L'ultima dragonessa

di evelyn80
(/viewuser.php?uid=659169)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Prima classificata al contest "Leggende, Luoghi misteriosi e Miti" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP.
Pacchetto 3:
mistero: Loch Ness
obbligo: presenza di una tempesta
oggetto: abito da festa
Prompt: magia
BONUS: un bacio in un prato fiorito
 


 


 
L’ultima dragonessa
 
 
Capitolo Uno
 
 
     Il lampo esplose vivido nel cielo scuro, illuminando di una luce spettrale il ponte di legno della piccola imbarcazione da pesca. Il tuono che seguì fece vibrare sia il vecchio fasciame sia i pescatori a bordo, con il suo rimbombo cupo.
     La tempesta si era scatenata improvvisa e violenta sopra il lago, lasciando esterrefatti tutti i pescatori. Erano uomini di grande esperienza, e nessuno di loro aveva immaginato che potesse arrivare, quasi dal nulla, una burrasca di tali proporzioni.
     Le onde sferzavano il peschereccio da ogni direzione, sballottandolo come fosse stato un guscio di noce. I marinai tentavano di aggrapparsi alle murate per non essere sbalzati fuori bordo ma, ogni tanto, qualcuno di loro perdeva la presa e veniva scaraventato da una parte all’altra della coperta. Il vento fischiava tra le velature, gonfiate dalle forti raffiche che imperversavano a tratti da nord a tratti da est, facendo sbatacchiare la stoffa. La fune che tratteneva il boma perché la vela principale rimanesse stabile era tesa fino allo spasimo, e gemeva lugubre ogni volta che il vento cambiava direzione.
     Il capitano della piccola imbarcazione, Albrecht, urlò ai suoi marinai di ammainare le vele, per diminuire la loro resistenza al vento e scongiurare così il pericolo di scuffiare all’improvviso. La tempesta aveva sospinto il peschereccio proprio al centro del lago, dove le acque erano più profonde, e se fossero finiti in acqua avrebbero potuto dire addio alle loro vite. Le sponde erano troppo distanti e sarebbero state impossibili da raggiungere a nuoto, con quelle onde così violente.
     Myrcus e suo fratello minore Lyuk, figli del capitano, obbedirono immediatamente all’ordine del padre, mentre gli altri pescatori arrancavano a destra e a sinistra nel vano tentativo di rendersi utili, sferzati sia dalla pioggia che cadeva a scrosci, sia dalle onde del lago, talmente alte da superare le murate.
     All’improvviso, mentre Lyuk tentava di sciogliere i nodi delle cime che tenevano issate le vele, resi compatti dalla pioggia, la fune che tratteneva il boma si spezzò con uno schianto secco. L’albero ruotò su se stesso con un cigolio sinistro, colpendolo al fianco e sbalzandolo fuori bordo. Tutto avvenne talmente in fretta che né suo padre, né suo fratello riuscirono a trattenerlo. Il giovane pescatore cadde tra le acque agitate, con un grido che si perse nella furia del vento e della pioggia.
     «Lyuk!». Il capitano Albrecht si affacciò alla murata, subito seguito da Myrcus e dagli altri pescatori. Il ragazzo era già stato spinto lontano dall’imbarcazione dalle forti correnti lacustri, mentre invano tentava di tenersi a galla mulinando le braccia alla cieca. Un altro lampo squarciò il cielo plumbeo, illuminando le acque nere su cui contrastava il viso terreo del giovane pescatore, gli occhi spalancati per il terrore di essere ormai tra le braccia della morte.
     Myrcus fece l’atto di scavalcare la murata per buttarsi nel lago e tentare disperatamente di salvare il fratello, ma suo padre lo trattenne posandogli una mano sulla spalla. Il giovane uomo si voltò per protestare, ma le parole gli morirono in gola quando vide lo sguardo terrorizzato del genitore rivolto non al corpo di suo fratello, unica macchia di colore nel nero che lo circondava, ma ad un punto più lontano. Volse lo sguardo nella stessa direzione e imprecò. Gli altri marinai avevano già notato ciò che aveva attirato l’attenzione del loro capitano, e tutti avevano preso a gridare: alcuni bestemmie, altri preghiere, altri ancora frasi sconnesse e senza senso per la paura.
     Una creatura enorme, color dell’argento, stava nuotando, più veloce del vento che li sferzava, in direzione di Lyuk, il lungo collo flessuoso ed elegante proteso sopra la superficie dell’acqua. I suoi occhi rossi come le fiamme dell’inferno si posarono per un istante su Myrcus, paralizzandolo dal terrore con una gamba al di là del parapetto, prima di tornare a puntare sul naufrago.
     «Il mostro del lago!», gridò qualcuno alla sua destra, ma Myrcus non si voltò per vedere chi fosse stato, incapace di distogliere lo sguardo dalla scena che stava avvenendo di fronte a lui. Suo padre gli stringeva la spalla in una morsa ferrea mentre balbettava, pieno di paura, alcune preghiere.
     La creatura raggiunse Lyuk e si fermò, ondeggiando al suo fianco sulle acque scure. Chinò il lungo collo fino ad avvicinare il muso affusolato e serpentino al corpo del giovane, che pareva aver perduto i sensi. Lentamente spalancò la grande bocca, irta di denti aguzzi come lame e, altrettanto lentamente, con delicatezza quasi, avvolse la sua vittima con la lunga lingua biforcuta. Poi la serrò tra le fauci, facendola sparire alla vista dei marinai che fissavano la scena, impietriti, dalle murate del piccolo peschereccio.
     Myrcus, in quel momento, si sentì morire. Con uno strattone si liberò dalla presa del padre, urlando il nome del fratello e tentando ancora di buttarsi in acqua, nello stupido ed inutile tentativo di liberarlo dalle fauci della bestia immonda che aveva davanti. Il capitano fu colto alla sprovvista dal suo movimento repentino e, se non fosse stato per due dei suoi marinai più fedeli, che pescavano con lui da anni, non sarebbe più stato in grado di trattenere il figlio maggiore. I due uomini trassero Myrcus bruscamente all’indietro, facendolo cadere sul ponte bagnato.
      Il giovane uomo si rialzò in fretta, scivolando sulle assi di legno, e tornò alla murata appena in tempo per vedere la creatura inabissarsi con un elegante guizzo del lungo corpo affusolato. Per un istante, illuminata dalla luce azzurrina dell’ennesimo lampo, gli parve di vedere una fanciulla dai lunghi capelli castani seduta sul dorso della bestia, ma un attimo dopo il mostro era sparito tra le acque nere, che si richiusero rapide al suo passaggio.
      A quel punto Albrecht, che fino allora era stato pietrificato dal terrore, riuscì a riscuotersi e a lanciare un grido selvaggio carico di rabbia e frustrazione. «Hai divorato mio figlio, bestia immonda! Che tu sia maledetta! Che tu sia maledetta per l’eternità!».
      Myrcus fissò suo padre per alcuni attimi, poi tornò a volgere lo sguardo nel punto in cui la creatura era sparita.
     «Io ti troverò, mostro», disse, stringendo le mani a pugno, «dovessi scendere fino all’inferno! E allora, ti farò rimpiangere di essere nato!».
 
 
* * *
 
 
     La grotta era immersa nel buio più totale quando Anthea la raggiunse ma, per lei, l’oscurità non era un problema. Sussurrò alcune parole magiche e sul palmo della sua mano destra, rivolta all’insù e leggermente incavata a mo’ di coppa, si accese una piccola sfera di luce. Con agilità scese dal dorso della dragonessa e camminò leggera sulla riva sabbiosa, la sfera di luce rossastra ad illuminare il suo cammino. Giunta nel centro della piccola sala sotterranea si inginocchiò a terra e, mormorando un’altra formula magica, fece espandere il globo luminoso fino a che non ebbe illuminato tutto l’ambiente con una luce vivida e intensa. Le rocce nere in cui era scavata la caverna erano percorse da sottili venature di quarzo, che risplendettero come gemme preziose al tocco della luce magica. Anthea si voltò verso la dragonessa, ancora immobile nei pressi della riva: solo il lungo collo sinuoso spuntava dalle acque scure, il resto del suo corpo era ancora celato al di sotto.
     Anthea le fece un cenno e la dragonessa protese la grossa testa affusolata verso di lei, aprì lentamente le fauci e tirò fuori la lingua, facendo scivolare a terra il corpo del giovane pescatore che avevano salvato poco prima dalla furia del lago in tempesta. La maga impose entrambe le mani su di lui, mormorando parole in un’antica lingua. I suoi polpastrelli si illuminarono di un tenue chiarore rosato e subito gli abiti e la pelle del giovane, ancora bagnati dalle acque del lago e dalla saliva della dragonessa, si asciugarono.
     Anthea rimase immobile per alcuni istanti a fissare il giovane uomo che aveva di fronte, abbandonato nell’incoscienza. Un caschetto di capelli biondo scuro gli incorniciava il viso dall’ovale perfetto. La sua pelle lattea era appena adombrata, sulle guance, da un velo di barba dorata. Il suo collo taurino, forte e muscoloso, contrastava con la struttura gracile del resto del corpo.
     La maga si riscosse all’improvviso dalla sua contemplazione. Gli poggiò le mani sul petto e chiuse gli occhi, andando a sondare il corpo per capire se, a causa della caduta dal peschereccio, avesse subito fratture. Subito si accorse che aveva due costole rotte, là dove il boma l’aveva colpito. Sollevò i suoi abiti scoprendogli il fianco, già macchiato da un grosso livido violaceo. Tastò lentamente le ossa fratturate, facendo sobbalzare il giovane ancora svenuto, una smorfia di dolore a contrargli il volto.
     Anthea mosse le dita in modo più lieve, sfiorandogli la pelle e, allo stesso tempo, mormorando parole magiche. La maga avvertì distintamente il rumore delle costole che si risaldavano pian piano, ubbidendo al suo comando. La smorfia sul viso del giovane pescatore si trasformò lentamente in un lieve sorriso sereno.
     «Bene, ora non ha più alcun dolore», esalò la donna con un sospiro. La dragonessa allungò il muso e annusò il giovane, facendo fremere le grosse froge argentee, e Anthea continuò: «Ha bisogno di molto riposo. Lascerò che dorma per tutto il tempo necessario alla sua completa guarigione, prima di lasciarlo tornare dalla sua famiglia. Certo si saranno spaventati a morte, quando ti hanno visto afferrarlo tra le fauci».
     La dragonessa emise un basso brontolio sordo e scosse la grossa testa, facendo ondeggiare i lunghi barbigli argentei che la adornavano. La donna le poggiò una mano sulla pelle butterata della mascella. «Hai ragione, Nyvgue. Abbiamo corso un grosso rischio uscendo così allo scoperto. Ma gli abbiamo salvato la vita», e, con un gesto del braccio, indicò il giovane che giaceva sdraiato sulla sabbia, immerso in un sonno profondo. Lo guardò, lasciandosi sfuggire un sorriso. «Sarà bene accendere un fuoco, per non fargli prendere troppo freddo», disse, già pronta ad evocarne uno con la magia, ma la dragonessa la prevenne. Aprì la bocca e contrasse la lingua, comprimendo le due ghiandole piene di acido poste alla sua base. A contatto con le placche ossee di cui era rivestito l’interno delle sue mascelle il liquido prese subito fuoco, fuoriuscendo in un getto potente dalle sue fauci. Nyvgue lo diresse contro una roccia porosa, posta a poca distanza dal giovane svenuto, fino a farla diventare incandescente. Solo allora chiuse la bocca, smorzando le fiamme ed emettendo dalle narici due lunghe volute di fumo, che salirono fino al soffitto roccioso prima di disperdersi.
 
 
* * *
 
 
     Lyuk aprì lentamente gli occhi, convinto di risvegliarsi nel mondo dei morti. Ricordava vagamente di essere stato colpito dal boma dell’imbarcazione di suo padre e di essere stato sbalzato fuori bordo. Le acque gelide del lago gli erano subito finite in gola mentre lui annaspava, tentando di rimanere a galla contrastando le onde violente. Poi, tutto ad un tratto il mondo era diventato buio.
     Con le mani tastò il terreno sotto di sé, avvertendo un misto di sabbia fine e sassolini smussati. L’ambiente che lo circondava era illuminato da una vivida luce rossastra, e ciò che vide lo convinse maggiormente di aver raggiunto l’oltretomba. Si trovava all’interno di una piccola grotta dalle pareti di roccia nera, solcate da piccole venature argentee che brillavano al chiarore intenso. Un forte calore al suo fianco sinistro lo fece voltare in quella direzione e, per poco, non lanciò un grido alla vista di una grossa pietra nera, porosa come una spugna, dai cui fori emanava, oltre al calore, un bagliore rosso cupo.
     Deglutì a vuoto, la bocca asciutta per la paura. All’improvviso, alle sue spalle udì un basso ringhio cupo, una sorta di brontolio proveniente dalla gola di chissà quale creatura infernale. Serrò gli occhi di scatto, convinto che, se si fosse voltato, si sarebbe trovato davanti il demonio in persona. Trattenne il fiato, aspettando di sentire la sua mano bollente e dagli artigli affilati ghermirgli la spalla, ma non accadde nulla. Allora, racimolando l’ultimo briciolo di coraggio che gli restava nelle vene, si voltò nella direzione del rumore.
     La spiaggetta su cui si trovava disteso digradava lentamente verso il basso, fino a sparire inghiottita da un lago sotterraneo dalle acque azzurrine. Una donna, vestita di una lunga tunica verde scuro e dai lunghi capelli castani che le spiovevano fino al fondoschiena, gli dava le spalle. Davanti a lei si ergeva, emergendo dalle acque, il lungo collo argenteo di una creatura mostruosa. La sua testa serpentiforme, sormontata da un paio di corna attorcigliate su se stesse, era talmente grande da sfiorare il basso soffitto a volta. Lunghi barbigli le incorniciavano le grosse mascelle, e una cresta ossea, in cui le spine erano collegate le une alle altre da una sottile membrana traslucida, le percorreva il collo in tutta la sua lunghezza. Il suo occhio destro, rosso come il sangue, si fissò su di lui. Il mostro protese il collo nella sua direzione, emettendo un altro basso ringhio gutturale.
     Lyuk si portò le mani davanti al viso e si rannicchiò in posizione fetale.
     «Non mangiarmi! Ti prego, non mangiarmi!», esclamò con voce stridula, tremando come un fuscello per la paura.
     «Stai tranquillo, amico mio. Nyvgue non ha nessuna intenzione di mangiarti».
     La voce calma e pacata della donna lo raggiunse, facendolo placare all’improvviso. Il giovane uomo sentì tutta la paura fluire via dal suo corpo, quasi come se la donna lo avesse ipnotizzato.
     Tolse lentamente le mani dal volto e la fissò con curiosità, convinto di aver infine incontrato davvero il demonio. Il suo aspetto lo sorprese: aveva sempre creduto che il diavolo avesse fattezze mostruose, mentre quella che aveva davanti era semplicemente una giovane donna dai profondi occhi castani, che lo guardava con dolcezza.
      «Sei… Sei il diavolo?», le chiese, incassando al contempo la testa nelle spalle, aspettandosi di venire schiaffeggiato.
     La donna scoppiò in una risata argentina che lo lasciò di stucco. «No, non sono il demonio, puoi stare tranquillo», gli rispose, mettendosi in ginocchio accanto a lui.
     «Allora sei sua moglie?», chiese ancora Lyuk, convinto di ricordare qualche storia, narratagli da sua madre quando lui e suo fratello Myrcus erano piccoli, riguardante il diavolo e la sua consorte.
     Lei rise nuovamente, scuotendo il capo. L’enorme creatura avvicinò ancora di più la testa, volgendola di lato e fissandolo con il suo occhio rosso. «Non sei morto, se è questo che ti stai chiedendo», gli rispose infine la donna.
     Lyuk si guardò attorno, imbarazzato. «Ma, se io non sono morto, tu non sei la moglie del demonio e questo non è l’oltretomba, allora dove diavolo sono? E, soprattutto, cos’è quest’orrenda creatura?».
     La donna lo fissò con serietà. «Forse ho sbagliato a dirti che non sono il demonio. Quando ti dirò chi sono, di sicuro crederai che lo sia davvero».
     Si interruppe, forse aspettando una sua reazione che non venne. Lyuk rimase in silenzio, aspettando che continuasse a parlare.
     «Il mio nome è Anthea e sono una maga. Il mio maestro era il custode dei draghi, e da lui ho appreso sia le arti magiche sia a parlare con quelle splendide creature». Si interruppe per qualche istante mentre i suoi occhi si perdevano nei ricordi, prima di continuare. «Moltissimi anni fa, i draghi erano numerosi in queste terre, e vivevano in prosperità e in pace con gli uomini. Il mio maestro aveva il compito di custodirli e di fare in modo che la convivenza tra loro e gli uomini potesse continuare pacifica. Poi, un giorno, per errore un drago di nome Nyner uccise un bambino in un villaggio di pastori. Voleva salvarlo da un branco di lupi che stava per aggredire il suo gregge di pecore, ma nella foga e nella concitazione del momento non si accorse che il bambino si era nascosto sotto ad un cespuglio, che lui calpestò. Il mio maestro e io invano cercammo di far capire ai genitori del bambino che si era trattato di un incidente. Il padre giurò che si sarebbe vendicato e che avrebbe ucciso tutti i draghi viventi». La donna trasse un lungo respiro. «Di padre in figlio, da nonno a nipote, la rabbia cieca di quella famiglia si è tramandata di generazione in generazione, fino a che i draghi non sono stati quasi completamente sterminati. Il mio maestro avrebbe potuto usare le sue arti magiche per contrastare i cacciatori, ma aveva giurato davanti al Gran Consiglio dell’Ordine dei Maghi che non avrebbe mai usato i suoi poteri per nuocere ad alcun essere vivente. E per questo motivo non reagì quando venne pugnalato al cuore dall’ultimo discendente di quella famiglia. Da quando lui è venuto a mancare sono io a portare avanti il compito di proteggere e custodire i draghi. Nyvgue», con la mano, la donna indicò la creatura alle sue spalle, «è l’ultima dragonessa ancora in vita. L’unica ad essersi salvata da quella furia incontenibile».
     La donna si alzò in piedi, dandogli le spalle. «Fino ad ora ci siamo sempre tenute nascoste in questa grotta, uscendone solo di notte. E così avremmo continuato a fare, se non ci fossimo imbattute nel vostro peschereccio proprio nel momento in cui tu sei stato sbalzato in acqua. Non potevamo lasciarti morire senza tentare di salvarti. Ma temo che l’esserci rivelate di fronte ai tuoi compagni di pesca possa scatenare un’altra caccia inutile e terribile».
     Lyuk fissò la sua schiena, incapace di allontanare lo sguardo da lei, mentre la donna alzava il braccio a carezzare il muso della dragonessa. Quella sbuffò, facendo fremere le grosse froge.
     Il giovane pescatore aveva ascoltato con attenzione il suo breve racconto, ma c’era un particolare che proprio non riusciva a capire. «Hai parlato di fatti avvenuti moltissimi anni fa, dicendo che eri presente», attaccò a dire senza riuscire a celare il lieve tremito nella voce. «Eppure il tuo viso non dimostra molti più anni dei miei».
     «Eppure, mio giovane amico, anche se ciò non appare io sono molto più vecchia di te. I custodi dei draghi hanno, tra le altre capacità, quella di vivere molto, molto a lungo. Come i draghi stessi. Ed è proprio la mia esperienza a farmi temere il peggio. Credo proprio che i tuoi famigliari, credendoti morto, cercheranno vendetta».
 
 
* * *
 
 
     «Io dico che dobbiamo cercare quel mostro in lungo e in largo, e vendicare la morte di mio fratello!». Myrcus sbatté i pugni sul tavolo, facendo sobbalzare gli altri uomini presenti.
     Dopo essere riusciti a riguadagnare la riva del lago, con estrema fatica a causa della tempesta, e dopo aver narrato brevemente quanto era accaduto a sua madre, il giovane pescatore aveva chiamato l’adunata di tutti gli uomini validi del villaggio. Aveva lasciato suo padre a vegliare la povera donna, accasciata in lacrime dalla notizia, e aveva raggiunto la grande capanna circolare al centro del paese, dove si svolgevano le riunioni e si prendevano le decisioni più importanti.
     La pioggia tamburellava ancora sul tetto, con insistenza, facendo da sfondo alle parole concitate del giovane.
     «Se lasceremo impunita quella creatura, presto ce la vedremo piombare addosso, qui nel villaggio, a reclamare un altro pasto a base di carne umana! Chi sarà il prossimo? Tuo figlio, forse, Thomas? Oppure tua moglie, Edgard?». Con il dito, Myrcus indicò i vari presenti che, al sentirsi nominare, borbottarono scongiuri sottovoce. «No, non possiamo aspettare!», riprese il giovane. «Dobbiamo brandire le armi e scagliarci contro quella bestia immonda!».
     «E come pensi di riuscire a sconfiggerla? Noi che eravamo con te abbiamo visto le sue dimensioni. Quel mostro è enorme!». A parlare era stato Fahust, uno dei marinai del peschereccio di suo padre che aveva assistito, impotente, alla morte di Lyuk. Myrcus si voltò nella sua direzione.
     «L’unione fa la forza! Se andremo tutti insieme riusciremo a batterlo, in un modo o nell’altro».
     Gli uomini scossero la testa, sconsolati. Qualcuno mormorò frasi di scusa, blaterando qualcosa a proposito di figli piccoli che rischiavano di rimanere orfani di padre.
     «E se la bestia verrà a mangiarseli? Da qui in avanti non potremo più dormire sonni tranquilli! In questo momento quel mostro potrebbe essere proprio là fuori, nella bufera, pronto a scagliarsi sulle nostre case per divorarci tutti!».
Myrcus gridava, accalorato, scuotendo la testa dai folti ricci castani. Nei suoi occhi azzurri brillava una scintilla di determinazione tale da rasentare la pazzia.
     «Siete solo dei vigliacchi!», urlò infine, quando si rese conto che nessuno dei suoi compaesani aveva intenzione di seguirlo. «Andrò da solo, allora! Piuttosto che lasciare invendicata la morte di mio fratello preferisco morire io stesso!».
     Gordon, il più anziano e saggio del villaggio, in quel momento si alzò lentamente dal suo scranno, posto vicino al focolare, e raggiunse zoppicando il giovane, posandogli una mano sulla spalla.
     «Myrcus ha ragione», disse, sorprendendo tutti gli altri presenti. «Ora che quella bestia ha assaggiato la carne umana, non passerà molto tempo prima che abbia voglia di averne ancora. Troverà il nostro villaggio e ci ucciderà tutti. Dobbiamo ammazzarla se vogliamo sopravvivere».
     Myrcus ringraziò il vecchio per aver dato credito alle sue parole e Gordon riprese. «Quella creatura è di sicuro un drago. Dovete sapere che, secondo quanto ho sempre sentito raccontare da mio nonno, secoli fa i draghi vivevano numerosi in questa regione, facendo scempio dei suoi abitanti. Solo un’audace famiglia trovò il coraggio di ribellarsi, divenendo cacciatori di draghi. La storia dice che, di generazione in generazione, quegli uomini e quelle donne sterminarono tutta quella razza malvagia». Gordon si interruppe, assaporando il silenzio concentrato e attento che era calato nella stanza. «A quanto pare uno di essi è sopravvissuto allo sterminio, e ora tocca a noi liberarcene. Possiamo anche noi entrare a far parte della storia, come coloro che hanno ucciso l’ultima bestia immonda!».
     Grida concitate di acclamazione accolsero la fine del discorso del vecchio. Myrcus lo ringrazio ancora, sostenendolo mentre ritornava a sedere sul suo scranno. Una volta che Gordon fu di nuovo seduto il giovane si voltò verso gli astanti.
     «Avete udito le sagge parole di Gordon! Allora, chi è con me?», gridò, levando il pugno al soffitto.
     Tutti i presenti risposero ad una sola voce. «Io!».
 
 
* * *
 
 
     Nyvgue procurò loro la cena, immergendosi nelle acque calme del lago sotterraneo e riemergendone dopo un poco con una grossa anguilla stretta tra le fauci. Allungò il collo e la lasciò cadere ai piedi di Lyuk, che rabbrividì al pensiero di essere stato lui stesso trasportato, incosciente, tra quei denti aguzzi.
     Mentre attendevano il ritorno della dragonessa, Anthea gli aveva raccontato brevemente come lo avevano salvato.
    «Se i miei compagni mi hanno visto sparire nella sua bocca mostruosa, è naturale che mi credano morto», commentò fissandosi le mani. «Devo tornare al più presto da loro, per dimostrargli che sono ancora vivo. Così, forse, nessuno vorrà uccidere la tua dragonessa».
     La maga scosse la testa. «Dubito che rinunceranno così facilmente all’idea di ammazzarla, se è veramente ciò che avranno intenzione di fare».
     Cadde il silenzio, rotto dopo parecchi minuti dalla voce acuta e leggermente nasale del giovane pescatore. «Mi dispiace…».
     Anthea lo fece tacere posandogli una mano sulla spalla, come a volergli ricordare che non era colpa sua.
    Dopo aver mangiato, la dragonessa uscì dalle acque del lago intrufolandosi a fatica nel fondo della caverna, con le ali membranose strettamente ripiegate contro il corpo. La sua mole era tale da occuparne più della metà, così Lyuk e la maga dovettero spostarsi vicino alla riva. Nyvgue posò la grossa testa vicino ad Anthea, che subito insinuò una mano tra i suoi lunghi barbigli argentei, prendendo a grattarla teneramente. La dragonessa emise un basso ringhio soddisfatto, socchiudendo gli occhi rosso vermiglio.
     Nonostante l’iniziale timore, il giovane era affascinato da quella creatura così imponente e allo stesso tempo misteriosa. Aveva sentito parlare dei draghi nelle leggende che spesso sua nonna gli aveva raccontato da piccolo, ma non aveva mai creduto alla loro esistenza, fino ad allora. La paura e la ripugnanza avevano presto lasciato il posto ad una sincera curiosità.
     Osservò per qualche minuto la maga che coccolava la grossa bestia, come fosse stata un gattino, per poi raccogliere il coraggio e chiedere: «Posso provare anch’io?».
     Anthea alzò lo sguardo su di lui, un dolce sorriso che le incurvava le labbra sottili. «Veramente vorresti carezzarla? Non hai timore che possa morderti?», chiese senza sarcasmo.
     Lyuk scosse la testa. «Se avesse voluto divorarmi l’avrebbe già fatto».
    La maga rise e annuì. «Hai ragione. Ma prima dobbiamo chiederle se vuole essere toccata da te». La donna poggiò entrambe le mani sulla pelle verrucosa della dragonessa e quella subito aprì gli occhi di scatto. Anthea rimase immobile a fissarla nell’occhio destro per alcuni istanti, poi Nyvgue alzò la testa e rivolse la sua attenzione al giovane pescatore, annusandolo pesantemente. Le grosse froge fremettero mentre inalava il suo odore. Poi, con uno sbuffo secco dalle narici che scosse il caschetto biondo di Lyuk, poggiò nuovamente il capo a terra, questa volta a fianco del giovane, emettendo un brontolio cupo dal fondo della gola.
     «Direi che le piaci», disse Anthea con un sorriso.
     Lyuk allungò pian piano, con cautela, una mano, e iniziò a carezzarla lentamente tra i barbigli. La dragonessa gorgogliò soddisfatta tornando a socchiudere languidamente gli occhi.
     «Come fai a comunicare con lei?», chiese dopo un momento.
     «Il mio maestro mi ha insegnato a parlare non soltanto con i draghi, ma anche con tutti gli altri animali, tramite la magia che scorre nelle mie vene. Toccando qualsiasi creatura con entrambe le mani posso instaurare un legame mentale che mi permette di arrivare direttamente ai suoi pensieri».
     Lyuk la fissò meravigliato. «Che bello…», mormorò. «Mi piacerebbe molto poterlo fare».
    «Purtroppo, mio giovane amico, bisogna avere delle doti speciali per diventare un custode di draghi. E temo che, dopo di me, non ne saranno necessari altri». Il viso di Anthea si rabbuiò. «Quando Nyvgue morirà, non rimarranno altri draghi da proteggere. E allora, anche il mio compito sarà giunto a termine», disse in tono duro.
     Il giovane non seppe cos’altro dire e la conversazione cadde. Il silenzio era spezzato solo dal basso gorgoglio proveniente dalla gola della dragonessa che ancora si godeva le carezze che le venivano offerte.
     «Ora è meglio dormire un po’. Domani mattina ti riaccompagnerò in superficie, così potrai tornare al tuo villaggio, dai tuoi cari». Anthea evocò alcune coperte per i loro giacigli e si distese, smorzando la luce rossastra nella caverna con un semplice gesto delle dita.
     Lyuk sarebbe voluto rimanere ancora un po’ con lei, per apprendere altre cose interessanti sui draghi e anche sulla maga stessa, ma non ebbe il coraggio di esprimere a parole il suo pensiero, perciò, dopo un’ultima carezza alla dragonessa, anche lui si sdraiò e si preparò per dormire.
     Nyvgue mosse la lunga coda e il collo circondando i due dormienti con il suo corpo e, dopo un ultimo sbuffo, si addormentò.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo Due ***



Capitolo Due
 
 
     Il villaggio si era svegliato presto. Ancora prima dell’alba gli uomini si erano radunati nella grande sala comune. Ognuno aveva portato con sé le proprie armi. Arpioni, fiocine, falci e forconi, qualche daga e persino una spada lunga giacevano a terra, sul pavimento di legno, mentre il fabbro le passava in esame per giudicare quale di esse fosse pronta all’uso e quale, invece, avesse bisogno di essere affilata.
     Nel frattempo, le donne si erano riunite a casa di Gyllian e Albrecht, i genitori di Myrcus e Lyuk, per la veglia funebre. Anche se non avevano un corpo da vegliare né Gyllian né Lucylle, la promessa sposa del giovane pescatore divorato dal mostro, erano volute andare contro la tradizione. Entrambe sedevano l’una accanto all’altra vicino al camino, dove il fuoco scoppiettava allegro a dispetto dell’atmosfera funerea, mentre le altre donne del paese intonavano nenie e lamenti funebri.
     La fanciulla aveva voluto indossare, a tutti i costi, il più bell’abito da festa che possedeva. Era stata sua madre a confezionarglielo, in previsione delle sue future nozze, ma ora non le sarebbe più servito a quello scopo. Nonostante sua madre e le sue sorelle avessero tentato a lungo di dissuaderla dall’indossarlo, Lucylle era stata irremovibile. La lunga gonna di tessuto verde tenue e il corpetto ornato di pizzi e ricami stridevano con il velo nero che aveva posato sul capo in segno di lutto. Molte delle donne presenti alla veglia avevano storto il naso al vederle indossare quell’abito, considerando la sua scelta di cattivo gusto. Ma la giovane aveva rifiutato categoricamente di mettersi un altro vestito che non fosse quello, e la mancata suocera aveva accettato la sua scelta, facendole cenno di mettersi seduta vicino a lei e mettendo a tacere tutte le altre.
     Mentre i lamenti funebri risuonavano cupi nell’aria, la ragazza non poté fare a meno di tornare col pensiero al bel viso del suo promesso sposo: il morbido caschetto di capelli biondo cupo, gli occhi verde erba, la bocca dal taglio deciso ma sensuale. Non avrebbe più assaggiato le sue labbra morbide, non avrebbe più sentito i suoi sussurri alle orecchie, non avrebbe più avvertito il tocco ruvido delle sue dita callose.
     Grosse lacrime le scesero ancora dagli occhi. Aveva pianto per tutta la notte ed aveva creduto di non avere più niente da versare, ma evidentemente si sbagliava. Aggiustò il lungo velo sui capelli biondi dai ricci ribelli e prese a dondolarsi avanti e indietro sullo sgabello al fianco di Gyllian che, invece, era perfettamente immobile, come una statua di sale. Le sue labbra si muovevano al ritmo delle litanie, ma nessun suono fuoriusciva dalla sua gola. Pareva completamente annientata dal dolore e Lucylle poteva capirla alla perfezione. Chi più di una madre poteva soffrire per la perdita di un figlio?
     Il sole sorse lentamente, illuminando il mondo esterno. Un raggio penetrò dalla finestra fino a raggiungere i piedi della giovane che, pian piano, alzò lo sguardo. Fuori dei vetri vide passare Myrcus alla testa di un piccolo drappello di giovani, tra cui suo fratello appena dodicenne. L’uomo stava gridando qualcosa ad alta voce, disturbando la veglia.
     Alcune delle donne più vicine alla porta della casupola si alzarono in piedi e gli intimarono di fare silenzio. Lucylle si accodò a loro, la lunga gonna verde chiaro che frusciava sul pavimento di legno.
     «Dove state andando, Myrcus?», chiese la fanciulla, suscitando stupore tra le presenti. Secondo la tradizione, infatti, sarebbe dovuta rimanere seduta a piangere in silenzio per l’anima del defunto, senza curarsi di ciò che avveniva attorno a lei.
     «Stiamo andando a cercare le tracce di quel mostro, per trovare la sua lurida tana», le rispose il fratello del suo promesso. «Cosa ci fai qui, in piedi sulla soglia? Dovresti pregare per la morte di mio fratello, senza occuparti di altro», aggiunse subito dopo, fissandola con sguardo di fuoco.
     Lucylle non si lasciò intimorire e rispose alla sua occhiata da sotto al velo. «Stai portando con te mio fratello Matwes, che è ancora un bambino. Non ti permetto di mettere a rischio anche la sua vita!».
     «È stato tuo padre a spingerlo a partire. Non impicciarti di affari che non ti riguardano, donna! Torna a sedere e a pregare per l’anima di Lyuk, che possa trovare pace!». Si voltò verso il suo piccolo seguito e fece un ampio cenno con il braccio. «Voi altri, con me!», gridò prima di riprendere la marcia verso il lago.
     Lucylle serrò i pugni, già pronta a strapparsi il velo nero e a gridare tutta la sua rabbia e la sua indignazione, ma le donne che la circondavano la spinsero dentro e richiusero la porta. Quando fu di nuovo seduta al suo posto, Gyllian le si avvicinò. «Capisco quello che provi, figlia mia», le sussurrò, «hai timore che anche tuo fratello faccia la fine del mio povero Lyuk. Ma non temere. Myrcus sa quello che fa».
     La ragazza non rispose ma chiuse gli occhi, sperando con il tutto il suo cuore che la donna avesse ragione.
 
 
* * *
 
 
     Lyuk fu svegliato di soprassalto dal forte scrosciare di acqua in brusco movimento. Si tirò a sedere di scatto giusto in tempo per vedere Nyvgue riemergere dal lago sotterraneo, grossi rivoli che le scorrevano tra i barbigli e lungo la pelle ruvida del collo. Tra le fauci, la dragonessa stringeva un grosso pesce che lasciò cadere ai suoi piedi. Il giovane pescatore la fissò estasiato, meravigliandosi della sua possanza ed eleganza e chiedendosi, al tempo stesso, come avesse potuto lasciare il fondo della grotta senza calpestarlo, considerando quanto poco spazio avesse avuto la grossa bestia per muoversi.
     Nyvgue diede un colpo col muso al pesce, spingendolo verso Lyuk, poi sbuffò facendo fremere le grosse froge argentee. Il giovane allungò la mano, titubante, e la dragonessa protese la gola verso di lui, in cerca di una carezza. Il giovane la accontentò, ascoltando rapito i bassi gorgoglii di soddisfazione emessi dalla creatura.
     «Buongiorno, mio giovane amico. Vedo che Nyvgue ti ha portato la colazione. Non c’è che dire, hai proprio fatto colpo su di lei».
     La voce di Anthea lo fece sussultare. La maga era appena apparsa alle sue spalle, come partorita dalla nuda roccia. La dragonessa si allontanò un poco da Lyuk e accostò il muso alla donna, che la baciò sulla punta del naso. Il giovane rimase suo malgrado incantato da quell’immagine: Anthea e Nyvgue sembravano proprio fatte l’una per l’altra. Trattenne a stento un sospiro. Avrebbe tanto voluto anche lui esser parte della loro comunione.
     La maga lesse il suo pensiero. «Mi lusinga sapere che vorresti rimanere con noi, ma tu devi tornare dalla tua famiglia». Si mise seduta al suo fianco mentre, con la magia, cuoceva il pesce portato dalla dragonessa. «Sono appena stata all’esterno. Tutto è calmo e tranquillo, e quindi posso arrischiarmi ad accompagnarti fino ai margini del tuo villaggio. Mangia, ora, rimettiti in forze», aggiunse passandogli una grossa porzione di pesce arrostito. «Partiremo non appena ti sarai rifocillato».
     Lyuk obbedì e divorò la sua razione. In effetti, aveva una fame da lupi. La dragonessa lo guardò spolpare il pesce fino alla lisca, leccandosi di tanto in tanto le labbra con la sua lunga lingua biforcuta. Quando il giovane lanciò via i miseri resti del suo pasto lei fu lesta ad afferrarli al volo, deglutendoli con un unico movimento della lingua muscolosa. Poi, prima che il ragazzo potesse alzarsi in piedi, lo travolse con un colpo del muso, mandandolo a finire lungo disteso sulla sabbia dorata che ricopriva il fondo della grotta. Lyuk si lasciò sfuggire un grido, convinto che, nonostante tutte le sue buone impressioni, alla fine la bestia avesse deciso di divorarlo. Invece, la dragonessa adagiò la grossa testa accanto a lui, socchiudendo gli occhi ed emettendo un basso ringhio gutturale.
     Anthea sorrise. «Vuole una tua ultima carezza. Perdonala se te l’ha fatto capire con un po’ troppa irruenza».
     Il ragazzo si sforzò di rispondere al sorriso, il cuore che gli batteva tumultuoso nel petto per lo spavento. Nyvgue aprì gli occhi ed emise un gorgoglio più acuto.
     «Ti chiede scusa», spiegò la maga, avvicinandosi, «per non aver dosato la sua forza. A volte dimentica quanto siate deboli voi esseri umani».
     «Non fa nulla…», rispose debolmente Lyuk rivolto alla dragonessa mentre si rimetteva seduto. Le passò entrambe le mani tra i barbigli, grattandole la spessa pelle verrucosa al di sotto, facendola grugnire di piacere.
     «È ora di andare», li interruppe Anthea dopo poco. Il ragazzo si alzò in piedi e si allontanò da Nyvgue, che lo guardò con occhi tristi.
     «Addio Nyvgue», disse Lyuk facendole un cenno con la mano. «Grazie per avermi salvato la vita».
     La dragonessa scosse il capo e sbuffò, facendo ondeggiare i lunghi barbigli d’argento.
     La maga gli fece cenno di seguirlo, precedendolo verso il fondo della grotta. La roccia era compatta e non presentava segni di aperture. Il giovane pescatore stava giusto domandandosi dove fosse la strada per uscire da lì quando Anthea poggiò entrambe le mani sulla parete di pietra, pronunciando una formula magica. Le rocce scricchiolarono pesantemente mentre si separavano le une dalle altre, formando uno stretto passaggio in salita. La donna evocò una sfera di luce e si incamminò lungo il percorso tortuoso, con Lyuk alle calcagna.
     I due camminarono a lungo nelle viscere della terra, mantenendo un rigoroso silenzio. Il giovane pensava all’avventura che aveva vissuto e a come avrebbe potuto raccontarla ai suoi familiari. Sapeva che la maga temeva la vendetta da parte loro, ma lui era convinto che non fosse quello il caso. Suo padre e suo fratello erano sempre stati uomini tranquilli, pacifici pescatori dediti ad una vita calma e serena. Per la prima volta da quando si era risvegliato dopo la tempesta il suo pensiero corse a Lucylle, la sua promessa sposa. In quel momento lo stava di sicuro piangendo, e lui non vide l’ora di correre a casa per far vedere a tutti che era ancora vivo. A mano a mano che si allontanava dalla grotta, il forte desiderio di rimanere con Anthea e Nyvgue stava pian piano scemando, sovrastato dalla voglia di tornare dai suoi genitori, da suo fratello maggiore e dalla sua promessa.
     La maga, che percepiva i suoi pensieri, ne fu contenta, perché nessuno sarebbe mai potuto rimanere con lei. Lei sola era la custode dei draghi e così sarebbe sempre dovuto essere.
     All’improvviso il budello di pietra finì ed emersero alla luce del sole, alla base di una parete di roccia strapiombante. Le ultime case del villaggio di pescatori cui Lyuk apparteneva si intravedevano appena tra la foschia dell’alba appena sorta.
     Anthea accompagnò il ragazzo per alcuni passi lungo il prato che si stendeva alla base del dirupo. L’odore dei fiori che lo punteggiavano era reso ancora più penetrante dalla pioggia che aveva appena cominciato a evaporare. La donna infine si fermò e si volse verso di lui.
     «Addio, mio giovane amico», sussurrò, posandogli entrambe le mani sulle spalle e protendendo il viso per baciarlo. Lyuk alzò il volto socchiudendo gli occhi, convinto nel profondo di se stesso che la donna stesse per baciarlo sulla bocca. Invece, le labbra di Anthea si posarono sulla sua fronte, leggere come il battito d’ali di una farfalla. Rimase a fissarla per un istante negli occhi, senza avere il coraggio di dire nulla, poi le voltò le spalle e si incamminò lentamente verso la sua casa.
     La maga rimase a guardarlo allontanarsi tra l’erba cosparsa di fiori colorati, poi si girò e sparì nelle viscere della terra, sigillando la roccia dietro di sé.
 
 
* * *
 
 
     Lucylle aveva ormai perso la cognizione del tempo. Non sapeva da quanto se ne stava lì seduta, ad ascoltare i lamenti funebri delle donne del villaggio. Ormai aveva pianto tutte le sue lacrime, non solo per la morte di Lyuk ma anche per la paura che potesse accadere qualcosa al suo fratellino Matwes, che aveva seguito Myrcus senza battere ciglio. Si era meravigliata a lungo di suo padre che l’aveva lasciato andare, ma poi il canto delle donne, monotono e lamentoso, aveva avuto un effetto soporifero su di lei, spingendola in una sorta di dormiveglia che la estraniava dalla realtà.
     Era talmente confusa e alienata da se stessa da non accorgersi nemmeno che la porta della casupola si era spalancata ancora una volta, e che un nuovo arrivato stava disturbando la veglia funebre. Solo quando Gyllian, ancora seduta al suo fianco, lanciò un grido lancinante e cadde riversa al suolo, incosciente, trovò la forza di alzare il capo e di guardarsi intorno per capire cosa stesse accadendo.
     L’uomo che era entrato nella stanza aveva un caschetto di capelli biondo cupo arruffati e sporchi di sabbia, e la pelle sotto ai suoi occhi era ombrata di nero. I suoi vestiti erano macchiati e strappati in alcuni punti. Lucylle si alzò in piedi: avrebbe riconosciuto quell’uomo ovunque. Era Lyuk. Allo stesso modo l’aveva riconosciuto sua madre, e lo spavento per lei era stato tale da farle perdere conoscenza.
     Le donne cominciarono ad urlare, gridando e strappandosi i capelli. La giovane, ancora in piedi, mormorò il nome del suo promesso sposo. «Lyuk… Non puoi essere tu… Sei stato divorato dalla bestia…».
     Il ragazzo mosse qualche passo in avanti, tendendo le braccia verso di lei.
     «Lucylle, sono io. Sono vivo. Il drago non mi ha mangiato, mi ha salvato la vita!».
    Lyuk tentò di raggiungere la madre, ancora stesa a terra, e la sua promessa, ma le donne del villaggio glielo impedirono. Si raccolsero intorno a lui, formando una sorta di cerchio vivente, e incrociarono i loro indici formando delle croci rudimentali.
     «Vade retro, demone! Non avvicinarti! Non osare fare un altro passo!», gridò la più audace, sbattendogli la sua croce di dita sulla faccia.
     Lyuk la scacciò con un gesto infastidito. «Spostatevi, pazze! Fatemi raggiungere mia madre, non vedete che ha bisogno di cure?».
     Le donne ripresero a gridare ancora più forte. Lucylle, pietrificata dalla paura, rimase a fissare il giovane che si dimenava tentando di liberarsi dalla massa inferocita e atterrita allo stesso tempo.
     «Lucylle!», gridò ancora Lyuk. «Non capisci che sono vivo? Non ho paura delle loro croci, non sono un demone! Aiutami, falle smettere!».
     Ma la fanciulla non riuscì a fare altro che a chinarsi verso una ragazzina, che si era nascosta dietro la sua sedia insieme con alcune compagne quando il morto aveva fatto il suo ingresso nella stanza, e a pregarla di correre alla sala comune a chiamare gli uomini. Quella annuì brevemente e corse via, strisciando lungo la parete per non avvicinarsi troppo al gruppo di donne urlanti e al demone biondo che gridava più di loro.
 
 
* * *
 
 
     Lyuk continuò a farsi largo, spingendosi verso la sagoma inerte di sua madre. Ogni qual volta toccava una donna per spingerla da parte, quella gettava urla stridule di panico e lanciava scongiuri, facendo il gesto delle corna con entrambe le mani rivolte al cielo e sputando per terra al contempo. Il giovane pescatore aveva immaginato che la sua ricomparsa avrebbe causato stupore e paura, ma non certo di essere additato come demone tornato dall’inferno. Aveva invocato più volte la sua promessa, supplicandola di credergli, ma persino la sua adorata Lucylle si era tirata indietro, blaterando frasi sconnesse. Ora il suo unico pensiero era di raggiungere la madre, che continuava a giacere inerte a terra, ignorata da tutte le altre. Era quasi arrivato a pochi passi da lei quando, dalla porta ancora aperta della casupola, si riversarono all’interno gli uomini più anziani del villaggio, armati di falci e bastoni.
     «Fermati, demone! Non osare avvicinarti ancora a mia moglie!», intimò la voce di suo padre.
     Lyuk si voltò ed ebbe paura, perché non lo aveva mai visto così risoluto come in quel momento. Con un grosso ramo nodoso levato verso l’alto l’uomo si avvicinò minaccioso, pronto a colpirlo.
     Lyuk alzò le braccia per proteggere la testa. «Padre, sono proprio io! Non sono uno spirito dell’inferno, sono vivo! Almeno voi, credetemi!».
     «Mio figlio è stato divorato dal mostro del lago», urlò in risposta Albrecht. «Tu sei solo la sua pallida ombra, creata dalle arti oscure di quella bestia immonda! Ritorna da dove sei venuto!». L’uomo piegò le braccia all’indietro, stringendo il bastone con entrambe le mani per imprimere la maggior forza possibile, quando un ruggito squarciò l’aria all’esterno della casupola ed una raffica di vento improvvisa fece tremare le pareti di legno.
 
 
* * *
 
 
     Da quando Anthea era tornata, da sola, nella grotta, Nyvgue era stata irrequieta. C’era qualcosa che la turbava nel profondo della sua anima, un qualcosa che riguardava il giovane che aveva salvato dalle acque tempestose del lago. Era la prima volta da secoli che incontrava un essere umano che non fosse la sua guardiana, e la novità era stata sorprendentemente piacevole. Aveva sondato il cuore del giovane pescatore e l’aveva trovato puro e innocente come un cucciolo appena nato. Si era meravigliata non poco, perché sapeva per esperienza che l’animo degli uomini era spesso nero e cupo come la morte.
     Forse era per questa sua bontà d’animo che si era affezionata a Lyuk e già ne sentiva la mancanza.
     Sbuffò seccamente, facendo fremere le froge, e si mosse a disagio nello stretto pertugio di roccia. Il suo grosso dorso ruvido sfregò contro gli speroni puntuti che pendevano dal soffitto, e ciò le provocò una sensazione di fastidio che si andò ad aggiungere al disagio. Si sentiva inquieta, temeva che potesse succedere qualcosa al suo nuovo amico, e per il nervosismo continuava ad agitare la coda, sbattendola pesantemente a terra.
     Anthea percepì il suo stato d’animo. «Cosa ti turba, amica mia?».
     La dragonessa grugnì e la maga annuì in risposta. «Capisco cosa provi. Anch’io temo che il suo ritorno possa venire accolto come una maledizione, piuttosto che un dono del cielo».
     Nyvgue avvicinò la grossa testa e guardò Anthea negli occhi, mugolando una richiesta. La donna annuì ancora. «Va bene, Nyvgue. Anch’io sarò più tranquilla dopo aver visto cosa sta accadendo».
    La maga riempì una ciotola di terracotta con l’acqua del lago sotterraneo. Sistemò il contenitore a terra e vi si inginocchiò accanto. Attese che l’acqua tornasse immobile poi stese la mano destra sulla ciotola, mormorando una formula magica. Pian piano il riflesso delle rocce nere del soffitto fu sostituito dall’immagine dell’interno di un’abitazione di legno. Un gruppo di persone, per la maggior parte donne, si stava ammassando attorno ad un’unica figura maschile dai capelli biondi. Alle spalle della massa un uomo alto e dai capelli bianchi, armato di un pesante bastone, si stava facendo largo tra la folla, diretto verso il giovane.
     La dragonessa riconobbe subito chi era il minacciato e lanciò un forte ruggito che riverberò sotto la bassa volta della caverna. I suoi occhi rossi si accesero di rabbia improvvisa, come se alte fiamme avessero iniziato a divampare dentro di essi. Si voltò rabbiosamente verso il lago, graffiandosi la schiena e le ali contro le rocce appuntite del soffitto, e fece per immergersi.
     Anthea la richiamò seccamente. «Nyvgue, aspettami! Non rischiamo di commettere delle sciocchezze!».
    La dragonessa si fermò e fissò la sua custode, ruggendo. Niente le avrebbe impedito di andare a salvare per la seconda volta il suo nuovo, giovane amico.
    La maga salì agilmente sul suo dorso e, con un gesto della mano, evocò una sfera d’aria che la circondò come una bolla, per permetterle di respirare sott’acqua. Si aggrappò con forza alla cresta dorsale e con un semplice cenno del capo fece capire alla dragonessa di essere pronta a partire. Nyvgue si immerse, agile come un pesce, percorrendo il più rapidamente che poté lo stretto budello roccioso che univa il laghetto sotterraneo al lago vero e proprio. Una volta libera dalla costrizione della pietra, nuotò veloce verso la superficie e la squarciò con un ruggito possente. Finalmente in aria, spiegò le sue enormi ali membranose che subito catturarono le correnti ascensionali e la spinsero ancora più in alto. Quando fu soddisfatta dell’altezza raggiunta si voltò verso il villaggio di pescatori, disteso placido sulle rive, e si buttò in picchiata verso la casa che aveva veduto nella visione.
     Mentre si avvicinava, un altro possente ruggito le proruppe dalla gola. Prima che Anthea potesse impedirglielo contrasse i muscoli possenti della lingua, comprimendo le sacche ricolme di acido che aveva sotto le mascelle. Sfregò le placche ossee all’interno della bocca le une contro le altre, e le scintille che ne scaturirono incendiarono il liquido. Una lunga fiammata proruppe dalle sue fauci spalancate e subito il tetto di paglia della casupola prese fuoco.
     Le persone al loro interno iniziarono a gridare e dalla porta ancora spalancata presero a riversarsi all’esterno, per venire investite dalle raffiche di vento provocate dalle sue enormi ali che sbattevano. Fu con grande gioia che mandò a gambe all’aria l’uomo, che ancora stringeva tra le mani il bastone con cui aveva minacciato Lyuk.
     La dragonessa contrasse ancora una volta la gola e lanciò un’altra fiammata, più piccola, proprio sul grosso randello, incenerendolo all’istante. L’uomo, spaventatissimo, lo gettò via con un grido acuto. Nel frattempo, le donne si accalcavano contro la porta della capanna il cui basso soffitto era ormai completamente in fiamme, bloccandosi l’uscita l’una con l’altra.
     Nyvgue diede un colpo secco con le ali, riguadagnando qualche metro di quota. Attraverso la paglia del tetto, caduta in alcuni punti, riuscì ad intravedere l’interno della casupola illuminata dai bagliori rossi delle fiamme. Lyuk era accucciato vicino ad una donna stesa bocconi sul pavimento di tavole mentre una ragazza bionda stava in piedi al suo fianco, fissandolo impietrita. Le donne del villaggio ancora all’interno spingevano con foga quelle che già si accalcavano contro l’uscio, gridando per la paura e per il dolore. Un altro colpo d’ali della dragonessa fece cadere la porzione del soffitto che le sovrastava. Paglia e legno ardenti piombarono su di loro, incendiando i loro abiti e i loro capelli. Le grida salirono di intensità, tramutandosi in strilli isterici di terrore.
     La dragonessa era già pronta a contrarre la gola per la terza volta quando Anthea la bloccò.
    «Basta, Nyvgue! Ricordati del giuramento che abbiamo fatto entrambe davanti al Consiglio! Noi non dobbiamo fare del male agli esseri umani! Non avresti dovuto incendiare la capanna! Ora quelle donne rischiano la vita!».
     Nyvgue emise un basso brontolio di gola, voltando il grosso capo verso la maga.
    «So che non volevi che facessero del male a Lyuk, ma non era questo il modo! Ora tutta questa gente ti vedrà come un demonio!».
    La dragonessa scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghi barbigli argentei che gliela adornavano. A lei non importava proprio un bel niente di come l’avrebbero giudicata quei minuscoli esseri. Voleva soltanto che Lyuk stesse bene. Non capiva per quale motivo si fosse affezionata a tal punto a quel giovane pescatore, ma non le importava nemmeno di saperlo, in fondo. Con un tonfo penetrò attraverso ciò che rimaneva del tetto della casupola, atterrando pesantemente sul pavimento di legno. Allungò il collo e, con le ali stese, lanciò un altro ruggito verso il cielo.
     Lyuk alzò lo sguardo su di lei. «Nyvgue! Anthea! Perché state facendo tutto questo?».
    La maga scese agilmente dal dorso della dragonessa e impose le mani sulle fiamme, facendole estinguere all’istante. Con una parola magica distrusse la parete della casupola, liberando le donne ancora intrappolate e, subito, si prese cura delle loro ferite. Gli abitanti del villaggio erano ancora troppo terrorizzati per riuscire a dire o a fare alcunché, così Anthea poté lavorare indisturbata, senza che nessuno avesse la forza di fermarla.
     Il giovane pescatore era ancora chinato al fianco della donna che giaceva svenuta. La fanciulla bionda non sapeva più dove rivolgere lo sguardo, spostandolo alternativamente ora sul ragazzo, ora sulla dragonessa.
    Nyvgue allungò il collo, avvicinando il capo a Lyuk. Emise un basso brontolio dal fondo della gola e sbuffò pesantemente, sfiorandolo con la punta del muso. Gli stava chiedendo scusa per tutto il caos che aveva provocato, l’aveva fatto solo perché non voleva che quell’uomo con il bastone gli facesse del male. Lui parve capire, perché gli passò una mano tra i lunghi barbigli, grattandola dolcemente sulla mascella. La dragonessa socchiuse gli occhi godendosi quelle attenzioni quando delle urla maschili interruppero quel breve momento. Protese il collo al di sopra del tetto distrutto in tempo per vedere un gruppo di uomini che avanzava correndo tra le case del villaggio, armati di fiocine e forconi. Il giovane che correva davanti a tutti gli altri, una cascata di ricci castani che gli ondeggiava ai lati del viso al ritmo della corsa, lanciò un grido e scagliò il suo arpione con tutta la forza che aveva. Nyvgue ebbe solo il tempo di rendersi conto di quanto somigliasse al suo amico Lyuk quando il lungo ferro la colpì all’occhio sinistro. Il dolore la invase in modo acuto, repentino. Scosse violentemente il capo a destra e a sinistra, nel tentativo di togliere il pungiglione che le straziava il bulbo oculare, con il solo risultato di lacerare maggiormente la superficie delicata della cornea. Spalancò le ali, contrasse la gola e lanciò una fiammata verso il cielo. Poi, con un ultimo ruggito di dolore, spiccò il volo e si allontanò in direzione del lago, dove sparì tuffandosi, sollevando un’onda gigantesca che venne ad infrangersi sulla riva.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Capitolo Tre


     Quando Myrcus, di ritorno dalla sua esplorazione sulla riva del lago alla ricerca delle tracce del mostro, in compagnia del gruppo di giovani del villaggio, aveva rivolto lo sguardo verso la sua casa e aveva visto la bestia volare sopra di essa gettando fiammate, aveva capito che le sue peggiori previsioni si erano avverate. Come aveva predetto, ora che il drago aveva assaggiato la carne di un essere umano, la sua bramosia per averne altra lo aveva spinto a lasciare il suo nascondiglio infernale e ad assalire i poveri inermi abitanti del villaggio, che ora sentiva gridare, in lontananza, di dolore e paura.
     I suoi compagni avevano seguito il suo sguardo e, alla vista della bestia, si erano fatti prendere dallo sconforto. Matwes, il fratello minore di Lucylle, si era lasciato cadere in ginocchio, coprendosi la faccia con le mani per non vedere.
     «Avanti! Non siate codardi!», aveva gridato Myrcus voltandosi verso di loro. «Non siamo forse venuti a cercare quel mostro proprio per ucciderlo e difendere il nostro villaggio? Questa è l’occasione che cercavamo!».
    «Ci ucciderà tutti, Myrcus…», aveva balbettato Matwes, senza togliere le mani dal viso. «Ci farà arrosto e poi ci mangerà in un sol boccone…».
     Gli altri giovani avevano mormorato frasi di assenso, ma il pescatore aveva ribattuto: «No, se lo affronteremo tutti insieme! Lui sarà anche enorme, ma noi siamo in dieci, siamo giovani e forti, e abbiamo le nostre armi!». Aveva agitato al vento il suo lungo arpione da pesca. «Corriamo al villaggio e uccidiamolo come se fosse uno dei pesci del lago, avanti!». Aveva fatto per mettersi a correre, ma gli altri avevano esitato. «Possibile che nessuno di voi abbia il coraggio di voler difendere le proprie famiglie? Siete dei cacasotto!».
     A quell’accusa infamante i suoi compagni si erano finalmente decisi e, dopo aver stretto bene in pugno le loro armi e aver lanciato un grido di guerra, tutti avevano spiccato la corsa verso il villaggio.
     Ora, dopo aver lanciato il suo ferro dritto nell’occhio di quel mostro, provocandone la fuga, Myrcus si concesse di guardarsi attorno per constatare quali danni la bestia avesse inflitto al villaggio e ai suoi abitanti. La sua casa era stata completamente distrutta dalla furia delle fiamme del drago, ma pareva essere l’unica. Una donna che non conosceva era chinata vicino a Marghrete, una delle mogli dei pescatori che lavoravano sul peschereccio di suo padre, che aveva i capelli completamente bruciati.  Aveva lo sguardo rivolto al cielo, proprio dove la bestia era appena sparita diretta verso il lago, e la sua bocca era spalancata in un’esclamazione di muto orrore. Molte delle donne che avevano partecipato alla veglia funebre in onore di suo fratello erano chine a terra, alcune sfigurate da orrende bruciature, altre solo vittima del terrore ancestrale che aveva accompagnato la venuta della bestia. I loro mariti e alcuni dei loro figli le stavano soccorrendo, aiutando quelle illese a rialzarsi in piedi e a tornare barcollanti verso la propria casa.
     I suoi compagni, fino ad allora rimasti immobili con i loro ferri in pugno, parvero riscuotersi e presero a gridare di gioia, acclamando la sua impresa eroica. Lo circondarono e lo sollevarono in alto, portandolo in trionfo, mentre gli altri abitanti del villaggio ancora si lamentavano per il dolore e la paura.
     Mentre Myrcus stava godendo dell’esultanza dei suoi compagni, vide una figura maschile ancora all’interno di ciò che restava della casupola della sua famiglia, chinata al fianco di sua madre. Benché stordito dalle acclamazioni, per lui non fu difficile riconoscere il caschetto di capelli dorati che gli incorniciava il volto.
     «Lyuk…?!», mormorò. «Mettetemi giù, adesso! Basta, smettetela!», urlò, dimenandosi per essere messo a terra. I suoi compagni obbedirono, senza smettere di ridere e darsi pacche sulle spalle, congratulandosi per l’audacia del loro capitano.
     Myrcus corse dentro la casupola, saltando le travi bruciate e aggirando i mucchi di paglia ridotta in cenere, fino ad arrivare di fronte al fratello. Lucylle era in piedi poco lontano, impalata, come se non sapesse cosa fare.
     Lyuk alzò il capo e fisso il fratello negli occhi, senza sorridere.
     «Myrcus… Perché l’hai colpita? Perché hai colpito Nyvgue?».
     Il maggiore guardò l’altro con stupore. Come poteva suo fratello essere ancora in vita, dopo essere stato divorato da quel mostro? Come poteva essergli sfuggito? E, soprattutto, come poteva non essergli grato per aver messo in fuga quel demone alato?
     «Che cosa sei…?», chiese allora, comprendendo all’improvviso. «Tu non sei mio fratello! Quel mostro ti ha trasformato in una creatura oscura!».
     Lyuk si alzò e lo fronteggiò. «Possibile che nemmeno tu riesca a comprenderlo, Myrcus? Io sono vivo! La dragonessa cui hai appena cavato un occhio mi ha salvato dalla morte quando ero in balia della tempesta! È venuta fin qui dal suo nascondiglio per difendermi dalla furia delle donne e di nostro padre! Lei è una creatura buona, che ha a cuore le nostre vite!».
     «E tutto questo tu lo chiami “avere a cuore le nostre vite”?», chiese il maggiore, facendo un cenno col braccio a indicare la casupola distrutta e le donne ancora riverse sulla nuda terra. «Quel mostro è venuto a concludere ciò che aveva iniziato quando ti ha divorato!». Si interruppe per un istante, come riflettendo, per poi riprendere. «Ma perché mi rivolgo a te come se fossi realmente mio fratello? Mio fratello Lyuk non c’è più, è stato divorato dal demone alato, e tu sei solo la sua pallida ombra oscura!». Senza esitare, Myrcus estrasse dalla sua bisaccia il corto pugnale che di solito usava per sviscerare i pesci e portò il braccio all’indietro, pronto a sferrare il suo attacco contro quella che riteneva essere solo una stregoneria. Con la coda dell’occhio vide Lucylle portare le mani davanti alla bocca, come a voler trattenere un grido di orrore. Stava per sferrare un fendente diritto al petto della creatura così simile a suo fratello minore, che era rimasta immobile quasi offrendoglielo, quando una voce di donna risuonò nell’aria.
     «Fermo!».
     Una forza irresistibile gli strappò il coltello dalle dita. Si voltò indietro per vedere cosa stesse succedendo e vide la donna sconosciuta, che fino a poco prima era rimasta chinata accanto a Marghrete, avvicinarsi a lui con la mano destra protesa in avanti. La donna pronunciò alcune parole oscure e Myrcus si sentì sbalzare all’indietro, come se qualche presenza invisibile l’avesse colpito brutalmente al petto. Barcollò e cadde a sedere mentre la donna, con un balzo sovrumano, colmò la distanza che lo separava dall’essere che aveva il sembiante di suo fratello.


 
* * *


     Anthea spinse via il giovane dai lunghi ricci castani dopo avergli sottratto magicamente il coltello, poi evocò una sfera invisibile, a protezione sua e di Lyuk, che ancora fissava attonito colui che aveva appena cercato di ucciderlo.
     La maga era sconvolta. Nyvgue era stata ferita all’occhio sinistro ed era fuggita scomparendo tra le acque del lago. Lei, che avrebbe dovuto proteggerla, e che avrebbe dovuto impedire che tutto quello accadesse, non era stata in grado di svolgere bene il suo compito. Se il suo vecchio maestro l’avesse vista in quel momento, le avrebbe riservato non poche parole di biasimo. Doveva correre a cercare la dragonessa, ma prima doveva far capire al giovane che gli stava di fronte, e a tutti gli altri abitanti del villaggio, che Lyuk era ancora vivo e non chissà quale oscuro demone generato dalla loro umile fantasia di poveri pescatori.
     «Quest’uomo è tuo fratello, non è vero, Lyuk?», chiese al ragazzo alle sue spalle che ancora lo fissava, sconvolto dalla sua reazione. Lyuk ebbe solo la forza di annuire.
     Nel frattempo, anche i giovani che avevano accompagnato Myrcus fin lì erano entrati nella casupola e avevano aiutato il loro capitano a rimettersi in piedi. Il più giovane di loro, un ragazzino armato di una lunga falce, si fece avanti con coraggio e incoscienza e si scagliò contro Lyuk. Il suo assalto fu respinto dalla sfera magica che lo proteggeva e anch’egli finì con il sedere per terra, vicino alla ragazza dai lunghi capelli biondi che, fino a quel momento, era rimasta in piedi, immobile come una statua, vestita di un lungo abito da festa che contrastava col velo nero che gli copriva il capo.
     Come risvegliandosi da un sogno, la giovane si chinò ad abbracciare il ragazzino appena caduto. «Matwes, fratellino mio, stai bene?», chiese, con voce strozzata.
     Anthea la ignorò, tornando a rivolgere la sua attenzione ai due giovani fratelli, ora in piedi l’uno di fronte all’altro, separati solo dalla barriera magica invisibile.
     «Lyuk», disse, poggiando la mano sulla spalla del giovane, «dimostra a questa gente che sei veramente tu. Racconta loro cose che solo il vero Lyuk potrebbe sapere».
     Il giovane pescatore si voltò verso di lei, come in cerca di sostegno. Quando la maga annuì, lui si rivolse al fratello iniziando a sbottonare la casacca di pelle conciata che indossava, fino a mettere in mostra il petto magro ricoperto da una sottile peluria bionda. Al centro del suo pettorale sinistro, proprio sopra al capezzolo, spiccava, rossa sulla pelle lattea, una piccola cicatrice a forma di mezzaluna.
     «Ti ricordi, Myrcus, quando mi facesti questa cicatrice? Tu avevi dodici anni ed io sette. Mi dicesti che, se volevo diventare un uomo, avrei dovuto affrontare una prova di coraggio e mi tagliasti con lo stesso coltello con cui ora hai cercato di uccidermi. Nostro padre ti batté con la cintura fino a farti sanguinare la schiena».
     Il fratello abbassò per un istante gli occhi, colmo forse di vergogna e di dolore a quel ricordo. Lyuk si voltò a guardare uno dei giovani che ancora stringeva in pugno il suo arpione.
     «E tu, Friedrik, ricordi quando mi confessasti di voler diventare un cantastorie, ma che temevi l’ira di tuo padre? Io ti dissi di seguire il tuo cuore e di fare ciò che più amavi, e quando tu lo facesti tuo padre venne a punire anche me, perché ti avevo messo strane idee in testa. E tu, Lucylle», continuò Lyuk rivolgendosi alla fanciulla bionda ancora stretta al ragazzino, «ricordi quando ci scambiammo il primo bacio? Era la sera stessa in cui avevamo pronunciato la nostra promessa, e la luna brillava alta sulle acque del lago. Tu mi dicesti che non lo avresti mai dimenticato. L’hai forse fatto ora?».
     La giovane si coprì il volto con le mani. «No… io non ho dimenticato…», mormorò prima di scoppiare in lacrime.
     Il giovane pescatore continuò a fissarla. «Neanche io. La tua pelle profumava di lavanda ed era morbida come una pesca quando la sfiorai, e il mio cuore prese a battere all’impazzata quando le tue labbra toccarono le mie. Anche adesso batte alla stessa maniera ogni volta che ti guardo. E allora come puoi non credere, Lucylle, che io sia ancora vivo? Come potrei ricordare tutte queste cose se non fossi veramente io?».
     Le parole di Lyuk parvero fare breccia nel cuore degli interpellati. Anthea gli strinse dolcemente la spalla sorridendo alle sue parole accorate, quando una voce rauca e stridente ruppe il silenzio appena calato. Era la donna dai capelli bruciati, quella che aveva tentato di curare prima che Nyvgue venisse ferita, che si avvicinava barcollando.
     «Strega! Quella donna è una strega!», gridò puntandole il dito contro. «Ha cercato di uccidermi con le sue parole di morte!».
     Tutti si voltarono a guardarla avvicinarsi, l’indice contorto ancora puntato contro la maga.
     Anthea le si rivolse gentilmente, cercando di farle capire le sue reali intenzioni. «Le mie non erano parole di morte. Volevo solo risanare la tua pelle bruciata, per evitare che si infettasse. Se mi permetti, posso finire di farlo prima di andarmene». Tolse la mano dalla spalla di Lyuk che si accasciò visibilmente. La sua schiena si incurvò e i suoi occhi si fecero vitrei, come se avesse perduto di colpo la sua energia vitale. Senza volere, Anthea gli aveva trasmesso un fluido magico mentre lo incoraggiava a parlare.
     Myrcus notò quel movimento e gridò a sua volta. «Marghrete ha ragione, è una strega! Guardate come il corpo della creatura che gli sta a fianco si è accasciata non appena ha tolto la mano. Era lei a comandarlo come una marionetta, con la sua magia nera! Quell’essere non è Lyuk, non è mio fratello!».
     Myrcus si fece avanti di nuovo ma fu respinto dalla barriera magica che ancora circondava la maga e Lyuk. Il giovane pescatore, allora, si riscosse e riprese il suo appello.
     «Myrcus, fratello mio! Nemmeno vedere la mia cicatrice e ricordare le tue non ti ha fatto capire che sono proprio io?».
     «Taci, demone dell’inferno! Non chiamarmi fratello! Tu sei sotto il controllo di quella strega che comanda la bestia e che ci vuole tutti morti!».
     «Non sai cosa dici, Myrcus! Anthea non è una strega! Lei è la custode dei draghi!», insisté Lyuk, ma la maga tornò a posargli la mano sulla spalla.
     «È inutile insistere, amico mio. I tuoi parenti e i tuoi amici non vogliono capire…».
     «Mia madre sarebbe in grado di riconoscermi!», gridò il giovane biondo, indicando il corpo ancora incosciente riverso a terra. «Potresti farla tornare in sé, affinché possa parlarle?».
     Anthea annuì, anche se temeva che sarebbe stato inutile, ma quando provò ad avvicinarsi alla donna svenuta Myrcus si gettò nuovamente su di lei, e ancora venne respinto dalla barriera.
     «Non toccare mia madre! Non ti permetterò di farle del male!».
     Coloro che erano ancora in grado di camminare avevano iniziato a radunarsi intorno a loro. Molti degli abitanti del villaggio stavano assistendo alla scena e chi aveva ancora le armi in pugno aveva preso ad agitarle selvaggiamente sopra la testa. Anthea sapeva che la sua barriera magica non avrebbe potuto durare ancora a lungo, poiché le richiedeva l’impiego di molte energie, quindi decise che, per il momento, sarebbe stato più saggio ritirarsi, portando di nuovo Lyuk con sé. Avrebbero pensato con calma a cosa fare per convincere i suoi parenti che era ancora vivo, e non una creatura demoniaca come credevano loro. Inoltre, avrebbe dovuto trovare Nyvgue e curarla. Aveva già disatteso anche troppo al suo compito di custode. Prese Lyuk per mano e, dopo aver pronunciato alcune parole magiche, sparì.


 
* * *


     Lucylle si rese conto di aver trattenuto il fiato solo quando la donna e il suo promesso sposo scomparvero all’improvviso, svanendo nel nulla. Stava ancora abbracciando forte suo fratello Matwes, che prese a dimenarsi per essere lasciato libero e raggiungere i suoi compagni.
     Myrcus, nel frattempo, si era gettato sul corpo incosciente della madre, dandole degli schiaffetti per farla tornare in sé. La donna aprì lentamente gli occhi, guardandosi intorno come alla ricerca di qualcuno.
     «Dov’è Lyuk? Dov’è mio figlio?», chiese con voce roca, tentando di mettersi seduta.
     Il figlio maggiore la sostenne mentre le rispondeva. «Madre, Lyuk è morto, divorato dal drago, lo sai…».
     «No», lo interruppe lei, «Lyuk è tornato, l’ho visto con i miei occhi prima di perdere i sensi per la gioia».
     Il tono di Myrcus si fece dolce e comprensivo. «Madre, i tuoi occhi sono stati ingannati da una visione malefica, creata dalla strega custode della bestia mefitica che ha divorato mio fratello. Non so per quale motivo abbia voluto ingannarci in tale modo, ma ti assicuro che quel giovane non era Lyuk».
     Gyllian fissò il figlio maggiore con incredulità prima di scuotere il capo. «Figlio mio, credi forse che io non sappia riconoscere il frutto del mio grembo?».
     Nel frattempo anche suo marito, dopo essersi ripreso dallo spavento per aver visto il suo bastone incenerito dall’alito del drago, si era avvicinato. Si chinò vicino alla donna e le prese la mano. «Moglie mia adorata, non lasciarti ingannare…», prese a dire, sostenendo il figlio maggiore, ma Gyllian lo fissò inorridita e ritrasse la mano di scatto, smorzando le sue parole.
     «Albrecht, mi meraviglio di te! Anche tu dovresti essere in grado di riconoscere il frutto dei tuoi lombi ad occhi chiusi!».
     L’uomo chinò il capo, come vergognandosi per essere stato ripreso dalla moglie, e Myrcus si volse verso la giovane che ancora non aveva accennato a muoversi. Lucylle lesse nei suoi occhi la muta implorazione di un sostegno, per far intendere a sua madre che non doveva farsi irretire dalle visioni di una strega, ma lei non ebbe la forza di accogliere la sua supplica.
     In realtà, lei stessa era piena di dubbi. Sapeva che Lyuk era stato divorato dal drago, perché così le era stato raccontato, e il suo promesso era mancato da casa per un giorno intero per poi riapparire vivo e vegeto. Tutto ciò aveva del miracoloso o, peggio, del demoniaco. Ma quando l’aveva udito parlare del loro primo bacio, nel profondo del suo cuore aveva capito che un’anima dannata non avrebbe mai potuto mettere tutto quel sentimento nelle sue parole. Scosse quindi il capo e, dopo aver raccolto tra le braccia la lunga gonna dell’abito da festa, ormai bruciacchiato e inservibile, corse via saltando agilmente le macerie ancora fumanti, scivolando tra le persone assembrate fuori della casupola.
     Sentì suo fratello Matwes che la chiamava indietro, ma lei non si fermò finché non fu sulle rive del lago, tornato di nuovo calmo dopo che il drago vi era sparito dentro. Se era vero che quella donna misteriosa era la custode di quella bestia, allora era probabile che anche lei e Lyuk fossero ricomparsi lì, da qualche parte.
     Si mise a cercare freneticamente tra i sassi della riva, nella sciocca speranza di trovare l’ingresso di qualche spelonca nascosta, o qualche altro segno che potesse indicarle dove poter trovare il suo promesso e dirgli che, almeno lei, gli credeva. Girovagò per molto tempo senza trovare nulla ma, invece di darsi per vinta cominciò a invocare il suo nome, nella speranza che almeno potesse udirla.
    «Lyuk… Lyuk dove sei? Fatti trovare, ti prego! Io ti credo, so che sei veramente tu!».
    Si arrampicò su una roccia imponente che si protendeva sopra le acque del lago, rese scure dal crepuscolo, e raccogliendo tutto il fiato che aveva, gridò: «Ti amo, Lyuk!».


 
* * *


     Non appena riapparvero nella grotta segreta, Anthea lasciò che Lyuk scivolasse con la schiena appoggiata alla parete rocciosa, poi corse a prendere un po’ d’acqua in una ciotola per divinare la dragonessa. Si chinò in fretta e, non appena la superficie del liquido divenne immobile, vi impose la mano destra fino a che non apparvero delle immagini. Nyvgue stava nuotando nelle profondità più remote del lago, con l’arpione ancora conficcato nell’occhio sinistro. La maga la vide fermarsi vicino ad un gruppo di rocce e sfregare il capo contro le pietre, nel tentativo di cavarsi via il ferro di dosso.
     «Devo fermarla. Se continua così farà danni ancora maggiori. Spero di essere ancora in tempo per poterle salvare l’occhio», esalò rivolgendosi a Lyuk che, nel frattempo, si era avvicinato carponi e stava fissando a sua volta le immagini nella ciotola. Senza indugiare oltre si rialzò in piedi e, dopo aver evocato la bolla magica che le consentiva di respirare sott’acqua, si immerse correndo verso il centro del lago.
     Muovendosi veloce come un pesce grazie alla magia, in breve tempo riuscì a raggiungere la dragonessa che ancora sfregava la grossa testa contro le rocce, circondata dall’alone rosso cupo del suo sangue mischiato all’acqua.
     «Nyvgue!», esclamò. La dragonessa si fermò solo per un istante, emettendo un forte brontolio, prima di riprendere ad agitarsi. «Non fare così, amica mia, stai solo peggiorando la ferita!», insisté la maga.
     Nyvgue parve ignorarla, così la bloccò con un incantesimo.
     «Mi dispiace, amica mia. Non sono stata in grado di difenderti da quel colpo lanciato a tradimento! Ma ora, se me lo consenti, sanerò la tua ferita e, se non è troppo tardi, forse potrò anche salvare la tua vista».
     La dragonessa ruggì ancora, emettendo una miriade di bollicine dalla bocca e dal naso. Tentò di muoversi ma non riuscì a vincere l’incantesimo che la bloccava, così chinò il grosso capo e sbuffò irritata, le grandi froge frementi di dolore e disappunto.
     Anthea le salì in groppa e la sciolse dall’incantesimo per permetterle di tornare alla grotta.
     Non appena emersero dall’acqua, la maga si lasciò scivolare giù dal suo dorso e si avvicinò all’arpione. Nello sfregarsi contro le rocce, Nyvgue aveva spezzato l’asta di legno dell’attrezzo, ma il terminale di ferro acuminato sporgeva ancora dalla superficie vitrea dell’occhio della dragonessa.
     Lyuk si fece loro incontro, come a voler dare una mano, ma Anthea lo respinse. «Non avvicinarti, amico mio. Il sangue di drago brucia più del suo alito e, se una goccia dovesse colpirti, patiresti le pene dell’inferno. Aspetta che abbia sanato la ferita, poi potrai accostarti, se vuoi».
     Il giovane annuì e si fece da parte mentre la maga, con uno strattone, estraeva l’arpione dalla punta ricurva. Nyvgue lanciò un ruggito di dolore che riverberò contro le pareti della caverna, facendo cadere qualche sassolino dal soffitto. Scosse vigorosamente la testa, grosse gocce di sangue che cadevano sulle rocce facendole sfrigolare. Poi, stremata, si accasciò a terra, con il corpo per metà all’asciutto e per metà ancora immerso nelle acque fredde del lago.
     La maga impose entrambe le mani sopra l’occhio ferito, che la dragonessa aveva coperto con la membrana nittitante, e prese a mormorare una litania in una lingua antica, ormai conosciuta solo ai custodi dei draghi. Dalle sue dita iniziò a diffondersi una lieve luminescenza lattiginosa che sembrava riversarsi, liquida, nella ferita della dragonessa. Alle sue spalle, Lyuk trattenne rumorosamente il fiato, pieno di meraviglia per ciò che stava vedendo. Anthea non riuscì a trattenere un sorriso per la dolcezza e la curiosità del giovane, mentre le forze la abbandonavano velocemente, prosciugate dalla potenza dell’incantesimo.
     Infine, con un sospiro sfiatato abbandonò le mani in grembo e si appoggiò pesantemente alla parete di roccia, respirando con affanno.
     Lyuk le si fece vicino. «Va tutto bene?», chiese in tono accorato.   
    «Sì, mio giovane amico», rispose la maga dopo aver ripreso fiato. «L’incantesimo di guarigione che ho usato su Nyvgue ha prosciugato quasi tutte le mie energie. Temo che abbia perso definitivamente l’uso dell’occhio sinistro, ma sono almeno riuscita a rimarginare tutti i tessuti. Ora puoi avvicinarti a lei, se vuoi».
     Il giovane si accostò carponi alla dragonessa, passando una mano tra i lunghi barbigli che le coronavano il muso. Nyvgue aprì debolmente l’occhio destro, mentre l’altro rimase coperto dalla membrana biancastra. Emise un basso gorgoglio e sfregò la punta del muso contro il petto del giovane, con delicatezza.
     «Sta dicendo che le dispiace aver spaventato gli abitanti del tuo villaggio, ma temeva che quegli uomini e quelle donne ti avrebbero fatto del male, e non poteva permetterglielo», spiegò Anthea, ancora accasciata contro la roccia.
     Lyuk carezzò dolcemente la pelle verrucosa della dragonessa. «Ti ringrazio per averlo fatto, Nyvgue. Credono che sia un demone e per questo mi avrebbero senz’altro ucciso. Mi dispiace solo che mio fratello ti abbia ferito». Si sporse per posare un lieve bacio sulla guancia della dragonessa, che emise un altro borbottio dal fondo della gola.
     Anthea sorrise. «Dice che, per un altro tuo bacio, sarebbe disposta a perdere anche l’altro occhio».
     Lyuk arrossì. «Non credo che sia necessario», rispose dandole un altro bacio, e Nyvgue socchiuse l’occhio sano, gorgogliando.
    «Sono stata una pessima guardiana», riprese la maga dopo qualche attimo di silenzio. «Avrei dovuto prevedere la mossa di tuo fratello e impedire all’arpione di colpirla». Con il mento indicò l’occhio ferito, coperto dalla membrana nittitante. «Il mio maestro mi direbbe che sono stata un’incapace, e che non sono degna di svolgere il mio compito…».
     Lyuk scosse la testa. «Non è stata colpa tua. Stavi curando le ferite di Marghrete e non hai potuto vedere ciò che stava facendo Myrcus. La colpa è stata mia, che ho creduto di poter tornare al mio villaggio senza pensare che gli altri avrebbero potuto scambiarmi per un’anima dannata. In fondo, mi hanno visto sparire tra le sue fauci». Si mosse verso la dragonessa, appoggiandosi con tutto il corpo alla grossa testa argentea. «Mi dispiace… per tutto quanto».
     Anthea chiuse gli occhi e i tre rimasero in silenzio per molto tempo.
     All’improvviso, sia la maga sia la dragonessa rizzarono il capo, in ascolto di qualcosa. Il giovane pescatore, che si era assopito, trasalì per il movimento improvviso della grossa testa di Nyvgue.
     «Qualcuno sta invocando il tuo nome», disse Anthea, dopo aver ascoltato per un attimo. «È la voce di una ragazza… Sta dicendo che ti crede, e che ti ama».
     Lyuk si rizzò in piedi. «Lucylle! È la mia promessa sposa! Deve essere lei, per forza!». Si guardò attorno, come se sperasse di vederla apparire nella grotta segreta da un momento all’altro.
     La maga sorrise. «Vorresti vederla? Vorresti parlare con lei?».
     Il giovane pescatore annuì vigorosamente e la donna si alzò in piedi a sua volta. «Allora la porterò da te».
     Detto questo, congiunse le mani davanti al petto e, dopo aver sussurrato una parola magica, sparì.


 
* * *



     Ancora in piedi sulla roccia protesa sul lago, Lucylle si strinse nelle braccia rabbrividendo per il freddo. Il sole era ormai calato del tutto, l’aria fredda della notte aveva preso a spirare sul lago e il suo abito, così ricco di pizzi e trine, non era adatto a proteggerla dai rigori della sera. Fece un passo indietro e si voltò lentamente, con le lacrime agli occhi. Lyuk non aveva risposto al suo appello. Forse si era sbagliata, dopotutto. Il suo promesso era davvero morto e quella che era giunta al villaggio era solo la sua ombra malefica.
     Fece un balzo e tornò sulla riva, pronta a incamminarsi mestamente verso il villaggio, quando una sfera di luce apparve davanti a lei. Fu costretta a schermarsi gli occhi con la mano per proteggerli dal bagliore. Non appena si fu dissolto, riuscì a intravedere una figura di donna, immobile sul sentiero in penombra.
     «Tu sei Lucylle?», chiese la donna misteriosa, alzando un braccio verso di lei.
     «Sì», rispose, incerta, facendo un passo avanti. La donna rivolse il palmo della mano destra verso l’alto e sussurrò qualcosa. Subito dopo, una piccola sfera luminosa le apparve tra le dita ripiegate a conca, illuminando il suo viso.
     Lucylle la riconobbe. Era la strega che aveva portato via il suo Lyuk.
    «Tu sei la strega che controlla il drago…», balbettò, facendo un passo indietro.
    «Il mio nome è Anthea, e sono una maga. Una custode dei draghi, per la precisione. Anche se, oggi, ho miseramente fallito il mio compito».
     La donna aveva pronunciato quelle parole lentamente, in tono mesto. Lucylle, senza sapere bene perché, provò pena per lei.
    «Perché hai portato via il mio promesso sposo?», chiese la giovane, prendendo coraggio.
    «Per salvarlo da chi voleva ucciderlo. Nessuno di voi ha saputo riconoscerlo. Lo avete considerato un demone, mentre è soltanto un giovane che ha avuto il privilegio di essere stato salvato dall’ultima dragonessa ancora esistente sulla Terra».
     Lucylle si avvicinò di un passo alla maga, pronta a voltarsi e a fuggire se le avesse visto fare qualche strano gesto. Ma la donna rimase immobile e la giovane le arrivò lentamente di fronte.
     «Dov’è Lyuk?», chiese, quasi timorosa di udire la risposta.
    «Al sicuro, nella grotta nascosta in cui viviamo Nyvgue e io. Finché i tuoi simili non comprenderanno che stanno sbagliando, lui corre un grave pericolo».
     Lucylle scosse il capo, pensierosa. «La mia paura è che non lo capiranno mai. Sono soggiogati da Myrcus, il fratello del mio promesso. E finché lui non si renderà conto del suo errore, nessun altro lo farà».
     Anthea annuì. «Infatti, ho intenzione di andare a parlare con lui, da sola, non appena le acque si saranno calmate. Nel frattempo, vorresti vedere il tuo promesso sposo?».
     «Sì, lo desidero molto. Voglio potergli dire che io gli credo».
     La maga la prese per mano e pronunciò una parola arcana. Subito una sfera di luce le circondò, avvolgendole in un tepore lieve. La giovane chiuse gli occhi, il cuore che le batteva all’impazzata per la paura. Quando li riaprì, si rese conto di non essere più all’aria aperta, ma di trovarsi all’interno di un’ampia caverna dalle pareti di roccia nera, illuminata fiocamente da una debole luce rossastra. Anthea le lasciò la mano e lei si voltò per guardarsi intorno.
     Quando vide Lyuk si lasciò sfuggire un grido spaventato. Il suo promesso era seduto con la schiena appoggiata alla parete rocciosa, la grossa testa affusolata del drago appoggiata al suo fianco. Con le mani, il giovane stava carezzando dolcemente la mascella della bestia che emetteva un rumore basso e costante, molto simile alle fusa di un gatto.
     Il pescatore si alzò in piedi facendo grugnire la dragonessa, che aprì l’unico occhio che le rimaneva. La sua iride rossa si fissò su Lucylle, come se avesse voluto incenerirla, e la giovane si ritrovò a tremare.
     «Non avere paura», le disse Lyuk avvicinandosi a lei. «Nyvgue non ti farà del male».
     La giovane fissò il suo promesso per alcuni istanti, prima di scoppiare a piangere e buttarsi tra le sue braccia.
     «Oh, Lyuk! Sei vivo… sei vivo! Non potevo credere che non ti avrei mai rivisto!».
     Il giovane la strinse dolcemente al petto. «Mentre lottavo tra le onde del lago, il mio ultimo pensiero è stato per te», disse quando i singhiozzi della sua amata si furono diradati. «Pensavo che non avrei mai più potuto baciarti, che non avrei mai potuto sposarti e avere dei bambini. E, invece, Nyvgue e Anthea mi hanno salvato la vita».
     Le sfiorò le labbra con le proprie mentre la dragonessa, ancora ferma sulla riva del lago sotterraneo, si lasciava sfuggire un ringhio sordo. Lyuk si voltò a fissarla senza riuscire a trattenere un sorriso.
     «Credo che Nyvgue sia gelosa di te…», mormorò con incredulità.
    Anthea confermò i suoi sospetti. «Hai proprio ragione, mio giovane amico». Si avvicinò alla dragonessa e le carezzò il collo. «Amica mia, non devi essere gelosa di Lucylle. So che sei affezionata a Lyuk, ma non puoi avere alcuna pretesa su di lui».
     La dragonessa sbuffò nervosamente facendo fremere le grosse froge argentee, poi si voltò e con un movimento sinuoso si immerse, sparendo nelle acque azzurrine del lago sotterraneo.
     Lucylle rimase a fissare la superficie dell’acqua finché non fu tornata perfettamente immobile. «Mi dispiace molto di averla offesa», disse poi, portando le mani giunte all’altezza del petto. «Non credevo che una bestia immonda potesse provare sentimenti».
    «I draghi non sono bestie immonde», disse secca la maga. «Siete voi esseri umani a ritenerli tali. I draghi sono creature antichissime, nate agli albori della Terra, che hanno sempre vissuto rispettando le leggi della natura e seguendo il loro istinto. Sono cacciatori, è vero», ammise, «ma come tutti gli altri animali carnivori. Essi hanno, in più rispetto alle altre bestie, una coscienza. E tale coscienza li ha spinti, spesso, ad avvicinarsi agli esseri umani, che loro consideravano come loro pari, essendo anch’essi dotati di coscienza». Si interruppe per un istante. «O forse dovrei dire "dovrebbero essere", giacché spesso molti di loro se ne sono dimostrati totalmente privi».
     Lucylle conosceva la leggenda del drago mangia uomini che aveva divorato un fanciullo, e così rispose: «Ma uno di essi, tantissimi secoli fa, ha divorato un bambino!».  
     Anthea si voltò a guardarla con occhi colmi di tristezza. «La storia che voi conoscete è stata creata e plasmata dagli uomini, per far sì di giustificare la mattanza dei draghi avvenuta negli anni successivi al fatto. Ma, come ho già raccontato anche a Lyuk, le cose non si sono svolte così come narra la vicenda. Quel drago, il cui nome era Nyner, voleva semplicemente proteggere quel fanciullo dall’assalto di un branco di lupi. Ma, per un disgraziatissimo incidente, il drago calpestò il cespuglio sotto al quale il bambino si era nascosto. I suoi famigliari non hanno mai voluto capire, nonostante il mio maestro avesse cercato più volte di spiegare come erano andati i fatti». La maga si interruppe, asciugando una lacrima che le era colata giù per la guancia.
     «Come fai ad essere così sicura di quello che stai raccontando?», chiese Lucylle, fissandola.
     «Perché io ero presente».
     La giovane guardò incredula il suo promesso, che annuì. «Anche a me ha raccontato la stessa cosa», ammise Lyuk, «e io le credo».
     Lucylle non disse altro e il silenzio cadde nuovamente nella grotta. La fanciulla si rannicchiò ancora tra le braccia del suo promesso, che la serrò a sé prima di sospingerla a sedere sulla riva sabbiosa. Lyuk poggiò la schiena contro le rocce e Lucylle appoggiò il capo sul suo petto.
     La maga rimase ancora in piedi, a fissare pensierosa le acque del lago per parecchio tempo, poi disse con un sospiro.
     «Voi due non potete rimanere qui con me e Nyvgue. Appartenete al vostro villaggio, ed è lì che dovete tornare. Ma prima», aggiunse voltandosi verso i due giovani, «dovrò convincere gli abitanti, e soprattutto tuo fratello, che sei ancora in carne e ossa».
     «Come pensi di fare?», chiese Lyuk, fissandola preoccupato.
     «Nell’unico modo che il mio maestro ha sempre considerato giusto: con il dialogo. Noi custodi dei draghi abbiamo giurato, di fronte al nostro ordine, che non avremmo mai usato violenza contro gli esseri viventi, e io intendo mantenere quel giuramento».
     «Temo che mio fratello non vorrà darti ascolto», replicò il giovane pescatore.
    «Invece, io sono convinta del contrario. Quando gli hai mostrato la cicatrice che ti ha fatto, ho visto insinuarsi il dubbio sul suo volto. Si era quasi ricreduto, quando la donna che avevo tentato di guarire ha iniziato a gridare, chiamandomi strega».
     Lyuk portò la mano al petto. Sotto la camicia poté sentire la pelle infossata a forma di mezzaluna.
    «Se riuscirò a convincere lui, di conseguenza tutti gli altri mi crederanno. È stato lui a guidare i giovani del vostro villaggio contro Nyvgue, e sarà ancora lui a convincere gli abitanti che sei vivo», concluse la maga.
     Lucylle alzò la testa dal petto di Lyuk e fissò Anthea negli occhi. «Io verrò con te. Ho visto il mio promesso con i miei occhi, l’ho toccato con le mie mani, l’ho baciato con le mie labbra, e posso testimoniare a suo favore. Con le mie parole posso aiutarti a convincerlo!».
     La maga fece un cenno di assenso col capo nella sua direzione. «Apprezzo molto il tuo aiuto, Lucylle. Solo così potrete vivere in pace, sposarvi e avere una famiglia tutta vostra».
     «Potremmo farlo anche andandocene dal villaggio, e trasferendoci altrove», disse Lyuk, stringendosi nelle spalle.
     «Ma saresti sempre tacciato di essere un demone, mio giovane amico», replicò Anthea, «e condanneresti tua moglie e i tuoi figli a vivere per sempre in miseria, marchiati dall’onta che aleggia su di te». La maga voltò di nuovo le spalle ai due, tornando a volgersi verso il lago. «Purtroppo, ogni volta in cui un drago ha deciso di aiutare un essere umano, ci sono sempre state tristi conseguenze. Quando tutto questo sarà finito sigillerò questa grotta e questo lago, bloccando il passaggio che conduce al mondo esterno, per preservare Nyvgue da qualsiasi altro contatto con voi uomini». Si interruppe per trarre un profondo respiro. «Lei è l’ultima della sua specie e non posso permettere che venga barbaramente uccisa. Ho già fallito una volta, permettendo a Myrcus di cavarle un occhio. Non posso permettermi di sbagliare ancora».
     Lucylle e Lyuk si fissarono negli occhi.
    «Ha ragione, amore mio. Dobbiamo riportare la pace al villaggio, se vogliamo vivere sereni», mormorò la fanciulla, e il suo promesso annuì, siglando le sue parole con un bacio.
    «Bene, allora così è deciso», disse la maga, alzando il tono di voce. «Domani, tu e io, Lucylle, andremo al villaggio a parlare con Myrcus. Tu, Lyuk, rimarrai qui con Nyvgue. Non voglio che ti facciano del male. Quando tutto sarà chiarito, allora verrò a prenderti e ti condurrò dalla tua famiglia, poi l’ultima dragonessa e io spariremo per sempre».

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Capitolo Quattro


     Myrcus aveva radunato lo stesso gruppo di giovani del giorno precedente per farsi aiutare a ricostruire il tetto della casupola dei suoi genitori, miseramente distrutto dalle fiamme del drago. La stessa bestia che aveva divorato il suo amato fratello era tornata, come aveva predetto, per prendersi anche le vite di tutti gli altri. Ma, per fortuna, aveva avuto la prontezza di spirito di scagliarle il suo arpione proprio nell’occhio, mettendola in fuga e salvando così gli abitanti del villaggio.
     Avrebbe dovuto sentirsi orgoglioso di tale prodezza, come continuavano a ripetergli i suoi compagni, ma nel profondo del suo cuore si sentiva turbato. Perché, quando il demone dalle sembianze di Lyuk gli aveva parlato, mostrandogli la cicatrice che aveva inferto lui stesso al fratello minore quando ancora erano solo due ragazzini, un dubbio si era insinuato nella sua certezza. Il dubbio che quello fosse veramente suo fratello, che davvero quella bestia immonda lo avesse non divorato, ma addirittura tratto in salvo dalle acque agitate del lago.
     Si lasciò sfuggire un sospiro mentre issava, aiutato dagli altri, nuove travi per sostenere il tetto di paglia. La sua mente continuava a ripetergli che quello che aveva visto non poteva essere altri che un demone, ma il suo cuore si ostinava a non volerlo credere.
     In piedi sulla nuova intelaiatura gettò lo sguardo verso il lago, dove si snodava il sentiero sinuoso che dalle ultime case del villaggio conduceva alla riva erbosa. Due figure femminili stavano avanzando lentamente verso le case. Strinse gli occhi per mettere a fuoco le sagome. L’una aveva una cascata di ricci biondi come l’oro; il suo vestito, adorno di pizzi e merletti, era bruciacchiato, infangato e strappato in alcuni punti. L’altra aveva lunghi capelli castani che le spiovevano fino al fondoschiena, e indossava una lunga veste verde scuro. Le riconobbe entrambe. La prima era Lucylle, la promessa sposa di suo fratello; l’altra era la strega che comandava la bestia immonda.
     Si lasciò sfuggire il martello dalle mani, sibilando un’imprecazione. I suoi compagni volsero lo sguardo nella sua stessa direzione, ma dal basso nessuno di loro riuscì a vedere chi stava arrivando.
     Myrcus saltò giù agilmente dal tetto e si incamminò verso l’uscita del villaggio.
     «Che cosa succede, Myrcus?», chiese Andres, il suo migliore amico, posandogli una mano sulla spalla per fermarlo.
      Il pescatore si voltò a malapena a guardarlo.
     «Sta tornando Lucylle. In compagnia della strega».
     La sera precedente, quando Lucylle era corsa via, tutti avevano creduto che la fanciulla fosse andata a piangere da sola la scomparsa del suo amato. Quando era calato il buio e lei non era rientrata, suo padre aveva radunato una squadra di uomini per andare alla sua ricerca, ma senza risultato. La fanciulla pareva svanita nel nulla.
     E ora, eccola invece che ritornava, insieme alla diabolica creatura che governava il drago. Che avesse rapito anche lei, rendendola sua schiava con un sortilegio? Myrcus portò la mano alla cintura, dove teneva il suo pugnale. Era pronto ad ogni evenienza e, se si fosse rivelato necessario, non avrebbe esitato ad usarlo per difendere se stesso e gli altri abitanti.
     Le raggiunse proprio mentre stavano varcando i confini del villaggio. Senza che se ne fosse reso conto, tutti gli altri giovani lo avevano seguito, e fecero ala dietro di lui quando si fermò ad attendere che le due donne gli arrivassero di fronte. Tacitamente, pareva che tutti quanti lo avessero nominato capo del villaggio, e lui si sentì onorato a quel pensiero. Non aveva potuto difendere suo fratello, ma l’avrebbe fatto con tutti gli altri.
     Il tetro silenzio che era calato su tutti loro fu rotto da Matwes, il giovane fratello di Lucylle che, non appena vide arrivare la fanciulla, spezzò la formazione e corse a buttarsi tra le sue braccia, ancora preoccupato per la sua scomparsa.
     «Lucylle, ma dove eri finita? Ti abbiamo cercato per tutta la notte!», gridò mentre affondava il viso nel suo petto.
     Lucylle lo abbracciò teneramente e gli diede un bacio sulla fronte. «Sono andata a cercare il mio promesso, per riuscire a comprendere ciò che gli era realmente accaduto», rispose, alzando il viso e rivolgendosi a tutti i presenti. «E ci sono riuscita. Ho scoperto con la massima certezza che Lyuk, il mio amato, è vivo e in salute. E stamani siamo venute qua», con un cenno della mano indicò la donna al suo fianco, «perché vogliamo che anche voi ve ne convinciate. Soprattutto tu, Myrcus». La fanciulla alzò il dito indice, puntandolo contro il pescatore con aria accusatoria. Involontariamente, Myrcus arretrò di un passo.
     «Anche tu sei stata plagiata da quella strega!», replicò l’uomo subito dopo aver ripreso il suo contegno. Alle sue parole, Matwes si allontanò di scatto dalla sorella e corse a rifugiarsi tra gli altri giovani.
     Lucylle non lo fermò. «Anthea non è una strega», rispose alzando ancora il tono della voce, «e se le darai modo di parlare, capirai tutto quanto».
     Myrcus soppesò le parole della giovane, incerto sul da farsi. La sua mente gli diceva di liberarsi alla svelta di entrambe. Lucylle doveva essere stata resa schiava dalla strega, che l’aveva trasformata in un demone al pari di suo fratello. Ma il cuore gli suggeriva di lasciar loro la possibilità di spiegarsi, prima di prendere decisioni affrettate.
     I suoi compagni avevano già stretto i pugni, pronti a combattere, ma il pescatore alzò le braccia, per fargli intendere di aspettare. «E sia. Parlate pure, vi ascoltiamo».
     Lucylle aprì la bocca per replicare qualcosa, ma la donna vestita di verde la bloccò con un cenno della mano.
     «Non è necessario entrare nel villaggio per parlare, mia giovane amica. Possiamo farlo anche qui, sul sentiero». Con grazia si mise a sedere sul ciglio erboso, a gambe incrociate. Lucylle e Myrcus la imitarono mentre tutti gli altri restarono in piedi, indietro di qualche passo. Il giovanissimo Matwes, ancora sconvolto e incredulo, rimase a singhiozzare alle spalle di Andres.
     Il pescatore fissò la donna per alcuni istanti. Benché il suo volto dimostrasse la sua stessa età, i suoi occhi erano talmente profondi da apparire come pozzi di conoscenza. Ebbe l’impressione che quegli occhi avessero visto cose per lui inimmaginabili e che quella strega fosse vecchia come le rocce che li circondavano. Come se gli avesse letto nel pensiero, la donna sorrise e si mise a parlare.
     «Sono molto vecchia, è vero. Ma non così tanto come credi», disse, facendolo sobbalzare. «Il mio nome è Anthea e sono una maga. Sono una custode dei draghi, anche se colei che gode della mia protezione, e che tu hai accecato con il tuo arpione, è l’ultima della sua specie. Un tempo erano molti i draghi di cui il mio maestro e io dovevamo prenderci cura, ma oramai rimane soltanto Nyvgue». La donna trasse un lungo respiro prima di continuare. «I draghi hanno sempre considerato voi esseri umani come creature loro pari, dato che entrambi siete dotati di coscienza, e per tale motivo, spesso, soprattutto in passato, i draghi hanno affiancato uomini e donne, instaurando con loro un rapporto di fiducia e stima. Poi, disgraziatamente, un giorno avvenne una tragedia di cui tutti siete sicuramente a conoscenza, anche se solo nella versione creata dagli uomini».
     Myrcus conosceva la storia cui Anthea faceva riferimento. L’aveva narrata il vecchio Gordon la sera in cui, nella capanna grande, lui stesso aveva chiamato l’adunata per affrontare la bestia, e non si sorprese quando scoprì che la versione della maga era a favore del drago assassino. Lo fu molto di più quando la donna rivelò che il suo maestro era morto moltissimi anni prima, ucciso proprio dalle mani dell’ultimo discendente degli sterminatori di draghi, con il quale aveva cercato per l’ultima volta il dialogo. Il vecchio custode non aveva reagito all’attacco del giovane e si era lasciato uccidere.
     «Noi custodi dei draghi abbiamo giurato di fronte al nostro Ordine che mai avremmo usato la violenza contro le creature viventi», stava dicendo Anthea. «Il mio maestro ha rispettato fino all’ultimo il giuramento, e lo stesso farò io. Con il dialogo si possono risolvere molte questioni spinose, se tutti gli interlocutori sanno ascoltare. Ora che vi ho raccontato la mia storia, vi prego di credermi quando vi dico che Nyvgue e io non abbiamo mai avuto cattive intenzioni. Il nostro scopo era solo salvare Lyuk dalla furia delle acque, ed è ciò che abbiamo fatto. Tuo fratello è ancora vivo e vegeto, e in questo momento sta aspettando, nascosto in una grotta celata agli occhi di tutti, di poter venire qui e riabbracciare te, sua madre e suo padre».
     «E perché non è venuto con te, invece di restarsene nascosto?», chiese Myrcus. La storia di Anthea aveva fatto breccia nel suo cuore, al punto che, ad un tratto, si era chiesto se fosse rimasto lui stesso ammaliato dalle sue parole. Poi aveva riflettuto che, se ancora era capace di formulare quel dubbio, evidentemente non era rimasto vittima di nessuna malìa. Non riusciva a decidersi e il sospetto permaneva ancora nella sua mente.
     «Perché temevo che avreste potuto fargli del male», rispose la maga indicando il suo pugnale e gli arpioni che stringevano due o tre dei suoi compagni.
     «Devi crederle, Myrcus!», si intromise Lucylle, con le mani giunte davanti al petto. «Io ho visto tuo fratello, gli ho parlato, l’ho baciato! E ti giuro che è proprio lui, Lyuk! Il mio cuore lo saprebbe se fosse un impostore!».
     Myrcus sorrise all’appello accorato della fanciulla e pensò che anche Helenayr, sua moglie, avrebbe detto le stesse cose, per lui. Sospirò al pensiero della sua consorte lontana. Era tornata a vivere con la madre e la sua famiglia, dall’altra parte del lago, dopo che era rimasta incinta, poiché la sua gravidanza si era rivelata fin da subito problematica. Sapeva che doveva ormai essere prossima alla scadenza del termine e, all’improvviso, fu preso dal desiderio di rivederla. Non appena tutto quello fosse finito avrebbe preso la barca di suo padre e sarebbe andato da lei, magari in compagnia di suo fratello e della sua promessa sposa.
     «Fallo venire qui, allora. Voglio parlargli ancora».
     Anthea sorrise e chinò il capo, piena di gratitudine. «Lucylle, vai tu a chiamarlo. Le rocce si apriranno al tuo arrivo. Io rimarrò qui ad attendervi, per dimostrare a Myrcus e agli altri che le mie parole sono veritiere e che sono in buona fede».
     La giovane obbedì. Si alzò di scatto e corse via, in direzione di una formazione rocciosa che si perdeva in lontananza nella bruma mattutina.


 
* * *


     Del racconto della strega, Matwes aveva ascoltato solo poche parole qua e là. Nella sua giovane mente, non riusciva a smettere di pensare alla possibilità che la sua amata sorella maggiore fosse stata irretita e plagiata dalla donna che ora stava seduta a gambe incrociate davanti a loro, i lunghi capelli castani che spiovevano sulla stoffa verde scuro della sua veste.
     Solo una frase gli era entrata ben bene nelle orecchie, restandogli impressa nel cervello. Quella donna aveva giurato che non avrebbe mai usato violenza contro nessun essere vivente.
     Aveva creduto che, a quel punto, Myrcus o qualcuno degli altri l’avrebbe attaccata e uccisa. In fondo, aveva dichiarato lei stessa che non avrebbe reagito. Ma nessuno aveva mosso un dito contro di lei. Che tutti quanti fossero rimasti vittima della sua magia, ammaliati dalle sue parole?
     Ancora celato dietro la schiena di Andres a sbirciare ciò che avveniva sul ciglio del sentiero, distolse per un attimo lo sguardo dalla strega e lo fissò sull’arpione che il giovane dietro al quale si nascondeva portava appeso a tracolla. Forse, avrebbe potuto lui stesso sferrare l’attacco che l’avrebbe uccisa, liberando sua sorella e tutti gli altri dal giogo maligno di quella donna misteriosa, e diventando così un eroe agli occhi degli abitanti del villaggio.
     Il suo cuore di fanciullo cominciò a battere all’impazzata a quel pensiero così audace. Continuando a fissare l’arpione, deglutì e respirò profondamente per contenere il tremito nelle membra. Alzò lo sguardo sul volto di Andres. Il giovane continuava a fissare la strega, quasi come rapito dalle sue parole.
     A quel punto, Matwes non ebbe più alcun dubbio: quella maledetta aveva incantato tutti, lui solo era rimasto immune alla sua malìa. Tornò a rivolgere lo sguardo verso di lei, proprio nel momento in cui sua sorella Lucylle si alzava in piedi e correva via in direzione del lago. Forse, se sua sorella fosse rimasta lì dov’era, non avrebbe mai avuto il coraggio di muoversi. Ma ora che non c’era più, sentì una nuova forza farsi strada dentro di lui. Prese tre profondi respiri, raddrizzò le spalle e afferrò l’arpione di Andres, strappandolo via dalla sua spalla.
     Il giovane uomo non ebbe il tempo di reagire alla sorpresa e non riuscì a fermare la sua corsa scomposta. Matwes era libero di compiere il suo gesto eroico, che lo avrebbe fatto passare agli annali della storia. Già immaginava i cantastorie che avrebbero narrato le prodezze di Matwes, il fanciullo che aveva ucciso la strega.
     Gettò un grido e si lanciò verso la donna. Con la coda dell’occhio vide Myrcus allungarsi per tentare di afferrarlo, ma lui fu lesto a schivarlo e, senza alcuna esitazione, aumentò l’andatura. La strega alzò le mani e aprì la bocca, come per scagliare un incantesimo, ma lui fu più rapido e, con un altro grido, le conficcò l’arpione nel ventre.
     Subito dopo si sentì investire da una folata di aria calda, che lo sollevò in alto e lo mandò a ricadere tra le braccia di Myrcus. L’incantesimo della donna lo aveva raggiunto, ma troppo tardi. Con un grido di esultanza alla vista dell’asta di legno che le fuoriusciva dalle carni, Matwes alzò il pugno in aria facendo gli scongiuri. «Te l’ho fatta, brutta strega!».
     All’improvviso, il cerchio di uomini parve ritrovare l’uso delle gambe e delle braccia. Myrcus lo prese e lo sbatté a terra, facendogli fuoriuscire tutta l’aria dai polmoni.
     «Cosa diavolo credevi di fare, ragazzino?!», gridò il pescatore continuando a scrollarlo, mentre gli altri giovani gridavano e si agitavano come impazziti.
     Matwes era sconcertato. Invece di essere contento per la sua prodezza e lodare il suo coraggio, perché Myrcus lo sbatteva a terra come se fosse stato un’anguilla da uccidere? Forse che l’incantesimo che la strega aveva gettato su di lui non si era spezzato, e ora voleva vendicare la sua morte? Oppure si era solo illuso di poterla uccidere, e la donna ora stava ridendo di lui?
     La paura tornò ad invaderlo e prese a piangere e a gridare, implorando di essere lasciato andare. In mezzo alla cacofonia di voci, gli giunse distinta quella acuta di sua sorella Lucylle, già di ritorno.
     «Che cosa succede? Myrcus, perché stai malmenando mio fratello?», gridò la fanciulla, tentando di strapparlo dalle grinfie dell’uomo.
     «Tuo fratello ha appena arpionato Anthea!», rispose Myrcus, senza accennare a volerlo mollare.
     «Cosa?!». Le mani di Lucylle lasciarono la presa sul fratello per correre dalla strega. Matwes la vide piegarsi su di lei, seguita dappresso dal suo promesso sposo, o forse dalla sua ombra malvagia. A quel punto non sapeva più neanche lui cosa pensare.
     L’ennesimo scrollone di Myrcus lo mandò a sbattere con la testa contro una roccia. L’ultimo suo pensiero, prima di perdere i sensi, fu che forse non sarebbe diventato un eroe.

 

* * *



     Anthea vide troppo tardi il ragazzino, che stringeva tra le mani un lungo arpione, lanciarsi contro di lei. Aveva dedicato tutte le sue attenzioni a Myrcus e ai suoi compagni, senza considerare il giovanetto nascosto dietro alle gambe di uno dei giovani uomini più robusti, e quando questi si era buttato nella sua direzione con un grido, non era stata lesta ad alzare le mani e a respingere il suo assalto con un incantesimo di protezione. Era riuscito a sbalzarlo via, ma solo dopo che il ferro appuntito dell’arpione le aveva perforato il ventre.
     In tutta la sua lunga vita mai aveva subito una ferita del genere, e tutto d’un tratto capì quale dolore dovesse aver provato Nyvgue quando Myrcus l’aveva colpita allo stesso modo all’occhio sinistro. Il ferro pareva bruciare come se fosse stato arroventato e, a ogni respiro che traeva, era come se una mano invisibile glielo rigirasse tra le carni.
     Il silenzio che fino allora aveva regnato sul sentiero venne spezzato dalle urla di tutti i presenti, ma lei non ebbe modo di vedere altro. Si accasciò con la schiena contro il terreno erboso, i suoi respiri corti e rapidi, mentre con il pensiero correva al suo vecchio maestro, ucciso anche lui per difendere i draghi che tanto amava.
     Sapeva che Nyvgue doveva aver sentito ciò che le era successo, e la pregò con la mente di non fare mosse avventate e di non volare come una furia sul villaggio. Avvertì il suo ruggito di risposta, quasi un grido di rabbia e dolore. Niente e nessuno avrebbe potuto tenerla lontana dalla sua custode.
     La maga cercò di rimanere presente a se stessa, ma sentiva le energie vitali fluire via rapide dal suo corpo assieme al sangue che andava a inzuppare l’erba sotto di lei. All’improvviso, i visi di Lucylle e Lyuk la sovrastarono.
     «Mi dispiace… mi dispiace così tanto…», piagnucolò la fanciulla, prendendole una mano. «È stato mio fratello a farti questo».
     Lyuk afferrò l’asta dell’arpione e fece l’atto di strapparlo via dalle carni della maga, ma lei lo fermò con un debole cenno della mano.
   «Perché no?», protestò il giovane uomo, con gli occhi verdi sgranati per l’ansia e la paura. «Dopo che l’avrò estratto, potrai usare un incantesimo di guarigione».
     «Sono troppo debole, mio giovane amico. Non sarei mai in grado di curare questa ferita senza prosciugare tutte le mie energie. È finita. Ma la mia morte non è vana». Anthea trasse un lungo respiro e trasalì all’ennesima stilettata di dolore. Socchiuse gli occhi prima di riprendere a parlare. «Sono riuscita a convincere tuo fratello, che ha deciso di parlarti. Presto potrai tornare ad abbracciare tua madre e, se vorrai, potrai perdonare tuo padre per aver tentato di colpirti. L’unico rimpianto che mi rimane è lasciare Nyvgue da sola…».
     Come a rispondere a quelle parole, un profondo ruggito risuonò nell’aria, subito seguito dal rumore sordo dello sbattere di ali enormi e dallo scroscio di acqua in caduta. La dragonessa era appena emersa dalle acque del lago per volare dalla sua custode.
     Anthea volse debolmente lo sguardo verso destra, in tempo per vedere Nyvgue che si preparava a sputare fuoco sui giovani del villaggio che ancora gridavano e si muovevano disordinatamente in circolo. Alzò lentamente una mano e, con la mente, si rivolse alla dragonessa per farla calmare. Nyvgue trattenne il suo alito infuocato, ma atterrò pesantemente sul sentiero a pochi passi di distanza, facendo tremare il terreno e scuotere gli alberi. Con due falcate raggiunse la sua custode e protese il lungo collo davanti a lei, a farne una barriera contro Myrcus e gli altri. Il suo occhio ancora sano, rosso come le fiamme dell’inferno, si fissò sull’uomo dai ricci castani che l’aveva accecata, mentre un basso ringhio le risuonava in gola. Ritrasse le labbra sulle gengive, mostrando le lunghe zanne appuntite.
     «No, Nyvgue… Myrcus non è il responsabile di tutto questo», esalò la maga. La dragonessa esitò per qualche istante prima di voltare il capo verso di lei, emettendo un basso gorgoglio dal tono quasi interrogativo. «È stato solo un incidente. Matwes, il fratello di Lucylle, credeva di agire nel bene… Non lasciarti accecare dalla rabbia, com’è accaduto agli sterminatori di draghi tanti secoli fa», concluse Anthea.
     Nyvgue si voltò di scatto a fissare il bambino svenuto, steso a terra accanto a Myrcus. Emise uno sbuffo nella sua direzione, sollevando la polvere dal sentiero, poi tornò a dedicare tutta la sua attenzione alla custode stesa a terra, ormai sempre più debole.
     La maga sapeva che le restavano pochi istanti di vita. Le energie vitali correvano via come un fiume in piena dal suo corpo e si sentiva ormai prossima a scomparire. Le rimaneva solo un’ultima cosa da fare.
    «Myrcus…», chiamò debolmente e il giovane uomo si avvicinò, chinando il ginocchio a terra, dalla parte opposta alla dragonessa. «Myrcus, voglio che tu e Nyvgue vi conosciate. Voglio che tu sappia con certezza che non dovete temere nulla, da lei…».
     Il pescatore alzò il viso e fissò la dragonessa, inquieto. La bestia parve mostrare la sua stessa riluttanza, emettendo un altro basso ringhio e mostrando le zanne.
     «Nyvgue, non pensare più a ciò che è stato, ma a quello che sarà…», ansimò ancora la maga. La dragonessa chinò il capo, portandolo all’altezza di quello dell’uomo, e trasse due profondi respiri. Poi si avvicinò lentamente a lui e lo annusò rumorosamente. Myrcus trattenne il fiato e chiuse gli occhi, certo di essere divorato, ma Lyuk gli posò una mano sulla spalla.
     «Non avere paura, fratello mio. Apri gli occhi».
     Il pescatore obbedì e fissò la sua immagine riflessa nell’occhio rosso della dragonessa. Poi, allungò una mano e la carezzò.
    Anthea si lasciò sfuggire un debole sorriso. «Bene… Però prima di andarmene, Nyvgue, dovrai farmi una promessa». La dragonessa la fissò col suo unico occhio, in attesa che continuasse. «Quando io non ci sarò più, rimarrai sola. Non ci saranno altri custodi a prendersi cura di te. Ora Lyuk, Myrcus e gli altri ti conoscono, e non avrai nulla da temere, da essi. Ma quando loro moriranno tu continuerai a vivere, ancora per molti secoli a venire, e chi verrà dopo di loro potrebbe non avere buoni propositi nei tuoi confronti…». Trasse un respiro, lottando con tutte le sue forze per rimanere aggrappata all’ultimo anelito di vita che ancora gli rimaneva. «Devi promettere che rimarrai per sempre nascosta. Non ho più le forze necessarie per sigillare la grotta e il lago sotterraneo, per cui toccherà a te avere giudizio e non mostrarti più, né alla luce del giorno né durante la notte, per nessun motivo al mondo», concluse la maga.
     Nyvgue emise un cupo gorgoglio sconsolato, ma chinò il capo in cenno di assenso. Poi si distese a terra e circondò con il suo corpo quello della maga, appoggiando la grossa testa sulla coda.


 
* * *


     Lyuk, Lucylle e Myrcus si erano fatti rispettosamente indietro, lasciando la dragonessa sola con il suo dolore. Gli altri giovani avevano finalmente ripreso il controllo, e Andres si era chinato accanto a Matwes, ancora svenuto. Lucylle raggiunse suo fratello e gli posò una mano sulla fronte, che scottava. L’eccitazione e la paura per ciò che aveva compiuto gli avevano fatto salire la febbre. Stava per chiedere ad Andres di portarlo a casa quando qualcuno gridò.
     La fanciulla si voltò appena in tempo per vedere il corpo di Anthea, al di là della grossa testa della dragonessa, svanire nel nulla. L’arpione, conficcato nel vuoto, cadde a terra con un debole clangore. Solo la lunga veste verde rimase a terra, oramai svuotata del suo contenuto.
     Nyvgue si alzò pesantemente sulle quattro zampe poderose e la annusò, come a voler ricordare per sempre il suo odore, poi la prese con delicatezza tra le labbra e la posò ai piedi di Lucylle, che si chinò e la raccolse.
     La fanciulla bionda carezzò la morbida stoffa dell’abito. «Vuoi che lo tenga io?», chiese con deferenza alla dragonessa, asciugandosi le lacrime che le erano spuntate agli angoli degli occhi. Quella emise un gorgoglio, muovendo il capo in un cenno affermativo.
     «Ti ringrazio, Nyvgue. Ne farò il mio abito da sposa. Quello che avevo», e, con un cenno del braccio, indicò l’abito da festa che indossava ormai ridotto a brandelli, «è da buttare».
     La dragonessa sbuffò e la sfiorò con il muso, poi accostò la grossa testa affusolata a Lyuk, che affondò entrambe le mani tra i suoi barbigli, carezzandole dolcemente la pelle verrucosa.
     «Addio, amica mia. Non ti dimenticherò mai», disse il giovane pescatore, la voce rotta dall’emozione e dal dolore per la scomparsa della maga. Nyvgue sbuffò ancora, scompigliandogli il caschetto di capelli biondi.
     Infine, si rivolse a Myrcus, che abbassò lo sguardo prima di parlare. «Mi dispiace di averti ferito. Credevo che tu fossi un essere malvagio…». La dragonessa lo interruppe, dandogli un colpetto col muso. Poi arretrò di alcuni passi, spalancò le ali e spiccò il volo, spostando l’aria e sollevando turbini di polvere e sassolini dal sentiero. Salì talmente in alto da diventare quasi invisibile agli occhi dei tre giovani, poi si lasciò cadere in picchiata e si tuffò nelle acque gelide del lago.


 
* * *


     Nessuno vide più la dragonessa che viveva nel lago. Né Lyuk, né Myrcus, né i loro figli, e nemmeno i loro discendenti. Nyvgue mantenne la promessa, celando la sua presenza a tutti quanti.
     La storia divenne leggenda e la leggenda divenne mito. Nessuno pensò più a lei né alla sua custode, la maga Anthea, che si era sacrificata per riunire i due fratelli pescatori.
     Ma, di tanto in tanto, quando la nebbia è talmente fitta da impedire di vedere alcunché sulle acque del lago, Nyvgue riemerge per guardare il villaggio ormai divenuto città, nella speranza vana di rivedere almeno per una volta il suo amato Lyuk.

 

Fine


 
Spazio Autrice:
Innanzi tutto voglio ringraziare Fiore
di Cenere, per aver indetto questo contest che ha stimolato fin da subito la mia curiosità. Poi, voglio ringraziare calorosamente anche tutti coloro che hanno letto e recensito la storia, per avermi lasciato i loro pareri e le loro opinioni.
Grazie a tutti!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3749250