà a quel punto, morirò e non m’importerà delle conseguenze.”

Lotor si alzò in piedi, sorrideva ancora. “Per questo mi serve che tu appaia come il mio pupazzetto.” disse. “Tuttavia…” Sfiorò una delle ciocche arricciolate che incorniciavano il viso di Lance. “Dopo quello che la Quintessenza ti ha costretto a mostrare, devo credere che saresti davvero capace di lasciarmi morire?”

Il Paladino scostò il viso con sdegno. “Non mi toccare…” Si alzò. “Sei niente per me, come io sono niente per te.”

Non era vero ma avrebbe imparato a convincersene.






 

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Capitolo 15
*** Sognatore ***


XIII
Sognatore




Lotor lo guardava con la coda dell’occhio ma Lance fissò la parete dell’ascensore per tutto il tempo. “Lascia parlare me,” disse il Principe. “Fingiti impaurito e tremante. Deludi le loro aspettative e non ti rivolgeranno la paura.”

Sono impaurito e tremante,” disse Lance freddamente. “Non devo fingere nulla.”

Lotor osservò il suo profilo con interesse. “Io vedo ira, non paura. Liberati immediatamente quell’espressione arrogante dal viso.”

Lance si voltò a guardarlo. “Scusami tanto ma non riesco a controllare le emozioni come se avessero un interruttore!” Sbottò.

Il Principe gli afferrò il braccio con poca gentilezza. “Non urlare,” ordinò, quasi sibilò. “Non attaccarmi in loro presenza. Non fare nulla che possa renderti una minaccia ai loro occhi.”

“Minaccia?” Domandò Lance sarcastico. “Sono da solo a bordo della Nave Madre dell’Impero Galra ed il mio unico alleato è l’erede al trono! Mi dovrei impegnare parecchio per rappresentare una minaccia!”

Il Principe affondò le unghie nel suo braccio e Lance strinse le labbra per non mostrare che gli stava facendo male.

“Sottovaluti il tuo ruolo in questa guerra, Lance,” disse Lotor. “Sei il pilota del Red Lion e guarderai in faccia il primo Paladino Nero. Sai chi era il tuo predecessore?”

“Sì, Alfor.”

Lotor annuì. “Allora sei in grado d’immaginare le aspettative che crei,” disse e lo lasciò andare.

Lance storse la bocca in una smorfia sarcastica. “Tu erede di Zarkon. Io erede di Alfor. Siamo una coppia vincente, Lotor!”

Il Principe alzò gli occhi al cielo e non replicò. “Ricordati di restare in silenzio,” disse.

Le porte dell’ascensore si aprirono su di un corridoio uguale a tutti quelli che Lance aveva visto da quando aveva ripreso conoscenza sulla Nave Madre. Sospirò: i Galra erano così noiosi. Lotor gli fece strada e Lance lo seguì senza fare domande. L’assenza di guardie lo confondeva ma, dopotutto, c’era voluto Voltron per mettere al tappeto Zarkon e nemmeno in modo permanente. Un mostro del genere non aveva bisogno di essere protetto, solo annientato. Portò gli occhi blu sulla schiena di Lotor. sui lunghi capelli che la ricoprivano. A Lance sarebbe tanto piaciuto sapere cosa gli passava davvero per la testa.

In fondo al corridoio, vi era un portone enorme, uno di quelli che Lance si sarebbe aspettato di trovare in un palazzo reale. Era inquietante.

Per osservarlo, Lance non si accorse che il Principe si era fermato e gli andò contro. Fece immediatamente un passo indietro.

Lotor gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla ma non disse nulla.

Il portone si aprì da solo. Lance strinse i pugni e trattenne il respiro: stava per presentarsi al cospetto di Zarkon e non era certo di essere pronto per una simile prova.

Era troppo tardi per tornare indietro.

Non appena il trono comparve davanti ai suoi occhi, Lotor smise di porre attenzione a Lance. Non aveva bisogno di avvicinarsi per vedere che suo padre era tornato ad occupare il suo posto e che quella maledetta strega era al suo fianco, come sempre.

Camminò con la certezza che il Paladino avrebbe seguito ogni suo passo. Se Lance era davvero spaventato come aveva detto, sperò che lo mostrasse e che agli occhi di suo padre apparisse debole, indifeso ed inutile.

Ad una considerevole distanza dal trono, Lotor appoggiò un ginocchio a terra. “Mio signore,” disse con l’espressione più umile che riuscì a simulare. “Porto al vostro cospetto il Paldino del Red Lion come prova della mia lealtà verso di voi e l’Impero. Qualunque mio atto sconsiderato contro i vostri Comandanti non è stato altro che la conseguenza di un enorme malinteso. Vi porgo le mie scu-”

“E il Paladino non è consapevole di essere al cospetto dell’Imperatore e di dovergli rispetto?” Lo interruppe Haggar.

Lotor sollevò lo sguardo da terra. La nuova armatura di suo padre gli impediva di guardarlo davvero in faccia, anche se sapeva che non avrebbe trovato nessuna reale espressione sul suo viso. Lo stesso valeva per la strega ma i suoi occhi dorati erano chiaramente puntati verso qualcosa alle sue spalle.

Lotor si voltò: Lance era rimasto in piedi e lo fissava come se gli fossero spuntate di colpo due teste. Strinse le labbra e ricacciò un’imprecazione in gola.

“Perdonatelo,” disse sollevandosi in piedi lentamente. “È un povero idiota.”

Lance ebbe l’arroganza di rivolgergli un’occhiata indignata ma quando gli afferrò la spalla e lo costrinse sulle ginocchia, fu abbastanza intelligente da non opporsi. “È terrorizzato dalla vostra presenza, padre.”

“Fai silenzio,” ordinò Zarkon.

Lance rabbrividì: la voce dell’Imperatore assomigliava più a quella di una macchina che di una persona. Non sapeva se fosse stato sempre così o se fosse una conseguenza dell’ultima battaglia contro Voltron, ma era terribile d’ascoltare.

“Che il Paladino parli per sè,” aggiunse Zarkon.

Lance raggelò. Sollevò lo sguardo e cercò gli occhi di Lotor ma il Principe guardava fisso di fronte a sè, la mascella serrata.

“Non guardare lui.” Ordinò quella voce robotica.

Il Paladino riportò la sua attenzione sul trono.

“Sei il pilota del Red Lion?” Domandò.

“Sì.” Lance rispose senza pensare e sperò che la sua voce fosse abbastanza alta per non perdersi nella vastità di quella sala del trono.

“Sei suo prigioniero?” Fu la seconda domanda.

Lance guardò Lotor con la coda dell’occhio. “Sì.”

“L’Imperatore pretende una spiegazione,” intervenne la donna incappucciata. Il Paladino l’aveva già vista quando Lotor l’aveva strappato dai sogni indotti dalla Quintessenza.

“Ho…” Lance ingoiò a vuoto. “Ho perso il controllo del mio leone durante uno scontro contro Lotor ed i suoi Generali. Mi sono schiantato su di un pianeta nelle vicinanze e lui mi ha trovato.”

“I tuoi compagni ti hanno abbandonato?” Domandò Zarkon.

Lance si umettò le labbra: non doveva passare come un traditore ma nemmeno come un Paladino leale. “Non lo so…” Disse. “Non ne sono sicuro.”

“Non avevi fiducia nel fatto che ti sarebbero venuti a salvare?” C’era una nota di sarcasmo nella voce robotica di Zarkon. “Non credevi che, in quanto Paladino di Voltron, i tuoi compagni non ti avrebbero mai abbandonato?”

Lance serrò i denti sul labbro inferiore. “Sono con Lotor da tanto tempo,” disse. “Nessuno è mai venuto a cercarmi.” Sentì la voce venire meno sull’ultima parola. Quella non era una bugia e gli fece male rendersene conto.

“Sei leale a lui, ora?” Fu la donna a domandarlo.

Il Paladino si voltò verso il Principe e questi ricambiò lo sguardo. “Mi avete già posto una domanda simile,” rispose Lance. “Me l’avete posta in una circostanza in cui non avrei mai potuto mentirvi.”

Se avesse potuto, Lotor gli avrebbe rivolto un sorriso soddisfatto.

“C’è arroganza in questo giovane,” commentò Haggar. “E confusione,” aggiunse. “Il tuo animo è confuso, Paladino Rosso. La confusione è pericolosa nella tua posizione.”

Lance inspirò profondamente dal naso. “Sono leale a chi mi tiene al sicuro,” disse. “Questa non è la mia guerra. Non è la guerra dei miei compagni. È la guerra di Voltron e a noi Terrestri non appartiene.” Era solo un ruolo. Era il ruolo che Lotor gli aveva dato per salvarli entrambi ma Lance si odiò per quelle parole. Si detestò per il dubbio che sentì nascere nel suo cuore.

“Che cosa pensi di lui?” Domandò la donna. Si riferiva di nuovo a Lotor.

Lance aprì e chiuse la bocca un paio di volte: poteva aver simulato un malanno per due settimane per saltare le lezioni ma mentire in quel modo non era nella sua natura. Non era bravo a fingere come Lotor. “Mi avete iniettato della Quintessenza e mi avete interrogato,” rispose. “Sapete già tutto.” Fu troppo arrogante.

“Farlo parlare ulteriormente è completamente inutile,” intervenne Lotor facendo un passo in avanti. “Ho tentato di strappargli delle informazioni. Non sa niente. Non è un componente vitale della ribellione. È solo un ragazzino che non sa per cosa sta combattendo.”

Lance lo fissò con gli occhi sgranati: Lotor non poteva dire una cosa del genere, non in presenza di suo padre.

“Avete di nuovo il Red Lion,” continuò Lotor. “Se non vi sono più di alcuna utilità, non mi resta che tornare in esi-.”

“Smettila di recitare, Lotor.” Zarkon si alzò dal trono.

Il Principe fece un mezzo passo indietro. Lance si sollevò in piedi e lo superò di un paio di passi. “Red non mi appartiene più,” disse con voce ferma. “Mi avete rapito, mi avete interrogato attraverso la Quintessenza ed il Red Lion non ha fatto nulla per correre in mio soccorso.”
Zarkon non disse niente. Fu Haggar a farsi avanti. “Come osi rivolgerti all’Imperatore guardandolo negli occhi?”

Lance sentì il respiro venire meno ma solo per un istante: restare in silenzio non avrebbe giocato a suo favore ed il piano di Lotor si era rivelato un buco nell’acqua. “Voi sapete cosa vuol dire essere il pilota di Red,” aggiunse rivolgendosi a Zarkon. “Sapete che cosa accade quando un Paladino Rosso degno di tale nome è in pericolo. Il giorno in cui Lotor mi ha aperto gli occhi, ho smesso di essere una parte di Voltron. Avete Red ma non avete il Paladino Rosso. Io non sono… Non sono più un Paladino.”

Lance era certo di essersi conficcato le unghie nei palmi da quanto forte stava stringendo i pugni. Non gliene importò. Sentiva gli occhi indaco di Lotor fissi sulla sua nuca e quelli viola e lucenti di Zarkon lo trafiggevano senza pietà. La donna non disse nulla.

Quando l’Imperatore tornò a sedersi sul suo trono, Lance riuscì a respirare di nuovo.

“Non avete il permesso di lasciare la Nave Madre,” disse quella voce robotica. “Fate qualsiasi cosa che possa essere interpretato come un atto contro l’Impero e sarete entrambi condannati a morte. No, il mio presuntuoso figlio non mi è di alcuna utilità, non lo è mai stato.”

Lance cercò Lotor con la coda dell’occhio ma era dietro di lui e non riuscì a vedere la sua reazione a quelle parole.

“Deciderò cosa fare di te e del Terrestre a tempo debito, Lotor,” aggiunse Zarkon. “Andatevene.”

Lance sentì che Lotor lo afferrava per un braccio e lo tirava indietro. Fu felice di voltarsi e non dover più rispondere agli sguardi di quegli occhi folgoranti.

Non appena i due giovani se ne furono andati, Haggar si rivolse al suo signore: “non credete che sia più prudente allontanare immediatamente il Principe Lotor, mio signore? Non c’è mai stata sincerità nella sua lealtà verso di voi e lo sapete.”

“Lotor non m’interessa,” replicò l’Imperatore. “Tuttavia, quel Terrestre non è così inutile come ha voluto farci credere.”

Haggar era d’accordo. “I vostri ordini, mio signore?”

“Osserviamoli.” Ordinò. “Se stanno complottando qualcosa, si tradiranno da soli.”




Non appena la porta della camera si richiuse, Lotor premette il palmo destro contro il display che vi era accanto. “Attivare protocollo di sicurezza per individuare dispositivi estranei.”

Lance lo guardò aggrottando la fronte. “Che cosa stai facendo?” Si sentiva terribilmente stanco e gli girava la testa.

Lotor aspettò che il display mostrasse i risultati della scansione. Nessuno dispositivo estraneo rilevato. Sospirò e si voltò. “Come ti è venuto in mente di scavalcarmi in quel modo?” Sibilò.

A Lance parve un cane rabbioso sul punto di mordere ma non se ne preoccupò. “Pensi davvero che il loro protocollo di sicurezza segnalerebbe una loro cimice?”

“Non è il loro protocollo di sicurezza,” disse Lotor. “È il mio. È installato in alcuni ambienti della Nave Madre ma si attiva solo in mia presenza,” spiegò e sollevò la mano destra per essere più chiaro. “O a quella di chiunque decida d’includere nel sistema.”

Lance lo fissò. “Principe, pilota, stratega, combattente, vagamente ribelle e di fronte a papino diventi un completo idiota!”

“Non ti permettere…” Il Principe si avvicinò ed afferrò il Paladino per il bavero della casacca. “Ti avevo ordinato di rimanere in silenzio!”

“Se non te ne fossi accorto, ti hanno tolto la parola!” Replicò Lance con forza afferrandogli il polso. “Non si fidano di te e non li biasimo! Non riesco nemmeno a calcolare il tuo livello di falsità!”

Lotor lo costrinse con le spalle contro la vetrata del salotto con poca gentilezza. Lance incassò il colpo alla schiena stringendo gli occhi manon si lamentò.

“E quel colpo di testa?” Domandò Lotor. “Ti avevo detto di sembrare uno stupido ragazzino spaventato! Ti sei alzato al cospetto di Zarkon e hai parlato come se fossi un mio pari!”

“Ti sei ascoltato mentre parlavi?” Ribattè Lance. “Hai detto a tuo padre che sono il pilota del Red Lion e poi hai aggiunto che non sono a conoscenza d’informazioni importanti perchè non mi considerano un membro importante per la Coalizione. Impara i termini, Lotor: Coalizione... Ed è anche bella grossa!”

“Mi hanno tolto la parola perchè sapevano che tu ci avresti traditi in qualche modo!”

“Io?” Lance lo guardò con rabbia. “Non puoi dire ad un Paladino Nero che il pilota del Red Lion è considerato meno di zero! È come sostenere che le stelle non sono la prima fonte di luce nell’universo! Alfor era il Paladino Rosso, Lotor! Alfor è stato il braccio destro di tuo padre per non so quanto tempo! Sei un idiota, se pensi che non sappia riconoscere un pilota degno di Red!”

Lotor lo lasciò andare e gli puntò contro un indice minaccioso. “Non ricominciare con questi discorsi sul legame tra il Paladino ed il suo leone,” lo avvertì.

Lance sgranò gli occhi. “Hai sentito Red nella tua testa... Sai che è vero!”

Il Principe scosse la testa e si voltò. “Non voglio starti a sentire!”

“Mi ha creduto!” Sbottò Lance afferrandogli un polso e costringendolo a guardarlo. “Quando ho parlato del mio legame con Red, tuo padre mi ha creduto,” ripeté con con voce più calma. “Per te non può avere senso, ma quello che ho detto l’aveva per lui… Ai suoi occhi sono un Paladino indegno e che non vuole avere nulla a che fare con questa guerra. Era quello che volevi. No, non nella forma in cui lo avevi previsto ma, sì, prego per averti salvato il culo!” Esclamò. “Perchè, nel caso non te ne fossi reso conto, ti ho salvato il culo!

Lance lo lasciò andare e si voltò. Il mal di testa era ancora lì ed anche quel fastidioso senso di nausea. Fece aderire i palmi e la fronte alla vetrata, chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. “Mi sento uno schifo…” Confessò con voce rotta. “Non ho mentito, capisci? Red non è mia ed io non sono suo. Il suo legame è con Keith, io sono solo un sostituto provvisorio. Nemmeno la mia Blue ha mai fatto per me quello che Red faceva per Keith. Black non è riuscita a staccarsi completamente da tuo padre per diecimila anni, ha sentito Shiro a sistemi e sistemi di distanza… Ed io sono qui con te da non so quanto tempo e mai un segnale dai miei compagni!” Piangeva. “Volevi che fossi un ragazzino smarrito e spaventato? Lo sono, Lotor. Lo sono.” Si era sentito la settima ruota del carro per tanto tempo e, a dispetto di quello che aveva detto, vedere Allura prendersi la sua Blue non aveva migliorato le cose in alcun modo. Dopo il ritorno di Shiro, tutte le sue insicurezze lo avevano schiacciato come mai gli era capitato in vita sua.

Lotor voleva che facesse credere a Zarkon di odiare Voltron e tutta la storia in cui erano stati coinvolti, ma la verità era che Lance si sentiva morire al pensiero di non essere più un Paladino. Era egoismo il suo. Era il suo bisogno di affermarsi in qualcosa. Per questo Black non l’aveva ritenuto degno.

Lance non era degno. Era solo finito nel posto giusto al momento giusto.

E Lotor… Sì, c’era anche Lotor…

Gli occhi blu si aprirono. “Perchè non mi hai baciato?” La prima volta, lo aveva chiesto alla persona sbagliata. Non provava alcuna vergogna a ripeterlo di fronte al Principe.

Si voltò lentamente ma non si allontanò dalla vetrata. Lotor era al centro del salotto e lo guardava con espressione indecifrabile.

“Perchè non mi hai baciato?” Domandò Lance guardandolo dritto negli occhi. “Perchè hai deciso di cercare la compagnia di un altro? Avevi capito che non mi sarei opposto, che lo volevo quanto te…”

“Io non volevo niente, Lance.” Disse Lotor.

“Non mentirmi, codardo!” Urlò il Paladino. Possibile che non valesse abbastanza nemmeno per essere usato in quel modo?

“Perchè dovrei mentire su una cosa del genere?” Lotor alzò la voce.

“Perchè l’ho sentito,” disse Lance. “Ti ho sentito.” Singhiozzò. “Hai cercato la compagnia di qualcun altro perchè con me sarebbe stato qualcosa di vero? Di sincero?”

Lotor sollevò l’angolo destro della bocca in un ghigno beffardo. “Vero? Sincero? Quale ruolo pensi di avere in questa storia, Paladino Blu?” Domandò. “Sei stato uno strumento fin dall’inizio e lo sei ancora.” Si avvicinò. “Per attirare i tuoi compagni in una trappola, per comprendere la follia di mio padre o per convincerlo a lasciarmi in pace... Non ha importanza! Sei ancora vivo perchè mi servi a qualcosa, ma se mio padre decidesse che il prezzo della mia libertà è la tua, non esiterei un singolo istante a lasciarti qui.”

Erano l’uno davanti all’altro, a dividerli vi erano solo pochi centimetri.

Lance piangeva e tremava. Lotor lo guardava impassibile.

Il rumore vibrante di una blaster carica spinse il Principe ad abbassare lo sguardo. La mano del Paladino era sorprendentemente ferma mentre gli puntava l’arma contro.

“Il bayard,” ringhiò Lotor a bassa voce. Se ne era scordato.

“Togliti di mezzo,” sibilò Lance. Piangeva ancora ma la sua voce non tremava più.

Lotor lo guardò dritto negli occhi. “Che cosa pensi di fare, Lance?”

“Non osare pronunciare il mio nome,” lo avvertì il Paladino. “Mi hai salvato la vita, non posso negarlo. Togliti di mezzo, non ho voglia di spararti.”

Lotor non si mosse. “Quale sarebbe il tuo piano?”

“Lasciarti indietro, tanto per cominciare,” rispose Lance velenoso. “Posso sentire Red. Posso arrivare a lei.”

Il Principe sospirò annoiato. “Se ci provi, morirai.”

“Forse… O forse no.” Lance premette la blaster contro l’addome dell’altro. “Fatti da parte.”

Lotor fece un passo indietro ed il Paladino uno in avanti. “Se esci da quella porta senza di me, non hai speranze.”

“T’importa?” Domandò Lance. “Posso salvarmi da solo, fatti da parte.”

Lotor rilassò le spalle, cercò l’elsa della spada sotto il mantello e la strinse tra le dita. Il Paladino era troppo occupato a guardarlo dritto negli occhi per accorgersene. C’era un mare in tempesta nelle iridi blu di Lance e Lotor sperò che suo padre non avesse visto la stessa cosa.

Lance abbassò la blaster, lo superò. Lotor aspettò che fosse a portata e lo colpì alla nuca con l’elsa della spada. Il bayard tornò alla sua forma originale e scivolò sul pavimento, lontano dalla mano del Paladino.

Lotor abbassò lo sguardo: Lance era a terra ma era ancora cosciente. Lasciò cadere la spada a terra e s’inginocchiò.

Lance provò a sollevarsi sul gomito sinistro, fece scivolare la mano destra in avanti per evocare di nuovo il bayard tra le sue dita. La testa gli pulsava.

“Fermati,” disse Lotor afferrandogli il polso gentilmente. “Fermati, Lance.”

“Lasciami andare,” sibilò il Paladino velenoso e chiuse gli occhi per combattere un capogiro. Peggiorò.

“Sei arrabbiato, Lance,” continuò Lotor. “Non stai ragionando lucidamente.”

“Lasciami andare,” Lance singhiozzò, appoggiò la fronte contro il pavimento freddo e rinunciò a recuperare il bayard. Il Principe gli concesse il tempo di cui aveva bisogno e parlò solo quando i singhiozzi cessarono: “ti sei calmato?”

Lance non rispose.

“Riesci ad alzarti?”

Lentamente, il Paladino si rimise in piedi.




Lotor sparì in bagno per meno di un minuto e quando tornò con un impacco di ghiaccio, Lance non fece domande. Il Principe passò le dita tra i capelli ricciuti alla ricerca di tracce di sangue. Trovò solo un bernoccolo.

Lance imprecò tra i denti e si allontanò. “Non mi toccare,” sibilò.

Lotor lasciò cadere l’impacco di ghiaccio sul letto, accanto a lui e si spostò di fronte alla vetrata. Nessuno dei due aveva una gran voglia di guardare in faccia l’altro.

“Come funziona con il bayard?” Domandò il Principe col tono incolore di chi pone una domanda sul tempo.

Lance premette l’impacco di ghiaccio dove faceva male. “Non lo so,” ammise. “Compare quando ne ho bisogno e prende la forma che mi va più a genio. Non ti so dare una spiegazione migliore. Penso che abbia a che fare col legame che ho con Red.”

“Ti ho tenuto prigioniero per diverso tempo,” notò Lotor. “Non l’hai mai usato contro di me o i miei Generali.”

“Non ci vedevo, Lotor,” disse Lance. “Anche se avessi sparato ad uno di voi, che cosa avrei potuto fare?”

“Quando la mia nave è stata assediata, il Red Lion ti ha guidato.”

“Era a pochi passi da me.”

“Hai detto di sentirlo anche ora.”

“Sento che Red è qui e so che mi aiuterebbe ad arrivare da lei, se le rispondessi.”

Lotor lo guardò da sopra la spalla. “Hai detto di non avere un legame così forte con quel leone.”

Lance sorrise amaramente. “Un legame forte è ben diverso da questo. Non dico che Red sia indifferente nei miei confronti o non si lascerebbe pilotare da me. Penso solo che lo faccia per Keith.”

“Questo Keith è il tuo Paladino Nero?” Domandò Lotor. “Lo è diventato dopo la battaglia contro mio padre?”

Lance fissò un punto qualunque del pavimento. “Dopo quella battaglia, sono successe troppe cose. All’inizio, ho pensato che sarebbe stata una cosa temporanea… Io e Keith, però, non eravamo male come braccio destro e leader. Certo, non abbiamo il legame che lui ha con Shiro, ma avevamo delle buone basi su cui lavorare.” Sorrise. “C’è qualcosa di speciale…”

“Di cosa stai parlando?” Domandò Lotor.

“Il legame tra il Paladino Nero e quello Rosso,” spiegò Lance. “Non lo so. Forse mi faccio influenzare da quello che vedo quando guardo Keith e Shiro insieme, ma…” Scrollò le spalle. “Penso sia un legame speciale, ecco tutto. Tu sai niente di come erano i rapporti tra Alfor e tuo padre?” Lo chiese senza pensarci troppo.

Lotor rispose allo stesso modo. “No.”

Per la prima volta dall’inizio di quella conversazione, Lance lo guardò negli occhi. “Sai che è grazie ad Alfor che i tuoi genitori si sono incontrati?”

Lotor si voltò. “Alfor ha mandato mia madre su Daibazaal.”

Lance scosse la testa. “No, no… Intendo che è stato proprio Alfor a presentarli l’uno all’altra. In altre parole, se non fosse stato per Alfor, tu non saresti mai nato.” Ridacchiò e si aspettò di vedere qualche emozione comparire sul viso del Principe. Non accadde e Lance tornò serio.

“Nella sala del trono, stavi parlando di tornare in esilio,” cambiò discorso. “È per questo che sei rimasto fuori dai giochi per tanto tempo. Eri in esilio.”

Lotor incrociò le braccia contro il petto. “Lo hai sentito,” disse. “Non gli sono di alcuna utilità. Non sono degno di niente per mio padre.”

Lance allontanò l’impacco di ghiaccio dalla  testa. “Vorresti esserlo?”

“No,” Lotor scosse la testa. “Non più. Non voglio essere o fare niente che porti gli altri a paragonarmi a lui.”

Lance scosse la testa. “Accadrà sempre, Lotor. Sei suo figlio, il suo erede. Diverrai qualcosa di totalmente diverso da lui e ci sarà sempre qualcuno pronto a sottolinearlo.”

“Parli come uno che è abituato ad essere paragonato ad altri,” commentò il Principe.

Lance ridacchiò. “Sono un quarto figlio. Il più piccolo. Mia sorella ed uno dei miei fratelli sono divenuti genitori ancor prima che io avessi il tempo di fare o divenire alcunchè. Sono stato paragonato a qualcun altro per tutta la vita.”

“Positivamente?”

Il sorriso di Lance si spense un poco. “No, non sempre. Io sono sempre stato il sognatore... Quelli come me fanno tenerezza e, se sono fortunati, conquistano la simpatia degli altri facilmente ma, alla fine, tutti aspettano che tu cresca, che ti decida a stare con i piedi per terra.” Si fece silenzioso e gli occhi blu tornarono a fissare il pavimento.

Lotor studiò il suo profilo per un lungo minuto di silenzio. Era intenso, Lance… Molto intenso.

“Io sono quello ambizioso, invece,” disse e gli occhi blu del Paladino tornarono sui suoi. “Non scendo a compromessi. Faccio finta di adattarmi per sopravvivere ma, in realtà, non mi fermo fino a che non ottengo quel che voglio e nella forma in cui lo voglio. Sì, fingo di fronte a mio padre per strategia ma ha tutte le ragioni per non fidarsi di me. Eravamo in guerra molto prima che fossimo nemici. Ad un Imperatore immortale non serve un erede, solo un pupazzetto più fedele degli altri, magari più dipendente. Una piccola copia di se stesso ma facilmente manovrabile.”

Lance scosse la testa. “No, non era una vita che potevi accettare. Non tu.”

“Un ragazzino cerca l’approvazione di suo padre per natura.”

“Sì, è vero.”

“Quando ho capito che essere indegno era la mia prima vittoria e non una sconfitta, ho capito che potevo essere libero.”

“E non si può essere liberi in un Impero di schiavi con un solo signore.”

Lotor sollevò l’angolo destro della bocca. “Vedo che cominci a capire, Lance.”

“Quando ti ha esiliato, non ti sei sentito ferito?” Domandò il Paladino.

Il Principe scosse la testa. “All’inizio, mi sono sentito sconfitto. Solo dopo ho capito di essere fuori dalla gabbia, di poter respirare davvero.”

Lance si umettò le labbra. “Che cosa hai fatto?” Domandò diretto.

Lotor esitò un istante, prima di rispondere. “L’ho esasperato… Mi ha trascinato nell’arena e mi ha massacrato con le sue mani. Mi ha umiliato di fronte al suo Impero.”

Gli occhi di Lance si fecero grandi, pieni di orrore. “Quanti anni avevi?” Domandò, poi scosse la testa. “Intendo…”

“Ero un adolescente,” rispose Lotor. “Più giovane di te… E cancellati quell’espressione dal viso, non mi serve la tua pietà.”

Lance storse il naso. “Non sto provando pietà!” Esclamò. “Non ne hai davvero bisogno…” Sospirò e provò a sorridere. “Una cosa in comune ce l’abbiamo: siamo particolarmente bravi a non farci ignorare.”

L’ombra di un sorriso comparve sul viso di Lotor.









 

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Capitolo 16
*** Favola ***


XIV
Favola





Suo malgrado, Lance dovette ammettere che il cibo sulla Nave Madre era di gran lunga migliore di quello che Coran cercava di far mangiare loro al Castello. Tuttavia, nemmeno quello riusciva a battere la cucina di Hunk.

“Devi proprio mangiare sul letto?” Domandò Lotor dal divano con un sopracciglio sollevato.

Lance si era accomodato tra i cuscini, il piatto appoggiato sulle gambe. Scrollò le spalle. “E perchè tu non mangi?” Indicò il carrello sospeso a venti centimetri da terra al centro della stanza. Due guardie lo avevano lasciato nel corridoio perchè Lotor non aveva concesso loro il permesso di entrare.

Il Paladino Blu si era buttato sulla sua razione di cibo senza pensarci due volte, ma il Principe non si era dimostrato altrettanto affamato.

“Aspetto di vedere se collasserai a terra avvelenato, prima di servirmi,” rispose Lotor con un ghigno beffardo.

Lance si smise di masticare e passò gli occhi dal viso dell’altro a quella specie di zuppa semi-solida nel suo piatto. Ingoiò e storse la bocca in una smorfia. “Quanto sei stronzo…”

“Sappi che è un insulto che non ho ancora compreso del tutto,” disse Lotor. Aveva ancora quell’espressione divertita sulla faccia.

Lance s’imbronciò. “Non mi va di essere volgare. Un giorno, ti farò conoscere Keith e te lo spiegherà lui.”

“Dubito che accadrà mai,” rispose Lotor distrattamente, passandosi una mano tra i capelli.
Li aveva sciolti e a Lance piaceva. “Non assomigli per niente a tuo padre.” Era un commento pericoloso e lo sapeva ma la provocazione era alla base del loro gioco e dopo aver affrontato Zarkon a testa alta, il Paladino Blu si sentiva coraggioso.

Lotor non ebbe nessuna particolare reazione. “La strega ripete che sono identico a lui da quando ho memoria.”

“La strega…” Ripetè Lance. “Era la donna accanto al trono, vero?”

“Si chiama Haggar. È il mostro più pericoloso dell’Impero.”

Lance sgranò gli occhi. “Più di Zarkon?”

“Mio padre è prevedibile,” spiegò Lotor. “Lei no.”

Il Paladino Blu premette la punta del cucchiaio contro le labbra. “Penso che sia la donna che ha fatto del male a Shiro.”

“Ha torturato centinaia di uomini.”

“Anche te?” Nel momento in cui gli occhi del Principe si fissarono nei suoi, Lance si pentì di averlo chiesto. Abbassò lo sguardo sul suo piatto quasi vuoto e scosse la testa. “Scusami, io… Ho parlato troppo. Non avrei dovu-”

“Parlami ancora della Terra,” lo interruppe Lotor. “Del luogo dove sei nato.”

Lance rilassò le spalle e continuò a mangiare. “C’è un modo per rivedere quella specie d’interrogatorio?”

Lotor lo fissò. “Vorresti rivederlo?”

“Potresti vederlo tu,” propose Lance, scendendo giù dal letto, il piatto vuoto tra le mani ed il cucchiaio tra le labbra.

Lotor lo fissò confuso. “Mi lasceresti vedere le tue peggiori paure, i tuoi desideri e… Tutto il resto?”

Lance appoggiò il piatto sul carrello sospeso a mezz’aria ma continuò a giocare con il cucchiaio. “Ti ricordo che ti ho visto la prima volta solo dopo quell’interrogatorio. Non avevo molto materiale su cui fantasticare.”

Lotor inarcò un sopracciglio. “Il tuo sogno erotico era al buio?”

Lance rise. “Ti prego, ripeti sogno erotico con quell’espressione da Generale consumato ancora una volta!”

“Mi hai detto di aver mostrato alla strega che siamo amanti.”

Il Paladino Blu picchiettò il retro del cucchiaio contro le labbra. “Gliel’ho… Fatto sentire?”

Lotor sbuffò. “Lance…”

“Era la tua voce!” Esclamò il Terrestre. “Sentivo il tuo odore addosso a me. Eri tu, non ho dubbi!”

“Il mio odore?”

“Togliti quell’espressione beffarda dalla faccia!” Lance gli puntò il cucchiaio contro. “Non ti vedevo, Lotor! Potevo solo sentirti e, sì, ho memorizzato il tuo odore! Siamo stati molto vicini in diverse occasioni!”

Il Principe cambiò argomento. “Perchè vuoi che veda il tuo interrogatorio?”

Lance scrollò le spalle. “Ci sono i luoghi della mia infanzia, il posto in cui ho conosciuto i miei amici… C’è tutto quello che ti ho descritto a parole decine e decine di volte.”

“Anche le tue paure.”

“Le conosci già le mie paure, Lotor,” replicò Lance. “Per sapere che sono terrorizzato al pensiero di perdere i miei compagni, non ti serve vedermi piangere sul cadavere di Keith. Farmi credere che sarebbero morti tutti a causa mia è stato il tuo primo modo per torturarmi.”

Lotor si fece serio ed il Paladino Blu con lui. Quest’ultimo non fece durare il silenzio a lungo. “Com’era Daibazaal?”

Per un momento, gli occhi di Lotor si fecero grandi, smarriti. “Come?”

Lance sorrise gentilmente. “Ma sì!” Saltellò fino al divano e si lasciò cadere a meno di un metro di distanza dal Principe. “Ho visto qualcosa di Altea. Nessuno, però, mi ha mai descritto Daibazaal.”

“Perchè tanto entusiasmo?” Domandò Lotor.

Lance gonfiò un poco le guance. “Io ti ho raccontato dei luoghi in cui sono cresciuto,” disse. “Ti ho parlato della sabbia, del mare e del deserto in cui si trova la Garrison. E tu? Com’era il luogo in cui sei cresciuto? Da bambino, che cosa vedevi dalla tua finestra?” Si voltò verso la grande vetrata che dava sul resto della Nave Madre e la indicò. “Non dirmi che è questo.”

“Non sono mai stato su Daibazaal,” disse Lotor con voce incolore.

Lance sbatté le palpebre un paio di volte, poi i suoi occhi si fecero grandi. “Oh, certo… Scusami, tu non…” Ci riflettè e la confusione gli fece aggrottare la fronte. “Come sarebbe a dire che non ha mai visto Daibazaal?”

“Perchè lo dici con quel tono offeso?” Domandò Lotor annoiato.

“Perchè mi tratti come un idiota!”

“Ed io ti ripeto che non ho mai visto il pianeta dei Galra.”

Lance tentò di mettere insieme i pezzi a sua disposizione ma non riuscì a creare un quadro chiaro della situazione. Coran ed Allura non avevano mai detto una singola parola su Lotor. Sì, non erano sempre stati completamente sinceri riguardo ai primi Paladini, ma Coran aveva raccontato loro tutta la storia di Alfor, Zarkon e Honerva nei dettagli. Perchè omettere Lotor? A quel punto, la sua esistenza non era più un segreto per nessuno.

Ripensò ad Allura, al modo in cui aveva definito l’esistenza del Principe dei Galra disturbante.

Lance non riusciva a capire. “Quando sei nato, Lotor?”

Il Principe lo guardò come se quella domanda non lo toccasse in alcun modo, eppure non gli rispose. Nel tempo che avevano passato insieme, il Paladino Blu aveva imparato a dare valore ai silenzi ai suoi silenzi. Le parole erano la prima arma del Principe dei Galra e di fronte a quell’assenza di emozioni, Lance sentì una morsa stringergli il petto. “Non lo sai…” Concluse.

Il viso di Lotor era una maschera impenetrabile. Si alzò in piedi e, di riflesso, Lance fece aderire le spalle allo schienale del divano.

“Dovresti riposare,” disse il Principe, guardandolo dall’alto in basso. “Sei al sicuro in queste stanze e non puoi permetterti di non essere in forze su questa nave.”

Lance inarcò le sopracciglia. “Ma tu dove vai?” Domandò.

Lotor non rispose e si diresse verso la porta.

“Non mangi nulla?” Domandò il Paladino Blu con una nota di rimprovero. “Anche tu devi restare in forze! Stiamo combattendo insieme, no? Abbiamo bisogno l’uno dell’altro.”

Lotor gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Infatti, sto andando ad assicurarmi che la vittoria sia nostra,” disse. “Vai a dormire, Lance.”





C’era odore di pioggia nell’aria. Fu la prima cosa che Lotor percepì.

I capelli tra le sue dita erano umidi, corti e di un intenso colore castano. Gli ricordava la corteccia degli alberi nelle giornate di sole o la terra scura, bagnata dopo un temporale estivo. Si ricordò che a Lance piaceva la pioggia.

Anche la sua pelle era umida, morbida, bronzea. Assaggiò le sue labbra ed affondò le dita dove la carne era più morbida. Avrebbe voluto divorarlo.

Chissà se gli avrebbe dato il permesso di morderlo? Per gioco, senza fargli male.

Affondò il naso nell’incavo del suo collo. Era lungo, sensuale ma anche estremamente fragile. Sarebbe bastata una pressione minima per spezzarlo.

Quel pensiero sadico scivolò via dalla sua mente come la lingua di Lance disegnò il contorno della sue labbra. Le sue piccole dita s’infilarono tra i suoi capelli. Gli piacevano e Lotor lo sapeva, anche se non ne avevano mai parlato.

Era seduto su di lui, piccolo e vivace. Voleva fare a modo suo ma Lotor era troppo orgoglioso, troppo affamato per lasciarlo fare.

Gli diede una spinta per gioco e cadde tra le lenzuola.

Udì il rombo di un tuono in lontananza ma venne presto sostituito dal suono cristallino della risata di Lance.



“Stiamo bagnando tutte le lenzuola.”

A Lotor non poteva importare di meno. Sapeva che non era reale ma questo non lo rendeva meno eccitante. Il Paladino Blu aveva parlato solo di voci, di sensazioni. Lotor, invece, poteva vedere ogni cosa.

Non conosceva quel luogo, sapeva solo che c’era un mare in tempesta fuori dalle finestre di quella camera. Era un ambiente semplice, dalle pareti bianche. Le lenzuola erano pulite ed in disordine, sebbene non avessero ancora fatto niente.

Lance si sedette di nuovo sulle sue gambe, la fronte appoggiata alla sua e le sue piccole mani tra i capelli. Sorrideva. Era felice ed i suoi occhi sembravano ancora con più blu a quella distanza.

Erano stati sorpresi da un temporale?

Lotor non poteva saperlo: quella era la fantasia di Lance, non la sua.

Tuttavia, non poteva dire che gli dispiacesse. Il Paladino Blu gli circondò il collo con le braccia ed i loro petti aderirono completamente.

Lance spalancò i grandi occhi blu e dischiuse le labbra in un’espressione di finta sorpresa. Lotor rispose a quell’espressione con un ghigno compiaciuto. Sì, era eccittato ma era un sogno e nessuno lo avrebbe rimproverato per aver approfittato della situazione.

Lotor spinse Lance contro le lenzuola ed il Paladino Blu non oppose resistenza. Al contrario, divaricò le gambe in modo da permettergli di stendersi su di lui.

Non c’era più un singolo centimetro della loro pelle umida che non si toccasse. Lance liberò le dita dai suoi capelli e le intrecciò alle sue.

Lotor si perse nei dettagli di quella fantasia. Era straordinariamente dolce per essere un sogno erotico. Lance era sereno, a suo agio e, sì, la sua pelle era calda e vogliosa di baci, di attenzioni più audaci ma non aveva fretta.

In quel momento, con il rumore della pioggia in sottofondo, Lotor aveva l’idea che Lance potesse essere felice anche così, con lui tra le sue braccia in una camera da letto che non si addiceva nè ad un Principe nè ad un Paladino. Sorrideva, era sereno e Lotor pensò che fosse davvero bello, come lo aveva pensato quel giorno, alla fine del temporale, quando Lance era rimasto in attesa di un bacio che non aveva avuto il coraggio di dargli.

Aveva negato, Lotor. Aveva mentito come un bambino spaventato dalle conseguenze.

In quell’occasione, Lance non aveva potuto guardarlo negli occhi ma aveva percepito il suo desiderio, come una forza invisibile che li aveva spinti l’uno verso l’altro.

La voce dei suoi Generali aveva riportato Lotor alla realtà, gli aveva ricordato cosa era Lance e cosa era lui, che si erano spinti entrambi troppo oltre perchè sfiorarsi potesse essere catalogato come giocare.

Era per quel motivo che Lotor era andato in quel bordello, per liberarsi dal prurito che gli occhi ciechi di Lance e le sue labbra intoccate gli avevano provocato. Per dare al sesso la dimensione in cui lo aveva sempre relegato per regola: sfogo, un semplice sfogo.

Con Lance sarebbe stato qualcos’altro e Lotor non aveva avuto il coraggio di scoprire cosa.
Quella, però, era solo una fantasia. Nessuno l’avrebbe mai saputo.

“Sei così caldo…” Commentò Lance dolcemente aggiustandogli una lunga ciocca di capelli candidi dietro l’orecchio.

Lotor si chinò su di lui e, alla fine, fece sue quelle labbra piene come nella realtà non avrebbe mai potuto fare. Erano morbide e deliziose.

Lotor morse con gentilezza il labbro inferiore e Lance sorrise. “Facciamo l’amore?” Glielo domandò contro la sua bocca, guardandolo dritto negli occhi.

Il Principe lo lesse nel suo sguardo, nella sua espressione, nel modo in cui giaceva tra le sue braccia: Lance si sentiva al sicuro con lui, tra le quelle lenzuole, con le sue mani sulla sua pelle.

Al tempo di quella fantasia, Lance non conosceva nemmeno il suo aspetto. Sapeva di lui solo quello che le sue mani gli avevano mostrato, eppure non c’era insicurezza in quegli occhi blu.

Ora, Lotor ne aveva la certezza: se lo avesse baciato quando ne aveva avuto l’occasione, il Paladino Blu sarebbe stato suo.

La sua risposta fu un altro bacio. Lance premette le cosce contro i suoi fianchi e le lenzuola scivolarono via. Erano solo loro, pelle contro pelle.

Un altro sguardo di quegli occhi blu e Lotor seppe di non avere scampo. La baciò a fior di labbra e Lance si spinse verso di lui.

Lo invitò ed il Principe se lo prese.

Lance reclinò la testa all’indietro con un sospiro. Fu impossibile non baciare quella pelle ambrata e prenderla tra i denti, senza fargli del male.

“Che cosa sono per te?”
Lotor non seppe mai se era stato lui a parlare o il se stesso del sogno.




La scena cambiò.

Quando Lotor riaprì gli occhi, Lance non era più tra le sue braccia, aveva smesso di piovere ed il mare fuori dalle finestre si era quietato. Era nello stesso letto della fantasia precedente ma il sole era tramontato ed un bel cielo trapunto di stelle rispose al suo sguardo smarrito.

Era nella stessa stanza e nello stesso letto su cui, fino a pochi istanti prima, stava facendo l’amore con Lance.

Al posto del rumore della pioggia, fu una canzone a spezzare il silenzio.

“I know you, I walked with you once upon a dream,” cantava una voce che aveva l’impressione di conoscere. “I know you, the look in your eyes is so familiar a gleam.”

Lotor si alzò dal letto. Aveva addosso un paio di pantaloni che non aveva mai indossato. Non erano scomodi, erano solo strani.

“Yet I know it’s true that visions are seldom all they seem.”

La porta della stanza dal lato opposto del corridoio era socchiusa ed i suoi contorni erano illuminati da una soffice luce dorata. Lotor percorse il corridoio senza fretta e premette il palmo aperto sulla superficie di legno per avere una visione più chiara della stanza.

“But if I know you, I know what you’ll do.”

Lance cantava con un sorriso innamorato sulle labbra. Si muoveva da un angolo all’altro della piccola camera lentamente, con una grazia che Lotor non si sarebbe mai aspettato da lui. Tra le braccia, stringeva un fagottino bianco e rosa.

Rendendosi conto di cosa stava guardando, Lotor appoggiò la spalla all’architrave bianco della porta e rimase dov’era.

“You’ll love me at once, the way you did once upon a dream.” Lance si chinò sulla piccola culla al centro della stanza e vi depositò il suo prezioso tesoro. Quel sorriso innamorato era ancora sulla sue labbra ed era così diverso da quello che aveva rivolto a lui nella fantasia precedente.

Era amore puro quello che illuminava gli occhi del Paladino, il genere di amore che non aveva mai riscaldato la pelle di Lotor e a cui non era mai riuscito a credere completamente.

Era il tipo di amore che solo un genitore poteva provare nei confronti della propria creatura, una desiderata e messa al mondo con amore.

Un amore che per Lotor esisteva solo nelle favole.

Quando gli occhi blu di Lance si sollevarono su quelli indaco di Lotor, entrambi si fecero rigidi. Fu il Paladino a spezzare il silenzio per primo. “Vuoi vederla?” Domandò dolcemente.

Lotor sapeva che quello non era davvero Lance, che era dentro ad una sua fantasia e che stava reagendo alla sua presenza seguendo regole che al Principe erano sconosciute.

Accettò l’invito per pura curiosità.

La creaturina addormentata assomigliava a Lance nel modo in cui un neonato può assomigliare al proprio genitore. Aveva la stessa pelle ambrata e le belle labbra piene, mentre la testolina era ricoperta di riccioli castani.

Non poteva vedere il colore degli occhi. “Sono come i tuoi?” Domandò il Principe.

Il Lance dell’illusione lo guardò confuso. “Come?”

“Ha i tuoi occhi?” Domandò di nuovo Lotor. “Ha gli occhi blu?”

L’illusione sorrise teneramente. “Sì.”

“Di chi è?”

“È mia,” rispose Lance.

“E di chi altro?”

Lance scosse la testa confuso. “È solo mia.”

Lotor annuì e non chiese altro: provare ad usare la logica con le fantasie della mente di qualcun altro era un grosso azzardo. Il sogno erotico di poco prima non aveva bisogno di particolari interpretazioni, ma Lotor non sapeva come era arrivato fino a lì. “Le stavi cantando una ninna nanna?” Domandò.

“È la canzone di un film per bambini,” rispose Lance. “Racconta di una principessa che viene cresciuta da tre fate per essere tenuta al sicuro dalla regina cattiva. Tutti i tentativi di proteggerla, però, si rivelano vani e la principessa finisce vittima di un sortilegio che può essere spezzato solo dal bacio del vero amore.”

Lotor si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo: sì, poteva aspettarsi una cosa simile dalla mente di Lance.

“E come finisce?” Domandò, più per coprire il silenzio che per reale curiosità.

La risposta di Lance fu imprevedibile. “Lo vedremo,” disse con un sorriso furbetto. “La favola non è ancora finita.”

Il Principe lo guardò e gli chiese in silenzio a che cosa si stesse riferendo. Il Lance dell’illusione, però, cambiò argomento. “La principessa della favola si chiama Aurora,” disse. “È il secondo nome sulla mia lista per quando nascerà lei,” tornò a sorridere con amore alla bambina addormentata.

Lotor inarcò le sopracciglia. “Non è ancora nata?”

“No,” Lance rise. “È solo mia pe ora, ma non può essere solo mia per venire al mondo, capisci?”

Lotor capiva ma non completamente. “Se il suo nome non è Aurora, qual è?”

Lance passò una mano tra i riccioli della bambina addormentata. “Guinevere,” rispose. “Come la regina amata, seppur nel peccato, dal cavaliere Lancelot.”





”Lotor.”




Il sogno svanì.





Il Principe aprì gli occhi immediatamente. Non perchè la voce che lo aveva chiamato fosse stata brusca, ma perchè ne aveva riconosciuto la proprietaria.

Haggar lo fissava da davanti la porta della stanza e le basse luci viola che illuminavano l’ambiente contribuivano enormemente a peggiorare il suo aspetto inquietante.

Lotor si tolse dalla testa l’interfaccia neurale ed interruppe il collegamente con l’ampolla piena di liquido dorato: i frammenti della coscienza di Lance sottratti dalla strega durante l’interrogatorio.

Non appena Lotor si alzò in piedi, il braccio meccanico dell’archivio recuperò l’ampolla per riportarla al suo posto. “Che cosa vuoi?” Domandò con voce gelida.

“Il Paladino Rosso non è con te,” notò Haggar, come se non fosse ovvio. “Nonostante i tuoi inutili tentativi di farlo passare come il tuo cagnolino personale, sembra che non sia così entusiasta di scodinzolare ai tuoi piedi.”

“Blu,” la corresse Lotor distrattamente. “Lance era il Paladino Blu. Pilotava il Red Lion ma era comunque il Paladino Blu. Non mi sono mai interessato alla logica dietro questa assurda dinamica.”

“Lance è un Paladino,” disse Haggar con convinzione. “Quello che mi sfugge è se stiate entrambi cercando d’ingannare me e tuo padre o se è riuscito a manipolare anche te.”

“Io non mi faccio manipolare da nessuno,” sibilò Lotor. “Tu e mio padre mi avete addestrato bene in questo,” aggiunse rancoroso. Detestava il modo in cui la strega riusciva a colpirlo nei punti giusti per fargli perdere il controllo.

Tutto ciò che quella donna voleva era fargli fare un passo falso. Se era venuto a cercarlo, doveva considerarlo più debole di Lance e questo Lotor non riusciva a farselo andare giù.

“Devo andare,” disse, superandola con ampi passi veloci. “Il cucciolo ha bisogno di essere nutrito.” Cercò di suonare beffardo, anche malizioso.

“Attento a quel giovane, Lotor,” lo avvertì Haggar, prima che il Principe uscisse dalla porta. “Se lo stai usando, è un’arma troppo grande per te. Se ti sta ingannando, tuo padre non avrà pietà di te quanto di lui.”

Lotor ghignò. “Sbaglio o tu e mio padre temete un ragazzino Terrestre che, senza i suoi compagni, non ha alcun potere.”

“A me ha ricordato qualcuno,” disse Haggar.

Lotor smise di sorridere.

La strega gli passò accanto senza degnarlo di uno sguardo. “Ed anche a tuo padre.”




Quando Lotor tornò nelle sue stanze, Lance stava cantando.

Per uno strano gioco del destino, stava intonando proprio la canzone che aveva udito nel suo sogno.

“I know you, I walked with you once upon a dream.”

Le stanze avevano un odore diverso: profumavano di vivo.

“I know you, the look in your eyes is so familiar a gleam.”

Lotor attraversò il salotto e superò l’arco che portava alla camera da letto. Il materasso era spoglio, le lenzuola sporche erano state appallottolate in in un angolo e altre erano ripiegato in un angolo, pronte per essere usate.

“Yet I know it’s true that visions are seldom all they seem. But if I know you, I know what you’ll do. You’ll love me at once, the way you did once upon a dream.”

La voce di Lance proveniva dall’interno della stanza adiacente. Lotor si fece avanti lentamente, attento a non farsi sentire e si affacciò sul bagno. Non aveva idea di dove Lance avesse trovato tutto il necessario per pulire, ma non se ne preoccupò, non in quel momento.

Lance aveva legato all’indietro i capelli troppo lunghi ed i riccioli castani rimbalzavano su e giù, mentre il loro proprietario improvvisava qualche passo di danza. Aveva  le maniche della maglietta tirate fino ai gomiti ed uno straccio stretto tra le dita.

Lotor incrociò le braccia contro il petto e sorrise, un poco divertito ed un poco incuriosito da quella creatura tanto strana da diversi a lucidare lo specchio a figura intera del bagno.

Era bella, la voce di Lance.

Per un attimo, Lotor rivede in quel fanciullo la stessa serenità che aveva percepito nel Lance che aveva stretto tra le braccia in quel quel sogno. Lo stesso Lance che amava la pioggia e credeva nella bellezza delle favole.

“But if I know you, I know what you do. You love me at once. The way you did once upon a dream.” Lance concluse la canzone con una piroetta ed i suoi occhi blu incontrarono quelli color indaco del Principe dei Galra. “Aaaah!” Indietreggiò, andò a finire contro lo specchio. Ci mancò poco che cadessero a terra.

A quel suono stridulo, Lotor strinse gli occhi e storse la bocca in una smorfia. Possibile che la stessa voce riuscisse ad emettere suoni tanto piacevoli e, un istante più tardi, così terribili.

“Non farlo mai più,” sibilò il Principe, massaggiandosi l’orecchio destro. Temeva di aver perso parte della sua capacità uditiva.

“Non farlo mai più?” Urlò Lance indignato. “Mi hai fatto prendere un infarto! Da quanto te stavi lì a fissarmi, eh?” Ci pensò ed arrossì fino alla punta delle orecchie. “Mi stavi ascoltando cantare? Mi hai visto ballare? Quando sei arrivato? Parla!”

“Non ho visto niente che giustifichi la tua reazione,” disse Lotor irritato, poi si guardò intorno. “Cosa stai facendo?” Domandò, come se non fosse abbastanza ovvio.

Lance sbuffò. “Mi annoiavo e questa stanza era un trionfo di polvere. Ho dato un ripulita.”

“Dove hai trovato tutto il necessario?”

“Mi sono affacciato dalla porta… Non guardarmi in quel modo, Lotor! Non sono uscito, mi sono solo affacciato! Una guardia era lì, gli ho detto di cosa avevo bisogno ed è stata tanto gentile con me,” una pausa, “a differenza di come sei tu per la maggior parte del tempo.”

Lotor inarcò le sopracciglia. “Hai chiesto ad una guardia di portarti dei prodotti per pulire e la biancheria pulita per il letto del bagno?”

“In realtà, le guardie erano due. La prima a cui ho chiesto non era molto informata e ha dovuto chiedere ad un collega. Sono stati gentili!”

Lotor prese in considerazione l’avvertimento di Haggar. A quel punto della storia, non si sarebbe sorpreso se Lance si fosse conquistato tutta la Nave Madre brandendo allegria e gentilezza.

“Ho visto il tuo interrogatorio,” disse il Principe.

Lance lo guardò. “Lo hai sentito, intendi.”

Lotor scosse la testa. “L’ho visto, Lance,” disse. “E ho visto anche qualcos’altro.”

Il Paladino Blu arrossì ma non si arrabbiò. “Oh… Beh, ti avevo dato il permesso io, quindi... Nessun problema.”
Lotor ebbe la sensazione che quelle parole non fossero del tutto sincere ma decise di non indagare direttamente. “Vorrei farti delle…”

“Mi aiuti a rifare il letto?” Domandò Lance, arrivandogli davanti.

Il Principe lo guardò come se avesse parlato una lingua sconosciuta. “Eh?”

“Prima, mentre lo disfavo, sono quasi morto a causa delle lenzuola,” raccontò Lance, indicando il letto matrimoniale alle spalle del Galra. “Se mi aiuti a farlo, magari non rischio la vita un’altra volta.”

Lotor non rispose subito.

“Parleremo dopo,” disse Lance. “Almeno avremo la stanza in ordine. Le due guardie mi hanno anche detto dove sono le lavatrici!”

Sorrideva, il Paladino Blu e sembrava così soddisfatto di quel che aveva affatto. Lotor annuì e si spostò per farlo tornare in camera da letto.

Mentre dispiegavano le lenzuola blu scuro –Lotor da una parte e Lance dall’altra–, il Paladino, forse inconsciamente, riprese a canticchiare la stessa canzone.

Per paura che smettesse, Lotor non glielo fece notare: gli piaceva la sua voce.

“But if I know you, I know what you do. You love me at once. The way you did once upon a dream.”


 

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Capitolo 17
*** Tentazione ***


XV
Tentazione




Lotor aveva vissuto sulla Nave Madre gran parte della sua vita e non aveva mai saputo dell’esistenza di una lavanderia.

“Te l’ho detto, Rurgr mi ha spiegato dove trovare l’occorrente per pulire ed Erud mi ha fatto avere le lenzuola pulite,” spiegò Lance, finendo d’infilare le lenzuola dentro quella che insisteva a chiamare lavatrice. “Insieme mi hanno dato le indicazioni per arrivare qui.”

Con il gomito appoggiato su una delle macchine, Lotor lo guardò con le sopracciglia inarcate. “Chi?”

“Oh! Ma non mi ascolti?” Lance sbuffò. “Sono le due guardie che hai lasciato fuori dalla porta della nostra camera. Quello più alto e snello è Erud, quello un po’ più largo è Rurgr.” Storse il naso. “Certo che i nomi Galra non sono proprio musicali.”

“Non esistono più i nomi Galra, a meno che tu non cerchi tra gli uomini più vicini a mio padre,” disse il Principe.

Lance sbatté le palpebre un paio di volte. “Che vuoi dire?”

Lotor scrollò le spalle. “Mi hai raccontato che esistono diverse lingue sul tuo pianeta, che i Terrestri stessi possono avere difficoltà di comunicazione in un luogo diverso da quello in cui sono nati.”

“Sì, l’ho detto.”

“Mi hai anche detto qualcosa riguardo al fatto che i tuoi nonni non apprezzano particolarmente il tuo nome.”

Lance sorrise. “Allora mi ascolti,” disse. “Sì, dicono sia troppo moderno, che è un modo carino per dire troppo americano... Tuttavia, l’America ha ben poco a che fare con l’origine del mio nome.”

“Lo vedi?”

“Vedo cosa?”

“Influenze,” rispose Lotor con un sorrisetto soddisfatto. “Se esistono influenze linguistiche su di un singolo pianeta, immagina in un Impero della portata di quello dei Galra.”

Ancora inginocchiato sul pavimento, Lance giocherellò con l’orlo del lenzuolo distrattamente. “Sono un soldato dell’esercito imperiale, finisco di stanza in un pianeta che non ho mai visto prima e mi ritrovo a dover collaborare con una curatrice del luogo di nome… Uhm… Shay. Vent’anni dopo, ho una bella bambina e penso ad uno nome originale che mi è rimasto impresso per tanto tempo!”

Lotor alzò gli occhi al cielo. “Influenze. Bastava una parola e tu ci hai ricamato sopra una storia.”

“Tu sei uno stronzo noioso ed io sono un fantastico estroverso!” Sbottò Lance, chiudendo l’oblò di quella lavatrice aliena con un po’ troppa forza. “È la prima volta che vedo una macchina che è simile al suo equivalente sulla terra sia per l’uso che per l’aspetto,” aggiunse, osservando il display con interesse.

Dopo un lungo minuto d’immobilità, a Lotor venne il dubbio che si trovasse in difficoltà. “Che cosa c’è?” Domandò pazientemente.

Imbronciato ed orgoglioso, Lance non lo guardò negli occhi. “Non so come si accende,” ammise a voce bassissima, come se si vergognasse.

Lotor sollevò l’angolo della bocca in un ghignetto divertito. Allungò la mano e premette il palmo sul display sopra l’oblò.

L’interno della macchina s’illuminò di una luce viola e Lance, spaventato, fece un saltello all’indietro. Non appena udì il rumore familiare di una lavatrice che girava, rilassò le spalle.

“Oh…” Mormorò. “Il Principe sa usare la lavatrice. Sei da sposare!”

Lotor aggrottò la fronte. “Perchè me lo dici con astio?”

Lance allargò le braccia con fare esasperato. “C’è qualcosa che non sai fare?” Domandò. “Ci sarà pure un modo per farti apparire completamente ridicolo!”

“Ho solo fatto partire una macchina.”

“Oh, caro mio!” Lance sollevò l’indice con fare minaccioso. “Questa non è solo una macchina. Sul mio pianeta, questa è la ragione per cui i matrimoni saltano, è ciò che rende anche il meno appetibile degli uomini uno sposo coi fiocchi!”

Lotor sbattè le palpebre un paio di volte, passò lo sguardo dalla lavatrice al viso del Paladino. “Il mio popolo si massacra pubblicamente in un’arena per provare la propria virilità.”

Lance sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere.

“Sono serio,” disse il Galra, offeso.

“Oh, sì,” Lance rideva ancora. “Lo so! Lo so!” S’iginocchiò a terra una seconda volta per guardare la lavatrice ruotare. “Nella mia casa a Cuba c’era un piccolo angolo lavanderia,” raccontò. “Era sul retro della cucina e c’era questo enorme lavandino, simile ad una tinozza. Quando tornavamo dalla spiaggia, rientravamo dalla porta sul retro e mamma cercava di braccarci, prima che corressimo per tutta casa riempiendola di sabbia. I miei fratelli le sfuggivano sempre, io no. Ero piccolo, riusciva a prendermi al volo e ad infilarmi in quel grande lavandino per lavarmi da capo a piedi. Mia madre m’insaponava i capelli ed io, aggrappato al bordo, guardavo la lavatrice girare e girare… Tutti i colori dei vestiti miei e dei miei fratelli che si confondevano. Non abbiamo mai avuto abiti firmati, io ed i miei fratelli, ma erano sempre colorati. Mi piacciono i colori.”

Lance sbatté le palpebre un paio di volte, come se si fosse appena svegliato da un sogno ad occhi aperti. Sollevò il viso e vide che Lotor era ancora lì e lo ascoltava.

“Non so perchè ti ho raccontato una cosa del genere,” ammise il Paladino Blu.

“Lo fai spesso,” replicò il Principe, guardandolo dall’alto verso il basso.

“Faccio cosa?”

“Parlare liberamente della prima cosa che ti salta in mente in una determinata situazione.”

Lance sorrise nervosamente e scrollò le spalle. “Chiacchiero, non posso farne a meno.”

“Ma non sei abituato ad essere ascoltato,” concluse Lotor.

L’espressione del giovane Terrestre cambiò drasticamente: la luce nostalgica nei suoi occhi blu venne sostituita da qualcosa di più cupo. Non era la prima volta che Lotor scorgeva quell’oscurità sul viso del più giovane. Era già accaduto dopo l’incontro con suo padre e la strega, quando Lance aveva perso la testa ed aveva cercato di andarsene da solo.

“Ho detto qualcosa che ti ha ferito,” disse il Principe.

Lance scosse la testa. “Non è niente.” Poi qualcosa gli tornò alla mente. “Non mi hai ancora parlato di quello che hai visto nel mio sogno.”

Lotor s’irrigidì. “Non c’è molto da dire.”

Il Paladino lo guardò perplesso. “Prima, in camera da letto, sembrava questione di vita o di morte.”

“Se fosse stata davvero questione di vita o di morte, te ne saresti accorto.”

“Allora?” Insistette Lance, incrociando le gambe sul pavimento per stare più comodo. “C’è qualcosa nel mio interrogatorio che il Principe dei Galra ha trovato interessante?”

Lotor appoggiò il mento al pugno chiuso e pensò alle parole giuste da dire. Non ce ne erano. “Siamo stati a letto insieme.”

Il modo in cui Lance inarcò il sopracciglio destro fu esilarante. “Sono stato cieco per un po’ ma sono completamente certo che… No, non è mai successo.”

Lotor alzò gli occhi al cielo. “Sii serio.”

“Sono serio!” Esclamò Lance, le guance rosse. “Non siamo mai andati a letto insieme, io e te. Non ci siamo mai nemmeno baciati. Sì, lo abbiamo quasi fatto, prima che qualcuno si tirasse indietro.”

“Sei ridicolo, lo sai?”

“Quando la strega mi ha interrogato e mi ha chiesto di te, ho avuto un sogno erotico. Sì, lo confesso! A questo punto della storia è chiaro che siamo attratti l’uno dall’altro ma che tu sei troppo stupido per affrontare la situazione.”

“Lance…”

“Quel sogno, però, era buio. Eravamo tutti e due bagnati, forse di pioggia… E, sì, doveva essere coinvolto un letto, perchè sentivo le lenzuola intrecciate alle gambe, ma…”

“Lance, mi hai dato tu il permesso di vedere quell’interrogatorio,” gli ricordò Lotor. “Abbiamo deciso insieme che ci avrebbe reso le cose più facili.”

Lance si mordicchiò il labbro inferiore nervosamente. “Che cosa hai visto?” Domandò timidamente.

“Non mi aspettavo di vedere qualcosa,” disse Lotor. “Il tuo sogno era buio. Credevo che avrei avvertito delle sensazioni, come era accaduto a te.”

“Non è stato così?” Domandò Lance, le guance sempre più rosse.

“Non era buio,” rispose Lotor, si costrinse a non abbassare lo sguardo. “Non era affatto buio.”

Il giovane Terrestre aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “E che cosa… Che cosa hai visto?”

“Eravamo in una piccola camera,” raccontò Lotor, sebbene non ricordasse di essersi guardato molto intorno con il Lance del sogno nudo e disponibile sotto di lui. “C’era il mare fuori dalle finestre.”

Lance sgranò gli occhi. “La mia camera!” Esclamò. “Quella della casa a Cuba, intendo. È la camera della mia infanzia!”

Lotor evitò di fargli notare che esistevano milioni di camere da letto con le finestre che davano sul mare e non solo sul pianeta Terra.

Lance si grattò la nuca. “Ho sognato di fare l’amore nella cameretta della mia infanzia? Non è inquietante?”

“Non lo so, Lance.”

“E che cosa abbiamo fatto?” Domandò il Paladino Blu con curiosità.

Lotor gli lanciò un’occhiata molto eloquente. “Lance…”

“Io non ho visto nulla!” Obiettò l’altro. “Ero sotto l’effetto della quintessenza e quello che sentivo era confuso,” si bloccò, “bellissimo, sì… Ma confuso!”

Lotor si massaggiò la fronte. “È il tuo sogno, sai cosa accade dopo…”

Lance prese a torcersi le dita con nervosismo. “Non è stato confuso per te?”

“Neanche un po’.”

“E come funziona?” Lance sembrava sul punto di esplodere. “Hai avuto una reazione fisica? Anche nel mondo reale, intendo. Oppure…”

Le labbra di Lotor si piegarono in un nuovo ghignetto divertito. “Vuoi sapere se mi sono eccitato?”

Lance rimase senza parole, inchiodato sul pavimento dallo sguardo color indaco del Principe dei Galra.

Il silenzio fu di breve durata. “Certo che ti ho eccitato!” Disse il giovane Terrestre con fare altezzoso. “Sai cosa dicono sul mio pianeta delle bellezze di Cuba?”

“No,” rispose Lotor, secco.

“Beh, dovresti!” Fu l’inutile obiezioni di Lance. Cosa poteva pretendere da qualcuno che conosceva la Terra solo attraverso le sue parole? Niente, ma questo non gli impediva di fare il capriccioso. Si alzò in piedi e si allontanò dalla lavatrice in funzione.

Lotor lo osservò in silenzio, lasciandolo vagare per tutto lo spazio che la grande lavanderia della Nave Madre gli concedeva. Borbottava a bassa voce, Lance ma il Principe non riusciva ad udire una singola parola.

Alla fine, il giovane Paladino nascose il viso tra le mani e prese un respiro profondo, esasperato.

Non disse nulla, ma Lotor non ne aveva bisogno. “Sei arrabbiato.”

“Sì!” Sbottò Lance, sollevando gli occhi blu verso di lui. “Sono arrabbiato!”

“Con me?” Indagò il Principe dei Galra, sebbene la risposta fosse scontata.

Lance avrebbe voluto rispondere sì. Avrebbe voluto urlarlo, insieme ad una lunga serie di frasi poco lusinghiere. Tuttavia, era stato lui a dare il permesso a Lotor di visionare il suo interrogatorio ed era il solo da biasimare per l’orrenda sensazione che gli chiudeva la bocca dello stomaco. Sì, lui e nessun altro.

“Hai fatto l’amore con me,” disse Lance, le braccia incrociate contro il petto e gli occhi lucidi per le lacrime.

Lotor sospirò. “Era sesso e non era reale.”

“Non era solo sesso,” obiettò Lance. “Il sogno è mio, conosco il suo significato.” Gli occhi blu si accesero d’ira. “Perchè lo hai assecondato?”

A Lotor non piacque quel tono di accusa. “Prego?”

“Io non ero lucido durante l’interrogatorio, ma tu ti sei infilato in quel sogno come… Come se fossi in un’altra realtà, no?”

“Non parlare della realtà come se fosse una materia malleabile, Lance,” disse Lotor. “In particolare quando non sai quello che dici. Potresti toccare tasti pericolosi.”

“Lotor!” Lo mise a tacere Lance, arrivandogli di fronte. “Eri lucido, vero? Non subivi passivamente il mio sogno. Tu eri lì.”

Il Galra non comprendeva perchè ci teneva tanto a sentirselo dire. “Sì, Lance,” annuì. “Sì, ero lì. Il tuo sogno mi ha portato in una direzione ed io l’ho assecondato. Opponendomi, avrei potuto danneggiare il materiale dell’interrogatorio e la mia coscienza avrebbe inquinato i frammenti della tua.”

Nonostante la rabbia, Lance lo ascoltava. Lotor lo capiva dal modo attento in cui lo guardava ed annuiva sommessamente alle sue parole, ma i suoi occhi erano ancora pieni di lacrime.

“Hai fatto l’amore con me,” concluse Lance. Abbassò gli occhi e tirò su col naso. “Voglio tornare in camera. Se la lasciamo da sola, questa lavatrice aliena rischia di esplodere, oppure…?”

“Ci penseranno le guardie, glielo ordinerò io,” disse Lotor. “Ti accompagno in camera,” allungò un braccio per toccarlo, ma il Paladino si fece indietro.

Il Principe lo fissò, Lance fece tutto per evitare il suo sguardo.

“Andiamo…” Lotor fu il primo ad uscire dalla stanza ed il Paladino Blu lo seguì.

 
***


”Che cosa sei per lui?”



Effettivamente c’era il mare fuori da quelle finestre.

La prima volta che era stato in quel sogno, Lotor lo aveva solo sentivo ma ora lo vedeva. Era grigio ed in tempesta. Non corrispondeva affatto alla sua idea di bellezza, eppure a Lance piaceva così.

Pioveva ma le persiane erano socchiuse. La brezza fresca gli accarezzò la pelle umida e Lotor rabbrividì, ma non fu una sensazione spiacevole.

“Ehi…” Il Lance del sogno si distese sopra di lui.

Pelle umida contro pelle umida.

Lotor non lo degnò di uno sguardo: si era già perso in lui una volta ed ora voleva guardarsi intorno, studiare i dettagli di quell’illusione onirica.

“A che cosa stai pensando?” Domandò Lance contro la sua gola. Seguì una scia di baci a fior di labbra.

Lotor sapeva che cosa voleva, era la natura stessa del sogno a spingere entrambi in quella direzione. Non era reale. Era solo un’illusione, dal rumore del mare al calore del corpo di Lance.

“Che cosa sono per te?” Domandò il Principe dei Galra ad alta voce.

Era stata quella domanda a spingere la mente del Paladino Blu a creare quell’immagine onirica. Haggar aveva indagato sulla natura della loro relazione e la mente di Lance, priva di qualsiasi inibizione, aveva risposto con una situazione intima, mai avvenuta nel mondo reale.

La creatura stesa su di lui sollevò la testa e Lotor allontanò lo sguardo dal mare in tempesta.

Aveva i capelli bagnati, l’illusione di Lance. Anche i suoi lo erano.

La pioggia li aveva sorpresi mentre erano sulla spiaggia? Erano corsi in casa ed erano passati dal disfarsi dei vestiti bagnati a fare l’amore?

Lotor poteva solo immaginare le risposte a quelle domande. Gli sarebbe piaciuto sapere di più del contesto di quella fantasia. Lance – il vero Lance – gli aveva confidato che quella era la camera della sua infanzia. Quella che Lotor poteva vedere fuori dalla finestra doveva essere la spiaggia di cui gli aveva parlato fino allo sfinimento, quella su cui aveva mosso i suoi primi passi ed aveva imparato a correre.

Sì, doveva essere la spiaggia su cui Lance si era steso ogni notte per guardare le stelle e sognare il giorno in cui le avrebbe toccate.

L’illusione gli sorrise dolcemente, ma si fece indietro e s’inginocchiò tra le lenzuola in disordine. “Perchè mi fai questa domanda?”

Lotor fece vagare gli occhi sulla pelle ambrata e si distrasse. Quello che vedeva era bello e gli sarebbe piaciuto toccarlo, affondando le dita dove la carne era più morbida ed invitante.

Avere Lance in quel modo risvegliava in lui un istinto da predatore che solo il campo di battaglia aveva saputo accendere fino ad allora. Pensare che quello era solo un sogno lo spaventava: il vero Lance che potere avrebbe avuto su di lui?

“Lotor…” L’illusione lo sottrasse ai suoi pensieri.

“Voglio saperlo.” Fu la semplice risposta del Principe dei Galra.

Lance sorrise. “Questo momento non è una risposta sufficiente?”

“Il sesso non è un sentimento,” disse Lotor. “Nemmeno l’attrazione o il piacere lo sono. Sono sensazione superficiali: crescono, raggiungono il culmine e poi spariscono via, senza lasciarsi nulla alle spalle. Un istante ti dominano e quello successivo non le ricordi nemmeno.”

Lance ridacchiò. “Se pensi questo del sesso, devi aver avuto solo amanti mediocri,” disse. “O sei forse tu quello ad essere un amante mediocre?”

Era il genere di tono piccato che Lance avrebbe usato con lui.

“Tu pensi che io sia un amante mediocre?” Domandò il Principe. La situazione in cui si trovavano era una risposta sufficiente. Anche l’illusione lo sapeva e per questo non rispose, si limitò a gonfiare un poco le guance e ad abbassare lo sguardo.

Era arrossito.

Bastò un istante, però, perchè quel frammento della coscienza di Lance passasse al contrattacco. “Anche io sono una sensazione superficiale?” Domandò. “Anche io raggiungerò il mio culmine e passerò, Lotor?”

Il Principe dei Galra non seppe come rispondere. Se ne rimase lì, inchiodato da quegli occhi blu troppo vivi per essere parte di un sogno.

Prima che potesse provare a spezzare il silenzio in suo favore, Lance si sporse verso di lui. “Mi hai già avuto in questa illusione, Lotor,” disse. “Perchè sei tornato?”





Perchè sei tornato?




Lotor si tolse dalla testa il dispositivo d’interfaccia neurale come se scottasse.

Haggar era di fronte a lui e lo fissava con gli occhi brillanti e l’espressione di un morto. “Perchè sei tornato?” Domandò di nuovo.

Lotor strinse i pugni ma fu bravo a mantenere la calma. “Questa è la seconda volta che m’interrompi, strega.”

“Non hai bisogno che ti ricordi ancora una volta la tua posizione, Principe,” disse Haggar. “Non sei costretto in una cella insieme al tuo alleato, ma questo non ti rende libero di agire come meglio credi. Per tanto… Perchè sei tornato qui?”

“Mi sto assicurando che tu ti sia limitata ad interrogarlo e non abbia giocato con la sua mente nel processo,” rispose Lotor.

“Se ne avessi veramente il dubbio, il Paladino non sarebbe ancora vivo,” replicò Haggar. “Questo lo sappiamo bene entrambi.”

C’era un’accusa celata in quelle parole. Lotor si alzò in piedi, lasciando il dispositivo d’interfaccia neurale accanto all’ampolla che conteneva i frammenti della coscienza di Lance sotto forma di quintessenza liquida. “Non c’è niente di utile in questo interrogatorio,” disse Lotor. “Non vi sono informazioni che riguardano Voltron e non c’è nulla che possa provare a mio padre che sto agendo contro di lui. Sono solo i desideri e le paure di un giovane Terrestre.”

Haggar fece un paio di passi in avanti. “Solo desideri e paure. Solo, dici.” Allungò una mano verso l’ampolla piena di liquido dorato.

Lotor fu più veloce e l’afferrò prima che lei ci riuscisse.

Gli occhi vuoti della strega si sollevarono su quelli color indaco del Principe. “I tuoi desideri e le tue paure non ti hanno insegnato nulla?” Domandò. “Il mio è stato un errore di giudizio. Sei ancora troppo ingenuo, Lotor, per essere l’erede di tuo padre.”

Fu un colpo diretto in un punto ferito da tempo, ma con cui Lotor aveva imparato a convivere. “Sappiamo entrambi che mio padre non ha mai avuto bisogno di un erede.”

Zarkon non aveva creato l’Impero con l’intenzione di cederlo al sangue del proprio sangue, non aveva gettato le basi di una dinastia reale. Il suo progetto aveva riguardato lui e solo lui. Con Zarkon era cominciato il dominio dei Galra e se suo padre fosse caduto, sarebbe andato distrutto tutto quello che aveva costruito.

Non c’era mai stato spazio per un Principe nel disegno dell’Imperatore e della sua strega. Lotor aveva avuto un titolo vuoto e gli era stato chiesto di essere un’arma nelle mani di chi gli aveva dato la vita.

Ribellarsi era stato l’unico modo per dare una possibilità a se stesso.

“Prendilo,” disse Haggar, guardando l’ampolla piena di quintessenza. “Non sono informazioni utili a nessuno, lo hai detto anche tu. Se ne sei convinto, distruggilo tu stesso.”

Lotor guardò l’oggetto luminoso tra le sue dita. Non diede una risposta alla strega, la superò ed uscì dalla stanza.


 
***



Quando Lotor rientrò nelle sue stanze, Lance era disteso a pancia in giù sul letto con un tablet tra le mani.

Il Galra inarcò le sopracciglia. “E quello dove lo hai trovato?”

Lance non si degnò nemmeno di guardarlo. “Krug mi ha detto che tecnicamente, l’intero livello è di tua proprietà. Ho dato un’occhiata alle altre stanze e ho trovato un sacco di cose interessanti, tra cui questo.”

“E chi sarebbe Krug?”

“Una guardia.”

“Hai intenzione di fare la conoscenza di tutte le guardie della nave?” Domandò Lotor irritato.

Lance gli lanciò un’occhiata veloce, annoiata. “Sono persone molto gentili e ben educate, a differenza tua,” disse. “Dovrò raccontarlo ad Allura. Ho conosciuto più Galra cortesi di Terrestri… Poi c’è Keith, la disastrosa via di mezzo.”

Lotor attraversò l’arco che divideva il salotto dalla camera da letto. “Non credevo che sapessi leggere la mia lingua.”

Lance scrollò le spalle. “Capisco una parola ogni dieci. Ho spiato Pidge mentre cercava di diventare un’interprete provetta e ho buona memoria, tutto qui.”

“Non sembra una gran forma d’intrattenimento.”
“Come se avessi di meglio da fare,” borbottò Lance, poi sollevò lo sguardo. “Sto mettendo il naso nelle tue cose, non mi salti alla gola come un cane inferocito? Cos’hai tra le mani?”

Lotor sollevò l’ampolla piena di quintessenza dorata. “L’hai mai vista da vicino?”

Lance abbandonò il tablet sul letto e si alzò in piedi. “Ho visto un sacco di cose strane,” disse, allungando le mani per prendere il contenitore pieno di luce. Lotor glielo permise.

La curiosità negli occhi di Lance sfumò immediatamente. “Tutto quello per cui stiamo combattendo ha questo forma.”

Lotor approfittò di quell’attacco di malinconia per fare un passo in avanti ed assicurarsi che il Paladino avesse cessato ogni ostilità. “Questo non è il nemico,” disse, riprendendo l’ampolla dal contenuto dorato. “Questo è tutto. È vita stessa. Attraverso di essa, con le conoscenze giuste, si potrebbe curare ogni male dell’universo.”

Lance accennò un sorriso. “Non si può curare ogni male dell’universo. Significherebbe creare una dimensione perfetta.”

Lotor si accigliò. “Mia madre è morta per arrivare a quella conoscenza.”

Lance ricambiò il suo sguardo. “Esatto…” Rispose senza paura. “E guarda dell’universo cosa ne è stato.” Quelle parole gli aggiudicarono la vittoria.

Lotor strinse le dita sul contenitore con tanta forza che Lance si sorprese di non vederlo andare in mille pezzi.

“Che cosa devi fare con questa quintessenza?” Domandò il più giovane. No, le ostilità non erano affatto finite, si sforzava solo di comportarsi civilmente.

Lotor gli riservò lo stesso trattamento. “Ricerche,” mentì. “Una delle stanze che hai visto su questo piano è un laboratorio.”

“Immagino che sia quella in cui non sono riuscito ad entrare.”

“Esattamente.”

“Ero più interessato alla grande sala da bagno qui accanto, a dire il vero. Perchè hai un bagno minuscolo qui, quando disponi di un’oasi fantascientifica di là?” Lance scosse la testa, come a dire di lasciar perdere. “Vuoi metterti a fare esperimenti sotto il naso di tuo padre?” Indagò dubbioso. “Non è un po’ come condannarsi a morte?”

“Non lo è se gli esperimenti vanno a favore della sua causa,” tagliò corto Lotor. “Come se tu potessi capirne qualcosa.”

Gli occhi blu di Lance divennero grandi, come se le sue parole lo avessero offeso.

Lotor non aveva nè il tempo nè la voglia di preoccuparsene. “Non osare più uscire da questa stanza senza il mio permesso,” sibilò. Uscì dalla camera da letto con passo svelto.

 
***


Lotor non andò nel laboratorio in fondo al corridoio.

Scomparve dietro la porta dirimpetto a quella della sua camera, la stessa che nascondeva l’oasi fantascientifica di cui Lance aveva parlato. Per il Principe dei Galra non era altro che una sala da bagno con una grande vasca al centro.

Gli alti ufficiali di suo padre usavano quel genere di ambienti come cornici per le loro attività più perverse. Un bagno caldo, qualcosa di forte da bere ed almeno tre prostitute a testa con cui divertirsi.

Lotor non era così. Non lo era neanche suo padre.

Il Principe era arrivato alla conclusione che l’Imperatore tollerasse l’assenza di disciplina solo in due posti: le arene e le stanze private. Fin tanto che i suoi Comandanti gli portavano tutte le vittorie che ordinava, Zarkon non aveva ragione di preoccuparsi della loro condotta.

Lotor era stato un’eccezione anche in quello.

Era facile chiudere un occhio su di uno schiavo di alto rango bisognoso di sfogare i suoi istinti più bassi, ma non era altrettanto semplice evitare di notare come l’erede al trono fosse più interessato a conoscere gli altri popoli, piuttosto che soggiogarli.

Lotor era sempre stato troppo impegnato a sopravvivere per concedersi qualche tentazione.

Di conseguenza, non si era mai permesso di provare attrazione per qualcuno al punto da esserne soggiogato. Certo, aveva desiderato come ogni uomo sa desiderare ed aveva preso dove gli veniva concesso.

Una tentazione, però, non gli era mai capitata. Un pensiero fisso, costante, non lo aveva mai avuto.

E quello era il solo modo che conosceva per assecondarlo senza lasciarsi sopraffare.

Quando la vasca fu piena, si tolse i vestiti e poggiò il dispositivo per l’interfaccia neurale sul bordo, accanto all’ampolla dorata con dentro i frammenti della coscienza di Lance.

S’immerse nell’acqua calda lentamente e lasciò andare un sospiro stanco.

Gli occhi d’indaco del Principe dei Galra fissarono il vuoto per un lungo momento d’immobilità. Fu la sua ultima esitazione.

Prese il dispositivo tra le mani e modificò alcuna delle impostazioni manualmente. Lo poggiò sul capo e chiuse gli occhi.

Una risata cristallina ed una mano sul suo viso lo convinsero ad aprirli di nuovo.

Il giovane seduto sulle sue gambe era nudo, la pelle ambrata era umida ed il suo sorriso era vittorioso.

“Lo sapevo che saresti tornato,” disse Lance… Il solo Lance a cui Lotor poteva arrendersi senza preoccuparsi delle conseguenze, come in un sogno.

“Baciami,” ordinò il Principe dei Galra.

L’illusione obbedì.





 

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Capitolo 18
*** Castigo ***


XVI
Castigo




Lotor prese ad ignorarlo gradualmente.

Lance se ne accorse fin da subito ma non ne parlò immediatamente. Da quando avevano messo piede sulla Nave Madre, la tensione tra loro era divenuta palpabile.

Nei primi tempi, c’era stato ancora qualcosa di buono tra loro, come la volta che erano finiti sotto la doccia insieme; o quando il Principe aveva assistito all’esibizione canore del Paladino Blu. Piccoli dettagli ma indispensabili per mantenere solida la loro alleanza.

Tutto era andato scemando nel giro di poco.

Lotor era passato dal trascorrere con Lance pochi minuti a sparire per giorni.

Il Terrestre non aveva idea di che cosa stesse passando per la testa del Principe. Le sue uniche certezze erano che Lotor si stava tenendo impegnato con qualcosa e che quel qualcosa non lo riguardava.

Erano state sprecate tante parole tra di loro riguardo al gioco di squadra o al fatto che nessuno dei due poteva uscire da quella situazione senza l’altro. Bene, Lotor doveva aver trovato un piano alternativo perchè Lance si sentiva più in prigionia in quella camera da letto reale di quanto ci si fosse sentito nella sua cella sulla nave del Principe, privato della vista.

Al tempo, almeno, le ragazze spendevano parte del loro tempo per parlargli e fargli compagnia. Lo facevano per loro divertimento personale, certo, ma almeno c’era una voce reale a coprire il silenzio e non quella dei pensieri di Lance.

La sola prova che Lotor non lo aveva completamente abbandonato, il Paladino Blu la trovava nella servitù che andava e veniva per servirgli tre pasti al giorno e assicurarsi che la sua camera fosse perfettamente pulita.

Persino le guardie di turno di fronte alla sua porta si preoccupavano di chiedere come stava.

Lance rispondeva con un sorriso che non raggiungeva i suoi occhi.

Non avrebbe avuto alcun senso dire a loro che era sul punto d’impazzire. Quei Galra non erano colpevoli per quello che gli stava succedendo e non erano nella posizione di aiutarlo.

Alla fine, Lance incominciò a spendere il suo tempo guardando le stelle fuori dalle grandi vetrate delle stanze del Principe. Passava la punta dell’indice sul vetro disegnando delle linee invisibili per unirle tra loro. Era un gioco che aveva cominciato a fare al Castello, nelle notti in cui la nostalgia di casa non lo faceva dormire e doveva tenere la mente occupata in qualche modo.

Univa quei puntini luminosi in modo che assumessero una forma più o meno riconoscibile, allora dava un nome a quella nuovo costellazione, frutto nella sua mente annoiata.

Alle volte, Lance studiava quelle stelle con una tiepida speranza a scaldargli il petto. Lui e i suoi compagni avevano viaggiato molto durante le loro missioni e c’erano dei Sistemi che avevano visitato più spesso di altri.

Lance sapeva che se si fosse ritrovato nelle vicinanze di uno di quei luoghi, avrebbe saputo riconoscerne le costellazioni e forse… Solo forse, i suoi compagni sarebbero stati lì, abbastanza vicini da captare la presenza di Red.

Red…

Lance poteva ancora sentirla nei recessi oscuri della sua mente. Alle volte, il suo richiamo era tanto insistente che il Paladino si premeva le mani contro le orecchie in un gesto automatico ma inutile. Red era insistente e caparbia. Era come Keith e non accettava il suo silenzio.

Lance, però, non aveva molto da offrirle, solo la sua impotenza in una situazione in cui aveva creduto di non essere solo. Lotor, però, aveva deciso altrimenti.

“Sono un sognatore,” diceva a se stesso ma era col suo leone che parlava. “Sono sempre stato un sognatore. Mio padre ha sempre detto che era il mio più grande pregio e il mio peggior difetto.”

Red rimase silenziosa nella sua mente. Lance sorrise amaramente, appoggiando la guancia alla vetrata fredda. “Nemmeno tu puoi negare l’evidenza, eh?” Si passò una mano tra i capelli. “Vorrei che tutto questo sia dovuto solo al fatto che sono nelle mani del nemico senza possibilità di scampo, eppure c’è qualcosa che fa male. Fa dannatamente male, Red.”

Aver creduto in Lotor era solo e unicamente una sua colpa. No, non era del tutto corretto: Lance non aveva mai smesso di guardarsi le spalle.

Era rimasto sotto la pioggia in attesa di un bacio, aveva sognato di fare l’amore con lui e gli aveva dato il permesso di vedere quella fantasia onirica, ma non aveva mai dato a Lotor la sua completa fiducia. Il Principe non si era comportato diversamente.

La loro alleanza era finita ancor prima di cominciare e l’attrazione tra loro non aveva contribuito a migliorare le cose.

Perchè quella c’era. Quella era reale come le stelle che Lance vedeva fuori da quella finestra sull’universo.

Lotor, però, era il Principe dei Galra e lui il Paladino Blu di Voltron.

Dove Lance non aveva temuto le conseguenze, Lotor aveva deciso che anche un semplice bacio sarebbe stato troppo.

“Pensi che sia per il mio ruolo?” Domandò a Red con astio, non verso di lei ma verso il Galra che lo aveva ridotto in quello stato. “Pensi che non si sarebbe fatto scrupoli a usarmi se fossi stato uno qualunque?”

Red rispose a modo suo, nella sua mente. Lance non poteva comprenderla ma si accontentò di sapere che lo stava ascoltando. “Sì, probabilmente sì. Il fatto che sia un Paladino lo inibisce. Se non lo fossi stato, sarebbe stato molto meno restio a lasciarsi andare.”

Sentì le lacrime salirgli agli occhi e chiuse le palpebre. “Allora perchè continuò a essere convinto che ci sia più di questo?” Domandò a se stesso. “Lotor non riesce a comprendere Voltron e il mio ruolo è ridicolo per lui, come lo è il mio legame con te, Red. Come può bloccarlo qualcosa a cui non da valore?”

Si portò una mano alla fronte stringendo i capelli della frangia castana tra le dita. “Perchè una voce continua a sussurrarmi che non mi vuole perchè sarebbe qualcosa più di niente?”

Sentì la presenza di Red farsi più intensa, quasi lo volesse consolare. Era come un abbraccio, seppur non fisico.

Lance si lasciò avvolgere da quella sensazione e cercò di trarne un poco di conforto.

“Perchè stai piangendo?”

Il Paladino sollevò la testa di colpo e il contatto con Red andò in pezzi.

Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che si erano parlati che Lance quasi aveva dimenticato il suono della sua voce. Eccolo lì, con i suoi capelli perfetti ed i suoi occhi meravigliosi. Un bellissimo bastardo.

Lance non sarebbe mai potuto cadere più in basso di così. “Oh…” Mormorò sarcastico. “Sua Altezza Reale si è degnato di ricordarsi della mia esistenza.”

Il viso di Lotor non tradì alcuna emozione. “Perchè stai piangendo?” Domandò di nuovo. “Stai male? Qualcosa non va?”

Lance posò la tempia contro il vetro freddo, gli occhi blu rivolti alle stelle. “Ho perso il conto delle cose che non vanno…” Disse a bassa voce.

Lotor udì poco più di un borbottio e decise di non dargli importanza. “Abbi la decenza di dirmi se stai male. Non mi sei di alcun aiuto se non sei in forze.”

“Ci credi ancora a questa farsa, Lotor?!” Lance non riconobbe il suono della sua stessa voce. Urlare così, dal nulla, non era da lui.

Quella reazione dovette prendere di sorpresa anche il Principe dei Galra, perchè si bloccò e lo fissò con il barlume di qualcosa ad illuminargli gli occhi. “Farsa?” Domandò.

Lance sentiva il petto pesante e respirare era difficile, ma trovò comunque la forza di reggere il suo sguardo. “Vuoi davvero andartene, Lotor?” Una domanda semplice. La risposta non gli sembrava più così scontata.

“Che sciocchezze stai dicendo?” Domandò il Principe, annoiato.

“Non lo so,” ammise Lance con un sorriso isterico. “Intrattieni lunghe conversazioni con tuo padre quando non sei qui? Perchè a me non sembra che tu stia facendo qualcosa per migliorare la situazione.”

“Sei ancora vivo,” gli ricordò Lotor. “Fattelo bastare.”

“Bastare?” Lance si alzò in piedi, sorreggendosi alla vetrata. “Non sono dove dormi. Non so dove mangi. Mi hai lasciato qui ad aspettare non so nemmeno io cosa. Ci sono giorni in cui mi aspetto che le guardie entrino da quella porta per portarmi via e giustiziarmi.”

“Non accadrà,” disse Lotor con voce ferma, incolore.

“Ho solo la tua parola, te ne rendi conto?”

“E che altro vorresti, Paladino?”

Lance si sentiva patetico a elemosinare attenzioni in quel modo. Che cosa voleva? Un po’ del suo tempo, ecco cosa voleva. Gli serviva la prova che erano ancora insieme e non ognuno per sè.

Non c’erano parole per farlo capire al Principe che potessero suonare dignitose. Lance resse il suo sguardo fino alla fine, ma non rispose alla sua domanda. “Una volta mi hai detto che non avresti esitato a uccidermi, se questo ti avrebbe garantito la libertà da questo luogo,” disse. “Io non sono come te, Lotor. La guerra non si è ancora presa tutta la mia umanità, ma sappi che se dovessi trovare il modo di arrivare a Red, non mi volterei indietro per te.”

Lotor serrò la mascella e accettò quell’avvertimento come se non avesse alcun peso. “Molto bene, Paladino,” concluse, voltandosi.

Nessuno si era mai voltato per lui.


***


Il dispositivo d’interfaccia neurale era freddo contro la sua fronte.

“Sei silenzioso.”

L’illusionegiaceva sul lato della vasca, distesa sull’addome. Lotor sapeva che l’aveva fatto per farsi guardare. Lance non era affatto un timido, era solo la mancanza di esperienza a iniziarlo. Quella proiezione della sua essenza ne era la prova.

Gli piaceva essere guardato. In particolare, Lotor sapeva che adorava avere i suoi occhi addosso, ma per orgoglio non l’avrebbe mai ammesso.

“Il vero te è di cattivo umore,” disse il Principe. L’acqua calda della vasca era un abbraccio confortevole, rilassante ma la sua pelle desiderava altro.

“Vieni qui,” ordinò con un gesto della mano.

L’illusione sorrise. “Sono di cattivo umore perchè mi lasci da solo,” disse. “Il silenzio non mi piace e la solitudine mi fa male. Non ci sono abituato.”

Lotor assottigliò gli occhi. “Ho sempre avuto un’impressione diversa,” ammise. “Ho la netta sensazione che Lance si sia sentito da solo per gran parte della sua vita.”

“Sentirsi da solo ed esserlo non sono la stessa cosa.”

“Tutto sta quale delle due si considera peggiore.”

“Nessuna delle due,” disse l’illusione, ondeggiando appena i fianchi, costringendo gli occhi indaco del Galra a tracciare la curva di quel sedere perfettamente disegnato. “Si può smettere di sentirsi soli trovando qualcuno in grado di ascoltarci. Si può cessare di esserlo aprendosi agli altri.”

Lotor storse la bocca in una smorfia. “Tipico di te,” commentò.

“Ascoltami,” disse l’illusione, scivolando nell’acqua che riempiva la vasca. “Fai in modo che la mia voce abbia valore per te ed io resterò al tuo fianco per tutta la vita.” Si mise a cavalcioni sul Principe. Non emetteva alcun calore e la sua consistenza era reale solo nella testa di Lotor.

“Io non sono solo,” replicò il Galra freddamente, afferrando i polsi dell’ombra di Lance e allontanando le sue mani da sè.

Gli occhi blu lo guardarono tristemente. “Lo sei più di quanto immagini,” disse. “Tuttavia, puoi ancora salvarti.”

Lotor inarcò un sopracciglio. “Come si può salvare qualcuno che non ha bisogno di essere salvato.”

“Non mi tocchi,” l’illusione sorrise. “Mi guardi. Mi baci solo alle volte, ma non mi tocchi. Non lo stai sostituendo con me. Sai perfettamente che non puoi.”

Si guardarono per un lungo momento di silenzio, Lotor gli afferrò i fianchi. “Non c’è molto piacere nello scopare qualcosa che non esiste,” quasi sibilò. Lance poteva essere la più grande tentazione della sua vita e la sola a cui non poteva cedere, ma preferiva la compagnia della sua mano a quello che quell’illusione stava suggerendo.

“Eppure, hai provato piacere con me nel sogno.” L’ombra di Lance si chinò su di lui, le loro labbra a pochi millimetri di distanza.

“Era un sogno,” si giustificò Lotor. “La ragione per cui sei qui è un’altra.”

“La ragione per cui sono qui è perché io sono la proiezione di quella parte di lui che ti ama.” Il modo in cui quella creatura passava a parlare dalla prima alla terza persona era inquietante.

Lotor non fu preso di sorpresa da quelle parole. “Lance non mi ama. Lo crede perchè è un ragazzino.”

“Il tuo cuore è giovane quanto il suo,” replicò l’illusione. “Conosce il dolore, la rabbia, il tradimento, l’abbandono… Ma cosa può sapere più di questo? Con l’amore, il tuo cuore è come un uccellino che non ha mai aperto le ali.”

Lotor chiuse gli occhi stancamente, appoggiando la nuca al bordo della vasca, “Smettila…”

“L’amore appartiene alle stelle, Lotor,” rispose l’illusione. “Solo che ancora non riesci a comprenderlo…” Si chinò di nuovo sul Principe, provò a baciare le sue labbra.

Prima che ci riuscisse, Lotor si liberò del dispositivo d’interfaccia neurale e l’ombra di Lance si dissolse nel nulla.

“Amore…” Ripetè, quasi ringhiando. “Pensi che non sappia nulla dell’amore?”

Si sollevò dall’acqua.

“So che ha il potere di distruggere i mondi,” disse alla stanza vuota. “Non mi serve sapere altro.”



***


Lance si svegliò in un campo di fiori.

Il cielo sopra di lui era nero, dalle sfumature violacee. Milioni di stelle lo trapuntavano e il sorriso inquietante di una luna crescente non era abbastanza luminoso per coprire la loro luce. Lance si mise a sedere: all’orizzonte vi erano alte montagno, tutt’intorno a lui vi erano fiori dal colore scuro.

Lance credeva di averli già visti nel giardino nei sotterranei del Castello dei Leoni, quello in cui Allura andava a rinchiudersi quando la nostalgia di casa e il dolore per la perdita di suo padre erano troppo da sopportare.

Non sapeva se i suoi compagni si erano mai resi conto di quei suoi momenti di fragilità. Lance lo faceva, sempre. Non diceva niente per rispetto, ma non c’era nulla dello stato emotivo dei suoi compagni di cui lui non si accorgesse.

Che qualcuno si notasse il suo era un’altra storia. Andava bene così, aveva un addestramento di diciassette anni da figlio più piccolo in una famiglia numerosa.

Il primo istinto fu di raccogliere uno dei fiori per sentirne il profumo, ma dopo lo avrebbe condannato ad appassire prematuramente e sarebbe stato un peccato.

Troppe cose belle avevano vita breve in quell’universo in continua evoluzione… Sempre ammesso che il buio non l’avesse vinta e ingoiasse tutto, anche le stelle più lontane.

Lance si distese su un fianco e lasciò che i petali dei fiori gli solleticassero il naso. Ridacchiò tra sé e sé a quella sensazione: un sollievo puerile alle emozioni negative che gli attanagliavano il cuore.

Non si domandò come era finito in quel luogo. Era in pace con se stesso e tanto bastava. Era una novità piacevole dopo tutto il metallo freddo e le vetrate della Nave Madre.

Le uniche cose ad essere rimaste erano le stelle ma di quelle non si sarebbe mai stancato.

“Vorresti rimanere qui per sempre?”

La voce che interruppe il silenzio lo prese di sorpresa ma non lo spaventò. Conosceva il suo proprietario, lo conosceva molto bene.

Sollevò la testa e i suoi stessi occhi blu risposero al suo sguardo.

“È bello qui, non è vero?” L’altro Lance era identico a lui nell’aspetto e anche il tono della voce era lo stesso, ma le sue labbra erano piegate in un sorriso che il Paladino Blu non si sarebbe mai creduto in grado di fare.

Lance si mise a sedere e solo allora si accorse di avere addosso la sua armatura. Il suo riflesso era inginocchiato al suo fianco e indossava colori che Lance aveva visto solo addosso a Lotor.

Lance gli rivolse un sorriso incerto. “C’è pace qui,” disse.

L’altro scosse la testa “C’è pace perché è un luogo che non esiste.”

Lance storse le labbra in una smorfia. “È un sogno,” disse stizzito. “Potrò pur aver la libertà di fare un bel sogno!”

Non gli rimaneva molto altro nella prigione principesca in cui Lotor lo aveva rinchiuso, a parte le stelle.

“Hai i suoi colori addosso nei tuoi sogni,” gli fece notare l’altro Lance.

Il Paladino si guardò addosso. “Tu li indossi. Non io.”

“Ma io sono te.”

“Sei solo il mio riflesso in un sogno, tutto qui.”

“Non hai ancora imparato a non sottovalutare il potere dei sogni?” Domandò l’altro Lance con un sorriso sarcastico. “Alla strega è bastato farti sognare per averti in pugno. Che cos’altro potrebbe rivelare la tua mente? Quali desideri scomodi si nascondono nel tuo cuore?”

Il riflesso gli sfiorò le labbra e Lance si fece indietro. “Un bacio,” disse maligno. “Tu aneli ancora quel bacio. Lo vuoi più di qualunque cosa al mondo. Un bacio dato col cuore dal tuo Principe e Sir Lancillotto sarebbe anche disposto a prendere in considerazione il tradimento, vero?”

Lance si alzò in piedi, i pugni serrati. “Mai! Non tradirò mai i miei compagni!”

“I Paladini, intendi?” Domandò il suo riflesso, sollevandosi a sua volta. “Quelli che ti hanno abbandonato.”

Lance strinse le labbra e incassò il colpo. “È un gioco che hanno già provato su di me e non ha funzionato.”

L’ombra di se stesso sorrise. “Sei così romantico, Lance,” disse con voce derisoria, “così affamato d’amore. Sei come il tuo Principe, ma lui disprezza questo desiderio almeno quanto tu lo metti al centro di tutto. È il motore di ogni tua azione, la ragione dietro ogni tua parola. Hai il disperato bisogno di sentirti amato.”

Lance si voltò. Non sapeva dove nascondersi  in quella realtà illusoria. Era nella sua mente, non sarebbe mai riuscito ad arrivare troppo lontano. “Sono un Paladino di Voltron!” Affermò alle stelle lontane.

La sua ombra rise. “Come sei un figlio della Terra.”

“Indossare i colori che hai addosso non mi riporterebbe a casa,” replicò Lance.

Il suo riflesso fece scivolare un braccio sulla sua spalla e posò la fronte contro la sua nuca. “No,” concordò. “Potrebbe aiutarti a dimenticarla.”



“Lance…”



Il Paladino Blu si voltò. Non era più nel campo di fiori e non c’era nessun cielo stellato sopra di lui.

Alle sue spalle, il secondo Lance era sparito. C’era solo Lotor.

Lance era di nuovo all’interno della Nave Madre ma non nella sua camera da letto. I piedi scalzi poggiavano sul terreno polveroso di un campo circolare. Alte mura lo circondavano e sopra di esse vi erano gli spalti.

Se fosse stato sulla Terra, Lance avrebbe pensato di essere al centro di uno stadio ricoperto di sabbia. Nel mondo dei Galra, quel luogo aveva un nome ben preciso.

“Come ci sei arrivato qui all’Arena?” Domandò Lotor, confuso quanto lo era il Paladino.

Lance si guardò intorno. Non indossava più la sua armatura ma solo i vecchi vestiti che il Principe gli aveva dato per dormire.

“Io…” Rammentava di essersi coricato ma non di essersi svegliato, né di essere uscito dagli appartamenti che gli era proibito abbandonare. “Non lo so…” Disse il Paladino con un nodo alla gola. “Non me lo ricordo.”

Lotor annuì sommessamente.

“Attendiamo ordini, Altezza.”

Il Paladino Blu si rese conto solo allora che non erano soli, che una squadra di guardie era alle spalle di Lotor, armata di blaster.

Gli occhi blu di Lance si fecero enormi, spaventati. L’istinto lo portò a sollevare il pugno, pronto a evocare il bayard.

“Non fate fuoco!” Ordinò Lotor con rabbia, la mano destra tesa nella direzione del giovane Terrestre. “Lance…” Chiamò con voce pacata, quasi gentile. “Prendi la mia mano e non ti accadrà niente.”

“Come ho fatto ad arrivare qui?” Domandò il Paladino tremando da capo a piedi. “La Nave Madre è piena di guardie. Come sono riuscito a…?”

“Ne parliamo dopo,” disse Lotor, facendo un passo in avanti con cautela. “Ora ho bisogno che tu abbassi quel braccio e non fai nulla per compromettere ulteriormente la tua situazione.”

Ulteriormente?” Domandò Lance. “Io non ho fatto niente, Lotor!”

Il Principe gli credeva. Lance poteva leggerlo nei suoi occhi che era così, ma la squadra di guardie alle sue spalle era di tutt’altro avviso.

“Per arrivare qui ha fatto fuori decine di noi!” Esclamò uno dei Galra armati di blaster.

Lance guardò il Principe con orrore. “Che cosa ho fatto?”

Lotor strinse le labbra e prese un respiro profondo. “Non è morto nessuno,” lo rassicurò. “Il prossimo che parla senza permesso assaggerà la lama della mia spada!” Aggiunse, rivolgendosi ai soldati dietro di lui. “Lance, vieni qui.”

Lotor gli porgeva la mano ma non sembrava volersi avvicinare in alcun modo. Era come se stesse parlando con un pazzo con un detonatore in mano. “Perchè hai paura?” Domandò Lance.

Lotor scosse la testa. “Non ho paura. Voglio che tu venga qui da me di tua spontanea volontà, senza provare altri colpi di testa.”

“Hai paura che ti faccia del male?”

Lotor esitò. “Lance, vieni qui,” ordinò con tono ancora pacato ma fermo.

Lance scosse la testa. “Non lo faccio se non mi dici che cosa c’è che non va.”

“Se ti fidi di me, andrà tutto bene.”

“Io mi fido di te.” Lance non sapeva quando aveva cominciato a piangere. “Non ho altra scelta che fidarmi di te e tu… Tu…”

“Non è questo il momento,” sibilò il Principe. “Non siamo soli e ci stanno osservando. Lo capisci, vero?”

Lance si guardò intorno: gli spalti erano completamente vuoti e nessuna delle guardie presenti sulla scena avrebbe detto una parola su qualunque fosse accaduta in quell’Arena. Lotor non lo avrebbe mai permesso.

“È nella mia testa, vero?” Domandò Lance, atterrito. “C’è qualcosa nella mia testa.”

Lotor fece un passo ancora. “Se ti fidi di me, possiamo scoprirlo.”

“È lei?” Urlò Lance. “Maledizione, Lotor, è di nuovo lei?”

“No,” il Principe scosse la testa. “Se lo fosse, lo saprei.”

“Allora che cos’è?” Lance singhiozzava, una mano tra i capelli. “Che diavolo c’è nella mia testa?”

Lotor stava perdendo la pazienza ma si costrinse a rimanere calmo. “Lance, devi venire con me di tua spontanea volontà, riesci a capirlo?”

“No!” Urlò il Paladino Blu in lacrime. “Perchè hai paura di me? Perchè ti comporti come se fossi una bomba sul punto di esplodere?”

Lotor pensò velocemente a qualcosa che lo potesse calmare e lo aiutasse a ragionare. Non ci riuscì: la terra cominciò a tremare sotto i suoi piedi. Le guardie alle sue spalle si agitarono immediatamente.

“Un demone!” Esclamò qualcuno. “È come uno dei mostri della strega! Ci ucciderà tutti! Abbattiamolo!”

Accecato dal panico, uno di loro sparò un colpo di blaster a caso e mancò di poco la testa del Terrestre. Lance gli fece gli pietra, gli occhi sbarrati e il respiro bloccato in gola.

“Vi ho ordinato di non sparare!” Sbottò Lotor voltandosi verso i soldati.

Era troppo tardi. La situazione era già precipitata.

Ora non era più solo il terreno a tremare ma l’intera struttura e Lance sapeva di esserne la causa. Non poteva spiegarlo razionalmente ma più il caos dentro di sè aumentava, più quella rabbia si riversava all’esterno sottoforma di un’invisibile forza distruttrice.

Lance si portò le mani al petto e artigliò la stoffa scura della tunica. “Che cos’è?” Il terrore lo paralizzava. “Non so che cos’è!”

Lotor riusciva a stento a restare in piedi. “Viene da dentro di te, Lance!” Esclamò. “Devi calmarti! Calmati e tutto finirà!”

“Non ci riesco!” Urlò il Paladino portandosi le mani davanti agli occhi. Le guardò come se non gli appartenessero. Nemmeno la forza che sentiva dentro era sua, eppure era il suo cuore a sprigionarla.

Lance si sentì afferrare e fu costretto a sollevare la sguardo. Lotor lo aveva raggiunto e lo guardava dritto negli occhi. Non c’era rabbia nelle sue iridi color indaco ma solo fermezza.

“Guarda me.” Il Principe dei Galra posò una mano sulla sua guancia per addolcire quell’ordine. “Guarda me... Guarda solo me, Lance.”

Gli occhi blu non si allontanarono da quelli del Galra.

Lance si aggrappò all’armatura di Lotor, cercò il battito del suo cuore come un naufrago in mezzo alla tempesta e grazie a quelle vibrazioni, riuscì a rendere il ritmo del suo respiro più regolare.

“Così,” Lotor annuì, infilò una mano tra i suoi capelli e appoggiò la fronte alla sua. “Così, Lance…”

Il Paladino Blu chiuse gli occhi e due ultime lacrime gli bagnarono le guance, aggiungendosi a quelle che aveva già versato. Il caos nella sua testa era scomparso e così il nodo intorno alla gola.

La terra aveva smesso di tremare da un po’ quando si rese conto che era tutto finito.

Alle loro spalle, nessuna delle guardie era rimasta in piedi.

“Siamo ancora vivi?” Chiese uno di loro, guardandosi intorno.

Nessuno gli rispose.

Nessuno diede ordini.

Lotor non si allontanò da Lance e il giovane Paladino rimase aggrappato a lui, le loro fronti l’una premuta sull’altra.

“Che cos’era?” Domandò Lance con un filo di voce. Si sentiva stanco, molto stanco. Se le braccia di Lotor non lo avessero sorretto, non era certo che le gambe lo avrebbero retto.

“Penso che il tuo leone sia entrato dentro di te,” disse Lotor a voce altrettanto bassa.

Lance era stravolto al punto da non riuscire ad aprire gli occhi e mostrargli la sua sorpresa.

“Penso che abbia smesso di fidarsi di me,” aggiunse il Principe dei Galra. “Ha sentito che non ti stavo più proteggendo e ha reagito al tuo dolore. Ti ha dato la forza per farti uscire di qui.”

Lance ingoiò a vuoto: sentiva la gola secca. “Non è mai successo a nessuno di noi.”

Il Principe dei Galra sospirò. “Immagino tu non riesca a fare normalmente nemmeno il Paladino.”

Suo malgrado, le labbra di Lance si sollevarono un poco: quella era la leggerezza che gli era mancata. No, gli era mancato Lotor, personalità da stronzo compresa.

Se non avesse tenuto particolarmente alla sua dignità, Lance si sarebbe fatto portare in braccio dal Principe dei Galra fino alla sua camera da letto. Sarebbe stato un po’ come in quelle fiabe che gli piacevano tanto da bambino, anche se non era servito nessun bacio per salvarlo.

Già… Ancora una volta, non aveva ricevuto il suo bacio.

Lance non seppe per quanto tempo lui e Lotor rimasero così, ma furono fredde le mani che li divisero con la forza.

Spalancò gli occhi e trovò sul viso di Lotor un’ombra di timore che non gli piacque affatto.

“Che state facendo?” Sbraitò il Principe. “Lasciatemi! Ve lo ordino!”

Quelli che li circondavano non erano soldati Galra ma alte figure incappucciate. A vederle, non potevano essere più forti dei soldati dell’Impero, ma Lance non riusciva a ribellarsi alla loro presa e anche Lotor faceva fatica.

“Lotor…” Chiamò, mentre li allontanavano l’uno dall’altro.

“Lasciateci, maledetti!” Urlò il Principe dei Galra.

I loro occhi s’incontrarono un’ultima volta, prima che le figure incappucciate li trascinassero in direzioni opposte.

Lance tese la mano nel vuoto. Il Principe dei Galra non l’afferrò per trarlo in salvo ancora una volta.

“Lotor!”
 

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