Quenta Westeros

di Mfelewzi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Notte è Oscura, Piena di Terrori ***
Capitolo 2: *** Occhi Aperti ***
Capitolo 3: *** Viaggi Segreti ***
Capitolo 4: *** Giustizia ***
Capitolo 5: *** Sogni e Duelli ***



Capitolo 1
*** La Notte è Oscura, Piena di Terrori ***


Asshai.

Signore della Luce, guidaci e proteggici, perché la Notte è Oscura e piena di Terrori.

Sole. Sii tu mio Fratello. Luna. Sii tu mia Sorella. Anor hantis. Ithil Helas. Questo diceva il testo. Il Sacerdote Rosso volle infine prendere una pausa. Era da giorni e notti che scriveva su quel testo. Lo aveva portato lì un Maestro di Westeros. Diceva che vi era qualcosa di illogico, di incomprensibile per lui, ma che forse lui, un Prete Rosso, avrebbe potuto capirci. Rhodaur, dal alto dei suoi venti anni appena compiuti, non ci credeva minimamente. La prima cosa che aveva capito, ed al momento l’unica, era che quel testo era vecchio. Molto vecchio. Tanto che non credeva possibile l’esistenza. Quel immenso libro, dal rivestimento in una pelle sconosciuta, doveva avere troppi anni. Lo aveva tenuto fra le mani il Gran Sacerdote, e ringrazio Dio o gli Dei perché si dimenticò subito di quello. Aveva però cominciato a parlare a vanvera sull’età. Due milioni di anni. Due milioni. Era assurdo, non poteva essere così vecchio. Invece sembrava così. O almeno gli era parso. Certo, sempre meglio che leggere i continui libri richiesti dai Sacerdoti di Asshai. E che altro scopo aveva poi Asshai, se non Luogo di Scoperta dei Misteri? E si era impegnato. Aveva scoperto trattarsi di una lingua morta, citata in testi vecchissimi, in lingue ancora più inesistenti a causa del tempo. E allora cercò qui pochi testi, come tradurli, e con difficoltà, dopo un anno intero, stava riuscendo a tradurre il Titolo e le prime pagine. Lómënarn. Racconti del Crepuscolo. Il libro iniziava con preghiere e Benedizioni a dei dimenticati, nomi sconosciuti con aggettivi particolari, come “Ventoso”, o “Signore dei Venti”, non riusciva a tradurre bene l’aggettivo e Titolo Sulimo. Ma avanzò, cercando di tradurre il traducibile. L’alfabeto era complicato, senza parlare della lingua ormai morta. Di certo riuscì a tradurre qualcosa. Lómelindë, Cantore del Crepuscolo. O del Tramonto. O della Fine. Non capiva se voleva intendere la Fine del Giorno o del Mondo. Più o meno diceva: “Ascolta le parole del Cantore del Crepuscolo. Dagli Dei proviene la Verità, che sfugge alle tenebre. Giungerà il tempo, quando le Stelle Sanguineranno, ove i Giganti si uniranno alle tenebre che avanzano, un Freddo Vento sorgerà dal Nord, Sole Settentrionale, Inganno nel Giorno, mentre Fiamme ed Orrori giungeranno da Sud. E Oscurità sorgerà, con n Signore Oscuro che ricanterà.” Quelle parole erano strane. Stelle che sanguinano. Venivano pronunciate nelle Profezie dei Sacerdoti. Anche il Gelo del Nord. Il Grande Estraneo. Ma era il come veniva definito. Sole del Nord. Come fosse una Luce Ingannevole. E anche le parole di Fiamme dal Sud. Il Fuoco è Rhlorr, il Signore dela Luce. Ma in quel testo viene definito come negativo il Fuoco dal Sud. E un Signore Oscuro che ricanterà la canzone del nemico. Ricantare? < Come ricantare? E’ già stata cantata? > Si chiese Rhodaur. “Qui c’è qualcosa che non quadra. Non quadra per niente!” Continuò. Poche parole erano leggibili. Non solo perché il testo era complesso, e certi termini poteva solo terrorizzarli, ma andando avanti le parole sbiadivano. Le parole che si ripetevano erano Lómënarn, Lómë, thorno, sunda, sangwa. Ovvero Racconto del Crepuscolo, Crepuscolo, Aquila, Radice e Veleno. No, non era un testo poetico. O almeno non solo, perché pareva avere una certa metrica, come una poesia. O un testo religioso. < Un racconto religioso. > Disse Rhodaur. Intanto cercava di capire meglio, teorizzare attraverso gli studi sui libri in quella lingua simile, quella “Lingua d’Argento”, o “Grigia”. Ma non poté più tradurre. Qualcosa lo colpì. Sentì qualcosa affondare nella spalla, e l’osso spaccarsi, come una roccia colpita da un piccone, o la terra trapassata dalla pala. E infine dolore. Portò la mano alla spalla, ma quella cosa che lo aveva trapassato uscì, e colpì di nuovo alla spina dorsale. Un dolore lancinante lo riempì, ma prima che potesse urlare qualcosa gli passò davanti agli occhi, fino alla gola. La lama gli tagliò la gola, e infine lo pugnalò al petto mentre lo rovesciava a terra dalla sedia. Più volte fu colpito al petto. I polmoni erano ormai bucati, e vomitava sangue almeno quanto ne spruzzava dalla gola tranciata e ne sprizzava dal cuore. Guardò in alto, ma il sangue lo accecò. < Mi spiace ragazzo. Ma non posso permetterlo. > Mentre una parola oscura i formava fra le labbra. Due parole. “Abisso.” “Nemico.”
 
Guardò. Finalmente erano liberi. Finalmente il Mare! Mai avrebbero provato qualcosa di simile, se non li avesse spinti oltre le mura. E oltre vi erano quegli “esseri”. Piccoli, pelosi, ma abili a navigare. Trattare fu facile, visto che condividevano la stessa lingua. Sapere che oltre il mare, vi erano Uomini come Loro, riempiva il suo Cuore di Gioia. Sapeva che esistevano delle Città Libere a Sud Ovest, e ad Ovest vi era un Continente composto da Sette Regni, ed a Sud vi stava un Mare d’Erba. Già si immaginava il viaggio. Ma una voce lo fermò. < Eren Jaeger. > Eren si voltò. Il volto severo e inferocito di Levi lo avvertì subito. < Ringrazia che hai salvato la città, se tu e Mikasa non morirete. > Eren annuì. Armin lo guardò spaventato, ma dopo qualcuno glielo avrebbe spiegato meglio. Eren sapeva che quello che era accaduto era stato terribile. Ma non aveva importanza! Ora erano Liberi! O almeno sperava. Chissà dove si era diretto Berthold.
 
Bran si svegliò. Quello era un sogno strano. Lì lo aveva guidato il Corvo con Tre Occhi. Perché era sicuro, checché ne dicesse Maestro Luwin. Era un essere che entrava nei sogni. Non un demone. Forse un Dio. O un mago. Ma dopo quelle parole nuove, e dopo quei ragazzi sulla spiaggia, cominciava a pensare ad altro. Da tempo, il Corvo lo portava lontano, ad Est e a Nord. Aveva visto quei ragazzi, che combattevano contro un gigante. Proprio in quel momento. Aveva visto anche più a Est, cose che non credeva possibili. Un bimbo che aveva visto il proprio padre morire ed aveva ucciso il nonno, con una spada e una lancia ad accompagnarlo. Aveva il doppio dei suoi anni. E un villaggio, nascosto in una foresta. E una figura ancora incompleta, che sorgeva a Est, un Essere Possente, rivestito di un’Armatura Sacra e Antica. Ed a Sud, oltre la Spaccatura, era certo di avere visto un uomo. Un uomo nato sotto una maledizione fin dalla nascita, senza amore, che lo conosceva da poco. Nato dalle viscere e delle viscere aveva il nome. E ancora più a Sud, in un Continente abitato da mostri e basilischi, un regno ove Guerrieri Invincibili combattevano contro i mostri, e un’isola dove mettevano le carni di quei mostri. Non era chiaro, ma ormai si stava formando. Perché ogni volta, il Corvo lo guidava lì. Mentre guardava dalla finestra, lo vide. Si alzò allora, e si accorse di dormire ancora. E allora cercò di prenderlo, ma non ci riuscì. Finì contro il muro, spaccandolo e cadendo. Si risvegliò. Ormai una nuova idea si era formata. Non un mago. Un Semidio. E proprio quando tornò a dormire, il Corvo riapparve, e prima che il terrore lo costringesse ad urlare, sentì l’ultima parola. Maiar. Li riaprì, stavolta sveglio. Vicino vi era la Vecchia Nan. < Vi siete svegliato, piccolo signore? > Bran annuì. < Non facevi altro che dire una straa parola. > Chiese il piccolo. E la vecchia rispose: < Istari. Ma cosa vuol dire? > Ecco. Una nuova nacque, come a completare l’altra. Istari. Il Corvo con Tre Occhi si chiamava Istari. O era un Istari. Ma cosa voleva dire? Intanto si era stancato di stare a dormire, e chiamò  Hodor. E mentre veniva portato in braccio per uscire, Bran continuò a pensare a quelle parole. Istari. Maiar. Lòmeanor. 

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Capitolo 2
*** Occhi Aperti ***


Corte di Approdo del Re, Terre della Corona. Westeros.
 
-Bene miei, lord.- Esordì Lord Stark, alzandosi dalla sedia, seguito dagli altri membri del Concilio Ristretto. -Se non c’è altro per cui discutere, visto il Torneo, credo che…- La porta si riaprì, entrando lo stesso Ser Janos. -Mio Signore,- Esordì di nuovo -Perdoni questa intromissione, ma vi sono notizie per il Re.- Consegnò il messaggio. Lord Stark aprì il sigillo del rotolo, mentre gli altri lord apparivano stupiti. Nessuno aveva più lamentele o richieste rivolte verso il Re. Da anni. Anche perché era stato deciso di lasciare ai Lord il mantenimento dell’Ordine e della Giustizia. Ned Stark lesse, e sospirò. -Temo che dovremo continuare la discussione. Può andare, Ser Janos. Scusi per l’ulteriore disturbo.- -Nessun disturbo, Signore.- E si ritirò. Chiusa la porta e di nuovo seduti, il primo a parlare fu Renly. -Sono notizie gravi, per caso?- Chiese.
-Forse per le casse regali.- Esclamò Ned Stark. -Una Compagnia mercenaria ha fatto richiesta di assunzione rivolta al Re.- -Richiesta alquanto singolare.- Esclamò Lord Varys. -Devo convenire.- Esclamò Pycelle. -Perché mai dei mercenari dovrebbero fare richiesta di entrare al servizio della Corona, rivolgendosi direttamente al Re? Che io sappia, nemmeno la Compagnia Dorata arriva a tanto, anzi, attende che siano…- -Ah, spiegata la stranezza!- Esclamò Lord Baelish, dopo aver letto il rotolo, per poi consegnarlo a Renly che lo consegnò alla sua sinistra, verso Pycelle e Varys. -Si tratta della famosa Compagnia dei Falchi! Ora tutto è chiaro.- Lord Stark annuì. E così pure Varys. -Quindi, questa Compagnia sta facendo richiesta di servizio alla Corona?- -Così pare, Lord Varys.- Esclamò Baelish, mentre Pycelle cercava di leggere lo scritto. -Richiesta alquanto inutile.- Esclamò il Primo Cavaliere. -Non abbiamo necessità di mercenari al momento. E i prezzi sono troppo alti.- -Potrebbero aiutare nel mantenere l’Ordine.- Rispose Renly. -Lo hai detto pure tu che gli uomini non bastano. I Settemila soldati della Compagnia sono perfetti, potremmo esautorare per questo scopo la tua scorta e la Guardia Cittadina.- -Senza contare che a sapere che la Più Grande Compagnia di Ventura di Westeros si trova ad Approdo del Re, molta più gente verrà ad assistere.- Esclamò pure Baelish. -Senza contare,- Continuò Varys, leggendo di sottecchi il messaggio dal vecchio Gran maestro. -Che una delle richieste del loro comandante è stata quella di poter giostrare, proponendo una paga più bassa rispetto ai soliti contratti. Il Comandante dei Falchi è molto famoso, attireremmo maggiore attenzione, e tenendo conto che spenderanno i loro soldi in Città, tutti ne otterranno beneficio.- -Forse,- Esclamò Pycelle, finendo di leggere e dimenticando di passare il messaggio a Lord Varys. -Potremmo anche usarli per dare sostegno alla Guardia Cittadina dopo il Torneo. I problemi di ordine pubblico sono vari, potrebbero essere una buona soluzione, visto che le ric- -Senza contare che, vista la richiesta,- Esclamò Renly, sarcastico. -Spetta al Nostro Re Robert accettare o rifiutare.- -Credo che non avrà nulla da ridire, per quanto riguarda un altro partecipante.- Rispose Lord Stark. -Informerò il Re, e illustrerò i vantaggi di tale scelta. Date risposta solo fino a quando non si avrà risposta positiva. Ora, potete ritirarvi, miei lord.- E si ritirarono. Ned Stark si diresse verso le sue stanze, stanco ed amareggiato. “Nel immediato i Falchi saranno utili, ma a lungo corso a cosa potrebbero servire? Non siamo in guerra, potranno al massimo combattere banditi, ma una Compagnia come quella si accontenta solo di giustiziare stupratori e taglieggiatori?” Si chiedeva, mentre camminava nei corridoi del castello. Non che avesse tutti i torti. La Compagnia dei Falchi era l’Unica Grande Compagnia di Soldati di Ventura del Occidente. Paragonabile ai Secondi Figli, erano definiti inferiori in Fedeltà e Forza alla sola Compagnia Dorata. Di certo, essere in Settemila Uomini non li rendeva attraenti alle Grandi Città Libere di Essos, e raramente venivano richiesti dai Lord di Westeros. Li ricordava, avendoli avuti al suo fianco. Alla Battaglia del Tridente, per poi ritirarsi, registrato il pagamento e la Vittoria. Il loro comandante pareva onorevole, ma Ned aveva visto quella sottile crudeltà, il fregarsene della possibile morte di uno dei suoi sottoposti. Era pure tornato, insieme ad uno dei soldati di quel uomo. Una donna, cosa rara a Sud del Moat Cailin. E quel soldato lo aveva sfidato e sconfitto davanti a tutti, per poi andarsene lontano. Non perdonava a quel comandante l’avere abbandonato il suo sottoposto. Specie perché era una donna. Una donna che guidava dei mercenari: tutti i lord della Valle, dei Fiumi e della Tempesta lo trovarono stupido, solo quelli del Nord e di Dorne non si stupirono. Di certo il rivedere quel uomo dai capelli d’argento, simili a quelli di un Targaryen, non lo riempiva di Gioia. Era ormai giunto nelle sue stanze. Trovò Sansa che continuava le sue lezioni di ricamo, e Arya non si vedeva ancora. Sansa rimase lì ancora per un po’, per poi andarsene arrabbiata. Non perdonava a suo padre le scelte fatte. -Sansa.- Esclamò Ned Stark.
 
 
Dalle porte della città entrarono per primi i cavalieri, seguiti dalla fanteria e dagli arcieri. Davanti a tutti tre figure a cavallo, due in rosso e l’altra con un’armatura talmente luccicante da apparire d’argento. Uno dei vestiti di rosso portava lo stendardo, con delle ali rudimentali più simili a quelli di un gabbiano che di un falco. Giunsero fino alla Fortezza Rossa, e solo i tre davanti scesero da cavallo. Questi si levarono gli elmi e consegnarono le armi. Il primo, quello dall’armatura argentata, era un giovane di trenta anni, con i capelli bianchi e la carnagione chiara, simile ad una fanciulla non fosse stato per i lineamenti che, seppure delicati, avevano ancora qualcosa di grezzo, indegno di una fanciulla. L’altro appariva come un normale ufficiale, il naso spaccato da anni, una cicatrice che attraversava la fronte. Quello che seguiva, invece, era il contrasto con l’argentato. Era una donna, i lineamenti delicati ma selvaggi, i capelli rossi corti e la carnagione scura, come una dorniana. Questi entrarono nella Fortezza Rossa, trovandosi ad accoglierli Ser Barristan Selmy, Lord Comandante della Guardia Reale, Ser Jaime Lannister e una recluta, Ser Maryn Trant. -Salute a voi, Ser Barristan.- Iniziò l’umo dai capelli d’argento, inchinandosi rispettoso. -E’ un Onore fare la vostra conoscenza.- -L’Onore è mio, Ser…- -Purtroppo non sono un cavaliere,- Lo interruppe gentilmente.
 -Non avete necessita di darmi del Ser. Il mio nome è Griffith, il resto non conta.- E gli porse la mano, a saluto. Selmy annuì, e la strinse, con un’espressione gentile. -Non sarete Cavaliere di Titolo, ma lo siete nell’Anima. E come voi non volete che vi chiami Ser, io le chiedo di non chiamarmi lord.- Anche Griffith sorrise convinto. “Guarda come si fa ingraziare, il nostro capo falco!” Pensò Jaime Lannister. Barristan lo invitò ad entrare, e tutti e sei entrarono. -Avrete avuto un viaggio faticoso, temo.- Esclamò Selmy. -Non come le nostre quotidiane vite, Ser Barristan.- Rispose Griffith. -Per quanto la pace giovi a molti, i miei uomini ed io non abbiamo avuto molte gioie, dalla Morte del Re Folle in poi.- -Avreste potuto chiedere di partecipare alla spedizione nelle Isole di Ferro.- Ripose gentilmente il Lord Comandante. Griffith sorrise gentile, ma: -Ho fatto richiesta a molti lord, ma nessuno era interessato. E sapere che pure tutte le altre compagnie mercenarie non abbiano ricevuto ingaggio per quella rivolta, non darà certo da mangiare ai miei uomini.- -Ai suoi uomini forse no,- Esclamò Jaime Lannister. -Ma dubito che abbia dato problemi eccessivi a lei.- -Siete ingiusto nel parlare.- Rispose Griffith. -Quando una nave rischia di affondare, tutti rischiano.- -Se invece di cercare di salvarla si pensa a fuggire ed il capitano e gli ufficiali fuggono con le scialuppe, solo i topi e qualche stupido mozzo rischia veramente.- Rispose invece il Lannister. -E’ vero, ma non l’ho fatto.- Controbatté Griffith, mantenendo il tono gentile e il sorriso. -Avete ragione, Ser Griffith.- Rispose il Lord Comandante. Giunsero infine alla Sala de Trono.
 
 
-SIETE ALLA PRESENZA DI RE ROBERT DELLA CASA BARATHEON, PRIMO DEL SUO NOME, RE LEGITTIMO DEGLI ANDALI, DEI RHOYNAR E DEI PRIMI UOMINI, LORD DEI SETTE REGNI E PROTETTORE DEL REAME!- Al insieme dei titoli, Griffith ed i suoi tre sottoposti si inchinarono. -Porgo i Miei Omaggi a Voi, Re Robert il Liberatore, Flagello dei Draghi. Possano i Nuovi ed Antichi Dei premiare la Tua Casata di Perpetuo Dominio.- Robert annuì, dal Trono di Spade. -Sono anni che non ti fai vedere, eh, Griffith?- Il mercenario annuì. -Dall’entrata ad Approdo del Re.- -Già. E vedo che tieni ancora la ragazza salvata dal tuo sottoposto!- Robert ridacchiò, mentre Griffith si limitò ad alzare il volto e sorridere. –Sono un sentimentale. E poi, è Dovere proteggere le fanciulle, specie se Belle!- -Direi! Che fai ancora inginocchiato? Alzati, su! Per gli Dei, non fate altro che stare in ginocchio! Ho saputo che vuoi entrare al Servizio della Corona.- Esclamò Robert, rimanendo seduto. -E mi pare che sia stato accettato.- -Non sbagli proprio. Nemmeno quella volta che mi hai consigliato di lasciare perder le scaramucce e puntare a Rhaegar ed al grosso delle Forze Nemiche avevi torto! Avrei voluto ascoltarti anche quando mi hai chiesto di dirigermi verso Capo Tempesta, per rompere l’assedio.- -Non fu necessario!- Rispose Griffith, in piedi. -Vostro fratello resistette, e certo dirigersi ad Approdo del Re fu un’idea migliore.- -Non così tanto.- Esclamò malinconico Re Robert. -I due mocciosi Targaryen erano già fuggiti prima che arrivassi a Rocca del Drago. Ma non importa!- E nel dire questo, si alzò dal Trono. -Mi servisti bene al Tridente, e mantenesti la Tua Parola. Mi spiace non aver potuto portare i tuoi Uomini con me.- -Non era necessario, dopotutto avete vinto.- Continuò Griffith. -Ma certo mi avresti consigliato di ammazzare quei cani dei Greyjoy! E che tu non abbia potuto dirmelo, mi spiace. Ma possiamo rimediare!- In quel momento era davanti a lui, la pancia che toccava il ventre di Griffith. -Griffith Water, accettò di avere la Compagnia dei Falchi al Servizio Mio e della Corona. Ed a testimoniare ciò, io ti nomino Cavaliere!- Griffith allora si inginocchiò. -Maestà, è un Onore troppo grande!- - Ma io non voglio onorarti!- Esclamò Robert, mentre faceva segno di portare una spada. -Se vuoi gareggiare, minimo dovresti essere nobile. Per questo,- E presa la spada gli toccò col gesto sacro e per sette volte le spalle e la testa. -Io ti nomino Ser Griffith del Tridente, e ti Nomino Lord di Harrenhall, col nome di Lord Griffith Whitehawk.- E mentre Griffith ripeteva il giuramento nel Nome del Guerriero, nessuno si accorse degli sguardi furibondi di Ned Stark, ancora seduto, e della ragazza accanto a Lord Griffith Whitehawk di Harrenhall.
 
 
Ned era seduto nelle sue stanze. Ancora non riusciva a credere alla… Alla scelta di Robert. Nominare quel uomo Cavaliere aveva un senso, ma addirittura dargli l’onorificenza di Signore di Harrenhall e un Titolo Nobiliare! Non aveva alcun motivo, visto che non aveva dato nessun aiuto al Reame per meritarsi un simile onore. “A parte lodare Robert e le sue scelte!” Pensò lo Stark, seccato fino all’inverosimile. Non riusciva a credere nell’enorme vacuità del Sovrano dei Sette Regni. E pensare che da giovane era diverso! E mentre continuava a ruminare su quei pensieri, qualcuno bussò alla porta. -Avanti.- Esclamò. Dalla porta entrò Lord Varys. -Quale vento ti porta qui?- Chiese sorpreso, mentre faceva segno all’eunuco di sedersi. Quello lo fece. E solo allora parlò. -Sei il Primo Cavaliere del Re, e il Re è un idiota. E’ tuo amico, vero, ma è un idiota, destinato a portare allo scatafascio il Reame, se nono lo si guida.- E prima che Ned potesse controbattere quello continuò. -Non credere che quella di due giorni fa fosse un caso. Quello era niente., dopotutto nominare un Comandante di Ventura è poco rispetto a indurre Tornei per ogni cosa, Feste Lussuose per un’intera Corte e lasciare alla corruzione ed all’arbitrio dei Lord l’amministrazione del Regno. In tutti questi anni ha partecipato solo due volte al Concilio Ristretto, alla Prima Seduta e per la Guerra contro le Isole di Ferro. Non è adatto ad essere Re, non lo è mai stato. E’ più buono del Re Folle, ma non può regnare, perché è un PESSIMO RE, che non capisce di essere in pericolo!- Quelle parole lasciarono senza parole Eddard Stark. Non solo per la Verità di tutto. -Sono qui da due mesi. Perché mi informi solo adesso?- -Dovevo esserne sicuro.- Esclamò Varys. -Sei uno dei pochi Uomini d’Onore di questa Città. Ma dovevo essere certo anche che capissi quanto non ci si possa fidare di Robert. Jon Arryn lo aveva capito, ma aveva avuto l’idea che si potesse aiutarlo dicendogli la Verità, per questo è morto.- Quelle parole furono come le lacrime di una sposa alla vista del amato defunto. Questo allora prese una boccetta. -Lacrime di Lys. Sciocche come gocce d’acqua, ma letali. In un soggetto anziano, gli effetti appaiono come una febbre.- Ned annuì. Varys stava dicendo il vero. Ma non era facile crederci. -Chi avrebbe voluto uccidere Jon? Era buono, gentile, mite.- Varys rimase impassibile. -Stava cominciando a fare troppe domande.- Quelle parole bastarono. Un complotto. -A cosa mira questo complotto?- Chiese. Varys annuì. -Come hai capito che fosse un complotto?- -Ho visto come agisce Robert.- E nel dirlo si sentì pieno di amarezza. Amarezza nel constatare di una delusione. -Robert non è un Re. Ha nominato un mercenario Lord solo per delle belle parole, crede a chiunque gli permetta di stare tranquillo, a meno che non si tratti di uccidere qualcuno. Non ha pietà, né comprensione. Non gli è interessato del giovane garzone ucciso dal Mastino, né del assurda richiesta di uccidere il Metalupo di mia figlia, e anche per Daenerys Targaryen, o per…- E non continuò. Quelle parole erano come lame di coltello che lo pugnalavano. Eppure lo diceva. -Vedo che questo Lord Griffith è servito a qualcosa.- Esclamò Varys. E continuò: -E’ gente che intende usare il Re per far dipendere la Corona verso agenti esterni. Non so, forse la Banca di Ferro, con cui siamo in debito, o le Casate Nobiliari, o…- -I Lannister.- Ned pronunciò quel nome con naturalezza. Come fosse ovvio. -Forse sono stati i Lannister.- Quelle parole parvero muovere Varys. L’eunuco chinò il capo verso il Primo Cavaliere. < Non è il posto adatto. > Esclamò. Si alzò, lasciando con la mano appoggiata sul tavolo una moneta. -Grazie per la chiacchierata, Lord Stark.- Si inchinò. Anche Ned chinò il capo, salutando rispettoso. Appena uscì prese la moneta. Una moneta di ferro braavosiana. Ma non vi era inciso lo stemma della Banca di Ferro, ma il nome di una locanda. “Taverna del Puledro Impennato”
 
 
Tyrion entrò assieme al Corvo Errante. -E quindi, qui si dividono le nostre strade, amico.- -Chi lo dice?- Rispose il nano. -Magari sarà un luogo di ritrovo.- I due si salutarono alla porta. Tyrion si rivolse alla locandiera. -Avete una stanza libera?- -Mi spiace.- Rispose questa. -Non ho stanze.- -Al momento forse.- E si rivolse alla gente. -Sono Tyrion della Casa Lannister. Se qualcuno vuole cedermi una stanza, sappia che lo pagherò il triplo di quanto l’avete pagata. I Lannister pagano SEMPRE i Loro Debiti!- Un uomo si alzò, un uomo dai capelli scuri anche se un poco radi. Un viaggiatore, forse. Ma a vedere spada e pugnale, capì che non era così. -Ti cedo la mia. E se vuoi pure il posto a sedere. Preferisco mangiare fuori piuttosto che con questo bastardo monoespressivo.- Tyrion annuì, contento. E nel dirigersi verso il posto a sedere, vide qualcuno di inaspettato. < Ah, Lady Stark! E’ un piacere vederla! > Tutti allora si rivolsero verso la Lady di Grande Inverno, a parte Tyrion, che andò a sedersi. Il tipo davanti definito “bastardo monoespressivo”, probabilmente meritava il secondo nome, non sapendo della madre. Era un uomo alto, fra i più alti che molti potessero dire, e pure per Tyrion, che da nano tendeva a considerare gli alti tutti uguali ai normali, non poté che dire che se non era un gigante almeno si avvicinava. Non era solo alto, ma aveva spalle grosse, era muscoloso e definito, capelli neri e folti, una cicatrice sul volto, vestito con un’armatura composta da usbergo e cuoio con lastre di ferro. Dietro al mantello portava una spada a due mani, assai lungha e spessa. Intanto Lady Catelyn Stark, un tempo Lady Tully, stava cominciando a parlare ai presenti della Fedeltà a suo padre. “Cazzo, qui c’è qualcosa che non quadra.” Pensò Tyrion. Rivolse lo sguardo a quella figura, dall’espressione a metà tra un cane bastonato ma ancora selvaggio e un orso che divorava salmoni e trote, cosa che stava facendo. -Senti amico,- Cominciò lui, mentre quel uomo continuava a mangiare. -Temo che fra non molto mi capiterà qualcosa. Quanto vuoi per difendermi? Posso pagare subito!- La figura smise di mangiare. Erano soli, e nessuno li ascoltava, attratti dalla Fedeltà al Saggio Hoster Tully. -Credi che dieci pezzi d’oro bastino?- Quello tornò a mangiare. -Sì, troppo poco. Cinquanta?- Quello continuava, mentre ormai tutte le Casate della Terra dei Fiumi venivano chiamati, visto che c’erano molti emissari di queste.
-Cento?- Quello cominciò a masticare la trota. -Duecento? CINQUECENTO! Ti vanno bene?- -Nel Nome di mio padre, Catturate quel assassino!- -Facciamo Mil… COSA?- In quel momento la figura si alzò.
-Duemila pezzi.- Esclamò la figura scura. Tyrion nemmeno si curò di contare i soldi o controbattere. Era più intenzionato a controbattere all’accusa di Lady Catelyn. -Lady Stark, che razza di accusa è questa? Io non ho ucciso nessuno!- -Hai ordinato ad un assassino di uccidere mio figlio Brandon!- -MA NON E’ VERO! Non ho nessun motivo per farlo.- -Ne parlerai davanti a mia sorella, Lady Arryn.- Ecco, era fottuto. Ma guardò il gigante accanto. -Hai detto duemila?- Quello non annuì. E neppure fece diniego. -Ecco, prendi, è tutto qui.- E gli lanciò la saccoccia. Quella figura la prese al volo. -Scostatevi da qui. Lord Tyrion deve passare.- -Ah, ti dispiace se mi unisco a voi, per il viaggio almeno?- Chiese l’uomo di prima. -Stai rifiutando di prestare obbedienza alla Giustizia? Respingi la Volontà della figlia del Tuo Signore?- -Senti, ci tengo a dire che mi sono unito al bestione ed al nano perché non mi va di morire, e nemmeno sono di queste parti.- Precisò l’uomo. -Levatevi da qui tutti.- Esclamò il gigante, levandosi il mantello. Mostrò fissata alla schiena lo spadone. -Non conosco questo Hoster Tully, ma se il suo nome basta per catturare qualcuno, credo che sia solo una merda.- Quelle parole scandalizzarono Catelyn Tully fino alle Fondamenta dell’Anima. -Pagherai un tale affronto!- -UCCIDIAMO QUESTO CANE!- -VIVA LORD TULLY!- -PER LADY CATELYN!- Quasi tutti gli uomini della taverna si alzarono all’attacco. < Abbassati, piccoletto! > Disse l’uomo che gli aveva offerto il posto a sedere. Tyrion obbedì. Il gigante sguainò la spada e colpì. I primi che si erano gettati addosso erano stati tranciati in due. Cinque cadaveri giacevano spaccati a metà, urlando o morti per dolore e spavento. La locandiera urlò di terrore, mentre gli altri, rimasti immobili, si gettarono ancora addosso. Il gigante fendette tagliando la testa a due, un altro lo tagliò con un colpo dall’alto, due li uccise in un sol colpo con un affondo. L’altro aveva sguainato il pugnale, e aveva appena tagliato l’orecchio ad uno che si contorceva dal dolore, mentre ad un altro gli aveva trapassato la testa, colpendo con l’elsa un altro ancora. Il gigante mulinò pochi colpi, un morto ed un senza più il braccio che tutti, ad eccezione dei Cavalieri di scorta a Lady Catelyn, e la Lady stessa, rimasero lì. Tyrion era terrorizzato da quello spettacolo. Aveva visto quel volto inespressivo rimanere tale, mentre con quella spada pesante che mulinava come fosse un manico di scopa falciava uomini. Pure i pochi che si erano rivolti al altro protettore del Lannister scapparono via. -E’ un Mostro!- -Fuggiamo!- -Tornate qui! Dov’è la Fedeltà ai Tully?- -SI FOTTANO I TULLY, TROIA!- Così urlò l’emissario dei Frey. Quelle parole colpirono Catelyn più di tutti quei cadaveri. Intanto erano rimasti tutti i Cavalieri. -Consegnami quel assassino, uomo, e lascerò perdere questa storia.- -Non sono un assassino, Lady Stark! A tuo figlio non ho fatto niente, l’unica cosa che gli ho ordinato è una sella per cavalcare anche se storpio.- -TUTTE SCUSE! SEI STATO TU, NON C’ E’ ALCUN DUBBIO!- -Taci, stupida trota.- Così esclamò il gigante. Catelyn non trattenne lo sdegno. -Ma… Come osi? Come osi parlare così a…- -I pesci idioti che dicono stronzate devono solo stare zitti, sai, Trota idiota?- Quelle parole la innervosirono come non mai. -Ti permetterò di non pagare per un simile affronto, ma non puoi disobbedire alla Legge ed alla Giustizia.- -Legge, Giustizia. Voi Nobili vi riempite di queste parole ogni volta. Non so come la pensano i contadini, ma a me, detta da voi, equivale ad un mare di merda e menzogna. Facciamola a modo vostro.- Puntò allora la spada verso di lei. Cat sentì una rabbia feroce bruciarla. “Come osa? Come Osa?” Pareva avere dimenticato di essere madre. E in quel momento lo pensarono pure i Cavalieri. -Preparati a morire, bifolco!- Uno attaccò. Il gigante parò. O così parve. Aveva spaccato la spada del Cavaliere. Nemmeno si accorse che era stato tagliato a metà come la spada. Fu allora che un ghigno feroce e maligno si formò nel suo volto. Gli altri cavalieri si gettarono su di lui. Li colpiva con forza uno per uno. Ad uno gli staccò la testa, ad un altro il braccio, un altro lo tagliò in due in verticale. Ser Rodrik ed un altro cavaliere invece lo presero da davanti e a da dietro. Rodrik attaccò, ma era una finta. Arretrò schivando il colpo, mentre da dietro quello attaccava, ma ricevette un pugnale sul collo. Rodrik allora dovette difendersi da quella Montagna. Il gigante spaccò la spada fin dall’elsa, afferrò per il collo Ser Rodrik e gli tirò un braccio. Ser Rodrik cercò di allontanarlo con calci e con l’altro braccio. Ma no ci riuscì. Il gigante gli staccò il braccio solo tirando, e infine gli spezzò l’altro, mentre un fiume di sangue si riversava su di lui. E mentre Ser Rodrik urlava lui lo gettò via, contro una finestra. Come un giocattolo. Catelyn era rimasta terrorizzata, e paralizzata. “Non è possibile.” Pensò, mentre quello si avvicinava a lei. -Non osare avvicinarti!- Esclamò. Ma quello si avvicinava. Lnto e inseorabile, come un orso verso un favo di miele. -Io sono Lady Catelyn Stark, moglie di Ned Stark Protettore del Nord, e figlia di Hoster Tully, Protettore del…- Un colpo sibilò nell’aria. Il gigante schiaffeggiò Lady Catelyn. Lei sentì il dolore del colpo, e il sangue da uno zigomo. Odio e terrore era rivolto verso quel essere, che aveva perso il sorriso malato di prima, divenendo solo furioso. -Come…- Un altro schiaffo all’altra guancia. Poi la afferrò per la gola. -Taci Puttana. TACI!- -Ehm, non credo che…- La voce di Tyrion era quasi un flebile vento estivo. Il gigante diede un pugno allo stomaco della lady. Poi ne diede un altro in faccia. Catelyn sentì il dolore, il sangue zampillare, il naso spaccarsi, uno spruzzo di sangue e bile uscire dalla bocca. E così Tyrion. -Le conosco le stronze come te! Non fate altro che ordinare, ordinare, e pretendete che tutti vi lecchino il culo per i vostri natali!- Tenendola per il collo la alzò e la sbatté con forza contro un tavolo, spaccandolo. -Non mi importa del tuo paparino e del tuo marito di merda, inutili stronzi! Vedo solo una schifosa puttana! Una PUTTANA ARISTOCRATICA!- E cominciò a tempestarla di pugni. Le mani di Catelyn cercavano di fermarlo, ma non ci riusciva. Urlava, ma si morse la lingua. Tyrion rimase a bocca aperta, e pure l’altro Ma solo Tyrion cercò di fermarlo. -BASTA! SMETTILA! STAI ESAGERANDO!- -Mi hai pagato per ucciderli, non per obbedire ai tuoi ordini.- -Forse nella sacca ce ne sono di meno! Controllali, ma lasciala stare!- Quelle parole fecero frenare il gigante. Catelyn era implorante di dolore e pietà. Era ancora sveglia, consapevole. Il gigante le sputò in faccia. -Ricorda quello che sei, Stupida trota! Che anche i bastardi sappiano quello che meriti!- La mollò, e le diede un calcio sul ventre. Poi si sedette, prendendo la conta dei soldi. Tyrion si diresse terrorizzato verso quella figura che era Lady Catelyn Tully -Lady Stark?- Esclamò. Catelyn stava piangendo. Con orrore vide che aveva perso un incisivo, che tutti i denti laterali di sinistra erano staccati, a parte due molari sotto e i canini di sopra, e tutta la dentatura posteriore del lato destro non c’era più. O così pareva, dato il sangue copioso. Il volto era pieno di tagli da contusione, uno zigomo spaccato, e tutta la faccia era gonfia e sporca di sangue. Il naso era ridotto ad una patata schiacciata da un cavallo, e un occhio era gonfio. E non smetteva di lacrimare e implorare pietà. -Smettila… Ti prego… Ti prego… Smettila… No…- -Dobbiamo aiutarla! Ehi tu! Mi dai una mano?- Si rivolse al altro. -Dici a me?- -Credi che lo dica a lui? Aiutiamo questa donna.- -Sei pazzo? Quella lady sarà incazzata da morire! Fossi in te l’ammazzerei, almeno non farebbe casino. E poi non ti accusava di un omicidio o qualcosa di simile?- -Sono innocente!- -Allora perché ti preoccupi?- -Perché? Che cazzo di domanda è?- -Senti, credo che se le cose stanno così, vado a Delta delle Acque e…- -Ubbidisci a me e ti pagherò, quando saremo giunti a Castelgranito!- Quelle parole lasciarono pensieroso quel uomo.-E come so che manterrai la parola?- -Un Lannister paga sempre i suoi debiti!- -I soldi sono anche di più.- A parlare fu il gigante. A quella voce le implorazioni di pietà di Catelyn aumentarono. -Bene. Allora aiutami a portarla di sopra.- -Mi hai pagato per salvarti il culo, non per farti da scudiero.- -Ti ho pagato per farmi da scorta!- -No, mi hai pagato per salvarti in quel istante. E non voglio farela scorta ad un aristocratico incapace e deforme!- “Ah, questo insulto mi mancava, anche se l’ultima è un classico!” -Senti, ti darò il doppio se…- -Non puoi.- Gettò al nano la saccoccia. -Ti sono rimasti mille. Paga questo idiota per raggiungere il tuo castello e curare questa stronza.- E uscì. Tyrion tornò a curarsi della Lady, ma era svenuta per la paura. -Mi sa che quel bestione se lo sognerà la notte. Secondo me tornerà a pisciarsi addosso come quando era piccola!- -Ti prendi i mille adesso, a Castelgranito avrai tremila.- -Accettato. Ora lasciala a me, che di certo non puoi sollevarla.- L’uomo prese la donna in braccio, e la mise su di una sedia. -Sai qualcosa per curarla?- -Contusioni, alcuni denti rotti, altri danneggiati ma salvabili. Peccato per l’incisivo, ai Banchetti avrà problemi. Basterà pulirla dal sangue, metterle una pomata sulle contusioni e sulle ferite e fasciarla, oltre che farle mangiare solo cibo semisolido. Per il naso, ci penso subito a raddrizzarlo.- Tyrion voltò lo sguardo, mentre un “clack” e uno spruzzo di sangue lo avvisarono della fine delle operazioni. -Ne sai come curare certi colpi.- -Nelle risse questi colpi sono la norma, ma per una donna fanno più effetto. Si è morsa la lingua, ma non è troppo grave. Per il naso, credo che ce l’avrà come il mio.- -Non ti ho chiesto come ti chiami.- -Nemmeno io so come ti chiami. Lannister, quale? Jaime? No, l’altro?- -Sì, sono Sir Jaime Sterminatore di Re, della Guardia Reale!- I due ridacchiarono. -A volte vorrei esserlo. Sono Tyrion Lannister.- -Il mio nome è Bronn.- -Bronn…- -Bronn e basta.- E mentre diceva questo, stava controllando sul banco della locandiera. Tyrion annuì Poi si rivolse a quel Cavaliere dalle trecce bianche e senza braccio. -Credo sia vivo.- -No, ti sbagli.- -Ti dico di sì, pare respirare.- -Toccalo.- Tyrion lo fece. E non fu bello. E solo allora si accorse di essere sopra una pozza di sangue, e che quel corpo aveva un pezzo di vetro lungo più di un coltello che gli attraversava la schiena. -Quel tipo era davvero un mostro.- -Nah! Era solo abbastanza troppo duro per essere un buon mercenario, tutto qui.- Tyrion si voltò verso Bronn, sorpreso. -Non mi ha detto tanto.- Esclamò Bronn, tornando con una pomata e delle fasce. -Ha solo detto come si chiamava quando glielo ho chiesto, per farmi capire che non voleva sentirmi. Ma un mercenario sa riconoscerne un altro. Doveva essere un Duro, questo è sicuro. E sapeva di certo il fatto suo, visto come mulinava quella Spada.- -Come si chiamava? - -Non l’ho capito bene. Gatsu. O Guts. Qualcosa a che fare con le budella!-
 
 
Arya correva per i vicoli della città, per inseguire il gatto. Syrio lo aveva detto che era il modo migliore per allenarsi. Ma giunta al porto, lo perse. -Merda.- Esclamò. -Una signorina non dovrebbe dire certe cose.- Quella voce, straniera ed estranea, la fece girare. Accanto aveva un uomo strano. Gli occhi a mandorla, i capelli neri tenuti su di una strana coda, una cicatrice a forma di croce che gli attraversava il naso in orizzontale e l’occhio sinistro in verticale. Portava una veste per metà bianca e nera, simile ad un immenso mantello, tenuto fermo da una cintura simile ad una fascia, su cui si reggevano due spade dal insolita impugnatura. -Stavi inseguendo questo diavolo di gatto?- Chiese, tenendo per la collottola il gatto che stava cercando di prendere. Arya annuì, ma non convinta. -Non è mio. Il mio maestro mi ha detto di inseguire i gatti come allenamento- -Ottimo consiglio.- Disse quello, inchinandosi per far scapare il gatto. Si rialzò, prendendo dalla sua veste una pipa ed un sacchetto. Anche la pipa era strana, più lunga, con una piccola ascia all’estremità. -Non sapevo che ad Approdo del Re insegnassero alle femmine a divenire cavalieri. Sei di qualche Nuovo Ordine di Monache Guerriere o…- -Magari.- Esclamò Arya. -Il mio maestro mi insegna la Scherma degli Spadaccini di Braavos.- Quello annuì, mentre si accendeva il tabacco nella pipa. -Questo spiega tutto. Il gatto, la tua corporatura. Comunque, forse ti sei allontanata da casa per finire al porto attraversando Fondo delle Pulci. Di che Casata sei?- Prima che Arya rispondesse, stupita del come aveva capito, nonostante lo sporco e l’abbigliamento non certo consono, come avesse capito che fosse una nobile, lui rispose al suo posto, prendendole una mano. -La tua mano è liscia. Non ha segni di chi aiuta il padre o la madre nei lavori. Bisogna essere degli inesperti per non capirlo. Comunque, il tuo papà è a palazzo, o…- -Mio padre lord è Eddard Stark, Primo Cavaliere.- Quello fischiò. -Pure figlio di un Pezzo Grosso! Allora seguimi, le strade sono pericolose, piccola…- -Mi chiamo Arya. E non sono piccola!- -Ok, Arya-hime.- -Cosa?- -E’ un termine nella mia lingua. Vuol dire “principessa” o qualcosa di simile.- E ridacchiò. Arya capì che era un modo per prenderla in giro. Ma volle sorvolare. -E tu come ti chiami?- Quello ridacchiò ancora, ma amaramente. -Sai cosa indica il simbolo che ho dietro la schiena?- Arya guardò, e vide una svastica disegnata in senso antiorario. -Nella mia lingua indica l’Infinito. Ed è pure il mio nome.- Arya annuì. E decise di rispondere per le rime. -Piacere di conoscerti, Abitante del Infinito.- E sia Arya che Manji sorrisero, diretti verso la Fortezza Rossa.
 
 
 
 
I’M BACK, NIGGAS! Secondo capitolo, e quasi mi commuovo di esserci riuscito. Ebbene, che ne pensate di Griffith come Lord di Harrenhall? E non dimenticare un desiderio che molti fans della serie, più che dei libri, avevano: vedere Cateyn Tully massacrata di botte e insultata. Da dire che la storia seguirà un percorso diverso, ma solo di poco. Forse qualcuno sopravvivrà, ma non chi si potrebbe pensare, anche se… Comunque, ora abbiamo Guts e Manji che saranno i Salvatori di molti. Per quel che possono, visto che si tratta di Westeros. Da dire che ci si riferirà soprattutto alla serie, dato che i libri li ho letti anni fa, ma ci saranno riferimenti anche a loro per dare un più Sano Realismo alla Storia, perché diciamolo: molte cose nella serie FANNO SCHIFO! GOODBYE, NIGGAS!

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Capitolo 3
*** Viaggi Segreti ***


-Bene, se è guarita ora leviamole del tutto.- -Sai, non mi pare di essere stato pagato per fare l’infermiera.- -Sei pagato per obbedirmi, che io sappia.- Bronn sbuffò, levando con delicatezza professionale le bende dal volto della donna. Tyrion sorrise leggermente. –Devo dire che la vostra bellezza è rimasta invariata, lady Stark.- La lady non rispose. Comunque, non aveva mentito, non del tutto. Era passata una settimana, e abrasioni e botte erano un ricordo. Lo stesso però non si poteva dire per il naso, più grande rispetto a prima, del occhio destro ancora rosso e di alcuni denti, tra cui un incisivo, rotti o andati, per cui ogni volta che avrebbe aperto la bocca avrebbe mostrato un buco sinistro, più consono alla figlia sporca di un pescatore che a quella della primogenita di Hoster Tully. La Lady non fece segno. Tyrion allora prese la ciotola col cibo. Aveva cucinato un pesce secco, curandosi poi di levargli le spine. “Sarebbe meglio che eviti la carne solida per un po’.” Aveva espresso Bronn. Lady Catelyn prese quella ciotola senza fiatare. Era rimasta ferita. Non solo nel corpo. Nessuno avrebbe creduto che quella donna spaventata, dagli occhi sbarrati, nervosa e magra fosse lady Catelyn Tully. Quella figura mangiò il pesce, nervosa, a mani nude, priva della signorilità tipica di quella donna. Infine ritirò il piatto, sempre silenziosa. Tyrion rimase pensieroso. “Messa così come la restituisco ai Tully?” Si chiese. “Cioè, chiaro che non sono stato io, ma potrà testimoniarlo? Non spiccica parola da una settimana, se non per urlare nel sonno.” Quelli erano i momenti peggiori. In quei momenti le grida erano simili ai versi di un corvo, alti verso il cielo quanto le torri di Harrenhall, imploranti pietà e dolore. E quanto era strano porre fine ai suoi incubi. Scoprì ce negli attimi in cui si svegliava, stringeva a sé la prima persona vicina. O almeno lo considerò così, visto che lo abbracciò e lo strinse a sé come fanno le bambine con le bambole. “Devo ammettere che come situazione non è classica. Una donna che mi stringe senza chiedermi il cazzo, questo è Strano!” Ridacchiò Tyrion, per poi rimangiarsi tutto. Si avvicinò alla lady, con delicatezza. –Lady Stark, riesce a capire cosa sto dicendo?- Chiese. La lady alzò il volto, nervoso e segnato, verso il nano. Della luce e della Nobiltà della Lady non c’era nulla, solo dolore e paura. –State meglio, anche se temo che il naso e alcuni denti siano rotti. Vuole che la riportiamo a casa?- Chiese nuovamente. La lady annuì. Tyrion sospirò rincuorato. “Non si è rincoglionita, questo è già…” Una mano lo afferrò. E lo strinse a sé. Tyrion si risentì un pupazzo fra le mani di una bimba, in questo caso una bimba triste per il castigo del padre. Lady Catelyn pianse sulla testa del piccolo leone. –Grazie Lord Tyrion! GRAZIE!-
 
“Se Bronn tira un’altra delle sue battute, giuro che lo ammazzo!” Tyrion sbuffò imbufalito. Il mercenario non aveva fatto altro che punzecchiarlo sul come la lady gli restasse appiccicata, persino a cavallo era aggrappata a lui. Come una sposa allo sposo. E seppure fosse certo dal tatto che Catelyn Tully dovesse avere delle forme buone sotto l’abito, preferì non pensarci più del dovuto, temendo un’Orda di Metalupi inferociti. “E’ spaventata, tutto qui.” Rimuginò tra sé il Lannister. “Dopo un pestaggio da parte di quel mostro, lo sarei pure io. Spero solo che non abbia idee strane.” –Allora, sicuro di portare la tua bella a Nido dell’Aquila?- Tyrion imprecò. –Ci limitiamo alla Porta della Luna, tutto qui! Siamo vicini alla Valle, quindi non è un pericolo, senza contare che non posso portarmela appresso.- -Ah già, un altro rapimento come Rhaegar e la Bella Lyanna, con seguito di una Guerra tra Tully e Lannister!- Tyrion continuò ad ignorare le frecciatine, sapendo bene che non serviva a nulla rispondere o realizzare il suo desiderio di vendetta in caso di battute invadenti. Certo che Lady Catelyn continuava a rimanere aggrappata a lui in modo preoccupante, il che oltre a dargli qualche timore gli areva grottesco. “Ho letto da qualche parte che alcune donne reagiscano in aiera spropositata verso l’uomo che le salva… No! Non accadrà!”
 
 
Arya aveva appena finito la sua lezione. Mentre si ritirava verso le stanze per salutare il padre, un bambino le corse addosso. –FA ATTENZIONE!- Esclamò il ragazzino, per poi correre via. Arya non riuscì nemmeno a rispondere che era già andato. “Si tratta di un altro addetto ai camini, o altro! Quello stronzetto, avessi con me Ago gliela farei vedere io!” La porta si aprì, rivelando Lord Stark, suo padre. –Cosa è successo?- Chiese. Arya sbuffò. –Solo un marmocchio idiota che mi è venuto addosso!- Esclamò. Lord Stark sbuffò, e parve per iniziare una piccola classica strigliata, ma non lo fece. Si limitò a spolverarle un po’ maglia e brache, piegandosi nel farlo. –La prossima volta fa più attenzione! Non credo che avremo sempre Lord Manji a darti una mano, sai?- Arya annuì. Quel uomo straniero, Manji, l’aveva riportata dal lord, dandogli i suoi saluti essendo anche lui iscritto al Torneo, anche se per i duelli all’Arma Bianca. –Non sapevo che partecipassero anche non cavalieri, ne di Duelli!- Aveva esclamato. –E’ un’aggiunta al programma. Ogni Guerriero, di qualsiasi paese, parteciperà per mostrare la Capacità del suo Stile. Chi vincerà riceverà la Carica di Lord e un appezzamento. Ovviamente ne deve vincere Solo Uno!- “Magnifico!” Aveva pensato Arya. E aveva saputo che avrebbe partecipato pure uno Spadaccino Braavosiano, un Danzatore dell’Acqua. Ma non il suo Maestro. – sono stato Guardiano del Signore del Mare a Braavos, non mi serve una carica straniera, ragazzo!- Le aveva detto. Ma pazienza, almeno avrebbe visto anche altre cose oltre ai Cavalieri. Intanto erano rientrati. –Perdonami, ma di a Sansa che non parteciperò alla Cena.- Esclamò lui. Arya rimase sorpresa. –Il lavoro?- Chiese. Il padre fece segno di diniego. –Starò al Parco degli Dei, a pregare. Non lo faccio da tempo!- Arya annuì. Ma Sansa, la sera, non reagì alla notizia in modo sorpreso o altro ancora. SI limitarono a mangiare, sotto l’occhio vigile di Septa Mordane.
 
La Taverna era particolare. Non vi vide prostitute, o ubriaconi o gente di male affare. Cosa insolita, vista la locanda. Per quanto fosse rumorosa, vi si sentiva una certa allegria, quasi come fosse un locale del Nord. Gli parve di essere a casa. A stupirlo poi era la multietnicità, moderata ovvio: uomini delle Città Libere, quelle Desertiche a sud di Pentos e a nord Lys, andale o simili, da Braavos a Qohor, vi erano anche figure che sicuramente dovevavno provenire da Volantis, nel vedere i tatuaggi, e persino genti dagli occhi a mandorla come i Dothraki, o dai tratti scuri o insanamente chiari dei ghiscariani, pure qualcuno che probabilmente proveniva da Yi Ti o da Seng Ma, nell’Estremo Est. Per entrare si era vestito in modo più semplice: sarebbe apparso come un operaio che tornava da un Laboratorio Artigianale, o un bottegaio. Aveva raggiunto il Parco degli Dei per pregare agli Antichi Dei, e lì, davanti ad un Albero aveva ceduto il ruolo, e gli abiti, ad una sua guardia, mentre l’Albero del Cuore si aprì, rivelando un uomo sordomuto simile in corporatura ad uno dei suoi guerrieri, e questo prese l’armatura del soldato, mentre Ned prese i suoi. Tutto seguendo gli ordini di un foglietto, finito tra i calzari di Arya. Lo riconobbe per il simbolo della Mano del Re. Quello lo aveva portato fin lì, e lì era entrato, chiudendo il Volto. Scese lungo una scaletta e lì trovo un bambino. Questo gli chiese di fingere di essere suo padre. Non fu difficile. E seguendo quella scala a chiocciola, giunse ad un lungo corridoio, e seguendolo giunse ad un muro. Capì di doverlo spostare, e così si trovò lungo un vicolo. Vi trovò un bambino, e questo gli fece segno di seguirlo. Gli diede un foglio, un altro, e lesse l'informazione. "Da questo momento, lei è un fabbro, e sta portando a cena suo figlio". E così iniziava un viaggio in segretezza. Le strade serali di Approdo del Re non erano male. Almeno passava gente a pulire. Il perché il vecchio Sistema di Pulizia e le discariche della Capitale non funzionassero più come nel passato, per lui era un Mistero. Al inizio. Poi vide gli Addetti alla Ristrutturazione degli Acquedotti. Non facevano niente, bevevano e mangiavano, disinteressati al proprio dovere. Come Robert. Ormai ne era certo, Robert era un idiota. Nessuno lo avrebbe accettato, ma era la Verità. Ormai era chiaro che Robert non avrebbe tenuto il Potere. E una parte di lui ne era pure contente. “Chiunque sarebbe migliore di lui!” Pensava. Ma era suo amico, ed il suo Re. Doveva servirlo. “Ma non hai fatto lo stesso con il Re Folle!” Cacciare quel pensiero era difficile. Che il Re Folle avesse massacrato suo padre e suo fratello non pareva forte come scusa.. Ma arrivò un aiuto. Erano arrivati alla locanda. Ora il bambino lo guidò verso un tavolo. Un uomo stava mangiando rumorosamente, e ancora più rumorosamente beveva e canticchiava una canzonaccia straniera, a sentire le parole e il tono. Si sedette davanti. -E’ permesso? Io e mio figlio vorremmo mangiare qui.- Quello levò la bocca dal boccale e rispose: -MA CERTO! ANZI, VI OFFRO IO! EHI, SALSICCE DI OCA, FORMAGGIO E PATATE PER QUESTO UOMO E PER SUO FIGLIO, E DUE BOCCALI DI BIRRA, ACQUA PER IL MOCCIOSO!- Ned annuì, un poco imbarazzato. Si sedettero, poi il volto di quel uomo, un viaggiatore o un marinaio, cambiò. -Non si è fatto vedere, vero?- Ned non capì, ma il bambino rispose per lui. -Deve essere un ottimo padre. Sicuro che sia proprio lui?- -Credo che Ned sia più abile di quanto credessi.- Allora lo riconobbe. Era Varys! Non riusciva a credere che il Maestro dei Sussurri fosse lì, in quella locanda. -Non dite il mio nome, Ned.- Disse questo. -Perdonami se uso confidenza, ma è meglio che certe parole non si nominino.- Ned annuì. -Siete un attore capace, me ne compiaccio.- Continuò Lord Varys. Intanto i boccali di birra erano arrivati. -Mi faccia seguito, resti imbarazzato, e parlate con la testa china, mangiando un poco. ALLA SALUTE!- E lo disse afferrando il boccale. I due brindarono, bevettero e tornarono a mangiare. -Questo locale è il Più Sicuro al momento.- Esclamò Varys, masticando una salsiccia. -Per quanto sia strano, non vi sono spie di nessuno. Infatti l’hanno scoperta i miei uccelletti.- -Sarebbero…- -Sì, ne avete conosciuto uno.- Ned annuì, e così il bambino. Continuava a mangiare, prendendo qualche sorso profondo di birra. -Quale è il pericolo che ruota intorno a Rob?- Chiese. Varys ridacchio. Il bambino gli passò il foglio. Era un linguaggio in codice. “Carico=Regno”. -Perché? Chi vorrebbe fare del male ad un onesto capitano?- -Onesto forse, ma non sa navigare, e possiede una bella nave. Credo che qualcuno voglia rubargliela per fare un lavoro più pulito.- -A che scopo? Perché…- Gli era difficile dirlo. -Perché levare la nave dopo che molti c hanno lavorato per ripararla?- -Lo scopo? Lo scopo della nave quale è?- Ned cercò di rispondere. Ma Varys lo precedette. -Siete un uomo del Nord, ovvio non avete molte navi. Lo scopo della nave è navigare. Finché naviga sta bene. Il capitano non sa guidarla, infatti la tiene ferma in porto. Rob era un ottimo marinaio nelle Galee, ma non è adatto ad essere Capitano. E bisogna che la nave torni a navigare, altrimenti i marinai non avranno lavoro, e senza lavoro tutti sanno cosa fanno dei marinai, no?- Ned non rispose. Ma capì. -Hai in mente di permetterlo?- Disse lui. Parlare in codice non era difficile, ma il fatto che parlasse di Robert come un marinaio che non doveva diventare capitano e che teneva la nave in molo, lo facevano innervosire. -Vuoi che ad un capitano gli si levi la nave e con il ben servito?- -No.- Rispose Varys, finendo gli ultimi sorsi di irra, e tornando a mangiare. -Non voglio che i marinai patiscano la fame. Ma dovremo convincere il Capitano a vendere spontaneamente la nave, oltre a impedire il furto.- Quelle parole, senza il codice, non avrebbero potuto toccarlo, se non per farlo arrabbiare. Ma annuì. Robert doveva essere salvato, ma doveva cedere il Trono di Spade a un altro, più capace, che educasse i suoi Figli. -Chi vuole compiere il furto?- Chiese Ned, continuando a mangiare come prima. Varys urlò che si portasse un altro boccale. Diede un segno al bambino. -Papà, mi compri un leone?- Quelle parole resero comprensibile tutto. Prima rispose al bambino. -Dipende, se fai il bravo lo compro!- Diede un sorriso e poi tornò a mangiare. -Ovviamente, non agiranno mai di facciata, quei pirati.- Disse Varys. La parola “pirata” rivolta ai Lannister gli piacque particolarmente. -Ma posso essere certo che il Capitano debba guardarsi da sua moglie.- Ned annuì. Intanto finì di mangiare. Varys fece un altro segno al bimbo, e questo disse, assonnato: -Padre, torniamo a casa?- Chiese. Ned prima guardò Varys, e il segno fece capire che la chiacchierata era finita. -Arrivederci, Signor…- -NON IMPORTA IL NOME, TANTO DOMANI PARTO! FELICE DI AVERLA SERVITA, GALANTUOMO!- Una stretta di mano e si separarono. Fuori continuò a seguire il bambino fino ad una via. –Avete lasciato le informazioni ai sui Cavalieri?- Chiese quello stesso bimbo. Ned Stark annuì. –Sono tornati nelle mie stanze, a tarda notte.- Quel piccolo annuì. –Quando entrerete nel passaggio, seguitelo dritto fino ad un incrocio, con due scale, una che sale e l’altra che scende. Prendete quella che scende, giungerete ad un altro corridoio, seguitelo fino ad una salita. Dopo qualche passo troverete due buchi sul soffitto, da cui pendono delle corde. Tirate la prima, scenderà la seconda, infine salite da quest’ultima. Superate diverse aperture salendo, e fermatevi alla quarta, troverete una porta, tiratela e sarete giunti nelle vostre stanze.-
 
 
Nelle lontananze della costa, Teletha osservò la città. O almeno, ciò che poteva apparire come tale. Lo chiamavano Porto Bianco, e da lì avrebbero raggiunto il loro Obiettivo. “Se giungerà il momento, e sapremo dove.” Pensò la ragazza. Era una fanciulla chiara di pelle, i capelli d’argento e gli occhi di un viola scuro grigiastro, chiaramente del sangue dell’Antica Valyria. Vestiva una tunica stretta con una cintura, ma non era visibile, dato che il mantello di pelliccia la copriva del tutto, lasciando scoperti solo il volto e i capelli tenuti in un’unica coda. –Siamo arrivati, Hime?- Teletha si voltò. Due Guerrieri erano chinati davanti a lei. Un giovane scuro di pelle, quasi un dothraki, vestito alla maniera delle genti delle Terre Piatte a sud di Pentos e delle Terre Contese, una tunica tenuta stretta con la cintura, lunga fino al ginocchio, pantaloni larghi e un turbante, una scimitarra che splendeva priva di fodero, e accanto un arakh, dietro la schiena arco , scudo e faretra. Doveva avere quindici anni, forse di meno, eppure i tratti rigidi lo facevano apparire più grande. L’altro giovane invece aveva i capelli rasato, ad eccezione di una folta ciocca sulla fronte e di un’altra sulla nuca, legati insieme e formando un codino che andava dalla fronte al collo, folto e lungo. Era chiaro quanto un andalo, ma con occhi più stretti, vestito di un’armatura particolare, esotica, con una spada che pareva un incrocio tra le scimitarre, gli stocchi di Braavos e le Spade di Westeros. Teletha annuì ai due. –Siamo giunti a destinazione, sì.- Disse sorridendo, allegra e solare. –Vedrete che potremo riposarci e rifocillarci come si deve!- -E quando giungeremo a destinazione?- Chiese un’altra voce. Portava l’abbigliamento in cuoio degli spadaccini di Braavos, ma accanto allo stocco portava anche una spada da Cavaliere, l’armatura di cuoio con su rappresentato la Stella a Sette Punte. Portava gli occhi azzurri e i capelli, biondi, la carnagione chiara e di bel aspetto. Teletha pensò un attimo a quelle parole. –Non saprei dire con certezza, Kurtz. Non mi è ancora arrivata notizia di dove dobbiamo andare, né di Chi dobbiamo aiutare!- Kurtz sbuffò, con fare esasperato. –Allora è bene che lo si sappia presto, Mia Signora.- A parlare fu una donna bella, prosperosa, vestita di un abito di cuoio con maniche e brache che erano usberghi, ma che non riuscivano a nascondere le forme generose, i fianchi e le gambe, queste coperte da stivali del Nord, e così il mantello. Portava dietro la schiena una balestra, ed ai fianchi una spada ed una sciabola esotici, di lontane terre. I capelli erano corti e neri, gli occhi a mandorla viola, le labbra desiderabili come un frutto, la carnagione chiara. Teletha annuì. –Non dovremo aspettare molto, ve lo assicuro!- “O almeno, lo spero.”
 
-Vi ringrazio, Lord Tyrion.- Queste furono le prime parole pronunciate da Lady Catelyn, il giorno prima di arrivare alle Porte Insanguinate. –Non fosse stato per voi, credo sarei morta.- Tyrion si limitò a chinare il capo-E’ stato solo un Dovere, Mia Lady. Nulla di più.-“Spero che non abbia starne idee, mia Lady, perché non resisterei se si concedesse come ricompensa!” Aveva saputo di donne, anche virtuose e maritate, che si erano concesse ai loro Salvatori, come effetto delle violenze subite e della sorpresa di essere Salvate. “Non nego che non sarebbe male, ma non voglio rischiare troppo, non credo mio padre mi proteggerebbe dal Lord suo marito!” Probabilmente i Sette erano con lui, perché non ci fu nessuna Notte di Passione. Ma una Notte Insonne questo sì. Insonne e di Scuse. –Spero vogliate perdonarmi per le mie accuse.- Esclamò dopo Lady Catelyn. –Credevo che…- E gli narrò dei suoi sospetti. “Dubito che me li racconterebbe così facilmente. Forse esistono altri effetti alla Salvezza Improvvisa, oltre all’Innamoramento di quel Maestro Reud!” ascoltò ogni cosa. E infine le rispose. –Conosco quel Coltello.- Rispose. –Sì, è il mio, ma lo persi in una scommessa. E finì tra le mani di Re Robert.- Catelyn annuì. Tyrion rimase sorpreso che fossero passati a darsi del Tu, come dei Vecchi Amici, ma decise di dare corda a quella Sindrome dell’Amicizia, come aveva voluto definire quello sciogliersi la lingua al Salvatore. Gli disse della Lettera, pure dei Sospetti di Lysa Arryn, dei sospetti verso i suoi fratelli. Tyrion annuì a tutto. “Interessante.” Pensò. –Dubito che potrai mai testimoniare contro mia sorella e mio fratello.- Esclamò alla fine. –Sono solo congetture, senza prove valide, e quel coltello nelle mani di un assassino può voler dire di tutto. Non dubito che si possa scoprire che sia andato “perduto” tra gli Oggetti che Re Robert portò a Nord. Minimo si sosterrà che quel assassino fosse solo un pazzo. E tuo figlio Bran non ricorda nulla.- A quelle parole, Catelyn parve risvegliarsi. –Bran? E’ Sveglio?- Tyrion annuì, e le parlò della sua visita, della sella di sua invenzione. Catelyn pianse di gioia, e lo ringraziò, co persino le formule di rito. –Pane e Idromele non mancheranno mai per Te alla Mia Tavola!- -Cercherò di farne uso allora. Ma restiamo sul tema.- Disse lui. Poi continuò. –Ormai sai che non vi sono prove sui miei fratelli, a meno che non possa ricordare qualcosa il Piccolo Bran. Però non è detto che tu abbia torto.- Quelle parole parvero risvegliare la Lady di Grande Iverno. –Cosa intendi?- Chiese. Tyrion sorrise maligno. “Scusa Jaime, ma non posso perdermi una simile Umiliazione per Cersei!” –Sai, quando ero piccolo, sentì le domestiche sostenere che mio fratello e mia sorella si volessero bene. Molto bene. Forse troppo! Ti basti sapere, che quando la Lady mia Madre era ancora in vita, li fece dormire in stanze separate, ai lati opposti del castello. Cosa insolita per dei gemelli che si vogliono molto bene, o sbaglio?- Catelyn rimase a bocca aperta. Non aveva mai sentito questa voce. –Hai detto che Bran è caduto dalla torre?- Chiese. Catelyn annuì. –Sì, era la torre del…- Rabbrividì. Tyrion sorrise perfidamente. –Ricordo che Ser jaime non partecipò alla caccia. E anche se sono passati giorni, potresti trovare tracce di qualche passaggio per quella torre. Tracce particolari. Certo, è molto poco, ma basterebbe chiedere con la dovuta fermezza dove si trovavano, perché Jaime si fosse assentato, e se magari anche la regina era…- -PORCI!- Urlò Catelyn, gli occhi pieni di ferocia e odio. –Porci Schifosi! Sì, non c’è alcun dubbio!- -Non credere di riuscirci, però.- Esclamò il nano. Il viso era contrariato, ma maliconico. Stranamente malinconico. –Non è detto che restino molti segni di un passaggio. Se fosse vero ciò, e non ci metterei la mano sul fuoco, potrebbero aver cancellato le tracce. E stai parlando della regina, potrebbe sostenere che sono Menzogne causate dalla Follia, e probabilmente era usata da molte coppie quella torre, molto più di quanto si creda.- -HANNO CERCATO DI UCCIDERE MIO FIGLIO!- -Di questo sei certa, ma come puoi dimostrare che siano loro? O chi altro? Non hai prove, ed essendo passato del tempo, e se i tuoi sospetti fossero giusti, saranno state cancellate! Finiresti per essere considerata pazza, come tua sorella.- Catelyn tacque. E si risedette per terra. Non parlò per l’intera nottata. Non chiuse occhio, e neppure Tyrion. Bronn ne approfittò per andare a dormire, con la scusa che potevano fare loro la Guardia visto che non dormivano!
 

Erano giunti a vista della Porta. Catelyn scese da cavallo. –Ti ringrazio, Lord Tyrion.- Si inchinò. Tyrion fece lo stesso, e scese da cavallo. Bronn levò il meccanismo suo dalla sella. –Spero che non dia problemi, cavalcare a pelo. Almeno fino alla Porta!- Catelyn annuì. –Sopporterò. Spero di rivederla.- “Ha ripreso il suo Comportamento. Sindrome Superata!” E prima che si separassero, lei disse: -Mio figlio ha sofferto per copa della Regina, ma non potrò mai dirlo. Non esiste Giustizia nel Mondo?- Tyrion parve voler rispondere. Ma una freccia colpì il cavallo. Questo stramazzò al suolo, seguito dal cavallo di Bronn, che con balzo felino si staccò dal animale. –FERMI DOVE SIETE!-
 

I Venti Gelidi colpivano le preti della Barriera. Jon continuò le operazioni di pulizia, soddisfatto che ameno era al chiuso. Samwell era più che contento di non essere fuori e di non addestrarsi, cosa opposta per il bastardo, che se condivideva il chiuso abbastanza soddisfatto, non poteva dirlo per il non combattere. In quel momento la porta si aprì. Entrò un giovane, più grande di loro. Vestiva del abito dei Guardiani, ma pareva a perfetto agio. Il volto squadrato, duro, i capelli biondi corti, pareva non sorridere mai. Con lui entrò Ser Alliser. –Questo qui è un Nuovo Arrivato, al momento il meno peggio della compagnia. Probabilmente potrà donarvi un poco del suo spirito, ma più probabile che diventi come voi.- E li lasciò. Il giovane si diresse verso le pentole, forse per ordine, essendo una recluta. Si levò il mantello, i guanti, li pose piegati dietro di sé e si mise al lavoro. Non parlò, non rivolse uno sguardo ai due, si limitò a lavorare, e prima che finissero di pulire, questo aveva scrostato e pulito i calderoni, ben poggiandoli ai lati, asciugati. Li prese e li portò ai loro posti. Samwell rimase come pietrificato nel vedere l’efficienza del nuovo arrivato, e così Jon. Fu il pasciuto ragazzo a rivolgersi al biondo. –Ehm, scusa ma chi sei? Mi chiamo Samwell. Samwell Tarly. E lui è Jon.- Quello si volto versò di lui, poi pose gli occhi su Jon. Occhi gelidi, duri, di quelli più adatti ad un vecchio ranger, eppure notarono anche un senso di vissuto, di chi aveva visto tutto, che tutto comprendeva. Ma fu solo un attimo. Lo sguardo rimase di pietra, e così il volto. Poi parlò. –Mi chiamo Berthold. Ero un Guerriero, ora sono un Guardiano della Notte.-




Bah, sto sito fa schifo, mi ha cancellato dei dialoghi perché "Sì", e certi erroracci poi! Salve. Mi scuso per questo ritardo, e soprattutto per certi errori che, mi rendo conto solo OGGI, sono presenti nei capitoli recedenti. Rimedierò. Se a qualcuna piace sta ciofeca, può lasciare una recensione. Grazie

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Capitolo 4
*** Giustizia ***


Sansa, dopo tanto tempo, uscì dalla Fortezza Rossa. Si incamminò per le bellissime Strade della Capitale, mentre vessilli multicolori di infinite casate riempivano le vie. Giunsero fuori dalle mura, seguendo quel susseguirsi di colori. Lei, suo padre, Septa Unella, e gli altri due. Suo padre e sua sorella. Non li chiamava per nome, non nei pensieri. Li odiava, ormai. Intanto erano giunti ove si sarebbe compiuto il torneo. Ed a salutare e ringraziare il Lord Primo Cavaliere e la figlia fu il Comandante dei Falchi. E con uno sguardo sbigottito e scandalizzato di Septa Unella e un sorriso estasiato di Arya, una donna dai capelli corti e neri, la carnagione scura e vestita di usbergo e maglia in cuoio, li salutò. -Benvenuto, Lord… Aspetti, lei è Ned Stark?- Chiese la donna. -Ovviamente, che parole sono?- Rispose seccata e arrabbiata Septa unella. -Che robe! Levare alla Guardia Cittadina la Sicurezza delle strade per darlo a…- -Sei il Comadante dei falchi?- Chiese Arya, stupita. La donna sorrise, imbarazzata. -Mie Lady, Benvenute. Sono il Vicecomandante Caska. Il Comandante è Lord Griffith, non io.- -Ci mancherebbe.- Esclamò Septa Unella. Ned Stark sorrise imbarazzato. Erano davanti alle tribune a chiacchierare con quella donna. Sorrise verso quella donna coraggiosa. -Io mi ricordo invece. Eravate con noi a sostituire le forze dei Frey. Ricordo che fosti coraggiosa.- -Mai quanto lei, lord Stark.- -Ha partecipato alla Battaglia del tridente?- Esclamò Arya. -Sì.- Rispose Ned Stark. -Guidava il suo reparto di cavalleria. Devo dire che era sorprendente: mai visto tanti uomini obbedire fedelmente e con rispetto agli ordini di una donna, Lady Caska!- -Non sono una lady, Mio Lord. E, comunque,- E in quel momento parlò a sottovoce a Lord Stark. -Devo informarla che questa sera, il Re vorrà vedevi. Per la questione avvenuta con i metalupi.- Quelle parole rabbuiarono Sansa e Arya, ma non Ned, che invece rimase stupito. -In che senso?- -Non qui, ora salga. Ma prima,- E in quel momento, il tono tornò gentile. -Vorrei mostrare alle Lady Vostre Figlie un paio di regali da parte mia e di Lord Griffith! Anche se dovrete entrare un attimo dopo e seguirmi.- Ned annuì, e così le due figlie. Loro seguirono la soldatessa, mentre Ned cercava di convincere Septa Unella che potevano fidarsi di quella ragazza. -Fidarsi? Di una donna di una compagnia mercenaria?- -Non è una prostituta, Septa. E’ un Vice…- -Ancora peggio! Che esempio può essere, una donna che impugna la spada? Di sicuro Arya cercherà di imitarla!-
 
Le due ragazzine seguirono Caska, come si chiamava quella ragazza. Superarono i Padiglioni con i palchi, trovandosi in un mare di padiglioni più piccoli. Folle di scudieri ndaffarati e di cavalieri quasi vestiti della corazza o in cerca de propri scudieri correvano da tutte le parti. Tra questi siccava Lord Griffith Silverhawk. I capelli d’argento, gli occhi azzurri, l’elmo che pareva la tsta di un falco, l’armatura argentata quanto i capelli. Al loro arrivo alzò la visiera del elmo, mostrando un volto delicato, il naso sottile, le labbra anche ma non strette, tratti quasi femminei tanto erano gentili e delicati. Sansa rimase stupita dalla Bellezza del Mercenario, che sorrise a lei e ad Arya, per poi fare un inchino. –Se le mie Lady desiderano seguirmi. I vostri regali vi attendono.- Erano giunti fino alle tende dei falchi, abbandonate, poco distanti da dove si compiva il Torneo. -Entrate nella tenda.- E quando entrarono, due creature si gettarono su di lei. Enormi, anche se una di più. Entrambe le sorelle urlarono di terrore. Poi due lingue le leccarono. Gioiose.
 
-Siete arrivate in tempo.- -Ci scusi Septa Unella.- Risposero le due sorelle contemporaneamente. Ned le vide contente. Come non le vedeva da un po’. O meglio, come non vedeva Sansa da un po’. -Che cosa vi ha regalato Lord Griffith?- Chiese. Ma prima che potesse parlare, la voce del Re tuonò per lui. -COMINCIATE QUESTO TORNEO, PRIMA CHE MI PISCI ADDOSSO!- E suonarono i banditori. In quel momento una voce si udì. -Lord Stark, mi è permesso?- Ned si voltò. Era Ditocorto. Fece segno di sì. -Tu sei lord Baelish?- Chiese Sansa. Lui annuì. -Perché ti chiamano Ditocorto?- Chiese Arya, curiosa. -Arya, non fare domande impertinenti!- -Lasci stare. Vedi da piccolo ero molto basso, e provengo da una zona chiamate le Dita. Insomma, un nome che calza a pennello!- -Mica tanto. Doveva essere un grande stronzo chi te lo ha dato. –ARYA!- -Concordo pienamente, Lady Stark. Ma gli epiteti sono duri a morire.- Così disse Baelish, e annuì gentile e accondiscendente verso Lord Stark. In quel momento entrarono due cavalieri. Uno era un gigante di ferro nero, con uno scudo e bardature del cavallo gialle, con un mastino nero sullo scudo. L’altro invece era nella norma, con lo stemma della Valle nello Scudo. Urlò Re Robert, a dichiarare l’inizio del torneo. Tutti erano festanti. Ma il riso si trasformò i orrore. Il Cavaliere della Valle fu colpito al collo, dalla scheggia di una lancia. Ned rimase anche lui impietrito. Ma una mano improvvisa lo strinse, lasciandogli qualcosa. Una mano di bambino. Chiuse il pugno, a non mostrare il foglio.
 
Ned guardò quel uomo. Yug della Valle. Uno scudiero fino al giorno prima, e ora un cadavere. Dalle informazioni ricevute negli ultimi giorni, era Scudiero di Jon Arryn. Ed ora eccolo lì, un cadavere in armatura. –Che sfortuna. Finire proprio quando la vita ti sorride.- Cos gli aveva detto Ser Barristan. E non solo. Gli pareva strano che lui morisse dopo che gli aveva mandato una guardia a chiedergli che cosa cercava negli ultimi giorni Lord Arryn. Mentre si incamminavano, un bambino corse addosso a Lord Stark e Ser Barristan, che camminavano insieme. –Mi scusi, Primo Cavaliere!- Esclamò questo, e Ned lo lasciò andare. Ma mentre Ser Barristan si alzava, notò a un dito di distanza un foglietto, lasciato lì per caso. Lo prese e lo mise nel guanto. –Tutto bene, Ser?- -Nessun problema! Certo che questi giovani sono proprio sbadati. Io alla sua età correvo lungo le mura del castello, i arrampicavo sulle torri e…- Notò lo sguardo di Lord Stark scurirsi. E se ne dispiacque. –Chiedo perdono, Lord.- Ned fece segno che non serviva, ma questo non lo fermò. –E’ stata una cosa tagica, e mi spiace di averglielo ricordato.- -Non dovete. Mio figlio è vivo. E questo basta.- E mentre si allontanavano, si udì un Re Robert gridare inferocito. –Si è fissato nel voler partecipare.- Disse Ser Barristan. –Non lo farà. Non se ci tiene al suo Orgoglio. Non finché ci sono io.- Ed entrò nella tenda. Ser Barristan sorrise divertito. Ma si perse, quando vide Lord Griffith, con alcuni suoi uomini, raggiungere la tenda, caricando qualcosa. –Per i Sette Dei. Non finirà bene.-
 
-Vedi, Ned? Una sola palla e niente cervello. Non sa nemmeno infilarmi l’Armatura!- -Sei troppo grasso, Robert.- -Grasso? E’ così che parli al tuo Re?- Ci fu una lotta di sguardi. Feroce. Poi Robert rise. E anche Ned. E pure un altro. Ma non Lancel lannister, lo Scudiero. Una voce cristallina, o quasi. Lord Griffith entrò. –Si deve ammetterlo: non è solo a me che è pesato il Pacifico Buon Regno di Robert Baratheon.- -PESATO! Questa è Bella!- Robert rise di gusto, come prima. Ned no. Robert nemmeno si accorse di Lancel che rideva. O forse sì. Di certo rimase stupito nel vedere Ned che non lo faceva. Questo invece si scurì di nuovo in volto. –Ho sentito che vuoi partecipare al Torneo Non farlo.- -Perché? Perché sono il Re? VOGLIO SUONARLE A QUALCUNO!- -E avete ragione.- Disse Griffith. –Però dovete ammettere che la vecchia armatura non sia più adatta.- -Non è solo questo. Chi credi che oserà affrontarti?- -Chiunque vorrà farlo. E l’ultimo che resterà in sella…- -Sarai tu.- Disse Ned. –Non credo che qualcuno oserebbe sconfiggerti.- -Cioè tutti quei…- -Non è detto.- Disse Lord Griffith. –Non se userete la scusa di esservi sentito male. Non se gareggerete senza il vostro Nome. Non se qualcuno si ritirerà.- Così disse Lord Griffith. Fece allora segno ai suoi servi di mostrare il regalo. Un Armatura Completa, larga abbastanza per il Re. –E’ Perfetta. Abbastanza Robusta, e adatta a lei. Dopotutto, i muscoli le sono rimasti.- A quelle parole, Robert annuì. Eccome se erano rimasti, pure Ned lo aveva notato. Non si vedevano per il grasso, ma le braccia e  la schiena erano ancora robusti! Ma non era convito. –Come crederà il popolo alla enzogna che si è sentito male?- -Il Re beve molto, ed a sentire le sue urla di inizio Torneo, minimo penseranno che abbiate vomitato oltre che pisciato.- E Robert rise ancora. –Hai ragione, Griffith! Scusa ned, ma questa volta ascolto il nostro Falchetto.- -Starai scherzando? Non si addice ad un Re partecipare a…- -TU COSA SEI? IL RE O IL PRIMO CAVALIERE? LA TESTA O LA MANO DEL RE?- E ogni sorriso scomparve. Ned non potè fare altro che chinare il capo. E andarsene.
 
-UDITE UDITE! A CAUSA DI IRREGOLARITA’ E ACCUSE CONTRO LA MORALE, SER LORAS TYRELL NON PARTECIPERA’ AL TORNEO, FINO A TERMINE DELL’ACCUSA!- -Che storia è questa?- Esclamò Renly, stupito da tutto ciò. –Sembra che l’amicizia col Cavaliere dei Fiori sia nota a molti, Lord Renly.- Esclamò Lord Baelish, facendo ridere tutti. Scandalizzato e stizzito, Renly sputò per tera e se ne andò via. Dall’altra parte, si vide il Bel Ser Loras inferocito gettare a terra la lancia e ritirarsi nella tenda, imprecando e bestemminado. –PER DECIDERE I TURNI, UN NUOVO CAVALIERE, SER  REDELK GAREGGIERA’ CON LORD GRIFFITH WHITEHAWK.- E intanto Griffith entrò, col suo nuovo cavallo, i capelli al vento, l’armatura argentata, e lo stemma, un Falco Stilizzato con due Immense Ali., in sfondo azzurro. Dall’altra, invece, una specie di gigante, alto quanto la Montagna, con sullo scudo u cervo rosso in sfondo nero. Come un Targaryen. Tutti rimasero impressionati da quella figura. Questi non fecero l’inchino. Griffith sorrise e si mise l’elmo. Ned imprecò. –Chi crede di ingannare? Di sicuro si farà battere a terra.- -Come fai a dirlo papà?- Chiese Arya. Ma prima di poter rispondere per la gaffe, una voce maschile rispose al suo posto. –Lord Griffith è meno sciocco di quanto crediate.- E quando iniziò il via ed i Cavalieri partirono, con le lance puntate, avvenne l’impossibile. Ser Redelk fu battuto a terra, rovinosamente. Lord Griffith era Vincitore. Tutti rimasero sbigottiti. Perché tutti sapevano. Tutti sapevano chi era Ser Redelk. Ma nessuno credeva lo avrebbe fatto. Robert, perché era Chiaro chi fosse quel misterioso Cavaliere, prese assai bene la sconfitta. Si levò l’elmo, mostrando il volto. –Lord Griffith! Siete Degno del Cavalierato e del Titolo di Lord di Harrenal. E dopo avermi sconfitto, vi offro l’Onore di Membro del Concilio Ristretto!- Applausi si riversarono verso il Comandante dei Falchi, che scese da cavallo, si levò l’elmo e si inginocchiò di fronte al Re, iniziando il Giuramento. E Ned rimase stupito. Ma non Baelish. –Quel Griffith sa farsi ben volere, non c’è dubbio. Sapeva perfettamente che Re Robert voleva partecipare, ma anche che non sopporta l’ipocrisia. Lo ha battuto, ma ha saputo usare la situazione a suo vantaggio.- Ned annuì. Quello era un vero demonio.
 
Un altro turno iniziò. Vi era stata la richiesta che Ser Loras venisse riammesso al torneo, ma non fu concesso. Quindi a gareggiare contro la Montagna non fu il Cavaliere dei Fiori. Ma ser Griffith. Tutti si aspettavano la cosa più ovvia, la Vittoria di Ser Gregor Clegane. Ma non fu ciò. Non si comprese come, ma la forza di quel Griffith riuscì a far sbalzare da sella la Montagna che cavalca. E sarebbe finita in tragedia, non fosse stato per degli strani avvenimenti. Ser Gregor chiamò lo scudiero, con la Spada. E con quella decapitò il suo cavallo, ferito a morte da parte della lancia spezzata di Griffith. Questo lo notò. Gettò il mozzicone per terra, restando in sella. E quando Ser Gregor cercò di colpirlo, con un balzo all’indietro andò dietro alla sua bestia, tranciata in due dal cavaliere. Sguainò allora il suo fioretto. E cominciò un duello impossibile. Ser Gregor tentò con un fendente, ma questo lo schivò con un passo all’indietro. Allora un colpo dal alto, ma questo lo schivò ancora, e anzi con un colpo del braccio allontanò la lama e colpì ser Gregor. Il fioretto si infilò fra le fessure dell’armatura, e penetrò dall’altra parte, mentre un muggito di dolore partì da Ser Gregor. Griffith levò la spada, avanzando di un passo, e colpì con un pugno al naso la Montagna, che aveva mollato lo spadone, arretrandolo. Seguì un calcio laterale, e Ser Gregor cadde come un frutto maturo a terra, urlando di dolore. Solo Silenzio si udiva, nemmeno i passeri fischiavano. Nessuno osava credere a quel simile spettacolo. Neppure la Montagna, il braccio destro ferito e impossibilitato a muoversi, si rialzò e si lanciò contro il Lord di Harrenhall, ma con quella che parve una piroetta Griffith lo schivò, e lanciò un fendente. Il fioretto aveva la lama abbastanza spessa, e riuscì nell’impossibile, seppure pagando il prezzo. La mano sinistra di Ser Gregor Clegane perse due dita. Il Clegane rimase immobilizzato per un attimo, come se fosse impossibile una cosa del genere. E un altro calcio fece sbattere a terra uno dei Cavalieri più Forti di Westeros, il Cane dei Lannister. Non si rialzò. Si avvicinò invece Griffith, la lama spezzata puntata sulla gola del cavaliere senza elmo. E sputò in faccia a Ser Gregor. –Portate questo cane alla sua cuccia!- Disse. E mentre gli scudieri della Montagna caricavano lo svenuto sconfitto, urla di giubilo dal Popolino e dai Nobili si alzarono verso Lord Griffith Silverhawk. –Che i Sette ti Benedicano!- -VIVA LORD GRIFFITH!- -VIVA LA COMPAGNIA DEI FALCHI!- E Ned vicino a sé senti Lord Baelish ridacchiare. –E’ un Ottimo Politico. Sapeva bene che tutti odiano Ser Gregor Clegane, e persino che il Re avrebbe partecipato. E si è fatto amare da tutti, per aver avuto le lodi del Re obbedendo al suo Volere e aver reso invalido il Cane di Lord Tywin. Mancava solo che lo decapitasse dicendo “Questo è per Elia Martell e i Suoi Figli” e avrebbe ricondotto persino Dorne nel Regno. Direi che ha capito molto, per essere un “banale adulatore”.-
 
-E’ stato orrendo.- Disse Sansa. Ned annuì. Vedere al inizio di quel torneo quel cavaliere, Ser Yug, morire pr una scheggia di lancia, le aveva orripilate, e neppure la perdita di una mano di Ser Gregor Clegane era riuscito a levare il disgusto di quella vita spezzata. E dato che aveva mandato i suoi Cavalieri a chiedere a lui riguardo Jon, sicuramente era dietro la morte del precedente Primo Cavaliere. Era una vera sfortuna. Proprio mentre uscivano, si levò dal guanto il messaggio. Breve e coinciso. “Non i lupi, ma gli uccelli portano consiglio” Messaggio chiaro e coinciso. Si rimise nel guanto il messaggio. Ora ad essere importanti erano le sue figlie, incupite dal sangue versato. Ma le due persero il loro buio, quando videro Caska diretta verso di loro. Con due figure che riempirono di sorpresa Ned. Le metalupe corsero festanti verso le loro padroncine, che le abbracciarono contente. Ned invece si diresse verso Caska. -Come…- -Ho trovato la più grande, Nymeria, durante il pomeriggio. Mi ha guidato dall’altra, che era in un lago di sangue. Chiunque l’abbia colpita, non lo voleva sul serio.- E con lo sguardo, si rivolse direttamente a lui. Ned capì. -Come fai a…- -Ero a lavarmi, distante da lì. Ho visto come quel bastardo schifoso del principino ha tentato di uccidere vostra figlia, dopo aver ferito il figlio di un fattore! E come quella metalupa abbia morso quello schifoso.- E prima che Ned rispondesse, lei lo precedette. -Non importa che sia il figlio del Re. Ha cercato di uccidere vostra figlia! E’ un cane schifoso, che meritava di essere punito a frustate davanti a tutti!- Ned rimase sbigottito, a metà tra lo scandalizzato e il convinto. Con dolore e rabbia. Perché se era vero quello che lei diceva, allora Joffrey aveva cercato di uccidere Arya. E non poteva perdonarlo. Non senza Giustizia. Ma era il Principe! L’Erede al Trono! E per fortuna che non c’erano vicine Arya e Sansa, che si erano allontanate. -Avreste dovuto pestare i piedi, e pretendere una punizione per il Figlio del Re! Come ha fatto suo fratello!- Quelle parole lo colpirono. Annuì di nuovo. Ma rispose. -Anche Sansa allora ha mentito. Ha dato sostegno alle parole di Joffrey.- E gli disse della cotta della propria figlia per quello che lei chiamava “schifoso verme”. Caska rabbrividì orripilata. -Come… Come fa ad avere una cotta per quel cane rabbioso? Per chi ordina di uccidere un bambino?- Quelle parole furono come una spada che lo trapassava. -Siete sicura?- -Lord Griffith ne ha parlato. Questa sera, anche le vostre figlie saranno portate a testimoniare. Di nuovo.- -Sansa non…- -La mia parola ha più valore della sua. Non ero con loro, ma ho osservato tutto.- -Ma…- -Deve capire che quello schifoso non è un Principe Azzurro! O lo capisce, o non potrà sopravvivere in questo mondo! Non dopo aver tradito sua sorella. Non dite che i Lupi devono stare uniti, e che l’Inverno sta Arrivando?- Il Lord Primo Cavaliere si incupì. Intanto giunse Ser Barristan Selmy. –I Re desidera vedervi, Lord Stark. Insieme alle Ladies Vostre Figlie ed a Lady Caska.-
 
Era sera. Dentro alla tenda dove quel pomeriggio Re Robert aveva cercato di infilarsi l’armatura, consigliato poi dal vecchio amico di lasciare perdere, stavano radunati il Re, la consorte, i suoi figli, Ser Barristan segito da Ser Jaime, Lord Griffith col Vicecomandante Caska e Lord Stark con le figlie e le metalupe. -Come sono ancora vive?- Chiese stupita e arrabbiata Cersei. Caska rispose per lei. -Vostra Altezza, le ho trovate nel bosco. Una era ferita gravemente al collo, ma sono riuscita a curarla.- -Avreste dovuta lasciarla a terra, a morire.- Esclamò lei. -Aveva assalito le figlie di lord Stark e mio figlio.- -E’ una menzogna!- Tuonò invece Arya. Guardandola negli occhi. -Siete una bugiarda, come quello schifoso cane di Joffrey!- -ARYA!- -Come ti permetti, schifosa put…- -SILENZIO!- Tuonò Robert. -Tu l’altra volta hai detto che Joffrey ha tentato di uccidervi?- Chiese ad Arya. Lei annuì. -Ma tua sorella ha giurato che invece vi aveva attaccati.- -Temo che non sia vero.- Esclamò Lord Griffith. Era vestito di una veste azzurra e delle brache bianche da cavallerizzo. -Ho una testimone esterna a questi fatti. E ad un altro, se permette.- -Quale?- E Arya godette nel vedere gli sguardi di Sansa, Cersei e Joffrey imbiancarsi. -Io, Vostra Altezza.- E tutti rimasero in silenzio. -Mi stavo lavando, nell’altra sponda del fiume. Ho udito lady Arya duellare con un bambino. Stavano giocando. Poi ho visto arrivare Lady Sansa e il principe. Non so per quale motivo, ma Joffrey sguainò la spada, e ferì alla guancia il ragazzino.- -Menzogne.- -Allora Arya lo colpì con forza, e Sansa urlava, dicendogli di smetterla, ma il Principe continuava a mulinare la spada, insultando la Lady Stark chiamandola “puttana”.- -Menzogne!- -Era a terra, e la stava per ferire. E’ stato allora che la metalupa ha aggredito il principe.- -MENZOGNE!- Tuonò la Regia Cersei. -Stiamo ascoltando le menzogne di una puttana al servizio di una massa di mercenari?- -Altezza…- -RIMANGIATI QUELLO CHE HAI DETTO, SCHIFOSA BUGIARDA!- Arya aveva risposto alla regina. Tutti tacquero. Cersei bolliva di rabbia, inferocita verso quella bambina che l’aveva chiamata “schifosa”. Fu Caska a continuare. -Ho detto la Verità. Non una menzogna. Perché dovrei poi mentire?- -Sei stata pagata da Lord Stark…- -NO! NON…- -Non è possibile.- Esclamò Lord Griffith. -Seguiva la mia compagnia, e durante quei fatti eravamo lì vicino. Lei poi è il mio Vicecomandante, una persona dall’Onestà e Fedeltà Uniche al Mondo, pari a quella di Lord Eddard Stark, e la inviterei a parlare con rispetto verso Caska.- -Come vi…- -BEN DETTO!- Esclamò invece Re Robert. -E quale altro fatto sarebbe accaduto?- Chiese allora Re Robert. Caska stava per rispondere, ma Arya la precedette. -Joffrey ha ordinato al Mastino di uccidere .- -NO, ARYA!- -E’ la Verità. Caska?- La mercenaria annuì. Joffrey ormai tremava, smascherato, e pieno di rabbia. Cersei allora tuonò. -Come potete credere alle menzogne di…- -NON SONO MENZOGNE! TU MENTI!- Tuonò ancora Arya. E prima che Cersei rispndesse, Robert annuì. -E’ così, quindi.- Disse il Re. Gli occhi blu calarono feroci e colmi di furia sul Principe. Joffrey tremò. E così Cersei. -Non potete credere a…- -Due testimonianze, una per di più imparziale. Direi che è più che Vero.- -Non osare…- -SILENZIO! JOFFREY!- E il Principe avanzò. Robert avanzò verso di lui. -Alza lo sguardo.- Jofrey non lo fece. E lui lo fece.-Perché?- Disse lui. La Furia che pareva un Fiume in Piena, Straripante dagli Occhi e dal volto. Joffrey tremava, e pareva stesse balbettando qualcosa. Ma non potè dirlo. Uno schiaffo rieccheggiò per la tenda. E poi un altro. Cersei corse verso il figlio, ma un altro schiaffo la riportò indietro. -Hai disonorato te stesso e il tuo nome! Per colpa tua, i Baratheon si sono abbassati al livello del Re Folle!- -Ma…- -SILENZIO! CHE SIA FRUSTATO! COSI’ IMPARERA’ IL VALORE DELLA VITA!- Allora le urla di Joffrey risuonarono, mentre si aggrappava alle ginocchia del padre, e Cersei si gettava sul marito. -COME TI PERMETTI DI PUNIRE MIO FIGLIO? LUI E’ INNOCENTE! E’ SEMPRE INNOCENTE!- -Altezza,- Esclamò Lord Griffith. -Una punizione è certamente d’Obbligo, ma tale maniera è sicuramente eccessiva. E’ pur sempre il figlio del Re.- -Proprio per questo non lo condanno a morte come meriterebbe, o non lo diseredo.- Tuonò il Re. -Se non punisco il mio erede di un crimine come tentato omicidio e di ordine di questo, sarò diverso dal Re Folle?- -NON TOCCHERAI MIO FIGLIO!- Disse inferocita la Leonessa, stringendolo a sé, mentre piangeva come un moccioso. -Levati di mezzo, donna.- Esclamò Robert. -Se non ti levi, giuro che ti smalto sul muro, e ti faccio assistere alla punizione di MIO figlio.- -TU NON LO TOCCHI! NON TOCCHI IL FUTURO RE!- Ma prima che Robert alzasse la mano, fu Sansa a salvare tutti. Implorando in lacrime alle ginocchia del Re. -Altezza, vi scongiuro!- Disse lei. -Non fate del Male al Vostro Erede! Ha sbagliato, è Vero, ma era mosso dalla rabbia e dal Orgoglio Ferito! Come avreste agito davanti ad un contadino che si pavoneggiava a Cavaliere?- -HA UCCISO !- Urlò Arya. Ma Joffrey trovò il modo di fuggire. –E’ COLPA DEL MASTINO!- Urlò. -E’ STATO LUI A DIRMI CHE ERA MEGLIO UCCIDERLO! NON VOLEVO FARLO, LO GIURO!- E anche lui si inginocchiò, implorando perdono non al Re, ma al padfe. -PADRE, TI PREGO! CREDIMI! E’ COSI’!- E piangeva. Robert rimase immobile. Poi lo schiaffeggiò. -Ricordati questo colpo per sempre. E PORTATE QUI SER SANDOR CLEGANE!- In quel momento entrò Ser Sandor, il Mastino. -Mi hai chiamato, Altezza?- Robert fece segno di avvicinarsi, mentre Joffrey si rannicchiava alle gambe del padre, e Sansa veniva portata via da Ned e Cersei da Jaime. -Sei tu che hai consigliato al Principe di uccidere il garzone di tempo fa, ed hai poi compiuto quel ordine?- Il Mastino rimase in silenzio. Non tradì nessuna emozione. Guardò un poco per terra, ai piedi del Re. Poi rispose. -Sì. Ho ucciso il garzone, e ho consigliato al Principe di ucciderlo per salvare la faccia.- Robert annuì. Fece un cenno a Ser Barristan Selmy, e questo agì, e davanti al Mastino gli levò il mantello e la spada.  
Arya nemmeno osò guardare in faccia Sansa, che continuava a guardare con gli occhi per terra. Lord Stark non sapeva cosa dire delle sue figlie. Da una parte comprendeva che sua figlia volesse difendere il suo “promesso sposo”, ma anche comprendeva la Giusta Richiesta di Arya. Anche lui era convinto che qualunque punizione avrebbe ricevuto Joffrey, sarebbe stata troppo bassa. Anche se quello che era accaduto era certamente incredibile. Robert aveva ignorato le parole di Cersei, preferendo quelle di Caska e di Griffith. Se dal altra fu incredibile che il Principe potesse essere punito e che Robert agisse giustamente, dall’altra parte era sorprendente come Griffith riuscisse ad influenzare tutto secondo un suo progetto. Un progetto sconosciuto, che però non pareva apprezzato da Caska, e nemmeno da Ned. Intanto, le due metalupe continuavano a seguire le due principesse, e Ned si chiedeva se la presenza di quelle Bestie del Nord sarebbe stata accettata nella Corte. Intanto, una delle sue guardie giunse da lui. A seguirlo lo seguiva un uomo strano, dai capelli neri, uno strano abito tenuto da una cintura di stoffa e con due strane spade, i capelli neri tenuti in una coda, una cicatrice sul occhio e una pipa accesa, con una piccola accetta integrata. -Lord Stark.- Iniziò Ser . –Questo uomo ha fatto richiesta di parlare con lei. Continua a dire che…- -Ma tu sei l’uomo del porto. Coso, col nome Infinito…- -Mi chiamo Manji, Arya Hime!- Disse quello, ridacchiando. I suoi occhi a mandorla si posarono su Lord Stark, divenendo rispettosi. –Stark sama.- Esclamò questo, inchinandosi con rispetto. Lord Stark sorrise cortesemente. –Vedo che è arrivato in anticipo, Ser Manji. I Duelli saranno domani.- Lo straniero annuì. –Tuttavia volevo sapere qualcosa degli sfidanti. Pare che un Vostro Campione, noto come la Montagna, non parteciperà.- Lord Stark annuì. –Ser Gregor Clegane ha perso l’uso della mano destra, e temo non potrà più duellare, per tutta la vita.- -Meglio così, allora.- Esclamò il forestiero. – Sa, ho sentito che sia molto alto, grosso e veloce, e che non è un Guerriero Onorevole.- A quelle parole Ned Stark annuì. Il forestiero noto come Manji annuì a sua volta. –E’ stato un piacere vederla di nuovo, Lord Stark. Auguro a lei ed alle vostre figlie una Buona Serata.-



Beh, è un'orrore? Spero di no. Che si dia inizio alla lettura, e se vi piace o fa cagare, ditemi i motivi o anche come migliorare. Grazie.

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Capitolo 5
*** Sogni e Duelli ***


Le immense praterie del Mare d’Erba meritavano tale epiteto. Solo steppa. Immensa, infinita bellissima. Un’eternità di erba alta, grassa, con al massimo qualche alberello solitario. L’erba al momento era grassa, cosa insolita per terre di gente scura. Danerys Targaryen osservava ogni cosa dalla sua giumenta. Infinito. Non esisteva altra parola per quelle terre, quel Mare Eterno. Eppure, secondo Ser Jorah esse non erano Eterne. Esistevano ad Est di Vaes Dothrak, dopo un’altra Distesa Stepposa, un Altopiano tra i più Alti del Mondo, le Montagne delle Ossa. Su quel altopiano vivevano Popoli Guerrieri temuti dagli stessi Dothraki, forse fra coloro che causarono la Fuga dei Dothraki dalle terre aldilà dei Monti delle Ossa, dalle Savane di Jogos N’Hai. Daenerys, pensando a queste cose, si accorse di conoscere la lingua dothraki, ma non la loro storia. Forse una delle sue serve, o magari il suo Sole e Stelle, avrebbe potuto risponderle. Ma non ne era sicura. E dopotutto, non importava molto. Sentì la piccola vita dentro di lei come muoversi, anche se doveva essere una semplice massa con solo un richiamo di forma umana, e oltre a quel dolce richiamo, carne della sua carne, ce n’era un altro, ancehe questo carne della sua carne, ma non gioioso. Vyserys imprecava rumorosamente dal suo cavallo dothraki, selvaggio come pochi. Aveva rifiutato di vestirsi con un abbigliamento adatto alle Steppe, preferendo l’abbigliamento delle Città Libere. Non si accorgeva, probabilmente, di essere patetico. Daenerys distolse lo sguardo, mentre il Khalasar continuava il suo Viaggio nell’Infinità. Sembrava che non dovesse finire mai. Sotto il sole del Est, nel Mare Dothraki un tempo noto Mare d’Erba, sembrava che non potesse esistessere niente altro che loro. Il khalasar. I servi e le serve. I guerrieri, le loro mogli. Ser Jorah, suo fratello Vyserys imprecante. Il suo Luna e Stelle, e il suo bambino. In viaggio eterno nelle Terre Perdute, forse le Uniche Esistenti. Solo il Sole, la Luna, le Stelle. E le tre Uova di Drago.
 
Un falco volò. Sopra di esse, una nuvola pareva correre verso Ovest. Verso le isole del Tramonto, e forse oltre. –E’ giunto il momento- Esclamò Teletha. Portava ancora il mantello di pelli d’animali, qualche strano animale peloso delle colline di Norvos, forse uno degli Orsi. Salì sul suo cavallo, un animale dagli zoccoli spessi e pelosi, forse più adatto ai campi che al portare cavalieri, data la sua mole di muscoli e le zampe pesanti. I suoi compagni erano in groppa ai loro destrieri, identici a quel bestione da campo. –Non viaggeremo veloci fino a Grande Inverno.- Esclamò Kurtz, secco e acido. –Ma saremo sicuri di arrivarci.- Rispose Mao, la guerriera mezzosangue. –Queste terre non sono come Andalos, biondino! Nevica pure in estate, e il terreno è duro. Non ci servirebbero dei palafreni, credimi.- Kurtz sputò per terra, non del tutto convinto. –Spero che sia così, sorellina!- Rispose. –Secondo me sono pure castrati. Li usavano al posto dei buoi, minimo non hanno mai provato i Migliori Piaeri della Vita.- -Perché, li hai guardati sotto?- Disse Mao ridacchiando maliziosamente. -No, Kurtz.- Rispose Teletha, eterea persino sopra quel bestione dei campi. –Sono animali del Nord, da viaggio, adatti per i viaggi nella neve. Non dovremo preoccuparci troppo. Al momento, la fretta sarebbe solo deleteria. Un arrivo immediato rischierebbe più di quanto si possa credere.- -Ha ragione.- Esclamò uno dei due guerrieri, quello dal sangue dothraki. –Se arrivassimo frettolosamente, diverrebbero chiare le nostre intenzioni. No, dobbiamo arrivare con lentezza, e colpire da lontano. Dobbiamo costringere i nemici a scendere da cavallo, o almeno a fermarsi. Solo allora saranno vulnerabili!- Mao e l’altro guerriero annuirono, solo Kurtz e Teletha non lo fecero. Sebbene per motivi diversi. La fanciulla dal sangue valyriano fece segno di muoversi. Non colpì coi talloni il ventre del cavallo, né le briglie. Questo partì, docile e gentile, come un cagnolino addestrato. Gli altri seguirono la ragazza, muovendo le staffe e facendo nitrire i cavalli. “Possano i Valar Proteggerci.” Pensò Teletha, rinchiudendo il capo e la mente nelle sue meditazioni. “E che ti proteggano, Brandon Stark.”
 
 
“Vola!” Così diceva la voce. “Vola o muori!” Il Corvo continuava a volare. Bran continuava a cadere, e mai volava. “E’ il tuo Destino.” Esclamò la Voce. “E’ la tua Strada.” Continuava, mentre cadeva, perennemente cercava qualcosa. “Non potrai camminare. Ma dovrai Volare, o Morire!” Poi tutto si spense. All’improvviso il corvo parve non gracchiare. Anzi, per un attimo tacque, fermo, immobile per aria. Non si mosse. Volse la testa verso di ui. O così gli parve. Subito gli occhi si aprirono. Già aperti erano. Eppure si aprirono. Fu un rapido volteggiare, poi qualcosa partì da dietro di lui. Tutto svanì in un’Improvvisa Oscurità, che parve ricoprire ogni cosa. Poi essa svanì. Improvvise mani gli presero i fianchi. Mani dolci, delicate, seguita da una voce antica, maestosa. Un’Eterna Dolcezza lo circondò, il cuore parve peredere ogni terrore. Parole antiche riempirono, e la tenebra svanì. Non vide niente. Solo udì parole antiche. Poi per un istante vide.
 
Bran si svegliò. Il sogno era finito. La porta si aprì ed entrò Robb, seguito da hodor e dalla Vecchia Nan. Bran sorrise loro. Ma prima di sorprendersi di ciò, fu Robb il primo a sbattere gli occhi sorpresi. –Vedo che gli Dei ti hanno dato un Buon Sonno!- Esclamò la Vecchia Nan. Bran non capì subito cosa intendeva. –Questa notte stavi urlando come atre volte, ma subito hai finito. Il Signore tuo fratello ha persino detto che la tua espressione si era addolcita, che sorridevi!- Bran rimase impietrito. Sorrideva? Aveva smesso di urlare. La Vecchia nan si allontanò, ordinando a Hodor di prendere il Piccolo Lord. Fu Robba parlare per tutti. –Quando sono arrivato, stavi urando come altre volte. Ma è bastato che ti stringessi le spalle e ti parlassi, perché smettessi.- Bran si limitò ad annuire. Non doveva essere stato quello. Icordava ancora le mani gentili che lo circondavano, lo accarezzavano, quelle Parole che spazzarono via l’Oscurità Improvvisa. Ricordava ancora quelle parole. Ma attese di arrivare a tavola per la colazione. Giunse Maestro Luwin, sorridente verso di lui. –Vedo che gli incubi stano finendo.- Esclamò il Maestro della Cittadella. –Ho fatto un bel sogno.- Disse lui. Tutti sorrisero. –Gli incubi devono finire. Anche la Lunga Notte finì, dando spazio all’Alba dell’Età degli Eroi.- Disse Robb. Bran non annuì. Domandò una cosa. –Maestro,- Chiese. –Hai mai sentito parlare di un posto chiamato Valinor?- Il Maestro rimase sorpreso dalla domanda. –Perché mi chiedi questo?- Domandò sorpreso da una curiosità insolita. Bran disse:-Solo una curiosità. Mi pareva di aver sentito di una città di nome Valinor, ma forse mi sbaglio.- -Cercherò negli archivi, se ti interessa.- Rispose Luwin, mettendosi a mangiare. –Ma ne dubito. Ricordo quasi tutte le città del Continente Occidentale, e non rimembro un simile nome.- Bran si limitò ad annuire. Le parole del maestro lo rattristarono. Ancora ricordava quella rapida visione. Quelle parole nate al suo risveglio. Valinor. Tol Eressea.
 
 
Era giunto il secondo giorno del Torneo. Duelli e Mostra di Combattenti Stranieri. Lord Stark si sentì contento nel sapere che il Re non si sarebbe offerto come spadaccino o altro ancora. “Spero che la caduta che gli ha causato Lord Griffith lo abbia rinsavito.” Così pensò, mentre accompagnava delle Gioiose Arya e Sansa, seguite dai loro metalupi. Lady ora arretrava davanti alla sua vista, solo Nymeria pareva come un Guerriero marciante verso una Battaglia, anzi una Guerriera, la Prode Regina dei Rhoynar di cui aveva il nome. Quel giorno, c’era il Doppio del pubblico. A tutti era noto che la Montagna che cavalca era stato mutilato e reso inabile all’uso della spada. E questo aveva aumentato il numero di osservatori e partecipanti al Torneo, perché avrebbe combattuto Lord Griffith Silverhawk, il Flagello dei Mastini come era noto ora. E come Campione della Corona, per richiesta della Regina, Ser Jaime Lannister. Ned Stark non era mai stato un appassionato di duelli al primo o ultimo sangue, ma nel suo cuore sperava che Lord Griffith punisse lo Sterminatore di Re, magari mozzandogli una mano, così da levarlo dalla Guardia Regale. Arya invece era Interessata alla partecipazione del Maestro Syrio Forell e di quel Manji. Sansa invece era in pieno imbarazzo. E Ned sapeva anche ilmotivo, questa volta. Il Re aveva voluto informarli che per perdonarsi del incidente coi Metalupi, il Principe Joffrey li aveva invitati ad assistere al Torneo dai posti vicini al Re ed alla Famiglia Reale. Con un posto per le metalupe. Ned Stark non avrebbe avuto nulla da ridire. Nel modo più assoluto. Se non che fosse richiesta anche la presenza del Mastino. Ser Sandor Clegane doveva esserci. Lord Stark lo aveva convocato da lui quella sera.
 
“Da questo momento, sei al mio servizio, Ser Sandor.” Quello annuì rudemente. “Che cazzo vuoi che faccia?” Esclamò.Ned Stark ignorò l’imprecazione. “Hai ucciso un ragazzino. E lo hai appeso al tuo cavallo come fosse un cervo.” Quello sputò per terra. “La piccola lady vuole che venga punito?” Aveva esclamato. “Se vuole punire l’assassino del suo amichetto, perché non viene direttamente lei? I lord del Nord non decapitano i loro condannati a morte?” “Perché?” Si limitò a dire. “E non mentirmi dicendo che lo hai consigliato tu di ucciderlo. So molte più cose di quello che credi, e capisco anche di più.” Il Mastino sorrise, una smorfia orribile, specie dal lato sfregiato. “Ho ubbidito agli ordini del principino Joffrey.” Esclamò, senza riserve. Ned Strak annuì. “Perché? Non ne aveva necessità. Era stata Arya a…” “Infatti all’inizio voleva ammazzare lei. Come ha cercato di ammazzare l’altro figlio tuo.”
 
Quelle parole furono come un pugno allo stomaco. O una pugnalata. Quella serata fu tutto chiaro. Ma non vi furono prove. Come sempre. Quella mattina non arrivarono i messaggi di Varys. Peccato, nonostante tutto. Ricordava quanto gli stesse antipatico l’eunuco, così sfuggente e truccato. Gli era bastata la chiacchierata al Puledro Impennato per ricredersi. Mai aveva visto un uomo che più di tutti credesse nel Ream nella sua Totalità. Lo stesso non si poteva dire per Baelish. Sapeva bene della fiducia della lady sua moglie, ma in quella Corte si era affidato ai consigli di Varys. E non gli era accaduto niente, fino ad allora. Sapeva che Varys era sopravissuto a Aerys il Folle ed a Robert, mentre Ditocorto si limitava a chiedere prestiti. O peggio. A Petyr si limitava a consigli sulla gestione sulle condizioni di sua moglie. E da un po’ di tempo, non sapeva che dirgli in proposito. Da due settimane, cioè da quando Catelyn era giunta nel Tridente. Quindi preferiva tenersi lontano da quel uomo. Intanto erano giunti ai Posti d’Onore. Fu il Principe Joffrey a offrire il Bevenuto. Un sorrise gentile verso di loro. In quel momento, mentre vedeva Joffrey inchinarsi e parlare pieno di lodi verso Sansa, Arya e le metalupe, ne fu sicuro. Quele labbra erano come un nido di vermi, dei vermi disgustosi, viscidi, saguisughe colme di veleno. –I Miei Ossequi, Lord Stark.- Esclamò rivolto verso di lui. –Spero che questa Giornata sia Inizio di Amicizia fra di noi, come fu per Mio Padre e Voi.- E nel dire ciò, offrì a lui un calice colmo di vino. Ned avrebbe voluto rifiutare, ma sentì verso di lui gli occhi di Sansa. E di Robert. Chiaramente era stato tutto organizzato da Robert, per riallacciare i legami. Allora sorrise al giovane. –Che sia Amicizia Eterna, Vostra Altezza.- -Attento, Ned!- Esclamò Robert, con finta rabbia. –Ti ricordo che sono ancora Vivo, non ho intenzione di tirare le cuoia, e non accetterò un’altra Battaglia del Tridente, sai?- Disse, scoppiando a ridere, seguito da Joffrey e da Ned. –Mastino, tieni le metalupe!- Ordinò Joffrey a Sandor. Questo sorrise sarcastico. –Spiacente, principe, ma io sono al servizio di Lord Stark, non al suo.- Joffrey rimase impietrito dalla dimenticanza, mentre Robert rise allegro. Ma Ned si limito a dire:-Ser Sandor, ubbidisci a Nostra Grazia il Principe, e tieni d’occhio le metalupe delle mie figlie.- Ser Sandor annuì. Tutti si misero seduti, mentre il banditore cominciava a parlare. Per un breve istante, Ned fu sicuro di avere degli occhi addosso. Occhi verdi, feroci. Guardò verso il Re e verso la Regina. Non l’aveva nemmeno sprecato a guardarla, se non per i saluti ufficiali di cortesia. In quel momento, iniziò il primo duello.
 
Un boato di approvazione seguì al silenzio con cui era stato accolto. Jaime guardò Ser Griffith. Era vestito di un’armatura argentata, probabilmente semplice ferro argentato. Sulle spalliere erano scolpite della ali d’aquila. Anzi, di falco. E l’elmo aveva una visiera per gli occhi con la protezione nasale che pareva un becco aguzzo. Questo però se lo era tolto, salutando con un inchino la folla. Tutti lo applaudivano, lo lodavano, specie le donne. I capelli d’argento lo avrebbero fatto passare per un Targaryen, ma gli occhi azzurri lo levavano dalla categoria. Ma anche lo fosse stato, forse sarebbe stato ancora più Popolare, se lo voleva avrebbe anche scatenato direttamente lì una Rivolta. –Il Distruttore di Montagne, giusto? O Flagello dei Mastini?- Esclamò Ser Jaime, tenendosi l’elmo e sguainando la spada. –Saprai che i leoni sono più pericolosi, falchetto!- Griffith continuò a sorridere, anche verso di lui. Lo stesso identico sorriso gentile da cortigiano, affettato e gradevole. Anche lui sguainò la nuova spada, un incrocio tra le Spade Lunghe Andale e quelle sottile dei Danzatori dell’Acqua Braavosiani. –I leoni sono pericolosi nei valichi di Montagna, e da quel che so fuggono davanti a un branco di mastini.- Puntò la spada prima su di lui. –esisterà quando un falco gli strapperà gli occhi?- E subito si udirono le paole del Septon. Entrambi si inchinarono, poggiando le punte delle spade per terra, e così gli elmi, i loro ginocchi e gli sguardi, ascoltando in Silenzio l’Invocazione al Guerriero. “Protegginimi, Guerriero. Non lasciare che il Disonore colpisca la mia Casa.” Pensò Jaime. Quando finì, entrambi si alzarono. Griffith lanciò via l’elmo, e puntò la spada. Jaime fece lo stesso. Lo avrebbe affrontato da pari a pari. Si udì lo squillo della tromba. Partirono. Partì Griffith con un rapido affondo. Jaime schivò con un semplice movimento delle gambe, rendendosi perpendicolare alla lama. Con un fendente dal basso allontanò la lama da sé, avanzando per colpire il Falco. Questo arretrò, schivando il pugno e ripuntando la spada su di lui. – Inizio interessante, Sterminatore di Re.- Esdlaò, tenendo puntata la lama, girando in circonfeenza, il busto anche questo piegato, rivolto verso di lui invece del bacino, con le gambe che parevano disegnare una circonferenza. Ser Jaime girò anche lui, ma solo con i piedi. La spada era pronta a parare. O attaccare. “Devo colpirlo subito.” Pensò. Allora un fendente allontanò la lama. O così gli parve. Invece la lama di Griffith rimase ferma, rispondendo invece al fendente con un altro. Jaime arretrò, colpendo dal alto, ma anchq questo copo fu rintracciato. Jaime allora rispose con un calcio al ginocchio. Fu schivato arretrando, ma anche il fendente di Griffith fu parato dalla lama del Leone, e con un altro fendente colpì e allontanò la lama. Avanzò, e lo colpì con un pugno. Griffith non si scompose. Incassò il pugno e arretrò, sputando per terra. “Sangue.” Pensò Jaime. Quella era un buon segno. “Che sappiano tutti cosa succede a sfidare un Leone. Seguì un fendente, partito da Griffith. Jaime lo parò ma non notò l’avanzare dello spadaccino, oltre che della spada. Questo allora lo colpì con la punta alla spalla. Si intrufolò nella spallina in metallo, e con forza spaccò l’usbergo, penetrando nella carne. Jaime imprecò e si morse la lingua, allontanandosi edallo spadaccino e colpendo con la spada quella dell’avversario. Griffith sorrise, seguito dal boato di giubilo della folla. Lo Sterminatore di Re dovette abbassare il braccio, puntando ancora la spada verso il Comandante de Falchi. “No, non accadrà!” Pensò. Colpì con furia, e questo schivò. Colpì ancora, e Griffith stavolta parò. Avanzò ancora, sempre venendo parato. “Bravo, continua a giocare!” Pensò lui. Infine giunse dove voleva giungere. Avanzò e colpì. Fu parato di nuovo. Ma bastò avanzare ancora e pestare il piede del avversario. E seguire con un calcio allo stomaco. Quest arretrò, e ne approfittò. Lo colpì con un fendente alla mando destra. La spada del Falco cadde, mentre seangue scendeva copioso dal acciaio e dagli anelli di ferro. Ma un calcio allontanò la lama del Cavaliere d’Oro, per poi venire alzata con un altro fendente. Si ritrovarono faccia a faccia, le spade incrociate. Nessuno dei due sorrideva, entrambi con le bocche sporche di sangue, un arto ferito. Griffith sputò sangue e saliva in faccia al Leone, accecandolo. Spinse con la lama e lo fece arretrare. Sarebbe bastato un affondo. Ma le guardie fermarono tutto. Guardie Propora dei Lannister e Guardie dei Falchi. Queste guidate da una donna vestita da cavaliere. –Il duello è sospeso.- -Col cazzo!- Esclamò Jaime Lannister. –Posso ancora combattere, e pure lui!- -Non secondo il Septon. Dice che avete entrambi perso abbastanza sangue, e che nessuno dei due vincerebbe. Senza contare che per poco questo duello non diventava una rivolta. Per tanto, siete entrambi fuori!- Jaime imprecò, gettò a terra la sua spada e si allontanò. Invece la Folla ruggì di rabbia mentre anche Griffith Silverhawk, la mano sinistra sana che stringeva la spada, accettava la squalifica. E pure lui ruggì, ma nessuno lo udì. “Lurido figlio di puttana!” Nemmeno si pulì il volto coperto di sangue e saliva.
 
-Almeno si è preso quel Ribelle?- Così, altera e inviperita, aveva parlato la Regina Cersei. Infine giunsero due dei Falchi. Tenuto per le braccia, i due mercenari portavano un uomo dal volto tumefatto, gli zigomi rotti, il naso ridotto a una patata marcia grondante sangue. Re Robert per la prima volta condivideva la rabbia della consorte. –E’ lui?- Domandò. Uno dei Falchi annuì. Re Robert si alzò, prendendo dalla cinta di uno dei mercenari una mazza. –Che cosa hai osato dire, cane schifoso?- Questo tacque. Nemmeno lo guardò. Allora il Re lo colpì con un manrovescio, voltandogli col palmo la testa. –COSA HAI OSATO DIRE, FECCIA MERDOSA?- Quelli infine alzò lo sguardo. –Lunga Vita a Re Rhaegar Primo del Suo Nome.- E aprì ancora la bocca, ma non fiatò. La mazza calò sulla sua faccia. Il colpo fece esplodere la testa in migliaia di pezzi. Il corpo fu lascato lì, mentre i principini e Sansa urlarono spaventati davanti al cadavere, con solo la mandibola penzolante con la lingua a ricordare la testa. Arya si gettò su Nymeria, orripilata da quello spettacolo, e mentre Lady si rifugiò dietro la gonna di Sansa. Joffrey invece era estasiato dalla violenza del padre, e così la Regina, sorridente e soddisfatta. All’improvviso Ned non vide la regina. Ma un demone. Un demone feroce, le mani macchiate di sangue, vestito di pelle, con sembianze femminili biancastre e dagli occhi blu. Fredda come il Ghiaccio, Feroce come il Fuoco. Robert Baratheon si sedette, dando segno al Mastino di portare via il cadavere. Fu Lord Stark a ordinare per lui. Mentre il cadavere veniva portato via e Robert cominciava a sbraitare ordinando il continuare dei duelli, Ned Stark fissò la folla. Una folla muta, non festante. Una folla che tace per non essere colpita dal tiranno. Quel uomo aveva gridato “Viva Rhaegar Targaryen! Giustizia per Re Aerys!”, e stavano già cominciando a sepeggiare le voci. Voci che tacquero, dato che i mercenari avevano rintracciato l’agitatore, e reso inabile a parlare. E la folla non sospirava di sollievo. Era muta. Muta come un uomo costretto al silenzio dal giudice. Come un innocente davanti ad un criminale Come dei Fedeli sotto la minaccia dell’Usurpatore. Ned sospirò, cercando di consigliare l’amico, ma questo era Rosso di Rabbia –E’ COSI’ CHE TRATTATE IL VOSTRO RE? E’ COSI’ CHE TRATTATE CHI VI LIBERO’ DAL GIOGO DEL RE FOLLE? VEDRETE, SCHIFOSI BASTARDI! VEDRETE CHI E’ IL RE, STRONZI! E CONTINUATE QUESTO CAZZO DI TORNEO!- Intanto i banditori davano fiato alle trombe, per continuare i duelli.
 
I duelli continuarono. Giunsero Guerrieri delle Terre Contese, delle Terre Piatte, della Costa Arancione e del Deserto di Dorne, vestiti di tuniche sgargianti o color della sabbia e impugnanti scimitarre e scudi rotondi, seguiti da Opliti del Sangue Verde, Guerrieri di Norvos con le loro Asce, alcuni Guerrieri delle Fosse da Combattimento dichiaratisi dothraki con arakh o legionari ghiscariani, tutti a duellare contro i Cavalieri, o contro altri stranieri. Giunsero perfino dei Guerrieri della Vecchia Andalos e un Bruto, vestito di un’armatura di ossa, persino un Uomo di Ferro e, naturalmente, Spadaccini Braavosiani e Pentoshi. Tra questi spiccò Syrio Forell, Ex Spadaccino del Signore del Mare di Braavos, che sconfisse tutti i suoi sfidanti, anche in gruppi. L’ultimo fu la celebrità. Un Guerriero della zona settentrionale di Leng, uno spadaccino Yitiano. Ned e le figlie, Arya in specie, riconobbero Manji. Questo mostrò uno stile allo stesso tempo sconosciuto e noto. Teneva la spada con due mani, colpendo dall’alto o dal basso, colpi secchi, ripetuti in lunghi addestramenti. Persino i colpi con una mano, quando li faceva, erano secchi e duri. Eppure, sia con una che con due mani i colpi erano secchi e ampii, come un’onda, permettendo di infondere la propria forza, lo spirito, nell’arma, così che i colpi acquisissero forza sia dal braccio che dall’aria. La sua scherma ricordava quella dei cavalieri, ma senza scudo, rapida e veloce, ma anche di quella dei Cavalieri, forte e poderosa. Persino la spada, che chiamò Katana, era un incrocio tra le due scherme, anche il suo essere ricurvo lo rendeva simile alle scimitarre delle terre intorno a Myr e di Norvos e Qohor.  Portava un’armatura a piastre, nera e bianca ogni piastra, le spalliere, le difese ai gomiti e alle mani erano nere a destra e bianche a sinistra, le parti di avambraccio e braccio invece erano all’opposto. L’elmo portava in alto, sulla fronte, lo stemma di una luna. Il guanto destro aveva rappresentato un sole bianco, quella a sinistra una luna a falce nera. Il culmine lo raggiunse quando usò due katane, superandolo nuovamente quando usando uno strano meccanismo le unì formando una lancia letale. Persino Syrio Forell fu chiamato a misurarsi, ma si arrese anche prima di iniziare. E Manji si meritò il Premio di Migliore Spadaccino, col duello contro Ser Barristan.
 
Ser Barristan si inchinò allo straniero. E così fece l’altro. Il lord della Guardia reale sorrise. –Vedo che conosci il Codice Cavalleresco.- Esclamò. Aveva visto quel guerriero straniero limitarsi a disarmare gli avversari deboli, e fermarsi quando veniva versato il primo sangue. Conosceva le regole dei duelli. Quel forestiero dgli occhi a mandorla e il viso scuro sorrise. –Conosco il Bushido, il Codice dei Samurai, Sevi Guerrieri.- Barristan puntò la spada. –Allora sarà un Duello fra Pari.- -Finalment sì!- E si lanciarono. Barristan iniziò conun fendente destro, subito parato e respinto. “Spada Robusta, al di là delle apparenze.” Pensò. Quello tentò un colpo dal alto, ma prima di pararlo arretrò, così da poterlo a sua volta respingere, e avanzò fendendo. Il samurai arretrò e parò, respingendolo a sua volta, ma Barristan avanzò colpendo col pomo. Il samurai arretrò per schivare e si sarebbe lanciato in un affondo, se non avesse visto il cavaliere già pronto. Le loro lame sfioravano le corazze, quella dritta del cavaliere sulla spalla destra, quella curva del samurai anche. I due ritirarono le spade, e si inchinarono. Barristan si levò l’elmò chinando il capo. Il samurai si levò prima la maschera, poi l’elm, mostrando la cicatrice sul naso oltre a quella dell’occhio, i capelli neri con la coda, opposti a quelli bianchi del lord Comandante. Anche lui chinò il capo, sorridendo soddisfatto. –Sareste un Onorevole Samurai, Ser Barristan.- Esclamò l’Yitiano. Barristan rise. –E tu un Valido Cavaliere. Quale è il tuo nome?- -Mi chiamo Manji.- Rispose. –Nella mia lingua per indicare un Signore o un Guerriero usiamo la parola Sama dopo il nome.- -E’ un onore averti affrontato, Ser Manj.- -Anche per me, Baristan Sama.-
 
 
Robert si era annoiato, e così anche Joffrey, che non ci vedevano nulla di interessante in quello stile. Invece Arya e persino Sansa ne rimasero rapiti, insieme a Tommen. L’abilità, la velocità e persino la forza di quel Guerriero di Yi Ti erano Superiori a Ogni Cavaliere e Spadaccino, eppure solo Ser Barristan aveva resistito. –Non mi sorprende.- Esclamò Lord Stark. L’intera Folla esultò al nome di Manji e di Ser Barristan, definito il primo lo Spadaccino Infinito, dato che sosteneva che il suo nome significasse Infinito. Lo Spadaccino Infinito fu lodato come la Nuova Spada dell’Alba. Ned Stark si limitò a sospirare, in disaccordo.
 
 
 
Azione mi pare che ci sia, ed è pure bello lunghetto. Purtroppo non avevo più la forza di continuare. Cavolo, non so se a qualcuno interesserà, ma vorrei sapere se il duello fra Jaime e Griffith sia comprensibile e sensato. E sì, DUE CAPITOLI IN UN GIORNO!

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