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I’m
Not A Fan Of Anything/Anyone. It’s Everyone/Everything
That Should Be My Fan.
1.
Amanda
era sdraiata sul piano del furgone. Tra lei ed il fondo del furgone giusto un
sacco a pelo – o forse due – spiegazzato confusamente, il suo zaino che
conteneva buona parte di quelli che considerava i suoi attuali possedimenti
sistemato sotto la testa, la schiena inclinata in un modo che non avrebbe
dovuto essere dopotutto così comodo per via delle gambe di Gripps,
seduto con la schiena appoggiata al lato interno del
quattroruote, allungate sotto di lei.
E
una mano alzata, appoggiata su una di quelle di Gripps
che gliela teneva con estrema delicatezza, mentre le stendeva uno smalto color
arancione praticamente fluo sulle unghie con grandissima cura, l’espressione
completamente concentrata sul suo compito rassomigliante a quella di un artista
all’opera.
Non
sembrava rappresentare un problema per lui il fatto che lo stesse passando
direttamente sopra al precedente smalto color azzurro elettrico. Di sicuro non
era un problema per Amanda.
A
volte il colore della nuova passata era sufficiente a coprire quello
sottostante, a volte non lo era e il risultato finale era un colore che non
corrispondeva a nessuno dei due iniziali e che nessuno di loro sarebbe riuscito
a indovinare prima; talvolta Vogel e Cross facevano comunque delle scommesse. A
lei piaceva molto, il non poter riuscire a indovinare prima che colore sarebbe
venuto fuori invece; non ci provava nemmeno, a immaginarselo prima. Era molto
rilassante, non preoccuparsene affatto. Stava valutando se provare ad applicare
lo stesso procedimento anche ai capelli, naturalmente non con lo smalto ma con
delle tinte apposite.
L’altra
mano distrattamente abbandonata su una spalla di Vogel, il quale, sdraiato
perpendicolarmente a lei, usava la sua pancia come cuscino, guardando dritto
all’insù con la faccia proprio sotto la mano che Gripps
stava smaltando, fissando il suo lavoro con sguardo spalancato e come
affascinato. Una posizione relativamente pericolosa, dal momento che se uno
degli scossoni che agitavano il vecchio furgone in movimento fosse arrivato al
punto di far cadere una goccia di smalto a Gripps,
essa sarebbe sicuramente atterrata sulla faccia di Vogel.
Ma
fino a quel momento non ne era caduta nemmeno una singola goccia. Amanda era
sicura che non ne sarebbe caduta nemmeno una. Aveva assoluta fiducia su di
questo, così come sembrava averla Vogel, o forse la loro era semplice, totale e
spensierata noncuranza. A volte lei non era sicura di riuscire più a definire
l’esatta differenza tra queste due, di poter tracciare con nettezza una linea
di confine per separarle.
Cross
sedeva al posto del passeggero, frugando tra l’enorme quantità di musicassette
che il furgone conteneva in ogni angolo (anche i più impensati), spargendole
ulteriormente dappertutto; non esattamente come se stesse cercando qualcosa in
particolare, anzi, più che altro come se non stesse cercando proprio niente in
particolare.
Di
tanto in tanto ne sceglieva una, apparentemente senza nessun motivo preciso, e
la infilava nel mangianastri del furgone dopo aver estratto quella che ci aveva
cacciato dentro precedentemente; con una mano si lanciava quest’ultima dietro
le spalle senza nemmeno guardare dove andava a finire, con l’altra pigiava sul
bottone del ‘play’ con la grazia di un uomo delle caverne. E la musica partiva.
Ma
non c’era preavviso di in che punto partisse, dal momento che quasi nessuna
delle audiocassette era interamente riavvolta, e si poteva intuire facilmente
come mai, dal momento che Cross la sfilava per sostituirla con un’altra
altrettanto senza preavviso, apparentemente semplicemente quando ne sceglieva
un’altra da inserire al suo posto, fregandosene se
aveva messo su la precedente da due o dieci secondi, da due o venti minuti.
Amanda
pensò per un istante che Todd avrebbe potuto ammirare e approvare quella ricca
e concentrata collezione musicale, così come sarebbe inorridito vedendo come
veniva trattata.
Martin
sedeva al posto di guida, circondato da un’aura di composta e minacciosa calma
pacifica, come una specie di tigre che, se solo volesse, potrebbe diventare in
un istante il peggiore incubo di chiunque la abbia infastidita, ma per tutto il
resto del tempo è assai abituata dal suo non aver bisogno di temere niente o
nessuno a starsene beatamente in uno stato di placida e reale grazia cosmica.
Ed era circondato soprattutto da un alone di fumo di sigaretta.
Un
braccio piegato e appoggiato al finestrino completamente abbassato, l’altra
mano che impugnava con placida solidità il volante, lo sguardo fisso sulla
strada, distolto solo appena e di tanto in tanto per gettare un sommario
sguardo dietro all’interno del furgone tramite lo specchietto retrovisore
piegato, per poter guardare lì piuttosto che per controllare eventuali auto
dietro di loro.
Raramente
subivano un incidente, tutt’al’più e più spesso lo
provocavano, e non proprio appositamente, quanto perché semplicemente Martin
decideva di passare da una parte o dall’altra senza aspettare i comodi di
guidatori particolarmente lenti o particolarmente ligi alle regole della
segnaletica stradale. Ma quando accadeva, di solito l’altro guidatore coinvolto
tendeva a lanciare appena uno sguardo all’impassibilità minacciosa di Martin, e
quindi faceva finta di niente. Negli ancora più rarissimi casi in cui tuttavia
il/la malcapitato/a trovava misteriosamente il coraggio di provare a
rivolgerglisi anche solo per decidersi sul da farsi post-incidente, Martin
tendeva a mostrargli/le semplicemente un accenno di tirato e candido sogghigno
amichevole (e comunque ancora e sempre pacificamente inquietante), prima di
proseguire oltre; il messaggio implicito sembrava una sorta di cortese e non
detto ‘per stavolta farò finta di non averti nemmeno sentito’.
Gripps
soffiò delicatamente e attentamente sull’unghia che aveva appena finito di
ripitturare, per fare asciugare lo smalto.
Vogel
si mosse appena per mettersi più comodo con la testa sulla sua pancia.
Cross
cacciò fuori dal mangianastri un’altra musicassetta e la sostituì alla velocità
della luce con un’altra, come in un’antidiluviana versione di dj.
Martin
girò la rotellina dell’accendino accendendosi la sigaretta senza staccare lo
sguardo dalla strada, ed esalò un'altra boccata di fumo che si unì
immediatamente e indistinguibilmente al resto dell’alone fumoso che già lo
circondava.
Amanda
tornò a chiudere gli occhi lentamente. Espirò un lungo respiro senza alcuna
fretta al mondo.
Non
aveva bisogno di tenere gli occhi aperti per essere certa che Gripps non avrebbe fatto cadere una sola goccia di smalto
sulla faccia di Vogel, che Cross non avrebbe loro tirato addosso una
musicassetta nemmeno per sbaglio, che Martin non avrebbe mai sbagliato una sola
singola curva.
Il
motore del decrepito furgone del Trio Chiassoso rombava quietamente in
sottofondo, come un vecchio drago che le intonasse una ninnananna gutturale.
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2.
Quando
erano tutti e cinque all’interno del furgone, il portellone laterale era chiuso
ed erano in movimento, che cosa ne fosse del resto del mondo al di fuori di
quel furgone ad Amanda non importava troppo sapere. Come se non la potesse
riguardare più di tanto, in ogni caso.
La
soglia del portellone laterale attraverso il quale saliva e scendeva dal
furgone era come il suo personale stargate per uscire
e rientrare nel resto del mondo, eventualmente.
E
sì, sapeva che teoricamente il furgone intero era contenuto nel resto del
mondo, strettamente parlando. Ma quando entrava nel furgone attraversava il suo
stargate in uscita dal mondo, e quando il portellone
veniva richiuso, e gli altri erano lì dentro con lei e il furgone era in
movimento… era come essere in un luogo a parte dal resto del mondo. O in una
specie di navicella spaziale che galleggia senza direzione precisa nel vuoto
rilassante dell’universo. O in una sorta di grembo cosmico. O in una lavatrice
che lavasse via ogni pensiero, problema o preoccupazione, fin’anche
la sola idea di poter concepire che potessero esistere cose come problemi o
preoccupazioni.
Pur
tuttavia, a volte il portellone laterale del furgone veniva aperto e Amanda
balzava fuori da esso al seguito degli altri, o davanti a loro, o in mezzo a
loro. E quasi sempre non si preoccupava affatto del fatto che non avesse la
minima idea di dove diavolo si stessero auto-vomitando fuori dal furgone.
D’altro
canto, Martin sapeva scegliere sempre ottimamente.
A
volte era un’auto della polizia con uno o due agenti che finivano per scappare
terrorizzati chiamando i rinforzi nelle loro radio mentre loro si occupavano
dell’auto, giusto per fare un po’ di movimento terapeuticamente sfogante e
divertente.
A
volte era un semplice muro, ma uno bello, di quelli che valevano la pena, sul
quale Gripps dipingeva straordinari murales; tutti
loro li potevano ammirare per qualche ora al massimo, prima che Gripps stesso quasi sempre poi li coprisse cancellandoli
con altra vernice di bombolette spray. Cross e Martin non erano grandi fan
della bomboletta spray, ma Vogel sì, anche se tracciava solo scritte
insensatamente accattivanti o faceva disegnini da undicenne, e le aveva insegnato
ad usare la vernice spray.
A
volte era una discarica in cui andare alla ricerca di qualcosa di interessante
o affascinante o stupido o incuriosente tra montagne di cose scartate dal resto
del mondo. Ogni reperto interessante veniva portato a bordo del furgone e
diventava parte integrante dell’interno d’esso: come cibare il vecchio drago.
Ed ogni momento era buono perché il vecchio drago sputasse fuori qualcosa che
si erano stancati di portarsi appresso. Le interiora del furgone funzionavano in
base ad una entropia tutta loro.
A
volte era una pompa di benzina, per cibare il vecchio drago (sì, ormai Amanda
lo chiamava con affetto così qui o là), e per permettere loro di prendere ciò
che volevano dal negozietto annesso, naturalmente senza pagare, naturalmente
terrorizzando i proprietari dell’esercizio commerciale al punto che spesso non
osavano reagire. Se anche osavano farlo, comunque, la cosa non finiva bene per
loro, perché Amanda e gli altri finivano per devastare il resto della merce. Ma
c’era una filosofia solida a proposito di quello: purché i proprietari non
minacciassero di aggredirli fisicamente, loro prendevano solo alcune cose, mai
troppe, giusto per non mandare in rovina il posto. Sia mai che ci sarebbero
ricapitati per caso un’altra volta, durante il loro continuo peregrinare senza
meta.
A
volte era Seattle: più precisamente l’esatto punto dove Amanda si era data
appuntamento con Dirk e/o Farah.
Più raramente il Ridgley in mattoni rossi,
all’interno o all’esterno del quale c’era quasi sempre anche Todd che attendeva
il suo arrivo in un misto di timorosa, imbarazzata e appena speranzosa
aspettativa. A volte nessuno di loro li stava aspettando e semplicemente
arrivavano e basta; e in queste occasioni di solito Dirk
scattava in una maratona di fuga dai “vampiri di energia” non appena sentiva da
lontano il rumore del furgone in avvicinamento, giusto per sicurezza.
E
a volte era una tappa della loro perenne tournee selvaggia: ovvero una tappa
improvvisata, non annunciata né tantomeno organizzata, e sempre dall’esito
imprevisto ma di sicuro successo per quanto riguardava la loro soddisfazione a
proposito delle loro esibizioni musicali.
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3.
Amanda
non era mai stata parte prima di una band: né di una on-the-road, né di una
musicale. Essere ora parte integrante di una band che era entrambe le cose allo
stesso tempo la mandava fuori di testa dal visibilio.
Era
da quando aveva circa dieci anni che voleva essere parte di una band (almeno
una musicale cioè). Pressappoco da quando Todd aveva tentato di fondare la sua
prima band con alcuni altri outsiders racimolati tra liceali della città
tramite spargimento solerte di volantini, e da quando aveva iniziato anche se
saltuariamente ad avere un giro di amici coi quali usciva. Quello era stato
anche il momento in cui Amanda aveva piazzato le sue più terribili scenate infantili,
ogni volta che Todd la cacciava fuori dal garage durante le prove del suo
gruppetto musicale o fuori dalla sua stanza, o quando si rifiutava di
portarsela dietro (o meglio: permetterle di andare con lui) per uscire coi suoi
amici. Non che Todd avesse poi avuto molta fortuna in seguito, né con le sue
band musicali né con i suoi gruppi di amici, come ormai Amanda sapeva molto
bene. Ma quanto a lei, sebbene le crisi da sorella minore messa da parte e
scacciata dalle cose che sembravano ‘cool’ se le fosse lasciata alle spalle
diversi anni prima, non aveva mai smesso di desiderare con incostante
struggimento più o meno intenso di essere parte di una band di amici o musicale
o di strada.
Per
questo, da quando aveva capito che Martin non solo le permetteva
tranquillamente di esprimere un desiderio a riguardo di dove dirigersi in
particolare e dove fermarsi per qualche ora, ma ascoltava anche quel desiderio
con viva attenzione e faceva tutto quanto in suo potere per esaudirlo, Amanda
aveva inizialmente deviato di tanto in tanto il percorso del furgone verso
concerti punk o rock o metal o hardcore, giusto quelli la cui locandina vista
attaccata in giro per caso la ispirava a prima vista.
Per
questo, quando aveva scoperto che gli altri trovavano niente male l’ambiente di
quei concerti, quando non proprio i gruppi che si esibivano o la musica che
facevano, Amanda aveva deciso – un giorno che si sentiva particolarmente
ispirata e coraggiosa – di chiederlo loro.
«Perché
non fondiamo una band?» aveva detto, così dal nulla.
Vogel
aveva subito rizzato le orecchie e annuito solertemente. «Sì!!» aveva esclamato
entusiasta, in un urlo di vittoria selvaggio. Amanda aveva ridacchiato.
«Che
cosa significa?» aveva chiesto Cross, corrugando le sopracciglia con aria
confusa, impegnato a cercare di capire. «Che cos’è ‘fondare una band’?»
Gripps
gli aveva tirato un piccolo ma deciso colpetto con una mano dietro la nuca,
mormorando con calma «Scemo.»
Cross
aveva scosso la testa come un cane zuppo che cerchi di togliersi un po’ d’acqua
di dosso, ma aveva ancora l’aria confusa. Vogel si era riavuto dal suo
entusiasmo solo per fissare Amanda in ubbidiente attesa di una spiegazione.
A
quel punto Martin aveva esalato un breve e piccolo verso affettuosamente
divertito. «Una band musicale.» aveva solo detto esplicativamente,
con un grugnito.
Amanda
aveva annuito.
«Cioè
suonare in giro?» aveva chiesto Vogel, ancora attentissimo, come se si tenesse
pronto da un momento all’altro ad esternare di nuovo generosamente il suo
entusiasmo maniacale.
«Mi
piace.» aveva detto con quieta approvazione sincera Gripps.
«Io
non so suonare niente.» l’aveva informata Cross, come dopo un’attenta
riflessione. Poi, dopo ulteriore riflessione, aveva specificato «Nessuno
strumento.», con aria relativamente abbattuta.
«Lei
suona la batteria!» aveva esclamato Vogel, con l’aria di volersi rendere utile,
indicando Amanda.
Lei
aveva alzato un sopracciglio con un piccolo sogghigno divertito.
«Tu
sei l’unica che sa suonare uno strumento qui, batterista.» aveva detto Martin
con calma, e il suo perenne tono da dato di fatto.
«Amanda.»
lo aveva corretto automaticamente lei. Perché ancora Martin la chiamava così,
quando doveva nominarla. Lei non se ne faceva un problema; percepiva
chiaramente l’affetto nel suo tono, e il suo riconoscerla come parte
indissolubilmente integrante del Trio Chiassoso. Ma comunque lo correggeva ogni
volta.
Poi
aveva alzato le spalle. Sinceramente non le sembrava un problema; nulla di cui
crucciarsi. Tantomeno un ostacolo.
«Potreste
imparare.» aveva detto. Ma aveva quasi subito aggiunto, ritenendola una
migliore idea «O improvvisare.»
Nessuno
le aveva risposto in un vero e proprio modo chiaro a quel punto. Ma ai suoi
occhi ormai abituati a cogliere ogni linguaggio anche non verbale degli altri
quattro, lo sguardo illuminato ed entusiasta di Vogel, l’annuire con
precauzione di Cross, il sorriso di Gripps e lo
sbuffo di fumo con integrato piccolo breve verso divertito di Martin erano
state per lei risposte più che sufficienti.
Di
lì a due o tre sere più tardi, quando Martin aveva fermato il furgone chissà
dove e Amanda era uscita dal portellone laterale insieme agli altri, si era
trovata davanti ad un qualche locale dove doveva tenersi un qualche concerto.
Anzi, dove stava per tenersi. E stavolta non lo aveva chiesto lei.
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4.
Il
furgone si fermò con uno stridio di gomme particolarmente rumoroso: esagerato,
non necessario, spettacolare e assolutamente voluto.
Amanda
sogghignò prima ancora di aprire gli occhi, seduta tranquillamente sul sedile
del passeggero accanto a Martin. Sapeva perfettamente cosa significava, quando
lui ci teneva così tanto a puntualizzare il loro arrivo dando spettacolo.
Che
avrebbero dato spettacolo – appunto.
«Siamo
arrivati!» esclamò Vogel, buttandosi sulla maniglia del portellone laterale
contemporaneamente a Cross. Dopo una sorta di piccola colluttazione amichevole
riuscirono ad aprirlo, con dietro di loro Gripps che
roteava gli occhi con pazienza genitoriale rassegnata, scuotendo appena la
testa.
Amanda
udì Martin esalare una boccata di fumo di sigaretta e chiederle tranquillamente
«Pronta, batterista?»
Lei
spalancò allora gli occhi, e lo guardò con un sorrisone a trentadue denti,
afferrando la maniglia e aprendo la portiera per saltare giù dal furgone.
«Ci
puoi scommettere, ossigenato.» rispose in tono scherzosamente provocatorio.
Aveva deciso di chiamarlo così, o con altre varianti improvvisate, ogni volta
che lui la chiamava ‘batterista’.
Ferma
in piedi sul marciapiede appena fuori dal furgone, Amanda restò per un po’
piantata con i piedi un po’ allargati e le mani appoggiate con decisione sui
fianchi a fissare con aria critica la facciata del capannone – disperso in
mezzo alla zona industriale di chissà quale città fossero – nel quale
evidentemente doveva tenersi un concerto. Almeno a giudicare dalle numerose
locandine tutte uguali attaccate al muro, e alle persone che sostavano lì fuori
in attesa di entrare o fumando sigarette, bevendo birra e superalcolici e chiacchierando
in attesa che il concerto iniziasse.
Gli
altri aspettarono tranquillamente, fermi intorno a lei, guardandola più o meno
direttamente o con la coda dell’occhio. Vogel e Cross
sembravano non stare nella pelle. Ma tutti attesero comunque. Aspettavano di
vedere la sua reazione, il suo giudizio, di avere la sua conferma. Non che
avessero mai deciso in alcun modo che fosse lei a dover dare l’approvazione
finale, ma era sempre così.
Alla
fine Amanda annuì. «Okay! Facciamolo.» disse con determinazione, sogghignando
allegramente.
Aggirarono
il capannone alla ricerca di un ingresso secondario adatto a loro. E non solo
per evitare di dover pagare l’ingresso, e quindi di fare praticamente irruzione
in un modo o nell’altro.
Era
essenziale attirare l’attenzione fin dall’inizio, e per quello bastava il solo
apparire del loro furgone (e il sottolinearlo della frenata scenica per chi
fosse stato incredibilmente disattento in quel momento) seguito dall’apparire
di loro stessi in tutta l’appariscenza del loro aspetto che si
auto-rigurgitavano fuori da esso con un coretto breve ma efficace delle loro
solite urla e ruggiti selvaggi; era anche essenziale non attirarla
eccessivamente, per evitare di allarmare con troppo preavviso chi eventualmente
intendesse ostacolare ciò che stavano per fare.
Trovarono
un altro ingresso secondario, che consisteva in una porta chiusa da una catena allucchettata. Cross e Vogel si sbarazzarono in pochi
istanti di catena e lucchetto, e tutti e cinque si infilarono rapidamente
all’interno, aggirandosi nel retroscena del palco costituito da qualche
corridoio stretto e una manciatina risicata di stanze, che attraversarono
lanciandosi appena occhiate intorno.
I
gruppi che dovevano suonare si stavano ancora preparando, lo staff era
impegnato e trafelato e stava sistemando le ultime cose. Non era un grande
concerto, più che altro qualcosa di auto-organizzato e di poche pretese, quindi
niente security vera e propria, il che faceva particolarmente al caso loro: non
che non fossero perfettamente in grado di occuparsi di un’eventuale security,
ma quello era qualcosa che in genere faceva loro perdere tempo e creando del
trambusto rovinava la sorpresa.
Tutti
erano abbastanza frastornati e stupiti dal loro apparire e aggirarsi con rapida
e sicura praticità lì dentro che non fecero in tempo a decidersi per tentare
qualche tipo di protesta a ciò: sempre ottimo. Al punto che Vogel, Cross e Gripps riuscirono ad afferrare al volo di passaggio un
basso ed un paio di chitarre, raccogliendole da dove stavano appoggiate in giro
o strappandole di mano a qualcuno ancora troppo stupito dal loro essere lì e
che stava ancora cercando di capire chi, come e perché.
Dopodiché
stavano già balzando sul palco, e in pochi istanti Amanda si era infilata
dietro la batteria piazzandosi sullo sgabello e impugnando saldamente le
bacchette che si portava sempre appresso (le sue bacchette), e Martin aveva strappato uno dei microfoni dal suo
supporto e stava emettendo un ruggito estremamente potente e selvaggio per
richiamare l’attenzione di tutti i presenti – fino a quelli che erano ancora
fuori dal capannone – dritta su di loro.
Subito
dopo Amanda gridò da dietro la batteria con tutta la voce che aveva «Siamo il
Trio Chiassoso! Preparatevi al peggio!»
Quelle
battute d’annuncio le improvvisava di volta in volta. A giudicare dagli sguardi
entusiasti o dai cenni di approvazione degli altri, non falliva mai
nell’azzeccarne di ottimali.
A
volte qualcuno dal pubblico faceva in tempo a dire qualcosa in quei pochissimi
attimi tra le sue battute d’annuncio e il loro iniziare la loro esibizione. Ed
era di solito Martin che rispondeva, anche lui naturalmente improvvisando e a
seconda di ciò che era stato detto.
Ce
n’era comunque una che era assai frequente, oltre che terribilmente scontata.
«Ma
siete in cinque!» esclamò qualcuno dal pubblico, in protesta scherzosa ma
comunque puntigliosamente superiore e derisoria.
Martin
individuò il tizio che lo aveva detto immediatamente e con precisione in mezzo
alla folla, gli lanciò uno sguardo penetrante e in qualche modo esplicitamente
d’avvertimento dritto negli occhi al di sopra degli occhiali, e disse nel
microfono «Tu sì che sai contare.», con il suo tono basso e non meno
penetrante.
Cadde
il silenzio in tutto il capannone. Ma non durò che un battito di ciglia.
Dopodiché
il Trio Chiassoso iniziò a “suonare”.
Nessuno
di loro a parte Amanda aveva veramente dedicato così tanto tempo – e meno
ancora impegno serio o accademico – ad imparare a suonare: semplicemente lei
suonava a sentimento e cambiando il ritmo e a seconda dell’umore, gli altri tre
strimpellavano qualcosa a caso purché rumoroso sulle corde degli strumenti che
avevano preso in prestito, e Martin ruggiva nel microfono selvaggiamente, solo
talvolta e se ne aveva voglia spargendo qualche parola più che vere e proprie
brevi frasi incidenti, in ogni caso improvvisate.
Era
tutta una improvvisazione.
Non
avevano delle canzoni. E non solo nel senso che non c’era niente di scritto né registrato,
tutt’al’più qui o là qualche ripetizione di qualche
giro d’accordi o di frasi improvvisato in precedenza che fosse loro piaciuto
abbastanza da ricordarselo e saperlo ripetere, ma anche nel senso che non
c’erano pause né stacchi di alcun genere. Forse era al massimo un’unica lunga
canzone, che cambiava sempre, sia da una volta all’altra che nel suo stesso
svolgersi.
E
non esisteva l’’andare a tempo’ fra di loro, anche se in qualche modo
riuscivano a marmellare collettivamente le loro
improvvisazioni con una sintonia spontaneamente complice, che forse era la cosa
più notevole.
Non
sempre il pubblico era apprezzante infine. A volte almeno quelli che avevano
bevuto di più o che lo scambiavano per uno scherzo o per una specie di
provocazione ribelle approvata dagli organizzatori del concerto trovavano
comunque il modo di apparire estremamente coinvolti da quel loro spettacolo, e
gridavano incitamenti, ballavano o pogavano più o meno selvaggiamente, o
comunque assistevano con attenzione e interesse. Gli altri erano un coro di
proteste, risate superiori e critiche e incredule, battute taglienti o altro
che comunque veniva coperto dal rumore della loro esibizione.
Tutto
quello che contava, comunque, era fare un gran chiasso. Un frastuono totalmente
caotico, assurdo, insensato e… ipnoticamente catartico! Così lo trovava Amanda.
A volte avrebbe voluto essere tra il pubblico mentre loro si esibivano.
Anche
quella loro esibizione finì come di solito finivano quasi tutte, tranne quelle
dove nessuno osava cercare di fermarli e loro alla fine smettevano quando si
stancavano e se ne andavano. Ovverosia finì con una sommaria zuffa confusa con
alcuni degli organizzatori del concerto, dei partecipanti e dei componenti dei
gruppi che si dovevano ufficialmente esibire, e un andarsene così come erano
venuti col loro furgone dopo aver lasciato a terra, in fuga o terrorizzati chi
aveva cercato troppo insistentemente di opporsi fisicamente a loro.
Ma
parte del pubblico sembrava ancora assai divertita, se non proprio altri
potenziali nuovi fan.
Dirk, che
seguiva con solerzia ogni notizia di cronaca locale o nazionale che parlasse di
qualcheduna di quelle loro incursion-esibizioni, e
raccoglieva ognuno di quei trafiletti in un album che poi le mostrava ogni
volta che si vedevano, sosteneva di aver visto che in giro per il web c’erano
fan del Trio Chiassoso (nella sua versione di band musicale cioè) che avevano
per caso assistito ad una loro improvvisata mordi-e-fuggi giusto una volta, e
che cercavano (qualcuno più o meno disperatamente) loro informazioni o tracce
per capire come trovare data e luogo della loro prossima esibizione.
Todd
e Farah invece tendevano piuttosto a consultare
quotidianamente le notizie di cronaca di tutti gli Stati Uniti per controllare
che non ci fosse nulla che parlasse di qualcosa di brutto che potesse essere
successo al Trio Chiassoso (in questo caso, sia come band on-the-road che come
band musicale che in qualsiasi altro senso) e di conseguenza anche ad Amanda.
Qualcosa come essere arrestati ad esempio. E poi aver distrutto la centrale di
polizia ed essersene andati ed essere quindi finiti sulla lista nera di tutte
le forze armate del continente o giù di lì.
Todd,
in uno dei suoi tentativi di raccogliere il coraggio e cercare di essere
gentile con lei nonostante i trascorsi per i quali non osava nemmeno sperare
ormai di poter essere completamente perdonato, una volta le aveva chiesto se
avessero qualche demo che potesse ascoltare. Lei lo aveva guardato e poi era
scoppiata a ridere così forte che aveva dovuto tenersi la pancia con le mani.
Amanda
non era veramente interessata a sapere se e quanti fan avessero.
Lei
si sentiva comunque una star, e nel modo migliore in cui avrebbe mai potuto
desiderare (o meglio: nemmeno immaginare) di esserlo.
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5.
In
fondo Amanda sapeva che comunque non era tutto lì, la sua vita on-the-road con
il Trio Chiassoso. Non solo una banda. Era qualcosa di più, allo stesso tempo.
Qualcosa di indefinibile, ma in ogni caso molto di più.
Non
che si fosse mai curata di definirlo a parole. Non che, quando ancora Todd
aveva qualche fugacissimo momento in cui si azzardava – sebbene con precauzione
e con una leggera smorfia di chi sa che si deve aspettare il peggio in risposta
– a questionare il fatto che la vita di lei ora consistesse nel vagare
perennemente e senza meta con il Trio Chiassoso, lei si fosse mai sprecata a
provare a spiegarglielo.
Dopo
i primi tempi, non stavano più tutti e cinque sempre costantemente insieme
entro pochi metri di distanza o radunati dentro il furgone. A volte uno di loro
se ne andava a farsi un giro per conto suo per le strade della qualsiasi città
in cui facevano tappa momentanea per qualche ora. A volte si dividevano in
gruppetti di due o tre e andavano a farsi un giro. A volte Amanda si staccava
da loro per qualche ora e si faceva una passeggiata.
Poi
si ritrovavano sempre. E sempre al momento giusto, anche se Amanda non aveva
mai certezza se fosse che si ritrovavano al momento giusto per ripartire, o se
il momento giusto di ripartire fosse esattamente quando si riunivano. O
entrambe le cose allo stesso tempo.
Non
avevano cellulari né altro modo per tenersi in contatto quando si separavano
così. Ma Martin era come se avesse una specie di radar da pipistrello o
qualcosa del genere, o almeno le dava quell’impressione: come se potesse sempre
sentire dov’era ognuno di loro nel raggio di qualche chilometro almeno. Certo,
talvolta il fracasso che producevano o le occasionali urla o ruggiti – lanciati
per la strada senza motivo altro apparente che di celebrare così il fatto di
essere vivi – poteva eventualmente essergli d’aiuto forse in tal senso.
Ad
un certo punto, Amanda si era resa conto che le sembrava di sentire qualcosa
del genere, come se potesse percepire la loro presenza nel raggio di al massimo
qualche chilometro. Naturalmente, era qualcosa che la tranquillizzava
enormemente. Come una perenne rassicurazione auto-garantita da nient’altro che se stessa – ma incrollabile in ciò – che la accompagnava
ovunque andasse; come avere sempre addosso una invisibile, calda, confortante
coperta d’affetto reciproco e assoluto, che le rendeva impossibile sentirsi
sola, che la rilassava, proteggeva e cullava ad ogni passo.
Non
le era più possibile, nemmeno se lo avesse voluto, preoccuparsi minimamente del
fatto che si perdessero tra loro, che faticassero a ritrovarsi. Il tempo non
aveva molta importanza, e magari lei aveva passeggiato guardandosi attorno
anche per ore in quella qualsiasi cittadina in cui si erano fermati, ma sapeva
per certo che da un momento all’altro avrebbe girato un angolo e si sarebbe
imbattuta in almeno uno di loro, e a seguito e di lì a poco in tutti gli altri.
E
sarebbero ripartiti insieme.
Le
crisi di pararibulite erano diventate ormai per lei
una rarità, e continuavano a diventare sempre meno frequenti, meno improvvise e
meno violente. No, non sparivano del tutto, ma lei non ci aveva mai realmente
sperato: la sua massima speranza negli ultimi anni era stata che diventassero
estremamente poco frequenti e molto poco intense. Speranza che ora l’avrebbe
fatta ridere amaramente, pensando che si basava su quello che le diceva e
sosteneva suo fratello. Todd che aveva mentito in proposito.
Ma
ora, quando anche ne aveva una, sapeva che non c’era nulla che dovesse temere:
in un battito di ciglia Martin, Vogel, Gripps e Cross
sarebbero stati intorno a lei a risucchiare via quella sorta di energia
bluastro-azzurro-biancastra che non si era mai preoccupata di capire molto più
esattamente che cosa fosse, o come potesse esistere; e l’istante successivo la
crisi sarebbe scomparsa nel nulla assieme alla dolorosa allucinazione che
recava, e lei non avrebbe più provato alcun terrore o dolore, ma tutt’al’più solo una forte stanchezza.
Almeno
uno di loro, se non tutti e quattro, si sarebbe raggomitolato di fianco a lei o
le sarebbe rimasto vicino, come facevano sempre, dopo averla sistemata
abbastanza comodamente sdraiata sul furgone, o da qualche parte di comodo se lo
avevano lasciato parcheggiato più in là per farsi un giro a piedi, e avrebbe a
sua volta sonnecchiato o sarebbe rimasto quietamente ad aspettare senza fretta
né altro che lei si riprendesse da quella stanchezza.
Un
giorno Amanda si risvegliò senza ricordarsi dapprincipio quando o come si fosse
addormentata. La prima cosa che seppe con certezza e istintivamente fu comunque
che non si trovava a bordo del furgone. Aprì gli occhi di scatto, sebbene
percepisse tutt’attorno qualcosa che come al solito le suggeriva che non c’era
niente al mondo di cui preoccuparsi, e scoprì di essere sdraiata in un prato di
erba morbida, verde e rigogliosa. La luca era quella di un caldo tramonto e
c’era un silenzio tranquillo.
Voltò
la testa in una direzione: il furgone era lì, parcheggiato a qualche metro da
lei e pacificamente spento, dritto in mezzo al prato. Voltò la testa di nuovo e
riconobbe Vogel, che dormiva spensieratamente, raggomitolato di fianco a lei e
con la schiena contro il suo fianco, come un cane che scaldi un suo compagno di
branco mentre si dorme, facendosi reciprocamente la guardia per proteggersi da
ogni cosa, foss’anche solo un possibile sentimento di solitudine.
Amanda
sorrise appena tra sé e sé: non si era sbagliata, era tutto a posto.
«Hey, batterista.» udì un calmo e familiare grugnito, come a
mo’ di saluto accogliente.
Stirò
il collo per piegare la testa all’indietro, e individuò Martin seduto a gambe
incrociate sul prato un po’ più in là, che fumava; le appariva capovolto,
naturalmente, da quella prospettiva. Lui non la stava guardando, ma spostò gli
occhi su di lei come se si fosse accorto che lei invece lo stava fissando.
«Come
ti senti?» le chiese ancora, con la sua placida calma rispettosa, attenta ma
mai e poi mai in alcun modo commiserante o altro.
Amanda
sorrise un poco, e in maniera provocatoria. Ora ricordava di aver avuto una
crisi, e che loro le avevano assorbito via l’energia, e di essere stata poi
così stanca da addormentarsi; solo che era avvenuto quando erano in viaggio sul
furgone. Dovevano essersi fermati per una pausa, e averla trasportata fuori con
tanta delicatezza da non svegliarla nemmeno, sistemandola sul gradevole prato.
«Niente
male, criminale incallito. E tu?» rispose.
Martin
scosse appena la testa ed emise un piccolo verso sardonico a mo’ di risposta.
Amanda
spostò di nuovo lo sguardo, cercando gli altri. Non le occorse molto per
trovarli.
Gripps
sedeva sul prato un po’ più in là ancora, molto impegnato a costruire una
collana di steli d’erba e fiori intrecciati, che probabilmente alla fine – se
lo avesse soddisfatto abbastanza il risultato finale – le avrebbe regalato.
Cross
stava studiando da vicino con aria rapita un gruppetto di bovini che
pascolavano più in là, e che a giudicare da come lo stavano tenendo d’occhio sembravano
non riuscire a decidersi sul fatto di categorizzarlo come una specie di strano
possibile predatore o di un amante indiscusso della loro specie. Cosa che
probabilmente nemmeno lui aveva ancora deciso definitivamente, in fondo.
Amanda
sospirò appena, rilassata, e richiuse gli occhi per lasciarsi sonnecchiare un
altro po’, sistemandosi un po’ più comoda sul prato. Accanto a lei, Vogel non
si svegliò nemmeno nel muoversi un poco, con gentilezza, per riaggiustare a sua
volta la sua posizione in modo da assecondare il riaggiustamento di lei
automaticamente.
A
volte nessuno di loro parlava per interi giorni. Amanda nemmeno se ne
accorgeva.
Non
che ci fosse un motivo per non dire o dirsi nulla, al contrario, era come se
non ci fosse motivo preciso per dire qualcosa: tutto scorreva naturalmente e
spontaneamente, e loro dovevano essere in grado – dopotutto – di capirsi anche
solo con uno scambio di sguardi, o uno sbuffo divertito o un grugnito
significativo, o guardandosi le espressioni o studiandosi i movimenti.
Se
uno di loro si muoveva in una qualche direzione con determinazione, convinzione
o anche solo ispirazione, gli altri lo seguivano automaticamente; se uno di
loro si fermava perché ne aveva bisogno o anche solo rallentava il passo per
studiare meglio qualcosa, gli altri facevano altrettanto e aspettavano. Se
Martin fermava il furgone da qualche parte, nessuno di loro chiedeva mai il
perché o il percome. Se qualcuno di loro scendeva dal furgone, anche solo per
starsene a ciondolare un poco fuori da esso se non per avviarsi in una
direzione qualsiasi, gli altri scendevano, lo seguivano o rimanevano lì intorno
ad esso ad aspettare il suo ritorno.
Così
andava a finire a volte che per giorni non c’era bisogno di parlare o nessuno
di loro aveva qualcosa di particolare da esprimere a parole, né la voglia o il
sentore di farlo.
Al
punto che alcune volte quando Amanda tornava a parlare per dire anche solo un
paio di parole, o salutare Dirk o Todd o Farah quando li andava a trovare, la voce le usciva
gracchiante e arrocchita per il mancato uso e lei nemmeno se ne sarebbe accorta
se uno dei suoi tre amici non le avesse chiesto se aveva mal di gola o (nel
caso di solito di Todd) un «Dio mio, che è successo alla tua voce?»
Di
solito lei sorrideva tra sé e sé e non si preoccupava nemmeno di rispondere,
alzando le spalle tranquillamente. Di lì a poche altre parole, comunque, la sua
voce era già tornata perfettamente normale.
E
lei ancora non si preoccupava di spiegare o pensare troppo, nemmeno spiegare a se stessa cioè, come fosse possibile stare praticamente
tutto il tempo insieme a qualcuno con cui non c’è nemmeno bisogno di parlare
per capirsi al volo.
Forse
il termine più appropriato sarebbe stato ‘famiglia’. Ma sarebbe probabilmente
stato un azzardo, pensava Amanda. Era un termine troppo abusato, e “normale”
secondo la concezione dei più, e comunque non del tutto adatto.
Ma
forse era quella, o qualcosa del genere, la sensazione che provava con il Trio
Chiassoso.
I’m Not A Fan Of Anything/Anyone.
It’s Everyone/Everything That Should Be My Fan.
6.
Qualche
volta le loro “performance musicali” improvvisate non venivano prese così male.
Qualche
volta nessuno provava a fermarli e loro si “esibivano” per una decina-quindicina
di minuti o giù di lì, finché Martin rimaneva quasi senza voce a forza di
ruggire nel microfono, e Amanda e gli altri praticamente non si sentivano più
le mani a forza di picchiare sulla batteria e strimpellare corde, e decidevano
che ne avevano abbastanza, lasciando gli strumenti e scendendo dal palco.
In
quelle occasioni, tutti i presenti al concerto sembravano aver preso la loro
intromissione come un momento divertente, se non piacevole e intrattenente.
Qualcuno diventava immediatamente loro fan.
Quella
era una di quelle volte.
E
qualcuno non sembrava esattamente un fan della loro idea di fare musica, quanto
piuttosto avere altre idee in testa.
Si
trattava di un tizio qualunque, già un po’ alticcio, che per un momento era
spuntato all’attenzione di Amanda in modo particolare, distinguendosi tra i
pochi ma interessati presenti del pubblico che, quando erano scesi dal palco ed
erano rimasti a bighellonare lì in mezzo tanto per, si erano alla fine fatti
coraggio abbastanza da avvicinarsi a lei e agli altri e a cercare di attaccare
discorso.
Questo
tizio in particolare aveva cercato viscidamente di iniziare a flirtare con lei.
Amanda gli aveva fatto capire senza problemi che non era proprio aria,
spingendolo gentilmente ma molto fermamente indietro con una mano sul petto
quando lui si era avvicinato troppo a lei per biascicarle qualcosa.
«Hey amico, ci sento benissimo, perciò stai un po’ più in
là.» gli aveva semplicemente detto con decisione.
Un
po’ barcollante di stupore, più che per la birra, il tipo non aveva fatto altri
tentativi di provarci con lei.
Al
contrario, se ne era direttamente andato in un altro punto del locale,
lasciandola in pace.
Amanda
era stata distratta per un bel pezzo dal chiacchierare con qualche nuovo/a fan
del Trio Chiassoso (in versione “musicale”) che si erano radunati attorno a lei
e agli altri con le loro domande e chiacchiere a proposito di musica e di
quanto fossero fantastici e così via.
Ma
ad un certo punto si era resa conto che quel tizio in realtà stava continuando
a guardarla da lontano, con aria sempre più adombrata e corrucciata mano a mano
che mandava giù altro alcool. Amanda aveva deciso di continuare a ignorarlo,
contando sul fatto che in un modo o nell’altro quel tipo avrebbe finito per
mandare giù anche il rifiuto. Che diavolo, anche lei aveva qui o là rimediato
qualche momento di merda durante qualche serata nel corso anche solo
dell’adolescenza, e li aveva mandati tutti giù in qualche minuto o al massimo
entro la serata stessa o il weekend. L’alcool a volte aiutava ottimamente per
quello, nel caso ce ne fosse bisogno.
Col
senno del poi, Amanda si sarebbe detta che aveva valutato assai erroneamente la
situazione. O si era completamente dimenticata lì per lì
di quali altri effetti affatto benefici potesse avere l’alcool. Come
enfatizzare il malumore che si provava, o farlo scivolare in una corposa rabbia
pronta ad esplodere da un momento all’altro.
Forse
era solo che quella sera e in quel momento tutto le sembrava rose e fiori. Come
avrebbe potuto non apparirle così, quando era in una serata punk-rock, reduce
da un’altra esibizione del Trio Chiassoso, e circondata come gli altri da un
gruppetto di neo-acquisiti fan che chiacchieravano
con loro di come la loro musica ‘spaccasse di brutto’?
Ma
aveva notato quando il tizio si era mosso con all’improvviso una sorda e cupa
determinazione ben mirata, dirigendosi a passo spedito dritto verso di lei.
Forse era solo l’istinto strano e animalesco che le si era rafforzato – o
almeno così lei pensava – da quando stava nel Trio Chiassoso, ma immediatamente
seppe che si stava avvicinando qualcosa di sgradevole.
Guai
in avvicinamento.
Ancora,
tuttavia, non sospettava minimamente che potesse trattarsi di qualcosa che non
poteva gestire tranquillamente inducendo il tizio ad andarsene al diavolo, a
male parole o a calci se necessario.
Non
si era aspettata affatto che, non appena il tipo che l’aveva raggiunta aveva
iniziato a dirle brutalmente «Hey, tu, chi diavolo ti
credi di essere, stronza?», prendendola per un polso e pronto a litigare, Vogel
si sarebbe gettato in avanti in un guizzo estremamente rapido, istantaneamente.
Prima
ancora che qualcuno potesse accorgersene precisamente, il tizio giaceva
crollato sul suo sedere per terra, lo sguardo spalancato e frastornato, e Vogel
se ne stava tranquillamente fermo di fianco a lei, sorvegliandolo
tranquillamente ma direttamente con lo sguardo, come per vedere semplicemente
se quello se l’era fatta bastare e se ne andava, o se aveva intenzione di
continuare.
Le
persone che stavano chiacchierando con lei e con gli altri a quel punto si
erano un poco fatte indietro d’istinto, per non essere investite dalla
scaramuccia. In seguito, Amanda ne sarebbe stata estremamente sollevata.
Perché
il tizio, dopo essersi reso conto che a stenderlo era stato un ragazzo che
aveva sì e no la metà della sua corporatura, era sembrato impazzire
direttamente di rabbia. Amanda aveva appena fatto in tempo a cogliere quel
rapido scintillio più pericoloso e impazzito nello sguardo del tipo, e a
provarne conseguentemente un istintivo allarme, che quegli aveva già estratto
da sotto la giacca un grosso coltello e si stava rialzando di scatto, puntando
verso di loro.
Tutto
successe poi con estrema rapidità e una grande confusione: il breve urlo di
allarme di lei e la paura che la invadeva di colpo come paralizzandola, lo
scatto fulmineo di Vogel, il ruggito di Martin, Cross e Gripps
che accorrevano, la gente che urlava terrorizzata e cercava di scappare, il
tizio che veniva travolto dai tre che gli si buttavano addosso, e lei che si
ritrovava con Vogel che le cadeva contro scivolando a terra con uno sguardo
sbigottito.
Poi,
Amanda non era stata esattamente più molto lucida dopo quel momento.
Vogel
giaceva disteso su un lettino da ambulatorio.
Il
veterinario del turno notturno stava ricucendo con grande cura la ferita da coltello
di striscio sul suo fianco, sudando freddo per via del modo in cui quei cinque
tizi avevano fatto praticamente irruzione nel suo ambulatorio trascinandosi
dietro uno di loro ferito, e imponendogli di ‘rimetterlo in sesto’.
Uno
di loro se ne era andato per un poco, tornando con una grossa scatola di
biscotti ammaccata che aveva appoggiato su uno dei ripiani della stanza senza
dire niente; il veterinario aveva la sensazione che quella scatola di biscotti –
che sembrava essere appena stata rubata da un qualche negozio, a giudicare dai
frammenti di vetro fine di cui era un poco cosparsa – fosse esattamente ciò che
intendevano lasciargli a mo’ di compenso.
Il
veterinario non osava replicare né provare a ribellarsi, né altro che non fosse
semplicemente ricucire la ferita di quel ragazzo e sperare che a quel punto se
ne sarebbero semplicemente andati senza fare a lui o al suo ambulatorio niente
di male; perché a giudicare dalle loro espressioni, oltre che potenzialmente
assai pericolosi quei tizi erano anche piuttosto di malumore in quel momento.
Ma soprattutto aveva ormai raggiunto una completa certezza: se anche si fosse
azzardato a raccontare a qualcuno quell’assurda esperienza, non gli avrebbero
mai creduto.
Martin,
Gripps e Cross giacevano sparsi per il resto della
stanza, chi seduto sul pavimento, chi appoggiato a braccia incrociate
all’indietro contro uno dei mobili. Nessuno di loro aveva ancora detto niente,
dopo l’iniziale ‘Tu sei un medico. Rattoppalo.’ che Martin aveva ordinato al
veterinario appena erano riusciti ad entrare nell’ambulatorio. E tutti avevano
l’aria di stare tranquillamente aspettando che finisse di ricucire il loro
amico, e allo stesso tempo di stare tenendo sotto quieto ma implicito e assai
ammonente controllo ogni suo minimo gesto.
Amanda
sedeva su uno sgabello accanto al lettino, tenendo una delle mani di Vogel
stretta in una morsa in una delle sue, e fissando con aria assente e
profondamente depressa le mani del veterinario che gli ricucivano la ferita.
Buona parte del pesante e nero trucco per gli occhi le era colato come se
avesse pianto.
In
effetti, aveva pianto per buona parte del tragitto fino a lì.
Sussultò
quando sentì la mano di Vogel che teneva nella sua darle una piccola, gentile
stretta, e abbassando lo sguardo su di esse rimase come incantata a fissare il
sangue di cui erano sporche le sue mani.
In
parte era sangue di Vogel. Ma era forse più che altro sangue del tizio che lo
aveva accoltellato. Gripps e Cross l’avevano tirata
via dalla faccia di lui, che Amanda stava continuando a prendere a pugni fuori
di sé, con gentilezza ferma, come se più che per le condizioni di quel tipo si
preoccupassero del fatto che se lei avesse finito per ucciderlo poi se ne
sarebbe pentita e si sarebbe sentita male.
Amanda
chiuse gli occhi per un momento e le sfuggì un sospiro tremolante.
«’Manda…»
udì chiamarla gentilmente.
Aprì
subito gli occhi di nuovo, guardando Vogel stranita e incredula.
Lui
era effettivamente abbastanza sveglio da guardarla con aria abbattuta e
preoccupata attraverso le palpebre a mezz’asta.
Lei
sollevò subito gli occhi di scatto sul veterinario. «Non dovrebbe essere
anestetizzato o roba del genere?!» gli chiese, con voce cupa e minacciosa.
Il
veterinario riuscì in qualche modo a sussultare allarmato senza che ciò
risentisse sul lavoro di ago e filo che stava facendo, e mormorò riluttante «È
meglio un’anestesia locale… in casi come questi… Comunque gli ho anche
somministrato dell’antidolorifico… Ho fatto tutto… Sto facendo tutto per il
meglio…». Quindi deglutì nervosamente e aggiunse in tono tremante «Lo… giuro…?»
Amanda
lo fissò attentamente, stringendo un po’ le palpebre, come se stesse cercando
di scavargli un tunnel nel cranio a suon di sguardo, per controllare che stesse
dicendo la verità e ne fosse certo.
«’Manda…»
la richiamò di nuovo Vogel, in un mormorio da cane bastonato, dolente e quasi
implorante.
Lei
abbassò subito di nuovo lo sguardo su di lui. «Sì, sono qui. Ti fa molto male?»
gli chiese, sentendosi di nuovo nello stato d’animo adatto per piangere ancora.
Vogel
scosse tuttavia la testa, sembrando tranquillamente sincero. «Nah. Ma… mi dispiace…» disse ancora, come se stesse
confessando qualcosa, fissandola in volto come se rimettesse a lei e solo a lei
la possibilità di perdonarlo o meno.
Amanda
strabuzzò lo sguardo, confusa. «Per che cosa?» domandò, incredula.
Vogel
sembrò pensarci per un momento, poi tentò di alzare le spalle, cosa che gli
procurò una smorfia di dolore e l’allarme del veterinario che gli chiese – estremamente
gentile e quasi implorante, ma comunque con un che di professionalmente severo
in sottofondo – di stare fermo.
«Per
aver… rovinato la serata?» disse infine Vogel, come se non fosse sicuro della
scelta delle parole più che del concetto in sé.
Amanda
lo fissò a lungo in silenzio, incredula e immota.
Infine
scosse la testa e rise, e ricominciò a piangere un poco. Invece di
rispondergli, si chinò e cercò di abbracciarlo in un modo che non intralciasse
troppo il lavoro del veterinario.
In
realtà, fu lei a continuare a pensare che fosse stata tutta colpa sua. Finché
Martin, più tardi, quando erano di nuovo a bordo del furgone ed erano
ripartiti, e Vogel e gli altri dormivano nel retro e lei se ne stava sul sedile
del passeggero con le gambe piegate e le ginocchia abbracciate contro il petto,
fissando nel vuoto con aria mesta e senza riuscire a chiudere occhio nonostante
fosse praticamente l’alba, le disse solo «Non è stata colpa tua, Amanda.»
I’m Not A Fan Of Anything/Anyone. It’s Everyone/Everything That Should
Be My Fan.
7.
A
volte Amanda si ricordava che dopotutto lei aveva una famiglia nel senso più
convenzionale del termine. Nonostante ciò, non sapeva esattamente che fare di
essa o con essa.
Suo
fratello… lei aveva deciso di battezzarlo definitivamente come l’indiscusso
vincitore assoluto alle finali per il premio di ‘peggior fratello del mondo’. Né lui sembrava non rendersi perfettamente conto e
accettare passivamente quel riconoscimento, né non sapere perfettamente come se
lo era riuscito a meritare, con il modo in cui si era meticolosamente
comportato per anni. Ma Amanda era irritata ancora di più da quello, da come
lui prendesse la cosa come una sorta di condanna perpetua che gli dovesse
pesare addosso per il resto della sua vita.
Sapete
quelle persone che ti combinano cose orribili e poi, alla fine dei conti,
sembra siano convinte di essere comunque loro le vittime perché il rimorso le
perseguita? E l’aveva enormemente irritata il suo modo di fare in sua presenza,
quando lei passava da Seattle: quel suo starsene lì come un cane bastonato, in
attesa di un insperato e immeritato gesto di anche solo appena vaga presa in
considerazione di lui da parte sua. Come se fosse a lei che doveva spettare
alla fine la parte della “cattiva”.
Finché
non aveva deciso di non farsi un problema nemmeno di quello, e che l’ignorarlo
di base era probabilmente in ogni caso la cosa migliore. Soprattutto perché, da
quando stava nel Trio Chiassoso, era difficile non essere in una costante buona
disposizione d’animo tale che persino il suo cosiddetto fratello che se ne
stava in un angolo (metaforicamente o meno), come se stesse soppesando
attentamente ogni cosa da dire o fare nei suoi confronti, poteva infastidirla
più di tanto.
I
suoi genitori… beh, Amanda aveva sentito abbastanza storie di famiglie e
genitori orribili – quando non allucinanti – da sapere che non poteva davvero
lamentarsi di loro. Erano una coppia di genitori a posto, in fondo. Avevano
tirato su lei e Todd cercando di educarli e viziarli assieme, dispensando
affetto caldo, giudiziosi buoni consigli a proposito di parecchie cose nella
vita, e via dicendo.
A
ben pensarci, Amanda sospettava che un giorno, magari in seguito e dopo altri
anni, sarebbe arrivata al punto di sentirsi un po’ in colpa per tutte quelle
volte che da bambini o ragazzini lei e/o Todd si erano comportati in maniera
ingrata o orribile con loro, a suon di scenate e ribellioni e cose del genere;
dopotutto, non se l’erano mai meritato sul serio, per quello che lei ricordava.
Ma
anche loro erano… irritanti. Forse per via di quel loro quieto e pacifico
ottimismo di fondo, in base al quale impegnarsi ad essere sempre il più
possibile brave persone ogni giorno, non potesse che ottenere in cambio una
vita tranquilla, serena e sana. O forse perché erano così ingenuamente buoni da
non avere idea che lei ora viveva a bordo di un furgone in compagnia e
fratellanza con quattro punk caotici e criminali, o che Todd avesse quasi
esaurito i loro risparmi fingendo di avere una malattia terribile che ora
peraltro aveva sul serio.
E
sì… giusto! A proposito di quanto Todd la irritasse! Naturalmente ora lui
poteva anche contare sull’avere davvero la pararibulite
per potersi avvolgere nel suo ruolo di vittima! Non che ci provasse sul serio,
e anzi, stoicamente fingeva sempre che andasse tutto bene, non parlava mai dei
suoi attacchi o di come si sentisse in proposito, e probabilmente aveva imposto
anche a Dirk di non parlarne con lei per non farla
preoccupare o cose del genere, perché quando Amanda lo chiedeva, Dirk si irrigidiva e lanciava un rapido sguardo imbarazzato
e intimorito verso Todd: dopodiché, quest’ultimo diceva solo che non erano così
brutti né così frequenti, che le medicine funzionavano e non c’era niente di
cui preoccuparsi, e Dirk abbassava lo sguardo sul
pavimento tenendolo incollato lì come se fosse estremamente interessante,
evitando chiaramente di guardarla in faccia, e tacendo.
C’era
una sorta di accordo non detto a proposito di che fine facessero i farmaci per
la pararibulite che i loro genitori ancora
finanziavano.
Todd
aveva implorato Amanda di non dire nulla ai loro genitori a proposito della sua
prima falsa e ora vera pararibulite, in modo che lui
poi potesse dire loro la verità prendendosene tutta la responsabilità. Amanda
aveva alzato le spalle dicendo semplicemente «Fai come ti pare.», poi ci aveva
pensato meglio e aveva specificato «Ma se non lo farai prima o poi, dirò io
loro la verità.».
In
seguito, Dirk stesso le aveva raccontato com’era
andata. Perché Dirk naturalmente, in quanto
fenomenale amico che suo fratello non si meritava, aveva insistito fino allo
stremo per accompagnarlo nella missione di andare a casa dei loro genitori a
dirgli la verità, e nonostante Todd si fosse rifiutato, era riuscito a seguirlo
e a comparirgli di fianco dal nulla mentre Todd era sulla soglia di casa loro e
aveva appena suonato il campanello.
A
sentire i racconti di Dirk, Amanda avrebbe voluto
proprio esserci, magari con dei popcorn per godersi meglio la scena. Dirk naturalmente aveva incantato i loro genitori, o li
aveva lasciati incerti se essere più straniti o affascinati, con il suo modo di
fare più gentile e intrattenente, mentre Todd se ne stava in disparte, a mezza
via tra un fascio di nervi per ciò che voleva dire e un cercare di resistere
dallo sbattere Dirk fuori di casa cercando nel mentre
di non cedere all’urgenza di prenderlo a calci. A parere di Dirk,
comunque, il suo presentarsi e chiacchierare amabilmente con i loro genitori
era stato molto di aiuto, per quanto poteva esserlo visto che era stato il
preambolo della confessione bruciante di Todd a proposito dell’aver finto per
anni di avere la pararibulite.
I
loro genitori naturalmente non ci avevano voluto credere all’inizio, si erano
rifiutati. Amanda aveva sentito o letto da qualche parte qualcosa a proposito
delle fasi di shock che le persone attraverserebbero puntualmente quando ne
subiscono uno, e riusciva a dipingersi i suoi genitori come persone perfette
per attraversare esattamente quelle fasi. La prima era il rifiuto, totale e
irrazionale, deciso e convinto. Ma alla fine Todd li aveva convinti.
Amanda
sospettava che la presenza di Dirk fosse
singolarmente riuscita ad evitare a suo fratello di poi peggiorare la
situazione magari tentando di offrire loro dei soldi per rimediare o cose del
genere, come aveva fatto con lei. O forse era stata appunto l’esperienza
racimolata di quando aveva confessato a lei le sue menzogne. Comunque, il resto
di quella giornata, secondo Dirk, era stata molto…
‘emotiva’. E quello che aveva pianto più di tutti per tutta quell’”emotività” era
stato proprio Dirk.
E,
naturalmente, non solo alla fine i loro genitori avevano perdonato Todd, ma lo
trattavano ancora di più come se lui fosse una vittima del mondo intero,
qualcuno di cui prendersi cura. Ad esserne incaricato era stato Dirk, il quale si era sentito molto onorato da quel compito
e aveva promesso di farsene carico con solenne giuramento. Amanda aveva
sogghignato sentendogli raccontare quella parte, perché a differenza di Dirk, rimasto completamente inconsapevole di questo, lei
aveva perfettamente intuito che i loro genitori fossero giunti alla conclusione
che lui fosse il solare fidanzato di Todd. Probabilmente Todd era troppo scosso
dall’andamento emotivo di quella giornata per essersene reso conto a sua volta,
il che l’aveva divertita ulteriormente.
Quanto
a lei… naturalmente Todd non si era lontanamente azzardato a dire ai loro
genitori che razza di vita conducesse ora. Amanda aveva dato ai suoi genitori
l’indirizzo di Dirk come il proprio, lasciando loro
intendere che abitasse lì, e né Dirk né tantomeno
Todd avevano detto o fatto niente per farle saltare quella piccola copertura.
Okay, non tanto piccola.
Di
conseguenza, i soldi per i farmaci per la pararibulite
di Amanda venivano inviati a quell’indirizzo dai loro solerti genitori, ai
quali naturalmente nessuno aveva nemmeno provato a raccontare – non ancora
almeno – che aveva la fortuna di avere per compagni di banda quattro
vampiri-di-energia capaci di sedare immediatamente ogni sua crisi. Amanda aveva
detto loro che stava meglio e di non preoccuparsi, e lasciava che i soldi
arrivassero a Dirk perché non solo a lei non
servivano, ma così lui poteva usarli per acquistare i farmaci per la pararibulite per Todd. Amanda stessa lo aveva incaricato di
ciò, e sebbene Dirk avesse tentato di protestare
l’incorrettezza di questo – con uno dei suoi exploit di candida onestà
applicati irregolarmente ma saldamente ad aspetti scelti chissà come nella sua
improbabile accozzaglia di eticità – lei lo aveva convinto insistendo sul fatto
che facesse parte del suo “solenne giuramento” di prendersi cura di Todd.
Todd
che non aveva detto ai loro genitori che ora la pararibulite
ce l’aveva sul serio. Forse perché era troppo assurdo, e i suoi genitori si
stavano ancora cercando di riprendere dalla sua confessione a proposito di
quando aveva finto di averla. Forse perché faceva parte del suo fare la vittima
di sé stesso, e dell’essere convinto di meritarsi interamente quello come una
sorta di ‘punizione dell’universo’.
Per
questo Todd non aveva idea che Dirk usasse i soldi
dei loro genitori per acquistargli i farmaci per la pararibulite,
e Dirk manteneva colpevolmente ma stolidamente il
segreto, sostenendo cose assurde come che li aveva trovati per caso per strada;
cosa che – essendo Dirk e avendo la connessione che
aveva con l’improbabilità degli eventi dell’universo – o Todd si beveva
davvero, oppure fingeva di bersi con rassegnazione, e in realtà pensava che a
finanziargli segretamente i farmaci fossero Dirk e Farah, e soprattutto quest’ultima grazie al patrimonio
lasciatole da Lydia, e quando ricevevano un pagamento nel risolvere i loro casi
con la loro agenzia di investigazioni olistiche.
Todd
d’altro canto mandava puntualmente parte del suo stipendio ai genitori,
essendosi messo in testa di restituire loro a rate tutti i soldi che aveva
spillato quando la pararibulite ancora la fingeva.
Amanda aveva cercato di sostenere con Dirk, per
convincerlo a portare avanti la sua parte almeno un altro poco in tutto quello
– perché lei era abbastanza sicura che presto o tardi sarebbe crollato e
avrebbe detto tutto a Todd, che in un certo senso quindi alla fine le cose si
riequilibravano. In realtà a volte si chiedeva se piuttosto non fosse che era
lei quella che stava cercando di pareggiare i conti con Todd: bugia per bugia…
Tranne che lei almeno lo faceva per lui e non per se stessa… forse.
Non
era mai troppo convinta di queste interpretazioni, e a volte temeva quasi che
stesse rischiando di diventare una specie di odiosa bugiarda e arrampicatrice
di specchi come era stato Todd.
Con
sua sorpresa, Farah aveva detto che tuttavia quelle
di lei erano solo bugie a fin di bene, per proteggere i suoi dallo
sconvolgimento del sapere anche – e specialmente dopo la batosta della
confessione di Todd – che vita ora lei conduceva, e per evitare che Todd
cercasse inutilmente di punirsi anche non prendendo i farmaci. Amanda aveva
comunque deciso che prima o poi gli avrebbe detto tutto quanto, e senza
lasciare passare anni.
Come
che fosse, l’universo non aveva ancora avuto nulla da obbiettare a tutto
quello, Todd era convinto di stare espiando le sue colpe del passato, Dirk di stare assolvendo al suo compito di prendersi cura
di lui, Farah era una silente e rispettosa complice
che cercava il più possibile di tenersi fuori dai loro dissidi famigliari di
qualsiasi genere e sorta, e ad Amanda interessava giusto che niente e nessuno
al mondo potesse intaccare lo stato di rilassata grazia che era la sua nuova
vita nel Trio Chiassoso.
Ma
Amanda sapeva che, comunque, prima o poi avrebbe dovuto affrontare i suoi
genitori più apertamente a proposito della vita che stava conducendo ora.
Non
era precisamente come se si sentisse in colpa, o come se pensasse di doverlo
fare. Anzi, riteneva che Todd avesse ragione quando sosteneva che i loro
genitori avrebbero rischiato molto meno un infarto improvviso se fossero
rimasti completamente inconsapevoli a riguardo della sua attuale vita.
Era
più come se fosse ingiusto che la sua famiglia nel senso più tradizionale del
termine e la sua famiglia strana e affettuosa con la quale passava tutto il suo
tempo non avessero l’occasione di incontrarsi e conoscersi.
E
questo voleva dire sostanzialmente che spettava a lei fare le presentazioni.
Fu
l’universo a decidere definitivamente quando era giunto il momento. O almeno,
lei si convinse che doveva essere stato così. Perché un giorno come un altro,
quando guardò fuori dal finestrino del furgone del Trio Chiassoso prestando un
po’ più attenzione al mondo esterno, si rese conto con stupore di riconoscere
perfettamente quelle strade.
Non
chiese nemmeno a Martin dove fossero. Lui stesso raramente prestava attenzione
a ciò che dicevano i cartelli in proposito di nomi di paesi, città, stati o
roba simile. Ma soprattutto non aveva bisogno di chiedere, perché riconobbe
chiaramente le strade della sua città natale.
Invece,
prese un respiro profondo e alzò un braccio puntando il dito, e disse «Gira da
quella parte.»
Martin
lo fece senza battere ciglio.
Amanda
ne era sicura: era giunto il momento.
Continuò
ad indicare a Martin la strada, semplicemente alzando il braccio e puntando il
dito, e lui continuò a seguire le sue indicazioni senza scomporsi minimamente,
del tutto tranquillo.
Gli
altri si erano acquietati e stavano prestando attenzione, in un compatto e
calmo quasi silenzio, come se avessero chiaramente percepito – se da lei o dal
loro istinto “universale” Amanda non avrebbe saputo dirlo – che stava per
succedere qualcosa di significativo o di interessante.
Quando
svoltarono nella via dove abitavano i suoi genitori, Amanda ebbe per un momento
una sensazione relativamente curiosa: era tornata a casa, o almeno in quella
dove aveva passato la sua infanzia, e lo stava facendo a bordo del vecchio
furgone e assieme al Trio Chiassoso, che in quel pacifico quartiere
residenziale risaltava come un pugno nell’occhio. Sorrise un poco. Anche se non
sapeva perché, era una bella sensazione.
Martin
accostò alla strada e si fermò nel punto che lei gli indicò, ma lasciò il
motore acceso, come se avesse intuito che lei ci teneva che il maggior numero
di persone lì notassero quel “pugno nell’occhio” che costituiva il loro
furgone.
Amanda
aprì lo sportello e saltò agilmente e spensieratamente giù dal furgone.
Non
disse niente agli altri, mentre si avviava verso l’ingresso della casa
dall’altra parte della strada, come lasciando a loro la decisione di seguirla o
meno a seconda di come preferissero. Ammesso che sapessero dove si trovavano
esattamente, ma lei aveva la sensazione che in qualche modo l’avessero intuito.
Guardandosi
un poco attorno, pigramente e senza troppa attenzione, Amanda suonò infine il
campanello e aspettò.
Con
sua sorpresa, si accorse di non sentirsi affatto così nervosa come si era
aspettata. Forse era solo perché il rumore del furgone rombava in sottofondo
costantemente dietro di lei, come a garantirle che sarebbe andato tutto bene,
in ogni caso.
Gli
altri alla fine rimasero ad aspettarla a bordo del furgone, ma non spensero mai
il motore. Così lei poteva sempre sentirlo in sottofondo, mentre parlava con i
suoi genitori per qualche ora, talvolta alzando un poco la voce, e talaltra
riabbassandola in toni più dolentemente preoccupati e ansiosi.
I
suoi genitori fin troppo comprensivi, preoccupati e protettivi, attraversarono
puntualmente e nell’ordine giusto tutte le fasi dello shock di cui Amanda aveva
letto da qualche parte. L’ultima era l’accettazione; o forse la rassegnazione,
Amanda non ricordava troppo bene.
Ma
comunque fosse, quando infine li salutò affettuosamente e promettendo di
mantenersi in contatto e tornare a trovarli e così via, e uscì di nuovo, i suoi
genitori sembravano abbastanza arresi all’evidenza. Forse anche loro, come Dirk le diceva sempre, l’avevano trovata ‘semplicemente
raggiante’. E tranquilla di una costante felicità solida e inattaccabile. E
sebbene non riuscissero esattamente a spiegarsi o ad accettare il come o il
perché, stavano cercando un qualche loro modo di venirvi a patti.
Alzando
gli occhi mentre si avvicinava al furgone, Amanda notò Martin seduto al posto
del passeggero invece che a quello del conducente, con il braccio appoggiato al
finestrino aperto e la sigaretta in mano naturalmente, che la fissava con il
suo sguardo penetrante come se la stesse studiando e sorvegliando. Gli altri
sedevano sul lato del furgone con il portellone aperto.
Vogel
le saltellò un poco festosamente intorno quando li raggiunse, mentre Cross e Gripps risalivano a bordo come se sapessero senza bisogno
di dirlo che, nonostante fosse andata meglio di come avrebbe mai potuto
sperare, Amanda preferiva andarsene subito e ripartire.
Martin
non smise di osservarla in quel modo tremendamente attento. E infine disse con
calma «Tutto bene, Amanda?». Il suo tono era come il suo sguardo, e Amanda vi era
ormai perfettamente avvezza: un miscuglio indistinguibile tra il metterla alla
prova e il verificare che lei stesse bene in tutto e per tutto.
Lei
lo fissò negli occhi di rimando, e infine sorrise un poco. «Tutto bene.» annuì
in conferma.
Martin
esalò una boccata di fumo e annuì, spostando lo sguardo a fissare lungo la
strada distrattamente.
«Allora,
salta su.» le disse solo ancora, con placida calma. Ma battendo brevemente la
mano sul sedile del conducente.
Amanda
lo guardò spalancando gli occhi. Martin le ricambiò lo sguardo assolutamente
tranquillo, senza fare una piega; ma anche con un sopracciglio appena
lievemente incrinato a tradire un certo divertimento assai amichevole e
confidenziale.
«Davvero…??»
disse lei, continuando a guardarla, impressionata ed incredula.
Martin
annuì. Semplicemente annuì, in quel suo modo da sentenza definitiva.
Amanda
sorrise a trentadue denti e balzò sul sedile del guidatore, iniziando subito a
regolare il sedile e gli specchietti e tutto quanto, rapidamente e come se non
stesse nella pelle.
Quando
infine chiuse le mani sul volante e si ritrovò a guardare attraverso il
parabrezza di fronte a sé, sentì la vibrazione del rombante motore del vecchio
furgone percorrerla in una maniera familiare come una seconda pelle e allo stesso
tempo nuova come… come una nuova pelle appena cambiata attraverso una muta.
Prese
un lento respiro, senza fretta, e infine tolse il freno a mano e fece partire
il vecchio drago.
Vogel,
Cross e Gripps lanciarono da dietro urla
selvaggiamente celebrative ed entusiaste. Martin sorrise, forse più di quanto
lei lo avesse mai visto sorridere, pur continuando a guardare tranquillamente
la strada con aria calma e in qualche modo profondamente consapevole; un
sorriso affettuoso e fiero.
Amanda
rise e urlò a sua volta d’entusiasmo, mentre guidava il furgone lungo la strada
in cui era nata e cresciuta.
E
giusto per buona misura, Cross si sporse da dietro il sedile e pigiò forte il
clacson diverse volte, come per assicurarsi definitivamente che tutto quel
festoso baccano non avesse nessunissima possibilità di passare inosservato.
I’m
Not A Fan Of Anything/Anyone.
It’s Everyone/Everything That Should Be My Fan.
8.
Amanda
saltò agilmente giù dal furgone del Trio Chiassoso, e prima ancora di
richiudere lo sportello dietro di sé gettò in alto le braccia e si stirò da
capo a piedi lì in mezzo al marciapiede, sbadigliando a bocca spalancata e
ignorando le occhiate dei passanti senza nemmeno doverci pensare.
Martin
si spostò sul sedile del conducente che lei aveva appena lasciato libero. A
parte Martin, l’unica altra di loro che ora guidava era Amanda. Non aveva idea
se era perché gli altri non fossero interessati a guidarlo o perché fosse un
comune accordo tra loro già da prima che li incontrasse. Ma in ogni caso questo
aveva ulteriormente migliorato il suo stato di grazia di sottofondo perenne.
«Sicura
che da qui vai a piedi?»
Amanda
si girò con un quarto di piroetta e sorrise alla faccia di Gripps
che spuntava dal portellone un poco aperto.
Annuì
e ridacchiò, cristallina. «Saranno al massimo qualche centinaio di metri! E sì,
sono sicura.»
Gripps
annuì a sua volta, rispettosamente, e fece per tirarsi di nuovo dentro. Cosa
che gli risultò più difficoltosa del previsto per via di Cross che spuntò a sua
volta per salutarla calorosamente con la mano, augurandole un’esclamante «Buona
gita!», e da Vogel che si lanciò sul marciapiede praticamente rotolando
nell’atterraggio, per poi balzare in piedi subito dopo e slanciarsi a darle un
abbraccio.
Amanda
rise di nuovo gioiosamente.
«A
presto, batterista.» si accomiatò Martin con un cenno della mano. Lei non lo
corresse: da quando lui alternava il chiamarla complicemente
così a chiamarla anche ‘Amanda’, aveva deciso di permetterglielo senza risposte
a tono, tranne quando naturalmente si sentiva nella disposizione d’animo di
rispondere a tono.
«Stai
bene.» disse ancora Martin, prima di ripartire.
Amanda
si girò su se stessa senza nemmeno un ultimo sguardo,
incamminandosi verso il Ridgley a passo leggero e
spensierato.
Sentì
il rumore del furgone fare inversione dietro di lei per andare nella direzione opposta,
e pensò che almeno, se non passavano abbastanza vicino al Ridgley
affinché Dirk e Todd potessero sentire
l’inconfondibile rombare del motore da lontano, il primo non si sarebbe
lanciato di corsa a cercare di nascondersi sotto il letto o a scappare lungo la
strada come un centometrista inseguito dai mastini dell’inferno, e il secondo
non avrebbe iniziato a cercare febbrilmente di nascondere o avvolgere nelle
coperte tutti gli oggetti anche solo lontanamente fragili esistenti all’interno
del suo appartamento.
E
questo anche se gli altri avevano devastato l’appartamento di Todd solo quella
prima volta, e se quasi sempre quando ripassavano da Seattle cosicché lei
potesse andare a trovare quei due e Farah riusciva a
convincerli a desistere dal proposito di fare uno spuntino a base dell’energia
di Dirk.
Raggiunto
il Ridgley, Amanda salì le scale con il suo passo
leggero e spedito e raggiunse la porta dell’appartamento di Dirk,
non tanto perché pensasse di trovarlo lì, quanto per comunque controllare visto
che c’era qualche possibilità che fosse davvero a casa sua, e comunque era un
piano più in basso del suo successivo tentativo (e di maggiori speranze di
riuscita), quindi comunque di strada.
Bussò
giusto un paio di volte, senza stupirsi dell’assenza totale di risposta, quindi
riprese le scale e proseguì sul piano successivo, dove ripeté il bussare alla
porta dell’appartamento di Todd.
Stavolta
quasi subito le giunse attraverso la porta il trillante «Arrivo subito, un
momento solo!» di Dirk, e lei sorrise di riflesso.
Un
momento dopo, la porta si spalancò e Dirk trillò un
cortese «Sìììì…..??» pieno di incondizionata
aspettativa.
Da
qualche parte dietro di lui nell’appartamento, la voce tra il lamentoso, il
critico e l’affettuosamente rassegnato di Todd stava dicendo «Comunque questo
sarebbe il mio appartamento. E dovrei
essere quindi io a rispondere quando
bussano… specialmente dopo quella volta che…»
«Amanda!!»
strillò Dirk entusiasta, il viso che gli si
illuminava come un albero di Natale, e fece per balzare in avanti per
abbracciarla, prima di bloccarsi, irrigidirsi timorosamente, affrettarsi a
ritornare un poco dietro la soglia e accostare un po’ la porta, lanciandosi
occhiate inquiete intorno lungo il corridoio. «Hem…
sei… sola…?»
Amanda
ridacchiò. «Sì.»
«Oh!!»
esalò con enorme sollievo Dirk, prima di rispalancare la porta e abbracciarla, esclamando di nuovo
come per un rewind «Amanda!!»
«Dirk…» rise lei, ricambiando l’abbraccio.
Quando
si staccarono, notò Todd che se ne stava in piedi in mezzo alla stanza dietro Dirk, con aria incerta e lo sguardo spalancato. «Hey… ciao…» tentò, un po’ impacciato come sempre quando lei
arrivava senza preavviso, cosicché lui non riusciva nemmeno a tentare di
prepararsi psicologicamente al rivederla con il suo corposo bagaglio di sensi
di colpa e conseguente disagio e disastro emozionale che la riguardava.
Amanda
si sentiva particolarmente di buon umore quel giorno. «Heylà!»
lo salutò, senza eccessivo entusiasmo ma comunque con buona disposizione
generale.
Dirk
occhieggiò molto rapidamente tra di loro, poi subito si fece da parte per
permetterle di entrare. «Vieni dentro. Ho appena giusto fatto del tè!» la
invitò allegramente.
A
lei non sfuggì il suo tentativo strategico di farle passare il maggior tempo
possibile in presenza di Todd. Quello era il suo solito modo di tentare
speranzosamente di indulgerli a fare pace in qualche
modo. Più di così non osava, o meglio, non in presenza di Todd. Ma lei non se
l’era mai presa: riconosceva appieno l’onestà affettuosa di quei tentativi, e
comunque era colpa di Todd e non certo di Dirk, il
quale tentava di raccogliere i cocci al meglio possibile.
«Okay.»
convenne Amanda con una piccola scrollata di spalle, entrando ma fermandosi
poco oltre la soglia, dandosi una vaga e distratta occhiata intorno.
«Hem… come stai?»
osò Todd.
Lei
gli rivolse una composta occhiata, non più fredda come le prime volte che
passava a trovarli, ma comunque piatta. «Alla grande. Voi?» domandò, guardando
soprattutto Dirk.
«Meravigliosamente,
grazie!» trillò lui, deliziato.
«Sì…
bene, tutto sommato.» ammise Todd, con un leggero sorrisetto un po’ nervoso.
Amanda
si guardò di nuovo intorno sommariamente «Che stavate facendo di bello voi
ragazzi?»
A
giudicare da ciò che intravide in giro, sembrava che Todd stesse radunando
vestiti da lavare, e che Dirk stesse preparando tè e
facendo sudoku su un giornale. Sorrise appena di nuovo, nel riconoscere la
domesticità familiare della situazione, e piuttosto divertita: era come se quel
semplice spettacolo le dicesse qualcosa di molto di più di quello che poteva
sembrare, qualcosa che la soddisfaceva.
«Niente
in… particolare.» disse Todd, alzando le spalle e strusciando un poco i piedi
sul pavimento, cacciandosi le mani in tasca.
Amanda
guardò Dirk, spalancando gli occhi per l’aspettativa.
«Qualche caso in corso?»
«Oh,
beh, per la verità no, non al momento.» riportò subito Dirk,
deliziatissimo come sempre dalla sua domanda quanto mai famelicamente
interessata «Ah, ma ne abbiamo appena risolto uno straordinario!!»
«Davvero??»
si entusiasmò Amanda.
Già
non stava nella pelle dal farsi raccontare tutto per filo e per segno; e su
quello poteva certamente contare su Dirk perché,
anche se a volte certi particolari dei suoi resoconti sembravano peccare di
essere qui o là un po’ sminuiti oppure ingigantiti, e il tutto era colorato di
singolari quando non strampalati voli pindarici di descrizione da romanzo
d’avventura, di certo era un narratore estremamente capace di intrattenere un
pubblico, purché suddetto pubblico fosse dotato di una notevole dose di
‘sospensione della credulità’.
«Eccome!»
quasi Dirk saltellò sul posto.
Anche
lui era sempre in versione ‘non stare nella pelle’ quando si trattava di
raccontare dei loro casi, specialmente se secondo lui brillantemente risolti
(il che equivaleva a praticamente tutti i loro casi).
«Ah…
per la verità, stavolta è stato Todd a risolverlo!» disse, svolazzando una mano
nella direzione del nominato, come se si fosse ricordato di colpo di quel
particolare, e soprattutto di quanto potesse tornare utile sottolinearlo con
lei nel suo tentativo di mettere Todd in buona luce ai suoi occhi. Magari non
tanto in buona luce da meritarsi un immediato perdono onnicomprensivo… ma
almeno da farle ponderare seriamente quella possibilità.
Amanda
lanciò uno sguardo a Todd alzando un sopracciglio, divertita. «Sul serio?»
Dirk
annuì fervidamente. «Sì! Proprio così! Vedi, si trattava di un uovo di Faubersé scomparso…»
«Faubergé…» corresse automaticamente Todd en passant, come
se ci fosse estremamente abituato.
«Quello.»
proseguì Dirk imperterrito, come se non avesse
nessuna reale importanza la correttezza del termine «E alla fine era stato
accidentalmente ingoiato dalla tigre del nostro cliente!»
«Giaguaro.»
corresse di nuovo automaticamente Todd.
«Ovviamente,
anche Sandy rischiava di subirne gravi conseguenze di salute…» continuò Dirk.
Amanda
si lasciò cadere sul divano, mentre Todd le versava una tazza di tè, ascoltando
con attenzione rapita.
«Aspetta
un momento! Chi è Sandy?» domandò, mentre somministrava qualche grattino alla
nerissima squalo-gatta che si stava spostando dal suo angolo del divano dove
era pigramente raggomitolata a sonnecchiare per salutarla con un affettuoso
strusciarsi contro di lei e facendo le fusa.
Squalo-gatta
che non aveva ancora un nome definitivo. Amanda sapeva che Todd aveva invano
cercato di persuadere Dirk a sceglierne uno
definitivo, ma Dirk aveva continuato a sfornare
un’infinita serie di possibili nomi secondo lui meravigliosi per settimane e
settimane, al punto che la felina aveva tranquillamente fatto in tempo a
raggiungere le sue dimensioni da adulta, e Todd ad imparare ad essere meno
costantemente intimorito dal fatto che da un momento all’altro potesse
indispettirsi per qualcosa al punto da scatenare un’ira da squalo su tutti e
tutto ciò che la circondava. Da allora di fatto l’animale domestico che
teoricamente apparteneva a Dirk, ma che di fatto era
quasi sempre nell’appartamento di Todd proprio come il suo “proprietario”,
aveva un corredo di qualche decina di nomi più o meno assurdi e/o zuccherosamente vezzeggiativi con cui Dirk
le si rivolgeva, e Todd la chiamava con quelli meno assurdi o zuccherosi
selezionati da quella stessa lista, senza sperare nemmeno che la squalo-gatta li
degnasse solo perché la chiamavano con un qualsiasi nome. Lei aveva uno di quei
classici caratteri da gatto (e forse anche da squalo) in cui sapeva dimostrarsi
estremamente calorosa e affettuosa o estremamente noncurante con i suoi
coinquilini umani, rigorosamente solo a seconda del suo umore del momento.
«La
tigr… la giaguara si chiama
Sandy.» spiegò rapidamente Dirk prima di proseguire.
«E Todd glielo ha fatto vomitare. Con un’idea geniale che non mi sarebbe mai
passata per la mente! La ha fatta correre finché non si è sentita male. Cioè,
abbastanza male da vomitare l’uovo di… beh, insomma, quello, ma in generale
facendola sentire meglio naturalmente!» e batté le mani entusiasta, prima di
aggiungere «Caso risolto! Con discutibile efficienza.»
«Mi
stava inseguendo per sbranarmi.» riportò più obbiettivamente Todd, con cipiglio
affatto entusiasta, mentre appoggiava la tazza di tè davanti ad Amanda sul
tavolo di fronte al divano.
Lei
ne bevve giusto un paio di sorsate prima di alzarsi e andare a guardare nel
frigo. «Hai una birra?» domandò, studiandone l’interno.
Udì
Todd trasecolare. «Saranno le… dieci del mattino!»
Amanda
richiuse il frigo e ci si appoggiò contro di schiena con aria tranquilla,
aprendo la lattina di birra e iniziando a sorseggiarla. «Ho già fatto
colazione.» disse, con una breve e sommaria alzata di spalle noncurante.
Todd
alzò un sopracciglio. «Non era questo esattamente quello che intend…»
«Perché
non andiamo a fare una passeggiata?» propose Dirk,
interrompendolo, sempre probabilmente in guisa dei suoi tentativi strategici di
cercare di farli andare d’accordo, o almeno di ritornare in rapporti meno
freddi, sbattendo di nuovo le mani.
Amanda
gli sorrise e annunciò «Veramente… avevo una proposta.»
«Oh,
davvero? Splendido, di che si tratta?» le chiese Dirk,
entusiasta.
Amanda
gli sorrise più luminosamente e complicemente, quasi
sogghignando.
«Che
ne dici di questo?» chiese Amanda, prendendo una confezione dallo scaffale e
studiandola con un cipiglio criticamente analitico.
Dirk si
sporse un poco di fianco a lei per studiare il colore mostrato a scopo
illustrativo sulla confezione per un poco, con aria concentrata. «È molto… hum… blu…?» tentò infine.
Amanda
rimise a posto la confezione scuotendo appena la testa. «Nah,
mi sa che non ci siamo ancora.»
L’enorme
supermercato era piuttosto affollato, per essere praticamente l’ora di pranzo.
Amanda teorizzò senza molto interesse che forse era sabato quindi. Essere nel
Trio Chiassoso non richiedeva esattamente qualcosa come tenere il conto dei
giorni della settimana o del mese.
Amanda
tornò a studiare con attenzione la selva di confezioni di tinte per capelli
disposte sugli scaffali, corrugando la fronte con impegno.
«Hem… Non credo di essere la persona più indicata per
aiutarti nella scelta…» tentò Dirk.
Amanda
sollevò un sopracciglio scetticamente, pur continuando a studiare le
confezioni. Dirk era sempre entusiasta di fare con
lei tutto quello che lei avrebbe probabilmente fatto sistematicamente ogni
weekend della sua pre-adolescenza se solo avesse avuto uno straccio di amici
più sulle sue stesse linee d’onda, e non le sembrava che facesse eccezione quel
giorno, almeno non fino a quel momento.
«Magari
qualcun altro saprebbe consigliarti meglio… qualcuno come… humm…
Todd magari…» proseguì lui, fingendo casualità.
Amanda
sorrise tra sé e sé, riconoscendo il tentativo, poi si girò a guardarlo e disse
«A dire il vero, stavo pensando che potrei cercare qualcosa più o meno come
questo.», e gli prese delicatamente un piccolo lembo della giacca di pelle
color verde marino che lui indossava quel giorno.
Dirk
abbassò lo sguardo sulla sua stessa giacca, per un momento stupito, poi lo
rialzò raggiante su di lei, sorridendo smagliante. «Davvero?? Ti piace?? L’ho
trovata ad una svendita qualche settimana fa, ci crederesti? E…»
Amanda
lo ascoltò mentre riprendeva ad esaminare le tinte a disposizione sugli
scaffali. Dirk stava facendo lo stesso come se non se
ne fosse nemmeno reso conto, selezionando solertemente quelle da mostrarle
prima di lanciarle sommariamente dentro il cestino che si stavano portando
appresso. Amanda sorrise un poco tra sé e sé, vittoriosa.
«Comunque…
penso che Todd si sarebbe divertito molto a venire con noi.» ritentò Dirk mentre uscivano dal supermercato con una sporta di
tinte per capelli di svariati colori, e la bocca piena di caramelle gommose
colorate e altre schifezze malsane e gustose di cui avevano fatto incetta.
«Mhmm…»
fece Amanda, distrattamente «Immagino che sia molto impegnato a fare… le cose
che di solito non avete tempo di fare quando avete un caso. Come fare il bucato
o… pulire casa… fare la spesa… e cose del genere.»
«Oh.
Questo è vero.» annuì Dirk, riflessivamente.
Amanda
gli scoccò uno sguardo di sbieco, sorridendo affettuosamente. Era fin troppo
facile distrarlo da quei suoi tentativi di persuaderla a concedere una
significativa possibilità di perdono a Todd. Davvero troppo facile. Al punto
che se ne sentiva un poco in colpa.
«Sono
sicura che se la caverà anche senza di te, per oggi.» aggiunse, passando ai
suoi tentativi di parlare con lui di Todd per tutt’altro scopo.
Sapeva
che, oltre al fatto che praticamente viveva nell’appartamento di Todd più che
nel proprio, Dirk passava comunque la maggior parte
del suo tempo con lui anche se non avevano un caso in corso, ivi compreso
l’occuparsi di tutte le cose più banali e quotidiane e pragmatiche. E anche per
quelle più hobbistiche come andare a curiosare in negozi di dischi (nel caso di
Todd) o ai mercatini delle pulci (nel caso di Dirk).
Naturalmente,
di solito potevano tranquillamente imbattersi nel loro prossimo caso anche in
quei frangenti. Amanda ricordava ancora quando Dirk
le aveva raccontato come aveva trovato una lampada magica con tanto di jinn dentro ad un mercatino delle pulci; se ne erano resi
conto solo quando la squalo-gatta ci si era strusciata contro abbastanza da
scatenare l’incantesimo.
Sotto
gli occhi di Amanda, che lo stava spiando con attenzione felina, Dirk sembrò considerare la cosa con attenzione, e infine
annuì. «Credo di sì… Inoltre se dovesse trovare qualche cosa di strano per
caso, mi chiamerebbe sicuramente.»
Amanda
trattenne a stento un sorrisetto soddisfatto. «Certamente…» commentò solo in
conferma, con calma.
Poco
dopo, tuttavia, aggrottò la fronte e prima di pensarci buttò fuori «A volte non
capisco come Todd possa piacerti così tanto, però.»
Dirk le
lanciò uno sguardo confuso. «Che cosa vuoi dire?»
Amanda
esitò un momento, poi alzò le spalle e disse sinceramente «Tu sei… una bella
persona. Interessante e… una delle migliori persone che abbia mai incontrato
nella mia vita.»
Dirk
arrossì e boccheggiò per il complimento, cercando di non darlo troppo a vedere,
e lasciò vagare attorno lo sguardo come cercando di riprendersi dall’emozione.
«Oh… grazie!» cinguettò estasiato, prima di corrugare di nuovo la fronte con
aria perplessa «Ma ancora non capisco… temo… » aggiunse, onestamente
dispiaciuto.
Amanda
gli sorrise gentilmente e affettuosamente. Ci avrebbe scommesso, che non
capiva! «Insomma, Todd è un… groviglio di pessimismo e… Uff, beh, prima di
incontrarti era un disastro totale.»
Dirk si
fermò, e Amanda fece altrettanto, sorpresa dal modo totalmente aperto, calmo e
serio con cui ora la stava guardando. «Lo ero anch’io… Un disastro completo,
prima di incontrarvi.» disse, annuendo lentamente con convinzione.
Amanda
rimase qualche istante a guardarlo, colpita. Poi, lentamente, sorrise di cuore.
«Non credo fino a tal punto…»
Dirk
sospirò appena e scosse la testa. «Todd non è così male… anzi. È un’eccellente
persona!»
Amanda
si limitò a sollevare un sopracciglio, pur continuando a sorridergli
sinceramente affettuosa.
Dirk
sembrò realizzare qualcosa e distolse lo sguardo con un certo imbarazzo «Haem, beh, posso capire che dal tuo punto di vista… Ma
insomma… a parte… quello!... A parte
gli errori, i grossi errori che ha fatto in passato… è davvero una persona
meravigliosa! Un ottimo assistent-amico e… di animo
nobile e coraggioso e… sì, d’accordo, a volte sa essere un po’ pessimista e
scorbutico e agitarsi per delle sciocchezze ma… Ma è un’ottima persona. E… sono
sicuro che anche tu lo sai… in fondo…» tentò, spiandola appena, con un che di
dolente e quasi implorante.
Amanda
divenne seria a sua volta. Poi distolse lo sguardo e sospirò, guardando in
lontananza.
«Lo
so…» ammise infine, lentamente. «Ma…». Si interruppe e ci pensò sopra un altro
poco. Alla fine tornò a guardarlo e disse onestamente «Credo servirà altro
tempo prima che riesca a ricordarmelo abbastanza bene da poterci credere.»
Dirk si
illuminò, lentamente e quasi circospettamente, ma comunque si illuminò. E le
sorrise generosamente, prima di batterle un poco una mano su una spalla.
«Certo. Certo. Naturalmente!». Poi esitò e infine sancì «Sei una persona molto
in gamba, molto molto in gamba.»
Amanda
sorrise, e annuì. «Lo so.» disse, sogghignando appena mentre riprendevano a
camminare.
«Hey…» salutò Todd, rincasando, e guardando Amanda e Dirk stravaccati sul divano, ognuno con un pigiama o una
tuta comoda da casa indosso, le gambe allungate pigramente sul tavolino, lo
sguardo incollato allo schermo del suo portatile sul quale era in corso quello
che probabilmente era l’ennesimo di una maratona di film scelti senza preciso
ordine o regola, e una distesa di cibi malsani e zuccherosi punteggiata da
lattine vuote di birra e di bevande dolciastre tutt’intorno a loro.
«Ciao
Todd!» cinguettò Dirk, voltando subito la testa «Stiamo
guardando un film fantastico!»
«Vedo…»
disse Todd, sorridendo un poco, mentre si avvicinava lentamente nei dintorni
del divano.
«Hey.» lo salutò Amanda senza staccare gli occhi dallo
schermo, ma comunque in tono sommariamente tranquillo e accondiscendente.
«Ho
portato della pizza…» disse Todd, alzando un poco il cospicuo cartone di pizza
al taglio che aveva in mano, prima di occhieggiare di nuovo lungo la distesa di
lattine e confezioni di snack vuote. «Ma vedo che avete già provveduto…»
osservò.
«Non
dire sciocchezze!» esclamò Dirk allegramente,
allungandosi per fare spazio sul tavolino davanti a loro spazzando bellamente
giù da esso con un braccio tutto ciò che c’era sopra «La pizza va sempre
benissimo!»
«Humpf… già…» commentò Todd ironico, alzando un sopracciglio.
Persino
Amanda sapeva benissimo che Dirk era capace di
mangiare pizza in assolutamente qualsiasi contesto e situazione.
«Che
gusto è?» domandò Dirk, mentre già apriva il cartone
e guardava all’interno lui stesso. «Oh! Ananas! Splendido!» esclamò entusiasta,
agguantandone un pezzo immediatamente.
Amanda
ridacchiò.
«Ce
n’è anche a gusti più… commestibili.» le disse Todd.
Amanda
annuì distrattamente, continuando a guardare il film. Ma si rese conto che Dirk stava occhieggiando speranzosamente verso di lei,
mentre masticava pizza. Lei si tirò su e afferrò un pezzo a caso dal cartone,
prima di riabbandonarsi sul divano e iniziare a mangiare. «Ottimo.» biascicò,
sempre distrattamente.
Todd
alzò appena le spalle e si guardò attorno senza scopo apparente. «Non so
nemmeno come ho fatto a convincerli a metterci sopra dell’ananas…» ammise.
Dirk la
stava ancora fissando molto speranzoso. Amanda trattenne un sospiro e disse «Sssht… mangia e guarda il film e basta.»
Con
la coda dell’occhio vide Dirk illuminarsi, e Todd
lanciarle uno sguardo incerto e incredulo, prima di lasciarsi scivolare sul
divano di fianco a lei e prendere a sua volta della pizza.
Dopo
un poco, lo udì dirle «Ti stanno… bene. Sul serio.»
Amanda
sapeva che si stava riferendo alle ciocche blu, viola e azzurro marino sparse
in mezzo al resto dei suoi capelli spettinati come al solito.
«Lo
so.» disse con calma. E dopo qualche momento, aggiunse «Grazie.»
Le
sembrò di sentire il modo in cui Todd raccolse quella semplice parola sincera
come un piccolo ma preziosissimo tesoro da conservare, e quello in cui Dirk occhieggiò al di sopra della testa di lei per lanciare
a Todd un sorriso vittoriosamente felice.
Amanda
sedeva sui gradini fuori dal Ridgley, aspettando.
Era
già da un paio d’ore che sedeva lì senza muoversi. Il pomeriggio stava scemando
lentamente verso sera, e il suo sguardo seguiva solo vagamente e senza alcun
interesse il via vai dei passanti e del traffico del quartiere.
In
realtà la sua completa concentrazione era focalizzata quasi esclusivamente su
un altro senso: ascoltava. In attesa di udire il familiare suono scoppiettante
e tossicchiante e grattante del motore di un furgone che si stesse avvicinando.
Fino
ad allora, tuttavia, ancora niente.
Dietro
di lei sentì un leggero rumore di movimenti, come di due persone che da dentro il condominio fossero uscite e si fossero fermate
in cima agli scalini a guardarla, cercando qualcosa da dire o da fare con un
misto di esitazione, imbarazzo e preoccupazione.
Lei
non aveva certo bisogno di girarsi per sapere di chi si trattava.
Dopo
qualche istante, Dirk scese i pochi gradini e si
sedette su quello dove sedeva lei, di fianco a lei.
«Ancora…
niente?» domandò con precauzione sensibile Todd, rimasto fermo in cima ai
gradini, ancora indeciso.
Amanda
non si prese nemmeno il disturbo di rispondere. Oltre che retorica, trovava la
domanda irritante, pressappoco come infilare un dito nella piaga.
Dirk si
agitò un poco sul gradino di fianco a lei, come se stesse cercando di mettersi
più comodo, o di trovare qualcosa da dire.
«Potremmo…
anche aspettare dentro.» propose infine con molto tatto «Sono sicuro che li
sentiremo se… quando arriveranno.»
Amanda
sorrise un poco, senza spostare nemmeno lo sguardo dalla sua vaga e distratta
contemplazione della strada davanti a sé. Quello era poco ma certo, che li
avrebbero sentiti. E non solo perché lei avrebbe riconosciuto il motore di quel
furgone ovunque e senza dubbio, o perché raramente il Trio Chiassoso tradiva il
suo nome optando per toni più contenuti; ma anche perché Dirk
per primo aveva una notevole capacità di riconoscere quel rumore di quel
furgone, come un istinto innato da preda che riconosce l’avvicinarsi del
predatore e si dà immediatamente alla fuga.
«Lo
so.» disse Amanda con calma «Sto bene qui, grazie. Voi potete andare dentro.»
Con
la coda dell’occhio percepì Dirk mordersi un poco le
labbra, combattuto e nervoso, e voltare la testa a lanciare uno sguardo
dolentemente sconfitto e privo di indicazioni sulla successiva mossa a Todd.
Amanda
sentì Todd sospirare, piano ma nettamente, dalla cima degli scalini.
Lei
rimase esattamente lì dove si trovava, concentrandosi solo sull’udito.
Aspettando di sentire il rumore di quel motore di quel furgone che si
avvicinava.
Il
Trio Chiassoso non era mai sincronizzato su niente come orari o giorni della
settimana, o altro del genere.
Il
Trio Chiassoso era sincronizzato – e in modo misteriosamente perfetto – solo su
se stesso. Valeva a dire sui suoi componenti, compresa naturalmente Amanda.
Per
questo, ogni volta che passavano per Seattle e si fermavano per un giorno o
due, mentre lei passava un po’ di tempo con Dirk, Farah e Todd e gli altri andavano a farsi un giro nei
dintorni, Amanda sapeva con cieca fede assoluta che nell’arco di un giorno o
due al massimo sarebbero tornati a prenderla a bordo, dal Ridgley
o da casa di Farah, o ovunque fosse.
Era
certo così come il fatto che la Terra gira su se stessa, per lei.
Ed
era sicuro che sarebbero comparsi non appena lei fosse stata pronta per
ripartire, o di lì ad un’oretta al massimo. Non che li chiamasse – anche perché
non c’era modo di farlo dal momento che nessuno dei quattro aveva qualcosa come
un cellulare o altro strumento di comunicazione a distanza umanamente
concepibile che non fossero (in caso eccezionale o di emergenza) urla o ruggiti
potenti – né nient’altro del genere. Semplicemente, loro ricomparivano al
momento giusto, e lei ripartiva con loro.
Non
era mai accaduto prima che non arrivassero al momento più opportuno. Non era
mai accaduto prima che lei si ritrovasse ad aspettarli così a lungo.
La
sua cieca fiducia non si incrinò; nemmeno per un istante. Ma una tristezza
immensa e profonda iniziò a impadronirsi di lei, lenta e strisciante, assoluta
e inevitabile.
Amanda
sentì dei passi avvicinarsi lungo il marciapiede, ma non aprì gli occhi.
Sentì
i passi fermarsi alla fine dei gradini davanti al Ridgley,
e dopo un poco udì il familiare sospiro arreso di Todd.
Ancora
non aprì gli occhi. Rimase appoggiata con la testa sulla spalla di Dirk, ancora seduto di fianco a lei.
Attraverso
le palpebre chiuse poteva intuire che il sole stava scomparendo dietro
l’orizzonte, e i rumori della strada erano cambiati da quelli del pomeriggio a
quelli della sera.
Todd
se ne era andato circa una mezz’ora prima, lei lo aveva sentito dire a Dirk – e forse sperando di starsi rivolgendo anche a lei
implicitamente – che tornava tra poco. Amanda aveva intuito che doveva essere
andato a camminare avanti e indietro per il quartiere, alla ricerca di un
furgone nero con sulla fiancata la cifra ‘3’ color vernice rosso vivo che
campeggiava gigantesca. Non aveva considerato nemmeno per un momento che lui
l’avrebbe trovato.
Quanto
a Dirk, forse ci aveva sperato, ma probabilmente non
troppo.
Tuttavia,
nessuno di loro due si era preso la briga di consigliare a Todd di lasciare
perdere.
Così
come nessuno aveva nemmeno tentato di farlo desistere dai suoi precedenti
tentativi.
Amanda
l’aveva sentito ore prima salire in casa e poi ridiscendere: probabilmente
aveva controllato tutti i canali televisivi che trasmettevano notiziari, per
assicurarsi che non ci fossero notizie che riportavano qualche fatto di cronaca
che riguardasse quattro punk selvaggi e/o un vecchio furgone nero con ‘3’
dipinto a vernice spray rossa sulla fiancata.
Amanda
l’aveva sentito allontanarsi almeno un paio di volte un poco lungo il
marciapiede, e parlare al cellulare. Probabilmente, la prima volta aveva
chiamato Farah chiedendo se lei riusciva tramite
qualche suo contatto con qualche reparto di polizia o FBI o altro a cercare
eventuali informazioni di incidenti o arresti che potessero riguardare una
descrizione rassomigliante il Trio Chiassoso, e la seconda volta Farah l’aveva richiamato per comunicargli che la sua
ricerca non aveva dato alcun esito, e per offrirsi di venire lì lei stessa a
dare un qualche supporto anche se nessuno di loro due sapeva che cosa altro di
utile si potesse fare, esattamente.
Alla
fine Todd aveva rinunciato a cercare di convincere Amanda a salire almeno in
casa, invece di aspettare lì fuori sui gradini, anche perché lei più che altro
non gli aveva nemmeno risposto, come se la risposta fosse quanto mai ovvia. Per
lei lo era. Era certa che lo fosse anche per Todd, in fondo. E Todd si era
limitato a portare loro giù dall’appartamento tutto ciò di commestibile e
trasportabile che si potesse mangiare o bere stando seduti su dei gradini: Amanda
e Dirk avevano sgranocchiato grissini e crackers e biscotti, e bevuto lattine di tè freddo e coca
cola, sempre in silenzio.
Amanda
era molto grata a Dirk per quella compagnia
quietamente silenziosa, per come fosse rimasto tutto il tempo seduto lì di fianco
a lei ad aspettare.
E
sì, in fondo era grata anche a Todd, anche se tutti quei suoi tentativi – lei
lo sapeva – non potevano servire a niente. Dopotutto, lo conosceva abbastanza,
suo fratello. Semplicemente non riusciva a starsene lì ad aspettare senza fare
niente, senza tenersi occupato a provare a fare qualcosa, anche se
probabilmente in fondo in fondo nemmeno lui ci aveva sul serio creduto che quei
suoi tentativi avessero qualche possibilità di riuscita.
‘Lui
crede davvero al fatto che tutto sia collegato. Al fatto che ci sia un disegno
universale nel quale siamo tutti addentro.’ Le aveva detto Dirk
una volta ‘Veramente! Ma…’ e si era
interrotto, come cercando il modo di esprimere meglio un concetto.
Amanda
aveva sorriso un poco, più tra sé e sé che a Dirk.
‘Ma crederci e… accettarlo veramente – viverlo insomma – non sono esattamente
la stessa cosa, non è vero?’
Dirk le
aveva rivolto uno sguardo tra lo stupito e l’impressionato, ma poi aveva
annuito un poco, pensosamente. ‘Già… suppongo di sì…’ aveva ammesso con un
sospiro.
Amanda
aveva sorriso di nuovo. ‘Credo che Todd creda in te, Dirk,
più che nell’universo.’ gli aveva detto d’impulso, senza nemmeno starci a
riflettere. Da tempo, forse da quando stava nel Trio Chiassoso soprattutto,
spesso aveva l’impressione che le uscisse di bocca la cosa più autentica che si
potesse dire in quel preciso momento tanto meno ci stava a riflettere troppo
sopra prima di dirla.
Dirk
l'aveva fissata ancora più strabiliato; e poi aveva sorriso luminosamente e
affettuosamente. Per il resto di quella giornata, ad Amanda era sembrato
particolarmente più solare del solito, e lei se ne era deliziata tra sé e sé
con un piccolo sogghigno soddisfatto e segretamente consapevole.
Amanda
udì Todd agitare un poco i piedi sul marciapiede, come se stesse cercando
nervosamente qualcos’altro che poteva fare. Non aprì gli occhi, ma ebbe la
sensazione che si stesse svolgendo una sorta di discussione a suon di semplici
sguardi tra lui e Dirk.
Forse
vinse Dirk, alla fine; o forse Todd semplicemente
cedette di suo. Amanda lo sentì salire i gradini fino a raggiungerli, e quindi
sedersi lentamente, quasi con precauzione, accanto a lei dall’altro lato,
appena vicino da percepire la sua presenza, non tanto da osare sfiorarla anche
solo per sbaglio. Sentì il suo sguardo su di lei, sicuramente dispiaciuto,
combattuto e preoccupato.
Ma
ancora, lei non aprì gli occhi.
Aspettava
di sentire il ruggito del vecchio drago che albergava nella sua fantasia nel
motore di quel furgone nero.
Amanda
si svegliò, e rimase immobile e ad occhi chiusi.
Seppe
subito che cosa l’aveva svegliata, tuttavia, con precisione e immediatamente.
Perché lo sentiva. E lo riconosceva perfettamente; lo avrebbe riconosciuto
ovunque e tra qualsiasi altro suono. Il suono del vecchio, tossicchiante e
sputacchiante e ruggente motore del vecchio furgone nero che si faceva strada
tra tutti gli altri suoni di una Seattle ormai quasi totalmente addormentata,
avvicinandosi.
Sentì
Dirk e Todd muoversi di fianco a lei, dopo un bel
pezzo che già lei si era svegliata, qualcosa come giusto qualche decina di
secondi in più. Anche loro erano dopotutto abbastanza capaci di riconoscere
perfettamente quel suono, ma non quanto lei.
Dirk, che
si doveva essere a sua volta addormentato sui gradini, con la testa appoggiata
sulla sua, si irrigidì come svegliandosi di colpo, e alzò la testa di scatto,
evidentemente rizzando le orecchie come Todd, che si alzò in piedi dall’altra
parte di fianco a lei, sicuramente iniziando subito a guardarsi intorno in ogni
direzione lungo la strada.
Lei
rimase tuttavia ancora immobile e ad occhi chiusi.
Ma
sorrise. E sentì tutta quella profonda tristezza inconsolabile sparire in un
istante.
Finché
il suono del vecchio motore non cambiò di intensità esattamente nel modo che
lei sapeva significare che aveva appena svoltato in quella via.
Allora
spalancò gli occhi, balzò agilmente in piedi lasciando che la coperta che Todd
doveva aver ad un certo punto appoggiato sulle spalle di lei e Dirk le scivolasse di dosso, e voltò la testa puntando il
suo sorriso dritto dritto sul vecchio furgone nero
che si stava avvicinando lungo la strada.
Dirk si
alzò subito in piedi di fianco a lei, e istintivamente arretrò salendo qualche
scalino all’indietro, incespicando un po’ nei suoi stessi piedi per un misto di
timore e di gambe anchilosate a forza di stare seduto su dei gradini.
Todd
stava guardando il furgone che si avvicinava come una sorta di sentinella che
si stia contenendo a stento dall’esplodere in qualcosa di cui lui stesso non
sembrava essere ancora certo di cosa si sarebbe trattato esattamente.
Amanda
rimase ferma sullo scalino, seguendo con lo sguardo il furgone nero che si
fermava con uno stridio di freni poderoso davanti al Ridgley.
Incrociò le braccia sul petto, ingoiò qualche piccola lacrima di commozione
senza versarla, e alzò significativamente un sopracciglio.
Il
portellone laterale si spalancò ancora prima che il furgone fosse del tutto
fermo, vomitando sul marciapiede un confuso insieme di tre persone che
sembrarono quasi accavallarsi tra loro per la fretta di uscire. Dirk arretrò ancora fino a trovarsi con le spalle contro la
porta chiusa dell’ingresso del Ridgley, e Todd rimase
immobile dove si trovava, sebbene sussultando.
«’Manda!!!»
ululò con tono dolente e sollevato insieme Vogel, precipitandosi su per gli
scalini e abbracciandola.
Lei
rimase comunque con le braccia incrociate e il sopracciglio significativamente
sollevato, senza ricambiare l’abbraccio, e cercando di ricondurre la sua
espressione gioia sotto un minimo di qualcosa di più severo. Vogel rimase
attaccato a lei ad abbracciarla comunque.
Gripps e
Cross le si fermarono di fronte, il primo porgendole con un sorriso di scusa
speranzosa un mazzolino di fiori di campo che sembravano provenire dal lato di
una strada, il secondo con lo sguardo imbarazzato abbassato e passandosi una
mano dietro la nuca nello scompiglio dei capelli spettinati.
Martin
giunse per ultimo, scendendo dal posto di guida e fermandosi in fondo agli
scalini. Diede con calma un tiro alla sua sigaretta, contemplandola dal basso
all’alto col suo sguardo penetrante. Infine emise un piccolo grugnito e disse
«Abbiamo bucato.»
Vogel
si staccò da lei e annuì fervidamente guardandola in volto con un’espressione
disperatamente pentita, come a giurarle che era assolutamente vero.
Amanda
esitò un momento, spalancando un poco gli occhi, stupita. Davvero… di tutto ciò
che aveva temuto… sul serio? Qualcosa di così semplice e banale come l’aver
bucato una gomma e aver dovuto cambiarla? Non che non avesse perfettamente
senso. Tra tutte le cose che aveva visto all’interno di quel furgone, di sicuro
non aveva mai nemmeno intravisto l’ombra di una gomma di scorta.
«Avete…
bucato?» trasecolò Todd. «Avete bucato?!? E secondo voi questo è un buon
motivo??»
Martin
voltò molto lentamente il suo sguardo micidiale su Todd, aggrottando le
sopracciglia.
Todd
sussultò nervosamente, e con fatica mantenne tuttavia la sua posizione.
Martin
lo soppesò con calma da capo a piedi, come se stesse ponderando qualcosa tra sé
e sé, mentre tirava un altro respiro dalla sua sigaretta, senza alcuna fretta.
«Esatto, formato snack.» confermò infine, esalando una boccata di fumo. Quello
era il modo in cui di solito chiamava Todd.
Amanda
sentì chiaramente Todd che si gonfiava di rinnovata furia irritata, e Dirk che sussurrava dall’ingresso un timoroso e assai
nervoso «Todd…!», praticamente implorante.
E
lei gettò la testa all’indietro e scoppiò a ridere di colpo.
Todd
e Dirk la guardarono ad occhi spalancati, perplessi.
Ma
Vogel si unì alla risata, Cross ululò al cielo felicemente, Gripps
le rivolse un sorriso affettuoso e Martin un sogghigno complice e divertito.
Amanda
ringraziò Gripps mentre prendeva il mazzolino di
fiori, e salì a cavalcioni sulle spalle di Cross che la portò al furgone,
mentre Vogel saltellava festosamente tutt’attorno a loro e Martin risaliva al
posto di guida lasciandole il posto del passeggero.
«Hum… tempo per un veloce spuntino?» domandò Cross,
lanciando uno sguardo verso Dirk.
Dirk si
appiattì ancora di più contro la porta chiusa del Ridgley
alle sue spalle con uno squittio allarmato, e Todd si spostò lungo lo scalino
un poco – lentamente e con precauzione attenta – come per frapporsi tra loro e
lui istintivamente e almeno un po’ anche se sapeva bene che non poteva davvero
riuscire a fermarli tutti e quattro, e quasi sicuramente nemmeno uno solo di
loro.
Amanda
sorrise appena e disse allegramente e spensieratamente «Niente da fare.»,
scuotendo tranquillamente la testa.
«Peccato…»
esalò giusto Gripps, chiudendo il portellone del
furgone.
Tutti
erano già a bordo, e il motore era sempre rimasto acceso.
«A
presto, perdenti!» Amanda salutò Dirk e Todd agitando
una mano e facendo una linguaccia attraverso il finestrino abbassato.
Martin
grugnì e accennò appena con la testa. «Formato snack, spuntino… Ci si vede.»
Poi
spinse sull’acceleratore.
Amanda
sorrise pacificamente, guardando la strada che scorreva attraverso il
parabrezza.
«Siete
in ritardo.» disse con calma.
Martin
grugnì. «Lo sappiamo.» disse solo.
Amanda
sorrise di nuovo davanti a sé, accomodandosi meglio sul sedile del passeggero.
Cross
si sporse da dietro per pigiare qualche colpo sul clacson; Vogel si sporse per
schioccarle un bacio sulla guancia di scusa; Gripps
si sporse per inserire nel mangianastri del furgone la musicassetta che era la
sua preferita.
Amanda
alzò il volume, e chiuse gli occhi abbandonandosi contro il sedile.
E
comunque riusciva a distinguere chiaramente, al di sotto della musica e dei
rumori degli altri quattro, il suono inconfondibile del motore del vecchio
furgone in sottofondo.
I’m Not A Fan Of Anything/Anyone. It’s Everyone/Everything That Should
Be My Fan.
10.
«Che
cos’è?» domandò solo Amanda, seduta sul sedile del passeggero dell’auto di
Farah, senza nemmeno girare lo sguardo.
Todd
si staccò il termos dalla bocca e disse «Caffè…»
Amanda
emise un breve sornacchio sardonico. «Ovvio...» commentò.
«Hum…
ne vuoi un po’?» offrì Todd, con la solita esitazione che le rivolgeva sempre,
come se temesse che qualsiasi cosa le dicesse o facesse nei suoi confronti
potesse peggiorare la sua situazione da quando le aveva confessato le sue
menzogne del passato.
Amanda
ne dubitava seriamente: che qualsiasi cosa lui facesse o dicesse potesse
peggiorare la sua situazione. Ma per quanto irritante e auto-vittimistico, il
suo atteggiamento dopotutto le sembrava il minimo considerati i precedenti.
Alzò
le spalle. «Perché no?» disse, allungando la mano e prendendo il termos che
Todd le stava iniziando a porgere.
Diede
una sorsata e fece una smorfia. Era caffè estremamente amaro.
Glielo
restituì. E dopo un momento disse «Grazie.», semplice e piatto, ma comunque lo
disse.
Todd
alzò appena le spalle, riprendendo a sorseggiare dal termos.
Erano
parcheggiati in piena notte in mezzo a della vegetazione selvatica. Scopo:
sorvegliare eventuali movimenti sospetti di un magazzino isolato che poteva o
non poteva avere a che fare con l’attuale caso di cui si stava occupando l’agenzia
di investigazioni olistiche.
Dirk
era a casa, fuori combattimento a causa di una influenza. Non abbastanza fuori
combattimento comunque da non lamentarsi di non riuscire a partecipare più
attivamente al caso e da non tentare qui o là di trascinarsi fuori dal letto
febbricitante. Farah era al suo capezzale a fargli la guardia: ovverosia, sia a
controllare che non se ne andasse in giro febbricitante, sia che qualcosa di
improbabile eventualmente connesso al loro caso non si manifestasse
direttamente nell’appartamento di Todd e contro/verso/sopra Dirk mentre era
ridotto in quelle condizioni.
Amanda
sospirò appena e si frugò nelle tasche del giubbetto che indossava. Di solito
partecipare ai loro casi olistici la entusiasmava. Dover passare un’intera
notte nella stessa auto di suo fratello e sola con lui a sorvegliare un
edificio che aveva tutta l’aria di essere abbandonato da anni non era esattamente
quello che avrebbe potuto definire entusiasmante.
Iniziò
a fabbricarsi una canna.
Todd
occhieggiò verso di lei sentendo il fruscio di cartine e sacchetti. «Non mi
sembra il caso…» disse, corrugando la fronte preoccupato e non convinto.
Amanda
gli dedicò uno sguardo significativo, sollevando un sopracciglio.
«Voglio
dire…» si affrettò a specificare Todd, irrigidendosi sul sedile e tornando a
guardare nervosamente l’edificio che stavano sorvegliando. «Non quando siamo
nel bel mezzo di… » sembrò cercare per un momento le
parole adatte, e quindi arrendersi con un sospiro rassegnato. «Di qualcosa.» terminò. Quella era una delle
sue parole jolly per riferirsi alla multiforme caoticità assurda dei loro casi.
Amanda
emise un breve verso scettico a labbra chiuse e continuò tranquillamente a
lavorare alla sua canna. «Sai, Dirk dice che sarebbe meglio che tu bevessi meno
caffè quando siete nel bel mezzo dell’azione.»
Todd
corrugò le sopracciglia. «Non bevo così tanto caffè…» protestò.
Amanda
sorrise un poco tra sé e sé, mentre si accendeva la canna. «Dice che ti rende
un po’ troppo… suscettibile.»
Todd
alzò le sopracciglia. «Oh, beh, allora meno male che a Dirk il caffè non piace
affatto. Perché vorrei proprio vedere se diventasse lui ancora più
sovraeccitato di quello che è già. Sempre.»
Amanda
lo spiò appena di lato, espirando una nuvoletta di fumo, e sogghignò appena tra
sé e sé. «Carini. Sembrate proprio una vecchia coppietta litigiosa.» commentò.
Immancabilmente,
Todd tossì mandandosi di traverso il caffè che stava continuando a sorseggiare,
perse la presa sulla maniglia del finestrino che stava abbassando al massimo
per far uscire il denso fumo di canna, e arrossì un poco.
«Non
siamo affatto…» iniziò a ribattere, punto sul vivo, girandosi verso di lei. Si
bloccò vedendo la sua espressione soddisfatta per essere riuscita a provocarlo,
sospirò pesantemente e si abbandonò sul sedile con un grugnito risentito e
arreso.
Amanda
gongolò un poco tra sé e sé, tornando a fissare l’edificio quasi sicuramente
abbandonato. «Beh, lo sembrate proprio.» disse.
Todd
emise un conciso verso gutturale sarcastico. Evidentemente tentando di non
darle corda.
«O
dovreste esserlo…» osservò tranquillamente e distrattamente Amanda, esalando
un’altra boccata di fumo.
«Non
credo che…» iniziò Todd, prima di interrompersi, corrugare la fronte, e
sospirare per l’ennesima volta.
A
parere di Amanda, suo fratello sarebbe stato il perfetto candidato per una
competizione mondiale di sospiri di qualsivoglia lunghezza, intonazione e
significato implicito.
«Quindi
non hai ancora deciso di tirare fuori la testa dalla sabbia e dirglielo?»
domandò sempre quietamente e conversativamente Amanda.
«Prego?»
ribatté Todd, voltando la testa a guardarla con le sopracciglia corrugate.
Amanda
voltò la testa a sostenergli lo sguardo, il suo perfettamente calmo e deciso.
«Mi hai sentito benissimo.» disse semplicemente.
Todd
esitò e si imbronciò. «Non ricordavo che le canne ti facessero quest’effetto.»
reagì infine.
Amanda
gli rivolse un piccolo sorriso, volutamente finto innocente e assolutamente
imperturbabile.
Si
rese conto che preferiva quella versione di suo fratello: quella scontrosa,
irritabile, combattiva, pungente e sulla difensiva, a suon di sarcasmo. Molto
meglio di quella da cane bastonato con la coda tra le gambe che osava a
malapena guardarla o rivolgerle la parola con cautela, che si auto-fustigava
ogni volta che lei era presente e che sembrava convinto di meritarsi qualsiasi
cosa di brutto decidesse di scagliarli addosso l’universo in quanto facente parte
di quello che si meritava e in generale del suo progetto di eterna espiazione
dei suoi precedenti peccati.
Forse
solo perché, in fondo, quello sembrava molto più il vero Todd. Quello che lei
aveva conosciuto bene come fratello. Quello di prima che iniziasse a recitare
la parte dell’ammalato di pararibulite per elemosinare soldi e pena dai loro
genitori e supporto indiscriminato e dolente e consolante da lei, sentendosi
internamente terribilmente in colpa; quello di prima che lei si ammalasse e lui
iniziasse ad impersonare il fratello ultra-sensibile, ultra-comprensivo e
consolante che veniva a farle compagnia e dispensare false belle speranze su
una possibile attenuazione della pararibulite; quello di prima che le
confessasse ogni cosa e si comportasse come un cane bastonato che non si
meritava alcun perdono.
«Forse
dovrei lasciartene un po’, di erba.» osservò tranquillamente Amanda, tornando a
fissare l’edificio che dovevano sorvegliare. «Probabilmente ti farebbe bene.»
Todd
emise un piccolo verso scettico. «Ne dubito.». Dopo un poco aggiunse,
miseramente «E comunque non me la merito.»
Amanda
sollevò entrambe le sopracciglia, continuando a guardare davanti a sé. «Sul
serio?» sbuffò, tra il divertito e l’amaramente incredulo.
Todd
non le rispose nemmeno.
Amanda
rifletté qualche altro istante, pacificamente e senza fretta, fumando la sua
canna.
Poi,
lentamente ebbe la sensazione di stare avendo un’illuminazione.
«E
sei convinto di non meritarti nemmeno Dirk. Giusto?» domandò. Assolutamente
retorica. Era persuasa di aver colto il punto.
Sentì
Todd sussultare sul sedile di fianco al suo, e girarsi a guardarla di scatto,
spalancando la bocca prima ancora di aver trovato qualcosa da replicare, ma
sicuramente animato da un senso di irritante ingiustizia che riteneva istintivamente
di stare subendo.
Amanda
sospirò appena. «Probabilmente hai ragione, su questo. Io sono d’accordo,
comunque.» disse con calma.
Stavolta,
Todd trasecolò. Ma ancora non disse niente, e abbassò la testa fissandosi le
mani appoggiate in grembo strette attorno al termos di caffè, con aria più
mesta che mai.
«Eppure…»
disse Amanda, significativamente, ma senza aggiungere altro.
«Eppure…?»
interrogò Todd, corrugando la fronte e guardandola, perplesso.
Amanda
sorrise un poco tra sé e sé, divertita e dolcemente. «Eppure eccoci qua.»
disse, prima di fare una pausa per tirare un’altra boccata di fumo dalla sua
canna. Stavolta, quando gliela passò, Todd semplicemente la prese e iniziò a
fumarne anche lui. Se fosse perché avesse deciso che forse dopotutto serviva
anche a lui, specialmente per condurre quella conversazione, o perché era
troppo concentrato sull’ascoltarla per ricordarsi che secondo lui ‘non era
proprio il caso’, Amanda non se ne preoccupò minimamente.
Incrociò
le braccia dietro la testa, l’espressione assorta ancora fissa sull’edificio
che stavano sorvegliando, e proseguì tranquillamente. «Eppure io sono parte di
una band di punk capaci di risolvere in un attimo ogni crisi di pararibulite.
Eppure, tu sei parte di un’agenzia di investigazione olistica assieme a quelle
fantastiche persone che sono Dirk e Farah, e hai una sorella eccezionale che
sicuramente non ti meriti ma che sta comunque ancora cercando di farti
ragionare per il tuo meglio.»
Todd
sbatté le palpebre, fissandola allucinato. Evidentemente ancora senza sapere
come prendere quello. Come prendere il tutto, probabilmente: dal fatto che lei
gli stesse parlando sinceramente e apertamente, fino a ciò che stava dicendo e
alle sue implicazioni.
«Che…
vuoi dire?» si arrese infine a chiederle, corrugando la fronte.
Amanda
girò la testa a guardarlo distrattamente, e gli riprese la canna dalle dita.
«Che hai un sacco di cose che non ti meriti nella tua vita, al momento. O forse
che hai iniziato a meritarti da quando hai deciso di provare ad essere meno
stronzo.» ragionò con calma, riprendendo a fumare «Immagino che sia… una specie
di cosa come che l’universo ha già deciso per te. Magari l’universo ti ha già
perdonato. Anche se non credo che l’universo funzioni esattamente così. Magari
ti sei solo… allineato alle sue invisibili linee, e… bam. Tanto basta.»
Todd
sembrava ancora più confuso, ma non fiatò, aspettando che lei proseguisse.
«Comunque
sia… dubito che sia una buona idea cercare di contrastarlo. È vero, tu risolvi
i casi per lui… per esso… con Dirk e Farah. Ma c’è anche tutto il resto. E se
tutto il resto sono cose buone e splendide… Beh… No, okay. Forse non è
questione di inimicarti l’universo, il non approfittare di tanta abbondanza e
godertela. Forse è più questione di voler proprio essere stupidi, di
impegnarvicisi.»
Todd
si corrucciò decisamente. Ma ancora non disse niente per un poco. Poi, infine,
reagì in tono moderatamente offeso e criticamente provocatorio. «E quindi che
cosa dovrei fare, secondo te?»
Amanda
sorrise, divertita, e gli porse di nuovo la canna, alzando un poco le spalle.
«Usa la fantasia. Fossi in te, comincerei con il sistemare le cose con Dirk.»
Todd
sembrò di nuovo confuso. «Non c’è niente da sistemare con D…» iniziò, prima di
interrompersi quando lei gli lanciò uno sguardo diretto e significativo, un
sopracciglio decisamente inarcato.
Todd
sospirò e si abbandonò sul sedile con fare arreso. «Ho capito cosa vuoi dire.»
ammise, strategicamente evitando di dire altro.
Amanda
ridacchiò appena tra sé e sé, soddisfatta. «Oh, lo so benissimo che hai
capito.» replicò pacificamente «E comunque, io sono ancora la sorella
fantastica che non ti meriti eppure hai.»
Todd
trattenne il fiato, guardandola.
Lei
continuò a guardare il magazzino molto probabilmente abbandonato, tranquillamente.
«Grazie…
davvero.» mormorò Todd dopo un poco, porgendole di nuovo la canna.
Amanda
sapeva che non si stava riferendo alla canna. Alzò appena le spalle. «Non c’è
di che.» rispose. E dopo un istante sorrise un poco e aggiunse in tono un po’
più spontaneamente affettuoso «Perdente.»
Con la coda dell’occhio, vide Todd sorridere rasserenato. E lo sentì emettere
un piccolo sbuffo divertito e ironico.
Amanda
sperò intensamente che forse lui stesse iniziando a capire, o almeno a intuire
inconsciamente, che non era questione di cercare di auto-reprimere
spietatamente ogni minimo accenno di debole speranza che lei un giorno lo
perdonasse, come in un sempiterno gioco alla talpa frenetico e privo di
speranze di vittoria.
Non
era mai stata questione di nulla del genere.
Lei
riusciva a pensare a tutto ciò di cui non si trattava, e non a definire nemmeno
a stento e a contorni imprecisi ciò di cui si trattava. Ma non se ne
preoccupava troppo.
Forse
era solo che in fondo aveva già iniziato a perdonarlo, senza nemmeno rendersene
conto, già dal giorno dopo che lui le aveva confessato le sue menzogne del
passato. Di sicuro aveva già iniziato a cercare di aiutarlo e suggerirgli per
il meglio già dal giorno dopo, spedendolo a recuperare Dirk, anche se a
proposito di quello avrebbe pur sempre potuto dirsi almeno che lo aveva fatto
per Dirk piuttosto che per Todd; poco importava se fosse più o meno vero,
perché dopotutto nemmeno lei ne sarebbe mai stata certa probabilmente.
Ma
perdonarlo davvero, completamente e definitivamente… non aveva idea se ci
sarebbe mai riuscita del tutto, o quanto tempo ancora ci sarebbe voluto.
Probabilmente
non era più, o non era mai stata tanto questione del passato, quanto del
presente e del futuro. E quello che aveva sempre contato di più era la fiducia
che si poteva raccogliere con una certosina ricerca tra i cocci di tutto
quello, tentando di capire cosa farci per ricostruire… qualcosa. Che cosa, nessuno di loro probabilmente ne aveva ancora
idea, e forse non ce l’avrebbe mai avuta realmente.
«Comunque
vada…» disse piano Amanda dopo diversi minuti di silenzio, con calma ma
sicurezza profonda «Se fai del male a Dirk te ne pentirai.»
Todd
rimase ancora un poco in silenzio, ma decisamente colpito da quello. Forse
stava tentando di capire se fosse più un avvertimento nel senso che anche lui
ne avrebbe subito dolorose conseguenze per empatia con Dirk, o più una minaccia
sul fatto che lei lo avrebbe scovato anche in capo al mondo per prenderlo a
calci, o più probabilmente entrambe le cose allo stesso tempo. E sicuramente i
ragazzi sarebbero stati ben lieti di darle una mano in quello anche se lei non
lo avesse chiesto, né voluto, né ce ne fosse alcun bisogno.
Infine,
Todd si limitò ad annuire. «Lo so.» disse, serio.
Amanda
espirò con calma un’altra nuvoletta di fumo, mentre lui deglutiva un altro
sorso di caffè amaro.
I’m Not A Fan Of Anything/Anyone. It’s Everyone/Everything That Should
Be My Fan.
11.
«Ah,
eccovi!» disse subito Farah, non appena aprì la porta
dell’appartamento di Todd, fissando quest’ultimo e Amanda in piedi sulla soglia
nella luce mattutina.
Luce
che Amanda stava odiando.
«È
successo qualcosa?» domandò Farah, seria, corrugando
la fronte per la preoccupazione mentre seguiva con lo sguardo Amanda che
entrava senza complimenti e si gettava di peso lunga distesa sul divano.
«Assolutamente
niente di niente.» riportò Todd in
tono laconico ed esausto, trascinandosi dentro casa a sua volta.
«Questo
è… davvero molto strano.» commentò la voce di Dirk
dalla camera da letto, in tono perplesso e poco convinto.
Amanda,
con già gli occhi chiusi, sorrise.
«Tu
non hai il diritto di definire che cosa è strano.» osservò con calma abituata
Todd, mentre iniziava a sfilarsi la giacca, rallentato dalla stanchezza e dagli
arti anchilosati dalla notte passata sul sedile dell’auto.
«E
perché mai?» protestò Dirk.
«Perché…»
rispose Todd tranquillamente, mentre restituiva a Farah
le chiavi della sua auto «I tuoi parametri di ‘strano’ non coincidono con
quelli del resto dell’umanità.»
Dalla
camera da letto provenne un verso significativo, a metà tra il divertito e il
critico.
«Non
è colpa mia se il resto dell’umanità… o almeno la stragrande maggioranza di
essa… ha una fantasia così limitata. Specialmente rispetto a quella
dell’universo.» ribatté infine Dirk, con uno sbuffo
che sembrava voler risuonare saputamente dignitoso, ma sembrò accompagnato
anche da una smorfia dolente.
Todd
si appoggiò di peso con la spalla sulla cornice della porta della camera da
letto, limitandosi a guardarlo, come se stesse cercando di soppesare se e
quanto fosse in condizioni tali da delirare per la febbre, piuttosto che essere
abbastanza lucido da parlare con piena cognizione di causa. Perché in base alla
cognizione di causa che secondo lui aveva di solito Dirk,
era probabilmente quasi impossibile distinguere tra le due possibilità solo
ascoltandolo.
«Va
bene…» ragionò Farah con un sospiro stanco. Amanda
aprì una fessura tra le palpebre per guardarla. La vide massaggiarsi la fronte
con le dita di una mano, sforzandosi di essere ragionevole e pragmatica.
«Quindi non abbiamo altri indizi validi al momento…»
«Oh,
sono sicuro che arriveranno presto…» commentò Todd, ironico ma convinto.
«Giusto.»
concordò Dirk dalla camera da letto.
Amanda
emise uno sbuffo divertito, tornando a chiudere gli occhi.
Farah
sospirò di nuovo. «Allora… spero non troppo presto. Perché ho davvero bisogno
di una dormita.» commentò, consultando rapidamente l’orologio da polso. «Perciò
se non c’è altro…» iniziò in tono di commiato, guardandoli uno ad uno con
un’espressione di controllo.
Amanda
aprì di nuovo gli occhi e la guardò. Sorrise. «’Notte, Farah.»
le disse affettuosamente, sistemandosi meglio sul divano e tornando a chiudere
gli occhi.
«E…
grazie.» aggiunse Todd.
Farah
annuì, sembrando troppo imbarazzata dalle sue auto-convinzioni di essere
incapace di partecipare ai normali scambi dell’interazione interpersonale in
maniera adeguata per rispondere altro che «Okay, ci aggiorniamo.», e uscire.
Todd
emise un sospiro stanco e recuperò una coperta da un armadio, distendendola per
coprire Amanda. «Dormi… qui?» le domandò, con tatto gentile e un po’ esitante.
«Sto
già dormendo.» puntualizzò solo Amanda, semi-biascicante.
«Okay…»
disse solo Todd, andando in cucina.
Amanda
stava in effetti scivolando rapidamente verso il sonno. Ma a volte aveva
notevoli difficoltà ad addormentarsi subito quando non si trovava assieme al
Trio Chiassoso o almeno sul vecchio furgone nero; persino quando era esausta
cioè.
Per
questo sentì i rumori di Todd che si preparava qualcosa da mangiare o da bere
in cucina, cercando di fare piano. E Dirk che
chiamava lamentosamente dalla camera da letto «Tooodd…»
«Shhst! Amanda sta dormendo.» sibilò pazientemente Todd in
risposta.
«Oh…»
fece Dirk, in tono dispiaciuto e più basso.
Di
lì a poco, Amanda udì un fruscio di coperte, seguito da passi a piedi nudi che
dalla camera da letto si spostavano in cucina.
«Todd.»
ripeté Dirk, avendo cura di sussurrarlo stavolta.
A
giudicare dal piccolo clangore di posate, Todd non doveva essersi accorto che
era lì. «Dirk!!!» sibilò «Che diavolo? Torna a letto.
Sei malato, ricordi?»
Todd
sospirò arreso. «Vuoi del tè?» domandò, con un che di vagamente retorico.
«Sarebbe
splendido.» sospirò Dirk grato.
Amanda
udì dei rumori che indicavano che Dirk si stava
sistemando a sedere in cucina. E probabilmente, a giudicare dai fruscii, si era
portato dietro buona parte almeno delle coperte, in cui si stava tenendo
avvolto. Sorrise tra sé e sé, divertita.
Per
un poco, tutto ciò che udì in sottofondo, attraverso il dormiveglia, fu il
tranquillo e domestico chiacchierare a bassissima voce tra i due, senza nemmeno
cercare di distinguere le esatte parole, anche se tra le poche che comprese
passivamente senza provarci c’era qualcosa che riguardava il caso di cui si
stavano occupando mischiato con cose banali e battute.
Fu
il silenzio a farla riemergere un poco dal dormiveglia relativamente profondo,
semplicemente perché sembrava caduto all’improvviso, e di natura diversa
rispetto ad un semplice silenzio tranquillo e naturale.
Poi
udì Todd mormorare in poco più di un sussurro qualcosa come «Questo… è okay…
per te…?»
E Dirk rispondere immediatamente «Sì!!», con piena
convinzione, e tale entusiasmo da aver alzato incautamente un poco la voce. La
riabbassò prontamente e disse di nuovo «Sì. Sì. Benissimo.»
Di
nuovo cadde un singolare silenzio.
Finché
Amanda non distinse vagamente ma sufficientemente i tenui suoni di un chiaro
bacio.
Sorrise
tra sé e sé. E disse «Hey, voi due.»
Seguì
un piccolo tramestio improvviso e sorpreso, e lei sogghignò divertita.
«Trovatevi
una stanza.» disse solo.
Le
sembrò di poter percepire un denso imbarazzo fin da lì dove se ne stava ad
occhi chiusi sul divano, avvolta nella calda coperta e ancora comunque
piuttosto in dormiveglia.
Dopodiché
udì Todd sussurrare qualcosa che sembrava un invito e un pazientemente
convincimento di Dirk, e i loro passi in punta di
piedi verso la camera da letto.
L’ultima
cosa che udì prima che la porta si chiudesse dietro di loro fu Dirk che diceva sussurrando «Hem…
temo che ti ammalerai anche tu.», e Todd che emetteva un piccolo verso
divertito e sardonico, ma anche chiaramente affettuoso e felice.
Amanda
faticò comunque un altro poco ad addormentarsi del tutto.
Non
che si udisse niente dalla camera da letto. Probabilmente quei due erano
crollati addormentati l’istante che avevano posato la testa sul cuscino.
Perdenti.
Più
che altro le tornarono in mente alcune parole di Todd di quella notte, quando
avevano chiacchierato ancora un poco, a tratti sparsi nelle lunghe ore di
appostamento in auto.
Qualcosa
che aveva a che vedere col fatto che Todd si fosse azzardato a chiederle, come
dopo aver racimolato tutto il coraggio che aveva per tentare una conversazione
più personale che un tempo tra fratello e sorella avrebbero avuto senza
problemi, se nella sua vita ci fosse qualcuno.
Amanda
aveva negato. Dopotutto, passando gran parte del suo tempo con gli altri del
Trio Chiassoso e spostandosi costantemente per ogni dove senza meta, era
piuttosto difficile anche volendolo imbattersi in “qualcuno di speciale”.
Non
che lei lo volesse. Non che ci pensasse, a dirla tutta.
Ma
una piccola parte di lei ora iniziava a sospettare che forse avrebbe potuto
essere qualcosa di piacevole. O di interessante. Magari entrambe le cose.
Per
qualche motivo, mentre finalmente si addormentava del tutto, inconsciamente si
chiese se magari a Farah potesse piacere andare
insieme al poligono di tiro o a fare footing, quando si fossero svegliate
chissà quando nel corso della giornata.
I’m Not A Fan Of Anything/Anyone. It’s Everyone/Everything That Should
Be My Fan.
12.
«Merda.
Dove diavolo è andato a cacciarsi il mio accendino?» borbottò Amanda,
frugandosi in tutte le tasche del giubbetto, con una sigaretta ancora spenta
tra le labbra.
Martin,
che le sedeva di fianco sul bordo del terrapieno dove si erano fermati a
godersi un tramonto particolarmente bello, sporse il braccio di lato porgendole
tra le dita un accendino.
«Mhmm…
no, grazie.» rifiutò gentilmente Amanda, alzandosi in piedi con aria
imbronciata e determinata. «Voglio il mio.»
Ci
teneva particolarmente a quell’accendino. Lo aveva trovato un giorno Vogel in
una discarica, e non appena lei lo aveva visto innamorandosene gliel’aveva
regalato. Era uno di quegli accendini squadrati che si accendevano
automaticamente aprendo il coperchio, colorato di nero e viola con un disegno
arabescato in oro; e lei lo ricaricava sempre, cosa che non si era mai presa il
disturbo di fare prima con gli accendini.
Si
stava dirigendo verso il portellone aperto del furgone parcheggiato lì a pochi
metri da loro, con l’intento di proseguire la ricerca al suo interno, quando
udì Gripps dire «Fumare non fa bene.»
Si
fermò e si voltò su se stessa, rivolgendogli uno
sguardo perplesso.
«Sì.
Magari dovresti smettere. Forse.» aggiunse Cross, più innervosito ed esitante.
Amanda
inarcò un sopracciglio, guardandoli come se stesse loro chiedendo se dicevano
sul serio.
Cross
distolse lo sguardo con aria singolarmente colpevole.
Lei
aggrottò un poco la fronte, senza capire. Ma decise di rimandare un eventuale
tentativo di capire che cosa fosse loro preso tutto d’un tratto, e riprese a
marciare verso il furgone.
Trovare
qualcosa in particolare all’interno del furgone, a meno che non fosse qualcosa
di così grande che era impossibile non risaltasse in mezzo al caos di oggetti
di ogni specie, era sempre una notevole impresa.
Ma
diavolo, quell’accendino le piaceva sul serio!
Amanda
iniziò a frugare in mezzo al di tutto e di più senza problemi e con fare
abituato.
Fu
così che di colpo, spostando diversi oggetti che sembravano essere stati
particolarmente ammucchiati in un angolo, si ritrovò improvvisamente di fronte
qualcosa che non solo non aveva mai visto prima lì dentro, ma che era
particolarmente strano a vedersi.
Si
trattava di un sacco dalla robusta costituzione forse di iuta, strettamente
chiuso con una corda, grande pressappoco la metà di lei. Ma forse la cosa più
singolare d’esso era la scritta che recava tracciata su un lato con della
vernice spray nera, e che diceva: ‘non aprire. Segretissimo.’. A giudicare
dalla grafia stentata, e soprattutto dalla scelta delle parole, sembrava
qualcosa di scritto da Vogel.
Amanda
corrugò la fronte e lo fissò per un poco, mettendosi seduta a gambe incrociate
davanti ad esso, come per prendersi un momento per riflettere.
Dopo
un poco sentì gli sguardi addosso e girò la testa. Gripps,
Vogel e Cross se ne stavano affacciati al portellone aperto, spiando dentro
solo sporgendo la testa; e a giudicare dalle nuvolette di fumo, Martin doveva essere
fermo in piedi giusto dietro di loro.
«Che
cos’è questo?» domandò Amanda, incuriosita e vagamente sospettosa.
«Questo
cosa?» scattò subito Cross, nervosamente.
Amanda
inarcò un sopracciglio.
«Io
non ne ho idea…» disse Gripps, con fare serio,
scuotendo appena la testa «Ma a giudicare dalla scritta, credo che sarebbe
meglio non aprirlo.»
«Sì!
Sono d’accordo!» disse subito Vogel, annuendo fervidamente, con aria ancora più
colpevole degli altri.
Amanda
inarcò anche l’altro sopracciglio e li fissò per un poco in silenzio con aria
attentamente valutante, incrociando le braccia sul petto, la sigaretta ancora
spenta che le pendeva da un angolo delle labbra.
«Hey, ossigenato.» interpellò infine.
«Che
succede, batterista?» rispose quietamente Martin, ancora non visibile a parte
le nuvolette di fumo di sigaretta.
«Qualcuno
sa che cosa contiene questo sacco?» domandò Amanda, prima di pensarci meglio e
specificare «Chiunque di noi, intendo. E intendo giusto per sapere se non
abbiamo a bordo un sacco che nessuno ha idea che cosa contenga.»
Martin
si prese qualche istante prima di rispondere. Gli altri tre continuavano a
scambiarsi sguardi innervositi.
«Sono
sicuro di sì.» disse infine Martin, volutamente vago.
Amanda
rimase ancora per un poco a studiare le loro facce con un che di insospettito e
comunque divertito. Alla fine alzò le spalle e decise di essersi stancata.
«Okay, se lo dite voi…» risolse, alzandosi in piedi e spazzandosi
distrattamente i pantaloni all’altezza delle ginocchia.
Dopo
aver frugato per un’ora in tutto il furgone, Vogel scapicollò da lei stringendo
vittoriosamente in una mano il suo accendino ritrovato.
Nei
giorni successivi, Gripps le cucì nell’interno di una
delle tasche del giubbetto un porta-sky-pass con il filo elastico rientrante –
trovato in giro da Cross – a cui assicurare il suo accendino preferito per non
perderlo più.
Amanda
ebbe occasione di scoprire il segretissimo contenuto di quel sacco qualche
giorno più tardi, quando Martin fermò il furgone e lei si risvegliò dal
dormiveglia solo per scoprire che erano a Seattle.
Per
un momento se ne stupì. Era pur vero che era qualche settimana che non passava
a salutare gli altri, ma di solito Martin guidava fino a lì solo ed esattamente
quando lei era nello stato d’animo di farci un salto, anche se non c’era mai
bisogno di dirlo.
Amanda
non si preoccupò troppo di quella stranezza, tuttavia, e balzò spensieratamente
giù dal furgone scoprendo che Martin si era fermato davanti a casa di Farah.
Da
quando villa Spring era andata rasa al suolo dalla CIA, Farah
si era stabilita in un semplice appartamento in un condominio come un altro,
strategicamente scelto per la sua posizione non troppo lontana né dal Ridgley né dall’ufficio della loro agenzia investigativa,
in modo da potersi precipitare verso l’uno o l’altro a seconda di quale
semi-catastrofe voluta dall’universo stesse capitando loro durante uno dei loro
casi.
Amanda
ebbe cura di controllare, consultando l’illuminazione del giorno e la posizione
del sole ad occhio, che fosse un orario non troppo presto della mattina
(escludendo automaticamente che fosse piena notte), prima di suonare il
campanello. Non che ci si potesse sempre aspettare che Dirk,
Farah e Todd fossero sintonizzati con orari
umanamente standard, visto il ritmo a cui li costringevano i loro casi di
solito, ma almeno Amanda ci provava a fare in modo di non svegliarli alle ore
più improbabili dell’alba o della notte con le sue visite improvvisate.
Con
sua sorpresa, Farah le aprì la porta quasi subito –
persino eccessivamente prontamente per essere Farah,
che era sempre almeno un poco più della media sul chi va là di suo – e la
salutò con aria meno sorpresa del solito.
«Amanda!
Che piacere vederti.»
Amanda
inclinò appena la testa di lato, studiandola piuttosto divertita. «Ciao. Mi
stavi aspettando?» chiese sorridendo.
Farah
arrossì come se fosse stata scoperta, e abbassò lo sguardo. «No. Certo che no. Hem… non avevi detto che saresti passata oggi, giusto?»
Quello
era ancora più strano. A volte Amanda li avvertiva che sarebbe passata a trovarli
nei giorni a seguire, quando le capitava di saperlo e di trovare un telefono pubblico
e di avere qualche monetina in tasca. Ma di sicuro Farah
non dimenticava mai se glielo aveva preannunciato. Anche Dirk
e Todd lo dimenticavano raramente, ma considerati i rocamboleschi eventi dei
loro casi a volte erano un po’ troppo presi per non ricordarsene esattamente
quando se la ritrovavano davanti.
«Non
direi…» sorrise Amanda divertita, gustandosi il lecca-lecca che aveva in bocca.
Da qualche tempo gli altri del Trio Chiassoso le regalavano lecca-lecca per
cercare di farla smettere di fumare. Non che ci fossero ancora riusciti del
tutto, o che le facessero altre pressioni, o che gliel’avessero detto
esplicitamente (come se ce ne fosse bisogno).
Farah si
impegnò ad annuire. Sembrava ancora particolarmente imbarazzata e innervosita,
ma Amanda la conosceva abbastanza da sapere che potevano esserci decine di
motivi diversi per quello.
«Vuoi
entrare o…?» la invitò Farah, aprendo la porta.
Amanda
alzò un sopracciglio incuriosita «O…?»
«Ti…
andrebbe per caso una corsa?» propose Farah.
Amanda
sorrise raggiante. «Eccome!»
«Okay.»
annuì Farah. Sembrava ancora relativamente
imbarazzata, ma annuì e le sorrise spontaneamente. «E… nemmeno stavolta vuoi
provare a fare footing con una tuta o scarpe da ginnastica…?» offrì, studiando
la sua solita tenuta di jeans robusti, maglietta, giubbetto punk e anfibi
pesanti.
«Nah. Va bene come al solito.» rifiutò Amanda
tranquillamente.
«Okay…
allora credo che possiamo andare…» disse Farah, annuendo
di nuovo e uscendo dalla porta.
Solo
allora Amanda realizzò che Farah era già vestita per
fare footing. Ma decise di soprassedere. Dopotutto, Farah
andava a fare footing praticamente tutti i giorni – posto che qualche loro caso
olistico non le avesse completamente sconvolto se non occupato gran parte del
giorno e della notte, e lei doveva essere arrivata per caso proprio mentre
stava uscendo.
Il
vecchio furgone nero era già ripartito, senza sprecarsi in saluti come se fosse
un’inutile vezzo borghese. Amanda ci era abituata e non ci trovava nulla da
ridire. In ogni caso non appena si reincrociavano gli
altri la salutavano calorosamente – ognuno a suo modo – come se non si
vedessero da un mese, che fossero in realtà passate poche ore o un giorno o
due.
Amanda
si sfilò giusto il giubbotto e se lo legò attorno alla vita: quella era la sua
tenuta da corsa, anche se Farah continuava a trovarla
incredibile, a metà in un modo incredulo e a metà in modo ammirato che qualcuno
potesse riuscire a fare footing con abiti tanto inadatti.
E
iniziarono a correre.
Dopo
un poco, Farah buttò lì, con fare tanto volutamente
casuale da sembrare davvero sospetto «Che ne dici se andiamo fino al Ridgley?». E subito aggiunse «Così puoi salutare anche gli
altri.»
Amanda
la fissò, ma trattenne altri commenti e domande, limitandosi ad un «Okay.
Perché no?»
Amanda
e Farah stavano riprendendo fiato e facendo un po’ di
stretching finale fuori dal Ridgley.
Amanda
sorseggiò un po’ dell’acqua dalla borraccia di Farah
e studiò il modo in cui l’altra sembrava ancora relativamente nervosa e
imbarazzata per qualcosa.
«Come
va il caso di cui vi state occupando?» si decise infine a domandare Amanda.
«Humm… abbastanza bene. Abbiamo appena iniziato a… farci
un’idea ma… penso che potremmo cavarcela.» riportò Farah,
con la sua ragionevole prudenza in proposito.
Amanda
sogghignò un poco tra sé e sé. «Questo significa che Dirk
e Todd sono già riusciti a imbattersi in una grossa serie di eventi improbabili,
vero?»
Farah
corrugò riflessivamente la fronte, e infine annuì. «Vero.» confermò, sorridendo
appena tra sé e sé.
Amanda
escluse che la particolare stranezza dell’altra fosse dovuta al caso che
stavano seguendo. Dopotutto, persino Farah e il suo bagaglio
di ansie e insicurezze si erano abituati ai loro casi. Per quanto ci si potesse
abituare ad essi, perlomeno.
«E
quei due sono diventati ancora più strani e ingestibili, da quando stanno
assieme?» domandò ancora Amanda.
Farah la
fissò piuttosto confusa. «Da quando… cosa?» domandò, perplessa.
«Uops…» fece Amanda, con una smorfia più divertita che
colpevole.
Farah
spalancò gli occhi come se avesse infine interpretato correttamente le sue
parole. «Con ‘stare insieme’ intendi… proprio stare insieme?» chiese comunque,
con il suo tono impegnato di quando cercava di capire esattamente se ci si
stava capendo davvero, e che probabilmente usava assai spesso soprattutto con i
due in oggetto.
«Mhm-mhm.» annuì Amanda pacificamente, attorno al
lecca-lecca che si era tratta dalla tasca del giubbetto e si era ricacciata in
bocca.
Farah
sbatté le palpebre, fissando nel vuoto come cercando di capacitarsi di
qualcosa. «Oh.» disse solo infine.
«Beh…
questo potrebbe spiegare alcune cose… a ripensarci ora…» ragionò lentamente e
circospettosamente Farah.
Amanda
ridacchiò. «Non sono sicura di volerle sapere… »
scherzò «Ho come l’impressione che quei due siano terribilmente… smielosi.»
Farah
inarcò un sopracciglio con una piccola smorfia incerta. «Più che altro direi…
ancora più strani del solito…»
«Il
che è tutto dire.» completò Amanda con sicurezza, annuendo saputamente.
Farah
rise. Amanda si rese conto che Farah non rideva
spesso, o almeno, lei non l’aveva mai sentita ridere molto, o così apertamente
e sinceramente, e si ritrovò a pensare che fosse una bella risata.
Tuttavia,
improvvisamente un altro suono attirò la sua attenzione. Un suono per lei
inconfondibile che si stava avvicinando.
Si
voltò subito a guardare il furgone nero del Trio Chiassoso che stava girando
l’angolo della strada, e lo seguì con lo sguardo sorpreso mentre si avvicinava
a loro e si accostava davanti al Ridgley.
«Che
cosa ci fanno già qui?» si chiese Amanda ad alta voce.
«Non
ne ho idea…» disse Farah. Ma qualcosa nel suo tono,
qualcosa di segretamente divertito e complice, indusse Amanda a guardarla
stupita.
«Batterista…»
disse Martin a mo’ di saluto, scendendo dal furgone. «Questo è per te.» e le
lanciò il segretissimo sacco di iuta che lei aveva trovato per caso settimane
prima dentro il furgone.
Amanda
lo afferrò al volo di riflesso, troppo sorpresa ancora per reagire in altro
modo.
Gli
altri tre si erano scaravoltati fuori dal portellone
laterale del furgone e la stavano fissando pieni di aspettativa.
Qualcuno
sbuffò sonoramente in protesta, facendola voltare su se
stessa.
«Questo
è veramente un modo inelegante di dare un regalo.» protestò Dirk,
fermo in piedi in cima agli scalini dell’ingresso del Ridgley,
con un Todd sorridente fermo di fianco a lui che reggeva in mano una busta.
Amanda
finì per voltarsi di nuovo a guardare Farah, solo per
scoprire che questa le stava sorridendo luminosamente e porgendo un piccolo
pacchettino avvolto in una carta da regalo e con in cima un fiocchetto.
«Hem… buon compleanno, Amanda.» le disse.
Amanda
spalancò gli occhi, ora del tutto incredula.
«Sorpresa!!»
esclamò celebrativamenteDirk,
gettando in aria le braccia.
Vogel
iniziò a saltellare intorno a loro canticchiando ‘tanti auguri a te’, inventandosi le parole nei punti dove non le ricordava
affatto, mentre Cross e Gripps tentavano di intonare
la canzoncina un po’ più correttamente, con aria così seriamente impegnata da
sembrare una singolare versione di un coro natalizio, e con Gripps
che rifilava piccole manate sulla nuca di Cross ogni volta che questo sbagliava
colossalmente le parole. Martin sogghignava largamente.
Amanda
abbassò lo sguardo per un momento sul grosso sacco di iuta che ancora teneva
tra le braccia e… sì, evidentemente doveva essere una serie di regali per lei
da parte del Trio Chiassoso.
Scoppiò
a ridere di gusto, estremamente divertita. La sua risata risuonò cristallina
per metà strada almeno.
«Ancora
non capisco…» biascicò Amanda, gesticolando piuttosto pericolosamente con la
mano che impugnava l’ennesima lattina di birra mezza vuota.
«Hum… che cosa?» domandò gentilmente Farah,
abbandonata a sedere di fianco a lei sul tetto del Ridgley
e con testa e schiena appoggiate pesantemente contro il muro della copertura
delle scale che portavano fino a lì, e che aveva bevuto probabilmente almeno
quanto lei, corrugando la fronte per cercare di concentrarsi comunque meglio.
Amanda
gesticolò distrattamente verso gli altri del Trio Chiassoso che stavano
complessivamente e disordinatamente sparsi per il tetto, tracannando altra
birra e/o improvvisando danze selvagge sulla musica dello stereo che si erano
portati fino a lì, o accendendo la miccia di qualsiasi cosa tra fuochi
artificiali e petardi e altro che si erano procurati facendo man bassa in un
magazzino pirotecnico qualche tempo prima, e che avevano tenuto da parte in
attesa della giusta occasione.
«Vi
siete tutti organizzati… cioè… voi! Con loro! Per… organizzare tutto
questo?» riuscì infine a esprimere nonostante la leggera sbronza.
«Hummm…» mugugnò Farah tra sé e
sé, immergendosi in un altro sforzo di concentrazione attraverso i fumi
dell’alcool. «Sì… qualcosa del genere.» annuì infine, cercando di mettersi un
po’ più dritta nella sua posizione seduta, cosa che stava continuando a fare di
tanto in tanto, visto che continuava a scivolare un po’ più giù.
Amanda
la guardò strabuzzando gli occhi. «Come??»
Farah
cercò nuovamente di concentrarsi. «Principalmente… Una delle ultime volte che
sei passata di qui… mentre stavi chiacchierando con Dirk
ho… proposto la cosa a Martin.» disse infine.
Amanda
continuò a fissarla incredula, spalancando anche un poco la bocca. «Davvero??»
Amanda
le sorrise luminosamente. «Quindi è stato tutto un tuo piano…?» chiese
lentamente, come se stesse riflettendo su qualcosa in particolare, ponderando
attentamente.
Farah la
spiò di sbieco, stringendosi un poco nelle spalle, e occhieggiandola con un che
di incerto e imbarazzato. «Credo di… Hum… Sì… sì.»
ammise infine.
Amanda
ridacchiò.
Poi
si sporse e le piantò un bacio su una guancia.
Farah si
irrigidì e arrossì.
«Todd!»
gridò Dirk, volandogli praticamente addosso di peso nella
sua foga agitata.
«Off…!»
borbottò Todd, cercando di recuperare l’equilibrio e di evitare di cadere o di
rovesciare troppa birra, nonostante il fatto che Dirk
stesse cercando di aggrapparsi confusamente al suo braccio o alla sua giacca o
alla sua maglia glielo stesse rendendo particolarmente difficile.
«Che
cosa succede??» domandò subito Todd, relativamente allarmato. Dopotutto, con il
Trio Chiassoso al completo riunito sul tetto del suo palazzo, poteva essere
qualsiasi cosa. Senza cioè contare quello che normalmente succedeva loro di
assurdo su una base quotidiana a causa della connessione particolare di Dirk con l’universo.
Per
buona misura, si guardò intorno per tutto il tetto, in generale cercando
automaticamente la più vicina fonte di minaccia, e nello specifico cercando di
capire se si trattasse di quattro punk selvaggi assorbi-energia e pieni di
birra che avessero tranquillamente deciso di punto in bianco
di braccare Dirk per farsi uno spuntino a sua spese.
«Todd!!»
ripeté Dirk, quasi urlando «Ho appena visto una
cosa!»
Todd
non aveva ancora visto niente di allarmante. A parte quelli del Trio Chiassoso
che lanciavano allegramente in giro per il tetto petardi e fuochi d’artificio
cioè. Giusto per sicurezza abbassò rapidamente lo sguardo controllando Dirk da capo a piedi, alla ricerca di eventuali segni di
bruciacchiature o altre ferite da piccole esplosioni. A causa del suo stato
alcolico, si ritrovò in particolare a contargli le dita accuratamente con lo
sguardo, e a verificare l’assenza di ciocche di capelli o sopracciglia o ciglia
strinate.
«Okay…»
disse infine, lentamente «Che cosa, esattamente? Qualcosa di… potenzialmente
mortale o… e/o potenzialmente collegato a qualche caso?» indagò
meticolosamente, tornando a guardarlo dritto in faccia.
Dirk
scosse fervidamente la testa, poi corrugò la fronte con aria riflessivamente
impegnata. «Beh, tutto potrebbe essere collegato a un caso. Anche se, in questo
caso…» si fermò per ridacchiare per l’involontario gioco di parole.
Todd
sospirò divertito. «Dirk. Sei ubriaco.» sancì.
Dirk lo
fissò con aria attenta e relativamente seria di colpo. «Beh… ho una notizia per
te, Todd.» annunciò, prendendogli il viso tra le mani e stampandogli un bacio
sulle labbra. «Anche tu non sei esattamente sobrio.» gli confidò serio,
guardandolo negli occhi.
Todd
rise un poco, sorridendogli automaticamente e avvolgendolo mollemente tra le
sue braccia. «Ma davvero?» ironizzò, alzando un sopracciglio.
Dirk
annuì con convinzione. Poi sembrò colpito da un pensiero e tornò ad agitarsi,
aggrappandosi alla sua giacca. «Todd! Ho visto una cosa!»
«Sì…
questo l’avevo capito. Eravamo al punto in cui mi dici che cosa avresti visto esattamente.»
replicò Todd pazientemente, con un sorrisetto.
«Ah,
giusto.» fece Dirk, calmandosi come per riflettere
meglio. Infine esclamò «Si tratta di Amanda e Farah!»
Todd
alzò un sopracciglio, con aria incuriosita. «Humm…
vai avanti…»
«Sei
ancora viva?»
Amanda
iniziò a svegliarsi, o più o meno qualcosa del genere, e aprì uno spiraglio tra
le palpebre. Dopo un poco riuscì a indirizzare lo sguardo ai piedi del letto,
individuando Todd in piedi che la guardava con un sorrisetto divertito.
Emise
un verso lamentoso e si coprì gli occhi con un braccio. «Non lo so. Ripassa più
tardi. Magari per allora ne sapremo di più.»
Todd
sornacchiò un accenno di risata divertita, e si allontanò. Amanda lo sentì
armeggiare in cucina.
«Caffè!!»
gridò.
«Come
minimo…» commentò lui in risposta dalla cucina.
Amanda
sentì un lamento di fianco a sé e aprì gli occhi, girando la testa. Dirk era abbattuto sull’altra metà del letto, gli occhi
chiusi e una smorfia infastidita.
Lei
sorrise divertita. «E tu sei ancora vivo?» domandò allegramente.
«Perché
continuate tutti a chiedermelo…?» si lagnò Dirk,
senza muovere un singolo muscolo.
«Buona
domanda…» considerò Amanda, schioccando appena le labbra. Senza cercare
veramente di togliersi il terribile gusto che aveva in bocca, una combinazione
di sonno e postumi da alcool, o di sentire di meno il mal di testa che stava
pazientemente e spietatamente facendo capolino.
Qualcosa
di ancora più vivace della luce del sole attirò il suo sguardo, e abbassando
gli occhi si ritrovò a fissare l’intenso magenta fiammante della giacca di Dirk. Le sembrava di ricordare di averla già vista il
giorno precedente, ma non ci avrebbe giurato.
«Mi
piace questa nuova giacca.» disse.
Dirk
mosse giusto le labbra, sorridendo a occhi chiusi. Un sorriso particolarmente
dolce e felice. «Regalata Todd…» mugugnò, relativamente sconnesso.
Dopo
un poco aggiunse distrattamente «Chi l’avrebbe mai detto. Che avesse buon gusto
in fatto di vestiti.»
«Stai
parlando di me per caso?» le domandò la voce di Todd.
Amanda
tornò ad abbassare lo sguardo ai piedi del letto. «Come l’hai capito,
fratello?» replicò con una smorfia innocente e relativamente amichevole.
Dirk
aveva ripreso a russare piano di fianco a lei.
Amanda
sorrise un poco, mentre Todd sospirava.
«Così
hai finalmente tirato fuori la testa da sotto la sabbia.» osservò.
Todd
la fissò, inizialmente serio, ma poi con un sorrisetto divertito. «Anche tu, a
quanto pare…» replicò con calma.
Amanda
corrugò la fronte. «Io?»
«Dirk sosteneva che l’hai fatto ieri sera… tirare la testa
fuori dalla sabbia, in un certo senso.» riportò tranquillamente Todd, ancora
con quel sorrisetto divertito.
«Mhmm…»
mugugnò Amanda «Non credo di ricordarmi proprio tutto quello che potrei aver
fatto ieri sera. Non da un certo punto in poi, soprattutto.»
Todd
emise un piccolo verso sardonico. «Immagino…»
Dopo
qualche istante, Amanda riportò uno sguardo deciso su di lui. «D’accordo. Che
cosa?»
Todd
attese giusto qualche momento per lasciare la suspense del caso. Poi disse
«Pare che tu abbia baciato Farah.»
Amanda
continuò a fissarlo. Poi sbatté le palpebre, o almeno ci provò, visto che si
sentiva come se qualcosa l’avesse investita in pieno. Poi spalancò gradualmente
gli occhi. «No…»
Todd
alzò appena le spalle. «Beh, puoi sempre chiedere a Dirk…
quando si sveglia…» disse, con strategica tranquillità, tornando in cucina.
Amanda
si tirò a sedere praticamente di scatto e gridò «Hey,
torna indietro!»
Todd
sembrò ignorarla. Amanda mugugnò una serie di imprecazioni e di propositi di
tremenda vendetta al suo indirizzo, quindi si girò a guardare Dirk che russava beatamente.
Considerò
per un momento la possibilità di sentirsi in colpa per quello. Poi la scacciò e
lo prese per le spalle iniziando a scuoterlo. «Dirk?»
Lui
emise un verso lamentoso e non si mosse di un millimetro.
«Okay.
Dirk. Devi svegliarti. Ora!» sancì Amanda,
scuotendolo un po’ più forte e ignorando le sue proteste sconnesse e lamentose.
«Devo
andare in un posto.» annunciò Amanda.
Un
generale e assoluto stupore sembrò calare completamente all’interno del furgone
del Trio Chiassoso.
Per
lunghi istanti, nessuno fiatò.
Quindi
Martin emise un semplice grugnito d’assenso, e fermò il vecchio quattroruote.
Aprì lo sportello, scese lasciando il motore acceso e lo sportello aperto, fece
il giro del furgone e aprì lo sportello di Amanda.
Lei
era semplicemente rimasta per tutto il tempo a guardarlo, tranquillamente ma
attentamente.
Martin
mosse la testa indicandole il posto del guidatore.
E
Amanda sorrise raggiante, spostandosi dietro il volante.
Nessuno
le chiese dove volesse andare esattamente, per tutti i cinque giorni di viaggio
che occorsero per raggiungere Seattle.
E
quando lei fermò il furgone e balzò giù lasciando il motore acceso, davanti ad
una casa in particolare, ancora nessuno di loro commentò assolutamente niente.
Semplicemente ripartirono, e lei non si girò nemmeno a guardarli allontanarsi.
Sapeva perfettamente che sarebbero tornati esattamente al momento giusto,
quando lei fosse stata pronta per ripartire.
Ferma
in piedi davanti alla porta ancora chiusa, si prese un momento di
raccoglimento. Quindi prese un lungo respiro e pigiò il campanello.
Dopo
qualche momento, la porta si aprì.
«Amanda?
Oh, ciao.» disse Farah, tradendo un miscuglio di
gioia, emozione e imbarazzo per via della sorpresa inaspettata.
Amanda
sorrise.
Dopotutto,
arrivare e ripartire senza che mai nessuno – nemmeno lei – potesse sapere con
certezza il giorno o l’orario, aveva l’indiscusso vantaggio di poter vedere chiaramente
sul viso delle persone le loro reazioni più sincere al riguardo.
«Hey. Passavo da queste parti…» scherzò Amanda.
E Farah rise.
Sì,
decise Amanda tra sé e sé. Aveva proprio una risata bellissima.
Note
sciocchezze dello scribacchiatore: sì, lo so. Questa cosa è così senza
arte né parte che… no, non ho ancora idea esattamente del perché/percome l’ho
scritta, o forse anche perché sono passati mesi e mesi. Itsort of happened, ecco. Ma
breve e indolore com’è, e ormai che era lì già scritta, la mia filosofia è
diventata sostanzialmente: perché no? :p
Però ho decisamente un rammarico:
decisamente troppe poche scene di punk olistici che portano spensieratamente
caos in giro. Già. Verosimilmente è esattamente quello che succede in tutto il
tempo che intercorre tra ognuno di questi momenti di questi capitoli, ecco, sì,
indubbiamente!