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di comet91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Novità ***
Capitolo 2: *** Il nuovo professore ***
Capitolo 3: *** Corso di recupero ***
Capitolo 4: *** First lesson ***
Capitolo 5: *** Hanami (ammirare i fiori) ***
Capitolo 6: *** Azione e reazione ***
Capitolo 7: *** Un po' più vicini ***
Capitolo 8: *** Strane sensazioni ***
Capitolo 9: *** Febbre d'amore ***
Capitolo 10: *** Confusione ***
Capitolo 11: *** Sospetti ***
Capitolo 12: *** Soffrire ***
Capitolo 13: *** A volte è difficile... ***
Capitolo 14: *** ... Chiedere scusa ***
Capitolo 15: *** Uno sguardo al passato, uno al futuro ***
Capitolo 16: *** Quando il cuore si divide ***
Capitolo 17: *** Curare una ferita ***
Capitolo 18: *** Essere sinceri ***
Capitolo 19: *** L'amore si ricorda di te ***
Capitolo 20: *** Click ***
Capitolo 21: *** Verso te ***
Capitolo 22: *** Just the way you are ***
Capitolo 23: *** English lessons ***
Capitolo 24: *** Inconvenienti ***
Capitolo 25: *** Problemi di... coppia? ***
Capitolo 26: *** Un pessimo professore ***
Capitolo 27: *** Preparativi ***
Capitolo 28: *** Buon compleanno, Ryan! ***



Capitolo 1
*** Novità ***


Cap. 1 - Novità




Strawberry Momomiya non amava particolarmente andare a scuola. Tanto per cominciare, era costantemente in ritardo e i suoi professori non le risparmiavano mai infinite ramanzine, in particolare la professoressa Amamiya. Insegnava  fisica e per uno sconosciuto motivo era astiosa all’inverosimile nei confronti della ragazza. Non c’è da stupirsi perciò se Strawberry non aveva nessuna voglia di cominciare il suo terzo e ultimo anno di liceo, sapendo che alla prima ora avrebbe visto quell’arpia. Uscì di casa in tutta fretta intenzionata a non darle motivi per rimproverarla, compito arduo per una ritardataria cronica come lei.
Sbuffò mentre rallentava il passo, fermandosi poi davanti alla vetrina di una pasticceria per osservare il proprio riflesso e prese a sistemarsi la frangetta spettinata. Si era svegliata davvero male quella mattina.
La sua attenzione fu catturata da un vassoio carico di pasticcini rosa decorati con delle fragole dall’aspetto molto invitante e sentì il proprio stomaco protestare.
“Buongiorno, Strawberry” un ragazzo moro dai lunghi capelli raccolti in una coda sì affacciò sulla porta del locale. Strawberry rispose al saluto con un cenno della mano, mostrandogli un gran sorriso e si avvicinò all’entrata.
“Kyle! Quei dolci in vetrina sono fantastici!” esclamò, con l’acquolina in bocca, indicando la fonte del suo interesse. Il ragazzo le sorrise gentilmente e le fece segno di entrare.
“Sei sempre la solita, scommetto che non hai fatto colazione nemmeno oggi”
“Già, ma lo sai che i tuoi manicaretti sono sempre ben accetti!” e i suoi occhi si illuminarono, mentre il pasticcere le porgeva un piattino con due cupcakes e la invitava ad accomodarsi a un tavolo.
“Ecco a lei, golosona. Offre la casa”
“Ti ringrazio!” rispose lei, già intenta ad addentare un dolcetto.
Kyle era sempre molto gentile. Strawberry aveva scoperto la sua pasticceria qualche mese prima e nel giro di poco tempo ne era diventata una cliente fissa, facendo amicizia con lui. Lo considerava ormai come un fratello maggiore e si divertiva a raccontargli ciò che le accadeva a scuola. Da parte sua, il ventiseienne non si lamentava mai della sua compagnia ed era sempre pronto a fornirle ottimi consigli.
“Sei uscita presto oggi”
“Già, non voglio essere presa di mira dalla professoressa Amamiya fin dal primo giorno!”
“Oh, non credo che sarà un problema quest’anno” Kyle le mostrò un sorriso enigmatico, mentre posava sul tavolo un bicchiere d’acqua. Lei lo guardò interrogativa, prima di cominciare a bombardarlo di domande.
 
Quando uscì dal locale di Kyle, Strawberry era già in ritardo. Aveva perso la cognizione del tempo cercando di estorcere all’amico qualche informazione sulla prof, ma lui non aveva fatto altro che sorriderle con l’espressione di uno che la sa lunga e non le aveva rivelato nulla. Sospirò e continuò a correre in direzione della scuola.
Arrivò proprio mentre la campanella suonava e esultante si diresse verso la sua aula. Fortunatamente Lory le aveva tenuto un posto in terza fila, non avrebbe sopportato di sedersi al primo banco e avere gli occhi dell’arpia puntati addosso.
“Ciao Lory!”
“Oh, buongiorno!” l’amica dai lunghi capelli verdi le sorrise raggiante. “Sai la novità?”
“Novità?” posò lo zaino per terra e si lasciò cadere sulla sedia. Si sentiva già stanca di prima mattina e uno sbadiglio non tardò ad arrivare.
“Sì, non ci crederai mai… la Amamiya è incinta e si è presa un anno di pausa!” La rossa impiegò qualche secondo per elaborare la notizia, poi sgranò gli occhi sorpresa.
“Oddio! Quindi quest’anno non c’è?!”
“Esatto”
“Evviva! Allora qualcuno lassù ha ascoltato le mie preghiere!” esclamò, scattando in piedi. Il suo comportamento scatenò una risata generale della classe, ma Strawberry non ci fece molto caso. “Ma allora chi ci sarà al suo posto?” 
“Bè, credo che lo sapremo tra poco” mormorò Lory, mentre il preside faceva il suo ingresso nell’aula, facendo calare un innaturale silenzio. Che Kyle si stesse riferendo a questo prima? Ma come faceva ad essere a conoscenza di quel che accadeva nella sua scuola?
“Buongiorno a tutti” iniziò l’uomo, con voce solenne. “Vi apprestate a cominciare il vostro ultimo anno in questo liceo* e spero che lo farete con il dovuto impegno. Ricordate, la posta in gioco è il vostro futuro” terminati i convenevoli, si accarezzò l’elegante pizzetto e proseguì passando all’argomento più interessante. “Bene, come ormai saprete, la professoressa Amamiya ha preso un anno di congedo. Essendo stati informati di recente della sua decisione, non abbiamo avuto il tempo per cercare un supplente, così ho chiesto a un amico di famiglia di sostituirla per quest’anno. E’ un ragazzo molto giovane ma talentuoso e so per certo che saprà gestire al meglio l’insegnamento che gli è stato affidato. Prego, professor Shirogane” concluse, facendo un cenno in direzione della porta.
Un ragazzo giovane, eh? Strawberry pensò che si sarebbe trattato di uno dei soliti supplenti che, data la giovane età e l’inesperienza, non sarebbe riuscito a contenere gli schiamazzi dei suoi compagni, un tipo distratto, con i capelli spettinati e un paio di occhialetti a mezzaluna per completare il tutto, che sarebbe entrato agitato e perdendo fogli da tutte le parti. Mai e poi mai avrebbe immaginato quello che i suoi occhi videro entrare.

Si ritrovò a bocca aperta mentre un biondino mozzafiato poco più che ventenne faceva il suo ingresso in aula. Indossava un paio di pantaloni neri stretti abbinati alla cravatta precisamente annodata e una camicia bianca che metteva  in risalto un fisico perfetto, muscoloso al punto giusto. Ma la cosa che più colpì Strawberry furono i suoi occhi azzurri come il cielo e freddi come il ghiaccio, che le provocarono un brivido freddo lungo la schiena quando i loro sguardi si incrociarono. Ebbe l’impressione che il suo cuore battesse più forte, ma forse vaneggiava.
Lory le tirò una manica della divisa, attirando la sua attenzione e le sorrise divertita “Non ci credo, hai visto?!”
Oh sì, aveva visto decisamente. Osservò il nuovo professore affiancare il preside, appoggiare l’elegante valigetta sulla cattedra e poi lanciare uno sguardo rapido alla classe.
“Buongiorno” cominciò. Ha una voce meravigliosa, pensò Strawberry e a quanto pare nessuna delle sue compagne era in disaccordo. Erano tutte concentrate sul ragazzo come se fossero attirate da una calamita.
“Il mio nome è Ryan Shirogane, ho ventun anni e per quest’anno sarò il vostro insegnante di Fisica.” Era giovanissimo, allora! Com’era possibile che fosse già un professore a quell’età? A guardarlo, Strawberry faceva davvero fatica a considerarlo un suo insegnante, lo vedeva più semplicemente come un ragazzo poco più grande con cui sarebbe stata felice di intrattenersi se l’avesse incontrato per strada. Al tempo stesso, però, sembrava perfettamente in grado di farsi rispettare, forse per via di quell’aura misteriosa o del fascino che nasceva dalla sua espressione seria. Fatto sta che nessuno ancora aveva fiatato e la cosa era alquanto incredibile.
L’intera classe si aspettava forse un continuo che non arrivò e il preside si congedò, lasciando la situazione in mano al nuovo arrivato. Quest’ultimo estrasse un enorme libro dalla valigetta e gli alunni capirono che non avrebbe aggiunto altro per placare la loro curiosità. Strawberry lo fissava rapita mentre dava delucidazioni sul programma che avrebbero seguito nel corso dell’anno e sorrise tra sé e sé pensando che già aveva imparato una cosa sull’affascinante professore: non era un tipo di molte parole.







* in Giappone, le scuole superiori durano tre anni.

Ciao a tutti! Eccomi qua con una fiction a più capitoli. Non so come mi sia uscita quest'idea di far diventare il nostro Ryan un professore e Strawberry sua allieva, ma in un attimo mi sono immaginata tutta la storia ed ecco qua pronto e sfornato il primo capitolo! Ho in testa tutta una serie di scene imbarazzanti, cattive e divertenti da far vivere alla mia coppia preferita, eheh! E non è detto che finiscano insieme, chissà! :) Spero vi abbia incuriosito un po' e che mi seguiate,
alla prossima! :D

Comet91

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Capitolo 2
*** Il nuovo professore ***





Capitolo 2 – Il nuovo professore
 




Ryan Shirogane era stato considerato un piccolo genio fin da bambino. Figlio di un ricco imprenditore, aveva terminato le scuole all’età di quindici anni con il massimo dei voti e si era iscritto all’università dove, in tempo record, aveva brillantemente conseguito le lauree in fisica e ingegneria genetica. Dotato di un quoziente intellettivo ben superiore alla media, era divenuto vicepresidente nel gruppo industriale guidato dal padre e qualche anno dopo aveva avviato un progetto di ricerca sul DNA in cui erano stati coinvolti i maggiori esperti nel settore.
Sì, Ryan Shirogane era decisamente un genio e non aveva molto tempo libero da dedicare ad altro. Per questo gli era giunta inaspettata la proposta del vecchio amico di suo padre di insegnare fisica nella sua scuola, per sostituire una professoressa in congedo maternità.
Piuttosto scettico all’inizio, aveva finito con l’accettare in nome dei tanti anni d’amicizia che legavano il preside dell’istituto ai suoi genitori, ma era tutt’altro che entusiasta della nuova esperienza. Una cosa di cui Ryan era sicuramente consapevole era l’avere un certo ascendente sulle donne e l’idea di essere infastidito da una miriade di adolescenti adoranti non lo allettava per niente.
Aprì il libro di testo, un enorme volume pieno zeppo di numeri, e alzò lo sguardo sulla classe iniziando a parlare. Passò in rassegna i volti degli studenti, ragazze per la maggior parte, e si soffermò su una ragazzina dai capelli rossi raccolti in due infantili codini intenta a scarabocchiare. Sbuffò dentro di sé e si alzò, camminando lentamente in sua direzione.
Sentiva gli sguardi della classe puntati addosso, ma non vi diede peso. Per quanto ci fosse abituato, Ryan detestava essere al centro dell’attenzione. Non era mai stato bravo nei rapporti interpersonali e preferiva la compagnia di computer e strumenti di laboratorio piuttosto che quella delle persone.
“Ehi tu..” disse, con grande tranquillità. La ragazza non diede cenno di averlo sentito e la cosa gli provocò non poco fastidio. “Signorina” aggiunse, abbassandosi e sollevandole il mento con un dito.
Nel momento in cui incontrò i suoi occhi, qualcosa nel suo cuore si smosse, ma fu un attimo, poi Ryan recuperò la sua abituale calma. Lei, colta di sorpresa, arrossì di botto e si alzò così in fretta che la sedia cadde all’indietro, provocando risatine divertite tra i suoi compagni.
“Silenzio” esclamò il giovane e la classe ubbidì all’istante. Ecco, Ryan non era molto bravo nell’intrattenere una chiacchierata o far ridere, ma sapeva intimorire le persone e controllarle. Questo gli riusciva bene.
“Come ti chiami?” aggiunse, tornando a guardare la ragazza. Il suo viso aveva assunto un’innaturale tinta scarlatta molto simile a quella dei capelli e teneva gli occhi bassi.
“Momomiya. Strawberry Momomiya” mormorò, imbarazzata. Ryan dovette trattenere una risata nel sentire quel nome estremamente buffo, ma pensò che le calzasse a pennello visto il colorito delle sue guance in quel momento.
“Bene, Momomiya. Sappi che non amo essere ignorato quando parlo. Mi sono spiegato?” le disse, lanciandole uno sguardo gelido.
“S-sì, professore” fu la sua replica. Ryan non rispose e tornò alla cattedra, ordinando di andare al primo capitolo del libro. Strawberry si risedette e, umiliata, non pronunciò più una parola fino alla fine della lezione.
 
 
Al suono della campanella, Shirogane salutò gli studenti senza lasciare compiti e abbandonò l’aula. Strawberry non lo seguì con lo sguardo come fecero le sue compagne, si vergognava troppo. L’aveva messa in imbarazzo davanti a tutti senza che avesse fatto nulla di male e, in altre circostanze, se lui non fosse stato un professore, gliene avrebbe dette quattro.
“Strawberry, tutto bene?” le domandò Lory, posandole gentilmente una mano sulla spalla.
“Sì, ma quello Shirogane è un vero stronzo” ribatté lei, serrando i pugni. E lei come una stupida si era subito persa in chissà quali fantasie quando lui era entrato. Era bellissimo, certo, ma tutt’altro che simpatico.
“Hai ragione, non è stato molto carino il suo comportamento. Ma forse era solo nervoso, è il primo giorno d’altronde”
“Può darsi…”
“Comunque non so come sia possibile che alla sua età insegni già. Insomma, ha appena tre anni più di noi” commentò Lory, pensierosa.
Strawberry alzò le spalle, infastidita. Tutta la sua curiosità nei confronti del giovane professore era svanita, sostituita dalla rabbia. Non glie ne importava un bel niente di quello, non voleva averci niente a che fare. Facile a dirsi, avrebbe dovuto farci i conti per un anno intero. La professoressa Amamiya non le sembrava più così male in quel momento.
“Oh, a proposito.. prima è venuto a cercarti Mark”
“Mark?!” Strawberry sussultò nell’udire quel nome e guardò l’amica incredula.
“Sì, ma tu non eri ancora arrivata. Mi spiace, mi sono dimenticata di dirtelo prima” le spiegò Lory, facendole un segno di scuse con la mano, mentre sul suo volto appariva un’espressione mortificata.
“Ma no, non c’è bisogno che ti scusi, Lory.. anzi, grazie!” sorrise e corse fuori dall’aula.
Lui l’aveva cercata, non ci poteva credere.
Raggiunse la sua classe e si affacciò con il fiatone. Mark era in piedi vicino alla finestra, circondato da un gruppo di ragazze agguerrite con la gonna troppo corta. Provò una fitta di gelosia mentre si avvicinava timorosa.
“Mark?” mormorò, cercando di far breccia nel muro di persone che si stagliava fra loro.
“Strawberry!” esclamò lui, sorpreso di vederla. Uscirono dall’aula e la ragazza si appoggiò al muro, mentre le gambe le tremavano.
Parlare con Mark le faceva sempre quell’effetto. Si perse ad osservare i suoi lucenti capelli neri e gli occhi scuri e si sentì in un altro mondo: poteva esistere tanta bellezza tutta assieme?
“Mi hanno detto che mi cercavi…” disse, quando si fu ripresa.
“Oh sì. Volevo darti questa. I tuoi genitori non vedevano l’ora di avere le foto della gita” frugò nella tasca dei pantaloni e ne estrasse una chiavetta.
“Ah, ma non c’era fretta… ti ringrazio comunque”
I genitori di Strawberry e quelli di Mark erano molto amici e spesso capitava che si trovassero per cenare insieme o che organizzassero delle gite. L’ultima di queste li aveva portati ad Osaka e Shintaro e Sakura erano impazienti come due adolescenti di vedere le fotografie scattate dal padre di Mark. Strawberry sospirò per la stranezza dei suoi genitori e poi sorrise al ragazzo.
Quanto le piaceva. Certo, essere innamorata di lui da almeno sei anni e non averglielo ancora rivelato era un bel record. Ma, d’altronde, era una ritardataria nata.
Non si rese conto che teneva ancora la mano nella sua per prendere la chiavetta, finchè il suono insistente della campanella non la destò.
“Momomiya, che ci fai in giro?” Strawberry si voltò di scatto, colta alla sprovvista dalla freddezza di quella voce e si trovò a pochi centimetri da uno Shirogane tremendamente serio.
“P-professore.. stavo…”
“Flirtando con il tuo ragazzo, a quanto vedo” concluse lui, portandola ad arrossire all’inverosimile.
“N-no, no, no! Non è il mio ragazzo! Noi non..” Il giovane professore la interruppe nuovamente e lei dovette reprimere un moto d’ira. L’avrebbe preso a sberle se avesse potuto.
“Ti ricordo che siamo a scuola e, visti i tuoi voti dell’anno scorso, dovresti pensare un po’ di più allo studio invece di dedicarti ad altro. Fila in classe ora” le ordinò glaciale.
Strawberry si bloccò di colpo e sentì gli occhi bruciare.
No, non avrebbe pianto, neanche morta. Si sentì ferita dalle sue parole, che ne sapeva quello lì di lei? Perché le parlava così? Abbassò il capo e corse via, senza dire nulla.
 
 
Al termine delle lezioni era letteralmente a pezzi, e dire che era solo il primo giorno di scuola.
Si preannunciava un anno faticoso, senza contare che avrebbe dovuto sostenere gli esami per conseguire il diploma. Sospirò abbattuta e decise di aver bisogno di un dolcetto preparato da Kyle per tirarsi su.
Quando arrivò alla pasticceria però trovò l’amico indaffarato a servire più clienti del solito. Peccato, non sarebbe riuscita a parlare un po’ con lui e sentiva che sarebbe esplosa se non si fosse sfogata al più presto con qualcuno.
L’espressione sul suo viso doveva essere molto eloquente perché, senza che gli dicesse nulla, il pasticcere le si avvicinò e le disse di accomodarsi pure al bancone. “Sarò da te il prima possibile” aggiunse facendole l’occhiolino, per poi far passare un vassoio carico di cannoncini sopra la sua testa e sparire tra i tavoli occupati.
Strawberry ci mise poco per capire che il “prima possibile” di Kyle sarebbe stato piuttosto in là. I clienti continuavano ad aumentare e non appena un tavolo si svuotava c’era già qualcun altro pronto a prendere posto e ordinare tè e pasticcini.
Erano passate due ore abbondanti quando il ragazzo finalmente poté fermarsi un attimo e dedicarle qualche minuto.
“Scusami, purtroppo il lunedì è così” disse, sedendosi sullo sgabello accanto a lei.
“Kyle, in realtà è sempre così. Il tuo locale va alla grande” replicò, invitandolo a non fare il modesto.
“Non credevo che le donne andassero così pazze per i dolci…”
“Sono più interessate a te che ai dolci, secondo me” rise lei, facendolo arrossire.
Kyle era molto cordiale con i clienti e aveva quell’aria da bravo ragazzo che alle donne in genere piace. Somigliava a Mark per certi aspetti. E dai discorsi che aveva origliato nell’ultimo periodo, Strawberry sapeva per certo che le ragazze entravano nel locale attirate tanto dai pasticcini quanto dal proprietario.
“Cambiamo discorso” ribatté il ragazzo, evidentemente in imbarazzo. “Cosa ti è successo? Sei entrata con un’espressione triste…”
Al solo ripensare a quell’odioso di Shirogane, Strawberry si sentì ribollire di rabbia. Stava per raccontare tutto a Kyle e liberarsi finalmente del nervoso accumulato, quando una nuova ondata di clienti invase la pasticceria.
“Ah, scusami. Mi dispiace, cerco di sbrigarmela il più in fretta possibile” le disse, con un sorriso di scuse.
“Non preoccuparti…  è il tuo lavoro, non voglio disturbarti”
Rimasta nuovamente sola, Strawberry si lasciò cadere con la testa sul bancone, sospirando sonoramente.
Non sapeva di preciso da quanto tempo stesse aspettando, ma a un certo la stanchezza di quel primo giorno di scuola cominciò a sopraffarla e le palpebre si fecero di colpo pesanti. Mentre l’immagine del nuovo insopportabile professore si faceva più sfocata nella sua mente, lasciò che Morfeo l’accogliesse tra le sue braccia.
 

L’acchiappasogni con le campanelle appeso sopra la porta tintinnò quando questa si aprì, ma Strawberry non se ne accorse. Kyle si voltò in direzione del nuovo cliente e la sua bocca si curvò in un sorriso, mentre l’altro muoveva il capo in un impercettibile saluto. Si sedette al bancone dove, proprio accanto a lui, una ragazza dall’aria familiare era beatamente immersa nel mondo dei sogni.







Ciaooo! :)
Che dire.. questo secondo capitolo poteva venirmi meglio, ma mi serviva piu che altro come introduzione (tra le altre cose, anche dell'amatissimo Mark che, ai fini della storia, mi sara' molto utile!). Dal prossimo capitolo entreremo nel vivo del racconto e inizierà ad esserci un rapporto tra Ryan e Strawberry... ma su che base? Ehehe vedrete
A presto! :D

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Capitolo 3
*** Corso di recupero ***




Capitolo 3 – Corso di recupero




 
Un leggero ma pungente profumo raggiunse il naso di Strawberry, destandola dal suo sonno.
Che buon odore!, pensò, mentre una strana sensazione si impadroniva di lei. Si sentiva come se cento persone tutte assieme la stessero osservando e non era  affatto piacevole. Controvoglia, si costrinse ad aprire piano gli occhi e avvertì il contatto della sua testa con il legno.
Ma non era nel suo letto? Strizzò le palpebre, cercando di mettere a fuoco l’immagine di una persona davanti a sé.
Le stava vicino. Troppo vicino.
La guardò meglio e solo allora realizzò. La sua testa sembrò andare per un attimo in cortocircuito e urlò, presa dall’agitazione, finendo per cadere dallo sgabello traballante. Si aspettava di sentire il tonfo del suo corpo sul pavimento seguito da un lancinante dolore alla nuca, ma non accade nulla.
Qualcuno l’aveva afferrata.
“Ma che fai?” Ryan la teneva per un braccio e la guardava quasi divertito.
“Che ci fai tu qui?!” esclamò, colta di sorpresa. Poi si rese conto che quello che aveva davanti era il suo professore e che era stata piuttosto scortese. La odiava già abbastanza, non c’era bisogno che peggiorasse la situazione ulteriormente. “M-mi scusi! Mi ha spaventato” buttò lì, mettendosi in piedi.
Si massaggiò la guancia intorpidita a causa del contatto prolungato con il legno duro del bancone e azzardò un’occhiata al ragazzo.
“Buon pomeriggio anche a te, Momomiya” fece lui sarcastico, accomodandosi sullo sgabello e dandole le spalle. “Kyle, mi faresti un altro caffè?”
“Non ti fa male troppa caffeina?” il pasticcere se ne stava tranquillamente in piedi di fronte a Ryan e sorrideva, come suo solito.
“No, mi aspetta una lunga notte in bianco. Ne ho bisogno”
“Vuoi anche una fetta di torta?”
“Sai che non mi piacciono i dolci” ribatté Shirogane, guardandolo di sbieco.
“Non cambierai mai” concluse l’altro, mentre armeggiava con la macchina del caffè.
Strawberry era sconvolta. Sembrava che quei due si conoscessero fin troppo bene. Spostò lo sguardo da uno all’altro, sperando di trovarsi in un incubo: la pasticceria era il suo rifugio e non voleva condividerlo con quel biondino arrogante.
Sussultò quando lui si voltò a guardarla. Che vuole adesso?
Tu prendi qualcosa?”
Le ci volle qualche secondo per elaborare la frase, poi mormorò un “no, grazie” poco convinto.
“Ehm... voi... vi conoscete?” domandò, rivolta più a Kyle che al biondo. Le metteva una certa soggezione ed era ancora tremendamente arrabbiata per come l’aveva trattata la mattina.
“Certo, siamo amici da… direi da una vita”
“Ecco come facevi a sapere già tutto...” borbottò lei.
“Già. Oh, scusatemi, devo tornare al lavoro” Kyle posò davanti a Ryan il suo caffè e si allontanò, lasciando i due ragazzi in un silenzio carico d’imbarazzo, almeno per Strawberry.
“Hai intenzione di stare in piedi tutto il tempo?” Shirogane indicò lo sgabello accanto al suo e lei, quasi automaticamente, si sedette.
“ Momomiya dovresti essere a casa a studiare”
Strawberry lo guardò accigliata. Pensava forse di farle da baby-sitter per il resto dell’anno?
“Professore, è solo il primo giorno. Non ho ancora nulla da studiare”
“Questo lo dici tu” replicò lui, impassibile. Lo vide posare la tazzina di caffè e cercare qualcosa nella valigetta sotto il suo sguardo curioso. “Tieni” le porse quelli che dovevano essere almeno una cinquantina di fogli, pinzati nell’angolo in alto.
“Cosa sono?” aveva un brutto presentimento al riguardo, visto che con la coda dell’occhio era riuscita a leggere la parola FISICA.
“Il tuo corso di recupero”
“Che cosa?!” se c’era una cosa che Strawberry poteva dire di odiare erano i corsi di recupero. Ogni anno si ripeteva la stessa storia: andava male in fisica e matematica, la sua pagella immacolata veniva rovinata da due insufficienze, i suoi genitori la sgridavano e puntualmente si trovava a frequentare quegli stupidi corsi.
“Ho dato un’occhiata all’andamento della classe nello scorso anno. Sei l’unica ad aver avuto un’insufficienza grave nella mia materia” spiegò il professore, fissandola intensamente con i suoi occhi azzurri.
“Sì, ma non capisco…”
“Il programma che seguiremo è strettamente legato a quello che avete fatto con la professoressa Amamiya e dai miei studenti non tollero voti sotto la sufficienza”
Strawberry continuava a non capire dove volesse arrivare.
“Momomiya, per stare al passo con la classe ti serve un ripasso di tutte le nozioni che non hai acquisito l’anno precedente. Quei fogli sono pieni di esercizi che dovrai fare e consegnarmi entro un mese per dimostrarmi di esserti messa in pari”
La ragazza sgranò gli occhi, incredula. Un mese? Non le sarebbe bastata tutta l’eternità per studiare quello che non aveva capito della fisica fino a quel momento. Shirogane sorrise compiaciuto. Si stava divertendo? Lei proprio no. Di nuovo sentì montare la rabbia e cercò davvero di trattenerla, ma i suoi sforzi furono vani. Le parole le uscirono di bocca come un fiume in piena, inarrestabili.
“M-ma... si può sapere cosa le ho fatto per avercela tanto con me?! Insomma, è la prima volta che mi vede e si comporta come se fossi la peggiore delle studentesse! Se ho quei voti nella sua materia è perché faccio davvero fatica a capirla, non perché non ho voglia di studiare! E trattandomi così lei non mi è di nessun aiuto, ma chi si crede di essere?!” sbottò furiosa, ma subito se ne pentì.
Ahia. Ora sì che ti odierà a morte, complimenti Strawberry!
Shirogane la guardava perplesso, ma non sembrava arrabbiato. Anzi, contro ogni aspettativa, scoppiò in una fragorosa risata. Lei rimase ferma davanti a lui con i pugni serrati ancora tremanti per la rabbia e si sentì immensamente stupida.
Non sapendo cos’altro fare, afferrò la borsa e i fogli che gli aveva dato e si precipitò fuori dal locale mormorando un “arrivederci”.
Ryan sospirò, scuotendo il capo. Quella ragazza era decisamente strana.
“Ryan, che le hai fatto?” Kyle si era avvicinato con aria contrariata, rivolgendogli uno sguardo accusatore.
“Le ho solo dato un po’ di compiti” replicò infastidito il biondo.
“Conoscendoti sarai stato troppo brusco e l’avrai offesa in qualche modo”
Colpito e affondato. Ma era il suo modo di fare, non poteva farci nulla. Non era bravo con le persone.
“Non giudicarla male solo per i suoi voti scolastici. E poi le lezioni sono iniziate solo oggi”
“Io non giudico nessuno!” si difese, ma notando il sopracciglio alzato dell’amico lasciò perdere. Si alzò e fece per andarsene.
“Strawberry è una brava ragazza e se provassi a conoscerla potresti anche scoprire che è il tuo tipo” buttò lì Kyle come se niente fosse, mentre lavava dei bicchieri. Ryan si irrigidì e arrossì, cosa strana per lui.
“Sto solo facendo un favore a un amico, non mi interessano queste sciocchezze. Senza contare che sono un professore adesso e se non ricordo male il regolamento scolastico a proposito delle relazioni con le studentesse dice qualcosa del tipo... proibite
“Vedremo…” rispose Kyle sorridendo, e Ryan si domandò se l’amico non avesse già in serbo qualcosa. Rabbrividì. Poteva aspettarselo da lui, dopotutto.
 
 
Un mese. Strawberry aveva un solo stupido mese per riempire quella montagna di fogli con numeri e formule di cui non capiva nulla.
Dopo la sfuriata in pasticceria aveva pensato di scusarsi con il professore prima che le cose precipitassero, ma era già passata una settimana e non aveva ancora risolto la questione. Shirogane dal canto suo non le aveva detto nulla e così lei si era cullata nella speranza che avesse battuto la testa e non ricordasse le sue parole.
In realtà non aveva nessuna voglia di chiedergli scusa e pensava davvero quello che aveva detto. Poi una mattina le venne l’idea: si sarebbe impegnata il più possibile per finire gli esercizi prima della scadenza e sorprenderlo, così avrebbe capito che non era una scansafatiche e le avrebbe fatto le sue scuse per averla giudicata male. Gli avrebbe reso pan per focaccia, perfetto!
“Strawberry, mi spiace dirtelo, ma è un’assurdità” Lory aveva immediatamente smorzato il suo entusiasmo. “Insomma, non per offenderti, ma quegli esercizi sembrano davvero difficili e un mese non basterebbe nemmeno a un genio della fisica per farli”
A pensarci, non aveva tutti i torti. E un’incapace come lei avrebbe avuto bisogno di un’infinità di tempo solo per poter leggere il testo di un esercizio e capirlo, figuriamoci per eseguirlo. E così la sua idea geniale era stata scartata.
Ne aveva parlato con Kyle e lui le aveva proposto un’altra soluzione: chiedere aiuto a Shirogane.
“Neanche morta!” aveva esclamato Strawberry, facendo voltare i pochi clienti rimasti prima della chiusura.
“Sii ragionevole. Da sola non puoi farli, giusto?”
“Giusto”
“Mark non ha fisica nel suo indirizzo di studio, quindi non può esserti utile”
“Sì” Ma Mark è utile sempre e comunque, aggiunse mentalmente.
“E la tua amica Lory ti ha aiutato a farne alcuni, ma gli altri sono troppo difficili anche per lei”
“Esatto”
“Quindi se vai dal tuo professore e gli chiedi una mano dimostrerai interesse per la materia e sarà un bel punto a tuo favore. E poi chi meglio del tuo insegnante può aiutarti a metterti in pari con lo studio?”
Il ragionamento di Kyle non faceva una piega e lei non aveva saputo replicare, ma fosse cascato il mondo non avrebbe chiesto a Shirogane di darle ripetizioni. Se avesse voluto davvero aiutarla l’avrebbe fatto fin da subito anziché riempirla di compiti impossibili.
 
 
Aprile non era solo il mese in cui iniziava l’anno scolastico. Era anche e soprattutto sinonimo di fioritura dei ciliegi e Strawberry amava tutto quel rosa invadere le strade della città, colorandole di una delicatezza fuori dal comune.
“Strawberry, tutto bene?” Mark la guardava perplesso e lei non poté impedirsi di arrossire.
“Sì, sì, benissimo!” esclamò, aprendosi in uno di quei raggianti sorrisi che riservava solo a lui. Era distratta ultimamente, tutta colpa di quell’odioso professore. Ma, in quel momento, i suoi pensieri erano totalmente e inequivocabilmente rivolti a Mark.
Quando lui le aveva chiesto una mano a ripulire il cortile della scuola ci era rimasta un po’ male, avrebbe preferito di gran lunga un appuntamento romantico al parco o al cinema ma, dopotutto, l’importante era stare in sua compagnia. Prese a riunire delle foglie sparse qua e là, mentre un’idea fissa le martellava nella testa.
Guardò il ragazzo che diligentemente gettava nel sacco della spazzatura delle lattine vuote e sentì il cuore accelerare il battito.
Ora o mai più, si disse.
“Mark...” mormorò convinta. Lui sollevò la testa e le si avvicinò di qualche passo, abbastanza perché lei potesse sentire il suo dolce profumo. Le girò la testa.
“Ehm, volevo dirti…” la sua certezza cominciava a vacillare adesso che erano così vicini, ma doveva convincersi a chiederglielo. Un’uscita, Strawberry. Solo una stupida uscita, dai. Siete amici, non c’è nulla di strano. “Domenica c’è... una festa, per la fioritura dei ciliegi...” le sembrava di avere la lingua bloccata, doveva apparire davvero scema ai suoi occhi, in quel momento.
“Oh, è vero! Ne ho sentito parlare anche io. Perché non ci andiamo?” la precedette. Strawberry lo guardò stupita ed ebbe bisogno di qualche secondo per capire. Le aveva chiesto di uscire? Quella consapevolezza la colpì con forza, facendola traboccare di felicità.
“Sì!” esclamò, forse con troppa veemenza. “Cioè, volentieri. Mi piacerebbe andarci... con te”
Mark sembrò non fare caso all’ultima parte della frase e si limitò a sorriderle.
“Perfetto! Scommetto che muori dalla voglia di vedere i ciliegi in fiori” le accarezzò la testa con un gesto inaspettato, provocando un’altra ondata di rossore sulle guance della ragazza. “Dai, al lavoro adesso”.
“Al lavoro!” ribadì, piena di energia. Era sempre uscita con Mark, ma in veste d’amica. In fondo, si conoscevano da un’eternità ed era diventato normale fare molte cose insieme o cercarsi. Si chiedeva spesso se per il ragazzo questo significasse semplicemente avere accanto una cara vecchia amica o se dietro si nascondesse qualcosa di più, ma era troppo codarda per indagare oltre.
Intanto sarebbe andata a quella meravigliosa festa con lui: l’atmosfera magica creata dalla fioritura dei ciliegi le avrebbe fornito l’occasione giusta per parlargli. Questa volta sentiva che sarebbe stato diverso, la paura non l’avrebbe fermata. O, perlomeno, se lo augurava.
 
 
La gioia per l’imminente appuntamento con Mark fu ben presto sostituita da un altro pensiero. Si sdraiò sul letto, disperata. Bene, le rimanevano venti giorni ed era ancora al punto di partenza.
Però se gli chiedessi aiuto… scosse il capo con forza, cercando di togliersi quell’idea dalla testa. No, no e no.
Ma alla fine convenne di non avere altra scelta. Abbattuta, si sistemò la divisa e uscì di casa, cercando di formulare nella mente un discorso decente da fargli.
Appena arrivata a scuola, si recò in sala professori con la segreta speranza di non trovarlo. Ma Shirogane era già lì, solo.
“Professore?”
Il giovane alzò immediatamente lo sguardo e le fece segno di entrare.
“Come siamo mattiniere, Momomiya”
“Avevo bisogno di parlarle” mormorò, mentre il suo orgoglio le intimava di fermarsi. Si sarebbe umiliata gratuitamente, già lo sapeva. E lui ne avrebbe goduto.
“Dimmi” rispose lui distrattamente, mentre compilava dei moduli.
“Ecco, io…” dillo, muoviti! “a proposito dei compiti che mi ha dato…”
“Li hai finiti?”
“No, è proprio per questo che sono qui” era agitata, sentiva la gola secca e non vedeva l’ora di uscire da lì.
“Hai perso i fogli?”
“N-no, ma...” Ma perché continua a interrompermi?! Avrebbe voluto dirlo, ma decise che non era proprio il caso di accumulare un altro punto a suo sfavore.
“Ma?” insistette il ragazzo, vedendo che lei non continuava.
“Volevochiederlediaiutarmiafaregliesercizi!” esclamò tutto d’un fiato. Aveva parlato troppo in fretta, che scema. Adesso le toccava ripeterlo un’altra volta, doppia presa in giro. Stupida, stupida, stupi-!
“D’accordo”
Strawberry sgranò gli occhi, pensando che lui non avesse capito qual era la richiesta. “Come?”
“Mi hai chiesto una mano. Va bene” specificò Ryan, ancora chino sul suo lavoro.
“Sul serio?” non si aspettava collaborazione da parte sua. Era convinta che l’avrebbe cacciata fuori deridendola per la sua incapacità o che l’avrebbe sgridata. Tutto ma non un sì.
“Sul serio. Sono il tuo professore, è mio compito accertarmi che tu apprenda qualcosa” 
Rimase senza parole, lì impalata a fissarlo. Aveva un bel viso. Da vicino era ancora più bello.
“Domani, alle quattro” aggiunse lui. Si alzò, porgendole un foglietto. “Ti ho scritto il mio indirizzo. Porta i libri dell’anno scorso e i fogli che ti ho dato”.
La ragazza afferrò il pezzo di carta e lo ringraziò.
“Su, vai in classe adesso. Io arrivo tra poco” il suo tono di voce era così caldo che Strawberry avrebbe voluto non smettesse di parlare. Shirogane le mise una mano sulla schiena e le diede una leggera spinta per farla uscire dall’aula. Arrossendo e senza voltarsi, corse via. Sentiva un gran caldo nel punto in cui lui l’aveva toccata.









Ed eccovi qua il terzo capitolo :) spero vi sia piaciuto, nonostante la piccola (ma ingombrante) parte occupata da Mark xD
Posso solo anticipare che nel prossimo capitolo avremo qualche rivelazione su Ryan ;)
Un bacio e grazie a tutte le persone che hanno recensito finora! A prestooo!

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Capitolo 4
*** First lesson ***




Capitolo 4 – First lesson



 
La luce filtrava appena attraverso le tapparelle, illuminando nella penombra la stanza. Ryan si rigirò nel letto, sbuffando. Non aveva chiuso occhio quella notte e, come spesso accadeva da ormai due anni, i suoi pensieri avevano vagato riportandolo a giorni addietro. Ogni volta che succedeva, il suo cuore anestetizzato cominciava a dolere. Spazientito, si tirò su di scatto, gettando di lato il copriletto. Lo sguardo cadde inevitabilmente sulla fotografia appoggiata sul comodino. Una ragazza dai lunghi capelli rosa sorrideva. Un sorriso dolce, ma per lui straziante. Prese l’immagine e la mise nel cassetto senza soffermarsi a ragionare, poi lo richiuse rapidamente. Così andava meglio, sentiva il peso sul cuore alleggerirsi un poco.
Si alzò e andò a farsi una doccia. Mentre le gocce scivolavano veloci sul suo corpo, si ricordò del mare di impegni che avrebbe dovuto affrontare in quella giornata: l’azienda di suo padre, innanzitutto. Avrebbe fatto un salto per controllare alcuni conti, prima di andare a scuola. Non avrebbe avuto lezione prima delle undici, quindi c’erano buone probabilità che potesse fermarsi anche da Kyle. Poi c’era il suo progetto di ricerca. Non si faceva vedere da qualche giorno e, dal laboratorio, gli avevano lasciato un’infinità di messaggi. Sembrava proprio che senza di lui non riuscissero a cavarsela. E infine c’era Momomiya con le sue ripetizioni. Si diede dello stupido per aver accettato di aiutarla, visto quanto era impegnato, ma quella ragazzina gli era sembrata così persa e imbarazzata quando gli aveva chiesto una mano, che non aveva saputo dirle di no. Non era da lui. Ma dopotutto non pensava che sarebbe stato impegnativo insegnarle qualche nozione di fisica.
Quando più tardi arrivò al locale di Kyle, si sentiva già stremato. Ed erano solo le dieci.
“Ryan, che brutta faccia” esordì l’amico, non appena lo vide.
“Oh, ti ringrazio” ribatté, sarcastico. Si sedette e appoggiò i gomiti sul tavolo, prendendo il viso tra le mani.
“Non hai dormito, vero?” Kyle lo raggiunse e si accomodò di fronte a lui, con espressione preoccupata.
“Non molto” sbadigliò. “Ok, per niente”
“Non puoi andare avanti così”
Oh no. Sapeva già dove voleva andare a parare, ma non gliel’avrebbe permesso.
“Non ho intenzione di parlarne, ti avviso” disse, perentorio. L’amico capì, così lasciò cadere il discorso e lui glie ne fu grato.
“Allora, Strawberry mi ha detto che hai accettato di darle ripetizioni”
“Parli molto con lei” constatò, inclinando la testa di lato. Kyle si alzò e si diresse verso la macchina del caffè.
“Sì, viene spesso qui. Quasi ogni giorno”
“Cosa sei, una specie di baby-sitter?”
“Non proprio” rise e gli porse una tazza fumante, che lui accettò volentieri. “Credo che lei mi consideri più come un fratello maggiore”
Il biondo sussultò a quelle parole, rischiando di rovesciarsi addosso il caffè. Kyle lo notò, ma non disse nulla. Dopotutto, era stato proprio Ryan a chiedergli espressamente di non parlare di “quella questione”. Eppure era convinto che ne avesse un gran bisogno, ma non aveva ancora trovato il coraggio di ammetterlo o forse, più semplicemente, la persona giusta con cui sfogarsi.
“Strawberry si sente un po’ sola a volte, o almeno questo è quello che ho pensato io. Ha un’unica amica”
“La Midorikawa?” domandò Ryan, pensando alla silenziosa ragazza dai capelli verdi che in classe sedeva accanto alla rossa.
“Sì, Lory. Ogni tanto vengono qua insieme, ma lei passa la maggior parte del tempo a studiare. La sua famiglia si aspetta molto da parte sua e quindi sta facendo del suo meglio per essere ammessa a una prestigiosa università. Di conseguenza, Strawberry resta spesso sola. Certo, c’è Mark, ma non è la stessa cosa”  spiegò.
“E non ha altre amiche?” Ryan si stupì nel sentire la propria voce. Non si era nemmeno reso conto di aver parlato e arrossì involontariamente, cosa che all’amico non sfuggì.
“Come siamo curiosi. Come mai tanto interesse?” chiese, malizioso.
“Non fare quella faccia, mi sto solo informando su una mia studentessa disastrata” puntualizzò Ryan, punto nel vivo. Quando faceva così, Kyle era davvero insopportabile.
“Tieni” alzò la testa e vide che il moro gli stava allungando un sacchettino. “Due fette di crostata alle fragole”
Scrollò le spalle, senza comprendere. “E cosa dovrei farci? Lo sai che…”
“Non ti piacciono i dolci, lo so. Infatti non sono per te. Strawberry ama le crostate e non riesce a studiare se non mette qualcosa sotto i denti. Conoscendoti, dubito che nel tuo frigorifero ci sia qualcosa da offrirle”
“Ma io non devo offrirle proprio niente. E’ già tanto che perdo tempo a darle ripetizioni”
“Non fare tanto il duro. Dille che sono da parte mia” insistette l’amico, costringendolo a prendere il sacchetto tra le mani. Ryan sospirò, scuotendo il capo. Il solito Kyle. Pensava sempre a tutto.
 
 
Strawberry era agitata. Anzi, la parola giusta era terrorizzata. E non sapeva nemmeno bene il perché. In fondo, si trattava semplicemente di andare a casa del suo insegnante e ascoltare qualche noiosa nozione di fisica. Il fatto è che non era ancora riuscita a inquadrarlo. Era un professore e fin qui tutto ok, ma era anche giovane e bellissimo e l’idea di passare il pomeriggio in sua compagnia le metteva addosso una certa ansia. Fino a quel momento si era mostrato piuttosto astioso nei suoi confronti e così Strawberry non sapeva davvero come comportarsi. Non era certa che lui avesse scordato la sua bella figura alla pasticceria di Kyle, senza contare che poi se l’era data a gambe. E se avesse voluto fargliela pagare?
Scosse il capo con forza, cercando di ridimensionare la situazione: stava andando a fare ripetizioni, non in guerra. Doveva darsi una calmata.
Eppure, quando si ritrovò davanti a casa del ragazzo esitò parecchi minuti prima di decidersi a suonare il campanello. Ricontrollò l’indirizzo scritto sul foglietto e constatò che era giusto. La casa di Shirogane era proprio quella. Una villetta su due piani decisamente grande per un ragazzo della sua età, particolare e molto geometrica, pensò, come se un architetto l’avesse disegnata su misura.
Allora, vuoi darti una mossa?, pensò tra sé e sé. Strinse la presa sulla borsa che conteneva i libri e si decise a citofonare, proprio mentre la porta della casa si apriva. Curiosa, Strawberry sbirciò attraverso le sbarre del cancelletto e rimase senza parole. Quella che stava uscendo era una donna a dir poco fuori dal comune. I lunghi capelli biondi scendevano fino alla vita in una cascata di boccoli e il viso delicato e armonioso la faceva sembrare un’attrice d’altri tempi.
Quando si trovarono faccia a faccia la donna parve sorpresa, ma si ricompose immediatamente e le sorrise.
“Oh, good afternoon” esclamò, con un perfetto accento americano.
Strawberry rimase interdetta. Cos’aveva detto? Avrebbe fatto una delle sue solite figuracce, ma perché capitavano tutte a lei? Odiava l’inglese. Cominciò a sudare freddo.
“G-g-good… aftnun” abbozzò, arrossendo e mostrando un sorriso tirato. No, aveva sbagliato e la sua interlocutrice sembrava piuttosto divertita del suo errore. Cavoli!
“You’re so funny” le sorrise nuovamente e poi si allontanò a passo lento, oltrepassandola. Funny? La stava prendendo in giro, per caso? Che maleducata! Non era colpa sua se non capiva bene l’inglese!
Entrò dal cancello ancora aperto, percorrendo a passo svelto il vialetto fino alla porta. Irritata, imprecò e, senza pensarci, la aprì di slancio, mettendoci più forza di quanto avrebbe voluto. Chi cavolo era quella donna? Le venne in mente troppo tardi che non stava entrando in casa sua ma in quella del suo professore. Davvero troppo tardi.
Ryan se ne stava in piedi di fronte a lei e la fissava sorpreso. Ma non era questo il punto. O meglio, avrebbe potuto esserlo se avesse tralasciato il fatto che era a torso nudo e con un fisico pazzesco in bella mostra. Strawberry avvampò e non riuscì a spiccicare parola per qualche secondo.
“Momomiya. Sei in anticipo” constatò lui, impassibile. La ragazza si costrinse a staccare gli occhi dai suoi addominali e cercò di darsi un contegno. Accidenti a lui, era questo il modo di accoglierla?! Però, doveva ammetterlo, Shirogane era un gran figo. Si vergognò del suo stesso pensiero e cercò di focalizzare l’attenzione su un vaso alle spalle del ragazzo.
 “Momomiya?”
“Eh?” improvvisamente si rese conto della situazione in cui si trovava e, imbarazzata, portò le mani a coprirsi gli occhi. “M-ma professore! Le sembra il modo di presentarsi?!”
“Fino a prova contraria, sei entrata in casa mia senza suonare” ribatté lui. Non aveva tutti i torti, in effetti. “Aspettami pure in salotto. Mi vesto e arrivo” le indicò il divano e si avviò in direzione delle scale. Strawberry lo guardò salire al piano di sopra senza fiatare, a disagio. Notò che la casa era arredata con uno stile molto minimal ma moderno che le piaceva, anche se le pareva un po’ freddo. Si accomodò sul divano e cominciò a tirar fuori il materiale, posandolo sul tavolino che aveva di fronte.
Shirogane tornò dopo pochi minuti, con indosso una t-shirt che cancellava del tutto la sua aria da professore. Visto così, sembrava un normale ragazzo di vent’anni e Strawberry non si sentiva in soggezione quanto a scuola. Anzi, le piaceva.
“Allora, cominciamo” disse il biondo, prendendo posto accanto a lei. “Hai portato il libro dell’anno scorso?”
“Sì, sì. Eccolo qua” aveva pensato a tutto, così non avrebbe ricevuto alcun rimprovero. O quasi. Ryan prese  il volume e lo studiò per qualche secondo, rigirandolo tra le mani, poi alzò lo sguardo sulla sua allieva.
“Momomiya, è ridotto uno straccio!” esclamò indignato, indicando la copertina rovinata.
“Bè, perché l’ho usato molto!” era vero! Aveva provato a studiarci sopra, il fatto che poi non avesse capito nulla era un altro paio di maniche.
“Sì, si vede dai tuoi voti, tranquilla” un sorrisetto sarcastico comparve sul volto del giovane professore e Strawberry si morse la lingua per trattenere la rispostaccia che stava per dargli. Mise il broncio e fece finta di sfogliare le pagine di esercizi che gli erano stati assegnati.
“Direi che partiamo dalle basi. Ci soffermeremo essenzialmente sugli argomenti che ci saranno utili anche quest’anno. Prendi appunti, altrimenti non ricorderai nulla” la ragazza annuì e gli mostrò carta e penna, alzandoli a mezz’aria con un sorriso. Ryan sorrise e proseguì. “Bene. Innanzitutto, sai cos’è la fisica, vero?” Strawberry lo guardò inespressiva per qualche secondo. “Dunque… la fisica è… è… ehm… la fisica, no? Cioè…” disse, quasi senza accorgersi di aver pensato ad alta voce.
“Sarà molto più dura del previsto” sospirò lui, portando la mano sulla fronte. “Momomiya, mi stai dicendo che tu fino all’anno scorso hai studiato, si fa per dire, una materia senza neanche sapere cosa fosse?”
“N-non è colpa mia! Non me l’hanno mai spiegato” esclamò lei, sulla difensiva. Shirogane era insopportabile, si divertiva così tanto a farla sentire stupida?
“La fisica è la scienza che studia i fenomeni naturali, ossia tutti gli eventi che possono essere descritti, ovvero quantificati, attraverso grandezze fisiche opportune, al fine di stabilire principi e leggi che regolano le interazioni tra le grandezze stesse”
Strawberry si ritrovò a scrivere a gran velocità per poter stare al passo con le sue parole, ma notò che Ryan parlava più lentamente del normale per non metterla troppo in difficoltà.
Passarono la prima ora a fare un excursus storico della disciplina. Secondo il professore era essenziale che lei imparasse tutte quelle cose e la rossa, dal canto suo, non si lamentò neanche una volta. Anzi, ascoltare Shirogane era piacevole: parlava in termini semplici e lei non aveva problemi a capirlo. Il vero guaio era prestare attenzione alle sue parole senza soffermarsi sul suo viso da angelo o sulle sue spalle larghe e così Strawberry si era ritrovata più volte ad arrossire senza un motivo apparente ogni qualvolta i loro occhi entravano in contatto.
“Direi di fare una pausa” disse all’improvviso Shirogane. Strawberry alzò la testa e sorrise.
“Evviva!” le faceva male la mano per quanto aveva scritto. Gettò la penna sul tavolino e si stiracchiò, sbadigliando. A vederla così, il biondo non poté trattenere una risata.
“Che cosa c’è?” domandò lei, stizzita. Sarà perché non erano a scuola, ma si sentiva molto più libera di esprimersi nei suoi confronti.
“Come siamo suscettibili” replicò, mentre si alzava in piedi.
“Mi scusi” ok, non doveva essere troppo informale.E’ il tuo professore, non un tuo compagno di classe! E neanche un sexy insegnante privato, si ripeté mentalmente per l’ennesima volta.
“Dai, vieni”
“E dove?”
Ryan le si avvicinò piano e si abbassò in modo da arrivare con la bocca esattamente vicino al suo orecchio.
“In camera mia” le sussurrò, con voce roca.
“CHE COSA?!” Strawberry urlò, arrossendo visibilmente. Ma che si era messo in testa quello?! Voleva approfittare di lei? Aiutoooooo! Era già nel panico, quando il ragazzo la tranquillizzò posandole una mano sul capo.
“Stavo scherzando, stupida. Non agitarti tanto” detto ciò si lasciò cadere nuovamente sul divano. “Ti ricordo che sono il tuo insegnante, non farti strane idee”.
“Non mi sono fatta nessuna idea!” la ragazza lo guardò scandalizzata, non credendo ai suoi occhi. Era strano. Prima faceva il professore serio, poi la prendeva in giro e ora tornava di nuovo serio.
“Perché si risiede?” chiese. Le veniva davvero difficile dargli del lei.
“Perché a quanto pare la crostata alle fragole che volevo offrirti non ti interessa”
Le bastarono quelle parole per riprendersi del tutto e di nuovo si trovò a urlare: “Sì! Sì! Sì! Mi interessa!” fece per alzarsi, ma nello slancio mise forse troppo entusiasmo, tanto che ricadde all’indietro e sprofondò nuovamente tra i cuscini del divano. Ma qualcosa non quadrava.
Avvampò più che mai quando capì che a contatto con il suo corpo non c’era il tessuto morbido del divano: era caduta tra le braccia di Shirogane! Rimase immobile per qualche secondo, incapace di formulare alcun pensiero. Poi, piano, voltò la testa verso di lui. Pessima idea. Si ritrovò totalmente immersa in quell’immensità azzurra che erano i suoi occhi. Rabbrividì e non certo per la paura.
Oddio…!, pensò ascoltando il battito impazzito del suo cuore. Se ne sarebbe accorto anche lui di lì a poco. Chiuse gli occhi cercando di darsi una calmata e di fare qualcosa, ma lui la precedette. Le strinse le braccia attorno alla vita e la ragazza sbarrò gli occhi. Non accadde nulla, Shirogane si limitò a sollevarla di peso e ad alzarsi insieme a lei. Quando la mise a terra, la fece voltare verso di lui e le sorrise divertito.
“Sei un vero disastro, Momomiya” mormorò, apparentemente indifferente. “Su, vieni a mangiare quella benedetta torta. Così Kyle sarà contento” le diede le spalle e Strawberry non poté notare il leggero rossore che gli aveva colorato le guance.
“Kyle?” chiese, cercando di scrollarsi di dosso l’imbarazzo che l’aveva colpita.
“Sì, dice che non riesci a studiare a stomaco vuoto” la informò, andando ad aprire il frigorifero.
“Ha proprio ragione!” la rossa sembrava aver recuperato l’allegria e Ryan ne fu felice. L’atmosfera che si era creata poco prima era pericolosa, decisamente troppo intensa. Le porse un piattino con due fette di crostata e la invitò a sedersi al tavolo.
“Lei non mangia dolci, giusto?” Strawberry aveva già addentato la torta e se la gustava sorridente.
“No”
“Non sa cosa si perde! Questa crostata è favolosa”
Shirogane si appoggiò al ripiano della cucina incrociando le braccia e non le diede risposta. Che ragazza strana, prima si imbarazzava all’inverosimile, poi rideva e chiacchierava come se nulla fosse. Sorrise tra sé e sé.
“Come ha conosciuto Kyle?” la voce squillante di Strawberry lo distolse dai suoi pensieri.
“Avevamo.. un’amica comune” disse.
“Quella donna americana?” insistette lei, con espressione curiosa.
“Quale donna?”
“Quella che ho incrociato mentre entravo”
Ryan la scrutò per qualche istante, in silenzio. “Ti hanno mai detto che è maleducazione impicciarsi degli affari altrui?” ribatté, infine.
Strawberry gonfiò le guance, infastidita. Che antipatico! Finì di mangiare la sua torta senza più dire nulla, ma si trovava enormemente a disagio. Sentiva gli occhi del ragazzo puntati addosso e non era proprio il massimo. Sembrava quasi che la stesse studiando, in attesa di cogliere ogni sua mossa.
“Può.. smetterla di fissarmi?!” disse, cercando di essere il meno scortese possibile. “Non riesco a mangiare”
“Veramente hai già spazzolato anche le briciole” constatò lui, divertito. “Davvero notevole”
“Avevo fame. Ed era buonissima”
“Rischi di diventare una balena se mangi sempre così”
“Professore!” esclamò, cominciando ad arrabbiarsi. La stava prendendo in giro come un normalissimo ragazzo e lei ribatteva come avrebbe fatto in qualunque altra situazione. Per qualche attimo, Strawberry dimenticò il ruolo che lui ricopriva e scoppiò a ridere come una bambina, coinvolgendo anche Ryan. Si sentì bene.
“Sai, Momomiya, credo che mi divertirò molto a darti ripetizioni” disse lui, facendosi improvvisamente serio. Ma immediatamente dopo la sua bocca si allargò in un sorriso enigmatico che aveva un non so che di malizioso .
“Ehm.. dove va?” domandò la ragazza, vedendolo allontanarsi.
“A prendere dei vecchi libri che usavo all’università, ci saranno utili”
“Università? Questo vuol dire che ha una laurea?”
Ryan si fermò a metà scala, appoggiandosi al corrimano. “Veramente due”
“Due lauree?! Ma come..? Quando?” era incredula, com’era possibile una cosa del genere?
“Sono solo molto intelligente e molto ricco. E se non avessi una laurea non potrei insegnare nella tua scuola, comunque” rispose lui, come se fosse la cosa più banale del mondo, poi scomparve al piano superiore.
Strawberry rimase interdetta. Due lauree. Due! E lei faticava a prendere uno stupido sei in fisica. Erano due mondi diversi.
 
Ryan entrò in camera sua con un sorrisetto divertito. Non pensava che gli sarebbe piaciuto tanto dare ripetizioni a quella ragazzina. Kyle aveva ragione dopotutto, Strawberry era spontanea e si entusiasmava per ogni sciocchezza, il che rendeva molto facile chiacchierare con lei persino ad un tipo schivo come lui. Magari alla fine gli avrebbe dato delle soddisfazioni nella sua materia.
Prese dalla mensola sopra la scrivania due enormi volumi di fisica e tornò al piano inferiore.
“Ho trovato i libri. Possiamo riprende..” si bloccò mentre metteva piede in cucina. Strawberry si era appisolata appoggiata al tavolo. Alzò gli occhi al cielo, rimangiandosi quello che aveva pensato poco prima: quella ragazza era un vero disastro!
“Momomiya?” la chiamò, accostandosi a lei. “Ehi, non è il momento di  schiacciare un pisolino”
Nulla. Dormiva sul serio. Possibile che si addormentasse ovunque? Sbuffò e rinunciò a svegliarla. Ci pensò un attimo su, poi abbandonò i libri sul tavolo e la prese in braccio, cercando di non svegliarla. Era leggera, nonostante mangiasse come un bue. Raggiunse il divano e la posò lentamente, ma quando fece per allontanarsi qualcosa lo trattenne. Inaspettatamente, Strawberry aveva portato le braccia a cingergli il collo e lo aveva attirato a sé.
“Ma che..?” pensando che si fosse svegliata cercò di dire qualcosa, ma poi si rese conto che aveva ancora gli occhi chiusi. Sospirò e subito dopo arrossì, sentendo le forme di lei contro il suo petto. Aveva un bel corpo, doveva ammettere di averlo notato. E le sue labbra erano decisamente troppo vicine. Ryan ringraziò l’autocontrollo di cui era dotato e, prima che la situazione potesse precipitare, si divincolò con delicatezza, prendendole le braccia e portandogliele lungo i fianchi. Immediatamente, lei si girò su un fianco e si rannicchiò, stringendo le ginocchia al petto.
“Mark…” disse nel sonno e un sorriso involontario comparve sul suo volto. Il ragazzo le lanciò un’occhiata e scosse il capo esasperato.
 “Mocciosa” si accomodò sul divano accanto a lei e prese a sfogliare una rivista scientifica.
Non poteva far altro che aspettare.








Perdonooo! Avevo previsto di aggiornare ieri, ma una bella influenza ha pensato di farmi visita e mi son ritrovata a letto con la febbre >_< forse potevo farlo un po' più lungo questo capitolo, ma volevo concluderlo così e non mettere troppe cose tutte assieme (perchè rovinare tutto piazzandoci l'uscita con Mark, poi? xD). Per il prossimo capitolo, invece, vi chiedo di pazientare qualche giorno, tempo di guarire e di dare un esame all'università, poi sarò libera di concentrarmi sulla storia senza problemi :D
Bè, alla prossima allora! E grazie a tutti di seguirmi e di recensire, mi fa tanto piacere!! :)
Comet

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Capitolo 5
*** Hanami (ammirare i fiori) ***





Capitolo 5 – Hanami (ammirare i fiori)
 



“Ti sei svegliata finalmente” 
Strawberry sbatté le palpebre più volte, pensando di sognare. Guardò Shirogane che, seduto accanto a lei, digitava sul portatile. Tic, tic, tic. Poi abbassò lo sguardo su di sé e vide che qualcuno l’aveva coperta. Sprofondò nel più totale imbarazzo quando capì.
“La prego, non mi dica che mi sono addormentata qui” mormorò, coprendosi il volto con le mani. Avrebbe voluto urlare come al solito, ma era ancora troppo assonnata. E non voleva fare altre figuracce, ne aveva già collezionate abbastanza per il momento.
Shirogane non distolse lo sguardo dallo schermo, ma nemmeno le risparmiò un sorrisetto divertito. “Non solo. Hai anche russato”
“Che cosa?!” Strawberry sgranò gli occhi, arrossendo visibilmente.
“La signora della casa accanto è venuta a chiedermi se era a tutto a posto. Sentiva uno strano rumore, temeva ci fosse un orso nelle vicinanze” continuò a schernirla lui.
 “Nooo, non è possibile! Che figuraccia tremenda!” gridò, dando voce ai propri pensieri. Nell’agitazione, per poco non cadde dal divano, il che la portò a sentirsi ancora più stupida. Succedono tutte a me!, pensò mentre si dimenava per restare in equilibrio.
Shirogane posò il computer, poi si voltò a guardarla per un attimo serio. Strawberry fu trafitta da quelle immense pozze azzurre e sarebbe stato davvero bello, se non avesse notato l’espressione del ragazzo. Si stava trattenendo dal riderle in faccia, ma si vedeva chiaramente che la trovava ridicola. E questo la fece solo arrabbiare ulteriormente, quanto avrebbe voluto lanciargli un cuscino. Stava lottando contro sé stessa per non farlo.
Il giovane professore sospirò. “Momomiya, sei una credulona. Stavo scherzando” si sporse verso di lei e le diede un buffetto sul naso che la rossa parve non apprezzare. Stava infatti per ribattere quando si bloccò di colpo, con lo sguardo fisso su qualcosa alle spalle del biondo.
“Cos’hai visto?”
“Ma sono le nove!” gridò. Quanto aveva dormito?! “Cavoli, i miei saranno preoccupatissimi! Devo chiamarli subito!” fece per prendere la borsa, poi si fermò e urlò di nuovo. “Oh no, ho lasciato il cellulare a casa! Ma perché sono così sfortunata?! Papà mi ucciderà”
Ryan la osservava in silenzio. Non gli dispiaceva la spontaneità di quella ragazza, era sempre meglio che vedersela saltare al collo come tutte le sue compagne. Però faceva tanto rumore per nulla.
“Ho chiamato i tuoi genitori” disse infine, notando che non aveva intenzione di smettere di parlare. Finalmente si calmò e si voltò a guardarlo. “Ho detto loro che le ripetizioni sarebbero durate un po’ più del previsto, perché tu sei un vero disastro”
Ed ecco un’altra frecciatina. Cominciava ad averne abbastanza.
“E lei come faceva ad avere il numero di casa mia?!”
“Ho il tuo numero come quelli di tutti gli alunni. E’ a questo che servono i registri a scuola, Momomiya”
“Giusto… bè.. grazie” mormorò lei, facendo un certo sforzo per non rispondere malamente.
 “Andiamo?” alzò gli occhi di fronte all’espressione di Strawberry “Ti porto a casa”.
“No, no, non ce n’è bisogno! Vado a piedi!” esclamò, imbarazzata. Ne aveva piene le tasche di quella giornata, combinava solo stupidaggini in presenza di quel ragazzo.
Lui la guardò torvo. “Poche storie. Non voglio averti sulla coscienza se ti succede qualcosa”
“Lei non ama essere contraddetto, vero?” disse, rassegnata.
Per tutta risposta, Shirogane le afferrò il polso e la trascinò con sé verso la porta. “Vedo che hai capito”
“E io non amo seguire gli ordini senza discutere” protestò, facendo una leggera resistenza. Non le importava che fosse un insegnante, aveva troppa voglia di punzecchiarlo come lui faceva con lei.
“Ma sono il tuo professore, non hai altra scelta”
“Sì, ma qui non siamo a scuola”
“No, siamo a casa mia” Ryan si stava innervosendo, ma una piccola parte di lui trovava divertente quella conversazione. Non lo avrebbe mai ammesso, certo. Però era curioso di vedere dove voleva arrivare Strawberry.
“E la lezione di recupero per oggi è finita” aggiunse la rossa, con convinzione.
“E con ciò?” si domandò perché le stesse dando retta, a quel punto.
“In questo momento lei non è il mio insegnante”
“Quindi saresti libera di non obbedirmi?”
“Esatto” concluse lei, sorridendo divertita e lasciando che il ragazzo la conducesse fuori, lungo il vialetto.
“So essere molto convincente, Momomiya” ribatté Ryan, mentre apriva la portiera della sua auto lussuosa, invitandola a salire. Quando lei si fu accomodata sul sedile del passeggero, si abbassò fino ad arrivare all’altezza dei suoi occhi e le si avvicinò con il viso. La vide sussultare e arrossire per l’ennesima volta e questo gli bastò. Si compiacque della sua espressione imbarazzata, mentre le sistemava una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Sorrise sornione quando spostò la mano sulla sua guancia, facendola rabbrividire. E lei capì. Sì, Shirogane sapeva essere davvero molto convincente.
“Non funziona” mormorò, quando lui si sedette al posto di guida. “Io non sono una di quelle ragazze che le sbavano dietro”. Non lo stava guardando, ma era certa che stesse sorridendo.
“Lo so. E’ per questo che mi piaci”
A quella dichiarazione inaspettata, Strawberry si girò di scatto verso il ragazzo, sentendo improvvisamente un gran caldo. E’ per questo che mi piaci. Piacergli? A Shirogane? Era impazzito?
La risata di Ryan interruppe i suoi pensieri. “Dovresti vedere la tua faccia in questo momento”
“Professore!”
Tutto ok, la stava prendendo in giro. Niente di nuovo.
 
 
Domenica arrivò a gran velocità, cogliendo Strawberry del tutto impreparata. Benché aspettasse da giorni quel momento, era nel panico più totale. Stava aspettando Mark davanti all’entrata del parco senza smettere di torturarsi le mani, quando una figura dall’altro lato della strada alzò la mano in cenno di saluto.
“Kyle! Che ci fai qui?” esclamò, quando il ragazzo l’ebbe raggiunta. Non indossava la solita divisa da pasticcere, ma era comunque molto elegante.
“Accompagno una persona alla festa dei ciliegi. E a giudicare dal tuo abbigliamento, direi che hai un appuntamento anche tu”  rispose.
“Sì! Vado alla festa con Mark!” il suo sguardo sognante lasciava trasparire già di per sé quanto fosse contenta. Il ventiseienne le sorrise gentilmente.
“Kyle, honey! How are you?”
“Oh, a quanto pare la mia accompagnatrice è arrivata” mormorò, facendo l’occhiolino a Strawberry. La donna in questione le arrivò alle spalle, superandola a gran velocità e si gettò tra le braccia del pasticcere.
“Katherine. You’re always beautiful” rispose lui, accogliendola con un sorriso. Il solito Kyle. Strawberry non capì una parola del dialogo, ma si sentì fortemente in imbarazzo di fronte a quella scena così affettuosa. Quando la donna si divincolò dall’abbraccio e si voltò, la rossa per poco non urlò. Era la stessa che aveva visto uscire dalla casa di Shirogane, quella che l’aveva presa in giro, ricordò con un pizzico di fastidio.
Kyle si frappose tra le due e le presentò. “Katherine, this is Strawberry. Strawberry, lei è Katherine”.
La donna non la degnò di uno sguardo, ma si limitò a sussurrare all’orecchio di Kyle qualcosa di simile a “I’ve already met her” che Strawberry non fu in grado di tradurre. Il ragazzo fece un’espressione sorpresa, poi le rispose in un inglese perfetto.
 “Ora dobbiamo andare. Strawberry, ti auguro buona fortuna per il tuo appuntamento!” si congedò infine.
Strawberry li guardò entrare nel parco, mentre una marea di punti di domanda le affollavano la mente. Chi era quella donna? Prima l’aveva vista con Shirogane, ora con Kyle. Forse è l’amica comune che li ha fatti conoscere, pensò ricordando le parole del pasticcere.
Mentre rimuginava, si rese conto che Mark era in ritardo. Strano, non era da lui. Si guardò attorno nella speranza di vederlo arrivare, ma niente. Aspettò dieci minuti, poi venti. Temette che si fosse dimenticato del loro appuntamento, ma non ci voleva credere. Quando stava per rassegnarsi, dopo mezz’ora d’attesa, il suo cellulare squillò.
“Pronto? Mark, ma dove sei finito?” domandò, preoccupata.
“Strawberry, scusami, ma non so se riesco a venire alla festa” la sua voce era chiaramente dispiaciuta, ma questo non significa che le fece meno male. “Mi hanno chiamato poco fa per una manifestazione a protezione della natura ed è una cosa molto importante”
“Ah… certo. Lo... lo capisco, vai pure. Tranquillo” Ma mi hai invitata tu ad andare insieme a vedere i ciliegi
“Sei sicura che non ti dispiace? Perché altrimenti lascio perdere”
Sì che mi dispiace, da morire. “Ma figurati, Mark! Ti impegni molto in difesa dell’ambiente, il tuo contributo non può mancare” si costrinse ad utilizzare un tono normale, cercando di apparire il più allegra possibile. E funzionò.
“Grazie, sei una vera amica! Mi farò perdonare, promesso”.
Strawberry rimase qualche secondo ferma, con il cellulare ancora all’orecchio. Aveva perso tanto tempo a prepararsi, a costruirsi un bel discorso da fargli per dichiarargli i suoi sentimenti, a immaginare di gustare dei dolci primaverili all’ombra dei ciliegi, e invece era tutto sfumato. Sei una vera amica, le aveva detto. Sorrise tristemente. Non era proprio quella l’idea che aveva per il loro appuntamento. Si sentiva come se lui l’avesse rifiutata e in un certo senso era così, aveva preferito il suo impegno ambientalista a lei.
Scosse la testa con forza. No, Mark non era un cattivo ragazzo, doveva avere i suoi motivi. E a lei piaceva il suo altruismo. Non c’era motivo di buttarsi giù, avrebbe avuto altre occasioni per stare in sua compagnia.
“Bè, ormai sono qui. Tanto vale fare un giro tra le bancarelle” si disse. Il dolce profumo dei ciliegi la pervase non appena varcato il cancello e Strawberry inspirò a fondo, godendosi quella delicata sensazione primaverile. C’erano decine e decine di alberi in fiore che la lasciarono incantata come se li vedesse per la prima volta.
Si accomodò ai piedi di un grande ciliegio e sentì le lacrime farsi spazio prepotentemente nei suoi occhi. Le trattenne, facendo vagare lo sguardo sulla folla che circondava gli stand, finchè non notò Kyle passeggiare tra le bancarelle. Non ci fece caso sul momento, poi aguzzò la vista: lui e Katherine si tenevano per mano. Strabuzzò gli occhi, incredula. Sembravano divertirsi molto insieme.
Mi piacerebbe tanto sapere chi è quella donna…
Li vide mentre lei gli accarezzava i capelli e gli sistemava la frangia, come se si conoscessero da molto tempo. Non poteva che essere la sua fidanzata. Sorrise compiaciuta, l’indomani si sarebbe fatta raccontare da Kyle tutti i retroscena.
 
 
Riacquistato il buonumore, si alzò e corse in direzione di una bancarella che vendeva dorayaki. “Se non ricordo male, Mark ne va matto”. Poi glieli avrebbe regalati, visto che non aveva potuto accompagnarla.
“Ehi, hai visto quel figo laggiù?!” esclamò un ragazza in fila dietro di lei, rivolta all’amica. Speranzosa di vedere Mark, si voltò di scatto con un sorriso, ma fu qualcun altro a catturare la sua attenzione.
Due occhi azzurri e dei capelli biondi non passano certo inosservati. Shirogane era appena entrato nel parco e, così come a scuola, le donne restavano rapite dal suo fascino. Il professore si guardava attorno come se stesse cercando qualcuno, ma in breve tempo fu circondato da un gruppo di ragazze. Adesso che lo osservava da lontano, però, si rendeva conto che lui non sembrava apprezzare particolarmente tutte quelle attenzioni. Anzi, aveva lo sguardo di chi è infastidito da qualcosa che non può controllare e di cui si libererebbe volentieri. “E’ dura essere belli, eh?” commentò con un po’ invidia.
A pensarci, sembravano essere tutti lì quel giorno tranne l’unica persona che avrebbe voluto al suo fianco. Si poteva essere più sfortunati di così?
Nel frattempo Ryan sembrava essersi liberato delle sue assalitrici e si incamminò a passo spedito sul sentiero opposto rispetto a quello dove si trovava lei. Incuriosita, Strawberry non riuscì a trattenersi e, quasi automaticamente, lo seguì. E poi era strano che Kyle, la sua fidanzata e Shirogane si trovassero tutti nello stesso posto, voleva vederci chiaro.
Si inoltrarono in una zona del parco in cui la vegetazione era più fitta e, quando Ryan si fermò, Strawberry fu costretta ad abbassarsi tra i cespugli per non farsi scoprire. Si sentì ridicola, ma ormai era in ballo.
Il ragazzo era apparentemente tranquillo, appoggiato a braccia incrociate al tronco di un ciliegio, ma al tempo stesso traspariva una certa irritazione dal suo viso. Rimasero in attesa per degli interminabili minuti, durante i quali Strawberry non staccò gli occhi di dosso dal professore. Non poteva biasimare quelle ragazze che gli erano saltate addosso all’entrata, certamente non si incontravano tutti i giorni ragazzi di una tale bellezza. Sembrava un angelo in quella posizione, con le braccia conserte, la testa abbassata e gli occhi chiusi. Peccato che il suo carattere fosse completamente l’opposto.
Forse voleva solo starsene da solo a riflettere, che ci faccio qui nascosta come una ladra?
I suoi pensieri furono interrotti dall’arrivo di Kyle, mano nella mano con la donna americana. Nonostante fosse stata davvero poco carina nei suoi confronti, Strawberry avrebbe voluto possedere almeno un centesimo dell’eleganza delle sue movenze. Trattenne il fiato, mentre i due si avvicinavano a Shirogane.
Era troppo distante per poter sentire cosa si stessero dicendo, ma a giudicare dalle loro espressioni non era nulla di piacevole. Sembrava che litigassero. Katherine si mise tra i due, con fare preoccupato, e forse ottenne l’effetto sperato. Kyle si allontanò a passo lento, ma Strawberry non riuscì a capire bene cosa fosse accaduto. E perché la sua fidanzata ora rimaneva con Ryan?
Poi capì: avevano litigato per lei! Ma certo, Shirogane era innamorato di Katherine, che però era la fidanzata di Kyle. E quel giorno era a casa del suo professore per dirgli di lasciarla in pace perché amava il pasticcere, non lui. Ma poi aveva ceduto al fascino di Ryan. E infatti quando poi era arrivata, lei lo aveva trovato a petto nudo… quindi quei due.. arrossì al pensiero. Come aveva fatto a non pensarci prima? Si sentì un po’ dispiaciuta per Ryan e Kyle.
Distratta da quei pensieri, aveva perso di vista la scena davanti a sé. Quando tornò a guardare la situazione, rimase a bocca aperta. Ryan si era avvicinato a Katherine e le aveva preso le mani tra le sue. La distanza tra loro sembrava accorciarsi sempre più.
Strawberry andò nel panico, doveva fare qualcosa, non poteva restare a guardare mentre la fidanzata del suo amico baciava un altro. Era inconcepibile, perché quella donna non si ribellava? Cercò di farsi venire un’idea decente per interromperli, ma non riuscì a pensare a niente. Presa dalla foga del momento, saltò in piedi e gridò con tutto il fiato che aveva per farsi sentire da quella distanza.
“Professore! No, non la baci, non lo faccia!”
Shirogane e Katherine si fermarono e la guardarono perplessi.
“Noo, fermi, lei è la fidanzata di Kyle!” urlò nuovamente. Quando poi notò le loro espressioni, arrossì vistosamente, chiedendosi se non avesse sbagliato qualcosa. “Ehm… cioè…”
Shirogane scoppiò a ridere.
“Strawberry ma che dici?” Kyle comparve alle sue spalle, facendola spaventare.
“Io…” non sapeva davvero cosa dire. Si sentì una stupida per essersi cacciata in quella situazione, non poteva farsi gli affari suoi?
Ryan si avvicinò, accompagnato da Katherine. “Kyle, accompagnala a casa, per favore” disse, spingendola delicatamente tra le braccia dell’amico. “A questa impicciona ci penso io” e accennò a Strawberry.
Detto questo, prese la rossa per un braccio e la trascinò via con sé. Si fermò sotto un enorme ciliegio e si sedette comodamente ai suoi piedi, lasciando Strawberry in piedi e in profondo imbarazzo.
“Siediti” le disse. E lei obbedì. “Momomiya, tu... sei veramente una sciocca” cominciò nuovamente a ridere, irritandola.
“E io che mi sono preoccupata per voi! Quella donna teneva il piede in due staffe, sta con Kyle ma ha quasi baciato anche lei” si difese, stringendo i pugni.
“Non posso crederci” Strawberry lo vide portarsi una mano sulla fronte, tra l’esasperato e il divertito. “Hai davvero pensato che fosse la fidanzata di Kyle? E che ci stesse provando con me?”
Lei annuì imbarazzata, rendendosi improvvisamente conto di aver fatto delle congetture assurde.
“Quella è mia madre” disse lui. Strawberry spalancò gli occhi.
“Eh?”
“Katherine è mia madre” ribadì.
“Eeh?!”
“Momomiya, sei diventata sorda?!”
“N-no, mi scusi, è che… mi sembra incredibile” adesso sì che doveva sentirsi in imbarazzo. Si coprì il viso con le braccia, nascondendolo tra le ginocchia. “Ma perché faccio sempre queste figuracce?!”
“Perché fai le cose senza accendere prima il cervello” la rimproverò Shirogane, secco. “Come hai potuto pensare che fosse la fidanzata di Kyle? E’ vecchia” aggiunse, pensando che, se l’avesse sentito, sua madre l’avrebbe ucciso per quella frase.
“Ma… ma quando si sono incontrati si sono abbracciati! E camminavano tenendosi per mano! E prima litigavate voi due”
“Te lo ripeto, non accendi il cervello tu. Kyle ha perso i genitori quand’era piccolo e per un po’ ha vissuto con noi. Katherine è come una seconda madre per lui” fece un piccola pausa, come se volesse farsi forza per continuare a parlare e Strawberry ne capì il motivo quando sentì le parole successive. “Da quando i miei si sono separati… mia madre è tornata a vivere in America e in questi giorni era qui per controllare come andavano le cose. Ha chiesto a Kyle di accompagnarla a questa festa a mia insaputa perché adora i fiori di ciliegio. Peccato ne sia allergica, quindi io non l’avrei mai portata qui. E infatti Kyle mi ha chiamato per dirmi che si era sentita male, così li ho raggiunti. Non c’è stato nessun litigio” spiegò.
Strawberry annuì. Aveva frainteso tutto, che scema!
“Sei proprio scema” disse lui, come se le avesse letto il pensiero.
“Ehi! Lei è un mio insegnante, non dovrebbe trattarmi così!”
“Lo dico appunto perché sono il tuo insegnante. Così impari la lezione la prossima volta”
“E sarebbe?” chiese lei, infastidita.
“Mai impicciarsi negli affari altrui”
La ragazza abbassò lo sguardo, pensando a quelle parole. Effettivamente era stata una sciocca a trarre quelle conclusioni. E poi, come aveva fatto a non capire che Katherine era la mamma di Shirogane? Erano due gocce d’acqua e non solo fisicamente. L’avevano trattata entrambi nello stesso, insopportabile modo.
Era tanto concentrata su quei pensieri, che non si accorse che Shirogane si era avvicinato superando il limite di sicurezza. Fece appena in tempo a sollevare la testa e a rendersi conto di avere davanti quelle immense iridi di ghiaccio che sentì le labbra del ragazzo sulle proprie. Rimase paralizzata, incapace di reagire, mentre la morbidezza della sua bocca la stupiva. Non poté assaporare quel lieve contatto, perché Shirogane si staccò quasi subito e la guardò con espressione maliziosa.
“E questa era la tua punizione. Oltre a un’ora in più di ripetizioni, sia chiaro” detto ciò si alzò e se ne andò, lasciandola lì da sola. Sola e sconvolta, mentre il profumo dei ciliegi si mischiava a quello del ragazzo che le aveva rubato il suo primo bacio.







Ciaoooo! Finalmente ce l'ho fatta ad aggiornare :) allora, che dire di questo capitolo... inizialmente pensavo di descrivere per filo e per segno l'appuntamento con Mark, però 'sto ragazzo non mi piace proprio, così ho detto: "Ma sì, diamogli un bell'impegno ecologico e mandiamolo fuori dalle scatole"... detto, fatto :D eheh! Forse era un po' scontata l'identità di Katherine, ma non importa, il personaggio fondamentale è l'altra ragazza dai capelli rosa xD Bè, spero che vi sia piaciuto il capitolo! A prestoo! ;)

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Capitolo 6
*** Azione e reazione ***





Capitolo 6 – Azione e Reazione
 




Quando le labbra di Shirogane si erano posate sulle sue, Strawberry era stata colta troppo alla sprovvista per fare caso a quel brivido intenso ed infinito che le era salito lungo la schiena. Qualsiasi sensazione era stata cancellata dalla sorpresa, che subito dopo aveva lasciato inevitabilmente spazio alla rabbia. Sconvolta, era tornata a casa, entrata in camera sua e aveva chiuso di scatto la porta alle sue spalle, lasciandosi scivolare lentamente a terra. Una volta che il respiro era tornato regolare, aveva portato una mano a sfiorare le labbra, mentre le sue guance si coloravano di rosso.
Il mio primo bacio…
 
“Che cosa?!” Lory era una ragazza molto calma che difficilmente alzava la voce, ma non poté fare a meno di urlare incredula di fronte alla confessione dell’amica.
“Ssssh! Non gridare!” la pregò Strawberry, tappandole la bocca. Si guardò attorno, aspettando che gli sguardi curiosi dei suoi compagni di classe si volgessero altrove, poi lasciò andare la presa.
“Scusami. Ma stai parlando sul serio?”
La rossa annuì, imbarazzata.
“Ti ha baciata?!” il suo tono era nuovamente TROPPO alto.
“Insomma!” la rimproverò.
“Shirogane ti ha baciata?” sussurrò lei, sconcertata. Strawberry le fece un ulteriore cenno con la testa. “Oh mamma. Ma sei sicura?”
 “Come posso non esserne sicura?! Ha messo le sue labbra sulle mie! Così!” esclamò, facendo schioccare le labbra nella simulazione di un bacio.
“Ma è un nostro, un tuo insegnante! Non potete avere una relazione, è…!”
“Non abbiamo nessuna relazione!” la interruppe Strawberry, stizzita. Si sentiva tremendamente in imbarazzo a parlarne, ma non voleva avere un segreto con la sua migliore amica. “L’ha fatto per punirmi” aggiunse.
“Punirti? Ma che significa?” Lory sembrava ancora più sconvolta, così si affrettò a liquidare la questione dicendole che era una lunga storia.
“Strawberry?”
“Sì?”
“Ti è piaciuto?”
“Lory!!” stavolta fu lei a gridare. Avvampò e, per la prima volta, ripensò alle emozioni che le aveva suscitato quel bacio. Le era piaciuto? Non ne era certa. Era durato così poco e lei ne era rimasta così scioccata che non riusciva a ricordare, nonostante quel lieve contatto fosse estremamente vivido nella sua mente.
 
Nello stesso momento, Ryan sedeva di fronte a un Kyle alquanto divertito.
“Sai che è maleducazione spiare gli altri?” disse, irritato.
“Oh, io e tua madre eravamo solo molto curiosi. Vero Katherine?”
“Of course”. La donna fece roteare lo sgabello su cui era seduta e sorrise in modo infantile.
Erano in pasticceria da dieci minuti e non avevano fatto che ridere alle sue spalle quei due. Ryan scosse il capo esasperato, Kyle e sua madre formavano una coppia invincibile in questi casi.
“Allora?” chiese l’amico, curioso.
“Cosa?”
“Hai baciato Strawberry”
“E quindi?” disse, sorseggiando il suo caffè e mettendo in piedi la perfetta maschera di indifferenza che da anni si portava dietro.
“Do you like her?” si intromise sua madre, un sorriso malizioso dipinto sul suo volto.
Il biondo alzò gli occhi al cielo, mentre sentiva quelli degli altri due puntati su di sé. Ma cos’ho fatto di male?, si disse.
“Volevo solo prenderla in giro” Kyle e Katherine si scambiarono uno sguardo d’intesa molto eloquente. “E non sono affari vostri!” sentenziò Ryan, infastidito. Appoggiò sul bancone la tazzina, prese la sua giacca e uscì brontolando dal locale.
“Non sembra, ma si imbarazza con poco” mormorò il pasticcere, quando la porta si fu richiusa.
La donna scoppiò a ridere. “He is so cute”
“Carino? Se Ryan ti sentisse si arrabbierebbe ancora di più” rispose l’altro.
Calò il silenzio e forse entrambi pensarono alla stessa cosa. Fu Kyle, infine, a parlare. “Tuo figlio non ne parla, però sta ancora molto male. In questi due anni si è chiuso ancora di più in se stesso, ma non può continuare così per sempre. Forse avvicinarsi a una ragazza come Strawberry gli farà bene”
Katherine annuì, convinta. “He needs someone”
“Già, ma non lo ammetterà mai” concluse, con un sorriso.
 
 
Ryan arrivò a scuola con i nervi a fior di pelle. Le domande lo infastidivano, soprattutto quelle personali. Entrò in aula senza dire una parola e tutti gli alunni presero posto in silenzio. Solo allora volse uno sguardo alla classe e, per qualche impercettibile secondo, indugiò su Strawberry. Teneva gli occhi bassi, il viso un po’ arrossato che mal celava l’imbarazzo. Lottò con se stesso per trattenere un sorriso divertito, poi diede inizio alla lezione.
Strawberry non aveva il coraggio di alzare lo sguardo. Non si era mai sentita così a disagio prima, avrebbe voluto essere in qualsiasi posto ma non lì. Sentiva gli occhi azzurri di Shirogane trafiggerla di tanto in tanto e, ogni volta, inevitabilmente, le tornava in mente la distanza ravvicinata a cui se li era trovati il giorno prima.
Lory le diede una leggera gomitata, invitandola a seguire la lezione, ma la ignorò. Temeva di incrociare quelle iridi di ghiaccio ed era spaventata ancor più dalla propria reazione: poteva un bacio farla sentire così tesa?
Ryan era infastidito, quella sciocca non stava seguendo una parola del nuovo argomento. Decise però di lasciarla in pace, chiedendosi se non avesse esagerato con quel bacio. Ma era un semplice bacetto innocente, pensò. Ad ogni modo, per tutta la lezione le permise di crogiolarsi nei suoi pensieri, sapendo che avrebbe avuto tempo di rimproverarla nel pomeriggio.
L’arrivo dell’intervallo fu una boccata d’aria fresca per Strawberry. Senza nemmeno aspettare che Shirogane salutasse la classe, corse fuori dall’aula con in mano un sacchetto. Salì a due a due i gradini che portavano alla terrazza e trovò, con piacere, che Mark la stava già aspettando.
“Ciao!” esclamò, godendosi la piacevole sensazione che andava a sostituirsi a tutte le altre.
“Ehi. Scusami ancora tanto per ieri… mi dispiace, ci tenevi alla festa” mormorò lui, con un sorriso dispiaciuto.
“Ah… bè, non preoccuparti! E’ tutto a posto” rispose. “E poi alla festa ci sono andata lo stesso”
“Da sola?”
“Sì” si limito a dire, tralasciando il particolare Shirogane mi ha baciato. “E ti ho preso questi” Gli porse il pacchetto, con le mani che tremavano. Osservò in silenzio il moro che lo apriva e guardò sognante il sorriso che si dipingeva sul suo viso.
Dorayaki! Mi piacciono moltissimo, grazie Strawberry!” esclamò e inaspettatamente le si avvicinò, avvolgendola in un abbraccio caloroso.
Rimase interdetta a quel gesto e, quando le venne in mente di ricambiare, Mark si era già allontanato. Arrossì e sentì il cuore battere un po’ di più.
“Adesso devo andare” disse lui, ma quando arrivò alla porta si fermò di colpo e si voltò a guardarla. “Facciamo la strada insieme al ritorno?”
Il volto della rossa si illuminò. Ora sì che il cuore le batteva forte. “Sì!” acconsentì, felice.
Rimasta sola, si appoggiò alla ringhiera e inspirò profondamente. Vado a casa con Mark, vado a casa con Mark! Gli aveva già perdonato la mancanza del giorno prima, non aveva importanza. L’unica cosa che contava era poter passare del tempo con lui.
“Ah, ecco dov’eri” la voce alle sue spalle la trafisse, esattamente come erano in grado di fare i suoi occhi. Finse di non aver sentito, mentre cercava di tenere a bada l’imbarazzo.
“Ti aspetto oggi subito dopo la scuola, per le ripetizioni” disse Shirogane, che nel frattempo le si era affiancato. Lei lo ignorò.
“Sto parlando con te, Momomiya” insistette.
“Non ci vengo” sussurrò, girando il viso dall’altra parte. Non riusciva a guardarlo.
“Come?”
“Ho detto che non ci vengo!” gridò lei, trovando per la prima volta il coraggio di incrociare i suoi occhi. Vi lesse indifferenza.
Shirogane guardò il suo viso assumere quell’innaturale tinta accesa a cui si stava ormai abituando. “Il motivo?” domandò.
“Lo sa benissimo!”
“Tutta questa agitazione per un bacio?”
Sentì la rabbia risalirle da dentro, pronta a esplodere. Non ci ragionò nemmeno un secondo, sollevò il braccio pronta ad assestargli uno schiaffo. Non gliene importava niente se stava per picchiare un insegnante. Ma Shirogane prontamente le bloccò la mano a mezz’aria, a pochi centimetri dal suo viso. Le si avvicinò ignorando i suoi tentativi di divincolarsi e strinse la presa attorno alle sue dita.
“Mi lasci andare!” protestò Strawberry, ma la stretta era ferrea.
“Ti sto parlando come tuo professore” soffiò lui, a un millimetro dalle sue labbra. “Ho preso l’impegno di aiutarti e lo farò”
“Non lo voglio il suo aiuto!” tentò ancora di dimenarsi, inutilmente.
“Ma ne hai bisogno. Non hai molta scelta”
“Mi sta facendo male!”
Il biondo allentò la presa e sentì la ragazza rilassarsi. Ma per poco. Lo schiaffo di Strawberry lo raggiunse in pieno viso, tanto forte da lasciargli il segno. Uno stormo di uccelli, che sembrava lì per assistere alla scena, prese il volo quando il rumore dello schiaffo risuonò nell’aria.
“Adesso siamo pari” disse, arretrando di qualche passo e sorridendo compiaciuta. “Ci vediamo dopo, professore” poi scappò via, in contemporanea con il suono della campanella.
Ryan rimase sulla terrazza, sinceramente colpito. Si toccò la guancia. Sanguinava, doveva averlo preso con le unghie. Sorrise. “Certo che ne ha di coraggio…” mormorò, tra sé e sé.
 
Il resto della giornata passò tranquillamente e Strawberry non pensò più a Shirogane. Almeno fino alla fine delle lezioni, quando si rese conto che la sua passeggiata con Mark verso casa era saltata.
Aspettò il ragazzo all’uscita, in compagnia di Lory. Le si strinse il cuore quando lo vide arrivare sorridente.
“Vogliamo andare?”
“Mark, non posso” cominciò. “Ho un impegno, me ne ero dimenticata”
Il ragazzo la guardò stupito, poi alzò le spalle. “D’accordo. Dai, prima o poi riusciremo a stare un po’ insieme” disse, facendole l’occhiolino. Rincuorata, sorrise.
“Scusami davvero! Allora… io vado… Ciao” si allontanò di corsa, tra il dispiacere e la sorpresa. Mark era molto più esplicito negli ultimi tempi. Sembrava davvero che avesse voglia di stare con lei. Il problema era capire come.
Mark e Lory la guardarono allontanarsi, confusi.
“Midorikawa” la chiamò Mark. “A quanto pare Strawberry ci ha abbandonati oggi. Ti accompagno a casa”
La ragazza dai capelli verdi arrossì, colta alla sprovvista.
“Dai, andiamo”
“N-no. Ti ringrazio, Aoyama. Sei… molto gentile, ma non posso” mormorò, in completo imbarazzo. Detto ciò, scappò via. Si fermò pochi passi più avanti, quando fu certa che Mark non poteva più vederla. Ascoltò il battito impazzito del suo cuore e strinse la maglietta in corrispondenza di quel punto. Calmati, calmati!, si intimò. Ma non c’era niente da fare.
 
 
Nel frattempo, Strawberry era arrivata a casa di Shirogane. E, esattamente come la prima volta, indugiò davanti all’entrata. Lo detestava, era certa che si stesse prendendo gioco di lei. Quanto avrebbe voluto dirgliene quattro!
“Allora? Hai intenzione di stare lì ancora per molto?!”
Soffocò un gridolino e si guardò attorno. Ma cosa…? Poi si rese conto che la voce proveniva dal citofono. Eppure non aveva suonato. Il cancello si aprì e lei entrò, percorrendo il vialetto. Shirogane l’aspettava sulla porta.
“Come faceva a sapere che ero qua fuori?” domandò lei, senza preoccuparsi di salutarlo.
“Si chiama videocitofono, Momomiya. Mai sentito?”
“Non cominci a prendermi in giro. Sono qua per le ripetizioni e basta” entrò superandolo e si diresse in soggiorno.
Quando Shirogane la raggiunse, si era già accomodata ed i libri erano già pronti sul tavolino.
“Vedo che hai fretta di imparare, finalmente” commentò lui, prendendo posto. Strawberry non rispose. Non sapeva se, tra le varie emozioni che aveva dentro, era maggiore la rabbia o l’ansia. Sicuramente,entrambe vincevano su tutte le altre. Prese in mano la penna, invitandolo a cominciare la lezione.
Il professore la studiò per qualche secondo. “Oggi non hai seguito una parola di quello che ho spiegato” disse, infine.
“E’ solo colpa sua. Iniziamo?” insistette. “Sono indietro rispetto ai miei compagni, no? Muoviamoci, voglio recuperare”.
“E va bene” trovava divertente quella situazione, ma decise di non dirle nulla. Ci teneva alla pelle. “Apri il libro a pagina 210. Parliamo della dinamica, oggi. Ti dirò le cose basilari perché tu possa comprendere l’argomento che ho spiegato stamattina e che non hai ascoltato”
Strawberry ignorò la frecciatina e scrisse a grandi lettere il nome dell’argomento.
“L’altra volta ti ho accennato cos’è la dinamica, te lo ricordi?” le domandò. La ragazza ci pensò un attimo su, poi, con non molta convinzione, disse: “E’ un ramo della meccanica. Studia il moto dei corpi… credo”
Shirogane rimase piacevolmente sorpreso, ma lei non poté notarlo. Fino a quel momento non l’aveva guardato in viso, si sentiva troppo a disagio. Ed era anche stupita del fatto che lui non l’avesse ancora punita in qualche modo per lo schiaffo ricevuto, anche se avrebbe sicuramente trovato un modo per fargliela pagare. Ne era certa, il che accresceva ancor più l’agitazione.
“La dinamica si basa su tre principi fondamentali…” mentre lui iniziava a spiegare, trovò il coraggio di sollevare lo sguardo. Ne studiò di nascosto i lineamenti del viso, soffermandosi sui capelli che scendevano disordinati sulla fronte. Passò agli occhi, abbassati sul libro e, senza rendersene conto, si incantò sulle labbra. Sembravano così morbide. In effetti lo sono, pensò arrossendo. Si vergognò del suo pensiero e cercò di tornare ad ascoltare ciò che il professore stava dicendo. Si era già persa! Poi lui girò il capo verso di lei e solo allora notò il cerotto sulla guancia. Stava per domandarsi cosa gli fosse successo, quando capì da sé.
“Sono stata io?” gli chiese, interrompendolo. Shirogane le rivolse uno sguardo interrogativo. “Il cerotto” aggiunse. Il biondo portò una mano a toccarsi la guancia e le sorrise. Un sorriso che Strawberry non riuscì a comprendere del tutto.
“Voi donne avete la brutta abitudine di portare le unghie lunghe” disse. Inspiegabilmente, lei arrossì.
“Mi dispiace” mormorò, torturando una ciocca di capelli.
“Siamo pari, no?” e le sorrise complice. Strawberry non ricambiò.
“Non è stato carino quello che ha fatto. Ed è contro le regole”
“Sei stata tu a darmi uno schiaffo” si difese.
“Sa cosa intendo…”
Ryan sbuffò, notando la sua serietà. La fissò per un attimo, poi le si avvicinò con un movimento fluido e rapido. Strawberry si trovò imprigionata tra il divano e il corpo del ragazzo e un’ondata di panico la travolse.
Istintivamente portò le mani a coprirsi la bocca. Non voleva un altro bacio, assolutamente. Tutti quelli che aveva immaginato negli ultimi anni, avevano come protagonista Mark. Non un suo insegnante, accidenti!
“Sei una bambina” disse lui, senza muoversi di un millimetro.
“Ah, davvero?” ribatté, stando attenta a non dargli modo di raggiungere le sue labbra.
“Quello non era un bacio, Momomiya”
Lei spalancò gli occhi, senza capire. “A me sembrava proprio di sì”
“Hai sentito la mia lingua?” la domanda diretta di Shirogane la fece arrossire fino alla punta dei capelli.
“Ma che domande fa?!” gridò, scandalizzata. A malincuore, doveva ammettere di non avere esperienza in questo genere di cose. Parlarne le creava imbarazzo.
“Rispondi. Hai sentito la mia lingua?” ripeté lui, avvicinandosi un altro po’.
La ragazza distolse lo sguardo, mentre al rossore si aggiungeva il caldo, poi obbedì e rispose: “No!”
“Ecco. Appunto”
Ma dove vuole arrivare?, si domandò. “E con questo?!” disse, cercando di indagare.
“Momomiya, quando ti bacerò, e intendo un bacio vero, la sentirai eccome” le sussurrò, con voce roca. In altre circostanze, Strawberry l’avrebbe trovato terribilmente sexy, ma in quel caso le parole e il tono della sua voce non fecero altro che imbarazzarla all’inverosimile. Per non parlare del sorriso malizioso che le rivolse subito dopo.
Deglutì, cercando di pensare a qualcosa, ma si sentiva come se le avessero staccato la spina e non potesse più ragionare. Poi, trovò la forza di parlare. “M-ma.. ma che significa?!” gli domandò, abbassando le mani e lasciando perdere la protezione della bocca.
“Che quello che ti ho dato non era un bacio” le sorrise innocente, rialzandosi. Strawberry rimase qualche secondo rannicchiata contro lo schienale del divano, finchè non riuscì a riacquistare la lucidità.
“Per me è stato un bacio!” esclamò, fuori di sé dalla rabbia.
“Il che mi fa pensare che tu non ne abbia mai ricevuti altri” rispose Ryan, aspettandosi un’altra reazione furiosa da parte sua. Quando questa non arrivò, capì di aver fatto centro. Osservò Strawberry chinare il capo e arrossire, mentre la frangia le nascondeva gli occhi.
“Il tuo ragazzo non ti ha mai baciata?” le domandò. La vide sussultare.
“Mark non è il mio ragazzo” rispose, per chiedersi poi per quale motivo gli stesse dicendo quelle cose. “E lei che razza di professore è? Baciare un’alunna…”
Shirogane la interruppe. “Sono un supplente, infatti. E non era un bacio, ti ripeto. Era una semplice punizione”
“E lei punisce così le studentesse?!” sbraitò, indignata.
“No, solo te in realtà” ribatté lui. “Ma se ti dà così fastidio, non capiterà più. A meno che non sia tu a volerlo, sia chiaro” la provocò.
“Mi dà fastidio!” confermò Strawberry, incrociando le braccia. Era furente.
Ryan si sentì un po’ in colpa. “Dai, torniamo a studiare” le disse, cercando di chiudere la discussione. La rossa alzò il capo e lo guardò.
“Sono arrabbiata. Lei è un mio insegnante. Non voglio che ci siano tensioni. Se io le rispondo male, rischio che lei mi prenda di mira e che la mia pagella faccia ancora più schifo dell’anno scorso” disse, con grande sincerità. Forse stava ragionando ad alta voce, pensò Ryan.
“Invece mi tieni testa. E questo mi diverte” le spiegò, optando anche lui per una spiegazione sincera. Strawberry sembrò poco convinta. “Sul serio? Non mi abbasserà i voti visto come mi sono comportata?”
“Momomiya, non sono il genere di professore che fa questi giochetti. E qui non siamo in classe. Ma sia chiaro che esigo comunque rispetto”
La ragazza annuì. “E lei rispetterà me?”
“Affare fatto” rispose, porgendole la mano. Strawberry la strinse, sorridendo. Si stupì quando lui ricambiò: era il sorriso più bello che avesse mai visto.
Tornarono sui libri, considerando chiuso l’argomento “bacio”. Non voleva più parlarne. Shirogane aveva detto che non era stato un bacio, punto. Perciò poteva ancora sperare di dare il primo a Mark. Decise di pensarla così, poi si concentrò su ciò che il professore aveva iniziato a spiegarle.
“La dinamica si basa su tre principi fondamentali. Il primo di questi è detto principio d’inerzia, noto anche come legge inerziale di Galilei” disse, mentre lei prendeva appunti a gran velocità. Sorrise, poi continuò enunciando il principio: “Un corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, finché non interviene una forza a modificarne lo stato”.
Le fece qualche esempio e Strawberry sembrò afferrare al volo il concetto. Così proseguì con la spiegazione. “Il secondo principio, o legge di Newton, afferma che un corpo su cui agisce una forza su­bisce un'accelerazione direttamente propor­zionale all'intensità della forza e inversa­mente proporzionale alla massa del corpo”
La rossa lo guardò con un’espressione da “non ho capito nulla”, che trovò divertente. “Ehm… cioè?” chiese.
“Te lo spiego in parole più semplici. Hai presente il carrello del supermercato?” lei annuì. “Se è vuoto devi imprimere un forza minore per spingerlo, rispetto a quando è pieno” si fermò un attimo per permetterle di assimilare l’informazione, poi continuò. “Se poi lo spingi e lo lasci andare, questo si muoverà più velocemente o più lentamente a seconda che sia pieno o vuoto e della forza impressa nella spinta”
“Aaah, ho capito! Ok” confermò allegramente. Poteva dire tutto di Shirogane, ma non che non fosse un bravo insegnante.
“Bene, prima di dirti l’ultimo principio, passiamo alla parte pratica” disse lui. Strawberry sbuffò: parte pratica = esercizi = formule. Detestava le formule.
“Non lamentarti, te la stai cavando bene fin qui” la incoraggiò il biondo.
Passarono una mezz’ora d’inferno (per lei) tra simboli e numeri. Strawberry faceva davvero fatica, ma con un po’ d’aiuto e diversi rimproveri riusciva ad arrivare alla soluzione senza grandi problemi. Ryan poteva ritenersi soddisfatto della sua allieva. Compilarono buona parte dei fogli che il professore le aveva assegnato, ma ne mancavano ancora tanti. Troppi.
“Ci sei con questi esercizi?” le domandò Shirogane, mentre lei si lasciava cadere con la testa sul tavolo.
“Sì. Mi esce il fumo dal cervello, basta” implorò.
“Passiamo all’ultimo principio. Qua ti divertirai di più” il prof le fece l’occhiolino, catturando la sua attenzione. “Principio di azione e reazione” le disse, facendole segno di scrivere. Svogliatamente, Strawberry seguì l’indicazione.
“Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria” citò lui. “E ora la parte divertente”
Strawberry lo seguì con la sguardo mentre si alzava e si dirigeva verso il mobile alle loro spalle. Aprì un cassetto e ne estrasse una corda. La ragazza lo guardò interrogativa.
“Hai mai giocato al tiro alla fune?” le domandò.
“Sì… ma cosa centra?”
“Alzati”
“Agli ordini…” mormorò, infastidita. Non sopportava quel tono autoritario.
Shirogane le porse un’estremità della fune e afferrò l’altra. La guardò sorridendo. “Facciamo una scommessa? Chi vince decide la posta” propose poi.
“Non sarebbe equa. Lei è sicuramente più forte di una ragazza”
“Dimostramelo” la provocò. E, come era ovvio accadesse, Strawberry accettò immediatamente la sfida.
Si misero in posizione e, al via, cominciarono a tirare. Come previsto, Shirogane era molto più forte, ma cercò di trattenersi per dare spazio di manovra anche a lei. Strawberry, dal canto suo, si impegnava a fondo. Tirò con tutta la forza che aveva, ma Ryan non si muoveva di un millimetro. Piccole goccioline di sudore cominciarono a percorrerle il viso. Cercò di mantenere la presa con una sola mano e portò l’altro braccio ad asciugare la fronte, ma in quel momento Shirogane impresse più forza trascinandola di qualche passo verso di sé. Lei gli rivolse un’espressione corrucciata, a cui lui ripose con un sorriso compiaciuto.
“Mai abbassare la guardia” le disse. “E ora ascoltami bene. Ad ogni azione” indicò lei, senza smettere di tirare “corrisponde una reazione uguale e contraria” concluse, puntando il dito verso se stesso. “Hai capito?”
Strawberry sorrise entusiasta: “Aaah,sì ho capito!” esclamò, esaltandosi. Forse un po’ troppo. Nella gioia di aver compreso il principio, allentò la presa sulla corda. Ryan immediatamente ne approfittò e, in un attimo, Strawberry si ritrovò catapultata verso di lui. Andò a sbattere contro il suo petto marmoreo, sentendo un certo dolore al naso. Shirogane perse l’equilibrio, stupito dalla forza con cui le era caduta addosso. Si ritrovarono entrambi a terra. O meglio, lui a terra, lei sopra di lui.
Strawberry si sollevò, massaggiandosi il naso. Quando si rese conto di essere seduta su di lui, arrossì violentemente.
“Azione e reazione, Momomiya. E’ chiaro?” disse lui, mentre si tirava su con il busto, sostenendosi con i gomiti.
“C-chiaro”
“Ho vinto” le fece presente, sorridendo divertito.
“E’ stato sleale! Mi ha distratta!” si difese Strawberry, tirandogli un leggero colpo sul braccio.
“E’ solo colpa tua, mia cara”
“Mi rifiuto di fare qualsiasi cosa che sia sconveniente!” ci tenne a precisare, incrociando le braccia.
Ryan alzò un sopracciglio, perplesso. “Momomiya, sei seduta sopra di me. Più sconveniente di così…”
Avvampando, Strawberry si alzò. Era rossa più che mai.
“Allora? Cosa vuole?” gli domandò, temendo la risposta. E se mi chiede un altro bacio? O peggio? Pensò, in preda all’agitazione.
“Offrimi un caffè, scema” 
“Perché mi insulta?!” gridò.
“Perché si vede lontano un miglio che stavi pensando a cose sconce. Mi dispiace per te, ma voglio solo un caffè. Andiamo” le lanciò la giacca leggera che indossava quand'era arrivata e andò a prendere la propria.
Strawberry si trovò nuovamente ad arrossire. Capitava un po’ troppo spesso. Sbuffò e mise via i libri, brontolando tra sé e sé.
“Allora, sei pronta?” la esortò Ryan, impaziente.
“Sì, prof!” esclamò, oltrepassando la porta tenuta aperta dal ragazzo.
“Cos’è tutta questa confidenza?” le chiese lui, dando due giri alla serratura.
Professore è troppo formale. Posso chiamarla prof?”
“No”
“D’accordo, prof” ribatté allegramente.
Ryan le diede una leggera spinta, facendola barcollare. Strawberry rispose con una linguaccia.
Dopotutto, quella situazione non dispiaceva a nessuno dei due.








E finalmente ecco anche il sesto capitolo :)
Ne approfitto per ringraziare tanto tanto le persone che mi seguono e che mi hanno fatto gli auguri per la guarigione e per l'esame (è andato benissimo! Grazie mille :D)! Spero che questo capitolo vi ripaghi dell'attesa dell'ultima settimana xD E' un pochino più lungo degli altri, ma spero non vi abbia annoiato!
A presto!
Baci,
Comet

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Capitolo 7
*** Un po' più vicini ***




Capitolo 7 – Un po’ più vicini
 



Inizialmente Katherine era tornata in Giappone con l’intenzione di fermarsi solo qualche giorno, per sistemare qualche faccenda e passare un po’ di tempo in compagnia del figlio. Una volta appurato che lui stava bene, sarebbe tornata a casa. Eppure era trascorsa più di una settimana e ancora non aveva preso una decisione sul da farsi.
Sospirò, pensando a quanto Ryan somigliasse a suo padre. Ne aveva ereditato molti aspetti positivi, ma non da meno erano i difetti. E buttarsi a capofitto nel lavoro per sfuggire alla sofferenza, era certamente uno di questi.
Pensò che fosse il caso di ritardare la partenza ancora un po’. Suo figlio aveva bisogno di lei.
Kyle si affacciò nella stanza, distraendola dai suoi pensieri. “Katherine, tutto bene?”
La donna annuì. “Grazie per avermi offerto una delle stanze sopra la pasticceria”
Il ragazzo sorrise amabilmente, appoggiandosi allo stipite della porta. “Figurati” disse, poi la guardò accigliato. “Che strano sentirti parlare la nostra lingua. Di solito prediligi l’inglese”
“Già, il fatto è che non amo molto questo paese. Troppi brutti ricordi. Però ho intenzione di prolungare il mio soggiorno qui”
Kyle non sembrò stupito. “Per Ryan?” chiese.
“Sono preoccupata,  Kyle” gli rivolse uno sguardo serio, sistemando una ciocca bionda dietro l’orecchio. “Sapevo che non sarebbe stato facile per lui. Mi chiedo se ho fatto bene ad andarmene a quel modo due anni fa”
 “Non avresti potuto fare nulla comunque” esitò un attimo, pensandoci su. “Ryan ci sta ancora male, però mi sembra che ultimamente le cose vadano meglio. Forse pian piano ne sta uscendo”
“E tu?” domandò Katherine, cercando di non apparire invadente.
“Non ho dimenticato Kari, se è questo che vuoi sapere” mormorò, toccandosi il petto in corrispondenza del cuore. La donna gli sorrise nel tentativo di trasmettergli un po’ di conforto. Poi si alzò e gli si avvicinò, cingendolo in un abbraccio carico di comprensione.
“Me neither” sussurrò.
Quando si separarono, Kyle le rivolse uno sguardo sospettoso. “Katherine…” cominciò, avviandosi alla porta. “Hai detto a Ryan che starai qui per un po’?”
Sentì la sua risata cristallina alle spalle. Come non detto. Katherine era sempre la stessa. Uscì dalla stanza, divertito al pensiero della reazione che avrebbe avuto l’amico.
 
 
“Ma prof! Non è giusto!” esclamò Strawberry, contrariata. Se ne stava seduta sul divano di casa Shirogane circondata da fogli pieni di formule e le proteste andavano avanti da dieci minuti buoni. Aveva passato il pomeriggio a scrivere e la mano cominciava a dolerle. L’aspetto positivo era che, grazie al suo insegnante, aveva compilato la maggior parte dei compiti, la cui consegna era ormai imminente. Però, nonostante si stesse facendo tardi, Shirogane non sembrava intenzionato a lasciarla andare a casa.
“Momomiya, mi stai stancando” la informò lui.
“Non ce la faccio più, facciamo una pausa” insistette, incrociando le braccia.
“Sei peggio di una bambina. Ho detto di no”
Lei gonfiò le guance, gesto a cui Ryan si era ormai abituato, poi sbuffò. “Si diverte a torturarmi, vero?”
“Molto” sorrise beffardo, ma tornò subito serio. “Allora, facciamo un ultimo argomento per oggi”
“Mi promette che è l’ultimo?” chiese lei, sospettosa.
“Vedremo” la provocò. Si divertiva a prenderla in giro, soprattutto perché le reazioni di lei erano sempre imprevedibili: a volte sbuffava, a volte si arrabbiava, si agitava, altre ancora restava indifferente. E a Ryan piaceva quella varietà di comportamenti. Li trovava… interessanti.
“Hai mai sentito parlare dell’attrazione gravitazionale?” le domandò, mentre lei si preparava a scrivere. Strawberry annuì. “Riguarda i pianeti, no?”
“Mi sorprendi, Momomiya” disse, mostrandole un sorriso ironico. Per tutta risposta, lei alzò gli occhi al cielo divertita.
Negli ultimi tempi andavano d’accordo, più di quanto ci si aspetterebbe da alunna e professore. Era un rapporto un po’ strano di cui nessuno dei due osava parlare, forse perché ancora inconsapevoli della vicinanza che si era creata tra loro. Ma entrambi apprezzavano molto di più le lezioni di recupero rispetto a quand’erano iniziate.
“L’attrazione gravitazionale regola il moto dei pianeti” le spiegò lui, avvicinandosi per controllare che stesse prendendo appunti. “Ogni corpo esercita sugli altri corpi una forza di attrazione direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra i loro centri di massa”.
Strawberry sbatté le palpebre più volte, era stanca e lui aveva usato parole troppo difficili. La sua espressione doveva essere molto chiara perché Shirogane rise.
“Momomiya, sei un caso disperato” la schernì, allungando un braccio fino a sfiorarle la frangetta sbarazzina. La rossa avvampò, lui se ne accorse e alleggerì immediatamente l’atmosfera, scompigliandole i capelli.
“Prof!” protestò, alzando la braccia nel tentativo di proteggere i codini.
Non lo sopporto, non lo sopporto! gridò la sua voce interiore.
“Professore” ribadì Ryan, per la centesima volta.
 E per la centounesima, lei sorrise. “Non c’è poi molta differenza…”
Si  arrese alla testardaggine della ragazza e si alzò, porgendole la mano. “Su, vieni” le disse.
Strawberry la afferrò poco convinta. “Cos’è, un'altra trovata per spiegarmi qualcosa?”
“Non fare storie, alzati” tagliò corto.
La condusse al centro del salotto, facendola fermare di fronte a lui.
“Io sono il Sole” le spiegò. E ti pareva?, pensò, ma non disse nulla e aspettò che Ryan continuasse con la dimostrazione. “E tu sei la Terra”.
Detto ciò, posizionò le mani sui suoi fianchi con delicatezza. A quel tocco, la ragazza sussultò. Presa in contropiede, fece per arretrare, ma Shirogane mantenne saldamente la presa. “Non fare la sciocca, Momomiya. Non ti faccio nulla”.
E’ una parola! Si sentiva stranamente in agitazione quando entrava in contatto fisicamente con lui. Pensò che chiunque avrebbe reagito allo stesso modo trovandosi vicino a un tipo come Ryan, perciò non doveva darci molto peso. Tentò di darsi una calmata, reprimendo un piacevole brivido.
“Il Sole ha una massa maggiore della Terra. Fin qui è semplice, no?”
Aspettò una conferma da parte sua, poi continuò.
“Quando un astro finisce nel campo gravitazionale di un astro con una massa maggiore” spiegò, stringendo leggermente le dita sui fianchi di lei. “Ne viene attratto e vi precipita” le fece fare un passo in sua direzione. Strawberry lo lasciò fare senza opporre resistenza. “Oppure comincia a girare intorno ad esso, entrando nella sua orbita e modificando la traiettoria iniziale”. A quel punto, la portò a muoversi in cerchio, attorno a lui.
Sentiva le sue mani calde sfiorarle la pelle nel piccolo spazio lasciato scoperto tra la maglietta e il bordo dei pantaloni.
La prossima volta devo mettere una maglietta più lunga, appuntò nella mente.
Un nuovo brivido fece capolino in fondo alla schiena e questa volta lo lasciò correre, mentre le veniva la pelle d’oca. Shirogane la guardava negli occhi e quell’immensità azzurra la trafisse, facendole mancare il fiato. Erano come una calamita, quegli occhi.
Non distolse lo sguardo, come ipnotizzata, finchè lui non le fece fare un giro completo attorno al “Sole”.
In quel momento, si sentì esattamente come un astro attratto e infine risucchiato dalla forza gravitazionale di un altro molto, troppo più grande di lei. Era sentirsi parte dell’universo, fuori dal mondo.
Quella situazione non le piaceva, si stava lasciando trasportare incapace di reagire.
Quando si fermò, si inumidì le labbra e cercò di schiarirsi la voce, che improvvisamente sembrava sparita. Le mani del biondo erano ancora ferme sui suoi fianchi e, benché fosse una sensazione piacevole, desiderò ardentemente che la lasciasse andare. Quasi le stesse leggendo nel pensiero, Shirogane eseguì, facendo un passo indietro. Poi le sorrise.
Strawberry riacquistò la lucidità sufficiente per notare che si stava facendo buio e che la stanza era in penombra. Deglutì, mentre una sensazione sconosciuta si faceva spazio dentro di lei.
“Che mi dici?” le disse Ryan, rompendo l’incanto.
“Ho… ho capito” rispose, con voce debole. Sembrava che i suoni faticassero a salire.
“La teoria a volte è difficile perché i fisici si divertono a usare paroloni, ma con qualche esempio diventa tutto più semplice”
Lei annuì, portando una mano a sfiorare la guancia in un gesto automatico. Era calda e si sentì scema per essersi agitata tanto. Non era successo niente di che, dopotutto.
Provò a concentrarsi sulla spiegazione, nella speranza di scacciare la tensione che la bloccava.
“C’è una cosa che non ho capito” disse.
Shirogane la guardò incuriosito. “Dimmi”
“Se c’è questa forza che ci attrae…” nonostante la poca luce, notò perfettamente il sorriso divertito del biondo e si bloccò, rendendosi conto di quello che aveva detto. Arrossì da capo a piedi, totalmente nel panico. “Ehm, cioè… che attrae i pianeti, non me e lei.. noi… ecco… il Sole e la Terra… loro” si stava incartando.
“Ho capito, tranquilla. Vai avanti” la incalzò lui.
Strawberry abbassò lo sguardo. “Se c’è questa forza che li attrae… perché non si scontrano? La Terra dovrebbe finire addosso al Sole, ma non succede. Gira intorno e basta. Perché?”
“Per via della forza centrifuga. E’ una forza apparente che sorge in un sistema che ruota, come la Terra, e che compensa l’attrazione gravitazionale. E’ grazie all’opposizione tra le due forze che non accade… questo”.
Nel concludere la frase, afferrò Strawberry per i polsi e la trascinò verso di sé. La ragazza si ritrovò in un attimo contro il corpo di Shirogane, senza possibilità di reazione. Di nuovo.
Le guance si accesero di un rosso ancora più intenso e temette davvero che lui potesse accorgersene. Le braccia del biondo le cinsero la vita, imprigionandola. La sua bocca si avvicinò lentamente all’orecchio della rossa e lei, colta di sorpresa, non tentò di liberarsi.
“In caso contrario, noi… ops… il Sole e la Terra finirebbero così” le sussurrò. Il tono di voce che utilizzò, misto all’ironia e alla malizia sottintesa, le fece avvertire un caldo intenso. Rabbrividì e si riprese. Appoggiò le mani sul petto del ragazzo e fece forza per spingersi indietro.
“E’ chiaro… grazie!” esclamò imbarazzata, riprendendo fiato.
Shirogane portò le braccia dietro la testa e la guardò con espressione innocente.
“Ehi, calmati…” le disse, ironico. E Strawberry capì di essere cascata nell’ennesima provocazione del suo giovane insegnante.
“La detesto!” urlò con tutta la voce che aveva. Girò i tacchi e, senza pensarci, salì le scale a gran velocità.
“Momomiya, dove vai?”
Disse con rabbia la prima cosa che le venne in mente: “In bagno!”
L’avrò provocata troppo? Si domandò il ragazzo, mentre si accomodava sul divano.
Strawberry arrivò al piano di sopra. Bene, doveva solo trovare il bagno visto che non ci era mai stata. Anzi, non aveva proprio mai visto la parte superiore della casa. Sbuffò, irritata. Quello stupido di Shirogane!
Aprì la prima porta che trovò alla sua sinistra. Entrò, ma non era il bagno.
Era una stanza rettangolare, non troppo grande. Al suo interno vide un letto con accanto un comodino, un armadio e una scrivania su cui era appoggiato un portatile. Niente più.
Questa dev’essere la stanza del prof… pensò, chiudendo la porta alle sue spalle.
Fece qualche passo avanti, guardandosi attorno curiosa. Non se l’aspettava diversa da così, semplice ed essenziale.
Una cosa la colpì particolarmente. Non l’aveva notata subito, ma sul comò c’era una piccola cornice di legno. Si avvicinò e la prese tra le mani, osservando attentamente la fotografia al suo interno.
Si stupì della bellezza della ragazza raffigurata. I capelli rosa era così vaporosi, proprio come piacevano a lei. Sorrideva dolcemente, sembrava una persona molto posata. Si domandò chi potesse essere, ma dopo la brutta figura che aveva fatto nel caso di Katherine, evitò di fare ipotesi azzardate. 
Rimase per qualche minuto lì, in piedi, a fissare l’immagine, finché qualcuno non gliela tolse dalle mani. Sobbalzò spaventata e si voltò, trovandosi davanti Shirogane.
“Momomiya, è maleducazione toccare le cose altrui” disse, rimettendo la cornice al suo posto.
“Chi è quella ragazza?” domandò, ignorando il rimprovero.
Il professore restò a guardarla in silenzio e lei capì di aver fatto una domanda inappropriata. Abbassò il capo a disagio, mentre si faceva spazio un pizzico di irritazione.
“Coraggio, andiamo” disse il biondo, infine. Le prese la mano e la costrinse a seguirlo fuori dalla stanza.
“Andiamo?” chiese, quando si fermarono nel corridoio. Osservò perplessa Shirogane chiudere la porta e girare la chiave nella serratura.
“Sono le otto. Hai fame?”
Strawberry annuì, convinta che lui stesse in qualche modo cercando di sviare il discorso. Non voleva parlare di quella ragazza. Sbuffò dentro di sé, consapevole che la sua curiosità non sarebbe stata appagata.
“C’è un ristorante italiano qua vicino. Vogliamo andarci?”
“Noi due?” chiese la rossa, sgranando gli occhi. Forse non aveva capito bene.
“Quando smetterai di fare domande sciocche?” la rimbeccò, incrociando le braccia. Si appoggiò al muro spazientito. Lei rispose con una linguaccia, ormai in confidenza con lui.
“Allora, vuoi andarci o no?”
Ci pensò un attimo su, poi lo guardò incerta. “Non è sconveniente per lei farsi vedere in giro con una studentessa?” domandò.
Shirogane alzò le spalle. “Non facciamo niente di sconveniente, mi sembra. A meno che tu voglia provarci con me…”  
Di nuovo si aprì sul suo viso quel sorriso malizioso che Strawberry, non l’avrebbe mai ammesso, trovava tremendamente sexy.
Arrossì e prese ad agitare le braccia davanti a sé. “No! No! Assolutamente!” esclamò.
Lui rise. “Bene. Avverti i tuoi genitori, poi andiamo”
Quando la figlia la chiamò, Sakura non ebbe alcuna obiezione. Dopotutto, era in compagnia di un insegnante, non poteva stare più tranquilla di così.
Se la mamma sapesse che genere di insegnante è Ryan, quanti anni ha e com’è il suo aspetto… non so se sarebbe così tranquilla, pensò Strawberry mentre chiudeva la telefonata. Si disse che avrebbe dovuto stare attenta a non accennare a queste cose, soprattutto con il padre. Shintaro non l’avrebbe più mandata a scuola se avesse visto quant’era affascinante Shirogane. Rise tra sé e sé, immaginandone la reazione. No, meglio non far trapelare nessun dettaglio.
Ryan la ignorò, pensando semplicemente che quella ragazza fosse strana. L’aveva capito da un pezzo ormai.
Uscirono dalla casa e lui la fece salire gentilmente in auto.
La prima volta, Strawberry non ci aveva fatto caso, ma ora che la guardava meglio sembrava essere una macchina molto costosa. Si domandò come potesse permettersi un mezzo così lussuoso, poi ricordò che alla prima lezione Shirogane le aveva detto di essere molto ricco. Sospirò. A pensarci, erano molte le cose che non conosceva del suo professore.
 
Arrivarono a destinazione nel giro di pochi minuti. Strawberry si era aspettata un locale molto chic, invece scoprì con sollievo che era un normale ristorante. Molto carino, per giunta.
“Sembri delusa” le disse lui, mentre parcheggiava.
“No, anzi” spiegò, torturandosi le mani. “Temevo che mi portasse in un posto elegante. Mi sarei sentita a disagio”
“I posti eleganti non fanno per te, Momomiya” la schernì. Per tutta risposta ottenne un pugno sul braccio. Scrollò il capo divertito e fermò la ragazza che stava per scendere dall’auto.
“Scherzavo” le disse, sporgendosi verso il sedile del passeggero.
In un attimo, Strawberry se lo ritrovò vicinissimo. Aspettò una frase imbarazzante, che però non arrivò. Shirogane si accostò al suo viso e le stampò un bacio delicato sulla guancia. Poi tornò a guardarla con i suoi immensi occhi azzurri.
La vide arrossire e sorrise dell’effetto ottenuto.  Si era imbarazzata e la trovò tenera in quel frangente.
“Prof!” urlò lei. Le sue reazioni arrivavano sempre in ritardo, ma non erano mai dolci. Anzi.
Scese dall’auto, sbattendo la portiera tanto forte che temette d’averla rotta, ma non se ne preoccupò e procedette a passo spedito verso l’entrata del ristorante, senza aspettare che il ragazzo la raggiungesse.
Con poche falcate, Ryan le fu accanto. Non smetteva di ridere e questo la irritò ancora di più. Stava per gridare qualcosa, quando il biondo le cinse le spalle con un braccio, obbligandola a voltarsi verso di lui e facendola inciampare.
“Ma insomma!” esclamò, irata. Inaspettatamente, fu avvolta in un abbraccio.
“Che ragazza permalosa” si lamentò lui, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli.
“La smetta di prendermi in giro!” era la millesima volta che glielo diceva, ma Shirogane sembrava sordo a quel genere di rimproveri.
Rimasero a litigare abbracciati per qualche secondo, una situazione paradossale. Poi Ryan la lasciò andare.
Strawberry salì di corsa i gradini fino all’entrata del ristorante e lui le aprì la porta, invitandola a entrare.
“Molto gentile!” esclamò con stizza la rossa, dandogli le spalle.
Quando fu entrata, Ryan si voltò verso il parcheggio. Tirò un respiro di sollievo. L’aveva abbracciata per fare in modo che non notasse le due persone dall’altra parte della strada.
Osservò un ragazzo moro aprire la portiera gentilmente e una ragazza dai lunghi capelli verdi scuotere il capo in segno di rifiuto. L’altro le prese la mano, insistente. Lei cedette e salì, rivolgendogli un sorriso imbarazzato.
Fortunatamente, Strawberry non se n’era accorta.
Entrò nel ristorante, deciso a non far parola con lei di quanto aveva visto.







Bonjour :)
Come promesso, ho aggiornato abbastanza in fretta! In questo capitolo ho voluto raccontare un'altra lezione in stile Shirogane (<3). Spero di non aver scritto cavolate, a proposito >.<
Ci tengo tanto a ringraziarvi per le recensioni, non sapete quanto mi fanno piacere! :D Thank you!
A presto,
un  kiss,
Comet

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Capitolo 8
*** Strane sensazioni ***





Capitolo 8 – Strane sensazioni
 



Uscire a cena con una sua studentessa. Ryan si domandò come gli fosse venuta un’idea del genere. Poi guardò la ragazza seduta di fronte a lui che leggeva ad alta voce il menù e sorrise. Ne studiò la figura, soffermandosi sul volto e non poté fare a meno di pensare che somigliasse davvero tanto a Kari.
“Ho deciso! Spaghetti al ragù!” esclamò Strawberry, sbattendo soddisfatta il menù sul tavolo. “E lei cosa prende?” chiese curiosa.
“Niente” si limitò a rispondere lui.
La rossa lo fissò stupita. “Ma… allora perché siamo venuti qui?”
Ryan sorrise divertito. “Prendilo come un premio per l’impegno di oggi” le disse. “Ma non farci l’abitudine”.
Non avrebbe saputo dire con certezza perché l’avesse invitata fuori a cena, ma preferì non indagare oltre nella sua testa. Dopotutto, non era nemmeno un invito vero e proprio.
Strawberry si limitò ad annuire e arrossì, piacevolmente sorpresa da quella gentilezza. Restò ad osservare Shirogane per un tempo che le parve infinito, almeno finché non incrociò i suoi occhi e si costrinse ad abbassare lo sguardo. Sì sentiva improvvisamente in tensione.
“Che succede?” domandò lui. Se ne era accorto, ovviamente.
“No… nulla”
“Momomiya, rilassati”
Lei sussultò.
“Non hai motivo di essere in imbarazzo” aggiunse, fissandola con le sue iridi azzurre.
“D-dice?” mormorò lei, arrossendo.
 “Già. Non è un appuntamento, se è questo che ti preoccupa”
“E’ un po’ come dire che non uscirebbe mai con me?” ribatté, punta sul vivo.
“Non ho detto questo”
“Quindi lo farebbe?” insistette. Le parve che la sua bocca si stesse muovendo da sola, incurante dei suoi pensieri, senza che potesse far nulla per fermarla.
“Mi stai proponendo di uscire?” un sorriso malizioso comparve sul viso di Shirogane e Strawberry cercò invano di non darvi peso. Si stava abituando ai tentativi del suo insegnante di metterla in imbarazzo, ma questo non le permetteva comunque di uscirne indenne. Ci cascava ogni volta.
“No!” esclamò, temendo di aver alzato troppo la voce. Fortunatamente, il tavolo era in un angolo abbastanza appartato del ristorante e nessuno stava facendo caso a loro. O meglio, a lei. Alcune ragazze si erano già affacciate a rimirare Ryan un paio di volte ma, mentre Strawberry risultava abbastanza infastidita, lui sembrava ignorare tranquillamente quegli atteggiamenti.
Probabilmente ci è abituato, pensò. Ma sapeva anche che Shirogane non amava quel genere d’attenzioni. Per la prima volta, si trovò a domandarsi se non avesse una fidanzata. Non riuscì ad immaginarlo a camminare mano nella mano con una ragazza, non era il tipo. Soffocò una risata.
“Allora non c’è nessun problema” la voce del suo insegnante la riportò alla realtà. “Sei troppo infantile per me, Momomiya” la schernì.
La ragazza lo guardò in cagnesco, provocando una risatina da parte del biondo.
“E poi a te non piace quel tuo amico?” domandò, facendosi improvvisamente serio. Si chiese se Strawberry sapesse dell’amicizia di quel ragazzo con la sua migliore amica.
Vide le sue guance imporporarsi, poi scattò in piedi picchiando le mani sul tavolo. “E lei come fa a sapere di Mark?!” urlò, sorpresa. Per poco non fece cadere il piatto dalle mani del cameriere che passava alle sue spalle.
“M-mi scusi” balbettò, mentre l’uomo, abbastanza contrariato, posava la pietanza davanti a lei. Si risedette e rivolse a Ryan uno sguardo timido. “Allora?”
“Sei un libro aperto. Lo noterebbe chiunque” spiegò lui, scrollando le spalle. “Anche la Midorikawa è amica di questo Mark?” azzardò. Non erano affari suoi, ma si sentiva in dovere di vederci chiaro.
“Lory? No, lo conosce a malapena. E’ molto timida” rispose, senza il minimo sospetto. Ryan ebbe la certezza che non sapeva nulla. Gli era bastato dare un’occhiata a quei due nel parcheggio per capire che c’era sotto qualcosa, possibile che lei non se ne fosse mai accorta?
O magari era solo la sua fantasia che correva troppo. Decise di lasciar perdere quel discorso, non voleva metterla in allarme e non voleva intromettersi nella sua vita. Era solo un’allieva.
Strawberry sospirò e cominciò a mangiare.
Dopo dieci minuti di litigio con la forchetta, si accorse che prendere gli spaghetti forse non era stata una grande idea. Troppo scivolosi e troppo rischio di sporcarsi.
Quando, all’ennesimo tentativo, questi ricaddero nel piatto, Shirogane rise e si alzò.
La ragazza lo osservò avvicinarsi, temendo che avesse in mente qualcosa di strano, ma lui si limitò ad accovacciarsi accanto a lei e a rivolgerle uno sguardo che trovò quasi… tenero.
Tenero? Ma che vado a pensare?, si disse scuotendo il capo. Nonostante fosse in quella posizione, Ryan era alto quasi quanto lei. Normale, pensando che quand’era in piedi la sovrastava non di poco. Si sentì piccola.
Ryan prese il tovagliolo che Strawberry aveva abbandonato sul tavolo e sospirò, sotto il suo sguardo interrogativo.
“Sei proprio una bambina” ribadì, convinto. Lo disse con una dolcezza che nessuno dei due si aspettava, ma non vi diedero peso. Il ragazzo le infilò il tovagliolo nel collo della maglietta, facendola sussultare, poi lo sistemò in modo che le coprisse il petto.
Strawberry era nuovamente arrossita sotto il suo tocco. Guardò gli occhi azzurri del ragazzo, ma subito se ne pentì: cielo e mare assieme, un terremoto d’emozioni. Deglutì, confusa.
“Ecco qua. Così non ti sporcherai” sussurrò Ryan, una volta finito. Si alzò, posandole una leggera carezza sulla testa e tornò al suo posto.
Lei portò una mano a sfiorare il punto in cui lui l’aveva toccata.
“Che caldo..” mormorò, tra sé e sé.
Ryan non la sentì.
 
Il resto della cena passò tranquillamente. Chiacchierarono del più e del meno, ma Strawberry si accorse che parlare con Shirogane non era una passeggiata. In ogni domanda, in ogni frase, c’era sempre un ragionamento. Sembrava che lui la stesse studiando, senza però metterla a disagio. E non sapeva se fosse positivo e negativo. Però si trovava bene in sua compagnia. Si sentiva al sicuro e si divertiva. Nonostante fosse il suo professore, le riusciva facile parlare, discutere, ridere.
“E questo?” domandò, quando il cameriere giunse al tavolo con un piattino da dessert. Non appena vide il budino al cioccolato, un sorriso illuminò il suo volto.
“E’ il dolce” spiegò Shirogane, semplicemente.
“Ma io non…”
“L’ho ordinato io, ma se non ti piace…”
“No, mi piace tantissimo!” lo interruppe lei, agitandosi. “Grazie..” aggiunse, mentre prendeva il cucchiaino.
Stava per fare il primo boccone, quando notò una figura familiare entrare di tutta fretta.
Si sporse per guardarla meglio e, nello stesso istante in cui pregò perché l’amica non la vedesse, Lory si voltò in sua direzione.
“S-strawberry?” esclamò stupita, avvicinandosi al tavolo. Spostò lo sguardo dalla rossa a Ryan un paio di volte, pensando forse di sognare. “Che ci fai qui?” chiese, infine.
“Una cena. Una semplice cena! Abbiamo finito tardi con le ripetizioni e avevo fame!” rispose l’altra, agitando le braccia.
 Lory le sorrise gentilmente. Ryan soffocò una risata, poi lanciò un’occhiata alla porta.
“E tu Midorikawa? Sei qui da sola?” domandò, con finta innocenza.
Vide la ragazza sussultare, colta alla sprovvista. “Io… no... cioè sì, ero... ero a cena prima... ho dimenticato qua il golfino… e sono tornata a riprenderlo”
“Lory, sei la solita distratta!” Strawberry sorrise allegramente e Ryan non chiese più nulla. Si ritrovò a pensare che fosse un’ingenua per non aver notato la risposta vaga e campata per aria dell’amica, ma non erano fatti suoi.
La ragazza dai capelli verdi lo studiò per qualche secondo. Aveva notato la domanda diretta di Shirogane e si chiede se non sapesse qualcosa. Doveva parlare con Strawberry, voleva farlo. Eppure diventava sempre più difficile rivelarle che provava qualcosa per il ragazzo di cui lei era innamorata da una vita. Sospirò, delusa da se stessa.
“Adesso devo scappare” mormorò, con un sorriso di scuse. “Tu devi raccontarmi un paio di cose poi!” aggiunse in un sussurro, all’orecchio dell’amica.
Strawberry arrossì all’inverosimile. “Non ho proprio niente da dirti!” gridò, imbarazzata. Ma l’altra si era già allontanata.
Brontolò tra sé e sé, per poi fiondarsi nuovamente sul suo budino.
“Che cosa c’è?” domandò, vedendo che Shirogane la fissava serio. Eppure le sembrava di avergli detto che odiava essere fissata mentre mangiava.
“Arriverai a pesare cento chili se ti strafoghi così”
“Per sua informazione sono leggera come una piuma!” esclamò, decisa a non cadere nella provocazione.
Shirogane sorrise malizioso. “Non sembrava proprio quando ti ho trasportata in braccio dalla cucina al divano”
“I-in braccio?” chiese, lasciando cadere il cucchiaino.
“Bè? Pensavi di esserci arrivata in volo?”
Ci era riuscito di nuovo. Gli piaceva. Gli piaceva davvero tanto prenderla in giro. E Strawberry si chiese se era un trattamento che riservava a lei o se si comportasse allo stesso modo con tutti.
Ad ogni modo, si ritrovò ad arrossire. “Non mi ha fatto niente, vero?” domandò, sospettosa.
“Chissà” fu la risposta vaga di lui.
“Che cosa?!”
Ryan rise, poi inaspettatamente si alzò e si sporse verso di lei, sostenendosi con le mani sul tavolo.
Strawberry lo guardò confusa avvicinarsi sempre di più.
Oddio, vuole baciarmi ancora? Aiuto, che devo fare?! Mi bacia, mi bacia, mi bacia!, fu il suo unico pensiero, mentre la testa pian piano si svuotava, lasciando il posto al caos.
Automaticamente, anziché spostarsi come gli suggeriva la parte razionale di sé, strinse gli occhi imbarazzata. Ma non arrivò nessun bacio. Sentì qualcosa di caldo sfiorarle la guancia vicino alla bocca e sul momento non capì.
Solo quando riaprì gli occhi, sbattendo le palpebre più volte, comprese che quel qualcosa era la lingua di Shirogane!
Un brivido la percorse da capo a piedi e improvvisamente cominciò ad avere caldo. Guardò il suo insegnante scandalizzata, portando una mano nel punto in cui l’aveva letteralmente leccata.
Per tutta risposta, Ryan tornò a sedersi e la fissò con un sorrisetto compiaciuto.
“Buono” disse e nel farlo si passò la lingua sul labbro superiore, in un gesto che Strawberry trovò maledettamente attraente. Ma non lo avrebbe mai ammesso. Assunse ogni sfumatura di rosso possibile, mentre la salivazione si azzerava.
Quando ritrovò l’uso della parola, non riuscì a dire nulla di sensato se non: “Ma lei aveva detto di detestare i dolci!”
“Infatti non mi riferivo al budino” la provocò, scatenando un’altra reazione sulle sue guance.
“Professore!” gridò lei, sgranando gli occhi.
“Siamo tornate a professore?”
“Sì! Mi stia lontano!”
“Momomiya, è proprio per questo che è divertente prenderti in giro” disse, ridendo.
“In… in giro?” chiese, sconcertata. Quando lui annuì, fu colta da un altro moto di rabbia. “Ma le sembrano scherzi da fare?!”
Detto ciò, si alzò e si diresse a passo rapido verso il bagno, lasciando al tavolo uno Shirogane alquanto divertito.
Entrò, posando le mani sul bordo del lavabo. Calmati, Strawberry. Calmati!, si disse.
Stava cercando di riacquistare lucidità, ma si accorse che non era così semplice. Si toccò nuovamente la guancia e vide il suo riflesso nello specchio arrossire. Si sciacquò il viso, sperando di tornare al suo colorito normale, ma non ebbe molto successo.
“Ma che mi succede?” domandò, in preda alla confusione.
Ogni volta che Ryan le si avvicinava più del dovuto sentiva caldo. Troppo caldo.
 
 
“Strawberry, aspettami” Lory raggiunse l’amica di corsa, fermandosi poi a riprendere fiato.
“Ciao!” disse allegramente l’altra. Si incamminarono silenziosamente verso la scuola, entrambe prese dai loro pensiei.
 Lory si torturava le mani, segno che qualcosa non andava. Stava per dirle la cosa più difficile del mondo e affrontare un discorso come quello non era affatto facile. Con che faccia poteva spiegarle la situazione?
Sai, Straw, siamo innamorate dello stesso ragazzo!, no, non era decisamente il caso, pensò scuotendo il capo.
“Tutto bene?” domandò Strawberry, voltandosi a guardarla. Lory annuì.
“Cioè, no” disse poi. “Devo dirti una cosa”
La rossa smise di camminare e fissò l’amica per qualche secondo.
Cavoli! Ora mi chiederà di Ryan!
“Ecco…”
“Lory, senti, ieri sera non è successo niente tra me e il prof!” la anticipò, arrossendo visibilmente.
“Come?”
“Non abbiamo fatto nulla, non c’è niente tra noi!”
Lory la guardò sorpresa.
“Cioè, siamo usciti a cena perché davvero abbiamo fatto molto tardi con lo studio! E io avevo fame, così ci siamo fermati al ristorante. Non è successo niente!” ribadì. Più o meno, pensò. Sentiva di nuovo quella sensazione di calore intenso se solo ripensava al dessert.
L’amica si lasciò andare in una risata divertita, lasciando Strawberry confusa.
“Non… non era questo che volevi dirmi?” ecco, aveva fatto l’ennesima figuraccia.
“Sì. Sì, era proprio questo”
“Aaaah, meno male” sospirò, passandosi una mano sulla fronte.
“Allora…” fece, ammiccando. “raccontami un po’ di questa cena con il prof” sottolineò particolarmente le ultime parole, facendo sussultare Strawberry.
Le sorrise intenerita, mentre il senso di colpa si faceva sempre più grande. Si domandò fino a che punto sarebbe riuscita a contenerlo. Strawberry era la sua migliore amica, non voleva farla soffrire per nulla al mondo. Sapeva di doverle parlare prima o poi, ma decise di rimandare. Non ora, si disse.
 
 
Una settimana dopo, una Katherine più che sorridente sedeva a un tavolino della pasticceria di Kyle, sotto lo sguardo contrariato di Ryan.
“Oh, finalmente sei passato Ryan” esclamò Kyle, con un sorriso gentile.
“Cosa ci fa ancora qui?” domandò,freddo.
“I miss my son” rispose la donna, mentre il pasticcere le porgeva una tazza di tè.
“Kyle?” si rivolse all’amico. Sicuramente era più affidabile di sua madre.
Il ventiseienne si strinse nelle spalle. “Le ho offerto una stanza qui sopra”
“E perché mai?”
“I want to stay” si intromise la donna.
“Non ce n’è bisogno, mamma. Torna in America” si voltò, deciso a uscire dal locale, ma Katherine lo fermò aggrappandosi saldamente al suo braccio.
“I’m here for you. And Kari” mormorò, quasi in un sussurro. Pronunciò quella frase guardandolo fisso negli occhi, così simili ai suoi.  E in quel momento si accorse davvero di quanto le era mancato suo figlio.
Nel sentire quel nome, Ryan si liberò malamente dalla presa. “Non voglio parlare di lei”
“Ma Ryan..” tentò di dire Kyle, facendo un passo verso di lui.
“Ma niente. Mi sembra di essere stato chiaro” lo bloccò.
Calò il silenzio nel locale. Un silenzio carico di tensione e di cose non dette, soffocate dal dolore.
“Ci vediamo” disse infine il biondo. Fece per aprire la porta, ma qualcuno dall’altra parte lo precedette, costringendolo a indietreggiare.
“Ciao Kyle!” la voce allegra di Strawberry risuonò per la pasticceria ancora vuota a quell’ora. Osservò il pasticcere che sembrava trattenere a stento le risate, poi spostò lo sguardo sulla donna seduta al tavolo e arrossì riconoscendo la madre di Ryan. Quest’ultima le fece segno con la mano di voltarsi, sorridendo.
Strawberry eseguì senza fare domande e si trovò davanti al suo giovane professore.
“Prof… perché si tiene il naso?” chiese ingenua. Poi si rese conto di aver fatto la domanda sbagliata, a giudicare dall’occhiataccia che ebbe in risposta.
“Hai intenzione di farmi fuori, Momomiya?”
“Eh?”
“Ti sembra il modo di aprire la porta?”
“Mi scusi!” esclamò, sporgendosi in un profondo inchino. Shirogane la superò e le diede una spinta, facendole perdere l’equilibrio.
“Così impari” le disse.
“Cos’è, un bambino?!” replicò lei, mentre si rialzava.
“Senti da che pulpito”
Il battibecco fu interrotto dalle risate incontrollate di Kyle e Katherine. La donna era piegata in due dal ridere. Strawberry arrossì e, inaspettatamente, anche Ryan parve imbarazzato.
“Non c’è niente da ridere!” esclamarono all’unisono, il che portò a un altro scoppio di ilarità negli altri due.
Quando si fu ripresa, Katherine si avvicinò ai due ragazzi e posò una mano sulla spalla ad entrambi. “You’re so nice” disse, divertita.
“Smettila, mamma” la rimbeccò Ryan, facendo un passo indietro. “E tu fila a scuola” aggiunse, guardando la rossa.
Strawberry lo guardò torva. “E’ presto. Faccio colazione qua stamattina”
“Oh giusto. Ho una sorpresa per te, siediti” disse Kyle, attirando la sua attenzione. Strawberry obbedì e lui sparì in cucina. Tornò pochi minuti dopo con in mano un delizioso piattino.
Evviva, un dolce!, pensò tra sé e sé la ragazza, ma dovette ricredersi non appena si accorse che non era un dolce qualsiasi.
“Budino al cioccolato!” esclamò il pasticcere, posandolo davanti a lei.
Strawberry si girò immediatamente verso Ryan. Quando incrociò il suo sguardo e vide il sorriso divertito del biondo, arrossì, assumendo quell’abituale tinta accesa.
Lo detesto! Pensò, prendendo con mano tremante il cucchiaio che Kyle le stava offrendo. Vide Ryan chiudere gli occhi e soffocare una risata.
“Non ti va?” le chiese il pasticcere, di fronte alla sua esitazione.
“S-sì! Certo che mi va, anzi grazie mille!” sorrise, tirata.
Mangiò il dolce immersa nel più totale imbarazzo e innervosita dal comportamento del suo insegnante: l’aveva fissata di proposito per tutto il tempo, solo per metterla a disagio. E lei come una stupida non riusciva a togliersi dalla testa il suo comportamento e quel gesto che sotto sotto le era piaciuto.
Una volta fatta colazione, salutò tutti e uscì quasi di corsa. Voleva allontanarsi il più possibile da Shirogane e riacquistare un minimo di autocontrollo. Come non detto, Ryan le fu accanto in un attimo.
Proseguirono insieme verso la scuola, incuranti del fatto che qualcuno potesse vederli insieme e pensare male. A Ryan non importava più di tanto e Strawberry era troppo arrabbiata per farci caso in quel momento.
“Ah” disse dopo un po’ “ecco a lei” e gli lanciò tra le mani un pacco di fogli.
Shirogane abbassò il capo, dandogli un’occhiata veloce, poi guardò la ragazza. “Li hai fatti tutti?”
“Certo” annuì, orgogliosa.
“Sicura?” insistette, intenzionato a punzecchiarla ancora.
“Sicurissima! Ho terminato tutti quelli che aveva detto di fare da sola! E sono giusti!”
“Controllerò”
“Sì, ma non mi segua!” esclamò lei, irata.
“Sto andando a scuola” si giustificò lui. “Oh, a proposito… Era buono il budino?” le chiese poi.
Strawberry colse subito la sfumatura maliziosa nella sua voce e provò a costringersi a non arrossire. “Lo sa che la odio, vero?!”
“Lo so, lo so” confermò Ryan, oltrepassandola.
Strawberry sbuffò, ma non lo seguì. Si fermò e pensò che le sarebbe mancato fare lezione con lui.
Stupendosi, cercò di scacciare via quel pensiero. Ma non sarebbe stato così semplice.









Ciao! Ed eccovi qui il capitolo della cena! :) Come vedete, anche se non lo ammetterà mai, Strawberry non è poi così indifferente nei confronti del professore, eheh!
Sono ripetitiva, ma vi ringrazio di nuovo infinitamente per le recensioni :D Sono felicissima di sapere cosa pensate della storia!
Bene, vi saluto, sperando vi sia piaciuto questo capitolo!
Alla prossima!

Comet

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Capitolo 9
*** Febbre d'amore ***





Capitolo 9 – Febbre d'amore
 



Un mese dopo la consegna dei compiti, i voti di Strawberry in fisica erano decisamente migliorati e il merito era in gran parte delle lezioni private sostenute in precedenza con Shirogane.
Le aveva fornito tutte la basi per poter capire i nuovi argomenti che affrontavano in classe e lei si stupiva ogni volta che capiva al volo le spiegazioni dell’insegnante, ricollegandosi a degli esercizi fatti insieme a casa sua.
Certo, non si risparmiava qualche rossore, come quando lui la guardò di sottecchi e accennò un sorrisetto mentre chiedeva se qualcuno ricordasse cosa affermava la legge di gravitazione universale. In quell’occasione, Strawberry si astenne con decisione dal rispondere nascondendo con imbarazzo il volto dietro le pagine del libro.
Ma a parte qualche sguardo e delle battute scambiate in corridoio, i due non avevano avuto modo di stare a contatto come accadeva durante le lezioni di recupero.
 
 
Fu Kyle a fare in modo che la situazione si smuovesse.
Quel pomeriggio si trovava in pasticceria, come al solito affollata dalla clientela. Fortunatamente, Katherine gli dava una mano a servire ai tavoli, anche se non era un granché come cameriera e le giovani donne sembravano abbastanza deluse quando non era lui a portare loro l’ordinazione. Ma doveva ammettere che un aiuto gli faceva davvero comodo, senza contare che la madre di Ryan si divertiva più che mai, a giudicare dal sorriso che aveva stampato in faccia. Meglio così, pensò il ragazzo.
Stava servendo tè e pasticcini a delle studentesse, quando il telefono del locale squillò. Fu Katherine a rispondere.
“Hello?” disse, per poi correggersi immediatamente davanti all’occhiata di rimprovero di Kyle. “Ehm, pronto?”. Non era ancora abituata a parlare correntemente giapponese. L’inglese era una lingua molto più adatta a un tipo come lei: semplice e veloce.
“Mamma?” la voce di Ryan si diffuse attraverso l’apparecchio.
“Tesoro, ti sento male...”
“Mi è andata giù la voce” replicò lui. “Passami Kyle”
Katherine si voltò e scrutò la sala, in cerca del giovane. Un ragazzina che doveva avere sì e no quindici anni lo stava trattenendo con la scusa di essere interessata alla ricetta della torta sacher.
La donna ridacchiò. “Mi spiace, ma è… impegnato. Credo che ne avrà per un po’. Puoi dire a me”
Sentì il figlio sbuffare all’altro capo del telefono.
“Credo di avere un po’ d’influenza. Dì a Kyle se più tardi può passare in farmacia a prendermi qualcosa” disse, con voce roca.
Katherine sorrise. Se c’era una cosa che sapeva di suo figlio, era che odiava mostrarsi debole. Dirle che si sentiva male doveva essergli costato un bel pezzo del suo orgoglio.
“Se vuoi faccio un salto lì… ti preparo qualcosa di caldo” propose, anche se consapevole che non avrebbe mai accettato. Un altro piccolo difetto ereditato dal padre, pensò.
Di fatti, senza esitare, Ryan rispose: “No, grazie. Non ho bisogno di niente. Mi basta che Kyle mi porti delle medicine quando può”
“Va bene, honey. Ma tu mettiti a letto e non muoverti” si raccomandò.
Ryan borbottò un “sì” - e Katherine immaginò che si fosse imbarazzato per via di quelle attenzioni  -  poi chiuse la chiamata.
Kyle stava scribacchiando su un foglietto quella che doveva essere la ricetta tanto ambita dalla cliente, così non lo disturbò.
Poco dopo, il pasticcere la raggiunse piuttosto contrariato.
“Grazie per avermi aiutato” disse sarcastico.
Katherine rise.“Sembravi divertirti, non volevo interrompere”
Alzò gli occhi al cielo, poi le chiese chi fosse al telefono.
“Il mio figlioletto” rispose lei.
“Ryan che chiama? Dev’essere grave. Cos’è successo?”
“Influenza. Chiede se puoi portargli delle medicine” spiegò.
Kyle sorrise. “Chissà come si è vergognato a doverti dire che stava male”
“Moltissimo, direi”
Volevano molto bene a Ryan, ma trovavano decisamente divertente prenderlo in giro a quel modo.
“E’ un problema, però. Io non posso muovermi da qui” mormorò il giovane, lanciando un’occhiata al locale pieno.
“E non vuole che ci vada io. Quant’è carino” aggiunse Katherine. Riteneva che suo figlio fosse tenero, soprattutto quando s’imbarazzava se riceveva delle cure. Ma era certa che Ryan si sarebbe arrabbiato se glielo avesse detto.  
Mentre pensavano al da farsi, la soluzione si palesò di fronte ai loro occhi.
Strawberry era appena entrata in pasticceria, scrollando l’ombrello prima di appoggiarlo nell’angolo vicino alla porta.
“Ciao!” esclamò, guardando i due. “Piove a dirotto, accidenti” brontolò, mentre si toglieva l’impermeabile e si accomodava al bancone.
Prese a sistemarsi i capelli increspati a causa dell’umidità, non capendo per quale motivo Kyle e Katherine la stessero fissando come se fosse un extraterreste.
“Strawberry…” cominciò il ragazzo.
“…abbiamo bisogno di te” concluse per lui la madre di Ryan.
Strawberry li osservò, temendo una brutta sorpresa. Aveva il vago sospetto che l’avrebbero fregata.
“Ryan ha l’influenza, sai” le disse Kyle, sorridendo amabilmente.
“Ah… infatti non c’era a scuola. Ora buca” mormorò, pensierosa. Notò che Katherine la guardava con espressione seria, poi all’improvviso le mostrò un sorriso e disse: “Can you take care of him?”
Non capì, ma il suo tono le suonò più che malizioso. Arrossì senza sapere perché.
Il pasticcere rimproverò la donna, più per dovere che per volontà vera e propria. Strawberry aveva l’impressione che anche lui si stesse divertendo alle sue spalle.
“Katherine voleva dire se, gentilmente, puoi andare a prendere delle medicine in farmacia e portargliele” spiegò Kyle.
La rossa spalancò gli occhi, indicandosi. “Io?”
Gli altri due annuirono.
“State scherzando, spero!”
“Non te lo chiederemmo se non fosse un’emergenza. Noi non possiamo lasciare il locale, come vedi” spiegò Kyle, allargando un braccio per mostrarle i tavoli tutti occupati.
“Vi ricordo che è un mio professore”
“Proprio per questo lo chiedo a te”
“E se qualche mio compagno mi vedesse andare a casa sua? Pensa che guaio..”
“Puoi sempre dire che gli stai consegnando dei compiti che ti aveva assegnato…”
“Ma, Kyle…”
“Please…” Katherine sbatté le palpebre come una bambina che supplica per avere un giocattolo e i suoi occhi identici a quelli di Ryan sembrarono ancora più grandi.
Strawberry si arrese e sospirò pesantemente. “D’accordo. Lo farò”
“Ti ringrazio. In cambio pasticcini gratis la prossima volta” esclamò il moro, facendole l’occhiolino. L’idea di potersi strafogare di dolci le risollevò il morale.
Kyle scrisse con la sua grafia elegante i nomi di un paio di medicine da comprare e le porse i soldi. “Dovrebbero essere sufficienti” disse.
La ragazza li afferrò e li mise in borsa. “Allora vado”. Recuperò l’ombrello ancora gocciolante e guardò il cielo attraverso il vetro della porta. Diluviava. Inspirò profondamente e uscì sotto l’acqua.
“Siamo stati bravi” disse Kyle, sorridendo sornione. “Anche se non vorrei metterli nei guai. Strawberry ha ragione, Ryan è pur sempre un suo insegnante”
Katherine ridacchiò. “Oh, ci ringrazieranno”.
 
 
Strawberry arrivò davanti alla villa di Ryan con i vestiti completamente bagnati. L’ombrello si era rotto a causa del vento e, come se non bastasse, un'auto le era sfrecciata accanto inondandola d’acqua. Aveva imprecato contro il conducente, ma questo non le aveva prestato la minima attenzione.
Stanca e arrabbiata, suonò il campanello con forza. Attese qualche secondo, battendo il piede sul terreno, impaziente.
“Momomiya?” la voce di Shirogane le giunse fredda attraverso il videocitofono.
“Kyle mi ha chiesto di portarle le medicine”
L’altro rimase in silenzio.
“Mi fa entrare?! Piove se non l’ha notato” sbottò.
Sentì il rumore del cancello che si apriva ed entrò di corsa, cercando di ripararsi la testa, per quel poco che serviva ormai.
Shirogane le aprì la porta, sostenendosi con un braccio appoggiato allo stipite.
“Io e Kyle dovremo fare un discorsetto prima o poi” disse con voce roca, mentre si spostava per farla entrare.
Indossava una maglietta bianca a maniche corte e dei pantaloni della tuta grigi. A Strawberry piacque in quell’insolita veste, ma notò che era parecchio sudato. Lasciò cadere nell’ingresso l’ombrello ormai inutilizzabile e gli si avvicinò, posandogli una mano sulla fronte.
“Scotta” mormorò, facendosi seria. Il biondo barcollò e si appoggiò involontariamente a lei che arrossì, ma vista la situazione cercò di sostenerlo come meglio poteva. Per una volta non lo stava facendo apposta, pensò.
“E tu sei fradicia” disse lui, a un millimetro dal suo orecchio.
Rabbrividì. “Già”
“Andiamo di sopra. Ti do qualcosa di asciutto da metterti”
“Forse è meglio se prima la porto a letto…” propose.
“Momomiya, non ti facevo così intraprendente”
“Non dica stupidaggini!” esclamò avvampando. Adesso sì che lo riconosceva. Avrebbe voluto dargli un pugno, e bello forte, ma si trattenne ricorrendo a tutto l’autocontrollo di cui disponeva. Uno sforzo mica da ridere.
“Dai, andiamo”
Strawberry annuì, mentre il ragazzo cercava inutilmente di reggersi in piedi da sé.
Lo sentì brontolare qualcosa, poi sorrise e si lasciò scivolare il suo braccio sinistro attorno alla spalla e lo sorresse. Ryan parve piuttosto contrariato, ma lei preferì ignorare le sue proteste e lo accompagnò al piano superiore. Notò che, nonostante tutto, cercava di non pesarle troppo addosso e gliene fu grata.
Con non poco imbarazzo, lo aiutò a mettersi a letto.
Quando fu sotto le coperte, Shirogane sbuffò infastidito. Odiava chiedere aiuto e odiava averne bisogno. Guardò la sua allieva, soffermandosi sulle goccioline che scivolavano dai capelli fino a finire sul pavimento.
“Stai bagnando dappertutto” le fece notare.
La ragazza fece per ribattere malamente, ma lui le indicò l’armadio alle sue spalle con un cenno del capo.
“Prendi una maglia asciutta. Il bagno è di là”.
Strawberry obbedì, abbassandosi ad aprire il primo cassetto. Sentiva lo sguardo di Ryan raggiungerla e trafiggerle la schiena e per un attimo le parve che bruciasse. Si scrollò di dosso quella sensazione e prese una maglietta a caso, desiderosa di uscire al più presto dalla stanza.
“Vado… vado a cambiarmi” disse e si accorse che la voce faticava a uscire.
Lasciò la stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Trovò il bagno e vi si infilò dentro, con il respiro affannato. Era tutto strano, essere in quella casa, Shirogane con la febbre, i suoi vestiti fradici. Cercò di darsi una calmata, mentre quelle strane emozioni la facevano sentire tesa come una corda di violino. Forse era solo il fatto di trovarsi da sola con lui dopo tanto tempo, non ci era più abituata.
Si tolse la divisa scolastica, mettendola ad asciugare in una cesta per la biancheria vuota, e indossò titubante la maglietta di Shirogane. La copriva fin sotto le cosce, facendole da vestito.
All’istante, fu avvolta dal profumo inebriante del suo insegnante e il bacio che le aveva rubato qualche tempo prima le tornò alla mente come un’immagine fin troppo vivida. Arrossì e deglutì, nella speranza di togliere quel nodo che sentiva alla gola. Fu inutile.
Si guardò allo specchio e sciolse i capelli, districando i nodi, poi li strofinò con un asciugamano. Riempì d’aria i polmoni e si apprestò a tornare in camera di Shirogane.
Appena entrò, lo sguardo del ragazzo scivolò sul suo corpo, percorrendolo centimetro per centimetro. Di nuovo, ebbe la sensazione di andare a fuoco. Si strinse la braccia sui fianchi, imbarazzata.
“La smetta di guardarmi così!”
Shirogane sorrise. “Stai bene”
Distolse lo sguardo a disagio e lui parve intuire il motivo della sua tensione.
“Pensi che potrei approfittare di te?” le domandò, serio.
Arrossì colta alla sprovvista e non rispose, mentre con le mani tirava più giù il bordo della maglietta nel tentativo di coprire maggiormente le gambe.
“Ti ho mai fatto qualcosa quando facevamo lezione?”
Strawberry fece di no con la testa.
“Appunto. Uno, sono malato. Due, Momomiya, te l’ho già detto, non mi interessano le bambine” la schernì.
Lei finse d’arrabbiarsi, ma comprese che dietro al suo tono antipatico c’era la volontà di tranquillizzarla e lo ringraziò con lo sguardo, sperando che capisse.
Quando il ragazzo fu scosso da un colpo di tosse, ricordò il motivo per cui era lì. “Oh, è vero. Le medicine. Vado.. a prendere dell’acqua e gliele porto” e sparì oltre la porta.
Ryan sbuffò nuovamente. Detestava tutte quelle attenzioni, ma una parte molto nascosta e profonda di lui, una parte che non avrebbe mai rivelato, pensava che non fossero poi così male. Sorrise.
Guardò la foto sul comodino accanto al letto e decise di metterla via. Non voleva sentire altre domande su Kari. Senza contare che l’indomani sarebbe stato un giorno importante, giorno di cui lui non voleva essere partecipe. Infilò la foto nel cassetto e lo richiuse, aspettando il ritorno di Strawberry.
La ragazza entrò in camera con un bicchiere d’acqua in una mano e un sacchetto nell’altra. Posò quest’ultimo sul comò e vi frugò all’interno, estraendone un termometro.
“Prima di tutto deve provare la febbre…” disse. Si sentiva un’infermiera in quella situazione e a quanto pare nessuno dei due lo gradiva.
Shirogane fece una smorfia di fastidio, ma poi prese il termometro senza fare storie e lo mise sotto il braccio. Strawberry gli sorrise allegramente.
“Posso sedermi?” chiese.
Ryan scrollò le spalle con indifferenza e lei si accomodò sul bordo del letto. Fece per portare le ginocchia al petto, ma poi valutò la lunghezza della maglia e ci ripensò, così stese le gambe davanti a sé, lasciandole cadere a penzoloni.
Si sentiva in imbarazzo lì, in camera con il suo insegnante ammalato, mezza svestita tra l’altro. Avvertiva nell’aria quella strana ma piacevole atmosfera di calore, che non le permetteva di rilassarsi del tutto.
“Ehm… scusi se sono piombata qui così” mormorò.
“Non importa. Posso sempre controllare che tu faccia i compiti”
La rossa gli mostrò un’espressione contrariata, cui lui rispose con una risata che venne interrotta da un altro colpo di tosse, più lungo del precedente.
“Sto bene” disse, vedendo che Strawberry stava per avvicinarsi. Bevve un sorso d’acqua, poi tornò a guardarla. “Allora, ti mancavano così tanto le mie lezioni che sei venuta a trovarmi?”
“Assolutamente no! Sono contentissima che siano finite!”
“Sicura?”
No, per niente, le suggerì una vocina lontana nella sua testa, ma la ignorò. La salvò il suono del termometro. Fece segno a Shirogane di passarglielo e controllò la temperatura.
“Trentotto e mezzo. E’ alta” commentò.
“Niente di che”
“Non vanno sottovalutate queste cose!” lo rimproverò, poi si alzò, gli porse il bicchiere e un’aspirina, raccomandandosi di mandarla giù.
“Più tardi deve prendere anche l’antibiotico. Ha mangiato qualcosa?”
Shirogane inghiottì il medicinale, poi scosse la testa.
“Allora vado a prepararle qualcosa di caldo” propose, facendo per uscire.
“Non ce n’è bisogno” la fermò lui.
“Sì, invece”
“Ho detto di no”
“Le farà bene…” insistette.
“Momomiya, sto bene. Vai a casa!”
“Non ci penso nemmeno”
“Non voglio nessuna medicina e niente di caldo, vattene”
“Chi è il bambino tra noi due, adesso?” lo zittì Strawberry, rivolgendogli un’occhiataccia. “Deve mangiare se vuole guarire. Sono qua apposta e mi sono fatta tutta la strada sotto l’acqua perché quello stupido ombrello si è rotto! Quindi non ho intenzione di andarmene finché non starà meglio” poi uscì, sbattendo la porta.
Ryan si  lasciò cadere con la testa dolorante sul cuscino, imprecando per il rumore. Detestava essere contraddetto e a tal proposito quella ragazza era davvero insopportabile. Nonostante quel pensiero, un piccolo sorriso fece capolino sul suo volto, mentre gli tornava in mente l’immagine di una Strawberry imbarazzata, con addosso la sua maglietta, che cercava di coprirsi le gambe.
Dev’essere la febbre, pensò massaggiandosi le tempie. Si sentiva uno schifo.
 
Il frigorifero del professore era praticamente vuoto. Per fortuna, aveva pensato di fermarsi in un mini-market dopo essere stata in farmacia. Decise che lo stufato fosse l’ideale per quando si è ammalati, così si mise ad armeggiare tra i fornelli. Non era molto convinta di quale sarebbe stato il risultato e a dir la verità non era una gran cuoca, ma faceva quel che poteva.
La suoneria insistente del suo cellulare la costrinse ad abbandonare pentola e mestolo e a rispondere.
“Strawberry, come sta andando?” le chiese un Kyle tutt’altro che preoccupato.
 “Ha fatto un sacco di storie, voleva a tutti i costi che me ne andassi”
L’amico rise. “E’ fatto così. E’ troppo orgoglioso per accettare di farsi aiutare dagli altri”
“L’ho notato” rispose lei. “Più che il mio insegnante sembra un bambino di cinque anni. E’ imbarazzante! E’ proprio vero che quando si ammalano gli uomini tornano piccoli” si lamentò.
Probabilmente Kyle aveva passato il telefono a Katherine, perché fu lei a risponderle. “I told you to take care of him!” esclamò ridendo.
“Ehm… sì” disse la rossa, vergognandosi per il basso livello del suo inglese. Dovrei prendere lezioni… pensò.
La donna all’altro capo chiuse la chiamata e a Strawberry non rimase che sospirare e continuare la preparazione, non prima di aver chiamato la madre per avvisarla che sarebbe rientrata tardi. Le disse che avrebbe mangiato da Lory e, come al solito, Sakura non ebbe nulla in contrario. Poi tornò alla cena.
Quando terminò, mise il piatto e le posate su un vassoio, prese un altro po’ d’acqua e portò il tutto a Shirogane, rischiando più di una volta di inciampare sulle scale e fare un disastro.
Lo trovò seduto con la schiena contro la testiera del letto, sollevata che non si fosse alzato.
“Posso fidarmi?” chiese subito il biondo quando gli porse il piatto.
Strawberry lo guardò bieca. “Certo che sì!”
Poco convinto, Shirogane portò il cucchiaio alla bocca. La ragazza trattenne il respiro, temendo di aver preparato una brodaglia poco commestibile, come al solito. Inaspettatamente, però, lui sorrise.
“E’ buono” disse.
“Sul serio?” non ci credeva neanche lei.
“Sul serio”
“Non mi prende in giro?”
“No, Momomiya. Finiscila” tagliò corto.
La rossa sorrise raggiante, stupita del complimento. Per la sua cucina, poi, da non credere.
Rimasero in silenzio finché lui non finì di mangiare, poi Strawberry gli fece prendere l’antibiotico, tra le lamentele incessanti del ragazzo.
“A proposito…” cominciò, mentre si risedeva. Shirogane alzò lo sguardo. “Che cosa significa tu teik cher o qualcosa del genere?”
Ryan rise. “To take care, vorrai dire”
“Quello che è, insomma!” si risentì.
“Vuol dire prendersi cura” spiegò. Vide Strawberry rifletterci un attimo e poi arrossire di colpo. “Perché?” le chiese.
Accidenti a Katherine!, pensò imbarazzata. “Nulla! Nulla!” si limitò a dire, con una risatina nervosa. Mentre ripensava alle parole della donna, si sentì afferrare per il polso e trascinare in avanti, per poi trovarsi in braccio a Shirogane.
“Che fa?!” si lamentò, tentando di alzarsi.
“E’ stata mia madre a dirtelo?” le chiese lui.
Lei ci pensò un po’, indecisa sulla risposta da dargli, poi annuì. Il biondo sbuffò, appoggiando la testa al cuscino e sistemandosi meglio sul materasso e Strawberry si sentì ancora più imbarazzata di prima.
Era praticamente sdraiata tra le sue braccia. Ne sentiva distintamente il battito del cuore nel petto, attraverso la maglietta sudata.
 In un primo momento cercò di ribellarsi, senza risultati, poi si bloccò colpita da un’inammissibile consapevolezza. Con sua enorme sorpresa, quel contatto non le dispiaceva.
Lasciò che un braccio di Shirogane le circondasse la vita, mentre portava l’altra mano tra i suoi capelli. Adesso percepiva anche il proprio cuore ed era certa che il battito non fosse del tutto regolare. Rimasero in quella posizione assurda, che contrastava in ogni modo con i ruoli che ricoprivano.
“Non devi ascoltare quello che dice” le disse Ryan. “Mia madre e Kyle sono pericolosi insieme”
Strawberry si trovò d’accordo con lui e annuì impercettibilmente, spostando il capo nello spazio tra il collo e la spalla del ragazzo.
Aveva nuovamente la salivazione azzerata. Provò a ragionare, anche se in quel frangente le riusciva davvero difficile. Tutto ciò a cui fu in grado di pensare era che la stessa cosa le capitava con Mark. Sì, ma c’era comunque qualcosa di diverso. Non avrebbe saputo spiegare cosa.
Fu questo a spaventarla e a riportarla alla realtà.
Shirogane è un professore!, le gridò la sua parte razionale. Che stai facendo?
Si sollevò di scatto, appoggiando le mani sul petto di lui e si tirò indietro. Si alzò in piedi con rapidità, sentendo improvvisamente le gambe molli. Non ci fece caso e si sforzò di mantenere l’equilibrio, senza riuscire a spiegarsi il perché di quelle sensazioni.
Ryan la guardò stupito, poi tossì, tenendo una mano sulla fronte. Sperò che le medicine facessero effetto al più presto.
“Mi attaccherà la febbre così” mormorò Strawberry, indietreggiando.
“Dovrei baciarti per attaccarti la febbre” la provocò lui, facendola arrossire più di quanto pensasse. “Vuoi provare?”
“No!” esclamò.
“Come vuoi”
“Ma non può fare a meno di prendermi in giro?!”
“Proprio no”
La ragazza afferrò il vassoio vuoto e lo colpì sulla spalla, senza trattenersi troppo.
“Ehi, sono convalescente!” si difese lui.
Strawberry gli mostrò la lingua e uscì a grandi passi dalla stanza, portando con sé piatto e posate.
Detestava quel suo modo di fare. Avrebbe voluto andare a casa, ma non se la sentiva di lasciarlo solo, così scese al piano di sotto e si mise a tavola. Meglio che stare in sua compagnia a farsi mettere in imbarazzo e a provare emozioni strane.  Mangiò un po’ di stufato, lasciandone nella pentola abbastanza perché il professore potesse mangiarne anche il giorno dopo. Non era in grado di reggersi in piedi, figuriamoci di cucinare.
Quando terminò lavò il proprio piatto e quello di Shirogane, li asciugò e li ripose nel mobile dove li aveva trovati in precedenza. Fece tutto ciò con una naturalezza che la stupì, fino a farla sentire imbarazzata.
Pensò poi di dedicarsi ai compiti. Passò una buona mezz’ora prima che si decidesse a tornare di sopra a vedere come stava Ryan.
“Professore…” mormorò, spalancando la porta.
Nessuna risposta. Era girato su un fianco e le dava le spalle.
Si avvicinò di qualche passo e riprovò: “Prof?”
Nulla.
Sbuffò dentro di sé, pensando che si fosse addormentato. Aggirò il letto e andò dall’altra parte per controllare che effettivamente fosse così.
L’azzurro dei suoi occhi era nascosto sotto le palpebre chiuse e il respiro regolare. Dorme, pensò.
Si inginocchiò ai piedi del letto, appoggiando le braccia incrociate sul materasso e rimase a guardarlo. Osservò i capelli biondi sparsi sul cuscino e represse la volontà di affondarci le mani. Ma più lo guardava e più si sentiva attratta da quel volto angelico.
O almeno, finchè dorme. Da sveglio è insopportabile.
Eppure, mentre questi pensieri le attraversavano la mente, inconsapevolmente si sporse in avanti, sempre di più. Si trovò talmente vicino a lui che il suo respiro caldo le solleticò il collo e, se i suoi occhi fossero stati aperti, avrebbe potuto specchiarsi in quelle iridi.
Le sembrò che la mente si fosse improvvisamente appannata e non potesse ragionare lucidamente. Gli posò una mano sulla fronte imperlata di sudore, scostando qualche ciuffo di capelli. Scottava ancora e, improvvisamente, anche le proprie guance parvero bollenti. Pensò di andare a fuoco.
Inevitabilmente, il suo sguardo cadde sulle labbra del biondo. Le parvero così invitanti che, quasi senza accorgersene, si trovò ad un passo dallo sfiorarle.
Poi si rese conto con sconcerto che gli occhi di Shirogane non erano più chiusi.
Come aveva immaginato, si rifletté in quella distesa celeste e il suo cuore perse un battito. Ma non ebbe il tempo di arrossire.
Oddio!, fu tutto ciò che riuscì a pensare, prima che le braccia del ragazzo la avvolgessero, trascinandola sul letto.
Si ritrovò rannicchiata contro il corpo caldo di Ryan, il volto affossato nella sua spalla.
“Se davvero volevi che ti attaccassi la febbre, bastava dirlo” le sussurrò, giocherellando con una ciocca color porpora.
Strawberry provò a deglutire, per la prima volta incapace di sottrarsi a lui.
Aveva una mano appoggiata al suo petto e sentiva con chiarezza i muscoli sotto la maglia. Ricordò quando l’aveva visto a torso nudo e fu ancora peggio.  E’ un insegnante, è un insegnante!, si ripeté per l’ennesima volta.
Non aveva mai provato niente di simile. Sembrava che i suoi ormoni avessero deciso di mettersi in circolo all’improvviso, giocandole un brutto tiro. E la cosa la spaventava.
Cercò di alzare la testa quel poco che bastava per guardarlo in faccia. “N-no” riuscì a mormorare.
“E allora cosa stavi facendo?” la sua voce le sembrò più calda e accattivante del solito.
“Io… io… controllavo se…”
“Se?” la incalzò.
“Niente, mi lasci andare!” ordinò. Aveva caldo, troppo caldo davvero. Doveva uscire da quella situazione e allontanarsi da lui.
Per tutta risposta, Shirogane le spettinò ulteriormente i capelli, ma non mollò la presa.
“Eh no. Per punizione resti qua con me, adesso”
Strawberry lo guardò stralunata. “Che? Punizione per cosa?!”
“Per aver cercato di approfittare di me” spiegò lui, con tono innocente.
“Ma io non ho cercato di…” provò a ribellarsi, mentre il rosso dei suoi capelli si mischiava a quello del viso.
Ryan la interruppe. “E’ un ordine”.
“Non ci penso nemmeno a dormire con lei!” gridò, scandalizzata. Era impazzito se pensava che avrebbe passato la notte con lui. Neanche morta, pensò.
“E chi ha parlato di dormire?”
“Prof!!” lo rimproverò, come al solito.
“Momomiya, sei tu quella che pensa sempre male” disse, alzando gli occhi al cielo. Si sfiorò la fronte e constatò che scottava. In effetti, si sentiva peggio di prima se possibile.
“E cosa dovrei pensare se mi dice così?”
“Che mi farai compagnia finché non mi addormento”
La rossa sgranò gli occhi. “Sta scherzando , vero?”
“Assolutamente no”
La sentì sospirare e poi fare forza per alzarsi, ma non si mosse. Lei lo guardò senza capire.
“D’accordo. Mi lasci, mi siedo qua accanto” propose.
“No”
“Come sarebbe no?”
“Quello che ho detto”
Strawberry lo fissò per un attimo, forse soppesando le sue parole. Poi si arrese all’evidenza e disse con un filo di voce: “Devo restare proprio qui, giusto?”
Ryan le sorrise, senza darle risposta. Chiuse gli occhi e si girò leggermente, in cerca di una posizione più comoda. Si aspettava che lei cercasse di andarsene ma, con sorpresa, si accorse che si stava sistemando sotto le coperte.
“Ho freddo. Non pensi che stia assecondando i suoi capricci” si giustificò, con voce arrabbiata. Poi non si mosse più. Ne percepiva però il respiro irregolare e il cuore tamburellare nel petto.
 
 
Strawberry rimase immobile per quello che le parve un tempo infinito. Quando fu sicura che Shirogane si fosse addormentato, provò ad alzarsi. Aveva le gambe intorpidite e il collo le faceva male per la posizione scomoda in cui era rimasta. Si mise a sedere, tirando un respiro di sollievo.
Aveva voglia di strozzarlo, quella specie di professore.
Cambiò idea quando si girò e vide il suo viso disteso. Sembrava un bambino innocente, tutto l’opposto di quello che era nella realtà.
Si allungò sopra di lui e afferrò il proprio cellulare appoggiato sul comodino. Era buio, ma riuscì a distinguere l’orario scritto a caratteri cubitali nel centro del piccolo schermo. Le dieci. Non aveva più detto niente ai suoi, sperò che non si fossero agitati.
Si voltò nuovamente verso Ryan, indecisa sul da farsi.
E’ uno stronzo, si disse. Ed è adulto, sa cavarsela.
Però ha l’influenza. Forse non è il caso di lasciarlo da solo tutta la notte. E se si sente male?
Rifletté per qualche minuto, poi decise.
Premette un tasto sul cellulare e cominciò a scrivere, cercò in rubrica il numero della madre e inviò il messaggio: “Dormo da Lory. Non preoccupatevi. Un bacio, Strawberry”.
Non dovette aspettare molto per la risposta: “Va bene, tesoro. Salutami Lory. Baci, mamma.”
Ripose il telefono, stando attenta a non svegliare Shirogane. Poi, piano, si infilò sotto le coperte, coprendosi fin sopra la spalla.
Si accoccolò istintivamente contro il petto bollente di Ryan, in cerca di calore. Infine, la stanchezza ebbe il sopravvento. Chiuse gli occhi e si addormentò.








Che dire... in questo capitolo credo che giochino un certo ruolo gli ormoni di Strawberry. C'è una certa attrazione, insomma xD
Ed è anche un po' più lungo del solito, ma spero non sia stata una faticaccia per voi arrivare alla fine >__<
Mi direte poi :)
Al prossimo aggiornamento! :D
Comet

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Capitolo 10
*** Confusione ***





Capitolo 10 – Confusione
 



Fu un leggero fruscio seguito dalla sensazione di un peso sullo stomaco a svegliare Ryan quella mattina. Avvolto in un piacevole tepore, preferì non aprire gli occhi e godersi ancora per un po’ quella quiete.
Si sentiva meglio rispetto al giorno precedente.
Fece per muovere il braccio destro nel tentativo di toccarsi la fronte, ma qualcosa lo bloccò. Perplesso, si costrinse ad alzare leggermente il capo e a spalancare le iridi azzurre.
Quando i suoi occhi misero a fuoco l’esile figura di Strawberry dolcemente addormentata fra le sue braccia, rimase un attimo frastornato, poi la sua bocca si allargò in un accenno di sorriso.
Aveva il viso nascosto nell’incavo del suo collo, le labbra a sfiorargli la pelle. Il peso che aveva avvertito non era altro che il braccio della ragazza appoggiato sul suo petto e che si muoveva su e giù al ritmo del suo respiro. Attraverso il tessuto dei pantaloni della tuta, sentiva il contatto con le sue gambe nude rannicchiate contro il suo corpo.
La trovò tenera come una bambina e attraente come una donna.
Ok, togliamoci da questa situazione, pensò. Invece, colto da un’esitazione che non faceva parte del suo carattere, rimase fermo in quella posizione, con un braccio ad avvolgerle la schiena.
Allungò il collo verso la sveglia: le sei e mezza. Decise di concederle un’altra mezz’ora di sonno, in fondo era ancora presto per la scuola.
Riappoggiò la testa sul cuscino, lasciandosi scappare un sospiro. I capelli di Strawberry gli solleticavano la spalla, ma non si mosse.
La sera prima era convinto che, non appena si fosse addormentato, lei ne avrebbe approfittato per sgattaiolare via. Invece era rimasta. La guardò, studiandone i tratti del viso.
Questo sì che è sconveniente, realizzò.
Ma il suo corpo non sembrava seguire quel pensiero, soprattutto quando Strawberry piegò una gamba, portandola sopra di lui e risvegliando desideri tutt’altro che casti.
Sussultò, sperando per il suo bene che non facesse altri movimenti. Non era certo di come sarebbe andata a finire in quel caso.
Si irrigidì e, quando lei fece lo stesso, si rese conto che si stava svegliando.
Restò immobile, lì com’era, curioso di vedere la reazione che avrebbe avuto. Avvertì un’istintiva e insopprimibile voglia di punzecchiarla che, pensò, era il caso di trattenere per il momento.
Strawberry mosse leggermente la testa, biascicando qualcosa che Ryan non riuscì a capire. Il movimento delle sue labbra sul collo gli provocò un brivido che scivolò rapido lungo la spina dorsale. Cominciava a fare troppo caldo.
Qui finisce male, si disse, consapevole che anche il suo autocontrollo aveva dei limiti.
Poi, piano, la rossa aprì gli occhi color cioccolato, sbattendo più volte le palpebre. Il suo sguardo risalì rapido il profilo del volto del ragazzo, per poi incontrarne gli occhi.
“Buongiorno..” farfugliò, sollevando il mento prima di perdersi in uno sbadiglio.
“Ciao” rispose lui, cauto. Tutto si aspettava, una reazione violenta o un urlo, ma non un saluto. Soffocò una risata, in attesa che lei capisse.
Dopo qualche secondo, la sentì irrigidirsi nuovamente, ora consapevole della situazione in cui si trovava. La vide spalancare gli occhi e sollevarsi di scatto dal suo petto.
“Dormito bene?” le domandò.
“Io…  s-sì…” disse, confusa. Poi, inaspettatamente, si rimise giù, accoccolandosi contro il suo corpo e nascondendo il volto tra le coperte.
Sorpreso da quella reazione, Ryan le accarezzò la testa e lei sussultò al suo tocco. Forse non era ancora del tutto sveglia. Si chiese se non fosse imbarazzata e sorrise tra sé e sé intuendo la risposta alla propria domanda.
Scostò le lenzuola fino a scoprirle il viso e intravide il rossore sulle guance che stava disperatamente cercando di nascondere.
“Hai dormito qui” le disse.
“Lo so” rispose lei, con la faccia premuta sul cuscino.
“Perché?”
Strawberry gli sfiorò il braccio con le dita, in un gesto inconsapevole. Poi lo guardò contrariata.
“Mi sono addormentata” mentì.
“Bugiarda”
Riemerse dal cuscino, spostando gli occhi su quelli del suo insegnante. La fissava con un mezzo sorriso.
“Perché?” domandò.
“Non sai mentire” le rispose semplicemente.
La ragazza abbassò lo sguardo e ci pensò su. Quando tornò a guardarlo, arrossì. Doveva alzarsi, ma per un assurdo e sconosciuto motivo non aveva nessuna voglia di muoversi da lì. Si sentiva stranamente bene, al caldo e forse per questo non aveva reagito malamente. Non aveva paura che Shirogane potesse farle qualcosa come la sera prima, al contrario gli trasmetteva un senso di sicurezza che raramente aveva provato. Rimase in silenzio a riflettere su quelle sensazioni che non riusciva a spiegarsi.
Shirogane le accarezzò la schiena, in un gesto che Strawberry non seppe interpretare.
“E’ ora di alzarsi” le disse, passando a scompigliarle i capelli.
Lei annuì e si sollevò, sostenendosi sui gomiti.
“E’ un po’ strano” mormorò, senza guardarlo.
 “Cosa?”
“Stare… qui, così”
Shirogane sorrise della tinta che aveva assunto il suo viso, poi si sedette appoggiando la schiena alla testiera del letto. “Ti da fastidio?” le chiese.
Scosse il capo, imbarazzata. “E’ solo strano” puntualizzò. Dopo qualche secondo di silenzio, aggiunse: “Se Mark sapesse che ho… dormito con lei…”
“Non è il tuo ragazzo, no?” la interruppe.
“No, ma se lo sapesse penserebbe che…” lasciò la frase in sospeso, incapace di continuarla.
“Non farti paranoie, Momomiya. Sei troppo infantile perché si possa pensare male di te”. E a quel tipo dubito che importerebbe, visto che esce con la tua migliore amica, pensò. Ma non spettava a lui dirle la verità.
Strawberry lo guardò incerta. Doveva prenderla come una cattiveria o come un tentativo di consolarla? Nell’indecisione, afferrò il cuscino e colpì Shirogane sulla spalla.
Lui alzò gli occhi al cielo. “Come volevasi dimostrare”
“La smetta!”
“Sciocca” la prese in giro, restituendole la cuscinata in pieno viso. Poi la trascinò a sé, prima che lei potesse ricambiare.
La rossa si trovò con le labbra di Ryan a un centimetro dalle sue. Deglutì, rabbrividendo all’idea che potesse scaturirne un bacio. Non voleva, assolutamente. O forse sì?
“Cosa…?” chiese, appoggiando le mani sul petto del biondo.
“Faccio… quello che stavi per fare tu ieri sera” le sussurrò, avvicinandosi leggermente. Un minimo movimento e le loro bocche si sarebbero incontrate. Il cuore di Strawberry partì in quarta, mentre la sua testa cercava inutilmente di tenerlo a bada. Aveva troppa confusione dentro. Lo guardò supplichevole, temendo di non avere forza a sufficienza per resistere.
Poi arrivò un bacio. Ma non dove pensava.
Nel momento stesso in cui le labbra di Ryan le sfiorarono il collo, rabbrividì. La bocca del biondo si mosse, baciando con delicatezza ogni tratto di pelle mentre risaliva.
“Prof…” mormorò Strawberry, ma il tono non assomigliò neanche lontanamente a quello che voleva dire. Sembrava un invito a non smettere, che lui accolse.
Continuò a lasciarle piccoli baci, fino ad arrivare sotto all’orecchio. E lei, anziché irrigidirsi, si scioglieva ad ogni contatto.
Non c’era niente di malizioso, solo tanta dolcezza. Forse per questo non ebbe paura e non reagì. Ma, in ogni caso, si chiese se sarebbe stata capace di sottrarsi a quei baci. E la risposta le sembrò così chiara e scontata, che la colpì alla bocca dello stomaco con la forza di un pugno.
Ryan la sentì stringere le gambe sopra di lui. Si fermò e la guardò, rossa in viso e con gli occhi chiusi per l’imbarazzo.
Forse aveva esagerato.
Le strinse le mani sui fianchi e la sollevò di peso, facendola sedere accanto a lui, e le diede nuovamente una cuscinata.
“Ahi!” esclamò lei, buttando il cuscino a terra. L’imbarazzo era stato sostituito dalla rabbia.
Senza lasciarle il tempo di dire nulla, Shirogane le diede le spalle e si alzò.
“Comunque… grazie” mormorò. Poi uscì dalla stanza.
Strawberry rimase seduta sul letto, sola e confusa. Poi capì che forse la stava ringraziando per essersi presa cura di lui. Sorrise, intenerita.
Sentì l’acqua della doccia che si apriva e arrossì senza motivo. Aveva il cuore a mille e non sapeva neanche perché.
Shirogane non poteva piacerle. Proprio no. Era innamorata di Mark, lo era da sei anni ormai, e lo sentiva chiaramente. Si lasciò cadere all’indietro, mentre quei pensieri le affollavano la mente.
Si toccò il collo e seguì con le dita la linea immaginaria che avevano tracciato i baci di Shirogane.
Scottava.
 
 
Il professore ricomparve in camera un quarto d’ora dopo, in tuta e con i capelli bagnati. Quando il pensiero di non aver mai visto niente di più bello le attraversò la mente, Strawberry lo cacciò via con forza.
“Il bagno è libero” le disse lui, con un cenno del capo.
“O-ok. Grazie”
Per la seconda volta, si ritrovò chiusa in bagno, con la schiena appoggiata alla porta e il fiato corto. Girò la chiave nella serratura, poi si infilò sotto la doccia nella speranza di lavare via tutte le sensazioni che stava provando. Non servì a molto, anzi, sembrava tutto ancora più forte.
Ryan era affascinante, questo non poteva negarlo. Però da lì a dire che le poteva piacere ce n’era di strada. E lei non aveva intenzione di percorrerla, in nessun modo.
Si asciugò in tutta fretta e indossò la divisa scolastica. Infine, si soffermò davanti allo specchio a osservare il proprio riflesso.
Ok, Strawberry. Fai finta di nulla. Non hai dormito con lui e non è successo niente. Lo ripeté un po’ di volte per fissarlo bene in testa, poi uscì.
Quando tornò in camera, Shirogane non c’era e dal piano inferiore proveniva un intenso aroma di caffè. Personalmente, non lo apprezzava. Troppo amaro, esattamente come il suo insegnante. Lei prediligeva il dolce, tipo Mark. Bene, doveva essere impazzita: stava paragonando Shirogane a una tazza di caffè e Mark a una fetta di torta? No, meglio lasciar perdere.
Fece un paio di gradini prima che la voce alterata di Ryan la raggiungesse.
“… e non ho intenzione di farlo”, stava dicendo. Quando non sentì nessuna risposta, capì che era al telefono. Si accovacciò su uno scalino ad ascoltare, attenta a non far rumore.
“Ho detto di no. Non voglio venire e non voglio vederla” ribadì. Il suo tono di voce era basso, ma irritato.
Per qualche secondo Shirogane non parlò più, ma Strawberry lo sentì camminare avanti e indietro, spazientito.
“Non mi importa quanti anni sono passati, per me non è cambiato niente!”
Non ricordava d’averlo mai sentito così arrabbiato.
“Una cosa come quella non si perdona” continuò lui e, come se improvvisamente fosse capace di leggergli dentro, Strawberry ne percepì l’amarezza nella voce. Cos’è che doveva perdonare? Forse qualcuno gli aveva fatto un torto e lui non l’aveva ancora digerito. Ma chi? Si ritrovò piena di domande e non si accorse subito che era calato il silenzio.
La chiamata doveva essere terminata, perché il rumore successivo sembrava tanto un telefono sbattuto da qualche parte. Forse per terra.
Decise che non fosse il caso di scendere proprio in quel momento, non avrebbe nemmeno dovuto sentire quella telefonata. Si alzò lentamente e fece per voltarsi. Due gradini e sarebbe stata di sopra, niente di più facile.
“Momomiya, vieni qui” le ordinò con freddezza Shirogane.
Sussultò.
Accidenti!, si maledisse mentalmente e, colta in flagrante, non poté far altro che obbedire. Raggiunse il biondo ai piedi delle scale e gli mostrò un sorriso di scuse.
“Non volevo ascoltare, mi spiace” mormorò.
“Scema” la rimproverò, avvicinandosi.
“Insomma! Ho appena chiesto scusa!”
“Ho sentito”
“E allora che bisogno c’è di insultarmi?!”
“Hai due bottoni slacciati. Scema” le spiegò. Scosse il capo con finta esasperazione, poi si abbassò al suo livello, come se fosse una bambina piccola. Allungò le mani e le chiuse i primi bottoni della divisa, fissandola dritta negli occhi. Strawberry si sentì trafiggere di nuovo da quello sguardo. In ogni gesto del professore c’era sempre qualcosa capace di scuoterla dentro, paralizzandola. Avvampò e si ritrasse.
“Non mi tocchi!” esclamò, in imbarazzo.
“Purtroppo non c’è proprio niente da toccare” ribatté, sorridendo. Un sorriso sornione, che Strawberry colse con un attimo di ritardo. Ma la reazione non fu diversa dal solito.
“La detesto!” urlò, come sempre.
“Lo so” rispose lui, come sempre.
Faceva ormai parte del loro strano rapporto. Odio e amore. Più odio, pensò Strawberry.
 
“Muoviti, c’è la colazione” le disse Shirogane, spingendola verso la cucina.
Sul tavolo trovò un piattino con dei biscotti al cioccolato e una tazza di latte. Si sedette, chiedendosi da dove fossero sbucati, visto che non c’era praticamente nulla nella dispensa.
“E’ passata quell’impicciona di mia madre” le spiegò lui, rispondendo alla sua tacita domanda.
“Oh”. Perfetto, quindi sa che ho dormito qui.
Prese un biscotto e lo addentò. Aveva una gran voglia di chiedergli della telefonata, ma sapeva che Shirogane le avrebbe detto di farsi gli affari suoi, così rinunciò a priori.
“Non avrà intenzione di venire a scuola, vero?” gli domandò invece, vedendo che stava posando sul tavolo le chiavi dell’auto.
Ryan scosse il capo. “Accompagno te. Poi torno a casa”
“Vado da sola. Lei ha ancora la febbre” rifiutò. Lo vide sorridere, divertito da qualcosa che a lei però sfuggiva. “Che c’è?” chiese.
“E tu come lo sai che ho ancora la febbre?”
Strawberry arrossì. “Bè… ecco…”
Ma basta!, pensò di darsi qualche schiaffo. Almeno le sue guance sarebbero state rosse per un motivo sensato.
“Allora?” insistette lui.
“Prima… quando lei… quando ha…”
“Quando ho?” la incalzò.
Stava per rispondere, ma poi si bloccò. Alzò la testa e guardò il suo insegnante: tratteneva le risate. E capì.
“Lo sta facendo apposta!” esclamò, irata.
“Io?”
“Voleva che lo dicessi!”
“Cosa?”
“Che ho sentito che aveva la febbre quando si è appoggiato per baciarmi il collo!” gridò.
Ryan sorrise più che compiaciuto, mentre si sporgeva in avanti. Lei portò le mani davanti alla bocca.
“Molto brava” le sussurrò, appoggiandosi con la fronte contro la sua.
Bollente. Si domandò chi dei due avesse davvero la febbre.
C’era cascata di nuovo.
“Io…”
“Mi detesti. Lo so” la precedette.
Strawberry soffocò l’impulso di strozzarlo e finì di bere il latte con foga. Ignoralo, si disse. Devi ignorarlo!
“Comunque vado a piedi” disse, una volta terminata la colazione. Si alzò e posò il piatto nel lavello. “Ah.. la maglietta che mi ha prestato l’ho messa nello zaino. La lavo e poi gliela riporto”
Shirogane le sorrise. “Non ce n’è bisogno. Tienila”
“No, grazie” disse, ancora arrabbiata.
“Non fare storie” le posò una mano sulla testa, come era solito fare ormai. Strawberry non capiva se era un gesto dolce nei suoi confronti o se la considerava semplicemente una bambina. “Potrai sempre indossarla se sentirai la mia mancanza” la provocò.
E come sempre lei arrossì. “Non penso proprio che capiterà”
“Chissà…” disse. Prese le chiavi della macchina e la guardò con un sorriso strafottente. “Su, andiamo”
Strawberry sbuffò. Non voleva passare un minuto di più in sua compagnia, ma si sentiva anche stanca, come se non avesse dormito. Rassegnata, lo seguì lungo il vialetto e lasciò che l’accompagnasse a scuola.
Durante il tragitto restarono in silenzio. Nonostante cercasse di nasconderlo e ci riuscisse anche bene, si capiva che Shirogane non era guarito. Ma la febbre doveva essere scesa di molto, visto che riusciva perlomeno a reggersi in piedi.
“Prenda le medicine” si raccomandò la rossa, guardandolo torva, quando si fermarono davanti alla scuola.
“Sì, mamma”
“Non faccia lo scemo. Sto parlando sul serio. Non guarirà più sennò” lo rimproverò. Si sentiva una specie di crocerossina che aveva a che fare con un bambino capriccioso. Capriccioso e provocante, in questo caso.
Meglio non pensarci, si disse. Pensieri sconci andate via, via!
“Prenderò queste medicine”
“Promesso?” insistette.
Shirogane le si avvicinò senza preavviso e le schioccò un bacio sulla guancia, fin troppo vicino alla bocca. “Promesso” le disse, nuovamente a pochi millimetri dalle sue labbra.
“Stavolta non casco nella sua provocazione” gli rispose, convinta. Poi scese dall’auto, sbattendo la portiera.
Ryan tirò giù il finestrino scuro e le sorrise.
“Non ti stavo affatto provocando”
Mise in monto e ripartì, appena prima di vedere il rossore prender possesso delle guance della sua allieva.
 
 
Strawberry entrò in aula con i nervi a fior di pelle. Quella situazione era assurda, non poteva avere un rapporto del genere con un professore. Senza contare che, prima non ci aveva pensato, Shirogane l’aveva accompagnata a scuola come se niente fosse, incurante del fatto che qualcuno potesse vederli. Accidenti, era lui l’insegnante, avrebbe dovuto pensarci!
Si sedette, buttando rumorosamente lo zaino per terra.
“Che succede?” domandò Lory, perplessa.
“Shirogane” si limitò a rispondere.
L’amica sorrise: trovava interessante e a tratti divertente lo strano legame della rossa con il loro insegnante.
“Cos’ha fatto?”
Strawberry la guardò in silenzio per un attimo, indecisa sulla risposta da dare. Poi optò per la scomoda verità. “Ho dormito da lui” disse.
Vide Lory sgranare gli occhi e saltare sulla sedia. “Tu.. tu hai… hai dormito…?!”
Da lui e con lui” ammise, imbarazzata. Poi lanciò un’occhiata alla compagna, evidentemente scandalizzata dalla rivelazione. “Ma non è successo niente!” si affrettò a precisare.
“Non ci posso credere!”
“E invece è vero, non è successo nulla!”
“E perché hai dormito da lui e con lui?” domandò, sottolineando volutamente le preposizioni.
“Ha la febbre. Kyle mi ha mandato a portargli le medicine perché lui non poteva. Poi mi sono addormentata” spiegò, modificando leggermente la storia.
“Ti sei addormentata? Nel suo letto?” chiese Lory, decisamente restia a crederci.
“Ok, non mi sono addormentata. Sono rimasta perché stava male e non mi andava di lasciarlo solo” spiegò. La sua migliore amica sembrava avere una specie di radar, capiva subito quando mentiva.
“Sicura che non avete fatto nulla?” insistette, con tono malizioso.
“Lory! Non è successo nulla. Shirogane è un insegnante!”
“E allora?”
Stavolta fu Strawberry a sgranare gli occhi: Lory non era quella sempre ligia alle regole?
“E allora a me piace Mark! Non lui!” esclamò, arrossendo visibilmente.
La ragazza dai capelli verdi sussultò, ma Strawberry non poteva sospettarne minimamente il motivo. D’altronde, era da un mese che si vedeva con Mark alle sue spalle e doveva trovare al più presto il coraggio di dirle la verità. Convinse l’amica a raccontarle tutti i particolari della serata con Ryan, sperando che questo sotterrasse il senso di colpa da qualche parte, almeno finchè non fosse stata pronta a confessare tutto. A quel punto, sarebbe stata pronta a perdere la sua migliore amica? No, non sarebbe mai stata preparata a questo..
 
 
 
Appena tornato a casa, Ryan lanciò le chiavi dell’auto sul divano e si chiuse in camera sua. La testa ricominciava a girargli ed era una sensazione tutt’altro che piacevole.
Sospirò, mentre si sdraiava supino sul letto. Guardò il soffitto, con lo sguardo perso in quel bianco e mille ricordi gli tornarono alla mente.
 
“Ryan, sai qual è il mio colore preferito?” gli disse Kari, seduta per terra, tra i fiori.
“No…” rispose lui, raggiungendola. Si sdraiò accanto a lei, con gli occhi rivolti al cielo.
“Il bianco!”
Ryan sollevò un poco la testa. “Il bianco?”
Lei annuì.
“E perché?”
“Perché è il colore della purezza. E della semplicità. Guarda” esclamò, mostrandogli una ghirlanda di margherite. “Non è bellissima?”
“Certo” rispose. Gliela tolse dalle mani e gliela posò delicatamente sulla testa. Kari sorrise dolcemente, come faceva sempre.
“A me il bianco non piace, invece” ammise Ryan, alzando le spalle.
“Perché?” l’espressione sorpresa e buffa della ragazza lo fece sorridere.
“Perché non lo associo alla semplicità, ma al vuoto. Per me il bianco è il nulla” spiegò, alzando nuovamente il capo per guardare il cielo.
 
Dopo tanto tempo, Ryan non aveva cambiato idea. Mentre guardava il soffitto, pensava ancora che il bianco rappresentasse il nulla. A maggior ragione in quel momento.
Aprì di scatto il cassetto dove aveva chiuso la cornice la sera prima e la recuperò. Studiò la fotografia come se la vedesse per la prima volta, come se dovesse memorizzarne i tratti perché si aspettava che scomparisse da un momento all’altro.
Portò un braccio a nascondere gli occhi e desiderò di dimenticare ogni cosa.
“Kari…” sussurrò.
 
 
 
Al termine delle lezioni, Strawberry salutò Lory e si diresse a gran velocità alla pasticceria. Voleva scambiare quattro chiacchiere con Kyle e dirgli di non provare mai più a mandarla da Ryan con qualche scusa. La notte appena trascorsa le era bastata, non avrebbe retto altre situazioni imbarazzanti e provocazioni. Per non parlare di quel profumo maledettamente sexy che portava Shirogane. Poteva esistere un profumo del genere? Bè, se sì, era assolutamente illegale, andava bandito! Ne andava della sua sanità mentale.
Lasciamo stare, si disse. Cosa c'entra adesso il profumo?
Arrivò al locale e spinse la porta con forza, ma si ritrovò a sbatterci contro senza riuscire ad aprirla. Ci riprovò, ma nulla. Sbirciò dal vetro e solo allora si accorse che la pasticceria era chiusa.
Non c’era nemmeno un biglietto, strano. Kyle era un tipo molto preciso e se mancava dal lavoro c’era sempre una spiegazione.
Sbuffò, ansiosa di sfogare tutto il nervoso accumulato a causa di Shirogane e consapevole che la sua frustrazione a questo punto sarebbe rimasta.
Girò i tacchi, non avendo altra scelta che tornare a casa.
Aveva appena percorso qualche metro, quando vide una donna bionda ferma sul ciglio della strada. Katherine. Rimase a guardare, in attesa.
E, come si aspettava, pochi minuti dopo Kyle la raggiunse con un grande mazzo di fiori bianchi. Glieli porse gentilmente e Katherine li accettò con un sorriso.
“Ryan?” chiese.
Il ragazzo scosse il capo, serio.
Poi si incamminarono.
Spinta dalla curiosità, Strawberry decise di seguirli come aveva fatto alla festa dei ciliegi. Magari avrebbe accumulato un’altra figuraccia, ma era più forte di lei. Pensò che tutto ciò potesse avere a che fare con la strana telefonata di Shirogane, che tanto l’aveva fatto arrabbiare.
Kyle e Katherine chiacchieravano animatamente, ma era troppo lontana per sentire cosa dicessero. Fu tentata un paio di volte di fermarli e dirgliene quattro per averla messa in quella situazione imbarazzante con la scusa delle medicine, ma più di tutto voleva sapere dove non voleva andare Ryan.
Camminavano da almeno venti minuti e cominciava ad essere stanca, senza contare che lo zaino era più che pesante quel giorno. Stava per rinunciare, quando finalmente i due si fermarono davanti a un cancello di ferro.
Kyle sussurrò qualcosa alla donna, la quale rispose con un sorriso che non aveva niente di allegro. Poi entrarono.
Strawberry rimase dov’era. All’improvviso non era più sicura di volerli seguire. Le sembrava di entrare in qualcosa di privato, qualcosa di cui lei non doveva fare parte. Però voleva così tanto saperne di più.
Inspirò profondamente e varcò le soglie del cimitero.
Non ci era mai stata. Era un luogo che un po’ la spaventava.
Rabbrividì e accelerò il passo per non perdere di vista Kyle e Katherine. Restare lì da sola era l’ultima cosa che voleva.
Attraversò file e file di lapidi e ad ogni passo si sentiva riempire da una tristezza carica di malinconia.
Era questo l’effetto che facevano i cimiteri e questo il motivo per cui non aveva mai voluto andarci.
Si fermò di colpo, quando vide i due in piedi davanti a una tomba. Da lì non riusciva a vedere di chi fosse.
Osservò Katherine abbassarsi e accarezzare quella che doveva essere una fotografia. Poi posò i fiori con delicatezza, sorridendo tristemente. Kyle stava in piedi accanto a lei con una mano sulla sua spalla e Strawberry sentì le lacrime salirle spontaneamente quando vide nei suoi occhi una sofferenza che non aveva mai notato prima. Forse l’aveva sempre celata molto bene o lei non era stata sufficientemente attenta.
Rimase in disparte, dove loro non potevano vederla, per un tempo che parve infinito. Quando loro si allontanarono dalla parte opposta, attese che fossero abbastanza lontani, poi si avvicinò alla lapide.
Sentiva un nodo in gola che le mozzava il respiro, inspiegabilmente.
Scostò i fiori, in modo da vedere la fotografia e il nome della persona.
Si bloccò con la mano a mezz’aria nel momento esatto in cui riconobbe quei capelli rosa e quel sorriso. Era la stessa foto che aveva visto a casa di Ryan.
Ma a sconcertarla di più fu il nome che lesse:
“Kari Shirogane”.







Come promesso, ho aggiornato abbastanza in fretta :)
Vi dico solo una cosa: non è così semplice come sembra xD cosa lo capirete poi!
Poooi... da lunedì riprendo l'università, quindi gli aggiornamenti diventeranno un pochino problematici. Purtroppo avrò molto meno tempo e voi dovrete aspettare un po' di più >___< ma cercherò di fare del mio meglio!
Quindi... a presto! :)

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Capitolo 11
*** Sospetti ***





Capitolo 11 – Sospetti
 



Si sedette al proprio posto e recuperò svogliatamente il libro d’inglese dallo zaino. Seguì un sospiro carico di frustrazione.
Era un’intera settimana che Strawberry rimuginava su quanto aveva visto: il cimitero, la foto e quel nome. Kari Shirogane.
Aveva l’impressione d’averlo già sentito, ma non riusciva a ricollegarlo a nulla, a parte l’evidente legame con Ryan e Katherine.
Avrebbe voluto correre subito da Kyle per saperne di più, ma non era certa di averne il diritto. Dopotutto, sentiva di essersi intromessa in qualcosa di privato, qualcosa di forte e ingiusto come il dolore.
Con che faccia poteva chiedergli di parlarne?
Ogni volta che ci aveva provato, le era tornata in mente l’espressione sofferente dell’amico di fronte alla lapide e tutta la sua curiosità non le era sembrata altro che un’enorme colpa.
Parlarne con Shirogane poi era assolutamente fuori discussione, non era certa di come avrebbe reagito se si fosse intromessa, soprattutto senza sapere che tipo di legame avesse con quella ragazza.
“Non vedo l’ora di partire!” esclamò Lory, aggrappandosi al braccio dell’amica. Aveva un sorriso raggiante e Strawberry si accorse solo in quel momento che l’insegnante stava parlando del campo estivo.
“Sarà bellissimo, ci pensi?” continuò la ragazza dai capelli verdi.
Annuì, rendendosi conto che mancava davvero poco alle vacanze. Era stata talmente presa da altro che non ci aveva ancora pensato.
Il campo estivo era un’iniziativa scolastica per le classi dell’ultimo anno, che prevedeva un soggiorno di due settimane presso una località balneare: visite a musei della zona, scoperta dell’architettura e della storia della città, grigliate sulla spiaggia, giochi e nuotate.
Strawberry non aspettava altro fin dal suo ingresso al liceo! Senza contare che vi avrebbero partecipato tutte le classi del terzo anno,  il che comprendeva anche Mark. Avrebbero potuto trascorrere finalmente un po’ di tempo insieme e, forse, avrebbe trovato il coraggio di parlare apertamente con lui. Era l’occasione migliore che aveva, sprecata quella non ci sarebbero state molte altre possibilità. Non poteva stare ancora in bilico, con il rischio che arrivasse un’altra ragazza e glielo portasse via. Inorridì, immaginando la scena della sua disfatta, mentre Mark si allontanava mano nella mano con una biondina tutto pepe.
“No! Non deve succedere!” gridò, chiudendo gli occhi e scuotendo con forza il capo nel tentativo di cancellare le immagini distorte create dalla sua mente.
“Che ti prende?” 
Si fermò. Lory la guardava perplessa e non era l’unica. Si accorse solo allora che era entrata anche l’anziana bidella del piano, la quale, in piedi accanto alla cattedra, la guardava con un sorriso divertito. Doveva averne viste tante di scenette strane da parte degli studenti nei suoi anni di servizio.
“Momomiya, hai qualcosa da dire?” la incalzò l’insegnante, corrugando la fronte.
“I-io… no” mormorò, arrossendo dalla testa ai piedi. Un’altra figuraccia!, si rimproverò.
“Bene. Allora vai a schiarirti le idee in sala insegnanti. Il professor Shirogane vuole parlarti”
Strabuzzò gli occhi. “A.. a me?”
Vide la donna annuire. Lanciò un’occhiata a Lory, ma l’amica era perplessa quanto lei. Sospirò: bene, la giornata non poteva cominciare peggio di così.
Seguì la bidella, anche se avrebbe potuto raggiungere l’aula da sola. Ci era già stata parecchie volte e sempre per colpa dei suoi ritardi che avvenivano a intervalli regolari ogni settimana. Pensò di essere davvero un pessimo esempio di studentessa. Tutto il contrario di Lory…, rimuginò.
L’anziana donna la lasciò davanti alla porta, ma prima di andare via non si risparmiò un commento adolescenziale sul bel professore.
“Non trovi anche tu che sia un gran… oh, ma cosa dico, alla mia età!” sventolò una mano imbarazzata, poi si allontanò ridacchiando, sotto lo sguardo divertito di Strawberry. “Beata gioventù!”
 
Era almeno un’ora che Ryan stava seduto in sala professori e poteva dire ufficialmente di averne piene le tasche. Appena rientrato a scuola dopo la malattia, si era visto affidare una pigna infinita di moduli da firmare e sulla cui utilità nutriva qualche dubbio.
Sbuffò, ravvivandosi i capelli color dell’oro e si stiracchiò. Non si sentiva del tutto in forma, ma stare a casa a pensare era l’ultima cosa di cui avesse bisogno.
Sentì bussare e, poco dopo, due buffe codine rosse fecero il loro ingresso.
“Mi ha fatto chiamare?” chiese Strawberry, chiudendosi la porta alle spalle.
Ryan annuì e le fece segno di avvicinarsi.
“Ho fatto qualcosa?”
“Non direi” rispose, scuotendo il capo.
Appose una firma su un altro documento prima di voltarsi nuovamente a guardarla. Dalla postura rigida, capì che era a disagio.
“Che succede?” le domandò, inarcando un sopracciglio.
La vide sobbalzare e poi arrossire. “No… nulla. Cosa deve dirmi?”
Ryan la scrutò per qualche secondo, senza capire, poi lasciò perdere. Si alzò e le porse un foglio, che lei afferrò prontamente.
“Cos’è?”
“Il tuo compito di fine trimestre”
Strawberry diede una rapida occhiata all’elaborato, per poi sgranare gli occhi e sussultare. Tornò quindi a guardare il suo insegnante, con espressione interrogativa. Lui le sorrise.
“Ho… ho preso otto?” domandò, incredula.
Shirogane annuì.
“Veramente?”
“Sì, Momomiya”
La rossa rimase un attimo interdetta, chiedendosi se non si fosse sbagliato. Non aveva mai preso un otto in fisica in vita sua! Una volta elaborata l’informazione le  si stampò in volto un sorriso entusiasta, prima che si buttasse letteralmente tra le braccia di Shirogane. “Non ci posso credere, evviva!” esclamò, raggiante. Per una volta poteva essere soddisfatta di se stessa.
Per tutta risposta, lui si lasciò abbracciare, divertito come al solito dalla spontaneità di quella ragazza. Esaurito l’iniziale entusiasmo, Strawberry sollevò il viso e lo guardò negli occhi, assumendo quella tinta innaturale che Ryan si era aspettato di veder comparire da un momento all’altro. Poi si allontanò di scatto dal suo petto, facendo un passo indietro.
“Scusi…” mormorò, evitando di incrociarne lo sguardo. Ma che mi salta in mente?!
Shirogane sospirò. Non gli era dispiaciuto quel contatto ed era fiero di lei.
Portò una mano ad accarezzarle la testa, gesto diventato ormai abituale tra loro ma che, nonostante tutto, faceva arrossire Strawberry come la prima volta.
“Sei stata brava” le disse, guardandola dritta negli occhi. Quell’azzurro intenso la trafisse nuovamente, ma in un modo così dolce e gentile che, per un attimo, desiderò di annegarci dentro.
Gli sorrise, cercando di trasmettergli la sua gratitudine con la stessa intensità.
“Però adesso vai in classe” ordinò lui, tornando a sedersi.
Strawberry annuì sorridente, si voltò e corse verso la porta. Fece per aprirla, ma poi cambiò idea.
“Prof…” disse, con la mano ferma sulla maniglia.
Shirogane non rispose, ma lei sapeva che le stava prestando attenzione. Aveva imparato a conoscerlo.
“Grazie. Per l’aiuto” gli dava le spalle, consapevole che se si fosse voltata avrebbe incontrato nuovamente quegli occhi che avevano la capacità di scombussolarla. Per la seconda volta, non ottenne risposta.
Si decise a voltarsi e si scontrò con un sorriso che le mozzò il respiro. Non sapeva che Shirogane fosse capace di sorridere in un modo così… innocente, senza provocazioni o ironia.
“Ehm… la febbre… è passata?” domandò, cercando di pensare ad altro.
“Sì. Sto bene”
“Ok…” mormorò.
“Sembri delusa. Volevi passare un’altra notte a casa mia?”
Ecco ricomparso il professore di sempre, provocante e malizioso. Strawberry ebbe un fremito ripensando al calore del corpo di Shirogane e alle sue braccia che la avvolgevano sotto le coperte. Non pensarci!, si rimproverò.
“Per favore, abbassi la voce” lo pregò. “Se a scuola si sapesse che ho dormito da lei…”
“Non devi preoccuparti, Momomiya. Non ti metterò nei guai” la interruppe, riprendendo in mano la penna e distogliendo l’attenzione da lei.
“Veramente era per lei che mi stavo preoccupando. Non per me” . Lo disse con voce talmente bassa che pensò – e sperò – non l’avrebbe sentita.
Shirogane si mosse impercettibilmente sulla sedia, ma non disse una parola. Strawberry rimase un attimo in silenzio, sperando in una risposta. Quando capì che non sarebbe arrivata, sospirò e uscì mormorando un saluto. Si allontanò in direzione della sua classe senza fare caso al ragazzo che stava appoggiato silenziosamente al muro, alle sue spalle.
Mark era stato mandato in sala professori a consegnare dei moduli, faceva parte dei suoi compiti da rappresentante di classe. Stava per bussare, quando aveva sentito la voce di Strawberry provenire dall’aula.
Si era fermato con la mano a mezz’aria e, senza sapere bene perché, era rimasto in ascolto. Non avrebbe mai immaginato di assistere involontariamente ad una conversazione privata tra la ragazza e il suo insegnante.
“Se a scuola si sapesse che ho dormito da lei…”.
Strawberry aveva detto esattamente queste parole.
Sconvolto, si era posizionato dietro l’angolo in attesa che lei uscisse, mentre si chiedeva come potesse essergli sfuggita una cosa del genere. Lui e Strawberry erano amici d’infanzia, perché non gli aveva parlato di una cosa tanto importante?
Sospirò, mentre la osservava allontanarsi. Forse era meglio tenerla d’occhio, non poteva permettere che si cacciasse nei guai. Una relazione con un professore era un fatto grave che avrebbe potuto compromettere il suo futuro scolastico. Non se ne rendeva conto?
Ma forse si stava facendo solo tante paranoie. Probabilmente aveva capito male, non poteva essere così. Era semplicemente assurdo.
Quando la rossa sparì alla sua vista, entrò in sala insegnanti. Shirogane alzò lo sguardo, ma non disse nulla. Si scrutarono per qualche secondo, impassibili.
“Buongiorno”, disse Mark. Posò i documenti sul tavolo al centro della sala e tolse il disturbo, senza aggiungere altro.
Al suono della campanella dell’intervallo, si diresse a passo spedito verso l’aula di Strawberry. La trovò intenta a chiacchierare allegramente con Lory e si avvicinò cauto, mentre la ragazza dai capelli verdi assumeva un’espressione preoccupata.
“Che ti succede?” le domandò la rossa.
“Strawberry?”
Si voltò di scatto al suono gentile di quella voce e, di fronte al viso di Mark, il suo cuore perse un battito, poi prese a palpitare impazzito. Decisamente troppo.
“Ti posso parlare?” le disse il ragazzo. Era estremamente serio e Strawberry cercò di fare mente locale, chiedendosi se non avesse fatto qualcosa di male. Ma era impossibile, non vedeva Mark da almeno una settimana, purtroppo.
“Certo…” si limitò a mormorare, per poi seguirlo fuori dalla classe.
 Il moro e Lory si scambiarono un’occhiata: lei terrorizzata, lui rassicurante. La ragazza tirò un respiro di sollievo: per un attimo aveva temuto che Mark volesse raccontare del loro legame. Ne avevano già parlato, sarebbe stata lei e solo lei a dire la verità a Strawberry. Era la sua migliore amica, non spettava a nessun altro confessarle tutto. Eppure ogni volta che vedeva il suo sorriso allegro, il coraggio mancava e le parole le morivano in gola. Come poteva parlarle, sapendo fino a che punto l’avrebbe ferita?
Si fermarono in corridoio, lontano da orecchie indiscrete.
Mark voleva semplicemente sondare il terreno, senza metterla in allarme. Dopotutto non era così certo di ciò che aveva sentito.
“Dimmi…” lo incitò Strawberry, stranita dal suo comportamento. Stava appoggiato al muro di fronte a lei e non credeva di averlo mai visto così serio.
“Senti, tu…” esitò, alzando lo sguardo su di lei.
Si sentì trapassare dai suoi occhi, ma in modo diverso rispetto a quando accadeva con Ryan. Quando Mark parlò, capì che era proprio quello l’argomento di cui avrebbero discusso.
“Che ne pensi di Shirogane?” le chiese.
Strawberry spalancò gli occhi, poi sbatté le palpebre più volte, credendo di non aver sentito bene la domanda. “Di Shirogane?” si accertò.
L’altro annuì.
“E’… è un mio insegnante. Ed è molto bravo” rispose, senza capire dove volesse andare a parare.
Mark continuò a fissarla. “Solo questo?”
“Bè, sì. Cos’altro dovrebbe esserci?”
“Non è che tu… ecco… che ti piaccia?”
Lo guardò a bocca aperta, spiazzata. Si domandò se Mark non sapesse qualcosa dello strano rapporto che aveva con Shirogane. L’aveva baciata, portata fuori a cena, presa in giro, aiutata e solo pochi giorni prima avevano dormito assieme. Si diede della sciocca, era impossibile che lui fosse a conoscenza di tutti questi fatti. Poi un pensiero attraversò la sua mente.
Che sia… geloso?
 L’idea era allettante e sarebbe stato magnifico in quel caso, ma le sembrò fin troppo semplice. Non era il tipo da farle domande del genere, contando poi che a scuola Shirogane si comportava con lei esattamente come faceva con tutte le altre studentesse.
“Perché me lo chiedi?” adesso era lei a guardarlo dritto negli occhi, speranzosa.
“Non vorrei che ti mettessi nei guai” spiegò.
Solo questo?, avrebbe voluto chiedergli. “Nei guai?” disse.
“Sì… ecco, lui è un professore… non si possono avere relazioni con un insegnante”
Il suo tono accusatorio non le piacque, ma quello che risaltò di più ai suoi occhi fu l’apprensione di Mark. Si stava preoccupando per lei e questo bastava a renderla contenta.
“Ho capito” mormorò. “Non… non devi preoccuparti”
“In che senso?”
“A me non piace Shirogane. Non so come ti sia venuta in mente un’idea del genere” disse, risentita. Era strano. Perché insisteva su questo fatto?
“Scusami, Strawberry. Hai ragione. Se mi assicuri che non c’è niente ti credo” portò una mano dietro la testa, a disagio. Probabilmente aveva capito male prima e si era fatto tutto un film nella sua testa. “Solo… avevo pensato che potesse interessarti ed ero in ansia perché non voglio che tu soffra”
Strawberry alzò il capo, arrossendo. Deglutì e sentì le parole salirle in gola contro la sua volontà. Doveva parlargli. A me piaci tu, non Shirogane!, bastava dire questo. Sei semplici parole.
Fece un passo in avanti, trovandosi vicinissima a lui. Mark la guardò sorpreso, ma non disse nulla.
“Mark, a me… Shirogane non piace” ribadì.
“Ok…” rispose lui. “Scusa davvero se ho pensato a una sciocchezza del genere”
“Però…” Trovò il coraggio di sfiorare la mano del moro, che sussultò a quel contatto. “C’è una persona che mi interessa” confessò, abbassando il capo. Si sentiva tanto imbarazzata che avrebbe voluto sprofondare.
Mark la guardava senza parlare. Non sapeva se interpretarlo come un buon segno o meno. Prese un respiro profondo prima di continuare.
“La persona che mi piace…”
No, non ce la faceva. Era troppo difficile dirlo. Sentiva il cuore battere senza controllo e pensò che da un momento all’altro sarebbe scoppiato. Bè, se non altro le avrebbe risparmiato quella confessione imbarazzante.
Ma non fu il cuore a fermarla.
La campanella suonò, annunciando la fine dell’intervallo. Strawberry sobbalzò, mentre Mark si liberava con gentilezza dalla sua presa.
“Ne parliamo un’altra volta” le disse, con un sorriso di scuse. “Ora torniamo in classe”
La rossa lo guardò supplicante, ma capì dalla sua espressione che quella conversazione sarebbe terminata lì, per il momento.
“Sì” mormorò, guardando il pavimento.
Mark la salutò, carezzandole la testa. Come faceva Ryan, pensò lei. Improvvisamente il pensiero del biondo la investì, mentre la delusione si faceva spazio prepotentemente dentro di lei. Ci era andata così vicina… poche parole e avrebbe detto la verità a Mark, dopo tanti anni.
Tornò tristemente in classe e si sedette, appoggiando la testa sulla spalla di Lory. L’amica l’accolse dolcemente, cingendole le spalle.
“Lory?” la chiamò.
“Sì?”
“Forse Mark non mi vuole” la informò, ricacciando indietro le lacrime. Ragionò: non era stata la campanella a interromperla, ma lui. Non poteva non aver capito quello che stava per dirgli.
Lory rimase in silenzio qualche secondo prima di rispondere.
“Ma no. Non dire così…” mormorò infine, con un groppo in gola. Cos’altro poteva dirle? Con che coraggio poteva consolarla?
 
 
Alla fine delle lezioni, il morale di Strawberry oscillava tra la contentezza per il miglioramento in fisica e la desolazione per l’idea che Mark potesse non ricambiare i suoi sentimenti.
Lory era corsa subito in biblioteca a studiare, dicendole che avrebbe approfittato delle imminenti vacanze per informarsi sui test d’ammissione all’università e prepararsi a dovere con largo anticipo.
“Sicura di star bene?” le aveva chiesto, prima di andarsene. Strawberry aveva annuito prontamente, tranquillizzandola.
Così si era ritrovata sola e sconsolata, diretta alla pasticceria di Kyle. Aveva bisogno di un amico e di tanti, tanti dolci. Quelli che il ragazzo le aveva promesso per aver portato le medicine a Ryan. Bè, visto com’erano andate le cose, aveva diritto a decine di pasticcini come minimo.
Entrò nel locale affollato come al solito e Katherine le sorrise allegramente mentre serviva delle clienti.
Strawberry contraccambiò e si sedette al solito posto, dove Kyle stava decorando con la panna una torta dall’aspetto invitante.
“Ciao, Strawberry!” la salutò.
“Ciao…”
Il giovane inarcò un sopracciglio. “Mi sembri un po’ giù…”
“Un pochino” mormorò, appoggiando le braccia sul  bancone e affondandovi il viso.
“Qualcosa non va?” le chiese gentilmente.
Era capitato più di una volta che si confidasse con lui e Kyle l’aveva sempre ascoltata senza lamentarsi e senza essere invadente. Era di questo che aveva bisogno in momenti come quello, in cui se sentiva un po’ sola.
Ci pensò un attimo su, poi gli disse: “Stavo per dire a Mark che mi piace”.
“Stavi?”
“Già”
“Quindi non l’hai fatto…” constatò.
Fece cenno di no con la testa. “E’ suonata la campanella”
Kyle le sorrise. “Vedrai che ci sarà un’altra occasione, non buttarti giù”. Poi vide la sua espressione triste e comprese. “Mark ha capito cosa stavi per dirgli, giusto?”
Strawberry annuì. “Credo di sì. Cioè… era impossibile non capirlo” spiegò.
“Che cosa?” domandò una voce fin troppo conosciuta.
La rossa si voltò di scatto, cogliendo la figura di Shirogane prendere posto accanto a lei.
“Allora?” insistette lui, di fronte al suo sguardo interrogativo.
“Ma… insomma! Non sono affari suoi!” tuonò, arrossendo senza motivo. Si chiese se non fosse la sua vicinanza a farle quell’effetto, ma non osò indagare oltre. Non era proprio il momento di complicarsi la vita.
“She was going to say I love you to Mark” si intromise Katherine, posando il vassoio sul bancone.
“Oh, capisco. Coraggiosa” ribatté Shirogane, sorridendole sfacciato.
“Ma che state dicendo?”
“Katherine ha sentito quello che dicevamo. E ha riferito a Ryan che stavi per dichiararti a Mark” le tradusse Kyle, con un sorriso di scuse.
Strawberry avvampò. “Che cosa?!” esclamò, irritata. Che vergogna! Peggio di così!
“Allora? Perché non ti sei dichiarata?” le chiese Ryan, con tono indifferente. Sembrava che la conversazione non gli interessasse granché, eppure aveva la faccia tosta di intromettersi.
Si trattenne dal mandarlo al diavolo. “Stavo parlando con Kyle, se non le dispiace”
“Scommetto che ti ha rifiutata ancor prima che finissi di dirglielo”
“Ryan, lasciala stare” lo rimproverò Kyle. Poi si rivolse a Strawberry, evidentemente in collera e imbarazzata. “Ignora questi due. Dimmi, secondo te quindi l’ha capito?”
“Sì, per forza”
Il pasticcere incrociò le braccia, lasciando perdere la decorazione che stava facendo.
“Non è detto, però”
“Cioè?” una piccola luce di speranza sembrò accendersi sul volto della ragazza.
“Forse per te era evidente perché sai di provare qualcosa per lui, mentre per Mark potrebbe non essere così chiaro” le disse, pensieroso.
In realtà la sua idea di far sbocciare l’amore tra lei e Ryan lo allettava molto di più. Non aveva mai conosciuto Mark, ma da come ne parlava Strawberry non gli era parso proprio il suo tipo ideale. D’altronde non poteva certo dirle queste cose, l’avrebbe distrutta anziché consolarla. E non era di questo che lei aveva bisogno.
Gli fece tenerezza e, per un attimo, la sua espressione corrucciata gli ricordò Kari.
Abbassò il capo per nascondere la nota malinconica comparsa nel suo sguardo, ma a Katherine non sfuggì lo stesso. Era un’attenta osservatrice, proprio come suo figlio.
Prese Kyle per la manica e gli fece segno di andare in cucina.
“Scusate, torniamo subito” disse lui, lasciando Strawberry e Ryan al bancone.
I due si guardarono. Lei irritata, lui divertito. Tutto normale, insomma.
“Non ti facevo così coraggiosa” commentò, con un sorrisetto.
“Non cominci a prendermi in giro, non è giornata” si lamentò, sbuffando.
“Solo perché quel tipo ti ha rifiutato?”
“Si chiama Mark!” esclamò, sbattendo le mani sul legno. “E non mi ha rifiutato!” sottolineò.
“Questo Mark è molto intelligente, vero?”
Ricordava d’aver visto il suo nome in cima alla lista degli studenti migliori della scuola che gli aveva dato il preside, basata sui risultati ottenuti negli esami l’anno precedente.
Strawberry annuì. “E con questo?”
“Non ti sembra un po’ strano che non abbia capito cosa stavi per dirgli?” le insinuò il dubbio, pensando che forse capire la verità a poco a poco sarebbe stato meglio che scoprire all’improvviso l’eventuale tradimento della sua migliore amica. Per qualche assurdo motivo, gli sarebbe dispiaciuto vedere Strawberry soffrire.
Lei sembrò ragionare un po’ sulle sue parole, poi lo guardò confusa.
“Kyle dice che forse è normale che non abbia capito…”
“Kyle è tuo amico. Ti sta solo consolando”
“Potrebbe farlo anche lei, anziché dirmi queste cose!” sbottò.
Shirogane sospirò, poi portò i suoi occhi color del cielo su di lei. Erano freddi e inespressivi. “Non sopporto le persone che preferiscono riempirsi la testa di bugie piuttosto che affrontare la realtà”.
Strawberry sussultò mentre quelle parole la colpivano, entrando in profondità. “E… e quale sarebbe la realtà secondo lei?!” gridò.
Lo vide chiudere gli occhi e appoggiare il braccio sul bancone, sostenendosi il mento con la mano.
“Quando una persona ti impedisce di dire qualcosa, può esserci un solo motivo” si fermò un attimo per tornare a osservare il volto di Strawberry, poi proseguì. “Ha capito ciò che vuoi dire e non vuole sentirlo”.
La ragazza spalancò gli occhi, realizzando quanto vero potesse essere ciò che aveva detto il suo insegnante. Sentì il cuore contrarsi, come se si rifiutasse di prenderne coscienza. Ecco, in quel momento era lei a non voler sentire ciò che Shirogane aveva da dire. Perché non l’aveva fermato prima?
Sentì le lacrime bruciare, pronte a rigarle il viso, ma le ricacciò giù a forza.
“Ma lei cosa ne sa?! Perché dev’essere così cattivo con me?! Mi lasci in pace!” urlò. Gli diede le spalle e corse attraverso il piccolo corridoio dietro al bancone, verso la cucina.
Aveva bisogno del caldo conforto di Kyle, non della crudele realtà a cui l’aveva esposta Ryan. Lui non sapeva niente di Mark, non era nella sua testa.
“Kyle?” chiamò, con voce spezzata.
Non sentì alcuna risposta, ma distinse chiaramente la voce di Katherine dietro la porta a spinta.
“La prima volta che l’ho vista, ho pensato anche io che ci fosse una leggera somiglianza” stava dicendo.
“Lo so. A volte me ne rendo conto fin troppo” ribatté il pasticcere, in un sussurro.
Decise di andarsene. Questa volta non voleva assistere a nessuna conversazione privata, erano già state abbastanza la telefonata origliata a casa di Shirogane e la visita al cimitero. Non era un comportamento corretto. Girò i tacchi, ma si bloccò quando sentì pronunciare quel nome.
“Lei non è Kari, però” disse Katherine, sospirando.
Lei chi? Si chiese, attenta a restare immobile. Se avesse fatto qualche rumore l’avrebbero scoperta e avrebbe collezionato la centesima figuraccia.
“Ovviamente” fu la risposta di Kyle. “Caratterialmente è completamente diversa. Anche se devo ammettere che a volte questa somiglianza è rincuorante, non è per questo che tengo a lei”
Sentì una leggera risata da parte della madre di Ryan. “Avete un bel rapporto, ti comporti come un fratello maggiore con lei. Sei un bravo ragazzo, Kyle. Anche Kari ti avrebbe detto la stessa cosa con un sorriso”.
Strawberry si ritrovò più confusa di prima. Parlavano forse di lei? E chi era questa Kari? Si somigliavano?
Aveva troppe domande e nessuna risposta. Respirò a fondo e decise di entrare, spingendo la porta piano.
Kyle e Katherine sussultarono come se fossero stati scoperti a fare qualcosa che non dovevano e la guardarono sorpresi.
“Strawberry, cosa fai in cucina?” le chiese il pasticcere, avvicinandosi.
“Non posso stare con Shirogane un minuto di più” lo informò, ignorando la presenza di sua madre.
La donna sorrise, ma non disse nulla. Trovava interessante il rapporto di suo figlio con quella ragazza ed era curiosa come una bambina di seguirne gli sviluppi. Era certa che ci sarebbe stato da divertirsi.
“Ti ha fatto qualcosa?” indagò Kyle.
Lei scosse il capo. “Lasciamo perdere”
Guardò Kyle seria, cercando le parole giuste per chiedergli spiegazioni. Aveva paura di essere troppo indiscreta, ma non le venne in mente niente da dire che non la facesse sembrare un’impicciona.
“Posso farti una domanda?”
Il ventiseienne annuì.
“Non vorrei essere invadente, però…”
“Non preoccuparti, chiedi pure”
Inspirò. “Chi è Kari?”
Alla domanda, sia Kyle che Katherine sobbalzarono nuovamente, colti alla sprovvista.
Bene, ottima mossa!, si rimproverò.
“Come fai a sapere di Kari?” le domandò infine il moro, abbassandosi davanti a lei. Quell’atteggiamento le ricordò molto Ryan quando la trattava come una bambina.
Arrossì, sentendosi una stupida. Avrebbe dovuto farsi gli affari suoi.
“Vi ho visti… al cimitero” mormorò. Chiuse gli occhi, vergognandosi per quella confessione. L’altro sembrò sorpreso.
“E vi ho sentiti parlare adesso. Non l’ho fatto apposta, stavo venendo di qui e ho sentito” si giustificò, sperando di sembrare meno sciocca.
“Ho capito” disse Kyle, sfiorandole una guancia. “Non preoccuparti, non sono arrabbiato” aggiunse, vedendo la sua espressione dispiaciuta.
La ragazza lo guardò e accennò un sorriso timido.
“Ho anche sentito il prof al telefono, quando mi sono svegliata a… ehm... nulla” arrossì ancor più. Stavi forse per dire che ti sei svegliata a casa sua?!, gridò alla se stessa interiore.
Katherine rise. Pensò che probabilmente anche Kyle sapeva che aveva dormito da Shirogane e trovò la cosa più che imbarazzante.
“Cosa sai?” si sentì chiedere.
“Che è… morta” rispose, sperando forse che dicendolo a bassa voce potesse essere meno doloroso per loro. Poi si voltò verso Katherine. “E che si chiama Shirogane di cognome” aggiunse.
Kyle sospirò. Sembrava non sapere da dove cominciare.
“Scusa, non sono affari miei. Non voglio metterti in difficoltà!” si affrettò a dire, facendo per andarsene.
L’amico la fermò e cominciò a parlare.
“Kari era…”
“La mia ragazza” concluse per lui Shirogane.
Strawberry si girò e lo vide in piedi sulla soglia. Negli occhi lo sguardo più freddo che gli avesse mai visto. Rabbrividì e il suo cuore prese a tamburellare nel petto. Non sembrava arrabbiato, ma molto di più.








Ciao! Sono finalmente riuscita ad aggiungere il nuovo capitolo! Ho voluto concluderlo lasciando un po' la situazione in sospeso, ma abbiamo fatto un passo avanti comunque nel ricostruire l'identità di Kari :)
Non odiatemi >___<
xD Spero come sempre che vi sia piaciuto!
Al prossimo capitolo (appena potrò, ma spero prestissimo!) e un abbraccio a tutti voi che mi seguite con affetto! :D

Comet

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Capitolo 12
*** Soffrire ***





Capitolo 12 – Soffrire
 



Strawberry sentì un brivido freddo percorrere tutto il suo corpo, diverso da quelli che aveva provato nelle altre occasioni con Shirogane. Non c’era il calore provocato dai suoi baci sul collo o dalle sue mani che le stringevano i fianchi.
Si accorse che era paura.
Quando Ryan parlò, la sua voce era bassa e tremendamente seria.
“Esci” disse solamente.
Strawberry spalancò gli occhi. “Ma…”
“Ti ho detto di uscire” ribadì, impassibile.
Lei scosse la testa. Percepiva distintamente la rabbia nelle sue parole e la tensione era palpabile, ma non voleva andarsene.
“Non voglio” mormorò .
“Come hai detto?”
“Non voglio!”
Ryan si mosse impercettibilmente, mentre si irrigidiva. Poi fece un passo in direzione della rossa.
Fu Kyle a frapporsi tra i due, quando si ritrovarono uno di fronte all’altra. Strawberry con lo sguardo basso, gli occhi di Ryan che la trafiggevano quasi dolorosamente, oltre la spalla dell’amico.
“Non è colpa sua. Ha sentito me e tua madre che ne parlavamo. So che tu non vuoi, ma noi…”
“Appunto. E sai benissimo perché non voglio” lo interruppe. Sembrava calmo, ma di quella calma che fa presagire che il peggio deve ancora arrivare. E Strawberry lo sentiva chiaramente, la tempesta sarebbe scoppiata di lì a poco, con effetti disastrosi.
“E’ proprio per questo che ti farebbe bene parlarne, invece” disse Kyle, con tono apprensivo. Mise una mano sulla spalla del biondo, mentre Katherine si avvicinava a Strawberry, tirandola indietro. La ragazza le rivolse un’espressione confusa, ma non chiese niente. Tratteneva il fiato, timorosa di come sarebbe andata a finire.
E tutto per colpa mia…, pensò.
“Non preoccuparti. E’ tutto a posto” la rassicurò la donna, per la prima volta senza utilizzare l’inglese. Le rivolse un sorriso poco convinto, sentendola un po’ più vicina.
“Levati di mezzo, Kyle”
“Ryan, ragiona. Kari...”
Quando sentì pronunciare quel nome, scattò in avanti e afferrò il moro per il colletto della camicia.
“Non… dirlo” gli intimò a denti stretti.
Ogni volta che qualcuno nominava Kari, la ferita nel suo cuore si squarciava e il dolore cominciava a sgorgare come un fiume in piena. Distruttivo e inarrestabile. Si sentiva privare dell’ossigeno e si trovava impotente ad annaspare in cerca di aria pura che riempisse i suoi polmoni. Ma era inutile.
Veniva svuotato di tutto e poi nuovamente riempito da una sofferenza bruciante, di quelle che non si possono ignorare, di quelle ti uccidono. Ogni volta, credeva e sperava di morire.
Sarebbe stato meglio, sarebbe stato giusto.
In quei due anni aveva ricucito la ferita più e più volte, mettendovi molti punti e disinfettandola affinché non facesse più male. Aveva provato a dimenticare quel nome e quel volto, eppure finiva sempre per tornare lì. Per tornare da Kari. 
Strawberry sentì la paura impossessarsi del proprio animo. Spostava lo sguardo da Ryan a Kyle, mentre le mani di Katherine le stringevano le spalle con forza, quasi fino a farle male. Ma cosa avrebbe potuto fare poi? Stavano discutendo di qualcosa che aveva radici ben più profonde e che lei non conosceva.
Era stata una stupida a intromettersi, doveva tenersi la sua curiosità e farsi gli affari suoi. Invece, come al solito, aveva voluto entrare in qualcosa che non le riguardava affatto. Ed ecco il risultato.
“Non è facendo così che passerà” disse il pasticcere, portando una mano sul braccio dell’amico.
Ryan non allentò la presa. “Non passerà mai comunque”
“Non puoi cancellarla dalla tua vita. E’ parte di te. E anche di me, non dimenticarlo”
“Non parlarmi mai più di lei” lo avvertì, lasciandolo andare. Lo guardò negli occhi, serio, impassibile. Strawberry avrebbe voluto poter leggere quello che nascondeva in quell’azzurro abbagliante, capire tutta la rabbia e la sofferenza di Shirogane. Ma non poteva, lui non glielo avrebbe permesso.
Ryan si voltò, deciso ad andarsene.
 “Sei un codardo” gli disse Kyle. Si sistemò il colletto, mentre lo vedeva fermarsi di colpo. “Stai solo scappando. Sei un bambino, Ryan”
Il biondo rimase di spalle, senza parlare. Katherine sorrise.
“Fai tanto il superiore, l’uomo adulto… ma la verità è che sei un immaturo. Non vuoi sentirtelo dire? Bè, dovrai abituarti. Kari è morta.” continuò il moro.
Vide Ryan tremare leggermente e poi stringere i pugni con forza.
“E’ morta e non tornerà!”
Strawberry cercò di muoversi, ma la madre di Shirogane la teneva inchiodata dov’era. “Kyle, ma cosa…?!”
“Sssh. Kyle sa quello che fa” le sussurrò la donna all’orecchio.
Si voltò a guardarla e lesse una strana tranquillità sul suo viso. Non si sentì meglio.
“Ma forse non ti importa tanto quanto dici” Kyle parlava con tranquillità, il suo tono era quello che utilizzava normalmente, ma sembrava che avesse l’intento preciso di ferire Ryan.
“Perché non dici nulla? Reagisci, Ryan. Reagisci! Lo sai che Kari è morta per…”
Strawberry portò le mani davanti alla bocca, mentre Shirogane si girava e colpiva Kyle con forza. Il pasticcere cadde all’indietro, andando a sbattere con la schiena contro il freddo acciaio di un mobile da cucina. Si passò la mano sulla guancia, nel punto in cui il pugno di Ryan l’aveva raggiunto, e sorrise. Un sorriso di sfida che l’altro non rifiutò.
Con rabbia, scattò in avanti, pronto a colpirlo di nuovo.
Poi fu questione di attimi.
Strawberry urlò. Si liberò dalla presa di Katherine e si lanciò verso Shirogane. Chiuse gli occhi spaventata, mentre il suo corpo si muoveva da solo. Sentì le proprie braccia stringersi attorno alla vita di Ryan e il proprio volto affondare nel suo petto. Realizzò il contatto con lui e ne percepì tutto il calore.
Il biondo si fermò con il pugno stretto a mezz’aria. Abbassò piano il braccio, poi rivolse uno sguardo confuso alla ragazza. Sentì le sue lacrime bagnargli la maglietta, ma non se ne curò.
“Momomiya, togliti” disse, con voce fredda. Le strinse le mani sulle spalle per spingerla indietro, ma Strawberry non si mosse, anzi, accentuò la presa. Stava saldamente ancorata alla sua maglia e tremava come una bambina.
“No!” esclamò, con voce soffocata.
Ryan sentiva la rabbia riempire ogni parte del suo corpo e mischiarsi al dolore. Cercò di riacquistare lucidità, poi fece forza per scostarla da sé.
“Non gli faccio niente, lasciami” le disse.
Solo allora Strawberry ebbe il coraggio di aprire gli occhi. Alzò la testa e incontrò quelli di Ryan, intensi e profondi. “Davvero?” chiese, stupendosi di essere in grado di parlare.
Lui non rispose, ma sentì le mani di lei lasciare andare piano la maglietta e le sue braccia rilassarsi.
“M-mi… mi dispiace” mormorò, prima di cominciare a singhiozzare. Si coprì gli occhi con il dorso delle mani strette a pugno e pianse.
Quello che provò Ryan fu un misto di dispiacere e fastidio. La afferrò per il polso destro, obbligandola ad abbassare il braccio, e la trascinò con sé fuori dalla cucina.
Katherine e Kyle rimasero soli.
Il moro sorrise, sentendo una fitta quando i muscoli del viso si contrassero.
“C’era proprio bisogno di arrivare a questo?” gli domandò la donna, contrariata. Estrasse dalla tasca del grembiule un fazzoletto di stoffa e lo bagnò con acqua fredda. Poi si inginocchiò accanto al pasticcere e sospirò. Prese a tamponargli la guancia, amorevolmente.
Kyle fece una smorfia di dolore. “Era quello che ci voleva”.
“Sapevi che avrebbe reagito male” gli fece presente, portando una mano sotto il mento del giovane per farlo stare fermo.
“Lo sapevo” confermò.
“Ed era quello che volevi”. Non era una domanda, Katherine sapeva esattamente dove era voluto arrivare Kyle con quel comportamento. “Stai fermo” aggiunse.
“Aveva bisogno di sfogarsi. Ho solo colto l’occasione”
Katherine rise. “E ora ne paghi le conseguenze”
“Mi dispiace per Strawberry. Si sarà spaventata”
“Oh, è stata così tenera quando si è lanciata tra le braccia di Ryan. Si è calmato subito, hai notato?”
“Katherine…” la rimproverò, anche se con poca convinzione.
“Oh, dai. Non dirmi che non ti fa piacere il loro…” si fermò un attimo, in cerca della parola giusta. “… rapporto.”
“Mmm… Lo ammetto” rispose, allargando le braccia in segno di resa. Sorrise. “Ahi!”
“Te l’ho detto di stare fermo”.
 
 
“Prof!” gridò Strawberry, dimenandosi. “Mi fa male!”
Ryan la ignorò e, senza lasciarla andare, aprì la portiera dell’auto e la spinse sul sedile del passeggero. Richiuse con forza e salì dalla parte opposta.
Sentiva i nervi tesi e la testa pesante. Subito dopo aver colpito Kyle si era reso conto di quant’era stato furbo l’amico a spingerlo a reagire e di quant’era stato stupido lui a cadere nella provocazione.
Non era da lui comportarsi a quel modo, aveva fatto la figura del ragazzino impulsivo e incapace di controllarsi. E dire che di autocontrollo ne aveva in abbondanza. Erano poche le cose che potevano fargli perdere le staffe e , purtroppo, l’argomento “Kari” era tra queste.
Chiuse gli occhi, aveva bisogno di pensare con calma.
Strawberry, accanto a lui, piangeva rumorosamente. Le lacrime scendevano copiose sulle sue guance, per poi cadere sulla gonna della divisa, bagnandola. Continuò a singhiozzare per minuti interi, senza che Shirogane le dicesse nulla.
Poi, si accorse che stava mettendo in moto. Lo sentì girare la chiave e partire, ma non parlò, né si voltò a guardarlo. Aveva solo voglia di piangere.
Rimasero in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri sull’accaduto e, quando arrivarono davanti a casa di Strawberry, lei non accennò a scendere.
“Vai a casa” le disse Ryan, allungandosi sopra di lei per aprire la portiera.
Quel gesto, che in qualsiasi altro momento l’avrebbe fatta arrossire per la troppa vicinanza, non suscitò alcuna reazione. Si sentiva tremendamente in colpa e le lacrime la soffocavano, impedendole di parlare.
“Momomiya, scendi” insistette lui. Il suo tono di voce era più freddo, ma Strawberry non lo ascoltò. Singhiozzò ancora più forte, stringendo tra le mani il tessuto della gonna ormai spiegazzata.
Spazientito, Shirogane scese dalla macchina, fece il giro e la tirò giù di peso, prendendola per il braccio.
Lei lo guardò e rimase sconvolta dalla rabbia che lesse nei suoi occhi. Non riuscì a reggere il contatto e abbassò la testa.
“Smettila di piangere”
“N-non… non… r-riesco” mormorò, con voce spezzata.
“Fai come vuoi” fu la secca risposta di lui. Lasciò la presa e si allontanò.
Strawberry sentì il rumore della portiera che sbatteva violentemente e, quando rialzò il capo, vide la macchina sfrecciare lungo la via e sparire oltre l’angolo.
Frugò nella borsa in cerca delle chiavi, ma si accorse che le mani le tremavano. Arrabbiata, si abbassò e ne svuotò per terra il contenuto.
Quando trovò quello cercava, raccolse tutto, aprì la porta e si precipitò su per le scale senza salutare.
“Tesoro, sei tu?” la voce di sua madre la raggiunse quand’era già al piano di sopra.
“S-sì” rispose, cercando di assumere un tono normale. Il risultato le sembrò pessimo.
“Scendi, tra poco è pronta la cena”
“Non ho fame!” esclamò.
Sakura aggiunse qualcos’altro, ma Strawberry la ignorò. Entrò in camera sua e chiuse la porta. Lasciò cadere la borsa per terra e si sdraiò sul letto lentamente, facendo aderire la schiena al materasso.
Guardò il soffitto, ma aveva la vista sfocata dalle lacrime.
Fino a quel momento non aveva capito perché piangeva. Lo spavento, il dispiacere, la colpa.
Poi si fece spazio un’altra possibilità, che acquistò pian piano valore:  non voleva vedere Shirogane picchiare qualcuno. Non era quello il professore che aveva conosciuto.
 
 
Quando si svegliò aveva gli occhi gonfi e arrossati e la testa le doleva. Si era addormentata per sfinimento, con addosso ancora i vestiti del giorno precedente e i capelli tutti annodati.
Si preparò per la scuola con una calma che proprio non credeva di avere e uscì. I pensieri sull’accaduto continuavano a ronzarle in testa senza darle un attimo di tregua. Sospirò.
Quella Kari era la ragazza di Shirogane, quindi. Era stata una bella botta, non se l’aspettava. Eppure non quadrava, c’era qualcosa che le sfuggiva. Mancava qualche tassello che potesse spiegare la reazione decisamente forte del professore e le parole di Kyle. Ryan avrebbe dovuto provare solo molto dolore, no? Perché tanta rabbia, invece?
Era piena di domande e questo la faceva impazzire. Nonostante ciò, quella mattina non si sarebbe fermata da Kyle. Sarebbe passata davanti alla pasticceria e avrebbe tirato dritto.
In realtà, voleva tanto chiedergli come stava e assicurarsi che andasse tutto bene, però aveva paura di intromettersi nuovamente e di scatenare un altro putiferio. Senza contare che avrebbe potuto incontrare Shirogane e lui non ne sarebbe stato contento.
Quel giorno e in quelli seguenti, Strawberry si rese conto di quanto dannatamente stronzo potesse essere il suo insegnante.
Aveva bisogno di parlare con lui e di scusarsi per essere stata indelicata. E sì, anche di rimproverarlo perché non avrebbe dovuto picchiare Kyle, professore o no.
Ma tutti i suoi buoni propositi erano stati spazzati via dalla freddezza mostrata dal biondo che in aula la ignorava apertamente o, peggio, le lanciava delle frecciatine offendendola in maniera così sottile che nessuno ci faceva caso e lei, anche se capiva, non era comunque in grado di rispondergli per le rime.
Esasperata, si accasciò sul banco mentre Shirogane spiegava una formula piena di simboli incomprensibili. Gli lanciò uno sguardo carico d’odio. L’aveva appena interrogata e il risultato non era stato dei migliori.
Dopo tutti gli sforzi fatti per raggiungere una media decente, ora Ryan le stava facendo pagare la sua curiosità con l’unica arma che aveva a disposizione: il suo ruolo.
“Stronzo…” mormorò tra sé e sé, arrabbiata.
Lory le sfiorò il braccio gentilmente. “Dai, la prossima volta andrà meglio”
“Non è giusto. Mi aveva già interrogata”
“Forse voleva solo esser sicuro del voto da mettere sulla pagella, non credi?”
“No. Mi odia e basta”
“Come puoi dire così? Ti ricordo che ti ha anche…”
“Non dirlo!” esclamò, cercando di controllare la voce. Quel bacio era l’ultima cosa che voleva ricordare.
Shirogane si girò a guardarla, uno sguardo che Strawberry non riuscì a interpretare, come al solito del resto. Ma era certa che l’avesse sentita.
Bè, tanto peggio di così.
Però questa volta non gli avrebbe permesso di trattarla male per una questione privata, che nulla aveva a che vedere con la scuola.
Quando suonò la campanella, Shirogane lasciò l’aula e lei prontamente lo seguì.
“Prof!” gridò, inutilmente.
La ignorava appositamente.
Dovette correre per raggiungerlo.
“Professore!” lo afferrò per la manica della camicia, costringendolo a fermarsi.
“Che vuoi, Momomiya?” le chiese, seccato.
Strawberry gonfiò le guance e sbuffò. “Devo parlarle”
“Non ho tempo”
Le diede le spalle e riprese a camminare, lasciandola indietro.
Eh no, mi deve ascoltare adesso!, pensò. Prese a correre e in un attimo fu accanto a lui. Nel frattempo, il corridoio si faceva sempre più deserto, mentre gli studenti rientravano nelle aule per la lezione successiva.
“Ce l’ha con me?” domandò.
Nessuna risposta.
Cominciamo bene. “Mi risponde?”
Shirogane accelerò il passo, probabilmente diretto in sala insegnanti.
“Prof! Mi ascolti!” non aveva la minima intenzione di mollare, lo avrebbe perseguitato per tutto il giorno piuttosto che lasciar perdere.
“Momomiya, sparisci”
 “Non me ne vado finchè non mi ascolta!”
“Avrai molto da insistere allora”
“Non sto scherzando!”
“Nemmeno io” sibilò, tagliente.
“Perché ieri si è comportato così?”
“Non sono affari tuoi”
“Perché ha picchiato Kyle?” insistette. Prima o poi avrebbe dovuto risponderle.
“Non sono affari tuoi”
Strawberry smise di camminare. Ryan fece qualche passo, poi si fermò sorpreso e si voltò a guardarla.
Sembrava stesse pensando a una cosa che però non poteva dire. Aveva un’espressione tanto seria che paradossalmente trovò quasi buffa. Poi alzò lo sguardo su di lui, arrossendo.
“Perché non vuole parlare di… Kari?” domandò. Subito dopo, si rese conto di aver fatto la domanda sbagliata. La peggiore che poteva, anzi.
Prima che potesse dire altro, Shirogane la spinse con forza dentro la stanza sulla loro sinistra e chiuse la porta.
Strawberry ebbe appena il tempo di rendersi conto che erano in un ripostiglio, che sentì la schiena sbattere contro uno scaffale pieno di libri, alcuni dei quali scivolarono a terra con un tonfo sordo.
“Ahi…” mormorò, cercando di massaggiarsi la schiena. Poi si accorse che non poteva.
Ryan le teneva i polsi bloccati all’altezza del viso. Gli occhi incatenati ai suoi, fermi, duri. Eppure così profondi. Cosa nascondevano? Si sentì in gabbia.
“Ti ho detto… che non sono affari tuoi” la sua voce era un sussurro, ma arrivò alle orecchie della ragazza con la forza di un urlo.
Il cuore prese a batterle più forte, mentre si scopriva spaventata dalla situazione.
“Non mi importa, voglio sapere!”
“Momomiya, ti avverto. Mi stai stancando”
“Ah sì? E cosa mi fa se insisto?! Mi interroga di nuovo?!”lo provocò, tirando fuori tutta la spavalderia che aveva nel tentativo di celare quello che sentiva realmente.
Capì all’istante che era stata una pessima idea.
Ryan le strinse i polsi con più forza e fece aderire i loro corpi in un modo così perfetto e sensuale che Strawberry sentì le gambe cedere e il calore riempirla.
Improvvisamente, quello che provava era tutt’altro che paura e, per qualche secondo, non sentì niente oltre al battito assordante del suo cuore.
Poi il respiro caldo di Shirogane si mischiò al suo e non capì più nulla.
Il bacio che seguì non aveva davvero niente di casto e dolce. Le labbra di Ryan si impossessarono delle sue con una foga che la lasciò sconvolta e incapace di reagire. Non fu in grado di allontanarlo, né di rispondere al contatto.
Si lasciò semplicemente baciare, mentre il sapore del biondo raggiungeva la sua bocca e il suo profumo le dava alla testa.
La lingua di Ryan sfiorò il suo labbro superiore, tracciandone i contorni, provocandola ma senza spingersi oltre. Temette di impazzire.
Dimenticò il dolore ai polsi ancora bloccati da lui, dimenticò le sue domande, dimenticò perfino di esistere. Poteva un bacio essere così dannatamente magnifico?
Fu questo pensiero a farla tornare alla realtà.
Si dimenò con le poche forze che le erano rimaste, finché non avvertì più quel contatto e non sentì più la schiena premuta contro lo scaffale.
Si massaggiò i polsi arrossati, cercando di allontanare il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto guardarlo negli occhi. Tenne la testa bassa, nella speranza che Shirogane non vedesse il suo viso infuocato, non sentisse il tamburellare del suo cuore, non notasse che faticava a respirare.
Sperò che non si accorgesse di quello che le aveva fatto il suo stupido, maledetto bacio.
Quando alzò lo sguardo, il professore la stava fissando con i suoi occhi celesti.
“Adesso ci stiamo avvicinando a un bacio vero… Momomiya” le disse, a pochi centimetri dal suo viso. Strawberry arrossì, ricordando il discorso che avevano fatto a casa sua durante quel pomeriggio di lezione.
Alzò il braccio, pronta a schiaffeggiarlo. E lo fece, ma la sua mano arrivò sulla guancia del biondo con una delicatezza che lo sorprese.
La guardò, con i ciuffi rossi che le nascondevano gli occhi.
“N-non… non lo faccia più” mormorò, imbarazzata. “Io… io sono innamorata di Mark. Non voglio che lei mi baci”
Una reazione inaspettata, forse più per Strawberry stessa che per lui. Si sentì una scema. Avrebbe voluto urlare, prenderlo a calci, dirgliene di tutti i colori… ma si era sentita mancare la forza e tutto ciò che le era uscito erano state quelle parole sussurrate.
Shirogane le diede le spalle e mise la mano sulla maniglia, ma si fermò senza abbassarla.
“Ci vediamo lunedì prossimo, Momomiya” le disse, enigmatico. Poi uscì.
Strawberry si lasciò cadere sul pavimento, permettendo finalmente alle sue gambe di cedere. Non si era ancora calmata e non ragionò subito sulle parole del professore.
Sapeva di essere in ritardo per la lezione e che si sarebbe presa sicuramente una sgridata, però si concesse di restare lì per qualche minuto.
Aveva bisogno di riprendersi e di spiegare al suo cuore che non era il caso di agitarsi tanto per un bacio. Non un bacio del suo insegnante almeno! Di nuovo era stato stronzo e soprattutto imprudente. Chiunque sarebbe potuto entrare da un momento all’altro e trovarli in quella situazione. Lui sarebbe stato cacciato e lei espulsa, come minimo. Lo detestava, ma questa volta sul serio.
Non concesse alla sua testa di pensare alle emozioni che aveva provato poco prima, non poteva. Si rimise in piedi a fatica appoggiandosi a un ripiano dello scaffale contro cui Shirogane l’aveva sbattuta e solo allora ripensò a ciò che Ryan le aveva detto.
“Ci vediamo lunedì prossimo”.
Non era possibile. La scuola sarebbe finita il giorno dopo, poi c’erano le vacanze estive. Rimase in silenzio, ragionando sull’ipotesi più assurda e impensabile che le veniva in mente.
No. No, no, no. Assolutamente no!, si disse.
Ebbe un brutto presentimento: lunedì era il giorno della partenza per il campo estivo. Ma no. Shirogane non poteva essere tra i professori che li avrebbero accompagnati. Sicuramente si sbagliava.
Non era del tutto convinta, però.
 
 
Non fece parola con Lory dell’accaduto. Si era già esaltata abbastanza per quel primo bacio di qualche tempo prima, figurarsi per questo. Decise che gliene avrebbe parlato in seguito, quando anche lei si fosse calmata.
All’uscita da scuola, si stupì nel trovare Kyle e Katherine sul cancello.
Quando la videro, i due le sorrisero ampiamente e la donna le fece segno di avvicinarsi. Li raggiunse, cauta.
“Come mai qua?” chiese.
“We’re here for you”
“Ti va di fare una passeggiata?” disse Kyle.
La rossa annuì.
Si incamminarono, costeggiando il fiume che scorreva nei pressi della scuola. Per tutto il tempo, Strawberry non aveva fatto altro che lanciare occhiate al livido che Kyle aveva sulla guancia. Doveva essere il bel risultato del pugno di Shirogane. Si sentì nuovamente in colpa e sospirò.
“Mi dispiace” mormorò.
Il moro la guardò interrogativo.
“Per essermi intromessa, l’altro giorno”
Ricevette un sorriso in risposta, così non aggiunse altro e attese che i due parlassero. Non era certa di cosa volessero dirle e si sentiva tesa. Inoltre, il ricordo del bacio appena ricevuto non aiutava di certo.
Quando trovarono una panchina di legno, Katherine vi si lanciò sopra e si accomodò per bene. Per l’ennesima volta, sembrò a Strawberry una bambina, cresciuta ma pur sempre divertente.
La imitò, mentre Kyle rimase in piedi di fronte a loro.
“Strawberry” la chiamò. “Ti chiedo scusa”
“Eh? Per cosa?” chiese, perplessa. Non era certo Kyle a doversi scusare.
“Per quello che è successo. Ho provocato Ryan appositamente, ma non volevo che tu ti spaventassi”
“Appositamente? No, aspetta! Tu…”
“Sì?”
“Volevi che ti picchiasse?!” spalancò la bocca, pensando a quanto fosse assurdo.
“Bè, più o meno”
Strawberry restò un attimo in silenzio, cercando di dare un senso a quello che aveva sentito. Poi guardò il pasticcere e la Katherine sorridente che sedeva accanto a lei. “Perché?” domandò.
La donna rise, ma la rossa non la colse come una presa in giro.
“Forse è meglio spiegarti tutto dall’inizio” constatò Kyle, mentre lei tratteneva il fiato. Forse, finalmente, avrebbe capito qualcosa in più di quella storia. Non ammise con se stessa che voleva sapere qualcosa in più su Shirogane soprattutto.
“Dobbiamo partire da…”
 “Kari” concluse Strawberry, seria.
Il giovane annuì. “Come ti ha detto Ryan, era la sua ragazza”.
Avrebbe voluto chiedere subito una cosa, ma si trattenne e lasciò che Kyle continuasse a parlare.
“Sono cresciuti praticamente insieme e sembrava quasi ovvio che prima o poi si sarebbero innamorati. E infatti così è stato. Kari era molto dolce e sorrideva sempre. Era capace di tirare fuori il meglio dalle persone, non so come ci riuscisse. Ma non c’è da stupirsi che abbia fatto sciogliere anche un tipo rigido come Ryan”.
Provò a immaginare Shirogane in maniera diversa: meno serio, meno freddo, meno arrogante. Non le riuscì così facile, ma neanche così difficile. A tratti, in lui spuntavano dolcezza e generosità. Ma solo a tratti, si disse, ripensando al suo comportamento negli ultimi giorni. Non disse nulla, visto che non poteva nemmeno immaginare il Ryan che aveva conosciuto Kari. Una parte molto profonda di lei provò dispiacere.
“Si amavano?” chiese, sentendosi un po’ stupida per la domanda la cui risposta era ovvia.
“Molto” disse infatti Kyle.
“Ma… io ho… ho visto il suo cognome… al cimitero” mormorò, vergognandosi nuovamente nel dover ammettere che aveva seguito lui e Katherine alla tomba.
Kyle sorrise tristemente.  “Shirogane”
“Sì. Com’è possibile?”
Shirogane non era il suo vero cognome” si intromise Katherine. “Kari era orfana. Quando i suoi genitori morirono, io e il mio ex marito l’accogliemmo a casa nostra. All’epoca era minorenne, così, soprattutto per una questione legale, acquisì il nostro cognome”.
“Quindi non c’era nessun legame di sangue con Ryan…”
“Esattamente”
“Come è morta?”
Forse aveva poco tatto in quel momento, ma era la domanda che più le premeva fare. Era quella la chiave di tutto, probabilmente.
Kyle e Katherine si scambiarono uno sguardo che Strawberry non colse. Poi la donna fece un cenno d’assenso al pasticcere.
“Kari era malata”
Strawberry guardò il giovane e vide sul suo viso la stessa espressione di dolore che aveva quella volta al cimitero. Si sentì in colpa e tremendamente male per lui.
“Ryan era molto protettivo nei suoi confronti, ma ovviamente non poteva difenderla da tutto. E non si è mai perdonato per questo”
Improvvisamente, capì. “Lui…” mormorò “Lui si sente in colpa? E’ per questo che ha reagito così?”
“Sì. Però non ne parla mai. Si è chiuso in se stesso e non vuole sentir parlare di lei perché gli fa ancora troppo male”
Strawberry sentì di avere gli occhi lucidi. Era tutto così ovvio adesso che sapeva. Ryan non voleva rispondere alle sue domande perché ogni volta che si nominava Kari soffriva. E lei non poteva nemmeno capire quanto. Come una stupida, aveva tanto insistito per saperne di più, obbligandolo a riaprire una ferita che ancora non si era richiusa.
Ripensò allo sguardo di Shirogane. Adesso che capiva cosa nascondeva dietro quegli occhi freddi, sembrava tutto diverso. Si sentì così lontana da lui e provò rabbia e dispiacere per questo.
“Ma non è giusto…” disse, con voce bassa.
Kyle le mise una mano sulla spalla. “Lo so”
“E allora perché? Non è colpa sua…”
“No, non lo è. Ma per Ryan non è facile accettarlo”
“Mi dispiace” disse, mentre una lacrima le rigava il viso.
Stava piangendo un'altra volta, eppure non era proprio il tipo.
Sentì delle braccia esili che la avvolgevano e capì che Katherine la stava abbracciando.
“Sei una brava ragazza” le disse.
E Strawberry lasciò le lacrime libere di uscire allo scoperto.
 
 
“Mi dici perché?” disse Katherine, mentre osservava Strawberry allontanarsi verso casa.
“Cosa?”
“Non le hai detto tutto…”
Kyle sorrise. “Spetta a Ryan, non a me”
Katherine scosse la testa, alzando gli occhi al cielo. Strinse la mano di Kyle con dolcezza, poi lo avvolse in un abbraccio.
“Hai ragione”.
 
 





Non posso credere di aver superato le cento recensioni >///////<
Vi ringrazio tanto! E' un piacere scrivere e sapere che qualcuno legge con interesse la storia!
Passando al capitolo, ci ho messo un po' a scriverlo perchè non riuscivo a mettere giù decentemente le idee (vi ho fatto aspettare tanto, lo so, perdonoo!), ma spero vi piaccia almeno un pochino il risultato >__<
Ovviamente mi son divertita soprattutto a scrivere di Ryan e Strawberry, ma questa volta ho dovuto soffermarmi più sul discorso "Kari"...
Bè, a presto allora! :D :D (spero!)

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Capitolo 13
*** A volte è difficile... ***





Capitolo 13 – A volte è difficile...




La pasticceria era il suo mondo. Kyle si destreggiava con facilità tra cucina e tavoli e amava il suo lavoro, ma in quel momento la sua mente era occupata dal racconto di una ragazza dai codini rossi.
Non aveva smesso per un secondo di impastare, almeno finchè Strawberry non aveva pronunciato la parola bacio. Allora il moro aveva alzato la testa, lasciando perdere ciò che stava facendo, e l’aveva guardata con un’espressione sorpresa. Poi le aveva fatto segno di seguirlo in sala e di accomodarsi al bancone.

“Ryan ti ha baciata?” chiese, per assicurarsi di non aver compreso male.
Strawberry annuì, sprofondando nel rossore delle sue guance. Non sembrava particolarmente felice di quel gesto e Kyle poteva immaginare da solo il perché. Ryan non era mai stato particolarmente dolce e non si sarebbe stupito se quel bacio fosse stato una reazione dettata dalla rabbia che aveva dentro.
“Com’è successo?” indagò.
La vide sospirare e far roteare lo sgabello su cui era seduta. Quando ebbe fatto un giro completo, tornò a guardare l’amico.
“Gli stavo chiedendo il perché del suo comportamento. Mi ha detto "non sono affari tuoi” cercò di imitare l’espressione fredda di Shirogane e la sua voce bassa, facendo sorridere Kyle. “Ma io ho insistito. Ok, forse sono stata troppo indelicata, però il suo comportamento non ha giustificazioni! Si è arrabbiato e mi ha spinto dentro una stanza. Poi… ecco, poi lo sai” disse, imbarazzandosi nel terminare la frase.
Sentiva il sangue ribollire al solo pensiero di quanto era accaduto. Non aveva mai ricevuto un bacio del genere (né di altro tipo, se si escludeva quello strappatole dal professore tempo prima) e si vergognava ad ammettere con se stessa che le era piaciuto da morire. O forse era una questione di orgoglio?
Amava Mark, lo amava da una vita. Se fosse venuto a sapere quello che era successo, cosa avrebbe pensato di lei? E tutti i suoi sogni sul loro primo bacio? Erano stati mandati all’aria da quel biondino insopportabile, che prendeva quello che voleva senza nulla chiedere. Si sentiva una stupida.
Per questo ce l’aveva con Shirogane. Non avrebbe dovuto comportarsi così, non avrebbe dovuto baciarla a quel modo e soprattutto non avrebbe dovuto farlo in preda alla rabbia. Quando Ryan era uscito dal ripostiglio e lei si era lasciata cadere a terra, tra i libri, aveva provato una sensazione di dispiacere e vuoto che non riusciva a scrollarsi di dosso. Cos’era lei per Shirogane? Una stupida da zittire a suo piacimento quando parlava troppo? No, non ci stava.
E questi pensieri si erano poi mescolati a quelli sul passato di Shirogane raccontatole da Kyle, confondendola ulteriormente.
Non sapeva più cosa provava: odio, attrazione, dispiacere, poi ancora odio e di nuovo attrazione. E queste emozioni continuavano ad alternarsi in rapida successione, senza mai darle un attimo di tregua.
“Non voglio più avere niente a che fare con lui” borbottò, con lo sguardo rivolto al pavimento. “Il mio primo bacio dovevo darlo a Mark, non a lui!” dirlo ad alta voce le fece male.
Sentì la mano gentile di Kyle sulla spalla e capì che stava cercando di consolarla.
“Prova a vederla da un altro punto di vista” le disse il giovane.
“Cioè?”
“Che non conta se quello che darai a Mark sarà il primo, il secondo o il terzo bacio. Quello che conta è l’importanza che gli darai tu”
Strawberry lo guardò accigliata, non convinta di aver afferrato il concetto.
“Non crederci quando ti dicono che il primo bacio non si scorda mai ed è il più importante. Quelli che non si scordano sono i baci dati con amore, quelli che ti hanno riempito i polmoni per poi svuotarteli subito dopo. Quelli che ti hanno fatto venire i brividi e tremare le gambe e che ti hanno fatto desiderare di non essere in nessun altro posto se non lì. Che importa se non erano i primi? Non li scorderai mai comunque”
Per un attimo, ebbe l’impressione che quello che Kyle stava descrivendo fosse proprio il bacio che le aveva dato Shirogane. Ma solo per un attimo. Poi ricordò che Ryan, in quel contatto, non aveva messo altro che passione mescolata alla rabbia. L’aveva percepito distintamente una volta che lui si era allontanato. In quel momento, le sensazioni positive erano state sostituite da quelle negative, molto più forti.
“Mi dispiace, il mio tentativo di consolarti non sta funzionando…” le disse il pasticcere, accennando un sorriso di scuse.
Strawberry scese dallo sgabello con un salto e fece il giro del bancone. Quando fu davanti all’amico, lo abbracciò forte, rendendosi conto per la prima volta di quanto fosse alto.
“Meno male che ci sei tu…” bisbigliò, sentendosi una bambina piccola. Ma non le importava. Lui c’era sempre, non la lasciava mai sola.
Kyle le cinse le spalle con dolcezza – non con prepotenza, come faceva invece Shirogane – e le disse: “Sempre a sua disposizione, signorina”.
Strawberry rise. Sciolse l’abbraccio e lo guardò inclinando leggermente la testa di lato.
“Grazie” mormorò. “Adesso è meglio che torni a casa… devo finire di preparare le valigie per il campo estivo, domani si parte!”
Quella era la parte positiva, finalmente sarebbe partita e soprattutto in compagnia di Mark. Niente di meglio!
“Divertiti e niente brutti pensieri” si raccomandò Kyle, salutandola con la mano.
“Puoi contarci!”
Fece per uscire, ma si accorse troppo tardi della persona che stava entrando. Sbiancò quando vide Shirogane sulla porta, sentendosi inspiegabilmente imbarazzata. Ma perché poi? Era lui quello che doveva vergognarsi!
Il biondo parve sorpreso, ma un secondo dopo aveva già riacquistato la solita freddezza. Forse si aspettava un saluto o una sfuriata, ma Strawberry lo ignorò. Gli passò accanto senza degnarlo di uno sguardo.
E’ fatta! Pensò, oltrepassando la soglia.
Poi si sentì trattenere per un braccio.
“E questo che significa?” la sua voce calda le giunse alle orecchie, provocandole una serie di brividi per nulla piacevoli. Le diede fastidio quel contatto, dopo il modo in cui l’aveva trattata.
Non si voltò, temendo la reazione che avrebbe avuto se avesse incrociato quegli occhi. Si dimenò, liberandosi con forza dalla presa, e uscì dalla pasticceria di corsa.
Fu colta da una strana agitazione che non riusciva a spiegarsi. Cos’era quell’inquietudine? Il cuore le batteva all’impazzata, come già le era successo. Ma, a differenza delle altre volte, lo faceva quasi dolorosamente.

Ryan si avvicinò al bancone e guardò Kyle. Stava preparando un vassoio di cannoncini alla crema e sembrava non volergli prestare attenzione.
L’odore dei dolci gli dava la nausea, ma cercò di non farci caso. Era lì per scusarsi o per provarci almeno. La seconda ipotesi era più plausibile, dato il suo carattere difficile.
Kyle alzò la testa, rivolgendogli un’occhiataccia, poi andò a servire una giovane coppia. Non si fermò per dieci minuti buoni e ogni volta che gli passava accanto non gli risparmiava uno sguardo accusatore.
“Kyle, per favore” lo pregò, seccato. L’amico allora gli sorrise e finalmente decise di dedicargli del tempo.
Restarono in silenzio: Ryan seduto, con lo sguardo rivolto altrove, Kyle in piedi di fronte a lui, con le mani appoggiate sul bancone.
“Allora?” chiese il moro. Sapeva il motivo per cui Ryan era lì o, per meglio dire, lo intuiva. Conosceva fin troppo bene il suo migliore amico. Però questa volta non gliel’avrebbe data vinta così facilmente, non dopo il modo in cui aveva trattato Strawberry.
 Ryan era un genio, ma in alcune situazioni mostrava pienamente i suoi ventuno anni. Troppo spesso lo trattavano da adulto e così tutti, lui compreso, si dimenticavano che in realtà era solo un ragazzo.
“Sembrano buoni” mentì il biondo, guardando i pasticcini che l’amico stava posando su un piattino. Non che non avessero un bell’aspetto, ma a lui non sarebbero andati giù.
Kyle lo guardò torvo.
“A chi devi portarli? Vado io” si offrì, sentendosi un cretino. L’altro doveva pensare la stessa cosa, visto che lo guardava con un mezzo sorriso.
“A quel tavolo” disse, indicando due giovani sedute accanto alla finestra.
“Ok” prese il piatto e si allontanò.
Il pasticcere scosse la testa, divertito. Era questo il suo modo di scusarsi? Offrirsi di dargli una mano? Pensò che se ci fosse stata Katherine non avrebbe creduto ai suoi occhi.
Decise di farlo penare un po’, non era cosa da tutti i giorni vederlo comportarsi in modo così gentile.
“Tieni, porta anche questi a quelle tre ragazze” gli disse, porgendogli un vassoio. Ricevette un’occhiata truce in risposta, ma poi Ryan obbedì.
Quando tornò, nascosto dietro la sua maschera di indifferenza, Kyle non riuscì a trattenere le risate.
“Sei incredibile!” esclamò, dandogli una pacca sulla spalla.
“Come?”
“Ryan, non è più semplice dire mi dispiace di essermi comportato male?”
Colpito. Il biondo arrossì leggermente e si passò una mano tra i capelli. Il fatto che Kyle lo conoscesse così bene era davvero irritante a volte.
“Scuse accettate” lo sentì dire. “Dispiace anche a me d’averti provocato”
Ryan gli sorrise. “Non ti facevo così subdolo”
“All’occorrenza…” fu la divertita risposta dell’amico, mentre tornava ad occuparsi dei dolci. “A proposito…”
“Sì?”
“Chiedi scusa a Strawberry” gli disse, senza mezzi termini.
Ryan si voltò a guardare fuori dalla finestra inespressivo. L’aveva baciata e, adesso che era lucido, si rendeva conto di quanto confusa e arrabbiata potesse averla lasciata il suo gesto. A pensarci, non sapeva bene cosa gli era preso in quel momento. Forse voleva solo zittirla, forse voleva solo che smettesse di chiedere di Kari e di riaprire la sua ferita. Forse.
“Sai di cosa parlo. Non si fa così, era sconvolta quando me l’ha raccontato”
Sbuffò, indicando delle clienti. “Ti chiamano a quel tavolo…”
“Ryan…” insistette il moro, con tono di rimprovero.
“E va bene, ho capito. Sei insopportabile” borbottò, per poi alzarsi e fare un cenno di saluto con il capo. Aveva ancora qualche cosa da preparare prima della partenza.
Kyle rispose con un sorriso, poi lo osservò allontanarsi finché la porta non si chiuse alle sue spalle. Sospirò, tra il divertito e il sollevato.
Se non altro, la sua intuizione non si era rivelata infondata. Strawberry piaceva a Ryan, e molto. E Ryan non era indifferente a Strawberry. Peccato che entrambi fossero troppo orgogliosi per ammetterlo, senza contare che la ragazza provava dei sentimenti anche per Mark. Ma lui l’aveva quasi rifiutata…
Non voleva forzare le cose, ma se quei due avessero trovato l’occasione di passare altro tempo insieme forse avrebbero ammesso almeno con se stessi di provare attrazione l’uno per l’altra. Trovava che sarebbero stati decisamente bene insieme, erano il mix perfetto di ironia, malizia e ingenuità.
“Che pazienza…” mormorò tra sé e sé. Poi tornò al proprio lavoro.


No. No. No.
Strawberry era nel cortile della scuola con il resto dei partecipanti al campo estivo. Zaino in spalla, valigia già caricata sul pullman e una bella ventata di brio che in un attimo era stata spazzata via.
Guardava con occhi sgranati il bel professore contare gli studenti, affiancato da altri tre insegnanti.
Era arrivato come se nulla fosse, in tenuta sportiva e con un borsone in spalla, mandando in visibilio le ragazze. Tutte tranne una.
Aveva già visto Shirogane fuori da scuola, in abiti “normali” e le era piaciuto, ma in quel momento pensava solamente di vivere un incubo. Si aggrappò alla piccola speranza che il professore si trovasse lì per controllare che fosse tutto a posto e che poi sarebbe tornato a casa. Poi, per due settimane, avrebbe potuto stare tranquilla: niente prese in giro, niente battute maliziose e soprattutto niente baci rubati. Si sarebbe dedicata solo ed esclusivamente a Mark.
“Strawberry, tutto a posto?” il ragazzo le rivolse uno sguardo preoccupato.
“Sì, sto benissimo! Non vedo l’ora di partire” rispose, con un sorriso nervoso.
“Sei pallida, sicura? Hai fatto colazione?”
“Sicura. Grazie, Mark”
Quanto è gentile… non come quello là!, pensò. Non si rese nemmeno conto che il pensiero era volato inaspettatamente su Shirogane. Era una cosa che succedeva talmente spesso da diventare abituale, al punto di considerarla normale.
“Sarà una bella esperienza” commentò Mark, sorridendole gentilmente. Strawberry ricambiò felice, ormai dimentica del mezzo rifiuto che aveva ricevuto. Si era convinta che Kyle avesse ragione, che forse Mark non avesse compreso i suoi sentimenti. L’altra idea faceva troppo male, indipendentemente da quello che poteva dirne Shirogane. Dopotutto, quando si è innamorati è difficile vedere le cose per quello che sono realmente.
Eppure gli avrebbe creduto se solo avesse notato la mano di Mark che sfiorava fugacemente quella di Lory, alle sue spalle. La ragazza dai capelli verdi sussultò e si ritrasse subito, lanciando un’occhiata di rimprovero al moro.
Non dovevano, non potevano. Non davanti alla sua migliore amica.
“E’ assurdo!” esclamò quest’ultima. Portò le mani ai fianchi, irritata.
“Cosa?” le domandò Lory.
“Guardalo! Come si permette di venire al campo estivo?!” indicò Shirogane con il mento, mentre ribolliva di rabbia.
L’altra rise. “Ma Straw, hanno estratto a caso gli accompagnatori” poi si fece seria di fronte all’espressione dell’amica. “E’ successo qualcosa con lui?” chiese.
Strawberry la guardò quasi scandalizzata per poi urlare un “No!” fin troppo convinto per risultare credibile.
“Tu non me la racconti giusta” la punzecchiò Lory, aggrappandosi al suo braccio. Le sorrise con un pizzico di malizia, facendo colorare le guance della rossa.
“Ho detto che non è successo nulla!” ribadì, agitando le braccia. “Forza, saliamo sull’autobus!”
Si allontanò a passo svelto, lasciando la compagna perplessa. Era più che evidente che fosse accaduto qualcosa con il professore!
Osservò Strawberry  mettersi in fila per salire sul mezzo e sorrise di nuovo. Forse non si era accorta di un particolare. Poi la vide avvampare e capì che l’aveva notato.
Shirogane stava in piedi accanto alla portiera del pullman e controllava sull’elenco il nome di ogni ragazzo che saliva.
Accidenti, ma perché?! Più cerco di evitarlo e più me lo ritrovo davanti!
Quando fu il suo turno, voltò la testa dall’altra parte, decisa a non avere alcun contatto con lui. Ma Ryan non era della stessa idea.
Mentre lei metteva il piede sul primo gradino, decisamente troppo in alto, si sporse fingendo di controllare l’interno del bus e la sua bocca raggiunse l’orecchio della ragazza.
“Devo parlarti” le sussurrò. Nessuno poteva sentire. Nessuno tranne lei.
Il battito del suo cuore divenne di colpo irregolare. Arrossì e abbassò lo sguardo, rischiando di perdere l’equilibrio e cadere all’indietro. Mantenne però la presa e salì senza dargli risposta.
Quando prese posto portò una mano sul petto nel tentativo di calmarsi, ma era un fascio di nervi. Non poteva iniziare così la sua vacanza.
Piano, si affacciò al finestrino e i suoi occhi si soffermarono sul professore. Si sentì strana, calda. E tutto per una stupida frase sussurrata all’orecchio? Forse non si sentiva troppo bene e doveva tornare a casa.
Esaminò da lontano il viso del ragazzo, mentre si chiedeva di cosa avrebbe dovuto parlarle. La sola idea le metteva addosso un’ansia insopportabile.
Restò a fissarlo per un tempo che le parve infinito, finché Ryan non alzò lo sguardo e se ne accorse. Si guardarono, poi lui inaspettatamente le sorrise. Un sorriso che Strawberry non comprese: non era allegro o dolce, ma nemmeno ironico come al solito.
Si allontanò subito dal finestrino e chiuse la tenda, mentre Lory prendeva posto accanto a lei.
Sarebbe stato un campo estivo decisamente più complicato di come l’aveva sempre immaginato.


“Non è giusto!” esclamò esasperata.
“Dai, ci saranno altre occasioni” cercò di consolarla Lory, pur sapendo che sarebbe stato inutile. Quando Strawberry faceva così, partiva per la tangente e non c’era modo di fermarla.
“Sì, ma io volevo stare con Mark!” si lamentò.
Appena arrivati, gli studenti erano stati informati che le classi avrebbero svolto alcune delle attività previste separatamente, con grande disappunto di Strawberry. Questo significava per lei semplicemente una cosa: stare lontana da Mark.
Non poteva cominciare peggio di così.
“Almeno siamo in camera insieme” le disse Lory, mentre sistemava i suoi vestiti nell’armadio. “E l’albergo è veramente carino! C’è anche la lavanderia, così possiamo fare il bucato… e la stanza è molto bella…”
Provava a tirarla su, ma al contempo lei andava sempre più a fondo. Per quanto tempo ancora voleva andare avanti a mentire?
Fece un bel respiro e si avvicinò a Strawberry, seduta sul letto.
“Straw…” la chiamò.
Lei la guardò e le sorrise dispiaciuta. “Scusami, hai ragione. Non mi lamento più”
“No, non è questo. Devo parlarti”
Si sentiva come se dentro di sé stesse avendo luogo una lotta tra le parole che cercavano di uscire e qualcosa o qualcuno che lo impediva, terrorizzato all’idea dell’effetto che avrebbero avuto.
“Sembra una cosa seria…” constatò la rossa, aggrottando la fronte.
Lory annuì. “E’ da un po’ che volevo dirtelo, però… non…”
Bussarono alla porta e fu costretta a fermarsi. La ragazza si sentì combattuta tra il sollievo e il disgusto verso se stessa. Finiva sempre così. Ogni volta che prendeva coraggio, veniva interrotta e la paura di fare del male all’amica e di perderla tornava ad assalirla.
Era l’insegnante d’inglese che avvisava di scendere: quel pomeriggio ogni classe avrebbe visitato un luogo diverso. A loro toccava il tempio.
“Stavi dicendo?” chiese Strawberry, mentre prendevano gli zaini.
Lory scosse la testa. “Nulla. Te lo dico un’altra volta… Adesso andiamo!” sorrise.
Scusa, scusami!, non riusciva a pensare ad altro.
Chiusero la porta e raggiunsero il resto della classe al pianoterra.
“Siete in ritardo” la voce pungente di Shirogane le raggiunse e Strawberry non riuscì a trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo. Lo detestava, soprattutto perché in quel momento stava guardando chiaramente lei.
“Ci scusi” mormorò Lory, in imbarazzo.
“Bene, ci siamo tutti. Possiamo andare.”
Come se non bastasse, Shirogane era anche il responsabile della classe per tutta la durata del campo estivo.
Strawberry lo guardò mentre camminava, serio e distaccato, seguito a ruota da studentesse adoranti e per un attimo fu assalita dalla voglia di stare al suo fianco e parlare, punzecchiandosi come facevano sempre.
Era normale desiderare una cosa del genere? Era normale dopo il comportamento che Ryan aveva avuto nei suoi confronti? Pensandoci bene, l’aveva trattata come un giocattolo l’ultima volta e da una parte riusciva anche a comprendere la sua rabbia (o almeno ci provava), ma dall’altra non riusciva a fare a meno di sentirsi ferita.
Seguirono una stradina sterrata immersa del verde. Faceva caldo e tutt’attorno risuonava il frinire delle cicale tipico delle estati giapponesi. I turisti generalmente non lo apprezzavano, ma Strawberry aveva sempre trovato quel canto estremamente rilassante.
Si godeva la passeggiata chiacchierando allegramente con Lory e sbirciando di tanto in tanto la schiena di Shirogane. Camminava a debita distanza, quasi in fondo al gruppo, come timorosa di avvicinarsi troppo al professore, ma al tempo stesso non riusciva a fingere che non ci fosse e, forse involontariamente, lo cercava continuamente con lo sguardo come se quella presenza fosse per lei rassicurante.
Quando arrivarono al tempio gli studenti furono lasciati liberi di visitarlo, con la raccomandazione di restare in silenzio. Dovettero togliere le scarpe e appoggiare i piedi nudi sul fresco legno del pavimento, una sensazione piacevole vista la temperatura rovente di metà luglio.
Strawberry avrebbe preferito di gran lunga fare una nuotata al mare, ma seguì tranquillamente Lory nella sua visita del luogo. La calma che trasmetteva il tempio non era così male e forse era ciò di cui aveva bisogno.
Si fermarono in una stanza in cui si respirava un odore pungente ma piacevole e dove il legno lasciava il posto al tatami.
Strawberry si guardò attorno, constatando che quella stanza, a differenza delle altre, era completamente chiusa, senza finestre. L’unica luce che filtrava era quella proveniente dall’esterno attraverso la porta lasciata aperta.
Si perse nei suoi pensieri, finché non sentì uno spiffero e calò improvvisamente il buio.
“Lory? Lory che è successo?!” chiese, strizzando gli occhi nel tentativo inutile di vedere qualcosa.
Non ottenne nessuna risposta, allora si accorse di essere rimasta sola.
Accidenti, aiuto!, pensò andando subito nel panico.
Aveva una paura tremenda del buio, aveva una paura tremenda di restare sola.
Cercò a tentoni la porta scorrevole, chiedendosi perché mai Lory l’avesse lasciata lì dentro. Miracolosamente riuscì a trovarla, ma quando tirò con tutte le sue forze questa non si aprì. Riprovò, invano.
Era più forte di lei, l’oscurità la terrorizzava: non poter vedere nulla, non sapere cosa o chi aveva attorno.
Si accucciò contro la parete, portando le ginocchia al petto e nascondendovi il viso. Le lacrime le salirono istintivamente, per poi bloccarsi tutto d’un tratto.
Le era sembrato di sentire un fruscio, ma forse se l’era immaginato. Restò in allerta per qualche secondo, poi avvertì distintamente una presenza accanto a sé. Fece per urlare spaventata, quando una mano si posò sulla sua bocca, zittendola.
“Ssssh” sentì sibilare. Riconobbe immediatamente la voce di Shirogane, ma il suo cuore non rallentò affatto.
“Che ci fa qui?!” esclamò, costringendolo a togliere la mano.
“Secondo te? Visito il tempio”
Doveva essere seduto accanto a lei, ma non ne era certa. E poi quand’era entrato?
“Ma prima non l’ho vista!” protestò, dando voce ai suoi pensieri.
“Perché eri persa in quella tua zucca vuota, Momomiya”
“Ma come si permette?! E poi perché non mi ha aiutato ad aprire la porta?!” disse, mettendosi in ginocchio. Avrebbe voluto colpirlo, ma i suoi occhi non si erano ancora abituati bene all’oscurità. Con la sua fortuna l’avrebbe mancato, centrando in pieno la parete.
“Perché era divertente sentirti tirare dalla parte sbagliata” rispose lui.
Strawberry immaginò con irritazione il suo sorriso compiaciuto e scattò in piedi. “Come?!”
“La porta, Momomiya. Si apre dall’altra parte”
Poco convinta, cercò di nuovo la porta accanto a sé e questa volta si posizionò al lato opposto. Tirò leggermente e questa si aprì senza problemi, riportando la luce nella stanza.
Arrossì e si voltò a guardare Shirogane, imbarazzata: era vicinissimo a lei, un po’ troppo. Ne sentiva quel profumo maledettamente buono. Deglutì e arretrò, inciampando sotto lo sguardo divertito del biondo.
“Non la sopporto!” si lamentò, uscendo dalla stanza.
Ryan la seguì senza dire una parola nel corridoio deserto, ascoltando le lamentele incessanti della sua allieva.
Appena svoltarono l’angolo, la afferrò per un braccio e lei tacque all’istante. Quando si girò e i loro occhi si incrociarono fu travolta dalle stesse emozioni che aveva provato in quel ripostiglio e si trovò a rabbrividire.
“Stupida” mormorò Ryan, strafottente.
Strawberry sussultò. “Mi lasci! E poi lei crede di essere tanto…!” si fermò, stupita.
Stavano forse litigando come al solito? No, non andava bene, non andava bene per niente. Era arrabbiata con lui.
“Che c’è?”  le chiese.
“Niente. Devo cercare Lory e continuare la visita, se permette”
Cercò di liberarsi dalla presa di Shirogane, ma lui non accennò a lasciarla andare.
“Che cosa vuole da me?!” sbottò, esasperata da quell’atteggiamento. Perché doveva sempre fare così? Non poteva parlare chiaramente e poi lasciarla in pace?
“Ricordi cosa ti ho detto stamattina?” le domandò, fissandola serio.
Lei annuì. “Ma non voglio ascoltarla, mi lasci andare” disse immediatamente.
“Perché?”
“Perché no! Pensa di potermi trattare come le pare senza che io dica nulla? Bè, si sbaglia!”
“Momomiya, ascoltami” disse, impassibile di fronte alle parole della ragazza. La guardò intensamente e Strawberry si sentì sciogliere da quello sguardo. No, non poteva fare così, era ingiusto!
Poi sentirono dei passi e un attimo dopo comparvero due ragazze.
“Prof! La stavamo cercando!” esclamò Megumi, facendo ondeggiare i lunghi capelli castani.
Prof?
Nella mente di Strawberry quella parola risuonò con fastidio. A Shirogane non piaceva essere chiamato così da lei. Scacciò quel pensiero, sorpresa di come le fosse passato per la testa.  
Megumi si aggrappò al braccio dell’insegnante, sorridendo sfacciatamente. “Ci accompagna a visitare il giardino qua attorno?” chiese.
Ryan alzò il braccio con un movimento fluido, costringendo la ragazza a lasciarlo andare.
“Kaji, ti ho già detto che non ci si comporta così con un professore”
“Mi scusi. Però può venire con noi?” insistette, socchiudendo gli occhi.
Strawberry sbuffò e vide Ryan voltarsi verso di lei.
“Stavo spiegando una cosa a Momomiya. Chiedete alla professoressa Mihano, sono certo che vi accompagnerà volentieri” disse, senza distogliere la sguardo dalla rossa.
Lei lo fissò per un attimo, mentre sentiva crescere dentro di sé una strana angoscia.
“Non… non si preoccupi. Ho capito tutto, non ho più bisogno del suo aiuto” mormorò. Le parole le erano uscite quasi da sole, senza che potesse fermarle. Poi si girò e corse via.
Le aveva dato tremendamente fastidio il comportamento di Megumi nei confronti del professore.
Ma perché devo sentirmi così?, si chiese. Non era in grado di darsi una risposta. O forse sì, ma non era ancora pronta per ammettere quei pensieri che sentiva farsi sempre più forti dentro di sè.
Girò per il tempio tutta sola, finchè non trovò Lory.
“Lo…”
“No, non è il momento. Mi dispiace, davvero” sussurrò l’amica. Strawberry colse una nota di irritazione nel suo tono di voce e si stupì. Non era da lei.
Capì che era al cellulare e non la disturbò, ma quando la vide Lory chiuse bruscamente la chiamata.
“Strawberry, dov’eri finita?” le domandò, correndole incontro.
“Tu piuttosto! Mi hai lasciata in quella stanza con Shirogane!” esclamò.
“Scusami, sono uscita convinta che mi stessi seguendo. Mi sono accorta dopo che non c’eri e ho pensato che ti fossi fermata a guardare qualcosa” poi si fermò e le sorrise enigmatica.
“Cosa c’è?”
“Eri con Shirogane, eh?” le disse, maliziosa.
“Lory, non ricominciare!” la rimproverò. Prese l’amica sottobraccio e la trascinò con sé.
Sì, era con Shirogane e allora?
Cuore, calmati!


La giornata passò più lentamente di quanto Strawberry potesse aspettarsi.
Dopo il tentativo di Shirogane di parlare durante la visita al tempio, aveva cercato in ogni modo di evitarlo. Ogni volta che rischiava di trovarsi vicina a lui, correva via con qualche scusa.
Forse era un comportamento infantile, ma in quel momento era ancora troppo confusa e arrabbiata per potersi confrontare con il suo insegnante. Avrebbe finito col dargliela vinta e addio a tutti i suoi presupposti di farsi rispettare.
Sospirò, mentre usciva dal bagno situato al piano interrato dell’albergo. Quella mezz’ora passata immersa nell’acqua calda aveva calmato il mal di testa che l’aveva tormentata tutto il pomeriggio, ma era servita ben poco per fare chiarezza nella sua testa.
“Ci voleva proprio questo bagno rilassante” le disse Lory, mentre chiudeva fino al collo la cerniera della tuta fornita dalla scuola.
“Hai ragione…”
Strawberry si sistemò meglio il piccolo asciugamano sulle spalle per evitare che le gocce d’acqua che scivolavano dai capelli le bagnassero la maglietta.
Lasciò perdere i pensieri su Ryan, per concentrarsi invece su Mark. E, a questo proposito, non aveva ancora visto il ragazzo da quando erano partiti.
Assunse un’aria imbronciata che fece sorridere l’amica. “Mark?”
“Non l’ho visto per tutto il giorno, è un’ingiustizia!” si lamentò.
“Non farti rovinare questa vacanza, pensa a divertirti. In fondo non è…”
Smise di parlare quando si accorse che Strawberry non le stava più prestando attenzione. Seguì il suo sguardo finchè i suoi occhi non si fermarono su un ragazzo biondo intento a parlare con il receptionist.
Quest’ultimo gli diede la chiave della stanza e Shirogane la afferrò.
Quando si voltò verso di loro, non fu solo Strawberry a restare senza fiato. Doveva appena aver fatto il bagno e quei capelli ancora leggermente bagnati e tutti spettinati lo rendevano ancora più attraente del solito, se possibile.
Inaspettatamente, andò loro incontro.
La rossa fece un passo indietro, ma alle sue spalle trovò solo il muro.
“Ehi, ma cos’hai?” le domandò Lory, posandole una mano sulla spalla.
“Midorikawa” la chiamò il professore.
“Sì?”
“Ti dispiace lasciarci soli? Devo parlare con la tua compagna” le disse, come sempre inespressivo.
La ragazza sembrò perplessa, ma acconsentì: “Sì… certo”
“Lory, aspetta…” la supplicò la rossa, mentre lei si avviava verso le scale. Non lasciarmi qui!
“Ci vediamo dopo, Straw” sorrise, poi sparì al piano superiore.
Adesso era “sola” con Shirogane. Sentì il cuore impazzire nel petto e la voglia di scappare la assalì prepotentemente. Mise un piede sul primo gradino della scala, sperando che lui la lasciasse andare senza insistere.
“Dove vai?”
Come non detto, pensò. Però non si fermò.
“Voglio solo parlarti, Momomiya” disse il biondo, affiancandosi a lei.
“Sì, come l’altra volta!” esclamò, infastidita. Accelerò il passo, salendo i gradini due alla volta.
“Se mi ascoltassi magari…”
“No! Non voglio ascoltarla, mi lasci in pace!” gridò.
Oltrepassò il primo piano e continuò a salire le scale, finché Shirogane non la afferrò per le spalle inchiodandola al muro.
Spalancò gli occhi con stupore, mentre lui abbassava il capo nascondendo i suoi dietro i ciuffi biondi.
Nuovamente, Strawberry si ritrovò bloccata. Eppure non aveva paura e non riusciva a spiegarsi perché.
Quando Ryan alzò la testa, i suoi occhi azzurri penetrarono a fondo nell’anima della ragazza.
Non li aveva mai visti tanto sofferenti e seri al tempo stesso.
La presa del professore sulle spalle le faceva male ed era terrorizzata all’idea che qualcuno potesse salire o uscire da una stanza da un momento all’altro e trovarli lì in quel modo. Avrebbe equivocato di sicuro.
Poi Shirogane parlò e la dolcezza della sua voce le provocò una fitta dolorosa al centro del petto.
“Ascoltami… Strawberry.”







Sono imperdonabile, sono scomparsa per un'intera settimana!
Però è stato davvero un caos riuscire a scrivere questo capitolo e non sono convintissima di come sia uscito... lascio giudicare a voi!
E torno a ringraziarvi tantissimo per il sostegno che mi date! :D Grazie!
Un bacio,
Comet



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Capitolo 14
*** ... Chiedere scusa ***





Capitolo 14 – … Chiedere scusa
 



Non avrebbe mai pensato che il suo nome pronunciato da Shirogane potesse suonare tanto dolce.
Quel momento le sembrava così intimo e vero che avrebbe voluto imprimere a fondo nella sua testa la parola Strawberry così come era uscita dalle labbra del ragazzo.
Per un attimo, scordò tutto il resto: la rabbia e la delusione erano niente in confronto all’espressione più bella che avesse mai visto sul volto del suo insegnante.
Stava lì, con le mani strette sulle sue spalle e gli occhi puntati nei suoi in un modo che la fece sentire nuda e vulnerabile. Non erano strafottenti né ironici. Nulla. In quell’immensità non si leggeva altro che una richiesta.
Ascoltami.
Più Ryan la guardava, più Strawberry aveva la sensazione di non ricordare più come si facesse a muoversi. Provò a schiarirsi la gola e a parlare, ma probabilmente non era in grado di articolare nulla di sensato.
Ma perché Shirogane riusciva ad incantarla così?
Sentì la presa sulle sue spalle farsi più delicata, fino a diventare un semplice sfiorare.
Poi dei passi. Stava salendo qualcuno e, chiunque fosse, li avrebbe visti insieme.
Trattenne il respiro e guardò Ryan, mentre la sua testa si svuotava e il cuore prendeva a battere ad un ritmo maggiore. Il biondo si era voltato verso le scale e fissava il punto in cui, da un momento all’altro, sarebbero comparse delle persone.
Il rumore di passi si fece sempre più chiaro, accompagnato ora da voci femminili.
“Prof…!” mormorò Strawberry, tirandolo per una manica.
Shirogane le prese la mano in un gesto quasi naturale. “Vieni con me.”
Percorsero rapidamente un’altra rampa di scale, con lei che rischiava di inciampare ogni due gradini. Quando arrivarono al terzo piano, il professore prese dalla tasca dei pantaloni la chiave della sua stanza e aprì in tutta calma la porta. Strawberry, accanto a lui, lanciava sguardi agitati al corridoio.
“Si sbrighi, faccia in fretta!” esclamò, posando una mano sulla schiena del biondo.
Ryan sorrise a quel contatto. Gli piaceva il modo inconsapevole con cui quella ragazza gli si avvicinava. I suoi gesti – al contrario di quelli di alcune studentesse intraprendenti –  non erano mai calcolati, ma semplici e spontanei. Lo sentiva e lo vedeva chiaramente nell’espressione imbarazzata di Strawberry ogni volta che si avvicinavano più del dovuto.
Entrarono nella stanza mentre lei si chiedeva per quale motivo assurdo fossero scappati così, come due ladri. Non stavano facendo nulla, non era successo niente tra loro. Giusto?
Sbatté le palpebre, cercando di schiarirsi le idee.
Oh certo. Ci siamo baciati, realizzò. Poi assunse un’espressione accigliata. No, lui mi ha baciata.
Shirogane, che fino a quel momento le aveva dato le spalle, si girò a guardarla senza lasciar trasparire la minima emozione.
Improvvisamente il silenzio che era calato cominciò a pesare come un macigno e le guance della rossa assunsero il colore dell’imbarazzo.
“Sei più tranquilla adesso?” le disse Ryan, spostandosi verso di lei.
No, per niente! Strawberry indietreggiò automaticamente, ma fu costretta a fermarsi quando sentì la schiena aderire alla porta.
Ok, era da sola con Shirogane nella sua camera, di sera. Niente di cui preoccuparsi, le era già capitato. Perché stava sudando freddo allora? E poi perché accidenti quel biondino doveva essere tanto sexy? Era un attentato al suo autocontrollo e a qualsiasi legge naturale!
Nel mentre, Ryan le si era avvicinato facendo partire in quarta il suo cuore. Quando lo vide portare le mani vicino al suo viso chiuse gli occhi, rabbrividendo leggermente. Cosa che al professore non sfuggì.
Sospirò piano e prese l’asciugamano che Strawberry portava sulle spalle. Glielo passò con delicatezza sui capelli ancora bagnati, lasciando scivolare sulla moquette bordeaux qualche goccia d’acqua.
Stupita, la ragazza riaprì gli occhi e si perse nei tratti del volto del giovane che aveva di fronte. Si trovò a chiedersi quanta sofferenza celasse in quelle iridi color del cielo e perché non la esternasse. Forse era semplicemente fatto così, sebbene le sembrasse di conoscerlo, pensò che in realtà c’erano davvero tante cose che non sapeva di lui e quella consapevolezza le fece stringere lo stomaco. Provò un forte desiderio di entrare nella sua vita e di scoprire lati di Shirogane che ancora non aveva visto, ma immediatamente lo ricacciò da dove era arrivato. Ecco, appunto. Era questo il problema. Dove doveva ricacciarlo? Nella testa… o nel cuore?
Probabilmente si era mossa senza accorgersene perché sentì le mani di Ryan esercitare meno pressione. Un attimo dopo, però, riprese ad asciugarle i capelli con una calma che la fece rilassare all’istante.
In quella situazione paradossale si era creata un’atmosfera così calda e serena che nessuno dei due osò spezzare parlando.
Quando ebbe terminato, abbandonò malamente l’asciugamano sulla testa della rossa, facendolo scendere fino a coprirle gli occhi.
“Insomma!” sbraitò lei, liberandosi del panno che cadde ai suoi piedi senza il minimo rumore. Si aspettava di vedere Shirogane proprio davanti a sé, ma dovette mettere a fuoco la sua immagine qualche metro più in là. Questa volta fu lei ad andargli vicino, fermandosi a qualche passo da lui, tra la scrivania e il letto, pronta a rovesciargli addosso tutta la rabbia dei giorni precedenti.
Ryan la guardava con un sorriso strano. Ne comprese il senso un attimo dopo, quando sentì uscire dalla sua bocca un “mi dispiace” appena sussurrato, forse nella speranza che risultasse impercettibile.
Un sorriso di scuse. Un sorriso bellissimo, tra l’altro.
Le venne spontaneo ricambiare, ma si trattenne.  Un’esitazione che forse avrebbe dovuto evitare, perché le costò quella poca distanza che aveva mantenuto e che venne ben presto accorciata e sostituita da un abbraccio caldo e delicato.
Ryan aveva portato una mano dietro alla sua nuca, tirandola a sé e Strawberry l’aveva lasciato fare, colta impreparata.
Sprofondò tra le pieghe della maglietta del ragazzo, mentre delle braccia forti ma gentili le cingevano le spalle. Con le mani, strinse il tessuto che copriva il petto di Shirogane, indecisa su come comportarsi. Poi si arrese alla dolcezza del momento.
Rimasero per un po’ così, beandosi del reciproco contatto. Stavano così bene – Strawberry stava così bene – in quella posizione, che non si mossero né dissero nulla per qualche secondo. O forse minuto.
“Cosa significa questo?” chiese infine la rossa, rompendo il silenzio.
“Mi sto scusando” rispose, appoggiando il mento sui suoi capelli. Gli venne da sorridere per quant’era piccola Strawberry e lì, stretta in quell’abbraccio, lo sembrava ancora di più.
“Mettendomi le mani addosso?”
Ryan sbuffò. “E’ solo un abbraccio” le disse.
“Quindi dovrei scusarla?” chiese. Provò a staccarsi leggermente per poterlo guardare in volto, ma lui glielo impedì stringendola un po’di più.
“Per cosa?” si sentì domandare.
“Come per cosa?!” esclamò, irritata. Poi si trovò ad arrossire terribilmente quando la sua mente volò sul motivo per cui era arrabbiata.
“Allora?”
“Non posso crederci! Lei mi ha… cioè…”
Ma perché in momenti come quello non riusciva mai a formulare una frase di senso compiuto?
“Sì?” insistette lui, abbassandosi fino quasi a sfiorare il suo orecchio. Eppure Strawberry non percepì nulla di equivoco in quel gesto.
“Mi ha baciata!” gli ricordò, pronunciando quelle parole tutto d’un fiato e nascondendo il viso nel petto del biondo. Se avesse visto quant’era rossa, l’avrebbe presa in giro fino alla morte.
Avvertì comunque la risata cristallina di Shirogane e imprecò mentalmente. Cavoli! Ma come aveva fatto ad accorgersene?
“Momomiya, ci caschi sempre!” disse, senza smettere di ridere.
Ecco, si era fatta fregare un’altra volta. Gira e rigira, lui riusciva sempre a farle dire e fare ciò che voleva. Ma non gliel’avrebbe fatta passare liscia un’altra volta. Proprio no.
“La detesto!” gridò ,cercando di spingerlo via. Per tutta risposta, Ryan la portò ancor più verso di sé.
“Azione e reazione, Momomiya. Ricordi?” le sussurrò con voce roca.
“Sì, ma mi lasci andare! Non può fare così, non può scusarsi in questo modo, non può prendermi in giro e non può… non può trattarmi come ha fatto quel giorno! Non può baciarmi, mi aveva promesso che non l’avrebbe mai fatto se non fossi stata io a chiederglielo!”
Ryan non rispose subito. Si limitò ad ascoltare il battito del cuore della sua allieva, ora ben percepibile, e un attimo dopo si accorse che tremava. Deglutì, prima di porle una domanda.
“Ti ho spaventata?”
Strawberry sussultò, indecisa sulla risposta da dare.
“Sì” disse infine, scegliendo di essere sincera. Si aspettava un’altra risata da parte del professore o qualche battuta maliziosa. Insomma, qualsiasi cosa tranne quello che lui effettivamente disse.
“Scusami.”
Alzò la testa, riuscendo finalmente a guardarlo. Shirogane però teneva il capo abbassato e Strawberry lo trovò in un certo senso tenero. Quasi le passò l’arrabbiatura. Eh no, così non valeva. Non poteva fare quell’espressione così… così.
“Come?” chiese, sbigottita.
Ryan corrugò la fronte. “Hai capito benissimo” le rispose.
“Non ne sono sicura”
Non lo era davvero. Teneva i suoi occhi color cioccolato fissi su di lui, stupita della situazione: da quando in qua l’impassibile Ryan Shirogane non riusciva a reggere uno sguardo?
Sorrise. Certo. Nella sua vita aveva chiesto scusa così tante volte che per lei era diventato facile dire mi dispiace o ho sbagliato e non pensava che per qualcun altro potesse essere più problematico. Conoscendo Shirogane, era possibile che non si fosse mai scusato in vita sua o che semplicemente non avesse mai avuto bisogno di farlo. Quindi era in imbarazzo?
Mentre rimuginava, sentì una mano posarsi al centro del suo petto e subito dopo spingerla piano.
Cadde all’indietro, consapevole che la sua schiena non avrebbe trovato il pavimento, ma un morbido materasso.
“Non te lo ripeterò” le disse Ryan, rivolgendole un mezzo sorriso. Si appoggiò al bordo della scrivania e incrociò le braccia.
Ben tornato al professore strafottente. E, questa volta, anche un tantino imbarazzato.
Strawberry avvampò, presa in contropiede. Per un attimo aveva temuto il peggio mentre cadeva sul letto. Si mise a sedere sostenendosi con le mani e prese il cuscino dietro di sé, per poi colpire il suo insegnante in pieno volto.
“La perdono” sentenziò, fingendosi imbronciata.
Il biondo ricambiò la cuscinata, ripetendo la stessa scena vissuta qualche tempo prima a casa di lui.
“Mocciosa.”
Si guardarono e Ryan sorrise. Si guardarono e Strawberry sorrise.
Risero insieme, un po’ adulti, un po’ bambini, mentre ogni traccia del professore e dell’alunna spariva.
“Mi deve promettere una cosa però” disse lei tornando seria e Shirogane non disse nulla, lasciandola libera di continuare. “Che non mi bacerà più se io non lo vorrò.”
Vide il giovane inarcare un sopracciglio e arrossì per ciò che gli aveva chiesto. D’altronde, non voleva altri malintesi o problemi con lui. Il fatto era che ogni volta che si avvicinava troppo a Ryan sentiva di allontanarsi un po’ da Mark. E, se all’inizio era solo di un passo, andando avanti la distanza cresceva. E non voleva. Era come se tutto d’un tratto delle ruote avessero preso a girare, spingendola a forza verso qualcosa di sconosciuto e costringendola a rinunciare a ciò che voleva.
“Quindi stai mettendo in conto l’ipotesi che potresti volerlo, in futuro” la provocò lui.
Strawberry reagì esattamente come Ryan si aspettava, arrossendo come una bambina. “No!” esclamò.
“Peccato…” ribatté, allargando le braccia. La ragazza colse soltanto una delle tante sfumature nascoste in quella risposta e ricambiò con una linguaccia.
“Allora, me lo promette?” insistette.
Shirogane sembrò pensarci un po’ su, poi le sorrise. “E va bene” si arrese.
Si sedette sul lato opposto del letto, dando la schiena a Strawberry e lei gli fu grata di quella distanza. Aveva bisogno di riabituarsi a quello strano rapporto che di tanto in tanto la spaventava, regalandole emozioni a cui non era sicura di voler dare un nome.
Poi le balenò un’immagine nella mente. All’improvvisò, rivide la foto della ragazza sorridente in camera di Shirogane e al cimitero e sentì un groppo in gola. Aveva tanta voglia di dire una cosa, ma temeva che Ryan potesse reagire male come l’ultima volta.
“Prof?” lo chiamò.
“Sì?”
Non sentì alcun movimento e capì che era ancora girato di spalle. Il fatto che non la stesse guardando le diede un po’ di coraggio in più.
“Dispiace anche a me… per averle fatto tanto domande su…” si fermò, indecisa su come continuare la frase. Se avesse detto Kari probabilmente gli avrebbe fatto male, senza contare che avrebbe potuto tranquillamente sbatterla fuori dalla stanza e tanti saluti a tutta la fatica fatta per riconciliarsi nell’ultima mezz’ora.
“Kari?” le suggerì Shirogane, stupendola. L’aveva detto a denti stretti, come se la parola stessa si rifiutasse di uscire con facilità dalla sue labbra. Quanto gli era costato pronunciare quel nome?
Strawberry annuì inutilmente visto che Ryan non poteva vederla, ma non parlò.
Sentì però il materasso abbassarsi leggermente dietro di sé e trattenne il fiato, finchè la mano di Shirogane non la raggiunse, accarezzandole la testa come era solito fare. Si soffermò sui suoi capelli qualche secondo in più, giocherellando con una ciocca che ancora non si era asciugata del tutto. Poi, mentre poneva fine al contatto, le sussurrò: “Non preoccuparti”.
Un sorriso spontaneo incurvò le labbra della rossa, che si sentì pervadere da un calore piacevole. Era una sensazione che troppo spesso l’accompagnava quando aveva accanto il suo insegnante.
“E’ meglio che tu vada adesso” disse Ryan, alzandosi in piedi.
Strawberry lo imitò, stiracchiandosi. “Sì… Lory si starà chiedendo che fine ho fatto…” realizzò.
“E poi le bambine vanno a dormire presto” la prese in giro.
“Non sono una bambina!”
“Dai, vai Momomiya. O dovrò metterti una nota perché stai violando il coprifuoco”
La rossa alzò gli occhi al cielo e sorrise. Si avvicinò alla porta aprendola piano, sbirciò fuori e, quando fu sicura che non ci fosse nessuno, sgattaiolò in corridoio.
Purtroppo, qualcuno c’era. Qualcuno che aveva osservato con gli occhi sgranati una studentessa uscire dalla camera di un insegnante.
 
Ryan si sdraiò sul letto, portando le braccia dietro la testa, e sbuffò.
Da quando quella ragazzina gli suscitava simili pensieri?
E’ meglio che tu vada adesso, le aveva detto. E mentalmente aveva aggiunto: prima che mi venga voglia di infrangere una promessa. Anzi, due.
Si girò su un fianco e chiuse gli occhi, sperando di addormentarsi il prima possibile e calmare così i suoi ormoni, la sua testa o qualsiasi altra cosa gli avesse provocato quella sensazione.
 
Aprì furtivamente la porta della propria camera, pregando che Lory si fosse già messa a letto. Ovviamente così non era. L’amica era seduta sul materasso con un libro tra le mani e l’aria di chi non aspettava altro che un racconto ricco di dettagli.
“Non è successo niente!” si affrettò a dire, mentre toglieva la felpa.
“Già che dici così sei sospetta, Straw”
Indossò il pigiama in tutta calma, nel tentativo di ritardare il più possibile il momento della verità. Forse però era davvero il caso di dire a Lory tutto quanto.
“E va bene, parlo” mormorò con un pizzico di irritazione, vedendo lo sguardo insistente della ragazza.
Si accomodò sul letto accanto a lei, incrociando le gambe.
“Shirogane mi ha baciata di nuovo” disse subito. Se avesse aspettato sicuramente avrebbe cominciato ad arrossire e a pronunciare frasi sconnesse come suo solito.
Lory spalancò la bocca in un sorriso entusiasta. “Stasera?” chiese.
“No. Il giorno in cui mi ha interrogata a sorpresa” ammise, sentendosi un po’ in colpa per non averlo detto subito alla sua migliore amica. Quest’ultima, dal canto suo, la abbracciò contenta.
“Wow! E quando aspettavi a dirmelo?!” esclamò.
“Scusami” disse. “Ma non è stato un bacio come credi tu…”
 “Cioè?”
“L’ha fatto… come dire… per reazione a una cosa che gli ho detto”
Lory inclinò la testa. “Strawberry, da quando ci si bacia per reazione?”
Quella domanda le risuonò in testa per tutta la notte, impedendole di chiudere occhio. Il suo legame con Ryan era strano, quello l’aveva capito subito. Lory sembrava sinceramente contenta per lei, come se fosse tutto normale. Peccato che non lo era per niente. Lei non era una semplice ragazza che incontrava un qualunque ragazzo in un posto qualsiasi. Era una studentessa e Shirogane era il suo insegnante. Quello che c’era stato tra loro non era niente. Niente, si ripeté nella mente.
 
 
Nei giorni seguenti, tutto era tornato alla normalità.
Nei rari momenti in cui si trovavano vicini, Shirogane non risparmiava alla sua allieva qualche commento ironico dei suoi, mandandola su tutte le furie. Si divertiva come sempre a prenderla in giro e a osservare le sue reazioni, chiedendosi fino a che punto poteva spingersi dopo il chiarimento che avevano avuto. D’altra parte, Strawberry era sempre la solita, quella che arrossiva e si arrabbiava. Sembrava avere già dimenticato quell’episodio, con gran sollievo di Ryan. Non amava l’idea di averla spaventata e di aver perso il controllo come un ragazzino e, soprattutto, non voleva pensare ai motivi per cui quel bacio c’era stato.
Ma, per il resto, il loro rapporto non progredì né regredì e non parlarono mai di Kari. Almeno fino a quella mattina.
“Momomiya, resterai indietro se non ti muovi” le fece notare Ryan, superandola.
“Guardi che anche lei è indietro!” ribatté, sistemando meglio lo zaino sulle spalle.
I professori dovevano essere impazziti: fare trekking in pieno luglio con trenta gradi? Era da pazzi!
Camminavano da un’ora e il sentiero si faceva sempre più ripido. Certo, da lì si poteva vedere il mare ed era un bellissimo spettacolo, ma le gambe di Strawberry non erano proprio dello stesso parere.
Lory non aveva avuto una così cattiva idea decidendo di restare in albergo. Il trekking non fa per me, sono di costituzione debole, aveva detto.
Poi però il suo sguardo cadde su un ragazzo qualche metro (ok, un bel po’ di metri) più avanti, che sembrava non essere per niente affaticato e si ricordò il motivo per cui aveva accettato di sottoporsi a quella tortura.
Accelerò il passo nel vano tentativo di raggiungere Mark. Fortunatamente lui se ne accorse e si fermò ad aspettarla.
“Strawberry! Non correre così, rischi di sentirti male” la rimproverò gentilmente.
“Sì, in effetti…” mormorò, rallentando. Le girava la testa, forse aveva esagerato.
Mark le posò cauto una mano sul fianco, facendola sedere sul ciglio del sentiero, tra l’erba. Lei sussultò, sorpresa che le si fosse avvicinato tanto. Lo osservò togliere lo zaino dalle spalle e cercare qualcosa all’interno.
“Tieni” disse con un sorriso, porgendole un cubetto avvolto nella carta. “E’ zucchero. Ti farà bene”
Strawberry arrossì inevitabilmente quando le loro mani si sfiorarono. Durò solo un attimo, ma quel contatto le lasciò una piacevole sensazione. Niente più però, si trovò a pensare.
Mentre scartava la zolletta, incrociò lo sguardo di Shirogane che stava passando loro accanto. Il biondo le lanciò un’occhiata indecifrabile, facendola arrossire nuovamente, poi spostò l’attenzione su Mark . I due si fissarono per un attimo che a Strawberry parve in realtà lunghissimo, poi il professore proseguì, dando loro le spalle. Cos’era quel gioco di sguardi?
“E’… successo qualcosa?” domandò, perplessa.
Mark scosse il capo. “Non mi piace molto quel professore” ammise, alzando le spalle.
“Ah no?”
Bè, forse Shirogane era il tipo che piace tanto alle ragazze – non a lei, ovviamente – ma non ai ragazzi.
“Forse perché non mi sembra una persona che rispetta molto le regole”
 “Perché dici così?” gli chiese, ricordandosi improvvisamente dello zucchero. Lo mise in bocca e subito fu invasa da quel sapore dolce. Un po’ troppo dolce.
Il moro le sorrise, ma tornò subito serio. “Ho questa impressione”.
La guardò fissa negli occhi, come a volerle trasmettere direttamente quello che pensava senza parlare e Strawberry ebbe una strana sensazione. Si sentì un libro aperto sotto lo sguardo indagatore del ragazzo che sembrava accusarla di qualcosa. Non riusciva a spiegarsi il perché, non le era mai capitato con Mark.
“Su, andiamo o gli altri ci lasciano qui” disse infine lui, alzandosi in piedi. “A proposito, sei sola oggi?”
La rossa annuì.
“E… la Midorikawa?” domandò, mentre si rimettevano in marcia.
“Oh, Lory non ama questo genere di cose. Ha preferito restare in albergo”
“Capisco. Bè, vorrà dire che ti terrò compagnia io” disse. E di nuovo quel sorriso dolce fece capolino sul suo volto.
“S-sul serio?” chiese, incredula. Perché ultimamente credeva sempre di non aver capito bene quando le persone le parlavano? O meglio, quando Shirogane e Mark le parlavano.
“Certo! A cosa servono gli amici sennò?”
Strawberry sorrise. Gli amici. Giusto. Un bel sorriso finto per nascondere la delusione.
“Già” mormorò.
Come non detto, poco dopo si ritrovò sola. I professori decisero di fermarsi a pranzare in una radura, dove gli alberi concedevano loro un po’ d’ombra, riparandoli dal sole cocente di metà estate.
Subito Mark , troppo gentile per rifiutare, era stato trascinato via dalle sue compagne di classe che volevano informazioni su piante per cui non nutrivano alcun reale interesse.
Mortificato, il giovane si era scusato con una sorridente Strawberry che gli aveva detto di non preoccuparsi e si era allontanato circondato dalle sue ammiratrici.
La ragazza sospirò. Detestava quei momenti in cui non aveva nessuno con cui parlare e detestava il fatto che Mark fosse così popolare. Sapeva che non erano state tanto le ragazze a convincerlo ad andare con loro, quanto la possibilità di parlare della natura, però si era sentita lo stesso ferita. Pensava che in quelle due settimane avrebbe potuto trascorrere del tempo con lui, ma quella prospettiva si faceva sempre più remota. Cercava di farsi bastare quei pochi momenti in cui si vedevano e lui era così gentile nei suoi confronti.
Si sedette in un angolo, con la schiena contro il tronco di un albero, e decise di chiamare Lory. Aveva davvero bisogno di parlare con un’amica. Mise il vivavoce e attese qualche secondo.
“Ehi, come va il trekking?” le chiese subito la ragazza dai capelli verdi.
“Mi sta uccidendo!” rispose, con tono drammatico.
L’altra ridacchiò. “Io ti avevo avvertita. Però ti stai divertendo almeno un po’?”
“Certo!” mentì. A Lory non sfuggì la falsità nella sua voce.
“Sicura? Guarda che ti conosco”
“Non molto… Mark aveva detto che mi avrebbe fatto compagnia, ma si è fatto tentare da delle piante!” esclamò, quasi non credendo alle sue stesse parole.
L’amica rise. “Strawberry?”
“Sì?”
“Noi siamo amiche, vero?” le domandò.
“Ovviamente” esclamò, sorridendo. Lory era la sua unica e migliore amica, la sua sicurezza.
“E le amiche possono fare degli sbagli a volte?”
Non esitò nemmeno un attimo, benché la domanda le suonasse strana. “Certo. L’importante è chiedere scusa e continuare a volersi bene” disse, convinta.
“E se io avessi fatto uno sbaglio?”
Sentì la voce di Lory tremare e ebbe quasi l’impressione che stesse piangendo.
“Del tipo?” chiese.
“Io mi sono in-”
Strawberry si sentì togliere il telefonino di mano e si voltò di colpo, spaventata. Shirogane l’aveva chiuso di scatto, sospirando.
“Momomiya, non si può usare il cellulare durante le attività scolastiche” le ricordò.
“Ha interrotto una telefonata importante!” ringhiò, con stizza.
“E tu non stavi rispettando le regole”
Il biondo le rimise il telefono tra le mani, mentre le parole di Mark risuonavano nella testa della ragazza.
“Uffa!” protestò, sbattendo un piede per terra. Lory stava per dirle qualcosa e sembrava essere anche molto importante. A pensarci, non era la prima volta che si comportava in modo strano: aveva più volte provato a parlarle per poi tirarsi indietro all’ultimo e lei aveva semplicemente concluso che l’amica non fosse pronta per rivelarle qualsiasi cosa avesse in mente.
“Muoviti, ci stiamo rimettendo in cammino” la riprese Shirogane, dandole una pacca leggera sulla spalla.
“Sì…” mormorò, pensierosa.
Ryan la guardò, senza aggiungere nulla. Senza sapere bene come né perché, era stato assalito dalla voglia di proteggere Strawberry che non sospettava nulla di quello che stava accadendo alle sue spalle. Quella Midorikawa, ma come le era venuto in mente di dirle una cosa così delicata per telefono?
 
 
Faceva ancora più caldo, tanto che Strawberry pensò di essere lì lì per sciogliersi.
Guardò la roccia davanti a sé, decisamente troppo scivolosa per poterla superare senza fare un bel ruzzolone.
Mentre ragionava su come mettere i piedi, si sentì afferrare per il braccio. Alzò la testa e incrociò gli occhi di Shirogane. Sudato e con il sole che si rifletteva sui suoi capelli era ancora più bello. Ma perché se lo trovava sempre accanto? O forse era lei a non perderlo mai di vista?
“Non voglio studenti sulla coscienza” si giustificò lui, aiutandola a oltrepassare l’ostacolo.
“Ce la facevo benissimo da sola!” gli disse, liberandosi dalla sua presa. Il caldo che aveva avvertito nel punto in cui lui l’aveva afferrata poteva benissimo essere ignorato. Doveva.
Fece qualche passo, per poi sussultare quando una sua compagna chiese al professore di aiutarla a superare la roccia, come aveva fatto con Momomiya.
Si girò giusto quanto bastava per vedere Shirogane ripetere lo stesso gesto e aiutare l’intraprendente Megumi a proseguire.
Una fitta di fastidio.
No, forse aveva solo un po’ di mal di stomaco. Corse in avanti, decisa ad ignorare quella scena. Ma chiudere gli occhi non fu una buona idea. Inciampò forse in un sasso, forse nei suoi piedi e cadde rovinosamente a terra. Sentì le ginocchia strusciare sul terreno fino a bruciare e soffocò un gemito di dolore.
Immediatamente fu raggiunta da altri ragazzi a cui non prestò molta attenzione. Voleva sprofondare dalla vergogna!
Si mise a sedere, esaminando le ginocchia sbucciate e i gomiti graffiati, mentre le lacrime le offuscavano prepotentemente la vista. Poi provò ad alzarsi in piedi, ma la caviglia destra le cedette.
“Strawberry, ti fa male?” le domandò la voce dolce di Mark.
Scosse la testa energicamente. “No, no. Ho solo qualche graffio… nulla di grave!”
“Ce la fai a proseguire?”
“Certo, non preoccuparti. Che scema, sono caduta come un sacco di patate” disse, ridendo imbarazzata.
“Professoressa Mihano, le dispiace proseguire con gli studenti? Io riporto Momomiya all’albergo”
Si accorse di avere Ryan alle spalle solo quando lo ascoltò parlare e si sentì ancora peggio se possibile.
“Ma no, non ce n’è bisogno. Sto bene” cercò di convincerlo, sventolando le mani davanti a sé.
Lo sentì sospirare. “Prova ad alzarti” le disse.
Bella mossa, non ci sarebbe di certo riuscita. Tentò comunque, inutilmente.
Shirogane portò una mano sulla sua caviglia, esaminandola per qualche secondo. Avvertì di nuovo quello strano calore che la pervadeva sotto il suo tocco e sentì le guance infiammarsi. No, non era il caso di reagire così davanti a decine di studenti e a Mark.
“Ahi!” protestò, quando lui fece pressione.
“Dev’essere slogata” ipotizzò infine il biondo.
L’insegnante d’inglese, la professoressa Mihano, posò delicatamente una mano sulla spalla del giovane collega. “Ci pensiamo io e Tomonaga alle classi, lei porti Momomiya in albergo a medicare quelle ferite”
Gli sorrise gentilmente, invitando poi il resto degli studenti a proseguire. Quella donna provava una certa stima nei confronti di Shirogane, o almeno così era sembrato a Strawberry ogni volta che li aveva visti parlare. L’aveva sentita dire che era davvero incredibile che un ragazzo così giovane avesse tanto talento. Come contraddirla, del resto?
Quando tutti si furono allontanati, sparendo oltre una parete rocciosa, Ryan si accovacciò davanti a lei, dandole le spalle.
La ragazza osservò la sua schiena, senza capire.
“Allora?” disse lui, apparentemente infastidito.
“Allora cosa?”
“Salta su” la invitò, voltando la testa in modo da poterla guardare.
Strawberry arrossì all’istante. “Eh? No, faccio da sola!” esclamò.
Salirgli in spalla? Ma siamo matti?!
“Momomiya, quanta strada credi di fare con la caviglia in quelle condizioni?”
“Tutta!” ribatté, cercando nuovamente di alzarsi in piedi.
“Come vuoi. Andiamo, allora” disse. Si tirò su e si incamminò, irritato dalla testardaggine della sua allieva.
Incredula, la rossa lo guardò allontanarsi senza proferire parola. Fece un altro tentativo, poi un altro e un altro ancora. Niente. E ogni volta la caviglia le faceva sempre più male della precedente.
Saltellare le sembrò una buona trovata sul momento, sicuramente migliore che chiedere aiuto a Shirogane. Provò a stargli dietro, ma sembrava che camminasse più veloce del solito apposta per dimostrarle che non poteva farcela da sola. Bè, se era una sfida non aveva che da dirlo.
I problemi cominciarono quando la strada si trasformò in una discesa. Non ce l’avrebbe fatta, sarebbe caduta ancora e avrebbe rotolato fino all’albergo. Ottimo proposito.
Prese un respiro profondo e fece per proseguire, quando vide il suo insegnante voltarsi a guardarla e tornare indietro.
“Momomiya, hai davvero la testa dura” la rimproverò. “Se non ti fai aiutare quella caviglia non farà che peggiorare”
“Non è un problema suo” disse, incrociando le braccia.
Per la seconda volta, Shirogane si abbassò. “Sali” le disse.
“No!” fu la secca risposta di Strawberry.
“Faremo prima”
“No.”
Forse per la prima volta si sentì davvero la bambina che diceva sempre Ryan.
“Sappi che la mia pazienza ha un limite” le ricordò, con voce piatta.
“E quanto mi manca per superarlo?” chiese, strafottente.
“L’hai appena fatto.”
Non le diede il tempo di elaborare la frase. La spinse a forza contro la sua schiena e portò le braccia sotto le sue gambe per sostenerla. Poi si rialzò, impedendole così di scendere.
Strawberry si trovò accovacciata sulla schiena del professore, senza possibilità di fuga e inutili furono i suoi tentativi di ribellarsi.
“Mi metta subito giù!” gridò, imbarazzata. Ma Ryan la ignorò e prese a camminare. “Mi faccia scendere!” insistette.
Dopo qualche minuto di lamentele, si rese conto che sarebbe stato tutto fiato sprecato.
“L’hai capita, finalmente” sospirò Ryan, divertito.
“Lei è…”
“Cosa?” chiese.
“Insopportabile” concluse. Ma gentile, a modo suo, aggiunse mentalmente.
Non aveva altra scelta che permettergli di riportarla all’albergo in quel modo. Rassegnata, aderì meglio alla schiena del ragazzo appoggiando la guancia tra il collo e la spalla di lui. Socchiuse gli occhi, rilassandosi.
Ogni contatto con il corpo di Ryan sembrava paragonabile al fuoco, caldo e intenso.
 
“Prof mi faccia scendere!” esclamò all’improvviso, facendo sussultare Shirogane.
“Che c’è?” le chiese, voltando appena il capo.
“Mi faccia scendere un attimo!” insistette.
Sbuffando, il biondo si abbassò finché Strawberry non sentì nuovamente il terreno sotto i piedi.
Davanti ai loro occhi, il mare risplendeva sotto la luce dorata del sole. Da quel punto, l’unico in cui gli alberi non nascondevano la vista sull’orizzonte, sembrava di avere l’intero mondo a disposizione e quella visione lasciò la ragazza senza fiato.
Incauta, si avvicinò zoppicando allo strapiombo a pochi metri da loro. Non si era resa conto di trovarsi così in alto e, quando vide il vuoto sotto di sé, sentì la testa girare.
Shirogane la prese per un braccio e la trascinò indietro, ad una distanza di sicurezza. In quella stretta, Strawberry avvertì molta più forza di quanta ne sarebbe stata necessaria.
“Sei impazzita?!” gridò lui, cogliendola di sorpresa. Nei suoi occhi si leggeva rabbia, paura forse.
“Ma io non…”
“Ma niente! Dobbiamo andare, muoviti” le fece segno di salire nuovamente in spalla e lei obbedì senza aggiungere altro, confusa.
Dopo qualche minuto, Ryan parlò e di certo Strawberry non avrebbe mai potuto immaginare che l’argomento sarebbe stato proprio quello.
“E’ morta così” lo sentì dire, quasi in un sussurro.
“Eh?” domandò, per riflesso.
“Kari” mormorò. “E’ caduta da una scogliera”
Strawberry spalancò gli occhi, incapace di dire qualcosa. Non si aspettava che Shirogane avrebbe  parlato di Kari, rispondendo forse alle domande che l’avevano tormentata. Non in quel momento. E soprattutto non si aspettava di sentire quelle parole.
“Io… mi dispiace” disse sottovoce. Ecco perché si era spaventato tanto quando si era avvicinata al precipizio. Ma Kyle non le aveva mai parlato di una cosa del genere, aveva detto che Kari era molto malata. Quanto cose c’erano che ancora non sapeva?
 “Se avessi saputo di un incidente del genere, non… non…”
Non trovava le parole per continuare, ma non ce ne fu bisogno perché Ryan la interruppe.
“Non è stato un incidente” disse.
“Come?”
“Non è stato un incidente. Kari… lei… si è buttata di proposito.”











Ma buonasera!
Come non detto, i miei buoni propositi di aggiornare prima sono andati in fumo! E brava Comet :(
In compenso, credo che questo sia il capitolo più lungo di tutti (lo so, non me la cavo così xD).
Purtroppo, più vado avanti e più gli aggiornamenti diventano difficili, ma tenete duro che prima o poi arrivano :) non ho intenzione di lasciare la storia inconclusa (mi piace così tanto scriverla! :D)
Alla prossima e grazie di cuore a chi segue e recensisce! :)
Baci,
Comet

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Capitolo 15
*** Uno sguardo al passato, uno al futuro ***





Capitolo 15 – Uno sguardo al passato, uno al futuro.
 



Ryan sentì i polmoni riempirsi d’aria e bruciare, come se non respirasse da una vita. Da quanto tempo non parlava davvero di Kari?
Chiuse gli occhi e permise ai ricordi di prendere dolorosamente il sopravvento, facendolo tornare a quel giorno lontano, due anni prima.
 
 
“Scappare dall’ospedale non è stata affatto una buona idea!” La voce di Ryan era ferma, ma non fino in fondo. Quando parlava con lei, traspariva sempre una sfumatura dolce che non era affatto in grado di nascondere come avrebbe voluto.
I lunghi capelli di Kari ondeggiarono sospinti dal vento e il ragazzo li osservò, come ipnotizzato.
“Ci staranno cercando” insistette, mettendo le mani in tasca. E in cuor suo sperava che i suoi genitori, Kyle o i medici li trovassero presto. Kari era debole e i segni della malattia si vedevano chiaramente sul suo viso stanco e sul suo corpo troppo esile. Stare fuori a lungo poteva essere pericoloso per la sua salute, lo sapeva bene.
Ma nonostante tutto lo aveva trascinato al mare e lui, incapace di negare qualunque cosa a quel sorriso, si era lasciato convincere.
In cima a quella scogliera il panorama era mozzafiato, proprio il genere di cose per cui lei andava matta.  La vide mettersi carponi a un passo dallo strapiombo e guardare giù, facendo una strana espressione.
Era tutto il giorno che si comportava in maniera insolita: prima rideva, poi se ne usciva con frasi sdolcinate dicendogli di amarlo – e Ryan non era mai capace di rispondere perché per lui l’amore era difficile da esprimere – e alla fine sorrideva tristemente, come faceva quando si sentiva impotente di fronte al suo male.
“Dai, vieni qui!” disse con voce allegra, arretrando per allontanarsi un po’ dal vuoto.
Ryan sbuffò, ma la accontentò come sempre.  Si sedette accanto a lei, attento ad ogni suo movimento e a tutte le sfaccettature che assumeva il suo viso.
Rimasero in silenzio ad osservare l’orizzonte e il mare sottostante, chiedendosi perché la vita avesse inflitto proprio a loro una punizione così crudele.
E’ una malattia rara. Ad oggi  incurabile, aveva detto il primo dottore a cui i signori Shirogane si erano rivolti e così anche tutti quelli che erano venuti dopo. Girare mezzo mondo non era servito a niente, il potere di cui la famiglia di Ryan disponeva era totalmente inutile.
Incurabile era una parola a cui avrebbero dovuto abituarsi.
Kari rabbrividì quando il vento si fece leggermente più forte e Ryan la tirò prontamente a sé, cingendole le spalle con un braccio. Lei si lasciò guidare fino a trovare il petto del ragazzo, per poi appoggiarvi la testa, sentendosi finalmente al sicuro.
Non voleva essere in nessun altro posto se non lì con lui e glielo disse, facendosi inaspettatamente coraggiosa, desiderosa di donargli tutto l’amore che aveva dentro, per l’ultima volta.
Ryan sussultò a quelle parole e vide le guance di Kari colorarsi di un rosso che contrastava pesantemente con la pelle diafana del suo viso.
Automaticamente la strinse più forte, sperando forse che così avrebbe potuto guarirla, che il suo affetto potesse bastare per farle vivere una vita che non contemplasse ospedali, iniezioni e fili su ogni parte del corpo. Vederla nel letto mentre lo strumento accanto a lei segnava delle pulsazioni troppo deboli era ogni dannata volta un tormento, una paura che faceva gelare a Ryan il sangue nelle vene. E sarebbe stato sempre così, lo sapevano entrambi.
“Restiamo qui per sempre…” mormorò la ragazza.
“D’accordo”
Kari si scostò e lo guardò negli occhi. “Dici sul serio?” chiese.
“Se è quello che vuoi” rispose Ryan, sorridendo. Se per un attimo, per quanto breve, potevano illudersi che fosse tutto diverso, allora valeva la pena di farlo. Volevano solo poter scappare da quella realtà, anche se sbagliato, anche se per un istante, ne avevano un disperato bisogno.
“Ryan, mi fai una promessa?” chiese, improvvisamente. Anche la sua voce sembrava strana, ma lui non osava fare domande, sapendo che sarebbe stato superfluo in quel momento.
“Tutto ciò che vuoi” disse.
E lei si sciolse in un sorriso, stupita da quell’improvvisa dolcezza, così rara e preziosa. Abbassò lo sguardo, stringendo tremante la maglietta del ragazzo e la tristezza nei suoi occhi divenne evidente.
“Promettimi che un giorno, quando non ci sarò più, ti innamorerai di nuovo” mormorò, fissandolo dritto negli occhi. Ryan rimase un attimo destabilizzato. Era una cosa che Kari non faceva quasi mai, così timida e insicura per reggere la profondità del suo sguardo, che sembrava trapassarle l’anima. O almeno, così gli aveva confessato una volta.
Quando si riprese, le diede un leggero colpetto sulla fronte. “Non dire sciocchezze” la rimproverò, contrariato.
“Sto parlando sul serio… Promettimelo!” continuò, aggrappandosi con forza al braccio del ragazzo.
“Invece ti prometto esattamente il contrario. Sempre” disse, quasi in un sussurro. Non c’era bisogno di specificare ti amerò sempre, Kari avrebbe capito anche così, lei capiva sempre e si accontentava di quelle frasi lasciate a metà, di tutto ciò che lui era in grado di dire solo silenziosamente.
Le lasciò un leggero bacio sulla guancia, assaporando la sua pelle candida per quella che, ancora non sapeva, sarebbe stata l’ultima volta.
“Fallo per me, almeno per ora…” lo supplicò, stringendo ancora più forte la presa.
“E’ assurdo quello che mi chiedi” disse Ryan, distogliendo lo sguardo. Fissò un punto imprecisato del mare davanti a sé, senza riuscire a capire il perché di tanta insistenza. Quella che Kari voleva, era una promessa senza senso.
“Per favore… promettimi almeno che ci proverai”
“E va bene” la accontentò, arrendendosi a quella richiesta con la consapevolezza che mai avrebbe potuto mantenerla. Ma non importava perché Kari non sarebbe morta. La sua malattia l’avrebbe resa sempre più debole, ma non fino al punto di ucciderla. Non gli importava di dover passare la vita tra gli ospedali, sempre al suo capezzale a prendersene cura, l’unica cosa che aveva a cuore era lei, la sua Kari.
E ci aveva provato davvero a spiegarglielo, ma ogni volta lei lo supplicava di andarsene.
Io non sono capace di mandarti via perché sono egoista. Ma tu puoi farlo. Meriti di più, Ryan.
Gli diceva sempre così, non concepiva che lui non desiderasse altro che restarle accanto nonostante tutto.
“Allora… posso stare tranquilla…” disse Kari, scostandosi dal ragazzo.
Ryan la osservò alzarsi in piedi e fare qualche passo verso il precipizio. Poi, proprio sul bordo, si fermò. Si voltò a guardarlo e gli sorrise, il sorriso più dolce e triste che avesse mai visto, forse perché Kari stava piangendo mentre lo faceva.
“Ricordati che hai promesso” aggiunse.
“Kari, cosa stai…?”
“No, ascoltami” lo interruppe la ragazza, sistemando una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Fu inutile, perché immediatamente il vento la scompigliò, liberandola di nuovo. “Io ti amo, Ryan. Ti amo con tutto il cuore” in quella situazione, riuscì comunque ad arrossire per ciò che stava dicendo e Ryan si sentì pervadere dalla voglia di abbracciarla. “E vorrei poterti dare ciò di cui hai bisogno. Però, cerca di capirmi, non posso permetterti di buttare la tua vita in questo modo. Per quanto mi faccia male, ho capito che con me… non potrai mai essere felice, perché ci sarà sempre un problema, perché magari usciremo a fare una passeggiata e io mi sentirò male, oppure non sarò abbastanza in forze per accompagnarti a vedere un film o per andare al ristorante insieme…”
“Non importa …”
Ryan fece per avvicinarsi, deciso a stringerla a sé e non permetterle più di pensare quelle cose. Kari però lo fermò alzando la mano davanti a sé e si asciugò le lacrime con la manica del golfino.
“Non sarebbe giusto. Ma se anche io ti dicessi di andartene, non mi ascolteresti, ti conosco”
“Infatti non lo farei” confermò, deciso. Aveva un brutto presentimento, ma non riusciva a spiegarselo né a dare un nome alla sensazione di inquietudine che si stava facendo spazio dentro di lui.
“ E… ti amo anche per questo. Per tutto quello che mi hai dato. Adesso però tocca a me ricambiare” mormorò. Poi guardò per un istante il precipizio sotto di sé, titubante. Quando tornò a rivolgersi a Ryan, la sua espressione era convinta, ferma, come se avesse ragionato a lungo e non avesse trovato altra soluzione. “Capiscimi Ryan e vivi. Vivi anche per me”.
Accadde tutto in un attimo. Kari sorrise per l’ultima volta, con gli occhi velati dalle lacrime. Diede le spalle al ragazzo e inspirò a fondo. Il vento prese a soffiare più impetuoso, facendo un rumore assordante.
Quando Ryan capì quello che stava per accadere, era ormai troppo tardi.
Scattò in avanti nel momento stesso in cui Kari copriva definitivamente la distanza che la separava dal vuoto sottostante, mormorando un ti amo appena percettibile.
Doveva fermarla, doveva farcela. Ma, quando cadde a terra sul bordo della scogliera, le sue mani non trovarono nulla. Solo aria.
Non trovò neanche la forza di urlare il nome della ragazza che amava e che aveva pensato di restituirgli la sua vita, rinunciando alla propria. Sbatté con rabbia i pugni sulla roccia, ferendosi.
Nella sua testa balenò l’idea che potesse ancora salvarla, che se era caduta in mare poteva essere sopravvissuta all’impatto. Si aggrappò a quella folle speranza, pur sapendo che un salto da quell’altezza non poteva che portare ad un unico risultato. Ma doveva ignorare la sua parte razionale.
Si alzò, pronto a gettarsi nel vuoto, ma due braccia lo imprigionarono trascinandolo indietro. Kyle lo portò lontano da quel luogo mentre lui lottava con tutte le sue forze per restare lì, per non abbandonarla.
 
Le ricerche della polizia durarono giorni, ma furono vane.
Kari era stata inghiottita da quel mare che amava tanto e lui non aveva potuto fare nulla per salvarla.
 
 
Quando Ryan finì di raccontare, si accorse che Strawberry era rimasta immobile sulla sua schiena per tutto il tempo. Ancorata alle sue spalle, stringeva con una forza tale da togliergli il fiato.
Poi la sentì rilassarsi e riprendere a respirare e, nello stesso momento, anche lui fece lo stesso.
Non aveva mai parlato a nessuno dell’accaduto. Da quel maledetto giorno si era rifiutato anche solo di ricordare perché ogni volta che ci provava la rabbia montava con forza dentro di lui, mischiandosi al dolore in un mix letale.
Le goccioline che cominciarono a bagnargli il collo, gli fecero capire che Strawberry stava piangendo. Smise di camminare e si abbassò per permetterle di scendere, ma lei non accennò a muoversi. Al contrario, si strinse a lui con maggior convinzione lasciandosi andare in un pianto silenzioso.
Ryan non disse nulla e si limitò a restare in quella posizione, in attesa che le passasse.
“Perché piangi?” chiese dopo qualche minuto.
Strawberry si mosse piano, strusciando il viso sulla sua spalla in quello che doveva essere un “no” con la testa. “Non lo so” rispose, con voce spezzata. “Non… non riesco neanche a immaginare come possa essersi sentito... è una storia… orribile”.
Il biondo la guardò con la coda dell’occhio, stupito.
Fino a quel momento, tutti gli avevano parlato del gesto d’amore di Kari, della profonda tristezza di Kari, della difficile scelta di Kari; la ragazza sulle sue spalle, con gli occhi colmi di lacrime e i capelli spettinati dopo la caduta, stava pensando a quello che lui poteva aver provato.
“Lo è” confermò. Una nuova ondata di dolore lo investì in pieno, colpendo il suo cuore anestetizzato. C’erano dei momenti in cui il ricordo dell’ultimo sorriso di Kari andava a sommarsi a tutti i momenti che avevano vissuto insieme e faceva così male da non permettergli di respirare.
“Prof…” lo chiamò Strawberry, debolmente. “Mi dispiace di avere insistito tanto per farla parlare di queste cose… sono stata un’insensibile”
Ryan sospirò e si lasciò sfuggire un sorriso. “Non ti preoccupare” la tranquillizzò.
“E mi dispiace anche di essermi avvicinata tanto al precipizio” aggiunse.
“Non hai fatto nulla di male, non potevi saperlo”
“Io non so bene cosa dire…” confessò, muovendosi per sistemarsi meglio sulla schiena del professore.
“Non devi dire nulla, Momomiya. Mi andava di raccontartelo e basta”
Strawberry rimase in silenzio qualche secondo, pensierosa. Era contenta che Shirogane si fosse aperto con lei, però non poteva fare a meno di provare una tristezza infinita per quello che aveva saputo. Adesso che aveva il quadro completo, gli atteggiamenti di Ryan diventavano comprensibili, la sua rabbia acquistava un senso, così come la difficoltà a parlare del suo passato. Si chiese quanto dolore potesse celare quel ragazzo all’apparenza freddo e indifferente a tutto e come fosse riuscito per due interi anni a tenerlo dentro, senza mai farne parola. Doveva essere stato tremendo.
“In realtà… io sapevo già della malattia…” disse. Prese a torturare una ciocca rossa, arricciandola attorno al dito, aspettando un rimprovero che però non arrivò.
“Te l’ha detto Kyle” rispose il biondo. E non era una domanda.
Comunque, Strawberry annuì. “Solo questo però” spiegò.
Il pasticcere era stato davvero molto discreto e, anche se non le era molto chiaro il ruolo che Kyle aveva nella vicenda, non voleva che Ryan pensasse il contrario.
“Con Kyle non… non ne ha mai parlato?”
Era esitante nel porre le domande, soppesava ogni parola – cosa che di solito non faceva – correggendosi quando le sembrava di formulare una frase in maniera forse troppo diretta o indelicata.
“Non avrei potuto” rispose semplicemente lui, scrollando il capo.
“Perché?”
Ryan girò il volto quel tanto che bastava per guardare negli occhi la sua allieva. La trovò con espressione curiosa, ma al tempo stesso discreta. Forse Strawberry era proprio così, una contraddizione continua, emozioni contrastanti condensate in un’unica persona che la rendevano alle volte infantile, alle volte attraente. Il pensiero di Shirogane volò sulla promessa fatta a Kari la prima volta, quando le diceva che non si sarebbe mai innamorato di un’altra ragazza e avvertì una fitta in corrispondenza di quel fastidioso muscolo che aveva tentato più volte di addormentare, ma che continuava a battere fuori dal suo controllo.
“Come potevo parlargli, sapendo di essere la causa della morte di sua sorella?” domanda retorica, pronunciata con un sorriso colpevole sul viso, mentre si rialzava in piedi.
La rossa spalancò gli occhi, agitandosi sulle sue spalle. “Sorella?!” esclamò.
“Deduco che Kyle non te l’abbia detto”
“No!” confermò lei, incredula. Ricordò quella volta in cui Shirogane le aveva detto che l’amico aveva vissuto con lui per un po’, dopo la morte dei suoi genitori. E Kyle aveva raccontato che Kari, rimasta orfana, era stata presa in affidamento dalla famiglia di Ryan. Ma come aveva fatto a non pensarci prima? Tutto combaciava, era così ovvio che ci fosse un legame tra loro. Aveva sbagliato di nuovo, costringendo anche Kyle a ricordare un episodio così triste…
“Tipico suo. Parla di me, ma non racconta niente di sé” disse Ryan, riportandola al presente. Ma non c’era stizza nella sua voce, era una semplice constatazione.
“Guardi che anche lei non parla mai di sé, se è per questo. Però si intromette negli affari miei” lo rimproverò, ripensando al discorso su Mark.
Shirogane afferrò più saldamente le cosce della ragazza, poi la fece sobbalzare sulla sua schiena come una bambina, incurante delle sue proteste.
“Come tuo professore ne ho tutto il diritto” si difese.
“E non come professore?” domandò a bruciapelo, abbassando la voce ad ogni parola pronunciata, tanto che alla fine suonò come un sussurro.
Calò il silenzio, mentre Ryan sussultava e Strawberry arrossiva. Si diede della stupida per aver fatto quella domanda. Come le era saltato in mente?
Poi il professore stemperò la tensione, sorridendo. “Che vuoi dire?”
Perfetto. Che voleva dire? Non lo sapeva neanche lei.
“Non lo so, non ci faccia caso. A volte parlo senza pensare” si giustificò, ridendo nervosamente.
“Solo a volte?”
“Prof!”
Ironico e irritante, il solito Shirogane. Non sembrava già più quello che due minuti prima le aveva raccontato la parte più triste e difficile della sua vita. Sperò che gli avesse fatto bene parlarne, sperò che in quel momento si stesse comportando così perché con lei gli veniva spontaneo essere antipatico o sarcastico e non solo per sfuggire al dolore.
“E poi basta chiedere” disse, una volta finito di prenderla in giro.
“Che cosa?” doveva essersi persa un pezzo.
“Se vuoi sapere qualcosa di me, Momomiya” le rispose, alzando gli occhi al cielo. Ma il tono di voce doveva essere già di per sé eloquente, perché si beccò un pugno per niente delicato sulla spalla.
“E’ lei che salta da un discorso all’altro! Mica abbiamo tutti la sua mente geniale, sa?!”
“Meno male che lo sai. La consapevolezza è importante” la schernì, come al solito.
“Qual è il suo colore preferito?” domandò improvvisamente Strawberry, sporgendosi in avanti fino a sfiorare la guancia del biondo in un gesto inconsapevole. Ryan ne ebbe conferma quando la vide arrossire e ritrarsi un poco.
“Come?” chiese.
“Voglio sapere il suo colore preferito. L’ha detto lei che basta chiedere”
Ryan sorrise. Chi era quello che passava da un discorso a un altro?
“Il blu” rispose, divertito.
“Che ha da ridere?” scattò lei, subito sulla difensiva. La presa di Ryan sulle sue gambe le impedì di agitarsi nuovamente, rischiando di farlo sbilanciare. Il professore che si fa male riaccompagnando in hotel l’allieva ferita non era proprio l’ideale.
“Non essere sempre così irritabile”
“Ah, io?!” esclamò. Poi l’agitazione scomparve, lasciando il posto a una voce quasi sottomessa. “E comunque… se ha voglia di parlare… con me può farlo, ok?”
“Fare cosa?” chiese malizioso, facendo intendere il doppio senso.
“Parlare!” precisò, arrossendo. Accidenti, per una volta che diceva qualcosa di carino, quello stupido rovinava tutto con le sue battutine!
“Dai, Strawberry… torniamo all’albergo” disse, lasciandosi sfuggire un sorriso per l’innocenza disarmante della sua allieva. L’aveva buttata sul ridere, ma le era molto grato per quelle parole e l’imbarazzo con cui le aveva pronunciate le aveva rese ancora più vere e credibili. L’idea di avere vicino Strawberry lo faceva sentire meglio, anche se mai e poi mai lo avrebbe ammesso, anche se il loro rapporto era strano e forse contrario alle regole, anche se non c’era niente di definito tra loro.
Lei si irrigidì. “Mi ha chiamata… per nome”
“E allora?”
“Come sarebbe a dire allora?”
“Non posso?” domandò, innocente.
Strawberry non rispose subito. Shirogane era strano, ogni volta che credeva di averlo capito faceva qualcosa che la stupiva e scombussolava.
E la cosa più assurda era che quel suo essere così imprevedibile… le piaceva.
Si vergognò del suo stesso pensiero, ma le parole le uscirono di bocca prima che potesse fermarle, facendo sorridere Ryan e avvampare lei.
“Sì… può.”
 
 
Quando arrivarono all’albergo, l’uomo alla reception provvide a farli sistemare in una apposita saletta, dando loro un piccolo kit del pronto soccorso con tutto il necessario.
Strawberry sbuffò contrariata mentre Ryan la faceva scivolare delicatamente sul divano bianco.
“Cos’hai da lamentarti, Momomiya?” le domandò, asciugandosi il sudore sulla fronte.
“Non è necessario medicarmi. Sto bene” protestò e fece per alzarsi, ma in un attimo ricadde seduta.
“Vedo…” Ryan si abbassò davanti a lei, con l’occorrente per disinfettare le ferite tra le mani e un sorriso divertito dipinto in volto. “Dai, stai ferma. Facciamo in un attimo”.
Prese del cotone e vi versò su qualche goccia di acqua ossigenata, poi cominciò a tamponare piano il ginocchio sbucciato della ragazza.
Ad ogni tocco, Strawberry sussultava. Non sapeva spiegarsi se per il bruciore di quel liquido infernale o per il fatto che l’altra mano di Ryan era finita sulla sua coscia nuda, ma il fatto che sentisse terribilmente caldo in entrambi i punti non era d’aiuto.
Arrossì e non parlò, né si lamentò per il dolore. Si limitò a guardare l’espressione tranquilla e allo stesso tempo concentrata del biondo che le puliva i graffi, senza riuscire a distogliere l’attenzione da lui.
“Ti fa male?” chiese Shirogane, fermandosi.
“N-no” sobbalzò, volgendo lo sguardo altrove con imbarazzo.
“Che bugiarda che sei” rise, per poi riprendere il suo lavoro, stupendola per la delicatezza con cui si prendeva cura di lei.
Strawberry sentiva le guance bollenti e nella testa mille pensieri fuori controllo che la tormentavano. Il racconto di Ryan, le parole di Ryan, il suo nome pronunciato da Ryan, le mani di Ryan sulle sue gambe, gli occhi di Ryan, il sorriso di Ryan, l’ironia di Ryan...
Ryan, Ryan e ancora Ryan. Non riusciva a pensare ad altro e si spaventò per la forza con cui quel nome si era conficcato da qualche parte dentro di lei – e non osò pensare al cuore – facendola rabbrividire ogni volta che lo sentiva.
Non è che ho la febbre?, si trovò a chiedersi, sfiorandosi automaticamente la fronte con la mano.
Shirogane alzò la testa, interrogativo. Quando lei arrossì, sorrise in modo enigmatico come al solito e diede un’ultima passata sulla ferita, per poi andare ad occuparsi dell’altro ginocchio.
Il fatto che fossero in silenzio, rendeva la situazione ancora più strana e difficile. Strawberry detestava i silenzi e cercava sempre riempirli con le parole, ma  in quel momento aveva la mente completamente annebbiata e, per quanto ci provasse, non riusciva a trovare un argomento decente per riempire quel vuoto imbarazzante.
Dal canto suo, Ryan sembrava totalmente a suo agio e non lasciava trasparire alcun segno che facesse presupporre che fosse in difficoltà. Già, lui sembrava sempre così sicuro… nessuno avrebbe mai potuto dire che nascondesse tanta sofferenza. Nessuno tranne lei, adesso.
Aveva voglia di confidarsi con Kyle, di chiedergli consiglio perché si sentiva troppo confusa di fronte a quelle sensazioni inaspettate e a cui non riusciva a dare un nome e sicuramente lui avrebbe saputo aiutarla. Però, dopo quello che aveva scoperto, non era certa di riuscire a parlargli in tutta tranquillità, non senza sentirsi in colpa per tutte le sue stupide domande.
“Passami i cerotti” disse Shirogane, indicandole con la testa la scatola sul divano, al suo fianco.
Strawberry gliene passò un paio distrattamente e lo osservò completare la medicazione, lasciandosi sfuggire una risata. Era ridicola con quei cerotti su entrambe le ginocchia, ricordava una bambina dell’asilo e probabilmente anche il professore stava pensando la stessa cosa vista la sua espressione divertita.
“Non mi prenda in giro!” esclamò, arrossendo nuovamente. O forse ormai quel colore si era impadronito delle sue guance e non sarebbe mai andato via.
“Non ho detto nulla”
“Ma l’ha pensato”
“Cosa?” domandò lui, con sguardo innocente.
“Che sono ridicola” mormorò. Incrociò le braccia al petto, osservandosi le ginocchia. Adesso sì che sembrava una bambina.
“Non ho pensato questo, in realtà” rispose Ryan e, nel dirlo, le mostrò uno dei suoi sorrisi più provocanti e, a parere di Strawberry, più belli.
“E cosa allora?”
Le fece la linguaccia. “Non ho intenzione di dirtelo”
“Uff, è odioso!”
Di nuovo, Shirogane rise. Una risata sincera e cristallina che fece imbarazzare la rossa e le provocò un brivido lungo la schiena.
“Allora… passiamo alla caviglia” disse infine.
Le fece sollevare un poco la gamba, in modo da poterle applicare la fasciatura con scioltezza. Strawberry si lasciò andare contro lo schienale del divano in attesa che terminasse quella tortura, ma non perse di vista nemmeno un movimento del suo insegnante.
Il tocco di Ryan era leggero, però al tempo stesso la scaldava in un modo che non credeva possibile. Ogni volta che le sue dita le sfioravano la pelle, era come se lasciassero un piccolo marchio a fuoco. Altro che ferite, lì sarebbero rimaste delle invisibili cicatrici.
Avvolse la benda attorno alla sua caviglia un’ultima volta, poi la bloccò in modo che non si slegasse.
“E’ troppo stretta?” le domandò, tornando a guardarla in viso.
“No, è perfetta” rispose, con lo stomaco sottosopra. Ma da quando i suoi occhi sembravano ancora più azzurri e intensi?
No, Strawberry. No, si rimproverò e prese un bel respiro nel tentativo di tranquillizzarsi.
“Bene… ehm… grazie. Torno nella mia stanza” buttò lì, sistemando nervosamente la frangetta da un lato.
Si sentì però afferrare per il braccio mentre cercava di alzarsi.
“Dove pensi di andare? Non abbiamo finito” Ryan la costrinse a riaccomodarsi. “Mancano questi” disse. Le sollevò il braccio destro, facendole ricordare le ferite sui gomiti che ricominciarono a pulsare fastidiosamente.
La rossa sbuffò, ma si sistemò per l’ennesima volta sul divano mentre osservava Ryan sedersi accanto a lei. Anzi di fronte, visto che la fece voltare verso di lui.
“Faranno infezione se non le puliamo” disse Shirogane, ripetendo la stesso trattamento che aveva riservato poco prima alle ginocchia.
Questa volta, vide Strawberry mordersi il labbro ad ogni contatto del cotone con le ferite e si aspettò una lamentela da un momento all’altro. Non immaginava che il gesto della ragazza avesse tutt’altra causa o, se lo sospettava, non lo diede a vedere.
A un certo punto si accorse dello sguardo insistente della sua allieva, ma non si sentì infastidito e continuò a medicarla senza dire niente.
 Strawberry si era incantata a guardare il suo viso come in trance. Si era soffermata sugli occhi abbassati, poi era scesa sulle labbra socchiuse e tremendamente morbide – sapeva che lo erano – e di nuovo era salita ai ciuffi biondi che ricadevano sulla fronte sudata.
Persa nel suo mondo e sentendosi come se fosse qualcun altro a guidare i suoi movimenti, allungò il braccio libero dalle attenzioni di Shirogane per portare la mano a scostargli i capelli dalla fronte.
Si bloccò così, con quelle ciocche dorate tra le dita e solo quando Ryan alzò la testa e i loro occhi si incontrarono si rese conto di essersi avvicinata inconsapevolmente a lui.
Si trovarono in quella posizione, occhi negli occhi, con i nasi che si sfioravano e i respiri che potevano mischiarsi.
Il cuore di Strawberry perse un battito, ma un secondo dopo ripartì più veloce che mai. E Shirogane si sarebbe aspettato che sussultasse e si ritraesse imbarazzata, scusandosi perché non sapeva cosa le fosse preso.
Però non successe.
Lei rimase lì, forse convinta di essere immobile, ma il suo viso si avvicinò un altro po’ e le loro labbra furono sul punto di incontrarsi, mentre la mano di Strawberry era scesa a stringere il tessuto che ricopriva la spalla del ragazzo.
Sembrava che potesse succedere, che il bacio sarebbe arrivato travolgendo entrambi. Perché anche Ryan non si stava spostando, perché anche lui si era sporto verso di lei in modo impercettibile, perché in fondo forse anche lui lo desiderava.
Poi l’atmosfera fu guastata, l’incanto si ruppe come una bolla di sapone quando esplode, un secondo prima che qualcuno bussasse alla porta.
Strawberry deglutì, tirandosi indietro. Si allontanò quel tanto che bastava per recuperare la consapevolezza di sé e dei propri movimenti, mentre Ryan diceva alla persona dall’altra parte di entrare.
Il signore della reception comparve sulla soglia, con un sorriso genuino stampato sul volto.
“Volevo sapere se andava tutto bene” disse, avvicinandosi.
Rossa in viso e con le guance in fiamme, Strawberry teneva gli occhi bassi e pareva aver perso momentaneamente la capacità di parlare.
“Sì, tutto bene. Sto finendo di disinfettare le ultime ferite” spiegò Shirogane, con il suo tono professionale e distaccato.
“Oh, devi aver fatto proprio una brutta caduta cara” l’uomo rivolse uno sguardo dispiaciuto alla ragazza, osservando i cerotti e la fasciatura.
“Già. La signorina è un po’ sbadata” fu di nuovo Ryan a rispondere, vedendo lo stato di Strawberry.
“Allora la lascio terminare, professore” disse l’altro, sorridendo bonariamente. Poi uscì, chiudendo la porta e facendo piombare i due in un silenzio pesante.
“Stai bene?”  chiese il biondo, riprendendo a curarle un ultimo graffio.
Strawberry annuì, ma la sua faccia lasciava trasparire tutto il disagio che stava provando in quel frangente. Ryan sospirò mentre cercava di pensare a qualcosa da dire per farla calmare ed evitare malintesi.
“Non è successo niente, Momomiya, tranquilla” soffiò sulla ferita, facendole percepire un lieve bruciore e lei sperò che il brivido provato fosse dovuto solo a quello.
Nuovamente, la rossa non rispose. Non riusciva a capire come le fosse saltato in mente di avvicinarsi tanto a Shirogane. Se quell’uomo non fosse entrato, l’avrebbe davvero baciato?
Non ci capisco più niente, gridò la sua voce interiore. Aveva la testa nel caos più totale, non le era mai successa una cosa del genere e non aveva mai agito in quel modo. Era stata lei ad avvicinarsi per prima? Sì, era stata lei, Ryan non aveva fatto un solo movimento.
Quando Shirogane finì di pulirle la ferita, la lasciò andare e ripose l’occorrente nella cassetta del pronto soccorso.
Ancora silenzio.
Strawberry si vergognava profondamente, al punto di non riuscire ad alzare lo sguardo. Poi fu assalita dalla paura e le uniche parole che riuscì a pronunciare non furono quelle che in realtà voleva dire.
“Io… ho intenzione di… di dichiararmi… a Mark” mormorò, come se le mancasse il respiro. Si alzò in piedi barcollando, ma ignorò il dolore alla caviglia.
Non si aspettava di certo che Ryan la fermasse. Non si aspettava nemmeno che non la stesse guardando negli occhi, come suo solito. E tanto meno la frase che uscì dalla sua bocca e che la stupì più di tutto.
“Non lo fare.”










Ciao carissimi! :)
Come al solito non sono riuscita a rientrare nei tempi previsti, ma eccomi comunque qui!
Che dire di questo capitolo... va un po' a rilento, nel senso che si svolge in un lasso di tempo abbastanza breve, ma credo che sia giusto così vista la situazione. La prima parte è dedicata soprattutto alla storia di Kari e Ryan, però avete visto che (come dice il titolo) lo sguardo si sposta poi su Strawberry e Ryan.
Spero vi sia piaciuto e aspetto come sempre i vostri pareri, positivi o negativi che siano :)
Un abbraccio,
la vostra Comet

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Capitolo 16
*** Quando il cuore si divide ***





Capitolo 16 – Quando il cuore si divide
 



Più che la stretta di Shirogane sul suo braccio, erano le catene invisibili dei suoi occhi a tenerla imprigionata. O forse sotto quell’azzurro incredibilmente limpido erano nascoste delle calamite che l’attiravano come il miele con le api. Fatto sta che nell’istante in cui era tornato a guardarla, qualcosa dentro di lei si era scosso. Un movimento minimo, ma ben percettibile.
Perché ogni maledetta volta doveva sentirsi così vulnerabile?
Non cercò di scivolare via dalla sua presa, ben consapevole che sarebbe stato un tentativo inutile, ma abbassò lo sguardo, fissandolo sulla fasciatura alla caviglia applicata con cura dal suo insegnante.
“Non farlo” ripeté Ryan e il suo tono era così inaspettatamente dolce che la fece arrossire.
Si morse il labbro inferiore, poi tornò a guardare il ragazzo.
“Perché?” chiese.
Non ottenendo risposta, Strawberry assunse un’aria contrariata come faceva ogni volta che qualcosa la irritava. E con Shirogane accadeva davvero troppo spesso.
Ryan fece scivolare la mano lungo il suo braccio fino ad arrivare al polso, con una lentezza insopportabile, poi la lasciò andare e si sedette sul divano, appoggiando i gomiti sulle gambe e intrecciando le dita sotto il mento.
Quando fissò nuovamente le iridi nelle sue, Strawberry sentì la gola secca: un sussulto, un brivido, un battito.
Era proprio da queste sensazioni che stava per scappare pochi secondi prima e, se solo Shirogane glielo avesse permesso, sarebbe già stata al sicuro nella sua stanza a svuotarsi il cuore da lui e riempirlo di Mark. Un semplice trasferimento, rapido e indolore.
Si stupì da sola quando si accorse di aver pensato in modo così naturale al cuore.
No, doveva essersi confusa perché lì dentro Ryan non c’era mai stato. Magari l’aveva sfiorato o spinto a palpitare al suono della sua voce, ma non poteva esserci niente di più.
Negativo, sbagliato e impossibile.
“Strawberry, tu… sei strana” disse lui.
Di nuovo quella confidenza, quell’intimità strana e inspiegabile.
La rossa sbatté le palpebre, confusa. “Strana? In che senso?”
Lo vide sospirare e, per la prima volta, le parve che fosse in difficoltà. Un’impressione probabilmente perché, tra i due, quella più insicura era certamente lei. Non di se stessa, ma di come quella se stessa cambiava in presenza di Ryan. Era molto diverso e più destabilizzante.
“In tutti i sensi. Sei… irritante, a volte. Dici tutto quello che ti passa per la testa e combini un guaio dietro l’altro” si soffermò, accennando ai cerotti su gambe e braccia, e sorrise. “E sei così ingenua che, credimi, è difficile desistere dal prenderti in giro, se non impossibile” ridacchiò.
Gonfiò le guance, seccata. “Quindi sarebbe colpa mia se lei si prende gioco di me?”
“Sì e no” rispose, inclinando il capo di lato con innocenza.
“Ma che vuol dire?” domandò. Possibile che ogni conversazione con Shirogane dovesse essere così psicologicamente impegnativa?
 “Che è colpa tua per il cinquanta percento”
Strawberry sbuffò, ponendo di conseguenza la domanda più ovvia: “E per il restante cinquanta percento?”
Vide Ryan sorridere e i suoi occhi sembrarono accendersi di un azzurro ancora più intenso.
Rimase immobile mentre lui si appoggiava al bracciolo del divano per sollevarsi fino a raggiungere il suo orecchio. Ne sentì nuovamente il respiro caldo sul collo e rabbrividì, chiudendo gli occhi in attesa di una sua mossa.
Li riaprì nello stesso istante in cui lui pronunciava una frase che non si sarebbe mai aspettata e che fece partire in quarta il suo cuore.
“Del fatto che mi piaci quando ti imbarazzi.”
Forse fu il tono serio con cui lo disse e che contrastava nettamente con la malizia leggibile nel suo sorriso, o forse la distanza ravvicinata, ma qualsiasi cosa fosse la colpì in profondità facendole avvertire farfalle che, no, nel suo stomaco non dovevano esserci. Non in quel momento, non con lui.
Shirogane si scostò, facendosi scivolare tra le dita una ciocca rossa per poi lasciarla ricadere al suo posto. Guardò Strawberry in viso e constatò che le sue guance avevano assunto quella colorazione che aveva scoperto piacergli tanto.
“Appunto” sussurrò e le sue labbra si distesero in un sorriso tra il sincero e il divertito.
Strawberry si inumidì le labbra, sentendosi una stupida. Non era certa di dover prendere quella frase seriamente, anzi, quasi sicuramente era l’ennesima presa in giro del professore. Eppure sembrava così vera…
Stava rimuginando sui suoi pensieri quando si accorse che Shirogane si era allontanato. Scosse il capo, ridestandosi, e si voltò. Lo trovò davanti alla porta, con la mano sulla maniglia e la risposta ai suoi dubbi chiaramente stampata in faccia.
“L’ha fatto di nuovo” borbottò. Ci cascava ogni volta, accidenti!
“Cosa?” chiese lui, con l’espressione angelica di un bambino.
“Si è preso gioco di me”
Il biondo sorrise. “Questo lo stai dicendo tu”
Lei corrugò la fronte, rivolgendogli un’occhiata truce. “Quindi era serio?” domandò.
“Chissà.”
Uscì dalla stanza, lasciando una Strawberry confusa e incredula.
“Ehi! Non ha risposto alla mia domanda! Perché non devo dichiarar...?!”
Troppo tardi, la porta si era già richiusa.
Psicologicamente impegnativo? No, la parola giusta per descrivere un dialogo con Shirogane era stressante.
Per quanto provasse a farsi sentire, più che dei ruggiti le uscivano dei banali miagolii e così Ryan conduceva sempre il gioco senza fatica. Era bravo a rigirare la frittata e a farla arrivare proprio dove lui voleva, però, per un istante, quelle parole – quel cinquanta percento di mi piaci quando ti imbarazzi – erano suonate come le più sincere del mondo, sconvolgendola.
Ecco, se c’era una cosa che nessuno sapeva fare come Ryan era questa.
Lui la sconvolgeva.
 
Prese l’ascensore e tornò in camera con mille pensieri per la testa e la caviglia dolorante. Si stupì di non trovare Lory, ma forse l’insegnante rimasto con gli alunni che non partecipavano al trekking li aveva coinvolti in qualche noiosa attività.
Si lasciò cadere sul letto a peso morto, desiderosa di svuotare la mente, quando le note della sua canzone preferita invasero la stanza, costringendola ad alzarsi.
Stancamente, prese il cellulare dalla tasca esterna dello zaino abbandonato sul pavimento e lesse il nome sul display.
Sorrise, sorpresa.
“Kyle!” esclamò, premendo il tasto di risposta e portando il telefono all’orecchio.
La voce calda e rassicurante dell’amico la raggiunse, regalandole una sensazione di tranquillità. Aveva davvero bisogno di sentire Kyle, in quel momento più che mai.
“Come stai, golosona?” le disse lui, con il solito tono gentile.
Strawberry ridacchiò. “Sto bene! Sono caduta prima, però è tutto a posto, Shirogane mi ha medicata e… non…” 
Sentendola in difficoltà, il pasticcere la interruppe. “E’ successo qualcosa?”
“Kyle, mi mancavi un sacco...” piagnucolò, coprendo gli occhi con il braccio, grata che avesse capito senza bisogno che lo dicesse. Si sentiva immensamente infantile, ma non le importava. Con lui era sempre stata se stessa e si era sentita capita più che da chiunque altro.
L’altro sorrise, intenerito. “Strawberry, lo sai che puoi chiamarmi per qualsiasi cosa”
“Non ne avevo il coraggio” mormorò, sincera.
Ci fu una piccola pausa e comprese che Kyle stava aspettando pazientemente che continuasse.  
“Ry… Shirogane… lui mi ha raccontato tutto. Di Kari” prese un bel respiro, prima di continuare. “So che era tua sorella”
“Scusami”, si sentì rispondere. Spalancò gli occhi, senza capire.
“Eh?”
“Avrei dovuto dirtelo, forse. Ma non volevo che ti sentissi in colpa nei miei confronti” spiegò.
Strawberry si accorse di avere gli occhi lucidi e, di nuovo, si meravigliò dell’altruismo dell’amico. Kyle era sempre gentile, era quello che pensava sempre prima agli altri. A lei, a Shirogane, a Katherine. Però non aveva detto niente del suo dolore, aveva lasciato che gli ponesse tutte quelle domande senza il minimo di tatto e non si era lamentato neanche una volta.
“Mi dispiace tanto. Se l’avessi saputo non sarei stata così indelicata, scusami!” esclamò, sperando che capisse quanto erano sentite quelle parole.
“Tranquilla, Strawberry. Ti conosco, quindi non devi preoccuparti di nulla. Ok?”
Sorrise, mentre rispondeva affermativamente. Il solito Kyle, constatò scuotendo il capo.
“Ryan ti ha raccontato tutto… tutto?” chiese lui.
“Sì. Tutto, tutto” confermò.
Non sentì risposta dall’altro capo e pensò che fosse caduta la linea. Ma Kyle era decisamente senza parole. Ryan aveva parlato di Kari? Con Strawberry?
Si avvicinò a una finestra della pasticceria e scostò la tenda color pistacchio.
No. Nessun temporale all’orizzonte, constatò.
Katherine, che aveva ascoltato tutta la conversazione, sorrise divertita e alzò gli occhi al cielo mentre lo raggiungeva per rimettersi in ascolto e a poco servì il tacito rimprovero rivoltole da Kyle.
“Ci sei ancora?” chiese Strawberry, titubante.
“Sì, sì. E’ solo che… è incredibile che Ryan te ne abbia parlato”
“Sono rimasta sorpresa anche io” disse, non sapendo bene cosa rispondere. Un po’ le faceva piacere che Shirogane avesse esternato le sue emozioni con lei, lo sentiva più vicino, come se tra loro ci fosse un legame invisibile. Inevitabilmente, il pensiero corse a quanto era accaduto – o meglio, non accaduto – poco prima tra loro.
E quel piccolo particolare la stava uccidendo. Nonostante si vergognasse da morire, sentiva che voleva dirlo a Kyle, aveva troppa confusione in testa per reggerla ancora.
“Kyle?” lo chiamò, quasi per assicurarsi che la stesse ascoltando. Anche perché, in caso contrario, non avrebbe trovato il coraggio di ripeterlo un’altra volta. Assolutamente.
“Sì?”
“HoquasibaciatoShirogane!” buttò fuori, tutto d’un fiato. Sentì le guance riscaldarsi all’istante e l’abituale rossore impossessarsene. Oddio, l’aveva detto veramente!
Attese una risata dall’altra parte, indecisa se fingere semplicemente che la linea fosse caduta o dare una testata al muro. Forse l’ultima ipotesi poteva rivelarsi molto efficace, almeno avrebbe smesso di combinare stupidaggini.
“Oh” fu la risposta che ricevette.
Sbatté le palpebre per l’inaspettata reazione o, per meglio dire, non reazione.
“Oh? Non mi dici nulla?!” praticamente urlò, imbarazzata.
Kyle si lasciò andare in una risata liberatoria più che ironica. “Scusami, sono solo sorpreso. Ma… mi viene in mente una domanda a questo punto”
“Cioè?” chiese, aspettandosi il peggio. Le domande di Kyle erano sempre tremendamente dirette, centravano il punto in maniera incredibile.
“In verità sono una serie di perché” si corresse, osservando l’espressione soddisfatta di Katherine che gli stava mostrando i pollici alzati.
“Ehm… sentiamo”
“Perché lo stavi per baciare?” chiese.
Ecco, appunto. Diretto ed essenziale.
Avvampò, prima di costringersi a farfugliare un “Non lo so”.  Se avesse potuto sotterrarsi in quell’istante, lo avrebbe fatto. Mentre valutava la possibilità, le giunse la seconda domanda.
“Perché non l’hai fatto?”
Sospirò. Tanto valeva dire la verità a quel punto. “E’ arrivato il receptionist dell’albergo a controllare se ero tutta intera, per via delle ferite” ammise.
“Why don’t you just admit that you like my son?”
“K-Katherine?!” esclamò Strawberry, mentre l’imbarazzo raggiungeva limiti che non credeva possibili. “Hai ascoltato tutto?” aggiunse, indignata.
“Oh, yes! And I’m sure that you are in love with him!” rispose, con voce squillante.
Lo faceva apposta a parlarle in inglese, ormai aveva capito che lo faceva quando voleva dirle cose che sicuramente l’avrebbero fatta infuriare. Non c’era alcun dubbio, era proprio la madre di quell’odioso Shirogane.
La sentì protestare, probabilmente perché Kyle si era ripreso il telefono.
“Strawberry, scusala. Katherine non sa quello che dice a volte” le disse il pasticcere.
“Perché, cos’ha detto?” sbuffò.
“In realtà, una cosa molto simile a quella che vorrei chiederti io. Ma, prima… cos’è successo poi?”
Strawberry si morse il labbro inferiore, mentre cercava di ragionare. Oh, certo.
“Gli ho detto che ho intenzione di dichiararmi a Mark”
Immaginò Kyle sgranare gli occhi e pensare che era una sciocca. Bè, forse lo era. Prima cercava di baciare un ragazzo spinta da chissà quale forza misteriosa e poi gli diceva che voleva rivelare i suoi sentimenti a un altro? Follia pura, adesso se ne rendeva conto.
“Strawberry?” si sentì chiamare. Quando iniziava così, significava che stava per porle una domanda complicata. Ahia.
“Dimmi…”
E la doccia fredda arrivò un secondo dopo. Più che fredda, gelata.
“Ryan ti piace?” chiese Kyle, con voce ferma. Il tono era serio, ma al tempo stesso dolce.
Indugiò un attimo prima di rispondere, colpita.
“N-no” balbettò. Ma quanto ne era convinta?
Kyle certamente non molto, visto che le domandò se ne era sicura. Era così poco credibile?
“Sì. Cioè, non… non lo so. Non lo so” mormorò, abbassando il viso finchè le ciocche rosse non le nascosero gli occhi. Quella conversazione stava diventando così seria che, improvvisamente, si sentiva imbarazzata esattamente come se l’amico si trovasse seduto davanti a lei.
Avvertì un groppo in gola che le mozzava il respiro. L’aveva detto e adesso il peso di quella rivelazione si era fatto tangibile. 
Non era tanto il fatto di averlo confessato a Kyle, quanto l’aver trovato il coraggio di ammettere con se stessa che Ryan Shirogane non le era indifferente.
Era così ovvio che quasi le faceva rabbia.
Il cuore che palpitava impazzito ogni volta che lui era nelle vicinanze, i brividi che le provocava il suono della sua voce, l’eccitazione che saliva inarrestabile ad ogni contatto con lui erano tutti segnali inequivocabili.
Eppure li aveva volutamente ignorati pensando che così sarebbe stato meglio, perchè un cuore sicuro è più facile da gestire di uno diviso a metà.
Ci voleva una chiacchierata con Kyle perché se ne rendesse conto.
“Non va meglio adesso?” domandò il pasticcere.
Strawberry ci pensò su. “Non molto. Sono così confusa, non ci capisco niente”
Ryan e Mark, Ryan o Mark. Si sentiva spaccata in due e la testa cominciava a girarle.
 “Hai detto a Ryan che volevi dichiararti a Mark perché ti sei spaventata? Hai avuto paura di quello che stavi provando?” disse, dolcemente.
Strawberry inspirò, facendo poi uscire l’aria lentamente. Non sapeva bene cosa rispondere, non ne era in grado in quelle condizioni.
“Stai tranquilla” continuò il moro. “Prenditi del tempo per te. Ci ragioni con calma, senza metterti fretta. Non è necessario che ti dichiari a Mark subito o che corri tra le braccia di Ryan, no?”
“Sì, forse hai ragione” concordò. D’altronde era troppo confusa per poter fare un passo in una direzione o nell’altra.
“Brava. Vedrai che pian piano i tuoi sentimenti si chiariranno da soli e diventeranno più comprensibili.”
“Lo spero. Adesso ti saluto. Grazie di tutto, Kyle” mormorò.
Attese una risposta dall’altro capo, poi lanciò il cellulare sul letto e si lasciò cadere con la testa sul cuscino. Non si era mai sentita tanto scombussolata, perché doveva essere tutto così complicato?
Pensò a Ryan e pensò a Mark e si rese conto che il suo cuore era d’accordo con lei.
Era più facile quand’era sicuro di sé.
 
 
 
Il pomeriggio seguente, il medico con cui aveva appuntamento Strawberry annunciò che la sua caviglia non era slogata. Aveva preso solo una storta e un paio di giorni di riposo sarebbero bastati perché tornasse a funzionare senza darle fitte lancinanti ogni volta che provava ad appoggiare il piede per terra. 
L’uomo si complimentò con Shirogane per l’ottima fasciatura che aveva applicato, con grande disappunto di Strawberry.
“Che hai, Momomiya?” chiese il biondo, mentre saliva le scale dell’albergo con la ragazza in braccio.
“Non capisco perché abbia dovuto accompagnarmi proprio lei” si lamentò. Dopo aver parlato con Kyle e aver realizzato la confusione che albergava dentro di lei, non riusciva davvero a non essere antipatica nei confronti di Ryan, forse più per imbarazzo che altro.
“Perchè dubito che la professoressa Mihano sarebbe stata in grado di portarti così fin dal dottore” disse, tranquillamente.
“E’ un modo alternativo per dirmi che sono pesante?”
“No. Però è vero, sei pesante” rispose, fingendosi affaticato mentre superavano il primo piano.
“Maleducato, non si dicono queste cose a una ragazza!”
Gli diede un pugno tra le scapole, per poi riaggrapparsi subito, circondandogli il collo con le braccia.
 Shirogane rise, come sempre divertito dalle sue reazioni. Eppure ormai avrebbe dovuto capirlo che lo faceva apposta. “Momomiya, te le cerchi”
Sbuffò. “E’ insopportabile”
“Avresti preferito che ti accompagnasse qualcun altro?” le chiese lui.
“Sì! Sicuramente!” confermò, annuendo energicamente.
“Non si direbbe” disse, con tono all’apparenza innocente. “visto come mi stai aggrappata al collo”
 “E’ solo perché non voglio che lei mi butti giù dalle scale quando meno me lo aspetto!” esclamò, cercando di mantenere un tono distaccato e di soffocare la risata spontanea che le stava nascendo sul viso. Non poteva di certo ammettere che quella conversazione la stava divertendo un mondo.
“Ops. Mi hai scoperto” la assecondò Ryan, sorridendo.
La teneva tra le braccia, ma senza stringere eccessivamente e Strawberry si sentiva stranamente a proprio agio. Tutto l’opposto di quant’era accaduto un paio d’ore prima, quando Shirogane non si era fatto problemi a prenderla in braccio davanti a tutti, facendola arrossire all’inverosimile e scatenando le sue compagne in commenti poco carini nei suoi confronti. Ce l’aveva ancora con lui per quella figuraccia.
“Allora, Momomiya. Ti sei dichiarata?” le chiese, mentre la metteva giù davanti alla porta della sua stanza.
Lei arrossì all’istante, agitando le braccia per allontanarsi da lui.
“Non ancora! E comunque non sono affari suoi!” esclamò.
Shirogane la scrutò per qualche secondo, serio. Poi si appoggiò al muro, incrociando le braccia al petto.
“Hai ancora intenzione di farlo?”
 “Ce-certo!”
Bè, non era la verità, ma nemmeno un bugia. Era semplicemente in una fase di stallo.
Si guardarono e Strawberry ebbe l’impressione che stesse cercando di dirle qualcosa senza parlare. Ma quegli occhi erano ancora un’incognita per lei e non ne trasse altro che un brivido lungo la schiena.
Ryan si scostò dalla parete e fece per andarsene, ma si fermò un attimo prima di superare la sua allieva. Le passò una mano sulla testa con delicatezza, indugiando sulla frangia, e si accorse che teneva gli occhi chiusi e le spalle curve, quasi a volersi raggomitolare nel sentire quel tocco.
Sospirò e pose fine al contatto.
“Sai qual è la mia stanza” le disse, poi si allontanò.
Strawberry rimase davanti alla porta, ancora ferma sulla frase pronunciata dal professore. In qualsiasi altro contesto l’avrebbe recepita come assolutamente ambigua, ma qualcosa le faceva credere che ci fosse dell’altro.
Perché Shirogane non voleva che si dichiarasse a Mark? E perché mai era importante che sapesse qual era la sua stanza? Ancora una volta, si trovava piena di domande senza risposta.
Fece schioccare la lingua, mentre rientrava pensierosa nella propria camera. E pensare che si era ripromessa di non avere fretta e ragionare con calma sulla situazione.
 
Si accorse solo dopo un po’ che Lory la stava chiamando. Aprì svogliatamente gli occhi, mettendo a fuoco la figura esile dell’amica, con i capelli stranamente legati in una lunga coda.
Si tirò su e si guardò attorno spaesata.
“Oh, devo essermi addormentata” biascicò, stiracchiandosi.
“Già. Ed è ora di cena” la informò Lory, mentre le mostrava l’orologio. “Cosa dice il dottore?”
“Tutto ok! E’ solo una storta, guarirà in pochi giorni” disse, facendole l’occhiolino.
L’amica sorrise. “Sono contenta. Una slogatura ti avrebbe rovinato tutta la vacanza”.
“E tu? Bello il museo?”
“Sì, molto interessante” annuì, entusiasta. “A proposito, vado a portare alla Mihano gli appunti che ho preso, tu preparati intanto o faremo tardi!”
Strawberry ridacchiò, vedendola tanto presa dalle attività scolastiche anche durante il campo estivo. “Non preoccuparti, ci vediamo direttamente a cena!” le disse, salutandola con la mano mentre scompariva oltre la porta.
Si concesse altri dieci minuti di riposo, prima di prepararsi. Indossò la tuta fornita dalla scuola, rigorosamente uguale per tutti, e si diede una sistemata ai capelli giusto per non essere impresentabile.  Poi, com’era prevedibile, si accorse di essere in ritardo.
Afferrò il proprio cellulare e quello dell’amica, sicuramente dimenticato nella fretta.
Lory aveva ricevuto già due chiamate da quando era uscita e Strawberry aveva tenuto a bada la curiosità di sbirciare a gran fatica. Di certo non era sua madre, non chiamava quasi mai e, se la figlia non le rispondeva, non si preoccupava di riprovare più tardi.
Chiuse la porta della stanza (curandosi di prendere la chiave, visto che non sarebbe stata la prima volta che rimaneva chiusa fuori, subendo i rimproveri di Lory e degli insegnanti) e attese l’arrivo dell’ascensore.
Nel frattempo, il telefono di Lory ricominciò a squillare.
E smettila…, si lamentò, mentre cercava di reggersi in equilibrio su una gamba per non pesare sulla caviglia contusa.
Il suono cessò, ma non appena mise piede in ascensore, arrivò una nuova telefonata.
Premette il tasto per il pianoterra e, esasperata da quell’insistenza, estrasse il cellulare e guardò con rabbia il display.
Mark.
Sgranò gli occhi. Mark? Forse Lory aveva conosciuto un ragazzo senza dirle nulla. Cavoli, gliene avrebbe dette quattro in quel caso!
Inavvertitamente prese la chiamata e, maledicendosi per la propria sbadataggine, portò il telefono all’orecchio, trattenendo il fiato.
“Lory? Che fine avevi fatto?”
Per un secondo, le sembrò che il cuore si fosse fermato. Quella era la voce del suo Mark. Non poteva sbagliarsi, l’avrebbe riconosciuta tra mille.
Perché chiamava Lory? Perché quel tono così preoccupato?
“Ehi? Mi senti?” insistette lui. “Lo so, sei ancora dell’idea di non vederci più, però pensaci ancora un po’. Ti va di parlarne?”
Non rispose, sconvolta da quello che stava sentendo. Però no, non poteva saltare a conclusioni affrettate come al solito, c’era di sicuro una spiegazione plausibile.
“Ce l’hai così tanto con me? Facciamo così. Ti aspetto dopo cena sulla terrazza, se vuoi venire. Io ci sarò” concluse.
Strawberry chiuse di scatto il telefono, lasciandolo cadere a terra. Cosa stava succedendo?
Per la centesima volta in pochi giorni, si ritrovò con la testa che vorticava senza sosta. Lory… e Mark?
No. No. No.
Non era possibile, era assurdo. Aveva frainteso, di sicuro.
Deglutì, abbassandosi a raccogliere il cellulare dell’amica, mentre i dubbi cominciavano ad assalirla.
E decise che doveva capire.   
 
Si comportò nel modo più normale possibile per tutta la durata della cena. Sorrideva e chiacchierava tranquillamente con i compagni, lanciando di tanto in tanto delle occhiate a Lory. Anche lei sembrava la solita e le parve veramente stupido quello che stava per fare. Andare all’appuntamento con Mark non era una grande idea, anche perché non avrebbe dovuto ascoltare quella telefonata.
Però, proprio per questo sentiva la necessità di chiarire la situazione. Magari avrebbe fatto una figuraccia delle sue, ma sarebbe stato meglio che restare nell’incertezza, pensando male della sua migliore amica.
Chiedere a lei direttamente sarebbe stato forse più giusto, ma non voleva rischiare che Lory pensasse che non avesse fiducia nei suoi confronti.
Dopotutto si trattava soltanto di sentire cosa aveva da dire Mark.
Quando finì il dolce, una deliziosa fetta di torta ricoperta da frutti di bosco, si congedò con una scusa, dicendo all’amica che l’avrebbe raggiunta più tardi in camera e uscì dalla sala in preda all’agitazione.
Salì con l’ascensore fino alla terrazza, scoprendo che era totalmente al buio.
Oh, perfetto, borbottò tra sé e sé.
Sentiva addosso una strana inquietudine, mentre continuava a ripetere a se stessa di stare tranquilla, che si trattava di un malinteso e che non aveva mai indovinato con le sue intuizioni insensate, come quando aveva pensato che Kyle e Ryan si stessero contendendo Katherine. Niente di più assurdo.
Fece qualche passo avanti, chiudendo la porta e si appoggiò alla ringhiera poco più in là.
Non vedeva niente, ma sentì comunque il profumo delle notti estive che tanto le piaceva. La brezza leggera le scompigliò piacevolmente i capelli e, un attimo dopo, sentì una presenza alle spalle e delle dita che si intrecciavano alle sue.
Mark.
Dopo sei anni in cui era stata segretamente innamorata di lui poteva non riconoscerlo ad occhi chiusi?
“Sei venuta…” sussurrò il moro, con voce dolce. “Sono contento”
Strawberry spalancò la bocca per dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola. Lì, al buio e di schiena, Mark non l’aveva riconosciuta. Non si stava rivolgendo a lei, ma a Lory.
Cercò di ragionare, ma in quel frangente le risultò impossibile.
“Io ti capisco. Lo fai per la tua migliore amica ed è… ammirevole” disse  lui.
Stava parlando di lei? Cosa stava facendo Lory per lei?
“Sei molto dolce, Lory. Non vuoi ferirla, però…” continuò Mark, percorrendo con le dita il profilo del suo braccio, per poi attirarla a sé.
Sentì la propria schiena aderire al torace del ragazzo e sarebbe stata davvero felice se quell’abbraccio fosse stato per lei. Ne avrebbe respirato l’odore e si sarebbe beata della sensazione di completezza che le avrebbe dato. Invece, non riuscì a provare altro che disgusto e una voglia insopprimibile di scappare.
“Non puoi negare quello…”
No, non dirlo, lo pregò mentalmente. Avrebbe voluto urlarlo, ma non ci riusciva, dalla sua gola non saliva neppure un suono. Aveva già capito, era tutto chiaro. Basta.
“…che c’è tra noi” concluse lui.
Ecco.
Cos’aveva detto? La testa le si era appannata. O forse era la vista ad essere annebbiata? Si accorse che stava piangendo, ma non ricordava di aver sentito le lacrime bruciarle gli occhi.
Avvertì le braccia di Mark stringerla con maggior intensità e si sentì in prigione. Tutto ciò che fu in grado di fare, proprio mentre lui sussurrava un “ti amo” che la colpì direttamente al cuore, trafiggendolo dolorosamente, fu divincolarsi da quell’abbraccio.
Colto di sorpresa, il ragazzo la lasciò andare, permettendole di allontanarsi.
Strawberry boccheggiò, rendendosi conto che aveva trattenuto il respiro per tutto il tempo. Prese fiato, senza capire più nulla.
Mark stava con Lory. L’avevano presa in giro. La sua migliore amica e il ragazzo di cui era innamorata.
Trattenne un conato di vomito, cercando di calmarsi.
Quando però Mark fece per riavvicinarsi, capì che non poteva stare lì un minuto di più.
“Non mi toccare!” gridò. E in quel momento, nonostante non potesse vederlo in faccia, fu certa che avesse capito di aver parlato con la persona sbagliata.
Lo scansò malamente e si precipitò verso la porta, ignorando il dolore alla caviglia.
Chiamò l’ascensore e solo quando fu dentro, lontano da quella terrazza, si lasciò andare e pianse per il tradimento delle persone a cui teneva di più.
 
 
Ryan era in ansia e, anche se non c’era un motivo preciso, aveva la sensazione che qualcosa non andasse. Si sentiva così già da un po’ e la cosa cominciava ad irritarlo. Detestava quando non poteva avere il controllo su una situazione.
Poi sentì bussare alla porta, un rumore appena percettibile.
“Chi è?” chiese, infastidito. Ne aveva piene le tasche delle studentesse che cercavano di entrare in camera sua con una scusa, l’ultima volta si erano quasi impossessate di una sua maglietta prima che lui rientrasse, cogliendole sul fatto.
“Prof…” sentì mormorare.
Scattò in piedi, riconoscendo un pianto soffocato nella sua voce, e aprì la porta di colpo.
Non ebbe il tempo di accorgersi delle condizioni di Strawberry, perché subito gli si gettò tra le braccia, stringendosi a lui con tutta la forza che aveva.
Ryan si irrigidì, sorpreso. La guardò per un attimo, poi le permise di bagnargli la maglia con le lacrime e la avvolse in un abbraccio caloroso, accarezzandole i capelli.
Indietreggiò, portandola con sé e chiuse la porta con un piede.
Lei si lasciò guidare, sconvolta e distrutta.
Quel calore, quello che sapeva darle Shirogane, era tutto ciò di cui aveva bisogno.








Ciao!
Per la millesima volta, chiedo scusa per il ritardo.
Ma, questa volta, è dovuto al fatto che questo capitolo proprio non riuscivo a scriverlo. E neanche adesso mi soddisfa molto, ma più lo cambio e più peggiora, quindi ho deciso di pubblicarlo così, appellandomi alla vostra clemenza xD
Vi ringrazio tanto per il sostegno, nel frattempo! :D
Grazie di cuore!
Comet :)

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Capitolo 17
*** Curare una ferita ***





Capitolo 17 – Curare una ferita
 



Con la faccia premuta contro il suo petto faceva fatica a respirare e i singhiozzi le si bloccavano in gola, tramutandosi in colpi di tosse soffocati.
Le mani stringevano tremanti il tessuto della sua maglia, ormai bagnata dalle lacrime copiose, ma Ryan non si era opposto né l’aveva scostata bruscamente.
Le sue braccia che ora la cingevano erano l’appiglio più dolce in cui Strawberry potesse sperare e vi si aggrappò con tutte le forze, incurante di quanto potesse essere giusto o sbagliato.
Mentre le parole di Mark le rimbombavano nella mente insieme alle immagini di tutte le volte in cui Lory aveva cercato di raccontarle quel segreto, si trovò a desiderare di dimenticare tutto e affogare in quell’abbraccio protettivo che le stava offrendo il suo insegnante.
Pianse come una bambina, senza remore, senza vergogna e per tanto, tanto tempo.
Ryan aspettò pazientemente che i singhiozzi cessassero e le lacrime rallentassero la loro corsa fino ad esaurirsi del tutto e, quando Strawberry fece per scostarsi, allentò la presa quel poco che bastava perché potesse muoversi.
“S-scusi, io…” mormorò, con le mani ancora strette sul suo petto e gli occhi arrossati, seminascosti dalla frangetta disordinata.
Senza aspettare che terminasse, certo che non ci sarebbe riuscita, Ryan le prese il viso tra le mani, costringendola a guardarlo. E in quello sguardo scorse sentimenti e sensazioni che in fondo non gli erano così estranei e che gli fecero provare un impulso irrefrenabile di proteggerla, di curare quel dolore immeritato.
Ignorò lo sconvolgimento causatogli da quegli stessi pensieri e, con il pollice destro, asciugò una lacrima che era rimasta incastrata tra le ciglia di Strawberry, osservandola mentre chiudeva istintivamente l’occhio.
Ripeté la stesso gesto dalla parte opposta, sollevato di non incontrare resistenza, ma ben presto vide quelle gocce salate rigarle nuovamente le guance e il suo corpo tremare impercettibilmente.
Sospirò, mentre la prendeva per mano, guidandola verso il proprio letto. La fece sedere, ma non si accomodò accanto a lei, che nel frattempo aveva portato le mani a coprirsi il volto.
In un’altra situazione si sarebbe vergognata a piangere a quel modo davanti a un insegnante. Eppure le era venuto così spontaneo, così naturale, che si era quasi sorpresa di non essersi resa conto prima della semplicità con cui si rapportava a Ryan.
La verità era che non lo vedeva più come un professore già da un pezzo.
Per lei era il prof, quello che la prendeva in giro e la esasperava, che giocava maliziosamente sulla sua ingenuità, facendola arrossire e arrabbiare. Ma che poi, quando aveva bisogno, c’era.
Sarebbe giunta a quella conclusione in fondo così ovvia e vicina, se non avesse avuto la mente troppo annebbiata per ragionarci su.
Ma riusciva a pensare solo alla sua migliore amica e a Mark.
Non provava rabbia, non così tanta in confronto alla sofferenza, però la sola idea che Lory potesse aver fatto una cosa simile le faceva mancare l’aria e la sensazione di un coltello affilato che veniva rigirato nel suo cuore probabilmente le avrebbe fatto cedere le ginocchia se non fosse stata seduta.
L’aveva davvero ingannata, aveva davvero amato Mark alle sue spalle? E per quanto tempo poi?
Sentì le lacrime offuscarle prepotentemente la vista e, nello stesso istante, una carezza sui capelli. Dolce, intensa e delicata al tempo stesso.
Erano questi gli aspetti di sé che Shirogane teneva nascosti?
No, forse sarebbe stato meglio se non li avesse mostrati, perché fu proprio questo a spingerla nuovamente tra le sue braccia.
Si sporse in avanti e lui era tanto vicino che lo raggiunse senza bisogno di alzarsi in piedi.
Per la seconda volta, sprofondò nel suo calore e portò le braccia a circondargli la vita, artigliando la maglietta sulla sua schiena.
Ryan capì che sarebbe stato inutile cercare di calmarla e si limitò ad ascoltare quello sfogo in silenzio, facendo scorrere le dita tra le ciocche rosse della sua allieva, per arrivare fino alla nuca e poi risalire, lento.
“Va meglio?” chiese, quando si accorse che non era più scossa dai tremiti.
Strawberry rafforzò la presa sulla sua maglia senza rispondere, ma il silenzio in cui caddero non era pesante, non necessitava d’esser riempito a tutti i costi.
Senza accennare ad allontanarsi da lui, si trovò a notare ancora una volta quanto fosse alto rispetto a lei, facendola sentire piccola e al sicuro.
“Le ho bagnato tutta la maglia…” bisbigliò, con voce soffocata.
“Sì. Dovrai comprarmene una nuova” rispose lui.
“Ok…”
Ryan rise. “Momomiya, stavo scherzando”
“Strawberry” lo corresse. “Mi chiami Strawberry
Sentire la sua voce bassa e tremante, così diversa dal solito, che gli chiedeva di chiamarla per nome era strano, una di quelle cose che ti sorprendono ma che hanno un retrogusto piacevole, dopotutto.
“Va bene” acconsentì.
Si trovò a domandarsi se non fossero andati troppo oltre quello che doveva essere un normale rapporto insegnante – allieva, pur conoscendo già la risposta. Eppure quella ragazza lo aveva colpito subito e, quasi senza accorgersene, le aveva permesso di avvicinarsi e di scoprire lati del suo carattere che lui per primo non era certo di conoscere o che, più semplicemente, erano rinchiusi da tempo dietro quella barriera di freddezza e indifferenza che lo circondava.
 “Dormi qua” le disse, a un certo punto.
Nonostante cercasse di mantenere un certo distacco, il tono era basso e caldo e, dopo un attimo di esitazione, Strawberry si trovò ad annuire debolmente contro il suo torace.
“Non era una domanda” precisò lui, con un sorriso.
Sentì i muscoli del viso di Strawberry contrarsi in quella che doveva essere una flebile risata tra le lacrime, ma che portò i suoi addominali ad irrigidirsi per il solletico provocatogli dal movimento.
Istintivamente, la rossa alzò la testa permettendo a Ryan di guardarla in viso, ma durò solo un attimo, giusto il tempo di scorgere il gonfiore comparso attorno ai suoi occhi, e già era tornata a nascondere il volto contro il suo corpo.
Il professore la fece scostare lentamente da sé, questa volta senza incontrare nessuna resistenza.
“Torno subito” le disse, in risposta allo sguardo perso che gli aveva rivolto, poi sparì in bagno.
Strawberry si accoccolò contro la testiera del letto, tremante.
Nel preciso istante in cui Ryan si era allontanato, si era sentita avvolgere da una sensazione di gelo che in un attimo era penetrata a fondo nelle ossa, facendola rabbrividire.
Strinse forte le ginocchia al petto, abbracciandosi da sola e sperando che Shirogane tornasse presto perché aveva un bisogno assoluto di sciogliersi nel calore che le aveva trasmesso.
Non avrebbe mai creduto di trovarlo così pronto ad accoglierla tra le sue braccia, come se sapesse già che sarebbe successo, che lei si sarebbe presentata alla sua porta in lacrime non chiedendo altro che un po’ di conforto. Quel conforto che aveva sempre cercato e trovato nella sua migliore amica e che adesso proveniva dall’ultima persona che si sarebbe aspettata.
Eppure qualcosa l’aveva spinta da lui, quella sera. Avrebbe potuto chiudersi in camera, scappare, chiedere una spiegazione a Lory… ma non l’aveva fatto.
Il suo primo pensiero erano stati quegli occhi freddi ma che celavano tutt’altro.
E ne ebbe l’ennesima prova quando vide Shirogane tornare e porgerle un asciugamano bagnato.
“Mettilo sugli occhi. Aiuterà a lenire il rossore” spiegò, secco.
Probabilmente la dolcezza che Strawberry aveva colto nel suo tono era frutto dell’immaginazione. Afferrò l’asciugamano e lo pose delicatamente sugli occhi, chiudendoli.
Ma anche in quel momento era certa che stessero lacrimando. O forse erano solo le gocce d’acqua che scivolavano lungo le sue guance a darle quest’impressione.
“Prof…” mormorò, tirando su con il naso.
“Sì?” la incalzò.
“Grazie” disse.
Ryan esitò, scrutandola in silenzio, poi chiuse gli occhi e sorrise. “Stupida”
“E-ehi! I-io l’ho ringraziata” singhiozzò, ancora con l’asciugamano a coprirle il viso.
E lui lo sapeva. Lo sapeva bene, ma non poteva certo ammettere che quella semplice parola, pronunciata con tanta sincerità, in fondo gli aveva fatto piacere. Così come l’averle strappato un sorriso tra le lacrime.
 
 
Toc toc.
Strawberry si irrigidì. Si tolse l’asciugamano dal volto e rivolse a Shirogane un’espressione accigliata, pensando che non avesse sentito.
“Hanno bussato” sussurrò.
“Lo so”
“Allora faccia qualcosa! Perché se ne sta lì tranquillo?” si lamentò.
Ryan sospirò, più divertito che esasperato. Quella ragazza aveva il cuore spezzato, ma riusciva a tornare in sé ed essere irritante come al solito all’occorrenza.
E’ sempre la solita Momomiya, pensò con sollievo, mentre si scostava dal muro per avvicinarsi alla sua allieva.
“Non muoverti” le disse. Abituata al suo tono autoritario, Strawberry non vi badò più di tanto e lo osservò andare verso la porta, con il cuore in gola.
Ci mancava solo che una sua compagna di classe o, peggio, un professore li trovasse in camera insieme, allora sì che sarebbe stata la fine. Avrebbero pensato sicuramente che c’era sotto qualcosa…
Deglutì quando sentì Shirogane aprire ad una persona che da lì non poteva vedere.
Trattenne il respiro finchè non sentì una voce che timidamente si scusava con il professore per averlo disturbato e allora tutta la sofferenza che nell’ora precedente aveva affogato nell’abbraccio di Ryan riemerse violentemente.
“Non riesco a trovare Strawberry, in camera non c’era e l’ho cercata dappertutto” disse Lory.
Nella sua voce si leggevano preoccupazione e ansia, ma per la prima volta Strawberry si trovò a dubitare della sincerità dell’amica.
Se quando Mark le aveva detto di amarla, scambiandola per Lory, il cuore le aveva fatto male, in quel momento era totalmente e irrimediabilmente a pezzi. E la cosa peggiore era che a farla soffrire più di tutto era proprio il tradimento, se di questo si parlava, della sua migliore amica.
“Momomiya non rientrerà nella sua stanza stanotte” spiegò Shirogane, freddo.
Strawberry sgranò gli occhi, incredula. Davvero aveva intenzione di dirle che avrebbe dormito da lui?  No, doveva essere impazzito!
Aprì la bocca per parlare, agitandosi come una bambina, ma si bloccò quando il cigolio del letto la avvertì che aveva fatto troppo rumore.
E, visto il silenzio che era calato, non era stata l’unica ad accorgersene. Cercò di restare immobile con le ginocchia affondate nel materasso e le braccia a mezz’aria, immaginando l’espressione impassibile di Shirogane, che sicuramente le avrebbe dato della scema poi.
Ma, dopo una piccola esitazione, il biondo continuò a parlare, permettendole di tirare un respiro di sollievo.
“Gliene è stata assegnata una al pianterreno. Sarà molto più agevole, finché la sua caviglia non sarà guarita”
Ma certo.
Ryan aveva sempre la situazione sotto controllo, non c’era niente che non riuscisse ad affrontare con calma e razionalità. L’esatto contrario di lei, che si agitava come una matta per ogni cosa e faceva un sacco di confusione inutilmente.
“Oh… D’accordo” mormorò Lory ed era chiaro che non fosse per nulla convinta. “Probabilmente non ha avuto il tempo di avvisarmi. Torno nella mia stanza, mi scusi ancora per il disturbo”.
Shirogane la congedò e tornò da Strawberry intenzionato a farle la ramanzina perché ogni volta che le diceva qualcosa lei faceva l’esatto contrario, ma quando la vide in quella posizione assurda e con i lacrimoni agli occhi, non poté trattenersi dal ridere.
“Non rida!” mugugnò la rossa, mettendosi seduta.
Ryan la guardò torvo. “Ti avevo detto di non muoverti”
Lei alzò gli occhi al cielo e sbuffò nervosamente, lasciando uscire l’aria piano. E quelle stupide lacrime che non accennavano a fermarsi!
“Smettila di piangere, sembri una fontana” la rimproverò lui, ma il suo tono si era già addolcito. Chissà se ne era consapevole.
Strawberry lo fissò per un istante, indecisa se rispondere malamente o dirgli semplicemente la verità: non ci riesco.
Alla fine optò per il silenzio. Gli diede le spalle e sollevò il lenzuolo dal letto, per infilarsi sotto un secondo dopo.
“Che cosa fai?” chiese il biondo.
“Non vede? Dormo” rispose. Fece appena in tempo a dirlo che sentì il materasso alle sua spalle abbassarsi e, quando si voltò per protestare, trovò Shirogane davvero troppo vicino.
Aveva un ginocchio sul letto e con le braccia l’aveva intrappolata sotto di sé, le labbra stese in un sorriso divertito.
“Nel mio letto?” disse, sarcastico.
Strawberry inarcò un sopracciglio. “Dove dovrei dormire?”
“Cerchi una scusa per starmi appiccicata tutta la notte?” la prese in giro. Tuttavia, era sollevato che stesse battibeccando con lui come faceva abitualmente.
“Ma non scherziamo! E poi… poi…” fece per ribattere, ma lasciò la frase in sospeso quando si accorse che Ryan si stava avvicinando.
Ebbe appena il tempo di realizzarlo che si trovò con il suo viso a pochi centimetri e temette il peggio. Mentre nella sua testa imperversava la bufera, il suo corpo si scoprì paralizzato.
Ma non era il momento! Aveva appena scoperto una cosa orribile, piangeva da un’ora per Mark e Lory, si sentiva malissimo, aveva il cuore ferito, colpito, distrutto e…
Era convinta che Ryan l’avrebbe baciata, ma con sorpresa lo vide spostarsi troppo in alto per poter raggiungere le sue labbra.
Sentì invece la bocca del ragazzo posarsi sulla guancia destra. Un tocco leggero e delicato. Poi poco più su, dove indugiò per pochi secondi, e ancora più su.
Quando realizzò che le intenzioni di Ryan non avevano nulla a che vedere con ciò che aveva pensato, avvertì il cuore accelerare il battito.
Un bacio sulle ciglia. Un altro poco più a destra. E un altro ancora vicino al naso.
Stava raccogliendo le sue lacrime una dopo l’altra, senza parlare, senza soffermarsi più del necessario, ma fissandola intensamente.
E se fino a quel momento Strawberry aveva avuto dei dubbi sulla dolcezza nascosta in quegli occhi, in quell’istante si erano dissipati, sciolti come neve al sole e come forse anche il suo cuore.
Batteva forte, straziato dalla sofferenza che però veniva lenita ad ogni contatto della sua pelle con quelle labbra. Le sue ferite erano troppo fresche e profonde per poter guarire così in fretta, ma Shirogane le stava tamponando, come se stesse mettendo dei cerotti che avevano la capacità magica di arrestare temporaneamente il dolore.
E mentre passava al lato sinistro, Ryan si accorse che aveva ricominciato a piangere e fu costretto a ripetere il percorso fatto poco prima, finchè non rimase più nessuna lacrima.
Allora le lasciò un bacio leggero sulla fronte e lei chiuse gli occhi, godendosi quel  momento che sapeva sarebbe terminato presto.
Ma aveva capito. Ryan era così. Mostrava il peggio di sé perchè il dolore per la morte di Kari era stato tremendo e non voleva o forse non poteva provarne ancora, ma qualche volta, quando inconsapevolmente si apriva uno spiraglio nella sua corazza, traspariva ciò che era veramente. Durava per poco, ma era sufficiente per restare senza fiato.
“Dormi, Strawberry” le disse, mentre si alzava.
Lei lo guardò dirigersi verso l’armadio. “Lei non viene?”
Ryan le mostrò i vestiti che aveva preso da un cassetto, poi spese la luce. “Faccio una doccia e arrivo”
Strawberry annuì e si raggomitolò sotto le coperte, in attesa. Gli aveva praticamente chiesto di dormire insieme, ma per la prima volta non provava imbarazzo e si sentiva avvolta da una sensazione strana. Ryan si era allontanato da due secondi e già si sentiva male: era insensato, lo sapeva.
Boccheggiò in cerca d’aria, mentre l’acqua della doccia faceva da sottofondo ai suoi pensieri.
 
Quando il suo insegnante tornò, dieci minuti dopo, era girata su un fianco e gli dava le spalle, ma non dormiva.
L’ansia si era trasformata in impazienza e si trattenne appena dallo sbuffare quando si accorse che non accennava a mettersi a letto.
Era assurdo che avesse improvvisamente un così forte bisogno di lui, della sua vicinanza anche in senso fisico. Non riusciva a spiegarselo, ma non aveva neanche voglia di pensarci.
Quando finalmente Ryan si sedette sul lato opposto del letto, si lasciò sfuggire un verso a metà tra un sospiro e un mugugno.
“Pensavo dormissi” disse, sorpreso.
“No” rispose.
Lo sentì premere dei tasti, probabilmente della sveglia. Poi avvertì il lenzuolo scostarsi e il materasso affossarsi leggermente e capì che si era sdraiato accanto a lei. Ma non abbastanza vicino.
Aveva la gola secca e si diede della sciocca da sola questa volta. Non c’era motivo di sentirsi così, era il solito Shirogane, lo stesso con cui aveva dormito quando aveva la febbre.
La morsa che le attanagliava lo stomaco si era allentata solo quando lui l’aveva abbracciata e consolata in quel modo. Era come se il suo cuore stesse gridando: ti prego, curami.
Solo questo, no?
Deglutì e si girò verso di lui.
Sussultò.
I casi erano due: o con quel movimento si era spostata più di quanto pensasse, o lui si era sdraiato più vicino di quando credesse.
Fatto sta che si trovò immersa nel suo profumo e arrossì fino alla punta dei capelli.
“Prof!” esclamò, indignata.
“Che c’è?” chiese. Teneva le braccia dietro la testa e al buio Strawberry poteva solo immaginare l’espressione scocciata sul suo viso.
“Non ha la maglietta!”
Ryan sbuffò. “Momomiya, ti faccio presente che siamo in estate”
“E allora? Io la maglietta ce l’ho” disse, sollevandosi su un gomito.
“Allora toglila, così il problema è risolto”
Strawberry spalancò gli occhi, tirando istintivamente il lenzuolo fin sopra la spalla. “Ma che dice? Non ci penso neanche!”
“Perché?” fece il biondo, divertito dal fatto che stesse rispondendo alle sue provocazioni, come sempre.
“Come perché? Mi vergogno!”
“Vuoi che te la tolga io?” chiese, con voce innocente.
“Assolutamente no!” ormai doveva essere più rossa dei suoi stessi capelli. Imprecò mentalmente, perché come al solito ci era cascata.
La risata di Ryan le suonò nelle orecchie, vicinissima. “Vedo che stai meglio”
“Per niente!” gridò, ancora presa dallo scambio di battute. Poi si coprì la bocca con le mani, ma ormai l’aveva detto.
Calò il silenzio, questa volta carico di imbarazzo.
Poi Ryan si mosse e un secondo dopo Strawberry si sentì trascinare contro il suo corpo. Perse il contatto con la realtà, finendo con la testa sul suo petto. E la sensazione che provò le fece correre rapido un brivido lungo la colonna vertebrale.
Avvampò e cercò di protestare. “Ma prof! Cosa fa? Non son…”
“Momomiya?” la chiamò, interrompendola.
“Cosa?”
“Sta’ zitta e dormi” biascicò stancamente, come se stesse già per addormentarsi.
Strawberry ammutolì.
Dopotutto, aveva passato i minuti precedenti ad agognare quella vicinanza e adesso si lamentava?
Sentì le guance più calde del normale mentre si sistemava meglio, accoccolandosi contro di lui. Appoggiò la testa nell’incavo del suo collo, respirandone l’odore. Lo trovò piacevole e le parve che i suoi sensi si annebbiassero e il sangue ricominciasse a pompare nelle vene.
Ryan le passò il braccio dietro al collo, andando a posare la mano sul suo fianco, ma anziché il tessuto di cotone della maglia trovò direttamente la pelle nuda e bollente.
Poi non si mossero più e Strawberry poté riprendere a respirare.
In mezzo al dolore che la stava dilaniando, quello le sembrò il momento più bello e intimo che avesse mai vissuto.
 
 
Era sicura che non sarebbe riuscita a dormire o che, nel migliore dei casi, sarebbe stata perseguitata da incubi in cui Mark e Lory si baciavano. Invece passò una notte tranquilla e quando si svegliò tra le braccia di Ryan si sentiva meno peggio di quanto avrebbe sperato.
Almeno finché non si accorse che non era tanto Ryan ad abbracciarla, quanto lei ad essere totalmente aggrappata a lui. O meglio, sopra di lui.
Ok, calma, si disse. Anche perché si rendeva conto di dove – o su cosa – era appoggiata la sua pancia e la cosa la metteva tremendamente in imbarazzo.
Cercò di spostarsi facendo il minimo rumore possibile, l’ultima cosa che voleva era svegliarlo facendosi trovare in una posizione sconveniente.
“Strawberry, vuoi stare ferma?” la voce di Ryan le mandò il cuore in gola.
“M-ma, io…” provò a giustificarsi, arrossendo.
“Non mi hai fatto chiudere occhio stanotte, continuavi a muoverti” si lamentò.
“Mi… mi dispiace, ora mi tolgo” farfugliò, agitata.
“Che ore sono?” le chiese Ryan.
Aveva la voce assonnata e gli occhi chiusi, doveva averlo tenuto sveglio per davvero. Si sollevò controvoglia, tanto quanto bastava per lanciare un’occhiata alla sveglia. “Sono solo le sei!” esclamò, sorpresa.
“Posso almeno girarmi?!” chiese spazientita, all’ennesimo tentativo di spostarsi, vedendo che Ryan non aveva la minima intenzione di farla muovere.
Lo sentì allentare la presa e finalmente poté scivolare di nuovo sul materasso. Gli diede le spalle, mettendo distanza tra loro, ma senza riuscire a trovare una posizione comoda.
“Momomiya, è proprio questo che intendevo. Smettila” la rimproverò il biondo, infastidito.
Strawberry restò in silenzio e arrossì del pensiero che le stava attraversando la mente. Ignorò la vergogna e si mosse nuovamente, fino ad arrivare con la schiena contro Ryan.
Forse lui capì o gli venne semplicemente istintivo farlo, ma si girò sul fianco, tirandola completamente contro il suo petto.
Lei inspirò profondamente, sentendosi finalmente tranquilla.
L’aver scoperto quelle cose la sera prima le aveva fatto provare una sensazione strana, oltre al dolore e la delusione. Non sapeva spiegarsela, sentiva solo che quel legame con Ryan era giusto, vero.
Le faceva bene. Lui le faceva bene.
“Se volevi che ti abbracciassi dovevi dirmelo anzi che farmi passare una notte d’inferno” sussurrò lui, con voce roca.
“Scusi” mormorò. Poi arrossì, capendo che così poteva essere fraintesa. “Per la nottataccia, non perché voglio essere abbracciata da lei” puntualizzò.
Ryan ridacchiò. “Certo…”
“E’ vero! Mi lasci in pace” insistette, infastidita.
“Quindi se mi allontano…”
Fece per togliere il braccio, ma fu prontamente bloccato dalla mano di Strawberry.
“No!” esclamò, agitata. “Resti qua…”
Perché accidenti doveva sentirsi così spaventata? Perché quella necessità soffocante di non restare sola, di non percepire il vuoto, di lui?
“Resto” acconsentì semplicemente Ryan.
Kyle gliel’aveva detto che Strawberry aveva solo un’amica. Ed era certo che a farla soffrire non era tanto l’aver scoperto che Mark non la ricambiava, quanto l’aver perso Lory.
Forse, qualcosa in lei si era spezzato e aveva semplicemente bisogno di tempo per riprendersi. Come tutti, del resto. Lui lo capiva fin troppo bene.
 
 
Resta in camera.
Tagliente come al solito.
Si era svegliata ad un orario indefinito e aveva scoperto con disappunto che Ryan non era più nel letto. Quando si era alzata per cercarlo, si era accorta del biglietto sul comodino e l’aveva letto perplessa. Perché mai avrebbe dovuto restare lì dentro?
Giusto, gli altri avevano le attività del campo estivo e lei non poteva muoversi per colpa della sua stupida caviglia. Avrebbe passato tutto il giorno chiusa in albergo da sola ed era l’ultima cosa di cui aveva bisogno: tempo per rimuginare su Mark e Lory, no grazie.
Sapeva anche che prima o poi avrebbe dovuto affrontarli, ma era troppo presto. Non ne aveva la forza e poi cosa avrebbe potuto dire? Era la solita scema che non si era accorta di quello che le accadeva sotto il naso. O semplicemente si fidava talmente tanto di loro che non avrebbe mai pensato a una cosa del genere.
Sospirò, determinata a non piangere di nuovo e forse era tutto merito di Ryan, ma sentiva di potercela fare.
Ignorò la fitta al cuore che sembrava essere decisa a non abbandonarla tanto presto e concentrò l’attenzione sul suo stomaco.
Aveva fame e ne capì il motivo quando lesse l’orario sulla sveglia: le undici.
Ma quanto ho dormito?, si chiese, sbigottita.
Lanciò un’occhiata al foglietto lasciatole da Ryan, indecisa sul da farsi. In fondo, si trattava soltanto di fare un salto nella sua stanza, prendere dei vestiti puliti e delle merendine dallo zaino e tornare indietro. Non correva il rischio di incontrare Lory perché per quel giorno c’era in programma la visita a una galleria d’arte e di sicuro lei non se la sarebbe persa.
Niente incontri indesiderati con compagne di classe fanatiche di Shirogane, né con i professori, erano tutti fuori.
Girò il biglietto dal lato opposto, la faceva sentire meno in colpa; prese le chiavi della camera che fortunatamente Ryan aveva lasciato sulla scrivania e uscì.
Si chiuse la porta alle spalle, dando un giro di chiave e si incamminò zoppicando lungo il corridoio. Aveva l’impressione che la caviglia facesse più male del giorno prima e probabilmente correre via dalla terrazza non era stata un’ottima idea da quel punto di vista.
Si bloccò e avvertì l’orribile sensazione del sangue che si gela nelle vene, quando qualcuno alle sue spalle la chiamò.
 “Strawberry?”
Non ebbe il coraggio di voltarsi e, dal tono sorpreso, capì che quella persona l’aveva vista uscire dalla stanza e che sapeva anche a chi apparteneva. Ma non fu quello a farle mancare dolorosamente il fiato.
Adesso era chiaro perché Shirogane le avesse intimato di non muoversi dalla sua camera.
E, ovviamente, lei non lo aveva ascoltato.









Ok, potete picchiarmi per il ritardo, me lo merito! >___<
Vi dico comunque un paio di cosette sul capitolo xD
Ho voluto incentrarlo su Ryan e Strawberry, volevo che si avvicinassero e questa era l'occasione perfetta... anche se più di tanto non potevano fare vista la situazione che si è creata per colpa di Mark e Lory.
Il fatto che non ci sia stato subito un chiarimento con loro due dipende un po' dal fatto che Strawberry non l'avrebbe retto così a caldo e un po' dalla mia voglia pari a zero di far comparire questi due personaggi xD Perdonatemi!
Poooi, spero vivamente di non aver esagerato con il comportamento di Ryan: ho il terrore di essere andata OOC. Era troppo dolce per i vostri gusti?
Mmm.. basta, mi sembra di non avere altri appunti da fare :)
Scusatemi ancora per l'attesa infinita T__T
Però vi faccio un MEGA ringraziamento per le recensioni! Abbiamo superato le 200 (sìsì, abbiamo): Grazie di cuore a tutte! <3
Un bacio,
Comet :)

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Capitolo 18
*** Essere sinceri ***






Capitolo 18 – Essere sinceri
 



Calma, Strawberry, si disse. Pensa, pensa, inventati qualcosa!
Quella mattina c’era in programma una riunione dei rappresentanti di ogni classe, per discutere le attività degli ultimi giorni al campo estivo. Se solo se ne fosse ricordata prima, ci avrebbe pensato due volte prima di uscire dalla stanza di Ryan. E dire che lui l’aveva avvisata di non muoversi!
Era rimasta di spalle, rigida e in silenzio, quando in realtà avrebbe voluto mettersi le mani nei capelli e urlare. Ma perché era stata così stupida?
Si decise a voltarsi, stampandosi in faccia un sorriso tirato. Sfortunatamente, le sue doti d’attrice non erano delle migliori.
“Oooh, Megumi!” esclamò.
Si accorse subito di averci messo troppa enfasi, a giudicare dall’espressione della ragazza, ma non riuscì ad aggiungere altro perché tutto si aspettava tranne che di trovarsi davanti anche Mark.
Si sentì come pietrificata, mentre il finto sorriso spariva rivelando ciò che aveva cercato di celare. Fece per abbassare lo sguardo, poi ci ripensò.
Perché farlo? Non era lei a doversi sentire in imbarazzo, in fin dei conti.
La fitta all’altezza del cuore e le contorsioni in cui si era lanciato il suo stomaco, però, dicevano tutt’altro e l’unica cosa che riusciva a desiderare in quel momento era una via di fuga. L’avrebbe presa e non si sarebbe fermata finché non fosse stata sufficientemente lontana da non sentire più il battito del suo cuore.
“Che ci fai qui?” chiese Megumi, con gli occhi ridotti a fessure.
La rossa deglutì, in preda al panico. Ma perché nei momenti meno opportuni la sua testa sembrava svuotarsi completamente?
“Io.. mi sono persa! Sì… già!” esclamò, con una risata nervosa.
“Ti sei… persa?” ripeté l’altra, accigliata. “E come ci sei finita nella stanza del prof?”
Bella domanda, si disse, mentre per la seconda volta realizzava quanto fastidiosa suonasse quella parola pronunciata da qualcun altro.
Stava per ribattere con una sciocchezza qualsiasi quando, con sua sorpresa, fu proprio Mark a correre in suo aiuto.
“Strawberry, ma dove hai la testa?” la rimproverò, ma con quella gentilezza che lo aveva sempre caratterizzato e di cui lei si era innamorata fin da subito. “La tua stanza è dall’altra parte. Sei riuscita a trovare il professor Shirogane, alla fine?”
Sussultò, incapace di rispondere. Mark le stava offrendo un appiglio perfetto per uscire da quella situazione spinosa, eppure non riusciva ad afferrarlo.
Non voleva il suo aiuto, non dopo quello che aveva visto, sentito, provato.
Era troppo.
“L’hai mandata tu da Shirogane?” domandò Megumi, facendo ondeggiare i vaporosi capelli scuri mentre si voltava a guardare il ragazzo.
Mark le sorrise. “Sì, le ho chiesto di portargli un modulo da firmare” disse, poi si rivolse a Strawberry. “Ma mi sono dimenticato che questa mattina Shirogane è fuori con gli altri studenti. L’hai fatto chiamare dalla reception, giusto? E scommetto che lui ti ha detto di prendere la chiave della sua camera e di lasciare lì il modulo, così potrà firmarlo appena torna, è così?”
Sbatté le palpebre, stupita che fosse riuscito a inventarsi sul momento una storia credibile. E, nonostante stesse lottando con se stessa per restare ferma lì e non fuggire via, si costrinse a mormorare un “sì”.
Vide Megumi corrugare la fronte, evidentemente infastidita dall’idea che qualcuno avesse visto la stanza di Shirogane, e non poté fare a meno di provare un pizzico di soddisfazione.
Figuriamoci se scoprisse che ho dormito insieme a lui…
“Accidenti, Aoyama! Perché non l’hai chiesto a me?” si lamentò, portando le mani ai fianchi.
“Mi… mi dispiace. Lo terrò presente per la prossima volta” si giustificò lui.
“E tu, Momomiya” esclamò, facendo un passo avanti. “Gira alla larga da Shirogane! Credi che non mi sia accorta che ci stai provando con lui?”
Sgranò gli occhi, incredula. “Ma cosa vuoi che mi importi di Shirogane?! E’ tutto tuo!” ribatté, punta sul vivo. Peccato che avrebbe voluto dire tutt’altro e, non appena Megumi salì le scale sparendo alla sua vista, provò una sensazione strana, come se qualcosa nelle sue parole non quadrasse.
Non ebbe il tempo di pensarci più di tanto perché Mark le si avvicinò. Sul viso un’espressione seria, mista al dispiacere.
“Possiamo parlare?” le chiese.
Automaticamente, Strawberry arretrò e voltò il capo di lato.
Non voleva guardarlo, non riusciva a guardarlo. Sapeva che se l’avesse fatto, avrebbe potuto dimenticare tutto quanto e non poteva permetterselo.
“Per favore. Ti ruberò solo pochi minuti” insistette.
Esitò, cercando di capire quale fosse la cosa migliore da fare.
“Va bene” acconsentì. Non ne aveva voglia, ma scappare ancora non sarebbe servito e prima o poi sarebbe stata costretta comunque ad affrontare la verità, per quanto dolorosa potesse essere.
“Vieni, sediamoci” le indicò le scale e Strawberry si apprestò a seguirlo.
 Quando vide da parte sua un tentativo di guidarla prendendole la mano, si spostò bruscamente, facendogli intendere con un’occhiata che non desiderava essere toccata.
Cosa pretendeva, dopotutto?
Si accomodarono sul primo gradino e tra loro parve improvvisamente essersi creato un muro invisibile agli occhi, ma comunque presente.
 Forse, pensò Strawberry, allungando una mano, nella sua mente avrebbe potuto scontrarsi con quella barriera, scoprendo quanto fosse reale.
Non si era mai sentita così con Mark: era seduto accanto a lei, a pochi centimetri di distanza, eppure era come se fosse lontano anni luce. Fino a pochi giorni prima, avrebbe desiderato che si avvicinasse, che colmasse quel piccolo spazio vuoto. Ora, sperava soltanto che non prendesse in considerazione l’idea di farlo.
Avvertì un groppo in gola, cosciente di ciò che avrebbe ascoltato, e si preparò alla doccia fredda facendo un respiro profondo.
“Non so da dove cominciare… però, ti dico che mi dispiace e che non volevo, non volevamo, che andasse così” cominciò Mark, massaggiandosi il collo alla base della nuca.
La voce bassa, il tono dispiaciuto, le spalle curve… se tutto ciò serviva a farle capire quanto stesse male per l’accaduto, no, non funzionava.
Anzi, l’effetto era esattamente l’opposto. Si sentiva spaccata a metà, combattuta tra ciò che aveva sempre provato per lui e la delusione che sentiva in quel momento, sentimenti che si mischiavano e sovrapponevano, confondendola.
“Ti sei… innamorato… di Lory” riuscì a dire.
“Strawberry, non l’avevo previsto, è capitato” si giustificò, scuotendo il capo.
“Quel giorno” mormorò, stringendo le ginocchia al petto “L’avevi capito, vero? Che stavo per dichiararmi” lo disse con un sorriso amaro e Mark avrebbe tanto voluto abbracciarla, farle dimenticare la sofferenza che le stava causando. Ma come poteva dirle che l’aveva sempre vista come un’amica, una sorella e niente più? Le voleva bene, gliene aveva sempre voluto… ma non era abbastanza e lo sapeva.
“Sì” rispose.
Strawberry lo sentì chiaramente, un coltello affilato puntato dritto al cuore. Un’altra parola e la lama sarebbe affondata, trafiggendolo.
“L’avevo capito. Però sono stato un codardo. Non me l’aspettavo, noi non ti avevamo detto ancora nulla e non sono riuscito a fare altro che impedirti di continuare”
“Io… non ce l’ho con voi” ci tenne a precisare. “Lo vorrei tanto, però non riesco a odiare né te né Lory”
Si sforzò di mantenere un tono neutro, ma la voce le tremava e aveva deliberatamente evitato di guardare Mark negli occhi per tutto il tempo. Solo così sarebbe riuscita a parlare. “E lo capisco se vi siete innamorati, davvero” mormorò, cercando di trattenere le lacrime ormai sul punto di comparire. “Non può farci niente nessuno, succede. Solo…” si bloccò un attimo e alzò gli occhi al cielo, ormai palesemente lucidi.
Mark fece per avvicinarsi, ma lei lo allontanò con la mano. “Solo, avrei voluto che me lo diceste subito! Ci sarei stata male, magari mi sarei arrabbiata sul momento, però poi sarei stata contenta per voi! Lory… lei è fantastica, non avrei potuto dire niente, non potrei dire niente! Mi conoscete, non c’era bisogno di nascondermelo!” gridò, ma subito se ne pentì.
Non voleva farsi vedere da Mark in quello stato e cercò in qualche modo di calmarsi, asciugandosi rapidamente gli occhi con il braccio. Non doveva piangere.
“Lory mi aveva fatto promettere di non dirti niente, voleva essere lei a farlo” disse lui. “Però ogni volta che ci ha provato, si è bloccata prima di riuscirci. Aveva il terrore di ferirti. Qualche settimana fa, ha deciso di chiudere la nostra…” esitò, indeciso sulla parola da utilizzare. “Insomma, di non vederci più. Mi ha detto che era finita e che ti avrebbe detto tutto perché non voleva perderti”
Strawberry avvertì una sensazione opprimente al petto, mentre i polmoni sembravano svuotarsi progressivamente, impedendole di respirare ad ogni secondo che passava. Non si era mai sentita peggio di così.
“Da… da quanto va avanti?” chiese, titubante. Magari sei mesi o un anno, e lei era stata così stupida da non accorgersene.
“Un paio di mesi” ammise Mark, guardandola.
Ecco.
La lama era affondata del tutto, più e più volte.
Due mesi improvvisamente le sembrarono un’eternità. E probabilmente lo sono se ti accorgi che per tutto il tempo le persone a cui tieni di più hanno agito alle tue spalle.
Finalmente, trovò il coraggio anche lei di alzare lo sguardo, già sicura della reazione che avrebbe avuto spontaneamente il suo corpo. Ma quello che incontrò la stupì a tal punto che non riuscì a parlare per qualche secondo.
Da quando guardare Mark la lasciava così indifferente? Dov’era il batticuore, dov’erano i brividi? E il caldo?
Si morse il labbro inferiore, sconvolta. Mentre il suo cuore era scosso da sentimenti negativi, che fine aveva fatto tutto ciò che di positivo aveva sempre sentito per lui?
Capì soltanto che qualcosa dentro di lei si era rotto e solo adesso che si trovava faccia a faccia con Mark si rendeva conto che il filo che la legava a lui si era spezzato.
Quello che si chiedeva, era se sarebbe stato possibile riaggiustarlo, se sarebbe bastato fare un nodo per unire le due estremità e far tornare tutto come prima.
No, probabilmente no.
Certi danni sono irreparabili, soprattutto quelli del cuore.
“O-ok. Basta così. Torno in camera” mormorò, alzandosi piano. Non voleva restare lì un minuto di più, aveva bisogno di stare sola e di non pensare a niente. Quello che aveva provato – anzi, che non aveva provato – guardando il ragazzo di cui credeva di essere innamorata, l’aveva disorientata più di quanto già non fosse.
“Quale camera?” le domandò Mark, spiazzandola.
La rossa spalancò gli occhi. “In che senso?”
“Strawberry, non sono cieco. Prima con Megumi ti ho coperto, però non sono affatto tranquillo” disse, lanciandole una strana occhiata.
“Non capisco…” fece la finta tonta, sperando che Mark lasciasse cadere l’argomento, ma fu un tentativo inutile.
“Lo so che non ho il diritto di intromettermi, però ne abbiamo già parlato. Shirogane è un tuo insegnante e non è la prima volta che ti vedo uscire dalla sua stanza” puntualizzò.
Si zittì, sentendosi nuda di fronte a quella dichiarazione, cercando di capire se Mark stesse dicendo la verità o meno. Ma bastò uno sguardo per capire che era serio.
“Non c’è niente tra me e Ryan!” esclamò, tagliente. Perché doveva preoccuparsi per lei? Era già abbastanza penoso che si fosse fatta prendere in giro così, non c’era bisogno di rincarare la dose, accidenti!
“Ryan?” fece eco lui, sorpreso.
Autogol, Strawberry. Colpita e affondata.
“Senti, non… non sono affari tuoi! Tra me e lui c’è un normalissimo rapporto insegnante-allieva e se non vuoi credermi… sei liberissimo di non farlo” sbottò.
Nonostante tutto, le riusciva difficile parlargli in quel modo. Aveva sempre cercato di mostrare a Mark la se stessa gentile, sorridente, dolce.
A pensarci, forse lui non conosceva granché la Strawberry che usciva fuori in presenza di Ryan.
“Sono solo preoccupato. Sai quali rischi corri. Non dirò quello che ho visto, però... per favore, stai attenta” disse, abbassando il capo.
“Ok” rispose, gelida.
“Me lo prometti?” insistette il moro, ad un passo da lei.
No, era troppo.
“No, Mark! Non devo promettere niente a nessuno, tanto meno a te!” lo spinse indietro quel che bastava per potergli passare accanto e correre via.
“Strawberry!”
Si fermò, troppo debole per ignorarlo, ma rimase di spalle.
“Mi dispiace, di tutto. Non volevo ferirti”
Non voleva sentire un’altra parola, non gliene importava niente della sua preoccupazione.
Se doveva stare attenta a qualcuno, quello non era Ryan.
Non era lui che l’aveva presa in giro per due mesi.
Non era di lui che non poteva fidarsi.
 
 
Ryan sbuffò, spazientito.
Pensava di tornare in albergo a riposarsi un po’, invece la signorina Mihano aveva insistito per pranzare fuori con gli studenti e tutti i suoi programmi erano saltati.
Senza contare che era preoccupato per Strawberry, non si fidava a lasciarla sola visto come si era comportata per tutta la notte.
Non aveva fatto altro che cercare un contatto con lui, pregandolo silenziosamente di abbracciarla e non lasciarla mai andare.
Aveva faticato ad addormentarsi, grazie ai pensieri decisamente poco casti che la ragazza sdraiata su di lui suscitava. E, ogni volta che ci era riuscito, aveva sciolto involontariamente l’abbraccio e lei si era agitata per ritrovare quella vicinanza, svegliandolo.
Solo quando Kyle lo chiamò per l’ennesima volta, si ricordò di essere al telefono.
“Ryan? Ci sei?”
“Sì, scusami. Dicevi?” chiese, pigramente. Era da dieci minuti che l’amico lo tormentava, riempiendolo di domande su Strawberry alle quali lui non aveva voglia di rispondere. Alla fine, l’aveva assecondato per sfinimento.
“E così Mark sta con Lory. Dev’essere stato un brutto colpo per Strawberry” commentò Kyle.
“Già” confermò, asciutto.
Si appoggiò alla parete color crema, in un angolo appartato del ristorante, con la consapevolezza che l’interrogatorio sarebbe durato ancora molto.
Conosceva bene Kyle e soprattutto quell’esagitata di sua madre, che sicuramente stava suggerendo all’amico le domande più imbarazzanti da porre.
“E tu le sei stato vicino, buono buono, tutta la notte?” chiese il pasticcere, sorridendo malizioso.
Ecco, appunto.
“Non sono affari vostri” ribatté, sottolineando bene il plurale.
“Aaaah, Katherine, tuo figlio ci ha beccati”
Dall’altra parte, risuonò la risata cristallina della donna. “Hi, honey!”
Ryan sospirò, mettendo la mano libera in tasca. Quei due erano incredibili.
“Scusaci” gli disse Kyle, allegramente. “Ma siamo solo preoccupati per voi. Quindi, visto che ci siamo, ormai rispondi alla domanda”
“Prova a dormire tu con una ragazza che nel sonno non sta ferma un attimo”
“Poi se quella ragazza ti piace…” buttò lì, con tono allusivo.
 “Kyle…” lo rimproverò il biondo, senza riuscire a trattenere un sorriso.
L’altro rise. “Ok, ok. La smetto, ma non posso credere che non ti abbia fatto nessun effetto”
Alzò gli occhi al cielo, sentendo in sottofondo sua madre che si dichiarava d’accordo con Kyle.
“E’ stata una notte difficile, contenti? Adesso devo andare” li accontentò, impaziente di chiudere la conversazione.
Spense direttamente il telefono, sicuro che quei due avrebbero provato a richiamarlo.
Ammettere che Strawberry non gli era affatto indifferente, avrebbe significato mantenere la promessa strappatagli da Kari, ma infrangere quella fatta a se stesso.
Dentro di sé, sapeva perfettamente da quale parte pendeva l’ago della bilancia.
 
 
Rientrò in camera nel tardo pomeriggio, sfinito.
Sarebbe stata meno stancante un’intera settimana in laboratorio o in ufficio, piuttosto che un singolo giorno a portare a spasso studenti e soprattutto studentesse.
Accese la luce e, quando i suoi occhi si furono abituati al cambiamento, mise a fuoco la figura di Strawberry ai piedi del letto.
“Che ci fai lì in terra?” le chiese, posando sulla scrivania la chiave della stanza.
Lei alzò lo sguardo, incrociando il suo. “Pensavo”
“Comodo” commentò, con un sorriso.
Abbandonò sul letto il portafoglio e il cellulare e si avviò verso l’armadio.
“M-ma che fa?!” esclamò Strawberry, guardandolo a bocca spalancata mentre si toglieva la maglietta.
 “Non è la prima volta che mi vedi così” Ryan le rivolse un’occhiata innocente, che subito dopo si tramutò in un sorriso malizioso. “O sbaglio?”
La ragazza arrossì.
No, il problema è l’effetto che mi fa. Avrebbe voluto dirlo, ma si morse la lingua. La sua boccaccia aveva parlato anche troppo per quel giorno, rischiando di farsi scoprire non solo da Mark, ma anche da quella strega di Megumi.
Passare la notte in quel letto e dormire tra le braccia di Ryan era stato così naturale e incredibilmente dolce che era riuscita a pensare solo a queste sensazioni, ignorando l’imbarazzo.
Almeno finché lui non aveva pensato bene di rinfrescarle la memoria con la visione del suo petto nudo.
Si sentì girare la testa e, sotto lo sguardo divertito di Ryan, si voltò dall’altra parte per ritrovare la lucidità sufficiente per porgli una domanda.
“Lei sapeva di Mark e Lory, vero?”
Il biondo si fece serio e, per un attimo, parve volerla ignorare.
In tutta calma, indossò nuovamente la maglia che aveva tolto, rinunciando all’idea di fare subito una doccia rigenerante. Si avvicinò a Strawberry e si accovacciò davanti a lei, che lo guardava con occhi speranzosi.
“Lo sospettavo” disse.
Si aspettava una reazione violenta, lancio di oggetti, cuscinata, uno schiaffo. Invece, fu sorpreso di vedere comparire sul suo viso un sorriso e, in contemporanea, delle lacrime.
“Uffa” si lamentò. “Perché non me l’ha detto?” gli diede un leggero pugno sulla spalla e Ryan rimase momentaneamente spiazzato.
Poi capì.
“Hai parlato con loro?” le domandò.
“Con Mark” confessò lei. “Mi ha raccontato che si vede con Lory da un paio di mesi. Che stupida a non accorgermene”
Ryan sbuffò e si rialzò, andando a sfogliare dei documenti sulla scrivania. “Hai ragione. Sei proprio stupida” la provocò.
Strawberry scattò in piedi: possibile che riuscisse a prenderla in giro anche in un momento così?
 “E-ehi! Ma… Non può dirmi così!”
Lui le lanciò un’occhiata di sfuggita. “Veramente l’hai detto tu”
“Sì, ma io posso!” esclamò, gonfiando le guance.
“Brava. E’ questa la Strawberry che conosco” disse, con una semplicità che la lasciò interdetta. Non l’aveva guardata in faccia, ma era bastato il tono di voce, basso e apparentemente disinteressato, perché quelle parole la facessero sciogliere.
Come riusciva a capirla sempre così bene, a toccare il suo cuore in modo tanto profondo?
“Non la sopporto quando fa così!” borbottò, con l’unico fine di nascondere lo scompiglio che lui le causava. Le sembrava impossibile che nel giro di pochi giorni i suoi sentimenti si fossero confusi così, al punto di restare indifferente allo sguardo di Mark e di impazzire per quello di Shirogane.
O, semplicemente, quello era il culmine di un cambiamento che era avvenuto dentro di lei lentamente, senza che se ne accorgesse, fin dal primo momento in cui aveva conosciuto quel ragazzo.
Tornò alla realtà quando si rese conto di avere Ryan di fronte a sé, vicino. Vicinissimo.
Aveva preso una ciocca di capelli scivolata sul viso e gliel’aveva sistemata dietro l’orecchio, senza però allontanare poi la mano.
“Resti stanotte?” le domandò, con voce roca. Se qualcuno l’avesse sentito, sicuramente avrebbe equivocato. Eppure, in quella richiesta Strawberry colse mille sfumature diverse. Ecco, era una richiesta. Non una semplice domanda, ma un invito.
Significava forse che lui voleva che restasse?
Mentre il suo cuore ferito urlava disperatamente di rispondere di sì, la sua testa volò alla conversazione avuta con Mark.
“No!” esclamò, alzando troppo la voce. “E’ troppo rischioso”
Di fronte all’espressione del biondo, si affrettò a raccontargli dell’incontro di quella mattina.
“Il problema è che Mark pensa che ci sia qualcosa… tra noi. E ha cercato di mettermi in guardia” concluse, con una punta di rossore a colorarle le guance.
 “Ho capito” si limitò a commentare Ryan. Carino il ragazzo a preoccuparsi per te.
Era decisamente meglio tralasciare i suoi pensieri in proposito, non si sarebbe stupito, infatti, di vedere Strawberry difendere comunque Mark.
“Sento se c’è una stanza libera” aggiunse.
“Eh? Perché?” chiese la rossa, mentre lui si apprestava a digitare il numero della reception sul telefono della camera.
“Vuoi tornare nella tua stanza?” le chiese seccato, con già la cornetta all’orecchio.
“Ah, no” Decisamente no, per ora.
Avrebbe parlato con Lory, ma prima era il caso che si riprendesse dalla chiacchierata con Mark. Fortunatamente, Ryan convinse il receptionist ad assegnare a Strawberry una singola al pianterreno, usando come scusa la caviglia slogata.
L’uomo parve ben felice di accontentarlo: nel giro di un quarto d’ora la camera sarebbe stata libera e pronta all’uso.
 
 
Era rimasta in camera di Shirogane, senza neanche scendere a mangiare. Non aveva fame.
Aveva sperato fermamente che Lory fosse ancora a cena, così avrebbe potuto trasferire le sue cose nella nuova stanza in tutta tranquillità.
Invece, l’aveva trovata seduta sul letto con le lacrime agli occhi.
“Ciao” si limitò a dire, ignorando il dispiacere nel vederla così.
Si diresse a passo spedito verso l’armadio e cominciò a tirare fuori i vestiti, gettandoli alla rinfusa nella valigia. Anche se l’avesse fatto con calma, sapeva  che il risultato non sarebbe stato migliore.
“Strawberry, cosa fai?” le chiese l’amica, allarmata.
“Ho chiesto di avere un’altra stanza” spiegò, senza voltarsi a guardarla.
Lory rimase in silenzio qualche minuto, osservandola mentre si spostava da una parte all’altra della camera per raccogliere le sue cose.
“Straw, io…” mormorò a un certo punto.
Si abbassò a chiudere la valigia, desiderosa di allontanarsi il prima possibile. La situazione con Lory la faceva sentire mille volte peggio rispetto a quella con Mark. Se ne rese conto solo in quel momento, quando incrociò lo sguardo dell’amica e si sentì più sola che mai.
Provò una sensazione di gelo che le fece mancare il respiro e, prepotentemente, fu colta dal bisogno di affogare ancora nell’abbraccio caldo di Ryan.
Lory, la sua Lory, non le avrebbe mai fatto una cosa del genere.
“Io volevo dirtelo, davvero! Solo che…” continuò l’altra.
“Lory. Non ora. Per favore” la bloccò, alzandosi in piedi. Le fece tremendamente male doverle parlare così.
“Voglio spiegarti, ho sbagliato, lo so. Ma lasciami spiegare”
Strawberry esitò, incerta.
“Ti ascolterò, ma non ora. Sono… stanca e arrabbiata. Se parlassimo adesso, finirei con il dirti cose cattive che non penso. E non voglio perché… sei mia amica, no?” disse, infine.
Uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Finalmente, si lasciò andare facendo un respiro grande. Le era costato tanto trattenersi dal reagire come voleva. Urlare, piangere e prendersela con Lory non le avrebbe fatto bene.
L’unica cosa che voleva era dimenticare, chiudere gli occhi e sentirsi tranquilla.
Guardò Ryan che la aspettava in fondo al corridoio e realizzò che niente al mondo poteva farla stare meglio in quel momento.
“Preso tutto?” domandò lui, scostandosi dal muro.
Annuì, poi gli rivolse uno sguardo interrogativo quando vide il receptionist appoggiato alla parete opposta.
“Vi do una mano, ragazzi! Sono qua apposta!” esclamò l’uomo, allegramente. Senza darle il tempo di replicare, le sfilò di mano il trolley e si posizionò davanti all’ascensore, in attesa.
“A quanto pare ci ha preso in simpatia” commentò Ryan, scrollando le spalle.
Ma Strawberry avrebbe potuto giurare che, oltre l’apparenza, quell’invadenza lo infastidiva. Ormai aveva imparato a conoscerlo.
Gli permise di prenderle dalle spalle lo zaino e seguì i due all’interno dell’ascensore.
L’uomo non smise di parlare durante tutti e tre i minuti che impiegarono per arrivare al pianoterra. Di tutte le chiacchiere inutili, l’ultima cosa che disse fu anche quella più imbarazzante.
“Ah, ragazzi miei. Se non sapessi che siete insegnante e alunna, penserei che foste una coppia. Stareste così bene insieme! Oh, credetemi, io so come va il mondo!” esclamò, con una sonora risata, dando loro una pacca sulla spalla tutt’altro che delicata.
Strawberry arrossì visibilmente, agitandosi senza però riuscire a replicare.
Quando se ne fu andato, sbuffò irritata.
Poi sentì la mano di Ryan sui capelli e si girò a guardarlo.
“Allora, mogliettina. Sicura che non ti mancherò stanotte?” le chiese, con un sorriso malizioso.
 “M-m-mogliettina?” balbettò.
“Non hai sentito? L’ha detto lui che saremmo una bella coppia” disse, con un’alzata di spalle.
Quell’espressione ingenua non la ingannava più, Ryan semplicemente si divertiva enormemente a provocarla.
“Sì, ma tu non ripeterlo”
Il biondo alzò un sopracciglio.
“Cosa c’è?” domandò, senza capire. Sussultò e fece un passo indietro quando lo vide avvicinarsi pericolosamente al suo viso.
“Da quando mi dai del tu?” soffiò lui, a pochi centimetri dalle sue labbra. Ma possibile che dovesse sempre usare quel tono di voce basso e maledettamente sexy? Sicuramente lo faceva apposta.
“Oh” disse soltanto. L’aveva fatto davvero?
Sbatté le palpebre più volte, cercando di capire come il suo cervello avesse pensato di farla entrare così in confidenza con il suo insegnante. “Scusi, io… non me ne sono accorta” mormorò, abbassando lo sguardo.
Ryan sorrise vedendola imbarazzata e con le guance colorate. La trovava tenera in quelle situazioni, più di quanto lo fosse in qualsiasi altro momento.
“Allora, non ti mancherò?” tornò a chiederle provocatorio.
“Assolutamente!” rispose prontamente. Come al solito passava da un discorso all’altro, facendola impazzire per stargli dietro.
“Notte, Strawberry” le disse, dandole le spalle. Le fece un cenno di saluto con la mano mentre camminava, poi sparì oltre l’angolo.
“Notte…” mormorò, rimasta sola.
 
 
Non aveva mai fatto nessuna fatica ad addormentarsi.
Improvvisamente, però, anche questo sembrava essere diventato un problema. Si rigirava nel letto da chissà quanto tempo, ma non trovava una posizione che potesse considerare comoda.
Sprofondò con la faccia nel cuscino e restò così finché non le mancò il respiro. Allora fu costretta a spostarsi un’altra volta.
Ma più si muoveva e più sentiva che qualcosa non andava.
Solo verso l’una, quando si alzò a guardare la sveglia, si costrinse ad ammettere che non era il letto ad essere scomodo, né il cuscino troppo basso o il lenzuolo troppo corto.
Il problema era lei, con il suo inspiegabile bisogno di sentire il calore di Ryan attorno a sé.
Si sforzò di tenere gli occhi chiusi, intimandosi di dormire e smetterla di pensare.
Quando capì che sarebbe stato tutto inutile, scattò a sedere, gettando il lenzuolo ai piedi del letto.
Aveva due possibilità.
Una era passare la notte in bianco.
L’altra… bé, l’altra era quella che avrebbe scelto.








Evvivaaa! Sono riuscita, come promesso, ad aggiornare entro il week end :D
E' un capitolo un po' particolare. Il titolo dice già molto.
Strawberry dev'essere sincera con se stessa e con i suoi sentimenti; Ryan deve fare una scelta tra ciò che era e ciò che è. Mark e Lory si trovano a fare i conti con le loro bugie.
Vi saluto e grazie a tutti voi che leggete, seguite, preferite o commentate :)
Un abbraccio,
Comet

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Capitolo 19
*** L'amore si ricorda di te ***





Capitolo 19 – L’amore si ricorda di te
 



Ryan si svegliò di soprassalto. Sudato e ansimante, si mise a sedere e accese la luce.
Pensava di essersi liberato di quegli incubi, ma a quanto pare era stato troppo ottimista.
Puntualmente, la scogliera e l’ultimo sorriso di Kari arrivavano a tormentarlo nel sonno e anche per quella notte non l’avevano risparmiato. Questa volta, però, c’era stato un nuovo particolare: ad un certo punto Kari era svanita e, al suo posto, ecco comparire Strawberry. E l’ambientazione… Bè, era decisamente cambiata.
Da lì in poi, il sogno aveva preso tutta un’altra piega.
Si alzò infastidito e raggiunse il bagno. Dopo essersi dato una rinfrescata al viso, rimase con le mani appoggiate ai bordi del lavandino e fissò la sua immagine nello specchio, tornando con la mente ai ricordi del sogno che già cominciavano a sbiadire.
Si sentiva scombussolato ed era una sensazione a cui non era abituato, il che aumentava ampiamente la sua irritazione.
Stava tornando a letto in uno stato pietoso, quando sentì bussare lievemente. Sbuffò, chiedendosi se non fosse successo qualcosa a qualche studente: in tal caso, addio al sonno. Un’altra volta.
Ma, quando aprì, le sue labbra si stesero involontariamente in un sorriso che cercò immediatamente di nascondere, tornando al solito distacco.
Il fatto è che non si aspettava proprio di trovarsi davanti Strawberry.
“Posso entrare?” la sentì domandare, cauta. Probabilmente era in imbarazzo, ma non c’era abbastanza luce perché potesse verificarlo dal suo viso.
“Come mai qui?” chiese a sua volta, spostandosi per farla passare.
Strawberry lo oltrepassò tenendo le spalle rigide e il capo chino e Ryan dovette farsi forza per distogliere lo sguardo dalla sua mise. 
Come le saltava in mente di presentarsi in camera di un ragazzo, di notte, con indosso solo una canottiera e un paio di calzoncini striminziti?
Scosse il capo, arrendendosi all’ingenuità di quella ragazza e ringraziando il cielo di avere una certa dose di autocontrollo.
“Non riuscivo a dormire” disse lei, rispondendo alla sua domanda di poco prima. Concentrò la sua attenzione sul display illuminato della sveglia che segnava l’una passata, evitando così di guardare Ryan. Era di nuovo senza maglietta e, anche se non lo vedeva bene, il suo corpo era stranamente reattivo di fronte a quella consapevolezza.
“Senza di me?” aggiunse Ryan e, dal modo in cui lo disse, Strawberry immaginò il solito sorriso malizioso fare capolino sul suo volto.
Gli rivolse un’occhiataccia, mentre si sedeva sul materasso. “E’ che il letto di quella stanza è scomodo. E… troppo grande.” Bugia la prima parte, mezza verità la seconda. Entrambe poco credibili, sicuramente. Ma che scusa poteva inventarsi per poter dormire con lui senza che facesse domande che l’avrebbero smascherata?
“Per una persona sola” concluse lui, come se le avesse letto nel pensiero.
Arrossì. “Non è questo che intendevo!”
Ryan rise, ormai la conosceva così bene che non c’era bisogno che parlasse per capire cosa le passasse per la testa. Era chiaro come il sole che, in quel momento, fosse terrorizzata all’idea di restare da sola e provò ancora una volta il desiderio di proteggerla e tranquillizzarla.
Scacciò quei pensieri, attribuendone la causa al sogno appena fatto. Si avvicinò al letto e si fermò di fronte a lei, che però non lo guardava. Fu difficile trattenere un sorriso compiaciuto quando, grazie alla penombra creata dalla luce che filtrava dalla finestra, si accorse che lo sguardo di Strawberry era sceso rapidamente sul suo torace, per poi soffermarsi sul ventre.
 In genere, avrebbe trovato fastidiosa quel tipo di attenzione, ma il modo in cui i suoi occhi sembravano registrare ogni centimetro della sua pelle gli regalò una sensazione ben diversa.
Strawberry inspirò senza smettere di fissarlo. E davvero non riusciva a capirne il motivo, visto che le altre volte non le era capitato, o comunque non in maniera così evidente!
Certo, si era accorta dell’impatto che Ryan aveva su di lei, fisicamente e non solo, ma quella sera l’effetto sembrava quadruplicato. Forse perché, liberate le lacrime e con esse un po’ di dolore durante la notte precedente, i suoi sensi erano più che mai ricettivi questa volta.
E non era per niente positivo, vista la confusione che aveva in testa.
Gli addominali erano definiti, forse non scolpiti come quelli che le era capitato di vedere sulle riviste, ma proprio per questo ancora più belli. Non era mai andata matta per le esagerazioni e poi non riusciva davvero ad immaginare Ryan che si faceva i muscoli in palestra.
Sorrise.
Le piaceva pensare che fosse perfetto così, naturalmente.
Soffocò l’impulso di toccarli, stringendo tra le mani il lenzuolo spiegazzato.
Quando riuscì a distogliere lo sguardo e incrociò quello di Ryan, lo trovò con un’espressione divertita in viso e avvampò automaticamente, dandosi della stupida.
Beccata in pieno.
Con grande sorpresa, però, le risparmiò battutine o domande sconvenienti. “Vogliamo andare a dormire?” chiese soltanto.
Annuì prontamente e si affrettò a raggiungere il lato del letto che aveva occupato anche la notte prima. Era caldo e questo le regalò subito la tranquillità che non era riuscita a trovare nel freddo della sua stanza.
Pochi secondi dopo, Ryan la imitò sdraiandosi e portando le braccia dietro la testa.
Anche volendo, era impossibile mantenere una distanza definibile come tale. Strawberry si girò sul fianco, dandogli le spalle, stabilendo che sarebbe stato molto meglio per la sua salute mentale.
Ma, inevitabilmente, si trovò a desiderare ancora una volta di avvicinarsi a lui, di sentire il suo braccio cingerle la vita e le sue dita percorrere il profilo del suo corpo in quel modo che sapeva calmarla.
Non ricordava di aver mai dormito così bene come tra le braccia di Ryan.
Era possibile?
Si vergognò, sentendosi quasi in colpa: tutto l’amore per Mark che fine aveva fatto? Sei anni non si potevano cancellare così, non poteva arrivare all’improvviso una persona e ribaltare tutto ciò in cui lei aveva creduto finora. O sì?
Aveva solo tanti dubbi e per il momento le risposte che arrivavano dal suo corpo erano tutt’altro che attendibili, data la situazione.
Tirò il lenzuolo fin sotto al mento, rannicchiandosi.
Un attimo dopo però lo sentì scivolare giù, scoprendole le spalle. Sbuffò e si coprì ancora, ma inutilmente.
Continuò la sua lotta finchè Ryan non si mise a sedere di scatto buttando indietro il lenzuolo.
“Strawberry, fa caldo!” esclamò, spazientito.
“Ne è sicuro? Perché io ho freddo”
“Mi spieghi cos’è questa fissa di dormire coperta anche con trenta gradi?” chiese, ravvivandosi i capelli con un gesto di stizza. Sentì il rumore del materasso mentre Strawberry si dimenava per girarsi verso di lui. Quando ci riuscì, sollevò il busto appoggiandosi su un gomito e lo guardò contrariata.
“Non è una fissa…” mormorò. L’espressione di Ryan fu abbastanza eloquente da spingerla a rettificare: “E va bene, mi fa sentire protetta”
Si mise a torturare un angolo del cuscino, imbarazzata.
Possibile che dovesse sempre indagare ogni cosa quel ragazzo?
“E da cosa, scusa?” fu l’ovvia domanda.
“Bé, da… eventuali… intrusioni esterne, ecco” ammise.
Ryan rimase in silenzio qualche secondo, fissandola nel buio.
“Fammi capire. Pensi che se un serial killer entrasse qui stanotte, ti lascerebbe in pace solo perché sei coperta da un lenzuolo?”
Ok, detta così sembrava veramente una cosa stupida.
 “No, però magari se la prenderebbe prima con lei. Così io avrei il tempo di scappare” Annuì, soddisfatta della propria risposta. Per una volta non l’avrebbe avuta vinta lui.
“Ah, hai già programmato tutto!” stette al gioco.
“Ehi, non rida!” lo rimproverò, tirandosi un po’ più su. “E’ una cosa psicologica! Si chiama pensiero magico, vuol dire…”
“Attribuire un rapporto causale a due eventi in realtà indipendenti” concluse Ryan al suo posto. Le sorrise sornione. “In pratica, tu sei una fifona e pensi che quel lenzuolo possa proteggerti da ciò di cui hai paura”
Strawberry gli fece la linguaccia.
“Uffa!” sbuffò. “E io che pensavo di aver trovato qualcosa che non sapesse!”
Ci aveva sperato davvero? Le venne quasi da ridere, ma ormai era una questione di orgoglio. Con lui lo era sempre.
“Ritenta e magari sarai più fortunata” la prese in giro, lasciandosi andare in un’altra risata.
Sembrava molto più disinvolto del solito, come se tra loro si fosse abbattuta una barriera della cui esistenza non erano mai stati a conoscenza e quindi potessero comportarsi come due ragazzi qualsiasi, al di fuori di quei ruoli che ormai stavano ad entrambi troppo stretti.
“Non è giusto” si lamentò Strawberry, torturandosi il labbro inferiore. “Finisco sempre per fare delle figuracce, mentre lei è…” Lo guardò, per niente convinta su come continuare.
“Io sono?”
Deglutì. Sexy? No, questo meglio non dirlo.
Stupidi ormoni che non le permettevano di ragionare lucidamente, accidenti!
Ryan ridacchiò, vedendola così in difficoltà. Con naturalezza, si sporse verso di lei e le posò un piccolo bacio sull’angolo della bocca.
Fu delicato e lento, ma la sentì irrigidirsi immediatamente sotto di sé e decise di non indugiare oltre.
“Buonanotte, Strawberry” le disse, mentre tornava a sdraiarsi.
Strawberry restò a guardarlo impietrita e senza fiato.
Un altro bacio.
E anche se in passato Ryan le aveva detto apertamente che quello non poteva considerarsi a tutti gli effetti un bacio, l’aveva spiazzata.
Sentire le sue labbra ancora sorridenti posarsi così vicino alle sue l’aveva fatta rabbrividire, dandole la sensazione di un contatto tremendamente intimo e dolce. Vero.
Aveva fatto appena in tempo a constatarne la morbidezza, che già lui gliele aveva negate. Non riusciva però a capire se fosse stato un bene e da una parte avrebbe voluto arrabbiarsi, mentre dall’altra… no, non osava neanche immaginarlo.
Recuperò il lenzuolo e si mise a letto senza dire niente, raggomitolandosi come un gatto.
 
 
Nonostante cercasse di stare tranquilla, sentiva che il suo rapporto con Ryan era arrivato ad un punto in cui l’equilibrio era tutto. Sarebbe bastato un passo, uno solo, per alterarlo del tutto.
Si erano avvicinati più di quanto fosse consentito, ma tuttavia non abbastanza.
Poteva restare ferma dov’era e forse non sarebbe stato così male, ma non era da lei.
Il problema era stabilire da che parte muoversi.
Chiuse gli occhi, sforzandosi di non pensare a niente e di ignorare quanto quel piccolo bacio – perché Ryan poteva definirlo come voleva, ma per lei di questo si trattava – l’avesse destabilizzata.
Paura o no di ladri, mostri e simili, si scoprì. Per colpa dei gesti sconsiderati di quella specie di insegnante, sentiva davvero troppo caldo.
Avvertì un movimento alle sue spalle, segno che probabilmente Ryan si era girato verso di lei, ma non osò voltarsi per controllare.
Prese un bel respiro e sperò che la voce non la tradisse.
Aveva voglia di chiedergli una cosa, anche se magari fosse sembrata una scema, anche se non era altro che una pazza masochista.
“Prof?” lo chiamò.
Lui mugolò qualcosa, in risposta.
“Mi… abbraccia?”
Lo disse trattenendo il fiato, gli occhi serrati e le guance rosse un po’ per il caldo, un po’ per la vergogna. Era una richiesta assurda, ma dormire così vicini senza stare a contatto era anche peggio. E lei aveva un bisogno estremo di quelle braccia ad avvolgerla.
Erano la sua cura, Ryan lo era.
Ma non si trattava solo di questo e se ne stava accorgendo sempre più.
Ci furono diversi secondi di silenzio, in cui nessuno dei due si mosse né parlò.
Strawberry si stava già maledicendo per avergli fatto quella domanda, quando avvertì il petto bollente di Ryan accostarsi alla sua schiena.
Sentì la gola secca, mentre lui faceva scivolare un braccio attorno alla sua vita, portandola ancor più contro il proprio corpo. Le loro gambe quasi si intrecciarono e Strawberry sussultò quando la sua gamba destra finì tra quelle di Ryan.
Due pezzi di un puzzle che stavano trovando la giusta corrispondenza, scoprendola giorno per giorno.
Aspettò che il battito del suo cuore decelerasse per trovare la forza di parlare, ma capì che ci sarebbe voluto molto più del previsto e che in fondo non c’era niente da dire.
Fu in quel momento, quando sentì il cuore di Ryan battere contro la propria schiena all’unisono con il suo, che capì che ad abbracciarla non era un professore o la medicina per i suoi dolori, ma un ragazzo biondo e dagli occhi color del cielo che le piaceva. E le piaceva in maniera folle e irrazionale, le piaceva all’improvviso o forse dal primo momento, ma tanto da toglierle il fiato.
Si scoprì spaventata da questo sentimento ancora così confuso e acerbo, ma non desiderò altro che lasciarsi cullare da quel momento che solo loro condividevano.
Lasciò uscire l’aria, liberando i polmoni, proprio mentre Ryan appoggiava il mento tra i suoi capelli.
“Così va meglio?” le domandò.
Strawberry mosse piano il capo. “Sì.”
Sentiva il viso e tutto il suo corpo andare a fuoco, come se ovunque si fossero accese delle scintille che pian piano erano divampate, travolgendola e scaldando ogni centimetro di pelle che incontravano.
“Grazie” sussurrò, prima di rischiare di sprofondare nell’abbraccio di Ryan e perdersi del tutto. A quel punto non sarebbe più stata in grado di dirgli quelle cose. “N-non… solo per questo. Anche per avermi consolata, dopo quello che è successo. Se non ci fosse stato lei non so come avrei fatto.”
Era difficile parlare così sinceramente con lui, ma glielo doveva.
“Sono un tuo insegnante, devo preoccuparmi del benessere dei miei studenti”
Strawberry voltò un poco la testa verso di lui, anche se non poteva vederlo bene.
“Bugiardo” gli disse, corrugando la fronte.
E forse lo era, perché mai si sarebbe comportato allo stesso modo se al posto di Strawberry ci fosse stata una qualsiasi delle sue compagne. Farla sfogare, consolarla, abbracciarla, lasciarla dormire nel suo letto… erano tutte cose che avrebbe riservato solo a lei.
Ma se per lei era più semplice giungere alla conclusione di provare qualcosa per Ryan, per lui era un gran casino ammettere che poteva mantenere la promessa che aveva fatto a Kari quel giorno.
Era tutto più complicato.
Se si fosse lasciato andare, sarebbe stato uno sbaglio?
Eppure in quel momento sentiva di poterlo fare, di volerlo.
“Io non lo so perché, però tra noi è nato un rapporto un po’ strano” continuò Strawberry, sistemandosi meglio nel letto. Si bloccò però di colpo quando con quel movimento la canottiera che portava scivolò leggermente in su, facendo finire la mano di Ryan a contatto diretto con la sua pelle.
Ryan la sentì irrigidirsi e tirare in dentro la pancia, ma non ritrasse la mano.
“Non ti faccio niente” la rassicurò e allora lei si sciolse un poco. “Stavi dicendo?”
Esitò un attimo, poi riprese a parlare: “Molte volte, quasi sempre a dir la verità, lei è antipatico con me e mi prende in giro. Però ci sono anche dei momenti, pochi, in cui mi piace stare con lei”
Alle sue spalle, lui ridacchiò. “Sei più bugiarda di me”
“Mi faccia finire!”si lamentò, ignorando la sua allusione. Ma poi ammutolì.
Ryan, che fino a poco prima era fermo, aveva iniziato a muovere la mano sulla sua pancia, carezzandola piano.
Oddio!, fu tutto ciò che riuscì a pensare, mentre cercava disperatamente di restare concentrata sul discorso serio che stava facendo. Ma più ci provava e più capiva che era praticamente impossibile.
Rinunciò del tutto quando Ryan cominciò a disegnare dei piccoli cerchi immaginari con il pollice, spostandosi dalla pancia al fianco, per poi tornare indietro, con una lentezza esasperante.
Non era abituata ad attenzioni di quel genere, non sapeva cosa stava accadendo o come doveva comportarsi.
Però sentiva che il tocco di Ryan era delicato, caldo e rassicurante. Stava diventando come creta nelle sue mani e, se da una parte questo la terrorizzava, dall’altra sperava di perdersi in quelle carezze che non si spingevano oltre i limiti da lei conosciuti.
Rimase totalmente immobile, trattenendo un sospiro mentre lui sfiorava quel punto sul fianco in cui aveva sempre sofferto il solletico e mordendosi il labbro quando le sue dita fecero maggiore pressione sulla pelle, facendole avvertire una piacevole stretta allo stomaco.
Ryan aveva cominciato ad accarezzarla quasi inconsapevolmente, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo.
E il solo fatto che avere Strawberry tra le sue braccia lo facesse sentire così tranquillo, così se stesso, avrebbe dovuto fargli capire che nel suo cuore qualcosa si era smosso.
La sentiva fremere ad ogni movimento e, per quanto fosse piacevole, decise di non mettere alla prova il proprio autocontrollo.
Si arrestò, lasciando la mano ferma sul suo ventre e avvertì il respiro pesante di Strawberry.
“Scusami” disse, senza sapere con certezza a chi. A lei, a Kari, a se stesso.
Inaspettatamente, Strawberry si girò completamente verso di lui.
“Prof…” mormorò, con voce bassa. “Che cosa ci succede?”
Ryan parve soppesare per un attimo le sue parole.
“Penso che lo sappiamo entrambi” rispose, infine.
Si guardarono per un secondo interminabile, finché Strawberry non sollevò la testa nello stesso momento in cui Ryan si abbassava su di lei e le loro labbra si incontrarono.
Per un istante rimasero così.
Lei, timorosa ed inesperta, non sapeva da dove cominciare.
Lui, sicuro ma trattenuto, aveva paura di spingersi troppo in là.
Poi Ryan cominciò a muovere le labbra, senza fretta, consapevole dell’inesperienza di Strawberry. E lei lo assecondò, schiudendo le proprie e lasciandosi trasportare perché, per quanto potesse mentire a se stessa, quel bacio lo voleva.
Divenne tutto facile, seguire i movimenti di Ryan e imparare a sua volta come muoversi, sentire il cuore battere oltre misura e posare una mano sul suo petto per scoprire che anche il suo era nelle stesse condizioni.
Ed il caldo, tanto caldo, che aumentò incredibilmente quando lui la trascinò quasi del tutto sopra di sé, guidandola, ma senza forzarla.
Se Strawberry avesse voluto fermarlo non avrebbe incontrato ostacoli, ma in quel momento l’unica cosa che voleva erano quelle labbra morbide sulle sue e quel sapore che la inebriava, che sapeva di lui.
E mentre perdeva ogni contatto con la realtà, l’ultima cosa che riuscì a chiedersi fu a quale assurdo principio della fisica sarebbe potuto corrispondere quello che stava accadendo.
Sorrise contro le labbra di Ryan e respirò il suo profumo, mentre con una mano andava a giocare con i suoi capelli. Le erano sempre piaciuti, lisci e morbidi scivolavano come seta tra le sue dita e quando l’emozione di quel bacio diventava troppo forte li stringeva come per restare ancorata al presente.
Ryan le accarezzava la schiena, percorrendola lentamente fino a farla rabbrividire, e desiderando approfondire quel contatto che lo stava facendo impazzire.
Fu quando le morse leggermente il labbro inferiore, strappandole un gemito tutt’altro che di dolore, che decise di fermarsi.
Si staccò piano, scostandola leggermente. La trovò confusa, con le guance arrossate e i capelli scompigliati. Gli occhi color del cioccolato lucidi e ancora più scuri del solito, il fiato corto.
Avrebbe voluto riprendere a baciarla, ma non era sicuro di essere in grado di rispettare determinati confini. Era pur sempre un ragazzo, prima che un professore, e la ragazza che aveva tra le braccia… gli piaceva.
“E’ meglio se ci mettiamo a dormire” propose, con voce roca.
Strawberry distolse lo sguardo. “S-sì” mormorò, mentre cercava di tornare a respirare normalmente.
Sgusciò via, giù dal suo petto e si sdraiò sul bordo del letto, dandogli le spalle.
Era spaventata dall’idea che il cuore potesse scoppiarle da un momento all’altro, perché non ricordava d’averlo mai sentito battere tanto forte prima.
Chiuse gli occhi nel tentativo di ignorare i mille pensieri che la stavano bombardando, ma fu anche peggio.
Aveva ancora la sensazione delle labbra di Ryan sulle sue ed era qualcosa di sconvolgente.
L’aveva baciato.
O era stato Ryan a baciare lei?
No, non le quadrava in nessuno dei due casi.
Quindi… si erano baciati?
Si piacevano?
Aveva voglia di urlare, ma era come pietrificata.
Quello che non sapeva era che, alle sue spalle, Ryan si trovava nella medesima situazione. Era terribilmente attratto da Strawberry, come non gli era capitato con nessuna ragazza. E aveva provato a negarlo, a fare finta di niente, perché questo lo faceva sentire in colpa nei confronti di Kari.
Kari che aveva buttato la sua vita per lui. Kari che aveva amato e che se ne era andata per regalargli una possibilità.
Ma, negli ultimi tempi, i suo pensieri erano rivolti sempre più ad un’altra persona.
 
 
Strawberry si svegliò controvoglia, quella mattina.
La luce che filtrava dalla finestra andava ad illuminare proprio il suo viso, impedendole di dormire tranquillamente. Infastidita, prese il cuscino e se lo buttò sopra la testa, riacquistando così il buio che voleva.
Poi un pensiero le sfiorò la mente ancora annebbiata.
Notte. Camera. Bacio. Lingua. Carezze. Ryan.
Oh, cavoli!
Spalancò gli occhi sconvolta e cercò di mettere insieme le parole sconnesse che erano emerse nella sua testa.
E mentre provava a ragionare, si accorse che proprio l’oggetto dei suoi pensieri non era presente.
Ryan non era a letto e, a giudicare dal silenzio, nemmeno in bagno.
“Prof?” provò a chiamarlo, ma senza ottenere risposta.
Sbuffò, ma da una parte la sua assenza la fece sentire sollevata. Non avrebbe saputo cosa dirgli se l’avesse trovato al suo fianco.
Non era in grado di dare un nome a quello che era capitato, né alle emozioni che aveva provato o al senso di completezza datole dalle loro labbra che si incontravano.
Scosse il capo, sperando che per una buona volta si svuotasse quando ne aveva davvero bisogno. Peccato che accadesse solo nei momenti meno opportuni!
Si alzò, ignorando il braccio informicolato che le dava un tremendo fastidio e vista l’ora – le sei – decise di approfittarne per tornare nella sua stanza.
Sicuramente i suoi compagni di classe erano ancora nel mondo dei sogni e, se uscendo più tardi avesse incontrato qualcuno, questa volta non ci sarebbe stato Mark ad inventare una storia decente per salvarla.
Mark, appunto. Per tutta la notte non aveva pensato a lui neanche un attimo.
E quando aveva baciato Ryan si era lasciata totalmente prendere, dimenticando qualsiasi altra cosa.
Si domandò se quell’effetto fosse stato causato dai baci o da Ryan e quando la risposta arrivò chiara e lampante nella sua testa, la ricacciò indietro spaventata.
Aprì la porta, pronta a sgattaiolare fuori silenziosamente, ma dovette soffocare un grido quando si trovò davanti qualcuno, rischiando di andare a sbatterci contro.
Ryan la sorresse appena in tempo, prendendola per le spalle.
“Ma che fai?” le chiese, divertito.
Sembrava tranquillo, fin troppo.
“Mi ha fatto prendere un colpo! Non si appare così davanti alle persone!” inveì, arretrando perché potesse entrare.
“Irritabile già di prima mattina, Momomiya?” la prese in giro, con uno sbadiglio.
Strawberry gli rivolse un’occhiataccia.
Era imbarazzata e a disagio, mentre lui si stava comportando come al solito. Avvertì una fitta all’altezza del cuore e si avviò verso la porta.
“Scappi già?”
“Sì, devo… devo andare” mormorò, arrossendo.
Il biondo le si avvicinò, scrutandola serio.
“Strawberry, che succede?”
Lei abbassò lo sguardo, incapace di sostenere il suo. “Niente”
Ryan sbuffò. “Se è per stanotte…”
 “Ho detto che non è niente!” lo interruppe, alzando la voce.
Si accorse subito di aver esagerato, ma era più forte di lei. Era troppo spaventata da quello che stava provando e troppo infastidita dall’atteggiamento di lui.
Non sapeva neanche lei cosa voleva che facesse, ma aveva bisogno di stare da sola per elaborare tutto e schiarirsi le idee.
“Bene. Allora vai” le disse Ryan.
Era tornato freddo e impassibile. Lo stesso professore che aveva conosciuto all’inizio.
Si voltò senza dirgli nulla e uscì dalla stanza.
Raggiunse la sua camera di corsa e quando fu dentro chiuse la porta con forza, appoggiandovisi con la schiena.
Adesso lo sapeva.
L’aveva negato in ogni modo possibile, perché era illogico.
Non poteva essersi innamorata di lui.
Ma più ripensava al suo sguardo gelido che talvolta diventava dolce, al suo modo assolutamente incredibile di provocarla e di farla arrabbiare come nessun altro sapeva fare, al suo tocco gentile quando le accarezzava i capelli, alle sue labbra che sensuali si muovevano con le sue, al suo sorriso malizioso, ironico e soprattutto a quello spontaneo, il più bello, non riusciva a giungere a nessun’altra conclusione.
E il battito impazzito del suo cuore era la conferma che non aveva cercato, ma era giunta inaspettata.
Strawberry Momomiya si era innamorata di Ryan Shirogane.








Eccomi qua, con il diciannovesimo capitolo (caspita!) :)
Non è una novità, ma so di essere in ritardo T__T
Il capitolo è leggermente più corto del solito. All'inizio avevo pensato di inserire alla fine un paio di pagine di chiarimento tra Strawberry e Lory, ma poi ho deciso di far slittare questa parte al capitolo successivo e di dedicare tutto questo cap alla svolta con Ryan.
L'idea era di trasmettere l'attrazione fisica evidente tra i due, ma anche e soprattutto la nascita del sentimento... era la cosa che mi premeva di più e spero di non aver esagerato in nessuno dei due sensi! Tendo a farmi prendere la mano xD


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Capitolo 20
*** Click ***





Capitolo 20 – Click
 



Il mare cristallino, il sole cocente, la leggera brezza estiva, i gabbiani, il porto: una giornata perfetta per visitare l’isola vicina. O quasi.
“Momomiya?”
Strawberry si voltò di scatto, rischiando di perdere l’equilibrio per la troppa foga. Con il cuore in gola, si trovò ad incrociare lo sguardo di quello che ormai era diventato l’oggetto dei suoi pensieri.
Arrossì.
“Che c’è?” chiese, scordandosi di colpo le formalità.
Lo vide aggrottare la fronte, non seppe dire se per il fastidio o la perplessità, ma abbassò il capo, incapace di sostenere l’incontro con quegli oceani in cui più volte aveva immaginato di annegare.
“Hai intenzione di restare qui?” le domandò il suo insegnante.
Nonostante fosse glaciale, Strawberry rabbrividì al suono piacevole della sua voce.
Doveva assolutamente darsi una calmata.
Non era la prima volta che la sentiva, perché rischiare di farsi venire un infarto?
“N-no. Arrivo” mormorò.
Gli passò accanto di corsa, evitando accuratamente di guardarlo, e percorse la passerella in legno finchè non arrivò sul traghetto. I suoi compagni erano già a bordo e poco dopo Ryan li raggiunse, dando disposizioni per la partenza ad un uomo che aveva tutta l’aria di essere un pescatore della zona.
I suoi occhi si soffermarono quasi automaticamente su Ryan, mentre la testa le si riempiva delle immagini del bacio che si erano scambiati, come se qualcuno stesse premendo all’infinito il tasto rewind, giusto per il gusto di farla impazzire.
Si accorse di avere la pelle d’oca e cercò di ignorarla, concentrandosi sull’acqua che si apriva lasciandosi alle spalle una scia schiumosa al passaggio del traghetto.
Non servì a molto.
Ma era sempre stato così?
Improvvisamente, l’effetto che Ryan aveva su di lei era diventato forte, troppo forte, tanto da spaventarla. E forse era stato proprio questo a spingerla ad evitarlo nei due giorni precedenti, lo scontrarsi con emozioni che non era certa di aver mai provato prima e che erano emerse all’improvviso, travolgendola.
Scappare a quel modo dopo averlo baciato non era un atteggiamento maturo, così come impedire a Ryan di parlarle quelle poche volte che ci aveva provato, lo sapeva, ma non era in grado di fare diversamente.
Aggiungendo poi il fatto che, dopo quella notte, in sua presenza non faceva che arrossire e pronunciare sillabe sconnesse… no, non sapeva proprio come affrontarlo.
Sospirò, sistemandosi su una panca, mentre la solita Megumi cercava di intrattenere il professore in una conversazione che lui non sembrava apprezzare particolarmente.
Ma doveva proprio stargli appiccicata così? Con quella mano posata casualmente sul braccio del prof, poi…
Sbuffò infastidita e si avvicinò alla professoressa Mihano che stava riunendo gli studenti con un gran sorriso stampato in volto.
Poco male, tanto da dove si trovava non sarebbe riuscita a sentire una sola parola di quel che si stavano dicendo quei due.
Ecco, la gelosia era una delle componenti dell’essere innamorata che non apprezzava particolarmente, soprattutto perché era spuntata inaspettatamente soltanto dopo che si era accorta di esserlo a tutti gli effetti.
Così non valeva, era una grandissima fregatura!
“Ragazzi, aprite bene le orecchie: i vostri bravissimi e gentilissimi professori… Sì, avete capito bene, non fate quelle facce!” esclamò, suscitando una risata generale. “Come dicevo, i vostri bravissimi e gentilissimi professori” e indicò se stessa e Ryan, che le si era affiancato appoggiandosi alla parete della cabina con aria piuttosto indifferente.
Al solito, insomma.
“Hanno deciso di accettare la proposta avanzata dai rappresentanti delle varie classi, permettendo loro di organizzare una festa di fine campo estivo in un locale che…”
Il resto delle parole si perse tra le urla entusiaste dei ragazzi e i gridolini delle ragazze. Non appena le fu possibile, Strawberry si fece spazio per arrivare dall’insegnante.
“Professoressa?” la chiamò, gentilmente.
Subito, avvertì lo sguardo indagatore di Ryan su di sé. Era lì accanto e, anche se stava cercando palesemente di evitarlo, quello che non poteva ignorare era il caldo che stava esplodendo dentro di sé, accompagnato da un battito cardiaco frenetico.
“Dimmi, Momomiya”
“Ecco, non ho sentito bene. Quando... sarebbe la festa?” domandò.
La donna le sorrise. “Ma domani, ovviamente, la nostra ultima sera qui”
“E ci saranno tutti, giusto? Tutti, tutti?”
Accidenti, se Ryan aveva deciso di trapassarla con gli occhi, ci stava riuscendo benissimo! Era tesa come una corda di violino per colpa sua.
“Certo, insegnanti compresi. Non crederete di scaricarci, abbiamo delle responsabilità nei vostri confronti” la informò, allegramente.
Oh, perfetto. Quindi, aveva ben due problemi. Non solo Mark, ma anche Ryan.
Non vedeva l’ora di passare una serata a decidere quale dei due – anzi tre, contando anche Lory – evitare.
“Vorresti che lasciassimo a casa qualcuno?” le chiese la Mihano, ironica.
Sorrise, nervosa. “Ehm… veramente… io preferirei non partecipare” ammise.
La professoressa le rivolse una strana occhiata e, nel contempo, Strawberry avvertì lo sguardo di Ryan farsi più bruciante.
Oddio…, pensò, sperando di non andare a fuoco per quanto fosse intenso.
O forse era solo una sua impressione.
“E per quale motivo?”
“Io… non amo molto le feste”
Pessima scusa, come sempre. Prima o poi avrebbe dovuto imparare a mentire come si deve o non avrebbe fatto altro che collezionare figuracce, il che non era molto allettante.
“Momomiya, non dire sciocchezze. Avete insistito tanto perché si potesse fare una festa e adesso parteciperete tutti. Vedrai che ci sarà da divertirsi!”
Aveva la netta sensazione che la Mihano fosse più elettrizzata di tutti gli studenti messi insieme.
“Ma…” provò a protestare, ma capì subito di non avere possibilità di replica. “D’accordo” borbottò.
“Bene, cara. Adesso torna dai tuoi compagni” la incalzò, chiudendo la conversazione.
Per la prima volta, Strawberry guardò direttamente Ryan, rivolgendogli un’occhiata truce che non sapeva bene se fosse per dirgli “Dammi una mano!” o “Perché cavolo continui a fissarmi?!”. Ma lui si limitò a scrollare le spalle e ad osservarla allontanarsi.
Si recò sul piccolo ponte posteriore, furibonda, e fu grata del fatto che almeno non ci fosse nessuno. Era di solitudine che aveva bisogno in quel momento, nient’altro.
Niente feste, niente Ryan, niente Mark e niente…
Lory, appunto.
Non l’aveva notata subito, forse perché era accovacciata a terra in un angolo. Era aggrappata con una mano alla ringhiera che faceva da parapetto e sembrava non stare per niente bene.
Quando erano andate in gita al lago, tre anni prima, Lory era stata malissimo sulla barca ed evidentemente il mal di mare non le era ancora passato.
Non parlava con lei da quel giorno e, malgrado la delusione, non poteva nascondere che ne sentisse la mancanza.
In un primo momento pensò di fare finta di niente e andarsene, in fondo Lory non l’aveva vista, ma quando fu sul punto di farlo si sentì la persona peggiore del mondo.
Rimase dov’era, combattendo contro se stessa.
Una parte di lei le diceva di lasciar perdere, che non era un problema suo, che Lory le aveva fatto del male. L’altra parte le ricordava che quella che aveva davanti era la sua migliore amica, la stessa che fino ad allora le era stata vicina, l’aveva consolata e incoraggiata, la stessa che aveva fatto uno sbaglio. Ma era stata proprio lei a dirle che l’importante era chiedere scusa.
Accidenti a te, Straw!, si rimproverò.
Tornò indietro, frugando nello zaino in cerca di quelle gomme da masticare che aveva messo in valigia apposta per l’amica, perché ricordava il suo malessere.
Le si avvicinò e le toccò lievemente la spalla, facendola sussultare.
“Tieni” le disse.
Lory la guardò stupita e i suoi grandi occhi chiari si erano già riempiti di lacrime mentre Strawberry le si sedeva accanto, lasciando scendere le gambe a penzoloni oltre il bordo.
Incrociò le braccia sulla ringhiera, appoggiandovi il mento, e prese un respiro profondo. L’amica infilò in tasca il medicinale perché forse ne avrebbe avuto ancora più bisogno dopo, perché quello era il momento dei chiarimenti, delle accuse e delle scuse e non era sicura di come sarebbero andate le cose.
Eppure in un primo momento non ci fu altro che silenzio, quei silenzi che non pesano, che solo tra vere amiche possono esserci. Solo che, questa volta, era contornato da un velo di fiducia sottile, pronto ad andare in frantumi.
Fu Strawberry, dopo qualche minuto, a parlare.
“Ci ho pensato. Di solito sono impulsiva, ma questa volta ho aspettato e ho provato a ragionarci perché eri tu e non volevo fare sbagli. Però... non sono riuscita a capire.”
Si voltò a guardarla e non era certa di essere riuscita a mantenere una maschera di impassibilità come quella che indossava Ryan. Probabilmente no, non era capace di celare le proprie emozioni, anche se le avrebbe fatto comodo ogni tanto.
“Tu credevi che, se me ne avessi parlato, io non avrei capito?”
Non rispose, ma evitò il suo sguardo diretto e sincero. Come poteva reggerlo dopo averle detto solo bugie?
“Lory, eri… sei… la mia migliore amica! Non avrei mai permesso a un ragazzo di mettersi tra noi, nemmeno se si fosse trattato di Mark!”
“Sono stata una stronza, lo so…” ammise.
“Si, lo sei stata!”
Le parole le uscirono di bocca automaticamente, prima ancora che potesse rimanere stupita per il linguaggio utilizzato dall’amica e che solitamente non le apparteneva. Nonostante questo, si accorse di averla spiazzata e si sentì subito in colpa per essere stata così dura, ma non credeva nemmeno di avere tanta rabbia dentro.
Per una volta, però, voleva comportarsi da persona matura, non voleva fare la bambina che Ryan l’accusava ironicamente di essere, ma permettere a Lory di raccontarle finalmente la verità.
“All’inizio, quando ho capito che Mark mi… piaceva” arrossì nell’ammettere quei sentimenti e si sistemò meglio gli occhiali sul naso.
Lo faceva sempre quand’era in difficoltà, perché per un attimo le permetteva di nascondere il viso e l’imbarazzo chiaramente leggibile sulle sue guance.
“Ho cercato di evitarlo, pensando che mi sarebbe passata. Però le cose sono peggiorate quando ho cominciato ad incontrarlo in biblioteca. Io mi fermavo quasi sempre fino all’ora di chiusura, lo sai… e Mark si è offerto più volte di accompagnarmi a casa, finché a un certo punto è diventata quasi un’abitudine…”
Strawberry l’ascoltava in silenzio, mentre ogni pezzo acquistava piano il suo posto, lasciandole un senso di vuoto soffocante.
Le sembrava di parlare con una sconosciuta, una di quelle persone che incontri casualmente sul treno o in fila alla cassa del supermercato e che cominciano a raccontarti avvenimenti della loro vita di cui tu non sai nulla. A quel punto puoi solo limitarti ad annuire di tanto in tanto per non sembrare scortese, lanciando di nascosto fugaci occhiate all’orologio perché in realtà non vedi l’ora di andartene.
In quel momento Lory le stava raccontando la sua “storia” con Mark, una storia che Strawberry non conosceva, stralci di vita di cui avrebbe voluto essere partecipe, ma dai quali era stata chiusa fuori senza possibilità di scelta.
E, esattamente come le capitava con quegli sconosciuti incrociati per caso, non desiderava altro che il racconto finisse per poter scappare via.
Ma, questa volta, non ne sarebbe uscita semplicemente con un sorriso o una divertita esasperazione.
Questa volta, avrebbe fatto male.
Lasciò a Lory tutto il tempo che voleva per spiegarle la situazione, sopprimendo più volte la voglia di interromperla e gridare, mentre avvertiva un nodo alla gola sempre più opprimente.
Fu la voce della professoressa Mihano, che invitava gli studenti a raggrupparsi perché ormai prossimi all’arrivo, a metter fine al racconto.
Strawberry sapeva di dover dire qualcosa, ma cosa? Le aveva mentito persino quella sera, quando si erano incontrate al ristorante, non dicendole che aveva appena cenato con Mark!
Aveva sperato che, parlandone, avrebbero potuto trovare una soluzione… ma si era scoperta distrutta e sempre più arrabbiata ad ogni parola pronunciata da quella che doveva essere la sua migliore amica e a cui aveva sempre voluto un bene immenso.
“Scusami” mormorò infine, e Lory sollevò istintivamente il capo, guardandola ad occhi spalancati, chiedendosi probabilmente per quale assurdo motivo si stesse scusando. “Io non credo… di farcela.”
La ragazza dai capelli verdi fece aprir bocca, ma si bloccò.
“Forse con il tempo… ma adesso non riesco a fidarmi”
Quanto faceva male dirlo ad alta voce.
Si passò un braccio sugli occhi per scacciare le lacrime che premevano per uscire e deglutì. “Non riesco a considerarti… ancora la mia migliore amica. S-scusa.”
Guardò Lory negli occhi, scoprendoli velati dalle lacrime esattamente come i suoi. Ma se si volevano così bene, perché accidenti erano arrivate a quel punto?
Sobbalzò nel sentire il suono che avvertiva dell’arrivo all’isola. Buttò fuori l’aria lentamente, sperando invano che magari portasse via anche quel peso sullo stomaco che non riusciva a togliersi.
“Dobbiamo andare” disse, non sapendo come altro concludere la conversazione.
Poi si voltò, camminando lentamente per accertarsi che Lory non pensasse di restare sul traghetto. Quando sentì che la stava seguendo, si affrettò a raggiungere gli altri, già riuniti attorno agli insegnanti.
Doveva solo ricordarsi di tenere la testa bassa, altrimenti si sarebbero accorti che stava piangendo.
 
 

Appena aveva messo piede sull’isola, Strawberry ne era rimasta affascinata.
Certo, per i colori e le case tanto piccole da sembrare finte, ma soprattutto aveva notato quell’infinita scalinata che doveva portare al punto più alto dell’isola, da cui sicuramente avrebbe potuto godersi il panorama in tutta tranquillità.
Vi si recò non appena i professori diedero ai ragazzi la possibilità di visitare liberamente il luogo e quasi certamente si perdette un paio di volte perché ci impiegò fin troppo tempo per trovare quella scala che ad occhio le era parsa così vicina.
Salì i gradini quasi di corsa, desiderosa di avere un po’ di quella solitudine che l’aveva sempre spaventata, ma di cui avvertiva improvvisamente una forte necessità.
Ormai non poteva più parlare con Lory, né con Mark. E Ryan…
Ryan era là, appoggiato al muretto, lo sguardo perso verso l’orizzonte. Era tremendamente bello, con il sole che ne incorniciava i lineamenti, ma al tempo stesso sembrava così triste che Strawberry desiderò ardentemente di entrare nel suo cuore per spazzare via tutto il dolore che stava provando.
Perché ormai aveva imparato a interpretare i suoi gesti e le sue espressioni e sapeva perfettamente cosa significasse quello sguardo malinconico.
Stava pensando a Kari.
Ne era certa perché, quando pensava a lei, i suoi occhi assumevano una sfumatura diversa, un po’ come il mare che, nei punti in cui è più profondo, ci da l’impressione che l’acqua sia più scura.
Ora, non sapeva se si trattasse di un’illusione o fosse effettivamente così, ma negli occhi di Ryan accadeva esattamente la stessa cosa.
Lo fissò per pochi secondi, ma che a lei sembrarono un tempo molto più lungo. Non si accorse nemmeno di avere tra le mani la macchina fotografica, quasi come fosse sotto l’effetto di un incantesimo e, automaticamente, premette un tasto.
Click.
La sua immagine impressa  in uno scatto.
Click.
La sua immagine impressa sul cuore.
 
 

Non credeva che sarebbe mai stata felice della fine di una gita, ma in questo caso non vedeva davvero l’ora di tornare a casa e buttarsi alle spalle tutto quanto.
Farsi beccare da Ryan mentre gli scattava involontariamente una foto era stata la botta finale.
Non contenta, quando lui si era voltato a guardarla (non era sicura se con un’espressione più sorpresa o divertita) si era agitata, facendo cadere per terra la macchina fotografica che sicuramente era passata a miglior vita dopo un volo del genere.
A quel punto l’aveva raccolta e se l’era data a gambe.
Gran bella mossa, si poteva essere più stupidi?
Sospirò mentre scendeva a fatica le scale che conducevano alla lavanderia dell’albergo, con una grossa cesta di vestiti da lavare a limitarle la visuale.
Aveva tutte le gambe indolenzite per quanto aveva camminato durante quella giornata e non vedeva l’ora di andare a dormire, ma se fosse tornata a casa con tutti quei panni sporchi sua madre le avrebbe fatto un sacco di storie.
A quell’ora, se non altro, non avrebbe incontrato i suoi compagni, visto che dovevano essere tutti impegnati a prepararsi per quella stupida festa a cui non aveva nessuna voglia di partecipare.
“Momomiya!”
Meno male che non doveva esserci nessuno…
“Professoressa…” salutò.
Posò a terra la cesta e rimase un attimo impalata, prima di aggiungere: “Oh. E… professore.”
Ryan la ignorò senza troppi complimenti, intento a mettere il detersivo in una delle lavatrici, mentre la Mihano le si avvicinò con aria contrariata.
“Cosa ci fai ancora vestita così?”
Perché? La tuta della scuola era poco adatta per passare una serata in camera a leggere riviste e strafogarsi di merendine?
 “La festa, Momomiya! Usciamo tra meno di un’ora e non credo che tu voglia venire con questo abbigliamento”
Oh, la festa. “Devo proprio…”
“Sì, cara. Devi proprio” la interruppe la donna, la sua voce ferma tradiva il sorriso mieloso stampato sul viso.
“Volevo fare questa lavatrice, poi vado a prepararmi” disse allora, indicando la montagna di panni ai suoi piedi.
L’insegnante annuì soddisfatta, prima di congedarsi. “Va bene, ma fai in fretta!”
Prese a gettare con stizza i vestiti in lavatrice, sbuffando per il programma della serata.
Solo in un secondo momento realizzò di essere rimasta da sola con Ryan, in quella specie di scantinato poco illuminato.
E l’ultima volta che era capitato, le cose avevano preso una piega che…
Si fermò, reprimendo un brivido tutt’altro che spiacevole, ma che etichettò comunque come tale.
Un conto era ammettere che poteva essersene innamorata, un altro era accettare che il suo corpo reagisse così facilmente alla sua sola presenza.
Adottò la tattica che aveva messo in atto anche nei giorni precedenti: lo ignorò.
Ovviamente, non si aspettava che Ryan facesse lo stesso, ma per un attimo ci aveva sperato.
“Pensi di evitarmi ancora per molto?”
Senza capire come, se lo trovò accanto, appoggiato alla lavatrice vicina, con le braccia conserte.
“Non la sto evitando” mentì.
Ryan alzò un sopracciglio.
“Oh, insomma. Mi lasci stare” Premette il tasto per il lavaggio, ma l’apparecchio non si azionò.
Riprovò, mentre avvertiva l’intero corpo in tensione.
Sentì il suo insegnante sospirare. “Ce l’hai con me?”
“No” ribatté secca, prendendosela con quel dannato pulsante. “Perché questa cosa non funziona?!”
Quando Ryan le bloccò il polso, sentì distintamente ogni singolo dito posarsi sulla sua pelle e dimenticò di avere altri sensi oltre al tatto, probabilmente perché tutta la sua attenzione era concentrata su quel punto e sulle sensazioni che un semplice contatto con lui le regalava.
Lo vide sporgersi lentamente verso di lei e andò in panico.
Come già era capitato, pensò che l’avrebbe baciata e, esattamente come le altre volte, non accadde.
Sentì solo un bip e il rumore della lavatrice che si metteva in funzione.
Guardò Ryan, sbattendo le palpebre più volte.
“Prima di tutto, bisognerebbe accenderla”
Il tono che usò poteva essere adatto ad un altro tipo di situazione e l’unica cosa che le ricordò che la stava prendendo in giro fu il sorrisetto divertito che fece capolino sul suo volto.
“Dovrebbe smetterla di trattare così le sue allieve” commentò.
Voleva mantenere un certo distacco, ma in fondo sperava in una risposta simile a quella che Ryan le diede.
“In realtà, tratto così solo te” Giocherellava con la chiave della sua camera e sembrava indifferente a tutto, però poi se ne usciva con una frase del genere.
Ryan era un tipo molto diretto, ma con lei, per chissà quale motivo, usava sempre giri di parole, provocava o, se diceva qualcosa di serio, il momento dopo si metteva a ridere alleggerendo l’atmosfera, cosa che Strawberry si aspettava effettivamente di vedere.
Quando non accadde, si trovò ad arrossire fino alla punta dei capelli di fronte a quell’affermazione così sincera.
“Negli ultimi giorni, sei arrossita ogni volta che i nostri sguardi si sono incrociati” le fece notare. Di nuovo, nessuna traccia di ironia nella voce né sul viso.
Voleva davvero parlare seriamente con lei?
Era capitato raramente ed ora più che mai temeva un confronto senza le battute e le rispostacce su cui si era sempre fondato il loro strano modo di comunicare. Spaventata, sentì il bisogno di correre ai ripari.
“Non è vero!” esclamò, per riportare la conversazione ai toni abituali.
“Lo è, eccome”
“No!” ribadì.
Ryan si passò una mano tra i capelli, spazientito. “Strawberry, sei in grado di essere seria per una volta?”
Non ci stava, non questa volta. Si stava esponendo, nonostante non fosse facile per lui.
Strawberry portò le mani sui fianchi. “Senti da che pulpito!”
“Lasciamo perdere…” disse, deciso ad andarsene.
Il fatto che Strawberry fosse così infantile la rendeva paradossalmente attraente, ma per certi aspetti si rivelava esasperante. E lui non aveva mai avuto molta pazienza.
Aveva ormai raggiunto la porta quando si sentì chiamare. Si voltò e ai piedi della scalinata trovò una Strawberry con le guance rosse e gli occhi abbassati che gli suscitò una voglia di tenerezze a  cui non era abituato.
“E va bene” disse lei. “Mi vergogno, ok?”
Alzò la testa solo quando Ryan le fu nuovamente davanti, seppur con imbarazzo. Non era poi così vicino, ma il battito accelerato del suo cuore le ricordò che era comunque oltre la distanza di sicurezza perché i suoi ormoni non impazzissero.
“Ti vergogni… per cosa?”
Strawberry gli rivolse una strana occhiata. “Non mi sta prendendo in giro, vero?”
“No. Sto cercando di capirti” replicò con sincerità.
Lei parve pensarci un po’, indecisa se credergli o meno. “Per… il bacio” confessò, infine.
Era l’occasione giusta per parlare, per affrontare i suoi sentimenti, ma la verità era che aveva paura. Una paura spropositata ed irrazionale che per Ryan quel bacio non avesse avuto importanza, che fosse stato solo l’ennesimo scherzo.
In fondo al cuore forse sapeva che non era così, perché lui era stato di una delicatezza unica quando si era appropriato delle sue labbra e aveva sentito chiaramente i suoi muscoli tesi nel tentativo di trattenersi quando aveva approfondito il contatto, però istintivamente reagì nel modo peggiore.
“Mi ha… mi ha baciata anche se aveva promesso di non farlo più se io non gliel’avessi chiesto!” esclamò, sulla difensiva.
Ryan parve sorpreso, ma un attimo dopo piantò le sue iridi azzurre in quelle di Strawberry, sconvolgendola. Avevano qualcosa di incredibile, quegli occhi.
Quando parlò, la sua voce era bassa e terribilmente seria.
“Un bacio come quello, Strawberry, si dà in due. E sinceramente non credo di averti costretta a niente”
Si stava innervosendo. Poteva accettare che avesse paura di sensazioni per lei nuove e scappasse, ma addirittura comportarsi come se lui avesse agito contro la sua volontà era troppo!
Strawberry abbassò lo sguardo. “Non intendevo questo”
“Pensi che sia stato uno sbaglio?” le domandò Ryan, diretto. 
La vide vacillare, mordendosi il labbro inferiore.
“E’ questo che pensi… Momomiya?”
Lei tornò a guardarlo, ad occhi spalancati. Quando tornava a chiamarla per cognome, non era un buon segno, quello era il primo passo per mettere tra loro una distanza che Strawberry non voleva.
Eppure non riusciva a muoversi, né a dargli una risposta, bloccata a metà tra i suoi sentimenti e le sue paure.
Ryan si spazientì. “Ho capito”
Non disse nulla, ma la sua espressione interrogativa dovette bastare.
“Chi tace acconsente. Giusto?”
No!
“Prof!” lo chiamò, ritrovando la voce soltanto quando Ryan era ormai in procinto di uscire. Doveva dirgli la verità, era stata una stupida a comportarsi così, non voleva fargli credere che quel bacio fosse stato uno sbaglio.
Ma fu lui a farlo, gelandola prima che potesse aggiungere altro.
“Hai ragione. E’ stato un errore.”
 
 

Era in ritardo e tutto per colpa di Ryan.
Si mise di fretta l’abito color pesca che aveva messo in valigia in vista di una serata simile. Certo, allora aveva pensato che l’avrebbe indossato per Mark, ma visto che l’aveva portato, tanto valeva sfruttarlo.
Diede una spazzolata ai capelli, mentre ancora ripensava alle parole di Ryan.
Uno sbaglio, l’aveva chiamato. Il loro bacio non era stato altro che questo?
Bè, la stupida era stata lei che gliel’aveva fatto credere, lo sapeva.
Scema, sei una scema!, si rimproverò, infilando controvoglia le décolleté che una certa Katherine le aveva consigliato.
Strawberry non era una grande amante dei tacchi. Le piacevano, ma da guardare. Camminarci era tutto un altro conto e aveva già preparato sul letto una scatola di cerotti per le vesciche che avrebbe sicuramente avuto al termine della festa.
Scese al pian terreno e, come previsto, erano già tutti pronti ad aspettare solo lei.
Stava per scusarsi, ma anche i rimproveri della professoressa Mihano si persero nell’aria quando i suoi occhi si posarono quasi automaticamente su Ryan.
Era il solito, distaccato e indifferente in mezzo agli studenti elettrizzati, solo cento volte più bello.
Forse era la camicia, con quei due bottoni slacciati al punto giusto, a dargli quell’aria così… non sapeva neanche come definirlo, ma le piaceva da impazzire.
Deglutì, sperando di non avere un’espressione ebete dipinta in viso, ma lui non la stava guardando in ogni caso.
Un errore. Un errore.
Quelle parole continuavano a rimbombarle nella testa, provocandole fitte in corrispondenza di quel muscolo che palpitava fuori controllo e che cominciava a detestare.
 “Prof! Stasera ballerà un po’ con me?” la voce stridula di Megumi la fece sussultare, destandola dai suoi pensieri.
Si voltò dall’altra parte, portando le mani sulle orecchie per non sentire la risposta.
Solo un errore, si ripeté.
Un altro, dopo Lory e Mark.
Non li aveva ancora visti e li incrociò per un attimo solo quando erano ormai giunti al locale.
Si stava dirigendo al bancone a prendere qualcosa da bere, qualcosa di forte perché vedere Megumi chiacchierare tranquillamente con Ryan la stava facendo impazzire. Magari gli stava chiedendo cosa ne pensasse del suo vestito, anche se non c’era molto da dire visto che lasciava veramente poco spazio all’immaginazione. Perché mai i professori l’avevano lasciata uscire conciata così?
Si sedette su uno sgabello, ignorandoli, ma non appena lo fece si trovò davanti Mark e Lory. Il fatto che fossero insieme, mano nella mano, le fece uno strano effetto.
Non riuscì a spiegarsi la sensazione che provò, la stessa che aveva avvertito quando aveva parlato con l’amica, era come se fossero due sconosciuti con le sembianze dei suoi amici.
Quando la vide, Lory lasciò andare di colpo la mano di Mark. Lui l’assecondò, d’altronde si sentiva in colpa quanto lei nei confronti di Strawberry.
Restarono a guardarsi, poi la rossa decise di far finta di niente. Cos’altro avrebbe potuto fare?
Fece un giro sullo sgabello, lasciandosi alle spalle Mark, Lory, Ryan e chiunque altro potesse ferirla.
Individuò il barman, un tipo abbronzato, con i capelli rasati e le braccia ricoperte di tatuaggi che un po’ le facevano impressione.
“Scusami…” lo chiamò, urlando per sovrastare la musica. “Ehm… vorrei qualcosa da bere”
“Cosa prendi?” chiese il ragazzo, sfoggiando un sorriso abbagliante.
“Non ne ho idea… non c’è, non so, un succo di frutta?”
L’altro rise, convinto che lo stesse prendendo in giro. “Tesoro, non siamo all’asilo”
Strawberry si guardò attorno. Non aveva mai bevuto in vita sua e non conosceva il nome di nessun cocktail. Poi notò una ragazza seduta dalla porta opposta del bancone, con in mano un bicchiere di… acqua azzurra?
“Voglio quello” disse, indicandolo.
Il ragazzo strizzò l’occhio, sorridendole. “Un cocktail per la signorina, arriva subito.”
Non voleva, ma le venne spontaneo girarsi a cercare Ryan con lo sguardo. Ma non vide né lui né Megumi e il fastidio che aveva cercato di soffocare tornò a farsi sentire con prepotenza.
Dove cavolo erano andati?
Continuò a guardarsi attorno con insistenza, finché non si trovò ad assistere all’unico bacio che non avrebbe voluto vedere. Poco più in là, Mark si era sporto in avanti, sfiorando le labbra di Lory, seduta su un divanetto.
Magari anche Ryan stava facendo la stessa cosa con Megumi.
Si sentì male. Era stanca di essere ferita, stanca di quel campo estivo, stanca di tutto.
E quando il ragazzo tornò da lei con il suo cocktail, ne trangugiò in un attimo mezzo bicchiere.
“Ehi, vacci piano” la ammonì il giovane, divertito.
“E’… molto alcolico?” domandò, guardando disgustata la bevanda. Aveva un saporaccio, come faceva quella ragazza là in fondo a bere quella roba?
“Alcolico? Bellezza, questo è una bomba!”
Oh, perfetto.
Ne buttò giù un altro sorso, senza esagerare questa volta. Nel giro di cinque minuti, però, le conseguenze cominciarono già a farsi sentire.
Cercò di alzarsi, ma un giramento di testa la costrinse a restare seduta. Le sembrava che il pavimento si muovesse, come facevano le luci.
Si accorse che il ragazzo del bar la stava sorreggendo, senza capire quando si fosse spostato accanto a lei. Fece un altro tentativo di tirarsi su, finendogli direttamente tra le braccia.
“Oh, scusami” mormorò, sostenendosi con le mani appoggiate sul suo petto.
“Ehi, te l’avevo detto di andarci piano” esclamò il ragazzo, portandola a risedersi sullo sgabello. “Non c’è nessuno che può riaccompagnarti a casa?”
Strawberry scosse il capo, ma non si rese conto effettivamente di cosa accadde dopo.
All’improvvisò si trovò ad esser trascinata fuori dal locale e ci mise un po’ per capire che la persona insieme a lei era Ryan.
Non riuscì ad opporre resistenza, anche perché era certa che se lui l’avesse lasciata andare non sarebbe stata in grado di reggersi sulle proprie gambe.
“Sei proprio scema!” la apostrofò Ryan, mentre aspettavano l’autobus per tornare all’hotel.
“Scema?!”
“Si può sapere cos’hai bevuto?” domandò, senza mollare il suo braccio.
Strawberry corrugò la fronte. “Non lo so… era azzurro. Ma faceva schifo” lo informò.
“Mi spieghi come ti è saltato in mente di prendere un angelo azzurro senza sapere cosa fosse?” Scosse la testa, esasperato. Quella ragazza ne combinava sempre una.
L’autobus arrivò e Strawberry permise a Ryan di aiutarla a salire senza fare troppe storie.
“E’ colpa sua” si lamentò, sprofondando nel sedile.
Il biondo la guardò accigliato.
“Dov’è sparito con Megumi, eh?”
Oddio, ferma, ferma, ferma!, si disse. Ma le parole le uscivano come un fiume in piena e non sapeva come impedirsi di dire qualche sciocchezza.
“Ha baciato anche lei?”
Ryan sorrise. Sembrava lucida, quindi non era ubriaca, ma aveva bevuto abbastanza perché i suoi freni inibitori cedessero. E il risultato era un’inaspettata sincerità che forse normalmente non gli avrebbe concesso.
“Non ha risposto alla mia domanda. Mi lasci andare!” esclamò, quando arrivarono in albergo. Ryan la ignorò e continuò a trascinarla lungo il corridoio, grato del fatto che l’uomo della reception stesse dormendo beatamente. Era già tanto che fosse riuscito a sgattaiolare via dal locale senza essere notato dai suoi colleghi o dagli studenti.
“Dammi la chiave” le disse, fermandosi davanti alla stanza di Strawberry.
“No” si rifiutò, incrociando le braccia. Ma barcollò e fu costretta ad appoggiarsi alla parete.
“Momomiya, la chiave.”
Strawberry provò a reggere il suo sguardo, ma fu costretta ad arrendersi dopo poco. In quelle condizioni, avrebbe sicuramente avuto la meglio lui.
“Uffa!” borbottò, mettendosi a frugare nella borsetta. Porse la chiave a Ryan che aprì la porta, precedendola dentro la camera.
“Grazie, adesso può anche tornare da Me…”
Ryan si girò verso di lei, pronto a ribattere, ma non ne ebbe il tempo. Senza sapere come, si ritrovò a terra, con Strawberry addosso.
“Quanto pesi…” la prese in giro.
Lanciò un’occhiata oltre la spalla della ragazza giusto per capire che era inciampata nel tappeto e pensò bene di trattenersi dal ridere. Almeno questa volta non doveva essere frutto della sua sbadataggine, ma dell’alcool.
Strawberry si rialzò, rimanendo in ginocchio davanti a lui, permettendogli così di mettersi seduto. Portò le mani sulle sue spalle, perché la testa le girava ancora un pochino.
Poi sentì le mani di Ryan sui suoi fianchi e fu certa che tutti i suoi sensi annebbiati si fossero risvegliati. Il calore provocatole da quel cocktail non era niente in confronto a quello che stava provando in quel momento.
Ci furono pochi secondi di silenzio, durante i quali Ryan appoggiò la fronte contro il suo petto e Strawberry lo lasciò fare perché sapeva che non le avrebbe fatto niente.
Improvvisamente, si sentì come ammansita, tranquilla.
“Non è da te buttarti tra le braccia del primo che incontri…” le disse lui, riferendosi al ragazzo del locale.
“E’ per caso geloso?” lo punzecchiò, ridendo.
Ryan si sporse fino a raggiungere il suo orecchio, rafforzando la presa sui fianchi.
“Decisamente!” sussurrò, facendola avvampare. “Insomma, credevo avessi gusti migliori, Momomiya!” aggiunse divertito, mentre si scostava.
“Bè, sa… Mark non si è rivelato proprio una buona scelta!” si difese, sorridendo.
Si guardarono per un attimo e scoppiarono a ridere come bambini. Senza tutti quei pensieri negativi che le avevano riempito la testa fino a poco prima, Strawberry realizzò di stare bene. E capì che, come aveva mentito lei, forse anche Ryan l’aveva fatto quando aveva definito quel bacio uno sbaglio.
Ne fu certa quando tornarono seri e si trovarono con gli occhi incatenati tra loro, mentre dei brividi carichi di attesa e tensione le percorrevano la schiena.
“Strawberry?” soffiò Ryan, quasi sulle sue labbra.
“Sì?” chiese, in un sospiro.
“Posso baciarti?”
E lì fu il fuoco. Ovunque. Partiva dai fianchi, dove sentiva distintamente la presa di Ryan attraverso la stoffa del vestito, e si propagava nel resto del corpo, fino a raggiungere il muscolo più importante, quel cuore che le martellava nel petto a una velocità impensabile.
“Sì…” mormorò, con il fiato corto.
Le loro labbra si incontrarono e divenne quello il centro bruciante dell’incendio che la stava portando dritta in paradiso.
Permise a Ryan di tirarla a sé, circondandole la vita con la braccia e facendola aderire perfettamente al suo corpo, mentre le loro lingue si cercavano, prima con dolcezza, poi con foga.
Strawberry immerse le mani tra i suoi capelli, come più volte aveva immaginato di fare, e seppe che non c’era altro posto al mondo in cui avrebbe voluto trovarsi.
Non c’era nessun errore.
Lui aveva mentito. Lei si era sbagliata.
L’immagine di Ryan non era impressa sul cuore, come aveva pensato. Sarebbe stato troppo riduttivo.
Ryan le era entrato dentro al cuore.









Mi sembra un miracolo di essere riuscita a pubblicare questo capitolo!
E' stato il più difficile da scrivere e mi sono bloccata per giorni e giorni sul chiarimento con Lory (non mi piaceva e non mi piace del tutto neanche adesso, ma ci sono cose più importanti in questi capitolo xD).
So di avervi fatto aspettare una vita e di aver scritto un capitolo infinito questa volta, perdonatemiiii T__T
Spero vi sia piaciuto!
Mi scuso tantissimo per non aver risposto alle recensioni del capitolo precedente, ma davvero non ne ho avuto il tempo. Le ho lette però tutte e vi ringrazio tantissimo! E' sempre una gioia per me sapere che vi appassionate alla storia :D Quindi, GRAZIE DI CUORE! :)
Comet

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Capitolo 21
*** Verso te ***





Capitolo 21 – Verso te
 


Quel corpo caldo che stringeva con delicatezza e che fremeva quasi intimorito sotto il tocco delle sue mani, gli ricordò con sconcertante stupore che il suo cuore batteva ancora.
Per due anni l’aveva chiuso, spento, fingendo che fosse annegato in quello stesso mare in cui aveva perso Kari, ma adesso era lì, vivo e palpitante.
Ryan credeva che il dolore si sarebbe liberato nello stesso istante in cui l’effetto dell’anestesia forzata a cui l’aveva obbligato si fosse esaurito, ma, con sua sorpresa, non fu così.
Batteva rapido, guizzando nel petto ad ogni scontro delle sue labbra con quelle della ragazza che teneva stretta a sé, ed era tutto, davvero tutto, tranne che doloroso.
Non c’era senso di colpa né tradimento nel miscuglio di sensazioni che percorrevano ogni fibra del suo corpo, risvegliando istinti che, per lungo tempo, aveva cercato di soffocare.
Il respiro gli si spezzò, ma non per le ragioni che si aspettava.
Le mani di Strawberry avevano abbandonato i suoi capelli, mentre inarcava la schiena per trovare una vicinanza che non aveva mai avuto con nessun altro prima.
Ryan lo sapeva e, soprattutto, lo sentiva chiaramente dalla titubanza con cui si muoveva e l’insicurezza con cui cercava i suoi baci, e si scoprì desideroso di averne di più.
Si alzò in piedi, sollevandola con sé, e si stupì piacevolmente quando lei allacciò le gambe intorno alla sua vita, rischiando di fargli perdere il controllo.
Oh, cazzo…
La lasciò scivolare seduta sulla scrivania, interrompendo quel bacio solo per i pochi secondi necessari a riprendere aria.
La guardò e quelle guance rosse, quasi quanto i capelli, gli sembrarono la cosa più bella che avesse mai visto.
Strawberry gli piaceva, sicuramente tanto, innegabilmente troppo.
E non era solo un fattore estetico ad attrarlo, era lei in tutto ciò che faceva e diceva, persino quando lo esasperava con il suo continuo parlare, persino quando lo faceva innervosire con la sua immaturità e quelle idee assurde che tirava fuori da chissà dove.
Le diede un bacio leggero sull’angolo della bocca e sentì le sue labbra schiudersi per approfondire. Sorrise su di esse, prima di accontentarla, chiedendosi se non fosse il caso di fermarsi di fronte a quell’assenza di freni dettata dall’alcool.
E, quando stava per dire addio ai suoi propositi di essere cauto, travolto dalla sensazione inebriante del suo sapore nella bocca, si bloccò.
“Strawberry…” si staccò, guardandola negli occhi. “Che cosa fai?”
Aveva iniziato a slacciare lentamente i bottoni della sua camicia, ma si era inceppata al terzo.
“Voglio guardarla” replicò, decisa. Ma l’espressione del suo viso era fin troppo buffa perché potesse apparire seria. Appoggiò la fronte contro la sua spalla, forse per nascondere il viso e la piccola traccia di imbarazzo che il cocktail non era riuscito a portare via, e ritentò.
Quando Ryan le aveva chiesto il permesso di baciarla, mantenendo, per una volta, la promessa che le aveva fatto, aveva letto a chiare lettere la risposta nei suoi occhi, ma sapeva per certo che, se avessero continuato in quel modo, il suo autocontrollo già provato sarebbe andato a farsi benedire.
In un’altra situazione, se Strawberry fosse stata completamente in sé, le avrebbe forse lasciato fare tutto ciò che voleva, ma non in quel momento, in cui non era certo che a guidarla oltre al bacio fosse la sua volontà.
 “Strawberry…”
Lei lo ignorò, riuscendo ad aprirgli la camicia, e posò una mano al centro del suo petto. Piano, la fece scivolare giù, sfiorando con cautela gli addominali, tracciandone i contorni con l’indice, in un movimento lento ed estenuante, per poi risalire.
Ryan sospirò, sciogliendo i muscoli che si erano irrigiditi, e si costrinse a fermarla prima di fare qualcosa di irreparabile.
Le prese il polso, facendole allontanare la mano, e Strawberry mugolò contrariata per quell’interruzione.
“Non sei nelle condizioni di fare certe cose…” le disse, con voce roca, suonando più convinto di quanto fosse in realtà. Fortunatamente, la sua parte razionale sembrava riacquistare terreno.
In risposta, ricevette un’occhiata truce, davanti alla quale non riuscì a trattenersi dal sorridere divertito. Ecco il suo lato da bambina che veniva fuori, questa volta con una tenerezza disarmante.
“Un passo per volta, che ne dici?”
La prese in braccio e lei si lasciò guidare senza protestare. Anzi, appoggiò la testa nell’incavo del suo collo, accoccolandosi tra le sue braccia e regalando a Ryan la sensazione di sentirla sua.
Lui rimase fermo così per un attimo, stranito da ciò che stava provando.
Ti stai forse innamorando, Ryan Shirogane?, si chiese. Qualcosa dentro di lui si scosse, rivelandogli ciò che, in fondo, già sapeva.
Si accorse di essersi incantato a guardare Strawberry e si diede dello scemo. Doveva sbrigarsi a tornare alla festa, prima che qualcuno si accorgesse della loro assenza e cominciassero a girare strane voci.
Più che per se stesso, che era abbastanza indifferente a questo genere di cose, era preoccupato per le eventuali conseguenze che ci sarebbero state per Strawberry.
Non era il caso di destare inutili sospetti, arrivati a quel punto.
“Sono stanca” sbadigliò Strawberry, gli occhi chiusi e le braccia avvolte attorno al suo collo.
La guardò, sollevando leggermente un angolo della bocca. Non lo regge proprio l’alcool
“Dormi, adesso ti metto a letto” le disse.
“Ma lei viene con me?”
Ryan rise, sicuro che normalmente non gli avrebbe fatto quella richiesta o, comunque, non senza vergognarsi profondamente. La adagiò sul letto, domandandosi se non fosse il caso di farle indossare il pigiama. Una fitta al basso ventre gli fece capire che non sarebbe stata una buona idea. Scartò l’ipotesi, Strawberry l’avrebbe come minimo ucciso se l’avesse spogliata. Si tolse quell’immagine dalla mente e la coprì con il lenzuolo fino alle spalle, come sicuramente avrebbe fatto lei in ogni caso.
“Prof?” Lo fermò Strawberry, quando stava per spegnere la luce.
“Che c’è?”
Lei sorrise, sistemandosi meglio nel letto. “Visto che i miei gusti non sono poi così male?”
Lo disse senza aprire gli occhi, tant’è che Ryan si chiese se non stesse parlando nel sonno.
Dal suo punto di vista, quella appariva come una dichiarazione bella e buona. Non che ne avesse bisogno, dopo i baci tutt’altro che spassionati di poco prima, ma si trovò a sorridere.
“Lo prendo come un complimento” rispose. “Buonanotte, Strawberry.”
Spense la luce e uscì, cercando di non fare rumore nel chiudere la porta.
Quando fu in corridoio, si concesse un secondo per ragionare lucidamente. Si appoggiò alla parete, ravvivandosi i capelli che, grazie a Strawberry, ricadevano disordinati sulla fronte.
Tutto si stava ridimensionando, il battito cardiaco tornò pian piano regolare e il flusso dei pensieri riprese a scorrere. Il dolore, che prima non era arrivato, prese a zampillare dai punti in cui la ferita non si era richiusa, ma non forte come si sarebbe aspettato.
Non era altro che un leggero bruciore, accompagnato da una strana sensazione.
Nella sua mente, per un millesimo di secondo, il volto di Strawberry si sovrappose a quello di Kari, poi tutto si oscurò e a Ryan rimase un’unica certezza.
Senza volerlo, aveva mantenuto quella promessa che aveva sempre cercato di rinnegare.
Eppure, mentre una parte di lui veniva divorata dal senso di colpa, non riusciva a ricordare di essersi mai sentito così bene prima di allora.
 
 
Quella mattina, Strawberry si svegliò con un tremendo mal di testa e la fastidiosa sensazione di avere lo stomaco sottosopra.
Si mise a sedere, spaesata.
Aveva la mente come appannata, ma quel ricordo era vivido e pulsante.
Spalancò gli occhi, mentre una mano correva istintivamente a sfiorare le labbra.
E’ successo davvero?, si domandò.
Oh, sì. Aveva baciato Ryan, questa volta sul serio.
Le sembrava di sentire ancora sulla pelle i brividi e le emozioni che le avevano suscitato il suo sapore e il suo modo di stringerla.
E la sua bocca, poi… Non aveva nessuna esperienza in fatto di baci, ma non poteva immaginare niente di meglio di quelli che le aveva dato Ryan.
Sorrise. Ryan era geloso, Ryan l’aveva baciata, Ryan…
Abbassò di colpo lo sguardo, percorrendo il proprio corpo. Sospirò sollevata quando si accorse di avere ancora addosso i vestiti della sera precedente. Per un attimo, aveva pensato al peggio.
Però c’era qualcosa che non quadrava.
Cercò di fare mente locale.
Aveva bevuto quel cocktail per non pensare più a niente. Doveva essersi ubriacata, o quasi, come una scema, e Ryan l’aveva riaccompagnata in albergo. Si erano baciati per un po’, un bel po’, non avrebbe saputo quantificare il tempo. A lei era parso molto lungo. E poi… poi…?
Andò nel panico.
Non era possibile che non riuscisse a ricordare! Poteva essere successa qualsiasi cosa, poteva aver detto qualche stupidaggine come aveva fatto sull’autobus, potevano aver… No, quello no. Era vestita, per fortuna.
Guardò l’ora sul display del cellulare. Aveva ancora tempo prima della partenza.
Si fece una doccia veloce e, ignorando i morsi della fame, si costrinse a rinunciare alla colazione. Avrebbe messo qualcosa sotto i denti più tardi, prima doveva assolutamente parlare con Ryan.
Si precipitò verso la sua stanza e bussò piano, senza però ottenere risposta. Insistette finché una vecchia signora non uscì dalla sua camera, rimproverandola per il rumore.
“Giovani senza rispetto!” borbottò, sventolando il bastone da passeggio.
“S-scusi” mormorò, imbarazzata.
A quel punto, rinunciò e optò per la colazione. Entrò in salone, proprio nel momento in cui Ryan usciva.
“Ciao” la salutò lui, sorpreso di trovarsela davanti.
Strawberry lo guardò .
“Stai bene?” chiese Ryan, corrugando la fronte. Doveva assicurarsi che non avesse deciso di ricominciare ad evitarlo.
“Ieri sera…” cominciò lei, arrossendo visibilmente. Abbassò lo sguardo, come per prendere coraggio, poi tornò a puntare gli occhi in quelli del biondo. “Cos…”
“Professore!”
Strawberry sobbalzò. Si voltò in direzione della voce e scorse l’uomo della reception fare dei gesti con le braccia per richiamare l’attenzione di Ryan.
Alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Perché parlare da sola con lui era ogni volta così difficile?
Ryan ridacchiò. “Ne parliamo più tardi” le disse.
“O-ok…”
Lo guardò rapita mentre si allontanava e il suo cuore saltò improvvisamente un battito. Scosse il capo ed entrò nel salone.
Non riuscì più a trovare un secondo per chiedere a Ryan cosa fosse accaduto la sera prima. Appena finì di fare colazione, la Mihano invitò tutti gli studenti a portare le valigie davanti all’ingresso per caricarle sul pullman, trattenendo Ryan per discutere di chissà cosa.
Strawberry andò a recuperare i bagagli in tutta fretta e, quando tornò nell’atrio, lui non c’era già più.
Abbattuta, raggiunse il resto del gruppo, notando Lory da sola in un angolo.
A testa bassa, cercava di evitare di incrociare lo sguardo di chiunque, vinta da quella timidezza che Strawberry aveva imparato a conoscere ed apprezzare.
Ebbe la tentazione di andare a farle compagnia, ma un attimo dopo Mark la raggiunse, strappandole un sorriso raggiante.
Non aveva mai visto l’amica sorridere a quel modo.
Probabilmente si sarebbe rattristata se Ryan non l’avesse distratta, riportandola alla realtà. Le arrivò alle spalle e la superò senza dirle niente. Ma la mano che aveva posato per un secondo sulla sua schiena, come per invitarla a spostarsi, la scaldò e le impedì di pensare a qualsiasi altra cosa. Sembrava un gesto naturale, fatto senza alcuno scopo preciso.
Sembrava, appunto.
Le fece uno strano effetto.
Per la prima volta, si rese conto che nessuno l’aveva mai capita così bene come lui.
 
 
 
“Bentornata, Strawberry.”
“Mi sei mancato un sacco!” mormorò, affondando il viso nel grembiule da pasticcere. Profumava di cioccolata e pasta frolla.
Kyle si lasciò abbracciare, permettendo a Strawberry di prendersi tutto l’affetto di cui aveva bisogno.
Lei alzò in capo, mostrandogli un sorriso raggiante.
“Hi, dear!” Katherine la strinse, a sua volta, in un abbraccio soffocante.
“C-ciao” mormorò, spiazzata. Aveva sempre guardato Katherine con un misto di curiosità, timore e divertimento, e non si aspettava un’accoglienza così calorosa da parte sua.
Anche se, a differenza di Ryan, lei era decisamente affettuosa da quel punto di vista. Le sarebbe piaciuto che anche i suoi occhi non fossero così maledettamente simili. Rimase interdetta a fissare quegli oceani, persa nei suoi pensieri, finchè Kyle non la riportò sulla terraferma.
“Allora, com’è andato il campo estivo?”
“Bene. Più o meno. Sono successe un po’ di cose” rispose. Katherine finalmente si decise a lasciarla andare, permettendole di riprendere fiato. Si accovacciò però davanti a lei, guardandola con espressione curiosa.
Poi, sul suo volto comparve un sorriso.
“What about you and my son?”
Strawberry la guardò perplessa e, senza sapere perché, arrossì. “Ehm…”
“Ooh, something happened!”
“Katherine, perché non vai a servire quelle ragazze laggiù? Aspettano già da un po’” si intromise Kyle. Le indicò un tavolo accanto alla finestra e lei, anche se contrariata, eseguì.
Strawberry sospirò. “Ti ringrazio. Vado in panico quando mi parla in inglese!” Forse era davvero il caso di prendere lezioni, prima o poi ci avrebbe pensato seriamente.
L’amico le strizzò un occhio, complice. “Vieni, in cucina staremo più tranquilli”
La fece accomodare al piccolo tavolo in legno che occupava un angolo della cucina e le porse un bicchiere di tè freddo.
“Grazie” Bevve un sorso, poi tornò a guardare Kyle. “Cosa voleva sapere Katherine?”
“Ha chiesto se è successo qualcosa tra te e Ryan”
Strawberry sobbalzò, rischiando di strozzarsi con il tè. “C-che?!”
“Mi dispiace, non è molto discreta” si scusò il moro, dandole dei piccoli colpetti sulla schiena. “Però, dalla tua reazione si direbbe che non ci sia andata molto lontano.”
Posò il bicchiere, indecisa su cosa fare. “No. Non molto” ammise. “Kyle, non mi ricordo cosa sia successo!” sbottò poi, arrossendo visibilmente.
“Non ricordi?”
“No! Eravamo alla festa di chiusura del campo estivo, avevo bevuto un pochino, però  lo sai come sono, non reggo l’alcool e credo di… aver perso un po’ il controllo. Lui.. R… Shirogane mi ha trascinata in albergo e, adesso che ci penso, deve avermi detto qualcosa del tipo che sono una scema. Aaah, poi mi sente!” commentò, mentre nella sua testa riaffiorava quel piccolo particolare.
Kyle sorrise. Dopo che Ryan gli aveva accennato dell’accaduto con Lory e Mark, credeva di ritrovarla triste o arrabbiata, bisognosa di essere consolata. Invece, la ragazza che aveva davanti era la stessa Strawberry che aveva conosciuto e alla quale si era affezionato.
Evidentemente, ci aveva pensato già qualcun altro a tirarle su il morale, pensò divertito.
“Comunque, mi ha trascinata in albergo e quando siamo arrivati nella mia stanza credo di essere inciampata in quello stupido tappeto. Insomma, proprio lì doveva essere?! Gli sono caduta addosso e poi… noi… ecco…”
Se c’era una cosa che Kyle aveva imparato di Strawberry, era che si imbarazzava da morire quando si andavano a toccare certi argomenti, e questo la rendeva in qualche modo ancora più tenera. Risvegliava il suo istinto da fratello maggiore, quello che, in fin dei conti, aveva anche con Ryan e che era stato devastato dalla perdita di Kari.
“Vi siete baciati?” le chiese, con tono dolce.
Lei avvampò e annuì, abbassando poi la testa. All’improvviso, i suoi piedi parevano estremamente interessanti, rispetto alla prospettiva di tornare a guardare negli occhi l’amico.
“Strawberry?” la chiamò lui.
Si costrinse a sollevare lo sguardo, sentendo le guance calde d’imbarazzo.
“L’altra volta, ti ho chiesto se Ryan ti piacesse. Adesso posso farti una domanda più diretta?”
“Vai…” gli concesse, già sicura che se ne sarebbe pentita.
“Ti sei innamorata di Ryan?”
Ahia.
Il suo cuore prese a battere freneticamente al suono di quella parola. Innamorata.
Sollevò le gambe, per rannicchiarsi poi sulla sedia, stringendo le ginocchia al petto. L’ostacolo più grande era stato ammetterlo a se stessa ma, visto che l’aveva superato, tanto valeva essere sincera.
“Sì” mormorò, con un filo di voce, mentre il volto scivolava rapidamente a nascondersi dietro le ginocchia.
Sentì Kyle alzarsi e si rese conto che si era avvicinato.
“Mi vergogno da morire!” si lamentò.
Il pasticcere rise e le lasciò una carezza sul capo, con quella gentilezza che lo contraddistingueva in ogni gesto. Strawberry si lasciò cullare da quel tocco delicato e si sentì subito pervadere da una tranquillità che solo Kyle sapeva darle.
“E’ una bella emozione, invece. Non vergognarti”
“Non è solo per quello. Non so cosa sia accaduto dopo! L’ho baciato e poi… ho il vuoto assoluto, non mi ricordo niente!”
“Cos’è che non ricordi?” chiese una voce, alle sue spalle.
La riconobbe all’istante e rabbrividì. Quando si girò ed individuò Ryan sulla porta, doveva essere dello stesso identico colore dei suoi capelli, se non peggio. Katherine, accanto al figlio, sorrideva allegramente, dando la solita impressione di avere la testa tra le nuvole.
Strawberry deglutì. “N-niente di importante!” si affrettò a rispondere. Non poté, però, fare a meno di far scorrere lo sguardo su tutto il suo corpo, stupendosi di quanto quella canottiera nera e quei jeans bianchi facessero risaltare il suo fisico, portandola a domandarsi se quella non fosse assoluta perfezione.
Rimase letteralmente senza fiato quando incrociò i suoi occhi, che l’attiravano come una calamita, facendole persino dimenticare il sorrisetto compiaciuto che era comparso sul volto di Ryan in risposta alla radiografia che gli aveva fatto.
Strawberry, sei una cretina! Ci manca solo che ti metti a sbavargli dietro!, si insultò, cercando di tornare presente a se stessa.
Ryan la raggiunse, lanciandole uno sguardo di disapprovazione. “Chiacchierona…”
“Eh? Ma perché?” si ridestò.
“Katherine, è maleducazione origliare” disse Kyle, sospirando. Si era sbagliato: prima di Ryan e Strawberry, sarebbe stata lei a farlo impazzire.
Strawberry spostò lo sguardo da uno all’altro dei presenti, poi si soffermò sulla madre di Ryan, sgranando gli occhi. Aveva sentito tutto?!
Perfetto, adesso sì che voglio sprofondare!
“Allora? Cos’è successo dopo?” insistette Katherine.
Ok, era ufficiale. L’avrebbe strozzata se se ne fosse presentata l’occasione! Le era simpatica, certo, ma la sua capacità di metterla in imbarazzo era seconda solo a quella di un certo biondino.
“Perché non lo chiedi a lei?” Ryan la guardò ed era chiaro che fosse infastidito.
“Perché lei non…”
“Katherine, no, non dirglielo!” la pregò, scattando in piedi, ma inutilmente.
“…ricorda nulla.”
Per un attimo restarono tutti in silenzio, poi Strawberry si sentì sollevare il mento. Ryan era davanti a lei e la fissava dritta negli occhi.
“Davvero non ricordi?” le chiese.
Strawberry sussultò. Le stava troppo vicino, accidenti.
“No…” mormorò, distogliendo lo sguardo.
Silenzio.
“Allora? Puoi dirmi cos’è successo così la facciamo finita?” Acida e indisponente, ma non le importava. Non si era neanche accorta che non gli stava più dando del lei. Voleva solo scappare via da lì e andare a sotterrarsi da qualche parte.
Il volto di Ryan si fece ancora più vicino, poi, quand’era ormai quasi sulle sua labbra, si fermò.
“Chissà…” soffiò, con voce roca. Un attimo dopo, le mostrò quel suo sorriso malizioso che la faceva imbestialire tanto quanto l’attraeva.
La lasciò lì come una scema. Si voltò e uscì dalla cucina, senza dire una parola.
“Eh no, non ci sto!” Strawberry lo seguì, schivando appena una ragazza che stava entrando nel locale.
“Prof!” lo chiamò. “Prof, aspetta!”
Ryan si fermò, sbuffando. “Che vuoi?”
“Dimmi cos’è successo!”
Lui la guardò, impassibile. “No”
“Perché no?!” esclamò, portandosi le mani sui fianchi.
“Perché così impari, è la tua punizione” le disse, facendosi di nuovo troppo vicino.
Quella situazione ricordò a Strawberry il momento in cui l’aveva baciata, durante l’hanami. Quella volta, si era arrabbiata come mai prima. Se l’avesse fatto adesso, bè, non sarebbe andata allo stesso modo.
“Strawberry, Ryan!” Kyle li raggiunse, mostrando loro un volantino colorato.
“Cos’è?”
“Questa sera c’è una festa, allo scattare della mezzanotte faranno anche i fuochi d’artificio. Mi ha dato il volantino una cliente, dicendo che è uno spettacolo assolutamente imperdibile”
“E con questo?” chiese Ryan, con indifferenza.
“Che ne dite di andarci tutti insieme? Non è molto lontano da qui e tua madre è entusiasta dell’idea” gli spiegò Kyle.
Strawberry, lasciato già da parte il malumore, prese a saltellare sul posto. “Che meraviglia! Dobbiamo assolutamente andarci!”
Il pasticcere le sorrise. “Sapevo che saresti stata d’accordo. E tu, Ryan?”
Il biondo lo guardò poco convinto. “Fate voi” si limitò a dire, per poi allontanarsi.
“Ma che significa?” chiese Strawberry a Kyle.
“Che l’idea non gli piace, ma è dei nostri”
Lei corrugò la fronte. “Ma se non gli va, perché…?”
La risata dell’amico la interruppe. “A me sembra chiaro.”
E il suo sguardo diceva già tutto.
 
 
 
Alle nove in punto, Strawberry si fece trovare davanti al cancello di casa. Kyle sarebbe passato di lì a poco e, fortunatamente, sua madre aveva fatto in modo di tenere Shintaro lontano dalla finestra. Le avrebbe fatto un sacco di storie se l’avesse vista salire sulla macchina di un ragazzo.
Soprattutto, se avesse visto la lussuosa auto sportiva che si era appena fermata lì davanti e che non era proprio quella dell’amico.
“Ma-ma-ma che ci fa qui? Kyle ha detto che sarebbe venuto lui a prendermi!”  
Ryan la guardò attraverso il finestrino abbassato. “Kyle è in ritardo. Lui e mia madre ci raggiungeranno là” spiegò.
“Oh” Non sapeva cos’altro dire. L’idea di passare mezz’ora in macchina con lui le piaceva, ma al tempo stesso le metteva addosso una grande ansia. Era la stessa sensazione di quando l’aveva portata al ristorante, ma molto più forte.
“Allora? Pensi di salire?”
“S-sì” disse, allungando la mano tremante per aprire la portiera. Si accomodò, sprofondando nel morbido sedile in pelle. Quella macchina era bellissima, ma troppo bassa. Avrebbe fatto una fatica immensa a rialzarsi, quando sarebbe stata l’ora di scendere.
Ryan mise in moto e il silenzio che si creò la fece irrigidire ulteriormente. All’inizio, lasciò che il suo sguardo si posasse su di lui. Le piaceva il modo in cui guidava, andava veloce per essere su una strada cittadina, ma sembrava che avesse il controllo totale dell’auto e questo le trasmetteva un senso di sicurezza che generalmente non avrebbe avuto. La velocità l’aveva sempre spaventata, ma con lui cambiava tutto.
I problemi nacquero quando smise di concentrarsi sulla sua guida, facendo risvegliare tutto d’un colpo i suoi ormoni assopiti.
Era rilassato, lo sguardo fisso sulla strada e la mano libera dal volante era appoggiata sul cambio. Le venne voglia di stringerla, ma cercò di allontanare all’istante quel pensiero. In quella macchina, cominciava a fare troppo caldo.
Doveva distrarsi.
“Così… Kyle è in ritardo” disse. Stupida, te l’ha detto cinque minuti fa!
“Così ha detto” commentò lui.
Strawberry inclinò il capo. “Non mi sembra che ci creda molto…”
Per la prima volta da quando erano partiti, Ryan si voltò verso di lei. Il sorriso che le mostrò era bello da mozzare il fiato. “Perché, tu sì?”
“Ma scusi, perché dovreb… Oh” Stava per fare la domanda più stupida del mondo. Ovviamente, Kyle l’aveva fatto apposta per lasciarli soli. Ma, anziché tranquillizzarla, quella consapevolezza la mise ancor più in agitazione.
“Appunto” confermò Ryan, tornando a prestare attenzione alla strada.
Di nuovo, il silenzio si fece pressante, almeno per Strawberry. Sperò di arrivare il prima possibile, forse era lo stare da soli in uno spazio chiuso e piccolo a renderla così nervosa.
“Non so se ci hai fatto caso…” le disse lui, a un certo punto. “Oggi, mi hai dato di nuovo del tu, quando mi sei corsa dietro.”
Strawberry sbatté le palpebre più volte, sorpresa. “No, non me ne sono accorta” ammise, infine.
“Immaginavo”
“Mi… mi scusi. Dev’essermi scappato, non succederà più, la prossima volta io…”
“Puoi farlo, se vuoi” la interruppe.
“Eh?”
“Darmi del tu”
Il fatto che Ryan non la guardasse, rendeva quella conversazione quasi irreale. Le stava veramente dicendo che poteva parlare con lui senza considerarlo un insegnante?
“Sul serio?” chiese. Perché se fosse stato così, sentiva di poter scoppiare dalla felicità da un momento all’altro.
“Non quando siamo a scuola, naturalmente” precisò.
“O-ok…” Sorrise. “Ehm…”
“Cosa c’è?” La sua espressione si fece interrogativa, nonostante continuasse a guardare davanti a sé.
“Quindi, posso chiamarla… chiamarti… Ryan?” Oddio, le faceva un effetto così strano dirlo! Eppure… bello.
“Sì, Strawberry. Ma smettila di fare quella faccia contenta” la ammonì.
“Perché?”
Ryan rimase in silenzio. Pensando che non le avrebbe risposto, Strawberry si mise a guardare fuori dal finestrino. Riflesso nel vetro, un sorriso e due guance arrossate.
“Mi distrai” disse lui, infine.
Lei si voltò, colta di sorpresa. Avrebbe voluto chiedergli cosa intendesse dire, ma sapeva che non avrebbe ricevuto risposta questa volta. Si limitò a guardarlo, sentendosi un passo più vicina a lui.
 
 
Ryan spense il motore dell’auto. Per un attimo, aveva avuto la tentazione di fare marcia indietro: quel posto era fin troppo affollato per i suoi gusti. Poi, visto l’entusiasmo di Strawberry, aveva deciso che, per una sera, poteva anche sopportare un po’ di caos.
 “C’è un sacco di gente! Come faranno Kyle e tua mamma a trovarci?” chiese lei, mentre scendevano dall’auto.
“Parli del diavolo…” mormorò, guardando il display illuminato del cellulare. Kyle lo stava chiamando e aveva la vaga idea di sapere cosa gli avrebbe detto.
“Ehi” rispose. “Sì, siamo appena arrivati. Voi a che punto siete?”
Strawberry lo guardava, giocherellando distrattamente con i bottoni sulle tasche dei calzoncini.
“D’accordo. Sì. A dopo” concluse Ryan, chiudendo la chiamata.
“Era Kyle?”
“Sì, dice che sono rimasti imbottigliati nel traffico” commentò, con un tono della serie: certo, come no!
Lei rise, forse più per allentare la tensione che le attanagliava le stomaco.
“Non arriveranno prima di un’ora, a quanto pare” aggiunse.
Strawberry si dondolò sui talloni, imbarazzata. “Che facciamo?”
Lo sguardo di Ryan la spinse a fermarsi e, in un secondo, i suoi occhi la catturarono.
“Facciamo un giro?” le propose.
Annuì, sorridendo. Temeva che avrebbe proposto di tornare a casa, invece voleva stare lì. Con lei.
il battito del suo cuore divenne assordante. Zitto, zitto, lo supplicò, mentre si incamminavano lungo una stradina affollata, immersa nel verde.
Forse, il ritardo di Kyle non era poi così male. Forse, per una volta, sarebbe toccato a lei preparargli un dolce enorme per ringraziarlo.
 







 
Ciaooo! Eccomi qua. Ormai non ci speravate più, mi sa >___<
Sono sommersa dai libri per la preparazione degli esami e ho davvero poco tempo da dedicare alla storia, purtroppo. E temo sarà così fino a inizio febbraio, almeno. Perciò, non odiatemi se per un paio di settimane ancora non aggiornerò :( Passato il periodo da "massacro universitario" potrò tornare a postare i capitoli al vecchio ritmo settimanale :)

Auguro un felice anno nuovo a tutti, con la speranza che porti tante cose belle!! E soprattutto con un GRAZIE immenso alle persone che mi seguono con constanza, leggendo, commentando o anche semplicemente facendo un salto ogni tanto.
Buon anno!!
Con affetto,
la vostra Comet

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Capitolo 22
*** Just the way you are ***




Capitolo 22 – Just the way you are
 



Che Ryan avesse un certo ascendente sulle donne, era stato evidente fin dalla prima volta che si erano incontrati.
Certo, se quattro mesi prima le avessero detto che si sarebbe innamorata di lui, Strawberry si sarebbe fatta una bella risata. Ma, della serie “ride bene chi ride ultimo”, era finita con il vedere ribaltate tutte le sue convinzioni, e il sorriso che ora aveva stampato in faccia non era certamente di incredulità.
Solo un po’, magari.
“Credevo che detestassi la confusione” disse, distogliendo l’attenzione da un gruppo di ragazzine che lanciavano sguardi languidi al biondo. Erano irritanti. E lei era già abbastanza impegnata a cercare di dargli del tu, dopo che per mesi aveva fatto di tutto per non considerarlo altro che un insegnante.
“Infatti” le rispose Ryan. Si abbassò a guardare i pesci rossi che nuotavano nella piccola vasca di uno stand, sul viso un’espressione strana. “Ma posso anche sopportarla, per una volta”
Strawberry si limitò a guardarlo, ancora non del tutto conscia del punto a cui erano arrivati. Erano una coppia? Potevano considerarsi così?
Ryan era sempre stato bravo a fatti, un po’ meno a parole. Ma, questa volta, era di parole che Strawberry aveva bisogno, un qualsiasi segno che le rendesse chiare le intenzioni del ragazzo.
Forse chiedeva troppo, dopotutto lui si era esposto tanto nei suoi confronti, più di quanto avesse fatto lei stessa. Eppure, aveva un dubbio che la tormentava.
Nonostante fossero insieme, da soli, le sembrava che fosse più rigido del solito, come se qualcosa lo preoccupasse. E aveva l’impressione di sapere quale fosse il problema, senza trovare però il coraggio di chiederglielo apertamente.
Solo quando Ryan la scrutò con la coda dell’occhio, si accorse di essersi soffermata fin troppo a guardarlo. Scosse la testa, seppellendo il brutto pensiero che l’aveva attraversata.
“Voglio provare!” esclamò, accovacciandosi accanto a lui.
“Cosa?”
Indicò sorridente la vasca davanti a loro. “Mi è sempre piaciuto questo gioco!”
“Qualcosa mi dice che non sei mai riuscita a vincere…” commentò Ryan, sarcastico, mentre lei allungava una monetina all’uomo dietro al banco.
Afferrò uno dei piccoli retini da pesca, poi gli fece la linguaccia. Ovviamente no, non aveva mai vinto niente, ma di certo non avrebbe dato a quel presuntuoso – quel presuntuoso che tanto le piaceva – la soddisfazione di saperlo.
Si concentrò su un pesciolino di un rosso sgargiante, con piccole macchie bianche sulla coda. Avvicinò lentamente il retino, fino a sfiorare l’acqua. Poi, si mosse rapidamente, facendo tremolare la superficie piana e schizzando acqua da tutte le parti.
La ragazza al suo fianco le lanciò un’occhiataccia, ma Strawberry non vi badò.
“Ce l’ho fatta!” esultò, voltandosi verso Ryan.
Lui alzò gli occhi al cielo, mentre le sue labbra si distendevano in un sorriso divertito. “Non ci giurerei” commentò. Le indicò il retino con un cenno del capo.
Strawberry seguì il suo sguardo, solo per accorgersi che la rete si era squarciata. Spalancò la bocca, contrariata. “Ma… non è giusto! Signore? Ehi, signore! Questo retino è rotto! Insom…”
Ryan le tappò la bocca con una mano, prima che l’uomo dello stand la cacciasse. E non ci sarebbe voluto molto, vista l’espressione contrariata che le aveva rivolto. “Sei proprio un impiastro” soffiò.
“Mmm…!”
“Come?” domandò sornione, allentando la presa. Oh, se si divertiva a provocarla!
“Provaci tu se sei tanto bravo!” sbottò Strawberry, scacciando la sua mano.
“E’ un gioco stupido” fu la risposta di lui.
“O forse hai paura di fare una figuraccia?” Gli mostrò un sorriso di sfida, poi spalancò gli occhi, rendendosi conto che, a forza di stare in sua compagnia, stava imparando a scherzare come faceva lui.
Probabilmente se ne accorse anche Ryan, perché ricambiò il sorriso e accolse la sua provocazione. Strawberry aspettò che prendesse un nuovo retino, senza staccargli gli occhi di dosso. Le piaceva come aggrottava leggermente la fronte quando si concentrava e come i suoi occhi sembravano accendersi e farsi ancora più profondi quando si fissavano a guardare qualcosa.
Soprattutto, le piaceva che Ryan fingesse indifferenza davanti a quel giochino da bambini, quando in realtà sembrava divertirsi da matti. Quel comportamento lo faceva somigliare più a un bimbo capriccioso che all’immagine dell’adulto serio e distaccato che voleva regalare agli altri.
“Ecco fatto” Ryan le mise davanti agli occhi il retino, riportandola alla realtà.
“Non ci credo!” esclamò Strawberry, sporgendosi in avanti per guardare all’interno. Ma, mentre stava per protestare, la rete si ruppe e il pesciolino rosso – quello con le macchie bianche che aveva puntato lei all’inizio – si rituffò nella vasca, tornando a nuotare con i suoi compagni.
“Bè… facevo bene a quanto pare” aggiunse, completando la frase precedente.
L’espressione allibita di Ryan, che aveva preso il posto del sorrisetto compiaciuto, non aveva prezzo. “Accidenti” imprecò, ricomponendosi.
Strawberry non poté farne a meno. Scoppiò a ridere, senza nemmeno provare a trattenersi, e si appoggiò alla spalla di lui, ancora serio.
Poi, anche Ryan si lasciò andare in una risata sincera e bellissima, e Strawberry rimase semplicemente senza fiato.
C’erano momenti, quand’era con lei, in cui Ryan mostrava aspetti di sé che al resto del mondo sembrava voler celare. Ed era quello, il Ryan giocoso, ironico e sfrontato, quello che rideva senza preoccupazioni, che la prendeva in giro facendola infuriare, quello che un secondo dopo era pronto a prenderla tra le braccia e a farle dimenticare tutto il resto, che lei amava.
Forse se ne rese conto davvero solo in quell’istante, rapita dal suo sorriso meraviglioso: non era solo questione di essere innamorata, sarebbe stato riduttivo. Strawberry era follemente, totalmente ed irrimediabilmente innamorata di Ryan. E se questo sentimento la terrorizzava, la faceva anche sentire più che mai viva.
Smise di ridere solo quando la pancia cominciò a farle male e Ryan le domandò se non fosse di nuovo ubriaca. Si asciugò le lacrime agli occhi, seguendolo lungo una stradina che si allontanava dalle bancarelle.
Alla fine avevano rinunciato a quel gioco, convenendo che sì, era davvero sciocco.
C’erano decine di famiglie e coppiette sedute sull’erba, probabilmente la postazione migliore per vedere i fuochi d’artificio senza l’impedimento di troppi alberi.
 “Prof!” chiamò, raggiungendo Ryan di corsa. Se non fosse stata più attenta avrebbe finito col perdersi, dato il suo senso dell’orientamento praticamente inesistente.
Lui si voltò di colpo, costringendola a fermarsi bruscamente per non finirgli addosso. “Smettila di chiamarmi prof, attiro già abbastanza l’attenzione così” le disse.
Strawberry si guardò attorno, senza capire, finché non notò due biondine che li fissavano insistentemente. E sicuramente l’oggetto delle loro attenzioni non era lei, quindi...
“Dovresti occuparti delle tue ammiratrici, se ci tieni tanto” replicò, infastidita.
“Non mi riferivo a quello”  
“E a cosa, allora?” Ok, cominciava a sentirsi una scema, come al solito. Non poteva essere gelosa per una sciocchezza del genere.
“Strawberry, sono un tuo professore” esclamò Ryan, con una nota di esasperazione. “E’ già abbastanza rischioso farci vedere in giro insieme, senza che tu continui a chiamarmi a quel modo. Se, per un caso fortuito, qualcuno dovesse vederci o venire a conoscenza del nostro…” indugiò, in cerca dell’espressione più adatta. “…rapporto, sarebbe il caos”.
Strawberry abbassò lo sguardo, senza dire niente. In realtà, il suo cervello aveva registrato la parola rapporto, cancellando tutto quello che aveva sentito prima.
E che genere di rapporto ci sarebbe tra noi? Avrebbe voluto chiederglielo.
Ryan inarcò un sopracciglio. “Non mi dire che non ci hai mai pensato”
“Certo che ci ho pensato” si affrettò a dire, torcendosi le mani. Solo che non ho trovato un motivo valido per allontanarmi da te.
“Però, pur rischiando l’espulsione, sei ancora qui”
A quelle parole, Strawberry alzò la testa, incontrando quegli oceani che erano i suoi occhi. Vi si perse, come sempre accadeva, e forse fu questo a darle il coraggio di essere sincera.
“Forse perché è qui che voglio essere”
Dio, il cuore le batteva all’impazzata. Non ricordava più com’era stato sentirsi innamorata di Mark, semplicemente perché era niente, niente, in confronto alle sensazioni che le attraversavano tutto il corpo mentre gli occhi di Ryan la studiavano in profondità, trapassandole l’anima e poi sempre più a fondo, fino al cuore.
“E… comunque… anche tu sei ancora qui. Nonostante tutto” aggiunse, sperando che Ryan capisse che in quel nonostante tutto c’era molto di più, la ricerca di una rassicurazione che solo leggendo tra le righe avrebbe potuto cogliere.
Non seppe se Ryan non ci riuscì o se, invece, scelse di proposito di non farlo.
Attento com’era era quasi impossibile che non avesse capito. Decise però di ridere, alleggerendo la tensione che si era venuta a creare.
“Strawberry, il massimo che mi può capitare è che mi mandino via dalla scuola. Non sarebbe la fine del mondo. Non sono neanche un vero insegnante, in fondo”
Strawberry strinse i pugni, facendosi rossa in viso. “Non è vero. Tu sei… bravo a insegnare. Non avevo mai capito niente di fisica, prima che me la spiegassi tu”
Ryan sollevò un angolo della bocca in un accenno di sorriso, poi si fece improvvisamente serio. Lei si immobilizzò, in attesa che dicesse qualcosa.
“Vuoi davvero continuare questa… cosa?” lo disse senza distogliere lo sguardo, a voce bassa e, per un attimo, incerta. Magari era stata solo un’impressione di Strawberry, però.
“C-che cosa?” si trovò a chiedere.
Ryan sospirò. “Avevo ragione quando ti spiegavo i principi della dinamica con degli esempi, anche se tu ti lamentavi in continuazione”
“Ma cosa c'entra?” Non ci capiva più niente.
“Con te, le parole non servono. Bisogna sempre passare ai fatti, per farti capire le cose. Poi non lamentarti”
La prese per un polso e, mentre mormorava un “Eh?”, Strawberry sentì la propria schiena aderire al tronco di un albero.
“Ry…”
Non fu semplicemente il bacio a zittirla, ma ancor prima il fatto che Ryan si fosse avvicinato fino a sfiorarle il naso con il proprio. E, di nuovo, i suoi occhi l’avevano incatenata lì.
Sentì la morbidezza delle sue labbra, un semplice contatto che la mandò in fibrillazione, risvegliando le emozioni della sera precedente in un modo così vivido da sembrare reale.
Appoggiò le mani sul petto di Ryan per reggersi in equilibrio, mentre lui le sollevava sulla testa il cappuccio della maglietta che indossava. Forse perché quell’albero non bastava a nasconderli del tutto alla vista dei passanti.
Beato lui che riusciva a restare razionale, perché Strawberry sentiva di poter perdere il controllo da un momento all’altro. Non le importava di essere in mezzo alla gente, voleva solo sentire la bocca di Ryan sulla propria e farsi travolgere.
Quando lui si scostò, ponendo fine a quel bacio casto e delicato, lo sorprese alzandosi sulle punte per ritrovare le sue labbra. Ryan si irrigidì perché certamente non si aspettava che Strawberry prendesse l’iniziativa, ma poi sorrise e le prese il viso tra le mani, accontentando lei e se stesso.
 
Si staccarono, entrambi con il fiato corto. Strawberry annaspò in cerca d’aria, con la sensazione che le labbra le stessero andando a fuoco. Niente di più vero e piacevole.
Si prese qualche secondo per realizzare la situazione. Stravolta e aggrappata alle spalle di Ryan, come per paura di perdersi in quella spirale di desiderio, il cappuccio ricaduto al suo posto sulla schiena, le mani di lui strette in vita.
Ryan la liberò dalla presa, facendo scivolare le mani lungo il profilo del suo corpo.
Una scossa. Un brivido.
Strawberry lo guardò e quello che lesse nei suoi occhi forse bastò per dipanare ogni possibile dubbio.
Lui sorrise, prima dolcemente, poi… bè, tornò il solito Ryan: “Come siamo diventate intraprendenti. Mi ricordi un po’ l’altra sera…” le disse, allusivo.
La reazione della rossa non si fece attendere. Sgranò gli occhi, lasciando immediatamente andare la maglietta di Ryan che ancora stringeva tra le dita.
“Ma allora qualcosa è successo!” quasi urlò.
Il biondo alzò le spalle, divertito.
“Dimmelo!” insistette, perentoria.
Per tutta risposta, lui si voltò di schiena e prese a camminare, portando le mani dietro le nuca.
“Ehi!”
Si era lasciata distrarre dalla serata e non aveva più pensato alla sera precedente, ma cosa accidenti aveva combinato?!
Finalmente, Ryan si decise a tornare a guardarla. Sorrise compiaciuto, fin troppo, e Strawberry capì che da lì a poco si sarebbe sentita in imbarazzo.
“Come dimenticare una ragazzina che cerca di spogliarmi?” buttò lì, con un tono di voce tremendamente provocante.
Lei spalancò la bocca per ribattere, poi si bloccò e avvampò, mentre il suo cervello elaborava quell’immagine.
Era una ragazzina? Va bene, glielo aveva sempre detto.
Ma, soprattutto, aveva cercato di spogliarlo?!
“Mi stai prendendo in giro” disse infine, ma per niente convinta. Conoscendosi, sarebbe stato possibilissimo, ma pregò di non averlo fatto veramente.
Ryan tornò indietro, fermandosi ad un passo da lei. “Per nulla”
“Ma non posso aver provato a… a…”
Erano di nuovo dietro a quel grande albero e lui le prese le mani, guidandole fino ai bottoni della propria camicia.
“Oh sì, invece. Hai fatto così…” la aiutò a slacciare il primo bottone, lentamente. “E così…” Piano, scese al successivo, sentendo la sua mano tremare. Se Strawberry non fosse morta per la visione del suo torace nudo, probabilmente sarebbe successo per il tono di voce maledettamente basso e roco che stava utilizzando. “E così…” continuò lui, facendole slacciare anche il terzo bottone e portando la sua mano a contatto con la propria pelle.
Sorrise, vedendole le guance arrossate e lo sguardo fisso sul suo petto e non riuscì a trattenersi dall’abbassarsi e sussurrarle all’orecchio: “Ed eri tremendamente sensuale…”
Da quella distanza, poteva sentire distintamente il battito assordante del cuore di Strawberry e il leggero brivido che la scosse.
Temette di aver esagerato, così si affrettò a cambiare tono. “Sto scherzando. Non sul tentativo di spogliarmi, quello lo hai fatto davvero. Ma avevi bevuto un po’ troppo. Ti ho messa a letto e sono andato via” la rassicurò, con un sorriso.
Strawberry evitò accuratamente di incrociare i suoi occhi. Si stava vergognando oltre ogni limite, per colpa di quello scemo. Lui le fece alzare il viso, trovandola ancora più rossa di pochi secondi prima.
“Ti odio” sbuffò lei.
Ma la sua espressione era troppo divertita perché potesse dire sul serio.
“Ma davvero?”
“Sì. Tantissimo!” confermò.
Ryan rise e la lasciò andare. Di nuovo, si incamminò, tornando sul sentiero tra la folla. Con l’avvicinarsi della mezzanotte, la zona si era riempita di gente accorsa per vedere i fuochi d’artificio.
“E sai un’altra cosa?” disse Strawberry, seguendolo.
“Vorresti ricordarti di avermi quasi spogliato? Dai, ti ho fatto rivivere l’esperienza poco fa” la prese in giro.
“Ma no!” gli diede un colpo sul braccio, cercando di stare al passo con lui.
“E allora?”
Mi piaci. Non era difficile da dire.
“E allora tu mi…”
Ryan si fermò all’improvviso e Strawberry andò a sbattere in pieno contro la sua schiena.
“Ahi…” si lamentò, massaggiandosi il naso. “L’hai fatto apposta, vero?!” Gli si affiancò, pronta a fargli una sfuriata.
Lui però guardava da un’altra parte e non la stava più ascoltando. Non ci mise molto per capire cosa avesse catturato l’attenzione di Ryan.
Avvertì una fitta al petto quando notò una ragazza, girata di spalle. Non aveva niente di particolare, se non fosse stato per quella cascata di capelli mossi, di un colore che solo un’altra volta aveva visto.
L’espressione sul viso di Ryan non lasciava trapelare nessuna emozione, ma quell’impercettibile irrigidimento la diceva lunga su cosa gli stesse passando per la testa in quel momento.
Era sempre stata presente fin dall’inizio, Kari.
 
Strawberry rimase ferma e in silenzio. Non sapeva come comportarsi, non sapeva se lui stesse provando dolore o se volesse andarsene da lì, se avesse bisogno di conforto o se preferisse semplicemente stare così.
Poi, quel dubbio che l’aveva assalita tempo prima e che la tormentava dall’inizio della serata tornò a farsi sentire con prepotenza.
La prima volta che l’ho vista, ho pensato anche io che ci fosse una leggera somiglianza. Ricordava perfettamente le parole di Kyle.
“Stai… stai bene?” chiese, tirando Ryan per la manica.
“Sì, sto bene” rispose lui, ma era come se non riuscisse a staccare gli occhi da quella ragazza.
Cosa poteva fare?
Avrebbe voluto guarirlo come era stato capace di fare lui quando si era presentata alla sua porta, sconvolta. Avrebbe voluto prenderlo per mano e trascinarlo via da tutto quel dolore, ma con quale diritto?
Se Ryan stava pensando a Kari, lei non poteva farci proprio niente.
Cercò la sua mano e intrecciò le dita a quelle di lui. Poi strinse forte, più forte che poteva.
Sono qui.
Ryan si voltò a guardarla, sorpreso. In un primo momento non ricambiò la stretta e allora Strawberry la rafforzò ancor più perché no, non lo avrebbe lasciato.
Non voglio che tu soffra.
Era strano stare così, in mezzo alla gente, Strawberry che teneva Ryan per mano e lui perso nel suo passato pieno di dolore.
Il suono di un cellulare sciolse la tensione indefinita che si era venuta a creare, così come l’intreccio delle loro mani.
“Kyle” disse Ryan con distacco, portando il telefono all’orecchio.
Indubbiamente, era bravo a nascondere le proprie emozioni. La freddezza della sua voce contagiò anche la mano che Strawberry gli aveva teso e lui aveva scelto di ignorare.
La chiuse, stringendo le dita, cercando di sopperire al vuoto che aveva avvertito.
“Andiamo all’entrata del parcheggio. Kyle e mia madre sono arrivati” le disse Ryan.
Si scrutarono per un attimo, poi Strawberry annuì e lo seguì.
Se prima aveva solo qualche dubbio facile da arginare, adesso tutti i suoi punti di domanda premevano insistentemente per avere delle risposte. Non era sufficiente spingerli in un angolo della propria testa perché la smettessero, non più.
Erano ormai arrivati al parcheggio quando si decise a parlare, ignorando rischi e conseguenze. In fondo, con Mark aveva aspettato in silenzio per sei anni, e a cosa l’aveva portata tutta quella attesa?
“Una volta, ho sentito Kyle dire una cosa” mormorò, richiamando l’attenzione del biondo. “Lui ha detto… che io assomiglio a…. Kari”.
Dovette fare più pause nel formulare quella frase, per trovare le parole giuste, ma il risultato le sembrò comunque pessimo. Forse perché non c’era un modo adatto per parlare di certe cose, poteva dosare i termini, scandire i tempi, abbassare la voce, ma qualsiasi tentativo non sarebbe servito a niente, non avrebbe mai reso la morte di una persona amata meno dolorosa.
Se ne accorse dalla sfumatura più cupa che assunsero gli occhi di Ryan non appena pronunciò quel nome, e immediatamente si pentì di non essersi tenuta per sé le sue paranoie. Sarebbero sempre state meglio di quello sguardo che non avrebbe davvero più voluto vedere in lui.
“Ragazzi, siamo qui” Kyle corse loro incontro, trafelato, insieme a Katherine. “Scusate, c’è stato un incidente e il traffico è stato deviato. Abbiamo preso un’altra strada, ma si è rivelata più lunga del previsto” spiegò.
Strawberry si  sforzò di sorridergli. “Ah, non… non preoccupatevi. Abbiamo fatto un giro tra gli stand mentre vi aspettavamo”
Appena finì di parlare, vide Ryan dare loro le spalle senza dire niente.
“Tesoro, dove vai?” gli domandò Katherine, facendo per seguirlo.
“A fare un giro”
Kyle provò a chiamarlo, inutilmente, poi si rivolse a Strawberry. “Ma che gli è preso?”
Lei abbassò lo sguardo. Si sentiva ferita. Non doveva, forse era sbagliato e insensato, ma avrebbe preferito che Ryan si aggrappasse a lei, piuttosto che ignorarla.
“E’ colpa mia” mormorò.
“Ma figurati. Scommetto che si è arrabbiato per una stupidaggine, è fatto così” cercò di rassicurarla Kyle.
“Gli ho chiesto se è vero che assomiglio a… a…”
Katherine si intromise, dando una leggera spinta a Kyle. “Honey, perché non vai a prenderci qualcosa da bere? Qui ci penso io” esclamò, con un sorriso.
Per la prima volta, Strawberry le fu grata. Più o meno. L’idea di parlare di Kari con Kyle non era proprio geniale, ma quella di parlare con Katherine di suo figlio la terrorizzava ancora di più.
“Ti va una chiacchierata tra donne?”
Si accomodarono su una panchina, ed era strano trovarsi da sola con Katherine. Nonostante la conoscesse ormai da qualche mese, c’era stato sempre Kyle a fare da tramite tra loro.
 “Volevo scusarmi per questo pomeriggio” cominciò la donna, stupendola. “Ti ho messa parecchio in imbarazzo, vero?”
“Ehm… un po’” ammise Strawberry.
Katherine le sorrise. “In questi due anni in cui ho vissuto in America ho dimenticato le vecchie abitudini. Là è tutto diverso. Le persone sono più dirette nel dire ciò che pensano, mentre voi vi fate molti scrupoli, siete più attenti all’altro, da questo punto di vista. I primi anni, qui in Giappone, è stato difficilissimo adattarmi. Ti prego di scusarmi, quindi, se a volte ti sembro invadente o troppo schietta. Certo, poi una buona parte di colpa è da attribuire al mio carattere, non lo nego” concluse, facendo ridere Strawberry.
Tutto sommato, le piaceva la sincerità di Katherine. Tranne che in presenza di Ryan, ovviamente.
In ogni caso, non si aspettava di trovarla così disposta al dialogo con lei. Fino ad allora, non le aveva rivolto la parola se non per prenderla affettuosamente in giro o fare qualche battuta infantile. Quella che aveva davanti adesso, invece, era una donna.
“Poco fa ti riferivi a Kari, vero?”
Strawberry si stupì sia del cambio di discorso che di sentirle utilizzare quel tono così materno, quasi maturo rispetto a quello che era il comportamento abituale di Katherine. In questo era assolutamente identica a suo figlio.
“Sì” confermò, guardando il terreno sotto i suoi piedi.
“E’ vero, le somigli. Nei tratti del viso, almeno. Ho avuto anch’io quest’impressione quando ti ho vista la prima volta, a casa di mio figlio. E non ti nascondo che all’inizio ho pensato che Ryan stesse cercando un appiglio che gli permettesse di restare ancorato al passato.”
Strawberry sussultò, punta sul vivo.
“E’ questo il problema? Pensi di piacere a Ryan solo perché gli ricordi Kari?” La domanda era diretta e precisa, e lei non aveva nessuna voglia di tenersi ancora dentro quel pensiero.
“Non lo so. Forse sì” Prese a giocherellare con un lembo della maglietta, stropicciandolo. Katherine le avrebbe detto che aveva ragione, se lo sentiva.
“What a nonsense, Strawberry!” esclamò. E Strawberry si trovò a pensare che il suo nome, con la pronuncia americana di Katherine, era davvero buffo. “E’ semplicemente assurdo”
“M-ma l’hai detto anche tu” si difese, aggrottando la fronte.
Katherine scrollò le spalle. “Honey, in un primo momento l’ho pensato. E’ naturale, non vedevo Ryan da due anni, torno e mi trovo davanti una ragazza che, guarda caso, assomiglia a Kari. E’ lecito che mi venga un dubbio, non trovi?”
Strawberry annuì. “E adesso non lo pensi più?”
La donna scosse la testa. “La tua somiglianza con Kari si riduce ai lineamenti del viso. Ma caratterialmente sei completamente diversa. Kari è…” si fermò un attimo, sorpresa del tempo verbale che stava per utilizzare. Evidentemente, anche per Katherine non era facile parlarne. Eppure lo stava facendo, come Kyle e Ryan, solo per dare delle spiegazioni a lei che, dopotutto, non era nessuno per loro. “… Era molto legata a Ryan, tra loro c’era un rapporto particolare, che non ho mai capito del tutto. E, se devo essere sincera, temevo che mio figlio non si sarebbe più ripreso dopo quello che è successo. Aveva perso la speranza. Nella vita, nel futuro e soprattutto nei legami con le persone”
Fece un respiro profondo e posò una mano su quella di Strawberry. “Non sono stata una buona madre in questi due anni e me ne rendo conto. Quando sono tornata, qualche mese fa, non sapevo cos’avrei trovato.”
Strawberry avrebbe voluto chiederle per quale motivo se ne fosse andata, due anni prima, ma non ebbe il coraggio e la lasciò continuare. Era già molto che Katherine le stesse raccontando quelle cose.
“Perciò, credimi, sono rimasta davvero sorpresa di vedere Ryan ridere e scherzare con te, come non faceva da… da mai, praticamente. Per questo non credo che tu gli piaccia semplicemente per la somiglianza con Kari. Lui l’ha amata profondamente e questo non si potrà mai cancellare”
“I-io non voglio che lo faccia, non glielo chiederei mai” la interruppe Strawberry, scattando in piedi. Non voleva essere fraintesa, non aveva mai preteso che Ryan cancellasse dal suo cuore Kari, sarebbe stato stupido e tremendamente egoistico.
Per di più da parte sua, che si era decisa ad ammettere di essere innamorata di lui solo da pochi giorni.
Aveva semplicemente bisogno di sapere se nel suo cuore c’era spazio anche per lei.
Tutto qui.
“Lo so, cara. E credo che lo sappia anche Ryan. Non ha concesso a nessuno di avvicinarsi e di scrutare nel suo cuore, in questi anni. Eppure con te si è aperto, ti è stato vicino e ti ha permesso di stargli vicino, arrivando persino a raccontarti di Kari. Io non lo so se sbaglio, ma credo che tu, Strawberry, abbia la chiave giusta per riaprire il suo cuore. E non ha niente a che vedere con l’aspetto fisico” concluse.
Strawberry si rese conto solo in quel momento di aver stretto forse in maniera troppo eccessiva la mano di Katherine. La donna si liberò gentilmente dalla sua presa e posò la mano sul suo petto, in corrispondenza del cuore. “Ha a che vedere con questo”.
Nessuno le aveva mai parlato in quel modo. Kyle si rivolgeva a lei come ad una sorellina e Ryan come ad una ragazzina. Ma Katherine la stava trattando come una donna e Strawberry provò un istintivo moto di affetto per lei.
Kyle le raggiunse poco dopo, con le braccia cariche. “Signorine, le vostre bibite. Volevo prendervi anche dei dolci, ma avevano un aspetto orribile. Chissà cosa ci mettono dentro” commentò, facendole ridere. Kyle e il suo istinto da pasticcere…
“Thank you, dear” lo ringraziò Katherine.
Strawberry gli sorrise, afferrando un enorme bicchiere di plastica, con coperchio. Sollevò il bordo, per sbirciarne il contenuto.
“Tè al limone, il tuo preferito” la rassicurò Kyle, strizzandole l’occhio.
“Sei un angelo”
“Ryan non è ancora tornato? Ne ho presa una anche per lui”
L’intervento di Katherine, questa volta, fu provvidenziale e assolutamente gradito. Strappò la bibita dalle mani del giovane, con un sorrisetto divertito. “Dalla pure a Strawberry, ci pensa lei a portarla al suo… ehm… mio Ryan”
La rossa alzò gli occhi al cielo. Era tornata la solita Katherine, il momento da mamma seria/donna adulta era terminato. Peccato, la rimpiangeva già in quella veste.
Prese il bicchiere e le sorrise. “Vado. Katherine, grazie di tutto”
“Non l’avrai messa di nuovo in imbarazzo, spero” si informò Kyle, non appena Strawberry scomparve alla loro vista.
Katherine gli fece posto sulla panchina. “Oh no, caro. Esattamente il contrario”
“Meno male. Ho avuto paura quando mi hai spedito a prendere da bere”
Lei rise. “Uomo di poca fede!” esclamò, schioccandogli un bacio sulla guancia.
 
 
Certo, Strawberry, vai tu a cercare Ryan. E, se non lo trovi, fatti consigliare dal tuo ottimo senso dell’orientamento!, pensò tra sé e sé, mentre si faceva spazio tra la folla.
Aveva già perso dieci minuti girando a vuoto e mancava poco meno di un quarto d’ora ai fuochi d’artificio.
Prof, dove cavolo ti sei cacciato?
Sorrise, pensando che probabilmente nella sua mente le sarebbe capitato ancora molte volte di chiamare Ryan così. In fondo, era cominciato tutto da lì.
Riuscì ad aprirsi un varco e ad oltrepassare il muro di persone. Finalmente poteva respirare.
Poi lo vide, seduto sul grosso ramo di un albero, a poco più di due metri da terra, lontano dal caos.
Si avvicinò decisa, merito della chiacchierata con Katherine. Le aveva fatto bene e le aveva dato il coraggio di affrontare i suoi sentimenti e quelli di Ryan una volta per tutte. Doveva semplicemente fregarsene delle conseguenze e fidarsi di ciò che sentiva e delle parole di una madre che, a quanto pare, conosceva bene il proprio figlio.
“Che ci fai lassù?” gli disse.
Ryan abbassò il capo. Nonostante il buio, i suoi occhi chiari erano perfettamente visibili e, se possibile, ancora più intensi.
“Cercavo un po’ di tranquillità” rispose, laconico.
Strawberry ridacchiò. Era nervosa, nervosa ed impacciata. “Limite di sopportazione della folla raggiunto?”
“Decisamente”
Lei si morse il labbro inferiore. Le faceva male il collo a stare in quella posizione per guardarlo, e lui sembrava più distante che mai.
“Vuoi… che me ne vada?” gli chiese, timidamente.
Ryan non rispose subito, prolungando fin troppo quell’attesa. Poi sospirò, senza staccare gli occhi da lei. Sembrava combattuto.
“No” disse, infine. “Sali”
Strawberry gli sorrise, mentre sentiva un certo calore dalle parti del cuore, che piano fluì fino alle guance, accendendole di un rosso che sicuramente Ryan avrebbe notato.
“Serve una mano?” si offrì lui, vedendola immobile a fissare il tronco dell’albero. Quell’apparente gentilezza non le impedì di notare il velo di ironia nella sua voce.
“No, grazie” disse, mostrandogli la lingua. “Per tua informazione, ho l’agilità di un gatto io!”
Grandissima cavolata, Straw.
Ryan alzò gli occhi al cielo, concedendole cinque minuti buoni di tentativi andati a vuoto. Si accomodò con la schiena contro il tronco, le braccia dietro la testa.
“Vuoi andare avanti ancora per molto a rifiutare il mio aiuto?”
Strawberry lo guardò in cagnesco, portando le mani sui fianchi. “Non ridere, guarda che ti vedo! E’ che non riesco a capire dove aggrapparmi, quest’albero è fatto male!”
“Guarda qui” le disse Ryan, indicandole con il dito un punto del tronco poco sopra la sua testa. “C’è una rientranza, appoggia la mano qui. E metti il piede sinistro là, dove la corteccia sporge in fuori”
Lei eseguì, questa volta senza fiatare.
Quando fu abbastanza vicina, Ryan la afferrò in vita, poco sotto il seno, trascinandola finalmente sul ramo.
“Davvero una grande agilità, micetta” le sussurrò, ridacchiando.
Strawberry era completamente addossata a lui, le guance in fiamme e il cuore a mille. “Scemo” mormorò.
Si sollevò dal suo petto, mettendosi a sedere alla bell’e meglio. Quando fu abbastanza in equilibro da non rischiare di cadere di sotto, tornò a guardare Ryan.
“Mi dispiace per prima” gli disse. “Non dovevo dirti quella cosa, ho parlato senza pensare”
Lui alzò le spalle. “Quello lo fai sempre”
“Aaah, smettila, sto cercando di essere seria!” Si mise in ginocchio, dandogli dei piccoli colpi sul petto e ottenendo come unico risultato una risata divertita a cui si unì anche lei.
Se era di questo che parlava Katherine, allora forse era Ryan ad avere la chiave giusta per lei.
All’improvviso le afferrò i polsi, immobilizzandola.
“Non è per questo che mi piaci”
Diretto, deciso e immensamente bello. Tanto che Strawberry impiegò qualche secondo per fare il collegamento con Kari, e subito dopo pensò di non aver capito bene.
“N-non…”
“No, non provare a dirmi che non hai sentito, perché non te lo ripeterò un’altra volta” la interruppe Ryan, all’istante.
Allora aveva capito, non era stata un’allucinazione. Le venne quasi da ridere perché, per la prima volta, era lui a sembrare imbarazzato, con le guance leggermente arrossate.
Oddio, Ryan le aveva detto che gli piaceva e lei sorrideva come una scema!
“Ma abbiamo un problema perché qualcuno qui mi odia” aggiunse lui, riacquistando la sua disinvoltura.
Tornò ad appoggiarsi al tronco con la schiena e forse non si aspettava una reazione dall’altra parte. Ma, questa volta, Strawberry era più che mai decisa ad andare fino in fondo.
Niente scuse, né tentativi di fuga.
Era lì che voleva essere.
Con lui.
Si mosse con cautela, timorosa di cadere, ma riuscì in qualche modo a mettersi a quattro zampe. Si spostò verso Ryan, fino a trovarsi carponi quasi sopra di lui. Le mani appoggiate vicino ai suoi fianchi, un ginocchio tra le sue gambe e l’altra gamba stesa indietro per mantenere l’equilibrio.
Ryan si era irrigidito, forse per essere pronto ad afferrarla nel caso in cui fosse scivolata, o forse per quella vicinanza inaspettata.
Lei lo guardò per un secondo negli occhi. Poi si avvicinò al suo viso, deviando la traiettoria per non incontrare le sue labbra.
“Anche tu mi piaci” gli sussurrò all’orecchio.
Si stupì di come le fosse uscito quel tono così basso e provocante, ma non per molto, perché dopo pochi secondi Ryan se la tirò in braccio.
“Problema risolto, allora” le disse, sfiorandole la guancia con la punta del naso.
La fece ridere e Strawberry non cercò di trattenersi. Appoggiò il viso nell’incavo del suo collo, abbracciandolo.
In quel momento, il primo fuoco d’artificio illuminò il cielo, in una cascata dorata.
Un altro, subito dopo, colorò il cielo d'azzurro.
Ma loro due erano troppo impegnati per notarlo.








Buonasera!
Mi aspetto mooooolti insulti per le due (ehm, tre) settimane di ritardo. Ma spero che il capitolo vi sia piaciuto talmente tanto da farvi dimenticare questo piccolo particolare xD
No, dai... ovviamente spero che non l'abbiate trovato noioso o troppo dolce/tranquillo. Negli ultimi due capitoli ho avuto bisogno di tutta una serie di piccoli passaggi per arrivare al salto nel rapporto tra Ryan e Strawberry, che finalmente è arrivato. Potranno stare tranquilli per un po'? Mah! ;)
Katherine qui è diventata momentaneamente una persona seria, tra l'altro. Ma non sperate che duri a lungo, il suo lato infantile è sempre lì! :) Però è pur sempre una donna e soprattutto una mamma.
Che altro... Ah sì, chiedo ancora perdono per l'immenso ritardo T____T
E vi ringrazio di cuore per la pazienza e per essere ancora qui a seguirmi! <3

PS: per dare un'idea dell'albero, così come l'ho immaginato:



Figuratevelo di notte. Al posto di tutto quel bosco dietro metteteci le stradine sterrate di un grande parco e una folla di gente accorsa a vedere i fuochi d'artificio et voilà, la scena come è apparsa nella mia testa! E, se ve lo siete domandate, sì, l'albero è un richiamo al primo incontro di Ryan e Strawberry nell'anime/manga :)

Un bacione grande,

la vostra Comet

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Capitolo 23
*** English lessons ***





Capitolo 23 – English lessons
 



“Hi. How are you? I’m fine, thanks”
Strawberry posò il libro, non molto convinta, e sollevò lo sguardo verso Katherine.
“Very good! Questa volta la pronuncia era corretta” la rassicurò la donna, sorridendole di rimando dall’altra parte del tavolo.
“Grazie, ma… posso sapere cosa ci facciamo qui?!”
Ryan le aveva fatto capire chiaramente che non si sarebbero più visti fino al termine delle vacanze se lei non avesse finito tutti i compiti che le erano stati assegnati, e a nulla erano servite le sue proteste.
I piccoli inconvenienti che derivano dal frequentare un professore, Momomiya, le aveva detto lui con un sorrisetto.
Fortunatamente, Katherine si era offerta di darle una mano. Era diventata molto più gentile dopo la sera della festa e fin qui tutto bene. Quello che non riusciva a capire era perché si trovassero proprio a casa del suo insegnante.
“Vorrei saperlo anch’io”
Ecco, appunto. Ryan le raggiunse in salotto, un bicchiere di tè in mano e un’espressione contrariata in viso. Quella canottiera nera attillata, nettamente in contrasto con l’oro dei suoi capelli, era un vero attentato di cui gli ormoni di Strawberry sarebbero caduti vittime più che volentieri.
“Perché al locale c’è troppo rumore e Strawberry ha bisogno di concentrarsi” gli spiegò placida sua madre. Lui sbuffò, consapevole che qualsiasi replica sarebbe stata inutile, e si accomodò accanto alla rossa, porgendole il bicchiere.
Strawberry rise tra sé e sé: vedere Ryan, così abituato a fare a modo suo, arrendersi a Katherine era pur sempre uno spettacolo. Bevve un sorso e tornò a prestare attenzione al dialogo in inglese su cui si stava esercitando. Secondo Katherine era indispensabile che imparasse più vocaboli e che la sua pronuncia sembrasse più americana e meno giapponese.
Cominciò a leggere dal punto che la donna le stava indicando: “Mi name is…”
“My name” la interruppe Ryan. Quella sua aria saccente era irritante alle volte.
“My name is Sara” riprese lei. “I’m form Italy”
“From Italy”
Strawberry lo fulminò con lo sguardo. “Guarda che lo so!”
“Ah sì?”
“I-insomma! Capita di sbagliare!” si difese, cercando di nascondere il tremolio nella voce causato dall’avvicinamento improvviso di Ryan. Aveva la strana abitudine di ridurre la distanza tra loro quando la rimproverava, non sapendo probabilmente l’effetto destabilizzante che questo aveva su di lei. O forse lo faceva proprio perché lo sapeva.
“Certo. E io ti sto correggendo” rispose lui, in piena tranquillità.
“Si è offerta tua madre di aiutarmi, non tu”
Il biondo si riappoggiò allo schienale della sedia e la guardò di sottecchi. “Forse se tu me l’avessi chiesto…” ribatté, pungente.
Lei spalancò gli occhi, ma non rispose. Come se non fosse già abbastanza imbarazzante battibeccare davanti a Katherine, quest’ultima non faceva che spostare lo sguardo da uno all’altra, divertita. Al suono del campanello si rivelò però più attenta di quanto in realtà non apparisse, decidendo di concedere loro un po’ di spazio – e Strawberry cercò di non pensare che quella di aiutarla con lo studio fosse tutta una scusa.
Ryan spinse infatti indietro la sedia per alzarsi, ma sua madre gli fece cenno con la mano di stare pure seduto. “Don’t worry, honey”
“Thank you, mum” replicò lui, distrattamente. Gli era venuto così naturale risponderle utilizzando la sua lingua madre che non se ne sarebbe neanche accorto, se non avesse notato lo sguardo curioso di Strawberry.
“Che c’è?” le chiese, mentre Katherine si allontanava verso l’ingresso.
“Hai parlato in inglese” gli fece presente. Nonostante Ryan avesse un aspetto un po’ inconsueto per un giapponese, con gli occhi color acquamarina e i capelli biondi, non aveva mai pensato particolarmente alle sue origini americane ed era a tutti gli effetti la prima volta che lo sentiva parlare in lingua. E quel brivido che le era corso lungo la schiena doveva essere abbastanza esplicativo di quanto le fosse piaciuto. Per un attimo, la sua voce era sembrata completamente diversa ma non per questo meno attraente. Anzi.
Si accorse di avere il cuore a mille senza capirne il motivo e sicuramente a Ryan non sarebbe sfuggita la sua reazione.
Scosse il capo con decisione. Che scema, agitarti tanto per una cosa del genere!
“E con questo?” la guardò, sorpreso di vederla arrossire tutto d’un tratto. Appoggiò un gomito sul tavolo, portando la mano sotto il mento, mentre gli occhi di Strawberry si posavano su di lui, per poi tornare a fissarsi sul libro un secondo dopo.
“Non l’avevi mai fatto prima. Ecco, é…” Prese a giocherellale con una ciocca di capelli, indugiando in cerca di una parola che non l’avrebbe fatta apparire come una maniaca. “Bello” disse semplicemente, infine.
L’aver chiuso gli occhi le permise di gustarsi meglio la carezza che Ryan le depositò sulla testa, scompigliandole leggermente i capelli. Ogni volta quel tocco era capace di farla rilassare all’istante, la ammansiva e le donava un senso unico di tranquillità, era qualcosa di così naturale da essere diventato quasi irrinunciabile, il gesto d’affetto che preferiva.
Poi il rumore di passi lungo il corridoio la riportò alla realtà e Ryan ritrasse la mano giusto un attimo prima che Kyle facesse il suo ingresso in soggiorno, mostrando sorridente un sacchetto di plastica.
“Present for you” ammiccò Katherine, alle sue spalle.
Abituato all’impetuosità di Strawberry, il moro non si sorprese di vederla corrergli incontro e la accolse tra le braccia senza sbilanciarsi.
“Ciao Kyle!”
“Buon pomeriggio a te” Le cinse le spalle con un braccio, lanciando un’occhiata a Ryan, e gli venne spontaneo sorridere: vedere un pizzico di gelosia sul suo volto non era cosa da tutti i giorni. Ovviamente, molto ben mascherata.
Sollevò la mano libera in segno di scuse, divertito e soprattutto contento per l’amico.
Non era sicuro che le cose con Strawberry avessero preso finalmente una buona piega, ma a giudicare dal loro comportamento si poteva ben sperare. D’altronde, la sera della festa erano spariti fino al termine dei fuochi d’artificio e, quando si erano ritrovato nel parcheggio, non c’era stato bisogno di chiedere spiegazioni. I capelli spettinati di lui e le guance rosse di lei parlavano da sé.
Ryan gli sorrise e si limitò ad alzare gli occhi al cielo, mentre Strawberry si liberava dall’abbraccio per tornare a sedersi.
“Ho portato la merenda. Budino al cioccolato per tutti”
Strawberry sobbalzò, arrossendo all’istante. Il budino le ricordava qualcosa e, vista la scintilla che aveva attraversato i suoi occhi, lo stesso valeva per il suo insegnante.
Grazie a Ryan, anche mangiare un semplice dolce era diventato fonte di ricordi imbarazzanti! Quella volta, quando lui aveva pensato bene di assaggiare il suo budino direttamente dalla sua guancia, si era sentita così elettrizzata che, se non fosse stata seduta comodamente al tavolo del ristorante, le gambe non le avrebbero retto.
Erano passati diversi mesi, eppure quello scemo sembrava divertirsi allo stesso modo. Lo guardò in cagnesco, ma lui non se ne preoccupò più di tanto.
“Dimmi un po’…” disse invece, mentre Kyle si dirigeva in cucina. “Com’è possibile che tu abbia la sufficienza in inglese?”
Lei sbuffò.
“No, sto parlando sul serio. A quanto ne so, andavi male solo nella mia materia” spiegò, sottolineando il tempo del verbo. Era semplicemente curioso, non voleva prenderla in giro questa volta.
“Mi ha sempre aiutata Lory con l’inglese” ammise, cercando di non pensare a quanto le mancasse. Non aveva ancora realizzato del tutto l’accaduto, forse era questa la parte più difficile. Ogni volta che le capitava qualcosa sentiva il forte impulso di prendere il telefono e raccontare tutto a Lory. Il mattino dopo la festa dei fuochi d’artificio era arrivata a comporre tre cifre sul cellulare prima di bloccarsi, rendendosi conto che no, non poteva farlo perché una migliore amica non ce l’aveva più.
 “Ti manca molto, vero?” Si stupì nel sentire Katherine porle quella domanda e ancor più di essere avvolta in un abbraccio molto diverso da quelli soffocanti che solitamente le riservava. Posò le mani sulla sua schiena, avvertendo tutto l’affetto materno che in quel momento le stava trasmettendo.  “Vedrai che si sistemerà tutto.”
Strawberry si scostò, rivolgendole un sorriso. “Grazie, Kat”
“Su dear, riprendiamo a studiare”
Ryan le guardò sorpreso. Da quando Strawberry e sua madre erano entrate così in confidenza?
Le lasciò fare e raggiunse Kyle in cucina. Stava armeggiando con dei piattini e non si accorse della sua presenza finché non spostò una sedia per sedersi.
“Te la dai a gambe?” gli domandò, voltandosi a guardarlo.
Lui alzò le spalle. “Mia madre se la sta cavando bene”
“Ma scommetto che Strawberry preferirebbe che fossi tu ad aiutarla” Ecco che tornava all’attacco.
“Kyle, togliti dalla faccia quel sorrisetto compiaciuto” lo avvisò, più divertito che esasperato dalla costanza con cui l’amico rinnovava il suo intento di far nascere qualcosa tra lui e Strawberry.
Il moro ridacchiò, appoggiando sul tavolo un piattino con il dolce, decorato con quella che doveva essere crema di lamponi.
“Tranquillo, non è per te” disse subito. Poi tornò ad occuparsi degli altri budini, dandogli le spalle.
Ryan gli lanciò un’occhiata. Quando fu sicuro di non essere visto, raccolse un po’ di crema con un dito e lo portò alla bocca. Il sapore dolce gli fece storcere immediatamente il naso, no, non faceva per lui.
Eppure quella volta non mi era dispiaciuto, ricordò, evitando di pensare alla possibilità che a piacergli non fosse stato tanto il budino quanto invece il modo in cui l’aveva assaggiato, gustandosi poi anche l’espressione imbarazzata di una Strawberry che allora non era niente più di un’allieva.
“Non ho ancora avuto l’occasione per ringraziarti” disse ad un certo punto Kyle, spostando sul piatto un secondo budino.
“Per cosa?”
“Per essere stato vicino a Strawberry quando ne ha avuto bisogno. E’ una ragazza forte, ma se è riuscita… non dico a superare, ma almeno a gestire la situazione con Lory e Mark, credo sia stato soprattutto merito tuo. Mi sono stupito di vederla tornare dal campo estivo con il sorriso dopo le cose che mi avevi raccontato.”
Ryan rimase ad osservare i movimenti dell’amico per qualche secondo. “Ti comporti quasi come un padre con lei” commentò, infine.
“Te l’ho detto, mi sento molto protettivo nei suoi confronti” disse, guardandosi attorno. “Ti dispiacerebbe passarmi quel cucchiaino?” aggiunse, facendo un cenno verso il tavolo a cui era seduto l’altro.
Il biondo gli si affiancò e glielo porse, appoggiandosi poi di schiena al ripiano della cucina.
“E’ diventata un po’ la piccola di casa, al locale. Direi che ha contagiato tutti, anche tua madre le si è affezionata” Avrebbe voluto dire che si sentiva più un fratello maggiore che un padre, ma non osò farlo. Per entrambi. “E tu non sei da meno, a quanto pare”
“Hai intenzione di torturarmi finché non ti avrò detto cos’è successo?” si informò.
Kyle rise. “Temo di sì”
“Cosa vuoi sapere?”
“State insieme?” gli chiese, allungandogli un piattino con il dolce.
Lo afferrò, ignorando la domanda. “Cosa dovrei farci con questo?”
“Portarlo a Strawberry”
Sbuffò e fece per andare, ma Kyle lo fermò quand’era ormai sulla soglia.
“Non mi hai risposto però” gli disse.
E, in un primo momento, sembrò non avere la minima intenzione di farlo. Poi si voltò e gli mostrò un sorriso, - uno di quelli che probabilmente Strawberry avrebbe definito da mozzare il fiato - prima di scomparire in soggiorno.
Kyle tornò al proprio lavoro, sorridendo allegramente. Quello era decisamente un .
 
 
Studiare con Katherine era tutta un’altra cosa. Era più come fare un ripasso dell’ultimo minuto con una compagna di classe spensierata e che non conosce il significato della parola ansia.  Ma doveva ammettere di divertirsi.
Con Ryan… bè, vista la situazione, Strawberry non era certa di essere in grado di reggere una o due ore di solo studio in sua compagnia. Sarebbe stato frustrante e debilitante, soprattutto per la sua sanità mentale. In tal caso, lui avrebbe trovato sicuramente una soluzione per farla concentrare, ma si sarebbe anche divertito a provocarla e metterla in difficoltà di tanto in tanto. E il suo cervello sarebbe andato in tilt.
Guardò Katherine, pronta per l’interrogazione sulle espressioni che le aveva raccomandato di studiare.
“Come si dice buongiorno?” iniziò la donna, dondolando il viso tra le mani.
“G-good morning”
“Very good” le sorrise. “Now… buonanotte?”
Strawberry si morse il labbro inferiore. “Good night” disse.
“Molto bene, cara. Questo?” chiese, indicando la frase see you soon sul quaderno.
Ci pensò qualche secondo, cercando di ricordare cosa potessero voler dire quelle tre parole. Niente, insomma era già tanto che ne avesse memorizzate due. “Non me lo ricordo” ammise.
Nel frattempo, Ryan tornò dalla cucina con in mano un meraviglioso budino che riaccese subito l’entusiasmo di Strawberry.
Katherine sorrise furba, mentre suo figlio si sporgeva verso la ragazza per offrirle il dolce. “E questo cosa significa, dear?”
Lei diede un’occhiata ed assunse un’espressione trionfante. “Ah, questo lo so! Ti amo!”
Non sapeva perché avesse alzato la testa, andando ad incrociare lo sguardo di Ryan, né perché lui si fosse bloccato con il piattino a mezz’aria davanti a lei e gli occhi sgranati, e neppure per quale assurdo motivo fosse arrossita di colpo, scatenando in lui una reazione molto simile.
Così sembrava davvero che si stesse dichiarando! Desiderò soltanto di sprofondare per l’imbarazzo. Restarono a guardarsi per diversi secondi, prima che Strawberry riuscisse a dire qualcosa.
“Ehm... Non… Non intendevo… Stavo rispondendo a… C’era scritto sul libro... Vedi? Non volevo dire…” Era completamente nel pallone e stava mettendo in fila parole senza alcun senso logico, come suo solito. Ma perché doveva finire sempre con il fare queste figuracce? 
Ryan, vedendola in difficoltà, si lasciò andare ad una leggera risata. “Tieni, Kyle mi ha spedito a portarti la merenda” disse, posandole davanti il piatto.
Gliene fu sinceramente grata e sperò che le sue guance non avessero assunto una tinta ancor più accesa, ma ignorare la sua frecciatina le risultò comunque difficile.
“Cosa sono, una bambina?” mormorò imbronciata, afferrando il cucchiaino.
“Su, buona” la prese in giro.
Strawberry lo osservò sedersi sulla sedia accanto, mentre una strana sensazione le faceva contrarre lo stomaco.
Ti amo le sembrava qualcosa di terribilmente grande, eppure…
Lo guardò e seppe che avrebbe potuto passare la vita semplicemente così, a guardarlo.
“Cosa c’è?” le chiese lui, resosi conto di quelle attenzioni.
“N-niente.”
 
 
Aveva quasi finito il suo budino, quando il cellulare di Ryan squillò. Lui diede un’occhiata al display, poi si alzò senza dire niente ed andò a rispondere in cucina.
“Non ti distrarre, cara. Finisci il dolce e poi riprendiamo a studiare” la rimproverò allegra Katherine, notando come il suo sguardo si fosse perso dietro al biondo.
Lei annuì e prese un’ultima cucchiaiata. “Finito” sorrise.
“Kat, sei tremenda” fu il commento di Kyle.
Dieci minuti dopo, Ryan tornò da loro piuttosto seccato. “Devo fare un salto al lavoro” disse, infilando in tasca le chiavi della macchina.
Strawberry aggrottò la fronte. “Ma la scuola non è chiusa?”
“Infatti non sto parlando di quel lavoro.” Poi si rivolse a sua madre e Kyle: “Tenetela d’occhio mentre sono via”
Eccolo che ricominciava! Katherine la stava invitando a riaprire il libro, ma Strawberry saltò giù dalla sedia e seguì Ryan fino all’ingresso.
“Ehi” lo chiamò, trovandolo già seduto sul gradino in parquet per mettersi le scarpe. “Mi stai trattando ancora come una ragazzina” Aveva cercato di non suonare acida, ma con un risultato piuttosto scarso.
“Non lo sei?” la provocò lui.
“Non lo sono” ribadì.
Ryan si alzò e si mise di fronte a lei, rivolgendole un sorriso sornione. Le cinse la vita con le braccia, facendo scontrare i loro corpi in un gesto che appannò momentaneamente il cervello di Strawberry. La scarica che le percorse la spina dorsale le fece desiderare che non ci fossero quegli strati di stoffa ad impedirle di sentirlo pelle contro pelle, ma subito si vergognò di quel pensiero. Sì, voleva che Ryan la trattasse come una donna... Però così era decisamente troppo donna.
Lui dovette accorgersene, perché allentò un poco la presa e fece un piccolo passo indietro. Poteva essere sarcastico e a volte insopportabilmente sfrontato, ma poi aveva queste attenzioni nei suoi confronti che le facevano capire quanto in realtà quella sua freddezza non fosse altro che una maschera. Ognuno si difende a modo suo dal mondo, Ryan lo faceva così.
“Peccato. A me piacciono le ragazzine” le sussurrò all’orecchio.
Strawberry arrossì, perché ancora non si era abituata all’idea che lui provasse qualcosa per lei.
“Se dici così sembri un vecchio maniaco, però” gli fece notare, con un mezzo sorriso.
Ryan sgranò gli occhi, poi sorrise a sua volta. “Sei furba” le disse, sollevandola di poco da terra.
“Perché?” Sentì di nuovo il suo fiato caldo sull’orecchio e rabbrividì. Sarebbe bastato un minimo spostamento perché le sue labbra le si posassero sulla pelle, ma lui non si mosse. E Strawberry ebbe la certezza che lo stesse facendo apposta, portandola a desiderare sempre più quel contatto.
“Perché così mi costringi a dirti che mi riferisco ad una ragazzina in particolare.” Si ritrasse, in modo da poterla vedere in viso e gustarsi il rossore sulle sue guance. Sì, era decisamente una bambina e, paradossalmente, quello era uno degli aspetti che più gli piacevano di Strawberry.
Si avvicinò fin quasi a sfiorarle le labbra con le proprie e si sorprese di vederla chiudere gli occhi, in attesa. Sorrise, deciso a giocare un po’ prima di accontentarla, ma dovette abbandonare il suo intento quando la voce squillante di Katherine giunse dal salotto: “Strawberry! Come on, abbiamo dei compiti da fare!”
Sospirò e la rimise a terra, piano. Lei non ne sembrò particolarmente contenta e, nonostante non fosse la prima volta che richiedeva un contatto fisico con lui, Ryan evitò di dirle che gli ricordava molto una gattina in cerca di coccole. In quel caso, Strawberry avrebbe sicuramente sfoderato gli artigli.
“Ne riparliamo più tardi” le promise.
La rossa lo guardò confusa. “Di cosa?”
Nuovamente, Ryan ridusse la distanza tra loro. Le prese il mento tra le dita e si sporse in avanti in modo da essere alla sua altezza.
“Del motivo per il quale hai chiuso gli occhi” disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Bè, di ovvio c’era il fatto che Strawberry sarebbe avvampata, cosa che di fatto avvenne.
“Ma… ma… ma…”
Lui sollevò un angolo della bocca. “A dopo. E fai i compiti, non dimenticare che potrei metterti una nota quando rientreremo a scuola”
“Molto simpatico” commentò.
Lo guardò uscire, poi, rimasta sola nell’ingresso, riprese a respirare.
Aveva chiuso gli occhi perché voleva essere baciata.
Così aveva dimenticato di chiedere a Ryan del suo lavoro. Non quello a scuola, a quanto pareva.
Tornò in salotto, con lo sguardo perso nel vuoto e tanti punti di domanda.
Katherine sospirò. “E va bene, altri dieci minuti di pausa. Ma dopo si studia” La raggiunse e le posò le mani sulle spalle per guidarla verso il divano. “Allora, cosa vuoi sapere?” chiese, di fronte alla sua espressione interrogativa.
Ottenne un tacito assenso da Kyle, che le sorrise come ad incoraggiarla. “Ehm… Del lavoro di Ryan”
“Suo padre lo fa lavorare davvero troppo” sbuffò la donna, scuotendo il capo.
“Suo padre?” ripeté.
“Il mio ex marito è a capo di un complesso industriale che produce software informatici. Hai mai sentito parlare della Shirogane Software Corporation?”
“Sì, il suo nome è spesso sui giornali. A sentire mio padre è un’azienda innovativa, leader nel suo settore”
Katherine le sorrise. “Ryan ne è il vicepresidente” disse, semplicemente.
“Oh” mormorò Strawberry. Poi elaborò meglio la notizia e rimase a bocca aperta. “Ooh!”
Ora si spiegava come facesse a vivere da solo in quella villa e a permettersi un’auto sportiva così costosa. Che stupida, come aveva fatto a non pensare al fatto che quell’azienda potesse essere collegata alla famiglia di Ryan? E poi non lo aveva mai sentito parlare di suo padre…
“Sei rimasta senza parole?” le chiese Katherine, sventolandole una mano davanti al viso. “Possiedo anche io una piccola parte delle azioni. E’ stato il padre di Ryan ad insistere perché non lasciassi l’azienda dopo il divorzio, così ho continuato ad occuparmene oltreoceano, però non sono mai stata molto interessata a questo genere di cose.”
“Tu… e suo padre siete rimasti in buoni rapporti?” provò a chiedere timidamente Strawberry.
Lei annuì, tranquilla: “Il nostro non è stato un divorzio da film, con piatti lanciati e porte sbattute. Semplicemente un giorno ci siamo accorti di volerci molto bene, ma di non amarci più. A quel punto non aveva più senso tenere in piedi un matrimonio ma, visto che per i primi tempi abbiamo continuato a vivere insieme e che siamo tuttora molto legati, Ryan non ne ha risentito. Era la cosa che ci premeva di più”
Un discorso del genere, che non stava né in cielo né in terra per Strawberry, era assolutamente credibile se fatto da una donna come Katherine.
“E Ryan va d’accordo con suo padre?” domandò a bruciapelo.
Di nuovo, la donna mostrò un sorriso. “Sì. Non si vedono molto perché lui è spesso in viaggio per affari. Quando non c’è, è Ryan che manda avanti il tutto, qui in Giappone. Ma caratterialmente sono molto simili, parlano la stessa lingua. In ogni caso, si incontrano raramente fuori dall’ambiente lavorativo e, come ben sai, in questi due anni io sono stata all’estero”
E quindi Ryan ha passato molto tempo da solo. Non c’era bisogno che lo aggiungesse, Strawberry l’aveva capito fin da subito. Provò un'insopprimibile voglia di abbracciarlo, di dirgli che non sarebbe più stato solo.
“Ci sono altre cose che non so?” Era ironica, perciò non credeva che avrebbe visto gli altri due annuire. Si sistemò meglio sul divano, pronta ad assorbire un’altra notizia.
“Mio figlio sta portando avanti un progetto di ricerca sul DNA. Ha coinvolto alcuni dei massimi esperti mondiali nel settore e… bé…” La titubanza di Katherine le fece capire dove sarebbe andato a parare quel discorso. Ma perché sceglieva sempre le domande sbagliate?
“Quando… quando ha avviato quel progetto?” chiese, per accertarsi di aver capito.
Fu Kyle a risponderle, appoggiandosi con le braccia sullo schienale del divano. “Due anni fa”
Infatti. Questo poteva significare solo una cosa.
Alzò la testa, girandosi un poco per poter guardare l’amico. “Lui sta cercando…”
“Sì.” La interruppe lui, comprendendola subito. “Sta cercando di curare la malattia di mia sorella. Ryan non ha potuto aiutare Kari, non ne ha avuto il tempo, ma sa che ci sono altre persone al mondo che potrebbero avere bisogno di quella cura”
Strawberry sentì qualcosa di bagnato percorrerle la guancia e perdersi sulle sua labbra, lasciandole un sapore salato. Non si era accorta di essersi messa a piangere e si affrettò ad asciugare le lacrime.
“Perché questa reazione?” Katherine le sfiorò il dorso di una mano, amorevolmente.
“Non lo so” Provava una strana sensazione, che non aveva mai sperimentato prima. “Non credevo che Ryan fosse così…”
“Altruista?” terminò per lei.
Sì, era quella la parola che cercava. Strinse tra le mani il tessuto della gonna che indossava, annuendo.
Kyle le accarezzò la testa. “Non lo dà mai a vedere, vero? Lui si preoccupa sempre prima degli altri che di se stesso” Era vero, anche con lei era sempre stato gentile quando ne aveva avuto bisogno. “Ovviamente, se glielo chiedessi, negherebbe” concluse, facendola sorridere tra le lacrime.
“Strawberry?” la chiamò Katherine. “Se vuoi conoscere meglio mio figlio, se ci sono cose che vuoi sapere, tu chiedigliele. Sono certa che, in qualche modo, a te risponderà”
“Lo penso anch’io” aggiunse il pasticcere, porgendole un fazzoletto.
Strawberry si asciugò gli occhi e mostrò loro un sorriso.
“Su, dear. La tua pausa è terminata!”
“Oh no, di già?” si finse svogliata.
“Già. Forza, al lavoro”
Si alzò dal divano, stiracchiandosi. Guardò Katherine e Kyle, provando un forte moto di affetto per entrambi. Erano diventati un po’ una seconda famiglia per lei. E poi c’era Ryan… Ogni tassello che scopriva di lui la faceva capitolare. Le piaceva e le faceva paura, perché era impossibile che se ne innamorasse ogni secondo di più.
 
 
Quando Strawberry terminò i compiti, Ryan non era ancora tornato. Lanciò un’occhiata all’orologio appeso al muro e sospirò.
“A questo punto io andrei a casa. E’ quasi ora di cena” Cominciò a raccogliere i propri libri e li ripose con noncuranza nella borsa.
“Che ne diresti di restare?” le propose Katherine.
Lei la guardò di traverso, conoscendola stava tramando qualcosa.
“Anzi no, ho un’idea: potremmo fermarci tutti a dormire qui!” Era entusiasta come una bambina, tant’è che Strawberry si trovò quasi ad accettare senza esitazione.
“Kat” la fermò invece Kyle. “Sei consapevole che Ryan non gradirà affatto?”
Per una volta, Strawberry sarebbe stata d’accordo con il biondo. Insomma, a chi farebbe piacere se tre persone si autoinvitassero a casa?
Katherine non era della stessa opinione. Alzò le spalle e saltellò verso la cucina.
“Cosa fai?” la seguì lui.
“Preparo la cena, caro” rispose, mostrandogli cucchiaio di legno e padella.
Il giovane si massaggiò la nuca, andando a rivolgersi a Strawberry. “Che ne dici?”
“Non lo so. Ryan non si arrabbierà?”
Kyle rise, accovacciandosi davanti a lei, e le prese le mani tra le sue. “Quando ho detto che Ryan non avrebbe gradito, mi riferivo alla presenza mia e di sua madre”
Non era da lui essere così esplicito e questo portò inevitabilmente Strawberry ad arrossire. “Ma Kyle! Cosa dici?” esclamò, scandalizzata.
“Stai tranquilla, non gli darà fastidio se rimani”
“Ok” si limitò a dire, abbassando il capo.
“E poi ci sono un sacco di stanze in questa casa!” le fece presente Katherine, mettendo la testa fuori dalla cucina.
“E va bene. Allora avverto a casa… E passo a prendere un pigiama” decise.
Sua madre rispose al primo squillo e Strawberry inspirò profondamente prima di parlare. Le disse, con la maggior calma possibile visto che non era brava a raccontare bugie, che avrebbe dormito da Kyle in modo da terminare i compiti in serata, e che ci sarebbe stata anche Katherine, la sua aiutante al locale. Il fatto che Sakura avesse conosciuto Kyle e che l’avesse trovato un bravo ragazzo era sicuramente un punto a suo favore. Infatti, le diede il permesso senza problemi.
Quando mise giù però sentì lo sguardo di Kyle puntato nella schiena. Si voltò.
“Tutto bene?” gli domandò.
“Non ci avevo pensato prima. Mi dispiace che tu debba mentire ai tuoi” Sembrava seriamente dispiaciuto e Strawberry avvertì il senso di colpa con ancor più chiarezza.
“Dai, non posso mica dire alla mamma: ehi, resto a dormire dal mio professore di fisica!” cercò di sdrammatizzare.
Kyle sorrise della battuta, ma tornò subito serio. “Ti ho spinto ad avvicinarti a Ryan senza pensare a queste cose. Scusami”
Lei lo abbracciò forte. “Smettila subito, io sto bene. E’ solo una piccola bugia” gli disse, seppur poco convinta.
Poi prese la cartella e la mise in spalla. “Vado e torno.”
 
 
Sua madre le aveva gentilmente preparato la borsa con tutto l’occorrente e Strawberry aveva davvero apprezzato quella premura, almeno finché non era arrivata l’ora di indossare il pigiama.
Finito di cenare, salì al piano superiore e si accomodò in una delle stanze libere. Posò la borsa sul letto e ne estrasse quello che avrebbe dovuto essere il suo pigiama. Peccato che fosse la maglietta che Ryan le aveva prestato qualche mese prima, quando era ammalato e lei si era fermata a dormire da lui. L’aveva nascosta in un angolo del cassetto proprio per evitare inconvenienti – e un po’ perché si vergognava nel ricordare quella notte – e Sakura era riuscita a pescare proprio quella tra tutti i pigiami che aveva.
Con che faccia avrebbe potuto presentarsi davanti a Ryan con indosso quella maglia? Si maledisse mentalmente per non avergliela più restituita, avrebbe fatto meglio.
Stava valutando l’ipotesi di dormire così com’era, quando Katherine bussò alla porta.
“Strawberry, are you ok?” le disse.
“Sì, tutto bene” rispose, nascondendo la maglietta dietro la schiena.
La donna si affacciò nella stanza e le fece l’occhiolino. “Vedo che le mie lezioni danno i suoi frutti, dear”
“Sembra di sì” Il fatto che avesse capito la sua domanda era già un bel passo avanti, dopotutto. La guardò titubante per un attimo, poi si decise a chiederle di Ryan.
“Non è ancora tornato” fu la risposta. “Io e Kyle andiamo a letto, ma tu puoi restare pure in salotto a guardare la tv se non hai sonno”
“D’accordo. Buonanotte” Le sorrise, facendole un saluto con la mano.
Rimasta sola, alzò la maglietta di Ryan davanti a sé e la contemplò per qualche minuto. Insomma, era una semplice maglia bianca, non doveva farsi tutti quei problemi.
La indossò velocemente, prima di cambiare nuovamente idea. Se non altro, sua madre aveva pensato di procurarle anche un paio di calzoncini, almeno non avrebbe girato mezza nuda per casa di quello che probabilmente era il suo ragazzo, facendogli credere in un tentativo di seduzione.
D’altronde, anche volendo, non avrebbe saputo da dove cominciare.
Lasciò perdere quei pensieri e scese al pianterreno. Si sedette sul divano, portando le ginocchia al petto, afferrò il telecomando e si mise alla ricerca di un programma decente.
Un film americano, una gara di cucina, un documentario.
Come al solito, non trovò nulla. Spense il televisore, sbuffando.
Bene, si sarebbe girata i pollici fino all’arrivo di Ryan, sempre che avesse intenzione di rientrare in serata. Aveva semplicemente voglia di vederlo.
E, anche se era una cosa che avrebbe confessato solo a se stessa, aveva anche voglia di dormire tra le sue braccia, come al campo estivo. Da quando erano tornati, le era mancata terribilmente la sensazione rassicurante del suo petto caldo contro la schiena.
Non si era mai sentita così protetta.
Si raggomitolò, appoggiando la testa sul bracciolo del divano e finì per addormentarsi.
Non aveva mai retto sveglia fino a tardi, in genere cominciava ad aver sonno intorno alle undici e crollava prima della mezzanotte.
Immaginò Ryan che le diceva: proprio come una bambina.
Fu il rumore delle chiavi nella serratura a svegliarla. Ancora intontita, sentì la porta aprirsi e richiudersi con un lento cigolio. Poi la luce del salotto si accese, accecandola.
Qualche secondo dopo, la voce di Ryan spezzò il silenzio.“Possibile che ti addormenti ovunque?”
Strawberry si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi. “Che ore sono?” gli chiese, con la voce impastata dal sonno.
“Le due” Appoggiò le chiavi dell’auto sul tavolino di fronte al divano e le si avvicinò. “Cosa fai ancora qui?”
“Ti aspettavo”
“Dovresti essere a casa da un pezzo. Hai avvisato i tuoi?”
“Sì, papà” cantilenò, per poi fargli la linguaccia. “E comunque non sono qui da sola. Kyle e tua madre sono di sopra”
Ryan stranamente non parve molto sorpreso, sicuramente perché conosceva bene quei due e aveva immaginato che si sarebbero inventati qualcosa. “Avete preso possesso di casa mia, insomma” disse soltanto, facendola sorridere. “Dai, vai su a dormire. Suppongo che abbiate scelto anche le stanze”
Lei si alzò, barcollando un poco, e inclinò la testa da un lato. “E tu?” chiese.
Lo guardò recarsi in cucina e lo seguì fin sulla soglia, godendo della piacevole sensazione di freschezza che le dava camminare a piedi nudi sul pavimento. Tokyo diventava un vero forno nei mesi estivi, con le sue temperature costantemente vicine ai quaranta gradi e un tasso di umidità per nulla invidiabile.
“Mangio qualcosa, non ho cenato” Si abbassò, in cerca di qualche cibo surgelato nel freezer. Per sua fortuna, esisteva il microonde: detestava cucinare, figuriamoci se doveva farlo in piena notte.
Strawberry rimase in silenzio per qualche minuto. Non voleva andare di sopra, ma non sapeva neanche cosa dire. Si torturò il labbro inferiore finché non avvertì il sapore metallico del sangue in bocca. Le capitava spesso, quand’era agitata.
“Allora… buonanotte” mormorò, con voce bassa. Stava per girarsi ed andarsene, quando un gorgoglio proveniente dal suo stomaco le fece assumere la stessa tonalità dei capelli.
Sperò che Ryan non avesse sentito o che almeno avesse la decenza di far finta di niente, ma non sarebbe stato da lui. Ridacchiò, voltandosi a guardarla piuttosto divertito.
Inaspettatamente, alzò la mano sinistra mostrandole un cartone estratto dal freezer. “Pizza?”
“Ehm no, io…” esclamò, agitando le braccia. “Sì, grazie” si arrese infine. Aveva mangiato la pizza pochissime volte, ma quando si presentava l’occasione non sapeva resisterle, soprattutto se piena di formaggio filante.
Attese in silenzio che Ryan accendesse il forno e impostasse il timer, poi si sedettero insieme sul divano.
Per quanto l’avesse desiderato, trovarsi da sola con lui di notte le metteva una certa ansia, sentiva il cuore battere più veloce del normale senza che fosse accaduto nulla. Bastava davvero la sua sola presenza per farla stare così?
Quando lo guardò, non ebbe bisogno di darsi una risposta.
“Ti dispiace se spengo la luce e accendo questa?” le chiese lui, indicando la lampada appoggiata sul mobiletto accanto al divano.
Scosse il capo senza perdere di vista un suo solo movimento, pregando se stessa di tranquillizzarsi perché le aveva fatto solo una stupida domanda.
Dopodiché, Ryan prese una cartelletta che doveva aver posato sul tavolino quand’era rientrato e ne estrasse dei fogli.
“Cosa sono?” domandò lei, curiosa.
“Documenti che devo firmare”
Aveva lavorato fino ad un orario improponibile e continuava a farlo anche una volta a casa… Non avrebbe voluto disturbarlo visto che era assorto nella lettura – e nonostante questo l’espressione che aveva sul viso era terribilmente accattivante – ma non era mai stata brava a sopprimere la curiosità.
“Non sapevo che gestissi l’azienda di tuo padre” gli disse, guardandosi le punte dei piedi. “E nemmeno del tuo progetto di ricerca”
Ryan alzò gli occhi dal foglio e la scrutò in silenzio.
“E in più hai accettato di insegnare a scuola. Insomma, come fai? Io non potrei mai, sarebbe troppo impegnativo!” esclamò, allargando le braccia per enfatizzare il concetto.
Qualcosa nelle sue parole lo fece ridere. “Lo so” disse infatti, beccandosi un’occhiataccia.
Bene, aveva voglia di provocarla perfino a quell’ora. Ma non si stancava mai?
“Scherzo” ritrattò. “Non nego che a volte sia faticoso, ma è il mio lavoro e non mi dispiace. Mi tiene impegnato”
Era strano sentirlo ammettere di essere un comune mortale che sentiva la fatica come tutti. Lui era quello che si mostrava sempre forte e impenetrabile, e Strawberry apprezzò questa uscita. Lo rendeva in un certo senso più… umano, le permetteva di vederlo non solo come il prof intelligentissimo e inarrivabile, ma più semplicemente come Ryan. Lo stesso che la prendeva in giro e le mandava gli ormoni, il cuore e la testa in subbuglio. E che era anche un po’ odioso, doveva dirlo.
D’altra parte, non aveva bisogno di chiedergli perché avesse bisogno di tenersi impegnato. Sapeva benissimo da cosa Ryan volesse distrarsi e non poté fare a meno di sentirsi triste, colpita per l’ennesima volta dalla consapevolezza che il dolore che lui aveva dentro non si sarebbe mai esaurito del tutto.
“E torni sempre così tardi?” gli domandò.
“No, di solito no. Mi ha trattenuto la mia segretaria”
Dovette fare un’espressione piuttosto strana o comunque abbastanza eloquente da spingere Ryan a specificare: “E’ una signora di mezz’età, sposata e con tre figli. Quindi no, Strawberry, non per i motivi che pensi tu”
Beccata in pieno, sentì quell’ormai familiare calore salirle alle guance e imporporarle. Se non altro non è una biondina sexy perennemente strizzata in un tubino nero, pensò, con una punta di sollievo.
Nonostante ne fosse più che contenta, si affrettò a nasconderlo, come suo solito. “Co-comunque non lo stavo affatto pensando!”  esclamò.
Ryan la guardò, inarcando un sopracciglio. “Ma se ti si leggeva in faccia”
“Non è vero!”
“Oh sì, che lo è”
Non lo so sopporto, non lo sopporto proprio! Si mise in ginocchio, sporgendosi verso di lui senza esitazioni. “E va bene, allora sentiamo: cosa leggi adesso?” gli chiese, in tono di sfida.
Eppure avrebbe dovuto saperlo che in questi casi l’aveva sempre vinta lui.
Infatti, depose sul tavolino il foglio che aveva tra le mani e si avvicinò a sua volta, posandole due dita sotto il mento. La scrutò per qualche secondo, piantando quelle iridi color dell’oceano nelle sue al punto di farle mancare il respiro. Dio, come ci riusciva ogni volta?
Poi, qualunque cosa Ryan avesse letto nei suoi occhi lo spinse a trascinarla contro di lui e a baciarla in un modo che di casto non aveva davvero niente.
E forse Strawberry avrebbe dovuto spaventarsi o tirarsi indietro perché era così inesperta e quel bacio così profondo da farle girare la testa, ma l’idea non le sfiorò neanche la mente. Gli permise di tracciare con la lingua i contorni delle sue labbra e poi di prendere a giocare con la sua, finché non si trovò in braccio a Ryan senza sapere quando o come ci fosse arrivata.
Quando si staccò per riprendere  fiato ebbe il dubbio che l’aria nella stanza si fosse rarefatta, perché per quanto ci provasse non riusciva a farla arrivare ai polmoni.
“Ecco cosa leggo” le disse lui. “A proposito…” Strawberry lo guardò, socchiudendo le labbra. In quello stesso istante, la presa di Ryan sui suoi fianchi si fece più salda. “Bella maglietta” commentò, malizioso.
Oddio, se ne era dimenticata!
Si coprì istintivamente il petto con le braccia, un gesto di protezione in realtà non necessario. Cavolo, cavolo, cav…!
Ma il flusso dei suoi pensieri si arrestò di colpo. Il biondo aveva preso a giocherellare con il bordo della maglia, sfiorando a tratti la pelle sottostante e facendola rabbrividire.
Per poco, temette che avesse intenzione di togliergliela e andò nel panico. Non era assolutamente pronta ad una cosa del genere!
Invece, Ryan continuò soltanto a sfiorarla così, senza mai andare oltre. Lei si appoggiò con il viso contro il suo petto. Aveva voglia di sentirlo e si stupì di come avesse trovato il coraggio di infilare le mani sotto la stoffa della sua canottiera per sfiorargli la schiena. Lo sentì irrigidirsi, ma fu questione di un attimo.
Aveva sempre temuto il contatto con Ryan, un po’ perché era più grande, anche se solo di tre anni, un po’ perché sentiva quanto fosse più esperto di lei in certe cose. Ma se ogni volta era lui a prendere l’iniziativa per baciarla o accarezzarla, alla fine era sempre Strawberry a non riuscire più a staccarsi. Tra i due, forse era lei quella incapace di controllarsi.
Fece scorrere lentamente le unghie sulla sua schiena dal basso verso l’alto, con titubanza, sentendo man mano i muscoli tendersi al suo passaggio.
Per tutta risposta, Ryan le depositò un bacio sull'orecchio e scese poi verso il collo, portandola istintivamente ad inarcare la schiena e gettare indietro la testa, trascinandola in un vortice di emozioni sconosciute che le fecero venire la pelle d’oca e accelerare il battito cardiaco.
Strawberry continuò a giocare sulla sua schiena, sentendola calda e forte; allo stesso tempo, lui non accennava a smettere di accarezzarle i fianchi neanche per un secondo, prima piano, poi facendo maggiore pressione, assecondando i movimenti di lei.
Fu quando Ryan l’attirò ancor più a sé, strappandole un gemito, che Strawberry capì che non sarebbe stata in grado di mantenere a freno l’istinto che le gridava a squarciagola di lasciarsi andare e non pensare a nulla se non a ciò che stava provando.
Stava per seguire quel suggerimento quando il timer del forno scattò, avvisandoli che la pizza era pronta. Ryan si staccò controvoglia, avendo di nuovo la certezza che anche lei non avrebbe voluto, a giudicare dalla sua espressione. Avevano entrambi il fiato corto e le labbra arrossate, come due ragazzini.
Gli venne da ridere e, senza fare movimenti bruschi, la fece alzare dalle sue gambe.
Strawberry lo assecondò, evitando di guardarlo negli occhi. Adesso che avevano interrotto il contatto fisico, l’imbarazzo cominciava a farsi sentire con prepotenza e lei, che fino a un attimo prima si era sentita una donna tra le sue braccia, divenne improvvisamente una bambina piena di insicurezze.
Era questo che le faceva Ryan. La portava da un estremo all’altro, la faceva sentire in paradiso e all’inferno contemporaneamente, donna e bambina allo stesso tempo.
Una volta aveva pensato di dovergli insegnare a credere di nuovo nelle persone, ma si era sbagliata. Era lui che le stava insegnando l’amore. In tutti i sensi.
Un’altra cosa che Ryan sapeva fare bene era trarla d’impaccio quando l’imbarazzo prendeva il sopravvento, alleggerendo immediatamente la tensione.
Si sedette sul divano e posò sul tavolino il cartone con la pizza, raccomandandole di non mangiarla tutta in un sol boccone perché, se non ricordava male, era lui quello che non aveva ancora cenato.
Indignata, lei ne afferrò una fetta e la divorò in quattro e quattr’otto.
“E comunque è normale che lo pensi! Le donne ti cadono ai piedi” commentò, acida.
Ryan la guardò senza capire, poi rise. Stava davvero riprendendo un discorso che avevano interrotto almeno dieci minuti prima?
“Anche tu?” la provocò.
Strawberry si sporse a prendere un'altra fetta di pizza. “No. Io ti detesto, ricordi?”
Risero insieme, percependo in ogni gesto, sguardo, parola che le barriere tra loro stavano lentamente e definitivamente crollando.
 
Accucciata in cima alla scala, con le mani sulla ringhiera, Katherine sorrise contenta.
“Kyle, dovremmo aprire un’agenzia matrimoniale!” sussurrò concitata, dandogli una gomitata.
Lui la guardò contrariato e mortificato per aver spiato una scena tanto intima. Aveva cercato inutilmente di convincerla a tornare nella sua stanza e così aveva finito con l’assistere involontariamente a quello scambio di effusioni.
“Kat, andiamo a dormire che è meglio” mormorò, trascinandola con sé.
 
Che Strawberry non fosse in grado di stare sveglia fino a tardi, Ryan lo sapeva da un pezzo. Per questo non si stupì particolarmente quando, tornando dalla cucina con in mano un bicchiere d'acqua, la trovò placidamente addormentata sul divano.
Ci risiamo, commentò tra sé e sé. Si addormenta davvero ovunque.
Bevve un sorso d'acqua e si sedette accanto a lei, recuperando i documenti dell'azienda. Era a pezzi e non aveva nessuna voglia di firmare quelle scartoffie piene di clausole a cui avrebbe dovuto dedicare un'attenzione particolare.
Sbuffò e quando lei si mosse temette di averla svegliata. Ma Strawberry si limitò a spostarsi, sistemandosi con la testa sulle sue gambe.
Ryan sorrise, addolcito da quel gesto involontario. Forse, in fondo, quella tenerezza era ciò di cui aveva più bisogno.
Spense la piccola lampada sul mobile. Avrebbe dato un'occhiata a quei documenti appena sveglio, la mattina successiva.
Si appoggiò con la schiena alla sponda del divano, trascinando delicatamente Strawberry contro il suo petto. La scusa che si raccontò era che così sarebbe stata decisamente più comoda.
Eppure, se il motivo fosse stato quello, non gli avrebbe fatto così piacere il sorriso che le si dipinse spontaneamente sulle labbra quando l'avvolse tra le braccia.
 
 
Quella mattina faceva un caldo terribile.
Strawberry si svegliò con i capelli incollati alla fronte e il segno delle pieghe del divano su una coscia. Si guardò attorno, ma non vide nessuno.
“Ryan?” mormorò, senza ricevere risposta.
Si passò una mano tra i capelli, socchiudendo gli occhi infastidita da un raggio di sole che la colpì in pieno viso. Doveva essere piuttosto tardi, il che significava che aveva dormito parecchio.
Notò un biglietto ripiegato sul tavolino davanti a lei. Lo prese tra le mani e riconobbe subito la grafia di Katherine, che aveva passato il pomeriggio a correggere gli errori di scrittura che commetteva in inglese.
 
Dear, io e Kyle siamo andati in pasticceria. Ryan sarebbe rimasto moooolto volentieri a tenerti compagnia, ma l'hanno chiamato dall'ufficio. A presto ^_^
 
La solita Katherine! Sospettò che la cancellatura fosse opera del diretto interessato. Infatti, poche righe sotto, faceva mostra di sé la calligrafia ordinata di Ryan:
 
Le chiavi sono sul mobile accanto alla porta. Chiudi quando esci. Me le restituirai poi.
 
Non sprecarti troppo, eh. Se non l'avesse conosciuto, sarebbe rimasta male di fronte a quel messaggio piuttosto freddo, ma ormai sapeva com'era fatto Ryan e, anziché arrabbiarsi, si limitò ad alzare gli occhi al cielo.
Lasciò cadere il biglietto sul divano e accese il cellulare. Vi trovò una chiamata del padre – indice del fatto che doveva sbrigarsi a tornare a casa - e un messaggio da un numero sconosciuto.
Lo aprì distrattamente, mentre saliva le scale per andare a recuperare le sue cose: the t-shirt looks better on you than me, so keep it. Ma finisci i compiti.
Si bloccò sui gradini e sbatté le palpebre un paio di volte. Era Ryan? Sì, l'ultima frase era proprio da lui.
Non riuscì a trattenere un sorriso, nonostante non avesse capito il significato della prima parte del messaggio. Perché mai l’aveva scritta in lingua straniera?
Avrebbe dovuto pensarci più tardi, perché un secondo squillo da parte di Shintaro la avvisò di affrettarsi.
Una volta pronta, trovò le chiavi esattamente dove le aveva detto Ryan. Chiuse la porta e le mise in borsa. Tenerle con sé le dava l'impressione di dover in qualche modo tornare lì, come se quel posto le appartenesse... Arrossì e si avviò di corsa verso casa.
Arrivò sudata e tutta trafelata, perciò l'aria condizionata che suo padre aveva tanto insistito di far installare l'estate precedente fu un vero sollievo.
Sakura le corse incontro mentre si toglieva le scarpe.
“Tesoro, bentornata” la salutò.
“Ciao mamma. Ma… c’è qualcuno?” domandò, notando tre paia di scarpe nell’ingresso.
Sua madre le mostrò un ampio sorriso. “Indovina chi è venuto a trovarci?”
Voltò la testa, guardando oltre la propria spalla e si bloccò.
Sì, faceva davvero caldo quella mattina, ma improvvisamente Strawberry cominciò a sentire un po' di freddo.












Ebbene sì, sono ancora viva!
Non so come sia riuscita a scrivere questo capitolo. Ultimamente ho avuto un po' di problemi di fantasia e temo che la storia ne abbia risentito. Infatti questo aggiornamento non mi convince totalmente e non so neanche bene il perchè. E' innanzitutto un capitolo di passaggio, in cui ho inserito qualche scena che avevo in mente da un po', al punto che è risultato più lungo del previsto e ho dovuto tagliare dei pezzi che inserirò più avanti.
La prima metà l'avevo scritta da qualche settimana ed è stata anche la parte più problematica T_T non mi piace particolarmente, non per i contenuti, ma per il modo in cui l'ho scritta. Quindi se dovesse esserci qualcosa che non vi piace da questo punto di vista, ditemelo senza problemi! Sapete che le critiche costruttive sono sempre utili :)
Come al solito, mi scuso per il ritardo :( ormai il vecchio ritmo di aggiornamento si è perso, ma spero mi perdonerete >__<
Posso però dirvi che dal prossimo capitolo inizieranno ad esserci i primi problemi con cui Ryan e Strawberry dovranno fare i conti. Soprattutto Straw!
Oh, a proposito del messaggio in inglese di Ryan: non sono sicura che la traduzione inglese sia corretta al 100%, nel caso ne sapeste più di me... correggetemi!
A presto ragazze, vi saluto e vi ringrazio, come di consueto, per le recensioni. Mi fanno contentissima! <3
Un bacione,

Comet

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Capitolo 24
*** Inconvenienti ***


Capitolo 24 – Inconvenienti
 





Strawberry avvertì una strana sensazione.
Il sorriso entusiasta di sua madre, che fino a poco tempo prima era solita associare alle piacevoli visite di Misako e Takeshi in vista dell’organizzazione di qualche gita fuori porta, le procurò un brivido freddo lungo la schiena perché, no, quello non era proprio il momento di parlare amichevolmente di viaggi e scampagnate in compagnia della famiglia Aoyama. Soprattutto se questo implicava la presenza di Mark.
Nemmeno il tempo di pensarci, che l’oggetto delle sue considerazioni si palesò sulla porta del soggiorno, seguito dai genitori. La signora Misako superò il figlio e si avvicinò a Strawberry, posandole delicatamente una mano sulla guancia.
“Cara, come stai?” le domandò, con quell’incredibile garbo che lasciava la ragazza sempre un po’ spaesata.
Personalmente, non ricordava di aver mai colto nella sua voce una sfumatura di irritazione, collera o di qualsiasi altra cosa non potesse essere definita gentilezza. Mark le somigliava moltissimo, sotto questo punto di vista. Fisicamente, invece, aveva ereditato gli stessi colori scuri del padre, che poco avevano a che vedere con la pelle lattea e gli occhi nocciola di Misako.
“Bene, grazie” mormorò, abbozzando un sorriso tirato.
“Oh, ma guarda come sei abbronzata! Il campo estivo deve aver fatto bene anche a te!”
Anche.
A suo figlio aveva fatto bene sicuramente, ma si morse la lingua per evitare di dirlo. 
Cercò di concentrarsi sul viso della donna, ma il suo sguardo cadde inevitabilmente su Mark, alle sue spalle. Si guardarono per un attimo, mentre i loro genitori dicevano qualcosa a cui Strawberry non riuscì a prestare attenzione. Si sentiva come in una bolla insonorizzata e impermeabile, e voleva andarsene ma al tempo stesso non riusciva a fare niente. Poi il moro abbassò il capo, con un’espressione avvilita in volto. Senso di colpa?
Rivederlo dopo l’accaduto le confermò che l’amore che aveva provato per lui si era sgretolato pian piano di fronte al tumulto che Ryan era stato in grado di scatenare in lei.
Cos’erano quei pochi mesi in confronto ai sei anni durante i quali aveva dedicato se stessa a Mark?
In quel momento, tutto.
E poi la batosta finale, scoprire che lui e Lory stavano insieme da settimane alle sue spalle l’aveva distrutta, ma era stato proprio in quel mare di delusione che aveva aperto gli occhi e fatto realmente chiarezza nei suoi sentimenti. Nonostante questo, affermare di essere in grado di restare impassibile davanti a Mark era forse troppo e non sapeva se ci sarebbe mai riuscita.
Avvertì un improvviso groppo in gola, ma si sforzò di mantenere sollevati gli angoli della bocca, in una finzione che non era proprio da lei. Ma, in fondo, non era mai stata completamente se stessa davanti a Mark, quando tentava disperatamente di essere la ragazza che lui avrebbe voluto al suo fianco. A ripensarci, quei tempi le parvero lontanissimi e, di nuovo, si rese conto di quanto Ryan fosse entrato a fondo nel suo cuore: certo, in modo irritante e alle volte sgradevole, ma comunque a fondo.
“Tutto bene, tesoro?” le domandò sua madre, posandole una mano sulla spalla.
Strawberry scosse il capo come per riprendersi dallo stato di trance in cui era caduta. “Sì, mamma. Sono solo un po’ stanca”
“Non sarai stata in piedi tutta la notte, vero?”
In piedi non era decisamente il termine più adatto. Arrossì, mettendo un’enfasi eccessiva nel fare cenno di no con la testa. Dopotutto, quei lunghi minuti che aveva passato seduta sulle gambe di Ryan a prendere confidenza con il suo corpo non potevano considerarsi tutta la notte.
“Hai dormito fuori?” domandò curiosa Misako.
 “Da un amico” si intromise Sakura. “Le ha dato una mano con i compiti delle vacanze”
Per la seconda volta, Strawberry provò una strana sensazione che di positivo non aveva niente. Si accorse che Mark aveva alzato lo sguardo e la stava fissando intensamente. Sembrava che volesse trafiggerla – in un modo totalmente diverso da come faceva Ryan – ma non riuscì a capirne il motivo.
“Già, avevo qualche problema con l’inglese” ammise, cercando di scacciare quell’angoscia. Ma immediatamente si accorse di aver fatto un passo falso e portò istintivamente le mani davanti alla bocca.
“Oh, non preoccuparti, Strawberry. Tutti noi abbiamo avuto problemi con qualche materia, quando andavamo a scuola”
In un altro momento, sarebbe stata grata a Misako per la sua gentilezza, peccato che la sua preoccupazione non aveva nulla a che fare con la sua scarsa conoscenza dell’inglese.
Guardò Mark. Aveva già espresso in più di un’occasione i suoi dubbi sul tipo di rapporto che la legava a Ryan, senza contare che si era fatta beccare ad uscire dalla sua stanza, e ora lei gli stava offrendo l’ennesima possibilità di sospettare qualcosa: aveva dormito da un amico, un amico che per di più era talmente bravo con l’inglese da poterla aiutare.
Mark era abbastanza intelligente da fare due più due, collegando le origini americane di Ryan al fatto che Strawberry non aveva rapporti stretti con nessun ragazzo, se non con lui.
Ma forse era solo diventata improvvisamente paranoica, dopo il discorso che Ryan le aveva fatto durante la festa dei fuochi d’artificio. Mark, infatti, non la stava più fissando e sembrava concentrato sulla conversazione dei loro genitori.
Sospirò sollevata. Sì, era decisamente paranoica e il ragionamento che aveva fatto andava al di là della realtà. Sarebbe stato impossibile fare quei collegamenti.
“Tu che ne dici, Strawberry?”
“Di… di cosa?” chiese, inclinando il capo da un lato.
Sua madre le rivolse un’occhiata di rimprovero. “Tesoro, ma non ascolti? Vi abbiamo appena detto che stiamo pensando di trascorrere qualche giorno a Kamakura”
“Oh, certo. Quando?” domandò, senza troppo entusiasmo.
“Verso la metà di settembre, dipende dai turni di lavoro di tuo padre” Non vedendo alcuna reazione nella figlia, aggiunse: “Bè? Non sei contenta di andare a vedere il grande Buddha?”
Strawberry sgranò gli occhi. “Che cosa? Devo venire anch’io?!” esclamò, incredula.
“Ma cosa ti prende oggi? Ti sei sempre lamentata quando ti lasciavamo a casa, così questa volta abbiamo deciso di portare anche te e Mark”
Probabilmente Sakura si aspettava di vederla saltare da una parte all’altra della stanza e non certo fare quell’espressione sconvolta.
“In realtà, preferirei restare a casa” mormorò, portando una mano a massaggiarsi il collo.
A quel punto, gli sguardi di tutti i presenti erano puntati su di lei, come se fosse un'aliena.
Ok, aveva sempre fatto un sacco di storie ai suoi genitori perché partivano lasciandola a casa, quando quei viaggi avrebbero potuto essere l’occasione perfetta per passare del tempo con Mark, però questo accadeva prima, molto prima che Mark e Lory dimenticassero di rivelarle il piccolo particolare della loro storia.
“Vedi, mamma, la settimana prossima ricomincia la scuola e, visto che è l’ultimo anno, non voglio trascurare lo studio. Quindi è meglio se rimango a ca…”
Sakura le fece un gesto di non curanza con la mano. “Ma dai, tesoro, i tuoi voti sono molto migliorati, stai andando bene persino in fisica quest’anno. Un weekend fuori porta non potrà essere così negativo”
Strawberry cercò di protestare, ma sua madre glielo impedì, coinvolgendo Misako in una fitta discussione sui luoghi che avrebbero visitato.
Guardò a terra, concentrandosi sui suoi piedi. Possibile che fosse così sfortunata? Non voleva andare da nessuna parte insieme a Mark, ma sua madre l’aveva già intrappolata, sicuramente pensando di farle un favore. E adesso?, si chiese, mordendosi il labbro inferiore.
“Su, torniamo in salotto, dobbiamo organizzare un sacco di cose” Continuò Sakura, entusiasta come una bambina, tanto che a Strawberry ricordò un po’ Katherine. “Strawberry, va’ in camera tua a posare la borsa, poi ci raggiungi, così ci dici cosa ti piacerebbe vedere”
Sospirò, arrendevole, mentre sua madre spingeva gli ospiti nella stanza accanto. Recuperò il cellulare dalla borsa, pronta ad andare di sopra a tradurre il messaggio di Ryan, quando si accorse che Mark era ancora lì, nell’atrio.
Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma si sentì stupida e lasciò perdere. Non aveva niente da dire, così strinse il telefono tra le mani e raggiunse a passo spedito le scale, tenendo la testa abbassata, a disagio.
Detestava quella situazione, quello che era accaduto e il fatto che avesse rovinato il rapporto con le due persone a cui voleva più bene.
“Strawberry”
Mark la chiamò quando era ormai a metà scala. Lei si bloccò sul gradino, indecisa su come comportarsi.
“Come stai?” le domandò.
Strawberry non si voltò. Si limitò a mormorare “Sto bene”, facendo in modo che il suo tono suonasse tranquillo e normale, per poi correre al piano di sopra.
Una volta nella sua stanza, lanciò la borsa sul letto e accese il piccolo portatile rosa sulla scrivania, pensando che se Ryan l’avesse visto  avrebbe sicuramente avuto da ridire su quel colore. Alzò gli occhi al cielo e aprì il messaggio che le aveva inviato.
Si sedette alla scrivania e cliccò sull’icona di accesso a Internet, dondolandosi impaziente sulla sedia. Quando finalmente la pagina si fu aperta, entrò nel traduttore online e copiò nell’apposita casella la frase inviatole da Ryan.
La maglietta sta meglio a te che a me. Quindi, tienila.
Istantaneamente, avvertì il sangue fluirle alle guance - una reazione a cui si era ormai abituata, ma che ogni volta la faceva sentire la bambina che il suo insegnante si divertiva a descrivere - ma subito dopo non poté fare a meno di sorridere
. Ryan non era mai così esplicito nei suoi confronti e quando si trattava di dirle cose carine, ammettendo che le dicesse, lo faceva sempre in modo ironico o provocante, così che Strawberry non riusciva mai a capire se fosse serio o scherzasse. Ed ora una stupida e semplice frase la stava facendo sentire incredibilmente felice.
Mi sento una dodicenne, pensò sorpresa. Ryan le aveva già detto di tenere quella maglietta, tempo prima, e lei lo aveva effettivamente ascoltato, anche se aveva continuato a ribadirgli che prima o poi gliel’avrebbe riportata. A quel punto, non ce ne sarebbe stato più bisogno.
Chiuse tutto, si alzò e prese a giocherellare con il ciondolo appeso al cellulare, in attesa che il portatile si spegnesse. Doveva rispondergli? Bè, sì. Ok, ma cosa poteva scrivergli?
“Posso?”
La voce alle sue spalle la fece sussultare. Si girò di scatto e il cellulare le scivolò via dalle mani, finendo ai piedi del suo interlocutore. Strawberry si mosse, ma Mark la precedette, abbassandosi a raccoglierlo.
Il suo cuore perse un battito.
“Non volevo spaventarti” si scusò lui, poi le porse il telefono, senza leggere il testo del messaggio ancora in evidenza sul display.  La rossa lo afferrò, curandosi di non sfiorare le sua mano nel riprenderlo, e lo strinse al petto, sollevata. Per un attimo aveva temuto il peggio.
“Se… se non ti dispiace, avrei da fare” mormorò, sperando di mascherare il tremolio nella sua voce.
“Tua madre mi ha chiesto di venirti a chiamare. Volevo solo dirti che non sapevo che i nostri genitori stessero organizzando questo incontro”
Strawberry si appoggiò alla scrivania, posando il cellulare dietro di sé, al sicuro, prima di combinare qualche altra sciocchezza. 
“Avresti trovato una scusa per non venire, se l’avessi saputo?” gli domandò, voltando il viso di lato e fissando un punto indefinito del pavimento.
Il fatto è che non sapeva che espressione avrebbe avuto il suo viso se si fosse azzardata a guardare Mark negli occhi per un solo secondo, adesso che erano soli. Temeva che non vi avrebbe letto altro che rancore e, nonostante tutto, lei non voleva questo. Non era così, non lo era mai stata. Non con lui.
“No, io…” Mark esitò un attimo, indeciso se avvicinarsi o restare dov’era, sulla soglia della porta. Optò per la seconda ipotesi, prima di riprendere a parlare. “Strawberry, non avrei trovato una scusa”
“Io invece sì. Da codarda, l’avrei fatto” ammise, mentre sul suo volto faceva capolino un sorriso amaro.
Questa volta il moro la raggiunse, fermandosi a pochi passi da lei, ma sufficienti a lasciarle libertà di movimento qualora avesse voluto allontanarsi. L’ennesimo gesto gentile dopo una coltellata in pieno petto, peccato che era stata proprio lei a mettergli il coltello tra le mani. Eppure sapeva che la gentilezza di Mark era autentica e sincera.
“Non sei una codarda. Sei una persona e sei stata ferita. Io ti ho ferito. Quindi, hai tutte le ragioni del mondo per evitarmi”. Glielo disse guardandola in faccia, nonostante Strawberry si ostinasse a tenere lo sguardo fisso per terra. “Strawberry, guardami…” la pregò.
Lei inspirò profondamente, ma non accennò a muoversi dalla posizione in cui era, le mani tremanti e strette sul bordo della scrivania. “Mark, vai via, per favore” mormorò.
Il moro aprì la bocca come per dire qualcosa, ma poi sembrò ripensarci e decise di assecondare le sue parole. “Vorrei solo riavere indietro la nostra amicizia”, le disse, tornando a guardarla, quand’era ormai sulla porta.
“Non è mai stata un’amicizia per me”.
Fu un sussurro, un pensiero che le aveva attraversato la mente e che aveva preso parola senza che Strawberry potesse far nulla per fermarlo. Si accorse immediatamente di aver detto una sciocchezza e cercò nella sua testa una frase qualsiasi per riparare all’errore.
Eppure aveva represso quei sentimenti per così tanto tempo che, in un angolo del suo cuore, aspettava soltanto di poterli tirare fuori e, anche se tempo prima non l’avrebbe mai immaginato, liberarsene del tutto. Forse solo così avrebbe potuto gettare via la rabbia e la delusione.
“Io… ero innamorata di te” disse,  alzando lo sguardo fino ad incrociare gli occhi di Mark.
Tra tutte le sensazioni contrastanti che provava, in quel momento avvertì un senso di leggerezza. Finalmente l’aveva detto, finalmente quelle dannate parole erano uscite dalle sue labbra.
Era tardi ormai, non c’era più l’agitazione, il cuore non rischiava di schizzarle via dal petto, la voce non le tremava. Non amava più Mark. E, a quel punto, non sapeva più se poteva davvero chiamare amore quello che aveva provato per lui prima di conoscere Ryan. Perché con Ryan era tutto diverso, era litigare, era prendersi in giro, era mandarsi al diavolo ogni dieci secondi e invece finire in paradiso, era amare in un modo che la Strawberry innamorata di Mark non aveva mai conosciuto.
“Strawberry…”
“Però, ora… non più” lo interruppe. “Quindi, ti prego, dammi tempo”
Mark la guardò, confuso. “Non capisco…”
Lei ricacciò indietro le lacrime che rischiavano di cadere da un momento all’altro.
“Anche se dicevo il contrario, in realtà sono arrabbiata con te e Lory, perché mi avete mentito. E questo non mi lascia ragionare lucidamente, anzi, in alcuni momenti vorrei solo urlare. Ogni volta che ci penso, le idee diventano più confuse e non arrivo a niente. Perciò, dammi tempo. Io… sono andata avanti. Non provo più quelle cose, però ho bisogno di altro tempo”
Si accorse di aver stretto talmente tanto le mani sul bordo della scrivania che ora le dolevano. Allentò la presa e inspirò profondamente, in cerca d’aria.
“Tempo per cosa?” le chiese Mark, tornando di fronte a lei.
Questa volta Strawberry non si mise sulla difensiva, si limitò a guardarlo dritto negli occhi, sperando che capisse quanto male le aveva fatto e quanto fosse difficile per lei metterci una pietra sopra.
Semplicemente non era pronta e non sapeva se ci sarebbe mai riuscita, però…
“Ti ho detto che, per me, la nostra non è mai stata un’amicizia. Ecco, ho bisogno di tempo per questo. Forse tra un po’ non mi sentirò più così arrabbiata e delusa e amareggiata, e…”
“Ho capito” la interruppe Mark, risparmiandole di dover continuare la frase, facendole intendere che aveva davvero capito quanto si stesse trattenendo per non urlargli contro tutta la delusione che provava.
Non si aspettava che quella conversazione sarebbe andata a finire così. Temeva che, se si fosse trovata faccia a faccia con lui, avrebbe finito per urlargli contro tutta la sua rabbia, invece le cose avevano preso tutta un’altra piega.
Forse era vero che con Mark non sarebbe mai riuscita a mostrare la parte più aggressiva e forte di sé, o che non sarebbe mai riuscita a restare indifferente. In ogni caso, per quanto le sembrasse strano, non poteva ignorare quel senso di liberazione per aver finalmente espresso ciò che provava e pensava.
Si era tolta un peso, un peso enorme che stava rischiando di schiacciarla.
“Strawberry?!” la voce di Sakura giunse dal piano di sotto, stemperando finalmente la tensione che si era venuta a creare. “Hai intenzione di scendere prima o poi?”
“A-arrivo, mamma!” urlò di rimando. Si rivolse poi a Mark: “Credo che sia meglio andare” mormorò, riacquistando un tono distaccato. Si scostò dalla scrivania, cercando di ignorare le gambe tremanti.
Quella conversazione inaspettata era stata psicologicamente troppo impegnativa per lei, e Strawberry si chiedeva dove avesse trovato la forza per arrivare a quella conclusione dopo così poco tempo dall’accaduto.
Era come se qualcosa – o qualcuno – avesse fatto in modo di contenere i danni che gli avvenimenti del campo estivo le avrebbero altrimenti causato, perché era certa di non essere così forte da poter uscire da sola e con solo qualche graffio dal baratro in cui era caduta la sera in cui aveva scoperto di Mark e Lory.
In qualche modo, era stato attutito il colpo.
Mark la guardò per qualche secondo, poi si avviò verso la porta. “Strawberry” le disse, voltandosi nella sua direzione. “Sii prudente”
Un brivido la percorse da capo a piedi e, di nuovo, quella strana sensazione che aveva avvertito qualche minuto prima tornò a farsi sentire. Non poteva riferirsi a quella questione, non era possibile.
“Che cosa vuoi dire?” si accertò.
“Non sono certo di cosa stia succedendo e ho provato più volte a parlartene… E so che non ho alcun diritto di intromettermi, ma credo di aver capito come stanno le cose, e… Ecco, se quel numero è della persona che credo, ti consiglio di salvarlo sotto un altro nome”
Sgranò gli occhi, presa in contropiede.
“Parlo del cellulare” aggiunse lui, vedendola aprir bocca per dire qualcosa.
Strawberry ammutolì, incapace di controbattere alla sua affermazione, e poté soltanto limitarsi ad osservare Mark uscire dalla sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Oh no. Lui aveva capito.
Non era solo una sensazione, Mark aveva davvero capito qualcosa, non erano più solo dei dubbi. Prese in mano il cellulare, premendo un tasto qualsiasi per illuminare il display.
Il messaggio era ancora lì, aperto. In alto, il nome del mittente che aveva inserito prima di tornare a casa.
Prof.
 
Doveva riacquistare la calma, ma il compito si rivelò più complicato del previsto.
Scese al piano inferiore dopo parecchi minuti, quando la riunione per l’organizzazione della gita era ormai giunta al termine e i suoi genitori stavano salutando la famiglia Aoyama.
“Oh, Strawberry. A presto, cara” la salutò Misako, facendole un cenno con la mano.
“Arrivederci” rispose, sentendo su di sé lo sguardo di rimprovero di sua madre.
Accidenti, era scesa con l’intento di parlare con Mark per dipanare i suoi dubbi, così da non creare problemi a Ryan, ma il moro stava già salendo in auto. E adesso?
Si disse di stare tranquilla. In fondo, Mark si era limitato a metterla in guardia, non aveva detto che le avrebbe creato problemi. Sospirò, in ansia.
Forse era il caso di parlarne con Ryan…
“Strawberry!” la chiamò Sakura, arrabbiata. Ma poi il suo tono si addolcì. “Sei sicura che vada tutto bene? C’è un motivo particolare per cui non vuoi venire a questa gita?”
A sua madre non sfuggiva mai nulla, ma questa volta non poteva parlarle apertamente come aveva sempre fatto. Non poteva dirle di Mark e Lory e, soprattutto, non poteva menzionare il suo professore di fisica come se niente fosse.
“No, mamma. Va tutto bene” si costrinse a rispondere.
Sakura la scrutò per nulla convinta, poi si arrese, certa che, qualunque fosse stato il problema, sua figlia sarebbe stata in grado di gestirlo.
“D’accordo. Tuo padre ha appena sentito il suo responsabile in ufficio e non ci sono problemi con i turni. Quindi abbiamo pensato di sfruttare il weekend di metà settembre” la informò, facendole l’occhiolino.
“E’… perfetto” mormorò, sorridendo.
Avrebbe pensato poi ad una scusa per restare a casa, e adesso che Mark aveva avanzato ulteriori dubbi sul suo rapporto con Ryan era ancora più decisa a non voler trascorrere del tempo in sua compagnia. Avrebbe finito per fare altre stupidaggini, se lo sentiva!
Salì le scale di corsa, rispondendo distrattamente alla domanda di Sakura su cosa volesse mangiare a pranzo, e si chiuse in camera.
Cercò in rubrica il numero del prof e lo osservò titubante. Sapeva di doverlo cambiare, ma “Ryan” sarebbe stato ancora più sospetto! Insomma, quante persone potevano esserci a Tokyo con quel nome? Una, lui.
Sbuffò, voleva chiamarlo, ma temeva di dargli fastidio. Magari lui avrebbe pensato che era una scocciatrice, se gli avesse telefonato solo qualche ora dopo aver ottenuto il suo numero.
In fondo, Ryan non le aveva chiesto esplicitamente di mettersi insieme.
Stupida, stupida, si disse. Hai avuto tutto il tempo per chiarire le cose e non l’hai fatto!
Certo, le aveva detto “mi piaci” – a modo suo – ma Strawberry non riusciva a capire se potevano considerarsi una coppia a tutti gli effetti e se quel mi piaci avesse per lui lo stesso significato che vi attribuiva lei.
A giudicare dai fatti, poteva dire di sì: il ricordo della notte precedente era più che mai vivido in lei e nell’ultimo periodo Ryan le elargiva più carezze del solito, anche se la sua abitudine di prenderla in giro era rimasta intatta. Nonostante questo, sentiva che qualcosa era cambiato.
 
 
Era ferma da almeno dieci minuti davanti alla villa di Ryan, indecisa se suonare o meno. Avrebbe voluto precipitarsi da lui già il giorno prima, ma con i suoi continui ripensamenti aveva finito con il rimandare.
“Posso sapere cosa ci fai impalata davanti al mio cancello?”. La voce di Ryan, con il solito tono asciutto, le giunse attraverso il citofono, facendola sussultare.
“Ehm… I-io… ecco…”
“Su, entra” la interruppe, aprendole il cancello.
Strawberry sospirò. Stupido videocitofono! Percorse quel vialetto che ormai conosceva a memoria e, quando fu sulla porta, Ryan le aprì prima che potesse bussare. Se lo trovò davanti e non poté fare a meno di soffermarsi su ogni centimetro del suo corpo, senza stupirsi di come quella t-shirt nera  risaltasse il biondo dei suoi capelli, né di come quei pantaloni bianchi gli stessero a pennello. Che Ryan fosse tremendamente bello non era una novità, eppure ogni volta lei riusciva ad incantarsi a guardarlo come se non l’avesse mai visto prima. Eppure doveva saperlo, che avrebbe dovuto smetterla: ogni volta si faceva beccare in pieno da un Ryan più che divertito e quasi compiaciuto.
“Sei diventata una stalker, per caso?” le chiese lui, con espressione innocente, appoggiandosi con un braccio allo stipite.
Lei arrossì di botto, agitando le braccia davanti a sé. “M-ma no!”
Sorridendo, alzò gli occhi al cielo, ma subito dopo il suo tono di voce si addolcì. “E’ successo qualcosa?”
Strawberry gli fece la linguaccia per vendicarsi del suo atteggiamento sgarbato  ed entrò in casa, abbassandosi per passare sotto al braccio del biondo – gesto in realtà non necessario, visto quanto Ryan la sovrastava in altezza.
“Volevo parlarti” Giunta in salotto, però, si bloccò di colpo, notando l’insolito disordine e la valigia vicino al divano. “Ma… parti?” chiese sorpresa, voltandosi a guardarlo.
Ryan sospirò e portò una mano dietro la nuca. “Lavoro” disse, indicandole poi il divano.
Lei lo guardò incredula e ignorò il suo invito a sedersi. “Ma come?! Vai via così? E quando torni? Io…”
Io volevo stare un po’ con te. Avrebbe voluto dirlo, ma le parole le morirono in gola. In un attimo, si era ritrovata Ryan a pochi centimetri di distanza, che la guardava piuttosto divertito, con quella punta di malizia che era ormai abituata a cogliere nei suoi sorrisi. E, se da una parte questo la faceva infuriare, dall’altra… Bé, aveva su di lei un effetto che si sarebbe vergognata troppo ad ammettere.
“Quante domande, Momomiya” le soffiò quasi sulle labbra, godendosi il broncio che era certo lei avrebbe messo sentendosi chiamare per cognome. La osservò gonfiare le guance e voltarsi per correre via, come sempre, ma la fermò prima che potesse farlo.
“Stavo scherzando, Strawberry. Dai, siediti”
Obbedì. Accidenti a quegli occhi che la fregavano sempre! Era così facile perdersi in quell’azzurro mare, che temeva avrebbe sempre assecondato ogni richiesta di Ryan se solo si fosse azzardata a guardarlo negli occhi. Sperò che lui non fosse consapevole dell’effetto che le faceva, ma sarebbe stato troppo bello per essere vero. Figurarsi se Ryan, che notava sempre tutto, non aveva colto quel piccolo particolare.
“E’ stata una decisione dell’ultimo minuto” la informò. “L’azienda di mio padre ha ideato un nuovo software che verrà messo sul mercato a breve, e questa settimana ci sarà la presentazione del progetto ad un’importante manifestazione che si terrà a Kyoto. In realtà avrebbe dovuto occuparsene mio padre, ma è dovuto partire all’improvviso per concludere un affare con altri clienti, così tocca a me andarci”
Non sembrava particolarmente entusiasta, mentre recuperava dei libri che aveva sparso qua e là per il salotto e li risistemava su una mensola. Strawberry sapeva che Ryan non amava granché il contatto con la gente, e ne erano una prova evidente la sua freddezza e il suo tono spesso seccato quando era costretto a intrattenere una conversazione, tuttavia era convinta che nel suo lavoro fosse terribilmente bravo. Come in ogni altra cosa facesse, d’altronde. Forse il suo distacco poteva sembrare una dichiarazione di superiorità che intimidiva l’interlocutore, e non le risultò poi così difficile immaginarlo, visto che fin dall’inizio aveva lei stessa sperimentato la capacità di Ryan di rigirare ogni cosa a suo favore e di fare in modo che l’altro facesse esattamente ciò che lui voleva.
“Non mi sembri felice” esternò il proprio pensiero, osservandolo prendere posto sul divano.  “Dai, immagino che sarà… interessante! No?”
Ok, era un tentativo abbastanza inutile di incoraggiarlo, se ne rendeva conto.
Ryan rise, appoggiandosi allo schienale, con le braccia dietro la testa. “Sì, interessante” confermò, con un tono a metà tra il serio e l’ironico che Strawberry non riuscì a interpretare.
“Quando parti?” gli domandò.
“Ho il treno tra un paio d’ore”
 “Oh” Prese a giocare nervosamente con una ciocca di capelli. “E… quanto…?”
“Una settimana” le rispose ancor prima che terminasse la domanda. La vide assumere un’espressione pensierosa e attese che gli ponesse qualcuna delle sue assurde domande, invece Strawberry non disse nulla. Si morse il labbro inferiore, spostando lo sguardo da lui a qualche punto indefinito della stanza.
Una settimana. Significava che non avrebbe potuto vederlo prima di tornare a scuola e che quella era forse l’unica occasione buona che avesse per dirgli di Mark e per chiarire l’origine del loro rapporto prima che tutti i suoi propositi di parlargli cadessero in prescrizione.
“Ryan…”
“Sì?”
All’ultimo, ci ripensò. “No, nulla” si affrettò a dire. Aveva già abbastanza pensieri per la testa e non voleva dargliene altri. Era meglio che partisse tranquillo e che si concentrasse sul lavoro. Ovviamente non aveva tenuto conto del fatto che lui avrebbe voluto sapere cosa aveva da dire.
“Strawberry, cosa…?”
Qualcuno suonò al citofono. Ryan la guardò poco convinto, soffermandosi fin quasi al punto di farla arrossire, poi si alzò e andò a rispondere.
Trasse un sospiro di sollievo, decidendo che per il momento poteva tenere per sé quel peso. Seguì Ryan con lo sguardo, fissando quelle spalle che l’avevano sostenuta con forza quando ne aveva avuto bisogno.
Ogni volta era costretta a fare i conti con la forte attrazione fisica che provava per lui, rendendosi conto di avere istinti che non credeva potessero appartenerle. Lo sapeva, quando Ryan si avvicinava più del dovuto, il contatto con lui la mandava fuori di testa e la ragione andava a farsi benedire. Era tutto istinto e questo, benché le facesse provare sensazioni totalmente nuove, un po’ la spaventava. Involontariamente, neanche a farlo apposta, il suo sguardo scese.
Nooo! Cosa guardi?!, si rimproverò, avvampando e costringendosi a distogliere l’attenzione da lui. Ecco, doveva essere illegale anche avere un fondoschiena così… Così…
Strawberry, smettila!
Doveva essere dello stesso colore dei suoi capelli ormai!
“Che stai facendo?” la richiamò Ryan, costringendola a riportare l’attenzione su di lui.
“N-niente! E’ solo che fa caldo qui dentro” O almeno, lei aveva un caldo tremendo. Si fece aria con la mano, sperando di riportare la propria temperatura ad un livello accettabile: non era davvero il momento di fare certi pensieri.
“But there’s the air conditioning!” esclamò una voce proveniente dall’ingresso.
“Katherine?”
La madre di Ryan comparve sulla porta del soggiorno e la salutò con la mano, seguita da Kyle. “Oh, Strawberry, ci sei anche tu, dear! A quanto pare sono l’unica che il mio figlioletto non ha pensato di avvisare” disse, lanciando un’occhiata offesa a Ryan.
“Tanto te l’ha detto Kyle, come immaginavo” replicò lui guardando bieco l’amico, mentre gli porgeva le chiavi dell’auto.
Il pasticcere allargò le braccia, arrendevole. “Lo so, lo so, ma sai com’è fatta tua madre” si difese.
“Cosa vorresti dire? Comunque, ti aspettiamo in macchina, hurry up, honey!” esclamò Katherine. Poi afferrò Kyle per il braccio. “Noi due dobbiamo fare un discorsetto, dear” gli disse mentre lo trascinava fuori, sotto lo sguardo divertito di Strawberry.
“Ti accompagnano in stazione?” domandò a Ryan.
“Sì, con la mia auto. Così poi Kyle può riportarla a casa. Non vedeva l’ora di guidarla” le spiegò lui, frugando in un cassetto in cerca di chissà cosa. “Ovviamente, non mi aspettavo che mia madre restasse buona buona al locale”
“Voglio venire anch’io!” Non si era quasi resa conto di averlo detto, l’aveva pensato e un secondo dopo le parole le erano uscite di bocca.
 “Come?” domandò Ryan, non sicuro di aver sentito bene. Recuperò dal cassetto i documenti che stava cercando e lo chiuse. Quando si voltò, trovò a pochi passi da sé una Strawberry estremamente rossa in viso, con lo sguardo rivolto a terra.
“Hai capito benissimo” mormorò, fingendo un’indifferenza che fece sorridere Ryan.
La trovò terribilmente tenera, tanto da risvegliare in lui una strana voglia di dolcezza che negli ultimi tempi provava fin troppo spesso quando si trattava della ragazzina che aveva davanti.
“Non credo sia il caso” disse, dopo un attimo di esitazione.
“Eh? Ma perché?” brontolò lei, contrariata. Ovviamente, lo sapeva. Non era il caso che si facessero vedere insieme in un luogo così affollato come la stazione, dove avrebbero potuto incontrare per caso qualche studente della loro scuola. E Ryan glielo fece presente, dandole un buffetto sulla testa. Come ai bambini.
A volte temeva che lui la vedesse sostanzialmente come una bambina dell’asilo. Poi, però, ripensava al modo in cui la accarezzava quando si baciavano e le sembrava assurdo averlo anche solo pensato. Dopo tutto, per certi versi Ryan restava ancora un mistero.
Le cadde l’occhio su un cappellino con visiera appeso all’attaccapanni vicino alla porta. Corse a prenderlo a lo indossò, voltandosi compiaciuta verso il biondo.
“Ecco!” annunciò, spalancando le braccia. “Metterò questo, così sarò meno riconoscibile”
Lo scetticismo di Ryan era evidente, anche se l’idea che lei insistesse per accompagnarlo in stazione non gli dispiaceva poi così tanto. Per niente.
“Credi davvero che quel cappello basti a nasconderti?”
Strawberry nascose per bene i capelli al di sotto del copricapo e gli sorrise soddisfatta. “Così va meglio?”
“Strawberry…”
“Starò zitta e buona!” garantì.
“Questo è già un passo avanti” ironizzò lui, beccandosi un pugno sul braccio.
“E poi, a dirla tutta, sei tu quello che attira l’attenzione tra noi!” Bè, era vero. Con Ryan accanto, chi si sarebbe preoccupato di guardare lei?
Lui la scrutò in silenzio per qualche secondo, poi le tolse il cappello e le passò una mano tra i capelli, scompigliandoli. “Ma sentitela, questa ragazzina”
“Prooof!” si lamentò, senza risultare poi così convinta. Le piaceva chiamarlo ancora così quando erano soli, ogni tanto, e lui non se ne curò, segno che in quel caso non aveva nulla da ridire.
“Questo lo metto io” le disse, invece, indossando il cappellino.
Il suono del clacson fuori dalla casa – di certo ad opera di Katherine - li avvertì che probabilmente si stava facendo tardi.
Ryan prese i suoi bagagli e si avviò verso la porta, ma lei non si mosse. “Allora? Guarda che potrei cambiare idea, se non ti sbrighi”
Strawberry sorrise, sentendo quel familiare calore raggiungerle le guance. “Arrivo!”
 
 
Benché fosse fine agosto, la stazione era piena di gente. Kyle, visibilmente soddisfatto dell’auto che stava guidando, li fece scendere davanti all’ingresso.
“Cominciate ad andare al binario. Io e Kat cerchiamo un parcheggio e vi raggiungiamo”
Katherine si sbracciò dal finestrino mezzo aperto. “E non provare a salire su quel treno senza salutarmi!”
Strawberry rise, Ryan portò una mano sulla faccia, esasperato. Certo, avere a che fare con Katherine continuamente doveva essere piuttosto stancante, poteva capirlo.
Si avviarono, camminando uno accanto all’altra. La stazione era decisamente grande e Strawberry ci era stata troppe poche volte per potersi orientare. Accelerò il passo per non perdere di vista Ryan.
Quando arrivarono al binario, lui si appoggiò ad una colonna di marmo, a braccia conserte.
“Prima…” cominciò.
“Mh?”
“Stavi per dirmi qualcosa”
Cavoli. Mark. “Ehm… quando?” cercò di tergiversare.
Il biondo inarcò un sopracciglio. “A casa, prima che arrivasse mia madre. Non prendermi in giro, Strawberry”
Ormai aveva deciso di aspettare a parlargliene, cosa poteva inventarsi?
“Ah!” esclamò, arrossendo. Non era per nulla tagliata per le bugie, lo sapeva bene, quindi tanto meglio dirgli qualcos’altro, ma che almeno fosse vero. Estrasse il cellulare dalla borsetta a tracolla e glielo mostrò.
“Ho salvato il tuo numero” gli disse. “Ho fatto bene?”
Ryan sorrise.
Si vergognava ancora moltissimo con lui, lo vedeva chiaramente nonostante lei cercasse di mascherare l’imbarazzo usando un tono antipatico. Era un libro aperto, Strawberry. Per lui lo era.
Con l’indice, le diede una leggera spintarella sulla fronte. “Secondo te perché ti avrei mandato quel messaggio sennò?”
“Per prendermi in giro?” azzardò lei, stupita dalla sensazione di calore che uno stupido contatto con Ryan le aveva provocato.
Ti ha solo toccato la fronte, scema, si disse.
“Tu pensi sempre che io giochi con te” Si era fatto serio e la guardava dritta negli occhi.
Strawberry si irrigidì. Era proprio quello il punto. “N-non è così?”
Portò una mano sulla sua guancia, sfiorandola leggero, poi con il pollice scese ad accarezzarle le labbra. Un sussulto, e per un attimo Strawberry parve volersi ritrarre, ma poi non lo fece. Ryan sapeva con certezza ciò che stava desiderando, perché era esattamente la stessa cosa che avrebbe voluto fare lui. Le guardò le labbra leggermente schiuse e sorrise, mentre un pensiero poco casto le attraversava la mente.
Controllati, si disse. Erano in un luogo pubblico estremamente affollato. Non era il caso.
Strawberry chiuse gli occhi, poi, all’improvviso, non avvertì più il contatto della mano di Ryan con la propria pelle. Spalancò le palpebre giusto un secondo prima che Katherine e Kyle li raggiungessero.
L’altoparlante annunciò che il treno al binario otto era in partenza.
“La mia macchina è tutta intera?” chiese Ryan, sarcastico.
Kyle rise. “E’ un miracolo che sia ancora intera, visto il modo folle in cui guidi. Con me è più che al sicuro, stai tranquillo”
Il biondo guardò pensieroso Strawberry, poi si tolse il cappello e glielo mise in testa, strapazzandola un po’.
“Ehi!”
“Mi raccomando, trattamela bene” si rivolse a Kyle, che per tutta risposta gli strizzò l’occhio.
Strawberry li guardò incredula, senza poter evitare di arrossire. “Ma cosa dici…” brontolò, in imbarazzo. Non era affatto una frase da Ryan, era troppo… troppo dolce.
“Guarda che parlavo della macchina”
Ecco, appunto. Ne fu quasi sollevata, visto che Katherine e Kyle stavano ascoltando, peccato che poi Ryan si abbassò verso di lei, sussurrandole all’orecchio: “O forse no”. Le sorrise malizioso, togliendole il fiato e facendole montare dentro una buona dose di rabbia. Prima che potesse reagire, mandandolo al diavolo o picchiandolo – era ancora indecisa – lui le regalò un’altra carezza sulla testa che, benché attraverso il tessuto del cappello, le arrivò dritta al cuore, facendole dimenticare qualsiasi reazione avesse intenzione di mettere in atto.
Si limitò a dargli una sberla sul braccio, neanche troppo convinta, e a mormorare: “Stupido…”
Ryan sorrise. “Ci vediamo a scuola”
“S-sì”.
Doveva solo riuscire a gestire la situazione fino al ritorno di Ryan, poi ne avrebbe parlato con lui, che di sicuro le avrebbe detto che era stata una stupida a preoccuparsi tanto, perché Mark non rappresentava un problema per loro. Loro. Sarebbe andato tutto bene. Nel frattempo, si rese conto che nella sua testa le stava già riuscendo troppo facile pensare a Ryan come al suo ragazzo. Sperava solo che anche per lui fosse lo stesso.
 
 
“Figlio ingrato!” protestò Katherine, dietro al treno che sfrecciava allontanandosi sempre più dalla stazione. “Non mi ha nemmeno salutato, e sono sua madre, dear!”
Kyle la abbracciava cercando di consolarla, ma sembrava più che altro divertito dalla situazione.
“Tutto bene, Strawberry?” chiese poi, vedendola pensierosa.
Lei distolse lo sguardo dai binari.
“A volte capita che Ryan debba partire improvvisamente per lavoro. Ricopre una posizione importante, dopotutto. Però, se può essere una consolazione, posso dirti che questa volta non mi è sembrato molto entusiasta”
Strawberry lo guardò perplessa. Dov’era la consolazione?
Kyle lasciò Katherine a soffiarsi il naso e si accovacciò davanti alla rossa, con un sorriso gentile. “Forse non dovrei dirtelo, ma credo che Ryan avesse intenzione di trascorrere del tempo con te prima dell’inizio delle lezioni”
“Te… te l’ha detto lui?” chiese, corrugando la fronte.
L’amico rise. “No, in realtà no. Però di solito non si lamenta quando gli capitano dei compiti improvvisi. Questa volta, invece, mi è parso piuttosto seccato di dover partire. E le possibili ragioni non sono molte”
Strawberry ci pensò un attimo, poi arrossì, e infine venne travolta dall’abbraccio di Katherine.
“Oh, you’re so cute!”
“Vedo che ti sei già ripresa, Katherine”
La madre di Ryan annuì convinta. “Yes, dear. E non essere triste, sarai talmente impegnata con le lezioni di inglese da non accorgerti neanche dell’assenza di Ryan”
Strawberry si liberò dall’abbraccio. “Lezioni di inglese? Ho già finito i compiti!”
“Sì, è vero, ma il tuo inglese è ancora pessimo” la informò, sorridente.
“Ah. Ehm… grazie, eh” Ogni volta che si confrontava con Katherine, si chiedeva come facessero gli americani a parlarsi in maniera così diretta senza che qualcuno si offendesse.
“Don’t worry, abbiamo un’intera settimana prima che tu rientri a scuola”
Lei sgranò gli occhi. “Ma io sono in vacanza!” protestò, sapendo già come sarebbe andata a finire. Purtroppo, quella donna assomigliava fin troppo a suo figlio, sotto questo punto di vista. Era certa che avrebbe avuto il coraggio di presentarsi sotto casa sua e restare finché non l’avesse convinta a fare ciò che voleva. Rabbrividì solo al pensiero!
“Niente ma, dear” replicò infatti Katherine.
“Uffa”
L’americana la guardò con la coda dell’occhio, sorridendo in modo strano. “E poi non preoccuparti. Al suo ritorno sarà Ryan ad occuparsi di te. Bè, magari ti darà un altro genere di lezioni, ma fa lo stesso” la prese in giro.
“MA… KATHERINE!!”
Oh, sì. Sarebbe stata una lunga, lunghissima settimana.
 
 
Si sedette alla scrivania, posando pesantemente la testa sul ripiano. Era distrutta. Non pensava che Katherine si sarebbe comportata come una vera insegnante, invece era addirittura più severa di quanto immaginasse. Sospirò.
Ryan era partito da tre giorni e già le mancava.
Oh, al diavolo! Prese il cellulare e aprì la schermata di scrittura di un nuovo messaggio. Insomma, una semplice mail non gli avrebbe dato poi così fastidio!
Digitò il testo e, dopo un attimo di esitazione, premette invio.
Prof, come stai?
Semplice e non troppo da “fidanzatina appiccicosa”. All’inizio aveva messo anche degli smile, poi si era immaginata l’espressione di Ryan di fronte a quelle faccine e si era affrettata a cancellarle.
Bene, ora non restava che aspettare una risposta. E ovviamente sopravvivere alle lezioni/campo di sopravvivenza di Katherine fino alla ripresa delle lezioni. Ancora non sapeva quale delle due cose fosse peggio.














Ebbene sì, sono viva!
Come state? E' tantissimo che non ci si sente :(
Come sanno tutte le persone che mi hanno contattata, tutta una serie di inconvenienti (giusto per restare in tema con il capitolo) mi ha impedito di aggiornare la storia. Finalmente, però, sono riuscita a pubblicare questo capitolo!
Ora... Spero vivamente che non sia una schifezza >_< Mi sento un po' arrugginita, ho perso il passo con le emozioni e i pensieri con cui avevo lasciato Ryan e Strawberry, e prima di scrivere il cap ho riletto più e più volte quelli precedenti. Volevo mantenere una linea con quanto scritto fino ad ora, nonostante il blocco dei mesi scorsi. Spero di esserci riuscita e che non siate rimasti delusi.
Questa volta ho dedicato molto spazio a Mark, lo trovavo giusto e devo dire che (stranamente) si è rivelata anche la parte più semplice da scrivere in questo capitolo. Anche la reazione di Strawberry, che dice a Mark che forse in futuro riuscirà a passare sopra all'accaduto, temo sia il risultato di questi mesi di pausa xD Il problema è che per Straw non parliamo di mesi, ma di due-tre settimane. Quindi ho un po' riequilibrato cercando di far capire quanto lei fosse ancora delusa e arrabbiata. Avrò fatto un casino? >_<
E' un capitolo di passaggio, non succede nulla di particolarmente significativo per Ryan e Strawberry, e forse è anche per questo che ho faticato un po' a scriverlo. Non vedevo l'ora di finirlo per poter passare a quello dopo, in cui finalmente cominceranno ad esserci i problemi e gli sviluppi della coppia...
Spero di aver spiegato più o meno in maniera decente i miei dubbi riguardo al capitolo, e di ritrovare voi lettori appassionati come sempre! :)
Ah, anticipo una cosina per chi mi stesse odiando all'idea che nel prossimo capitolo Ryan potrebbe essere in viaggio e non comparire: assoultamente no! xD
Ehm... però... sarò in viaggio io. Parto per il Giappone sabato, quindi non so come lasciarvi: può essere che riesca a scrivere il prossimo capitolo prima della mia partenza, ma non ve ne do garanzia :( :( In caso in cui non riesca, ci si risente a fine mese! :)
Ultimissima cosa, vi ringrazio non tanto, di più, per le recensioni dello scorso capitolo. Le ho lette tutte e ne sono stata contentissima, perdonatemi se non sono riuscita a rispondere :( :( E Grazie di cuore! Mando un abbraccio a tutti e la smetto di scrivere prima che questa parte diventi più lunga del capitolo stesso O_o
Ciao ciao, a presto e buone vacanze a tutti!

La vostra Comet

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Capitolo 25
*** Problemi di... coppia? ***






Capitolo 25 – Problemi di… coppia?
 
 



Rientrare dalle vacanze era sempre stato debilitante per Strawberry. Abbandonare la pigra routine che accompagnava le sue giornate estive e riabituarsi ai ritmi frenetici della vita scolastica le richiedeva ogni volta un certo sforzo, un po’ come quando vai in un paese lontano e nei primi giorni il cambiamento del fuso orario ti fa sentire fuori fase. Non che lei avesse viaggiato molto, ma così aveva sentito dire.
Sbadigliò sonoramente, ricevendo un’occhiata ammonitrice dall’insegnante di inglese. In compenso, pochi minuti prima aveva potuto gustarsi la sua espressione sorpresa quando aveva aperto il suo quaderno con i compiti perfettamente eseguiti.
Per forza, Katherine mi ha messa sotto nell’ultima settimana!, pensò sospirando.  E tutto per colpa di Ryan.
Le aveva promesso che si sarebbero visti prima dell’inizio delle lezioni se lei avesse terminato i compiti, cosa che effettivamente aveva fatto grazie a Katherine, però poi era dovuto partire improvvisamente per lavoro.
L’azienda di suo padre avrebbe dovuto presentare un nuovo prodotto la settimana successiva, ma a causa di una serie di imprevisti il programma aveva subito delle variazioni e, dato che il signor Shirogane si trovava all’estero per concludere un affare, Ryan era stato costretto a recarsi a Kyoto in tutta fretta, salutandola con un semplice “Ci vediamo a scuola”.
Così, sua madre ne aveva approfittato per sottoporre Strawberry ad un corso intensivo di inglese: la sera tornava a casa con la testa così piena di informazioni che si ritrovava a rispondere “Yes” anziché “Sì” alle domande dei suoi genitori.
Per fortuna, c’era stato Kyle ad allietare quei pomeriggi con esperimenti culinari sempre ben riusciti, un ottimo diversivo per non pensare costantemente al suo ragazzo/insegnante che, per dirla tutta, non si era nemmeno degnato di rispondere al messaggio che gli aveva mandato per sapere come stava.
A questo si sommava un altro piccolo problema che le stava creando non poca ansia e su cui non faceva che rimuginare da quel giorno, quando rientrando a casa si era trovata davanti la famiglia Aoyama al completo.
Quando aveva esposto il problema a Kyle e, per forza di cose, a Katherine – dopotutto aveva imparato quanto sapesse essere invadente, e il fatto che lo facesse in modo tanto infantile e spontaneo le impediva di arrabbiarsi seriamente con lei – loro le avevano sconsigliato di affrontare apertamente Mark, perché non avrebbe fatto altro che alimentare i suoi sospetti. Così, rassegnata, aveva deciso di aspettare pazientemente il ritorno di Ryan, per poterne discutere con lui. Sicuramente le avrebbe fornito una soluzione più che valida.
Questo, ovviamente, l’aveva pensato finché era rimasta convinta di ricevere risposta al semplice messaggio che gli aveva inviato. Quando però quella mattina si era alzata per andare a scuola, notando con disappunto e un pizzico di delusione che sul display del suo cellulare non era comparsa alcuna busta bianca, le era stato chiaro che così non sarebbe stato.
Quel pizzico di delusione aveva allora assunto una sfumatura di rabbia, sentimento che si associava un po’ troppo spesso alla figura del suo insegnante. Cominciava a domandarsi se, in una giornata, fossero di più le volte in cui Ryan la faceva infuriare o quelle in cui il suo modo di fare le riempiva lo stomaco di problematiche farfalle.
Arrossì. Lasciamo perdere, pensò con stizza.
Assorta nei propri pensieri, finì per spostare lo sguardo sulla ragazza che occupava il banco accanto al suo. Diversamente dal solito, quel giorno aveva lasciato cadere sciolti sulle spalle i lunghi capelli verdi.
Considerando che da quando l’aveva conosciuta era capitato sì e no un paio di volte che uscisse di casa senza le sue consuete trecce, Strawberry avrebbe giurato che dietro quel cambiamento ci fosse un motivo particolare. Probabilmente Mark.
La guardò di sottecchi, sentendo una stretta al petto. Da quanto tempo non parlava con lei?
Quando era entrata in aula, giusto un attimo prima che la campanella suonasse dichiarando ufficialmente il suo ritardo, si era quasi scontrata con l’amica, rischiando di ruzzolare a terra. Lory le aveva rivolto qualche timida scusa, poi, accortasi di avere davanti quella che fino a poche settimane prima era la sua migliore amica, era sbiancata. L’aveva guardata per qualche secondo, dando a Strawberry l’impressione di voler dire qualcosa. Alla fine, però, si era scusata di nuovo (non avrebbe saputo dire se per lo scontro o per la loro amicizia) ed era corsa a sedersi al suo posto, senza più alzare lo sguardo dal libro.
Era frustrante.
Tra loro due, quella che aveva il diritto comportarsi così non era certo Lory. E poi, insomma, avrebbe mentito se avesse detto che non si era aspettata almeno un tentativo di ricucire il loro rapporto da parte della sua amica.
Invece, nulla. Non una chiamata, non un messaggio, niente.
E, a proposito di messaggio,  la causa principale del suo malumore si palesò in aula per il cambio dell’ora.
Quando lo vide, per un attimo, un lungo attimo, Strawberry rimase senza fiato e fu sul punto di vacillare.
Ormai avrebbe dovuto essere abituata alle sensazioni che le si scatenavano dentro ogni qual volta incontrava quegli occhi, eppure si trovava ancora a chiedere al suo cuore di darsi una calmata. Il problema era che quelle sensazioni, anziché affievolirsi, si ripresentavano ogni volta con maggiore impeto, sempre più forti.
Un po’, le facevano paura.
Poi si riebbe. No, Straw. Ricorda che ce l’hai con lui.
La professoressa d’inglese rivolse a Ryan un saluto amichevole mentre raccoglieva le sue cose, e lui rispose con un sorriso educato, di carattere puramente professionale. Non per Strawberry, chiaramente.
Ma guardalo. Adesso fa il carino.
Ryan posò i libri sulla cattedra e salutò la classe, facendo sospirare qualche ragazza. Al solito.
Strawberry prese a scarabocchiare sul quaderno per sfogare l’irritazione, scegliendo deliberatamente di ignorarlo. Non alzò la testa quando Ryan disse loro quale argomento avrebbero studiato nelle lezioni a venire, e nemmeno quando la pagina che aveva davanti fu talmente piena di pasticci che non avrebbe più trovato un solo spazio per prendere appunti. Allora la strappò e appallottolò la carta perché, anche se era uno spreco, non amava iniziare a scrivere sul retro dei fogli.
Non sapeva se fosse solo una sensazione o se effettivamente Ryan la stesse guardando, ma sentiva chiaramente il suo sguardo tagliente su di sé, e la cosa le creava un certo disagio.
Oh, insomma, aveva tutte le ragioni per essere arrabbiata!
Si arrese e decise di prendere appunti, tanto ci avrebbe rimesso solo lei se non l’avesse fatto. Senza contare che si sarebbe presa un rimprovero, e non aveva nessuna intenzione di dargli questa soddisfazione.
“… Sulla base dei principi fondamentali della dinamica.”
Sussultò e, quasi in automatico, alzò lo sguardo. Non aveva ascoltato una sola parola di quello che il suo insegnante aveva detto ma, chissà come, quell’ultima frase l’aveva colta chiaramente.
I suoi occhi incontrarono per un millesimo di secondo quelli di Ryan e, inevitabilmente, arrossì. Poi notò il sorrisino del biondo.
L’aveva fatto apposta?
La sua mente volò alle prime lezioni private che Ryan le aveva impartito. Ricordava fin troppo bene i principi della dinamica, così come le arrabbiature che erano seguite ogni volta che lui aveva trovato un modo originale per spiegarglieli. Come quello stupido tiro alla fune in cui Ryan l’aveva sfidata, finendo accidentalmente per farla cadere addosso a lui.
Alla fine, però, non poteva lamentarsi: i suoi voti erano decisamente migliorati. Ecco perché non si aspettava che, sfogliando i quaderni con i compiti delle vacanze che aveva ritirato poco prima, Ryan la chiamasse.
“Momomiya”
Strawberry si accigliò. “Sì?”
“Più tardi raggiungimi in sala insegnanti” le disse, chiudendo il quaderno – il suo – che teneva tra le mani.
“O-ok” mormorò, notando come non l’avesse degnata di uno sguardo.
Non c’era che dire, Ryan era molto professionale e sapeva svolgere alla perfezione il ruolo che ricopriva. Ovviamente, tralasciando il piccolo particolare del loro rapporto. Comunque, nessuno avrebbe potuto pensare che dietro ci fosse qualcosa di strano, visto che era perfettamente normale che Strawberry venisse convocata in sala insegnanti per una ramanzina, di tanto in tanto.
Ora, si chiedeva quali fossero effettivamente le intenzioni di Ryan…
Lo osservò sfogliare un altro paio di quaderni, prendendoli a caso da quelli ordinatamente impilati sulla cattedra, questa volta senza aver nulla da ridire. Con la coda dell’occhio, si accorse che Lory aveva spostato lentamente lo sguardo dall’insegnante a lei. Immediatamente, però, la ragazza dai capelli verdi riportò l’attenzione sul proprio foglio, già pieno di appunti trascritti in maniera impeccabile, e non disse nulla.
 
 
Di solito, la fine delle lezioni era una grande liberazione per Strawberry. Significava semplicemente “sosta da Kyle con dolce”, il che bastava a ripagarla di tutte le fatiche scolastiche della giornata.
Non questa volta.
Dopo sei lunghe ore di lezione, le sembrava ora di dover affrontare una fatica ancora più grande. Era in ansia.
Forse per questo era rimasta impalata davanti all’aula dei professori, senza decidersi ad entrare.
Non stava da sola con Ryan da un po’, e cercò di ignorare quella piccola parte di lei che insisteva a ricordarle quanta voglia avesse di vederlo e… altro, ecco.
No, non doveva dimenticare di essere arrabbiata con lui. Ancor più, sapendo l’effetto che il biondo aveva su di lei, che avrebbe finito per farle scordare qualsiasi intenzione – buona o bellicosa – avesse in mente.
Bussò.
In un primo momento, le parve che non ci fosse nessuno. Ne fu quasi sollevata, ma poi la voce di Ryan le giunse distintamente dall’interno. Non poteva nemmeno fingere di non aver sentito…
Prese un bel respiro ed entrò.
Nella stanza non c’era nessun altro, solo lui.
Ryan non la guardò. Come già era capitato, stava compilando dei documenti, e alzò la testa solo quando la rossa ebbe chiuso la porta alle proprie spalle.
“Ciao” le disse, con disinvoltura.
Strawberry gli rivolse un’occhiata perplessa. Dopotutto, erano a scuola.
“Ciao” rispose. Vedendo però che lui non accennava a dire altro, provò a domandare: ”E’ andato bene il viaggio?”
Non era proprio sicura di essere riuscita a suonare distaccata come voleva, ma dal tono che aveva usato trapelava un pizzico di acidità sufficiente a far intendere che non era affatto predisposta a una tranquilla conversazione.
Tuttavia, Ryan non si scompose. “Sì, abbastanza. Kyle mi ha detto che mia madre ti ha messa sotto con lo studio mentre ero via”
“G-già” tagliò corto. “Volevi parlarmi?”
Lo vide annuire e prendere tra le mani il quaderno su cui aveva eseguito i compiti. Sì, quello sulla cui copertina erano stampate tante fragole.
“Scelta interessante” commentò lui, sorridendole.
Strawberry arrossì, ma non disse nulla. Attese che il biondo sfogliasse qualche pagina e voltasse il quaderno nella sua direzione.
“Questi esercizi li hai saltati”
Lì per lì, rimase a bocca aperta. Lo stava facendo davvero? Non si vedevano da giorni e lui la rimproverava per i compiti?
Onestamente, non riusciva a capire il suo comportamento, che non l’aiutava di certo a far passare l’ansia che l’aveva accompagnata per tutta la settimana. Ok, conosceva Ryan. Non si aspettava dichiarazioni d’amore, abbracci o chissà cos’altro. Però… poteva rimanerci male almeno un po’?
“Lo so. Non riuscivo a farli” rispose semplicemente, intimandosi di stare calma.
Ryan inarcò un sopracciglio, poco convinto. “Potevi chiedermi una mano”
 “B… bè… Mi sembrava scorretto nei confronti dei miei compagni. Ho preferito fare da sola.”
“Capisco” si limitò a dire. I tuoi compagni non hanno problemi nella mia materia. E io non avrei avuto problemi ad aiutare te, pensò invece. Ma preferì tenere per sé le proprie riflessioni.
Aveva capito che qualcosa non andava, Strawberry era un libro aperto quando si trattava di comprenderne lo stato d’animo, e, a dirla tutta, era certo che gli stesse nascondendo qualcosa già dal giorno in cui era dovuto partire. Alla fine, aveva cercato di sviarlo usando la scusa – poi non così tanto credibile – del numero di cellulare, e Ryan aveva preferito lasciar perdere, contando sul fatto che, se qualcosa l’avesse preoccupata così tanto, gliene avrebbe parlato in seguito.
In certi frangenti, però, lui non era un tipo molto paziente. Inoltre, ora aveva l’impressione che Strawberry fosse anche particolarmente arrabbiata.
Dopo qualche istante di silenzio, immersa nei propri pensieri, Strawberry si decise a parlare. “Ma mi hai chiamata davvero solo per questo?”
Se la domanda l’avesse sorpreso – compreso il tono di voce basso e il colorito innaturale sulle guance –, lui non lo diede a vedere. Decise invece di provocarla un po’.
La guardò con espressione innocente. “Ti aspettavi dell’altro?”
Certo che sì!, urlò la sua voce interiore. Come al solito, lei scelse di ignorarla, soprattutto dopo aver visto il sorriso malizioso che si era improvvisamente stampato sul volto del suo… insegnante.
“No, affatto!” esclamò, imbarazzata. “Che hai da ridere?!” aggiunse, vedendolo ridacchiare.
“Stavo solo scherzando, Strawberry” cercò di tranquillizzarla. “Allora, si può sapere perché ce l’hai tanto con me?”
La rossa lo guardò bieca. Estrasse dalla tasca della divisa il cellulare, facendo tintinnare il ciondolo che vi aveva appeso, e glielo mise con irruenza davanti agli occhi.
“Ti ho mandato un messaggio mentre eri via” lo informò.
Ryan sbatté le palpebre un paio di volte. “Sì. L’ho ricevuto”
Risposta sbagliata, a giudicare dall’espressione di Strawberry.
“E... e-era tanto difficile rispondermi?! Mi sono preoccupata tantissimo!” esclamò, alzando forse un po’ troppo la voce.
Non fece neanche in tempo ad accorgersene, e soprattutto a rendersi conto delle parole che le erano uscite dalla bocca, che la porta dell’aula venne spalancata di scatto, facendola sobbalzare.
La professoressa Mihano fece la sua comparsa sulla soglia, visibilmente contrariata. “Ma insomma! Cos’è tutto questo chiasso?”
Al suo fianco Megumi, un sorriso beffardo in volto, che si tramutò in una smorfia quando si accorse che insieme a Strawberry c’era il professor Shirogane.
“Oh, professore” continuò la Mihano. “Mi scusi, pensavo ci fossero degli studenti che non erano ancora tornati a casa”
Ryan appoggiò un gomito sulla scrivania, la mano a sostenere il mento. “Si figuri. Stavo dando a Momomiya delle spiegazioni sugli errori che ha commesso nei compiti. Mi scuso per il chiasso”
La donna parve non aver nulla da controbattere, anzi. Lanciò loro un sorriso, augurando buon lavoro.
“Brava, Momomiya. Vedrai che diventerai una studentessa modello di questo passo!” disse, prima di lasciare l’aula.
“Hai bisogno di qualcosa, Kaji?” domandò Ryan, vedendo che Megumi non accennava ad andarsene.
 La ragazza annuì, facendo ondeggiare i lunghi capelli. “Prof, anch’io credo di aver commesso alcuni errori nei compiti. Potrebbe aiutarmi a correggerli?”
Potrebbe aiutarmi.
Strawberry cercò di soffocare la fastidiosa fitta che le aveva fatto contorcere lo stomaco, evitando che il suo cervello le attribuisse un nome.
Sapeva bene di cosa si trattava, ma non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura.
Prof.
Lei non era gelosa di Ryan. Neanche un po’. Figuriamoci!
“Se quando controllerò i tuoi compiti ci saranno degli errori, vedremo di sistemarli” rispose lui, rindossata in un attimo la veste di professore.
“Allora ci conto! La ringrazio!” Megumi sorrise vittoriosa in direzione di Strawberry, poi uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Erano di nuovo soli.
La rossa si appoggiò di schiena al bordo della scrivania, accanto a Ryan, e sbuffò sonoramente.
“Cosa c’è?” chiese irritata, notando lo sguardo di Ryan.
Sembrava estremamente serio, ma con lui non si poteva mai sapere.
“E così eri preoccupata…” commentò, con un sorrisetto.
Come volevasi dimostrare.
 “E, a quanto pare, anche gelosa” continuò lui.
Strawberry gonfiò le guance, mentre l’irritazione del momento andava a sommarsi a tutto il nervosismo accumulato nella settimana precedente.  “Assolutamente no!”
“Se lo dici tu…”
Lei scattò in piedi. “Io non sono gelosa! Va’ al diavolo, Ryan!”
Corse fuori, con i codini che saltellavano qua e là e più nervosa che mai. Perché doveva per forza prenderla in giro? Meno male che era lei quella incapace di esser seria!
Quello scemo!
Smise di correre solo quando si trovò davanti al locale di Kyle. In un primo momento pensò di non fermarsi, di correre a casa e mettersi a letto, poi cambiò idea: strafogarsi di dolci sarebbe stata una soluzione decisamente più accettabile.
Entrò, accompagnata dal solito leggero scampanellio dell’acchiappasogni appeso alla porta. Quel semplice suono, unitamente al profumo di pasta frolla che invadeva ogni angolo della pasticceria, bastò a farla rilassare un poco.
“Ciao, principessa” la salutò Kyle, passandole accanto con un vassoio tra le mani.
“Disturbo?” domandò lei, dandosi un’occhiata attorno. C’era ancora qualche cliente, nonostante fosse tardo pomeriggio.
“Certo che no, dammi pochi minuti e sono da te. Se vuoi aspettare in cucina, troverai Katherine. Qualsiasi cosa stia cercando di fare, tu fermala!”
Strawberry gli sorrise divertita, pensando che scherzasse, ed entrò nella stanza accanto.
Dovette sbattere le palpebre un paio di volte, prima di realizzare di essere effettivamente nella cucina di Kyle. Solo che del solito ordine non restava alcuna traccia, sembrava un campo di battaglia!
C’erano piatti da tutte le parti, per non parlare delle macchie di cioccolato che imbrattavano il muro.
Katherine se ne stava di spalle, tutta intenta a fare chissà cosa, con un cappello da cuoca in testa.
“Katherine?” la chiamò.
“Wait a minute, dear!” esclamò lei, facendole segno con la mano di non avvicinarsi.
“O-ok, ma… cosa stai facendo?”
 “Mi sto esercitando” rispose, senza accennare a voltarsi. Da lì, Strawberry non riusciva a vedere a cosa stesse lavorando.
“Esercitando per cosa?”
Quello che doveva essere il timer del forno scattò. Katherine indossò velocemente i guanti e si affrettò ad aprire lo sportello.
“Aaah, ci siamo! Dear, vieni a vedere!” esultò, entusiasta come una bambina, posando sul tavolo il proprio esperimento culinario.
“E’ una torta!”
“Certo che è una torta” commentò Katherine, tutta presa dal suo dolce.
Strawberry la guardò, sorpresa. “Ti sei messa ad aiutare Kyle anche in cucina?”
Non riusciva proprio ad immaginarsela ai fornelli. Anche la sera in cui avevano dormito da Ryan aveva insistito per cucinare, ma alla fine aveva lasciato fare tutto al povero Kyle che, armato di pazienza, aveva preparato la cena con Katherine che lo seguiva come un avvoltoio, facendo migliaia di commenti.
“No, quel bacchettone di un pasticcere non vuole che metta piede nella sua cucina solitamente” le sussurrò all’orecchio. “Ma per oggi ha fatto inconsapevolmente un’eccezione!”
Strawberry aggrottò la fronte. “In altre parole, ti sei infilata in cucina contro la sua volontà”
Altro che bacchettone, Kyle era un santo!
“E’ per una buona causa!” si difese l’altra con un sorriso, per nulla turbata dal caos che aveva lasciato in giro.
“E sarebbe?”
Katherine sparse un po’ di zucchero a velo sulla torta, abbondando fin troppo. “Il compleanno del mio figlioletto”
“Che?!” esclamò Strawberry, spalancando gli occhi. “E’ oggi?! Non lo sapevo!”
Vuoi vedere che l’aveva presa in giro per dispetto, visto che non gli aveva fatto gli auguri? Oh no, che figuraccia! Ma come faceva a saperlo? Non ne avevano mai parlato, nemmeno Ryan sapeva quand’era il suo compleanno!
“Ferma gli ingranaggi, dear! Non c’è bisogno di andare nel panico, non è oggi” la tranquillizzò Katherine, posandole le mani sulle spalle.
“Ah… ah no?” mormorò, tornando in sé. “E quand’è?”
“La prossima settimana, il 7 Settembre” (*)
Strawberry tirò un sospirò di sollievo. Era ancora in tempo per cercargli un regalo.
No, un momento. Regalo? Per Ryan? Quell’antipatico che fino a due minuti prima la stava prendendo in giro? Nemmeno per sogno!
“Cos’è quell’espressione imbronciata?” le domandò Katherine, senza smettere di rimirare il suo capolavoro.
Se avesse aperto bocca, avrebbe finito per lanciare tutta una serie di insulti contro Ryan: no, non era decisamente il caso. Katherine non avrebbe gradito molto.
“No, nulla. Sembra buona, comunque” rispose, indicando la torta.
Bé, a giudicare dallo scintillio negli occhi di Katherine, aveva scelto un buon argomento per non parlare di suo figlio.
“Vuoi assaggiarla?”
Strawberry la guardò scettica. “Ma non era per Ryan?”
“Come ti ho detto, cara, mi sto esercitando. Voglio che il giorno del suo compleanno la torta sia perfetta! Allora, vuoi?”
Stava per rispondere, quando l’urlo di Kyle la fece trasalire.
“Argh! Cos’è successo qui dentro?!” esclamò il pasticcere, entrando in cucina. Sul volto, un’espressione sconvolta.
“Hi, dear! Vuoi una fetta di torta?”
Strawberry era certa che il tono mieloso di Katherine non sarebbe affatto bastato a far calmare Kyle, dopo che aveva visto in che condizioni era stata ridotta la sua amata cucina.
“Katherine! Cos’hai combinato? Ti avevo detto di non toccare niente”
L’americana arretrò, mettendo distanza tra lei e il giovane. “Don’t worry, I’ll tidy up everything”
“Not to be believed…” commentò Kyle tra sé e sé. “Katherine, fai tornare la mia cucina com’era prima, per favore”
“Yeah, dear” esclamò allegra, ricevendo in risposta un’occhiataccia.
Kyle si guardò attorno, sconsolato. “Vieni, Strawberry. Andiamo in sala”
La rossa lo seguì senza dire nulla. Era la prima volta che vedeva Kyle così turbato, evidentemente la cucina era davvero importantissima per lui.
Si accomodarono al bancone, come di consueto, e immediatamente il moro si scusò per la scenetta di poco prima.
“Katherine è sempre un po’ sopra le righe, mi farà diventare matto prima o poi” si giustificò.
Strawberry sorrise, con il viso tra le mani. “Ma in fondo le vuoi bene”
“Sì” confermò lui, ricambiando il sorriso. “Purtroppo non sono in grado di restare arrabbiato a lungo con lei”
“Kyle, tu non riesci a restare arrabbiato con nessuno!”
Il pasticcere sollevò le mani. “Touché. Ma parliamo di te.” Si alzò e scelse un pasticcino alla frutta dalla vetrinetta accanto al bancone. Prese un tovagliolino, vi depositò il dolce e lo offrì a Strawberry. “Offre la casa” la informò, facendole l’occhiolino. “Allora, com’è andato il primo giorno?”
Lei lo ringraziò, poi si fece seria. “In poche parole? Un disastro”
 “Ti va di parlarne?”
“E’… E’ Ryan. Ho una tale voglia di dirgliene quattro!” esclamò, stringendo un po’ troppo forte il pasticcino che teneva in mano. Un po’ di crema cadde sul tovagliolo, ma Strawberry non vi prestò attenzione. Se solo ripensava all’atteggiamento di Ryan le montava dentro una rabbia…
Kyle si sedette di fronte a lei, sinceramente preoccupato. “Ma come, avete già litigato?”
“Non smette mai di prendermi in giro!” Ingoiò tutto quel che restava del dolce, poi incrociò le braccia al petto, irritata. “Si comporta come un bambino e poi rinfaccia a me di essere una mocciosa! Aaaah, che nervi!”
L’espressione dell’amico parve distendersi, e un attimo dopo si lasciò andare in una risata leggera.  “Ryan sa essere molto infantile quando ci si mette. Tuttavia, se ci pensi, non ha questo atteggiamento con chiunque”
Strawberry lo guardò torva. “Dovrei considerarmi onorata di essere oggetto delle sue prese in giro?”
“Oh no, non intendevo questo. Però, forse, significa qualcosa”
“Se lo dici tu” Non ne era molto convinta.
A dir la verità, ogni volta che c’era Ryan di mezzo, lei non ci capiva nulla. Il più delle volte era tutto maledettamente complicato. Poi, però, c’erano dei momenti in cui volergli bene era la cosa più semplice del mondo, facile come respirare. Era lì che nasceva la sua confusione. Che cosa voleva Ryan? Che cosa rappresentava per lui il loro rapporto?
“Ryan è un bravo ragazzo. Un po’ distante e certamente non molto romantico, il più delle volte. Però sono sicuro che sarà pronto a chiarire ogni tuo dubbio, se gliene parlerai. Dopotutto, si è esposto molto più di quanto credessi possibile con te, ha deciso di aprirsi nonostante sapesse che il senso di colpa poteva schiacciarlo. Io non credo che sia stato semplice per lui”
Anche questo era vero. Si morse il labbro, pensierosa.
In fin dei conti, Kyle aveva ragione. Con tutto quello che aveva passato, per Ryan doveva essere stato difficile anche solo ammetterlo, quel “mi piaci”, prima ancora di pronunciarlo.
“Kyle, non ci capisco più niente” mormorò, lasciandosi scivolare con il mento sul bancone.
Il pasticcere le lasciò una leggera carezza sul capo. “Vedrai che si sistemerà tutto”
“Sì…” Allungò le braccia davanti a sé, intrecciando le mani, e si stiracchiò. Si sentiva esausta dopo quella giornata. “Forse è meglio che vada a casa. Ti ringrazio, Kyle. Di tutto”
“Strawberry” la richiamò l’amico, quand’era quasi sulla porta. “E’ tutta la settimana che ti vedo ansiosa e preoccupata. Immagino che tu non gli abbia ancora detto nulla di quella questione…”
Scosse il capo. “No, ma domani proverò a parlargliene. Promesso”
Più facile a dirsi che a farsi. Sai, Ryan, Mark pensa che io e te abbiamo una relazione, il che è assurdo visto che la cosa sfugge anche a me al momento.   
Sospirò. Prima o poi avrebbe dovuto dirglielo, inutile continuare a scappare.
“Adesso vado. Ci vedia…”
“Stop! Where are you going?!”Katherine la raggiunse saltellando dalla cucina, una fetta di torta tra le mani. “Prima devi assaggiare la mia creazione”
“Un altro dolce? Kat, sei fantastica!” esclamò, afferrando la torta senza esitare.
Kyle le rivolse un’occhiata poco incoraggiante, ma Katherine lo ammonì immediatamente: “Non fare quella faccia, caro. Questa volta sono certa di non aver sbagliato le dosi!”
Strawberry addentò il dolce, entusiasta.
“T-tutto bene?” le chiese Kyle, guardandola preoccupato mentre masticava.
“Allora, dear?”
Lei spalancò gli occhi, incredula.
“Katherine! Hai messo il sale al posto dello zucchero!”
 
 
Ok. Ok, calma, Straw. Basterà andare da lui e raccontargli per filo e per segno cos’è accaduto.
A meno che Ryan non avesse deciso di comportarsi come il giorno prima. In quel caso, avrebbe preferito sferrargli un pugno in pieno petto e andarsene.
Sì, ma con che faccia poteva presentarsi da lui? L’ultima volta l’aveva mandato al diavolo ed era corsa via!
Era stufa di tutta quell’ansia, c’erano troppe cose da chiarire e il suo cervello rischiava seriamente un sovraccarico.
Finalmente, il suono della campanella pose fine alla più noiosa lezione di storia che avesse mai seguito. Si stiracchiò, sbadigliando apertamente.
Megumi comparve al suo fianco. “Che classe, Momomiya”
Stava per ribattere, ma l’altra la interruppe. “Immagino non ci sia da chiedersi perché Shirogane preferisca dare lezioni a me” Si diede un’occhiata allo specchietto del portacipria che teneva in mano, poi lo ripose soddisfatta in tasca e uscì dall’aula, lasciando una Strawberry irritata e senza parole.
Ryan… avrebbe dato lezioni anche a Megumi?
Si alzò di scatto, rischiando di far cadere la sedia. No, non doveva pensarci. Non doveva essere gelosa.
La prossima ora sarebbe stata dedicata allo studio libero: aveva pensato di cercare Ryan e parlare finalmente con lui, ma cambiò idea. Avrebbero finito per “litigare” un’altra volta visto lo stato in cui si trovava, e davvero non le andava.
Abbandonò l’aula, diretta in biblioteca. Se non altro, lì avrebbe trovato il silenzio necessario a ragionare con calma. Magari avrebbe potuto fare i compiti, almeno si sarebbe distratta un po’.
Occupò un tavolo in un angolo della biblioteca, dietro un grande scaffale che le garantiva quel minimo di tranquillità di cui aveva bisogno.
L’ultima settimana l’aveva sfiancata e anche concentrarsi sui libri le risultò più difficile del solito. Insomma, già non era portata per lo studio, in più aveva tutti quei pensieri che la tormentavano continuamente: sarebbe impazzita di lì a poco, se lo sentiva.
Ne fu praticamente certa quando, sporgendosi per raccogliere la penna che aveva fatto cadere, notò che il tavolo dall’altra parte dello scaffale era stato occupato da Ryan. Non da solo.
Seduta accanto a lui, Megumi gli stava indicando qualcosa sul quaderno. Dall’altro lato del tavolo, altre due studentesse lo osservavano con sguardo trasognato.
Ah… Era questo che intendeva prima.
Non che non le desse fastidio, ma si sentì decisamente sollevata. Sulle prime, aveva pensato che anche Megumi avrebbe preso lezioni da Ryan in privato, come lei.  Fortunatamente, si era sbagliata.
Doveva solo tralasciare il fatto che la sua compagna di classe stesse appoggiando con disinvoltura una mano sul braccio di Ryan mentre lo invitava a dare un’occhiata a un esercizio, e non fare caso agli sguardi delle altre due.
A un certo punto, le parve che avesse alzato la testa e che si fosse accorto della sua presenza, ma probabilmente non era così.
Improvvisamente, si sentì triste. Aveva l’impressione che ci fosse una barriera enorme a separarla da Ryan, in quel momento. Da quando era partito le era mancato terribilmente, eppure stava buttando via un sacco di tempo per delle stupidaggini e un’assurda gelosia saltata fuori senza motivo. Lo guardò sorridere a una frase che non era riuscita a sentire e poi alzare lo sguardo su di lei.
“Kitten significa gattina, micetta” disse a voce un po’ più alta, puntando gli occhi nei suoi. Sulle labbra, un sorriso appena accennato che a Strawberry sembrò terribilmente dolce.
Davvero una grande agilità, micetta.
Arrossì, distogliendo immediatamente lo sguardo. Allora l’aveva vista? Era il suo modo per dirle di stare tranquilla?
Poi Megumi si aggrappò al braccio di Ryan, avvinghiandosi senza alcun ritegno, e tanti saluti allo star tranquilla. Avrebbe voluto andare lì e trascinarla via!
Lui le disse qualcosa, a voce troppo bassa perché Strawberry potesse sentirlo, ma lei non accennò comunque a staccarsi. Anzi, portò una mano a scompigliargli i capelli – gesto che Ryan non apprezzò affatto, ma Strawberry era troppo arrabbiata per farci caso – . Sembrava così… disinvolta.
Era troppo, non voleva stare lì un secondo di più.
Si alzò e uscì a passo spedito dalla biblioteca, curandosi di non passare proprio davanti al loro tavolo.
Accidenti!, imprecò. Perché doveva sentirsi così?
Entrò nel primo bagno che incontrò e si appoggiò di schiena alla porta chiusa.
Sbuffò, lasciando uscire l’aria lentamente. Sentiva gli occhi pizzicare, ma si rifiutava di piangere per una cosa del genere, era davvero stupido. Si concesse giusto qualche minuto per riprendersi e, quando fu certa di essere riuscita a ricacciare indietro le lacrime, uscì.
“Mi chiedevo dove fossi finita”
Sobbalzò. Ryan se ne stava appoggiato al muro, a braccia conserte.
“C-che fai, mi segui?” gli domandò lei, il malumore evidente.
Il biondo si scostò dalla parete e fece un passo in sua direzione.
Strawberry arretrò, sulla difensiva.
“A quanto pare, è l’unico modo per riuscire a parlare con te. Scappi di continuo” Fece per scostarle delle ciocche di capelli che le erano ricadute sul viso, ma lei si scostò bruscamente.
“Non mi toccare!” Dopo che ti sei lasciato toccare da Megumi, le suggerì la sua testa. Era una cosa stupida? Si stava comportando da bambina? A giudicare da come lui la stava guardando, sì.
Distolse lo sguardo, a disagio. Lo abbassò giusto in tempo per accorgersi della presenza di un’altra persona, alle spalle di Ryan.
Mark aveva appena svoltato l’angolo in compagnia di un altro ragazzo, e i due si dirigevano proprio verso di loro. Sembravano non averli ancora notati, ma sarebbe stata questione di secondi.
Il suo cuore perse un battito. Doveva allontanarsi da Ryan, subito.
“I-io… Io devo andare!” gli disse.
Lui le afferrò il polso prima che potesse voltarsi e scappare di nuovo.
“Ryan…” lo pregò Strawberry. A quel punto, anche lui si accorse che stava arrivando qualcuno e la lasciò andare.
 
 
“Momomiya, ricorda che oggi è il tuo turno per la pulizia dell’aula” le annunciò la professoressa, al termine dell’ultima ora.
“Che cosa? Ma quando è stato deciso?” Sbottò Strawberry, incredula.
L’insegnante le rivolse un’occhiata contrariata. “Avendo passato l’ultima mezz’ora ad organizzare i turni, io e i suoi compagni ci auguriamo che la prossima volta anche lei voglia degnarci della sua attenzione”
“Mi… mi scusi” mormorò.
Frustrata, si accasciò sul banco in attesa che i suoi compagni uscissero dall’aula. Detestava fare le pulizie, era più forte di lei: ogni volta finiva per combinare qualche disastro, che fosse rovesciare il secchio dell’acqua sul pavimento o ricoprirsi di polvere dei gessetti mentre cercava di ripulire il cancellino.
Oggi non è la mia giornata, pensò sospirando. Dai, Strawberry, forza e coraggio!
Lory recuperò la sua cartella, poi si fermò a guardarla. Sembrava voler dire qualcosa, ma evidentemente cambiò idea e si affrettò ad abbandonare l’aula.
Rimasta sola, Strawberry andò a recuperare l’occorrente dal ripostiglio e si mise all’opera.
Ci mise più impegno del solito, nello sforzo di non pensare ad altro, e quando ebbe finalmente finito, un’oretta dopo, si sentiva decisamente soddisfatta. Il pavimento era splendente, la lavagna non aveva nemmeno un segno bianco.
Andò a riporre scopa e spazzolone, poi tornò in aula a recuperare le sue cose. Dalle finestre, il cielo rifletteva un magnifico colore rosso fuoco e Strawberry rimase a contemplarlo per un po’.
Le piaceva nonostante le trasmettesse uno strano senso di malinconia.
Diede le spalle a quello scenario, forse era meglio tornare a casa prima che suo padre si preoccupasse. Vide due ragazze fermarsi davanti all’aula e voltarsi indietro, sorridenti.
Ryan le raggiunse un attimo dopo. Di profilo, con i colori del tramonto che giocavano con i suoi capelli  rendendoli di un biondo diverso dal solito, sembrava quasi un angelo.
Strawberry si accorse che stava trattenendo il fiato, ma anche volendo sapeva che non sarebbe riuscita a staccare gli occhi da quella visione.
“Professore, la ringraziamo per l’aiuto!” dissero in coro le due ragazze. Fecero un rapido inchino e si allontanarono di corsa.
In un primo momento, Ryan non si accorse di Strawberry e lei restò a guardarlo, persa nella sua immagine.
Mi sento strana…, pensò, posando una mano in corrispondenza del cuore. Come poteva battere così forte?
Forse era solo quell’atmosfera che la stava suggestionando un po’, ma non riusciva a ricordare di aver mai visto qualcosa di più bello. E i suoi occhi, i suoi occhi erano qualcosa di semplicemente indescrivibile.  Nonostante questo, era come se un velo di malinconia ne offuscasse la bellezza.
Le sensazioni che le si stavano smuovendo dentro erano un groviglio di emozioni diverse che la trascinavano da una parte all’altra, facendola sentire triste e felice al tempo stesso.
Poi Ryan chiuse gli occhi lasciandosi andare in un sospiro e fece per andarsene. Un rumore improvviso lo costrinse però a fermarsi.
Si voltò infastidito da quel caos, ma, non appena ne vide la causa, si accorse di riuscire a stento a trattenere le risate.
Strawberry se ne stava in piedi al centro dell’aula, ai suoi piedi il cestino rovesciato e la carta che conteneva sparsa ovunque.
“Cosa combini?” le domandò.
“Mi sono distratta” borbottò lei, inginocchiandosi a sistemare il disastro che aveva combinato.
“La solita imbranata” la apostrofò.
Fece per ribattere ma, quando alzò la testa, si accorse che Ryan si era abbassato per aiutarla a raccogliere le cartacce. Incredula, ammutolì.
“Ti hanno subito messa di turno per le pulizie” commentò lui.
Tutto sommato, si stava comportando normalmente persino dopo il modo in cui l’aveva trattato lei poche ore prima. Anche se era ancora arrabbiata, si sentì un po’ in colpa.
“Già. E tu, come mai sei ancora a scuola?”
Ryan le passò una cartaccia trovata sotto un banco. “Due studentesse del primo anno mi hanno chiesto un chiarimento su un esercizio che ho assegnato stamattina, ma la cosa è andata per le lunghe”
Strawberry alzò gli occhi al cielo. “Popolare come sempre…” commentò acida, mentre si rialzava. Si diede una pulita alle ginocchia e andò a svuotare il cestino nell’apposito contenitore.
“Già”
Stava già per ribattere, ma lui la spiazzò con una frase: “Non è stato sempre così, comunque”
“Eh?”
“Quando ero piccolo” le disse, continuando a raccogliere delle cartacce che Strawberry aveva tralasciato. “Passavo molto tempo da solo. A scuola non ero propriamente il compagno di classe per cui le ragazze facevano a gara. E nemmeno tra i maschi ero granché popolare”
Strawberry lo guardò scettica. “Ah no?”
Lui rise. “Ti sembra così difficile crederlo?”
Non rispose e sperò che continuasse a raccontare. Era la prima volta che lo faceva, che si apriva così senza che fosse lei a fargli domande o a insistere per sapere qualcosa.
“Sono sempre stato molto chiuso. I miei migliori amici erano i libri, ad eccezione di Kyle.” Non nominò Kari, ma era ovvio che il suo nome fosse sottinteso. “ In ogni caso, non ho mai avuto particolare interesse per i giochi che facevano gli altri bambini o forse, più semplicemente, non sono mai riuscito a farmi accettare” Raccolse le ultime carte e le gettò nel cestino, poi si avvicinò alla finestra, dando le spalle a Strawberry. Lo sguardo puntato al cielo.
Lei rimase a guardare la sua schiena e le parve quasi di scorgervi quella tristezza che solo in rare occasioni era riuscita a notare.
“Perché dici così?” provò a chiedere.
Ryan si prese una lunga pausa prima di rispondere. Sembrava perso a guardare qualcosa fuori dalla finestra, in cortile. A giudicare dagli schiamazzi, degli studenti che, ultimate le pulizie, tornavano a casa insieme.
“Per i professori ero un genio che non aveva motivo di frequentare le elementari e così in pochi anni mi sono ritrovato catapultato all’università. I miei compagni credo che mi trovassero strano o qualcosa del genere. I ragazzini che passano il loro tempo a leggere anziché giocare con i loro coetanei non sono mai visti di buon occhio, Strawberry.”  Si voltò senza alzare la testa e si appoggiò di schiena al davanzale.
Strawberry capì che non avrebbe detto altro, ma non ce n’era bisogno. Aveva capito perfettamente ciò che voleva dire Ryan e, ancor più, sapeva quanto poteva essergli costato parlare di sé. Non lo faceva mai. Il fatto che con lei si fosse aperto era forse la dimostrazione più grande che potesse darle.
Gli si avvicinò e si appoggiò al davanzale accanto a lui. Poi, con titubanza, portò una mano tra i suoi capelli, lasciandogli una carezza leggera che sperava fosse sufficiente a trasmettergli tutto ciò che sentiva. Fece scorrere le dita tra i suoi ciuffi biondi, lentamente.
“Non sei più solo” mormorò, quasi sussurrando.
Ryan spalancò gli occhi, sorpreso. La guardò e, a differenza di quanto si aspettava, la trovò con gli occhi bassi ma non con le guance arrossate. Toccò a lui assumere un colorito diverso dal solito e, quasi senza rendersene conto, lasciarsi andare in un leggero ma sincero sorriso.
Strawberry lo guardò di sfuggita, tradendo l’imbarazzo che cercava di nascondere. Poi sorrise.
Ryan le scostò la frangetta e lei lo lasciò fare, godendosi il contatto.
“Comunque” mormorò, schiarendosi la gola . “Sono ancora molto arrabbiata”
 “Mocciosa” Le disse subito, accettando il suo bisogno di alleggerire l’atmosfera. Vedendola già sulla difensiva aggiunse: “Uso poco le mail. Però ammetto di essere stato pessimo, avrei potuto rispondere.”
“Parli sul serio?” gli chiese, scettica.
“Sì. Perché tanto sorpresa?”
Lei sbuffò. “Non dovrei? Non si capisce mai quando scherzi o fai sul serio!”
Non fece in tempo a terminare che si sentì trascinare verso Ryan, finendo a stretto contatto con il suo corpo. I suoi occhi tremendamente vicini, i colori del tramonto a fare da sfondo. Nonostante l’accecante bellezza di quel cielo, Strawberry non riusciva a staccare gli occhi da quelli di Ryan. Non c’era paragone.
“In questo momento sono serio, per esempio” le soffiò lui a pochi centimetri dal volto.
Aveva bisogno di quella vicinanza, il suo cuore che batteva come impazzito glielo stava dicendo chiaramente.
“Siamo a scuola” si limitò a protestare debolmente, mentre le sue mani sulla schiena le facevano mancare il respiro.
“Non c’è nessuno” replicò Ryan.
E Strawberry non ebbe più scuse. Socchiuse gli occhi e finalmente sentì il contatto con quelle labbra che le erano tanto mancate e che immediatamente la fecero rabbrividire da capo a piedi.
Al diavolo tutti quei pensieri sul dare un nome al loro rapporto, al diavolo il cellulare e la sua sciocca gelosia.
Quando si staccarono per riprendere fiato, Ryan appoggiò delicatamente la fronte alla sua.
“Ad ogni modo…”
“Mh?”
“Vederti impazzire dalla gelosia è stato… interessante” le sussurrò, sistemandole delle ciocche rosse dietro le orecchie.
E addio al momento romantico.
Strawberry si scostò indignata. “T-tu l’hai fatto apposta?!”
Ryan la guardò innocente, poi  le diede una spinta sulla fronte con l’indice. “No che non l’ho fatto apposta” disse, fingendosi contrariato. “Però i risvolti di questa situazione non sono stati affatto spiacevoli”
Come si aspettava, la vide arretrare pronta a dirgliene quattro, ma la bloccò ancor prima che cominciasse. Prendendola per il polso, la trascinò di nuovo a sé.
“Allora, gattina gelosa” disse, assolutamente divertito dalla situazione. “Vediamo di risolvere questa faccenda”
“Io non sono gelosa! Come devo dir-” esclamò, ma il resto delle proteste si perse nel bacio di Ryan. E Strawberry fu certa che non avrebbe più avuto nulla di cui lamentarsi.
 
 
“Ryan è allegro” commentò Kyle, mentre asciugava un bicchiere.
Katherine annuì, a braccia conserte. “I can’t believe it”
“Guardate che vi sento” li informò il diretto interessato.
Il pasticcere ripose il bicchiere nella credenza e si avvicinò all’amico. “Scusaci. Ma è raro vederti così contento”
“Vogliamo mettere i manifesti?”
“Non nega nemmeno!” si intromise sua madre, portando una mano davanti alla bocca.
Ryan alzò gli occhi al cielo. Ma perché non me ne sono andato dritto a casa?
“Hai fatto pace con Strawberry?” insistette lei, con un’altra domanda.
Suo figlio la ignorò. Ah, quindi secondo lei avevamo litigato.
“Non rispondere, ma tanto ti si legge in faccia, dear”
Lui guardò Kyle, sperando di avere un po’ si supporto.
“Mi spiace, ma tua madre ha ragione”
Perfetto, adesso ci si metteva anche Kyle. Si alzò, stanco di starli a sentire.
“Aah, non fare così, honey” lo incitò Katherine, abbracciandolo – o meglio, bloccandolo – da dietro. “We were worried about you! Siamo contenti che finalmente tu e Strawberry abbiate chiarito. E’ stata in ansia per tutta la settimana, non sapeva come dirti che Mark sospetta qualcosa e allora…”
“Katherine!” la richiamò Kyle. Gli era bastato un secondo per capire che Ryan non sapeva ancora niente di Mark e che l’avvenuto chiarimento con Strawberry riguardava tutt’altro.
Infatti Ryan, che stava per scivolare via dall’abbraccio della madre, si era bloccato di colpo. Poi se l’era scrollata di dosso e aveva lanciato un’occhiata a entrambi.
“Cosa c'entra Mark?”












Ciao!
Sono tornata da qualche giorno dalle mie vacanze e mi viene in mente solo una cosa da dirvi: se avrete la possibilità di visitare il Giappone, presto o tardi, non lasciatevela sfuggire! E' un paese che può insegnare davvero tanto e gli abitanti sono di una gentilezza e di un'educazione unica. Credo di averci lasciato il cuore, ha superato ogni mia aspettativa.
Dopo questa parentesi, torniamo a noi :)
Venticinquesimo capitolo, mi sembra incredibile! E' lunghetto, ma credo di dovervelo dopo tutta l'attesa che vi ho fatto patire. In realtà, sono andata un po' a rilento nella stesura perchè continuavo a pensare ai successivi due capitoli, per i quali ho in mente una marea di idee! Spero di riuscire a metterle su carta tutte quante >___<
Comunque, altre due cosine e poi scappo:
- (*) il compleanno di Ryan: onestamente non so quando sia. Ho cercato in lungo e in largo delle info, ma niente. Al che ho esultato perchè potevo sfruttare la cosa a mio vantaggio per la storia xD Se la data reale esiste e io, impedita, non l'ho trovata (probabile), perdonatemi!
- la parte in cui Ryan parla di sé da bambino ce l'avevo in mente da un po', solo che non riuscivo mai a trovare uno spazio in cui inserirla nei vari capitoli che man mano scrivevo. L'avrò rimandata cinque o sei volte, quindi non immaginate quanto sia felice di essere risucita a scriverla (anche se breve, perchè non ce lo vedo proprio Ryan a parlare di sè per tre quarti d'ora). Spero l'abbiate apprezzata, comunque >_<

Credo di aver detto tutto...
Grazie, come sempre!
E un abbraccio grande!

La vostra Comet

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Capitolo 26
*** Un pessimo professore ***








Capitolo 26 – Un pessimo professore
 




In linea generale, Ryan detestava essere tenuto all’oscuro degli  avvenimenti, soprattutto se questi lo riguardavano da vicino.
Tuttavia, difficilmente si lasciava coinvolgere al punto di provare vera e propria rabbia. L’iniziale fastidio pian piano scemava e lui tornava ad immergersi nella bolla di apatia e indifferenza che era solito ergere a muro attorno a sé.
Funzionava così, aveva sempre funzionato così. Questo, ovviamente, prima che facesse i conti con una ragazzina che era in grado di fargli saltare i nervi – in tutti i sensi, gli costava ammetterlo – come nessun altro era in grado di fare.
Appena uscito dal locale di Kyle, dopo aver a malapena ascoltato le scuse di sua madre e le spiegazioni dell’amico – palesemente in difesa di Strawberry, quando secondo lui da difendere non c’era proprio nulla – si era incamminato verso l’auto posteggiata dall’altro lato della strada. Poi si era bloccato con la mano sulla maniglia della portiera, indeciso.
Una parte di lui gli chiedeva di andare immediatamente da Strawberry a chiarire la situazione.
Tolto il dente, tolto il dolore.
L’altra parte, quella più razionale, quella che tendeva ad ascoltare sempre e che sicuramente avrebbe ascoltato anche questa volta, gli diceva di tornare a casa e dormirci su.
E così aveva fatto. Non che la sensazione di fastidio fosse diminuita, alla fin fine.
Si ravvivò i capelli e cercò di darsi una calmata, per tenere sotto controllo l’irritazione che sentiva pulsare appena sotto la superficie dei propri pensieri. Sospirò ed entrò in aula.
Fece scorrere lo sguardo sulla ventina di studenti che, al suo ingresso, si erano accomodati silenziosamente ai rispettivi posti. Il chiasso che sentiva fino a qualche secondo prima sembrava non esserci mai stato.
Ecco, si muoveva meglio in questo genere di situazioni, quando sapeva di poter avere il controllo su ciò che lo circondava, quando non c’erano variabili che intervenivano improvvisamente e stravolgevano i suoi piani.
Se voleva metterla in questi termini, Strawberry era la sua variabile fuori controllo, quella che faceva saltare l’equazione. Ma paradossalmente, e tralasciando l’attuale problema, questo gli piaceva.
Quello che non sapeva era che, se avesse seguito quel ragionamento forse un po’ troppo matematico per lei, probabilmente anche Strawberry lo avrebbe definito allo stesso modo.
Mentre diceva agli studenti di aprire i libri, finì involontariamente col posare lo sguardo su di lei. Incrociò i suoi occhi color cioccolato per un breve momento, giusto il tempo di vederla accennare un sorriso al quale non rispose.
Era arrabbiato, era vero. Però c’era un frase che Kyle gli aveva astutamente detto e che continuava a ronzargli in testa, impedendogli di esserlo fino in fondo.
E’ molto in ansia, ma l’ha tenuto per sé per non darti ulteriori seccature.
Non aveva aggiunto altro, ma probabilmente sapeva che tanto sarebbe bastato a farlo desistere dall’arrabbiarsi davvero con lei. E questo poteva voler dire soltanto che Kyle aveva intuito quali fossero i suoi veri sentimenti. Il che era piuttosto irritante, considerando che nemmeno la diretta interessata sembrava averlo capito. In caso contrario, non si sarebbe affatto preoccupata di dargli ulteriori seccature.
Lasciò perdere i propri pensieri e annunciò alla classe che la settimana successiva ci sarebbe stato un compito per rivedere il programma del trimestre precedente.
 
 
Strawberry ripose il libro nella borsa, mentre la campanella annunciava l’inizio della pausa pranzo. Fece per alzarsi e andare da Ryan, con una scusa qualsiasi che le sarebbe venuta in mente sul momento, ma dovette rinunciare quando la professoressa di inglese entrò in aula e prese a mostrargli dei moduli. Sicuramente qualche scartoffia da firmare, come sempre.
Quel giorno, Ryan era strano. Aveva cercato per tutta la lezione di incontrare il suo sguardo, ma senza successo. Sembrava quasi che la stesse evitando di proposito ma, pur sforzandosi, non riusciva a trovare una spiegazione valida per il suo comportamento.
Insomma, le sembrava che si fossero chiariti ormai. Il pomeriggio precedente si erano salutati in modo… come dire… affettuoso, no? E di certo non poteva aver combinato qualche guaio in quel breve lasso di tempo in cui non si erano visti.
Sbuffò, sperando che la Mihano si sbrigasse con quei fogli. Consumò il pranzo che si era portata da casa, poi, per ingannare l’attesa, prese il cellulare.
Quella mattina si era alzata tardi e aveva dimenticato di accenderlo. Digitò l’apposito codice e impostò la modalità “silenzioso” appena in tempo. Subito, il telefono prese a vibrare, evidenziando ben tre chiamate perse. Tutte di Kyle.
Strano…, pensò tra sé e sé.
Lanciò un’altra occhiata a Ryan, ancora preso dalla conversazione con la Mihano, e si arrese. Magari era solo una giornata no.
Intanto poteva sentire cosa aveva da dirle Kyle. Uscì dall’aula e compose il numero dell’amico, incamminandosi lungo il corridoio.
“Strawberry, dear, finalmente!”
 L’inconfondibile accento della madre di Ryan la fece sorridere. “Katherine, perchè hai il telefono di Kyle?” chiese, divertita.
“We have to talk! E’ da ieri sera che cerchiamo di chiamarti” rispose lei.
Strawberry la immaginò gesticolare concitata, come suo solito. Sentì Kyle in sottofondo che le diceva di passargli il telefono, e un attimo dopo rivolgersi a lei.
“Strawberry, scusaci se ti disturbiamo”
“Ma figurati, nessun disturbo. Piuttosto, è successo qualcosa?”
Kyle rimase un attimo in silenzio, probabilmente indeciso su cosa dire. “Per caso hai parlato con Ryan oggi?” le domandò infine.
“No… Volevo farlo un attimo fa perché mi è sembrato un po’ strano, ma poi è stato trattenuto da un’altra prof e ho lasciato perdere” spiegò, mentre sentiva Kyle bisticciare con Katherine.
Inarcò un sopracciglio, confusa. “Kyle, si può sapere cos’è successo?”
Il pasticcere sospirò, massaggiandosi le tempie con la mano libera. Inutile tergiversare, doveva spiegarle l’accaduto prima che la situazione precipitasse. E, conoscendo Ryan, non ci sarebbe voluto molto.
“Ryan ha capito che qualcosa non va con Mark”
Strawberry impiegò qualche secondo per registrare l’informazione, poi, quando ebbe realizzato, spalancò gli occhi e smise di camminare.
“Cosa… Come ha fatto a… Lui non..?!”
L’amico la bloccò, sperando di tranquillizzarla prima che andasse nel panico. “Mi dispiace, Strawberry, è stata colpa nostra. Ieri sera Ryan è passato al locale. Ci è sembrato allegro e abbiamo pensato che vi foste chiariti…”
Chiariti? Sì, certo che si erano chiariti, ma non su quella questione!
 “Quindi lui… Lo sa?” si accertò, deglutendo a fatica.
“Sì, lo sa”
“I’m so sorry, Strawberry!” le urlò Katherine.
Kyle stava per aggiungere altro, probabilmente per tranquillizzarla ma, quasi senza accorgersene, Strawberry pose fine alla conversazione. Chiuse il telefono con uno scatto e prese a correre in direzione opposta a quella dove si stava dirigendo un attimo prima.
Accidenti, accidenti, accidenti.
Doveva assolutamente parlare con Ryan: era stata una stupida, aveva continuato a rinviare quel maledetto chiarimento ed ecco il risultato. Avrebbe dovuto dare retta a Kyle fin da subito e dirgli la verità prima che la intuisse da solo. Doveva essere furioso, a dir poco. Al suo posto, lei lo sarebbe stata.
Arrivò nella propria aula, ma lui non c’era già più. Fece dietrofront e, nella foga, rischiò di scontrarsi con un compagno che stava rientrando. Mormorò distrattamente delle scuse e riprese a correre, ignorando il “Stai più attenta!” che il ragazzo le gridò dietro.
Aveva sempre pensato che quella scuola fosse maledettamente grande, soprattutto per una con il suo scarso senso dell’orientamento, ma in quel momento le sembrava davvero immensa.
Eppure individuare Ryan non doveva essere così difficile, non era proprio il genere di ragazzo che passava inosservato tra la folla!
Ok, calmati, si disse, posando una mano sul cuore che sembrava volerle schizzare fuori dal petto per la corsa.
Ragiona, Strawberry.
Ryan non amava la confusione e detestava intrattenersi con le persone. Quindi doveva per forza trovarsi  in un posto dove poteva tenersi il più possibile lontano da entrambe le cose. Magari dove c’erano dei libri.
Le venne un’idea.
Per qualche strano motivo le era tornato in mente quel ripostiglio pieno di vecchi libri che nessuno utilizzava più, lo stesso in cui Ryan l’aveva ferita mesi prima con un bacio amaro, che sapeva solo di rabbia.
Ricordava chiaramente il freddo metallo dello scaffale su cui era premuta la sua schiena e i libri che, nell’impatto, erano caduti a terra con un tonfo sordo.
Rabbrividì al pensiero, un po’ per le sensazioni che le aveva provocato il primo vero contatto con le sue labbra, un po’ per la situazione in cui era avvenuto.
La pausa pranzo era ormai terminata e i corridoi cominciavano a svuotarsi. Normalmente, sarebbe rientrata di corsa in classe per evitare l’ira dell’insegnante di matematica, ma questa volta le sue priorità erano decisamente cambiate.
Le venne da chiedersi quando Ryan fosse diventato così importante per lei e come fosse successo.
Svoltò nel corridoio ormai deserto e, sorpresa, vide il suo insegnante uscire proprio da quella stanza.
“R… Professore!” lo chiamò, correggendosi immediatamente.
Lui si voltò, mentre Strawberry lo raggiungeva, senza fiato.
“Ehm…  prof, posso parlarle?” disse, curandosi di non alzare troppo la voce e cercando di utilizzare un tono formale che ormai non era più abituata ad assumere con lui. Si accorse che le costava una certa fatica.
Ryan la scrutò per qualche secondo, poi  le diede le spalle. “Non ora, Momomiya. Ho da fare”
“Eh? E cosa?” chiese, aggirandolo per poterlo guardare in faccia.
In risposta ricevette un’occhiata fredda che la gelò sul posto.
“Non ricordavo di doverti mettere al corrente di tutto ciò che faccio. Credevo ragionassi così anche tu. O sbaglio?”
 “Come?”
“Torna in classe se non vuoi prenderti una nota” tagliò corto lui, lasciandola lì.
Sulle prime, Strawberry rimase ferma. Poi agì d’impulso.
Non poteva lasciare le cose così, detestava doverlo ammettere, ma fino a quel momento era sempre stato Ryan a fare dei passi verso di lei. Era sempre stato lui a prendere l’iniziativa, su tutto. Lei, invece, non aveva fatto altro che scappare o rimandare l’inevitabile. Era successo quando si erano baciati, quando aveva capito di essere innamorata di lui e anche quando era stato il momento di affrontare quei sentimenti.
Era la sua specialità, fuggire via ed evitarlo quando le cose diventavano troppo complicate.
Non questa volta.
Si accertò che in corridoio non ci fosse davvero più nessuno, poi lo afferrò per la manica della camicia, arrotolata fino al gomito, e lo obbligò a seguirla dentro quello stupido ripostiglio prima che lui avesse il tempo di reagire.
“Strawberry, ma che accidenti…?!”
“Devo parlarti” ripeté con decisione, ignorando il fatto di sembrare un po’ una bambina testarda che fa i capricci per avere ciò che desidera.
“Non è il momento”
“Ma non puoi star-“
Ryan la scansò e fece per aprire la porta. “Ti ho detto che non ho tempo adesso e tu hai lezione”
“Chi se ne frega della lezione!”
Aveva quasi gridato, doveva avere le guance più rosse dei suoi capelli e sicuramente era in condizioni pietose dopo aver corso per tutta la scuola per trovarlo, ma non gliene importava nulla. Almeno aveva ottenuto l’effetto desiderato, perché Ryan si era fermato con la mano sulla maniglia.
Appoggiò una mano sulla sua schiena, stringendo il tessuto leggero della camicia che sicuramente si sarebbe stropicciata, ma nessuno dei due vi prestò attenzione.
Rimasero in silenzio per dei secondi che a Strawberry parvero lunghissimi. Poi, finalmente ritrovò la voce.
“Ho parlato con Kyle. So che… sai di Mark”
Ryan non disse nulla, ma era ovvio, toccava a lei parlare. Tuttavia, prese un altro po’ di tempo prima di continuare.
“Immagino che tu sia arrabbiato, però lasciami spiegare”
Lo vide appoggiare la schiena allo scaffale alle sue spalle, quello contro cui l’aveva bloccata quella volta, e incrociare le braccia al petto.
“D’accordo. Spiega. Perché immagini bene, sono arrabbiato” disse, tagliente.
Strawberry distolse lo sguardo, incapace di reggere il confronto con quelle iridi. “Se fai così però è ancora più difficile…” borbottò.
“Se faccio così? Scusa tanto, Strawberry, ma non credevo di avere a che fare con una bambina di cinque anni!”
Lei si morse la lingua, ma non riuscì a trattenersi dal ribattere, punta sul vivo. “B-bè, forse lo sono!”
“Sì, forse lo sei”
“Bene. Mi accusi sempre di esserlo, cos’altro ti aspettavi?!”
Sentì un leggero pizzicore agli occhi, ma si sforzò di ignorarlo.
Ryan la inchiodò con lo sguardo, al punto che Strawberry ebbe l’impressione di non riuscire a respirare.
“Mi aspettavo” le rispose, stendendo le braccia lungo i fianchi, ma per nulla rilassato “che la ragazza che mi piace venisse da me in caso di difficoltà, anziché nascondermi una cosa del genere.”
Stavano litigando, stavano litigando come due bambini, e lui aveva ragione, qualunque fosse la motivazione era stato stupido nascondergli la verità. E Adesso era lì, davanti a lei, e l’aveva definita la ragazza che mi piace. E lei non riusciva a parlare, non riusciva a far uscire una sola sillaba.
Ryan sospirò di fronte al suo silenzio e cercò di ammorbidire un po’ il tono, ma la frase che gli uscì suonò comunque distaccata.
“Mi vuoi dire cos’è successo?”
La vide annuire e lottare per ricacciare indietro delle lacrime che sicuramente non aveva intenzione di mostrargli.
Dopotutto, Strawberry era orgogliosa, lo era almeno quanto lui. L’unica differenza era che lui aveva avuto il coraggio di essere sincero con se stesso e con lei.
Quando si fu calmata, riuscì finalmente ad alzare lo sguardo. “Quando… Quando sono tornata a casa dopo quella notte da te, c’erano anche Mark e i suoi genitori. Stavano organizzando uno dei loro soliti weekend fuori porta insieme ai miei. Mark mi ha seguita in camera mia…”
Ryan inarcò impercettibilmente un sopracciglio a quell’ultima affermazione, ma non disse nulla e la lasciò continuare.
“Io ero... Insomma, non mi aspettavo di trovarmelo alle spalle. Avevo il cellulare in mano e l’ho fatto cadere. Ho cercato di riprenderlo subito, ma Mark, lui l’ha raccolto e… Era aperto sulla mail che mi avevi mandato. Non credevo che l’avrebbe letta, invece l’ha fatto”
Il racconto di Strawberry era decisamente confuso, era chiaro che fosse agitata a giudicare dal modo in cui si torturava le mani, ma a Ryan non quadrava del tutto.
“E con questo? Non può aver capito chi era il mittente della mail da quello che c’era scritto”
Strawberry gli rivolse una rapida occhiata, palesemente in difficoltà.
“Non è stato per quello”
“E allora per co…” fece per chiedere, ma poi cambiò la domanda, intuendo in pieno il punto. “Strawberry, con che nome hai salvato il mio numero?”
Lei esitò.
“Allora?”
 “Prof, l’ho salvato come prof” confessò infine, sentendosi una grandissima sciocca.
“Non posso crederci” fu il commento di Ryan, mentre si passava una mano tra i capelli.
“M-mi dispiace! Se avessi messo Ryan sarebbe stato ancora più ovvio che fossi tu, non mi è venuto in mente altro! Insomma, tu che nome hai usato?!”
Lui la fissò negli occhi senza dire nulla e si figurò nella mente il momento in cui aveva memorizzato il numero della sua allieva.
Ragazzina.
Per un attimo si sentì uno scemo.
Forse dovrei mettere una password d’accesso al telefono, pensò.
Se Kyle l’avesse visto gli avrebbe rivolto quell’irritante sorriso paterno di chi la sa lunga. Per non parlare di sua madre: l’avrebbe preso in giro fino alla morte. E Strawberry…
Bè, lei si sarebbe sicuramente infuriata, ma al momento era l’ultimo dei suoi, anzi dei loro, problemi.
“Allora?” lo incalzò quest’ultima, fattasi improvvisamente curiosa.
“Non sono affari tuoi” ribatté, tornando a braccia conserte e ignorando la sua espressione corrucciata. “Piuttosto, dimmi cosa ti ha detto quel tipo”
“All’inizio niente. Mi ha chiesto scusa. Per quello che è successo con Lory, intendo” mormorò, e Ryan non poté fare a meno di notare un velo di tristezza nel suo sguardo, che però si affrettò a nascondere. “Poi, quando stava per andarsene, mi ha detto che avrei fatto meglio a salvare quel numero con un altro nome. Mi ha fatto capire chiaramente che sa che c’è qualcosa… tra noi… Non è la prima volta, ma prima erano solo dei dubbi, mentre adesso… Adesso credo che abbia davvero capito”
E lei, adesso che aveva detto tutto ad alta voce, si sentiva molto più leggera.
Ryan restò per un po’ a fissare un punto indefinito alle sue spalle, immerso nei propri pensieri. Poi, tornò a rivolgersi  a Strawberry, con un tono decisamente seccato.
“Si può sapere perché non me l’hai detto subito?”
“Eri via per lavoro e hai sempre una marea di impegni, non volevo che ti preoccupassi per niente!” esclamò, agitandosi come al solito.
“Scema” la apostrofò lui, senza scomporsi.
Non poteva replicare, questa volta se l’era meritato. Già che era dalla parte del torto, glielo concesse senza protestare.
Abbassò il capo, sperando che Ryan riempisse il prima possibile il silenzio che si era venuto a creare. Stranamente, lei che aveva sempre la risposta pronta questa volta non era in grado di proferire parola.
Non poté fare a meno di sentirsi sollevata quando lui riprese a parlare.
“Sai, a proposito di Mark… Stavo pensando che tu…”
Mentre Ryan formulava la frase, a Strawberry venne un dubbio atroce su ciò che stava per dire. Non ci pensava da un po’, ma poteva essere plausibile che lui lo pensasse, in fondo non glielo aveva mai detto apertamente!
“Non provo più nulla per Mark!” esclamò di colpo, interrompendolo.
Ok essere chiara, ma non voleva proprio dirlo così, sembrava un po’ troppo una giustificazione!
Ryan le rivolse un’occhiata sorpresa, facendola sentire tremendamente in imbarazzo, poi sorrise quasi divertito.
“D’accordo. Anche se non era questo che volevo dire”
“Ah no?”
“No. Lo so da un pezzo che non provi più niente per lui” le disse.
Arrossì, incredula.
Lui sospirò. “So che tipo di persona sei” Sembrava disinteressato e assolutamente tranquillo, ma il suo tono si era fatto più serio. “Anche se a te non sembra, ti osservo. Non avresti mai assunto certi comportamenti e sicuramente non mi avresti baciato se avessi provato ancora qualcosa per lui”
Strawberry lo scrutò a metà tra il sorpreso e il pensieroso, appoggiandosi allo scaffale accanto a lui. Poi le si accese una lampadina.
“Ma allora… Da quanto ti sei accorto che tu mi…?”
Sul volto di Ryan comparve un sorrisetto sarcastico . “Che io ti?”
Gli tirò un pugno sul braccio, mettendoci meno forza di quanta avrebbe voluto.
“Smettila, non ci casco”
Il biondo ridacchiò.
Improvvisamente l’atmosfera si era alleggerita e loro erano lì, a scherzare, apparentemente incuranti di ciò che li aveva portati a discutere.
Strawberry non si chiese nemmeno come fosse possibile: il loro rapporto era sempre stato strano. Diverso da quello che aveva instaurato con qualsiasi altra persona.
A volte aveva l’impressione che Ryan potesse leggerle dentro solo con lo sguardo. E, tra loro, di sguardi ce n’erano tanti.
“Kyle mi ha detto che eri abbastanza nel panico” disse a un certo punto Ryan.
Lei si mise a fissare il pavimento. “Sì, infatti” confermò.
“Scema”
“Ancora?!” si lamentò, portando le mani sui fianchi.
“E comunque, avresti dovuto parlarmene. Ti avrei detto che non c’era nulla di cui preoccuparsi. E’ così che si fa in una coppia, si condividono i problemi, per quanto possa capire che sembri strano detto da me.”
Le rivolse un’occhiata di sottecchi, ma non riuscì ad evitare di arrossire leggermente. Questa volta era stato chiaro, non c’era spazio per incomprensioni o dubbi.
E quella che aveva implicitamente appena definito come la sua ragazza lo stava guardando incredula e un tantino sconvolta.
“C-coppia?” mormorò, balbettando. “I-io e te?”
Il biondo rise. “Noi. Sì, Strawberry” confermò, con un tono di voce molto simile a quello che si usa per spiegare qualcosa ai bambini.
Lei corrugò la fronte, poco convinta. “Un attimo fa hai detto che dobbiamo essere sinceri, giusto?”
“Non è esattamente quello che ho detto, ma sì, anche questo”
“Ok. Io… Lo sai che faccio fatica a capire certe cose. Non so mai se prenderti sul serio e a volte te ne esci con delle frasi come questa, dici che siamo una coppia, e io mi sento… Felice. Quindi, Ryan, dimmi se sei serio. Perché se mi dici una cosa del genere e poi scoppi a ridere dicendomi che era tutto uno scherzo, allora… Allora non ti garantisco che non reagirei in modo violento!” 
Il modo in cui lo disse, con quell’espressione fintamente sicura di sé, tradita in maniera troppo evidente dal rossore sulle guance, e le mani strette a pugno per sottolineare le sue parole, fecero venire a Ryan voglia di abbracciarla.
Ignorò la velata – e quasi divertente – minaccia che gli aveva rivolto e, portando una mano dietro la sua nuca, la attirò a sé e la strinse.
Ryan non aveva bisogno di conferme, gli bastava osservare le reazioni di Strawberry per capire i suoi sentimenti, ma evidentemente per lei non era altrettanto semplice.
Pensò a come, per tanto tempo, fosse rimasta ferma ad aspettare che Mark si accorgesse di lei. Pensò al fatto che non avesse alcun tipo di esperienza con i sentimenti e che, per questo, dovesse sentirsi terribilmente insicura.
“Non ti dirò che è uno scherzo” la rassicurò.
Strawberry fece pressione con le mani sul suo petto, allontanandosi a sufficienza per poterlo guardare in faccia. Nel punto in cui aveva appoggiato la mano destra, sentiva il suo cuore battere ad un ritmo accelerato.
Non era un battito chiaro e distinto come capitava a lei, tanto forte da sentirlo anche senza il bisogno di un contatto, ma, anche se leggero, riusciva ad avvertirlo.
Quella piccola differenza sembrò passare attraverso il palmo della sua mano e fluire lentamente al suo cuore, creandole un momentaneo scompenso.
“Quindi… Stiamo insieme?” domandò con una punta di imbarazzo, ma ancora un po’ scettica.
Ryan alzò gli occhi al cielo. E’ proprio testarda…
Le scostò delicatamente la frangetta dalla fronte, poi abbassò lo sguardo su di lei e sollevò un angolo della bocca in un accenno di sorriso.
“Sempre che tu lo voglia” scherzò.
La vide abbassare il capo, come se stesse pensando a qualcosa di estremamente complicato, per tornare infine a guardarlo con una luce diversa negli occhi.
Si aspettava che avanzasse qualche altro dubbio o una richiesta delle sue, invece lo sorprese alzandosi sulle punte per raggiungere le sue labbra. Le sfiorò titubante e Ryan non si mosse, per darle modo di prendersi i suoi spazi e i suoi tempi.
Un attimo dopo era già tornata a nascondere il viso contro il suo petto, con l’unica differenza che adesso era lei a stringersi con forza al suo corpo.
Ryan appoggiò il mento tra i suoi capelli e chiuse gli occhi, finalmente tranquillo. In quella posizione, riusciva a sentire distintamente il battito assordante del suo cuore e, per qualche secondo, si limitò a stare ad ascoltarlo.
“E con Mark cosa facciamo?” gli chiese ad un certo punto Strawberry, come se si fosse ricordata all’improvviso del motivo per cui si trovavano in quella stanza.
Il biondo riaprì gli occhi controvoglia, ma senza spostarsi. Stavano davvero parlando di quel tipo in un momento del genere?
“Niente” rispose semplicemente.
Strawberry allora sollevò la testa, rischiando di scontrarsi con il mento del suo ragazzo.
“Come niente?”
“Se facessimo qualcosa, rischieremmo soltanto di dargli conferma di ciò che pensa” le spiegò.
“E quindi lasciamo le cose così? E se lo dicesse a qualcuno?”
Lui prese a giocare sulla sua schiena, percorrendola lentamente con le dita. La sentì rabbrividire leggermente mentre le sfiorava la spina dorsale.
“Non credo che lo farà”. Non ti metterebbe nei guai, non dopo il casino che ha già combinato, pensò.
“Ma se lo facesse?”  insistette comunque lei.
Ryan si finse pensieroso. “Allora sarà il caso che ci lasciamo”
Immediatamente, la rossa si agitò tra le sue braccia.
“Eh? Ma Ryan, ci siamo appena…”
“Stavo solo scherzando, Strawberry”
“Oh”
Sorrise, scuotendo il capo, e realizzò di sentirsi bene. Incontrò gli occhi di Strawberry, trovandola più timida di quanto non si aspettasse mentre distoglieva lo sguardo dal suo. Allora appoggiò la fronte alla sua, sentendola calda quasi come se avesse la febbre.
Lei si morse il labbro, imbarazzata. Adesso poteva davvero considerare Ryan come il suo ragazzo e, quando lui si abbassò per baciarla, accolse volentieri le sue labbra.
Sulle prime, quel bacio le sembrò avere un sapore diverso. Poi capì. Era l’ansia che si scioglieva.
Finalmente poteva dare un nome a quel rapporto e sentirsi un po’ più sicura quando pensava a lui. Non sapeva come definire ciò che le si stava agitando dentro, ma se quella che stava provando non era felicità, allora era qualcosa di molto, molto simile.
Si stupì quando Ryan non tentò di approfondire il contatto, ma poi realizzò che quel momento era perfetto così.
Anzi, no.
“Ryan?”  lo chiamò, scostandosi di malavoglia. “Devo dirti un’altra cosa”
Lui la guardò, in attesa.
“Hai presente quando ti ho detto che i miei genitori e quelli di Mark stavano organizzando una gita?”
Ryan annuì, sciogliendo l’abbraccio per poter parlare più tranquillamente. Chissà perché aveva un brutto presentimento.
“Ecco, dovrei andarci anche io. E…”
“E Mark” concluse per lei.
Strawberry lo guardò senza sorprendersi più di tanto. Ryan capiva sempre tutto. “Indovinato”
Non riusciva però a decifrare la sua espressione. Gli dava fastidio? O per lui non faceva differenza?
Le mostrò un mezzo sorriso. “E ovviamente non vedi l’ora di andarci”
Perlomeno, se scherzava significava che non si era arrabbiato.
“Oh, certo. Ho davvero una gran voglia di stare in sua compagnia” lo assecondò, stupita di riuscire a riderci su come niente fosse. Dopotutto, solo qualche tempo prima si era presentata in lacrime dal suo insegnante per via di quella vicenda.
Ryan le lasciò una carezza tra i capelli. “Vedremo di trovare una soluzione” le disse, facendosi più serio.
Anche perché non ho intenzione di farti trascorrere una notte in compagnia di quello, aggiunse mentalmente.
Strawberry  annuì, mostrandogli un sorriso.
Nel frattempo, la campanella annunciò il cambio dell’ora. Ormai aveva perso l’intera lezione di matematica. Non che la cosa le dispiacesse, ma non era il caso di assentarsi ancora.
Si rivolse a Ryan, sospirando. “E’ meglio che torni in classe adesso”
A quanto pare, però, il suo ragazzo non era della stessa opinione. Per la seconda volta, la avvolse in un abbraccio. “No” soffiò.
Strawberry si accigliò. “Eh?”
“Restiamo un po’ qui” le propose, anche se dal tono suonava più come un ordine.
“Ma perderò la lezione”
Ryan ridacchiò, allentando un po’ la stretta.
“Ma come, non eri tu quella del chi se ne frega della lezione?”
In risposta ricevette un leggero colpo sul petto. “Sì, ma adesso ho inglese. Se non lo seguo non capirò nulla”
“Te lo spiegherò io” suggerì, facendola ridere.
“Lo farai sul serio?”
“I will”
Strawberry rabbrividì tra le sue braccia.
Ma sì, forse potevano restare così ancora per un po’. Anche perché Ryan sembrava molto più rilassato e sorridente del solito, e vederlo così le piaceva davvero tanto.
Lo sentì appropriarsi delle sue labbra, distogliendola così dai propri pensieri, e avvertì una scossa simile a una scarica elettrica attraversarle tutto il corpo.
Magari non era una bravissima studentessa. E lui era sicuramente un pessimo professore.
Però sì, potevano restare così ancora per un po’.
Un bel po’.
 
 
Quando l’ultima lezione della giornata terminò, Strawberry si rese conto di non essere riuscita a seguire una sola parola di quanto la sua insegnante di giapponese aveva detto.
Oltre a questo, si era presa una sgridata colossale per le due ore di assenza – che aveva provato a giustificare con un improvviso mal di pancia che l’aveva costretta a letto in infermeria – ma non si era impegnata più di tanto per celare il suo buonumore, finendo con il far infuriare ulteriormente l’insegnante.
Insomma, non poteva essere in quelle condizioni solo perché il suo rapporto con Ryan era giunto ad una svolta, mettendo finalmente chiarezza nella sua testa.
O sì?
Raccolse la borsa da terra e fece per andarsene. Si sarebbe fermata da Kyle prima di tornare a casa, aveva proprio bisogno di uno dei suoi dolcetti per concludere la giornata.
Prima di allontanarsi lanciò un’occhiata a Lory. Sperava che l’amica si decidesse a rivolgerle la parola, invece si era chiusa in un ostinato silenzio, con la testa abbassata sul libro, fingendo di leggere qualcosa a cui in realtà non stava prestando alcuna attenzione.
Strawberry sapeva com’era fatta Lory, la conosceva fin troppo bene. Questa volta, però, non poteva fare alcun passo in sua direzione.
Sospirò e uscì dall’aula.
“Momomiya, dove pensi di andare?” la fermò la professoressa.
“A casa…” rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Hai già dimenticato la tua punizione?”
La rossa sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di fare mente locale.
Ah, sì. Due ore di assenza. La punizione.
Di nuovo quelle stupide pulizie, le detestava. Non poteva assegnarle dei compiti extra piuttosto? Li avrebbe quasi preferiti. Recuperò l’occorrente e, come il giorno prima, si mise all’opera.
Tra una lamentela e l’altra, alla fine impiegò meno tempo di quanto si aspettasse. Perfetto: era ancora in tempo per fare un salto alla pasticceria.
Vi arrivò tutta trafelata, boccheggiando per l’afa estiva che ancora non accennava a dar tregua alla città.
Quando l’acchiappasogni appeso alla porta tintinnò, annunciando il suo ingresso, si aspettava di vedersi piombare addosso Katherine, come di consueto. Invece, della madre di Ryan non c’era traccia.
Kyle stava prendendo le ordinazioni di due clienti, probabilmente le ultime della giornata. Nel vederla, rimase un attimo sorpreso, poi abbozzò un sorriso incerto, facendole segno che sarebbe arrivato subito.
Si accomodò al solito posto al bancone, in attesa.
Stava facendo roteare lo sgabello per la terza volta, immersa nelle proprie fantasticherie, quando un pensiero le sfiorò la mente.
Un momento.
Si bloccò di colpo, rischiando quasi di cadere. Kyle! Gli aveva riattaccato il telefono in faccia,se ne era completamente dimenticata!
“Strawberry” L’amico le si affiancò, il blocco per le ordinazioni in mano.
“Kyle, scusami per prima!” esclamò immediatamente. “Non volevo chiudere la chiamata a quel modo, mi sono resa conto solo adesso di averlo fatto!”
Lui sorrise gentile. “E’ tutto a posto. Anzi, sono io a doverti chiedere scusa”
“Come?”
Lo seguì con lo sguardo mentre azionava la macchinetta del caffè e posava due tazzine sugli appositi piattini.
“Io e Katherine non avremmo dovuto intrometterci. A mia discolpa, potrei dire che l’abbiamo fatto in buona fede. Ma forse a volte dimentichiamo che qualunque cosa ci sia tra te e Ryan riguarda solo voi due”
Strawberry ci pensò un po’ su, poi scosse il capo.
“Non ci ho nemmeno pensato ad arrabbiarmi con voi. In realtà, forse è stato un bene che la cosa sia venuta fuori. Io non riuscivo a trovare il coraggio di dirlo a Ryan, temevo che la prendesse ancora peggio visto che avevo aspettato tanto a parlargli. Invece così sono stata costretta a farlo”
E poi, anche volendo, non sarebbe stata capace di avercela con Kyle. Era impossibile arrabbiarsi con una persona come lui.
Inoltre, conoscendolo, non c’entrava proprio nulla con quel che era successo. C’era sicuramente lo zampino di quella confusionaria di Katherine, ma non era arrabbiata nemmeno con lei.
Si sentiva talmente contenta che il suo cervello non poteva concedere spazio a nessun’altra emozione.
“Ryan come l’ha presa?” azzardò a chiederle Kyle.
Strawberry si stiracchiò. Aveva qualche dolorino alla schiena, forse non era stata una grande idea spostare tutti i banchi per pulire più agevolmente.
“All’inizio era arrabbiato. Poi però si è sistemato tutto”
“Ne sono sollevato” sospirò, notando il suo sorriso. Evidentemente, le cose si erano risolte per il meglio. “Ti chiedo ancora scusa, Strawberry”
Lei corrugò la fronte. “Aaah, basta, se mi chiedi ancora scusa giuro che mi arrabbio sul serio!”
L’amico rise. “D’accordo, d’accordo”
“Allora… Pace?” Non che avessero litigato, ma non voleva assolutamente che ci fossero delle tensioni con Kyle.
“Vieni qui, principessa” le disse lui, allargando le braccia.
Strawberry gli mostrò un gran sorriso. Saltò giù dallo sgabello, aggirò il bancone e si lasciò avvolgere in un abbraccio che sapeva di casa.
“Ti voglio bene, Kyle” mugugnò.
Da quando l’aveva conosciuto, c’era sempre stato per lei. Non sapeva come fosse avere un fratello maggiore ma, se ne avesse avuto uno, avrebbe voluto che fosse esattamente così.
“Te ne voglio anch’io. Adesso siediti e aspettami qui. Vado a servire quelle ragazze e poi ti offro quello che vuoi”
Obbedì, tornando al suo posto. Si era appena lasciata scivolare con la testa sul bancone, provata dalle emozioni della giornata, quando sentì qualcuno sedersi sullo sgabello accanto al suo.
Inizialmente non vi prestò attenzione, anche perché era girata dalla parte opposta e non poteva vedere chi fosse. Poi avvertì un profumo estremamente familiare che riaccese i suoi sensi.
Allora si tirò su di scatto, trovandosi faccia a faccia con Ryan.
“Ciao” la salutò lui, tranquillo come al solito.
Figurarsi, invece, se lei non doveva agitarsi: era tesa come una corda di violino. “C-ciao”
Ryan si appoggiò al bancone, incrociando le braccia. “Ti addormenti di nuovo ovunque capiti?”
“Non stavo dormendo” borbottò, le guance arrossate.
 
Quando il pasticcere si voltò per tornare da Strawberry, rimase sorpreso nel vedere che accanto a lei c’era Ryan.
Ma come, gli è già passata?, si chiese.
In genere, l’amico era capace di tenere il muso anche per giorni se qualcosa non gli andava giù. Ma forse non doveva stupirsi più di tanto.
Ripensò a quando quei due si erano conosciuti: Strawberry non faceva altro che lamentarsi di Ryan e Ryan non faceva altro che lamentarsi di Strawberry.
Bè, nemmeno il dialogo che stavano avendo in quel momento sembrava granché tranquillo a giudicare da come lei si stava agitando sulla sedia, ma era evidente che ci fosse qualcosa di diverso.
In ogni caso, non voleva intromettersi ancora.
Il problema era riuscire a tenere buona anche Katherine che, a proposito, stava impiegando davvero troppo tempo per fare la spesa.
Pur non troppo convinto, le aveva chiesto gentilmente di andare a comprare alcuni ingredienti nel negozio all’angolo e lei gli aveva mostrato i pollici all’insù, esclamando: “No problem, honey!”. Peccato che dopo un’ora non fosse ancora tornata.
Lo sapevo…, commentò interiormente.
Lanciò un’altra occhiata alla vetrata del locale, ma della donna nessuna traccia. Rassegnato, tornò dietro al bancone.
“Ryan…” lo salutò.
“Kyle…”
Strawberry spostò lo sguardo da uno all’altro.
Le venne il dubbio che avessero litigato per colpa sua, vista l’aria che tirava. E di certo Ryan non aveva fatto i salti di gioia nel venire a sapere che il suo migliore amico e sua madre gli stavano nascondendo delle cose.
Invece i due si limitarono a scrutarsi per qualche secondo.
“Allora? Me lo fai un caffè?” disse Ryan, infine.
Lei gli rivolse un’occhiataccia. Ma insomma, era il modo di chiedere le cose?
A quanto pare, però, a Kyle non diede affatto fastidio. Anzi, sorrise all’amico. “Certo”
Strawberry sbatté le palpebre più volte, incredula. Con la coda dell’occhio, notò che anche Ryan aveva curvato le labbra in un mezzo sorriso d’intesa.
“Tutto qui? Voi maschi siete strani!” gli disse sottovoce.
“Mh?”
“Siete strani” ribadì.
“Ma senti un po’ da che pulpito” commentò lui, puntandole l’indice sul naso.
Kyle porse a Ryan il suo caffè, rigorosamente senza zucchero, poi si rivolse alla ragazza. “Strawberry, non ne vuoi un po’ anche tu? Hai l’aria distrutta…”
“Per forza, la signorina si è fatta mettere in punizione e ha dovuto pulire l’aula anche oggi” commentò Ryan mentre portava la tazzina alla bocca, celando un sorriso divertito.
Strawberry comunque lo notò.
Spalancò la bocca, incredula.“Guarda che se sono stata messa in punizione è soltanto per colpa…”
Ricordò però che davanti a loro c’era Kyle, al quale non avevano detto ancora niente e con cui si sarebbe sentita più che in imbarazzo se avesse saputo cos’aveva fatto per meritarsi le pulizie extra.
“E poi tu come fai a saperlo?!” chiese allora.
“La tua insegnante è entrata in sala professori lamentandosi per la tua sfacciataggine. Pare che, mentre ti rimproverava, tu non abbia fatto altro che sorridere”  
Strawberry avvampò. Si stava divertendo a prenderla in giro, tanto per cambiare. Che coraggio poi, visto che era solo per causa sua che non era riuscita a togliersi dalla faccia quel sorrisetto ebete quando era tornata in aula!
“Come mai ti stava rimproverando?” domandò Kyle, preoccupato.
“Ho saltato due ore di lezione” confessò. Almeno il perché poteva dirglielo. Ciò che aveva fatto in quelle due ore, invece…
Sì, era meglio che restasse tra lei e quello scemo di Ryan che se la ghignava sotto i baffi.
Kyle la guardò, stupito. “Oh… Ma è successo qualcosa di particolare?”
Fortunatamente, le stesse clienti di poco prima lo richiamarono al tavolo.
Non appena si fu allontanato, Strawberry tirò un sospiro di sollievo. L’aveva scampata.
Si voltò quindi verso Ryan, infuriata.
“E’ tutta colpa tua se mi hanno messa in punizione!” sbraitò.
“Mia?” fece lui, fingendo un’ingenuità che non gli apparteneva neanche un po’.
“Sì, tua!”
Ryan posò la tazzina di caffè e portò una mano sotto il mento. “Non ti ho mica costretta a restare in quel ripostiglio” la prese in giro.
Lei non poté evitare di arrossire. Detta così, quella frase aveva un qualcosa di ambiguo che faceva intendere tutt’altro rispetto a ciò che era accaduto! O almeno, molto più di quanto in realtà non fosse avvenuto.
“Vuoi scherzare?!”
Come se quegli occhi, quelle labbra e quell’abbraccio pieno di calore non fossero stati una sufficiente costrizione. In quelle condizioni, non sarebbe riuscita ad andarsene neanche se fosse stata la studentessa più diligente del mondo!
“Affatto. E poi, non mi sembra  proprio che tu ti sia lamentata granché”
Stava per ribattere, ma si rese conto con grande disappunto che Ryan aveva ragione. Allora si risedette composta sullo sgabello e sbuffò.
“Sei un pessimo professore, lo sai?” gli disse, guardandolo di traverso.
Il suo insegnante rise. “Non ho mai detto il contrario. Anzi, se non ricordo male sei stata tu a dirmi che ero un bravo insegnante”
Colpita e affondata. “Uff, ti detesto” si lamentò.
Si aspettava che Ryan rispondesse come aveva sempre fatto, invece si avvicinò e, riprendendo la sua frase di poco prima, le sussurrò all’orecchio: “Sei una pessima bugiarda, lo sai?”
Strawberry si allontanò di scatto per celare la reazione del suo corpo a quella vicinanza. Quando si guardarono, però, non poterono trattenersi dal ridere.
Le piaceva quel clima che si era venuto a creare tra loro. Le piaceva tanto.
Qualche minuto dopo, il cellulare di Ryan prese a squillare. Dal tono con cui rispose, Strawberry capì che si trattava di lavoro. Infatti, quando terminò la telefonata il ragazzo si alzò, lasciando sul bancone i soldi del caffè.
“Devo andare” le disse.
“Ci… ci vediamo domani?” azzardò a chiedere lei.
Ryan le sorrise. “Certo”
La guardò dritta negli occhi, poi, involontariamente, il suo sguardo cadde sulle sue labbra.
No.
Ricordò a se stesso che no, non poteva baciarla perché era in un locale, dove c’erano altre persone e dove c’era anche Kyle. Strawberry lo vide combattuto, ma pensò che stesse pensando al motivo per cui l’avevano chiamato.
Alla fine, si limitò a lasciarle una carezza sul capo e la salutò.
“Ryan va già via?” le chiese Kyle, raggiungendola con un vassoio vuoto in mano.
“Già” Poi le venne in mente una cosa. “Scusami, Kyle, torno subito!”
Uscì dal locale di corsa e raggiunse Ryan un attimo prima che chiudesse la portiera dell’auto.
“Volevo chiederti una cosa” gli disse.
Lui sollevò il capo, in attesa.
“Cosa facciamo con Kyle e tua madre?”
Non aveva detto niente all’amico, anche perché non sapeva come la pensasse Ryan.
Solitamente, quando le capitava qualcosa di bello doveva correre a raccontarlo a qualcuno. Questa volta, invece, le piaceva l’idea di tenere quel che era accaduto ancora un po’ per sé. Non sapeva spiegarselo, voleva solo restare il più a lungo possibile in quella bolla di serenità.
“Secondo me possiamo evitare di dirglielo” disse lui, quasi come se le avesse letto nel pensiero. “Se sei d’accordo, potremmo tenerlo per noi almeno per qualche giorno. Mia madre comincerebbe ad impicciarsi e ci renderebbe la vita impossibile, la conosci ormai”
Strawberry ridacchiò.
In effetti, non poteva immaginare come si sarebbe comportata Katherine una volta saputo che il suo figlioletto stava con lei. Per come la vedeva, poteva benissimo decidere di organizzare già il matrimonio e aiutarla nella scelta del vestito!
Le vennero i brividi.
“Sono d’accordo” confermò con un sorriso.
“E poi…” aggiunse Ryan, sorridendo malizioso. “Così posso fare questo.”
Portò un braccio dietro alla sua nuca, facendola avvicinare con il viso e nascondendola così ai passanti, e le sfiorò le labbra con le proprie.
Con la portiera e i vetri oscurati dell’auto a ripararli da occhi indiscreti, tracciò il contorno del suo labbro inferiore con la lingua, sentendo Strawberry agitarsi a quel contatto. La sentì posare una mano sulla sua spalla, in cerca di un appoggio. Allora si rilassò.
Fu lei a schiudere le labbra, permettendogli di approfondire il bacio.
Con la mano libera cercò un altro appiglio, perché la dolcezza e l’intensità di quel bacio le stavano facendo tremare le gambe e temeva che le ginocchia le cedessero.
Alla cieca, appoggiò la mano sinistra su quello che doveva essere il volante, ma che risultò essere il clacson.
Non appena fece pressione, il rumore improvviso li fece sussultare, colti alla sprovvista.
Dopo l’iniziale smarrimento, Ryan si mise a ridere.
“Sei un vero disastro” la prese in giro, ma il suo tono di voce era più dolce del solito “Adesso vado…”
Strawberry annuì, sentendo il viso in fiamme.
“Sì” mormorò, affannata.
Si scostò, permettendogli di chiudere la portiera, e lo osservò allontanarsi finché l’auto non svoltò in una via laterale.
Aveva il cuore a mille.
Stava ancora cercando di stabilizzarlo, quando sentì una voce familiare: “Strawberryyy, dear!”
Si guardò attorno, cercando di capire da dove arrivasse.
Alla fine, individuò Katherine dall’altra parte della strada, in attesa che il semaforo diventasse verde.
Quando la raggiunse, lasciò cadere a terra due borse della spesa stracolme e le saltò praticamente addosso.
“Strawberry, I’m so sorry per quello che è successo!”
“Katherine, non…” tentò di dire lei.
“Non volevo metterti in trouble, credevo che Ryan lo sapesse già!” si giustificò, con il suo abituale tono teatrale.
La rossa cercò di sciogliere l’abbraccio, inutilmente. “Ma non sono arrabbiata, è tutto a posto”
“Oh dear, ti chiedo scusa, I’m…”
“Katherine, ti ho detto che non sono arrabbiata!” esclamò allora.
Finalmente, la donna le diede retta e la lasciò andare.
“Really?” chiese, sbattendo le palpebre più volte.
“Sì, davvero” rise, più per esasperazione.
C’erano dei momenti in cui preferiva di gran lunga la Katherine matura e profonda a quella infantile. Non era cattiva, solo… sfiancante.
Sì, capiva perfettamente le motivazioni di Ryan nel non volerle dire subito di loro.
“Oh, meno male! Scusami tanto, Strawberry. Can I do something? Voglio comunque farmi perdonare!” esclamò, posando le mani sulle ginocchia per sporgersi verso di lei.
“Ma no, Kat, non…” si bloccò un attimo, pensandoci su. “Anzi, sì. In effetti c’è una cosa che puoi fare”
La donna le sorrise, annuendo. “What?”
“Aiutami ad organizzare una festa per il compleanno di Ryan” le propose.
Sul viso di Katherine comparve un’espressione entusiasta.  “Affare fatto, dear!”









Buondì :)
Finalmente siamo arrivati ad una svolta nel rapporto tra Ryan e Strawberry. Era nell'aria da un po', ma nessuno dei due sembrava decidersi a mettere in chiaro le cose. Ma, un po' grazie all'involontaria complicità di Katherine (Kyle, povero, si trova sempre in mezzo a suo discapito xD), un po' per la testardaggine di Strawberry e per la pazienza e la decisione di Ryan... Ce l'abbiamo fatta!
Questo capitolo è nato da solo. Nel senso che all'inizio non era previsto. Contavo di risolvere molto più brevemente la questione e di parlare già qui del compleanno di Ryan. In realtà, credo sia stato necessario dare più spazio a questo "chiarimento": si sa, i tempi di questi due non sono dei più brevi ;) Spero che abbiate apprezzato e che non sia stato troppo melenso.
Bene, direi che ci si vede al prossimo capitolo per festeggiare il compleanno del nostro professore :)
A presto,

la vostra Comet

 

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Capitolo 27
*** Preparativi ***


Capitolo 27 – Preparativi




Strawberry corrugò la fronte, perplessa. Esaminò per qualche secondo il foglio da disegno che Katherine le aveva lasciato sul tavolo poco prima di scomparire in cucina. Lo prese in mano e lo sollevò controluce, tirando indietro il capo per poterlo osservare meglio.
No, qualcosa non le quadrava.
Quando aveva proposto alla mamma di Ryan di aiutarla ad organizzare la festa per il compleanno del figlio, si era lasciata prendere dall’entusiasmo, e Katherine più di lei. Ora, però, la piantina del locale con la disposizione dei tavoli e le decorazioni che la donna aveva realizzato le ricordava tanto la sala per il ricevimento di un matrimonio.
Certo, lei non aveva nulla in contrario con i palloncini. Non era sicura, però, che Ryan sarebbe stato della stessa idea.
Saltò giù dalla sedia un po’ troppo alta su cui si era accomodata e raggiunse la cucina. Sorrise, notando che Kyle non riusciva a stare lontano da zucchero e glassa nemmeno nel giorno di chiusura della pasticceria.
“Cosa prepari?” gli domandò.
“Oh, Strawberry. Stavo per venirti a chiamare. State lavorando da ore ai preparativi, non vi va una piccola pausa?” rispose, mostrandole i cupcakes che aveva appena decorato.
Il solito, fantastico Kyle.
Si sedettero tutti e tre ad un tavolo. Avevano passato l’intera domenica mattina a discutere sul da farsi e Strawberry poteva ritenersi soddisfatta di come stavano andando le cose. Più o meno.
Addentò il suo cupcake, gustandosi il dolce sapore della crema di lamponi più buona che avesse mai assaggiato, poi si rivolse a Katherine.
“Kat, a proposito della festa…”
“Dimmi, dear”
Mise il foglio al centro del tavolo, rivolto verso gli altri due. “Non ti sembra tutto un po’… eccessivo? Voglio dire, credi che Ryan apprezzerà tutti questi palloncini?”
Chissà perché, Katherine non le sembrava affatto il tipo di persona che potesse accettare tranquillamente le critiche. Si aspettava una delle solite reazioni plateali a cui la donna l’aveva abituata fin dai loro primi incontri e che sembravano essere il motivo per cui Ryan tendeva sempre a mantenere una certa distanza dalla madre. Oltre che la sua proverbiale invadenza, seppur in buona fede. Invece, si limitò ad assumere un’espressione interrogativa.
“But it’s a party. I palloncini sono d’obbligo!” disse con tranquillità.
Strawberry stava per ribattere, ma Katherine liquidò la questione con un gesto della mano. “Don’t worry, dear!”
Sorrise, alzando gli occhi al cielo. “Va bene, d’accordo. Ma che mi dici della torta?”
“Cos’ha che non va?”
“Kat, è una torta a tre piani!” esclamò la rossa, incredula.
“Oh, that’s only a joke” La mamma di Ryan affinò lo sguardo, sorridendo furba. “For you”
“Ma che…?”
Kyle si lasciò sfuggire un colpo di tosse tutt’altro che involontario, attirando l’attenzione delle altre due. “Qualcuno vuole un altro po’ di tè?” chiese, scoccando un’occhiataccia a Katherine.
Ovviamente, le raccomandazioni che le aveva fatto erano state inutili. Non che si aspettasse il contrario, certo, ma per un attimo ci aveva sperato.
“No, thank you. By the way, io e Strawberry abbiamo un impegno”
Il pasticcere spostò lo sguardo dall’una all’altra, con espressione interrogativa. “Cos’hai in mente, Kat?”
“Ah no, honey. It’s a secret!”


Quando Katherine aveva parlato di impegno, Strawberry non aveva pensato che sarebbe stato effettivamente così impegnativo.
Posò le mani sul vetro trasparente davanti a sé, scrutando gli articoli in esposizione. Li osservò uno per uno, scandagliandoli con attenzione, in cerca di quel particolare che fosse in grado di colpirla, infine sospirò.
Tra i negozi dell’enorme quartiere commerciale di Tokyo si poteva trovare davvero di tutto. Di tutto, tranne un regalo adatto a Ryan evidentemente.
Certo, il suo ragazzo e insegnante non era affatto un tipo facile e, a dirla tutta, le cose che considerava apprezzabili e degne di nota si potevano contare sulla punta delle dita. Insomma, non poteva certo regalargli un libro sulla genetica molecolare.
Il massimo del romanticismo, Straw.
Sbatté la fronte contro la vetrina, sperando che la botta le facesse venire una qualche idea.
“What are you doing, dear?”
Strawberry spostò lo sguardo e mise a fuoco il viso sorridente di Katherine.
“Aspetto un’illuminazione” borbottò, senza staccarsi dal vetro.
La donna rise, scuotendo il capo. “You’re always so funny. Anyway, non hai trovato proprio niente?”
“No. Tu invece hai fatto acquisti” notò.
“Oh, yes. Non sono riuscita a trattenermi”
Katherine teneva tra le mani diversi sacchetti provenienti da negozi che sicuramente erano fuori dalla portata di una qualunque liceale e non solo.
Giusto.
La famiglia di Ryan era molto ricca, come il biondino aveva tenuto a precisare alla loro prima lezione. Nonostante questo, l’americano non aveva mai ostentato particolarmente la propria posizione sociale ed economica; non che fosse necessario, la sua auto sportiva e la villa in cui viveva da solo erano di per sé già abbastanza esplicative. Bé, se quello era il genere di cose a cui Ryan era abituato, sarebbe stato molto più difficile del previsto accontentarlo.
D’altronde, lo shopping non era mai stato il suo forte.
Quando si trattava di fare acquisti, Strawberry era dell’idea che esistessero due tipologie di persone: quelle che, come Katherine, pur non avendo la più pallida idea di cosa volessero, chissà come, riuscivano sempre ad uscirne con decine di sacchetti tra le mani e un’espressione soddisfatta in volto, e quelle come lei, che giravano all’infinito, uscendo e rientrando sempre negli stessi negozi, nella vana speranza che dal cielo piovesse improvvisamente una qualche idea. Possibilmente geniale.
Senza troppi convenevoli, Katherine la sottrasse ai propri pensieri afferrandola per un braccio. “Come on, I have an idea”.
“Sarebbe questa la tua idea?” commentò poco dopo Strawberry, seduta ad un tavolino del bar all’interno del centro commerciale in cui la madre di Ryan l’aveva trascinata, mentre quest’ultima le porgeva un bicchiere di succo d’arancia.
“Exactly”
“Ma, Kat…”
“No, no, no. Niente ma!” la zittì Katherine. “Fai un bel respiro, bevi il tuo succo and relax”
La rossa sospirò. Di questo passo, non avrebbe mai trovato un regalo decente. Rassegnata, portò il bicchiere alla bocca e bevve un sorso, storcendo il naso per quel sapore aspro a cui non era abituata.
Katherine le sorrise e rimase ad osservarla in silenzio per qualche secondo.
Apprezzava il fatto che Strawberry si fosse avvicinata a suo figlio, anche se quei due testoni si ostinavano a negare l’evidente attrazione che li spingeva l’uno verso l’altra. Come se fosse necessario, poi. Era chiaro come il sole che ormai a legarli fosse tutt’altro che un banale rapporto insegnante-allieva, e ancor meno un’amicizia.
Sbuffò. Inutile rimuginarci su, avrebbe aspettato pazientemente finché non si fossero sentiti pronti ad ammettere la realtà dei fatti. Bè, più o meno pazientemente.
“Ti preoccupi troppo, dear”
Strawberry la guardò da sopra il bicchiere. “Non sono preoccupata. E’ solo che fare regali è complicato e io non sono brava in queste cose”
Katherine portò una mano sotto il mento e le mostrò un sorriso saccente che a Strawberry ricordò tanto il modo di fare del figlio.
“Quindi sei preoccupata” riconfermò.
Vide Strawberry lasciarsi scivolare con la fronte appoggiata al tavolino, in imbarazzo, e non riuscì a trattenere una risata. Quella ragazza le faceva una gran tenerezza.
“Non c’è bisogno di farsi tante paranoie” le disse, sventolando la mano su e giù in un gesto di noncuranza. “Può sembrare banale, ma quello che conta è il pensiero”
Strawberry la guardò poco convinta. “Nel caso di Ryan non ne sono tanto sicura… Non mi sembra proprio il tipo di persona che accetta con un sorriso un regalo che non gli piace”
L’americana rise, ripensando a tutte le volte che si era trovata in quella situazione nel corso degli anni. “Oh no, non lo è affatto” commentò divertita. “Lo conosci piuttosto bene.”
Immediatamente, le guance di Strawberry si tinsero di rosso.
“Però trascuri un piccolo particolare, Strawberry. Le reazioni di mio figlio sono sempre molto calibrate sulla base della persona che ha di fronte. Ryan è un tipo razionale, raramente si lascia guidare dall’istinto e, se lo fa, non si lascia mai andare del tutto. Se capita, significa che tiene davvero molto alla posta in gioco.”
La frecciatina che le era appena giunta sotto le mentite spoglie di un consiglio amorevole – o forse era lei ad essere un po’ paranoica? - la fece arrossire ancor più. Dopotutto era convinta già da un po’ che, nonostante all’apparenza potesse sembrare ingenua e spensierata, Katherine in realtà avesse capito tutto da un bel pezzo.
Un’altra volta, il pensiero di come avrebbe reagito una volta saputo che lei e Ryan erano diventati a tutti gli effetti una coppia la fece rabbrividire. Non sapeva bene cosa aspettarsi, e il fatto che il suo insegnante avesse optato per mantenere temporaneamente il silenzio era, in un certo senso, rincuorante.
“Vado a prendere un altro orange juice” le disse Katherine, alzandosi di scatto. “Dopodiché, ci rimettiamo alla ricerca del regalo, e stai certa che troveremo qualcosa che sia adatto at my beloved son!”
Strawberry sorrise e scosse il capo mentre la guardava allontanarsi canticchiando in direzione del bancone. Se non altro, era quasi riuscita a farle recuperare un po’ dell’entusiasmo che aveva perso nelle ore precedenti.
Si appoggiò allo schienale della sedia, facendo scorrere lo sguardo sulla moltitudine di persone che affollavano i grandi magazzini la domenica pomeriggio, e le venne da ridere pensando che Ryan avrebbe avuto sicuramente da ridire su un modo così frivolo di trascorrere il proprio tempo.
Ad un certo punto, lo sguardo le cadde su un gruppetto di ragazze dall’aria familiare.
Sul momento non ci fece troppo caso, ma quando una si staccò dalle altre per dirigersi a passo spedito nella sua direzione, le bastò incrociare gli occhi dalle ciglia perfettamente ripiegate all’insù di Megumi per sentir sparire – di nuovo – ogni traccia di entusiasmo.
L’antipatia che aveva sempre provato a pelle nei confronti della compagna di classe, e che era senza dubbio ricambiata, era aumentata a dismisura da quando l’oggetto dei loro screzi era diventato un certo biondino di sua conoscenza.
“Ma guarda… cosa ci fai qui, Momomiya?”
“Secondo te cosa dovrei farci in un centro commerciale?” Era più forte di lei, non riusciva a fare l’indifferente quando le si rivolgeva con quel tono di superiorità.
“Tutta sola? Davvero triste…”
Ignorala, si disse, doveva soltanto ignorarla. In fondo era abituata alla sua cattiveria gratuita.
Megumi sbatté le palpebre un paio di volte, fingendo un’espressione innocente che Strawberry sapeva bene non appartenerle.
“Oh, ma che sciocca, ci sarà sicuramente la Midorikawa con te. E dov’è? Vorrei salutarla”
Figuriamoci.
Da quando avevano cominciato il liceo, non aveva rivolto la parola a Lory nemmeno per farsi prestare una penna.
Infatti, un attimo dopo sorrise maligna, come se non aspettasse altro che rivolgerle quelle parole: “Ops, dimenticavo. Ultimamente non sembra che andiate molto d’accordo, vero?”
Strawberry strinse i pugni, intimandosi di stare calma. Non le avrebbe mai dato la soddisfazione di vedere quanto parlare di Lory le facesse male.
“Non sono affari tuoi. E comunque non sono qui da sola” si limitò a ribattere.
“Ah no? E con chi allora?”
Stava per rispondere, indecisa se fare la persona adulta o mandarla a quel paese, e in quei due secondi di esitazione quasi non si rese conto di quello che accadde.
Un attimo prima, Katherine le stava correndo incontro con un gran sorriso e il suo succo di frutta in mano. Lo stesso succo che adesso faceva bella mostra di sé sulla camicetta completamente macchiata di Megumi. La stessa Megumi che, dopo un momento di incredulità, ora la guardava livida di rabbia.
Ma cosa c’entrava lei? No, un attimo. Chi se ne importava! Più tardi avrebbe fatto un monumento a Katherine!
L’americana, che era sbadatamente inciampata nel nulla, si riebbe immediatamente e piombò addosso a Megumi, scusandosi con enfasi.
Fin troppa, pensò Strawberry.
“Oh my god! Sono così distratta, I’m so sorry. Wait, bisogna pulire subito o resterà la macchia!”
Strawberry si mise una mano davanti alla bocca, perché davvero non sapeva come evitare di ridere davanti alla faccia più che allibita di Megumi mentre Katherine le tamponava la camicia con un tovagliolo e continuava a propinarle scuse incomprensibili, parlando in inglese ad una tale velocità che probabilmente nemmeno un americano madrelingua le sarebbe stato dietro.
Megumi le lanciò uno sguardo infuocato, poi allontanò Katherine, infastidita.
“Va tutto bene, lasci stare, lasci stare!”
“Oh, I’m a mess, I’m sorry, I…”
“Non ce n’é bisogno, la smetta!” ripeté Megumi, confusa e visibilmente irritata.
Osservò con disgusto le macchie arancioni che facevano bella mostra di sé sulla sua camicetta di chiffon, poi si rivolse nuovamente a Strawberry.
“Ci vediamo a scuola, Momomiya” le disse a denti stretti, spostandosi con stizza i lunghi capelli dietro le spalle. Dopodiché, diede loro le spalle e si allontanò imprecando.
Normalmente Strawberry si sarebbe preoccupata del suo tono minaccioso, ma in quel momento era talmente soddisfatta che sarebbe saltata in braccio a Katherine per congratularsi.
“Kat, sei stata… fantastica!”
La madre di Ryan la guardò accigliata. “A cosa ti riferisci, dear?”
“Non ho mai visto Megumi così arrabbiata. L’hai fatto apposta, vero?”
“Ti assicuro che non so di cosa parli” ribadì Katherine, incamminandosi. “Diciamo solo che non amo che qualcuno si rivolga così a quella che potrebbe essere la futura fidanzata di mio figlio”
Strawberry la raggiunse a passo svelto, con un gran sorriso stampato in volto.
“No reaction? Di solito sei molto suscettibile sull’argomento” le fece notare l’altra, curiosa.
“Sono troppo di buon umore in questo momento, non riesco ad arrabbiarmi”
Katherine rise, prendendola sotto braccio. “Ooh, I really really hope you’ll become my son’s girlfriend”
“Ehm… cosa?”
“Nothing. Vieni, entriamo qui”
Strawberry alzò distrattamente lo sguardo sull’insegna del negozio che le stava indicando.
“Un negozio di intimo? Ma cos…”
“Lascia fare a me, honey” la interruppe Katherine, strizzandole un occhio.
Chissà perché, aveva un brutto presentimento. Sperò ardentemente che Katherine non si aspettasse che avrebbe regalato a Ryan un paio di mutande!
Una commessa dai lunghi capelli neri e la pelle bianchissima diede loro il benvenuto, inclinando leggermente il capo in un breve inchino, quindi chiese loro se avessero bisogno di aiuto.
“Oh, sì” rispose Katherine, affabile.
Strawberry la guardò a bocca aperta. Stava scherzando, vero? No, perché era appena riuscita a guadagnare un sacco di punti con il tiro giocato a Megumi, non poteva rovinare tutto proprio adesso.
“State cercando qualcosa in particolare?”
“Veramente…” Katherine si avvicinò alla commessa, dicendole qualcosa a bassa voce. La ragazza lanciò un’occhiata a Strawberry, poi annuì convinta un paio di volte.
No, doveva essere per forza uno scherzo.
Scosse il capo con decisione, cercando di scacciare l’immagine imbarazzante di Ryan che le dava della maniaca mentre esaminava allibito i boxer che aveva appena scartato. Lo avrebbe preso come una specie di invito a…
Oddio, no, no, no, assolutamente no!
Quando Katherine tornò a rivolgersi a lei, la trovò più rossa che mai.
“Ti senti bene, cara?”
“Non ne sono sicura” borbottò, tra sé e sé.
“Dimmi dear… Che misura porti?”
Strawberry le rivolse un’espressione interrogativa. “Misura?"
“Yes, misura. La tua taglia. Your size”
Ok, adesso cominciava ad essere un po’ confusa. Erano lì per il regalo di Ryan, cosa c’entrava la sua misura? Misura di che poi?
Quando le cadde l’occhio sui completini intimi che facevano bella mostra di sé sui manichini in ogni angolo del negozio, allora capì il riferimento di Katherine e non poté evitare di avvampare.
“Ma-ma-ma… Katherine!” esclamò, indignata.
Non aveva mai avuto un rapporto particolarmente positivo con il suo corpo. Non che mancasse di autostima o cose simili. Più semplicemente, pensare alle proprie forme le creava sempre un certo imbarazzo.
“Via, non essere timida” la incoraggiò la madre di Ryan.
“Non è questione di essere timida!”
Katherine ignorò le sue proteste e si sporse nuovamente verso la commessa per sussurrarle qualcosa che Strawberry non riuscì a cogliere. Colse però perfettamente e con un certo disagio lo sguardo inquisitorio della ragazza che percorreva il suo corpo, soffermandosi più del dovuto sul petto.
“Penso che una terza misura possa andar bene” si pronunciò infine. “Me ne occupo io. Intanto la accompagni pure al camerino.”
“Che cosa? Ma… aspettate un attimo!”
Di nuovo Katherine non le prestò ascolto e la spinse verso il camerino, canticchiando allegramente.
“Ma insomma!”
“Sbaglio o avevi detto che eri troppo contenta per arrabbiarti?”
“Ho cambiato idea!” esclamò Strawberry, mettendo la testa fuori dal camerino. “Si può sapere cos’hai in mente?”
“Ti tiro fuori dai pasticci, dear”
Oh, fantastico. Era proprio questo che la preoccupava.
“Non fare quella faccia, ho appena trovato il regalo perfetto for my son!”
“E sarebbe?”
Chissà perché, il sorriso enigmatico che Katherine le stava rivolgendo non la rassicurava per niente.
E capì che il suo intuito non si sbagliava quando la madre di Ryan aprì un poco la tenda e le mise in mano qualcosa, facendole l’occhiolino.
Strawberry sbatté le palpebre un paio di volte, poi avvampò automaticamente.
“Ma… Katherine!!!”


Quando più tardi si trovò fuori dalla casa del suo insegnante, Strawberry era esausta. Quella mattinata con Katherine l’aveva davvero provata, senza contare la trovata del regalo che, al solo pensarci, la faceva avvampare fino alle orecchie.
Era talmente immersa nei suoi pensieri che quasi non si accorse di essere arrivata alla porta d’ingresso.
“Buongiorno” la salutò Ryan.
Strawberry alzò la testa e sobbalzò, sorpresa di trovarselo a così poca distanza.
“Stai bene?” chiese lui con tono divertito.
“Ciao. Si, sto… sto bene.” Più o meno.
Doveva assolutamente smettere di pensare alle allusioni di Katherine o sarebbe impazzita. Ma insomma, come le era venuta un’idea del genere? Lei e Ryan non erano ancora a quel punto.
La sua voce la riportò alla realtà. “Allora? Pensi di entrare?”
“S-sì”
Scosse il capo per scrollarsi di dosso quei pensieri ed entrò, passandogli davanti. Si fermò in salotto e, quando Ryan la raggiunse, sussultò. Per la prima volta da quando avevano stabilito di incontrarsi per le ripetizioni di inglese che lui le aveva promesso, Strawberry realizzò che in quella casa sarebbero stati da soli e si scoprì terribilmente nervosa. Era già capitato che si trovasse da sola a casa di Ryan, ma prima che succedesse tutto quello che era successo tra loro. Adesso era la ragazza di Ryan – per quanto ancora le facesse effetto pensarsi così – e questo rendeva la situazione completamente diversa, facendo affiorare pensieri che non erano esattamente in linea con il motivo per cui si trovava lì.
No, io e Ryan non siamo ancora a quel punto, si ripeté cercando di suonare convinta.
D’un tratto si accorse che la stava fissando in modo strano.
“C-che c’è?” domandò, arrossendo.
Il biondo inarcò un sopracciglio. “Sei strana. Sicura di star bene?”
“Sicurissima!”
“D’accordo” rispose, poco convinto.
Ryan era sempre fin troppo bravo a leggere i suoi comportamenti e giusto qualche giorno prima avevano concordato di essere sinceri l’uno con l’altra, ma non poteva certo dirgli da cosa nasceva il suo nervosismo. Sarebbe stato imbarazzante e soprattutto non voleva apparire per l’ennesima volta come una bambina agli occhi di Ryan.
Si accomodarono al grande tavolo del salotto e Strawberry preparò il libro di inglese, intenzionata a non farsi distrarre da certe questioni.
Era lì per studiare, punto e basta. E se solo Ryan avesse smesso di fissarla con quei suoi maledetti occhi del colore del cielo sarebbe stato molto più semplice convincersene.
Finalmente il suo insegnante abbassò lo sguardo sul libro che Strawberry aveva portato e allora lei si concesse di lanciargli un’occhiata furtiva. Indossava una maglietta bianca a maniche corte e un paio di pantaloni della tuta grigi. I ciuffi biondi gli ricadevano spettinati sulla fronte, come al solito. Doveva aver appena fatto la doccia, perché riusciva a sentire l’odore piacevole del bagnoschiuma.
Si accorse che Ryan era tornato a guardarla ed arrossì.
“Ehm… come mai hai voluto che ci incontrassimo qui e non al locale?” domandò per uscire dal momento di imbarazzo.
“Qui staremo più tranquilli” replicò lui, semplicemente.
“Oh… Certo.”
Ryan dovette accorgersi del suo tono incerto e ovviamente non si risparmiò di provocarla.
“Non farti strane idee, Momomiya”
Strawberry avvampò. “N-Non mi sono fatta nessuna idea!”
Certo, come no. Si stava solo tormentando dal momento in cui aveva messo piede in casa.
“Se lo dici tu…” commentò Ryan, con un sorriso sornione.
“E’ così” confermò.
“Bene”
La rossa distolse lo sguardo, incrociando le braccia al petto.
“Pensi davvero che al locale mia madre e Kyle ci avrebbero lasciato in pace?”
“Perché non avrebbero dovu…” iniziò a dire, poi si bloccò ripensando alla mattina che aveva passato. “Ok, no. Hai ragione. Katherine non ci avrebbe dato tregua. Sarebbe stata capace di spiare tutto il tempo dal buco della serratura!”
Ryan rise. “Appunto. Vedo che inizi a capire come è fatta mia madre.”
“Ti infastidisce così tanto?” gli chiese.
“Relativamente. A te no?”
Strawberry ci pensò un attimo. Avrebbe voluto dire molte cose dopo lo scherzetto che le aveva giocato con la storia del regalo, ma si morse la lingua.
“E’ solo un po’ strana” disse infine.
“O matta. Punti di vista” replicò Ryan, facendola ridere.
“Sei davvero un figlio ingrato” scherzò.
“Almeno io non mi faccio strane idee”
Strawberry sbatté le palpebre un paio di volte, perché come sempre Ryan saltava avanti e indietro nel discorso e lei faceva fatica a stargli dietro, poi realizzò il riferimento.
“Ti ho detto che non mi sono fatta nessuna idea!” esclamò, arrossendo nuovamente.
“Fingerò di crederti”
Strawberry lo guardò di traverso. Era il solito insopportabile.
“Uffa, avevi promesso di aiutarmi, invece ti stai solo divertendo alle mie spalle” sbuffò, lasciandosi scivolare con una guancia sul tavolo.
Ryan la guardò fintamente serio. “Dubiti delle mie intenzioni?"
“Non dovrei?”
“Momomiya, non si risponde a una domanda con un’altra domanda”
Strawberry alzò gli occhi al cielo. “Antipatico”, lo apostrofò.
Senza preavviso, Ryan si sporse verso di lei, fermandosi a pochi centimetri dal suo viso e facendole balzare il cuore nel petto. Le prese una mano e se la portò all’altezza del viso.
“This is… your hand” disse a voce bassa, e Strawberry rabbrividì perché, come già era capitato, sentirlo parlare in inglese le faceva venire la pelle d’oca. E non certo per il freddo.
Ryan fece scendere lentamente la mano lungo tutto il braccio e risalì piano fino a sfiorarle il collo in punta di dita. “Your arm… Your neck…”
Arrivò alla guancia.
“Your cheek…”
Strawberry deglutì a fatica, fremendo mentre Ryan la sfiorava con delicatezza. Improvvisamente, le parve che in quella casa ci fossero almeno cinquanta gradi, perché non riusciva a spiegarsi diversamente l’effetto che Ryan le faceva ogni volta che si avvicinava, trovandola immancabilmente impreparata alle sensazioni che si impadronivano di lei.
“C-che stai facendo?” riuscì a mormorare.
Per tutta risposta, Ryan le prese nuovamente la mano facendola alzare in piedi.
“I’m teaching you” replicò, posandole un bacio sul dorso della mano.
Strawberry arrossì perché, anche se non era certa di aver capito quello che Ryan le aveva appena detto, capiva invece fin troppo bene quello che le stava facendo.
Si scoprì ipnotizzata dai suoi occhi, nei quali sarebbe benissimo potuta annegare mentre lui riprendeva lo stesso percorso di poco prima per arrivare fino alla bocca, tracciandone i contorni con le dita.
“Your mouth…”
Con il pollice si soffermò ad accarezzarle il labbro inferiore, e Strawberry avrebbe voluto schiudere le labbra e lasciargli un bacio ma la verità era che in quel momento non sarebbe riuscita a fare neppure un movimento. Ryan la fissava dritta negli occhi, facendole mancare completamente il respiro.
“Your lips…”
Per un attimo Strawberry pensò e desiderò ardentemente che Ryan la baciasse. Invece lui abbandonò le sue labbra e fece scivolare le dita tra i suoi capelli, giocherellando con una ciocca rossa.
“Your hair…”
Strawberry chiuse gli occhi perché era certa che se avesse continuato a sostenere lo sguardo di Ryan si sarebbe persa nell’oceano dei suoi occhi e quella sarebbe stata una strada senza ritorno. Sentì le gambe molli e temette di non riuscire a reggersi in piedi, ma lui dovette accorgersene perché la attirò a sé, premendo una mano sulla sua schiena.
“Your beck…”
Quel contatto così ravvicinato le mandò il cuore in gola, soprattutto quando Ryan prese a sfiorarle la schiena seguendo la linea della spina dorsale, lentamente.
Dopo averla percorsa interamente, per quelli che furono pochi secondi ma che a Strawberry sembrò un tempo infinito, Ryan si scostò quel tanto che bastava per poterla guardare nuovamente negli occhi e posò l’altra mano sul suo fianco.
Piano, prese ad accarezzarla sopra al tessuto della maglia, e improvvisamente Strawberry ricordò com’era andata a finire quando l’aveva accarezzata allo stesso modo quella notte al campo estivo, quando nessuno dei due era riuscito a sottrarsi alle sensazioni che stavano nascendo.
Senza smettere di fissarla, Ryan iniziò a salire lentamente con la mano lungo il suo fianco. Strawberry trattenne il respiro, totalmente preda del suo strano modo di insegnare, e fu solo quando la mano di Ryan raggiunse con lentezza esasperante il limite di ciò che era consentito, mostrando un breve attimo di esitazione, che lei riacquistò un barlume di lucidità.
“M-ma… a scuola non stiamo studiando le parti del corpo” riuscì a formulare, e si stupì che le fosse uscita una frase di senso compiuto visto lo stato mentale ed emotivo in cui si trovava.
Ryan la guardò serio per un attimo.
“Peccato”, disse infine, lasciandola andare di colpo.
Strawberry aveva le guance in fiamme.
Si appoggiò con la mano allo schienale della sedia. Da un lato si sentiva sollevata perché era riuscita a riprendere il controllo di sé prima che la situazione prendesse una piega alla quale non era affatto preparata. Dall’altro… bé, dall’altro era sempre stata attratta da Ryan e ormai aveva smesso di negarlo a se stessa, ma non di esserne terrorizzata. Soprattutto dopo le parole di Katherine.
“Bé?” le disse Ryan, col suo solito modo di fare. “Vogliamo metterci a studiare miss ho-tanta-voglia-di-imparare?”
Normalmente Strawberry avrebbe ceduto alla sua provocazione e soprattutto gli avrebbe detto che era un grande incoerente: prima le diceva di non farsi strane idee e poi la destabilizzava in quel modo! Ma quando ebbe il coraggio di alzare gli occhi per guardarlo notò un leggero rossore sulle guance del biondo che la lasciò un attimo interdetta. L’imperturbabile Ryan Shirogane era forse imbarazzato?
Ok, no. Aveva bisogno di una pausa perché vederlo in quello stato la stava mandando letteralmente in tilt.
“Senti… I-io vado un attimo al bagno prima di iniziare a studiare… posso?”
“Certo” rispose lui, senza alzare lo sguardo.
La guardò salire le scale di corsa. Quando fu scomparsa al piano di sopra, Ryan si sedette e si passò una mano tra i capelli, tormentato.
Accidenti. Dov’era finito tutto il suo autocontrollo?

Quando Strawberry tornò al piano di sotto, Ryan aveva ripreso il controllo di sé e, con esso, la sua aria di indifferenza.
Strawberry doveva essersi sciacquata il viso, ma aveva ancora le guance un po’ arrossate. Lui le fece una battuta per stemperare la tensione che si era creata poco prima, poi si misero finalmente al lavoro.
La rossa aveva già avuto prova che Ryan che fosse un ottimo insegnante e anche in questo caso non si mostrò essere da meno. Le spiegò diverse regole grammaticali che non aveva capito e cercò di aiutarla a ad aggiustare la sua pronuncia, mentre Strawberry ogni tanto si perdeva ad ascoltarlo parlare in inglese e lui fingeva di non accorgersene.
“I lived in America …. many years.”
Meny” la corresse Ryan. “E’ scritto con la a, ma si legge come e”
“L’inglese è davvero una lingua strana” commentò Strawberry, appuntandosi la pronuncia della parola.
Ryan ridacchiò. “Un po’. Allora, come completeresti questa frase?”
“For? I lived in America for many years”
“Molto bene, Strawberry. E con questa abbiamo finito”
Strawberry si stiracchiò, poi gli sorrise. “Incredibile, per la prima volta mi sembra di conoscere un po’ di inglese!”
“Non esageriamo” la prese in giro Ryan, beccandosi una linguaccia in risposta.
“Sei proprio…”
“Sto scherzando” la interruppe, alzando gli occhi al cielo divertito. “Sei stata brava.”
Le scompigliò la frangetta e Strawberry lo lasciò fare, chiudendo gli occhi e godendosi quel contatto innocente. Ryan si sorprese di come stesse accettando il suo gesto vista la situazione che si era creata un paio d’ore prima, ma non disse nulla. Si limitò a soffermarsi un pochino di più, guardandola sorridere.
Il cellulare di Strawberry squillò, ponendo fine a quel momento. Lei lo estrasse dalla borsa ed aprì la mail che era appena arrivata.
“E’ mia mamma. Vuole sapere che fine ho fatto” lo informò, ridendo. Poi diede un’occhiata all’ora indicata sul display. “In effetti è quasi ora di cena”
Ryan si alzò in piedi. “Dai andiamo. Ti accompagno a casa”
Strawberry raccolse le sue cose e lo seguì alla porta. Avrebbe potuto dirgli che poteva tranquillamente andare a casa da sola, ma in realtà aveva voglia di stare ancora un po’ con lui, così non disse niente.
Salirono in auto e Strawberry si lasciò sprofondare nel sedile in pelle mentre Ryan metteva in moto. Per la prima volta, non avvertì la necessità di riempire ad ogni costo il silenzio e si limitò a lasciarsi cullare dalla guida di Ryan, lanciandogli ogni tanto un’occhiata furtiva. I suoi occhi azzurri si vedevano chiaramente anche nel buio della sera.
“Dormi?” le chiese a un certo punto Ryan.
“No, ero solo rilassata. Sei bravo a guidare”
Il biondo rise.
“Che c’è da ridere?” domandò lei, piccata.
“Nulla, Strawberry. Mi piace il tuo modo di fare” le disse, continuando a guardare la strada davanti a sé.
Strawberry rimase un attimo in silenzio.
“Bé? Non dici niente?”
“Veramente aspettavo che dicessi che mi stavi prendendo in giro” replicò.
Ryan ridacchiò di nuovo e Strawberry lo interpretò come una conferma alla sua affermazione.
“Visto?”
“Veramente ero serio” la contraddisse, facendole spalancare gli occhi. “Non ti stavo affatto prendendo in giro”
Strawberry ringraziò il buio che avrebbe impedito a Ryan di notare il rossore sul suo viso. Abbassò lo sguardo sulla mano che teneva sul cambio dell’auto. La guardò per qualche secondo, riflettendo, poi allungò la mano a sfiorare la sua.
Ryan la lasciò fare, senza mostrare apparentemente alcuna reazione. Fortunatamente, era buio anche per lui.
Quando arrivarono a destinazione, svoltò in una vietta laterale e fermò l’auto. Spense il motore e si voltò verso Strawberry.
La rossa si morse il labbro, indecisa su come comportarsi. Doveva ringraziarlo e scendere? O forse doveva…? Le cadde lo sguardo sulle labbra di Ryan e lo distolse subito imbarazzata.
Ryan trattenne un sorriso nel vederla così combattuta, immaginandone senza fatica il motivo. Decise però di lasciarla libera di comportarsi come meglio credeva.
Gli sembrò che stesse per dire qualcosa, per poi cambiare idea e distogliere nuovamente lo sguardo.
“Strawberry?” la chiamò.
Finalmente, lei si decise a parlare. “G-grazie per avermi aiutata oggi. E per avermi accompagnata”.
“Prego” replicò Ryan guardandola dritta negli occhi.
Strawberry abbozzò un sorriso. “Allora… Io vado.”
“D’accordo”
“Sì” riconfermò. Guardò Ryan mostrando ancora un momento di indecisione, poi aprì la portiera e scese dalla macchina. Lo salutò con la mano e si voltò per andarsene.
Si stava già maledicendo in tutte le lingue per la propria stupidità, quando sentì dietro di sé il rumore della portiera che si apriva.
“Aaah, possibile che debba fare tutto io?”
Si voltò e vide che Ryan stava scendendo dall’auto.
“Come?” mormorò.
Ryan si avvicinò, fermandosi di fronte a lei. “Se vuoi un bacio… Non hai che da chiederlo” le sussurrò a un centimetro dal suo viso.
Strawberry stava per ribattere, ma Ryan non aveva alcuna intenzione di ascoltare le sue scuse. La baciò come avrebbe voluto fare per tutto il pomeriggio e, da come si stava lasciando andare, seppe che anche per lei valeva la stessa cosa.
Quando si scostò, la vide senza fiato. Le sorrise e le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Allora ci vediamo a scuola”
Fece per tornare alla macchina, ma si sentì trattenere per la maglia. Sorpreso, si voltò verso Strawberry.
“Cosa c’è?” le chiese.
Lei era esattamente dello stesso colore dei suoi capelli.
“Ne… Ne voglio un altro” mormorò, evidentemente imbarazzata.
Ryan ridacchiò.
“Sei proprio una ragazzina viziata”, le disse. E l’accontentò.


La mattina dopo Strawberry si svegliò di buon umore. Incredibilmente, non era nemmeno in ritardo. Indossò l’uniforme e uscì presto per passare in pasticceria prima di andare a scuola.
Arrivò al locale che a quell’ora del mattino era ancora semi-deserto e si accomodò al suo solito posto.
Kyle la accolse con un gran sorriso, posandole davanti un tortino ai mirtilli. Sul bancone aveva lasciato due libri di pasticceria aperti e Strawberry lesse distrattamente il sommario di uno dei due, mentre addentava il suo dolce.
Dolci alla crema. Dolci al cioccolato. Dolci al caffè.
“Allora, come procedono i preparativi?” chiese tornando a guardare Kyle.
“Katherine ha comprato talmente tanti addobbi che ne avremo per almeno una decina di feste”
Strawberry rise. Dovevano essere anni che non festeggiava un compleanno con Ryan, o forse non ne avevano mai festeggiato uno. Ryan non sembrava propriamente un tipo da feste ed era certa che anche da bambino non fosse stato molto diverso.
“Hi, dear!” la salutò Katherine, spuntando dalla cucina. “Look at this!”
Le posò davanti il foglio a cui avevano lavorato il giorno prima per l’organizzazione della festa e prese a mostrarle le varie modifiche che aveva fatto.
“Che ne pensi?” le chiese, entusiasta.
Stava per rispondere quando sentirono lo scacciapensieri appeso sopra la porta tintinnare. Si voltarono e videro Ryan entrare nel locale.
Immediatamente, Katherine prese il foglio, lo arrotolò e lo nascose dietro la schiena.
“Cosa combinate?” disse il biondo, avvicinandosi al bancone.
“Niente, honey!”
“Parlavamo di dolci!” esclamò Strawberry, mostrandogli i libri di pasticceria che Kyle aveva lasciato lì.
Ryan le guardò sospettoso. Era chiaro che stessero combinando qualcosa, Strawberry e sua madre erano delle pessime bugiarde, ma decise di lasciar perdere e si rivolse all’amico.
“Kyle, mi fai un caffè?”
Caffè?
Strawberry lanciò un’occhiata al libro che aveva davanti, poi spostò lo sguardo su Kyle che preparava il caffè e restò a guardare Ryan mentre beveva.
“Che c’è?” le chiese lui, osservandola da sopra la tazzina.
“Assolutamente niente” sorrise di rimando.
Ryan inarcò un sopracciglio. “Va bé. Ci vediamo dopo a scuola, Momomiya. Non fare tardi”. Poi, sporgendosi verso di lei in modo che fosse la sola a sentire, aggiunse: “O dovrò metterti in punizione”.
Strawberry aspettò che uscisse dal locale, poi postò nuovamente lo sguardo dalla tazzina di caffè al libro di Kyle e sorrise.
Finalmente le era venuta un’idea.








Ebbene, sì. Sono viva!
Ci ho messo giusto un po' di tempo, ma alla fine sono tornata. Molti di voi si saranno dimenticati di questi storia. Altri aspettavano questo aggiornamento da anni e forse staranno pensando di avere un'allucinazione. State tranquilli, è tutto vero!
Non vi porterò via molto tempo. Voglio solo dire grazie a tutte le persone che hanno avuto la pazienza di aspettare, a chi mi ha scritto una o più volte in questi anni per complimentarsi, farmi domande o chiedermi dove fossi finita. E' proprio leggendo alcuni messaggi che ho trovato la spinta per riprendere a scrivere questa storia e spero davvero di essere stata all'altezza delle vostre aspettative e di ripagare almeno un pochino la lunga attesa che vi ho fatto patire.
Chiedo anche scusa a tutte le persone che hanno recensito in questi ultimi anni di mia assenza e che non hanno ancora ricevuto una risposta. Pian piano cercherò di dare una dovuta risposta a tutti!
Vi ringrazio di cuore.

Comet

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Capitolo 28
*** Buon compleanno, Ryan! ***


Capitolo 28 – Buon compleanno, Ryan!
 



Strawberry si stiracchiò sulla sedia, sbadigliando sonoramente. Quando Ryan le aveva proposto – o, per meglio dire, imposto – di vedersi per un ulteriore lezione di recupero di inglese, aveva accettato senza pensarci troppo, entusiasta di poter studiare insieme al suo ormai ragazzo. Adesso però le sembrava che Ryan avesse preso la cosa fin troppo seriamente. Certo, imparare quanti più vocaboli possibili non le avrebbe fatto male visto quanto era pessimo il suo inglese, ma in fondo in fondo sperava di poter passare del tempo con lui che non contemplasse solo libri e studio. Insomma, la vicinanza di Ryan le aveva sempre fatto un certo effetto, inutile nasconderlo oramai, ma da quando le cose tra loro si erano fatte più serie quell’effetto sembrava triplicato. E anche se le allusioni e lo scherzetto che le aveva giocato Katherine la facevano sentire tutt’altro che tranquilla, quando Ryan si trovava nei paraggi non poteva fare a meno di desiderare di sentirlo più vicino.
Pensa a studiare, Straw, si ammonì, scuotendo il capo per scacciare quei pensieri. Tornò a concentrarsi sull’esercizio di completamento che Ryan le aveva assegnato perché non stesse con le mani in mano mentre lui cercava un dizionario in camera sua.
“Agli ordini” aveva replicato lei, alzando gli occhi al cielo. Poi Ryan era sparito in cima alle scale e la testa di Strawberry aveva iniziato a vagare, e tanti saluti al compito.
Stava giusto tentando di capire dove inserire un vocabolo che non ricordava di aver mai sentito prima, quando il suo insegnante ricomparve con in mano l’oggetto della sua ricerca.
“Come va?” le chiese, mentre si avvicinava.
“Mmm” mugolò Strawberry. “Non so cosa significa questa parola”
“Fa’ vedere”. Ryan posò il dizionario e aggirò il tavolo, avvicinandosi a Strawberry. Si fermò dietro di lei, sporgendosi sopra la sua spalla e intrappolandola tra le proprie braccia, le mani appoggiate sul tavolo ai suoi lati.
Colta alla sprovvista, Strawberry si irrigidì all’istante. Lui sembrò non fare caso alla sua agitazione e si limitò a scrutare il libro.
“Tempesta” le disse.
“C-cosa?” Strawberry si voltò verso di lui imbarazzata, perché la sua vicinanza le aveva creato un momentaneo scompenso impedendole di capire cosa le aveva detto. Pessima idea, perché così il viso di Ryan si trovava davvero troppo vicino.
“La parola che mi hai chiesto. Storm significa tempesta” spiegò Ryan con calma, apparentemente non consapevole della tempesta che si stava a tutti gli effetti scatenando in Strawberry.
“Ah ok. G-grazie. Me lo appunto subito” mormorò, afferrando la matita per iniziare a scrivere.
Ma la mano di Ryan la fermò, posandosi sulla sua e facendole perdere un battito.
Strawberry tornò a guardarlo, sorpresa. “Che fai?”
“Temo che oggi tu sia un pochino distratta” constatò mentre le toglieva la matita dalla mano.
Strawberry deglutì, ma si accorse che la salivazione le si era azzerata. Avere gli occhi di Ryan così vicino era qualcosa a cui ancora non era riuscita ad abituarsi e che ogni volta le faceva lo stesso maledettissimo effetto, mandandole il cervello in tilt.
“Si, hai ragione” ammise.
Inaspettatamente, Ryan le posò un bacio tra i capelli, soffermandosi ad inspirarne il profumo di shampoo.
“Ma così non mi aiuti” si lamentò debolmente Strawberry.
Ryan rise. “Credo di poterti concedere una piccola pausa” le sussurrò, quasi sulle labbra.
Strawberry non oppose resistenza, aspettando con ansia di sentire la sua bocca sulla propria. E quando finalmente lui la baciò, sentì un brivido percorrerle interamente la schiena mentre si chiedeva come potesse un semplice bacio a fior di labbra farla sentire così.
Ryan le sfiorò la bocca con la propria diverse volte, giocando con le sue labbra e facendole agognare un contatto più profondo che non tardò ad arrivare. Schiuse le labbra e Strawberry si alzò di conseguenza per avvicinarsi maggiormente a lui, consentendogli di approfondire quel bacio che già le stava facendo girare la testa.
Si trovò con la schiena appoggiata contro il bordo del tavolo, nuovamente intrappolata tra le braccia di Ryan, mentre con una mano si reggeva al tavolo e con l’altra stringeva il tessuto della maglietta bianca che lui indossava.
Si lasciò baciare, consentendo alla sua lingua di incontrare la propria e perdendosi completamente in quel momento. Ryan portò istintivamente le mani a stringerle i fianchi e la fece sedere sul tavolo, di fronte a sé, facendo cadere a terra i libri nell’impeto del momento, ma nessuno dei due vi badò. Quel gesto gli fece balenare nella mente il ricordo ancora nitido di quanto era accaduto la sera della festa al campo estivo, quando una Strawberry priva di freni inibitori aveva cercato di spogliarlo senza vergogna, e gli venne da sorridere.
La baciò con foga e quando i suoi, di freni inibitori, stavano per cedere, si accorse però che Strawberry si era irrigidita, sebbene impercettibilmente. Così abbandonò i suoi fianchi e riportò le mani sul tavolo, limitandosi al contatto tra le loro bocche.
Strawberry allora si rilassò perché lo sapeva che lui era sempre attento alle sue reazioni e che anche questa volta aveva capito che non era preparata al vortice di sensazioni in cui la stava trascinando. Posò le proprie mani su quelle di Ryan, e lui intrecciò le dita alle sue, senza interrompere il contatto tra le loro labbra.
Fu Strawberry a staccarsi ad un certo punto. Senza fiato, lasciò cadere la testa sulla spalla di Ryan emettendo una sorta di mugolio.
“Che c’è?” le domandò lui, sorpreso.
“Credo che non riuscirò mai più a studiare su questo tavolo” si lamentò, con la faccia nascosta contro il suo petto.
Ryan rise e le depositò un bacio sulla testa, concedendole che per quel pomeriggio avevano studiato a sufficienza.
 
 
“What are you doing, dear?”
La voce di Katherine la fece sobbalzare e per poco la scodella che teneva tra le mani non cadde rovinosamente a terra. Strawberry si ricompose e sospirò, grata di essere riuscita a salvare il lavoro delle ultime due ore. E il pavimento di Kyle.
“Katherine, mi hai spaventata!”
La madre di Ryan le mostrò un sorriso di scuse e si sporse oltre la sua spalla per sbirciare il contenuto della ciotola. “Allora? Cosa stai facendo?”
“Cucino”
Katherine inarcò un sopracciglio in un modo che a Strawberry ricordò fin troppo un biondino di sua conoscenza. “Lo vedo, dear. And what are you cooking, di preciso?”
“Biscotti”, si limitò a rispondere, mentre prendeva a mescolare l’impasto che aveva davanti.
“Biscotti” ripeté Katherine.
“Al caffè”
“Mh-mh”, annuì. “Al caffè”. Rimase per un attimo in silenzio, con le braccia incrociate al petto, poi i suoi occhi si illuminarono. “Oooh!” esclamò. “You are cooking for Ryan!”
Strawberry si bloccò e arrossì, dando a Katherine conferma della sua intuizione.
“Oooh, ho indovinato, right?”
“Ecco… so che a Ryan i dolci non piacciono, però va matto per il caffè. Così ho pensato che magari dei biscotti dal gusto amaro gli sarebbero piaciuti” confessò, guardandosi i piedi poco convinta.
Già si immaginava l’espressione contrariata di Ryan, conoscendolo c’era anche il rischio che si rifiutasse di assaggiare i suoi biscotti, e così addio al frutto di tanta fatica. D’altronde, nonostante avesse girato mezza città con Katherine in cerca di un regalo adatto per il suo insegnante, non era riuscita a farsi venire in mente nulla che lui avrebbe potuto considerare quantomeno decente. E, alla fine, quello dei biscotti al caffè le era sembrato un buon compromesso. Almeno sul momento, perché adesso il silenzio enigmatico di Katherine stava iniziando a farle venire qualche dubbio.
“Ti… ti sembra un’idea stupida?” si azzardò a chiederle.
In un attimo si sentì travolgere e si ritrovò stritolata nell’abbraccio dell’americana. “Oh no, absolutely not! E’ una grandissima idea, dear! Very good!”
“Dici davvero?” chiese, poco convinta. Ecco un’altra cosa in cui Katherine assomigliava in modo incredibile a suo figlio: non si capiva mai quando era seria e quando, invece, ti prendeva in giro. Certo, Ryan restava comunque il campione imbattuto della categoria.
“Yes, hai avuto davvero una great idea! Forse sarà la volta buona che riusciremo a far assaggiare un dolce a quell’antipatico di mio figlio!”
“Cosa state facendo?” Kyle comparve sulla soglia della cucina, con un sorriso divertito in volto.
“Strawberry sta preparando un dolce for my beloved soon”.
Kyle si avvicinò al tavolo e diede un’occhiata al lavoro della rossa. “Mi sembra prosegua bene”.
“Wait a moment! Perché lui lo sapeva e io no??”
“Ehm… Kyle mi sta aiutando nella preparazione. Stiamo facendo delle prove” si giustificò Strawberry, facendo spallucce.
Katherine la scrutò poco convinta. “But avrei potuto aiutarti anche io, dear!”
“Kat, devo ricordarti come hai ridotto la mia cucina l’ultima volta che ci hai messo piede?” intervenne Kyle, salvando Strawberry da una discussione potenzialmente infinita. “E, a tal proposito, non ricordo che il divieto di entrarci sia decaduto negli ultimi dieci minuti”.
La donna sbuffò sonoramente, facendo smuovere i ciuffi biondi sulla fronte e lamentandosi di come Kyle stesse diventando peggio di suo figlio, facendo ridere gli altri due.
“Mi sono distratto un attimo e ne ha approfittato per entrare in cucina. Mi farà diventare matto un giorno” sospirò Kyle, una volta rimasto solo con Strawberry.
Le rise. “Però in fondo le vuoi bene”
“Sì, esatto. In fondo” precisò. Ma era evidente che scherzava. L’affetto che legava Kyle a Katherine era chiaro come il sole e Strawberry aveva iniziato a sospettare che il pasticcere in realtà si divertisse parecchio a confabulare con lei.
“Senti Kyle… pensi davvero che Ryan apprezzerà?”
“Non saprei dirti” rispose. Poi, vedendo il panico sulla faccia di Strawberry, si affrettò a continuare. “Forse i dolci continueranno a non piacergli affatto, ma sono sicuro che apprezzerà il tuo gesto. Ovviamente non lo darà mai a vedere”.
Dell’ultima parte Strawberry era assolutamente certa.
“O forse ci stupirà. Negli ultimi tempi Ryan mi è sembrato piuttosto cambiato, sorride di più ed è molto più rilassato. Ho visto uscire dei lati di lui che non vedevo da tempo, alcuni forse non li avevo addirittura mai visti prima. E mi piace pensare che tu abbia giocato un ruolo non indifferente in questo cambiamento” concluse, facendola arrossire.
Kyle era sempre estremamente gentile nei suoi confronti, e Strawberry non poté fare a meno di sentirsi un pochino in colpa per non aver condiviso con lui gli ultimi sviluppi del suo rapporto con Ryan.
“Ti chiedo scusa Kyle, ultimamente sono successe molte cose di cui non ti ho parlato…”
“Non preoccuparti.” La interruppe. “Non sei tenuta a parlarne finché non vi sentirete di farlo. A me basta vedere che per la prima volta dopo tanto tempo Ryan riesca a sorridere senza che il senso di colpa lo divori. Perciò qualunque cosa ci sia tra voi, Strawberry, sono davvero contento.”
Il solito Kyle, aveva capito tutto senza bisogno di parole. Gli sorrise, grata di averle risparmiato un’imbarazzante confessione.
“Ma se dovesse farti soffrire, vieni subito da me. Ci penso io a sistemarlo. D’accordo?” aggiunse, allargando le braccia.
Strawberry vi si tuffò ridendo, godendosi il suo abbraccio rassicurante. “D’accordo. Promesso”.
 
 
Il giorno del compleanno di Ryan, era tutto pronto. O quasi. Quella mattina Strawberry si era alzata molto presto e aveva raggiunto il locale di Kyle per preparare, dopo tante prove, i biscotti che avrebbe fatto assaggiare a Ryan. Nel pomeriggio la pasticceria sarebbe stata chiusa alla clientela, così da consentire loro di allestire gli spazi come pianificato da Katherine.
Il compito di tenere Ryan lontano dal locale per tutto il tempo necessario fu assegnato a Strawberry.
“Eh? Ma perché io?”
“Are you or not his girlfriend?” ribatté Katherine con un gran sorriso.
Strawberry la guardò senza capire. “Cos…?”
“Niente, principessa” intervenne il pasticcere, scoccando un’occhiata di rimprovero all’americana. “Noi non possiamo allontanarci dal locale e Ryan capirebbe subito che c’è sotto qualcosa. Inoltre, non credo che Katherine riuscirebbe a mantenere il segreto”. L’ultima parte la aggiunse in un sussurro, facendo ridere Strawberry.
“E va bene. Allora me ne occuperò io. Mi inventerò qualcosa”.
“Strawberry, dear!” la fermò Katherine mentre usciva dal locale. “Cosa indosserai stasera per il grande evento?”
Si vedeva che era su di giri per la festa, e questo confermò a Strawberry che di feste di compleanno a casa di Ryan non ce ne erano mai state molte.
“Ehm… non lo so. Niente di particolare”
“Oh yes, un look acqua e sapone is the best way”
Strawberry sorrise e annuì, fingendo di aver capito qualcosa.
“D’accordo, allora ci vediamo oggi pomeriggio” salutò.
“E… Strawberry?” la fermò nuovamente Katherine. “Mi raccomando, don’t forget di indossare il nostro regalino per Ryan!” sorrise ammiccante.
Strawberry ci pensò un secondo, poi arrossì fino alla punta dei capelli. “Katherine!”.
 
 
Arrivò a scuola che ancora non era riuscita a togliersi dalla testa le parole della madre di Ryan. Ma insomma, che razza di madre dà dei consigli del genere ad una allieva del figlio?!
Sbuffò tra sé e sé, pensando a quello stupido completino intimo che Katherine le aveva fatto comprare e che adesso giaceva in un angolo ben nascosto del suo cassetto della biancheria. Ci mancava che sua madre lo trovasse per caso e le ponesse qualche domanda imbarazzante.
Doveva ammettere di aver provato ad indossarlo una sera, in camera sua. Si era messa in piedi davanti allo specchio e aveva scrutato la propria immagine riflessa senza riuscire ad impedirsi di arrossire. Tutto quel pizzo nero la faceva sentire tremendamente in imbarazzo, figuriamoci se avrebbe mai potuto presentarsi davanti a Ryan con addosso qualcosa del genere. C’era addirittura il rischio che lui la prendesse in giro.
Già se lo immaginava con quel suo sorrisino irritante mentre le diceva “Non sapevo che le ragazzine indossassero cose così provocanti”.
Avvampò nuovamente. No, non avrebbe mai potuto indossarlo con Ryan. E poi sicuramente lui avrebbe saputo che lo indossava apposta per lui, e non voleva dargli una strana immagine di sé.
Basta, doveva smettere di pensarci o sarebbe impazzita.
Scosse la testa e sospirò. Doveva anche trovare una scusa decente per tenere il suo insegnante il più lontano possibile dal locale.
Aprì la porta dell’aula proprio mentre qualcuno stava uscendo, e sentì chiaramente la propria testa sbattere contro quella dell’altra persona.
Alzò lo sguardo massaggiandosi la fronte, pronta a scusarsi, ma si bloccò quando si accorse che la persona con cui si era scontrata non era altri che Lory. La stessa Lory con cui non parlava da settimane e che non aveva fatto nemmeno un piccolo misero tentativo di contatto con lei da quando avevano parlato sulla barca.
Sicura che anche questa volta non sarebbe andata diversamente, Strawberry si scusò e fece per raggiungere il suo posto. Invece, inaspettatamente, Lory la fermò.
“Straw…”
La rossa incrociò i suoi occhi, incredula. Si guardarono per qualche attimo in cui fu evidente che Lory stesse facendo una fatica tremenda a sostenere lo sguardo di quella che era stata la sua migliore amica prima che Mark piombasse tra di loro come un macigno. Poi finalmente Lory si decise a parlare.
“Straw, io…”
“Ehi ragazzi! Sta arrivando Shirogane!” annunciò un compagno entrando in classe trafelato.
Si creò il caos generale mentre tutti correvano ad occupare i propri posti prima che il professore facesse capolino sulla porta dell’aula. Strawberry guardò Lory, che ormai aveva abbassato lo sguardo e perso tutto il coraggio che aveva trovato poco prima. Capendo che non avrebbe più tentato di dire nulla, le passò accanto e raggiunse anche lei il suo banco.
Si lasciò cadere sulla sedia e aspettò che Ryan facesse il suo ingresso in classe, non totalmente a suo agio. Quel piccolo tentativo di interazione da parte di Lory l’aveva decisamente scombussolata, e il fatto che ora l’amica si fosse seduta al suo posto, accanto a lei, chiudendosi nel suo solito snervante silenzio le generò un moto di rabbia inaspettato.
“Parlami, accidenti!”, avrebbe voluto urlarle. E invece Lory non faceva nulla se non rimanere ostinatamente a testa bassa, come se quell’aria colpevole potesse per magia far arrivare a Strawberry tutto quello che lei non aveva il coraggio di dirle a voce. E sarebbe stato bello se fosse stato tutto così facile, se fosse bastato restare in silenzio e aspettare che il tempo sistemasse le cose, finché un giorno si sarebbe svegliata e non avrebbe più sentito quella rabbia e quella delusione, e avrebbe sorriso a Lory dimenticandosi di Mark e di tutto il resto. Sarebbe stato davvero bello, ma come poteva quello che era accaduto risolversi così, semplicemente aspettando?
Avrebbe voluto che Lory si alzasse e la trascinasse fuori dall’aula per parlare, che prendesse in mano la situazione perché, accidenti, era lei che l’aveva ferita. Era lei che le aveva permesso di continuare a sperare in qualcosa con Mark quando sarebbe bastato dire la verità. Straw, mi sono innamorata di Mark anche io. E lei avrebbe capito, perché Lory era la sua preziosa amica e, se avesse dovuto scegliere tra i due, non ci sarebbe stata partita, Mark avrebbe perso dieci a zero. E adesso non si aspettava delle scuse, né che lei la pregasse in ginocchio di perdonarla, e non voleva nemmeno che rinunciasse a Mark. Quello che più l’aveva ferita era che, per Lory, tra il dieci e lo zero, lei era stata lo zero.
Nel frattempo Ryan aveva posato la borsa con i libri sulla cattedra e aveva rivolto uno sguardo generale alla classe, apparentemente senza notare lo stato in cui si trovava la sua allieva. Estrasse una pila di fogli e annunciò alla classe che quella mattina sarebbe stata dedicata a degli esercizi di ripasso in vista del compito in classe alla lezione successiva.
Poi il suo sguardo cadde su Strawberry.
“Momomiya”, la chiamò, ma lei parve assorta in altri pensieri. “Momomiya” riprovò, avvicinandosi al suo banco.
Lei allora alzò lo sguardo su di lui e sobbalzò. “S-scusi, io…”
“Se hai finito di dormire, consegna queste schede ai tuoi compagni” tagliò corto lui, allungandole i fogli per poi tornare alla cattedra.
Qualcuno ridacchiò e Strawberry si morse la lingua per trattenersi dal ribattere. C’era proprio bisogno di essere così antipatico?! Ma la sua rabbia si spense subito quando notò che in cima ai fogli che aveva afferrato faceva capolino un post-it scritto a matita in una grafia elegante che ben conosceva:

Sessione di studio oggi pomeriggio alle 16. Non tardare”.

Lo staccò e senza farsi notare lo infilò in tasca, nascondendo un sorriso. Mentre distribuiva le schede al resto della classe, pensò che aveva appena trovato la scusa perfetta che cercava per tenere Ryan lontano dal locale di Kyle fino a sera.
Al termine delle lezioni, raccolse le sue cose a gran velocità e corse fuori in direzione della pasticceria. Si sentiva elettrizzata all’idea della festa e non vedeva l’ora di scoprire come avrebbe reagito Ryan. Sarebbe stato contento? O sarebbe rimasto indifferente come sempre?
Si scrollò di dosso quei pensieri ed entrò nel locale.
“Welcome, dear!” la salutò Katherine, da dietro una pila di scatoloni.
Strawberry lasciò la cartella su uno degli sgabelli al bancone e si avvicinò per aiutarla ad aprirli. Dentro c’erano addobbi di ogni genere.
“Ho provato a fermarla, ma quando si mette in testa qualcosa Katherine non dà più retta a nessuno” commentò Kyle, comparendo dalla cucina.
Strawberry rise. “A proposito, per oggi pomeriggio siamo coperti, alle 16 vado… ehm… da Shirogane. Mi dà una mano a studiare per la verifica di fisica”.
“Bel colpo, dear!” esclamò Katherine, mostrandole il pollice in su. Strawberry evitò di spiegare che l’idea non era stata sua, meglio buttarla lì senza darvi troppo preso per non dare adito a pensieri o battutine. Ovviamente non ci sperava più di tanto, e il sorriso sornione che comparve sul viso della madre di Ryan gliene diede conferma. “A studiare, eh?”
“Ehm... comunque… come facciamo invece se Shirogane dovesse passare di qui nel frattempo?”
“Non preoccuparti. So che doveva passare al laboratorio di ricerca per risolvere un paio di questioni dopo la scuola, quindi dubito che avrà il tempo di venire qui prima del vostro appuntamento” le rispose Kyle, ignorando la risatina di Katherine alla parola appuntamento.
“Capisco. Bene, allora… mettiamoci al lavoro!” esclamò Strawberry.
Presero a svuotare gli scatoloni, mentre Kyle spostava i tavoli seguendo le istruzioni dell’americana.
Katherine era a dir poco entusiasta, sembrava una bambina mentre appendeva uno striscione bianco su cui aveva scritto a caratteri cubitali – in una grafia elegante al pari di quella del figlio - “Happy birthday, Ryan!”.
“Sembra molto felice” commentò Strawberry, mentre aiutava Kyle a stendere la tovaglia su uno dei tavoli.
“Oh, lo è.” Kyle si voltò a guardare la donna, che intanto fischiettava allegramente un motivetto. “Katherine ha passato davvero poco tempo con suo figlio negli ultimi due anni. Credo che senta in qualche modo il bisogno di recuperare.”
“Recuperare?”
Il pasticcere le rivolse un sorriso triste. “La morte di mia sorella, le circostanze in cui è avvenuta… è stato devastante per tutti noi, ma per Ryan più di tutti. Penso che Katherine si incolpi di non essergli stata abbastanza vicino. D’altronde, era dall’altre parte del mondo, come poteva?”
Strawberry si guardò le scarpe per un attimo, indecisa se fare o meno quella domanda che più volte le era venuta in mente da quando aveva conosciuto la madre di Ryan.
“Ti stai chiedendo perché ero dall’altre parte del mondo anziché qui accanto a mio figlio?”
La rossa sobbalzò. Katherine era scesa dalla scala su cui era salita per appendere lo striscione e si era avvicinata.
“A volte anche le madri fanno degli errori” disse, stendendo un’altra tovaglia su uno dei tavolini. “Kari era a tutti gli effetti come una figlia per me e quando lei è morta il dolore è stato… straziante. Sono fuggita il più lontano possibile. Ma non è solo questo”.
Kyle le rivolse uno sguardo interrogativo, ma non disse nulla, attendendo che la madre di Ryan continuasse.
“Per tutta la vita” esordì Katherine, “Ryan è stato considerato diverso. Già da bambino tutti lo trattavano come un piccolo adulto…. E se tutti ti trattano così, credo sia normale che tu finisca per sentirtici davvero. A volte capitava che facesse dei discorsi tanto intelligenti da far impallidire adulti ben istruiti.”
Ridacchiò a quel ricordo, e Strawberry non ebbe alcuna difficoltà ad immaginare un piccolo Ryan spiegare agli adulti attorno a lui la banalità di un qualcosa che non erano in grado di fare e che a lui sembrava così semplice e ovvio. Ma la sua mente non poté fare a meno di volare alle parole che Ryan le aveva rivolto quel giorno a scuola, quando si era inaspettatamente aperto con lei, raccontandole della sua infanzia.
Non ho mai avuto particolare interesse per i giochi che facevano gli altri bambini o forse, più semplicemente, non sono mai riuscito a farmi accettare.
Katherine le sorrise dolcemente, poi prese a sistemare un’ultima tovaglia, dando le spalle agli altri due. “Ryan non ha mai detto di sentirsi solo, non è mai stato bravo ad esprimere le sue emozioni. Se provavo a spingerlo a passare del tempo con i suoi compagni, diceva che non gli interessava avere amici e che non gli importava nulla delle feste di compleanno, e per un po’ io ci ho creduto. Ma ad un certo punto mi sono resa conto che il suo sguardo, perennemente rivolto ai libri, a volte sfuggiva e si posava su dei bambini che correvano al parco o che giocavano a palla. E in quei momenti quello che gridavano i suoi occhi, di solito imperscrutabili, era così chiaro, così evidente, che mi chiesi come avessi potuto non accorgermene prima. Allora ho cercato di rimediare, ma a quel punto Ryan si era già molto chiuso in se stesso.”
Kyle le mise una mano sulla spalla, e Katherine la strinse. “Fortunatamente, quando è arrivato Kyle le cose sono molto migliorate. Ryan non lo ammetterebbe mai, ma credo che tu lo abbia sempre capito più di chiunque altro. Anche più di Kari.”
Quando tornò a guardarli, dal suo volto era sparita ogni traccia di malinconia. “Almeno fino ad ora”, aggiunse facendo l’occhiolino a Strawberry e ottenendo il solito effetto.
La rossa stava per ribattere, ma Katherine scosse il capo energicamente, come per scacciare via i pensieri, e tornò ad essere la solita Katherine. “So, questa festa dovrà essere assolutamente P-E-R-F-E-T-T-A! Voglio vedere lo stupore sulla faccia di my beloved son!”
E questa volta né Strawberry né Kyle ebbero alcuna intenzione di opporsi. Almeno finché l’allestimento non fu terminato e tutti e tre si ritrovarono a contemplare il risultato delle loro fatiche.
“I palloncini sono davvero troppi” commentò Kyle. “Non sono certo che Ryan apprezzerà”.
“Va bene così” rispose Strawberry, guardando la sala davanti a sé. “Non sono i palloncini che Ryan dovrà guardare”. Perché se così fosse stato, allora eccome se avrebbe avuto da ridire.
Sorrise. Ogni angolo del locale era intriso d’affetto. Lo stesso affetto che lei e Katherine, con l’aiuto di Kyle, avevano impiegato per preparare quella piccola sorpresa. Non importava che ci fossero troppi palloncini, troppi colori, troppo tutto. Voleva solo che anche Ryan potesse respirare quell’atmosfera e sentirsi a casa, esattamente come si sentiva lei in quel luogo.
“Oh, dear, Ryan non avrà occhi che per te, don’t worry!”
“N-non è questo che intendevo!”
“Ah no?”
“No! Intendevo che spero che Ryan si accorga del bene che gli vogliono le persone che ha attorno e che non si senta più solo!” esclamò di getto, senza riuscire a celare l’imbarazzo.
Katherine le accarezzò una guancia dolcemente. “Sono felice che tu sia accanto a mio figlio” le disse, facendola arrossire ancora di più.
Strawberry si domandò se quella frase fosse stata detta in generale o se Katherine invece avesse capito tutto da un bel po’, ma non se ne curò più di tanto. In fondo, l’aveva resa felice.
 
 
Se hai finito di dormire, consegna queste schede ai tuoi compagni. Davvero molto simpatico!” commentò Strawberry, mentre entrava in casa di Ryan.
Il biondo si scostò dalla soglia per lasciarla passare e ridacchiò. “Non puoi pretendere un trattamento di favore, Momomiya”.
Chiuse la porta e la raggiunse in salotto, dove Strawberry stava già iniziando a tirare fuori i libri dallo zaino, mentre continuava a far valere i suoi diritti.
“Beh, potresti almeno trattarmi al pari degli altri! Insomma, se ti accanisci su di me sarà ancora più evidente che hai qualcosa da nascond-“
Non riuscì a finire la frase perché mentre si voltava si accorse che Ryan si era avvicinato. Si trovò bloccata tra il suo corpo e il tavolo, esattamente com’era accaduto qualche giorno prima, e improvvisamente dimenticò il motivo per cui si stava lamentando.
“Quindi stai dicendo che vuoi essere trattata come tutti i tuoi compagni?” le chiese, mentre fingeva di giocare distrattamente con una sua ciocca rossa.
Strawberry deglutì. Accidenti a lui e all’effetto che le faceva ogni stramaledetta volta.
“Io…” mormorò, cercando inutilmente di riacquistare un minimo di autocontrollo.
Ryan lasciò perdere i suoi capelli e la guardò dritta negli occhi. “Non ho capito bene.”
Il sorrisetto compiaciuto del biondo fu sufficiente a farla tornare in sé, perché come al solito lui si stava divertendo alle sue spalle.
“Sì, voglio che mi tratti come gli altri!” esclamò.
Vide il viso di Ryan avvicinarsi, finché i loro nasi non si sfiorarono e di nuovo dovette dire addio ad ogni tentativo di mantenere la calma. Finiva sempre così con lui.
Eh no, così non vale.
“E va bene” disse all’improvviso Ryan, scostandosi all’ultimo e allontanandosi verso la cucina.
Strawberry sbatté le palpebre più volte, confusa. “Ma cosa…?”
“Hai detto che devo trattarti come gli altri, no?” fece lui innocente. “Devi sapere che di solito non vado in giro a baciare i miei studenti”.
“Ma Ryan, io intendevo…”
Lui sorrise sornione. “Troppo tardi… Momomiya”, disse, chiamandola apposta per cognome come faceva con gli altri. Dopodiché sparì in cucina.
Strawberry strinse i pugni e prese a sistemare il suo materiale sul tavolo, borbottando tra sé e sé qualcosa su quanto Ryan fosse antipatico e su come lei si facesse sempre fregare come una stupida.
Quando lui tornò con due bicchieri d’acqua tra le mani, Strawberry, già seduta al tavolo, lo guardò di traverso.
“Beh? Offri da bere a tutti i tuoi studenti?”
Ryan rise. “Non posso certo farli morire di sete”
“No, certo che no” constatò lei, alzando gli occhi al cielo. “Davvero gentile da parte tua”.
“Attenta Momomiya, non costringermi a metterti una nota come farei con tutti gli altri”.
“Sei odioso” borbottò lei. “D’accordo, mettiamoci a studiare allora. Non vorrei che tu ti sentissi troppo in colpa nel mettermi 4 nella verifica, sapendo di esserne la causa”.
Ryan scosse il capo ridendo, mentre le diceva che questo non sarebbe mai potuto accadere, e Strawberry cercò con tutta se stessa di trattenersi dal sorridere, perché voleva darsi un tono e mantenere la sua posizione. Ma la verità era che a punzecchiarsi con Ryan si divertiva più di quanto avrebbe mai potuto ammettere. E vederlo ridere così liberamente, soprattutto dopo il discorso di Katherine, la faceva sentire davvero sollevata e contenta.
Studiarono per tutto il pomeriggio e, come sempre, le spiegazioni di Ryan furono semplici e chiare, questa volta anche senza bisogno di esempi pratici. Ma Strawberry non era sicura che Ryan non l’avesse fatto apposta per portare avanti quello stupido giochino del trattarla come tutti gli altri.
Estrasse dallo zaino il cellulare che aveva appena suonato.
“Un messaggio di Kyle”, commentò, aprendolo per leggerlo. “Mi chiede se posso passare al minimarket a comprare farina e lievito. Pare stia finendo le scorte”.
Ryan inarcò un sopracciglio. “Perché non ci manda mia madre?”
“Credo… sì, aveva un impegno oggi! Me ne ha parlato l’altro giorno!” inventò su due piedi, sperando che lui non facesse altre domande. “Comunque non mi costa nulla fare un salto al minimarket prima di tornare a casa”, aggiunse sbirciando Ryan di sottecchi.
Il biondo guardò fuori dalla finestra per un attimo, poi tornò a rivolgersi a Strawberry.  “E’ quasi buio, non è il caso che tu vada in giro da sola. Ti accompagno”.
Bingo.
“Professore, non le sembra un po’ fuori luogo questo?” lo prese in giro lei, cercando di assumere un’aria saccente che proprio non le riusciva bene come a Ryan.
Ryan si alzò e si stiracchiò, poi avvicinò il viso a quello di Strawerry e le mostrò un sorrisetto. “Credo di avertelo già detto una volta, l’incolumità degli studenti fa parte dei miei doveri”.
Inevitabilmente Strawberry arrossì e per un attimo lo sguardo di Ryan si spostò impercettibilmente sulle sue labbra. Lei dovette accorgersene, perché Ryan riuscì a sentire distintamente il battito del suo cuore accelerare e improvvisamente si rese conto di quanto gli fosse costato mantenere le distanze per tutto il pomeriggio.
Con sua sorpresa, questa volta fu Strawberry a scostarsi. “Allora vogliamo andare, professore?”, gli chiese, stemperando la tensione del momento.
Ryan la lasciò passare e sorrise tra sé e sé. Prese le chiavi della macchina e seguì Strawberry nel vialetto di casa.
Parcheggiarono in una vietta laterale al minimarket. Quando Ryan spense l’auto, Srawberry lo guardò pensierosa per qualche secondo.
“Forse… è il caso che entri da sola. E’ rischioso farci vedere insieme in un posto così”.
Ryan annuì. “Lo so. Vuoi che ci pensi io?”
La rossa fece di no con la testa. “Non preoccuparti, faccio in un attimo. Aspettami qui”.
Ryan la guardò scendere dalla macchina e dirigersi di corsa verso l’entrata. Sapeva per certo che stava combinando qualcosa in combutta con Kyle e sua madre, ma aveva preferito non immischiarsi e lasciarli fare.
Passati una ventina di minuti, Strawberry ancora non si vedeva. Ryan aspettò altri cinque minuti, poi scese dall’auto e diede una sbirciata all’interno del minimarket. C’erano pochissime persone, e praticamente nessuna fila alla cassa.
Ma dove si è cacciata? Non è che si è persa perfino in un posto così piccolo?
Tornò alla macchina e prese la felpa che aveva buttato sul sedile posteriore quando erano usciti. Fortunatamente ci aveva pensato, per ogni evenienza. La infilò e si tirò il cappuccio sulla testa, curandosi di nascondere il più possibile i capelli, ed entrò nel negozio.
Passò varie corsie, finché non la vide. Strawerry era in fondo alla corsia, di spalle e stava cercando di allungarsi per prendere un pacco di farina dall’ultimo ripiano, mentre con un braccio sorreggeva altri tre pacchi che dovevano essere stati più a portata di mano. Alla fine riuscì a raggiungerlo, ma il pacco doveva essere chiuso male perché quando lo prese un po’ di farina uscì e le finì sui capelli e sulle spalle. Strawberry lasciò andare la presa, ma perse l’equilibro per la sorpresa, facendo cadere i pacchetti che già aveva preso.
“Accidenti a voi!” esclamò, abbassandosi a raccoglierli.
Ryan rise. Era un vero disastro e si rese conto di trovarla attraente anche in quel momento.
La raggiunse, mentre ancora stava sulle punte dei piedi per cercare di prendere il pacco di farina. Le si fermò alle spalle e si allungò su di lei, mentre finalmente raggiungeva il pacchetto. Posò la mano sulla sua e Strawberry si bloccò di colpo.
“Ryan!” esclamò, voltando il viso verso di lui.
“Sssh” le sussurrò lui, prendendo il pacco di farina e porgendoglielo. 
Strawberry si mise le mani sulla bocca e riportò i talloni a terra, potendo finalmente sciogliere i muscoli di braccia e gambe, tesi nello sforzo di allungarsi. “Che ci fai qui?! E quella felpa?” gli chiese, abbassando la voce.
“Sono venuto a cercarti. Ho pensato che tu avresti potuto perderti anche in un posto del genere” la prese in giro, aspettandosi una reazione.
Strawberry invece si limitò ad arrossire e distogliere lo sguardo.
Ryan spalancò gli occhi. “Non dirmi che ti sei persa davvero!”
“Mi sono persa, sì! E allora? Non trovavo quella stupida farina! Ho chiesto a una commessa ma mi ha mandato dalla parte sbagliata!” sussurrò indispettita, sempre più rossa in viso. “Non ridere!” aggiunse, vedendo l’espressione di Ryan.
Lui non se lo fece ripetere due volte, e si lasciò andare ad una leggera risata, appoggiando le mani sullo scaffale ai lati del viso di Strawberry. “Ah Momomiya, sei proprio senza speranze”.
Le scostò la frangetta dalla fronte, togliendo della farina che era rimasta tra le ciocche e soffermandosi con la mano un po’ più del dovuto. La guardò per un attimo negli occhi, mentre una voce metallica avvisava la clientela che il minimarket era in chiusura, ma Ryan non se ne curò.
Guardò pensieroso alla sua sinistra. La corsia era deserta.
“E’ tardi, sarà meglio andare” gli disse Strawberry. Fece per scostarsi, ma Ryan non si mosse, impedendole il passaggio.
“Ryan, cosa…?”
La fissava dritta negli occhi, e Strawberry si sentì mancare il fiato.
“Mi sono dovuto trattenere tutto il pomeriggio per colpa tua che volevi essere trattata come gli altri studenti. Adesso basta”, le sussurrò, con un filo di voce.
Strawberry non ebbe quasi il tempo di sorprendersi per l’inaspettata sincerità di Ryan, perché lui tirò il cappuccio della felpa in avanti con entrambe le mani a coprire il viso di tutti e due e la baciò.
Quando si staccarono, Ryan si costrinse a distogliere lo sguardo perché se l’avesse guardata di nuovo negli occhi non sarebbe riuscito a trattenersi dal riprendere a baciarla. E non era il caso. Aveva già corso un bel rischio così.
Dov’è finito il tuo autocontrollo?, si domandò indispettito.
Strawberry lo sbirciò, notando quel rossore sulle guance che il biondo stava cercando di nascondere. Appoggiò la testa contro la sua spalla, godendosi per un attimo quel contatto.
Poi lo sentì ridere. “Sei piena di farina”
“Si beh, prima mi è caduta addosso perché…” cercò di spiegare, ma poi si rese conto del sorriso divertito di Ryan e si bloccò. “Tu hai visto tutto!” esclamò, avvampando.
“Ovviamente”.
Prima che lei potesse aggiungere altro, Ryan le prese di mano i pacchi di farina e si incamminò. “Vogliamo andare?”
Strawberry fece per ribattere, ma poi lasciò perdere. Sorrise.
Mi sono dovuto trattenere tutto il pomeriggio per colpa tua che volevi essere trattata come gli altri studenti. Adesso basta.
Era la prima volta che Ryan esprimeva così apertamente il suo dissenso per non esserle potuto stare vicino. E la cosa non le dispiaceva affatto.
 
Raggiunsero il locale di Kyle in perfetto orario. Il pasticcere li aspettava sull’ingresso e quando Ryan parcheggiò andò prontamente loro incontro.
“Oh Ryan, ci sei anche tu” esordì, fingendosi sorpreso.
Il biondo lo guardò poco convinto. “Così pare”.
“Già che ci sei, mi daresti una mano a scaricare questi pacchi e portarli nel retro?”
“Allora io… ehm… ne approfitto per andare a darmi una sistemata, ho ancora dei residui di farina tra i capelli!” esclamò Strawberry, dirigendosi a gran velocità verso l’ingresso principale del locale.
Kyle la seguì con lo sguardo, finché non la vide sparire dentro alla pasticceria. “Ma cosa le è successo?”
“Si è rovesciata della farina addosso” ridacchiò Ryan, ripensando alla scena di poco prima. “Che c’è?” aggiunse, sentendo gli occhi dell’amico su di sé.
“Sei di buon umore, vedo”. E il suo sorriso compiaciuto la diceva lunga.
“Lasciami in pace, Kyle”.
Nel frattempo Strawberry entrò in tutta fretta, passando accanto a Katherine che stava aggiustando gli ultimi addobbi.
“Fai in fretta, dear!” la incitò la madre di Ryan.
Strawberry arrivò al piano di sopra ed entrò nella stanza in cui aveva lasciato la borsa con i vestiti che aveva preparato per la serata. Per fortuna, visto che non aveva previsto di presentarsi coperta di farina.
Estrasse dalla borsa la gonna rossa e il top bianco senza maniche che aveva scelto con cura e poi restò per un attimo a fissare ciò che restava sul fondo. Arrossì.
Ci aveva pensato e ripensato, mentre guardava combattuta il completo intimo che Katherine le aveva fatto comprare a tradimento.  Non lo metterò mai, si era detta. Poi però era tornata a pensarci e alla fine, in un moto di stizza, lo aveva infilato in fondo alla borsa, sotto a tutto il resto.
Adesso però cominciava a pentirsi della sua scelta. Sospirò e provò ad indossarlo, guardandosi allo specchio e scoprendosi ancora una volta estremamente in imbarazzo.
Stava per rinunciare quando Katherine bussò alla porta. “Sbrigati dear, Kyle e Ryan saranno qui a momenti!”
Oh, al diavolo!, pensò Strawberry. Tanto Ryan non dovrà vederlo.
Indossò i vestiti, si accertò di aver eliminato tutta la farina dai capelli e scese velocemente al piano inferiore.
Katherine la guardò con un gran sorriso e le mostrò i pollici in su. “You’re so beautiful!”
“Grazie”.
La madre di Ryan le si accostò all’orecchio. “E… che mi dici di quel regalo?”
Nuovamente, Strawberry avvampò, maledicendosi ancora per aver indossato davvero quello stupido completo.
“N…non l’ho indossato!” mentì, coprendosi istintivamente con le braccia.
L’americana la guardò poco convinta. “Peccato” commentò infine, con un sorriso divertito.
Sentirono all’improvviso delle voci dall’esterno, segno che Ryan e Kyle avevano terminato con la spesa e stavano per entrare.
“Ci siamo!” esclamò Katherine, esaltata.
Strawberry fissò la porta in attesa, chiedendosi come avrebbe reagito Ryan. Non vedeva l’ora di scoprirlo.
Poi la porta si aprì e la faccia che fece Ryan quando tutti insieme gridarono “Buon compleanno!” – e Katherine, nella sua solita esagerazione, sparò dei coriandoli in aria – fece scivolare via tutte le sue ansie.
Il biondo se ne stava sulla soglia, con gli occhi sgranati. Non sembrava arrabbiato, solo sorpreso. E un tantino confuso.
“Ma cosa…?” mormorò.
Kyle lo spinse dentro, chiudendo la porta alle sue spalle, e prima che Ryan potesse dire altro Katherine gli si buttò addosso e lo abbracciò stretto.
“Happy birthday, honey!”
Ripresosi dal momento di sorpresa, Ryan si voltò verso Kyle, mentre sua madre non accennava a lasciarlo andare. “E’ stata una tua idea?” lo rimproverò, mal celando il leggero imbarazzo che lo tradiva.
Il pasticcere scosse il capo. “Io sono solo un mero esecutore. Hanno fatto tutto loro due”.
Ryan lo fissò torvo. Poi guardò Strawberry che stava a qualche passo di distanza e gli sorrideva senza accennare ad avvicinarsi.
“Well! Vado a prendere i bicchieri per brindare!” esclamò Katherine, lasciando andare il figlio e sparendo in cucina.
“Sembra che la sorpresa sia riuscita” commentò Kyle.
Ryan sbuffò. “Avevo intuito che steste combinando qualcosa. Ma ammetto che non mi aspettavo… tutto questo” disse, facendo ridere l’amico.
“Sai com’è fatta tua madre. Le piace esagerare”.
“Decisamente”.
“Però ci teneva molto che fosse tutto perfetto per te. E anche Strawberry si è data davvero tanto da fare. Volevano vederti sorridere. Quindi sii gentile.” aggiunse Kyle, dandogli una leggera gomitata amichevole. “Ora, a proposito di Katherine, se non ti dispiace, vado a controllare cosa sta combinando. Non vorrei trovare la mia cucina nelle condizioni dell’ultima volta”.
Una volta che Kyle si fu allontanato, Ryan ne approfittò per raggiungere Strawberry che nell’attesa stava giocherellando col filo di un palloncino.
“Ciao” gli disse lei, quando lo vide avvicinarsi. Sembrava piuttosto tesa.
Ryan le diede una leggera spinta con l’indice sulla fronte. “Avevi programmato tutto”.
“Scusa” si giustificò, sorridendogli. “Sei arrabbiato?”
Lui esitò un attimo. “No” rispose infine. “In realtà non mi sarei mai aspettato che riuscissi a mantenere una cosa come questa segreta, senza combinare guai fino alla fine. Sono colpito” la prese in giro, come al solito.
Strawberry gonfiò le guance, pronta a ribattere, ma Ryan la precedette.
“Cosa nascondi lì dietro?” le chiese.
La rossa sbatté le palpebre, poi sbuffò. “Il tuo regalo. Ma prima di vederlo devi promettermi una cosa”
“Che cosa?”
“Che non giudicherai e non dirai nulla quando lo vedrai”.
Ryan la guardò interrogativo.
“Prometti e basta” ripetè Strawberry categorica.
“Va bene, d’accordo, Strawberry”.
Allora lei si decise finalmente a mostrargli il sacchettino marrone che teneva nascosto dietro la schiena. Era chiuso con un nastro azzurro, allacciato in un fiocco non proprio perfetto, orientato in verticale anziché in orizzontale, che ricordò a Ryan il modo in cui Strawberry era solita allacciare anche le scarpe.  Il pensiero lo fece sorridere.
“Posso aprire?” domandò.
Strawberry annuì, prendendo a torturarsi le mani. Era terrorizzata all’idea che Ryan potesse non apprezzare.
Quando aprì il pacchetto e vide dei biscotti scuri, di svariate forme, il biondo inarcò un sopracciglio, perplesso.
“Hai promesso di non dire niente!” gli ricordò Strawberry. “Assaggia e basta”
Ryan la guardò poco convinto, poi senza dire nulla estrasse un biscotto dal pacchettino. “Allora assaggerò quello a forma di fragola” commentò, facendola avvampare per l’allusione. Lo scrutò per un attimo, poi si fermò appena prima di portarlo alle labbra e la sbirciò di sottecchi.
“Non è che vuoi avvelenarmi?” scherzò.
“Dovrai correre il rischio” ribatté lei, incrociando le braccia al petto.
Finalmente Ryan diede un morso al biscotto. Strawberry lo osservò masticare lentamente, senza tradire nessuna espressione, finché a un certo punto lo vide spalancare gli occhi.
“Ma sono…”
“Biscotti al caffè” lo interruppe lei, con un gran sorriso. “So che i dolci non ti piacciono, ma in compenso bevi un sacco di caffè. Allora ho voluto provare a mettere insieme le due cose, così magari avresti assaggiato un dolce diverso e avresti scoperto… che ti piace” spiegò, evitando di guardarlo negli occhi. “In verità, ho girato mezza città per cercarti un regalo, ma non sapevo davvero cosa prenderti, così alla fine ho pensato che potesse essere una buona idea regalarti qualcosa fatto da me”.
“Li hai fatti tu?” chiese lui, cercando di non apparire troppo sorpreso.
Strawberry annuì energicamente. “Allora? Come sono?”
Ryan la lasciò sulle spine qualche secondo, osservandola mentre si mordeva il labbro inferiore. Si costrinse a distogliere lo sguardo dalla sua bocca, perché gli aveva risvegliato pensieri decisamente non adatti in quella situazione. “Non mi dispiacciono” ammise infine.
“Davvero?” gli chiese lei, sgranando gli occhi.
Ryan rise. “Davvero, Strawberry”.
Strawberry lo vide prendere un altro biscotto e mangiarlo senza battere ciglio. Allora sorrise, sollevata.
“Ryan?” lo chiamò.
“Mh?”
“Buon compleanno”.
Lui portò una mano a sfiorarle la guancia, per poi giocherellare con i ciuffi che le ricadevano ai lati del viso.
In quel momento, Kyle e Katherine ricomparvero dalla cucina, portando bottiglia, bicchieri e la torta preparata da Katherine.
Ryan si affrettò ad allontanare la mano dal viso di Strawberry e fece un passo indietro, fingendo di guardare altrove.
“We’re ready!” esclamò la madre di Ryan, correndo loro incontro. Consegnò un bicchiere ad entrambi e versò loro da bere, poi li trascinò accanto al tavolo dove Kyle aveva posato la torta.
Quando furono tutti e quattro riuniti, Katherine sollevò il bicchiere verso Ryan. “E adesso… ognuno di noi farà il suo brindisi di auguri for my son!”
“Non ce n’è bisogno, mamma” protestò Ryan.
“Well, comincerò io!” lo ignorò lei.
Strawberry lo osservò passarsi una mano tra i ciuffi biondi esasperato, e rise perché a quanto pare nemmeno l’imperturbabile Ryan Shirogane era in grado di tenere testa a sua madre.
“Vorrei iniziare chiedendoti scusa, tesoro” disse Katherine, assumendo un’espressione malinconica e materna che raramente si vedeva sul suo volto. E Ryan, che si era voltato e stava per allontanarsi, si bloccò di colpo.
“Non sono stata una madre esemplare negli ultimi anni, e ci sono stata per te meno di quanto avrei voluto. A volte sembri tanto adulto che ho commesso l’errore di pensare che tu potessi gestire da solo cose che erano più grandi di te. Anch’io, come tanti altri, per un po’ ho dimenticato che sei solo un ragazzo. Ma adesso sono qui e voglio prometterti che ci sarò sempre per te. So, happy 22nd birthday, honey”.
Quando Katherine smise di parlare, ci fu un lungo momento di silenzio. Nessuno sapeva bene cosa dire di fronte a quel discorso inaspettato. Ryan era rimasto di spalle e la sua postura non tradiva alcuna emozione e per qualche secondo nessuno si mosse. Poi, come di consueto, fu Katherine a stemperare la tensione.
“Beh, brindiamo!” esclamò, avvolgendo un braccio attorno al collo di Ryan e costringendolo a voltarsi, guancia a guancia con lei, mentre cercava invano di protestare.
La donna alzò il bicchiere e Strawberry e Kyle la imitarono ridendo, perché l’espressione di Ryan diceva già tutto.
“Sembra che sia il mio turno”, commentò quindi Kyle.
“Kyle, non ti ci mettere anche tu” brontolò il biondo, ancora bloccato nella stretta della madre.
Il pasticcere rise. “Sarò breve, non preoccuparti” gli promise. “Brindo ad un amico testardo, che non ammetterebbe neanche sotto tortura che questa festa gli fa piacere e che mi richiede sempre una buona dose di pazienza. Ma che, nonostante non assaggi mai i miei dolci, penso continuerò a sopportare con piacere. Auguri”.
Appena Kyle terminò la frase, Ryan si liberò bruscamente dalla stretta della madre e si allontanò di qualche passo, dando nuovamente loro le spalle.
“Beh, non dici nulla?” lo pungolò Kyle, con espressione innocente.
Ryan esitò un attimo. “Quanto siete rumorosi” borbottò infine.
Kyle si lasciò andare ad una risata e alzò il calice verso l’amico di spalle. “Non c’è di che, Ryan”.
La situazione era decisamente paradossale e Strawberry non si sarebbe mai aspettata che quei due potessero davvero far vacillare così facilmente la maschera di impassibilità di Ryan, che per la prima volta sembrava seriamente al limite di sopportazione dell’imbarazzo. Ma era sicura che non fosse nemmeno così tanto infastidito come voleva far credere. In fondo, il carattere solare ed estroverso di Katherine e i modi schietti ma gentili di Kyle compensavano perfettamente l’atteggiamento chiuso e fintamente distaccato di Ryan.
“Tocca a te, dear” le disse a quel punto Katherine, con un sorriso incoraggiante.
Strawberry spalancò gli occhi. “Eh? A me?” chiese, incredula.
“Yes, dear. Manchi solo tu!”
Oddio, doveva davvero dire qualcosa? Improvvisamente si trovò perfettamente d’accordo con Ryan, non c’era alcun bisogno di quel brindisi.
“Coraggio, sono sicura che troverai le parole… in your heart” la incitò Katherine, sempre più sorridente.
“Ehm… io…”
Lanciò un’occhiata a Ryan che aveva voltato leggermente il viso indietro e la guardava di traverso, con una nota contrariata mista a imbarazzo. Strawberry abbassò immediatamente lo sguardo, perché proprio no, non era in grado di incrociare i suoi occhi in quel momento. Sentiva gli sguardi di tutti su di sé. Cosa accidenti doveva dire così, su due piedi, e per di più davanti alla madre e al migliore amico di Ryan?
“Io…ecco… AUGURI!” gridò infine, alzando il bicchiere al cielo e chiudendo gli occhi, mentre sentiva le sue guance avvampare.
Ci fu un momento di silenzio in cui sperò di sprofondare per la vergogna. Poi sentì la leggera risata di Ryan e allora aprì gli occhi, trovandoselo inaspettatamente vicino.
“Sei un vero disastro, Momomiya” la prese in giro.
Alla sua risata si unirono anche Kyle e Katherine, e in un attimo l’atmosfera si rifece leggera e scanzonata come al solito. Tagliarono la torta e Strawerry osservò divertita Katherine cercare di convincere Ryan ad assaggiarla, mentre Kyle, alle sue spalle, gli faceva segno di non fidarsi. Vide Ryan ridere spensierato e rimase incantata per un po’ di fronte a quella scena, rendendosi conto che non avrebbe potuto desiderare di più.
Ad un certo punto, mentre tagliava la torta rimasta, Kyle le chiese gentilmente di andare a prendere dei piccoli contenitori al piano di sopra, così avrebbe diviso il cibo avanzato da far portare loro a casa.
Strawberry raggiunse la stanza indicatale dal pasticciere, la stessa in cui aveva lasciato i suoi vestiti appena arrivata e si guardò attorno, con il bicchiere ancora in mano. Lo posò sulla scrivania e cominciò ad aprire le varie ante del mobile, in cerca dei contenitori di Kyle.
“Non ricordo di preciso dove, ma li trovi sicuramente in uno degli scomparti dell’armadio”, le aveva detto.
“Mmm… qui non c’è proprio niente” sospirò, mentre richiudeva l’ennesimo sportello.
Si voltò di scatto quando sentì la porta aprirsi, e vide Ryan fare capolino sulla soglia.
“Ryan… che ci fai qui?”
Il biondo entrò e si chiuse la porta alle spalle. “Sono scappato”, le disse con una tale serietà da farla sorridere.
“Ti ha mandato Kyle?” ipotizzò lei, intuendo che probabilmente non avrebbe trovato un bel niente in quella stanza. E l’espressione di Ryan fu abbastanza eloquente da non dover aggiungere altro. Kyle e Katherine erano tremendi quando ci si mettevano.
“Allora… cosa stiamo fingendo di cercare?” scherzò, facendola ridere.
“Dei contenitori per il cibo” rispose Strawberry, ancora accovacciata davanti allo sportello del mobile.
Ryan alzò gli occhi al cielo. “Geniale, devo dire”.
“Allora… ehm… come ti sembra la festa?” gli chiese, chiudendo l’anta e rialzandosi.
“Ci sono troppi palloncini”.
Lei ridacchiò. “Lo immaginavo”.
Ci fu un attimo di silenzio, in cui Strawberry perse tempo fingendo di controllare un altro ripiano. Poi sentì una parola pronunciata chiaramente da Ryan e si bloccò.
“Grazie”.
Allora chiuse lo sportello e si voltò a guardarlo, non certa di aver sentito bene.
Sul suo viso doveva essere scritto chiaramente ciò che stava pensando, perché si vide restituire uno sguardo contrariato. “Non guardarmi come se fosse strano che io possa ringraziare”.
“Ma ti guardo così proprio perché è strano!” confermò.
“Ma sentitela, questa ragazzina…” borbottò Ryan, scompigliandole i capelli.
“Aaah, dai Ryan!” rise lei, cercando di difendersi. “Ah, a proposito!” esclamò all’improvviso, correndo a prendere il bicchiere che aveva lasciato sulla scrivania. “Penso di doverti un brindisi migliore di quello di prima”.
Ryan le mostrò un sorrisetto. “Ah sì?”
“Beh, insomma… mi sembravi già piuttosto in imbarazzo in quella situazione, non volevo infierire” lo prese in giro, giocherellando col bicchiere.
“Senti chi parla”.
Strawberry gli mostrò la lingua, poi si sedette sul bordo del letto. “Volevo ringraziarti” disse, trovando il coraggio di sostenere il suo sguardo. “Perché, anche se mi prendi sempre in giro e ti diverti a vedermi imbarazzata, poi ci sei sempre per me. Mi sei stato accanto in un momento in cui pensavo che sarei sprofondata, e se non è successo è solo grazie a te, Ryan. Mi hai letteralmente salvata in quei giorni”.
Ryan fece per avvicinarsi, ma Strawberry lo fermò.
“No, aspetta! Stai lì. Altrimenti non sarò in grado di continuare!” gli intimò, distogliendo lo sguardo.
Lui rise, disarmato da quell’inaspettata sincerità, e si riappoggiò all’armadio. “Va bene”.
“Mi sono sentita capita da te e, anche se all’inizio ho cercato di negarlo, a un certo punto ho iniziato a pensare a te più di quanto volessi ammettere. Insomma, quello che voglio dirti è che sono davvero felice che tu ci sia. E che… ecco… spero che passeremo tanti altri compleanni insieme” concluse, riprendendo fiato.
E che io sono innamorata di te. Non era riuscita a dirlo, ma sperò ardentemente che Ryan riuscisse a leggere tra le righe e capisse.
Questa volta lui la raggiunse e si accovacciò davanti a lei. Le prese il viso tra le mani e la costrinse piano ad alzarlo.
“Guardami” le chiese.
Strawberry esitò, poi spostò lentamente lo sguardo fino ad incrociare quegli oceani di ghiaccio che erano gli occhi di Ryan, e il suo cuore vacillò.
Ryan sorrise. Strawberry aveva le guance più rosse che mai e gli occhi lucidi, e lui la trovò bellissima.
“Volevo vedere quest’espressione” ammise.
Si allungò verso di lei e si fermò a un millimetro dalla sua bocca, senza smettere di guardarla negli occhi. La vide socchiudere i suoi e mentre finalmente sfiorava le sue labbra pensò che se c’era qualcuno ad essere stato salvato, quello era lui. Perché dopo due anni il suo cuore aveva ripreso a battere e l’aveva fatto senza costringerlo a sprofondare in quell’abisso di dolore che una volta avrebbe sperato lo travolgesse. Perché con lei riusciva ad abbassare tutte le barriere e ad essere quello che davvero era, semplicemente un ragazzo di ventidue anni di fronte ad una ragazza che gli piaceva più di quanto lui stesso riusciva a credere.
La baciò ardentemente, immergendo le mani tra i suoi capelli e sentendola aggrapparsi alla sua schiena e ricambiare. Si sporse verso di lei, facendola finire con la schiena contro lo stipite del letto senza staccarsi dalle sue labbra.
Strawberry lo baciò come avrebbe voluto fare da quando erano usciti dal minimarket, quando quel breve momento di intimità con Ryan le aveva fatto tremare le gambe e schizzare il cuore nel petto. E anche ora lo sentiva battere ad una velocità tale che temette di morire.
Tu-tum.
Ryan abbandonò le sue labbra e le depositò un bacio sul collo, poi un altro. Strawberry si morse il labbro.
Tu-tum.
Avvertì le mani di Ryan sui suoi fianchi, mentre appoggiava la fronte contro la sua per concedersi un attimo di respiro. Poi Strawberry cercò un altro bacio, e Ryan non la fece attendere. Riprese a baciarla, accarezzandole una guancia e lasciando che lei passasse le dita tra i suoi capelli, scompigliandoli.
Tu-tum.
Mentre si stringeva a Ryan, una spallina di pizzo nera le scivolo giù dalla spalla e Strawberry si irrigì per un attimo quando lui se ne accorse e prese a giocherellarci, concentrandosi su quel piccolo lembo di stoffa.
Ti darà un altro genere di lezioni.
Le parole di Katherine le rimbombarono nella mente, ma cercò di non darvi peso.
Assaporò un altro bacio, schiudendo le labbra e infilando le mani sotto la maglietta di Ryan per accarezzargli la schiena. Lo sentì sussultare e subito dopo baciarla più profondamente.
Le mani di Ryan tornarono sui suoi fianchi e piano iniziarono a salire, portando con se la stoffa del top.
Ti darà un altro genere di lezioni.
Di nuovo le parole di Katherine.
Tu-tum. Tu-tum.
Un altro battito.
Un bacio.
Ti darà un altro genere di lezioni.
E mentre Ryan continuava a salire, superando l’ombelico e facendole mancare il respiro, a Strawberry iniziò a girare la testa.









Ebbene sì, è tutto vero, non state sognando! Ho davvero pubblicato il capitolo 28 dopo anni e anni di attesa.
Devo ringraziare una ragazza che mi ha lasciato una recensione qualche settimana fa. Ho ricevuto la mail da Efp dopo parecchio tempo che non mi capitava, e leggere che qualcuno ancora aspettava il seguito della mia storia mi ha smosso qualcosa.
Perchè in fondo non ho mai smesso di pensare a Private Lessons in questi anni. Mi è dispiaciuto lasciare la storia di Ryan e Strawberry in sospeso, ma poi la routine, gli impegni, il lavoro hanno assorbito tutto il mio tempo, e quello che mi restava per dedicarmi alla scrittura era praticamente inesistente.
Poi ho letto questa recensione e mi è venuta una voglia matta di scrivere. Così eccomi qui.
Ora non posso promettere che non impiegherò anni a dar vita ad un nuovo capitolo. Magari arriverà tra qualche settimana, magari mese, magari anno. Ma sicuramente prima o poi questa storia continuerà.
Spero che qualcuno abbia ancora voglia di leggerla e appassionarsi alle vicende di PL dopo tanto tempo. Se così fosse, lo ringrazio dal profondo del cuore.
Buona lettura e a presto.
Con affetto,
Comet

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