Amare. Senza di te, è solo una parola.

di Enchalott
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Burst ***
Capitolo 2: *** Burst Out ***
Capitolo 3: *** In questo universo... ***
Capitolo 4: *** ... in tutti quelli che saranno... ***
Capitolo 5: *** ... io sarò con te. ***
Capitolo 6: *** Il nostro segreto ***
Capitolo 7: *** Sangue saiyan- Parte I ***
Capitolo 8: *** Sangue saiyan- Parte II ***
Capitolo 9: *** Sangue saiyan- Parte III ***
Capitolo 10: *** Mai più ***
Capitolo 11: *** 12 maggio ***
Capitolo 12: *** Identico a te ***
Capitolo 13: *** Grazie a te. ***
Capitolo 14: *** Majin ***
Capitolo 15: *** Il mio migliore combattimento ***
Capitolo 16: *** Fusion ***
Capitolo 17: *** Brotherliness ***
Capitolo 18: *** 48 minuti ***



Capitolo 1
*** Burst ***


Ho scritto questa storia quasi 10 anni fa. Nel momento peggiore della mia vita. Creata da me e solo per me. E' rimasta adagiata nel quaderno delle cose care per tanto tempo. Poi, quando è apparso "Dragon Ball Super", mi è venuta nostalgia e l'ho riletta. Ho avuto il coraggio di inviarla ad un'amica. Mi ha chiesto di condividerla e io l'ho accontentata con un atto di coraggio. Ho fatto qualche modifica per collegarla alla nuova serie. Eccola qui. Spero possiate volerle un po' bene. <3
Burst
 
L’esplosione risuonava dentro di lui, come se la sua eco rifiutasse di esaurirsi. Il dolore lancinante, l’inutile tentativo di rialzarsi, nonostante tutto girasse vorticosamente. Sprazzi di ricordi affollavano la sua mente confusa. Buio e silenzio. Poi, all’improvviso, le sue mani… sì, lo aveva percepito… le sue mani su di lui, un tocco delicato sulla sua fronte bruciante e quella voce disperata, che gli parlava, lo pregava: “Vegeta, non lasciarmi…”.
Un sogno? Oppure un incubo, come quelli che in quel momento lo stavano tormentando: il suo pianeta che si disintegrava, suo padre, il crudele Freezer e poi… poi il leggendario super Saiyan - Kakarott - e quel misterioso giovane dagli occhi di ghiaccio con il suo annuncio sconvolgente e il suo straordinario potere. Perché lui, il principe dei Saiyan, non si era trasformato in super Saiyan? Non si sarebbe fatto superare da un guerriero di rango inferiore e neppure da uno sconosciuto, che probabilmente aveva mentito sulle proprie origini! Non poteva permetterlo!
“Tu sei l’essere più potente dell’universo, tu sei il principe…”. Cosa gli stava impedendo di realizzarsi? Che cosa gli mancava? “Ah, padre…”.
 
Quell’ultimo pensiero squarciò le tenebre che lo circondavano, strappandolo al turbine delle immagini fluttuanti e a quella coscienza di un’assenza, riportandolo alla realtà. Vegeta balzò a sedere sul letto, madido di sudore, quasi senza respiro, ma ripiombò sui cuscini, privo di forze, pervaso da un dolore insopportabile. Sentiva le bende premere sulle sue ferite e non poteva quasi muoversi. “Sono ridotto davvero male”. Che umiliazione per il principe dei Saiyan. “Dove mi trovo?” Si girò leggermente e fu allora che la vide. La ragazza terrestre era seduta accanto al suo letto, il capo sulle braccia ripiegate, appoggiata al tavolo. Stava dormendo. Vicino a lei una bacinella con dell’acqua, ghiaccio ormai sciolto. Allora era lei che aveva avvertito, che gli aveva parlato. Ora, ricordava distintamente: era stata lei a soccorrerlo, a tentare di tirarlo fuori dalle macerie fumanti della gravity room. Vegeta osservò il suo viso, pallido di stanchezza e i suoi capelli scompigliati: probabilmente, era rimasta con lui tutta la notte, a vegliarlo. Possibile? Possibile che quelli che scorgeva fossero i segni lasciati dalle lacrime? Per lui? Per un istante, Vegeta dimenticò gli spasmi che lo torturavano, soffermandosi sui suoi lineamenti: “Anche così, lei era…”.
 
In quel momento, Bulma aprì gli occhi, trasalendo nello scoprire di essere crollata; si girò immediatamente verso Vegeta, per accertarsi delle sue condizioni e incrociò il suo sguardo. Quegli occhi scuri dal taglio allungato, profondi, penetranti la trapassarono, tanto che rimase impietrita a fissarlo, senza riuscire a proferire parola.
“Che hai da guardare, donna?”.
Bulma si riscosse, ignorò il tono arrogante della domanda e tirò un sospiro di sollievo: se aveva la forza di essere intrattabile come al solito, era finalmente fuori pericolo. Si alzò in piedi:
“Vegeta, per fortuna ti sei ripreso!”.
“Avevi forse dei dubbi?”
“Ehi, dico!!” le mani di Bulma scattarono ai fianchi e un’espressione di rimprovero le si dipinse sul viso: “Lo sai che sei quasi morto? Hai idea di quanto tu sia rimasto incosciente? Mio padre ha detto che sei quasi imploso, è un miracolo che tu sia vivo! Hai avuto la febbre altissima, deliravi… e mi chiedi se ho avuto dei dubbi?!”.
“Sono un Saiyan, non dimenticarlo! Per me, ridurmi in fin di vita, significa diventare più forte di prima!” replicò lui faticosamente.
“Certo, sempre che tu riesca a sopravvivere! Non sei immortale, penso che questa volta tu abbia davvero esagerato!”.
“Non devi dirmi quello che devo fare, non lo tollero!!”
Vegeta tirò fuori tutto il fiato che gli era rimasto, ma lo sforzo fu eccessivo e prese a tossire in cerca d’aria, mentre le sue ferite pulsavano spasmodicamente ad ogni respiro. Si sentiva completamente privo di forze e non riusciva neppure a concentrare il ki: che onta intollerabile, per lui, trovarsi in quello stato! No, no doveva riprendere immediatamente gli allenamenti, era troppo importante!
Cogliendo la sua frustrazione, Bulma si avvicinò: “Capisco quello che provi, Vegeta, ma anche se tu riuscissi a stare in piedi, non potresti comunque allenarti. La gravity room è andata completamente distrutta e ci vorranno alcuni giorni per prepararne un’altra”.
Chi! Questa non ci voleva!” pensò lui.
“Tutto quello che puoi fare ora è riposarti. Quando ti sarai ripreso…”
“Io non ho bisogno della tua compassione, donna!” tuonò Vegeta tentando di alzarsi “Tutto quello di cui ho bisogno è di trovare un modo per togliermi da qui ed allenarmi, con o senza gravity room…” poi si interruppe con un gemito, fiaccato dal movimento troppo repentino.
“Compassione?” replicò Bulma sgranando gli occhi “Si tratta di semplice buon senso! Se continui ad agitarti così, le tue ferite si riapriranno e sarà peggio!”.
La ragazza si avvicinò, sedendosi al suo fianco e, con delicatezza, lo spinse indietro: con sgomento, si rese conto che lui era troppo debole per opporre anche la minima resistenza.
“Non mi toccare…” mormorò Vegeta, stringendo i denti per vincere la sofferenza e per ricacciare indietro le lacrime di avvilimento e rabbia che gli velavano gli occhi. Se solo avesse avuto una di quelle capsule di rigenerazione che usavano gli uomini dell’odiato Freezer…
Bulma era disperata, non sapeva cosa fare e non sopportava di vederlo così: “Oh, Kami…” pregò silenziosamente, sperando che lui non notasse la sua apprensione. Si alzò e fece per uscire.
“Donna, ti prego…”
Lei si bloccò: davvero dalla bocca dell’orgoglioso principe dei Saiyan era appena uscito un “ti prego”?
“Dammi uno di quei senzu…” continuò lui, tentando di dominare il senso di sconfitta che gli procurava il dover chiedere qualcosa. “Non posso fermarmi proprio ora…”
“Ma… io non ne ho… mi dispiace…Forse Goku, magari lui…”
“No! Non pensarci nemmeno! Io non voglio niente da quel maledetto!”
“Come desideri” sussurrò Bulma e uscì dalla stanza.
 
“Maledizione!” ringhiò Vegeta. Il fatto di non potersi allenare lo rendeva furibondo. Era già rimasto ferito in altre occasioni; gli uomini di Freezer lo avevano ficcato in una capsula di rigenerazione e tutto era finito lì. Era qualcos’altro in verità che bruciava dentro di lui. Certamente, detestava il dover dipendere da chicchessia, tuttavia il fatto che qualcuno si prendesse cura di lui lo faceva sentire strano. Quella donna… aveva fatto di tutto per nasconderlo, ma lui aveva comunque scorto le lacrime nei suoi occhi. Il suo viso aveva espresso una sofferenza talmente carica di angoscia, che perfino lui ne era rimasto colpito. Corrugò la fronte alla sensazione di percepire in sé qualcosa di sconosciuto, qualcosa oltre all’orgoglio, alla rabbia, all’ostinazione, alla volontà di superare i propri limiti e all’ossessione di trasformarsi in super Saiyan. Qualcosa che stava combattendo nel profondo.
 
Bulma si asciugò gli occhi: lacrime di sollievo, lacrime con cui si era sciolto il terrore che l’aveva avvinta fino a quando non aveva realizzato che Vegeta era fuori pericolo. Quando aveva visto lo stato disastroso della gravity room, si era sentita morire, non aveva pensato ad altro se non a correre disperatamente verso di lui, pregando che fosse ancora vivo. Si guardò allo specchio: “Ho un aspetto orribile… Ma ora non ho tempo per me, ora ho un’idea…”.
 
Vegeta aprì gli occhi, sentendo bussare alla porta. Dopo un istante, entrò la madre della ragazza terrestre: “È permesso?” cinguettò allegra. “Vegeta-chan, ti senti meglio? Ho pensato di portarti un tè…”
Il principe la osservò mentre appoggiava il vassoio sul tavolo. Era sempre così gentile con lui, tanto da metterlo in imbarazzo. Lo trattava come se fosse suo figlio. Oltretutto, prendeva sempre le sue parti quando quella donna insolente osava rimproverarlo. Forse era un po’ fuori di testa…
“Bulma è uscita. E dire che le ho raccomandato di andarsi a riposare! Sai, è rimasta qui con te tutta la notte… ma lei niente! Ha borbottato qualcosa su un gatto che vive in cima a un obelisco, poi ha preso una capsula ed è partita di corsa. Sinceramente, sono preoccupata”.
“Cosa?” pensò Vegeta sconcertato “Se non sbaglio, quel gatto è Karin… è lui che coltiva i senzu… possibile che…”. Sapeva che quel luogo era molto lontano dalla Capsule Corporation; si girò verso la finestra, osservando il sole che stava ormai tramontando.
“Quella donna…” disse fra sé e sé.
“Mamma” chiamò una voce dietro di loro.
“Oh, Bulma, tesoro, sei qui! Meno male! Allora vi lascio… ciao, Vegeta-chan”.
Vegeta fissò Bulma con uno sguardo tra l’interrogativo e il perplesso, stentando ancora a credere che fosse andata fin laggiù per fargli un favore.
“Mi dispiace” disse lei con amarezza “Il saggio Karin ha detto che i senzu saranno pronti solo tra qualche settimana…”
Vegeta si lasciò sfuggire un sospiro.
“Però” continuò lei con un pizzico di soddisfazione “Sono riuscita a farmi dare questo!”.
Il principe osservò con curiosità il vasetto di coccio che stringeva tra le mani.
“È un unguento medicamentoso fatto con i senzu. Il saggio Karin ha detto che non ha la stessa efficacia, ma può comunque considerarsi meglio di niente. E pensare che non me lo volevano dare! Ho dovuto minacciarli per averlo!”
“Tu… cosa?” domandò Vegeta disorientato.
“Visto che non avevano i senzu, ho chiesto se esistesse qualcosa di analogo, così il saggio ha tirato fuori il vasetto. Ma quel presuntuoso di Yajirobei non voleva mollarlo! Diceva che era suo!”
Yajirobei… doveva essere quell’insulso ciccione che aveva osato tagliare la sua preziosa coda, ricordò Vegeta con ira.
“Così ho fatto presente che l’unguento era per te e che comunque, anche senza, saresti guarito ugualmente, solo un po’ più lentamente e che saresti andato a ringraziarli personalmente per la loro cortese sollecitudine! Avessi visto la velocità con cui me l’hanno regalato!”.
Vegeta stentava a credere alle proprie orecchie. Fissò Bulma che ironizzava, fiera della propria impresa, e scosse la testa, mentre un impercettibile sorriso si disegnò sulle sue labbra.
“Ora vediamo se funziona!” esclamò la ragazza avvicinandosi a lui.
“Ehi, donna…” sibilò Vegeta alzando la guardia “Che vuoi fare?”
Bulma spalancò gli occhi turchesi: “Medicarti con questo, che altro?”
Vegeta avvampò, puntando il vasetto ormai aperto.
“Non sono un’infermiera, ma me la cavo bene. Ho medicato tante di quelle ferite ai miei amici, che ormai non mi impressiono neanche più. Non ti farò male…”
Iniziò a sciogliere la benda che gli avvolgeva la fronte, seduta accanto a lui.
Non vide neppure il movimento.
Semplicemente si ritrovò con la mano di lui che, con fermezza, le tratteneva il polso. Bulma sussultò.
“Donna…” ripeté Vegeta. Ma il suo sguardo non era ostile.
Quando notò il suo imbarazzo, Bulma arrossì a sua volta, mentre il principe lasciava ricadere il braccio sul letto.
“Ehm, comunque non mi sembra che tu sia in grado di fare da solo…”
“Non ho chiesto il tuo aiuto”.
“Se ti creo così tanto disagio, potrei chiamare mio padre, ma sarebbe la soluzione peggiore. Non sa mettere neppure un cerotto!” borbottò Bulma “In alternativa, potrei chiedere a Goku. Col teletrasporto potrebbe arrivare in un secondo…”
“Go… Kakarott!? Come osi nominarlo davanti a me!?!”
“Ma insomma!” sbottò Bulma esasperata “Pretendi di guarire subito, ma non vuoi essere medicato! Non riesci a muoverti, ma nessuno ti può toccare! Perché non la smetti, Vegeta?”
“Non osare parlarmi in questo modo!”
Il principe strinse i pugni, furente, ma impallidì per la fitta atroce che lo attraversò implacabile. Bulma non distolse gli occhi dai suoi, così fieri, così decisi, carichi d’orgoglio e di tristezza. Lo sguardo di chi ha perso ogni cosa… lui non avrebbe mai domandato aiuto, non era abituato a farlo; possedeva l’insopportabile ostinazione dei Saiyan e, inoltre, non aveva mai avuto nessuno di cui fidarsi. A quel pensiero, la collera di Bulma svanì in un baleno.
“Quello che intendo…”
Vegeta rimase a bocca aperta per il repentino mutamento di tono e per il fatto che lei mostrasse di non avere affatto paura di lui.
“Quello che intendo è che noi non siamo tuoi nemici, Vegeta. Quando ti ho invitato qui, non è stato per compassione o pietà o pazzia: sei troppo intelligente per poter credere il contrario… io vorrei davvero che tu fossi dei nostri. Io ammiro il tuo valore, la tua forza e il tuo senso dell’onore, altrimenti non avrei mai costruito la gravity room per farti allenare, sapendo che avresti potuto distruggere la Terra a tuo piacimento. Sinceramente, io mi fido di te e spero che vorrai combattere insieme con noi, proprio perché hai vissuto sulla tua pelle cosa significa perdere tutto ciò che si ama. Lo so che questo non è il tuo pianeta… ma potrebbe diventarlo. Non sei solo, non più. E un’altra cosa… Goku – non dare in escandescenze perché ho fatto il suo nome – consideralo un tuo rivale. Non un nemico da uccidere, ma l’unico avversario in grado di confrontarsi con te, perché anche lui è leale, orgoglioso e testardo come un vero Saiyan!”. Bulma appoggiò il vasetto sul tavolo: “Detto questo, fai come meglio credi. Io vado a controllare a che punto è mio padre con le riparazioni” e prese la direzione della porta.
Vegeta la guardò con un’espressione indecifrabile, ma le sue mani strinsero allo spasmo la stoffa del lenzuolo e i suoi occhi ardenti scintillarono come ossidiana nera, riflettendo l’ultimo raggio di sole: “Va bene…” borbottò arrossendo nuovamente.
 
Bulma iniziò a sciogliere le bende dalle sue tempie, dalle sue braccia e dal suo petto: le ferite e le bruciature erano davvero gravi, la sola sopportazione del dolore, che sicuramente gli causavano, doveva risultare uno sforzo immane. Soffocò un singhiozzo, tentando di darsi un contegno e prese una piccola quantità d’unguento, sfiorandolo con la maggiore delicatezza possibile.
“Le tue mani tremano”.
“Scusami…” Bulma trattenne il respiro “Ho paura di farti male”.
“Noi Saiyan non temiamo il dolore!”
“Oh, lo so, lo so…” sorrise lei sfiorando una cicatrice all’altezza del cuore, che doveva risalire a qualche tempo prima: “E… questa?”
Vegeta sollevò il viso fino ad incontrare il suo sguardo: “È stato Freezer…” rispose, incupendosi al ricordo delle azioni infami di quell’essere spregevole.
“Ah, sono contenta che sia definitivamente morto!”
Il principe si fece pensoso: probabilmente, lei stava convivendo con l’incubo della minaccia incombente sulla Terra, annunciata da quel giovane che aveva svelato il futuro e l’idea che il pianeta venisse annientato l’atterriva. Eppure più volte aveva dato prova di un coraggio che aveva sfiorato addirittura il limite dell’incoscienza. Donna caparbia! Sconsideratamente temeraria. Orgogliosa. Sfrontata e... Le sue mani allentarono la presa sul lenzuolo. Il cuore batteva all’impazzata, la sua pelle bruciava come l’inferno, mentre lei, alle sue spalle, terminava di fasciargli nuovamente le ferite.
“Senti qualche miglioramento, Vegeta?”
Il principe trasalì visibilmente e spalancò gli occhi, sorprendendosi del fatto di non aver realizzato di averli chiusi. Si era abbandonato a… aveva abbassato la guardia… ma che diavolo…per quanto tempo?
“Ti ho fatto male?”
Vegeta scosse la testa senza parlare, temendo che la sua voce potesse tradirlo, potesse portare alla luce quella profonda sensazione che ancora lo teneva in pugno. Per un momento aveva perso il dominio di sé, delle proprie emozioni… no, impossibile…una di esse lo aveva sovrastato e lui non si era opposto, anzi si era lasciato trasportare. “Neppure in battaglia il mio sangue saiyan ribolle in questo modo…” meditò sconvolto.
 
“Ci va proprio un bel tè, ora! Quello della mamma è delizioso!” esclamò Bulma, distogliendolo dalle riflessioni.
La ragazza gli porse una tazza fumante e si accomodò sulla sedia difronte a lui, sorseggiando la bevanda calda e rosicchiando un biscotto, l’espressione assorta e meditabonda, lo sguardo rivolto al soffitto. Fu lì che arrivò la domanda.
“Vegeta, sul tuo pianeta c’erano i matrimoni combinati?”
Al principe andò quasi di traverso il tè.
“Ma cosa vai dicendo?!” gridò indignato “Che razza di idee ti sei fatta su di noi Saiyan?! Siamo guerrieri, non barbari! La nostra era una civiltà evoluta! Da noi, quando un uomo e una donna si scelgono, sono liberi e consapevoli… la loro unione dura per sempre!”.
“Va bene, va bene, non ti arrabbiare! Era solo una domanda! Sto cercando di capire qualcosa in più di quel ragazzo che ha ucciso Freezer! Ho pensato che potesse essere figlio di qualche Saiyan sfuggito alla distruzione del pianeta poiché lontano, magari per ragioni di stato…”
Vegeta alzò un sopracciglio: “I conti non tornano in ogni caso. Ha detto di avere diciassette anni. Troppo giovane”.
“Beh, direi che almeno uno dei suoi genitori non è un Saiyan. Voi avete occhi e capelli neri, no? Tu sei assolutamente certo che siate rimasti solo in tre in tutto l’universo? Magari qualcun altro è riuscito a cavarsela e ha avuto un figlio su un altro pianeta”.
“Mmh, potrebbe”. Il principe ripensò agli occhi azzurri e ai capelli chiari del giovane “Non posso essere sicuro al cento per cento che siamo i soli superstiti. Ma la tua resta un’ipotesi molto azzardata. Piuttosto, quello che non si spiega affatto è il logo della Capsule Corporation sui suoi abiti”.
“Già. Però, considera che siamo famosi e che abbiamo molti clienti in giro per l’universo”.
Chi! Quello mi sembrava possedere una tecnologia ben più avanzata della vostra!”
“Sarà…” rispose Bulma alzando le spalle, un po’ piccata. “Mi dispiace davvero per il tuo pianeta…”
“Non riservo pietà a chi non si sa difendere!” affermò Vegeta con disprezzo “E se non combatterete fino alla fine, anche voi dovrete dare l’addio alla vostra amata Terra!”
Bulma appoggiò il mento sulla mano, ammaliata dal suo sguardo deciso e malinconico, dalla sua fierezza guerriera e indomita, dai suoi modi scontrosi ma regali.
“Che altro c’è?!”
“Niente. Ti guardo perché sei affascinante…”
Il principe strabuzzò gli occhi: “Co… Cosa?!? Sei davvero sfacciata, donna!”
Lei si alzò, divertita: “Cerca di riposarti un po’, ora. Verrò più tardi, così vedremo se l’unguento medicamentoso ha avuto qualche effetto. Altrimenti quei due si pentiranno di avermi rifilato una fregatura!”
Per un attimo Vegeta ripensò al grassone e al gatto che subivano le ire della ragazza, ancora incredulo.
“La sai una cosa?” disse Bulma girandosi sulla soglia e strizzandogli maliziosamente l’occhio. Il principe la guardò, aspettandosi come minimo qualche altra trovata assurda o imbarazzante.
“Mi piace il tuo sorriso, principe dei Saiyan!”
Vegeta arrossì per l’ennesima volta.
 
Bulma rientrò nella propria stanza, distrutta per la stanchezza. Si buttò sul letto, ma non si addormentò. Vegeta... Era l’essere più arrogante, più caparbio, più orgoglioso che avesse mai incontrato! La sua presunzione sfiorava vette inimmaginabili, per non parlare della sua incredibile ostinazione! Eppure portava in sé un’ombra impercettibile di tristezza: ne era certa, sebbene la celasse perfettamente dietro all’impenetrabile scorza e alla sprezzante indifferenza. Era un uomo misterioso e attraente e lei… lei non sapeva come comportarsi. Le sue mani avevano tremato. Ma non era stata la paura. Nessuno le aveva mai provocato sentimenti così sconvolgenti: lui l’aveva terrorizzata, presentandosi sulla Terra come un nemico spietato. Poi l’aveva sorpresa, quando l’aveva seguita senza opporsi e non aveva mai mostrato la minima intenzione di farle del male… l’aveva resa furiosa, le aveva fatto perdere almeno dieci anni di vita con l’incidente della gravity room! Accidenti a lui e alla sua smania di guerra! Già, lui… Lui era uno degli esseri più potenti dell’universo, un guerriero con la mente rivolta unicamente all’incremento delle proprie capacità combattive, che sicuramente avrebbe lottato fino alla fine, per orgoglio personale o per rivalsa. Lui era un principe, ma quella non era certo una fiaba; presto sarebbero giunti i veri mostri.
Sospirò profondamente. Lui aveva detto che, per i Saiyan, quando un uomo e una donna si scelgono, sono liberi e consapevoli e che la loro unione dura per sempre. “E tu, Bulma, devi essere completamente pazza. Perché lo ami”.

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Capitolo 2
*** Burst Out ***


L’unguento medicamentoso aveva funzionato: Vegeta sentiva l’energia rifluire in lui, era riuscito a concentrare il ki, anche se le ferite non erano del tutto guarite e non era certo al pieno delle forze. Aveva ripreso gli allenamenti nella gravity room e, sebbene il dolore fisico fosse alle volte atroce, aveva deciso di non lasciarsi distrarre da quell’inezia. Ciò che, invece, lo distoglieva era il fatto che la ragazza terrestre tentasse di convincerlo a fermarsi, rimproverandolo continuamente per la sua incoscienza. Come osava parlargli a quel modo? Nessuno aveva mai avuto l’ardire di trattarlo come faceva lei!!
I suoi movimenti sferzavano l’aria senza tregua, incendiandola di energia, il sudore gli imperlava la fronte, le fasciature si scioglievano dal suo corpo, volteggiando a terra. Era al massimo della tensione e aveva ben chiaro il proprio obiettivo: diventare un super Saiyan ad ogni costo! Ma allora perché non ci riusciva? Scese a terra per riprendere fiato e si soffermò a riflettere. “Il super Saiyan è un guerriero che, anche al colmo della furia, possiede un cuore calmo e puro”. Così almeno raccontava la leggenda. Insomma, un controsenso. Sicuramente, Kakarott si era trasformato perché, per la prima volta in vita sua, era stato preda di un’ira accecante, dopo avere visto il suo migliore amico morire per mano di Freezer. Aveva mantenuto la quiete interiore, anzi era stato così stupido da pensare di poter risparmiare il suo nemico! Chi. Idiota! Ma allora che cosa significava realmente avere il cuore puro? A lui, che era il principe, che cosa mancava? La rabbia non era un problema. Probabilmente era troppo inquieto. Vegeta ripensò alle parole della ragazza terrestre: non siamo tuoi nemici… non sei solo… mi fido di te… La sua voce serena, che esprimeva una reale comprensione, non aveva ombra di commiserazione. Lei capiva e lui aveva sentito l’animo placarsi, era stato attraversato da… Maledizione! E poi le sue mani su di lui… Maledizione!! E lui si era perso e… Maledizione!!! Il cuore pulsava di nuovo come impazzito, mentre avrebbe dovuto concentrarsi, invece di farsi influenzare dalle sciocche preoccupazioni di quella donna insopportabile! Poco prima le aveva gridato contro che, se ci teneva alla pelle, avrebbe dovuto lasciarlo allenare in pace. Ma ce l’aveva con se stesso più che con lei, perché quella non era stata una minaccia, anche se ne aveva tutta l’aria. Vegeta espanse il ki e un bagliore argenteo si diffuse tutto intorno. “Devo liberarmi da qualsiasi pensiero che non sia quello di trasformarmi in super Saiyan o di sconfiggere in duello Kakarott! Non conta nient’altro” si ripromise.
Le luci rossastre della gravity room iniziarono a baluginare.
 
“Ehi, donna, dimmi! Ci tieni alla tua pellaccia? Allora chiudi quella bocca!!” Bulma uscì sul balcone con quella frase che le martellava in testa, alzando il viso verso la luna e le stelle infinite di quella notte. Continuava a pensare a Vegeta, che si allenava senza sosta dalla mattina e alla sua espressione carica di sfida: le aveva intimato di andarsene in un modo che l’aveva sconcertata. Nulla di strano nelle sue maniere, ma quella non le era sembrata un’intimidazione. Forse senso era un altro: se, invece avesse voluto dire che…
Una rumorosa deflagrazione la strappò di colpo alle riflessioni: il lampo di luce proveniente dalla direzione in cui era situata la gravity room le tolse il respiro. Tutte le luci si spensero contemporaneamente. “Oh, Kami, ti prego, no!”
Bulma schizzò fuori all’istante e attraversò il giardino a piedi scalzi, la corta maglietta che le sbatteva sulle gambe nude, senza vedere nulla; lacrime di angoscia le velavano gli occhi, il cuore impazzito per l’agitazione le palpitava nelle orecchie, facendole girare la testa. “Ti prego, no!”
La sagoma tondeggiante della gravity room comparve al suo posto, intatta, ma lei non si fermò, inciampando sulla scaletta, precipitandosi all’interno, nel buio rischiarato solo dal riflesso pallido della luna.
“Vegeta!!”
Lui le comparve difronte come un fantasma, facendola sobbalzare.
“Cos’è successo? Stai bene?” domandò con sollievo.
“È saltato qualcosa, ha fatto più rumore che altro” rispose lui indicando un punto in alto, da cui usciva un sottile filo di fumo.
“È uno dei quadri di controllo” affermò lei sollevata, arrestando il principio d’incendio e puntando una torcia verso il soffitto. Il pannello era aperto e i fili sfrigolavano ancora, emettendo piccole scintille. “Mio padre… accidenti alla sua distrazione! Non ha isolato bene quella zona e quando la tua energia l’ha raggiunta, è andato tutto in corto”.
Chi” ringhiò lui sdegnato “E vi definite i migliori scienziati del pianeta!”
Bulma sospirò, vincendo la tentazione di tirargli la torcia in testa: “Domani me ne occuperò personalmente, ora è troppo buio per un lavoro del genere”.
“Che cosa?! Domani?! Ho già perso fin troppo tempo con tutte queste sciocchezze!!”.
“Ehi, dico! È da questa mattina che sei chiuso qui dentro! Le tue ferite non sono ancora rimarginate! Non ti farebbe male prenderti qualche ora di pausa!”.
“Ti ho già avvertita, donna!” il suo tono si fece minaccioso “Non dirmi quello che devo fare, non lo accetto! Come e quanto mi alleno è affar mio! Non t’impicciare!”.
“Ah, un bel ringraziamento per chi si preoccupa…”
“L’unica cosa di cui ti devi preoccupare è di prendere in mano quello che ti serve per riparare immediatamente questa dannata capsula! Sono stato abbastanza chiaro?”.
L’inquietudine che aveva impregnato il cuore di Bulma si trasformò in stizza: “Credi forse che io sia qui a disposizione, Vostra Altezza?” esclamò “Se hai così tanta fretta, puoi arrangiarti da solo!”
“Che cosa?! Attenta a come parli, donna!!”
“Credi forse che io abbia paura di te?!” gridò Bulma, perdendo le staffe.
No che non ne aveva, accidenti a lei! La cosa risultava quasi un oltraggio. Vegeta la guardò con una calma glaciale più spaventosa dell’ira, fermandosi a un passo da lei: “Se non ce l’hai” sibilò appoggiandole indice e medio congiunti sulla fronte “È solo perché non hai provato sulla tua pelle cosa può fare il principe dei Saiyan”.
Lui non si mosse. Bulma trattenne il fiato, temendo di avere incoscientemente passato il limite, ma rifiutò di mostrarsi spaventata e continuò a guardarlo con altrettanto orgoglio.
“I Saiyan! Bella razza di ingrati presuntuosi, quella cui appartieni!”
“Non sei nella posizione di offendere i Saiyan, credimi donna!” sogghignò lui.
“Hai ragione, mi sono espressa male. Anche Goku è un Saiyan, ma non ha nulla a che spartire con la tua arroganza e la tua presunzione!”
“Non una parola in più!!” la pressione delle dita su di lei diminuì.
“Paura di non reggere il confronto?”
Vegeta si irrigidì e abbassò il braccio.
“Goku mostrerebbe certamente gratitudine per chi si prende cura di lui! Mi ha aiutata tante volte, è sempre stato gentile con me! Ho fatto male a non chiedere a lui di venirsi ad addestrare qui!”
Goku! Vegeta indietreggiò di un passo, fremendo in tutto il corpo: ma non era la collera dettata dalle parole che gli erano appena state sbattute in faccia. Pareva che un mostruoso artiglio lo tenesse alla gola. Qualcosa iniziò a ribollire nel profondo. Qualcosa che faceva male.
Bulma non fece caso alla sua espressione e continuò implacabile.
“Lo conosco da una vita, è un uomo eccezionale! Chichi è proprio una donna fortunata! Avrei dovuto pensarci prima che la incontrasse!”
Quel dolore era insopportabile, insopportabile...
“Non c’è nessuno come lui, anche quando combatte, non perde mai la generosità… difende gli altri per affetto, per amicizia…”
Fa male… fa male… fermati, ti prego…
“Sono certa che ci salverà anche questa volta. Il nostro futuro è nelle sue mani. Io ho fiducia in lui!”
Il vaso traboccò. Vegeta esplose in un urlo terribile: “Basta! Non dirlo mai più! Non dire più nulla!! Nullaaaa! Aaaaaaah!!!”
Il grido era quello del suo intero essere. Qualcosa dentro di lui si spezzò, lacerandogli l’anima come mai era accaduto. Una sofferenza sconosciuta gli si riversò nel cuore come un fiume in piena, rompendo gli argini, sommergendolo, sferzandolo senza pietà. Dolore, tristezza e rabbia si attorcigliarono nel profondo, fino a mozzargli il respiro, velandogli la vista, devastandolo senza pietà. Un’energia potentissima si sprigionò da quella ferita invisibile ed eruppe all’esterno, circondandolo di un’aura abbagliante. Le bende sul suo corpo si incenerirono, gli oblò di vetro della gravity room esplosero, polverizzandosi e l’onda d’urto sbalzò all’indietro Bulma, che si accasciò al fondo della capsula, frastornata dall’impatto.
Vegeta, stentando a credere a quanto stava accadendo, si girò ansando verso la parete metallica e vide nell’immagine riflessa i capelli divenire dorati, gli occhi farsi verdi come l’acqua; percepì una potenza straordinaria nel fisico snello e muscoloso, riguadagnando a fatica il controllo del suo ki, che si riverberava tutt’intorno in portentose onde color oro. Eccolo, l’essere più potente dell’universo! Il principe contemplò quella straordinaria metamorfosi solo per un attimo: non era semplicemente una sensazione di potere. Nell’istante stesso in cui si era trasformato, aveva compreso il significato della leggenda del super Saiyan: Kakarott, era stato al colmo di una collera devastante… ma solo perché aveva assistito alla morte dell’amico, che amava come un fratello, e il suo cuore, pur rimanendo saldo, era andato in pezzi. Ecco la chiave. Non si può diventare super Saiyan, se non si provano anche amore e dolore, oltre alla rabbia. Non lo avrebbe mai creduto. Non avrebbe mai creduto che potesse succedere a lui. Percepiva ciò che l’aveva portato al quel punto. Sapeva cos’era. Sapeva perché. “E va bene!” rimuginò tra sé e sé, ancora preda di quello sconvolgimento interiore. “Lo accetto”.
 
Bulma si riscosse con un gemito, la testa tra le mani che pesava come un macigno, abbacinata dalla luce accecante che pervadeva l’ambiente: “Oh, Kami! Sono viva o morta?”
Vegeta, allarmato, posò un ginocchio a terra, al suo fianco: “Non era mia intenzione… io non mi sono reso conto che stavo per trasformarmi…”.
“Lo sapevo, sono morta!” borbottò la ragazza ancora stordita “Se Vegeta si sta scusando, non posso certo essere viva!” aggiunse strizzando gli occhi.
Il principe fece rientrare il suo ki e lei contemplò trasognata il verde luminoso, irreale di quelli di lui e i suoi capelli biondi girati all’insù: “Ci sei riuscito!”
I suoi occhi continuarono a brillare anche quando tornarono neri e riassunse il suo aspetto naturale: “Io ti ringrazio, Bulma” aggiunse, prendendole la mano e tenendola posata tra le sue, in un gesto che, per i Saiyan, indicava il massimo della riconoscenza.
La ragazza trattenne il respiro, scrutando il suo viso in cerca di una risposta.
“Mi hai ringraziato e chiamato per nome… se non mi dai una prova che non siamo due fantasmi, divento matta!”.
“I fantasmi non sanguinano”.
“Oh, Kami!” esclamò lei, notando che ferita sul fianco di Vegeta si era riaperta e che lei stessa aveva dei graffi sulle braccia, causati dalle schegge di vetro. Si fece seria: “Mi… mi dispiace, non avrei mai dovuto trattarti così, mi sento così in colpa! Non avrei dovuto farti arrabbiare a quel modo… beh, ecco… almeno è servito a farti trasformare in super Saiyan!”.
“Mmh” fece Vegeta socchiudendo gli occhi con un indecifrabile sorriso “Non funziona proprio così”.
“Oh…”
Bulma era sempre più sorpresa da quell’atteggiamento inverosimilmente pacato: “Comunque, ti devo delle scuse. In realtà, sono felice che tu sia diventato super Saiyan come desideravi! Non avrei dovuto dire quelle cattiverie, non le penso affatto, ma vedi… ho i nervi a fior di pelle, il futuro che ci attende mi spaventa da morire. Credo che il coraggio non mi basti e allora mi affido al tuo, pur sapendo che non è giusto che tu vada incontro a un pericolo così terribile, mentre io non posso fare nulla. Alle volte vorrei possedere anch’io la forza di voi Saiyan!”.
Vegeta la ascoltava e ogni sua parola gli scendeva dentro come acqua pura. Il suo sangue scorreva veloce, ribollendo come lava, ma si sentiva parimenti pervaso da una profonda quiete. “Non devi avere paura, te lo ripeto…se ci tieni alla Terra e a tutto il resto, lasciami allenare. Io combatterò e per quei cyborg non ci sarà speranza alcuna!”
Era vero, allora! Vegeta, a suo modo, le aveva detto che non si sarebbe tirato indietro e che, pertanto, aveva bisogno di concentrarsi sul suo obiettivo.
“Dobbiamo rifasciare quel taglio o…”
“Non è corretto dire che non puoi fare nulla… io ti devo molto” continuò il principe, ignorando il filo di sangue che gli sgorgava dal fianco.
La ragazza gli sorrise: tutte le sue difese si dissolsero, avvertì la debolezza causata dalle ferite, dall’estenuante allenamento cui si era sottoposto, dalla trasformazione, dal fuoco che gli ardeva dentro. “Non così… non qui, non per terra in mezzo a questa desolazione di vetri e frantumi…” si impose Vegeta.
Si alzò in piedi, trascinandola su con sé, levandosi in volo con le ultime scintille residue di energia, portandola tra le braccia attraverso lo squarcio aperto nel soffitto della gravity room, mentre lei si aggrappava alla stoffa strappata dei suoi abiti da combattimento. Scese poco in là, perché di più non avrebbe potuto reggere, posandola a terra. La guardò intensamente e trovò nei suoi occhi quello che stava cercando.
Le mani scivolarono sulla sua vita sottile, poi sulla sua schiena, tra i suoi capelli, con lei che ricambiava quell’abbraccio, stringendolo forte, macchiandosi di sangue, chiamandolo per nome...
Posò le labbra sulle sue e la baciò. Bulma chiuse gli occhi. L’intero universo sparì. Il tempo allentò i suoi anelli in quel contatto, che era un inizio, che era una promessa, che era amore puro, che lui voleva, riceveva, restituiva.
La luce della luna pioveva su di loro, unica testimone di quel legame indissolubile, inconsapevole scommessa per il futuro.
 
“Vegeta…” il suo nome in un sospiro sul suo viso “Non mi lasciare…”
“Hai il mio giuramento” e poi poche parole in lingua saiyan, la fronte contro quella di lei, le dita intrecciate alle sue in quell’abbraccio, appoggiate sul cuore. Un cuore placato e purificato per amore.
 

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Capitolo 3
*** In questo universo... ***


 Alla luce degli ultimi episodi di "Dragon Ball Super", in particolare dello splendido episodio 126, sto rivedendo questa vecchia storia...
 
In questo universo...
 
Vegeta era in dormiveglia. Quella notte non c’erano stati né incubi né visioni. C’erano stati un assaggio di super Saiyan e quel bacio infinito. Alla trasformazione era sempre stato certo che ci sarebbe arrivato… ma non avrebbe mai pensato di poter provare simili sentimenti e, soprattutto, di riuscire a mostrarli. Eppure i Saiyan vivevano di passioni. La gelosia per una donna. Per lei sola. La sentiva al suo fianco, la voleva al suo fianco. Lei aveva insistito per medicarlo e lui aveva detto sì, perché era stremato, poi era crollato e lei era ancora lì, stretta a lui, come se dormire accanto al principe dei Saiyan - che ora era anche un guerriero leggendario - fosse la cosa più naturale dell’universo.
Vegeta socchiuse gli occhi alla luce dell’alba. Da quando era stato teletrasportato sulla Terra, lei era stata un mistero insondabile: lo aveva invitato a casa sua, nonostante lui avesse le mani ancora lorde di sangue innocente e si fosse mostrato spietato, non avesse tenuto segrete le sue mire di conquista e avesse giurato di uccidere Kakarott, i terrestri e, forse, l’universo intero.
Ricordava il momento in cui, in mezzo agli sguardi ostili dei Namecciani superstiti, era giunto alla Capsule Corporation: aveva osservato incredulo quel mondo tranquillo, che lui stesso aveva tentato di sconvolgere, quella generosa ospitalità e quello stupefacente momento, che era stato il tramonto del Sole, quando la Terra si era dipinta degli stessi colori rossi del suo Pianeta e lui aveva sentito fluire in sé tutto l’orgoglio della sua razza.
Lei gli si era avvicinata, dicendogli: “Ehi, Vegeta, hai del terriccio tra i capelli!” e gli aveva tolto qualche sassolino.
Lui era indietreggiato per non farsi toccare, diffidente, innervosito da tanta familiarità, ribattendo: “Certo! Ho combattuto, sono morto e mi hanno sotterrato!”.
Lei lo aveva guardato con quegli immensi occhi blu e, mettendogli un bicchiere di tè tra le mani, gli aveva risposto: “Non ci pensare più. Bevi questo, ti sentirai meglio!” e lui l’aveva fissata, impietrito, come se l’aliena lì fosse lei.
Poi, si era messo in disparte e il sonno si era preso il suo corpo, estenuato dalle battaglie e dagli stenti, mentre la sua mente, avvezza a non abbassare mai la guardia, era comunque rimasta vigile; si era accorto che qualcuno gli si era avvicinato e si era sentito sfiorare, così era balzato in piedi, con il ki pronto a esplodere e… era rimasto sconcertato. Lei aveva tentato di avvolgerlo in una coperta, mentre dormiva: “Guarda che io non sono un tuo avversario!” gli aveva detto con disapprovazione.
“Non farlo mai più, donna, se ci tieni alla pelle!!” aveva minacciato lui, mantenendo la posizione di difesa, l’energia guizzante in una mano, guardingo davanti a una simile incoscienza. O forse coraggio?
“Io mi chiamo Bulma!” aveva borbottato lei di rimando: “Qui di notte fa freddo! Vieni con me, non crederai che ti faccia dormire in giardino, anche se sei un Saiyan duro e zuccone!”. “Cosa!?! Non pensi mai a misurare le parole, donna?” aveva ringhiato lui, omettendo volutamente il suo nome, a fronte del “duro e zuccone” che lei gli aveva appioppato. Ma l’aveva seguita, passando in mezzo ai terrestri intimoriti.
“Questa è la tua stanza” gli aveva detto lei. “Ti ho lasciato qualcosa da mangiare. Se sei come Son Goku, avrai sicuramente una fame da lupi!”.
“Paragonarmi continuamente a Kakarott è una pessima idea!!” aveva sottolineato lui offeso. “Anche progettare di farlo fuori!” aveva risposto lei, strizzandogli l’occhio e lasciandolo interdetto “Domani, vieni a fare colazione con noi, se ti va. Buonanotte, Vegeta!”.
L’ultima parola era stata sua. Con un grado di confidenzialità intollerabile. Lui, di fatto, era un nemico. Aveva ucciso senza pietà alcune persone a lei care. Lo aveva sentito sussurrare dai Namecciani poco prima. Come riusciva a guardarlo negli occhi?
 
Vegeta sorrise tra sé a quel ricordo e si spostò sul fianco che non gli faceva male. Bulma, nel sonno, scivolò contro la sua spalla.
 
Il giorno successivo era davvero sceso in sala da pranzo, guidato dal profumo che saliva al piano di sopra e da una fame tale da annebbiare la vista.
“Buongiorno!” lo aveva salutato lei amichevolmente: “Dormito bene? I Namecciani sono già a posto, dovrai accontentarti della nostra compagnia” aveva aggiunto indicando la madre, che la stava aiutando a imbandire la tavola.
“Dormire…” aveva pensato lui “In un letto. Per più di qualche ora rubata tra una battaglia e l’altra. Sonno vero, non quello artificiale. Mi ero dimenticato cosa volesse dire”. Ma si era limitato a prendere posto senza parlare, distratto dal seguito della conversazione.
“Bulma, tesoro! Il tuo ragazzo è davvero bellissimo, complimenti!”
Vegeta aveva guardato la donna bionda come se fosse pazza, ma Bulma era intervenuta subito: “Mamma!! Non è il mio ragazzo!”
“Beh, comunque è davvero attraente, dove l’hai trovato?”
“È lui che ha trovato noi, mamma!” poi si era girata e gli aveva sorriso: “Non sapendo cosa ti piacesse, ho cucinato in abbondanza. Serviti pure”.
È lui che ha trovato noi. Ma che razza di definizione… Un eufemismo per dire che li aveva attaccati per conquistare il pianeta e che il suo unico successo era stato quello di ammazzare un grappolo di idioti per poi farsi umiliare. La prima sconfitta della sua vita. Il suo stomaco si era lamentato, riportandolo alla realtà.
Erano anni che non vedeva così tanto cibo. Erano anni che si limitava a ingurgitare quel poco che trovava, rifiutandosi di sedere con gli uomini di Freezer e di chiedere loro qualcosa quando non ne aveva. Aveva iniziato a mangiare a quattro palmenti, ricordandosi a malapena di usare le posate, che non vedeva dai tempi in cui sedeva ai banchetti della famiglia reale, sul suo pianeta.
“Perché non lo inviti a uscire?” aveva continuato imperterrita la terrestre bionda.
“Perché il mio ragazzo è Yamcha!”
“Ma non è morto? Dovresti fartene una ragione, cara…” e lo aveva puntato con aria complice, procurandogli i sudori freddi. Lui aveva addirittura smesso di abbuffarsi per stare a sentire quella marea di sciocchezze. No. Per ascoltare lei. Lei, il giorno precedente, aveva parlato con gli dei e con le anime dei guerrieri defunti, grazie a non si sa quale privilegio. E il principe dei Saiyan l’aveva osservata attentamente: non si era persa d’animo, non aveva mostrato timore e neppure reverenza. Lui l’aveva addirittura aiutata, suggerendole il modo per far tornare i suoi amici dall’aldilà. Perché lo aveva fatto? Era stato solo il desiderio di farla pagare a Kakarott? Ma che ti è preso, Vejita!?
“Voglio resuscitarlo con le Sfere del Drago, te l’ho già detto!” aveva rimarcato lei.
“Ma se litigavate in continuazione per il suo pessimo comportamento!”
“Questo non significa che si meriti di essere morto!!” le aveva gridato Bulma, sbattendo malamente i piatti. Poi si era rivolta a lui, mortificata: “Abbi pazienza, mia madre è davvero invadente a volte”.
“Che cosa sono questi?” le aveva chiesto Vegeta, tentando di sviare il discorso fortemente imbarazzante, prendendo gli hashi dalla tavola.
“Servono per…”.
Poi il bollitore del tè aveva fischiato. Lui era saltato come una molla, rovesciando la sedia e alzandosi in volo a mezz’aria, espandendo automaticamente il ki, preparandosi ad affrontare un nemico.
“Vegeta!” aveva esclamato lei, scattando in piedi, preoccupata. Lui aveva realizzato in breve l’accaduto ed era sceso a terra, ancora in tensione. Anche lei aveva capito l’equivoco.
“Mi hai spaventata! Voi Saiyan percepite le energie spirituali a distanza, vero? Ho pensato che ci stessero attaccando!”. E aveva tirato il fiato a sua volta, sollevata.
Saiyan. Pronunciato con una profonda ammirazione. Non con il disprezzo cui era abituato. “Hah…” aveva affermato lui, senza aggiungere altro, smarrito per la tenerezza con cui lei lo aveva guardato.
 
Bulma si destò, stiracchiandosi come un gatto, indolenzita dal “volo” imprevisto della sera precedente. Addormentarsi sul divano non era stata una delle sue migliori pensate. Vegeta. Non aveva sognato, lui era lì accanto. Aveva giurato. I loro sguardi si incatenarono.
 
Bulma ricordava distintamente i suoi primi giorni sulla Terra: lui era spossato dalle infinite battaglie e dalla mancanza di riposo, il suo viso era pallido e segnato. Solo i suoi occhi ardevano di fierezza e di rabbia. Aveva garantito vendetta. Non aveva certo rinunciato. Lo avrebbe fatto. Aveva categoricamente rifiutato di abbandonare gli abiti da combattimento, anche se erano strappati e gli ballavano addosso; si vedeva chiaramente che non era in forma, nonostante l’enorme potere che emanava dal suo intero essere. Era rimasto sempre in disparte, in costante allerta, imbronciato e distaccato. Aveva detto di essere il principe dei Saiyan e, quando lei gli aveva chiesto dove fosse il suo pianeta, lui aveva indicato un punto lontano del cielo notturno, dicendole di guardare il vuoto tra le stelle, poiché ormai lassù non esisteva più nulla. I suoi sudditi erano due: Kakarott, che detestava, e quel mezzosangue di suo figlio Gohan. Le aveva risposto quasi con gentilezza, mentre con tutti gli altri si era dimostrato sprezzante e altezzoso. La sua voce era suonata glaciale, ma i suoi occhi… Aveva continuato a minacciare ritorsioni, ma di fatto non aveva mai mostrato seria intenzione di fare del male a lei; se lo avesse voluto davvero, non le sarebbe bastato il tempo per pregare. Probabilmente, aveva un suo codice d’onore.
Un giorno, era entrato in laboratorio, mentre lei stava lavorando su una nuova capsula spaziale. Aveva osservato con attenzione il progetto e aveva esclamato incredulo: “Ma questa è piuttosto simile all’astronave di Freezer! Sei stata tu a disegnarla?”
Bulma si era un po’ risentita davanti a tanto stupore e aveva ribattuto: “Certo! Devi sapere che io, oltre a essere molto affascinante, sono anche una scienziata geniale!”
Vegeta l’aveva squadrata, sollevando un sopracciglio e si era avvicinato, sciogliendo le braccia dal petto e indicando un particolare sul foglio: “Qui è diversa”.
“E tu come lo sai?” aveva chiesto lei meravigliata.
“Mi hai preso per un idiota, forse!?” aveva risposto lui irritato. “So leggere! Non sono eccellente solo nel combattimento! Ho viaggiato per anni lì sopra!”.
Lei aveva sollevato lo schizzo e gli aveva spiegato in breve le migliorie a cui aveva pensato, mentre lui si era ulteriormente accostato: “Hai ragione” aveva ammesso “Così è meglio.” e l’aveva fissata con una sorta di ammirazione. Poi si era accorto che si stavano sfiorando e si era allontanato come se avesse preso la scossa.
“Guarda che non mordo!” gli aveva detto lei, punzecchiandolo per sua reazione impacciata. “Chi! Sei stata tu a dirmi di tenermi lontano da te!” aveva ribattuto lui con altrettanta ironia. “Non intendevo questo!” gli aveva gridato dietro lei, mentre lui era uscito dalla stanza con un sogghigno.
 
Ora invece, la mano di Vegeta era posata sul di lei senza imbarazzo. L’aveva superata in altezza di una spanna buona; la sua dogi aderente metteva in risalto il fisico agile e muscoloso; non c’era più traccia in lui di spossatezza, il suo viso aveva preso un colore ambrato che lo rendeva ancora più affascinante. Solo gli occhi esprimevano la stessa ardente fierezza. E guardavano lei.
“Lo so…” mormorò Bulma “Devi andare, devi allenarti, devi fare tutte le cose che fanno i super Saiyan.”
Il principe si mise a sedere sul divano, scuotendo la testa per la descrizione poco ortodossa: “Chi! Devo imparare a controllare il ki del super Saiyan”.
“Quella capsula non è adatta a te, figuriamoci ora che ti sei trasformato. Ormai non è più in grado di reggere, non vale neanche la pena di aggiustarla”.
“Cosa vorresti dire?”
Bulma si sollevò sul gomito: “Ci sto pensando da un po’. Vorrei costruire una gravity room più grande e potente, magari nei sotterranei della Capsule Corporation, vicino al laboratorio. Sarebbe più stabile e più sicura”.
Vegeta la fissò: “Ogni tanto mi chiedo da quale universo tu provenga”.
Lei rise: “È un complimento? Te l’ho detto, vorrei dare anch’io il mio contributo, ovviamente scientifico. La parte pratica la lascerò volentieri a voi guerrieri…”.
“Voi? Io sarò più che sufficiente!” ribatté lui corrugando la fronte.
“Va bene” sospirò Bulma, arrendendosi davanti allo smisurato orgoglio saiyan “Però per qualche giorno dovrai allenarti all’aperto, impegnandoti a non disintegrare il pianeta”.
“Non è un problema”.
Allungò il braccio verso il suo viso e lo sfiorò, ripulendolo dai segni della polvere della notte precedente e il principe la lasciò fare, senza ritrarsi.
“Se la vostra leggenda non sbaglia” disse sorridendogli “Devo supporre che tu abbia il cuore puro”.
Vegeta sussultò, ma ribatté senza esitare: “Chi! Puro male!”
“Oh, smettila di fare il guerriero implacabile con me! Se tu pensi che io possa credere ad una simile…”.
“Parli troppo…” la interruppe lui, posandole un dito sulle labbra. Non c’era nulla di imperioso nella sua voce, era una mera constatazione. “Questo è quanto vi sarà concesso di sapere e ciò che dirò di me. Ho una fame incredibile, non ho voglia di discutere”.
“Tu sei un…” ricominciò lei, senza saper risolvere se arrabbiarsi o mettersi a ridere o… Non riuscì a terminare neppure quella frase. Perché lui si avvicinò e già questo sarebbe bastato a levarle il fiato; la ridusse al silenzio con un bacio.
 
Vegeta si era esercitato tutto il giorno a controllare la trasformazione in super Saiyan e non era stata un’impresa semplice. E il fatto di avere probabilmente qualche costola incrinata non era stato d’aiuto. Era così come aveva anticipato Kakarott: ci sarebbero voluti tempo e concentrazione. Ma lui ci sarebbe riuscito, anzi, sarebbe andato oltre, sarebbe tornato ad essere il primo! L’acqua della doccia gli scorreva sulla pelle, portando via la stanchezza del pesante allenamento.
Ricordava quando era rientrato sulla Terra, dopo aver dato inutilmente la caccia al suo rivale per la galassia; dopo alcuni mesi, era tornato alla Capsule Corporation e Bulma lo aveva accolto, stroncando con fermezza qualsiasi screzio tra lui e gli altri combattenti presenti in quel momento. Durante il viaggio, si era sorpreso a pensarla più di una volta, anche se aveva subito riportato l’attenzione sul suo obiettivo principale. La cosa gli era risultata incredibile e priva di ogni logica. Aveva respinto la possibilità di chiarirsi con se stesso. Quando era uscito dalla capsula spaziale, la ragazza era sembrata sinceramente felice di rivederlo e lui davvero non era riuscito a darsi una sola valida ragione. Si era accontentato di rifilare una risposta al vetriolo all’idiota con cui lei usciva, minacciando di polverizzarlo e non sarebbe stata una cattiva idea farlo all’istante. Anche adesso gli prudevano le mani ogni volta che lo vedeva. Ma lei lo aveva trascinato via. Era riuscita a farlo svestire degli abiti da combattimento, dicendogli che un principe non se ne sarebbe potuto andare in giro come uno straccione. Quelle parole erano state una stoccata al suo orgoglio. Certamente sapeva dove colpire con quella dannata linguaccia. Inoltre, gli aveva chiesto, davanti a tutti, di trasferirsi definitivamente a casa sua e lui era rimasto senza parole. I terrestri pure. Non aveva rifiutato.
Un giorno, lei lo aveva raggiunto, mentre stava leggendo un libro sulle leggende terrestri, aveva sbirciato da sopra la sua spalla, commentando: “Adoro quel libro!” e poi aveva aggiunto divertita: “Studi il nemico?”.
Chi! La tua rischiosa sagacia ti procurerà dei guai seri, donna!” aveva sbuffato lui tra i denti.
Ma lei aveva cambiato argomento: “Certo che tu parli veramente bene la nostra lingua, oltre a quella comune!”.
Vegeta si era subito alterato: “Perché, la cosa ti sorprende? Io ho ricevuto un’educazione degna del mio rango! Non sono uno di quegli idioti che…”
“Ehi! Non ti arrabbiare per ogni parola! Mi stavo solo chiedendo dove l’avessi imparata!”.
Lui l’aveva guardata con la solita espressione corrucciata, però aveva risposto con calma: “Durante gli spostamenti tra i sistemi stellari. Alcuni duravano più di un anno, come quando sono arrivato qui. Lo scouter serviva anche per quello. Alcuni stupidi bestioni dell’esercito di Freezer lo usavano come traduttore, non avendo abbastanza cervello per capire. Io non ho mai avuto problemi ad assimilare una nuova lingua”.
Lei gli aveva lanciato un’occhiata ammirata e lui aveva abbassato lo sguardo, sentendosi a disagio: solitamente, chi gli stava davanti lo fissava con odio o con terrore. Lei invece…
“Anch’io conosco alcune lingue, ma il saiyan proprio non l’ho mai sentito…”
“Se ci pensi, è perché eravamo in tre a parlarlo e ora solo io” aveva spiegato lui con un velo di amarezza.
Lei era rimasta un attimo in silenzio e poi aveva proposto: “Perché non lo insegni al piccolo Gohan? È un bambino intelligentissimo…”
“Cosa?!! Tu sei pazza! Credi che abbia tempo da sprecare?! E poi non gli servirà, quando l’avrò levato di mezzo insieme con suo padre!”.
“Quanto sei antipatico!” aveva ribattuto lei, mettendo le mani sui fianchi: “Sempre a pensare alla guerra! Insegnalo a me, allora! Sono brava, sai! O pensi di far fuori anche me?”
“Può darsi, sei insopportabile!”
Vegeta aveva ribattuto seccato, ma l’aveva osservata in tralice e aveva compreso il motivo della richiesta: alla ragazza dispiaceva che non potesse più parlare con nessuno nella sua lingua madre. Neppure ai Saiyan, forse, era mai importato così tanto dei Saiyan stessi. Quando Radish gli aveva riferito, sconvolto, che il loro pianeta si era disintegrato, lui era rimasto impassibile e gli aveva ordinato di piantarla con quella lagna. Aveva ricoperto perfettamente il suo ruolo, facendo venire i brividi persino ai suoi uomini. Ma dentro di lui lo scenario era ben diverso. Un atomo di odio, vendetta e impotenza. Quella donna gli aveva appena chiesto di tramandare qualcosa di sé, del suo retaggio, del suo pianeta. Quelle parole avevano toccato una corda che avrebbe preferito non sentir vibrare, perché suonava una melodia di emozioni sopite e umanità, che lui non aveva intenzione di ascoltare.
“Ah, davvero!? E io che ero venuta per dirti che mio padre ed io abbiamo completato il progetto per adattare la capsula spaziale e trasformarla in gravity room!”
Lui aveva spalancato gli occhi, abbandonando il filo di quei pensieri sgraditi, e lei gli si era seduta accanto con un’espressione orgogliosa: “Vedi? Io sono contenta di aiutare voi fanatici del combattimento, soprattutto i miei amici…”.
Amici? Il principe aveva riflettuto un istante sul termine e poi aveva deciso di togliersi i dubbi: “Dici che vuoi favorire tutti, ma di fatto aiuti me” aveva affermato con rabbia. “Da quando sono qui, hai aiutato sempre e solo me. Perché? Forse ti faccio pena?”.
Bulma gli aveva rivolto un sorriso disarmante: “Non puoi pensare questo. Tu sei forte, Vegeta. Te la cavi benissimo. E neppure voglio tenerti impegnato per evitare che tu ti batta con Goku quando tornerà…”. Lui aveva atteso che lei cercasse le parole giuste: “Quando ti ho conosciuto, ho pensato… che spreco!”.
Vegeta era scattato in piedi, serrando i pugni, profondamente turbato. Spreco? Un’espressione che gli aveva ricordato la preghiera accorata di Kakarott al suo amico pelato, dopo il loro scontro cruento, mentre quel terrestre incombeva su di lui con la katana sguainata, per ucciderlo: “È un peccato perderlo così, lascialo andare”. Risparmiarlo era stato un errore. Un affronto. E ora…
Lei aveva proseguito: “Mi sono chiesta perché. Perché un uomo del tuo valore dovesse per forza agire in modo brutale, distruggere anziché proteggere, conquistare anziché difendere… E mi sono detta che questo era terribilmente ingiusto, per te, per noi… ho voluto darmi la possibilità di comprendere, di comprenderti. A te, un’altra occasione. Tutti la meritano. Desideravo vedere oltre quello che tu hai scelto di mostrare di te stesso e poi… e poi in realtà tu sei…”
“Maledizione, donna! Io sono un Saiyan! Non aggiungere altro o…”.
Lui l’aveva fermata, ma la sua voce si era spezzata per la profonda commozione che quelle parole gli avevano cagionato ed era rimasto con gli occhi piantati su di lei: occhi neri come il fondo dell’inferno, vissuto suo malgrado in anima e corpo, ma risputato in faccia all’universo per rivalsa. Finché quel dannato nodo in gola non si era fatto seppellire dall’orgoglio. Aveva incrociato le braccia, aveva reso il suo sguardo il più freddo possibile e aveva affermato: “Quello che dici non ha senso per me”. Ma ne aveva, stradannazione, soprattutto da quando aveva incontrato lei.
Anche lei gli era sembrata piuttosto sottosopra nell’essere stata così schietta. Era certo che lei non avesse creduto neppure per un istante alla sua altezzosa affermazione, ma non aveva insistito e lui aveva cambiato immediatamente discorso: “Comunque sia… per la gravity room andrò a parlare con tuo padre”.
“Puoi parlare anche con me! E puoi perfino farti uscire un grazie!” aveva esclamato lei mettendo il broncio. “Anzi, in cambio potresti dirmi qualche parola nella tua lingua!”.
Vegeta aveva sospirato davanti a tanta ostinazione, ma in fondo non gli sarebbe costato nulla: “Che cosa vuoi sapere?”
“Anche tra voi Saiyan si dice ti amo?”
“Certo che si dic… ma cosa ti viene in mente!?!” per un momento il principe aveva abbassato la guardia e lei l’aveva colto alla sprovvista con una delle mille domande scomode che, anche ora, non smetteva di rivolgergli. “Mi prendi in giro? E io che sto anche qui ad ascoltarti!” aveva gridato lui più imbarazzato che incollerito.
“Insomma, sono curiosa!” aveva brontolato lei, mentre lui si era diretto alla porta con passo deciso. “Tieni, non dimenticare questo” aveva aggiunto lei, porgendogli il libro che era caduto a terra.
Lui lo aveva preso e, girandosi le aveva detto: “¶ž∞$ÑóÉ. Grazie”.
 
Vegeta chiuse l’acqua e considerò che il termine “impossibile” stava diventando privo di significato. Abbassò lo sguardo. Le sue mani non erano solo capaci di uccidere: i suoi pensieri virarono in una direzione mai percorsa. Non li arrestò.
 
Bulma uscì dal laboratorio: aveva lavorato tutto il giorno alla gravity room e necessitava di un caffè forte e possibilmente di un bagno caldo. Si diresse verso la cucina e sul tavolo trovò un sacchetto di tela, accompagnato da un biglietto della madre: “Tesoro, è passato da noi questa mattina uno strano samurai e mi ha lasciato per te questi fagioli. Avrei voluto chiamarti, ma lui è fuggito subito. Questa sera sono a teatro con papà…”
I senzu! Yajirobei li aveva addirittura portati personalmente, ma era battuto in ritirata prima di incappare accidentalmente nel principe dei Saiyan. La cosa la rallegrò molto. Li avrebbe portati subito a Vegeta, anche se questo avrebbe significato che lui si sarebbe dedicato con ancora maggiore persistenza all’allenamento.
Ricordava il giorno, non molto lontano, in cui il giovane venuto dal futuro aveva stroncato le loro speranze di tranquillità; dopo l’incontro, Vegeta era partito come una scheggia, intenzionato a non perdere tempo e aveva immediatamente chiesto a suo padre una gravity room più efficace del pianeta di Kai-Oh, sul quale Goku aveva raggiunto la sua straordinaria potenza. Si erano messi immediatamente all’opera: lei non si era opposta, perché desiderava che il principe fosse un loro alleato. No. Perché non voleva che se ne andasse. Perché lui le era entrato nell’anima. Se si fosse trattato del cuore, se ne sarebbe fatta una ragione. Invece, era il suo essere così come lui era che l’aveva catturata.
Durante la costruzione, lui si era dimostrato molto impaziente e spesso si era fermato a chiedere informazioni sullo stato dei lavori. Una volta, lei si trovava proprio sulla cupola della capsula, per risolvere un problema che le aveva fatto perdere parecchio tempo ed era lassù da sola, a inveire contro il computer. Vegeta si era levato in volo e l’aveva osservata con uno sguardo severo, poi aveva borbottato: “Ehi, donna! Quanto ti ci vuole ancora per finire? Io sto facendo la ruggine a furia di aspettare!”
Lei si era girata, davvero esasperata, e gli aveva risposto: “Se non hai niente da fare, vieni ad aiutarmi, invece di lamentarti!”.
“Che cosa!? Come ti permetti di rivolgerti a me in questo modo!?”.
“Io ti sto facendo un favore!” aveva continuato lei, sempre più inviperita “Se pensi che sia qui a perdere tempo, perché non vai ad allenarti con gli altri, anziché comportarti da arrogante?”. Vegeta era andato su tutte le furie: “Arrogante?! Io sono il principe dei Saiyan, mi rifiuto di mettermi al pari con un branco di guerrieri di bassa leva!”.
“Non mi pare che Goku ti sia inferiore! Perché non ti alleni con lui? Un’altra lezione potrebbe abbassare il tuo livello di presunzione!”.
Lui aveva incassato l’offesa, stringendo i pugni e il suo tono si era fatto minaccioso: “Dovresti stare attenta a come parli, donna! La tua impertinenza può costarti cara! Qui non c’è il tuo amico Kakarott a difenderti!”.
“Mi difendo benissimo da sola!” gli aveva strillato conto lei, lanciandogli il cacciavite che aveva in mano. Lui aveva schivato senza troppo impegno, con uno sguardo torvo.
“Almeno Goku non si sposta, quando sa di meritarselo!” aveva continuato lei, scagliandogli addosso le pinze. Evitate anche quelle senza una piega.
“Questo non fa che aggiungere prove al fatto che è un vero idiota!” aveva commentato lui sogghignando e scansando un terzo attrezzo non ben identificato. “E smettila! Sei troppo lenta!”
Mentre lui stava scendendo a terra, Bulma, che aveva esaurito l’arsenale, si era tolta una scarpa per usarla come ultima arma, ma aveva improvvisamente perso l’equilibrio. La superficie liscia e curva della capsula aveva fatto da scivolo e lei era inesorabilmente precipitata verso il suolo. Aveva gridato e si era coperta il viso con le mani. Ma l’impatto non era mai arrivato.
“Sei impazzita!?” aveva esclamato una voce piuttosto inquieta. Lei aveva scostato le dita. Oh, stelle! Non si era schiantata perché Vegeta l’aveva presa al volo e la stava tenendo sollevata, tra le braccia. I loro sguardi si erano incrociati per un attimo, poi lui l’aveva posata a terra immediatamente. Ma nei suoi occhi aveva fatto in tempo a scorgere una sincera apprensione. Bulma aveva dovuto reggersi al suo braccio, scioccata, e quando il principe l’aveva lasciata malamente, era piombata giù, perché le gambe le tremavano ancora.
Chi! Tu non sai volare, che cos’hai in testa?”
Quando era riuscita a ritrovare la voce, Bulma si era a sua volta trincerata dietro l’orgoglio: “È colpa tua se per poco non mi ammazzo!” gli aveva risposto.
“Che cosa!? Se non fossi stato qui, non saresti tutta intera! Dovresti ringraziarmi!”.
“Scordatelo!” aveva dichiarato lei, caparbia più che mai. “Se tu non mi avessi fatto arrabbiare, non sarebbe successo nulla!”.
“A quanto vedo, sei tu ad avere bisogno di una lezione di umiltà”.
Poi era successo qualcosa di impensabile: Vegeta se l’era caricata su una spalla, lei non aveva nemmeno visto come, e aveva attraversato il giardino della Capsule Corporation in tutta calma, senza neppure prendersi la briga di volare.
“Mettimi giù immediatamente!” aveva gridato lei, tempestandogli inutilmente la schiena di pugni, mentre il principe dei Saiyan riusciva a trattenerla senza scomporsi.
Poi era arrivato alla piscina e l’aveva scaraventata in acqua con poca grazia: “Per rinfrescarti le idee!”.
Bulma era riemersa, più infuriata che mai, con in testa il solo pensiero di non fargliela passare liscia: “Per te vale solo la legge della forza bruta, eh, testone di un Saiyan!?”.
“Uso le armi che ho a disposizione, solitamente. Come vedi, sei ancora viva, ho fatto un’eccezione” e le aveva girato la schiena, mentre lei si era issata sul bordo della piscina.
“Ehi, Vegeta!”
Lui si era voltato e gli occhi gli erano quasi usciti dalle orbite per lo spettacolo che gli si era presentato: Bulma, bagnata fradicia, si era sollevata la maglietta bianca, mostrando la biancheria, resa completamente trasparente dall’acqua e lui si era congelato. Poi si era tolta la seconda scarpa e l’aveva scagliata, prendendolo in pieno. Lui era avvampato, riscuotendosi di colpo e aveva esclamato, fuori di sé: “Che… che cosa credi di fare!?!”.
“Ciascuno usa le armi che ha a disposizione, l’hai detto tu!” aveva risposto lei a naso in su, abbassando la t-shirt, che comunque lasciava poco all’immaginazione.
Vegeta aveva distolto lo sguardo, ringhiando qualcosa tra i denti; poi si era sfilato la maglietta e si era diretto verso di lei, terribilmente accigliato.
Bulma era stata presa dal panico: se solo lo avesse voluto, il principe avrebbe potuto fare di lei quello che desiderava e lei non sarebbe stata in grado di opporsi. Lui, però, si era fermato a un passo e le aveva infilato a forza la sua maglietta scura, fissandola con un’espressione severa: “Sei davvero una donna rozza!”.
“Non sei così insensibile alla mia rozzezza, mi pare…”
“Se sei abituata a far valere le tue ragioni in questo modo, significa solo che sei circondata da una massa di idioti!!!” era esploso lui, davvero furibondo. “Non osare prendermi per uno di quelli!!”.
Si erano studiati reciprocamente senza cedere.
“Non mi ha mai sfiorato il pensiero” aveva risposto lei, rendendosi conto di aver esagerato e di aver ferito in un certo modo il suo senso dell’onore. “Era solo uno scherzo. Ma hai ragione tu…”.
Chi!”. Vegeta aveva scrollato la testa, ancora adirato, le braccia incrociate sul petto nudo. Lei aveva iniziato a rabbrividire per il freddo e lui aveva nuovamente scrollato la testa, ma senza più traccia di collera. Rientrando con lui nell’edificio, Bulma aveva notato che anche i guerrieri saiyan erano soggetti alla pelle d’oca.
 
Vegeta era assorto nei suoi pensieri, quando Bulma lo raggiunse in camera sua e gli consegnò il sacchetto: “E senza dover mietere vittime” gli disse allegra. Alla battuta e alla vista dei preziosi senzu, la sua espressione si rasserenò; ne prese subito uno e si sentì rinascere, quando anche le ultime tracce di dolore svanirono dal suo corpo. Sciolse le bende, ormai inutili: l’indomani l’allenamento sarebbe finalmente stato molto proficuo.
“Ti sei stancato oggi?”
“Certo che no! Potrei continuare il training ancora per tutta la sera”.
“Già” fece lei alzando gli occhi al cielo “Perché invece non esci con me?”
“Eh?”. La guardò con un’espressione interrogativa.
“Ti sei esercitato tutto il giorno, le tue ferite sono guarite… Aspetta. Tu non sei mai uscito con una ragazza, vero?”.
“Secondo te, io avrei avuto tempo per queste stupidaggini!?” esclamò lui contrariato.
“Mmh, non saprei…”
“Quando “uscivo”, era dalla mia navicella spaziale e tutti quanti fuggivano terrorizzati!!”
“Ooh, voi Saiyan!! Intendo…”
“Ho capito benissimo!” intervenne lui incrociando le braccia. Ultimamente, molte riflessioni occupavano la sua mente; per non parlare di quanto era successo tra loro due. Il suo cuore prese a battere all’impazzata e…: “Va bene. Andiamo!”
“Ma non puoi venire così!” disse lei, indicando la sua tenuta sportiva.
Vegeta si impose di non cambiare idea, seguendola con uno sguardo corrucciato, mentre lasciava la stanza: “Chi!” borbottò guardandosi allo specchio.

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Capitolo 4
*** ... in tutti quelli che saranno... ***


In tutti quelli che saranno

La città era un caleidoscopio. Camminarono finché lui non iniziò a dare chiari segnali di insofferenza verso il genere umano. Bulma se lo aspettava, così si diresse verso la collina che sovrastava il centro, attraverso un sentiero secondario che passava sotto gli alberi secolari. Il percorso terminava con un belvedere, che dominava l’intera zona: si affacciarono alla balconata, mentre il sole lentamente si inabissava nell’oceano e sotto di loro il centro abitato si trasformava in un mare di luci fluttuanti.
“Non ti preoccupare, torneremo con questa” gli disse la ragazza tirando fuori una delle sue capsule dalla borsetta. “A meno che tu non voglia ripercorrere il centro” aggiunse divertita.
“Hai mai volato senza quella?” le domandò Vegeta.
“Beh…” rispose lei incerta “Una volta, con Yamcha…”
Le mani del principe si serrarono sulla ringhiera cui era appoggiato: quanto gli faceva venire i nervi anche solo il nome di quell’imbecille!
“Puah! Quello non è volare!” commentò sdegnoso.
Bulma ridacchiò: “Sei geloso, per caso?”
“Di quella mezza cartuccia che se la fa addosso ogni volta che compare un avversario?” disse lui con disprezzo. “Cosa vuoi che mi importi!”.
Tuttavia, il metallo del corrimano, sotto la sua presa, si era piegato come un fuscello. Il principe espanse leggermente il suo ki e le foglie intorno a loro iniziarono a vorticare come impazzite. I suoi capelli si illuminarono di lampi dorati, gli occhi divennero verdi come una burrasca di mare e l’aura splendente del super Saiyan si irradiò tutto intorno, creando un gioco meraviglioso di luci e ombre.
La ragazza si rese conto che stava controllando la sua energia, diversamente dalla prima volta, dove non era riuscito a trattenerla.
“Così non sono pericoloso” le disse socchiudendo gli occhi.
“Cosa succederebbe se tu arrivassi al culmine del tuo potere?”
“Probabilmente il pianeta esploderebbe prima che io riuscissi a raggiungere il mio limite. Poi, rischierei di saltare in aria io stesso”.
Bulma gli allacciò le braccia al collo, mentre un brivido le serpeggiava lungo la schiena: “Guai a te se fai una cosa del genere” mormorò.
Vegeta la cinse saldamente, librandosi in aria: “Tieniti stretta. Questo è volare” e si tuffò in picchiata verso le luci sottostanti.
La città scorreva sotto di loro come un arcobaleno indistinto e lei faticava a tenere gli occhi aperti a causa della velocità. Il principe si diresse verso l’oceano e planò sulla distesa blu, sollevando una colonna d’acqua al suo passaggio. Minuscole gocce salate ricaddero loro tra i capelli e sugli abiti, che iniziarono a brillare come cristalli. Poi volò verso l’alto, sempre più su, attraverso le nuvole, finché nulla fu più distinguibile, se non la superficie lontana della Terra, placida sotto di loro, uno spettacolo da togliere il fiato.
“Oh!” esclamò la ragazza estasiata “È fantastico!”
Lui la fissò con una fierezza guerriera inesorabilmente mescolata ai sentimenti che provava: “Scenderò lentamente” disse, preannunciando un atterraggio altrettanto straordinario.
Se qualcuno gli avesse detto che un giorno avrebbe volato non per scontrarsi con un nemico, ma portando una donna stretta a sé, Vegeta gli avrebbe fatto saltare la testa, come punizione per aver osato prenderlo in giro. Invece…
 
Gli venne in mente una sera di alcuni mesi prima: lui aveva terminato il suo allenamento e si era messo a leggere. Lei era rientrata a casa, sbattendo la porta e urlando improperi di ogni genere: “Maledetto idiota! Dovrei ammazzarti e ballare sul tuo cadavere! Il mio difetto è che sono troppo buona!”.
Il principe aveva posato il libro e si era goduto la scena di lei che percorreva la sala, furibonda come una tigre in gabbia, senza comprendere né il motivo né l’oggetto della sua collera. Aveva pensato solo che non avrebbe voluto trovarsi nei panni del malcapitato e che, pur essendo una terrestre, la ragazza aveva una bella dose di combattività. Il che non era niente male.
Bulma si era tolta le scarpe eleganti, lanciandole contro il muro: “Questa è davvero l’ultima goccia!” poi si era accorta della sua presenza e le sue guance si erano colorite ancora di più. “Oh… Vegeta, non ti avevo visto…”.
Lui aveva appoggiato il mento alla mano e aveva incrociato le gambe sul divano, scrutandola: “A cosa devo lo spettacolo?” le aveva domandato con un sogghigno.
Lei si era ulteriormente rabbuiata e l’aveva incenerito con lo sguardo, poi aveva sospirato: “L’ho lasciato!”.
Qualcosa dentro Vegeta aveva assurdamente esultato, ma si era limitato a commentare con noncuranza: “Suppongo tu stia parlando di quel tizio con le cicatrici sulla faccia…”
“Sì, Yamcha” aveva puntualizzato lei secca “È un cretino! Un bugiardo! Un moccioso…”.
“Che fosse un incapace si capiva lontano un miglio” aveva considerato il principe, sarcastico: “Con lui non mi sono dovuto neanche sporcare le mani, quando sono venuto a prendere la Terra…”.
“Falla finita!” aveva sbottato lei “Voi Saiyan misurate tutto in termini di energia e combattimento!”
Vegeta non aveva reagito. Quella notizia lo aveva inspiegabilmente messo di buon umore. Tuttavia, da attento osservatore qual era, aveva notato che alla ragazza qualcosa doveva bruciare ben più dell’ira e ancor più dell’aver dato il ben servito a quel babbeo. Conosceva bene quella sensazione e così aveva indagato, simulando indifferenza: “Hai detto che è un idiota, quindi, perché te la prendi tanto?”.
“Cosa!?” aveva strepitato lei “Tu non capisci! Quel dannato imbecille! Flirta in continuazione con tutte le ragazze che incontra, fa il cascamorto con le sue cosiddette fans, quelle oche che lo seguono durante le partite di baseball! Anche in mia presenza si gira a guardare le altre! Si dimentica addirittura gli appuntamenti! E io… io non lo sopporto più! È finita!”
Il principe aveva ascoltato lo sfogo, aggrottando la fronte, indignato da un comportamento così scorretto. Quello era molto più che un idiota. Lei aveva proseguito, come un fiume in piena: “È un immaturo, un vigliacco, una perdita di tempo! Lui… lui mi ha offesa e non se ne rende neanche conto! Ma la cosa che proprio non posso tollerare è che io mi sono lasciata prendere in giro da uno così!”.
Poi era scoppiata a piangere.
Lui si era alzato in piedi, sorpreso da quella reazione, sgranando gli occhi davanti alle sue lacrime, mentre lei aveva mormorato con voce rotta: “La verità è che la stupida sono io”.
Vegeta era rimasto difronte a lei, mentre Bulma aveva nascosto il volto tra le mani, singhiozzando. Lacrime di rabbia, non di dolore. Poi le aveva semplicemente detto: “Capisco, invece. So bene cosa significa sentirsi feriti nel proprio orgoglio”.
Aveva pensato a se stesso su Namecc.
Lei aveva sollevato il viso, asciugandosi gli occhi e lui aveva aggiunto: “Se tu fossi un Saiyan, ti direi di ammazzarlo come un cane. Ma visto che non lo sei, spero almeno che tu lo abbia preso a calci”.
La ragazza si era raddrizzata e lo aveva guardato, in una tacita condivisione. Poi, a bruciapelo, si era mossa verso di lui e lo aveva abbracciato. Lui si era irrigidito: “E-ehi, donna! Ma che diavolo…”
Nessuno aveva mai osato tanto! Nessuno era mai stato sfiorato dall’idea di avvicinarsi a lui a quel modo o di rivolgergli un qualsiasi gesto d’affetto. Perciò era rimasto spaesato e immobile, senza sapere come reagire, finché lei, allentando la tensione che lo pervadeva, non aveva sussurrato: “Valgono anche i ceffoni?”. Vegeta, sbuffando, aveva posato le mani sulle sue spalle, ma non l’aveva allontanata del tutto. Poi le aveva domandato in fretta: “Che ti è preso? Non hai timore del principe dei Saiyan? Mi getti le braccia al collo come se io fossi un qualunque terrestre…È coraggio o follia?”.
Lei lo aveva fissato, un po’ esitante e gli aveva risposto: “Beh… in effetti, in certe occasioni mi hai fatto venire un infarto, ma poi… ecco… Insomma, io non sono un combattente, non hai motivo per volermi morta…Tu sei…”.
Quella volta non gli aveva risposto. Anzi, aveva schivato la questione. Ora, scendendo verso il suolo con lei tra le braccia, gli era tutto chiaro.
Chi! Abbassare la guardia è sempre un errore. Sei troppo sicura di te, donna, un nemico potrebbe non volere la tua vita!”.
“Io non ti considero un nemico”.
Vegeta era rimasto sconcertato da quell’affermazione, che aveva sortito una sensazione mai provata. Poco tempo prima, lei l’aveva definito uno spreco e quelle parole non gli erano certo piovute addosso senza contraccolpi; ogni volta che erano soli, pareva che riuscissero a leggersi reciprocamente dentro. Avrebbe dovuto ammettere che era una sorta di legame. Aveva tentato di riflettere su ciò che aveva udito, come era solito fare, ma lei lo aveva squadrato con un’aria maliziosa e aveva aggiunto: “Stai dicendo che devo stare attenta perché vorresti portarmi a letto?”.
Il principe aveva impiegato un attimo a connettere, poi aveva spalancato gli occhi, diventando paonazzo: “C-Che cosa!!? Ma per chi mi hai preso!!?”
“Mmh, io sono così affascinante e anche molto fragile in questo momento, tu mi hai detto che non è la mia vita ad essere in pericolo…”
“Non parlavo di me!!” aveva sbraitato lui al colmo dell’imbarazzo “Io non farei mai una cosa del genere! Mi stai dando del vigliacco approfittatore!?”.
I vetri avevano iniziato a tintinnare pericolosamente, mentre tutta la stanza si era messa a vibrare per l’energia furiosa che aveva sprigionato. Bulma si era affrettata a scusarsi: “M-ma no, dai Vegeta, era solo una battuta, non te la prendere così”.
“Ascoltami bene” aveva sibilato lui con uno sguardo letale “Tu mi hai visto combattere, vero? Sai bene che non c’è nulla di più lontano da me della pietà e della generosità con l’avversario. Non me ne importa niente delle vostre inutili vite! Ma questo non significa che io sia privo di dignità, sleale o peggio, un vile. Il senso dell’onore è estremamente radicato in noi Saiyan. Questo non devi osare metterlo in dubbio! Mai!”.
Lei aveva assunto un’espressione dispiaciuta: “Non ti volevo offendere”.
Chi! Ma davvero? Cos’era allora, una provocazione?”
“Beh… un po’ lo era. Ti vedo sempre così taciturno…”
“Parli senza usare la testa! Come reagiresti se io dicessi a te una cosa del genere?”
Bulma era rimasta meditabonda per un istante, poi gli aveva dato ragione, ammettendo di essere stata sconveniente. Ma Vegeta non aveva ancora finito con lei, poiché era degna di un combattimento ad armi pari: “E, dimmi, cosa avresti fatto se io ti avessi risposto che la mia idea era esattamente quella?”
La ragazza aveva sgranato gli occhi incredula. “Tu non l’avresti mai…”
Incrocio di sguardi, silenzio assoluto: era stato incredibile comprendersi nuovamente al volo, pur essendo così diversi. Diversi, ma non distanti: così si era sentito e aveva pensato che quella donna non gli dispiaceva affatto, nonostante riuscisse a prenderlo sempre in contropiede e gli tenesse testa in modo sconsiderato. Quello era stato un pareggio. Momentaneo. Quando lei aveva lasciato la stanza, Vegeta aveva dovuto impiegare tutto il suo self control per costringersi cancellare l’immagine di lei tra le sue braccia.
 
 
“Pazzesco” gli disse Bulma quando giunsero in vista del suolo “Non pensavo che volare senza mezzi fosse così elettrizzante!”.
“Hai avuto paura?”
“Mai quando sei con me”.
L’affermazione trapassò il cuore di Vegeta come un dardo infuocato, facendogli perdere un battito. Si bloccò in aria. La sollevò davanti a sé, una passione sconfinata priva di parole, che gli era ormai impossibile celare: “Hai detto che ti fidi di me…”
La ragazza, incollata a lui in quella stretta, ricambiò lo sguardo e nei suoi occhi si leggeva un amore ineffabile: “Sì, mi fido. Non ho cambiato idea.”
Il principe corrugò la fronte: “Neppure io. Tu sai che una volta annientati i cyborg, sfiderò Kakarott e lo sconfiggerò. Il mio obiettivo è lui. Sarà ancora così per te?”
Bulma gli prese il viso tra le mani: “sconfiggerò” e non “ucciderò” …forse qualcosa stava cambiando. Si unì a lui in un bacio intenso, che rendeva inutile qualsiasi risposta.
 
Vegeta atterrò sulla terrazza della Capsule Corporation. I genitori di Bulma, seduti ad uno dei tavolini, si girarono verso la scena insolita.
“Hai visto, cara?” disse lo scienziato, aggiustandosi gli occhiali “Nostra figlia è appena piovuta dal cielo tra le braccia di quel Saiyan…”
“Oh-oh, Vegeta è decisamente affascinante e intelligente! Bulma è in buone mani”.
“Se lo dici tu…”
“Ma certo, caro! Pensa a come saranno deliziosi i nostri nipotini!”
“Uh, non stai lavorando troppo di fantasia, moglie? Guarda, stanno prendendo due direzioni diverse…”
“È che tu non sei ottimista!” cinguettò la signora, sollevando la tazzina da tè.

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Capitolo 5
*** ... io sarò con te. ***


...io sarò con te.

“Come sarebbe, parti!?” esclamò sorpresa Bulma, abbassando il bicchiere. Vegeta stava ingurgitando il cibo con lo smisurato appetito dei Saiyan.
“La nuova gravity room non è ancora ultimata e io non posso continuare ad allenarmi sulla Terra. Ho raggiunto un livello che voglio superare, ma se espando ulteriormente il ki, il pianeta potrebbe risentirne”.
“Co-come?? E non ti pare sufficiente!?”
Iiah! Non lo è. Ho deciso. Non tentare di farmi cambiare idea”.
La guardò fissare tristemente il suo caffè, aspettandosi fuoco e fiamme, ma questo stranamente non avvenne. Stava riflettendo.
“Vedi di usare il comunicatore e di farmi avere tue notizie. È più potente di quello che utilizzavo su Namecc.” gli disse un po’ accigliata.
Vegeta sorrise fra sé e sé: certamente non era contenta, ma non era da lei restare senza il piano b, perciò non aveva obiettato.
La piccola astronave sferica decollò in verticale poche ore dopo. Bulma la seguì, riparandosi dal riverbero luminoso con la mano, finché non sparì. Una folata di vento caldo le sollevò i vestiti e la distolse dalla malinconia che quel distacco le aveva procurato.
“Coraggio!” si disse “Non è da te perderti d’animo! Tornerà”.
Sbrigò alcuni impegni e poi si diresse nei sotterranei dell’edificio, verso la gravity room, dove il padre era già al lavoro.
“Pessima idea quella di viaggiare in questo momento” commentò l’uomo, vedendola entrare “È in arrivo una tempesta solare, i Saiyan sono davvero pazzi”.
Bulma si sentì mancare: “Cosa!?! E perché non l’hai detto prima??”
Il dottore non fece in tempo a rispondere che lei era già volata via. Si precipitò al computer, tentando di stabilire un contatto: dallo spazio proveniva solo un gracchiare indistinto alternato al silenzio assoluto. Troppo tardi.
 
Una settimana. Bulma avvicendava gli inutili tentativi di contatto al fissare il cielo, in attesa di un qualsiasi segnale, ma quella dannata tempesta magnetica interferiva con i sistemi di comunicazione e non accennava a scemare. Vegeta. Chissà dove si era cacciato e se stava bene e se la Capsule 3 non era danneggiata e una settimana era maledettamente infinita e… Basta! Non poteva continuare così. L’angoscia era un predatore spietato e lei sentiva che i suoi artigli le stavano penetrando a fondo nella carne. Alzò il telefonino e compose il numero di Chichi: le chiese di far venire Goku - ti prego! - il prima possibile.
Il giovane si materializzò pochi minuti dopo, vestito del suo dogi arancione: alla vista dell’amico fraterno, che le rivolgeva uno sguardo di saluto sereno e limpido, lei crollò. Le salirono le lacrime agli occhi.
“Bulma! Che succede?” domandò lui preoccupato per quella reazione insolita.
“Vegeta…”
“Cos’ha combinato? Non gli sarà venuto in mente di attaccare qualche…”
“No…”.
La ragazza spiegò brevemente la situazione, aggiungendo: “Tu sei in grado di percepire il suo ki ovunque sia, quindi, ti supplico, dimmi se sta bene e non prendermi per pazza! Lo so che è un Saiyan e che sa badare a se stesso, ma…” sospirò “Oh, Goku, non chiedermi il perché…”
Lui sorrise: “Non lo farò”.
Chiuse gli occhi, concentrandosi per percepire l’energia spirituale del principe dei Saiyan. Non aveva bisogno di indagare, sapeva già il perché: Trunks, il ragazzo del futuro, era stato molto esplicito. Avrebbe voluto dire all’amica di non temere, che Vegeta sarebbe tornato di certo, che non l’avrebbe lasciata, che le avrebbe dato addirittura un figlio e che quest’ultimo avrebbe viaggiato indietro nel tempo per salvare le loro vite. Ma aveva giurato di mantenere il segreto e la parola data era sacra. Soprattutto per un Saiyan. Ne andava del loro destino. Le rivolse un’occhiata vivace e sicura di sé.
“Sta bene, il suo ki è estremamente forte. Non è lontano, se sta rientrando sulla Terra, sarà qui in poche ore”.
Bulma si rilassò visibilmente.
“Se preferisci” continuò Goku con un guizzo di allegria “Posso teletrasportarmi e accompagnarlo qui all’istante”.
“No! Non me lo perdonerebbe mai! E certamente non sarebbe felice di vederti, lo sai com’è fatto!”.
“Già!” ridacchiò Goku “Vorrebbe sicuramente combattere! E io accetterei la sfida!”.
“C’è poco da gioire” borbottò Bulma “Voi Saiyan non vedete l’ora di menare le mani e non ascoltate mai nessuno”. Poi si rasserenò: “Grazie Son-kun, sapevo di poter contare su di te”. Lo abbracciò: la sua stretta aveva lo stesso calore del pane appena sfornato, profumava di spezie rare e preziose, di amore fraterno.
Lui la guardò con un’espressione sincera e trasparente sul bel viso, portandosi due dita alla fronte per avviare la trasmissione istantanea: “Non c’è di che” rispose “Ora tocca a te!”. Le strizzò l’occhio e sparì.
La ragazza rinunciò a interpretare le incomprensibili trovate dell’amico.
 
Una coltre di nubi minacciosamente grigie iniziò a offuscare il sole.
 
La Capsule 3 attraversò l’atmosfera in una scia d’attrito rosso fuoco. Il comunicatore emise il segnale di ripresa dei contatti. Bulma trasalì e si diresse velocemente sulla balconata, mentre l’astronave effettuava un atterraggio perfetto nel giardino della Capsule Corporation, sollevando una ventata di polvere.
 
Il cielo si oscurò, annunciando un temporale.
 
Vegeta uscì all’esterno e saltò giù dalla capsula spaziale, senza usare la scaletta. Non era ferito e il suo dogi blu da combattimento era intatto; alzò il viso nella sua direzione, cercandola con lo sguardo. Bulma si rese conto che il cuore aveva iniziato a battere furiosamente in sua presenza, mentre tutte le inquietudini erano svanite all’istante, ma si girò, senza una parola, e rientrò nell’edificio.
 
Le prime sottili gocce di pioggia iniziarono a cadere impazienti.
 
Vegeta corrugò la fronte: durante la sua assenza, aveva continuato a percepire debolmente il ki della ragazza e aveva intuito la sua apprensione. Non avevano potuto tenersi in contatto a causa della tempesta solare, che gli aveva creato più di un problema durante la navigazione. Era riuscito a sfruttarla per il suo allenamento, potenziando il controllo sulla trasformazione, mettendosi alla prova, rischiando la vita. Aveva scelto di non tornare subito sulla Terra. C’erano precise ragioni, ma lei chiaramente non poteva conoscerle. Era giunto il momento. Si alzò in volo.
 
Lo scroscio d’acqua aumentò d’intensità, diventando bufera. Gli alberi si inchinarono al vento.
 
Bulma si era rifugiata nella sua camera, in preda a sentimenti contrastanti, che la portavano a rallegrarsi, perché lui era sano e salvo, ma anche ad adirarsi, perché era stato via per una settimana in quelle condizioni critiche, pur sapendo che lei si sarebbe preoccupata a morte. Le tende si gonfiarono, sospinte da una folata di vento e quando ricaddero, incorniciarono la figura del principe dei Saiyan, in piedi sulla porta-finestra. Lei sobbalzò.
“Bulma”.
 
Il tuono rimbombò in lontananza.
 
“Sono contenta che tu stia bene” disse lei. Ma non lo guardò.
Vegeta entrò nella stanza senza chiedere permesso e le si parò difronte, un’espressione grave sul volto, serrando con forza i pugni.
La ragazza aggrottò le sopracciglia, palesemente alterata.
“Ce l’ho fatta” annunciò lui dopo un istante di silenzio “Ho superato il primo limite del super Saiyan e ho imparato a controllarlo”.
Lei sollevò lo sguardo: i suoi capelli nerissimi erano umidi di pioggia, gli occhi dal taglio allungato scintillavano fieri, ma rivelavano anche inquietudine.
“Mi stai dicendo che hai deliberatamente voluto rimanere lontano finché non hai raggiunto il tuo prezioso traguardo?”
Hah, è così”.
“E che sapevi che io sarei andata fuori di me senza tue notizie?”
“Lo sapevo. Ho dovuto farlo”.
“Dovuto? Hai considerato unicamente te stesso e il tuo maledetto allenamento! Quello ha la precedenza sempre su tutto e tutti, vero?!”.
Iiah…No. È un’altra la ragione per cui ho deciso di non rientrare subito”. Era inspiegabilmente calmo e sempre più serio “Qui, non ci sarei mai riuscito”.
“Sei un egoista! Per te contano solo la forza, la battaglia, essere il primo! Questa è la tua misura! A me non hai pensato, come credi che mi sia sentita!?”
“Lo so come ti sei sentita! Ho avuto i miei motivi!”
Lei perse la calma, lo afferrò per la maglietta, piantandogli in faccia uno sguardo furente: “Dammi solo una valida ragione per cui dovrei stare ancora qui ad ascoltarti!”
Il principe reagì. Le strinse i polsi in una morsa e la inchiodò al muro, impedendole qualsiasi movimento, il viso a un soffio da lei: “Dannazione, Bulma! Io appartengo alla razza guerriera! Anzi, la rappresento! Fin dal mio primo giorno di vita sono stato educato alla lotta! Io voglio essere il più forte! Per me le sfide sono come l’aria! E questo… questo non era nei miei piani!”.
 
Un lampo squarciò il cielo livido e un torrente d’acqua iniziò a riversarsi al suolo.
 
Questo? Di che cosa stava parlando? Lo fissò sorpresa, senza capire. Il respiro di Vegeta era accelerato, era visibilmente in difficoltà, le sue mani erano roventi: “Io…” riprese lui allentando di poco la stretta “Io non l’ho mai ritenuto possibile. Innamorarmi. Finché non ho incontrato te”.
Lo sguardo di Bulma si velò di lacrime.
 
La pioggia batteva incessante come all’alba del mondo.
.
“Ho dovuto allontanarmi! I miei pensieri correvano a te in ogni istante, non riuscivo a concentrarmi, mentre il nostro futuro dipende dall’incremento del mio potere! Non dai miei sentimenti! Questa ti sembra una ragione abbastanza valida?”. Le sue braccia scesero lungo i fianchi.
“Vegeta…” le lacrime iniziarono a scorrere libere sulle guance della ragazza.
“Io ho giurato che non ti avrei lasciato. Tu hai detto che ti fidi di me. Non è sufficiente?”
Orgoglio. Quel maledetto orgoglio saiyan. Lui l’aveva messo da parte, gli doveva essere costato uno sforzo incredibile esprimere in quel modo le sue emozioni più profonde.
“Non lo è…” disse Bulma, mentre l’onice nera degli occhi di lui luccicava nella penombra “Io voglio che tu sappia che in qualsiasi universo saremo, in questa vita, in tutte quelle che i Kami ci vorranno concedere, io non smetterò mai di amare te, Vegeta, principe dei Saiyan!”.
Vegeta la attirò a sé, senza più remore, faticando a contenersi, portando le labbra al suo orecchio: “Volevi saperlo. Ñ$∞€ó. Si dice così nella mia lingua”.
 
Il temporale infuriava all’esterno, in una sarabanda di fulmini e tuoni.
 
“Allora cosa stai aspettando?” mormorò lei tra le sue braccia, il cuore che martellava perché non voleva nient’altro che lui. Amava il suo fascino inconsapevole, i suoi occhi tristi e feroci, i suoi capelli corvini… la luce e l’ombra indissolubili, la sua mente agile e complicata, il temperamento arrogante e riservato, quello che era Vegeta, quello che l’aveva conquistata.
“Che tu smetta di tremare”.
“Anche tu stai…”.
Vegeta inspirò per far rallentare il sangue che gli pulsava impazzito nelle vene: tutto ciò che desiderava era lei. Era perduto nei suoi occhi di mare, sulle sue labbra delicate, sulle sue forme morbide… amava senza fine ciò che lei era, la sincerità devastante del suo io, la sua intelligenza fuori dal comune capace di comprendere l’incomprensibile, il suo tenergli testa, quello che Bulma era, quello che lo aveva avvinto.
Poi sollevò due dita: un raggio di energia partì diretto alla porta. La serratura computerizzata si fuse.
 
L’acqua scendeva dal cielo leggera, con un suono cristallino.
 
Lui era un’onda di calore sulla pelle e nella mente. Bulma pensò di essere nata solo per amare lui. Accolse quel calore e diventò calore.
Lei era una vibrazione di luce nell’anima e nel corpo. Vegeta pensò di aver attraversato l’universo solo per legarsi a lei. Raggiunse quella luce e diventò luce.
Mentre si rubavano il respiro, lui ebbe timore, per la prima volta nella sua esistenza, di fare del male a un’altra creatura. Si abbandonò all’istinto atavico del sangue saiyan, perché non avrebbe mai pensato che a lui potesse accadere, che il suo corpo, scolpito dagli allenamenti e segnato dalle battaglie, sapesse anche amare.
Mentre si rubavano il respiro, lei comprese che non avrebbe mai potuto immaginare che l’essere spietato, giunto dallo spazio per annientarli, potesse esitare, sfiorarla in quel modo, che potesse fondersi con lei in carne e spirito, nel tutto, che fosse così fare l’amore con un Saiyan, con lui.
Infinitamente sempre.
 
La tempesta era cessata, lasciando il cielo striato d’avorio.
 
Il principe dei Saiyan dormiva. La sua carnagione ambrata spiccava contro quella lunare della donna che era solo sua. Un alito di vento fresco scosse le tende e si insinuò all’interno, destandolo. Tra le sue braccia, Bulma rabbrividì e si mosse. La sentì spostarsi e la trattenne.
“Chiudo la finestra. Non potrei andare comunque da nessuna parte” disse lei indicando il coacervo di fili e metallo che sigillava la porta.
Vegeta le si accostò ulteriormente, appoggiando il viso contro il suo, lasciandosi invadere dal suo tepore e regalandole il proprio attraverso la pelle nuda. Lui, che non si era mai lasciato toccare da nessuno, cercava quel contatto e in esso il suo cuore era sereno.
“Sposami” le disse.
La sentì fremere, la schiena appoggiata al suo petto, le mani corsero a stringere le sue.
“Sposami” ripeté.
“Sì…”.
“Domani”.
“Non sarà troppo tardi?” sussurrò lei, emanando una gioia incontenibile.
Il principe restituì la battuta, annunciando le sue intenzioni: “Prima siamo occupati”.
La finestra restò socchiusa e neppure il vento osò disturbare.

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Capitolo 6
*** Il nostro segreto ***


Questo capitolo conclude la prima parte della storia. Sto rivedendo il seguito, che spero di condividere quanto prima.

Il nostro segreto

Vegeta atterrò agilmente sulla spianata di pietra del Santuario del dio della Terra, facendo rientrare il ki di super Saiyan e si guardò intorno impaziente.
Il vecchio Kami non tardò a manifestarsi: avanzava solenne, sorreggendosi ad un solido bastone di legno, con indosso l’abito candido e fluttuante dei mistici namecciani, accompagnato dal suo fedele attendente. Quando lo riconobbero, entrambi si arrestarono sorpresi.
“Principe Vegeta…” una voce profonda e millenaria, che tradiva una certa apprensione “A cosa debbo la tua visita?”
Vegeta non si inginocchiò, limitandosi a un lieve cenno d’inchino: lo fece per rispetto al ruolo e all’età dell’anziano. Per lui, era già abbastanza scomodo trovarsi difronte a un Namecciano, dati i suoi trascorsi poco felici con quella gente e poi non aveva tempo da perdere in inutili formalità.
“Sono venuto a chiederti di celebrare un matrimonio”.
L’espressione del vecchio si distese, ma sul suo viso rugoso comparve una profonda curiosità: il giovane al suo cospetto era il principe dei guerrieri Saiyan, la creatura feroce che aveva devastato impietosamente decine di pianeti, senza alcun rispetto per la vita altrui… che razza di richiesta gli stava facendo? Nonostante lo stupore, rispose pacato:
“Per me è una gioia benedire l’unione di due vite. Chi desidera sposarsi?”
Vegeta incrociò le braccia, sempre più sulle spine: “La donna che si chiama Bulma, penso che tu la conosca… Con me”.
Kami spalancò gli occhi incredulo, artigliando il bastone e sentì che anche il suo assistente, Popo, stava trattenendo il fiato: si trattava forse di follia o di un miracolo avvenuto a sua insaputa? Poi si concentrò sul suo imprevisto interlocutore: c’era qualcosa di diverso in lui, sicuro, avrebbe dovuto accorgersene subito. Stava proprio diventando vecchio.
“Oggi.” continuò il principe, distogliendolo dalle riflessioni “Lei sta arrivando”.
L’anziano rimase nuovamente senza parole, poi si ricompose: “Ma certo. Suppongo sia inutile chiedere a te se vieni di tua libera volontà”.
Vegeta sogghignò: “Hah, liberissima. Quanto a Bulma” riprese prevenendo la successiva domanda “Dubito che esista qualcuno capace di farle fare qualcosa contro la sua volontà”.
Il vecchio dio della Terra era sempre più spiazzato, ma in cuor suo sentiva che c’era qualcosa di straordinario in tutto ciò. Non sbagliava.
“Non puoi sposarti con la dogi da battaglia, ritengo”.
“Per me, questo è un abito da cerimonia!”
Il solito arrogante. Se non altro, non aveva peli sulla lingua. L’attempato Namecciano sorrise fra sé e sé, nonostante le maniere poco rispettose del giovane. Non si scompose.
“Sono certo che, se ci pensi attentamente, troverai qualcosa di più appropriato. Io ti aiuterò”.
Il principe corrugò la fronte, a corto di pazienza. Tuttavia, riflettendoci…
Il vecchio aprì la mano sopra di lui, facendo scaturire l’antica magia del suo pianeta e l’abito di Vegeta cambiò, diventando esattamente ciò che aveva immaginato. Aveva sentito parlare di quel particolare potere dei Namecciani. Yoosh. Bene.
“Ora, non ti resta che presentare due testimoni”.
“Che cosa!?” esclamò il principe esasperato.
“Calma, non c’è bisogno di arrabbiarsi tanto. Popo può assolvere al ruolo e manderò a chiamare il venerabile Karin, qui sotto. Come vedi, non ci sono problemi”.
Vegeta sospirò infastidito. Anche con Bulma era stato molto chiaro: solo loro due e il dio della Terra, nessun altro. Aveva accettato la presenza dei genitori di lei, che lo avevano trattato come un figlio, dietro sua insistenza. Nessuno lo dovrà sapere.
Il ronzio dell’aereo marchiato Capsule Corporation, che si posava sulla piattaforma circolare, attirò la sua attenzione e tutta l’irritazione sparì.
Bulma scese dall’apparecchio al braccio del padre: era di una bellezza abbagliante. Il lungo abito bianco le lasciava le spalle leggermente scoperte e terminava in un breve strascico. I capelli erano quasi tutti raccolti e sulla schiena scendeva un velo impalpabile; tra le mani teneva un piccolo bouquet di fiori rosa. Avanzò verso di lui, irradiando lo splendore che portava dentro, che sgorgava dall’amore puro che gli aveva donato; difronte ad una donna vestita da sposa e al suo sguardo celato dietro le palpebre socchiuse, persino il principe dei Saiyan ebbe un tremito. Si chiama felicità, Vejita…
Nello scorgere Vegeta, lei si illuminò: degno di lui, non se lo sarebbe potuto immaginare diverso. Sulle spalle del principe era agganciato il fluente mantello rosso che indicava il suo rango, sulla corazza bianca e oro spiccava il simbolo vermiglio dei Saiyan, mentre sulla fronte portava un sottile diadema di metallo. Nei suoi occhi, l’universo intero.
Lui la prese per mano senza indugio e la condusse al suo fianco, davanti al vecchio Kami.
Questi li osservò per un istante e poi prese la parola: “Figli miei, in questo luogo sacro, le parole hanno valore eterno. Tu, Vegeta, della stirpe reale dei Saiyan, quale promessa porgi a questa donna per unire la tua vita alla sua?”
Nessuna esitazione: “Mia Bulma, con le labbra giuro che la mia vita ti appartiene. Con il cuore la porto in pegno a te, che hai avuto il coraggio di amare me. Con l’anima sigillo il mio giuramento per sempre, escludendo la fine destinata ai mortali”.
La sua voce era ferma nel pronunciare la formula antica del rito saiyan, sfiorandosi la bocca, il petto e la fronte, ma il suo sguardo non poteva celare le emozioni.
“E tu, Bulma Brief, quale promessa porgi a quest’uomo per unire la tua vita alla sua?”
“Vegeta, amore mio, con la mia anima a te legata rendo vani lo spazio e il tempo. Con il cuore giuro che, qualunque sia il nostro destino, io non smetterò mai di amarti. Con le labbra mi professo tua oltre l’eternità”.
Il contatto del principe si fece più intenso: anche lei aveva usato le parole del rito saiyan, trovate chissà come. Non c’era da stupirsi: parlava con gli dei come se fossero vecchi amici e, forse, qualcuno di essi aveva conservato la memoria di quel rito. Se avessi ancora la coda, Vejita, la stringeresti anche con quella…
“Figli miei, le vostre vite ora sono congiunte e divengono una sola”.
A quel punto, persino l’anziano dio della Terra si sentì pervadere dalla commozione. Aveva visto tante situazioni inaspettate nella sua lunghissima esistenza, ma quella le batteva davvero tutte. Continuò, allentando la solennità del momento: “Ehm… come dicono su questo pianeta… puoi baciare la sposa”.
Negli occhi di Vegeta passò un lampo quasi impercettibile, ma rimase impassibile nonostante l’impudenza della richiesta. Sollevò la mano di sua moglie e la sfiorò con le labbra, troppa gente presente per qualsiasi altra manifestazione affettuosa. Attese giusto il tempo di ricevere le congratulazioni e il saluto dei genitori della ragazza. Poi la prese tra le braccia e camminò fino all’orlo del Santuario. Si lanciò in picchiata nel vuoto e solo quando fu distante da tutti, ridusse la velocità e la baciò con passione, sciogliendo dai suoi capelli il velo che frustava l’aria e liberandosi del mantello, che lo ostacolava nel volo.
Bulma si strinse a lui nella discesa: “Mi sono dimenticata di lanciare il bouquet!” gli disse ridendo. “È tradizione, sulla Terra. O non sapremo chi sarà il prossimo a sposarsi!”
Lui si fermò: “Fallo ora”.
La giovane sposa lasciò andare il mazzolino e il vento disperse i pochi fiori che lo formavano.
Vegeta infilò la mano libera nella sottile corazza e ne tirò fuori qualcosa: “Vorrei che tu avessi questo”. Aprì le dita, mostrando un frammento di pietra bruna dai riflessi rossi.
“Che meraviglia! Che cos’è?”.
“Il mio pianeta”.
“Vegeta…” gli occhi turchesi di lei brillarono. “Io non…”
“Tienilo. Posso offrire solo questo e il mio sangue saiyan”.
“Non voglio altro”. Prese la scheggia di roccia e la mise sul cuore.
Si scambiarono uno sguardo intenso, lei appoggiò la fronte contro quella di lui. Sapeva che non era vero che non gli importasse nulla. Che, in punto di morte, aveva chiamato fratelli i suoi sudditi. Che non l’avrebbe mai ammesso. Lo amava anche per quell’orgoglio radicato nel profondo, che gli impediva di mostrarsi umano. Gli occhi di suo marito, ne era certa, erano scuri come la fine del mondo, ma avevano anche la tinta dell’inizio che ne sarebbe seguito. Possedevano un’arroganza consapevole e fiera, ma anche la tristezza necessaria per vivere con coraggio, portando il peso di una fine. Di un inizio. I suoi occhi, ora, scintillavano nel riflesso dell’amore per lei.
Lo osservò con un’aria furbesca: “Scommetto che tra allenamenti, super Saiyan e Terra in pericolo, di luna di miele non se ne parla neanche”.
Vegeta ridacchiò sommessamente: “Cosa intendi esattamente per luna di miele?”.
 
Sul limitare della piattaforma di pietra che reggeva il suo palazzo, Kami osservava il mondo sottostante, diviso tra timori e speranze. Sapeva che il futuro avrebbe riservato ai difensori del pianeta prove più difficili di quelle di cui erano già a conoscenza. Ma sapeva anche che non c’era nulla di scritto, in definitiva.
“Kami-sama, io non so spiegarmi quanto ho visto oggi” affermò Popo, in piedi accanto a lui “Quello era il principe dei Saiyan, che poco tempo fa ha provato a sterminarci tutti, e quella ragazza lo ha sposato, mi chiedo…”
“Lei lo ama, Popo. Senza condizioni. E lui, ti sorprenderà saperlo, ama lei. Non sai quanto. Forse non se ne rende bene conto neppure lui al momento. L’amore trasforma le persone e lo fa a poco a poco, in silenzio. Nel suo cuore sicuramente esistono ancora delle ombre, ma io ho percepito che stanno iniziando a dissolversi. Ci vorrà del tempo, opporrà una strenua resistenza, ma sono certo che alla fine sceglierà di sacrificare il proprio orgoglio per amore altrui”.
 
Una bimba dai grandi occhi azzurri, sollevò il naso all’insù e raccolse la rosa che le era caduta in grembo. Dietro di lei, un omone dall’aspetto bonario la chiamò: “Vieni da papà, Videl!”. La piccola prese la rosa e corse da lui.
 
“Guarda, qualcuno ha posato una rosa sulla culla di Mai!” disse una voce curiosa, mentre la neonata dagli occhi a mandorla tentava di afferrare il fiore per gioco. “Mettila via, prima che si punga”.
 
“Che stai facendo C18!? Dobbiamo allontanarci da qui!”. La donna bionda rivolse uno sguardo di ghiaccio al suo compagno e rispose: “Mi è piovuta una rosa in testa, C17. Non è strano?”. “Ma che ti importa! Il dottor Gelo ha il dispositivo per disattivarci, muoviti!”. La giovane si appuntò il fiore tra i capelli e schizzò via tra le montagne.
 
Il futuro stava arrivando.

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Capitolo 7
*** Sangue saiyan- Parte I ***


Sangue saiyan
 
Il principe si mise a sedere sul letto con un’espressione assorta. Eccolo di nuovo: il riverbero di un ki sconosciuto, debolissimo, che non riusciva a localizzare. Era come un suono riflesso e distante. Ma di che accidenti…
“Vegeta… Cosa succede?” Bulma lo guardò fiutare l’aria come un segugio, sapendo che i suoi finissimi sensi di Saiyan avevano sicuramente captato qualcosa.
“Ho percepito un’energia spirituale, sembrava vicina, ma ora è sparita”.
“Nemici?” chiese lei preoccupata.
Iiah… direi di no… ma è durata troppo poco. È qualche giorno che la avverto, appare come il disturbo di un ki…”
“Che strano…” rabbrividì. “Non saranno già quei cyborg terrificanti?”
“I robot non dovrebbero emettere ki”. La studiò con attenzione: “Stai bene?”
“Sì… è che ultimamente mi sento un po’ stanca. Sto effettuando delle ricerche sulle teorie relative ai viaggi nel tempo e forse ho un po’ esagerato”.
Vegeta socchiuse gli occhi: sua moglie era la donna più curiosa e più intelligente dell’universo, da quando era comparso quel ragazzo dal futuro non aveva perso occasione per tentare di risolvere il mistero che circondava lui e la strana macchina del tempo. Conoscendola, ci sarebbe riuscita di certo. E poi diceva che erano i Saiyan ad essere ostinati. Lei fece per mettersi in piedi. Il ki ricomparve come un battito. Vegeta non fece in tempo a concentrarsi, che…
La ragazza aveva tentato di alzarsi, ma la stanza all’improvviso aveva iniziato a girare vorticosamente e lei aveva perso l’appoggio; le si era annebbiata la vista e si era sentita mancare, presa da un forte malessere.
Vegeta l’aveva afferrata, prima che scivolasse a terra. Aprì gli occhi e lo mise a fuoco. Lui le passò una mano sul viso, scostandole i capelli: “Bulma!”.
“Uh, nulla… un semplice capogiro, ora sto bene”.
Il principe la fissò, aggrottando la fronte, poco convinto: “Il tuo ki è più debole del solito”.
“Grazie per il complimento!” fece lei ridendo “Mangerò più zuccheri!”.
“Spiritosa!”
“Sei preoccupato per me?”
“Figuriamoci!” mentì spudoratamente lui. Poi si lasciò distrarre dallo strano fenomeno che aveva rilevato. La questione andava approfondita: non avrebbe potuto giurarci, ma quel flebile ki gli era sembrato quello di un Saiyan. No. Assurdo.
Bulma lo guardò da sotto in su e sorrise, vedendolo così pensieroso: era tipico di suo marito riflettere sui minimi dettagli per poi pianificare un’azione. Era così intento, che stava continuando a stringerla a sé con forza. Poi spostò nuovamente l’attenzione su di lei.
“Che c’è?”
“Sto pensando che adoro stare tra le tue braccia”
Vegeta arrossì.
“Ti ricordi la prima volta che mi hai abbracciata?”
“Ehi” borbottò lui impacciato “Dacci un taglio!”. Certo che te la ricordi, Vejita. “Io non ti stavo abbracciando!”.
 
Rammentava la sera in cui si era sistemato sul divano, nella sala più riservata della Capsule Corporation, a meditare sui suoi progressi. Anche Kakarott si stava sicuramente allenando allo stremo. Spesso riusciva addirittura a percepire il suo ki, limpido e potente. Per quanto tempo sarebbe stato costretto a rimandare il loro scontro? Era certo che stesse impiegando ogni risorsa, così come stava facendo lui: era il sangue saiyan e, per quanto gli dolesse ammetterlo, in quello erano assolutamente identici. Vegeta aveva iniziato a simulare mentalmente un eventuale combattimento, sfruttando l’ultima immagine che aveva colto del suo avversario. Aveva rallentato la respirazione, chiuso gli occhi, appoggiato le mani sulle ginocchia incrociate e aveva convogliato i suoi pensieri sul possibile duello, su quale tecnica usare, su come contrastare quella del rivale, fino a quando…
“Ah, allora sei qui!”
La voce allegra di Bulma lo aveva interrotto. Difficile trovare un luogo silenzioso e appartato con lei nei paraggi. Aveva allacciato le braccia dietro la testa e steso le gambe, guardandola imbronciato, ma lei aveva ignorato la sua aria corrucciata e aveva versato due bicchieri di succo di frutta, porgendogliene poi uno.
“Ti vedo spesso così in disparte, Vegeta… qualche volta mi chiedo se ti senti davvero a tuo agio qui a casa mia…”
La domanda lo aveva sorpreso. Ma era un classico di quella ragazza terrestre: spiazzarlo e preoccuparsi inutilmente per lui. Stranamente, la cosa non lo disturbava. Aveva trangugiato un paio di sorsi e aveva risposto: “Il fatto che io cerchi la solitudine, non significa che mi trovi male”.
Lei si era seduta sull’altro lato del piccolo sofà con una leggera risata e aveva commentato: “Bene, è già qualcosa! Anch’io ogni tanto ho bisogno di riflettere, ma di solito lo faccio ad alta voce”.
“Non avevo dubbi” aveva commentato lui pungente.
“Ehi!! Almeno io non me ne sto in un angolo a elaborare chissà quale strana strategia di guerra ai danni di qualcuno!”
“Noi Saiyan abbiamo la capacità di simulare mentalmente i combattimenti, non ho bisogno di nessuna tattica stravagante!”
“Ooooh, già!” aveva sospirato lei portandosi una mano alla fronte “E stavi lottando contro Goku o contro i cyborg?”
“Lo sai che il mio obiettivo è quel maledetto Kakarott! Il resto è un riscaldamento”.
Lei lo aveva fissato con disapprovazione, ma a lui non era sfuggita l’ombra di dispiacere che le era passata negli occhi.
“Pensi mai ad altro?” gli aveva domandato a bruciapelo.
“Non credo che siano affari tuoi!”.
Aveva alzato le difese come era solito fare. Certo che aveva anche altri pensieri! Anzi alcuni, recentemente, di un genere mai sperimentato, che sfuggivano al suo controllo e che avrebbe preferito evitare, perché lo distraevano. Accidenti a quella donna! Non era da lui mostrare un lato umano e l’arroganza era sempre stata la sua migliore alleata. Ma con lei non aveva mai funzionato.
“Quest’idea fissa ti sta ossessionando!” lo aveva rimproverato “Sei sempre teso e non ti concedi mai un po’ di relax. Non sarà per colpa di questa tua inquietudine perpetua che non riesci a raggiungere la trasformazione che tanto desideri? Non avete parlato di Saiyan dal cuore calmo?”
“Ma cosa vuoi saperne tu, donna!” aveva sbraitato lui “Come osi parlarmi in questo modo!?”
“Non sono certo un’esperta!” aveva ribattuto lei “Ma ti stai tormentando da solo con questa storia della vendetta su Goku! Non so che torto gli rinfacci, anzi, conoscendolo ho i miei dubbi che ti abbia fatto volutamente qualche sgarbo, ma sicuramente consumarti così di rabbia non ti è di nessun aiuto!”.
Il principe aveva iniziato a fremere di collera proprio perché, in fondo, sapeva che Bulma aveva ragione: tutte le carte erano volate per la stanza e l’energia argentea del suo ki aveva iniziato a danzargli intorno selvaggia. Kakatott! Dannato! Gli aveva arrecato più di un’offesa: non solo lo aveva sconfitto, ma gli aveva anche risparmiato la vita! Lo aveva visto piangere. Lo aveva difeso. Intollerabile.
“Lui…” aveva ringhiato al colmo della furia “Non mi ha ucciso! Mi ha oltraggiato, lasciandomi andare via vivo! Non c’è onore in questo!”.
Bulma aveva spalancato gli occhi, incredula davanti al terrificante orgoglio saiyan e lo aveva fissato, uno sguardo di una dolcezza così immensa che lui aveva fatto fatica a sostenerlo. Poi gli aveva acciuffato una mano, nonostante il suo atteggiamento poco rassicurante, e lui aveva interrotto l’emissione energetica senza volerlo, guardandola come se fosse pazza. No. Come se…
“Io lo ringrazio, invece” aveva detto lei.
… come se fosse un prodigio, lo spiraglio di una possibilità che ti è stata concessa da chissà quale dio. Questo è il tuo pensiero. È la tua anima, Vejita, che si lascia sfiorare da lei.
“Che… che cosa?” si era affrettato a ritirare la mano.
“Sono contenta che tu sia vivo”.
Chi!”
“Tu no?”
Lui aveva incrociato le braccia. Scacco matto. Come sostenere il contrario?
“Sì, così posso fargliela pagare!”
Bulma aveva alzato gli occhi al cielo, ma non aveva rinunciato alla discussione. Lui non si era capacitato del perché non si fosse alzato, piantandola in asso insieme con tutte le sue stupide domande. La realtà era che non solo lui si trovava a suo agio lì, ma anche che parlare con lei, addirittura litigarci, era incredibilmente coinvolgente. Quella donna aveva il suo rispetto. E non solo. Maledizione.
“Scusa, ma prima di venire sulla Terra, pensavi sempre e solo a uccisioni e vendette?”
Il principe aveva esitato prima di risvegliare i ricordi sgradevoli dell’odiata militanza nell’esercito di Freezer. Poi aveva osservato una foto incorniciata, posata poco lontano: la ragazza terrestre adolescente, ritratta insieme a Kakarott e al loro amico Krilin. La sua dura scorza aveva vacillato pericolosamente.
“Lo sai già” le aveva risposto quasi rassegnato “Conquistavo pianeti e li rimettevo a Freezer affinché li rivendesse. Questo in attesa del momento opportuno per giustiziarlo. Ero un bambino quando mio padre mi ha consegnato a lui come ostaggio, sperando che risparmiasse il pianeta Vegeta. Che idea assurda! Quel tiranno ci voleva estinti, temeva il super Saiyan della leggenda, il re non ha fatto altro che gettare il proprio onore nel fango, prima di morire. Però Freezer ha sbagliato i calcoli. Io ero giovane, ho dovuto umiliarmi davanti a lui, ma ero già un guerriero e non ho mai obbedito ai suoi ordini, se non per mio interesse. Solo qui, sulla Terra, le cose sono andate in modo diverso rispetto ai miei progetti iniziali e questo lo devo a quel… Kakarott”.
“Scusami. Io non avrei dovuto chiederti…” aveva mormorato Bulma con gli occhi lucidi “Ora capisco perché tu sei…”
“Che cosa?” l’aveva interrotta lui “Che cosa sono, dimmi, donna!? Crudele? Vendicativo? Spietato? Io sono il principe dei Saiyan, non un pietoso terrestre!”.
“No… sei così triste”.
Vegeta era rimasto senza parole, non era riuscito né a ribattere né a muoversi. Non era riuscito neppure ad arrabbiarsi. Triste. Quell’aggettivo aveva avuto l’effetto di uno schiaffo e bruciava dannatamente. Bruciava come la nuda verità. Bruciava come i suoi occhi mentre aveva impedito alle lacrime di scendere. Sei un Saiyan, Vejita: se non puoi difenderti, attacca.
Era scoppiato a ridere: “Devo dartene atto, donna! Possiedi il pregio di dire in faccia esattamente ciò che pensi. Hahaha! Ma ti sbagli. Quello che vedi non è altro che disprezzo. Freezer ha reso l’anima all’inferno e si è fatto sconfiggere prima da un guerriero di classe inferiore e poi da un ragazzino. Mi hanno solo risparmiato la fatica. E per quanto riguarda mio padre, il mio pianeta, l’intera razza saiyan, beh, non me ne importa assolutamente niente! Calcola quale può essere quindi il mio interesse per la Terra e per voialtri!”.
Era talmente abituato a rispondere con quella sorta di interpretazione teatrale, che le parole erano quasi uscite da sole. Ma lei aveva allungato il braccio e gli aveva piantato un dito nello sterno, mormorando severa: “Che cos’hai qui? Una pietra? O il nulla?”.
Il principe era trasalito: primo, perché aveva abbassato la guardia senza accorgersene e non aveva perciò colto il movimento. Secondo, perché quel piccolo contatto gli aveva provocato un tuffo emotivo inaspettato. Aveva digrignato i denti, fissando con ira l’espressione indignata della ragazza, che lo stava affrontando nuovamente senza battere ciglio, che lo aveva appena fatto sentire vulnerabile, che riusciva sempre a fargli saltare i nervi, a farlo pensare in un modo insolito, a provocargli… Maledizione!
Era scattato come una trappola mortale, afferrandole il polso e tirandola verso di sé. Lei, che non si aspettava una mossa così repentina, era finita contro il suo petto. Vegeta aveva fatto in modo che l’orecchio di Bulma fosse proprio sul suo cuore e aveva appoggiato l’altra mano sulla sua nuca, per tenerla in quella posizione.
“Perché non me lo dici tu? Senti qualcosa da lì o vuoi venire più vicino?”
Lei si era irrigidita per un istante, arrossendo come non era mai accaduto, ma si era ripresa immediatamente; aveva chiuso gli occhi e si era tappata l’altro orecchio, senza ribellarsi. Vegeta si era reso improvvisamente conto di non aver considerato l’effetto di quell’azione, dettata dal sangue che gli era salito al cervello e aveva pensato di essere impazzito di colpo: lì, mezzo steso sul divano, con lei addosso, il suo profumo sulla pelle e quello che poteva sembrare un abbraccio volutamente prolungato. Per tutti gli universi!
Mentre stava studiando come cavarsi da quella situazione surreale in modo dignitoso, lei aveva affermato: “Il tuo cuore sta battendo. Forte. Contraddice le tue parole”.
Chi!”
Il principe era rimasto immobile, con una mano tra i suoi capelli e l’altra sul suo braccio, rinunciando a spostarsi, mentre quel calore sconosciuto aveva iniziato a inondarlo inesorabilmente. Aveva rivolto lo sguardo al soffitto, imbronciato, fingendo di essere totalmente indifferente, anche quando la ragazza aveva iniziato a raccontare, con la guancia contro il suo torace. Neppure lei aveva fatto cenno di volersi muovere.
“Avevo sedici anni, in quella foto”.
Ma che diamine, come aveva fatto a capire che lui prima la stava guardando? Che lei non fosse una stupida, lo aveva compreso da tempo.
“Ho costruito il radar per cercare le Sfere del Drago e, durante il viaggio, ho conosciuto Son Goku. Lui ne aveva quattordici, ma sembrava un bambinetto ed era di un’ingenuità disarmante. Mi vergogno ad ammetterlo, ma ne ho un po’ approfittato. Pensa che gli ho addirittura sparato in testa, quando è partito all’attacco!”
“Mmh, la mia considerazione nei tuoi riguardi sta salendo, donna”.
“Oh, smettila! Dopo il nostro incontro, abbiamo cercato insieme le Sfere: da lì è nato tutto, la mia vita si è incrociata con quelle dei guerrieri che hai visto: Krilin, Yamcha e gli altri. Amici veri, anche se prima erano nemici o demoni o extraterrestri inconsapevoli della loro identità. Abbiamo imparato a stimarci reciprocamente, nonostante le differenze. Mi ritengo veramente fortunata, se penso a quello che hai passato tu. Ho imparato che mostrare affetto o sensibilità non equivale a privarsi dell’orgoglio e questo me lo ha provato proprio Goku, nonostante sia di sangue saiyan”.
Vegeta aveva brontolato un paio di imprecazioni nella sua lingua, chiedendosi se detestasse di più Kakarott o quell’altro imbecille con le cicatrici in faccia. Forse Kakarott, almeno c’era un motivo valido.
“Un giorno prenderò uno di quei vostri scouter, lo collegherò al computer e scaricherò l’intero dizionario saiyan” aveva sbuffato Bulma “Così, quando borbotterai qualche cattiveria nella tua lingua, riuscirò a capirti!”
“Io non uso più nessuno scouter! Non mi serve!”
“Tu no. Ma io ne ho uno in laboratorio e sono in grado di aggiustarlo. E anche di usarlo contro di te, volendo!” aveva riso.
“Non ne hai bisogno. Ho detto che Kakarott è un Saiyan mal riuscito e che con la sua compassione è la vergogna della nostra razza. Non così gentilmente”.
“Ah! Allora gli insegnerò la sua lingua madre, così… beh… forse questo no. Ha tante doti, ma in quanto a cervello…”.
“Donna, mi trovo ad approvarti per la seconda volta, oggi. Strano”.
“Sarà perché mi stai abbracciando da dieci minuti buoni e siamo in sintonia”.
“C-cosa!? Io non ti sto abbracciando!!!” aveva sbottato lui diventando paonazzo.
“E tu questo come lo chiami?”
“Mossa di arti marziali!”
“Sarà, ma io non ne ho mai vista una così”.
Chi!”
Vegeta si era tirato su di colpo, col risultato di sollevare anche lei e di trovarsi esattamente ad un centimetro dal suo viso: insomma, in una situazione peggiore di quella precedente. Si era affrettato a spostarsi, ma tanto era bastato per fargli capire che mantenersi indifferente a lei gli era impossibile. Anzi, si era chiesto per quale motivo, per lui, fosse così importante mostrarsi distaccato, quando non si era mai preoccupato di cosa pensassero gli altri. Se sei costretto ad ostentare freddezza, è perché non sei freddo, Vejita…
“Comunque…” aveva commentato la ragazza “Visto che mi hai dato ragione per ben due volte e che mi hai abbracciato, potresti sforzarti di usare il mio nome qualche volta!”.
“Io non ti ho…!!! Ah, basta. Ci rinuncio!”
Il principe aveva incrociato le braccia sul petto, fissando caparbiamente un qualsiasi punto della stanza che non fosse lei. Ostinata! Impertinente!
“Non fare l’indisponente, Vegeta! A me non è dispiaciuto affatto. Non capita tutti i giorni di stare tra le braccia di un uomo tanto attraente, anche se il suo fine è solo una mossa di arti marziali!” aveva riso lei.
“A… Attraente?!” si era girato, fissandola allibito.
Bulma era rimasta un po’ sorpresa dalla sua reazione: “Beh… ti sarai visto allo specchio qualche volta, dopo l’allenamento…”.
“M-ma… Come ti viene in mente di dire una cosa del genere! Io sono un guerriero saiyan! Non ho tempo da sprecare in futilità! A me interessa essere il numero uno dell’universo! Io ragiono in termini di forza e determinazione!”.
Lei aveva sbattuto gli occhi stupefatta, nel vederlo così imbarazzato: “È solo un complimento, non ti agitare così!”.
Vegeta aveva sospirato, rassegnato: sarà anche stato un semplice complimento, ma era il primo che avesse mai ricevuto di quel genere. Come avrebbe dovuto sentirsi?
“Mmh… Avresti dovuto rispondere che anch’io sono bellissima, anziché lamentarti!”
“Lasciami in pace” aveva borbottato il principe, incrociando nuovamente le braccia dietro la testa e appoggiandosi allo schienale del divano. Lei continuava a ripeterlo: sono bellissima, sono affascinante… sicuramente era vanitosa e insolente! Certo, gli occhi li aveva anche lui. A essere sincero, si era imbattuto in un lato sconosciuto di sé: l’aveva guardata come un uomo guarda una donna da cui è profondamente attratto. Aveva dovuto forzarsi a distogliere l’attenzione da lei. Che diavolo gli era successo!? Non si era mai lasciato commuovere o incantare. Stentava a riconoscersi. Avrebbe dovuto chiarire e accettare quei sentimenti prima con se stesso. Sul mostrarli, conoscendosi, avrebbe fatto resistenza. Forse. Sono molto forti, Vejita.
 
“Mio seducente Saiyan!” disse Bulma, allacciandogli le braccia al collo “Posso sperare di fare colazione con te questa mattina o sei già diretto alla gravity room?”
Chi! Piantala di prendermi in giro e cerca di alzarti senza fare danni. Vengo con te”.
Lei ridacchiò, mettendosi in piedi. Lui era straordinariamente bello, ma si ostinava a non riconoscerlo.
Vegeta non distolse lo sguardo. I capelli di quell’improbabile colore azzurro le scendevano sulle spalle; Bulma indossò una leggera sottoveste di seta, che aderiva al corpo flessuoso e ben tornito; gli occhi turchesi riflettevano quell’amore misterioso e profondo che era solo per lui. Sì, per tutti i pianeti! Lei era bellissima. E poi c’era quel suo carattere forte, audace, orgoglioso e testardo, che lo aveva conquistato. Lei, unica creatura nell’universo, era riuscita a far capitolare il principe dei Saiyan. Ah, Vejita… lo sai da quando hai messo piede quaggiù che non le avresti fatto del male…
“Dico...” fece, squadrandola interdetto “Non vorrai per caso uscire così?”

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Capitolo 8
*** Sangue saiyan- Parte II ***


Sangue saiyan - Parte II

Bulma iniziò a preoccuparsi quando il suo caffè preferito le diede un’ondata di nausea: “Oh, uffa! Spero di non essermi presa l’influenza!” pensò. “Oggi ho un impegno di lavoro importantissimo e mi seccherebbe dover rinunciare. Non ci vuole proprio!”
Scorse l’agenda per verificare l’orario dell’appuntamento. Si bloccò, impallidendo e fissando la data. Controllò nuovamente il calendario, in preda all’agitazione. Calma. Calma! Cerchiamo di ragionare. La stanchezza, più il giramento di testa, più la nausea, più un bel ritardo… Oh, per tutte le…! Era incinta. Oh, Kami. Piano. Sarebbe stato meglio effettuare un test prima di farsi prendere dal panico. Impossib…anzi no, possibilissimo. Da quando Vegeta era rientrato dopo la tempesta solare e per la prima volta avevano fatto l’amore, era stato così ogni notte… Così… straordinario. Lui era… Svegliati, Bulma! Fai quel dannato test! Che sia positivo o negativo, devi parlarne con tuo marito! Ok, lui sa benissimo che una terrestre può restare incinta di un Saiyan, ma da lì ad avere davvero un figlio…! Non riusciva a figurarsi come il principe di tutti i Saiyan avrebbe reagito all’eventuale notizia.
 
Vegeta interruppe di colpo l’allenamento e riportò la gravità a zero. Che diavolo stava succedendo? Prima quello strano ki intermittente e ora un altro ki ben diverso: molto forte. Vicino. Ostile. Conosciuto. Dannazione.
 
“Maledetti minuti, quanto ci mettete a trascorrere!?” strepitò Bulma, fissando impaziente il dispositivo per il test di gravidanza. Negativo. “Come sarebbe negativo? Stai a vedere che mi sono presa davvero qualche virus! Meglio riprovare”.
La ragazza effettuò anche un secondo test, che risultò parimenti negativo: “Mi sono agitata per niente! Uff… Forse, in questo momento è meglio così… Tra poco più di un anno sarà il momento della verità con quei cyborg e Vegeta è tutto preso dal suo training… va bene. Sarà comunque opportuno che parliamo dell’eventualità, potrebbe accadere veramente”.
Si alzò. Poi, improvvisamente, tutto divenne nero.
 
Vegeta indossò rapidamente la dogi dei guerrieri Saiyan e partì in volo alla velocità massima. Aveva inquadrato quasi sicuramente quell’aura malvagia e, se non sbagliava, le cose si sarebbero messe male a breve. Si diresse lontano dal centro abitato, verso le montagne, posandosi su un altipiano brullo e spazzato dal vento. Come pensava: un’astronave nera di piccole dimensioni era atterrata in quel luogo impervio. Sulla fiancata spiccava il logo dell’esercito di Freezer, cancellato da una X rossa incisa sul metallo. Nisenda. Si preparò a combattere.
“Guarda guarda. L’arrogante principe dei Saiyan. Allora le voci che ho sentito erano vere! Sei venuto a nasconderti su questo infimo pianeta, anziché affrontarmi a viso aperto”.
Vegeta gli rise in faccia: “Se senti le voci, Nisenda, è perché ti si è fuso il poco cervello che hai! Ti suggerisco di moderare i termini e di portare via da qui i tuoi stracci, prima che io perda la pazienza! Non sono venuto a cercarti prima solo perché speravo fossi crepato da solo!”
“Fai silenzio, vigliacco! Sei solo uno sporco Saiyan che ha pensato di poter tradire il suo Imperatore! Ma la pagherai!”
Vegeta ignorò l’insulto: “Freezer non è mai stato il mio imperatore, quindi, di fatto, non ho tradito nessuno! Pecchi di logica elementare, come al solito!”. Incrociò le braccia e si preparò all’attacco. Sarebbe arrivato presto. Sentiva l’energia del nemico ribollire sotto quella pelle scura e squamosa. Sapeva che era infido e sleale. Ma non aveva alcuna paura.
Gli occhi gialli da serpente dell’alieno si ridussero a una fessura, mentre sulla sua faccia piatta color terra comparve un’espressione rabbiosa. Frustò il suolo con la lunga coda uncinata: “Vedo che sei molto sicuro di te, bravo! Ritenerti superiore a me può costarti caro. Da quando Freezer è morto, io ho preso il suo posto. Io farò giustizia! Io realizzerò il suo sogno! Il mio sogno!”
“Continui a blaterare sul nulla! Non esiste nessun sogno. La tua stupidità è reale!”
Nisenda lo fissò con un odio inveterato: Tu…! Sei solo immondizia! Ora mi seguirai come prigioniero senza fare storie e subirai la pena che meriti!”.
Il principe concentrò il ki in un unico punto, per non farlo rilevare all’avversario, che indossava lo scouter sull’orecchio: “Davvero? E come pensi di riuscire a convincermi? Con un per favore?”
Il nemico esplose in una risata cavernosa e crudele: “Ho carte migliori”.
Allungò il braccio nodoso, e afferrò qualcosa dietro uno dei supporti dell’astronave con l’artiglio a tre dita: “Che ne dici di questo?”.
Vegeta impallidì. Bulma. L’aveva presa.
 
A molti chilometri da quel luogo isolato, Son Goku si bloccò a mezz’aria, come se fosse stato attraversato da una scossa. Piccolo fece appena in tempo a deviare il colpo ed evitò di prenderlo in pieno petto durante l’allenamento.
“Che ti prende, Son? Vuoi farti ammazzare?”
“Non le senti anche tu, Piccolo? Un’aura malvagia in piena emissione e… sì, l’altra energia è quella di Vegeta, quasi non lo riconoscevo!”.
Il Namecciano socchiuse gli occhi e percepì subito entrambe: “Hai ragione! Vegeta è quasi irriconoscibile! È incredibilmente più potente di prima e anche molto più…”
“Pulito” concluse Goku “Si sta preparando a combattere. Ma che sta succedendo?”
L’amico dalla pelle verde scosse la testa, accigliato: “Guai. Quell’aura perversa non è umana. Non mi piace affatto”.
Il giovane Saiyan si portò due dita alla fronte: “Scusami, ma voglio andare a controllare!”. Sparì immediatamente.
“Ci avrei scommesso” borbottò Piccolo con un sospiro.
 
Per un attimo Vegeta aveva perso la concentrazione, ma era avvezzo a mantenersi saldo anche difronte alle situazioni più pericolose e aveva recuperato immediatamente il dominio di sé. Lei era viva. Non sembrava ferita.
“Ebbene?” domandò con indifferenza “Hai deciso di farti scudo con i terrestri? Sei un vero combattente!”
L’alieno rimase un istante interdetto, ma poi riprese a sghignazzare sguaiatamente: “Credi che me la beva? Questa è la tua donna! È un po’ che ti tengo d’occhio!”.
Vegeta imprecò tra sé e sé, ma rimase gelido come l’inverno: “Sempre a spiare come un vigliacco! Non ti smentisci mai!”. Sogghignò divertito. “Questa è semplicemente la donna che ha l’onore di ospitarmi a casa sua. È una scienziata, mi servo delle sue competenze per realizzare i miei progetti. Qualora non obbedisse, le toglierei personalmente la vita e distruggerei questo patetico pianeta. Finora, si è dimostrata collaborativa. I tuoi tirapiedi ti avranno riferito che talvolta la trascino nel mio letto. Beh, fa parte dell’accordo di sopravvivenza, non so se mi spiego. Anche un idiota tuo pari può arrivarci!”.
Mentre parlava, il principe controllava con la coda dell’occhio che il nemico non facesse azioni inconsulte. Maledizione. Non poteva attaccare per primo con lei in mezzo e stava esaurendo le fandonie, unica categoria in cui non era mai stato eccelso.
Bulma lo fissò impassibile, reggendogli il gioco: “Te l’ho detto!! Quel Saiyan mi tiene in scacco con il ricatto! Se riesci a levarlo di mezzo, mi fai un favore!”.
“Stai zitta!!” tuonò il mostro, scaraventandola per terra “Guarda che questo non è un bluff! L’ammazzo all’istante, se non ti arrendi!” Puntò la mano contro di lei.
La ragazza era terrorizzata, ma cercava di non darlo a vedere. E nei suoi occhi c’era anche qualcos’altro… Qualcosa che Vegeta non aveva mai visto, qualcosa di simile alla rabbia incontenibile di un guerriero. Non reagire, Bulma, non replicare come al solito, pensa ad allontanarti da lì…
“Fai pure” rispose caustico “Non è l’unico scienziato disponibile! Ne ho contati almeno altri sette altrettanto validi. Non faresti altro che togliermi la parte divertente” aggiunse mostrando il numero con le dita. Sette. Come le Sfere del Drago. Sperava che lei capisse. Qualsiasi cosa fosse successa, lui non l’avrebbe persa.
Bulma fece un impercettibile cenno col capo e si rialzò lentamente. Alle loro spalle risuonarono alcune esplosioni e dalla città si levarono alte fiamme cremisi.
“Bene!” abbaiò l’invasore “I miei uomini sono già all’opera. La Terra me la prendo io, se non ti dispiace, e se non ti vuoi arrendere, morirai qui. Lei, prima di te, a scanso di equivoci!”
Vegeta espanse il ki in un lampo, preparandosi allo scontro. Nisenda fece sgusciare la coda, con l’obiettivo di colpire Bulma o di usarla come scudo. Vegeta partì all’attacco come una furia. La debolissima e misteriosa energia spirituale riverberò nuovamente, distraendo i contendenti. La ragazza reagì e tentò la fuga. In quell’istante, si materializzò Goku.
“Kakarott!”
“Vegeta! Ma cosa sta succedendo!?”
L’alieno si fermò, scoccando al nuovo arrivato uno sguardo perfido: “Ma guarda. Un altro penoso Saiyan. Non pensavo ce ne fossero ancora così tanti in giro. Hai chiamato i rinforzi, eh, vile! Ma non ti servirà!”
“E tu chi saresti?” domandò il nuovo arrivato, con un tono che non ammetteva obiezioni. “Come osi insultare il mio sangue?” Poi, notò l’amica, in mezzo al campo di battaglia: “Bulma!”. Rivolse nuovamente l’attenzione al nemico: “Avevo percepito un’aura malvagia… ma vedo che sei anche un codardo! Chiunque tu sia, lascia immediatamente questo pianeta! Non avrai altre occasioni”. Espanse a sua volta il ki. Una potenza immane, che fece vibrare l’aria, si sprigionò dal suo corpo.
“Stanne fuori, Kakarott!” gridò il principe “Lui è mio! Non mi serve il tuo aiuto!”
“Ma Vegeta…!”
“Vattene immediatamente!” indicò Bulma “Portatela via! Mi è d’intralcio!”
“Tu non farai un bel niente!” strillò Nisenda.
Goku avviò la trasmissione istantanea e comparve come un miraggio vicino alla ragazza, prendendola con sé, riapparendo subito dopo alle spalle di Vegeta, in zona di sicurezza”.
“Che trucco è mai questo!?” gorgogliò l’alieno stupefatto.
“Sei ancora qui, Kakarott!?” sibilò Vegeta.
“Me ne vado, me ne vado. Volevo solo avvisarti che ho avvertito una strana energia spirituale… un riverbero molto debole. Credo di averlo già sentito tempo fa, ma non riesco a ricordare…Stai attento!”.
“Sono più bravo di te a rilevare le aure! Non c’è bisogno che tu me lo dica. Vattene!”
Goku si levò in volo con Bulma sulle spalle e si portò a distanza, rimanendo ancora un attimo ad osservare l’inizio dello scontro.
Il nemico attaccò, emanando sfere di energia scarlatta tutt’intorno. Vegeta schivò agilmente, muovendosi come un acrobata tra gli ostacoli roventi, a una velocità straordinaria. Erano mosse di arti marziali perfette, accompagnate da un’energia fuori dal comune. Dalla sua mano partì un fascio di luce bianca, che mancò l’avversario per un soffio. L’alieno indietreggiò preoccupato, mentre il principe si apprestava ad avanzare inesorabile.
“Vegeta è migliorato moltissimo” disse Goku ammirato, osservando la sequenza quasi invisibile di movimenti: “È veramente incredibile, in così poco tempo”.
“Lui…” rispose Bulma “Non si è risparmiato, sta impiegando tutto se stesso”.
“Ma c’è di più. Il suo ki è diverso. È limpido, ha una purezza quasi irriconoscibile. Deve essere molto cambiato…”
“Goku…” sussurrò la ragazza al suo orecchio “Lui non è così come vuole che lo vediate. Lui è semplicemente orgoglioso e testardo. Non ammetterà mai di avere dei sentimenti…”
“Già. Lo so bene. Se non fossi cresciuto sulla Terra e avessi guardato, impotente, il mio pianeta andare in briciole, probabilmente anch’io sarei così duro”. Io l’ho visto piangere.
Le dita di Bulma sulle sue spalle allentarono la presa. Goku trasalì e ritrasse la mano, stranamente calda e appiccicosa. Sangue. “Bulma!”
“Io credo… credo che mi abbia presa…”
Il teletrasporto non rilevò energie note. Merda. Goku iniziò a volare a una velocità mai sperimentata in direzione della città.
 
Vegeta avvertì Goku allontanarsi e si raddrizzò dalla posizione di guardia, squadrando l’avversario con disprezzo: “C’è una cosa che non sai di me” disse con un sorriso di ghiaccio “Te la mostrerò. E morirai”.
Espanse il ki al massimo. Si trasformò in un battito di ciglia. Intorno al suo corpo, l’immenso alone dorato era foriero della sentenza finale. Gli occhi verdi erano l’algida espressione della vendetta: si fissarono implacabili sul volto stupefatto dell’avversario. Lo scouter di Nisenda esplose, non potendo più reggere il sovraccarico energetico tracciato.
“E… e questo che sarebbe!?!” gridò atterrito.
“Questo sono io. Sono il guerriero leggendario. Sono il principe dei Saiyan!!!”.
Nisenda non ebbe neanche il tempo di reagire: un potentissimo fascio di energia lo scagliò a terra e Vegeta fu sopra di lui, prima che potesse rialzarsi. Lo afferrò per le braccia e gliele spezzò in un solo colpo. L’alieno urlò come una bestia ferita, rotolandosi nella polvere senza più fiato. Il super Saiyan lo inchiodò al suolo, schiacciandolo col piede, impedendogli qualsiasi reazione. Il duello era durato meno di cinque minuti.
“Com’è che non parli più?” gli disse sarcastico, aumentando la pressione.
“Pietà…” rantolò l’alieno ormai sconfitto.
Vegeta iniziò a fremere di collera: “Pietà?” gli rise in faccia “Mi conosci abbastanza bene, no? Sai che non esiste nulla di più lontano da me”.
Lo prese per il collo e lo sollevò con un braccio solo: “Ma c’è altro”. Il suo sguardo si fece ancora più terrificante. “La donna che hai osato toccare è mia moglie. Per questo non ti ho ammazzato subito. Era giusto che tu soffrissi. E adesso, addio. Big Bang Attack!!!”.
Il principe alzò la mano e dal palmo emise un’energia devastante, che investì il nemico, riducendolo in cenere. Non rimase traccia dell’invasore. Vegeta tornò al suo aspetto naturale e sputò per terra: “Maledetto rifiuto…” ruggì tra i denti.
Rivolse l’attenzione all’astronave e la fece saltare per aria con un solo colpo.
Si voltò verso la città in fiamme, chiedendosi se andare a controllare la presenza di eventuali complici e far tramontare i loro sogni di gloria. Nisenda aveva parlato di altri invasori. In quel momento, si materializzò Goku.
“Kakarott! Cosa vuoi ancora?”
“Vegeta… devi venire con me…”.
Il principe lo squadrò seccato: lo sguardo del rivale era serio e inquieto, le labbra serrate in una smorfia di apprensione, i pugni stretti al corpo tremavano. La dogi arancio era sporca di sangue. Non l’aveva mai visto così. Era quasi abituato al suo sorriso. Un brivido gli serpeggiò lungo la schiena.
“Kakarott, se non sei in grado di occuparti da solo di qualche stupido…”.
“Non c’è tempo per discutere!” lo interruppe Goku con un’inusuale irritazione. Avanzò verso di lui e lo afferrò per un braccio: “Tantomeno per le buone maniere!”.
“Come osi toccarmi, razza di…” non fece in tempo a terminare la frase, che fu trascinato via dal teletrasporto.
“Ma che diavolo fai!” sbraitò quando Goku lo lasciò libero. Poi gli mancarono le parole.

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Capitolo 9
*** Sangue saiyan- Parte III ***


Sangue saiyan - Parte III

Si trovavano nell’ospedale, in una zona della città non del tutto devastata dalle fiamme. Nell’edificio regnava il caos, le sirene seguitavano a suonare, segnalando il continuo viavai dei mezzi di soccorso. Colonne di fumo nero si levavano tutt’intorno e i medici urlavano ordini concitati al personale. Vegeta non vide nulla di tutto ciò. Fissava solo Bulma, stesa su una barella, bianca come la morte. E la ferita sul suo corpo, pochi centimetri sotto il cuore.
“In condizioni normali…” disse Goku con rabbia “…non sarebbe così grave. L’avrebbero già portata in sala operatoria. Ma è l’unico ospedale funzionante e non ci sono dottori sufficienti… Ha perso molto sangue…”.
Il principe tentò di risvegliarsi da quell’incubo. Guardò Goku, come se lo vedesse per la prima volta e la sua espressione profondamente addolorata fu come un calcio nelle costole, che lo fece riscuotere. Strattonò per il camice un medico di passaggio e lo costrinse a fermarsi: “Ma che diamine state facendo!” gridò con una tale ira, che il giovane dottore impallidì. “Occupatevi immediatamente di lei, non vedete che è grave!? Se non intervenite… Se osate lasciarla morire, io vi farò annegare nel vostro stesso sangue!”. Le pareti iniziarono a tremare pericolosamente, i vetri di alcune finestre andarono in frantumi, mentre lui faticava a contenere il ki in emissione incontrollata.
“Vegeta…” mormorò Goku sconsolato.
Il medico recuperò a stento la freddezza professionale: “Signore, si calmi! Stiamo facendo il possibile! È un’emergenza, ci sono dei feriti anche tra il personale dell’ospedale! Cerchi di rendersi utile, noi interverremo al più presto!”. Prese delle bende e del cotone da un carrello e glieli mise in mano: “Ecco, continui a tenere compressa la ferita. Bisogna cercare di arrestare l’emorragia!”. Si allontanò in fretta, urlando: “Abbiamo bisogno di sangue, se potete donarlo, andate al piano superiore!”.
I due Saiyan si guardarono scoraggiati. Non erano sicuri che il loro sangue fosse compatibile con quello terrestre. Vegeta iniziò a premere sulla ferita con tutto ciò che il dottore gli aveva consegnato. Nel sentirsi toccare, Bulma aprì gli occhi.
“Vegeta…”
“Non parlare! Stanno arrivando!”
La ragazza sorrise debolmente: “Le bugie non le sai proprio dire…”
Chi! Devi risparmiare il fiato!”
“Mi dispiace… Non avrei dovuto muovermi. Se non avessi reagito, quel mostro non mi avrebbe colpita con la coda. Io… io ero così arrabbiata, sì… Non so che mi è preso…”.
Goku sbatté le palpebre, come se gli fosse venuto in mente qualcosa di importante, e nei suoi bellissimi occhi neri passò un lampo di consapevolezza.
“Vegeta…” continuò lei in un sussurro “Ti ho visto combattere… Eri meraviglioso. Tu sei nato per quello… lotta per proteggere, è ciò che fa la differenza…Appartieni alla razza guerriera, ma non lasciare che il tuo cuore resti vuoto… Anche se io…”
“Non parlare!” ripeté il principe, aumentando la pressione sulla ferita, mentre un sudore freddo gli imperlava la fronte. Ti prego, ti prego!
Sul volto esangue della ragazza, si dipinse un’espressione di dolore: “Le Sfere del Drago…” mormorò “Non so se funzioneranno nel mio caso, perché…”.
“Non ci pensare! Non serviranno!”
“Vegeta… io ti a…”
“Non parlare!”
Bulma perse nuovamente i sensi. Accanto a lui, Goku stava trattenendo il respiro, il viso segnato dall’angoscia. Vegeta non voleva che lui vedesse il suo tormento, non voleva che sapesse che loro… Che tu la ami, Vejita.
“Kakarott… Vattene, ti prego. Qui ci penso io. Occupati di quell’incendio, piuttosto!”
Il giovane lo osservò con commozione e fece per parlare. Ma poi cambiò idea e svanì.
Vegeta appoggiò la mano sul petto della moglie e iniziò una sottile emissione energetica, senza sapere se sarebbe stata utile a concederle dei minuti preziosi, mentre con l’altra continuava a premere inutilmente sulla ferita. I suoi guanti bianchi erano intrisi di sangue. Di nuovo. Ma, questa volta, era quello della donna che amava, non di un nemico. Intorno a lui c’era l’inferno. Aveva creduto di conoscere bene l’inferno. Il fumo proveniente dalla città in fiamme rendeva l’aria greve, le sirene ululavano senza tregua il loro canto disperato, la gente si riversava lungo i corridoi dell’ospedale, gridando in cerca di soccorso…
Dunque, era questo ciò che lui aveva fatto su tutti i pianeti che aveva piegato… infliggere sofferenza. Per innumerevoli volte aveva scorto il fuoco, i miasmi degli incendi, il sangue e quelle immagini erano scorse davanti a lui senza scalfirlo. Aveva udito le grida dei sopravvissuti, le parole avvilite di resa, le richieste di aiuto e se n’era andato, macchiato ogni volta del sangue di un colore diverso, indifferente, ebbro della propria forza, arido come il deserto che languiva alle sue spalle. Una scia di malvagità di cui era sempre stato conscio, il che lo rendeva ancora peggiore. Semplicemente non gli importava nulla. Non si era mai messo nei panni degli sconfitti, dall’altra parte della barricata, in braccio al dolore… Come sul tuo pianeta, Vejita…Indenne per eccesso di arroganza, era così? Provava una fitta violenta allo stomaco: se non fosse stato impegnato a contenere il sangue, a passare il suo ki alla donna che amava, avrebbe vomitato l’anima. Era una sorta di pentimento chiedersi come fosse riuscito a godere della propria ferocia, a trincerarsi dietro una crudele noncuranza? Tutte scuse. Che stava facendo? Un’inutile mea culpa. Non intendeva rinnegare il suo oscuro passato, la sua algida crudeltà. Ma non si riconosceva più in essa. Non era più così da un pezzo. Da quando era stato sconfitto dalla generosità di un altro Saiyan, che considerava inferiore. Da quando era rimasto sulla Terra. Da quando aveva sperimentato per la prima volta cosa volesse dire amare. Da quando era stato amato. Come sei cambiato, principe dei Saiyan… Sapeva che un giorno avrebbe pagato il prezzo del male commesso. Il giorno era giunto.
Percepì il respiro di Bulma farsi sempre più debole, i battiti del suo cuore affievolirsi: “Resta con me…” mormorò “Ti prego…”. Aumentò il passaggio energetico nel disperato tentativo di tenerla in vita.
Il respiro si spense.
Vegeta annegò in un abisso di sofferenza.
Spire di dolore gli avvolsero l’anima.
Aveva perso la vita, una volta: era stata solo la fine dell’esistenza. Quella, invece, era la morte.
Poi, all’improvviso, un ki debolissimo fece eco al suo e lo afferrò, come una mano che prende ciò che le viene offerto. Si legò a lui, tenacemente, lottando per sopravvivere. Il principe dei Saiyan continuò a emanare l’aura in quella direzione, sentì che veniva assorbita come acqua sulla sabbia e spalancò gli occhi incredulo. Tutto gli fu chiaro. Il petto della ragazza ricominciò a sollevarsi e ad abbassarsi lentamente, le pulsazioni ripresero incerte.
Goku si materializzò in una frazione di secondo: “Vegeta! Dalle questo!”
Un senzu. Era riuscito a scovarne uno chissà dove. Lo polverizzò e riuscì a farlo inghiottire alla moglie. La ferita iniziò a rimarginarsi immediatamente.
“Perdona il ritardo. Ho avuto qualche problema”.
C’erano degli strappi sul suo dogi, i suoi capelli scompigliati erano strinati: probabilmente era stato attaccato dagli scagnozzi di Nisenda, che lo avevano rallentato nella ricerca. Senza dubbio, li aveva fatti pentire di essere nati. Ogni tanto riusciva ad essere utile.
Goku sorrise sollevato: “Sta funzionando! Questi fagioli sono davvero dei piccoli miracoli!”
“Kakarott. Per questa volta, ti lascerò andare senza ucciderti”.
Goku alzò gli occhi al cielo: “Sei sempre il solito! O forse no?” lo fissò con uno sguardo inquisitorio, che pungeva come l’ago di un tatuatore.
Chi!”
Vegeta ricambiò con un’occhiataccia. Il maledetto sembrava saperla lunga: era andato a prelevarlo dal luogo dello scontro, come se fosse certo dei sentimenti che lui provava per Bulma e l’aveva lasciato solo con lei senza una piega, perché potesse dirle addio. Gli avrebbe chiesto una spiegazione. Ma non in quel momento.
“Me ne vado, non ti agitare! Ma prima volevo dirti che mi sono ricordato dove avevo sentito quello strano ki…”
“Non mi interessa!”
“Mmh, secondo me, invece, dovrebbe interessarti…” insistette Goku, rigirandosi le dita.
“Kakarott! Non farmi pentire della mia decisione!”
“Ok, ok…” borbottò Goku, osservandolo per bene. Ma certo. Doveva aver capito da solo. “Sei tosto, Vegeta!” pensò. Sparì alzando due dita in segno di saluto.
Vegeta rivolse lo sguardo a Bulma, che stava lentamente riacquistando colore: anche lui ricominciò a respirare. A vivere. Cadde sulle ginocchia e appoggiò la fronte sul petto della sua donna. Le lacrime iniziarono a scorrere, silenziose e inarrestabili. Le detestava, ma non poteva fare nulla per fermarle. Per quanto le hai trattenute, Vejita?
Scesero senza tregua, finché non sentì le dita di lei tra i capelli e la sua voce delicata.
“Ci sono… Non piangere, amore mio”.
Il principe si passò un braccio sugli occhi e sollevò il viso, prendendo il suo tra le mani, come se temesse di trovarsi difronte a un’illusione. Ma era vera. Era con lui.
Lei sorrise: “Mi hai salvato la vita…”.
Vegeta scosse la testa: “Iiah. Non io. È stato lui…”
Bulma lo fissò sorpresa: “Lui? Goku, dici? Mi è parso di sentirlo qui…”
“No. Neppure. È stato il bambino…”
“Il bambino? Quale bambino? Gohan?”.
“No… Il nostro” Spostò la mano sotto il suo ombelico. “Tu porti mio figlio”.
Bulma sgranò gli occhi: “C-cosa…?”
Fece per sollevarsi, ma lui la bloccò: “Ferma! Il senzu ti aiuta, ma devi lasciargli il tempo di agire”.
Lei sospirò, arrossendo.
“Allora… è così. Io… io non stavo bene e ho pensato che forse… ma poi ho fatto il test. Due volte! Ed era negativo, perciò non ti ho detto nulla… e poi è arrivato quel mostro e non ho potuto… Oh!! Spiegami come fai a essere così sicuro!”. Era strano vederla in totale agitazione.
Vegeta sogghignò: “Ritieni che il tuo test funzioni anche per i Saiyan?”
“Beh… non saprei…”.
“Il mio funziona di certo” affermò lui divertito “Il ki che ho percepito a tratti in questi giorni era quello del bambino. Non ci ho pensato subito perché non mi è mai capitata una situazione del genere. Ma poi, quando ho tentato di trasferire a te la mia energia, lui si è collegato a me e ha iniziato a riceverla, così l’ho sentito chiaramente. Non posso sbagliarmi. Se non fosse stato per lui, tu…”.
Bulma appoggiò una mano sulla sua e una lacrima scese lungo la sua guancia: “Ho messo in pericolo questa piccola vita perché non sono riuscita a stare calma, non so che cosa credevo di fare…”
Il principe la fissò e rise sommessamente. Sollievo. Gioia. Consapevolezza.
“Non mi posso definire un esperto, ma probabilmente è stato il sangue saiyan. Nessuno di noi tollererebbe l’onta di essere tenuto prigioniero senza potersi battere”.
“Mi prendi in giro?”
Iiah. No di certo”.
“Quindi mi stai dicendo che nei prossimi mesi mi comporterò come un Saiyan!?!”
“Tu magari no. Lui sì”.
“Lui? Significa che è un maschio?”
“Non ne ho la minima idea. Anzi, non lo voglio sapere.”
“Vegeta… non mi hai detto se sei…”
“Contento?” il suo sguardo si fece ardente. Intuiva il motivo della domanda. Più volte aveva dato del mezzosangue al figlio di Kakarott. Parole sprezzanti che gli si stavano ritorcendo contro. Non era sua intenzione rimangiarsele. Disse la pura verità: “Rischio di perdere te e mi vieni restituita con in corpo una vita che abbiamo concepito insieme. Una vita che io per una volta ho creato, non spezzato. Per tutte le stelle! Ho pensato che questo fosse impossibile, finché… Una volta mi hai detto che ci sono cose che da soli non si possono fare. Da quando ho te, io…” prese fiato. Fattelo uscire, Vejita… dille che la ami perdutamente.
Per lei era sufficiente. Lo osservò incantata e lo sfiorò con una carezza, togliendolo dall’impasse.
Lui socchiuse gli occhi, assorbendo quel contatto e la sollevò tra le braccia: “Ti porto via da qui”.
Bulma si strinse a lui: “Non finirò mai di essere grata ai Kami per averti mandato da me. Amare, senza di te, sarebbe solo una parola”.
Il principe dei Saiyan si levò in volo in preda all’emozione, senza riuscire a replicare.

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Capitolo 10
*** Mai più ***


Mai più

Bulma ricordava benissimo il giorno in cui aveva detto a Vegeta che non tutto si può fare da soli. Lui aveva appena iniziato l’addestramento a gravità potenziata e da subito si era imposto ritmi forsennati, sordo ad ogni obiezione. Alle volte, usciva dalla gravity room coperto di bruciature, con gli abiti a brandelli, così stanco da non riuscire neppure a reggersi in piedi. Si ostinava a esagerare e a non ascoltarla.
Quel pomeriggio, Bulma stava percorrendo il corridoio del laboratorio e lo aveva incrociato mentre era di rientro dall’allenamento. Il principe camminava curvo, puntellandosi al muro con una mano e sembrava più provato del solito. Lei era stata tentata di lasciarlo perdere, per evitarsi la solita rispostaccia altezzosa, ma qualcosa nei suoi movimenti le aveva provocato una fitta di preoccupazione, così gli era andata incontro.
“Vegeta, stai…”
“Sto bene! Non mi serve il tuo aiuto!”
Si era raddrizzato, lasciando intravedere un’ustione piuttosto estesa sotto la maglietta aderente e lacerata. Sulle braccia aveva nuovi lividi: rivolgeva i suoi colpi più potenti contro il sistema computerizzato, che li rispediva al mittente e, alle volte, non riusciva a schivarli del tutto, trascinato a terra dalla gravità.
“A quanto hai regolato il dispositivo oggi? 200? 300? Mi chiedo per quanto tempo tu abbia intenzione di sottoporti a questa follia!”
“Basta, donna!” aveva grugnito lui tra i denti “Non ti sopporto più! Non hai altro da…”
Non era riuscito a terminare la frase ed era piombato in avanti, privo di forze, finendo direttamente contro di lei. La ragazza aveva lasciato cadere i fogli che aveva in mano, tentando di sorreggerlo e si era accorta che non era cosciente.
“Vegeta! Non riesco a tenerti!”
Non era molto pesante, ma era le era piombato addosso a corpo morto e non era stato facile mantenere l’equilibrio. Bulma aveva infilato le braccia sotto le sue, cercando di non farlo cadere e si era seduta a terra, riuscendo con uno sforzo a girarlo e a fargli appoggiare la testa sulle gambe ripiegate. Il principe era privo di sensi. Lei gli aveva abbassato un guanto e aveva sentito che il polso era regolare, però, bloccata in quella posizione, non le era stato possibile chiedere aiuto. Si era frugata in tasca e aveva estratto la capsula che si era portata in laboratorio: conteneva l’occorrente per il tè, così aveva imbevuto il fazzoletto di acqua e aveva iniziato a strizzarlo sul suo viso, per farlo rinvenire.
“Vegeta…”
Niente da fare. La sua fronte e le sue mani erano gelide e stare sul pavimento non era la situazione migliore, così lei si era sfilata la felpa e lo aveva coperto. Meglio di niente. Saiyan. Duri come il granito ed ancora più cocciuti! In testa a tutti, Son Goku, che le aveva impedito di cercare il covo di quel pazzo del dottor Gelo per distruggerlo. Accidenti a loro. Eppure, in quel momento, il loro orgoglioso principe le era sembrato un ragazzino addormentato.
“Vegeta, …”
Lui si era mosso leggermente e aveva mormorato alcune incomprensibili parole nella sua lingua, iniziando a riprendersi. La ragazza si era chinata su di lui, stringendogli forte la mano.
“Vegeta, parlami…”
Il principe aveva socchiuso gli occhi, ancora stordito: “Che cosa…”
“Hai perso i sensi, resta giù…”
Dopo un secondo, Vegeta aveva realizzato di essere steso a terra, abbandonato tra le sue braccia, con lei che gli faceva da cuscino. L’aveva respinta, allontanando la mano che gli passava la pezzuola umida sul viso, tentando di rialzarsi con scarso successo.
“Lasciami immediatamente, donna!”
“Aspetta un attimo!” aveva esclamato lei stizzita, cercando la bustina di miele che era sicura fosse tra gli oggetti sparsi lì accanto. “Quanto sei sgarbato! Ecco, prendi questo!”.
“Non mi serve il tuo aiuto! E non mi dare ordini!”
“Allora, prendilo da solo!”
Il principe aveva ingoiato il contenuto dolciastro, rassegnato, restando appoggiato a lei e l’aveva squadrata da sotto in su con quegli occhi scuri e feroci, che avevano sempre avuto il potere di farle dimenticare il resto del mondo.
“Soddisfatta?” aveva domandato secco.
“Lo sarei di più se tu non battessi costantemente il tuo record di ostinazione e non mi facessi preoccupare ogni volta!”
“Io non ti ho chiesto niente!”
“Quindi, secondo te, avrei dovuto lasciare che sbattessi la faccia per terra? Magari avresti guadagnato qualche punto in gentilezza!”
Chi! Sta’ zitta!”
Si era sollevato con un rapido colpo degli addominali e la felpa appoggiata sul suo petto era scivolata. Lui l’aveva notata, poi aveva guardato lei, che era rimasta con una leggera canottiera rosa e le aveva restituito l’indumento.
“Va meglio?”
Lui si era seduto a gambe incrociate, incupito: “Sto benissimo”.
“Perché ti infastidisce così tanto il mio aiuto? Perché sono una donna?”
“Perché io non ho bisogno di nessuno!”
“Lo so. Ma il punto non è averne bisogno o meno. Accettare una premura non equivale a incrinare la propria immagine. Se io fossi in difficoltà e tu mi aiutassi, non mi offenderei di certo”.
“Tu sei una debole terrestre, è ovvio che chiederesti aiuto. Io sono il Principe dei Saiyan e basto a me stesso!”
“Parole con cui ti condanni alla solitudine. Ci sono cose che da soli non si possono fare!”
Vegeta aveva sogghignato, passandosi una mano sulla fronte sudata, mostrando di non essere affatto in buone condizioni, ma aveva ribattuto divertito: “Per esempio?”.
“Abbracciarsi”.
Hah! Non avrebbe senso…” aveva commentato lui con un gesto della mano.
“Baciarsi!”
Lui aveva spalancato gli occhi, ma lei aveva continuato implacabile: “Fare l’amore! Se non vi siete estinti per secoli, suppongo si usasse anche tra di voi!”
Ma come le era venuto in mente di dire una cosa del genere al principe dei guerrieri Saiyan! Tanta confidenza con lui, che conosceva appena… Le era proprio uscito dal cuore e lui era arrossito, distogliendo lo sguardo.
“Tutto ciò non mi è mai interessato. Non si diventa più forti con le smancerie!”.
“Questo lo credi tu! Bisogna essere forti per amare, Vegeta. Ancora di più per essere amati. Se parli così è perché non…”.
“Dimostralo!” aveva ribattuto lui con rabbia “Salva il tuo pianeta baciando un cyborg! Oppure chiedigli se gli va di…”
“Smettila!!” aveva sentenziato lei avvampando “Fingi di non capire! Vuoi avere ragione a tutti i costi e cerchi di evitare la questione perché ti punge sul vivo! Se non hai mai vissuto nessuna di quelle che tu chiami smancerie, non puoi obiettare solo perché esigi il diritto di avere sempre l’ultima parola!”
Che lavata di testa che gli aveva dato quella volta! Era talmente infuriata che non aveva considerato che il suo interlocutore avrebbe potuto farla tacere per sempre.
Inaspettatamente, lui le aveva rivolto un’occhiata profondamente ferita. Era lampeggiata un istante per cedere subito il posto allo sguardo che ben conosceva: quello che atterriva persino gli dei.
“Puoi anche uccidermi, ma continuerò ad avere ragione anche da morta!” aveva concluso Bulma in estrema difesa.
Vegeta aveva allungato un braccio e l’aveva afferrata per la canottiera, costringendola ad avvicinarsi. Lentamente, senza schiodare gli occhi dai suoi.
“Ucciderti? No… per te è peggio se ti dimostro che hai torto…”
Si era fatto più vicino, sollevandole il mento con un dito, il viso che sfiorava il suo, il respiro già sulle sue labbra…
“Buongiorno ragazzi! Un luogo insolito per eseguire la cerimonia del tè!”
Il principe aveva fatto un salto all’indietro degno di un gatto e lei era rimasta imbambolata per qualche secondo. Poi si era ripresa.
“Papà…! Non si usa bussare!?”
“Tesoro, siete in mezzo al corridoio… Se vuoi mostrare a Vegeta le nostre usanze, perché non lo fai accomodare in salotto? Così non è educato…”
Il principe si era coperto il volto con la mano e, anche se non avrebbe potuto giurarci, le era parso trattenere a forza un sorriso per mantenere il contegno davanti a loro.
“Ma quale cerimonia del tè!” aveva strillato lei “Questo testone di un Saiyan ha esagerato come al solito ed è svenuto in mezzo al corridoio!!”
Lo scienziato si era aggiustato gli occhiali con calma: “Ohibò… Guarda che scottatura, ragazzo…Ti conviene metterci sopra qualcosa prima che si infetti e ti venga la febbre”.
“Non hai altro da dire, papà!?!”
“Ah, già… la medicina è nel blindato del laboratorio”
“Intendevo… aiutami, no?!” continuò lei spazientita.
Il vecchio le aveva porto la mano, dicendo: “Non sei una bambina e la mia schiena non è più quella di una volta, però vediamo se riesco…”
“Non me!!!” aveva gridato lei esasperata “Aiutami con Vegeta!!”
“Ma lui è già in piedi, tesoro…”
Il principe, nel frattanto, si era alzato e appoggiato al muro, fissando il soffitto con malcelata indifferenza.
“Oooh…” aveva sospirato lei alzando gli occhi al cielo “Uomini. Terrestri… Saiyan... Ti fanno sempre venire di quei nervi…Grazie, papà. Mi arrangio da sola”.
Il dottor Brief si era allontanato, perso nelle sue elucubrazioni, e lei era rimasta nuovamente in compagnia di Vegeta. Si era chiesta cosa sarebbe successo se suo padre non li avesse interrotti. Lui era lì, imbronciato come al solito, e non aveva l’aria di voler continuare il discorso di poco prima.
“La vuoi questa medicina o no?” gli aveva chiesto seccata.
Hah…” aveva annuito lui, seguendola nel laboratorio, sempre reggendosi alla parete. Incredibilmente cocciuto.
“Ti fa male?”
Iiah”. No.
“Ehi, Vegeta…” aveva accennato lei, mentre lui si era sfilato la maglietta per medicarsi “Stavi davvero per baciarmi?”
Lui era trasalito visibilmente, ma aveva replicato freddo: “Vaneggi”.
 
La città era in fiamme. Il principe si posò sulla cima di un grattacielo, osservando lo scenario devastato: al suo fianco, Bulma inorridì.
“Santo cielo… dovremo riunire le Sfere del Drago per ricostruire tutto! Vegeta, tu potresti fare qualcosa per…?”
Lui la guardò. Aiutare gli altri? Le vampe scarlatte si riverberavano sui lucidi capelli neri e nelle iridi scure, il fumo antracite si levava alle sue spalle in volute ribelli, la dogi era sporca di sangue: pareva un demone sfuggito all’aldilà. Si sfilò i guanti, li gettò a terra e saltò sul cornicione pericolante dell’edificio.
“Stai indietro”.
Il ki si concentrò nella sua mente, nel suo corpo, tra le sue mani ed eruppe argenteo in una cometa luminosissima diretta verso l’alto: “Gaalick Cannon!!”
Dal palazzo di fronte gli fece eco un fascio d’energia dorata, che si unì vorticando alla sua e squarciò il cielo nero: “Kame-hame-ha!!”
Kakarott.
Il calore si condensò in nuvole bianche e iniziò a riversarsi al suolo in gocce d’acqua. Forse, quell’acquazzone artificiale avrebbe spento l’incendio e risparmiato altre vittime.
Goku diresse uno sguardo scanzonato e fiero nella loro direzione, levando la mano in segno di saluto e Bulma gli inviò un bacio di rimando.
Chi!” grugnì Vegeta.
La giovane gli si avvicinò, appoggiandosi al suo braccio: “Grazie. Sei il mio Saiyan preferito!”
“Vorrei vedere.”
“Sei geloso?”
Hah…” Sì.
 
Goku seguì con gli occhi il principe che sfrecciava via con la sua donna e si illuminò di gioia. Uno scalpiccio alle sue spalle lo distolse.
“Piccolo…”
“Son. Chi ha fatto questo macello?”
“Un tizio ha pensato di venire qui ad insultare il sangue Saiyan e a prendere la Terra”.
“Un aspirante suicida…” commentò ironico il Namecciano.
“Già!” rise il giovane. “Vegeta non si è quasi scomposto per sconfiggerlo ed io mi sono occupato del contorno”.
“Non mi dire che avete combattuto insieme?”
“No, figurati… il suddetto tizio ha anche pensato di rapire Bulma e di farle del male…”
Piccolo perse la sua imperturbabilità demoniaca e aggrottò la fronte.
“Sta bene, ma ho pensato davvero che per lei fosse finita. Non mi sono mai spaventato tanto in vita mia, ti assicuro. Vegeta ha dato di matto. Non fosse stato per il senzu, avrebbe perso lei e il bambino…”
“Cosa? Ma allora…”
“Sì. Trunks aveva ragione”.
“C’è speranza, quindi”.
“Per il futuro. Per Vegeta c’è molto di più. Non l’ho mai visto così sconvolto, per giunta difronte a me…e poi il suo ki ha perso una buona parte di oscurità. Non mi stupirei se fosse anche diventato super Saiyan.”
“Beh… non so se rallegrarmi per questa notizia!”
“Dovresti. Significa che lui, in qualche modo, prova amore”.
“Mmh… Uno come lui… avverto molte ombre in agguato”.
Goku rise, stiracchiando le braccia e pulendosi con la pioggia dalla fuliggine che gli imbrattava la pelle: “Pensa positivo. Tu dovresti comprenderlo molto bene. Rabbia, odio e vendetta sono stati tuoi compagni per parecchio tempo. Guardati ora”.
“Tsk” sbuffò il colosso verde “Non ti manca la sincerità. Ma non hai torto”.
“La tua malvagità ed il tuo desiderio di rivalsa sono scemate col tempo e con la considerazione altrui…”
“Dopo che mi hai sconfitto. E hai avuto pure il coraggio di affidarmi Gohan, dopo lo scontro con tuo fratello… Altro che ottimismo”. Scoprì i canini appuntiti in un sogghigno.
“Beh… ho sconfitto anche Vegeta…” Goku gli lanciò uno sguardo intenso di guerriero “E anche a lui, ora, sono affidate due vite”.
 
 
Il principe planò sulla Capsule Corporation e percorse in volo radente i corridoi, con Bulma tra le braccia, filando senza fermarsi fino alla loro camera. La porta si chiuse dietro di lui.
“Posso camminare” rimarcò lei.
Lui non diede segnale di volerla ascoltare e si diresse verso la stanza da bagno, strappando in un colpo i vestiti di entrambi, posandola a terra solo per liberarsi degli stivali.
“Vegeta, ma cosa…!?”
Il principe la spinse dentro la doccia, aprì il getto al massimo e appoggiò le mani alla parete, sigillandola tra lui e il muro. I capelli, che solitamente vincevano la forza di gravità, gli piovvero sulle spalle. Appoggiò la fronte alla sua, mentre l’acqua ai loro piedi diveniva color ruggine, portandosi via il sangue, la cenere e la paura. Le sfiorò il viso.
“Vegeta…”
“Questo…” la sua voce era vibrante “Questo non dovrà mai più accadere. Prendere te, per avere me. Io non lo permetterò”.
Lo sguardo su di lei aveva la durezza e lo sfavillio del diamante, la dolcezza del primo amore.
“Quando il bambino sarà nato” continuò “Tu andrai con lui sul nuovo Namecc. Quei musi verdi ti devono un grosso favore… Là sarete al sicuro, comunque andrà a finire. I cyborg non vi raggiungeranno”.
“Ma…”
“Non tollero obiezioni!”
Bulma non rispose. Fece scivolare le braccia sulle sue spalle solide e cercò le sue labbra. Lui ricambiò il bacio con trasporto, mentre le gocce trasparenti scorrevano sulla loro pelle nuda, la attirò a sé in una stretta inestricabile, sospirando al suo orecchio: “Se continuiamo così, non sarà una semplice doccia…”
“Qual è il problema?”.
Il principe la guardò un po’ stupito: “Ma non…”
“Sono incinta, non diventata di cristallo!” rise lei “Sto benissimo. E poi, qui, c’è un Saiyan!”.
Gli prese la mano le se la appoggiò sul ventre. Gli occhi di Vegeta divennero brace.
 

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Capitolo 11
*** 12 maggio ***


12 maggio

Se n’era andato davvero. Non lo vedeva da giorni. Avrebbe dovuto esaudire la sua richiesta. Ascoltarlo, per una volta, senza dargli contro. È colpa tua, Bulma. O forse no… forse era stata l’adrenalina dell’imminente battaglia, l’annunciato scontro per la sopravvivenza del genere umano, che l’aveva attirato come una falena sulla fiamma e lui aveva lasciato la Capsule Corporation per quello. Lasciato il loro bambino di pochi mesi. Lasciato lei.
Vegeta.
Bulma vegliava sul sonno del piccolo Trunks, tormentando con le dita il ciondolo che portava al collo: dentro l’involucro trasparente del monile, c’era un frammento di roccia rossa. L’ultima scheggia del pianeta dei Saiyan. Quel contatto la inondò di speranza. Il principe aveva giurato, non avrebbe mai mancato alla parola data. Era così arrabbiato, teso, pensieroso come non mai, ma sarebbe tornato. Se fosse sopravvissuto. Il cuore della ragazza ebbe uno spasmo doloroso. Già… a lui non era stato destinato nessun futuro, in un altro futuro, quello orrendo descritto pochi anni prima da quel misterioso ragazzo. Non poteva esserne certa: perciò aveva rifiutato di rifugiarsi su Neo Namecc, lontano dalla minaccia incombente, era voluta restare sulla Terra. Con l’uomo che amava, a qualunque costo.
Il bambino si svegliò e tese le manine verso di lei, senza un lamento. Gli occhi turchesi erano i suoi, ma il taglio allungato e lo sguardo assorto erano quelli di Vegeta.
“Che c’è, piccolo? Hai capito che la tua mamma è triste? Non dirmi che sai già percepire le energie spirituali!?”.
Trunks gorgogliò tra le sue braccia, mentre Bulma lo cullava: “Vedrai che il tuo papà tornerà appena gli sarà sbollita la collera. Lo sai, lui è fortissimo, ma ha anche la testa dura”.
Sospirò e ripensò agli ultimi mesi.
 
“Trunks. Vorrei chiamarlo Trunks, se anche a te piace”.
Ancora stremata dal parto, in un bagno di sudore, con un filo di voce, Bulma si era rivolta al marito con uno sguardo commosso e pago, porgendogli il neonato.
Hah…”
Vegeta aveva preso il piccolo Saiyan e aveva dato il suo assenso. Quel nome terrestre, aveva detto, suonava simile alla parola toran, “indomito” in lingua saiyan. Non era propriamente adatto per il sangue reale, ma era accettabile. Lo aveva fissato a lungo, con uno sguardo indecifrabile negli occhi scuri. Il bambino gli aveva afferrato un dito e la piccola coda era spuntata dalla coperta che lo avvolgeva: a quel punto, anche il principe guerriero si era sciolto, lasciando balenare un’espressione orgogliosa. Le era sembrato addirittura di scorgere un fugace sorriso.
“Niente male” aveva commentato “E’ forte”.
Bulma aveva sospirato allegra al commento tipicamente suo.
Vegeta aveva reso gli allenamenti sempre più intensi, tanto che non riusciva quasi più a incontrarlo. Era una corda di violino in continua tensione e bastava un nonnulla per farlo esplodere. Il pericolo era terribilmente prossimo, lo si leggeva nei suoi gesti, nel suo isolarsi per riflettere, nelle sue risposte a monosillabi. Tuttavia, era arrivato in tempo per veder nascere suo figlio.
“È identico a te” aveva aggiunto lui, osservando le iridi azzurre e il ciuffetto di capelli chiari.
Lei aveva colto una nota un po’ demoralizzata in quelle parole, ma aveva compreso che non avevano un’accezione negativa.
“Dipende da dove guardi!” aveva riso.
 
Bulma aveva posato Trunks nella culla e i suoi pensieri avevano messo le ali.
 
Il primo problema era stato quello della coda: sarebbe stato opportuno tagliarla, per evitare di scatenare l’oozaru nelle notti di luna piena, ma Vegeta era inorridito e si era strenuamente opposto a quella che per lui era un’illecita mutilazione. Anzi, aveva rincarato la dose.
“Se tu ti decidessi ad andare sul nuovo Namecc con Trunks, come ti ho chiesto” aveva detto “Riusciremmo a risolvere più problemi in uno! Le sue lune non emanano onde bluets. Sareste entrambi al sicuro. La trasformazione in oozaru può essere controllata, gli insegnerò io come fare a tempo debito!”
“E nel mentre” si era incaparbita lei “Rischiamo di fare la fine del nonno di Goku!”.
“Basta, Bulma! Quello era un terrestre che non sapeva nulla di noi Saiyan! E Kakarott un imbecille incapace di ragionare in quella forma!”
“Non voglio andare su Neo Namecc! Io voglio restare qui! Non sono tanto vigliacca da lasciarvi da soli! Potreste avere bisogno di me per contrastare il cervello malato del dottor Gelo! Voglio vedere quei cyborg!”
“Puoi scordartelo!” aveva esclamato lui, sbattendo i pugni sul tavolo “Tu non verrai sull’isola! Vuoi ripetere l’esperienza con Freezer?”.
La ragazza lo aveva osservato: non parlava mai dell’altro nemico, quello che l’aveva quasi uccisa, quello che lo aveva spinto a desiderare che lei partisse.
“Non mi importa. Io non ti lascio! Voglio stare con te!”.
Chi! Non sono così stupido o debole da morire come stai pensando!”
Gli occhi le si erano riempiti di lacrime, il bambino aveva iniziato a piangere e Vegeta era uscito sbattendo la porta. Ma non aveva rinunciato.
 
Dannata ostinazione saiyan! Speriamo che non sia ereditaria!
 
Con il fatidico 12 maggio alle porte, Vegeta era diventato ancora più scontroso e introverso.
“Non c’è più tempo” le aveva detto una mattina “Prendi la Capsule 3 e allontanati. Non ti voglio qui, mi saresti d’impiccio”.
“Neanche per sogno! Io non vado da nessuna parte!”
Il principe l’aveva afferrata, attirandola a sé, uno sguardo di fuoco e ghiaccio schierato a nascondere la vera ragione della sua richiesta. Prendere te, per avere me. Io non lo premetterò.
“Ascoltami, per una volta. Abbandona il pianeta”.
“Non posso…” aveva sussurrato lei tra le sue braccia “Io… non voglio…”
Lui aveva corrugato la fronte, oscurandosi come un sole durante l’eclissi; aveva scandito chiaramente tre parole, come il sibilo di una frusta: “E’ un ordine”.
Bulma era rimasta impietrita per un istante e poi si era liberata dalla sua stretta.
“Sbagliato! Io, come te, non prendo ordini da nessuno!”
Negli occhi di Vegeta era passato un bagliore terrificante, un misto di emozioni violente e opposte, su cui aveva lasciato cadere il velo del suo aspetto peggiore.
“Ma davvero? Mettiamola così”. La sua voce era una lama gelata: “Fino a quando non giungerai a più miti consigli, non venirmi a cercare. Non voglio avere a che fare con la tua follia. Arrangiati. Non credere che io rinunci allo scontro per proteggere te!”.
Lo sguardo era un tremolio di furia. Si era alzato in volo ed era sparito. Non era rientrato né quella notte né i giorni successivi. Non era mai accaduto.
 
“Io sono Bulma Brief! Non me ne starò qui a piangere come una sciocca ragazzina!” disse fra sé. “Io sono la moglie del principe dei Saiyan! Se vivrò o morirò, sarà con lui”.
Sollevò Trunks, che la guardava con gli occhi obliqui spalancati. Identico a suo padre.
“Che ne dici, tesoro mio, se domani andiamo cercare il tuo papà?”.
 
Il 12 maggio, su un’isola 9 km a sud ovest della Città del Sud, Vegeta osservava la situazione da lontano; non aveva intenzione di presentarsi all’appuntamento tra perdenti organizzato da Kakarott. Dopo i cyborg, sarebbe toccato all’eccellente rivale conoscere la sua potenza di super Saiyan. Non lo vedeva dal giorno in cui aveva portato il senzu a Bulma. Chi! Quel ricordo gli dava ancora una fitta allo stomaco, ma evidentemente non aveva lo stesso effetto su sua moglie! Quella sconsiderata era rimasta sulla Terra, in barba a qualsiasi logica. Era dannatamente cocciuta e gli aveva fatto perdere le staffe, perché... Maledizione!
Con lei in mezzo, non avrebbe potuto dimenticarsi del resto dell’universo, cancellare qualsiasi sentimento lo facesse ascrivere come parte del genere umano, non sarebbe riuscito a cibare la belva che talvolta ruggiva nella sua oscurità. Voleva darsi all’eccitazione della battaglia, come quando era latore di infinito terrore. Anelava dimostrare di essere il numero uno, uccidendo qualsiasi pensiero che non fosse quello di strappare la vita al nemico. Lo scorgeva chiaramente: il cono d’ombra della sua anima, in cui ancora albergava una scheggia dell’odio che lo aveva tenuto in vita. Un frammento spaventoso del suo passato; i suoi contorni nitidi erano un’ancora di salvezza, che gli consentiva di rifiutare il cambiamento interiore che stava rivoltando il suo io, la strenua resistenza ad abbandonarsi ad un’umanità che avrebbe potuto ferirlo. Il non riconoscersi più lo destabilizzava, invalidava le certezze che lo avevano forgiato negli anni. Avvertiva il bisogno di combattere, era la sua vita, il suo destino, il suo sangue. Un modo per mettere a tacere la sconfitta.
Non prenderti in giro, Vejita… Se distingui così chiaramente l’oscurità, è perché la luce è altrettanto forte.
E la luce era lei, era il bambino che gli aveva messo al mondo tra grida e sangue, era il suo amore gratuito, il suo giuramento eterno.
Il principe dei Saiyan oscillava pericolosamente tra due vite, tentando di scegliere quella che sgorgava dalla tenebra suo passato, desiderando disperatamente quella che aveva appena lasciato. Combattere. Combattere e vincere. Per riscattare l’onta subita. Se Bulma fosse stata presente, non avrebbe potuto farlo, non come avrebbe voluto.
Alcune esplosioni richiamarono la sua attenzione. Sentì le energie spirituali dei guerrieri raggiungere l’apice. Espanse il ki e si preparò allo scontro.

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Capitolo 12
*** Identico a te ***


Identico a te.

Goku…
 
“Non è stato un gioco, hai visto? I cyborg, quel mostro terrificante… Cell Game! Che razza di farsa questo nomignolo, una magra consolazione per gli ingenui… io non lo sono mai stata. Non ho creduto neppure per un istante che i combattenti avrebbero rispettato le regole di un normale torneo di arti marziali”.
 
Goku… Non essere morto, ti prego…
 
“Trunks, mio figlio, è venuto dal futuro sulla macchina del tempo per metterci in guardia! La storia è cambiata e ora siamo salvi, ma il prezzo da pagare è stato eccessivo. Una vita. La tua. Incosciente di un Saiyan! Hai voluto strafare…”.
 
Goku… amico mio, mio fratello, mio tesoro…
 
Bulma, disfatta dal dolore, non riusciva ad arrestare le lacrime. Seduta a terra, la schiena appoggiata alla parete, il volto tra le mani, rifugiata nella penombra compassionevole del suo laboratorio. Goku si era sacrificato all’ultimo, teletrasportando il mostruoso Cell lontano dalla Terra e, senza esitazione, ne aveva condiviso la fine in un’esplosione che non aveva lasciato scampo a entrambi. Lei non era in grado di accettare quella privazione, si rifiutava di prendere coscienza del fatto che non lo avrebbe più rivisto.
 
Sei uno stupido, Goku…
 
“Bulma”.
La ragazza sussultò e sollevò il viso, la vista annebbiata dal pianto. Suo marito non usava quasi mai le porte, erano un’invenzione inutile per lui che poteva volare. Avanzò al centro della stanza con un’espressione turbata: era evidente che la dipartita del suo rivale di sempre aveva lasciato una traccia indelebile anche in lui. Indossava una maglietta scollata, con le maniche lunghe, di colore verde ottanio, che metteva in risalto la sua carnagione olivastra; non portava la dogi e neppure gli abiti da allenamento con cui era abituata a vederlo girare per casa.
Vegeta le si sedette accanto, addossato al muro, lo sguardo intenso e discosto.
“Kakarott…” disse piano “Se n’è andato senza paura. Come un vero Saiyan”.
Parole rare, quelle pronunciate dal principe, che denotavano un profondo rispetto, ma anche la frustrazione per non averlo potuto sfidare, un desiderio coltivato per anni come obiettivo della vita ed ora impossibile da realizzare. Non avrebbe più potuto provare a se stesso di essere il più forte tra loro due. Prendersi la giusta rivincita.
Bulma si piegò contro la sua spalla e le lacrime ricominciarono a gocciolare impietose. Vegeta insinuò la mano tra i suoi capelli, attirandola a sé, in un inatteso gesto di consolazione. Forse, nel suo cuore scosso, dimorava lo stesso bisogno inespresso.
“Davanti alla morte, lui ha sorriso” continuò.
“La morte si è presa il suo sorriso” singhiozzò la ragazza “Così, suo figlio non lo potrà mai vedere…”.
“Che intendi?”
“Chichi aspetta il suo secondo…”
Il principe trasalì: “Cos… Chi! Kakarott, dannato imbecille…” sibilò tra i denti. “Perché non avete ancora chiesto al Drago Polunga di farlo tornare?”
Bulma rabbrividì, appoggiata a lui: “Non vuole essere riportato in vita. Rifiuterebbe”.
“E perché mai!?”
“Io… io credo che sia colpa mia”.
Vegeta inarcò un sopracciglio e le sollevò il viso, puntandole contro un’occhiata inquisitoria e severa.
“Una volta” proseguì lei con voce rotta “Gli ho detto che era lui ad attirare i cattivi sulla Terra, ma… ma io stavo scherzando, non avrei mai pensato che Goku…”
Il principe sospirò: “Gli hai davvero detto una cosa del genere?”
La ragazza annuì, disperata, tra le lacrime.
“Non imparerai mai a tenere chiusa quella bocca!” sbottò Vegeta. Più un’affermazione che un rimprovero. “Ma non è tua responsabilità. È una sua scelta, alla fine”.
La accarezzò con quello sguardo terribilmente profondo, ostinatamente fiero, infinitamente malinconico, che era la sua arma più pericolosa. Oh, quanto le era mancato! Tuttavia, non si sarebbe lasciata incantare, era ancora su tutte le furie con lui!
La quiete durò solo un istante: “Non avrebbe dovuto andarsene in quel modo!” scattò Vegeta, sbattendo il pugno a terra “Ha dato la sua vita per le nostre. Per la mia! Perché lo ha fatto!?”.
“Perché è un idiota!” esclamò lei, passando dal pianto all’ira. “Siete tutti degli idioti, voi Saiyan! Quando vi ho chiesto di anticipare le mosse del dottor Gelo, mi avete proibito di intervenire preventivamente per distruggere i cyborg! Vogliamo metterci alla prova, avete detto! Dimostrare che possiamo batterli! E quali sono state le vostre azioni comprovanti?”
Il principe non rispose, gli occhi che baluginavano come stelle nere nella luce fioca. Prese il bicchiere di tè verde, ormai freddo, posato accanto a lei e, tra le sue mani, la bevanda riprese a fumare. Nessuno di loro aveva calcolato la presenza di un terzo essere mostruoso. Neppure mirai Trunks, tornato una seconda volta nel passato per dare man forte, ne sapeva nulla. Erano stati tardivamente avvisati dal dio della Terra.
“Tu hai permesso a Cell di completare la sua trasformazione in essere perfetto, consentendogli di assorbire quegli androidi, così ha portato a compimento il piano del dottor Gelo… ti sei lasciato allettare dalla sua viscida proposta, perché la tua presunzione è pari solo alla tua testardaggine! Sapeva come stuzzicare un Saiyan e ci è riuscito perfettamente! E Goku? Ha pensato bene di regalare un senzu a quel mostro, per farlo rifiatare e combattere ad armi pari contro Gohan! Ma certo, lo farebbero tutti col proprio figlio! Costringerlo alla battaglia per dimostrare che ha la stoffa del guerriero! L’unica ad essere in lizza, laggiù, era la vostra pazzia!”.
Vegeta, insolitamente remissivo davanti a quello sfogo, bevve un sorso di tè: “Il ragazzino… Gohan…” mormorò cogitabondo “E’ uno tsunami. Quando ha liberato il suo potere latente, siamo rimasti tutti paralizzati dall’impeto della sua furia incontenibile. Ha lo stesso sangue di suo padre, ma è infinitamente più forte di lui… di me... È lui il vero vincitore”.
“Nessuno ha vinto! Tutti abbiamo perso qualcosa per la vostra eccessiva arroganza! Se non fosse per il Drago Shen-Long, anche mirai Trunks sarebbe morto!”
Lui fissava il fondo del bicchiere, come se le foglie fluttuanti nel liquido potessero veramente suggerirgli un responso. Con stampata nella mente l’immagine di suo figlio che vomitava sangue.
“Gohan non è come voi!” proruppe Bulma “Lui odia combattere! Ha fatto violenza a se stesso per accontentare suo padre! Ha dovuto assistere alla sua morte! Non è riuscito a impedirla! Come pensi che possa sentirsi, ora? E tu… hai parlato con mirai Trunks? Gli hai chiesto come è stato crescere senza di te, nel suo mondo?”.
Vegeta corrugò la fronte. Era stato a lungo con il figlio diciassettenne, venuto dal futuro, nella Stanza dello Spirito e del Tempo: un luogo dove un giorno vale un anno. Aveva notato come il ragazzo lo fissava di nascosto per non infastidirlo durante l’allenamento; timidamente, uno sguardo ammirato e commosso, rivolto a un padre che non aveva mai potuto conoscere. Aveva tentato di mantenersi distante da mirai Trunks, lo aveva voluto fuori dai piedi, per ragioni simili a quelle che lo avevano spinto a lasciare Bulma. Ma l’affetto nei suoi riguardi era prevalso e non era riuscito a rimanere indifferente, soprattutto quando Cell lo aveva colpito a morte. Aveva perso la testa, davanti a tutti, attaccando il mostro senza una strategia. Si era scusato con Gohan per essergli stato d’intralcio! Lui! Il principe dei Saiyan! Aveva aiutato il figlio di Kakarott nella mossa finale, distraendo il nemico. Una splendida, potentissima Kamehameha. Degna di suo padre. Non gli era mai successo di combattere insieme con qualcuno. E il Namecciano… maledizione, quello era un tipo sveglio, lo aveva capito al volo come si era sentito dopo lo scontro e l’aveva lasciato in pace, a ruminare pensieri disfattisti, occupandosi di Trunks al posto suo.
Sei parte anche tu di tutto questo, Vejita…
“Quanto a te” proseguì la ragazza “Goku ci ha lasciati, Gohan non ti sfiderà mai… sei tu il più forte. Non era quello che volevi?”.
Il bicchiere tra le dita di Vegeta esplose in mille pezzi. “Kakarott non avrebbe dovuto fare quella fine! Avrebbe dovuto sfidare me! Quella sarebbe stata la giusta conclusione! Io… io sono stato completamente sconfitto sia da lui sia da suo figlio! Ho perso definitivamente! Io non sono un guerriero! Perciò… non combatterò mai più!”
Bulma spalancò gli occhi, incredula. Pensò di aver capito male, ma l’espressione stravolta di suo marito non lasciava adito a fraintendimenti. No. No! Quelle parole riuscivano ad essere addirittura più inaccettabili della scomparsa di Goku. Lei non avrebbe permesso anche una seconda morte: quella resa incondizionata avrebbe soffocato lentamente l’orgoglio del principe, la sua fierezza, tutto ciò che lui era, che lei amava. Una collera inverosimile cominciò a montarle dentro. Lo scavalcò e gli si sedette sulle ginocchia, aggrottando le sopracciglia ed afferrandolo per le spalle. Vegeta rimase a bocca aperta, dimenticandosi del sangue che stillava dalla mano ferita.
“E tu chi saresti!?” sputò fuori, guardandolo negli occhi “Sicuramente, non il principe dei Saiyan! Ridammi mio marito, maledetto spirito inerte!”
Chi!”
“Ma che diavolo credi di fare!? La vittima? Ti fa male alla salute sentirti primo, a quanto vedo! Getti la spugna perché il tuo rivale sceglie una strada che non hai previsto, tu non riesci più a stargli a ruota e ti rifiuti di guidare la fila!? Ti piaceva così tanto regolare le tue decisioni sulle azioni di Goku? Vivere di riflesso per superarlo? Continui alla nausea a rammentare a tutti che sei il principe di Saiyan, comportati come tale, allora!”
Lo scrollò con impeto, serrandogli le dita sugli omeri. Negli occhi di Vegeta passò un lampo, ma non si ribellò. Coraggio, Bulma.
“Non solo tu continuerai ad allenarti come hai sempre fatto, ma quando sarà tempo, insegnerai ciò che sai fare a tuo figlio! Voglio che Trunks cresca alla luce di suo padre, non con il suo fantasma! Racconterai al bambino che Chichi darà alla luce chi era Goku! Spiegherai a lui e a Trunks che cosa significa avere il vostro sangue! Io non permetterò che tu uccida te stesso! Che ti trasformi in uno sconfitto con le tue mani! Perciò domani alzerai la non-coda e andrai in quella dannata gravity room! O ti ci manderò io a calci!”
Oh, per le galassie, Bulma, non avresti mai creduto di dire una cosa del genere...
Vegeta sollevò il viso e iniziò a fissarla intensamente. Il nero feroce dei suoi occhi la avvolse.
La ragazza lo tirò verso di sé con uno sforzo, prendendolo per la maglietta e scandendo chiaramente: “Non hai capito? In piedi, Saiyan!!”.
Vegeta, seduto a terra, sollevò le ginocchia e lei gli scivolò in grembo.
Tutti i lepidotteri dell’universo si posarono sul diaframma di Bulma per quel contatto ravvicinato. Lui sogghignò, ignorando le pulsazioni furibonde del cuore, che stava esigendo il conto per l’allontanamento forzato da lei, cui si era costretto per troppo tempo. Non aveva calcolato la combattività indomita di sua moglie, la grinta che la portava a non piangersi mai addosso, anche in mezzo a un mare di lacrime. Non avrebbe certo consentito a lui di farlo. Se fosse stata una donna qualsiasi, non avrebbe obiettato davanti alla sua inusuale debolezza, alla sua strana, imbelle rinuncia; ma lei era quella che gli teneva testa, che lo comprendeva nella sua essenza più profonda, che riusciva a scorgere anche ciò che lui si premurava di occultare. L’aveva scelto, accogliendo insieme con lui le sue spaventose ombre, il suo sconfinato orgoglio, la sua tenace persistenza. Lui aveva scelto lei, perché le loro anime avevano iniziato a fare l’amore ancor prima che loro stessi ne prendessero coscienza. Mancare di rispetto a se stesso, rinunciare, sarebbe stato come rifiutare anche lei. No, mai.
Come ti è venuto in mente, Vejita…
“Esiste ancora qualcosa che non conosco di te, terrestre?” le sussurrò all’orecchio, con l’eco delle sue parole che gli aleggiava nella mente.
“Tratto solo con il principe dei Saiyan! Scoprilo da solo!”
“Hai finito?”.
“Sì!” sbottò lei senza lasciarsi impressionare.
“Allora non mi dare ordini”.
A quella risposta, Bulma si sentì rinascere.
“Tocca a me…”
Il principe le sfiorò il collo con le labbra e iniziò a baciarla con passione crescente, inalando il profumo delicato della sua pelle. Quanto la desiderava…
“Non ci provare!” sentenziò la ragazza, respingendolo. Se non l’avesse bloccato in quel frangente, non avrebbe più trovato la forza di resistergli.
Vegeta sollevò un sopracciglio, alquanto interdetto.
“Sono ancora arrabbiata con te! Non dormirai nel nostro letto stanotte!”
“Ma davvero? Pensi che una porta chiusa possa tenermi lontano da mia moglie?”
Bulma ignorò la domanda retorica e andò dritta al punto. A ciò che le bruciava maggiormente in tutta quella tragica vicenda. A ciò che faticava a perdonare.
“Quando il dottor Gelo ha abbattuto il mio aereo, tu non ti sei neanche mosso! Se non fosse intervenuto mirai Trunks, sarei morta! E tuo figlio con me!”.
Lui sospirò, adombrandosi. La verità era molto scomoda. Avrebbe preferito non rispondere, ma da lì sarebbe dovuto passare o avrebbe perso la fiducia della donna che amava.
“Dovrei essere io a chiederti ragione del fatto che hai portato Trunks in mezzo a quel pandemonio!” enfatizzò irritato “Era proprio il caso?!”.
Bulma non poteva dargli torto, perciò non replicò.
Vegeta arrossì nel terminare il discorso: “La verità è che non ho visto!”.
“Come?”
“Il cyborg non ha tirato contro di te. Ha fatto esplodere le rocce sopra di noi e lo spostamento d’aria ha investito il tuo aereo… Io stavo cercando di capire dove si era cacciato e non…”
“Questa è solo una patetica…”
“Non lo è!” esclamò il principe, con un’espressione tanto mortificata che fugò ogni possibile dubbio. “Evitami una ramanzina anche su questo! Ci ha già pensato mirai Trunks!” aggiunse “Gli ho detto che non me ne importava assolutamente nulla di voi, perché ero adirato con te e lui me ne ha cantate di tutti i colori! Chi! È proprio identico a te!”.
Bulma lo fissò ad occhi spalancati. Poi iniziò a ridere sommessamente: un semplice suono, che portò via tutte le nuvole e le liberò il cuore.
“Oh, Vegeta…”
“Sono così divertente?” brontolò lui seccato.
“No… no. Non è la prima volta che dici che Trunks è uguale a me” gli occhi blu brillarono “Io penso la stessa cosa, che assomigli tutto a te!”
“Ma…”
“Giuro che ho fatto fatica a distinguervi, quando vi siete trasformati in super Saiyan. Eravate due gocce d’acqua. Ma non è questo il punto. Non parlo del colore degli occhi o dei capelli…”
La ragazza gli sfiorò il viso: “Voi due avete lo stesso sguardo, orgoglioso e addolorato, di chi ha assistito in prima persona alla fine del mondo che gli apparteneva”.
Vegeta socchiuse le palpebre a quel tocco e non ci fu altro che lei.
“Avete lo stesso sorriso, la stessa bocca leggermente piegata all’ingiù…” le sue dita scesero sulle labbra del principe, che le baciò.
“Siete schivi e riservati…” la mano percorse le sue spalle muscolose.
“Avete lo stesso sangue bollente, la stessa forza…” la carezza scese sul suo petto e tutte le maledette farfalle esistenti presero dimora anche nello stomaco di lui.
“Lo stesso desiderio di riscatto…” le dita arrivarono al suo ombelico.
Vegeta la rovesciò a terra, in preda a violente palpitazioni cardiache.
“Ehi!” gli occhi d’onice nera non lasciavano scampo. “Mi freni e poi mi provochi! Che gioco è questo? Lo sai che non sono bravo a starmene calmo!”
Bulma sorrise maliziosamente, ma non cedette. Il principe sapeva di avere ancora qualcosa da farsi perdonare, anche se la sua caparbia decisione di partire era stata un supplizio per entrambi. Si sollevò sulle braccia, mettendosi in piedi e sospirò, pentendosi già in anticipo per ciò che avrebbe fatto di lì a poco.
“Anche questa…” borbottò tra i denti. Chiuse completamente le tende.
“Che fai?”
“Vieni” rispose lui porgendole la mano “Scaccia tutti i pensieri”.
La ragazza si lasciò sollevare e credette di essere in un sogno quando lui le posò una mano sul fianco, tenendole sollevata l’altra. Quella posizione…
“Vegeta, tu sai… ballare!?”
“Non esattamente…” farfugliò lui al colmo dell’imbarazzo. “Mi sono rifiutato di impegnare le mie doti in un’attività così ridicola, anche se il mio rango prevedeva… ehm…”
Poi, il suo sguardo divenne serio e fervente: la fissò con sicurezza e con gratitudine, con quell’amore immenso che vinceva l’orgoglio. Bulma si lasciò avvincere, riconoscente a tutte le divinità superiori, perché suo marito era tornato a casa vivo e lei stessa era riuscita a ripescarlo dall’orlo abisso in cui si stava lasciando precipitare.
“In fondo” le disse mentre iniziava a muoversi “E’ come eseguire una serie di figure di arti marziali…”
Arti marziali per ballare? Vegeta pensava come un Saiyan. Si sentì sollevata dalla constatazione. Mentre lui la teneva tra le braccia, facendole quasi girare la testa, la ragazza non percepì nessuna mossa di difesa o attacco, avvinta com’era al suo corpo snello e agile: si sentì semplicemente una donna, che riceve l’amore dell’uomo che ha scelto per l’eternità. Perse la cognizione del tempo e capì che la danza era terminata solo quando il principe la piegò all’indietro e la baciò.

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Capitolo 13
*** Grazie a te. ***


Questo capitolo conclude la seconda parte del mio lungo racconto. La terza e, probabilmente, ultima parte è in rilettura da parte mia, poichè la conclusione dovrebbe riannodare i fili della storia alla serie Super, ancora in corso. Grazie ancora a tutte le persone che non si stancano di leggere e recensire. A presto! ^^

Grazie a te

C’era un aspetto in cui Trunks non assomigliava per niente a suo padre: usava le porte, anche se sapeva volare. E, poi, era talmente abituato a trattenere il ki per non farsi individuare dai cyborg C17 e C18 del suo mondo, che, anche lontano dal pericolo, non lasciava mai libera l’energia spirituale.
Per queste due semplici ragioni, né Vegeta, che non si era preoccupato di schermare anche la porta ed era decisamente a guardia abbassata, né Bulma si accorsero che il ragazzo del futuro si era affacciato alla soglia del laboratorio e che li stava guardando.
Il giovane trattenne il respiro, con il timore di spezzare la magia a cui stava assistendo: suo padre, il fiero principe dei Saiyan, stava guidando sua madre in un lento e i loro sguardi erano talmente incatenati l’uno all’altro da annullare il resto del creato.
Mirai Trunks arretrò nell’ombra, certo di non avere mai visto, in diciassette anni, tanto amore negli occhi di due esseri umani. Comprese perché sua madre, la Bulma del suo futuro, fosse ancora strenuamente legata al defunto Vegeta e capì la sua sofferenza, il motivo per cui aveva costruito la macchina del tempo. Voleva salvarli ad ogni costo, non aveva agito soltanto allo scopo di impedire la fine della civiltà umana.
Gli fu chiaro che la sua nascita non era stata il casuale risultato di un flirt, ma che i suoi genitori si erano davvero amati e che, probabilmente, stavano continuando a farlo da due mondi separati.
Gli occhi turchesi di Trunks si riempirono di lacrime. Nella Stanza dello Spirito e del Tempo, gli era stato concesso di conoscere da vicino suo padre, ma aveva colto di lui soprattutto il lato altezzoso e scostante di guerriero. Nell’attacco sconsiderato di Vegeta a Cell, quando il mostro si era ricomposto dopo l’esplosione, aveva letto in lui la presenza segreta dell’affetto nei suoi riguardi. L’indomani, sarebbe tornato a casa con la sicurezza che da suo padre non aveva ereditato solo il sangue saiyan. Avrebbe detto a sua madre che, in quel passato, Bulma e Vegeta erano una sola anima.
 
La pelle di Vegeta aveva il profumo dell’universo. Se l’infinito cosmo avesse avuto un’essenza, certamente sarebbe stata quella che la stava avvolgendo in quel momento.
Adagiata sul suo petto nudo, nel suo calore, Bulma aveva vinto: era riuscita a tenerlo fuori dal loro letto come aveva garantito.
Ma il principe dei Saiyan non aveva certo perso. Quando aveva sbarrato la porta del laboratorio, aveva fatto presente che, primo, non era notte e che, secondo, lì non erano in camera loro, confutando con un sogghigno il suo categorizzare di poco prima. Le aveva dato a malapena il tempo di alzare gli occhi al cielo e poi si era ritrovata tra le sue braccia ed era stata ben felice di arrendersi a lui.
Impossibile stare lontani. Non potevano. Non volevano.
“Lo sai, Vegeta…” gli disse, intrecciandosi al suo corpo “Prima di conoscere te, facevo sempre la scema…”
“Perché ti sei laureata a sedici anni?” ironizzò lui.
“Ma no! Non parlo del mio genio innato!”
Il principe sorrise di sbieco: quanto gli piaceva quel lato immodesto di sua moglie…
“Ero una vera smorfiosa, sbattevo le ciglia a tutti i ragazzi che incontravo, bastava che fossero un po’ carini e li stendevo ai miei piedi con il mio incredibile charme. Anche Yamcha… ho iniziato a uscire con lui perché era belloccio…”
Chi!”
“Beh… è finita perché io sono cresciuta e lui no…”
“Potresti non nominarmelo?” grugnì lui arcigno.
“Sono perfino riuscita a fare gli occhi dolci a quell’essere, rivelatosi poi ributtante… quello con i capelli verdi e la treccia, su Namecc!”
“Zarbon!?!” esclamò Vegeta incredulo, balzando come se l’avesse morso una tarantola.
Bulma si rannicchiò su di lui, imbarazzata.
“Ma che ti diceva il cervello in quel momento!? E me lo vieni pure a raccontare!”
“Hai ragione ad arrabbiarti. Alle volte, ero di una superficialità insopportabile. Una stupida-geniale ragazzina civettuola, circondata da imbecilli. Come mi hai detto tu più di una volta”.
Vegeta si fece molto attento al discorso, rinunciando sia a innervosirsi per la gelosia a posteriori sia a crogiolarsi nella soddisfazione di aver massacrato Zarbon a priori. Sapeva che la ragazza aveva qualcosa di davvero importante da comunicare o non avrebbe fatto quella premessa così scomoda.
“Quando ti ho incontrato, non mi è neanche venuto in mente di comportarmi così. Anzi, mi sono sentita immatura e frivola davanti a te e non mi sono piaciuta. Tu sei stato il primo uomo vero che ho incontrato, che non aveva bisogno né di approvazione né di giri di parole. Detestavo l’idea che tu mi potessi giudicare una sciocca, quando io non lo ero affatto e mi divertivo semplicemente a interpretare quel ruolo”.
“Mmh” borbottò lui “Nonostante le tue trovate impudenti, non l’ho mai pensato. Se ti può consolare, non ti ho voluta per il tuo aspetto fisico”.
“Lo so. Me l’hai fatto chiaramente capire, anche se magari non era tua intenzione darmi una lezione del genere. Tu sei incredibilmente intelligente e, come me, non ti fermi alle apparenze. Tu hai fatto sì che io cambiassi, ti sono immensamente grata per questo, per la donna che sono e che tu solo hai portato in luce. Mi hai fatta innamorare di te così profondamente, senza inutili orpelli…  te lo giuro, per me è stata veramente la prima volta. L’amore vero è arrivato con te”.
“Io ti avrei…” pronunciò lentamente lui “Sei tu a dire questo a me, quando io…”
“Va bene così, Vegeta…non devi aggiungere altro. Baciami ancora.”
Lo sguardo penetrante del principe si fece intenso e profondo come lo spazio da cui era giunto. Un assassino spietato appartenente alla razza guerriera, che era stato accolto da una giovane terrestre impavida. Un uomo privo di umanità che si era riempito d’amore per lei, dell’amore di lei. Una creatura che si era specchiata nella cruda verità e aveva incominciato gradualmente a trasformare se stessa. Se lei si professa cambiata, tu cosa dovresti raccontarle, Vejita…?
Vegeta si girò sul fianco e per quel movimento si ritrovarono a posizioni invertite; la fissò negli occhi dall’alto al basso, cercando di contenere il brivido viscerale procuratogli da quella dichiarazione, che valeva più di qualsiasi logora frase da idillio. Scese su di lei con un bacio e lo avrebbe fatto altre mille volte, anche se lei non lo avesse chiesto.
“Non ho mai visto nulla di più bello di te, principe dei Saiyan. E non parlo della tua esteriorità, credimi”.
Vegeta si impedì strenuamente di cedere all’emozione e si scostò leggermente dalle sue labbra, solo per affermare: “Sei mia… eieni t’iimade. Infinitamente sempre”.
Bulma sapeva che, per lui, rivolgerle poche parole appassionate in lingua saiyan e tradurgliele perché potesse comprenderle, equivaleva alla massima espressione d’amore. Gli sorrise, perché senza di lui non sarebbe stata lei.
“Resta il fatto…” mormorò Vegeta per vincere il rossore che gli stava colorando gli zigomi “Che c’è qualche imbecille, che gira ancora qui intorno e pare non mostrarti il dovuto rispetto”.
“Propongo una soluzione” disse lei, accarezzandogli i capelli folti.
“Se si tratta di strappare le budella a qualcuno, sappi che il mio training riparte domani, come hai suggerito poco fa”.
“No!” rise lei. Poi lo guardò trasognata: “Sposami”.
Il principe sollevò un sopracciglio: “Sei già mia moglie”.
“Desidero esserlo davanti a tutti”.
Vegeta sospirò e sogghignò contemporaneamente: forse si era davvero meritato un insopportabile raduno di terrestri festanti.
Hah. Concesso, donna” rispose con simulata arroganza principesca. “In questo modo sarò legittimamente autorizzato a fare a pezzi chiunque si avvicini troppo a te”.
“Oh, sei il solito…”
“E così…” riprese lui, circondandole la vita con le braccia e sollevandola leggermente dal telo su cui erano sdraiati “Io ti avrei fatto innamorare…”

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Capitolo 14
*** Majin ***


Majin

Bulma agitò la mano, salutando ancora una volta i genitori che partivano per una breve vacanza insieme con Trunks. Avevano tutti bisogno di riposo dopo quanto accaduto. Dalla cima delle scale osservò Vegeta, che riceveva l’abbraccio caloroso di suo figlio e lo ricambiava. Sarebbe stata una scena del tutto ordinaria, se suo marito non fosse stato l’altero principe dei Saiyan. Se non avesse fatto ciò che aveva fatto solo pochi giorni prima.
La piccola comitiva vociante uscì, abbandonando la Capsule Corporation alla quiete.
Vegeta si volse a lei, ma non riuscì a sostenere a lungo il suo sguardo: c’era un’amara consapevolezza nei suoi occhi, che erano velati di un dolore muto e profondo. Ardevano sempre d’orgoglio e di nobiltà guerriera, ma la tristezza si era mutata in una sorta di afflizione, che lo stava logorando da giorni. Se non avesse deciso da solo, sarebbe stata lei a farlo aprire. Era quel silenzio tra loro che lo stava corrodendo come una malattia. Lo stesso che la stava tormentando. Nel cuore di quel garbuglio di sentimenti contrastanti, Bulma riusciva, tuttavia, a leggere la presenza dell’immutabile amore per lei: quello che li aveva salvati. Quello su cui si stava appoggiando per non cadere.
“Per quanto tempo hai intenzione di evitarmi, Vegeta?”
“Non ti sto evitando”.
La ragazza scese i gradini e gli si parò difronte: “Sì, invece. Siamo qui da più di una settimana e ti saranno uscite tre parole in tutto. Non fai altro che fissare il cielo, perso nei tuoi pensieri, o precipitare per qualche momento in un sonno agitato. Non credere che non me ne sia accorta! Per non parlare del tuo appetito dimezzato o del fatto che non mi hai sfiorata neanche con un dito. Finisce qui e ora. Con la spiegazione che mi è dovuta”.
“Io non ti devo nessuna spiegazione!” ribatté lui incrociando le braccia.
Ma lo sguardo era altrove e la sua affermazione sdegnosa era totalmente priva della consueta energia oppositiva.
Bulma raccolse tutte le forze per impedirsi di lasciarlo in pace, di rinunciare a qualcosa che avrebbe fatto terribilmente male a entrambi e lo costrinse ad affrontarla.
“Questo lo dici tu!”
Conosceva perfettamente il motivo di quel suo comportamento irriconoscibile. Il tempo si era come bloccato in quel tragico giorno da poco trascorso ed era un nemico acerrimo. Non curava alcuna ferita, ne infliggeva semplicemente altre. Creava una frattura che sarebbe stata sempre più ardua da colmare. Anche lui ne era consapevole. Non gli avrebbe più consentito di eludere la verità.
Vegeta impallidì, ma non la evitò. Sapeva di non avere scampo. Che la sua vita, da quel momento, non sarebbe mai più stata la stessa a prescindere dalla direzione che avrebbe imboccato. Non aveva mai avuto paura in vita sua. Se avesse iniziato a parlare, avrebbe dovuto ammettere di averla provata. Di averla ancora sulle spalle. Di essere terrorizzato al pensiero di perdere lei.
“Dimmi perché lo hai fatto!” domandò Bulma disperata “Perché hai ucciso tutte quelle persone!?!”.
 
Erano trascorsi alcuni anni dal Cell Game. Un periodo di tranquillità e pace, nonostante il quale Vegeta aveva continuato ad allenarsi, fedele a se stesso. Aveva assolto al suo consueto ruolo e aveva insegnato al figlio le basi delle arti marziali.
Come previsto da Bulma, il giovanissimo Gohan si era dedicato agli studi, inseguendo il sogno di diventare un ricercatore e non si era più messo alla prova nella lotta. Più di una volta, il principe dei Saiyan gli aveva fatto notare che quello si sarebbe rivelato un errore: parole terribilmente profetiche.
Invece, Goten, il secondogenito di Goku, aveva imparato a combattere dalla madre, Chichi, ed era diventato il migliore amico di Trunks. I due bambini erano degni eredi dei rispettivi padri, con quel caratterino competitivo e ostinato e quell’immensa energia spirituale, derivante dal sangue saiyan; ma con un cuore naturalmente sereno, proveniente dalla loro componente terrestre. Ogni giorno, i due razzolavano nel giardino della Capsule Corporation, simulando grandi battaglie e contribuivano l’uno ad accrescere la forza dell’altro, inseparabili come fratelli.
Bulma aveva notato come Vegeta li seguiva, celando qualche passeggero sorriso dietro all’atteggiamento severo e orgoglioso che lo contraddistingueva da sempre. Era l’unico in grado di metterli in riga e nessuno dei due osava discutere una sua parola. Una volta, dopo un giusto rimprovero, gli avevano espresso il loro massimo rispetto: si erano inchinati di trenta gradi, con la mano destra appoggiata al fianco sinistro, in una posa che solo i veri guerrieri saiyan riservavano al loro principe. Bulma aveva allargato le braccia e Vegeta le aveva regalato un sogghigno, affermando che un buon sangue non mente mai.
Tutto questo fino a quando Gohan, costretto da una compagna di liceo, non aveva deciso di iscriversi all’imminente Tenkaichi Budokai, il torneo mondiale di arti marziali.
Il principe dei Saiyan non si era lasciato sfuggire l’occasione della possibile sfida, desideroso di mettersi alla prova e di scoprire se il figlio del suo rivale era ancora tanto potente come quando aveva polverizzato il perfido Cell.
Ciò che nessuno avrebbe mai immaginato, nel bene e nel male che questo evento avrebbe causato, era avvenuto poco dopo.
La voce di Goku era risuonata dall’aldilà, attraverso i poteri del Kai-Oh del Nord: aveva comunicato che gli erano state concesse, per merito, ancora ventiquattr’ore sulla Terra e di essere intenzionato a trascorrerle al torneo.
Lo sguardo di Vegeta si era acceso a quella notizia. Bulma aveva forse sottovalutato il fatto che il marito non avesse ancora digerito la morte prematura del suo avversario di sempre. Quell’inaspettato ritorno aveva scatenato gli irrisolti del principe, spalancandogli un insperato spiraglio di riscatto, che lui chiamava vendetta. Quella scadenza così breve, un solo giorno per battere Goku, l’aveva fatto precipitare nel baratro di una cieca furia, nelle acque infestate dai fantasmi sopiti, una deriva che li aveva perduti tutti. Salvati tutti. Quell’inarrestabile effetto domino aveva risvegliato il Majin.
 
Vegeta la guardò, i pugni stretti che tremavano convulsamente, il petto che si alzava e si abbassava sotto la camicia tesa, come se avesse corso a perdifiato per giorni. Non riuscì a vincere la naturale resistenza, la barriera che era solito innalzare tra sé e gli altri. Lei non era “gli altri”. Era il suo tutto.
“Hai colpito deliberatamente! Sono morti! Morti!”
Il principe chiuse gli occhi, ma le immagini continuarono a fluire nella sua memoria.
 
Gli dei della Creazione erano scesi sulla Terra quel giorno, presentandosi al Tenkaichi sotto mentite spoglie. Kai-Oh Shin il Superiore, un essere pacifico, dal viso giovane e cordiale, con uno sguardo di puro terrore negli occhi a mandorla, aveva comunicato che neppure lui era certo di riuscire ad impedire il risveglio del Majin. Le forze del male, nella persona del mago Babidi, si erano messe all’opera e avevano raccolto ogni goccia dell’energia spirituale che avrebbe consentito a quell’essere spaventoso di tornare a calcare la terra. Di dominare l’universo intero.
I Kai-Oh avevano avvisato Goku, gli avevano chiesto aiuto e lui, da stupido altruista, aveva accettato. Come credere il contrario! Ma Vegeta non aveva voluto sentire ragioni: non gli avrebbe permesso di svicolare, il loro duello era il primo della lista al torneo e quella sarebbe stata la sua ultima occasione. Il conto alla rovescia delle ventiquattro ore accordate aveva iniziato a ticchettargli nel cervello con crescente pressione. Che gli importava del resto? Degli dei, del Majin… tutte sciocchezze! Aveva seguito nella base del nemico Kai-Oh Shin e Kakarott, per non perderlo di vista e si era ritrovato faccia a faccia con i demoni: quelli in carne e ossa e soprattutto con i suoi.
Era sempre stato riflessivo, il principe. Intuitivo. Aveva notato come alcuni combattenti di scarso valore avessero acquisito una straordinaria potenza, tramite la possessione da parte dello spirito del Majin: evidentemente, era nelle facoltà di quel perfido mago accrescerla, onde perseguire i suoi piani.
Aveva osservato Kakarott combattere contro il primo avversario scatenato da Babidi, certo che avesse superato anche il secondo livello di super Saiyan, grazie agli allenamenti nell’aldilà. Il dislivello tra loro due, infatti, non si era colmato, era rimasto immutato in quegli anni; nonostante gli sforzi, Vegeta restava l’eterno secondo. E ciò era inammissibile. Non avrebbe permesso a nessuno di stargli davanti, di sorpassarlo, di umiliarlo ancora e la rabbia aveva iniziato a lievitargli dentro, incontenibile. Quell’astio era traboccato dalla sua antica ferita, insieme con la deprimente sensazione di sconfitta e quel suo granello di malvagità latente, che riemergeva dopo tanto tempo, era stato come una calamita per chi di essa si nutriva.
Babidi aveva tentato su di lui la possessione demoniaca e Vegeta lo aveva lasciato entrare, aveva accolto lo spirito del Majin senza battere ciglio. Gli aveva addirittura dato il benvenuto. Che si prendesse pure il suo corpo, la sua anima… Solo il suo orgoglio non si sarebbe sottomesso, mai!
Si era sentito davvero male, il principe dei Saiyan aveva percepito con raccapriccio quel tocco maligno e lo aveva accettato, ma non si era lasciato manovrare neppure per un momento; non aveva obbedito al suo presunto padrone, che gli intimava di uccidere Kai-Oh Shin. Ordini? Mai, mai da nessuno li avrebbe presi! Voleva solo Kakarott, agognava con tutto se stesso il loro scontro, non esisteva altro al di fuori di esso.
Si era imposto di non concentrarsi sullo sguardo raccapricciato negli occhi del suo rivale, sulla sua espressione di rimprovero, carica di sconforto, sulla sua accorata preghiera, che lo implorava di tornare in sé. Volendo, avrebbe potuto cacciare fuori il Majin a piacimento, ma la forza che da esso gli derivava era assolutamente necessaria per il loro duello definitivo. Uno scambio alla pari per mettere fine, una volta per tutte, a quella contesa.
Il mago li aveva ricondotti sul luogo del torneo, ancora gremito di spettatori. Kakarott aveva tentato di dissuaderlo, a fronte del pericolo generale. A quella nuova obiezione, lui aveva scagliato una sfera d’energia contro gli spalti. Due volte.
 
Gli occhi di Bulma erano due laghi di sofferenza, che riuscivano a devastarlo più di qualunque nemico. Ma il dono di sé passava anche attraverso la verità che cercava, cui non intendeva sottrarsi.
“Per costringere Kakarott a combattere!!” gridò “L’ho fatto per quello!”. Raccolse tutto il suo coraggio e aggiunse: “Perché io… io ho sbagliato!”
La ragazza esitò difronte a quella inconsueta ammissione di colpa e il suo tono si fece più pacato: “Ho fatto fatica a riconoscerti, Vegeta… Mi sono detta che non potevi essere tu, ma poi…”
Ripensò al suo sguardo agghiacciante, a quando era ricomparso all’improvviso sul ring con l’aspetto di un demone maligno, con quella “M” scura incisa sulla fronte, gli occhi verdi di super Saiyan orlati di nero, le vene pulsanti, l’ira che trasudava da ogni sua cellula, l’aura dorata che emanava lampi spaventosi.
“Quello che chiami sbaglio è costato molte vite innocenti. E’ stato il tuo egoismo. Il tuo pensare solo a te stesso, il tuo dolore non condiviso ti ha reso cieco e ci ha condannati tutti. Hai scelto tu per gli altri”.
“Le Sfere del Drago avrebbero…”
Nonostante le Sfere del Drago.” puntualizzò lei. “Rimediano il danno, ma non cancellano l’atto. Ti sei sentito realizzato, Vegeta?”.
Vegeta la fissò: dolore non condiviso. Neppure con lei. Una piaga lasciata incoscientemente imputridire nel profondo. Il suo funesto passato gli era rovinato addosso come un’onda travolgente. Il combattimento che non aveva mai affrontato, che avrebbe dovuto essere al primo posto, era quello contro se stesso. Era lui il suo peggior nemico, non Kakarott. Se si fosse sfidato, non sarebbe stato preda dell’astio inveterato, che lo aveva trascinato laggiù, sul fondo buio del suo animo. Lei lo aveva avvisato. Accettare l’amore altrui non equivaleva a rinunciare alla propria fierezza. Non l’aveva ascoltata. E ora gli aveva posto la stessa domanda sferzante di Goku: perché?
 
“Se io non l’avessi fatto” aveva ringhiato furibondo il principe, con lo sguardo sull’avversario “Tu non mi avresti preso sul serio! Tu hai osato oltrepassarmi! Un guerriero di classe inferiore che supera l’élite del sangue Saiyan! Inoltre, mi hai salvato la vita! Io non ti perdonerò mai!!”
Orgoglio, maledetto amato orgoglio, sei diventato sofferenza ridotta ad ambizione ed egoismo. Non sarebbe dovuto accadere, Vejita...
Erano lontani, in mezzo a una landa rocciosa e desolata, per non danneggiare nessuno. Condizione necessaria o Kakarott non avrebbe combattuto. Aveva chiesto a Gohan di occuparsi del resto e il ragazzo non aveva esitato, pur sapendo di non essere al top della forma.
Goku aveva fissato Vegeta con un misto di rimprovero, di comprensione, di angoscia e di rassegnazione, accettando la sua sfida a scapito del bene altrui. Il suo sguardo gli aveva fatto male. Quel tormento aveva alimentato la collera. La Terra era in serio pericolo, stavano mettendo a repentaglio le vite di tutti. Sapeva che il loro scontro non sarebbe stato breve, aveva capito che il principe si era deliberatamente offerto alla possessione del Majin e che le loro emissioni energetiche, andate a segno, avrebbero contribuito a risvegliare il mostro. A resuscitare Majin-Bu.
“Hai abbandonato l’orgoglio solo per essere più forte? Mi hai deluso, Vegeta!”.
“Fai silenzio!! Non avrei mai voluto usare un tale mezzuccio! Per colpa vostra ho smesso di riconoscermi! Sembro un patetico terrestre! Avevo bisogno di tornare ad essere il vero me stesso, lo spietato principe guerriero! Ora, finalmente, sono di nuovo io e mi sento benissimo!”
Aveva gettato in campo termini pieni di rabbia, come se ci fosse stato davvero qualcosa da rimpiangere del suo tenebroso passato.
Kakarott gli aveva riso in faccia, amaramente. Neppure un ingenuo come lui aveva creduto alle sue parole: “Non è vero!” gli aveva risposto perentorio.
Vegeta aveva espanso il ki, per non ascoltarlo. Macchiato, oscuro, disperato.
 
“No!” esclamò il principe “No! Ho desiderato con tutte le forze ridiventare il Saiyan crudele e gelido che ero stato! Io ero cambiato, non riconoscevo più nulla di me! Mi sono visto calmo e sereno come non mai, mi sono innamorato di te, ho perfino creato una famiglia e di questo ero addirittura contento… Mi sono perso! Una parte di me non è riuscita ad accettarlo! Ho barattato anima e corpo col Majin per riuscire a dimenticare la mia umanità, perché da solo non mi sarei mai concesso di farlo! Ma questo non è avvenuto! Mi sono solo sentito sporco! È il me stesso malvagio che non ho più riconosciuto, a quel punto! Quello con le mani sporche di sangue! Non sono riuscito a cancellare un bel niente, ciò che ho visto di me è stato ripugnante! Imperdonabile! Ma allora era tardi. Troppo tardi…”.
Bulma lo vide prostrato dalla vivida consapevolezza del male compiuto. Per un uomo orgoglioso come lui, vergognarsi di se stesso era una sensazione devastante. Mai provata. Esporsi agli altri con la certezza che nessuno l’avrebbe mai perdonato, era troppo arduo anche per il principe della stirpe guerriera. Ammettere di avere avuto paura di abbandonarsi alla felicità era ancora più penoso. Ed era il punto.
“Vegeta... Tu hai scelto di sacrificarti per questo?” gli domandò tra le lacrime.
Lui la guardò piangere. Per causa sua. Si sentì morire di nuovo.
 
Grazie al Majin, schiumante di rabbia dentro di lui, erano pari: sia lui sia Kakarott avevano continuato a colpirsi senza cedere; a tratti, si erano anche ridotti a darsele come mocciosi, per rigenerare le forze in rapido esaurimento. Il loro ki dorato si era levato, alto nel cielo azzurro, destinato a incrementare la vita dell’essere che presto li avrebbe sterminati tutti. Poi era comparsa un’energia spirituale nuova e Kakarott era impallidito.
“Aspetta!” gli aveva gridato, bloccando il pugno. “Majin-Bu… è uscito! Questo deve essere lui! Non lo senti, Vegeta?!”
Il principe si era messo a ridere, sprezzante: “Sì. Speravo che fosse più potente. Hai visto, Kakarott? Ti preoccupi tanto, ma nessuno può essere un gradino sopra di noi, ormai!”
“Cosa dici?! La sua aura è diversa dalla nostra, ti sbagli!”
“Tutte scuse! Non cercare una scappatoia! Il tuo avversario sono io!”
Invece, il suo rivale aveva ragione. Nonostante il duello all’ultimo sangue, Goku non era in preda alla furia e la sua sensibilità non si era lasciata offuscare dall’esaltazione della lotta. Adorava provarsi, come tutti i Saiyan, ma non riponeva mai la sua generosità. Vegeta aveva avuto ben chiaro, a quel punto, che nessun Majin lo avrebbe reso superiore all’uomo orgoglioso e retto che aveva difronte. Che la vera forza era un’altra, quella a cui lui aveva tentato sconsideratamente di rinunciare.
L’aura di Majin-Bu era mutata in un istante e Kakarott lo aveva guardato con vera preoccupazione, con un’urgenza che lo aveva messo all’angolo.
“Siamo stati noi a risvegliare quel mostro” gli aveva detto con infinita desolazione. “Non è il momento di pensare al nostro ego”.
“Non mi interessa!!” gli aveva urlato contro Vegeta “Majin-Bu può fare quello che vuole!!”
Kakarott si era raddrizzato, con un’espressione severa, che non aveva dato adito a dubbi sulle sue intenzioni: “Ucciderà tutti, lo sai. Anche Bulma e tuo figlio…”.
“Stai zitto!! Zitto!!”
Vegeta aveva dato fiato a tutta l’angoscia, a tutta la tristezza, a tutta la spaventosa consapevolezza derivante dalla sua infausta scelta. Aveva sbagliato strada e non ne esistevano altre, a quel limite estremo. Se non una.
“Ho venduto il mio spirito al Majin proprio per cancellare i miei sentimenti umani! Non mi importa più di niente e di nessuno!!”
“Non ti credo! È impossibile che tu abbia abbandonato tutto te stesso a Babidi”.
Il principe lo aveva fissato, lo sguardo attraversato da impetuosi torrenti di emozioni, che sperava fossero incomprensibili al suo rivale. Parole sacrosante. Non era vero, infatti. Il suo intero essere stava urlando per quel supplizio, una chiazza autoimposta su un’anima che si era già redenta da tempo. Perché aveva ancora paura di amare, di perdere il suo lato orgoglioso, non era stato altro che quello a portarlo lì. Gli occhi verdi di Kakarott gli ustionavano la coscienza con la forza del sole di agosto.
Ah, Vejita, mentire a te stesso… come sei sceso in basso…
“E va bene” aveva sospirato “Sospendiamo l’incontro, per ora. La presenza di quel Majin-Bu ti ha distratto. Non voglio un avversario demotivato”.
Kakarott aveva tirato un sospiro di sollievo, ringraziandolo: “Se combattiamo insieme, potremo sconfiggere…”
“Passami un senzu. Ci siamo consumati troppo” aveva tagliato corto lui.
Goku si era girato per sfilare il sacchetto di fagioli dalla cintura, abbassando la guardia e Vegeta era scattato come una folgore, colpendolo con tutta la forza rimasta. Il giovane era crollato a terra, privo di sensi.
“Non si mostra mai il fianco al nemico, bakaya…” aveva sogghignato il principe, inghiottendo il senzu. “Sono io che ho risvegliato quel mostro e tocca a me sistemarlo, non a te… Noi due continueremo dopo”. Se sopravviverò.
In quel mentre, il ki di Gohan era scomparso. No, maledizione! Colpa sua. Le avrebbe scontate tutte. Ma non in quel momento. L’energia spirituale del nemico era divenuta spaventosa.
 

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Capitolo 15
*** Il mio migliore combattimento ***


Il mio migliore combattimento

Vegeta si accasciò a terra, le difese annientate dalle lacrime della sua donna.
“No…” le rispose con infinita pena “Perché era l’unico modo per salvarvi. Per rimediare al mio errore. Per compiere almeno un atto probo nella mia esistenza. Perché…”
Iniziò a tremare violentemente e Bulma allungò la mano verso di lui, come se fosse un miraggio destinato a dissolversi.
“Io l’ho sentita…” mormorò. “La tua vita passarmi attraverso, in infinitesimali granelli di energia. Non è stato solo un presentimento, quando l’aria si è messa a vibrare in quel modo terribile. Non ho avuto bisogno di percepire il tuo ki che si spegneva, come riuscite a fare voi guerrieri. Il mio cuore si è frantumato e sei stato tu a ridurlo in mille pezzi. Non ho avuto alcun dubbio, te n’eri andato per sempre, senza dirmi addio. Senza spiegarmi nulla di quanto ti era accaduto, per spingerti a compiere quel massacro scellerato. Vegeta… avrei dato qualsiasi cosa per raggiungerti. Per toccarti ancora una volta. Quando Goku mi ha riferito che eri morto, io lo sapevo già… Non ho fatto altro che piangere e urlare e piangere ancora, come impazzita, perché sarei dovuta restare qui, senza di te. In compagnia del tuo silenzio. Accettarlo? Impossibile. Non ho potuto certo abbandonare nostro figlio, ma mi sono spenta anch’io nell’esatto momento in cui tu hai scelto di sacrificarti. Majin-Bu mi ha uccisa, dopo. Ma io ero già morta dentro. Io ho visto l’inferno… Vegeta, ti prego, non lasciarmi fuori da te…”
Si inginocchiò accanto a lui, senza più respiro, con le guance bagnate di pianto.
Il principe sollevò il viso, sconvolto, smarrito, le prese la mano e se la appoggiò sulle labbra, per darsi forza, per donarle nuovamente se stesso. Sapeva di avere impresso a fuoco una sofferenza nell’anima della donna che amava e quella certezza era un fardello intrasportabile. Ma non si sarebbe fatto sconti.
“Mai. Tu non sarai mai fuori da me…”.
Riprese a parlare, la voce rotta dall’emozione: “Quando quel mostro vi ha raggiunti al santuario del dio della Terra e vi ha divorati, ho chiesto di te a Enma, il sovrano dell’aldilà. Mi ha detto che eri in paradiso e che, quindi, non avrei mai più potuto vederti. A qualsiasi meritato supplizio mi avessero condannato, lo giuro sul mio sangue, quello non sarebbe stato peggiore rispetto alla tua assenza. Un’anima come la tua, così pulita, piena di luce, non è stata sicuramente destinata a percorrere il mio stesso sentiero, quello dei perduti. Impossibile. O ti avrei trovata, a costo di affrontare tutti gli Oni dell’universo!”
“Vegeta…” sospirò lei appoggiando la fronte alla sua, stringendo la mano incerta che la sfiorava “Il mio inferno è ovunque, se tu non ci sei”.
Una ruga profonda si disegnò tra le sopracciglia incurvate di Vegeta. La sua voce tremò in un sussurro.
“Bulma, orenaai…”
Amore mio.
Il principe dei Saiyan si lasciò andare tra le sue braccia, affondando il viso nel suo seno, la speranza accesa in lui da quelle parole, come la tremula fiamma di una candela. Si affidò a quel tenue chiarore e forzò se stesso a raccontare i suoi ultimi minuti, pregando di non darle un nuovo spasimo, affidando a lei la sua vita, riconsegnata inspiegabilmente al mondo.
“Ho sfidato Majin-Bu. La sua presenza è scaturita dalla mia imprudenza, dalla mia presunzione. Una responsabilità solo mia. Ce l’ho messa tutta, ma quel bastardo sembrava immortale, continuava a rigenerarsi ogni volta che lo colpivo. Ho compreso di non avere la minima speranza, quando è riuscito a mettermi al tappeto. Mi ha salvato nostro figlio…”
Sentì il cuore di Bulma accelerare i battiti. Trunks e Goten avevano lottato come veri guerrieri saiyan dopo la sua morte. Dopo che anche Kakatott era stato costretto a tornare all’altro mondo e nessuno avrebbe più potuto frapporsi tra il male personificato e la fine del creato.
“Il Namecciano non è riuscito a tenerlo indietro, mi ha fatto guadagnare qualche istante, allontanando Majin-Bu. Lui e Goten avrebbero voluto unirsi a me, ma io non l’ho permesso. Li ho messi fuori combattimento e ho chiesto a Piccolo di portarli via da lì…”
I ricordi gli si incollarono addosso.
Bulma gli accarezzò delicatamente schiena, stringendolo a sé: “Trunks mi ha detto che lo hai abbracciato. Che gli hai detto di proteggermi…”
Col viso sul suo cuore, Vegeta si abbandonò ad un sorriso malinconico: “Nostro figlio non ha ancora sette anni, è un super Saiyan e mi ha chiesto di combattere. Dallo sguardo che mi ha lanciato, non stava affatto scherzando. Sapevo che ti sarebbe stato devoto. Che avrebbe fatto per te quello che io non…” si interruppe.
La ragazza nascose il volto tra i suoi capelli.
“Trunks… ha pianto così tanto. Quando ha saputo che non c’eri più, non siamo riusciti a calmarlo. Ha iniziato a provare la danza della fusione metamor mentre ancora gli scendevano le lacrime. Allo stesso modo anche Goten, l’ha fatto per suo fratello…”
Vegeta scivolò ancora di più, dentro al suo profumo, contro il suo petto: “Lo so, l’ho visto. Non mi è stato risparmiato nulla, nell’aldilà. Non era compito dei ragazzini combattere. Io… io non sono riuscito a uccidere il Majin com’era mia volontà. Chi! Piccolo ha capito subito le mie intenzioni, ma non ha tentato di dissuadermi o di indorarmi la pillola, quando gli ho chiesto cosa mi sarebbe successo dopo. Una parte di lui, tempo fa, è stata il dio della Terra, una seconda ha rappresentato l’oscurità, l’ultima possiede la mente di un guerriero: forse per quello non si è opposto. Mi ha compreso più degli altri. Mi ha chiarito che non vi avrei più rivisti, una volta morto, che avrei perso addirittura i ricordi. Mi ha guardato in un modo… sapeva che, per la prima volta nella mia esistenza, avrei combattuto per gli altri e non per me stesso, a costo della vita”.
Vegeta socchiuse gli occhi e continuò, sottovoce, lo fece perché per lei avrebbe lottato contro qualsiasi forma di superbia, contro qualsiasi contrarietà.
“Il mio colpo più potente, il Final Flash… l’ho portato al massimo, io stesso sono diventato ki, energia pura…Luce. Per l’ultimo secondo della mia esistenza, ho voluto diventare luce”.
Le lacrime della ragazza gli caddero addosso e lo percorsero fino al midollo, la sentì tremare contro di lui. Si aggrappò a lei come ad un fiato di vento in una giornata di bonaccia.
“Non piangere a causa mia, ti prego… non ho sofferto, non per la mia vita che bruciava in un istante. Non per me. Bulma… il mio ultimo pensiero è stato per te… e per Trunks… e perfino per Kakarott”.
Lei gli prese il viso tra le mani, per guardarlo negli occhi, e le sue labbra disegnarono il suo nome, in un sorriso traslucido. La risposta dell’uomo che amava al male assoluto, allora, era stata quella. A lei, che mai avrebbe dubitato.
Il principe ricambiò lo sguardo, sollevandosi, affrontando il se stesso riflesso in quel blu. Continuò a parlare, come se il discorso più lungo mai uscito dalla sua bocca potesse realmente riportarlo al cuore della donna che amava.
“Non ti so dire il motivo, ma re Enma ha deciso di conservare il mio spirito e mi ha rimandato qui per aiutare Kakarott contro Majin-Bu, dopo che tutto era ormai perduto. Lui ha ricevuto giustamente in dono una nuova vita dal Sommo Kai-Oh Shin, ma io… Non riesco a comprendere perché. Quando ho chiesto al dio Drago Polunga di resuscitare tutte le persone morte dal giorno del Tenkaichi, esclusi i malvagi, la mia aureola è sparita. Non lo capisco, so solo che sono tornato in vita e che il mio desiderio ha riportato qui anche te e Trunks… Che ho combattuto con Kakarott, non da solo, e che lui ha vinto, disintegrando Majin-Bu”.
Bulma scosse la testa, socchiudendo le palpebre, gli occhi sfavillanti come onde estive: “Io lo so il perché, Vegeta”.
Lui la fissò, l’espressione scolpita dallo stupore, dall’incertezza, dalla speranza.
“Non esiste un amore più grande di quello di chi dà la vita per coloro che ama… più grande ancora, se la dona anche per coloro che non ama. Nel momento in cui saresti dovuto essere la creatura peggiore dell’universo, posseduto addirittura dallo spirito di un Majin, invece, hai manifestato tutto l’amore che possiedi. In faccia all’oscurità stessa. L’hai fatto senza paura, ne sono certa. L’egoismo è scomparso difronte alla considerazione per gli altri, l’arroganza ha ceduto il passo al cuore. Eri il vero te stesso. Io, che sono una semplice mortale, ho sentito il tuo fulgore penetrarmi, quello che anche ora vedo splendere nel tuo profondo… Nessuna divinità, nell’universo, avrebbe mai potuto considerarti malvagio. Il respiro che ti esce dalle labbra ne è la prova”.
Il principe spalancò gli occhi e la fissò. Il suo sguardo era infinitamente triste, luccicante, come se nulla di ciò fosse importante, come se qualcosa di doloroso lo stesse ancora scavando atrocemente. Fece leva sull’orgoglio, sul coraggio e diede voce alla domanda che, per giorni, gli si era spenta sulla bocca; quella che avrebbe restituito un senso alla sua vita o l’avrebbe distrutta.
“Io lo devo sapere adesso…” proferì, le dita intrecciate alle sue “Non posso più aspettare! Non posso! Devi dirmi se tu sei ancora la mia Bulma! O se ti ho persa per sempre!”.
Alla ragazza tutto divenne chiaro. Il suo comportamento sfuggente, la sua malinconia, il suo essere così lontano nei pensieri. Il timore di averla persa, di aver distrutto il loro legame, di non essere più suo superava ogni altra preoccupazione, perché le aveva spezzato il cuore e si riteneva imperdonabile. Vivo, ma non vivo senza la certezza di lei. Come lei di lui.
“Vegeta…” mormorò “Io non smetterò mai di amarti. Ho iniziato quando trasudavi rancore e odio, ho continuato a farlo quando il tuo animo si è placato e non ho mai cessato. Quando ho giurato sull’infinità del tempo, sapevo che non sarebbe stato semplice con te, ma non ho mai pensato di arrendermi. Hai commesso un errore, ma i miei sentimenti non sono scemati. Io ti ho perdonato. L’amore è anche questo. L’avrei fatto anche se tu non avessi salvato l’universo. Gli dei stessi ti hanno assolto e ti hanno concesso un’altra possibilità”. Gli accarezzò il viso: “Ma tu… ti sei perdonato?”.
Uno strale nel petto. Il principe dei Saiyan si contrasse. Dai suoi occhi nerissimi sgorgò una lacrima, che gli scese lentamente lungo la guancia. Una sola. Ma fu quella che annientò per sempre l’oscurità. La candeggiò. Non ne restò neppure un atomo.
Vegeta la afferrò con foga e la strinse al petto, la baciò sui capelli, sulla fronte, sulle labbra come se fosse la prima volta e, quando il suo cuore smise di inviargli fitte spasmodiche: “Sì…” le disse in un soffio. “Sì… ora…”.
Prese le mani di Bulma tra le sue e non le diede modo di replicare, perché non sarebbe stato un uomo, un guerriero, se l’avesse lasciata parlare prima di…
Dille che la ami più della tua vita, Vejita…
“Io ti amo” gettò fuori. “Ti amo…”.
Tre parole. Poi due, che la travolsero. Le mancò il respiro.
Lui continuò: “Sei tu che mi hai salvato. Con il tuo primo sguardo su di me. Il giorno in cui hai pronunciato il mio nome. Con il tuo miracolo, quello che, inspiegabilmente, ti ha consentito di amare uno come me”.
Bulma sorrise, tra i battiti furibondi del suo cuore.
“Non è stato nessun prodigio, principe dei Saiyan. Uno come te… uno come te non sa mentire. È orgoglioso… e caparbio e fiero… non rinuncia mai. È un pulsar di passioni, combatte e muore per amore, vive nonostante le ferite dell’anima, è fisico, severo e saggio, sa leggermi dentro, mantiene sempre le promesse. Principe dei Saiyan… io, uno come te, lo amerò oltre l’eternità”.
La prese. Non la lasciò per un’infinità. Desiderava solo quell’abbraccio, solo lei e in lei sentiva le loro vite che ricominciavano per davvero.
Il tempo ripartì.
“Tu sei…” disse lui, mentre gli occhi d’onice nera s’incendiavano di mille bagliori “Tu sei il mio migliore combattimento”.
Non gli vennero altre parole, perché in fondo, era sempre un Saiyan.
“E pensi di avere vinto?”
Vegeta rise: “Sì” disse. Rise di nuovo. Un suono sincero, liberatorio, che gli giungeva dal cuore, che forse nessuno aveva mai udito. “Sì, per tutte le galassie! Sono vivo. Anche tu lo sei. Non ti ho perduta. Hai detto che mi amerai per sempre. Certo che ho vinto!”
“Allora io avrei perso?” domandò la ragazza, fingendosi scandalizzata.
Il principe rise di nuovo e poi il suo sguardo cambiò. Lei conosceva bene quell’espressione, erano giorni che sperava di coglierla sui suoi bellissimi lineamenti.
“Non saprei…” rispose misterioso. “So solo che, se non fai immediatamente l’amore con me, impazzisco sul serio”.
“Vegeta!” esclamò la ragazza avvampando.
Lui non era mai così diretto. La spiazzò. Le sciolse il fazzoletto che portava al collo e la sfiorò con un bacio.
“Non vorrai… qui sul pavimento…”
“Non sarebbe la prima volta”.
Ma l’intenzione non era quella. Vegeta uscì deciso dall’edificio con la sua donna tra le braccia e si diresse verso la Capsule 3, lo stesso modello che aveva usato come gravity room prima dell’esplosione e che era stata ricostruita identica dal dottor Brief. In origine, era stata un’astronave e come tale era equipaggiata. Si avvicinò al quadro dei comandi e accese tutti i sistemi con mano sicura, impostando una rotta in pochi secondi e inserendo il pilota automatico.
Bulma lo osservò ammirata, ricordandosi che per anni lui aveva solcato lo spazio, nella solitudine delle piccole navicelle saiyan o in quelle estorte su qualche sfortunato pianeta. Una parte del suo fascino era anche quella di essere un alieno, un uomo diverso da tutti gli altri. Un Saiyan. Il suo.
Il principe si diresse al fondo dell’ambiente tondeggiante e la adagiò sul letto. La cerniera del vestito di Bulma si abbassò sotto le sue mani. Il veicolo iniziò a vibrare e decollò in verticale, dandole la sensazione di trovarsi sulle montagne russe. Lui non si scompose e continuò a guardarla con dolcezza e desiderio.
“Dove mi porti?”
“Tra le stelle. Avrei dovuto farlo molto prima”.
“Staremo via molto?”.
“Ti importa?”
“No…”
Le dita di Bulma sganciarono i bottoni della sua camicia, che si aprì, scivolandogli giù dalle spalle. Un cono di luce, proveniente da un oblò, piovve sul suo petto nudo.
“Oh… le tue cicatrici…”
Vegeta guardò verso il basso. La sua pelle era intatta, i segni delle antiche battaglie, delle violenze erano spariti. Non ci aveva fatto caso. Doveva essere successo quando re Enma gli aveva restituito il corpo o quando il Drago Polunga lo aveva fatto rivivere. Il passato era passato. Non dimenticato, ma elaborato e archiviato al posto giusto.
Il presente era lei. L’amore per cui era morto, lo stesso per cui aveva meritato di tornare. Lo stesso che avrebbe ricambiato per sempre. Si liberò dell’indumento.
“Le stelle non mi rendono più romantico” le disse sogghignando.
Le posò le mani sui fianchi, attirandola a sé. I suoi occhi erano sempre penetranti, profondi, feroci e lievemente malinconici, ma erano anche ardenti e sereni.
“Mio rude Saiyan…” rise lei.
 

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Capitolo 16
*** Fusion ***


Fusion
 
“Il ki, Trunks! Devi percepire il ki prima ancora del suo movimento! Goten! Sei scoperto in difesa, abbassa il braccio sinistro!”.
Dalla finestra del laboratorio, Bulma osservava deliziata suo marito, che impartiva lezioni di arti marziali ai due piccoli Saiyan nel giardino della Capsule Corporation.
Erano rientrati da pochi giorni dal loro viaggio attraverso lo spazio, voluto da Vegeta dopo il loro sofferto e imprescindibile confronto. Giorni meravigliosi e intensi, che li avevano legati in modo ancora più indissolubile. Lui conosceva la strada per le stelle tra cui l’aveva condotta e per il suo cuore, senza scorciatoie. Aveva detto che non sarebbe stato un viaggio romantico, ma non c’era stato un solo momento in cui si fosse allontanato da lei, in anima e corpo. Con amore. Bulma aveva pensato che sarebbero tornati certamente in tre e l’intenzione del principe le era sembrata quella, ma non era accaduto. Per il momento.
Dopo il difficile combattimento contro Majin-Bu, lui appariva davvero cambiato: era più sereno, più calmo, più presente. Certamente non aveva abbandonato l’orgoglio e neppure gli allenamenti giornalieri. Lo amava così, non lo avrebbe voluto diverso.
“Più facile a dirsi che a farsi, papà!” borbottò Trunks parando una mossa dell’avversario.
“Io non ci ho capito niente, Vegeta” mugugnò Goten, tirandosi indietro.
“Piantatela di lagnarvi! Ricominciate da capo! Forza!”
Le due pesti si guardarono con complicità e scesero a terra con l’aria più innocente del mondo. Poi assunsero la posizione della danza metamor ed effettuarono la fusione, trasformandosi in super Saiyan e raggiungendo rapidamente il livello tre.
Bulma sorrise. Saiyan. Andava sempre a finire allo stesso modo.
“Gotenks!” rimbrottò Vegeta “Dovete imparare a cavarvela da soli, così è troppo facile!”
“Difenditi!” strillò all’unisono l’essere dalla lussureggiante chioma bionda, nato dalla combinazione dei bambini, volando in picchiata.
Chi!” sbuffò Vegeta, parando l’attacco con un braccio solo. Bella botta, comunque. Sogghignò. “Volete un’altra lezione, quindi?”.
Ignorando il trambusto proveniente dall’esterno, Bulma ricominciò ad armeggiare con lo scouter che aveva tra le mani. Era saltato fuori dopo tanti anni, mentre cercava la capsula contenente la vecchia macchina del tempo, usata da Cell. Avrebbe voluto ripararlo, per scoprire se conteneva traccia della lingua saiyan; le sarebbe piaciuto farla imparare a Trunks. Vegeta dava sempre la precedenza al training fisico con suo figlio, anche se, dati il suo rango di principe e le sue doti intellettuali, sarebbe stato davvero il migliore insegnante sulla piazza. Il solito testardo.
La scienziata collegò al computer l’apparecchio e provò a farlo ripartire.
Vegeta immobilizzò Gotenks a terra, piantandogli un ginocchio nella schiena.
“Basta! Basta, mi arrendo!” ululò la creatura divincolandosi.
“Non ho capito bene!” ringhiò il principe “I Saiyan non si arrendono mai! È una parola che non sopporto!”. Serrò la presa.
La fusione si sciolse e i due piccoli guerrieri, sgusciarono da sotto, filandosela a gambe levate a velocità warp.
Chi!” borbottò il principe, scrollando la testa divertito.
Da quando Gohan si era sposato, i mocciosi erano sempre dietro a lui, anche più di quando Kakarott era morto. Quell’idiota, dal canto suo, si faceva comandare a bacchetta dalla moglie e perdeva tempo a lavorare nei campi, fuggendo sul pianeta di Kai-Oh del Nord per allenarsi, appena lei si distraeva.
Dallo scouter partì una registrazione incomprensibile e disturbata. Sembrava una voce femminile. Bulma cercò di ripristinare al meglio l’audio originale, ma, anche ripulendolo, non riuscì comunque a comprendere la lingua. Solo una parola le si piantò in testa con la forza di una martellata. Un nome proprio: Radish.
Per tutti gli universi!
“Vegeta!” gridò sporgendosi dalla finestra “Vieni qui subito, per favore!”
Il principe si girò, aggrottando la fronte in risposta a quello che aveva tutta l’aria di essere un ordine. Ma dati il “per favore” e il tono piuttosto concitato di sua moglie, si levò in volo, atterrando agilmente oltre la vetrata.
“Cosa stai combinando con quel rottame?” le disse seccato “Non vorrai attirare qualche altro psicopatico fan di Freezer ancora in ascolto?”
“Mmh” brontolò la ragazza offesa “Non sono mica stupida! Ho chiuso tutti i contatti in entrata e in uscita! Sto lavorando sulla memoria interna. Ho trovato un messaggio salvato, ma non riesco a capire nulla. Sono certa, però, di aver sentito la parola Radish…”
A Vegeta prese un colpo. Radish, prima di fare la fine che meritava, era stato uno dei suoi sottoposti, quando estorceva pianeti fiorenti a popolazioni inermi. Inoltre, era il fratello di Kakarott. Quello avrebbe potuto benissimo essere il suo scouter…”
“Sei sicura come quando hai detto di avere visto un grasso gatto sphinx orbitare nel vuoto dalle parti del pianeta Gaspa?” le rispose sarcastico.
“Piantala di prendermi in giro! Ti dico che l’ho visto!”
Con un gesto stizzito, Bulma fece ripartire l’audio dall’inizio. Dopo un secondo, Vegeta cambiò espressione: spalancò gli occhi, nell’evidenza di aver compreso perfettamente quella che doveva essere lingua saiyan. Incrociò le braccia sul petto, chiuso nelle sue indecifrabili elucubrazioni.
“Vegeta, così mi preoccupi…”
“Kakarott…” affermò il principe sollevando il viso “E’ meglio se lo fai venire qui”.
“Va bene… ma di che si tratta?” indagò lei apprensiva.
“La voce che senti” rispose lui con uno sguardo inquieto “E’ quella di sua madre”.
 
Goten era partito come una saetta, seguito a un’incollatura dall’inseparabile Trunks, a caccia del ki di suo padre. Chichi aveva sbraitato al telefono di non avere idea di dove fosse Goku e aveva minacciato ritorsioni di vario genere, promettendo di avvisare il marito, qualora si fosse fatto vivo e, soprattutto, se lei lo avesse lasciato vivo.
Vegeta si era abbarbicato sulla ringhiera della terrazza grande di casa, come faceva di solito, quando aveva bisogno di concentrarsi e di solitudine interiore. Era sempre lo stesso: riflessivo e riservato.
Bulma lo raggiunse e gli passò una tazza di caffè. Lui la prese e le sorrise, poiché da tempo l’aveva ammessa ai suoi silenzi, perché era parte della sua anima.
“È stata la fusione, vero?” gli domandò la ragazza a bruciapelo.
“Che cosa?” sputò fuori il principe, sorpreso.
“Tu e Goku… non lo detesti più così tanto o sbaglio?”
Chi!”.
Donna di chiaro intelletto. Inutile negare. Bevve un sorso di caffè.
“Me l’ha spiegato Trunks” riprese lei “Con la fusione metamor si uniscono i poteri e si diventa un solo essere, pur restando distinte le personalità all’interno. Ma in quella forma si percepiscono perfettamente i pensieri e i sentimenti dell’altra metà. Ritengo che si verifichi la stessa situazione anche con la fusione derivante dagli orecchini potara, quella che avete usato voi. Hai potuto conoscere il vero Goku, se è così”.
“Non sbagli” asserì Vegeta con un sogghigno “Ti confermo che Kakarott è veramente un idiota, l’ho avvertito con molta chiarezza durante la fusione. Mi rifiuto di ripetere un’esperienza del genere, non vorrei fosse contagioso”.
Bulma alzò gli occhi al cielo, sospirando.
“Comunque hai ragione” riprese lui fissandola apertamente “Ma dà sui nervi ogni volta che lo vedo, ma non per questo desidero ammazzarlo”.
“L’ho pensato quando avete sconfitto insieme Majin-Bu. Non è stato da te affiancare proprio Goku in combattimento, a meno che…”.
“Noi Saiyan siamo individualisti. Anche Kakarott preferisce cavarsela da solo, salvo cause di forza maggiore, come quella. Diciamo che è stato persuasivo”.
Bulma gli appoggiò la testa sulla spalla e Vegeta non si mosse; quando erano soli, accettava i suoi gesti d’affetto, ma davanti agli altri era sempre il solito scontroso principe guerriero.
“Quando re Enma mi ha rimandato sulla Terra” ricordò lui “Kakarott ha subito individuato la mia energia spirituale e mi ha raggiunto. Era tutto soddisfatto della mia presenza. Mi ha chiesto subito di indossare un orecchino potara, spiegandomi la situazione disperata”.
“Ma tu gli hai risposto che poteva scordarselo.” concluse Bulma sorridendo.
Chi!” borbottò il principe “Gli ho detto che avrei preferito restare morto, piuttosto che unirmi a lui in un solo essere! Si è permesso di prendermi in giro! Non ha fatto le cose seriamente! Quando abbiamo combattuto uno contro l’altro, mi ha tenuto nascosto il fatto di essere salito al terzo livello di super Saiyan. Dall’aldilà ho visto tutto, come sai. Con me non si è trasformato! L’ennesima offesa, insomma! Si è giustificato dicendo di non essere in grado di mantenere quello stato, se non per pochi minuti. Che era per le occasioni particolari! Di bene in meglio! Perché mai avrei dovuto fondermi con uno come lui?!”
“Che cosa ti ha detto per farti cambiare idea?” mormorò Bulma, intuendo in anticipo il succo del discorso.
Vegeta le piantò addosso uno sguardo dei suoi, ma non esitò: “Il maledetto sa dove andare a parare, quando vuole…” ridacchiò tra i denti. “Si è infuriato, strano per lui, eh? Mi ha chiesto se, avendo seguito gli eventi, avevo anche visto che Majin-Bu ti aveva divorata e che aveva assorbito i guerrieri più tenaci, tra cui Trunks. A quel punto, ho deciso di darci una possibilità, ho indossato il potara e siamo diventati Vegett. Un solo corpo, un unico enorme potere, ma due menti separate che si compenetravano, percependo con chiarezza l’uno l’intera essenza dell’altro”.
Bulma attese che il principe continuasse il racconto, sapendo che per lui non era facile confidarle fatti così personali, ammettere di aver rinunciato alla vendetta e di avere acconsentito a condividere se stesso con il suo rivale.
“E’ un vero Saiyan” concluse Vegeta “Diverso da me, ma lo è comunque. È davvero geniale, quando si misura con qualcuno. Ho sempre pensato di essere il migliore, ma lui mi ha dimostrato che ero in errore e l’ha fatto senza superbia alcuna. Pensavo che fosse imbattibile perché possedeva un cuore generoso e rivolto a proteggere le persone che ama, ma anch’io adesso ho lo stesso animo e gli stessi sentimenti. La capacità di amare costituisce solo una parte della verità sulla sua straordinaria potenza. Io, prima d’ora, ho sempre combattuto per essere soddisfatto, per divertirmi, con lo scopo di uccidere i nemici e, soprattutto, per difendere il mio orgoglio di Saiyan. Invece, il suo fine non è quello di vincere, bensì di non essere sconfitto. Kakarott vuole semplicemente superare i propri limiti, per questo non pensa mai di togliere la vita a nessuno, per questo non ha ammazzato neppure me. Per la stessa ragione, offre un’opportunità a tutti. Lui sapeva… sapeva che la mia anima non era così buia, che avrei acquisito e accettato quell’umanità che lui già possedeva. Io sono il principe dei Saiyan, ma non ho mai sentito parlare di uno di noi così tanto gentile, addirittura dolce, che contemporaneamente desidera e adora così tanto combattere. Lui si merita il mio rispetto!”.
“Vegeta…”
Bulma lo cinse con le braccia, fissandolo con ammirazione. Lui arrossì.
“Questo non significa che io abbia deciso di essergli secondo. Non rinuncerò mai a migliorarmi e a tentare di superarlo. Mai al mio orgoglio!”.
“Lo so. È uno dei motivi per cui sono perdutamente innamorata di te”.
Il principe fece scorrere un dito sul suo viso e lo sollevò, posando un bacio sulle sue labbra. La ragazza lo ricambiò intensamente e lui si schiodò dalla ringhiera, scendendo a terra. Le strinse la vita, sollevandola di pochi centimetri, mentre il loro contatto diventava più deciso. L’avrebbe portata via da lì se non avesse percepito un’energia spirituale fluttuante in avvicinamento rapido. Ebbe appena il tempo di scostarsi.
Goku si materializzò al centro della balconata.
“Ciao ragazzi!” esclamò gioioso, portandosi una mano alla tempia “Vegeta, mi spiace di averti interrotto!”
Bulma nascose un sorriso dietro la mano e in principe avvampò. Il solito innocente sfacciato.
“Goten mi ha riferito che mi stavate cercando!”.
“Sì, Son-kun” disse la ragazza con familiarità “C’è qualcosa di importante che vorrei che tu ascoltassi. Si tratta di un messaggio conservato nella memoria di uno scouter, risalente ad almeno dieci anni fa. È stata una scoperta casuale. Vegeta ed io pensiamo che sia l’apparecchio utilizzato da Radish, quando è venuto sulla Terra”.
Goku si adombrò impercettibilmente. Era difficile turbare la sua innata spensieratezza, ma il nome di suo fratello gli causava sempre una fitta di dispiacere. Era stato uno dei pochi in cui non era riuscito a risvegliare sentimento alcuno.
“Vi ringrazio. Ma qualsiasi cosa abbia da comunicare Radish…” rispose con un sospiro “Può seguirlo nell’oblio. Da lui ho sentito abbastanza scelleratezze nelle poche ore in cui ci siamo ritrovati”.
“Non è tuo fratello che parla, Kakarott” intervenne Vegeta.
“Già, fratello…” ripeté il giovane con mestizia “Non ho nulla in comune con lui, Vegeta. Sento più te come mio fratello”.
Il principe sobbalzò a quell’affermazione inaspettata, indeciso se risentirsi per tanta confidenza o se ritenersi omaggiato dall’ammissione affettuosa del suo antico rivale.
Chi!”
Bulma lo guardò, alzando un sopracciglio, con preventiva aria di rimprovero, impedendogli qualsiasi possibile risposta scortese e lui continuò, pazientemente:
“Kakarott, quella che ha registrato il messaggio è tua madre”.
Goku sbiancò. I suoi occhi di velluto nero, solitamente allegri e vivaci, si riempirono di stupore e di malinconia. Si sentì frastornato da quella rivelazione. Non ricordava nulla di sua madre. Era stato spedito sulla Terra quando era molto piccolo e, per giunta, una pesante botta in testa gli aveva cancellato le scarse memorie disponibili. Era come se non l’avesse mai conosciuta, in effetti.
“C-che cosa?”
La voce gli uscì alterata, soffocata dall’emozione violenta e improvvisa. Vedendolo così disorientato, Bulma lo prese sotto braccio, con grande tenerezza e lo fece avvicinare al computer portatile, appoggiato sul tavolino.
“Son-kun, non sei obbligato a sentire le sue parole. Ma se lo desideri, Vegeta trasporrà per te dalla lingua saiyan”.
Il principe fece un cenno d’assenso e Goku lo fissò con un misto di timore e gratitudine. Rimase in piedi, come faceva quando si misurava in battaglia.
“Ti prego…” mormorò, ancora sconvolto. “Voglio ascoltare con tutto me stesso”.
Bulma avviò l’audio. Vegeta tradusse simultaneamente.
 
Messaggio per Radish, figlio di Bardock. Radish, tuo padre è certo che Freezer, con l’ordine impartito ai Saiyan di rientrare sul pianeta Vegeta, stia tramando qualcosa. Ha un pessimo presentimento. Per questo, stanotte abbiamo preso tuo fratello Kakarott e l’abbiamo messo in una capsula sferica, programmata affinché raggiunga la Terra, un pianeta lontano e poco appetibile. Noi resteremo qui per non destare sospetti. Se i timori di Bardock si riveleranno infondati, andremo noi stessi a riprenderlo. Ma se, al contrario, avesse ragione, dovrai cercare tu Kakarott. Ora ha tre anni, riuscirà a sopravvivere senza difficoltà. Dovrai raccontargli che non era nostra intenzione abbandonarlo, ma salvarlo. Che non ci siamo dimenticati di lui. Spiegagli cosa significa essere un Saiyan. Porgi i nostri rispetti al principe Vegeta, noi saremo sempre fedeli a lui e non a Freezer. Di’ a Kakarott che lo amiamo”.
 
Vegeta tacque, a sua volta toccato da quelle parole, che risvegliavano in lui ricordi lontani e infelici. I Saiyan si erano difesi fino alla fine, Bardock in prima fila, ma non era servito a nulla. Era stata la decisione di quella notte, presa da due genitori stranamente preoccupati, a cambiare successivamente il loro destino di sopravvissuti.
Lo sguardo di Goku era lucido di commozione. Sapeva che suo padre era un guerriero, ma si era sempre chiesto come fosse sua madre, come fosse possederne una, considerarsi un figlio. Era una sensazione che gli risultava del tutto sconosciuta, poiché adottato dal terrestre buono che lo aveva trovato, che lui aveva chiamato nonno. In quelle poche parole, lei gli si era data con affetto, si era fatta conoscere attraverso la sua voce dolce e inquieta, tramite l’amorevole premura che aveva avuto nei suoi riguardi. Gli aveva salvato la vita, mettendo a rischio la propria.
Cercò di riprendere fiato, mentre un nodo soffocante gli serrava la gola e gli occhi gli si inumidivano per la drastica sequenza di emozioni inaspettate. Si accorse del tremito che gli scuoteva le mani e le appoggiò alle ginocchia, piegandosi su se stesso, come in cerca d’aria.
“Goku…” sussurrò Bulma nel vederlo così turbato.
Vegeta le fece segno di restare indietro e si avvicinò al giovane, perché aveva ancora qualcosa di importante da rivelargli. Lo fissò con partecipazione, perché quella faccenda tutta saiyan lo riguardava in quanto principe, ma anche perché, in lui, si rivedeva come il ragazzino che, nello stesso momento, aveva parimenti perso tutto.
“Gine” gli disse a bassa voce.
Kakarott sollevò il viso e lo guardò sconcertato, intuendo la parola.
“Era il nome di tua madre”.
Il giovane crollò sulle ginocchia, nascondendo il volto, ma il gesto non servì a nulla, perché le lacrime iniziarono a scendere incontenibili, bagnandogli la dogi arancione, piovendo sulle mani serrate, cadendo a gocce sul pavimento. Piangeva come un bambino, a singhiozzi silenziosi, con le spalle che sussultavano, senza freno.
“Vegeta!” borbottò Bulma, accorrendo allarmata “Che cosa gli hai detto!?”
Il principe la fermò con decisione, per impedirle di raggiungere l’amico: “Il nome di sua madre” rispose fissandola con calma.
La ragazza si commosse di riflesso: “Oh, stelle… Ti giuro che, da quando lo conosco, non l’ho mai visto piangere una sola volta”.
“Forse era ora che lo facesse. Lascialo, finché ne ha bisogno”.
Bulma intrecciò le dita a quelle di suo marito e gli sorrise. Gli occhi scuri di Vegeta scintillavano fieri, implacabili e tristi. Si era comportato da principe, orgoglioso di rappresentare la sua gente, di cui serbava il retaggio; da guerriero, affrontando egli stesso la sofferenza legata al ricordo tragico della fine della sua razza, presentita da Bardock; da fratello ed era questa la cosa più incredibile, perché aveva deciso di rivelare a Goku un frammento della sua storia, che lui non poteva rammentare.
“La conoscevi?” domandò Bulma.
Iiah. Ma Radish è rimasto con me per anni e l’ha nominata più volte”.
“Perché ora?” gli chiese, guardandolo con tenerezza.
“Non fraintendermi. Non m’importa nulla di lui.” grugnì il principe a disagio.
“Certo” ridacchiò lei, senza credere a una parola.
“Non pensavo che lui non ricordasse assolutamente niente, neppure sua madre”.
“La fusione?”
Hah” assentì Vegeta “Non ha serbato traccia alcuna della sua vita sul nostro pianeta. Quando, su Namecc, gli ho rivelato la verità sulla fine dei Saiyan, ho visto che è rimasto toccato, ma non sconvolto. Si è dichiarato terrestre d’adozione. Chi! Non avrei mai detto che, invece, la notizia lo avesse fatto arrabbiare e penare così tanto”.
“Evidentemente” commentò Bulma con dolcezza “Anche Goku nascondeva un dolore segreto. Forse, sconosciuto a lui stesso”.
“Prova che, anche se è imbattibile, è umano” affermò lui, senza abbandonare l’aria severa.
“E anche tu…” mormorò lei, guardandolo con amore immenso.
Vegeta arrossì e le lasciò la mano, avvicinandosi a Goku, che aveva ricominciato a respirare in modo più regolare e si stava sfregando gli occhi arrossati dal pianto.
“Kakarott!” sentenziò “Quando ho detto che ti avrei messo in ginocchio, non intendevo questo. Alzati, sei un Saiyan!”.
Goku balzò in piedi senza farselo ripetere e prese dalle mani di Bulma il fazzoletto che gli stava porgendo. Si asciugò le lacrime e si soffiò rumorosamente il naso. Poi, sul suo viso incantevole balenò l’usuale sorriso spensierato. Ma nel suo sguardo ancora lucido scintillava l’orgoglio di guerriero, supportato da una nuova consapevolezza interiore.
“Ti sono debitore, Vegeta” disse con fermezza.
“Nessun debito con te, Kakarott” rispose il principe rigidamente.
Bulma alzò gli occhi al cielo, nella certezza che quei due testardi non sarebbero mai andati d’accordo, ma nella gioia di vedere che, da qualche tempo, le loro litigate assomigliavano più a quelle di due fratelli. Che non si sarebbero più sfidati per annientarsi. Li lasciò soli.

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Capitolo 17
*** Brotherliness ***


SPOILER ALERT. 25.03.18. Ho finito di guardare ora l'episodio 131, conclusivo di Dragon Ball Super. E' incredibile come la scena finale sia simile a quello che ho scritto in questo capitolo. Mi sento quasi una profetessa, considerando che ho pubblicato (e ideato) la mia storia ben prima di oggi, prima di sapere come sarebbe finita la serie! :D Che dire, è una soddisfazione per me e la volevo condividere qui, con chi mi onora leggendo le mie poche parole. ^^

Brotherliness

“Questa pace non durerà molto” affermò Goku, appoggiandosi al balcone e guardando in alto “Ho un presentimento, sai?”.
“Già.” rispose Vegeta incrociando le braccia “È per questo che non ho interrotto gli allenamenti e che tu vai ad addestrarti sul pianeta di Kai-Oh. Succederà qualcosa”.
“Mi piacerebbe che venissi anche tu lassù. Avendoti come partner, sono sicuro che migliorerei tantissimo. E tu anche. Non c’è nessuno più forte”.
Il principe sollevò un sopracciglio e lo guardò storto: “Che cosa ti fa credere che io abbia voglia di sopportarti, Kakarott?” sentenziò “E che io non sia già migliorato?”.
Goku rise di gusto. Lo conosceva bene e non si aspettava una risposta diversa. Tuttavia, si girò verso di lui: “Non penso ci siano confini al miglioramento di noi Saiyan” affermò raggiante “Il limite sta nel trovare un avversario alla nostra portata”.
“Mmh. Non hai così torto” borbottò Vegeta, riflettendo sulla proposta.
“Gohan mi ha riferito che il Sommo Kai-Oh Shin gli ha detto che diventare super Saiyan per potenziarci è sbagliato.” continuò Goku “Quando l’ha allenato, infatti, gli ha impedito la trasformazione. Anzi, l’ha sbloccato con un esercizio di concentrazione e un rito stranissimo”.
“Come sarebbe!?” sbottò il principe, tra l’incredulo e l’interessato “Cosa può saperne un Kai della creazione di combattimento?”
“Mah! Non ci ho capito molto” ammise candidamente Goku “Ma ha spiegato a mio figlio che buttare fuori il ki a quel modo, come facciamo noi per aumentare il livello energetico, non è corretto. Ha detto che è un confine, in realtà. Che il sistema è un altro”.
Vegeta iniziò a riflettere. In effetti, non era un’indicazione così stravagante. Oltrepassare il limite, come ben sapeva, portava solo all’estinzione, non ad un ulteriore incremento.
“Mi piacerebbe saperne di più” confessò pacatamente “E tu non hai pensato di chiedere delucidazioni, vero?”.
“Ehm… veramente no…” masticò Goku impicciato “Mi è sembrato un discorso ingarbugliato e poi c’era Majin-Bu scatenato sulla Terra… non mi è parso il momento adatto. Per questo vorrei che tu venissi con me dal Sommo”.
Chi!” borbottò il principe seccatissimo “Quel vecchio deve ringraziarmi per essere ancora vivo! Altro che Kai…Se ripenso a quello che sei andato a inventare tu, poi…”
Goku sussultò alquanto a disagio: “Beh, come si dice… a mali estremi…”
“Kakarott!!” ringhiò Vegeta irritato “Sei tu un male estremo! Gli hai promesso le foto di mia moglie, per avere il consenso a usare le Sfere! Sei un idiota!”
“Ma io non pensavo che tu fossi così geloso” accampò il giovane rimpicciolendosi “E poi non sapevo più cosa fare…”.
“Geloso?? Ma come osi?!”
“Ehm, dai, Vegeta… ormai è storia vecchia e le foto non le ha volute…”
“Lasciamo perdere” sbollì lui, arrendendosi davanti a tanta imbecillità. “Penserò alla tua proposta, quando mi passerà la voglia di strangolarti ogni volta che ti incontro!”.
Goku ridacchiò, grattandosi la testa. Poi riguadagnò l’aspetto mite e fiero che lo caratterizzava e piantò in faccia al principe una delle sue occhiate limpide e scandaglianti.
“Vorrei ringraziarti ancora” disse con serenità “Non solo per avermi tradotto il messaggio. Per aver accettato di combattere con me e per aver acconsentito alla fusione. Non ce l’avrei mai fatta senza di te. Mi sono sentito onorato”.
“Parla per te” rimandò il principe torvo “Non accadrà mai più, sappilo”.
“E va bene…” si arrese Goku con un gran sorriso, certo che, se ce ne fosse stato ancora bisogno, invece, Vegeta avrebbe nuovamente messo da parte l’orgoglio. Così come aveva fatto lui stesso, ammettendo di non essere imbattibile.
Guardarono entrambi distante, per non cedere all’imbarazzo, ma certi di comprendersi meglio di quanto avrebbero mai ammesso.
“Dimmi una cosa, Kakarott” domandò il principe interrompendo il silenzio “Mirai Trunks te l’aveva detto di essere mio figlio, quando si è presentato qui per la prima volta, vero?”.
Il giovane lo guardò, un po’ sorpreso dalla domanda. Poi ne intuì la ragione e sorrise.
“Sì. Tuo e di Bulma” specificò. “Mi ha fatto giurare di non rivelare il segreto. Promessa saiyan”.
Vegeta sospirò, abbassando lo sguardo: “Hah. Temeva che se lo avessimo saputo, lui non sarebbe nato, conoscendo i nostri caratteri caparbi”.
“Forse all’inizio” disse Goku con gentilezza “Ma poi, guardandovi, deve aver compreso che comunque sarebbe nato in ogni caso”.
Ooi!” fece il principe arrossendo “Che cosa intendi, Kakarott?”.
Il giovane divenne serio e pensieroso. Il suo sguardo, inconsuetamente intenso, si perse per un istante sul tranquillo paesaggio che si estendeva oltre la terrazza. Lui e il principe non si erano parlati molto in quegli anni. In parte, perché Vegeta lo considerava inferiore nel sangue, in parte perché lui se n’era andato all’altro mondo per un lungo periodo. Ma soprattutto perché erano entrambi orgogliosi, anche se, a Goku, il compagno Saiyan non dispiaceva affatto e sarebbe stato più disponibile a legare con lui da subito. Poi tutto era cambiato, quando Vegeta si era deciso a piantarla con la storia dell’onta da lavare con la morte; quando aveva iniziato a pensare anche al prossimo, ad essere più empatico. La fusione li aveva cacciati l’uno nei panni dell’altro in un certo senso: per quella ragione il principe si innervosiva ogni volta che la sentiva nominare. Ma, anche a fusione sciolta, con i potara volutamente disintegrati tra le mani, per evitare di unirsi ancora, qualcosa tra loro si era finalmente appianato. Avevano iniziato a rispettarsi sul serio. Vegeta gli aveva dato atto di essere, momentaneamente, il numero uno e Goku gli aveva riconosciuto una profonda umanità. Avevano vinto insieme, non era stata solo la sua Genki Dama a disintegrare Majin-Bu. Era stato il principe a farsi massacrare per dargli modo di raccogliere le energie, ad esprimere i giusti desideri al Drago Polunga, a suggerire la strategia migliore. Quando il mostro si era dissolto, si erano guardati sorridendo, condividendo la gioia della vittoria. Ma era stato Vegeta a fare il sacrificio più grande. Quello dell’orgoglio, mostrandosi altruista. Per questo, Goku aveva chiesto a Dende, il nuovo dio della Terra, di curare prima le sue ferite, accogliendo la guarigione mistica per secondo. E ne era stato felice. Come era certo che, prima o poi, quel guerriero inflessibile avrebbe acconsentito all’allenamento comune. Goku volle mettere in gioco se stesso nella risposta, si voltò e trasse un profondo respiro.
“Sai Vegeta…” la sua voce era quieta, ma impregnata di una leggera nota di rimpianto “Quando ho sposato Chichi, non ero innamorato di lei”.
“Cosa?” sbottò il principe, sgranando gli occhi.
“Le ho chiesto la mano per mantenere una promessa che le avevo fatto ingenuamente da ragazzino. Non avevo la più pallida idea di che cosa fosse un matrimonio o una moglie, una famiglia e tutto il resto. L’ho amata dopo, col tempo. Ma di solito non funziona in questo modo, credo! Io ho percorso la strada alla rovescia. Tu no. Sei andato dritto, sapendo cosa facevi ogni volta che lo facevi. Quello che possiedi, te lo sei conquistato ogni giorno. E anche Bulma. Non avrebbe accettato di dividere la vita con un uomo, dei quali sentimenti non aveva la certezza. Non è così? Il modo in cui vi guardavate, vi parlavate già allora non lasciava dubbi… Mirai Trunks è rimasto qualche tempo con voi ed è più sveglio di me. Se l’ho capito io, figurati un tipo sensibile come tuo figlio…”
Vegeta incrociò le braccia, infastidito da un quadro tanto palese, in cui la maledetta fusione non aveva parte alcuna e non poteva essere usata come spiegazione. Sospirò.
“Sei un vero insolente a parlarmi così, Kakarott!” Ma non finisci mai di stupirmi…” aggiunse rassegnato davanti a tanta schiettezza. “Lo dirò anche a Bulma”.
“Siamo amici, allora?” domandò Goku furbescamente?
“Per niente!”
“Oh, allora mi fa piacere sentire che siamo ancora rivali” formalizzò ridendo come un matto. Lo guardò: “Volevi il super Saiyan tre, Vegeta?”
“Ora?!” fece il principe sbalordito.
Goku espanse il ki a dismisura e l’aura dorata del terzo livello lo circondò in un flusso abbagliante, mentre i capelli si allungavano biondissimi lungo la schiena e lo sguardo diveniva particolarmente minaccioso e sfidante. Tutto ciò che era nei paraggi volò all’aria nella folata di vento che seguì la trasformazione. Vegeta socchiuse gli occhi davanti alla luce abbacinante, ma rimase impassibile difronte all’immane emissione energetica, la chioma corvina scossa dallo spostamento d’aria. Sciolse le braccia dal petto e strinse i pugni, elevandosi al secondo livello di super Saiyan.
“In guardia, Kakarott! Non mi fai paura! Vediamo se sei davvero forte o se il tuo è solo un aspetto un po’ più selvatico!”
Goku assunse la posizione di equilibrio in difesa e attacco e sghignazzò, al colmo della soddisfazione: “Sono pronto!”
“Ricordati di conservare un po’ di energia per dopo” raccomandò Vegeta, alzandosi in volo, parimenti compiaciuto.
“Perché dopo?”
“Quando Bulma tenterà di ucciderci perché ci stiamo misurando in giardino, ti servirà!”
 
Intuì cosa stava succedendo dal rumore simile al tuono e dalle luci saettanti sulla cupola della Capsule Corporation, mentre portava un grosso vassoio di pasticcini, accompagnati da un buon tè e da leccornie varie.
“Oooh, quei due…” sospirò con sopportazione.
“Cosa stanno facendo papà e Goku?” domandò Trunks, che le trotterellava dietro con il naso all’insù, seguendo attentamente le mosse quasi invisibili dei due contendenti.
“Giocano, tesoro” rispose Bulma con un sorriso ironico.
“E chi vince?” chiese curioso Goten, rialzando i tavolini sparsi per la balconata e facendosi schermo con la mano, per vincere il riverbero e osservare lo scontro.
“Sicuramente il più zuccone” sentenziò lei divertita.
 
Le sveglie iniziarono a suonare in brevi intervalli di tempo. Poi, letteralmente, si fecero esplosive. Una figura alta e allampanata entrò nella spelonca, facendosi luce con la sfera luminosa innestata su un lungo bastone. Si fermò senza mostrare alcuna fretta e diresse lo sguardo algido e violetto verso lo strano giaciglio sospeso a mezz’aria.
“E’ ora di alzarsi, signore” annunciò.
“Mmmmh… Di già? Quanto ho dormito?” mugugnò la voce capricciosa dell’essere che si stava stiracchiando pigramente.
“Trentanove anni, signore. Come ha chiesto”.
“Ah già. Ho scelto di alzarmi perché ho sognato che sarebbe successo qualcosa di interessante in questi giorni. Non ricordo bene cosa”.
Le due orecchie lunghe e dritte comparvero per prime dallo sgualcito letto tondeggiante, seguite da un paio di sottili occhi dorati, ancora un po’ assonnati. Poi fu la volta di una lunga coda violacea, che prese ad oscillare nervosa; infine, la creatura felina, vestita di una curiosa camicia da notte, si lasciò scivolare a terra, con estrema indolenza, raspando con le unghie il pavimento roccioso.
“Ehi, Whis” fece con voce querula, sbadigliando a fauci spalancate “Ho fame! Preparami subito la colazione!”
“Come desiderate, Lord Beerus. Il vostro bagno è pronto, intanto” rispose il primo, inchinandosi all’Hakaishin.
Il dio della distruzione si alzò in piedi e lo seguì.

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Capitolo 18
*** 48 minuti ***


48 minuti
 
“Ogni volta che la Terra rischia grosso, noi mettiamo al mondo un figlio!” dichiarò Bulma.
Vegeta sogghignò, camminando lentamente per la stanza con la piccola Bra tra le braccia, tentando di farla addormentare. Gli occhioni azzurri della neonata rifiutavano di chiudersi. Lo fissava con quel sorrisetto ironico, su cui lui non poteva recriminare, in quanto era in tutto e per tutto uguale al suo. Anche il ciuffetto ispido di capelli azzurri, che aveva destato tanta curiosità durante la festa per la nascita, ricordava la sua chioma ribelle. Soprattutto ora, che era in grado di trasformarsi in super Saiyan Blue e i suoi capelli neri, in quello stato divino, assumevano il colore del mare.
Iiah…” rispose ridendo “Dovrebbero essere molti di più, allora”.
La ragazza lo guardò reggere delicatamente il fagotto scalpitante e pensò che fosse incredibile scorgerlo impegnato in quell’atto così paterno che, quando era nato Trunks, non aveva quasi mai compiuto. Il principe si era spogliato dell’abito da battaglia saiyan, che considerava formale: indossava un’aderente canottiera nera e un paio di morbidi pantaloni bianchi da training. Era terribilmente attraente.
“Forse hai ragione” ammise lei “Da quando Lord Beerus si è risvegliato dal suo “pisolino”, non abbiamo avuto altro che problemi!”
“Ssssh! Vuoi che ti senta?”
“Ma figurati… Staranno dormendo tutti, dopo la quantità di cibo che hanno ingerito oggi…”
“Speralo. Se il dio della distruzione si offende, siamo in guai ancora peggiori, lo sai” rispose il principe, deponendo la figlia addormentata nella culla.
Quarantotto minuti di combattimento all’ultimo respiro, nella battle royale del Budokai Uchuichi, all’ultima stilla di sangue e di orgoglio. Per proteggere Bra e Trunks e, prima di ogni esistenza, lei… la sua Bulma.
La guardò, facendole cenno di seguirlo fuori dalla camera della loro bambina.
“Anche perché” continuò, cingendola con veemenza ai fianchi “Non gradirei proprio essere disturbato, stanotte…”
La ragazza gli passò le braccia intorno al collo e si lasciò sfiorare le labbra con trasporto, percependo il suo ardore, consentendo alle ultime tracce di tensione residua di fuggire via.
Quarantotto minuti in cui non aveva avuto sue notizie ed era rimasta sospesa, con il cuore in gola, mentre il destino del Settimo Universo era nelle mani di un pugno di guerrieri impavidi e persino gli dei avevano tremato.
“Ogni volta che ti vedo indossare velocemente la tua dogi, spesso nel cuore della notte, per buttarti a combattere contro un nuovo nemico, io…”
Lui le sollevò il viso, gli intensi occhi d’ombra luminosa scintillanti nei suoi.
“Io tornerò sempre da te”.
“Vegeta, stringimi forte…”
Non se lo fece ripetere. Senza di lei, quei quarantotto minuti sarebbero stati gli ultimi.
 
Bulma percepiva i battiti tranquilli del cuore di lui, con la guancia appoggiata al suo petto nudo. Sentì il suo braccio circondarla, la sua mano carezzarle la schiena.
“Neanche tu riesci a dormire?” gli chiese sottovoce.
“Con tutta l’adrenalina che ho ancora in corpo, non dormirò per una settimana…” commentò Vegeta ironico.
“Potrebbe essere interessante” rispose lei, seducente “Non riesco ancora a credere che ce l’abbiamo fatta…” aggiunse con un sospiro rilassato.
Chi!” borbottò lui “Promessa saiyan”.
Quarantotto minuti in cui l’immagine della fiducia negli occhi lei, che lo salutava con le braccia levate al cielo scuro, gli era rimasta impressa a fuoco, insieme con il giuramento di vincere, di salvarli ad ogni costo.
“Ah, quando sfidano voi Saiyan, anche solo implicitamente…”
La ragazza si sollevò, appoggiandosi a lui: si abbracciarono, accesi di passione infinita, nella semioscurità della placida notte stellata.
“Tornerai ad allenarti con Goku su pianeta di Lord Beerus?”
“Con Freezer di nuovo in giro non possiamo certo perdere tempo!” rispose lui incupendosi “Non potevano evitare di resuscitarlo! Maledizione! Starà già radunando un esercito… Se ci penso, mi viene un nervoso tale, che rischio di dire quello che penso in faccia all’Hakaishin, che si irriterebbe come al solito e mi ucciderebbe! Invece, devo vivere per superare il limite, che noi Saiyan abbiamo dimostrato di non avere, e rimandare il bastardo all’inferno! Altro che premio per aver combattuto bene!”.
Bulma rise: “Non penso che Lord Beerus ti ucciderebbe mai, ma comunque aspetta un paio di giorni, non cambierà nulla. Anche Goku vuole passare un po’ di tempo con la sua famiglia. Davvero, però, quel Freezer è terrificante, è la vostra nemesi!”.
“Sarà meglio che Kakarott non si prenda una vacanza troppo lunga. Oggi quell’idiota mi ha confessato che non riesce a risvegliare il suo Migatte no Gokui a piacimento. Non sa come ha fatto lassù. Per necessità, dice. Vedrai che Whis lo vorrà istruire con l’obiettivo di farglielo controllare. E io non me ne starò certo a guardare”.
“Tipico suo. E tuo. Non vi sono bastati i quarantotto minuti al cardiopalmo. Anche durante la festa vi siete azzuffati, come al solito” commentò Bulma rassegnata.
“Noi Saiyan ci divertiamo così. Con Kakarott non c’è la sopravvivenza dell’universo in gioco e ho tempo per riflettere. Ma non troppo, come suggerisce Whis” rispose lui soddisfatto
Lei sorrise: “Mi ha riferito C18 che, alla fine, Freezer ha accettato di aiutare Goku senza tradirlo. Stento quasi a crederlo.”
“Credici pure…” fece Vegeta alzando gli occhi al cielo “Una scena disgustosa. Quell’essere spregevole ha fatto i suoi interessi, se non si fosse adeguato, saremmo stati sconfitti. Non ha agito certo per generosità, mirava alle super Sfere del Drago. Ma persino uno come lui sa che i Saiyan non mancano mai alla parola data. A furia di scontrarsi con noi, ha imparato che siamo corretti. Kakarott è un ingenuo, ma di lui ci si può fidare sempre”.
“Anche di te…” affermò lei con dolcezza.
Vegeta arrossì leggermente e serrò l’abbraccio, lo sguardo sulla sua donna.
Quarantotto minuti in cui il suo cuore si era colmato di lei e di tutto ciò che lei gli aveva donato, di ciò che lei gli aveva tirato fuori dall’anima, in cui orgoglio e altruismo si erano combinati generando una potenza invincibile.
Sogghignò: “Freezer può fidarsi anche di me, sa che se osasse anche solo respirare vicino alla Terra, lo ammazzerei senza esitazione. Non è né al mio livello né tantomeno a quello di Kakarott, si è solo risparmiato vigliaccamente durante il torneo. Ed è ancora andata bene che non gli è spettato alcun desiderio! Se avesse chiesto al Drago degli Dei qualcosa a proprio vantaggio, Zen-Oh avrebbe distrutto anche l’universo vincitore, in quanto egoista…”
“Oh, per le galassie!” esclamò lei spalancando gli occhi.
Quarantotto minuti in cui aveva pregato che Vegeta tornasse a casa vivo, che tornasse da lei… o solo di morire tra le sue braccia, con gli occhi nei suoi e il suo respiro sul viso, se il destino avesse deciso altrimenti.
“Anche tu avresti chiesto al Drago di ripristinare tutti gli universi, vero?” gli domandò con un sorriso, sfiorandogli con le dita il viso imbronciato.
Hah. Non solo il Sesto, come ho promesso a Kyabbe, tutti.” assentì il principe, baciandole la mano alla maniera saiyan. “È stato terrificante vederli sparire uno dopo l’altro… Zen-Oh ha giocato a un gioco crudele. Anche se è il dio del Tutto, non ha il diritto di estinguere così la vita in base a non si sa quale criterio di giustizia…”.
Bulma lo fissò commossa: difendere, non offendere… amare, non odiare… essere orgogliosi, non superbi… comprendere anziché condannare. Era dentro di lui, c’era sempre stato, dentro al guerriero che era giunto per sterminarli, dentro all’uomo che era morto e tornato per amore di lei e che l’aveva incendiata con la sincera e bruciante verità del suo sguardo.
Il principe si lasciò accarezzare da quegli occhi turchesi, che erano il suo universo.
“Mi è bastato vedere come ha cancellato dall’esistenza il futuro devastato da Zamasu…” inorridì lei, ripensando ad uno dei rischi che avevano corso nei mesi precedenti. Si accoccolò più stretta a suo marito, che le insinuò la mano tra i capelli.
“Kyabbe è quel Saiyan del Sesto Universo, vero? Quello carino, che hai conosciuto al torneo indetto da Lord Champa… quello che ti chiama maestro?”.
Vegeta le sollevò il mento con l’indice e la guardò interdetto: “Carino!?” pronunciò con terribile serietà.
“Non sarai geloso dopo dieci anni di matrimonio?” domandò lei maliziosissima.
Iiah…di un ragazzino poi…” grugnì lui “Ma se ti piace tanto, posso portarti la sua testa” aggiunse, mentre la baciava, marcando stretto il territorio.
“Oh, piantala!” rise lei, ricambiando il bacio “Non ti ha invitato a visitare il suo pianeta?”
“Sì. Meditavo di portare anche te su Sadala, non riuscirei a sopportare il viaggio da solo con Kakarott. Ma se la pensi così…”
“Io penso” fece Bulma seducente, spostandosi lungo il suo corpo atletico “Di essere perdutamente innamorata di te, principe di tutti i Saiyan. E che non esista cura”.
Vegeta le passò le mani lungo i fianchi, trafiggendola con un’occhiata intensa e feroce, comunicando i suoi sentimenti in silenzio, come solo lui sapeva fare.
Quarantotto minuti in cui aveva gridato davanti a tutti che non avrebbe mai sacrificato né il suo amore né il suo orgoglio, che non avrebbe mai rinunciato ad essi. A lei. In cui, stremato e ferito, aveva lasciato la sua speranza tra le mani di Kakarott, con la certezza che i desideri di lui fossero identici ai suoi.
“Fammi vedere” le rispose, imprigionandola a sé.
 
“Raccontami” sussurrò la ragazza, accarezzandogli i capelli folti “Raccontami i quarantotto minuti peggiori della mia esistenza. Raccontami di come avete fatto a salvare l’universo”.
Il principe rievocò i ricordi precipitosi della battaglia di poche ore prima, lo fece tra le sue braccia, esorcizzando per sempre l’azzardo rischioso cui erano stati sottoposti.
“Ogni minuto, in quelle condizioni, è risultato un’eternità” sospirò.
“Lo so…” rabbrividì lei.
“Abbiamo vinto essenzialmente per due ragioni, secondo me” considerò lui con lucidità “La prima è stata la fiducia reciproca. Nonostante Freezer. La forza da sola non sarebbe stata sufficiente, dato che alcuni degli avversari erano perfettamente in grado di tenerci testa. Li abbiamo sconfitti perché al loro potere non corrispondeva una altrettanto grande generosità: sostanzialmente, sono risultati individualisti, più votati a dare bella prova di sé, che disposti ad accogliere le speranze dei loro compagni. Solo qualcuno è stato in grado di comprenderlo, ma tardivamente”.
“E tu hai combattuto da solo?”
Iiah… a volte con Kakarott, a volte uno contro uno…”
“Avete effettuato la fusione come contro Majin-Bu e Zamasu?”
“No, troppo imprudente… e poi Kakarott tende sempre ad abbassare la guardia! Quando ha tentato la prima Genki Dama contro Jiren, se non gli avessi guardato le spalle, si sarebbe fatto fregare come un babbeo! E dire che Whis lo ha messo in guardia!”.
Bulma sorrise: i due Saiyan altercavano per qualsiasi cosa con la stessa intensità con cui si rispettavano, si aiutavano e vegliavano l’uno sull’altro, come fratelli, legati nel sangue e nella fiducia reciproca. Quella era la loro vera forza interiore.
“Tra tutti, l’avversario più ostico contro cui ho combattuto è stato Toppo, dell’Undicesimo Universo. Aveva lo stesso potere degli Hakaishin, gli dei della distruzione: ha dato del filo da torcere anche al mio super Saiyan Blue!” continuò Vegeta corrucciato “Chi! Mai visto un presuntuoso come quello! Ha osato insultare me e i valori in cui credo, vantandosi di aver rinunciato a tutto, pur di ottenere quel livello di energia. Povero idiota! Secondo lui avrei dovuto gettare via tutto ciò che io sono… il mio orgoglio di Saiyan, la mia promessa a Kyabbe, i miei sentimenti per te, il desiderio di proteggere i nostri figli…”
La commozione salì al cuore di lei, facendole vibrare l’anima in quella dichiarazione d’amore profondo, nascosta nella concitata narrazione dell’ennesimo duello del principe guerriero.
“Io non sono come lui! Non rinuncio proprio a niente! Figurarsi farmi battere da uno come quello, poteva andarsene al diavolo immediatamente! Mi sono talmente arrabbiato, che sono andato in full power e ho superato il pieno potere divino!”
La guardò, mentre i ricordi recenti e remoti si riverberavano nella sua memoria, nessuno privo del pensiero di lei. Dal primo istante in cui l’aveva vista.
“Ho usato lo stesso colpo autodistruttivo che ho inflitto a Majin-Bu e l’ho sbattuto fuori dal ring! Non sai la soddisfazione…”
“Vegeta!” esclamò lei, spaventata a posteriori.
“Non sono un fantasma, mi pare sia stato evidente stanotte…” sogghignò lui sollevando il viso “Sono più forte di allora e non avevo affatto intenzione di lasciarci la pelle”.
“Tu…” mormorò Bulma in preda all’emozione “Gli hai davvero detto così?”
Hah, certo! Gli ho ricacciato la stupidità e la strafottenza in gola!”
“Io penso che tu gli abbia dato una lezione di integrità morale, più che di arti marziali…”
Il principe arrossì, considerando ciò che aveva espresso più volte con fervore davanti agli dei e agli angeli di tutti gli universi. Continuò il racconto degli ultimi minuti di battaglia, cercando di vincere l’innata riservatezza.
“A quel punto, però, Kakarott era al tappeto, era davvero messo male, e anch’io non sono più riuscito a trasformarmi, avendo esaurito tutta l’energia spirituale. Ma, lo sai, arrendersi non fa parte del dizionario saiyan e non ho avuto esitazione a sfidare l’ultimo ostacolo, Jiren… Non avrebbe mai creduto che mi rialzassi, anche senza possibilità di difendermi, anche se mi stava massacrando di colpi. Mi ha chiesto che cosa mi spingesse a combattere così, con orgoglio. Chi! Evidentemente, quelli dell’Universo Undici sono duri di comprendonio! Spiegare ad un bastardo privo di emozioni come quello che cosa significa lottare per proteggere qualcosa, sarebbe stato sprecare il fiato!”. Il suo sguardo si fece di fuoco: “C’è stato un momento in cui sono quasi volato fuori dall’arena, ormai ridotta in pezzi di roccia fluttuanti nel Mondo del Vuoto, e sono rimasto appeso a testa in giù per il lembo di uno stivale. Non sentivo più niente, non vedevo più niente così com’ero, in un torpore incosciente, destinato a cadere...”.
La ragazza lo strinse forte, ascoltando con ansiosa partecipazione le sue parole appassionate, ciascuna delle quali rivelava l’uomo che era, che lei amava perdutamente.
“In quel momento, ho pensato a te, Bulma, ti ho sentita nell’anima, ho addirittura udito la tua voce, che mi spronava, che mi indicava ciò che conta davvero… lo giuro, a null’altro! Mi sono rialzato e sono rimasto in piedi con te nel cuore, con te negli occhi e sulla bocca, fino all’ultimo centesimo della manciata di secondi che ci restavano. Ho combattuto allo stremo. Ho passato la scintilla residua del mio ki a Kakarott, per svegliarlo, perché era l’unica speranza e lui mi ha percepito, mi ha compreso, mi ha promesso che l’avrebbe fatto al posto mio, quando Jiren mi ha spinto fuori… Mi dispiace… perdonami, perché non sono stato io a restare sul ring e forse avrei potuto…”
“Vegeta…”
Gli occhi di Bulma luccicavano di lacrime. Il principe la guardò, mentre una di esse le scivolava su una guancia per soverchiante emozione. La terse con il pollice e le indirizzò quel sorriso fiero e dolce che riservava a lei sola, che si era conquistato tramutando se stesso, consentendosi di ricevere e donare senza rinunciare all’orgogliosa dignità di guerriero.
“Piangi perché non ho vinto?” sussurrò ridendo.
“Oh, smettila!” fece lei con la voce ancora commossa “Tu hai vinto. Sei giunto da lontano, per vincere qui. Per vincere sempre. Hai vinto esattamente ciò che desideravi… e anch’io. Perché, senza di te… senza di te, principe dei Saiyan, amare è solo una parola tra le tante”.
Anche Vegeta cedette all’emozione e i suoi occhi nerissimi divennero lucenti, riverberando il baluginare delle prime luci dell’alba. Bulma si appoggiò morbida ai suoi muscoli perfettamente delineati e lui la circondò con le braccia, girandosi sul fianco.
“Qual è la seconda ragione, per te?” gli chiese sottovoce.
“Sei tu” rispose lui, inchiodandola con quello sguardo intenso e profondo.
“E’ per questo che mi hai baciata senza remore davanti a tutti, oggi? Era un grazie?”
“No” rispose lui cercando ancora le sue labbra “L’ho fatto perché non mi importava che gli altri lo vedessero”.
“Vedessero un bacio?”
“No. Vedessero che ti amo”.

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