House

di Marauder Juggernaut
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - All'inizio ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Prima ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Dopo ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - E poi... ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - All'inizio ***


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Capitolo 1 - All'inizio




Katakuri si fermò di colpo, evitando così di finirle addosso. La ragazza sollevò maliziosa l’angolo della bocca, incrociando le braccia al petto e fissando l’uomo davanti a sé, tutti e due incuranti di star quasi bloccando il traffico su quel marciapiede affollato. Katakuri sorrise, facendo un passo in avanti e avvolgendo le sue muscolose braccia attorno al corpo di lei. La voce della ragazza arrivò come un sussurro alle orecchie dell’altro: « Me la dici la verità? ». Katakuri sorrise, dandole un bacio sulla fronte. « Mi sei mancata … tantissimo ».
 
 
 
 
Ti sei divertito con quella ragazza con cui ti ho visto in centro oggi? √√
Rispondi Katakuri… √√
… 
√√
Non ignorarmi, cazzo! √√
 
Ti vuoi calmare √√
Di cosa stai parlando?√√
 
 
La vacca coi capelli bianchi a cui stavi per mettere la lingua in gola
√√
 
√√
Smetterai mai di saltare a conclusioni affrettate? √√
 
 
Cosa..? 
√√
 
Ti informo che hai appena dato della vacca a mia sorella…√√
 
 
Cazzo…
√√
Katakuri ti giuro che non volevo… √√
 
Ti fai troppi problemi di gelosia che non esistono… √√
 
 
√√
È solo che…√√
Tu sei così maturo √√
Sono un ragazzino confronto a te… √√
 
Sei impegnato stasera, Vinsmoke?√√
 
 
No
√√
Solita ora? √√
 
Esatto √√
 
 
 

Smoothie ridacchiò soddisfatta nel leggere quei messaggi, nonostante l’appellativo con cui era stata chiamata in causa. A Katakuri di certo faceva piacere avere un moroso così geloso. Sollevò gli occhi dallo schermo del cellulare del fratello direttamente sul proprietario: Katakuri se ne stava seduto alla scrivania, totalmente concentrato sul proprio portatile, troppo impegnato a concludere dei documenti per il lavoro per accorgersi della sorella minore che si era impossessata del suo cellulare. La ragazza rotolò sul letto di Katakuri, attendendo che il fratello finisse di lavorare perché le dedicasse poi più attenzione.
Era in realtà abbastanza raro che tutti i fratelli della famiglia Charlotte si riunissero sotto lo stesso tetto, circa una volta ogni due o tre mesi; e quando capitava, di comune accordo tornavano nella grande casa di famiglia dove le stanze abbandonate erano ancora loro, dove Charlotte Linlin li avrebbe sempre accolti a braccia aperte e dove vivevano alcuni fratelli più giovani che non ancora lasciato casa. Da sempre tutti i fratelli erano molto legati e tale vincolo non era intenzionato a dissolversi, nonostante gli anni che passavano. Regola era che quando si passava il tempo in famiglia si lasciava da parte sia studio che lavoro, ma data l’ora della mattina e visto che gli unici apparentemente svegli di tutti i fratelli erano proprio Katakuri e Smoothie, quest’ultima gli aveva lasciato quella piccola deroga a patto che, una volta finito, lasciasse perdere gli impegni per il resto del tempo.
La ragazza tornò a concentrarsi sulla chat whatsapp, senza smettere di sorridere: quei messaggi che aveva letto appartenevano a due giorni prima, il primo giorno in cui lei era tornata a Sabaody da Water Seven unicamente per la riunione di famiglia. Era stata la prima, tra tutti i fratelli all’estero, ad arrivare e aveva letteralmente obbligato Katakuri ad accompagnarla fuori; dal canto suo, per il fratello non fu per nulla un problema. Davvero gli era mancata la sorella minore ed era stato piacevole passare del tempo con lei. Poi, la sera, quando erano cominciati ad arrivare anche gli altri, Katakuri era improvvisamente sparito per un paio d’ore per poi tornare senza dare spiegazioni a nessuno. E Smoothie aveva finalmente capito il motivo: non immaginava che Katakuri si fosse trovato un altro fidanzato dopo Jack; e dalla foto profilo di whatsapp sembrava pure carino e giovane. Parecchio giovane.
La ragazza scrollò ancora la conversazione nella chat, giungendo con divertito piacere a un gruppo di messaggi di un paio di settimane prima, inviato intorno alle due del mattino. Soffocò una risatina, la privacy più che mai lontana dalla sua mente in quel momento.
Il continuo ticchettio della tastiera del computer fu sovrastato per alcuni secondi dal rumore della porta della stanza che veniva aperta. Katakuri scoccò un’occhiata infastidita a Cracker che si era introdotto in camera sua senza nemmeno il riguardo di bussare alla porta. Questi alzò la mano in cenno di saluto agli altri due fratelli già svegli.
« Ma stai lavorando, Katakuri? » domandò subito, sospettoso. Il più vecchio fece un distratto gesto con la mano. « Devo solo finire questo rapporto. Poi chiudo tutto… » disse solo come giustificazione, mentre Cracker raggiungeva la sorella sul letto, entrambi ancora in pigiama. Aveva un ché di dolce e nostalgico l’idea dei due fratelli minori sul suo letto, come quando erano più piccoli.
Smoothie, senza dire una parola, fece cenno a Cracker di avvicinarsi, mostrandogli il cellulare con quella conversazione bollente. Il fratello lesse incuriosito i primi messaggi, cominciando poi a sghignazzare.
« Fratellone, non ti facevo tipo da sexting … sei tornato al liceo? ». Katakuri si voltò di scatto, notando solo in quel momento il proprio cellulare abbandonato tra le mani dei dispettosi fratelli.
« “Ichiji, con quante dita ti stai-”»
« Dammi qua… ». Katakuri si riappropriò del proprio smartphone, fulminando con lo sguardo i due fratelli minori che non smettevano di ridersela.
« Ma quanti anni avete… » borbottò sottovoce, cambiando in pochi secondi il simbolo di blocco schermo.
« La vera domanda è … » cominciò a dire Smoothie, sospettosa « quanti anni ha lui? ».
Katakuri gelò, ma non lo diede a vedere, continuando a restare concentrato sul cellulare.
« Già, in effetti... » continuò Cracker, portando una mano sotto al mento « Quando l’ho visto un po’ di tempo fa mi pareva davvero giovane… ». Katakuri rimase in silenzio a rimuginare, quasi senza sentire le piccole proteste della sorella che vertevano maggiormente sul perché lui fosse a conoscenza della relazione del maggiore e non gliel’avesse detto.
« Venti ». La dichiarazione di Katakuri bloccò immediatamente il diverbio tra i due fratelli, che si girarono a guardarlo esterrefatti.
« Cosa? »
« Stai scherzando, vero? ».
Katakuri si fece ancora più serio, incrociando le braccia: « No, è la verità: ha vent’anni ». Smoothie e Cracker spalancarono gli occhi.
« Immaginavo fosse giovane, ma non credevo così tanto… » disse Cracker, passandosi una mano sulla nuca e distogliendo lo sguardo.
La ragazza arrossì per la sorpresa: « Ha dodici anni in meno di te! ».
Katakuri mise in tasca il cellulare. « Sì, è così ».
Per alcuni secondi regnò il silenzio in tutta la camera come in tutta la casa. Poi Smoothie sorrise; un sorriso largo e caldo come solo lei li sapeva fare. « Domani lo presenti alla famiglia? ».

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Prima ***


Note autrice: Ed ecco il primo vero capitolo. Essenzialmente è, in parte, a questo e - soprattutto - al prossimo capitolo che è dovuta la dicitura "tematiche delicate" della fanfic. So che Zomi e _Dreamer97 non vedevano l'ora di conoscere la storia tra Katakuri e Jack ... beh, ecco la prima parte. Presto anche la seconda e, a dirla tutta, da come ce l'ho al momento in testa, non sarà molto leggera. Un paio di indicazioni: nei flashback di Katakuri a ogni stacco corrisponde un periodo di tempo trascorso, che, a seconda dei casi, varia dalle poche ore ai diversi anni. In ogni caso si capisce dal contesto. Spero intanto che questo capitolo vi piaccia!
A presto
M.J.
 
P.s. ehi tu! Sì, parlo proprio a te, utente anche non registrato, ma che leggi le mie storie. No, tranquillo, questo non è nessun appello per chiedere commenti. Anzi, si tratta di una cosa per cui dovrai spendere molto meno tempo! Ok, a dirla tutta non so se lo possano fare anche i non registrati, ma penso di sì: quando entrate nel fandom di one piece di EFP, in alto a destra compare il link "aggiungi personaggio". Essenzialmente, vi sto solo chiedendo di aggiungere voti ai personaggi della famiglia Charlotte. Non so se si possa chiedere o meno, ma in ogni caso è fastidioso continuare ad aggiungere la dicitura "altro personaggio" perché il personaggio vero ancora non compare nell'elenco. Non vi costa niente!




Capitolo 2 - Prima


Ichiji mugolò quando Katakuri uscì da lui e si sfilò il preservativo. Dopo aver chiuso il profilattico e averlo messo da una parte – insieme agli altri – tornò a stendersi tra le gambe di Vinsmoke. Il dolce tepore post-coito era ancora migliore se lo passava tra le cosce dell’amante, con la testa appoggiata sul suo petto ad aspettare che il respiro di entrambi si calmasse. Dopo un periodo di tempo difficilmente quantificabile per entrambi, Ichiji ruppe il silenzio, voltando la testa di lato per evitare di incrociare lo sguardo con Katakuri.
« Senti … scusa ancora per le conclusioni affrettate di qualche giorno fa... » mormorò sottovoce, passando una mano sulle ampie spalle di Katakuri. Questi sbuffò, come a dire che non vi aveva dato particolare peso. Ichiji si sporse sul comodino, alla ricerca del pacchetto e dell’accendino. Prese due sigarette, portandosele entrambe alla bocca e accendendole contemporaneamente, solo per passarne una all’uomo che si era posizionato e messo comodo al suo fianco. Rimasero a fumare in silenzio per alcuni minuti, Ichiji stringendosi meglio contro il braccio che Katakuri aveva passato attorno alle sue spalle.
« La mia famiglia vuole conoscerti ». Il più giovane si strozzò con il fumo e gli venne quasi da lacrimare, voltandosi verso l’amante che lo fissava incerto, come se temesse di dover presentare alla famiglia un corpo morto.
Quando riprese a respirare, Ichiji fissò stralunato il compagno: « Glielo hai detto a tutti? ». Katakuri si allontanò un poco, solo per squadrare meglio il più giovane con un sopracciglio alzato.
« Non sei un po’ troppo grande per pensare di tenere nascosta una relazione? » domandò, ma non c’era rimprovero nella sua voce. Anche se, probabilmente, Ichiji aveva le sue ragioni. Non era particolarmente facile arrivare a casa e far sapere alla famiglia che non ti interessavano le donne e avevi una relazione con un uomo. Molto più grande, per di più.
Entrambi spensero i mozziconi nel posacenere lasciato accanto al letto.
« Non è quello. » la voce di Ichiji si fece più flebile, come Katakuri non l’aveva mai sentita. Infatti lo squadrò sorpreso, avvicinandosi a lui.
« E allora cosa? ». Vinsmoke alzò la testa per guardarlo dritto negli occhi, ma – anche se solo un poco – si vedeva che era a disagio. « Cosa hanno detto sulla differenza d’età? ». Katakuri chiuse gli occhi, facendo un profondo respiro, sollevando l’angolo della bocca.
« Erano solo un po’ sorpresi, ma non hanno detto nulla. Credo che per loro chiunque vada meglio di Jack… ». Ancora lui. Ichiji lo fissò per alcuni istanti, insicuro su cosa dire. La curiosità premeva alla bocca dello stomaco, ansioso di conoscere quella storia che in qualche modo sembrava pregiudicare la loro relazione. Solo, non trovava le parole giuste per chiedere.
« Katakuri… »
« Sì, Ichiji. Non è proprio il momento adatto, ma ti racconterò di lui… »
 
Katakuri tentò di accendersi una sigaretta.
Il vicolo era ancora umido di pioggia e uno sgradevole odore si spandeva da oltre i cassonetti più avanti. La musica della discoteca era attutita dalla porta chiusa. Ancora pochi minuti e sarebbe finita anche la sua pausa, costringendolo a tornare all’entrata del locale per continuare il proprio lavoro. Avrebbe dovuto smetterla di passare tutto il suo tempo libero dal lavoro nel bagno della discoteca a farsi la prima tipa che gli era caduta tra le mani…
Scacciò quei pensieri scuotendo la testa, rendendosi conto che non era stato ancora in grado di accendersi la sigaretta perché l’accendino non collaborava. Un breve fischio lo costrinse a sollevare lo sguardo: poco distante da lui, verso l’uscita del vicolo, un altro dei buttafuori – era la prima volta che ce l’aveva in turno quella sera – gli lanciò un accendino. Katakuri lo prese al volo, facendo un cenno del capo come ringraziamento, accendendosi finalmente la sigaretta.
Non aveva fatto in tempo a prendersi la prima boccata di fumo che già il tipo lo bloccò, rischiandolo di farglielo andare di traverso. « E come lo spieghi al capo che durante la pausa te ne fiocini almeno una a notte? » domandò lo sconosciuto con un ghigno divertito. Katakuri rimase in silenzio guardando per terra, senza perdere nemmeno un grammo della propria innata compostezza. Espirò il fumo prima di rispondere. « Glielo andrai a dire tu? » chiese ironico, senza degnarlo di uno sguardo, ma concentrandosi sul muro di mattoni di fronte a sé.
« Potrei… » disse in tono talmente vago da far capire a Katakuri che no, non l’avrebbe fatto. Ma, in ogni caso, continuò a stare al gioco sebbene non credesse a una sola parola.
« E cosa ci guadagneresti? »
« La tua attenzione ». Katakuri si voltò finalmente a guardarlo, prestando per la prima volta la dovuta attenzione a quei lunghi capelli biondi, a quella mascella robusta e squadrata, a quel ghigno malevolo.
Sollevò un sopracciglio a quel flirt nemmeno troppo velato. « Già ce l’hai… » gli fece notare. L’altro rise di gusto: « Buono a sapersi … Jack Withered. » si presentò tendendo la mano.
Katakuri la strinse con forza. « Katakuri Charlotte… ».
 
 
« Posso offrirti da bere questa sera invece che tu vada a scopare la prima ragazza disposta a dartela? » domandò Jack, frenando Katakuri dall’addentrarsi in quella bolgia di corpi che si dimenavano nella pista da ballo. Si voltò verso l’altro, scrollando le spalle e rifiutando: « Non bevo quando devo lavorare, una sveltina invece non mi dà problemi. » osservò pragmatico, ma senza avanzare oltre, del tutto concentrato su Jack.
« Neanche qualcosa di … analcolico? » sputò quella parola come se fosse un peccato pronunciarla. Katakuri ghignò divertito: « Credo che sia la cosa più triste che si possa offrire… ». Jack gli diede ragione con un cenno del capo, avvicinandosi di più a lui per farsi sentire meglio oltre la musica rimbombante: « Che ne dici di fare così allora: stacchiamo alle 6 tutti e due … ti offro la colazione, affare fatto? » propose disinibito, senza smettere di sorridere malevolo. Katakuri rimase a pensarci alcuni secondi, senza staccare lo sguardo dal suo. « Affare fatto… ».
Quattro ore dopo se ne stava appoggiato allo schienale di ferro battuto di un bar che aveva appena aperto per il turno della mattinata. Il sole era ancora tiepido, sorto da poco, e filtrava dalle grandi finestre dietro il loro tavolo. La camicia nera che indossava come divisa era non poco stropicciata dopo il lavoro, ma non era un problema: l’avrebbe sistemata una volta a casa. Jack si sedette di fronte a lui dopo essersi preso la libertà di ordinare per entrambi.
Katakuri lo squadrò in silenzio per diversi secondi. « Perché? »
« Perché dopo un’intera nottata passata svegli un caffè mi sembra la cosa migliore da bere… » rispose Jack annoiato e infastidito. Katakuri non badò minimamente a tale tono, sistemandosi meglio contro lo schienale: « Perché mi hai invitato qui? ».
« Ci sto provando, mi sembra abbastanza palese… » affermò l’altro senza peli sulla lingua. Katakuri si prese alcuni secondi per contemplare lo splendore delle ciambelle che il barista aveva appena portato al tavolo, prima di riprendersi e fissare scettico il proprio interlocutore. « Cosa ti fa pensare che a me non interessino solo le donne? ».
Jack si sporse in avanti, con fare arrogante e un ghigno: « Ti interessano solo le donne? ».
« Non è la risposta alla domanda che ti ho fatto… »
« Ma io ho ottenuto quella che volevo… ». Touché. Assorto com’era, Katakuri bevve il suo caffè senza nemmeno zuccherarlo (pentendosene, ma non dandolo a vedere), ponderando le sue parole.
« Katakuri, non sono tipo da girarci intorno: sei interessato o no? Non voglio essere impegnato, mi basta solo un po’ di divertimento… ».
Divertimento, voleva Jack. Le uniche esperienze con partner dello stesso sesso Katakuri le aveva avute al liceo, nulla che però andasse più in là di uno smanettarsi di coppia e di una – disastrosa – succhiata di cazzo nei bagni.
Non aveva senso buttarsi alla cieca in una cosa senza impegno.
« Va bene ».
Idiota.
 
 
« Di’ un po’, quale parte di “senza impegno” ti è sfuggita? » domandò ironico Jack uscendo dal salone. In realtà non sembrava molto infastidito da quella gita fuoriporta a un’esposizione motociclistica.
« Ti ha fatto schifo? » domandò Katakuri sollevando un sopracciglio. Jack ghignò. « Affatto ».
« Allora non lamentarti. » lo zittì Katakuri, ma senza cattiveria « Se vuoi prenderti quello che ti interessa, almeno offrimi prima qualcosa che mi faccia capire che te lo meriti… ». Jack spalancò gli occhi sorpreso, prima di ghignare divertito. « Vuoi dire che finalmente me lo darai stasera? ».
« Potrei essere tentato… ». Jack si parò davanti a Katakuri, bloccando la sua avanzata con un braccio. « E me lo dici così? » domandò, fintamente offeso.
« Beh, spero che tu abbia casa libera… ».
 
Jack assestò un morso sulla linea della mandibola di Katakuri, ma questi era troppo perso nella nebbia dell’orgasmo per lamentarsene. Era stato intenso, senza la minima remora e aveva lasciato nel petto di entrambi una soddisfazione che li aveva ben appagati. Il muro non era il luogo più comodo, ma a nessuno dei due era importato, troppo carichi di quelle sensazioni pressanti che chiedevano di essere rilasciate. Con un gesto insolitamente gentile, Katakuri passò le mani fra i capelli di Jack. Questi lo guardò divertito, anche se il suo fiato era ancora pesante.
« Non pensavo che fossi un verginello, Katakuri… ». Lo freddò con lo sguardo, non aveva voglia di sprecare le parole per quella questione. Jack si spostò da lui, appoggiando una mano sul muro per sostenersi, lasciando spazio per respirare.
« Spero almeno che ti sia piaciuto. » continuò, appoggiando la schiena accanto a lui.
Katakuri annuì, prima di voltarsi a guardarlo. « Ora tocca a me… » affermò sicuro, mettendo in chiaro i ruoli. Jack lo guardò con un ghigno. « Un altro giro di giostra? Mi vuoi viziare, Katakuri… » disse, lasciandogli il comando per quella nuova cavalcata.
 
 
Katakuri fissò distratto la birra di fronte a sé. Le bollicine risalivano navigando verso la schiuma bianca e lì dissiparsi. Tornò a prestare attenzione solo quando Jack cominciò a parlare. Non era così strano che si vedessero per andare fuori a bersi una birra – anche più di una. Forse era in realtà insolito che ciò accadesse quando, ancora dichiaratamente, la loro “relazione” era senza impegno.
« Eviterò di girarci intorno » sentenziò Jack, prendendo un generoso sorso della propria media « Questa cosa non può andare avanti in questo modo ». Katakuri, con la guancia appoggiata stancamente sulle proprie nocche, sollevò un sopracciglio.
« Questa cosa … cosa? » domandò, mettendosi un poco sulla difensiva. « Sei stupido, Katakuri? Intendo questa cosa che c’è tra noi, ovvio! ».
Katakuri sbuffò, più calmo, sorvolando sull’insulto. « Non così ovvio in realtà… » rispose secco, portandosi il bicchiere alle labbra. Non andava davvero matto per la birra. « Vuoi troncare la cosa? » domandò, posando la birra sul tavolo.
« Nah. Mi diverto a scopare con te, Katakuri. » confessò Jack con una scrollata di spalle.
Lo prese come un complimento. Ma Jack non aveva ancora finito: « Mi diverto così tanto, che saranno almeno quattro mesi che non vedo altri che te… ».
Katakuri lo guardò senza proferire parola; poi sospirò: « Anch’io non vedo altre persone da diversi mesi… ».
Jack fece un cenno con la testa. « Adesso dimmi … ha davvero senso definirla una cosa “senza impegno”? » domandò ironico.
Katakuri rimase in silenzio, per poi scuotere la testa. Jack ghignò, sollevando il bicchiere per proporre un brindisi a quella dichiarazione portata avanti per non detti. Katakuri fece cozzare il bicchiere contro il suo con un tintinnio. « Quindi ora devo pure presentarti a tutta la famiglia Charlotte? » domandò ironico.
 
 
 
Katakuri sgranò gli occhi di fronte a quel … regalo. Non se lo aspettava. Squadrò Jack per alcuni secondi, tornando poi a fissare quel bolide.
« Perché? » chiese solamente, accarezzando con la mano il telaio cromato, trattenendosi dall’inforcare il manubrio e provarla subito. « Sai, Katakuri, giusto per ricordartelo, sono pur sempre tre anni che stiamo insieme… » rispose Jack, facendo ruotare gli occhi. « Non me lo sono dimenticato, Jack. Ma un Harley mi pare comunque eccessiva ». Non che gli dispiacesse. Da quando andava al liceo voleva averne una. Era già abilitato a guidare le moto, ma non aveva avuto mai modo di comprarne una. E, a quanto pareva, non ce n’era più bisogno.
Jack espirò infastidito: « Non rompere i coglioni, Katakuri, accettala e basta. Guarda che ho visto come guardavi la mia ». Era vero: l’aveva invidiata per diverso tempo. Prese al volo il casco che il compagno gli lanciò. Integrale nero, con un tridente bianco disegnato poco più a destra della visiera. Jack ghignò, prendendo il proprio, di casco: « Allora, vuoi sentire come romba questa signorina? ».
 
 
« Jack, è meglio se torni a casa, sei completamente ubriaco. » osservò pragmatico Katakuri; non che lui fosse completamente sobrio, semplicemente sapeva ancora reggersi in piedi e non prendere decisioni avventate. « Ti dà fastidio per caso, stronzo? » domandò Jack minaccioso.
Katakuri non vi badò. « Se devo raccoglierti prima che tu soffochi in una chiazza del tuo vomito, sì, mi dà fastidio Jack. Ci sono volte in cui riesci a fare davvero schifo… ». Non sarebbe stata la prima volta in cui avrebbe dovuto recuperarlo da un vicolo nauseante o tirarlo fuori da una rissa.
Non lo vide arrivare. Il gancio ben assestato di Jack lo colpì direttamente alla tempia.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Dopo ***


Note autrice: chiedo scusa per il ritardo di questo capitolo, ma sul serio, è stato un parto. L'avrò riscritto almeno tre volte. Perché? Perché questo è il capitolo delle tematiche delicate, dei contenuti forti e del non-con che sono indicati negli avvertimenti della storia. Sinceramente, non mi piace molto scrivere qualcosa che abbia a che fare soprattutto con l'ultimo avvertimento indicato. Per lo meno, non troppo approfondito. Qua ho cercato di renderlo più "soft" possibile, per quanto si possa rendere soft una cosa simile.
Detto ciò, ringrazio di cuore Zomi, _Dreamer97 e xXNickyChanXx per aver recensito lo scorso capitolo.
A presto!

M.J.

 
Capitolo 3 - Dopo 



Il medico finì di suturare il taglio che prendeva una parte della spalla di Jack. Diversi ematomi viola gli chiazzavano gli zigomi, la mandibola e il ventre, ma l’omone non sembrava farci caso. La sua faccia era priva delle benché minima espressione di dolore mentre il dottore del pronto soccorso portava a termine la delicata operazione.
«Finito» concluse serio il medico, posando le forbici dopo aver tranciato il filo. Katakuri si staccò dal muro a cui era appoggiato con un piccolo colpo di reni, avvicinandosi ai due.
«La ringrazio, dottor Trafalgar». Il giovane medico lo squadrò da capo a piedi in silenzio, indugiando un po’ troppo sul volto coperto dalla sciarpa. Poi lasciò perdere, togliendosi i guanti in lattice.
«Cosa è accaduto?» domandò secco, lavandosi le mani in un lavandino.
«Una rissa in un bar. Un gruppo di ubriachi ha attaccato briga e lui purtroppo ci è rimasto in mezzo» mentì con tanta naturalezza Katakuri che non si poteva non credergli. Guardò intensamente Jack che ricambiò lo sguardo senza dire nulla. Quando il giovane dottore lasciò la stanza, Katakuri si avvicinò al compagno che si stava risistemando la maglia.
Con le iridi colme di rabbia e irritazione, Katakuri si abbassò la sciarpa, mostrando le labbra spaccate dal suo pugno qualche sera prima.
La voce non gli tremò nemmeno per un istante. «Adesso siamo pari…».
 
 
Quel morso lo sentì davvero in profondità. Quando Jack mollò la sua spalla, Katakuri poté notare il vistoso segno dei denti lasciato. Fortunatamente non sanguinava. Non lì. Con la rabbia con cui l’avevano fatto, non si sarebbe sorpreso se avesse perso sangue da qualche altra parte.
Quella cosa che stava prendendo piede tra loro era malsana. Lasciava senza fiato, con un gran vuoto al centro del petto e un’ira che offuscava la mente. Assomigliavano ogni giorno di più a degli animali.
Jack baciò rude la bocca di Katakuri, per farsi poi più calmo e paziente.
Si sdraiò pesantemente al suo lato, carezzando l’esterno coscia dell’amante.
«Scusami…».
Bastava quella parola e Katakuri abbandonava qualsiasi intenzione avesse di troncare tutto. Un vero ingenuo.
Ci ricadeva sempre.
 
 
 
«Cosa diavolo hai combinato?!» esclamò allarmata Smoothie vedendo il fratello maggiore che esaminava l’occhio pesto alla sterile luce al neon del mobile del bagno. Si avvicinò preoccupata, prendendo tra le dita il volto del fratello con esasperante delicatezza. Katakuri la guardò serio per alcuni istanti, prima di scostarsi dal suo tocco e prendere la crema a base d’arnica dal mobile del bagno.
«Un paio di ubriachi al locale. Hanno scatenato una rissa e io non sono stato attento…». Stava diventando troppo bravo a mentire su certe cose. La sorella sospirò esasperata. «Doveva essere solo un impiego da portare avanti insieme agli studi e invece guarda come ti sta riducendo. Per fortuna fra qualche mese ti laurei e lasci perdere quel lavoro per cercarne uno più serio…» disse, guardandolo dolcemente prima di lasciare il bagno.
Già. Dopo la laurea avrebbe dovuto cercare una scusa per giustificare tutto quello.
 
«Cosa diavolo hai combinato?!» scattò Ginrummy quando sorprese il coinquilino medicarsi un vistoso livido violaceo sullo zigomo. Jack grugnì, voltandosi verso lo specchio, non degnando di una risposta la ragazza.
«Ancora il lavoro?» provò a incalzarlo lei. L’altro grugnì ancora, però con un verso che si poteva più facilmente assimilare a un assenso. Lei storse la bocca, provando ad avvicinarsi, ma Jack la scacciò in malo modo con un gesto improvviso del braccio. Lei sbuffò infastidita, lasciandolo solo in camera e lanciandogli imprecazioni su come sarebbe morto solo, con un carattere simile.
L’uomo non ribatté su come, in realtà, c’era ancora una persona che gli restava vicino. Anche se non sapeva per quanto. Se le cose fossero continuate in quel modo, con scatti di rabbia improvvisa da parte di entrambi, probabilmente non molto.
 
 
«Yo». La voce di Cracker interruppe del tutto il flusso discontinuo dei pensieri di Katakuri. Il maggiore, appoggiato alla ringhiera del balcone di casa, guardava l’orizzonte ostacolato dalla siepe e dalle altre case, senza vederlo davvero. Era più impegnato a riflettere su cosa fosse diventata la sua vita – la sua relazione – negli ultimi mesi. Il minore era giunto con una distrazione e una birra ghiacciata. Katakuri prese la bottiglia gelida tra le mani, ricambiando con un cenno del capo che stava sia per un saluto che per un ringraziamento.
«Sai, fratellone…» cominciò Cracker, appoggiandosi alla ringhiera accanto a lui «È da un po’ di tempo che ti vedo sulle tue … cioè, più del solito. C’è qualche problema ultimamente?» domandò dopo alcuni preamboli, sufficienti per mettere in guardia Katakuri e per fargli inventare una buona scusa.
«Non è nulla, Craig. È solo stressante portare avanti sia la tesi che il lavoro…». Cracker lo squadrò con sospetto. «Già il solo fatto che mi chiami col mio vero nome è un brutto segno. Vuol dire in ogni caso che abbiamo trovato un limite alla perfezione dell’irraggiungibile Katakuri…» scherzò, buttando giù un generoso sorso di birra.
«Non sono mai stato perfetto, Cracker...» disse Katakuri, imitando il fratello.
«Non è che c’entra Jack, vero?» domandò a bruciapelo il minore, facendo quasi strozzare con la birra l’altro. Per fortuna non lo diede a vedere e rimase impassibile come al suo solito.
«No, Jack non c’entra…». Cracker lo studiò dubbioso per alcuni secondi, prima di lasciar perdere e sorridere più rilassato. «Meno male. Ma ormai dovrebbe saperlo che l’intera famiglia Charlotte lo appende per le palle se osa farti qualcosa».
Katakuri si irrigidì un poco, prima di rilassarsi. Aveva sempre amato questo prendersi cura gli uni degli altri in quell’allargata famiglia. «Sempre una garanzia…».
 
 
“Katakuri, ho visto ora la chiamata, che succede?”
“Craig…”
“Ti sento stanco, fratello … serata focosa col tuo amato?”
“Sono all’ospedale del Grove 43…”
“Cosa?! Perc- arrivo subito!”
“Craig per favore, aspetta, ti devo parlare.”
“Lo faremo faccia a faccia, Katakuri.”
 
Il tempo sembrava gocciolare come un lavandino rotto. Non c’erano più parole a riempire il vuoto, solo uno scomodo silenzio che stava obbligando Katakuri a non alzare la testa, colmo com’era di vergogna. Mai aveva pensato di provarne così tanta un giorno. Il suo sguardo era puntato contro il bianco della federa del lettino, mentre se ne stava steso prono su quel materasso duro, senza avere il coraggio di guardare il fratello. In quel momento, davvero non si capiva chi fosse il minore e chi il maggiore.
Cracker ingoiò un groppo acido come la bile, facendo un passo in avanti senza staccare gli occhi da Katakuri. Mai aveva visto il fratello in quel modo. Non quel fratello, quello perfetto, lontano e irraggiungibile. Eppure in quel momento il secondogenito sembrava la metà di se stesso.
«Katakuri…».
« Ascolta, Cracker… ».
«No, non ascolto una parola di più. Io lo ammazzo quel figlio di puttana…».
«Cracker, aspetta». La voce di Katakuri sembrava tremendamente una supplica; velata, accennata, ma assomigliava a una supplica. Cracker avrebbe preferito diventare sordo o strappare le corde vocali all’altro piuttosto di sentirlo così debole. Eppure la sua voce era ferma.
«Cosa c’è, fratello?» domandò piano, appoggiando la mano sulla sua spalla in segno di conforto. Nemmeno in quel momento il maggiore riuscì ad alzare gli occhi sul fratello. Cracker sentì un’immensa ondata di rabbia e frustrazione inondargli il petto e la gola. L’uomo steso prono sul letto non era Katakuri. Non poteva essere lui.
«Non dire nulla alla famiglia». Calò di nuovo il silenzio. Il fratello minore spalancò gli occhi, sentendo la mandibola cadere per quell’assurdità.
«Cosa?».
«Hai capito».
«E … come dovrei farlo, di grazia?». La rabbia in Cracker montò tutta d’un colpo. Non gli importava nulla se le urla si sarebbero sentite in tutto l’ospedale, mandando bellamente a quel paese la privacy. «Come diavolo posso farlo, Katakuri?! Come cazzo spiego che stanotte non torni a casa e nemmeno domani?! Come faccio a non dire alla famiglia quello che ti ha fatto quell’animale?!». Aveva il fiatone e non avrebbe negato che quelle agli angoli dei suoi occhi fossero lacrime. Perché quello steso sul letto era davvero il suo fratellone; quello stoico; quello forte; quello che a dodici anni lo aveva preso in braccio e riportato in casa quando a sei anni si era rotto la caviglia.
«Trova una scusa, Cracker. Solo … non farli preoccupare». Quello era troppo anche per Cracker. Le braccia gli caddero lungo i fianchi mentre sbuffava esasperato, la rabbia non ancora sbollita ma anzi giunta a una nuova esplosione.
«Non farli preoccupare?! Katakuri, devo ricordarti dove hai dei punti di sutura?! Questa è una situazione in cui ci si deve preoccupare, Jack in primis! Dio, appena lo trovo gli taglio i coglioni e glieli faccio ingoiare!». Il maggiore sollevò lentamente una mano in direzione del fratello, nel pallido tentativo di fermarlo da quella mutilazione. Cracker fissò quasi con disgusto quelle dita pronte a trattenerlo; a proteggere Jack dalla sua rabbia. Non capiva il motivo.
«Perché? Perché mi fermi dal dargli quello che si merita?!» sputò fuori con rabbia, digrignando i denti come un cane.
«Perché saresti tu quello a prenderle e perché … è un pareggiamento dei conti…». La voce gli uscì quasi a fatica, raschiando contro la gola.
Il fratello minore spalancò gli occhi, capendo ancora meno, ma con una pesante e disgustosa sensazione alla bocca dello stomaco che lo fece stare male.
«Katakuri … non puoi dirmi che tu…» gli mancarono le parole, mentre il ribrezzo prendeva il posto della rabbia. Il fiato gli scomparve dai polmoni in un istante. Fece un passo indietro mentre il fratello nascondeva il volto nel cuscino, mormorando una frase appena udibile.
«Sono un animale, Craig».
Il minore non riuscì a ribattere.
 
 
Katakuri fissò la porta lasciata aperta. Il corridoio pareva dannatamente irreale da quanto era vuoto; ma Katakuri sapeva che lui era lì, nascosto dietro la parete, in attesa delle parole che non tardarono ad arrivare.
«Entra». Jack non se lo fece ripetere. Entrò in silenzio, a braccia incrociate e a testa alta, ma non c’era alcun tipo di orgoglio nel suo sguardo. Né senso di colpa. Né tristezza. Né pietà. Non c’era nulla. Iridi assolutamente vuote. Come quelle di Katakuri.
«Andrò a Wano fra qualche giorno» disse piano Jack, senza alcuna inflessione nella voce. L’altro semplicemente annuì, senza nemmeno guardarlo. «Non tornerò più a Sabaody».
«Capisco» rispose Katakuri. Jack gli diede le spalle, limitandosi a voltare un poco il volto per guardare ancora l’uomo steso sul lettino.
«Abbiamo rovinato tutto, Katakuri».
Già. Un lavoro fatto in due.
 
 
«Sai, andare in palestra è un ottimo metodo per scaricare la tensione e la rabbia accumulate. Potresti riprendere come facevi al liceo…». Il sorriso di Cracker era un poco tirato mentre riaccompagnava Katakuri a casa propria dall’ospedale. Il minore era riuscito a tenere la cosa nascosta alla famiglia, ma era pure riuscito a strappare al maggiore la promessa che ne avrebbe parlato non appena l’ombra di quanto era successo sarebbe sparita.
Katakuri lanciò un’occhiata a Cracker.
«Ci penserò».
 
 
Katakuri fissò il bigliettino che teneva in mano. Assaggiò la porosa consistenza della carta tra le dita, prima di stropicciarlo nella mano chiudendo gli occhi. Non poteva farlo, non ne sarebbe valsa la pena. Non lo conosceva nemmeno, si sarebbe rivelato solo un idiota per cui non era il caso perdere tempo.
O forse no. Forse sarebbe stata la persona che gli avrebbe cambiato la vita e il modo di vedere le cose e se stesso. Riaprì il palmo della mano per fissare il numero scritto a penna. Era una stupidaggine.
Digitò il numero in fretta.
«Pronto, chi è?»
«Dai in giro il tuo numero così spesso che ti aspetti diversi numeri sconosciuti?»
« …Beh, più che altro è passata una settimana e non ci speravo più, Katakuri…».
“Nemmeno io, Vinsmoke…”
 
 
 
«La prossima volta che ci vedremo, ti sbatterò contro un muro così forte che ti farò dimenticare persino il tuo nome… ». Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva usato una voce così lussuriosa con qualcuno. Davvero avrebbe voluto sussurrare il fiato caldo nell’orecchio di Ichiji, sentirlo tremare tra le sue braccia. Un giorno lo avrebbe fatto, quando si sarebbe tolto di dosso l’idea di poter fargli del male. Di poter tornare a essere un animale.
«Va bene…» crepitò senza voce il ragazzo dall’altra parte della cornetta. Katakuri ghignò: gli piaceva fare quell’effetto.
«Ottimo. Ichiji, devo chiudere adesso: ho ospiti… ».
«Ci sentiamo…».
«Katakuri ti va un altro giro? … Con chi sei al telefono?». La voce di Cracker fece quasi scattare sull’attenti Katakuri, che rimase comunque posato e serio.
«Con un amico». Quelle parole risultarono quasi amare da dire mentre chiudeva la chiamata. Dal sorriso di Cracker, evidentemente il fratello non ci aveva creduto.
«Di’ un po’ … tu di solito gli amici li sbatti contro il muro così forte da far dimenticare loro come si chiamano? No, perché se è così voglio anch’io delle amiche simili». Il sorriso sul volto di Cracker era insieme divertito e perverso. Katakuri sbuffò, mettendo via il cellulare, non sapendosi impedire di sorridere.
«Ho conosciuto una persona, da quando ho iniziato ad andare in palestra…» cominciò a spiegare e già gli sembrava di sentire Cracker gongolare per averlo spinto ad andarci.
 
 
 
 
 
 Ichiji ascoltò in silenzio tutta la storia, ingerendo ogni dettaglio dai più inaspettati, a quelli intimi, a quelli crudi. Non si aspettava simili risvolti e nemmeno che un uomo come lo era Katakuri si fosse ritrovato a essere vittima e insieme carnefice di una relazione tanto perversa. Un brivido attraversò la schiena di Ichiji.
E se Katakuri…
Una mano calda si posò sul suo addome. Le falangi coprivano la pancia nuda di Ichiji e anche se questi non guardava, poteva bene immaginare lo sguardo caldo di Katakuri assicurargli senza parole che no, mai avrebbe osato fargli del male come era stato fatto a lui e come ne aveva fatto.
Ichiji sentì l’improvviso impulso di baciarlo, di sapere in quel modo che l’alone di un passato non così lontano non avrebbe intaccato la lucentezza che stavano creando. Lo fece e poteva immaginare un peso togliersi dal petto di entrambi. Non c’era bisogno di parole.
«Rivestiti Ichiji» ordinò Katakuri, piano e a corto di fiato per la storia raccontata e per il bacio.
Vinsmoke lo guardò perplesso, non capendo. «Come mai?».
Katakuri sospirò. «La mia famiglia ti ha invitato a cena».
Ichiji rimase senza fiato. «Quando?».
Il più grande si piegò sul comodino per sbloccare il cellulare e controllare che ore fossero.
«Fra mezz’ora circa».

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - E poi... ***


Angolo autrice: Mamma mia, quasi un anno di assenza e ricompaio in meno di una settimana portando avanti due fic. Giuro che poi mi rimetto a studiare. Questa è per Zomi, che so che l'aspetta, che è la prima sostenitrice di questa coppia sconclusionata, che so che la tirerà su di morale. Ed è anche un incentivo per me, che mi costringe a concludere questa fic il 21 febbraio. O almeno mi sforzerò di farlo.
M.J.
 
Capitolo 4 - E poi...


Ichiji si tenne stretto all’ampio busto di Katakuri. L’aria frizzante faceva ondeggiare come bandiere le loro giacche mentre, a tutta velocità consentita dalla moto, sfrecciavano per le strade diretti a casa Charlotte.
Il petto dell’amato era solido nelle sue mani, sentiva il suo cuore battere sotto le dita; rifletté mentre fissava l’asfalto correre sotto i suoi piedi.
Ichiji non sarebbe più stato in grado di guardare quella moto alla medesima maniera dopo aver saputo che era un regalo del precedente compagno. Non avrebbe mai e poi mai chiesto di sostituirla: al di là del costo, Vinsmoke era consapevole di come Katakuri non avrebbe mai potuto ripensare alla precedente relazione con un qualsivoglia tipo di affetto, sebbene ci fosse un oggetto così ingombrante a fargliela tornare in mente ogni volta.
Appoggiò la testa contro la grande schiena del compagno; deglutì nervoso al pensiero di ciò che sarebbe accaduto da lì a pochi minuti. La famiglia Charlotte voleva conoscerlo e non era sicuro che la cosa fosse reciproca. Non così presto, non quando doveva ancora dire alla propria di famiglia che stava portando avanti una relazione con un uomo.
 
Ichiji osservò Katakuri raccogliere la maglia da terra per infilarsela mentre faceva un iniziale e rapido resoconto sui propri parenti.
«Io ho altri nove fratelli, Ichiji, ma non siamo parenti di sangue…» cominciò a spiegare, indossando i pantaloni e chiudendosi la patta. «Nostra madre è l’imprenditrice Charlotte Linlin, ma penso che tu ci sia arrivato a questo».
Ichiji annuì, mentendo spudoratamente mentre iniziava a rivestirsi anche lui. Sperava sul serio che l’altro non intuisse che no, Ichiji non aveva associato il cognome a quello dell’imprenditrice milionaria, considerandolo un semplice caso di omonimia.
«Perché hai dovuto andare a lavorare durante gli studi se la tua famiglia nuota nei miliardi?» domandò Ichiji diffidente, mentre si rimetteva la maglietta. Katakuri gli scoccò un’occhiata seccata.
«Mia madre riteneva che ognuno di noi dovesse farsi le ossa nel mondo del lavoro come al tempo se le era fatte lei» rispose solamente mentre recuperava i propri anfibi. «Ti stavo dicendo» riprese il discorso mentre si allacciava gli stivali «Probabilmente quella di nostra madre all’inizio fu solo una mossa per farsi una pubblicità filantropica, ma ciò non toglie che a noi ci tenga davvero. Ci ha presi direttamente dall’orfanotrofio qui a Sabaody, due alla volta».
Katakuri prese la giacca di pelle dalla sedia, infilandosela e controllando nelle tasche di avere sia portafoglio che chiavi della moto. Non aveva voglia di usare la macchina quella sera. Tornò a prestare attenzione a Ichiji, ancora mezzo svestito e che non gli aveva ancora staccato gli occhi di dosso, in attesa che continuasse.
«I primi sono stati i miei fratelli maggiori, Perospero e Compote. Hanno entrambi due anni in più di me ed essenzialmente sono quelli che prenderanno in mano l’azienda di mamma quando si deciderà ad andare in pensione...». Nonostante il tono secco, Ichiji poteva intuire una sfumatura affettuosa nelle sue parole: era innegabile l’affetto che provava per i propri fratelli, anche se quella era davvero la prima volta che ne parlava nello specifico con lui.
«I secondi ad essere stati adottati, siamo stati io e mio fratello Cracker … Craig … l’hai già conosciuto» e Ichiji ricordò perfettamente quell’aitante ragazzone che aveva conosciuto la notte in cui era andato a letto con Katakuri per la prima volta; in effetti non aveva visto tutta questa somiglianza…
«Lui ha quattro anni in meno di me e quindi è più giovane dell’altra coppia di fratelli maschi adottata, Oven e Daifuku. Adottati dopo, ma hanno entrambi la mia età» snocciolò rapidamente Katakuri, appoggiandosi con i fianchi al bordo del comò in attesa che il compagno finisse di vestirsi.
«Poi sono arrivate Smoothie e Amande, entrambe di un anno in meno di Cracker».
«Una di loro è la ragazza con cui eri in centro qualche giorno fa?» domandò Ichiji, alzandosi dal letto, finalmente pronto.
«Smoothie … e no, non se l’è presa per come l’hai chiamata…» precisò Katakuri, uscendo dalla propria stanza con il fidanzato alle calcagna.
«Ah, bene … aspetta … come fa a sapere come l’ho chiamata?» chiese sospettoso, parandosi di fronte all’altro. Katakuri sollevò un sopracciglio, sorpassando Ichiji che si era bloccato proprio davanti alla porta.
«Ha letto la conversazione dal mio cellulare» rispose semplicemente, attendendo che il fidanzato lo raggiungesse.
Ichiji si bloccò, fissando Katakuri mentre si metteva a cavalcioni della moto e la accendeva.
«E tu le hai lasciato libero accesso al tuo cellulare? Che altro ha letto?».
«Le ultime arrivate invece sono Pudding, che ha la tua età, e Flambé, che ha sedici anni» sviò abilmente il discorso Katakuri mentre si infilava il casco e aspettava che Ichiji si sedesse dietro di lui.
Quando prese posto, Vinsmoke guardò l’uomo di fronte a lui. «Sei consapevole che non mi ricorderò nessuno dei nomi, vero?».
 
La magione Charlotte era immensa. Una reggia su due piani che sovrastava un grosso giardino sul davanti perfettamente diviso a metà da un lastricato che conduceva alla porta principale; Ichiji non dubitava che ci sarebbe stato una spiazzo d’erba altrettanto grande sul retro; non lo dubitava perché anche lui viveva in una casa simile, nemmeno molto distante dalla villa dei Charlotte.
Smontò dalla moto, porgendo il casco a Katakuri, che lo ripose accanto alla sella insieme al proprio. Si accorse di avere il respiro malfermo, di avere un’insolita ansia da prestazione mai provata, come se dovesse dimostrare qualcosa alla famiglia del fidanzato o dovesse essere giudicato da loro su qualcosa per cui non aveva studiato. Una mano forte si posò sulla sua spalla.
Katakuri lo guardò per nulla agitato. «Andiamo».
 
«Sono a casa».
«Fratello Katakuri, bentornato!». Una vocina tanto zuccherosa da sembrare melensa cinguettò un caloroso saluto non appena i due avevano fatto il primo passo in casa senza nemmeno avere il tempo chiudere la porta. L’istante dopo una ragazzina si lanciò tra le braccia muscolose di Katakuri che la strinsero come se fosse uno stelo di giunco. I lunghi capelli color carbone palpitavano sulla sua testa mentre tempestava il viso di Katakuri con baci leggeri e visibilmente non graditi. Gli occhi del fratello sembrarono indurirsi per un istante mentre Ichiji sollevava infastidito un sopracciglio, squadrando la scena.
«Ciao, Flambé…». Probabilmente solo Ichiji aveva notato il suo tono seccato, la sorella ancora in braccio a Katakuri sembrava ancora troppo persa nella contemplazione del volto del maggiore.
«Dove sei stato, fratellone?» domandò, sbattendo le lunghe ciglia che incorniciavano i suoi occhi da cerbiatta.
Nonostante Katakuri indossasse ancora la sciarpa, Ichiji era certo che stesse sogghignando; la sua voce però non lasciò trapelare nulla: «Sono andato prendere il mio fidanzato».
Ichiji giurò di aver visto negli occhi color cioccolato della ragazza il suo cuore infrangersi ed essere sostituito da pura rabbia. Girò la testa di scatto verso Ichiji, come se lo avesse notato solo in quel momento – o meglio, come se solo dopo le parole di Katakuri meritasse davvero la sua attenzione.
«Flambé, ti presento Ichiji» dichiarò calmo Katakuri senza staccare gli occhi dalla sorella, che a sua volta non smetteva di fissare Vinsmoke come se lo volesse incenerire sul posto.
«Ah, sei tu…» sputò lei, con una ben evidente sfumatura di odio e … gelosia? Di certo non un sentimento di apprezzamento.
Ichiji era ben intenzionato a risponderle a tono quando una donna dall’aspetto tornito e procace fece la propria comparsa dalla porta vicina, fissando confusa i tre che ancora stavano fermi in atrio.
«Beh, potete anche spostarvi dalla porta d’ingresso: vi assicuro che la casa è abbastanza grande» il suo tono era caldo, quasi materno, come se fosse abituata con un gruppo di ragazzini. Cosa che era probabilmente vera: data l’età apparente, Ichiji non aveva dubbio che dovesse trattarsi della sorella maggiore di Katakuri. Nemmeno un miracolo sarebbe riuscito a fargli ricordare il nome.
«Io sono Compote» si presentò la donna, togliendo Vinsmoke dall’imbarazzo.
«Ichiji» rispose e un ampio sorriso comparve sul volto pieno della donna.
«Benvenuto a casa Charlotte. Lascia pure la giacca a Flambé, la cena sarà pronta fra pochi minuti…» affermò, prima di ritirarsi in cucina ai fornelli.
Katakuri stesso gli tolse il cappotto dalle spalle, prima di darlo alla sorella minore insieme al proprio. Flambé, dal canto proprio, scoccò un’occhiata demoniaca al ragazzo dai capelli rossi prima di portare gli indumenti in un’altra stanza. Ichiji sperò che non desse fuoco alla sua giacca mentre appendeva quella del fratello.
«Ignorala» lo confortò Katakuri, che doveva aver notato lo sguardo inceneritore «Ha una strana fissazione per me, ma è tendenzialmente innocua...».
«Flambé che urla perché è tornato Katakuri si può sentire anche dal terzo piano…» si intromise una voce flemmatica che costrinse Ichiji a voltare la testa verso le scale.
Gambe chilometriche e una vaporosa chioma di capelli bianchi. Ichiji non aveva dubbio che Niji, Sanji e Yonji sarebbero caduti ai suoi piedi con un solo suo cenno. Il più vecchio dei Vinsmoke invece provava unicamente un profondo e ben celato imbarazzo nel riconoscere la sorella di Katakuri che aveva insultato, sapendo che lei era venuta a conoscenza dell’insulto.
«Sono Smoothie».
«Piacere, Ichiji» e non riuscì nemmeno a stendere la mano che si ritrovò avvolto in un abbraccio tra le forme prosperose del corpo della ragazza, cogliendo in extremis l’espressione sorpresa ed irritata del fidanzato che non capiva il comportamento della sorella.
«Piacere di conoscerti, Ichiji. Come sempre mio fratello ha buon gusto». La frase seguente fu un sussurro tutto per Vinsmoke, cantilenato a pochi centimetri dal suo orecchio così che solo lui potesse sentire. «Sai, non me la prendo per come mi hai definita, ma Ichiji … tre dita addirittura?».
La pelle del volto di Ichiji raggiunse la medesima gradazione dei suoi capelli per la vergogna; cercò di divincolarsi da quella presa nel modo più delicato possibile provando a ignorare quel sorrisetto sornione di Smoothie che oltre all’insulto aveva evidentemente letto anche una di quelle (rare) sessioni di sexting con cui si intratteneva col compagno.
«Smoothie, se continui a stringerlo così lo soffochi». Un’altra voce che Ichiji non conosceva. Non appena la ragazza lo lasciò liberò (lei senza smettere di sorridere maliziosa), Ichiji poté dare una scorta all’uomo che era sceso dalle medesime scale da cui era arrivata Smoothie. Alto e longilineo, dalla bocca estremamente larga. Stando a quanto vedeva Vinsmoke, o aveva l’età di Katakuri o era più grande.
Con un largo sorriso (che sembrava pieno di malevole intenzioni), lo spilungone gli tese una mano sottile che Ichiji si ritrovò ad afferrare con meno entusiasmo di quanto volesse ammettere.
«Perospero, fratello maggiore di Katakuri» si presentò, sinuoso quasi da essere viscido.
«Sono Ichi-». Non riuscì a presentarsi che si sentì trascinato da quella mano filiforme in modo da ritrovarsi a pochi centimetri dal proprietario. Anche lui sussurrò un avvertimento proprio accanto al suo orecchio, ma con un tono ben diverso da quello di Smoothie.
«Sarai anche un bambino confronto a lui, ma se provi a fare del male a mio fratello in qualche modo…». La frase fu lasciata a metà perché proprio in quel momento una mano calda e protettiva si posò sulla spalla di Ichiji, sottraendolo a quella vicinanza indesiderata.
«Fratello Peros» ammonì semplicemente Katakuri, avvicinando a sé Ichiji e tenendolo stretto con un braccio attorno alle spalle. Rimasero a guardarsi alcuni secondi in silenzio, con Ichiji e Smoothi che spostavano lo sguardo da uno all’altro.
La tensione si sciolse quando Perospero sorrise in modo melenso in direzione del fratello. «Mama stasera non c’è, ha avuto un impegno improvviso con gli altri dirigenti della Yonkou. E Pudding è fuori con degli amici, per questo non ci saranno alla cena» disse semplicemente, prima di avviarsi verso la cucina seguita da Smoothie.
«Vorrà dire che finché la cena non è pronta, andremo in camera mia…» rispose Katakuri, indicando con un cenno della testa le scale a Ichiji.
Seguì Katakuri per tre rampe di scale in religioso silenzio, per poi bloccarsi all’improvviso quando l’altro si fermò di fronte a una porta con la mano immobile sul pomello di quella che doveva essere la sua camera.
«Forse è meglio se andiamo in salotto» disse semplicemente Katakuri, voltandosi e per la prima volta Ichiji vide sul volto del compagno quel sentimento che era assimilabile all’imbarazzo.
«Qualcosa non va?» domandò Vinsmoke interdetto, non sicuro di voler sapere cosa causasse tanto disagio nell’altro. Non era certo di voler venire a sapere cosa c’era in camera di Katakuri in quel momento, troppo spaventato dal sentirsi dare risposte tipo “C’è una fabbrica di droga” oppure “Probabilmente qualcuno sta scopando sul mio letto.”
«No, nulla…» rispose vago, provando a fare un passo in direzione delle scale, cercando di trascinare con sé anche il compagno. Ichiji gli sgusciò dalla presa, curioso in realtà di sapere cosa si celasse oltre quella porta, ignorando il braccio di Katakuri, il quale aveva previsto le sue intenzioni e aveva provato a bloccarlo.
Quello che trovò in quella camera non era esattamente quello che si aspettava. Beh, non che si aspettasse davvero qualcosa, però di certo non quello.
«Mia madre tende a non buttare nulla» e il tono nella voce di Katakuri (che era rimasto fuori dalla camera) sembrava tanto un tentativo di giustificazione «Ho lasciato casa non appena ho iniziato l’università e non rientravo a casa tanto spesso. Tornando così poco, non vedevo motivo per cambiare … arredamento».
Non poteva essere imbarazzo quello nella voce di Katakuri. Un essere tanto irraggiungibile non poteva provare emozioni così umane per una sciocchezza come l’arredamento della stanza. Ichiji era certo che Katakuri si fosse sbattuto la mano in faccia.
In effetti, non c’era nulla di cui essere imbarazzati. Semplicemente era arredata come lo sarebbe stata una camera di un liceale. Lo scotch si stava staccando dalle ante dell’armadio, lasciando penzolare gli angoli dei poster delle band punk rock che avevano raggiunto l’apice una decina di anni prima, ma che erano ancora molto note. Su uno scaffale erano ben allineati libri universitari di economia e statistica, coperti da un leggero strato di polvere; al di sotto di esso, svettavano trofei di alcuni tornei di arti marziali. Ichiji non era sorpreso che fossero tutti premi per chi aveva raggiunto il gradino più alto del podio.
Quello che sorprendeva Vinsmoke era però la quantità di foto: a decine, più o meno sbiadite. Su fogli da stampante, rullino o polaroid istantanea. Appese, incorniciate, scocciate accanto a biglietti di concerti autografati dalla band in questione.
Katakuri e la famiglia Charlotte, in differenti momenti, età, situazioni. In occasioni importanti o immortalati nel dolce far niente quotidiano.
Il compagno non gliela aveva accennato che di sfuggita, ma solo in quel momento Ichiji capì quanto la famiglia era importante per Katakuri. Adottato, aveva detto. Vinsmoke non poteva capire cosa significasse essere pescato da un luogo dove si viveva con altri bambini che per te non erano altro che estranei, per essere portato in una realtà dove il bambino che vive con te diventa improvvisamente “fratello”. A differenza della famiglia Vinsmoke, quella parola doveva avere un sapore infinitamente più dolce quando pronunciata dalla bocca di uno dei Charlotte.
Ichiji aprì infine bocca. «È…»
«Infantile» concluse Katakuri come una sentenza, direttamente alle spalle di Ichiji che si stava ancora guardando intorno.
«Pensavo ad altro» ammise secco il più giovane, voltandosi verso il compagno. Non avrebbe mai ammesso che strane emozioni si smuovevano dentro di lui alla visione di quella camera, come quella santuario personale ed intimo desse una sfumatura più palpabile a quel personaggio indefinibile che era Katakuri. Più reale.
«Mmh» fu l’unico commento dell’altro. Lungimirante com’era, Ichiji era sicuro che Katakuri avesse intuito per lo meno la metà di ciò che gli passava per la testa.
«Almeno si può dare la testimonianza al mondo che anche Katakuri Charlotte sembra essere stato un adolescente normale. Di’ un po’, hai anche delle riviste porno nascoste da qualche parte?» ghignò Ichiji, avvicinandosi al fidanzato che, sebbene meno evidente, sorrideva divertito e malizioso pure lui.
«Non ne ho bisogno da diverso tempo. Preferisco la pratica…» il suo tono si era abbassato di un’ottava, mandando una serie di brividi caldi lungo la schiena di Ichiji.
«LA CENA È PRONTA. KATAKURI, SMETTILA DI SCOPARE O TI PASSA L’APPETITO!».
Quella frase era letteralmente stato un annuncio per tutta la famiglia Charlotte, seguito immediatamente da tre colpi alla porta della camera come tre spari di cannone.
Tra tutte le voci, questa Ichiji l’aveva riconosciuta fin troppo bene. Katakuri serrò la mandibola, guardando in cagnesco la porta della camera.
 «Entro la fine della serata seppellirò Cracker…» e sembrò una minaccia tremendamente vera.

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