So, this is Christmas.

di The Custodian ofthe Doors
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- Christmas' Eve, Lightwood verse. ***
Capitolo 2: *** 2- Christmas' Eve, Bane verse. ***
Capitolo 3: *** 3- Christma's Night ***
Capitolo 4: *** 4- Christmas' End, Boxing Day. ***



Capitolo 1
*** 1- Christmas' Eve, Lightwood verse. ***


1- Christmas' Eve, Lightwood verse.

 

 



 

La Fifth Avenue si collegava ad un'infinità di viali minori che si diramavano per tutto l'Upper East Side. Un reticolo di strade alberate ospitavano quelle che erano reputate le case più belle e anche costose dell'intera città, palazzine singole di tre, quattro o anche cinque piani in cui albergavano famiglie di spicco nella comunità o semplici imprenditori e uomini di successo.
Alle porte di ogni casa erano appese ghirlande e festoni colorati, una strana eleganza che sbatteva se comparata all'opulenza festosa della street e dei grandi centri commerciali.
Il leggero strato di neve che aveva coperto l'asfalto quel Dicembre era macchiato dalla fanghiglia sciolta che le macchine si portavano dietro, tracciando le linee direttrici del traffico con trace scure e marcate della trama di centinai di copertoni. Ai bordi dei marciapiedi erano ammucchiati cumuli di neve spalata da davanti ai portoni lucidi di quelle case di lusso.
Dalle finestre del terzo piano, dove si trovava la sua camera, per tutta la vita Alec aveva potuto ammirare le cime frondose di Central Park imbiancarsi e rendere quel paesaggio quasi fiabesco.
Aveva sempre amato la neve, forse perché era bianca come lui, pensò divertito ricordando come da piccolo insistesse sempre per aver un berretto bianco e si mimetizzasse facilmente tra le siepi del parco, cogliendo di sorpresa i suoi fratelli che, in un modo o nell'altro, spiccavano sempre tra quella distesa candida. Ancora oggi aveva quel brutto vizio di infilarsi il cappello -toque Alec, chiama le cose con il loro nome!- di lana bianca e magari accucciarsi dietro ad una siepe che potesse nascondere i suoi giacconi scuri ma non la sua testa incappucciata, che sempre svettava sopra a tutto per colpa della sua altezza. Si nascondeva per prendere i suoi fratelli di sorpresa e lanciargli quelle micidiali palle di neve che arrivavano sempre al loro obbiettivo.
Giocare tra la neve era una delle cose che più amava dell'inverno, forse perché gli ricordava la sua infanzia, forse perché era una tradizione che era nata con una versione in miniatura di lui, di un anno circa, e suo padre che tenendolo in braccio lanciava palle di neve a sua madre per poi fare l'innocente e dirle che, con loro figlio in braccio – sempre lui quindi- non sarebbe riuscito ad ammucchiare la neve nel modo giusto neanche volendo.
Sorrise agli alberi bianchi che vedeva da lontano e si sfregò le mani prima di tirarsi le maniche del maglione sopra le nocche e sfregarle contro il vetro per togliere la condensa del suo stesso respiro.
Gli venne distrattamente in mente il fatto che sua madre odiava quando alitavano sulle superfici per poi disegnarci sopra, non che lui lo facesse spesso ma si prendeva comunque sempre le strillate assieme ai suoi fratelli, su questo non c'era dubbio.
Si spostò dalla grande vetrata della sua camera e allungò una mano per sfiorare le tende aperte, come se avesse voluto chiuderle per via di un semplice gesto automatico ma poi si fosse fermato. Tenne il braccio sospeso a mezz'aria, fissando il modo in cui cominciò a tremulare. La mano sinistra corse veloce a stringersi sotto il gomito per sostenerlo in quel poso. Aggrottò le sopracciglia e strinse le labbra, un misto di fastidio e rimprovero per sé stesso che lo accompagnava da mesi ormai.
Avanzò verso il letto che per ventidue anni lo aveva ospitato ogni sera e vi si sedette con attenzione, cercando di non spiegazzare troppo le coperte perfette e soprattutto di non far movimenti avventati.
Erano due settimane che non usava più le stampelle, le aveva sempre a portata certo, ma si stava impegnando per tornare alla stessa agilità di prima, preferendo far piccoli passi e poi riposarsi piuttosto che intraprendere grandi azioni con l'ausilio di qualche supporto.
Si domandò distrattamente quando avrebbe smesso di fargli male la ferita la braccio, quando avrebbe smesso quella al fianco di tirargli ad ogni movimento e quando se ne sarebbero andate tutte quelle piccole fitte che avvertiva dentro di sé in continuazione.
Gli avevano già sparato, al braccio sempre, ed era stato piuttosto fortunato quella volta perché avevano preso il sinistro e quindi aveva continuato a replicare al fuoco con la sua mano migliore, ma questo non aveva assolutamente nulla a che fare con i due proiettili che gli erano entrati in corpo quella notte d'Agosto.
Quello alla spalla era entrato ed uscito velocemente, lo avevano trovato incastrato nella libreria di Magnus quando avevano fatto i rilievi. Gli aveva rotto la clavicola e poi se n'era andato per affari suoi. Quello al costato era tutto un altro paio di maniche: il proiettile aveva impattato contro le costole, ne aveva rotte due -Dio solo sapeva come- aveva raggiunto il polmone bucandolo e lasciando che si riempisse di sangue e poi si era andato a bloccare sulla parte posteriore della costola sotto a quella che aveva rotto. E secondo i medici era anche stato fortunato che si fosse fermato lì e non avesse preso una vertebra, sennò invece di cinque mesi di degenza si sarebbe accaparrato una vita sulla sedia a rotelle e tanti saluti al suo lavoro.
Ed era stato anche fortunato che i soccorsi fossero arrivati in tempi brevi, anche se ciò non gli aveva risparmiato un rianimazione. Se non fosse stato per Magnus che aveva mandato quel messaggio a Simon prima ancora che Valentine li raggiungesse probabilmente sarebbe morto.

Sfregò la mano contro la cicatrice ancora ben in rilievo e si lasciò sfuggire una smorfia dolorante quando un polpastrello si impuntò sulla cresta di quel lungo taglio che i medici avevano dovuto allargare per frugare nel suo torace.
Prese un respiro profondo e tirò su il maglione, togliendo la camicia da dentro i pantaloni e anche la canotta, osservando dall'alto quello sfregio che gli aveva procurato tanti problemi.
Stava ancora passando la mano sulla pelle quando un rumore di passi attirò la sua attenzione.
Dalla forza e dal ritmo con cui erano scanditi i suoni Alec ne dedusse facilmente che suo fratello Jace stava salendo le scale per venire a chiamarlo, probabilmente per dirgli che il padre, che era andato a prendere la nonna Phoebe, era appena tornato o che qualcuno dei loro ospiti era arrivato.
Non si sforzò neanche di nascondere la ferita o il fatto che la stesse esaminando per l'ennesima volta, tornò semplicemente a farsi gli affari suoi e attese che il fratello bussasse con la sua solita grazie alla porta, chiedendo il permesso per entrare.
Permesso che in ogni caso si sarebbe preso da solo se gli fosse stato negato.
Tre colpi secchi e poi due veloci, Alec non alzò la testa ma mugugnò un “entra Ja” che fece immediatamente spalancare l'uscio della sua camera.
Qualunque cosa il biondo avesse voluto dire si bloccò sulle sue labbra quando individuò il fratello maggiore e i vari strati di vestiario alzati per dar bella mostra di quello sgarro orribile che gli segnava il costato.
<< Ti fa male? S'è arrossato? >> due rapide falcate e gli fu vicino, inginocchiandosi ai piedi del letto e poggiando le dita tiepide sulla pelle scoperta.
<< No, volevo solo vedere come stava.>> gli disse con semplicità.
<< Come se non la vedessi ogni singolo giorno.>>
<< Lo sai com'è.>> e si, Jace lo sapeva com'era, anche lui aveva una cicatrice simile sull'addome, solo molto più piccola e circolare e di certo più sbiadita. A Jace nessuno aveva dovuto infilare entrambe le mani nella pancia per estrarre frammenti d'osso, non avevano dovuto ricucire il polmone ma se l'era cavata con una pinza nel ventre, dieci punti di sutura interni e altri quattro per il foro d'entrata e quattro per quello d'uscita. Insomma, gli aveva preso l'intestino, ma a sentire il chirurgo che l'aveva operato non era nulla di così complicato e fuori dal mondo. Soprattutto per un poliziotto, aveva specificato, anche se di solito ferite del genere venivano salvate dal giubbotto antiproiettile. Alec gli aveva rinfacciato per mesi di non esserselo messo, per tutta la degenza in ospedale e per tutto il tempo che aveva dovuto passare a casa. Oh, si, e gli aveva rinfacciato anche le ore ed ore di sedute dallo psicologo che gli era costato andare a riprenderlo in quel casino in cui si era cacciato. Questo non glielo aveva mai perdonato, specie perché gli aveva fatto fare la conoscenza del dottor Lawson, da cui per altro era di nuovo in cura perché aveva ucciso il Vice Commissario della Polizia, una figura che invece avrebbe dovuto proteggerlo, perché aveva rischiato di perdere il suo protetto, cosa che sicuramente lo aveva segnato visto il suo rapporto con la sicurezza altrui -sempre parole del suo medico- e per ultima perché aveva rischiato di morire.
Era stato piuttosto inutile e controproducente dirgli che aveva rischiato di morire tantissime altre volte da quando aveva all'incirca quattordici anni, anche perché Lawson si era subito preoccupato e Alec era stato costretto a spiegargli che lui e Jace avevano rischiato l'avvelenamento per intossicazione alimentare da quando la sorella aveva deciso di voler imparare a cucinare.
Il dottore lo aveva guardato con un misto di incredulità e rimprovero, pareva chiedergli “ma fa sul serio?” e poi si era ritrovato a dirgli “Questo è il motivo per cui è in cura da uno psichiatra e non da uno psicologo, Alexander, lei spaccia per mortale un'azione quotidiana e per quotidianità un'azione mortale. La sua visione di pericolo è abbastanza fallata, ragazzo mio”.
E Amen, aveva ragione e basta.
<< Volevi qualcosa?>> domandò al fratello cominciando a rivestirsi.
Jace si animò, scappando da chissà quale pensiero lo avesse catturato in quel momento, annuendo con foga e trovando di nuovo il sorriso.
<< Sono arrivati Simon e Clary, Izzy e Max si stanno già preparando, andiamo al parco a fare a pelle di neve? Devo lanciarne una in faccia a Lewis e infilarne un altra nel cappotto ad Iz, fai squadra con me, vero?>> disse tutto esaltato rimettendosi in piedi e guardandolo dall'alto.
Alec sorrise e si alzò a sua volta, facendogli cenno di uscire dalla camera e scendere al piano terra.
<< Lo sai che Izzy si lamenterà, tirerà di nuovo fuori la storia che due poliziotti non possono stare in squadra assieme perché se no avranno la vittoria assicurata.>> gli spiegò con tranquillità scendendo le scale.
Il contrasto tra il fracasso che faceva Jace pestando ogni gradino come se stesse marciando ed i passi silenziosi di Alexander che pareva quasi volare sulla superficie di legno era qualcosa di estremamente divertente spesso. Come vedere un bambino saltellare e la sua ombra scivolargli dietro.
<< Si, ma di questo giro non sei al pieno della tua forma no? Anzi, credo che ci sarà anche una regola del tipo “niente colpi al fianco sinistro e alla spalla destra per Alec.>>
<< Se è per questo dovrebbe anche essercene una che dice “non fate correre Alec e non colpitelo in faccia perché non deve rischiare di avere neve nel naso”. >> continuò il moro divertito.
Superarono l'anticamera che univa il salone, la sala da pranzo, il corridoio e l'entrata di casa e si avviarono a passo sicuro verso quell'ultima.
L'ingresso della villetta era grande e arioso, luminoso grazie alle vetrate che incorniciavano il portone e alle grandi lampade che ne decoravano i muri. Sulla loro sinistra stava un'ennesima stanza che serviva da guardaroba e in cui erano riposti i loro cappotti.
Anni prima, quando tutti i ragazzi abitavano ancora quella casa, il guardaroba era sempre stato ingombro di mille oggetti: i giacconi, cappelli, sciarpe, guanti mischiati e spesso privi del loro compagno disperso in qualche cassetto, le borse della palestra, quelle di Maryse e di Izzy, le ventiquattr'ore di Robert, gli skate, i pattini, le protezioni ed i caschi. Le racchette da lacrosse, le mazze da baseball, i palloni dei vari sport e scarpe di ogni genere. D'inverno si arricchiva di slittini, d'estate di frisbee e pistole ad acqua, d'autunno di impermeabili, calosce e ombrelli, di primavera di tutti i fiori che Isabelle si ostinava a cogliere e lasciare dove gli capitava e dei foulard colorati che voleva mettersi a tutti costi come faceva la madre.
Adesso era decisamente più ordinato, con la fila di cappotti ben allineati ed il pavimento libero di tutte quelle calzature e quei giochi. Entro le mensole erano allineate le borse di Maryse e c'era anche quella di Izzy, più uno zaino decisamente di Simon ed una tracolla troppo colorata per essere di altri se non di Clary. Tutte le scarpe erano nel proprio ripiano e Alec ci mise un attimo per trovare il suo giaccone bianco in mezzo a quelli da montagna dei suoi genitori.
Tutto il caos che aveva animato quel luogo ora lasciava posto alla pace e se rimaneva troppo a fissarlo ad Alec dava una stretta allo stomaco, come la perdita di un'abitudine durata per anni e ora perduta per sempre.
Era uno dei tanti prezzi che si pagava crescendo, dopotutto.
Si prepararono nel pacifico silenzio del guardaroba, intaccato solo dal fruscio delle sciarpe e dallo scivolare delle zip che si confondevano con il ritmico frullare che proveniva dalla cucina dove la madre stava finendo di preparare la cena per quella sera.
Alec si avvolse la sciarpa candida attorno al collo e poi si calò ben in testa il berretto, nascondendo le ciocche nere dentro il bordo spesso e controllando che gli automatici del giaccone fossero ben chiusi.
<< Non credi che sia scorretto indossare un giaccone mimetico da neve solo per fare la guerra?>> gli domandò Jace divertito mentre s'annodava la sciarpa grigia e gialla con attenzione, Alec sorrise involontariamente quando si rese conto che era quella che gli aveva regalato lui stesso per il natale dei suoi diciassette anni, ancora reggeva ed era integra, da non crederci.
Si infilò i guanti e scosse la testa. << Dove dovrei andarci in mimetica se non in “guerra”?>> gli chiede di rimando, giocando sul tono vago della sua domanda.
Jace sogghignò e annuì. << Si, decisamente faremo squadra noi due, io sono quello con la mira migliore, non posso certo rischiare di beccarti e farti male no?>>
<< Questa sarà la tua posizione verso le proteste di Izzy?>>
<< Assolutamente si. E ti dirò di più, facciamo tutto in famiglia oggi, la formazione vincente sarà quella del BastBadBoy! >> affermò felice dandogli una pacca sulla spalla e uscendo di casa.
Alec alzò gli occhi al cielo ma sorrise anche lui. Si affacciò nel salone e avvertì sua madre che stavano uscendo tutti quanti, prima di prendere la porta anche lui e raggiungere Jace che fremeva sul vialetto, impaziente di raggiungere Central Park dove gli altri evidentemente li aspettavano.
<< Sono andati senza di noi gli infami, forza Alec, gambe in spalla.>> Gli fece calpestando lo strato di neve già in parte schiacciato che nascondeva le piastrelle levigate del viale che si ricongiungeva al marciapiede.
<< Ricordati che non devo correre e non mi devo affaticare. Non posso ancora- >>
<< Si, lo so, non puoi fare ancora un cazzo in pratica. Dio bro, mi ricordo ancora quando i medici dissero a me che non potevo fare “movimenti che comprendessero la contrazione della zona addominale.>> rabbrividì al pensiero ma moderò il passo a piacimento dell'altro.
<< Che fu un modo molto più elegante per dirti che non potevi fare sesso rispetto a quello che hanno usato con me.>>
<< Almeno sono stati diretti.>>
<< Almeno potevano non ripetermelo come se pensassero che mi sarei fiondato sul primo essere vivente che mi sarebbe passato sotto tiro.>> fece lui sarcastico infilando le mani nel giaccone.
<< Beh, visto che Magnus si è praticamente messo a battere i piedi perché voleva vederti ogni giorno, e visto anche che quel genio non ha mai smesso di fare battutine a infermieri vari e medici, credo che più che di te avevano paura di lui.>>
Alec sentì un vago tepore prendergli le guance ma fece finta di niente. << Non ce n'era bisogno.>>
Jace alzò un sopracciglio. << Vuoi farmi credere che non hai mai pensato di fare quattro salti con lui? Davvero Alec? No, perché credo che c'abbia pensato pure Izzy, giorni fa la sentivo parlottare con Clary su come doveva essere Bane a letto secondo loro.>> lo disse con finto fastidio, come se dovesse esserlo più perché era il fratello ed il fidanzato delle due interessate che per altro. << Da com'è messo fisicamente direi che non deve cavarsela così male comunque.>>
Jasi si voltò verso il fratello per sorridergli ma dovette voltare il capo perché Alec si era inchiodato sul marciapiede.
<< Che c'è?>> chiese allora il biondo.
<< Izzy e Clary hanno discusso sulla cosa ma non hanno fatto battute o altro?>> domandò stupito.
<< No, a parte che sei stato un coglione a perdere l'opportunità di sbattertelo quando eravate nella casa protetta.>> si strinse nelle spalle e Alec, ripresosi, gli si avvicinò a lunghe falcate.
<< Dimmi che Magnus non ha fatto uno dei commenti dei suoi- >>
<< Facendo credere alle ragazze che magari potete aver combinato qualcosa quando invece non è così? No, non l'ha fatto. Ma in ogni caso tranquillo, ho già detto ad entrambe di tenere la bocca chiusa e smetterla con quelle cretinate. Hai detto che non vuoi che ci infiliamo nella tua vita privata a meno che non sia tu a farci entrare no? Lo rispetto bro, giuro che non ti farò battute di nessun tipo.>> gli poggiò una mano sulla spalla e strinse leggermente, memore dei quel discorso fatto l'estate precedente che lo aveva colpito e fatto sentire in colpa più di quanto non volesse ammettere. Alec lo guardò per un lungo attimo e poi gli sorrise in maniera dolce e anche grata, un misto di emozioni che scaldò il cuore del biondo e gli gonfiò il petto d'orgoglio: Alec si fidava della sua parola ed avere la fiducia dei suoi fratelli era ciò che di più bello potesse esserci per Jace.
Il moro alzò lentamente la mano e prese quella dell'altro, togliendosela dalla spalla solo per stringerla.
<< Mi dai la tua parola da bro?>> Gli chiese con serietà pur continuando a sorridere, forse perché sapeva già la risposa.
<< Che Dio mi fulmini se mento.>> rispose prontamente Jace.
<< Non dirai nulla a nessuno?>>
<< Te lo giuro, una promessa è una promessa, come hai detto tu: parola di bro!>> disse raggiante restituendo la stretta al fratello.
Alec socchiuse gli occhi, brillanti di contagiosa allegria che derivava dal suo sorriso.
<< Mi fido allora. Non una parola, a nessuno. Neanche a papà, nulla al triunvirato, giusto?>> chiese comunque conferma.
Jace si portò una mano al petto. << Giuro. Che l'Angelo faccia di me ciò che vuole se non manterrò la mia parola.>>
<< Okay.>> concesse infine Alexander ridendo mesto. << E' piuttosto bravo in effetti.>> disse poi a tradimento.
Jace lo guardò per un attimo confuso, poi ricollegò la risposta al loro discorso e sgranò gli occhi.
<< Tu… ?>>
<< Sono ligio al dovere, non stupido. >> si strinse nelle spalle Alec.
<< Cazzo!>>
<< Oh si, puoi dirlo forte.>> ci pensò su. << Effettivamente l'ha detto spesso anche lui.>>
Sorrise ancora più divertito all'espressione del fratello.
<< Dannazione, non so se voglio saperne i dettagli o se preferisco rimanere all'oscuro di tutto. Non per niente, eh bro, è solo che mi fa male il culo a pensarci.>> rabbrividì il biondo facendo scoppiare in una sonora risata l'altro.
<< Certo che ti fa male, ma solo le prime volte o all'inizio. Se ti fa male anche dopo vuol dire solo che ti è andata di lusso.>> sogghignò al sussulto del fratello.
<< No, davvero, vorrei tanto chiederti com'è andata perché tu hai sempre sentito tutti i miei racconti anche nei dettagli più scabrosi, ma a differenza mia tu non hai una vagina con cui immedesimarti, io il culo per farlo ce l'ho. E poi sono abbastanza diviso tra il voler sapere che combina mio fratello e il non volerlo sapere perché, cazzo, sei mio fratello, sei il ragazzino che raccontava le favole, che mi ha spiegato la storia delle cicogne e che faceva la guardia ai camerini di Izzy quando lei era piccola e aveva paura che qualcuno entrasse mentre si cambiava! Facevi i lavoretti per la festa della mamma e hai fatto il disegno del distintivo a papà! E che cavolo, davi i baci sui graffi a Max quando cadeva non voglio davvero pensare cosa fai ora con quella bocca.>>
<< Anche tu facevi i disegni a mamma e papà, li faceva anche Iz e li faceva anche Max. Ricordati che anche tu fai “roba” con quella bocca e che la fanno anche gli altri. L'unica differenza è che io faccio le stesse cose che fa Izzy e tu quelle che fa Max.>> Poi si bloccò e trasalì. << Okay, non voglio immaginare Max che fa roba.>>
<< Ha diciassette anni.>> gli ricordò Jace. Poi trasalì anche lui. << Cazzo, spero che non faccia quello che facevo io a quell'età.>>
<< Certo non fa quello che facevo io.>> disse a bassa voce il moro.
<< Cosa?>>
<< Nulla!>> s'affrettò a dire.
Camminarono per un po' in silenzio, poi Jace non ce la fece più e sbottò:

<< Al diavolo! Adesso mi dici tutto quello che avete fatto e voglio anche i dettagli, sappilo!>>

 

Presentarsi in mimetica aveva avuto i suoi buoni risultati. Forse perché nessuno si aspettava di vederlo vestito così o forse perché li avevano confusi parlottando tutti concitati l'uno vicino all'altro, fatto sta che gli altri quattro avevano perso il momento giusto per mettere in pratica il loro agguato e Alec, dall'altro dei suoi due metri scarsi, aveva impiegato meno di niente a individuare il cappello con il pompon rosso di Isabelle e la massa altrettanto rossiccia dei capelli di Clary bloccati nello zuccotto azzurro con le renne.
Come avevano supposto le regole della partita erano state fatte soprattutto in base alle necessità del più grande, il che comprendeva niente colpi al suo fianco e alla sua spalla, niente colpi alla faccia per lui e per chiunque avesse gli occhiali e niente attacchi multipli, sempre per lui. Poi si erano formate le squadre e Max era stato di certo l'unico felice della scelta dei suoi fratelli, anche se c'era da dire che Clary aveva un buon lancio, così come Simon che era abituato alle bombe che lanciava loro Jonathan quando erano piccoli. E anche Izzy, temprata dal fuoco incrociato di Jace e Alec aveva sviluppato dei buoni riflessi.
Ciò non impedì ovviamente ai “BastBadBoys” di vincere.
E non impedì neanche a Jace di rifilare un colpo in faccia a Simon nella frazione di secondo in cui si era tolto gli occhiali per pulirli. Il viaggio di ritorno era stato un tripudio di urla di Izzy che ancora cercava di togliersi la neve dal cappotto, di Simon che piagnucolava convintissimo di essersi rotto il naso e di Jace che rideva come il deficiente che era. Una normale amministrazione che rese il petto di Alec più leggero e gli fece dimenticare per un paio di ore cos'era successo e anche perché si fosse fatto tutta la partita in versione stealt.

 

La porta di casa si aprì con un tonfo, sbattendo contro il muro come centinaia di volte Maryse gli aveva intimato di non fare. Alec fece entrare tutti prima di battere i piedi sullo zerbino e chiudersi delicatamente l'uscio alle spalle, abbozzando un sorriso mentre si toglieva i guanti umidi sentendo Max urlare il nome della nonna e marciare a passo spedito verso il soggiorno senza togliersi il giaccone.
Si spogliò senza riuscire a perdere quel sorriso storto che tanto lo caratterizzava e allungò anche un braccio ad Isabelle che cercava di spogliarsi in fretta per andare a salutare la nonna.
Arrivò in salone con tranquillità, aspettando che la fila per salutare la vecchia signora si disperdesse e godendosi la scena di Clary imbarazzatissima che rispondeva a monosillabi balbettanti alle sue domanda.
Phoebe Lightwood era una signora di ottant'anni dall'aria distinta e curata. Era piccola ma il suo portamento fiero la faceva sembrare un gigante, soprattutto per il modo che aveva di scrutarti alzando il mento verso l'alto, quasi ti stesse facendo il favore di posare gli occhi su di te. Aveva sempre i capelli ben acconciati, grigi come il ferro, tenuti di una media lunghezza come aveva sempre fatto per tutta la sua vita perché si rifiutava di farsi fare uno di quei tagli da vecchia che non servivano ad altro che farti guadagnare più anni di quanti già non ne avessi. Gli occhi di un grigio ghiaccio impenetrabili erano contornati da una ragnatela di rughe che la facevano sembrare una bambola di porcellana in procinto di sbriciolarsi. Alec l'aveva ripresa da lei la pelle pallida come la morte e la donna l'accentuava anche con la cipria con cui si imbellettava.
Era proprio quello il profumo che si portava dietro, da che i ragazzi ne avessero memoria la nonna aveva sempre profumato di cipria e di fiori, Alec aveva imparato ben presto che quel profumo era un bouquet particolare che la donna si faceva fare appositamente da un profumiere suo amico che aveva conosciuto quando era andata a studiare in Europa.
Le labbra fini erano colorate dello stesso rosso opaco che aveva portato da ragazza, come facesse a ritrovare sempre lo stesso tono per Izzy, e segretamente anche per Maryse, era un mistero e anche un motivo d'invidia.
Le mani piccole e grinzose erano contornate di anelli provenienti da epoche passate, un'eredità che si srotolava nei secoli e che era giunta sino a lei. Quando erano soli spesso la donna gli aveva detto che piuttosto che darli in eredità a sua sorella, che per lei si vestiva in modo sempre troppo appariscente e attirava troppo l'occhio, li avrebbe lasciati alla sua futura moglie. Alec l'aveva sempre ringraziata colpito da tanta fiducia.
Quando la nonna aveva scoperto che era gay lo aveva fissato per un lungo istante e poi gli aveva detto:
<< Allora li lascio a te e basta.>>
Alec non aveva avuto il coraggio di spiegare agli altri a cosa si stesse riferendo e nessuno glielo aveva più chiesto.
Il fatto che l'anno dopo, il giorno del suo compleanno, oltre ad una bellissima camicia blu marina la nonna gli avesse consegnato anche un paio di suoi orecchini di perla che aveva fatto riadattare come gemelli gli aveva fatto capire che non aveva scherzato quella volta. Dubitava l'avesse mai fatto.
Almeno però non lo tormentava più con la storia della fidanzata e del matrimonio, quello era un peso che ricadeva tutto sulle spalle di Jace e Max e di Izzy naturalmente, che ancora “volava libera come una lucciola e non si decideva a trovarsi un buon partito”. Spiegare a Izzy che “lucciola” era un modo un po' antiquato per indicare le donne non proprio fedeli non gli era passato neanche per l'anticamera del cervello.
Ascoltò di sfuggita la nonna chiedere a Clary se nella sua famiglia ci fossero precedenti di gemelli, perché sarebbe stato davvero impegnativo averne subito ma almeno si sarebbero tolti il pensiero al primo colpo, osservando come il volto della ragazza diventasse dello stesso colore dei suoi capelli e come Jace invece sbiancasse cercando di cambiare discorso.
<< Perché? Vuoi farmi credere che non facciate nulla? Spero almeno che abbiate la buona coscienza di non aver figli prima di sposarvi. È una tale noia burocratica dover riconoscere un bambino nato fuori dal matrimonio.>> disse con la sua voce forte ed imperiosa, malgrado l'età. Poi spostò lo sguardo su Izzy.
<< Mi auguro anche anche tu faccia lo stesso. Loro almeno sono fidanzati e sanno di chi sarebbe il bambino.>> continuò serafica come se stesse parlando del tempo.
<< Nonna!>> saltò su indignata Isabelle guardandola ad occhi sgranati. << Ma ti pare?>>
<< Che c'è? Anche tu vuoi farmi credere che non combini niente? Cos'altro?>> si voltò verso Max, << Vuoi farmi credere questo anche tu?>> Max balbettò qualcosa di incomprensibile lanciando sguardi allarmati ai genitori, a Maryse che voleva battere la testa contro il muro, imbarazzata quanto i figli, e Robert che invece teneva il suo sorriso bonario e non osava aprire bocca.
<< Alexander? Tu non vuoi darmi a bere una sciocchezza del genere, vero?>> chiese cercandolo con lo sguardo. Alec scosse la testa e si avvicinò a lei facendosi spazio tra i ragazzi, per la gioia di Clary che poté sfuggire allo sguardo da falco della vecchia signora. Si chinò per baciarle le guance e le strinse le mani.
<< Assolutamente no, nonna.>> rispose tranquillo e pronto alla battuta che gli avrebbe servito di rimando.
<< Bene. Almeno con te sono sicura che non metterai incinta nessuna. Si, molto bene Alexander, non come i tuoi fratelli.>> non mollò la presa sulle mani del giovane ma si girò per fulminare gli altri con lo sguardo.
<< Ehi!>> protestò Jace. << Non è mica colpa mia se le persone con cui va lui sono fornite dell'organo riproduttivo sbagliato per procreare!>>
<< Non sono una scommettitrice Jace Michael, ma sono più che sicura che sarebbe più attento di te anche se frequentasse persone “dotate dell'organo riproduttivo giusto per procreare”.>> gli fece il verso la vecchietta. << E sbrigati a chiederle di sposarti se è quella giusta, >> continuò imperterrita muovendo minacciosa il dito contro Jace, << ho una certa età io, vorrei andarmene da questo mondo dopo aver visto i miei bis-nipoti!>>
<< Ma se mi hai appena detto che non devo avere figli!>> fece quello confuso.
<< Ti ho detto che non devi averne prima del matrimonio perché se no poi li dovrai riconoscere e che spero per voi che non siano gemelli. Alexander, accompagnami a sedere.>>
<< Certo nonna.>>
Jace gli lanciò un'occhiataccia mimando con una faccia schifata le parole del maggiore.
<< Ti ho visto ragazzino.>> chiosò la donna lanciando al biondo al stessa identica occhiataccia che aveva mandato al fratello, << Lascia stare Alexander.>>
<< Ma nonna! Lo vedi che è lui il tuo preferito allora!>> sbuffò ritirando in ballo la sempiterna discussione sui favoritismi di sua nonna.
<< Certo che è lui. Non fa rumore, non vola di fiore in fiore, non si veste come se stesse partecipando ad una parata e non si brucia gli occhi davanti ad uno schermo.>> disse soddisfatta sedendosi sulla poltrona che di solito era di Robert e lasciando che Alec le sistemasse i cuscini dietro la schiena.
<< Suvvia nonna, sappiamo perfettamente che ci adori tutti.>> sorrise il moro sedendosi poi sul divano vicino. La donna annuì.
<< Ovvio che si. Ma i tuoi fratelli sono talmente straviziati, così abituati ad essere sempre elogiati e tenuti sul palmo di una mano che è fin troppo facile farli imbronciare come bambini e farli indispettire.>> disse come se stessa parlando solo ad Alec e gli altri non esistessero << Piuttosto Isabelle, mi sorprende che tu non ti sia ancora messa a battere i piedi.>> alzò un sopracciglio finissimo verso la nipote che incrociò le braccia al petto e gonfiò le guance proprio come la bambina che la nonna l'aveva appena accusata d'essere.
<< Io non sbatto i piedi!>> protestò subito per poi battere il piede con forza sul pavimento. L'occhiata scettica della donna passò in secondo piano solo perché contemporaneamente Jace e Max scoppiarono in lamentose affermazioni secondo le quali ormai erano adulti e non dei poppanti.
Phoebe scosse elegantemente la testa e poi sospirò. << E' meglio che non abbiano ancora figli, sai Alexander? Sono ancora immaturi per un bambino, malgrado abbiano tutti lavori rispettabili. Max ovviamente è da escludere perché se sarà lui a regalarmi il primo nipote ci rimarrò davvero male.>> guardò il ragazzino. << Tu devi studiare, non pensare a metter su famiglia, per quello ci sono i tuoi fratelli, sono stata chiara?>> lo minacciò ricevendo in risposta un veloce annuire e qualche borbottio che somigliava ad un “Ma chi lo vuole” che lei liquidò con un gesto della mano.
<< Quindi, Jace ha finalmente avuto il coraggio di presentarmi la sua fidanzata. Oh, aspetta, non ha ancora un anello al dito quindi non lo è vero? A meno che non sia quello il suo regalo di Natale. Sarebbe molto romantico chiederle di sposarti alla Vigilia, davanti a tutta la famiglia. Ricomincia a respirare ragazzina, mio nipote non ti ha regalato nessun anello per questa volta. Non rischierà di farmi assistere alla proposta e darmi l'opportunità di criticare il modo in cui l'ha fatto.>>
Alec si morse la lingua per non ridere, Max voltò la testa per nascondersi mentre Robert non ci provò minimamente, accomodandosi meglio sull'altra poltrona e assistendo quasi con piacere a quella scena. Era toccato a lui anni prima ricevere tutti quei commenti da sua madre, che ora se li prendessero i suoi figli. E dall'espressione esasperata ma vagamente divertita di sua moglie anche Maryse dovette trovare quel passaggio di testimone piuttosto gradito.
<< Quanto a te Isabelle, direi che è il momento di imparare a tenere le ginocchia unite e cercare qualche buon partito.>> Izzy si fece rossa come i capelli dell'amica e Alec le giunse in soccorso poggiando una mano sul quella della nonna.
<< Nonna, non ti pare di esagerare un poco? Izzy non è quel tipo di ragazza.>> le disse gentilmente.
Il verso sprezzante che lasciò le labbra dell'amabile vecchietta fu così simile a quello che sua sorella stessa faceva che Isabelle ebbe il buon gusto di tacere.
<< No che non esagero. È una ragazza bella ed ammirata da tutti, la gente si gira quando passa per strada, sarebbe davvero stupida se non ne approfittasse e non è certo il suo caso. Sia per gli studi che è riuscita a portare avanti con successo, sia perché i tuoi genitori non avrebbero potuto mai crescere un figlio stupido e ancora di più perché è mia nipote. E mio figlio è bello ed intelligente, lo è mia nuora, figurarsi se possono non esserlo i miei nipoti.>> sorrise al Alce ancora come se stesse parlando solo con lui e non ci fosse nessun altro nella sala.
Era questo il bello di nonna Phoebe: era un'arpia che non si faceva scrupoli nel dire alla nipote che la vedeva come una che apriva le gambe per troppe persone, a dire a suo nipote che non si fidava di lui e che era sicuro che avrebbe messo incinta la sua ragazza prima di essersi sistemato, poteva criticare tutti nel modo più diretto e brutale, ma aveva un amore ed un orgoglio incondizionato per la sua famiglia che ti rendeva impossibile non amarla a tua volta.
Tantissime volte si erano trovati scioccati dalle sue affermazioni e dai suoi pensieri eppure ogni qual volta ci fosse occasione di tessere le loro lodi davanti ad altri o di vantarsi delle loro scelte ed azioni, Phoebe era sempre la prima, sempre a capofila.
<< Max, tu invece signorino dovresti proprio toglierti le gonne delle ragazze di testa per lo meno fino al tuo secondo anno d'università. Dai vent'anni in poi ti concedo di pensare di avere una ragazza seria.>> lanciò un'occhiata significativa a Maryse. << E tu che volevi che Alexander trovasse una compagna già a diciotto anni. Assolutamente no Maryse, è troppo presto, i tempi sono cambiati, neanche tu e Robert avreste dovuto avere una relazione così impegnata a quell'età.>> puntualizzò come se avesse ripetuto quel discorso centinaia di volte.
Fece vagare lo sguardo per tutta la sale e poi lo puntò dritto su Simon, che si ritrovò a deglutire e a tirarsi indietro inconsciamente.
<< Dimmi Simon, tu sei fidanzato?>> chiese a bruciapelo.
Il ragazzo balbettò qualcosa, gli occhi sgranati ingigantiti ancora di più dagli occhiali e la nonna fece un gesto con la mano, come a scacciar una mosca.
<< Ne deduco che la risposta sia no. A meno che tu non abbia un ragazzo. Sta tranquillo, puoi dirmelo tranquillamente, bisogna essere fieri di ciò che si è.>> fece annuendo con vigore.
<< N-n- no...no s-si-signora Lightwood, io- io n-n-non sono gay.>> cominciò balbettando. Jace gli diede una manata sulla schiena e gli occhiali gli volarono quasi via dal colpo. Si schiarì la voce e continuò. << E non sono neanche fidanzato.>> finì arrossendo leggermente.
<< Bene.>> fece secca lei, tutti la guardarono perplessi. << Lavori al Dipartimento di Polizia con i ragazzi, è giusto?>>
<< Si signora.>> pigolò lui titubante.
<< E cosa fai di preciso? Ricordo che lavori in un laboratorio ma non so di che tipo.>>
<< Laboratorio Informatico, lavoro con i computer e con tutti gli apparecchi elettronici.>>
<< E' uno dei dottori che si occupano di reperire informazioni, di rintracciare persone, chiamate, dati, che creano sistemi di sicurezza per il Dipartimento e che ne proteggono i dati.>> spiegò Alec ricevendo in cambio un cenno di ringraziamento con la tesa.
<< Ma ora cambierà. >> s'intromise Max. << Ha fatto la richiesta per passare dal laboratorio al campo, deve sostenere l'esame ma lo supererà di certo e poi verrà assegnato alla squadra di Alec.>>
<< Beh, non è proprio così… >> provò piano Simon per bloccarsi sotto lo sguardo di ghiaccio della donna.
<< Vuol dire che non hai fatto richiesta per diventare un agente operativo e che non verrai assegnato alla squadra di Alexander?>>
<< No signora, è giusto.>>
<< Allora non dire sciocchezze. Se non hai nulla di intelligente da dire taci Simon. L'ho sempre detto anche ai miei nipoti, ma pare che solo il primo e l'ultimo abbiano accolto il mio insegnamento.>>
<< Scusi signora.>> fece allora abbassando la testa.
<< Non ti scusare e rispondi alle mie domande. Alexander, poi tu mi parlerai della tua promozione per bene. Devi anche dirmi il giorno in cui ti consegneranno la targa ed il nuovo grado, non ti vedo in divisa da Sergente da quando sei stato promosso.>> diede qualche colpetto sulla mano ad Alec e poi si voltò di nuovo verso Simon. << Diventerai un agente operativo, un detective se sarai nella squadra di Alexander, bene, è un buon posto e ti aprirà le porte per far carriera e salire di grado. Direi che è davvero una bella posizione, si. >> annuì a sé stessa e si girò con una velocità ed una fluidità sorprendente verso la nipote. << Perché non esci con lui che è un bravo ragazzo, invece di andare a cercarti gente per locali discutibili come quelli che frequenti tu? Sei una donna in carriera Isabelle, ti serve un uomo in carriera tanto quanto te al tuo fianco, non il primo omuncolo che trova il coraggio per dirti quello che sai già.>>
L'imbarazzo si allargò per tutta la sala, sembrava che l'unico che si stesso godendo lo spettacolo fosse Robert, il cui sorriso si allargava proprio come quel sentimento dilagante che stava avvolgendo tutti.
Dio, quanto si stava divertendo.
Ci fu un momento di balbettio scoordinato da parte di Simon, di proteste fatte di indignati suoni acuti di Izzy, si sbigottimento di Clary e di piagnucolii di Jace che già aveva Lewis come fratellastro della sua ragazza e non lo voleva anche come cognato.
Maryse trovò quel momento opportuno per defilarsi in cucina e continuare a preparare la cena, oltre che il tea per la suocera e chiunque lo volesse e diede anche una pacca sulla spalla al marito che però le fece cenno di lasciarlo in pace ad ammirare il magnifico putiferio che sua madre riusciva a tirar su anche dopo mezz'ora in una stanza.
<< In fin dei conti però, vista la vostra maturità, il fatto che non siate sistemati e tutto, spero di non ricevere la sorpresa di una gravidanza per quest'anno.>> Phoebe si fermò e poi strinse la mano ad Alec, la stessa che non aveva lasciato da quando il nipote più grande si era avvicinato a lei per salutarla.
<< Certo, a meno che Alexander non mi dica che questo Natale verrà a cena anche il suo compagno, che questo ipotetico giovane abbia un buon lavoro, che la vostra sia una relazione solida. In tal caso, mi sono informata per bene Alexander, esistono delle donne che accettano di portare avanti le gravidanze per coppie che non possono avere figli loro. Mi hanno detto che è importante che in una coppia almeno uno dei due sia un genitore biologico per le solite beghe burocratiche. Mi è capitato di incontrare una bella signora molto appariscente, certo più di te Isabelle, e per cui per altro mi sono sorpresa di riconoscere come un corpo maschile possa portare così bene abiti femminili- >>
<< Sta parlando di un trans o di una drag secondo te?>> domandò a voce bassissima Simon a Clary. Lei si strinse nelle spalle ma Max si sporse discreto verso di loro. << Non mi sorprenderebbe che mia nonna possa averlo fatto.>>
<< In ogni caso le ho chiesto se era ben informata sul matrimonio omosessuale e sulle eventuali possibili adozioni e lei si è mostrata disponibilissima a parlarmene non appena le ho detto che mi informavo per mio nipote. Ho trovato opportuno darle della donna ovviamente, era vestita così quindi credo proprio che volesse essere percepita come tale. Capisco perfettamente la sua iniziale reticenza a parlarmene, deve avermi scambiato con certe vecchie bigotte. Tsk, sono andata in guerra io, ho visto abbastanza di questo mondo per disinteressarmi completamente alle inclinazioni sessuali delle persone a patto che siano consenzienti. Ma non è questo il punto. Mi ha spiegato tutto non appena ha capito la situazione, è stata così gentile anche da darmi l'indirizzo di un'associazione a cui rivolgermi e ovviamente ci sono andata. Stavano preparando una manifestazione per questa primavera, ho detto loro di farmi sapere quando perché avrei partecipato, bisogna sempre battersi per i proprio ideali e la propria felicità, Alexander, mi accompagnerai ovviamente, tu ed il tuo ipotetico compagno. Il sunto del discorso comunque sta nel fatto che ora anche tu puoi sposarti, lo sapevi? E puoi avere dei figli anche se non saranno di entrambi e per te non sarei minimamente in ansia se mi dicessi che avrai un bambino.>> finì di esporre il suo discorso e fissò gli occhi chiari in quelli blu scuro di Alec che le sorrise con estrema dolcezza e gratitudine, malgrado fosse arrossito.
Sua nonna era stata probabilmente la sorpresa più grande di tutti, quando le aveva detto di essere gay. Inconsciamente aveva sempre saputo che suo padre gli sarebbe stato vicino per via di Michael, Robert non aveva mai fatto segreto dell'omosessualità del suo miglior amico, non se n'era mai vergognato, forse proprio perché lo aveva fatto a suo tempo quanto lui glielo aveva confessato e non voleva più che qualcuno pensasse che potesse dargli fastidio. Sua madre, d'altra parte, invece si era comportata su per giù come credeva avrebbe fatto. Non gli aveva parlato e lui non aveva parlato a lei. Sicuramente per Maryse erano stati una serie di fattori a portarla a quel mutismo da shock, il fatto che non lo avesse capito malgrado fosse sua madre, il fatto che lui non glielo avesse detto, che la società ancora non accettava completamente le persone come lui e che volesse intraprendere un lavoro che era per antonomasia covo di testosterone puro. Anche il semplice fatto che non comprendesse come si potesse amare una persona del proprio sesso, come si potesse rinunciare ad una famiglia composta da madre e padre, ma Alec non se l'era proprio scelta quella vita, non la rimpiangeva assolutamente, certo, eppure per anni si era sentito completamente sbagliato e la reazione di Maryse gli aveva solo dato la conferma della sua diversità.
A distanza di tempo aveva capito che non c'era nulla di sbagliato, che non era “diverso” ma aveva solo un gusto personale che si scostava da quello più comune. Come chi preferiva le bionde, come chi amava le ragazze cicciottelle, chi desiderava un compagno muscoloso ed alto, chi era fissato con le brasiliane e che invece era attratto dagli asiatici.
Asiatici… il pensiero gli volò a Magnus e arrossì ancora di più.
Non c'era nulla di sbagliato in lui, ora lo sapeva e il suo unico rimpianto era stato capirlo a diciannove anni e non prima, quando si sarebbe potuto godere meglio l'adolescenza.
Guardò quella vecchietta tanto compita che si era fermata a parlare con una drag o con un trans solo per chiedergli informazioni per lui, per sapere se i tempi erano migliorati e ora finalmente anche lui avrebbe potuto sposare il suo di amore ed essere riconosciuto come una famiglia davanti alla legge, la stessa vecchietta che gli regalava i suoi gioielli, che diceva a Izzy che si comportava da sgualdrina ma che la elogiava sempre per come stesse bene vestita in un dato modo, come le cadesse bene un abito indosso, la stessa che accusava Jace di essere un dongiovanni e che poi lo spronava a non scappare da una relazione che avrebbe potuto renderlo felice solo perché sarebbe potuta anche diventare seria. Quella che sgridava Max perché stava sempre appiccicato a fumetti e videogiochi e poi glieli comprava lei stessa, perché il suo nipotino era un genio ed era un peccato che non avesse l'ultimo ritrovato della tecnologia.
Le strinse le mani e annuì.
<< Grazie nonna, ma al momento non c'è nessuno nella mia vita.>>
Annuì anche lei. << Beh, dopo tutto quello che ti è successo in questi mesi. Mi devi anche aggiornare sulla riabilitazione, oltre che sulla tua promozione.>>
<< Certo. E sarò felice di andare a quella manifestazione con te.>> già se la immaginava sua nonna con una raimbow flag in mano. Magari avrebbe potuto chiedere a Magnus se voleva andare con loro…
<< E per la gravidanza... come l'aveva chiamata?>>
<< Utero in affitto, nonna. E no, non penso che potrei mai fare una cosa del genere.>> cominciò bloccando sul nascere le proteste della donna con un gesto compito della testa, << Ci sono migliaia di bambini al mondo che non hanno dei genitori, credo che la cosa migliore da fare, semmai avrò una famiglia ed il mio ipotetico compagno sarà d'accordo, sarà adottarne uno. Ma ti ringrazio tantissimo lo stesso.>>
Phoebe lo guardò con quei suoi impenetrabili occhi ghiacciati e poi annuì soddisfatta.
<< Questo è mio nipote, non potevo aspettarmi una risposta migliore.>> poi si rifece seria.
<< E allora questo ragazzo? Tuo padre dice che quello a cui hai salvato la vita persino Jace lo reputa un bel tipo, che mi dici di lui?>>
<< PAPA'!>>

 

La signora Lewis e Rebecca erano arrivate per le sette spaccate assieme ai coniugi Garroway e, con grande sorpresa di tutti e gioia di Clary, anche Jonathan. A quanto tutti i fratelli Lightwood erano giunti il ragazzo si era presentato unicamente per sua sorella, o forse anche per sua madre che non lo voleva solo a casa la vigilia di Natale.
Erano tutti riuniti in salone a chiacchierare, sui mobili addossati alla parete, che normalmente ospitavano solo il vaso di porcellana francese della nonna di Maryse e qualche cornice, erano allineati vassoi e piatti, bevande e bicchieri lucidi. Il chiacchiericcio piacevole che si era diffuso per la sala grande e luminosa era interrotto solo di tanto in tanto da qualche risata o dalle esclamazioni affilate di nonna Phoebe che riusciva a mettere in difficoltà persino Jocelyn e Lucian.
Alec diede un'occhiata a tutte le persone riunite a casa sua e si rese conto che una testa chiara mancava all'appello. S'avvicinò lentamente alla porta d'ingresso, spiando dalle vetrate smerigliate la figura di un giovane in piedi, poggiato contro la ringhiera. Sospirò ed entrò al volo nel guardaroba a prendere il proprio giaccone e quello dell'altro.
Uscì al freddo della sera del 24 Dicembre, affiancandosi a Jonathan che fumava in silenzio, tutto incurvato su sé stesso, chiuso nel maglione pesante che non riusciva comunque a fermare il vento gelido che soffiava quella notte.
Il biondo alzò di poco lo sguardo incontrando il suo e riabbassandolo subito la testa, coprendosi il volto con quei capelli privi di colore che parevano una tenda trasparente e traslucida sulla sua pelle rosata. Gli allungò il cappotto senza parlare e lui lo afferrò con un cenno del capo.
Rimasero in silenzio per un tempo indefinito, finché Jonathan non finì la sua sigaretta e la buttò a terra, infilando poi la mano nella tasca posteriore dei pantaloni per tirarne fuori un'altra.
Lo scatto dell'accendino ruppe la quiete della strada una, due, tre volte, una mezza imprecazione contro entrambi gli oggetti e Jonathan lanciò a terra l'accendino con un gesto stizzito.
Alec si mosse ad agio raccogliendolo e tornando indietro verso l'altro che si ostinava a non guardarlo. Allungò la mano togliendo delicatamente la sigaretta dalle labbra del biondo, attirando così la sua attenzione. Sotto lo sguardo prima confuso e poi sorpreso di Jonathan strinse il filtro tra le labbra screpolate dal freddo, mise una mano a coppa davanti alla punta e si fece riparo mentre faceva scattare la fiamma ed incendiò la carta catramata della sigaretta.
Jonathan fu tentato di fermarlo per un attimo, dirgli che le sigarette per essere accese dovevano essere aspirate ma Alec lo sorprese ancora e l'accese con facilità.
Fece scattare il coperchio dell'accendino e lo chiuse, prendendo una boccata di fumo e togliendosi la sigaretta di bocca tenendola con indice e pollice, abbassò il braccio girando il tizzone verso il palmo della mano, il gesto naturale di un fumatore consumato che nasconde la parte bruciata dalla vista degli altri e anche dalla possibilità che qualcuno la toccasse inavvertitamente e si facesse male.
<< Da quando fumi?>> gli chiese piano, riconoscendo i modi sicuri di fare come quelli di qualcuno che vi era abituato.
<< Ho smesso anni fa.>> gli rispose solo.
Jonathan lo scrutò con attenzione. << Non credevo che la riabilitazione per un polmone bucato fosse una sigaretta.>>
<< Non lo è, ma una non mi ucciderà. Era davvero tanto tempo, mi ero quasi dimenticato che consistenza avesse il fumo in bocca.>> parlò lasciando che la nube bianca riempisse le sue labbra e si liberasse in volteggi astratti verso un cielo che prometteva altra neve.
<< E lo hai deciso tu che non ti ucciderà o te l'hanno detto.>> fece sarcastico, il suo solito tono saccente e fastidioso che risaliva a galla e lo faceva tornare per un attimo lo stesso insopportabile stronzo di sempre.
Alec si strinse nelle spalle, deciso a parlare senza filtri, tanto cos'aveva da perderci?
<< Mi hanno tolto il sesso, che mi lasciassero la facoltà di scegliere se voglio fumarmi un sigaretta dopo cinque mesi dall'operazione e due anni da quando ho fumato l'ultima.>>
L'altro storse il naso. << Che c'è, Bane non ti ha soddisfatto quella volta?>> chiese cattivo.
<< Oh, no, Magnus mi ha più che soddisfatto. Ma sai com'è, mi hanno quasi ammazzato, non è che io abbia avuto tutta questa possibilità di divertirmi ultimamente.>>
Jonathan abbassò di nuovo il capo, colpito in pieno dalle parole del moro che con nonchalance prese un tiro e poi passò la sigaretta all'altro. La prese e tirò una boccata anche lui, si rigirò la sigaretta tra le dita, osservandola come se nascondesse la risposta a tutte le sue domande, poi gliela ripassò.
<< Senti, non pensare che io sia felice di stare qui. >> cominciò combattivo.
<< Allora vattene.>> disse secco Alec facendo voltare di scatto il biondo. Jonathan lo fissò allibito e poi annuì.
<< Si, so perfettamente che non hai voglia di avermi tra i piedi, specie a Natale poi… >>
<< Lo hai detto tutto.>> continuò senza guardarlo, o almeno fingendo di non farlo.
Alec teneva sotto controllo ogni minima mossa del giovane Morgenstern, attento anche al fremito più insignificante. Lo vide benissimo serrare i pugni e contrarre la mascella.
<< Non sono io a dirlo.>> finì.
Jonathan si voltò di nuovo verso di lui e lo fissò senza parlare.
<< Nessuno ti ha obbligato a venire qui, questa sera. Lo hai fatto per tua madre e per Luke, ma soprattutto per tua sorella. Non ne avevi voglia ma te lo sei imposto per loro. Che poi dimmi, cosa avresti fatto se no? Te ne saresti stato chiuso nel tuo appartamento a bere e ripeterti quanto faccia schifo il mondo?>> si voltò a fronteggiarlo, lo sguardo duro e sicuro. << Ti do una notizia sorprendente Jonathan, il mondo fa schifo. La legge non è giusta. La giustizia non è sempre legale. Le persone ti sputano addosso senza sapere nulla di te, credendo di conoscerti solo perché hanno trovato un aggettivo con cui definirti e so di cosa sto parlando. Io rimarrò sempre il gay, potrò essere un poliziotto, potrò essere il migliore, potrò prendere una promozione dopo l'altra ma esattamente come se fossi una donna verrò sempre messo in discussione, tutti continueranno a chiedersi come ci sia arrivato a quel punto, se sono abbastanza per fare il mio lavoro. Ma questo non mi impedirà di farlo, non mi impedirà di tenere la testa alta ed andare tutti i giorni in ufficio. Non mi impedirà di indagare su un omicidio e arrestare l'assassino. Non mi impedirà di dare giustizia alla vittima e alla sua famiglia. Non mi fermerà.
E tu, tu sarai sempre il figlio del Vice Commissario Morgenstern, quello corrotto, che ha cercato di uccidere un detective ed un informatore perché potevano dimostrare che era sul libro paga di un pericoloso criminale, lo stesso uomo che ha venduto i suoi compagni, che li ha uccisi e che ha coperto le tracce degli omicidi di altre persone innocenti. Continuerai a domandarti se tuo padre abbia mai risolto nel modo corretto un caso o se ha sempre insabbiato tutto. Ogni volta che penserai ad un suo arresto ti domanderai se è giusto o se è un povero innocente quello dietro le sbarre.>> Jonathan voltò ancora una volta il capo ma Alec lo afferrò per il bavero del giaccone e lo costrinse a girarsi e guardarlo in faccia, strattonandolo finché gli occhi verde scuro, quasi marroni, del giovane non incontrarono i suoi neri per colpa della poca illuminazione.
<< Ma. Ma questo non ti impedirà di alzarti ogni mattina e andare a lavorare. Non ti impedirà di entrare in ufficio e affrontare un altro caso, arrestare un altro criminale. Non ti impedirà di sgominare un traffico di droga, un giro di prostitute. Non ti impedirà di fare il tuo dovere, di fare te ciò che è giusto. Perché tu non sei tuo padre Jonathan, così come io non sono il mio. Così come non lo è Jace, così come non lo è Magnus. Nessuno è il proprio padre e io non so e non voglio immaginare cosa tu stia provando, cosa voglia dire perdere un genitore e vederlo morire sotto i propri occhi. E ti chiedo scusa, non ho avuto l'occasione per farlo ma ora si e ti prego, se mai ci riuscirai, di perdonarmi. Hai tutto il diritto di odiarmi, di vedermi come un mostro perché questo è ciò che è una persona che toglie la vita ad un'altra, ma non avevo scelta, non potevo rischiare che si alzasse e sparasse ancora a Magnus o a te.>>
Non finì neanche la frase prima di tirare uno spintone al biondo che aveva caricato un pugno, pronto per colpirlo in faccia.
Jonathan lo osservò ad occhi socchiusi, un'espressione di pura rabbia in viso.
<< Scusarti? Mi stia davvero chiedendo scusa?>> sibilò irato.
<< Si, ti chiedo davvero scusa, anche se capisco che sia una cosa difficilissima da chiedere, praticamente impossibile.>> continuò serio e calmo Alec.
<< Tu sei un grandissimo stronzo.>> cominciò quello avanzando di un passo. << Come credi che possa sentirmi ora, eh? Pensi davvero che io voglia le tue scuse? Lo pensi seriamente? Ti rendi anche solo vagamente conto del fatto che sono completamente inutili?>> aveva alzato la voce sempre un po' di più ma non aveva osato urlare per paura di attirare l'attenzione degli altri.
Alec prese un respiro profondo, pronto a replicare, quando Jonathan riprese a parlare.
<< Non serve a nulla. Non dovresti neanche farlo. Non dovrebbe neanche passarti in mente. Un mostro… >> lasciò la frase in sospeso e scosse la testa, fissando lo sguardo sulla sigaretta ancora accesa. << Mio padre era un mostro.>> continuò con voce tremante. << Tu non mi devi nessuna scusa, ti ha quasi ucciso, ha quasi ucciso Bane… lui- lui ha ucciso a sangue freddo due suoi compagni solo perché aveva paura di affrontare le conseguenze delle sue azioni. Non mi devi nulla, sono io che dovrei chiederti scusa, per colpa sua sei quasi morto. Dio- >> si mise le mani tra i capelli e fece un mezzo giro su sé stesso, tornando poi a sporgersi verso Alec. << tutto quel sangue. Hai perso così tanto sangue… e ogni volta che provavo a togliere una mano quello zampillava come una fottuta fontana ed era stato mio padre, mio padre cazzo!, a spararti. Mio padre.>>
<< Te l'ho detto, tu non sei tuo padre. Non devi colpevolizzarti per nulla… >>
<< Dovevo capirlo! Dovevo cazzo! Era mio padre, ero la persona che gli era più vicina. Mi ha insegnato i suoi trucchi per capire chi è colpevole, chi è innocente, chi nasconde qualcosa e io li uso sempre e se non fossero giusti? Se mi traessero in inganno anche quelli?>> domandò come un fiume in piena.
<< Ma hai anche gli insegnamenti di Lucian dalla tua, se fin ora non sei mai stato in dubbio, se Luke non ti ha mai ripreso vuol dire che hai lavorato bene- >>
<< Lo sapevo.>> soffiò sfinito, sedendosi sui gradini del porticato. << Io lo sapevo, sentivo che c'era qualcosa di sbagliato. Dal momento in cui mi ha chiesto cosa sapevo del caso Fell e se potevo interessarmene. Mi ha detto che era per Bane, che finalmente potevo metterlo dietro le sbarre… ed invece era solo per sé stesso.>>
Alec lo fissò per una manciata di minuti, poi gli si sedette vicino.
Poggiò i polsi sulle ginocchia divaricate, diede un altro tiro alla sigaretta che si stava consumando lentamente, aiutata dal freddo che toglieva calore alla combustione, poi si rimise nella stessa posizione.
<< Hai parlato con uno psicologo?>> chiede a bassa voce, ogni sillaba una nuvola di fumo.
Jonathan scosse la testa. << E tu? Tu hai parlato con uno psicologo visto che ti colpevolizzi per la morte di un bastardo senz'anima?>> gli chiese di rimando sarcastico, convinto di sapere già la risposta.
<< No, non ho parlato con uno psicologo.>> e prima che Jonathan trionfante gli dicesse di starsene zitto allora, << Sono in cura da uno psichiatra.>> continuò lasciando di sasso l'altro. Gli offrì di nuovo la sigaretta ed il biondo l'accettò volentieri, cercando di capire ciò che gli era appena stato detto.
<< Da uno psichiatra? Intendi proprio i medici che curano i disturbi mentali?>>
Alec annuì. << Si, ci vado da dopo la sparatoria di Jace. Quella notte non sarei dovuto essere lì. Ci furono due morti dalla nostra parte e quasi venti dall'altra. >> si bloccò e Jonathan gli ripassò la sigaretta, come se una boccata potesse dargli coraggio. << Undici di quelli li ho uccisi io.>> Sorrise all'espressione improvvisamente dura del collega, quello gli fece cenno con la testa.
<< Perché quando spari miri sempre alla testa.>> disse sovrappensiero, ricordando i centri terrificanti di Alec ai tempi dell'accademia, al poligono.
<< Addestramento da cecchino, impari a sparare per uccidere. Qualcuno credette che non avrei dormito con tutte quelle vite sulla coscienza, con la paura di perdere mio fratello… ma la verità è che cercavano solo una scusa per togliermi dal consulto psicologico e mandarmi a quello psichiatrico. Non so se lo sai o se ricordi, ma quell'anno ero appena… >>
<< Tornato dalla missione in Medi Oriente come riservista volontario, si, me lo ricordo. Qualcuno ti aveva proposto di fare il passaggio all'esercito, vero?>>
<< Si… quello che successe lì… sapevo a cosa andavo incontro quando mi sono proposto, non ho rimorsi se non che avrei voluto fare di più.>>
<< Avevi vent'anni, eri uscito dall'accademia di polizia da due e avevi sei mesi di addestramento militare alle spalle. Non sono pronti i veri militari, figurarsi se lo eri tu.>> gli fece notare sarcastico ed infastidito.
<< Rimane il fatto che io con qualcuno ci parlo. Non di buon grado, lo ammetto e spesso è solo terribilmente fastidioso. Ma se ti può consolare anche il mio medico mi dice che ho una versione distorta del pericolo quando si tratta di me stesso e che sono terribilmente legato agli ideali di bontà e giustizia. >>
<< Non mi consola per niente.>>
<< Beh, fattelo bastare comunque. Se ci vado io puoi andarci anche tu.>>
<< Ah si? E perché scusa?>> sputò con astio.
<< Perché io odio parlare quasi quanto tu ami aprire bocca e dargli fiato. Sei un rompi palle nato Jonathan, che sparla di tutto solo perché si sente superiore ad ogni singolo essere su questa terra e si sente in diritto di dire sempre la sua. Pensa un po', lo psicologo passerà tutto il tempo a pendere dalle tue labbra, prenderà persino appunti e non dovrai neanche sforzarti di trovare argomentazioni interessanti per mantenere vivo il suo interesse.>> fece lo lo stesso sarcasmo acido con cui gli aveva risposto il biondo.
<< Non ho la minima voglia di dire i fatti miei ad un estraneo.>> puntualizzò arrabbiato.
Alec lasciò lo sguardo perso sulla neve ammucchiata ai piedi della scalinata.
<< Ho scoperto a mie spese che è molto più facile raccontare la propria vita ad uno sconosciuto che a qualcuno di cui ti fidi. Lui non ti conosce, non sa come ti sei mostrato al mondo per tutta la vita, non lo sa… non ti giudica e non ti senti in dovere di giustificarti perché a lui, di te, sostanzialmente non interessa nulla come persona ma solo come caso clinico.>> prese una boccata lenta, schiudendo poi le labbra solo per lasciare che il fumo bianco e denso fuoriuscisse libero.
<< E poi se non superi il consulto psicologico non ti ridanno la pistola e non ti fanno uscire dall'ufficio.>>
Jonathan tenne lo sguardo diretto sullo stesso cumulo di neve. << Che ne sai che non l'ho già superato? >>
<< Perché non hai la pistola.>>
<< Non me la sarei mai portata qui.>>
<< Perché a differenza tua io appena ne ho avuto l'occasione sono tornato al Dipartimento e quando sono salito alla OCCB a cercarti non c'eri.>> lo stupì con la sua sincerità, senza vergognarsi minimamente di ammettere che era andato a cercarlo.
Jonathan era cresciuto con un padre che gli insegnava che non bisognava mai dire tutta la verità, che gli ripeteva quanto fosse importante usare parole abbastanza ambigue per lasciarsi sempre una via di fuga ma abbastanza chiare per intendere esattamente quello che si intendeva. Era cresciuto nell'omissione dei dettagli e nella riformulazione delle frasi, come un avvocato in erba, come un politico o un vile sibillatore e la schietta e diretta sincerità di Alexander lo aveva sempre frastornato, colpito come uno schiaffo, come una secchiata d'acqua dopo tanta afa, come la luce dopo aver passato troppo tempo al buio. Come l'aria dopo aver tenuto la testa in una camera a gas. Era scioccante e frustrante perché lo sapeva che lui non ne sarebbe mai stato capace, che non era nella sua natura. Che Alec non si nascondeva dalle sue idee e dalle sue opinioni, dall'essere . Forse proprio perché in passato lo aveva fatto fin troppo e ne era rimasto ferito. Ferite che ancora portava indosso come un'armatura graffiata e sbeccata a cui non sapeva rinunciare e che con gli anni aveva rattoppato rendendola più spessa a forza d'aggiungere placche su placche.
<< Mi hanno dato un congedo… per lutto e per… per me.>> bisbigliò come se fosse un segreto, cercando di restituirgli la stessa sincerità che gli aveva offerto.
Alec annuì. << Lo so. Per questo non sono venuto a disturbarti a casa tua.>>
<<< Perché volevi vedermi? >> chiese alla fine stanco, passandosi una mano sul volto.
<< Perché per quanto possa essere stato un bastardo Valentine era pur sempre tuo padre e io l'ho ucciso davanti ai tuoi occhi.>>
Ci fu silenzio.
<< Grazie.>>
Il moro si voltò con lentezza a guardarlo, la sigaretta dimenticata in bilico tra indice e medio.
<< Come?>>
<< Grazie. Lo so cosa hai fatto. No. Non intendo “grazie per aver ucciso mio padre” perché- perché si, hai ragione. Era un bastardo ma era pur sempre l'uomo che chiamavo papà. Però, grazie, perché magari non sembra ma so cos'hai fatto, so che ti sei macchiato le mani del sangue marcio di mio padre per togliere a me il peso di scegliere tra il soccorrere lui ed il lasciar morire te o fare il contrario. Quindi, grazie.>> disse in fine, alzando lo sguardo sul suo, sincero come poche volte lo aveva visto.
<< Non pensavo che avrei mai sentito quella parola lasciare la tua bocca.>> sorrise storto cercando di stemperare il clima denso che li aveva avvolti. Ci riuscì.
<< Cazzo, i tuoi fratelli hanno ragione quando dicono che sei socialmente disabile, tu si che sai come distruggere un momento serio.>> sbuffò però divertito, scuotendo la testa in una cascata di fili bianchi come il sale, forse uno dei pochi ricordi di suo padre che lo avrebbero seguito nella vita.
Alec spense il mozzicone sulla neve. << Probabile. Ma grazie anche a te. Per avermi tamponato l'emorragia finché non sono arrivati i paramedici.>>
<< Non ho fatto gran ché, se non fosse stato per Bane… non ho mai visto così tanto sangue in vita mia, Clary mi prende in giro perché le ho chiesto di togliere i barattoli di vernice rossa da casa sua.>>
<< E poi non avresti bisogno di uno psicologo? Poi ti do il numero del mio.>> si alzò in piedi spolverandosi i pantaloni e gli fece cenno di seguirlo.
<< Io non ci vado da uno strizzacervelli.>>
<< Si che lo farai, se no non verrai reintegrato.>> lo corresse subito.
<< Allora vado da uno normale, ma non da uno che tratta la gente malata, pazza o mentalmente instabile.>> fece di rimando alzandosi anche lui e battendo i piedi a terra per togliersi la neve compattata si sotto le suole.
<< Perché sai che saresti esattamente dove dovresti essere o perché vuoi conservare un minimo di dignità e non far sapere a tutti quelli che ancora non lo avessero notato che sei mentalmente instabile e con tendenze fobiche?>>
<< Mi fai anche del sarcasmo? Dio Lightwood è proprio Natale!>>
<< Oh, questa è solo al Vigilia, il meglio me lo tengo per il venticinque, uno spettacolo da non perdere.>>
<< Giuro che il prossimo anno mi compro i biglietti in prima fila.>> gli sorrise e lo bloccò sulla soglia di casa. Sotto la sua mano sentiva il bicipite destro gonfio per la contrazione dell'esser piegato, per una volta fermo e non tremante.
<< Sono serio però.>> puntualizzò senza dover specificare cosa.
Alec lo guardò per un lungo istante e poi gli sorrise, posando l'altra mano su quella del biondo.
<< Si, anche io.>>

 

 

<< Soprattutto quando dico che sei mentalmente instabile.>>
<< Fottiti Lightwood.>>
<< Scusa Morgenstern, ma non sei proprio il mio tipo.>>

 




















 

Salve.
Come sempre questa storia è collegata a Una pista che scotta e consiglio di leggere la long.
In ogni caso, se qualcuno non ha letto la long, non gli va di farlo, ma vuole comunque capirci qualcosa, chieda pure.
Questa volta abbiamo visto come passa il Natale il braccio della legge di New York City e spero di non aver deluso nessuno. Anche se in verità non c'è poi tanto Natale in questo capitolo, ma va bene lo stesso.
Grazie per aver letto.






| Dal prossimo capitolo, Bane verse.|

<< Che cazzo vuol dire “abbiamo finito il latte”?>> sibilò minaccioso.
<< Esattamente quello che ho detto mocoso, abbiamo finito il latte.>>
<< Non può essere finito a Natale, Madre de Dios!>>
<< Raphael, no jurar!>> gli urlò la madre dalla cucina.
<< No blasfemé, mamà!>> replicò a voce alta, << Chi è l'incompetente che ha fatto la spesa?>>domandò poi assottigliando lo sguardo.
Il fratello si strinse nelle spalle. << Esteban penso.>>
<< Perfecto.>>
[…]
<< Mags?>>
<< Mh?>>
<< Dimmi che quello che ho appena visto scendere le scale non è Raphael armato di mazza da baseball pronto ad uccidere il poveraccio che si è scordato di comprare il latte.>> fece Catarina con gli occhi chiusi, massaggiandosi le tempie.
<< Eh… non lo è?>> provò lui, il tono troppo titubante per essere sicuro.
<< Raphael! Por el amor de Dios,
no me ensucies el suelo de sangre, has hecho lustrar el mármol acecha por nativo. ¿Qué figura nos hacemos si dejas huellas por toda casa?>> urlò ancora la signora Santiago da lontano.
I due amici si guardarono per un lungo istante.
<< Non voglio neanche sapere come ha fatto a sentirci.>> disse Magnus.
<< Non voglio neanche sapere perché la cosa che la preoccupa di più sia il marmo.>>

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Capitolo 2
*** 2- Christmas' Eve, Bane verse. ***


!Attenzione! Presenza di volgarità a non finire, si ringrazia Lily Chang e Magnus Bane e si prega di armarsi di buona volontà.









2- Christmas' Eve, Bane verse.

 

 

 

Era una tradizione vecchia di anni, dai suoi quattordici anni per la precisione.
Suo padre era in Polonia per lavoro e Magnus si era rifiutato di andare con lui perché invece voleva andare in Costa Rica e così avevano litigato, asserendo che a quell'età fosse abbastanza grande per badare a sé stesso e passare un Natale da solo.
Suo padre, dall'alto del suo bellissimo caratteraccio da attore Shakespeariano da tragedie melodrammatiche -ovvero lo stesso carattere da schifo che aveva Magnus, dopotutto da qualcuno doveva aver ripreso- lo aveva guardato con dolore e come se gli avesse provocato la ferita più letale della sua vita aveva messo il broncio, identico al suo, e gli aveva fatto notare che sarebbe stato il primo Natale che avrebbero passato distanti.
Ricordare quel periodo adesso gli faceva solo venire una gran voglia di ridere, lo stesso sentimento che provocava a suo padre ogni volta che ritirava fuori quella storia e la rimetteva in scena come un vero atto teatrale, ma non toglieva il fatto che avesse dato il via alla tradizione che anche quell'anno Magnus avrebbe onorato.
Ora, a logica, poteva benissimo arrivarci, ma al tempo, quando durante una telefonata con Raphael fu interrotto improvvisamente dalla madre del messicano che, non si sa come, aveva sentito che avrebbe passato le feste solo, gli urlò che non era una cosa accettabile e che quindi era invitato da loro, a Magnus non passò neanche per l'anticamera del cervello l'idea che suo padre potesse aver chiamato quella dannata matrona della signora Santiago e le avesse chiesto di tenerlo d'occhio.
Che poi lo avesse chiesto a lei, ai genitori di Ragnor, a quelli di Catarina, di Lily, a Malcom, a Quinni allora appena ventenne e ad ogni singolo scagnozzo, collega, amico o essere vivente su cui avesse un minio di potere o potesse anche solo allungare una minaccia, di tutta New York City, quello era un altro discorso.
Eppure, da quel fatidico giorno di quindici anni prima, Magnus passava sempre la Vigilia a casa Santiago assieme a tutti i suoi amici più cari. E quell'anno alla lista sarebbe mancato Ragnor.
Abbassò la testa e fissò senza vederla la camicia bordoux che teneva in mano. Passò distrattamente il pollice sul tessuto liscio ed espirò pesantemente chiudendo un attimo gli occhi per prendere forza e continuare a cercare l'indumento giusto per la serata. Poggiò delicatamente la maglia sul letto e tornò a fissare l'entrata della sua cabina armadio senza vedere davvero ciò che aveva davanti agli occhi, avrebbe potuto cercare un papillon nero magari, o un cravattino, si magari una cravatta nera sarebbe stata perfetta, con i decori in oro ancora di più.
Quell'idea lo animò per un secondo ma poi tutto scemò via, scivolando fuori dal suo corpo e lasciandolo sprovvisto di forza e voglia di fare.
Non poteva comportarsi così, non a Natale. Lui amava il Natale, lo amava dannazione. Era la sua festa preferita e non poteva deprimersi a quel modo solo perché non aveva Ragnor con sé, solo perché non avrebbe più potuto festeggiare un solo, singolo, dannatissimo Natale con il suo miglior amico. C'era già passato, era già successo che un amico morisse, che fosse arrestato o che se ne fosse andato per un qualunque motivo lontano da lui. Era successo anche con i suoi genitori, se ne era allontanato per un motivo o per l'altro, non passava una Vigilia in famiglia, con la sua famiglia di sangue, da quando aveva quattordici anni, poteva sopportare anche la perdita di Ragnor.
Scivolò lentamente a terra e si prese la testa tra le mani, scompigliò i capelli ancora non acconcianti e poi si passò le mani sul volto. Per fortuna che non si era ancora truccato, se no sarebbe stato un casino. Gli venne quasi da ridere a quel pensiero, riusciva a passare dalla depressione alla rabbia, dalla nostalgia allo sconforto, dalla perdita al trucco. Era proprio un amico del cazzo, ecco cos'era, si preoccupava della sua immagine e non di Rag che… che non ci sarebbe stato in un giorno così importante per lui.
Dio, sperava solo che Guadalupe non facesse dire a lui la preghiera quell'anno, di solito c'era sempre Ragnor a trarlo d'impaccio.
La vecchia Signora Santiago sapeva perfettamente che Magnus era ateo, che non tollerava troppo la religione ma che aveva un profondo rispetto dei miti, degli spiriti e delle credenze popolari. Magnus non era assolutamente un tipo da chiesa, da templio o da moschea, per l'amor del cielo, era bisessuale, spregiudicato, amante dell'alcol e dei piaceri della vita, soprattutto quelli carnali, era praticamente l'antitesi di tutte le più grandi religioni del mondo, se proprio doveva “professare” un credo preferiva quel misto di Induismo e Buddismo in cui era cresciuto il padre, o i miti dei nativi d'America, quelli che sua madre gli raccontava nel buio della sua camera illuminata solo dalla fioca luce delle stelle fosforescenti attaccate al soffitto. Ed era comunque rispetto e fascino, non era credenza ferma ed incrollabile, non era fede.
Magnus, la fede, l'aveva persa da tanto tempo.
Fede nella gente, nelle loro parole, nelle loro azioni, nella loro buona volontà, nella loro benevolenza. Aveva perso fede nel suo governo, nel mondo e soprattutto negli uomini. Aveva perso la fede nella legge e nella giustizia. Come ogni bambino aveva scoperto che gli adulti, i suoi genitori, non erano perfetti e forse aveva perso anche la fede cieca che riponeva in loro, nella famiglia per cui avrebbe fatto di tutto ma che anche se lo amava, faceva sempre qualcosa che lo deludeva.
Quando Ragnor era morto, quando un bastardo gli aveva sparato, aveva perso anche la fede nella vita. E la vita era ciò che Magnus amava di più al mondo, ciò per cui inneggiava ogni giorno. Eppure gli era bastato vedere il corpo freddo del suo miglior amico, di uno dei membri di quella famiglia che mai lo avevano deluso, e tutto era crollato.
Rimase con lo sguardo perso nel vuoto, domandando cosa avrebbe fatto se si fosse trovato in una situazione diversa, se il Capo Blackthorn non avesse assegnato proprio Alec al caso Fell ma un qualunque altro stupido, bigotto e pieno di pregiudizi.
Con tutta probabilità sarebbe arrivato a Valentine da solo, dopo mesi se non anni, lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani e sarebbe rimasto a sua volta coinvolto, morendo magari proprio per mano di quello stesso mostro.
Quell'anno aveva perso un persona fin troppo cara, aveva visto il dolore sul volto di Catarina, l'inespressività di Raphael che si incrinava sotto il peso della notizia. Aveva visto Lily, l'inscalfibile Lily, scoppiare a piangere e aveva sentito la voce lontana e meccanica di Malcom, dall'altra parte del telefono, ripetergli che era tutta colpa sua, che non doveva lasciare New York, che se fosse rimasto Ragnor sarebbe ancora vivo, che era lui il più grande e doveva prendersi cura di tutti loro. Lo aveva sentito colpevolizzarsi, chiedergli scusa per non averlo protetto come aveva giurato di fare anni addietro, di non esserci stato. Magnus non aveva avuto la forza di dirgli che non era vero solo perché sapeva quanto Malcom avesse visto tutti loro e li vedesse ancora come i suoi fratellini, come quei bambini che gli erano stati messi imbraccio poco più che infanti e che aveva giurato di proteggere. Sapeva che al posto suo si sarebbe accusato delle stesse, identiche ed inverosimili colpe. Le parole di Quinn, che si era trattenuta dal mostrargli qualunque forma di dolore stesse provando, erano state dure quanto gli occhi lucidi di Meliorn, che aveva solo tirato su con il naso ed annuito. Non aveva avuto il coraggio di telefonare a suo padre e dargli la notizia, in parte tranquillizzato dalla sicurezza che l'uomo sapesse e al contempo terribilmente arrabbiato con lui perché se effettivamente sapeva non si era mai sprecato di alzare la cornetta e chiedergli come stesse.
Era successo tutto così velocemente, in quei primi giorni di lutto e dolore, che a ripensarci non riusciva a collocare il momento esatto in cui aveva visto Alec, forse perché la prima volta che si erano incontrati non lo aveva davvero visto.
Trovava piuttosto ironico come, tra tutto il caos che aveva sconvolto la sua vita, tra la perdita, tra la paura, quel miscuglio insondabile e incomprensibile di sentimenti ed eventi che lo avevano travolto, Alexander fosse stato il faro che aveva rischiarato la sua visuale.
Magnus aveva perso la fede in così tanti modi e in così tante cose che si sorprese di averla ritrovata proprio nella legge. La sua cattedrale era diventata le braccia aperte del poliziotto che lo aveva sorretto nel dolore e nella lotta, nel ricordo e nella sofferenza. Gli occhi blu come il simbolo perpetuo della sua nuova ed incrollabile fede, una croce dinnanzi a cui si sarebbe inginocchiato e avrebbe pregato, scrutato dall'alto da un angelo protettore, il suo nome come unica preghiera che aveva sentito sulle labbra di tanti altri fedeli, anche di altre credenze, con intonazioni e motivazioni diverse. Alec gli aveva ridato la fiducia nella vita, nelle persone e anche nella giustizia, gliel'aveva restituita nel momento in cui si era presentato alla sua porta e aveva riposto la propria nelle sue mani. Lo vedeva ancora, perfettamente impresso nella sua mente, illuminato dalla luce della gloria di un Dio a cui Magnus non aveva mai creduto e che troppo spesso aveva accusato, chiedendogli dove fosse quando la gente aveva davvero bisogno di lui. E sentiva ancora il peso, la consistenza ed il tiepido calore della sua mano stretta tra le sue, quando era uscito dal suo ufficio pronto a reimmergersi nel marasma della città e del caso a cui stava lavorando in un modo in cui non si sarebbe mai aspettato di veder indagare un detective, un poliziotto per uno come lui: con attenzione e perizia, deciso ad incastrare il colpevole e dare giustizia alla vittima.
Chissà se Guadalupe lo avrebbe spronato a dire la preghiera prima di cominciare a mangiare. Chissà se avrebbe voluto un ringraziamento al Signore o se le sarebbe andato bene anche sentire la personale preghiera del suo di culto, Alexander”, solo quello, solo un nome. Un nome a cui doveva tanto, a cui doveva la vita. Forse sarebbe dovuto davvero entrare in chiesa e pregare Dio di proteggere il giovane. O magari poteva chiedere a Raphael di pregare anche per lui, dato quanto incompetente fosse Magnus in questo campo.
Si sdraiò a terra, alzando lo sguardo verso il soffitto e rivedendo per un attimo quello costellato di adesivi della sua cameretta, era davvero da tanto che non tornava alla sua vecchia casa.
Il pensiero lo fece sollevare di scatto dal pavimento, la testa che si voltava verso la porta, percorreva il corridoio e svoltava dietro al divano, fissandosi sotto il tappeto con cui era coperta la macchia del sangue di Valentine Morgenstern. Non voleva neanche toccare quelle assi sporche, gli faceva ribrezzo anche pensarci, mentre a pensare a quelle su cui era quasi morto Alec gli veniva solo un enorme senso di colpa e si vergognava al solo pensiero di sostituirle.
Non aveva molte remore ad ammetterlo a sé stesso e anche a Cat e Raph, era successo spesso che la notte, quando non riusciva a dormire, si alzasse dal letto e si ritrovasse seduto davanti a quelle macchie, la sua e dell'altro. Le fissava per ore, finché il sonno non lo vinceva e decideva di tornarsene in camera. Si era anche riseduto dove lo avevano trovato i soccorritori, rabbrividendo e avvertendo una fitta fantasma alla gamba ormai perfettamente rimarginata. Aveva provato a sdraiarsi dove avevano rianimato Alexander e lì non aveva resistito: si era ritrovato a versare lacrime silenziose, a chiedersi ancora quale fosse stato l'ultimo pensiero del compagno, se come lui avesse pensato solo a cose futili o se dall'alto del suo dannatissimo spirito da super eroe non avesse pensato invece alla sua salvezza, ai suoi famigliari, a Jonathan che aveva appena visto morire il padre. Glielo avrebbe chiesto, decise alzandosi definitivamente dal pavimento e dirigendosi verso la cassettiera in cui teneva tutte le sue cravatte, appena avrebbe rivisto Alec gli avrebbe chiesto quale fosse stato il suo ultimo pensiero.
Si guardò allo specchio e annuì convinto.
Ora gli serviva solo quella dannatissima cravatta nera e oro e sperava vivamente che non fosse quella a cui Lily aveva dato fuoco due anni prima.

 

 

 

<< Lo so, me lo hai già ripetuto tipo una decina di volte. Ti pare che me lo sia dimenticato? Io non- è successo solo una volta! Non puoi rinfacciarmelo sempre come se fosse una chissà quanto grave mancanza, sono abbastanza sicuro che- >> venne zittito ancora una volta e alzò gli occhi al cielo, la luce dei faretti del suo specchio rendeva perfettamente chiaro ogni minimo particolare del suo viso.
Cavolo, s'era messo male l'ombretto?
<< Merda.>> sibilò. << No, non tu! Ma ti pare che ti dico che sei una merda? Lo vedi che ti comporti come una cazzo di vittima? No, non rompere tu, non è vero. Certo che ti ci chiamo ma questo non vuol dire che non lo faccia anche tu!>> borbottò in risposta al vociare che gli arrivava dal telefono e cercò il pennello giusto tra quel marasma che era diventato il tavolo. Se non fosse stato per la chiamata non si sarebbe distratto e non avrebbe fatto quel caos. << Tu mi dici anche di peggio. Non provare a negare! Sei un bastardo, accettalo. Cosa?! Non ho detto- La smetti di interrompermi? NO! Non è vero, io non lo faccio mai! Ah si? Allora citami anche solo una persona che di solito interrompo mentre parla!>> concluse con aria di sfida, osservandosi ancora allo specchio e decidendo che quello che vedeva gli andava più che bene.
Peccato che il suo sorriso soddisfatto andò velocemente trasformandosi in una smorfia mentre ascoltava il suo amico ciarlare dall'altra parte del fono.
Si imbronciò. << Avevo detto solo una.>> disse a bassa voce, completamente punto nel vivo. Poi sospirò. << Va bene, senti, hai vinto tu, è Natale non ho voglia di dimostrarti quanto ti stia sbagliando e quanto tu possa essere stupido in un giorno così importante per un buon cristiano.>>
Delle risate soffocate gli fecero cercare Catarina nello specchio e poi lo fecero girare verso di lei, allontanando il cellulare e lasciando che la voce di Raphael si espandesse facilmente nella stanza.
<< Quando abbiamo smesso di parlare di me e cominciato a parlare di te?>>
Catarina rise ancora, senza cercare minimamente di nascondersi, la sua bella testolina azzurra tutta costretta in una cuffia piena di bigodini che la facevano sembrare una donna degli anni cinquanta.
<< Tu non ridere!>> la minacciò con lo stesso minuscolo pennelletto con cui si era truccato.
<< Oh no, Magnus! Qualcuno ride di te, che assurda novità!>> Poteva sentire il ghigno di Raphael anche attraverso la linea telefonica, fissò male il suo cellulare e poi lo mise in vivavoce, lanciandolo a Catarina che lo afferrò al volo.
<< Se l'è presa a male Raph.>> lo informò la donna.
<< Sei un pessimo cristiano, il tuo Salvatore nasce oggi e tu pecchi di cattiveria.>>
<< Gesù bambino non nasce oggi, cabron, nessuno sa con precisione il giorno e l'anno della nascita del Messia, è solo per pura convenzione che lo si fa risalire al 25 Dicembre, unito anche al fatto che quello era il giorno deputato alla festa del Sole dei pagani. Dios, ma almeno informati prima di aprir quella boccaccia e darle fiato.>>
Magnus fece un gesto vago con la mano. << Se, come vuoi tu, va bene. Te lo ripeto, solo perché è Natale ti concederò il beneficio di non sentirti stracciare verbalmente da me.>>
<< Por favor, recuérdame1 chi ha una laurea in economia e diritto e chi a stento è riuscito a prendere il diploma.>>
<< La mia benevolenza natalizia sta scemando hermano.>>
<< Catarina, ficcagli un calzino in bocca.>>
<< Catarina, non azzardarti a ficcarmi nulla in bocca.>>
<< Beh, in effetti penso che sarebbe una cosa che non succede da un po' di tempo.>> fece sovrappensiero la giovane lasciando che un denso silenzio avvolgesse tutti quanti.
Magnus fissava l'amica a bocca aperta, senza sapere che dire. Dal telefono invece arrivavano dei suoi soffocati, come colpi di tosse, o starnuti trattenuti, che ben presto si rivelarono in tutta la loro sonora potenza come la risata di Raphael.
<< Madre de dios me ayudas tú, estás muriendo2>> altre risa incontrollate, Catarina si morse un labbro per trattenere le sue, uno sguardo di scuse rivolte all'amico che ancora la fissava senza dire una parola.
<< Me ahogo3!>> ululò il messicano.
Magnus si riprese a quell'affermazione e digrignò i denti. << E' una promessa?>>
Catarina rise ancora più forte di Raphael e scosse la testa senza speranza.
<< Okay, perché adesso non finiamo di prepararci? Che ne dite? Raphael, scommetto che tua madre ha bisogno di una mano per sistemare la sala e Magnus ed io dobbiamo finire di farci i capelli.>> disse guardando l'asiatico con un sopracciglio alzato, quello si strinse nelle spalle come a dirgli “che c'è, farsi i capelli è sempre l'ultimo step” e poi si voltò verso lo specchio.
<< Si Santiago, vai ad aiutare tua madre e fai il bravo figliolo.>>
<< Catarina, gli lanci la lacca ed il gel fuori dalla finestra da parte mia? Anzi, no, i suoi cazzo di brillantini, buttaglieli nel cesso.>>
<< Va bene, state diventando animosi, okay, pausa, stop. Ci finiamo di preparare e arriviamo, Lily è già lì o è andata a prendere Malcom? >>
<< No, Lily arriva tra un po' con il padre, affari di lavoro.>> aggiunse spiccio prima che qualcuno gli chiedesse informazioni. << A prendere Malcom ci va Quinn e quel deficiente di mio fratello.>>
<< Quale dei cinque?>>
<< Quattro Bane, il quinto sono io.>>
<< Raphael, non è carino ricordare gli errori e le disgrazie di tua madre proprio a Natale.>>
<< Cat, ti chiederei di nuovo di ficcargli qualcosa in bocca, ma capisco che tu non abbia la mercanzia giusta per farlo stare zitto.>> sbuffò il ragazzo e prima che Magnus ribattesse, << Magari puoi cercare un dildo, scommetto che ne ha a centinaia, anche se non lo soddisferebbe come quello di un certo detective e in ogni caso i medici gli hanno detto che non può fare attività sessuali di alcun tipo, vero? Quindi Magnus se il tuo regalo per il policìa era un pompino, scordatelo. Vi aspetto tra trenta minuti, non tardate che Mama ci tiene alla puntualità.>> Poi attaccò senza neanche dargli il tempo rispondere a quella sottospecie di saluto.
Il ritmico tu-tu della linea chiusa rimase come unico rumore per una manciata di secondi.
Magnus digrignò i denti e si voltò di nuovo verso Catarina.
<< Perché deve essere sempre così stronzo?>> chiese retorico.
<< Perché tu devi sempre importunarlo con questa storia che non è un buon cristiano e far leva sulla sua religione ogni volta che ne hai occasione?>> ritorse lei mentre si alzava per avvicinarsi allo specchio, cominciando a togliersi la cuffietta e le prime forcine che tenevano fermi i bigodini.
<< Non difenderlo!>>
<< Mags, non ha detto nulla di falso, andiamo, ho sentito cose molto più pesanti uscire dalle vostre bocche. È il vostro modo di affrontare tutti i discorsi, siete ancora gli stupidi adolescenti che si insultano la mamma solo per aver una scusa per litigare ma che poi ridono di una battuta ben fatta.>> liberò la prima ciocca azzurrina che cadde morbida e arricciata sulla spalla scoperta della giovane.
<< Se ti stai riferendo all'epica bastardata di Lily su quanto Guadalupe fosse in grado di trattenere il respiro e perché lo sapesse fare così bene… >>
<< O a quando Malcom disse a quel tale, come si chiamava? John?>>
<< Un nome banale qualunque si.>>
<< Quando gli disse che conosceva sua madre perché ogni buona prostituta ha una sua foto come un santino e la prega ogni volta che gli capita un cliente...>> Catarina gli sorrise da dentro lo specchio e lui ricambiò divertito.
<< Perché, quella su quante strade conoscesse mia madre?>> fece Magnus afferrando la lacca e scuotendola come fosse uno shaker.
<< Ah ah! Oh, ce ne sono così tante!>>
<< Se qualcuno insulta tua madre e tu invece di incazzarti come una belva scoppi a ridere vuol dire che siete davvero amici.>> sentenziò Magnus.
Catarina annuì sorridendogli felice della sfumatura allegra che stava prendendo la conversazione. Stavano ricordando vecchi aneddoti, antiche dispute e stupidi litigi adolescenziali, prima o poi sarebbero arrivati anche a parlare di Ragnor in modo leggero come facevano con i loro vecchi problemi, ma per il momento, se proprio doveva essere sincera, preferiva parlare d'altro.
<< Ma ti prego Mags, dimmi che il regalo di Alec non è un pompino perché, e sono seria, non può ancora fare troppi sforzi.>> lo fece girare per guardarlo dritto negli occhi e lui alzò i suoi al cielo, posando la lacca e liberando un'altra ciocca da quei piccoli cilindri del demonio che a lui, l'unica volta che aveva provato a metterseli, gli avevano solo fatto danno. Certo, era anche un ragazzino di dodici anni che voleva il ciuffo come John Travolta, ma questi sono dettagli.
<< No mia dolce e malfidata Cat, non ho intenzione di fargli nulla di sessuale. Anche se mi piacerebbe molto- >> ammise sempre sorridendo.
La giovane ridacchio. << Cavalieri, stalloni e cavalcate eh?>>
<< Proprio quelli. La migliore della mia vita.>> sentenziò sicuro come i movimenti delle sue mani.
Catarina alzò un sopracciglio. << Ma davvero? La migliore della tua vita? Di tutta la tua vita?>> sfidò per nulla convinta.
<< Dolcezza, non vuoi che ti dica ora ciò che ho visto, credimi, anche perché ci ritroveremo entrambi con le mutande bagnate e non credo proprio che tu ti sia portata un paio di belle brasiliane di riserva, che si abbinino con quel balconcino. A proposito, su chi devi far colpo?>>
<< Su nessuno e non dirmi così che poi sono ancora più curiosa. Sai che non sono facilmente impressionabile, merita così tanto o parli solo perché è Alexander?>> gli chiese con sincera curiosità, senza però lasciare che le labbra truccate smettessero d'incurvarsi verso l'alto.
<< Beh, ovviamente penso che un po' abbia avuto la sua parte anche la situazione, la mia astinenza ed il fatto che è l'uomo che mi ha salvato il culo più di quanto io non ami ammettere.>> cominciò facendola voltare verso lo specchio per poter raggiungere meglio la sua nuca. << Ma se devo parlare solo dal punto oggettivo della faccenda… beh, cazzo. >>
Catarina rise con quella leggera spontaneità che non riusciva a dimostrare da mesi ormai, scuotendo la testa e facendo ondeggiare l'acconciatura di fortuna che avrebbe dovuto farle venire quei benedetti boccoli.
<< Solo questo Magnus? “Cazzo”? Si, avevo dedotto che ne fosse provvisto. Quindi?>>
<< Ehi! Quella è senza dubbio una delle prime cose che saltano all'occhio!>> si giustificò lui.
<< Più del tuo?>> lo sfidò ridacchiando e pungolandolo con l'indice, le unghie per una volta lunghe e smaltate.
<< Zuccherino, sono lusingato da questa tua domanda, ma ricordati che non lo hai mai visto dritto e che non hai neanche mai visto Alexander nudo, pure a riposo, non importa.>>
<< Che quei pantaloni sono ben riempiti lo vedo.>>
<< Non puoi capire che culo che ha.>>
<< Vedo anche quello tesoro, dimmi qualcosa che non so.>> allontanò le mani dalla sua testa e si poggiò con il fianco contro la toeletta per guardare con occhi vispi l'asiatico che si strinse nelle spalle.
<< Oh, andiamo Mags! Mi hai praticamente detto che ho visto nudo te ma che non reggi il paragone con lui.>>
Magnus sussultò. << Ah no! Questo no! Il mio pene è più che rispettabile, è il re!>>
<< E quello di Alec?>> poi si bloccò. << Oddio, mi sto rendendo conto solo ora che ti sto chiedendo informazioni sul pacco del poliziotto che ti ha salvato la vita.>> fece quasi inorridita dalla sua mancanza di tatto.
Magnus sogghignò. << Mi ha salvato la vita si e mi ha pure salvato da una crisi isterica da astinenza da sesso che neanche ti dico. Quello è stato il suo salvataggio migliore.>> disse con sguardo vacuo, come se stesse ricordando qualcosa.
Lei alzò un sopracciglio. << Più di un laccio emostatico di fortuna fatto con la sua maglia che ti ha salvato dal morire dissanguato?>>
L'uomo annuì. << Dio, quanto era fottutamente sexy? Dopo una sparatoria si è tolto la maglia e me l'ha legata alla gamba. Sul momento ho solo ringraziato il cielo ma ora che mi ci fai ripensare sarebbe stato davvero eccitante in un'altra situazione.>>
<< Oh, certo, perché se non fosse stati sotto fuoco sarebbe stato davvero eccitante vedere un ragazzo spogliarsi per fermarti una cazzo di emorragia.>> lo fissò con gli occhi socchiusi e Magnus dovette darle ragione. Con un cenno affermativo gli fece capire che le andava bene anche quella tacita ammissione e così tornò a sorridere.
<< Quindi? Più tu o lui?>>
Magnus alzò gli occhi al cielo sorridendole a sua volta. << Ovviamente ce l'ho più lungo io.>>
Catarina rise. << Ma non avevi detto che era un bel confronto?>>
<< Ho detto più lungo. Ma cazzo se non mi batte a diametro. E poi Cat, lo sa usare bene, scommetto che sarebbe capacissimo di soddisfare anche una donna, sarebbe capace di farti venire così violentemente che dovrebbero mettere un cartello per segnalare “pericolo pavimento bagnato”.>> continuò tutto animato dal discorso mentre si sistemava i capelli. Catarina lo imitò e ricominciò a togliersi quegli ultimi due bigodini.
<< Ma?>> lo spronò.
<< Ma niente. È un fottutissimo dio del sesso gay.>> si fermò di botto e si voltò con lentezza, un contrasto che fece quasi preoccupare la giovane che si vide in diretta dal riflesso dello specchio un ghigno preoccupante allargarsi sul viso curato dell'amico.
<< Che c'è? No! Anzi, non so se voglio saperlo.>> alzò le mani come a pararsi da qualcosa ma Magnus gliele prese nelle sue e continuò a sorridere in quel modo per nulla rassicurante.
<< Ti ricordi cosa ti avevo detto?>>
<< Mi dici davvero tante cose, Mags… >>
<< Sulla prima volta che ci siamo rivisti, nel mio locale? La battuta sul fatto che è un cecchino e non sbaglia mai un colpo?>>
<< Si..e direi che aveva tutto il diritto di vantarsi visto che ha sparato in mezzo gli occhi al Vice Commissario con la sinistra e mentre aveva appena preso un colpo al torace.>>
Magnus scosse la testa. << Oh, non era riferito a quello...>>
Un flash attraversò la mente di Catarina che impallidì. Poi riprese colore con velocità sorprendente, lo stesso identico ghigno che faceva bella mostra di sé sul volto dell'amico ora si apriva anche sul suo.
<< Oh… non dirmi che è andato in centro al primo colpo… >> sussurrò con voce maliziosa.
<< Certo che no. Voglio dirti che c'è andato ad ogni colpo!>>

 

 

<< Catarina ha le guance rosse. Ha le guance rosse solo quando parlate di porcate. Chi si è scopato o è stato scopato da chi?>>
La serafica schiettezza di quella domanda fu emessa dalle labbra carnose e rosse di una ragazza che poteva avere ventiquattro anni come poteva averne appena diciotto. La sua figura minuta era sinuosa come quella di una modella d'intimo, le curve su cui scendeva un vestito color prugna piuttosto elegante la facevano automaticamente classificare come donna, ma la sua pelle liscia e priva di imperfezioni, il volto tondeggiante e le spalle piccole la relegavano di più alla posizione di una ragazzina appena sbocciata in tutta la sua prorompente femminilità.
Il naso piccolo e a punta era una delicata collinetta che divideva gli zigomi alti e le guance di quella pienezza così tipica degli adolescenti che la facevano parer dolce come in realtà non era.
I capelli neri come la notte erano striati da ciocche sfumate di blu, lunghe sfumature che si concentravano sulle punte ma parevano naturali come i capelli schiariti dal sole, pareva quasi che ci fosse nata, che fosse venuta al mondo solo per aver quel sorriso da bambina cattiva, gli occhi freddi e taglienti come un vetro scheggiato, la lingua biforcuta ed i capelli blu.
Lily Chang era una giovane, in barba a tutti, proprio di ventiquattro anni, nata da mamma americana e papà cinese di Louyang, non una delle città più famose dello Stato, ma che certo aveva il suo fascino. Non che il signor Chang la potesse ricordare così bene visto che era andato via dalla sua città natia ad appena otto anni. Lily aveva sempre preso in giro Ragnor per questo, gli diceva che era arrivato in America alla stessa età di suo padre e ben o male con le stesse assurde ambizioni, quindi avrebbe finito per sposare anche lui una bella americana ed avere una ancor più bella figlia “mista”, esattamente come si definiva lei.
Lily era un tipo fin troppo particolare di persona, non la si poteva capir bene a meno che non la si conoscesse e a pochi era permesso farlo. A prima vista invece pareva solo quella classica ragazzina bella e viziata, che era abituata ad avere tutto e tutto otteneva. Se solo la gente avesse saputo cosa era in grado di fare con un coltello in mano, probabilmente gli avrebbe girato a largo. Davvero molto a largo.
Si poteva intuire quanto pericolosa fosse in realtà quella piccola bambolina di porcellana se ci si soffermava a fissare quegli occhi neri come la pece che si ritrovava. Il taglio asiatico dell'occhio sembra esser stato ingigantito dalla controparte americana del suo DNA, un gentile regalo della genetica che la faceva rassomigliare ad un manga, o forse ad un grosso felino pronto a balzarti contro. Le ciglia scure aiutavano solo a gettare ombra su quei dischi di pietra levigata che brillavano intimidatori tra le palpebre pallide, le sopracciglia fine davano la perenne impressione che si stesse prendendo gioco di te. Ed era vero, spesso Lily squadrava il mondo dall'alto al basso, conscia del suo livello, delle sue capacità e del suo nome. Era più forte di lei, era come l'avevano cresciuta, sapendo perfettamente chi era.
Non le si sarebbero mai messe in bocca le parole che aveva appena pronunciato ma non erano certo le peggiori che aveva detto nel corso della sua vita. Era una vipera, la piccola Lily Chang, capace di sputare battute al vetriolo e poi non capirne una vera, con un senso dell'umorismo così particolare che rendeva difficile farla ridere, per quello c'erano le battute di cattivo gusto e quelle volgari. Oh, quanto sogghignava soddisfatta nel sentirle, come se si fosse appena fatta una sana risata di cuore. Lily era cresciuta in un ambiente tanto maschile quanto maschilista: unica figlia femmina, i suo i genitori avevano solo fratelli maschi e quei pochi che avevano avuto a loro volta figli ne avevano avuti, ancora, solo maschi. Ma come li rimetteva tutti in riga la bambolina di casa, crescere correndo dietro ai propri cugini con scarpette di vernice e gonna in crinolina non le aveva impedito di imparare a dare pugni, minacciare, imprecare come uno scaricatore di porto, apprezzare tutte quelle battute e riferimenti a sfondo sessuale tipici dei ragazzini con troppi ormoni in circolo e nonostante tutto diventare la femme fatale che nessuno si aspettava diventasse.
Se ne stava con le mani sui fianchi, il cappotto di pelliccia sbottonato mostrava la lucentezza del tessuto del suo bel vestito, rigorosamente al ginocchio perché se no la Signora Santiago sarebbe stata capace di farle mettere una gonna delle sue pur di coprirle le cosce e -- lo aveva già fatto.
Li scrutava con un sopracciglio inarcato, prendendosi ancora una volta gioco delle loro chiacchierate e di tutto ciò che ne poteva derivare, tutto ciò che a breve avrebbe obbligato loro a raccontarle, e scosse piano la testa allungando una mano verso Magnus per tirarselo vicino e abbracciarlo.
<< Spero che sia un bel racconto Magnus, è Natale, fammi divertire.>> disse stringendolo con cura per non rovinargli gli abiti. Loro due condividevano quella particolare passione per lo stile ed i bei vestiti che gli altri non riuscivano proprio a comprendere. Forse solo Raphael quando si parlava di completi.
<< Oh, lo è bambolina, stavo giusto dicendo a Cat prima, che ci servirà un cartello per il pavimento bagnato.>> ammiccò con malizia facendo scuotere la testa all'infermiera questa volta.
<< Smettila di ripropinare quella battuta e togliti di mezzo, devo abbracciare anche io la povera ragazza che verrà costretta a portare lo scialle per tutta la cena per coprirsi la scollatura.>> sorrise divertita e ridacchiò al piagnucolio della ragazza che asseriva quanto la sua scollatura fosse ben morigerata.
<< Lo sarebbe se portassi una seconda, massimo una terza, ma la tua è una quarta abbondate Lily, esce che è una meraviglia, non trovi? Su chi devi fare colpo?>>
<< Se il racconto di Magnus mi soddisferà a dovere e mi ridurrà nelle condizioni che lui auspica, sarà quel tipo.>> sentenziò girandosi verso l'uomo. << Dimmi che ne varrà la pena, sarà l'ultima volta che sentirò parlare di sesso e cose divertenti per questa sera.>> fece subito rabbuiandosi.
<< T'ho mai detto che passi troppo tempo con i tuoi cugini?>> le domandò Magnus salendo le scale che portavano alla palazzina in cui si sarebbe svolta la cena.
Quella era la casa dove Raphael era nato e cresciuto, una struttura di cinque piani, in un modo o nell'altro tutti comunicanti tra loro. Ci viveva praticamente tutta la famiglia del messicano, o per lo meno tutti quelli che erano in America e che ancora non si erano trasferiti. Un tempo quelle mura avevano ospitato il vociare concitato e le urla di una quindicina di bambini, una cosa aberrante secondo Magnus, che invece era cresciuto da solo, nel silenzio piacevole della sua villetta, allietato dalle visite degli amici, non come casa Santiago, che dava dimora a sette tra fratelli e sorelle, alle rispettive famiglie e ad eventuali cugini, zii e parenti acquisiti. Una volta anche la vera Signora Santiago aveva abitato quei piani, la matrona, la nonna di Raphael che malgrado l'età ricordava tutti i nomi e le parentele di ogni singola persona presente in quella casa o che vi aveva messo piede anche solo una volta.
Ma la nonna di Raphael era morta ormai quasi cinque anni prima, in tempo per vedere il suo nipote più piccolo prendere in mano la sua vita e comprare finalmente il suo hotel e anche per vedere qualche piccolo pronipote barcollare su quei pavimenti su cui avevano barcollato anche i loro genitori.
Ora, a capo della famiglia, c'era proprio la madre di Raphael che in modo o nell'altro era risultata la più forte e risoluta della famiglia nell'ereditare il posto di comando di quel microcosmo che era Palacio Santiago.
Dopo aver messo a posto il Du Mort- “Agradece Dios que tu abuela no haya vivido bastante para saber como has llamado aquel sitio. Francés...estará volviendo en la tumba4.”-, Raphael aveva proposto più di una volta alle donne di casa di festeggiare Natale lì, asserendo che in un hotel sarebbero state servite e riverite, soprattutto nel suo, e che si sarebbero potute rilassare per quella sera.
Probabilmente se non lo avesse detto in quel modo, se non avesse dato ad intendere che voleva soltanto coccolarle come loro facevano sempre con tutto il resto della famiglia, se non avesse fatto capire che voleva far loro la gentilezza di tornar bambine ed doversi di nuovo solo preoccupare di godersi il Natale, a quest'ora Raphael Santiago non sarebbe più esistito.
Per sua grandissima fortuna il messicano aveva un grandissimo senso di sopravvivenza e sapeva come comportarsi con i suoi e così si era beccato solo una serie infinita da abbracci, baci, sorrisi, parole commosse ed affermazioni amorevoli per il suo gentilissimo gesto.
Ma no, era Natale e Natale lo si passava in famiglia, si cucinava in famiglia e si faceva tutto in famiglia.
Magnus, Catarina, i Chang, Quinn e Malcom erano inclusi nella “famiglia” da tempo immemore seppur diverso.
<< Lascia stare i miei uomini e parlami del tuo.>> fece spiccia, fremendo quasi dall'aspettativa.
Magnus le sorrise e prese un bel respiro, posizionando le mani davanti a sé pronto ad indicargli quanto-
<< Serà mejor que5 quelle mani stiano indicando la forma del regalo che mi hai fatto, niño, e non altro.>>
Sulla soglia del palazzo, con le mani sui fianchi, un vecchio grembiule sicuramente dell'anteguerra ma pulitissimo, i capelli legati in una crocchia velata e lo sguardo fermo e minaccioso, se ne stava proprio Guadalupe Santiago, in tutto il suo magnifico metro e sessantacinque di caparbia e forte donna messicana, pronta ad accogliere i suoi ospiti tanto quanto a far loro una bella lavata di capo. Al suo fianco, in un impeccabile completo gessato scuro, con una bella cravatta rossa a tema natalizio, Raphael li osservava soddisfatto di quell'interruzione, il ghigno divertito di chi è così conteto di essere arrivato proprio nel momento più bello di una conversazione, e di averla inrimediabilmente bloccata, che pareva quasi aver già ricevuto il suo regalo di Natale.
Raphael non era molto alto, arrivava al mentro e settanta -lui continuava a dire settanquattro ma Magnus si divertiva troppo a ricordargli che li dividevano quasi quindici centimetri- dalla carnagione olivastra e abbronzata, i folti ricci marroni pettinati con cura come ogni giorno. Il volto, proprio come quello di Lily, pareva molto più giovane della sua età e lascaiva sempre gli altri interdetti, specie quando se lo trovavano davanti per una riunione o per un affare. Troppa gente aveva fatto il grave errore di sottovalutarlo, di credere di star parlando con un moccioso, come lo chiamavano fratelli e cugini perché era il più piccolo della nidiata, e quindi, inevitambilmete rimanere con un palmo di naso quando il piccolo Raphael sfodarava i bei dentiniti e si mostrava per la belva che era.
Non a caso lui e la Chang venivano spesso presi in giro sul loro aspetto, Miguel, il terzo fratello di Raphael, aveva avuto anche la pessima idea di dire che i due avessero venduto l'anima al diavolo per rimanere per sempre giovani e quel cretino del suo gemello aveva rincarato la dose asserendo che il demonio li aveva trasformati in vampirti, succhiasangue non-morti. Era successo all'incirca quattro o cinque anni prima e i due sfortunati fratelli si erano beccati tante di quelle mestolate in testa che se le sarebbero ricordate per una vita. Così come i vicini avrebbero ricordato le urla, le preghiere, le invocazioni e le bestemmie colorite di Lily quando la zia Rosalinda le aveva lanciato l'acqua santa contro macchiandole il suo Dior preferito.
Probabilmente se a suo tempo avesse già conosciuto Sigmund Magnus avrebbe potuto controbattere dicendo che semplicemente possedevano l'Anello Unico. Ma non si erano neanche incrociati da lontato e quindi Magnus si era semplicemente goduto la scena assieme ad una più che divertita Catarina e ad un preoccupatissimo Ragnor che cercava invano di fermare quel delirio.
Guadalupe ora lo attendeva illuminata dalle luci calde dell'ingresso, o almeno di quello che sarebbe dovuto essere l'atrio ma che invece era l'ingresso della gigantesca casa. Il suo sguardo minaccioso si era addolcito di colpo e aveva allargato le braccia per stringerselo contro e fargli i suoi auguri, dirgli quanto fosse bello quella sera, quanto fosse felice di vederli tutti lì e come gli avrebbe pulito la bocca con il sapone se avesse detto certe cose davanti ai bambini. Raphael non aveva mai perso il suo ghigno e anzi, era aumentato, mostrando al meglio la fila bianca e appuntita di denti, quando aveva posato gli occhi su Lily e sulla scollatura del suo vestito.
<< ¿Mamá tienes una estola morada6?>> chiese con voce bassa e gentile.
La donna lo guardò un attimo, lasciando libero Magnus che cercava disperatamente di ritrovare il respiro, e annuì mentre catturava Catarina e le riservava lo stesso trattamento, salvo la parte del sapone.
<<
Sí, sayas dónde las tengo. ¿Por qué? Espera.7>> Lasciò anche Catarina e si voltò verso Lily, che nel mentre si era affrettata a richiudersi il cappotto. << Lily Chang, fammi un po' vedere il tuo vestito!>> disse mettendosi di nuovo le mani sui fianchi e scrutandola con occhio attento.
Lily fulminò con lo sguardo Raphael.
<< Traditore.>> gli sibilò contro, poi si arrese e aprì i lembi della pelliccia.
Guadalupe la scanzionò con un solo colpo d'occhio e poi annuì.
<< ¿Raphael? Tómame de los broches, aquéllos bastarán8.>>
<< Subito Mamà.>> fece un cenno con il capo e, servizievole come lo era solo con lei, si avviò con tranuillità verso la scalinata che portava ai piani superiori.
Lily aggrottò le sopracciglia. << E' da quando sono piccola che sento parlare spagnolo, ma questa non l'ho capita. Che deve prendere?>> chiese perplessa.
Raphael si bloccò sui gradini e si voltò sorridendogli sadico:
<< Graffette. Ti spilliamo il vestito ed il gioco è fatto.>> poi tornò al suo obbiettivo.
La ragazza sarebbe anche sbiancata se non fosse stata già pallida di suo, fissò la schiena di Raphael finché non scomparve e poi imprecò a mezza bocca.
<< Porco cazzo! E no! Non di nuovo! È un fottutissimo Chanel questo! Nessun figlio di puttana si azzarderà a spillarmi il vestito! Sono stata chiara? Raphael! Bastardo senz'anima! Torna qui o giuro che ti apro il culo come una scatola di tonno!>> e con questo sfrecciò in casa superando Guadalupe che la guardava come se ormai c'avesse rinunciato e cominciò a salire di corsa le scale, con la pelliccia che rimbalzava ad ogni gradino ed i tacchi che sembravano voler perforare la pietra consunta di cui la scalinata era fatta. Continuò ad urlare improperi contro il messicano, lasciando che rimbombassero per tutto il palazzo e facessero sapere ai suoi occupanti che Lily Chang era arrivata. Poi si sentì un urlo acuto, una bella bestemmia ed un paio di risa a singhiozzo, probabilmente quelle di Raphael che ora rincorreva la ragazza per tutta casa brandendo una spillatrice.
<< Non credo cresceranno mai.>>
I tre rimasti si voltarono verso la fonte della voce per ritrovarsi davanti un uomo sulla quarantina, con un sofisticato ed elegante taglio di capelli, il volto curato e sbarbato, la pelle liscia e perfetta come quella di un attore colorita dal sole naturale e non da qualche stupida lampada. Portava un completo un po' retrò ma perfettamente indossato, che lo faceva sembrare appena uscito da un film d'altri tempi. Il volto mascolino mostrava un'espressione sconsolata ma divertita, le labbra fini piegate di una smorfia di dispiacere, il naso lungo e dritto leggermente arricciato e le sopracciglia perfette crucciate davano agli occhi celesti un'ombra di sconforto.
Al suo braccio, in un impeccabile vestito lungo color rame, stava una donna a dir poco bellissima, una Jessica Rabbit in cane ed ossa, ma senza l'eccessiva prorompenza di forme. Pareva una fata scesa sulla terra, con la lunga chioma rosso mogano pettinata in un'acconciatura tanto perfetta quanto semplice. Il volto delicato e gentile, le labbra carnose colorate di un tenue rosa cupo e le finissime sopracciglia rosse che parevano quasi bionde e quasi invisibili. Il naso alla francese era forse l'unica cosa che la faceva sembrare più umana, quel tratto che da bambina le era valso il nome di “faccia da maiale” e che, più tardi, avrebbe fatto pentire amaramente chiunque l'avesse pronunciato. Gli occhi grandi e dal taglio allungato, truccati con la perfezione di un professionista, erano di un verde così brillante da sembrare finto.
Per un attimo Magnus pensò che quella fosse la versione donna, sexy ed irraggiungibile della piccola Clary Fray, ma la verità era che per quanto graziosa potesse essere la giovane non sarebbe mai stata bella come quella magnifica visione che rispondeva al nome di Quinn Seelie. Non avrebbe mai avuto dei capelli ben disciplinati come i suoi, dei movimenti così regali e aggraziati ed un corpo così perfetto. Così come non avrebbe mai avuto i suoi modi da regina o i suoi occhi di quel colore così particolare.
Ma per quanto sentisse il bisogno di abbracciare quella fata, dirle che era magnifica come ogni giorno della sua vita, chiederle dove avesse comprato quel vestito così dannatamente sexy ed elegante al contempo e perdersi a parlare delle solite cavolate di cui discutevano da quando lui aveva circa sei anni e lei a mala pena dodici, ciò che attirò la sua completa attenzione fu il suo accompagnatore.
Magnus si sentì come un bambino che rivede il genitore dopo un lungo viaggio di lavoro ed in effetti lo era: non vedeva quell'uomo da quasi due anni, se non si contava quel giorno, e poterlo finalmente riabbracciare senza pensare ad altro se non a festeggiare e godersi la sua presenza, ricordando quegli anni felici in cui nessuna preoccupazione ancora lo sfiorava era tutto ciò che voleva.
Lo aveva cresciuto, non era sempre stato al suo fianco, era spesso occupato con il lavoro o con qualche commissione, si era trasferito anni prima e si vedevano davvero poco, ma come poteva Magnus impedirsi di essere così felice nel rivederlo?
Non poteva e ad essere sinceri neanche voleva, non ce n'era bisogno.
Un membro delle sua famiglia, uno dei “più grandi” era tornato da loro. Tutto ciò bastava.
Come Lily si era fiondata su per le scale rincorrendo Raphael così Magnus si buttò letteralmente tra le braccia dell'uomo, spalancate e pronte a prenderlo come avrebbe fatto ogni padre con il proprio figlio, malgrado Magnus si fosse lanciato dai cinque gradini che lo separavano dal marciapiede.
Gli strinse le braccia al collo e lasciò che l'altro sostenesse tutto il suo peso, un sorriso gigantesco che andava da un orecchio all'altro.
<< MALCOM!>>
Urlò senza preoccuparsi di dar spettacolo.
Lui lo strinse ancora più forte, proprio come quando era bambino e lo andava a prendere a scuola.
<< Ciao bambino, felice di rivedermi?>> gli chiese gentile carezzandogli la nuca.
Magnus annuì. << Non sai quanto.>> e nel dirlo la gola gli si chiuse. C'erano troppi significati e parole non dette i quella manciata di sillabe e Malcom lo capì perfettamente.
<< Lo so Mags, mi dispiace così tanto… se solo fossi stato qui...avrei potuto far qualcosa.>> serrò ancor di più la presa sulle sue spalle e lasciò che l'asiatico poggiasse il volto contro il suo collo.
No, non avrebbe potuto far nulla, esattamente come non avrebbe potuto far nulla Magnus stesso, ormai lo aveva capito, lo aveva accettato, non sarebbe cambiato nulla se non-

<< … Ora starei indagando su un duplice omicidio.>>

La voce di Alexander gli sfiorò piano il timpano come stava facendo il respiro di Malcom.
Con una grande sorpresa -e forse non sarebbe dovuta essere neanche così grande- Magnus si disse che avrebbe volentieri fatto parlare il suo vecchio babysitter con il suo attuale babysitter.
<< Non avremmo potuto fare niente.>> borbottò allora.
<< Sarei potuto starvi vicino.>> sentenziò l'uomo e Magnus sapeva che quella era la sua ultima posizione, non c'era nulla che lui potesse fare per farlo sentir meglio.
<< A te e a quella testolina azzurra là giù.>> gli diede una pacca sulla schiena e lo fece scostare quel tanto che bastava per poter accogliere tra le sue braccia anche Catarina, che sorridendo con gli occhi lucidi lo stritolò come aveva appena fatto lui.
<< Ciao Mal, non sai quanto mi sei mancato.>> disse scoccandogli un bacio sulla guancia.
Lui rise. << Ti fanno impazzire così tanto, tesoro? Beh, da come mi hanno accolto il niño e la bambolina, forse non dovrei stupirmi più di tanto. Non hai ancora trovato nessuno che possa aiutarti a sopportarli?>>
I due giovani sorrisero e Catarina avrebbe voluto dirgli che una volta c'era qualcuno che la aiutava, qualcuno che riusciva ad essere la voce della ragione di Magnus e che, in un modo che nessuno di loro aveva mai capito e mai avrebbe fatto, riusciva ad affascinare Raphael, a farlo fermare dalla sua continua folle corsa per affermarsi e dimostrare a tutti quanto fosse in grado di fare, quanto valesse, l'unica persona che riusciva chiedergli un favore qualunque e vederselo realizzato immediatamente.
L'unica persona che guardava Lily, le prendeva le mani e le diceva di fare un respiro profondo, di calmarsi e di non lasciare che gli altri, con i loro stupidi pensieri e sguardi, la facessero sentire inadatta a qualcosa, che anche se era una donna valeva tanto quanto i suoi cugini se non di più.
Ma Ragnor era morto e lei ora non aveva più nessuno che le desse manforte di quella perenne lotta contro la follia dei loro amici e del mondo che li circondava.
Non aveva più nessuno che le dicesse di andare a dormire, che aveva avuto un turno estenuante e che avrebbe pensato lui a quei deficienti dei loro amici.
<< No Mal, lo sia che ho gusti difficili.>> disse con voce tremante.
L'uomo annuì e le diede un bacio in fronte.
<< Lo so tesoro, lo so.>> e Catarina poteva essere sicurissima del fatto che lui lo sapesse veramente.

 

 

 

Malcom Fade era stato, durante la sua adolescenza, uno dei galoppini di Asmodeus ed era proprio così che Magnus lo aveva incontrato. Anche se “incontrato” non era proprio la parola esatta.
Dopo i suoi genitori e senza contare i medici, era stato un tredicenne Malcom a prenderlo in braccio per primo. Suo padre lo aveva “preso con sé” perché figlio di una delle cameriere che lavoravano in uno dei suoi locali, una donna tanto gentile e delicata che nessuno riusciva a capire come fosse finita a volteggiare attaccata ad un palo in un locale gremito di gente di ogni tipo che cercava solo di allungare le mani sul suo fondo schiena. Nathalie Fade era una giovane di appena venticinque anni che era entrata a far parte della lunga lista di ragazze madre che l'America vantava. Chi fu ad assumerla al nightclub nessuno se lo ricordava, ma chi la tolse dal palco e la mise, prima tra i tavoli, poi dietro al bancone ed in fine in una delle spa del Principe dei Demoni, era stata la madre di Magnus.
Nathalie l'aveva trovata per caso nel bagno del vecchio night una sera, in lacrime per colpa di un giovane che l'aveva trattata come una poco di buono e aveva cercato di metterle le mani addosso. L'allora ballerina, contro tutte le regole e a rischio di essere licenziata da un lavoro che le serviva tantissimo visto che aveva un figlio di appena nove anni, l'aveva portata con sé dietro ai camerini e aveva fatto di tutto per tranquillizzarla e farla riprendere dallo spavento, dandole consigli su come allontanare gli uomini troppo invadenti o con le mani troppo lunghe, raccomandandole di avvicinarsi sempre al bancone o alle altre ballerine come lei che erano pagate per sopportare quelle attenzioni. La ragazza rimase così colpita dalla gentilezza di quella sconosciuta da tornare a farle visita negli orari più tranquilli solo per parlare e vedere come se la cavava Nathalie con tre lavori ed un figlio.
Era successo circa un mese dopo, Asmodeus aveva deciso di vedere con i suoi occhi come se la cavavano al locale ed aveva incontrato quella ragazza, che pareva non aver proprio nulla a che fare con la sua impresa, che attendeva la pausa del turno di una sua amica, una ballerina, che l'aveva aiutata in un momento difficile. Dire che Asmodeus rimase folgorato dalla giovane è un eufemismo, Annika Soon aveva letteralmente conquistato Adam al primo colpo.
L'uomo non aveva osato dire chi fosse davvero e si era ripresentato al proprio locale, sotto mentite spoglie solo per incontrare la simpatica e dolce ragazza che voleva assicurarsi che nessuno toccasse la sua amica. Le era bastato lasciarsi sfuggire la cosa una volta e quella dopo Nathalie era stata assegnata al servizio al tavolo.
Ogni qual volta Ann si lamentasse o esprimesse la sua preoccupazione per la sua amica questa veniva spostata ad un altro impiego, finché Adam non ebbe il coraggio di dire alla ragazza chi era davvero, e chi lei sospettava già da tempo essere, e Annika non chiedesse espressamente a quello che era diventato il suo uomo di dare a Nathalie Fade un lavoro dignitoso che le permettesse di lasciare il Night e occuparsi meglio di suo figlio. Quando ciò accadde Malcom aveva appena fatto undici anni e Asmodeus pensò che gli facesse comodo avere un porta lettere che si occupasse di portargli il giornale e ritirargli la posta, facendo così un regalo inaspettato ad entrambe le donne che seppero che il ragazzino era sotto la sua protezione.
Malcom non aveva mai avuto problemi con bulli o gang, mai con nessuno, almeno finché Annika non era rimasta incinta ed era nato Magnus Bane. Allora si che ne aveva avuti di problemi.
Malcom era stato il primo compagno di giochi di Magnus, il suo primo “fratello acquisito”, il primo estraneo a preoccuparsi di lui così intensamente ed disinteressatamente da farlo sentire amato ed in famiglia come solo sua madre era stata capace di fare.
Poi era arrivata Lily, vincendo su tutti perché i suoi genitori erano in affari assieme e le loro madri erano diventate amiche, tra una riunione e l'altra. A Lily si era aggiunta presto Catarina, dopo di lei Ragnor, il figlio dell'infermiera che si occupò di sua madre quando stette male e poi Raphael. Quinn l'aveva sempre vista nei paraggi, per gli uffici di suo padre e Meliorn, il bambino che la dolce rossa aveva preso con sé perché orfano e maltrattato dai ragazzini dell'orfanotrofio in cui si trovava, era stata una gradita conseguenza.
Ad oggi, quello strano assembramento di persone era diventata la sua famiglia e malgrado tutti i problemi e tutto il caos, Magnus non poteva chiedere di meglio.
Spostò lo sguardo sull'enorme tavolata che li ospitava, su tutta la famiglia Santiago, con tutti quei mocciosi festanti rilegati al tavolo dei bambini, in fondo alla sala, su Raphael che punzecchiava Lily come facevano da quando si erano conosciuti; il signor Chang e Malcom che chiacchieravano tranquillamente del lavoro del più giovane a Los Angeles, su Catarina e Quinn che discutevano di fiori assieme ad un più che presente Meliorn che le correggeva ogni qual volta ce ne fosse bisogno.
I piatti erano ancora vuoti e le pietanze tutte incastrate al centro, tra bottiglie di bevande varie, pane, tovaglioli e bicchieri. Se si fosse girato, Magnus lo sapeva, avrebbe trovato altri tavoli piedi di cibo, dolci tipici natalizi e decorazioni di ogni genere.
Un sonoro battito di mani attirò l'attenzione generale, Guadalupe si era alzata in piedi e dal suo posto a capo tavola, con indosso ancora il suo bel grembiule, così come le sue sorelle, le cognate e le altre madri della famiglia, sorrise a tutti loro e chiese un attimo di silenzio.
Allungò le mani verso le persone a lei più vicine e ben presto tutti si strinsero gli uni altri altri.
<< Prima di cominciare a mangiare e festeggiare finalmente il santo Natale, quest'anno più di ogni altro, prendiamoci per mano e diciamo una preghiera, ringraziando il Signore di ciò che ci ha dato e chiedendogli di porgere una mano a chi ci ha lasciato.>>
Molti abbassarono la testa e chiusero gli occhi, Magnus vide Malcom strizzare i suoi dietro alle lente degli occhiali eleganti, Catarina imitarlo così come molti altri. Si ritrovò solo a tenere i suoi ben aperti e fissi sul riflesso di una brocca d'acqua, finché non si sentì osservato e si ritrovò a fissare le iridi calde e scure di Raphael, lo sguardo improvvisamente lontano anche se continuava a guardare lui.
Lo capiva, in un certo senso lo capiva. Non ci sarebbe mai riuscito fino in fondo, non aveva mai davvero compreso cosa legasse Raphael a Ragnor e voleva sperare con tutto il suo cuore che non fosse stato amore.

Per favore, per favore. Non amore. Dimmi che non ha perso la persona che amava, non di nuovo.

Ma Raphael continuava a fissarlo senza guardarlo, mentre sua madre e tutta la sua famiglia recitava un semplice, quanto sentito, Ave Maria.
Le labbra del suo amico non si muovevano, stette in due linee fredde e piatte che cercavano di nascondere quanto stesse soffrendo, quanto gli facesse male tutto quello. Da una parte sapeva che lo apprezzava, ma dall'altro doveva essere un supplizio tanto quanto lo era per lui.
<< Accogli l'anima dei nostri defunti e anche quella del caro Ragnor, che purtroppo si unisce a te prima di quanto fosse stato programmato.>> continuò Guadalupe seria come solo il momento poteva richiedere. << E ti rendiamo grazie, >> Magnus si accigliò, per cosa dovevano ringraziare? Per la morte di Ragnor? Perché finalmente raggiungeva il creatore dopo anni di sofferenze e sforzi? Strinse di più la mano di Catarina ma furono di nuovo gli occhi di Raphael a fermarlo.
Perché lui non protestava?
<< Ti ringraziamo per averci mandato qualcuno di buono e giusto per dargli giustizia e pace qui sulla terra come tu gliene darai nei tuoi regni.>>
Cosa? Stavano ringraziando…
Alexander?
Raphael annuì alla sua aria stupita e accennò un minuscolo sorriso.
Glielo aveva detto, era stato lui: Raphael l'aveva raccontato a sua madre, quindi sicuramente a tutta la famiglia, che ad occuparsi della morte di Ragnor era stato un detective buono e giusto, che aveva fatto giustizia nonostante tutto solo perché era, beh, giusto.
Gli sorrise grato di quel suo inaspettato gesto.
<< Ti ringraziamo anche per averlo posto a protezione del nostro Magnus e per averlo protetto da tutti i pericoli che ha dovuto affrontare.>>
Magnus si voltò verso la donna e la trovò a guardarlo con gli occhi amorevoli di una mamma grata di vedere vivo suo figlio, malgrado potesse leggere in quello sguardo, così simile a quello di Raphael, il dolore ed il rammarico per la perdita di un altro figlio.
<< Grazie per averci protetto tutti e per averci permesso di riunirci qui questa sera. Amen.>>
<< Amen. >> fu il pronto coro di tutto il tavolo.
E Magnus si sorprese più di chiunque altro nel sentire quella stessa parola uscire dalle proprie labbra.
Amen. Si, quella storia era finita e che ora tutti coloro che ne erano stati coinvolti ricevessero un po' di pace.

 

 

 

Il brusio generale che riempiva la sala, ad onor del vero, non riempiva solo la sala.
Forse perché quella non era una semplice sala.
Nel progetto originale quell'enorme spazio era un salotto, due camere da letto, un bagno ed una cucina. Era un appartamento ad essere pratici.
Quando però i Santiago aveva comprato il Palacio e avevano deciso che ci sarebbe entrata tutta la famiglia, avevano anche trovato opportuno rendere il piano terra “comune”.
Ora, in quello che doveva essere il primo appartamento dell'immobile, regnava il più bel caos natalizio di sempre.
Magnus non si era reso conto di quanto avesse bisogno di staccare da tutto e tutti e godersi semplicemente la sua famiglia finché non ne aveva avuto l'opportunità.
Si lasciò cadere con le spalle contro lo schienale della sedia e sospirò pesantemente, allargando il nodo alla cravatta e sbottonando i primi due bottoni del colletto, non aveva la più pallida idea di come facesse Raphael a tenersi ancora la giacca, persino l'impeccabile Malcom alla fine aveva ceduto e se l'era tolta.
<< Mi fai caldo solo a guardarti, com'è possibile che tu riesca a tenerti quella cosa addosso quando in questa sala c'è la stessa temperatura da soffocamento che abbiamo avuto questa estate?>> chiese rivolto all'amico che alzò gli occhi al cielo.
<< Hai mai pensato di farti un controllo alla tiroide, Bane? Non sono la prima persona che assilli con questa storia, credo che un altro povero cristo si sia beccato le stesse lamentele per tutto luglio e pure per buona parte d'agosto.>> replicò l'altro.
<< Esatto, quindi siete voi due che dovreste andare a farvi visitare la tiroide, deficiente, perché qui tutti stiamo morendo di caldo tranne te.>>
<< E' il cibo, la digestione sprigiona calore. Vuol dire che hai mangiato come una pattumiera.>>
Catarina sospirò già stanca di quel discorso e Malcom ridacchiò.
<< Chi è l'altra persona che riesce a tenersi la giacca con una “temperatura da soffocamento”?>>
<< Il toyboy di Mags, quello che gli ha salvato il culo. In tutti i sensi poi… >> fece Lily inserendosi nel discorso malgrado stesse parlando con Meliorn, che ridacchiò anche lui della precisazione.
<< Signorinella, te escucho9!>>tuonò Guadalupe nonostante la confusione che rendeva incomprensibili la maggior parte dei discorsi.
<< Ma non ho detto niente di male sta volta!>> si giustificò subito Lily, imbronciandosi come una bambina.
<< No importa, atenta a ti10!>> La rimbeccò prima di tornare a discutere animatamente di lei solo sapeva cosa con sua sorella.
I ragazzi risero sia alla frecciata della signora Santiago sia alla faccia di Lily, che scioccata fissava male la matrona. Almeno prima che Malcom le infilasse una fetta di torta nel piatto.
<< Mangia la torta Bambolina e non ci pensare, okay? Lo sai che Guadalupe lo fa solo perché vuole che parli come una signorina e non come ti hanno insegnato i tuoi cugini.>>
Lily sbuffò ma prese comunque una forchettata di dolce. << Io parlo come una signorina.>> borbottò.
<< E Magnus è biondo.>>
<< Che cazzo centro?!>> Si voltò dando un calcio a Raphael. Il ragazzo schivò con facilità e sorrise in modo fin troppo compiaciuto quando la voce di sua madre arrivò a riprendere anche lui.
<< Si Magnus, anche tu devi stare attento.>> gongolò schivando l'ennesimo colpo e abbassando la testa anche in tempo per evitare la scia dello scappellotto che Guadalupe assestò sulla nuca ben pettinata dell'asiatico quando questo gli rispose con un bel “figlio di puttana”.
<< Non cominciate, lo sapete che a Natale non voglio che usiate le mani.>> e per calcare ancora di più le cose afferrò uno dei tanti nipotini che correvano per la sala brandendo armi giocattolo e diede uno scappellotto anche a lui per aver colpito un altro cugino e avergli fatto male. Lo lasciò andare come se nulla fosse e nello stesso esatto modo, dopo aver scosso la testa ed essersi ripreso, il bambino aveva ricominciato a correre.
<< Andiamo a fare il caffè, lo prendete tutti, si?>> chiese poi alzando la voce per farsi sentire da ogni commensale.
Un coro di assenso si librò nell'aria satura di profumi, voci e suoni, Guadalupe e le altre donne della famiglia, le più grandi per intenderci, quelle meritevoli del titolo di matrona, che potevano vantare almeno tre figli e qualche nipote, annuirono alla risposa, come se non si aspettassero altro e fossero soddisfatte di quanto ricevuto e sparirono oltre la porta che conduceva all'enorme cucina.
Raphael si allungò verso l'esterno e agguantò al volo l'angolo della gonna di una delle sue tante zie.
<< ¿Tía, puede llevar también la leche?11>> le chiese gentilmente.
La zia in questione, Zia Carmen, una donnona di circa sessant'anni con le guance piene e rosee ed il volto sempre gioviale, sorride al nipotino e gli diede una delicata carezza sul capo ben pettinato.
<< Seguro niño.>> e si ricongiunse alle altre cognate.
Quando la porta si fu chiusa Lily sfoderò un ghignetto preoccupante e guardò Magnus fisso negli occhi.
<< Allora? Dov'eravamo rimasti?>>
<< Al poliziotto che gli salva il culo?>> domandò con non-chalance Meliorn, sapendo perfettamente a cosa puntava invece l'amica, specie dopo l'aggiornamento del suo arrivo a casa e di come Guadalupe avesse interrotto il racconto di Magnus.
L'asiatico sorrise e rimise le mani nella stessa posizione di prima.
<< Così.>> disse semplicemente, restituendo alla ragazza lo stesso ghigno. << E direi proprio che ha salvato il mio culo. Si, decisamente.>>
I ragazzi risero, Malcom fece una smorfia voltandosi verso Quinn come a chiedergli perché dovesse assistere a certe conversazioni. Li aveva visti crescere, per l'amor di Dio, chi aveva detto che dovesse per forza interessarsi anche dei dettagli della loro vita sessuale? E pensare che era stato lui a comprare a Magnus il suo primo pacchetto di preservativi, perché ormai lo vedeva un po' troppo spesso troppo appiccicato alla sua ragazza.
Sospirò. << Non credo di voler sapere altro.>>
<< Allora ti conviene alzarti ed andartene, perché Magnus mi ha promesso che dopo il suo racconto dovremmo asciugare il pavimento.>> disse lapidaria Lily. Malcom controllò alla sua destra per vedere se c'era ancora suo padre, ma l'uomo era seduto assieme agli altri padri della famiglia lontano dalla figlia.
Almeno lui se la poteva risparmiare questa.
<< Non lo voglio sapere. Adesso ne ho la certezza.>>
<< Andiamo Mal! È davvero una storia degna di essere raccontata. Pensa che mi ha tenuto sollevato per- >>
<< Ohi, Raph? Tìa dice che è finito il latte.>>
La voce di Cris -Cristiano, mamà non poteva dare a me il nome di un angelo guerriero e a te questo, non riesce a pronunciarlo nessuno- interruppe per l'ennesima volta il discorso di Magnus, che alzò gli occhi al cielo imprecando a mezza bocca.
<< Ma che avete voi Santiago? Siete fatti per interrompermi ogni volta che apro bocca?>>
<< Io me le farei un paio di domande se il Signore ti tappa quella cazzo di bocca ogni volta che provi a dire qualche cosa delle tue, Mags.>> sorrise il ragazzo poggiando una mano sulla spalla del fratellino e una su quella del suo vecchi amico.
<< Taci Cris, siete solo voi che godete nel rompermi le palle, altro che Signore, non penso che Dio, con tutto quello che ha da fare, si diverte a programmare la vostra venuta ogni volta che devo dire qualcosa di interessante.>> borbottò infastidito ma abituato al tono canzonatorio del secondo figlio di Guadalupe.
<< E poi il vostro Dio non mi priverebbe mai di una gioia così grande, è potente e misericordioso no?>> s'intromise Lily muovendo una mano come a sottolineare l'ovvio.
Cris alzò un sopracciglio. << Niño perché sei ancora assieme a questi poveri miscredenti?>>
<< Perché la Bibbia dice di aiutare i più bisognosi.>> disse con tono annoiato ed ovvio il giovane.
<< Allora, che stavi dicendo?>> gli chiese poi.
Quello si riscosse dai suoi pensieri, e dalla faccia annoiata e consapevole identica a quella del fratellino che gli si era dipinta in faccia, e annuì.
<< Tìa Carmen mi ha detto di dirti che il latte è finito, ci vuoi lo zucchero nel caffè?>>
Raphael non prendeva mai il caffè con lo zucchero, era una di quelle abitudini che gli aveva lascito suo padre, il “vizio” di non “contraffare” il caffè con lo zucchero, che ne alterava il sapore, ma di metterci comunque dentro il latte per mitigarne l'amarezza.
Era una stupidaggine, una cosa che poteva essere cambiata per una volta ma Raphael Santiago era un essere così profondamente organizzato ed abitudinario che anche una piccolezza come quella lo irritava.
<< Che cazzo vuol dire “abbiamo finito il latte”?>> sibilò minaccioso al fratello.
<< Esattamente quello che ho detto mocoso12, abbiamo finito il latte.>>
<< Non può essere finito a Natale, Madre de Dios!>>
<< Raphael no jurar13!>>
gli urlò la madre dalla cucina.
<< No blasfemé, mamà14! Chi è l'incompetente che ha fatto la spesa?>>domandò poi assottigliando lo sguardo.
Il fratello si strinse nelle spalle. << Esteban, penso.>>
<< Perfecto.>> Quell'ultima parola gli sfuggì dalle labbra come il verso di un serpente e con altrettanti moti sinuosi si alzò da tavola, chiuse i due bottoni della giacca che aveva aperto quando si era seduto ad inizio serata e con un cenno del capo si congedò dai presenti e si incamminò verso l'ingresso e le scale dirette ai piani superiori.
I ragazzi si guardarono con fare interrogativo, Cris si strinse nelle spalle e poi si mise le mani in tasca.
<< Lasciatelo stare, è un moccioso viziato, gli manca il latte e come un poppante si dispera. Tsk.>> scosse la testa e tornò verso la cucina da dove sarebbe potuto uscire per tornare a fumare, come stava facendo prima che la zia lo prendesse per un braccio e lo spedisse ad avvertire il suo fratellino.
<< Quindi? Questa pozzanghera?>> insistette Lily facendo tornare tutti al discorso principale.
<< Potete aspettare che mi alzi di qui e non vi senta?>> domandò Malcom alzandosi e rimettendosi la giacca. << Vieni con me o rimani a sentire i piccoli sporchi segreti dei nostri bambini?>> chiese gentilmente a Quinn e ci pensò su seriamente prima di sorridergli e fargli cenno di no.
<< Rimango a sentire i piccoli sporchi segreti, così se c'è qualcuno da far fuori te lo dico.>> Le belle labbra si tesero in modo furbesco e Malcom annuì, spostandosi un ciuffo di capelli argentei oltre la fronte.
<< Basta che poi non mi dici i dettagli.>> fece in fine allontanandosi.
Lo seguirono tutti con lo sguardo, poi l'attenzione fu tutta per Magnus.
<< Allora?>>
<< Mi ha tirato su con una facilità incredibile.>> cominciò lui.
<< E' più altro di te?>> domandò la rossa. << Stiamo parlando del bel poliziotto, no?>>
<< Non lo hai visto? Poco male, neanche io, rimedierò domani.>> disse Lily tutta attenta.
<< Si, è più alto di me, ma non di molto. Però ha il fisicaccio di un poliziotto. È un detective ad onor del vero. A Febbraio lo fanno Tenente.>> disse come se fosse un uno vanto personale.
Meliorn corrugò le sopracciglia. << Allora non è un detective semplice.>>
<< Perché?>>
<< Hai detto che lo promuovono Tenente, no?>>
<< Lo hai sentito.>> annuì Magnus.
<< Allora adesso non è un Detective normale, è un Sergente.>> spiegò lui. << Questa è la graduatoria: Agente, detective, detective di primo, secondo, terzo grado, Sergente, Tenente e Capo.>>
<< E tu perché lo sai?>> chiese Lily guardandolo con un sopracciglio alzato.
<< Perché a differenza tua mi interesso di chi mi sta attorno. E di chi mi mette i bastoni tra le ruote.>>
Magnus lo guardò senza capire. << Ma insomma, me lo avrebbe detto, giusto? Che senso ha presentarsi come Detective della Omicidi quando sei un Sergente? Nessuno sano di mente non userebbe il suo vero titolo ma uno inferiore, no?>>
Catarina annuì debolmente ma poi sorrise. << Alexander però è un tipo timido, magari è per questo che non ha mai detto nulla.>>
<< Ma anche il suo Capo lo chiama solo “agente” o “detective”, pure quella vecchia strega della Signora.>>
<< Allora non so che dirti, forse doveva prendere la promozione da Sergente ma visto che c'è stato tutto il casino della talpa al dipartimento non gliel'hanno consegnata e fanno tutto in un colpo solo. Non lo so Mags, sono un'infermiera, non una poliziotta.>>
<< E poi non ce ne frega un cazzo.>> s'intromise Lily. << Io voglio sapere solo se ti ha dato una ripassata degna di questo nome.>> continuò abbassando un poco la voce, quasi timorosa che la Signora Santiago la sentisse.
Il sorriso compiaciuto di Magnus valse molto più delle sue parole. << Oh, tesoro, eccome se me l'ha data. Ti stavo dicendo: mi ha sollevato come fossi una piuma- >>
<< In effetti dovresti mangiare un po' di più.>>
<< Anche no, Quinn. E Mi ha sbattuto al muro. Poi, quando ho ribaltato le posizioni si è impuntato con le spalle contro il muro e mi ha praticamente tenuto seduto sui suo cazzo di addominali da paura.>>
<< Cioè? Com'è possibile?>> Lily si sporse sulla tavola per farsi più vicina e sentire meglio la storia. Una storia che Catarina aveva già ascoltato e che le faceva venir da sorridere. Non tanto per quello che era successo: per carità divina, se Magnus non aveva pompato tutto il racconto ed era effettivamente successo quello che diceva anche lei c'avrebbe messo la firma per una nottata del genere. Eppure non riusciva a togliersi quel vago senso di vergogna se pensava a chi era l'altro.
Alexander Lightwood era stato una vera manna dal cielo per loro e per il caso di Ragnor, si sentiva un po' in colpa nel conoscere dettagli del genere su di lui, su un giovane così serio e diligente che si era fatto fregare da quel serpente ammaliatore che era il suo miglior amico.

Non che Lightwood non abbia fatto la sua parte, se quello che Mags ha detto è vero se l'è proprio giocata contro un degno avversario, quella partita.

Ridacchiò divertita dai suoi stessi pensieri, malgrado il leggero rossore che le imporporava le guance e voltò la testa nell'attimo esatto che le servì per vedere una scena che avrebbe volentieri evitato di vedere.
Perse il sorriso e divenne subito seria, allungando una mano verso Magnus per richiamare la sua attenzione ed interrompendolo proprio nella descrizione delle possenti spalle del detective.
<< Mags?>>
<< Mh?>> disse senza davvero ascoltarla, seguendo le esclamazioni delle ragazze e le risate divertite di Meliorn che lo prendeva in giro per essersi fatto metter sotto da un poliziotto.
<< Dimmi che quello che ho appena visto scendere le scale non è Raphael armato di mazza da baseball pronto ad uccidere il poveraccio che si è scordato di comprare il latte.>> fece Catarina con gli occhi chiusi, massaggiandosi le tempie.
Magnus si risvegliò di colpo dallo stato di puro compiacimento che lo avvolgeva ogni volta che doveva raccontare le sue prestazioni e girò di scatto la testa nella sua stessa direzione, scorgendo però solo un'ombra che si trascinava dietro una mazza di legno.
<< Eh… non lo è?>> provò lui, il tono troppo titubante per essere sicuro.
<< Raphael! Por el amor de Dios, no me ensucies el suelo de sangre, has hecho lustrar el mármol acecha por nativo. ¿Qué figura nos hacemos si dejas huellas por toda casa15?>> urlò ancora la signora Santiago da lontano.
I due amici si guardarono per un lungo istante.
<< Non voglio neanche sapere come ha fatto a sentirci.>> disse Magnus.
<< Non voglio neanche sapere perché la cosa che la preoccupa di più sia il marmo.>>
<< Io vorrei sapere perché non posso sapere tutta sta cazzo di storia in una volta sola, ma se il problema ora è Raphael che cerca di uccidere a mazzate il coglione che non ha preso il latte, va bene.>> poggiò le mani sul tavolo e si spinse indietro, le spille da balia che reggevano lo scollo del suo vestito, rendendolo più “decente” come aveva detto Guadalupe, si tesero come braccia che cercando disperatamente di tenere unite due metà.
Stupidamente, Magnus pensò che potevano essere una versione oggettistica di Spiderman e del pezzo del treno.

 

E perché cazzo deve sempre esserci quel fottutissimo pezzo?”
“ Perché è un pezzo fighissimo in cui ti rendi conto che lui è un supereroe si, ma è anche umano. Andiamo, Magnus! Alec! La battuta più importante di quella scena? Quella più sentita e assolutamente intensa?”
“ Ma è solo un ragazzo” aveva risposto Alec con voce monocorde dalla cucina del loft di Magnus.
Simon aveva annuito soddisfatto.
“ Me è solo un ragazzo. Questo Magnus! Questo è Spiderman! Ecco perché è l'eroe preferito di tutti.”
“Io preferisco Ironman” aveva borbottato lui.
“ A me piace Captan America.” era stato invece il bisbiglio di Alec.
Magnus e Simon si erano guardati per un istante, comprendendo al volo i pensieri dell'altro.
“ PATRIOTTISTA!” Gli avevano urlato in coro, so
gghignando soddisfatti dello sbuffo che sentirono.
“Fottetevi, è il migliore e basta.”


Si ritrovò a sorridere come un deficiente, fissando il punto in cui Lily non c'era più e maledicendosi per i suoi stupidi pensieri. Aveva passato troppo tempo con quei due, quell'estate, e ora non ce ne passava abbastanza. Era una cosa snervante e anche fastidiosa.
<< Sarà andata a picchiarlo?>> domandò Catarina.
<< Mi sorprendo che non siano ancora da qualche parte a limonare.>> disse invece Meliorn guadagnandosi un'occhiata scettica da tutti loro.
<< Che c'è? È l'unica che riesca a farlo comportare come il ragazzino troppo cresciuto che è. Chi di noi può dire di aver spinto Raphael Santiago a correre per i corridoi di casa sua, brandendo una spillatrice come se fosse un moccioso che cerca di tirare le trecce alla bambina con cui ha litigato?>> fece con ovvietà.
Ci pensarono su per un attimo, poi Quinn scosse la testa. << No, non penso, insomma, si conoscono da troppo tempo. Si comportano come due bambini ma io li vedo molto di più come due fratellini. Lei è la sorella minore che non ha mai avuto.>> Avrebbe continuato la frase, lo sapevano tutti, ci sarebbe stato da dire che Lily non era proprio quella perfetta per Raphael, che gli serviva un carattere molto più pacato che reggesse il suo carattere di merda e che portasse equilibrio in una persona che tendeva sempre all'estremo pur di dimostrare di essere degno del posto che occupava. Avrebbero tutti detto che gli serviva qualcuno come Ragnor. Ragnor che era stato sulla bocca di tutti per tutta la sera, che proprio quando veniva a mancare pareva essere collegabile ad ogni discorso e ad ogni parola.
Ma stettero tutti zitti, ascoltando solo le urla soffocate dalla porta della cucina di Lily e di Raphael che litigavano per l'ennesima volta per qualche stupidaggine, che avrebbero fatto pace senza neanche bisogno di dirselo.
Magnus sorrise con fare triste ai suoi amici e cercarono di concentrarsi su altro, attendendo che le dodici macchinette del caffè -da dieci caffè l'uno- si facessero e che venisse servito.
Il tremolio del telefono che gli vibrò in tasca ai pantaloni lo risvegliò da quell'attimo di cupezza calato sul quella parte di tavolo. Con un cenno di commiato Magnus estrasse l'apparecchio e si allontanò dalla confusione della festa per nascondersi nel salotto dove giocavano i bambini e poi dentro allo studio dove venivano fatti accomodare gli ospiti “importanti”.
Chiuse la porta alle sue spalle e tirò un sospiro di sollievo, guardando il display e sperando quasi che fossero Alexander o Simon a chiamarlo per fargli gli auguri, era quasi mezzanotte dopotutto.
Il numero che lesse però era privato e di certo non poteva essere dei due poliziotti.
Aggrottò la fronte e fece scorrere il dito sullo schermo per accettare la chiamata.
<< Pronto?>> domandò con voce curiosa.
<< Buon Natale mostriciattolo!>> tuonò una voce fin troppo conosciuta dall'altro capo del telefono. E per quanto Magnus potesse aver mille cose da ridire, come il fatto che non fosse un “buon” Natale perché il suo miglior amico era morto, perché gli avevano sparato e tante altre cose, non riuscì ad impedirsi di sorridere e rispondere con voce allegra.
<< Papà! Buon Natale anche a te! Dove sei? Tutto bene?>> domandò con le labbra incurvate verso l'altro.
Un rumore gli segnalò un movimento, forse aveva annuito o preso un sorso di qualcosa.
<< Bene come sempre, ragazzino. Quest'anno si festeggia a Tel Aviv, lo sai che adoro questo paese.>>
<< Credo che tu sia uno dei pochi, non c'è molta gente che adora Israele.>>
<< Perché la gente è stupida Magnus. Se solo la smettessero di spararsi e si godessero il clima e il panorama...>> disse con voce vaga. << C'è un cielo magnifico oggi, è stata una notte tersa e luminosa, ti sarebbero piaciute le stelle che si vedevano, completamente diverse da quelle di New York. >>
<< Non ci sono stelle a New York, papà, c'è troppa illuminazione artificiale.>> sussurrò di rimando.
<< Lo so. Mi sarebbe solo piaciuto che tu le vedessi, invece di stare lì.>>
Magnus sapeva leggere tra le righe e scorgere il vero significato delle parole di suo padre, gli stava dicendo che avrebbe preferito averlo al suo fianco quell'anno, lì con lui ad Israele piuttosto che a New York ad affrontare il caos in cui era stato coinvolto.
La morte di Ragnor.
Sia lui, che Catarina, Malcom, Lily, Raphael e Quinn, la famiglia Santiago e pure la Chang, nessuno di loro era riuscito a pagare neanche il più piccolo dettaglio del funerale di Rangor e tutti quanti avevano capito perché.
Si era presentato uno dei dirigenti della più famosa pompe funebre dello Stato, la stessa che si era occupata dei funerali dei presidenti, e aveva semplicemente comunicato loro di dirgli cosa preferivano per il loro amico. Qualunque cosa, gli avevano detto, persino una bara tutta in cristallo se lo desiderate.
Non era stato difficile per nessuno capire chi stesse pagando il tutto.
Forse suo padre non c'era stato fisicamente, ma c'era stato come aveva sempre fatto: silenziosamente e da lontano.
E l'interno della bara, completamente dipinto come la notte stellata di Van Gogh era stato il suo ultimo regalo a Rangor Fell, il giovane uomo che aveva portato la bellezza e la finezza dell'arte nella sua vita sin da quando aveva appena quindici anni.
Asmodeus poteva avere tanti di quei difetti che non avrebbe potuto neanche elencarli, ma se c'era una cosa di cui nessuno dubitava era che se entravi nelle sue grazie, se venivi fatto riparare sotto la sua ala, non ti avrebbe mai lasciato. Nel bene e nel male.
<< Si, sarebbe piaciuto anche a me.>> si ritrovò a sussurrare.
<< Come stai? Come ti senti? La gamba è guarita del tutto, ma tu senti ancora dolore?>>
Certo, ovviamente sapeva anche tutto delle sue condizioni mediche.
<< E' più che altro un dolore fantasma, ma mi è andata bene, lo sai.>>
<< Si, si, lo so. Ti ha salvato quel giovane.>>
<< Alexander.>> fece rotolare piano quel nome sulla lingua. Suo padre sapeva sicuramente come si chiamasse il poliziotto che lo aveva protetto, ma il fatto che lasciasse a lui le “presentazioni” era solo un segno di gentilezza che Magnus colse volentieri.
Si passò stancamente una mano sul viso. << Alexander mi ha davvero parato il culo. Cat dice che sarebbe stato molto peggio se non mi avesse medicato.>>
<< E' un poliziotto, deve conoscere le tecniche di primo soccorso.>>
<< Avevano sparato anche a lui, alla spalla, però ha pensato a me.>>
<< Ha fatto il suo dovere. Sono poche le persone che ne sono in grado, specie della sua razza.>>
Magnus annuì. << Lui è… diverso. Non saprei come spiegartelo.>>
<< Allora lo è davvero.>> gli sembrò quasi di sentirlo sorridere. << Spero che sia un buon amico.>> gli disse in fine.
Ci fu un secondo si silenzio, poi il padre riprese.
<< Ma da te dovrebbe essere quasi mezzanotte no? Guadalupe mi verrà a cercare e mi ucciderà con le sue stesse mani se ti rapisco proprio allo scoccare del Natale.>> ridacchiarono entrambi divertiti da quella prospettiva, sapendo perfettamente che la donna non lo avrebbe certo ucciso, ma sarebbe volentieri volata in Medio Oriente solo per fargli una bella lavata di capo.
<< La conosci.>>
<< Certo, ma mi perdonerà se ti intrattengo per altri due minuti e ti farò prendere il caffè freddo.>>
Non voleva sapere come facesse suo padre a sapere che stavano per prendere il caffè, davvero non lo voleva sapere.
Prese un respiro profondo. << Me lo terrà in caldo, spero. Cosa devi dirmi?>>
<< Oh, dirti io nulla. Voglio solo passarti una persona.>>
Il rumore del telefono che si muoveva assorbì la sua attenzione. Poteva quasi immaginare l'aria fredda di quella mattinata ancora scura. Il sole non doveva ancora esser sorto da quella parte del mondo, probabilmente suo padre di era alzato solo per fargli gli auguri, o forse non era mai andato a dormire.
Chiuse gli occhi e vide davanti a sé il mare plumbeo del bacino Mediterraneo, una visione quasi fiabesca del panorama che si poteva ammirare dal terrazzo della villa sulla costa in cui suo padre dimorava sempre quando era in quella città. Lo vide con la vestaglia pesante che amava tanto stretta attorno al corpo massiccio avanzare oltre la porta-finestra della grande vetrata e rientrare in casa, cercando chi doveva passargli e porgendogli l'oggetto.
Nei pochi istanti che gli servirono per immaginare la scena una voce che non sentiva da un bel po' gli sfiorò la conchiglia dell'orecchio e lo riempì di brividi. Aprì gli occhi, le pupille dilatate erano un piatto scuro nell'iride lucida, verde come i muschi e dorata come le filigrane dei gioielli più preziosi. Ma era il suo sorriso a fare da padrone del suo volto, le labbra si erano tirate su costrette da un moto involontario delle guance, degli zigomi e della mascella stessa. I denti sigillati gli uni contro gli altri in una fila bianca adornata dal rosa vivo delle sue gengive.
<< Magnus!>>

Una sola parola e quel Natale era diventato improvvisamente magnifico.














 

Salve lettori, come sempre, frase di rito, questa storia è uno spin-off della long “Una pista che scotta”, se state leggendo questi capitoli, non ci capite niente, non vi va di leggere la storia principale ma volete capire almeno un minimo, chiedete che vi sarà detto.
Questo secondo capitolo getta un occhio sul Natale della "criminalità" di NYC. Le parti in spagnolo sono state tirate fuori da quel poco che so e da un buon traduttore, ma se c'è qualcuno che invece lo parla seriamente e nota errori è più che libero di farmelo sapere.
A fine capitolo trovate la traduzione.
Mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto, ci sono state molte più descrizioni rispetto al precedente ma vi ho presentato un paio di personaggi di cui avevo solo accennato nella long, ma spero ne sia valsa la pena.

 

Traduzioni, ovvero ciò che dovrebbero significare quelle frasi:

1- Por favor, recuérdame = per favore, ricordami…
2- Madre de dios me ayudas tú, estás muriendo = Madre di dio aiutami tu, sto morendo.
3- Me ahogo = Soffoco.
4-“Agradece Dios que tu abuela no haya vivido bastante para saber como has llamado aquel sitio. Francés...estará volviendo en la tumba = Ringrazia Dio che tua nonna non sia vissuta abbastanza per scoprire come hai chiamato quel posto. Francese… si starà rivoltando nella tomba.
5-Serà mejor que..= Sarà meglio che…
6- ¿Mamá tienes una estola morada? = Mamma, hai una stola viola?
7- Sí, sayas dónde las tengo. ¿Por qué? Espera. = Si, sai dove le tengo. Perché? Aspetta.
8- ¿Raphael? Tómame de los broches, aquéllos bastarán =
Raphael, portami le spille, quelle bastreanno.
9- te escucho =
Ti sento.
10- No importa, atenta a ti = Non importa, attenta a te.
11- ¿Tía, puede llevar también la leche? = Zia, posso avere un po' di latte?
12- mocoso =
moccioso.
13- Raphael no jurar = Raphale, non bestemmiare.
14- No blasfemé, mamà = Non ho bestemmiato, mamma.
15- Raphael! Por el amor de Dios, no me ensucies el suelo de sangre, has hecho lustrar el mármol acecha por nativo. ¿Qué figura nos hacemos si dejas huellas por toda casa = Raphael! Per l'amore di Dio, non mi sporcare il pavimento di sangue, che ho fatto lucidare il marmo per Natale! Che figura ci facciamo se mi lasci impronte per tutta casa?

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Capitolo 3
*** 3- Christma's Night ***


3- Christmas' Night.
 

 

 

Quando il sole era sorto, quel 25 Dicembre, c'erano tutti i presupposti per una giornata soleggiata e fresca. Il manto candido che copriva New York City era inregolare e macchiato in più punti dalle ruote delle macchine che avevano calpestato la neve compattandola in scivolosi assemblamenti cristallini o sciogliendola in una fanghiglia scura che aveva lavato le strade della città.
La maggior parte delle persone dormiva ancora il sonno dei giusti e Magnus sarebbe tanto voluto appartenere a quella schiera di poveri uomini sotterrati sotto le coperte se solo non avesse dovuto fare gli ultimi preparativi per la sua di festa.
Come ogni anno a casa Santiago aveva mangiato più di quanto non fosse legalmente consentito, Magnus lo sapeve che c'era, doveva esserci una legge che sanciva che ogni portata non poteva presentare più di tre piatti, come nei matrimoni, figurarsi riuscire a digerire sette primi e non si ricordava neanche quanti antipasti, oh, e i contorni. Il brutto di avere una famiglia numerosa, a stampo matriarcale, con così tante donne era che tutte loro volevano fare qualcosa, che tutte portavano qualcosa e che si finiva per avere tanto cibo da sfamare il quinto battaglione d'artiglieria del corpo militare amricanto, quello areonautico e pure i marins.
Si rigirò nelle coperte e fissò con aria crucciata la sveglia che segnava le otto di mattina. Che diamine gli era saltato in mente? Perché proprio le otto? Grugnì infastidito e fece scorrere il dito sul touch del suo Iphon, impostando la sveglia per l'ora successiva, le nove sembravano un orario decisamente più consono. Lanciò il telefono tra le coperte e chiuse gli occhi soddisfatto, poteva godersi ancora un'ora di sonno.
Il trillo deciso che lo scosse però gli fece rimpiangere di non aver tolto la suoneria. Non poteva essere così sfigato da esser chiamato alle… batté le palpebre fissando di nuovo, dopo poco tempo, lo schermo luminoso del cellulare che segnava le nove spaccate.
No, non poteva esser già passata un'ora, aveva appena chiuso gli occhi!
<< Questi sono i peperoni, mi fanno avere le allucinazioni… >> piagnucolò sconsolato.
Un colpo alla coscia lo fece saltare a sedere, la sensazione spiacevole di un livido colpito con forza che poi non era altro che il ricordo di quanto gli avesse fatto male la ferita che ora era solo una cicatrice.
Si voltò verso la fonte di quel movimento e la testa azzurra di Catarina uscì dalle coperte candide.
<< No mi lasciiare di nuvo il telefono in fascia.>> biascicò con la voce impastata di sonno.
<< Eh?>> gli chiese massaggiandosi quella sottospecie di stella bianca che l'operazione gli aveva lasciato, chissà se la sera prima si era ricordato di metterci l'olio.
<< Telefono. Faccia. Non di nuovo.>> telegrafò cercando di scandire le parole. << Ho mal di testa. Lily mi ha messo qualcosa nel vino.>>
<< Magari del vino?>> le chiese un po' più lucido, scostò le coperte e si controllò la coscia scoperta.
<< Pure.>> concesse l'amica rigirandosi nel piumone. << Ho comunque mal di testa. Devono essere state le sue chiacchiere. Le vostre chiacchiere. Non lo potrò più guardare in faccia. Due volte di seguito mi hanno uccisa.>> continuò a paralre a brevi frasi, quasi il suo cervello non potesse produrre pensieri più lunghi, ma Magnus la capiva perfettamente dopo tutti quegli anni e annuì.
<< Si, pensa io cosa devo fare ogni volta che lo vedo aprir bocca. Hai mai notato quanto la apre quando sbadiglia? Il mio Grand Canyon. >> sorrise con lo sguardo perso in ricordi lontani.
<< Vedi di non dirglielo davanti agli altri. Simon lo traumatizzi a vita.>>
<< Dici che gli blocco la crescita?>>
<< Se cresce ancora a quell'età è un miracolo della medicina. Caffé. E un digestivo. Che senso ha chiamare un piatto “insalata” se poi è più pesante di un piatto di pasta?>> gli domandò scoraggiata e anche vagamente nauseata, cercando a tentoni la bottiglietta d'acqua che aveva lasciato sul suo comodino.
<< Si chiama “insalata russa” infatti. Chissà perché poi.>>
<< Perché è fredda?>> rispose retorica tirandosi su e bevendo lunghe sorsate. << Ah, ci voleva proprio. Direi che la colazione la saltiamo, eh?>> fece più sveglia di prima, sistemandosi meglio sul materasso e guardando l'amico ancora sdraiato. << Su, alza il culo.>> lo spronò spingendolo.
<< Tesoro, l'ultima persona che mi ha detto di alzare il culo mi ha anche fatto venire dei successivi venti secondi, se riesci a farlo anche tu ti obedirò subito.>> le disse godendo della sua smorfia imbarazzata.
<< Cosa di “basta dettagli” non capisci?>>
<< Lily ha ragione, sei sempre rossa quando parliamo di porcate. Un po' come Alexander, dovreste parlarne assieme. E comunque Lily mi da più soddisfazione.>> sbuffò e si tirò a sedere anche lui.
<< Questo perché siete due maniaci.>> Catarina gli diede una manata sulla spalla e poi abbassò lo sguardo verso le sue gambre.
Magnus alzò gli occhi al cielo. << Ti prego, non dirmi che mi si è di nuovo alzato perché la mia digestione è ancora in corso e non posso proprio farmi un sega sotto la doccia ora.>>
Un altro schiaffo lo prese meglio sul braccio e le coperte gli vennero tolte di colpo di grembo.
<< Deficiente, stavo pensando alla tua gamba, t'ho dato un calcio sulla coscia prima, vero?>>
<< Ah, era un calcio? Non me ne sono reso conto.>> minimizzò cercando di non far caso allo sguardo attento e clinico che l'amica gli stava rifilando.
Forse perché era anche uno sguardo terribilmente spento e preoccupato, che la faceva tornare a cinque mesi prima e Magnus non voleva vederla triste, non a Natale.
Si alzò in piedi sul letto e saltò per il puro gusto di darle fastidio, sentendola urlare dalla sorpresa e gridargli contro quanto fosse un moccioso immaturo. Ma non importava, non importava niente finché Catarina rideva e cercava di prenderlo a cuscinate, finché gli ripeteva che era troppo grande e continuando così avrebbe sfondato la rete e finché lui avrebbe potuto dirle che quella rete aveva visto salti molto più forti e retto oscillazioni incredibili.
Era Natale e loro erano i soliti due cretini che si comportavano da bambini una volta l'anno.
Nessuno di loro disse che di solito quella scena si svolgeva nella camera di Ragnor, con il loro amico che cercava inutilmente di far sedere Magnus e lei che piangeva dalle risate, le lamentele di Rag che gli ripeteva che gli avrebbero distrutto casa e la voce meccanica di Raphael che arrivava dal telefono che li aveva svegliati, biascicando frasi comeMatali ora e sarò tuo fedele servitore per tutta la vita”.
Per il momento andava bene così, come se tutto fosse normale, a Natale la regola voleva che ci si divertisse e loro l'avrebbero onorata.

 

 

 

 

Non c'era un vero e proprio accordo, non ne avevano mai parlato apertamente e non si erano mai messi d'accordo, eppure ormai era la norma ogni volta che capitava loro di dormire nella stessa casa.
Quando erano piccoli Jace aveva sempre avuto paura del buio. Era una paura infantile ed irrazionale ma la cosa non serviva a fargliela passare. Avrebbe potuto scavalcare il problema accendendo una luce ma anche da bambino era stato così orgoglioso e testardo da voler a tutti i costi dormire nella completa oscurità, dimostrando di non aver paura di nulla.
Aveva continuato per anni a giurarlo, era rimasto per notti intere con gli occhi spalancati nel buio della sua camera, senza riuscire a vedere nulla e senza riuscire a dormire. Si era addormentato solo alle prime luci dell'alba, quando ormai il sole poteva assicurargli che nulla era nella sua stanza; si era addormentato nella doccia, sul water, a tavola, in macchina, nel bus e sui banchi di scuola. Aveva dieci anni e non il minimo coraggio di dire che la notte non riusciva a chiudere occhio perché temeva non tanto chi si potesse nascondere nelle ante del suo armadio, aiutato dall'oscurità, quanto dell'oscurità stessa, che risucchiava tutte le luci, tutti i contorni solidi degli oggetti a lui famigliari.
A dieci anni i suoi famigliari credevano che soffrisse di diabete infantile o di narcolessia, poi era arrivato Alec.
Una sera come tante era entrato in camera sua per dargli la buona notte e lo aveva trovato a fissare il muro. Gli si era avvicinato e poi gli aveva solo chiesto se poteva dirgli un segreto e se potesse aiutarlo. Se c'era una cosa che riempiva di innocente orgoglio il piccolo petto ossuto di Jace era una richiesta d'aiuto o una dimostrazione di fiducia da parte dei suo i fratelli. Se poi era Alec a chiederglielo era come avere una motivazione in più per fare del suo meglio, perché che la dolce Izzy gli chiedesse di prendere una cosa a cui lei non arrivava o che il piccolo Max piangesse perché voleva lui e nessun altro era piuttosto logico, dopotutto erano i suoi fratellini, ma che Alec, il fratello maggiore, quello per cui lui era un fratellino, ricercasse il suo aiuto, era solo la dimostrazione di quanto Jace valesse per lui.
Così era saltato a sedere, completamente vigile e attento ed aveva a stento trattenuto il sorriso, perché sapeva che se gli chiedeva una mano forse non doveva essere una cosa tanto bella e lui doveva rimanere serio.
Alec si era seduto anche lui sul suo letto ed aveva avvicinato la testolina alla sua, un nero così in contrasto con il suo biondo che tante volte era costato a Jace cattive prese in giro su quanto non fosse davvero figlio dei suoi genitori. Ma queste erano solo vaghe rimembranze che affioravano pallide tra i suoi ricordi mentre Alec gli diceva che il buio gli faceva paura.
Era rimasto a fissarlo a bocca aperta: Alec aveva paura del buio? Come lui? Ma aveva undici anni!
Il fratello aveva annuito alla sua espressione e forse, se fosse stato più grande o più attento, si sarebbe reso conto che non era arrossito, qualcosa che anni dopo lo avrebbe fatto sorridere al sol pensiero.
Così il moro gli aveva chiesto se, per quella sera, quella prima del rientro a scuola, Jace potesse dormire nel letto con lui.
E Jace era un buon fratello, lo era sempre stato, che figura avrebbe fatto a dirgli di no?
Maryse li aveva trovati così la mattina dopo, quando salita in camera del secondogenito l'aveva trovata vuota ed era rimasta bloccata senza comprendere la scena davanti ai suoi occhi. Non aveva pensato che il bambino potesse essere in bagno o da qualche altra parte, era andata dritta di filato in camera di Alec, quella dopo quella di Jace, ed aveva trovato i due fratelli abbracciati, Jace con la faccia premuta tra il collo ed il piccolo torace di Alec, stretto tra le sue braccia come protetto dalle mura più spesse ed invalicabili del mondo, le sue di braccia allacciate alla vita del fratello, infilate sotto la sua maglia per stare al caldo; le gambe un groviglio intrecciato, i pantaloni ammucchiati sulle ginocchia e solo un calzino al piede sinistro del più piccolo. La testa di Alec reclinata verso la zazzera bionda dell'altro, la guancia poggiata con delicatezza, quasi anche nel sonno avesse paura di pesargli troppo e dargli fastidio.
Quando Maryse aveva chiesto loro perché avessero dormito assieme Jace era stato muto, pronto anche a mentire pur di non rivelare il segreto del fratellone ed era stato proprio Alec a dire alla madre che era colpa sua.
Non appena Jace se ne fu andato e loro erano rimasti soli, il bambino le disse con semplicità che Jace quella notte aveva dormito e che quindi non lo avrebbe fatto a scuola. Alla faccia perplessa della donna Alec l'aveva guardata quasi confuso.
<< Gli ho detto che ho paura del buio e se poteva dormire con me.>>
<< Ma tu non hai paura del buio.>>
<< Io no, ma lui si. È per questo che non dorme la notte. Però non vuole dirlo perché pensa che sia una cosa da bambini e che lui ormai è grande. Ma se gli dico che ho paura io allora dorme con me e non resta sveglio
.>>
Maryse lo aveva fissato per una manciata di minuti e poi lo aveva abbracciato, dicendogli che era un fratello maggiore magnifico. Alec era sceso a far colazione tutto rosso in faccia.
Verso i suoi tredici anni Jace si era reso conto che Alec non temeva minimamente il buio, anzi, gli piaceva, lo amava quasi, lo ricercava perché in esso poteva nascondersi, poteva sparire ed essere solo Alec. Si rese conto di quanto suo fratello, il suo forte e gentile Alexander, celasse in sé qualche ombra ancora più spessa di quelle che affollavano la sua camera che nel buio di una stanza riuscisse a nasconderle meglio. A tredici anni capì che quel ragazzino pronto a difenderlo dal mondo ad ogni costo non era solo timido ma aveva paura di qualcosa che forse neanche lui comprendeva. Capì che non aveva paura del buio e che mai l'avrebbe avuta. A tredici anni andò da lui e gli disse che aveva capito, che sapeva che lo faceva solo per lui, perché in un qualche modo era arrivato alla conclusione giusta prima dei suoi genitori e lo aveva aiutato a vincere la sua paura del buio. Gli strinse le mani e gli disse che avrebbe ricambiato il favore, che non sapeva ancora di cosa avesse paura lui ma che qualunque cosa fosse stata Jace sarebbe stato al suo fianco, pronto ad aiutarlo a vincere tutto ciò che l'avrebbe intimorito. Non lo avrebbe lasciato al buio della sua stanza a fissare il nulla, temendo che qualcosa arrivasse da un momento all'altro ad inghiottirlo nelle tenebre.
Jace non lo sapeva, come non lo sapeva Alec, ma a tredici anni aveva intuito il disagio che si stava annidando nel cuore del fratello e gli aveva già dichiarato guerra, pronto a difendere Alec come aveva difeso lui a suo tempo.
Quella mattina del 25 Dicembre Izzy andò sicura ad aprire la porta della camera di Alec come faceva ogni anno, sapendo di trovarci entrambi i suoi fratelli.
Potevano avere anche ventisei e venticinque anni eppure non erano cambiati di una virgola.
Alec se ne stava disteso di fianco, dava la schiena al vuoto, intrappolando Jace tra il suo corpo ed il muro a cui era accostato il letto. Un braccio disteso sotto il collo del fratello per dargli il minimo fastidio possibile, l'altro attorno alle sue spalle per tenerselo più vicino. Teneva il capo piegato verso il basso, le labbra premute sulla testa scompigliata di Jace che dormiva nella pace dei sensi con il volto schiacciato contro il torace ampio e solido del moro. Le braccia erano legate attorno alla vita di Alec, intrufolate sotto alla sua maglia risalivano tutta la schiena sino a sbucare dal colletto, le dita della mancina affondate tra i capelli indomabili del maggiore. Gli aveva tirato su tutta la maglia e anche la canotta che portava per coprire al meglio le cicatrici ancora rosse, Isabelle poteva vedere quella sul costato e si rese anche conto che Alec doveva aver dormito tutta la notte sulla spalla ferita.
Il velo di preoccupazione che gli era sceso sul viso fu cancellato dall'espressione rilassata di entrambi i suoi fratelli, che ancora una volta si rivelavano essere più dolci di quanto non cercassero di apparire, distruggendo con una sola nottata di sonno tutta la loro aria da uomini duri, da poliziotti con il grilletto facile e dalla fama di essere tipi che sbattevano in prigione i cattivi.
Cercò con lo sguardo il telefono di Jace e lo trovò al volo, trovandolo però bloccato e sbuffando quando non riuscì ad accedervi.
Gli lanciò un'occhiata astiosa, intimando mentalmente ad entrambi di non muoversi e corse a prendere il proprio, tornado di volata, travolgendo quasi Max che usciva dalla sua di camera e tirando un sospiro di sollievo quando li ritrovò nella stessa posa.
Scostò il piumone rivelando le loro gambe intrecciate, quella di Jace tra le ginocchia di Alec, un singolo calzino al piede sinistro e l'altro incastrato tra le coperte chissà dove.
Cominciò a scattare foto da tutte le angolazioni, ignorando Max che le chiedeva cosa stesse facendo e che sbuffava dicendogli di lasciarli in pace.
<< Is, lasciali dormire, è Natale.>> fece con voce bassa e lamentosa.
<< Lo so, è per questo che gli sto facendo le foto, non trovi che siano adorabili? E questi due dovrebbero mettere paura ai criminali?>> sbuffò divertita.
<< Di solito ai criminali mi presento con il distintivo e la pistola.>>
La voce bassa e profonda di Alec fece congelare sul posto i fratelli minori. Aprì un occhio e fissò prima l'una e poi l'altra per quel poco che gli permetteva la posizione.
<< Lasciateci in pace e andate a far colazione o giuro che mi comporterò come il nipote preferito viziato che mi accusate di essere e dirò a nonna che mi avete svegliato per una volta che ero riuscito a dormire senza che il dolore mi svegliasse.>> minacciò con lo stesso tono monocorde di sempre.
Max si accigliò, ancora mezzo intontito dal sonno e Izzy mise su un broncio da bambina degno di nota.
<< Questo è fare la spia e dire una bugia. Non puoi dire di non essere il suo preferito e poi minacciarci con nonna.>> gli fece notare mettendosi le mani sui fianchi, anche se vestita con la sua camicia da notte di Minnie, lunga fino a metà coscia e con i mutandoni con merletto, al ginocchio, abbinati e le ciabatte di peluches gialle che imitavano le scarpe del personaggio non incuteva così tanto timore.
<< Questo è sfruttare i propri punti di forza, topolina. Dove le hai lasciate le orecchie?>> la prese in giro sorridendo e richiudendo l'occhio.
<< Lo sai che non ci dormo con il cerchietto, è scomodo.>> sbuffò.
<< Ma lo hai fatto?>> s'intromise di punto in bianco Max.
I maggiori lo guardarono perplesso.
<< Le ferite. >> disse solo inizialmente. << Ti svegli ancora la notte per il dolore? Ti fanno ancora male.>>
L'occhio medico di Isabelle scattò immediatamente sulla pelle esposta di Alec, poi sul suo braccio, neanche avesse i raggi x e potesse vedere attraverso il suo stesso corpo.
<< No, non mi fanno più male. Capita ancora che mi svegli ogni tanto, ma credo siano più sogni. È già successo, passerà.>> gli sorrise Alec tirando su la testa e fissandolo da oltre la sua spalla.
Max annuì. << Allora continua a dormire, bro.>> e così dicendo se ne andò. Poi riapparve sulla soglia della porta, marciò dentro strusciando i piedi a terra come suo solito e si trascinò via la sorella, tutta proteste e indignazione, ma a bassa voce, per non svegliare Jace.
La porta si richiuse con lentezza, urtando debolmente lo stipite senza però chiudersi.
Alec rimise la testa su cuscino e prese un respiro profondo.
<< Se ne sono andati?>> chiese la voce di Jace soffocata contro il suo petto.
Al suo annuire il biondo replicò il gesto, strofinando la faccia contro il torace caldo del fratello e inspirando a pieni polmoni l'odore famigliare, accogliente e rassicurante del moro. Spostò il viso solo per tirarsi più su e affondare il naso contro il collo bollente di Alec, che per tutta risposta si voltò e gli diede un bacio in fronte.
<< Se Izzy dovesse far vedere queste foto al Dipartimento saremo spacciati. Nessuno ci prenderebbe più seriamente.>> constatò tranquillo il biondo.
Alec rise piano. << Non lo farà, lo sai. E poi non mi interessa cosa pensa di me la gente.>>
Avvertì le labbra del fratello tendersi in un sorriso. << Ce ne hai messo di tempo.>>
Alec lo strinse ancora di più a sé, ricevendo in risposta un abbraccio della medesima forza.
<< Si, non ho più paura del buio.>> gli sussurrò come se fosse un segreto tutto loro.
<< Neanche io.>> gli rispose con lo stesso tono.
Rimasero per un po' così, semplicemente abbracciati come quando erano bambini. Come quando Jace aveva paura del buio ma troppo orgoglio per ammetterlo ed Alec si faceva carico di una paura non sua solo per toglierla dalle spalle del fratellino; quando ad appena undici anni si era reso conto che il modo migliore per dare forza a Jace era dargli un compito, uno scopo, fargli sapere che lo stava aiutando, che solo lui poteva farlo. Come quando erano piccoli e non c'era nulla che li potesse scalfire finché fossero stati al sicuro sotto le coperte, l'uno vicino all'altro a darsi eterna forza ed eterno coraggio. Come solo due fratelli possono stare.
<< Ora però dovremmo alzarci, Jace.>>
<< Mh, na… coccole.>>
<< Eh, il mio orso albino.>> sorrise Alec dandogli un altro bacio in testa e strofinando i naso contro i suoi capelli.
Jace serrò la presa contro la sua schiena e sorrise a sua volta.
<< Il mio supereroe.>>
 

 

 

 

La casa era completamente addobbata ad arte, i mobili erano stati sgomberati dei loro oggetti per far posto a dolci, ciotole di caramelle, cioccolatini, patatine e snak vari. Un assortimento di bibite e liquori faceva bella mostra di sé sul lungo pianale del bar ed il fatto che per la maggior parte fossero analcolici lo rendeva solo terribilmente triste.
Magnus sospirò, le mani sui fianchi in una posa così teatrale da esser quasi ridicola. Volse lo sguardo verso il soffitto, dove festoni e luci erano stati fissati con tanto di quello scotch che non li avrebbe tolti mai più. Almeno davano atmosfera all'ambiente.
<< Dovrò far ridipingere tutte le pareti.>> borbottò.
<< Oh magari è la volta buona che cambi casa.>> gli suggerì una voce scocciata alle sue spalle.
Raphael se ne stava mollemente seduto all'isola della cucina, il gomito impuntato sul piano di pietra e la guancia schiacciata contro la mano.
<< Non trovo nulla che mi soddisfi qui nella Mela.>> fece con fare ovvio.
<< Ti ho fatto vedere tutti i posti più lussuosi e alla moda della città, la verità è che sei un sentimentale che non vuole lasciare la propria casa ma che la trova inquietante.>>
<< È inquietante solo la notte e solo il pavimento.>>
<< T'ho detto di farlo cambiare. Ti ho anche dato i nomi dei miei fornitori. Hanno rifatto tutto il parquet a mamà possono rifarlo anche a te.>> aggrottò le sopracciglia e scosse la testa.
Magnus lo ignorò e gli diede di nuovo le spalle, sistemando una grande terrina di metallo decorata con fregi d'oro che conteneva confetti colorati.
<< E io t'ho già spiegato perché non voglio farlo.>> puntualizzò stizzito. Era già stato abbastanza difficile ammettere che, in un qualche modo contorto e assolutamente illogico, togliere le tegole sporche del sangue di Alec gli pareva un affronto, come se volesse dimenticarsi tutto e gettarselo alle spalle, come se non gli importasse; figurarsi doverlo ripetere ogni volta.
<< Non smetterà di parlarti solo perché hai deciso di cambiare il pavimento. Probabilmente neanche se ne accorgerà.>> s'intromise Catarina entrando in sala ancora una volta con i capelli legati in quei suoi dannati bigodini.
<< Perché? Avete anche ricominciato a parlarvi?>> chiese sarcastico Raphael.
Magnus lo fulminò con lo sguardo. << Certo che ci parliamo, siamo anche usciti più di una volta.>>
<< Così lo fai sembrare un appuntamento Mags, mentre scommetto che non lo è stato.>>
<< Sta zitto bastardo immigrato.>>
<< Per la millesima volta, Bane: Sono. Cittadino. Americano. Sono nato in America!>> Il ragazzo alzò le mani al cielo come se stesse invocando l'intervento divino. << Se la pensi così sei un immigrato anche tu.>>
<< No, io ho un genitore americano!>> ritorse animoso.
<< Il cui una volta poteva camminare libero su queste terre ma che ora viene rinchiuso in osai protette come gli animali. Bello, davvero magnifico, almeno il mio di popolo l'ha fatta la rivoluzione e si è guadagnato la libertà.>>
<< Non vuoi metterti a discutere della politica contro i Nativi d'America a Natale, vero? Perché anche il mio popolo ha combattuto!>>
<< Metà del tuo popolo. Il mio non s'è fatto chiudere in una riserva.>>
<< Oh certo, il tuo s'è dato alla tratta di esseri umani e a quella di droga e armi!>>
<< Che c'è? Ti rode che i messicani riescano a spacciare meglio di te?>>
<< BAAASTA!>>
Catarina li guardò male entrambi, facendo scattare la testa verso l'uno e poi verso l'altro.
<< Ma vi rendete conto di quanto poco vi ci vuole per litigare? Dio santo, ma lo avete sempre fatto? Perché non mi ricordavo quanto voi due cretini riusciate a far diventare tutte le stupide battute un terreno fertile per scatenare la terza guerra mondiale? Di solito eravate in grado di fermarvi prima.>> li accusò puntando il dito su l'uno e sull'altro.
<< Non è vero!>> si giustificò subito Magnus, l'espressione irritata che scomparve non appena si girò verso Raphael per aver il suo appoggio.
<< Raph?>> domandò a voce bassa, preoccupato dall'espressione dell'altro.
Raphael si era fatto d'improvviso serio, tutto il fuoco che lo animava ogni volta che litigava per delle cavolate con Magnus si era spento in sul colpo. Teneva la testa reclinata verso il basso, le labbra una linea morbida ma piatta, gli occhi opachi e lontani puntati sul pavimento.
<< Una volta ci bloccava Ragnor.>> disse solo e tutti i colori delle luminarie e dei festoni vennero risucchiati dal vortice cupo che si era creato attorno alla sua figura.
Magnus lo fissò per un lungo istante, avvicinandosi lentamente a lui e fermandoglisi davanti. Gli prese il volto tra le mani e glielo alzò, scrutandolo con attenzione alla ricerca di qualcosa che forse non sarebbe mai riuscito a scorgere o forse aveva sempre avuto sotto gli occhi.
Fece scivolare le mani verso le sue spalle, sulla sua schiena e lo tirò verso di sé, abbracciandolo stretto, più stretto che poteva.
<< Era il nostro ago della bilancia.>> soffiò piano.
<< Era l'ago della nostra bussola.>> e in quel “nostra” Magnus e Catarina sentirono tutto il “Mia” che vi era sottinteso.
<< Che tu ci creda o no, Raph, Ragnor è sempre stato il porto sicuro in cui tornare, ma è da una vita che sei tu a indicarmi da che parte andare.>> abbassò la testa verso al sua, nascondendo gli occhi lucidi, << Da quando ci siamo riconosciuti e mi hai riportato a casa fino a quando sei venuto a prendermi in ospedale. Lo so, io...credo di saperlo almeno, che non è possibile cancellare tutto così, che non passa in un batter d'occhio. Ti capisco, lo sai. Ma ogni bussola ha quattro punti ed un ago.>> gli mormorò, beandosi della stretta che Raphael gli stava restituendo.
<< Lui era l'ago.>> ripeté.
<< E tu sei sempre stato l'ovest, dove tramonta il sole.>>
<< E tu l'est, dove sorge.>>
<< E Catarina è il nostro placito e tranquillo sud.
<< E il nord? Chi è il nostro nord?>> domandò allontanandosi da lui per guardarlo negli occhi.
Erano in momenti come quelli che Magnus si ricordava che Raphael era ancora un giovane di ventisette anni, che era un adulto ma era ancora troppo piccolo per la vita che faceva. Che non avrebbe dovuto avere sulle sue spalle l'impero che aveva, che non avrebbe dovuto saper far sparire una persona dalla faccia della terra come invece sapeva fare. Avrebbe dovuto essere più simile a Simon e forse quei due andavano d'accordo proprio perché in verità si somigliavano.
<< Era anche il nord. Ragnor era anche il nord. È sempre stato un po' tutto. Ha ereditato il posto di Malcom quando lui è andato a Los Angeles.>>
Raphael annuì. << Evitiamo di dire a Lily che lei non è nulla perché sarebbe solo capace di farci ammazzare.>>
Magnus rise a singhiozzi, quasi cercasse di trattenere le lacrime, abbracciò di nuovo il messicano che si lasciò sfuggire uno sbuffo infastidito.
<< Che Natale di merda.>>
<< Lo è, ma il prossimo sarà migliore, questo è solo il primo.>>
Catarina li fissò da lontano, la mano poggiata sul petto ed un sorriso malinconico sulle labbra. Quei due erano come cane e gatto, ma su una cosa Magnus aveva perfettamente ragione: da quando si erano incontrati sino ad ora si erano sempre spalleggiati, si erano urlati contro e minacciati di morte, quello si, ma erano sempre corsi in aiuto l'uno dell'altro.
Si avvicinò ai due li abbracciò, costringendoli in una stretta spacca ossa.
<< Cat! Mi soffochi! Mi sono fatto i capelli!>>
<< Madre de Dios! Catarina! Scollati di dosso!>>
<< Oh, state zitti e lasciatemi esprimere il mio amore.>>
Il borbottare infastidito dei suoi amici andò a scemare quando le loro mani si intrecciarono dietro la sua schiena ed il silenzio li avvolse.
<< Prima o poi ce lo dirai?>> chiese la donna rivolta palesemente a Raphael.
Lui rimase interdetto, poi strinse i denti e sospirò. << Non lo so. Non so se c'è qualcosa da dire.>>
<< Ma qualunque cosa sia, anche nulla, ce lo dirai?>>
Raphael la fissò dritta negli occhi, senza sapere cosa rispondergli e glielo disse.
<< Non importa.>> arrivò Magnus in suo soccorso. << Prima o poi lo saprai. Ci va bene anche se lo capirai e te lo terrai per te. Non vogliamo davvero saperlo se tu non ce lo vuoi dire, ma vogliamo seriamente sapere se stai bene.>> disse come un genitore apprensivo al figlio.
<< Perché, voi state bene?>> chiese sapendo perfettamente la risposta.
I due amici si guardarono e poi scossero la testa.
<< No, ma dobbiamo almeno provarci, okay? Per Ragnor.>> decise Magnus con sicurezza.
Catarina sorrise e porse una mano ad entrambi, venendo subito ricambiata dall'orientale che si voltò poi verso il più piccolo.
Raphael fissò per un po' la mano candida e piccola di Catarina, segnata solo da qualche graffio, e quella elegante e curata di Magnus, su cui facevano bella mostra un'esposizione d'anelli di varie misure.
Annuì e le afferrò entrambe.
<< Per Ragnor.>>
Ma non disse a nessuno che più che quelle mani avrebbe tanto voluto stringere di nuovo un paio grandi, morbide e delicate, così abituate a maneggiare oggetti pregiati da aver trasmesso quella cura e quell'attenzione nel toccare ogni cosa.
Mani che, lo sapeva fin troppo bene, non lo avrebbero più ripreso quando si sarebbe affacciato sul baratro, né lui né i suoi amici.
Mani che non avrebbe più rivisto, toccato o sentito.
Le mani di un morto che sarebbero sempre rimaste poggiate sulle sue spalle.

 

 

 

 

Quel giorno pareva un alternarsi di alti e bassi.
Alec aveva dormito beato come un bambino, come ogni singola volta che dormiva con suo fratello, ed anche il semplice fatto di essere rimasto quasi mezz'ora al letto a far grattini a Jace era stato un gradito e piacevole ritorno al passato, che lo aveva fatto sentire piccolo per un po'.
Poi si era alzato, aveva fatto un paio di passi e se non fosse stato per Jace avrebbe avuto un bell'incontro ravvicinato con il pavimento.
Uno stupido e banale calo di zuccheri che aveva fatto rizzare i capelli a tutti, un giramento che aveva portato sua madre e sua sorella a minacciarlo di portarlo in ospedale, memori del famigerato frammento che lo aveva riconsegnato al tavolo operatorio quell'Ottobre e del mezzo infarto che si era preso Max, assieme alle due multe per eccesso di velocità annullate solo in virtù del fatto che stava portando un malato in ospedale perché minacciava di morire d'emorragia interna.
Se non ci fosse stata la nonna Phoebe che, impassibile come solo lei poteva essere, aveva scansato tutti e gli aveva rifilato un bicchiere di brandy, contro le proteste degli altri che le spiegavano il divieto di bere alcol perché vasodilatatore -ampiamente ignorato dalla donna- probabilmente Alec sarebbe stato steso su una barella il 25 di Dicembre.
La situazione si era calmata con il pranzo ed era riprecipitata quando stavano sparecchiando. Il braccio gli aveva mandato una fitta ed il piatto gli era scivolato di mano, salvandosi solo perché intercettato dal piede del moro e poi caduto sul tappeto. Secondo Izzy, che lo aveva voluto visitare malgrado Phoebe le ripetesse che in continuazione Mi pare che tuo fratello ancora respiri Isabelle, cosa vuoi visitarlo? Non puoi mica aprirlo.”, il tremore, - “Una cosa più che normale mi pare, Iz”- era dovuto al fatto che avesse dormito tutta la notte su quella spalla.
I rimproveri di sua madre, che erano cresciuti quando Alec aveva provato a rispondere dicendo che Jace stava comodo così e non voleva disturbarlo, gli avevano solo fatto venire il mal di testa. E Alec non credeva che avrebbe mai detto una cosa del genere ma fu immensamente grato dell'arrivo di Simon e di quel nano da giardino rosso che era la sua migliore amica e, ahimé, anche la ragazza di suo fratello.
Il fatto che le avesse riservato più battutine del solito, molte delle quali volte a farla arrossire come di solito faceva lui, era un chiaro sintomo di quanto quella giornata lo avesse provato, arrivando a far domandare a Clary stessa se si sentisse bene o preferisse rimanere a casa.
Suo padre lo aveva osservato da lontano come sempre, avvicinandosi solo con finta casualità quando non aveva nessuno attorno e riservandogli piccole ed impacciate accortezze che lo fecero sorridere nello stesso modo velato ed impacciato.
Max diceva che sembravano due istrici che provavano a confortarsi a vicenda senza sapere dove mettere le zampe.
Quel ragazzino era troppo intelligente e no, non gli importava che avesse diciassette anni, era un ragazzino e sempre lo sarebbe stato.
Sospirò e cercò di tirarsi su il cappotto scuro, venendo prontamente aiutato da qualcuno che poi si rivelò essere il fratello. Non sapeva spiegare bene il motivo ma durante le feste natalizie lui e Jace diventavano ancora più uniti, ed appiccicati diceva Iz, di quanto non lo fossero normalmente. Erano sempre l'uno tra i piedi dell'altro, pronti ad aiutarsi, infastidirsi o semplicemente stare in silenzio.
<< Tutto bene?>> gli chiese con leggera preoccupazione. Voleva sicuramente accertarsi che non stesse uscendo solo per dimostrar loro di poterlo fare, ma la verità era che voleva andare alla festa di Magnus, non poteva rinunciarvi.
<< Si, mi è solo preso male. Lo sai che quando mamma e Izzy ci si mettono sarebbero capaci persino di far bestemmiare un santo.>>
<< Ma tu non lo sei, un santo intendo, o non avresti fatto certe cose che hai fatto nella tua vita.>> sorrise e gli ammiccò, << Vogliamo parlare del tatuaggio dei guerrieri ribelli che hai sulla caviglia?>>
<< Church non è il simbolo dei guerrieri ribelli.>> puntualizzò piegando le labbra nel suo classico sorriso storto pur sapendo a cosa si stesse davvero riferendo il fratello. << Non trovi che ultimamente rimaniamo sempre insieme qui nel guardaroba?>> gli fece notare cambiando discorso.
Jace si strinse nelle spalle. << Se tu fossi una piccola rossa o io un bell'asiatico a quest'ora staremo limonando come nei migliori film di serie b. Ma purtroppo per me e per te siamo noi due e non le persone a cui mangeremo volentieri la faccia.>> gli sorrise. << E non cambiare discorso.>>
<< Non mangerei la faccia a nessuno, Jace. Non sono quel tipo di persona e non sto cambiando discorso.>>
<< Si, si, come no. Ora fai il serio.>>
<< Cosa vuoi che ti dica?>> si arrese alla fine.
<< Ti ho fatto male io sta notte?>>
<< Questo suona decisamente ambiguo.>> gli rifilò un sorrisetto che ebbe il potere di far arrossire Jace, un vero miracolo di Natale se non fosse che solo Alec e nonna Phoebe detenessero il sacro potere di infondergli più imbarazzo di quanto fosse umanamente possibile, neanche Maryse con la rivelazione scioccante su da dove venissero i bambini o quella inutile di Robert sul sesso sicuro c'erano riusciti.
Si sentì le guance calde. << Davvero uomo, come cazzo fai a vivere perennemente arrossito? A me sembra di andare a fuoco, è fastidioso e destabilizzante.>> disse sfregandosi la faccia.
<< Ecco come ho vissuto tutta la mia vita: in modo fastidioso e destabilizzante.>>
<< Si, beh, è una merda.>>
<< Grazie, ora che so qual'è il preciso termine per definire la mia vita puoi dirmi cosa vuoi?>>
<< Te l'ho detto. Ti ho fatto male a dormirti tutta la notte sul braccio?>>
<< Non mi hai dormito sul braccio, era sotto il tuo collo. Mi ha fatto molto più male il tuo ginocchio sui testicoli, sappilo.>> gli disse incrociando le braccia al petto.
Jace roteò gli occhi. << Dai, t'ho detto che mi dispiace, non volevo darti una ginocchiata sulle palle.>>
<< Ma lo hai fatto e devi solo che ringraziare il cielo che non procreerò mai o mi avresti tolto ogni possibilità dopo questa.>>
<< Stai di nuovo sviando!>> lo accusò il biondo prendendo la sciarpa che aveva messo anche il giorno precedente e legandosela attorno al collo malamente. Alec lo fissò con un sopracciglio alzato e si avvicinò per sistemargliela.
<< Quando ti ho dato quella gomitata sul fianco per riprendere al volo Max che stava scivolando mi hai tenuto il muso per una settimana, ripetendo ad ogni occasione come io ti avessi- >>
<< Mi hai bucato lo stomaco!>> protestò subito alzando al voce.
<< Per l'ennesima volta, Jace: Il tuo stomaco NON È nel tuo fianco! Al massimo ti ho preso il fegato! E almeno io l'ho fatto per una buona causa, non perché ti si era ammucchiato tutto il pantalone sul ginocchio e volevi tirartelo giù perché ti dava fastidio!>>
Jace alzò le mani in segno di resa. << Va bene, tu hai salvato Max e io la sensibilità della mia pelle.>> Alec sbuffò con palese sarcasmo, Jace lo fulminò. << Ma non cambia il fatto che non mi hai risposto: è colpa mia?>>
Il moro lo guardò espirando pesantemente: << No Jace, non è colpa tua. Senti, non farmi ripetere le cose all'infinito, sai com'è, ci sei passato, ogni tanto fa male perché hai sforzato troppo la parte, ogni tanto solo i muscoli che tirano sul tessuto cicatrizzato, altre è l'osso che si è solidificato e te lo ricorda quando cambia il tempo. Altre volte invece è solo nella tua testa.>>
Jace annuì piano e poi gli mise una mano sulla spalla buona. << Si, però non voglio che ti faccia male perché io dovevo dormire comodo.>>
Alec gli sorrise. << Sai che mi farei fare di tutto perché tu e i ragazzi stiate comodi.>>
Anche Jace sorrise. << Vero, ma preferisco dormire male che veder star male te. E poi andiamo, sai perfettamente che non posso dormire male se dormo con te.>>
<< Tutto ciò è così dolce che forse dovremmo fermarci, stiamo raggiungendo livelli da dichiarazioni a cuore aperto.>> gli fece notare ampliando il suo sorriso, il minore annuì con vigore.
<< Si, soprassediamo. Siamo uomini noi, dei duri, dei poliziotti che portano la pistola e sbattono i criminali dietro le sbarre.>> poi il suo sorriso si fece malizioso, << O se sono dei fighi ce li sbattiamo e basta.>>
Fu il turno di Alec di ruotare gli occhi. << Non te lo dovevo dire.>>
<< Se lo si venisse a sapere in giro acquisteresti la stima di molti. Di Izzy sicuro.>>
<< Ho bisogno di guadagnarmi la stima di mia sorella, serio?>>
Jace rise e annuì. << Concesso anche questo. Ora però, basta smancerie. Testosterone. Testosterone.>> ripeté velocemente con convinzione. Alec lo guardò quasi schifato.
<< Questo non ti rende più uomo. Sappilo. >>
<< Altre idee grande capo?>> chiese prendendo le chiavi dalla tasca del giaccone e facendole roteare attorno all'indice come sapeva irritare tanto il fratello.
Alec lo fulminò. << A me non serve, visto che malgrado io sia gay sono più uomo di te.>>
<< Oh! Questa è stata davvero una battuta da home run!> Simon entrò nell'anticamera tutto badato per affrontare il freddo di quella giornata che, volta all'imbrunire, si era dimostrata per la serata di fine Dicembre che sarebbe dovuta essere.
<< Sta zitto Lewis, che se non fosse per quei due peli di barba che ti crescono sul mento ti darei dell'asessuato.>> lo rimbeccò Jace.
<< Se, se, come vuoi. Rimane il fatto che malgrado tu sia un fiero membro della SWAT Alec ti batte a mani basse in quanto essere maschio. Il solo fatto che tu sappia fare i ricci a Isabelle e Alec si limiti alle trecce dovrebbe farti capire chi è il vero Alpha della famiglia.>>
<< È nonna Phoebe.>>
<< Nonna.>>
<< Palesemente nonna.>>
<< Nonna Phoebe.>>
Risposero in sincrono tutti e quattro i fratelli Lightwood generando lo sconcerto di Clary, appena entrata con gli altri due, che fece saltare lo sguardo da uno all'altro.
<< Siete inquietanti quando fate così. >>
Isabelle avanzò allungando una mano verso Jace e una verso Max, che si affrettò a seguirla e allungare la sua ad Alec.
<< Cinque di gruppo!>> urlò la mora mente tutti e quattro caricavano il braccio per battere la mano a chi gli stava di fianco, in un quadrato quasi perfetto.
<< Anche quando fate questo.>> disse Clary nascondendosi dietro a Simon che rise congratulandosi per la loro coordinazione.
<< Perché non hai mai visto come facciamo quando siamo troppo lontani per batterci il cinque.>> ammiccò Jace alla sua ragazza.
<< Mhpf! Per favore, vi conosco da quando avevate sedici anni, non è possibile che non vi abbia mai visto- >>
<< Cinque telematico!>> chiamò il biondo e di nuovo tutti in sincrono alzarono le braccia in alto battendosi da soli il cinque.
Simon li fissò a bocca aperta. << Okay, no, va bene, questa ci mancava. Cazzo. Siete davvero inquietanti.>>
I ragazzi risero alla faccia del castano e Isabelle spronò tutti ad uscire di casa e andare finalmente a quella beneamata festa.
<< Brooklin ci aspetta gente! Avete preso i regali? Alec, quello per Magnus?>>
<< Ce l'ho.>> fece lui senza guardarla, impegnato ad aiutare Simon a disincastrare un ciuffo della nappina del cappello dalla stecca degli occhiali, un'azione difficile per Clary che non ci arrivava.
<< E dove?>> lo guardò scettica notando che il fratello non aveva neanche un pacchetto con sé.
<< Io mi farei gli affari miei Iz, non vorrei che ti rispondesse “nei pantaloni” perché riderei davvero tanto ma temo sarebbe spiacevole per i nostri ospiti.>> sogghignò Jace beccandosi una manata dalla fidanzata.
<< Sarebbe spiacevole anche per me se solo questo non mi ricordasse qualcosa… >> fece Max cercando lo sguardo dei fratelli maggiori.
Alec e Jace si voltarono a guardarlo con le orecchie tese, come se aspettassero di sentire un comando che li avrebbe fatti scattare. L'ammiccare del diciassettenne li fece sorridere, di un ghigno malizioso per il biondo e di un sorrisetto storto per il moro.
Izzy alzò gli occhi al cielo. << Oh no, non di nuovo! Adesso la metteranno in macchina e la sentiremo per tutto il tragitto!>> si lamentò con voce lagnosa.
<< Ma cosa?>> domandò Clary e subito dopo desiderò non averlo mai fatto.
<< Attacca Alec!>> gridò Max e il fratello cominciò a battere il tempo con in piede a terra, poi a battere le mani sul ripiano dell'armadio mentre gli altri due cominciavano a cantare stonati:
<< Is a dick in a box!>>
La rossa guardò scioccata l'amica che indicò i suoi consanguinei come a dire “visto che mi tocca sopportare? L'avresti mai detto?”, poi si voltò a guardare l'amico e con suo sommo orrore vide gli occhi di Simon luccicare divertiti mentre si univa al coro.
<< Come fa a piacervi quella stupida canzone?>>
<< Lo dici solo perché non hai uno fisso con cui scopare, Iz. Scommetto che a Clary piacerebbe un regalo così.>> sorrise suadente Jace ponendo un braccio sulle spalle della ragazza e tirandosela contro per baciarla, coprendo i suoi urletti di protesta ed i suoi tentativi di picchiarlo.
Isabelle tornò con lo sguardo sul fratello maggiore e scosse il capo con aria di rimprovero.
<< Da te poi… nessuno si aspetterebbe mai che sei il più grande depositario di cultura trash del mondo.>>
<< Il Trash è uno stile di vita Iz. >> fece ovvio Alec, smettendo di battere il tempo ed avvicinandosi a lei. << Come fa a non piacerti? È divertente.>>
<< Come fa a piacere a te!? Jace! Smettila di stroppicciarla tutta!>>
<< No! È mia e la stropiccio quanto mi pare.>>
<< Dobbiamo andare sono le otto e mezza!>>
<< E quarantadue.>>
<< Sei fastidioso quando puntualizzi, Lewis.>>
<< Colpa di tuo fratello, mi ha attaccato la pratica.>>
<< Non darmi la colpa del tuo fastidio.>>
<< Guidi tu Jace?>>
<< Certo! Nessuno tocca la mia donna.>>
<< Come scusa? E io chi sarei?>>
<< La mia ragazza?>>
<< Ma c'entriamo tutti dietro?>>
<< Penso di si.>>
<< Io davanti!>>
<< Io davanti!>>
<< Io davanti!>>
<< Io davanti!>>
<< No, voi quattro dietro, io davanti perché sono il più alto e non c'entro.>>
<< Ma Alec! Non è giusto non lo hai detto in tempo!>>
<< Vince lui lo stesso sis.>>
<< Non è- >>
<< La volete smettere?>> la nonna Phoebe comparve davanti ai ragazzi, vestita in tutto punto per uscire. Li fissò male tutti quanti e poi li ammonì con il dito rugoso puntato verso di loro.
<< State zitti, consumate ossigeno. Jace Michael guida perché la macchina è sua. Clarissa sei piccola e in automatico vai dietro, non puoi occupare un sedile tutto per te, è spreco di spazio. Max, sei il minore e quindi anche tu ti siederai dietro. Isabelle, sei una donna, dentro anche tu, il posto davanti si lascia agli uomini per farli parlare in tranquillità. Simon, sei miope, non sei utile davanti se non per distrarre Jace Michael che si perderebbe a darti fastidio. Alec è il più grande, è il più alto e anche quello che non deve prendere gomitate nelle costole per colpa di una curva.
Chiudete quelle boccacce e andate alla vostra cena.>> sentenziò con gli occhi socchiusi in una fessura pericolosa.
Max deglutì. << Tu dove vai nonna? Papà ti riporta a casa?>>
La donna fece un verso di scherno e scacciò una mosca con la mano. << Non essere sciocco Maxwell, non torno a casa a Natale. Cosa ci faccio sola? La maglia? No, sono stata invitata ad un ricevimento, proprio come lo siete voi. Solo che il mio è più formale e decisamente degno di questo nome.>>
<< Infatti noi andremo ad una festa...>> provò a dire Izzy, ma si zittì preso.
<< Stessa cosa, meno formale, meno importante. Non discutere con i tuoi fratelli, non fatelo nessuno di voi. E neanche voi due, specie con Alexander. Lui è il maggiore e voi gli dovete dar retta.>> Poi annuì e si voltò verso la porta, uscendo con tutta la grazia che quella vecchietta incartapecorita aveva. Si chiuse il pesante portone alle spalle con un colpo secco e poco dopo apparve dal corridoio una Maryse quasi trafelata che si guardò attorno preoccupata.
<< Dov'è vostra nonna? La macchina che la doveva venire a prendere ritarda per il traffico, ditemi che non è davvero uscita a prendere la metro da sola.>> chiese con espressione guardinga.
I ragazzi si scambiarono uno sguardo gelato poi indicarono tutti la porta.
Maryse alzò il volto al cielo, una mezza imprecazione stretta tra i denti bianchi e le labbra dipinte di un rosso tenue. Afferrò il primo cappotto che le capitò sotto mano e si precipitò fuori la porta masticando qualcosa come “dannata vecchiaccia, è proprio la madre di suo figlio”, lasciandosi dietro un pubblico ancora più congelato e perplesso.

Alec si tirò dritto con la schiena e si schiarì la voce.
<< Voi non avete visto e sentito nulla. Non eravamo qui, nessuno di noi, o non ci siamo accorti di niente.>>
<< Io ero distratto.>> concordò Simon, << Che ne dite, andiamo?>>
<< Possibilmente prima che torni indietro mamma… o che torni indietro mamma con nonna.>> disse Max con una sfumatura di paura nella voce.
Il terrore di dipinse sul volto di tutti quanti che velocemente si guadagnarono la porta, quasi spintonandosi a vicenda.
Alec lasciò che tutti scappassero fuori e si fermò proprio sulla soglia di casa, domandandosi se dovesse chiudere a chiave, se sua madre si fosse portata appresso le chiavi o se avrebbe potuto semplicemente usare quelle di scorta nascoste da qualche parte nel giardino.
Un lampo gli attraversò la mente e si sporse per fissare la porta che conduceva al seminterrato. Un sorriso divertito gli si allargò sul volto, storto e grande come, ne era sicuro, era quello sul volto di suo padre.

Suo padre che era in casa a farsi gli affari suoi e non a lavorare come probabilmente aveva creduto sua madre quando era uscita lei a rincorrere la suocera invece di spronare Robert a recuperare sua madre.

<< Buon Natale papà!>> disse a voce alta, attendendo solo pochi secondi prima che gli venisse risposto.
<< Buon Natale anche a te!>>
Alec rise di gusto ed uscì, senza preoccuparsi minimamente di come avrebbe fatto sua madre a rientrare in casa, certo che l'avrebbe accolta il marito con una tazza di tea in mano.

 

Forse gli conviene più il rum.

 

 

 

 

Il viaggio fino a Brooklin era stato piuttosto lungo, ma Simon gli aveva mandato un messaggio per avvertirlo di tutto il traffico che avevano beccato sulla 5th Ave. Quando il citofono aveva suonato con insistenza Magnus aveva riconosciuto immediatamente il tocco dell'amico, che anche durante la passata estate era solito attaccarsi al pulsante e cercare di replicare la Marcia Imperiale senza successo.
<< È inutile che ti ostini Septimus, solo a te pare il ritmo giusto.>> lo accolse sulla soglia della porta, poggiato alla stipite e con un bicchiere ricolmo di liquido aranciato in mano.
<< Sei tu che non la senti.>> gli sorrise Simon entrando di slancio e abbracciandolo come Magnus non aveva chiesto di essere salutato, costringendolo a posare il bicchiere sulla prima superficie libera.
<< Sei sempre terribilmente soffocante.>>
<< Ricordati che preferivi i miei abbracci alle sgridate di papà.>> ammiccò facendosi da parte e allargando il suo sorriso quando vide Raphael seduto su divano.
<< Amigos!>>
<< Per l'ennesima volta Lewis, se ci metti la 's' alla fine è plurale e non sono io qui quello che soffre di personalità multipla.>> ringhiò il messicano tentando inutilmente di scappare all'assalto di Simon che gli si lanciò addosso per salutarlo.
<< Magnus! Retómate el ratón antes que yo pueda hacer algo de que podría arrepentirme!>>
<< Te ne pentiresti davvero?>>
<< No, ma sarei perseguibile penalmente e non posso sparire dalla circolazione, mamà non approverebbe.>> spiegò mettendo una mano sulla faccia di Simon e spingendolo via.
Clary guardò l'amico preoccupata, lasciandosi abbracciare da quell'eccentrico uomo che aveva imparato a conoscere e apprezzare i quei mesi di degenza a cui era stato costretto e in cui era entrato praticamente a far parte della banda.
Se uno di loro rischiava di morire per salvarti la pelle eri assolutamente parte della banda.
<< Cos'ha detto?>>
<< Che Seween è un topo, che glielo devo togliere di dosso e che devo sbrigarmi prima che possa fare qualcosa di cui poi si pentirebbe.>> spiegò Magnus sorridendo e dandole un buffetto sulla testa.
<< Ho detto “potrei” non che lo farei sul serio.>> rettificò Raphael dopo essersi alzato in piedi, liberandosi di un divertito Simon che salutava Catarina, perfettamente consapevole che tutto quel teatrino era fatto solo per infastidire il riccio.
<< Fammi capire Fray, ho fatto spagnolo io che ero in una scuola privata super lusso in cui tutti pensavano che solo il francese fosse degno di nota e non tu che sei andata in una scuola pubblica?>> domandò Izzy reclamando tutta l'attenzione di Magnus e ondeggiando verso di lui su quei tacchi altissimi. Il loro ospite sorrise e la guardò con ammirazione, sillabando muto quanto apprezzasse il suo vestiti.
<< Cosa vorresti dire enterrador? Che la mia lingua non è degna di essere studiata nella tua scuola super lusso ma che è da rilegarsi nelle povere scuole pubbliche?>> sibilò Raphael.
<< E buon Natale anche a voi!>> esplose Jace ad alta voce. << Come riusciamo noi a far incazzare l'uomo del confine nessuno!>>
<< Come mi hai chiamato?>>
<< Come hai chiamato tu me!?>>
<< Credo che la traduzione sia “becchino” Iz. Ciao, io sono Max, il fratello più piccolo.>> si presentò il ragazzo porgendo la mano a Magnus.
<< E anche il più tranquillo, mi dicono.>> gliela strinse Magnus.
<< Ma come? Non hai conosciuto Alec?>> sorrise divertito ricevendo un occhiolino in cambio.
<< Mi ha chiamata becchino?!>> urlò Izzy facendo abbassare la testa il fratellino che con un mezzo sospiro si congedò dall'asiatico andando a calmare la sorella ed il fratello, che parevano far più danni che altro, intimando loro di abbassare la voce.
I ragazzi cominciarono a bisticciare come loro solito ignorando i tentativi di Max di farli star zitti e una rassegnata Catarina che andava a presentarsi al diciassettenne spiegandogli come quella fosse la norma, ma Magnus neanche li sentiva più, i suoi occhi completamente concentrati sull'ultima figura della fila.
Alexander se ne stava davanti all'entrata, le mani dietro la schiena e lo sguardo vacuo perso nella casa.
Magnus poteva perfettamente capire cosa stesse passando, come si sentisse. Anche lui la prima volta che era tornato a casa sua aveva impiegato più di qualche minuto per riuscire ad entrare, bloccato da un senso di nausea e di debolezza che non avevano nulla a che fare con il viaggio in macchina e con la gamba fasciata che gli pulsava, tanto meno con lo sforzo di reggersi sulla stampella. Era proprio il luogo, il ricordo. Magnus era svenuto sul parquet di casa sua, sfiancato dalla perdita di sangue. Alec c'era quasi morto, soffocato da quel sangue che si andava accumulando nel suo torace come invece fuggiva dalla coscia di Magnus. Su quelle assi di legno c'era la macchia enorme in cui era giaciuto mentre il para-medico lo rianimava. Alec, a conti fatti, era morto in quella stanza e poi era stato riportato in vita a forza.
<< Ehi.>> gli disse a bassa voce, facendo un passo verso di lui, pronto a tendergli una mano in ogni momento.
Alec portò lo guardo su di lui, scrutò tutta la sua figura e deglutì, si umettò le labbra, si risucchiò quello inferiore tra i denti e poi prese un respiro.
<< Ehi.>> espirò.
<< Va bene, prenditi il tuo tempo.>> fece con tono rassicurante e lo vide annuire.
<< Non mi serve, ci sono già passato, so che è solo un luogo. Non può riportarmi indietro.>>
<< Sembrano le parole di uno psicologo queste.>> gli fece notare con delicatezza.
<< Sono le parole di un chirurgo. Me lo ha detto quando- me lo ha detto anni fa. È tutto okay, so… davvero, tutto okay. Scusa se ti ho fatto bloccare sulla porta, ti si starà congelando casa.>> e così dicendo fece un traballante passo in avanti, superando la linea che divideva il pavimento del corridoio dall'interno della casa dell'altro, voltandosi poi per prendere la maniglia della porta e chiudersela alle spalle.
La mano gli tremò e Magnus si mosse veloce, poggiandovi sopra la sua e accompagnandolo nel gesto. Alzarono la testa per guardarsi, senza muovere le proprie mani, il sottofondo degli altri che chiacchieravano più o meno animatamente li toccava appena.
<< Non importa, ho il camino.>> disse stupidamente Magnus.
Non era la prima volta che si rincontravano, era successo spesso in quel mese, dopo che si erano rivisti nel suo ufficio, quando Alec gli aveva annunciato che sarebbe diventato Tenente.
Il ricordo di quel pomeriggio ne tirò sé un altro, molto più recente, risalente alla sera prima.
<< La tua promozione? Mi hanno detto che prima di diventare Tenente dovresti prendere il titolo di Sergente.>>
Alec lo guardò senza capire ovviamente il collegamento fatto dall'asiatico, batté le palpebre e poi abbassò la testa.
<< Si… >> soffiò piano.
<< Ma non ti sei sbagliato, anche Simon dice che ti promuovono Tenente.>>
<< Si… >> ripeté senza alzare il volto. << Io… è una storia lunga…>>
<< Non me lo hai mai detto.>> provò ancora.
<< Perché oltre ad essere lunga non è bella.>> lo stroncò subito alzando di scatto il capo. Poi si rese conto di essere stato troppo duro e piegò le labbra in una smorfia di scusa, storta come il suo sorriso. << Un giorno te la racconterò.>> disse, gettò un occhiata alla sala, << Magari quando saremo soli.>> fu una specificazione fatta con leggerezza, senza sottintesi, senza malizia, ma il semplice fatto che Alec sapesse che un giorno futuro- loro due avrebbero passato abbastanza tempo da soli -assieme- perché Alec potesse raccontargli una storia lunga -seria- e brutta -personale- gli fecero spuntare un sorriso sincero sul volto.
Annuì e gli tolse il berretto, liberando quella massa scompigliata che si era elettrizzata a contatto con la lana.
<< Va bene muffin, non c'è problema.>> disse togliendogli anche la sciarpa e appendendola all'appendi abiti. Lo aiutò a togliersi il cappotto e poi provò ad abbassargli qualche ciuffo che puntava verso il soffitto.
<< Diamine, neanche con il gel a me reggono così tanto gli spike!>>
<< Questo perché per gli spike servono gel e lacca. E poi li foni.>> gli disse regalandogli un timido sorriso, nulla più di un tendersi di labbra.
Magnus annuì poi si bloccò. << E tu come fai a sapere cosa sono gli spike e come si fanno?>> chiese guardandolo con espressione concentrata.
Il sorriso di Alec si allargò, dimostrando quanto si stesse rilassando. << Periodo punk.>> disse solo.
<< Pircig, tatuaggi e spike'? Ti facevi davvero la testa a porcospino?>> gli domandò ancora incredulo e divertito.
L'altro scosse la testa. << Ero più un tipo da cappuccio, ma se proprio dovevo ero da cresta unica.>>
<< OMMIODIO!>> fece Magnus portandosi le mani al cuore. << Non puoi dirmi queste cose Alexander! Se mi ti immagino vestito di pelle, con la cresta, il tira pungi e le borchie poi mi eccito e non mi pare il caso di presentarmi così ai nostri ospiti!>>
Alec rise a bassa voce e scosse la testa. << Andiamo, drama queen, prima che gli ospiti ci diano per dispersi.>>
<< Al massimo pensano che stiamo amoreggiando.> specificò lui.
<< Ma non lo stiamo facendo.>> rettificò Alec superandolo.
Magnus lo trattenne per un braccio. << No, non lo stiamo facendo. Ma non mi hai neanche salutato.>>
<< Ti ho detto “ehi” come tu lo hai detto a me.>> gli fece notare il moro.
L'uomo alzò gli occhi al cielo, << Cosa devo fare con lui?>> chiese al nulla, << Tesoro, non ho rischiato la mia vita su una scala per attaccare piante di dubbia provenienza al mio soffitto per poi sentirmi dire che ci siamo salutati con un “ehi”. Alza un po' quella bella testolina che ti ritrovi.>>
L'espressione confusa di Alec scemò quando fece come gli era stato detto e intercettò un ramoscello di vischio attaccato al soffitto. Non riuscì ad impedirsi di sorridere e riabbassò il capo guardando Magnus negli occhi.
Un brivido caldo gli scivolò sulla schiena all'occhiata dolce che Alexander gli rivolse ed un altro lo seguì a ruota quando il poliziotto gli si avvicinò e si chinò per depositargli un leggero e delicato bacio sull'angolo della bocca.
<< Buon Natale Magnus.>>
<< Buon Natale anche a te Fiorellino.>>

 

 

 

Lily era arrivata poco dopo di loro ed era stato il panico.
Il caratterino della ragazza non era minimamente ciò che gli altri si aspettavano, ma come disse Clary, non c'era da stupirsi che lei e Raphael andassero così d'accordo. Se si poteva dire “andare d'accordo” due persone che si dicevano cattiverie gratuite sogghignando in modo preoccupante e poi si univano in un duo micidiale per prendere per il culo gli altri.
Isabelle stava fumando dalle orecchie, Lily scrutò il suo abbigliamento e poi annuì ancora.
<< Si, è proprio un classico abbinamento da manichino. È incredibile la quantità di gente che si fa trasportare dalla moda senza capirla, poi ci stupiamo del fatto che tutti ci rassomigliamo.>> sorrise alla vena che pulsava sulla fronte della ragazza e poi alzò il bicchiere allungando il braccio verso Simon, << Topo, già che stai in piedi, versami altro vino, la bella bottiglia verde sul mobile, se non dovessi vederla.>>
<< Sono miope non daltonico.>> sospirò Simon sporgendosi verso il mobile e afferrando la bottiglia. Raphael, seduto di fianco a Lily, ridacchiava come un bambino che assiste sadico alla sgridata dei genitori al fratello.
<< A no? Scusa, ma da come sei vestito credevo di si.>>
Clary aprì la bocca in una posa indignata, Jace le strinse la mano ma fulminò Lily con lo sguardo, venendo palesemente ignorato. O quasi.
<< Magnus, non mi avevi detto di aver preso un altro animaletto, un po' over-size, c'è da dire.>> continuò lei alzando le sopracciglia ed indicando il biondo.
Magnus e Catarina se ne stavano invece ai lati del divano, indecisi se ridere del classico trattamento che Lily riservava a tutti coloro che non conosceva, o se intervenire e chiarire il grandissimo malinteso che stava andando creandosi in quella stanza.
Ma forse non era un caso la loro amicizia con Santiago ed il sorriso sempre più largo sui loro visi ne era una prova schiacciante.
<< Non è un animaletto, si chiama Jade.>>
<< Jace!>> ringhiò quasi il ragazzo.
<< Mh, che nome banale.>> Lily annuì, << E il fungo che gli sta affianco? Ti sei dato al contrabbando di ordigni nucleari o hai solo deciso che lo stile “foresta” ti piaceva?>>
Max alzò un sopracciglio e si tirò su gli occhiali, volse un poco la testa verso Alec e chiese a bassa voce: << Sta parlando di Clary?>>, ricevendo solo un assenso dal moro che scrutava con attenzione la giovane.
<< O forse è un elfo di Babbo Natale? Pensavo che ormai avessi superato quel periodo, hai rubato anche un bambino che era lì a fare la fila per la letterina? I genitori lo sanno? Credo che nessuno di loro abbia l'altezza giusta per uscire senza una freccia che indichi dove si trovino, non lei almeno.>
Max drizzò la schiena, ora stava parlando decisamente di lui.
<< E vorrei dirti che i tuoi racconti mi stanno davvero deludendo, mi immaginavo un uomo, non un soprammobile.>> concluse con una smorfia, indicando Alec senza neanche degnarlo di uno sguardo.
I fratelli Lightwood si fecero immediatamente più indignati che mai, pronti a rendere pan per focaccia a quella tipa che li stava tutti insultando.
Sul volto di Magnus invece si dipinse quel velo di sadismo che aveva illuminato Raphael.
<< Mi spiace, ma forse se smettessi di aprir bocca solo per lamentarti di nostri ipotetici difetti solo nel tentativo di mortificarci e mettere in chiaro che sei superiore a noi, adesso staremo avendo una conversazione piacevole e festeggiando il Natale, invece di perdere tempo ad assistere al tuo piccolo show.>>
Lily voltò di scatto la testa fissando allibita il moro. Gli occhi scuri truccati alla perfezione sgranati come se non credesse a ciò che aveva appena sentito.
<< Come scusa?>> lo provocò.
<< Oh, non pensavo che oltre ad essere stronza fossi anche sorda, perdonami.>> ritorse Alec con tranquillità.
Il silenzio avvolse la stanza, pesante e imbarazzante come poteva esserlo solo in quella situazione.
Gli altri alternavano la loro attenzione dall'uno all'altra, incerti se essere fieri della risposta di Alec, indignati dalle parole di Lily o se maledire il poliziotto per quell'uscita del tutto indelicata.
Cinque minuti di puro silenzio che si concluse come Magnus, Catarina e Raphael si aspettavano.
Lily annuì convinta. << Sono stronza ma non sorda.>> disse sorridendo. Si volse verso i suoi amici. << Lui mi piace. Non si sta zitto solo perché non mi conosce e non vuole sembrare maleducato.>>
Scoprì i denti in un ghigno irritante guardando gli altri e le loro facce scioccate.
<< Cosa? Vuol dire che- ?>> chiese Clary lasciando la frase in sospeso.
<< Che sei bassa e sembri un fungo è vero però.>> la stroncò subito la ragazza.
<< Ha ragione.>> s'intromise Alec con aria ragionevole.
<< ALEC!>> urlò Jace alla presa di posizione del fratello, del tutto contro la sua ragazza e del tutto concorde al normale comportamento del detective.
<< Andiamo, è oggettivamente bassa. Come fate a baciarvi? Beh, il lato positivo è che non si deve mettere in ginocchio per farti una se- >>
<< ALLORA! Il traffico era causato dalla neve o dalla migrazione per il 25? Ho sentito che molti locali alla moda hanno preparato spettacoli di ogni tipo.>> disse allora Magnus saltando su e attirando l'attenzione, sperando che nessuno avesse sentito ciò che aveva cominciato a dire Lily. Ma dalla faccia schifata di Simon, quella divertita di Max e quella palesemente trattenuta di Izzy dovevano averlo tutti ben sentito.
Lanciò un'occhiata ad Alec e gli sorrise: sapeva che sarebbe riuscito a capire anche lei, dopotutto il ragazzo pareva saper sempre come prendere tutti i suoi amici.
Sì, si disse Magnus, sarebbe piaciuto anche a Malcom, li avrebbe fatti conoscere prima o poi, e anche Quinn e Meliorn, forse si sarebbe addirittura azzardato a farlo conoscere ai fratelli Santiago, magari anche a Guadalupe.
Scosse la testa e si diede un pizzico da solo, non doveva pensare al fatto che avrebbe volentieri fatto conoscere Alec alla sua famiglia, pareva così intimo, così da coppia. Sospirò, era i vischio questo, gli dava alla testa.
<< Cominciamo a mangiare? Direi anche che possiamo mettere della musica natalizia.>>
<< Purché sia qualcosa di movimentato>> rettificò Lily.
<< Per te movimentato vuol dire “sconcio”.>> Catarina scese dal bordo del divano e si avvicinò ad una delle tante ciotole ricolme di cibo, prendendo una manciata di popcorn e mangiandoli uno alla volta.
<< Non è vero!>>
<< Oh, vi prego, ho già passato tutto il viaggio in macchina a sentire quella stupida canzone, non fatemi sentir altre cose del genere.>> si lamentò Izzy storcendo il naso.
<< Che canzone?>> domandò allora l'asiatica incuriosita.
<< Dick in a box!>> risposero in coro Max, Jace e Simon.
Magnus si voltò con lentezza verso Alec, come chiedendogli la conferma di ciò che aveva appena sentito. Catarina si schiaffò una mano in faccia, attenta a non colpire il trucco e Raphael si limitò a sogghignare.
Tre.
Due.
Uno.
<< MA È LA MIA CANZONE NATALIZIA PREFERITA!>>

Alec gli sorrise e annuì: sì, i loro amici avevano appena trovato un punto d'incontro.
<< Direi che la serata può iniziare allora.>>

 

 

 

Il tempo preciso era dodici minuti e quarantatré secondi, quanto era servito a tutti per sciogliersi anche se i ragazzi continuavano a prendere con le molle tutto ciò che diceva Lily, che più di una volta venne stroncata dalla brutale sincerità di Alec che l'attirava come una candela con una falena. Si divertiva a parlare con il moro, gli faceva battute a sfondo così palesemente sessuale, volte tutte a farsi dare informazioni sulle sue capacità, che alla fine Raphael era dovuto andare a staccargliela di dosso e schiaffargli un martini in mano. Poi era tornato sul divano a litigarsi la ciotola degli m&m con Simon che per poco non l'aveva rovesciata a terra per lo spavento che gli aveva fatto prendere il messicano sussurrandogli all'orecchio di sganciare il malloppo.
Come da lì fossero arrivati a parlare di chi sarebbe riuscito a mettere in bocca più marshmellows possibili, a Magnus era del tutto sfuggito, ma i suoi ospiti sembravano così presi...
Isabelle si era seduta sul bordo del divano, la ciotola dei dolcetti davanti e lo sguardo serio.
<< Le regole sono semplici: devi riuscire a metterti più marshmellows possibili in bocca. Uno alla volta e non li puoi ingoiare. Se li sputi, hai perso. Se li mandi giù, hai perso. Se soffochi hai perso ma per tua fortuna sono una dottoressa e posso salvarti la vita.>>
<< Sei un patologo forense Iz, al massimo dichiari la nostra morte e ci fai l'autopsia.>> sbuffò Jace bevendo un lungo sorso di non sapeva bene cosa. Assaporò la bevanda e poi, convinto, la buttò giù tutta d'un fiato.
<< E ditemi, fate spesso queste gare?>> domandò con nonchalance Magnus alzando un sopracciglio ed accomodandosi sulla coda del divano ad L, guardando male Raphael che si era rubato l'angolo e deteneva il possesso dei vermi gommosi. Catarina alla sua destra mangiava un tramezzino decisamente più sottile di Lily, che invece ne aveva messi due uno sopra l'altro e riusciva a mantenere comunque quella sua aria da bambolina di porcellana che aveva.
<< Sì, è praticamente una tradizione a casa Lightwood, abbiamo sempre qualche sfida a tema cibo.>> confermò Max tirandosi su gli occhiali che gli erano scivolati quando si era chinato per prendere il suo bicchiere di birra.
Simon sospirò imbronciato. << Perché a lui hai dato subito qualcosa di alcolico anche se sai perfettamente che non è maggiorenne e invece a me, che lavoro addirittura per la polizia, non hai voluto dare neanche un aperitivo?>>
<< Perché ancora non sono convinto della tua età, Sheppard, malgrado Alec ti prepari birra, cola e rum.>>
<< OH! Alec è da un botto che non me la fai! Saranno tipo-- >>
<< Tipo sei mesi Iz?>> chiese retorico Alec facendo sorridere imbarazzata la sorella.
Poi si riscosse.<< Allora! Cominciamo?>>
<< Certo! Quest'anno vinco io!>> affermò Jace, seduto sul tappeto con Clary in braccio.
<< Non credo proprio fratello.>> lo stuzzicò Max al suo fianco, dandogli una gomitata per farlo reagire e sballottare Clary a destra e manca.
<< Attenti ragazzi, Raphael è un divoratore di dolci provetto.>> li avvisò Catarina.
<< Ma non li deve mangiare! Li deve tenere in bocca!>>
<< Allora a prendere tanta roba in bocca il migliore è Mags!>> farfugliò Lily masticando l'enorme pezzo di panino che le pendeva dalle labbra. Raphael al suo fianco la guardava schifato.
<< Non lo metto in dubbio...>> borbottò il biondo a bassa voce.
La sua ragazza gli si rigirò tra le braccia per guardarlo con fare accigliato, lui scosse la testa.
Alec lo avrebbe ucciso se avesse raccontato a Clary che era più che convinto delle capacità di Bane di prenderlo in bocca viste le dimensioni del fratello.

E cazzo, io l'ho visto solo a riposo, non voglio sapere com'è dritto.

<< Lily Chang, cosa vorresti insinuare?>> le chiese Magnus mettendosi le mani sui fianchi e fissandola tra il divertito e il rimprovero.
Lei si strinse nelle spalle. << Non sono io che mi faccio chiamare “Sommo Stregone del sesso orale”.>>
<< Credevo che la dicitura di Sommo Stregone fosse per il tuo lavoro, non per i tuoi lavoretti.>>
<< Questa era davvero fine Seamus, complimenti, se avessi un cappello me lo toglierei.>>
Magnus gli fece un segno ossequioso con il capo e Simon glielo restituì ridacchiando.
<< Va bene, va bene, ora basta convenevoli.>> Lily si tirò a sedere mandando giù l'ultimo pezzo di tramezzino. Si sistemò per bene e mandò indietro i capelli. << Vediamo un po' chi di noi due è più bravo a prendere le cose in bocca Bane!>>

La ciotola era passata di mano in mano, per cominciare cinque marshmellows a testa, ma Catarina aveva cominciato a ridere al terzo e non era più riuscita a fermarsi, guadagnandosi l'ultimo posto e il titolo da arbitro.
La seconda a cedere era stata Clary, sei Marshmellows erano troppi per la sua piccola bocca ed erano stati il terreno fertile della prima azione congiunta di Lily e Izzy, che avevano preso in giro la rossa senza pietà, lanciando frecciate a Jace che avevano fatto storcere il naso al biondo e piagnucolare Simon che non voleva sapere certe cose.
<< Beh, ma allora è inutile avere dalla propria parte l'altezza se poi ti entra in bocca a mala pena la punta!>>
<< Lily!>>
Il terzo ad uscire era stato, sorprendentemente, Simon, ma per il semplice fatto che Jace gli aveva rifilato un coppino a tradimento facendogli sputacchiare ovunque pezzi di caramella. Persino su di lui visto che il tecnico gli si era voltato contro per dirgli di lasciarlo in pace. Per quella sleale mossa e per le troppe risate Izzy si era quasi ingoiata uno dei suoi ed era stata squalificata.
Magnus era a nove marshmellows quando il biondo aveva rischiato il soffocamento per colpa del decimo e alzandosi per andare a sputare quell'agglomerato di zucchero aveva urtato Raphael che ne aveva sputato uno dritto nel suo vino.
Il fatto che suddetto vino non fosse finito in testa al secondo dei Lightwood era dovuto solo ed unicamente al fatto che era il suo preferito e che il ragazzo era scappato via in tempo.
Lily ora lo fissava con aria di sfida, gli occhi a mandorla assottigliati, l'undicesimo marshmellow in mano e le guance piene come quelle di un criceto.
<< Andiamo Lily, non puoi vincere, Magnus è un uomo, è un fatto anatomico, ha la bocca più grande della tua.>> le disse Catarina posandole una mano sulla spalla.
La Chang mugugnò qualcosa di assolutamente non comprensibile, poi strinse la caramella gommosa tra indice i pollice e la premette contro le proprie labbra.
Magnus la guardò trionfante quando non riuscì nell'intento ed esultò quando la ragazza cominciò a masticare a fatica tutto quello zucchero.
<< FOFO FIFFIFOFE!>> alzò le mani al cielo.
<< Non so cosa tu abbia detto Magnus, ma ti ricordo che andate per gli undici tu, Max e Alec.>> lo informò Jace felice di distruggere i suoi sogni di gloria.
Max guardò il fratello maggiore, poi scosse la testa e alzò anche lui le mani, solo in segno di resa.
<< A quanto stai piccoletto?>> gli domandò dolcemente Isabelle.
Il ragazzo aprì entrambe le mani.
<< Magnus?>>
Lui invece alzò anche due dita.
<< Dodici? Wow, Mags! Hai praticamente vinto.>> Catarina gli batté il cinque ma Simon invece scosse la testa.
<< Na, non credo proprio.>>
<< Perché?>>
<< Alec?>> chiese voltandosi verso di lui.
Il giovane se ne stava a bocca chiusa, le guance leggermente gonfie ma neanche tanto. Aprì e chiuse la mano destra tre volte e Magnus aprì le sue labbra in una 'o' tutta bianca, rosa e appiccicaticcia di caramella.
<< Foffe faffo oi foffo a feffefene foffi faffi?>>
Max deglutì. << Credo che fosse un “come hai fatto”. Fossi in te non mi stupirei, se ne metteva quindici in bocca a dodici anni, ora potrebbe mettersene il doppio, ma non lo fa mai per non umiliarci troppo.>>
Alec alzò gli angoli delle labbra, poi prese altri due marshmellows e se li ficcò in bocca con facilità.
<< Non ci credo! Per me se li è mangiati!>> fece Clary ridendo sconcertata.
<< Da quel che so io, Mr Detective qui è più che capace di ficcarsi tanta roba in bocca. Forse dovresti cedere al lui il titolo di Sommo Stregone del sesso orale.>> constatò Lily rubando comunque una caramella e addentandola con gusto.
Max storse il naso. << Questa non la volevo sapere...>>
<< Cosa? Andiamo Max, sappiamo perfettamente che Alec sarebbe capace di ingoiare intero anche un hotdog!>> Jace sorrise scuotendo il fratellino per una spalla mentre Isabelle rideva di gusto e Alec si faceva rosso in viso.
<< Avevate promesso di non tirare più fuori l'argomento…>> borbottò imbarazzato.
<< Ehi! La mia è tutta ammirazione, fratello! Ci riuscissi io!>> gli fece Iz allungandosi per dargli una pacca sulla gamba e facendo così ridere ancora di più gli altri.
<< Puoi sempre farti insegnare la tecnica!>> suggerì l'asiatica.
<< Dai, lasciatelo perdere…>>
<< Cat sei troppo protettiva, stiamo solo elogiando le sue doti!>>
<< Scusate, perché ho la vaga sensazione di essermi persa qualcosa?>>
La domanda di Clary fece girare tutti verso di lei, Simon compreso che non capiva tanto quanto la sua amica, fatto che non sfuggì a Max che si rese conto ben presto che i due erano gli unici che parevano non saper niente di quella storia.
<< Un momento. >> disse infatti il ragazzo, << Perché invece voi sembrate non esservi persi nulla?>> chiese assottigliando lo sguardo.
Raphael alzò un sopracciglio e si portò l'ennesimo bicchiere di vino alle labbra, ignorandolo. Catarina invece si voltò a sorridere imbarazzata ed un poco mortificata verso Alec che, senza dar il minimo peso allo sguardo malizioso di Lily, si girò verso Magnus a bocca aperta.
<< Glielo hai detto!>> lo accusò scioccato.
Magnus gli sorrise colpevole.
<< Non è che gliel'ho proprio detto, non quello che mi hai detto tu...gli ho solo raccontato, beh, insomma, il resto.>>
La bocca di Alec si aprì ancora di più, senza che il giovane riuscisse a proferir parola, le sue guance sempre più rosse e quello stesso rossore che cominciava a scendergli sul collo.
Lily si sporse in avanti ed inclinò la testa. << Beh, ad essere bella grande lo è!>>
<< GLIELO HAI DETTO!>> urlò allora il poliziotto.
<< Ma detto cosa?>> chiese Simon senza capire.
<< Piuttosto: Tu lo hai detto a lui?>> gli parlò sopra Izzy sorpresa.
Jace invece tenne la testa bassa, lo sguardo perso tra le bottiglie che avevano trascinato lì vicino, nel tentativo di trovare qualcosa da bere per non essere interpellato. Se avesse anche solo sfiorato Izzy con lo sguardo sua sorella avrebbe subito capito tutto, avrebbe intuito che Alec gli aveva raccontato qualcosa che lei non sapeva e che sicuramente implicava Magnus e Jace avrebbe mentito come solo lui sapeva fare.
<< Gli ho accennato la cosa...>> farfugliò a bassa voce il moro.
<< Che hai la gola abbastanza profonda da- >>
<< Lily, credo che queste siano cose private, lascialo in pace. >>
La voce di Raphael aveva avuto un effetto immediato sulla ragazza che si era voltata a guardarlo, lo aveva scrutato per bene, leggendogli in faccia qualcosa che probabilmente solo loro sapevano, e poi aveva annuito.
Alec non poteva credere a tanta fortuna.
<< Comunque io sarei orgogliosa di dire in giro che sono in grado di prendere interamente anche i venti centimetri di Magnus.>>
Lo schiaffo che risuonò nella stanza era quello che Alec si era dato da solo in piena faccia, gli altri mantennero il silenzio più totale. Poi Isabelle si voltò verso il fratello, pronta per ribattere.
<< Tu- >>
<< Venti centimetri? Cazzo Bane! Hai davvero un- uhg, beh, cazzo da applauso!>> proruppe Jace stroncando sul nascere Izzy, che lo guardava incerta se continuare a battere il ferro finché era caldo, e così seguire l'insinuazione di Lily a cui, in un qualche modo, Alec aveva dato veridicità, o se concentrarsi su Jace che effettivamente le stava facendo notare altro.
<< Davvero amico, complimenti!>> s'intromise Simon battendo una mano sul ginocchio di Magnus e ricevendo uno sguardo di silenzioso ringraziamento dal biondo: la solidarietà maschile era una cosa senza prezzo.
<< Si, vero.>> corse in suo soccorso anche Max, che aveva intuito probabilmente molto e cercava di sviare il discorso. << Ma aspetta: te lo sei misurato? E poi, per favore, dimmi che lo hai misurato da dritto se no mi sentirò davvero, davvero una persona piccola ed insignificante.>> continuò senza lasciar ad Izzy la possibilità di intromettersi, il che era un miracolo dovuto solo alla sua sorpresa.
<< Ovviamente dritto.>> disse con nonchalance Raphael. << Ma probabilmente era ubriaco e non ha visto bene i numeri.>>
<< Ti piacerebbe Santiago, ma no, ero lucidissimo.>> gli soffiò contro Magnus.
<< Già il semplice fatto che tu fossi abbastanza eccitato per avere un'erezione da per scontato che non eri lucido.>>
<< Che c'è? Vuoi vederlo ora?>> lo provocò scattando in piedi e guardandolo dall'alto.
<< So che può sembrare strano per il tuo smisurato ego, ma non ho proprio voglia di vedere il tuo pene a Natale.>> fece schifato.
<< Questo è perché sai di aver torto.>>
<< No che non ho torto.>
<< Allora me lo misuro ora!>>
<< Non saresti obbiettivo!>>
<< Ca- >>
<< Non ci pensare Mags! Non ho la minima intenzione di prendere le misure del tuo pene.>> mise subito in chiaro la donna, allungandosi poi per prendere una bottiglia colorata e versarsi una buona dose di non sapeva cosa. Era incredibile che stessero mettendo su tutto quel teatrino solo perché Lily aveva la lingua lunga e biforcuta e non era riuscita a far a meno di spifferare in un qualche modo, seppur implicito, cosa avessero fatto Magnus e Alec. Un Alec completamente paonazzo che resisteva dallo scappare a gambe levate solo perché era un poliziotto.
No, non è vero. Solo perché il dottore gli aveva detto che non poteva ancora correre.
 

Dannate prescrizioni mediche!

 

Max gli passò un bicchiere gigante di cola e il moro lo apprezzò infinitamente.
Bevve i primi generosi sorsi come se fosse un alcolico, qualcosa che avrebbe dovuto farlo ubriacare fino alla morte, quando-
<< Allora ci viene Alexander con me! Lui è sempre imparziale, me lo misurerà lui!>>
<< E magari ti darà anche una mano a farlo alzare...>>
Con molto più dolore di quanto non avrebbe dovuto fargli, Alec si sentì la gola esplodere contro il sorso di coca cola che aveva ingoiato in un blocco unico e compatto. Gli andò in fiamme la trachea, gli lacrimarono gli occhi e cominciò a tossire come non faceva da troppo tempo, avvertendo una serie di piccole fitte al costato che lo fecero piegare in due per il male.
I ragazzi scoppiarono a ridere alla sua reazione ed Alec tirò un sospiro di sollievo: ci mancava solo che lo minacciassero una seconda volta di portarlo al pronto-soccorso.
Solo Catarina lo fissò con espressione preoccupata, ma ad un suo cenno del capo gli regalò un piccolo sorriso.
<< Credo che sia ora di smetterla di parlare di cazzi e fare qualcosa di costruttivo.>> sentenziò Lily alzandosi. Si girò verso Magnus e sorrise pericolosa.
<< Tira fuori la roba forte, dolcezza. Voglio andare in coma etilico e risvegliarmi senza ricordi mentre mi vomito l'anima.>>

 

 

 

Quando Lily aveva detto di voler andare in coma etilico, Alec non le aveva creduto.
Davanti a lui la ragazza teneva saldamente una bottiglia di birra, vicino a lei Jace rideva come un deficiente ad ogni minima battuta squallida che la sua compagna di bevute gli faceva. Izzy, seduta a terra, le gambe distese sotto il tavolino, teneva le testa reclinata sul divano e ridacchiava assieme al fratello.
Clary se ne stava accovacciata sul divano vicino al fidanzato, le scarpe con il tacco abbandonate ai piedi del mobilio e il bicchiere di capiroska alla fragola in mano, conversava amabilmente con Catarina che di tanto in tanto rifilava qualche colpetto a Raphael che si stava impedendo a Simon di infilare la mano della ciotola dei famosi vermi di caramella frizzante, aiutato da Magnus che scacciava il ragazzo per mangiare lui stesso i dolci.
Alec era poggiato allo stipite delle porta della cucina, fissando tutti gli altri ridere e scherzare mentre nella sua mente l'unica cosa che dominava era una notte afosa di inizio Agosto e la disposizione di quattro persone in quella stessa casa.
Scosse la testa, la frangia che gli ricadeva davanti agli occhi e gli ricordava, per l'ennesima volta, quanto avesse bisogno di un taglio di capelli. Avvicinò il bicchiere di tea alle pesca alle labbra, lasciando che i cubetti di ghiaccio al suo interno s'ammassassero verso il fondo, senza cercare di imprigionarli tra i denti come faceva sempre d'estate.
Fece cadere lo sguardo su Magnus e Raphael che continuavano a far fastidio a Simon, a passarsi le caramelle per non fargliele prendere proprio come dei bambini. Poi su le due ragazze che chiacchieravano e poi… era una bottiglia di vodka quella che Lily teneva in mano? Ma non stava bevendo birra cinque minuti prima?
<< Ehi Mags! Racconta ai ragazzi di quella bella serata a Maliboo!>> esplose Lily alzando la bottiglia in alto.
L'uomo si voltò verso l'amica e sorrise sornione. << Intendi quando sono stato eletto “Re indiscusso della sbronza”!>> asserì fiero di sé.
<< Nel senso che sei stato il primo a crollare?>> lo provocò scherzosamente Jace stringendo un braccio attorno alla vita di Clary.
<< No Trace, vuol dire che ho battuto marinai e scaricatori di porto, perché io, a differenza tua probabilmente, sono molto resistente.>> finì ammiccando ogni possibile doppio senso esistente.
Il ragazzo si tirò su dritto. << Io sono resistentissimo!>>
<< Anche io!>> gridò Izzy. << Io e Jace andavamo sempre in discoteca insieme e ci siamo temprati con i peggiori alcolici a basso prezzo del mondo!>>
Magnus sogghignò. << Mhpf, scommetto che non reggereste contro di me.>>
I due fratelli drizzarono le orecchie e lo guardarono ad occhi socchiusi.
<< Non farlo Bane, mai mettersi contro il Lightwood più bello!>>
<< Oh, tesoro, ma lo so benissimo che non devo sottovalutare Alexander!>> gli rispose staccando la testa ad un verme di gomma.
Izzy aggrottò le sopracciglia. << E ora che c'entra Alec?>> chiese mentre Lily le riempiva il bicchiere di un liquido giallo acido.
<< Ha detto che non devo mettermi contro il Lightwood più bello. Ovviamente tu non giocheresti mai d'azzardo contro di me, vero Fiorellino?>>
Alec gli fece un piccolo sorriso, imbarazzato dalla sua posizione sulla soglia della cucina.
<< Sai che non sono uno scommettitore...>> quasi bisbigliò e Magnus annuì felice della risposta.
<< Lily, bambolina, versa un po' di vodka anche a Jade, così la buttiamo giù al goccio e vediamo chi va meglio.>>
Il detective lo guardò improvvisamente accigliato: Ma non gli avevano detto che poteva bere un bicchiere, massimo due? Che era conveniente per lui non far un uso troppo intenso d'alcol?
Provò a dir qualcosa ma Izzy, che agitava di nuovo il suo bicchiere davanti al naso dell'asiatica, stroncò ogni possibilità di conversazione.
Lily sogghignò come il suo amico e versò due generose dosi ad entrambi i ragazzi, poi alzò la bottiglia al cielo. << Alla salute!>> trillò attaccandosi direttamente al collo e lasciandolo sporco di rossetto.
Alec osservò i suoi fratelli scolarsi un bicchiere di Vodka mentre Magnus si finiva di colpo quella che, lo sapeva perfettamente, era semplice acqua minerale.
Evidentemente quando Lily aveva millantato di voler svenire e non ricordare nulla era in perfetta sintonia con i suoi amici.
Alec cominciò a temere quando Raphael stappò la terza bottiglia di vino e, dopo averlo versato a Clary, Catarina e Simon si voltò verso Max:
<< Bevi vino?>>
<< Non sono abituato, non lo conosco bene, devo ammetterlo.>> sorrise il ragazzo passandosi una mano tra i capelli e tirandosi su gli occhiali in un gesto spontaneo.
Il messicano si strinse nelle spalle e riempì il bicchiere. << Il momento per imparare ad apprezzare il vino è ogni momento.>> sentenziò.

Alec ebbe un brivido lungo la schiena.
Perché non gli piaceva la piega che stava prendendo la serata?

 

 

 

<< AH! NO! È MIO RIDAMMELO!>>
La voce ad ultrasuoni di Isabelle superò la musica che Simon aveva sparato a tutto volume dal home teatre di Magnus.
Jace rise tenendo il cioccolatino smangiucchiato di Izzy fuori dalla sua portata.
<< Avresti dovuto tenerti i tacchi, senza sei bassa quasi quanto Clary!>> rise ancora e saltò in piedi sul divano.
La rossa si lasciò cadere all'indietro sui cuscini, singhiozzando dal divertimento, Raphael la scansò all'ultimo e diede uno spintone a Simone, lo sguardo lucido di chi aveva bevuto molto ma non abbastanza da non capirci niente. Mostrò i denti al castano e soffiò come un gatto, stringendosi al petto i confetti alla frutta.
<< Está lejos de mis confites!>>
<< Non sono tuoi!>> gli urlò contro Lily allungando inutilmente il braccio per raggiungerli.
<< DAMMI IL MIO CIOCCOLATINO!>>
<< NO!>>
<< E IO LO DICO A MAMMA!>>
<< Io li ho e io me li tengo. Quindi sono miei!>>
<< Oddio! Non respiro! Simon togliti di mezzo, mi sei caduto addosso!>>
<< Raaaaph! Eddai, dammi quei dannati cosi! Non puoi tenerli tutti per te tutta la notte!>>
<< Estoy haciéndolo, ratón!>>
<< Non vale parlare in spagnolo!>>
<< È MIOOOO!>>
<< Come ci siamo arrivati a questo punto?>>
Max si voltò verso Catarina, che teneva stratta in una mano una bottiglia trasparente e nell'altra una azzurra.
<< Credo che sia iniziato quando siete entrati qui dentro.>>
<< O quando avete lasciato Lily vicino agli alcolici.>> borbottò Alec. << Sono l'unico sobrio, vero? Odio essere l'unico sobrio.>> concluse incrociando le braccia al petto.
<< Questo solo perché poi i ragazzi ti dicono che sei un guasta feste.>> gli sorrise il fratellino.
Alec alzò gli occhi al cielo. << Certo: voi volete uscire, obbligate me a non bere perché qualcuno debe essere abbastanza sobrio per tornare a casa e per impedirvi di fare cazzate, ma poi quando lo faccio mi date contro. La trovo una cosa molto logica e gisuta, specie nei miei confronti.>>
<< Ma poi ti rifai riprendendoci o facendoci foto imbarazzanti di noi che facciamo cazzate.>> gli ammiccò Max facendo saltare gli occhiali sul naso in un sussulto buffo.
<< Facciamo un gioco!>> saltò su improvvisamente Simon.
Magnus, ora seduto al bar a mescolare alcolici senza un'apparente logica, sorrise benevolo al ragazzo.
<< E cosa vorresti fare, Shappard?>>
<< Mi pace Shappard! Come Dottor Stranamore di Gray's Anatomy!>>
<< Alec, voglio sapere perché Simon conosce Gray's Anatomy?>> chiese Catarina rivolta al detective.
Lui scosse la testa. << No, non lo vuoi sapere.>>
<< Okay, mi fido.>>
<< Catarina!>> urlò ancora il ragazzo. << Dammi una bottiglia vuota! Si fa un giro di gioco della bottiglia!>> cantilenò soddisfatto, ridendo poi a crepapelle quando un tonfo sordo avvertì che Izzy era caduta dal divano cercando di rincorre il fratello che si era mangiato il suo cioccolatino.
<< ERA IL MIO PREFERITO!>>
<< E ME LO SONO MANGIATO IO!>>
<< Lo sanno che ce ne sono altri venti identici?>>
<< No, lasciali stare.>>
<< E sarei io il ragazzino?>>
<< Io sarei il guasta feste, tu sei il ragazzino, si.>>
<< SIIIII!>> Clary applaudì la proposta dell'amico. << Però se devo baciare qualcuno non dobbiamo dirlo a Jace!>> fece portandosi l'indice davanti alla bocca e farfugliando in direzione di Lily.
<< Che non devo sapere?>>
<< Se devo baciare qualcuno al gioco della bottiglia!>>
Jace si strinse nelle spalle. << Non devi baciare solo Simon! Tanto Izzy non è lesbica e non credo neanche Catarina e Lily- >>
<< Io non disprezzo nulla.>> disse l'asiatica. << Anche se preferisco il pene.>>
<< Raphael è asessuato e quindi ti schiferà prima ancora che ti avvicini.>>
Max sbuffò. << Viva la grammatica.>> poi buttò giù il contenuto del suo bicchiere. Fece una faccia strana e batté le palpebre. << Che cazzo era?>>
Alec gli sfilò gentilmente il bicchiere di mano e lo annusò. << Sex on the beach.>>
<< Ma è- >>
<< Dolce da far schifo? Lo so, a me piace.>>
<< Ma non puoi berlo.>> si girò a guadare i fratelli maggiori. << E dovrebbero smettere anche loro.>>
<< Oh, no, per carità. Loro devono dimostrare a Magnus che reggono l'alcol meglio di lui.>> fece con voce trasudante sarcasmo.
<< TUTTI IN CERCHIO!>> urlò Clary, la voce acuta oltre il sopportabile.
Raphael grugnì e bevve il fondo del vino. << Io non ci gioco a quella roba. È da niños.>>
<< Eddai Ralphy!>>
<< Non mi chiamare in quel modo abominevole!>> gracchiò schifato. Ma ogni sua protesta morì quando Lily gli si sedette in braccio, le mani occupate da due bicchieri alti e colmi fino all'orlo.
<< Gira tu Sam!>> troncò le proteste dell'amico.
Il ragazzo non se lo fece dire due volte, mente tutti prendevano posto gli uni affianco agli altri, chi sul pavimento, chi sul divano.
Alec si accomodò sul bracciolo, dietro a Jace che subito allungò un braccio per cercare quello del fratello e individuata la sua mano se la schiaffò in testa in una muta ma palese richiesta di grattini.
<< Le regole le sapete tutti. Raphael, passami una gommosa.>>
<< Attaccati.>>
<< Il solito.>> sbuffò. << Lily, passami una gommosa.>> provò allora.
La ragazza prese una manciata di caramelle e gliele lanciò contro. A bocca aperta Simon cercò di prenderne il maggior numero, le altre le raccolse da terra senza problemi, offrendone anche una a Clary e una a Izzy.
<< Primo giro! E…. >> fece girare la bottiglia di birra sul tavolino, dove ovviamente slittò e cadde a terra, salvata solo dal tappeto. Il collo indicò comunque Catarina.
<< Catarina! Deve- >>
<< Fare la verticale!>> ululò Jace.
<< Fare la verticale!>> concordò Simon. << Contro...>>
Girò di nuovo, la bottiglia cadde ancora e si andò a fermare contro Isabelle.
<< SI!>> Izzy scattò come una molla e tese le mani verso Catarina, che sorridendo divertita, si lasciò trascinare in uno spazio semi libero e, toltasi le scarpe, alzò le braccia in alto e anche la gamba destra per prendere la ricorsa.
<< Tu tienimi però.>> fece seria come non era.
Izzy sgranò gli occhi. << Parola di scout! Non ho mai lasciato cadere neanche Alec e lui è il triplo di me.>>
<< È il doppio di te, se no sarebbe il quadruplo di Clary- >> disse Jace.
<< Perché mi tiri sempre in mezzo?>> si lamentò lei.
Il suo ragazzo l'agguantò per un polso e la trascinò giù dal divano facendola urlare. << Perché sei la mia cosina rossa preferita!>>
Alec alzò gli occhi al cielo e poi cercò quelli del fratello minore. << Magnifico, comincia già con i nomignoli e sono… quanto? Le dieci di sera?>>
Max annuì. << Sto aspettando quando le farà una serenata.>>
Un grido ed un tonfo, beh, due tonfi, fecero voltare tutti verso Catarina, sdraiata a terra sopra Izzy con la testa tra i suoi piedi. La mora rideva con le gambe dell'altra sulle spalle.
<< AVEVI DETTO CHE MI REGGEVI!>>


 Lo schiamazzo proseguì con alti e bassi, con Clary che obbligata a ballare sul tavolo mentre Raphael le lanciava contro pop corn, che finì inevitabilmente con una gara tra Jace, Simon, Magnus e Max a chi riuscisse a prenderne di più al volo. La sfida tra Jace e Lily a chi mangiasse più gelato, che si concluse con entrambi con le sinapsi ghiacciate mente Alec e Magnus, seduti vicini, mangiavano il gelato al cioccolato direttamente dalla scatola come avevano fatto quell'estate. Magnus e Simon che si esibirono in un agghiacciante quanto perfettamente sincronizzata Caramel Dance; Calry che teneva Izzy per le caviglie mentre lei doveva mangiare tutti gli skittes nella ciotola, sino a quando la bottiglia non capitò proprio in mano alla mora.
<< Oooookay gente! Io obbligo… >> girò. << Alec!>> sorrise divertita e brilla al fratello.
<< A baciare come nella scena di un film- >>
<< Iz, sta già diventando troppo complicato… >> si lamentò Simon.
<< Questo perché non hai bevuto abbastanza. >> gli disse Lily passandogli il suo bicchiere. << Tieni, butta giù che dopo sarà tutto chiarissimo.>>
Isabelle intanto fece girare la bottiglia, ora sotto il tavolo, e attese. Max si appiattì per terra, seguito a ruota da Jace che si alzò così in fretta da dare una capocciata al mobilio e ribaltarlo assieme ai bicchieri che vi erano sopra e alle patatine.
In un trionfo di cips gialle e rossastre di paprica il biondo saltò in ginocchio e urlò indicando il malcapitato:
<< MAGNUS!>>
Alec li guardò scioccato. << Non ci credo, avete barato!>>
<< È IL MIRACOLO DI NATALE!>> Gridò Izzy.
<< Non tirare in ballo Dio, ragazzina! Non in mia presenza!>> gli rigridò dietro Raphael prima che Catarina gli ficcasse una manciata di salatini in bocca facendolo quasi strozzare, esattamente come poco prima Isabelle con le caramelle alla frutta.
<< Come che film?>> domandò l'infermiera tutta eccitata.
<< Come….come...>> tentennò la mora.
<< SPIDERMAN CAZZO!>> urlò Simon saltando in piedi e poi mettendosi a rimbalzare sul divano.
<< SIIII!>> Gridò Clary, ancora sul tavolino, lanciandosi verso il sofà e prendendolo per grazia divina.
Alec boccheggiò senza sapere cosa dire, voltandosi verso Magnus in una silenziosa ed allarmata richiesta di soccorso.
Lui gli sorrise divertito e pacato.<< E come dovremmo fare secondo voi geni?>> chiese affondando ancora il cucchiaino nel gelato e infilando a forza una paio di cioccolatini nella crema semisciolta.
<< Barra da trazione!>> fece Jace, un colpo di genio di cui andava fiero. << Dimmi che hai una barra da trazione! Quelle che si attaccano nell'infisso della porta!>>
Magnus alzò un sopracciglio. << Ti paio forse quel genere di persona? No, mio non caro Trace, non ho una barra da trazione, io le mie trazioni le faccio sul letto, se sei ancora abbastanza lucido per capire cosa intendo.>> infilò il cucchiaino in bocca e masticò con gusto. << E in ogni caso non si potrebbe fare comunque: io non posso rimanere attaccato per le gambe, Alec non può issarcisi su e per di più non c'entrerebbero le nostre belle cosce.>> sorrise contento di aver smorzato l'entusiasmo del biondo.
<< E per la cronaca, Stewe, sei schifosamente romantico.>>
<< Lo sei anche tu se hai subito capito di cosa parlavo.>> lo rimbeccò offeso.
<< Lo sanno tutti cosa intendi quando dic- >>
<< IL MIO PALCO!>> l'urlo di Clary fece saltare tutti. La rossa si strinse al braccio del suo miglior amico e indicò il tavolo muovendo freneticamente un braccio.
<< Spiederman si sdrai sul tavolo e Mary Jane si siede per terra!>> Poi si calmò e divenne subito seria. << Ovviamente Alec è Spiderman a testa in giù e Magnus è Mary Jane.>>
<< Perché devo essere io la donna?>> si lamentò subito l'uomo.
<< Ce la giochiamo a carta, sasso, forbice?>> propose Alec togliendosi di grembo il barattolo del gelato e passandolo a Catarina assieme al suo cucchiaio.
Si avvicinò al tavolo e cominciò a mettere le cose a terra, certo che non ci sarebbe mai entrato se le avesse solo spostate sui lati. Magnus lo osservava da lontano, notando come il giovane non si fosse minimamente opposto alla proposta di sua sorella e non seppe dire se fosse nello spirito del gioco o se, come lui, non fremesse dalla voglia di baciarlo di nuovo.
<< Se ti metti a gambe incrociate ci arrivi, basta che Alec si sporga un poco.>> costatò Lily annuendo.
<< Basta che stai comodo con la spalla, bro.>> corresse Max.
<< Starò comodo, trovo la posizione migliore.>> aggirò il tavolo e diede le spalle a tutti, salendo di schiena e poi trascinandosi al centro. Si sdraiò e si fece avanti lentamente, la testa che sporgeva già fuori, fino a quando non raggiunse il livello delle spalle.
<< Dovrebbe bastare.>>disse a testa in giù, le guance che già si coloravano di rosso, per il caldo, per la posizione, per tutto quel cibo spazzatura e anche e soprattutto per la situazione.
Magnus annuì vacuo e si avvicinò, sedendosi a terra e sistemandosi al meglio sotto il bordo del tavolo.
<< Un bacio vero eh! Come quello del film!>>
<< E io e Simon lo abbiamo visto troppe volte per non sapere che quei due stavano limonando!>> aggiunse Clarissa.
Magnus alzò il volto incontrando gli occhi azzurri di Alec, gli sorrise: << Comodo Fiorellino?>>
Lui annuì. << Ci arrivi?>>
Il ghigno che tirò le labbra piene e lucide dell'uomo fece rabbrividire Alexander.
<< Oh, tesoro, lo sai che arrivo ovunque.>> e poi, senza neanche dargli il tempo di replicare, gli prese il volto tra le mani e lo baciò, sporgendosi in avanti e alzandosi un poco sulle gambe.
Posò le labbra sulle sue in un bacio dolce e morbido, mentre dietro di loro esplodeva un boato di fischi, applausi e grida entusiaste.
I due sorrisero senza rendersene conto, a quella manifestazione, finché Raphael – Raphael!- non ricordò loro che doveva essere come il film e senza farsi pregare troppo Magnus leccò il labbro inferiore di Alec e ottenne facilmente accesso.
Il bacio si trasformò in qualcosa di più intenso e profondo, i fischi aumentarono mente Magnus e Alec li ignoravano, concentrati solo su di loro, sul sapore delle loro bocche, sul movimento delle loro lingue e la consistenza delle loro labbra.

Isabelle gridò ancora più forte e prese il telefono che non aveva mai abbandonato per tutta la serata. Scorse veloce il blocco schermo e si ritrovò su una chat già aperta. Premette di dito sul vocale e avvicinò il cellulare per tentare di sovrastare il chiasso degli altri.
<< SI STANNO BACIANDO PA'! SI STANNO BACIANDO! IO LO SAPEVO!>> urlava con voce palesemente alterata dall'alcol. << ODDIO PA' NON POSSO CREDERCI! AVEVI RAGGIONE TU! DIO AVEVI RAGGIONE COME SEMPRE! SI STANNO BACIANDO- >> Jace gli si avvicinò, premendo al testa contro la sua e mangiandosi anche un paio di capelli. << E CHE CAZZO DI BACIO PA'!>> il pollice scivolò via dallo schermo, sudato e sporco di sale o zucchero o chissà cos'altro, facendo finire il vocale con una serie di fischi spacca-timpani che Lily lanciò come il miglior pastore dei monti.
Dopo quello che a loro parve un secondo ed un' ora al contempo, Magnus si allontanò lentamente da Alec, le labbra protese in avanti per rimanere il più tempo possibile in contatto. Aprì gli occhi con la stessa lentezza con cui si era distanziato, le ciglia lunghe gli regalarono una visione sfocata del volto di Alec, la stessa che il moro stava avendo di lui.
Si guardarono senza parlare, un leggero sorriso ad increspargli le labbra, sempre affascinante quello di Magnus, sempre storto quello di Alec.
Dietro di loro qualcuno stava saltando insistentemente sul divano e per quanto fosse nuovo Magnus dubitava fortemente che avrebbe retto Simone e Clary ubriachi e sovreccitati.
<< Vai a salvare il tuo divano.>> bisbigliò Alec senza staccare lo sguardo dal suo.
<< Non dovrebbe essere Spiderman quello che salva la situazione?>> gli domandò retorico.
Alec annuì al contrario. << Io andrò a salvare i nostri timpani dalle urla ultrasoniche di Izzy e dai fischi tremendi di Lily.>>
<< Le ho sempre detto che ha l'animo da pecorara.>>
Ridacchiarono come due adolescenti di uno scambio di battute che solo loro potevano sentire, durante un gioco ancor più da adolescenti di tutta quell'intera situazione.
Alec non disse che lui, quegli stupidi giochi, non li aveva mai fatti perché aveva paura a baciare le ragazze dopo che si era reso conto che non gli piacevano, che aveva la folle paura che loro lo capissero solo poggiando le labbra contro le sue. Non disse nulla eppure Magnus si sporse un'ultima volta in avanti, gli lasciò un bacio a fior di pelle che venne perfettamente mascherato dallo slancio che si diede per tornare in piedi e poi si voltò per fronteggiare i due scalmanati. 
<< OKAY VOI DUE, GIU' DAL MIO DIVANO!>>



Max aveva avuto la pessima idea di ricordare ai suoi fratelli che non avevano fatto la “classica sfida di Natale dei Lightwood”. Era nata come una constatazione innocente, con lo sdegno di Izzy che gridava come non fosse giusto che i loro genitori l'avessero scampata, poi Catarina aveva chiesto in cosa consistesse.
E lì era scoppiato il finimondo.
Di nuovo.
La Classica sfida di Natale dei Lightwood era una tradizione vecchia di anni, più precisamente del primo Natale di Alec, quando suo zio Max se lo era preso in braccio, un cosino di appena quattro mesi, e si era seduto al tavolo con gli altri invitati a giocare a poker. Quella sera Maxwell non aveva perso una singola mano, neanche una, aveva vinto in modo così assoluto e schifoso che si era stabilita una regola: si gioca a poker con i soldi solo a Natale, una volta l'anno e solo per riprendersi la rivincita sull'uomo.
Convintissimo che la fortuna fosse nell'ultimo arrivato di casa, Max l'anno dopo sedeva ancora allo stesso tavolo con un Jace di quasi un anno in braccio, pronto a vincere di nuovo tutto.
Alec, seduto invece in braccio al padre, aveva solo chiesto, con la sua piccola voce timida già a un anno, di poter tenere in mano le carte. Robert lo aveva aiutato e gli aveva sempre chiesto che carta volesse, per renderlo partecipe di quella piccola tradizione.
Quell'anno Robert stracciò suo cognato come lui lo aveva stracciato l'anno prima.
Non si era mai capito bene come fosse possibile, il poker era calcolo e strategia e Alec non era proprio il migliore in matematica, eppure ogni volta che prendeva in mano le carte, di qualunque genere, vinceva.
E lo faceva in modo scandaloso.
Jace aveva schiaffato una mano sulla bocca della sorella prima che lei potesse raccontare tutta la storia, fermandola al “è una vecchia tradizione che risale al primo Natale di Alec”, che aveva commosso ben o male tutti -Raphale escluso- e aveva spinto Magnus ad andare a cercare le sue carte al grido di:

<< E CHE POKER SIA!>>
Era stato un gravissimo errore.
Soprattutto accettare la proposta di Max secondo cui chi perdeva doveva pagare penalità.

Soprattutto perché Raphael si era illuminato più dell'albero di Natale sovraccarico e che rischiava l'autocombustione che scintillava in sala.
Soprattutto perché dopo neanche due giri Izzy si era tirata fuori, costretta a farsi imbrattare la faccia con il gelato sciolto rimasto che le macchiò il vestito e rovinò il trucco.
Soprattutto perché poi uscì Simon che non era capace a giocare a poker e dovette ballare la polka finendo per scivolare sul tappeto e dare la culata più epica della sua vita.
La situazione cominciò a prendere pieghe serie quando Max alzò le mani e si tirò indietro, beccandosi il secchiello del ghiaccio rovesciato in testa.
Rimasero al tavolo, o meglio al tappeto, Magnus, Jace, Clary, Lily, Raphael, Catarina e Alec.
I ragazzi si scambiarono uno sguardo attento e sospettoso, tutti presi nei loro calcoli mentre Alec fissava le sue carte e si domandava che cazzo ci si faceva con tre numeri uguali.
Jace bussò sul pavimento, facendosi lanciare una carta da Raphael e storcendo la bocca quando la scorse. Osservò con attenzione i suoi avversari e poi sorrise. << Io sto fuori gente.>> fece buttando le carte a terra e allungandosi verso le patatine fritte.
<< Allora credo proprio che Isabelle dovrebbe divertirsi a truccarti.>> sentenziò Magnus con un sorriso sadico.
Jace storse ancora la bocca e guardò la sorella schifato. << Azzardati a mettermi di nuovo quella merda di ciglia finte e ti brucio le tue scarpe preferite, te lo giuro.>>
<< Che vuol dire di nuovo?>> domandò Lily divertita, sbirciando le proprie carte e chiedendone una al mazziere.
<< Che l'ho già truccato una volta per andare ad una festa in maschera, ma il signorino qui si lamentava che le ciglia gli calavano così ho- >>
<< Così ha pensato bene di svuotarmi al colla sugli occhi.>> concluse il biondo sbuffando e raggiungendo a carponi la sorella e gli strinse le braccia al collo e lo ribaltò a terra assieme a sé.
Rise divertita delle sue proteste. << Non è vero!>>
<< Si! E la mia minaccia è valida!>> fece punzecchiandola sul fianco e facendola ridere ancora.
<< Noooo!>>
<< Tranquilla tesoro, Armani ha appena rilasciato l'ultimo modello dell'anno, si chiama proprio New Year”. >> la informò Magnus facendo cenno ad Raphael di passare a Lily.
<< ODDIO! MA COSA STAI DICENDO! AVEVA DETTO CHE SAREBBERO USCITE IL PRIMO!>> Urlò liberandosi dalla presa in cui si era lei stessa incastrata e guardando Magnus ad occhi sgranati.
<< Giuro. Per tutti i comuni mortali sarà così, ma ci sono dieci pezzi in anteprima.>>
L'acuto che cacciò a quell'affermazione fece chiuder egli occhi a tutti.
<< Si, molto interessante, ma ora umiliamo Jace, Magnus posso prendere i tuoi di trucchi? Tanto li tocca Izzy!>> fece Simon prima che la ragazza lo bloccasse.
<< NO! Ho la trous nella borsa, me la prendi?>>
Gli eliminati cominciarono a chiacchierare per affari loro, mentre Clary cambiava una carta e sorrideva.
<< Non capisco come possa essere una loro tradizione se sono usciti tutti al primo colpo.>> disse Lily, più per far conversazione e tenersi sveglia che per altri, tutto quell'alcol non la stava aiutando a restare vigile. << Max! Apri una finestra, fa un caldo boia.>>
<< Infatti, da Simon me lo aspettavo, ma da loro no. Di solito giocano sempre bene, sei tu che non giochi mai Alec.>> fece Clary buttando due fiches al centro del tappeto. << Punto 200.>> sentenziò.
Era cresciuta con Lucian Garroway, era stata temprata dalle centinaia di partite di poker dei ragazzi della stradale, aveva la pelle dura per quelle cose.
Raphael controllò le sue carte e annuì, << Ci sto.>>
Lily fece lo stesso e lanciò le sue fiches, seguita da Magnus e da Catarina.
Il silenzio si fece denso e Alec quasi saltò sul posto quando Jace gli urlò che toccava a lui.
<< Ah. Ehm, si, io… passo?>> domandò voltandosi verso il fratello. Quello alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, senza speranze.
<< Come fai, dopo venticinque anni che ci giochi, a non sapere ancora cosa fare?>> lo guardò male.
Il maggiore si strinse nelle spalle e Catarina gli sorrise incoraggiante. << Dai, io ho già puntato, fammi vedere, ti dico cosa fare.>> si propose sporgendosi verso di lui. Alec le mostrò le carte contro le proteste dei fratelli e Catarina alzò le sopracciglia.
<< Credo convenga vedere anche a te, metti due.>> lo esortò.
Clary sorrise. << Full.>> disse mettendo giù le sue carte.
Lily si morse la guancia. << Cazzo.>> buttò le carte sul piano, due figure e tre carte diverse.
Raphael sorrise. << Scala.>>
<< Colore.>> seguì Magnus.
<< Scala anche io, Raphael.>> gli sorrise Catarina, poi si rivolse a Clary che già sorrideva soddisfatta, << Ma temo tu debba dare il piatto ad Alec.>> lo guardò e sorrise, << Metti giù.>>
Alec si guardò attorno un poco spaesato. Riusciva ad essere sicuro e lucido con una pistola puntata contro ma andava nel panico davanti a delle stupide carte.
<< Ehm, cos- cos'era… >> cominciò voltandosi verso i fratelli, << Cos'erano quattro carte - >> alzò la sua mano per mostrarla agli altri e Max ridacchiò scuotendo la testa.
<< Si chiama “poker” fratello. E quello è pure d'assi.>>
Alec annuì soddisfatto della spiegazione mentre abbassava le carte davanti allo sconcerto generale. Quattro assi ed un K.
<< Poker.>> ripeté.
I ragazzi si guardarono sconcertati.
<< Cazzo.>> sputò Lily.

 

Due giocate dopo Lily era fuori con due cannucce nel naso e l'obbligo di tenerle per un'ora. Raphael aveva quasi staccato una mano a Simon quando il ragazzo gli aveva scompigliato i capelli con il gel brillantinato di Magnus, ma Jace che rideva così forte da lacrimare e farsi sciogliere il mascara ne era quasi valso la pena. Quasi, perché quello schifo dai capelli non se lo sarebbe più tolto, Raphael se lo sentiva.
Catarina, Clary, Magnus e Alec si fissavano, chi più animatamente chi meno, seduti gli uni davanti agli altri.
Magnus caricò il braccio e buttò le carte a terra, con i numeri rivolti al pavimento. << Punto tutto.>> disse sicuro.
Catarina alzò un sopracciglio. << Stai bluffando, vedo.>>
<< Anche io.>> la seguì Clary assottigliando lo sguardo.
<< Io… io anche?>> provò Alec.
<< SI CHE VEDI!>> ringhiò Raphael torcendosi le mani per non toccarsi la testa, lo avevano obbligato a non farlo fino al mattino seguente.
<< Allora vedo?>> ritentò il detective.
<< NON E' UNA DOMANDA! VEDI E BASTA!>>
<< Su Raphael, calmati, ti giuro che poi va via...>> provò a rabbonirlo Simon.
<< Tu stai zitto e portami delle caramelle! Voglio quelle frizzanti di prima!>>
<< Ma le abbiamo finite col gioco della bottiglia...>>
<< Allora vammene a prender altre!>>
<< Vuoi gli skittles?>> chiese il castano con la gentilezza che si usa con i pazzi e le donne incinte.
<< SI!>>
<< Su Bane, facci vedere il tuo bluff.>> sogghignò Catarina. << Ma ti avverto che se è davvero grande a te toccherà la penalità sadica.>>
<< Perché a me la sadica e a loro quella imbarazzante?>> si lamentò l'asiatico.
<< Perché ce ne siamo andati prima.>> disse Max.
<< E poi io mi sono distrutta abito e trucco.>> precisò Izzy.
<< Io sono truccato.>>
<< E io ho due cannucce nel naso. Non rompere il cazzo.>>
<< E poi perché non potresti imbarazzarti più di quanto già tu non faccia da solo ogni giorno.>> finì Raphael.
Magnus mese un broncio più finto del rosso dei suoi capelli e sospirando mise a terra il suo tris di nove e le due carte dispari che lo seguivano..
Catarina sogghignò. << Quello non è abbastanza neanche per puntare.>>
<< Spero tu stia scherzando! È un tris!>> disse incredulo.
<< Di nove tesoro, ma io ho un un Full di Jack.>> mostrò le sue carte.
<< Io rilancio con un Colore.>> sorrise Clary, tornata stranamente lucida da quando aveva preso in mano le carte. Poi guardò Alec. << Tu?>>
<< Uhm… Tre Donne e due dieci cosa sono?>> arrossì il moro.
Clarissa sospirò pesantemente, indecisa se essere felice per l'amico che non sarebbe stato buttato fuori, essere intenerita dal suo spaesamento, rosicare perché non ci capiva nulla ma aveva sempre carte buone, o sbattere la testa al muro.
<< Anche quello è un Full, Alec e più forte di quello di Catarina.>> si risolse a dire.
L'infermiera annuì con vigore e guardò l'asiatico con una scintilla preoccupante negli occhi.
<< Preparati dolcezza.>>
<< Odio quando mi chiami “dolcezza” o in altri modi, non promette mai nulla di buono.>> disse Magnus allargandosi il collo della camicia già sbottonato, il papillon che pendeva al suo collo.
<< Dovevi pensarci prima di Bluffare.>> cantilenò Lily supportata subito da Izzy.
L'uomo le guardò male. << State andando troppo d'accordo voi due.>>
<< Tranquilli, il mio preferito resta Alec.>> lo rassicurò Lily.
<< Anche il mio!>> rise l'alta.
Catarina batté le mani e attirò l'attenzione: << Bene, parola d'ordine “SADISMO”!>> si contorse in una posizione scomodissima solo per poter guardare Raphael. << Cos'è che Magnus odia e che non implica la distruzione di oggetti o della sua persona?>> chiese mettendo subito in chiaro le cose.
Raphael sbuffò. Staccò il tappo della bottiglia della Tequila con i denti e lo sputò via. Ne bevve un sorso enorme e la passò alla prima persona che gli capitò, Jace. Bevve anche lui.
<< Che si tocchi la sua persona.>> disse schifato.
La bottiglia passò a Simon mentre Jace ci pensava su.
<< Che si rovinino i suoi abiti?>>
<< Che gli si mandi a puttane tutta la sua preparazione.>> gridò il castano alzando la mano e passando la bottiglia a Max.
<< Non ne ho idea.>> fece semplicemente il ragazzo bevendo un sorso e poi storcendo il naso.
<< Non mi piace la Tequila, mi passi qualcos'altro?>> la diede a Izzy.
<< Non rovineremo i suoi vestiti.>> sentenziò lei.
Catarina le strappò la bottiglia di mano e la schiaffò tra quelle di Clary.
<< Andiamo! Ma dove lo avete il sadismo voi? Alec, almeno tu!>> lo pregò.
Il moro ci pensò un attimo. << Avere davanti agli occhi qualcosa che desidera tantissimo ma non poterla prendere, toccare o avere?>>
Il sorriso di Catarina si tese in modo inquietante e Alec seppe d'aver fatto colpo.
<< Oh, Alexander, non sai quanto ti adoro! Poi mi darai una mano. Per il momento sei salvo, voglio stracciarli tutti e poi godermi le loro penitenze una ad una!>> disse battendo il pugno a terra. << Mazziere! Dia le carte!>> gridò alla rossa che era intenta a bere, la testa reclinata all'indietro ed il collo teso.
<< Clary ti sei finita tutta la Tequila?>> fece Isabelle oltraggiata.
<< Ho la Sambuca qui! Magnus se la fa spedire per il locale.>> Max l'agitò tutto felice sotto il naso della sorella che gliele rubò e vi si attaccò, tenendo sott'occhio Catarina.
Raphael invece si avvicinò al tavolo dove a terra, come li aveva lasciati Alec, c'erano ancora dolci e caramelle. Si risedette pesantemente al suo posto con i capelli tutti sparati in aria, neanche gli avessero acceso il reattore di un razzo in faccia.
<< Che me ne dai un po'?>> chiese Simon.
Lui ringhiò. << Vatti a prendere i tuoi pasticcini.>>
<< Iz, hai scritto come sta andando la partita?>> domandò d'improvviso Jace.
La ragazza lo guardò stralunata. << Mh?>>
<< Lascia stare...>>

 

<< Via!>> gridò Clary.
<< Io punto 200.>>
<< Ci sto.>> sorrise la ragazza. << Alec?>>
<< Pure.>>
<< Su bellezze, cos'avete?>> chiese Catarina gongolante.
Clary assottigliò lo sguardo. << Non mi piace quando fai così. Vedo.>>
<< Mettimene altri 200 allora!>>
<< Stai alzando la posta?>>
<< Oh si.>>
<< Posso essere spaventato?>> Alec si sporse verso Magnus che gli sorrise con fare rassicurante. Gli poggiò la mano sulla spalla e si abbassò al livello del suo orecchio.
<< Guarda il lato positivo, visto quello che ci hanno fatto fare prima, se verrai eliminato, probabilmente la nostra penitenza sarà congiunta...e mi pare che tu abbia dato uno spunto molto interessante...temo che ti faranno spogliare e che io dovrò restare a guardarti senza poterti toccare...>> soffiò piano contro il suo padiglione.
Alec rabbrividì e si schiarì la voce, arrossendo leggermente all'idea di doversi spogliare davvero davanti a tutti loro. Lo sapeva che non aveva nulla di strano, ma oltre all'imbarazzo generale sperava proprio che non lo costringessero a far vedere le nuove cicatrici.
Cercò di riscuotersi e pensare ad altro. << Come se anche solo guardare ti dispiacesse.>> borbottò.

Magnus scoppiò a ridere estasiato.

 

Raphael diede una spallata a Simon. << Togliti dal mio cuscino.>>
<< È il divano di Magnus questo, non il tuo posto Sheldon.>> lo rimbeccò.
<< Oh, ma che carino, ora prendi anche i suoi stessi modi di fare. Si vede che passate troppo tempo insieme, ma il gioco consiste nel trovare un altro nome con la stessa iniziale.>>
<< Bhe, per quanto siete stronzi entrambi credo che ne abbiate già passato troppo voi, invece.>>
Simon gli sorrise allegro e prese uno degli intrugli che aveva fatto prima Magnus. Lo odorò.
<< C'è da fidarsi?>> chiese alzando un sopracciglio.
<< Possiede un pub dove la gente va principalmente per bere e per avere attacchi epilettici che spacciano per mosse di ballo, se non li sa fare lui i cocktale...>>
Il ragazzo si strinse nelle spalle e buttò giù tutto d'un fiato.
Un calore insopportabile gli esplose in gola, facendolo tossire e lacrimare.
<< O Signore.>> fece con voce stridula, che raschiò le pareti della sua trachea infiammata.
Chiuse gli occhi e si lasciò andare contro il divano in tempo per non vedere il sogghigno di Raphael. Si sentiva improvvisamente così spossato, assonato, intorpidito… che cazzo c'era lì dentro?
Forse avrebbe dovuto dire a qualcuno come si sentiva, magari erano i sintomi di qualche malattia o stava per andare in coma etilico come aveva augurato prima Lily. Poteva chiamare la polizia, c'era di sicuro qualcuno in servizio, povero sfigato, gli avrebbe movimentato la serata… aspetta.
<< IZZY!>> scattò aprendo gli occhi.
La mora lo guardò con fare interrogativo, attaccata al suo cellulare come una teenagers.
<< Mh?>>
<< Gli auguri alla centrale!>>
<< Io li ho fatti.>> disse inizialmente sicura. Poi si accigliò. << Credo.>>
<< Devo farglieli subito!>>

 

Alec si massaggiò le tempie, adesso avrebbe dato tutto in fumo e si sarebbe ritirato, che gli facessero fare cose imbarazzanti o meno. Era stato a stretto contatto con Simon e Magnus per un mese, aveva praticamente vissuto vicino e con l'imbarazzo fatto persone. Per non contare la sua adolescenza. Poteva sopportare di tutto. Ma non quelle due che si fissavano con la freddezza di due giocatrici professioniste.
Guardò di nuovo le sue carte e poi le sue avversarie.
Glielo avevano detto due turni prima cosa significava quella combinazione. No, forse tre?
Beh, lui si era stufato.
<< Posso mettere giù?>> chiese timoroso.
<< NO.>> fu la risposta coordinata.
Alzò gli occhi al cielo sconfortato: ecco perché non gli piaceva il poker, proprio per-
Si congelò e aguzzò l'udito.

 

<< … e auguri a tutti quelli che sono lì! Siete in tanti? Ma non mi dire! Che sfiga!… ah-ah, volevo farvi gli auguri a tutti, si, quello, te l'ho detto! OH! Adesso attacco qui e chiamo la OCCB! Grazie per avermelo ricordato!>> Simon si allontanò la cornetta dall'orecchio e poi compose il numero, sin sottofondo si sentì chiaro e forte:
<< 911 come posso aiutarla?>>
<< AUGURI! BUON NATALE! Che mi passa la OCCB? Si, la Crimine Organizzato sa?>>
<< Signore, sta bene? Per quale motivo deve parlare con la OCCB? È forse un collega?>>
<< Oh, si si, sono un collega! Del reparto informatico! Ma sa, tra poco non lo sarò più, ho fatto gli esami pratici e tra un po' passo a- ALEC!>> la voce lamentosa del ragazzo attirò a mala pena l'attenzione di Izzy che stava confabulando con Jace su come qualcuno non rispondesse o visualizzasse almeno i loro messaggi. Fu completamente ignorato da Raphael, che continuò a mangiare, mentre Lily e Max, che avevano individuato Presidente e si erano sdraiati a terra nel tentativo di vederlo meglio da sotto il mobile, neanche lo avevano sentito.

Alec si stagliò su di lui come un Angelo inquisitore, torreggiava dal suo metro e novanta, aiutato dal fatto che l'amico fosse seduto sul divano. Lo guardò malissimo e avvicinò il telefono all'orecchio solo per dire poche e concise parole.
<< Sono il Detective Lightwood, non c'è nessun problema, solo un ubriaco.>> poi attaccò.
<< Ma Alec io- >>
<< Non ti azzardare mai più a chiamare il 911 per delle cazzate.>>
<< Ma volevo fargli gli auguri.>> piagnucolò lui.
<< Non mi interessa. Non-chiamare-il-9-1-1-per-le-cazzate. Sono stato chiaro? >> chiese con voce imperiosa.
Simon annuì ed un singhiozzo gli scappò dalle labbra. Se le tappò con le mani e rise.
<< Diamine, quella roba era forte.>>
Alec lo guardò ora ancora più attento. << Cos'hai- >>

<< ALEC!>> gridò Clary, la voce alterata dall'alcol come quella del suo amico.

 

Perfetto.

 

<< Vieni qui e dimmi che non hai qualcosa di più alto di una coppia.>> ordinò la rossa con un broncio infantile in volto.

<< Ho di nuovo tre e due carte uguali.>> rispose senza distogleire lo sguardo da Simon.
<< Non bere più nulla che non sia nella sua bottiglia originale. Non bere la roba che prepara Magnus, ti uccide. Non sei abbastanza resistente.>> si girò e si risedette sul tappeto, facendogli cenno che lo teneva d'occhio.

<< A quanto pare siamo rimasti solo io e te Alec!>> sorrise Catarina.

 

<< Ti dico che non visualizz- ah.>> singhiozzò Izzy.
Jace le rise in faccia. << Quanto hai bevuto?>>
<< Io non abbastanza.>> sbuffò Clary cadendo di fianco a loro. << Sono stata battuta da uno stupido Tris e da uno che non sa neanche cos'è un kicker.>> cercò qualche bicchiere ancora pieno e ne vutò il contenuto. << Me ne serve altro, la mia autostima è sotto terra.>> si girò verso Simon. << Sim, dammi qualcosa di forte.>>
Il ragazzo la guardò per un attimo senza vederla, poi la mise a fuoco. << Questo mi ha steso.>> sorrise come un ebete porgendogli la bottiglia.
Clary neanche lo annusò, bevve avidamente strizzando gli occhi e poi barcollando anche da seduta. Scosse la testa e puntò il dito contro l'amico d'infanzia.
<< Voglio la musica. ALTA!>> girdò e si alzò in piedi gettando le mani al cielo.

 

<< Passo.>>
<< Anche io.>>
<< Nuovo giro.>>

 

<< Non uscirà mai da lì, vero?>> chiese mogio Max.
Lily scosse la testa. << No, ma se usciamo fuori forse troviamo il nido del piccione viaggiatore di Magnus!>> disse lei alzandosi e battendo le mani.
<< Magnus ha un piccione viaggiatore?>>
La sua domanda venne coperta dallo stereo che improvvisamente alzò tutti i suoi bassi, facendo quasi tremare la casa.
Quella palla bianca che era Presidente Miao schizzò via verso la camera da letto e Lily rise, afferrando il ragazzino per le spalle e tirandolo su con forza incredibile.
<< Andiamo a ballare!>> gridò tirandolo verso Clary e gli altri.
 

 

<< Okay, punto. O la va o la spacca Alec, qui ci giochiamo il tutto per tutto. Se fossimo in un altro contesto sarebbe All In. >>
Alec guardò Catarina con un groppo in gola, la donna sembrava più agguerrita che mai e la storia di Magnus, che probabilmente lui si sarebbe dovuto toglier i vestiti, lo faceva sudare freddo.
Dio se non voleva spogliarsi. Magari se gli avesse spiegato il motivo… o forse era alticcia anche lei e non lo avrebbe capito?
<< Va bene...>> provò cauto.
Lei lo fissò con gli occhi da falco, poi mise giù le sue carte.
<< Poker di K.>> disse con tono sicuro.
Alec si sarebbe voluto seppellire: il K era la carta più alta, quindi quattro K erano il punteggio più alto. Perciò lui che aveva un K, un Q, un Jack, un dieci ed un asso, nessuna uguale alle altre, solo una semplice scala dello stesso colore, aveva perso.
Sospirò affranto e Catarina sorrise.
<< Non mi dire, hai vinto tu?>> chiese Raphael storcendo il naso.
<< Oh, andiamo, Alexander! Eri la mia unica speranza per poterle infliggere la stessa penitenza sadica che lei riserverà a me!>>si lamentò Magnus.
<< Con quanto hai perso?>> urlò Lily dal balcone cercando di sovrastare la musica.
<< Con una Scala...>> borbottò lui triste.
<< Mh?>> fece il messicano. << Di quanto?>>
Alec lo guardò perplesso. << Come quanto?>>
<< Che carte hai? >> specificò già infastidito.
<< Oh, un dieci, un K, un Q, Jack e un asso. >>
I quattro lo fissarono attoniti. Clary smise di muovere le braccia come una medusa e girò la testa di scatto verso il divano. Max diede di gomito ai fratelli e poi sorrise.
<< Alec, so mica tutti dello stesso colore?>> domandò gongolante.
Il giovane aggrottò le sopracciglia e annuì.
<< Stesso segno?>>
Annuì ancora.
Pochi secondi e Magnus e Lily scoppiarono a ridere.
<< OOOOH! A QUANTO PARE QUALCUNO HA BATTUTO CATARINA MAGA DEL POKER!>> saltellò su e giù l'uomo.
La donna dai capelli bianchi batté le palpebre incredula, allungando la mano per prendere le carte del rivale e scoprire la sua Scala Reale in asso di picche.
<< Non ci credo.>> esalò.
Max rise di gusto assieme ai fratelli. << E questo è il motivo per cui Alec non gioca mai con noi a carte se non a Natale. La regola impone che il vero vincitore sia colui che riesce ad arrivare in finale.>>
<< Si Catarina, non prendertela troppo a male.>> rise tra le lacrime Izzy.
Clary quasi fece cadere la bottiglia che teneva in mano. << Non ci credo neanche io.>>
Risa generali, battute ed aneddoti riempirono la stanza per una mezz'ora, prima che Catarina si riprendesse dalla sua catalessi da shock e si voltasse come folgorata verso Magnus.
<< Tu devi ancora fare penitenza!>>
<< La devi fare anche tu cara, attenta a quello che mi dici.>> La mise in guardi lui.
<< Sarà Alec a scegliere la mia, non tu.>> precisò lei prima di afferrarlo per la camicia e ribaltarlo sul divano. Senza troppe cerimonie gli alzò la maglia sino a scoprirgli l'ombelico e poi cercò con lo sguardo qualcosa.
<< Ehi, Rossa, passa quella roba!>>
<< Che cosa vuoi fare?>> domandò lui titubante.
Lily si precipitò in casa ridendo. << Dimmi che è quello che penso io!>> gridò felice.
<< Alec! Ci servi tu! Magnus ha la penitenza sadica!>> gli ricordò la ragazza.
Il moro ancora fissava le carte buttate sul tappeto e le si avvicinò senza neanche sapere bene cosa fare.
<< E, mh, come ti aiuto?>>
Catarina sogghignò e lasciò cadere il liquore sullo stomaco scoperto dell'amico.
Istintivamente Magnus fece per girarsi ma due mani forti lo tennero con le spalle inchiodate al divano.
<< Ti prego, dimmi che è quello che penso io!>> pregò Jace.
Magnus fece vagare lo sguardo da uno all'alta, poi si bloccò.
<< Non oseresti. E poi Alec non lo farebbe mai.>>
<< Certo che si. Bro ha le palle per farlo.>>
<< Ed anche il giusto sadismo.>> confermò Max. << Anche se non lo da a vedere.>> rettificò.
<< Ma che devo fare?>>
La domanda spontanea di Alec fece sorridere ancora di più gli altri.
Jace si chiese che diamine stesse facendo Izzy in quel momento, invece di essere lì a registrare la scena, ma la individuò a smanettare sul telefono come stava facendo da quando il padre aveva smesso di visualizzare la loro chat.
<< Non puoi bere alcolici, Alexander, se non in piccolissime quantità. Sarebbe davvero cattivo però fare Natale senza un po' d'alcol e oh! Guarda caso nell'ombelico di Magnus c'entra giusto giusto una quantità perfetta.>> spiegò Catarina.
Le guance di Alec si tinsero in poco tempo di rosso, le macchie si allargarono prima sugli zigomi e poi cominciarono a scendere fino al collo e ad allargarsi sino alle orecchie.
Jace gettò uno sguardo alla sorella, al fratello e agli amici e accertatosi, per quanto la Tequila nelle sue vene lo permettesse, che nessuno di loro lo sentisse, soffiò a bassa voce.
<< Andiamo fratello, so che avete fatto di peggio di questo.>>
Il moro fece scattare gli occhi verso Max, ma lui pareva solo confuso dal ciarlare di Clary sulla fortuna di Alec a carte e ciò gli diede il tempo necessario di trovare la forza per inginocchiarsi a terra, poggiare le mani sullo stomaco e sulla coscia sinistra di Magnus e piegarsi sino a poggiare le labbra su quella piccola e liquorosa cavità.
 

Una serie di brividi lo scossero da capo a piede.
Catarina gliel'avrebbe pagata, eccome se non l'avrebbe fatto. Si sarebbe pentita seriamente delle sue azioni, anche perché tutte quelle piacevoli vibrazioni stavano volando dritte al suo bacino e se la tortura era farlo stare con un'erezione davanti alla persona che gliel'aveva provocata senza poterlo toccare...beh, la sua amica -non poi così amica- era davvero una fottuta bestia del demonio.
Altro che lui!
Le labbra di Alec si posarono su suo bassoventre, precise sul lembo di pelle che precedeva l'ombelico, le avvertì scorrere lente verso la loro meta in un contrasto sorprendente con la velocità con cui Jace aveva tolto le mani dalle sue spalle per andare ad urlare assieme ad Izzy non sapeva cosa a chi.
Si godette il momento chiudendo gli occhi e assaporando ancora la sensazione di quelle labbra morbide sulla sua pelle, conscio del fatto che potevano essere gentili depositarie di baci e carezze tanto quanto celatrici di fameliche zanne aguzze pronte a graffiare e mordere.
Strinse le sue di labbra quando la punta della lingua calda guizzò su quella pelle così sensibile eppure tanto diversa da quelle zone che di solito lo mandavano in tilt.
La lingua di Alec sembrò modellarsi per quel piccolo spazio, bevendo anche la goccia più infinitesimale dalla sua pelle.
Con un sospiro pesante aprì gli occhi e posò una mano sulla testa del giovane che senza dire una sola parola si tirò su e lo baciò.
Il suono dello schiocco del cinque che si batterono Catarina e Lily lo sentirono solo loro.
Si separarono con lentezza da quel languido contatto che non era stato minimamente approfondito, solo un premersi di labbra socchiuse ed umide. Si guardarono attentamente sorridendosi a vicenda, Alec fece per aprire bocca quando la voce di Jace lo trapassò da orecchio ad orecchio e subito dopo quella di Izzy che litigava con lui per il possesso del… suo cellulare?
Il moro si voltò verso di loro mentre Magnus imprecava contro il tempismo del cazzo dei mezzani di casa Lightwood. Mai una volta che fossero a suo favore.
 

<< MAAAAA! PAPA' NON RISPONDE AL TELEFONO! DIO SANTO! COME SI DIVIDE UNA COZZA DA UNO SCOGLIO? VOGLIO LE NUOVE ARMANI USCITE QUESTO MESE! AH! JACE MOLLA IL MIO TELEFONO- >> Jace gli strappò brutalmente il telefono di mano, facendola volare a terra con un grido indignato << MAMMA!? SONO JACE, NON PUOI CAPIRE! ALEC STA- no, okay, forse non lo vuoi sapere. No, non lo vuoi decisamente sapere. Perché io e Iz abbiamo la cattiva nomina in famiglia e poi Alec è capace di fare queste cose?>> Isabelle si alzò e cercò di riprendersi il cellulare.
<< DAMMI SUBITO QUEL COSO!>>
<< No, Izzy, ci sto parlando io, ti attacchi.- >> le fece la lunguaccia e le mostrò il dito medio ma lei gli saltò letteralmente contro e si riprese l'apparecchio malgrado Jace continuasse a cercare di toglierglielo. << MAMMA! SONO DI NUOVO IO! -NON URLARE CAZZO!- IO NON URLO MA TU MOLLA IL MIO TELEFONO!- >> l'oggetto volò nel vuoto, preso al volo da Max che era accorso alla baruffa dei fratelli maggiori.
Prese un respiro profondo e sperò che non ci fossero troppi testimoni, anche se sua madre bastava e avanza per fargli paura.
<< Mamma? Sono Max, si, ascolta lascia perdere, non li stare a sentire. Dicono un botto di cavolate, hanno bevuto...un bel po', Magnus li ha sfidati ad una gara a chi beveva di più e quei due deficienti non si sono resi conto che lui non stava bevendo perché non po'...okay, forse Iz e Jaz avevano già bevuto prima. Comunque c'è Alec che guarda male tutti quelli che pensano anche solo di fare qualcosa di pericoloso...non di stupido, se vogliono fare qualcosa di stupido gli dice solo di aspettare perché così li riprende o gli fa le foto, ma è Natale anche per lui no? Comunque non preoccuparti, qui tutto apposto, ci siamo io, Alec e Magnus che siamo sobri...okay, io non proprio ma senti che sono ancora coordinato. Va beh, passate una buona serata, Alec sta requisendo i telefoni a tutti e- >>
Un picchiettare sulla sua spalla lo fece girare, il diciassettenne si trovò faccia a faccia con Magnus che, alzatosi dal divano, si era avvicinato con l'intento di far prendere un bello spavento alla signora Lightwood e di conseguenza una bella strigliata quei due coglioni che gli avevano rubato Alec a suon di grida stupide, quando una voce famigliare lo aveva colto di sorpresa.
<< Max, piccolo pulcino, con chi stai parlando? No perché quella che sento in sottofondo è Miranda, ne sono più che sicuro. Chi si sta vedendo Sex and the City?>>
Max lo guardò confuso e scosse la testa. << Non so di cosa tu stia parlando Mags… >>
Alec apparve alle spalle del fratellino con in mano le bottiglie che prima erano allineate a terra vicino al tavolino. Teneva d'occhio i suoi fratelli e anche il resto della combriccola in giro per la casa.
<< Magnus, smettila di importunare Max. >> Cominciò ponendo un braccio attorno al fianco di Magnus e allontanandolo da Max prima che potesse dire qualcosa di compromettente che i suoi genitori potessero sentire.
Assurdo, era un uomo fatto e finito e doveva preoccuparsi di ciò che giungeva alle orecchie di sua madre, sarebbe mai cambiato questo? Probabilmente no.
Ignorò il sorrisetto compiaciuto dell'asiatico che gli si schiacciò contro e rimase a fissare i fratelli. << Jace, scendi dal tavolo, Iz se cadi da lì e ti fai male stai certa che prima riderò e poi ti darò il resto. >> li indicò con una delle bottiglie e poi le poggiò su un mobile lì vicino. Regalò un piccolo sorriso di scuse a Magnus e si allontanò da lui, fulminando Lewis con lo sguardo. << Simon se ti mangi un altra caramella giuro che ti ficco un dito in gola e ti faccio vomitare a forza. Santiago solo perché non ti conosco da così tanto tempo non vuol dire che non lo farò anche con te.>> minacciò.
Poi si volse verso Clary, che ancora non si capacitava di aver perso ad un gioco a cui veniva letteralmente addestrata da una vita, un bicchiere mezzo pieno in mano e uno vuoto nell'altra.
<< Clary, posa quel bicchiere, hai già bevuto troppo, no ti ho detto di posarlo... e Catarina? Potresti riprendere la vostra amica? Non voglio nessuno sul balcone, anzi, chiudi proprio le finestre. E Max, di a mamma e papà di passare un buon natale e lasciali in pace. A ME I TELEFONI, FORZA, NESSUNO CHIAMERA' ANCORA LA POLIZIA PER FARE GLI AUGURI IN CENTRALE. SI SIMON PARLO DI TE.>> continuò ad alzare la voce, avviandosi per abbassare il volume della musica, visto che alle tre di notte del 26 Dicembre magari la gente comune dormiva.
Si passò le mani sul volto, stanco e affaticato mentre Magnus rinfacciava a Catarina che avrebbe dovuto fare la sua penitenza, e si chiese seriamente se ci fosse qualcuno che lo capiva in quella casa.
Sorrise quando si rese conto che, mesi addietro, una frase come quella l'avrebbe usata solo con la sua famiglia.
Si voltò verso la sala, abbracciando tutti quei curiosi individui con lo sguardo e sorrise ancora.
Forse era giunto il momento di allargare la sua famiglia e lo aveva fatto senza neanche rendersene conto. I suoi nuovi componenti erano arrivati proprio come quelli originari: per caso e senza possibilità di scelta.
Ma ad essere onesti, si disse Alec, non avrebbe potuto farne di migliore.

 












 

Siamo arrivati al terzo e penultimo capitolo di questa mini long, riprendendo i fili di un'altra storia che si ricollega nello stesso arco temporale.
Abbiamo lanciato uno sguardo su il risveglio dei nostri uomini e sulle loro piccole tradizioni e al prossimo capitolo il resto della serata.


Oh! E cercatevi "Dick in a box", quello originale, non la versione rifatta. Il Natale è bello anche grazie a gente come loro.

 

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Capitolo 4
*** 4- Christmas' End, Boxing Day. ***


4- Christmas' End, Boxing Day.




Erano le tre e mezza di notte quando il primo di loro corllò poco onorevolmente addormentato. Clary aveva decisamente alzato troppo il gomito quella sera, probabilmente la schiacciante vitoria di Alec a poker l'aveva segnata come poco cose in vita sua, o per lo meno questo era quello che aveva farfugliato, seduta a cavalcioni sul Jace, con le braccia attorno al suo collo e la testa riccia e scompigliata buttata di lato. Il biondo si era mangiato non pochi dei suoi capelli, cercando di scansarglieli senza svegliarla. Se ne era rimasto seduto sul divano, la schiena sprofondata nel morbido cuscino ed il capo riverso all'indietro, scrutava gli altri dalla sua posizione senza poter muovere un muscolo, Isabelle si era anche intenerita e, cacciando un acuto su quanto fossero carini in quella posa, aveva portato al fratello l'ennesimo drink della nottata.
Poco dopo Izzy gli si era seduta vicino a terra ed in meno di cinque minuti si era addormentata anche lei, scivolando lentamente sdraiata sull'enorme tappeto sporco di briciole di patatine e dolciumi vari.
Jace aveva ridacchiato su quanto fosse poco resistente la sorella, mentre Simon cercava un plaid di quelli che Magnus di solito teneva sul divano, una cosa improponibile leopardata e rosa, per coprirla.
Erano rimasti tutti così a chiacchierare, mentre i toni si abbassavano sempre di più ogni qual volta qualcun altro cedesse all'alcol e alla stanchezza.
Lily, seduta di sbieco sulla poltrona, aveva dato qualche colpetto ad Alec per indicargli Max che si era abbandonato contro lo schienale del sofà, toltosi gli occhiali e lasciatili da qualche parte di fianco a lui.
Non ci pensò neanche troppo su il moro, quando si alzò per prendere in braccio il fratellino e portarlo nella stanza degli ospiti ma Catarina lo intercettò in tempo, facendogli silenziosamente cenno di no con la testa e preoccupandosi lei stessa di scuotere il diciassettenne e accompagnarlo a dormire su un letto vero.
Letto occupato da Presidente Miao che però accettò di buon grado la presenza del ragazzo che se lo abbracciò e trascinò con sé sotto le coperte.
A poco a poco anche Simon si addormentò, spalla a spalla con Raphael, la mano nella ciotola di popcorn. Il messicano aveva a mala pena bisbigliato per chiedere al padrone di casa una coperta anche per lui. Magnus si era presentato con un plaid enorme con cui aveva coperto entrambi.
<< Tanto non puoi muoverti no? Presumo dormirai qui.>> gli sussurrò l'amico mentre l'altro tirava la mano fuori dal tessuto per ficcarsi una manciata di salatini in bocca.
<< Se non muoio prima.>> sibilò.
<< Continua a mangiare e sarà così.>>
<< Ssh!>> li chiamò Catarina, indicando Lily che era crollata con le gambe penzoloni dalla poltrona. Alec si sfilò il maglione e lo poggiò sulle gambe scoperte della ragazza, già infagottata nella giacca di Raphael.
Ci vollero altri venti minuti prima che anche Jace si lasciasse sopraffare dal peso caldo della sua ragazza, addormentataglisi in braccio, finendo anche lui nel regno di Morfeo. Catarina lo seguì subito dopo, buttando a terra vicino ad Izzy due cuscini e trovando la posizione più comoda sul soffice e spesso tappeto.
Quando anche Raphael si fu addormentato Magnus ed Alec rimasero a guardarsi per un instante, controllando che tutti i loro amici fossero ben coperti e cominciando a togliere di mezzo bottiglie o ciotole vuote da ammassare sul tavolo.
<< Che cosa triste rimanere svegli, di solito svenivo sempre per colpa dell'alcol.>> borbottò Magnus più a sé stesso che ad altri.
<< Ma così domani non avrai i postumi della sbornia.>>
Un sussurro diretto nel suo orecchi lo fece sobbalzare. Alec gli si era avvicinato furtivo e silenzioso come un'ombra, poggiando con delicatezza dei bicchieri sulla superficie ingombra del tavolo. Aveva parlato direttamente nella conchiglia sensibile del suo timpano, un brivido caldo e piacevole che gli aveva regalato un po' del tepore che non pensava di necessitare.
Si girò verso di lui sorridendo con leggerezza e ritrovandoselo così vicino che gli sarebbe bastato piegare il capo per poggiarlo sulla sua spalla.
<< Vuol solo dire che sto diventando vecchio.>> sussurrò anche lui.
Alec scosse la testa. << O che stai diventando responsabile.>>
Il broncio di Magnus l'avrebbe fatto scoppiare a ridere se solo non stessero tutti dormendo.
<< Quindi vecchio!>>
<< Mh...come vuoi tu, re del dramma. >> gli diede una spinta giocosa e si allontanò verso il centro del salotto. << Andiamo a letto?>> gli chiese.
Era una domanda innocente e del tutto priva di qual si voglia malizia, ma Magnus era pur sempre sé stesso e non poté impedirsi di sorridere furbo. Alec avvertì quel cambio di atmosfera e si voltò verso di lui con le guance arrossate.
<< A dormire, Mags.>> specificò pronto.
Quello alzò le mani in segno di resa. << Certo, certo, cos'altro? Ma stiamo dando per scontato che dormirai con me, giusto?>> si sbrigò a domandare affiancandolo.
Alec annuì. << Il tuo letto degli ospiti è per uno, non per due e Max ormai è grande. Senza contare che potrei schiacciare Miao. Ma se ti do fastidio dormo qui co- >>
<< NO!>>
Magnus si morse la lingua, sgranando gli occhi e guardandosi attorno furtivamente.
Tirò un sospiro di sollievo quando poté constatare che nessuno si era svegliato, solo Lily si era mossa un po' dalla sua posizione e Alec si sporse verso di lei per sistemarle meglio addosso il maglione.
Sono in quel momento Magnus registrò la semplice maglia blu, sorprendentemente della giusta taglia e priva di qual si voglia segno del tempo, che il giovane indossava. La scrutò con apprezzamento ed annuì.
<< Perché hai tenuto quel maglione tutto il tempo e non te lo sei tolto prima?>> chiese con gli occhi assottigliati, già dimentico del suo mezzo grido.
<< Per lo stesso motivo per cui tu non ti sei richiuso bene la camicia, presumo.>> disse stringendosi nelle spalle.
Magnus alzò un sopracciglio. << Vuoi dire per provocarti, farti eccitare e convincerti che un orgasmo a Natale non ti rovinerà la salute?>> fece lui cogliendo il detective di sorpresa. << No, perché in tal caso dovevi togliertelo. O toglierti tutti i vestiti. Apprezzerei anche quello.>>
<< Cos- ? Io non, non- >> grugnì frustrato dal suo balbettare. Era dal liceo che non lo faceva così spesso, quella serata lo stava uccidendo. << N-no. Perché stavo bene anche con il maglione indosso.>> specificò per prima cosa. << E...e poi- lo sai che- che il mio medico- >>
<< Vuol dire che se il dottore non ti avesse detto niente accetteresti la mia proposta?>>
Alec chiuse gli occhi, solo per non vedere quelli scintillanti di malizia dell'uomo di fronte a sé. Prese un respiro profondo per darsi coraggio.
<< Magnus, io non- >>
<< Lo so.>> lo interruppe di nuovo lui, un sorriso rilassato sulle labbra. << Non c'è bisogno che tu mi spieghi nulla, Fiorellino. Ho imparato a conoscerti e so cosa pensi, quindi, per favore, non sentirti in imbarazzo con me o con le mie battute a sfondo sessuale. Okay, non battute, proposte.>> mise in chiaro. << Però pensaci.>> finì. << Non alle mie battute, o proposte, cioè, pensa anche a quelle che magari ti stimolano la voglia di fare, Dio non voglia darmi questa gioia eh, però- >>
<< Magnus?>>
<< Si dolcezza?>>
<< Stai straparlando, come Simon.>> gli fece notare Alec abbozzando un sorriso storto.
Magnus scosse la testa, << No caro, io sono più grande di lui, quindi al massimo è Simon a straparlare come me.>>
<< Lo hai chiamato con il suo vero nome.>> ridacchiò allora il moro ricominciando ad incamminarsi per il salone, diretto al corridoio che portava alle camere. Il proprietario di casa lo seguì, momentaneamente distratto dalla famigliarità con cui Alec si muoveva per il suo loft, come se ci fosse abituato.
In effetti era proprio così, aveva passato quasi un mese in quelle quattro mura e persino due settimane a stretto contatto con lui, in un altro appartamento. Non si sarebbe dovuto sorprendere, probabilmente.
<< Capita anche ai migliori di sbagliarsi.>> disse semplicemente seguendolo.
Lasciò che entrasse per primo in camera da letto e lo osservò sedersi sul lato destro e cominciare a sciogliere i lacci delle scarpe di pelle che indossava. Non poteva credere di aver fatto una radiografia al vestiario di Isabelle e di Lily ma di non aver notato che Alexander per una volta era vestito bene, se non si contavano i suoi completi alla Man in Black. Ma Simon aveva ragione, quei completi potevano star bene solo ad Alec e Will Smith ogni singolo giorno della loro vita. Ben pensandoci probabilmente il giovane aveva solo giacche nere o grigie.
Rimase a fissarlo senza vederlo davvero per qualche minuto, il tempo necessario ad Alec per voltarsi verso di lui e guardarlo con aria accigliata.
<< Tutto bene?>> gli chiese piano.
Magnus si affrettò a riprendersi dai suoi pensieri ed entrò nella stanza, raggiungendo il suo lato, il sinistro, e lanciando via le scarpe mentre cominciava a togliersi le collane.
<< Si, si, stavo solo aspettando per vedere lo spogliarello completo.>> disse con tono disinteressato.
Notò con la coda dell'occhio Alec stringere le labbra e scuotere la testa.
<< Non ci sperare.>> gli fece eco togliendosi però la maglia e posandola ben ripiegata sul mobile della toeletta. Si portò le mani alla vita e cominciò a slacciare la cinta, arrotolandola e poggiandola poi sulla maglia.
Magnus si voltò verso di lui per godersi quella mise che faceva tanto vecchio gangstar, con la canottiera bianca smanicata dentro i pantaloni stretti e dritti. Se solo avesse avuto gli straccali, il cappello ed una sigaretta in bocca sarebbe stato perfetto. Come un James Dean di altri tempi… no, non come lui, Dean era un bel tipo ma non era propriamente bello, per Magnus. No, Alexander era più un...un…
<< Alein Delon!>> s'illuminò di colpo.
Alec lo guardò senza capire. << L'attore? Che c'entra ora?>>
<< Oh, fiorellino!>> cominciò avanzando per la stanza sino al suo guardaroba, vi frugò dentro e vi trovò un paio di pantaloni da boxe che aveva comprato a suo tempo, spinto da un ex boxer che voleva insegnargli le basi del combattimento corpo a corpo.

Che ho gradito tantissimo Jerard, davvero, la mia miglior seduta di palestra di tutta la vita.

Li lanciò ad Alec, convintissimo che non avrebbe fatto troppe storie per il fatto che fossero blu e gialli. << Sono felicemente sorpreso del fatto che tu abbia capito il collegamento.>>
<< Beh, è solo stato reputato uno degli uomini più belli del mondo, ha preso parte a grandi film del passato- >>
<< Si, tutto quello che vuoi. Io lo conosco perché è un figo. Era, pardon, ora è un po' vecchiotto...ma mantiene comunque il suo fascino ed il suo volto gioviale, ci passerei volentieri una giornata intera a farmi raccontare tutto ciò che ha fatto da giovane… ma non è questo! >> gli si avvicinò e lo prese per le spalle.
<< Alexander, tu sei Alein Delon! Siete identici!>> lo scrollò felice. Poi fece un passo indietro.
<< Ora togliti quei pantaloni e fammi rivedere quelle belle gambe.>> sentenziò improvvisamente serio.
Alec alzò gli occhi al cielo: neanche Natale glielo poteva far passare con tranquillità.

 

 

Si mise nel letto e tirò le coperte fino alla spalla. Magnus, alla sua sinistra, teneva ancora il broncio.
<< Ti verranno le rughe.>> lo prese in giro bonariamente a voce bassa.
<< E sarà tutta colpa tua. >>
<< Magnus, mi sono solo seduto...>>
<< Mentre ti toglievi i pantaloni! Non ho potuto vederti il sedere!>>
Alec chiuse gli occhi e sospirò, solo per non alzarli di nuovo al cielo.
<< Ti assicuro che non è cambiato da quando lo hai visto l'ultima volta.>> disse arrossendo leggermente per le sue stesse parole e per il riferimento esplicito al fatto che lo avesse visto nudo.
<< Non cambia nulla. Hai un culo da paura, mi manca.>> fece lui ostinato, incrociando le braccia al petto e fissando il soffitto.
<< Non mi alzerò solo per permetterti di guardarmi il sedere.>>
<< Dovresti. Stai dormendo nel mio letto.>> sibilò velenoso.
Alec batté le mani sul materasso e si tirò a sedere. << Ho capito, vado a dormire sul divano vicino a Jace.>>
Magnus non voltò neanche la testa per guardarlo, fermo nella sua inutile ed infantile offesa, mentre Alec si dava una spinta con le braccia per sollevarsi.
Per poi ricadere di botto sul letto, attirando tutta l'attenzione di Magnus, che scattò anche lui a sedere ponendogli subito una mano sul braccio e aiutandolo a tirarsi su.
<< Non è niente. Non è niente. Mi ha solo ceduto il braccio.>> si sbrigò a scusarsi il moro massaggiandosi la spalla destra. << Ieri notte ho tenuto il braccio sempre nella stessa posizione, quando succede poi capita che non regga pesi o sforzi. Ma non è niente, è da sta mattina che mi cade roba di mano.>> continuò accampando scuse.
Il silenzio che ricevette lo fece preoccupare e stupidamente non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo.
<< Lo hai detto ad un medico?>> fu la sola cosa che Magnus gli chiese.
Stavano giocando, si stavano palesemente prendendo in giro a vicenda, Magnus lo avrebbe bloccato sulla soglia della porta dicendogli che anche quella di vista poteva bastargli, ma Alec era crollato. Perché gli pareva che da quella dannata sparatoria tutto ciò che loro due facevano si alternava tra la normalità e la serietà più profonda senza passare mai per una via di mezzo?
Alec fece una smorfia. << Non ha senso dirlo ad un medico. Mi direbbe le stesse cose che mi hanno già detto: dovrà passare un bel po' di tempo, forse anche un anno, prima che questo genere di ferite guariscano. Continuerò però a sentirle per tutta la vita. Lo so. Già lo so.>> finì affievolendo la voce.
La mano sul suo braccio salì fino alla spalla e poi al suo collo. Alec si sentì spingere gentilmente all'indietro, trascinato da quella mano liscia ed affusolata, sino a poggiarsi contro la spalla dell'altro.
<< Puoi dirmelo ora, se vuoi. Cos'è.>> sussurrò.
Ci pensò su seriamente ma poi scosse la testa. << Per un giorno in cui avremmo tempo e non ci sarà nessuna festa in mezzo. Mi ricorda che ho passato quasi un anno lontano da casa.>>
Magnus sembrò sorpreso. << Che vuol dire?>>
Alec voltò la testa incrociando il suo sguardo e tirandosi su per guardarlo meglio in faccia, abbozzò un sorriso di scuse. << Oh, ma certo, tu non lo puoi sapere. Sono un Riservista, ho passato undici mesi- li ho passati in Medio Oriente. Me la sono beccata lì la mia prima pallottola. Ormai è passato tanto tempo...>>
<< Hai venticinque anni, non può essere così tanto.>> gli fece notare, rimanendo con la mano tra i suoi capelli.
<< Ne ho ventisei, Mags, ti ricordi? Li ho passati in ospedale ma non vuol dire che non li abbia compiuti.>> sorrise gentile.
Magnus annuì, quel sorriso avrebbe sempre avuto il potere di scaldarlo e farlo rilassare.
<< Va bene, non importa ora. Dormiamo?>> si risolse a chiedergli, cercando di non farlo pensare a certe cose.
Alec annuì e fece per rimettersi sdraiato. Si fermò poggiato sul gomito, il busto alzato. Guardò Magnus come se volesse dirgli qualcosa di importante, l'uomo alzò anche un sopracciglio per invogliarlo a parlare e l'altro si morse un labbro incerto.
Scosse la testa e si sporse per dargli un bacio a fior di labbra, leggero e gentile come ogni gesto che Alexander gli rivolgeva, lasciandolo come sempre sorpreso.
<< Buona notte Magnus.>>
L'uomo rimase bloccato, le labbra ancora leggermente protese in avanti, per seguire quelle del moro che si allontanavano. Avrebbe mai finito di stupirlo quel ragazzo?
<< Buona notte anche a te Fiorellino.>> sorrise sornione sprofondando nel cuscino.

 

<< Alec?>>
<< Mh?>>
<< Alle volte mi capita di fare sogni davvero bollenti.>>
<< Buona notte Magnus.>>
<< Se faccio un sogno sconcio e mi si alza la bandiera posso svegliarti e chiederti una mano?>>
<< Ho detto buona notte.>>
<< È compito di un amico aiutarne un altro in difficoltà!>>
<< Buona- Notte.>>
<< E se sogno di farmi una cavalcata epica e quando mi sveglio ho voglia di farla davvero?>>
<< Dormi.>>
<< E se sogno il Grand Canyon? Quello sarebbe un segno del destino! Non potresti ritrarti indietro!>>
<< Magnus. Chiudi quella cazzo di bocca e dormi!>>
<< Oh Fiorellino, ma lo vedi che siamo sulla stessa lunghezza d'onda? Nessuno riesce a chiudermela bene come fai tu!>>
<< Fiorellino? Fiorellino? Andiamo! Non mi rispondi più?>>
<< Dormi e basta.>>
<< Se no?>>
<< Se no ti lego e imbavaglio.>>
<< Argh! Bondage!>>
<< Vaffanculo. Notte.>>
<< Ma io- >>
<< NOTTE!>>

 

 

 

Quando la luce aveva fatto capolino nella stanza lui era già sveglio. Gli capitava spesso di aprire gli occhi e non riuscire più a richiuderli, aveva passato un magnifico periodo della sua adolescenza in cui sarebbe stato in grado di dormire ovunque, in qualunque situazione e per un tempo infinito ed indeterminato. Poi era arrivata l'età adulta e aveva dovuto dire ciao a questa magnifica capacità.
Aveva dormito si e no quanto? Quattro ore? Forse si, forse di meno, forse di più.
Si rigirò nel letto e sbirciò quanto possibile dalla finestra, poteva sentire il distinto rumore delle macchine, Brooklin che tornava a muoversi frenetica come ogni giorno, ma nella casa regnava il più assoluto silenzio.
Lanciò uno sguardo al suo compagno di letto, profondamente addormentato ed immerso nelle trame di Hypnos, quanto lo invidiava, avrebbe voluto dormire lui così bene e invece ormai aveva sviluppato la terribile dote di riposarsi e riprendere le forze in un tempo ridicolo, solo per poter tornare al lavoro il prima possibile. Queste erano il genere di cose che, secondo suo padre, definivano un poliziotto: dormi quando puoi e quanto puoi e quello ti basta.
Alec prese un respiro profondo e poi espirò pesantemente, scivolando fuori dalle coperte e stiracchiandosi quando la spalla aveva deciso di permettergli quel giorno.
Fece i soliti esercizi della mattina, quelli che servivano per risvegliare il muscolo e si sentì stupidamente soddisfatto quando il braccio gli rispose senza tremori e riuscì addirittura a sostenerlo in un paio di flessioni improvvisate. C'avrebbe ripreso la mano lentamente, la fisioterapia era ormai finita ma poi avrebbe continuato a frequentare la palestra per tenersi in allenamento, aveva una tabella di marcia serrata e doveva rispettarla se voleva essere al pieno della forma per il suo rientro.
Entrò silenzioso in bagno e si diede una rinfrescata con calma, rimettendosi i pantaloni ma restando in canottiera, quella casa era un forno.
Controllò che Magnus dormisse ancora e poi andò da Max a controllare anche lui.
Suo fratello dormiva alla grande proprio come avrebbe fatto lui alla sua età, si era a mala pena tolto le scarpe e la camicia, ma solo perché sicuramente lo infastidivano. Aveva tutti i capelli scompigliati ed Alec raccolse da terra i suoi occhiali, poggiandoli sul comodino assieme al cellulare.
Accoccolato tra le braccia di Max, Presidente Miao ebbe la decenza di aprire un occhio e scrutare con attenzione Alec, che allungò la mano per grattagli la testa prima di tornare sui suoi passi e controllare anche gli altri.
Li ritrovò ben o male come li aveva lasciati: Clary nella notte era scivolata di lato, trascinandosi dietro Jace che ora dormiva con la faccia premuta contro la pancia della ragazza.
Simon si era solo accomodato meglio contro la spalla di Raphael che invece era ancora nella stessa identica posizione in cui lo avevano lasciato, neanche fosse morto e non se ne fosse accorto. La ciotola dei popcorn probabilmente giaceva ancora tra di loro.
Catarina e Izzy se ne stavano invece sdraiate sul tappeto, una sotto i pedi di Jace e l'altra sopra quelli di Raphael, Alec allontanò leggermente sua sorella, conscio che se si fosse girata di colpo come faceva spesso lei avrebbe dato una testata a Catarina così forte che avrebbero dovuto portarla in ospedale per un trauma cranico.
Lily, in fine, dormiva solo più rannicchiata sulla sua poltrona, il maglione di Alec ancora sulle gambe e la giacca del suo amico tutta spiegazzata indosso.
Sorrise a quella semplice scena e si diresse a passo leggero in cucina, cominciando a metter su il caffè per tutti, anche se dubitava che si sarebbero alzati prima di un altro paio d'ore come minimo.
Aspettò con calma che la bevanda fosse pronta, poggiandosi contro il vetro della finestra con la spalla nuda e quasi rabbrividendo per il contrasto con la superficie fredda. Dentro l'appartamento forse facevano 25°, ma fuori c'era ancora la neve ad imbiancare il quartiere, l'esterno della finestra dava bello sfoggio del ghiaccio che l'aveva coperta, solidificandosi con il calare della notte.
Scrutò i profili degli edifici, le macchine ed i pedoni che camminavano per la strada, vedere tutte quelle nuvole di vapore salire da ogni dove gli stava facendo venire una gran voglia di fumarsi una sigaretta, ma già aveva sgarrato con quella della sera precedente, non poteva farlo di nuovo; per di più non aveva tabacco con sé e tecnicamente aveva smesso di fumare tornato dal Medio Oriente.
Sospirò un po' sconsolato: i vizi si chiamavano così proprio per una ragione e per tantissimo tempo la nicotina era stata la sua via di fuga, il suo vizietto che i genitori non dovevano scoprire ma che di certo sarebbe sempre stato meglio degli altri. Dopotutto sua madre ancora non sapeva quanti tatuaggi avesse, o che aveva due pircing, non c'era bisogno di dirgli anche che aveva speso sei anni della sua vita a fumare e rovinarsi i polmoni. Non credeva di riuscire a trovare una scusa valida per farsi ricoverare per una pulizia completa, questa volta.
Il rumore della macchina del caffè che gorgogliava lo fece tornare alla realtà. Tornò verso il bancone e storse il naso quando pensò che avrebbe preferito molto più un ristretto che un americano, ma si sarebbe accontentato per quella volta.
Si versò una tazza di caffè e la poggiò lì vicino, mentre cercava qualcosa da mettere sotto i denti, identificando il famoso dolce che Magnus non gli aveva fatto sbirciare quella volta. Era una semplice bavarese al cioccolato e caffè, un anello lucido e soffice che avrebbe aggiunto solo altra caffeina alla sua colazione e che gli andava più che bene.
Non se ne tagliò neanche una fetta, prese la scatola, il cucchiaino con cui si era girato lo zucchero, e si sedette direttamente sul piano della cucina.
Aveva ancora la tazza sollevata davanti a sé quando avvertì dei passi strascicati. Di norma quello sarebbe bastato ad identificare il soggetto come Max, ma il suo fratellino dormiva ancora beatamente e Alec capì subito che invece si trattava del padrone di casa.
Magnus si era svegliato per un motivo serio e fin troppo preoccupante. Si era rigirato nel letto, finendo inevitabilmente a sconfinare nell'altra metà e ritrovandosi a pancia in giù. Aveva spalancato gli occhi e a quel punto si era reso conto che o si sarebbe alzato di lì o se la sarebbe fatta sotto.
Certo, il fatto che, tornato in camera, avesse realizzato che erano solo le otto e mezza e che Alexander non era più lì lo aveva definitivamente spinto ad andare a cercarlo, ma era stata una dura lotta, tra il suo senso del dovere verso il suo corpo spossato e quello verso il detective.
Arrivò in cucina con il capo ancora voltato verso i suoi amici che dormivano alla grande, Catarina russava, glielo avrebbe rinfacciato per tutta la vita, a lei e a Simon.
<< Ehi.>> lo salutò la voce sveglia e chiara di Alec.
Magnus si girò verso di lui e per un attimo temette di avere una visione: Alexander che sorseggiava caffè bollente in canottiera nella sua cucina, con i capelli gonfi tirati indietro, probabilmente con un gesto automatico e per nulla intenzionale. Teneva le gambe divaricate, i piedi nudi a penzoloni nel vuoto. Lo vide posare il cucchiaino che teneva nell'altra mano e scendere dal piano, prendendo una tazza per versare anche a lui del caffè, zuccherarglielo e porgerglielo.
Magnus lo accettò senza proferir parola, osservandolo mentre si poggiava con i fianchi alla cucina, riprendendo a sorseggiare il suo di caffè.
<< Non sono pronto per tutto questo di prima mattina.>> gli confessò ingollando quasi metà tazza. << E non sono neanche sicuro del perché tu sappia come prendo il caffè visto che il tempo che abbiamo passato assieme io lo passavo a bere frullati, granite e drink ghiacciati.>>
<< Però sei loquace come sempre.>> gli fece notare lui sorridendo da dietro la tazza.
<< Sei illegale. >>
<< Si dice “sleale”, illegale è qualcosa vietato dalla legge e purtroppo per noi la slealtà non lo è.>> Alec continuò a parlargli con tono pacato ma non troppo basso, Magnus scosse la testa.
<< No, no, proprio illegale, se fossi un po' più in me ti salterei addosso e ti sbatterei a novanta sull'isola.>>
L'altro arrossì leggermente ma alzò comunque gli occhi al cielo. << E ben tornato Magnus, ora so che sei tu e non un sosia. Buon giorno.>> sbuffò ironico.
L'uomo si avvicinò a lui e gli si poggiò di fianco, nella stessa posizione.
<< Me lo sono sognato o ti ho detto davvero che sembri Alein Delon?>> chiese curioso voltandosi verso di lui per sbirciare cosa stesse mangiando.
Alec prese un altro cucchiaino dal cassetto e glielo passò, poi gli porse il dolce.
<< Me lo hai detto.>> rispose a bocca piena.
<< E avevo assolutamente ragione. Mai pensato di fare l'attore?>> prese anche lui una porzione abbondante e se la infilò in bocca senza troppe cerimonie.
Il moro scosse la testa. << Con le mie capacità di recitazione non potrei vincere neanche il titolo di peggior attore. Fallo tu, sai i soldi che fai?>>
<< Ne ho già a bizzeffe, che me ne faccio di altri? Volendo potrei comprarmi il Dipartimento.>>
<< Non esagerare. >> disse Alec sporgendosi verso di lui per controllare che non si stesse mangiando solo lo strato di cioccolato come invece stava facendo. Lo guardò male. << Lo sai che il caffè è amaro e lo hanno abbinato al cioccolato per un motivo?>>
<< E tu lo sai che io preferisco il cioccolato lo stesso?>>
<< Mangia tutti e due o ridammi la scatola.>>
<< L'ho comprato io e io me lo mangio come voglio.>> gli rispose alzando un sopracciglio in segno di sfida.
Alec lo interpretò più che bene. << No Bane, non mi sfidare, non sui dolci e non su caffè e cioccolato. Molla l'osso o pur di non fartelo mangiare te lo schiaffo in faccia.>>
La bocca di Magnus si aprì in una 'o' stupida e scandalizzata. << Alexander!>>
<< Niente se o ma, il cibo va mangiato tutto.>>
<< Cosa c'è? La fine del Natale ti fa diventare un Ginch?>>
<< Io stavo tanto bene qui a mangiare da solo… >> si lamentò lui.
<< Solo perché Babbo Natale è già passato non vuol dire che tu non possa essere nella lista dei cattivi. Non ti darò il mio regalo Alexander!>> fece Magnus incrociando le braccia al petto, chiudendo gli occhi e alzando il mento in alto. Poi aprì un occhio e gli sorrise malandrino e malizioso. << Ovviamente il mio regalo non è ne il mio culo ne il mio c- >>
<< MAGNUS!>>
<< Pene! Per l'amor del cielo Fiorellino, anche fuori dalle coperte?>> fu la volta di Magnus di lamentarsi e di Alec di posare la sua tazza ormai vuota ed incrociare le braccia al petto.
<< Si, l'accetto solo come imprecazione.>> sentenziò.
Magnus sbuffò. << Okay, okay… comunque non è niente di sessuale perché sono più che propenso da ridartelo in qualunque momento!>> continuò sorridendo divertito dai continui borbottii del compagno.
<< Ringraziamo Dio… >> fece sarcastico Alec.
<< No tesoro, ringraziamo mamma che mi ha partorito così e papà che mi ha passato questi geni. Oh, e anche la genetica che li ha mischiati bene!>> batté le mani un paio di volte. << Sai cosa? Resta qui, vado a prendere il tuo regalo così te lo do subito!>> cominciò a marciare verso la porta della cucina, completamente disinteressato al fatto che lo avesse appena minacciato di non consegnargli nulla, si fermò e si voltò con un'espressione poco raccomandabile in viso.
<< Il regalo, non il cazzo.>>
<< MAGNUS!>>

 

 

Lo ritrovò così come lo aveva lasciato, l'unica differenza era un pacchetto rettangolare che faceva bella mostra di sé sul piano dell'isola. Non era nulla di appariscente, aveva una carta verde pino con delle palline di natale argentate sopra, una carta palesemente natalizia ma comunque sobria, proprio da Alexander.
Magnus tenne il suo dietro la schiena e sfoggiò un enorme sorriso alla vista delle chiazze di rossore che si stavano aprendo sul volto dell'altro.
<< Com'è questa storia che più ci conosciamo e più arrossisci? Non dovrebbe essere il contrario? Prendi confidenza con una persona e ti senti a tuo agio, parli con uno sconosciuto e ti imbarazzi?>> lo prese in giro avvicinandosi ad ampie falcate. Non gli diede neanche il tempo di rispondere, o di caricare il destro per togliergli dalla faccia quel sorriso divertito e leggermente sadico, che gli schiaffò in mano una scatola quadrata, coperta da una carta che sicuramente avrebbe scatenato un attacco di epilessia a chiunque se l'avesse fissata troppo a lungo, ed un fiocco grande quando il regalo stesso, rosso e billantinato.
<< Buon Natale Fiorellino!>> sorrise ancora di più. << Questo è il mio pacco per te!>>
L'altro lo fulminò con lo sguardo. << Ne hai ancora molti?>> chiese retorico.
<< Ricorda tutti i dolci natalizi, bastoncino di zucchero e menta piperita.>>
Alec sbuffò. << Ti rendi conto, si, che se dovesse esserci un'emergenza se mi chiamassi così faremmo prima a morire tutti?>>
Magnus gli rifilò un pugno sulla spalla sinistra, attento sempre a non prendere la destra anche se Alec gli aveva ripetuto più di una volta che si era rotto la clavicola, non la spalla in sé. Di solito da qui cominciavano le discussioni sulla veridicità della frase “me la sono rotta”, ma Magnus non si sarebbe mai sognato di ritirarla fuori di sua spontanea volontà.
<< Ti chiamerei Fiorellino in quel caso.>>
<< Neanche Alec? È molto più corto e veloce!>> fece stupito il ragazzo.
Magnus mosse la mano in aria, facendogli capire quanto quel discorso non gli interessasse e tornò poi a fissare il regalo con gli occhi brillanti dei bambini. << Su, su! Apri, guarda cos'è! Dimmi se ti piace!>>
Travolto dall'entusiasmo dell'uomo Alec afferrò il fiocco e lo sciolse con un solo colpo secco, passandolo poi attorno al collo di Magnus che rise, sistemandoselo come uno scialle e poi cercando di legarselo in testa come fosse un uovo di pasqua.
Strappò la carta e si ritrovò davanti il coperchio con il marchio di uno dei negozi della Street, lo conosceva di vista ma non c'era mai entrato perché era un famoso brand di moda e lui tentava di tenersi alla larga da posti come quelli il più possibile. Se Izzy avesse saputo che c'era entrato anche solo per sbaglio lo avrebbe costretto ad accompagnarcela e Alec proprio non ne vedeva il motivo.
Tolse il coperchio ed una nuvola di carta velina bianca gli occupò la vista. Sentì Magnus ridacchiare e alzò lo sguardo lanciandogli il suo solito sorriso storto.
<< Che diamine mi hai preso?>> chiese con una nota di divertimento nella voce.
L'altro lo incitò a continuare togliendogli il tappo dalle mani. << Guarda tu, non è niente di pericoloso o troppo appariscente, giuro.>>
<< Magnus non mi hai fatto un vestito vero?>> fece ora leggermente preoccupato ma senza perdere la piega gentile delle sue labbra.
Magnus scosse la testa. << No, un vestito non c'entrerebbe mai! E poi a te al massimo posso regalare un completo! A meno che tu non mi dica che hai il fatish dei vestiti da donna o che in realtà sei una Drag Queen! A quel punto, sappilo, ti chiedere immediatamente sia in marito che in moglie e ci sposeremmo a L.A durante il Pride!>>
Alec rise di cuore a quella sequela velocissima di affermazioni e non si preoccupò neanche di poter svegliare qualcuno.
<< Non ho fatish e non sono una Drag, mi dispiace Magnus, ma non credo che questo matrimonio funzionerebbe.>>
<< Mh, no, in questo caso credo di no… >> annuì con la sua miglior espressione seria. << Però non è un capo di vestiario. Oddio, no, aspetta, in un certo senso lo è… insomma, apri e basta dai! L'attesa mi sta logorando anche per te!>>
Accontentando l'amico Alec spostò tutto quell'ammasso di carta fine e crepitante e la lanciò contro l'altro neanche fossero coriandoli, strappandogli qualche verso di protesta che però morì in fretta quando Magnus scorse la faccia perplessa di Alec.
Il giovane fissava il contenuto della scatola senza capire effettivamente cosa ci fosse di tanto strano in quella sciarpa, perché era questo che era, una sciarpa. Al tatto gli risultò liscia ed impalpabile come una crema; aveva una consistenza morbida, setosa, ma era spessa e pesante, perfetta per quei mesi freddi che stavano affrontando e a cui sarebbero andati incontro. Eppure qualcosa non gli quadrava, aveva un aspetto così famigliare…
<< Fiorellino?>> lo chiamò Magnus scrutandolo con attenzione, forse aveva paura che si stesse sentendo male? O che gli avesse ricorda qualcosa? Beh, in effetti qualcosa gli ricordava, ma cosa?
<< Mi...mi ricorda qualcosa. L'abbiamo per caso già vista da qualche parte? Ha un che di famigliare ma non capisco- >> la frase gli si bloccò in gola quando alzò il capo per incontrare lo sguardo divertito e consapevole di Magnus, brillante come il ghiaccio che si stava sciogliendo sui vetri delle finestre della casa.
<< Non l'hai mai vista, no, a meno che tu non sia entrato nel magazzino del negozio e abbia cercato le ordinazioni private. Lo hai fatto?>>
Alec scosse la testa.
<< Allora forse è il colore ha ricordarti qualcosa?>> continuò Magnus sempre più sorridente.
Alec aggrottò le sopracciglia. << Aspetta, hai detto gli ordini privati? Vuol dire che l'hai ordinata solo per me?>> chiese sorpreso.
<< Oh, pasticcino, “solo” è riduttivo. Ovvio che non lo avrei fatto per altri, è una cosa speciale per te, Muffin, ho scelto il modello e poi me lo sono fatto colorare come volevo.>> spiegò tirando fuori la sciarpa dalla confezione e avvicinandola al suo volto.
Fece saltare lo sguardo dalla stoffa al viso di Alec e poi annuì pienamente soddisfatto.
<< Certo, è impossibile replicare perfettamente il colore… ma se fossero un filo di cachemire sarebbero proprio così.>>
<<< Cosa?>> domandò senza capire, sempre più confuso.
<< Ma i tuoi occhi Alexander!>>
Alec lo fissò con quegli stessi occhi sgranati, rendendosi contro che la sciarpa gli pareva tanto famigliare perché era dello stesso colore che vedeva tutte le mattine nello specchio e ogni volta che incontrava suo padre. Era blu come i suoi occhi.

Una cosa dannatamente romantica… No! Alec, no! Non romantica! Un bel pensiero, davvero una cosa gentile, davvero…

<< È bellissima Magnus, grazie.>> si lasciò sfuggire dalle labbra sorridenti, posando la scatola sul piano cottura e abbracciando l'uomo che si godette la stretta tutto felice della sua idea.
<< Così con tutto quel nero avrai finalmente qualcosa che farà risaltare i tuoi begli occhioni!>> disse dandogli un buffetto un una guancia. << Sono felice che ti sia piaciuto.>>
<< Come poteva non piacermi? L'hai scelta pensando a me, no? I regali sono belli proprio perché le persone si impegnano tanto per farti qualcosa di speciale e che tu possa apprezzare.>> gli disse con sincerità, stringendogli una spalla prima di voltarsi, mettersi la sciarpa attorno al collo e saggiarne la morbidezza, sprofondando il viso nella stoffa.
<< è davvero morbidissima, Mags.>> borbottò attutito da tutti quei giri di maglia.
<< Il fatto che io abbia detto cachemire prima è passato completamente in secondo piano vero?>>
<< Cosa?>>
<< Nulla Fiorellino, non ti preoccupare, rimani felice nella tua ignoranza.>> sospirò affranto.
<< Aspetta!>> trillò con voce allegra Alec, riuscendo come sempre ad attirare tutta l'attenzione di Magnus solo grazie al suo timbro vocale.
Il moro lo superò allungandosi sul piano dell'isola e prendendo la sua scatolina. Gliela porse.
<< Non è una cosa particolare come la tua… ma è di buon auspicio, dicono che porti fortuna e tutti quelli a cui capita ce l'hanno. Dovrebbe aiutarti a proteggerti...>> farfugliò scompigliandosi i capelli e lo guardò un poco imbarazzato.
Magnus lo guardò con curiosità e gli sorrise scuotendo la testa. << Ma lo hai fatto per me, no? Lo hai scelto pensando a me, come hai detto tu, si? E per di più mi porterà fortuna!>>

Ma l'espressione di Alec non mutò, se possibile invece peggiorò quasi. << Forse Natale non era il momento adatto, magari dovevo farlo prima.>> sembrava seriamente preoccupato, come se si stesse pentendo della sua decisione e Magnus non voleva vederlo così, non dopo che gli aveva sorriso in quel modo per la sua sciarpa.
Senza altri indulgi strappò la carta verde e aprì la scatola nera, era di un gioielliere e Magnus sorrise: Alexander gli aveva dato un aiuto per farlo rilassare e neanche lo sapeva.
<< Oh, tesoro, ma quindi è una cosa ufficiale? Non vuoi aspettare che si sveglino tutti e chiedermelo in ginocchio?>> disse fingendo di asciugarsi una lacrima.
Come da copione Alec rilassò le spalle e rise. << Mi dispiace, non è ancora arrivato il momento in cui Miao potrà chiamarmi papà.>>
<< Quell'infame già lo fa, credimi, lo so che mentalmente lo fa. Ti adora, ti preferisce a me, il che è assurdo!>> borbottò improvvisamente imbronciato aprendo il regalo.
Esattamente come Alec prima di lui, Magnus si congelò con il volto puntato verso il contenuto della scatolina.
Adagiato attorno ad una forma ricoperta di velluto, una semplice collana a catena fine scintillava nel nero della sua confezione. Era un oggetto semplice ma di classe, Magnus era sicuro che a sceglierlo fosse stato proprio Alec e che lo avesse fatto da solo, Jace e Simon lo avrebbero convinto a prendere qualcosa di più massiccio e Izzy sicuramente di più elaborato. Invece erano solo una serie di maglie piatte e fini, congiunte da un moschettone dall'aria resistente e con un sistema a blocco. Doveva essere una di quelle collane che non le si può strappare di dosso e dal piccolo marchio ovale che brillava sul fermo doveva anche essere in argento. Ma ogni cosa, ogni dettaglio, passava in secondo piano davanti al ciondolo che vi era attaccato: quello che pareva un cristallo sagomato, di una trasparenza perfetta, racchiudeva in sé qualcosa di piccolo e dorato, un cilindretto tutto accartocciato su se stesso che Magnus non poté non capire cosa fosse.
<< È…è il mio proiettile?>> chiese con voce tremante.
Alec si morse una guancia.
Ma si Alec, che bell'idea, perché non regalargli il proiettile che lo ha quasi fatto morire dissanguato nel suo stesso appartamento? Si, splendido, digli anche che dovrebbe proteggerlo, peccato che, ops! Gli avevano già sparato e l'altro non gli ha portato fortuna...anche se non lo portava con sé… e neanche i tuoi ti hanno portato fortuna e tu ne hai un infinità a casa, sono otto cazzo di proiettili che non ti hanno mai protetto neanche per sbaglio. Anche se pure tu non li porti costantemente con te…

Cristo, parlo anche da solo ora. Ma si, facciamoci un autoesame di coscienza, tanto faccio schifo lo stesso. Questo, questo è quello che devo dire al dottore, altro che “come mi sento”!

Non osò spostare lo sguardo dal capo chinato di Magnus e non riuscì a farlo neanche quando l'uomo lo alzò e lo fece congelare sul posto.
Gli occhi di Magnus erano lucidi, Alec aveva il terrore di averlo ferito, che da un momento all'altro potesse scoppiare a piangere anche se sapeva, lo sapeva benissimo, che Magnus non era un tipo così sensibile e fragile, ma non cambiava il fatto che non voleva vederlo piangere. Non voleva neanche vederlo triste e-
<< Grazie.>>
Batté le palpebre stordito. Aveva sentito bene?
<< Come?>> chiese sorpreso.
Magnus gli sorrise e in quelle biglie scintillanti Alec lesse… gratitudine?
<< Ho detto grazie, Alexander. Grazie per questo regalo. Non pensavo che lo avrei mai avuto, questo affarino è stato motivo di tanto dolore e male e non mi sono neanche reso conto che lo immaginavo come chissà cosa… >> sollevò la catenella e fece penzolare il cristallo tra di loro, il proiettile si mosse impercettibilmente. << e invece è solo un pezzetto di metallo, è solo un minuscolo oggetto non più grande di una mia unghia. Sai, da quando mi hanno sparato questa seconda volta… la prima ho avuto paura, si, è impossibile non averne, ma non mi ha colpito davvero, mi ha solo preso di striscio. Questa invece mi ci avrebbe potuto far rimanere secco.
Ho sempre saputo che le armi uccidono, ci sono cresciuto in un mondo in cui un giorno potresti uscire di casa e ritrovarti il tuo vicino morto sulle scale perché non ha pagato un debito, lo so che le armi tolgono la vita, ma ho sempre dato tutta la colpa, beh, all'arma. È la pistola a spaventare, non il proiettile, eppure è lui che ti uccide. Credo di aver imparato a prendere in considerazione ogni più piccolo oggetto, a non sottovalutare nulla. Ma questo- >> alzò di più la collana, sorridendogli con serietà ma anche con una strana luce negli occhi, << mi ricorda che non devo averne paura, che si può vincere anche contro di loro. So che è un pensiero assurdo, che dovrei contin- >>
L'aria gli uscì tutta dai polmoni quando Alec lo afferrò per le spalle e lo abbracciò, stringendoselo contro e serrandolo nella presa ferrea dei suoi bicipiti, impossibile da spezzare, specie in quel momento.
<< Non permetterò che ti sparino mai più. Ti proteggerò. Proteggerò te e Simon da tutto e tutti, te lo prometto. Non lascerò che nessuno vi faccia del male, ad ogni costo.>> gli disse solenne.
E Magnus ci credeva, eccome se non ci credeva: sapeva che Alexander avrebbe fatto di tutto per salvarli, per proteggerli, così come avrebbe fatto per i suoi fratelli.
Non si ricordava se ci fosse arrivato da solo o se qualcuno glielo avesse detto, ma Magnus era certo di essere ormai entrato a far parte della famiglia allargata di Alexander Ligthwood.
Spostò le braccia solo per poterle posare anche lui attorno alle spalle del moro e rendendosi conto con una punta di divertimento che quello era l'abbracci più virile che si fossero mai scambiati.
Sorrise e fece per farglielo notare, quando una voce impastata di sonno giunse sino a loro.
Un mugugnio prolungato e lamentoso li fece distanziare solo per potersi guardare in faccia in espressione interrogativa.
<< Che diamine era?>> chiese Magnus con un sopracciglio alzato.
Alec chiuse un attimo gli occhi, abbandonando il capo sulla spalla dell'altro che gli diede qualche pacca incoraggiante.
<< Lewis… >>
<< Cosa?>>
<< È Simon. La voce è la sua.>>
<< La mia schiena… sono tutto accartocciato… >>
Magnus annuì, dando un ultimo colpetto ad Alec per farlo alzare. << Si, è lui.>> fece un passo indietro e si mise le mani sui fianchi, nella sua miglior interpretazione di un genitore pronto a sgridare il figlio.
<< Io te lo avevo detto che non dovevamo adottarlo.>> sentenziò più che altro con il tono con cui un coniuge rimprovera qualcosa all'altro.
Alec lo guardò per un attimo senza capire, poi abbassò la testa, scuotendola divertito.
<< Tecnicamente non siamo sposati, quindi non possiamo adottare. Ma in ogni caso ti ricordo che siamo passati per tutti i livelli che mi hai elencato a suo tempo quando te l'ho portato qui.>>
<< Dovevi lasciarlo in orfanotrofio.>>
<< Lo dici solo perché adesso piagnucola e non vuoi andare a vedere cos'ha.>> ritorse Alec incrociando le bracci al petto.
Magnus lo scrutò con gli occhi socchiusi senza riuscire ad impedirsi di sorridere.
<< Assolutamente no, sono un bravo genitore io, guarda Presidente.>>
<< È indisciplinato e altezzoso. >> gli fece notare.
<< Il bambino perfetto!>> esclamò alzando le mani al cielo e facendo ridacchiare Alec.
<< Non camminerò più, non riesco ad alzarmi… >> la voce lamentosa di Simon li raggiunse di nuovo ed Alec alzò un sopracciglio indicando con la testa il salone.
<< Su, vammi a dimostrare che sei un genitore modello.>> lo sfidò sogghignando.
Magnus si tirò su le maniche e annuì, accettando la sfida.
<< Ora arrivo Steven, aspetta.>> strinse la collana in pugno, rimettendola a posto e marciando poi verso la sala. << Ora papà arriva!>> gli gridò sorridendo e voltandosi a far il dito medio ad Alec che si stava versando altro caffè, tranquillo e rilassato, divertito dalla scena e dai modi del compagno.
<< Non voglio te! Voglio solo papà Alec!>>
Alla risposta di Simon il diretto interessato per poco non si strozzò con il caffè, ridendoci dentro e rovesciandone un po' fuori per averlo sputacchiato. Magnus si voltò di nuovo verso di lui, la bocca e gli occhi spalancati, indicò la porta con il pollice e l'espressione assolutamente scioccata.
Alec non riuscì a dirgli niente, continuando a ridacchiare e spostando la tazza in avanti per evitare di sporcarsi i vestiti, serrò le labbra e cominciò a sbuffare dal naso.
<< Ti rendi conto? >> gli domandò Magnus, << Neanche è ufficiale e già ha le sue preferenze! Questo è perché lo vizi! Non dovresti permettergli di bere alcolici!>>
<< Chi è che non ha detto ai suoi amici di vecchia data di non versagli vino e vodka?>> continuò a ridere Alec.
<< Non sono io che lo vizio Alexander, sei tu che gli fai sempre passare tutto liscio!>>
Alec scoppiò definitivamente, poggiando la tazza sul piano e piegandosi in avanti per posare le mani sulle ginocchia e ridere di cuore, a pieni polmoni.
<< Sei serio? Ti sei reso conto di quello che hai appena detto?>> gli chiese quasi con le lacrime agli occhi.
Magnus ci pensò, si stava sforzando di tener quell'espressione meditabonda e di non lasciar uscire quel sorriso che già gli faceva dolere le guance. << Tipo la cazzata più grande del mondo?>>
Alec annuì solo cercando di prendere respiri profondi.
<< Aaaaaalec!>> piagnucolò ancora Simon.

<< Non rompere le palle, Lewis, Alec è mio. Alec! Coccole!>>
I due ragazzi si guardarono ancora ad occhi sgranati, un attimo di silenzio e le loro risate risuonarono per tutto l'appartamento, rimbalzando su ogni parete, mentre Simon e Jace si mettevano a discutere su chi avesse più diritto alle attenzione del giovane detective in quel momento, se Simon che lo aveva chiamato per primo o Jace che era suo fratello - “il suo preferito!”- . Ben presto si unirono anche la voce strascicata di Izzy, quella ad intermittenza di Catarina e le bestemmie di Lily che era stata svegliata quando avrebbe dormito benissimo fino al giorno dopo. Una sequela di parole incomprensibili, si cui Alec fu sicuro di aver riconosciuto la parola “matali” e “cabron”, li informò che anche Raphael si era svegliato.
Clary continuava a dormire alla grossa con la faccia spiaccicata sul divano, la guancia, il naso e la fronte arrossati e con la trama della stoffa impresse sopra.
Dei passi strascicati annunciarono l'arrivo di Max che barcollava assonnato e confuso da tutta quella gente che già alle nove di mattina parlava così tanto. Una macchia bianca lo superò con la coda dritta come fosse il suo personale vessillo, Presidente arrivò saltellando in cucina e salì sul bancone chiedendo cibo ed attenzioni e Alec e Magnus non riuscivano a smettere di ridere.
Il moro si asciugò una lacrima che gli si era formata all'angolo dell'occhio, rimettendosi dritto e prendendo i croccantini di Miao, versandogliene una buona dose nella ciotola a forma di pesce, poi si voltò per battere una mano sulla spalla di Magnus e richiamarlo all'ordine.
Fece un cenno con il capo verso il salotto. << Andiamo su, essere genitori è un lavoro a tempo pieno.>>
Magnus annuì. << Si e non abbiamo neanche fatto tanto sesso selvaggio prima!>> si lamentò lui seguendolo.
Alec si bloccò sulla porta della cucina. << Non hai neanche passato nove mesi con una pancia enorme, mille problemi e non hai neanche fatto nascere un bambino.>>
<< E perché dovrei essere io la madre?>> chiese Magnus quasi indignato.
Alec alzò un sopracciglio, lo scrutò da testa a piede e poi lo guardò negli occhi.
<< Davvero me lo stai chiedendo?>>

Scosse la testa ed entrò definitivamente nella sala. << A chi serve un papà?>> domandò ironico ricevendo un coro di voci e di richieste.
Magnus si riprese e lo raggiunse. << No, davvero, perché devo essere io la donna?>>
<< E te lo chiedi?>>
<< Ma che domande fai?>>
<< Sei serio Mags?>>
<< Indovina, deficiente?>>
<< Secondo te?>>
<< Perché lui ha più cazzo di te.>>
<< LILY!>>

 









 

Salve a tutti.
Siamo giunti alla fine anche di questa mini long. Spero che la festa, i ragazzi e anche i loro regali vi siano piaciuti. Per il resto non credo ci sia molto altro da dire.
Gli spin-off non sono ancora finiti, ma la prossima storia sarà tutta per il nostro tecnico informatico preferito:quindi Simon, i suoi pensieri e le sue fisime logorroiche anche se mentali, la sua decisione di diventare agente sul campo e tutto ciò che ci passa in mezzo. Ci saranno anche un po' di date che determineranno le tempistiche e le collocazioni cronologiche di un po' di eventi, ma non prometto troppa chiarezza.

 

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