Metánoia

di Guido
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Parte prima. ***
Capitolo 2: *** Prologo. Parte seconda ***
Capitolo 3: *** Attacco a Hogsmeade ***
Capitolo 4: *** Visite in infermeria ***
Capitolo 5: *** Risvegli ***
Capitolo 6: *** Malfoy Manor. Parte prima ***
Capitolo 7: *** Malfoy Manor. Parte seconda ***
Capitolo 8: *** Et nunc manet in te ***
Capitolo 9: *** I turbamenti del giovane Weasley ***
Capitolo 10: *** I reclusi ***
Capitolo 11: *** Conversazioni ***
Capitolo 12: *** Amor di Fenice ***



Capitolo 1
*** Prologo. Parte prima. ***


PROLOGO. PARTE PRIMA.

Prologo. Parte prima.


Ringraziamenti:
Come ho scritto nella presentazione, questo è il
prequel de “Il Profumo della Libertà”; quindi, ringrazio tutti i lettori della fic "madre", perché il loro entusiasmo mi ha spinto ad approfondire retroscena che, altrimenti, con ogni probabilità sarebbero rimasti inesplorati, o confinati in qualche sporadico flashback.
Oh, prima che mi dimentichi: Metánoia, nel Greco dei cristiani, significa "conversione".



A Oriana Fallaci

In memoriam.



Non appena l’ascensore lo ebbe portato al Primo Livello, sentì che la giornata buttava male.
La porta dell’ufficio del Ministro era spalancata, di certo: si sentiva la sua voce echeggiare di corridoio in parete. Avrebbe potuto raggiungere la propria méta ad occhi chiusi, affidandosi soltanto all’udito, a patto di non farsi confondere dal rimbombo.
Si incamminò a passo spedito, ostentando una spavalderia che non provava affatto. Avvicinandosi, gli parve di capire che il Ministro stesse dettando una Strillettera di reprimenda e distinse un martellio ritmico, quasi un rullo di tamburi, che sottolineava le frasi più incisive:
«”Non riuscite a trovare il Gigante”?! Che cosa vi serve, un Incantesimo alla vista o un ricovero al San Mungo? Vedete di trovarlo entro le prossime ventiquattro ore, se non volete finire a riordinare tutto l’Archivio senza bacchetta!»
Si bloccò sulla soglia, sgranando gli occhi: il braccio destro del Ministro gesticolava, accompagnando la dettatura, mentre il sinistro stampigliava timbri con foga su una minacciosa pila di pergamene; ad ogni colpo del pesante sigillo, il rotolo in cima decollava, ripiegandosi fino ad assumere la forma aerodinamica dei promemoria inter-uffici, e andava ad unirsi allo stormo che volava in cerchio nei pressi del soffitto. In quella, la Strillettera fu sigillata e prese a duplicarsi; lo sciame di cloni guadagnò la soglia, subito seguito dai promemoria, uno dei quali scese in picchiata verso la sua testa. Automaticamente, lo afferrò e lesse:



Circolare Organizzativa Generale

Da: Amelia Susan Bones

Ministro della Magia


A: Tutto il personale in servizio

OGGETTO: Ricomparsa dei Mangiamorte e riorganizzazione del Ministero

Colleghi,

l’associazione di Maghi Oscuri tristemente nota come “Mangiamorte”, che credevamo scomparsa insieme con il suo capo, è tornata in piena attività, tanto che ha osato irrompere nella sede stessa del Ministero. L’episodio in sé basterebbe a far palese la gravità degli errori commessi dalla precedente Amministrazione, che si è pervicacemente rifiutata di indagare sui sospetti di rinnovata attività della predetta associazione. Ma ancora più grave e preoccupante è il fatto che l’irruzione sia potuta passare inosservata: ciò mi costringe a dubitare seriamente della capacità del Ministero di affrontare questa nuova guerra.

1) Ciascuno di voi ha già ricevuto un questionario di autovalutazione sulla Difesa contro le Arti Oscure, la cui conoscenza è, ovviamente, fondamentale per combattere i Mangiamorte. Poiché, però, il tenore delle prime risposte pervenute fa temere che gravi carenze in materia siano ampiamente diffuse tra il personale, sono allo studio apposite iniziative di formazione. Auspico che, entro la fine dell’anno, ogni dipendente del Ministero possa dirsi in grado di affrontare un duello contro un avversario anche piuttosto versato nelle Arti Oscure; se così fosse, certo si ridurrebbe il costo di vite umane che ogni guerra comporta.

2) Poiché lo sforzo bellico – mi sembra quasi superfluo ricordarlo – deve essere considerato necessità suprema della Nazione, è necessaria una riorganizzazione radicale del Ministero, al fine di assicurare un’allocazione ottimale delle risorse umane e strumentali. Pertanto:

a) tutti gli Uffici attualmente esistenti debbono considerarsi disciolti, con le sole eccezioni degli Auror e della relativa Scuola, dell’Ufficio per l’Applicazione della Legge sulla Magia e del Wizengamot. Gli Uffici disciolti proseguiranno le attività in corso, operando in regime di ordinaria amministrazione, finché non saranno state istituite le nuove strutture e individuate le relative dotazioni organiche;

b) mantengo, provvisoriamente, la carica di Direttore dell’Ufficio per l'Applicazione della Legge sulla Magia, onde attuarne il riassetto integrale, richiesto dalla necessità di prevenire e reprimere le azioni dei Mangiamorte senza, per questo, trascurare la criminalità comune, che potrebbe approfittare del clima di insicurezza generale;

c) l’Ufficio Misteri, com’è noto, dipende direttamente dal Ministro; ciononostante, gli Indicibili hanno ritenuto di non poter soddisfare la mia richiesta di informazioni dettagliate sulle attività in corso, adducendo “ragioni di riservatezza” non meglio precisate. Pertanto, ordino che l’Ufficio in parola cessi ogni attività, con effetto immediato, finché non si sarà provveduto a riorganizzarlo o a sopprimerlo definitivamente. La prosecuzione di singole attività potrà essere autorizzata soltanto su richiesta dell’Indicibile responsabile, che, oltre ad illustrarne in dettaglio natura e obiettivi, dovrà altresì comprovare la sua utilità e rilevanza per lo sforzo bellico nazionale, nonché il danno che esso potrebbe subire in forza di un’interruzione dell’attività stessa;

d) la recente irruzione dei Mangiamorte ci costringe a riconoscere gravi lacune nel sistema di sicurezza del Ministero; istituisco, perciò, un Ufficio per la Sicurezza Interna, indipendente da ogni altro, con il compito precipuo di rivedere le misure difensive attualmente in uso e di assicurare la massima protezione sia alla sede del Ministero, sia alla sua attività e ai relativi flussi documentali.

3) Il comportamento irresponsabile della precedente Amministrazione ha gravemente compromessa la fiducia nel Ministero, che, quindi, rischia di non riuscire a guidare uno sforzo bellico cui la Nazione è del tutto impreparata. Se vogliamo che ogni casa, ogni famiglia e ogni coscienza si trasformino in altrettanti fortilizi contro i Mangiamorte, dobbiamo bensì evitare che si diffonda il panico, ma, soprattutto, convincere la Nazione della nostra sincerità. Affinché si sappia che il Ministero è in grado di riconoscere insuccessi ed errori e che non cerca di tenerli nascosti, ma, al contrario, sa correggerli e punire i responsabili, istituisco l’Ufficio per la Trasparenza e la Comunicazione Esterna, che sostituirà tutte le strutture attualmente addette ai rapporti con la comunità magica e curerà altresì il controllo interno sulle attività in corso.

Confido che ciascuno di voi continuerà a svolgere il proprio lavoro in modo alacre, sereno e fruttuoso.

 

Amelia Susan Bones

Ministro della Magia

 

(Firma apposta con timbro personale, ai sensi del Decreto sulla Redazione e Formazione degli Atti Legislativi e Amministrativi, art. 250)


Rufus Scrimgeour alzò lo sguardo dalla pergamena e incontrò quello di Amelia Bones, che, con una smorfia, si stava massaggiando il bicipite sinistro. Il timbro taceva.
«Rufus! Entra, ti prego! Spero di non averti fatto aspettare.»
«Niente affatto, Amelia. Solo il tempo di leggere la mia copia della circolare.»
Il neo-Ministro non si alzò per accoglierlo, limitandosi ad indicargli la sedia di fronte alla scrivania, mentre, con pochi, efficienti tocchi di bacchetta, rimetteva al lavoro il timbro e indirizzava un plotone di Penne Prendiappunti verso la pila di fascicoli personali che torreggiava alle sue spalle.

Tacquero entrambi, mentre le ultime copie della circolare finivano di ricevere il timbro e le Penne, alacri, cominciavano a stendere richiami disciplinari a tutta velocità.

Rufus sentiva uno strano nodo allo stomaco.

Finalmente, l’ultima copia decollò e il timbro tacque. Amelia lo fissò. «Avrei potuto timbrarle tutte con la magia fin dall’inizio, naturalmente, ma sentivo il bisogno di pestare qualcosa. Mi capisci, Rufus?»
«Perfettamente. E’ successo anche a me, negli ultimi giorni.»
«Devo forse dedurne che non mi porti alcun risultato?»
Scrimgeour si fece cremisi per la collera e la frustrazione, ma ingoiò le lamentele (fondate, fondatissime) sugli Uffici che non collaboravano e si concentrò sull’obiettivo: salvare la propria carriera.
«No, Amelia. Nessun risultato concreto.»
Il Ministro scosse il capo. «Lo immaginavo, purtroppo. Il tuo Ufficio, Rufus, non ha ottenuto grandi risultati, negli ultimi quindici anni.»
Il Direttore dell’Ufficio degli Auror fece per protestare, ma Amelia lo zittì con un semplice cenno: «Pensa soltanto a questo: chi avrebbe dovuto sorvegliare i Mangiamorte? Parlo di quelli riabilitati e scagionati. Com’è possibile che ci siamo trovati Macnair come collega e Lucius Malfoy come ospite fisso del mio predecessore?»
Rufus trattenne una risposta secca sul groviglio di competenze – che Amelia conosceva bene quanto lui – e tacque.
«Non parliamo, poi, degli evasi da Azkaban. O devo forse ricordarti che Sirius Black, l’uomo più ricercato di tutto il Mondo Magico, è arrivato tranquillamente nell’Ufficio Misteri, dove è morto, per giunta combattendo al posto vostro? Perché si dà il caso che, quella sera, gli Auror fossero fuori a cena!»
«Suppongo di doverti ringraziare, per aver mantenuto il mio Ufficio in vita.» A volte, una risposta sfacciata salvava la situazione.
«Supponi giusto. Anche se non avevo molta scelta: siete i migliori combattenti del Mondo Magico. Certo, vista la cronica mancanza di risultati apprezzabili, mi chiedo come potremo vincere questa guerra.» Lo squadrò con aria critica.
Scrimgeour estrasse un grosso rotolo di pergamena, scritto a mano su entrambe le facciate. «Qui troverai un mio progetto di riorganizzazione dell’Ufficio. Al momento, il venti per cento del tempo di un Auror è speso dietro la scrivania; io voglio i miei uomini sul campo, non importa quanti scribacchini dobbiamo sottrarre ad altri Uffici.»
«Bene, è un inizio.» Amelia spedì il rotolo in uno dei tanti cassetti della scrivania. «Ho avuto qualche idea anch’io. Riorganizzare la sicurezza interna, per esempio.» Rufus assentì. «O richiamare gli Auror in pensione.»
«Qualche rinforzo farebbe senz’altro comodo.»
«Non ne dubito, ma pensavo di destinarli alla Scuola per Auror.»
Scrimgeour la fissò, sorpreso: la Scuola, in quel momento, era priva di allievi.
Amelia gli indicò un angolo in ombra dell’ufficio: da una porta di servizio entravano fogli su fogli, che si ammucchiavano su un tavolo basso dove uno sciame di Penne Prendiappunti compilava statistiche.
«Quelle sono le risposte ai questionari di autovalutazione in Difesa. Sono arrivate quasi tutte, ormai. Ebbene, non l’avrei mai creduto, ma al Ministero lavora gente che non sa lanciare neanche un Sortilegio Scudo! Griselda Marchbanks mi sentirà!»
Rufus fischiò: era un bel guaio. «Se vogliamo rimediare, in qualche modo, hai ragione tu, l’unica struttura adeguata è la Scuola. Dovremo organizzare alcuni corsi… Quelle Penne redigono statistiche anche sulle risposte alle singole domande?» Cenno di assenso. «Bene. Allora dovrebbe essere semplice organizzare, che so, tre corsi: Di Base, Intermedio e Avanzato.» Sorrise, sentendosi di nuovo sicuro di sé: come ogni buon Auror, sapeva pensare molto in fretta.
«Tieni conto che stiamo parlando di circa duecento persone.»
«Duecento…? Rischiamo di paralizzare il Ministero!»
«Lo so bene, ma non c’è altro da fare: non abbiamo più Gira Tempo e pare che siano complicatissime da fabbricare. Inoltre, molti Uffici saranno soppressi, quindi può anche darsi che l’attività non ne risenta troppo.»
«Molto bene. Vedrò di trovare i locali, perché quelli della Scuola non bastano di certo.»
«Prova con le vecchie aule di giustizia: non le usa nessuno e di certo sono spaziose.»
«Buona idea, Amelia.»
«Perfetto. Non appena saranno complete, ti spedirò le statistiche, così potrai organizzarti al meglio. Intanto, eccoti gli insegnanti.» Un colpo di bacchetta su un rotolo vergine lo trasformò in un ordine di servizio:

 

Per ordine del Ministro della Magia

 

Tutto il personale in quiescenza, già inquadrato presso l’Ufficio degli Auror e/o la relativa Scuola, è richiamato in servizio, con effetto immediato.

Sarà cura del Direttore del predetto Ufficio, Rufus Scrimgeour, comunicare agli interessati le mansioni cui saranno adibiti.

 

Amelia firmò e aggiunse: «Oh, prima che mi dimentichi… Non assegnare incarichi ad Alastor Moody.»
«Giusto. Non credo che abbia voglia di riprovarci, con l’insegnamento.»
Risero entrambi, un po’ nervosi.
«Vero. Ma la ragione principale è un’altra: per lui ho in mente la Direzione dell’Ufficio per la Sicurezza Interna.»
«Cosa!? Ma ci farà ammattire tutti quanti!»
«Lo spero» ribatté Amelia, con calma glaciale. «Preferisco cento allarmi falsi ad un solo allarme che non scatta quando dovrebbe. Quindi, un paranoico come Malocchio mi sembra perfetto per l’incarico. Hai qualche altro nome, Rufus?»
Scrimgeour esalò un lungo respiro inorridito, rassegnandosi. «Alastor avrà la piena collaborazione di tutti noi.»
«Magnifico. Credo che questo sia tutto. Torna pure al lavoro, Rufus. Alle quattro, però, ho un appuntamento con Silente: vorrei che partecipassi anche tu. Dopotutto, dobbiamo assicurare la massima protezione a Hogwarts e Hogsmeade.»
«Ci sarò» le assicurò il Direttore dell’Ufficio degli Auror, che uscì appena più sereno di quando era entrato. D’accordo, ne usciva ancora in sella e con buone probabilità di vedere finalmente risolti tutti gli intoppi burocratico-organizzativi; ma quella vittoria rischiava di trasformarsi in una condanna più grave. Il Ministro, l’opinione pubblica, tutti si aspettavano risultati. E forse li avrebbe ottenuti, ma forse no.
Molto preoccupato, ma deciso a mettere i propri uomini alla frusta, Rufus si diresse all’ascensore.

Amelia crollò all’indietro contro lo schienale della poltrona, sentendosi esausta, e chiuse gli occhi. Non dormiva da tre giorni, da quando si era ritrovata al posto di Caramell.
Un colpo di tosse discreto la riscosse dal meritato riposo. «Sì?» Una figuretta minuta si stagliava sulla soglia. «Oh, Griselda! Entra, accomodati.»
Griselda Marchbanks era un burosauro di annata, sopravvissuta a centinaia di crisi, purghe, lotte intestine e rimpasti ministeriali: né la caduta di Caramell né la rivoluzione che Amelia Bones stava scatenando l’avevano colta alla sprovvista. Infatti, passò subito all’offensiva:
«Buongiorno, Amelia. Immagino che tu mi abbia convocata per discutere il futuro del mio Ufficio?»
Il Ministro si strofinò gli occhi, ricacciando indietro il sonno. «Anche, ma non solo. Per prima cosa, vorrei parlare del suo rendimento.» Accennò alla pila di questionari, ormai quasi completa. «Puoi spiegarmi per quale motivo una buona metà degli impiegati del Ministero – gente che è uscita da Hogwarts con GUFO e MAGO in saccoccia – confessi gravi carenze in Difesa contro le Arti Oscure? Che lavoro ha fatto la Commissione Magica d’Esame, negli ultimi vent’anni?»
La Marchbanks non batté ciglio: aprì la valigetta di cuoio e ne estrasse un grosso volume, rilegato in pelle nera. «Cinque anni fa, il mio Ufficio ha elaborato questo dossier sul sistema di istruzione, formulando diverse proposte di riforma, cui, peraltro, il tuo predecessore non ha ritenuto opportuno dar seguito alcuno. In particolare, abbiamo chiesto di essere coinvolti nel processo di reclutamento e selezione del personale, da cui, come ben sai, siamo completamente esclusi.»
Amelia annuì e diresse quella mostruosità burocratica in un altro dei suoi tanti cassetti.
«Ora, Amelia, non c’è bisogno che ti ricordi che ogni Ufficio recluta il personale in piena autonomia e stabilisce propri requisiti di ingresso; lasciamo perdere il caso dei trasferimenti…» Fece una pausa significativa: conoscevano entrambe quel sottobosco di raccomandazioni, promozioni e scaricabarile velati. «Pensiamo ad un giovane che è appena uscito da Hogwarts, con un GUFO o un MAGO, poco importa. Sì, ho detto uno: come tu sai, ci sono tanti GUFO e MAGO quante sono le materie, non è prevista alcuna forma di giudizio complessivo. Questa è un’altra delle storture contro cui mi batto da anni, perché ci porta ad assumere gente che conosce bene anche una sola materia: quella richiesta dall’Ufficio in cui vuole entrare. Eppure, questa stessa gente non avrà difficoltà a trasferirsi in qualsiasi altro Ufficio!»
«Uno studente impreparato nella maggior parte delle materie non dovrebbe uscire da Hogwarts.»
«Vero. Dovrebbero pensarci gli esami interni alla Scuola e, per lo più, va proprio così. Anche se, al quinto anno, non è previsto uno scrutinio di ammissione ai GUFO – che, secondo me, sarebbe utile – i candidati mostrano una preparazione adeguata in quasi tutte le materie.»
«Quasi, eh?»
«Quasi. Il problema è proprio Difesa. Gli insegnanti cambiano di anno in anno, così gli esami interni non garantiscono granché. Normalmente, possiamo fidarci del fatto che, nei primi quattro anni, il collega svolga il programma con ordine e verifichi la preparazione dei propri studenti; con Difesa, gli studenti sono reduci da cinque insegnanti diversi, ciascuno con il proprio metodo e, spesso, con il proprio programma. Gli esami di fine anno, in queste condizioni, non sono omogenei, perdono quasi significato, parlano più dell’insegnante che dello studente!»
«Capisco,» rispose Amelia, temendo che la Marchbanks si accalorasse troppo.
«Scusa se mi scaldo. Sai da quanti anni combatto con questo stato di cose? Ho costretto i commissari a studiarsi i compiti in classe di ogni singolo candidato al GUFO di Difesa!»
«Un’ottima idea. Che frutti ha portato?»
Griselda inarcò un sopracciglio. «Nel dossier troverai le statistiche sugli ultimi quarant’anni di attività: mai, in nessuna materia, la percentuale di bocciati è scesa sotto il trenta per cento. A Difesa si mantiene stabile, intorno al trentotto.»
«Oh.»
La Marchbanks vide che Amelia cominciava a sentire il peso della stanchezza e ne approfittò per sferrare il colpo finale: «Incrocia i dati del questionario con i fascicoli personali: le schiappe – passami il termine – non hanno mai preso un GUFO in Difesa. Anzi, probabilmente non ne hanno nessuno: cinque anni fa, il 9,6% del nostro personale era sprovvisto di titoli di studio!»
L’informazione sortì l’effetto desiderato. «Ti ringrazio, Griselda. Parla con Rufus, alla prima occasione: l’ho incaricato di rimediare a queste carenze in Difesa, potresti dargli una mano. E penso che sia ora di mettere mano al reclutamento del personale, ai trasferimenti e alle progressioni in carriera.»
«Nessuno è più d’accordo di me!»
«Ne sono lieta… Ah, Griselda, ancora una cosa: vorrei che tu rientrassi nel Wizengamot. I criminali da processare non mancheranno di certo.»
«Be’, adesso che Silente è stato reintegrato nel ruolo di Stregone Capo, posso certamente ritirare le mie dimissioni.»
Ma Amelia scosse il capo. «Temo proprio di no, visto che sono state accettate. Per rientrare, dovrai seguire la trafila ordinaria.»
«Cosa!?» Protestò la Marchbanks, sinceramente indignata. «Vorresti farmi fare tre anni come Cancelliere? Alla mia età e con la mia esperienza?»
«Vedremo di limitarci ad un processo soltanto, dopodiché potrò promuoverti per “meriti insigni”. Più di così non posso fare.»
«Immaginò di no» commentò Griselda, scura in volto. «Certo, Grogan Stump…»
«…ha stabilito queste regole» la interruppe Amelia Bones. «E, già che ci siamo, Griselda: per favore, risparmiaci la tua passione per le lingue morte. Non voglio vedere verbali in Latino…»
«In Law-French, semmai. E sono perfettamente legali.»
«Non ha la minima importanza! Chi vuoi che li capisca più?»
La Marchbanks si schiarì la gola in modo terribilmente professorale. «Grogan Stump ha pensato anche a questo, sai?»
«Ah sì?»
«Ma certo. Una volta risolto il problema di classificare le Creature Magiche e riconosciuto a molte di loro il diritto di collaborare alla formazione delle leggi, è chiaro che queste leggi dovevano essere scritte in un linguaggio comprensibile anche ai non-Maghi.»
«Conosco la storia, grazie.»
«Non ne dubito. Ma forse non ricordi che Grogan ha, bensì, permesso la redazione degli atti ufficiali in Inglese – la lingua umana più nota tra le Creature Magiche – però non ha affatto vietato di scriverli in Latino, o in Law-French, o in altra lingua tradizionale.»
«Insomma, legalmente non posso impedirtelo, giusto?»
«Giusto.»
«Controllerò, Griselda. Controllerò con molta cura. Ti farò sapere nei prossimi giorni.»
«Molto bene. Se, per adesso, non c’è altro,…»
«No. Va’ pure e buon lavoro.»
«Grazie. Anche a te.» E Griselda Marchbanks uscì, mantenendosi impassibile, a dispetto della soddisfazione che provava: poteva dirsi certa di aver salvato il proprio Ufficio. Cosa importava se avrebbe dovuto affrontare tagli e trasferimenti di personale? Aveva buone probabilità di realizzare – finalmente! – le riforme che più le stavano a cuore!
E il suo migliore alleato, Albus Silente, era di nuovo in sella…
Sorrise. Le cose non sarebbero potute andare meglio.

 

L’ottimismo della Marchbanks, quella mattina, era una nota isolata al Ministero, come isolata rimase la compostezza del Responsabile dell’Archivio – ospitato nei sotterranei, accanto alle vecchie aule di giustizia - che, impugnata la piuma, seppe vergare tre rotoli che illustravano il molteplice contributo del suo Ufficio allo sforzo bellico, contributo che una massiccia riorganizzazione avrebbe permesso di accrescere anche se la pianta organica fosse stata ridotta di dieci unità. No, quel giorno, ottimismo e compostezza erano merci rare, negli Uffici: l’uragano Bones le aveva spazzate via.
Anche il Primo Livello, che ospitava gli Uffici di diretta collaborazione del Ministro, non era il tranquillo occhio del ciclone che soleva essere in occasioni consimili: completamente ignorato dalla circolare, temeva di essere ridimensionato o, al contrario, costretto ad un ruolo di primo piano, ma anche di prima linea. Di scrivania in scrivania, correvano le voci più disparate sulle intenzioni del Ministro, mentre anche i meglio informati non riuscivano a capirci più niente. E, con il passare dei minuti, l’apprensione montava.
I Livelli inferiori non erano da meno: chi temeva il superlavoro (Applicazione della Legge sulla Magia), chi, peggio ancora, la soppressione e i nuovi incarichi (Cooperazione Magica Internazionale), o addirittura il licenziamento in tronco (Giochi e Sport Magici).
Di ufficio in ufficio, di Livello in Livello, la fama dell'Amelia Bones riformatrice scorrazzava per tutto il Ministero e il moto ne accresceva la forza, come se fosse stata un gigantesco ciclone.
«Il Ministro? E’ una dura, amico, durissima.»
«Ha appena fatto frustare quattro impiegati che avevano tardato un paio di minuti a consegnare un rapporto.»
«No, erano sei dirigenti.»
«Macché, sette Auror, vorrete dire!»
«Frustati? Questo è niente! Avete saputo di quello che ha fatto cucinare in crosta? E poi lo ha licenziato!»
«Chi, quello che si era portato uno spuntino in ufficio?»
«No, no, quello è finito a dar la caccia al Gigante…»
«E a ricevere una Strillettera.»
«Di licenziamento, senza dubbio.»
«Non mi stupirei se sopprimesse l’intero Ufficio.»
«Dicono che perfino gli Auror si siano salvati per un pelo.»
«Avete letto la circolare? Deciderà lei il destino del nostro lavoro.»
«Anni di onorato servizio, e di colpo mi trovo a non sapere cosa farò domani!?»
«Se farai qualcosa.»

In un Ufficio soltanto ferveva un’attività intensa: era l’Ufficio su cui la circolare colpiva più duro. Al Nono Livello regnava il panico vero e proprio. Ogni Indicibile cercava il proprio superiore, conciliaboli concitati fiorivano in tutti gli angoli, quasi sempre con lo scopo di decidere il da farsi; molti erano indaffarati a nascondere o distruggere le prove di attività illegali o comunque compromettenti. Un gruppo di temerari stava addirittura pensando di sottoporsi ad una raffica di Incantesimi di Memoria, una volta distrutti i documenti: erano, naturalmente, i responsabili del progetto più segreto e più illegale della storia dell’Ufficio, nome in codice “DP”. In mezzo a questo caos frenetico, pochi volenterosi sudavano sulle istanze previste dalla circolare, sforzandosi di vincere l’abitudine alla segretezza.

Tre «Urrà!» raggelarono tutte le attività.

Altrettante pergamene, levatesi in volo, recavano le prime istanze verso l’empireo.

Sui malcapitati autori, rei di esultare nella comune sventura, piombò una raffica di sguardi raggelanti. Avessero almeno avuto il buon gusto di vergognarsi! Crumiri! Traditori!

Così, nessuno notò che stava spiccando il volo anche una quarta pergamena, destinata a scatenare l’ira funesta di Giove.

 

Amelia Bones scorse soddisfatta le tre istanze degli Indicibili, ripromettendosi di esaminarle con cura alla prima occasione; ma l’incipit della quarta pergamena riuscì a sbalordirla dapprima, a farla infuriare poi.

Egregio Ministro,
temo che la Sua cosiddetta “circolare organizzativa generale” non sia suscettibile di applicazione…


E giù uno sproloquio sul fatto che una circolare non può revocare i Decreti, tantomeno quelli che istituiscono gli Uffici, e neppure sospenderli, e comunque l’Ufficio Misteri godeva di autonomia fin dalla sua istituzione. Era sottinteso, tra i cavilli e l’ironia, un “Chi si crede di essere, Lei, per tartassarci i coglioni a ‘sto modo?
Il viso contorto dalla rabbia, Amelia afferrò piuma e pergamena, cominciando a scrivere furiosamente.

Un rumore improvviso azzittì tutti gli Indicibili. Non fecero neanche in tempo ad alzare gli occhi, che già un stormo di pergamene invadeva tutte le stanze, spiegava le ali, si affiggeva alle pareti.

 

Decreto del Ministro della Magia

 

Questo Ufficio, il suo personale, tutte le sue attività e l’intera documentazione debbono considerarsi sottoposti ad ispezione ministeriale di primo grado, ai sensi del Regolamento Generale sui Poteri Ispettivi e di Vigilanza, art. 25, con effetto dall’affissione del presente Decreto.

Di conseguenza:

  1. locali e documenti sono sigillati magicamente, in modo tale che sia impossibile manometterli;
    2.il personale deve considerarsi sospeso dalle funzioni e dallo stipendio, in quanto passibile di inchiesta disciplinare, finché non sia altrimenti disposto;
    3.le richieste di prosecuzione delle attività, predisposte e/o inoltrate ai sensi della mia Circolare Organizzativa Generale di cinquantotto minuti fa, saranno esaminate nel corso delle visite ispettive; qualora l’Indicibile responsabile del progetto non sia in grado di illustrarle o di sostenerle, esse dovranno ritenersi improcedibili e non potranno essere ripresentate.

 

Firmato:

Amelia Susan Bones

Ministro della Magia

 

Prima ancora che gli Indicibili, attoniti, riuscissero a cogliere la portata dell’uragano Bones, che li aveva investiti con l’arma più potente di tutto l’arsenale ministeriale, esso uragano assunse forma fisica e tangibile. Le porte dell’Ufficio si spalancarono per accoglierlo.
Avviluppati in lunghi mantelli neri, più raggelanti dei Dissennatori, i leggendari Inquisitori del Ministro facevano il loro ingresso nell’Ufficio Misteri; alla loro testa, marciava Amelia Susan Bones in persona, decisa a stroncare senza indugio la fronda interna.
Quella processione lugubre, malaugurate, era chiusa da due figure talmente incongrue e variopinte che, per un momento, gli Indicibili non seppero identificarle; poi, una di loro prese a scattare foto a raffica, mentre i lampi del flash illuminavano un ghigno omicida sul volto del Ministro.
«Signore e signori,» esordì Amelia, «vi presento il primo Direttore dell’Ufficio per la Trasparenza e la Comunicazione Esterna! Mi è parso opportuno offrire a tutto il Mondo Magico un segno concreto della nostra incrollabile volontà di trasparenza; segno che, in verità, è duplice, potendosi ravvisare sia nella stessa persona del Direttore» accennò un inchino «sia nella sua presenza qui, in quest’occasione triste, e tuttavia storica.»
Rita Skeeter piegò appena il capo, ma il gesto non valse a mascherare lo scintillio avido degli occhi, ansiosi di scandagliare centinaia di documenti segretissimi.
Tra i bagliori incessanti del flash, gli Indicibili riuscirono solo a scambiarsi occhiate inorridite.
I più colpevoli di tutti trassero un intimo e sacrosanto sospiro di sollievo: erano riusciti a distruggere tutto appena in tempo! Con un po’ di fortuna, nessuno avrebbe mai scoperto nulla nel Progetto DP; il quale, essendo un essere senziente, era immune dalle magie ispettive e se la sarebbe cavata benissimo, anche senza la loro sorveglianza. Un giorno, chissà, avrebbero potuto riprendere il lavoro interrotto….


Note:
so bene che è insolito suddividere un prologo in due parti, ma questo sta raggiungendo una lunghezza mostruosa. No, non è colpa della mia inguaribile verbosità. Non solo, almeno; gli argomenti trattati sono molti e piuttosto complessi.
Se anche voi siete rimasti delusi e pure un po’ schifati dal Ministero guidato da Scrimgeour, spero che apprezzerete la mia scelta di far sopravvivere Amelia Bones. In questa fic, Caramell si è comportato in modo più dignitoso, dimettendosi subito dopo aver annunciato il ritorno di Voldemort (fine del quinto libro), così Amelia è diventata Ministro e questo le ha evitato la sorte riferita nel cap. 2 de
“Il Principe Mezzosangue”.
Vi siete mai chiesti in che modo reclutino il personale? Soprattutto considerato che Bertha Jorkins, per comune consenso un caso clinico, non è stata licenziata, come vorrebbe il buonsenso, bensì scaricata da un Ufficio all’altro, a guisa di peso morto? Bene, qui ci sono le mie risposte. Spero tanto che non rispecchino il canone, ma temo che le informazioni di cui disponiamo le rendano
molto plausibili.

Grogan Stump, di cui Griselda Marchbanks è un’ammiratrice fanatica, è stato un Ministro molto popolare, noto soprattutto per aver risolto il problema della classificazione delle Creature Magiche. Ho immaginato che, una volta chiarito quali di esse avessero il diritto di partecipare alla vita politica della comunità magica, egli si sia posto anche il problema della lingua ufficiale dei Maghi. Di qui il Decreto che gli ho fatto escogitare e che, per fortuna vostra e mia, non pubblico qui, ma all’indirizzo http://xoomer.alice.it/jfk84/Fanfiction_Extra/De%20Instrumentis%20in%20Curia%20Magorum%20conficiendis.doc. Mi scuso per la scarsa qualità del Latino.
Il Law-French è uno strano gergo, simile al Francese, che è stato la lingua ufficiale dei giuristi, nell’Inghilterra Gabbana, fino all’Ottocento. Niente di strano che la Marchbanks si comporti come un’accesa conservatrice e ne pretenda il mantenimento.
E, a proposito di Griselda, ricordate le sue dimissioni dal Wizengamot e la protesta che “Hogwarts è una scuola, non una succursale dell’ufficio di Caramell”? Ci ho ricamato un po’ sopra ed ecco a voi gli Inquisitori del Ministro, temutissimi super-ispettori dai poteri tanto rari quanto raramente usati, tanto che su di loro si raccontano leggende. Nere, naturalmente. Meditateci sopra, per un momento, e capirete perché Caramell abbia scelto di nominare la Umbridge “Inquisitore Supremo”.

Un’ultima domanda: ma cosa diavolo fanno all’Ufficio Misteri?

La risposta alla prima occasione…

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Capitolo 2
*** Prologo. Parte seconda ***


PROLOGO. PARTE SECONDA.

Prologo. parte seconda.



Ringraziamenti:
Natalie_S: Scusa per la lunga attesa, ma, come puoi vedere, non sono rimasto inoperoso, durante questi lunghi mesi. Il Decreto in Latino ti è piaciuto? Attenta, potrei essere tentato di fare il bis!
Rico: Meno male che ho diviso il cap. in due parti, perchè temo che anche questa non scherzi, quanto a complessità!
Mariademolay: Quanto al ragionamento di Griselda, sarei molto curioso di conoscere i tuoi dubbi; alle altre osservazioni risponde, a mio avviso, proprio questa seconda parte del Prologo; per lo più, in termini di condivisione.



Si incontrarono al Primo Livello, all’uscita dall’ascensore.
«Ministro,» si inchinò Silente.
«Chiamami Amelia» ribatté la donna, in tono neutro. «Lavoriamo insieme da troppi anni per perdere ancora tempo con i titoli, Albus.»
«Molto bene, Amelia. Per prima cosa, vorrei congratularmi con te.»
«Per la nuova carica? Grazie, ma penso che finirò per lasciarci la pelle.»
«Davvero?» Silente tacque, come pensieroso, e restarono in silenzio finché non giunsero all’ufficio. Rufus li aspettava sulla soglia.
«Silente» salutò, con un cenno del capo.
«Scrimgeour» rispose il Preside, con lo stesso contegno circospetto.
Entrarono e sedettero.
Imponendosi tutta la circospezione possibile, Amelia Susan Bones, Ministro della Magia, si eresse sullo schienale, alzando gli occhi ad incontrare le penetranti iridi azzurre di Silente.
«Molto bene, Albus,» esordì. «Hai già ricevuto le mie scuse personali per il modo indegno in cui il mio predecessore e tutta la precedente Amministrazione ti hanno trattato. Inoltre, sei stato reintegrato in tutte le tue cariche ed onorificenze e questo – gli passò un rotolo di pergamena attraverso la scrivania – è il Decreto Didattico Numero Trenta, firmato oggi, con cui sopprimo la carica di Inquisitore Supremo. Hogwarts tornerà ad essere governata secondo le consuetudini di sempre.»
Gli occhi scintillarono, divertiti, forse soddisfatti, mentre il vecchio Preside scorreva il foglio; poi, con un secco cenno del capo, lo ripose nella cartella. «Ti ringrazio, Amelia. Questo Decreto era molto atteso.»
«Non ne dubito. Dunque dimmi: possiamo lasciarci alle spalle le incomprensioni di prima?»
Albus sorrise. «Amelia, carissima, tra noi non ce n’è stata neanche una; e Cornelius se le è create da solo. Posso assicurarti che non ho mai provato rancore nei confronti del Ministero.»
«Molto bene. Perché il Ministero ha bisogno di te.»
Nel breve silenzio che seguì, si udì chiaramente Rufus che digrignava i denti.
Lo sguardo di Silente appariva assorto, mentre si accarezzava la barba, come a cercarvi qualche segreto recondito. «Il Ministero ritiene di aver bisogno di me?»
Il Ministro non si lasciò ingannare dal tono casuale e percepì i sottintesi: É un’iniziativa solo tua? Quanto sono d’accordo i tuoi sottoposti? Fino a qualche giorno fa, il Ministero rifiutava qualsiasi aiuto. Specialmente da parte mia.
«Albus, mi sorprende che tu possa dubitarne. Finché alcuni di noi si sono illusi che tu fossi rimbambito, o che avessi preso gusto a raccontare favole spaventose, o, ancora, che intendessi rovesciare il Ministro in carica e impadronirti del potere… be’, ovviamente, fino ad allora, non ci siamo certo rivolti a te. Ma adesso che sappiamo…».
Lentamente, gli occhi freddi dietro le lenti a mezzaluna, il Preside annuì. «Capisco.»
«Tu sei il solo Mago che Tu-Sai-Chi tema; tu conosci meglio di chiunque altro il nemico contro cui dobbiamo combattere.» Amelia lasciò filtrare nella voce un po’ dell’urgenza che sentiva: il bisogno disperato di reclutare alleati.
Silente taceva.
«Siamo dalla stessa parte, Albus,» concluse il Ministro, lanciandogli il più diretto degli sguardi.
Riuscì, almeno, a strappargli un sorriso. «Lo siamo sempre stati, Amelia, noi due.»
Ella ricambiò il sorriso e scrollò il capo, assumendo un atteggiamento che, in un’altra donna, si sarebbe definito sbarazzino. «Hai già saputo della mia Circolare Organizzativa Generale?»
«Nell'Atrium e per i corridoi correvano voci di tutti i generi. Metà degli impiegati teme di perdere il posto, l’altra metà di finire ad Azkaban.»
Amelia rise, sinceramente divertita: «Chissà, forse dovrei accontentarli!»
«Se lo ritieni giusto, fallo pure; ma attenta, perché poi dovrai sostituirli.»
«Oh, di tanti fannulloni non si sentirà certo la mancanza!» Tornò seria. «No, Albus, ho altri piani. Siamo in guerra, quindi il personale del Ministero – tutto il personale – deve considerarsi, diciamo, in servizio militare effettivo e permanente.»
«Anche i nuovi Uffici?»
«Soprattutto i nuovi Uffici.» Gli indirizzò uno sguardo severo. «Parliamoci chiaro, Albus: ho assunto Rita Skeeter perché credo davvero che il Ministero debba cambiare registro e smettere di conservare segreti di Pulcinella o scheletri nell’armadio; ma questo non significa che la metta a parte dei miei piani di guerra.»
Adesso Silente annuiva, un ghigno beffardo che si allargava sul volto grinzoso. «Capisco. Gettiamo l’Ufficio Misteri in pasto ai lupi, sacrifichiamo gli inetti più sacrificabili… e distogliamo sia Rita, sia il suo pubblico dal vero problema.»
«Esatto. E prevedo che le scartoffie dell’Ufficio Misteri terranno Rita impegnata per un mese almeno; se poi si aprisse qualche inchiesta disciplinare… Chissà!»
«Eccellente. E, nel frattempo, la paura potrebbe perfino spingere qualche impiegato a lavorare.»
«Giusto anche questo. Perciò, mentre Rita indaga e i miei inferiori tremano, noi» - allargò le braccia a ricomprendere loro tre -  «facciamo i piani.»
Silente ridacchiò. «Amelia, Amelia, tu mi fai troppo onore! Cosa puoi aspettarti da un povero vecchio come me?»
«Tutto quello che puoi darmi. E non mi rivolgo soltanto allo Stregone Capo del Wizengamot, o al Preside di Hogwarts,… o al Supremo Pezzo Grosso, al più grande Mago del mondo.»
«Titoli non desiderati, forse neppure meritati.»
«Un altro, però, desiderato e meritato.» Trasse un profondo respiro, pregando che, per una volta, gli Auror l’avessero imbroccata. «Fondatore dell’Ordine della Fenice.»
Il più grande Mago, eccetera eccetera, batté due volte le palpebre.
La stima di Amelia per Rufus e il suo Ufficio risalì di parecchi punti: poche, pochissime volte aveva visto il grande Albus Silente preso in castagna. Per questo riconosceva i segni. Li aveva mandati a memoria.
«Ah.» Il vecchio parlò con deliberata lentezza. «E… cosa potrebbe mai volere il Ministero dal Fondatore di questo… ipotetico Ordine?» Lanciò un’occhiata a Rufus, che, per la prima volta, scoprì i denti, lunghi e giallognoli. Un sorriso molto simile al ghigno di uno squalo.
Ma fu ancora Amelia a rispondergli: «Vogliamo tutto ciò che questo… ipotetico, fantomatico Ordine è in grado di dare.» Tanto valeva parlare chiaro.
«Per esempio?»
Il tono innocente della domanda non convinse nessuno.
«Per esempio…» Amelia si voltò verso Scrimgeour, che raccolse la palla:
«Per esempio, rinforzi, Silente.»
«Avete tutto il personale del Ministero a vostra disposizione; un manipolo di Maghi, per giunta ipotetico, non merita di essere definito “rinforzo”.»
«Qui ti sbagli.» Rufus era nel suo e neanche il più grande Mago, eccetera eccetera, sarebbe riuscito a fregarlo. «Questo manipolo… ipotetico, come dici tu… potrebbe occuparsi di cose per cui noi del Ministero, per varie ragioni, siamo... inadatti. E sto parlando» aggiunse in tono secco «delle mansioni più delicate.»
«In altri termini, dovete essere sicuri che certe faccende non finiscano in mano a seguaci o informatori di Voldemort,» replicò Silente, più pacato che mai.
Era il loro turno, adesso, di sentirsi presi in castagna.
«Molto bene,» riprese il Preside. «Molto bene. Penso di poter fare qualcosa per aiutarvi.» Scostò la sedia e si alzò, bacchetta in pugno.
Amelia e Rufus, improvvisamente rigidi, si mantennero impassibili, ma ben decisi a vendere cara la pelle.
Silente, lungi dall’aggredirli, mosse la bacchetta come se dovesse dirigere un’orchestra. Sobrie e possenti, le note iniziali del Rex tremendae di Mozart riempirono il piccolo ufficio, cui la magia concedeva, all’improvviso, un’acustica perfetta.
Il Ministro non batté ciglio; placò con un semplice cenno l’insofferenza di Scrimgeour e ascoltò, quasi compunta, le voci che si rincorrevano fino a intrecciarsi e fondersi nell’unisono, in un solo, severo omaggio che subito si tramutava in nobile supplica.
«Salva me, fons pi-e-ta-a-a-tis!»
Quando l’ultima nota tremolò nell’aria, Amelia accennò un applauso, cui Silente rispose con un inchino, prima di tornare a sedersi, ignorando l’aria seccata di Rufus.
«Molto bene, Albus.»
«Grazie, Amelia.»
Rufus lasciò affiorare l’impazienza: «Bene, Silente. Se ora volessi degnarti di illuminare noi poveri deficienti con il lume della tua scienza…»
«Oh, non intendevo dire nulla di trascendentale.» Tacque un istante. «Però, credo che questo sia il migliore degli aiuti: ricordarvi che leggi, circolari e decreti non basteranno a sconfiggere Voldemort.»
Non gli diedero la soddisfazione di sussultare al suono di quel nome.
«Fammi capire: ci stai proponendo di affidarci alla preghiera, Albus?»
«Potrebbe essere una buona idea, Rufus,» concesse il Venerato Maestro; «tuttavia, suggerirei piuttosto di concentrarci sugli uomini. Dopotutto, mentre scriviamo leggi e decreti - e forse anche mentre preghiamo - è facile dimenticare che abbiamo a che fare con uomini in carne ed ossa. Questo sono i nostri soldati. E questo sono anche coloro che dobbiamo proteggere: Maghi, Maghinò e Babbani.»
Amelia raccolse il suggerimento che sentiva implicito: «Come possiamo smascherare i Mangiamorte e i loro informatori, Albus?»
Il vecchio Mago sorrise sornione e mosse di nuovo la bacchetta come un direttore d’orchestra, accennando un motivetto atonale.
«Con la musica?» chiese Rufus, incerto tra sbigottimento e disprezzo.
Silente annuì, continuando a sorridere e canticchiare, il capo che ondeggiava al ritmo della nenia.
Prima che potessero replicare, l’ufficio si riempì di una musica ben diversa, suoni che li spinsero a balzare in piedi, bacchette pronte.
Urla. Urla di terrore.
«Restate qui!» ordinò Amelia, precipitandosi fuori. E tanto imperioso era stato il suo tono che, per un lungo istante, Silente e Rufus rimasero quasi impietriti. Poi si scambiarono uno sguardo indeciso; l’Auror scrollò le spalle.
«Se la caverà. Poco ma sicuro.» Tornò a sedersi e Silente lo imitò.
Per qualche istante regnò il silenzio, ma Scrimgeour si mantenne vigile, certo com’era che il cervello bislacco di quel pazzo furioso stesse escogitando qualche tiro mancino al suo indirizzo.
E infatti, il Supremo Pazzo Furioso proferì verbo.
«Sai, Scrimgeour, dovresti rilassarti un po’. Tu prendi la vita troppo sul serio.»
D’istinto, Rufus si irrigidì ancora di più, scoccandogli un’occhiata gelida. Un errore, capì non appena l’ebbe udito ridacchiare.
«Sto scrivendo un nuovo libro, sai?»
«Ah, davvero?»
«Sì. E’ quasi finito, potrei regalartene una copia.»
«Grazie, ma non penso proprio che troverei il tempo di leggerlo.»
«Dovresti, invece.» Aprì la cartella e ne estrasse una mostruosa congerie di pergamene, che le bande di seta nera si sforzavano invano di costringere a formare un blocco compatto. Silente sospirò. «Ecco un bel problema… Quando un genio scrive di un altro genio, alle pergamene succede qualcosa di strano: vogliono mettersi come credono loro, non restare in fila, dalla prima all'ultima pagina! "Genio e sregolatezza"...»
Rufus buttò un occhio sulla pergamena in cima al mucchio, che si contorceva nello sforzo di liberarsi.
«"Lewis Carroll. Il Magonò che ha stregato i Babbani."»
«Precisamente» approvò l’autore. «Un mio caro amico, il vecchio Lewis, un caro amico di gioventù. Innamorato dei Babbani al punto di voler insegnare nelle loro scuole. Mi ha fatto scoprire la passione per l’insegnamento, sai?»
«Sul serio?» Questo spiega molte cose.
«Sì. E anche il mondo Babbano.»
«Capisco.» Di bene in meglio.
«Era un uomo molto infelice» sospirò Silente. «Né Mago, né Babbano; “innamorato di entrambi i mondi, ma incapace di appartenere davvero all’uno o all’altro; capace di osservarli entrambi con il più lucido disincanto, oppure di fonderli in un giocoso labirinto letterario dispiegato in più volumi…”»
«Stai citando?» Quel tono professorale non gli garbava affatto.
«Mi perdonerai la mancanza di modestia, ma sì, stavo citando me stesso. E’ uno dei capitoli centrali del libro.» Indicò il cumulo tremolante che ingombrava la scrivania. «Ma sono indeciso… non so se inserire un certo particolare.»
«Ma davvero?» La sua sopportazione stava giungendo al limite.
«Vedi, Lewis mi ha concesso – per così dire – il posto d’onore, all’interno del suo labirinto. Se rivelassi di essere io il personaggio, diciamo così, cruciale, forse anche quello più amato… potrebbe sembrare pretenzioso.»
Rufus si limitò a grugnire, così censurando i propri apprezzamenti circa la sconfinata vanità del Supremo Pazzo Furioso e Gran Pallone Gonfiato.
«Naturalmente,» seguitò il Grande, imperterrito, con quel tono leggero che spaventava a morte chiunque lo avesse frequentato, «dipenderebbe dalle circostanze e dal personaggio, non credi, Rufus?»
«Ma certo» rispose Scrimgeour, sempre più diffidente.
Ma, per quanto egli tenesse la guardia alta, Silente riuscì a coglierlo in castagna. Sorrise; un sorriso ironico, sornione. E, davanti ai suoi occhi esterrefatti, il sorriso si allargò, si allargò, riempì tutta la faccia, mentre il resto del corpo…
Svaniva…
Rufus crollò sulla sedia, esalando un lungo respiro. Quel colpo era troppo, per i poveri nervi di un uomo che non dormiva da quaranta e passa ore.
Ma i poveri nervi, per quanto malconci, non gli concessero di svenire. Alla Scuola si insegna alle reclute che "Un Auror non sviene mai. E raramente muore.".
A salvarlo dall’imbarazzo irruppe Amelia, che spalancò la porta con fragore. Silente ricomparve, in piedi, accanto a Scrimgeour, bacchette in pugno.
«Corri, Rufus! I tuoi uomini… ti aspettano!» ansimò il Ministro, trafelato.
«Che è successo?» chiese l’Auror, già infilando la porta.
«Quelle urla… era una Strillettera. Quei poveri disgraziati… hanno trovato il Gigante.»
Scrimgeour si dileguò, veloce quanto gli permetteva la menomazione.
«Forse è meglio che vada anch’io, Amelia. Avrai da fare.»
«No, Silente. Resta. Non devo occuparmi del Gigante… non ora, almeno.»
«Non dovremmo aspettare il ritorno di Rufus?»
«No.» Abbassò la voce. «Mi servono due cose: un modo per smascherare Mangiamorte e complici dei Mangiamorte. Un altro per rendere veramente segrete le attività del Ministero.»
Silente parve apprezzare il linguaggio diretto. «Prima cosa: il canto della Fenice. Fallo risuonare in tutto il Ministero, giorno e notte; imponi a Celestina Warbeck di vocalizzarci su, se necessario, ma fa’ in modo che entri nella casa di ogni Mago. I malvagi non lo sopportano, non a lungo.» Fece una pausa. «Naturalmente, non tutti i malvagi sono Mangiamorte…»
«E non tutti i buoni sono dalla nostra parte» aggiunse il Ministro. «Non ancora, almeno.»
«Non finché Voldemort non mostrerà il proprio vero volto» convenne Silente. «E, anche allora, molti avranno paura; pochi combatteranno.»
«Albus?»
«Sì?»
«I ragazzi. I ragazzi dell’Esercito di Silente.»
«L’Esercito di Harry Potter, Amelia.»
«Sia come sia. Addestrali per bene, mi raccomando. Hogwarts non è un luogo sicuro. Non più.»
«Lo so bene.»
«L’altra volta, Voldemort non ti ha sfidato apertamente… Ma adesso?»
Il sorriso del Preside infondeva vera fiducia. «Ci siamo scontrati proprio qui al Ministero. Credo di avergli dimostrato che, se mi crede rammollito, si sbaglia di grosso.»
«Ma neanche tu hai il dono dell’ubiquità. Io e Rufus abbiamo predisposto un piano per garantire sicurezza a Hogwarts e Hogsmeade – lo esamineremo insieme, al suo ritorno – ma non importa quanti Auror possiamo dislocare nei paraggi, i ragazzi faranno bene a sapersi difendere da soli.»
«Giusto. Ma mi pare che, qui al Ministero, se la siano cavata abbastanza bene.»
«Albus. Tu hai voluto ricordarmi che leggi, circolari e decreti non basteranno a sconfiggere Tu-Sai-Chi. Ebbene, io vorrei ricordarti che neanche un gruppo di ragazzini basterà.» Fece una pausa. «Neppure se Harry Potter fosse… il Prescelto
«No?»
«No. E lo sai bene. L’ultima volta, Potter ha tolto di mezzo Tu-Sai-Chi, è vero; ma non i Mangiamorte. Non i suoi seguaci. Quelli sono sopravvissuti a Incantesimi, Auror, leggi, decreti, processi e, spesso, Dissennatori
«E sono di nuovo tutti lì. A combattere per Voldemort.»
«Già. Tutti. I coraggiosi e i codardi. Gli astuti e i brutali. Per questo esigo segretezza. Non voglio un altro Rookwood.»
«Un Indicibile.»
«Appunto. Uno che nella segretezza sguazzava… perché tutto era segreto, tranne quello che veramente lo sarebbe dovuto essere!»
«Riflessione condivisibile.»
«Grazie. Allora, Albus, che aiuto mi puoi dare?»
Il vecchio Mago strinse le labbra. «Nessun aiuto veramente risolutivo. Ci sono troppe informazioni e troppe persone coinvolte. Ma credo che Alastor Moody farà bene la sua parte.»
«Lo credo anch’io.»
«Proteggere i documenti è ancora abbastanza facile… ma i mezzi di comunicazione magici…» Spalancarono le braccia entrambi, in un identico gesto di impotenza.
«Tuttavia,» riprese Silente, «esiste un mezzo di comunicazione che ho inventato io.»
«Perché non mi stupisco?»
«Perché mi conosci. E’ a prova di Mago Oscuro: si basa su una modifica dell’Incanto Patronus. Questo, però, significa anche che soltanto pochi riusciranno a padroneggiarlo.»
«Credo che la Scuola per Auror potrà farli diventare molti.»
«Speriamo.» Stava per aggiungere qualcosa, ma si bloccò: quasi svellendo la porta dai cardini, Rufus Scrimgeour, insanguinato da capo a piedi, piombò nella stanza. Reggeva con entrambe le mani una cosa rossa e nera che non fecero in tempo a mettere a fuoco: con un gran sorriso, il capo degli Auror depose sulla scrivania, davanti ad Amelia, il proprio trofeo.
La testa del Gigante.

L’indomani, la Gazzetta sparò un titolone di sei colonne in apertura:



IL MINISTRO STANA IL GIGANTE



Arthur Weasley sorrise e cominciò a leggere, a voce alta, in modo che Perkins, la cui vista era molto peggiorata, non perdesse neppure una sillaba:
«Rita Skeeter – inviata speciale al Ministero.
Infuriata perché l’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche si dimostrava incapace di stanare il Gigante responsabile dei recenti massacri, Amelia Bones, Ministro della Magia, ha indirizzato una Strillettera di reprimenda a ciascuno degli impiegati messi alla sua ricerca. Una decina di loro si era fermata a riposare in cima ad una collina, quando le loro Strillettere sono arrivate. Sono stati assordati da un frastuono davvero indescrivibile: le lettere si sono aperte tutte assieme. E non hanno fatto in tempo a riprendersi, che già la collina si stava muovendo.»

«No!» esclamò Perkins.
«Oh, sì. Il Gigante era camuffato da collina. Ci stavano seduti sopra.»
«E le Strillettere lo hanno svegliato.»
«Già.»
«E l’Incantesimo che lo camuffava è andato a farsi friggere.»
«Per l’appunto. Vuoi lasciarmi leggere?»
Il vecchio mago chinò il capo, mortificato, e Arthur riprese a scorrere il giornale.
«Uhm, uhm… Dobbiamo, purtroppo, dar conto di nove caduti tra le fila del Ministero, tutti stritolati dal Gigante prima che potessero anche solo pensare a difendersi. Il decimo uomo, invece, è riuscito a sfuggirgli, arrampicandosi fino alla testa e gettandosi nel vuoto di lì. Ammazza!»
«E non è morto?»
«No. Caduto da poco meno di sette metri, con gli arti fracassate, il nostro eroe è riuscito egualmente a dare l’allarme. Non poteva scrivere, così ha dettato una Strillettera. Sapeva che le sue urla di terrore sarebbero state più efficaci di mille parole
«Poco ma sicuro.»
«Le hai sentite anche tu? Io ero proprio lì, al Primo Livello.»
«Le ha sentite tutto il Ministero.»
«Non mi stupisce. Uhm… Il tempestivo arrivo degli Auror… scontro sanguinoso, culminato nella singolar tenzone tra il Gigante e Rufus Scrimgeour… la testa del Gigante esposta al pubblico, nell’Atrium nel Ministero…»
«Non c’era bisogno di leggerlo!» sbottò Perkins, reprimendo un conato di vomito.
«Non è uno spettacolo che si dimentichi facilmente, vero?»
«Proprio no.» Una buona metà degli impiegati aveva lasciato la propria colazione a navigare sul pavimento. E magari pure qualche frammento di budella.
«Incendio!»
Con un grido, Arthur Weasley lasciò cadere il giornale in fiamme.
Dalla soglia aperta in modo tanto silenzioso, Rufus Scrimgeour lo squadrava con profondo, palese disprezzo.
«Se fossi un Mangiamorte, a quest'ora sareste entrambi cibo per vermi!»
Nessuno dei due giudicò saggio replicare.
«Weasley, i tuoi giorni da Babbanofilo nullafacente sono finiti.»
«Scrimgeour… io… posso spiegare…»
«Non a me» tagliò corto l’altro. «Muoviti. Il Ministro ti vuole.»
Mentre Arthur tentava di infilarsi gli occhiali sul naso – e non negli occhi, maledizione! – il Direttore dell’Ufficio degli Auror parve ricordarsi di Perkins. Lo fissò per qualche istante interminabile, come una vipera può guatare una preda, e poi sparò: «Prima linea, Perkins.»
«Signore?» Il poveretto si portò una mano all’orecchio, sinceramente convinto di aver capito male.
«Prima linea. O quasi. Ti ho infilato nei pattugliamenti.»
L’ometto prese a tremare.
«Raccogli le tue cose, Perkins. Troveremo un uso per questo sgabuzzino. Weasley, è inutile che provi ad accecarti, non ti renderà più furbo, quindi posa quelle dannate lenti e andiamo.»
«Sì, signore.»
La porta si richiuse su un altro Ufficio soppresso.

Nei giorni e nelle settimane che seguirono, altri titoli trionfali scandirono le mattinate dei Maghi, ingaggiando un duello a colpi di sensazionalismo con la Gazzetta della Sera: titoli e articolesse sulle grandi riforme in corso al Ministero; sull’Ufficio Misteri, i suoi segreti e il nuovo corso, ora che era stato ribattezzato “Ufficio per la Ricerca nelle Arti Magiche”. E, soprattutto, sulle tre grandi inchieste – presto riunite in una sola – che vedevano ben novantatrè impiegati di vario livello incolpati delle attività illecite più disparate, ma tutte, in qualche modo, collegate con gli Indicibili. Sembrava che fosse nelle loro mani perfino il leggendario racket di promozioni & trasferimenti, materia che – guarda caso! - nessun Ministro era mai riuscito a disciplinare.
Nessuno, fino ad ora, promettevano redattori e opinionisti.
Gli articoli di carattere giuridico riempirono addirittura un Supplemento intero, quando Amelia Bones, invece di definire i procedimenti disciplinari in via amministrativa, rispolverò l’Alta Corte di Disciplina, un organismo inattivo da oltre un secolo. Esperti più o meno improvvisati spiegarono che il Ministro avrebbe presieduto un collegio di tre giudici, per poi stendere la sentenza di proprio pugno, e che, data l’eccezionale gravità dei fatti contestati, il ruolo di giuria sarebbe stato affidato al Wizengamot in sessione plenaria.
La Gazzetta riferì anche – con dovizia di particolari – la polemica che contrappose Rita Skeeter, inviata speciale, a Griselda Marchbanks, Cancelliere del Wizengamot assegnata al maxiprocesso, la quale si era messa a scrivere i verbali in Law-French e, quel che era peggio, aveva tradotto in quell’«incomprensibile gergo da legulei ammuffiti» tutti, diconsi tutti i documenti di causa, per poi archiviare gli originali nella sezione riservata del fascicolo. La Marchbanks dichiarò testualmente: «Vogliono leggere i documenti? Che imparino il Law-French!»
Le urla di Rita – spalleggiata, peraltro, dall’intera categoria – raggiunsero l’alto scranno del Ministro, ma invano: occorsero tre pagine di contorsioni giuridico-sintattiche, lardellate di consuetudini, precedenti legali e Decreti vecchi di secoli, per spiegare il perché; comunque il Ministro aveva le mani legate.

All’apertura del processo, la vecchia Aula Dieci, rimessa in uso per l’occasione, traboccava di gente. I trenta giornalisti presenti si scambiarono occhiate incredule, perplesse: nessuno si sarebbe immaginato una simile folla.
E neppure una simile rabbia: molto prima che l’aula si riempisse, l’aria si tagliava già con il coltello.
Rita Skeeter poté scrivere, in tutta sincerità, che una tensione simile non si era avvertita neppure al processo per l’aggressione ai Paciock.
«Saranno stati almeno in trecento. Trecento Maghi e streghe di ogni ceto, età e condizione, compresi alcuni che sembravano arrivati direttamente dal San Mungo e altri con un piede e tre quarti nella fossa; persone normalissime, di quelle che si incontrano per strada tutti i giorni.
Ma nella loro furia non c’era nulla di normale.
Non appena il primo incolpato ha messo piede nell’aula, mani, piedi, bocche, corpi, tutti si sono lanciati, accalcati, sospinti verso una sola meta: il linciaggio.
Dalla tribuna della stampa, attorniati da quell’improvvisa valanga umana, abbiamo visto, con profondo sollievo, l’Ufficio per la Sicurezza Interna mostrare un’efficienza inattesa: Alastor Moody in persona, alla testa della scorta, ha bloccato l’intera prima fila degli aggressori con un formidabile Incantesimo di Ostacolo; a quel punto, i suoi uomini hanno rovesciato sugli altri una grandinata di Stupeficia. Il Ministro non ha voluto far sgombrare l’Aula, perché questo avrebbe significato “estromettere non solo i cittadini indignati, ma anche la stampa”; perciò, la Sicurezza ha Incarcerato ogni membro del pubblico, in modo che non potesse muovere un muscolo, e solo dopo li ha fatti Levitare fino ai banchi e rianimati.
Neutralizzato il pericolo, gli incolpati, in un corteo interminabile, sono entrati a passo lento, sorvegliati a vista, e hanno preso posto di fronte al banco della giuria, dove, subito dopo, si sono sistemati tutti i membri del Wizengamot.
Tutti tranne uno: Albus Silente. Nei processi avanti l’Alta Corte di Disciplina, infatti, lo Stregone Capo è di diritto membro del collegio giudicante. E, quando questo ha fatto il proprio ingresso, l’Aula era immersa in una tranquillità quasi spettrale: gli insulti del pubblico erano stati repressi a suon di Incantesimi Tacitanti; quanto agli incolpati, allineati su tre file di sedie munite di minacciose catene, nessuno di loro muoveva un muscolo. E c’è da giurare che, se l’avesse fatto, i due agenti di scorta gli avrebbero fatto assaggiare qualche Incantesimo molto,
molto doloroso. Alcuni degli avocati – un centinaio in tutto, stipati intorno a un tavolo piazzato tra gli imputati e la cattedra dei giudici – scoccavano essi stessi occhiate velenose verso i propri clienti, forse tentando di emulare la grinta feroce del rappresentante dell’accusa.
Così, in un silenzio di tomba, punteggiato dal tintinnio presago delle catene, Amelia Susan Bones, primo Ministro della Magia a presiedere l’Alta Corte in più di un secolo, ha letto la solenne formula di apertura del dibattimento:
“Funzionari! Siete stati tradotti nanti questa Alta Corte di Disciplina, costituita secondo le inveterate tradizioni dei Maghi e da Noi, Amelia Susan Bones, Ministro della Magia, presieduta, per esserne giudicati secondo il diritto e le consuetudini del Mondo Magico. Qui e ora, in pubblico dibattimento, udrete quali prove si abbiano contro di voi e questa Corte, giusta, magnanima e clemente, presterà orecchio alle vostre difese.”»
.
Durante le tre settimane del dibattimento, alla pirotecnica di Rita si affiancò il gergo iniziatico di Tiberius Ogden, ex membro del Wizengamot, incaricato del commento “dotto”, propriamente giuridico, degli eventi. Egli esordì con una vera e propria filippica all’indirizzo di Williamson, il giovane e sconosciuto Auror incaricato di rappresentare l’accusa, perché aveva osato presentarsi in udienza senza indossare né toga, né parrucca. «Che, proprio in uno dei processi più gravi degli ultimi tre lustri, il rappresentante dell’accusa non indossi le insegne della propria funzione, è un insulto, uno schiaffo a tutti noi, alla Nazione di cui questo giovanotto forse spocchioso, forse inesperto, cura la difesa. Se trascura la strategia processuale come trascura il proprio ruolo e, anzi, la sua stessa persona, questo processo finirà senza una sola condanna.»
In effetti, i capelli di Williamson, perennemente unti e raccolti in un’oltraggiosa coda di cavallo, non erano uno spettacolo facile da digerire e una buona metà del Wizengamot lo guardò in cagnesco per tutte e cinque le udienze.
Ben presto, Ogden commentò che il processo era «un concorso a premi per incompetenti; o, se si vuole, un castello di incompetenze incrociate». Infatti, in quel centinaio di avvocati, non se ne trovava uno che capisse qualcosa delle accuse: per oltre un secolo, il Ministero aveva lavato i panni sporchi senza ombra di processi o di avvocatura; in più e soprattutto, «quella sadica di Griselda» li costringeva a sciropparsi i documenti in Law-French, rifiutandosi categoricamente di esibire gli originali e anche di tradurre la propria versione, perché – diceva – “Ogni giurista degno di questo nome sa leggere il Law-French!”. Per contro, Williamson aveva accesso ai documenti originali e, come ogni animale ben adattato alla giungla ministeriale, comprendeva alla perfezione fatti, accuse, circostanze; che non capisse nulla, ma proprio nulla, di diritto era palese, però non gli importava affatto, sorretto com’era dall’incrollabile certezza che – qualunque cosa potessero dire quattro Decreti ammuffiti – tutti erano colpevoli di tutto.
Di fronte ad un processo fondato interamente su prove documentali che non riuscivano a capire, alcuni avvocati più disperati della media scelsero di far deporre i loro clienti. La scelta si rivelò disastrosa: Williamson condusse gli interrogatori come altrettanti linciaggi, ignorando completamente qualsiasi regola, a dispetto dei reiterati richiami della Corte. Il pubblico, sempre Tacitato e Incarcerato, esultava, vedendo il malcapitato di turno arrossire, balbettare, incalzato da un accusatore che né le obiezioni degli avvocati, né gli interventi della Corte facevano deflettere di mezzo pollice; anzi, con un Indicibile che, carte alla mano, si ostinava a difendersi, Williamson arrivò a un passo dalla violenza fisica: «Delinquente! Assassino! Pervertito!» gli urlò in faccia, rosso come un gallo, mentre quello, ammutolito, tremava. «Lei è una vergogna per il Ministero che l’ha assunta e per la famiglia in cui è cresciuto, ha capito? No, non dica niente! Stia zitto! No, Lei-fa-schifo, a sentirLa parlare mi viene il vomito! Con la Sua difesa io mi ci pulisco il culo!»
Dopo questo suo brillante sfoggio di competenza professionale, i difensori rinunciarono alle deposizioni e si concentrarono sulle eccezioni processuali, riuscendo a impallinare Williamson almeno una dozzina di volte ogni ora. Ma né le obiezioni accolte, né i richiami della Corte e neppure le multe che, infine, Amelia si vide costretta a infliggergli riuscirono a smontarlo: continuò ad aggredire, insultare e perseguitare ogni singolo incolpato e/o difensore, illustrando un documento dopo l’altro, una prova dopo l’altra, come se le regole del processo fossero soltanto fastidiosi impicci.
La requisitoria rappresentò il culmine di tanta vis accusandi: in mezz’ora appena, riuscì a inquadrare ciascun incolpato in una delle tre bande criminali – ora alleate, ora nemiche acerrime – che infestavano quasi tutto il Ministero; in poche frasi, icastiche, ancorché ripiene di turpiloquio, dipinse un quadro di malaffare e corruzione capace di far impallidire Sodoma e Gomorra. Concluse chiedendo, per tutti quanti, il massimo della pena: congedo con disonore, perdita della pensione, ritiro delle decorazioni e mille Galeoni di multa.
Il pubblico si agitò e sussultò, in un parossismo di esultanza che fece tremare l’intera Aula. I giornalisti tacquero, intenti ad assaporare l’odore del sangue.
Gli avvocati, ad uno ad uno, si alzarono, per pronunciare poche parole, sempre le stesse: «Ci rimettiamo alla clemenza della Corte.»
Neanche un accenno di difesa: Williamson vinceva la partita per abbandono degli avversari.
Tiberius Ogden, sconsolato, rinunciò a commentare simili livelli di incompetenza incrociata, limitandosi a riferire che la camera di consiglio, con ogni probabilità, sarebbe stata molto lunga, se non altro perché i giurati erano ben più di dodici. E, tra le righe, fece capire che Albus Silente avrebbe certo trovato il modo di influenzare la discussione, pur essendone materialmente escluso.
In effetti, il Wizengamot discusse per quarantadue ore filate. Ore che tutti – giornalisti, pubblico, servizio d’ordine – trascorsero accampati in aula, aspettando la sentenza. Ora dopo ora, cresceva l’aspettativa, ma montava anche la rabbia: una camera di consiglio lunga, spesso, equivale a clemenza per l’incolpato.
Il pubblico e la maggior parte dei giornalisti si sentivano come alla finale di Quidditch, quando sei in vantaggio di centoquaranta punti e vedi il Cercatore avversario che si tuffa verso il Boccino.
Gli uomini del servizio d’ordine si avvicendarono in turni regolari, nell’arco di quelle quarantadue ore, ma quasi nessuno se ne accorse: sembravano intercambiabili, tutti impassibili e statuari.
Forse per questo, allorché finalmente si mossero, molte, molte gole si unirono in un ringhio corale: sentivano la fine dell’attesa, bramavano l’arrivo della vendetta.

L'aula di udienza era gremita di pubblico, e tuttavia immersa nel silenzio più assoluto, mentre la voce del Ministro cominciava la lettura della sentenza.
«Noi, Amelia Susan Bones, Ministro della Magia,
nanti l’Alta Corte di Disciplina essendo comparsi gli infrascritti Funzionari, qui convocati a rispondere delle accuse più oltre riferite…»

L’attenzione del pubblico – e della stessa Amelia – divagò alquanto, durante la lettura dei novantatrè nomi e il riepilogo delle cinque udienze. Silente, ghost-writer della motivazione, era riuscito a rendere piatto e monotono uno dei processi più incasinati che la Storia dei Maghi ricordasse; senza dubbio una scelta deliberata.
Giunta al termine di una selva oscura, irta di subordinate, ellissi, eufemismi, perifrasi, litoti e, soprattutto, tecnicismi da processualisti, il Ministro riprese fiato e lena, venendo al dunque:

«Osservato quindi appieno il rito in vigore, nella lettera e massime nello spirito,
di certa Scienza e legittima Autorità
abbiamo decretata e pronunziamo la seguente

SENTENZA

Riguardo ai Signori…» Otto nomi, nessun Indicibile. «Siano prosciolti da ogni accusa, vadano liberi da colpa ed esenti da pena, proseguano il proprio onorato servizio alla Nazione, né più alcuna macchia di calunnia ardisca lordarne il nome.»

Le piume volavano, mentre il pubblico mugghiava il proprio… ehm… disappunto.
Il servizio d’ordine teneva le bacchette già puntate.
Qualche avvocato piangeva.

«Riguardo ai Signori…» Dieci nomi, un Indicibile. «Scontino il danno arrecato al prestigio e all’opera del Ministero versando ad Esso un’ammenda pari a Galeoni mille; e ciò facciano nel termine di giorni trenta dalla presente pronunzia, sotto pena, in difetto, dell’aggressione ai rispettivi patrimoni e delle sanzioni che si sogliono infliggere a chi disprezza l’Autorità delle Corti legittimamente costituite.»

Le prime dieci condanne suonavano come un antipasto beffardo alle orecchie del pubblico, che cominciò ad agitarsi sul serio; un banco si rovesciò e il servizio d’ordine diede la stura agli Schiantesimi.
Williamson sembrava furioso.
Qualche bello spirito di cronista calcolò che la somma delle multe da lui collezionate equivaleva a dieci anni di stipendio.
Impassibile, Amelia Bones attese che il trambusto si placasse e proseguì:

«Riguardo ai Signori…» Stavolta, solo le penne riuscirono a tenere il conto: diciotto incolpati, di cui quattro Indicibili. «Perdano ogni grado, carica e anzianità di servizio, siano retrocessi alle mansioni più umili, né ardiscano impetrare promozione o miglior mercede, prima che siano decorsi anni tre dalla presente pronunzia.»

Diciotto carriere stroncate. Il pubblico assaporava, finalmente, il sangue tanto desiderato; i giornalisti ci stavano già sguazzando dentro.
Williamson, invece, appariva ancora più nero.
Otto, dieci e diciotto. Trentasei.
Restavano cinquantasette incolpati.
Amelia riprese la lettura e tutti trattennero il fiato.

 «Riguardo ai Signori…» - E qui la tensione crebbe, crebbe di nome in nome, perché fu tosto evidente che questo era l’ultimo capo della sentenza, che decideva la sorte di cinquantasette persone. - «siano destituiti da ogni grado, carica e impiego presso questo Ministero…»

Ma la voce del Ministro fu sommersa dagli ululati dei giornalisti, dai sussulti del pubblico, dagli Schiantesimi che grandinavano.
Al servizio d’ordine occorsero cinque minuti buoni per ripristinare una parvenza di calma, eppure Amelia non si scompose affatto: conservò una posa statuaria, il capo leggermente inclinato, un’espressione neutra.

«…presso questo Ministero, da loro offeso in sì turpe guisa; né abbiano diritto a serbare onorificenza alcuna, se mai l’avessero conseguita, né tampoco a conseguirne in futuro, se prima non sarà intervenuto il Nostro benigno perdono.»

E qui, un’altra pausa forzata: la parola “perdono”, al pubblico, non piaceva per niente.
Il servizio d'ordine cambiò tattica e placò i bollenti spiriti con un Aguamenti di acqua gelata. Bastarono venti secondi scarsi. Amelia li gratificò con un cenno di approvazione, prima di concludere:

«E ancora si vedano negare qualsivoglia mercede non corrisposta, né siano soccorsi in alcun modo nelle angustie della vecchiezza che tutti ghermisce; e nessuna fede si presti a lingue sì sfrontate e menzognere, ove mai ardissero comparire come testimoni nanti qual si sia Corte dei Maghi legittimamente costituita.»

Novantatrè incolpati. Ottantacinque condanne, di cui cinquantasette destituzioni.
Ma nessun massimo della pena. A nessuno dei destituiti era stata inflitta la multa di mille Galeoni.
Il Ministro riprese fiato e lesse anche la formula esecutiva:

«E a tutti coloro che la presente leggeranno, Noi mandiamo di metterla ad esecuzione senza frapporre indugio alcuno, come se tosto l’avessero udita proferire dalla Nostra Augusta bocca; né alcuno, esitante, osi ritrarsi dinanzi al sacro dovere della Giustizia, ma ciascuno si adoperi con tutto sé stesso, affinché siano rispettate ed eseguite le soprascritte decisioni, da Noi assunte per Nostra legittima Autorità.
Data in Londra, sotto il Gran Sigillo, appo la Sede del Ministero della Magia, addì trenta Agosto millenovecento novantasei; di Nostro pugno confermata e sottoscritta.»

Nell’Aula Dieci perdurava un silenzio da cattedrale.
Con uno sforzo visibile, Amelia Susan Bones, Ministro della Magia, levò in alto il pesantissimo Sigillum Maximum, un timbro di diorite nera che non veniva usato da quasi centocinquant'anni. Secondo la leggenda che narrava le sue origini, era capace di rendere inalterabili e irrevocabili gli atti cui veniva apposto; inoltre, chiunque avesse tentato di sottrarsi alla loro esecuzione, avrebbe attirato sopra di sé e sui propri discendenti una Maledizione di sventura che li avrebbe perseguitati per settantasette generazioni.
L'arcano, sinistro strumento scintillò un istante, nella stanza piena di luce, mentre tutti trattenevano il fiato; e poi calò, con un colpo secco.
Era fatta.
Il Gran Sigillo aveva tracciato da sè, magicamente, la firma di Amelia Bones, riscotendo così il prezzo del proprio uso.
La firma era vergata con il suo sangue.

L'Aula Dieci cominciò a svuotarsi; i giornalisti erano lanciati, come un sol uomo, all’inseguimento di Williamson, la cui grinta feroce avrebbe atterrito anche un ergastolano pluriomicida, ma eccitava da morire i segugi del “commento a caldo”.
E, all'improvviso, Amelia si sentì molto, molto sola. Dietro il suo viso impassibile, vera maschera da politico, si agitavano pensieri amari: non avrebbe mai voluto trovarsi costretta a scatenare un'epurazione di massa all'interno del Ministero, aveva sperato di cavarsela con i consueti richiami disciplinari; ma il marcio era troppo diffuso, non poteva tollerare l'inefficienza (o peggio), non con una guerra in corso.
E, naturalmente, quando cala l'accetta, a chi tocca tocca.
Da un certo punto di vita, la maggior parte dei condannati, quelli della bassa forza, non poteva dirsi colpevole: avevano soltanto seguito la corrente. Certo, la legge impone anche al minimo tra i funzionari del Ministero di operare sempre nella perfetta legalità e di denunciare qualsiasi situazione di ambiguità o di inefficienza; ma bisogna essere eroi per denunciare i propri superiori, o mettersi contro l'intero ufficio in cui si lavora. Una legge il cui rispetto esige autentico eroismo è una legge stupida. Non "ingiusta", non "sbagliata": stupida.
E lei era il giudice chiamato ad applicare la legge stupida, a tradurre in sentenza il verdetto dell'Alta Corte. Silente e il Wizengamot avevano rabberciato i disastri di Williamson, quindi, nel complesso, la decisione in sé era giusta; soltanto che sembrava assurda, avulsa com’era dalla realtà del Ministero e, in apparenza, dalla stessa natura umana.
Una sentenza stupida insegna molte più cose sul giudice che sul caso deciso. Era una massima che Griselda ripeteva spesso….
Certo, Amelia Bones, Ministro della Magia e Presidente dell’Alta Corte di Disciplina, poteva vantarsi di aver fatto pulizia, affermare che le sue riforme avrebbero reso migliore il Ministero, richiamarsi all'esempio dei grandi Ministri del passato... ma niente di tutto questo riusciva ad attenuare il senso di inutilità che la attanagliava.
Carte bollate e carte da gioco. Dov'è la differenza?
Siamo qui, noi del Ministero e io per prima, con le nostre carte, le circolari e i decreti e i regolamenti e gli ordini di servizio, e adesso anche con le sentenze... Cosa ci illudiamo di fare? Intanto che noi pianifichiamo, concertiamo e protocolliamo, i Mangiamorte agiscono.

Non era del tutto esatto, naturalmente: il nuovo Piano per la Sicurezza aveva svolto un'efficace funzione preventiva, o forse deterrente, dato che non si erano registrati nuovi attacchi da parte dei Mangiamorte; le capacità offensive e difensive del Ministero stavano, oggettivamente, migliorando. Ma, soprattutto, non aveva scelta. Non poteva dare la caccia ai Mangiamorte in altro modo: anche se avesse smantellato il Ministero, aggregando agli Auror ogni singolo funzionario, avrebbe soltanto intralciato il lavoro di Rufus e lasciato sguarnito il fronte interno. Quella guerra richiedeva di essere pianificata e organizzata. C'era bisogno del Ministero. Di un Ministero che funzionasse, e funzionasse bene.
Ebbene, sono il Ministro e, in questa guerra, le mie armi sono le carte. Vediamo di usarle bene.
Di nuovo determinata, sempre impassibile, Amelia si alzò e lasciò l'aula - ormai deserta - già concentrata sugli impegni successivi.
La attendeva una giornata senza soste.
Come la guerra.


Note:
Sono certo che il Mondo Magico conosce un sinonimo adeguato per la nostra espressione "Segreto di Pulcinella", ma, non avendolo trovato nel canone, mi sono dovuto rassegnare all'equivalente Babbano. Le carte da gioco, invece, sono attestate almeno per Spara Schiocco.
Se ben ricordo, la frase
"Non dobbiamo mai dimenticarci che abbiamo a che fare con uomini in carne ed ossa" fu pronunciata da Douglas Haig solo pochi anni prima che egli, quale comandante in capo, si rendesse responsabile di un massacro forse ancora ineguagliato nella storia militare: la battaglia della Somme.
Per lo stile della sentenza, sono debitore alle
leges di Giustiniano; solo mia è, invece, la responsabilità di qualsiasi errore o imprecisione circa la natura della diorite, che è, per quanto ne so, un minerale che fornisce materiale da costruzione.

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Capitolo 3
*** Attacco a Hogsmeade ***


ATTACCO A HOGSMEADE

Attacco a Hogsmeade



Ringraziamenti:
Mariademolay: sì, credo che l'epurazione soddisfi tutti quanti noi. E' vero che Amelia non si fa esattamente amare... ma siamo in guerra e nessuno vuol rischiare di far la fine del povero Uria, spedito dal re a morire in prima linea. Il
Law-French, in questo clima, fa tanto orchestra del Titanic, ma è anche giusto alludere ad un Ministero migliore, che sopravvive solo nei ricordi - o nei sogni - dei più anziani. Credo che Carroll e Silente sarebbero andati molto, molto d'accordo; e le pergamene "sregolate" sono davvero il minimo che si possa aspettare l'autore della biografia di un simile personaggio, non trovi?


«Ron!»

«Hmpf...»
Harry lo scosse, impaziente. «Dai, svegliati!»
Ron aprì un occhio a metà, solo per richiuderlo subito, ferito dalla luce.
«E dai, poltrone! Dobbiamo andare a Hogsmeade!»
La menzione del fine settimana - il primo dell’anno - sortì un effetto miracoloso: Ron balzò giù dal letto all’istante. Così all’istante che le gambe non lo ressero e crollò sul pavimento, dove il dolore della botta finì di svegliarlo.
Harry, già vestito di tutto punto e pronto per la colazione, lo tirò in piedi e, con un borbottio esasperato, gli strappò di dosso la maglia del pigiama, per poi spingerlo in bagno di forza, ignorando le sue deboli proteste. Qui, una buona dose di acqua gelata riuscì a rianimare il povero Weasley, almeno quanto bastava perché si vestisse. E Harry, ansioso di abbreviare i tempi, gli lanciava i vestiti con una rapidità degna del miglior Cacciatore.
«E frena un attimo!» sbottò Ron, che non riusciva a reggere il ritmo dei lanci.
Le mutande gli finirono dritte in faccia.
Per fortuna erano pulite.
«Andiamo, sei un Portiere, no? Vedi di prenderli al volo, ‘sti vestiti!»
«A che serve? Tanto, quest’anno, niente Quidditch.»
«Non ricordarmelo! Allora, sei pronto?»
«E un momento!» gemette Ron, infilandosi la camicia. «Cos’è tutta ‘sta fretta?»
«Per tua informazione, Weasley, siamo già in ritardo di... uhm... dodici minuti e una ventina di secondi sulla tabella di marcia. Se vuoi ingozzarti come tuo solito, ti consiglio di correre.»
I pensieri di Ron erano ancora intorpiditi come i suoi riflessi di Portiere, ma, anche così, colse perfettamente il sottinteso: scaduto il tempo della colazione, nessuno, tantomeno Harry, avrebbe aspettato i ritardatari, neanche per un solo secondo: davanti all’uscita, ai controlli di Gazza, si sarebbe formata una fila e tutti volevano conquistarsi i primi posti.
Come Dio volle, il maglione alla Weasley, finalmente, andò a posto e il suo proprietario si affrettò a raggiungere l’amico impaziente.
«Però avresti potuto evitare di lanciarmi questo maglione!» esclamò Ron, mentre si fondavano giù per le scale. «Io odio il marrone e tu lo sai!»
«Risparmia il fiato e muoviti.»
«Hermione?»
«E’ già scesa con Ginny.»
Quando le raggiunsero in Sala Grande, le ragazze avevano già finito di mangiare; Hermione, poi, era profondamente immersa nella lettura della Gazzetta. Harry salutò con un bacio la sua ragazza e apostrofò l’amica, con un tono a mezza via tra lo scherzoso e l’implorante:
«Hermione,» le disse, mentre Ron tracannava succo d’arancia, «oggi siamo in vacanza! Non potresti...»
L’occhiataccia che ricevette in risposta bastò ad azzittirlo.
A Harry Potter, la Gazzetta del Profeta non era mai andata troppo a genio; ma, da quando una copia del maledetto giornale, intorno alla metà di Settembre, gli aveva recato la più funesta delle notizie, non ne sopportava più neppure la vista, che, immancabilmente, gli ricordava l’assurdo Decreto del Ministro, il bando alle partite di Quidditch.
Perfino in quel momento, una vocina gli sussurrava nella testa: Proprio una giornata perfetta, vero? Se solo si potesse giocare...
Per calmarsi, cominciò a sgranocchiare biscotti.
Non solo giocare, ma neanche volare si poteva! Quell’arpia di Amelia Bones, non contenta di vietare tutte le partite, tranne quelle di campionato, aveva anche imposto restrizioni molto severe sull’uso delle scope. Gli studenti erano andati su tutte le furie e - forse per la prima volta nella storia - le quattro squadre di Quidditch avevano fatto fronte comune, pregando Silente di strappare almeno il permesso di continuare gli allenamenti, se proprio non c’era modo di disputare il torneo; macché! Dopo un mese di battaglie a colpi di gufi, perfino il Preside si era dovuto arrendere: benché il campo di Hogwarts fosse più sicuro di molti stadi, il Ministero ne vietava l’utilizzo, nel modo più assoluto.
Il giorno dopo la resa, si era capito il perché.
Le dita di Harry sgretolarono il biscotto, quando ricordò Hermione, scioccata, che gli mostrava l’articolo della Gazzetta.
I bastardi del Ministero sequestravano il loro campo di Quidditch.
Per farci cosa, poi?
A pensarci bene, valeva la pena di tirare il Mantello fuori del baule...
«Harry.»
«Sì, Hermione?»
«Leggi qui.»
«Oh, no! Cosa c’è, stavolta?» Ma la ragazza sorrideva.
«Dai, leggi il trafiletto a sinistra.»
Speriamo bene, pensò Harry, accostandosi al giornale. «Questo?»
«Proprio quello.»
Il viso del Ragazzo Sopravvissuto si illuminò di colpo.
«Visto? Dai, leggilo ad alta voce!»
Harry non si fece pregare: «”Dolores Jane Umbridge,…”».
«Hmpf?» Ron, più ingozzato del solito, sparse briciole su metà della tavola.
«”…già Sottosegretario Anziano del Ministro, Inquisitore Supremo e Preside di Hogwarts, nonché, in precedenza, Professore di Difesa contro le Arti Oscure presso la medesima Scuola, accusata di reiterate violenze fisiche e morali nei confronti di alcuni studenti, si è dichiarata colpevole.”»
Ron rischiò di strozzarsi con il suo boccone mostruoso.
«”Sebbene trapelino pochi dettagli, corre voce che, tra le vittime di questi maltrattamenti, figuri lo stesso Harry Potter e che questa sia la causa dell’inusuale riserbo.
La Umbridge, condannata a un anno di reclusione nel carcere di Azkaban, è stata altresì licenziata dal Ministero e dichiarata inabile all’insegnamento; le parti offese hanno diritto ad un risarcimento forfetario di venti Galeoni a testa, che dovranno richiedere entro sei mesi, a pena di decadenza.”
»
«Ehm, ehm,» tossicchiò Ginny - e tutti risero dell’ottima imitazione - «Venti Galeoni sono un po’ pochi, non credi?»
Ron sgranò gli occhi.
«Pochi davvero,» rispose Harry, accarezzandosi il dorso della mano, «ma non ho certo intenzione di rinunciare a intascarli!»
Avrebbe potuto comprare qualche regalo per Ginny, o chissà… un accessorio per la scopa. Non voleva tenere quell’oro in mano un istante più del tempo necessario a riscuoterlo.
Terminò i biscotti e si guardò intorno: Hermione e Ginny sembravano già sul piede di partenza, mentre le guance di Ron erano gonfie come quelle di un criceto che fa provviste.
Sentendosi osservato e in ritardo, il ragazzo deglutì in fretta quel boccone mostruoso, annaspò in cerca d’aria e, senza esitare, tracannò mezza caraffa di succo d’arancia, per mandarlo giù meglio.
Tutti lo fissavano, inalberando espressioni di cortese disgusto; Hermione, anzi, sembrava che stesse osservando uno scarabeo stercorario oltremodo repellente e appena uscito da un bagno nel pus di Bubotubero.
«Be’? Che c’è?»
«Andiamo,» si limitò a dire Harry.
Erano tagliati fuori dalla corsa per i primi posti, ma non in ritardo; anzi, sembrava che tutta la Casa di Grifondoro li avesse aspettati.
Così, Harry Potter marciò verso l’entrata alla testa di un buon quarto della Scuola.
Ma egli non ci fece caso: era perso negli occhi adoranti di Ginny Weasley.
Così perso, in effetti, che non notò neanche uno sguardo altrettanto intenso, altrettanto insistente, ma animato da sentimenti ben diversi.

Potter.
E’ il sesto anno che ti sopporto, lo sai?
Il sesto anno, e sei riuscito a farmi dare di stomaco più in questi ultimi due mesi che nei cinque anni scorsi.
Bleah!
Ormai, sei diventato così stronzo, così arrogante, che non reagisci neanche più agli insulti. Del resto, a insultarti siamo rimasti in pochi: la maggior parte della Scuola manca poco che si prostri al tuo passaggio.
“Il Prescelto”. Così ti chiamano.
Ma non fatemi ridere! Anzi no: non fatemi
vomitare.
Ah, e quasi dimenticavo l’altro titolo sotto cui sei invocato: "il gran figo".

Disgustoso!

“Il gran figo” chi?!

Eri un nanerottolo fino all’altro ieri e adesso, eccoti lì, il Re dei Grifondoro e dei puttanieri, mentre la Weasley ti guarda con occhi adoranti. Be’, questa non è una novità: lo fa dal suo primo giorno di scuola! La cosa strana è che tu te ne sia accorto.

Be’, Potter: tu hai i soldi e la Weasley… la Weasley è una puttanella pezzente, d’accordo, ma bisogna ammettere che ha il fisico. Scommetto che, a forza di pomiciare con lei, sei cresciuto almeno di altri dieci centimetri!

Sia chiaro: non di statura.

Per la barba di Merlino, Potter, quanto fai schifo!

Quasi quasi, riesumerei quelle vecchie spille… se non sapessi che, proprio oggi, le cose cambieranno di brutto.

Trema, San Potter, trema: il tuo regno è giunto al termine!

Il tuo e anche quello del vecchio rimbambito. Un altro bel tomo davvero! Se il sordido protettore di Babbani si illude di avere la Scuola sotto controllo, solo perché il suo culo raggrinzito è di nuovo incollato alla poltrona, si sbaglia di grosso.

E oggi scoprirà quanto.

Sai cosa mi dispiace, Potter? Mi dispiace non poterti fare secco, una buona volta. Vorrei proprio vederlo alla prova, il famoso coraggio dei Grifondoro, contro le bacchette dei Mangiamorte.

Le nostre bacchette.

Bastardo Mezzosangue. Credi davvero che ti andrà tutto liscio? Solo perché al Ministero te la sei cavata con quattro miserabili trucchetti…

E con quei trucchetti hai fregato mio padre.

Figlio di puttana.

Credevi davvero di poterne uscire pulito?

I Malfoy non dimenticano; i Malfoy non perdonano.

Povero patetico illuso. Sfidare una famiglia di Maghi Oscuri. Come se non ti bastasse l’Oscuro Signore. Hai un po’ troppi nemici per sentirti così tranquillo.

E i tuoi nemici sono tutti uniti contro di te. Contro di te e contro l’obsoleto pisquano rimbambito.

Trema, Potter, trema!

Quest’oggi, forse, porterai a casa la pelle, tu; ma i tuoi amichetti e la pezzente, chissà?
Scommetto che sogni sempre di sconfiggere l’Oscuro Signore in duello, vero? Un bel sogno di gloria, nel miglior stile Grifondoro.
Oggi vedremo se, dei tuoi miserabili sogni, resterà qualche brandello.

 

«Ma quanto ci mette a muoversi, questa fila del cazzo?» borbottò Ron, impaziente.

«Ron!»

«Sì, lo so, sono un Prefetto!» E, in pectore, continuò: Ma cos’ho fatto di male per meritarmi questa spilla?

«Ronnino Perfettino» cantilenò Ginny, strappando a Harry un sorriso idiota.

Ecco, appunto.

Ginny e Harry. Mah!

Harry non si era mai accorto di lei e poi, tutt’a un tratto, eccoli che stavano insieme. Tu va’ a capire queste cose!

Ma quanto ci metteva Gazza?

 

Se quello sporco Magonò del cazzo non si sbriga, giuro che lo Trasfiguro in un tappetino.
Be’, prima dovrei torturarlo, almeno un po’… Ma la missione viene prima dei piaceri personali. E questo è il motivo per cui me ne resto qui, ad aspettare i suoi porci comodi.
Ci sarà tutto il tempo di adornare l’ingresso con un bel tappetino… un tappetino con il Marchio Nero.
Una cosettina facile e pulita...
Come scagliare la Cruciatus.

Istintivamente, si toccò l’avambraccio.
Quando era giunto il suo momento, quando si era trovato davanti alla vittima, bacchetta in pugno, i Mangiamorte in cerchio intorno a loro… per un attimo si era sentito svenire, o forse vomitare. Per un attimo, aveva temuto di non farcela.

Tre pensieri lo avevano sorretto, tre facce.

Suo padre ad Azkaban.

Sua zia con il sorriso delle torture peggiori.

Potter al posto della vittima.

Crucio!

Poi, tutto era diventato più facile.

Gli avevano fatto i complimenti: era stata una prima volta davvero ben riuscita.

E, subito dopo, l’Oscuro aveva scelto la bacchetta di Bellatrix per imprimere il Marchio Nero nelle carni e nella mente di Draco Malfoy.

Un piccolo prezzo da pagare, si era detto allora e si ripeteva adesso. Un piccolo prezzo per la vendetta.

Ebbene, ho pagato il prezzo; ed è giunta l’ora di riscuotere il premio!

L’espressione di gioia feroce che si dipinse sul suo viso passò inosservata.

Da quando suo padre si trovava ad Azkaban, perfino Tiger e Goyle evitavano accurata­mente di incrociare lo sguardo di Draco Malfoy.
Era un’elementare misura di sopravvivenza.

Tuttavia, un po’ più indietro nella fila, Pansy Parkinson osava fissare la nuca bionda di Draco, chiedendosi cosa avesse in mente.
L’idea di entrare nella Stamberga Strillante – che passava per il luogo più infestato del Mondo Magico – era farina del suo sacco, senza dubbio; ma perché non se ne vantava, come suo solito? Perché aveva fatto circolare la voce così, quasi in sordina?

C’era qualcosa sotto.

Dopotutto, Dracuccio aveva paura dei fantasmi.

Dracuccio era un Mangiamorte, adesso; semmai, sarebbero stati i fantasmi a tremare.

E i Mangiamorte agiscono in segreto… quasi sempre.

Non aveva dubbi che Draco si sarebbe “misteriosamente” trovato in testa al gruppo diretto alla Stamberga: segretezza o non segretezza, la tentazione di esibirsi, di essere al centro dell’attenzione, sarebbe stata troppo forte. Pareva che l’idea avesse incontrato consensi anche fuori della Casa di Serpeverde...

Scrollò le spalle. In fondo, preferiva non sapere, casomai ci fosse stato davvero qualcosa sotto. Sapere troppo può essere pericoloso.

Chissà se avrebbe trovato ancora un paio di quei reggiseni di sangallo?

Dracuccio adorava i reggiseni che lasciavano spuntare i capezzoli.


Draco Malfoy, allietato da splendide visioni di Potter torturato, morto e/o decomposto in varie guise, non notò più la lunghezza della coda, né, poi, il tragitto fino a Hogsmeade, che compì accompagnato dai soli Tiger e Goyle. Si riscosse solo quando venne il momento di deviare dalla strada principale e dirigersi verso la Stamberga Strillante.

Arrivarono sul posto per primi e si fermarono ad una certa distanza, in attesa degli altri, che, come d’accordo, giunsero alla spicciolata, nel giro di un quarto d'ora.

Perfetto. La puntualità era importante.

Draco lasciò che cominciassero a lanciarsi occhiate in tralice, a metà tra sfida e titubanza, e, quando, silenziosamente, cominciarono a raggrupparsi, per tentare un ingresso in massa, fece in modo di trovarsi in testa alla colonna, con Tiger e Goyle a coprirgli le spalle. Non fu troppo difficile: nessuno ambiva ad un onore tanto pericoloso.

Era a pochi passi dalla porta, quando un sonoro Crack! fece sobbalzare tutti quanti, lui incluso: una figura in nero si era appena Materializzata, proprio davanti alla soglia.

D'istinto, il ragazzo portò la mano alla bacchetta.

«Tranquillo, Draco.»

«Zia! Ciao. Non… non mi aspettavo di vederti.»

«No? E chi meglio di me, Draco?»

«Nessuno,» rispose il ragazzo, pronto e anche sincero: per quanto non si sentisse mai del tutto a proprio agio in presenza della zia – nonché madrina – doveva a lei la sua ammissione tra i Mangiamorte, a dispetto della giovane età; ovvio che l’Oscuro Signore, dovendo mandare qualcuno a controllare l’esecuzione del piano, scegliesse proprio lei.

«Come vedi, zia,» proseguì, ostentando una sicurezza che non provava affatto, «qui tutto procede secondo i piani.»

«Sono tutti qui?»

«Tutti.» Figli e parenti dei Mangiamorte. Li avrebbero messi al riparo dalla strage imminente.

«Tutto secondo i piani» ripeté Bellatrix, lentamente.

«Sì.» Oddio, cos’aveva dimenticato!?

«No, Draco. Non proprio tutto,… non proprio.» Gli sorrise.
Il sorriso della tortura. Il sorriso che riservava alle vittime.
Il ragazzo, impietrito, cominciò a sudare freddo.
Dove ho sbagliato?!?
«Vedi,» proseguì Bellatrix, in tono di normale conversazione, «c'è una parte del piano che non conosci.»
«Ah.»
«Non ti preoccupare, si tratta di una cosa molto semplice.» Alzò la bacchetta. «Addio, Draco.»
Per un lungo, orribile istante, il giovane Malfoy fissò la Morte in faccia.
Poi, un grido di rabbia infranse il silenzio.
«Tu
Tutti si voltarono di scatto.
Potter!
San Potter accorreva, Mezzosangue e Lenticchia alle calcagna, un'espressione omicida in viso, la bacchetta puntata dritta contro Bellatrix. Draco reagì d'istinto:
«Expelliarmus
Un istante dopo, la bacchetta gli volava in mano.

La bacchetta di sua zia.

La sorpresa bloccò perfino Potter, ormai giunto a tiro; ma fu la donna a reagire per prima. Con uno scatto felino, ghermì la bacchetta e sbilanciò Draco, facendolo cadere addosso a Tiger, che stava immobile dietro di lui, a bocca aperta, senza capirci un cazzo.

Uno Schiantesimo sibilante raggiunse Bellatrix, ma rimbalzò: quell'elegante mantello nero era un capo della nuova linea Tiri Vispi Weasley. Si voltò appena, giusto il tempo di scagliare tre Maledizioni ai mocciosetti, e tornò a fissare il nipote, che cercava di rialzarsi.

«Pagherai per questo, Draco. Crucio

Sovrastando le sue grida, la donna ordinò ai ragazzi pietrificati dietro di lui: «Voi! Entrate! Di corsa!». E tutti quanti, scavalcato Draco che scalciava, abbandonarono il campo allo scontro tra la regina dei Mangiamorte e il trio Potter-Granger-Weasley.

Poveri sciocchi, riuscì a pensare Draco, tra un'ondata di dolore e l'altra, non avete proprio speranze.

Sua zia, chissà come, riuscì a tenere a bada tre avversari e, nello stesso tempo, a liberarlo dalla Cruciatus. Per un meraviglioso istante, le fu grato di quel sollievo, finché non vide di nuovo quel sorriso letale.

«L'Avada Kedavra è una morte troppo pulita per i traditori, Draco. Per fortuna, Piton mi ha insegnato una Maledizione molto carina...» Alzò la bacchetta, scacciando gli Incantesimi ostili come stupide mosche. «Sectumsempra

Sangue.

Sangue dappertutto.

Il suo sangue.

Per lo shock, Draco si fece livido come un cencio; le sue dita si contrassero…

«Morsmordre!» gridò Bellatrix, in tono di trionfo, il viso illuminato dagli Incantesimi.

Il Marchio Nero si disegnò nel cielo; da tutto il villaggio si levarono le grida.

Il segnale di attacco.

…E Draco si trovò tra le dita la bacchetta, che, chissà per quale miracolo, era rimasta accanto al suo corpo, sana e salva, anche mentre si contorceva sotto la Cruciatus. Soltanto la rabbia gli impedì di svenire, permettendogli di ricambiare il regaluccio alla zietta.

«Crucio

Benché la Maledizione fosse piuttosto debole, riuscì a far cadere Bellatrix, e tanto bastò a Potter per Incarcerarla. Fece appena in tempo, perché Draco svenne e questo liberò Bellatrix dalla Maledizione.

«Hermione! Ferma il sangue! A portarlo in infermeria penso io!» Harry lanciò un’occhiata velenosa a Bellatrix e si voltò verso il Castello. «Ron, tienila d’occhio.» Si concentrò. «Accio Firebolt!».

Nel cielo si formò una macchia in movimento, ma non fecero neanche in tempo a metterla a fuoco che la scopa era già arrivata.

Dalla soglia dei Tre Manici di Scopa si levò una forte esplosione.

Hermione, con un rapido lavoro di bacchetta, bendò Draco e lo assicurò alla Firebolt. «Sbrigati, Harry.»

«Tranquilla. Mi libero di Malfoy e torno con Silente.»

Decollò e prese quota con una rapidità che strappò un grido di ammirazione a Ron.

Ma voltare le spalle a Bellatrix era stata una pessima idea: la Mangiamorte era ancora armata (!) e quell’attimo le bastò per Schiantare entrambi i mocciosetti; l’istante successivo, era già libera e correva verso il centro di Hogasmeade, pronta ad unirsi alla mischia.

 

I Tre Manici di Scopa, dove si radunavano gli insegnanti, erano l’obiettivo dell’attacco principale; Bellatrix trovò il locale circondato dai Mangiamorte e in procinto di crollare, sotto la gragnuola di Maledizioni che lo investiva.

Eppure, non crollava. Ad una ad una, le tegole si staccavano dal tetto, il muro perdeva intonaco, ma questo era tutto: la porta, anche se mezzo scardinata, resisteva ad ogni tentativo di infrangerla o aprirla e le pareti incassavano stoicamente i colpi.

Bellatrix ebbe appena il tempo di riprendere fiato e unirsi all’attacco, che la porta volò via dai cardini, colpendo il Mangiamorte più vicino; un lampo arancione, violentissimo, abbagliò tutti per un momento. Quando poterono riaprire gli occhi, si videro assaliti dagli insegnanti, usciti in massa dal locale.

Il locale che non c’era più.

Per un istante, perfino la mente di Bellatrix rifiutò di accettare quello che vedeva al suo posto.

Un gigantesco serpente a tre teste, acciambellato, ma niente affatto pacifico. Anzi, decisamente allergico agli Incantesimi ostili.

Mentre le teste del rettile scattavano verso gli aggressori, Minerva McGranitt levò la bacchetta in un ampio gesto e attirò a sé tutte le pietre del selciato, che sfuggirono sotto i piedi dei Mangiamorte; questi caddero a terra, subito inchiodati da una raffica di Incantesimi, mentre le pietre – con un gemito stridulo, assordante – si fondevano in un altissimo Golem.

Per un attimo, parve che lo scontro fosse già concluso.

Ma, di scatto, i Mangiamorte si rialzarono; un’Avada di Bellatrix mancò Vitious per un soffio e colpì, invece, il serpente, che cominciò a Detrasfigurarsi in macerie; la McGranitt, coperta dagli altri difensori, bloccò a mezz’aria quella pioggia letale. Ma i Mangiamorte notarono gli avventori, ammassati nell’ipotetico centro del locale e non più protetti dalle spire del serpente. Inarrestabili, spietati, gli Incantesimi varcarono la barriera dei difensori e raggiunsero i civili.

Stavolta, toccò ai Mangiamorte illudersi, per un momento fuggevole, di aver ottenuto la vittoria.

Ma dieci di loro stramazzarono a terra, colpiti alle spalle: gli Auror di guarnigione, lanciato l’allarme, accorrevano con i rinforzi, emergendo dal fumo che, ormai, ricopriva tutto il villaggio.

Con uno sforzo supremo, la McGranitt vinse la forza di gravità e respinse le macerie, scagliandole addosso alle figure biancovestite.

E, all’improvviso, i rumori della battaglia – che, ormai, echeggiavano per tutta Hogsmeade – si spensero completamente. Tutti drizzarono le orecchie, come a scandagliare quel silenzio assoluto.

Anche la luce prese a calare… calare… e calare.

Arrivavano i Dissennatori.

 

Dall’alto della Firebolt, mentre sfrecciava accanto al Thestral montato da Silente, Harry Potter vide – e sentì - i Dissennatori circondare il villaggio. Non si soffermò a contarli, non pensò neppure: d’istinto, abbassò la bacchetta e gridò:

«Expecto Patronum!»

Argenteo ed enorme, un cervo planò contro la bruma scura, già densa intorno alle prime case; un istante dopo, fu raggiunto da una fenice.

Harry diresse il proprio Patronus verso la Stamberga Strillante, dritta a ore dodici, e Silente lo imitò.

Scorgere gli amici a terra, soltanto a pochi passi dai Dissennatori, e gettarsi in picchiata fu tutt’uno; eppure, Silente smontò dal Thestral solo pochi secondi dopo, raggiungendolo subito, accanto ai due corpi privi di conoscenza.

Il ragazzo alzò gli occhi verso di lui: non osava tentare un Incantesimo, non voleva scoprire che Ron ed Hermione avevano ricevuto il Bacio.

Intorno a loro, i Dissennatori fuggivano. Alla luce dei Patroni, Harry vide le labbra del Preside mormorare qualche Incantesimo e affrettarsi a sorridergli.

«Non è nulla, solo uno Schiantesimo… ma non possiamo aspettare che si riprendano dai suoi effetti.»

Un attimo dopo, i due ragazzi, ancora privi di conoscenza, volavano in groppa al Thestral, assicurati da solide funi.

«Torna al Castello!»

L’animale obbedì all’istante, mentre il Preside e Harry si affrettavano verso i Tre Manici di Scopa. Sentivano i Dissennatori che tornavano ad addensarsi, due volte più rapidi e feroci; Harry arrischiò un’occhiata alle proprie spalle e raddoppiò in velocità: erano inseguiti da presso, un semicerchio di Creature Oscure li incalzava come un branco di lupi, ansioso di intrappolarli.

Raggiunsero l’incrocio e, grazie al solo impeto della corsa, superarono i Mangiamorte, per lo più ancora tramortiti da pietre e travi. Ma una figura bianca, imponente, guidava quelli rimasti in piedi.

Gli insegnanti, schierati ad anello, si sforzavano di coprire i civili, ma neppure la mole di Hagrid poteva bloccare tutti i colpi. Vitious giaceva a terra, un bambolotto contorto e sporco di sangue. La professoressa Sinistra combatteva quasi piegata in due, una mano contratta sul petto. La McGranitt era pallida come una morta, il respiro corto della belva in trappola.

La corsa li portò in mezzo agli avventori di Rosmerta, che urlarono terrorizzati; ma, un istante dopo, l’inconfondibile figura di Silente si ergeva in tutta la sua statura e, una volta di più, due Patroni saettarono contro i Dissennatori, liberando gli Auror dalle loro grinfie letali.

Furibondi e ansimanti, i due gruppi di contendenti ripresero fiato per un lungo istante; poi, mentre i Dissennatori si disperdevano, gli Auror serrarono i ranghi e attaccarono in forze.

Dalla bacchetta di Bellatrix scaturì un fuoco verdastro che saettò in tutte le direzioni; ma era diretto contro le case, non contro gli attaccanti. Fumo, fiamme, grida e macerie riempirono l’incrocio.

La donna impresse alla bacchetta un movimento di torsione, mormorando qualcosa in una lingua sconosciuta.

Un rombo sinistro riuscì a sovrastare tutti gli altri rumori; diversi combattenti interruppero gli scontri per proteggersi le orecchie. I Mangiamorte cercarono un punto di appoggio, ma la Maledizione di Bellatrix già sollevava la terra: il suolo si alzò e abbassò, a ondate, frantumandosi in centinaia di crepe, bocche fameliche pronte a scattare.

A grappoli, a decine, le case scomparivano, inghiottite dal sottosuolo, un piano alla volta.

Ma i Tre Manici di Scopa restavano un’isola di calma nel terremoto.

Incantesimi e Maledizioni ripresero a fischiare, mentre, intorno agli assediati, le scosse crescevano di intensità.

Lentamente, il terreno intorno al locale cominciò a sollevarsi, in un anello compatto su cui si trovavano tutti i Mangiamorte.

Adesso si trovavano più in alto di tutti, relativamente al riparo dai colpi, in vantaggio su assediati e Auror.

E, dalle viscere della terra, sotto di loro, cominciarono ad emergere gli Inferi.

Ma la prima fila di cadaveri fangosi si era appena schierata, che un vortice di fuoco avviluppò le macerie del locale, proteggendo gli assediati e sgomentando gli Inferi; dalle fiamme magiche scaturì un’onda di piena.

Il terrapieno evocato da Bellatrix non resse all’urto dell’acqua limacciosa e cominciò a sgretolarsi.

Imperturbata, Bellatrix Black Lestrange levò alto il braccio armato, scagliò nuovamente il Marchio Nero e si Smaterializzò, imitata da tutti i Mangiamorte ancora coscienti.

Lentamente, i nuvoloni di fumo e polvere si dileguavano, rivelando uno spiazzo deserto. Nel villaggio, ora, si udivano soltanto le grida dei feriti e il ruggito delle fiamme.

L’attacco era fallito.

 

Note:

Sono rimasto piuttosto vago sulla topografia del dormitorio dei Grifondoro, perché non ricordo di aver mai sentito menzionare il bagno. Ma questi giovinastri si lavano solo dopo una partita di Quidditch?

In questo AU, Ginny scarica Dean all’inizio dell’anno e si mette subito con Harry, che, al termine delle vacanze trascorse alla Tana, si è scoperto innamorato di lei. Quanto a Ron ed Hermione, non ho ancora deciso in quale misura innovare rispetto al canone; del resto, non nutro grandi simpatie per le turbe ormonal-romantiche di cui il sesto libro è infarcito, quindi aspettatevi meno pomiciate e molta più guerra.

Be’, sarebbe difficile vederne meno, vi pare?

Sospetto che tutte quelle pagine da romanzetto rosa siano state espulse dal quinto libro, per intuibili ragioni di mole, e riciclate nel sesto, per la disperazione di chi avrebbe voluto leggere scene ben diverse e, magari, anche qualche risposta sui diecimila enigmi della trama (un nome per tutti: zia Petunia).

Io ho una mia trama da costruire e chi segue “Il Profumo della Libertà”sa bene che prevedo di far morire un bel po’ di gente, talvolta in circostanze poco chiare, ma mai di morte naturale. Non penso affatto di proporre una soluzione a tutti i misteri del canone, ma prometto solennemente di non lasciare insoluto neanche uno dei miei. Il che, in questo momento, è più di quanto osi sperare da Joanne Kathleen Rowling Murray.

Non vi ha disgustato leggere il sesto libro e trovare le chiappe della Umbridge ancora sulla poltrona? Per me, quello è stato il momento in cui ho capito che il Ministero aveva bisogno di una riforma radicale. Una metánoia, guarda caso.
Visto il modo poco pratico in cui vestono maghi e streghe, può darsi che non conoscano il reggiseno; nel caso, consideratelo una mia licenza.
Spero che la battaglia sia di vostro gradimento. Io ho trovato molto difficile descriverla, quindi può darsi che non sia riuscito a renderla come avrei voluto… però ci ho provato.

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Capitolo 4
*** Visite in infermeria ***


VISITE IN INFERMERIA

Visite in infermeria


Ringraziamenti:
Innanzitutto, scusate il ritardo. Questo cap. è pronto da una vita, solo che non riuscivo mai a caricarlo. Ci ho messo un po', prima di capire che la mia copia del file era danneggiata. Ma sono abituato ai computer che mi combinano cose strane: ho rischiato di perdere l'intera storia (brivido gelido) per ragioni che mi restano tuttora misteriose; sono riuscito a recuperarla solo installano OpenOffice. Tanto per darvi una vaga idea...
cl33: E' bello vedere che la Umbridge non era rimasta nel gozzo solo a me. L'accusa di tradimento? Be', per la verità, pensavo che il cap. precedente fosse già abbastanza chiaro, ma in questo le spiegazioni non mancano.
Mariademolay: intanto, grazie di cuore per i complimenti. Descrivere una battaglia tra Maghi è veramente un'impresa.
Perchè Bellatrix cerca di uccidere Draco? Ho cambiato idea nel corso della stesura. Per maggiori dettagli, ved questo cap.
Perchè
non cerca di uccidere Ron ed Hermione? Be', ricordi la battaglia al Ministero? Mi sarei aspettato che i Mangiamorte si facessero strada a colpi di Avada Kedavra, ma così non è stato. Neppure Bellatrix l'ha usata, anche se, nel sesto libro, pare che la impieghi per terminare quella volpe che pensava fosse un Auror cammuffato (Moody apprezzerebbe). E, visto che, secondo il falso Moody, l'Avada richiede un bel po' di potere magico, ho pensato che sia una questione di fatica: nel corso di una battaglia campale, l'Avada esaurirebbe presto le forze, o, anche, renderebbe impossibile mantenere Incantesimi difensivi, almeno mentre viene scagliata. Soprattutto le armi invincibili hanno le loro controindicazioni. Sauron insegna.


Draco Malfoy rimase in infermeria per una settimana intera. Una settimana di sonno pressoché ininterrotto, anche se tormentato da incubi di ogni genere; e, nei brevissimi intervalli di veglia, lo stato di lucidità estrema che talvolta si accompagna agli accessi febbrili gli sembrava ancor più irreale di un sogno.
Molto più irreale dei suoi incubi.
La ferita, curata tempestivamente, si era rimarginata senza lasciare la minima traccia e il suo sangue era subito stato Rimpolpato; ma neanche le più forti Pozioni Calmanti riuscivano a rimettere in sesto i suoi nervi. Così, Madama Chips si rassegnò a lasciarlo svegliare: quelle ferite sarebbero potute guarire solo con il tempo.
Con cautela, l’infermiera ridusse gradatamente la dose di Pozioni.
E, la mattina dell’ottavo giorno, il giovane rampollo di Casa Malfoy aprì gli occhi.
Si sentiva la testa molto pesante.
La vista ancora annebbiata, cominciò a guardarsi intorno. Ci volle un certo tempo, prima che si rendesse conto di trovarsi nell’infermeria, ma, in quello stesso istante, i ricordi lo investirono in pieno.
Hogsmeade.
La Stamberga Strillante.
Bellatrix.
Dolore. Dolore. Dolore.
«Noooo!»
Ma dalle labbra uscì solo un lungo rantolo: la gola era troppo secca.
Acqua... acqua!
Lo sforzo di concentrarsi, mettere a fuoco il bicchiere sul comodino, calcolare la distanze, allungarsi, afferrarlo con entrambe le mani... Piano, ora!
Mettersi seduto.
Avvicinare il bicchiere.
Bere!
E bevve; bevve fin quasi a svuotare la brocca, riacquistando gradualmente lucidità.
Si accorse, con disgusto, di essere immerso in un bagno di sudore. Sudore stantio e sudore fresco: il suo organismo reidratato sudava come dopo quattro ore di Quidditch.
Non poteva fingere di non sapere il perché.
Quelle scene orribili tornarono e Draco, rannicchiato nelle lenzuola fradice, riuscì solo a piangere. Pianse come un bambino abbandonato e non trovò neppure la forza di vergognarsene.
Dopo un tempo che gli parve infinito, riaprì gli occhi. Bruciavano ancora, ma le lacrime erano esaurite.
«Mi vuole morto.» Sussultò, sentendo il proprio improvviso sussurro.
Sua zia lo voleva morto.
Sua zia aveva cercato di ucciderlo.
Voldemort lo voleva morto. Voldemort aveva ordinato a sua zia... perché suo padre...
Suo padre.
No. Non è possibile! Papà non sa niente! Non possono avergli detto che...
Spalancò gli occhi, mentre, al dolore e all’incredulità, si sostituiva la rabbia.
Voldemort lo aveva usato.
Si era lasciato imprimere il Marchio Nero, aveva escogitato la missione, eseguito a puntino ogni minimo ordine...
Bastardo!
"Neanche immagini gli onori che riceverai, Draco."
Draco rise al ricordo. Rise come ridono i pazzi e i disperati. Ah no! Non li aveva immaginati davvero!
Aspetta solo che mio padre lo venga a sapere, bastardo, e...
E cosa?
Lucius Malfoy, sfidare l’Oscuro Signore? E cosa avrebbe mai potuto guadagnarci?
Papà potrebbe collaborare con il Ministero. Potrebbe far catturare così tanti Mangiamorte che sarebbero costretti a rilasciarlo. E allora...
Allora, ci sarebbe sempre stato Voldemort. Non lo avrebbero mai catturato vivo; ucciderlo era impossibile. Nessuno, neanche Silente, neanche Harry Potter, lo aveva mai fermato davvero.
E adesso, Voldemort voleva la sua pelle.
Papà non può fare finta di niente!
Mamma...

Avrebbe pianto di nuovo, se solo gli fosse rimasta qualche lacrima. Narcissa Black, coniugata Malfoy, non possedeva né la forza di carattere di Bellatrix, né le sue doti di combattente, e neppure quella strana forma di coraggio che certo sosteneva Andromeda, la zia che era proibito nominare, quella che aveva sposato un Mezzosangue.
Cosa avrebbe potuto fare sua madre? Accarezzarlo, baciarlo? Dirgli che sarebbe andato tutto bene?
In quel momento, sarebbe stato disposto a supplicare in ginocchio il primo venuto, pur di sentirselo dire.
Di colpo, si immobilizzò: una voce. Nel corridoio.
«No, guardi che... no, non è proprio il caso...»
Madama Chips. Si rilassò appena e tese le orecchie, incuriosito suo malgrado.
«E va bene!» sbottò l’infermiera. Un attimo dopo, la porta si aprì di scatto.
Draco, unico ospite della sala, si tirò subito a sedere; ma, incredibilmente, Madama Chips lo degnò appena di uno sguardo fuggevole.
«Ben svegliato, signor Malfoy. Mi rincresce disturbarLa, ma c’è un visitatore per Lei.»
Non fece neppure in tempo a chiederle chi desiderasse vederlo (Pansy?): l’infermiera era già scomparsa nella stanza accanto.
«Buongiorno, Draco.»
Il ragazzo si voltò di scatto, incredulo.
«Lei?!»
«Io» rispose Silente, con la consueta tranquillità, oltrepassando la soglia. «Non dovresti stupirti.»
«Ah, no?»
Il Preside si accomodò sul bordo del letto, piantandogli in faccia quei maledetti occhi azzurri.
Occhi tranquilli. Troppo tranquilli.
Draco rabbrividì.
«No, non dovresti proprio stupirti. Sei uno dei miei studenti.»
Il ragazzo si lasciò sfuggire un risolino sarcastico.
«Dato che riesci a ridere, immagino che tu ti senta meglio.»
L’interpellato non si degnò di rispondere, posto che quella fosse una domanda, ma Silente proseguì il discorso in tutta tranquillità. «Sarò più chiaro: resti uno dei miei studenti, anche se sei diventato un Mangiamorte.»
Per un istante, Draco rimase stordito. Come...?
Ma certo! Il Marchio Nero, dannazione!

«Il Marchio, sì, ma non solo, Draco,» riprese Silente, come se stesse leggendo i suoi pensieri sulla Gazzetta che teneva in mano. «Hai parlato molto, in questi sette giorni. Voldemort direbbe senz’altro che hai parlato troppo
«Non so di che cosa stia parlando Lei» ribatté il ragazzo, giocando la carta del tono di sfida. Ma dentro si sentiva gelare.
«Lascia, allora, che ti rinfreschi la memoria; risparmieremo tempo e fiato.
Voldemort stava programmando da tempo questo attacco a Hogsmeade. Voleva spargere il terrore ed eliminare il maggior numero possibile di studenti e insegnanti, in modo da farmi il vuoto intorno e, già che c’era, screditare Amelia Bones, che ha cominciato a ridare ai Maghi fiducia nel Ministero. Tu avevi un ruolo nel suo piano: raccogliere gli studenti figli di Mangiamorte, o di persone comunque vicine alla loro causa, e portarli al sicuro, nella Stamberga Strillante. O almeno, questo era il ruolo di cui ti avevano parlato; perché, in realtà, Voldemort aveva tenuto per sé un piccolo particolare: ti voleva morto.»
Draco si lasciò ricadere sui cuscini, inorridito.
Non poteva essersi lasciato sfuggire tutto quanto, non poteva!
«Tua zia ha tentato di ucciderti, per ordine di Voldemort,» proseguì Silente, sempre in tono di normale conversazione. «Suppongo che tu non sappia altro.»
Gli rispose solo uno sguardo interrogativo.
«Il villaggio di Hogsmeade ha subito danni materiali molto gravi, ma, per fortuna, le vittime sono state poche, tutto sommato: solo una ventina di civili, nessuno studente, insegnante, Auror o Mangiamorte. I feriti sono tutti in via di guarigione. Inoltre, abbiamo catturato un prigioniero: Rookwood. Era troppo malconcio per scappare; l’hanno già rinchiuso ad Azkaban.

Sarai lieto di sapere che i tuoi amici sono rimasti al sicuro nella Stamberga Strillante per tutta la durata dello scontro.»
Con uno sforzo evidente, il ragazzo si costrinse a restare impassibile: meglio che il Nemico Numero Uno non sapesse quel che stava pensando dei suoi - cosiddetti - "amici".
«Quanto a te, per fortuna sei stato soccorso in tempo...»
Draco annuì. Aveva ripreso conoscenza, sia pure per pochi istanti, mentre Potter, a forza di braccia, lo trasportava in infermeria.
«Madama Chips assicura che ti riprenderai a meraviglia, ma, per sicurezza, intende importi cinque o sei giorni di riposo assoluto. I tuoi amici non potrebbero farti visita nemmeno se ci provassero... e non l’hanno fatto, a quanto pare.»
Balle, cercò di convincersi. Ma senza successo: i suddetti "amici" lo avevano tranquillamente abbandonato a morte certa.
«Bene, Draco» sospirò Silente, «suppongo che dovremmo discutere del tuo futuro. Dopotutto, tu non sei più un Mangiamorte.»
«Cosa!?»
«Forse non ci hai ancora pensato, ma ti consiglio di farlo...»
«Io non sono un traditore!» ruggì il giovane Malfoy.
«Tu no, ma Voldemort sì.»
Draco aprì la bocca, ma la richiuse senza emettere suono.
«Voldemort ti vuole morto. E adesso ti considera anche un traditore.»
Di nuovo, il ragazzo non riuscì a controbattere.
Cos’era questa storia!?
«Pensaci bene: hai Disarmato tua zia mentre stava per affrontare Harry; poi l’hai aggredita con una Cruciatus che, per giunta, ha permesso a Ronald Weasley di Incarcerarla. Come pensi che reagirà Voldemort, quando Bellatrix glielo racconterà?» Silente sorrise. «A lui non importa nulla della lealtà e neppure dell’istinto di sopravvivenza: tu hai agito per legittima difesa, è vero, ma un bravo Mangiamorte si lascia torturare o anche uccidere, se così vuole il suo padrone.»
Draco rabbrividì. Quante volte aveva sentite quelle stesse parole!
Aveva sempre dato per scontato che non si riferissero a lui.
Che stupido!
«Inoltre,» proseguì Silente, «hai commesso un peccato che, ai suoi occhi, è davvero imperdonabile: hai aiutato Harry Potter.»
«Io non ho...» E si interruppe di colpo, perché, in effetti, aveva aiutato Potter, anche se nulla era stato più lontano dai suoi pensieri.
Merda! Mi sa che il vecchio coglione non ha mica tutti i torti!
«Ce n’è abbastanza perché ogni Mangiamorte ti dia la caccia come al peggiore dei traditori. E, comunque, Voldemort ti vuole morto in ogni caso.» Fece una pausa. «Di certo, ti starai chiedendo il perché.»
Draco non rispose, limitandosi a fissare con ansia il vecchio Preside.
Porsi domande si stava rivelando pericoloso.
«Naturalmente, Voldemort potrebbe anche aver deciso di ucciderti per puro capriccio... ma, secondo me, la tua morte fa parte di un piano. Riesci a leggere, Draco?»
«Penso di sì. Perché?» La voce suono sforzata: la paura gli stringeva la gola. Silente parve non farci caso e gli allungò il giornale.
«Leggi e mi saprai dire.»
Draco spiegò la Gazzetta e fu subito colpito dalle foto in prima pagina.


Cinque Mangiamorte arrestati!
Vasta operazione degli Auror - Perquisizioni in corso.


Gli bastò un’occhiata per stabilire che tanta esultanza era decisamente fuori luogo: il Ministero aveva messo le mani sui Mangiamorte più insignificanti di tutti. I padri di Tiger e Goyle, figuriamoci!
Ma come erano arrivati fino a loro?
Scorse l’articolo della solita Rita Skeeter e trovò il paragrafo che gli interessava:

«Scrimgeour ha rifiutato di rivelare qualsiasi dettaglio del lavoro investigativo che ha portato alla cattura dei cinque sospetti; tuttavia, voci non confermate suggeriscono che tali arresti si debbano, in qualche modo, al ben noto filantropo Lucius Malfoy, 42 anni. Attualmente detenuto ad Azkaban per effrazione e tentato furto al Ministero, insieme con altri sospetti Mangiamorte, Malfoy ha sempre affermato di non aver mai ricoperto un ruolo di rilievo nella famigerata organizzazione, di cui sarebbe diventato membro solo in seguito a pesanti minacce nei confronti della sua famiglia, come appurato quindici anni or sono, quando Barty Crouch senior lo prosciolse da ogni accusa. Le stesse voci suggeriscono che Malfoy abbia cominciato a collaborare con il Ministero dopo che suo figlio Draco, 16 anni, studente di Hogwarts, è rimasto gravemente ferito nel corso dell’attacco a Hogsmeade (vedere pag. 4).»

Draco sfogliò il giornale con mano tremante e si trovò a fissare sé stesso.
Una foto scattata durante l’estate. Dovevano averla presa da sua madre.
Il titolo dell’articolo gli fece aggrottare la fronte.


Nuovi dettagli sull’attacco a Hogsmeade


«Solo adesso, da Hogwarts filtra la notizia... unico ferito grave tra gli studenti... colpito con la Maledizione Cruciatus...»

Strano, molto strano. Com’erano riusciti a tener nascosta una notizia del genere per una settimana?

«Albus Silente, recentemente reinsediato nella carica di Preside dell’antica Scuola, non commenta le voci secondo cui Draco sarebbe stato salvato da Harry Potter (vedere intervista a pag. 5 in alto), ma molti suoi compagni di Casa le confermano; anzi, Pansy Parkinson, 16 anni, fidanzata del giovane Malfoy, afferma che Draco e Harry, oltre a essere cugini, sono anche grandi amici (vedere intervista a pagina 5 in basso).»

Rilesse l’ultima frase.
Come?!
Di colpo, il giornale volò sul pavimento, mentre Draco cercava affannosamente di alzarsi; ma Silente lo bloccò. Gli bastò una mano sola, non fu necessario alcun Incantesimo: il ragazzo era debolissimo.
Umiliato una volta di più, ricadde all’indietro.
Perfino digrignare i denti gli costava fatica.
«Se ti può interessare, Draco, ho dovuto impedire a Harry di mandare un gufo di protesta alla Gazzetta: è indignato alla sola idea che qualcuno possa considerarvi "grandi amici".»
«Per una volta, sono d’accordo con San Potter!» esclamò Draco.
«Naturalmente, tutti gli studenti di Hogwarts sanno che non lo siete, ma il mondo esterno no. E, vista la vostra parentela...»
«Io non ho parenti Mezzosangue!»
«Dunque la signorina Parkinson si è inventata tutto?»
In silenzio, Draco maledisse mille volte il giorno in cui si era lasciato sfuggire quella sconcia verità davanti a Pansy, poi ribatté, gelido: «Il padre di Potter era un traditore del suo sangue e tanto basta ad escluderlo da qualsiasi parentado rispettabile.»
Silente raccolse il giornale con un Incantesimo d’Appello, lo ripiegò e lo fece svanire; poi tornò a chinarsi verso di lui.
«Ora, Draco, non ti sembra strano che la notizia del tuo ferimento compaia sulla Gazzetta soltanto una settimana dopo, per giunta insieme con cinque arresti che, secondo la stampa, si devono a tuo padre?»
«Mio padre non è un traditore» rispose il ragazzo, cercando di sembrare sicuro.
«Forse non lo è» concesse Silente. «Forse Rita Skeeter sta solo inventando queste voci pur di scrivere qualcosa. O forse, tuo padre sta eseguendo gli ordini di Voldemort.»
«Cosa!?»
«A Voldemort serve che Lucius sia fuori di galera. E’ la faccia rispettabile dei Mangiamorte, quello che tiene i contatti al Ministero e può avvicinare persone altolocate. Voldemort vuole tuo padre libero; e lo vuole anche assolto.»
Il ragionamento filava.
«Né tuo padre né gli altri Mangiamorte catturati al Ministero sono stati processati come tali, ma solo per effrazione e tentato furto. E’ vero che la necessità di provare la loro appartenenza all’organizzazione avrebbe allungato i tempi del processo, mentre era essenziale che il Ministero reagisse in fretta... ma il tempo passa, e quell’accusa non esce dai cassetti. Perché?»
«Me lo dica Lei» lo sfidò Draco.
«Perché gli Auror hanno tentato, per mesi, di indurre tuo padre a collaborare. Sanno che non potrebbero condannarlo senza processo, come succedeva ai tempi di Barty Crouch, e sanno anche che l’oro dei Malfoy è in grado di corrompere un centinaio di giurie. Inoltre, sono certi che tuo padre, se solo volesse, potrebbe riempire Azkaban di Mangiamorte.
Per la verità, qualcuno ha proposto di affidare il processo al Wizengamot in adunanza plenaria, ma io, come Stregone Capo, mi sono opposto: un reato così grave esorbita dalla nostra competenza e può essere giudicato soltanto da una giuria di Maghi. Inoltre,» ammise, «non sono così sicuro che i membri della Corte saprebbero resistere alla corruzione meglio dei comuni cittadini.»
Draco ridacchiò, divertito.
«Ora, dimmi, Draco: cosa penseresti se Tizio fosse accusato di essere un Mangiamorte, uno di quelli importanti, e suo figlio restasse gravemente ferito proprio durante un attacco dei Mangiamorte? Suo figlio che - si viene a sapere - è cugino e grande amico di Harry Potter? Suo figlio che viene addirittura salvato da Harry Potter?»
Il ragazzo sgranò gli occhi.
«No» esalò, quasi senza fiato. «Non è possibile.»
«Voldemort ti avrebbe preferito morto» proseguì Silente, imperturbabile, «così nessuno avrebbe potuto sospettare trucchi. Ma ha saputo adeguare il piano alle circostanze. Adesso, un bel po’ di Maghi sarebbe pronto a giurare sull’innocenza di Lucius Malfoy, o almeno sul suo pentimento. Quel processo non si farà mai.»
«Mio padre tornerà a casa?» Draco si lasciò sfuggire quella speranza.

Silente scosse il capo. «Ha ancora una condanna sul groppone, ricordi? Però mi aspetto che, entro pochi giorni, il Ministero lasci cadere le altre accuse.» La vena di amarezza che inquinava il tono pacato di Silente si fece ancor più sensibile. «E tu, Draco? Tu sei proprio sicuro di tornare a casa?»

«Lei… Lei non può sequestrarmi! Io…»

«Càlmati, Draco, càlmati. Io potrei denunciarti come Mangiamorte. A quel punto, finiresti ad Azkaban per un bel pezzo.»

«E cosa aspetta, allora?»

Il Preside sospirò. «Innanzitutto, non so se una giuria sarebbe disposta a condannare un minorenne solo perché ha il Marchio Nero tatuato sull’avambraccio. Un avvocato in gamba riuscirebbe a farti scagionare, anche se rischieresti di essere allontanato dalla tua famiglia. Lucius, di certo, sfrutterebbe il caso come una dimostrazione delle minacce con cui i Mangiamorte lo hanno tenuto legato all’organizzazione: pensa, costringerlo a far Marchiare il suo stesso figlio!

Ma, soprattutto, come ti ho detto all’inizio, tu resti uno dei miei studenti. Non posso mandarti ad Azkaban, Draco, perché sono convinto che non ne usciresti vivo.»

«Lei non mi conosce! E poi, non ci sono più i Dissennatori, ad Azkaban.»

«Questo è vero. I Dissennatori, adesso, sono alleati di Lord Voldemort. Ma immagina che uno di loro torni nella fortezza, entri nella tua cella e ti somministri il Bacio…»

Draco rabbrividì.

«A quel punto, di fronte ad una simile prova dell’odio di Voldemort per lui, la liberazione di tuo padre sarebbe automatica. Inoltre, non credo che tua zia Bellatrix ti sia riconoscente per quella Cruciatus.»

Un altro brivido.

«Molto bene,» concluse il Preside, alzandosi. «Ho parlato anche troppo. Sarà meglio che ti lasci riflettere.» Si avviò verso la porta. «Anche se temo che, prima, dovrai sopportare un altro visitatore.»

«Chi…?»

Ma Albus Silente era già uscito e la risposta entrata.

«Sfregiato!?»

Incredibilmente, Potter rise di gusto. «Vedo che ti sei ripreso, Malfoy.»

«Sì, in effetti mi sono ripreso, Potter.»

Il Ragazzo Sopravvissuto si accostò al letto. «Allora, forse potrai spiegarmi perché la Parkinson si sia inventata certe balle.» Il tono era cortese. A malapena, ma cortese.

Draco fece una smorfia. «Non posso, invece. Non l’ho ancora vista e non ho idea di cosa le sia saltato in testa. Ma sta’ pur certo che glielo chiederò alla prima occasione. Anzi,» gli lanciò un’occhiata circospetta, «mi stupisce che non l’abbia già fatto tu.»

«Ci ho pensato,» riconobbe Potter a denti stretti, «ma gira sempre attorniata da quel branco di puttanelle Serpeverde…»

«Come fai tu con quei due sfigati.»

Lo sguardo dello Sfregiato si fece gelido. «I “due sfigati”, come li chiami tu, sono miei amici. E mi hanno salvato la vita qualche centinaio di volte. Diversamente dagli amici tuoi, mi pare.»
Si fissarono con durezza per alcuni secondi, poi Draco distolse lo sguardo e mormorò: «Grazie.»
«Per cosa?» Sembrava sinceramente stupito.
«Lo sai,» ribatté Malfoy, sempre senza guardarlo in faccia. «Non sarei qui, ora, se non fosse stato per te.»
«Ah. Be’, io potrei dire la stessa cosa.»
«Come, scusa?»
«Sì, insomma... Se non fosse stato per il tuo Incantesimo di Disarmo e la tua Cruciatus, di certo sarei stato ridotto in polpette.»
Molto probabile, riconobbe Draco tra sé e sé. «Allora siamo pari?»
«Pari,» confermò Potter con evidente sollievo. Poi aggiunse: «Grazie, Malfoy.»
«Non ringraziarmi: siamo pari, no?» Si costrinse a sorridergli: per quanto continuasse a fargli schifo, San Potter era il solo che l’avesse aiutato. «Riguardo a Pansy, ti farò sapere, d’accordo?»
«D’accordo. Allora... ci vediamo, Malfoy.»
«Ci vediamo, Potter.»
Il suo secondo visitatore uscì e Draco, esausto, crollò sul cuscino. Era seriamente intenzionato a riflettere con calma sul discorso di Silente, ma il suo corpo aveva un’altra scala di priorità: si addormentò quasi subito.
Per la prima volta in otto giorni, dormì un sonno non funestato da incubi e non indotto da Pozioni.

Note:
Per chi non lo ricordi, la Pozione Rimpolpa Sangue vierne usata su Arthur Weasley durante il suo ricovero al S. Mungo. Ted Tonks è stato definito "Babbano" da sua figlia, ma apprendiamo nel settimo libro che è un "
Muggle-born".
Mi sono sempre chiesto se non esista qualche Incantesimo che permetta di far scomparire il Marchio, casomai il Mangiamorte debba operare in incognito o rischi di essere catturato; ma ho scelto di lasciare aperta la questione, dato che, anche se la risposta fosse affermativa, giovane età, inesperienza e arroganza sarebbero più che sufficienti a spiegare, in Draco, un eccesso di sicurezza. D’altra parte, gli sarebbero occorse vere e proprie doti divinatorie per prevedere l’esito dell’attacco!
Come pure mi son sempre domandato in che modo Lucius sia riuscito a sfuggire alle grinfie di Crouch senior. Lealtà tra Purosangue? Mah... L’insufficienza di prove non sembrava molto importante, in quel periodo, vi pare?
Circa la ragione dell'attentato a Dro, se così possiamo chiamarlo, all'inizio pensavo a una semplice (sic!) punizione per il fallimento di Lucius al Ministero.. ma preferisco la spiegazione attuale.

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Capitolo 5
*** Risvegli ***


RISVEGLI

Risvegli


Ringraziamenti:
Dopo tanto tempo trascorso dall'ultimo aggiornamento
(mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa!), debbo ringraziare, innanzitutto, i vecchi lettori che riprendono in mano la storia. E spero anche di poter dare il benvenuto a qualche nuovo.
Questo capitolo è piuttosto breve, almeno per il mio stile: in origine, essendo imperniato sulla figura di Draco, avrebbe dovuto includere anche... quello che, invece, leggerete nel prossimo. Per compensare il taglio, gli ho conferito un carattere interlocutorio che, magari, potrà stancare o deludere alcuni di voi - soprattutto visto il taglio del precedente, per certi versi analogo - ma che reputo indispensabile per gli sviluppi successivi della trama, se non altro perché Draco
non è il solo protagonista, dopotutto. Dovevo pur far entrare in scena i comprimari, no?
Twinkle: Benvenuto/a, spero che - nonostante la mia velocità da ghiacciaio - tu sia ancora lì, da qualche parte!
Mariademolay: eh sì, càpitano sempre tutte a Draco. Neanch'io avrei scommesso granché sulla sua sopravvivenza nel canone, e invece...!
Ti posso assicurare che anche Draco si sta chiedendo il perché di quella sparata assurda da parte di Pansy...
(Innocentino) Da qualche parte ho scritto che i figli di Mangiamorte (o di simpatizzanti, mi sembra di aver precisato questo dettaglio, che supera la tua fondatissima obiezione "carceraria") sono tutti Serpeverde? O anche solo precisato quanti di loro appartengano alla suddetta Casa? In tutta sincerità, non mi sono posto il problema: la Row stessa ha dichiarato che ve ne sono in tutte le Case...
Oh, credo proprio che le sorprese non mancheranno: il prossimo cap. è stato rimandato proprio perché dovrebbe contenerne un po'.




The time to hesitate is through
No time to wallow in the mire.


[J.M., Light My Fire]





L’indomani, Draco tardò a svegliarsi, come se il sonno naturale, ad un tratto, fosse divenuto una droga per il suo corpo e la sua mente, ambedue anelanti a quel riposo totale che nessun surrogato, magico o Babbano che sia, è in grado di sostituire.
Ma si svegliò, infine, e, pur sentendosi piacevolmente intontito, avvertì subito - per la prima volta da... da qualunque cosa fosse successa - i morsi dell’appetito. Per fortuna, la colazione lo attendeva, ottima e abbondante. Intanto che ingurgitava tè e dolciumi assortiti alla massima velocità consentita dalle buone maniere, il suo cervello riprendeva a funzionare a pieno regime; concentrandosi sul cibo, riuscì a mantenersi impassibile, mentre i ricordi più freschi affioravano e reclamavano a gran voce un piano di azione.
Allorché l’ultima rosellina di pastafrolla e zabaione fu scomparsa oltre la candida chiostra dei denti, il piano era già elaborato. O almeno, lo era l’azione immediata: chiedere il permesso di trascorrere a casa gli ultimi giorni di convalescenza. Dopo aver atteso inutilmente qualche visita dai suoi compagni di Casa, non avrebbe sopportato altri cinque giorni di solitudine in quella fottuta stanza. Inoltre, se fosse tornato a casa, forse sarebbe riuscito a scoprire... qualcosa.
Non ammise neanche con sé stesso che gli premeva disperatamente appurare una cosa soltanto: se e fino a che punto suo padre sapesse del piano di Voldemort.
Che Voldemort lo volesse morto era certo: l’aveva sentito da Bellatrix stessa. Silente gli aveva fornito una spiegazione che sembrava reggere ad ogni attacco.
Sembrava.
Quel vecchiaccio era furbo. Troppo furbo. Non sarebbe stato facile scoprire fino a che punto avesse mentito, o quale parte di verità avesse taciuto. Eppure, qual era l’alternativa? Respingere in blocco le sue illazioni? Impossibile: l’Oscuro Signore poteva anche uccidere per puro e semplice capriccio - gliel’aveva visto fare molte volte - ma non si toglieva mai lo sfizio con i figli dei propri sostenitori principali.
Scartata quest’ipotesi, restava in piedi la punizione; e tuttavia, Draco era certo - per quanto può esserlo un Mangiamorte, che è soggetto a regole mutevoli e capricciose - di non aver commesso la minima colpa. D’accordo, non si poteva escludere che qualcuno l’avesse calunniato, ma si tornava al punto di prima: Voldemort non uccideva un Mangiamorte in questo modo. Intanto, gli piaceva inscenare qualcosa di simile ad un processo; e poi, voleva che la morte del colpevole o, peggio, del traditore fosse spettacolare, che servisse da monito per tutti gli altri.
Era possibile che lo volessero punire per le colpe di suo padre? Per il fallimento al Ministero?
Certamente, era possibile. Ci aveva pensato già il giorno prima, al risveglio.
Anzi, sarebbe stato tipico di Voldemort metterne al corrente suo padre, presentandogli l’esecuzione come un gesto di clemenza e magari aggiungendo qualche battuta sarcastica sulle colpe dei padri e la loro singolare tendenza a ricadere sui figli. Poteva quasi vedere la scena.
Adesso, poi, disponeva di un elemento in più: l’articolo di Rita Skeeter.
Checché avesse detto a Silente, Draco sapeva benissimo che suo padre non avrebbe mai anteposto alcuna lealtà alla propria sopravvivenza. Per questo il suo sostegno a Voldemort non sarebbe mai venuto meno: tradire l’Oscuro Signore, o anche soltanto attraversargli la strada, significava morte certa, più certa della neve d’Inverno.
D’altra parte, se Lucius Malfoy avesse anche solo sospettato la possibilità di una sconfitta... (Merlino, come gli veniva un'idea simile!) Però era innegabile che si sarebbe regolato di conseguenza. Avrebbe cominciato a pararsi il culo alla grande.
Magari tradendo qualche Mangiamorte a lui vicino, ma insignificante, come i padri di Tiger e Goyle. Abbastanza per rifarsi una qualche verginità presso il Ministero, forse; troppo poco perché Voldemort si prendesse la briga di punirlo, forse.
Il gioco sembrava fin troppo rischioso. Soprattutto con l’Oscuro Signore già irritato nei suoi confronti.
Così irritato, magari, che quelle stesse voci, giunte anche alle sue orecchie, avrebbero potuto spingerlo a ordinare l’uccisione di Draco, per buona misura. Non sarebbe stato neppure tanto insolito.
Dunque, l’ipotesi di una punizione per qualche colpa di suo padre - vera o presunta - restava in campo; ma, con tutto questo, non poteva neppure accantonare la tesi di Silente. D’accordo, il Preside era il Nemico Numero Uno, e va bene; ma, dopo essere sfuggito per un pelo alle mani assassine della propria zia (nonché madrina di battesimo e di iniziazione nei Mangiamorte) e aver dovuto ringraziare il proprio peggior nemico per questo, doveva riconoscere che, foooorse, qualcosa non quadrava. E che cazzo! Ci sarebbero arrivati perfino Tiger e Goyle!
Qualcosa nelle sue lealtà, amicizie e alleanze, magari.
Non che importasse davvero: dopotutto, era figlio di suo padre, no? Fin da bambino aveva imparato che nessun legame, di qualsiasi natura fosse, doveva essere anteposto alla sopravvivenza. Nessuna lealtà. Nessun’alleanza. Nessun’amicizia.
Dovevano averlo imparato anche i suoi cosiddetti amici.
E allora perché il loro comportamento lo faceva incazzare tanto?
Non si era mai trovato - anzi, neppure immaginato - dall’altra parte. Dalla parte del perdente.
Io non sono un perdente! Io sono un Malfoy e tutti, tutti, faranno bene a ricordarselo!
Respirò a fondo. Calma. Gli serviva una gran calma.
Quel dannato articolo. Uscito dopo una settimana. Con la foto presa al Maniero. Da sua madre.
La faccenda puzzava, puzzava troppo.
Certamente, era possibile che Voldemort, il quale non poteva certo essere definito uno sciocco, avesse deciso di sfruttare quell’esecuzione andata a monte per i propri fini. Anzi - strinse le labbra - doveva riconoscere che il ragionamento di Silente filava, eccome se filava: era probabile, molto probabile che, già in fase di pianificazione, l’Oscuro avesse previsto di sfruttarlo anche da morto, per ottenere la liberazione di suo padre.
Da un certo punto di vista, quindi, neanche gli sarebbe dovuto interessare, se Silente avesse ragione fino in fondo o meno: per lui, cambiava davvero poco. Voldemort lo voleva morto prima e tanto più adesso. Forse - ma si trattava di una speranza davvero tenue, per non dire sciocca - suo padre, una volta liberato, sarebbe stato in grado di intercedere in suo favore...
Ma con quali risultati?
Poteva già sentire la cara zia Bellatrix strepitare, pretendendo vendetta. E, di certo, qualcuno avrebbe suggerito che, dopotutto, la morte del giovane traditore avrebbe rafforzata la corrente di simpatia per il povero Lucius...
No, era probabile che suo padre rinunciasse in partenza. Non era esattamente un avvocato delle cause perse.
Insomma, che Voldemort volesse ucciderlo per capriccio, per punizione o per la messinscena suggerita da Silente, il suo imperativo restava quello di sopravvivere. Secondo la logica di famiglia, quindi, avrebbe dovuto evitare il Maniero come la peste. O forse no: dopotutto, se fosse stato ucciso proprio sotto il naso di suo padre, qualcuno avrebbe anche potuto cominciare a nutrire sospetti su tutta la faccenda.
Ma, fosse quel che fosse, doveva sapere come stessero le cose. Dopotutto, la sua sopravvivenza sarebbe dipesa anche dal possesso delle informazioni giuste.
Sperava, sperava con tutto il cuore di non essere costretto a cambiare schieramento; eppure, quale alternativa gli restava?
Forse il problema non si pone neppure: chi ti dice che Silente ti accoglierà a braccia aperte? "Resti uno dei suoi studenti", certo, come no... ma questo basta, forse, per evitarti Azkaban. Sei sicuro, ma proprio sicuro, che ti garantisca un posto in prima linea?
E tu lo vorresti?
Vorresti combattere al fianco di
Potter?
E no, che cazzo! Non avrebbe voluto... neanche morto.
Ma portava scritto Avada Kedavra sulla fronte e si sa, "il nemico del mio nemico è mio..." Oddio, non diciamo "mio amico". Diciamo che ci conviene, almeno, guardarci le spalle a vicenda. Soprattutto se il nemico in questione è l’Oscuro Signore.
La cui fama non si deve esattamente alla clemenza.
Avrebbe potuto parlarne con Piton - non avrebbe cercato di ammazzarlo, ne era abbastanza sicuro, o la sua copertura sarebbe saltata - offrirsi di dargli una mano, insomma arruolarsi tra i doppiogiochisti. Era una possibilità da non scartare a priori.
Ammesso e non concesso che Silente e i suoi potessero mai fidarsi di lui quel tanto che sarebbe bastato per renderlo una spia di qualche utilità.
E ammesso anche che a Voldemort la cosa interessasse almeno un po’: dopotutto, Piton svolgeva egregiamente il proprio compito.
No, la possibilità era davvero remota. Quasi come la sconfitta dell’Oscuro Signore.
Sospirò: non aveva scelta. Doveva tornare a casa; doveva cercare di saperne di più.
Bando agli indugi!
Si allungò verso il cordone del campanello e lo tirò con decisione.

Emergendo da un sonno inquieto, Harry James Potter si contorse nel letto già assai scomposto.
Ormai, gli capitava sempre più spesso di trovarsi alle prese con questi subitanei attacchi di irrequietezza, con un bisogno di agire, di fare qualcosa - qualunque cosa - tanto più forte quanto più irrazionale.
Non occorreva davvero essere un genio della psicologia per individuarne la causa: c’era una guerra in corso. Una guerra in cui, volente o nolente, avrebbe dovuto giocare un ruolo di piano. Una guerra che aveva appena dimostrato di saper insidiare anche la relativa tranquillità di cui, al momento, poteva godere... in teoria, almeno.
D’altro canto, probabilmente doveva a quella stessa smania tutte le lunghe ore meravigliose che trascorreva con Ginny, quindi, forse, non era neppure il caso di lamentarsi troppo. Difficilmente avrebbe trovato il coraggio di farsi avanti con lei, se l’inazione non avesse cominciato ad assillarlo, come un pungolo invisibile, già durante le vacanze alla Tana, dove le notizie della guerra giungevano appena, come se si fossero ridotti a vivere in un buco ben imbottito di bambagia.
L’insofferenza non lo aveva certo reso un compagno di vacanze ideale, tanto più che né Ron né Hermione parevano condividerla; al contrario, era come se, magari inconsciamente, avessero deciso entrambi di divertirsi finché potevano. Invece, la piccola Weasley - oddio, non più tanto piccola, a giudicare dalle tette! - si comportava in maniera tanto simile alla sua che, quasi inevitabilmente, avevano finito per trascorrere interi pomeriggi insieme, da soli, tentando di placare i nervi in furiosi duelli a Quidditch o assorti in lunghe discussioni - piuttosto animate, per giunta - su quello che avrebbero potuto o dovuto fare; anzi, per dirla con la Gazzetta, sul loro personale «contributo allo sforzo bellico nazionale». Così gli era capitato di notare altre cose di Ginny, oltre alle tette; di scoprire che la pensavano nello stesso modo su un mucchio di cose, non ultime la guerra, il Ministero stronzo e le premure da chioccia della signora Weasley; in breve, si era ritrovato ad aspettare quei pomeriggi quasi con ansia.
Quelle tette (ma anche le gambe, i fianchi...) frequentavano i suoi sogni già da un po’, quando, fatto il punto della situazione, aveva deciso che quella ragazza gli interessava parecchio. Nondimeno, sapendo bene quanto Ron fosse protettivo nei confronti della sorellina, probabilmente avrebbe lasciato perdere, contentandosi di aggiungere il pepe della novità proibita alle proprie fantasie erotiche, se l’irrequietezza non gli fosse divenuta pressoché intollerabile e la sfida irresistibile.
Ginny era irresistibile.
Chissà se sarebbero riusciti a trovare qualche minuto di libertà, quel pomeriggio?
Si sentiva particolarmente nervoso. Una bella pomiciata al calor bianco (ah ah, battutone!) gli avrebbe fatto un gran bene.
Lo stomaco brontolò la propria famelica approvazione.
Aspetta che ti metta le mani addosso, porcellina... pensò, infilando la porta.
Niente di meglio, per levarsi di torno l’irritazione verso quella cerebrolesa della Parkinson. Che si fosse messa con Malfoy la diceva lunga... ma arrivare a sparar cazzate del genere!
Al posto suo, si sarebbe preoccupato per la propria sopravvivenza. Parecchio. Quando mai si erano visti Harry Potter e Draco Malfoy uniti contro un nemico comune?
Be’, uniti era una parola grossa. E, forse, almeno per la vipera maschio, quel cespo di acidella non era un nemico nel vero senso del termine. Ma comunque, far coalizzare contro sé stessa i due arcinemici di Hogwarts... ci voleva cervello!
Avrebbe detto fegato, se l’avesse fatto apposta. Ma questo non era possibile, non aveva senso,... vero?
Qualche cosa non gli tornava, in tutta la stramaledetta faccenda. Ci aveva rimuginato sopra buona parte della notte, anche durante il sonno, e, detto per inciso, non gradiva affatto pensieri tanto molesti da interferire con la sua attività masturbatoria, soprattutto adesso che, grazie a Ginny, non solo si era fatta particolarmente intensa, ma anche molto soddisfacente.
Possibile che la Parkinson fosse così stupida!?
Possibile che Malfoy...
Malfoy, già. Stando a Silente, Voldemort lo voleva morto.
Ma era sempre meglio non fidarsi troppo del Preside. Oh, non mentiva mai, era troppo fottutamente onesto! Si limitava ad omettere un dettaglio qui e uno là, a tornire qualche frase sibillina nei punti strategici... insomma, a fare in modo che fossi tu a fraintendere. Sempre per qualche ragione nobilissima, beninteso. "Sei troppo piccolo, devo proteggerti, non capiresti" e simili stronzate da vecchia mummia con la puzza sotto il naso.
Si capiva che ne aveva le palle piene? Che era stanco di fraintendere, anzi, di sentirsi preso per il culo?
In un caso come quello, poi...
Il vecchiardo non gli aveva fornito spiegazioni di sorta, sul comportamento del cespo di acidella. Lì per lì, invalvolato com’era, non ci aveva fatto caso, ma adesso quest’omissione gli puzzava. Puzzava davvero troppo per essere, toh, un semplice gabinetto intasato dagli stronzi rinsecchiti del Preside.
Com’era quella definizione pungente di Hermione? "Falso per surrezione", o qualcosa del genere. Un delitto, secondo la legge magica,... ma solo se compiuto in atti diretti al Ministero. "O davanti al Wizengamot. Di cui Silente è Stregone Capo". Bella scuola di ipocrisia, vero?
Porca puttana, a lui era toccato in processo in piena regola, come neanche al peggiore dei criminali, e quel fetente di Lucius Malfoy, compagni al seguito, se l’era cavata con una condanna per effrazione e tentato furto!
Possibile che il vecchiaccio - pardon, lo Stregone Capo - non c’entrasse niente?
Possibile che tutto ‘sto casino fosse soltanto un mucchio di coincidenze?
Si fiondò al tavolo, salutando con un sorriso Hermione e Ron, già intento a rimpinzarsi. Scoprì di essere altrettanto affamato... e non solo di cibo.
Dov’era Ginny?

Ginevra Molly Weasley si svegliò in leggero ritardo rispetto al proprio orario consueto: neppure il riflesso condizionato della corsa alla colazione - fortissimo, com’era naturale, in chiunque si fosse trovato a dover competere con Ron, che non esitava un solo secondo a sbafarsi anche le porzioni degli assenti, senza far caso alcuno alla loro mole - riusciva a prevalere sulla particolare stanchezza di quelle ultime sere e mattine.
Una stanchezza profonda, ma, per così dire, appagata.
D’altra parte, come non sentirsi appagata - stanca, ma appagata - dopo aver trascorso ore intere a pomiciare con il sogno di tutta una vita?
Harry.
Come non pensare a lui, ad ogni risveglio?
Al suo sorriso, alla luce particolare che infondeva a quelle iridi smeraldine; alla voce, capace di assumere toni rochi e sensuali che suscitavano brividini deliziosi lungo tutta la spina dorsale; alle mani, alle mani soprattutto, delicate e forti, sempre più risolute ed esperte nell’esplorare, titillare, stuzzicare il suo corpo...
Ricordava che Hermione, tempo addietro, aveva etichettato i suoi sentimenti - anzi, il suo Amore! - come «un’infatuazione per l’Eroe frammista all’istinto materno di proteggere il Povero Bambino Sopravvissuto.» Che sciocca! Se soltanto avesse saputo fino a che punto il Povero Bambino fosse diventato uomo, ormai....
Nelle sue fantasie, aveva immaginato di dover prendere per mano un Harry quasi innocente, di guidarlo, passo dopo passo, alla scoperta del proprio corpo, al modo migliore di soddisfare i reciproci desideri. Forse, in questo, c’era stato davvero qualcosa di materno.
Ma non aveva messo in conto l’ardore, la passione, il trasporto che, pure, avrebbe dovuto intuire, scorgere nella vitalità di quello sguardo così espressivo, sempre, qualsiasi emozione si trattasse di esprimere, dall’euforia ai mille toni grigi della malinconia, fino alla concentrazione del cacciatore, alle vampate del desiderio.
C’era qualcosa di entrambe, nel modo in cui i suoi occhi si incollavano al suo corpo, come se al mondo non esistesse nient’altro che meritasse un minimo di attenzione. Neanche lei stessa, pensava a volte, quando il suo Amato, per minuti interi, si dimostrava incapace di distogliere lo sguardo dal seno, fosse pure per un solo istante. Ah, ma era facile ricredersi subito dopo, sotto il dolce assalto dei baci, ora teneri, ora profondi, ora quasi selvaggi; e per tutta la durata dei loro incontri - brevi, troppo brevi per la brama di entrambi - la costante, il Leitmotiv delle mani.
Mani forti, sicure, sicure già la prima volta, come se una magia arcana vi avesse infuso una conoscenza precisa del suo corpo, come se ogni sentiero da percorrere su di lei, in lei, fosse inciso dalla nascita nel palmo di lui.
Mani abili, sempre più abili ad accarezzare, palpare e stimolare....
Con un sospiro sognante, si costrinse a interrompere quella rievocazione per alzarsi: dopotutto, il suo stomaco non aveva ancora perso tutte le buone abitudini di casa e le stava rammentando a gran voce quante calorie le costassero quelle sessioni erotiche, sempre più torride, in tutti i sensi.
Oltre all’innegabile appagamento, ci stava guadagnando anche una linea perfetta: si ammirò nello specchio, che le fornì tutte le conferme del caso.
Ma all’improvviso, per chissà quale associazione di idee, si vide col pancione, le mani incrociate con fare protettivo, chiaramente in dolce attesa.
No! Non è possibile!
Non era possibile, infatti, e la visione svanì in un attimo: lo specchio rifletteva soltanto la snellezza più rassicurante.
Si vestì in fretta, preoccupata suo malgrado. Poteva essere una vera premonizione? Non aveva antenati Veggenti, o almeno non ne ricordava nessuno; ma era pur vero che, per come stavano andando le cose, lei e Harry si sarebbero potuti ritrovare a farlo da un giorno all’altro...
D’accordo, Ginevra, adesso càlmati. Questa è solo paura. Paura di quello che stai facendo, paura delle conseguenze, perché c’è una fottuta guerra là fuori e tu lo ami e sai che presto, molto presto, vorrà correre a combattere...
Senza di te.

Scacciò con risolutezza quei pensieri.
Era il caso di essere pratica. Una dote che la convivenza con sei fratelli maggiori, assai poco sensibili ai capricci e (se si escludeva Percy) molto facili ai dispetti, le aveva insegnato a sviluppare.
Inspirò a fondo.
Molto bene. Durante l’ora buca, comincerò a cercare informazione sulla contraccezione.
Sempre che informazioni del genere fossero disponibili nella Biblioteca di Hogwarts. Si immaginava facilmente la McGranitt censurare qualsiasi riferimento, oppure confinare i libri nella Sezione Proibita.
Oh be’, per male che potesse andare, avrebbe sempre potuto fare ricorso a Hermione e alla sua conoscenza dei metodi contraccettivi Babbani.
Semplicissimo.


Note:
Niente da segnalare, a mio avviso. Tranne, forse, la mia perplessità sulle rievocazioni di Ginny: non ho mai tentato di dar vita ad un personaggio femminile, per di più innamorato, quindi sarò particolarmente grato ai recensori, di qualunque sesso, che vorranno soffermarsi sul punto. Anche perché
(arrossisce) non c'è molto altro da commentare.

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Capitolo 6
*** Malfoy Manor. Parte prima ***


Malfoy Manor. Parte prima



Ringraziamenti:
dopo tanti anni senza aggiornamenti, mi chiedo se troverò ancora qualcuno dei lettori di prima... Se avevate perso ogni speranza, non vi do torto; non mi sono mai rassegnato del tutto, ma io stesso ho creduto, per diversi anni, che non avrei mai trovato il tempo e le energie per portare a termine il progetto in cui mi ero imbarcato. Ho ricominciato a scrivere quasi all'improvviso, senza pormi obiettivi che vadano oltre il prossimo capitolo... e forse il segreto sta tutto qui. Posso assicurare a tutti che l'ispirazione c'è.
A tutti i nuovi lettori, sperando che ce ne siano: benvenuti e tranquilli, non intendo affatto interrompere gli aggiornamenti per i prossimi nove anni.
So che questo è un brano corto... ma il finale spiegherà da sé perché abbia preferito dividere il capitolo in due. E la seconda parte, oltre ad essere piuttosto lunga – e diversa anche nell'andamento – è quasi pronta, quindi non temete. Questa storia è sopravvissuta a due traslochi, tre o quattro cambi di computer e un numero imprecisato di catastrofi minori; mi sembra sia ora di portarla a termine!
Mariademolay: nove anni che ti devo una risposta, non provo nemmeno a scusarmi... dovrei forse tentare il
Guinness dei primati, avrebbe più senso.
Sì, in larga misura la caratterizzazione del rapporto Harry – Ginny è perfettamente voluta. Considera, però, che questo Harry è un tantino più sbalestrato del canone, credo si capisca bene dal cap. precedente che ha i nervi a fior di pelle... Secondo me, un po' Ginny gli fa da anestetico per la morte di Sirius, un po' certi suoi atteggiamenti, ehm, parecchio sopra le righe sono un meccanismo di difesa: ora più che mai, ha paura di tenere davvero a qualcuno.
Quanto a Ginny... ti dirò, non ricordo, a distanza di tanto tempo, se la sua dovesse essere, nei miei progetti, una vera premonizione. Probabilmente sì, ma non so se manterrò l'idea, quindi non sto rovinando nessuna sorpresa. Di sicuro ho pensato che, premonizione o allucinazione, ci volesse qualcosa di
molto forte per farla pensare ai contraccettivi, perché ovviamente hai ragione, è una ragazzina e, di norma, non le verrebbe proprio in mente il problema.
P.S.: Dovrò recuperare tante cose, dalla padronanza piena del canone al libro con tutti i testi dei Doors (sono quasi sicuro che sia sopravvissuto ai traslochi... quasi), ma, almeno per questo capitolo, l'epigrafe è venuta quasi da sé.

Children of night
Who among you will run with the hunt?
Now night arrives with her purple legion
Retire now to your tents and to your dreams
Tomorrow we enter the town of my birth
I want to be ready

[J.M., The Celebration of the Lizard]




Tutto andò come previsto. L’opposizione di Madama Chips. Il consenso del Preside. Che lo lasciasse andare al macello, che lo ritenesse al sicuro presso il Maniero (magari più che alla Scuola, chissà!), o che non volesse destare sospetti, poco importava. Magari era pure contento di essersi levato almeno una grana di torno.
Fare i bagagli si dimostrò un po’ più complicato: in questo, almeno, l’infermiera l’ebbe vinta. Draco sarebbe tornato a casa, ma via camino, ben coperto e imbacuccato; soprattutto, non avrebbe mosso un passo più del necessario e certamente avrebbe evitato qualsiasi sforzo. Così, delle valigie si erano dovuti occupare gli elfi domestici. C’era da sperare che quelle piccole scimmie inette riuscissero a rintracciare tutti i suoi effetti personali e che non li confondessero con altri… ma, dopotutto, non stava partendo per sempre, vero?
Sarebbe rimasto a casa soltanto una settimana, vero?
O meglio: sarebbe stato ancora vivo, di lì a sette giorni… vero?
Le domande retoriche possono avere un suono molto brutto, se chi se le pone non conosce la risposta, ma sospetta che non gli piacerà affatto.

C'era sua madre ad attenderlo, in piedi davanti al camino di casa.
Non attese che uscisse, per lanciarsi ad abbracciarlo e baciarlo.
«Mph...» fece Draco, che, imbacuccato com'era, non riusciva più a respirare, letteralmente soffocato dalle premure materne.
«Bambino mio!» Narcissa si scostò un poco, quanto gli bastava per ripigliar fiato. «Come stai? Ti hanno trattato bene?»
«Ma certo, mamma. Colazione a letto e tutto.»
«Era il minimo,» commentò seccamente. «Con quel che ti è successo... che ti hanno fatto... avremmo potuto intentare una causa milionaria!»
Draco la fissò stranito. D'accordo, la Scuola era responsabile della sicurezza degli studenti, ma da qui a pensare di chiamarla a rispondere di un attacco dei Mangiamorte... soprattutto quando la vittima stessa portava il Marchio Nero...
Sua madre, adesso, lo stava squadrando con attenzione. Annuì, visibilmente rasserenata. «Be', perlomeno mi pare che non ci siano stati danni permanenti. Non fisici, almeno.»
Precisazione su cui l'interessato non poté che concordare.
Avanzò nel corridoio che dal camino conduceva al soggiorno. «Per caso, è già pronta la cena? Ho una fame...»
«Buon segno. Per caso c'è qualcosa che non puoi mangiare?»
«Se c'è, non me l'ha detto nessuno.»
«Ottimo: ho fatto preparare i tuoi piatti preferiti.»
Draco le regalò un sorriso radioso; se ne vedeva di rado l'eguale, sul suo viso precocemente affilato.
Era bello essere di nuovo a casa, sentirsi intorno il calore delle mura domestiche... Le premure di sua madre suonavano come una conferma dolce, graditissima al suo cuore: niente era cambiato. Niente sarebbe cambiato mai.
Non per quanto riguardava la mamma, almeno.
Suo padre... suo padre, rammentò a sé stesso, restava un'incognita. Un'incognita sospetta.
Il sorriso si spense di colpo.

Più tardi, terminato il lauto pasto con un dessert a base di lingue di drago allo zenzero – una delle molte specialità dell'elfo cuoco – Draco si alzò per andare in camera sua, ma Narcissa insistette per accompagnarlo di persona.
«Davvero, mamma, non c'è bisogno...»
«Forse no, ma non si sa mai... Giusto per stare tranquilli.» Perché io stia tranquilla, era sottinteso.
«E dai, mamma, ti dico che sto bene!» insistette, imbarazzato da quel trattamento.
«Bene!» Sua madre si avviò decisa su per le scale, quasi trascinandolo di peso per l'incavo del gomito, ignorando i suoi tentativi di resistenza. «Con quel che ti ha fatto quel vecchio... altro che stare bene!»
«Scusa? Silente, dici? Cos'avrebbe fatto Silente?»
Narcissa si fermò e si voltò a guardarlo, con un'espressione amorevole e preoccupata che accentuò il suo disagio.
«Dobbiamo parlare, Draco. Su, saliamo in camera e mettiamoci tranquilli.»
Tranquilli?
Cos'era, una battuta?
Di certo non faceva ridere.
Ma si lasciò sorreggere e salì le scale docilmente, per poi accomodarsi sul letto. Sua madre sedette quasi sul bordo della sedia. Come se non vedesse l'ora di scappar via. Brutto segno; bruttissimo.
«Non ti sei ancora reso conto... E' naturale...»
Invece, il modo in cui Narcissa Black in Malfoy, ossia la compostezza in persona, si torceva le mani non era naturale per niente.
«Severus è passato a trovarti in infermeria, sai?»
«Oh? Non l'ho visto.»
«Naturalmente, caro: è stato prima che ti svegliassi. Ha passato un sacco di tempo con te. E... e poi è venuto qui, due o tre giorni fa, e mi ha detto che...» Le sfuggì un singhiozzo.
Addirittura?!
Ormai, il cuore di Draco andava a mille.
«Tu parlavi nel sonno, capisci? Così, Sev ha ascoltato...»
Oh, cazzo!
Gli ci volle tutto il suo autocontrollo per non scappare di corsa.
E adesso, sua madre lo stava fissando dritto negli occhi. Di nuovo padrona di sì stessa, perché furiosa.
«Silente ha manipolato i tuoi ricordi mentre eri privo di sensi, Draco. Voleva che credessi di essere stato attaccato da Bella, invece che da... Potter.»
Sembrava quasi che sua madre si fosse frenata sull'orlo del turpiloquio.
Poi Draco mise insieme il resto della frase.
Potter!?
O porca...

«E naturalmente, quello sporco Mezzosangue può massacrare mio figlio, ridurlo quasi in fin di vita, ma io dovrei stare zitta! E non lo dice solo Silente, no, anche il Ministero! Con tutto l'oro che tuo padre ha sprecato lì dentro... Ah, ma adesso sono tutti per San Potter. E Silente è Stregone Capo del Wizengamot, naturalmente. E all'Ufficio per l'Applicazione della Legge sulla Magia c'è ancora Amelia Bones... che adesso è pappa e ciccia con Silente. San Potter non si tocca, nossignori: per quel vecchio amante dei Babbani, è stata solo una ragazzata; per il Ministro – no, dico, il Ministro! - processarlo “nuocerebbe allo sforzo bellico”...»
A Draco girava la testa.
Tutto quel che aveva creduto di sapere, di capire, di ricordare gli si stava sgretolando davanti agli occhi.
Crollò sui cuscini, ma sua madre era talmente furibonda che non se ne accorse neppure.
«Ah, ma farà giustizia l'Oscuro Signore! Ce lo deve! Lucius ad Azkaban dietro ad un piano dei suoi, adesso tu massacrato per eseguirne un altro... e sempre Potter, sempre per colpa di Potter, sempre quel ficcanaso di Potter!
Gliel'ho detto, Draco, ci crederesti?
Gli ho detto che ci doveva giustizia.»
Si calmò di colpo, come rendendosi conto solo allora di quanto avesse rischiato, dicendo a Voldemort che “doveva” qualcosa a qualcuno.
Così notò l'espressione stravolta del figlio.
«Scusami... Già, per te quei ricordi sono veri... Tu stai male, e io... Ma non ne potevo più, Draco! Sono stati giorni d'inferno!» Abbassò la voce. «Ma il Signore Oscuro ha promesso. Potter pagherà. Molto prima di essere ucciso. Potter soffrirà. Tutto il resto della sua miserabile vita sarà solo sofferenza... quando giungerà il momento, pregherà in ginocchio il Signore Oscuro di liberarlo da tanto dolore.». La sua risata, che echeggiava per la stanza, era in tutto e per tutto quella di una Mangiamorte.
Draco avrebbe voluto porle un mucchio di domande, chiederle ogni singolo dettaglio, capire cosa fosse successo davvero, ritrovare i propri ricordi... Ma le ultime forze lo abbandonavano.
Svenne senza un lamento, mentre sua madre rideva ancora, vicinissima, eppur lontana mille miglia, persa nel fuoco di una gioia feroce.

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Capitolo 7
*** Malfoy Manor. Parte seconda ***


Malfoy Manor. Parte seconda

Malfoy Manor. Parte seconda


Ringraziamenti:
non so se manterrò questa sezione nei capitoli successivi - serviva a rispondere ai recensori, ma adesso esiste la funzione apposita - però vorrei approfittarne per ringraziare di tutto cuore Delia Valery per i preziosi commenti e suggerimenti.



Si risvegliò l'indomani, di buon mattino. Spossato, a dispetto della notte di sonno profondo; ma lucido.
Sua madre non c'era, il che, pur sembrando strano, aveva il pregio indiscusso di lasciarlo libero di riflettere in santa pace.
Per fortuna, il vassoio della colazione era già pronto accanto al letto, imbandito con tè e scones: niente di meglio per far ripartire il cervello all'inizio di una nuova giornata, soprattutto se questa si preannunziava impegnativa. Tuttavia, si concesse una lunga doccia calda, prima di dedicarsi al pasto, e riuscì a liberarsi di buona parte della tensione; la paura retrocesse sullo sfondo, una presenza che non lo paralizzava più, però lo spronava ad agire.
Bene, si disse, ingollando l'ultimo sorso di tè, non si agisce senza un piano e non si fanno piani senza aver capito come stiano le cose.
Perché, più ci pensava, meno era sicuro di potersi fidare.
Non di sua madre, ma di Piton.
Quello avrebbe raccontato qualunque cosa, se si fosse inserita bene nel suo doppio gioco... sempreché non fosse un triplo, un quadruplo gioco! Chi poteva dire di capirci davvero qualcosa? Neanche Merlino sapeva quanti cappelli portasse in testa quell'uomo. No, no... per quanto gli stesse simpatico, non poteva certo fidarsi ciecamente del professore di Pozioni. Anzi!
Quindi, due domande: a) Piton mentiva? b) nel caso, per ordine di chi?
A lume di naso, questo racconto che contraddiceva Silente aveva tutta l'aria di provenire da Voldemort. Il cui intento poteva essere farlo andare volontariamente incontro alla morte, o estorcergli qualche altro servigio... o impedirgli di tradire. O comunque rafforzare i legami di fedeltà, se non altro quelli di sua madre. Potevano esserci tante ragioni.
Oppure, tutti i ricordi che aveva in testa erano una menzogna e il colpevole era Potter.
Tutti i ricordi. Bastava il pensiero perché gli tornasse il capogiro. Ma da quale momento? Erano andati davvero alla Stamberga? C'era stato davvero un piano?
Trasse un respiro profondo, cercando di calmarsi. Lo scopo dell'alterazione era fargli credere che lo avesse attaccato qualcun altro, quindi probabilmente – probabilmente – i ricordi precedenti l'attacco erano veri.
Poteva essere vero anche il dolore della Cruciatus? Scosse la testa: se doveva credere al racconto di zia Bellatrix sullo scontro al Ministero – e non aveva motivo di non farlo - San Potter non sarebbe mai riuscito ad usare così bene quella Maledizione. E poi, perché mai si sarebbe dovuto spingere a tanto, proprio in quell'occasione e con lui? I loro scontri precedenti non erano andati al di là delle consuete baruffe magiche tra ragazzi, dopotutto.
D'altra parte, non poteva trascurare il fatto che Silente non avrebbe avuto difficoltà a trovare... materiale adatto, nei suoi ricordi di ragazzo e anche di bambino. Quella Maledizione, be', tendeva a restare impressa.
E tuttavia, un attacco così violento da Potter...
Era l'altro dettaglio che non riusciva a far quadrare.
Qualunque Maledizione fosse stata usata, lo aveva lasciato fuori combattimento per giorni interi. Sembrava troppo per Potter... sia per la sua bacchetta, sia per quello stomaco da santarellino.
E poi... Sectumsempra?
Mai sentita prima.
Né da Bellatrix, né da Piton, né da altri.
Certo, Silente poteva benissimo avergli impiantato il ricordo di una Maledizione che neanche esisteva (fermo che con qualcosa era pur stato colpito!). Ma allora, perché inserire quel dettaglio, il nome di Piton? Sempre a lui si tornava! Che storia era stato incaricato di raccontare? Da chi, e perché?
Pensare che Voldemort fosse dalla sua parte, addirittura nei panni del feroce giustiziere, era, senza dubbio, molto più rassicurante che vedersi puntare contro la sua bacchetta, anche solo in senso figurato; ma, essendo cresciuto in una famiglia di Maghi Oscuri, aveva imparato molto presto ad esercitare una sana diffidenza. Già non è mai il caso di credere a tutto quel che ti si dice; se poi la storia sembra troppo bella per essere vera...
Oh, sua madre non mentiva, non sarebbe stata in grado di fingere fino a quel punto.
Ma forse qualcun altro aveva mentito a lei?
Magari – non solo Piton, ma anche - il Ministero?
Si era espressa come se avesse parlato col Ministro in persona.
E con Silente.
Il che suonava veramente strano: il vecchiardo non avrebbe almeno dovuto tentar di accreditare la propria versione? Invece no, sembrava avesse ammesso senza difficoltà l'attacco da parte di Potter. “Una ragazzata”: forse uno dei loro soliti litigi? Metti che nel frattempo fosse arrivata Bellatrix e...
Rabbrividì al pensiero che gli attacchi fossero entrambi veri.
Però, questa sarebbe anche potuta essere una spiegazione: se la zia lo avesse colpito per errore, e Silente ne avesse approfittato...
Non poteva continuare a girare in tondo, gli serviva qualche dato sicuro. Ma dove, come...?
Sicuro! Che stupido a non averci pensato prima!
Di colpo, scattò in piedi, bacchetta in pugno: «Accio Gazzetta!»
Le copie del giornale venivano conservate per un po', al Maniero, e la giusta dose di concentrazione gli portò proprio quella che cercava: l'articolo di Rita Skeeter e gli altri pezzi erano identici a come li ricordava. Quindi, probabilmente quel ricordo era vero. E tutto il colloquio con Silente, anche: riusciva a trovargli un senso in entrambe le ipotesi.
Finalmente qualche punto fermo!
L'articolo non provava che avesse subito davvero la Cruciatus, naturalmente; ma, chiunque fosse la fonte della Skeeter (anonima, in questo caso: Silente stesso, magari?), voleva diffondere quella versione.
E il suo salvataggio da parte di Potter? Inventato anche quello?
Forse no. Forse allo Sfregiato era venuto uno dei suoi rimorsi di coscienza e lo aveva davvero riportato al Castello. Dopodiché, ai suoi compagni – sempreché avessero effettivamente parlato con la Skeeter – era stata fatta raccontare solo metà della storia.
Cazzo, comincia a fumarmi il cervello!
Rilesse anche la stramaledetta intervista di Pansy: più ci si soffermava, più si convinceva che fosse autentica. Ecco un punto fermo di cui avrebbe fatto volentieri a meno... e tuttavia, non aveva alcun dubbio che, se mai avesse avuto un qualsiasi giornalista a portata di orecchio, Pansy si sarebbe senz'altro definita la sua fidanzata. Inoltre, neppure il grande Albus Silente poteva sapere che Draco Malfoy, in un deprecabile momento di debolezza, l'aveva messa a parte di quella parentela ripudiata. O almeno, sembrava davvero molto improbabile che lo sapesse: era successo un paio di anni prima, durante le vacanze e lontano dalla Scuola.
Bene, tagliamo la testa all'Ippogrifo: l'intervista è vera.
Ma allora, perché quella balla clamorosa?
Grandi amici”?!
Non ha proprio senso!
Chiunque mi abbia attaccato, non ha senso!

Impossibile, perfino per il Preside, impiantargli in testa falsi ricordi di grande amicizia con Potter: sarebbe servito un trapianto di cervello! E poi, a che scopo?
Non riusciva, poi, nemmeno a immaginare l'Oscuro Signore che concepiva l'idea di servirsi di una ragazzina per spargere la voce che il suo arcinemico e il Mangiamorte che (in ipotesi) intendeva far uccidere fossero “grandi amici”. Troppo indiretto, troppo cervellotico, privo di un vantaggio evidente. Anzi, di un vantaggio qualunque: gli altri Mangiamorte erano gli ultimi che ci avrebbero creduto, dato che sapevano da tempi non sospetti, grazie ai figli, come stessero le cose (si era discusso parecchio di Hogwarts, durante le loro riunioni, prima e dopo l'attacco al Ministero). Impossibile usare una menzogna del genere per screditare Draco Malfoy. Chiunque altro, forse, ma non lui. E qualunque altra... ma non quella.
Fantastico... ma, allora, chi e perché aveva fatto dire a Pansy qualcosa che, oltre ad essere smaccatamente falso, sembrava anche inutile per tutte le parti in causa?
O forse giovava alla Gazzetta, per vendere qualche copia in più. Poteva essere tutta un'invenzione della Skeeter?
Non gli sembrava il caso di escludere nessuna pista... però quel particolare aspetto della notizia era uscito senza particolare risalto.
E, soprattutto, se davvero si trattava di una semplice trovata pubblicitaria, come mai non si era ancora vista neanche mezza smentita?
Cominciava a fargli male la testa; cercò di concentrarsi su un problema alla volta.
Se le dichiarazioni di Pansy erano state alterate dopo che le aveva rese, si trattava solo di individuare il movente. Ma visto che non lo trovava, perché non concentrarsi sui possibili autori? Chi poteva avere contatti con la Skeeter?
Il Ministero, naturalmente, e...
Un attimo.
Una studentessa viene intervistata e Silente non ne sa
nulla?! Ci crederò il giorno in cui i Babbani passeranno i MAGO in massa.
Il vecchio bastardo ha lasciato giocherellare un po’ la Skeeter il quarto anno, d’accordo,… però non è neanche detto che sapesse delle sue capacità di Animagus, dopotutto.
Quella avrebbe senz’altro il fegato per riprovarci, anche ora che il Preside
sa. Ma riuscire a passare inosservata all’indomani di un attacco, fosse pure una settimana dopo? Fa caldo! Esistono Incantesimi di protezione che eliminano automaticamente topi, insetti… e scarafaggi. Molto pratici, non c’è che dire. Di certo, qualche Auror, oppure lo stesso Silente, si sarà premurato di inserirne almeno uno, tra le difese della Scuola.
E poi, ti immagini il polverone, se davvero nessuno avesse saputo nulla? Tutti a caccia della falla nell'apparato difensivo, e giustamente anche!
No, non regge. Silente
doveva sapere.
Silente o il Ministero. O magari entrambi.
Direi entrambi, da come vanno d'accordo al momento.
E allora, questa è la
loro storia. Se non l'hanno inventata, l'hanno comunque voluta diffondere.
Il movente, però, restava un mistero.
Un mistero bello grosso. Doveva cominciare a riordinare per bene le idee.
Stava per cercare una pergamena e mettersi a prendere appunti, quando la grande pendola magica di quell'ala del Maniero annunciò, con voce stentorea, che mancavano cinque minuti al pranzo; allora corse a prepararsi, perché, dopo la doccia, non aveva nemmeno pensato a vestirsi o a pettinarsi... e in casa Malfoy nessuno si sarebbe mai azzardato a scendere a pranzo in disordine. Tranne, forse, un aspirante suicida in cerca di una morte rapida, ma per nulla indolore.
Scendendo la rampa elicoidale che, la sera prima, aveva salito appoggiato a sua madre – e gli sembravano passati secoli – si chiese come ottenere altri dettagli da lei e come verificarli in seguito. Ma gli interrogativi si rivelarono vani, perché Narcissa Malfoy non era rientrata per pranzo: come riferì il personale al signorino Draco, sbigottito da una simile infrazione all'etichetta domestica (e anche dal drastico cambiamento rispetto a tutte le pur recentissime premure materne), era uscita molto presto per recarsi al Ministero, lasciando detto che sarebbe tornata solamente verso sera.
Il Ministero?!
Ma non aveva detto che non c'era niente da fare...?

La sua bocca fece onore al pasto, però il cervello non registrò né un sapore né un boccone: doveva assolutamente correre a scrivere! Ancora un po', e tutto quel casino mentale gli avrebbe fatto scoppiare la testa.

Trovava sempre rilassante la superficie intonsa e l'aroma della pergamena nuova. E Merlino sapeva quanto avesse bisogno di rilassarsi!
Con tratti rapidi, ma nitidi, cominciò a stilare l'elenco dei soggetti coinvolti.

Silente Potter

Esitò un momento: aveva senso indicare sia Bellatrix sia Voldemort? No, tutto sommato no: almeno di una cosa poteva ancora dirsi sicuro, che sua zia – qualunque cosa avesse fatto o non fatto – eseguiva sempre con assoluta fedeltà gli ordini dell'Oscuro Signore, ergo...
E la penna cominciò a volare sul foglio, abbandonando del tutto la struttura ad elenco per inseguire il tumulto dei suoi pensieri.

«Silente.

Falsifica ricordi?


Comunque vuol farmi tradire.»

Ecco, messa così era decisamente semplice.

«Potter.
Attacca?
“Grandi amici”. Non torna.
Pansy.
»

E qui si bloccò per un attimo, come folgorato; poi prese a scrivere di volata:

«Potter incazzato per Pansy ma non solo. Detto che siamo pari. Ammesso salvato vita.
Potter mi ringrazia.
Potter mente?!
»

Si fermò di nuovo, ansando leggermente e cercando di considerare in maniera spassionata quello che aveva appena annotato.
Potter che si presta ad un imbroglio simile? Potter che mi ringrazia per qualcosa che non ho fatto?!
La sua risata suonò quasi isterica, eppure liberatoria. Un punto fermo, finalmente!
No. Potter, in nome della Causa o di chissà quale altra nobile puttanata, si sarebbe anche potuto abbassare a mentirgli; ma a ringraziarlo, mai!
E quindi, delle due l’una: o anche quello era un ricordo falso, impresso da Silente, oppure… oppure la tesi di sua madre cadeva.
Con le conseguenze del caso.
Restava da capire come appurare se... Poteva davvero aver salvato la vita a Potter?!
Urgh!
Il suo stomaco si contrasse per la nausea.
Casomai gli fosse servito, ecco un validissimo motivo in più per sperare che sua madre avesse ragione.
Sospirando, tornò a concentrarsi sul foglio.

«Pansy.
Suggeritore?
Chi?
»

Esitò solo per un attimo, poi proseguì e buttò giù i sospetti così come venivano, ma con più calma di quando si era lanciato all'inseguimento dell'intuizione su Potter:

«Silente. Lurido bastardo. Silente sa.
Il Ministero sa, magari approva, tornerà utile per spiegare il rilascio di Papà; magari se ne infischia semplicemente, oppure pensa a farsi un po’ di pubblicità.
Un momento! La Skeeter è il Ministero, adesso. Dirige quel cazzo di Ufficio Trasparente, no? E allora, chi può dirle di no, se decide di correre a intervistare i poveri studenti?
Magari qualcuno ci prova, le mette i bastoni tra le ruote e le fa perdere una settimana.
No. Una settimana è oro, per il tempo dei quotidiani è un’eternità.
Ha scritto altri articoli, prima? Appurare.
»

Posò la penna.
Bene. Perlomeno si sentiva più calmo. Cazzo, se gli avrebbe fatto comodo un Pensatoio!
Insomma, Silente sa, approva o comunque non si oppone all’intervista. Forse non vuole urtarsi con il Ministero – potrebbe anche averne avuto abbastanza, dopotutto – o forse pensa che possa tornargli utile per i propri scopi.
Perché Pansy ha sparato quella cazzata colossale?!
Un’idea sua? Possibile?

Ci rifletté un poco, poi scosse il capo.
No. La troietta sa che è meglio non farmi incazzare.
Qualcuno gliel’ha ordinato. Imposto, forse. Minacce?

Era al punto di prima.
Sospirò, tentando di tenere a freno la frustrazione che lo stava assalendo.
Meglio fermarsi e cercare altre informazioni, per esempio gli articoli di giornale.
Convocò l'elfo che aveva sostituito Dobby (in ogni mansione, tranne la cucina) e si fece portare tutte le Gazzette uscite dal giorno dell'attacco. Restò davvero sconcertato: la Skeeter non aveva scritto nulla di nulla, prima del pezzo che già conosceva. All'interno di articoli di colleghi, si citavano sue dichiarazioni “a caldo”, come responsabile della comunicazione del Ministero, non appena era giunta notizia dell'attacco, ma poco altro: nei giorni successivi, era stato tutto un susseguirsi di foto e di interviste a cani e porci, da un Auror che aveva partecipato all'attacco, ma era stato autorizzato a riferire pochissimo, fino ad una vecchietta che si lamentava che il polverone della battaglia avesse fatto soffrire i fiori del suo giardino.
Lesse tutto – anche i dettagli sullo stato del giardino, per buona misura - ma scoprì ben poco. Forse, l'unica conferma di qualche rilievo ai suoi ricordi era la notizia che un gruppo di studenti, non meglio descritto o identificato, avesse cercato rifugio nella Stamberga Strillante. Certo, il pezzo lasciava intendere che fossero stati terrorizzati dagli attacchi in corso... ma perfino la Gazzetta si sarebbe guardata bene dall'accusare di complicità una platea indeterminata di ragazzini senza avere in mano prove più che solide.
Prove che non potevano certo avere... oppure sì?
Forse, la Skeeter, durante tutta quella settimana di silenzio, si era dedicata a raccoglieva in anteprima le confessioni di Lucius Malfoy?
Ad un tratto, si sentì un nodo in gola.
Papà...
Era diventato impossibile ignorare quell'aspetto della questione.
Papà ha tradito?!
Non riuscì a scriverlo; si rifiutava anche soltanto di pensarlo; eppure doveva.
Questione di vita o di morte. Letteralmente.
Supposto che - traditore o meno - suo padre avesse parlato, il Ministero avrebbe potuto almeno cominciare a considerar l'ipotesi di liberarlo.
E a quel punto, anche la balla del “grandi amici” sarebbe potuta tornare utile, per preparare il terreno.
Sia Silente sia il Ministero sapevano dell'intervista in anticipo, entrambi potevano essere i suggeritori, di sicuro entrambi avevano, quantomeno, lasciato che uscisse in quella forma. Ma solo il Ministero aveva un possibile movente.
Poteva azzardarsi a darne la sussistenza per certa?
Tutto, in lui, gridava No!
Però doveva sforzarsi di rimanere obiettivo.
E l'obiettività – si disse, sudando freddo – mormorava .
Seppellì il viso tra le mani, costretto ad arrendersi all'evidenza.
Il taglio di quel pezzo era semplicemente troppo pro-Lucius. Preso a sé, il “grandi amici” poteva anche essere una pura invenzione della Skeeter, una delle sue trovate pubblicitarie per vendere; ma lì, tutto mirava a sminuire un fatto assodato, che in quei giorni il Mondo Magico non era disposto a perdonare: l'appartenenza di Lucius ai Mangiamorte.
Al Ministero, per la sua sporca propaganda, sarebbe servita molto di più la Maledizione Cruciatus con cui dicevano fosse stato colpito. Eppure, il tono dell'articolo in proposito non era “Guardate che mostri, attaccano anche i figli dei loro!”. Più del tipo “Meno male che il ragazzo sta bene”.
Come se avessero voluto distogliere l'attenzione dal Marchio Nero al braccio di Lucius... perfino a costo di lasciarsi sfuggire un colpaccio simile.
Stava rischiando seriamente un'ulcera.
Tutto lasciava pensare che suo padre stesse collaborando.
Ma aveva tradito, oppure agiva per ordine dell'Oscuro Signore?
Quella foto, e... Ferma gli Ippogrifi!

«Ministero. Mamma. Perché?
Collaborazione?!
»

Già. Qual era, in tutto questo, il ruolo di Narcissa Black, coniugata Malfoy?
Quando, come, perché aveva passato quella foto alla Skeeter? Ordini di Voldemort, di Lucius...?
Per un attimo di orrore puro, immaginò sua madre che approvava serenamente il piano che lo voleva morto.
No, morto no. Espirò lentamente. Ma se le avessero parlato di una messinscena per agevolare la liberazione di Papà...
La situazione si complicava di brutto. Non che prima fosse semplice!
Forse era stato attaccato da Potter, Voldemort aveva preso al volo la Pluffa e suo padre stava collaborando per suo ordine.
Forse – e, bisognava ammetterlo, restava probabile – l'Oscuro Signore non aveva preso al volo proprio nulla e Silente, per una volta, stava raccontando la porca verità.
Oppure, forse, era stato attaccato da sua zia e suo padre aveva deciso di collaborare perché... Ma non riuscì nemmeno a completare il pensiero: sapeva che Lucius Malfoy non avrebbe mai rischiato la pelle per lui. Né per salvarlo né per vendicarlo.
Restava, però, la possibilità che stesse agendo di propria iniziativa, al solo scopo di uscire di galera. Un gioco più rischioso del consueto, senza dubbio; ma Azkaban, anche senza Dissennatori, non doveva essere un luogo piacevole in cui soggiornare. Si trattava sicuramente dell'opzione meno probabile, però non poteva scartarla a priori.
E quindi, magari, la verità sull'attacco e quella su suo padre non erano neanche correlate. Forse, il nesso tra le due era una pura invenzione della Skeeter, sempre nella prospettiva di preparare il terreno per il rilascio di Lucius Malfoy.
C'erano troppi “forse”.
E in più, si tornava sempre all'articolo.
In particolare, al famigerato “grandi amici” di Pansy.
Chi era il Suggeritore? Il Ministero? O magari Silente?
Uhm...
Silente? Possibile, ma perché? Solo per il gusto di? No. Il vecchio pisquano non sembra proprio il tipo. Tanto più che, così facendo, avrebbe urtato la suscettibilità di San Potter.
Potter.
Per la prima volta, io e lo Sfregiato ci troviamo dalla stessa parte. Possibile che Silente l’abbia fatto per questo?
No, sembra davvero… futile. Non ci siamo. Ce l’abbiamo tutti e due con Pansy, d’accordo; e allora? Non siamo certo diventati amici! Se mai avesse mirato a tanto, il vecchio avrebbe fatto meglio a ricorrere, che ne so?, a qualche Pozione d’Amore.
Sogghignò: meglio buttarla sul ridere, o quell’idea disgustosa l’avrebbe fatto vomitare.
Ma, d’altra parte, Potter gli aveva salvato la vita. D’impulso, senza dubbio: il tipico complesso dell’eroe. No, quello non era stato un imbroglio.
Sempre che sia successo davvero.
Rabbrividì.
Non riusciva a sopportare l'idea di non potersi più fidare nemmeno della propria memoria, che l'intimità della sua mente fosse stata violata fino a quel punto.
Doveva dare atto di una cosa a Potter, una sola: era diretto. Il tipo che ti affronta faccia a faccia, non che ti distorce i ricordi di soppiatto.
E come si era incazzato per l'intervista... Ridacchiò un momento, poi aggrottò le sopracciglia, cercando di rammentare un dettaglio.
Lo Sfregiato non aveva parlato con Pansy, e va bene, ma... cosa aveva detto Silente?
(Detto, sì. Se quel ricordo era falso, sempre da Silente proveniva, quindi...)
“Ho dovuto impedire a Harry di mandare un gufo...”.
Dovuto.
Dovuto?!

Per un attimo esultò, sicuro di aver risolto l'enigma: ecco la prova che era stato il Ministero...!
Ma subito dopo si presentarono le alternative: quel ricordo poteva essere falso, dopotutto. E Silente, certo, non era infallibile, ma probabilità e prudenza suggerivano che avesse impresso a bella posta ogni dettaglio.
A quale losco fine?
Depistarlo?
E per indirizzarlo dove, per distoglierlo da cosa?
Deglutì, sforzandosi di restare lucido: non era facile, trovandosi a dover riconsiderare tutto per la seconda, la terza o la centesima volta.
Riprese la penna.
«Potter. Pansy.
Potter non ha parlato con Pansy (gli ho promesso di farlo io) e non ha scritto alla
Gazzetta»
Che non avesse scritto poteva darsi per certo, oppure la sua rettifica era stata cestinata per ordini superiori?
E si illuminò in viso: ecco qualcosa che aveva modo di scoprire, dopotutto.
Bastava scrivere a Potter e chiederglielo.
Il suo stomaco, dopo un nuovo, istintivo conato di vomito, cominciò a distendersi.
Beninteso, Draco inorridiva di fronte ad un gesto che il codice di condotta dei Purosangue gli faceva ritenere impensabile – e infatti aveva impiegato un bel po' per giungere a pensarci... - ma sull'orrore vinceva il sollievo: finalmente uno spiraglio di luce!
Sì, decisamente quello era il modo più semplice per verificare eventuali iniziative di Potter verso il giornale e...
Ma certo, idiota!
Anche per appurare se davvero ti abbia ringraziato.
Si diede dell'idiota per un bel po', con varianti molto colorite; e, in qualche modo, gli insulti dovettero giovare al cervello incriminato, poiché, al termine dell'invettiva, quando si accinse all'ardua impresa di redigere una lettera per Potter (!), gli venne subito in mente il pretesto adatto: gli aveva promesso di rimettere Pansy in riga, dopotutto. Una ramanzina del genere era stata certamente già messa in bilancio dall'ipotetico Suggeritore, ma... chissà che la puttanella non si lasciasse sfuggire qualcosa di utile? Sarebbe stata la prima volta in vita sua, probabilmente. Potter, in ogni caso, lo avrebbe fatto di sicuro... e per la sua linguaccia malefica valeva la stessa considerazione.
Bene. Prima scrivere a Pansy - magari aspettare la risposta - e buttar giù due righe per lo Sfregiato.
Si affrettò ad afferrare una pergamena intonsa e a far Evanescere quella usata. Troppo compromettente, comunque stessero le cose.
Lo colse un altro accesso improvviso di risa isteriche. Non per il sollievo, stavolta, ma per l’assurdità!
Si stava fidando del suo peggior nemico! Stava per prendere la decisione più importante di tutta la propria vita in base a quello che gli avrebbe detto Potter! Chiunque l’avesse messo in quella situazione di merda, non l’avrebbe passata liscia.

«Pansy,
ancora non hai imparato a farti i cazzi tuoi? Pensavo che perfino tu potessi immaginare la mia reazione a quella cazzo di intervista! Invece, non solo hai spifferato ai quattro venti questa cosiddetta
parentela, ma ti sei addirittura inventata che siamo grandi amici, nientemeno!
E, già che ci siamo, chi ti ha autorizzata a presentarti alla
Gazzetta come la mia fidanzata? Forse, i termini del nostro rapporto non ti sono troppo chiari: pensi davvero di poter arrivare a sposarmi?! Eh no, chiariamo subito il concetto: tu sei soltanto una scopata. Chiaro? Una scopata piacevole, d’accordo, ma nient’altro. Se ti sei fatta qualche idea strana, svégliati, che è giorno!
Infine, lasciami dire che le fidanzate si comportano in maniera leggermente diversa, sai? Non lasciano il proprio ragazzo in infermeria senza neanche tentare di vederlo, non una sola volta, né farsi vive almeno per iscritto, o in qualsiasi fottuto modo. Anzi, non dico che gli salvino la vita – sarebbe pretendere troppo – ma di certo non lo lasciano soccorrere da
Harry Potter. Ti sarebbe costato tanto volare di corsa al Castello, con me? Evidentemente, sì. Dunque, non fare finta di amarmi, o puttanate del genere. Grazie.

Draco»



Trasse un respiro profondo. Era realmente incazzato. Per qualcosa che, magari, non era neanche mai successo. A pensarci, quasi gli veniva da ridere.
Quasi.
Meglio così, comunque: insulti e accuse avrebbero costretto Pansy a rispondere. E, se avesse scritto anche una sola parola fuori posto… sarebbe bastato così poco, in fondo: una piccola discrepanza tra le versioni dei fatti… certo più utile della semplice conferma all'una o all'altra....
Ancora assorto in questi pensieri, si recò alla Guferia del Maniero – una voliera molto più piccola di quella di Hogwarts, ma comunque fin troppo grande per la decina di uccelli che ospitava, tra quelli personali e quelli “di scorta” - legò la pergamena alla zampa del proprio gufo reale e lo lasciò andare. Non gli fece capire che si trattava di una missiva urgente: qualcuno si sarebbe anche potuto insospettire, vedendolo volare in tutta fretta. Sospetto da paranoici? Meglio che rimpiangere di non averlo avuto. Cominciava ad apprezzare davvero il consiglio del falso Moody: “Vigilanza costante!”.
Adesso veniva il difficile.
Per scrivere a Potter gli sarebbe servito un certo tempo.
Tempo e calma. E ponderazione: non doveva lasciargli sospettare nulla, assolutamente nulla di insolito…
Il gufo rientrò – senza risposte, notò con un certo disappunto, ma - proprio al momento giusto, mentre finiva di rileggere la quarta stesura della lettera più impegnativa della sua vita.

«Potter,
ho appena scritto a Pansy quel che penso della sua stupida trovata; sono piuttosto sicuro di non aver mai insultato così tanto qualcuno in vita mia... neppure te, e mi sembra che sia tutto dire! Anche per questo, non penso che valga la pena di attendere la risposta, sicuramente mi perverrà solo qualcosa di patetico. E poi, quale giustificazione potrebbe mai addurre?!
Permettimi di precisare che – nell’improbabile ipotesi che tu ti sia posto il problema – non ti trovi in debito con me per quest’intervento, visto che, per quanto possa sembrare incredibile, nel caso in questione, i nostri interessi coincidono.
E, appunto perché siamo sempre pari, sono certo che sapremo entrambi far sì che i nostri rapporti riprendano il corso consueto, destinando le sparate di Pansy all’oblio che meritano e suggellando, per così dire, la smentita con i fatti (se mai ve ne fosse bisogno).
Fa' pure conto, quindi, di avermi già ringraziato una volta per tutte.


Malfoy


P.S.: Non so se tu abbia già pensato di assumere qualche iniziativa in tal senso, ma, ripensandoci, non scarterei l'ipotesi di un gufo di rettifica, e magari di protesta, alla
Gazzetta.»


Sì, decisamente poteva andare. Solo un accenno casuale in fondo, come un ripensamento dell'ultimissimo istante.
Una prosa che facesse avvertire allo Sfregiato il peso della superiorità Purosangue e del correlato gelido disprezzo.
E nulla, proprio nulla, dell'ansia che gli stringeva la gola, o della sensazione acida alla bocca dello stomaco.
Meglio spedirla e non pensarci più: si sentiva la testa vuota.
L'attesa non gli era mai sembrata tanto lunga come in quel pomeriggio che declinava. Possibile che ci volesse così tanto per la consegna a Potter e così poco, in confronto, per quella a Pansy?!
Per ingannare il tempo e la debolezza fisica, rispolverò perfino il proprio vecchio set di Gobbiglie, con cui non giocava più dai tempi del suo primo anno a Hogwarts. Fu sorprendentemente bello scoprire quanto lo divertissero ancora.
Infine, una mezz'oretta prima del tramonto, il gufo reale tornò. E, stavolta, portava una risposta.
(Se gli avessero detto, anche solo il giorno prima, che sarebbe venuto il giorno in cui avrebbe atteso con ansia e addirittura aperto di furia una lettera di Potter...!)

«Malfoy,
che i nostri interessi coincidessero, in questa sordida faccenda, mi è parso tanto ovvio che l’idea di sentirmi in debito con te non mi è neanche passata per l’anticamera del cervello; nondimeno – ahimè - l’educazione esige che ti ringrazi per il tuo intervento, nonché per la gradita precisazione, e non lasci valere “una volta per tutte” il ringraziamento già espresso, a voce, per altri motivi.
Nessuno più di me è ansioso di lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare come prima (non è curioso che i nostri interessi coincidano anche qui?), però permettimi una domanda. Non mi piace affatto doverla porre e sospetto che la risposta mi piacerà ancor meno, ma dimmi:
siamo veramente cugini?
Se sì, non ti preoccupare, sono abituato ai parenti serpenti. E ad ignorare il relativo legame.
Se no… certamente avrai rovesciato su Pansy un carico di insulti sufficiente per tutti e due. Su questo punto e per questa sola volta, credo proprio di poterti prendere in parola.
Sarei comunque curioso di conoscere la sua risposta, per quanto patetica possa essere. Spero che non ti riuscirà troppo gravoso esaudire una richiesta tanto semplice (e non illuderti che possa costituire un credito nei miei confronti!).

Con immutata inimicizia,

Potter


P.S.: Ottima idea il gufo. Anzi, se può tornare utile, sono perfino disposto a firmare una lettera congiunta. Fammi sapere.
»


Lesse e rilesse, cercando di far combaciare tutti i tasselli. Si sentiva come Paciock alla quarta ora consecutiva di Pozioni.
(Il fatto che, per un fuggevole istante, avvertisse un barlume di compassione per Paciock dimostrava tutta la gravità della situazione in cui versava)
Prima di tutto, doveva fare tanto di cappello a Potter: sulla prosa teneva botta. Di sicuro si era fatto aiutare dalla Granger, ma perlomeno aveva capito che lo stile di una lettera poteva trasmettere messaggi anche più importanti del contenuto.
Il che, tuttavia, significava che quella missiva poteva anche non essere genuina. Che il contenuto poteva essere artefatto al pari dello stile.
Potter non avrebbe mentito... ma la Granger? Cosa avrebbe potuto suggerirgli, o magari imporgli, se imbeccata a dovere da Silente?
Forse, un ringraziamento – anzi no, due. O tre, secondo come si sceglieva di contarli: la lettera ringraziava sia per l'intervento sia per la precisazione. Inappuntabile, non c'era che dire. Ma un simile prodigio di persuasione e di educazione sarebbe stato troppo anche per lei.
...Forse. E se invece...?
Epperò, quella disponibilità a mandare un gufo, addirittura con firma congiunta, non avrebbe mandato all'aria il sordido trucco di Silente e/o del Ministero?
Non restava che capire se si trattasse o meno di un bluff. Del resto, vista la particolare domanda rivoltagli dallo Sfregiato, gli doveva comunque una risposta. Sì: per quanto la sola idea gli facesse digrignare i denti, era tenuto a rispondergli. Certe questioni vanno prese maledettamente sul serio... perché sono maledettamente serie.
Sebbene, ormai, la testa gli girasse e gli facesse anche male, per non parlare del senso di stanchezza generale che si trascinava dietro fin dal risveglio, riuscì a scrivere una lettera che, per la necessità di mettere le cose in chiaro e – per la barba di Merlino, che assurdità! - di non offendere il proprio interlocutore, pur usando termini inequivocabili, si era rivelata ancor più impegnativa della precedente. La finì quando, fuori della finestra, scomparivano gli ultimi sprazzi di rosa.

«Potter,
sono sempre in attesa che mi risponda la Parkinson, ma, pur non desiderando moltiplicare le comunicazioni con te oltre lo stretto indispensabile, ho preferito non aspettarla oltre e mandarti, intanto, sia la bozza di lettera di rettifica (la firma congiunta, per quanto possa ripugnare ad entrambi, le darebbe senz'altro un peso maggiore) sia l'informazione da te richiesta.
Vincendo una profonda ripugnanza, che certo condividerai, ti confermo che effettivamente ci unisce un legame di sangue per parte Black; ma mi rifiuto categoricamente di definire questo sconcio come un rapporto di parentela, anzi, sia chiaro che ho usato la parola “legame” solo perché il vocabolario non conosce sinonimi adeguati, capaci di esprimere, nello stesso tempo, l'idea del “vincolo” e quella del “marchio di infamia”. Non è un caso, dopotutto, se noi delle Ventotto famiglie definiamo quelli come tuo padre “traditori del proprio sangue”. Ma, devo dire, forse è perfino peggio che uno come te, trovandosi a condividere metà dell'albero genealogico con i nomi migliori della razza magica, non se ne senta neppure un poco onorato e neppure avverta il peso dell'indegnità che gli impedisce di fregiarsi davvero, a pieno titolo, del nome che porta.
Perché ti scrivo tutto ciò? Non per litigare, non stavolta. Devi sapere che, in circostanze appena diverse, scrivere a un Mezzosangue nato da un traditore del proprio sangue mi farebbe mettere al bando da tutta la comunità magica (almeno da quella che osserva il debito codice di onore) e non oso neppur immaginare quale reazione potrebbe seguire ad una nostra lettera a firma congiunta.
Nondimeno, sembra che proprio la difesa dell'onore dei Malfoy, in questo caso, esiga da me un atto pressoché inconcepibile in qualunque altra circostanza.
Per questo, e solo per questo, ti allego la bozza summenzionata. Nel proporre eventuali modifiche, spero che vorrai tener conto dello scopo prioritario cui, dal mio punto di vista, essa sarà destinata.

Toujours pur


Malfoy
»


Restava da scrivere la bozza, ma, a quel punto, la sua testa ciondolava troppo: aveva evitato gli sforzi fisici, però, evidentemente, quelli mentali e il sovraccarico emotivo riuscivano ad esaurire le sue energie quasi come una partita di Quidditch. Forse si sarebbe dovuto concedere altro tè, pensò sbadigliando...
La pendola della cena lo svegliò di soprassalto.
Imprecò vedendo che si era addormentato sopra la pergamena e che, nel sonno, aveva rovesciato l'inchiostro, finendo per ritrovarselo su metà della faccia (per non parlare dei capelli!).
Ma, con due o tre rapidi colpi di bacchetta, seppe rendersi nuovamente presentabile: sua madre l'aveva fatto allenare in tutti gli Incantesimi domestici e, comunque, ogni Malfoy sapeva perfettamente, fin dalla nascita o quasi, che mantenere un aspetto curato restava imperativo in ogni circostanza, anche in punto di morte.
Anzi, forse soprattutto in punto di morte.
Ma l'aspetto, per quanto impeccabile, non riuscì a celare la preoccupazione che nutriva mentre scendeva nuovamente quella scalinata monumentale: cosa avrebbe potuto dire, come avrebbe potuto chiedere...? E se poi avesse saputo davvero qualcosa che...?
Narcissa era già seduta al lungo tavolo da pranzo, che usavano sempre, anche in mancanza di ospiti.
Draco le sorrise, facendosi forza interiormente: prometteva di essere una cena molto lunga.

A parte i saluti iniziali, non scambiarono parola finché non ebbero finito di mangiare, serviti a puntino dal personale, che fu congedato subito dopo.
Un simile silenzio non era affatto insolito, anzi, semmai costituiva la norma (come in ogni famiglia che sperasse di riuscire almeno a ridurre la quota di segreti che giungeva a conoscenza dei domestici); tuttavia, in quella circostanza Draco non poté fare a meno di trovarlo piuttosto pesante, perché continuava a non trovare il modo giusto per esordire e, quasi quasi, avrebbe preferito essere costretto a prendere quell'Acromantula per le pinze.
Se non altro, il cibo gli aveva restituito vigore e lucidità. Poté così notare che sua madre aveva l'aria stanca, il viso tirato e un'espressione... delusa? rassegnata? Entrambe le cose, forse.
Bene, questo risolveva il suo problema, no?
La guardò finire il bicchierino di sherry serale e attese che si abbandonasse un momento contro lo schienale della sedia, prima di chiederle, molto semplicemente, come stesse.
Il gesto desolato che le sfuggì disse molto più della risposta verbale:
«Non troppo bene, Draco...» Sospirò. «Sembra proprio che non ci sia niente da fare. Tuo padre ad Azkaban e Potter impunito. Quasi non saprei dire cosa mi disgusti di più»
«Io non ho dubbi: Potter!» proclamò solennemente il ragazzo che aveva, invece, scelto di dubitare davvero che la sua Nemesi dovesse – in questo caso particolare - essere punita . «Ma perché pensavi che potesse esserci qualche novità riguardo... riguardo a Papà?»
«Oh, per via dell'attacco, sai... Un paio di giorni fa - o forse tre, mi viene il dubbio - è venuta qui la giornalista, quella Skeeter.» Scrollò il capo. «Mi ha detto che, se le avessi permesso di rivelare la tua identità e le avessi fornito qualche “elemento di contorno” - dimmi tu che razza di espressione – avrebbe scritto un articolo che mettesse Lucius in buona luce, sapeva che stavano cercando di ottenere la sua scarcerazione. Non che sia un segreto o che ci volesse molto a indovinare, vero?» La sua voce tradiva una spossatezza anche maggiore della sua. «Mi son detta che, dopotutto, male non poteva fare. Ho firmato tutte le sue infami pergamene, le ho parlato un po' di te e di Papà, le ho dato la tua foto, sai, quella delle vacanze... E devo dire che è stata ai patti. Ma niente da fare: per il Ministero non basta. Non basta per la revisione del processo, non basta per la liberazione anticipata, non basta nemmeno perché mio marito possa venire un momento a trovare suo figlio.»
Il fatto che non riuscisse nemmeno ad alzare la voce diceva tutto sul suo stato di prostrazione.
Draco si ritrovò senza parole.
Alla fine, si schiarì la gola e le chiese: «Allora hai dato tu la foto alla Skeeter? Mi ero chiesto...»
«Hai letto l'articolo? Ma naturalmente, deve aver fatto il giro della Scuola»
«Più o meno, sì. Mi ha stupito proprio il tono così favorevole verso Papà...»
«La Skeeter ha fatto la sua parte, te l'ho detto. E del resto, suppongo che sappia tenersi buono chi le potrebbe tornare utile. Ha anche preso nota delle mie accuse contro Potter...»
«Come?!»
«Sì, non aveva idea di chi ti avesse aggredito, naturalmente pensava che fossero stati i Mangiamorte.» Sulle sue labbra si disegnò il fantasma di un sorriso. «Io avevo visto Severus da poco ed ero ancora fuori di me, quindi le ho raccontato tutto, dicendo che quel ragazzo già così vicino alla pazzia doveva aver trasformato tutti i Malfoy nel bersaglio del proprio odio... cose così. Era molto interessata, devo dire. Ma mi ha avvertita che non avrebbe potuto pubblicare quella parte della storia senza averla prima verificata: l'articolo avrebbe lasciato nel vago l'identità degli aggressori e, se poi avesse trovato conferme sufficienti, allora...» Chiuse gli occhi e sospirò, troppo stanca per proseguire. Ma Draco non poteva lasciarla riposare, non ancora.
«La Skeeter odia Potter, questo è sicuro. E se potesse rinverdire i fasti della serie di articoli in cui lo ha dipinto come un pazzo furioso si divertirebbe un mondo.»
«Non credo sia una questione personale: quella donna ama definirsi “una che sgonfia i palloni gonfiati” almeno da quando ha scritto la biografia di Armando Dippet. Ma comunque sia, scaverà a fondo. Mi auguro che trovi qualcosa. Ho perso il conto dei funzionari con cui ho parlato quest'oggi. Uno mi ha perfino detto che, purtroppo, tu non eri in punto di morte, quindi non potevano far uscire Lucius, né far entrare noi per una visita ad Azkaban...» Solo una punta di indignazione riusciva a colorire quel tono altrimenti piatto.
«Evidentemente,» Draco si concesse un sorriso torvo «il fatto che io sia ancora vivo dà fastidio a qualcuno»
«Forse era soltanto la gaffe di uno sbarbatello appena uscito da Hogwarts, ma puoi immaginare come mi abbia fatta sentire»
«Immagino. Immagino molto bene»
Sua madre si alzò. Non poteva esimersi dal fare altrettanto. «Ti prego di scusarmi, Draco. Sia per essere mancata al pranzo, sia perché ora mi congedo così presto. Ma devo proprio andare a dormire, quasi non mi reggo in piedi. Tu riesci ad arrivare fino alla tua camera, sì? Sennò, sono sicura che qualcuno...» Soffocò a stento uno sbadiglio.
«In un modo o nell'altro, me la caverò. Buonanotte, mamma»
«Buonanotte, Draco»
E così era finita.
Disponeva di qualche informazione aggiuntiva, ma, nonostante la sferzata di energia assicuratagli dal pasto (provò un raro moto di gratitudine verso l'elfo cuoco), si sentiva troppo stanco per rifletterci sopra in quel momento, come se fosse stato contagiato dall'evidente spossatezza materna. Poveraccia, tutta una giornata a passare da un burocrate all'altro, più la preoccupazione per lui...
Preoccupazione relativa, non è vero? gli chiese una beffarda voce interiore. A malapena ti ha borbottato un “Come stai?”, adesso non ha neanche aspettato che le dicessi se ti sentissi o meno in grado di affrontare le scale...
Scosse la testa, cercando di liquidare quei pensieri come semplici assurdità. Ma non poté evitare che quell'ennesimo sforzo mentale gli cagionasse un brutto attacco di vertigini.
Mentre saliva la scalinata un gradino alla volta, tenendosi aggrappato al corrimano, si sforzò di concentrare le proprie energie residue sull'ultimo obiettivo della giornata: la bozza per Potter. Doveva proprio fargliela arrivare l'indomani.
Meglio concedersi quel tè supplementare, dopotutto. Tanto, neanche un'intera cisterna di quella bevanda sarebbe riuscita a tenerlo sveglio più dello stretto indispensabile.


Note:
Il gioco delle Gobbiglie richiede almeno due giocatori, visto che, ad ogni lancio, il perdente deve beccarsi in faccia uno schizzo di liquido molto sgradevole; Draco, però, ha trovato il modo di divertirsi a giocarci anche da solo.
Oggi, diversamente da quando ho cominciato a scrivere la fic, sono note le identità dei nonni di Harry, che non corrispondono ai personaggi indicati nell'albero genealogico dei Black; resta incerto, quindi, se sussista una sua parentela diretta con Draco, ma di sicuro non è così stretta come vorrebbe la storia. Si tratta, però, di un elemento troppo importante perché potessi o volessi cambiarlo.
Inoltre, su Pottermore, la Rowling ci ha rivelato qualcosa in più sulla casta dei Purosangue inglesi: l'equivalente del Gotha sono “
The so-called 'Sacred Twenty-Eight'”, ovverossia le ventotto famiglie incluse in una pubblicazione anonima dei primi anni Trenta, The Pure-Blood Directory, che comprende Malfoy, Black e anche Paciock e Weasley, ma non i Potter, il cui cognome – comunissimo – ha fatto sospettare all'anonimo autore un'origine Babbana in realtà insussistente. Il criterio di inclusione dovrebbe essere costituito dalla massima purezza di sangue, il che, a mio giudizio, rende problematica la resa di sacred: probabilmente sacrosante sarebbe più adatto di sacre, perché deve esprimere l'idea di uno status al di sopra di ogni sospetto, senza riferimenti di sorta alla sfera trascendente; ma, in mancanza di una traduzione italiana ufficiale cui attenermi, ho preferito non far impiegare a Draco il nomignolo completo. Anche perché, come avrete notato, la sua lettera esagera un pochino la posizione dei Potter, che dopotutto non fanno parte di questo simil-Gotha; ma, considerato che i Black son forse i più duri e puri di tutti i Ventotto cognomi, se una di loro ha sposato un Potter e non è stata cancellata dall'albero genealogico, significa che, effettivamente, la metà “giusta” del sangue di Harry si è potuta imparentare, a fortiori, con tutti gli altri ventisette intemerati cognomi (e qui mi prendo una piccola licenza rispetto a Pottermore, secondo cui la famiglia Potter, nel corso dei secoli, ha quasi sempre vissuto in campagna, piuttosto isolata, sposando i propri vicini).
Toujours pur è il motto della famiglia Black; a Draco è sembrato perfetto per riassumere il paradosso di cui ha scritto nella lettera, ossia che il legame esiste, ma, nello stesso tempo, costituisce una barriera insormontabile. E con ciò ribadisce, naturalmente, la sua ferma adesione al codice d'onore dei Purosangue.
La biografia di Armando Dippet – il Preside di Hogwarts prima di Silente – è stato il primo dei molti libri scandalistici di Rita; il riferimento ai “palloni gonfiati” compare nel cap. 14 de “
Il Calice di Fuoco”, quando la Skeeter verifica il funzionamento della Penna Prendiappunti facendole scrivere la presentazione della sua persona, e credo che sia fondamentale nella psicologia del personaggio.

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Capitolo 8
*** Et nunc manet in te ***


Et nunc manet in te

Et nunc manet in te



Ringraziamenti:
Le visualizzazioni del primo capitolo hanno superato il migliaio, mentre per “
Il Profumo della Libertà” siamo arrivati sopra quota millecento. Quindi, prima di tutto un caloroso “Grazie” a tutti: a chi passava di lì per caso, a chi si era sbagliato, a chi non è rimasto convinto... e a chi ha continuato a leggere.
A dire il vero, però, sembra che questi ultimi siano pochi. E mi piacerebbe conoscerne i motivi. Quindi, vi prego di recensire anche e soprattutto per sottopormi le vostre critiche: forse non sarò d'accordo, ma vi assicuro che ne terrò sempre conto.
Mariademolay: bentornata! Sì, Draco si lambicca parecchio il cervello, tanto che io per primo sono rimasto incagliato sul cap. per alcuni anni; ma del resto me la sono un po' andata a cercare, cacciandolo in una situazione in cui deve capire chi stia cercando di farlo fuori e non può fidarsi neppure dei propri ricordi...
Comunque, se non altro per
par condicio, adesso tocca a Harry andare un po' in crisi; e magari questo migliorerà la tua impressione di lui. O magari no. Mi saprai dire.
Quanto alla canzone di turno, credo che il testo prescelto si spiegherà da solo, una volta letto il capitolo.




Please don't tell me what to do
'Cause even if I wanted to
I couldn't throw my life away
By listening to what you say
I'm telling you, ain't nothing you can do to change my way
Hey, hey, hey
Ain't no way gonna make me think like you do


[J.M., Wandering Musician]



Il mattino seguente vide Harry riscuotersi a fatica – e in ritardo - da un sonno agitato.
Stavolta non c'entrava Voldemort, non c'entrava più da un po'. E, incredibilmente, non aveva rivolto a Ginny neppure un mezzo pensiero prima di addormentarsi.
Scrollando la testa nel vano tentativo di liberarla dalle nebbie di una stanchezza persistente, riuscì a mettere a fuoco il dormitorio deserto.
Colto da un improvviso senso di urgenza, che poco o nulla aveva a che fare con la colazione, si vestì in tutta fretta e si precipitò giù per le scale, fuori della sala comune, di corsa per scale e corridoi.
L'adrenalina finì di svegliarlo e il suo umore, già cupo, divenne nerissimo.
Malfoy. Porca puttana. Malfoy.
La sera prima, scrivergli quella lettera di risposta era sembrata un'idea geniale.
Certo, con Hermione e Ron ne aveva discusso un bel po'... ma, alla fine, perché non ribattergli colpo su colpo e lasciargli, nello stesso tempo, la porta aperta se davvero voleva mandare un gufo di rettifica alla Gazzetta? Anzi, perché non rilanciare, prospettandogli addirittura la firma congiunta?
Solo che replicare alla Parkinson e al giornale significava, per forza di cose, affrontare l'argomento dell'asserita, cosiddetta “parentela”.
La sera prima, era andato a dormire sentendosi piuttosto fiero di quella lettera: le parole erano di Hermione, ma idee e concetti provenivano tutti da lui (in effetti, sentendosi dire cosa avrebbe dovuto scrivere al riguardo, la sua migliore amica gli aveva lanciato uno sguardo strano), quindi poteva dire di aver tenuto testa validamente a Draco Malfoy.
Adesso, invece, si sentiva proprio un completo deficiente.
Raggiunse la Sala d'Ingresso mentre lo stomaco cominciava a brontolare, ma lo ignorò: era preso da ben altri problemi. Ad esempio... Perché aveva dovuto porre quella domanda?! E porla a Malfoy, per giunta?!
Attraversò la Sala Grande a passo di carica, indifferente alle teste che si voltavano, agli sguardi che lo seguivano. Sembrava che il pasto fosse appena iniziato: una fortuna, anche se il cibo era l'ultimo dei suoi pensieri.
Raggiunto il solito posto, si limitò ad un rapido cenno di saluto generale. Erano tutti impegnati nelle solite chiacchiere: gli parve di capire che qualcuno fosse stato beccato a pomiciare in cima alla Torre di Astronomia. Non il migliore dei posti, poco ma sicuro.
Ron e Hermione lo fissavano, naturalmente.
Determinato ad ignorarli, attaccò a mangiare con una sorta di determinazione feroce che, unita ad un viso che minacciava tempesta, dissuase l'intera tavolata dal rivolgergli la parola.
Purtroppo, né il cibo né la mancanza di conversazione potevano impedirgli di continuare a darsi dell'idiota.
La sera prima, era stato quasi convinto che veramente non gli importasse nulla di una (im)possibile parentela con Malfoy. Più convinto di Hermione, con ogni probabilità, vista quella sua occhiata. E comunque, era andato a dormire sentendosi assolutamente certo che la lettera avrebbe persuaso della sua completa indifferenza anche l'osservatore più smaliziato.
Adesso, dopo una notte tormentata da mille dubbi e ipotesi su quella stessa parentela, il tono perentorio delle frasi uscite dalla sua testa (e plasmate dalla piuma di Hermione) gli sembrava soltanto una menzogna patetica. Un inganno tanto stupido da risultar trasparente. Anzi, da attirare addirittura l'attenzione su ciò che avrebbe voluto nascondere.
Era come sentirsi di nuovo sicuro di essere l'arma che Voldemort cercava.
Con una differenza: stavolta si era proprio consegnato nelle sue mani, pronto all'uso. Complimenti.
In un momento di irrazionalità pura, sentì di odiare il cielo brillante della Sala, quasi fosse un gigantesco riflettore puntato dritto sul suo segreto.
Ma sapeva, naturalmente, di non poter incolpare la luce.
No. Poteva – doveva - incolpare solo sé stesso.
Aveva rivelato il proprio punto debole a Draco Malfoy.
Un bastardo, un serpente, un bulletto disgustoso. Ma non uno stupido.
Malfoy avrebbe letto tra le righe. Nello splendore di quel mattino, Harry se ne sentiva sicurissimo, tanto quanto, nell'ombra della sera precedente, lo era stato dell'esatto contrario.
E, naturalmente, un attimo dopo quel Vermicolo sarebbe corso da suo padre, o addirittura da Voldemort in persona.
Il quale sarebbe stato felicissimo di sapere che, dopotutto, c'era un modo per colpire Harry Potter... nonostante tutte le protezioni escogitate da Silente. E nonostante l'Occlumanzia, nonostante il dolore, l'amore o qualunque cosa tenesse quel bastardo fuori della sua testa. No, non serviva nemmeno inviare visioni fasulle.
Bastava colpire la sua famiglia. Quella che tutti pensavano fosse la sua famiglia.
Come aveva fatto ad essere così stupido?!
Non gli era bastata la morte di Sirius? Voleva ammazzare qualcun altro, con la propria idiozia?
Per quanto detestasse i Dursley, detestava ancor più l'idea che Voldemort li uccidesse a causa sua. Neppure Dudley, anzi, neppure zio Vernon meritava un destino del genere. Be', per la verità, su zio Vernon poteva anche nutrire qualche dubbio... ma comunque non voleva nessuno di loro sulla coscienza. Certamente non Dudley, tantomeno zia Petunia.
La sorella di sua madre.
Con una stretta al cuore, ricordò il momento in cui zio Vernon, resosi conto del pericolo che costituiva, stava per sbatterlo fuori... e zia Petunia si era opposta. Dopo una Strillettera di Silente, certo, ma si era opposta.
Tanti anni prima, lo aveva accolto in casa pur sapendo – per averlo appena letto – che così avrebbe esposto sé stessa, suo marito e il suo adorato Didino a gravi rischi. E quella volta aveva voluto che restasse, anche se le aveva appena spiattellato, brutalmente, che Voldemort era tornato.
Non capiva perché l'avesse accolto e ancor meno perché l'avesse trattenuto, non ne aveva la minima idea. Certo non per affetto, vista la freddezza con cui l'aveva sempre trattato. Ma in ogni caso - e quasi a dispetto di sé stesso - sentiva di doverle qualcosa, in cambio di quell'ininterrotta protezione magica, anche se elargita a denti stretti. Nulla di trascendentale, per carità... però, almeno un minimo di attenzione a non mettere ancor più in pericolo lei, suo marito e suo figlio, questo sì. Glielo doveva.
E che cosa aveva appena fatto, invece?
Sorpreeeesaaa!
Vedeva già Voldemort comparire davanti ai Dursley, magari non sulla soglia di Privet Drive, ma in un posto qualunque... metti caso mentre facevano la spesa... qualche Babbano morto in più non sarebbe certo stato un problema, per quel pazzo, quando mai?!
Continuava ad ingurgitare cibo in perfetto “stile Ron”, tanto che l'amico lo guardava stupefatto; ma non ne sentiva neppure il sapore. Lo stomaco si era calmato, perlomeno. I pensieri, decisamente, no. Anzi.
Si ritrovò a domandarsi cosa avrebbe detto sua madre di tutto questo.
Sua madre, morta per fargli scudo dall'Anatema che Uccide.
Cosa avrebbe pensato, se avesse saputo che la sua unica sorella era stata uccisa dallo stesso maledetto assassino, massacrata insieme con il marito e il figlio... solo perché Harry era stato stupido, stupido, stupido?
Cosa gli avrebbe detto?
Forse “Non sei il figlio per cui sono morta!”?
O magari di peggio? Sarebbe potuta esplodere in una tirata degna della madre di Sirius?
Gli riecheggiò in testa il grido “Abominio! Vergogna della mia carne!”. E sentì di meritarlo. Completamente.
Finì di tracannare il succo, ma non riuscì a soffocare quella voce e nemmeno ad attenuare la propria angoscia.
Dopo cinque secondi, o magari cinque minuti o cinque secoli, in suo soccorso giunse un rumore familiare: la posta del mattino.
La posta che, forse, gli avrebbe portato una risposta di Malfoy. Una conferma della sua totale, anzi, criminale stupidità, per non dir di peggio. Ma forse, forse, forse...
Si riscosse. Voleva sapere.
Proprio in quella, gli atterrò davanti un gufo con due lettere. Due distinti rotoli di pergamena – uno per zampa - entrambi legati con un bel nastro di seta verde e argento. All'evidenza, una doppia risposta di Draco Malfoy.
Erano così tanti gli insulti vomitati dal suo arcinemico alla sola idea di una simile (pseudo)parentela? Harry si ritrovò a sperarlo, perché, in tal caso, avrebbe potuto credere che, nella domanda postagli, il Serpeverde non avesse letto nient'altro...
Ron e Hermione – che non potevano attirare l'attenzione sulla sua corrispondenza, date le circostanze – erano attenti a mostrarsi impegnati nel solito scambio di battute sul contenuto del giornale. Nulla di nuovo, per fortuna o purtroppo. Almeno, da quel poco che ne sapeva, nel mondo Babbano le guerre si combattevano tra eserciti in uniforme, su un campo di battaglia ben preciso. Qui, invece... si poteva davvero chiamare “guerra” questa serie angosciante di agguati, rapimenti, imboscate, Maledizioni Imperius alla prima occasione e quant'altro?
Bene, inutile rimandare ancora. Aprire lettere del genere a tavola non era esattamente l'ideale, ma comunque non avrebbe avuto un momento libero prima di pranzo. Si guardò intorno: i suoi compagni di Casa erano tutti assorti nel cibo, nella conversazione o nella posta ricevuta, ma Ron e Hermione lo guardavano di sottecchi. Proprio non gli restava via di scampo.
Trepidante, prese uno dei due rotoli - a caso - e lo aprì.
Cominciava con «Spett. Direzione»; tanto gli bastò per metterlo subito da parte e afferrare l'altro, capendo che lì avrebbe trovato ciò che gli premeva sapere.
Senza che lo notasse, i suoi amici si scambiarono uno sguardo preoccupato. E un secondo subito dopo, non appena lo videro sbiancare.
Non è possibile!
Posò la pergamena, riavvolse il rotolo e lo richiuse con il nastro, esteriormente impassibile; addirittura riprese a mangiare, senza avere la minima idea di cosa stesse mettendo sotto i denti; ma non riusciva a pensare altro che “Non è possibile!”.
Poteva crederci? E poteva non crederci?
Avrebbe potuto giurare che fosse tutta una sordida invenzione della Parkinson, per qualche suo strano, sordido scopo; ma, benché il suo cervello continuasse a strillare il più categorico dei rifiuti, la lettera di Malfoy lo costringeva ad ingoiare almeno una verità molto amara: dei propri parenti, possibili o impossibili che fossero, Harry James Potter, in realtà, non sapeva nulla.
Meglio: sapeva di non averne altri dalla parte di sua madre, perché così gli aveva detto Silente, quando si era, infine, degnato di spiegargli perché mai lo avesse consegnato nelle dolci manine dei Dursley. Ma i Potter? Chi erano i Potter?
Capiva perfettamente che proprio questa domanda lo aveva spinto ad interpellare Draco Malfoy; ma come valutare quella risposta? Gli avessero detto che il suo bisnonno era un Sasquatch emigrato dall'America, con quale certezza avrebbe potuto ribattere “Non è vero!”?
Avvertì una fitta dolorosa, ricordando l'immagine nello Specchio delle Brame: una famiglia.
Un'intera famiglia. Senza i Dursley, naturalmente. Ma con zii, nonni, cugini...
Eppure, si era fatto bastare un semplice album di foto dei suoi genitori.
Come se non fosse mai esistito nessun altro.
E non aveva fatto domande. Non sugli Evans, e passi: esclusa a priori zia Petunia, non restava nessuno cui rivolgersi. Ma nemmeno sui Potter.
Di colpo, si sentiva come se, in qualche modo, li avesse traditi tutti.
Tutta un'orda di parenti sconosciuti, vivi e morti... e il loro ultimo discendente non aveva fatto domande. Neanche una. Come se se ne fosse infischiato del tutto.
I Potter. Questi sconosciuti.
I Potter e i Malfoy?! Impossibile! Il suo cervello continuava a gridarlo.
Eppure... in fondo, che sapeva dei Potter?
Suo padre era un purosangue. Non gli veniva in mente nient'altro. E non era un bel punto di partenza.
Be', purosangue sì e no: per gente come Malfoy, James Potter era un “traditore del proprio sangue”. Ma, data la quantità d'oro rimasta alla Gringott, di certo i suoi nonni non lo avevano diseredato per il matrimonio con sua madre... oppure erano già morti?
Corrugò la fronte, sforzandosi di ricordare quella conversazione con Sirius. Che gli aveva detto, di preciso? “Tutte le famiglie purosangue sono imparentate in qualche modo”, d'accordo, ma che altro? Cos'era quel dettaglio...?
Ah sì: quando il suo futuro padrino era fuggito da Grimmauld Place, in rotta con la Nobile e Antichissima Casata dei Black, lo avevano ospitato proprio i Potter. I suoi nonni. Quindi, magari erano purosangue, ma di certo non fanatici quanto la madre di Sirius. Possibile che fossero davvero imparentati con lei?!
Magari si trattava di una parentela lontana. Che aveva detto Malfoy? “Un legame di sangue per parte Black”, nient'altro. Nessun'indicazione su quanto potesse essere stretto.
Epperò, stretto o largo che fosse, lo schifoso Serpeverde l'avrebbe mai ammesso, se non fosse esistito veramente?
Harry masticò amaro.
Per la prima e, auspicabilmente, unica volta in vita sua, avrebbe potuto giurare sulla sincerità di Draco Malfoy.
Tutto si sarebbe potuto inventare quella carogna, tutto. Ma non una cosa del genere. Neanche, anzi tantomeno, per confermare un'invenzione altrui.
Che aveva scritto il serpente? Ah sì, “Profonda ripugnanza”: per una volta, si sentiva completamente d'accordo con lui!
(Rabbrividì all'idea; tra Ron e Hermione – che fremevano, ma non osavano certo abbordare un argomento simile dinanzi a tutti i Grifondoro – corsero altri sguardi preoccupati).
Tornò all'altra lettera, sperando in qualche chiarimento ulteriore o, forse, in un'improbabile sconfessione di quanto appena letto. Ma, pur correndo subito al contenuto, non poté fare a meno di inarcare le sopracciglia, vedendo che l'estensore l'aveva addirittura chiosata con abbondanti note a piè di pagina.

«Spett. Direzione,
in riferimento all'articolo del 5 u.s. “Nuovi dettagli sull'attacco a Hogsmeade” (pag. 4) e alla coeva intervista di pag. 5 in basso, dove vengono definiti “cugini” e “grandi amici”, i sottoscritti Sigg. Harry Potter e Draco Malfoy (1) desiderano precisare che, sebbene abbia effettivamente avuto luogo un connubio Black-Potter che, in altre circostanze, darebbe luogo ad un legame di parentela tra loro (2), nessuno dei due ha mai considerato l'altro un cugino o un parente di sorta; entrambi sono consapevoli – pur nella diversità della rispettiva posizione (3) – degli imperativi posti dalla salvaguardia della razza magica e delle relative conseguenze (4). Inoltre, tra loro non esiste, né mai è esistita da quando si sono conosciuti, un'amicizia purchessia, tantomeno una “grande amicizia”. E sarebbero disposti a confermare entrambe le circostanze anche sotto
Veritaserum (5).
Con l'occasione, anzi, mette conto precisare che l'intervistata, Sig.na Parkinson, non è precisamente una delle fonti più attendibili, come la
Gazzetta dovrebbe già sapere bene (6); alla sua radicata inimicizia verso il Sig. Potter sembra che, ora, si sia aggiunta una deplorevole tendenza alla millanteria, dato che – il Sig. Malfoy tiene particolarmente a fugare ogni dubbio sul punto (7) – ella non è mai stata la sua fidanzata, né egli sarebbe mai disposto a considerare l'ipotesi.


Distinti saluti,


(1) Derogo in tuo favore all'ordine alfabetico, Potter, unicamente perché credo che ciò aumenti le nostre speranze di pubblicazione. Mi piacerebbe infinitamente poter dire che, per questo, mi devi un favore... ma ahimè, suppongo che vada considerato un contributo all'interesse comune (Merlino, cosa ho appena scritto!). Puoi ricambiare facendo lo sforzo di ricopiare in bella, così sembrerai l'estensore della missiva. Siccome non mi aspetto granché dal tuo cervello lesionato, ti prego di NON copiare né queste note né i relativi numeri di chiamata; spero che riuscirai almeno a capire da solo il perché.
(2) Tengo a precisare che al tempo i Potter, pur non facendo parte delle Ventotto ed essendo stati alquanto compromessi dalle idee del tuo bisnonno Henry, erano comunque una rispettabile famiglia purosangue. Credo, in effetti, che i tuoi nonni per primi siano rimasti esterrefatti, allorché il loro unico figlio ha scelto di sposare la donna che, di lì a poco, sarebbe divenuta tua madre; ma erano troppo anziani o troppo deboli per reagire nell'unico modo adeguato. In famiglia, però, si racconta ancora che Dorea Black abbia trascorso in lacrime gli ultimi mesi di vita, finché un pietoso attacco di vaiolo di drago non l'ha sottratta al peso di tanta umiliazione. Tutto questo per dire che, a rigore, i tuoi nonni potrebbero anche restare annoverati tra i miei parenti... ma non era il caso di scriverlo al giornale. Ho preferito essere quanto mai drastico e oso sperare che sarai d'accordo.
(3) Apprezzerai l'ambiguità che consente di riferire il sostantivo “posizione” al nostro rispettivo grado di purezza di sangue, oppure alle opinioni che nutriamo al riguardo: confido che essa ti consenta di sottoscrivere in tutta serenità.
(4) Un'attenuazione del testo, su questo punto, non mi era possibile; dovrebbe bastare l'ambiguità di cui alla nota (3)... ma, ad ogni buon conto, osservo che tu potresti intendere l'intero passo come riferito alla guerra in corso. Non c'entra granché con il tema, è vero; però non sarebbe certo la prima volta che soggetti “imparentati” si trovano a militare su fronti opposti.
(5) Tranquillo, Potter, è soltanto un'iperbole. E comunque, io non avrei nulla da nascondere.
(6) Qui forse sto esagerando, dato che, in fin dei conti, al quarto anno Pansy ha fatto poco più che fornire pettegolezzi e malignità alla Skeeter; ma è bene che in quel giornale sappiano che non tutti hanno la memoria corta.
(7) E con questa formula poco cavalleresca, oltreché con ciò che segue, ho stroncato ogni eventuale progetto di matrimonio, casomai i miei ne avessero combinato uno con Pansy a mia insaputa. Ogni tanto mi è sorto qualche dubbio in tal senso; confido che comprenderai la mia scelta di risolvere l'eventuale problema una volta per tutte.
».

Si stropicciò gli occhi, incerto. Nell'insieme, era il testo più strano che avesse mai visto.
Espressioni come “connubio Black-Potter” (!) lo avrebbero fatto incazzare alla grande, se non fosse stato per il modo sbalorditivo in cui Malfoy si era impegnato e ingegnato a giustificare ogni singolo passaggio. Non avrebbe mai creduto che potesse comprendere così bene cosa gli avrebbe dato fastidio – anche se, in effetti, dopo tanti anni di prese in giro... - e tantomeno si sarebbe aspettato di vederlo abbassarsi a giustificare un qualunque aspetto del proprio operato. Doveva tenere davvero molto a quella firma congiunta. Forse era stata una buona idea.
Ma a lui in quel momento non importava affatto della firma, né del giornale, né di nient'altro.
Perché lì, nero su bianco, nella pubblica ammissione di quel... ehm... non-legame di parentela, stava la conferma definitiva della sua realtà. Impossibile nutrire altri dubbi.
Impossibile anche temere che avesse letto tra le righe. Non sarebbe riuscito a scrivere così. No. Neppure Malfoy poteva arrivare a tanto.
Gli girava la testa. In parte per il sollievo, ma soprattutto per la confusione: Draco Malfoy era... un cugino? Aveva capito bene? Non si capia in che grado, ma il dannato legame gli sembrava già fin troppo stretto.
E i suoi nonni... che diceva dei suoi nonni?
Rilesse la nota (2), restandone più confuso che mai.
Senza una parola, passò a Hermione la bozza di risposta alla Gazzetta, pensando vagamente che potesse controllare che non vi fossero significati reconditi o Maledizioni pronte a colpire chiunque avesse cercato di copiare il testo in bella.
Tutti si stavano alzando – Hermione con il naso immerso nella pergamena, ovviamente – e Harry si aggregò in automatico ai Grifondoro del sesto anno, diretti verso l'aula di Incantesimi. Non notò minimamente Ginny, che si aspettava almeno un cenno di saluto, e tantomeno il paio di occhi blu che gli rimase incollato addosso, seguendo con preoccupazione il suo evidente disagio. In effetti, non notò nulla di quel che avvenne intorno a lui, e neppure delle sue stesse azioni.
Nulla, per tutta la mattinata e oltre.
Pensava. Pensava, rimuginava e soffriva.
Sapeva che già al tempo della scuola James Potter cercava di far colpo su Lily Evans, ma... “la donna che, di lì a poco, sarebbe divenuta tua madre”? Che significava? L'aveva messa incinta e si era sentito in obbligo di sposarla?
Come la pensava davvero suo padre? Chi era?
Chi era quest'uomo di cui tutti parlavano bene, fin troppo bene, anche per un morto? Un purosangue con una famiglia giusto un po' meno oppressiva di Sirius?
Una rispettabile famiglia purosangue”, anche se non era nelle Ventotto, qualunque cosa fossero. Anche solo cercar di immaginare qualcosa che Draco Malfoy poteva definire “rispettabile” gli dava il voltastomaco.
Dorea Black. Sua nonna, se aveva capito bene. E piangeva perché il suo unico figlio aveva sposato una nata Babbana.
Sua nonna si vergognava di sua madre.
Poteva Harry Potter non vergognarsi di sua nonna?
Poteva non vergognarsi della propria famiglia?
Per quanto stringesse i denti, quel tormento non diminuiva.
Per quanto stringesse gli occhi, continuava a ripassargli davanti l'immagine vista nello Specchio delle Brame.
E, per quanto cercasse di esorcizzarla a suon di “Non mi importa, non mi importa...”, lo Specchio non aveva mentito allora e il ricordo non mentiva adesso. Gli importava, gli importava più di tutto.
Dannato Specchio. Fottuta immagine. Fottutissimi parenti bastardi.
Be', magari non proprio tutti.
Quel tale Henry Potter. Il suo bisnonno. Se le sue “idee” erano giudicate compromettenti, di sicuro non poteva pensarla come Malfoy!
Almeno un Potter non era stato il tipico purosangue, insomma...
Per questo lo avevano chiamato Harry?
Harry, non Henry: forse il diminutivo voleva sminuirlo, sminuire il piccolo che solo per compassione non era nato bastardo?
O forse, chiamandolo “Harry James”, suo padre aveva comunque voluto dirgli “Bambino mio, nonostante tutto, tu sei mio figlio, sei un vero Potter!”? (Qualunque cosa significasse essere un Potter, beninteso).
Forse, tra tutti i parenti, almeno suo padre non si era vergognato di lui?
Suo padre, che aveva pensato a salvare lui, aveva urlato a sua madre di mettersi in salvo con lui.
Forse li amava davvero, tutti e due, sua moglie e suo figlio. Avrebbe tanto voluto crederlo.
Oppure, forse aveva solo fatto la cosa giusta, senza nemmeno pensare. Un eroe, a suo modo, ma non nel nome dell'amore.
Forse, per lui erano stati soltanto... dovere.
Cosa sapeva di suo padre, dopotutto? Cosa aveva visto di lui, a parte il comportamento da bullo con Piton? Magari, chissà, si era sposato con sua madre come aveva salvato Piton: per dovere. O perfino per una sorta di nobiltà d'animo. Ma non certo per amore.
A chi poteva chiederlo? Morto Sirius, chi gli restava?
Sirius. Ora che ci pensava, doveva essere un cugino di qualche tipo... e non gliel'aveva mai detto, neppure quando stavano davanti a quel maledetto arazzo pieno di nomi. Di cosa si vergognava? Di essere un Black? Be'... ci poteva stare.
Nomi sull'arazzo, odiati.
Facce nello Specchio. Amate. Amate. Amate.
Aveva amato ognuno di quei volti senza nome. Tanto da non accettare mai fino in fondo l'amara verità: che quel non-riflesso mentiva, che lo stramaledetto Specchio mentiva.
Quella non era la sua famiglia. Era “soltanto” ciò che avrebbe voluto avere.
Le immagini di suo padre e sua madre corrispondevano alle foto, certo; ma, anche se fosse stato lo stesso per gli altri volti... comunque erano tutti morti. Morti. Morti.
Soltanto morti! Solo questo mi resta!
Anzi, peggio. Decisamente peggio.
Qualcuno vivo gli rimaneva ancora, sì. Ma di quelli che sarebbe stato meglio non avere affatto. Zia Petunia e Dudley da parte Evans...
…E, da parte Potter, Draco Malfoy.
Avvertì un fortissimo crampo allo stomaco.
Malfoy.
Malfoy e chissà chi altri ancora: dopotutto, se era imparentato con lui, poteva ritrovarsi inclusa nel pacchetto una buona metà dei Mangiamorte, per quanto ne sapeva. Anzi... cazzo, se Voldemort era veramente l'Erede di Serpeverde, sua madre doveva provenire dalla famiglia più fissata di tutte con questa storia del sangue puro! Sta' a vedere... Magari erano cugini alla lontana!
Attento a quel che desideri, Harry: potresti ottenerlo.
Fu un miracolo se non scoppiò in una risata isterica: si immaginava già le riunioni del parentado, intorno ad un grande tavolo da pranzo, e qualche vecchio nonno saggio che ammoniva Voldemort: “Figliolo, dobbiamo sempre ricordare che siamo tutti una grande famiglia... e cercare di ridurre al minimo le uccisioni e le stragi.”.
Deglutì a fatica.
Stava improvvisamente rivalutando i Dursley.
Avrebbe tanto, tanto voluto piangere. Ma stava troppo male per riuscirci.


Note:
In origine, questo capitolo si sarebbe dovuto articolare in due parti; ma, nel corso della stesura, quest'ultima è diventata troppo lunga e troppo diversa nel tono, quindi farà parte per sé stessa; e così, magari, potrò aggiornare più in fretta, dato che sono già a buon punto.
Il titolo mi è venuto in mente da sé, di colpo, e solo dopo ho capito quanto sia azzeccato per esprimere l'improvvisa consapevolezza, da parte di Harry, che la sua famiglia, ormai, sopravvive soltanto (o soprattutto) in Draco. Le sue fonti sono: il
Culex - poemetto dell'Appendix Vergiliana la cui autenticità è controversa - dove evoca la sorte di Euridice e la tristezza di vederla condannata a sprofondare negli inferi una seconda volta per l'errore del marito (“quid, misera Eurydice, tanto maerore recesti, / poenaque respectus et nunc manet Orpheos in te?”: vv. 268-9); e il ben più celebre libro Et nunc manet in te, in cui André Gide, dopo la morte della moglie, rievoca le vicissitudini del loro rapporto coniugale. Non credo che si possa seriamente dubitare del fatto che, qualunque cosa possa evocare per Harry il termine “famiglia”, si tratti di una realtà soggettiva sperimentata a partire da una morte, da una separazione definitiva; e lo Specchio, nel primo libro, dice molto su quanto ciò gli sia pesato. Ma, naturalmente, lascio a voi ogni giudizio.
L'accenno a qualcuno sorpreso a pomiciare alla Torre di Astronomia è una mia presa di distanza dal fanon, che ne ha fatto il luogo di ritrovo per le coppiette: considerato che, in prima battuta, nessuno dovrebbe essere in giro di notte, ha molto più senso il canone, dove ci si infratta nella prima aula deserta che si trova, o all'esterno in angolini appartati; di sicuro, un “posto degli innamorati” sarebbe una tappa fissa nei giri di Gazza, quindi butterebbe subito male. Anche se, indubbiamente, “Vuoi venire con me a guardare le stelle?” suona molto più romantico di “Signorina, perché non sale a vedere la mia collezione di stampe cinesi?”.
Una precisazione che non ho avuto modo di inserire nel testo, anche se forse si intuisce: Harry sa, perché l'ha sentito dalle sue stesse labbra, che Voldemort non può raggiungerlo mentre si trova a casa dei suoi zii; e ovviamente intuisce che la protezione si estende anche a loro (che infatti, nel canone, vengono messi al sicuro solo all'inizio del settimo libro). Ma ha comunque motivo di preoccuparsi: cosa impedirebbe a Voldemort di attirare lontano i suoi familiari, con un pretesto qualsiasi, come fa l'Ordine quando preleva Harry, nel quinto libro? E a proposito... se Privet Drive fosse al sicuro da qualsivoglia interferenza, perché quella sorveglianza continua (a parte la diserzione di Mundungus Fletcher)?
Beninteso: il mio Harry non è affatto equilibrato, anzi, passa da un estremo all'altro, non solo in termini emotivi (credo e spero che si capisca: appunto per questo ho insistito tanto sul contrasto rispetto a come si sentiva la sera precedente). Però non si sta ponendo un problema campato per aria, almeno non secondo me.
Il Sasquatch, a quanto ci dice la Row nella sua storia del MACUSA è una creatura magica americana, nota anche come “Bigfoot”; anche se Harry non sembra una cima su questi argomenti, mi è sembrato un buon esempio di ascendenza inverosimile.
Nella mia versione alternativa, Henry “Harry” Potter ha avuto due figli: Charlus era il primogenito e Fleamont il secondogenito (che, per semplicità, ipotizzo sia morto senza lasciare eredi, o comunque nessuno ancora vivo al tempo della storia). Non ho idea del perché abbia dato al primo un nome francese – non ancora, almeno - ma mi sembra più probabile che la “vittima” del desiderio della moglie di preservare, in qualche modo, il proprio cognome sia il secondogenito, no? Comunque, scordiamoci Fleamont, se anche ha procreato nessun suo discendente è ancora in vita, Harry è l'ultimo dei Potter. Mi pare, del resto, che lo dicano, ne “Il Prigioniero di Azkaban”... ma dovrei cercare di nuovo il passo.
La frase “siamo tutti una grande famiglia...” è una mia citazione a memoria dalla saga di Percy Jackson (il secondo libro, direi), dove è pronunziata dal dio Hermes. Fin dalla prima volta in cui l'ho letta, mi sono ripromesso di trovare un modo per usarla, prima o poi. E qui mi pare che faccia la sua figura!
Infine, ma non da ultimo: le crisi non sono affatto finite e, sulla scena, manca ancora qualche personaggio. Vedrete qualcosa già nel prossimo capitolo. Mi rendo conto che il corso dell'azione è un po' rallentato, ma tranquilli, cercherò di mantenere un equilibrio rispetto alle parti introspettive (che hanno un loro perché). Del resto, mi sono ripromesso di far succedere un bel po' di cose, quindi dovrò sia preparare il terreno, sia... farle succedere.

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Capitolo 9
*** I turbamenti del giovane Weasley ***


I turbamenti del giovane Weasley

I turbamenti del giovane Weasley



Ringraziamenti:
grazie a tutti i lettori silenziosi che sono giunti fin qui e ancor più a quanti proseguiranno, perché questo è un capitolo diverso – per contenuto e stile – dai precedenti, un capitolo decisamente particolare, che potrebbe non piacere. E capisco quanti non lo apprezzeranno; ma spero che vorranno proseguire e scoprire via via il suo senso ultimo all'interno della trama.
Un ringraziamento speciale, inoltre, a Pally93, che è salita su questo
bateau ivre (benvenuta a bordo!), e a Delia Valery, inesauribile fonte di ispirazione, le cui storie spero che tornino presto tra noi.
GineVraW: benvenuta a bordo! Spero che continuerai a seguire; non so se questo capitolo sia il tuo genere – di sicuro non si può definire Harry / Ginny... :) - ma ti prometto che la tua coppia preferita avrà modo di assumere un ruolo centrale. E anche piuttosto in fretta.
RossanaT: i dubbi, in effetti, sono una parte importante del mio sforzo di costruire personaggi a tutto tondo.
mariademolay: sì, indubbiamente Harry è ultrapassivo... e nel settimo libro lo si tocca con mano, oltre ogni limite di ragionevolezza. Che vada a lambiccarsi il cervello può essere strano, è vero, ma credo – personalmente – che lo sia meno dell'indifferenza che dimostra nei primi libri. Pensa soltanto a quando tutti sospettano che sia l'Erede di Serpeverde: che fa? Pensa semplicemente “non sapeva nulla dei Potter, i Dursley gli avevano sempre proibito di fare domande sui suoi antenati maghi.”. No, dico, JKR, ci pigli per il...?! Capisco che Godric's Hollow dovesse restare una sorpresa per l'ultimo libro, ma qui si esagera! I Dursley come ostacolo che impedisce a Harry di saperne di più sul ramo magico del proprio albero genealogico? Oh sì, ceeeerto... Come dici tu, prendiamo il materiale e cerchiamo di migliorarlo, anche perché a volte vedi queste uscite che sembrano entrate...
La scelta del testo di Jim Morrison, in questo caso, è stata particolarmente sofferta. Alla fine, mi sono lasciato guidare dal criterio dell'antifrasi.



You men eat your dinner 
Eat your pork and beans 
I eat more chicken 
Than any man ever seen, yeah, yeah 
I'm a back door man, wha 
The men don't know 
But the little girls understand 

[J.M., Back Door Man]




Harry, Harry, Harry... è da quando sei arrivato a colazione e ho visto la tua faccia che aspetto di parlarti, di capire cosa ti passi per la testa. Di sicuro c'entra Malfoy, basta il cervello di un Billywig per capirlo. Però non c'è nulla di così sconvolgente in quella roba da mandare alla Gazzetta: è scritta da lui, tutto qui il fastidio.
Hermione pensa che si tratti di quell'accenno alla tua famiglia. Magari ha ragione, in genere ci azzecca su queste faccende. Ma se solo tu parlassi con noi...
Certo, da quando dobbiamo far pratica con gli Incantesimi non verbali, le lezioni di Vitious non sono più il momento migliore per fare conversazione. Però adesso siamo a Storia della Magia, una materia che solo Hermione riesce a seguire; e tu resti lontano mille miglia, in viaggio su chissà quale Passaporta...
Harry, ormai sappiamo, so, che quando ti chiudi in questo modo significa che stai male da morire, che sei tutto preso da qualche idea strana che continua a sbattere nella tua testa come un Bolide impazzito.
Mi sento male anch'io, al solo pensiero. E anche perché è evidente che tu non mi vuoi. Non vuoi il mio aiuto, non vuoi nulla.
Harry.
Anche il tuo nome fa male, in questi momenti.
Harry.
L'ultima volta che ti ho visto con un'espressione del genere, eravamo al terzo anno e tu stavi facendo i conti con la storia di Sirius. La versione sbagliata, però: i tuoi genitori traditi dal loro migliore amico.
“Migliore amico”. Già.
Ecco, è in momenti come questo che non riesco più ad illudermi che tu, per me, sia solo un amico.
Controllo automaticamente Hermione... e mi viene da ridere. Lo faccio sempre, tutte le volte che mi viene un pensiero simile. Come se potesse leggermelo in faccia.
(Non c'è pericolo: si è rassegnata ad attendere l'ora di pranzo per torchiarti e si sta concentrando sugli appunti. Beata lei che ci riesce. E beati noi che li prende sempre).
A volte penso che potrebbe rivelarsi un sollievo, dopotutto, se lo scoprisse.
Ma non vorrei mai che tu lo venissi a sapere così.
Sospiro.
Se solo mi fossi reso conto prima che... E avrei dovuto. Gli elementi c'erano tutti, forse ci sono sempre stati.
Sai, Harry? Ricordo ancora quando mi sono sentito strano per la prima volta.
Avevi appena saputo del “tradimento” di Sirius, ero piuttosto sicuro che stessi solo facendo finta di dormire, che ci stessi... be', dire “male” è dire poco... ho immaginato di venire da te per consolarti, di abbracciarti... e di colpo nella mia testa eravamo entrambi nudi... e perché mai sentivo caldo??
Allora non capivo proprio niente. Adesso, mi vergogno di aver pensato una cosa simile mentre tu stavi male.
Non ho capito un tubo neanche la mattina dopo; eppure, ritrovarsi, al risveglio, il pigiama tutto incollato sul davanti può significare una sola cosa, no?
Be', devo dire che io, allora, di queste cose non sapevo nulla. Proprio nulla. Davvero. Neanche una minima idea.
A ripensarci ora, mi sembra incredibile.
Negli anni avevo imparato un bel po' di parolacce, naturalmente, e sentito un bel po' di allusioni, e imparato che la reazione giusta, quella “da grandi”, era mettersi a ridacchiare facendo finta di sapere già tutto di tutto. Ma in realtà avevo capito solo che “i grandi” si baciavano infilandosi la lingua in bocca (bleah!) e facevano... “qualcosa”. Come dire, appunto, che non sapevo proprio niente.
Non fino alla nostra estate, Harry.
L'estate della Coppa del Mondo, per me, sarà sempre “la nostra”.
L'estate della scoperta.
Il cuore mi batte più forte, mentre ricordo... Perché sono entrato in stanza di Percy, quel pomeriggio? Per nessun motivo in particolare, credo: faceva caldo, mi annoiavo e non avevo nulla da fare. Mi sembra che la mamma fosse in cucina, ma per il resto ero da solo, una volta tanto.
Pensavo di curiosare e basta, magari di fargli sparire qualche stupido documento dell'Ufficio... e invece, che cosa non ti trovo? Nientemeno che la sua collezione del famoso, ehm, settimanale illustrato Witches without Britches.
Una collezione dall'aria piuttosto vissuta, adesso posso dirlo.
Allora, naturalmente, non ho capito granché di quel che vedevo.
Sono rimasto senza parole per un minuto, dieci minuti, un'ora, chi lo sa?
Poi, di colpo, ho afferrato un numero a casaccio, guardandomi intorno tutto impaurito. Sono corso in camera mia. Ho chiuso molto bene la porta (sì, la mamma doveva proprio essere in cucina). E ho sfogliato a bocca aperta ogni singola pagina, senza quasi riuscire a credere a... a ciò che mi si parava davanti.
Ricordo perfettamente il cuore a mille, la gola secca, il meraviglioso senso di scoperta e quel bisogno intenso cui non riuscivo a dare un nome.
E, ad un certo punto, mi sono ritrovato supino, a strusciarmi istintivamente contro il materasso, in cerca di sollievo (perché ho il pisello così duro, mi chiedevo? Non è come quando devo fare pipì...).
Sensazioni sconosciute, fortissime. Un misto di sofferenza e di piacere, un piacere mai neppure immaginato. Mi sono perfino spaventato, sentendo il verso che mi usciva dalla gola.
Spaventato, sì; fermato, no. Non potevo. Non avrei potuto neanche volendo. E non volevo.
Un istante dopo, in effetti, trafficavo con la cerniera, pensando solo a tirarlo fuori, a strusciarlo meglio... ad aumentare quel tormento delizioso...
E poi, mentre i fianchi si muovevano di moto proprio, la punta e l'asta si sono sfregate contro il palmo. Intensità delle sensazioni quadruplicata. Mi è mancata l'aria.
D'istinto, ho stretto il pugno.
Il resto è venuto da sé.
(Venuto. Ha-ha. In cinque secondi netti, direi).
E subito dopo, ritrovandomi alle prese con quella “strana roba appiccicosa”, ho ripensato al risveglio nella Torre di Grifondoro. Al davanti del pigiama. E al giorno prima... all'immagine di te, nudo tra le mie braccia.
Nudo come quelle donne che si dimenavano sui...
Sono arrossito fino alla radice dei capelli.
Forse stavo capendo qualcosa, forse ho intuito parecchio. Ma non ho voluto capire.
Mi sono ripulito in tutta fretta, ho rimesso Witches without Britches esattamente al posto in cui stava...
...Per il momento.
Va da sé che, nei giorni seguenti, approfittando degli straordinari di Percy al Ministero, ho fatto pratica. Molta pratica. Non mi sono mai impegnato così tanto, neppure con il Quidditch.
E mi sono accorto, un po' per volta, che il mondo aveva un altro aspetto. Un altro senso, addirittura.
Tante cose sentite, più o meno per caso, dai miei fratelli o dai ragazzi più grandi, ad esempio tutti quei discorsi ansimanti su tette e culi: eccoli lì, spiegati dalle foto.
E le parole che prima non capivo, ecco lì pure quelle, nero su bianco, nei commenti alle foto. Fighe. Pompini. Seghe, anche quelle c'erano: così ho capito cosa fosse “quella roba strana” che mi piaceva un sacco.
E poi, cazzo, quanto mi vergognavo quando guardavo Ginny e mi chiedevo se le stessero crescendo le tette, o spuntando i peli sulla figa, e mi veniva duro.
Spogliavo con gli occhi perfino mia madre. Se ci ripenso...!
Spogliavo con gli occhi qualunque donna incontrassi.
Eppure, Harry, continuavi a tornarmi in mente tu. (Sì, decisamente avrei dovuto capire...).
Mi chiedevo: chissà se anche Harry si fa le seghe? Chissà se ha imparato, se anche i Babbani dove sta hanno di queste riviste? Chissà come ce l'ha...
E a questo punto, guarda caso, troncavo il filo delle associazioni.
Ma nessuna foto me lo faceva venire duro quanto l'idea di insegnarti quello che avevo appena scoperto.
Be', sai già com'è andata. Non credo che tu l'abbia dimenticato.
Certo, non hai mai saputo quanto mi sia scervellato per trovare un modo... Potevo solo sperare che quegli schifosi carcerieri ti lasciassero venire alla Coppa del Mondo.
E così è stato.
Non stavo più nella pelle quando ho letto il tuo gufo. E neppure nelle mutande.
La sera in cui sei arrivato non c'è stato tempo; in tenda non era il caso, non con quattro letti a castello... Merlino, la fatica di non spararmene neanche mezza! E dopo, be', il Marchio Nero e tutto...
Ma poi sei rimasto a casa mia.
Sì, dormivamo in stanza con Fred e George, però la stanza di Percy, durante il giorno, era vuota. Benedetta crisi al Ministero!
Il primo giorno ho studiato il terreno, il secondo ti ho trascinato lì. Eri perplesso, pensavi che volessi combinare chissà che scherzo a quel pomposo idiota di mio fratello... ma mi hai seguito. E perché non avresti dovuto, dopotutto?
«Sai, ho scoperto che Percy tiene certe cose...» e non ho potuto fare a meno di ridacchiare.
«Che genere di cose?» Il tuo tono, perfettamente normale, mi ha fatto capire che non avevi idea... Se non sono venuto all'istante nei pantaloni è un miracolo.
Un'altra risatina.
«Vedrai.»
Ti ho invitato a sedere sul letto e... per l'uccello scappellato di Merlino, la tua faccia quando hai visto!
«Ma... ma...?!»
Un sorriso a trentadue denti e ti ho messo in mano una rivista, aprendone una a mia volta, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Ma, mentre ti stavo seduto accanto, fingevo solo di guardare quelle troie scatenate. Di sottecchi, fissavo te.
Te che scoprivi il sesso.
Che sfogliavi Witches without Britches con un'espressione un po' sbigottita e un po' avida.
E il cavallo dei tuoi pantaloni... be'...!
Mi è servito un paio di minuti, credo, per trovare il coraggio, ma alla fine te l'ho chiesto:
«Ce l'hai duro anche tu, Harry?»
«S-sì.» Eri diventato tutto rosso e borbottavi. «Mi... mi succede sempre, ultimamente... specie al mattino... Non so perché. Ma adesso... boh, stavolta è diverso.»
«E...» Di colpo, anche per me parlare non era facile. «Cosa, uhm, cosa fai di solito quando ce l'hai duro?»
«Quello che capita. Voglio dire... un po' mi dà fastidio, ma se ci penso è peggio, quindi mi distraggo con la prima cosa che mi viene in mente e aspetto che passi.»
«Ah.». Tra l'imbarazzo e l'eccitazione entrambi alle stelle, non riuscivo davvero a spiccicar parola; ho dovuto deglutire due o tre volte. «C'è... c'è un altro modo.»
Mi hai guardato con aria incuriosita, senza dire niente.
Di colpo, smaniavo dal desiderio di mostrarti... no, di toccarti.
Ma non potevo dirti semplicemente “Tiralo fuori”... oppure sì?
E non trovavo il coraggio di tirarlo fuori io, così, senza dire una parola.
Mi è caduto l'occhio sulla mia rivista: tette che ballonzolavano da un capo all'altro del paginone, una gran vacca a cavalcioni di un negro, di cui si vedeva solo... l'unica parte importante, diciamocelo... che usciva quasi del tutto e poi tornava a sprofondare completamente.
Te l'ho messa sotto il naso. «A cosa ti fa pensare questa foto?» Non ti ho più visto così rosso, mai più.
Chissà come, sono riuscito a proseguire: «Io... io immagino di essere... lì dentro.». Mi hai fissato ad occhi sgranati. «E allora...». Lentamente, tremando per l'eccitazione, ho portato la mano alla cerniera. Sentivo il tuo sguardo inchiodato su di me mentre armeggiavo per tirarlo fuori. E quando poi, alzando gli occhi, ho visto la curiosità con cui lo fissavi, ho capito che era fatta.
Sorridendo, ho allungato la mano verso di te: «Posso?»
Hai annuito deciso.
Non è stato facile limitarmi a slacciarti i pantaloni e abbassarti le mutande, senza palpare nemmeno un po' quella durezza così arrapante. Ma non volevo spaventarti.
A occhio, era più o meno come il mio. La pelle già si ritraeva dalla punta... e, a quella vista, per me è stato un attimo: ho stretto il pugno e cominciato a muovere la mano.
Hai inspirato di colpo. Lì ho capito che non mi sarei fermato.
«Ron...»
«Ti piace, Harry?». Ansimavo più di te.
«Mio Dio, Ron...». Hai chiuso gli occhi, reclinando la testa all'indietro; ma, quando ti ho preso la mano per stringerla intorno al mio, ti sei subito dato da fare.
«Sì, Harry, così... bravissimo...»
C'è voluto davvero poco perché i nostri manici di scopa schizzassero fino a raggiungere Giove.
Quando ho ripreso fiato e riaperto gli occhi, ho incrociato il tuo sguardo perplesso.
«Ron» mi hai chiesto, mostrandomi un filamento biancastro tra pollice e indice, «che cos'è questa roba?».
Per quanto fosse assurdo, date le circostanze, sono comunque arrossito.
«Ah... quello. Non... non ti capita mai, al mattino, di svegliarti... appiccicoso?»
I tuoi occhi verdi, ancora dilatati dall'eccitazione, mi hanno fissato stupiti.
«Sì... ma...»
«A volte di notte esce. E poi si secca.»
«Ma cos'è?» hai insistito, la fronte aggrottata, deciso a risolvere il mistero.
«Ehm... serve a fare figli...». I vantaggi degli articoli sulla contraccezione... sì, ho veramente letto la parte senza foto di Witches without Britches!
«Cosa?!» hai esclamato, scostandoti di colpo.
Non ho potuto fare a meno di scoppiare a ridere. «Tranquillo, idiota, qui nessuno ha messo incinto nessuno!»
E' stato il tuo turno di arrossire. Poi ti ho insegnato l'Incantesimo di pulizia.
E siamo rimasti lì, su quel letto ormai disfatto, a leggere i testi delle riviste, a parlare... a toccarci, a sperimentare tocchi e prese... a venire di nuovo, insieme, guardandoci negli occhi...
Quella notte, poi, mi hai sussurrato all'orecchio “Ho voglia di rifarlo, Ron”.
Mamma mia se ci ripenso! Lì, sul pianerottolo, in bella vista e a due passi da Fred e George!
(Be', chi si fidava che le scale non scricchiolassero, se avessimo cercato di andare più lontano?)
Ti giuro, il modo in cui i nostri ansiti si univano avrebbe fatto schizzare anche un gargoyle di pietra.
Siamo andati avanti così per il resto delle vacanze... ma poi è iniziata la scuola.
E abbiamo scoperto che, qui a Hogwarts, farsi una sega non è precisamente una cosa facile. A meno di non apprezzare l'idea di essere sentiti da tutto il dormitorio; e qualche volta il pensiero mi eccita, ma in genere no.
Qualche volta ci siamo infilati, di soppiatto, l'uno nel letto dell'altro, sfidandoci a farlo nel silenzio più assoluto. Arrapati il doppio, per via del rischio. Più spesso, ci siamo precipitati in bagno tra una lezione e l'altra. Uh, le risate, la volta in cui mi hai fatto schizzare addosso a Mirtilla Malcontenta! (Be', attraverso Mirtilla. Ma comunque ben le sta, così impara a ficcare il naso).
Un'altra volta, ci siamo quasi scontrati con Seamus, sulla porta del gabinetto. E' stato proprio imbarazzante: ciascuno ha capito subito quel che avevano in mente gli altri due. Abbiamo occupato un cubicolo per uno e, be', ci siamo dovuti arrangiare.
Insomma, normale vita scolastica.
Ma poi è arrivata Hallowe'en. E' successo quel casino con il Calice di Fuoco. E abbiamo litigato.
Credo che non me lo perdonerò mai, Harry. Perché, ora lo so, ti ho perso in quel momento.
Tre settimane buone senza parlarci, figuriamoci poi farci una sega insieme.
E poi, be'... i pensieri nella mia testa.
Mi sentivo... tradito. Non c'è un altro modo per dirlo. Io mi fidavo di te, credevo che tu ti fidassi di me. Credevo che il fatto di condividere “quello” significasse che ci saremmo sempre detti tutto. E invece... amicizia? Letame di drago, ecco cos'ero io per il famoso Harry Potter.
Ripensavo a quel che avevamo fatto, a come avessi brigato perché succedesse una cosa del genere, e sentivo una voce nella testa, beffarda come quella di Malfoy: Ron Weasley, il frocetto che muore dietro al Salvatore del Mondo Magico!
Ah, ma avrei sistemato tutto per bene!
Non te l'ho mai detto, Harry, ma, in quel periodo, me lo menavo a sangue, sognando di violentarti.
Forse era il sesso, forse il desiderio di farti male. Non so. Di sicuro, sognavo di schiaffartelo dappertutto, per dimostrare di non essere frocio. A ripensarci sembra assurdo.
Non l'avevo più fatto da solo, o quasi; e, quelle poche volte, mi ero limitato ad immaginare che la mano al lavoro fosse la tua. Quelle fantasie del tutto nuove, così violente, mi hanno sconvolto, davvero. Anche per questo avrei voluto che tutto tornasse come prima... ma non trovavo il coraggio di parlarti.
O di infilarmi nel tuo letto e far pace in un altro modo. Ci ho pensato, ci ho pensato parecchio, ma alla fine mi mancava sempre il coraggio.
La sera in cui ti ho mandato all'aria l'appuntamento con Sirius, ti ho detto di essere sceso a vedere perché mai non salissi. Ed era vero. Però – imbarazzo permettendo - avrei dovuto aggiungere due parole su quel che speravo facessi, una volta salito.
Poi... poi, cazzo, i draghi!
Sono stato così idiota che, per rendermene conto, ho dovuto vederti alle prese con un Ungaro Spinato. Solo quello mi ha fatto capire che a) lì non era in gioco la gloria, ma la pelle; b) a volte sembra proprio il contrario, ma tu non sei il tipo che va in cerca di guai; c) chiunque ti avesse iscritto a quel Torneo ti voleva morto.
Be', ho anche capito che vederti volare come Dinamite Llewellyn davanti ad un pericolo mortale mi eccitava almeno quanto mi terrorizzava.
Sono venuto nel tuo letto quella notte, non appena le voci degli altri si sono zittite.
Ti sei svegliato di soprassalto; mi hai fissato per un lungo istante. Non hai detto una parola: mi hai afferrato il polso e... e me l'hai fatto sentire. Già duro, già pronto. Duro da scoppiare, bollente quando ho insinuato le dita dentro al tuo pigiama...
Ti sei aggrappato a me con tutta la tua forza. Sollievo? Voglia repressa per settimane? Era il tuo modo di farmela pagare oppure di darmi il bentornato? Non lo so; so soltanto che ci abbiamo dato dentro fino all'alba, anche quando ormai ci faceva male e avevamo perso il conto degli orgasmi. Io non riuscivo a staccarmi da te, né tu da me. Se non mi sono addormentato nel tuo letto è un miracolo.
Ma l'indomani... niente.
Il giorno dopo, neppure.
E il terzo giorno, quando ti ho seguito mentre andavi al gabinetto...
Mi fa ancora male, Harry.
Non il “Penso che sia meglio smettere” bofonchiato a mezza bocca, no. Il fatto che tu guardassi da tutte le parti, guardassi qualunque cosa tranne me.
Credo di non averti neppure risposto. Forse ho annuito, ma non ne sono sicuro. Non ti ho neanche chiesto il perché: era chiaro, chiarissimo che ti vergognavi. E io non riuscivo a sopportare il pensiero. Nemmeno mi importava sapere cosa fosse cambiato: era normale, era giusto... avevo sbagliato io, ero stato stronzo io...
Che ha detto Hermione quella volta? Che ho la capacità emotiva di un cucchiaino da tè, o qualcosa del genere? Ha! Se sapesse...
Hermione, già. Dopo il Ballo del Ceppo, ho cominciato a guardarla in un altro modo.
A pensare, la notte, di insinuare una mano fra le sue gambe, anziché fra le tue.
A correre in bagno perché, attraverso la divisa, avevo colto il profilo delle sue tette.
Sì, ogni tanto ti pensavo, proprio quando ce l'avevo in mano... ma dopotutto era normale, no? L'avevamo fatto insieme tante volte...
E poi è successo di nuovo.
L'anno scorso, la sera dopo la partita con Tassorosso. Dopo che ti ho svegliato russando, tu hai pensato bene di svegliare me. Ti sei infilato direttamente sotto le lenzuola e mi hai scosso. Non troppo forte, però; sembravi impacciato, o forse imbarazzato.
Avrei dovuto dirti che non volevo la tua pietà. Né per come giocavo a Quidditch, né per qualsiasi altro motivo. Ma ero troppo intontito dal sonno, troppo depresso per la partita: mi sarei aggrappato a qualunque cosa.
E poi, come ho capito che eri tu, il mio corpo ha reagito in maniera... eclatante. Non gli importava nulla della confusione che avevo in testa.
E' stato diverso dal solito. Meno frenetico. Dolce, quasi.
Sembrava che mi chiedessi il permesso per ogni gesto.
E mi hai fissato a lungo negli occhi, prima di abbassare il tuo viso verso il mio. Lentamente, come per darmi tutto il tempo di fermarti. Invece, mi hai dato tempo e modo di capire – finalmente – che non lo avrei fatto, anzi, che non avrei voluto fermarti nemmeno di lì a un milione di anni.
Naturalmente, al mattino, non avevi il coraggio di guardarmi. Però, quantomeno, al primo cambio di lezione, mi hai portato in bagno e sei riuscito a borbottare: «Ron, io... stanott... Cioè, non so... a me piacciono le ragazze... Cho...»
Mi ero preparato un po' meglio di te: ho perfino sorriso. «Oh, lo so, Harry, tranquillo. A me piace Hermione.»
«Ah.». Stranamente, sei arrossito tu. «Be-bene, allora...»
Ti ho preso per un braccio. «Harry... grazie. Sei stato un vero amico.». E ti ho lasciato sulle spine un momento, prima di chiederti, con aria innocente: «Allora dimmi: bacio meglio di Cho?»
Hai riso. Forse un po' imbarazzato, ma hai riso. Ci siam messi a parlare di tette e di figa e del culo di questa e di quanto è gnocca quell'altra, e mi hai perfino detto di quando te ne sei sparato una sognando Angelina nuda su una scopa.
Tutto a posto, insomma. Così a posto che non è più successo niente.
E mi va bene. Davvero. Mi va bene anche che tu ti sia messo con mia sorella... anche se non ho il coraggio di chiederti nessun dettaglio su quello che fate.
Dopotutto, sarebbe potuta andare peggio, no? Mi sarei potuto innamorare di te. O tu di me... no, grazie! Perché allora avrei dovuto considerare l'idea di ricambiarti; e c'è già una certa ragazza che mi sta facendo patire le pene dell'inferno. Grazie mille, ma mi basta e mi avanza.
In effetti, sono decisamente stufo marcio delle pene d'amore. Soprattutto visto che sembrano assolutamente inutili. Esisterà un Incantesimo per capire cosa cazzo pensino le ragazze, in quella loro testa bacata? O almeno una Pozione per imparare a fregarsene, per non incazzarsi ogni mezzo secondo?
Però, Harry... da qualche parte c'è un “però”.
Sarà perché sei stato il mio primo bacio, sarà perché mi capita di pensare a come sarebbe potuta essere la nostra prima volta insieme... sarà perché Hermione mi fa battere il cuore e tutto, ma non dà il minimo segno di volerci stare, e io mi sento anche stufo di ammazzarmi di seghe... Però, tu per me non sei solo un amico.
Cosa sei? E che ne so! A volte ti bacerei, altre ti pesterei a sangue, più di una ti violenterei. Ma, in genere, mi basta sapere che mi guardi, che mi apprezzi, che per te valgo qualcosa. Eppure, sento di volere di più. Mi ci spremo da mesi, ma non riesco proprio a capire cosa.
Sconfortato, mi abbandono contro lo schienale della sedia e chiudo gli occhi.
Devo solo arrivare alla fine della lezione. Poi ci sarà da mangiare. E il cucchiaino da tè potrà tornare a tenersi tutto dentro. Non lo faccio sempre?

Hermione si stropicciò gli occhi. Due ore di Incantesimi e altrettante di Storia della Magia erano pesanti anche per lei. Al termine di una mattinata del genere, i libri le sembravano più pesanti del solito, la strada verso la Sala Grande più lunga...
In altre circostanze, avrebbe mangiato in silenzio, la testa già proiettata nelle lezioni pomeridiane, o nei compiti, o intenta a pianificare le ricerche in biblioteca; ma, casomai se ne fosse dimenticata, una semplice occhiata a Harry le avrebbe ricordato che – per il suo bene, naturalmente – era necessario torchiarlo a dovere e tirargli fuori tutto l'umor nero in cui gli piaceva tanto macerarsi. Niente l'avrebbe distolta da quel compito: non la stanchezza, non il pranzo, non il lavoro da fare e no, neppure i libri!
Ma, per quanto fosse e si sentisse determinata, Hermione Granger si sbagliava.
Mentre stava prendendo posto a tavola, ovviamente accanto a Harry, ripensò alla lettera di Malfoy, probabile causa della crisi del momento, e il suo sguardo si spostò verso il tavolo dei Serpeverde, passandolo in rassegna automaticamente...
Quel che vide – o piuttosto, che non vide – le fece scordare completamente il proposito di interrogare l'amico.
Diede di gomito sia a lui sia a Ron e domandò: «Dov'è la Parkinson?!».


Note:
Il titolo, quasi non c'è bisogno di dirlo, vuol essere un tributo a Robert Musil e alla sua celebre storia di omosessualità all'interno di un collegio; il lettore noterà da sé differenze e somiglianze con il contenuto del capitolo.
Questo sviluppo
slash era in programma fin dall'inizio – non ho inserito per caso l'avvertimento, dopotutto – ma, rileggendo la prima bozza dopo tanti anni, mi sono reso conto che Ron risultava davvero OOC: troppa razionalizzazione, troppa introspezione, una proprietà di linguaggio quasi eccessiva. (Törless è diventato un filosofo: vi assicuro che non sarà il caso di Ron). Ho riscritto, quindi ho riscritto ancora, e poi ancora; troppo, temo, per poter azzardare un giudizio qualsiasi sulla bontà del risultato finale. Spero solo di non essere scaduto nell'eccesso opposto.
Per la verità, mi sono anche interrogato sull'opportunità di mantenere quest'elemento, sulla sua utilità ai fini della trama. Alla fine, però, sono rimasto fermo sull'idea di partenza: Ron deve avere un suo spazio, un suo ruolo e, prima ancora, una personalità più complessa di quella che mostra nl canone; questo è il primo passo per farglieli avere. Potrà convincere o no, riuscire o no: non sta a me dirlo, dopotutto. Sappiate, comunque, che non è una scena improvvisata o fine a sé stessa, dietro c'è una logica.
(Non so se siate anche voi, come me, dell'idea che la Row abbia trattato Ronald Weasley veramente da schifo: dopo una magnifica parte nel primo libro, lo ha ridotto alla ruota di scorta del Trio, o poco più. Io ho voluto cambiare questo stato di cose già in ”
Whisky Incendiario”; ma non aspettatevi un'evoluzione analoga).
In genere, non faccio esprimere i personaggi in prima persona, ma, secondo me, il flashback di Ron, in terza, non funzionava. E poi, tanto vale che cominci a prendere dimestichezza con il suo modo di ragionare. Sia pure da un angolo, forse, un tantino inconsueto.
“Il cervello di un Billywig” è un'espressione di cui sono debitore a Rolf Scamandro, intervistato da Ginny Potter, in occasione della Coppa del Mondo di Quidditch 2014.
Witches without Britches – una paronomasia così azzeccata che mi sorprende non abbia avuto maggior fortuna - è farina del sacco di Cassandra Claire (Draco Veritas, cap. 9), che tuttavia non ha specificato se si tratti di un libro o di una rivista, né tantomeno l'eventuale periodicità; mi sembrato più logico farne l'equivalente di Playboy per il Mondo Magico, completo di paginone centrale, ma anche corredato di didascalie esplicite, ricche di termini forti. Oh, e naturalmente le foto si muovono; ho considerato l'idea di inserire il sonoro, magari attivabile con un Incantesimo apposito, ma temo che creerebbe comunque troppi problemi di riservatezza. Come possibili proprietari, invece, ho pensato anche ai gemelli, ma si sono concentrati parecchio sui loro esperimenti e, soprattutto, Molly ha fatto un bel raid nella loro camera... Percy, al contrario, è l'Insospettabile n. 1 (almeno agli occhi di mammina). Inoltre, come ho rammentato nel testo, beninteso desumendolo dal canone, quell'estate è il solo dei fratelli Weasley che dorma per conto proprio, tutti gli altri condividono la stanza: a quel punto, la scelta era davvero obbligata!
Il momento della scoperta sembra tardivo anche a me, ma la sola alternativa possibile era l'agosto del '92, forse troppo presto; e soprattutto, a quel punto sarebbe stato difficile spiegare perché solo verso la fine del terzo anno Harry dia segno di cominciare a notare le ragazze (Cho).
Se qualcuno si fosse mai chiesto perché Ron, per spararla grossa con le Veela a margine della Coppa del Mondo, abbia scelto proprio di spacciarsi per l'inventore della scopa che avrebbe raggiunto Giove, be', eccovi qui suggerita una bella interpretazione freudiana.
Non è stato per niente facile inserire gli... episodi notturni rievocati nel
flashback all'interno di una narrazione che, per il resto, lascia il canone inalterato; credo, però, di aver scelto i momenti più adatti.
Come mai Harry si mostra riluttante a riprendere la pregressa intimità fisica con Ron? Credo che la ragion sia piuttosto semplice: tutte le volte che il nostro Potter si mette a riflettere seriamente su qualcosa, sbarella di brutto; dà il meglio di sé quando agisce senza pensare affatto. Quindi, durante la pausa forzata ha avuto modo di accorgersi che quei momenti gli mancavano, quindi ci ha ragionato sopra... e ci è leggermente uscito di testa, ma neanche troppo considerati i suoi standard.
Invece, cos'ha in testa di preciso il nostro Ronald? E' innamorato di qualcuno e, nel caso, di chi? Come si spiegano le sue attrazioni confliggenti? Sono tutte domande che giro al gentile pubblico, perché cerchi una risposta insieme con me.
E, giusto perché nessuno si dimentichi della trama, vi lascio con un ulteriore interrogativo, sulla sorte di Pansy; ma a questo prometto di rispondere già nel prossimo capitolo.

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Capitolo 10
*** I reclusi ***


I turbamenti del giovane Weasley

I reclusi



Ringraziamenti:
Dato positivo: le pagine del file Word di questa storia hanno superato quota 100. Dato negativo: questo capitolo comincia a pag. 82, quindi il materiale già pronto, di qui alla fine, è decisamente poco. Ma non preoccupatevi: le idee non mancano.
Altro dato positivo: il contatore delle letture segna progressi confortanti, in questo momento il primo capitolo si trova a quota 1260. Altro dato negativo: causa esame di Stato imminente, e anche dato che buona parte del prossimo capitolo è ancora da scrivere, gli aggiornamenti si faranno attendere.
Pally93: contrariamente alle mie abitudini, già ti ho risposto; ma meriti un ringraziamento speciale per la rapidità fulminea con cui ti sei messa in pari con la lettura, soprattutto, per aver recensito ogni singolo capitolo, o parte di esso. Posso solo augurarmi che la storia continui ad affascinarti così tanto fino alla fine. (Che tarderà ancora un bel po': bisogna arrivare al settimo anno).
Infine, un avvertimento mi sembra doveroso: questo capitolo potrebbe rivelarsi piuttosto frustrante, perché tutti i personaggi si trovano in una situazione di impasse che non si sblocca e i cui precisi termini, per alcuni, non possono (ancora) essere rivelati appieno. Ma tranquilli: i fili della trama corrono...



There's danger on the edge of town
Ride the King's highway, baby
Weird scenes inside the gold mine
Ride the highway west, baby

[J.M., The End]




Sebbene la parete fosse liscia e compatta, senza neppure l'ombra di una fessura e tantomeno di una finestra, in qualche modo l'umido e il gelo del Mare del Nord riuscivano a insinuarsi nel buio della sua cella. Ad ogni ora del giorno, si trovava a rabbrividire come nel bel mezzo di una tormenta; la notte, poi, lo teneva sveglio la sensazione che il freddo gli fosse penetrato fin nelle ossa. Ekrizdis doveva essere stato un Mago Oscuro di prima grandezza: non aveva trascurato neppure il minimo dettaglio che potesse accrescere disagio, sconforto e dolore dei prigionieri.
Non osava nemmeno immaginare come potesse essere stata Azkaban fino a qualche mese prima, quando era ancora abitata dai Dissennatori.
A volte, però, si chiedeva se, dopotutto, non sarebbe stato meglio averli intorno. Impazzire del tutto. O scordare quel che si era lasciato alle spalle. Scordare sua moglie, scordare suo figlio, scordare tutto quanto... e poi restare a marcire lì, a sua volta dimenticato da tutti.
Lucius Malfoy non era abituato a dover fare i conti con i propri fallimenti. Neanche un po'. Del resto, poteva vantarsi – a buon diritto – di essere sopravvissuto senza danni alla prima ascesa dell'Oscuro Signore, alla sua caduta, ai lunghi anni in cui pareva che la causa della razza magica fosse stata sconfitta una volta per tutte... e anche al ritorno di quel padrone che, per tanto tempo, non si era minimamente curato di cercare.
Avrei dovuto farli secchi tutti. Potter, i suoi amichetti, tutti quanti. Secchi al primo colpo, senza che potessero fiatare. Forse la sfera della profezia si sarebbe rotta, ma l'avremmo almeno sentita.
Pensieri assolutamente inutili, lo sapeva. Ma liberarsene non era facile.
C'era una sorta di rovescio della medaglia, per fortuna. Più o meno.
Dopotutto, aveva perfino una mezza ragione per essere grato a Potter.
...O no?
Ecco, su quel punto doveva ancora prendere una decisione.
C'era un motivo, naturalmente, se l'Oscuro Signore li aveva mandati all'Ufficio Misteri in gruppo: sarebbe potuto andare solo Rookwood, che conosceva il modo di entrare, o uno qualsiasi di loro; ma di nessuno, neanche di Bellatrix, si sarebbe fidato abbastanza, non quando esisteva la possibilità che scoprissero come distruggerlo.
E, in un certo senso...
Lucius continuò a passeggiare in su e in giù nello spazio angusto della cella, cercando di scrollarsi il freddo di dosso.
Invano.
Almeno per una volta, esso non veniva affatto dall'esterno.
Veniva dalle raggelanti alternative tra cui si vedeva costretto a scegliere.

Sentendosi più frustrato che mai, Draco scagliò il pesante libro mastro contro il muro. Ottenne, perlomeno, un tonfo molto soddisfacente, ossia più di quanto gli avesse fruttato un intero pomeriggio di sforzi.
Comprendere a fondo la situazione patrimoniale della famiglia Malfoy non era affatto uno scherzo, soprattutto per chi, come lui, partiva da zero e si trovava stretto tra l'obiettiva urgenza delle questioni economiche e un assillo, purtroppo, ancor più pressante: salvare la pelle.
Scuotendo la testa, si disse, forse per la centesima volta nella giornata, che suo padre avrebbe ben potuto pensare che, se mai gli fosse capitato un qualsiasi imprevisto, nessuno sarebbe stato in grado di districarsi, da un giorno all'altro, in quell'infernale viluppo di proprietà immobiliari, forzieri alla Gringott, relazioni d'affari con i folletti... e Merlino solo sapeva che altro. Invece, Lucius Malfoy, poco importava se per scelta deliberata o per negligenza imperdonabile, aveva sempre gestito tutto in splendido isolamento; con il bel risultato che, adesso, nessun altro aveva la benché minima dimestichezza con il patrimonio, né tantomeno con le mille decisioni, piccole e medie, che la sua gestione comportava ogni giorno. Faceva eccezione la casa, per fortuna, visto che se n'era sempre occupata sua madre; ma saper compilare la lista della spesa per gli elfi domestici non aiutava granché a scegliere se investire o meno in quella tal nuova società di pozionisti sperimentali... e, comunque, nel corso dei secoli i Malfoy avevano protetto il patrimonio con tutta una serie di magie che, quasi sempre, esigeva che gli atti fossero firmati dal capofamiglia o dal suo erede. Al primo problema appena serio, Narcissa si ritrovava incapace di agire. E in senso letterale, prima ancora che legale.
Insomma, d'accordo, era un bel casino, anche e soprattutto per sua madre. Di qui a costringerlo a sfruttare il periodo di convalescenza per impratichirsi di quella roba, però...!
Non bastava che fosse stato aggredito, torturato con la Cruciatus, messo in condizione di non potersi fidare della propria memoria e costretto a chiedere aiuto a Potter. Non bastava neppure che il pensiero di Voldemort, ormai, aleggiasse nella sua testa come una perenne cappa di oscurità (l'Oscuro, davvero!). No: gli toccava anche il tormento supplementare di quella Confundus in forma di pergamena, quel pozzo senza fondo di libri mastri, atti di proprietà, contratti di ogni genere che saltavano fuori dai faldoni senza un ordine apparente... E poi le riunioni di affari. Una sola, per il momento; ma era bastata a trasformargli la mattinata in un incubo e a fargli temere le successive come il tormento peggiore di tutti.
C'erano momenti – non molti, ma c'erano – in cui Draco avrebbe venduto volentieri al primo venuto ogni diritto sul nome e sui beni, anche per un solo Zellino.
Ebbene, a quella riunione, solo uno sforzo supremo di autocontrollo gli aveva impedito di urlare ai folletti di prendersi pure tutto e smettere di rompergli i coglioni! Senza neanche la contropartita dello Zellino.
Non era da lui rischiare di perdere il controllo in un modo tanto plateale, oltretutto dinanzi a quelle creature inferiori; ma detestava, a dir poco, dover prendere decisioni su ogni sorta di faccende che, al massimo, poteva solo fingere di conoscere vagamente.
E comunque, ogni giorno di più, si sentiva i nervi a fior di pelle.
Difficile concentrarsi sugli intricati meccanismi magico-giuridici che consentivano ai Malfoy, anche dopo lo Statuto di Segretezza, di conservare il controllo dei dominii feudali ottenuti, a suo tempo, dai re Babbani, o seguire i flussi di Galeoni da e per tutto il Paese, quando gli bastava chiudere gli occhi per vedersi investito dal lampo di un'Avada Kedavra.
E se tutto ciò ancora non fosse stato più che abbastanza, all'incirca ogni dieci minuti spuntava un gufo con qualche problema assurdo... problema che, a sua volta, lo costringeva a perdere qualche mezz'ora, se non anche qualche mezza giornata, alla disperata ricerca di ragguagli che – ormai lo sapeva già in partenza – non sarebbe mai riuscito a trovare.
Come adesso, per esempio.
Guardò con disgusto il grande libro mastro, la cui pergamena vecchia di secoli continuava ad espandersi per accogliere nuove informazioni sui fondi rustici di proprietà della famiglia Malfoy, dei quali continuava a registrare la vita: mezz'ora a scartabellare lì dentro – mezz'ora! - e non aveva trovato nulla di quel che cercava. Ma proprio nulla: nemmeno una traccia del terreno o dell'affittuario.
Era un vero peccato che le Cruciatus non viaggiassero via gufo. Allora sì, avrebbe saputo perfettamente come rispondere al gastaldo che chiedeva in che modo si dovesse regolare con quel tale - un nome mai sentito prima, senz'altro uno sporco Babbano – che era bensì in arretrato con i fitti, però forse si poteva considerare giustificato, e tuttavia magari anche no, e comunque se Sua Signoria avesse cortesemente voluto illuminare il suo devotissimo servitore...
Anche la magia aveva i suoi limiti, indubbiamente.
In particolare, quella che governava l'amministrazione dei beni dei Malfoy riusciva ad impedire ai dipendenti di rubare; e tuttavia, pareva proprio che non vi fosse modo di far sì che si arrischiassero a prendere decisioni autonome, o almeno che riferissero sulla situazione con un minimo di chiarezza.
Anzi, a onor del vero, perfino riguardo al furto non si arrivava all'impossibilità materiale. Per lui, una delle poche sorprese gradevoli di quel pomeriggio era stata la descrizione – ricca di dettagli e completa di illustrazioni – del modo in cui morivano quelli che... soccombevano alla tentazione, era il caso di dirlo. Succedeva all'incirca ogni cinque anni: lo spettacolo bastava a tenere in riga tutti i potenziali ladri per un lustro intero.
Oh, su certe cose i Malfoy avrebbe potuto insegnare qualche trucco perfino ai folletti!
Ma nulla di tutto ciò lo aiutava a trovare quelle dannate informazioni. O a non sentirsi un perfetto idiota, visto che dovevano essere proprio lì, in bella grafia, sulla pergamena dagli eleganti capilettera miniati,... eppure continuavano a sfuggirgli. Aveva perlustrato quel tomo stramaledetto in lungo e in largo, senza trovare il benché minimo ragguaglio sulla persona dell'affittuario o sui suoi precedenti; anzi, neppure il nome della tenuta!
Ma dico... Possibile?!
E adesso che rispondo a 'sto gastaldo, che già di suo è più imbecille di un gargoyle?
Non posso certo fargli capire che non so un accidente. Mai mostrarsi vulnerabili o in difficoltà con i servitori, scherziamo?!

Dopo l'ultima mezz'ora, stava considerando seriamente l'ipotesi di implorare il Ministero di lasciargli dirottare gufi del genere su Azkaban, revocando l'isolamento assoluto del prigioniero Lucius.
(Lo so, Padre, lo so: i Malfoy non implorano. Ma siamo rimasti a corto di alternative: di colpo, sembra che tutti siano diventati incorruttibili! Chi ha detto che i Galeoni non puzzano? I nostri sì, a quanto pare...).
Possibile che non fosse ancora passato un giorno da quando aveva risposto a Potter? Solo la notte prima, gli era sembrata un'impresa difficile. Adesso, non avrebbe esitato a regalare al primo venuto un paio di forzieri alla Gringott, e sicuramente tutte le tenute del Wiltshire – un Bolide se le portasse! - perché spiegare allo Sfregiato quel non-legame di parentela e risolvere la faccenda del giornale tornassero ad essere i suoi problemi più pressanti.
Be', diciamo “i più immediati”.
Il più pressante, ahilui, restava sempre salvare la pelle.
E continuava a non avere idea di come riuscirci. Neanche la più pallida idea.
...Meglio tornare al fottutissimo libro mastro!

Dopo essersi sforzato di concentrarsi per una buona mezz'ora, Blaise Zabini finì per capitolare, quando si accorse che stava fissando la stessa figura del Khunrath da almeno cinque minuti, senza peraltro averla neppure messa a fuoco.
Con un sospiro, richiuse la ponderosa ristampa anastatica dell'Amphitheatrum sapientiae aeternae ac solius verae, non senza domandarsi quando mai sarebbe riuscito a scrivere quel benedetto tema di Alchimia. Non aveva la benché minima idea del perché il Ricercatore dovesse inseguire il coniglio bianco che scompariva nel terreno, anche se gli sembrava di ricordare che c'entrasse, in qualche modo, quel tale Magonò che ogni tanto Silente tirava in ballo a lezione.
Certo, avrebbe potuto controllare, in teoria: dopotutto, gli appunti si trovavano proprio lì davanti a lui, una pila di pergamene ben ordinate e addirittura munite di indice. Ma, se li avesse presi in mano, sarebbe rimasto a fissarli senza nemmeno vederli, esattamente come aveva appena fatto con il libro. Ormai, era stato costretto ad arrendersi all'evidenza: non si trattava affatto di impegno o di forza di volontà; a dispetto dell'uno e dell'altra, la sua testa continuava ad essere affaccendata in pensieri ben diversi.
Non per la prima volta, si accigliò: problemi di concentrazione e difficoltà a gestire il proprio carico di lavoro erano, per lui, due novità assolute, nonché per nulla gradite.
E dire che sognava il corso di Alchimia fin da bambino, ancor prima di ricevere la sua lettera per Hogwarts.
Fin da bambino, in effetti, si era preparato per quel corso. Lezioni private di questo, lezioni private di quello... Se fosse stato possibile trovare un istitutore di Alchimia, non sarebbe neppure andato a scuola: non ne avrebbe avuto bisogno. Ma il miglior alchimista in circolazione restava Silente, uno dei pochi che continuasse la Ricerca; e, comunque, allestire un laboratorio alchemico in casa sarebbe costato troppo anche per il forziere di sua madre.
Si sentì triste. Cinque anni di scuola vissuti in attesa del grande giorno in cui finalmente avrebbe potuto cominciare lo studio dell'Alchimia, e adesso...
Non poteva neppure dire che fosse colpa della materia. Anzi, nemmeno dell'insegnante, come gli era pur capitato di temere. Certo, Silente, a tratti, aveva un che di bislacco, se non proprio dello svitato... ma chi non lo sapeva? E sì, c'era qualcosa di irritante nel modo in cui spiegava e non spiegava, con l'aria di dire sempre le cose a metà; però, Blaise non si era aspettato nulla di diverso da una disciplina tanto esoterica che gli adepti stessi discutevano perfino su quale ne fosse esattamente l'oggetto (per non parlare dello scopo). Chiunque avesse mai dedicato cinque minuti a un testo di Agrippa o di Paracelso, anche solo per svago, avrebbe capito al volo di non potersi aspettare una lezione dalla chiarezza esemplare, in stile Minerva McGranitt... impensabile.
No, per fortuna o purtroppo, il suo problema non era limitato ad Alchimia: qualunque libro cercasse di aprire, da Storia di Hogwarts a Streghe in calore e bacchette di fuoco, la sua testa si rifiutava di concentrarsi, punto e basta.
E nessuno dei due libri, prima, aveva mai mancato di avvincerlo all'istante.
L'unico lato positivo di quell'impasse semplicemente assurda era che, almeno, riusciva ad evitar di pensare ai suoi voti, che minacciavano una picchiata rovinosa come nemmeno Aidan Lynch alla finale della Coppa del Mondo.
(Rabbrividì: riusciva a non pensarci... ma solo fino ad un certo punto).
In effetti, per quanto irritato con sé stesso, Blaise non poteva neppure dirsi veramente sorpreso: dopotutto, la situazione in cui si trovava faceva parte delle eventualità previste e considerate già dalla fine del quarto anno, ossia da quando si era cominciato a sentir parlare del ritorno dell'Oscuro Signore. Voce su cui, naturalmente, Blaise e sua madre erano andati più a fondo del Ministero.
Ah, ma adesso sembra tutto diverso, vero?
Non è la stessa cosa, sapere in astratto e vedere con i propri occhi
...
Deglutì, di nuovo sopraffatto dall'immagine che cercava a tutti i costi di scacciare.
Draco Malfoy a terra, che si contorceva sotto l'effetto della Cruciatus.
L'immobilità di tutti.
La sensazione di dover fare qualcosa per aiutarlo... e la paura paralizzante che l'aveva inchiodato al suolo.
La vergogna. La vergogna soprattutto.
Pochi minuti, ma tante certezze in fumo.
Per molti, non solo per lui. Forse anche per Pansy, sparita la sera prima. Di sicuro per Draco stesso, se era ancora vivo e sano.
Draco.
Blaise, un po' per carattere e un po' data la mole delle lezioni supplementari che doveva frequentare, tendeva da sempre ad isolarsi, a frequentare poco i compagni, anche quelli del suo stesso anno; ma, anche se sulle prime non se lo sarebbe mai aspettato, proprio il giovane erede dei Malfoy era diventato l'unico che potesse definire amico.
E gli amici non si abbandonano.
I Serpeverde non sono aspiranti suicidi come i Grifondoro, ma neppure vigliacchi.
E anche la Casa di Serpeverde conosce la lealtà.
...O così credevo
.
Tante certezze in fumo, per l'appunto.
Lanciò un ultimo sguardo sconsolato al libro e si alzò, sperando che almeno la cena lo distraesse un poco dall'idea fissa che, a sua volta, lo stava distraendo da tutto il resto.

Pansy piangeva.
In silenzio: sapeva che urla e singhiozzi avrebbero solo peggiorato una situazione già ben poco rosea.
Non si sarebbe mai aspettata di essere costretta a tornare a casa. Non in generale, non in quel momento, non in quei termini. Tantomeno per quella ragione.
La odiavano tutti.
Dracuccio. Dracuccio la odiava. Non riusciva neppure a pensarci.
E i suoi genitori?! Erano arrivati a menzionare l'Oscuro Signore...
Ma perché?! Cosa ho detto?! Cosa ho fatto?!
Le avevano proibito di rispondere a Draco, proibito di ricordargli che, in fin dei conti, non solo quella parentela esisteva, ma la sua rivelazione poteva tornargli utile.
Avrebbe anche voluto scrivergli due rotoli ben più piccati e piccanti, per ricordargli in dettaglio tutte le prove d'amore che... oh, inutile pensarci!
Peggio che inutile: disastroso.
Si morse le labbra, ricordando il tocco delle sue mani sul seno. O il modo in cui il suo respiro si faceva affannoso mentre...
Basta, si disse. Così non vai da nessuna parte.
“Solo una scopata”.
Anche solo ripensare a quelle parole le faceva male: tutto, dentro di lei, urlava che non era vero e non era giusto.
Si sforzò di concentrarsi sul senso di ingiustizia, di non perdersi nelle reminiscenze passionali. Come poteva, Dracuccio suo, risponderle con una simile menzogna, con un tale insulto, quando non aveva detto altro che la verità?!
O quasi. D'accordo, si era inventata lì per lì la faccenda del “grandi amici”; ma che avrebbe potuto dire? Che erano cugini, però si odiavano? Non avrebbe fatto una bella impressione, giusto?
L'intervista l'aveva colta di sorpresa, ma, stranamente, le era stato di conforto sentirsi porre domande su Draco: non lo vedeva dal momento dell'attacco, sapeva solo che era vivo, non aveva idea di come stesse... e sembrava che a nessuno importasse, che nessuno fosse disposto a dirle niente. Poter parlare di quanto lo amasse, dei sogni per il loro futuro, dell'ansia che la divorava da giorni era stato un vero sollievo; e non importava se, alla fine, nell'articolo era rimasto sì e no un decimo delle sue parole.
Del resto, non aveva detto nulla sulle cose veramente importanti.
Nulla sul perché si trovassero alla Stamberga, in primo luogo. E nulla su ciò che sarebbe dovuto succedere.
Quelli, non altri, erano i segreti da conservare e proteggere ad ogni costo. Sì, anche a costo di rivelare una parentela ripudiata: perché Draco non lo capiva? Per caso era ansioso che la Gazzetta del Profeta si mettesse a scrivere del Marchio Nero sul suo avambraccio?
Ho detto la verità per lui, ho mentito per lui... e guarda come mi tratta. Cosa mi dice.
Certi termini non erano mai usciti dalle labbra del giovane Malfoy, almeno non in sua presenza. Mai. Neanche nei momenti in cui Pansy avrebbe potuto apprezzarli. Evidentemente, però, la penna di lui correva più libera della lingua.
No, non doveva pensare a quella lingua.
“Solo una scopata”. Per lui sei solo una scopata.
Avrebbe lanciato un urlo di rabbia, se non avesse avuto paura delle frustate. Suo padre non aveva una mano leggera. E non si limitava alle schiene delle creature inferiori.
Anche i suoi genitori erano andati su tutte le furie per quell'insignificante bugia sull'amicizia tra Draco e Potter. A sentir loro, sembrava che avesse interferito con i piani dell'Oscuro Signore, nientemeno, e che Egli in Persona fosse arrabbiato con lei.
Non ci credeva neanche un po'. Ma non era così stupida da non spaventarsi, almeno per ciò che quell'evidente esagerazione diceva sul livello di collera raggiunto dai suoi.
Ho solo difeso il ragazzo, no, l'uomo che amo. Il Mangiamorte, che serve la causa di tutti noi. Draco, che conosco fin da bambino.
Amore mio...
Draco dentro di me, che si muove dolcemente e mi fissa negli occhi tutto il tempo
...
Stavolta, si arrese al flusso dei ricordi.
Dopotutto, in quel momento, sembrava proprio che non le restasse nient'altro.


Note:
Con questo capitolo, tutte le pedine sono sulla scacchiera: d'ora in poi, vedrete soprattutto azione o interazione tra i personaggi, del resto il gioco è già in pieno svolgimento.
In genere, preferisco sviluppare un solo punto di vista per capitolo, vista anche la discreta estensione dei brani che ne risultano; ma, in questo caso, proprio per far procedere la trama, ho preferito concentrare qui tutti i personaggi che ancora mancavano all'appello; mi scuso fin d'ora per la lunghezza complessiva.
Un prossimo capitolo ci dirà qualcosa di più su come procedano i piani di Silente e del Ministero. Attenzione, però: non prevedo di mettere in scena Voldemort, ma questo non significa certo che lo si possa trascurare. Anche il Lato Oscuro si dà da fare.
A questo proposito, vi chiedo scusa per avervi rivelato così poco sul conto di Lucius: prima di cominciare a scrivere la scena, mi figuravo che avesse già preso la decisione cui si allude alla fine... invece mi sono ritrovato a scrivere un momento anteriore. Ma tranquilli, deciderà piuttosto alla svelta.
Ekrizdis, stando a Pottermore, è il Mago Oscuro cui si deve la costruzione di Azkaban, rifugio per lui e luogo di tortura per tutti i marinai che intrappolava, a quanto pare senza scopo apparente (se non, appunto, torturarli).
Quanto a Draco, qui ho voluto sviluppare l'accenno della Rowling al fatto che, dopo l'arresto del padre, si è dovuto assumere le responsabilità di un adulto; sappiamo, sempre da Pottermore, che il patrimonio possiede consistenza e redditività tali da consentire sia a Lucius sia, più tardi, a Draco di vivere di rendita; e sappiamo anche che, in Inghilterra, la famiglia Malfoy è sbarcata al seguito di Guglielmo il Bastardo, che, avendo vinto a Hastings, ha cambiato soprannome, diventando “il Conquistatore”. A quanto si capisce, i Malfoy, fino allo Statuto di Segretezza, sono stati perfettamente integrati nell'aristocrazia Babbana; il Manor altro non è che il loro castello di feudatari nel Wiltshire e, come hanno conservato quello, così pure, io credo, il complesso delle proprietà e dei dominii feudali. Ritengo, perciò, che il loro patrimonio sia tuttora composto, in larga misura, da terreni agricoli e da pascoli: considerato che il cibo è la prima delle cinque Principali Eccezioni alla Legge di Gamp sulla Trasfigurazione degli Elementi, la sua scarsità è assicurata anche all'interno del Mondo Magico. Tuttavia, se non altro per non attirare troppo l'attenzione delle autorità Babbane, i Malfoy debbono occultare la titolarità della maggior parte dei beni; e credo che, all'uopo, impieghino un misto di prestanome, che in realtà sono dipendenti, intestazioni a
trust più o meno fittizi e accordi con i folletti, che, non avendo accettato di sottoscrivere lo Statuto di Segretezza, possono fare affari con il mondo Babbano (il che, tra parentesi, spiega perché accettino di cambiare in Galeoni le sterline di Hermione in Galeoni: sanno come reimpiegarle). Nel corso dei secoli, i Malfoy hanno progressivamente diversificato, aggiungendo alla terra altri cespiti, dagli immobili urbani (scommetterei su un po' di spazi commerciali a Diagon Alley) a forme di società con i folletti, scaturite dalle relazioni già strette per il miglior sfruttamento in incognito del patrimonio fondiario.
Draco non riesce a venire a capo dl libro mastro sulle proprietà fondiarie – a mio avviso: si accettano spiegazioni alternative, come la distrazione – per un motivo piuttosto semplice: i terreni sono classificati per tenute, ma, in questo caso particolare, il libro si rifà ancora al nome originario di una tenuta più grande, da cui poi sono stati scorporati alcuni fondi; e non è prevista una rubrica alfabetica con i nomi dei terreni o degli affittuari, perché la corrispondenza con gli amministratori, o gastaldi (nel caso delle proprietà di origine feudale) riporta sempre il nome della tenuta cui si riferisce. Solo che, in questo caso particolare, riporta il nome moderno; e Draco non ha ancora quella padronanza della materia che gli farebbe ricordare all'istante il cambio di nome. Perché l'Incantesimo di aggiornamento del libro mastro non funziona? Be', secondo me, molto semplicemente, il suo autore non ha pensato all'eventualità del cambio di nome, non finché le varie tenute fossero rimaste nel patrimonio della stessa famiglia.
Quanto alla maledizione che incombe sul capo di dipendenti e amministratori infedeli... se Hermione Granger è riuscita ad incorporarne una in una pergamena – con tutto il rispetto per le sue capacità – volete che una famiglia di maghi, in nove secoli, non abbia saputo annettere ben di peggio ai contratti di lavoro che offre? Penso ad una maledizione che, oltre ad uccidere lo sventurato in modo molto raccapricciante, faccia in modo di proiettare ogni minimo dettaglio nelle menti di tutti gli altri potenziali colpevoli... diciamo, ogni notte, per un mese. Naturalmente, siccome i Malfoy sono più onesti di Hermione, chi viene assunto da loro sa a cosa potrebbe andare incontro, quindi non scarta simili orrende visioni come “semplici” incubi ricorrenti.
Sul conto di Blaise, credo che sia necessaria qualche spiegazione in più, anzi, mi scuso fin d'ora per la lunghezza.
Preciso, in primo luogo, che il suo aspetto fisico, per me, resta e resterà sempre quello della prima storia in cui l'ho incontrato, “
Imago Mundi” (non l'avete ancora letta? Fatelo!).
Il fatto che sia un personaggio che, nel canone, vediamo pochissimo mi ha sempre incuriosito: per spiegarmelo, ho ipotizzato che si tenga abbastanza in disparte, un po' come Theodore Nott, ma ancora di più. Sappiamo che ha preso Eccezionale al G.U.F.O. in Pozioni, dato che prosegue nella materia al sesto anno e non ha bisogno di procurarsi libri o ingredienti all'ultimo minuto: questo suggerisce che si tratti di uno studente molto in gamba, dato che, a parte il “fattore Piton”, la materia non si può certo definire facile (no, dico... è sbagliato perfino il libro di testo! Vero, Libatius Borragine?!). Sicché, ecco la mia ipotesi: Blaise si vede pochissimo in giro e sta parecchio per conto proprio perché si prepara a frequentare il corso di Alchimia, che, ci dice la Row su Pottermore, è una materia opzionale per gli ultimi anni, che viene insegnata solo se ci sono abbastanza richieste. Che il professore sia Silente mi sembra quasi un assioma.
A questo punto, però, resta da spiegare il carattere elitario della materia, che sembra spiccato anche tenuto conto del notevole sfoltimento delle classi dopo i G.U.F.O.; qui, per fortuna, mi è giunta in aiuto la voce
Alchemy di Pottermore, che descrive le incertezze sul vero oggetto della ricerca alchemica – la Pietra Filosofale o un percorso di rinnovamento spirituale ed interiore? - e soprattutto fa riferimento ai manoscritti ad essa dedicati, il che significa che, per una volta, le fonti della conoscenza nel Mondo Magico sono le stesse note anche ai Babbani. Del resto, Agrippa e Paracelso, che il canone onora di una figurina delle Cioccorane, nei libri Babbani sono descritti, tra l'altro, come grandi alchimisti. Ora, i testi di Alchimia – loro o altrui - sono esoterici in un senso molto particolare, direi anzi esasperato: scritti in Latino, con intarsi in Greco e in Ebraico, e ricchi di illustrazioni simbolico-allegoriche, possiedono un significato letterale, a mezza via tra il misterioso e l'edificante, e un significato recondito, per cominciare a decifrare il quale è necessario padroneggiare sia le tre lingue usate dagli autori – e già non è poco! - sia il patrimonio della letteratura classica e della mitologia, regolarmente impiegato come fonte di immagini, termini, tecniche espressive, sia, infine, le Sacre Scritture, sfruttate soprattutto per imprimere al testo una “coloritura” cristiana. Per questo così pochi studiano l'Alchimia: la preparazione remota, già da sola, richiede anni e, in più, va ad aggiungersi al normale carico di lavoro di Hogwarts; inoltre, come suggerisco nel testo, impiantare un laboratorio alchemico non deve costare poco (anche nel Mondo Magico vige la legge della domanda e dell'offerta: se quasi nessuno compra alambicchi...). Naturalmente, quest'impegno notevole spiega benissimo perché Blaise abbia assai poco tempo libero e ancor meno voglia di lasciarsi invischiare nei battibecchi Serpeverde/Grifondoro. Quanto, poi, al movente che può spingere a dedicarsi ad un ramo tanto particolare della magia, temo che per lo più sia alquanto prosaico: rende. Quale che sia il senso ultimo della Ricerca alchemica, i suoi sottoprodotti, anche quando non arrivano al livello della Pietra Filosofale, sono comunque molto ricercati e redditizi, perché, in parole povere, questa branca delle scienze magiche ti mette in grado di fare cose che gli altri neanche si sognano. La signora Zabini, tra un marito e l'altro, ha pensato di avviare per tempo il figlio ad una carriera tanto prestigiosa e remunerativa; Blaise, che da piccolo seguiva semplicemente gli ordini della mamma, è stato via via sedotto dalla conoscenza che l'Alchimia promette, al punto che, oramai, considera ogni nozione, materia o argomento soprattutto in termini di prevedibile utilità per la comprensione del Sapere alchemico. (Lo scoppio della guerra, però, lo pone dinanzi a problemi imprevisti, o meglio, con cui credeva di aver fatto i conti...).
Sebbene le formule magiche siano, per lo più, in Latino - peraltro abbastanza storpiato – nel canone non vediamo la minima traccia di uno studio diretto delle lingue classiche. Secondo me, esso è stato coltivato fino all'entrata in vigore dello Statuto di Segretezza, perché faceva parte del bagaglio richiesto ad ogni gentiluomo (non credo che i Malfoy fossero la sola famiglia di maghi ammessa a Corte... e vorrei rammentare altresì la ricca produzione poetica e letteraria attestata, per l'età medioevale e rinascimentale, nelle pagine de “
Il Quidditch attraverso i Secoli”); persa quest'utilità, dev'essere progressivamente decaduto, conservandosi solo in vista degli studi alchemici o presso le antiche famiglie, che, oltre a disporre di biblioteche ben rifornite di classici latini e greci, possono permettersi di assumere i necessari istitutori. Secondo me, la madre di Blaise ha fatto istruire privatamente il figlio, fin da piccolo, anche nelle arti magiche, per facilitargli poi le cose a Hogwarts (non sappiamo se sia vietato comprare una bacchetta ai bambini prima degli undici anni e, comunque, sarebbe bastato prestargliene una). Anche una volta a scuola, ha continuato ad approfondire le lingue classiche, soprattutto la letteratura: chi, tra voi, ha letto “Vino amaro” ricorderà che l'idea di un Blaise dotato di una cultura letteraria e filosofica non comune mi frulla in testa da un pezzo... ma no, quella one-shot non farà mai parte di questa serie (spero sempre di darle un seguito, prima o poi, anche se ho perso il file in cui avevo cominciato a scriverlo). Discorso analogo per l'Ebraico, suppongo; ma, a questo proposito, ho le idee meno chiare, lo ammetto.
Quanto al corso di Alchimia vero e proprio, ho supposto che Silente si accontenti di un numero minimo di tre studenti per iniziare un corso di Alchimia; i compagni di Blaise in quest'avventura intellettuale sono Ernie Macmillan, Terry Steeval e Stephen Cornfoot. I primi due provengono da famiglie antiche: i Macmillan fanno parte delle Ventotto – ed Ernie è uno stakanovista quando si tratta di studiare – mentre gli Steeval hanno contribuito alla fondazione della scuola di Ilvermorny. Stephen Cornfoot, che non compare mai nel canone, è un Corvonero, uno degli “
Original Forty”. Due Corvonero, quindi, perché non possono resistere alla sfida di questa materia così difficile; un Tassorosso, perché il lavoro sodo promette una grande ricompensa; e un Serpeverde, perché le promesse dell'Alchimia solleticano l'ambizione e la ricerca del potere, anche solo il potere della conoscenza. Nessun Grifondoro: si spiega meglio l'assenza di qualunque accenno al corso in seno al canone e, comunque, la Row ha già detto la sua sul probabile motivo per cui Hermione, che in altre circostanze non vedrebbe l'ora di imparare una materia del genere, invece se ne tiene ben alla larga.
Riguardo al libro di testo, il dottor Khunrath, allievo di Paracelso, ha realmente scritto l'
Amphitheatrum sapientiae aeternae ac solius verae..., che promette di essere qualcosa di simile ad un manuale istituzionale per l'apprendimento della materia (o piuttosto per l'iniziazione ad essa). Io l'ho scoperto tramite Elémire Zolla, in un passo in cui menzionava proprio quest'illustrazione in cui il coniglio bianco si infila in un buco che dà accesso ai “regni arcani e mistici”. “Alice nel Paese delle Meraviglie”, direi che non ci sono dubbi; e, visto che ho già trasformato Lewis Carroll in un Magonò amico di Silente, che per giunta ne sta terminando la biografia, nulla di più naturale che, a lezione, anche per alleggerire l'atmosfera, Albus Percival eccetera butti lì qualche accenno.
Infine, be'... il cap. precedente si è chiuso con l'interrogativo su Pansy, chiaramente vi dovevo una risposta, no?

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Capitolo 11
*** Conversazioni ***


Conversazioni

Conversazioni



Ringraziamenti:
Lo so, lo so, sono sparito per un pezzo e ricompaio con un capitolo cortissimo... ma credo che vedrete che ha un suo perché. Inoltre, volevo chiudere su Hogwarts, per il momento, perché il prossimo capitolo - che sarà ben più lungo, siatene certi - ci porterà altrove.
La scelta del brano è decisamente ironica per quanto riguarda Harry ma non così per Ron, visto il finale.
Pally93: Le dita per l'esame di Stato debbono, purtroppo, restare incrociate ancora per un bel po'; e qui non ci sono né Draco, né Pansy, né burocrazia, né retroscena (mi fa veramente molto piacere che li apprezzi, sono sempre indeciso se condividerli o meno). Ma oso sperare che il capitolo ti piaccia comunque!
Rowan Mayfair: Benvenuta ufficialmente a bordo! Sai già che il capitolo sulla Harry/Ron è stato forse il più tormentato in assoluto, quindi puoi immaginare quanto conti per me il tuo apprezzamento, soprattutto visto che mi dici che Ron ti sembra il personaggio meno adatto (e hai ragione). Pansy, purtroppo, è marginale già nel canone, non so se qualcuno l'abbia recuperata nel fandom... sicuramente sì, siamo un esercito dopotutto! Comunque, con me avrà un ruolo che spero possa andare al di là del piedistallo per l'ego di Draco. Cosa farà costui? Eeeeeh, calma, prima di fare qualunque cosa deve restare vivo...
Vaste programme!
E infine, un interrogativo sui grandi misteri della vita: come faccio ad avere 99 visualizzazioni per “Malfoy Manor, parte seconda”, ma ben 195 per “Et nunc manet in te”, che è successivo?!



I think that you know what to do
Impossible? Yes, but it's true
I think that you know what to do, yeah
I'm sure that you know what to do


[J.M., You're Lost, Little Girl]




«Insomma, sono la tua ragazza!»
Harry la fissò come se non sapesse bene chi, esattamente, si trovasse davanti.
Ginny lanciò un urlo di frustrazione che fece sussultare Ron e Hermione, che cercavano, senza troppo successo, di apparire del tutto estranei a quella scenata.
Che non pensassero di cavarsela così!
«E voi due?! Non gli dite niente?! Tu, Ron! Che razza di fratello maggiore sei? Ti fai vivo solo quando mi faccio... com'è che dici tu... ah sì: pastrugnare in pubblico, giusto...»
Le orecchie del suo fratellone si tinsero di un rosso molto gratificante.
«E tu, Hermione! Pensavo fossimo amiche!»
Hermione aveva l'aria di chi cerca disperatamente un libro dove seppellire faccia e cervello.
«Insomma, vi sembra normale che io non sappia mai niente?!»
«Ginny...»
«Zitto tu, Harry! Hai deciso di non parlare con me? Bene, continua a non parlare!»
«Insomma, Ginny, non è successo niente...»
«Come come come?! Il tuo migliore amico, che guarda caso è anche il mio ragazzo, va in crisi perché scopre di essere cugino di Malfoy, si mette in testa di essere imparentato con Voi Sapete Chi... e, in mezzo a tutto questo, nessuno pensa di dirmi un accidente di niente?! Ronald Bilius Weasley, fai veramente schifo!»
«Dai...»
«Zitta pure tu, traditrice! Credevo che tu, almeno, avessi un minimo di cervello! Chi l'ha tirato fuori l'anno scorso, quando si era ficcato in testa di essere posseduto da Tu Sai Chi, eh? Io! Avresti almeno potuto pensarci. O pensare ai miei sentimenti. Credevo che, almeno a te,» e qui scoccò un'occhiata velenosa agli altri due, «dei miei sentimenti importasse. Ma no, tu sei troppo impegnata a tenere sulla corda quel cretino di mio fratello!»
Cercarono di interromperla tutti insieme, ma li soverchiò con un urlaccio.
«Bastaaaaa!»
Ansimò, cercando di riprendere fiato, mentre tre paia di occhi la fissavano attoniti.
«Sì, Ron, sei un cretino e non aspettarmi che mi scusi. Sapessi cosa dice di te Hermione quando non ci sei!»
L'occhiata che il malcapitato lanciò all'indirizzo della sua ex-amica valeva almeno mille Galeoni.
«E tu, poi... come ho potuto essere così stupida da credere che capissi i miei sentimenti, quando parli di mio fratello come se ti importasse solo di quanto è grosso il suo bicipite o lungo il suo cazzo?»
Stroncò sul nascere i tentativi di replica indignata.
(La nuova occhiata di Ron, stavolta calcolatrice, le strappò un risolino maligno)
«Harry, a te ho già detto anche troppo. Quindi, arràngiati. Ma con tutto. A cominciare dalle seghe.» Gli agitò per bene la mano davanti alla faccia. «Capito? E vedi queste?» Batté una sonora manata sulle tette. «Scòrdatele. E se per caso hai sperato che prima o poi te la dessi, spàrati qualche altra sega. Sono stata chiara?»
E con questo, girò sui tacchi. «Signori, con permesso, io ho finito e vado a dormire.»
Ma, mentre marciava decisa verso le scale del dormitorio femminile, non seppe resistere alla tentazione di voltarsi.
Rossi in faccia, le espressioni ancora attonite, i tre megastronzi facevano del loro meglio – anzi, del loro peggio - per ignorare gli sguardi, divertiti o increduli, dell'intera Sala Comune di Grifondoro.
In quel momento, si sentì pienamente vendicata.

Hermione fu la prima a trovare il coraggio di rompere il silenzio.
«Credo...» si schiarì la voce «credo che andrò anch'io.»
Harry e Ron si scambiarono uno sguardo strano, che non seppe decifrare. Segno sicuro di quanto Ginny l'avesse scioccata.
Scioccata e non solo: non riusciva neppure a guardarli in faccia.
Si allontanò verso la propria stanza, ben decisa a parlare con Ginny solo dopo essersi rimessa in sesto con un buon libro. Parlare di lei in quel modo! E davanti a Ron, poi! L'aveva fatta sembrare veramente... Come se Ginny, poi, viste le domande che le poneva di recente, non fosse stata molto più... scarlatta!
Ricolma di virtuosa indignazione, riuscì nell'ardua impresa di salire le scale a testa alta.

Sembrò che Hermione, uscendo dalla Sala Comune, avesse liberato tutti da un Incantesimo Tacitante: la trentina di ragazzi presenti cominciò a parlare, in contemporanea, a voce molto alta. Almeno sei o sette voci si rivolsero a Harry, a Ron o forse ad entrambi... impossibile dirlo, in tanta cacofonia.
I due malcapitati si scambiarono un altro sguardo e, a loro volta, lasciarono la scena del crimine, in perfetto silenzio.
Tornarono al loro dormitorio e rimasero in piedi a fissarsi, senza trovare le parole.
«Non ci credo. Non può aver detto davvero...»
«Cosa, Ron?» domandò Harry in tono stanco.
«Tutto. Tutto quello che ha detto.»
«Be', l'ho sentito anch'io.»
«Già.» Una pausa piuttosto lunga. «Harry?»
«Sì?» Alzò gli occhi e si riscosse: Ron teneva lo sguardo inchiodato al pavimento, le orecchie rosso fiamma tradivano un imbarazzo estremo. Lottò visibilmente per riuscire a parlare, ma infine riuscì a chiedere: «Secondo te ce l'ho lungo abbastanza?»
«Eh?!»
«Per... sì, be', insomma, hai capito... per... lei.»
Lo fissò.
“Ma che cazzo ne so?!” e “Grazie a tua sorella, sembra che non ne avrò idea ancora per un bel pezzo!” sarebbero state le risposte giuste, o almeno quelle che gli venivano di istinto.
E' il mio migliore amico.
Così, ammise: «Di sicuro è più lungo del mio.»
«Ah. Già.»
E tacquero, ripensando entrambi alle ragioni per cui ambedue erano al corrente di quel dettaglio improvvisamente così importante.
«Be'... grazie, amico.» Ron si schiarì la gola. «Io... io vado a farmi una doccia.»
Gli sorrise con una certa malizia, immaginando uno scopo sottinteso piuttosto ovvio, e si buttò sul letto, mentre l'altro prendeva l'accappatoio e usciva.
Solo a quel punto, gli venne in mente che forse il sottinteso era un altro, che quella frase poteva anche essere...
Un invito?!
Oh, cazzo!
Ci mancherebbe solo questa!

Sapeva bene che a Ron sarebbe piaciuto se avessero ricominciato a fare... le cose che piacevano a tutti e due. Cose che, in effetti, più di una volta aveva sognato di fare sotto la doccia in coppia, anziché da solo.
Ma un invito... un invito lo metteva a disagio.
Era come la differenza tra sapere che una porta è socchiusa e basterebbe spingere, e vedere qualcuno che la spalanca dall'interno e ti fa cenno di entrare.
Entrare.
Gli venne duro all'istante, pensando a tutte le cose che Ginny non gli aveva mai voluto fare – e, a quanto pareva, non avrebbe fatto per un bel pezzo; ma per cosa se l'era presa, poi?! - mentre chissà, magari Ron... cosa avrebbe potuto accettare Ron?
Il poco sangue che non era già affluito all'inguine gli salì al volto, mentre immaginava il suo miglior amico che apriva la bocca e...
Un trepestio sulle scale lo riscosse; qualche momento dopo, entrarono Seamus, Neville e Dean. Quest'ultimo si diresse al proprio letto, con l'aria abbattuta, ma gli altri si accostarono a quello di Harry.
Anche la sua pessima vista riusciva a leggere bene le loro espressioni tra il malizioso e l'eccitato. Troppo tardi, ormai, per rifugiarsi a sua volta sotto la doccia...
«Allora, Harry» esordì Seamus con un gran sorriso «Ginny ti fa le seghe?»
«Raccontaci tutto» aggiunse Neville, arrossendo come un peperone, ma con una luce fosca negli occhi.
(Notò appena Dean che scuoteva la testa, prendeva l'accappatoio e, a capo chino, si dileguava).
L'interpellato sospirò. Sarebbe stata una serata molto lunga.

Pensare troppo non gli piaceva.
La vita era più semplice, quando poteva concentrarsi solo sul piatto che aveva davanti.
(O sull'uccello in mano... ma già lì la mente lavorava un po' troppo).
Pensare andava bene per Hermione. A lei riusciva alla grande. A lui veniva la tremarella perfino quando giocava a Quidditch, se niente niente si metteva a pensare “Potrebbe succedere questo... ma potrebbe succedere anche quest'altro...”.
Con gli scacchi era facile, più o meno. I pezzi si potevano muovere solo in quei dati modi. Gli effetti delle mosse erano chiari, anche se spesso non saltavano subito all'occhio. E il suo pedone preferito forniva sempre buoni consigli... tranne quando giocava per qualcun altro, naturalmente.
Ma le persone?
Persone e sentimenti, cazzo, che casino!
Quando poi si trovava in testa quattro o cinque pensieri che facevano a cazzotti... Merlino, era il peggio del peggio!
Harry. Hermione. E Ginny. E... e quello. Quello che forse voleva da lui, o forse da lei, o forse da nessuno perché non si sentiva all'altezza, e...
Chiuse l'acqua, ormai rassegnato all'evidenza: neanche restando sotto la doccia fino ad affogare sarebbe riuscito a liberarsi di quel groviglio di emozioni. Che, per giunta, gli impediva di considerare metodi più efficaci.
Uscì dal cubicolo e vide entrare un Dean Thomas dall'aria particolarmente mogia. Superfluo chiedere perché.
«Ehi, Dean.» Non aveva molta voglia di salutarlo, ma far finta di non vederlo sarebbe stato peggio.
«Ron, anche tu qui?» Un sospiro. «Per lo stesso motivo, suppongo.»
Lo stesso? Forse non esattamente, però... «Già.»
«Non avrei mai creduto che... insomma, Ginny, una scena del genere!» Lo squadrò dubbioso, come temendo che se la prendesse con lui con qualche motivo.
«Dev'essere l'influenza di Harry» provò a scherzare.
Ma l'espressione di Dean si fece subito preoccupata: «Pensi... cioè, so che è il tuo migliore amico e..., ma sì, insomma... credi che la tratti male?»
«Harry?!» Cercò di riflettere seriamente sulla domanda. «E' la prima volta che la sento lamentarsi di lui, te l'assicuro. Certo che l'ha fatto in un modo...!»
«Ah. Sì, per questo mi chiedo... Sai, a volte uno si tiene le cose dentro e poi...»
«Non Ginny» sbuffò Ron, sinceramente divertito all'idea. «E' più facile che prima ti lanci una Fattura Orcovolante e dopo ti spieghi il perché. Con te non l'ha mai fatto?» aggiunse, incuriosito suo malgrado.
Dean inarcò un sopracciglio. «Ho conosciuto lati migliori del suo... ehm... carattere
Le orecchie gli divennero rosse e si chiese se fare a cazzotti con il compagno non potesse rivelarsi, dopotutto, il modo migliore di scaricar la tensione. Ma, forse avvertendo il pericolo, l'altro lo prevenne e gli tirò un pugno.
Scherzoso. Alla spalla. E sorrise. «Tu, piuttosto, quando ti fai sotto con Hermione? Hai sentito tua sorella, no?»
Di colpo, non sapeva più dove guardare o cosa dire. Impossibile anche solo cominciare a spiegare a Dean un casino che era il primo a non capire.
(Per un momento folle, si domandò se potesse chiedergli di vedere chi dei due l'avesse più lungo, giusto per avere un altro termine di confronto: si sa che i neri...)
«E' dura, eh? Sapere così quel che pensano di te, intendo.»
«Sì, lo è.»
«Mi ricordo quando ho visto Harry e Ginny abbracciati...» Si interruppe. «Scusa, non dovrei dirlo a te. Ma almeno mi aveva lasciato prima. Eppure faceva male lo stesso.» Abbassò gli occhi. «Fa male ancora adesso.»
«Dean...» Non sapeva cosa dire, se posargli una mano sulla spalla...
Il ragazzo di Londra si sforzò di sorridere. «A te va meglio, Ron. La tua è una novità bella, almeno. Cioè... a te Hermione piace, no?»
«Ah...» Si sentiva tutta la faccia in fiamme. «Sì. Sì, mi piace.»
«Meno male, ho vinto la scommessa.»
«Che scommessa?!»
Dean si tappò la bocca, come se si fosse appena lasciato sfuggire qualcosa di osceno. «Be', ehm... ora non ti arrabbiare.»
Strinse gli occhi e lo fissò senza fiatare.
«Sì, be', capisci... senza offesa eh, ma non ti abbiamo mai visto con nessuna, giusto?»
Strinse anche i pugni e seguitò a fissarlo.
«E insomma, te la faccio breve, Seamus ha scommesso con me che... ambasciator non porta pena, d'accordo?» Alzò le mani. «Semmai, vattela a prendere con lui, che sta torchiando Harry per farsi raccontare ogni dettaglio di quel che fa con Ginny!»
Scoppiò a ridere, spiazzando l'amico. «Intendi qualche altro dettaglio, oltre a quelli sentiti da tutta la Sala Comune?!»
«Già.»
«Be', io ho sentito più che abbastanza, credimi! Invece, dimmi di quella scommessa.» Dean si guardò intorno come un animale in trappola, ma, non trovando vie di fuga (né reali né figurate), decise di lanciarsi. Prese un respiro profondo, fissò un punto a caso e disse: «Seamus ha scommesso che a te, in realtà, piace Harry.»
«Eh?!» La sua sorpresa era assolutamente autentica.
«Cazzate, cazzate, non farci caso.»
«Ma... sì, ma voglio dire, ma come...?!» Come ha fatto a capirlo?!
«Dice che state sempre insieme, che lo guardi in un certo modo...»
«Lo guardo...?!» Oh, Merlino!
«Secondo me, tu, “in un certo modo”, guardi Hermione» si affrettò a rassicurarlo l'altro. «E infatti ho accettato la scommessa. Oh, poi magari ci sbagliamo tutti e due e ti abbiamo semplicemente visto in un momento in cui avevi fame!»
Risero insieme e l'incidente fu archiviato; parlarono del più del meno ancra per un po', tacitamente d'accordo a non rientrare nel dormitorio finché non fosse terminato l'interrogatorio di Harry, nonché ad evitare la Sala Comune, per ovvie ragioni.
Ma Ron non poté fare a meno di pensare che nel calderone in cui ribolliva il suo casino si era aggiunto un altro ingrediente. Qualcosa che poteva anche esplodere. Perché se si vedeva...! Se trapelava anche solo qualche indizio e un Seamus Finnigan qualsiasi capiva...! e se poi qualcuno avesse detto a Harry, o a Hermione, o anche a lui stesso...!
Gli girava la testa.
Aveva voglia di piangere.
Così, parlò dei risultati dei Cannoni di Chudley. Il suo dolore risultò tanto giustificato quanto convincente.
Riuscì perfino a non distrarsi e a non perdere il filo della conversazione: dopotutto – si disse e tornò a dirsi, più e più volte - sembrava che non vi fosse un pericolo immediato, che fosse solo una questione tra Seamus e Dean, e dato che Dean aveva addirittura scommesso...
Però, a questo punto, non poteva permettersi che gli venisse il benché minimo sospetto.
Doveva proprio buttarsi, con Hermione. E alla svelta, anche.
Cazzo!
Nel bel mezzo della conversazione, non ne poté più e tirò fuori il dubbio che lo stava assillando: «Come cazzo fai a provarci con una che non ti ha mai... fatto capire niente, ma si è vista sputtanare davanti a tutti dalla sua migliore amica?! »
Dean lo fissò come se non avesse affatto considerato quel particolare aspetto della faccenda. «Ah... non lo so proprio. Voglio dire, tua sorella mi ha... No no, come non detto!»
Ron lasciò correre, anzi, ci rise perfino sopra. Dopotutto, non doveva vedersela con un paio di Vermicoli, bensì con una Manticora.


Note:
Ginny Weasley: dalla Fattura Orcovolante alla Minaccia di Lisistrata.
Se anche a voi è sembrato strano che la fanciulla rossa e fumantina si sia lasciata mettere da parte senza fiatare, mentre l'Eroe “bello di fama e di sventura” partiva per la caccia agli Horcrux... be', questa Ginny sarà diversa. E' una promessa.
Mi sorge il dubbio di aver inserito qualche tema o spunto di troppo, perché questo capitolo non era davvero in programma... ma poi ho cominciato a chiedermi come potesse reagire Ginny una volta scoperta la ragione per cui Harry l'ha tanto trascurata e si è isolato. Il resto è venuto da sé. Non intendevo neppure riprendere in mano il rapporto tra Harry e Ron, anzi, desidero chiarire che non è detto che ci saranno gli sviluppi che la direzione presa dai pensieri del primo farebbe presagire... ma è evidente che tutte le pistole sul tavolo dovranno sparare, prima della fine. Spero solo di riuscire a dedicare ad ogni tema o spunto lo spazio e l'attenzione che merita, riuscendo comunque a costruire una storia unitaria, dotata di un'architettura solida.

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Capitolo 12
*** Amor di Fenice ***


“Amor di fenice”

“Amor di fenice”



Ringraziamenti:
Riprendo la pubblicazione dopo un'altra pausa pluriennale, del tutto imprevista, ma in mia difesa devo pur dire che un po' troppi progetti sono andati a contendersi il mio tempo libero, già scarso di suo. Se non altro, questa storia si dimostra resiliente, nel senso che prima o poi riesce sempre a farsi di nuovo strada nei miei pensieri... e a volte perfino nelle mie attività!
E con questa, tutte le mie vecchie long sono di nuovo in cammino. Strada, anzi, attesa facendo se ne sono pure aggiunte altre. Speriamo bene.
Pally93: La volta scorsa davo per scontato che avresti visto da te che la storia era stata aggiornata (come infatti è accaduto), ma questa volta ti ho avvertita subito, anche perché sei l'autrice del ritorno di fiamma! (L'onore al merito va reso pubblicamente, quindi... gentile pubblico, un applauso!)
Sì, hai ragione su Ginny, c'è una tendenza a farne un cliché che la Row non approverebbe, visto che si è impegnata a darle un carattere forte; ma i personaggi secondari sono sempre penalizzati da quello che potremmo definire “Harry-centrismo” (duplice, nel senso che il punto di vista è quasi sempre il suo e che il ragazzo resta mooooolto concentrato su sé stesso). Vedremo che accadrà a questa coppia nel corso della fic, ma di sicuro non sarà una storia da Mulino Bianco: non lo sarebbe in generale, dati i miei gusti, figuriamoci poi con una guerra di mezzo.
_deleted: Effettivamente, il capitolo scorso era incentrato sulle turbe adolescenziali, ma questo riprende il filone ministeriale, getta anche un po' di luce sulla situazione dei Malfoy e fa il punto, se non altro, su ciò che “i buoni” pensano di sapere sui piani dell'Oscuro Signore. Non so se riuscirò a gestire tutta la carne al fuoco, ma lotto valorosamente con il braciere! E anche con i quarti di bue.
Un'ultima notazione preliminare: questo capitolo deroga all'ordine cronologico e torna indietro; accorpa tre colloqui tra Silente, Rufus e Amelia, il primo dei quali segue di una settimana appena il deposito della sentenza dell'Alta Corte di Disciplina, creando il retroscena per la dichiarazione di colpevolezza della Umbridge che compare in “Attacco a Hogsmeade” (capitolo cronologicamente posteriore alla scena). Il secondo colloquio, invece, ha luoo il 4, dunque il Lunedì successivo alla battaglia, e serve a discutere gli sviluppi immediati. Il terzo, infine, fa il punto della situazione dopo che Draco è stato rispedito a casa e la
Gazzetta ha pubblicato il famoso gufo di rettifica a firma congiunta.
Con l'occasione, ho dovuto chiarire un po' meglio la cronologia, anzitutto a me stesso (e andare a correggere la data dell'articolo incriminato in “Et nunc manet in te”); ma a questo proposito rimando alle note finali, in quanto non mi sembra un aspetto fondamentale per l'immediata comprensibilità del capitolo.



Well the music is your special friend
Dance on fire as it intends
Music is your only friend
Until the end
Until the end
Until the end!

[J.M., When The Music Is Over]



«Qualche idea su cosa voglia dirci Amelia, Rufus?» chiese Silente, mentre l'ascensore saliva.
«Neanche mezza, temo.». Non era del tutto vero, ma preferiva non esporsi in anticipo; e comunque non sapeva nulla di preciso.
Il Preside, nonché Stregone Capo, nonché Supremo Pezzo Grosso e un mucchio di altre cose ancora, rimase in silenzio per il resto del tragitto, assorto – almeno in apparenza – nella contemplazione dei promemoria che svolazzavano intorno alla luce, oppure entravano o uscivano.
Come furono usciti al Primo Livello, un rullo di tamburi prese ad echeggiare tra stanze e corridoi.
Scrimgeour sorrise sornione: non se la voleva proprio perdere.
Silente si guardò intorno, perplesso, mentre il rullo si faceva sempre più intenso; poi, al culmine del crescendo, tacque un istante e fu sostituito dall'inconfondibile sibilo di un incantesimo.
La bacchetta del Preside fu nelle sue mani in un batter d'occhio, ma non si palesava alcuna magia o altra minaccia.
Mentre quei penetranti occhi azzurri, ora offuscati da un'inconsueta ombra di perplessità, si volgevano verso l'Auror in cerca di spiegazioni, il sibilo cessò e, accompagnata solo da un leggero pizzicar di chitarra, una voce sommessa, come trattenuta, attaccò a cantare piano:

«Il Maaaarchio Nero bri-illaaaa...»

La bacchetta nuovamente riposta, il brillio arguto tornato a scintillare nello sguardo, Albus Silente si ritrovò intento ad ascoltare.

«...sulla casa del mio amooooreeee...»

Un accordo di chitarra in tono minore e un rombo di bassi sottolinearono la conclusione del “diminuendo”; la voce tacque, mentre lo strumento a corda proseguiva in rade note meste.
Ma di colpo... un Plonnn.
Una sola nota vibrante in mezzo alla delicata tristezza della chitarra; eppure, bastava a riscuotere, a destare l'attenzione.
Ad infondere coraggio.
Plonn-plinn-plonn... Altre note cominciavano a levarsi, a comporre un'armonia, mentre gli accordi in tono minore svanivano. Il ritmo era lento, ma la musica riusciva a trasmettere un senso di urgenza. Eppure, improvvisamente, cominciò a scemare.
Tacque.
Un lungo istante di silenzio.
Boom. Il colpo di tamburo fece sussultare Silente.
Boom.
Boom.
Al terzo colpo, le note vibranti tornarono a farsi udire e, stavolta, scrosciavano come una cascata; si aveva l'impressione che qualcosa di gigantesco stesse raccogliendo le forze, o rialzandosi da terra dopo una sconfitta. Bassi, tamburi e chitarra le accompagnarono in un crescendo e, al fortissimo, la soprano spiccò il volo, ora inconfondibilmente Celestina Warbeck:

«...ma il mio cuore batte anco-ora,
ma il mio cuore spera anco-ora,
ma il mio cuore ama ancoooraaaa!
»

Fermo in mezzo al corridoio, Silente fingeva di dirigere l'orchestra e aveva l'aria di divertirsi un mondo.
La musica calò di intensità e di tono, si fece riflessiva, ma non triste.

«E se tu, amore mio,
più da me non tornerai,
e se tu, amore mio,
nella terra fredda giacerai...
Giaceraiiiiiiii...
» Un nuovo crescendo, mentre la voce di Celestina, vocalizzando su quella -i, scalava due ottave.

«Il mio amore è più forte, il mio amore è più grande
e ti ritroverò in ogni luogo e in ogni istante
e lotterò! E lotterò! E vivo ancora, ancora, anco-oraa...
vivo a casa ti riporterò!
»

Il coro si unì a Celestina nel ritmo tambureggiante del ritornello.

«He-heee, he-he he-he-heee
He-he-hee, he-he, he-he-he,
Amor di feni-iiice!
Amor di feni-iiice!

Le mie lacrime amore, le mie lacrime il mio dolo-oree,
he-heee, he-he he-he-hee
he-he-hee, he-he, he-he-he,
anche morto ti guariranno,
ognor da me ti riporteranno!

He-heee, he-he he-he-heee
He-he-hee, he-he, he-he-he!
»


«Albus.» Amelia lo accolse con un sorriso stanco. «Scusa se ti ho mandato a chiamare così presto, dopo il nostro ultimo incontro, ma davvero ci sono tante cose...»
«Amelia, ci mancherebbe. Oso sperare che, per qualche ora, Hogwarts possa restare in piedi anche senza di me. Ti spiace se, intanto, io e Rufus ci accomodiamo?» Al suo cenno di assenso, Evocò senz'altro un paio di ampie poltrone.
«Silente ha sentito il nostro nuovo “motivetto motivazionale”» la informò Scrimgeour.
«E mi è piaciuto molto» aggiunse il vecchio Preside, con il consueto luccichio birichino nello sguardo. «Non pensavo che avresti preso così alla lettera il mio suggerimento su Celestina Warbeck... e non oso immaginare quanto debba esservi costato ingaggiarla!»
«Oh, era un buon suggerimento e, semmai, ci è costata parecchio la registrazione del canto della fenice: capirai, sono uccelli tanto rari... Celestina, in effetti, all'inizio era piuttosto restia all'idea di esporsi direttamente in questa guerra, ma devo dire che i Galeoni non le interessavano per niente. Dopotutto, le iniziative benefiche le piacciono.»
«Ah, lo so. Quando faccio la doccia, metto sempre la sua versione dell'inno del Puddlemere United: lo canta molto meglio di me.»
Perfino Rufus rise all'idea del più grande mago del mondo che si insaponava al ritmo di Celestina Warbeck... e provava pure ad imitarne i vocalizzi!
«Grazie, Albus. Ci voleva un momento di allegria. Purtroppo... gli argomenti della riunione non sono allegri.»
Ogni traccia di ilarità scomparve all'istante.
«L'Alta Corte di Disciplina ha fatto il suo lavoro, il Ministero è più pulito e, anche se non mi azzardo a credere che abbiamo fatto piazza pulita di tutti i possibili simpatizzanti dei Mangiamorte, certo ce ne siamo tolti di torno un bel po'. Inoltre, “Amor di Fenice” sta rialzando il morale di quasi tutti... e gli Auror indagano sugli altri.»
«Purtroppo» intervenne Scrimgeour, funereo, «al momento è la pista più concreta che abbiamo.»
«Già. Fine delle buone notizie.»
«Prima delle notizie cattive» riprese il Direttore dell'Ufficio degli Auror, che pareva avesse preso gusto alla parte del pessimista: «finora non abbiamo trovato nulla di concreto sul conto di nessuno. Magari, semplicemente non sono fan di Celestina.»
«Alastor Moody ha minacciato di staccarmi la testa, se avesse sentito ancora una volta quei gorgheggi» assentì gravemente Amelia. «Ma è stato tre giorni fa, quindi suppongo che il mio discorsetto lo abbia convinto... più o meno.»
«Potreste sempre arruolare anche le Sorelle Stravagarie, Lorcan d'Eath e chiunque altro vi riesca di immaginare.» Notizie cattive o no, Albus aveva l'aria di divertirsi un mondo.
«Non esageriamo: mi pare che una canzone sola basti, per adesso. Anche perché Celestina non ci è costata uno Zellino, però ha voluto un paio di Auror ad ogni concerto.»
«Perlomeno, i biglietti sono in omaggio» sospirò Rufus. «In effetti, ne ha mandato un pacco da cento. Secondo voi, sta cercando di suggerirci qualcosa?»
Risero tutti. Ma Amelia tornò seria in fretta.
«C'è un'altra questione, Albus, e ho preferito sentire il tuo parere prima di deciderla.» Un respiro profondo. «Dolores Umbridge.»
Quegli occhi azzurri scintillarono di attenzione, senza più la minima ombra di divertimento.
«La sua nomina a Preside è stata annullata con effetto retroattivo, quindi, legalmente, non è mai esistita. Neanche il suo ritratto entrerà mai in quello studio... il tuo studio, Albus.»
«Mi pare il minimo, Amelia» commentò Silente con una certa freddezza. La Bones decise di ignorarlo e proseguire imperterrita.
«Nondimeno, la maggior parte delle sue azioni a Hogwarts è stata approvata – prima o dopo il fatto – dal mio predecessore. Ora, so che Caramell ti ha fatto passare un anno di inferno... ma, non appena ha ammesso di aver torto, si è dimesso, ha rinunciato a restare nel Wizengamot, ha perfino riconsegnato quel suo ridicolo Ordine di Merlino, Prima Classe. Insomma, ecco, si è mostrato più corretto e onesto di quanto mi sarei aspettata. Io non andrei a rivangare o discutere la misura delle sue responsabilità per la tua destituzione, o per la nomina di Dolores, o per i tentativi di riformare Hogwarts.»
Le palpebre di Silente erano strette a fessura. Forse per questo Rufus si sentì in obbligo di interloquire.
«Caramell non è mai stato uno dei più furbi e, nel corso dell'ultimo anno, ha dimostrato di avere il cervello di un troll particolarmente fesso. Ma mi giocherei comunque la testa che non è un Mago Oscuro.»
«Un corrotto, forse» aggiunse Amelia stancamente.
«Forse, ma anche no. Ha intascato un bel mucchio d'oro da personaggi come Lucius Malfoy, questo è vero; ma, in fin dei conti, avrebbe comunque concesso il proprio appoggio alle diverse cause che sostenevano.»
«Troppo fissato con l'orgoglio di essere maghi, troppo affascinato dalle antiche famiglie...»
«Scusatemi» li interruppe Silente «ma state difendendo Caramell, quando mi pareva che il problema fosse la Umbridge.»
Gli altri due si guardarono.
«Allora sei d'accordo, Albus? Lasciamo in pace Cornelius?»
«Amelia, non è mai stato davvero mio nemico, figuriamoci il vero nemico. Anzi, se vuoi sapere la mia, credo che, per il suo errore, stia già scontando la peggiore delle punizioni: vivere con la consapevolezza dei danni causati, delle morti che si sarebbero potute evitare...»
«Non lo invidio di sicuro» rabbrividì Rufus.
«E io ancor meno, ma se volessimo tornare al punto....?»
«Certo, certo, Albus.» Amelia, improvvisamente nervosa, si schiarì la voce. «A parte lo svolgimento di fatto delle mansioni di Preside e a parte il suo ruolo nella pretesa “riforma” di Hogwarts, contro Dolores resta soprattutto la condotta verso Harry Potter.»
«Già. Puoi immaginare, Amelia, come mi sia sentito quando ho scoperto che, per colpa di quella donna, il ragazzo si porterà per sempre dietro la scritta Non devo dire bugie
«L'ho saputo.» La bocca del Ministro si contrasse. «E mi disgusta dirlo, ma il fatto che Potter si ritrovi quella cicatrice sulla mano... be', è perfettamente legale.»
Gli occhi di Silente si spalancarono di scatto. «Cosa?!»
«Purtroppo è così. Quando sono state soppresse le punizioni corporali più gravi, come le frustate o le catene, si è voluto lasciare comunque agli insegnanti il potere di infliggerne di più lievi. So bene che di fatto non usano questo potere, ma ciò, ovviamente, non cambia i termini della legge. Quindi, siccome il danno permanente di Potter si limita ad una cicatrice neanche troppo visibile...»
Il Preside, pur livido in volto, era tornato calmo. «Ti prego di scusarmi, Amelia. Naturalmente ricordo la legge in questione, ora che mi ci fai pensare, e purtroppo devo concordare con te: non ci sarebbero i margini per far condannare Dolores.»
«Tutto sarebbe molto più semplice, Silente, se solo potessimo ristabilire il Tribunale della Legge Magica. Lo sai tu, lo so io, lo sa Amelia. Cosa stiamo aspettando?»
«Ne abbiamo già parlato, Rufus, e la mia risposta resta sempre no. Non intendo far riaprire il Tribunale speciale di Crouch solo perché questo potrebbe far andare come voglio io un processo a cui tengo – o terrei - molto. “Processo”, poi... quelli non si potevano neanche chiamare processi, lo sai bene...»
«Eh certo, la feccia, secondo te, deve avere gli avvocati!»
«Esattamente, Rufus. A parte il fatto che Dolores non è nemmeno una Mangiamorte, la Carta dei Diritti del Wizengamot, per me, non è negoziabile.»
Il Ministro si schiarì la voce; due teste si voltarono verso di lei.
«Oh, scusa, Amelia. Bene» sospirò Silente «riconosco che non c'è modo di far condannare Dolores. Non per quella cicatrice. Ma che mi dici dei Dissennatori?»
Il Ministro scosse il capo.
«Albus... lo sai anche tu. Non c'è nulla di scritto, non abbiamo neppure idea di come possa aver impartito quell'ordine o fatto sparire ogni traccia. L'unica prova che ci resta è la testimonianza di qualche ragazzino che dice di averla sentita rivendicare la paternità di quell'attacco... ma stiamo parlando di minorenni, che oltretutto frequentano la scuola dove Harry Potter è una celebrità - in senso favorevole aggiungerei, perlomeno adesso - e tu sei il Preside. Inoltre, sei comunque troppo vicino alla vittima per poter svolgere le tue mansioni di Stregone Capo.»
«La prova può anche essere debole, ma non puoi dire che manchi. Io rischierei. Andrei al processo.»
«Per questo ho voluto sentire la tua opinione, prima di accettare l'offerta di Dolores.»
«Sarebbe a dire?» Nonostante il tono pacato, da Silente emanava una vera e propria ondata di gelo.
«Dimissioni volontarie, immediate e irrevocabili, da tutte le cariche. Pensione anticipata, senza macchie sullo stato di servizio... e» aggiunse in fretta, per prevenire lo scoppio della tempesta, «pubbliche scuse a Potter e a te su La Gazzetta del Profeta. Queste, a dire il vero, sono una condizione mia: le ho detto chiaro e tondo che non mi sarei accontentata di niente di meno.»
Silente, a labbra strette, si prese qualche secondo prima di replicare: «Sono colpito, Amelia. Mi aspettavo di sentirmi proporre molto meno.»
«Lo so, Albus. Ma il vecchio andazzo è finito. Basta con le pene solo simboliche, basta con i buffetti sulla guancia ai colleghi anche quando sono carogne, basta con l'idea che “noi qui dentro” dobbiamo stare tutti dalla stessa parte contro “quelli là fuori”!» Gli occhi del Ministro lampeggiavano di determinazione.
«Amelia... se è così, perché non vuoi portare questo caso a processo?»
«Perché non mi fido, Albus. Non mi fido del Wizengamot, soprattutto se non sarai tu a presiedere. Non mi fido della loro serenità nel giudicare una donna con cui hanno lavorato fino all'altro ieri, non mi fido di chi ha ancora in testa il vecchio andazzo. E non mi fido neppure dei testimoni: se uno solo di quei ragazzini si impappina e si contraddice, siamo fregati. Non possiamo rischiare un'assoluzione in un caso del genere: immagina solo come si scatenerebbe la stampa.»
«In via meramente ipotetica... a che tipo di scuse stavate pensando?»
«Non so, un'ammissione di colpevolezza per qualche accusa... un risarcimento simbolico...»
«Se ammette a chiare lettere un qualche tipo di maltrattamento verso Harry, può anche fare a meno di scusarsi con me. Dopotutto, la vera vittima, qui, non sono certo io.»
«Non sarà facile, Albus.»
«No, Amelia?». Inarcò un sopracciglio. «Sei sicura di aver usato proprio tutti gli argomenti? Per esempio, le hai detto che i dettagli delle sue... punizioni... potrebbero finire in prima pagina sulla Gazzetta? Che lo stesso Harry Potter potrebbe rilasciare una nuova intervista, stavolta sulla sua amatissima insegnante di Difesa?»
Il Ministro lo fissò, con un'espressione sbigottita. «Albus...»
«No, Amelia. Scusami, ma sono stanco. Stanco di tutto il tempo perso mentre il Ministero guardava da un'altra parte, stanco di dover sempre usare riguardi per serpenti come la Umbridge... stanco! Dici che l'andazzo è cambiato? Bene, che cambi fino in fondo!»
Lo fissava anche Rufus, con improvviso rispetto.
«Allora, minacciate voi Dolores? O volete che ci pensi io?»
I due si scambiarono uno sguardo; quindi Scrimgeour sorrise. «Sono sicuro che, tra i miei Auror o altrove, ci sarà qualche suo nemico che adorerà l'idea.»
«Eccellente.»
«Naturalmente, Albus» intervenne Amelia «non sarebbe male se Potter rilasciasse davvero qualche intervista. Ormai, gli piaccia o no, è un personaggio pubblico.»
«Capisco, ma non giurerei che vi convenga. Harry non nutre chissà quale stima per il Ministero, sapete? E se comincia a raccontare, non so, la storia di Sirius Black, o come quella sera un mezzo esercito sia arrivato fino all'Ufficio Misteri senza incontrare anima viva, neanche uno straccio di Guardiamago...»
«Le domande si possono concordare in anticipo, Silente. E tu potresti suggerire al ragazzo cosa dire... e cosa no.»
«Davvero, Rufus? Ho paura che stiate sopravvalutando la mia influenza, o sottovalutando Harry. Pensateci un momento: parliamo di un ragazzino di quindici anni che non ha tenuto a freno la lingua, sul ritorno di Voldemort, neanche quando una pazza si è messa a massacrargli la mano tutte le sere. Minerva mi dice che pensa di diventare un Auror, sai?»
«Ah sì?». Lo sapevano già, naturalmente: nelle carte di Dolores, l'informazione era ben evidenziata. Ma fingere un po' non guastava mai. O quasi mai.
«Sì. E credo che per il tuo Ufficio potrebbe rivelarsi un buon acquisto: la forza di carattere non gli manca davvero. Però, proprio per questo, non è la persona giusta se pensate di usarlo per rilanciare l'immagine del Ministero.»
«Andiamo, Albus. Di sicuro il ragazzo si rende conto...»
«Di cosa, Amelia? Che le cose sono cambiate? No, direi proprio di no. Anzi, sentendo questi discorsi, fatico a rendermene conto io stesso.»
Amelia Susan Bones non era diventata Ministro della Magia senza aver imparato a distinguere bene quando era il caso di insistere e quando bisognava abbozzare. Allargò le braccia e disse: «Suppongo che dovremo fare il primo passo noi. Così, forse, un po' per volta il ragazzo si convincerà.»
Silente parve piacevolmente sorpreso da quel cambio di atteggiamento. «Io certamente non mancherò di ricordargli che non possiamo sperare di vincere questa guerra senza unire le forze con il Ministero.»
«Mi fa piacere che tu lo ammetta» commentò Rufus.
«Non l'ho mai negato, mi sembra. Mentre se volessimo parlare di tutto quel che ha negato il Ministero... ma lasciamo stare: ammetto che, almeno su questo punto, il vento sembra un pochino cambiato.»
«Oh, grazie tante» rispose Scrimgeour, sarcastico.
Silente sostenne il suo sguardo e tenne botta: «No, grazie poche, per adesso. E a proposito di insabbiamenti vari... mi volete spiegare, una buona volta, cosa avete in mente di fare al mio campo di Quidditch?!»

Si rividero il Lunedì dopo quella che tutti chiamavano già “la battaglia”, senz'altre specificazioni.
«Allora, Albus?» esordì Amelia, senza troppi preamboli.
L'interpellato scosse il capo.
«Ancora non si sveglia?». Lo scetticismo di Rufus era palpabile.
«Secondo Madama Chips è molto vicino al collasso: prolungata tensione nervosa precedente, trauma emotivo di prima grandezza, ferite gravi e Magia Oscura, subita o inflitta... non è esattamente la ricetta di una bella Pozione.»
Il Direttore dell'Ufficio degli Auror ne sapeva qualcosa e non poté che borbottare un assenso.
«Comunque,» riprese Silente, in tono più allegro, «il ragazzo parla parecchio nel sonno: ho detto a Madama Chips di dosare le Pozioni in maniera tale da facilitare questi momenti di dormiveglia, a Piton di stare lì a prendere nota...»
«Piton?» Amelia inarcò un sopracciglio.
«Naturalmente: in quanto ex-Mangiamorte, ha le migliori probabilità di riconoscere qualche nome, di persona o anche di luogo.»
«Hai detto “ex” Mangiamorte?» domandò Rufus, con l'aria del gatto dalla cui bocca spuntano le piume del canarino.
La risposta fu cauta: «Ho testimoniato per lui, a suo tempo, e non mi ha mai dato motivo di pensare ad un mio errore o ad una sua ricaduta. Ma se per caso sei venuto a conoscenza di nuove informazioni, be', spero che vorrai condividerle.»
«“Informazioni” è un po' troppo, forse. Ma diciamo che potrebbe essere stato presente a qualche raduno dei Mangiamorte.»
«Ah, questo non mi stupirebbe affatto» sorrise Silente. «Quando si è accorto che il Marchio Nero si stava ravvivando, è venuto da me, molto preoccupato ovviamente, e gli ho suggerito - se il peggio fosse accaduto - di rispondere alla convocazione.»
La reazione fu corale: «Come?!»
«Ammetto che il suggerimento comportava una certa dose di rischio, ma l'alternativa equivaleva ad essere considerato un traditore, punto e basta. Invece, così Piton può far credere a Voldemort di essere sempre un fedele Mangiamorte impegnato a spiare il suo peggior nemico. Che secondo me è Voldemort stesso... ma secondo lui sono io. Un nemico temibile, per la precisione, ma troppo ingenuo e fiducioso per sospettare che il pentimento di Piton non sia sincero... quindi anche per fornirgli informazioni false, capite? Per questo Voldemort crede a quel che Piton gli riferisce.»
«Mentre tu lo stai usando per cercare di imbrogliare Tu Sai Chi?» La voce di Scrimgeour non nascondeva lo scetticismo.
«Quando posso, senz'altro. Certo, non bisogna esagerare: dopotutto, Voldemort deve continuare a credere che Piton stia semplicemente fingendo, con me, di fare la spia per mio conto e in realtà trasmetta a me informazioni false da parte sua
«Ma quindi – veniamo al concreto - cosa sa Tu Sai Chi del giovane Malfoy?»
«Più o meno tutto, Rufus» rispose Silente, scrollando le spalle. «Tanto, lo voleva già morto... ragione per cui Piton lo tiene aggiornato su tutto quel che a Draco esce di bocca: non è nel nostro interesse che “l'Oscuro Signore” cambi idea, anzi! I Malfoy sono una famiglia potente e, se si riuscisse a strapparli alla sua causa...»
«Ho i miei dubbi, ma tanto vale provare.»
«Già. Comunque, non aspettatevi niente dal ragazzo, per il momento. E no, Rufus, niente interrogatori, niente Veritaserum somministrato di nascosto...»
«Sono d'accordo.» Amelia intervenne per stroncare il litigio incombente. «Draco Malfoy deve passare dalla nostra parte liberamente... o almeno perché si sente messo sotto pressione da qualcun altro, non da noi. E comunque, ci sta già dicendo tutto senza saperlo. Se ci servirà, un domani, farlo deporre in un processo ne riparleremo: per adesso siamo ancora in cerca di indizi e sospettati.»
«Nessun progresso, allora? Neanche con l'aiuto della musica?»
«Be', un po' di gente non si è più presentata al lavoro e, indagando, abbiamo scoperto diverse cosette interessanti» gli rispose Rufus. «Però no, fino ad ora nessun Mangiamorte. Anche se magari qualcuno di questi è un fiancheggiatore. E Rookwood non parla, non c'è verso.»
«Ovvio: tiene a restare in vita» commentò seccamente il Ministro. «Ti direi che siamo ad un punto morto, Albus, se non fosse che possiamo dire di aver vinto la battaglia.»
«Giusto, Amelia. Voldemort ha tentato il colpo grosso e, non c'è dubbio, ha fallito. Si può anche dire che abbia perso la faccia.» Silente sospirò. «Va da sé che questo lo rende ancora più pericoloso, però se agisse d'impulso potrebbe commettere altri errori... Tutto quello che può indebolirlo sul piano politico va bene, in questo momento. Dopotutto, ha già dovuto inventare un'aggressione di Harry a Draco, a beneficio dei Mangiamorte e di Narcissa in particolare: non si può permettere che i suoi seguaci capiscano che, con lui al potere, neppure i loro figli sarebbero mai al sicuro. Mi chiedo come farà a tenere sotto controllo Bellatrix...»
«Secondo i rapporti che ricevevo da Azkaban» gli rispose Amelia «non ci riuscivano nemmeno i Dissennatori, è tutto dire. Per caso tu o Piton avete qualche idea sui prossimi piani di Tu Sai Chi?»
«Sembra che non ce ne siano, che non avesse messo in conto una sconfitta. Ma non stupitevi se tra qualche giorno, o anche prima, Lucius Malfoy vorrà improvvisamente collaborare: Voldemort lo vuole fuori di lì... e di nuovo ben addentro al Ministero.»
«Almeno su questo, spero che si possa dire che abbiamo fatto qualche progresso. Tu quindi che faresti, Albus?»
«Se Lucius si offrisse di collaborare? Accetterei, ma gli farei capire che non mi fido per niente. E continuerei a non fidarmi, anche se magari in seguito comincerei a fingere il contrario. Bisogna vedere se è anche nel nostro interesse che Lucius esca: non sappiamo in che direzione potrebbe influenzare Draco.»
«Difficilmente la nostra» obiettò Rufus.
«Vero, ma non conosciamo il suo calcolo di convenienza, né il tipo di doppio gioco che vorrebbe mettere in piedi. Però con lui c'è un vantaggio, alla fin fine: non serve Voldemort fino in fondo, in ultima analisi serve sé stesso. Quindi, se saremo indispensabili alla sua sopravvivenza...»
«E se facessimo trapelare che Draco ha combattuto contro sua zia? Sto firmando le pergamene di conferimento per gli Ordini di Merlino, ad aggiungerne uno di Terza o anche di Seconda Classe si fa presto.»
Silente scosse il capo. «Finora siamo riusciti a tenere tutto nascosto alla stampa, se la storia esce troppo presto sembrerà pilotata.»
«E non sarebbe il caso di pilotarla davvero?» domandò Scrimgeour in tono ironico. Gli rispose il Ministro. «Tutto sommato direi di no, sai? Potrebbe essere meglio per noi se la notizia uscisse nel modo che vuole Tu Sai Chi.»
«Purché sia un modo che non getta altro fango su Harry» intervenne Silente.
«Giusto. Ma se Draco passasse per la vittima sarebbe più facile anche per noi giustificare atti di clemenza verso suo padre; promuoverlo ad eroe sul campo, con quel Marchio che si ritrova... Stupido ragazzino!» concluse, con una smorfia di disgusto.
«Siamo stati tutti stupidi ragazzini» replicò Silente, in tono pacato. «Però ammetto che in questo caso il livello di stupidità è notevole. Rita che fa? I documenti dell'Ufficio Misteri la tengono ancora occupata?»
«Per adesso sì, quindi non dovrebbe essere poi questa gran minaccia per i nostri piani, ma ovviamente è andata a Hogsmeade, si sta interessando della battaglia... e il suo contratto è molto chiaro, anche se sono il Ministro – dovrei dire: proprio perché sono il Ministro – non glielo posso vietare.»
«E guai a provarci» aggiunse Rufus, alquanto cupo. «Sospetterebbe subito chissà cosa.»
«Non mi preoccuperei troppo: solo i figli dei Mangiamorte, i loro genitori o i loro amici potrebbero riferirle qualcosa sul conto di Draco, non lo faremo certo né io né Harry. Quindi, c'è una buona probabilità che la storia esca solo quando lo vorrà Voldemort. Tutto sta a fare in modo che esca in una versione che vada bene anche a noi.»
«Hai detto niente!» sbottò Scrimgeour.

Alla riunione successiva, l'atmosfera era molto più distesa, a tratti quasi serena. Quasi: venivano dalla funzione commemorativa per le vittime dell'attacco a Hogsmeade, appena terminata, e avevano ancora indosso le vesti da cerimonia nere, nelle orecchie i singhiozzi soffocati delle vedove, negli occhi le insegne scintillanti degli Ordini di Merlino. Soprattutto di quelli alla memoria. E tuttavia, era come se quel momento solenne avesse reso meno importante, paradossalmente, il lavoro immediato: il pensiero della Grande Mietitrice, una volta che riesce a farsi strada nella mente conscia, non si lascia scacciare con tanta facilità.
Forse per questo Amelia Bones, Ministro della Magia, per prima cosa fece portare una bottiglia di Whisky Incendiario e propose un brindisi commemorativo. “A tutti loro”, dissero levando i calici; e in qualche modo il peso parve più leggero.
«Sapete? Non riesco a togliermi dalla testa quel bambino...»
«Quello che ha ritirato l'Ordine alla memoria del padre morto? Neanche io.» Scrimgeour non aveva difficoltà ad ammettere certi suoi momenti di debolezza.
«Credo che non lo scorderà nessuno» convenne Silente. «Il modo in cui stava dritto come un fuso, tutto concentrato nello sforzo di non piangere...»
«Straziante, credimi. Gli ho consegnato il rotolo, la medaglia, ho fatto tutto per bene perché era il minimo... ma dentro mi sentivo straziare. E sì che questa non è la mia prima guerra...»
Tacque. E ciascuno ripensò ai rispettivi morti.
«Mettiamola così, Amelia» disse infine Rufus, spezzando il silenzio. «Se tra dieci anni esisteranno ancora i Mangiamorte, sarà meglio per loro non trovarsi davanti alla bacchetta di Oswald Babbington.»
«Giusto.» E propose un altro brindisi: «A Oswald!»
Dopodiché, forse grazie allo Stravecchio, le cose si fecero più facili. C'erano anche buone notizie, dopotutto: Lucius Malfoy stava collaborando o fingendo di collaborare, che era pur sempre un risultato; ad onta dei pur notevoli sforzi di sua moglie, la storia dell'aggressione da parte di Harry Potter non era stata pubblicata (chissà che la Skeeter, dopotutto, non avesse imparato qualcosa!) e il morale della popolazione sembrava in rialzo: dopotutto, per la prima volta da quando esistevano i Mangiamorte, avevano vinto.
Anche se i morti e chi li piangeva potevano pensarla altrimenti.
«Sapete,» riferì Silente, per una volta in modo del tutto spontaneo, «pare che Voldemort sia furioso con la giovane Pansy Parkinson: quella sua piccola bugia su Harry e Draco che sarebbero grandi amici ha reso obiettivamente più difficile far passare la versione a lui più gradita. Penso che più di un Mangiamorte stia cominciando a porsi domande. Dopotutto, qualunque altra cosa siano, non sono stupidi.»
«Sia come sia, Albus, non credo che vedremo chissà quali defezioni...»
«No, Amelia, non credo neanch'io, però sappiamo fin troppo bene quanto sia importante il morale. E poi, basterebbe una piccola spinta...»
«Tu pensi sempre che quel ragazzino che si è fatto Marchiare salterà il fosso?»«»
«Chiamiamola una scommessa, Rufus, ti va? Io sarò ottimista, non dico di no, ma spero che anche i Serpeverde, a Hogwarts, stiano riflettendo parecchio.»
«Peccato per quel gufo di rettifica, non trovi?»
«Quello di Harry e Draco? Secondo me no, Amelia: diminuisce le possibilità che quelli usino la storia di Pansy a loro favore e rende comunque improbabile la versione di Voldemort, perché firmare un gufo con il proprio aggressore, be'... Adesso, il pubblico sa che Draco è stato aggredito, ma non da chi; pensa a qualcuno dei Mangiamorte, non certo a noi, e questo ci favorisce; però non vede il ragazzo come un eroe o, peggio, come qualcuno che noi vogliamo far passare per tale. Direi che non potrebbe andarci meglio, non ti pare?»
«Non so, Albus.» Scosse la testa, chiaramente scettica. «Mi sembri troppo ottimista.»
«Forse hai ragione» convenne, annuendo gravemente. «Eppure, che tu ricordi, durante la prima guerra Voldemort è mai stato sulla difensiva? Rufus?»
«No» risposero ad una voce gli interpellati. Scrimgeour però aggiunse subito: «Forse lo abbiamo costretto a stare un po' sulla difensiva, e sono felicissimo, anche solo perché morirà qualche civile di meno... ma noi non possiamo attaccare, vero?»
«Purtroppo è così, Rufus. Siamo in stallo.» Silente tacque per qualche secondo, prima di riprendere. «D'altra parte. Se diffondessimo la notizia che Lucius Malfoy è passato dalla nostra...»
«Vai avanti» lo incoraggiò Amelia.
«Intanto, toglieremmo tanta rispettabilità al caro Lucius: dopotutto, ufficialmente non è mai stato condannato, parecchia gente crede all'immagine di filantropo; meno sprovveduti può abbindolare, meno pericoloso diventa... e sia chiaro, per me Lucius Malfoy sarà sempre pericoloso, da qualunque parte stia. Il genere di mago che preferisci avere di fronte che alle spalle, non so se mi spiego.» Visti i loro cenni di assenso, proseguì. «Inoltre, il solo fatto che qualcuno si dissoci pubblicamente e rimanga in vita... Certo, Voldemort dirà ai suoi che è tutta una montatura, che ha ordinato a Lucius di fingere di collaborare, ma queste non sono manovre a cui ricorri quando stai vincendo. Indebolire la sua presa sui Mangiamorte è fondamentale. Anche solo per renderlo più prevedibile: prima o poi, dovrà fare qualche mossa eclatante per non perdere del tutto la faccia, in primo luogo con i suoi, e non sono poi tantissime le mosse a disposizione, giusto? Magari un attacco al Ministero, quello sarebbe in cima alla mia lista... sempre ammesso di riuscire ad organizzarlo, però.»
«Fammi capire, Albus.» Amelia era chiaramente perplessa. «Noi dovremmo metterci a predisporre piani di difesa contro tutte le possibili “mosse eclatanti” di Tu Sai Chi?»
«Vuoi dirmi che non avete un piano casomai attaccasse il Ministero?»
Gli altri due si guardarono, ma fu Scrimgeour a rispondere. «Che piano puoi fare per un'eventualità del genere? Al massimo fai testamento.»
«Forse. O forse no.» Gli rivolse il proprio miglior sorriso da Stregatto. «C'è un motivo, più di uno anzi, se Voldemort non ha ancora fatto nulla del genere. Non ha dimenticato com'è andata a finire l'avventura di Grindelwald, se così la vogliamo chiamare, e non vuole dare nell'occhio. Inoltre, per quanto possa essere un assassino, la sua arma principale non è la violenza aperta, la brutalità... No, è la paura. I definitiva, il suo sogno non è uccidere tutti gli avversari, ma che tutti si arrendano senza combattere perché tremano di paura fin nel profondo dell'anima; quando deve combattere apertamente, per di più di persona, per lui è già un mezzo smacco. Quindi, Rufus, per rispondere alla tua domanda, sono d'accordo anch'io che il Ministero non potrebbe resistere ad un suo attacco, ma questo vuol dire che ci servono due piani: uno per fare in modo che non gli convenga mai provarci, l'altro per evacuare tutto molto alla svelta se il primo dovesse fallire.»
«Ovviamente abbiamo un piano di evacuazione!» protestò l'altro, in tono offeso. «Abbiamo anche fatto un po' di esercitazioni: ce la caviamo in cinque minuti e stiamo migliorando.»
«Sono molto, molto contento di sentirlo. Allora, direi che se su questo fronte siamo coperti possiamo concentrarci sull'altro.»
«Albus, sospetto che tu abbia già un piano» gli sorrise Amelia.
«Ne ho parecchi, ma qui non si tratta tanto di piani, quanto di obiettivi.»
«Sarebbe a dire?»
«Semplice: non dobbiamo pensare più di tanto ad impedire che il Ministero cada. Noi dobbiamo piantare i semi della sconfitta di Voldemort. E secondo me, le due cose possono stare insieme.»




Note:
Spero che si capisca, sia nella successione dei colloqui sia anche nella loro differenza rispetto al primo, che i personaggi stanno gradualmente imparando a collaborare e che, pur restando guardinghi (a buon diritto e in modo, secondo me, più che comprensibile), si permettono almeno il minimo indispensabile di fiducia reciproca. A quanto ci è dato di capire dal canone, in quel corso degli eventi tutti i tentativi di collaborazione si sono incagliati sul ruolo di Harry Potter e il relativo, persistente dissidio. Ma visto che, in questa versione, è cambiato il Ministro, mi è piaciuto dotare Amelia di maggior intelligenza e flessibilità rispetto a Caramell o a Scrimgeour. Silente, soprattutto all'inizio, è assai meno riguardoso di quanto non si mostri nel canone, ma insomma, avrà pur diritto a non poterne più.
La cronologia assoluta della storia è stata precisata: i fine settimana a Hogsmeade, se non vado errato (ho eseguito solo un controllo cursorio sul Lexicon), in realtà occupano solo la giornata di sabato e, nel cap. 16 de “
L'Ordine della Fenice”, la loro serie si apre il primo fine settimana di Ottobre; ma quest'anno le preoccupazioni per la sicurezza li hanno fatti slittare, il che spiega anche l'impazienza di tutti quella mattina. Quindi, l'evento si colloca all'ultimo sabato di ottobre, precisamente il 26 Ottobre 1996. Ne segue che Draco, una volta portato in Infermeria, si risveglia soltanto la mattina di Domenica 3 Novembre, scoprendo che nel frattempo è successo di tutto; ho provveduto a correggere di conseguenza la data dell'articolo sulla parentela e la “grande amicizia” tra lui e Harry, che “Et nunc manet in te” dava originariamente al 5. Non so ancora fino a che punto mi manterrò preciso nella ricostruzione cronologica, nel prosieguo, ma credo che nel dubbio sia sempre meglio peccare per eccesso, tanto più che i riferimenti temporali sono sempre uno dei miei punti deboli.
In genere non amo i capitoli che consistono quasi esclusivamente di dialoghi e mi sembra che usare il discorso diretto per risolvere nodi della trama o introdurre spiegazioni sappia un tantino di semplicismo, soprattutto quando lo si fa su vasta scala; però, dopo tanti capitoli in cui il punto di vista di Draco e i suoi dubbi hanno predominato, era necessario colmare alcune lacune informative del lettore e preparare, nello stesso tempo, il terreno agli sviluppi successivi. Ho scelto la via più rapida.
Secondo la Rowling, lo stile di Celestina ricorda da vicino Shirley Bassey, ma a me, forse perché scrivo in italiano, mentre cercavo di “comporre” la canzone continuava a risuonare in testa la voce di Mina, quindi, se volete immaginare l'interpretazione di “Amor di Fenice” meglio di quanto non sia resa nel testo, ecco il modello di riferimento. Quanto poi ai contenuti, be', non voleva essere un modello di poesia e nemmeno di qualità... dopotutto, lo scopo è convincere la gente a rischiare la pelle e, in più, fornire al Ministero un metodo per individuare i sospetti.
Naturalmente – lo scrivo solo per scrupolo – le lacrime di Fenice non fanno resuscitare e tutto il mondo magico è ben consapevole dell'iperbole... ma l'efficacia deli strumenti di propaganda bellica non si misura necessariamente dall'obiettività dei contenuti, così come, d'altronde, la credibilità o il successo di una dichiarazione d'amore possono anche dipendere da espressioni che, se prese alla lettera...
L'inno del Puddlemere United “
Respingete quei Bolidi, ragazzi, e scagliate qui quella Pluffa” è stato inciso da Celestina per raccogliere fondi a beneficio del S. Mungo: l'informazione, ora confermata da Pottermore, compare tra le notizie sulla squadra ne “Il Quidditch attaverso i Secoli”, dalla cui prefazione apprendiamo anche che Silente tifa proprio per questa squadra.
Se le Sorelle Stravagarie non hanno bisogno di presentazioni (ma semmai del rilievo che l'originale Weird Sisters è un'allusione al Macbeth), può essere il caso di precisare che Lorcan d'Eath è un cantante, in parte Vampiro, inserito dalla Row sul vecchio sito come Mago del Mese a Novembre 2006, con l'indicazione che il suo pezzo “
Necks to You” è stato primo in classifica per diciannove settimane. Non sappiamo, però, quando ciò sia avvenuto, né quando sia cominciata la sua carriera: visto che la sua data di nascita è il 1964, mi son permesso di presumere che fosse già popolare a fine anni Novanta. Per inciso, prima che uscisse il secondo film di “Animali Fantastici”, le informazioni biografiche su Lorcan erano l'unica conferma sicura dell'effettiva esistenza, nel Potterverso, di quelli che la Umbridge chiama “ibridi” (dico l'unica sicura, perché ho i miei seri dubbi che questa sia l'origine dei Centauri, anche se naturalmente non lo escludo).
Come si vede, il primo colloquio svela i retroscena della notizia che Harry apprende dalla Gazzetta la mattina dell'attacco. Mi è sembrata una buona idea far vedere come si sia arrivati ad un passo senz'altro eclatante. E ho voluto riprendere anche l'accenno al campo di Quidditch, che era rimasto in sospeso fin da quella stessa scena, per far capire che anche lì c'è qualcosa sotto, che però non è ancora giunto il momento di rivelare. Di Caramell, invece, non si sentirà più parlare (o quasi) in questa fic, ma siccome si tratta di un prequel non rivelo chissà cosa se dico che se ne riparlerà – meglio: secondo il tempo del narratore, già se n'è riparlato – ne “
Il Profumo della Libertà”.
Stesso discorso per Oswald Babbington, che non dovrà attendere dieci anni per ricomparire nella storia, o meglio nella dilogia (trilogia se contassimo anche “
Fragments Shored”, ma la poesia per me non fa parte della narrativa, salvo il caso del genere epico, con cui non provo neppure a cimentarmi).

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