And Once for Love

di QueenInTheNorth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Words from No One ***
Capitolo 2: *** An island of glass and salt ***
Capitolo 3: *** The Song of Ice and Fire ***
Capitolo 4: *** Threats ***
Capitolo 5: *** Departures and escapes ***
Capitolo 6: *** The Lonely She-wolf ***
Capitolo 7: *** Search of power ***
Capitolo 8: *** Tension ***
Capitolo 9: *** White Harbour ***
Capitolo 10: *** Strange meetings ***
Capitolo 11: *** Allies from the Storm ***
Capitolo 12: *** Letters and hope ***
Capitolo 13: *** The labyrinth ***
Capitolo 14: *** Farewell ***
Capitolo 15: *** Revelations ***
Capitolo 16: *** The Battle of the Five Towers ***
Capitolo 17: *** Home ***
Capitolo 18: *** The melting ice ***
Capitolo 19: *** Dangerous decisions ***
Capitolo 20: *** The dragon's roar ***
Capitolo 21: *** Dark Sister ***
Capitolo 22: *** Jaehaerys Targaryen ***



Capitolo 1
*** Words from No One ***






And Once for Love

 

 

Words from No One                                                                                                                                                                                                                                                       
                                                                                                             


Jon

 

Il cielo era stranamente limpido. La notte prima aveva piovuto ed il nevischio si era sciolto, mescolandosi alla terra ed infangando le scarpe di cuoio duro dei lord ed i vestiti di velluto delle lady. Le strade erano scivolose ed insidiose e gli zoccoli dei cavalli affondavano al tal punto nel terreno, da costringere gli uomini a trascinare i carretti. Ma capitava che i raggi delle ruote si spaccassero, e allora erano necessari almeno quattro uomini forti che sorreggessero il carro mentre veniva effettuata la riparazione. Il legno marciva a causa dell’umidità ed i tronchi degli alberi venivano attaccati dal muschio. Fortunatamente le temperature fin troppo clementi non permettevano ancora le gelate, ma la gente del Nord non si illudeva: il ghiaccio sarebbe arrivato presto ed avrebbe portato bufere e grandinate.

Città dell’Inverno si stava rapidamente popolando; per i suoi vicoli riecheggiavano le urla dei bambini, i sospiri delle donne ed i comandi concitati degli uomini. I campi erano stati abbandonati e le provviste raccolte nei granai.

Si cucivano mantelli bordati di pelliccia di volpe o di lupo ed abiti di lana pesante, guanti e farsetti di pelle. Gli allevatori macellavano gli animali e salavano le carni, consapevoli che neanche il più ricco lord del Continente avrebbe potuto sfamarli in seguito all’arrivo del vero freddo. Gli alberi erano abbattuti, i tronchi tagliati e disposti disordinatamente nelle legnaie, mentre i fabbri battevano il ferro ed il bronzo per forgiare armature robuste, spade, lance e punte di frecce.

L’ultimo appello del Re del Nord invitava il popolo a collaborare, ad aiutare non solo gli amici ma anche gli antichi nemici, a prepararsi per l’inverno più difficile degli ultimi mille anni. Il corvo bianco era arrivato non più di una settimana prima, silenzioso come un’ombra, ma gli uomini l’avevano avvistato in ogni caso e sentito il sangue gelare nelle vene. L’inverno era arrivato. Da allora il cielo era stato sfondo del viaggio di innumerevoli corvi, tutti neri, che arrivavano da ogni fortezza del Nord, dalla Valle e dalle Terre dei Fiumi.

In tutti i villaggi si respirava la paura e la preoccupazione, ed i lavori erano divenuti frenetici. Bisognava riparare i tetti e i muri delle abitazioni incendiate dai Bolton e costruire ripari per i rifugiati che fuggivano dai luoghi troppo vicini alla Barriera. Molti uomini erano morti in guerra e la manodopera scarseggiava.

Quando il Re del Nord aveva offerto il sostegno dei propri uomini, il popolo era ammutolito spaventato. I bruti si erano stanziati nella pianura a seguito della Battaglia dei Bastardi e, nonostante tutte le promesse e i giuramenti, la gente comune continuava a temerli.

Ma l’Inverno è capace di scrutare i luoghi più reconditi dell’animo e di far emergere sentimenti inimmaginabili. Uniti dal dolore per le perdite subìte e dal terrore per un futuro quanto mai incerto, il Popolo Libero e le genti del Nord si erano reciprocamente accettati, scoprendosi alleati in una guerra invisibile che non comprendevano.

Non potevano immaginare quanto i legami che stavano faticosamente instaurando avrebbero in futuro fatto la differenza fra la vita e qualcosa peggio della morte. Perché il popolo del Nord non sapeva che, quando le leggende si scoprono reali, la paura ha spade di ghiaccio ed occhi più blu delle stelle.

 

 

Uno, due, tre, quattro. Piccoli fiocchi iniziavano a cadere volteggiando e bagnando i mantelli. Jon Snow si accorse di avere già i capelli umidi e si affrettò a tirare su il cappuccio, cercando allo stesso tempo di mantenere il controllo sul suo cavallo.

Era un omaggio di lord Cerwyn, uno stupendo purosangue bianco dalla criniera candida e l’animo ribelle. “Un cavallo bianco per il Lupo Bianco” aveva detto soddisfatto il lord, “mi sembra una bestia degna di un re.” Jon si era trattenuto dal far notare che probabilmente le origini di quel cavallo erano più nobili delle proprie, ed aveva accettato il dono sfoggiando il suo sorriso migliore. L’aveva chiamato Ghiaccio, come la spada appartenuta a suo padre e di cui si erano perse le tracce. Secondo il racconto di Sansa, Ilyn Payne aveva brandito proprio quella spada il giorno in cui a Ned Stark fu mozzata la testa.

Una bestia degna di un re. E’ questo quello che sono ora, un re.

Jon non riusciva ancora a credere che proprio lui fosse stato scelto come Re del Nord, non poteva pensare che fosse successo davvero, che i lord di tutto il Nord si fossero alzati, acclamandolo e giurandogli fedeltà. Come avevano potuto preferire il Bastardo di Grande Inverno alla figlia legittima di Ned e Catelyn Stark?

Jon aveva temuto di trovare il rancore e la delusione nello sguardo di Sansa, ma lei gli aveva sorriso radiosa. Sembrava felice… addirittura orgogliosa. Jon si era alzato in piedi a disagio, chiedendosi se suo fratello Robb avesse in passato ricevuto una cerimonia simile. Sembravano passati secoli, ma il Nord non dimentica. Non dimentica gli oltraggi e le sventure che gli Stark avevano dovuto subire a causa del gioco di qualcun altro. Non dimentica il tradimento che uccise Ned, né le Nozze Rosse, in cui l’esercito del Nord fu massacrato insieme a Robb e Catelyn. Non dimentica il fumo che si levava dal rogo di Grande Inverno, la tirannia dei Bolton, la morte del piccolo Rickon.

Jon chiuse a pugno la mano della spada. Sentiva ancora le nocche sfrigolare nei punti dove aveva colpito il viso di Ramsay Bolton. L’aveva preso a pugni con una forza che non credeva di avere, con un furore sconosciuto, e quell’essere non aveva mai smesso di sorridere. L’aveva colpito ventuno volte.

Quando Sansa gli aveva detto che Ramsay era morto, Jon non aveva fatto domande, ma il mancato ritrovamento del cadavere e la successiva soppressione dei mastini dei Bolton per volere di sua sorella gli avevano fatto intuire la verità. Jon era rimasto stupito: non credeva Sansa capace di una tale crudeltà, seppur ampiamente meritata dalla vittima. La vita aveva cambiato profondamente Sansa; non era più la ragazzina ingenua e sognatrice, amante dei cavalieri e delle storie d’amore, ma una donna segnata dall’esperienza e dalla sofferenza, resa forte e sospettosa dalle avversità che aveva incontrato.

Una folata di vento gelido fece rabbrividire Jon, che abbandonò i suoi pensieri per concentrarsi sulla strada accidentata. Ghiaccio avanzava al passo, scivolando ogni tanto sulla pietra viscida, e Jon doveva tenersi stretto alle redini per non essere sbalzato giù di sella. Si voltò per assicurarsi che il resto del gruppo lo stesse seguendo. Davos e Tormund cavalcavano appena dietro di lui, seguiti da alcuni cavalieri concessi da lord Manderly.

Quella limpida mattina si erano recati in un villaggio non lontano da Grande Inverno dopo alcune segnalazioni di aggressioni da parte di fedeli ai Karstrak scampati alla Battaglia dei Bastardi. Jon aveva subito guidato un piccolo contingente armato ed i ribelli erano stati facilmente sopraffatti. I contadini erano usciti dalle case, inginocchiandosi davanti al Re del Nord e ringraziandolo tra lacrime di gioia. Alcune donne gli avevano perfino porto i propri bambini perché li benedicesse. E Jon li aveva abbracciati tutti, ascoltando le loro storie e ridendo alle loro battute. Ovunque andasse la folla lo acclamava e Jon non si era mai sentito così amato. Neanche quando ero Lord Comandante dei Guardiani della Notte, aveva dovuto ammettere.

Il pensiero della Barriera aveva calato un’ombra sul suo viso e Jon istintivamente portò la mano libera al cuore.

Davos dovette accorgersene, perché spronò il cavallo raggiungendolo. “Ti fa male, vostra grazia?” gli chiese con un tono vagamente preoccupato.

Jon abbassò lo sguardo. “No, Davos, è tutto a posto” rispose con un sospiro, “e quante volte devo dirti di non chiamarmi in quel modo?”

Davos accennò un sorriso sotto la folta barba. “Come vuoi tu, Jon” rispose allontanandosi nuovamente.

Lentamente Jon abbassò la mano stringendo i denti. Le ferite bruciavano e non si erano ancora rimarginate del tutto, specialmente quella provocata dal coltello che gli aveva attraversato il cuore. Jon scosse il capo, tentando di scacciare pensieri malinconici. Il passato era terrificante, ma il futuro che li attendeva lo era di più.

Finalmente le mura di Grande Inverno furono in vista. Dopo che Wun Wun aveva sfondato il grande portone di legno, l’entrata era sorvegliata da una decina di sentinelle in attesa della costruzione di un nuovo cancello. Le guardie si inchinarono al passaggio del re e un ragazzo si fece avanti per prendere in custodia Ghiaccio.

Jon smontò da cavallo e si girò verso Tormund. “Voglio guardie sulle mura e davanti alle porte delle sale più importanti” comandò con voce autoritaria. “E che tutti i lord e le lady siano informati della convocazione del concilio per stasera prima di cena.”

Il grosso bruto si accarezzò la barba rossa ed incolta facendo una smorfia. “Ti piace dare ordini, eh Snow?”

Jon sorrise: almeno Tormund non aveva alcuna intenzione di chiamarlo vostra grazia, il massimo che poteva aspettarsi dai bruti era un borbottato Re Corvo.

Evitando i numerosi servitori che gli si affollavano intorno, Jon tirò dritto, conscio del fatto che Davos si sarebbe occupato dei loro problemi. Aveva voglia di vedere Sansa. Attraversò i corridoi semibui del castello e raggiunse la camera della sorella. Stranamente la porta era socchiusa ed un fascio di luce si allungava sul pavimento. Da dentro provenivano delle voci. Incuriosito, Jon si fermò ad ascoltare e riconobbe facilmente quella cristallina di Sansa.

“Non ho alcuna intenzione di ascoltarti, lord Baelish” stava dicendo e Jon strinse le labbra udendo il nome di Ditocorto: Sansa stessa l’aveva avvisato di non fidarsi di quell’uomo.

“Quello che dici è assurdo, per favore esci dalla mia stanza” stava continuando a voce più alta Sansa. Jon non poteva vedere all’interno della stanza, ma era certo che sua sorella si fosse avvicinata alla porta.

“Sansa, ascoltami” disse la voce pacata di Baelish, “capisco che tu sia sconvolta, tutto questo non sarebbe dovuto accadere, ma io…” Si sentì un rumore secco.

La voce di Sansa era carica d’ira. “Lord Baelish, esci dalla mia stanza o chiamo le guardie.” Jon non resistette oltre e spalancò di colpo la porta.

Sansa era in piedi davanti a lui con un’aria esterrefatta, i lunghi capelli rossi raccolti a treccia su una spalla, mentre Ditocorto era balzato in piedi con sguardo omicida.

“Nessuno ti ha insegnato che spiare una conversazione è cattiva educazione, vostra grazia?”

Jon si girò verso di lui. “Credo che nessuno abbia insegnato a te che minacciare una lady sia un atto ancora più maleducato, lord Baelish.”

Ditocorto stava per protestare, ma intervenne Sansa. “Non mi ha minacciata, Jon” disse riconciliante, “e poi Petyr stava andando via, non è così?”

Baelish sembrò valutare le alternative. “Ma certo mia signora” disse inchinandosi e voltandosi. All’ultimo si girò verso di Jon.

“Mio signore” sussurrò con un sogghigno prima di sparire.

Sansa tirò un sospiro di sollievo e si lasciò cadere sul letto. Jon rimase in piedi. “Che ti stava dicendo, Sansa?”

Lei si prese la testa fra le mani. “Non mi dà tregua, Jon!” esclamò con le lacrime agli occhi “Voleva che fossi io a essere nominata regina e minaccia di sottrarre al Nord i Cavalieri della Valle.”

“Sansa, ti prego sii sincera” la interruppe Jon prendendole le mani, “devo sapere se sei arrabbiata o insoddisfatta. Di' solo una parola e ti farò proclamare Regina del Nord al mio posto, è un titolo che ti spetta per nascita.”

Sansa rise. “Jon, credimi, nessuno più di te merita questo onore e io non sono pronta ad assumermi tutte quelle responsabilità” rispose convinta. “E poi è proprio questo che Ditocorto vuole, che io governi il Nord così che lui possa estendere il suo potere fin qui. Non possiamo permetterlo Jon, Baelish è pericoloso. L’ho visto uccidere mia zia a sangue freddo e non si fa scrupoli ad eliminare coloro che sono sulla sua strada. Ha complottato per uccidere Joffrey facendo ricadere la colpa su Tyrion Lannister e prima di lui aveva fatto avvelenare Jon Arryn, l’amico di nostro padre.”

Jon era disgustato: come poteva un uomo del genere aver ispirato, anche solo per un momento, la fiducia di sua sorella?

Sansa lo stava fissando. “So bene cosa stai pensando” disse con voce canzonatoria, “ma Baelish mi ha salvata, mi ha portata via da Approdo del Re, ed era l’unica persona di cui potessi fidarmi.”

Jon fece una smorfia. “Già, così fedele da venderti all’uomo che ha piantato un pugnale nel cuore di nostro fratello.”

Gli occhi di Sansa si fecero lucidi e Jon si pentì immediatamente di ciò che aveva detto. “Scusami, io non intendevo…”

“Hai ragione” lo interruppe singhiozzando Sansa, “sono stata una sciocca.” Si aggrappò alle spalle di Jon e lui l’abbracciò a disagio.

“Qualche volta lo vedo ancora” mormorò Sansa senza guardarlo negli occhi, “sono sola in una stanza con lui e grido, grido, ma non arriva nessuno. E lui ride… ti ricordi come rideva?” Jon rivide davanti agli occhi il ghigno di Ramsay quando aveva trafitto il povero Rickon con una freccia, come avesse usato suo fratello per attirarlo in una trappola, e sentì la rabbia ribollirgli nelle vene.

“Ramsay è morto” disse deciso prendendole il viso tra le mani, “è morto e non tornerà più per farti del male, Sansa.”

Lei lo fissò con angoscia. “Sai cosa mi fa paura?” gli chiese con un filo di voce “Che sia diventata come lui. Un mostro… come lui…”

Jon la scrollò dolcemente. “Non dirlo neanche per scherzo.”

Sansa iniziò a tremare. “L’ho fatto sbranare dai suoi stessi cani” disse in un soffio. Jon non ne fu stupito.

“E ho guardato” continuò disperata Sansa, “ho guardato e mi sono sentita rinascere. Ho anche sorriso, proprio come faceva lui…”

Jon comprese che sua sorella era in preda ad una crisi isterica. Si sentì terribilmente fuori posto: consolare e rincuorare non erano attività in cui eccelleva. Neanche lontanamente. Deglutì e prese fiato.

“Non importa, lui è morto e tu sei viva. Puoi continuare a vivere tra le ombre del passato o adoperarti per scrivere il tuo futuro. Tu sei la lady di Grande Inverno.” Il silenzio regnò per qualche secondo.

“Credo che mi ami” confessò infine Sansa.

“Chi?” chiese Jon colto alla sprovvista. Per un folle attimo, uno solo, aveva pensato si riferisse a Ramsay.

“Baelish” rispose Sansa, “vuole che io lo sposi così da governare insieme.”

“La Valle?” Una parte di lui conosceva già la risposta.

Sansa lo guardò addolorata. “Non solo la Valle” spiegò con amarezza, “lui vuole il Trono di Spade.” Jon rimase a bocca aperta: quali diritti poteva avere Ditocorto sul Trono di Spade?

“Inizierà col prendersi il Nord” proseguì Sansa abbassando gli occhi. “La sua tattica consiste sempre nel lasciare che gli avversari si facciano guerra da soli, per poi distruggere il vincitore. Quando mi ha consegnata ai Bolton aveva detto che Stannis avrebbe sconfitto Ramsay. Siamo stati noi a battere i Bolton, quanto credi che passerà prima che ci si ritorca contro? Abbiamo perso più di mille uomini durante la Battaglia dei Bastardi e le altre casate hanno perduto i propri soldati al seguito di Robb. Ditocorto ha i Cavalieri della Valle.”

“Tuo cugino Robin ha i Cavalieri della Valle…”

“Mio cugino Robin ha tredici anni e fa esattamente quello che Baelish gli dice di fare. Non possiamo sconfiggerlo sul campo Jon, possiamo solo essere più furbi di lui.”

Jon ebbe un senso di vertigine. Complotti, alleanze e sotterfugi non erano il suo campo; l’ultima volta che vi si era accostato, i suoi confratelli l’avevano ucciso.

“Sansa, io non so se sono capace di…”

“Devi, Jon: si tratta di sopravvivenza. Tu sei un ostacolo per Petyr Baelish e se non ti guarderai le spalle finirai ammazzato, di nuovo. Ed io sarei costretta a sposare l’assassino di mio fratello, di nuovo. Ti prego, tu sei tutto quello che mi resta della nostra famiglia, l’unica speranza per il Nord, promettimi che farai attenzione e che mi ascolterai.”

Jon le sorrise incoraggiante. “Non aver paura” le disse, nascondendo il suo turbamento, “te lo prometto. E poi, Baelish avrà anche i Cavalieri della Valle, ma io ho Spettro!”

Sansa si concesse un timido sorriso. “Spero sia sufficiente” disse alzandosi. Per una manciata di secondi rimasero fermi, a pochi centimetri l’uno dall’altra. Jon poteva percepire il fiato caldo di lei ed avvertì una sensazione sconosciuta allo stomaco. Non lascerò mai che qualcuno ti faccia del male, pensò travolto dall’emozione. Ti proteggerò finché potrò e anche oltre…

In quel momento la porta si spalancò facendoli sobbalzare entrambi. Davos era apparso sulla soglia. Aveva il fiato corto e stringeva un pezzo di pergamena.

“Vostra gra… Jon, è appena arrivato un corvo.”

Jon e Sansa si separarono. Jon sentiva le guance andargli a fuoco.

Davos sembrava imbarazzato. “Perdonami, mia signora” disse guardando Sansa. Poi si rivolse a Jon.

“Il corvo arriva da Delta delle Acque.”

Jon scattò in avanti, ma Sansa fu più rapida ed afferrò il foglio. Jon attese paziente.

Chi mai poteva scrivergli da Delta delle Acque? Il castello era ora controllato dai Frey, e quale Frey sarebbe stato così sciocco da credere in una possibile pace con gli Stark dopo gli eventi delle Nozze Rosse? Gli occhi di Sansa guizzavano rapidi sulla lettera. Presto tornò a guardare Jon, colta da una forte emozione. Gli porse la pergamena stropicciata.

“Tieni, leggila tu” lo incoraggiò con voce misteriosa. Jon prese la lettera e la dispiegò. Con una grafia incerta e disordinata vi erano buttate giù solo poche parole.

Valar Morghulis

Walder Frey è morto

Lunga vita al Re del Nord!

Jon fissò attonito il pezzo di carta, che all’improvviso acquisiva valore di documento prezioso, riflettendo sulle parole che aveva appena letto. Walder Frey, l’uomo che aveva architettato il massacro delle Nozze Rosse, l’alfiere traditore di Robb, colui che aveva causato la totale distruzione dell’esercito del Nord, era davvero morto? Chi scriveva sembrava esserne certo. Magari è il suo assassino.

Studiò la grafia, ma essa non aveva nulla di familiare. Tornò a concentrarsi sulle parole. “Cosa significa Valar Morghulis?” chiese, a nessuno in particolare. Sansa scosse la testa pensierosa.

“E’ una frase in alto valyriano” intervenne a sorpresa Davos. Jon e Sansa si voltarono stupiti.

“Shireen mi aveva detto che era una frase usata spesso da non so quale setta” spiegò lui, intristendosi al pensiero della bambina. “Significa: Tutti gli Uomini Devono Morire.

Sansa rabbrividì mentre Jon si accorse di avere le idee ancora più confuse.

“Non c’è scritto il mittente?” chiese alla fine Sansa. Jon scosse la testa, girandosi la lettera tra le mani.

All’improvviso scorse una scritta minuta sul retro del foglio. Soffocando un’esclamazione, aguzzò la vista. In una grafia più nitida e spigolosa vi era scritta una sola semplice parola.

Sansa si protese in avanti. “Allora?” chiese impaziente “Chi l’ha inviata?” Jon alzò lo sguardo.

Nessuno.”

 

Jaime

 

Le rovine del tempio di Baelor bruciavano ancora. Dalle macerie si levava un’esile colonna di fumo e i detriti invadevano le strade.

Erano passati solo pochi giorni dall’esplosione e la città viveva nel terrore. Le Cappe Dorate pattugliavano ogni vicolo di Approdo del Re, dalla Fortezza Rossa a Fondo delle Pulci, controllando che il popolo fosse docile e non incline ad altre ribellioni.

Chiunque fosse udito pronunciare frasi di scherno nei confronti della regina, fosse egli nobile o plebeo, veniva condannato a morte senza alcun processo. Le teste dei traditori venivano esposte sulle mura del palazzo, così che tutti conoscessero il destino degli insorti. Ormai erano così tante che le picche si stavano rivelando insufficienti.

Le case erano silenziose, le strade deserte. La città era morta.

 


La sala del Trono non era gremita di curiosi come un tempo; la maggior parte dei nobili era ritornata ai propri possedimenti ed i cortigiani rimasti cercavano in tutti i modi di frapporre almeno due stanze fra loro e la Regina Folle.

Perché Jaime sapeva che era così che il popolo chiamava sua sorella quando era certo di non essere ascoltato. Jaime faceva ancora fatica ad accettare quello che Cersei aveva fatto alla sua gente, ai suoi alleati. A loro figlio. Ricordava la gioia che aveva provato quando era tornato in città a seguito della sua missione nelle Terre dei Fiumi, la felicità trattenuta a stento per poter finalmente riabbracciarla. Si aspettava che avesse vinto il processo con facilità e che fosse giunta ad accordi diplomatici con i Tyrell. Credeva che si fosse riappacificata con lo zio Kevan e che avesse rafforzato la presa di Tommen sul Trono. E invece trovava i Tyrell sterminati, suo figlio morto ed il Tempio in preda all’Altofuoco.

Quando Jaime aveva visto sua sorella salire i gradini e sedersi sul Trono di Spade, aveva creduto di rivivere i giorni della Ribellione. All’epoca aveva ucciso Aerys Targaryen per evitare che consumasse l’intera città con l’Altofuoco che l’ossessionava.

Se fossi arrivato in tempo, avrei avuto la forza di uccidere Cersei per la medesima ragione? Quel pensiero lo tormentava, gli toglieva il sonno. Cersei non aveva versato una lacrima per la morte del suo ultimo figlio.

Si è suicidato, pensava sconvolto Jaime. Il suo… il nostro bambino si è buttato da una finestra perché sua madre ha distrutto tutto ciò che amava.

Per la prima volta Jaime si era ritrovato a pensare a Margaery Tyrell, a quanto Tommen avesse dovuto amarla per togliersi la vita alla sua morte. Un amore ingenuo. Ma aveva avuto conseguenze catastrofiche. E Cersei odiava Margaery. Odiava che avesse occupato il suo posto nel cuore di Tommen, odiava che fosse diventata regina. Così l’aveva eliminata insieme a suo fratello, suo padre e l’Alto Passero.

Jaime si accorse che sua sorella si era alzata dal Trono venendogli incontro. E’ ancora più bella di quando l’avevo lasciata.

Cersei lo fissò con i suoi occhi spietati. “Mi sembra che l’etichetta preveda che ci si inchini al cospetto della propria regina.”

Jaime la fissò interdetto e tentò un sorriso. "Io sono tuo fratello."

Lei rimase impassibile. “Come posso sperare di incutere rispetto se neanche mio fratello omaggia il mio ruolo?” chiese inclinando leggermente il capo.

Tu incuti terrore, non rispetto dolce sorella. “Come desideri, vostra grazia.” Jaime accennò un inchino.

Cersei parve soddisfatta. “Molto bene” disse, ora con voce più rilassata, “abbiamo alcune questioni importanti da discutere. Fatti trovare nelle stanze del Primo Cavaliere tra cinque minuti.”

Jaime non ne fu sorpreso. “Convochi il Concilio Ristretto?”

Cersei lo fissò a lungo. “Non abbiamo un Gran Maestro” rispose con un sibilo, “non abbiamo un Mastro della Flotta, né un Capo delle Spie o un Mastro del Conio. Abbiamo solo un Primo Cavaliere. Ti sembra forse un Concilio Ristretto?” Senza dargli il tempo di rispondere, Cersei si voltò allontanandosi. Jaime rimase fermo al suo posto.

Poi, lentamente, si avviò verso la scalinata infinita che portava alla Torre del Primo Cavaliere. Arrivato in cima si guardò intorno. Qyburn non aveva cambiato quasi per nulla l’arredamento e gli stemmi dei Lannister erano rimasti. Jaime si sentì invaso dalla tristezza.

Questa era la stanza di mio padre. In quella stanza Tywin Lannister aveva ideato i piani che avevano portato alla morte di Robb Stark e all’alleanza con i Martell di Dorne.

Prima che Tyrion lo uccidesse.

Non riusciva ancora a perdonarsi per aver liberato quel mostriciattolo. Sono stato uno sciocco, si disse. Nostro padre odiava Tyrion e Tyrion odiava nostro padre. Quello che è accaduto era inevitabile. Si ricordò che quella era stata anche la camera di Tyrion e non riuscì a reprimere un sorriso. Come doveva essere buffo mentre impartiva ordini a uomini alti il doppio di lui, mi sarebbe piaciuto vederlo. Tyrion era riuscito a salvare la città dall’assedio di Stannis e anche lui era ricorso all’Altofuoco. 

Cersei e Tyrion potrebbero andare d’accordo più di quanto credano.

In quel momento la porta si spalancò e Cersei entrò, seguita da Qyburn e dall’immancabile ser Gregor Clegane. Jaime sentì un brivido percorrergli la schiena alla vista della Montagna. Ricordava bene come quel mostro avesse fatto esplodere a mani nude la testa di Oberyn Martell durante il processo di Tyrion. Ma Cersei si fidava di lui e Jaime non aveva mai trovato argomentazioni che la convincessero.

Presero posto al lungo tavolo di mogano. Jaime si chiese quante persone fossero passate per quella stanza, sedendo allo stesso tavolo. E dov’erano ora? Renly Baratheon era morto, Pycelle era morto, Mace Tyrell era morto, Varys e Ditocorto erano scomparsi e Tyrion era fuggito.

Cersei si schiarì la voce. “Molto bene” esordì, “secondo i rapporti, in città è tornata la pace.”

E’ tornata la paura vorrai dire. Jaime cambiò posizione sulla sedia.

“Tuttavia nel mio regno ci sono ancora ribelli che cospirano contro di me.”

Jaime riuscì a stento a trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo. Tutti cospirano contro di te, dolce sorella, pensò esasperato. Dopo quello che hai fatto.

“Qyburn? Puoi metterci al corrente delle novità?” chiese Cersei.

Qyburn fece un cenno ossequioso con la testa. “Dal Sud arrivano notizie allarmanti: Dorne e l’Altopiano sono in aperta rivolta.”

“Mi sembra naturale” disse annoiato Jaime, “dopo la fine di Oberyn e dei Tyrell.” Cersei lo fulminò con lo sguardo.

“Pare che le Serpi delle Sabbie abbiano stretto un’alleanza con lady Olenna” continuò Qyburn.

“Quella megera si è allontanata dalla capitale prima dell’esplosione” disse Cersei stringendo il pugno.

“E le Serpi delle Sabbie hanno ucciso Myrcella” terminò Jaime per lei. Il ricordo di Myrcella bruciava ancora, il sangue che le colava dal naso mentre gli confessava di aver sempre saputo chi fosse veramente suo padre.

“Dalle Terre dei Fiumi ci è giunta voce della morte di Walder Frey” proseguì Qyburn “e del suo erede diretto.”

Questa notizia stupì Jaime. “Ho visto Walder Frey poco più di una settimana fa e stava benone” osservò, “come è potuto morire?”

Qyburn lo fissò. “L’hanno trovato con la gola squarciata, mio signore, pare che qualcuno gli abbia anche servito i suoi figli in pasto.” Jaime sentì lo stomaco rivoltarsi. “Indizi per scovare l’assassino?” chiese Cersei. Qyburn scosse la testa. “Nessuno” rispose, “sembra essersi volatilizzato.”

Cersei sospirò. “Walder Frey era il nostro principale alleato” osservò con calma, “dobbiamo essere certi che le Torri Gemelle e Delta delle Acque siano dalla nostra parte.” Poi si rivolse a Qyburn. “Invia un corvo e scrivi che per ordine della regina il nuovo lord del Tridente dovrà portare il suo esercito e ciò che resta di quello dei Tully nella capitale. E voglio anche Edmure Tully e suo figlio morti: non desidero complicazioni.”

Jaime sentì un nodo alla gola. “Edmure è prigioniero dei Frey” disse guardando sua sorella, “non rappresenta un pericolo.” Cersei lo fissò. “Non mi interessa quanto tu sia diventato suo amico” disse freddamente, “ho preso la mia decisone.”

Jaime abbassò la testa. Quando aveva parlato con Edmure gli aveva detto che l’unica cosa che contava sul serio per lui era l’amore di Cersei, ma era ancora così? Gli avevo promesso che avrebbe visto suo figlio, pensò sentendosi invadere da un’inspiegabile tristezza. Sono riuscito a prendere Delta delle Acque senza usare la violenza, ma non è servito a nulla.

Qyburn stava proseguendo. “Le notizie più straordinarie arrivano dal Nord, pare che gli Stark abbiano ripreso Grande Inverno.” Jaime quasi si strangolò con la sua stessa saliva e anche il viso di Cersei tradì lo stupore.

“Gli Stark sono tutti morti” disse la regina con voce atona.

“Mi dispiace, mia signora, ma devo contraddirti.” Jaime vide la rabbia stravolgere i lineamenti di sua sorella.

“Sansa” sibilò lei tra i denti. Qyburn annuì.

Jaime fissò il pavimento. Cersei credeva ancora che Tyrion e Sansa avessero complottato insieme per uccidere Joffrey, ma lui sapeva che la verità era diversa.

“Come ha potuto quella puttana riprendersi da sola il Nord?” stava urlando Cersei.

“Non era sola, vostra grazia, è stata aiutata da Jon Snow, il figlio bastardo di Ned Stark.”

Calò il silenzio. Jaime non sapeva se era peggiore la notizia che un nemico avesse ripreso il controllo del Nord o che esistessero Stark ancora vivi dopo lo sterminio che avevano subìto.

“Jon Snow era nei Guardiani della Notte” osservò Cersei, “dunque è un disertore. Sarebbe dovuto essere condannato a morte.” Qyburn si agitò a disagio. “Secondo i racconti che arrivano, Snow è stato ucciso alla Barriera dai suoi confratelli e poi riportato in vita dalla strega rossa di Stannis.”

Cersei scoppiò a ridere. “E il Nord crede ad una sciocchezza simile?” chiese divertita. “Evidentemente sì” continuò Qyburn, “perché l’hanno nominato Re del Nord.” Cersei scattò in piedi furiosa.

“Come osano? Non gli basta la morte di Robb Stark? Nessun regno può essere indipendente, dobbiamo intervenire subito e costringere il Nord in ginocchio. Non dispongono neanche di un esercito…”

“Dolce sorella” intervenne Jaime, “i Bolton avevano seimila uomini, credi davvero che Snow sia riuscito a cacciarli senza un esercito?” 

“Ser Jaime ha ragione mia signora” spiegò Qyburn, “da quanto i miei uccellini mi hanno riferito Snow ha attaccato Bolton con un esercito di circa duemila uomini.”

Cersei rimase a bocca aperta. “E dove li ha trovati?” chiese esterrefatta.

“Erano bruti, mia signora.”

Cersei si rimise a sedere. “Bruti…” ripeté “Non ci posso credere.” Jaime non poté non provare un moto di ammirazione per Jon Snow che era riuscito a convincere quei selvaggi a combattere per lui. In ogni caso i conti non tornavano.

“D’accordo, Snow aveva duemila bruti” concesse Jaime, “ma come diavolo ha fatto a sconfiggere seimila Bolton?”

Qyburn lanciò un’occhiata alla regina. “Perché il suo esercito è stato supportato dai Cavalieri della Valle.” Fece una pausa. “Guidati da Ditocorto.”

Calò nuovamente il silenzio. “Ditocorto mi aveva promesso la testa di Sansa Stark su una picca” sibilò Cersei, “e ora l’aiuta a riprendersi il suo castello?!” Qyburn abbassò lo sguardo. “Così pare.”

“JAIME!” tuonò Cersei “Parti immediatamente per il Nord. Raduna il nostro esercito e quello delle Terre dei Fiumi. Sconfiggi quei selvaggi e brucia ogni villaggio in cui ti imbatterai. Voglio Sansa, Snow e Baelish morti e voglio Grande Inverno distrutto definitivamente.” Jaime non rispose.

“Io ve lo sconsiglio vostra grazia” si intromise Qyburn, “presto avrete bisogno di tutto il sostegno possibile. Qui, nella capitale.” Jaime e Cersei lo fissarono.

“E’ arrivata una lettera da Pyke” continuò Qyburn, “da parte di Euron Greyjoy, nuovo Re delle Isole di Ferro.”

Jaime sbuffò. “C’è qualcuno nei Sette Regni che non stia giocando a fare il re?”

Qyburn lo ignorò. “Ha inquietanti novità, vostra grazia: scrive che Daenerys Targaryen ha lasciato Meeren e che sta navigando verso Approdo del Re. Ha stretto un’alleanza con le Serpi delle Sabbie e lady Olenna. E’ al comando di ottomila Immacolati e di un numero imprecisato di guerrieri Dhotraki. Inoltre ha tre draghi che, stando ad Euron, sono diventati enormi. Viene per il Trono di Spade.” Jaime guardò sua sorella. Cersei sedeva impassibile.

“Vai avanti, Qyburn.”

“Dice che Daenerys abbia scelto come Primo Cavaliere vostro fratello, Tyrion Lannister.”

Vi fu un rumore sordo. La sedia di Cersei era stata scaraventata all’indietro.

“E’ ANCORA VIVO?!”

Jaime ne ebbe paura. “Cersei, calmati” le disse alzandosi.

“Ha ucciso nostro padre!” gridò lei rossa in viso “Ha ucciso nostro figlio!” Jaime sbiancò. Si voltò verso Qyburn e notò con sollievo che non era per nulla sconvolto dalla rivelazione. In fondo tutto il mondo lo sa ormai. Tyrion non aveva ucciso Joffrey, questo Jaime lo sapeva, ma non aveva il coraggio di dirlo.

“Vostra grazia, non agitarti” intervenne con voce di miele Qyburn, “non tutto è perduto. Questo Euron ti ha proposto un’alleanza contro la Regina dei Draghi, dice che la sua flotta potrà attaccarla dal mare.”

Cersei riprese il controllo. “Quante navi possiede?” chiese raccogliendo la sedia.

“Scrive mille navi, ma non so se sia attendibile. Chiede altri soldati.”

Cersei annuì. “Molto bene” decretò, “rispondi che avrà oro a sufficienza per assoldare mercenari del Continente Orientale. Pirati, contrabbandieri, tagliagole, va bene qualsiasi uomo che sappia rimanere fedele a colui che lo paga.”

“Sarà fatto, mia signora” annuì Qyburn, “ma vi è un’altra sua richiesta. Che possa venire ricompensato con terre e titoli nel Sud.” Jaime ne fu sorpreso: gli Uomini di Ferro di solito sono molto affezionati alla patria. “Accordato” acconsentì Cersei.

“Per quanto riguarda il Nord la faccenda si complica" disse poi. "Che questo Re del Nord riceva una nostra lettera. Può sottomettersi e appoggiarci in battaglia oppure essere distrutto.”

“E credi che appoggerà te dopo quello che abbiamo fatto alla sua famiglia?” chiese ironico Jaime.

“Vostra grazia, il Nord potrebbe fare la differenza fra vittoria e sconfitta” osservò Qyburn, “dobbiamo garantirci la sua alleanza prima che la ottenga Daenerys Targaryen.”

Cersei scoppiò a ridere. “Il giorno in cui un lupo si unirà ad un drago finirà il mondo. In ogni caso, scriverò la lettera io stessa, vedrò se aggiungere la possibilità di ricompense oppure no.” Si alzò in piedi. “La riunione è terminata, potete andare.”

Qyburn si inchinò ed uscì. Jaime cercò di trattenere sua sorella. “Cersei, ti vorrei parlare…”

Lei lo fissò con sufficienza. “Ora non ho tempo, Jaime” disse dirigendosi verso la porta, “credo che questa città si debba preparare ad un altro assedio.”

Jaime si morse un labbro. “Cersei, io…”

“Buona giornata, ser Jaime” tagliò corto lei scostandolo bruscamente ed uscendo seguita subito dalla Montagna.

Rimasto solo Jaime si prese la testa tra le mani. Il freddo dell’oro lo colpì come un pungo: ancora non si era abituato bene a quella mutilazione. Una brezza leggera gli accarezzò la testa e Jaime cadde vittima dei ricordi. Intorno a lui rimase solo il silenzio.

 

Sansa

 

Le finestre della Sala Grande erano appannate e la poca luce che filtrava era di colore grigio cenere.

Sansa diede disposizioni di accendere le candele e di preparare le panche. Tirò fuori dalla sacca un enorme arazzo candido. Al centro vi era raffigurato un meta-lupo grigio con il pelo arruffato ed i denti digrignati. Gli uomini dei Bolton l’avevano strappato, ma Sansa aveva lavorato sodo per ricucirlo. Il lavoro era stato eseguito con grande maestria e quasi non si notava la differenza dei tessuti e dei fili utilizzati. Sansa appese l’arazzo al muro principale, osservandolo soddisfatta.

Fece scivolare un dito lungo le parole del loro motto, ricamate in lettere argentee, e si chiese se suo fratello avrebbe voluto invertire i colori del loro stemma. In passato i Blackfyre avevano scelto come simbolo un drago nero su sfondo rosso, l’opposto del drago rosso su sfondo nero dei Targaryen. Jon avrebbe preferito un lupo bianco?

Sansa si rese conto che si stava soffermando su pensieri piuttosto futili, così si recò nelle cucine per dare disposizioni per la cena. Quando Ramsay aveva dato alle fiamme Grande Inverno tutti i suoi abitanti erano stati sterminati. I nuovi inservienti provenivano quindi da Forte Terrore, da Ultimo Focolare o Moat Cailin e Sansa non li conosceva. Tuttavia erano gentili e soprattutto felici della fine della tirannia dei Bolton.

Risalendo le scale Sansa quasi si scontrò con Tormund, che si precipitava verso l’armeria. Il grosso bruto borbottò una scusa facendosi da parte.

“Cos’è successo?” chiese Sansa salendo un altro gradino.

“Mi sono dimenticato di avvertire gli anziani del concilio di stasera... Ti prego, mia signora, non dirlo a Jon, altrimenti poi fa fare tutto solo a Davos.”

Sansa represse una risata. “Va bene” acconsentì ammiccando complice. Tormund provò un goffo inchino e si dileguò.

Sansa continuò a salire immersa nei suoi pensieri. Il concilio sarebbe incominciato di lì a breve e lei si doveva ancora cambiare. Entrò nella sua camera, licenziò le ancelle e si sedette alla toilette. Quel mobile era appartenuto a sua madre e Sansa dovette trattenere le lacrime al ricordo di come Catelyn le permettesse di acconciarle i capelli mentre le cantava una ninnananna. Sansa si guardò allo specchio. Poi afferrò la spazzola e sciolse i lunghi capelli rosso fuoco, che le ricaddero sulle spalle. Iniziò ad intrecciarli, sistemando le ciocche ribelli dietro le orecchie. Poi scelse un abito blu scuro con ricami d’argento che imitavano dei fiori primaverili. Infine chiuse il fermaglio del mantello e si preparò ad uscire.

La Sala Grande era gremita di gente e i lord rumorosi si scontravano per i seggi migliori. Davos Seaworth era già arrivato ed aveva preso il suo posto a sinistra del trono di legno riservato a Jon. Sansa strinse le labbra: non amava ser Davos e la sua franchezza, ma Jon le aveva raccontato come fosse stato lui a convincere Melisandre a riportarlo in vita. Dovrei essergli grata. A Sansa spettava la sedia a destra del trono.

Tra la folla che aveva davanti riconobbe solo i volti dei lord presenti all’acclamazione di Jon. Tra tutti spiccava la piccola Lyanna Mormont, che a soli dieci anni era riuscita ad ottenere il posto migliore sbaragliando un’orda di nobili signori assetati di sangue. Sansa sorrise: lady Mormont rappresentava tutto quello che lei non era mai stata.

Il Re del Nord era in ritardo e Davos si protese verso Sansa. “Mia signora, quale lady di Grande Inverno potresti fare un discorso introduttivo. Spiegare i problemi che affronteremo, per esempio.”

Se li sapessi. Sansa rimase in silenzio.

Entrò anche Ditocorto e Sansa fece l’impossibile per non doverlo guardare. La sala era affollata e Sansa pensò che almeno Petyr Baelish si sarebbe dovuto accontentare di un posto in fondo, ma immediatamente lord Royce si alzò lasciando il suo seggio a Ditocorto. Sansa fece una smorfia. Perfetto, ora è in prima fila.

Finalmente Jon fece il suo ingresso facendo cessare all’istante la confusione. Il Re del Nord avanzò seguito da Tormund ed un gruppo di anziani bruti e da Spettro, che si accucciò ai piedi del suo padrone. Jon indossava un farsetto marrone ed aveva i capelli legati all’indietro come usava portarli dalla sua risurrezione. Sorrise nervosamente a Sansa e diede il benvenuto alla platea.

Immediatamente esplosero mille voci che inneggiavano al Re del Nord e Jon fu costretto ad urlare più forte per sovrastarle. “Lo amano” si accorse Sansa, “proprio come amavano nostro padre.” Invece di sentirsi trascurata, si scoprì emozionata e soddisfatta. Notò che Baelish era rimasto in silenzio. Finalmente tornò la calma.

“Siete stati convocati per discutere dei pericoli che minacciano il Nord che, ahimè, non sono pochi” iniziò Jon con voce profonda. Alcuni lord bofonchiarono tra loro.

“Presto ci sarà una guerra per il Trono di Spade” spiegò Jon poggiando le mani sul tavolo, “e io chiedo a voi cosa ne pensate.” Si scatenò l’inferno.

“Non ce ne frega un cazzo di quello che succede al Sud!”

“Noi abbiamo già il nostro re, perché mai dovremmo curarci della battaglia di qualcun altro?”

“Che si uccidano pure fra loro!” Molti risero.

Jon sbatté un pugno sul tavolo e tutti si zittirono. “Non è la battaglia di qualcun altro” disse facendo scorrere lo sguardo sui presenti, “perché quando il vincitore si accorgerà che il Nord è di nuovo unito verrà a distruggerci, a sottometterci, e noi non possiamo permetterlo.” Tutti i lord lo fissavano come ipnotizzati. Sansa dovette riconoscere che suo fratello aveva abilità oratorie nascoste.

“Cersei Lannister, la donna che di fatto ha condannato a morte nostro padre, siede sul Trono di Spade” continuò Jon, “ed oggi pomeriggio ci è giunta una sua lettera.” Fece segno a Davos di leggerla.

A Jon Snow, che si fa chiamare Re del Nord. Westeros riconosce una sola regina, che non tollera i traditori. Recati da solo nella capitale, inginocchiati e giurami fedeltà e io ti prometto clemenza. Saremo alleati contro coloro che minacciano il mio regno. Rifiutati e io marcerò a Nord ed ucciderò tutti coloro che ti sono fedeli, a cominciare da quella puttana di tua sorella. Scegli bene Snow, ricorda quale fine hanno fatto i traditori come tuo padre e tuo fratello. Cersei Lannister, prima del suo nome, regina degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, protettrice del Reame.”

Il silenzio regnò per qualche secondo, poi tutti ripresero a parlare contemporaneamente.

“Non ci inginocchieremo mai più ad un re del Sud!” urlò lord Cerwyn “Specialmente se è un Lannister.” Molti gridarono la loro approvazione.

“Ha minacciato il nostro re ed insultato la nostra lady” continuò lord Glover.

Sansa sedeva in silenzio, stordita da tutto quel chiasso. Cersei mi odia ancora, pensò lisciando le pieghe del vestito. Ma mai quanto io odio lei, specialmente dopo quello che ha fatto a Margaery. Quando qualche giorno prima il corvo aveva recato la notizia della morte della reginetta, Sansa aveva pianto lacrime amare. Margaery era stata l’unica amica che aveva avuto ad Approdo del Re, l’unica persona che avrebbe voluto aiutarla senza nascondere secondi fini.

Jon riprese la parola. “Cersei non è l’unico problema” disse con voce spenta, “Daenerys Targaryen sta navigando verso la capitale ed ha un esercito impressionante.”

“Chi vincerà tra Daenerys e Cersei?” chiese la piccola Lyanna Mormont.

“Secondo i calcoli Daenerys Targaryen dovrebbe farcela senza troppi problemi” rispose Davos. I mormorii ricominciarono. “Un Targaryen sul Trono di Spade?” chiese disgustato lord Glover “Dopo quello che il Re Folle ha fatto a lord Rickard e a suo figlio Brandon non possiamo accettarlo.”

“E non possiamo neanche opporci” intervenne Jon, “Daenerys ha tre draghi.” Vi furono esclamazioni di sorpresa. “Allora le storie sono vere!” osservò lord Manderly.

Jon annuì. “La faccenda è delicata” spiegò, “se non interveniamo, saremo considerati dei traditori da entrambe le fazioni, ma se entriamo in guerra non potremo difenderci dal vero nemico.”

“Ma se Daenerys vincerà, potrà distruggere l’intero Nord con il fuoco dei draghi” fece notare Sansa. Jon si voltò a guardarla. “Hai ragione” ammise, “ma io dico che non dovremmo entrare in guerra, non ancora almeno.” Tutti i presenti ruggirono frasi di approvazione. Jon guardò Tormund, che annuì.

“Come molti di voi già sapranno, i bruti ed i Guardiani della Notte si sono scontrati con creature che ritenevamo frutto di fantasia.” Jon fece una pausa. “Gli Estranei.”

“Sono solo favole!” intervenne lord Cerwyn. “Lo credevo anch’io, prima che un morto con gli occhi blu cercasse di uccidere Jeor Mormont” ribatté Jon. “Ad Aspra Dimora io e Tormund abbiamo visto il loro esercito. Hanno più di centomila non-morti ed ogni caduto delle nostre fila va ad ingrossare le loro. Solo il fuoco può fermarli.”

“E cosa uccide gli Estranei?” chiese lord Manderly. Jon sospirò. “Gli Estranei hanno delle spade di ghiaccio che distruggono qualsiasi nostra arma tranne le spade d’acciaio di Valyria. Adesso vi chiedo, quante famiglie possiedono ancora un’arma in acciaio di Valyria?”

“Mio zio ne aveva una” intervenne Lyanna Mormont, “era di mio cugino Jorah prima che tradisse la famiglia. Ora non so dove sia.”

Jon sorrise. “Eccola!” esclamò sfoderando Lungo Artiglio “Tuo zio me l’ha donata dopo che gli ebbi salvato la vita.” Lady Mormont annuì soddisfatta.

“Joffrey aveva una spada di acciaio di Valyria” disse Sansa ricordando Lamento di Vedova, “ma non ho idea di dove sia finita.”

“Quella spada fu forgiata con l’acciaio di Ghiaccio, la spada di Ned Stark” intervenne Ditocorto. “Tywin Lannister la fece fondere e ne ricavò due spade, quella di Joffrey e quella di Jaime.” La sala si riempì di urla di indignazione e Sansa notò che anche Jon aveva stretto i pugni con rabbia.

“Non c’è un altro modo per uccidere gli Estranei?” chiese infine lord Glover. Jon abbassò lo sguardo.

“Vetro di Drago, ma è andato tutto perduto” rispose Tormund. “Stannis diceva sempre che Roccia del Drago è piena di quella roba” intervenne Davos, “potrebbe essere recuperato.” Jon annuì, rimanendo pensieroso per qualche secondo.

“Benissimo” decise infine. “Ser Davos Seaworth, ti incarico di recarti a Roccia del Drago con una scorta di cinquanta uomini. Partirai tra una settimana, quando avremo definito il viaggio. Com’è la situazione lì?”

“Stannis non ha lasciato una guarnigione: è deserta.”

Sansa pensò che quella missione sarebbe potuta risultare pericolosa, ma non disse nulla.

“Perfetto” proseguì quindi Jon, “adesso dovremmo parlare della Barriera. Essa è tutto ciò che ci separa dagli Estranei, ma i Guardiani della Notte non possono più difenderla. Sono rimasti in meno di trenta ed il Lord Comandante Edd mi supplica di inviare altri uomini. Noi dobbiamo aiutarli, so che non vi piacerà miei lord, ma ho deciso di mandare una guarnigione alla Barriera.” Ci furono mormorii sorpresi.

“L’inverno è arrivato” osservò lord Cerwyn, “non è possibile effettuare un tale viaggio.” 

“Non costringerò nessuno” puntualizzò Jon, “ma mi aspetto che ogni lord onorevole trovi dei volontari. Tormund ha già offerto di inviare duecento bruti.” Gli altri lord si misero a parlottare fra loro. Sansa ritenne che Jon fosse stato molto abile a far leva sull’onore, in modo da ottenere il suo scopo senza imposizioni. Alla fine si decisero i numeri da inviare e Jon ringraziò tutti.

“C’è ancora una questione di cui vorrei discutere” si intromise lord Baelish. Sansa si sentì stringere lo stomaco. “Riguarda la sicurezza di lady Stark” continuò Ditocorto, “chiedo il permesso di portarla al sicuro nella Valle, così che possa ricongiungersi con suo cugino, lord Robin Arryn.” Sansa avrebbe voluto urlare: era appena riuscita a tornare a casa e quell’uomo voleva già portarla via? Guardò Jon e con sollievo si accorse che aveva un’aria disgustata.

“Sono desolato, lord Baelish, ma lady Stark resterà al mio fianco, nel luogo a cui appartiene, fino a quando non esprimerà un desiderio differente.”

“E per quanto credi di poterla proteggere, vostra grazia? Prima o poi dovrà risposarsi e si dà il caso che suo cugino sia il miglior partito disponibile.” Sansa stava tremando di rabbia repressa.

“Credi sul serio che farei sposare di nuovo mia sorella senza il suo consenso dopo tutto quello che ha passato con Ramsay?” chiese Jon alzandosi in piedi “Credi veramente che l’affiderei nuovamente all’uomo che l’ha consegnata ai Bolton?”

Baelish sorrise. “Attenzione, vostra grazia” disse con voce suadente, “ricordati che sono stato io a portare i Cavalieri della Valle in vostro aiuto. Senza di me sareste tutti morti. E se io negassi il mio appoggio alla vostra causa…” Lasciò la frase incompiuta.

“Mi stai forse minacciando?” chiese Jon, faticando ora a trattenere l’ira.

“Ti sto solo dando un consiglio” sussurrò Ditocorto con aria innocente, “non vorrei che ti capitasse qualcosa di spiacevole… vostra grazia.” Jon fece per sfoderare la spada, ma Davos lo fermò in tempo. Jon dissimulò il gesto aggiustando la cintura. Spettro sollevò la testa minaccioso. Tutti i presenti erano ammutoliti e Sansa poteva sentire il suo cuore batterle forte in petto.

“Che sciocco!” esclamò alla fine lord Manderly per cambiare discorso “Dobbiamo ancora decidere la data della festa d’incoronazione. Le mie nipoti non vedono l’ora di conoscerti, vostra grazia.” La tensione scomparve in un secondo. Tormund scoppiò a ridere ed i lord iniziarono a proporre alternative. Tutti volevano avere la possibilità di tornare a casa a prendere la propria famiglia, così si optò per un banchetto tre giorni dopo. Sansa si sforzò di sorridere mentre la sala intorno a lei si svuotava. Jon uscì per primo, correndo fuori ancora furioso. Davos, Tormund e gli altri lord lo seguirono.

Alla fine Sansa si accorse di essere rimasta sola con Ditocorto. Lui le si avvicinò abbottonandosi la giacca. Sansa capì di non poterlo ignorare, così l’affrontò. “Così volevi portarmi nella Valle?” chiese in tono di sfida “Perché?”

“E’ il posto più sicuro per te” rispose Baelish sedendole accanto.

“O forse perché così tu avresti potuto complottare senza intralci qui a Grande Inverno per spodestare mio fratello.”

“Fratellastro” replicò lui e Sansa si chiese quante volte lei stessa aveva fatto quella correzione ad Arya, “e sappiamo che dovresti essere tu la regina, non quel bastardo…”

Sansa scattò in piedi allontanandolo con violenza. “Non parlare di mio fratello a quel modo” sibilò irata, “lui mi ha soccorso alla Barriera, lui mi ha accompagnato a parlare con le altre casate del Nord, lui ha combattuto contro Ramsay. Tu non hai fatto nulla più che mettere a disposizione l’esercito di qualcun altro.”

“Ma quell’esercito è stato determinante” osservò Baelish. “Sansa, tu non sei sciocca come tuo fratello, sai che non è conveniente farsi nemici potenti. Tutto ciò che ti ho dato posso riprendermelo in qualsiasi momento, ricordalo. E poi si sa…” Ditocorto si avviò verso l’uscita, per poi voltarsi all’ultimo con un ghigno sul volto.

“Valar Morghulis.”

 

Arya

 

Il castello era in agitazione. I suoi corridoi erano percorsi da domestici frettolosi e dalla sala da pranzo proveniva il vociare alto dei lord.

La notizia della morte di Walder Frey si era sparsa rapidamente ed i suoi numerosi figli e nipoti si accapigliavano per la successione. I figli legittimi venivano messi da parte dai bastardi, i figli maggiori da quelli minori ed i nipoti pretendevano di partecipare alla spartizione dell’eredità. I loro litigi scossero le Torri Gemelle, le loro urla incresparono le acque della Forca Verde.

Verso mezzanotte l’accordo sembrava ben lontano dal nascere, quando un altro urlo, di natura diversa, squarciò le tenebre.

“Il prigioniero è fuggito!” gridavano le sentinelle “Edmure Tully è scomparso!”

 


Delta delle Acque non era come l’aveva sempre immaginata. Arya si era aspettata un castello minaccioso arroccato su una rupe e circondato da acque impetuose, e invece si trovava davanti una romantica fortezza coperta d’erica e languidamente accarezzata dal fiume. Arya sbuffò: quello era il genere di castello che sarebbe piaciuto a Sansa, non a lei.

Si voltò verso suo zio, che le cavalcava affianco. Era ancora sconvolto dalle brusche novità e i suoi occhi erano sgranati e circondati da occhiaie profonde.

Liberarlo era stato molto più facile di quanto aveva pensato. Dopo aver ucciso Walder Frey, Arya aveva indossato il volto di un’altra servetta, piuttosto brutta questa volta, ed era sgattaiolata nelle segrete. I figli di Frey erano troppo impegnati a discutere e le guardie troppo ubriache per accorgersi di lei. Per sicurezza aveva tagliato comunque una gola o due prima di raggiungere la cella di Edmure. Lui non l’aveva ovviamente riconosciuta e Arya aveva dovuto trascorrere una buona manciata di minuti a rievocare lieti ricordi di una bambina capricciosa dai lunghi capelli scuri che Sansa chiamava Arya-faccia-di-cavallo. Da lì ad aprire la porta della cella con una chiave rubata, uccidere il mastro dei cavalli, trovare due destrieri e fuggire, il passo fu breve. Non furono nemmeno inseguiti.

Edmure le aveva detto che ciò che restava delle forze dei Tully si trovava a Delta delle Acque, così si erano diretti in quella direzione, scendendo verso sud. Suo zio le aveva anche raccontato delle terribili Nozze Rosse, di come Jaime Lannister l’avesse costretto a cedere il castello, e della morte di Brynden Tully, il Pesce Nero.

Quando Arya chiese chi l’avesse ucciso, Edmure rispose che non ne aveva idea.

Peccato, pensò Arya sbuffando. Niente nome nuovo per la mia lista. Sulla sua lista dell’odio, dopo aver cancellato Walder Frey, rimanevano solo due nomi, entrambi inaccessibili: Cersei Lannister e Gregor Clegane. Arya aveva saputo che la prima era stata incoronata regina e che il secondo era diventato la sua guardia del corpo personale. Una parte di lei avrebbe voluto raggiungere Approdo del Re per eliminare anche gli ultimi due nomi, ma la voglia di ritornare a casa aveva avuto la meglio.

A Delta delle Acque Edmure era rapidamente entrato in sintonia con il suo ruolo di lord ed aveva lanciato un ultimatum ai Frey, intimando loro di arrendersi. Arya trascorreva le giornate gironzolando per le stanze, allenandosi con Ago e attendendo notizie dal Nord.

Finalmente Edmure la convocò nel suo studio. “E’ arrivato un corvo da Grande Inverno” esordì, invitandola a sedere. Aveva un viso raggiante ed era evidente che le novità fossero positive. “Tua sorella e tuo fratello hanno sconfitto i Bolton e ripreso il vostro castello.”

Arya fece fatica a nascondere lo stupore. Sansa? pensò tra il sollevato e il divertito. Quindi è ancora viva? Come ha fatto a tornare al Nord e a trovare un esercito?

Quale mio fratello?” chiese curiosa “Da quanto sapevo Bran e Rickon erano morti.” Edmure divenne scuro in volto.

“Di Bran non si hanno più notizie da quando Theon Greyjoy ha preso Grande Inverno” spiegò, improvvisamente triste, “e Rickon è stato ucciso da Ramsay Bolton durante la Battaglia.”

Arya sentì una parte di lei abbandonarla. La sua mente si riempì di immagini di Bran e Rickon sorridenti tra le braccia di Catelyn, che correvano nel Parco degli Dei, che giocavano a fare i cavalieri. Rickon i cui occhi si illuminavano ogni volta che voleva un dolcetto, Bran che sorrideva gentile a tutti e tutto. Gregor Clegane, Cersei Lannister, Ramsay Bolton. Ripeté mentalmente stringendo i pugni e trattenendo le lacrime. Vi fu una pausa.

“E’ stato Jon Snow a riprendere Grande Inverno.”

Arya sollevò la testa di scatto non credendo alle proprie orecchie. “Il mio fratellone?” chiese eccitata “Ne sei proprio sicuro, zio?” Edmure annuì.

Arya faticò a restare lucida: in quel momento invidiava la posizione di Sansa, che era già riuscita a riabbracciarlo. Non ci credo, non ci credo, pensò euforica. Jon ha finalmente lasciato la Barriera! Chissà se mi riconoscerà… Si passò una mano tra i capelli che stavano lentamente ricrescendo.

Sì, sì, mi riconoscerà, deve farlo.

Edmure dovette accorgersi della sua felicità perché sorrise. “Le notizie che giungono dal Nord sono sempre frammentate” spiegò con calma, “ma sembra proprio che Ramsay sia stato ucciso.”

“Spero solo sia stata una morte molto dolorosa” aggiunse Arya con voce roca. “Un nome in meno per la mia lista.” Edmure la fissò interdetto: probabilmente non si era ancora abituato a questa nuova versione di nipote.

“Devo partire immediatamente per il Nord” esclamò Arya saltando in piedi.

“Calma, calma” la interruppe lo zio, “Scriverò a Jon e gli dirò di inviare una scorta a prenderti. Ti cederei volentieri i miei uomini, ma non ne ho nemmeno sufficienti per tenere questo castello e non posso sapere se e quando i Frey attaccheranno.”

Arya fissò suo zio. “Mi stai dicendo che dovrei aspettare?”

Edmure scoppiò a ridere. “Sì, ma solo per un paio di giorni.”

Dopo aver atteso anni interi ed aver attraversato mezzo mondo Arya non aveva alcuna intenzione di sprecare un singolo attimo della sua esistenza. Stavolta non arriverò tardi. Ogni volta che provava ad avvicinarsi alle persone che amava, queste le morivano sotto gli occhi. Non avrebbe mai dimenticato la notte delle Nozze Rosse, quando, fuggendo, si era trovata davanti il cadavere di suo fratello Robb con la testa di Vento Grigio al posto della propria. Se dovessi attendere, di sicuro arriverei quando Jon e Sansa sarebbero già morti, pensò arrabbiata. Non lo posso permettere. Decise di fare buon viso a cattivo gioco e sfoderò un sorriso disarmante.

“Hai ragione, zio” disse con voce mielata, “credo sia proprio un’ottima idea, ma lascia che sia io a scrivere la lettera a Jon, lui e Sansa credono ancora che io sia morta.”

Come previsto Edmure annuì commosso, cadendo nella trappola. “Ma certo Arya, pensa che bella sorpresa sarà…” Arya fece un cenno affermativo col capo e si avviò verso la porta.

“Arya, un’ultima cosa” la richiamò suo zio. Lei si voltò in attesa.

“Tuo fratello l’hanno fatto Re del Nord.”

Un oceano di emozioni si riversò su Arya mentre chiudeva la porta alle sue spalle. Era felice che Jon avesse finalmente ottenuto il rispetto che meritava, contenta che agli altri lord e, a quanto pareva, perfino a Sansa non importassero quali fossero le sue origini, ma anche preoccupata per ciò che questa nomina avrebbe potuto comportare. Ricorda cosa hanno fatto all’ultimo Re del Nord.

Si recò in biblioteca assorta nei suoi pensieri e si fece dare penna, inchiostro e pergamena. Mentre il messaggio prendeva forma nella sua mente, si impegnò a rendere irriconoscibile la sua grafia. Quando giunse il momento di apporre la propria firma si bloccò. Soppesò le sue alternative per un minuto abbondante, poi girò il foglio e scarabocchiò un’ultima parola. Nessuno sta tornando a casa, pensò osservando soddisfatta il suo lavoro.

Andò quindi nell’uccelliera e, dopo aver liberato il corvo con il messaggio, lasciò le grate spalancate permettendo a tutti gli animali di fuggire.

Questo rallenterà le ricerche, si disse guardando gli uccelli disperdersi nel cielo rosso del tramonto. Solo uno era diretto a Grande Inverno.

Tornò sui suoi passi e si chiuse in camera. Cacciò i suoi pochi averi nella sacca da viaggio, premurandosi di non dimenticare l’oro rubato alle guardie delle Torri Gemelle. Poi estrasse Ago. Le sembrava di sentire ancora la voce di Jon quando gliel’aveva donata. Infilzali con la punta diceva. Ed Arya ne aveva uccisi tanti in quel modo. Sarà fiero di me. Si scoprì perfino ansiosa di rivedere Sansa, nonostante l’ultimo ricordo che avesse di lei risaliva al loro litigio. Speriamo sia cambiata, pensò rinfoderando la spada.

Aspettò paziente che le tenebre avvolgessero Delta delle Acque, poi attese che albeggiasse, e solo allora si avviò con passi leggeri verso l’uscita.

Aveva nuovamente il volto della cameriera che aveva servito a Walder Frey il pasticcio farcito con la carne dei suoi stessi figli ed eluse tranquillamente le sentinelle delle mura interne. Sapeva che con quelle delle mura difensive sarebbe stato più difficile, anche perché avrebbero dovuto abbassare il ponte levatoio. Arya decise quindi di attraversare il fossato a nuoto. La fortuna sembrava sorriderle e le guardie non udirono nemmeno lo spostamento d’acqua. Arya attese in apnea qualche secondo, il corpo scosso da brividi e le orecchie tese ad eventuali rumori.

Quando si convinse di non essere stata scoperta, nuotò fino all’altra sponda e corse a rifugiarsi dietro gli alberi più vicini. Tremando per il freddo, si tolse gli abiti fradici ed indossò quelli più asciutti che riuscì a trovare. Aspettò un poco cercando di riscaldarsi come meglio poteva, poi si inoltrò nel bosco. Mentre il sole sorgeva, Arya definì il suo piano.

Avrebbe costeggiato la Forca Rossa, che l’avrebbe condotta fino alla Strada del Re, la quale arrivava dritta a Grande Inverno. Era un viaggio piuttosto lungo ed Arya era consapevole di non poterlo affrontare a piedi. Così nel primo villaggio che incontrò comprò un cavallo marrone che ribattezzò Nessuno. L’allevatore non fece domande ed Arya gli chiese di indicarle un luogo dove avrebbe potuto dormire. Passò due notti nella locanda che le aveva suggerito, per poi rimettersi in viaggio.

In tre giorni raggiunse la Strada del Re. L’ultima volta che l’ho percorsa ero con mio padre e mia sorella e stavamo andando ad Approdo del Re con Robert Baratheon, pensò amareggiata.

Decise che la strada era troppo rischiosa e preferì avventurarsi nel Tridente. Ricordò come con Mycah avevano cercato i rubini dell’armatura del principe Rhaegar e come si fossero sfidati con bastoni di legno. Prima che il Mastino lo uccidesse.

Calciò un sasso con tanta foga da sollevare una nube di polvere. Era stato il Mastino a salvarla dalla morte alle Nozze Rosse e lei l’aveva lasciato da solo a morire. Era sulla mia lista, si diceva Arya per convincersi. Aveva ucciso Mycah. Ma non poteva mentire a sé stessa, l’Orfana l’aveva avvertita, ed Arya era arrivata quasi a vergognarsi della fine a cui aveva costretto Sandor Clegane. Forse avrei dovuto ucciderlo, pensò a disagio, dargli misericordia come chiedeva. Ricordò il terribile combattimento tra il Mastino e quella strana donna in armatura, ricordò come Clegane l’avesse implorata di porre fine alle sue sofferenze e di come lei si fosse voltata ignorandolo. Il giorno stesso si era imbarcata sulla nave per Braavos e si era lasciata tutto alle spalle.

Aveva creduto di poter entrare a far parte degli Uomini Senza Volto, di poter diventare Nessuno, ma non aveva mai realmente chiuso con il passato. Jaqen H’ghar lo sapeva, pensò Arya continuando a camminare. Ha sempre saputo che non sarei mai diventata una di loro. Alla fine le aveva anche sorriso.

Il sentiero proseguiva con una salita ed Arya iniziò a sentire la stanchezza. Desiderò di trovarsi già a Grande Inverno, nella sua stanza dalle lenzuola rosse, e di non dover finalmente preoccuparsi più di nulla. Quando comprese che se avesse voluto continuare ad evitare la Strada del Re avrebbe dovuto inoltrarsi in un bosco, Arya liberò Nessuno nel pascolo e proseguì da sola.

Il bosco era scuro e silenzioso. Le foglie morte invadevano il sentiero e scricchiolavano sotto i suoi passi. Gli arbusti si protendevano a graffiarle le gambe e Arya li scostava senza troppi complimenti.

All’improvviso percepì una presenza alle sue spalle. Si voltò lentamente ed il suo cuore perse un battito. Davanti a lei avanzava un lupo grigio, le zanne scintillanti di bava al chiarore della luna.

Arya sfoderò Ago, ma la bestia non arretrò di un passo. Un nuovo fruscio la costrinse a girarsi un’altra volta. I due lupi marroni erano più grandi del primo ed apparivano ancora più minacciosi. Occhi gialli si accesero nella radura tutto intorno a lei e presto Arya si ritrovò circondata. Tentò di agitare la torcia che reggeva in mano, ma non ottenne alcun risultato. Cercò invano una via di fuga, mentre il cerchio di lupi si stringeva inesorabilmente.

Questa situazione è paradossale, si ritrovò a pensare. Tutta questa strada, tutti i pericoli scampati, solo per diventare la cena di un branco di lupi famelici. La sua unica consolazione era che non fossero leoni: non avrebbe mai tollerato l’idea di farsi sbranare dai leoni.

I lupi in prima fila snudarono le zanne, le lingue a penzoloni, preparandosi all’attacco. Arya si accucciò a terra, coprendosi la testa con le mani e chiudendo gli occhi. Ed attese.

Poi un lungo, straziante ululato fendette la notte.

Arya percepì i lupi intorno a lei muoversi verso quel suono. Lentamente, cercando di controllare il tremito degli arti, scostò le braccia dal viso e riaprì gli occhi.

Sulla roccia che aveva di fronte, investito dalla luce pallida della luna, era comparso il lupo più grande che Arya avesse mai visto. Aveva il pelo marrone chiaro, con qualche ciuffo grigio, e le orecchie appuntite. Ma ciò che la colpì maggiormente furono gli occhi. Occhi grandi ed allungati, di un giallo-grano splendente. Occhi così familiari.

Un meta-lupo.

L’animale avanzò leggiadro ed aggraziato e tutti gli altri lupi abbassarono il capo, facendosi da parte.

Arya sentì il cuore batterle forte e gli occhi riempirsi di lacrime mentre si metteva in ginocchio. Il meta-lupo si fermò, il suo muso a pochi centimetri dal viso di Arya. Le lacrime sgorgarono copiose quando lei accostò una mano tremante alla pelliccia morbida dell’animale.

Il meta-lupo non protestò, non si ritrasse, ed Arya affondò il viso nel suo pelo soffice, soffocando i singhiozzi. Le sue braccia circondarono il collo dell’animale, che appoggiò il muso sulla spalla della ragazzina. Arya era incapace di articolare un pensiero completo, talmente travolta da emozioni ritenute dimenticate.

“Nymeria” sussurrò solamente, crogiolandosi in quell’attimo perfetto.


                                                                                                                     "Io non vado da nessuna parte, io sto andando e basta."

 


N.D.A                                                                                                                                                                                                 


Ciao a tutti e benvenuti! Intanto grandi se siete arrivati fin qui XD, so che il capitolo è piuttosto lungo... Questa è la prima storia che pubblico sul sito e spero davvero vi piaccia. Come avrete già intuito inizia dalla fine della sesta stagione, quando Jaime è da poco tornato nella Capitale e Daenerys è in viaggio. Ho cercato di operare un mix che fosse il più realistico possibile fra la serie, a cui questa storia si aggancia, e i libri. Alcuni personaggi e situazioni quindi saranno ripresi da entrambe le parti e vedrete sfumature di comportamento che la serie non ci ha mai mostrato. Ci tengo a dire che questa storia è stata iniziata quando ancora della settima stagione non si sapeva neppure il mese di inizio, quindi se anche alcune scene vi potranno sembrare simili, in realtà è interamente farina del mio sacco (e possiamo dire che siano stati loro a copiarmi qualche volta XD). 

Se siete tra quei fan delusi dalla previdibilità della settima stagione e lamentate la perdita della politica che ha reso grande Got, allora questa è la storia che fa per voi... 
Cercherò di aggiornare regolarmente, ma ritardi possono sempre capitare: sono un po' parte di me XD 

Mi raccomando: recensite. Anche se avete critiche o domande, sono sempre pronta a rispondervi. Non siate timidi e fatemi sapere cosa ne pensate! Bastano poche parole!

NB: la frase finale è una citazione di Luciano Ligabue, non è mia :-)























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Capitolo 2
*** An island of glass and salt ***





An island of glass and salt



Daenerys

 

Il mare era agitato. La schiuma delle onde ribolliva in superficie ed il sole si rifletteva sull’acqua creando spettacolari giochi di luce. Gli spruzzi gelidi sfumavano nell’aria frizzante del mattino ed un gabbiano volava basso in cerca di pesce. Le navi della flotta avanzavano con calma, dondolando leggermente, le vele nere gonfie al vento.

Daenerys, in piedi sul ponte della nave ammiraglia, scrutava l’orizzonte. In lontananza, dove il mare ed il cielo si baciavano, si intravedevano delle rocce appena accennate sullo sfondo turchese.

Dany sospirò, lasciando che il vento le spingesse all’indietro gli splendidi capelli argentei che le ondeggiavano con naturalezza sulle spalle.

Erano quasi tre settimane che erano in viaggio e Daenerys avvertiva la stanchezza sulla pelle. Il sale le incrostava i vestiti ed il continuo movimento dell’imbarcazione le causava una leggera nausea. Continuava a voltarsi indietro, angosciata dalla paura di essere abbandonata dai propri alleati, ma le altre navi erano sempre là, con il suo stemma dipinto sulle vele.

I Dothraki avevano dimostrato un’insospettabile destrezza nell’affrontare le acque velenose e non erano caduti vittima del mal di mare come il primo khalasar che Dany aveva condotto ad Astapor. Perfino i loro cavalli non si erano lamentati più di tanto della difficile traversata.

Daenerys alzò lo sguardo in cerca dei suoi figli. Drogon era sempre quello che si allontanava maggiormente, esplorando le piccole isole che costeggiavano o le grotte semisommerse dalle maree. Anche Rhaegal stava acquisendo coraggio, scomparendo per ore, per poi tornare solo al tramonto, le scaglie verdi scintillanti come smeraldi. Quindi Daenerys non fu stupita quando riconobbe Viserion nel drago che volava in cerchio divorando quello che sembrava essere un grosso tonno. Il drago bianco era sempre stato il più schivo tra i fratelli e raramente abbandonava la protezione delle navi.

Dany udì dei passi alle sue spalle. Si voltò e vide Tyrion Lannister che la raggiungeva con la sua buffa andatura ciondolante.

“Maestà” esordì il nano in tono confidenziale, “vedo che il viaggio prosegue bene. Non soffri il mal di mare?”

Daenerys scosse il capo. “No, e tu?”

Tyrion fece una smorfia. “Personalmente ho viaggiato in condizioni ben peggiori… Non so se te l’ho mai raccontato, ma sono arrivato a Pentos all’interno di una cassa. E’ stata un’esperienza piuttosto sgradevole.”

Daenerys si concesse una breve risata. Poi tornò seria. “Sei sicuro che sia una buona idea fermarci alla Roccia del Drago?” chiese incrociando le braccia “Non sarebbe più semplice attaccare direttamente Approdo del Re?” Il loro piano non la convinceva, le sembrava troppo tortuoso e dispendioso.

Tyrion si calò immediatamente nei panni del Primo Cavaliere che ha tutta la situazione sotto controllo. “E’ la scelta migliore, vostra grazia” spiegò con calma. “Da quando Stannis Baratheon l’ha abbandonata, la Roccia del Drago è rimasta inabitata. Essendo un’isola, offrirà riparo al nostro esercito e ci permetterà di rivedere i nostri piani d’invasione.”

Daenerys aggrottò le folte sopracciglia nere. “Ma Cersei potrebbe attaccarci con la sua flotta.”

“Cersei non ha una flotta.”

“E tu come lo sai?”

“Perché si dà il caso che sia stato io a dirigere la difesa di Approdo del Re e sono assolutamente certo che l’unica nave di cui la mia dolce sorella era in possesso sia esplosa insieme all’Altofuoco.”

Daenerys abbassò il capo. “D’accordo” disse risoluta, “che si mantenga questa rotta.” Tyrion sorrise soddisfatto e Dany si diresse verso la prua.

Stava tornando al luogo in cui era nata, al luogo in cui la regina Rhaella Targaryen era morta di parto durante la più terribile tempesta che i marinai avessero mai visto. Un luogo di cui non conservo alcun ricordo.

Quando era piccola Viserys le raccontava spesso storie sulla loro terra. La nostra casa, la chiamava, e Daenerys lo ascoltava rapita, immaginando il giorno in cui vi avrebbero fatto ritorno. Il popolo l’avrebbe accolta tra urla di gioia e si sarebbero dati banchetti in suo onore, con danze e cibi squisiti. L’idea di una possibile guerra non l’aveva nemmeno sfiorata. Poi la bambina era cresciuta ed aveva imparato a prendersi ciò che le spettava col fuoco e col sangue.

Adesso che finalmente stava per coronare il sogno di una vita, la sua più grande ambizione, si sentiva a disagio. L’attaccamento febbrile che Theon e Yara avevano dimostrato nei confronti delle loro ispide isole, il nazionalismo delle Serpi delle Sabbie, la nostalgia provata da Tyrion per un popolo che l’aveva sempre disprezzato, erano sentimenti estranei a Daenerys Nata dalla Tempesta.

Sto per diventare regina di un regno che non ho mai visto, la cui gente non mi conosce, e non ho nessuno al mio fianco.

La notte si rigirava nel letto cercando la presenza rassicurante di Daario al suo fianco. Voleva svegliarsi e trovarselo accanto, sentirlo ridere senza un reale motivo, accarezzandogli i lunghi capelli castani. Non rimpiangeva la decisione presa a Meeren, ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato così difficile dimenticare.

Le mancava Daario Naharis, con i suoi modi irrispettosi e provocanti, le mancava Barristan Selmy e la sua voce gentile che le raccontava di Rhaegar, ma più di tutti le mancava Jorah Mormont.

Quando l’aveva lasciato andare, la polvere tra i capelli ed un sorriso sulle labbra, si era resa conto di quanto Jorah significasse per lei. Nonostante non l’avrebbe mai ammesso neppure a sé stessa, dopo ogni esilio a cui l’aveva costretto, il suo cuore aveva sperato disperatamente in un suo ritorno, e quando l’aveva visto nell’arena, pronto a combattere e a morire per lei, quello stesso suo cuore aveva rischiato di fermarsi. Non era più Jorah l’Andalo, Jorah il Traditore o Jorah il Voltagabbana, ma solamente l’uomo che l’aveva aiutata a sopravvivere tra i Dothraki, che l’aveva lasciata libera di gettarsi tra le fiamme e che le era sempre rimasto vicino nei momenti più bui. Ma lei aveva battuto le mani lo stesso.

Una raffica più forte delle altre costrinse Daenerys ad aggrapparsi al parapetto. La figura della Roccia del Drago andava delineandosi ed ormai dovevano mancare un paio d’ore allo sbarco. Daenerys inspirò profondamente, riempiendo i polmoni con aria salmastra.

Decise di scendere sottocoperta a riposarsi e si avviò verso le scale scivolose. Nella sua cabina l’attendeva come di consueto Missandei, che le sciolse i capelli aiutandola a cambiarsi.

“Devo avvertirti quando siamo arrivati, mia regina?” le chiese la giovane scriba spegnendo la lucerna. Dany annuì, nascondendo dietro la mano un enorme sbadiglio. Missandei uscì accostando con delicatezza la porta e Daenerys si addormentò nel momento stesso in cui posò il capo sul soffice cuscino di piume.

Sognò di sedere sul Trono di Spade con Tyrion al suo fianco. Barristan era vivo e le sorrideva, Daario le faceva l’occhiolino e Jorah non aveva tracce di Morbo Grigio sulla pelle. “Khaleesi” le stava dicendo con affetto. E Daenerys si ritrovò ad abbracciarlo piangendo.

“Perdonami, ti prego perdonami, Jorah” gli sussurrava tra i singhiozzi stringendolo spasmodicamente, “perdonami per tutto quello che ti ho fatto. Io…” Jorah perse consistenza dissolvendosi nell’aria. Daenerys si voltò sconvolta, il viso rigato ancora dalle lacrime, e si ritrovò sola nella sala del Trono.

“Vai a Nord” le disse una voce alle sue spalle.

Daenerys si girò sobbalzando e vide una donna alta e magra avanzare verso di lei. Aveva i capelli scuri e portava una maschera d’oro sul viso.

“Chi sei?”

La donna scosse il capo. “Chi sono non ha importanza: devi portare i tuoi draghi a Nord, Daenerys Distruttrice di Catene, presto avranno bisogno di te.”

Daenerys non capiva. “Chi avrà bisogno di me?” chiese confusa “E quando?”

La donna rimase un istante in silenzio. “Quando la vera guerra inizierà.”

Fece per andarsene, ma all’ultimo si voltò nuovamente, parlando ora con voce grave.

“Ma sbrigati, Daenerys Madre dei Draghi, oppure, quando l’oscurità ed il tradimento ti avranno circondata, il Nero cadrà. E sarà morte dal Ghiaccio, così come è morte dal Fuoco.”

La donna misteriosa scomparve e Dany aprì gli occhi. La luce accecante la colpì come un pugno, mentre Missandei continuava a scuoterla con delicatezza.

“Maestà, è ora.”

Daenerys si mise a sedere, realizzando che il movimento della nave era cessato. Nella sua mente rimbombavano ancora le parole della donna dal viso celato. Il Nero cadrà… ripeteva incerta tra sé e sé. Che vorrà dire? Sempre che voglia dire qualcosa, in fondo era solo un sogno.

Si alzò barcollando, appoggiandosi al braccio di Missandei. La ragazza era probabilmente turbata dall’aspetto disorientato della sua regina, e Daenerys le fu grata per non aver posto domande. Scelse una tunica verde smeraldo con ricami grigio-perla che si intrecciavano formando due draghi che sputavano fuoco e dei gioielli d’argento che armonizzassero le calzature dello stesso colore.

Quando finalmente uscì sul ponte la vista la lasciò a bocca aperta. Davanti a lei si apriva una spiaggia meravigliosa, dalla sabbia fine e nera come il catrame, punteggiata da conchiglie e delimitata da alti alberi frondosi. Le loro radici nodose uscivano a tal punto dal terreno da creare complicati intrecci di legno e foglie. In lontananza, sulle colline si distinguevano delle abitazioni, mentre le montagne si stagliavano sullo sfondo.

Ma l’elemento che maggiormente catturò l’attenzione di Daenerys fu il palazzo. Maestoso, possente e massiccio, il castello sembrava essere muto guardiano del paesaggio, con le sue alte torri in decadenza e le mura ricoperte di rampicanti. Appariva egli stesso parte della natura. Una natura selvaggia ed incolta, in cui l’intervento dell’uomo era quasi invisibile. Quella era l’isola in cui, secoli addietro, i primi Targaryen si erano stanziati dopo essere sfuggiti al Disastro di Valyria, il luogo da cui Aegon e le sue sorelle erano partiti per la conquista dei Sette Regni. Daenerys si stupì di trovarsi commossa.

Poi il cielo fu attraversato da un suono stridulo e Rhaegal atterrò goffamente sulla spiaggia. Daenerys rise, vedendo il drago alle prese con quella cosa strana che era la sabbia. Poco dopo arrivò anche Viserion, che invece preferì appendersi a un leccio che cresceva poco lontano. Come al solito di Drogon non vi era traccia. Con il tempo Daenerys aveva imparato a non preoccuparsi, così non cedette all’ansia nemmeno in quel momento, occupandosi invece di trovare una sistemazione per l’esercito. Fu solo grazie ai saggi consigli e alla pazienza di Varys che l’operazione di sbarco non provocò scontri.

“Fai scendere prima i Dothraki, vostra grazia” le aveva suggerito l’eunuco, “così si eviteranno risse e si sistemeranno meglio i cavalli. Dopo di loro sarà il turno dei Greyjoy e di metà degli Immacolati, che ti aiuteranno a mantenere l’ordine, mentre l’altra metà scenderà per ultima così da provvedere alla manutenzione delle navi, se necessaria ovviamente.” Daenerys aveva accolto ogni consiglio e lo sbarco era proceduto senza incidenti.

Tyrion e la sua diplomazia erano destinati alla ricerca di una collocazione per i Dothraki, con l’aiuto di Missandei che faceva da interprete.

“Quasi tutte le case della Roccia del Drago sono abbandonate” aveva spiegato Tyrion, “ai Dothraki possiamo riservare quelle con le stalle, così da potersi occupare dei cavalli, mentre gli eserciti alleati possono occupare le altre.”

“Non ho alcuna intenzione di occupare una fattoria maleodorante” intervenne lady Olenna facendosi nervosamente aria con un ventaglio, “credo proprio che ad una signora di una certa età non vada nemmeno proposto.” Tyrion si era affrettato a scusarsi tra le risate generali.

“Voi potrete soggiornare nel palazzo” intervenne Daenerys rivolta ai nobili alleati, “così sarete vicini al luogo delle riunioni.” Yara aveva riso.

“Francamente vostra altezza, io ed il mio adorato fratellino preferiremmo una bella casetta sul mare, magari un po’ isolata dal nostro rumoroso seguito. Non è così Theon?” Theon non rispose, continuando a fissarsi le punte dei piedi.

Yara sbuffò. “E va bene” borbottò, “vada per una stanza nel castello…”

Alla fine Ellaria Sand scelse l’opzione di un’abitazione divisa con Tyene, mentre Nymeria ed Obara avrebbero alloggiato al castello.

Daenerys aveva sorriso a tutti, mostrandosi cortese e disposta ad esaudire i loro desideri.

Non ho mai visto tante persone così diverse tutte insieme, pensò osservandole. E ora sono qui perché hanno un unico obbiettivo. In realtà la maggior parte del suo esercito era composta da guerrieri assetati di vendetta, se si escludevano gli Immacolati, che almeno teoricamente non provavano desideri.

Terminata l’estenuante discussione circa le sistemazioni, Tyrion le sorrise incoraggiante.

“Ti sei comportata splendidamente, maestà” la lodò il nano. “Non è facile tenere insieme un gruppo così eterogeneo. Soprattutto se ad avere le palle sono le donne e non gli uomini. Quella lady Olenna è un’arpia ed ho visto Nymeria Sand mettere in fuga un Dothraki grosso almeno il quadruplo di me solamente schioccando la frusta.” Daenerys scoppiò a ridere, mentre cercava con lo sguardo Verme Grigio. Lo trovò all’angolo della sala, immerso in una fitta conversazione con Missandei.

“Guarda quei due!” esclamò Tyrion “Fino a poche settimane fa non sapevano nemmeno cos’era una conversazione ed ora chiacchierano come due ragazzine. Modestamente, è stato tutto merito mio…”

Daenerys diede disposizione agli Immacolati di controllare le strade, mentre lasciò alcuni ammiragli Greyjoy a sorvegliare le navi ancorate in una baia naturale. Concluse le cerimonie rituali ed onorata l’etichetta, congedò esausta gli ospiti, ordinando ai servi di correre immediatamente da lei qualora Drogon fosse avvistato.

Lasciando Tyrion e Varys alle loro discussioni politiche di cui lei poco capiva, Dany si ritirò nella stanza che era stata di sua madre.

Il letto a baldacchino era rivestito con velluto rosso chiaro, legato sulle sbarre con cordini d’oro. I libri della libreria erano coperti da uno spesso strato di polvere e tra le penne della scrivania erano state tessute delle ragnatele.

Daenerys spalancò le finestre uscendo in balcone. Il vento le accarezzò il viso mentre chiudeva gli occhi e lei lasciò vagare la mente in luoghi irraggiungibili: Approdo del Re, la Fortezza Rossa, il Trono di Spade. Poi sentì di nuovo la voce del sogno che le sussurrava all’orecchio.

Sbrigati, Daenerys Madre dei Draghi, oppure, quando l’oscurità ed il tradimento ti avranno circondata, il Nero cadrà. E sarà morte dal Ghiaccio, così com’è morte dal Fuoco.

E Daenerys Targaryen ebbe paura.

 

Bran

 

La neve aveva finalmente smesso di cadere. Si era accumulata sui rami al punto da spezzarli ed aveva ricoperto qualunque pianta che non raggiungesse un’altezza sufficiente. La Barriera si stagliava sul cielo azzurro-ghiaccio maestosa e terribile come al solito, la sommità così lontana da perdersi nelle nuvole.

Il freddo era così intenso da congelare i nasi ed arrossare le guance ed al mattino Bran si svegliava con i capelli coperti di cristalli di ghiaccio. Da quando erano arrivati alla Barriera lui e Meera avevano preferito rimanere nascosti, anche perché, perduta la slitta, non vi era più nulla che potesse essere usato per trasportare Bran. Meera aveva tentato di costruire un rudimentale carretto intrecciando rami secchi, ma il risultato non era stato in grado di soddisfare nemmeno le loro più basse aspettative.

Bran trascorreva le giornate nella grotta che avevano eletto come dimora, rifiutandosi di uscire. Da quando aveva avuto l’ultima visione, si era chiuso in un doloroso silenzio, troppo preoccupato dai suoi pensieri per prestare attenzione al mondo che viveva intorno a lui. Meera aveva tentato di coinvolgerlo in qualche attività, ma Bran aveva sempre rifiutato, sforzandosi di essere gentile.

La verità era che si sentiva tremendamente in colpa. Se non fosse stato così sciocco da tentare quella visione proibita, il Re della Notte non l’avrebbe marchiato ed il Corvo con Tre Occhi, Foglia, Estate ed Hodor sarebbero stati ancora vivi.

Il pensiero di Hodor lo devastava. La consapevolezza di aver distrutto la vita di quel ragazzo senza nemmeno saperlo, lasciava Bran senza fiato. Hodor che era sempre stato gentile, Hodor che lo portava sulla schiena a Grande Inverno, Hodor che aveva ripetuto per tutta la vita la parola della sua condanna. Ed alla fine era morto, per salvare la vita a colui che aveva causato la sua fine, morto bloccando quella maledetta porta. Hold the Door, gli aveva gridato Meera. E lui aveva ubbidito.

Ed è stata tutta colpa mia, continuava a ripetersi disperato Bran. Come faccio ad essere il Corvo con Tre Occhi se nemmeno riesco a proteggere i miei amici? Bran non era mai stato bravo come lord, non era mai riuscito a mettere in pratica i consigli di suo padre. Aveva consegnato Grande Inverno a Theon credendo di salvare i suoi abitanti, ma aveva ottenuto solamente macerie fumanti e la testa mozzata di Rodrik Cassel. Poi aveva tentato di essere un bravo fratello maggiore prendendosi cura di Rickon, ma era stato costretto ad abbandonarlo chissà dove per andare oltre la Barriera. Infine aveva provato ad essere all’altezza del suo ruolo come Corvo con Tre Occhi, ed aveva avuto la visione più sconvolgente della sua vita.

Ricordava ogni cosa, ogni dettaglio. La Torre, le scale, il letto insanguinato, suo padre che si girava cercando qualcuno, sua zia Lyanna che sussurrava qualcosa, tutto era impresso a fuoco nella sua mente. E poi quel bambino. Così familiare, così conosciuto. Bran aveva impiegato parecchi minuti per realizzare ciò che aveva appena visto e, quando la verità l’aveva folgorato, era tornato al presente gridando.

“Era mio fratello!” aveva urlato fissando con occhi folli una Meera sconvolta “Ho visto mio fratello… Jon… sì sì, era proprio lui ne sono certo.” Aveva iniziato a parlare velocemente, scosso da brividi e con le guance in fiamme. “Non ci posso credere, mio padre per tutti questi anni ha… No, no è impossibile… Ma allora Jon sarebbe mio cugino, e...” Aveva fissato Meera negli occhi.

“Chi è suo padre?”

Un oceano di emozioni l’aveva travolto. Mio padre lo sapeva. Prima di morire Lyanna aveva mormorato qualcosa a Ned, ma Bran non aveva avuto i riflessi abbastanza pronti per avvicinarsi, così non aveva afferrato nulla della breve conversazione. Ora le domande lo divoravano.

Bran si era rifiutato di passare la Barriera, preferendo restare accanto all’Albero-diga per avere la possibilità di tornare nel passato. Da qualche giorno si stava preparando per una nuova visione, desideroso di apprendere finalmente la verità. Tutta la verità. Stavolta starò attento, continuava a ripetersi per farsi coraggio. Devo solo fare attenzione a non interferire con il passato.

Il passato è già scritto, l’inchiostro è asciutto, così diceva il Corvo con Tre Occhi, ma Bran aveva comunicato con suo padre ed Hodor e non intendeva ripetere lo stesso errore una terza volta. Sarebbe tornato nel passato ed avrebbe finalmente sciolto il mistero che circondava Lyanna Stark e colui che fino a pochi giorni prima aveva considerato suo fratello.

Così quella gelida mattina, dopo essersi accertato che Meera stesse ancora dormendo profondamente, arrancò puntellandosi sui gomiti fino a raggiungere l’albero-diga. Fu un’impresa faticosa, ed anche piuttosto pericolosa poiché qualunque Guardiano della Notte di ronda avrebbe potuto vederlo, ma a Bran non interessava.

Magari sarà proprio Jon a trovarmi.

L’ultima volta che aveva visto suo cugino, Jon stava combattendo al castello di Craster e Bran era stato costretto ad andare avanti senza la possibilità di riabbracciarlo. Era stata una delle decisioni più difficili della sua vita e Bran era stato perseguitato dai rimpianti durante tutto il viaggio, specialmente in seguito alla sua tragica conclusione.

Alzò il viso, incontrando il muto sguardo del volto scolpito nel legno e sentì un brivido scendergli lungo la schiena. Quando appoggiò la mano sudata sul tronco centenario, pregò tutti gli dei esistenti di aiutarlo a non commettere errori. Roteò gli occhi e fu inghiottito dalle tenebre.

Galleggiò nel buio qualche secondo prima di ritrovarsi in piedi in una radura brulla battuta dal vento. Si guardò disorientato intorno, alla ricerca di qualche punto di riferimento, e la sua attenzione fu catturata dall’imponente castello nero che si ergeva poco lontano. Le sue mura sembravano essere state incendiate e le torri davano l’idea di poter crollare da un momento all’altro. Bran tentò di riportare alla mente lezioni di storia di secoli prima, quando ancora Grande Inverno esisteva e lui aveva le gambe.

“C’è un castello nelle Terre dei Fiumi” diceva maestro Luwin, “che è chiamato Fortezza Maledetta a causa del fantasma che da sempre si dice che lo infesti. Si tratta di Harrenhal, il castello distrutto dall’attacco dei draghi di Aegon il Conquistatore e da allora ritenuto portatore di sventura per i lord che si ritrovano ad abitarci. Ma sono solo storie, Bran.” Bran sospirò.

“Allora mi trovo ad Harrenhal... Ma quando? E soprattutto, perché?”

Non fece in tempo a completare i suoi pensieri che dalla fortezza si levarono urla estasiate. Bran si precipitò stupito al ponte levatoio, attraversandolo senza problemi. Ciò che vide lo lasciò senza fiato.

L’enorme arena era circondata da spalti di legno gremiti di gente. Vicino agli scranni sventolavano i vessilli dei lord e Bran sentì un tuffo al cuore quando scorse il meta-lupo degli Stark. Aguzzando la vista riconobbe suo padre, lo zio Benjen e quelli che dovevano essere suo nonno Rickard e suo zio Brandon. Sembravano tutti concentrati ad osservare la scena al centro dell’arena.

Destreggiandosi fra il popolo che assisteva agli scontri in piedi, Bran raggiunse la prima fila e tentò di individuare le figure che stavano combattendo, nonostante il sole lo accecasse. Uno dei due guerrieri era di corporatura massiccia e tratteneva l’enorme cavallo scalpitante con briglie dorate. L’altro invece era incredibilmente magro e sembrava scomparire nell’armatura ammaccata e tutt’altro che splendente. Bran notò uno strano disegno sul pettorale del secondo cavaliere, che non assomigliava a nessuno stemma che avesse mai visto.

Sembra un albero sorridente.

Dalle voci eccitate della folla che lo circondava, Bran intuì che si trattava di un cavaliere misterioso che aveva già vinto numerosi avversari durante il torneo. Lo chiamavano il cavaliere dell’Albero che Ride, un nome che a Bran non suggeriva nulla.

I due sfidanti si misero in posizione, partendo subito dopo al galoppo. Bran rimase esterrefatto davanti all’abilità con cui lo strano cavaliere dell’albero guidava il cavallo e dovette trattenere un grido quando le lance vennero in contatto. Il guerriero massiccio fu sbalzato giù di sella con straordinaria forza e colpì il suolo con un tonfo sordo. Un unico grido di gioia mescolata ad acclamazione si levò dal pubblico, mentre il vincitore cavalcava in cerchio agitando le braccia. Quando si allontanò dall’arena, Bran decise di seguirlo, nel tentativo di scoprire la sua vera identità.

Il cavaliere dell’albero di diresse verso le stanze private dei partecipanti al torneo e Bran si intrufolò nella camera poco prima che il giovane chiudesse la porta a chiave. L’arredamento, piuttosto rustico, consisteva solamente in una panca ed un manichino su cui riporre l’armatura. Alla finestra spesse tende verdi lunghe fino a terra riparavano dagli sguardi indiscreti. Il cavaliere sospirò e portò le mani all’elmo dipinto. Quando lo tolse, una cascata di capelli castani gli ricadde sulla schiena, fin quasi alla vita.

Bran soffocò un’esclamazione. Si trattava di una fanciulla non più che sedicenne con folte sopracciglia scure e penetranti occhi grigi. La naturalezza con cui armeggiò con i lacci dell’armatura ed il modo in cui incurvava le labbra in un sorriso lasciarono Bran senza fiato.

“Allora siete voi, lady Lyanna!” esclamò una voce alle loro spalle e Bran si voltò di scatto.

Le tende si scostarono bruscamente, rivelando un ragazzo che osservava divertito la scena appoggiato alla finestra. Era straordinariamente attraente, con lunghi capelli che sembravano argento liquido e gli occhi di un viola intenso. Bran non aveva mai visto un uomo simile in vita sua. Lyanna, superato lo stupore iniziale, si lasciò andare ad una risata genuina che riempì la stanzetta angusta.

“Oh povera me, mi avete scoperto, mio principe” disse fingendosi disperata, “ora cosa farete? Mi consegnerete a vostro padre perché possa punirmi? Cosa diranno tutti quei cavalieri scoprendo di essere stati battuti da una donna?” Quello che Bran aveva intuito essere il principe avanzò di qualche passo sorridendo.

“Non credo sia necessario arrivare a tanto” disse con voce profonda, “ma dovete ritirarvi dalla competizione, lady Lyanna.”

Lyanna sbuffò. “Quando la smetterete di chiamarmi lady?”

“Quando voi la smetterete di chiamarmi principe.

Lyanna sembrò apprezzare la risposta. “Dunque, Rhaegar,” disse in tono canzonatorio “possiamo darci del tu?” Rhaegar annuì.

“Bene” continuò Lyanna, “cosa intendi fare con me? E ti pare questo il modo di incontrare una fanciulla indifesa? Nella sua stanza mentre si sta cambiando?” Rhaegar arrossì. “In realtà non avrei mai immaginato che dietro a quell’armatura ci potesse essere una donna…” spiegò imbarazzato.

Lyanna fece una faccia offesa. “Quindi credi che le donne non siano in grado di fare nient’altro che starsene sedute a cucire qualche stupido vestito? Mi dispiace dirti che ti sbagli.”

“Non avevo mai incontrato una donna che avesse la tua grinta” ammise Rhaegar abbassando lo sguardo. Calò il silenzio.

Bran era confuso: Rhaegar appariva gentile e comprensivo, così distante dalle terribili storie che si raccontavano su di lui a Nord.

In quel momento Lyanna si avvicinò al principe. “Quindi cosa farai?” gli chiese guardandolo negli occhi con aria di sfida “Mi denuncerai? Coprirai di disonore la mia famiglia? Il mio promesso forse potrebbe non prendere molto bene un’accusa alla sua signora, specialmente se mossa senza alcuna prova.” Rhaegar sorrise.

“Non ti denuncerò, Lyanna, credo che sia giusto che le donne scelgano da sole la propria vocazione, che sia il cucito o la spada. Ma questo torneo è pericoloso e, se dovesse capitarti qualcosa, tutti scoprirebbero la tua identità in ogni caso. Devi ritirarti.”

Lyanna parve pensarci un po’ su. “Alla fine avevo deciso di partecipare solo per riscattare l’onore di Howland Reed” osservò, “ed ho sconfitto tutti quegli idioti che l’avevano maltrattato. E’ ora che il Cavaliere dell’Albero che Ride si faccia da parte.” Si avviò verso la porta, per poi voltarsi un’ultima volta.

“Grazie” borbottò guardando a terra, “per avermi lasciata libera. Spero che sarai tu il vincitore di questo stupido torneo.”

Bran non ebbe il tempo di ragionare sulla scena a cui aveva appena assistito, che il buio l’avvolse ancora una volta. Si ritrovò nella luce del sole, in piedi in mezzo alla confusione. Realizzò di essere nuovamente tra il pubblico dell’arena, sugli spalti questa volta. Sopra la sua testa sventolava il vessillo degli Stark.

Bran si avvicinò agli scranni e vide Lyanna sorridente che seguiva con lo sguardo il cavaliere che galoppava nell’arena.

“Non mi sarei mai aspettato che il principe Rhaegar potesse sconfiggere Barristan Semly” stava dicendo Ned a sua sorella, “anzi, non avrei mai immaginato che avrebbe vinto il torneo.”

“Io sì” intervenne Lyanna. Benjen e Ned la fissarono stupiti. “Voglio dire, se lo merita” si affrettò ad aggiungere lei.

Benjen sbuffò. “Io avevo puntato su ser Arthur Dayne” si lamentò e tutti risero. Bran sentì gli occhi inumidirsi vedendoli così felici, così ignari della guerra che stava per scoppiare e che avrebbe distrutto la loro famiglia. Anche noi eravamo così felici.

In quel momento il cavaliere vincitore sfilò l’elmo decorato con tre teste di drago e le ragazze di tutto il pubblico sospirarono alla vista dei suoi capelli scintillanti. Tutte tranne Lyanna.

“Ora incoronerà la donna più bella dei Sette Regni” disse eccitata una ragazza “Come vorrei che scegliesse me…” L’amica che le sedeva accanto rise. “Quanto sei sciocca” le disse alzando gli occhi al cielo, “è ovvio che incoronerà sua moglie.”

“Elia Martell è così fortunata” sospirò la ragazza che aveva parlato per prima. Così fortunata da essere barbaramente uccisa insieme ai suoi figli, pensò Bran scuotendo la testa.

Nel frattempo Rhaegar, con la corona di rose blu tra le mani, stava rallentando l’andatura del cavallo via via che si avvicinava al palco reale. Ma Rhaegar non si fermò e quando tutti i bisbigli si estinsero in uno sconcertato silenzio Bran intuì cosa stava per accadere. Così il principe lasciò cadere la corona in grembo a Lyanna, che sorrise impercettibilmente. Si udì un rumore secco provenire dal palco dei Baratheon e Bran vide un giovanissimo Robert rovesciare con rabbia la sedia ed allontanarsi ignorando le suppliche del suo fratellino Renly, che doveva avere massimo sei anni.

Questa parte della storia non me l’hanno mai raccontata, pensò Bran seguendo con lo sguardo Rhaegar che si allontanava. Come può essere che un uomo così delicato come Rhaegar abbia rapito ed ucciso mia zia?

Tornò con la mente alla Torre della Gioia, cercando di far riemergere le emozioni di Lyanna. Non vi era stata rabbia nei suoi occhi, né odio o rancore, solo paura, paura per il suo bambino. Se Robert lo scopre lo ucciderà, questo aveva sussurrato Lyanna morendo. E all’improvviso Bran capì.

Rhaegar, Jon è figlio di Rhaegar.

Ma se Lyanna aveva avuto così a cuore la sorte di quel bambino voleva dire che…

“Si amavano” sussurrò Bran stringendo i pugni, “Rhaegar non ha rapito Lyanna, sono fuggiti insieme!”

Prima che avesse tempo e modo di giungere ad altre conclusioni, il buio lo avvolse, catapultandolo ancora nel suo doloroso presente.

 

Brienne

 

Le stelle andavano finalmente spegnendosi ed il cielo si tingeva di una calda tonalità rosa pastello così in antitesi con il gelo che imprigionava la terra. I primi raggi del sole facevano capolino da dietro le colline innevate e le nuvole si preparavano già ad intercettarli senza pietà. Minacciose nubi grigie dilagavano ad oriente e Brienne si ritrovò a scrutare con apprensione il cielo ogni qual volta l’andatura non proprio regolare del cavallo lo permetteva.

Se continuiamo con questa velocità non arriveremo mai a Grande Inverno prima del temporale, pensò facendo dei rapidi calcoli a mente. Si girò quindi verso Podrick, che le arrancava dietro.

“Se non ti dai una mossa ci beccheremo la pioggia” gli urlò per sovrastare lo stormire del vento.

Il ragazzo sobbalzò sulla sella, lasciando le redini. Il cavallo nitrì infastidito, fermandosi di soprassalto. Brienne alzò gli occhi al cielo e tornò sui suoi passi. Podrick stava cercando disperatamente di convincere la bestia a proseguire, ma il cavallo sembrava sordo a suppliche e minacce.

“Mi dispiace, mia signora” farfugliò imbarazzato Podrick, “ma questo qui non vuole collaborare.”

“Sente la tua paura” gli spiegò pazientemente Brienne afferrando le redini, “sa che sei inesperto e vuole prendersi gioco di te. Dimmi, Podrick, ti piace farti prendere in giro da un cavallo?”

Podrick scosse la testa deciso. “N-no, mia signora.”

“Bene” continuò Brienne, “allora tieniti stretto alle redini e velocizza la tua andatura: lady Sansa vuole che torniamo a Nord il più presto possibile.” Podrick annuì e Brienne dovette ammettere che per le miglia successive il ragazzo si sforzò davvero di imporsi sul cavallo selvaggio.

Goffo, insicuro ed incapace, pensò Brienne osservandolo con la coda dell’occhio. Però ha un gran cuore, non c’è che dire. D’altronde non è che quei due cavalli acquistati da un allevatore di dubbia affidabilità presso Moat Cailin fossero le bestie più docili del Continente Occidentale. Perfino Brienne aveva dovuto riconoscere di aver incontrato una certa difficoltà ad ammaestrare il proprio, era normale che Podrick non ci fosse riuscito.

La notizia della vittoria che Jon e Sansa avevano riportato su Ramsay Bolton aveva rapidamente raggiunto ogni angolo del Nord, fino al villaggio sperduto nelle paludi dell’Incollatura dove Brienne e Podrick avevano soggiornato qualche giorno prima. Brienne aveva provato un moto d’orgoglio misto a sollievo apprendendo la lieta novità. Dopo il rifiuto del Pesce Nero e la caduta di Delta delle Acque in mano ai Frey, Brienne aveva temuto che la campagna militare di Sansa si sarebbe conclusa tragicamente. Aveva giurato di proteggerla, ma credeva che non avrebbe potuto impedire a Ramsay di metterle di nuovo le mani addosso.

Ma la Battaglia dei Bastardi, così la chiamavano ora, era stata vinta dagli Stark e Ramsay era morto in circostanze imprecisate e già avvolte nella leggenda. Brienne si era scoperta incredula più che felice e non riusciva a smettere di domandarsi come Sansa fosse riuscita ad ottenere più uomini. Poi la risposta le era apparsa nitida davanti agli occhi. Ditocorto aveva pensato con amarezza. Chissà cosa mai avrà preteso quell’essere in cambio di un aiuto così decisivo. Non poteva fare a meno di immaginare cosa Sansa avrebbe potuto concedergli per sdebitarsi.

Brienne strinse la mano intorno all’elsa tempestata di rubini di Giuramento. Con un uomo del genere Sansa non era al sicuro. Brienne ricordava bene come Baelish l’avesse usata nei suoi giochi di potere con i Bolton, come l’avesse abbandonata a Ramsay per poi ricomparire alla Barriera fingendo che nulla fosse successo. Sansa era dovuta fuggire da sola e Brienne continuava a maledirsi per quel suo stupido errore.

Se non fossi stata così accecata dalla voglia di uccidere Stannis, Sansa non avrebbe mai rischiato la vita, continuava a ripetersi Brienne senza darsi pace. Avrebbe volentieri affrontato tutte le guardie di Grande Inverno, Ramsay Bolton ed i suoi mastini se necessario pur di portare Sansa via da quell’inferno.

E invece era stato quel ragazzetto terrorizzato, quel Theon Greyjoy, ad aiutarla a saltare dalle mura, ad attraversare il fiume gelido e a nascondersi nella foresta. Quando si erano separati, Sansa l’aveva abbracciato come un fratello, nonostante, da quanto Brienne aveva potuto capire, quel ragazzo era il responsabile della conquista di Grande Inverno e della presunta uccisione di Bran e Rickon. Alla Barriera Brienne era stata costretta ad abbandonare nuovamente Sansa, ma stavolta si era allontanata meno angosciata, sapendola in compagnia del fratello. Jon Snow, con quella sua aria malinconica ed ingenua, le ispirava fiducia e ciò accadeva di rado.

Durante la propria vita Brienne aveva imparato a proprie spese a diffidare degli uomini. Credono che le donne siano inferiori solo perché sembrano più fragili, era solita pensare quando era ancora bambina. Ma si sbagliano.

Così era andata in giro per il mondo a dimostrare quanto si sbagliassero ed ogni volta aveva visto confermate le proprie convinzioni. Poi c’era stato Renly Baratheon. Brienne non aveva mai incontrato una persona tanto gentile e generosa. Mentre i cavalieri la schermivano e la deridevano, Renly la proteggeva permettendole di restargli vicina. Sarebbe stato un ottimo re, se solo suo fratello non l’avesse fatto uccidere da quella Donna Rossa. L’ombra che silente scivolava fuori dalle tende pugnalando Renly alle spalle turbava ancora i sogni di Brienne.

A lungo era vissuta nella convinzione che non avrebbe mai trovato un uomo come Renly, almeno finché Jaime Lannister non le aveva aperto l’anima in quel bagno saturo di vapori ad Harrenhal.

“Siamo arrivati, mia signora!” L’urlo di Podrick la riportò prepotentemente alla realtà.

Le ultime ore di viaggio erano volate e le possenti mura di Grande Inverno si stagliavano sul cielo perlaceo. Brienne sorrise fiera notando i vessilli del meta-lupo sventolare su tutte le torri. Quando giunsero al portone, scoprirono che questo era crollato. Buttato giù da un gigante, dicevano le voci.

“Chi siete voi?” chiese un cavaliere dai lunghi capelli scuri che faceva da guardia.

Brienne lo fissò torvo: il suo tono ostile l’aveva innervosita. “Sono Brienne di Tarth” disse cercando di mascherare la rabbia, “e questo è il mio scudiero Podrick Payne. Siamo tornati da una missione affidataci da lady Sansa, quindi se tu…”

“Tu non dai ordini qua, donna” ribatté l’uomo sputando per terra, “io non ti ho mai visto, ma lord Baelish ci ha raccomandato la massima prudenza. Ha detto che una donna vestita da uomo con un ragazzino al suo seguito sarebbe presto arrivata e noi avremmo dovuto proibirle l’accesso.”

Brienne sentiva il sangue ribollirle nelle vene. “E perché mai, se posso chiedere?”

L’uomo la fissò con disprezzo. “Sei accusata di aver cospirato con Jaime Lannister per uccidere Brynden Tully e di aver aiutato lo Sterminatore di Re a prendere Delta delle Acque.”

Brienne fece un passo avanti. “Esigo di vedere lady Sansa” disse con la voce più calma che riuscì a tirar fuori. La sentinella non batté ciglio. “Ti avverto lady Brienne” disse con voce secca sguainando la spada, “vattene subito o nulla ci tratterrà dall’usare la violenza.”

Brienne sfoderò Giuramento e si preparò ad attaccare. Le altre guardie restarono indecise alle loro postazioni per un attimo, poi intervennero in aiuto della sentinella arrogante dai capelli scuri. Brienne ne respinse facilmente due o tre, incontrando maggiori difficoltà quando iniziarono ad attaccarla tutti insieme. Podrick era rimasto paralizzato sul suo cavallo, troppo intento a controllare la bestia per potersi occupare del combattimento. Brienne schivò con abilità alcuni fendenti, cercando contemporaneamente il punto debole dell’avversario.

“BASTA COSI’!”

Sul portone era appena apparso Jon Snow. Sembrava furioso ed avanzò verso di loro scuro in volto.

“Perché la stai attaccando?” chiese con voce tagliente alla sentinella che aveva ancora la spada stretta in pugno “Mi sembra di ricordare che mia sorella avesse dato precise istruzioni riguardo a Brienne. Lei è un’ospite di lady Sansa.”

La sentinella sembrava spaesata. “L-lord Baelish aveva detto di non farla passare v-vostra grazia.”

Jon non disse nulla, ma Brienne notò il furore divampare dentro di lui. “La prossima volta che lord Baelish ti dà degli ordini” disse freddamente “tu verrai a riferirmeli prima di metterli in pratica. Sono stato chiaro?” La guardia annuì spaventata. Jon fece un cenno con la testa e sorrise a Brienne.

“Perdona l’accoglienza, lady Brienne” le disse con gentilezza, “Sansa aspetta il tuo ritorno con ansia. Vieni pure con me, stiamo discutendo di questioni importanti che credo ti riguardino di persona.” Brienne annuì cercando di ritrovare il contegno, e seguì il giovane Re del Nord all’interno delle mura, non prima di aver lanciato una breve occhiata trionfante alla guardia immobile davanti all’entrata. Podrick trotterellò dietro agli stallieri per occuparsi dei cavalli.

Jon la guidò attraverso i cortili e Brienne non poté far altro che seguirlo, tentando di non superarlo con la sua andatura veloce. Quando raggiunsero il corridoio, quasi si scontrarono con Ditocorto. Brienne era certa che lo sguardo che quell’uomo le rivolse fosse di irritazione e sdegno, ma il volto di Baelish non tradì alcuna emozione.

“Lady Brienne” disse con squisita cortesia, “vedo che siete tornata a Grande Inverno.”

Jon gli lanciò un’occhiata di puro veleno. “E la cosa non ti sorprende, lord Baelish?” chiese con voce atona.

Ditocorto sorrise. “Perché mai dovrebbe?” chiese allargando le braccia “Sansa mi aveva avvertito del suo arrivo.”

Jon incurvò appena gli angoli della bocca. “Perché si dà il caso che una guardia abbia accusato Brienne di tradimento, e tu hai tanto insistito stamattina per porre solo Cavalieri della Valle a guardia del portone, lord Baelish. Ecco, vorrei sapere il motivo di questi tuoi sospetti nei confronti di Brienne.” Brienne sperò che Baelish cadesse in contraddizione trovandosi così esposto, ma Ditocorto scosse la testa affabilmente.

“Oh, è stato tutto un terribile equivoco” disse assumendo un’aria dispiaciuta. “Mi erano giunte voci contrastanti dal Sud, voci che sostenevano che Brienne avesse stretto un’alleanza con lo Sterminatore di Re. Il corvo con la versione completa dei fatti mi è arrivato pochi minuti fa e stavo giusto andando ad annullare il mio ordine. Sono davvero desolato, lady Brienne, per la mia scortesia, ma da qualche giorno le notizie dalle Terre dei Fiumi sono sempre più rare.” Brienne tentò di contenere la rabbia. Mi vuole lontana da Sansa per poter continuare indisturbato i suoi complotti.

Per fortuna Jon sembrava del suo stesso parere, nonostante il cortese congedo nei confronti di Ditocorto.

Rimasti soli, il Re del Nord si voltò a guardarla. “Sansa ha bisogno di te” disse a bassa voce, “non è al sicuro con Baelish a ronzarle intorno. Devi stare attenta, di sicuro tenterà altre mosse. Per ora non diremo nulla dell’accaduto a mia sorella, non vorrei che agisse senza pensare.”

Brienne annuì ed insieme entrarono nella Sala Grande, da dove proveniva un vociare confuso. Intorno al lungo tavolo di mogano vi erano alcuni lord intenti a parlottare indicando una cartina stesa davanti a loro. Brienne riconobbe Davos e il rozzo bruto con la barba rossa, che appena la vide sgranò gli occhi. Lei non ebbe tempo per l’imbarazzo perché Sansa le corse incontro.

Brienne non l’aveva mai vista così serena e radiosa, così libera da angosce e preoccupazioni. Assomiglia così tanto a lady Catelyn.

“Sono così felice di rivederti, Brienne” esclamò Sansa abbracciandola, “mi chiedevo quando saresti arrivata.”

Brienne si liberò dalla stretta con delicatezza. “Mia signora, io devo ammettere di aver fallito a…” iniziò gravemente, ma Sansa scoppiò a ridere. “Brienne, ti proibisco di parlare in questo modo” disse con tono fintamente serio, “tutto è finito per il meglio ed è inutile continuare a rivivere il passato.” Brienne sospirò confortata e si sedette al tavolo.

Il bruto spostò rumorosamente la sedia per sedersi accanto a lei. Gli altri lord sghignazzarono e perfino Jon si concesse un pallido sorriso. “Tormund, credo che Brienne abbia bisogno di spazio” disse prendendo posto sul trono di legno. Tormund esitò qualche istante prima di allontanarsi nuovamente con espressione delusa.

Jon si schiarì la voce. “Prima che arrivassi stavamo discutendo riguardo al viaggio di ser Davos” spiegò rivolgendosi a Brienne, “che tra due giorni partirà per la Roccia del Drago.” Notando l’espressione disorientata di Brienne, Jon proseguì. “A raccogliere tutto il Vetro di Drago che riuscirà a trovare” concluse appoggiando le mani sul tavolo. Brienne annuì convinta: ricordava di aver udito qualcosa a proposito di quel Vetro, che si diceva potesse uccidere gli Estranei.

“Per quanto riguarda la scorta, dobbiamo decidere quali…”

“Se permetti, Jon” lo interruppe Davos, “preferirei viaggiare da solo. Un esercito attirerebbe l’attenzione dei Lannister e presto tu avrai bisogno di tutti gli uomini che riuscirai a trovare qui, al Nord. Conosco bene Roccia del Drago, non avrò problemi.” Jon sembrò soppesare la proposta. “D’accordo” decise infine “mi sembra un’idea ragionevole.”

“Ma come farà ad arrivare alla Roccia del Drago senza nave?” chiese un lord che a giudicare dalla spilla a forma di tritone doveva essere un Manderly.

“Noi abbiamo delle navi” spiegò Jon, “le navi che Stannis mi aveva lasciato per mettere in salvo i bruti ad Aspra Dimora. Ho scritto a Edd al Castello Nero e le navi sono state portate dal Forte Orientale fino a Porto Bianco. Ed è da lì che partirai Davos.” Davos annuì pensieroso.

Brienne non poteva che essere felice del suo allontanamento. Non mi piace il suo comportamento, si disse stringendo le labbra. Dov’era quando ho giustiziato Stannis? Perché non ha servito fino alla morte il suo re? In quel momento si accorse dell’assenza di Melisandre.

Dove sarà finita quella strega?

“C’è un problema” stava dicendo in quel momento Tormund, “da quel che ricordo Davos non è mai stato bravo a combattere, sbaglio?” Davos fece una smorfia. “Affatto” rispose, “è stato un miracolo se sono uscito vivo dalla Battaglia dei Bastardi. Diciamo che me la cavo meglio con le parole piuttosto che con la spada.”

“E se venisse attaccato?” chiese una ragazzina che per Brienne poteva avere massimo undici anni “Cosa farà se non è in grado di difendersi?”

“Per questo Brienne andrà con lui” si intromise a sorpresa Sansa.

Tutti si voltarono a fissarla e Brienne rimase a bocca aperta. In viaggio insieme a quell’uomo?

“Sansa” iniziò indeciso Jon, “credo che Brienne sia più utile al tuo fianco per proteggerti e…”

“Mi basta Spettro” tagliò corto lei. “Brienne è perfetta per questa missione. Non darà troppo nell’occhio, ma in caso di pericolo saprà battersi e vincere. Mi fido ciecamente di lei e vi dico che è la persona giusta.” Qualcuno borbottò mezze frasi in cui si distinse solamente la parola donna, ma nessuno obbiettò. Sansa sembrava soddisfatta, ma Brienne notò che evitava di guardare dalla sua parte. Chissà cos’avrà in mente, pensò confusa. Sono appena tornata e già mi manda via.

Davos appariva serio e determinato, mentre Tormund aveva chinato il capo rassegnato. Almeno sarò lontana da lui.

Poi Jon prese la parola. “E sia” disse fissando sua sorella e Brienne intuì che nemmeno lui aveva capito il gioco di Sansa. “Brienne, accetti questa missione?”

Brienne cercò lo sguardo di Sansa, che tuttavia continuò ad ignorarla. Se almeno mi spiegasse, pensò affranta. Prese un bel respiro. “Accetto questo incarico e mi impegno a portarlo a termine in nome di lady Sansa e re Jon della casa Stark.” Pronunciò queste parole con voce solenne, cercando di mascherare la malinconia, ma evitò di estrarre la spada. Non è il caso.

Jon si alzò. “Ti ringrazio, Brienne” disse gentilmente, “il Nord ti è debitore. L’incontro è concluso, siete liberi di andare. Tormund, vieni con me che ti devo parlare.”

Il piccolo gruppo si riversò nel cortile. Brienne cercò di intercettare Sansa, ma si era già allontanata. Ma cos’è successo? si chiese Prima mi abbraccia e poi mi ignora? Cos’ho detto o fatto di sbagliato?

Abbassò lo sguardo pensando a questo viaggio fuori programma. All’improvviso un pensiero la colpì ed il cuore accelerò suo malgrado. Scosse la testa irritata dai suoi stessi pensieri. Per un attimo, uno solo, aveva sperato di poter incontrare nuovamente Jaime a Sud. Anche se ciò avesse significato affrontare un intero esercito Lannister.

 

Jon

 

La fiaccola continuava ad ardere. La galleria si snodava nelle viscere della terra ed il buio avvolgeva quel luogo umido e freddo. I suoni erano ovattati e sembravano arrivare da qualche altro cunicolo oltre la spessa parete di roccia.

Jon avanzava tentando inutilmente di abituare gli occhi all’oscurità. Le statue lo osservavano silenti. Giunto al termine dell’angusto corridoio, si accorse di essersi spinto così in profondità per cercare qualcosa. Ma la statua era sparita. Al suo posto due oggetti brillavano sul pavimento e Jon piegò un ginocchio per raccogliere la strana corona. Consisteva in un semplice anello d’oro con incastonati una dozzina di piccoli rubini scintillanti come stelle. Sulla parte destinata ad ornare la fronte erano scolpiti a rilievo tre draghi.

Jon la rigirò curioso tra le mani prima che la sua attenzione fosse attratta dall’altro oggetto. Si trattava di un’arpa d’argento di medie dimensioni e, aguzzando la vista, si potevano scorgere incisioni che richiamavano il fuoco e di nuovo i draghi.

Titubante, Jon sfiorò le corde lisce come seta e la melodia che si propagò per la galleria era così dolce ed armoniosa da scaldare il cuore e tingere l’anima. Jon si ritrovò a muovere le labbra intorno a parole che non ricordava, ma che sentiva essere sempre state parte di lui. La canzone sembrava riconoscerlo, accettarlo, e si levava alta intrecciandosi con la melodia.

Jon sentì le lacrime pizzicargli gli occhi e portò le dita a sfiorarsi il viso. Ma la mano aveva preso fuoco.

 


Jon si svegliò di soprassalto con le sue stesse urla che gli perforavano le orecchie.

Sollevò tremante la mano come per assicurarsi di trovarla intatta e flesse due o tre volte le falangi per essere certo di poterlo ancora fare. La coperta gli si era incollata al petto madido di sudore ed il cuore non accennava a rallentare. Qualcuno picchiava forte alla porta.

“V-vostra grazia” stava dicendo una voce, “mi dispiace svegliarti, m-ma mi avevi raccomandato di venirti a chiamare all’ora degli allenamenti.”

Jon spalancò la bocca realizzando solo in quel momento la situazione. “Sì, sì” si affrettò a rispondere, “scendo subito. Di' a Tormund di preparare le armi.”

“Certo, vostra grazia” assicurò quello che Jon aveva intuito essere Podrick.

Appena l’eco dei passi si perse nel corridoio Jon provò ad alzarsi. Il mondo gli danzava intorno e rischiò di perdere l’equilibrio più volte. Dovette aggrapparsi alla spalliera del letto per non cadere, le schegge di legno che gli si conficcavano nella carne. Soffocando un gemito di dolore, Jon raggiunse a tentoni la sedia su cui aveva preparato gli abiti che avrebbe indossato. Da quando aveva lasciato i Guardiani della Notte aveva anche abbandonato l’abitudine di vestire sempre di nero e quella mattina lo attendevano delle braghe marroni ed un farsetto rosso scuro. Indossare colori diversi da quello che lo aveva accompagnato nella morte lo metteva a disagio, gli suscitava una sensazione di inadeguatezza.

In quel momento però, mentre le sue mani armeggiavano con il fermaglio a forma di lupo del mantello, i suoi pensieri erano altrove.

Quel canto, io l’avevo già ascoltato… Ma dove? Perché sento di conoscerlo?

Sforzò la memoria tentando di afferrare qualche ricordo lontano. I banchetti a Grande Inverno, i cantastorie che facevano tappa al castello, chiunque avrebbe potuto cantare quella canzone, ma Jon era certo di non averla udita in quelle circostanze. Inconsciamente la collegava ad un momento felice, ad un luogo caldo e a un abbraccio sicuro.

“Come una ninnananna” mormorò Jon passandosi una mano tra i capelli e legandoli all’indietro. Ma mai nessuno gliene aveva cantata una, di questo Jon era dolorosamente certo. Scosse la testa, tentando di tornare al presente. Finì di allacciarsi le scarpe ed uscì. Ci penserò più tardi, promise a sé stesso.

Raggiunse la Sala Grande e la trovò stranamente semivuota. Aveva dato il permesso ai lord che giungevano a Grande Inverno da ogni angolo del Nord di vagare tranquillamente per il castello e d’allora le stanze erano state piuttosto affollate. Quella mattina però al lungo tavolo di legno avevano preso posto solo Sansa, lord Cerwyn e qualche bruto. Di Tormund non vi era traccia. Davos e Brienne erano partiti la sera prima e Jon aveva urgente bisogno di parlare con Sansa.

Cercando per quanto possibile di non farsi notare, le fece cenno di raggiungerlo nel corridoio. Sansa si alzò di malavoglia, probabilmente intuendo il discorso che Jon avrebbe affrontato. Il Re del Nord attese che sua sorella gli fosse accanto e chiuse a chiave la porta che dava sulla Sala Grande.

“Jon, i lord si innervosiranno presto” lo avvertì Sansa con voce annoiata, “li hai appena chiusi dentro.”

“Dovranno attendere, è con te che voglio parlare.”

Sansa alzò gli occhi fissandolo con sufficienza. “E chi ti dice che io voglia ascoltarti?” chiese in tono di sfida.

“Nessuno” ribatté Jon, “ma io lo farei se fossi in te. Che cosa ti sta succedendo, Sansa? Ti ho visto chiedere ogni santo giorno notizie su Brienne, controllare i corvi alla ricerca di qualche messaggio, recarti sulle mura a fissare gli orizzonti.” Fece una pausa. “L’hai abbracciata ed eri felice di rivederla. Ma allora perché l’hai cacciata? Perché l’hai costretta a questa missione con un uomo che disprezza? Brienne mi aveva giurato che ti avrebbe protetto, ha quasi pianto quando ieri non sei venuta a salutarla.” L’armatura di cortesia di Sansa sembrò creparsi e Jon seppe di aver fatto breccia.

“Jon, io… io non volevo” balbettò lei torcendosi le mani, “non pensavo… io… Oh déi, com’è difficile spiegare… Ho dovuto allontanarla, Jon! Avevo sentito Ditocorto parlare a lord Royce di come indebolire il Nord. Quando Brienne è entrata nella Sala poco dopo l’uscita di Baelish, avevo capito che aveva tentato di non farla entrare a Grande Inverno, e che tu ringraziando gli déi l’avevi intercettato. Ma non c’erano prove, anche questo ho capito, non si hanno mai prove contro Ditocorto. Baelish vuole che io resti sola in modo da credere di poter manipolarmi. Avrebbe colpito Brienne, Jon. Un giorno ci sarebbe stato un tragico incidente e Brienne sarebbe rimasta uccisa. Ho dovuto allontanarla.”

Jon era rimasto a bocca aperta, stupito dalla capacità di reazione di Sansa, dal suo ingegno. “Hai fatto bene” ammise infine, “ma perché non l’hai più degnata di uno sguardo? Perché non l’hai salutata?” Gli occhi di Sansa si riempirono di lacrime. “Per questo motivo, Jon” spiegò asciugandosi gli occhi, “se l’avessi guardata, se l’avessi abbracciata, non avrei più avuto la forza di fare quello che andava fatto. Non volevo metterla in pericolo, ma non volevo neppure che lei fosse ossessionata dall’idea che io avessi paura. Non giudicarmi male, ti prego.”

Jon sorrise protendendosi in avanti per abbracciarla. “Non potrei mai giudicarti male, Sansa” mormorò accarezzandole i capelli fiammanti.

Sansa ricambiò la stretta prima di allontanarsi. “Credo proprio che tu ora debba riaprire quella porta” gli consigliò accennando un sorriso, “non senti come bussano?”

Jon rise e girò la chiave nella toppa mentre sua sorella scompariva su per le scale. E’ cambiata, pensò cercando al tempo stesso di biascicare scuse davanti all’orda di signori e bruti infuriati. E' forte ed intelligente. A volte mi fa paura.

Si accorse di non essere affatto affamato e si diresse direttamente verso l’armeria. Represse a stento una risata quando vide Tormund alle prese con lo stile di combattimento occidentale.

“Quindi tu mi stai dicendo che non posso colpire il mio avversario alle palle?” stava chiedendo esterrefatto il bruto ad un giovanissimo Cavaliere della Valle.

“Non è onorevole…”

“Al diavolo l’onore!” ruggì Tormund roteando l’ascia “Credi forse che agli Estranei importi? Credi forse che quando ci attaccheranno chiederanno il permesso? Giocano sporco ed è proprio quello che dobbiamo fare noi. Anche voi onorevoli uomini del Sud non perdete l’occasione di ingannare i nemici, o non è forse vero ragazzino?”

“Adesso basta, Tormund” intervenne Jon. I due combattenti si voltarono a fissarlo. “C’è differenza tra le imboscate ed il gioco sporco. L’onore è ciò che ci distingue da loro, è un valore importante.”

Tormund grugnì. “A me sembra che l’onore ti abbia portato dritto nella tomba, Jon Snow.”

“Sai bene che non è così” sussurrò Jon avvicinandosi. “Se avessi seguito ciò che il codice dell’onore suggerisce ora io sarei ancora l’amato lord Comandante dei Guardiani della Notte, tu saresti stato giustiziato ed il tuo popolo vagherebbe chissà dove in balìa degli Estranei.” Tormund era ammutolito.

Jon sorrise. “Come ti chiami?” chiese al Cavaliere della Valle rimasto silenzioso.

“Willys, vostra grazia.” 

“Bene, Willys” disse Jon raccogliendo una spada da allenamento, “che ne dici di far vedere a Tormund come si battono i cavalieri di Westeros?” Il ragazzo arrossì violentemente. “S-se lo dici tu, maestà” balbettò a disagio.

Iniziarono a muoversi in cerchio sotto lo sguardo curioso di Tormund. Il ragazzo sembrava incerto e piuttosto goffo e Jon riusciva a prevedere ogni sua mossa.

“Allenta la presa” gli suggerì colpendolo delicatamente al fianco, “non devi stringere troppo la spada, altrimenti sprecherai energia. Ora prova un affondo.” Willys si lanciò in un rozzo attacco, che Jon deviò con la spada. “Non ci siamo” spiegò, “sei troppo lento. Se la mia spada fosse stata d’acciaio ti avrei colpito già una quindicina di volte.”

Infilzali con la punta.

Il ricordo di Arya lo folgorò e Jon abbassò il braccio, improvvisamente privo di forze. Willys, concentrato com’era, non si accorse che il suo re era in difficoltà e tentò un secondo attacco imprimendo alla lama tutta la sua forza. Jon accusò il colpo, riuscendo comunque a disarmare l’avversario. Il petto gli bruciava: Willys aveva colpito proprio una delle ferite della morte.

“Jon, stai bene?” chiese Tormund avvicinandosi preoccupato. Willys era terrorizzato. “I-io non volevo colpirlo” si scusò subito.

“E’ tutto a posto” intervenne rassicurante Jon. Si sforzò di sorridere. “Sei stato molto bravo, mi hai quasi fatto cadere.” Il viso del ragazzo fu illuminato da un sorriso.

Jon si accorse che il cortile era stato lentamente circondato da una folla di curiosi. Vecchi e giovani, nobili e poveri, tutti guardavo esterrefatti il loro re allenarsi nella polvere.

“Volete unirvi a noi?” chiese Jon fissando i visi curiosi che l’osservavano “Venite, qui c’è spazio per tutti. Tormund, procura una spada ed uno scudo a tutti coloro che vorranno partecipare.” Tormund gli lanciò un’occhiata assassina, ma Jon non se ne curò.

All’inizio solo pochi ragazzi coraggiosi si fecero avanti, ma in breve il cortile fu pervaso dalle urla emozionate dei combattenti. Era così strano vedere persone così diverse andare d’accordo. Nemmeno lord Eddard aveva mai aperto in tal modo le porte di Grande Inverno se non per scopi difensivi. Jon sentiva il peso delle occhiate di tutti, ma si sforzò di comportarsi con naturalezza. Rideva con i bambini, dava consigli ai ragazzi, sfidava gli adulti. E tutti lo cercavano, lo chiamavano, volevano vederlo.

Era una situazione paradossale, questo Jon lo sapeva. Non aveva mai augurato alcun male alla sua famiglia, ma il male l’aveva colpita ugualmente. E solo adesso lui poteva dire di sentirsi veramente felice. Forse era un pensiero egoista, ma Jon non se ne curava più.

Mentre correggeva la postura di un ragazzo, vide un gruppetto di bambine che fissavano desiderose il cortile. Andò loro incontro.

“Volete partecipare per caso?” Le bambine lo guardarono con gli occhi traboccanti di meraviglia.

“E tu chi sei?” chiese una ragazzina imbronciata. “Idiota, è il re!” la redarguì la vicina.

La bambina non cambiò minimante atteggiamento. “Piacere, io sono Maryanne” disse incrociando le braccia. Le amiche sembravano scandalizzate, ma Jon scoppiò a ridere. “D’accordo, Maryanne” disse strizzandole l’occhio, “che ne dici di venirti ad allenare con me?” La ragazzina finalmente sorrise, mentre le amichette la guardavano invidiose.

Jon la condusse al centro del cortile e le diede una spada di legno. “Bene” la incoraggiò, “fammi vedere di cosa sei capace.” Neanche il tempo di terminare la frase che Maryanne gli si era già scagliata contro colpendo alla cieca. Jon, divertito da tanta irruenza, si limitò a schivare i fendenti. Ancora una volta si ritrovò a pensare ad Arya. Come sarebbe grande adesso, si disse con amarezza. Non potrei più chiamarla sorellina.

Sansa aveva raccontato di come Brienne avesse incontrato Arya uccidendo il Mastino per salvarla, ma d’allora erano passati mesi e di Arya si erano perse le tracce. “E’ morta, Jon” gli aveva detto Sansa piangendo. “L’ultima volta che l’ho vista stavamo litigando ad Approdo del Re, sono stata una pessima sorella.” E Jon aveva dovuto consolarla, mentre Spettro le leccava via le lacrime dal viso. Anche di Bran non si avevano notizie. Era andato oltre la Barriera e poi più nulla. Jon aveva sperato di trovarlo al Castello di Craster, ma così non era stato. E’ morto, aveva pensato Jon, evitando tuttavia di dar voce alle sue angosce.

Maryanne continuava a colpirlo furiosamente, quando arrivò una sentinella.

“Vostra grazia, mi duole interromperti, ma è appena giunta una persona che vorrebbe conversare con te e lady Sansa.”

Jon rimase un secondo fermo per la sorpresa, più che sufficiente per essere colpito in pieno da Maryanne. “Torno subito” disse scompigliando i capelli alla bambina, “tu allenati con le tue amiche.”

Jon seguì la guardia lungo i corridoi del castello. “Di chi si tratta?” chiese curioso “Chi vuole parlare con noi?”

“Alys Karstark, vostra grazia.”

Jon sgranò gli occhi, sforzandosi di rammentare dove avesse udito quel nome. La guardia aprì la porta della Sala Grande e Jon si precipitò all’interno. Sansa era già dentro con lord Cerwyn e lady Mormont.

In piedi davanti a loro, con aria smarrita, vi era una fanciulla che doveva avere pressappoco l’età di Sansa. Aveva il viso a forma di cuore e l’incarnato pallido, con folte sopracciglia e labbra color ciliegia. Gli occhi erano grandi e ambrati, ma a colpire Jon furono i suoi capelli. Lunghi fino alla vita, erano di un colore luminoso che variava dall’oro al miele. Trecce sottili le incorniciavano il volto, trattenute sulla nuca da una reticella scintillante. La fanciulla, di corporatura esile, indossava un lungo vestito verde muschio sul quale era buttato con disinvoltura un mantello grigio che fungeva anche da strascico. Nessun gioiello le ornava il lungo collo o le dita affusolate. Appena vide Jon, la ragazza si esibì in un aggraziato inchino, i suoi occhi fissi in quelli del sovrano.

“Maestà” disse con voce melodiosa. “Io sono Alys Karstark, legittima lady di Karhold. E’ un piacere fare la tua conoscenza.” Parlava in tono pacato e l’iniziale incertezza sembrava essersi dileguata.

“Una Karstark?” chiese perplessa Sansa “Sapevo che vi eravate schierati con i Bolton…” Alys le lanciò una strana occhiata. “Mio zio Arnolf ha appoggiato Ramsay Bolton, mia lady” spiegò tornando a guardare Jon, “ma mi aveva sottratto il titolo che mi spetta dalla nascita. Ora è morto e io sono venuta a Grande Inverno per giurare fedeltà al Re del Nord.”

“E perché mai dovresti farlo?” chiese bruscamente Sansa “Mio fratello Robb ha giustiziato tuo padre e voi lo avete abbandonato, perché dovremmo fidarci di te?” Jon era stupito dall’atteggiamento di Sansa: come mai attaccava quella ragazza in quel modo?

Ma Alys non era per nulla scossa. “Sono dolente per la vostra perdita” disse fissando Sansa freddamente, “ma mio padre ha solo vendicato Torrhen ed Eddard e…”

“Ha ucciso due ragazzini indifesi” la interruppe Sansa, “ha fatto bene mio fratello a mozzargli il capo.”

“Con questo ragionamento potrei dire la stessa cosa di vostro padre” ribatté Alys, “anche lui era accusato di tradimento dopotutto.” Prima che Sansa potesse parlare, intervenne Jon.

“Adesso basta, questo litigio non porta a nulla. Lord Rickard ha sbagliato ad uccidere due innocenti e Robb ha esagerato con la punizione. E vorrei chiarire una cosa, lady Alys: mio padre non ha mai tradito il re e non tollererò che si manchi di rispetto alla sua memoria.”

Alys abbassò il capo. “Io non ho mai sostenuto il contrario, vostra grazia” mormorò con i capelli negli occhi, “le mie erano solo supposizioni.” Sansa sembrava sul punto di prendere fuoco per combustione spontanea. Per qualche secondo fu solo silenzio.

“Quindi ci appoggerete?” chiese alla fine Lyanna Mormont preferendo andare al punto.

Alys sorrise. “Certamente, lady…?”

“Mormont” rispose la piccola. “I conti non tornano” intervenne Cley Cerwyn, “Rickard aveva un altro figlio maschio oltre ai due morti, dov’è ora?”

Alys si fece improvvisamente triste. “Harrion aveva voluto seguire nostro padre in battaglia. Fu preso prigioniero a Maidenpool da quanto ne so. Adesso è morto.”

Cerwyn la fissò poco convinto. “Ne sei certa?”

“Purtroppo sì” annuì Alys chiudendo gli occhi.

Jon capì che era il momento di prendere una decisione. Sbirciò Sansa, che sedeva rigida. Era evidente che l’ospite la mettesse a disagio.

Jon sospirò profondamente. “Lady Alys Karstark” annunciò in tono solenne incontrando i suoi meravigliosi occhi dorati, “accetterò il tuo giuramento e ti permetterò di mantenere il controllo su Karhold. Mi auguro che resterai sempre fedele a casa Stark e alla causa del Nord.” Fece una pausa. “Beh, più di tuo padre” si sentì in dovere di specificare. Alys scoppiò a ridere, mettendo in mostra una fila di denti candidi come la neve.

“Hai la mia parola” disse chinando il capo con reverenza.

Quando lo rialzò, Jon fu assalito dai dubbi. Una parte di lui voleva credere di aver fatto la cosa giusta, un’altra urlava all’errore e al disastro. Ma Jon, d’altronde, non aveva mai saputo nulla.

 
                                                                                                                                                                                   
                                                                                                                                       "Hai il sonno, che è immagine della morte."




N.D.A.

Ben tornati! Eccomi qui con il secondo capitolo, dove fa la sua comparsa Daenerys. Che ne pensate di lei? E' tra i vostri personaggi preferiti o la odiate terribilmente? Brienne è appena tornata e già si vede costretta a ripartire XD, come pensate andrà il suo viaggio con Davos? Riusciranno a superare certe divergenze? E qual è il ruolo di questi sogni?

Vorrei specificare un paio di cose... All'inizio di questa storia Bran non sa ancora bene controllare i suoi poteri, quindi naturalmente non è in grado di capire immediatamente ogni cosa, né sa come andare a ricercare nel passato le informazioni che gli servono. Lo vedrete crescere e migliorare, ma all'inizio sarà piuttosto impacciato e non ancora pronto a rivestire il ruolo di Corvo con Tre Occhi. Quindi è normale impieghi più tempo per arrivare a conclusioni che ci sembrano ovvie :-)
Poi Alys Karstark... Avrà un ruolo importante nella storia, ma dimenticate qualunque cosa sapete di lei. Il mio personaggio ha solamente il nome e la storia di quello di Martin, per il resto l'ho completamente cambiato, come avrete già notato. Mi sono presa questa libertà perchè avevo bisogno di un personaggio che si opponesse moralmente a Sansa (anche se ciò non vuol dire assolutamente che Alys sia cattiva) e mi sembrava un'ottima soluzione. Scoprirete altro di lei piano piano, per ora posso solo dirvi che è molto furba e ambiziosa, ma che nasconde la parte più sensibile di sé.

Ringrazio tutti coloro che hanno lasciato una recensione al primo capitolo: ragazzi vi adoro tutti, non sapete quanto mi rendete felice! In ordine: NigthLion, giona, Fandoms_are_life, Azaliv87 (di cui vi invito a leggere Tales se amate Rhaegar e Lyanna), Red_Heart96, Iside13, leila91, GiuLy93 e Nirvana_04.... Un grosso bacio a tutte voi e spero di risentirvi presto!
Un ringraziamento speciale anche a tutti quelli che hanno inserito la storia tra le preferite, le seguite o le ricordate: spero avrete voglia di uscire allo scoperto e far sentire il vostro parere, non desidero altro!

Spero davvero anche questo capitolo vi piaccia e mi raccomando recensite: è sempre bello confrontare le idee!
A presto!

NB: stavolta la citazione è del grande Cicerone XD, un piccolo rimando a questi sogni tormentati e di cattivi presagi :-)





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Capitolo 3
*** The Song of Ice and Fire ***





The Song of Ice and Fire



Cersei

 

La odiavano. Cersei lo sentiva, lo vedeva chiaramente nei loro occhi saturi di rancore, nei loro sguardi cospiratori. Si prostravano al suo passaggio, ma le sussurravano alle spalle.

“Tramano nell’ombra per strapparmi quello che ho conquistato” aveva detto a Jaime, “aspettano solo un mio accenno di debolezza e colpiranno.” Ma Jaime aveva riso, tentando di abbracciarla. “Ti preoccupi troppo di questa città” le aveva fatto notare, “il vero pericolo arriverà da fuori.” Cersei si era liberata bruscamente dalle braccia del fratello. “A volte mi chiedo da che parte stai” aveva osservato freddamente lasciandolo solo. Non aveva bisogno di lui in fondo, sapeva benissimo ciò che doveva fare.

Intimidire, minacciare, distruggere.

Non era poi così complicato e Cersei si scoprì stranamente appagata dalle esecuzioni che avevano raggiunto cadenza giornaliera. Si sedeva sul Trono di Spade, le dita contratte intorno ai braccioli, godendo delle balbuzie insignificanti dei condannati. Amava vederli soffrire, disperarsi, supplicare. Amava vederli morire.

“Le erbe marce vanno estirpate da questa città” aveva spiegato a Qyburn, “la gente dovrà ricordare a chi rimanere fedele quando quella Targaryen ci attaccherà. Semmai, ci attaccherà.”

Cersei non era mai stata libera di decidere per la sua vita. Adesso il terrore era la sua spada, la forza il suo scudo e l’orrore suo marito. Ho dovuto sputare sangue per prendermi questo Trono, era solita pensare. E se quella ragazzina crede di potermi fare paura con tre lucertole troppo cresciute si sbaglia di grosso.

Il giorno in cui il tempio di Baelor era saltato in aria, Cersei aveva sorriso. Per un momento il mondo era stato il paradiso. Margaery era morta insieme a quell’idiota di suo padre e l’Alto Passero non avrebbe più potuto sfoggiare il suo ghigno beffardo. Poi avevano scoperto il corpo di Tommen. “Il Re si è suicidato” avevano mormorato. Cersei non si era sentita in colpa, neanche per un momento. Il cuore non le aveva concesso lacrime, solo sospiri.

La profezia si era avverata, Cersei non aveva nemmeno tentato di evitarla. Il re avrà sedici figli, tu solo tre. D’oro saranno le loro corone, d’oro i loro sudari. Dopo la morte di Joffrey aveva sperato di poter proteggere i figli che le restavano. Aveva mandato Jaime a Dorne, l’aveva fatto entrare clandestinamente in quelle terre sconosciute per riportare indietro Myrcella. Ma lei era stata uccisa comunque. E ora Tommen l’aveva seguita nella tomba.

La potente famiglia che sognavi è morta, padre, pensava Cersei ridendo isterica. Cosa diresti ora vedendoci oltraggiare il nome dei Lannister? Ma Tywin Lannister era cenere ormai, per la gioia dei suoi nemici, così come Kevan, Lancel, Joffrey, Myrcella e Tommen. Siamo rimasti solo io e Jaime, si era resa conto Cersei. 

E Tyrion.

Il pensiero di quel nano deforme le faceva ribollire il sangue. “E’ ancora vivo” era stata costretta ad ammettere Cersei, “sta tornando per me.” Il processo era vinto, la Montagna aveva ucciso Oberyn Martell e Tyrion era stato condannato a morte. Cersei aveva creduto che tutto avrebbe seguito il giusto sentiero. Non aveva mai perdonato Jaime per aver fatto fuggire quel mostriciattolo.

E quando sarai annegata nelle tue stesse lacrime, il valonqar chiuderà le mani attorno alla tua gola bianca e stringerà finché non sopraggiungerà la morte.

Le parole della profezia continuavano ad ossessionarla. Valonqar, valonqar, non riusciva a smettere di pensare.

Fratellino.

Stavolta no, non lascerò che la profezia vinca di nuovo. Cersei era una leonessa e chi osava mettersi contro di lei avrebbe assaggiato i suoi artigli.

Un servo bussò alla porta. “Che cosa vuoi?” lo aggredì irritata la regina. “V-vostra g-grazia” balbettò lui, “lord Euron Greyjoy è arrivato.”

Cersei annuì gelida. “Ottimo, sparisci.” Il ragazzo si dileguò. Cersei passò una mano tra i corti capelli biondi che le arrivavano a stento alla nuca. Si chiese se avesse dovuto avvertire Jaime. Concluse che l’incontro sarebbe proseguito meglio senza di lui: non le era sfuggito il sospiro di sollievo emanato da suo fratello quando era giunta la notizia della fuga di Edmure Tully.

Delta delle Acque è di nuovo in mano ai nostri nemici, pensò allacciandosi il corpetto. Complimenti, Jaime, se tu avessi ucciso Edmure quando ne avevi l’opportunità tutto questo non sarebbe successo. Aprì la porta e scorse la rassicurante figura di Gregor Clegane.

“Andiamo a parlare con Euron Greyjoy” gli spiegò Cersei, “non minacciare finché non ti darò segnale.” Camminarono a passo spedito fino alla sala del Concilio Ristretto. 

Qyburn era già dentro. “Vostra grazia” sussurrò abbassando il capo, “ho l’onore di presentarti Euron Occhio di Corvo Greyjoy, lord di Pyke.”

“E Re delle Isole di Ferro” specificò con voce divertita l’uomo che dava le spalle alla regina per ammirare il paesaggio dalla finestra. Poi si voltò.

La prima impressione di Cersei fu di sorpresa. Si era aspettata un uomo vecchio e acido come Balon, e invece se ne trovava davanti uno molto più giovane e per certi versi perfino attraente. Aveva penetranti occhi azzurri e decise arcate sopraccigliari che conferivano al suo sguardo un’espressione severa. Il sorriso ironico che gli tirava perennemente le labbra restituiva l’equilibrio. I capelli erano folti e castani e sembravano spettinati dal vento. Sul capo portava la più brutta corona che Cersei avesse mai visto, fatta di legno rozzamente intrecciato. Notando dove lo sguardo della regina si fosse soffermato, Euron scoppiò a ridere. Aveva i denti leggermente storti. “Lo so, lo so” disse portando avanti le mani, “è davvero orrenda. Ma Aeron era così solenne nel porgermela che non potevo mica dirglielo.” 

Cersei rimase inespressiva. “Portare una corona al cospetto dell’unica regina dei Sette Regni è un atto di tradimento” disse inarcando un sopracciglio, “potrei condannarti a morte per questo.”

Euron allargò le braccia. “E per cosa?” chiese divertito “Per portare questo pezzo di legno in testa? Assomiglia forse ad una corona?”

“No” dovette ammettere Cersei. “Possiamo dunque affrontare il problema che ti ha portato qui?” Fece cenno ad Euron di sedersi e prese posto davanti a lui. A dividerli, solo un basso tavolino da tè. Qyburn rimase in piedi alle spalle della regina.

“Come avrai certamente sentito” iniziò Cersei, “Daenerys Targaryen ha lasciato Meeren e sta navigando verso Approdo del Re. Non sappiamo dove sia ora, ma senza ombra di dubbio sarà qui presto.” 

“Aye” replicò Euron accarezzandosi la barba, “le avrei offerto la mia flotta, ma i miei stupidi nipoti si sono messi in mezzo e l’hanno raggiunta per primi. Da quello che so, la Regina dei Draghi adesso appoggia la pretesa al trono di Yara.”

Cersei decise di sorvolare sul fatto che Euron avesse tentato di allearsi con Daenerys per strapparle il Trono di Spade.

“Ovviamente” disse sorridendo, “e adesso ti serve il mio aiuto per affrontarla.” 

Euron sogghignò. “O piuttosto a te serve il mio” osservò ironico. “So che non hai più alleati, Cersei. Il Nord si è ribellato, la Valle e le Terre dei Fiumi si sono schierate con il suo re, Dorne e l’Altopiano sono con Daenerys: ti rimane solo l’esercito di tuo fratello.” 

Cersei non batté ciglio. “Tuttavia avrei abbastanza uomini per annientarti” disse tranquillamente, “mi sembra che abbiamo bisogno l’uno dell’altra.” Euron annuì stringendo le labbra. “Si può fare” decretò infine, “anche perché non ti conviene avermi come nemico, vostra grazia.”

“Nella lettera dicevi di volere terre nel Sud” ricordò Cersei, “come mai? Voi Uomini di Ferro non siete devoti alle vostre isole?”

Euron rise. “Forse altri” rispose, “ma io le vedo per quello che sono, un ammasso di pietre e sale. Io ho viaggiato, ho visitato i più bei posti del Continente Orientale, non posso più accontentarmi delle Isole di Ferro. Voglio l’Altopiano. Anche Dorne non sarebbe male, dicono che le loro siano le donne più belle del mondo.”

“Avrei un’offerta migliore” propose la regina, “il Nord.”

Euron si appoggiò allo schienale. “Il Nord è freddo e duro” fece notare, “non come le terre del Sud.” Cersei sorrise. “Tu credi che esisteranno ancora queste terre del Sud dopo che avrò sconfitto Daenerys Targaryen?” chiese sarcastica “Brucerò ogni città, ogni villaggio, ogni uomo di Dorne e dell’Altopiano per quello che i Martell e i Tyrell hanno fatto alla mia famiglia. Il Nord invece, ha solo bisogno di un’altra lezione, pare che l’ultima non l’abbiano recepita. Avevo inviato loro un ordine di supporto, sai cosa mi hanno risposto? Il Nord non conosce altro re che il Re del Nord il cui nome è Stark.”

Euron represse una risata. “E quindi cosa farai?” chiese alzando le sopracciglia. “Costringerò questo Re del Nord in ginocchio” rispose Cersei alzandosi, “ed ho bisogno di qualcuno che lo faccia per me.”

“Credevo che il problema fosse Daenerys Targaryen” osservò Euron, “non possiamo combattere due nemici contemporaneamente.”

“Ed è proprio per questo che dovrai spingere Jon Snow ad allearsi con questa Regina dei Draghi” ribatté Cersei versandosi il vino in una coppa dorata. “Qualche scorreria lungo le coste, a Porto Bianco e nelle Terre dei Fiumi e quel ragazzino correrà dalla Targaryen per ottenere protezione. Noi dobbiamo solo impedire che la raggiunga.”

“Da quanto ci dicono” intervenne Qyburn in direzione di Euron, “la sua presa sul Nord è ancora troppo debole per permettergli di portare l’intero esercito a Sud. Non potrà quindi tentare di supportare la Madre dei Draghi con molti uomini ed il tuo esercito li annienterà facilmente.”

“State forse suggerendo” chiese Euron incrociando le gambe, “un’imboscata?” 

Cersei sorrise. “Hai capito perfettamente” disse picchiettando con un dito sul tavolo, “appena Jon Snow si recherà a Sud con il suo drappello di uomini lo dovrai attaccare con tutte le tue forze. Scegli tu il luogo: sul mare, sulle montagne, con un assedio, non mi interessa. L’importante è che sia tu a vincere.”

“Cosa devo farci con il bastardo?” chiese Euron portandosi il calice alle labbra.

“Prendilo prigioniero” spiegò Cersei, “e uccidi gli altri: che veda cosa ha provocato con la sua stupidità. Poi portalo ad Approdo del Re. Sarà nostro ostaggio per assicurarci la fedeltà del Nord e dei suoi uomini contro Daenerys Targaryen. Allora avremo dalla nostra anche la Valle e le Terre dei Fiumi e riusciremo facilmente a debellare questa minaccia. Quando la guerra sarà finita lo uccideremo insieme ad eventuali eredi ed il Nord passerà a te. Sarai lord di Grande Inverno e Protettore del Nord e riporterai ordine in quelle terre selvagge. Forse potrei addirittura nominarti lord del Tridente. Che ne dici? Ti stanno bene queste condizioni?”

“Certamente” affermò Euron, “ho sempre amato piegare i popoli fieri. Ma avrei alcune domande. Come fai ad essere certa che Snow deciderà di allearsi con Daenerys? I Targaryen e gli Stark si odiano da vent’anni…”

“Lo farà” disse convinta Cersei, “se crederà di poter salvare il suo popolo. Gli Stark sono tutti uguali, non pensano ad altro. Se necessario Jaime con il suo esercito minaccerà l’Incollatura. Questo unito alle tue razzie basterà.”

“Ma Daenerys potrebbe attaccare Approdo del Re prima che abbiamo costretto il Nord a fornirci gli uomini che ci servono” osservò Euron, “e allora manderemmo tutto a puttane.”

“Conosco mio fratello Tyrion” sibilò Cersei stringendo i pugni, “le consiglierà di attendere, di avere il supporto del popolo e delle altre casate. Quella Targaryen si è mossa da Meeren solo con le Serpi delle Sabbie e i Tyrell a pararle il culo, non attaccherà senza aver provato a stipulare un’alleanza con il Nord. Avremo tutto il tempo per programmare le nostre prossime mosse.” 

Euron sembrava soddisfatto, mentre tracannava il vino bagnandosi i baffi corti e ispidi. “E sia” decretò alzandosi a sua volta, “mi sembra proprio un ottimo piano. Porterò la Flotta di Ferro ad Est verso Porto Bianco e seguirò le mosse di Snow e di Daenerys. Forse scoprirò anche dove si trova e come ha intenzione di attaccare. Per il resto, ho molti assi nella manica.” 

Cersei poteva ritenersi compiaciuta. “Hai già reclutato dei mercenari?” chiese passandosi la coppa da una mano all’altra.

“Aye” rispose lui annoiato. “Alcuni dei Corvi della Tempesta e della Compagnia del Gatto sono già dalla tua parte e sto contrattando con altri mercenari per l’appoggio dei loro gruppi. In tutto per ora sono cinquantamila uomini.” 

Cersei annuì rincuorata. “Ottimo lavoro, lord Euron” disse con un cenno di congedo del capo, “tienimi aggiornata di tutte le novità.” 

“Certamente, vostra grazia” assicurò Euron con una smorfia, come se quelle parole di cortesia gli causassero fastidio.

“Io avrei una domanda, se è possibile” intervenne pacatamente Qyburn. Euron e Cersei si voltarono verso di lui.

“Che ne è stato di Balon Greyjoy? E perché il titolo di re non è passato a suo figlio?”

Euron sogghignò. “Queste sono due domande, vecchio” osservò, “comunque ti risponderò francamente. Mio fratello era un inetto e un incapace. Ha portato le Isole di Ferro attraverso guerre devastanti e non era più in grado di guidarci.” Fece una pausa.

“Quindi?” lo incalzò Qyburn.

“L’ho ammazzato” rispose con naturalezza Euron. Cersei non ne era affatto stupita, né tantomeno impressionata. “Mi chiedevi perché il trono non sia passato a mio nipote” continuò Euron iniziando a camminare per la stanza. “Beh, non so se sono arrivate notizie qui a Sud, ma diciamo che dopo quello che Ramsay gli ha fatto Theon non riuscirebbe ad ispirare lealtà nemmeno ad un mucchio di letame.”

“E sua sorella?” chiese a sorpresa Cersei.

“Yara è solo una donna e…”

“Quindi credi che le donne non siano adatte a governare?” lo interruppe Cersei freddamente “Io sono una donna. Daenerys Targaryen è una donna. Margaery Tyrell era una donna. Come ci chiamano? Seduttrici… Io preferisco regine. Abbiamo condizionato, condizioniamo e condizioneremo la storia. Margaery è il passato, Daenerys è il presente, ma io sono il futuro. Dimmi, Euron, tu dove sei in tutto questo?” Euron stava per rispondere, ma Cersei fece un cenno e la Montagna avanzò minacciosa.

“Grazie per la tua disponibilità, lord Euron” disse la regina voltandogli le spalle. “Ser Gregor, accompagna per favore il nostro ospite all’uscita: l’udienza è terminata.”

Euron, rosso di vergogna, fu costretto ad uscire dalla sala sotto il muto sguardo assassino di Gregor Clegane. 

Qyburn si inchinò reverenzialmente. “Come è andato l’incontro, vostra grazia?”

Cersei sospirò buttando giù un altro sorso di vino. “Molto bene” rispose infine, “adesso abbiamo chi sconfiggerà per noi il Nord, e, se anche Euron dovesse fallire, non avremmo perso nemmeno un uomo del nostro esercito.”

Qyburn non appariva convinto. “Ma abbiamo bisogno di quegli uomini per abbattere Daenerys Targaryen.” osservò incerto. 

Cersei scoppiò a ridere. “Certo” spiegò posando la coppa, “ma i mercenari sono fedeli all’oro e l’oro l’abbiamo noi, non Euron Greyjoy. Perderemmo solo le navi di quel buffone, ma, se vinciamo, avremo l’intero Nord come ricompensa.”

 

Tyrion

 

“Non se ne parla nemmeno!” stava urlando fuori di sé Obara Sand.

Tyrion sospirò, trattenendosi a stento dall’alzare gli occhi al cielo. “Per favore, Obara…” disse tentando la via diplomatica, ma lei non lo lasciò neppure iniziare.

“Non lascerò la mia lancia per nulla al mondo: è un dono di mio padre” sbraitò irata puntando minacciosa l’arma contro il petto di Tyrion. “Tu lo conoscevi mio padre, vero, Lannister?” Il ricordo della Montagna che schiacciava la testa di Oberyn Martell come fosse stata un melone gli fece salire un conato di vomito.

“Sì” dovette ammettere Tyrion, “e lo ammiravo molto, ma…”

“Oh, risparmiaci le tue false cortesie per piacere” lo interruppe nuovamente Obara disgustata, “mio padre non avrebbe mai voluto che le sue figlie andassero in giro disarmate. Il pericolo è dietro ogni roccia, diceva sempre.” 

Tyrion capì di dover cambiare tattica. Si voltò verso le altre due Serpi delle Sabbie, sperando che fossero meno ostinate. “La regina ha chiesto di deporre le armi finché saremo alla Roccia del Drago” spiegò pazientemente, maledicendosi per aver accettato il compito di convincere quelle ragazzine ad abbandonare i loro giocattoli. “Non vuole incidenti o litigi violenti.”

Nymeria lo fissò con sufficienza, ma Tyene annuì. “Se lo dice la regina” disse in tono conciliante posando il suo coltello, “dobbiamo ubbidire. Spero solo che a nessuno salti in mente di attaccare delle fanciulle indifese.”

Tyrion le sorrise compiaciuto ed attese le mosse delle altre due. Nymeria consegnò sbuffando la frusta, mentre Obara ancora non si muoveva. Tyrion le fece un cenno col capo. La ragazza strinse le labbra e scagliò con furia la lancia a terra. “Questa me la pagherete!” esclamò prima di uscire dalla stanza sbattendo la porta.

“Obara è sempre stata un po’ suscettibile” spiegò con voce annoiata Nymeria, “ci tiene molto a quella lancia.” 

“Io farei attenzione se fossi in te, nano" lo avvertì Tyene abbassando teatralmente la voce. “Uno di questi giorni potresti svegliarti senza un occhio.”

Tyrion fece una smorfia. “Aver perso quasi tutto il naso mi basta e avanza, grazie” disse in tono sarcastico. Nymeria e Tyene sogghignarono ed uscirono senza dire una parola.

Tyrion si lasciò cadere su una sedia e si versò da bere. E una è fatta, pensò battendo una mano sul tavolo. Cosa mi inventerò quando dovrò convincere i Dothraki a lasciare le armi? Non parlo nemmeno la loro lingua! Decise che si sarebbe occupato di quel problema in seguito: voleva vedere il mare. Si sgranchì le gambette storte, bevve l’ultimo sorso di vino e lasciò la stanza.

I corridoi erano attraversati dall’incessante viavai di gente disorganizzata. Tyrion dovette stare attento per non finire calpestato. Un guerriero Dothraki quasi lo buttò a terra. Gli urlò qualcosa nella sua lingua aspra e Tyrion intuì che gli stava dicendo di levarsi dalle scatole. Si affrettò ad eseguire il consiglio: in fondo i Dothraki non erano ancora stati disarmati. Più avanti incontrò Verme Grigio che correva tutto sudato.

“Che cosa sta succedendo?” chiese Tyrion guardandosi intorno “Perché corrono tutti?”

“La regina deve fare un annuncio” spiegò l’Immacolato.

Tyrion era esterrefatto. “Ma il Concilio Ristretto non era in programma per stasera?” si informò confuso. 

Verme Grigio alzò le spalle. “La regina ha deciso di annullarlo. Vuole che tutti possano sentire il suo discorso, non solo i consiglieri.” Tyrion annuì.

Tipico stile di Daenerys, la nostra regina se la cava molto bene coi discorsi.

Sembrava proprio che la visita alla Spiaggia di Fuoco dovesse attendere. Tyrion tornò controvoglia sui suoi passi: il pomeriggio si preannunciava noioso. Seguì Verme Grigio attraverso quel labirinto di stanze che era il castello della Roccia del Drago ed insieme giunsero nella grande sala dei banchetti. Le lunghe panche di legno erano cariche di uomini e donne urlanti e il vociare era insostenibile.

Tyrion vide Olenna Tyrell rimproverare aspramente quello che, dalla lunga treccia di capelli, si capiva essere un Dothraki. “Giovanotto?” stava berciando l’anziana lady dandogli colpetti sulla spalla “Ti sembra buona educazione lasciare un’anziana signora in piedi?” Il giovane la fissava ebete. “Non parla la tua lingua, mia signora” le spiegò con delicatezza Missandei. Poi tradusse la frase in dothraki e finalmente il ragazzo cedette il seggio a lady Olenna, che immediatamente iniziò a lamentarsi per il freddo.

Tyrion si avviò verso il tavolo riservato alla regina sorridendo leggermente. Ridivenne serio solo quando il suo sguardo incontrò quello di Obara Sand, che con naturalezza gli mostrò il pugnale alla cintura. Questa mi vuole ammazzare, si disse Tyrion deglutendo a fatica. E non le ho nemmeno fatto nulla!

Prese posto alla destra del trono improvvisato e nell’attesa si guardò intorno. Daenerys ancora non era arrivata, ma tutti gli altri personaggi di spicco erano già presenti. Tyrion vide Yara e Theon Greyjoy seduti nella terza fila insieme ad alcuni uomini della loro flotta. Yara, cotta di maglia e capelli legati a crocchia, scherzava con i vicini ridendo alle loro battute oscene, mentre Theon teneva gli occhi bassi sobbalzando al minimo rumore.

Tyrion inizialmente aveva riso del terrore che il ragazzo sembrava provare per qualsiasi cosa, ma con il tempo aveva iniziato a provare pena per lui. Come ha fatto a ridursi così? si chiedeva con un filo di angoscia Cosa gli è successo dopo che i Bolton hanno preso Grande Inverno? Nessuno dell’esercito Greyjoy aveva mai raccontato quella storia e neppure Varys era riuscito a sciogliere il segreto.

Il Ragno Tessitore fece il suo ingresso proprio in quel momento, con il solito sorriso derisorio che gli tirava le labbra. Tyrion digrignò i denti. Varys aveva da sempre rappresentato un alleato di dubbia fedeltà e la sua leggendaria conoscenza riguardo ai fatti privati di ogni abitante degno di nota del mondo inquietava più che confortare. Tuttavia Tyrion si era trovato più volte costretto a fidarsi di lui e ormai lo considerava un amico.

“Lord Varys” lo salutò il nano con sarcastica cortesia, “di cosa parleremo oggi?” 

Varys lo fissò, inespressivo come sempre. “Credevo me l’avresti detto tu” rispose con la sua voce sussurrata, “non sei per caso il Primo Cavaliere della regina?”

Tyrion sbuffò. “In verità l’ho saputo pochi minuti fa e del tutto casualmente” disse scuotendo la testa. “Se non avessi incontrato Verme Grigio, mi avreste dovuto recuperare mentre facevo il bagno a mare e non riesco ad immaginare situazione più imbarazzante.”

“Non sarebbe stato un bello spettacolo, è vero” concordò Varys inarcando le sopracciglia. “In ogni caso, da quello che ho potuto dedurre, Daenerys Targaryen intende mettere al corrente l’esercito delle novità che ci giungono dai Sette Regni.” 

Tyrion sgranò gli occhi. “Vuole spifferare i nostri piani di guerra a tutta questa gente?!” chiese allarmato “E se fossimo traditi? Io non mi fiderei di tutti i soldati. Passassero gli Immacolati che sono incorruttibili e i Dothraki che non parlano la nostra lingua, ma gli altri…”

“La regina è dell’idea che i suoi sostenitori debbano conoscere i motivi di questa invasione” spiegò con voce piatta Varys, “altrimenti non sarebbero spronati a dare il meglio in battaglia.”

“Perché non mi ha messo al corrente di questa idea suicida?” chiese Tyrion sentendosi offeso “Che senso ha investirmi della facoltà di dare i consigli se poi lei è la prima a non volerli?”

“Perché sapeva che ti saresti opposto” fece notare l’eunuco, “proprio come stai facendo adesso.”

Tyrion voleva ribattere, ma in quel momento Daenerys entrò nella sala. Immediatamente calò un silenzio irreale. La regina indossava un lungo abito bianco che le copriva le braccia e ai polsi portava due bracciali d’argento che tintinnavano ad ogni passo. I capelli erano acconciati in complicate trecce che le allontanavano le ciocche ribelli dal viso. Daenerys Targaryen sorrise a Tyrion, ma rifiutò il seggio che le era stato destinato.

“Benvenuti alla Roccia del Drago!” urlò per farsi sentire da tutti. Immediatamente Missandei tradusse l’esclamazione in alto valyriano e in dothraki.

“Questa è stata la dimora della mia famiglia per centinaia di anni” stava proseguendo la regina, “prima che l’Usurpatore ci costringesse a fuggire nel Continente Orientale. Egli osò chiamarsi re e assegnò quest’isola a suo fratello come fosse un trofeo da spartire. Lui ha ucciso mio fratello Rhaegar, lui ha fatto massacrare i miei nipoti, lui ha ordinato il mio assassinio. Voleva vedere la gloriosa dinastia del drago estinguersi, ma io sono ancora viva. Io sono l’ultima Targaryen e vi chiedo, dov’è Robert Baratheon? Dov’è Stannis a cui fu ceduto questo castello? Dov’è Eddard Stark che parteggiò contro mio padre nella Ribellione? Sono tutti morti e io sono tornata a prendermi ciò che mi spetta di diritto.” Daenerys fece una pausa d’effetto, nonostante tutti sapessero ciò che stava per dire.

“Il Trono di Spade!”

Un boato di applausi, urla e battiti di mani esplose e sovrastò la voce di Missandei che tentava a fatica di tradurre il discorso facendosi al tempo stesso udire dagli interessati.

Eh sì, si disse Tyrion osservando la scena. Daenerys sa proprio come suscitare entusiasmo. Adesso però era il momento di affrontare faccende serie. Tyrion si schiarì rumorosamente la voce. Daenerys lo fissò allibita.

“Credo sia il caso di passare ai fatti, vostra grazia” suggerì Tyrion incoraggiante. Daenerys annuì e fece un cenno a Varys.

“Benissimo” esordì l’eunuco tirando fuori una pergamena. “Innanzitutto vorrei affermare che, secondo calcoli che possiamo ritenere esatti, disponiamo di circa novantamila uomini: poco meno di ottomila Immacolati, duemila Uomini di Ferro, ventimila dorniani, ventimila soldati dell’esercito Tyrell e quarantamila Dothraki.” 

La regina annuì compiaciuta. “Basteranno, come sono organizzati?”

Varys frugò alla ricerca di altri fogli. “Dorniani con Uomini di Ferro per l’avanguardia e Tyrell per la retroguardia. I Dothraki avanzeranno per primi solo in caso di combattimenti a terra, altrimenti resteranno nelle linee difensive ad occuparsi delle navi. Gli Immacolati saranno forze ausiliarie, pronti a sostituire unità in difficoltà. Ogni unità avrà il proprio comandante, quindi sono aperte le votazioni!”

Dopo che la frase fu tradotta, il caos irruppe nella sala. Le votazioni occuparono la mezz’ora successiva e comportarono due litigi, quattro scontri e sei tentativi fortunatamente falliti di accoltellamenti. Alla fine Verme Grigio e Yara furono riconfermati per gli Immacolati e gli Uomini di Ferro. Tra i dorniani fu scelto un certo Benjameen Sand, per i Tyrell ser Garth Hightower, mentre i Dothraki preferirono un colosso muscoloso di nome Rakandro.

Daenerys sembrava soddisfatta. “Vi ringrazio per la vostra partecipazione” disse allargando le braccia, “adesso lord Varys vi illustrerà la situazione nel Continente.”

“Non ne abbiamo bisogno!” esclamò Nymeria Sand seduta con le gambe accavallate “Sappiamo tutti che Cersei Lannister si è presa il Trono, io direi di passare subito a come batterla.” Ci furono mormorii di assenso, ma Daenerys non se ne curò. “Ci sono aggiornamenti che potrebbero ribaltare la situazione” spiegò con calma, per poi invitare Varys a spiegare.

“Riteniamo probabile” iniziò l’eunuco facendo scivolare lo sguardo sulla sala, “un’alleanza fra Cersei ed Euron Greyjoy.” Ci furono esclamazioni di sorpresa provenienti dagli Uomini di Ferro, mentre Immacolati e Dothraki apparivano piuttosto disorientati davanti a nomi che non dovevano dir loro nulla.

“Chi diamine è Euron Greyjoy?” esclamò un dorniano in quinta fila.

“Solo un nostro zio che ama sedersi sul mio trono” rispose Yara. Poi si voltò verso Daenerys. “Diceva di voler far costruire mille navi quell’idiota, c’è riuscito?” Tyrion ne dubitava fortemente, ma la regina annuì. “Pare di sì” disse in tono serio, “i loro numeri hanno quasi raggiunto i nostri.”

“Com’è possibile?” intervenne Ellaria Sand “Tutti sanno che su quelle orrende isole ci saranno massimo novemila abitanti.” 

Tyrion non ci mise molto comprendere il gioco di sua sorella. “Mercenari” esclamò mentre tutti si voltavano a guardarlo, “Cersei sta assoldando dei mercenari!”

Calò un silenzio carico di tensione. “Rischiamo di non avere gli uomini per un assedio” disse Tyrion rivolto alla regina, “dovremmo rimandare l’attacco.” 

Daenerys quasi scoppiò a ridere. “Non serve un esercito numeroso” disse sorridendo, “io ho tre draghi.”

Tyrion scosse la testa. “Mi era sembrato di capire che non volevi ridurre città in cenere come faceva tuo padre” fece notare, “polverizzare Approdo del Re forse non è la mossa giusta. Cerchiamo alleati piuttosto.”

“E dove, se posso chiedere?” esclamò Daenerys “I miei alleati sono qua.”

Tyrion ci pensò un momento. “Allora” iniziò incerto, “capisco che i Bolton non vadano presi in considerazione, ma magari la Valle potrebbe…”

“Sei poco aggiornato, amico mio” intervenne Varys divertito, “i Bolton non tengono più Grande Inverno. Roose Bolton e suo figlio Ramsay sono morti.” Ci fu un rumore secco di sedie spostate e Tyrion riuscì a scorgere Theon precipitarsi fuori dalla sala.

“E chi ha preso il Nord allora?” chiese Tyrion curioso: nessuno sembrava capace di una simile impresa. 

Varys sogghignò. “Tua moglie.”

Tyrion ci mise qualche secondo a realizzare questa affermazione. “Sansa?!” esclamò infine incredulo “Credevo fosse morta!”

“No, evidentemente è viva e vegeta” tagliò corto Daenerys, “va’ avanti, lord Varys, cos’altro sei venuto a sapere?”

“Il Nord ha eletto un nuovo re” spiegò Varys fissando la regina negli occhi, “si chiama Jon Snow.” 

Tyrion rimase di sasso. “Io lo conosco” disse, sorridendo al ricordo di quel ragazzino impacciato che aveva lasciato alla Barriera. Chissà com’è diventato enorme il suo lupo. “E’ il figlio bastardo di Ned Stark” spiegò poi ad alta voce, “era nei Guardiani della Notte.”

“Un disertore” disse Daenerys disgustata.

“Avrà avuto i suoi motivi” ribatté Tyrion con convinzione. “Piuttosto, questo Re del Nord ha un esercito?”

Varys annuì. “Può contare sui Cavalieri della Valle e sui soldati delle Terre dei Fiumi” disse facendo visibilmente dei calcoli a mente, “arriverà a trentamila uomini.”

“L’alleato perfetto!” esclamò Tyrion battendo le mani. Daenerys non sembrava convinta. “Non mi fido degli Stark” disse con voce dura, “suo padre era il migliore amico di Robert Baratheon.”

“Se posso, vostra grazia” intervenne con cortesia Varys, “lord Eddard era contrario al piano che prevedeva il tuo assassinio. Ha perfino litigato con il re per questo.”

“Gli Stark sono onorevoli” continuò Tyrion, “puoi fidarti di loro.”

“Ma così dovrei concedere al Nord l’indipendenza” osservò Daenerys. “E’ metà del regno!”

“A questo penseremo dopo” disse Tyrion. Poi si alzò, fissando la regina dritta negli occhi.

“Maestà” sussurrò con voce seria, “permettimi di darti un consiglio: non attaccare Approdo del Re senza almeno aver provato a portare il Nord dalla tua parte. Quando siederai su quel Trono, dovrai essere amata dal maggior numero possibile di casate. Dammi retta, abbiamo tempo… Non rischiare di bruciare la tua occasione per l’impazienza.”

Daenerys lo scrutò per qualche secondo. “Molto bene” decretò voltandosi, “scriverò una lettera a questo Re del Nord e lo convocherò alla Roccia del Drago.” 

Tyrion tirò un sospiro di sollievo. Speriamo solo non si porti dietro quel suo lupo.


Sansa

 

Quella sera Grande Inverno assomigliava al castello fiabesco che Sansa aveva tanto sognato da bambina. Erano state appese lanterne nel Parco degli Déi e i corridoi erano illuminati da candele profumate. Arazzi colorati coprivano le pareti spoglie e un fuoco crepitava in ogni camino. Gli stendardi del meta-lupo erano appesi ovunque e dalle cucine saliva il profumo di pietanze squisite. La Sala Grande non era mai stata così allegra e piena di vita, nemmeno durante la visita di re Robert che aveva formalmente dato inizio agli eventi infausti che avevano colpito gli Stark.

Alcuni lord avevano portato le loro famiglie al completo e Sansa, nascosta dietro le tende, cercava di riconoscere qualche viso familiare. Ammettendo l’impossibilità dell’impresa, tornò nella propria stanza. Si osservò con sguardo critico allo specchio.

Il vestito che aveva scelto era verde smeraldo, di tessuto morbido che ricadeva in mille pieghe. Il corpetto era cosparso di piccoli ricami argentei e le maniche larghe le coprivano quasi le mani. I capelli acconciati in spessi boccoli le ondeggiavano sulle spalle nude, trattenuti solo da due trecce laterali fissate con un fiocco argentato. Sorrise al proprio riflesso e lasciò nuovamente la camera.

Nei corridoi i domestici si affaccendavano trasportando vassoi o vasi di fiori e Sansa impiegò qualche minuto per ritornare alla sala del banchetto. La festa dell’incoronazione sarebbe iniziata a breve: Jon, nonostante fosse contrario a questo genere di svago in tempi difficili, aveva dovuto cedere alle richieste dei lord che invocavano una pausa dalla guerra che stavano combattendo.

Sansa tentò di orientarsi facendosi largo tra la gente, ricambiando saluti ed inchini. Strinse le labbra quando riconobbe Alys Karstark che rideva con un giovane elegante. Quella ragazza non le piaceva: le sembrava falsa e presuntuosa. Con un brivido di invidia Sansa dovette ammettere che Alys era davvero stupenda in quel suo abito rosso fuoco dalla scollatura generosa. I capelli perfetti erano raccolti e solo poche ciocche le incorniciavano ad arte il volto.

“Lady Sansa” la salutò Alys sorridente. 

Sansa si sforzò di apparire rilassata. “E’ un piacere vederti alla festa, lady Alys” rispose con macchinosa cortesia, “pensavo saresti tornata a Karhold dopo l’udienza.”

“Oh, non mi sarei persa questa festa per nulla al mondo” esclamò Alys guardandosi intorno, “non trovi che sia organizzata splendidamente?”

Io l’ho organizzata splendidamente. “Mi fa piacere che tu l’apprezzi” disse Sansa con un sorriso.

“Ho notato che il posto alla tua destra è libero” disse con voce vaga Alys, “sarebbe un onore per me sedere al tuo fianco. Una ragazza tutta sola tra uomini…” Sansa era abbastanza intelligente da capire dove volesse arrivare.

Per me invece sarebbe un fastidio e tu vuoi solo stare vicina a Jon.

“Certamente, lady Alys.”

“Chiamami solo Alys” ribatté lei prima di sparire nella folla.

Rimasta sola, Sansa si diresse verso il tavolo d’onore, quello più in alto di tutti. Sulla strada incontrò Tormund e dovette reprimere una risata. L’enorme bruto, così invincibile sul campo di battaglia, appariva completamente fuori posto a quel ricevimento. “Che cosa devo fare?” chiese imbarazzato scrutando i vicini.

“Solamente stare seduto e mangiare” spiegò a bassa voce Sansa, “e semmai applaudire ad un eventuale discorso di Jon.” Tormund sembrava in procinto di sommergerla con altre domande, ma in quel momento Jon fece il suo ingresso nella sala.

Indossava un meraviglioso mantello blu notte ornato con un fermaglio d’argento a forma di lupo. Per l’occasione aveva accettato di portare la corona che lord Manderly aveva fatto forgiare per lui: un anello semplice di metallo scuro ornato con pietre preziose nere. Immediatamente la sale esplose in urla di acclamazione.

“Il Re del Nord! Il Re del Nord! Il Re del Nord!”

Jon prese posto accanto a sua sorella e le rivolse un timido sorriso. Sansa notò che Alys si era alzata in piedi a battere le mani. Provò l’irresistibile voglia di schiaffeggiarla. Jon borbottò una specie di discorso incentrato soprattutto sulle guerre imminenti e Sansa, conoscendolo ormai quasi a memoria, ne approfittò per scrutare la gente ai lunghi tavoli di legno. I Cavalieri della Valle sedevano composti, ma di Baelish nessuna traccia. Sansa si scoprì sollevata dalla sua assenza.

Nel frattempo Jon aveva terminato di parlare e il banchetto ebbe ufficialmente inizio. La prima portata era zuppa di legumi bollente: l’ideale per scaldare i cuori infreddoliti dall’inverno. Sansa iniziò a sorseggiarla senza staccare gli occhi da Alys, che continuava a fare domande a Jon e a ridere delle battute di quello o quell’altro lord.

“Davvero hai ucciso un Estraneo?” stava chiedendo eccitata “Come sei stato coraggioso, deve essere stato un avversario terribile…” 

Jon era mezzo arrossito. “Sì… cioè no” farfugliò imbarazzato, “alla fine non era molto abile con la spada. Però ce ne sono tanti e…”

“E smettila di fare il pessimista!” lo rimbeccò Tormund grugnendo “Non vedi che la stai spaventando?”

“Spaventando?” chiese dolcemente Alys “Oh no, mio lord, sono molto colpita dalle vostre imprese.” A quel punto anche Tormund era a disagio, probabilmente commosso dall’essere stato chiamato lord.

In quel momento lord Manderly si avvicinò al tavolo d’onore, facendosi strada a fatica a causa della sua considerevole mole. “Vostra grazia” disse chinando il capo, “vorrei presentarti Leona, mia nuora, e le sue figliole: Wynafryd e Wylla. Su, ragazze, non siate timide, andate a salutare il re…”

Si fecero avanti due fanciulle che tenevano gli occhi bassi dalla vergogna. Jon sorrise loro e le invitò a presentarsi. Da dietro, lord Manderly e lady Leona osservavano la scena speranzosi.

“I-io sono Wylla” borbottò la più piccola, una tipetta tutta pelle e ossa con il viso coperto da lentiggini. Jon non sembrava capace di gestire la situazione, così Sansa si sentì in dovere di intervenire.

“Vi do il benvenuto a Grande Inverno” disse calorosamente lanciando un’occhiataccia a suo fratello, “spero che…”

“COS’E’ QUELLO?!” urlò quella che doveva essere Wynafryd indicando un punto sotto il tavolo. Silente come al solito, Spettro tentò di saltare sul tavolo per raggiungere l’arrosto che lo chiamava invitante. Wylla cacciò un urlo e Jon dovette alzarsi.

“Spettro, seduto.” Il meta-lupo lo fissò per un attimo con i suoi occhi fiammeggianti per poi andarsi ad accucciare ai piedi del trono di legno.

“Molto bene” intervenne lord Manderly riprendendo in mano la situazione, “ho promesso alle mie nipoti che avresti ballato con loro, vostra grazia, non vorrai deluderle spero…” Jon sorrise. “Certo che no” ripose gentilmente, “ma devo avvertirvi, mie signore, che non sono affatto un bravo ballerino. Sansa ha tentato di insegnarmi, ma è stato inutile.” Le due ragazze scoppiarono a ridere e scomparvero nella folla. Manderly strizzò l’occhio a Jon prima di seguire Leona verso il loro tavolo.

Alys ridacchiò. “Hai fatto centro, vostra grazia” osservò solare. Jon la guardò interrogativo. Alys sbuffò. “Ora che sei re tutte le ragazze vorranno starti vicine” spiegò maliziosa, “così che tu…” Lasciò la frase in sospeso.

Jon era diventato color del sole a tramonto. “Loro vogliono… cioè vorrebbero che io…” balbettò confuso “che noi…”

Alys alzò gli occhi al cielo. “Non quello” spiegò esasperata. Jon parve rilassarsi. “Cioè, non solo” specificò la ragazza. “Non hai pensato che dovresti trovarti una regina?” Sia Jon che Sansa rimasero a bocca aperta. Sansa sentì la vita abbandonarle le membra. E’ normale, si disse per calmarsi. Jon ha bisogno di eredi, è una cosa naturale. Ma allora perché le veniva da piangere?

“Io ho fatto un voto” disse Jon scandalizzato. “Avevi fatto un voto” lo corresse divertita Alys, “ora sei un uomo libero di sposarsi e mettere al mondo tanti bei pargoletti.” Questo fu troppo per Jon, che si accasciò sul tavolo. “Io non sarò mai padre di bastardi” disse convinto. 

“E chi dice che debbano esserlo?” gli chiese ironica Alys “Sei re, puoi fare ciò che vuoi. Puoi prendere il cognome di tuo padre e…” Jon stava per collassare e Sansa fu grata ai musicisti che proprio in quel momento iniziarono a suonare. Fortunatamente Alys si distrasse subito e Jon poté riacquisire il giusto autocontrollo.

I cantastorie iniziarono ad alternarsi per intrattenere gli ospiti. Sansa aveva dato disposizioni affinché potesse essere riprodotta qualsiasi ballata, tranne Le Piogge di Castamere, la tetra canzone che i Frey avevano scelto come firma per il massacro delle Nozze Rosse.

Le portate continuarono a susseguirsi. Ci fu l’insalata con gli ultimi pomodori estivi, le tartine al formaggio aromatizzato, il vitello al latte ed il maiale allo spiedo. I giullari cantarono tutte le canzoni immaginabili e Sansa dovette subire L’orso e la fanciulla bionda almeno quattro volte quella sera. Mai quanto al matrimonio di Joffrey, dovette tuttavia ammettere.

Jon mangiava in silenzio, mentre Tormund combatteva con la forchetta. Sansa era ancora turbata dall’idea che Jon potesse sposarsi. E se dovessi risposarmi anch’io? si chiese rabbrividendo al solo pensiero. Tentò di tranquillizzarsi: Jon non l’avrebbe mai venduta ad uno sconosciuto, non l'avrebbe mai permesso. Avrebbe atteso il suo consenso e lei non avrebbe mai accettato.

“Sei fortunata ad avere un fratello così” le sussurrò all’orecchio Alys facendola sobbalzare. 

Sansa si voltò irritata. “Un tempo ne avevo altri tre di fratelli così” disse guardandola negli occhi.

“Anch’io” replicò semplicemente Alys e Sansa la vide per la prima volta per quello che era: una ragazzina che aveva perso tutta la sua famiglia. Io almeno ho Jon, pensò improvvisamente malinconica. Lei non ha nessuno. Magari sarebbero potute diventare amiche. Mentre stava pensando a qualcosa di carino da dire, la sala ammutolì di colpo.

Un signore anziano oltre l’inimmaginabile avanzava tremante verso il loro tavolo. Aveva una lunghissima barba bianca e la pelle chiazzata. Gli occhi però erano acuti come quelli di un ragazzo. Tra le mani stringeva una lira argentata.

“Vostra grazia” disse con voce roca inchinandosi, “mia signora…mi chiamo Malak lo Sveglio e sono un umile cantastorie. Vengo da lontano per farti dono della mia canzone più preziosa, mai udita da anima viva.” Ci furono delle risate, ma Jon fece segno al vecchio di proseguire.

“Non l’ho scritta io, ma mi fu insegnata da un amico che ora è morto. Spero che stanotte possa rivivere grazie al suo capolavoro.” Detto ciò, Malak si sedette sullo sgabello, chiuse gli occhi e pizzicò le corde della lira.

La melodia che se ne sprigionò era dolcissima, così come la voce che intonò la canzone che  riempì la sala silenziosa.

 

La notte avanza, la luce arretra                                                                                                                                      

il tempo scorre e non perdona;

il grido è alto, la fiamma è accesa

la vita uccide, la morte dona.

 

Una regina senza nome, un re senza corona

la rosa appassisce, la leonessa è sola.

La guerra divampa e con nulla ragiona;

il lupo risorge, il drago vola.

 

Un bambino nato dall’amore.

Una spada forgiata all’inferno.

Una scheggia di Vetro piantata nel cuore.

Una breccia nel Ghiaccio Eterno.

 

L’Alba ha trionfato, sconfitto è il terrore.

La vostra attenzione ora dunque invoco,

aprite gli occhi, calmate il tremore:

è la Canzone del Ghiaccio e del Fuoco!

 

Sansa sentì le lacrime pizzicarle gli occhi. Se le asciugò rapidamente a disagio. Era solo una canzone, come le altre mille che amava ascoltare da bambina, come mai le faceva quest’effetto? Si voltò incerta verso Jon e scoprì spaventata che era pallido come un cencio.

“Jon?” gli chiese lei preoccupata prendendogli la mano. Era fredda come il ghiaccio. “Tutto bene?” Quando Jon si voltò, Sansa vide la confusione nei suoi occhi grigi.

“S-sì, credo di sì” rispose lui prendendosi la testa fra le mani, “è solo che quella canzone io… ecco credo di averla già sentita, ma non so dove e… ah, lascia perdere.” Jon si alzò assorto nei suoi pensieri e Sansa temette che l’avrebbe abbandonata da sola alla festa.

Fortunatamente in quel momento la musica si fece più lenta e qualcuno annunciò l’inizio delle danze. Sansa scattò in piedi afferrando il fratello per il mantello. Jon la fissò, visibilmente sconvolto dal suo comportamento. Ti ci dovrai abituare, io ho chiuso con le buone maniere.

“Dove credi di andare?” gli chiese ironica.

“Ho bisogno di riposare” tentò di giustificarsi lui. Sansa scosse la testa severa. “E’ la tua festa” gli ricordò, “non puoi lasciarla così. Dai, vieni a ballare con me…”

“Sansa…”

“Che c’è di male? Io sono tua sorella…”

“Proprio per questo” spiegò Jon accarezzandole i capelli con affetto, “sembrerebbe un po’ strano, non trovi?”

Sansa lo fissò con sufficienza. “Preferisci che conceda questo onore a Ditocorto?” chiese mettendolo alle strette. Jon sospirò, imprecò, supplicò, ma alla fine cedette ad accompagnare Sansa in pista. Lei doveva guidarlo in tutti i movimenti e Jon era piuttosto goffo, ma presto si lasciarono catturare dalla musica.

“Sei bellissima” le sussurrò lui all’improvviso. Sansa si ritrovò ad arrossire. “Assomigli tanto a tua madre.”

“E tu a nostro padre.”

Jon sorrise e per un po’ rimasero in silenzio. “Cosa direbbero?” chiese ad un tratto senza guardarla “Cosa direbbero nostro padre, lady Catelyn e Robb vedendoci ora?” 

Sansa sentì un nodo alla gola. “Sarebbero fieri di te” rispose in un sussurro cercando il suo sguardo.

“Fieri di noi, Sansa” la corresse affettuosamente lui, “vorrei solo che anche Arya, Bran e Rickon fossero ancora qui…” 

“Lo sono, Jon” rispose enigmatica Sansa e, quando lui la guardò confuso, raccontò una leggenda. “La Vecchia Nan diceva sempre che Grande Inverno è abitato dai fantasmi di tutti gli Stark che ci hanno vissuto. Loro ci osservano, ci aiutano, ci guidano. Non saranno morti invano, Jon, noi siamo vivi e possiamo ancora ricordarli. E perfino mia madre ti adorerebbe dopo tutto quello che hai fatto per la nostra famiglia.”

Jon accennò un sorriso e continuarono a volteggiare facendosi spazio tra la folla. Jon le mise una mano sul fianco e Sansa si sentì attraversata da una scarica elettrica mentre il suo cuore accelerava. Si impose di restare indifferente. Stiamo solo danzando, solo danzando. Delicatamente appoggiò la testa sulla spalla del fratello e sperò che quell’attimo non conoscesse fine.

Ma la musica cambiò, i lord li separarono e Sansa perse rapidamente di vista Jon, conteso com’era da tutte le lady della sala. Sansa continuò a cambiare compagno nel tentativo di riavvicinarsi a lui, ma le risultava impossibile. Alla fine si ritrovò tra le braccia di Petyr Baelish.

“Lady Sansa” la salutò lui sorridendo e stringendole la mano, “che piacere vederti.” 

Sansa era esterrefatta. “Da dove arrivi, lord Baelish?” gli chiese dubbiosa “Non ti ho visto al banchetto…”

“Avevo affari da sbrigare” spiegò vago lui, “ma non mi sarei mai perso un ballo con te.” Iniziarono a danzare, ma Sansa era rigida e per niente aggraziata. Continuava a cercare con gli occhi Jon e trasalì quando lo vide fare coppia con Alys. Baelish dovette indovinare la direzione del suo sguardo, perché sogghignò. “Lady Karstark è proprio una ragazza affascinante, non trovi?” le sussurrò all’orecchio “Sarebbe una perfetta regina…” 

Sansa tentò di liberarsi dalla sua stretta. “Perdonami, ma devo andare” disse con freddezza senza perdere di vista Alys che, trascinata dall’impeto della danza, aveva abbracciato Jon. Lui sembrava imbarazzato, ma non dava segno di volerla allontanare. Baelish continuò a trattenerla. “Per fare cosa?” le chiese ironico “Separarli, per caso? Non ha diritto il nostro amato Re del Nord ad un po’ di tranquillità?”

Sansa si rese conto di star trattenendo il respiro. La danza la portò ancora più vicina a suo fratello, che tuttavia non si accorse della sua presenza.

“Lui ha altre priorità ora” le spiegò comprensivo Ditocorto, “deve pensare ad avere eredi, non ha più tempo da passare con te. Ma non temere, io per te ci sarò sempre.” Sansa avrebbe voluto urlare. Si decise a voltare le spalle a suo fratello per fronteggiare Baelish.

“Jon troverà sempre del tempo per me” disse convinta mascherando il proprio turbamento, “io sono la sua famiglia, non mi metterà da parte. Mai.”

Ditocorto sorrise. Un sorriso viscido, crudele, e per un istante Sansa rivide Ramsay. “L’ha già fatto” disse con un sussurro di morte.

Colta da un’angoscia improvvisa, Sansa si girò lentamente ed il suo cuore perse un battito. Erano avvinghiati e lei lo stava baciando. 

No, pensò Sansa sentendo il mondo vacillare sotto i suoi piedi. No! Poi Alys aprì gli occhi, quei suoi meravigliosi occhi dorati, e fissò Sansa con sguardo trionfante.

A quel punto Sansa non si curò più dell’immagine che avrebbe dato e si liberò violentemente dalla stretta di Baelish per poi correre verso l’uscita.

Solo quando fu sola in camera, la porta sbarrata e le finestre chiuse, si lasciò cadere a terra, le lacrime che le scorrevano bollenti in viso ed il cuore lacerato da un dolore che nemmeno avrebbe saputo spiegare.

 

Davos

 

La strada sterrata e polverosa non accennava a terminare e Davos si chiedeva quanto ancora distasse Porto Bianco. Lasciata Grande Inverno, avevano seguito per qualche ora la Strada del Re per poi proseguire costeggiando il Coltello Bianco, un fiume che, a dispetto del nome, appariva tetro a causa delle pietre nere che costituivano il suo fondale. L’acqua, schiumosa e gelida, era l’unico elemento del paesaggio apparentemente immune all’inverno che aveva abbracciato la natura. Il ghiaccio non riusciva ancora a paralizzare le sue acque e il fiume scorreva pigramente creando ombre sinistre.

A un certo punto il cavallo di Brienne era scivolato sulla neve fresca che copriva il sentiero poco battuto e Davos si era sentito in dovere di intervenire. Le aveva porto una mano, aiutandola a restare in sella mentre lui recuperava il controllo del cavallo. Brienne l’aveva guardato con un’espressione corrucciata a metà fra l’esasperato e l’infastidito. “Grazie” aveva borbottato solamente riprendendo la marcia. Davos aveva sospirato, limitandosi a seguirla. Si scambiavano poche parole di rado e sempre su argomenti inerenti alla loro missione.

Era strano tornare alla Roccia del Drago. In realtà erano passati solo pochi mesi da quando la flotta di Stannis Baratheon aveva abbandonato l’isola, ma a Davos sembravano passati anni tanto la situazione era cambiata. Sono partito come Primo Cavaliere di un re, era solito pensare. E ora ci torno per volere di un re diverso.

I suoi pensieri continuavano a soffermarsi più di quanto avrebbe voluto su Stannis. Quell’uomo era stato la sua vita: Davos l’aveva seguito in guerra, l’aveva difeso dai suoi nemici, l’aveva consigliato. E ora Stannis era morto. Ucciso dalla donna che cavalca al mio fianco.

Davos era rimasto sconcertato osservando Brienne allenarsi con la spada. E’ molto più abile di quanto io potrò mai essere, aveva dovuto ammettere. Poi aveva notato la spada.

“E’ di acciaio di Valyria?” aveva chiesto senza pensare. Brienne gli aveva lanciato un’occhiataccia, rinfoderando rapidamente l’arma. “Sì, e con questo?” aveva chiesto sfrontata.

“Devi sapere che quella spada può…” aveva iniziato Davos, ma Brienne l’aveva interrotto sgarbata. “Risparmiami i tuoi discorsi” gli aveva detto con una smorfia, “non ho alcuna intenzione di ascoltarli.” E Davos aveva taciuto.

Al crepuscolo giunsero ad una piccola osteria la cui sbiadita insegna recitava L’Albero Cavo. Davos si guardò intorno curioso, ma non scorse nessun albero. L’interno della locanda era un misto di legno umido e metallo arrugginito. L’oste venne loro subito incontro. Era un uomo piuttosto anziano con capelli folti e disordinati ed il viso coperto da verruche.

“Benvenuti” disse in tono cavernoso, “io sono Rufoldo, cosa desiderate?” Brienne parlò prima che Davos avesse modo di aprire bocca. “Siamo pellegrini” rispose sicura, “cerchiamo un posto per dormire… Possiamo pagare.”

Il vecchio sembrò pensarci su. “In questo periodo difficile l’osteria è sempre piena” rifletté mostrando i denti gialli, “ma forse mi è rimasta una stanza…”

“Ce ne servirebbero due” precisò Brienne impaziente. Rufoldo scoppiò a ridere. “Signorina, è inutile giocare alla timida verginella” sogghignò ironico, “non avete necessità di celare la vostra relazione. Anche se lui forse è un po’ vecchio…” Davos avrebbe volentieri condiviso il riso dell’oste, ma Brienne sembrava serissima.

“Hai capito male” intervenne lei allarmata, “noi non…”

“Ma certo, ma certo” la frenò Rufoldo facendo l’occhiolino a Davos, “venite che vi mostro la camera: è la migliore della locanda…” Brienne era rossa di collera, ma annuì dignitosa.

La stanza tanto elogiata si riduceva alla fine ad un angusto spazio soffocante il cui arredamento consisteva in un letto tarmato ed un mobile cigolante. L’unico lusso concesso era una tinozza di legno nascosta in un angolo. Davos non sapeva bene come comportarsi. “Dormirò per terra” si offrì imbarazzato, “se vuoi farti il bagno, io vado a fare una passeggiata.” 

Brienne scosse energicamente la testa. “A terra ci dormo io” decise in tono che non ammetteva repliche, “non voglio essere trattata come una stupida ragazzina.”

“Io non intendevo…”

“Vado a chiedere all’oste tra quanti giorni dovremmo raggiungere Porto Bianco” tagliò corto Brienne uscendo dalla camera.

Davos si sedette sul letto prendendosi la testa fra le mani. Che cosa le aveva mai fatto per spingerla ad odiarlo così tanto? Lo incolpava della morte di Renly Baratheon, questo era certo, e Davos non ci aveva messo molto a capire che Brienne era stata innamorata del bel principe che giocava con i re più potenti di lui. Renly era uno sciocco, pensava Davos evitando di dar voce alle sue convinzioni, ma non meritava quella morte.

Stannis aveva ucciso suo fratello, eppure Davos per mesi aveva ignorato la verità, crogiolandosi nell’illusione del suo re benefattore e giusto. Ma Stannis non era neanche lontanamente perfetto e i fatti avevano solo confermato questa cruda realtà.

Brienne tornò chiudendo di scatto la porta cigolante. “Rufoldo dice che Porto Bianco dista neanche un giorno di viaggio” spiegò con voce distaccata, “adesso ci converrebbe andare a cena.” Davos annuì e insieme discesero le scale che scricchiolavano ad ogni passo.

Si sedettero al primo tavolo che trovarono e ordinarono due arrosti di maiale. Davos chiese anche una birra, che iniziò a tracannare sotto lo sguardo inquisitore di Brienne. “Non ubriacarti” lo rimproverò acida, “non servi a niente altrimenti.”

“Bevo perché mi aiuta a dimenticare” spiegò Davos posando il boccale, “e perché mi fa sentire meglio.”

Brienne fece una smorfia. “E cosa vorresti dimenticare?” gli chiese sarcastica “La vita ti sta andando bene a quanto pare. Primo Cavaliere di Stannis Baratheon e ora consigliere fidato di Jon Snow, si cambia velocemente partito…” 

Davos non aveva voglia di discutere, ma sapeva di dover chiarire qualche questione lasciata in sospeso troppo a lungo. “So che forse non stimavi Stannis…”

“Stimare?!” urlò Brienne “Ha ucciso suo fratello! E con la magia del sangue poi!”

“So che forse non lo stimavi” ripeté paziente Davos, “ma Stannis sarebbe diventato un grande re, migliore di Renly.”

Brienne sembrava sul punto di esplodere. “E allora se lo amavi così tanto” continuò furiosa, “perché non eri con lui quando morì? Dov’eravate tu e quella strega rossa?” 

Davos contrasse i pugni al pensiero di Melisandre. “Il re mi aveva ordinato di tornare alla Barriera” spiegò tentando di mantenere la calma, “avrei dovuto convincere il lord Comandante a concedere dei viveri a Stannis, ma poi è arrivata Melisandre a dirci della sua sconfitta.”

“Perché lei non è morta?” chiese diffidente Brienne. “Perché è fuggita dopo essersi accorta del suo imperdonabile errore” rispose Davos abbassando lo sguardo.

Brienne lo stava fissando, per la prima volta vagamente interessata. Davos sentì le lacrime scorrergli sulle guance e non riuscì più a trattenersi.

“Aveva voluto che venisse con loro” iniziò singhiozzando mestamente. “In guerra, capisci? Una bambina! Io avevo pregato Stannis di concedermi di riportarla alla Barriera, ma lui era stato irremovibile. La mia famiglia resta con me, aveva detto e io non avrei mai potuto immaginare che… E’ stata colpa mia, avrei dovuto comprendere, fermare Stannis prima che anche solo l’idea gli sfiorasse la mente. Ma sono andato alla Barriera e quando Melisandre mi disse che la bambina era morta io non feci domande. Poi trovai questo.” Davos estrasse da sotto gli indumenti il cervo bruciacchiato.

“Glielo avevo intagliato io stesso. Voleva che le regalassi anche una femmina, gliel’avevo promesso… Lei era come una figlia per me… Mi ha insegnato a leggere e non ha mai perso il sorriso nonostante tutti gli orrori a cui ha assistito.” Davos si fermò, incapace di proseguire. Brienne gli mise una mano sulla spalla.

“L’hanno bruciata viva” disse Davos con voce atona ed occhi spenti, “quella strega ha convinto Stannis a sacrificarla per una vittoria contro i Bolton. Ma sono tutti morti ugualmente, mentre quella donna ancora respira.” 

Brienne sembrava commossa. “Chi era?” chiese con ruvida dolcezza “La bambina…”

Davos sollevò il viso tremante. “Shireen Baratheon” rispose guardandola negli occhi. “Stannis ha condannato a morte la sua stessa figlia.” 

L’orrore sconvolse i lineamenti di Brienne. “Dov’è quella strega?” chiese aggressiva. “Avevo chiesto a Jon Snow il permesso di giustiziarla” spiegò Davos distogliendo lo sguardo, “ma lui ha preferito esiliarla dal Nord. Alla fine è grazie a Melisandre se è tornato in vita.”

La verità era amara e difficile da digerire. Davos sapeva di dovere a quella donna più di quanto meritasse. Sansa Stark aveva riconquistato il posto che le spettava e si era salvata dai sicari del suo aguzzino grazie soprattutto all’appoggio del fratello, ma tutto ciò era stato reso possibile proprio dalla Donna Rossa. E’ paradossale, pensava ridendo istericamente. Il Nord le deve la sua libertà, ma lei è stata quasi condannata a morte.

Davos rabbrividiva ancora al solo ricordo del vuoto terribile che aveva provato quando aveva scoperto il cadavere di Jon Snow che giaceva sulla neve imbevuta del suo stesso sangue. Era stato lui a supplicare Melisandre di riportarlo indietro, ad incoraggiarla, a sperare in un miracolo. Il miracolo era avvenuto e Jon si era rialzato. Davos l’aveva sorretto mentre scendeva le scale di legno del Castello Nero davanti agli sguardi sbigottiti dei bruti.

Brienne lo stava fissando stranamente silenziosa. “Allora?” le chiese Davos sarcastico “Non trovi più nulla di cui accusarmi?”

Brienne abbassò lo sguardo. “E’ vera?” chiese incerta “La storia della bambina… Di Shireen…” 

Davos annuì gravemente. “E’ vera.”

“Ti sei comportato con onore” osservò calma la donna.

Davos represse una risata. “Stannis odiava l’onore” disse senza guardarla. “Diceva che può essere fatale… Guarda la fine che hanno fatto gli uomini d’onore, Ned Stark, Jon Arryn, Barristan Selmy… No, Stannis credeva nella giustizia e nell’onestà, ma non era orgoglioso: avrebbe combattuto al fianco dei suoi soldati per morire con loro.” Fece una pausa. “Proprio come ha fatto.”

Brienne sembrò irrigidirsi. “Non ti biasimo per averlo ucciso” si affrettò ad aggiungere il Cavaliere delle Cipolle, “Stannis ha fatto cose orribili ed era giusto che pagasse.”

“Sai quali sono state le sue ultime parole?” chiese Brienne “Fa’ il tuo dovere.”

Davos ne rimase genuinamente colpito e sorrise suo malgrado. In fondo doveva saperlo, si disse rincuorato. La morte è stata un dono per lui.

In quel momento arrivarono le pietanze. L’arrosto sembrava un grumo di terra verdastra e Davos si accorse di aver perso l’appetito. “Con il tuo permesso” disse alzandosi, “vado a dormire. Domani dobbiamo svegliarci presto ed io sono molto stanco… Mangia anche la mia razione se vuoi.” Brienne annuì e Davos poté giurare di averla vista sorridere.

Giunto in camera, non ebbe il coraggio di coricarsi sul letto, così trascinò in terra delle coperte, si rannicchiò avvolgendosi stretto e cadde in un sonno profondo senza sogni.

Fu svegliato poche ore più tardi da mani che lo scuotevano quasi con gentilezza. Aprì gli occhi a fatica e riuscì a mettere a fuoco la figura di Brienne, già completamente vestita.

“E’ l’alba” disse lei solamente. Davos annuì, affrettandosi a raccattare le proprie cose.

Saldarono il conto e salutarono Rufoldo, che regalò loro due pani come dono di nozze. Davos si trattenne a stento dal ridere mentre Brienne alzava gli occhi al cielo.

Si rimisero subito in cammino rabbrividendo per l’aria frizzante e bagnandosi gli stivali a causa della rugiada del mattino. Dopo circa tre ore di viaggio, quando ormai il sole era sorto completamente, il fiume che seguivano da giorni trovò la sua foce. Porto Bianco appariva come una vivace cittadina, completamente a proprio agio in quel tetro inverno. I bambini correvano per le strade litigando e i passanti era cortesi ed educati. Davos desiderò poter vivere lì, in un paese tranquillo a due passi dal mare. Brienne era taciturna e lui preferì non inoltrarsi in conversazioni compromettenti.

Arrivati al porto, dovettero girare parecchio prima di trovare le navi che erano state di Stannis. Davos le riconobbe facilmente: sventolavano ancora il vessillo del cuore fiammeggiante accanto al meta-lupo degli Stark. Erano sorvegliate da una piccola guarnigione che sembrava prendere ordini da un uomo di mezza età intento a scarabocchiare frasi su un pezzo di pergamena.

Davos si schiarì sonoramente la voce. “Salve” esordì in tono confidenziale, “vorremmo prendere una di quelle navi per…”

“Non è possibile” tagliò corto l’uomo senza distogliere gli occhi da ciò che stava scrivendo, “nessuna nave lascerà il porto. Negli ultimi giorni ci sono stati attacchi lungo le coste e non vogliamo rischiare. E poi, quelle navi sono di proprietà del Re del Nord.”

“Sì, si dà il caso che io sia il suo consigliere” fece notare sarcastico Davos.

L’uomo finalmente si degnò di guardarlo. “Sono Ser Davos Seaworth” continuò il Cavaliere delle Cipolle, “e sono in missione per ordine di sua grazia.”

“Seaworth dici?” chiese con una smorfia l’uomo “Aye, lord Manderly mi aveva accennato qualcosa nell’ultima lettera, ma è troppo pericoloso far salpare navi.”

“Questo è un ordine del re” intervenne acida Brienne.

L’uomo la fissò ironico. “Da quando in qua mandano in missione le ragazze?” 

Brienne sfoderò la spada. “Da quando sono in grado di difendersi da sole.”

“Il punto” intervenne Davos deciso ad evitare una disputa, “è che noi dobbiamo arrivare alla Roccia del Drago e non possiamo attendere. Non vuoi perdere le tue navi, è vero, ma a noi ce ne basta una vecchia: l’importante è che sappia navigare. Non ci serve neanche l’equipaggio, la guiderò io.” 

L’uomo lo fissò accarezzandosi il mento. “E sia” decretò infine alzandosi dallo sgabello dove era seduto, “seguitemi.” Davos lanciò un’occhiata trionfante a Brienne che accennò un sorriso.

La Regina di Corallo era una barchetta al confronto delle vicine, ma sarebbe stata di gran lunga più veloce. Davos aveva deciso di saltare i controlli di rito e incitò Brienne a salire. 

Lei lo fissò dubbiosa. “Sei sicuro di saperla manovrare?” chiese incerta.

“Ho guidato l’attacco ad Approdo del Re” le ricordò lui, “credo proprio di sì.” Rassicurata, Brienne si sistemò a poppa. L’uomo li salutò dal molo. “Buon viaggio” disse con un cenno di congedo della mano.

Davos si concentrò sul timone. Era semplice, i gesti gli tornavano facilmente in mente così come i cupi ricordi. Per distrarsi, lanciò la piccola imbarcazione a tutta velocità, testandone le prestazioni inaspettatamente alte. Il mare calmo ed il vento favorevole consentirono loro di giungere in vista della Roccia del Drago in appena tre giorni. Davos sentì un tuffo al cuore nel rivedere la sua isola.

Attraccarono in una baia riparata, evitando di esporsi troppo. “Perché tutta questa cautela?” chiese nervosa Brienne “Non dicevi che era deserta?”

“E’ così” affermò Davos, “ma potrebbero esserci spie Lannister, meglio non rischiare.” Si diressero verso il cuore dell’isola attraverso la rada vegetazione.

“Dov’è questo Vetro di Drago che dobbiamo cercare?” chiese d’un tratto Brienne.

“Stannis diceva che i Targaryen l'hanno estratto tutto e che ora si trova nei sotterranei” spiegò Davos continuando ad avanzare, “dobbiamo arrivare al palazzo.”

Improvvisamente un fruscio li fece voltare repentinamente verso destra. Brienne sguainò la spada, ma Davos non fece in tempo neanche a muoversi. Una dozzina di uomini era saltata fuori dai cespugli e li minacciava con diversi tipi di armi, molte delle quali sconosciute a Westeros.

“Buttate le armi” ordinò un enorme uomo abbronzato con lunghi capelli legati a treccia e un forte accento straniero, “voi in arresto.” Brienne sembrava vogliosa di combattere, ma Davos sapeva che non avevano speranze. Gettò la spada e alzò le braccia. Brienne lo fissò furente, ma alla fine fu costretta a capitolare.

“Chi siete?” chiese Davos udendo gli uomini parlare in una lingua sconosciuta “Per chi combattete?”

L’uomo che aveva parlato prima si voltò a fissarlo. “Io Rakandro” disse come presentazione, poi tornò serio. “Noi con la regina.”

Davos non capiva. “Quale regina?” chiese disperato “Cersei Lannister?” 

Rakandro fece una smorfia. “Altra regina” rispose come disgustato dalla domanda di Davos. “Khaleesi, la Madre dei Draghi: Daenerys Targaryen.”


                                                                                                     "Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce."




N.D.A.


Ben tornati a tutti! Se riuscite a sopportare questi capitoli così lunghi siete davvero mitici XD Non ci posso fare niente, mi viene da scrivere tanto e allora perchè mai farli più corti?
Come avete visto la storia inizia a distaccarsi completamente dalla settima stagione (grazie al cielo) e dai prossimi capitoli si vedrà ancora meglio.

Spero davvero che abbiate apprezzato la mia Cersei, certamente meno sana di mente di quella della serie XD L’incontro con Euron è completamente differente, così come il futuro evolversi del loro “rapporto”.
Cosa ne pensate di Tyrion e del suo piano? Diciamo che sta facendo esattamente il gioco di Cersei, ma come non perdonarlo XD XD
Ma soprattutto ditemi come vi è sembrata la mia Canzone del Ghiaccio e del Fuoco! Sì, l’ho inventa io ^_^’, mi assumo la responsabilità se ho distrutto un vostro sogno XD
Ovviamente l’ho adatta come una sorta di profezia, o per meglio dire “profezia di ciò che potrebbe accadere” riguardo il futuro della storia, quindi siete liberi di sbizzarrire la vostra creatività :-)

 
Le vostre splendide recensioni mi lasciano senza parole ogni volta, ragazzi siete tutti fantastici e mi spingete a continuare con questa follia XD Sapere che la state apprezzando significa il mondo per me, grazie davvero…
Ma per fare le cose per bene ringrazio in ordine: Red_Heart96, giona, NightLion, leila91 (e vi invito a leggere le sue storie… sono tutte stupende), Spettro94 e Valkira7… Grazie mille a tutti e ci vediamo presto!
Un ringraziamento anche a tutti i nuovi che hanno inserito questa storia tra le seguite, le preferite e le ricordate, sappiate che, anche se non vi sento, vi adoro lo stesso XD

 
E niente, io vi auguro buona Pasqua e buone vacanze (a chi le ha, sigh) e spero davvero di avervi invogliato a lasciare una recensione ^_^
Al prossimo capitolo!

PS: la citazione di questa settimana è di un grande filosofo e matematico, ovvero Pascal. L'ho scelta perchè studiare la sua filosofia mi è piaciuto molto e la frase ben descrive i sentimenti turbolenti di Sansa :-)



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Capitolo 4
*** Threats ***


Threats                                                                                                                          



Daenerys

 

Tyene si precipitò con tanta foga nella stanza da far cadere il delicato vaso di fiori in bilico sul tavolino. Borbottò una scusa, tentando al tempo stesso di riprendere fiato.

Daenerys, che in quel momento stava ascoltando seduta su soffici cuscini il punto della situazione di Missandei, si alzò in piedi sorpresa. Dopo la zuffa del pomeriggio prima tra due guerrieri Dothraki, cos’altro poteva essere successo?

“Mia regina” ansimò Tyene eccitata, “hanno catturato due spie che tentavano di introdursi a palazzo.”

Daenerys sgranò gli occhi. “Ne sei sicura?” chiese quasi correndo verso la porta. Tyene annuì e Dany sorrise. Si rivolse a Missandei. “Molto bene, che sia convocato il Concilio Ristretto nella sala del trono. Voglio tutti i rappresentanti presenti quando interrogheremo queste presunte spie.”

“Certo, mia regina.” 

Daenerys guardò Missandei allontanarsi, poi si girò verso Tyene. “Va’ a chiamare tua madre e le tue sorelle.” Tyene trattenne una risatina. “Nym ha seguito di nascosto le guardie” spiegò alzando gli occhi al cielo, “non riesce a stare lontana da quel Rakandro.”

Dany sorrise. “Vorrà dire che la troveremo già là” concluse uscendo dalla stanza. Percorsero insieme il labirinto di stanze del palazzo fino a giungere nella sala del trono, che si trattava in realtà una modesta sedia ricoperta da scaglie di draghi.

Yara le venne incontro. “E’ vero quello che ho sentito?” chiese alzando un sopracciglio “Hanno catturato delle spie? Magari sono di nostro zio…”

“Non lo so” ammise la regina, “ma lo scopriremo presto.” Si guardò intorno curiosa.

“Dov’è tuo fratello?” chiese cercandolo inutilmente con lo sguardo. Yara fece una smorfia. “Theon non sta molto bene in questi giorni” rispose vagamente, “i miei ragazzi mi chiamano, ci vediamo dopo.” Daenerys la seguì con lo sguardo.

“Meraviglioso, vero?” 

Daenerys sobbalzò prima di riconoscere Tyrion. “Non ti avevo visto” cercò di giustificarsi.

“E’ naturale” osservò pacato lui, “sono un nano.” 

Daenerys decise di cambiare discorso. “Secondo te sono spie di tua sorella?” chiese curiosa. Tyrion strinse le labbra sotto la folta barba scura. “Non saprei” spiegò, “non ritengo Cersei capace di mosse che presuppongano una certa intelligenza.”

In quel momento sopraggiunse Verme Grigio che stringeva tra le mani qualcosa. Daenerys si accorse che si trattava di una splendida spada dall’elsa tempestata di rubini.

“Vostra grazia” esordì l’Immacolato, “questa è stata ritrovata in possesso di uno dei due prigionieri.”

“La riconosco!” esclamò Tyrion “E’ la spada di mio fratello Jaime, cosa ci fa qui?” 

“E’ meglio che lo chiediamo agli interessati” osservò Dany. Poi si voltò verso Verme Grigio. “Ottimo lavoro come sempre” lo lodò. “Dà ordine che gli Immacolati pattuglino il castello e poi ritorna in sala: ti voglio al mio fianco.” Verme Grigio annuì, per poi sparire tra la folla.

Daenerys si diresse verso il trono, scambiando occasionalmente saluti con Ellaria e Olenna intente a discutere di chissà quale argomento. Si sedette, trovando lo scranno anche piuttosto scomodo, e fece cenno di aprire le pesanti porte di ottone. Tyrion rimase in piedi.

Fecero il loro ingresso alcuni Dothraki guidati da Rakandro che scortavano i due prigionieri. Daenerys sentì Tyrion agitarsi e dovette reprimere un sussulto quando si accorse che una delle due spie era una donna. Enorme, piuttosto brutta e vestita con un’armatura, ma pur sempre donna. I Dothraki si aprirono a ventaglio ed i due furono sospinti ai piedi della regina.

“Noi trovati vicino al mare” spiegò Rakandro chinando appena il capo. “Ragazza ci ha aiutato.” Nymeria sbucò dalla folla con le mani sui fianchi. Sembrava radiosa. “Hanno una nave” spiegò sorridendo, “li ho visti arrivare da Capo Vento.”

Daenerys fece un cenno di ringraziamento per poi riportare l’attenzione sulle due figure davanti a lei. “Chi siete?” chiese, tentando di non apparire aggressiva.

“Lei è Brienne di Tarth” intervenne a sorpresa Tyrion. “L’ho vista al matrimonio di mio nipote; era amica di mio fratello. E lui è…”

“Ser Davos Seaworth” concluse per lui Varys comparso a sinistra della regina, “Primo Cavaliere di Stannis Baratheon.” Fece una pausa. “Ti credevamo morto, sinceramente” disse aggrottando le sopracciglia.

“Lo credevo anch’io” rispose quello che Daenerys aveva capito essere ser Davos.

“Quindi siete alleati dei miei nemici” osservò la regina pacata, “perché siete qui?”

“Non siamo nemici” intervenne Brienne. “Siete stati trovati in possesso della spada di un Lannister” fece notare freddamente Obara.

“Mia regina” continuò Brienne fissando negli occhi Daenerys, “io ho riportato Jaime Lannister ad Approdo del Re e lui me l’ha donata per assolvere una missione segreta nel Nord. Ma non siamo alleati dei Lannister.”

“E allora cosa siete?” sbottò Yara “Sono Yara Greyjoy, ditemi: state con mio zio Euron?” 

Brienne fece una smorfia che esprimeva tutto il suo sconcerto. “No, certo che no, è solo che…”

“DA CHE PARTE STATE?” Era stata Ellaria ad urlare stringendo i pugni.

“La nave aveva un vessillo” intervenne lady Nym sforzandosi di ricordare, “un cuore rosso con dentro un cervo.”

“Stannis” disse Tyrion convinto, “ma non era morto?”

“Fidatevi” si intromise Davos, “lo è.” Poi si voltò verso la folla. “Non siamo nemici” urlò, “siamo venuti in pace credendo di trovare un’isola disabitata, ma a quanto pare ci sbagliavamo. E’ vero, io servivo Stannis Baratheon e Brienne aveva la fiducia di Jaime Lannister, ma ora tutto è cambiato.” Fissava Daenerys dritta negli occhi e la Madre dei Draghi si sentì trapassata da quello sguardo penetrante. Si agitò, stranamente a disagio.

“Cos’è cambiato esattamente?” chiese Tyrion protendendosi in avanti. Brienne e Davos si scambiarono un’occhiata e lui annuì.

“Ora sono al servizio di Sansa Stark” dichiarò fieramente Brienne. “Io e Davos siamo stati incaricati da Jon Snow di…”

“Quindi siete fedeli al Re del Nord!” esclamò Tyene furiosa “Come osate dire di non essere nostri nemici?”

“Tyene, calmati” intervenne Dany alzandosi con grazia, “almeno abbiamo appurato che non sono al servizio dei Lannister.” Sorrise radiosa. “E tutti i nemici dei nostri nemici sono nostri amici.” Davos sembrò rabbuiarsi.

“Il vostro re non ha risposto al mio invito” continuò la regina camminando avanti e indietro. “Avevo proposto un’alleanza, ma con il suo silenzio ha rifiutato... E adesso manda voi a spiare le mie mosse? Non molto onorevole per il figlio di Ned Stark.”

“Non sappiamo nulla di questo invito” spiegò Davos, “siamo partiti prima che fosse recapitato evidentemente, ma posso dirti, vostra grazia, che la nostra missione non ha mai previsto la raccolta di informazioni sul tuo conto.”

“E allora cosa riguardava?” chiese con voce di velluto Daenerys. “Preferirei non esprimermi” rispose Davos abbassando il capo, “non ancora almeno.”

Dany annuì. “Naturalmente” disse freddamente, “e ti aspetti che io creda alla tua storiella, non è così? A che gioco sta giocando il vostro re? Perché non è venuto di persona?”

“Non lo so, vostra grazia” ammise Davos, “ma mi fido del suo giudizio, non mi metto a contestare i suoi ordini.”

“Ti fidi di un disertore dei Guardiani della Notte?” chiese Obara disgustata. 

Davos la fissò con muto disprezzo. “Non è un disertore, non permetterò che tu lo…”

“Basta così!” intervenne Daenerys “Il Giuramento è a vita, ciò fa di Jon Snow un disertore per quanto validi possano essere i suoi motivi. D’altra parte, il Nord non si è schierato apertamente contro di me, quindi potrei essere incline al perdono se potrò avere una prova della sua lealtà. Riscriverò un’altra lettera per il vostro re dicendo che siete sotto la mia protezione…”

“Come ostaggi” la interruppe Brienne con voce tagliente.

“Come ospiti” la corresse mellifluamente Daenerys. “Potrà venire lui stesso a sincerarsi delle vostre condizioni.”

“Vostra grazia” intervenne Tyrion incerto, “non ti sembra un’azione un po’ minacciosa?” Dany si voltò a fissarlo. “Non eri tu a dire che avevamo bisogno del Nord come alleato?” chiese inarcando un sopracciglio “Forse ha solo bisogno di una spinta.” I suoi occhi si soffermarono nuovamente su Davos e Brienne. “Qui sarete al sicuro” disse severa, “non vi mancherà nulla e avrete il rispetto dei miei uomini.” Fece una pausa. “Ma vi avverto” proseguì in tono freddo, “se pensate di fare i furbi, o se il vostro re crede di poter vincere contro di me, o se non rispetterete i patti, non esiterò a liberare i miei draghi contro di voi e tutto il Nord se necessario.” 

Davos strinse le labbra davanti a quella neanche tanto velata minaccia. “C’era un uomo che diceva una cosa simile, vostra grazia” disse con calma, “credeva che i suoi mastini avrebbero distrutto tutti i nemici rimanendogli fedeli per sempre. Amava dare la caccia alle proprie vittime con quei suoi cani.” Davos si interruppe.

“E poi?” chiese Daenerys ironica “Che ne è stato di quest’uomo?”

“E’ morto, sbranato dai suoi stessi cani.”

Daenerys non riuscì ad impedire che il suo corpo fosse attraversato da un brivido gelido. I miei draghi non mi faranno mai del male, io sono la loro madre. Si costrinse ad apparire distaccata, come se le parole di Davos non avessero sortito alcun effetto su di lei.

“Io sono diversa” spiegò con un sorriso, “e vi posso assicurare che i miei draghi resteranno fedeli...” attese un secondo. “A me.”

Poi si rivolse a Rakandro. “Fai vedere ai nostri ospiti le loro camere” ordinò quasi bruscamente, “e che queste siano sorvegliate da quattro dei tuoi uomini migliori. Le loro armi resteranno qui. L’udienza è conclusa, potete andare. Tyrion e Varys, rimanete per favore.”

Davos e Brienne furono condotti via e lentamente la sala si svuotò. Tyrion fissava la regina con uno sguardo a metà tra il sorpreso e il preoccupato. “Cosa ti è saltato in mente?” chiese senza mezzi termini. “Minacciare a quel modo il Nord… Daenerys, noi abbiamo bisogno dei suoi uomini, non di terre bruciate e popoli massacrati.”

“So bene di cosa abbiamo bisogno, ma il Nord non si muoverà mai se non, come dire, sollecitato. 

Tyrion sembrava esterrefatto. “Sollecitato?!” chiese come sconvolto “Hai parlato di ridurre in cenere metà del Continente Occidentale!” Daenerys alzò gli occhi al cielo. “Non giungerò mai a misure così drastiche” lo tranquillizzò, “era solo per incutere timore.”

“Con tutto il rispetto, vostra grazia” si intromise Varys, “un sovrano non dovrebbe fare minacce che non è poi pronto ad eseguire.” 

Daenerys sbuffò seccata: iniziava a innervosirsi. “Sentite” tagliò corto seccamente, “non sono qui per ascoltare le prediche: ho la situazione sotto controllo.” 

“E allora perché ci hai fatto rimanere?” chiese Tyrion con malcelata insolenza “Se non vuoi ascoltare i nostri consigli…”

“Certo che voglio i vostri consigli!” ribatté Dany irata "Ma riguardo alla seconda lettera che devo scrivere a questo Re del Nord.” Il nano parve sorpreso. “Vorrei che fosse incisiva ma non eccessivamente minacciosa” continuò la regina, “e che lo spingesse a raggiungermi alla Roccia del Drago dove potremo discutere i termini dell’alleanza.”

“E se non volesse allearsi?” chiese Tyrion “Il silenzio in seguito alla tua prima lettera sembra suggerire questo…”

“Gli offrirò tutto quello che desidera” spiegò Daenerys convinta, “oro, onori, potere…”

“Ammirevole” la interruppe sarcastico Tyrion, “tutte cose che gli Stark hanno sempre rifiutato e per le quali sono morti.”

“Ma Snow non è uno Stark, potrebbe ragionare in modo diverso.”

“Io l’ho conosciuto” ribatté il nano, “e ti posso assicurare che è molto più Stark di quanto lo fosse suo fratello Robb.”

A Daenerys questo Jon Snow appariva sempre più interessante. Si ritrovò a desiderare di incontrarlo. “Gli offrirò protezione allora” disse allargando le braccia, “dai nostri nemici.”

“Potrebbe funzionare” ragionò Varys, “secondo i miei informatori gli Uomini di Ferro di Euron hanno ricominciato le loro scorrerie lungo le coste del Nord. Jon Snow potrebbe sentirsi minacciato.” 

Daenerys annuì compiaciuta. “Lo inciterò a gettarsi alle spalle le passate discordie tra le nostre famiglie…”

“Credo sarà difficile” la interruppe Tyrion roteando gli occhi e contando sulle dita. “Tuo padre ha ucciso suo zio e suo nonno, mentre tuo fratello è colpevole della morte di sua zia.”

“E suo padre” ribatté gelida Daenerys, “ha appoggiato l’Usurpatore, contribuendo allo sterminio della mia famiglia.”

“Ned Stark era contrario a…”

“Non importa!” sbraitò Dany “A me sembra che abbiamo entrambi ragioni per odiarci, ma ciò non porterebbe a nulla.” La regina stava ansimando. Aveva ottenuto tutti i suoi alleati facilmente, perché con questo era così difficile? Il silenzio regnò per qualche secondo.

“E se si ostinasse a non collaborare?” chiese infine Tyrion.

“Allora marceremo a Nord” decretò fieramente la regina, “e lo costringeremo con la forza.”

“Non credo sia possibile, vostra grazia” la contestò gentilmente Varys, “l’inverno è arrivato.”

Daenerys non capiva. “E con questo?”

“Le temperature sono troppo rigide” spiegò pazientemente l’eunuco, “non sarebbe possibile per i tuoi uomini abituati al caldo intraprendere una simile impresa.” Daenerys si morse il labbro:  c'erano troppe complicazioni che non aveva previsto.

“Perfetto” fu costretta ad ammettere suo malgrado, “ma Snow non deve sapere di questo nostro problema. Scriverò alludendo vagamente alla possibilità di un’azione militare contro il Nord se non saranno disposti a collaborare.” Fece una pausa. “Azione che in ogni caso non intendo intraprendere.”

Tyrion sembrò rilassarsi. “Un’ultima cosa” disse battendo le mani, “non credi che il Nord chiederà l’indipendenza? Sei disposta a concederla?”

Daenerys dovette ragionarci su. “E’ metà del regno…” osservò perplessa “Non posso…”

“Forse non ce n’è bisogno” intervenne Varys con una strana luce negli occhi infossati, “forse esiste un’alternativa…” Il suo tono era meditabondo.

“Tyrion?” chiese rivolgendosi di scatto al nano, che sobbalzò “Quanti anni dovrebbe avere questo Re del Nord?”

“N-non saprei” balbettò Tyrion preso alla sprovvista, “poco più di vent’anni credo.” Dany ne fu sorpresa: si sarebbe aspettata un uomo più anziano ed invece era solamente un ragazzino. Come me, pensò, realizzando improvvisamente l’idea che Varys stava maturando.

“Si può fare, si può fare” bisbigliò il Ragno Tessitore assorto. “Ma cosa?!” chiese Tyrion che evidentemente non aveva afferrato il piano che ronzava nella testa dell’eunuco. Varys lo fissò, poi si voltò verso la regina.

“Matrimonio.”

Tyrion si portò le mani alla bocca, ma Daenerys non batté ciglio: era preparata a una simile evenienza. E’ per questo che ho allontanato Daario Naharis, si disse convinta. E' un’ottima soluzione, speriamo solo che questo Jon Snow sia all’altezza delle voci che circolano su di lui.

Stranamente l’idea di un matrimonio imminente non la spaventava affatto, anzi, non ne era neanche turbata. Così annuì con tutta la dignità che riuscì a racimolare.

“Sono d’accordo” disse convinta, “il Nord ed il Sud saranno nuovamente uniti.” 

Ad ogni costo.

 

Jon

 

A furia di stringerla fra le mani la lettera si era stropicciata. Jon continuava a fissare quelle poche righe, rileggendo le stesse parole e sperando di scoprirle diverse.

Quando quella grigia mattinata aveva slegato il messaggio dalla zampa del corvo, pensava di trovare qualche notizia dalla Barriera o magari dalle Terre dei Fiumi. E invece aveva trovato un’epistola di Daenerys Targaryen.

Terminata la lettura, Jon si era accorto di essere bianco come un panno. E’ tutta colpa mia, si tormentò mordendosi il labbro. Avevano bisogno di una scorta…

Era immediatamente corso da Tormund, l’unico con cui potesse parlare liberamente senza sentire risposte ossequiose e inutili. “E’ un disastro” aveva esordito senza fiato e, poiché il bruto continuava a fissarlo ebete e a lanciare occhiate imbarazzate alla lettera che evidentemente non era in grado di leggere, Jon recitò il testo ad alta voce.                                                                                                                                             

Al Re del Nord, Jon Snow

Sono Daenerys Nata dalla Tempesta Targaryen, Madre dei Draghi, La Non-bruciata, Distruttrice di Catene, Khaleesi del Grande Mare d’Erba, Regina degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini e Protettrice del Reame. Non hai risposto alla mia prima lettera in cui chiedevo l’alleanza del Nord, molti lo considererebbero atto di tradimento, ma io ho deciso di darti una seconda possibilità. Ho scoperto i tuoi inviati alla Roccia del Drago. Ser Davos Seaworth e Brienne di Tarth sono miei graditi ospiti e ti interesserà sapere che non è stato fatto loro alcun male e non gliene sarà arrecato finché il Nord si dimostrerà collaborativo. Abbiamo dei nemici comuni, Jon Snow, non ha senso combattere fra di noi alimentando l’odio tra le nostre famiglie. Ti invito nuovamente a raggiungermi alla Roccia del Drago per poter discutere i termini dell’alleanza. Se lo farai, prometto di non prendere alcun provvedimento circa il tuo abbandono dei Guardiani della Notte, ma se nuovamente ti rifiuterai, marcerò a Nord e mi prenderò i tuoi uomini con fuoco e sangue. A te la scelta.


Jon sollevò lo sguardo dalla lettera, incontrando lo sguardo confuso di Tormund. “Questa qui ha più titoli di me!” esclamò il bruto esterrefatto. Jon alzò gli occhi al cielo. “Certo, certo” disse sbrigativo, “ma adesso cosa dovrei fare?” Iniziò a camminare nervosamente.

Il Nord non deve inginocchiarsi, così direbbero i tuoi alfieri.”

“E’ per questo che lo vengo a chiedere a te” osservò Jon fissando il bruto negli occhi. “Davos e Brienne sono in pericolo solo a causa della mia stupidità e l’intero Nord rischia di essere distrutto da questa Madre dei Draghi.” Jon si passò una mano sul viso. Avrei dovuto immaginarlo, si maledisse, che Daenerys avrebbe scelto come base la Roccia del Drago.

“Volevi recuperare il Vetro di Drago” lo confortò Tormund, “non devi biasimarti.”

Jon sembrava stravolto. “Non sono fatto per fare il re” mormorò crollando seduto, “Robb lo era, io… io…”

“Non dire sciocchezze! Si tratta solo di una scelta un po’ difficile.”

“Un po’ difficile?!” chiese ironico Jon “Qualunque decisione io prenda i miei uomini rischieranno la vita per una causa che non è la nostra.”

“Anche Mance ha dovuto fare scelte difficili” ricordò Tormund con un sorriso. "Ha preferito affrontare voi uomini del Sud piuttosto che gli Estranei, ma anche così molti di noi sono morti. Preoccupati per il tuo popolo, Jon Snow.”

“Non so se ne ho il coraggio” mormorò Jon afflitto: in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa pur di liberarsi dal peso di quella responsabilità.

“Hai ucciso un Estraneo, cazzo!” gli rammentò con veemenza il bruto “Sei sopravvissuto a numerose battaglie, hai difeso la Barriera, sei tornato dalla morte! Se questo non è coraggio…”

“Se decidessi di appoggiare Daenerys Targaryen l’intero Nord mi odierebbe” gli fece notare Jon, “mi considererebbero un codardo traditore e non voglio essere un altro Re-in-ginocchio.” Gli Stark odiavano i Targaryen, questo Jon lo aveva appreso fin dalla più tenera età. Il Nord odia i Targaryen.

“Ma se non lo fai” gli disse Tormund, “tutto questo sarà ridotto in polvere.” Aprì le braccia, alludendo a Grande Inverno. “Grazie” ribatté ironico Jon, “questo mi fa sentire molto meglio.”

“Cos’è più importante?” gli chiese allora Tormund. Jon non era certo di saperlo. “Il tuo onore o la vita di coloro per cui hai combattuto?”

“Non è la nostra guerra” insistette Jon, “questo Gioco del Trono… non è la nostra battaglia. Gli Estranei stanno arrivando e non possiamo sapere se la Barriera arresterà la loro avanzata. Abbiamo bisogno di uomini a Nord.”

“Allora vallo a dire a questa Distruttrice di Catene, dimostrale che il vero problema è qui e magari lei ti ascolterà, magari ci aiuterà nella nostra battaglia.” 

Jon annuì pensieroso e tornò a fissare la lettera. “Qui dice di avermi già scritto” osservò aggrottando le sopracciglia, “ma io non ho ricevuto nulla.” 

“Il corvo si sarà perso in chissà quale tormenta” rispose in fretta Tormund. “Allora, cosa farai?” Jon inspirò profondamente tentando di convincersi di stare facendo la cosa giusta. Mio padre avrebbe fatto lo stesso, pensò. E anche Robb…

“Oggi pomeriggio metterò gli altri lord al corrente della mia decisione,” disse Jon cercando di apparire sicuro di sé “e domani stesso partirò con una scorta di massimo venti soldati.”

Tormund annuì. “Chi lascerai a governare?” chiese curioso “Basta che non sia io!”

Jon scoppiò a ridere. “No, non ne saresti in grado!” lo provocò “Sarà Sansa a comandare in mia vece.” Sentì una stretta al cuore: Sansa non gli parlava dalla sera della festa e Jon era certo che lo stesse ignorando di proposito. Tuttavia non ne comprendeva la ragione. Ho detto qualcosa di sbagliato? continuava a chiedersi. Aveva provato più volte ad avvicinarla, ma lei era corsa via stringendosi le mani al petto.

Scrollò la testa per tornare con i piedi per terra. “Mi aspetto che tu garantisca la pace tra il Popolo Libero e quello del Nord” continuò rivolto a Tormund. “E che aiuti mia sorella in caso di necessità.”

“Conta pure su di me, Jon” lo rassicurò il bruto assestandogli una pacca sulla schiena così forte da sbilanciare l’equilibrio del Re del Nord. Jon provò un moto di gratitudine nei confronti dell’amico e sorrise riconoscente.

“Bene” disse imbarazzato, “allora vado a cercare Sansa per riferirle le novità. A dopo…” Tormund fece un cenno con la testa e Jon si allontanò. La sua mente traboccava di domande e preoccupazioni.

“Vostra grazia” lo chiamò una voce alle sue spalle. Jon si voltò, trovandosi di fronte all’anziano cantore Malak. Un brivido gli pizzicò la spina dorsale.

“Malak” lo salutò a disagio, “spero il banchetto sia stato di tuo gradimento…” Malak sorrise mostrando i pochi denti che ancora popolavano la sua bocca. “Era squisito” disse cortesemente, “anche se molti cibi non sono molto comuni al Sud.”

“Come mai sei venuto al Nord?” chiese Jon curioso. 

Il vecchio sospirò profondamente. “Un tempo vivevo ad Approdo del Re, ero sempre invitato ai banchetti a corte ed il popolo mi amava. Dicevano che le mie canzoni erano le più belle che avessero mai sentito. Poi il re morì e…”

“Stai parlando di Robert Baratheon?” 

Malak scoppiò a ridere. “No, no” rispose agitando le mani, “parlavo di Aerys Targaryen.” Jon dovette assumere un’aria confusa, perché il vecchio rise nuovamente.

“Quanti anni credi che io abbia?” chiese Malak divertito “Tu sei giovane, ma io ho visto succedersi molti re durante la mia vita. Durante il regno di Aerys ero tenuto in gran considerazione a corte.” Malak lanciò un’occhiata allo sguardo esterrefatto di Jon.

“Il Re Folle amava la musica?” chiese Jon sbalordito  "Sapevo che in giovane età  adorasse  le feste, ma..."

“Non lui: suo figlio Rhaegar.”

Jon si morse il labbro a disagio. “Cosa sai tu di Rhaegar Targaryen, ragazzo?” gli chiese gentilmente il vecchio. “Che era matto almeno quanto il padre” rispose Jon con voce cupa, “e che celava istinti animaleschi.”

Malak scosse la testa sconsolato. “Le storie che si raccontano qui a Nord sono false” gli spiegò con calma, “Rhaegar era adorato dal suo popolo ed aveva un animo gentile e sensibile.”

“Ha rapito mia zia Lyanna” osservò con disprezzo Jon, “l’ha stuprata e uccisa…” 

“C’è sempre stato qualcosa di poco chiaro in quella storia” disse Malak con sguardo vacuo, “non credo sia andata esattamente come viene narrata.”

Jon decise di cambiare discorso. “Lo conoscevi bene?” chiese “Il principe Rhaegar intendo…” 

Il volto grinzoso di Malak si illuminò. “Era fra i miei più fidati amici” raccontò con voce emozionata, “spesso suonavamo insieme e il popolo applaudiva. Sembrava perfettamente a suo agio fra la gente comune. Aveva una magnifica lira d’argento con dei draghi intrecciati, ma purtroppo è andata perduta durante la Ribellione. Dopo la sua morte ho lasciato Approdo del Re e da allora ho vagato per i Sette Regni mantenendomi con le mie esibizioni.”

Jon si accorse di stare sudando: la descrizione dello strumento musicale di Rhaegar coincideva forse un po’ troppo con l’immagine della lira del sogno. Tutto questo non ha senso, si disse temendo di impazzire. Come mai dovrei sognare la lira di Rhaegar Targaryen? Per qualche secondo nessuno parlò.

“E’ stato Rhaegar ad insegnarmi la Canzone del Ghiaccio e del Fuoco” disse infine Malak. Jon rimase a bocca aperta.

“Avrebbe voluto che la cantassi il giorno della nascita del figlio Aegon” proseguì Malak, “ma per qualche ragione alla fine me l’ha impedito. Ci sarà un’altra occasione, mi ha detto. Dopo tutti questi anni ho voluto condividere questa splendida canzone con le uniche persone che mi sembrano degne di ascoltarla. Ammiro molto voi uomini del Nord.”

Jon glissò sul complimento, la mente che lavorava frenetica. “Sei sicuro che questa sia la prima volta che intoni questa canzone davanti ad un pubblico?” chiese dubbioso. “Assolutamente” rispose con decisione Malak.

“Non è possibile che il principe l’abbia insegnata anche a qualcun altro?” insistette Jon. Malak si fece sospettoso. “Sono certo di essere stato l’unico a cui Rhaegar abbia mai concesso la conoscenza di questa canzone” rispose in tono piatto, “ma perché tutte queste domande, se posso chiedere?”

Jon sospirò. “E’ difficile da spiegare” ammise. “Qualche giorno fa ho fatto un sogno e ho udito questa canzone.” Malak lo fissò strabiliato. “Ed io… era come se già la conoscessi, come se potessi cantarla senza averla mai udita prima. Quando al banchetto l’ho ascoltata di nuovo, ho provato questa sensazione ancora una volta. Non so spiegarlo, magari mi sono immaginato tutto.”

Malak sembrava come fulminato. “Anche Rhaegar mi disse che aveva sentito quella canzone in sogno” balbettò esterrefatto, “e che credeva di averla sempre conosciuta.” 

Jon sentì la testa. “Cosa significa tutto ciò?” chiese in tono molto più vulnerabile del voluto. Malak scosse la testa. “Non ne ho idea” ammise abbassando lo sguardo. Poi si alzò e, senza dire nulla, si allontanò. Jon rimase solo con i propri pensieri. Chiuse gli occhi e sentì qualcosa strofinarsi contro la sua coscia. Seppe che si trattava di Spettro ancor prima di vederlo.

“Ehi” lo salutò cingendogli il collo con le braccia, “come mai da queste parti?” Il meta-lupo non emise alcun suono, si limitò a fissare Jon con i suoi occhi fiammeggianti.

“Tra poco dovrò partire” gli sussurrò Jon all’orecchio accarezzando il suo pelo soffice, “ma non posso portarti con me.” Spettro sembrò intristirsi e spinse il muso contro il petto di Jon.

“Proteggi Sansa” si raccomandò lui sentendo le lacrime pizzicargli gli occhi, “nessuno deve farle del male. Io tornerò…” Fece una pausa stringendo il meta-lupo più forte che poteva e per un attimo i loro cuori batterono come uno solo.

“Te lo prometto.”

Poi, silenzioso come era arrivato, Spettro scomparve. Jon si tirò a fatica in piedi, la vista offuscata dalle lacrime represse. Adesso lo attendeva la sfida più difficile.

Trovò Ditocorto appostato davanti alla stanza di Sansa. “Mio re” lo salutò Baelish chinando appena il capo. “Dov’è Sansa?” chiese Jon deciso a saltare i convenevoli.

Lord Baelish accennò uno dei suoi sorrisetti. “Lady Stark desidera non essere disturbata” spiegò inarcando appena le sopracciglia. “Magari potrei…” 

Jon perse la pazienza. “Lord Baelish, ti avverto” lo minacciò fissandolo negli occhi, “spostati o non esiterò a chiamare le guardie. Voglio parlare da solo con mia sorella.” La mano di Jon scivolò su Lungo Artiglio e Ditocorto si irrigidì. Dopo attimi di tensione, Baelish si fece da parte e Jon entrò nella stanza chiudendo la porta alle proprie spalle.

Sansa era seduta sul letto intenta a cucire un abito celeste-cielo. Quando Jon le si avvicinò, Sansa non alzò neppure gli occhi dal lavoro.

“Sansa…” iniziò impacciato lui “Io dovevo… cioè volevo, ecco io…”

“Cosa vuoi, Jon?” gli chiese lei così freddamente che Jon arretrò come se l’avessero schiaffeggiato.

“Io devo parlarti” le disse tentando di apparire sicuro di sé, “ci sono delle novità e volevo discuterne con te.” 

“E perché mai?” chiese lei sarcastica continuando a cucire “Hai i tuoi consiglieri, giusto? Non ti serve certo il parere di una stupida ragazzina…”

“Tu sei mia sorella!”

Sorellastra” lo corresse sibilando Sansa. Jon rimase senza fiato. Per un po’ non seppe cosa dire.

“Perché sei arrabbiata con me?” le chiese infine il più gentilmente possibile.

Sansa scagliò il vestito a terra e scattò in piedi. Era rossa in viso e Jon vide sconcertato che stava piangendo. “E me lo vieni anche a chiedere?!” gli urlò infuriata “Sto mandando avanti questa casa per te e tu non mi tieni mai in considerazione quando devi prendere delle decisioni. Credi sia ancora una bambina che ha bisogno che qualcuno la venga a salvare?”

“Io non ho mai detto questo!” gridò Jon ferito nell’orgoglio “Sansa, mi dispiace se ti ho trascurata, ma credimi non avrei voluto…”

“Cosa non avresti voluto? Lasciarmi da parte per quella… quella…” Sansa si interruppe con una smorfia disgustata.

Jon finalmente aveva capito. “Non l’ho baciata io” le disse adesso calmo tentando di circondarle le spalle con un braccio, “sei scappata dalla sala prima che potessi vedermi respingerla.” Sansa si voltò a fissarlo: pareva essersi tranquillizzata.

“Tu non l’hai…?” 

Jon scosse la testa. “Te lo giuro sugli Antichi Déi, Sansa” la rassicurò, “io non ho bisogno di una moglie, ho già tutto quello che desidero. E poi Alys è troppo ambiziosa.” 

Sansa si sciolse in un pianto sommesso. “Perdonami, perdonami, Jon” lo supplicò abbracciandolo, “per le cose orribili che ti ho detto, io non volevo… La verità è che ho paura…”

“Paura di cosa?” gli chiese Jon d’un tratto allarmato “Ti hanno minacciata? Ti hanno forse fatto del male?” 

Sansa scosse energicamente la testa. “Ho paura che qualcuno possa portarti via da me” confessò affondando le unghie nella tunica che copriva il petto di Jon, “ho paura che tu possa andartene e dimenticarti di me. Ti invidio perché con una moglie saresti molto più felice di quanto io potrei mai essere con un marito. Ho paura di venire abbandonata…”

Jon le permise di piangere sulla sua spalla accarezzandole i capelli. “Non devi mai più neppure pensarle queste cose” le disse prendendole il viso e guardandola negli occhi, “io non potrei mai lasciarti, nemmeno se un giorno fossi costretto a sposarmi per il bene del Nord. Voglio che tu lo ricordi: non sei e non sarai mai più sola.”

Sansa si rilassò nella sua stretta, il corpo scosso dagli ultimi singhiozzi. Alla fine si separò da Jon con un pallido sorriso. “Tu sei mio fratello” gli sussurrò facendo un piccolo passo indietro. Stettero in silenzio a guardarsi per quasi un minuto.

“Allora?” chiese poi Sansa “Che cosa mi dovevi dire quando sei entrato?”

Il sollievo che aveva provato in seguito al calo di tensione si dissolse completamente e Jon deglutì a fatica, cercando le parole adatte.

 

Arya

 

Il lupo era affamato. Arya lo percepiva, sentiva lo stomaco contrarsi e le mascelle scattare per stringere il nulla. Aveva voglia di cacciare, di uccidere. Iniziò ad ansimare e si svegliò di soprassalto. Nel buio due enormi occhi gialli la fissavano. Arya si tirò su a sedere e Nymeria arretrò.

“Hai fame, vero?” le chiese accarezzandole le orecchie. Il meta-lupo uggiolò. Arya fece scorrere lo sguardo nel buio, ascoltando i respiri degli altri lupi che dormivano in cerchio. Erano circa una trentina, ma lei sospettava che il branco fosse molto più numeroso.

Diverse volte mentre era a Braavos le era capitato di sognare Nymeria, di essere Nymeria, ed il sogno corrispondeva sempre alla verità. Arya aveva presto smesso di chiedersi le ragioni di ciò, felice di quell’unico ponte che ancora la collegava al passato. 

Ma ora sto tornando a casa.

Sollevò lo sguardo scrutando il cielo. Si stava lentamente tingendo di rosso e Arya intuì che l’alba non doveva essere lontana. Si alzò in piedi.

“Su, Nymeria” sussurrò al meta-lupo, “svegliali: dobbiamo rimetterci in marcia.”

Nymeria la osservò per qualche istante prima di emettere un lungo ululato. Tutti i lupi drizzarono le orecchie ed iniziarono a stiracchiarsi. Arya attese paziente. Viaggiare con un branco di lupi pronto a proteggerti poteva risultare comodo, ma anche piuttosto noioso. Sempre meglio che da sola, aveva dovuto riconoscere Arya.

Iniziarono la marcia quando il sole era ormai sorto completamente. Arya e Nymeria procedevano in testa, seguite da tutti gli altri lupi. C'erano pochi indizi per orientarsi, solo i fiumi o i villaggi che incontravano. Per un breve tratto avevano costeggiato la Strada del Re, che Arya sapeva condurre direttamente a Grande Inverno, così aveva potuto capire di aver superato il Moat Cailin. Probabilmente in quel momento stavano vagabondando nella Terra delle Tombe e Arya non poté reprimere un brivido al ricordo delle storie della Vecchia Nan.

Da piccoli erano sempre lei e Bran a pretendere storie macabre ed oscure, mentre Sansa piangeva urlando di voler ascoltare racconti di principi e principesse. Alla fine la Vecchia Nan aveva raccontato così tante leggende che Arya non poteva rammentarle tutte. Alcune però parlavano dei fantasmi dei Re dei Tumuli che, assetati di sangue, si aggiravano nei pressi di Barrowton desiderosi di vendetta, o di mostri muta-forma che terrorizzavano i villaggi del luogo. Per precauzione Arya si tenne alla larga da città e villaggi, preferendo cacciare nel bosco o acquistare cibo da mercanti di passaggio.

I boschi della Terra delle Tombe non erano fitti come sul Tridente, ma abbastanza riparati da celare un’orda di lupi famelici. Le prede poi non mancavano mai e Arya aveva ucciso moltissimi scoiattoli con Ago. Nymeria ed il suo branco invece miravano a prede più ambiziose, come volpi, cervi ed addirittura leoni di montagna. Arya tentò anche di costruirsi un arco con cui colpire gli uccelli o i pesci dei torrenti, ma il risultato non fu molto soddisfacente.

Quella mattina il tempo era stranamente buono, nonostante le rigide temperature. Questo era abbastanza curioso, perché Arya sapeva bene che l’inverno fosse finalmente arrivato, avendo ascoltato le chiacchiere dei soldati di Delta delle Acque.

Si era ormai convinta che il suo piano di fuga avesse funzionato alla perfezione, perché nessuno l’aveva seguita. Aveva intenzione di arrivare a Grande Inverno senza farsi notare e sperava che suo zio Edmure non avesse inviato messaggeri a Jon.

Voglio vederli senza che loro mi vedano, continuava a ripetersi. Voglio osservarli, seguirli, giudicarli senza che sappiano chi sono.

Non vedeva i suoi fratelli da anni ormai ed era ansiosa di poter constatare quanto fossero cambiati. Se erano cambiati. Le risultava difficile credere che Sansa avesse finalmente abbandonato i suoi stupidi sogni. “Però mi manca” aveva dovuto ammettere.

Nel primo pomeriggio un lupo si ferì alla zampa accasciandosi a terra ed il branco fu costretto a fermarsi. Arya voleva rendersi utile mentre il lupo si leccava la ferita, ma Nymeria la tenne lontana.

Offesa, Arya si inoltrò nel bosco per distrarsi. Stupido lupo, borbottò tra sé e sé. Guarda quanto tempo ci fai perdere. Mentre stava esaminando un grosso bastone frondoso per il fuoco, le sembrò di udire delle voci. Credendo di essersele immaginate, continuò a scavare in terra, ma il suono si ripeté, stavolta più nitido.

D’istinto, Arya sguainò Ago, appostandosi dietro a un grande albero nodoso. Le voci erano ora vicinissime e Arya poteva comprendere cosa dicevano.

“M-ma è pazzesco!” Arya aggrottò le sopracciglia sentendo quel tono stranamente familiare. “Mi stai dicendo che è proprio come Beric?” stava chiedendo ancora la voce ed Arya strinse l’impugnatura della spada fino a far sbiancare le nocche. La Fratellanza senza Vessilli, sibilò socchiudendo gli occhi.

All’improvviso le tornarono in mente nomi della sua lista, nomi dimenticati e poco importanti. Beric Dondarrion, pensò mulinando Ago, Thoros di Myr.

“Sì ci sono riuscita” si era intromessa una voce femminile. Suonava abbattuta e stanca. “Dopo la morte di Stannis avevo perso la fiducia nel Signore della Luce, ma questo ha cambiato tutto.”

Arya strinse le labbra confusa: di cosa stavano parlando? Desiderosa di capire di più, si avvicinò guardinga con passo felpato. Leggera come una piuma, scattante come un gatto.

“Thoros” stava continuando la donna ora vicinissima: doveva essere dietro l’enorme albero, “ascoltami… E’ lui Azor Ahai, ne sono convinta.” 

“Ne eri convinta anche quando parlavi di Stannis” osservò una terza voce che doveva essere di Beric, “come puoi esserne veramente certa questa volta?”

“Perché ogni volta che chiedevo alla fiamme di mostrarmi Azor Ahai” spiegò la donna ora più decisa, “vedevo solo neve. E poi il Signore non l’avrebbe riportato indietro senza ragioni.” Arya era sempre più perplessa. Riportato indietro? si chiese pensierosa Ma sta parlando di Beric? Quella sua teoria tuttavia fu messa subito a tacere da Beric stesso.

“Speriamo sia davvero lui questa volta” disse infatti lui da un punto ora più lontano, “ma Azor Ahai reincarnato non doveva avere sangue di drago, Thoros?”

“Si pensa” precisò il prete che Arya ancora non riusciva a vedere, “si pensa debba discendere dai Targaryen, ma i testi non sono chiari.” 

“E’ lui” ripeté la donna convinta, “ve ne accorgerete appena lo vedrete.”

Vincendo la paura, Arya uscì dal proprio nascondiglio, riuscendo finalmente a vedere la donna. La rabbia l’accecò non appena riconobbe i suoi lunghi capelli rosso-fuoco. La Strega Rossa. Improvvisamente fu presa da un impellente bisogno di uccidere. I ricordi la sommersero e rivide Gendry terrorizzato venire portato via su quel carretto. Cercò con tutte le proprie forze di contenere il proprio odio per evitare di compiere atti sciocchi, ma alla fine non resistette e balzò in avanti afferrando Melisandre per i capelli e puntandole il coltello alla gola.

“Cosa gli hai fatto?!” urlò fuori di sé “Dimmelo o ti taglio la gola!” 

La Donna Rossa sembrava sul punto di svenire. “M-ma chi?” balbettò terrorizzata. Arya le premette il coltello sulla pelle del collo facendo sgorgare qualche goccia di sangue. “Sai benissimo di chi sto parlando!” la minacciò furiosa. Poi si voltò verso Beric e Thoros che la fissavano allibiti. “Non ve lo ricordate neppure, vero?” chiese ironica “Gendry: alto, capelli neri, un ragazzo che voleva solamente entrare a far parte della Fratellanza e che voi avete venduto a questa strega!” 

Un lampo di comprensione attraverso l’unico occhio di Beric Dondarrion. “Sei Arya? Arya Stark?”

“Vedo che di me invece vi ricordate benissimo” osservò freddamente Arya senza allentare la presa sui capelli di Melisandre.

“Arya, calmati, non è come sembra…” tentò Beric, ma Arya scoppiò a ridere. “Invece è esattamente come sembra” disse spietata, “e per questo morirete tutti. Ma adesso dimmi: che ne è stato di Gendry Waters?”

“E’ fuggito!” rantolò la Donna Rossa pallida come il latte “Ha lasciato la Roccia del Drago, non ho idea di dove sia andato… Per favore…!”

“Silenzio!” Arya era comunque sollevata dal sapere che Gendry era riuscito a scappare da quella donna. “Cosa volevi fargli?” chiese ancora più minacciosa.

“D-doveva…” farfugliò la Strega Rossa che si reggeva a stento in piedi "doveva essere bruciato sul rogo, perché…”

“Non mi interessano i tuoi motivi!” intervenne Arya disgustata “Avresti condannato a morte un innocente e per questo meriti la mia punizione.” 

Melisandre chinò il capo. “E sia, allora” mormorò rassegnata e umile come Arya non l’aveva mai vista, “ma ti prego… una morte rapida…” 

“Di certo più rapida di quella che avresti riservato a Gendry” sibilò Arya brandendo Ago. Infilzali con la punta.

“Arya, fermati!” le urlò Thoros afferrandole il braccio “Non puoi farlo…” 

“Certo che posso!” esclamò Arya “E presto sarà anche il vostro turno!”

“Io non la ucciderei se fossi in te” intervenne calmissimo Beric. 

Arya lo fissò con sufficienza. “E perché non dovrei farlo?”

“Perché ha salvato tuo fratello” rispose gentilmente Beric, “Jon Snow.”

Arya spalancò la bocca senza emettere suono, mentre Ago e il pugnale le scivolavano dalle mani e Melisandre si accasciava a terra. Per qualche istante fu silenzio.

“Come è successo?” chiese infine Arya stupefatta dall’affermazione. Beric le si avvicinò. “Forse è meglio che sia lei a spiegarti” suggerì.

Melisandre si rialzò tremante. “Tuo fratello era Lord Comandante dei Guardiani della Notte, conto che tu lo sappia” iniziò e Arya annuì. “La sua politica non è stata molto amata dai suoi confratelli” proseguì Melisandre, “così l’hanno ucciso.”

Arya sentì il mondo girarle intorno. Ucciso? pensò frastornata Come è possibile, l’hanno appena nominato Re del Nord…

“Ma il Signore della Luce non era d’accordo” andò avanti la Donna Rossa, “e mi diede il potere di riportarlo in vita. E’ tornato dalla morte.”

Nonostante Arya non fosse più stupita da nulla, stavolta rimase senza fiato. Vedendola ammutolita, Beric sospirò. “Forse potresti risparmiarla” suggerì con cautela, “è molto pentita…” Melisandre fissava Arya. Non c’era paura nel suo sguardo, non implorazione o odio. Era semplicemente in attesa.

Arya strinse le labbra in preda ad una crisi interiore. Avrebbe ucciso Gendry, si disse raccogliendo Ago. L’avrebbe bruciato vivo. “Ma ha salvato Jon” continuava un’altra voce nella sua mente. E se stessero tutti mentendo?

A furia di maneggiare la lama si tagliò il palmo. Digrignò i denti quando sangue caldo le scivolò dentro alla manica fino al gomito. “E sia” annunciò alla fine con voce solenne, “vi rimuovo tutti dalla mia lista.” Thoros sembrò rilassarsi. “Ma” proseguì decisa Arya, “la prossima volta che vi troverete sul mio cammino non sarò così clemente.”

“Suppongo tu ti stia recando a Nord” osservò Beric incrociando le braccia, “perché non ti unisci a noi?” Arya lo fulminò con lo sguardo. “Non ho intenzione di passare con questa strega un solo istante di più.” rispose schifata.

“Melisandre non viene con noi” intervenne Thoros, “tuo fratello l’ha esiliata dal Nord.”

Arya non era neanche lontanamente interessata al motivo che aveva spinto Jon ad una simile azione. “E dove andrai?” chiese sgarbata rivolgendosi alla Donna Rossa.

“Nelle Terre dei Fiumi, a Delta delle Acque magari. Dicono che sia tornata in mano ai Tully…”

“E’ vero” confermò tranquillamente Arya, “sono stata io ad uccidere Walder Frey.” I tre sgranarono gli occhi, ma non osarono fare domande. “B-bene” balbettò Thoros, “un problema di meno quindi.”

Un ringhio fendette l’aria e Nymeria apparve in mezzo alla radura. Arya sorrise alle espressioni di terrore sui volti di Thoros, Beric e Melisandre.

“Ah, ah, ah” rise una voce alle sue spalle, “eccolo dove era finito il tuo dannato lupo. E dire che quel giorno l’avevamo cercato fino a tarda notte…”

Arya si immobilizzò all’istante, il cuore che batteva all’impazzata. Quella voce. Lentamente, Arya si voltò.

“No no non è possibile... tu sei morto!

Sandor Clegane, vestiti stracciati e barba incolta, le sorrise. “Ci sono andato vicino” ammise il Mastino con una smorfia, “ma la tua amichetta non è riuscita ad accopparmi. Credo io ti debba ringraziare per non avermi dato il colpo di grazia.”

Arya strinse i pugni affondando le unghie nel palmo. “Io ti odio” sibilò irata, ma, appena queste parole lasciarono le sue labbra, seppe che era una menzogna. “Una ragazza mente” avrebbe detto Jaqen H’ghar con quel suo mezzo sorriso.

Il Mastino si limitò a ridere ancora più sguaiatamente. “Dopo tutto questo tempo?” chiese con stucchevole tristezza, “pensavo ti fossi lasciata due o tre morti alle spalle…” Arya fece per saltargli addosso, ma Beric la trattenne. “E’ un uomo nuovo ora” le spiegò con gentilezza, “so che può sembrare impossibile, ma è cambiato.” 

Arya lo fissò allibita. Ma lui ti ha ucciso!” esclamò indicando Sandor Clegane “Come puoi accoglierlo nella Fratellanza?” 

“Beh, lui al contrario tuo sopra i suoi morti la pietra ce l’ha messa” intervenne il Mastino, “e comunque non faccio parte di questa fottuta Fratellanza, viaggiamo solo insieme.” 

Arya rise: una risata senza gioia. “Non sei più in grado di difenderti da solo?” lo schernì “Ora hai paura anche delle ragazzine oltre che del fuoco?” 

“Ci siamo incontrati per caso” rispose vago Sandor, “anche se devo dire che non sia stato amore a prima vista. Comunque abbiamo capito di stare dalla stessa parte…”

“Quale parte?” chiese dubbiosa Arya. “Dalla parte dei vivi” si intromise con naturalezza Melisandre, “per essere preparati a ciò che ci aspetta.” 

Nymeria ringhiò e Arya aggrottò le sopracciglia. “E cos’è che ci aspetta?”

“Il dio che veneri tanto ragazzina” rispose gravemente Beric.

Arya sentì il sangue gelare nelle vene e rabbrividì suo malgrado. Le voci di Syrio e Jaqen le si confusero in mente, mentre il vento le sussurrava all’orecchio una sola parola.

Morte.

 

Samwell

 

Vecchia Città non era esattamente come Sam l’aveva sempre sognata da bambino. Allora se la immaginava grandiosa e lucente, con le mura possenti e protettive che si stagliavano contro un cielo perennemente azzurro. Adesso gli appariva consunta; le mura erano grigie e incrostate di salsedine e il cielo raramente era sgombro da nuvole. Le strade erano deserte e non vivacemente attraversate da sapienti immersi in dotte conversazioni. Vecchia Città sembrava spegnersi ogni giorno che passava.

“E’ la guerra” gli aveva sussurrato un oste dagli occhi stralunati, “le madri piangono i figli lontani e tutti temono la vendetta della regina.” Ascoltando i racconti dei passanti, Sam aveva potuto conoscere la difficile situazione in cui la città si trovava.

Dopo l’uccisione del lord di Alto Giardino e dei suoi eredi, lord Leyton Hightower aveva deciso di rimanere fedele ai Tyrell ed aveva inviato i suoi due figli maggiori, Baelor e Garth, a capo di mille uomini alla Roccia del Drago per supportare Daenerys Targaryen. Le sue azioni tuttavia lasciavano Vecchia Città esposta ad eventuali attacchi dal mare. Il popolo aveva paura.

Ed io? si chiedeva Sam Io ho paura? Si sorprese scoprendosi piuttosto indifferente al terrore che aveva congelato la città. Certo, la sua unica preoccupazione era la sicurezza di Gilly e del suo bambino, ma sentiva di non potersi più definire codardo. Quando si trattava di proteggere Gilly, Sam si sentiva pervadere da un coraggio che non aveva mai provato in vita sua.

Grazie al denaro che Talla aveva infilato di nascosto nel vestito di Gilly, Sam aveva potuto affittare una casa dignitosa per lei ed il bambino. Gilly aveva messo il broncio quando si era trovato costretto a lasciarla per recarsi alla Cittadella, ma Sam non aveva scelta. “Io passerò a trovarti ogni volta che potrò” le aveva promesso, “qui sarai al sicuro…” 

“Ma io voglio venire con te” aveva insistito Gilly, “sono stufa di restare ad aspettare. Voglio leggere i libri di quella biblioteca.” 

“L-lo so, lo so” aveva balbettato Sam, “ma le donne non sono ammesse alla Cittadella. Senti, ti prometto che ti porterò un libro bellissimo, non come quelli polverosi della Barriera. Di cosa vuoi che parli?” Gli occhi di Gilly si erano illuminati. “Di leggende” aveva risposto subito, “delle leggende sulla Barriera e sul Nord.” Sam aveva annuito sollevato e finalmente era riuscito ad incamminarsi in direzione dell’Alta Torre.

I libri dicevano che era addirittura più alta della Barriera, ma solo ora Sam poteva constatare quanto avessero ragione. La torre, in piedi sulla piccola isola, era davvero enorme e sembrava essere l’unico elemento di Vecchia Città ad emanare ancora un alito di vita.

Alla Cittadella Sam si sentiva a disagio, costretto com’era a subire gli sguardi inquisitori degli altri apprendisti. Il guardiano che l’aveva ricevuto al suo arrivo e che Sam aveva scoperto chiamarsi Rathin continuava a temporeggiare, rimandando l’incontro con l’arcimaestro. Dopo alcuni tentativi di conversazione Sam si rifugiava in biblioteca.

Quello era il suo posto preferito, la concretizzazione di un sogno. Sam non aveva mai visto così tanti libri in vita sua e le mani tremavano mentre sfogliava le pagine ingiallite di qualche antichissimo manoscritto. Per i primi tempi si era limitato ad afferrare libri senza alcun criterio e a fissarli con venerazione senza avere il coraggio di aprirli. Le sale della biblioteca erano sempre sorvegliate e Sam era terrorizzato dall’idea di poter rovinare uno di quei libri anche solo sfogliandolo.

In seguito iniziò a leggerli e rimase affascinato da qualsiasi storia gli capitasse sotto gli occhi, indipendentemente dall’argomento. Lesse di cavalieri e principesse, di amori finiti in tragedia, di eroi e guerre sanguinose, di importanti re. Dopo due sole settimane Sam era perfettamente in grado di elencare i nomi dei trentacinque amanti di lady Jessy, di recitare a memoria la dinastia dei re dei draghi e le date delle battaglie più importanti. Smarrito in quell’invitante labirinto, Sam quasi dimenticò i motivi che l’avevano condotto così a Sud.

Rinvenne solamente dopo aver udito un’animata discussione fra tre maestri. Era intento a riordinare alcune carte ammucchiate sul tavolo che gli era stato assegnato, quando udì delle voci avvicinarsi. Tentando di mantenere un’aria disinvolta, lisciò per la ventesima volta una pagina stropicciata e rimase in ascolto.

“Sono tempi pericolosi vi dico” stava dicendo il più alto dei tre. Aveva la carnagione scura e i lineamenti duri. “A Dorne molti giovani sono partiti per la guerra seguendo quelle serpi usurpatrici, compresi i miei discepoli, Mors e Dickon. Lord Manwoody mi ha ordinato di tornare qui perché ritiene che presto la situazione degenererà.”

“Hai perfettamente ragione, Ramyll” assentì il maestro enormemente grasso alla sua destra muovendo nervosamente le mani. “Lord Serry mi ha inviato come messaggero a Lord Leyton: è troppo preoccupato da un attacco marittimo e non ha ancora deciso se appoggiare Daenerys Targaryen.”

“E perché non dovrebbe?” intervenne Ramyll aggrottando la fronte “Cersei Lannister ha sterminato i signori dell’Altopiano, è vostro compito vendicarli.” 

“Non è così facile” ribatté il maestro grasso continuando a tormentarsi le mani. “Scudo del Sud è la più esposta ad attacchi e se Cersei si è alleata con Euron Greyjoy…”

“Occhio di Corvo?” esclamò stupito Ramyll “Allora le voci sono vere. Questo rende tutto più difficile…” Dal suo angolo Sam cercava di assimilare tutte quelle informazioni.

“Ho sentito dire che non tutti gli alfieri dei Tyrell sono andati in guerra” continuò Ramyll, “è vero, Ghuym?” Il maestro grasso tirò un teatrale sospiro. “E’ vero” rispose, “da quello che so, Orton Merryweather e Randyll Tarly si sono schierati con i Lannister.”

Sam dovette inghiottire un gridolino udendo il nome di suo padre. Era rimasto piuttosto sorpreso, e sollevato, dal fatto che suo padre non gli avesse dato la caccia per riprendersi Veleno del Cuore. In quel momento la spada giaceva al sicuro sotto la culla improvvisata del piccolo Sam.

“Ci avrei giurato” stava continuando Ramyll, “Tarly appoggia qualcuno solamente se è assolutamente certo della sua vittoria e sembra che Cersei abbia assoldato dei mercenari. Eppure mi sembra strano abbia scelto di seguire una donna… Che notizie ci sono dal Nord, Vyktor?” 

Il terzo maestro, fino a quel momento rimasto in silenzio, si schiarì la voce. “Notizie sconvolgenti, amici” disse con voce bassa e grave. Evidentemente voleva suscitare interesse e proseguì solamente dopo essere stato spronato dagli altri due. “Le Terre dei Fiumi sono in fermento” raccontò. “A Raventree non potevi fare tre passi senza imbatterti in un messaggero di chissà quale famiglia. Arrivavano corvi tutti i giorni. Sapete che Walder Frey è morto, vero?” Sam sussultò, ma Ramyll e Ghuym annuirono. 

“Non si sa chi l’abbia ucciso” proseguì Vyktor, “ma lord Edmure ha subito indetto una riunione per discutere le prossime azioni da intraprendere. Lo so perché sono l’unico a cui lord Blackwood abbia concesso l’onore di accompagnarlo. E’ durata quasi quattro ore ed è stata la cosa più noiosa di…”

“Va bene, va bene” tagliò corto Ramyll, “ma cos’hanno deciso?” 

“Di appoggiare il Re del Nord” rispose Vyktor alquanto irritato per non aver potuto raccontare l’intera storia.

Sam scoprì di essere ancora a bocca aperta e si affrettò a richiuderla. Com’è possibile? si chiese confuso Jon aveva detto che suo fratello era morto… Che Brandon sia riuscito a tornare da oltre la Barriera?Frugò nella memoria alla ricerca dei ricordi riguardanti quel ragazzino storpio e il suo enorme meta-lupo.

Estate, si chiamava Estate.

Gli sembrava dolorosamente impossibile credere che potessero essere sopravvissuti alla vita oltre la Barriera. Però Jon aveva un altro fratello, ricordò all’improvviso. Ri… Rickard, ah no, Rickon… Ma era solo un bambino…

“Sono vere le voci?” stava chiedendo Ghuym “Si dice che questo Re del Nord sia un bastardo…”

“Aye” confermò Vyktor, “il bastardo di Ned Stark, un disertore dei Guardiani della Notte.”

Sam non si accorse di aver lanciato un urletto finché non vide gli occhi di tutti e tre i maestri puntati su di lui. “Ehm, mi sono tagliato con un pezzo di pergamena…” I tre lo guardarono come se stessero davanti ad uno squilibrato e dovettero decidere di spostare la conversazione da qualche altra parte perché si allontanarono. Le loro voci in breve si persero nei corridoi e Sam rimase solo.

Si lasciò cadere a terra con malagrazia. Quindi Jon ha lasciato i Guardiani della Notte, si disse ancora frastornato. Ma perché? Quando Stannis gli ha offerto il titolo di lord di Grande Inverno Jon ha rifiutato, perché adesso avrebbe disertato?

Un sentimento di delusione si fece strada in lui, nonostante Sam tentasse di reprimerlo. Jon sa quale minaccia ci aspetta, pensò lievemente irritato. Come ha potuto abbandonarci così?

Poi si ricordò di tutte le disgrazie che si erano abbattute su casa Stark e si vergognò. Era normale che Jon avesse voluto riconquistare il suo castello natio, magari riunendosi ai restanti membri della sua famiglia. Scommetto che l’hanno aiutato i bruti.

Si tirò in piedi. Adesso ricordava la sua missione, il motivo per cui aveva accettato a divenire il nuovo maestro del Castello Nero. Devo trovare informazioni sugli Estranei, si disse appoggiando le mani sul tavolo. Devo capire come sconfiggerli. Il giorno stesso in cui lui e Gilly erano giunti a Vecchia Città, avevano visto centinaia di corvi bianchi lasciare la Cittadella e Sam era consapevole di avere poco tempo.

Afferrò la pergamena ancora spiegazzata nonostante la perseverante azione lisciante e quasi rovesciò l’inchiostro nel tentativo di non farlo. Si accomodò sulla sedia, che scricchiolò, e si accinse a scrivere. Quando ebbe finito, rilesse tutto, attendendo che l’inchiostro si asciugasse.

A Jon Snow, ora Re del Nord

Sono veramente felice che tu sia riuscito a tornare a casa e ti auguro buona fortuna per le decisioni difficili che dovrai prendere. Io, Gilly ed il piccolo Sam siamo arrivati sani e salvi a Vecchia Città. Ho anche ottenuto un’altra spada di acciaio di Valyria, Veleno del Cuore, che era di mio padre. Continuerò le mie ricerche riguardo agli Estranei e ti terrò aggiornato. Spero di trovare un modo per distruggerli definitivamente. Aspettando il momento in cui ti potrò riabbracciare

Sam

Aveva deciso di omettere il modo esatto in cui si era procurato Veleno del Cuore, lasciando la questione sul vago.

Si diresse così all’uccelliera e liberò uno scorbutico corvo nero arruffato che portasse il messaggio fino a Grande Inverno. Tornò poi sui propri passi per raggiungere nuovamente la biblioteca e si scontrò con un uomo che saliva la stessa rampa di scale. Sam, intento a guardarsi la punta dei piedi, cadde quasi a terra e l’uomo dovette sorreggerlo per evitare che incespicasse.

Sam balbettò una specie di ringraziamento mentre sollevava lo sguardo sullo sconosciuto. Era molto più giovane di quanto aveva immaginato, con folti capelli ricci e scuri e barba rada. Sulla guancia destra spiccava pallida una cicatrice sottile. 

L’uomo gli sorrise. “Perdonami” si scusò con voce fievole e appena udibile, “andavo piuttosto di fretta. Sei nuovo, vero? Non ti ho mai visto qui…” 

Sam annuì nervoso. “M-mi chiamo Samwell Tarly, sono un novizio e…”

“Vieni dalla Barriera?”

“S-sì” rispose titubante Sam. L’uomo sorrise nuovamente. “Perdona la mia curiosità” disse muovendo una mano come per allontanare un insetto, “ma la Barriera mi ha sempre affascinato. Specialmente cosa c’è oltre… Tu ne sai qualcosa?”

Adesso Sam iniziava ad avere paura. “N-no” rispose tentando di apparire disinvolto nella sua menzogna, “ero solo un attendente.” 

L’uomo fece una smorfia di disappunto. “Certamente” disse chinando il capo in cenno di congedo, “scusa ancora per il disturbo.” Fece per andarsene.

“Chi sei?” chiese Sam colto da ardore improvviso. L’uomo si voltò: non sembrava adirato.

“Mi chiamano Tristyus” rispose con gentilezza, “sono l’aiutante del bibliotecario.” Poi, senza aggiungere altro, si allontanò.

Sam sentì una goccia di sudore scivolargli lungo la schiena. Si costrinse a continuare la discesa. La biblioteca si era svuotata e Sam si sedette al suo posto sotto lo sguardo inquisitorio di Rathin che, come al solito, stava sfogliando quel suo enorme libro d’archivio.

Dopo pochi minuti Sam si mise a girovagare in mezzo agli scaffali, facendo scivolare le mani sui libri e leggendone i titoli. Dovette trattenersi più di una volta dalla voglia di afferrarne uno che non trattasse di argomenti utili alla causa del Nord. Seguendo le vaghe indicazioni di etichette scolorite, Sam giunse in fondo ad uno stretto corridoio formato da due alti scaffali polverosi.

Incassata nella parete si intravedeva una porta di piccole dimensioni. Era di legno scheggiato e consumato e priva di etichette. Il pomello era d’ottone e nascondeva in parte la toppa sottostante. Con naturalezza Sam provò a spingerla, ma la scoprì chiusa a chiave. Stranamente ciò non lo stupiva affatto.

Una mano gli afferrò violentemente la spalla. Sam sobbalzò, voltandosi di scatto. Rathin lo stava fissando con sguardo assassino, uno sguardo che poco si sposava con il suo viso annoiato e monotono. “Che ci fai qui?” gli chiese stringendo gli occhi. Sam deglutì. “Stavo cercando dei libri, dei libri sulle leggende degli Estranei. Mi sembra che qualcuno mi abbia detto di venire qui…”

“IMPOSSIBILE!”

La veemenza di tale esclamazione fece quasi indietreggiare Sam. Rathin dovette accorgersi di aver esagerato, perché si ricompose. “Voglio dire” spiegò in tono ora decisamente più pacato, “credo tu abbia capito male perché i libri che cerchi sono nella sezione Storie, miti e leggende dei Sette Regni, area quindici scaffali dal sette al diciannove. Vieni, ti accompagno…”

Sam, piuttosto disorientato, si lasciò prendere il braccio e condurre rapidamente via. Quando stavano per svoltare dietro allo scaffale numero tre tuttavia, si girò affannato, lanciando un ultimo curioso sguardo alla porta, che continuava ad erigersi trionfante nel suo squallore.


                                                                                                                             "Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore."



A.D.A.

Ciao a tutti e ben tornati! Spero anche questo capitolo vi sia piaciuto e sono curiosa di conoscere la vostra opinione sul personaggio di Sam ^_^... Ci tengo a dire sul suo conto che la porta misteriosa in cui si imbatte è completamente diversa dal "reparto proibito" della biblioteca della serie e contiene segreti differenti ( Spettro94, immagino tu sappia di cosa sto parlando ;-D )...
Per il resto, cosa ne pensate della scelta di Jon? Credete abbia fatto bene o male? Diciamo che di certo non si preannuncia un bel periodo per lui XD... Sansa riuscirà ad assumere il ruolo che le spetta nonostante tutti i suoi tormenti interiori? Cosa succederà a Davos e Brienne? Se volete scrivete pure le vostre teorie: sono tutte ben accette e molto gradite :-)

Vorrei precisare un paio di cose...
Inanzitutto per i non-lettori che probabilmente non avranno capito la battuta di Tormund riguardo al fatto che lui abbia più titoli di Daenerys... Ho voluto inserirla perchè nei libri il bruto ha una lista pazzesca di nomi e non solo "Veleno dei Giganti", come ad esempio "Re della Birra", "Padre di Eserciti", "Soffiatore di Corno" e "Marito di Orse"... Era quindi divertente paragonarlo a Daenerys XD
Per i lettori più fedeli invece, tengo a sottolineare un cambiamento che ho dovuto apportare rispetto ai libri. Infatti il maestro Ghuym dice che Scudo del Sud non ha ancora preso posizion nella guerra, mentre nei libri è una delle prime conquiste di Euron. Non potendo però inserire tale conquista per motivi temporali dettati dalla serie, ho optato per lasciare Scudo del Sud in pace, facendolo solo rimanere "preoccupato" da un possibile attacco di Occhio di Corvo.
Ho dovuto anche completamente cambiare la storyline della Cittadella rispetto a quel poco che ci mostrano i libri, ma questo lo vedrete più avanti :-)
Inoltre spero di non incappare nell'ira funesta di Azaliv87 per il personaggio di Malak che ha legami con Rhaegar Targaryen: tranquilla, il migliore amico del principe resterà sempre Arthur Dayne XD

Come al solito ringrazio infinitamente tutti coloro che hanno recensito perchè mi date una motivazione in più per andare avanti e cercare di migliorare al massimo questi capitoli che sono stati scritti ormai più di un anno e mezzo fa ^_^'''''... In ordine come sempre ringrazio coloro che hanno recensito il capitolo 3: NightLion, giona, Spettro94 (di cui vi suggerisco "Occhi di Stelle"... è una storia bellissima e piena di molti colpi di scena), leila91, __Starlight__ e Red_Heart96... Ragazzi vi abbraccio tutti ♥
Un ringraziamento speciale all'instancabile Azaliv87 che ha lasciato la sua meravigliosa (e lunghissima) recensione al capitolo 2 e che ringrazio per il costante supporto :-)

Mi raccomando fatemi sapere che cosa ne pensate anche di questo capitolo, le vostre idee sono sempre interessanti e stimolanti...
Spero di sentirvi presto... Alla prossima!

PS: la citazione di questa volta è di Bertolt Brecht, un autore a cui sono particolarmente affezionata perchè portai una sua poesia all'esame di terza media. Come interpretarla rispetto al capitolo spetta solamente a voi!












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Capitolo 5
*** Departures and escapes ***


Capitolo 5

Departures and escapes                                                                                                                                                        

 

 

                                                                                                                      "Hai sentito il lupo che ulula alla luna blu?"


Sansa

 

Quella notte Sansa non riuscì a prendere sonno. Continuava a rigirarsi nel letto, tentando di convincersi di dover solamente trovare la posizione giusta. Non aveva il coraggio di spegnere la candela che fievole ardeva ancora sul suo comodino, troppo spaventata dall’angoscia che avrebbe potuto assalirla.

Va tutto bene. Si girò sul fianco destro.

Sono al sicuro. Scivolò sul fianco sinistro.

Jon tornerà presto… Si distese sul dorso.

La mattina successiva tutti si aspettavano che da vera lady di Grande Inverno Sansa salutasse il Re del Nord con distacco e cortesia, evitando scene lacrimose e imbarazzanti. Tutti che si aspettano qualcosa da me, pensò intenta a fissare il soffitto, ma io non posso fidarmi di loro.

Sansa non si illudeva: quei lord avevano scelto Jon, non lei. Sarebbero stati disposti a morire per il loro re, ma non si sarebbero opposti ad una nuova politica matrimoniale che riguardasse la loro lady. E se Baelish riesce a convincerli…

Sansa si tirò a sedere colta dall’ira. Io sono la lady di Grande Inverno, pensò decisa. Nessuno riuscirà a mettermi da parte. Tutto questo è mio. Non biasimava affatto Jon per aver accettato il titolo di re, ma certe volte si sentiva esclusa da faccende che, ne era sicura, la interessavano. Jon voleva proteggerla, certo, ma la trattava ancora troppo spesso come la ragazzina che era partita per Approdo del Re con un meta-lupo, una sorella odiosa e la testa piena di stupidi sogni.

Sansa ormai aveva smesso di credere nel vero amore: le unghie di Ramsay le avevano strappato quel briciolo di speranza che ancora le alitava in corpo. Non si sarebbe più risposata, non avrebbe più affidato la sua vita nelle mani di qualcun altro.

L’indomani mattina avrebbe assunto ufficialmente tutti i poteri che erano stati conferiti a Jon. Potrei fare tutto quello che voglio, pensava. Decidere, dare ordini, allontanare le persone che mi infastidiscono. E invece si sarebbe attenuta al programma, limitandosi a sorridere ed ad evitare che i lord si scannassero fra loro. Ai bruti ci avrebbe pensato Tormund.

Tutto sembrava così semplice e Jon l’aveva così a lungo rassicurata, che Sansa aveva quasi creduto che per una volta tutto potesse funzionare. Jon avrebbe raggiunto Daenerys, si sarebbero alleati e avrebbero conquistato Approdo del Re. I draghi avrebbero sconfitto gli Estranei e Jon sarebbe tornato a Nord sano e salvo.

Poi Tormund le aveva svelato i numerosi pericoli che Jon si accingeva ad affrontare, le minacce di Daenerys e la prigionia di Brienne e Davos, e Sansa si era costretta ad essere realistica. Jon poteva rimanere ucciso. Certo, ciò sarebbe potuto accadere anche durante la Battaglia dei Bastardi, ma, adesso che Sansa aveva finalmente riconquistato la parziale felicità della sua vita, era restia a lasciarla andare. Aveva paura.

Si alzò tremante dal letto e, avvolgendosi in una vestaglia di lana rosa pallido, uscì dalla stanza. Il freddo del pavimento a contatto con i suoi piedi nudi la fece rabbrividire, ma Sansa non si fermò. Silenziosa come l’ombra di sé stessa, scivolò attraverso porte e saloni fino al cortile.

Allora si rese conto di essere diretta al Parco degli Déi. All’interno tutto taceva, come in attesa. Sansa si orientò facilmente anche al buio tra gli alberi che avevano occupato la sua infanzia e puntò verso l’Albero del Cuore. Via via che vi si avvicinava, sentiva crescere d’intensità uno strano suono stridente. All’improvviso scorse una luce che realizzò essere emanata da una candela ai piedi del secolare albero-diga.

Jon era seduto sulla roccia in riva allo stagno, intento ad affilare Lungo Artiglio con una grossa pietra nera. Aveva gli occhi chiusi ed i suoi movimenti erano ponderati ed esperti. Con un tuffo al cuore Sansa notò che aveva già indossato l’armatura che era stata forgiata per lui, con il simbolo degli Stark a rilievo sul petto. In quel momento Sansa rivide suo padre.

Una foglia scricchiolò e Jon aprì gli occhi di scatto. “Sansa!” esclamò visibilmente sorpreso “Cosa ci fai qui a quest’ora?”

“Potrei farti la stessa domanda.” Sansa rabbrividì per il freddo.

“Ma tu stai gelando” osservò Jon alzandosi in piedi e togliendosi subito il mantello, “ecco, prendi questo…” Sansa accettò l’offerta volentieri e si accoccolò accanto al fratello sul muschio umido. Per un po’ nessuno dei due parlò.

“Perché sei qui?” chiese infine Sansa scostandosi una ciocca di capelli dal viso. Jon sospirò. “Ogni giorno alla Barriera sognavo di poter tornare a Grande Inverno” raccontò triste, “ed ora che finalmente sono qui devo partire. Io non so se ne ho la forza…”

“E allora resta” suggerì Sansa speranzosa, “nessuno ti obbliga a fare nulla.”

“Lo sai che non ho scelta.”

Jon la stava fissando negli occhi e Sansa si morse il labbro. Ecco, aveva nuovamente fatto la figura della bambina egoista.

“Non aver paura” la consolò Jon prendendole le mani gelide, “sarai al sicuro… Tormund ti aiuterà vedrai e Spettro…”

“Ma non capisci?!” sbottò Sansa frustrata “Io ho paura per te. Potresti morire e…”

“Sansa, ti prego ascoltami” la interruppe dolcemente Jon, “non voglio mentirti: ci troviamo in una situazione pericolosa. Ma io non ho alcuna intenzione di morire ancora una volta solo e lontano da casa.”

“Non puoi scegliere, nessuno può…”

“Gli déi” sussurrò Jon indicando l’Albero del Cuore, “solo loro ci possono aiutare.”

Sansa fece una smorfia. “Io non prego più” disse abbassando il capo. “Mentre ero ad Approdo del Re trascorrevo le ore pregando gli dei di salvarmi e di aiutare Robb a vincere la guerra. Io sono qui e lui è morto…”

“Non devi tormentarti” la confortò Jon abbracciandola. Sansa si perse in quel tepore. “Non è stata colpa tua e Robb sapeva benissimo a cosa sarebbe potuto andare incontro, lo so che lo sapeva.”

Sansa avrebbe tanto voluto crederci. “Jon” sussurrò con un singhiozzo, “devo dirti una cosa.” Prese fiato. “E’ colpa mia se nostro padre è morto.”

Jon la fissò sconvolto. “Sansa, ma cosa stai…?”

“Sono stata io a dire a Cersei che nostro padre intendeva rimandare me ed Arya a Grande Inverno” disse Sansa in lacrime. “Credevo di amare Joffrey e pensavo che la regina mi avrebbe potuto aiutare a restare. E invece…” Sansa esplose in un pianto a dirotto. Per la prima volta dopo anni sentiva di poter parlare liberamente.

“Non essere così dura con te stessa” cercò di rincuorarla Jon, “non potevi sapere che sarebbe finita così. Anch’io ho sbagliato…” Sansa sollevò il viso rigato di lacrime.

“Ho abbandonato Robb al suo destino” continuò Jon visibilmente lacerato dal rimorso, “e non ho cercato Bran oltre la Barriera.”

“Ma il tuo giuramento…”

“Al diavolo il giuramento e l’onore: ci sono cose più importanti. Io l’ho capito troppo tardi…”

Sansa avrebbe voluto ribattere, ma Jon si portò una mano all’orecchio. “Senti?” chiese chiudendo gli occhi “Gli Antichi Déi ci stanno parlando…” Sansa rabbrividì e tentò di ascoltare il vento che faceva muovere pigramente le foglie rosso-sangue degli alberi.

“Dicono che sarai un’ottima regina” concluse Jon sorridendole.

Sansa abbassò lo sguardo. “Jon, non so se sono in grado di…”

“Certo che lo sei” disse deciso Jon alzandole il mento, “sei nata per questo.”

“Ma se Baelish…”

“Se Baelish ti importunerà, scrivimelo. Se ci saranno problemi, io tornerò immediatamente.”

“Me lo prometti?” chiese Sansa guardando il fratello negli occhi.

“Te lo prometto” rispose Jon con un sorriso.

Sansa si tranquillizzò. “Promettimi anche che sarai prudente” aggiunse, “e che non correrai rischi inutili.” Jon scoppiò a ridere. “Ehi” esclamò, “ti sembro forse uno che va in cerca di guai?” Sansa rise timidamente. “Un po’” ammise distogliendo lo sguardo.

Jon si alzò in piedi e le tese una mano. Sansa si accorse di essersi inzuppata la camicia da notte, che ora le si era appiccicata alle gambe. Lasciò che Jon la guidasse fuori dal Parco. Dal nulla Spettro iniziò a trotterellarle accanto, il suo pelo candito splendente nelle tenebre. Lady sarebbe diventata così, si ritrovò a pensare Sansa malinconica. Sarebbe stata lei a proteggermi. Si lasciò condurre fino davanti alla porta della sua camera.

Jon appariva provato, anche se si sforzava di sorridere. “Adesso è meglio che riposi” le disse accarezzandole i capelli. Spettro le leccò una mano. “A domani” sussurrò Sansa già con la mano sulla maniglia. Jon fece un cenno del capo nella sua direzione e si allontanò. Spettro si accucciò vigile davanti all’entrata e Sansa si sentì rincuorata.

Quando fu tra le soffici coperte del letto, poco prima che fosse vinta dal sonno, innalzò una preghiera agli Antichi Déi. “Vi prego” mormorò ad occhi chiusi con la testa sul cuscino, “vi prego fate che Jon torni. Vi siete presi tutta la mia famiglia, lasciatemi almeno mio fratello. Vi prego…” Poi cadde in un sonno profondo e senza sogni. 

La mattina successiva si vestì con gesti automatici, scegliendo un abito largo e lasciando i capelli sciolti. Nel castello fervevano i preparativi e si potevano scorgere i cavalli già sellati nel cortile. Sansa si recò nella Sala Grande dalla quale proveniva un fastidioso rumore.

Jon era in piedi con le mani posate sul tavolo circondato dagli altri lord. Stavano discutendo piuttosto animatamente.

“E’ inammissibile” stava sbraitando lord Manderly, “la scorta deve essere formata almeno da cento guerrieri esperti, vostra grazia, non uno di meno.”

“Wyman ha ragione” intervenne lord Glover, “tuo padre è andato ad Approdo del Re con cinquanta uomini e non sono bastati…”

“E mio fratello ne aveva più di ventimila, ma è stato ucciso lo stesso” ricordò loro Jon, “venti uomini basteranno.”

“Ma se verrete attaccati” osservò Cley Cerwyn, “non avrete scampo.”

“Questa è una missione diplomatica” insistette Jon, “non saremo vittima di attacchi: Daenerys mi garantisce sicurezza.”

“E ti fidi di una Targaryen?” chiese con una punta di disprezzo Robett Glover “Perdona la franchezza, vostra grazia, ma non credo sia una mossa saggia. Daenerys è nostra nemica.”

“Gli uomini saranno necessari qui” tagliò corto Jon, “presto dovremo affrontare la guerra più difficile che si ricordi a memoria d’uomo ed abbiamo bisogno di alleati.”

“Ma se…”

“Basta così! Vi ringrazio per i vostri consigli, ma credo sia ora di andare.”

Lentamente la sala si svuotò. Sansa incontrò lo sguardo di Jon per un attimo, poi lui si voltò uscendo dalla porta secondaria. Dopo qualche secondo Sansa sentì dei passi alle proprie spalle.

“Mia signora” disse a bassa voce Alys Karstark, “desidero parlarti, se è possibile…”

Sansa sentì la rabbia ribollirle nelle vene. No, certo che no! “Ma certo!”

Alys le sorrise, abbassando gli occhi. “Mi chiedevo se” iniziò impacciata, “ecco se… Beh, se ti fossi offesa per l’altra sera… P-per il bacio…” Era arrossita violentemente e il colorito rendeva ancora più gradevole il suo viso.

Sansa strinse i pugni e necessitò di tutta la forza di volontà che riuscì a racimolare per non mettersi ad urlare. “Come mai dici così?” chiese con finto stupore “Mio fratello è libero di baciare chi vuole…” Alys roteò gli occhi. “Questo è ovvio” assentì, “ma mi chiedevo cosa significava per te… Sai, ti ho vista correre fuori dalla sala…”

Ma cosa ti importa?! “Non comprendo il tuo turbamento” esclamò Sansa sforzandosi di apparire a proprio agio, “avevo solo bisogno del bagno.”

“Ohh” disse Alys portandosi una mano alla bocca, “ora capisco. Spero tu mi abbia perdonato la curiosità di poco fa…”

“Nessun problema” affermò Sansa tirando le labbra in un sorriso. Alys sembrava radiosa. “Bene!” esclamò “Credo sia meglio andare o ci perderemo la partenza del re.”

Alys si avviò per poi voltarsi sulla soglia. “Ricorda” le disse in tono intimo, “qui hai un’amica.”

Sansa avrebbe voluto vomitare. Si mise a camminare in cerchio in preda al nervosismo. Ecco chi mi rimane, pensò irata. Baelish e signorina sono-tua-amica… Ma perché non posso andare con Jon?

Ci deve sempre essere uno Stark a Grande Inverno, questo le aveva detto suo fratello, ma la verità era che aveva un disperato bisogno di qualcuno fidato che governasse in sua vece. Sansa, però, non si sentiva all’altezza.

Si avviò nervosa verso il cortile, continuando a torcersi le mani. Vedendola arrivare, i lord si scansarono e Sansa poté raggiungere senza eccessiva difficoltà suo fratello. Jon era pallido, con occhiaie bluastre che gli appesantivano gli occhi, ma alla vista di Sansa sorrise. Dietro di lui i venti uomini selezionati erano già in sella ai propri cavalli. Jon esitava ancora. Sansa capì che voleva fare un discorso.

“Miei lord” iniziò infatti Jon con voce profonda per sovrastare il brusio, “vi esprimo la mia più sincera gratitudine per l’aiuto che mi avete offerto.” Fece una pausa, interrotto dalle esclamazioni.

“Durante la mia assenza” proseguì Jon, “desidero che riponiate la vostra lealtà in mia sorella Sansa. Ubbidite ai suoi ordini come vi siete detti disposti ad eseguire i miei. Le porte di Grande Inverno resteranno aperte e qualsiasi lord che lo desideri potrà restare finché lo vorrà. La sua collaborazione non sarà dimenticata.” Jon riprese fiato e Sansa intuì che la parte più importante del discorso doveva ancora venire.

“L’inverno è arrivato” disse Jon facendo scorrere lo sguardo sulla folla, “e non sappiamo quanto tempo ci resti prima che gli Estranei trovino un modo per attaccarci. Vi parlerò in tutta franchezza: la Barriera non è indistruttibile. Io ci ho vissuto. L’ho vista lacrimare nelle giornate calde, l’ho vista creparsi sotto i colpi dell’acciaio.” Sansa sentì un brivido pizzicarle la colonna vertebrale e vide che alcune dame si erano tappate la bocca con le mani.

“Non crogiolatevi nella vostra sicurezza” proseguì Jon, “ma attivatevi per il vostro futuro. E’ fondamentale che le antiche dispute lascino spazio a nuove alleanze. Il Popolo Libero, la gente del Nord, la gente del Sud… siamo tutti uguali. Mi aspetto che riusciate a mantenere ottimi rapporti anche con coloro che un tempo vi furono nemici.”

Jon tacque e per un secondo nessuno osò parlare. Poi tutti gridarono la loro approvazione contemporaneamente e Sansa capì di aver di fronte il vero Nord, il Nord indomabile e ribelle che non si sarebbe mai più piegato per nessuna ragione. Con la coda dell’occhio vide Ditocorto in un angolo, livido di rabbia. Sansa dovette reprimere un sorriso soddisfatto: evidentemente Petyr Baelish aveva in programma di far leva sul malcontento del Nord, ma si era visto ostacolato dall’entusiasmo con cui i lord avevano garantito nuovamente la loro fiducia a Jon. Quest’ultimo nel frattempo era montato in sella a Ghiaccio e Sansa notò il timore nei suoi occhi. Tornerà, pensò con decisione. Deve tornare…

Jon la fissò con occhi velati di tristezza e commozione. “A presto, Sansa” sussurrò imbarazzato lui, “ti voglio bene.” Sansa ricacciò indietro le lacrime e, incurante della folla che la stava osservando o del suo vestito finemente lavorato, saltò in braccio al fratello gettandogli le braccia intorno al collo.

Jon, colto di sprovvista, sgranò gli occhi e si affrettò a sorreggerla per evitare che cadesse da cavallo. Sansa affondò il viso nella sua spalla, scoprendola con disappunto coperta dalla fredda armatura scintillante.

“Anch’io ti voglio bene” gli mormorò all’orecchio, “mi raccomando, sii prudente…” Jon la sciolse dolcemente dalla stretta, posandola con delicatezza a terra. Le lanciò un ultimo muto sorriso, prima di girarsi e guidare la sua scorta verso l’uscita.

Non si voltò e Sansa gliene fu grata: se l’avesse ancora una volta guardato in viso, non avrebbe più potuto trattenere le lacrime che minacciavano di bagnarle il viso. Lontano risuonò l’ululato straziante di Spettro e Sansa sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene: non lo aveva mai sentito emettere un verso. I meta-lupi sanno, si ritrovò a pensare d’un tratto troppo angosciata anche solo per ricordarsi di respirare. Per un attimo si lasciò vincere dallo sconforto, poi si riscosse. Osservò con sguardo vacuo l’orizzonte che sfumava nell’aria rarefatta del mattino, lo stesso pensiero che le rimbombava nella mente.

Tornerà.

 

Jaime

 

La spada gli scivolò dalla mano e cadde a terra con un tonfo sordo. Bronn l’aveva disarmato ancora una volta e ora gli puntava l’arma smussata alla gola.

“Ti ho battuto, mio signore” osservò con un inchino sarcastico, “o forse dovrei chiamarti principe?”

Jaime tirò le labbra in un ghigno e si rimise in piedi. “Al diavolo” borbottò prima di ripartire all’attacco. Bronn riusciva ancora a parare tutti i suoi fendenti, ma Jaime si era reso conto che ciò gli risultava più difficile nell’ultimo periodo. Sto migliorando.

Era dolorosamente certo di non essere in grado di ripetere le gloriose imprese del passato, quando aveva ancora la mano destra, ma ora anche con la sinistra riusciva a difendersi degnamente. Non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma Qyburn aveva fatto proprio un ottimo lavoro con la mano d’oro: ormai Jaime quasi non ne sentiva più il fastidio. Era certo più pesante e rigida di una mano normale, ma risultava incredibilmente comoda e, perché no, perfino elegante.

Jaime tentò un attacco basso, mirando alla cintura, ma Bronn lo anticipò. “Che sono queste mosse poco onorevoli?” lo prese in giro colpendolo neanche troppo violentemente sulla spalla.

Jaime indietreggiò senza fiato, studiando la situazione. Provò con un affondo al ventre e al braccio per poi rinunciare. “Per oggi basta così” disse raccogliendo le sue cose, “hai il pomeriggio libero.”

“Sì e per fare cosa?” chiese Bronn guardandosi teatralmente intorno “Tua sorella ha proibito tutto il divertimento e non si trova un bordello manco a pagarlo oro…”

“Bene!” esclamò Jaime voltandosi verso il mercenario “Allora puoi venire con me ad un interessantissimo incontro del Concilio Ristretto…”

Bronn fischiò. “Tienitelo pure il tuo fottutissimo Concilio Ristretto” gli disse allontanandosi, “io saprò cavarmela.”

“Non ne avevo dubbi” mormorò Jaime sorridendo.

Iniziò a risalire la lunga scalinata che portava al palazzo. Da quando Cersei aveva preso il potere il numero delle guardie era triplicato: nel solo cortile dei servi ve ne erano almeno sei. I loro sguardi austeri e spietati mettevano stranamente a disagio Jaime. Se non fossi il fratello della regina, pensò, sarei già finito sul ceppo.

Aveva assistito ad un numero spaventoso di esecuzioni, senza avere mai il coraggio di dire a Cersei di smetterla. Ha paura, di questo Jaime ne era certo. E la vince con la paura altrui.

Arrivato in cima, stava ansimando. Entrò nella sala del Trono e non si stupì di trovarla semivuota. La piccola folla si aprì a ventaglio per lasciarlo passare. Hanno paura anche di me, si rese conto Jaime, stranamente irritato da ciò.

Qyburn gli venne incontro. “Ser Jaime, la regina gradirebbe la tua presenza nelle sue stanze…”

Jaime lo fissò confuso. “Ma la riunione non era stasera?” chiese aggrottando le sopracciglia. Qyburn non cambiò la sua espressione annoiata. “Sua maestà non ama attendere” gli ricordò con un lampo negli occhi.

Jaime annuì e si voltò per raggiungere le stanze di Cersei. La trovò seduta e, come succedeva sempre più spesso ormai, con un calice di vino in mano.

“Cersei…”

La sorella non alzò nemmeno lo sguardo. Sembrava sovrappensiero. Jaime tirò un colpetto di tosse piuttosto forzato e Cersei finalmente sollevò il viso per guardarlo.

“Finalmente sei arrivato…” lo salutò alzandosi in piedi. Jaime notò che portava una lunga spada legata alla cintura.

“Joffrey la chiamava Lamento di Vedova” spiegò lei indovinando i pensieri del fratello, “io preferisco Dominatrice.” Cersei fece una smorfia. “Un tempo avevi anche tu una spada” gli ricordò con voce tagliente e Jaime sperò che cambiasse in fretta argomento. Fortunatamente Cersei appariva nuovamente estranea al mondo terreno e Jaime colse l’occasione per portare l’attenzione su un’altra questione. “Perché mi hai chiamato?” chiese avvicinandosi.

Cersei portò nuovamente il calice alle labbra prima di rispondere. “E’ ora che io faccia la mia mossa” disse senza nemmeno guardarlo, “e ho bisogno del tuo aiuto.”

Jaime perse tutto d'un tratto la pazienza. “E allora perché non mi coinvolgi nelle tue faccende? Perché mi allontani?”

“Hai sempre partecipato a tutte le riunioni” disse Cersei con voce pacata, “e ti ho sempre messo al corrente delle mie decisioni.”

“Ah sì?” chiese con sarcasmo Jaime “E che mi dici allora della tua chiacchieratina con Euron Greyjoy? Non credi che forse come comandante dell’esercito debba conoscere i nostri alleati?”

“Non ti ritenevo idoneo a sostenere una conversazione con Occhio di Corvo, tutto qui” spiegò la regina quasi con indifferenza, “da un po’ di tempo sei diventato… debole.” E questo è un male? si chiese Jaime incapace di darsi una risposta.

“Euron Greyjoy mi ha offerto il suo sostegno” stava continuando Cersei camminando verso la finestra, “lui attaccherà mentre noi potremo rimanere ad Approdo del Re.”

Jaime la fissò sbalordito. “E tu ti fidi di un matto come Euron?!”  

Cersei scoppiò a ridere, una risata fredda e senza gioia. “Certo che no” rispose tranquilla, “ed è per questo che necessito del tuo aiuto.” Jaime si arrese all’incapacità di comprendere a pieno sua sorella. “Va bene” disse sedendosi, “esponimi il piano…”

“Secondo l’accordo” iniziò Cersei camminando avanti ed indietro, “Euron dovrebbe attaccare la Targaryen ed il Nord, eventualmente riuscendo a catturare questo nuovo re…”

“E ti aspetti che riesca a sconfiggere due avversari allo stesso tempo?” le chiese Jaime scettico.

“No” disse la regina con decisione, “voglio solo che li rallenti a sufficienza in modo da mettere in atto il mio piano…” Jaime la fissò con aria interrogativa. Cos’ha in mente questa volta?

“Ma non hai paura che Euron possa allearsi con Daenerys Targaryen?” le chiese confuso.

Cersei alzò gli occhi al cielo visibilmente irritata. “Ma devo spiegarti sempre tutto?!” sbraitò, per poi calmarsi “Quel mollusco ci aveva provato” spiegò con voce decisamente più moderata, “ma è arrivato tardi e la grande Madre dei Draghi ora appoggia quei deficienti dei suoi nipoti, Theon e Yara.” Si interruppe per versare altro vino, senza neppure offrirne al fratello. Non che Jaime ne volesse.

“Inoltre Euron non oserebbe mai voltarmi le spalle” continuò, “sono miei i soldi con cui paga i mercenari e ha bisogno di loro se vuole mantenere la propria posizione.” Jaime annuì, nonostante ci fosse qualcosa in quella storia che non lo convincesse appieno. “E allora?” chiese insistente “Cosa hai deciso di fare?”

Cersei posò finalmente il calice sul basso tavolino di legno. “Qyburn mi ha suggerito un ottimo piano” rispose e Jaime provò una fitta di gelosia. Qyburn, Qyburn, pensò irritato. Sempre Qyburn.

“Stamane mi sono arrivati dei corvi” stava proseguendo la regina, “da parte di Rendyll Tarly e Orton Merryweather. Mi hanno offerto il supporto delle loro casate e dicono che alcuni alfieri dei Tyrell sono ancora indecisi riguardo a chi fornire i propri uomini. Questi uomini hanno solo bisogno di un segnale di forza da parte mia.” Cersei fissò il fratello negli occhi, per la prima volta da quando era entrato nella stanza.

“Devi portare il mio esercito nell’Altopiano ed assediare Alto Giardino.”

Jaime dovette trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo. “E adesso cosa c’entra Alto Giardino?!”

Cersei lo guardò con disprezzo, probabilmente maledicendo gli déi per averle dato un fratello così stupido. “Rifletti una buona volta!” lo sgridò aspramente “La maggior parte dei soldati dei Tyrell sono con la Targaryen: il castello è praticamente senza difese. Sarà uno scherzo espugnarlo. E quando l’avrai fatto, tutti gli altri lord mi temeranno e passeranno dalla mia parte. Quella ragazzina vedrà sgretolarsi il suo esercito anche se Euron dovesse fallire.”

“Sì e magari visto che ci sono conquisto anche Lancia del Sole, no?” propose Jaime sarcastico.

Cersei lo fulminò con lo sguardo. “Non fare l’idiota” sibilò, “Dorne è troppo lontana e non potresti più contare sull’effetto sorpresa.” Si fermò per riprendere fiato: stava ansimando.

“Sai chi è rimasta ad Alto Giardino?”

Jaime dovette ragionarci su per una manciata di secondi. “La moglie di Mace: Alerie Tyrell…”

“Alerie Hightower” lo corresse Cersei, “suo padre è il lord di Vecchia Città, cosa sarà disposto a fare per riavere la figlia?”

Jaime deglutì sapendo esattamente dove questo discorso andava a parare. “Cersei” tentò, “dovrei prendere prigioniera una donna ancora sicuramente scossa dalla perdita dei figli?” Aveva puntato sul lato umano di Cersei che si manifestava quando di trattava di figli, ma la sorella rimase impassibile.

“Perché no?” gli chiese lei gelidamente “Non ne sei in grado?” Jaime non sapeva cosa rispondere. “Non è questo” provò a spiegare, “è che preferirei non usare la violenza per…”

“Oh, che gli Estranei ti portino alla dannazione” imprecò Cersei, “se non te ne fossi reso conto siamo in guerra, Jaime, apri gli occhi!”

Jaime decise di rischiare. “Sei tu che devi aprirli!” esclamò con voce carica di rancore “Io voglio solo aiutarti, per me sei sempre stata la cosa più importante. Ma da quando sei diventata regina sei cambiata, Cersei, non ti riconosco più. Non hai versato una lacrima per la morte di nostro figlio, hai paura di tutti, hai fatto giustiziare quelle persone innocenti… Io voglio rimanere al tuo fianco, ma mi risulta sempre più difficile. E’ vero, ci ritroviamo in una situazione difficile, ma non per questo dobbiamo perdere la testa. Ti prego, ascoltami, cerca di essere più…”

“BASTA COSI’!”

Cersei era furiosa e Jaime s’azzittì di colpo. Ecco, pensò rassegnato, ora mi condanna a morte.

“Non tollero che mi si manchi di rispetto in questo modo” stava continuando la regina, “stavolta chiuderò un occhio perché sei tu, Jaime, ma la prossima volta avrò la tua testa su una picca.”

Mi ha minacciato di morte, si corresse mentalmente Jaime scoprendosi per nulla spaventato dall’idea di morire.

“Nessuno mi dice cosa devo fare” diceva intanto Cersei stringendo nuovamente il calice di vino in mano, “e tu devi obbedire ai mie ordini. Andrai ad Alto Giardino.”

Jaime fece un ultimo tentativo disperato. “Cersei, ti prego” la supplicò, “avrai bisogno del mio esercito qui.”

Avrai bisogno di me qui.

Cersei non si lasciò impietosire né allarmare. “Ormai ho deciso” disse risoluta voltandogli le spalle, “i Tyrell devono abbandonare l’esercito di Daenerys Targaryen. Partirai domani all’alba… Sei congedato.”

Jaime aveva la mente vuota. “Cersei…”

“VATTENE.”

Jaime chinò la testa ed uscì. La discesa fino al cortile gli parve la più lunga della sua vita. Gli sembrava impossibile che Cersei potesse essere cambiata così radicalmente. Alle morti di Joffrey e Myrcella si era disperata e per Tommen invece non aveva provato nulla. E aveva usato l’Altofuoco.

Jaime si prese la testa fra le mani. Cosa devo fare? si chiese disperato Che cosa devo fare? Decise di andare a cercare Bronn per comunicargli la notizia del nuovo viaggio in programma.

Le strade di Approdo del Re erano deserte. Jaime ne constatò lo squallore e la sporcizia: era come se le vedesse per la prima volta. La gente rimaneva terrorizzata nelle case, i bambini portavano in volto i segni della fame. Tutto quel degrado era opera di Cersei, di questo Jaime ne era consapevole. E’ una pessima regina, dovette ammettere. Tuttavia una parte di lui era ancora attratta da lei, dalla sua tenacia e determinazione. Dalla sua capacità di vincere quando qualsiasi speranza pareva vana. Vincerà anche questa battaglia, pensò Jaime senza riuscire a reprimere un moto d’affetto.

Finalmente trovò il piccolo locale dove Bronn era solito recarsi, uno dei pochi che Cersei non aveva ancora fatto chiudere. Trovò il mercenario impegnato in una gara di rutti con un gruppo di brutti ceffi e dovette trascinarlo via di peso.

“Che cosa c’è adesso?” chiese Bronn annoiato ed irritato allo stesso tempo. “Meglio se fai le valigie” lo avvertì Jaime, “domani si parte.”

“E per dove scusa?”

“Per un assedio ad Alto Giardino” rispose con tranquillità Jaime.

Bronn sgranò gli occhi. “Merda.”

Jaime ridacchiò e gli mise confidenzialmente un braccio intorno alle spalle. “Dai, su” lo incoraggiò, “magari è la volta buona che ti troviamo una giovane fanciulla che sia degna di essere moglie di ser Bronn delle Acque Nere.”

“Magari è la volta buona che qualcuno si accorga del fatto che combatti da schifo” ribatté Bronn, “e ti ficchi una spada su per il culo.” Risero entrambi e per un attimo Jaime dimenticò le sue preoccupazioni ed ansie.

Per una volta si dimenticò di Cersei.

 

Theon

 

Non riusciva ancora a crederci, le parole di Varys gli erano scivolate addosso come acqua gelida e non si era nemmeno accorto di aver lasciato la sala del trono di corsa.

Ramsay era morto.

Quel bastardo figlio di puttana che gli aveva fatto invocare la grazia dell’inferno era finalmente morto.

Ucciso, continuava a ripetersi Theon incredulo.

Durante la sua prigionia, a Forte Terrore prima e a Grande Inverno poi, Ramsay gli era sempre parso un essere immune a qualsiasi trucco che gli déi avrebbero potuto ideare per distruggerlo. Ogni mattina era lì con il suo sorriso perverso a ricordargli che nessuno era ancora riuscito a fregarlo. Sono immortale, sembravano dire i suoi occhi spietati. Theon sapeva che in diverse occasioni Ramsay era riuscito a tirarsi fuori da situazioni di svantaggio e tutto ciò aveva intensificato suo malgrado l’aura di intoccabilità che circondava il suo carnefice.

Anche dopo essere riuscito a fuggire, Theon tremava al solo pensiero di doversi scontrare con lui. “Ci vendicheremo” gli aveva detto Yara con lo sguardo di chi ne ha passate tante, “metteremo su il più grande esercito che riusciremo a trovare e staneremo quel verme. Lo uccideremo, Theon, pagherà per quello che ha fatto.” Nonostante le parole di sua sorella avrebbero dovuto accendere in lui la dolce pregustazione della vendetta, Theon si sentiva più agitato che mai. “Lui lo sa” avrebbe voluto dire, “lui sa quello che abbiamo intenzione di fare e non ce ne darà il tempo. Lui sa tutto.”

Poi una voce si era messa a sussurrargli nella mente. Una volta c’era riuscito a ingannare Ramsay. Era saltato giù dalle mura di Grande Inverno mano nella mano con Sansa e questo Ramsay non se lo sarebbe mai immaginato. Una volta, pensava Theon lievemente rincuorato, una volta almeno l’ho battuto. E adesso era morto.

Theon non era più uscito dalla sua stanza. Yara veniva minimo quattro volte al giorno a bussare alla porta. Gli aveva parlato, l’aveva rassicurato, l’aveva supplicato. Il quarto giorno aveva perso la pazienza.

“O apri questa fottutissima porta” gli aveva urlato, “o giuro che ti lascio morire di fame là dentro!” Theon non aveva risposto e Yara se n’era andata imprecando.

La vita nella stanza era monotona, anche perché non c’era molto con cui intrattenersi. Per la maggior parte del tempo Theon giaceva supino sul letto, senza riuscire a imporsi di smettere di pensare. Le notizie riguardanti le gesta di Sansa e Jon gli avevano donato una sensazione di felicità che non ricordava avesse mai provato. Non vedeva Jon Snow da quando era partito per la Barriera anni prima e all’epoca non erano stati amici. Ero egoista, doveva ammettere Theon con saggia autocritica. Pensavo di avere il mondo ai miei piedi e invece… E invece il mondo era andato a rotoli.

Non poteva non provare ammirazione per Jon, che rifletteva come uno specchio tutto ciò che Theon non sarebbe mai stato. Era abituato a non contare nulla, pensava, ma è proprio questo scommetto che l’ha portato a proteggere le uniche cose che gli restavano.

E lui? Lui che aveva fatto? Cos’era stato in grado di fare il grande Theon Greyjoy? Tradire le persone che più si fidavano di lui.

Theon strinse i denti e lottò per ricacciare indietro le lacrime al pensiero di Robb. Ormai aveva smesso di chiedersi cosa sarebbe accaduto se non avesse mai preso Grande Inverno e pregava tutti gli déi di cui conosceva il nome affinché Robb potesse perdonarlo, ovunque egli fosse.

In quel momento qualcuno bussò alla porta. Il tocco era gentile, così diverso dai colpi insistenti di Yara. Theon si sedette sul letto e, toccandosi le guance, scoprì che erano nuovamente umide. “Chi è?” chiese cauto.

“Sono Daenerys…”

Theon balzò in piedi. Diamine, la regina! Tentò disperatamente di rendersi presentabile.

“Tra poco si svolgerà una riunione molto importante” stava continuando la Madre dei Draghi, “ed è necessario che ci sia anche tu. Sei pronto o hai bisogno di tempo?” Theon lanciò un’occhiata sconsolata allo specchio e non rispose.

“Theon? Ci sei?”

“Sì, sì” si affrettò a esclamare lui, “a-arrivo…” E aprì la porta così come si trovava.

Daenerys era elegante come al solito, con i lunghi capelli argentei acconciati in una corona di trecce e la veste svolazzante di seta verde pallido. La regina lo squadrò dalla testa ai piedi, ma Theon non riuscì a provare vergogna. Ne ho provata abbastanza per un vita intera.

Si limitò quindi ad accennare quello che sperava fosse recepito come un sorriso. Daenerys gli fece cenno di seguirla. Theon non si era ancora ambientato abbastanza bene da riconoscere il luogo in cui si stavano recando, così rimase in silenzio.

“Ho sentito che non stavi molto bene” azzardò Daenerys visibilmente dubbiosa e Theon fu grato a Yara per aver inventato quella scusa. “Ehm, sì…credo sia stato il viaggio…” Daenerys non sembrava convinta e Theon dovette ammettere che un Uomo di Ferro che soffre il mal di mare non era molto credibile. Per fortuna erano giunti a destinazione. Entrarono in una stanza sorprendentemente piccola il cui unico mobile degno di nota era un basso tavolino su cui erano sparse delle carte.

“Ma guarda chi ci ha concesso l’onore della sua presenza!” esclamò Yara uscendo dall’ombra. Non sembrava troppo arrabbiata per il piccolo malinteso di qualche ora prima. Nella stanza c’erano anche Tyrion e Varys, che stavano discutendo gesticolando animatamente, le Serpi delle Sabbie con Ellaria Sand, Verme Grigio e Missandei che chiacchieravano vicino alla finestra in una lingua sconosciuta, la vecchissima lady Tyrell e gli altri tre generali dell’esercito di cui Theon non ricordava bene i nomi.

“Bene” esclamò Tyrion sfregandosi le mani allegramente, “ora che ci siamo tutti direi di cominciare.”

Daenerys annuì la propria approvazione. “Questa è arrivata stamattina” disse la regina estraendo una lettera su cui Theon riconobbe immediatamente il sigillo degli Stark, “da parte di Jon Snow. Dice di essere in viaggio per la Roccia del Drago con pochi uomini di scorta e di avere quindi intenzioni diplomatiche. Ci invita inoltre a trattare con tutti i riguardi ser Davos e lady Brienne. A tal proposito, qual è la situazione, Rakandro?”

Il colossale guerriero Dothraki si fece avanti, la treccia che ondeggiava nella semioscurità. “Tutto in regola, Khaleesi” disse con la sua voce profonda, “stanno in loro camera e non credo hanno problemi. Hanno chiesto di vedere te però.”

“Digli che dovranno attendere che il loro re arrivi sull’isola” rispose Daenerys e Rakandro annuì solennemente.

Daenerys fece scorrere lo sguardo sui presenti. “Ci sono alcune novità di cui desidero parlare con voi” annunciò dopo un attimo di silenzio. Theon ebbe come l’impressione di una catastrofe imminente. “La nostra situazione è precaria” stava spiegando la regina, “Varys, per cortesia illustra il nostro principale problema.”

Varys piegò leggermente la testa in un cenno ossequioso. “Euron Greyjoy” disse solamente e nella stanza si alzò un fastidioso brusio.

“Cos’ha fatto stavolta?” chiese Yara a denti stretti. Theon sapeva che loro zio era un uomo pericoloso, ma ormai nulla più gli sembrava così terribile. Non dopo Ramsay.

“Ha attaccato le coste del Nord” continuò Varys.

“Porto Bianco?” chiese Tyrion accarezzandosi pensoso la barba incolta.

Varys scosse la testa. “No, non ha osato tanto, ma sappiamo di sue scorrerie a Capo della Vedova, Ramsgate e Sisterson… Alcune voci dicono addirittura che si sia spinto fino quasi a Karhold…” 

“Quindi qual è il problema?” chiese schiettamente Obara “Non è sceso più a sud delle Dita: non è una nostra minaccia.”

“Potrebbe diventarlo” intervenne uno dei due guerrieri di cui Theon non rammentava il nome, “magari sta solo attendendo il momento buono per attaccarci ed intanto fa scorte.”

“Benjameen ha ragione” disse Daenerys, “è un avversario che non possiamo permetterci di sottovalutare, soprattutto perché non sappiamo esattamente su quanti mercenari può contare.” Tutti annuirono.

“Quindi?” chiese Ellaria che stava in piedi a braccia incrociate “Che facciamo?”

“Dobbiamo difendere l’isola” propose convinto Tyrion, ma la regina scosse la testa.

“Non basta” rispose iniziando a camminare in cerchio, “dobbiamo sfruttare l’effetto sorpresa.”

“Ma sarebbe pericoloso” obbiettò Tyrion. “Mai quanto rimanere qui ad aspettarlo” replicò Daenerys con decisione, “no, dobbiamo scoprire le sue mosse.”

“Credo sia difficile, mia regina” intervenne Varys, “i miei uccellini non si spostano bene sull’acqua. Dovremmo inviare qualcuno…”

“Mi offro volontario” si intromise Verme Grigio, “noi Immacolati siamo bravi nelle azioni furtive.”

“No, voi fate parte della scorta della regina” gli ricordò Tyrion, “non potete allontanarvi.”

“Ho preso la mia decisione” disse Daenerys e tutti tacquero. “Non posso permettermi di perdere uomini mandandoli a spiare Euron di nascosto” spiegò con calma, “sarebbe troppo rischioso. Perciò farò l’unica cosa possibile: posizionerò una parte dell’esercito tra lui e la Roccia del Drago.” Scoppiarono delle esclamazioni di sorpresa e Theon non seppe cosa pensare: gli sembrava una mossa troppo avventata.

“Maestà, ripensaci” la pregò Tyrion, “sarebbe come dichiarare guerra ed Euron ha una flotta molto potente: non potremmo farcela.”

“So quello che faccio” ribadì la Madre dei Draghi sedendosi, “piazzerò una guarnigione a Porto Bianco.”

“Eh?” esclamò Tyrion visibilmente disorientato “Porto Bianco appartiene al Nord…”

“Certo” replicò Daenerys, “ma Jon Snow non ha gli uomini per proteggerla da un eventuale attacco di Euron, cosa molto probabile a questo punto.”

“Sì ma a noi cosa importa?” chiese Tyene confusa.

“Ma certo!” esclamò trionfante Tyrion che evidentemente aveva compreso il piano della regina, “in questo modo puoi conquistarti la fiducia del tuo futuro alleato, apparire generosa agli occhi del popolo e controllare più da vicino le mosse di Euron. Ottimo piano, lo devo ammettere.”

“Inoltre” puntualizzò Daenerys, “in un attacco a terra il mio esercito sarà in vantaggio, seppur in minoranza numerica.” Theon non poté fare a meno di ammirare l’abilità con cui Daenerys aveva fatto di una situazione potenzialmente problematica il suo punto di forza.

“Chi andrà a Porto Bianco?” chiese a quel punto Nymeria.

“La flotta di Yara” rispose subito Daenerys, “e quasi tutto l’esercito di Benjameen. I capitani sono pregati di seguire le proprie truppe mentre Ellaria, Nym, Tyene, Obara e Theon, voi potete scegliere se andare o rimanere.”

“Io resto” decise subito Nymeria, “Rakandro mi sta insegnando il dothraki…” Rakandro le sorrise e Nym gli si strinse al fianco.

Tyene ridacchiò. “Mah, io credo proprio di andare. Qui è così noioso. Tu mamma? Obara?”

“Io vengo” rispose Ellaria, “Oberyn avrebbe sempre desiderato portarmi così a Nord, ma…”

“Sì certo certo lo sappiamo” la interruppe Obara alzando gli occhi al cielo, “io comunque rimango.”

“E tu, Theon?” chiese Yara “Ti va di venire con me?” L’idea di spingersi ancora una volta a Nord gli faceva aggrovigliare le budella, ma Theon si costrinse ad essere forte. Ramsay è morto, continuava a ripetersi.

“Vengo anch’io” rispose con il tono più solenne e deciso che riuscì a tirar fuori. Per un attimo fu convinto di aver scorto un lampo d’orgoglio negli occhi di Yara.

“Bene” disse Daenerys visibilmente soddisfatta, “e anche questa è fatta. Se c’è qualcuno che desidera aggiungere altro, questo è il momento adatto.”

“Certo che voglio aggiungere altro” intervenne Olenna Tyrell con la sua vocetta stridula, “finora abbiamo parlato solamente dei vostri problemi.”

“Veramente…” tentò Tyrion, ma l’anziana lady lo zittì con un’occhiataccia.

“Non mi contraddire ragazzino: credo sia giunto il momento di occuparsi del mio problema. Garth, da bravo, descrivi la nostra situazione…”

“Mio padre mi ha scritto da Vecchia Città” iniziò a raccontare il comandante dell’esercito Tyrell, “e mi ha detto che alcuni degli alfieri della famiglia Tyrell sono passati dalla parte di Cersei.”

“I nomi” sbraitò Obara.

“Merryweather e Tarly” rispose Garth Hightower, “per ora solo loro, ma mio padre dice che il numero potrebbe crescere.”

“Cosa li spinge ad abbandonare la fazione dei Tyrell?” chiese Varys accarezzandosi le mani. “La paura probabilmente” rispose Garth, “hanno paura della reazione di Cersei.”

“Ma Cersei non ha il tempo di occuparsi di loro” obbiettò Tyrion, “avrà già abbastanza problemi a tentare di tenere Daenerys lontana da Approdo del Re.”

“Le mie spie nella capitale riferiscono messaggi diversi” disse Olenna in tono grave, “secondo fonti attendibili Cersei sta spostando l’esercito di Jaime Lannister verso l’Altopiano.” Ci furono dei mormorii concitati.

“M-ma non è possibile” tentò di negare Daenerys, “così lascerebbe il Trono di Spade indifeso.”

“Evidentemente ha altri piani” tagliò corto Tyrion, “ma perché farebbe una simile mossa? Solo per incutere paura e sperare che qualche casata minore passi dalla sua parte?”

“E abbandoni quella di Daenerys” osservò Yara e Theon annuì in segno di muto assenso.

Tyrion non sembrava ancora convinto. “Ma perché esporsi ad un tale rischio?”

“Non lo sappiamo” sbuffò Olenna irritata, “gli déi solo sanno cosa passa nella testa di Cersei, magari non ha nemmeno un piano preciso.”

“Ma se Approdo del Re è sguarnita” ragionò Nymeria, “possiamo conquistarla senza problemi!”

“Taci, idiota” la rimproverò senza mezzi termini la Regina di Spine voltandosi verso Daenerys, “la nostra regina sa cosa va fatto. Il suo regno è in pericolo e va difeso.”

“Intendi forse” chiese Tyrion sgranando gli occhi “affrontare l’esercito Lannister nell’Altopiano?! Ma è una follia! Una parte dell’esercito sarà inviata a Porto Bianco, Daenerys non può privarsi di altri uomini…”

“Ah, follia un corno!” sbraitò Olenna ora seriamente arrabbiata “La regina ha il compito di proteggere i suoi sudditi, non può tirarsi indietro. Tutti quei lord le hanno giurato fedeltà, ma ci abbandoneranno se non faremo qualcosa.”

“Ma…”

“Non vedrò le mie terre bruciare, né la mia gente morire solo perché non accetta di sottomettersi a quella strega. Se non siete disposti a sostenere un’azione militare immediata contro i Lannister nell’Altopiano, potete eliminare le mie truppe dal conto degli alleati.”

Il silenzio calò su quella pesante minaccia. Neanche Tyrion aveva più argomenti da proporre. Theon era rimasto colpito dall’enorme forza dimostrata da Olenna nel difendere la sua terra, lei che aveva già perso tutto.

In quel momento la regina si alzò. “Non è necessario arrivare a rompere l’alleanza” disse in tono pacato, “e Olenna ha ragione: non posso sperare di regnare su Westeros se non sono disposta a correre dei rischi per proteggere il mio popolo. La conquista di Approdo del Re è rimandata. Domani, oltre alla guarnigione che sarà insediata a Porto Bianco, partirà un contingente per l’Altopiano.” Daenerys fece una pausa per elaborare la situazione.

“Partiranno Rakandro con la maggior parte dei Dothraki e Garth con l’esercito Tyrell. Alla Roccia del Drago rimarranno solo gli Immacolati e un piccolo schieramento dothraki e Martell a protezione dell’isola.” Tyrion sembrava sconvolto, ma Olenna annuì compiaciuta. “Bene” disse sorridendo, “tutto sommato abbiamo scelto una regina saggia. Io andrò con il mio esercito.”

“Se permetti, maestà” intervenne eccitata Nymeria, “vorrei partire anch’io con Rakandro… cioè volevo dire con l’esercito!”

Daenerys scoppiò a ridere. “Permesso accordato” assentì divertita, “ora siete liberi di tornare alle vostre stanze ed ai preparativi per la partenza.”

Theon si affrettò a uscire dalla stanza: voleva evitare a ogni costo di dover guardare sua sorella negli occhi. Corse per le scale e miracolosamente riuscì a non perdere l’orientamento, arrivando in tempi record alla propria camera. Entrò, chiuse la porta a chiave e si gettò sul letto.

A prima vista nulla era cambiato da quando la Madre dei Draghi aveva bussato alla sua porta. Ma il cuore ora sembrava volergli balzare fuori dal petto.

 

Brienne

 

Il tempo sembrava peggiorato. Ora il cielo era nuvoloso ed una perlacea oscurità avvolgeva la stanza. La finestra era alta e dava sul porto. Si poteva scorgere il mare che negli ultimi giorni si infrangeva sulle rocce con furia crescente.

Brienne sospirò per l’ennesima volta. La stanza era grande e confortevole, con letti soffici, un caminetto sempre acceso e un tavolo di legno con tre sedie. La piccola porta nel muro conduceva nel bagno. Brienne non aveva dubbi sul fatto che quella dovesse essere una camera per gli ospiti e non una cella per prigionieri. C’era addirittura una libreria.

Però la porta era chiusa a chiave e Brienne sapeva che fuori c’erano almeno due guardie a controllarla. Davos aveva tentato di comunicare con loro, ma sembrava nemmeno capissero la lingua dei Sette Regni. Il Cavaliere delle Cipolle però non si dava per vinto e continuava a elaborare piani improbabili e fughe al limite dell’umana comprensione.

“Se solo potessimo arrivare ad una barca…” continuava a ripetere quattro volte al giorno, tanto che Brienne aveva perso la pazienza. “E’ tutto inutile” era sbottata, “non possiamo uscire, vorresti cortesemente far pace con questa idea?”

Ma Davos non si era arreso. Trascorreva le giornate a camminare in cerchio, borbottando parole a mezza voce. Brienne non si sforzava nemmeno di interpretare quelle frasi incoerenti. Passava il suo tempo per lo più seduta sul letto con il mento sulla mano a ragionare. Pensava alla sua missione, ormai irrimediabilmente compromessa, e a Sansa.

Tutte le volte che il pensiero le cadeva sulla giovane lady, Brienne sentiva un fremito di apprensione e rabbia attraversarle il corpo. Sansa non aveva voluto salutarla e Brienne temeva che dietro ci fosse l’ombra di Ditocorto. Ma come poteva Sansa fidarsi ancora dell’uomo che l’aveva venduta a Ramsay? Come poteva essere così cieca?

Brienne sapeva di non dover nutrire rancore nei confronti della sua signora, ma non poteva fare a meno di notare la stranezza delle azioni di Sansa. E se Baelish la stesse ricattando? Brienne non riusciva a sopportarne l’idea. Fino al giorno prima poi aveva almeno avuto la rassicurante certezza di non aver lasciato Sansa da sola: Jon era rimasto.

Ma la mattina precedente, insieme alle servette che solitamente portavano i pasti, era entrato anche l’immenso Dothraki che ormai sapevano chiamarsi Rakandro.

“Esserci novità” aveva detto con aria soddisfatta, “Khaleesi mi ha permesso di dirvelo. Vostro re viene sull’isola.” Prima che uno dei due avesse anche solo il tempo di aprire bocca, Rakandro era uscito e la chiave era nuovamente girata nella toppa.

Per qualche secondo Brienne e Davos si erano limitati a fissarsi confusi. Poi Davos aveva urlato.

Brienne non l’aveva mai visto in quelle condizioni. Aveva iniziato ad imprecare, maledicendo déi che non erano nemmeno i suoi.

“Non è possibile!” era sbottato in preda allo sconforto “E’ una catastrofe, Jon non può… Lo costringeranno a…”

“Davos, calmati” aveva tentato Brienne mettendogli le mani sulle spalle, “magari questa è una novità positiva. Magari Jon convincerà la regina a stringere un’alleanza…” Davos si era calmato, ma l’aveva guardata con il dolore negli occhi. “Ma non capisci?” le aveva detto con voce tranquilla ma distrutta “L’alleanza, la necessità di unire le forze, la battaglia fianco a fianco sono tutte balle. Daenerys non vuole alleati, vuole sudditi, l’ho letto nei suoi occhi fin dal primo momento che l’ho vista. Conosco bene Jon, non avrebbe mai lasciato Grande Inverno se non per una ragione: teme per la sua gente.”

Davos si era interrotto e Brienne l’aveva osservato. Forse lo vedeva per la prima volta: la sua fedeltà a Jon Snow era pura. “Daenerys avrà minacciato di ridurre il Nord in cenere” aveva continuato Davos e Brienne era rabbrividita suo malgrado, “ma ora la situazione è peggiorata. Daenerys costringerà Jon in ginocchio e ammasserà pretese sul Nord fino a proclamarsene regina. E allora Jon non avrà scelta: dovrà portare l’intero esercito in guerra e non avrà modo di difendere la sua gente quando arriveranno gli Estranei.”

“Ma la Barriera…” 

Davos aveva scosso la testa. “La Barriera protegge il Nord dai morti solo se c’è qualcuno a proteggere la Barriera” aveva spiegato, “e i Guardiani della Notte senza adeguati supporti non ne saranno più in grado. Jon sapeva che Grande Inverno era l’unico posto sicuro, perché l’ha abbandonato? L’esercito di Daenerys non avrebbe mai potuto spingersi così a nord durante l’Inverno…”

“Forse l’ha fatto perché Daenerys aveva minacciato di ucciderci” aveva suggerito Brienne e Davos era trasalito, come se non avesse affatto considerato quella possibilità. “Non avrebbe mai fatto una cosa così stupida…” aveva mormorato nonostante la voce manifestasse il suo dubbio.

“Ma davvero hai così poca fiducia nelle sue capacità?” l’aveva rimproverato duramente Brienne “Non pensi che Jon avrà un piano e che di sicuro non ha alcuna intenzione di lasciare il Nord nelle mani di quella pseudo-regina? Fidati di lui…”

Davos aveva taciuto per qualche istante, probabilmente colpito dalle quelle parole. “Io mi fido di lui” aveva detto poi con decisione, “ma non sa in che gioco è andato a cacciarsi. Questo è il Gioco del Trono e non puoi sperare che esista pietà per gli sconfitti. Io l’ho vissuto, ho visto i re uccidersi tra loro e li hai visti anche tu. Chi perde paga con la vita. Come ha fatto Stannis.”

A distanza di un giorno quelle parole le incutevano ancora timore. Brienne sapeva che Davos aveva ragione. Robert, Renly, Robb, Joffrey, Stannis e ora anche il povero Tommen erano morti per far posto al loro successore. La loro stella aveva brillato più splendente delle altre, ma si era spenta più rapidamente. Ricordò Catelyn e Robb Stark ed il pensiero le diede forza.

No, si disse con decisione, gli Stark sono stati sufficientemente colpiti dalle disgrazie, stavolta sarà tutto diverso. Ma al destino non si comanda e di questo Brienne ne era dolorosamente certa.

Quella mattina Davos era rimasto tutto il tempo seduto al tavolo, immerso nella lettura di un gigantesco libro. Per non disturbarlo, Brienne ne aveva approfittato per farsi il bagno nella tinozza. L’acqua era addirittura calda. Quando ebbe finito, si strofinò forte con un panno e si rivestì. Trovò Davos in piedi dietro al tavolo con la mano destra sul libro chiuso e un strana luce negli occhi.

“Leggere questo libro mi ha fatto venire un’idea meravigliosa” disse lottando per trattenere l’emozione, “adesso so come uscire di qui.” Brienne dovette esimersi dall’alzare gli occhi al cielo.

Ci risiamo…

Ma stavolta Davos sembrava sicuro di sé. Aprì il libro e indicò una figura. Brienne si dovette avvicinare per riuscire a scorgerla. Sembrava una piccola ninfea. “E’ una ninfea?” chiese annoiata.

“ESATTO!” esclamò Davos con tanta foga da farla sobbalzare “E guarda là, non ti sembra uguale?” Brienne seguì l’indice puntato e scorse un simbolo molto simile sulle tende. “Sì” rispose leggermente sorpresa, “ma questo cosa comporta?”

“Quello è il simbolo di Naerys Targaryen, moglie di re Aegon IV” spiegò Davos eccitato, “questa era la sua stanza.”

“Bene, e allora?”

“Non conosci le leggende che girano su Naerys?” le chiese Davos “Veniva alla Roccia del Drago per incontrare il suo amante: Aemon Cavaliere del Drago. Ma non sempre gli incontri andavano a buon fine e se stavano per essere scoperti Naerys faceva fuggire Aemon attraverso un passaggio segreto che porta alla spiaggia.” Davos stava guardando Brienne come si guarda una ragazzina a cui si devono spiegare le cose cento volte. “E’ ancora qui!” esclamò “Sotto al caminetto.” Davos si precipitò a gettare acqua sul fuoco acceso e, quando il fumo si fu dissipato, poterono valutare la situazione. Brienne vedeva solo un misto di cenere e legna semibruciata, ma Davos tirò una leva nascosta dai mattoni.

Inizialmente non successe nulla e Brienne stava per voltarsi, quando all’improvviso si sentì un tonfo sordo e nel camino si aprì un’apertura. Era grande a sufficienza per far passare un uomo. Davos sembrava soddisfatto.

“Coraggio, vai” la incitò, “il corridoio porta alla spiaggia e da lì potrai prendere una nave e raggiungere il Continente.”

Brienne lo fissò sconvolta. “E tu?” gli chiese “Tu non vieni?”

Davos scosse la testa. “Non posso” rispose, “devo aspettare Jon e spiegargli la situazione.”

“Ma ti uccideranno se scopriranno che mi hai fatto fuggire!”

“Non lo faranno” la rassicurò Davos, “gli servo vivo se sperano di poter ottenere qualcosa da Jon. Tu devi tornare a Grande Inverno, raccontare quello che è successo e mettere in guardia Sansa dalla Regina dei Draghi. Dovete proteggere la Barriera.”

Brienne non si sentiva all’altezza di un simile compito. “Ma il Vetro di Drago?” chiese “Cosa potremo contro gli Estranei senza Vetro di Drago?”

Davos si morse il labbro. “Se sarete fortunati io e Jon faremo ritorno con l’Ossidiana prima che questa sia necessaria” rispose Davos, “ma ora va’, ogni minuto è prezioso.”

Brienne non sapeva cosa dire: al sollievo per il prossimo ritorno a Grande Inverno si sovrapponeva l’angoscia per la loro situazione. Avrebbe voluto trovare un’alternativa, un modo per non lasciare Davos, e si sorprese ad essere così preoccupata per lui. Il Nord ha bisogno di me, si costrinse a pensare. Sansa ha bisogno di me.

Annuì e si calò con cautela attraverso l’apertura polverosa. Prima di scomparire, ebbe modo di vedere Davos per quella che sperava non sarebbe stata l’ultima volta. “Grazie” sussurrò imbarazzata e lui sorrise. Poi iniziò a scendere. Il buio la inghiottì e Brienne quasi ruzzolò a terra quando i suoi piedi finalmente toccarono terra.

Il cunicolo era piuttosto basso e dovette chinare la testa per non rischiare di sbatterla contro le rocce che pendevano dal soffitto. Avanzò alla cieca, orientandosi tastando le pareti di pietra. Dopo qualche minuto il terreno divenne scivoloso e l’aria umida e Brienne capì di essere vicina all’uscita. Finalmente vide filtrare della luce attraverso la parete che le si stagliava di fronte. Si accertò di non udire voci e cominciò a rimuovere le pietre per aprirsi un varco. Fu un lavoro duro, ma alla fine Brienne riuscì a uscire.

Si ritrovò davanti ad un sentiero appena visibile, che evidentemente conduceva alla spiaggia. Non posso tornare alla nostra barca, ragionò incamminandosi prudente lungo la stradina. Potrebbero averla messa sotto sorveglianza. Devo trovare un’imbarcazione nuova. Brienne comprese di essere in svantaggio rispetto a Davos, che almeno conosceva l’isola, e sperò di non incontrare nessuno.

Si sono pure presi Giuramento.

Brienne strinse le labbra con rabbia: quella spada le era stata donata da Jaime Lannister affinché proteggesse Sansa, ma ora lei non sarebbe stata in grado neppure di difendere sé stessa. Oltre un filare di alberi dalle fronde giallastre si allungava la spiaggia battuta dal vento. Verso il promontorio a nord, nella grande insenatura riparata su cui si stagliava il castello, si intravedeva il porto. Troverò sicuramente una barchetta, pensò Brienne sentendosi tuttavia a disagio per la necessità di commettere un furto.

Sfortunatamente il porto era gremito di gente: sembrava che più di una nave fosse in partenza. Venivano caricate le armi e su alcune addirittura i cavalli. Brienne, nascosta dietro un tronco secco, osservò la folla tentando di riconoscere qualcuno. Vide Rakandro impartire ordini a destra e a manca ed Olenna salire su una delle navi più vicine. Poi un soldato urlò: “La regina!”

Brienne si voltò di scatto e vide Daenerys, accompagnata da Tyrion e Varys, uscire dal palazzo. Sembrava vogliosa di fare uno dei suoi discorsi interminabili.

“Miei alleati” iniziò infatti Daenerys, “oggi le nostre strade si dividono. Sapete quali sono i vostri compiti e sapete quanto il vostro contributo sia necessario. Mi aspetto molto da voi. Se ci saranno problemi di qualunque tipo inviate corvi, ma sappiate che potrebbero essere intercettati. Evitate quindi di scrivere informazioni fondamentali.”

Mentre Daenerys parlava, Brienne si avvicinò ad un’imbarcazione su cui sventolava lo stemma della rosa Tyrell. Saranno diretti sicuramente in qualche cittadina vicino Approdo del Re, si disse sicura Brienne. Se mi nascondo nella stiva potrò tornare nel Continente senza essere vista. Il viaggio durerà poco…

“La guerra è alle porte” stava continuando la Madre dei Draghi, “e possiamo solo fidarci gli uni degli altri.” Brienne per una volta desiderò che quel discorso soporifero potesse continuare il più a lungo possibile. Si arrampicò senza troppe difficoltà aiutandosi con gli ormeggi e fu piacevolmente sorpresa nel trovare la barca ancora vuota. Evidentemente si erano tutti riuniti per ascoltare le parole della regina. Brienne sgattaiolò dentro e si diresse sottocoperta.

Vi erano poche cabine, tutte arredate con mobili poveri, e si mise perciò a cercare un nascondiglio. Da fuori giunse un boato di esultanza e Brienne capì che il discorso era terminato. Aveva poco tempo. Adocchiò quello che sembrava un ripostiglio e si affrettò a chiudersi dentro. Sfortunatamente non c’erano chiavi con cui bloccare la porta e Brienne poteva solamente sperare che a nessuno venisse la baldanzosa idea di frugare in un inutile sgabuzzino.

Qualcosa però non tornava, ma ormai non aveva modo di scendere dalla nave: alcuni passeggeri erano già a bordo. Facendo attenzione a non fare rumore, Brienne accostò l’orecchio alla vecchia porta malmessa. Delle persone stavano attraversando il corridoio.

“Benvenuta a bordo, lady Olenna” stava dicendo una voce piuttosto vicina. “La tua cabina è in fondo al corridoio, mia signora, lascia che ti accompagni…”

“So camminare da sola, grazie” sbottò quella che doveva essere Olenna Tyrell, “dimmi piuttosto, sono saliti tutti? Quella ragazzina non la finiva più di parlare, pensavo che sarei morta prima della fine di quel suo discorso.”

“Sono tutti sulla nave, mia signora” rispose la prima voce, “attendiamo solo il tuo ordine per partire.”

“Bene” ribatté Olenna ora più vicina, “che cosa aspetti ancora?!” Si sentirono passi frenetici che si perdevano nel corridoio.

“Quanto credi durerà il viaggio?” chiese una voce femminile.

“Non lo so, Nymeria” ammise Olenna, “ma non meno di una settimana…”

Brienne trasalì. Una settimana? Per Approdo del Re? Ci doveva essere un errore… Premette l’orecchio sulla porta per non perdersi nemmeno una parola.

“Secondo te ci sarà una guerra?” stava chiedendo Nymeria.

“E’ molto probabile” replicò Olenna sempre più vicina alla porta, “non lascerò che distruggano la mia terra.” Brienne si accorse di star sudando freddo. Chi stava distruggendo che cosa?

“Ma dove attraccheremo esattamente?” chiese ancora Nymeria “Nessuno mi ha saputo dare indicazioni precise…”

“Vecchia Città” rispose con semplicità Olenna e quelle parole furono come una pugnalata per Brienne. Aveva commesso un imperdonabile errore: quella nave non era diretta in qualche paese vicino alla capitale.

L’Altopiano… Come ho fatto a non pensarci prima?

Fu animata da un impellente bisogno di scendere, ma ormai era troppo tardi. La tromba squillò e la nave lentamente abbandonò il porto.


                                                                                                             "Lo temi, lo eviti, il destino arriva comunque."




N.D.A.


Eccomi di nuovo! Queste due settimane mi sono sembrate ancora più lunghe del solito ^_^ Considero questo capitolo come un regalo di compleanno a me stessa anticipato XD, dato che tra pochi giorni compio gli anni, quindi sono particolarmente emozionata e spero davvero vi sia piaciuto...
Diciamo che da qui tutto ha veramente inizio e la storia si distacca definitivamente da quello che poteva rimanere della settima stagione e che avevate ritrovato (mio malgrado) negli scorsi capitoli. Tutti i personaggi si accingono a viaggiare, verso l'ignoto, tornando a casa, in una fuga carica di speranza o d'incertezze. Certo, ora diventa tutto più complicato...
Jon abbandona il Nord con il cuore pesante e lascia alle sue spalle Sansa ancora poco pronta al ruolo che l'attende. Jaime ha davanti a sé una difficile missione ad Alto Giardino, una missione che non sa bene come trattare. Daenerys ha fatto la sua scelta: Uomini di Ferro e dorniani a Porto Bianco contro Euron e Dothraki e Tyrell ad Alto Giardino a combattere i Lannister. Faranno in tempo tutti questi personaggi ad arrivare dove devono arrivare?
E poi ovviamente il dramma di Brienne, costretta ad abbandonare Davos e ritrovatasi per errore in viaggio per Vecchia Città. Quanto influirà questo dettaglio sulla storia di Westeros? Ve lo dico io: tanto...

Dal prossimo capitolo le cose si fanno serie, ma per ora mi basta conoscere i vostri pensieri che da settimane mi accompagnano nella revisione di questi primi capitoli. Come al solito, ringrazio in ordine: __Starlight__, giona, Spettro94, leila91, Nightlion, l'instancabile Azaliv87 che è riuscita a rimettersi in paro con la storia e Red_Heart96... Grazie di cuore a tutti!
Un ringraziamento speciale anche a Nirvana_04 che ha recensito il capitolo 2 e a tutti quelli che hanno intanto inserito la storia tra le seguite e le preferite...

Posso solo augurarvi buon ponte (se lo avete) di primo maggio e spero di risentirvi presto!


PS: stavolta doppia citazione cinematografica :-)... La prima viene dalla canzone "i colori del vento" di Pochaontas e si riferisce interamente al lugubre primo ululato di Spettro, di solito sempre silente e letale. La seconda invece non potevo non metterla ed è da Avengers: Infinity War: può riferirsi in fondo a ogni personaggio in questo capitolo così decisivo per la piega della storia e la dedico a Nightlion e leila91...


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Capitolo 6
*** The Lonely She-wolf ***


The Lonely She-wolf                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               


Jon

 

Il vento non si era placato nemmeno un secondo e dopo ben tre giorni di viaggio ancora soffiava furioso rendendo particolarmente arduo il cammino già difficoltoso a causa della neve. I cavalli avanzavano a fatica e più di una volta la comitiva si era dovuta arrestare per attendere un animale rimasto indietro.

La mattina la nebbia tardava ad alzarsi e il sole era ormai un ricordo lontano. Si era già fortunati se trascorreva una giornata senza nevicare.

Jon era più nervoso e irritabile ogni giorno che passava. Era arrivato perfino a redarguire aspramente un suo compagno semplicemente per aver imbrigliato le redini facendo perdere tempo al gruppo. In seguito si era scusato. “Mi dispiace” aveva detto passandosi una mano sul volto, “so di essere intrattabile, ma la verità è che sono molto preoccupato…” Tutti gli avevano risposto che non doveva loro alcuna spiegazione.

Già, io sono il re.

Oramai neanche quel pensiero gli dava alcuna gioia: le ansie che aveva comportato quel titolo avevano cancellato tutto il resto. Temeva per Davos e Brienne ancora nelle mani di una dubbia alleata. Temeva per Sansa che aveva abbandonato insieme a Ditocorto. Temeva per la sua gente e per il Nord, stretto com’era tra gli Estranei e i draghi. Temeva addirittura per Spettro, nonostante il meta-lupo gli avesse più volte dimostrato di sapersela cavare benissimo da solo.

Ed ho paura per me? si chiedeva durante le interminabili cavalcate Ho paura di morire? Non era ancora capace di darsi una risposta. Se da un lato la morte avrebbe significato liberazione, dall’altro avrebbe comportato l’abbandono forzato di tutto ciò in cui credeva, di tutto ciò che stava proteggendo. E dopo cosa sarebbe rimasto?

Jon era sempre più convinto di dover rivestire un ruolo importante nella guerra contro gli Estranei. Era quasi arrivato a credere alle parole di Melisandre.

Quasi.

In effetti faticava a credere di essere stato scelto da un dio sconosciuto per adempiere a un destino che non era il suo. Ma allora perché era tornato? Perché il suo corpo non era semplicemente rimasto a marcire, o più probabilmente a bruciare, come tutti gli altri cadaveri? Perché la vita l’aveva richiamato indietro? Tutte quelle domande gli perforavano il cervello e Jon non era in grado neppure di azzardare una risposta.

Di notte sognava di draghi e rose blu e si svegliava con quella strana canzone nelle orecchie. A volte però veniva colto dagli incubi e vedeva Sansa morire trafitta da una freccia come Ygritte, o Davos decapitato come suo padre, o Tormund pugnalato come Robb. A volte vedeva la testa di Spettro dondolargli davanti agli occhi come quella di Cagnaccio, che Ramsay aveva buttato ai suoi piedi.

Finalmente, all’alba del quarto giorno, giunsero a Porto Bianco. Per Jon era la prima volta in quella città e fu lieto di avere una scusa per allontanare quei tetri pensieri. Ser Marlon Manderly, cugino di lord Wyman, li aveva accolti  nella sua dimora. “E’ un onore per me poter ospitare il Re del Nord in persona” aveva detto con voce eccitata, “non pensavo sareste arrivati così presto.”

Jon aveva sorriso, borbottando frasi di circostanza ed accettando di malavoglia un invito a cena. Durante il pasto tentò di richiamare l’attenzione sull’imminente partenza.

“Ma come?” esclamò sorpreso Marlon “Non vi fermate neanche un po’? Alla gente di qui farebbe così piacere se…”

“Mi dispiace” lo interruppe Jon sforzandosi di essere gentile ma desiderando solamente andare a letto, “ma abbiamo una missione urgente da portare a termine. Partiremo domani per la Roccia del Drago.” 

Marlon rimase a bocca aperta. “M-ma, ma” balbettò con la forchetta a metà strada tra la bocca e il piatto, “non credo sia una buona idea. Da quanto mi è stato riferito hai già inviato degli ambasciatori e ormai è troppo rischioso far salpare altre navi. Gli Uomini di Ferro…”

“Non mi interessa degli Uomini di Ferro!” sbottò Jon con troppa veemenza. Accorgendosi di aver attirato sguardi perplessi si affrettò a ricomporsi. “Chiedo scusa, mio signore” disse con voce calma, “sto approfittando della tua generosa ospitalità senza porti il dovuto rispetto. Tutto quello che dici è vero, ma io non posso attendere. Se non raggiungo la Roccia del Drago entro pochi giorni, il Nord potrebbe ritrovarsi nei guai. Mi serve il tuo aiuto…”

Marlon rimase in silenzio per una manciata di secondi, poi sorrise. “Ma certo!” esclamò battendo le mani “Ti fornirò tutto il necessario per la partenza, nonché un nave nuova ovviamente.”

“Non ce n’è bisogno” protestò Jon, “le navi di Stannis andranno più che bene…”

“Non se ne parla” s’impuntò Marlon. “Quelle navi sono arrivate da noi distrutte e mezze congelate, che razza di signore sarei se non fossi neanche in grado di fornire al mio re una barca decente?” Jon mormorò un “grazie” sommesso e Marlon parve soddisfatto. Poi l’occhio gli cadde sulla spada che Jon portava alla cintura. “Acciaio di Valyria, vero?” chiese senza aspettarsi una vera risposta “Mi sembra leggermente rovinata…” Jon dovette ammettere che aveva ragione: a Grande Inverno aveva tentato di affilarla, ma le pietre si erano frantumate.

“Qui a Porto Bianco c’è una bottega dove si riparano tutti i tipi di armi” confessò Marlon strizzando l’occhio, “e mi dicono che il fabbro sia particolarmente bravo con l’acciaio di Valyria…”

Così il mattino seguente di buon’ora Jon, seguendo le indicazioni di ser Manderly, raggiunse la bottega in questione. Era un piccolo locale, povero ma curato, che mostrava una certa attenzione ai dettagli da parte del proprietario. Entrò e tentò di abituare gli occhi alla penombra. L’unica stanza era affollata da oggetti di lavoro ed utensili, tutti puliti e in ordine, ma inesorabilmente logorati dal tempo.

“Buongiorno, signore, in cosa posso esserti utile?” 

Jon quasi sobbalzò. Si voltò e fu estremamente sorpreso dal ritrovarsi di fronte un ragazzo di pochi anni più giovane di lui, con il viso sporco di fuliggine ed i denti scintillanti in un sorriso.

“Ecco, io” iniziò Jon sentendosi improvvisamente a disagio, “vorrei far affilare la mia spada…” Estrasse Lungo Artiglio e il giovane quasi gliela strappò di mano. “Acciaio di Valyria” mormorava, “ottima fattura anche se credo che l’impugnatura non sia quella originale. Per affilarla ci impiegherò tre giorni.”

Jon sgranò gli occhi. “Come tre giorni?” chiese sentendosi abbastanza idiota. 

Il ragazzo lo squadrò quasi con diffidenza. “Sono pieno di lavoro” spiegò accennando agli oggetti intorno a lui, “se sono fortunato ci impiegherò due giorni, ma servirà un supplemento…”

Jon perse la pazienza. “Ascolta, ragazzino” disse con voce gentile ma decisa, “la mia nave salpa tra mezz’ora, quindi per quell’ora la mia spada deve essere pronta. Ti pagherò quanto vorrai.” 

Il ragazzo sollevò un sopracciglio. “Ho altre priorità” disse indifferente, “sono un lavoratore onesto io, cosa direi agli altri signori che attendono le loro armi entro un’ora?”

Jon decise di giocarsi la sua ultima carta. “Diresti che non hai potuto rifiutare un lavoretto” disse studiando l’espressione del ragazzo, “al Re del Nord.”

La frase sortì l’effetto sperato ed il giovane perse in un attimo tutta la sua baldanza rivelandosi per quello che era: un ragazzino sbalordito. O terrorizzato.

“I-io io” farfugliò il ragazzo, “non sapevo. S-sono desolato altrimenti mai avrei… E’ stato un equivoco, io non sapevo…”

“Ehi, ehi, ehi” lo tranquillizzò Jon portando le mani avanti, “va tutto bene. Non ti devi scusare per nulla. Adesso io ho solo bisogno di una spada affilata e poi toglierò il disturbo.”

“Certo, mio signore” disse il giovane visibilmente rincuorato, “subito, mio signore.” E Lungo Artiglio fu pronta nel tempo record di un quarto d’ora. Jon ammirò il risultato e constatò soddisfatto che era davvero ottimo: la spada non era mai stata così splendente. 

Ma al momento del pagamento il ragazzo scosse la testa. “No mio signore non posso accettare” rispose con umiltà. Jon si costrinse ad insistere, ma, davanti al rifiuto ostinato del giovane, rimise in tasca il denaro. Stava per uscire quando fu colpito da un’idea folgorante seppur folle. Si voltò e guardò il ragazzo negli occhi. “Senti” gli disse dosando il tono di voce per non apparire invadente, “sei un bravo ragazzo ed io avrei bisogno di uno scudiero che mi aiuti con le armi. Che ne dici? Ti interesserebbe partire con noi?” 

La reazione che ottenne fu la più imprevedibile. Il giovane quasi lo abbracciò nel tentativo di contenere la propria gioia. “Sarebbe un onore!” esclamò cercando un contegno “Quando si parte?” 

Jon sorrise. “Immediatamente” rispose uscendo dalla bottega. La facilità con cui quel giovane aveva abbandonato il proprio lavoro per seguire di fatto uno sconosciuto lo aveva sorpreso. Probabilmente non amava particolarmente la sua vita e attendeva solo l’occasione per disfarsene.

Nel giro di un’ora la Lupa Solitaria aveva preso il largo e la costa quasi non si vedeva più. Marlon aveva fatto mille promesse e augurato mille fortune, mentre il nuovo scudiero si era immediatamente calato nel suo ruolo, sistemando la cabina di Jon e lavando anche il pavimento sul ponte. Jon sospettava che fosse anche in grado di cucinare e lavorare a maglia se solo gliel’avesse chiesto. Gli altri uomini della scorta invece trascorrevano il loro tempo giocando a dadi o ubriacandosi, ma Jon non aveva voglia di rimetterli in riga. Voleva concentrarsi solamente sul viaggio, che da quanto sapeva durava almeno tre giorni, e su ciò che avrebbe potuto trovare una volta raggiunta la meta.

Quando il ragazzo era venuto a conoscenza della loro destinazione si era incupito e Jon avrebbe potuto giurare di aver visto un’ombra calare sui suoi occhi. Tuttavia decise di non indagare, cercando al tempo stesso di distrarre il giovane da qualunque cosa la sua mente stesse elaborando in quel momento. In fin dei conti non era l’unico ad essere tormentato da brutti ricordi o presagi funesti.

Due giorni trascorsero senza nemmeno che Jon se ne rendesse conto. La vita sulla nave era monotona e noiosa, ma almeno libera dalle angosciose preoccupazioni che invece sentiva rinascere via via che si avvicinavano alla meta. La terza sera andò a dormire presto: la mattina dopo sarebbero con ogni probabilità giunti alla Roccia del Drago e doveva essere in ottima forma per poter sperare di affrontare Daenerys Targaryen. Per la prima volta si chiese che aspetto avesse, che profumo emanassero i suoi capelli e che tono avrebbe avuto la sua voce. Sarebbe stata dolce come il miele o fredda come l’acciaio? Con quei pensieri futili in mente si addormentò.

Fu bruscamente svegliato da qualcuno che lo stava scuotendo con veemenza. “Mio signore, ci attaccano!” stava urlando affannato il ragazzo e Jon ebbe appena il tempo di riconoscere il luogo in cui si trovava che l’intera nave sussultò. Dal ponte giungevano delle grida. Jon ringraziò gli déi per essere andato a letto vestito, afferrò Lungo Artiglio e si precipitò fuori.

La nebbiolina che avvolgeva la scena e la scarsa luce gli suggerirono che doveva essere appena l’alba. I suoi uomini stavano issando le vele, tentando disperatamente di virare. Jon non impiegò molto tempo per comprendere il motivo di tanta agitazione.

Un’enorme imbarcazione si stava lentamente avvicinando alla Lupa Solitaria e sventolava il vessillo della piovra. In un attimo Jon ricordò gli avvertimenti di Marlon Manderly.

Uomini di Ferro… Ma chi li comanda?

Avevano saputo che Balon Greyjoy era morto, ma non si avevano notizie riguardo al suo successore. In ogni caso quello non era il momento giusto per pensarci. 

Jon sguainò la spada. “Sono pirati” urlò per farsi sentire da tutti, “molto abili nella navigazione: non possiamo seminarli. Dobbiamo affrontarli.”

“Ma sono troppi…” balbettò un soldato terrorizzato. 

Jon lo fulminò con lo sguardo. “Cosa credevi?” gli chiese freddamente “Vi voglio entro cinque secondi nelle postazioni di combattimento, dobbiamo difendere la nave: se affonda” Jon fece una pausa, “siamo morti.”

Tutti gli uomini si sparpagliarono e Jon corse a poppa protendendosi oltre la balaustra di sicurezza. Ora la nave era vicinissima e si scorgevano distintamente i marinai. Improvvisamente una pioggia di frecce si riversò sull’imbarcazione.

“ATTENTI!” Jon si gettò a terra, ma presto scoprì che le frecce erano indirizzate alle vele e alle corde. Vogliono fermare la nave, si rese conto Jon.

“Ammainate le vele!” ordinò, nonostante gli sguardi perplessi dell’equipaggio “Fate come vi dico, così almeno non verranno distrutte.” E potremo usarle ancora, pensò correndo ad aiutare a tirare le funi. Sempre se saremo ancora vivi da qui a un’ora.

Senza più il supporto delle vele la nave si arrestò, completamente in balìa del movimento delle onde, che fortunatamente non erano troppo alte. Jon sentì esclamazioni di vittoria provenire dalla nave nemica, ma si impose di ignorarle. “Appena tenteranno di salire” urlò agitando la spada, “dobbiamo riuscire a buttarli in mare, quindi…” 

Non fece in tempo a finire di parlare che la Lupa Solitaria cozzò contro l’imbarcazione nemica appena emersa dalla nebbia. La potenza del contraccolpo lo fece quasi cadere a terra. Quando riacquistò l’equilibrio, vide con orrore che cinque uomini erano già a bordo. Strinse in pugno Lungo Artiglio e respirò profondamente. Va bene, si disse mettendosi a correre. Iniziamo...

Incrociò la spada con il primo assalitore e riuscì a respingerlo fino alla balaustra. Quando questi mirò alla gola sbilanciandosi in avanti, Jon lo colpì alla spalla facendolo precipitare in acqua. Si accorse di avere già le braccia sporche di sangue fin quasi al gomito. Vide che un suo compagno era in difficoltà contro due avversari e si precipitò ad aiutarlo.

Il nuovo aggressore era più abile del precedente e Jon dovette indietreggiare. Quando l’uomo si lanciò in avanti con un grido di guerra, Jon usò l’albero maestro come scudo e lo sentì vibrare per la violenza del colpo. Come previsto, la lama del nemico era rimasta incastrata e Jon non perse tempo, decapitandolo di netto. Un grido d’agonia attirò la sua attenzione e voltandosi vide il compagno di prima accasciarsi a terra con le viscere in mano. Trattenendo la repulsione, Jon tagliò la corda più vicina ed un enorme gancio da carico investì in pieno l’aggressore, che già si stava lanciando su un’altra vittima. 

In quel momento la nave tremò di nuovo e questa volta Jon finì a terra. Un uomo si lanciò su di lui roteando un’accetta, e Jon dovette rotolare via per evitare di essere colpito. L’aria era attraversata da uno stormo di frecce: sembrava di essere ritornati alla Battaglia dei Bastardi, ma adesso non c’era nessuno che avrebbe potuto salvarli. 

Vide il suo scudiero corrergli incontro. “Vieni, presto!” urlava venendo dalla prua. Era sporco e insanguinato ma fortunatamente illeso. Perfino in quelle circostanze Jon non poté fare a meno di notare con piacere l’abbandono delle formalità.

“Ce ne sono troppi” stava ansimando il ragazzo, “ne stanno arrivando una ventina dal lato sinistro. Dyacron mi ha mandato a chiedere rinforzi…” Jon sentì la testa girargli. Una ventina di uomini, pensò disperato. E non sono nemmeno finiti. Avrebbe voluto mettersi ad urlare, ma sapeva di dover mantenere la calma.

“Molto bene” disse fingendo una disinvoltura che non provava affatto. “Matyas, impedisci agli Uomini di Ferro di salire a poppa… Io devo andare.” Matyas annuì e corse via. Jon credette di rivedere Grenn nel suo estremo e mortale tentativo di proteggere il portale della Barriera al Castello Nero.

Stringendo i denti, si affrettò a seguire il ragazzo, che nel frattempo aveva tirato fuori la sua mazza di ferro. “L’ho fatta io” aveva detto tutto orgoglioso solo il giorno prima. Arrivati a prua, la situazione si rivelò più drammatica del previsto.

Almeno quindici Uomini di Ferro erano già sul ponte e stavano distruggendo tutto ciò che trovavano. Dyacron eroicamente stava combattendo da solo contro minimo cinque avversari per respingerli sulla loro nave. Jon corse avanti per cercare di aiutarlo, ma fu ostacolato da un altro guerriero che lo costrinse a difendersi. Mentre frenava a fatica i fendenti poderosi dell’altro, vide Dyacron cadere oltre il parapetto colpito al torace.

“NO!” urlò furibondo e menò un colpo imprimendo tutta la sua forza. La lama dell’uomo si frantumò. Jon non si fermò per chiedersi il motivo e affondò Lungo Artiglio nel cuore del nemico.

“Bene” disse una voce calma alla sua destra. Jon si voltò trovandosi di fronte un uomo sorridente con lunghi capelli corvini ed occhi scuri. “Non pensavo un colpo potesse arrivare a spezzare una spada” continuò lo sconosciuto avanzando, “ma non importa… Tu sei Jon Snow, vero? Ho sentito tanto parlare delle tue presunte imprese… re Euron non vede l’ora di incontrarti.” Jon lo fissò interdetto.

Euron?

L’uomo dovette immaginare i suoi pensieri perché scoppiò a ridere. “Euron Greyjoy” specificò, “Occhio di Corvo, Re delle Isole di Ferro. Ah, e io sono Heryet, il capitano della Donna Vedova.” Jon si accorse che due uomini gli si stavano avvicinando alle spalle. Strinse in pugno Lungo Artiglio e si preparò ad attaccare.

"Non lo farei se fossi in te” lo avvertì con un sospiro Heryet, “sarebbe tutto inutile.” Le grida intorno a lui erano insostenibili e Jon non poteva tollerare l’idea che degli uomini stessero morendo mentre lui era lì ad ascoltare le chiacchiere di un esaltato.

“Cosa volete da noi?” 

Heryet non rispose e si girò verso il resto del suo gruppo. “Ricordate gli ordini di sua altezza” disse alzando le mani, “uccideteli tutti e date fuoco a questa nave.” Jon non riuscì a contenere la rabbia e si lanciò contro Heryet. Prima che potesse anche solo sfiorarlo, si sentì afferrare per le braccia e trascinare a forza indietro. Qualcuno gli torse il polso finché la lama non gli scivolò dalle dita. Heryet si voltò nuovamente verso di lui.

“Ti avevo detto di non fare sciocchezze” gli ricordò. Poi si rivolse ai due uomini che tenevano Jon. “Portatelo sulla nave” ordinò, “e poi tornate qui a finire l’opera.” Mentre veniva trascinato via, Jon vide i suoi uomini cadere uno dopo l’altro. Tentò di divincolarsi, ma i due erano troppo forti. Stanno morendo per colpa mia, pensò lacerato dal senso di colpa.

Una volta sulla Donna Vedova uno dei due uomini lo sbatté contro l’albero maestro mentre l’altro gli legò i polsi con nodi così stretti che Jon non riusciva nemmeno a muovere le dita. Lungo Artiglio era abbandonata ai suoi piedi.

“Non preoccuparti” lo rassicurò ridendo Heryet, “forse Euron deciderà addirittura di risparmiarti la vita.” Presto gli altri soldati furono di ritorno. “Tutti morti” disse un uomo con il volto deturpato da una cicatrice. “Bene” sussurrò Heryet, “procedete…”

Quando vide gli uomini incoccare frecce infuocate puntandole sulla Lupa Solitaria, Jon sentì qualcosa risvegliarsi in lui. L’apatia lo abbandonò e lottò fino a recidere le corde che gli stavano incidendo i polsi. Senza curarsi delle esclamazioni di sorpresa, raccolse la spada e corse verso la prua scansando due soldati allibiti.

“Prendetelo!” stava urlando Heryet “No, no, niente frecce: prendetelo vivo!”

Jon arrivò a prua e saltò oltre il parapetto. I piedi quasi sdrucciolarono e si aggrappò al legno con tale forza che le schegge gli ferirono le mani. Davanti a lui si ergeva la sua nave, ma era troppo lontana per essere raggiunta con un salto. Jon strinse le labbra mentre sentiva gli uomini avvicinarsi ogni secondo di più. Poi chiuse gli occhi. Proprio quando stava per lasciarsi cadere nell’acqua gelida, l’aria fu lacerata da un suono stridente, di come Jon non ne aveva mai sentiti. Sollevò la testa e ciò che vide lo lasciò senza fiato.

Il drago volava così vicino che Jon poteva sentire sul viso l’aria mossa dalle sue immense ali. Era una creatura gigantesca, con occhi profondi e una chiostra di denti aguzzi. Le sue scaglie brillavano di luce verde smeraldo. Per un lunghissimo istante Jon e il drago si limitarono a fissarsi, poi l’animale volò avanti.

Jon si voltò lentamente, in tempo per vedere la ciurma di Heryet fuggire inorridita. La rabbia gli crebbe nel cuore e d’un tratto seppe esattamente cosa doveva fare. “Fuoco!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola, sapendo che il drago avrebbe capito, che l’avrebbe aiutato.

E il drago sputò fuoco.

Tra le fiamme che divampavano Jon riuscì a scorgere l’animale librarsi in volo, non senza accennare un ultimo saluto. Jon gli sorrise come si sorride ad un vecchio amico e, con nelle orecchie le urla dei nemici che bruciavano, saltò nel vuoto.

Riuscì ad aggrapparsi ad una grossa fune spellandosi i palmi già sanguinanti e, facendo forza con le braccia, tentò di issarsi sulla sua nave. Ma la corda cedette all’improvviso e Jon si preparò a precipitare in acqua, quando delle mani lo afferrano aiutandolo a salire a bordo.

Frastornato dalle troppe emozioni, Jon quasi non riconobbe il suo scudiero, che gli stava sorridendo entusiasta. Evidentemente era riuscito in qualche modo a sfuggire alla carneficina, magari fingendosi morto. La gioia che Jon provava dal sapere almeno il ragazzo al sicuro era fatta a pezzi dal dolore per la sorte del resto dei suoi compagni.

“Ce l’hai fatta!” stava esclamando il giovane “Non ho idea di come, ma ce l’hai fatta, mio signore!” Jon intuì che il ragazzino non aveva avuto modo di vedere il drago. Meglio così, pensò. Si aggrappò alla sua spalla per alzarsi.

“Jon” gli disse guardandolo negli occhi, “chiamami Jon. So che è strano, ma io ancora non conosco il tuo nome...” 

Gli occhi del ragazzo si illuminarono. “Gendry” rispose, “Gendry Waters, e sono amico di tua sorella Arya.”

 

Arya

 

Alla fine con la Fratellanza senza Vessilli c’era andata sul serio. Si era resa conto che probabilmente in quel modo sarebbe potuta giungere a Grande Inverno più in fretta. E potrò tenerli d’occhio, pensava per nulla convinta dai principi morali di Beric e Thoros, per non parlare del Mastino.

Per sicurezza teneva sempre Nymeria vicina ed aveva più volte accennato quasi distrattamente al branco di lupi a sua detta famelici che seguivano silenziosi la comitiva. Se il suo obiettivo era quello di far in modo che nessuno si trovasse ad una distanza da lei minore di cinque metri, Arya poteva ritenersi soddisfatta. E si dava il caso che il suo obbiettivo fosse proprio quello.

Di giorno avanzava in testa al gruppo, aprendo la strada con la sua meta-lupa e continuando a cacciare per conto proprio. Si rifiutava infatti di mangiare il cibo che Beric distribuiva alle ore dei pasti e ci teneva anche a mostrare la sua indipendenza.

Una volta aveva sottratto a Nymeria e al suo branco un cinghiale e l’aveva portato fiera vicino al fuoco dove sedevano gli altri, intenti a consumare il loro misero pasto. Tutti l’avevano fissati sbalorditi e anche un po’ invidiosi.

“Ma l’hai cacciato da sola?” aveva chiesto stupito Beric. Arya aveva sollevato un sopracciglio. “Ovvio” aveva risposto sedendosi a mangiare, “sono brava con l’arco…”

“Ma se tu nemmeno ce l’hai un arco!” aveva obbiettato il Mastino “Scommetto che dietro quel cinghiale ci sta lo zampino della tua lupa…” 

Arya l’aveva guardato con sufficienza. “E io scommetto che muori dalla voglia di assaggiarlo” aveva detto masticando avidamente, “ma a me sembra di ricordare che preferisci il pollo, non è così?” Sandor non aveva trovato nulla con cui controbattere e Arya era tornata soddisfatta al suo pasto. Certo, dopo aveva dovuto affrontare l’ira di Nymeria e dei suoi lupi, ma ne era valsa la pena.

La quarta sera di viaggio ad Arya toccò andare a cercare la legna per il fuoco e il Mastino insistette ad accompagnarla. Mentre si inoltravano nel bosco nessuno dei due parlò. Sandor si mise a cercare bastoni secchi ed asciutti, ma Arya non aveva voglia di condurre un lavoro così minuzioso. Quindi si arrampicò agilmente sull’albero poco lontano, adocchiò il ramo più secco e morto e lo prese a colpi di spada finché non lo tranciò. Quando Sandor si voltò con pochi piccoli fuscelli tra le braccia, si ritrovò di fronte Arya intenta a fare a pezzi con disinvoltura l’enorme ramo caduto.

“Diamine, come sei brava a tagliarlo” esclamò il Mastino lasciando cadere a terra il suo scarso raccolto.

“Mi hanno insegnato a farlo sulle persone” mentì Arya senza alzare lo sguardo, “so squartarle benissimo.” 

Sandor Clegane scoppiò a ridere. “Certo… E chi mai te l’avrebbe insegnato?”

“Quell’assassino di cui ti parlavo quella volta” rispose pronta Arya sapendo di non dire completamente una bugia. Il Mastino aveva smesso di ridere. “E dove sarebbe?” chiese in tono più serio ora. Arya interruppe il lavoro e sollevò lo sguardo. “A Braavos” rispose, “nella casa del Bianco e del Nero. Io facevo parte degli Uomini senza Volto, so cambiare faccia se voglio.”

“Sì, questa è buona, ragazzina!” scherzò Sandor ed Arya tornò alla propria attività “Così sembra che esistano dei tuoi parenti ancora in vita…” disse il Mastino dopo qualche attimo di silenzio. Arya buttò a terra il bastone che stava sfrondando.

“Non sembra: è così!”

Sandor sollevò le sopracciglia. “Questo è quello che speri tu” le disse, “ma è possibile che quando arriverai saranno già morti come tuo fratello e…” Si interruppe solo quando Arya gli puntò Ago alla gola.

“Per tua informazione ricordo ancora dove si trova il cuore” sibilò lei, “e la mia famiglia non è morta. Mio fratello Jon è Re del…”

“Sì, sì, certo” disse Sandor alzando gli occhi al cielo, “il fratello che ti ha regalato la spada dal nome di merda. Senti un po’, questo Jon ha un meta-lupo?”

Arya pensò a Spettro. “Sì” rispose sulla difensiva.

“Perché non vorrei essere là quando cuciranno la sua testa sul cadavere di tuo fratello…”

Arya non ci vide più dalla rabbia. Brandì la spada ed assestò un fendente al volto sfregiato di Sandor, mirando però al lato sano. Comparve un taglio poco profondo, da cui uscì un rivoletto di sangue.

“La prossima volta che parli della mia famiglia” lo avvertì minacciosa Arya, “potrai dire addio a quel che resta della tua faccia.” Poi si voltò e fece per andarsene.

“Ehi” la richiamò il Mastino, “non serve arrivare a misure così drastiche: stavo solo scherzando. I tuoi amici senza volto non ti hanno insegnato cos’è l’ironia?”

“No” rispose Arya girandosi appena, “mi hanno insegnato ad uccidere.” E si allontanò nel fitto del bosco.

Arrivò al campo che doveva ancora sbollire la rabbia. Afferrò le proprie cose e le trascinò nell’angolo più isolato della radura. Nymeria le corse incontro. Aveva le fauci insanguinate ed Arya capì che doveva essere di ritorno dalla caccia. Gettò in terra le pellicce e si cacciò sotto.

Non sopportava quello che Sandor le aveva detto, soprattutto perché sapeva che era tutto vero. Aveva messo a nudo le sue paure più profonde e questo Arya non riusciva a tollerarlo. Non poteva permettere a nessuno di vedere il suo lato debole. La prossima volta, tentò di convincersi. La prossima volta lo ucciderò veramente. Ma sapeva che non l’avrebbe fatto.

I sentimenti che provava per il Mastino erano più che mai confusi e incomprensibili e Arya credeva di impazzire. Era sicura di odiarlo, ma al tempo stesso lo ammirava. E non sapeva neppure perché.

Si girò sul fianco destro nel tentativo di prendere sonno: in quel momento non le interessava minimamente della legna che avrebbe dovuto consegnare e che invece non era mai arrivata a destinazione. Nymeria le si accoccolò vicino e finalmente Arya riuscì ad addormentarsi.

Si svegliò la mattina seguente con lo stomaco che brontolava per la fame e realizzò di non aver mangiato nulla la sera prima. Nymeria era scomparsa ed Arya imprecò a bassa voce all’idea di dover andare a caccia da sola. Si tirò a sedere e si guardò intorno. I membri della Fratellanza erano seduti in cerchio poco lontano ed Arya decise di raggiungerli. Preparandosi ad una ramanzina per la legna, si sedette accanto a Thoros.

“Buongiorno” disse tenendo gli occhi bassi. “Ce ne hai messo di tempo!” esclamò divertito Beric “Pensavamo non ti saresti più svegliata…” 

Arya non rispose, disegnando sulla terra umida scarabocchi con un bastoncino. “Per ieri sera…” iniziò, ma Thoros scoppiò a ridere. “Sandor ha portato anche il tuo carico” disse bevendo un sorso dalla sua fiaschetta. Arya era sbalordita. 

“Eh già” intervenne il Mastino comparendo dal nulla con in mano due piccoli polli spennati, “non te l’aspettavi, vero?” Le lanciò uno dei due polletti. “Ah, e avevi ragione” le disse sedendosi, “non c’è niente di più buono del pollo.” Arya addentò il misero pasto con fame vorace e lo divorò in pochi secondi. “Direi che vivere coi lupi ti fa bene” ridacchiò Thoros alzandosi.

Nel giro di un’ora erano di nuovo in marcia. Stavolta Arya fece in modo che la sua caccia agli scoiattoli capitasse casualmente vicino al Mastino. “Grazie per prima” disse controvoglia, “ma non ce n’era bisogno: so cavarmela da sola.”

“Su questo non ci sono dubbi” assentì Sandor, “ma chi è troppo bravo ad uccidere non può essere bravo anche a tutto il resto.”

“Ah, e allora tu oltre a urlare e trapassare gente con la spada non sai fare nient’altro?”

“Esattamente” rispose a sorpresa il Mastino, “tutti i lavori di merda che svolgono le altre persone non mi interessano.” Arya rimase suo malgrado colpita dalla risposta e per un po’ non disse nulla.

“Beric ha detto che è probabile che arriveremo a Grande Inverno entro oggi” disse infine Sandor, “cosa conti di fare, ragazzina? Vuoi sul serio giocare a nascondino?” 

Arya gli lanciò un’occhiataccia. “Certo” rispose decisa, “voi potete chiedere ospitalità al castello, ma io mi travestirò da servetta e spierò i miei fratelli.”

“Naturalmente” disse ironico il Mastino, “e ovviamente nessuno ti farà domande riguardo alla tua spada, al tuo denaro o al fatto che ti porti un fottuto branco di lupi dietro…”

Arya avrebbe voluto strangolarlo. “Il branco si disperderà nella Foresta del Lupo” sibilò, “e troverò il modo di nascondere Nymeria.”

“Sicuro” disse Sandor sogghignando, “ma dimmi piuttosto: tua sorella è a Grande Inverno?”

“Sì ed è proprio lei che devo tenere d’occhio.”

“Non me ne frega un cazzo dei tuoi stupidi piani” disse annoiato il Mastino, “sono solo interessato a quell’uccelletto.” Arya calciò un sasso.

Sperando che si sia trasformato in lupo.

Nel primo pomeriggio le torri di Grande Inverno apparvero all’orizzonte. Arya si era imposta di non provare emozioni, ma a quella vista fu travolta dai ricordi. Niente sarebbe mai più stato come prima. Sentì le lacrime inumidirle gli occhi e se le asciugò con un gesto rabbioso.

“La piccola lady ha un cuore” disse ironico il Mastino, ma Arya non gli prestò attenzione. Sono a casa, realizzò ancora incredula, stavolta sul serio. Per la prima volta comprese veramente il motivo per cui non sarebbe mai potuta diventare Nessuno.

In un’ora erano arrivati a Città dell’Inverno, dove la comitiva si fermò. Il branco di lupi si era appostato nel bosco e Arya era riuscita a convincere Nymeria a seguirlo. Il Mastino aveva ragione: un meta-lupo avrebbe attirato troppe attenzioni.

Grazie al denaro rubato un po’ alle Torri Gemelle e un po’ a Delta delle Acque, Arya affittò una stanza tutta per sé, il più lontano possibile da quelle dei suoi compagni di viaggio. Non riuscendo a rimanere ferma in quella piccola camera trasandata, si cambiò d’abito ed uscì.

Non temeva che qualcuno avrebbe potuto riconoscerla come Arya Stark: era passato troppo tempo e lei era troppo cambiata. Finse quindi di essere una contadinella appena arrivata dal Moat Cailin e ne approfittò per racimolare informazioni dai passanti.

“La vita è migliorata enormemente da quando Jon Snow è re” le disse un calzolaio, “sei fortunata a non aver vissuto la tirannia di quei mostri.”

“Il mio bambino era malato” raccontò una donna, “e il re si è addirittura offerto di farlo visitare dal maestro Wolkan del castello. E’ venuto a prenderlo a cavallo!” Arya era felice di sentire notizie positive riguardo al governo di Jon, ma doveva indagare anche su sua sorella. “Ho sentito dire che c’è una lady a Grande Inverno” azzardò in tono di noncuranza, “che impressione ne hai avuto?” 

La donna rifletté per qualche attimo. “Ecco, diciamo che lei non si fa vedere molto” disse in tono pensieroso, “ma da quel che ho capito è merito suo se l’esercito della Valle è sceso in battaglia contro i Bolton.” Arya era confusa: perché mai la Valle sarebbe dovuta scendere in guerra?

“Comunque potremo vedere presto il suo operato” continuò la donna raccogliendo il secchio che aveva appoggiato a terra, “il re le ha affidato il titolo mentre è via.” Arya credette di poter udire il suo cuore frantumarsi. “Perché?” chiese agitata “Il re se n’è andato?” 

La donna la fissò incuriosita. “E’ partito due giorni fa, non ho capito bene per dove…” Arya sentì la testa girarle: ancora una volta era arrivata troppo tardi.

“Ti senti bene?” le chiese preoccupata la ragazza “Sei impallidita…” Arya si sforzò di sorridere. “Sì sto bene” disse in tono convincente, “grazie mille per le spiegazioni: per me è tutto così nuovo.” La donna sorrise e si allontanò nella folla. Arya aveva la testa vuota.

“E quindi niente fratello, eh?” le chiese la voce inconfondibile di Sandor Clegane alla sua destra. Arya non aveva voglia di scherzare. “Piantala” gli disse incamminandosi verso la locanda dove alloggiavano. Il Mastino le venne dietro.

“Dai non prendertela” la incoraggiò, “hai sempre tua sorella.”

Meraviglioso. Come si permetteva Jon ad andarsene proprio ora? Forse inviare un corvo sarebbe stato davvero meglio.

In quel momento la strada fu attraversata da urla e un cavallo sfrecciò loro davanti, come incurante del ghiaccio che imprigionava le strade. Arya dovette arretrare e sentì il Mastino bestemmiare. L'uomo a cavallo portava il vessillo della Valle e dietro procedeva assai più adagio un altro purosangue con in groppa un cavaliere dai capelli scuri e la carnagione olivastra. Arya era certa di averlo già visto da qualche parte, ma non sapeva bene dove.

“Petyr Baelish” sibilò con odio Sandor e Arya d’un trattò ricordò. Si trattava del tipo che aveva raccontato a lei e Sansa la storia della cicatrice del Mastino e che non l’aveva riconosciuta ad Harrenhal. Dopo la morte di Lysa era probabile che governasse lui la Valle, facendo le veci del piccolo Robin Arryn. Che fosse lui l’alleato che aveva garantito la vittoria del Nord? Tuttavia Sandor sembrava pronto ad uccidere l’uomo seduta stante.

“Le donne dicono che Sansa è riuscita ad ottenere l’appoggio della Valle” spiegò Arya, “quindi Baelish non è un nemico.”

“Stronzate” disse il Mastino sputando a terra, “di Baelish non ci si può fidare e se tua sorella è così idiota da farlo è meglio se le ricordi cosa è successo a vostro padre…”

Arya si rabbuiò. “Cosa c’entra mio padre?”

Sandor si voltò a fissarla negli occhi. “Davvero non lo sai?” le chiese piuttosto stupito “E’ stato quel figlio di puttana a tradire Ned Stark. Io c’ero: l’ho visto. Tuo padre si aspettava il suo supporto e si è ritrovato un coltello puntato alla gola. E lo sai che cosa gli ha detto quello stronzo? Ti avevo detto di non fidarti di me. Non mi sorprenderebbe la possibilità che stia architettando qualcosa per rovesciare anche tuo fratello. A te e a tua sorella conviene tenere gli occhi aperti.”

Detto questo, Sandor si allontanò, lasciando Arya sola con la sua rabbia. Cersei Lannister, Gregor Clegane, pensò stringendo i denti, Petyr Baelish. Estrasse Ago ed iniziò a mulinarla fingendo di combattere un nemico invisibile.

Infilzali con la punta.

“Nessuno toccherà la mia famiglia” mormorò Arya con decisione, “e nessuno avrà più la possibilità di tradirla.” Decise che avrebbe tenuto d’occhio Baelish e allo stesso tempo avrebbe tentato di avvertire Sansa senza rivelarsi. L’effetto sorpresa era la sua arma più affidabile. Evidentemente nemmeno Sansa era a conoscenza di quanto avvenuto tra Baelish e loro padre, altrimenti mai avrebbe chiesto il suo aiuto in battaglia.

Ad Arya non restava altra scelta se non quella di giocare nell’ombra. Non che poi le servisse una seconda scelta, perché quando la vendetta fa sentire il suo richiamo, nessuna sfida appare troppo impegnativa. E in Arya la voglia di vendetta ruggiva più forte che mai.

 

Bran

 

Lyanna stava ridendo. Era così carina nell’abitino blu con ricami d’argento e Bran credette di rivedere Arya. Erano davvero molto simili, ma Lyanna possedeva una grazia e una delicatezza che Arya non aveva mai avuto. Bran si guardò intorno.

La sala da ballo era piuttosto affollata e la musica permeava dolcemente l’aria. In pista giovani coppie danzavano e l’atmosfera era serena. Lyanna era seduta in disparte e ascoltava le battute di un signore con una folta barba rossiccia.

“Siete molto spiritoso, lord Whent” stava dicendo con un sorriso, “non avrei mai creduto che conosceste così tante storie…”

“Oh, voi mi lusingate, lady Lyanna” si schermì lord Whent, “ma aspettate di ascoltare il racconto delle ribellioni dei Blackfyre e del mio avo che…”

“Perdonatemi, lord Whent” si intromise un giovane alto ed attraente con lunghi capelli neri, “posso rubarvi lady Lyanna per un po’?”

“Ma certo, Robert!” esclamò il lord ridendo “Chi sono io per mettermi fra due innamorati?”

Lyanna si alzò e Robert le baciò galantemente la mano. “Siete splendida, mia signora” le disse in un sussurro, “volete darmi l’onore di questo ballo?” 

Lyanna annuì. “Certo” rispose sollevando un sopracciglio, “ma quante volte ti devo dire di darmi del tu?” Robert rise e i due entrarono in pista.

Bran non poteva ancora credere ai propri occhi. Quello era Robert Baratheon, lo stesso re grasso e volgare che era venuto a Grande Inverno. “Un tempo Robert era uno dei giovani più affascinanti dei Sette Regni” raccontava sempre suo padre e ora Bran doveva ammettere che avesse ragione.

Si avvicinò alla coppia nel tentativo di ascoltare i loro discorsi. Lyanna e Robert si tenevano per mano e ballavano dondolando dolcemente.

“Danzi benissimo, Lyanna” sussurrò Robert, “quando ci sposeremo potremo finalmente riaprire il padiglione da ballo di mia madre…” 

Bran vide un’ombra calare sul volto di Lyanna. “Sarebbe magnifico” mormorò con voce forzatamente eccitata, “però vorrei poter portare anche il mio cavallo: adoro cavalcare.” 

Robert le sorrise radioso. “Naturalmente” le assicurò, “tutti i cavalli che vuoi. Potrei regalarti un purosangue meraviglioso come dono di nozze…”

“Oh, non ce n’è bisogno” lo interruppe Lyanna, “il mio Ghiaccio è il cavallo migliore del mondo.”

“Come vuoi” disse Robert leggermente deluso. Continuarono a danzare per qualche minuto, poi la musica terminò e Robert si allontanò. Rimasta sola, Lyanna si diresse verso il balcone e Bran la seguì.

Nonostante le tante decorazioni e le numerose candele aromatiche il castello di Harrenhal rimaneva una fortezza inquietante e grottesca. Lyanna si sporse ad osservare il paesaggio.

“Non pensavo di poterti trovare qui…”

Sia Lyanna che Bran si voltarono e videro Rhaegar avanzare tranquillamente. Indossava un meraviglioso mantello rosso scarlatto con ricamato il drago dei Targaryen.

“Fa piuttosto freddo” osservò il principe, “meglio se rientri…” Lyanna scoppiò a ridere. “Io sono cresciuta nel Nord” gli ricordò, “conosco il vero freddo.” 

Rhaegar le si avvicinò. “Ti piace ballare?” le chiese appoggiandosi al davanzale. Lyanna sbuffò.

“Lo detesto” ammise irritata, “ma non so perché tutti credono che debba piacermi per forza.” Assunse una posa fiera e corrucciò la fronte. “Come ballate bene, lady Lyanna!” disse imitando una voce cavernosa, “Come siete elegante, lady Lyanna! Come sapete cucire bene, lady Lyanna!” 

Sospirò, incurvando la schiena. “A volte vorrei seriamente trapassarli con una spada…” mormorò, improvvisamente pensierosa.

Rhaegar le prese la mano. “A volte bisogna fingere di essere quello che non si è” le spiegò, “per sopravvivere.” Lyanna alzò gli occhi al cielo, allontanandosi. “Sì” disse con sarcasmo, “ed immagino che a te sia successo parecchie volte, non è così?”

“Esattamente” annuì con tristezza Rhaegar e Lyanna si voltò stupita.

“Ma tu sei un principe…”

Rhaegar abbassò lo sguardo. “Già” disse malinconico, “ed ho tante responsabilità. Non ho potuto dedicarmi agli studi come avrei voluto e ho dovuto imparare a combattere.”

“E non ti piace?” chiese Lyanna sbalordita “Io darei qualsiasi cosa se mio padre mi desse il permesso di addestrarmi.”

“Non tutti sono come te” le disse sorridendo il principe, “io odio anche solo l’idea di dover uccidere una persona.”

“E se quella persona minacciasse la tua famiglia?” chiese Lyanna curiosa “Le persone che ami…” 

Rhaegar sospirò. “Allora lotterei fino alla morte” sussurrò e la scena cambiò.

Era una giornata di luce e Bran si ritrovò in un prato incolto all’ombra di grandi alberi. Lyanna e Rhaegar erano seduti in riva ad un laghetto. Dovevano essere passati diversi giorni dal loro primo incontro, perché entrambi apparivano più disinvolti e sinceri. Lyanna afferrò Rhaegar per le spalle.

“Guarda quel pesce!” urlò euforica “E’ di tutti i colori… Eccone un altro!” 

Rhaegar rideva e tentava di mantenere l’equilibrio per non cadere in acqua. “Lyanna, stai attenta” la supplicò scherzoso, “così mi bagni!” 

Lyanna fece un sorrisetto perfido. “Ah, credi di essere bagnato?” gli chiese con finto stupore “Prendi questo allora!” E lo schizzò con l’acqua gelida. 

Rhaegar lanciò un’esclamazione sorpresa. “Ma è gelida!” gridò tentando di sgrullare i vestiti zuppi. Lyanna non aveva più fiato a furia di ridere. “E’ vero che un drago non può sputare fuoco se è bagnato?” chiese tirando indietro i capelli. “Può darsi” rispose vago Rhaegar, “ma ha sempre le zanne!” E la spinse in acqua.

Questa volta fu Lyanna ad urlare. “Brutto maleducato!” lo insultò fingendosi furiosa “E’ così che si trattano le signore?” Continuarono a giocare nell’acqua come bambini e Bran si ritrovò a ridere con loro. Poi la scena cambiò di nuovo.

Stavolta era in corso un temporale. Bran sobbalzò quando un tuono lacerò il cielo e sentì qualcun’altro emettere un gridolino.

“E’ solo un tuono, Lyanna” stava dicendo Rhaegar accarezzandole i capelli. I due avevano trovato rifugio in una minuscola caverna. 

Lyanna era scossa dal tremito. “Dobbiamo tornare ad Harrenhal” disse guardando il principe negli occhi. “Se Robert scoprisse dove sono stata…”

“Dirò che ti ho trovata nel bosco durante il temporale” la rassicurò Rhaegar, “e che ti ho aiutata a tornare indietro.” Lyanna scosse la testa. “Robert non ti crederà” lo avvertì, “hai visto come reagisce ogni volta che mi guardi dopo la fine del torneo…”

“Essere principe ha i suoi vantaggi” disse Rhaegar sedendosi, “e poi Robert è pur sempre mio cugino…” 

Lyanna non sembrava molto convinta, ma si sedette accanto al principe. “Non credi che tuo padre sia preoccupato?” gli chiese tirando le ginocchia al petto. Rhaegar fece un sorriso amaro. “Mio padre?” le chiese sarcastico “Lui mi odia…” 

Lyanna strinse le labbra. “Non è possibile che sia così matto come dicono…”

“Fidati, è possibile” mormorò Rhaegar. “Non sai la leggenda? Ogni volta che nasce un Targaryen gli déi lanciano una monetina per decidere se diventerà un grande o un folle.”

“Quindi i tuoi figli potrebbero essere matti?” chiese Lyanna timidamente. “Rhaenys ed Aegon sono due bambini deliziosi” le disse Rhaegar con gli occhi lucidi, “ma spero abbiano ripreso più da loro padre che da loro nonno.”

“Semmai avessi un altro figlio” gli chiese Lyanna avvicinandosi, “e fosse femmina, la chiameresti Visenya?”

“Non avrò altri figli” le confidò con rammarico Rhaegar, “un altro parto sarebbe fatale per Elia.”

“Ma l’avresti chiamata Visenya?”

“Sì, Lyanna” le rispose finalmente il principe, “l’avrei chiamata Visenya.”

“E se fosse stato un maschio?”

“Non potrei mai avere un altro figlio maschio” disse seccamente Rhaegar e Bran si chiese cosa mai lo spingesse ad una tale affermazione. Probabilmente anche Lyanna si stava chiedendo la stessa cosa, ma preferì non indagare.

Un altro tuono scosse la terra e Lyanna si strinse al fianco di Rhaegar che l’abbracciò. Piano, senza che nemmeno se ne accorgessero, le loro bocche si incontrarono e Bran dovette voltarsi arrossendo. Tutto ciò che aveva visto confermava la sua teoria. Lyanna e Rhaegar si amavano, pensò Bran con le gocce di pioggia che gli scivolavano fra i capelli. Ma quale fu il prezzo di tale amore?

La scena mutò di nuovo e Bran si ritrovò in quello che non trovò difficoltà a riconoscere come un Parco degli Déi. Era diverso da quello curato di Grande Inverno ed appariva molto più selvaggio. Sotto le fronde dell’enorme albero-diga erano radunate poche persone. Avvicinandosi, Bran riuscì a contarne solamente quattro.

Rhaegar attendeva ai piedi dell’albero, il mantello che ondeggiava nella brezza. All’improvviso Bran comprese cosa stava succedendo e fu colto da una vertigine.

Si stanno sposando.

Lyanna avanzava splendida in un vestito semplicissimo e Bran comprese che non poteva rischiare di indossarne uno migliore: era una matrimonio segreto. Ma Rhaegar era già sposato, pensò Bran, per poi ricordarsi che la poligamia era sempre stata comune fra i Targaryen.

Lyanna dava il braccio a quello che Bran riconobbe essere ser Arthur Dayne, mentre Rhaegar era in piedi affianco a Oswell Whent, l’uomo con il sigillo del pipistrello già visto alla Torre della Gioia.

“Chi viene qui stasera al cospetto degli Antichi Déi?” chiese Oswell con voce profonda. 

Arthur Dayne si fece avanti. “Lyanna Stark” rispose voltandosi verso la fanciulla, “una ragazza nobile che viene per sposarsi.”

“Chi la chiede in sposa?”

“Rhaegar Targaryen” rispose il principe avanzando, “principe di Roccia del Drago ed erede al Trono di Spade. Chi la dà in sposa?”

“Ser Arthur Dayne, membro della Guardia Reale.”

“Lady Lyanna” proseguì ser Whent, “accetti quest’uomo come marito?” 

Lyanna non esitò neanche un istante. “Lo voglio.” 

Il cavaliere sorrise. “Allora io vi dichiaro marito e moglie davanti agli Antichi Déi!” disse alzando le braccia. 

Lyanna saltò al collo di Rhaegar e lo baciò con trasporto. “Il resto non conta” sussurrò tra lacrime di commozione, “adesso ci siamo solo noi.” Rhaegar sorrise. “Aggiusterò anche tutto il resto” le assicurò, “sarai la mia regina…”

“Rhaegar” li interruppe imbarazzato Arthur Dayne, “dovreste firmare entrambi il documento…”

“Subito” disse Rhaegar avvicinandosi e tenendo per mano la sua nuova sposa. Anche Bran li seguì, sperando di poter leggere cosa c’era scritto sul foglio che Rhaegar aveva preso in mano. Con grandi difficoltà riuscì a decifrarlo.

Da oggi fino alla fine dei tempi affermo che Lyanna di casa Stark e Rhaegar di casa Targaryen sono un’unica mente, un unico corpo, un unico cuore. Che gli Antichi Déi concedano loro molti figli e benedicano questa unione.

Poco sotto la data, era scarabocchiata la firma del testimone, Arthur Dayne, alla quale presto si aggiunsero quelle di Rhaegar e Lyanna.

“Mi raccomando, Arthur” disse Rhaegar all’amico, “conserva questo documento con attenzione. Se dovessero esserci problemi sai dove metterlo al sicuro.” 

Arthur annuì. “Devo spedirlo al mio amico della Cittadella” assentì, “lo so. Ma voi che farete? Non potete rimanere qui…” 

Rhaegar strinse le labbra. “Io e Lyanna ne abbiamo già parlato” rispose con voce grave, “fuggiremo stanotte verso Dorne. Credo di conoscere un posto sicuro dove andare. Poi io tornerò ad Approdo del Re per chiarire la questione con gli Stark e i Baratheon.”

“Allora noi verremo con voi” disse Arthur e, vedendo che Rhaegar apriva la bocca per parlare aggiunse: “No! Non provare ad obbiettare. Siamo le guardie reali e dobbiamo proteggere il futuro re e la futura regina. Andremo io, Oswell e credo anche Gerald vorrà venire...” 

Rhaegar sembrava incerto. “Sentite…”

“Non voglio sentire ragioni” disse Arthur dandogli una pacca sulle spalle, “non puoi lasciarci indietro.” 

Rhaegar rimase qualche secondo in silenzio, poi annuì. “E sia” disse per poi voltarsi verso Lyanna. “Non temere, ti prometto che andrà tutto bene…”

La scena perse consistenza lentamente e Bran tornò in sé, aprendo gli occhi nella neve gelida. Si trovò davanti Meera con le braccia incrociate.

“Bran” lo sgridò, “non devi più farlo. E’ pericoloso!”

“Non capisci” disse Bran scuotendo la testa, “ho capito tantissime cose e…”

“Sì, molto bene” tagliò corto Meera, “torniamo nella caverna: è tardi e devo ancora raccogliere la legna.”

“No!” disse Bran quasi gridando e Meera si fermò impietrita. “Devi ascoltarmi” la supplicò Bran, “devo andare alla Barriera.” 

Meera lo fissò esterrefatta. “E si può sapere perché’?” chiese con voce implorante. Bran si puntellò sui gomiti per tirarsi su.

“Ho visto Lyanna e Rhaegar sposarsi” spiegò e Meera si coprì la bocca con le mani, “e ciò quindi significa che mio fr- cugino Jon non è un bastardo.” Bran prese un bel respiro quasi come a doversi ancora convincere di quello che stava per dire.

“E’ il legittimo erede al Trono di Spade” sussurrò. “Capisci ora? Devo trovare Jon e parlargli, devo andare al Castello Nero.” 

Meera si morse il labbro. “E’ pericoloso…”

“Non più di restare qui.”

Meera annuì, seppur con reticenza. “Va bene” si arrese, “raccolgo la roba e andiamo.”

Ci vollero appena cinque minuti per raccattare i loro pochi averi e si misero subito in viaggio. Oltre gli alberi-diga la Barriera si stagliava maestosa contro il cielo plumbeo. Bran deglutì a fatica. Meera lo aiutò a raggiungere il grande portale e lo adagiò nella neve. Dalla cima della Barriera risuonò uno squillo di corno. Presto il cancello si spalancò e ne uscirono due Guardiani della Notte dall’aria sospettosa.

“E voi chi siete?” chiese il più basso dei due “Pensavamo si trattasse di ranger di ritorno.”

“Portateci al Castello Nero” disse Bran, “dobbiamo vedere Jon Snow.” I due si fissarono per qualche attimo.

“Chi sei ragazzino?” chiese il Guardiano che ancora non aveva parlato “E come fai a conoscere Jon Snow?” 

Bran decise di essere sincero, per quanto poteva. “Sono suo fratello” spiegò sentendo una fitta al cuore, “Brandon Stark di Grande Inverno.” 

Il Guardiano basso sospirò. “Meglio se ti accompagniamo da Edd” decise, “ci sono un po’ di cose che deve spiegarti…”

 

Tyrion

 

Per una volta dopo tanto tempo il sole era tornato a splendere: nessuna nube all’orizzonte, nessun vento fastidioso. Sembrava una normale giornata di fine estate.

Tyrion inspirò profondamente, cercando di godersi quella meravigliosa sensazione finché poteva. Aiutandosi con una sedia raggiunse la scrivania ed afferrò la spilla del Primo Cavaliere. Ogni volta che se l’appuntava al petto riviveva l’emozione di quando Daenerys gliel’aveva concessa. Era stato un gesto così inaspettato, soprattutto pensando che fino a due mesi prima la regina avrebbe volentieri infilzato la testa del Folletto su una picca. Tyrion tentava di non pensarci. La mia bellissima testa, si disse massaggiandosi il collo.

Quella mattina Daenerys aveva imposto a tutti quelli rimasti sull’isola di svegliarsi al sorgere del sole e Tyrion aveva obbedito piuttosto controvoglia. Daenerys gli aveva ripetuto fino alla nausea che, non sapendo l’orario esatto dell’arrivo di Jon Snow e del suo seguito, dovevano essere pronti a tutto. Per Tyrion quel ragionamento non aveva molto senso, dato che teoricamente il Re del Nord avrebbe potuto attraccare anche di notte per dare fuoco alla Roccia del Drago indisturbato, ma aveva evitato di obbiettare.

Daenerys in quei giorni era stata intrattabile e Tyrion temeva per questa nuova missione diplomatica. Perché per la regina la massima diplomazia consisteva nel far giustiziare i propri nemici dagli Immacolati invece di vederli arrostiti dai suoi draghi. Tutta la faccenda era problematica.

Tyrion aveva paura che Jon potesse in qualche modo far salire la rabbia della regina. Se dovesse finire ucciso, pensava mentre si vestiva, avremo l’intero Nord contro e niente Piogge di Castamere da cantare.Non che Tyrion volesse in qualsiasi modo replicare l’orrore delle Nozze Rosse, anzi, ma non riusciva davvero a trovare un altro mezzo che potesse arrestare la furia vendicativa del Nord. Furia del tutto giustificata, doveva ammettere, considerando quanti Stark sono morti in questi anni.

Il Nord non avrebbe tollerato un’altra vittima e Daenerys non poteva permettersi di sbagliare. Tyrion la voleva aiutare, ma si era reso conto che da qualche tempo la regina non prendeva più molto sul serio i suoi consigli. Inviare l’esercito nell’Altopiano è stata una follia, pensò il nano infilandosi la camicia. Adesso se Euron ci attaccasse non potremmo difenderci.

Ormai era chiaro che Daenerys puntasse tutto sul potere distruttivo dei suoi draghi, ma Tyrion sapeva che non era sufficiente. Poteva ottenere ottimi risultati riducendo in cenere le flotte, ma a terra lo scontro diventava complicato. E poi, come raccontavano le storie della conquista di Aegon Targaryen, in caso di nebbia o fumo i draghi non sarebbero riusciti a volare. Era da matti anche sperare che Jon Snow avrebbe portato più di cento uomini in viaggio, uomini che tra l’altro non era sicuro sarebbero stati messi al servizio di Daenerys. In pratica siamo nella merda, concluse Tyrion allacciandosi le scarpe. Finalmente era pronto.

Con la regina e gli altri aveva appuntamento nella sala del trono e, con la sua solita andatura ciondolante, vi si recò perdendosi un paio di volte durante il percorso. Fece il suo ingresso che gli altri erano già tutti dentro e se ne vergognò.

“Ehm” tentò di scusarsi, “non trovavo le mutande…”

“Già” ribatté ironica Obara Sand, “e io non trovavo la mia lancia. Ah no, aspetta: me l’hai portata via!” Tyrion incassò senza commentare. Quella psicopatica ce l’aveva ancora con lui: era meglio ricordarsi di sbarrare la porta per la notte.

“Allora” esordì il Folletto battendo le mani, “ci sono novità?” 

Varys si fece avanti. “Nessuna novità in particolare” disse incrociando le mani dietro la schiena, “ma le vedette dicono di aver avvistato il possibile rogo di una nave nella notte.”

“E questo cosa significa?” chiese Daenerys vagamente allarmata. “Non significa nulla per ora, vostra grazia” proseguì con calma Varys, “possiamo solo aspettare.”

“Credete che quella” si intromise Missandei, “fosse la sua nave?” Tyrion non voleva neanche pensarci. Se è successo qualcosa a Jon Snow mentre era in viaggio verso di noi, pensò inspirando profondamente, tanto vale scavarci già la fossa.

Daenerys evidentemente non afferrava la gravità dell’ipotesi. “Non è detto che fosse una nave” disse con noncuranza, “i miei draghi spesso colpiscono uccelli mentre volano sul mare, è possibile che le vedette abbiano visto solo una fiammata.” Tyrion si trattenne dal sottolineare che c’è differenza fra una nave che brucia e un piccione carbonizzato.

“Non dobbiamo saltare a conclusioni affrettate” disse camminando in cerchio, “atteniamoci al piano…” Poi si accorse di un piccolo dettaglio. "A proposito” disse muovendo l’indice, “qual è il piano?”

A quel punto Verme Grigio fece un passo avanti con l’aria di chi adesso metteva le cose a posto senza scomporsi e soprattutto senza sorridere manco sotto minaccia di tortura. “Noi Immacolati proteggeremo il castello” disse con il suo solito tono grave, “per evitare attacchi o imboscate. I Dothraki, i dorniani e Obara pattuglieranno la spiaggia. La regina, Missandei e Varys attenderanno nella sala del trono, mentre tu andrai incontro a Jon Snow.”

Tyrion spalancò la bocca esterrefatto. “E perché io?” chiese ripensando al disastroso incontro con Oberyn Martell. “Tu lo conosci” gli spiegò Daenerys, “puoi accoglierlo e dirgli che abbiamo intenzioni pacifiche.”

Già, pensò amareggiato Tyrion, come quella di bruciare il Nord se non dovesse accettare un’alleanza, o quella di uccidere i suoi uomini per lo stesso motivo. Tuttavia annuì. “Conta pure su di me.” Aveva intenzione di spiegare a Jon in modo schietto e perfino brutale le regole del gioco in cui si era cacciato.

In quel momento fece irruzione un guerriero dothraki dall’aria piuttosto agitata. Scambiò qualche battuta con Daenerys nella sua lingua incomprensibile in seguito alle quali la regina si alzò in piedi di scatto.

“Che è successo?” chiese Tyrion preoccupato.

“Dice che Brienne è riuscita a fuggire” disse Daenerys visibilmente alterata, “come è potuto succedere?”

“E ser Davos?” chiese Varys chinando leggermente il capo.

“No, lui è rimasto” rispose Daenerys dirigendosi verso la porta. “Verme Grigio, vieni dobbiamo andare a interrogarlo. Voi altri attenetevi al piano. Quando la nave attracca suonate il corno della spiaggia.” Dopo che la regina e il capo degli Immacolati furono usciti, Tyrion iniziò a guardarsi le punte dei piedi per sfuggire a quella situazione imbarazzante. “Bene” azzardò muovendosi verso la porta, “credo proprio che andrò in spiaggia…”

“Non così in fretta, nano” lo bloccò Obara, “prima ridammi la mia lancia.” 

Tyrion si dovette trattenere dall’alzare gli occhi al cielo. “Ma quante volte te lo devo dire?!” esplose gesticolando “Non ho idea di dove la regina l’abbia messa!”

“Ma alle mie sorelle le avete ridato le armi” osservò con odio Obara.

“Ovvio” rispose Tyrion aprendo la porta, “loro sono andate in guerra. Adesso se mi vuoi scusare…”

Con un piccolo cenno di saluto indirizzato a Varys, scomparve per le scale. Osò tirare un sospiro di sollievo solo quando la sabbia della spiaggia gli si cominciò ad appicciare alle scarpe. Senza fretta si incamminò verso il porto, sperando che in qualche modo Jon capisse dove avrebbe dovuto attraccare. Giunto ad un molo libero si sedette sugli ormeggi e tirò un sospiro. Non restava altro che attendere.

Stranamente si ritrovò a pensare alla sua famiglia, evento che non capitava da molti mesi. Pensò al piccolo Tommen, così dolce ed innocente, ed immaginò cosa avesse potuto provare mentre si gettava da una finestra di Approdo del Re. Pensò alla delicatezza di Myrcella, con i suoi meravigliosi boccoli dorati, e al mistero della sua morte. Gli avevano detto solamente che era stata uccisa, ma Tyrion non aveva mai avuto il coraggio di chiedere da chi. Aveva paura che la risposta l’avrebbe sconvolto. Poi pensò a Cersei e alla sua determinazione; così malvagia e così ammirevole allo stesso tempo. Lei alla fine regina lo era diventata per davvero, seppure si sperasse che il suo regno avrebbe visto presto il tramonto. Pensò anche a Jaime ed all’abbraccio in quella cella maleodorante. Sentiva la sua mancanza, almeno un pochino.

E poi pensò a suo padre e allo sguardo che gli aveva lanciato prima che Tyrion scoccasse il secondo dardo. Non sei affatto mio figlio aveva detto, ma ormai quelle parole non potevano più ferire Tyrion. Nonostante Tywin Lannister gli avesse reso l’esistenza un inferno, il figlio nano e non voluto lo ammirava ancora. Non certo per le sue doti da genitore, bensì per la forza che sembrava emanare la sua persona. E in questo Tyrion non avrebbe mai potuto eguagliarlo.

Le sue riflessioni furono interrotte dalla comparsa nel suo campo visivo di quella che poteva essere una nave. Aguzzando lo sguardo, Tyrion ne ebbe la conferma. Correndo alla massima velocità consentita dalle sue gambe storte, raggiunse un Dothraki di ronda poco lontano.

“Ehm” disse affannato, “devi suonare il corno.” Poi si rese conto che il suo interlocutore non aveva la minima idea di quello che gli stava dicendo. Così Tyrion cercò di aiutarsi con i gesti e finalmente l’uomo borbottò qualcosa nella sua lingua e si allontanò correndo. Poco dopo sull’isola si propagò il suono vibrante del corno. Almeno Daenerys avrebbe avuto il tempo di prepararsi.

La nave era sempre più vicina e Tyrion sentiva crescere il nervosismo. Si sentiva maledettamente fuori luogo, ma allo stesso tempo sapeva che entrambi i sovrani che si apprestavano a decidere le sorti dei Sette Regni avevano bisogno del suo aiuto.

Via via che l’imbarcazione si avvicinava, Tyrion capì che qualcosa non andava. Le vele in molti punti erano a brandelli ed il legno era attraversato da colpi d’ascia e spada. Sembra sia stata attaccata, pensò Tyrion rabbrividendo. Nessuno sarebbe così pazzo da affrontare un viaggio del genere con una barca ridotta così male. Finalmente la nave attraccò e Tyrion venne avanti cercando di mascherare l’agitazione.

Il primo a scendere fu un ragazzino dai capelli neri che si guardava intorno guardingo. Tyrion ebbe la sensazione di averlo già visto. Poi scese Jon Snow.

La prima impressione di Tyrion fu di completo stupore. Se si era immaginato una copia cresciuta del ragazzino che aveva lasciato alla Barriera, si era completamente sbagliato. Nell’uomo che aveva davanti non era rimasto nulla del giovane ingenuo e appassionato di un tempo. Il suo volto era segnato dalle cicatrici e il suo corpo era diventato più solido e possente. Ma la cosa che colpì maggiormente Tyrion furono i suoi occhi. In essi era visibile una sofferenza che andava oltre la capacità d’immaginazione degli esseri umani, ma anche il fuoco determinato di chi ha visto il dolore e non vuole che altri lo sperimentino.

Rimasero per qualche secondo fermi a fissarsi. Poi Tyrion ebbe il coraggio di avanzare e porgere la mano. Jon esitò solo un momento prima di stringerla. “Tyrion Lannister” lo salutò con voce indecifrabile, “sono anni che non ci si vede.”

“Già” assentì Tyrion lisciandosi inutilmente la barba ispida, “vedo che ne hai fatta di strada, da semplice recluta dei Guardiani della Notte a Re del Nord.” 

Jon non si scompose. “Posso dire la stessa cosa di te a quanto pare” osservò sorridendo, “passare da essere un bastardo agli occhi di tuo padre a essere nominato Primo Cavaliere della Regina non deve essere stato facile.”

E’ bastato uccidere mio padre.

“Hai proprio ragione” disse ridendo, “ma ora dimmi: cos’è successo alla nave? E questo ragazzo è la tua unica scorta?” Jon si rabbuiò e Tyrion temette di aver chiesto la cosa sbagliata.

“Siamo stati attaccati” rispose Jon senza tentare di mascherare l’amarezza, “e la nave è quasi bruciata. E’ un miracolo che sia arrivata fin qui. Ero partito da Grande Inverno con venti uomini” fece una pausa abbassando lo sguardo, “e Gendry è l’unico sopravvissuto…” Tyrion osservò di nuovo il ragazzino: non appariva eccessivamente provato dall’esperienza.

“Lui è Gendry Waters” lo presentò Jon, “ha lavorato come apprendista fabbro ad Approdo del Re, è probabile che tu l’abbia incontrato almeno una volta.”

“Piacere di conoscerti, Gendry” lo salutò Tyrion per poi tornare a rivolgersi a Jon. “Sai chi vi ha attaccato?”

Jon annuì. “Gli Uomini di Ferro” rispose, “dovevano averci spiato per giorni: sapevano esattamente quanti eravamo e non hanno attaccato con un numero eccessivo di uomini: solo quelli necessari per abbattere una ventina di soldati. Dicevano di agire per ordine di Euron Greyjoy.”

Tyrion strinse i denti. “Sì, è il nuovo re delle Isole di Ferro… Si è alleato con Cersei e da quel che sappiamo sta compiendo scorrerie lungo le coste del Nord. Ma tu come hai fatto a sopravvivere?”

Jon sospirò passandosi una mano tra i capelli. “Quei soldati avevano l’ordine di uccidere tutti sulla nave” disse a bassa voce, “eccetto me. Avrebbero dovuto portarmi dal loro re, non so bene neanche perché. E ce l’avrebbero fatta se non fosse stato per quel drago…” 

Tyrion credette di sentire il suo cuore fermarsi per un secondo. Drago?

“E’ comparso dal nulla” raccontò Jon con trasporto, “e mi ha permesso di fuggire sulla mia nave dove fortunatamente ho trovato Gendry ancora vivo.”

“Sei sicuro che si trattasse di un drago?” chiese Tyrion scettico “E non magari di qualche uccello di grandi dimensioni?”

Jon sollevò un sopracciglio. “Credimi, Tyrion, solo i draghi sputano fuoco.”

Tyrion era, se possibile, ancora più frastornato. “Ha sputato fuoco?” chiese con un filo di voce. Com’era potuto succedere? I draghi di Daenerys non avevano mai attaccato le navi senza l’ordine specifico della loro madre, perché mai uno di loro avrebbe dovuto aiutare Jon?

“Sì” annuì Jon, “io gli ho detto di sputare fuoco e lui l’ha fatto. L’intera nave è bruciata.” 

Quella situazione era assurda.

“Tu parli alto valyriano?” chiese Tyrion ricordando la parola valyriana che Daenerys utilizzava per ordinare ai draghi di far fuoco.

“No, cosa c’entra questo?”

Tyrion scosse la testa. “Lascia perdere” disse incredulo, “ma dimmi almeno di che colore era il drago…”

“Verde” rispose subito Jon, “verde smeraldo.”

“Rhaegal…”

“Rhaegal?”

“Il nome del drago che hai visto” rispose Tyrion, “come avrai certamente intuito si tratta di uno dei draghi della regina.” Tyrion si passò una mano sul volto respirando profondamente: e ora chi lo spiegava a Daenerys che la lealtà di uno dei suoi draghi era piuttosto flessibile? 

Cercando di salvare le apparenze, Tyrion sorrise. “Bene” disse in tono solenne, “parleremo dopo di questi eventi. Ora è tempo per te di incontrare la regina…” Non gli sfuggì l’improvviso pallore sul viso di Jon e provò compassione. Mentre si avviavano verso il castello, gli diede un colpetto rassicurante sulla schiena. Non temere, pensò amareggiato, non è Daenerys in sé ad essere folle, sono le sue ambizioni a renderla implacabile.

E così si incamminarono lungo un sentiero che appariva ad entrambi senza ritorno.  

 

 

 "Alcuni dicono che al destino non si comanda, che il destino non è una cosa nostra. Ma io so che non è così: il nostro destino vive con noi."

 


N.D.A.


Bentornati a tutti! Inizio col dire che sono particolarmente affezionata a questo capitolo in quanto il pov di Jon, ancora oggi, resta uno dei miei preferiti in assoluto ^_^ e ritengo che sia il primo punto di svolta con anche il primo combattimento (non so se si possa definire battaglia, forse più che altro un attacco)....
Premetto dicendo che non sono assolutamente un'esperta di tecniche di guerra o di combattimento al di fuori di ciò che i libri e la serie mostrano, quindi vi prego di essere clementi perchè qui, proprio come nelle future battaglie, ce l'ho messa davvero tutta per rendere la situazione originale e mai uguale. Probabilmente non è precisa da un punto di vista tecnico, però spero chiuderete un occhio XD 

Prima che me lo chiedate vi dico subito che Gendry spiegherà più avanti il motivo per cui si trovava a Porto Bianco e non ad Approdo del Re come aveva suggerito Davos, quindi non preoccupatevi. Inoltre alcuni di voi potrebbero chiedersi come mai abbia rivelato la sua identità solo alla fine e questo è perchè non sapeva che effettivamente il Re del Nord era Jon, ha sentito per la prima volta il suo nome durante il combattimento quando è entrato in scena Heryet e ha ricordato le storie che sono sicura Arya gli ha raccontato. 
Un'altra precisazione che mi sento in dovere di fare (altrimente Azaliv mi strangola XD) riguarda la visione di Rhaegar e Lyanna. Le prime scene hanno luogo subito dopo il grande torneo, mentre il matrimonio ha luogo l'anno successivo, quando i due si rivedono in circostanze ancora da chiarire ad Harrenhal. Io ho seguito la teoria secondo cui si erano sposati sull'Isola dei Volti, anche se la settima stagione ha poi smentito mostrandoci un matrimonio a Dorne e davanti ai Sette Déi. Ho comunque preferito non cambiarlo perchè ritengo che sull'Isola dei Volti sia molto più poetico :-) 
Ah e sì, Jon ha comandato Rhaegal senza parlare in valyriano XD XD 

Spero il capitolo vi sia piaciuto e fatemi sapere che ne pensate! Che ne dite del piano di Arya? Lo approvate o pensate stia sbagliando tutto? E soprattutto cosa accadrà ora? 
Prossimo capitolo ci sarà finalmente l'incontro atteso da tutte le Jonerys ;-) 

Come al solito ringrazio tutti quelli che hanno lasciato una recensione e posso dirvi che ancora, dopo più due mesi, ancora l'effetto è lo stesso di quando le leggevo per la prima volta. In ordine ringrazio: giona, NightLion, __Starlight__, Spettro94 ( ti prometto che torno subito a Occhi di stelle O.O, ho avuto molto da fare ma mi farò perdonare) e leila91, che ringrazio ancora tantissimo per la splendida sorpresa...
Tuttavia questo capitolo lo dedico ad Azaliv87, sperando non mi sia morta alla comparsa di Rhaegal o dopo alle scene di Rhaegar e Lyanna XD XD XD 

Fatemi sapere e alla prossima! 

PS: anche stavolta la citazione viene da un film Diseny (Pixar), ossia Ribelle-The Brave... Interpretazione liberissima :-)

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Search of power ***


Search of power




Daenerys

 

Daenerys sbuffò. “Te lo chiedo per l’ultima volta” stava dicendo Verme Grigio con un cipiglio minaccioso, “come ha fatto Brienne di Tarth a fuggire?”

Erano nella stanza in cui erano stati rinchiusi Davos e Brienne e stavano cercando di ottenere informazioni dal Cavaliere delle Cipolle, che tuttavia si ostinava a raccontare un’evidente menzogna.

“Ve l’ho già spiegato” stava dicendo Davos spostando lo sguardo da Daenerys a Verme Grigio, “non ne ho idea. Stamattina mi sono svegliato e non c’era più.”

“Ti ha tradito quindi?” chiese Daenerys alzando gli occhi al cielo.

“Sì” rispose Davos con un’espressione non del tutto convincente.

Pur rifiutandosi anche solo di considerare la tortura come mezzo per ottenere risposte, Daenerys aveva un disperato bisogno di ottenere la verità. Jon Snow sta arrivando, pensò stringendo le labbra. Come gli spiegherò l’accaduto? Potrebbe arrivare a credere che l’abbia fatta uccidere… Optò per una velata minaccia.

“Molto bene” disse in tono solenne avviandosi verso l’uscita, “ma ti avverto ser Davos Seaworth, questa storiella non scagiona né te né il tuo re…”

“Cosa c’entra Jon?” la interruppe Davos aggressivo “E’ questo il tuo senso di giustizia vostra grazia? Accusare di reati persone neanche presenti?”

“Ti faccio notare” disse tranquillamente Dany, “che Jon Snow potrebbe aver benissimo aiutato Brienne a fuggire durante la notte arrivando sull’isola di nascosto e fuggendo. Non posso fidarmi di nessuno.” Daenerys sapeva che il suo argomento non reggeva, ma sperava che la paura di aver messo nei guai il suo re spingesse Davos a confessare.

Invece il cavaliere era più furioso che mai. “E’ assurdo!” urlò alzandosi “Così si trattano i futuri alleati, sbattendoli in cella ed incolpandoli senza prove? Jon sta venendo qui solamente perché l’hai minacciato…”

Daenerys aprì la bocca per ribattere, ma Davos la interruppe subito. “So che è così” sibilò con la voce che grondava odio. “Jon è quasi morto per riconquistare Grande Inverno: è la sua casa, non l’avrebbe mai lasciata se non avesse pensato che il suo popolo fosse in pericolo. Sai cosa vuol dire combattere per un ideale, vostra grazia? Sai cosa significa essere costretto a fare la cosa giusta anche se ciò può comportare la tua morte o quella delle persone che ami? Questo castello era casa mia: Stannis era il mio faro, ma era troppo egoista e alla fine ha pagato con la vita la sua presunzione. Potrai avere mille draghi dalla tua parte, ma non riuscirai mai a costruire i legami che Jon ha instaurato nel Nord. Non sarai mai una regina amata dal popolo.”

Aveva pronunciato questo discorso con voce sferzante e Daenerys era rimasta impietrita, paralizzata da una simile manifestazione di rancore. Finse di non essere stata toccata minimamente da quelle parole.

“Se è tutto ser Davos” disse uscendo, “Verme Grigio rimarrà qui ad evitare altre fughe indesiderate. Vedremo cosa dirà Jon Snow del tuo tentativo di ostacolare una fruttuosa alleanza.” E chiuse la porta.

In quel momento il corno suonò e Dany fu colta da un momento di panico. Tutt’un tratto non credeva di essere in grado di fronteggiare questo Re del Nord. Era riuscita a sconfiggere Dothraki, schiavisti ed oratori, ma le parole di Davos le avevano avvelenato l’anima con il dubbio.

E se non avessi avuto i miei draghi? si chiese avviandosi verso la sala del trono Sarei riuscita a fare quello che ho fatto? Avrei ottenuto quello che ho ottenuto? La risposta era chiara davanti ai suo occhi, ma si rifiutava di vederla. La missione di portare la pace nelle città di schiavisti era riuscita solo in parte e si era sfiorata la guerra civile. Daenerys si rese conto che, se ad Essos era stata considerata una liberatrice, a Westeros veniva vista come una conquistatrice straniera.

Il popolo non mi ama come speravo, realizzò torcendosi le mani, non sapeva nemmeno chi fossi. Una vocina cattiva continuava a sussurrarle all’orecchio. Se perdessi i draghi, pensò disperata, perderei tutto.

Davos l’aveva paragonata a Stannis: davvero la considerava egoista? Forse la mossa di rinchiudere Brienne e Davos poteva non essere sembrata molto pacifica, ma alla fine erano arrivati sull’isola di nascosto come spie. E’ vero, pensò salendo le scale, la mia forza sono i draghi, ma io dimostrerò quanto valgo.

Arrivò addirittura a convincersi del fatto che forse Jon Snow avrebbe potuto insegnarle come farsi amare. Se le parole di Davos erano sincere, Daenerys dovette ammettere di invidiare profondamente il Re del Nord. Lui era cresciuto in quelle terre e ne conosceva le genti: sapeva cosa fare. Tutto ciò la incuriosiva e aumentava il desiderio di incontrarlo. Devo mostrarmi sicura, pensò sedendosi sul trono, ma allo stesso tempo disponibile e giusta.

L’unica cosa su cui non voleva assolutamente cedere era il suo ruolo. Lei era la legittima regina dei Sette Regni e non avrebbe riconosciuto altro sovrano. Capirà, si disse Daenerys convinta, e mi riconoscerà come sua regina. Ed io gli permetterò di mantenere il suo titolo di lord di Grande Inverno.

Era decisa a ricorrere alla strategia matrimoniale solo in caso di eccessiva ostinazione da parte di Jon Snow, ma era sicura che per il bene della sua gente sarebbe capitolato in fretta. Daenerys avrebbe fatto in modo che ciò avvenisse, anche se avesse significato dover ricorrere a minacce. Tanto non ho davvero intenzione di metterle in atto, si disse annuendo. E’ il meglio per il Reame: ha bisogno di un unico potere centrale.

L’attesa fu di breve durata perché presto sentì dei passi provenire dalle scale. Cambiò posizione sul trono e raddrizzò la schiena, tentando di apparire sicura di sé. E’ solo una conversazione, tentò di rassicurarsi. Solo una sciocca conversazione. Peccato che da quella sciocca conversazione dipendesse probabilmente l’esito di una guerra.

La maniglia si abbassò e la porta fu spalancata con un cigolio. Daenerys si sporse leggermente in avanti per osservare la figura che avanzava alle spalle di Tyrion. Avevano ragione, pensò posando le mani sui braccioli, avrà la mia età…

Jon Snow aveva i capelli neri e ricci legati all’indietro e appena un accenno di barba. Gli occhi, sicuramente scuri, la stavano squadrando con la stessa intensità con cui Daenerys era certa stesse scrutando lui. Jon indossava l’armatura e sul pettorale erano incisi a rilievo due piccoli lupi. Alla cintura portava una spada dall’impugnatura bianca.

Per qualche imbarazzante momento nessuno nella stanza osò fiatare, poi Tyrion venne avanti. “Vostra grazia” disse con voce solenne, “ti presento Jon Snow di Grande Inverno, ex Lord Comandante dei Guardiani della Notte ed appena eletto Re del Nord, chiamato… eh… com’è che ti chiamano, Jon?”

“Lupo Bianco” rispose il ragazzo, “ma non è importante.” Daenerys non percepì alcuna sfumatura di superbia nella sua voce e ne rimase colpita.

“Jon” proseguì Tyrion accennando alla regina, “sei davanti a Daenerys Nata dalla Tempesta Targaryen prima del suo nome, Madre dei Draghi… ehm…”

“La Non-Bruciata” si intromise Missandei, “Distruttrice di Catene, Khaleesi del Grande Mare d’Erba, Regina di Meeren e legittima sovrana degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini e Protettrice del Reame.”

“Sì, ecco questo” concluse Tyrion con un sorriso, “sono un po’ di nomi da ricordare…” Jon rise. “Lei è Missandei” la presentò Tyrion, “e lui è Varys, un tempo capo delle spie di Approdo del Re.” Jon strinse le mani ad entrambi e poi tornò al suo posto davanti alla regina.

Daenerys decise che era il momento di prendere in mano la situazione. “Missandei, Varys” ordinò, “lasciateci soli per favore. Tyrion, tu rimani.” Appena l’eunuco e Missandei si furono allontanati, Daenerys tornò a guardare Jon.

“Benvenuto alla Roccia del Drago” lo salutò cercando di mascherare il proprio nervosismo.

Jon chinò appena la testa. “E’ un onore fare la tua conoscenza” disse sorridendo. “Non so se lo sai, ma un tuo zio, Aemon Targaryen, era il maestro del Castello Nero. Mi ha parlato di te e dei tuoi draghi.”

“Non sapevo esistessero altri Targaryen ancora in vita” esclamò Daenerys contenendo a stento l’eccitazione, “mi piacerebbe conoscerlo.”

Il sorriso di Jon si spense. “E’ morto” disse abbassando lo sguardo, “era molto anziano…” Daenerys dovette imporsi di non mostrare la propria delusione: per un attimo si era illusa di poter avere una famiglia. “Mi dispiace” disse solamente. Il silenzio calò di nuovo.

“Credo che tu sappia perché sono qui” disse d’un tratto Jon, “non vorrei apparire affrettato ma vorrei che Brienne e Davos fossero rilasciati subito: è stata colpa mia se sono venuti fin qui.”

Daenerys strinse le labbra preparandosi ad una battaglia verbale. “Ci sono questioni più importanti di cui dobbiamo discutere” disse stringendo i braccioli, “e ti posso dare la mia parola d’onore che sono stati trattati come i miei ospiti migliori.”

Jon dovette arrendersi, perché rimase zitto qualche secondo. “D’accordo” assentì infine, “desidero almeno sapere cosa ti ha portato a minacciare la mia gente…”

Daenerys aveva la risposta pronta e non esitò. “Nella prima lettera avevo proposto un’alleanza pacifica” gli ricordò, “ma tu l’hai ignorata.”

“Non mi è mai arrivata” spiegò Jon, “durante l’Inverno è normale che i corvi si perdano nelle tempeste…”

Dany rimase spiazzata da quella possibilità così ovvia che non aveva mai considerato. Vedendola in difficoltà, intervenne Tyrion. “Jon, la regina ha esagerato in quella lettera” disse con gentilezza, “era solo arrabbiata per la tua mancata risposta, non aveva davvero intenzione di attaccare il Nord.”

“Ma ha preso prigionieri i miei uomini e mi ha di fatto obbligato a venire qui.”

“E’ vero” intervenne tranquilla Daenerys, “ma l’ho fatto affinché entrambi possiamo beneficiare di un accordo che…”

“So che cosa vuoi chiedermi” la interruppe Jon senza curarsi di mancare di rispetto, “di mettere il mio esercito a disposizione per la tua guerra. La mia risposta è no.”

Daenerys sentì crescere la rabbia: come si permetteva a parlarle con quel tono? Si obbligò a rimanere calma. “Ascoltami” gli disse chiudendo per un attimo gli occhi, “abbiamo dei nemici comuni e nessuno di noi due può sperare di vincerli da solo.”

“Ma solo uno di noi due desidera farlo” osservò Jon tagliente, “il Nord non otterrebbe alcun beneficio dalla sconfitta di Cersei piuttosto che dalla tua.”

“Stiamo parlando della famiglia che ha causato la morte di molti di voi Stark” disse Daenerys a voce alta, “non desideri vendicarli?”

“Naturalmente” rispose Jon, “ma ci sono momenti in cui la vendetta deve essere messa da parte.”

Daenerys non riusciva a capire la sua ridicola testardaggine: perché si rifiutava di collaborare? “Cersei sta facendo soffrire il mio popolo” disse tentando un’altra tattica, “ed ho bisogno del tuo aiuto per porre fine ai suoi soprusi.”

“Ti capisco” replicò Jon con cortesia, “ma il mio popolo in questo momento non è in grado di supportare nessuno.”

“E perché?” chiese Dany quasi alzando gli occhi al cielo.

“Perché dobbiamo far fronte ad altri nemici” rispose vago Jon, “ed era solo per questo che avevo inviato Davos e Brienne alla Roccia del Drago.”

“E quali sarebbero questi nemici?” chiese Daenerys ironica.

Jon sembrò sul punto di rifiutarsi di rispondere. “Gli Estranei” disse infine. Tyrion fischiò e Daenerys riportò alla mente le favole che Viserys le leggeva quando era piccola.

“Gli Estranei sono leggende” disse Tyrion, “non esistono.”

“Purtroppo devo darti torto” disse Jon guardando Dany negli occhi, “io li ho combattuti oltre la Barriera e non potete immaginare il loro esercito di non-morti quanto era…”

“Non-morti?” chiese Daenerys scoppiando a ridere “E magari c’erano anche i giganti…” Jon la fissò con disprezzo e per un attimo Dany si sentì in soggezione.

“Senti” le disse lui parlando con la voce di chi trattiene a stento la rabbia, “ti parlerò con franchezza e poi tu potrai scegliere se giustiziarmi, o farmi bruciare vivo dai tuoi draghi o che so io… Gli Estranei sono veri e stanno marciando sulla Barriera. Il loro esercito è immenso e se la Barriera crollasse…”

“La Barriera non può crollare…” intervenne Tyrion.

“E’ fatta di ghiaccio” lo interruppe Jon, “ti assicuro che se esposta ad un attacco troppo intenso potrebbe crollare. Io ho l’intero Nord da proteggere, perché quando i morti arriveranno saremo i primi ad essere attaccati. Nonostante tutto sono venuto fin qui, sperando di trovare qualcosa di più di un’altra regina tutta titoli e pretese. Non fraintendermi, vorrei poterti aiutare a strappare il Trono di Spade a Cersei, davvero, ma non posso. Non è la nostra battaglia e non posso permettermi di perdere un singolo uomo inutilmente.”

Quando Jon si interruppe nella sala calò un silenzio irreale. Daenerys non sapeva bene che sentimenti dover provare, se rabbia per l’affronto subìto o ammirazione per il coraggio dimostrato da Jon Snow. Alla fine prevalse la rabbia.

“Hai ragione” disse piano Tyrion, “dovresti proteggere la tua gente, ma pensa alle migliaia di vite che sono in pericolo in questo momento. Perché condannarle ad una guerra lunga ed inutile? Tu controlli le forze del Nord, delle Terre dei Fiumi e della Valle, Jon, il tuo supporto ci permetterebbe di vincere in tempi brevi.”

Prima che Jon potesse replicare Daenerys parlò. “Le tue parole sono dure” disse sollevando un sopracciglio, “ma nascondono la verità. Dimmi però, cosa credi succederà quando avrò sconfitto Cersei e mi sarò seduta sul Trono di Spade? Quando dovrò riunificare il mio regno senza tollerare ammutinamenti? Come potrai difendere il Nord allora?”

Jon strinse gli occhi. “E’ una minaccia?”

“Dipende” rispose Daenerys alzandosi, “da quello che scegli. Non ho intenzione di concedere al Nord l’indipendenza e tu non sei in grado di difenderla. Non sarebbe meglio rinunciare in partenza e garantire il tuo supporto alla tua regina? Resterai lord di Grande Inverno ed io non mi intrometterò mai più negli affari del Nord…” Vide Tyrion darsi una manata in fronte, ma non se ne curò: avrebbe raggiunto il suo obbiettivo a qualsiasi costo, anche se fossero state necessarie cento minacce. Era per il bene del suo popolo.

Jon scosse la testa. “Tu non sei la mia regina” disse tranquillamente.

Daenerys avanzò, decisa a giocarsi il tutto per tutto. “Ma certo che no” continuò, “eppure forse dopo che i miei draghi avranno distrutto qualche territorio qua e là cambierai idea…”

“Daenerys!” esclamò Tyrion visibilmente esterrefatto “Ma cosa stai dicendo?! Con le terre bruciate non si ottiene nulla. Jon, non...”

“Forse qualcosa sì” lo interruppe Daenerys odiandosi per quelle parole necessarie, “si ottiene la fedeltà di chi è rimasto nelle terre intatte.”

“Non posso crederci” mormorò Jon fremendo di rabbia, “parli di uccidere senza motivo e di distruggere i possedimenti di chi non accetta di seguirti. Di chi vuole solamente proteggere la sua gente dalla guerra perché ne ha vissuta già troppa. Non ho paura di te, non ho paura del tuo esercito, non ho paura dei tuoi draghi e l’unico motivo che mi ha spinto a venire qui è stata la speranza di trovare un’alleata per la vera guerra, che non è per un Trono o per il potere, ma è per la vita. Adesso vedo quanto mi ero sbagliato. Voi Targaryen siete tutti uguali: mai avete portato benefici al Nord, solo distruzione.” Detto questo, Jon si voltò furente.

“Dove credi di andare?” gli chiese freddamente Daenerys non riuscendo più a controllare l’ira “Il nostro colloquio non è finito…”

“Daenerys, smettila ti prego!” la supplicò Tyrion “Non sei più tu…” Dany lo ignorò e batté le mani. Nella stanza entrarono quattro guerrieri dothraki.

“Scortereste Jon nella sua stanza per favore?” ordinò la regina, traducendo subito la frase. “Continueremo la nostra conversazione domani…”

Quando i Dothraki si avvicinarono, Jon sguainò la spada. Daenerys rimase di sasso: si era dimenticata che i suoi guerrieri erano stati disarmati.  Avrei dovuto far disarmare anche lui, si maledisse.

“STATE INDIETRO” stava urlando Jon, “oppure vi uccido! Adesso io, il mio scudiero, Davos e Brienne ce ne andremo da quest’isola e…”

In quel momento un suono stridente scosse le pareti ed il palazzo tremò. Dopo un attimo di esitazione Jon corse verso il balcone. Daenerys lo seguì, come destandosi da uno stato di trance. Dovette aggrapparsi ad una colonna per non cadere a terra per la sorpresa.

Jon aveva lasciato cadere la spada e, sorridendo, protendeva la mano verso il drago, che aveva avvolto la coda a spirale come a volerlo proteggere. Quando i Dothraki si avvicinarono, il drago ringhiò forte mostrando le zanne acuminate.

Daenerys si sentiva svuotata. “Rhaegal…” riuscì a sussurrare solamente, ma il drago non la degnò di uno sguardo.


Sansa

 

Grande Inverno quasi scompariva sotto la neve che l’ammantava e solo le sue torri svettavano nel cielo eternamente minaccioso. Sansa aveva smesso di preoccuparsi per il tempo: se la tempesta doveva arrivare nessuno poteva impedirlo. E poi aveva così tante responsabilità da non desiderare altre angosce. Oltre all’amministrazione del castello, che non veniva mai lasciato nelle mani dei servi di cui Sansa non si fidava completamente, doveva anche farsi carico di tutti i doveri che erano stati di Jon.

La mattina si alzava all’alba e, nel vento gelido, aiutava le donne a dare da mangiare agli animali e a lavare i pavimenti delle sale più importanti che avrebbero ospitato i lord. Doveva anche sorvegliare l’approvvigionamento di cibo dalle campagne e procedere allo smistamento delle verdure dai cereali. La frutta era ormai un ricordo lontano. Aiutava anche le cucitrici a confezionare abiti che fossero rozzi, ma pratici e caldi. Sedeva poi al tavolo della Sala Grande ed ascoltava tutte le lamentele dei contadini, promettendo una quanto mai utopistica risoluzione. Una volta a settimana si recava a Città dell’Inverno per controllare lo stato delle case e la salute degli abitanti, tentando di apparire comprensiva pur nella sua fastidiosa impotenza.

Ma il compito che odiava di più e che le prosciugava ogni energia era l’obbligo di presenziare ai concili. Ogni lord esponeva la propria idea urlando, senza curarsi di mantenere l’ordine. Sansa non era in grado di far cessare la confusione e finiva per non comprendere le proposte dei signori. Se solo ci fosse Jon… pensava a volte travolta dallo sconforto.

Poi però si ricordava chi era e qual era il suo ruolo e riacquisiva fiducia. Non doveva esistere situazione che lei non riuscisse a gestire. E’ vero, Jon era molto abile a saper ottenere l’attenzione dei lord, ma lui ci era abituato e Sansa era convinta di poter imparare. Tormund ce la metteva tutta per esserle d’aiuto, ma la maggior parte delle volte si sentiva estraneo a quelle discussioni di cui non capiva neanche il senso.

“Perché tutti stanno gridando?” chiese una sera all’orecchio di Sansa.

Lei sospirò profondamente. “Lord Royce ha mancato di rispetto a lord Glover” spiegò annoiata, “ed ora vuole un tributo.”

“L’ha ucciso?”

“Chi?” esclamò Sansa voltandosi verso il bruto.

“Lord Glover” rispose lui, “l’ha ammazzato lord Royce?”

“Certo che no!” disse Sansa orripilata dall’idea “Da quel che ho capito credo l’abbia insultato…”

“E allora cos’è tutto questo baccano?” chiese Tormund guardandosi intorno “Da noi chi subisce un torto lo restituisce. Magari anche con gli interessi, ma senza fare casino…” Sansa si stropicciò gli occhi: aveva davanti una lunghissima serata.

“E’ inammissibile” stava blaterando Wyman Manderly, “questo atto volgare non può restare impunito. Mi appello alla tua giustizia, mia lady.”

A Sansa occorsero alcuni secondi per realizzare a chi il lord si stesse rivolgendo. “Eh?” si lasciò sfuggire, per poi correggersi immediatamente “Ehm, io credo che si possa trovare un accordo pacifico, alla fine nessuno si è fatto male…” Dalle facce dei presenti Sansa capì di aver detto la cosa sbagliata.

“Sono d’accordo” intervenne la piccola lady Mormont, “sembrate dei bambini comportandovi così.” Adesso tutti avevano assunto un’aria imbarazzata: probabilmente farsi riprendere da una ragazzina di dieci anni era abbastanza umiliante.

“Ehm, sì ecco” borbottò lord Glover, “sono disposto a dimenticare questo malinteso, ma desidero ricevere le scuse di lord Royce.”

“Io non ti devo proprio niente!” sbottò Yohn Royce rosso di rabbia “Sei stato tu ad insultarmi per primo. Mi hai chiamato cane di Baelish.”

“Perché non è questo che sei?” intervenne Cley Cerwyn “Non mi sembra molto offensivo…” Sansa si accasciò sul tavolo. Antichi Déi aiutatemi voi, supplicò esausta. Sto perdendo tempo prezioso.

“Ah, e allora se ti dicessi che sei un idiota?” stava urlando Royce “Che faresti?”

“Finiresti senza testa prima di aver finito di parlare” ribatté il giovane Cerwyn.

“Su, ragazzi” si intromise Alys Karstark, “non vi pare di esagerare?” Aveva parlato con la sua voce suadente e Sansa sentì il sangue ribollirle nelle vene senza un reale motivo.

“Lady Sansa” la stava chiamando Alys, “dillo anche tu…” L’ho già detto, gallinella. Era certa che Alys l’avesse interpellata solo per ricordarle il suo disastroso intervento di poco prima.

“Le nostre lady hanno ragione” intervenne una voce alla porta, “state facendo davvero una pessima figura.” Sansa aguzzò la vista e, quando riconobbe Ditocorto, sentì l’impellente bisogno di andarsene. Potrei trovare una scusa, si disse, ma poi rammentò che in quel modo l’intero concilio si sarebbe interrotto e rimase seduta.

“Lord Baelish” lo salutò Wyman, “già di ritorno? Ci sono novità dalla Valle?”

Ditocorto sorrise in quella sua maniera affabile. “Lord Robin Arryn rinnova la sua fedeltà a casa Stark” spiegò fissando Sansa negli occhi, “e metterà a disposizione il suo esercito.” Sansa sapeva che c’erano delle condizioni ma non volle dare a Baelish la soddisfazione di esporle davanti all’intero concilio.

“Magnifico!” stava esclamando Wyman “Direi che abbiamo un problema di meno. Proporrei di sospendere la riunione.”

“E il dibattito?” chiese Robett Glover incredulo. Manderly lo fulminò con lo sguardo. “La nostra signora ha parlato” gli ricordò, “questa è una questione futile.” Glover uscì dalla stanza imprecando a mezza voce, mentre Royce appariva parecchio sollevato.

“Bene” esclamò Tormund alzandosi, “devo andare a controllare cosa stanno combinando gli altri. Spero non abbiano fatto a pezzi un altro mulino...” Accennò una specie di saluto e si dileguò. Sansa vide Ditocorto avvicinarsi ed inspirò profondamente.

“Buonasera, mia signora” disse Baelish con un sorriso che Sansa non ricambiò, “hai sentito le liete novelle?”

“Certo” rispose Sansa senza scomporsi, “e ti sono grata per il tuo impegno, ma suppongo che le novità non siano finite…”

Baelish allargò le braccia. “Hai ragione” ammise sollevando le sopracciglia, “tuo cugino non ha molto apprezzato il fatto che i tuoi diritti su Grande Inverno siano stati scavalcati dal tuo fratellastro. Desidererebbe vederti ottenere il posto che ti spetta.”

Sansa sapeva perfettamente che Robin non sarebbe mai stato in grado di formulare neanche un quarto di quel pensiero, ma sorrise lo stesso. “Ne abbiamo già discusso” disse alzandosi e raccogliendo le gonne, “e ti ho già detto che non tradirò mio fratello per…”

“Ma qui non si tratta di tradire nessuno!” esclamò Ditocorto con il tono incredulo di chi non ha neanche mai preso in considerazione quell’ipotesi “E’ un tuo diritto ed è un modo per rendere il Nord più forte. Vedi, Robin si è reso conto che supportare un regno con un re privo di una pretesa al trono fondata sarebbe sconveniente: potrebbe richiamare le sue truppe.”

Sansa si aspettava una mossa del genere e non ne rimase spiazzata. “Molto bene” disse avviandosi verso la porta, “vorrà dire che scriverò personalmente a mio cugino spiegandogli la situazione. Sono sicura che capirà, so come persuaderlo…”

Ditocorto sembrò incerto. “Sansa” le disse prendendole la mano, “perché negare la realtà? Jon è andato a Sud e tu sai qual è il destino degli Stark che si spingono fin laggiù…” Sansa stava per replicare, ma Baelish la interruppe. “Solo tu ti sei salvata ed è ora che affronti il tuo destino. Robin ti sostiene: rovesciare questo governo sarà un gioco da ragazzi e tu sarai Regina del Nord. E poi ci prenderemo i Sette Regni, insieme Sansa, sconfiggeremo Cersei, Daenerys, chiunque ci si opponga, finché non saremo noi a governare, noi a farli inginocchiare e pagare per quello che hanno fatto alle persone che amavamo. Non ti piacerebbe?”

Sansa era disgustata dalle sue parole. “Quello che tu proponi” disse freddamente, “è tradimento e non importa con quale nome tu voglia chiamarlo. Il Nord è finalmente in pace e non ti permetterò di minacciarlo: i Cavalieri della Valle non ti basteranno. Jon tornerà e quando gli avrò raccontato che cosa hai detto, avrò la tua testa esibita sui cancelli di Grande Inverno.”

“E allora perché non te la prendi da sola la mia testa?” le chiese subdolo Ditocorto “Se credi di avere il potere, se credi che tuo fratello abbia il potere, uccidimi.” Sansa esitò.

“Vedi?” le sussurrò Baelish allontanandosi “Non potete toccarmi e vi servo se volete sperare di far vivere il vostro regno. Ti credevo più intelligente, Sansa.” Sansa strinse le labbra osservando Baelish uscire dalla stanza. No, pensò convinta. Sei tu il folle: non sai con chi hai a che fare. Si avviò verso l’uscita e si imbatté in Alys Karstark. Represse a stento un’esclamazione di fastidio.

“Perdonami, mia signora” disse la ragazza arrossendo, “avevo dimenticato i guanti…” Sansa si fece da parte. “Prego…” disse freddamente.

Alys non dava cenno di muoversi. “Ho sentito tu e lord Baelish discutere” mormorò con aria seria, “ti ha minacciata.”

Così hai origliato, eh? “Non è niente” disse Sansa sorridendo, “la situazione è sotto controllo.”

Alys scosse la testa. “Sansa, ascoltami” disse chiamandola per la prima volta per nome, “forse non sembra, ma sei in pericolo. Ho sentito storie orribili su Ditocorto e sono convinta anche tu conosca la sua vera natura. Non si fermerà finché non avrà ottenuto ciò che vuole e il suo primo obbiettivo è il Nord.”

“Conosco benissimo lord Baelish” la interruppe Sansa, “ma il Nord non può privarsi del suo appoggio.”

“Ma non capisci?!” esclamò Alys strabuzzando gli occhi “Il Nord non è al sicuro… Tu non sei al sicuro.”

“Il tempo dei sonni tranquilli è finito” spiegò Sansa suo malgrado colpita dalla forza che Alys metteva nelle parole, “adesso bisogna rischiare.”

“Ma finché lui sarà qui” insistette Alys, “continuerà a complottare contro tuo fratello.”

“Non ho il potere di giustiziarlo” ammise Sansa.

“Tu sei la lady di Grande Inverno” le ricordò Alys, “la Regina del Nord in assenza di Jon Snow: se non hai potere tu, chi lo ha?” Sansa evitò di dire quello che pensava.

“Io ho visto mio zio tradire la famiglia” raccontò Alys, “e ti posso assicurare che quando finalmente ci si decide a fare qualcosa per fermare una tirannia è sempre troppo tardi e diventa necessaria una guerra.”

Alys sospirò. “So che non provi stima nei miei confronti” disse abbassando lo sguardo, “e non ti biasimo per questo. Ma voglio che tu sappia che non ho mai avuto cattive intenzioni e che la mia fedeltà a Jon e a te è fuori discussione.” Si avvicinò e Sansa non si ritrasse.

“Siamo donne” le disse con il fuoco negli occhi dorati, “e tutti credono di poterci tenere legate, di metterci in secondo piano, di toglierci ciò che è nostro. Abbiamo sofferto, abbiamo perso le persone che amavamo, siamo state maltrattate.” Alys tirò su le maniche del vestito e Sansa vide delle cicatrici bianche sulle braccia sottili.

“Secondo te perché porto sempre abiti a maniche lunghe?” le chiese Alys con amarezza “Queste me le faceva mio zio quando gli disubbidivo. Ho giurato che mai mi sarei fidata di un uomo. Ma poi ho incontrato tuo fratello.”

Alys fissò Sansa con gli occhi pieni di lacrime. “E’ così bello” disse sognante, “e anche gentile. Ha scatenato la guerra contro i Bolton solo per te, Sansa, solo per sua sorella, ed io non ho resistito al desiderio... Al desiderio che fosse lui a portarmi via da Karhold ormai piena di brutti ricordi, che potessi essere sua moglie, che potesse dare a me le attenzioni che ti riservava. Ero invidiosa. Puoi perdonarmi?”

L’ultima domanda suonava come un’implorazione e Sansa si vergognò per quanto male avesse interpretato la figura di Alys. Poteva esserle sembrata altezzosa e addirittura perfida, ma celava una ragazzina insicura e sola.

Sansa sorrise. “Non c’è nulla da perdonare” disse dolcemente, “e poi la colpa è anche mia…” Il viso di Alys si illuminò. Per un po’ nessuna parlò.

“Cosa hai intenzione di fare?” chiese infine Alys “Con Baelish intendo…”

“Non è facile come sembra” sospirò Sansa, “Jon mi ha detto di essere prudente.”

“Allora scrivigli” le suggerì Alys, “digli cosa ti ha detto Ditocorto e chiedigli cosa fare.” Sansa annuì.

“Mi pare un’ottima idea” assentì, “gli invierò immediatamente una lettera.” Alys sorrise appena. “Bene” disse voltandosi, “spero di poterti essere utile in futuro. Se hai problemi, non esitare a chiamarmi: in due si ragiona meglio.” Mentre si allontanava, Sansa pensò sollevata alle novità. L’idea di poter condividere con qualcuno il peso che portava sulle spalle era una sensazione meravigliosa.

Risalì lentamente le scale ed entrò in camera sua chiudendosi la porta alle spalle. Fu sorpresa dal trovarci una ragazzina all’interno. Doveva avere qualche anno meno di lei ed era piuttosto bassa. I suoi capelli color paglia le si increspavano sulle spalle e gli occhi marroni la fissavano con curiosità. Un’eccessiva curiosità.

“Chi sei?” le chiese brusca “E perché sei nella mia stanza?”

La ragazzina sembrò riscuotersi dai suoi pensieri ed abbozzò una specie di inchino. “Perdonami, mia signora” si scusò, “sono Myun e mi hanno assegnato alla tua camera.”

“Da dove vieni?” le chiese Sansa dubbiosa, evitando sempre servette provenienti da Forte Terrore.

“Deepwood Motte” rispose Myun, “vivevo lì con la mia famiglia, ma poi sono arrivati gli Uomini di Ferro e hanno distrutto tutto. Prima hanno ucciso mio padre, poi mia madre ed i miei fratelli. Di mia sorella non so più nulla. Sono riuscita a fuggire ed ora eccomi qua.”

Sansa si era commossa. “Non preoccuparti” le disse, “non voglio cacciarti. Sai ordinare una stanza?” Myun annuì.

“Bene” disse Sansa, “allora comincia pure…” Mentre Myun si dava da fare, Sansa si sedette e scrisse la lettera a Jon. Dovette fermarsi a più riprese per raccogliere le idee: non voleva allarmare troppo suo fratello, ma neanche far credere che stesse sottovalutando il pericolo. Firmò la pergamena con uno svolazzo.

“Per chi è?” chiese Myun curiosa.

“Per mio fratello Jon, il Re del Nord.”

La ragazzina sgranò gli occhi. “E dov’è ora?” chiese euforica “Mi piacerebbe tanto incontrarlo…”

Sansa strinse le labbra. “E’ partito” disse seccamente, “per la Roccia del Drago.”

“E ti manca?”

“Sì” ammise Sansa con tristezza. Poi si guardò intorno: la stanza pareva più in disordine di prima e Sansa iniziò ad avere dei seri dubbi sulle reali capacità di Myun.

“Senti” le disse piegando la lettera, “che ne dici di diventare la mia dama da compagnia? Alla camera può pensarci qualcun altro.”

Myun saltellò dalla gioia. “Certo, mia signora” esclamò eccitata.

“Sansa, chiamami Sansa.” Fece una pausa, indecisa sul da farsi.

“E vorrei mi facessi un favore…” proseguì “Vorrei che tu consegnassi questa lettera ad un corvo nero per la Roccia del Drago senza essere vista. Hai capito?”

“Certo” disse Myun ora con voce più adulta, “sarò silenziosa come un gatto.” Sansa le porse la lettera e la osservò sgattaiolare fuori. Si ritrovò a sorridere senza neanche saperlo.

Improvvisamente si sentì così stanca da non reggersi in piedi e, dopo aver chiuso a chiave la porta, si mise a letto senza svestirsi e senza premurarsi di sciogliere i capelli. Stranamente quella sera Spettro non era tornato, ma Sansa era troppo stanca per prestare attenzione a quella banale anomalia.

Quella notte, però, i lupi tornarono ad ululare.

 

Samwell

 

La vita alla Cittadella era l’esperienza più monotona che Sam avesse mai provato in tutta la sua vita. Perfino essere l’attendente di maestro Aemon era stato più entusiasmante.

I suoi tentativi estremi di evitare contatti o conversazioni con novizi e maestri portavano Sam ad isolarsi nelle sue ricerche. Ricerche che divenivano giorno dopo giorno sempre più inconsistenti e poco produttive. Ancora un altro, si diceva Sam accantonando un polveroso volume e passando al successivo.

Aveva letto quasi tutti i libri del reparto suggeritogli da Rathin, ma non aveva trovato alcun riferimento utile riguardo gli Estranei. Certo, erano ricchi di leggende e dicerie, ma Sam era assolutamente certo che gli Estranei che lui e Jon avevano combattuto non andassero in giro in groppa ad unicorni come invece suggeriva Ecco perché i miti sono reali. E pensare che il titolo prometteva così bene, si lamentava Sam.

Si imponeva però di non scoraggiarsi: la biblioteca era immensa e prima o poi avrebbe trovato ciò che cercava così affannosamente. Più di una volta era stato tentato dal chiedere aiuto a Tristyus, ma si era sempre fermato in tempo. C’era qualcosa in quell’uomo, seppur cortese e gentile, che gli faceva accapponare la pelle.

Così si era ritrovato al punto di partenza, a tirare giù dagli scaffali libri scelti senza criterio e a sperare che la fortuna volesse sorridergli. Finora tuttavia si era sempre rifiutata perfino di guardarlo. Ogni tre giorni si recava nella casa di Vecchia Città dove alloggiavano Gilly e il piccolo Sam. Si accertava che non mancasse loro nulla e che i soldi di Talla bastassero ancora. Non osava neppure pensare a cosa si sarebbe potuto inventare quando fossero finiti.

Aveva anche portato a Gilly un libro, I Bruti e la Barriera, ma l’aveva ritrovato semidistrutto. “Gilly!” aveva esclamato inorridito “L’hai strappato tu così? E’ un libro della biblioteca!”

“E’ troppo difficile” aveva protestato Gilly battendo un piede a terra, “e non riesco a leggere le lettere. Voglio venire con te ed imparare.”

“Sai che non è possibile” le aveva ripetuto per l’ennesima volta Sam.

“Anche alla Barriera non era possibile” gli ricordò Gilly furente, “però non ci hai cacciati.”

“Era diverso” spiegò Sam, “lì avevo degli amici che mi avrebbero appoggiato e Jon era il Lord Comandante, qui non conosco nessuno...”

“E allora fa’ amicizia” l’aveva incoraggiato Gilly, “così poi ci faranno entrare.”

“Non posso perdere tempo” aveva cercato di dire Sam, con voce sommessa per non farla arrabbiare, “devo trovare le informazioni su…”

“Sugli Estranei” lo anticipò Gilly sbuffando, “lo so. Ma almeno una volta potresti pensare anche a noi e non solo ai tuoi stupidi libri.” Ed era corsa a prendere in braccio il piccolo Sam urlante voltandogli le spalle. Sam aveva compreso che la conversazione era terminata e si era allontanato con il cuore pesante. Nei giorni successivi non era più tornato.

Si era immerso ancora più affondo nelle ricerche e non era salito più a galla. Finché un giorno Rathin non venne a chiamarlo. “L’arcimaestro Marwyn vuole vederti” disse con voce impaziente, “vieni con me.” E Sam l’aveva seguito docile fino nelle stanze di Marwyn, un uomo anziano dalla corta barba bianca.

“Benvenuto” lo salutò l’arcimaestro, “tu sei Samwell Tarly dai Guardiani della Notte, vero?” Sam annuì.

“Bene” proseguì Marwyn, “Rathin mi dice che ti stai integrando in fretta, il che è molto importante.” L’arcimaestro si alzò in piedi. “Qui alla Cittadella abbiamo i nostri metodi per insegnare ai novizi” spiegò, “e ciò include anche l’aiuto che devono fornire ad un maestro. Data la recente scomparsa di Pate, ti abbiamo assegnato all’arcimaestro Walgrave.”

Sam rimase a bocca aperta: addirittura ad un arcimaestro? “I-io ne sono onorato” balbettò emozionato.

Marwyn annuì. “I tuoi compiti comprenderanno l’aiuto nelle faccende domestiche” spiegò, “lo studio in biblioteca e soprattutto il controllo delle chiavi. Devi sapere che non tutto il sapere protetto dalla Cittadella è accessibile: alcuni libri sono riservati solo alle menti più preparate e per questo nascosti. Walgrave è molto anziano ed ha bisogno che giovani ragazzi si alternino la notte per controllare le chiavi. Ne sarai capace?”

“Sì, maestro” disse Sam, “anche alla Barriera facevo le ronde.”

“Bene” disse Marwyn per poi proseguire in tono minaccioso, “ma ti avverto, Tarly: se sfrutterai la tua posizione per tentare di rubare o anche solo leggere i libri proibiti, le punizioni non saranno leggere e potrebbero arrivare anche alla, beh, morte.”

Sam deglutì, d’un tratto terrorizzato. “N-non vi deluderò” farfugliò per poi uscire ad un cenno dell’arcimaestro. Scendendo le scale si accorse di tremare tutto. Decise di non pensarci e tornò alla sua postazione nella biblioteca.

Con suo sommo piacere lo attendeva sul tavolo la lettera di risposta di Jon, che gli attendenti gli avevano evidentemente portato. Non resistendo alla curiosità, Sam ruppe il sigillo di ceralacca e si mise a leggere avidamente.

Caro Sam

Non puoi capire la mia gioia nel trovare una lettera da parte tua. Adesso che la situazione a Nord si è calmata mi manca molto la tua presenza. Qui fa sempre più freddo. Ho inviato circa mille soldati alla Barriera da Edd: adesso è lui il Lord Comandante. Sam, anche se odio parlare di quel che è successo, voglio che tu sappia che non vi ho abbandonato e che non sono un disertore. Poco dopo la tua partenza Alliser Thorne ha riunito un gruppo di Guardiani della Notte e si sono ammutinati. So che è difficile da credere, ma loro mi hanno pugnalato e Olly mi ha colpito al cuore. Io ero morto Sam, stavano per bruciare il mio corpo. Ma poi Melisandre, la strega rossa di Stannis, mi ha riportato in vita. Sembra follia, ma è andata proprio così. Ho impiccato i traditori e anche Olly. Mi si è spezzato il cuore a vederlo morire, ma ho dovuto farlo. Stannis è morto Sam, e anche sua moglie e sua figlia. Io ho lasciato la Barriera poco dopo con Tormund ed i bruti ed abbiamo sconfitto Ramsay Bolton. Il resto credo tu lo sappia. Domani partirò per la Roccia del Drago per incontrare questa Daenerys Targaryen. A Grande Inverno rimane mia sorella Sansa: se le scriverai sarà felice di rispondere. Tienimi aggiornato su tutti i tuoi progressi. A presto

Jon Snow

Sam si accorse di star trattenendo il respiro solo quando la vista gli si appannò per la mancanza d’ossigeno. Emise un rantolo e si affrettò ad inspirare rumorosamente. Il novizio del tavolo accanto gli lanciò un’occhiata irritata, ma Sam non se ne curò. Morto? pensava incredulo E’ possibile che Jon sia davvero tornato dalla morte? E’ tutto così assurdo!

Si lasciò cadere pesantemente sulla sedia, che scricchiolò. Il novizio diede un colpetto di tosse a prova della poca pazienza rimastagli. Sam continuava a divorare con gli occhi la lettera: ogni frase era una sorpresa. Alliser Thorne, pensò disgustato. Perfino Olly…

“Maledetti!” imprecò ad alta voce.

“QUESTO E’ TROPPO” sbraitò il novizio raccattando le proprie cose e dirigendosi con passo deciso verso l’uscita. Sam si prese la testa fra le mani: non si era nemmeno accorto di aver dato fiato ai suoi pensieri.

Come è potuto accadere?

Sapeva che la politica a favore dei bruti seguita da Jon alla Barriera non era stata ben accolta, ma Sam era ormai convinto che i confratelli avessero finalmente capito che la cooperazione era l’unica loro speranza per sconfiggere gli Estranei. Evidentemente si era sbagliato, e di parecchio per giunta.

Strinse le labbra e si tirò in piedi: aveva bisogno di una boccata d’aria fresca. La testa gli scoppiava e Sam dovette tornare indietro più volte dopo essersi accorto di aver sbagliato strada. Barcollò fuori dalla Cittadella e si diresse verso il porto. Ancora non riusciva a credere a ciò che aveva appena letto. Si ricordò di quando aveva detto a Rathin che la vita non era regolare. Beh, a quanto sembra non lo è neppure la morte, si ritrovò a pensare con amarezza.

Raggiunse un molo vuoto e si mise a lanciare sassi nell’acqua. Era un’attività piuttosto stupida, Sam lo sapeva, ma era l’unico modo per distrarsi. O almeno tentare. E adesso come faremo alla Barriera? si chiese preoccupato. Saremo rimasti una ventina. Venti uomini contro migliaia di non-morti e centinaia di Estranei. Sam rabbrividì. Ah no, ricordò lasciandosi ammaliare dal sollievo. Jon ha detto che ha mandato mille uomini… Ma li avrà messi al corrente della reale situazione?

Improvvisamente si accorse che intorno a lui si era formata una piccola folla. Tutti stavano fissando l’orizzonte, così Sam li imitò. Fu stupito dallo scorgere in lontananza delle piccole navi, che evidentemente si stavano avvicinando. Incuriosito, Sam si avvicinò ad uno degli uomini in attesa. “Perdonami, buon uomo” gli disse con gentilezza, “sapresti dirmi chi sta arrivando ed il motivo di tutta questa gente?”

L’uomo, basso e tarchiato con folti baffi rossicci, lo guardò con diffidenza. “Come, non lo sai?” chiese facendo una smorfia “Ne parla tutta Vecchia Città. Stiamo per entrare in guerra.” Sam sgranò gli occhi.

Cosa?!

L’altro dovette percepire il suo disagio perché scoppiò in una fragorosa risata, schizzando il viso di Sam di saliva. “Lord Leyton sta attendendo rinforzi” spiegò con voce rauca a causa del troppo riso, “dovrebbero arrivare almeno ventimila soldati…”

“Ma a cosa vi servono?” chiese Sam.

“I Lannister marciano su Alto Giardino, ragazzo” disse l’uomo sputando a terra, “ma sembra che la regina dei draghi abbia deciso di darci una mano.” Sam era confuso. Daenerys? pensò. Ma non è possibile, Jon sta andando da lei, non può essere partita…

In quel momento le trombe suonarono e la folla si aprì per lasciar passare Leyton Hightower, maestoso nella sua veste bianca lunga fino a terra. Appariva assorto nei suoi pensieri ed una ruga profonda gli solcava la fronte. Le navi si stavano avvicinando rapidamente e presto i loro corni furono udibili dalla riva. Sam si fece largo per vedere la nave più grande attraccare. Gli ormeggi furono legati e presto dei soldati aprirono la passerella per rendere più agevole lo sbarco.

Il primo a scendere fu un ragazzo sui venticinque anni, subito seguito da quello che per somiglianza doveva essere suo fratello minore. Lord Leyton venne avanti sorridente e li abbracciò.

“Baelor, Garth” disse loro con una punta di commozione nella voce, “sono felice di rivedervi.”

“Anche noi, padre” rispose Garth, il più giovane dei due, “ma permettimi, quale comandante della guarnigione Tyrell della regina, di introdurti lady Olenna.”

Dalla nave era appena scesa la donna più bizzarra che Sam avesse mai visto. Bassa e grinzosa, con uno strano copricapo verde, e gli occhi di chi non si fa mettere da parte da nessuno. Sam aveva sentito molto parlare della Regina di Spine, ma non aveva mai avuto l’onore di incontrarla. A prima vista ne rimase colpito, ma anche inspiegabilmente intimorito.

“Lady Olenna” esclamò Leyton venendo avanti, “che piacere averti qui. Tutta Vecchia Città è…”

“Sì, sì, certo” tagliò corto l’anziana signora, “credo ci sarà tempo più avanti per i convenevoli. Vogliamo parlare di guerra?”

Leyton era ammutolito, ma riacquistò subito il sorriso. “Hai ragione” assentì a mani giunte, “ci sono novità?”

“Ho passato gli ultimi sette giorni in mare su una nave” sbottò acida Olenna Tyrell, “credi che i gabbiani abbiano fatto piovere notizie per caso insieme ai loro escrementi?”

“Perdonami” si affrettò a scusarsi lord Leyton, “devi essere molto stanca: forse sarebbe meglio se riposassi…”

“Quello che voglio è salvare il mio castello dalle mani di Cersei. Non è quello che vuoi anche tu?”

Leyton aprì la bocca per rispondere, ma Olenna lo zittì subito. “Perfetto” disse voltandosi, “sapevo ci saremmo capiti… Ora, Garth, porta l’esercito alla spiaggia e Baelor, corri a cercare Rakandro… Non voglio nemmeno pensare al tempo che perderemo per scaricare i cavalli di quei selvaggi…”

“Selvaggi?” chiese Leyton interdetto.

“Dothraki” precisò Olenna, “ma non preoccuparti: metà delle leggende su di loro sono false… Solo metà però…” Lord Hightower deglutì a fatica e Sam provò quasi compassione per lui: le storie che circolavano su Olenna Tyrell evidentemente erano tutte vere.

“Nymeria!” stava urlando l’anziana lady “Dove ti sei cacciata? Oh questi giovani… Ehi tu, giovanotto!” Sam si sentì afferrare per la collottola ed emise un suono strozzato. “Vai a prendere i bagagli ad una povera vecchia” proseguì Olenna ficcandogli in mano qualche moneta, “questi sono per il disturbo.”

Sam fissò il denaro incredulo. “M-ma io…” balbettò tentando di trovare un’argomentazione valida, ma Olenna fu più svelta. “Certo, certo” gli disse impaziente, “ne avrai dell’altro, ma ora muoviti!”

Spaventato dal tono autoritario della megera, Sam si precipitò sulla nave ormai deserta, accorgendosi troppo tardi di non sapere neppure dove era ubicata la cabina di lady Olenna. Decise di affidarsi al caso e prese ad aprire tutte le porte. Ispezionò le cabine dell’equipaggio, dei servi e dei soldati, ma nessuna sembrava adatta a fungere da camera per una povera vecchia. Arrivò in fondo al corridoio e, senza nemmeno pensarci, aprì l’ennesima porta sbuffando.

Tutto avvenne così rapidamente che Sam non ebbe il tempo nemmeno di concludere il sospiro. Un attimo prima era in piedi leggermente ingobbito, l’attimo dopo si ritrovava schiacciato a terra senza tanti compimenti.

“Ma cosa diavolo…”

“Zitto” gli intimò la figura che torreggiava minacciosa su di lui. “Sei da solo?” Sam gemette terrorizzato. L’uomo che aveva di fronte era immenso e nella fioca luce del ripostiglio dove si era andato a cacciare appariva ancora più massiccio.

“I-io non v-volevo” balbettò tentando di mettersi a sedere.

“Rispondi” comandò lo sconosciuto mettendogli un piede sul petto, “sei da solo? Sono scesi tutti dalla nave?”

“Sì” rispose tremante Sam, “lasciami andare!” L’individuo si allontanò e Sam balzò in piedi alla massima velocità che il suo corpo grasso potesse consentirgli. “Non dirai a nessuno quello che hai visto” intimò l’uomo voltandogli le spalle, “ora devo andare…” Prima che potesse uscire dalla stanzetta Sam ebbe modo di vederlo in faccia e rimase di stucco.

“Aspetta” gridò, “ma tu sei una donna?!” La figura si girò a guardarlo e Sam non ebbe più dubbi. Ma che ci fa una donna nascosta su una nave? pensò curioso E in armatura per giunta… Poi ebbe un’illuminazione. Che sia mai possibile? pensò incredulo, ma decise di tentare.

“Tu sei Brienne di Tarth, vero?” chiese in tono più spaventato di quanto avrebbe voluto.

La donna parve esterrefatta. “Come fai a…?”

Sam sorrise. “Sei l’idolo di mia sorella Talla” spiegò, ora con più naturalezza, “adora la tua storia e le tue imprese. Soprattutto quella in cui hai sconfitto il tuo promesso sposo a duello spaccandogli un…”

“Non credo sia il momento” tagliò corto Brienne, “devo andarmene da qui.”

“Perché?” chiese Sam “Stai fuggendo?” Brienne lo fissò a lungo negli occhi. “Puoi fidarti di me” l’anticipò Sam intuendo i suoi pensieri, “sono un Guardiano della Notte che vorrebbe diventare maestro: sono abituato a mantenere i miei giuramenti.”

Brienne spalancò la bocca sorpresa. “Un Guardiano della Notte dici?” chiese improvvisamente interessata “Conosci forse Jon Snow?”

Sam sussultò udendo quel nome. “Sì” rispose sulle difensive, “è il mio migliore amico.”

“Samwell Tarly” disse Brienne sgranando gli enormi occhi azzurri, “Jon aveva accennato a un suo amico inviato alla Cittadella. Sei il primo ad aver ucciso un Estraneo, vero?”

Sam arrossì. “Sì” rispose imbarazzato e Brienne sorrise. Poi ridivenne seria. “Ascolta, Samwell…” iniziò, ma Sam la interruppe subito.

“Sam, solo Sam…”

“D’accordo, Sam” assentì Brienne, “devi assolutamente ascoltarmi. Sono fuggita dalla Roccia del Drago dove Daenerys Targaryen mi teneva prigioniera insieme a Davos Seaworth... Immagino tu sappia chi sia…” Sam annuì incredulo: cosa ci facevano Davos e Brienne alla Roccia del Drago? Poi capì. “Vetro di Drago” mormorò, “Davos mi aveva detto che l’isola ne è piena…”

“Aveva ragione” disse Brienne, “ma questa Madre dei Draghi ci ha rinchiusi ed usati come esche.” Sam non dovette neanche chiedere per chi.

“Jon sta andando alla Roccia del Drago” disse guardando Brienne negli occhi, “se Daenerys è così malvagia come dici…”

“Non possiamo fare nulla” ammise Brienne con rabbia, “ma io devo raggiungere il Nord per avvertire lady Sansa.”

Sam strinse le labbra. “Ti aiuterò” promise solennemente tentando di celare il proprio timore.

Aveva ragione maestro Aemon, pensò amareggiato mentre usciva dallo sgabuzzino, un Targaryen solo al mondo è una cosa terribile. E Daenerys non sembrava diversa.

 

Cersei

 

Le lamentele l’annoiavano, dover ascoltare i pianti di quella plebaglia la innervosiva.

“Ti prego, maestà” stava singhiozzando la donna in ginocchio davanti al Trono di Spade, “non portarmi via mio marito: abbiamo tre figli…”

“Risparmia il fiato” l’avvertì Cersei, “o i figli diventeranno due.” La donna ammutolì terrorizzata. Cersei sorrise: niente le dava più gioia della paura altrui. “Tuo marito è accusato di tradimento” continuò spietata, “e la condanna è la morte.”

La donna emise un lamento straziante. “Vostra grazia, pietà” la implorò. “Emmeth si trovava in quella strada per caso, non era uno dei pianificatori della rivolta. Ti supplico…”

Cersei alzò gli occhi al cielo. “Ormai è deciso” disse alzandosi dal Trono, “ti conviene sparire dalla mia vista o passerai la notte in prigione…” Fece un cenno alle guardie che trascinarono via la donna urlante. Per oggi ho chiuso con questi incontri inutili, si disse Cersei sentendosi esausta. Respinse bruscamente i dignitari che le si avvicinarono e tirò dritta verso la torre del Primo Cavaliere.

Tutte formiche, pensò disgustata oltrepassando i nervosissimi cortigiani. Non desiderano altro che una briciola di potere. Cersei si meravigliava quando vedeva che le persone ancora non avevano capito che nessuno avrebbe mai più potuto sottrarre alla regina ciò che le spettava.

La Montagna comparve silenziosa al suo fianco e Cersei si tranquillizzò. Dopo quello spiacevole evento del mercato non faceva neanche tre passi senza assicurarsi di avere le spalle coperte. Dei popolani l’avevano aggredita e l’avrebbero certamente colpita se non fosse stato per il pronto intervento delle guardie. Cersei aveva visto l’odio negli occhi dei suoi aggressori, ma non ne era rimasta sconvolta. Era esattamente quello che voleva loro provassero. Avrebbe solamente dovuto prendere più precauzioni.

Devo difendermi o mi distruggeranno.

Salì lentamente gli infiniti gradini che portavano alla Torre e vide compiaciuta che Qyburn era già all’opera su alcune carte. Era concentrato e le sue labbra avevano assunto una piega amara. Cersei diede un colpetto di tosse e Qyburn sollevò la testa di scatto. “Vostra grazia” esclamò alzandosi subito in piedi, “non ti aspettavo così presto. Non dovresti dare udienza ai popolani a quest’ora?”

Cersei si versò da bere. “Non ne vale la pena” ribatté, “ho cose più importanti da fare piuttosto che perdere tempo con la feccia: minacciano la mia autorità.”

“Nessuno mette in dubbio la tua autorità, vostra grazia” si azzardò a dire Qyburn, “hanno solo bisogno di tempo per accettare la nuova realtà.”

Cersei fece una smorfia. “Ne hanno avuto fin troppo” disse sedendosi al lungo tavolo della Torre, “ma torniamo a noi: ci sono novità?”

Qyburn sospirò. “Sì, altezza” rispose riprendendo in mano le carte, “ma non esattamente delle migliori…” Cersei si incupì: cosa poteva esssere successo ora? Forse non avrebbe dovuto fidarsi di Jaime: in quell’ultimo periodo le era sembrato così strano, così incline al tradimento.

Il giorno della sua partenza non era andata a salutarlo. Aveva osservato l’esercito lasciare la città alle prime luci del giorno, ma si era rifiutata di concedere a Jaime di vederla. Aveva sprangato la porta della sua camera, ingorando le suppliche del fratello.

“Cersei, per favore” l’aveva pregata Jaime battendo i pugni sulla porta, “voglio solo salutarti…”

“Mi saluterai quando tornerai” aveva risposto freddamente la regina, “e sarà meglio che avrai l’esercito Tyrell al tuo seguito.”

“Non hai mai pensato che potrei morire?” le aveva chiesto Jaime “Che potrei rimanere ucciso?”

“E allora fa’ attenzione” l’aveva liquidato con sufficienza Cersei, “e ora va’, se non vuoi che ser Gregor ti accompagni al tuo cavallo.” Poco dopo aveva sentito i passi allontanarsi e aveva sorriso soddisfatta.

Mai mostrare debolezza.

In quel momento però pendeva completamente dalle labbra di Qyburn. “Allora?” lo spronò “Cosa è successo?”

Qyburn parve riscuotersi dal suo torpore. “Un messaggio da Euron” rispose porgendoglielo, “dice che i suoi uomini hanno attaccato la nave di Jon Snow.”

Quel matto ha preso le mie parole alla lettera, si stupì Cersei prendendo il foglio. “E…?” chiese fissando Qyburn.

Il Primo Cavaliere accennò al foglio che Cersei teneva in mano. “Forse è meglio se lo leggi tu stessa, vostra grazia” rispose a bassa voce. Cersei annuì infastidita ed abbassò lo sguardo per tentare di decifrare l’orribile grafia della lettera.

Alla mia regina preferita

Detto fatto! Credo proprio che il tuo piano stia funzionando a meraviglia. Ho la conferma del luogo dove Daenerys ha attraccato: Roccia del Drago. Mica scema la ragazzina! Comunque, come avevi previsto, Snow ha lasciato quattro giorni fa Porto Bianco per andare a trovare la Madre dei Draghi. Che stolto, aveva solo una ventina di uomini! Venti! In ogni caso ne ho inviati quaranta dei miei per stare tranquillo. Tutto alla perfezione, tranne un piccolo dettaglio: Snow ci è scappato e la nave a bruciare è stata la nostra. Non ho idea di quello che sia successo, ma l’unico superstite del mio equipaggio parla di un drago. Cazzate secondo me, ma non si sa mai. Quindi credo di poter affermare che, se questo drago non ha deciso di sceglierlo come spuntino, Snow ha raggiunto la Roccia del Drago. Ora ci siamo nascosti alle Dita ed aspettiamo tuoi ordini.

Euron Greyjoy, Re delle Isole di Ferro

 
Cersei rimase a fissare quelle parole per qualche secondo di troppo. Osa ancora chiamarsi re? pensò sentendo la rabbia montare. Tuttavia si rese conto di avere altri problemi da affrontare.

“Quindi non è riuscito a sconfiggere Jon Snow?” chiese spostando lo sguardo dal foglio a Qyburn. “A quanto pare” rispose il Primo Cavaliere, “però devi ammettere che il suo piano era astuto...”

Lo era, pensò Cersei mordendosi il labbro. Ci mancava pochissimo e io avrei avuto il Nord ai miei piedi.

“Forse” disse invece, “ma in ogni caso non importa: questa sconfitta era prevedibile.”

Qyburn la fissò confuso. “Se posso permettermi di chiedere…”

“No, non puoi” lo zittì Cersei. “Sapevo benissimo che Euron avrebbe fallito, ma ciò metterà in allarme Daenerys Targaryen e la convincerà a non abbandonare l’isola, dandoci più tempo.”

“Roccia del Drago è molto vicina” osservò Qyburn, “come faremo quando deciderà di attaccare?”

“Tu non c’eri quando Stannis assediò Approdo del Re” gli disse Cersei, “non hai visto come lo abbiamo respinto.” Come Tyrion ha protetto la città.

“No, non c’ero” assentì Qyburn, “ma ho sentito storie. E’ stato l’esercito di Tywin Lannister a salvare la città, vostra grazia.”

“E questa volta sarà quello di mio fratello” rispose con calma la regina.

Qyburn appariva combattuto. “Sei sicura che tornerà in tempo?” le chiese con una punta di preoccupazione nella voce. Cersei scoppiò a ridere.

“Certo!” esclamò “L’assedio di Alto Giardino non prenderà molto tempo…”

“Io temo di sì, altezza” la contraddisse in tono cauto Qyburn.

Cersei si voltò a fissarlo. “Di cosa stai parlando?”

Il Primo Cavaliere fece un profondo respiro. “Sembra che Daenerys sia venuta in qualche modo a conoscenza dei tuoi piani” mormorò torcendosi le mani, “e ha inviato una parte del suo esercito a proteggere Alto Giardino.”

Cersei non ci vedeva più dall’ira. “CHI E’ STATO?” urlò balzando in piedi “Chi è che ha detto a quella puttana i nostri piani?”

“N-non lo so, altezza” balbettò Qyburn sudando copiosamente, “pochissimi erano a conoscenza del piano.”

Cersei iniziò a camminare per placare la rabbia. Jaime sapeva del piano, pensò sgomenta, ma si costrinse ad allontanare il pensiero che stava prendendo forma nella sua mente.

“Si arriverà ad uno scontro” stava proseguendo Qyburn con calma, “ma ser Jaime dovrebbe farcela.”

“Ovvio che ce la farà!” esclamò Cersei frustrata “Ma perderemo troppo tempo!”

“E allora richiamalo” suggerì Qyburn, “fallo tornare ad Approdo del Re…”

Cersei scosse la testa. “Non posso” disse sedendosi nuovamente, “ormai la missione deve essere portata a termine.”

Mai mostrare debolezza.

Dopo qualche secondo Qyburn annuì. “Come vuoi, vostra grazia” disse mettendo in ordine le carte, “ma ti consiglierei di scrivere al più presto a Euron…”

“Lo farai tu” disse la regina.

“Ma cosa devo dirgli esattamente?” chiese Qyburn “Di attaccare la Roccia del Drago?”

“Non ancora” rispose Cersei, “digli solamente di tenere d’occhio la ragazzina e il bastardo e di attaccare solo quando avrà la sicurezza di riuscire a vincere. Alla fine almeno un quarto dell’esercito di Daenerys è nell’Altopiano.”

Usare Euron si era rivelato molto più facile del previsto, e Cersei era rimasta stupita dalla strana fedeltà che Occhio di Corvo aveva mantenuto nei confronti dei suoi ordini. Ciò nonostante non si fidava ancora di lui. Può vincere o morire, pensò alzandosi a sua volta e posando a malincuore il calice di vino. Finché raduna i miei mercenari e tiene lontana la Targaryen per me andrà benissimo.

“Molto bene” disse raccogliendo le gonne ed avviandosi verso la porta, “continua a lavorare, Qyburn, e avvertimi qualora ci siano delle notizie particolarmente importanti.”

Qyburn chinò il capo ossequioso. “Sarà fatto, mia regina” rispose con un sussurro.

Cersei accennò un saluto e lasciò la stanza seguita dal silenzioso Gregor Clegane. “Tu aspetta fuori dalla porta” gli ordinò la regina, “voglio stare da sola.”

Entrò nella propria stanza e si versò ancora da bere: era appena mattina, ma aveva già buttato giù più vino che aria. Si affacciò alla finestra e una fresca brezza le accarezzò il volto. Dall’altra parte della città si vedevano le macerie del Tempio di Baelor e Cersei sorrise ripensando alla gioia provata nel vederlo consumato dalle fiamme davanti ai suoi occhi.

Nessuno prenderà il mio Trono, si disse giocando con il calice che aveva in mano. Li ucciderò tutti se tenteranno.

Lasciò cadere il bicchiere ed osservò affascinata il vetro ditruggersi in migliaia di schegge mentre vino rosso si spargeva sul pavimento. Questo era ciò che attendeva i suoi nemici. Ma al posto del vino a scorrere sarebbe stato il loro sangue.



                                                                                                                           "Senza un avversario la virtù marcisce."



N.D.A.


Ciao a tutti e ben tornati! Eccoci arrivati al capitolo di svolta: spero non vi foste aspettati un incontro amoroso tra Jon e Daenerys XD, neppure la serie ha commesso un tale errore... Ancora una volta, nonostante questo capitolo come i precedenti sia stato scritto ben prima dell'uscita della settima stagione, molti punti del primo incontro tra Jon e Daenerys li avevo immaginati simili a come poi la serie li ha dipinti, a partire dalla risata sulla lista di nomi di Dany XD XD Credo però la mia versione sia più drammatica e non solo per la vita di Davos (e in teoria Brienne) a rischio, ma anche per i personaggi stessi. Jon è ben più testardo di come la serie ce lo presenta e per niente aperto a compromessi, avvicinandosi un po' di più alla sua controparte dei libri in questo. Molti di voi avranno trovato Daenerys odiosa e non vi biasimo, ma le sue ragioni per comportarsi in quel modo esistono e hanno anche un qualche senso: il fine giustifica il mezzo per lei, quindi qualche minaccia è ok se si tratta di ottenere gli uomini che le servono a perseguire quello che ritiene un nobile scopo. In ogni caso non dovete pensare che veramente avrebbe voluto distruggere il Nord o uccidere migliaia di innocenti. La sua strategia confidava nel fatto che, davanti a minacce del gere, circa il 75% delle persone capitolerebbe, ma evidentemente con Jon ha fatto male i conti, finendo per complicare una situazione che già era partita malissimo XD

Per la Cittadella invece ribadisco il mio attestarmi al libro cambiando qua e là per bisogno di adattare tutto all'impronta data dalla serie. Quindi Pate (o il finto Pate se volete) non ci sarà, l'ho solo menzionato. Il comportamento di Marwyn però rimarrà lo stesso dei libri e si vedrà meglio in futuro.

Spero davvero tanto che un capitolo così importante vi sia piaciuto e che abbiate apprezzato la mia versione del primo incontro tra Jon e Dany :-) le cose sono partite in modo disastroso tra i due, ma chissà cosa riserva il fato...

Ovviamente confido che tutti abbiate riconosciuto chi si celi sotto Myun XD XD, non era inteso come un plot twist o una grande rivelazione finale ^_^'''' Fatemi sapere che ne pensate! Credete abbia fatto bene? Sansa ha intuito qualcosa? Come cambierà ora la storia?

Come al solito ringrazio tutti i miei fedelissimi recensori che ogni volta mi regalano così tante emozioni. In ordine: NigthLion, Red_Heart86, leila91 (dov'è finito il tuo avatar??? Non riesco più a vederlo :-\), giona, __Starlight__ e Spettro94. Un ringraziamento speciale a Gian_Snow_91 (perchè continui a cambiare nickname? Mi sto confondendo XD XD) che si è buttato coraggiosamente in questa nuova avventura e ovviamente ad Azaliv87 che nonostante tutti gli impegni e ben due storie da gestire riesce sempre a lasciare un (mega) pensiero.


PS: la citazione di oggi è del filosofo romano Seneca e l'ho immaginata in particolare riferendola a Sansa e Daenerys che, in situazioni molto diverse, si ritrovano costrette a farsi valere. Il modo in cui lo fanno però è completamente diverso XD XD



 

 

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Capitolo 8
*** Tension ***




Tension                                                                                                                      

 


Jon

 

Ritirò la mano lentamente: il drago sembrava infastidito dall’idea di essere accarezzato. Rhaegal, pensò Jon sorridendo. Il suo nome è Rhaegal. Il drago ringhiò e Jon si voltò di scatto. Si era quasi dimenticato di Daenerys e dei suoi soldati e si maledisse per aver lasciato cadere la spada. Lanciò un’occhiata a Lungo Artiglio, ma era troppo lontana perché Jon potesse sperare di afferrarla prima di essere fermato. La sua unica speranza era rimanere vicino al drago.

Daenerys aveva fatto cenno alle guardie di allontanarsi e stava fissando Jon negli occhi. Sembrava sbigottita e irritata allo stesso tempo. “Rhaegal” disse con voce decisa, “allontanati. SŌvegon!” Jon non comprese l’ultima parola, ma intuì che Daenerys aveva appena ordinato al drago di volare.

Resta, pensò Jon indietreggiando. Rhaegal non si mosse e la sua coda fendette l’aria come la più tagliente delle fruste. Jon vide i guerrieri della regina fare un passo indietro e perfino Tyrion sembrava turbato.

“Va tutto bene” disse Daenerys rivolta al drago, “calmati ora…” Avanzò di un altro passo e Rhaegal emise un gorgoglio sordo. Daenerys fece appena in tempo a spostarsi che il drago eruttò fuoco verso di lei. Non era una gran fiammata e probabilmente non avrebbe coperto neanche la metà della distanza che lo separava dalla regina, ma Jon vide che Daenerys era sconvolta.

“Rhaegal!” esclamò lei esterrefatta e con la voce che le tremava “Che ti succede? Che ti hanno fatto?” Si voltò minacciosa verso Jon. “Sei stato tu?” sibilò senza fiato “Che hai fatto al mio drago?”

“Niente! E’ venuto da solo. Sulla nave…”

“QUALE NAVE?!”

Jon ammutolì di colpo. Rhaegal ringhiò di nuovo e Jon si voltò verso di lui. “Grazie” sussurrò ignorando la regina, “ma ora puoi andare…” Il drago ammiccò, le scaglie verdi che brillavano come giada, e si levò con un potente battito d’ali, sollevando una ventata che investì Jon facendolo rabbrividire.

“Qualcuno mi vuole spiegare cosa…?” iniziò Daenerys, ma Tyrion le mise una mano sul braccio. “Ora basta” disse con voce grave, “ti sei spinta troppo oltre: Jon non è tuo nemico.” Jon fu grato dell’intervento di Tyrion, ma ai suoi occhi non esisteva modo in cui Daenerys potesse scagionarsi.

“Grazie, Tyrion” gli disse Jon con affetto sincero, “ma non ho intenzione di restare su quest’isola un secondo di più. Non ci sarà alcuna alleanza fra il Nord ed il Sud e se vorrete le nostre terre dovrete venire a prendervele.” Daenerys stava aprendo bocca per ribattere, ma Tyrion l’anticipò.

“Non essere precipitoso, Jon” lo supplicò il nano, “credo ci siano stati degli equivoci.”

A Jon venne quasi voglia di ridere. “A me pare che la regina sia stata fin troppo chiara” ribatté freddamente, “nello spiegare in cosa esattamente consistono le sue ritorsioni.”

Tyrion si morse il labbro, evidentemente in difficoltà. “Forse…”

“E’ fiato al vento” lo interruppe subito Jon con amarezza, “non cambierò idea. I miei uomini non moriranno affinché l’ennesima regina possa coronare le sue sciocche ambizioni.” Si chinò a raccogliere Lungo Artiglio.

“Aspetta!” esclamò a sorpresa Daenerys. Jon si girò a fissarla, stupito dall’udire la sua voce suonare così incrinata.

“Hai ragione” proseguì Daenerys, ora con più grinta, “è tutta colpa mia: non mi sono proposta nel modo giusto. Ti chiedo scusa.”

Jon strinse le labbra. “Non devi scusarti” rispose scuotendo la testa, “se pensi davvero quello che hai detto…”

“No!” si affrettò ad esclamare Daenerys “Voglio dire… Capisco di aver esagerato un po’…” Jon sollevò un sopracciglio. Daenerys sbatté le palpebre nervosa. “Un po’ troppo” ammise abbassando lo sguardo, “ma non avevo intenzione davvero di…”

“Davvero?!” chiese Jon incredulo “Hai minacciato la mia gente, e io non posso stringere alleanze con…”

“ASCOLTAMI TI PREGO!”

Jon si zittì, stupito dalla reazione della regina. Daenerys era quasi in lacrime. “Io non volevo” balbettò, “ma tu ti rifiutavi di ascoltarmi, non volevi neanche sentire le mie proposte.” Jon rimase in silenzio, suo malgrado colpito da quelle parole, parole sincere finalmente.

“Io non ho bisogno del Nord per sconfiggere Cersei” proseguì Daenerys, “ho già abbastanza uomini... Ma vorrei evitare una guerra lunga e sanguinosa per il bene del mio popolo. Voglio un regno unito e forte: piccoli regni indipendenti non potranno fronteggiare mai alcuna minaccia.”

Jon la stava fissando negli occhi e, per la prima volta da quando aveva messo piede alla Roccia del Drago, si scoprì d'accordo. Non è ciò che volevo io? si costrinse a pensare Un Nord unito in grado di combattere gli Estranei? E non ho forse usato anch’io minacce per convincere i bruti a seguirmi? Per il loro bene.

Daenerys stava riacquisendo coraggio. “Mi concedi una seconda opportunità?” chiese quasi timidamente. Jon sollevò lo sguardo ed annuì lentamente.

“Bene!” si intromise Tyrion battendo gioviale le mani “Meglio entrare dentro però: si ragiona meglio davanti ad una caraffa di vino.”

Jon raccolse la spada e seguì regina e Primo Cavaliere nuovamente all’interno. Questa volta entrarono in un confortevole salotto, arredato con semplicità e ben illuminato. Tyrion si sedette sulla sedia di legno accanto al camino e Daenerys sui soffici cuscini sotto all’unica finestra presente. A Jon non restò altra scelta che accomodarsi sulla panca davanti alla sovraccarica libreria.

Per qualche secondo si limitarono a scambiarsi occhiate tra il curioso e il nervoso, poi Tyrion si alzò e, accennando alla parola “vino”, si allontanò fischiettando. Rimasto solo con Daenerys, Jon non poté fare a meno di sentirsi a disagio. Perché le sto dando un’altra possibilità? si chiese d’un tratto incerto.

Trascorsero altri secondi d’imbarazzo. “Jon” disse poi Daenerys. Era la prima volta che lo chiamava per nome e Jon ne rimase piacevolmente sorpreso. “Il nostro incontro non è iniziato nel migliore dei modi” proseguì la Madre dei Draghi, “e me ne rammarico, ma voglio che tu sappia che non ho mai avuto alcuna intenzione di far del male a te, a Davos e Brienne, o ai tuoi uomini. Non sono stata capace di dosare bene le parole…”

Jon strinse le labbra, indeciso sul da farsi. Alla fine optò per un passo indietro. “E io non avevo intenzione di mancarti di rispetto” disse con calma, “o di mostrarmi egoista.”

Nonostante dovresti essere tu a scusarti con me per aver pensato di poter scavalcare tutto e tutti.

Daenerys non dovette indovinare i suoi pensieri, perché sembrò rilassarsi. “Bene” disse con un sorriso visibilmente forzato, “direi di ricominciare d’accapo. Adesso io ti proporrò i termini della nostra alleanza e dopo potrai spiegare quali sono i punti che non condividi e perché. Va bene?” Jon annuì di nuovo.

“Le nostre famiglie si odiano” iniziò Daenerys alzandosi lentamente, “ma non possiamo permetterci di lasciare che questo rancore ci consumi. I Sette Regni stanno soffrendo, la guerra è durata troppo e sul Trono di Spade siede una regina spietata. Tyrion e Varys mi hanno raccontato tutto: di tua sorella, della guerra di tuo fratello e…” Daenerys esitò appena un secondo. “Dell’esecuzione di tuo padre” disse in un soffio e Jon rabbrividì.

“Non posso permettere che eventi del genere accadano ancora” continuò Daenerys, “ed ho intenzione di fermarli con o senza il tuo aiuto. Ma Cersei sta reclutando mercenari, non abbiamo idea di quanti, e il mio esercito potrebbe trovare grandi difficoltà a sconfiggere i Lannister.”

Daenerys si voltò verso la finestra, lo sguardo perso nel vuoto. “E ciò porterebbe ad una guerra lunga” spiegò con calma, “e causerebbe la morte di troppi uomini.”

Jon cambiò posizione sulla scomoda panca. “Perciò” intervenne, “vorresti il supporto del Nord per abbattere i Lannister in poco tempo e più facilmente?” Daenerys annuì. “E i soldati dell’esercito di Cersei?” chiese ancora Jon “Hai intenzione di bruciarli tutti con i tuoi draghi?”

“No” rispose Daenerys girandosi nuovamente verso di lui, “offrirò perdono e clemenza a tutti coloro che getteranno le armi.”

“E Cersei?” chiese Jon “E lo Sterminatore di Re? Li condannerai a morte?”

“Jaime Lannister ha ucciso mio padre…”

“Tuo padre era un folle.”

“Jaime Lannister ha causato la distruzione della mia famiglia!”

“Tuo fratello Rhaegar ha causato la distruzione dei Targaryen quando rapì mia zia Lyanna. Te le hanno raccontate queste storie?”

“Mio fratello era…”

In quel momento si udì qualcuno fischiettare. Tyrion entrò disinvolto nella stanza con un calice in una mano ed una caraffa di vino nell’altra. “Mi sono perso qualcosa?” chiese sedendosi “Ahh, che delizia. Oh mi dispiace non avervene portato un po’, ma avevo le mani abbastanza occupate.” Jon rise e anche Daenerys si permise un sorriso.

“Allora” disse Tyrion tra un sorso e l’altro, “di che parlavate?” Jon e Daenerys si scambiarono un’occhiata.

“Del mio piano per conquistare Approdo del Re” rispose la regina e Jon annuì soddisfatto: portare avanti la discussione sulle famiglie sarebbe stato inutile.

“Meraviglioso” assentì Tyrion, “spero sia migliore di quello che prevedeva di radere al suolo le città degli schiavisti.” Jon strinse le labbra e Daenerys arrossì lievemente. “Lo è” assicurò per poi voltarsi verso Jon. “Se accetterai di aiutarmi” continuò guardandolo negli occhi, “il Nord verrà ricompensato.”

“Come?” chiese senza giri di parole Jon. Daenerys parve colta di sprovvista e cercò il sostegno di Tyrion.

Il nano, che si stava felicemente ubriacando, quasi si strozzò nel tentativo di parlare. “Con protezione dai vostri nemici” riuscì a dire pulendosi la bocca sulla manica.

“I nostri nemici” disse serio Jon, “sono gli Estranei, e finché non accetterete il fatto che esistono non potrò aiutarvi.”

Daenerys restò in silenzio. “Jon, io credo che…” iniziò, ma Jon scattò in piedi esasperato. Si levò i guanti e sollevò la manica destra, mostrando le sottili cicatrici bianche. “Queste” spiegò, “me le sono fatte dopo essermi bruciato la mano afferrando un tizzone ardente. E sapete perché l’ho fatto? Perché un non-morto stava per uccidere il Lord Comandante.” Daenerys e Tyrion non sembravano ancora convinti.

“Io ho visto gli Estranei” proseguì Jon, “li ho combattuti, ne ho anche ucciso uno e credetemi, loro vogliono distruggere tutto questo.” Jon aveva allargato le braccia, alludendo all’intero Continente Occidentale. Ci furono attimi di quiete.

“Come sono fatti?” chiese alla fine Daenerys.

“Sono creature spietate” raccontò Jon ora più tranquillo, “fatte di ghiaccio e con gli occhi azzurri. Hanno delle lame che frantumano ogni tipo di spada, eccetto quelle di acciaio di Valyria. Sono immuni al fuoco e possono essere uccisi solo dall’acciaio di Valyria o dal Vetro di Drago.”

Jon fissò Daenerys intensamente. “Quest’isola è piena di Vetro di Drago” spiegò con amarezza, “ed è per questo motivo che avevo inviato Davos e Brienne qui: dovevano solo recuperarlo, neanche sapevamo che l’isola fosse abitata.”

Daenerys sembrava turbata. “Io non lo sapevo” si difese, “altrimenti…”

“Non importa” la interruppe Jon temendo di arrabbiarsi nuovamente.

“Cosa sono i non-morti?” si intromise Tyrion.

Jon sospirò. “Sono cadaveri umani” disse, “resuscitati dal potere degli Estranei e diventati per questo loro schiavi. Non basta colpirli e ferirli: solo il fuoco può distruggerli.” Jon fece una pausa. “I tuoi draghi sarebbero di grande aiuto quando la guerra inizierà” continuò senza staccare gli occhi da quelli di Daenerys, “e questi sono i termini dell’alleanza. Il mio esercito supporterà il tuo nella guerra per il Trono di Spade, ma in cambio voi vi unirete a noi contro gli Estranei.” Daenerys appariva pensierosa.

“Mi sembra un’ottima idea” disse Tyrion gettando il calice su un tavolino, “e un’alleanza equa.”

“Sei disposto” chiese la Distruttrice di Catene, “a rinunciare alla tua corona e a giurarmi fedeltà?”

Jon si morse a sangue il labbro. Dovrei lasciare il Nord in balìa di una regina straniera? pensò Rinunciare a tutto ciò che io e Sansa abbiamo riconquistato?

“No” rispose con decisione, “non sono disposto a deporre la mia corona e non mi inginocchierò a te.”

“Questo potrebbe essere un problema” osservò Daenerys, “per la nostra alleanza…”

“E’ vero” ammise Jon, “ma il Nord si fida di me. I lord mi hanno fatto loro re, cosa direbbero se ora consegnassi le nostre terre ad un’altra regina?”

“Direbbero che sei stato saggio” disse Daenerys, “e che li hai salvati.”

Jon scoppiò a ridere. “Non conosci il Nord” le fece notare, “non sai come funziona dalle nostre parti. Mio fratello Robb ha dichiarato guerra alla Corona piuttosto che tradire la fiducia dei suoi uomini.”

“Tuo fratello è morto” osservò con calma la regina.

Jon si alzò nuovamente. “E allora preferisco morire” disse sentendo una fitta al cuore, “per quello in cui credo.”

Come è già successo.

“Ehi ehi ehi” intervenne Tyrion, “non c’è bisogno di arrivare a misure così drastiche. E Jon, qui nessuno vuole che tu muoia.”

“Non posso concedere l’indipendenza al Nord” spiegò Daenerys, “è metà del regno, cerca di capire…”

“Capisco” ribatté Jon, “ma questo non cambia le cose. Non mi inginocchierò e non ti riconoscerò come mia regina.” Daenerys abbassò il capo.

“Daenerys” la chiamò Jon ora con più gentilezza, “i tuoi antenati non sono mai riusciti a domare il Nord, non sono mai riusciti a controllarlo completamente. La mia gente ti vedrebbe come un’usurpatrice ed alla prima occasione ti volterebbe le spalle, e quando accadrà neanch’io potrò fermarli. Lasciaci liberi e te ne saremo eternamente grati: combatteremo per te se ce lo chiederai.”

Daenerys appariva combattuta. “Ci penserò” disse alla fine e Jon sentì le sue membra rilassarsi.

“Bene” disse sorridendo, “adesso, se non ci sono altre questioni, vorrei avere il permesso di vedere Davos e Brienne.” Jon fu certo di aver intravisto un lampo di terrore negli occhi della regina.

“Ora non è possibile” disse Tyrion alzandosi, “meglio se ti accompagno nelle tue stanze.”

Jon adesso tremava di rabbia. “Sentite” disse tentando di contenersi, “ora sapete che Davos e Brienne sono innocenti: pretendo che siano liberati.”

“Jon, ti prego, non insistere” quasi lo supplicò Daenerys, “saranno rilasciati dopo che ci saremo accertati di alcune cose…”

Jon indietreggiò d’un tratto inorridito. “Cosa gli hai fatto?” chiese temendo il peggio.

Daenerys era sconvolta. “Niente!” urlò sbalordita “E’ solo che… Brienne è fuggita e noi non…”

“COSA?!” gridò Jon “Mi stai dicendo che non sai dove sia Brienne?”

“Jon, calmati” disse Tyrion, “gli uomini della regina la stanno cercando…”

“E perché dovrei credervi?” chiese Jon “Mi avete mentito. A quest’ora Brienne potrebbe essere già morta ed è tutta colpa vostra!”

Jon si mise a camminare in cerchio, cercando di placare l’ira. “Come ha fatto a fuggire?” chiese fermandosi e guardando Daenerys in faccia.

“Semplice” disse una voce alle sue spalle, “l’ho liberata io.”

Jon si voltò e vide con suo grande stupore che Davos era entrato nella stanza. Dietro di lui trotterellava un eccitatissimo Gendry.

“Non chiederti come abbia fatto ad uscire, vostra grazia” disse Davos freddamente rivolto a Daenerys, “perché la risposta potrebbe non piacerti.”

“Come stai?” gli chiese Jon sollevato dal vedere almeno l’amico sano e salvo.

“Non male, non c’è che dire” rispose il Cavaliere delle Cipolle per poi voltarsi nuovamente verso la Madre dei Draghi e Tyrion che erano rimasti paralizzati ai loro posti, “abbiamo molto di cui parlare.”

 

Arya

 

Vestire i panni di Myun era più facile di quanto si fosse aspettata. Ogni mattina si svegliava di buon’ora nella sua stanza alla locanda ed indossava i vestiti da servetta. Poi, facendo molta attenzione, applicava il volto della ragazzina preso a Braavos, accertandosi che esso aderisse bene e che celasse a dovere il suo vero aspetto. Si recava quindi a Grande Inverno per essere introdotta a lady Sansa.

La prima volta che l’aveva vista aveva dovuto lottare contro tutta sé stessa per reprimere l’impulso di abbracciarla. Sansa era diventata se possibile ancora più bella del giorno in cui Arya aveva lasciato Approdo del Re. Avevano litigato ed Arya aveva maledetto Sansa ed i suoi stupidi sogni. “Il principe Joffrey è un mostro” diceva sempre all’epoca, ma nessuno le aveva mai creduto finchè non era stato troppo tardi. E così era fuggita dalla capitale, con le immagini della lama che calava sulla testa di suo padre e Sansa svenuta ai suoi piedi impresse nella mente. Non si era mai voltata.

E ora i capelli di fiamma di Sansa erano nuovamente intrecciati secondo la tradizione del Nord, il suo viso pallido brillava splendido senza un filo di trucco ed i suoi vestiti erano tornati quelli semplici di sempre. Negli occhi azzurri della sorella Arya aveva potuto leggere un dolore senza fine, ma anche un forte desiderio di rivincita e riscatto. I suoi movimenti erano aggraziati, ma sicuri e decisi, ed il suo sguardo non era più romantico e fantasioso, bensì freddo e calcolatore.

Arya aveva subito capito che Sansa aveva elaborato il lutto in modo completamente diverso da lei. Se Arya aveva lasciato che la rabbia prendesse il posto delle lacrime ed alimentasse la sua sete di vendetta, Sansa aveva nascosto le proprie pene, divenendo sospettosa ed attenta. Ne era rimasta davvero colpita.

Come Myun, Arya aveva potuto studiare tranquillamente molti atteggiamenti della sorella, riuscendo perfino a carpirne le emozioni. Si era commossa quando Sansa si era messa a scrivere la lettera per Jon dicendo di sentire la mancanza di un fratello che, per quanto Arya ricordava, si era sempre rifiutata di considerare come qualcosa più del bastardo che aveva disonorato la loro madre. E’ cambiata, aveva pensato Arya tranquillizandosi.

Eccetto in parte per l’aspetto infatti Arya non trovava nella sorella nulla della Sansa di un tempo.

Per fortuna.

Così ogni giorno Myun raggiungeva lady Stark nelle sue stanze e l’aiutava a vestirsi. Poi Sansa si sedeva davanti allo specchio ed Arya le intrecciava i capelli. La prima volta era stata un’impresa impossibile, Arya non sapeva nemmeno da dove cominciare, ma poi le erano tornati alla mente i movimenti calmi con cui Catelyn Stark acconciava la chioma delle sue figlie. Di solito in quelle situazioni Arya era solita mettersi ad urlare e tentare di scappare e il ricordo le fece inumidire appena gli occhi.

“Stai piangendo?” le aveva chiesto Sansa con una sfumatura di preoccupazione nella voce.

Arya si era affrettata ad asciugarsi gli occhi. “Chiedo scusa” disse abbassando il capo, “ma mi torna in mente mia madre.”

Gli occhi di Sansa erano diventati enormi. “Anche a me” aveva risposto voltandosi nuovamente verso lo specchio, “mi faceva sedere sulle sue gambe e cantava delle canzoni.” E Sansa si era messa ad intonare una melodia che fece aveva fatto venire i brividi ad Arya.

Aveva avuto necessità di tutto il suo autocontrollo per non cantare quella così nota filastrocca della buona notte. “Dormi, tesoro mio” diceva sempre Catelyn dandole un bacio sulla guancia anche se Arya si seppelliva sotto il cuscino, “domani tu e Sansa farete pace, vedrai…” E invece la maggior parte delle volte avevano finito per litigare lo stesso. Ma non succederà più, aveva pensato Arya mentre finiva di intrecciare i capelli della sorella. Il risultato non era neanche così tragico e Sansa l’aveva ringraziata.

Da quel giorno l’aveva voluta sempre vicina ed Arya non avrebbe potuto sperare di meglio. Aveva modo di assistere alle riunioni e di perlustrare il castello senza destare sospetti. Le altre donne di servizio si erano abituate a lei e spesso le lasciavano anche il pranzo pronto nelle cucine.

Tara, un’allegra cuoca dalle gote perennemente arrossate, le passava di nascosto dei pani bianchi facendole l’occhiolino. “Se ti chiedono qualcosa” le aveva suggerito, “dì che sono per lady Stark.”

Così Arya poteva trascorrere l’intera giornata a Grande Inverno, senza preoccuparsi di dover tornare alla locanda all’ora dei pasti. Di solito, quando non era impegnata con Sansa, pedinava Ditocorto. Lo seguiva in tutti i suoi spostamenti, origliando anche i suoi incontri, e cercando una prova di un possibile complotto. Fino ad allora tuttavia era sempre rimasta delusa, perché Baelish non aveva compiuto azioni compromettenti.

Il quinto giorno dopo l’arrivo di Arya al castello i rappresentanti della Fratellanza senza Vessilli furono ricevuti da Sansa nella Sala Grande. La lady di Grande Inverno sedeva al tavolo di legno, l’enorme bruto che Arya aveva imparato chiamarsi Tormund al suo fianco. Arya, dal suo angolino, aveva un’ottima panoramica della situazione.

Thoros e Beric sembravano a disagio. “Mia signora” iniziò Beric tentennante ma indubbiamante educato, “è un onore fare la tua conoscenza. Sono Beric Dondarrion e lui è Thoros di Myr: veniamo da lontano con il nostro gruppo a mettere le nostre spade al servizio del Re del Nord.” Sansa fece cenno di avanzare ed Arya dovette ammettere che si era calata alla perfezione nel suo ruolo.

“Il piacere è mio” rispose Sansa, “ma ditemi, perchè volete giurare fedeltà a mio fratello?”

Thoros fece una smorfia. “Io sono solo un prete” disse portandosi una mano al petto, “ma posso dirti che siamo nemici dei vostri nemici.” Arya pensò che fosse un po’ vaga come risposta.

“E perché?” chiese infatti Sansa “Come mai non siete dalla parte di Cersei Lannister o Daenerys Targaryen?”

“Io conoscevo tuo padre, mia signora” spiegò Beric, “e fu lui a concedermi l’autorità di formare un gruppo di guerrieri. L’intenzione originale era quella di catturare Gregor Clegane, ma abbiamo fallito. Dopo la salita al Trono di Joffrey siamo diventati dei fuorilegge e abbiamo tentato di vendicare i contadini ed i poveri che subivano ingiustizie.”

“Abbiamo anche ucciso qualche Frey” aggiunse Thoros, “per quello che hanno fatto alle Nozze Rosse.” Arya ripensò a quella terribile notte e al cadavere di Robb con la testa di Vento Grigio al posto della propria. Le venne da vomitare.

Anche Sansa appariva scossa. “Molto bene” disse infatti con voce che tentava di mascherare il turbamento, “dato che il Re del Nord è in viaggio, accetterò io i vostri giuramenti…” Thoros e Beric giurarono solennemente e si dissero responsabili delle azioni della Fratellanza senza Vessilli.

Alla fine stavano per uscire dalla Sala, quando Thoros si voltò indietro. Fissò Sansa dritta negli occhi. “C’è un motivo che ci spinge così a Nord” disse, “il Signore della Luce me l’ha mostrato. Non potete sperare di sconfiggere gli Estranei da soli: avrete bisogno di tutto il sostegno possibile.”

Sansa rimase a bocca aperta, mentre Tormund il bruto si protendeva sulla sedia. “Quindi almeno voi ci credete agli Estranei!” esclamò sgranando gli occhi.

“Sì, amico mio” rispose stancamente Thoros, “purtroppo sappiamo che sono veri…”

Detto questo, i due si allontanarono e Sansa sospirò profondamente. “Quanto credi ci possiamo fidare di loro?” chiese rivolgendosi a Tormund.

“Sono i primi ad essere già al corrente dell’esistenza degli Estranei” fece notare il bruto, “almeno hanno dimostrato di essere dalla nostra parte.”

“Hai ragione” ammise Sansa, “ma io non credo sia saggio concedere loro troppo potere, almeno per ora…”

“Sansa!” esclamò una ragazza correndo nella Sala, i capelli biondo-miele che le ondeggiavano intorno al viso.

“Cosa succede, Alys?” chiese Sansa alzandosi. Arya, grazie ad un incredibile sforzo di memoria, capì che quella doveva essere Alys Karstark.

“C’è un uomo all’ingresso” spiegò Alys concitatamente. “Un uomo strano, anche abbastanza brutto, e vuole parlare con te.”

“Adesso non posso” rispose Sansa, “tra poco è l’ora della riunione del Concilio Ristretto…”

“E’ molto impaziente” insistette Alys, “dice che non se ne andrà finchè non l’avrai ricevuto. Anzi, per usare le sue parole, non abbandonerà questo cazzo di castello.

Tormund scoppiò a ridere mentre Sansa si diresse verso la porta. “Bene” disse rassegnata, “Alys, portami da lui. Myun, vieni con noi…” Arya seguì sua sorella, felice dell’invito.

Lungo il tragitto Sansa camminava a passo spedito ed Arya notò che Alys faceva fatica a starle dietro. Quando giunsero al portone che dava sulla stradicciola ricoperta da neve sporca, Sansa si fermò bruscamente evidentemente vittima di una forte emozione. Arya seguì il suo sguardo e mise a fuoco la persona che si ergeva nella foschia mattutina.

“Ciao, uccelletto” disse il Mastino rivolto a Sansa ed Arya provò l’irrepellente bisogno di prenderlo a pugni.

Che cosa è venuto a fare?

Sansa era rimasta a bocca aperta, mentre Alys, chiaramente estranea alla situazione, si muoveva a disagio. “Tu... tu…” iniziò Sansa avvicinandosi di un passo “Cosa ci fai qui?”

Il Mastino ghignò. “Volevo fare un salutino” rispose con la sua caratteristica voce rauca.

Sansa scosse la testa. “Dove sei stato tutto questo tempo?” chiese ancora tormentandosi le mani guantate.

“In giro” rispose vago Sandor Clegane, “a uccidere gente, pestare altra gente, cose così…”

“Sei disgustoso” disse Sansa senza sembrare affatto disgustata. Poi sospirò. “Brienne mi aveva detto di averti sconfitto” raccontò stringendo gli occhi a fessura, “di averti ucciso…”

“Nah” disse il Mastino, “non mi faccio uccidere dalle femminucce.”

“Sai qualcosa di mia sorella Arya?” chiese all’improvviso Sansa ed Arya sussultò sentendosi chiamata in causa “Eri con lei quando hai combattuto con Brienne, sai dov’è andata?” Arya strinse le labbra: si era raccomandata con ogni singolo membro della Fratellanza di non fare mai per nessuna ragione il suo nome, ma il Mastino non era certo rinomato per la sua affidabilità.

“Che cazzo vuoi che ne sappia io?!” esclamò a sorpresa Sandor “Quel piccolo demonio sarà arrivato dall’altra parte del mondo a quest’ora, sempre che non sia già morta.” Sansa si lasciò scappare un singhiozzo ed Arya la fissò stupita.

“Va tutto bene” disse Sansa ad Alys che le si era avvicinata per confortarla, “solo un momento di stanchezza.”

“Sono sicura che sia viva” la consolò Alys, “me la ricordo bene, è sempre stata una combattente.” Arya si concesse di sentirsi onorata del complimento.

“Mi ha parlato di te, sai, uccelletto” continuò il Mastino e sia Sansa che Arya sollevarono il viso nella sua direzione. “Mi ha detto che le mancavi e che le era dispiaciuto lasciarti ad Approdo del Re. Voleva uccidere quel figlio di puttana di Joffrey per te.” Stavolta fu Arya a rimanere esterrefatta. Io non ho mai detto nulla! pensò cercando un contatto visivo con il Mastino che però aveva occhi solo per Sansa.

La lady di Grande Inverno del canto suo era profondamente commossa. Per una manciata di secondi neanche il più fievole suono fendette l’aria. “Grazie” mormorò alla fine Sansa, “per tutto quello che hai fatto per me e per mia sorella.”

Il Mastino addirittura sorrise. “Di niente, uccelletto” rispose, “ma ora vorrei chiedere ospitalità: è difficile vivere nelle locande senza incorrere in qualche rissa e vorrei un po’ di tranquillità.”

Sansa si ricompose all’istante. “Naturalmente” rispose con voce ponderata, “Myun, lui è Sandor Clegane, un mio vecchio… amico, lo accompagni tu nella sua stanza? La prima a destra del corridoio del secondo piano credo sia libera. Ala ovest, mi raccomando…”

Arya annuì compostamente e fece cenno all’ignaro Mastino di seguirla. Lo condusse attraverso i corridoi che conosceva come le sue tasche fino alla stanza indicata da Sansa. Poi entrò con lui e sbarrò la porta. Sandor la stava fissando con sguardo ironico.

“Cosa vuoi fare, ragazzina?” chiese sarcastico “Tenermi compagnia?”

Arya non rispose, limitandosi a sfilare il volto della servetta. L’espressione del Mastino cambiò da divertita ad incredula fino a quasi spaventata. Poi evidentemente la riconobbe.

“Arya!” esclamò visibilmente impressionato “Cosa cazzo hai fatto?”

“Ho cambiato volto” rispose Arya tranquilla sedendosi su una sedia, “te l’avevo detto che ne sono capace.”

“E cosa pensi di fare?” insistette Sandor “Andare in giro a fare la sguattera?”

Arya scoppiò a ridere. “Ho trascorso settimane a lavare cadaveri alla Casa del Bianco e del Nero” osservò, “credo che pulire qualche pavimento non mi ucciderà. Voglio poter spiare mia sorella in pace.”

“Ma perché?” chiese il Mastino “L’hai vista come è preoccupata per te, vai ad asciugare le sue lacrime come fanno le brave sorelline.”

Arya gli lanciò una scarpa. “E tu perché sei venuto?” si informò mettendo i gomiti sulle ginocchia e la testa sulle mani.

Sandor sbuffò rumorosamente. “In questa merda di stanza non avete neanche una goccia di vino?” chiese guardandosi intorno. “Puoi ubriacarti dopo” tagliò corto Arya, “rispondi alla mia domanda.” Sandor sbuffò se possibile ancora più sonoramente.

“Sto aspettando” lo incalzò Arya.

“Ho paura per Sansa, va bene?” sbottò il Mastino cedendo all’improvviso “Credo che non sia al sicuro con Baelish intorno e adesso che posso voglio darle una mano.”

Arya annuì. “Bene” disse alzandosi di scatto in piedi, “allora siamo dalla stessa parte.” Portò un mano alla maniglia per uscire, ma con orrore sentì delle voci provenire da fuori.

“Nessun problema, mio signore” stava dicendo qualcuno oltre la spessa porta di legno, “questa camera è vuota…”

Prima che Arya se ne rendesse conto il Mastino l’aveva afferrata tappandole la bocca con una mano e portandola nella stanzetta da bagno adiacente. “Zitta” mormorò chiudendo la porta e Arya accostò l’orecchio per sentire meglio.

“Sei sicuro che nessuno viene qui, Royce?” stava chiedendo in tono contenuto un uomo.

“Certamente, lord Baelish” rispose quello che doveva essere Royce ed Arya sentì il sangue ribollirle nelle vene al nome di Ditocorto e anche Sandor al suo fianco si era irrigidito.

“Qual è il piano?” chiese Royce abbassando ulteriormente la voce.

“Lord Robin Arryn non apprezza l’evolversi della faccenda nel Nord” spiegò Baelish probabilmente camminando avanti e indietro nella camera, “e non ha intenzione di appoggiare un sovrano illegittimo al posto di sua cugina.”

“Naturale, mio signore” disse in tono servile Royce. “Cosa ne pensa lady Sansa di tutto ciò?”

“Lady Sansa è confusa” disse Baelish, “non sa quello che vuole, ma sono sicuro che ci ringrazierà quando la metteremo davanti al fatto compiuto…” Arya sentì la mano pruderle dalla voglia di prendere Ago e farla finita, ma il Mastino le bloccò il polso per evitare di farle fare sciocchezze.

“Quindi” stava sussurrando Royce, “intendi organizzare una congiura?”

“Niente spargimenti di sangue non necessari, è ovvio” lo tranquillizzò Ditocorto, “ma dobbiamo mettere fine a questo regno il più presto possibile. Jon Snow è una minaccia non solo per il Nord ma anche per la Valle, con quel suo esercito di bruti e le favolette sugli Estranei. Dobbiamo agire. Contatta tutti gli alfieri di Robin e dì loro di essere pronti: il Nord è debole e non potrà resistere ai nostri Cavalieri della Valle.”

“Ed i lord che hanno giurato fedeltà a Jon Snow?” chiese Royce poco convinto.

“Ci appoggeranno” spiegò deciso Baelish, “quando capiranno che l’unica cosa che vogliamo è vedere sul loro trono la vera erede di Eddard Stark. Nel frattempo li lasceremo ovviamente all’oscuro di tutto.”

“E Jon Snow?” chiese ancora Royce ed Arya strinse la mano intorno all’impugnatura di Ago così forte da ritrovarsi dei dolorosi segni rossi sul palmo.

“Jon Snow è lontano” disse Baelish con sufficienza, “e non potrà intervenire. Cacceremo i suoi bruti nuovamente oltre la Barriera dove è il loro posto e semmai Daenerys Targaryen dovesse farlo ritornare a Nord vivo organizzeremo un piccolo incidente. Mi sono spiegato?”

“Certo, mio signore” rispose pronto Royce.

“Bene” disse Baelish battendo le mani, “e ora andiamo al Concilio: non dobbiamo destare sospetti.”

I loro passi si persero lontani e la porta della stanza sbattè nuovamente. Solo dopo qualche secondo Arya trovò la lucidità per sollevare il viso e incontrare lo sguardo dI Sandor.

“Credo che abbiamo un problema.”

 

Davos

 

A Davos era quasi dispiaciuto dover interrompere quell’amabile riunione, ma la questione si era spinta troppo oltre. A un suo cenno Gendry aveva annuito e insieme avevano fatto irruzione nella stanza provocando le esclamazioni di sorpresa di Daenerys e Tyrion. Jon si era voltato incredulo e Davos aveva potuto scorgere il sollievo nei suoi occhi.

Quando qualche minuto prima qualcuno aveva bussato alla porta della sua prigione, Davos non avrebbe mai creduto di vedere una faccia diversa da quella di Verme Grigio, il fedelissimo e incorruttibile Immacolato di Daenerys. E invece si era ritrovato davanti l’ultima persona al mondo che si sarebbe aspettato di rivedere. Perfino scorgere nel fumo il fantasma di Stannis gli sarebbe sembrato più verosimile. Ci aveva messo qualche secondo per convincersi che il ragazzo che gli stava di fronte fosse davvero Gendry.

“Ser Davos?” lo aveva chiamato il giovane “Mi riconosci?” Davos avrebbe voluto ridere fino a farsi mancare il fiato e invece aveva annuito.

“Gendry” lo aveva salutato, “cosa diamine ci fai qui?”

Il ragazzo aveva scrollato leggermente le spalle. “Sono con Jon Snow” aveva risposto indicando la porta, “sono il suo scudiero.”

Davos aveva sgranato gli occhi dalla sorpresa. “E da quando?” aveva chiesto stupito “Dove sei stato tutto questo tempo?”

“A Porto Bianco” aveva spiegato Gendry con gli occhi che brillavano, “ma ora ci sono altre cose a cui pensare: devo farti uscire di qui.”

“Piuttosto, come hai fatto ad entrare?” aveva osservato divertito il Cavaliere delle Cipolle.

“Dicendo che mi mandava la regina” aveva tagliato corto Gendry. “Stranamente mi hanno creduto. Ma temo dovremo ricorrere a maniere drastiche per uscire.” E aveva estratto una mazza di legno. Davos l’aveva osservata a lungo.

“Va bene” aveva assentito, “ma non troppo forte.”

Un minuto dopo stavano correndo sulle scale del palazzo dopo aver tramortito Verme Grigio e le altre due guardie. Davos aveva osservato Gendry assestare un paio di ottimi colpi, abbastanza potenti da indurre uno svenimento, ma non abbastanza forti da provocare seri danni.

“Dov’è Jon?” aveva urlato Davos mentre correvano.

“Con la regina penso” aveva spiegato il ragazzo, “lord Tyrion mi ha detto di aspettare mentre portava Jon al cospetto di Daenerys.”

“Chi è con lui?”

“Nessuno” aveva proseguito Gendry, “è un storia abbastanza complicata, ma diciamo che tutti gli uomini della scorta sono morti…”

Cosa?!” aveva eslcamato Davos fermandosi di colpo con il fiatone “Mi stai dicendo che è da solo con quell’arpia?” Gendry aveva annuito, probabilmente senza rendersi conto delle implicazioni di tutto ciò e Davos aveva ripreso a correre alla cieca.

Merda.

Per fortuna i corridoi erano scombri da scomode sentinelle e i due avevano raggiunto in fretta la sala dove stava avvenendo la riunione. “Siamo stati fortunati” aveva bisbigliato Davos indicando la porta socchiusa, “ci sono almeno dieci sale come questa, eppure abbiamo trovato quella giusta al primo colpo.”

Si erano quindi messi ad origliare e a ogni parola carpita Davos aggrottava la fronte mentre Gendry spalancava a dismisura gli occhi azzurri. Dopo il grido di Jon che era giunto nitido alle orecchie delle due spie, Davos si era convinto ad intervenire.

“E’ il momento” aveva mormorato poggiando le mani sulla porta e tenendosi pronto. Gendry per istinto si era stretto ancora più saldamente alla sua mazza. E si precipitarono dentro. "Semplice" disse Davos rispondendo alla domanda di Jon su Brienne, "l'ho liberata io."

Trascorsero alcuni attimi di puro e tangibile stupore. Poi Davos adocchiò il cipiglio nervoso e confuso della regina.

“Non chiederti come abbia fatto ad uscire, vostra grazia” l’avvertì sarcastico, “perché la risposta potrebbe non piacerti.”

Jon lo stava fissando sorridendo. “Come stai?” gli chiese con la voce lievemente incrinata.

“Non male non c’è che dire” rispose Davos molleggiando la testa. Poi tornò a fissare con odio Daenerys e Tyrion che restavano ancora immobili. “Abbiamo molto di cui parlare” concluse chiudendo la porta alle sue spalle.

Daenerys sembrava incapace di articolare verbo, mentre Tyrion stava visibilmente tentando di dare forma ad un qualche discorso in grado di riportare l’equilibrio. “Perfetto” disse infatti il nano, “ora che ci siamo tutti possiamo procedere. Davos e… Gendry, vero? Vi invito a sedervi.” Davos prese posto sulla panca vicino a Jon mentre Gendry sprofondò nei cuscini del divano.

“Come vi avevo già detto” iniziò Jon, “Davos e Brienne sono venuti alla Roccia del Drago solo e unicamente per recuperare il Vetro di Drago, quindi non potete incomparli.” Davos dovette dedurre che Jon avesse già accennato al problema degli Estranei e si chiese come la Madre dei Draghi l’avesse recepito. Non bene presumo, si ritrovò a pensare.

“Credo che su questo ormai siamo d’accordo” intervenne Daenerys, “il problema ora è trovare Brienne. Magari se ser Davos fosse così gentile da dirci come ha fatto a farla fuggire…”

Jon aveva stretto la mano a pugno e Davos riusciva a percepire la sua frustazione. Decise di rendersi utile. “Attraverso un passaggio segreto” disse senza entrare nei dettagli, “le ho suggerito di prendere una barchetta e tornare sul Continente.”

“L’isola è stata battuta” osservò Tyrion, “e di Brienne non vi sono tracce. Quindi deve essersi allontanata in qualche modo, ma di sicuro non con una barchetta: non ne manca nessuna all’appello…” Davos si lasciò sfuggire una mezza esclamazione di sorpresa.

“E allora dov’è?” chiese Jon impaziente.

“Quello stesso giorno sono salpate molte navi” spiegò Daenerys, “può essere salita di nascosto su una di queste.”

“Dove erano dirette?” chiese Davos a bruciapelo.

Daenerys lo fissò a lungo negli occhi. “Sono informazioni riservate” disse infine.

Davos aveva voglia di battere il pugno da qualche parte, ma sfortunatamente davanti a lui non c’era alcun tavolino. “C’è di mezzo la sicurezza di una persona” sibilò lottando per contenere l’ira, “dobbiamo sapere dove sono dirette.”

“Davos, calmati” disse Jon posandogli una mano sul braccio, “sono certo che Daenerys e Tyrion si dimostreranno collaborativi…” Daenerys ed il Folletto si guardarono per qualche istante, poi Tyrion annuì.

“Vecchia Città” rispose Daenerys con voce atona, “e Porto Bianco.”

Jon aveva fatto un movimento brusco con la mano della spada. “Porto Bianco?” chiese con voce velatamente minacciosa “Hai intenzione di invadere il mio regno mentre sono qui a parlare con te?”

“No” rispose tranquilla Daenerys, “in realtà ho inviato i miei uomini a proteggere Porto Bianco da un possibile attacco di Euron Greyjoy.”

Jon non sembrava convinto. “Non pensi che ci siano già dei miei soldati a proteggere la città?” chiese con tono inquisitorio.

“Non lo metto in dubbio” replicò la regina, “ma contro Euron non basteranno: come ti ho già detto sta assoldando dei mercenari.”

“L’abbiamo notato” si lasciò sfuggire Gendry prima che Jon potesse fulminarlo con lo sguardo.

Tyrion aveva voltato la testa, come improvvisamente interessato alla polvere accumulatasi sugli scaffali, mentre Daenerys inarcava le folte sopracciglia. “In che senso?” chiese spostando gli occhi da Jon a Gendry e viceversa.

Jon sospirò. “Durante il viaggio” raccontò, “siamo stati attaccati da una nave di Euron.” Davos se l’aspettava, ma Daenerys strabuzzò gli occhi. “Hanno ucciso tutti gli uomini della mia ciurma” proseguiva Jon, “tranne me e Gendry. Ma alcuni degli aggressori non erano Uomini di Ferro, assomiglivano più a combattenti di Essos. E’ molto probabile che fossero mercenari.”

“E come ne siete usciti vivi?” chiese Daenerys sbigottita.

“Grazie a Rhaegal” rispose Jon semplicemente, “come ti avevo già detto.”

Rhaegal? si chiese Davos Chi è Rhaegal?

Ma la Madre dei Draghi aveva compreso perfettamente. “Il mio drago?” chiese con una punta di rabbia nella voce. Jon annuì stancamente e Davos fischiò.

“E’ venuto lui” spiegò Jon, “e ha incendiato la nave nemica. Non credo ci siano superstiti…”

“C-come è possibile?” balbettò Daenerys “I miei draghi rispondono solo a me…” Davos non poté reprimere un sorrisetto compiaciuto al ricordo delle parole arroganti che Daenerys gli aveva rivolto durante il loro primo incontro. E così credevi davvero di poterli controllare? pensò, soddisfatto da questa evoluzione inaspettata dei fatti.

“Non ho idea del perché sia venuto” stava dicendo in quel momento Jon, “però ci ha salvato la vita.” Daenerys si passò una mano sul viso.

“Non fa niente” si intromise Tyrion, “l’importante è che almeno voi siate vivi.”

Davos era convinto che la regina la pensasse in maniera molto diversa, tuttavia non volle infierire. “Jon” disse quindi per cambiare argomento, “devo quindi dedurre che hai spiegato il problema degli Estranei?”

Jon annuì di nuovo. “Sì, Davos” affermò girandosi poi verso la regina ed il Primo Cavaliere, “siamo giunti ad un accordo che credo sia abbastanza equo. Noi supporteremo Daenerys nella sua conquista e lei ci aiuterà contro gli Estranei. Cosa ne dici?”

Dico che non dovremmo fidarci, che dovremmo contare sulle nostre sole forze. “Mi sembra un’ottima idea” disse invece, “l’importante è essere pronti, perché non si sa con esattezza quando e come attaccheranno.”

“Quindi ora che si farà?” chiese Gendry impaziente.

“Resteremo qui per un po’” disse Jon voltandosi verso Daenerys in cerca di approvazione, “per determinare con esattezza i termini dell’alleanza e recuperare il Vetro di Drago, poi noi torneremo a Nord. Raduneremo un esercito e marceremo sulla capitale dove verremo raggiunti dalle truppe di Daenerys.”

Davos vedeva troppe falle in quel piano. “E se gli Estranei attaccano mentre noi siamo a Sud?” chiese storcendo il naso.

“Lasceremo una consistente guarnigione alla Barriera” precisò Jon, “e una più piccola a Grande Inverno. Se gli Estranei attaccheranno il nostro esercito tornerà subito a Nord.”

“Qui c’è un altro problema” osservò Tyrion, “i corvi. Se si perdono così facilmente nelle tormente sarà difficile tenersi in contatto con il Nord.”

“Questo è l’inverno” fece notare Jon, “ma da noi la gente è abituata: troveremo soluzioni migliori.”

“La spada!” esclamò a un certo punto Davos “Giuramento, la spada di Brienne… Dov’è?”

Daenerys parve essere colta di sorpresa. “Nel tesoro” rispose confusa, “ma è così importante?”

“E’ acciaio di Valyria” spiegò Davos alzando gli occhi al cielo, “può uccidere gli Estranei.”

“E’ vero” ammise Daenerys, “non ci avevo pensato. Vorrà dire che manderò qualcuno a prenderla.”

“E Brienne?” chiese Davos sollevando un sopracciglio, “Vi siete già dimenticati di lei?”

“Abbiamo già detto che i miei uomini la stanno cercando” replicò Daenerys alzando la voce, “scriverò delle lettere ai comandanti delle navi dicendo loro di perlustrare le imbarcazioni.”

“E poi?” la provocò Davos “La costringerai a tornare sull’isola?”

Daenerys si morse il labbro. “Sarà libera di andare dove desidera” sussurrò infine, “o dove Jon deciderà di mandarla.” Davos accavallò le gambe accarezzandosi la barba inspida. Trascorsero attimi in cui l’unico rumore nella stanza era provocato dalle dita annoiate di Gendry che tamburellavano sul legno.

Poi Daenerys si alzò. “Avevo fatto preparare stanze per oltre venti uomini” osservò con un sospiro stanco, “ma ora credo proprio che tre siano sufficienti. Tyrion ve le mostrerà: riprenderemo il discorso domani.” Jon, Gendry e Davos si alzarono, subito imitati da Tyrion, che barcollava per il troppo vino. Il nano fece un cenno con la testa in direzione di Daenerys, ma Jon si incamminò verso la porta senza una parola.

Davos, tuttavia, ci teneva a dire una cosa. “Quel tuo soldato, Verme Grigio” disse con finta noncuranza, “credo abbia bisogno di un maestro.” Davanti all’espressione confusa della Madre dei Draghi dovette nascondere un sorriso, affrettandosi in ogni caso ad uscire.

Adesso era il Folletto a guidare la fila, nonostante si reggesse a stento in piedi. “Non dovete vedere Daenerys come una che vuole imporre il suo potere con la forza” borbottò Tyrion con voce rauca, “potrà sembrare spietata, ma è solo fragilità.”

Jon scosse la testa. “Ha parlato di uccidere migliaia di persone innocenti” osservò freddamente.

“Non intendeva davvero questo” rispose Tyrion, “lei usa spesso le minacce per ottenere ciò che vuole. Minacce che mai metterebbe in atto.”

“E allora come posso fidarmi di lei?” chiese Jon mentre iniziavano a scendere le scale “Come posso capire quando dice sul serio o quando invece minaccia a vuoto?”

“Non puoi” rispose a sorpresa Tyrion, “ma non preoccuparti, io sono qui per questo.”

Grandioso, pensò Davos irritato, il nostro unico alleato è un nano ubriaco.

Jon tuttavia sembrava combattuto. “Tyrion, io…”

“Ti fidi di me?” chiese il Folletto a bruciapelo voltandosi verso il Re del Nord.

“Sì” rispose Jon abbassando la testa.

Tyrion annuì. “Bene” disse riprendendo a camminare, “allora saprai che non ho mai desiderato la distruzione della tua famiglia o del Nord.”

Ma quella di Stannis sì.

“Sarò presente a tutte le riunioni” continuò Tyrion, “e vi aiuterò ad ottenere un’alleanza normale. O almeno a far cambiare idea alla regina se le venisse in mente di farvi arrostire dai suoi draghi. Ah, eccoci arrivati…”

Si fermarono davanti ad una porta di legno chiaro con un pomello d’ottone. Tyrion l’aprì e si ritrovarono in un corridoio nel quale Davos, in tutti i suoi anni trascorsi alla Roccia del Drago, non era mai entrato. Lungo le pareti scarsamente illuminate si aprivano numerose porte.

“Davos e Gendry, voi starete qui” spiegò Tyrion. “Jon, tu avrai una stanza allo stesso piano di quelle mie e della regina.”

“Con tutto il rispetto per la generosità della regina” intervenne Jon, “preferisco alloggiare qui anch’io.”

Tyrion, che sicuramente se l’aspettava, sorrise. “Ottimo” assentì avviandosi verso la porta da dove erano entrati, “allora vi lascio. Nelle camere troverete degli abiti puliti e se avete bisogno dell’acqua calda basta che suoniate il campanello. Credo di avervi detto tuttto… Ah no, la cena sarà stasera nella Sala della Roccia, Davos saprà sicuramente dov’è, quando suonerà il gong.” Tyrion ammiccò e scomparve.

Jon e Davos si fissarono. “Gendry” chiamò Jon, “scegliti una camera e va’ a riposarti: è stata una giornata estenuante.” Gendry fece spallucce, accennò un saluto ed entrò nella prima stanza di destra.

Davos allacciò le mani dietro la schiena. “Che te ne pare di lei?” chiese scrutando l’espressione di Jon. “E’ terribile” rispose lui con voce grave, “è disposta a tutto per raggiungere il suo obiettivo, ma allo stesso tempo si preoccupa per la gente comune. Mi fido di Tyrion: se lui crede in lei, allora Daenerys è qualcosa più di una ragazzina presuntuosa.”

“Come puoi fidarti del Folletto?” chiese Davos guardando Jon negli occhi “Alla Battaglia delle Acque Nere è stato lui ad ideare il trucco dell’Altofuoco.” Davos ricordò Mathos venire buttato in mare dalla potenza dell’esplosione e strinse i pugni.

“Difendeva la sua città” osservò Jon, “non è che avesse molta scelta. Adesso però dobbiamo fidarci di lui, almeno di lui, altrimenti non usciremo vivi da qui.”

“Daenerys è pericolosa” disse Davos con odio e Jon annuì. “E’ vero” disse tristemente, “ma ora siamo nel suo territorio e non possiamo permetterci di sbagliare: un errore e il Nord è finito, noi siamo finiti.”

Davos osservò Jon attentamente, scoprendolo pallido ma deciso. Il Cavaliere delle Cipolle invece stava riscoprendo un’emozione che credeva di aver abbandonato sulla nave che era affondata nella baia delle Acque Nere: la paura.

 

Yara

 

Secondo un’antica leggenda su una nave in mare aperto non esistono differenze fra uomini e donne, tutti devono saper combattere come ricucire le vele. Yara era cresciuta credendoci fermamente e aveva sempre come minimo morso chiunque affermasse il contrario. Il mare era stato la sua culla, il seno a cui attaccarsi, l’abbraccio in cui perdersi e Yara non avrebbe mai potuto concepire una vita lontana dal suo elemento.

L’aveva detto a Theon quando aveva preso Grande Inverno, l’aveva supplicato di ritornare alle Isole di Ferro, ma lui non le aveva dato retta. Ed ora suo fratello era più morto che vivo.

Durante tutta la sua vita era sempre stata gelosa della sua Vento Nero ed aveva scelto l’equipaggio con attenzione per evitare spiacevoli ammutinamenti: la sua ciurma l’avrebbe seguita fino in capo al mondo. Adesso la sua nave era carica di gente straniera.

Yara sospettava che i dorniani non avessero mai visto una flotta prima di allora e le loro continue domande curiose la irritavano non poco. Non poteva neppure contare sul supporto di Theon che come suo solito trascorreva le giornate chiuso in cabina. Uno di questi giorni, pensò una mattina irata dopo l’ennesimo tentativo fallito di far uscire suo fratello dalla tana, sfonderò quella cazzo di porta con la mia ascia e gliela pianterò in testa. Sapeva benissimo che non l’avrebbe mai fatto, ma anche solo pensarlo l’aiutava a calmarsi.

Quella mattina fu raggiunta sul ponte dalla Serpe che aveva deciso di seguire il suo esercito, ma di cui Yara aveva già dimenticato il nome. Aveva i capelli corvini tagliati corti e indossava un abito non proprio adatto a un viaggio sul mare, uno di quelli tutto fronzoli e merletti.

La ragazza dovette percepire la sua perplessità perché scoppiò a ridere. “In caso di attacco” confidò alzando la gonna e mostrando i pantaloni, “c’è sempre la seconda opzione. Tu sei Yara, vero?” Yara annuì.

“Io sono Tyene” disse la Serpe anticipando qualunque domanda di Yara, “è normale che non ti ricordi il mio nome, non abbiamo mai parlato.”

“E allora come fai a ricordare il mio?” chiese Yara sollevando appena un sopracciglio.

Tyene ridacchiò, una risata vagamente mascolina. “Tutti su questa nave lo conoscono” spiegò appoggiando i gomiti sul parapetto e fissando l’orizzonte. “E’ la seconda volta che salgo su una nave: è una strana sensazione.”

“Non avete navi a Dorne?” chiese Yara rifiutandosi di sforzare la mente per trovare una risposta che in quel momento le sfuggiva.

“La regina Nymeria le incendiò tutte” raccontò Tyene, “per evitare che il suo popolo si allontanasse dalla nostra terra.” Yara fece una smorfia. Non aveva mai sopportato l’idea di popoli che potessero vivere senza il ponte di una barca sotto i piedi e aveva per questo da sempre diffidato dei dorniani.

“Adesso però” stava continuando Tyene, “stiamo dimostrando di saper navigare. Magari col tempo diventeremo perfino più abili di voi.”

Questa volta fu Yara a ridere. “Buona fortuna” disse voltandosi per tornare sotto coperta.

“Aspetta” la richiamò indietro Tyene, “vorrei parlarti…” Yara strinse le labbra e si obbligò a calmarsi per evitare di perdere il controllo. “Voglio sapere solo una cosa” disse Tyene avvicinandosi, “qual è il piano?”

Yara la fissò negli occhi. “Abbiamo degli ordini” osservò, “dobbiamo raggiungere Porto Bianco e...”

“Certo, certo” tagliò corto la Serpe, “so cosa ha detto Daenerys.”

“E allora non capisco la tua domanda” sbuffò Yara irritata.

“Mi chiedevo” disse Tyene, “cosa avessi intenzione di fare tu.”

Yara corrugò la fronte. “Abbiamo un piano” disse incerta.

“Un piano che fa schifo” disse senza giri di parole Tyene, “lo sappiamo entrambe che Euron non attaccherà mai Porto Bianco: la nostra presenza là sarebbe inutile.”

“Tu non conosci mio zio” le fece notare Yara mettendo le mani sui fianchi, “con lui non si può ragionare come si fa con i comuni mortali.”

“Può darsi” concesse Tyene, “ma Euron non potrà mai attaccare Daenerys o Porto Bianco se noi lo fermeremo prima…”

Yara ne aveva abbastanza. “Stammi bene a sentire” disse con decisione, “questa è la mia nave e io prendo ordini solo dalla regina. Euron non è un deficiente, si aspetta un attacco e non si farebbe trovare impreparato. Se proprio vuoi portare il tuo esercito in una missione suicida vallo a dire al tuo comandante.”

“Benjameen è un idiota” replicò freddamente Tyene, “non mi ascolterebbe mai.”

“Allora forse non è così idiota” insinuò Yara con un sorrisetto. Tyene era rossa dalla rabbia. Aveva portato la mano al coltello che aveva alla cintura e Yara si vide costretta a imbracciare la sua ascia. Passarono secondi di tensione durante i quali nessuna delle due parlò od osò anche solo muoversi. Poi entrambe scoppiarono in una fragorosa risata.

“Pensavo facessi sul serio” ammise Tyene, “sarebbe stato un peccato ucciderti.”

Yara ripose l’arma e si riaggiustò il corpetto grigio scolorito. “Dunque” disse guardandosi le dita delle mani che armeggiavano coi lacci, “cosa dicevamo?”

“Che…”

“Ovvio” la interruppe Yara con un gesto della mano senza alzare lo sguardo, “il piano pazzo. Non credi che limitarci a fare quello che Daenerys ci ha detto di fare sia una buona idea?”

“Non serviamo a niente a Porto Bianco” insistette Tyene, “la vera guerra è altrove. E se Euron attaccasse la Roccia del Drago mentre noi siamo in vacanza?”

Yara dovette ammettere che in parte aveva ragione. “E’ vero” ammise, “ma magari il controllo del Porto favorirà l’alleanza fra la regina e il Nord.” Tyene non sembrava convinta.

In quel momento sopraggiunse sua madre, Ellaria Sand. Yara, fin dal primo monento che l’aveva vista, aveva sempre considerato Ellaria come una donna di una bellezza particolare e selvaggia, propria di una personalità forte e indipendente. Quella mattina Ellaria indossava un abito blu-notte con una cinta d’oro in vita e pendenti della stessa tonalità. Portava trucco nero sugli occhi ed i capelli ricci lunghi fino alle spalle erano lasciati sciolti.

“Madre” la salutò Tyene, “lei è Yara, credo tu sappia chi sia.”

Ellaria annuì, rivolgendo a Yara uno sguardo calcolatore. “Molto piacere” si sforzò di borbottare lei ed Ellaria fece una specie di sorriso. Yara odiava le persone false e bugiarde e vedere quell’espressione di sufficienza sul volto di Ellaria Sand le fece andare il sangue al cervello.

“Di cosa stavate parlando?” chiese Ellaria in tono indagatorio.

“Niente di importante” intervenne Tyene, “Yara mi raccontava del Nord.” Yara non poté far altro che ammirare l’abilità con cui Tyene aveva rapidamente cambiato argomento.

“Oh certo” disse Ellaria, “e dimmi Yara, voi a Nord avete i Giorni del Sole?” Yara scosse la testa.

“Sono delle giorante in cui si festeggia la fine dell’inverno” spiegò Tyene sorridendo, “a Dorne tutti scendono per le strade e si danza, si canta e ci si ubriaca. La gente spera che il sole possa ridare alla pelle un colorito più scuro dopo che questa è diventata pallida durante l’inverno.”

Yara sorrise. “Da noi nemmeno si riconosce la fine dell’inverno” raccontò, “l’acqua del mare è sempre gelida, il cielo è sempre grigio: che indizi possiamo avere dell’arrivo dell’estate?”

“Magari le temperture si alzano” suggerì Ellaria.

“E’ vero” assentì Yara, “ma non di molto, altrimenti anche la Barriera si scioglierebbe.”

In quel momento arrivò sul ponte un giovane che Yara riconobbe come Benjameen Sand, il capitano dell’esercito dorniano. Il ragazzo, un bastardo di chissà quale importante signore di Dorne, doveva avere massimo venticinque anni e aveva la pelle ambrata e folti capelli castani spettinati. Nel complesso era carino, nonostante il suo continuo torcersi le dita.

“Mia signora” disse rivolto ad Ellaria, “il nostromo mi dice che siamo in vista della meta.” Yara, Ellaria e Tyene d’istinto si voltarono verso l’orizzonte. Yara strinse gli occhi e riuscì a distinguere nella foschia la sagoma della riva frastagliata. “Saremo arrivati in mezz’ora” rispose, “magari meno, se posizionaste quelle vele in maniera decente.”

Benjameen Sand si voltò sorpreso verso di lei. “Devo dare ordini?” chiese incerto.

Yara gli puntò gli occhi in faccia. “Sì” rispose, “che le vele siano orientate verso ovest.”

Detto questo, Yara lasciò i tre a rimurginare sulle loro scarse abilità navigative ed andò sotto coperta. Aveva meno di mezz’ora di tempo per sfondare a colpi d’ascia la porta di suo fratello, anche se sperava non sarebbe stato necessario.

“Theon!” urlò mentre bussava insistentemente “Pensavo ti fosse passata la manìa di chiudere le porte in faccia; esci che siamo quasi arrivati.”

Non ottenendo risposta, Yara impugnò l’ascia. “Ti do tre secondi per uscire” lo avvertì, “prima che entri da sola.” Si mise in posizione.

“Uno…” Sollevò l’arma.

“Due…” Ancora nulla.

“Tre!”

Proprio quando Yara stava assestando il primo fendente la porta si aprì. L’ascia rimase ferma nell’aria, a pochi centimetri dal viso di Theon. Yara stava ansimando.

“A-avresti p-potuto uccidermi” balbettò Theon visibilmente terrorizzato.

Yara ripose l’arma e diede uno schiaffo a suo fratello. “Che ti prende?” gli chiese furiosa “A Roccia del Drago ti eri finalmente deciso ad uscire dalla tua camera, avevi addirittura accettato di seguirmi in questa missione e ora sei tornato una larva?”

“No” rispose Theon chinando il capo, “è solo che non voglio vedere gli altri.”

Yara fece una smorfia. “Credo che ti ci dovrai abituare” rispose voltandogli le spalle, “ero venuta per dirti che siamo quasi arrivati.”

In quel momento il cornò suonò e la vedetta urlò: “PORTO BIANCO!” Yara corse sul ponte.

Benjameen la stava aspettando sorridente. “Che te ne pare?” chiese orgoglioso “Sta andando abbastanza veloce ora?” Yara dovette ammettere che il ragazzo se l’era cavata piuttosto bene. “Abbastanza” rispose dissimulando la propria sorpresa, “ora va’ a dire al tuo esercito di prepararsi allo sbarco.”

Benjameen si rabbuiò. “Non puoi darmi ordini” sibilò stringendo i pugni.

E’ proprio un ragazzino.

“Non sto dando ordini” spiegò Yara, “sono solo consigli, perché non vorrei che i tuoi soldati rimannessero sulla mia nave troppo a lungo. I miei uomini potrebbero diventare irrequieti…” Benjameen non rispose, limitandosi a fissarla. Yara si sporse oltre la balaustra.

Ormai Porto Bianco appariva vicinissima e perciò decise di iniziare ad impartire ordini per l’ormeggio. In capo ad un quarto d’ora la Vento Nero e le altre navi della piccola flotta erano saldamente ancorate nel porto. Yara notò che sui pontili si era radunata una discreta folla e si stranì al pensiero di dover agire con diplomazia nei confronti degli uomini del Nord.

Theon l’aveva raggiunta sul ponte e fissava il mare con gli occhi sgranati. “Non posso andare” disse tremando, “loro sanno cosa ho fatto a Robb, a Bran, a Rickon… Vorranno la mia testa.”

“E tu non fargliela prendere” rispose Yara buttando indietro i capelli. “Lascia parlare me e vedrai che andrà tutto bene.” Impartiti gli ultimi ordini ai propri soldati, Yara e Theon raggiunsero Ellaria, Tyene e Benjameen e scesero dalla nave. Furono accolti da sguardi freddi e facce ostili, ma Yara non se ne curò più di tanto.

Presto venne loro incontro un uomo basso e tarchiato, con il volto rosso e le sopracciglia aggrottate. Era accompagnato da una scorta di almeno trenta uomini e sembrava non avere intenzioni pacifiche. Su di loro sventolava il tritone dei Manderly. Durante gli attimi di attesa che seguirono Yara strinse forte la propria ascia nella mano sudata, aspettando il minimo segnale che le avrebbe consentito di attaccare.

“Sei lord Wyman Manderly?” chiese ad un certo punto Tyene.

L’uomo spostò lo sguardo verso di lei. “Mio cugino è a Grande Inverno” disse seccamente, “io sono Marlon Manderly, capitano della guarnigione a Porto Bianco.”

“Ti dispiacerebbe congedare le tue guardie?” si intromise Yara “Noi non abbiamo una scorta…”

Marlon la fissò con disprezzo. “Solamente una dozzina di navi piene di soldati” replicò sarcastico, “tu sei Yara Greyjoy, giusto? Il tuo stemma parla per te… E lui quindi deve essere Theon il Voltagabbana.” Theon sussultò sentendosi chiamato in causa.

“Ringrazia che non abbia la mia spada a portata di mano” minacciò Marlon, “o ti saresti ritrovato senza testa prima ancora di aver messo piede a terra.”

“Piano con gli insulti” intervenne Benjameen che, Yara ne era certa, non sapeva davvero nulla circa il passato di Theon, “siamo venuti in pace.”

Marlon scoppiò a ridere. “Uomini di Ferro che vengono in pace?” chiese ironico “Insieme a quel traditore poi? Non siate ridicoli, i vostri pirati in questo stesso momento stanno distruggendo interi villaggi.”

“Noi non c’entriamo” disse Yara, “è Euron ora che controlla la Flotta di Ferro.”

Marlon rimase in silenzio, probabilmente perché a conoscenza dell’esistenza del Re delle Isole di Ferro. “Ma voi non siete del Nord” disse rivolto ai dorniani, “venite da Dorne, o sbaglio?”

“Non sbagli” disse Tyene, “siamo qui perchè inviati da Daenerys Targaryen.”

Marlon sgranò gli occhi e Yara capì che avevano fatto centro. “Venite dalla Roccia del Drago?” chiese Marlon ancora non del tutto convinto “Sapete se il Re del Nord è arrivato sull’isola?”

“Siamo partiti prima del suo arrivo” rispose Yara avvicinandosi, “Daenerys voleva proteggessimo Porto Bianco dagli attacchi di Euron.”

Marlon era sorpreso. “Mi stai dicendo” chiese roteando gli occhi, “che gli Uomini di Ferro potrebbero attaccare qui?”

“Sì” rispose Yara, “anzi, è molto probabile.”

“Ma non è possibile” obbiettò Marlon, “non si spingerebbero così oltre, non hanno mai avuto il coraggio di attaccare una città potente come Porto Bianco. Solo un folle ci proverebbe…”

“Mio zio è un folle” disse Yara con amarezza, “e se decidesse di attaccarvi non avreste gli uomini sufficienti per respingerlo. Daenerys si è privata di un terzo del suo esercito per aiutarvi.”

“E perché dovrebbe farlo?” chiese Marlon sospettoso.

“Perché è quello che farebbe una regina” rispose prontamente Ellaria.

“Non mi fido di voi” disse Manderly scuotendo la testa, “e soprattutto non mi fido di quel piccolo figlio di puttana. Credo proprio lo farò giustiziare…”

Due guardie avanzarono, ma Yara estrasse l’ascia in difesa del fratello. “Avrà fatto tante cazzate durante la sua vita” concesse in tono deciso, “cose vergognose e ignobili, ma nessun uomo si merita ciò che Ramsay ha fatto a lui.” Sorrise a Theon che la guardava con gli occhi lucidi. Se si mette a piangere giuro che lo uccido, pensò Yara disgustata dalla sola idea.

“Forse non lo sai, mio lord” proseguì poi, “ma è solo merito di Theon se lady Sansa è riuscita a sfuggire dalla grinfie di quel mostro. E tu dov’eri? Ah già, nel tuo castello caldo ed accogliente, senza fare niente.”

Marlon era visibilmente colpito da quelle parole, ma il suo stupore era niente in confronto a quello di Yara per le proprie inaspettate doti oratorie. “Se vogliamo sconfiggere Euron” proseguì lei, “dovremo collaborare: niente più tensioni o pregiudizi. E dovremo anche elaborare un piano efficacie che possa…” Le sue parole furono sovrastate dal suono profondo del corno enorme delle vedette.

“NAVI AL’ORIZZONTE!” gridava un uomo dalla collina “SONO TANTISSIME!”

Yara corse sul molo fino quasi a cadere in acqua e scrutò angosciata la linea sfumata dell’orizzonte, sperando di non trovare conferma alle proprie paure. Un’imponente flotta si stava dirigendo verso di loro ed avanzava ad alta velocità. Nonostante la distanza, il vessillo nero della piovra era perfettamente visibile.

Yara si morse il labbro fino a sentire il sapore metallico del sangue in bocca, mentre Theon la raggiungeva. Si guardarono negli occhi per qualche secondo, dolorosamente consapevoli della loro situazione.

Poi Theon sollevò lo sguardo. “Euron” mormorò solamente.


                                                                                                    "Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria."

 

N.D.A.


Bentornati a tutti! Spero questo capitolo vi sia piaciuto e che mi perdonerete per averlo chiuso in modo così brutto lasciandovi col fiato sospeso ^_^'''' Sì, sono un po' sadica XD XD XD

Ma veniamo a noi... Ci tengo a precisare per l'ennesima volta che come tutti gli altri capitoli anche questo è stato scritto molto prima dell'uscita della settima stagione, quindi le somiglianze che potreste trovare qui e lì sono solo spiacevoli coincidenze (davvero, danno molto fastidio anche a me)... E' il caso soprattutto dell'ultimissima frase, quell'esclamazione "Euron" che segna l'inizio di una battaglia e che nella serie è ripresa uguale da Yara. Veramente, non ho copiato nessuno XD XD Spero troverete almeno tutto il resto originale :-)

Per quelli che se lo stessero chiedendo Verme Grigio sta bene, la mazza usata da Gendry non era quella chiodata, bensì una liscia, come quelle da baseball. Inoltre non è che l'Immacolato si sia rimbambito tutto d'un tratto facendo entrare Gendry nella stanza di un prigioniero: non conosceva Gendry e ha pensato fosse un ragazzo delle cucine o del servizio, quindi gli ha creduto quando ha detto che lo mandava la regina. Gendry ovviamente aveva nascosto la mazza per entrare altrimenti Verme Grigio lo spaccava in due XD XD XD

Come al solito voglio ringraziare di cuore tutti quelli che hanno lasciato una recensione al capitolo 7 o che hanno iniziato a recensire la storia. In ordine: GiorgiaXX (benvenuta :-)), giona, __Starlight__, Spettro94, NightLion e Red_Heart96.... Ringraziamento speciale anche a Gian_Snow_91, che sta coraggiosamente recensendo tutti i capitoli, Azaliv87, che mi ha lasciato una recensione chilometrica al sesto capitolo, e leila91, che so non avermi abbandonata e che prima o poi tornerà.

Un enorme "grazie" a tutti quelli che hanno recensito, perchè questa storia ha superato le 50 recensioni ed è già vicina alle 60... Wow, non lo credevo veramente possibile, grazie mille a tutti!

Alla prossima con la prima vera battaglia di questa storia ;-P... A presto!



N.B.: la citazione di questa volta è della Divina Commedia (come farcela mancare XD XD), più precisamente del canto V di Paolo e Francesca... La dedico alla famiglia Stark, ma soprattutto ad Arya che in questo capitolo ha dovuto affrontare molti ricordi e accettare che purtroppo molte cose sono cambiate e non torneranno.



 

 

 

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Capitolo 9
*** White Harbour ***



White Harbour                                                                                                           

 


Theon

 

Il rumore dei tamburi era assordante. Theon venne spinto di lato da sua sorella che già correva alle navi e quasi perse l’equilibrio. Non riusciva a capire nulla in quella confusione. Tutti correvano in tutte le direzioni, ma nessuno sapeva bene cosa fare. I capi sbraitavano ordini incomprensibili e i soldati tentavano di infilarsi nelle armature il più in fretta possibile. L’atmosfera era tesa.

Le navi di Euron avanzavano a velocità sostenuta e le loro minacciose vele nere si stagliavano contro il cielo grigio. Theon decise di seguire sua sorella.

“Voglio gli arcieri sulla collina” stava urlando Yara a Marlon Manderly, “e la fanteria sulla spiaggia: dobbiamo attirarli in un luogo stretto.”

“Non sei tu a dare gli ordini, ragazzina” la riprese Marlon, “i miei uomini risponderanno solo a me, e io li voglio sulle mura a proteggere le nostre fortificazioni.”

“E’ la cosa peggiore che si possa fare in questo momento” ribatté Yara fissando il lord negli occhi, “se Euron riesce a conquistare la spiaggia allora tutto è perduto. Quelle mura non potranno reggere a lungo.”

“Sono mura forti” insistette testardo Marlon, “sono costruite con la stessa pietra di quelle di Grande Inverno e…”

“MIO FRATELLO HA PRESO GRANDE INVERNO!” urlò Yara e Theon d’istinto abbassò gli occhi “Con venti uomini! Credi davvero che Euron con il suo esercito non riuscirà a distruggere questa patetica imitazione di castello?!”

Yara stava ansimando. “Non è il momento di litigare” disse ora in tono più pacato, “dobbiamo collaborare se vogliamo dare a Porto Bianco una possibilità. Sei capace di dimenticare i vecchi rancori per un po’?”

Marlon strinse le labbra e sembrava sul punto di replicare, quando Tyene arrivò di corsa. Si era cambiata in vista della battaglia e indossava dei pantaloni scuri e una giubba di cuoio. “Hanno dato fuoco a una nostra nave!” esclamò senza fiato “Dobbiamo sbrigarci.”

Yara spalancò la bocca visibilmente stupefatta. “C-come hanno fatto?” chiese con orrore “Quanto sono vicini?”

Tyene brandì il coltello. “Troppo” sibilò roteando l’arma.

Yara la fissò qualche istante e poi annuì. “Andiamo allora” disse, “radunerò un gruppo di esploratori. Dov’è tua madre?”

“Sulla Vento Nero” replicò Tyene, “con Benjameen.”

Yara annuì di nuovo. “Theon” chiamò e lui sobbalzò, “tu ti occuperai di mettere in salvo i cittadini: ti voglio lontano dalla battaglia. Sappiamo entrambi che non saresti in grado di batterti.” Theon abbassò la testa, dolorosamente consapevole dei propri limiti. Yara sguainò una spada dal fodero e gliela porse. Theon la prese con mano tremante ed occhi sgranati.

“Ma se fosse necessario” continuò Yara, “combatti e uccidi.” Tenere una spada in mano dopo tutto quel tempo era una strana sensazione e Theon ebbe quasi paura.

Yara non gli diede tempo di parlare, perché si voltò subito verso Marlon. “Mio fratello porterà tutti gli anziani, le donne e i bambini all’interno del castello” spiegò in tono autoritario, “lascia massimo trenta uomini con lui: gli altri servono sulla spiaggia.”

Ancora una volta Manderly sembrò sul punto di muovere una qualche obiezione che Yara stroncò sul nascere. “Adesso” concluse gelidamente.

Quando lei si voltò per seguire Tyene verso la battaglia, Theon le afferrò la mano. “Voglio venire con te” disse guardandola negli occhi, “non posso sopportare l’idea di perderti, io…” Theon sentiva già le lacrime bagnargli il volto.

Cosa c’è che non va in me?

“Non piangere come una ragazzina” lo rimproverò Yara, “io non ho alcuna intenzione di morire, non prima almeno di aver piantato la mia ascia nel cranio del nostro amabile zietto.”

Yara gli mise una mano sulla spalla. “Theon” sussurrò, “il tuo aiuto serve qui, te ne rendi conto? Non sei più un bambino che sogna la gloria della guerra, vero?” Theon scosse energicamente la testa. Robb un po’ lo era, pensò e sentì una fitta al petto al ricordo dell’amico che aveva così vigliaccamente tradito.

“Resterò qui” promise Theon respirando a fatica, “tenterò di rendermi utile.” Yara accennò una specie di sorriso e gli diede una pacca sulla schiena. “Bene” esclamò avviandosi dietro a Tyene, “allora ci vediamo dopo.”

Appena le due figure girarono l’angolo, Marlon afferrò Theon per il bavero. Theon emise un grido di stupore e tentò inutilmente di liberarsi dalla presa. “Non mi interessa cosa dice tua sorella” gli ringhiò Marlon in faccia, “tu resterai sempre un voltagabbana. Il Nord non dimentica.” La stretta divenne ancora più serrata. “Azzardati solo a fuggire o ad abbandonare il tuo posto” lo minacciò, “e io ti prometto che ti andrò a cercare fino in capo al mondo per darti una morte così dolorosa che tutto quello che hai patito con Ramsay al confronto ti parrà il paradiso.”

Theon sbiancò, il fantasma di Ramsay così reale che credette quasi di scorgerlo. Quando Marlon lo lasciò andare, cadde a terra. Senza più degnarlo di uno sguardo, Manderly iniziò ad impartire ordini e presto si allontanò. Da lontano giungevano già i rumori assordanti della battaglia.

Theon sapeva cosa Yara si aspettava da lui, ma non riusciva a trovare la forza di alzarsi. In quel momento desiderava solo che qualche nemico ponesse fine alla sua vita. Rimase immobile per qualche minuto tutto tremante nella sua armatura, finché sentì delle manine scuoterlo con delicatezza.

“Signore?” chiese una voce infantile “Stai bene?”

Theon si tirò a sedere e vide in piedi accanto a lui un bambino che poteva avere al massimo cinque anni. Gli ricordava incredibilmente Rickon. Aveva le guance paffute ed i capelli scarmigliati color paglia.

“Ho perso la mamma” disse il bimbo con voce lamentosa, “mi aiuti a cercarla?”

Theon lo fissò di stucco. “Certo” rispose dopo un’impercettibile esitazione, “io sono Theon, tu?”

“Gerald” disse il bambino, “ma la mamma mi chiama Ger.”

“E a te quale piace di più?”

Il bimbo ci pensò qualche secondo. “Ger” rispose infine.

“Bene, Ger” esclamò Theon sforzandosi di apparire rilassato, “portami a casa tua.”

Theon era assolutamente certo che il bambino si fosse solamente allontanato troppo, senza ricordarsi che probabilmente la mamma lo stava aspettando a casa. Infatti, appena giunti in una piccola bottega decorata con fiori aromatici, Gerald si gettò tra le braccia di una giovane donna dai capelli biondi legati in una crocchia spettinata.

“Ger!” lo rimproverò la donna “Non sai quanto ero in pensiero per te! Non ti devi allontanare così, specialmente in questa situazione: non capisco bene cosa stia succedendo.”

“Siamo sotto attacco” si intromise Theon.

La donna d’istinto portò il figlio dietro il suo corpo. “Chi sei?” chiese sospettosa ed impaurita mentre i suoi occhi vagavano per la stanza alla ricerca di un’arma.

“Mi chiamo Theon” rispose lui con pazienza, “ho riportato tuo figlio a casa.”

La donna parve rasserenarsi. “Chiedo scusa” disse imbarazzata, “di questi tempi non si sa mai di chi fidarsi. Io sono Maryka.”

Gli tese la mano, ma Theon decise di andare al sodo. “Mia signora, Porto Bianco è sotto assedio” disse in tono grave senza mezzi termine. “Marlon Manderly offre riparo a tutti voi all’interno del suo castello, ma dovete andare subito.”

Maryka si era portata la mano destra alla bocca, mentre con l’altro braccio stringeva il figlio. “Non è possibile…” mormorò sconvolta. Theon sapeva di avere poco tempo. “Non farti domande” le suggerì odiandosi per doverla abbandonare così, “prendi tuo figlio e scappa: non avete tempo.”

Si precipitò fuori dalla casupola e tentò di convincere più gente possibile del pericolo. La maggior parte non gli credeva. Un uomo lo spinse addirittura nella polvere. E’ come se non esistessi, pensò Theon rialzandosi a fatica.

In quel momento l’aria fu attraversata da un boato assordante, seguito da urla provenienti dal porto. Alcuni soldati correvano dalla spiaggia; avevano le armature bruciate in più punti e parlavano a fatica. Theon rimase in ascolto non visto.

“Hanno incendiato la nostra flotta” balbettò un soldato di Porto Bianco aggrappandosi a Marlon per non cadere, “mio signore, abbiamo tentato di fermarli, ma eravamo pochi e…”

“Va bene, va bene, Lakio, calmati” rispose in fretta Manderly con voce che tradiva la paura “Dov’è ora il combattimento?”

L’uomo ansimava. “I nostri uomini stanno difendendo il porto” rispose quasi in lacrime, “ma non resisteranno a lungo. Possono darci solo il tempo di organizzare una difesa.”

Marlon strinse le labbra. “E i soldati di Yara Greyjoy?” chiese sollevando un sopracciglio.

“Metà in mare” rispose Lakyo, “e metà sulla spiaggia. Se la stanno cavando. Quali sono gli ordini, mio signore?”

Theon decise di intervenire. “E’ necessario portare i civili al sicuro nel castello” esclamò raggiungendo i due, “ho provato a convincerli a fuggire, ma non mi ascoltano.”

Marlon si incupì. “Perché sei qui?” chiese furioso.

Theon tirò fuori tutto il coraggio che aveva in corpo. “Perché non sono l’uomo adatto a portare la tua gente al sicuro” rispose sincero, “permettimi di aiutarti in combattimento.”

Marlon lo squadrò con sufficienza. “Tua sorella ha detto che non sai batterti” rispose con un ghignò, “e non potrei darle torto.”

“Non mi sono spiegato” disse Theon, “non voglio combattere, ma aiutarti. Conosco Euron Greyjoy e conosco i punti deboli delle sue navi: posso mostrarti dove far attaccare i tuoi uomini. Dammi questa possibilità, ti prego…”

Marlon rimase in silenzio per qualche secondo, poi si voltò verso Lakio. “Prendi tutti gli uomini che riesci a trovare” ordinò, “e conduci i cittadini al sicuro. Suona il corno quando sono entrati tutti.” Dopo che Lakyo si fu allontanato, Marlon estrasse la spada. “Allora?” chiese a Theon “Qual è il piano?”

Theon non ebbe dubbi. “La collina” rispose, “sarà lì dove colpirà Euron.”

Marlon parve stupito. “Come?” chiese “Ha mandato i suoi uomini alla spiaggia, stanno combattendo contro l’esercito di tua sorella.”

“Tutti diversivi” replicò Theon, “gli Uomini di Ferro non sono bravi a combattere a terra, scommetto che quelli sono i mercenari.”

Marlon sgranò gli occhi. “E dov’è Euron?”

“Rimane nell’ombra” rispose Theon con amarezza, “per colpire dove è sicuro di vincere senza troppi uomini.”

Come ho fatto io a Grande Inverno.

Theon fissò Manderly negli occhi. Iniziarono a correre contemporaneamente. Arrivarono sul piccolo colle in pochi minuti. Pochi uomini erano di guardia lì, principalmente arcieri.

“Dove sono gli altri?” chiese Theon “Mia sorella ti aveva detto di mandare metà esercito!”

Marlon abbassò gli occhi imbarazzato. “Ho pensato ne servissero più al porto…” balbettò.

Theon si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo e si arrampicò su un albero. Da quell’altezza aveva un’ottima visuale della battaglia che infuriava poco lontano da loro. L’intera piccola flotta del Nord era in fiamme e vicino ai moli pochi uomini intraprendenti tentavano ancora di salvare il salvabile.

Alla spiaggia la situazione era migliore e Theon riconobbe i vessilli di Dorne. Poteva udire Benjameen Sand, splendente nella sua armatura, urlare ordini e lo vedeva abbattere un nemico dopo l’altro. Erano riusciti a respingere gli assalitori verso le scialuppe che li avevevano portati a riva e stavano tentando di accerchiarli. Theon notò con tuffo al cuore che i nemici alla spiaggia avevano la pelle scura ed i capelli neri. Devono essere mercenari dell’Est, pensò, trovando conferma alle proprie preoccupazioni.

Spostò lo sguardo verso il mare. La Vento Nero aveva preso il largo e ora fronteggiava tre imbarcazioni che Theon immaginò essere di Euron. Yara sarà lì, si disse scendendo dall’albero.

Marlon gli venne incontro. Era visibilmente turbato. “Mi chiedono perché non possono raggiungere i loro compagni che stanno morendo al porto” sussurrò a disagio accennando ai soldati alle sue spalle, “sei sicuro che la nostra presenza qui sia fondamentale?”

Theon annuì gravemente. Non sono mai stato così sicuro di una cosa in vita mia, si disse. “La Silenzio di Euron non si vede” spiegò, “evidentemente sta preparando un’imboscata: dobbiamo essere pronti.”

Marlon lo fissò dritto negli occhi. “Posso fidarmi di te?” chiese.

Theon deglutì. “Sì” rispose con tristezza, “non sono più l’uomo che ha tradito Robb Stark, e credimi, quello è stato l’errore più imperdonabile della mia vita.”

“E come faccio a sapere che questa sia la verità?” chiese ancora Manderly.

Theon sospirò. “Perché l’unico motivo che ancora mi tiene aggrappato alla vita, l’unica ragione che mi impedisce di prendere un coltello e farla finita” spiegò, “è che non posso lasciare questo mondo senza aver espiato tutte le mie colpe. E dato che ciò è impossibile, non sarò io a scegliere il momento della mia morte.”

Esitò. “Voglio ricordare Ned, Robb, Catelyn, Sansa, Bran, Rickon” Jon “per non dimenticare mai quello che io gli ho tolto.”

Marlon lo stava osservando. “Ti credo” decise infine voltandogli le spalle. Theon si impose di non tirare un sospiro di sollievo. Il frastuono della battaglia gli faceva girare la testa.

In quel momento una freccia sibilò a pochi centimetri dal suo orecchio e poco dopo un uomo si accasciò con un’ascia piantata nel cranio. Marlon si voltò di scatto, mentre Theon si precipitava sulla scogliera. Il cuore perse un battito.

La Silenzio era lì, nascosta tre le rocce della baia e nessuno si era accorto di niente. Gli uomini di Euron avevano già iniziato la scalata.

“Che facciamo?!” urlò un soldato terrorizzato.

“Combattiamo” esclamò Marlon, “dobbiamo impedirgli di raggiungere la spiaggia.”

Theon era d’accordo: se il gruppo di Euron avesse sorpreso quello di Benjameen alle spalle ci sarebbe stato poco da fare. Sguainò la spada di Yara, ma presto si accorse che in quel momento era abbastanza inutile. Vide che il soldato caduto stringeva ancora in mano il suo arco e che aveva una faretra piena di frecce. Un tempo ero un ottimo arciere, ricordò, tentando di non essere sopraffatto dalla commozione.

Raccolse l’arco ed incoccò la prima freccia. Quando scoccò, la seguì con lo sguardo. Tutto intorno a lui parve acquietarsi: esisteva solo il sibilo della freccia. E la freccia colpì il nemico al cuore, uccidendolo. Theon si accorse di essere tutto sudato. E’ appena cominciata, si disse impugnando un’altra freccia.

Per qualche minuto continuarono ad incoccare e scoccare e Theon non sbagliò mai un bersaglio. Ma per ogni uomo caduto altri tre ne prendevano il posto. Quando le frecce finirono, Theon si voltò a guardare Marlon, che era pallido come un cencio. Non c'era nient’altro che potessero lanciare.

“E ora li aspettiamo” mormorò Manderly.

I nemici non avevano arrestato la loro avanzata e ora solo qualche roccia li separava dalla vetta. Erano almeno settanta. E noi quanti siamo? si chiese Theon Ne posso contare sì e no dieci…

Marlon dovette pensare la stessa cosa perché gli si avvicinò. “Ascoltami” disse prendendolo per le spalle, “tu devi andare alla spiaggia e avvertirli. Noi resisteremo per darti un po’ di tempo.”

Theon era sconvolto. “Non posso” mormorò già con le lacrime agli occhi, “non posso vedervi morire…”

“Theon!” esclamò Marlon scuotendolo con forza “Smettila di piangere per i Sette Inferi! Non c’è alternativa.”

“Ma…”

“Niente ma!” lo interruppe Manderly “Se davvero vuoi essere perdonato per il tradimento di re Robb dovrai sopportare questo. Ricorda: non puoi morire prima che i tuoi crimini vengano espiati.” Theon rimase in silenzio. Alcuni Uomini di Ferro avevano già raggiunto la cima.

“Ora va’” mormorò Marlon con la voce che gli tremava. Theon si mise a correre inghiottendo le lacrime: aveva già pianto abbastanza per una vita intera.

Corse giù per la collina; il fango gli si appiccicava agli scarponi e il vento in faccia lo faceva rabbrividire. Raggiunse in breve tempo la spiaggia, ma fu costretto a fermarsi disorientato. Davanti a lui si presentava uno spettacolo confusionario. I mercenari di Euron avevano riguadagnato terreno e avevano costretto i dorniani con le spalle a quel muro di roccia che era la costa più a Nord.

Tentando di non essere notato dai nemici, Theon iniziò ad avvicinarsi. Tyene combatteva in prima fila, roteando il coltello e la spada con un’agilità sorprendente. Falciava anche due nemici per volta ed era attenta a non lasciarsi mai le spalle scoperte. Benjameen aveva rinunciato a farsi sentire sopra quel frastuono e si limitava a cercare di aprire un varco che portasse i suoi uomini verso il bagnasciuga.

Theon vide un uomo con il sole di Dorne dipinto sul petto cadere trapassato da un lancia. Il suo sangue fu subito bevuto dalla sabbia che assunse un colore scuro. Un altro soldato cadde in ginocchio colpito alla spalla e non fece in tempo ad implorare pietà che il nemico gli aveva già affondato la spada nel cuore.

Theon era paralizzato dall’orrore. Un tempo amavo la guerra, ricordò, ma non in quel momento non riusciva neppure a concepire un pensiero del genere. Raccolse una freccia caduta e tese ancora una volta l’arco, con le dita mutilate che scivolavano sulla corda. Mirò un enorme guerriero apparso alle spalle di Tyene e lo centrò in un occhio.

La ragazza si voltò verso di lui, all’inizio spaesata. Poi dovette riconoscerlo. “Theon!” urlò venendogli incontro “Che ci fai qui? Yara ti aveva detto di aiutare i…”

“Tyene, è importante” la interruppe disperato Theon “Euron è qui.”

Tyene lo fissò poco convinta. “Theon, ma che dici?” lo riprese aspramente “Euron è su una di quelle navi e tua sorella gli sta dando la caccia. Vedrai che riuscirà a prenderlo.”

Theon scosse la testa nervoso e stava per replicare, quando il suono di un corno permeò l’aria. Non aveva mai sentito nulla del genere e dovette tapparsi le orecchie con entrambe le mani. Improvvisamente il campo di battaglia era quieto e tutti guardavano in direzione del rumore. Ai piedi della collina era appena apparsa una piccola guarnigione su cui sventolava il vessillo della piovra. Davanti a tutti procedeva un uomo sorridente con una rozza corona di legno sul capo e un enorme corno appeso al collo.

“E’ lui Euron?” chiese Tyene a bassa voce. Come a volerle rispondere, Euron rise. Theon rimase congelato al proprio posto: era troppo tardi.

“Carissimi” esordì il Re delle Isole di Ferro, “è sempre una buona cosa testare la forza dei propri mercenari prima di affrontare una vera guerra, ma ora avete esagerato. Non volete riposarvi un po’?” Nessuno si azzardò a parlare.

Euron non smise di sorridere. “Oh, andiamo” li incitò, “vedo i soli dorati sulle vostre armature, non siete di queste parti. Anche perché nessun uomo del Nord andrebbe mai in giro con quei vestiti.” Gli uomini di Euron risero.

“Vi ha mandati Daenerys Targaryen, vero?” continuò Occhio di Corvo “Chi è il comandante di questo piccolo esercito?”

Benjameen si fece avanti. Aveva un brutto taglio sotto l’occhio destro, ma non sembrava curarsene. “Oh, bene” esclamò estasiato Euron, “e tu chi sei, giovanotto?”

“Benjameen Sand” rispose il ragazzo sollevando il mento in atteggiamento di sfida.

Euron si accarezzò la barba divertito. Sand?” chiese ironico “Un bastardo... Ma dimenticavo, ora è normale che i bastardi ricoprano certe cariche importanti!” Le risate furono ancora più fragorose e Benjameen arrossì di rabbia. Theon pensò a Jon.

Euron sollevò una mano intimando silenzio. “Allora, Bejameen” disse in tono più serio, “dato che non ho molto tempo verrò subito al punto: avete intenzione di arrendervi?”

“MAI” urlò il giovane comandante con fierezza.

Euron sospirò e schioccò le dita. Due uomini trascinarono ai suoi piedi Marlon Manderly. Nonostante le corde che gli legavano i polsi e la sporcizia che gli lordava il viso e i vestiti, vi era qualcosa di regale nel suo sguardo. Theon sentì lo stomaco stringersi in una morsa.

“Li hai sentiti, Marlon?” chiese con voce fintamente stupita Euron “Non vogliono arrendersi… Tu cosa gli dici?”

“Che fanno bene” disse con odio Marlon sputando a terra.

“Stai condannando la tua gente” lo avvertì Occhio di Corvo, “sto per dare l’ordine di attaccare il castello. In quanti moriranno?”

“Sei un vigliacco” lo insultò Marlon guardandolo negli occhi, “non c’è onore nei tuoi trucchi.”

“Certo che no” rispose Euron, “non voglio onore, voglio potere. Sei il custode di Porto Bianco, arrenditi e io risparmierò tutti quegli innocenti.”

Marlon fece una smorfia. “Se credi che io possa piegarmi davanti ad un fottuto Greyjoy” disse con rabbia, “allora sei più matto di quello che raccontano su di te.”

Euron fece spallucce. “Adoro essere considerato folle” disse, “nessuno si aspetta che segua le regole. Le ultime parole?”

Theon vide un uomo con la scure avvicinarsi e sentì la necessità di urlare, di fare qualcosa. Ma rimase in silenzio.

Marlon non sembrava troppo spaventato dall’idea di morire. “Spero tu faccia la fine che la Storia ha riservato a quelli come te” rispose tranquillamente.

Per la prima volta gli occhi di Euron furono attraversati da un lampo di furore. Theon iniziò a tremare incontrollabilmente e perfino Tyene alla sua destra pareva agitata.

“Bene” disse Euron sollevando un sopracciglio, “Rhyun, procedi pure…” L’uomo sollevò la scure e Marlon abbassò la testa.

Theon voleva volgere lo sguardo altrove, girarsi e mettersi a correre fino a sentire il cuore scoppiargli nel petto, ma non poté. Gli occhi seguirono la parabola della scure e la videro abbattersi con un sibilo sinistro sul collo esposto di Marlon Manderly.

Poi ci fu il sangue.

 

Tyrion

 

Quella mattina il sole non era ancora sorto del tutto quando Tyrion si vide entrare nella sua stanza un’affannatissima Daenerys Targaryen che immediatamente richiuse la porta alle sue spalle. Il nano, ancora mezzo nudo e scompigliato dal sonno, sobbalzò sul letto e tentò di coprirsi come meglio poteva.

Daenerys sgranò gli occhi arrossendo lievemente. “Ho provato a bussare” si giustificò, “ma credo dormissi troppo profondamente…”

Tyrion incassò il colpo e con la mano destra cercò a tentoni le braghe sul comodino. “Avevo sbarrato la porta” mormorò scandalizzato.

“Ho dovuto forzarla” spiegò Daenerys, “ma non è stato difficile.” Tyrion grugnì. Bene, pensò sconsolato. E' bello sapere che chiunque può entrare nella tua camera da letto ed ucciderti, quell’Obara per esempio.

“Cos’è tutta questa fretta di vedermi?” chiese “Ti mancava la mia compagnia? So che sono irresistibile, ma non pensavo fino al punto da sfondare una porta per buttarmi giù dal letto…”

Dany alzò gli occhi al cielo. “Dobbiamo riunirci prima che Jon Snow e il suo seguito si sveglino” disse compostamente, “dobbiamo discutere di alcune faccende.”

Tyrion sollevò le folte sopracciglia. “Credevo avessi detto ai nostri ospiti che si potevano fidare di te” osservò, “che eravate alleati. Gli alleati non dovrebbero cospirare alle spalle degli altri alleati.”

“Non voglio cospirare!” sbottò irritata la regina “E’ solo che non ritengo saggio l’affrontare certi discorsi in presenza di estranei.” Fece una pausa, visibilmente indecisa. “E ho bisogno del tuo consiglio” ammise infine.

Tyrion sorrise fra sé e sé. “Perfetto” disse, “dammi qualche minuto ed arrivo.” Daenerys annuì, continuando a fissarlo. “Ehm” disse il Folletto imbarazzato, “non è che potresti, ecco, girarti?”

“Oh certo!” esclamò Dany affrettandosi a voltarsi.

Un paio di minuti dopo erano nella sala del trono. Varys camminava in cerchio borbottando parole indistinte, Obara era seduta in un angolo con i gomiti sulle ginocchia e Verme Grigio barcollava sostenuto da Missandei. Non si accorsero nemmeno dell’arrivo della regina finché Tyrion non si schiarì la voce. Allora Varys smise di camminare e Obara sollevò la testa.

“Buongiorno, vostra grazia” la salutò cordialmente Varys.

“E io?” chiese Tyrion fingendosi offeso “Non si saluta il povero nano svegliato così barbaramente nel bel mezzo di un sogno bellissimo? C’erano due…”

“Taci, per favore” sussurrò Daenerys tra il divertito e l’annoiato. Poi si avviò verso Verme Grigio. “Come stai?” chiese con pizzico di ansia nella voce.

“Bene” rispose Verme Grigio aggrottando le sopracciglia, “non è nulla.”

“Non è vero!” si intromise Missandei preoccupata “E' stato colpito alla nuca e…”

“Ho detto che sto bene” ribadì Verme Grigio non senza un certo affetto nella voce. Missandei strinse le labbra: aveva gli occhi lucidi.

“Ce la fai a stare seduto?” chiese Dany e Verme Grigiò annuì.

“Bene” proseguì la regina. “Missandei, aiutalo a sedersi al tavolo per favore.” La ragazza trasportò con delicatezza Verme Grigio fino alla sedia più vicina e lo adagiò facendo attenzione alla ferita. Daenerys attese paziente che tutti si fossero seduti.

“Non abbiamo molto tempo” esordì poggiando le mani sul tavolo, “immagino sappiate di chi dobbiamo parlare…” Tutti annuirono.

“Come si permettono questi uomini del Nord a mancarci di rispetto?” intervenne Obara “Ieri sera non sono venuti a cena nonostante l’invito della regina: è già tanto se Daenerys abbia concesso loro di mangiare nelle loro stanze.”

“Erano esausti” disse Tyrion cercando di placare le acque in tempesta, “Jon e Gendry venivano da un lungo viaggio e da un’altrettanto difficile conversazione.”

“Stronzate” ribattè volgarmente Obara, “quanti piani credi abbiano architettato, quanti piani credi stiano architettando in questo momento, mentre noi siamo qui a parlare?”

Tyrion aprì la bocca per parlare, ma Varys lo anticipò. “Devo concordare con lady Obara” disse lui a bassa voce, “non so quanto possiamo fidarci. Forse a questo Jon Snow farebbe comodo ucciderci tutti nel sonno.”

Tyrion era stupefatto dal ritrovarsi anche Varys contro. “Sei stato anche tu ad incoraggiare Daenerys ad incontrare Jon” gli ricordò, “o te lo sei già dimenticato?”

“Come già ti dissi una volta” osservò con calma Varys, “non dimentico mai nulla, ma volevo aspettare per conoscerlo.”

“E allora aspetta ancora” esclamò Tyrion, “dato che l’hai visto per non più di due minuti.”

“Ah, ma sono sufficienti” disse Varys chiudendo gli occhi, “ho capito che uomo è: onorevole, sicuro di sè, coraggioso…”

“Tutte qualità positive” fece notare Tyrion.

Varys lo fissò intensamente. “E devoto anima e corpo alla propria causa” concluse senza cambiare espressione, “quello che vuole, quello che cerca, non lo troverà né qui né ad Approdo del Re e state certi che non avrà scrupoli. Semmai dovessimo metterci contro le sue ambizioni…”

“Non sono ambizioni” lo corresse Tyrion, “solo desiderio di proteggere la sua gente.”

“Fa lo stesso” tagliò corto il Ragno Tessitore, “Jon Snow non è in grado di dimenticare o perdonare ciò che è successo alla sua famiglia e io non potrei dargli torto, ma ciò non cambia il fatto che lui non sia un alleato di cui fidarsi. Se ci metteremo tra lui ed il Nord, tenteranno in tutti i modi di ucciderci.” Tyrion sentì un brivido scendergli lungo la schiena ed anche Daenerys aveva le mani che tremavano.

“Cosa intendi?” chiese Missandei con un filo di voce.

“Ho udito sussurri” raccontò Varys, “e cucito insieme i pezzi. Gli Stark sono pericolosi: coloro che hanno fatto loro del male ora sono…”

“Fammi indovinare” intervenne Obara sarcastica, “morti?”

“Assassinati” precisò Varys, “e in situazioni misteriose. Joffrey è stato avvelenato al suo matrimonio e Walder Frey è stato trovato sgozzato. Pochi giorni dopo i Frey si arrendono a Edmure Tully, evaso misteriosamente di prigione.”

“Stai dicendo” chiese stupita Dany, “che siano stati gli Stark? Che stiano portando avanti un progetto di vendetta?” Varys annuì. Daenerys appoggiò la schiena allo schienale. “Ma è assurdo…” mormorò solamente.

Tyrion era irritato. “E se anche fosse?” chiese in tono di sfida “Hai forse paura?”

“Certo che no” rispose subito Varys, “ma suggerirei di agire con cautela e di proseguire con il piano stabilito.”

Stava fissando Daenerys e la regina si mosse a disagio. “Il matrimonio?” chiese con voce indecifrabile.

“Sì, vostra grazia” replicò l’eunuco, “è l’unico modo per garantirci l’assoluta fedeltà di Jon Snow e del Nord. Dopo potremo considerarli veri alleati.” Daenerys si morse il labbro.

“Cosa ti fa pensare che rimarrà fedele alla nostra regina solo perché sarà sua moglie?” si intromise a sorpresa Verme Grigio “Se non sbaglio avevate detto che questo Jon Snow ha già infranto un giuramento una volta.”

“E’ vero” rispose Varys, “ma avere un suo giuramento è sempre meglio che non averlo e restare in balìa del caso.” Per qualche istante regnò il silenzio.

“I-io gli farò l’offerta di diventare mio marito” disse poi Daenerys, “nonché sovrano dei Sette Regni, ma se non accettasse?”

“Chi diavolo rinuncerebbe alla possibilità di diventare re?!” esclamò esasperata Obara.

“Durante il confronto di ieri” ammise Daenerys, “mi è sembrato poco felice perfino del suo titolo attuale, proprio come aveva previsto Tyrion, quindi potrebbe non voler abbandonare il Nord.”

“In quel caso” disse Varys, “troveremo il modo di convincerlo. Con gentilezza, ovviamente, mi rifiuto anche solo di pensare che si possa minacciare un innocente, seppur per una buona causa.”

Daenerys arrossì violentemente e distolse lo sguardo. Tyrion comprendeva il suo turbamento: aveva già fatto proprio quello il cui solo pensiero aveva disgustato Varys. Ma tu cosa nei sai, Varys? si chiese Tyrion Sei a conoscenza di cosa esattamente ha detto la nostra regina a Jon ieri? E’ un miracolo che la situazione non sia degenerata.

Una parte di lui gli diceva che Varys sapeva e che forse aveva trovato un metodo efficacie per far sentire in colpa Daenerys senza accusarla formalmente. Al contrario di quello che ho fatto io, pensò Tyrion scuotendo leggermente la testa. Stavolta aveva vinto Varys, anzi, forse l’intero discorso sulla poca affidabilità di Jon era stato ideato apposta per far capire a Daenerys dove stesse sbagliando. E Daenerys sembrava aver afferrato il concetto.

La regina si alzò imbarazzata avviandosi verso la porta. “Scusatemi” disse con voce quasi lamentosa, “ci vediamo a pranzo: avete la mattinata libera.” Ed uscì. Nella stanza calò un silenzio carico di tensione.

Verme Grigio scattò in piedi, prontamente sostenuto da Missandei. “Lasciami” la pregò lui, “devo andare dagli Immacolati a dare ordine di mettere sotto scorta la regina.”

“Devi riposarti” disse Missandei, “altrimenti ci metterà più tempo a guarire. Lascia che sia io ad andare a parlare con i tuoi compagni.” Verme Grigio spalancò gli occhi. “No, loro” balbettò, “cioè tu… non potresti…”

“Non mi reputi all’altezza?” chiese Missandei corrugando la fronte. “Non è questo” si affrettò a rispondere Verme Grigio dissimulando una smorfia di dolore, “loro non ti ascolterebbero.”

“Fammi provare” insistette Missandei, “devo solo dire che mandino delle guardie a sorvegliare la porta della camera della regina, è facile.” Verme Grigio sembrava ancora indeciso, nonostante la sua palese incapacità di andare lui stesso.

“L’accompagnerò io” intervenne Obara mettendo una mano sulla spalla di Missandei, che sorrise riconoscente, “vedremo se avranno il coraggio di dire qualcosa.” Verme Grigio annuì ed iniziò a camminare verso la porta.

Prima di raggiungerlo, Missandei si avvicinò ad Obara. “Grazie” le sussurrò.

“E di cosa?” rispose ridendo Obara “Tra donne dobbiamo aiutarci.” Continuarono a chiacchierare mentre si allontanavano, ma presto Tyrion non fu più in grado di distinguere le loro voci.

“E’ stato un piacere” disse allora Varys lisciandosi la veste di seta, “ma ora credo proprio che andrò a fare una passeggiata.”

“Non così in fretta” lo trattenne Tyrion, “vorrei chiederti alcune cose…”

Varys sorrise, come a sapere esattamente cosa l’amico gli avrebbe detto. “Sta bene” rispose, “ma lo puoi fare anche mentre camminiamo.” Così Tyrion lo seguì giù per le scale che portavano alle cucine, fino alla scogliera.

Nonostante le nuvole e il forte vento, il panorama era meraviglioso. A destra le montagne di pietra scura coperte da arbusti radi e boscaglia secca di tutti i colori si allungavano verso il mare e, dove le onde le colpiva, erano lisce come i ciottoli di un fiume. Vi erano pozze di acqua salata formatesi dopo le mareggiate e la spiaggia era ricoperta da piccole conchiglie rosate. La vegetazione in tutta l’isola era davvero scarsa, ed arretrava, impossibilitata a crescere sulla sabbia nera. Si diceva fosse diventata così scura a causa del respiro dei draghi che un tempo abitavano l’isola.

A sinistra si ergeva arroccato il castello, avvolto da un’atmosfera affascinante ma non per questo meno inquietante. Le sue torri erano snelle e aguzze, come se tentassero di graffiare il cielo, ed assomigliavano agli artigli di drago. Le finestre erano piccole e collocate senza simmetria e le mura erano così alte e massicce da sembrare fuse con la roccia circostante.

Varys era in piedi immobile sulla scogliera, lo sguardo perso verso l’orizzonte che sfumava nelle nuvole.

Tyrion gli si avvicinò. “Era tutta una farsa, vero?” chiese con cautela “Il discorso di prima intendo…”

L’eunuco nemmeno si voltò a guardarlo. “Tu cosa pensi?”

Tyrion strinse le labbra. “Mi chiedo come tu abbia fatto a saperlo” disse osservando la reazione di Varys. Reazione che come al solito non arrivò.

“Ho i miei metodi” rispose Varys evasivo, “ma so che Daenerys ieri, dopo aver allontanato me e Missandei, ha minacciato più volte Jon Snow di distruggere il Nord se non avesse acconsentito ad appoggiarla. Questa non è l’azione che ci si aspetta da un buon regnante e tu lo sai…”

Tyrion deglutì a fatica. “Io ho provato a fermarla” disse con voce quasi strozzata, “ma non mi ha ascoltato.”

“Hai fallito” disse senza mezzi termini Varys, “come Primo Cavaliere e come amico della regina.” Varys aveva appena dato voce al suo tormento interiore e Tyrion non sapeva come controbattere. E’ la prima volta che rimango senza parole, si disse frustrato. Almeno da quando Shae era entrata in quella sala per testimoniare contro di lui.

“Lo so” ammise, “ma non so lo stesso cosa fare. Ho consigliato io a Daenerys di cercare l’alleanza del Nord e se ora qualcosa andasse storto sarebbe colpa mia.”

“Non assumerti più colpe di quelle che hai commesso” lo ammonì Varys, “anch’io ho suggerito questa tattica a Daenerys perché era, ed è, la strada giusta da seguire. Abbiamo però entrambi sottovalutato la situazione.”

Tyrion ripensò a Jon che estraeva la spada, deciso ad uccidere pur di abbandonare l’isola, e sentì lo stomaco contrarsi. “Già” replicò tristemente, “e mi è quasi sfuggita di mano. Cosa dobbiamo fare ora? Come posso essere il Primo Cavaliere se nemmeno sono capace di prevedere le reazioni folli della mia regina?”

Varys emise un lungo sospiro. “Ci attende un compito difficile” lo avvertì, “molto difficile, mi capisci?” Tyrion drizzò la schiena ed annuì solennemente. “In questo momento” continuò l’eunuco, “ci sono molte forze in campo. Sia Daenerys che Jon vogliono questa alleanza perché ne comprendono il potenziale, ma devono fare i conti con alcuni problemi. Davos Seaworth tenterà in tutti i modi di far cambiare idea al suo re…”

“Come puoi esserne sicuro?” lo interruppe dubbioso Tyrion.

“Hai davvero così poca fiducia in me?” gli chiese Varys “Non ti ho già ampiamente dimostrato le mie capacità?” Tyrion non rispose: in fondo era una domanda retorica.

“Mentre Daenerys deve lottare contro la sua natura” proseguì l’eunuco soddisfatto dal silenzio del nano, “e rischia di dire cose di cui si pentirà sicuramente. Il nostro compito è quello degli intermediari che dovranno garantire il funzionamento di questa alleanza. Tyrion, non ti mentirò, potrebbe risultare pericoloso e nella peggiore delle ipotesi perfino mortale, se Daenerys si dovesse persuadere che siamo colpevoli di tradimento.”

“Sei sopravvissuto tutti questi anni ad Approdo del Re” osservò Tyrion grattandosi il naso, “e non hai mai veramente rischiato la vita, nonostante tutti sapessero che non fossi proprio il più fidato membro del Concilio Ristretto.”

“La corte di Approdo del Re era falsa” replicò Varys, “tutti mentivano e nessuno diceva apertamente ciò che pensava, eccetto te durante il tuo processo e sappi che secondo me è stato un gesto suicida. Jon e Daenerys sono diversi, le loro idee si scontreranno alla luce del sole e noi dovremmo prendere una posizione. Io sceglierò la via del compromesso… Sei con me?”

Tyrion non dovette nemmeno pensarci. “Certo” rispose in tono serio. Varys si concesse un sorriso. “Bene” esclamò riprendendo a camminare verso il castello, “ovviamente non ti devo nemmeno ricordare di non far voce con nessuno di quello che ci siamo detti. Adesso però andiamo, che è quasi ora di pranzo.”

Camminarono in silenzio fianco a fianco con le mani allacciate dietro la schiena, fin quando ad un certo punto un giovane soldato corse verso di loro. Era probabilmente un Immacolato e sembrava anche piuttosto scosso. Parlava concitatamente in alto valyriano e Tyrion non riusciva a comprendere nemmeno una parola. Varys invece si affrettò a rispondere.

Una ruga di stupore comparve sulla fronte dell’eunuco. “Si chiama Lumg” spiegò con voce grave, “e dice di aver trovato un corpo sulla spiaggia orientale. Dice che è un uomo, ma non sa se è vivo o morto.”

“Digli di portarci da lui” disse subito Tyrion e Varys tradusse la frase. Lumg spalancò i grandi occhi scuri ed annuì energicamente.

Li condusse verso il sud dell’isola, dove la spiaggia diventava sabbiosa e le montagne degeneravano in dolci colline. Giunti in una piccola caletta Lumg indicò un punto, preferendo non proseguire oltre.

Tyrion corse in avanti, subito seguito da Varys, ed insieme raggiunsero un punto in cui il mare creava una piccola insenatura protetta, dove l’acqua era più calma ed il vento non soffiava troppo forte. A Tyrion sembrò di ricordare avesse il nome di Cala del Drago Azzurro.

Vi era il corpo di un uomo disteso a faccia in giù sul bagnasciuga, i capelli castani a coprirgli il volto. Indossava abiti logori e incrostati di salsedine e aveva le mani saldamente piantate nella sabbia, come a non voler essere trascinato via dalla furia del mare.

“Forse è un naufrago” propose Tyrion avvicinandosi sempre di più. Si inginocchiò accanto all’uomo e sentì i suoi stivali sdrucciolare sulla sabbia bagnata. Varys rimase indietro.

Tyrion esaminò il corpo percorrendolo con lo sguardo e notò che respirava. “E’ vivo” annunciò sollevato. Poi, con estrema cautela, allungò la mano per scostare il ciuffo di capelli che copriva la guancia sinistra del naufrago, curioso di vederlo in volto. Per un istante rimase a fissarlo, tentando di autoconvincersi di non avere le travveggole.

“Per i Sette Inferi” mormorò tra l’esterrefatto e l’emozionato, “ma è Jorah Mormont!”

 

Brienne

 

Quando finalmente scesero da quella nave l’aria fresca la colpì come un pugno, lasciandola per qualche istante disorientata. Il porto era semideserto: probabilmente il comitato di accoglienza degli Hightower si era già spostato. Brienne si sentiva quasi nuda senza la sua spada e maledisse cento volte Daenerys Targaryen per avergliela portata via. Era di Jaime, pensò serrando le labbra, dovevo proteggere Sansa con quella.

Accellerò il passo senza sapere bene neanche dove stesse andando e si fermò solo quando sentì la voce affannata di Sam.

“Aspetta” stava rantolando lui, “stai andando dalla parte sbagliata…” Aveva il fiatone e le gote arrossate. Brienne faticava ancora a credere che uno come Sam fosse riuscito a uccidere un Estraneo e solo la cortesia la tratteneva dal chiedergli come avesse fatto.

Lui sorrise impacciato. “Di qua” le disse tornando indietro e facendole cenno di seguirlo. Percorsero insieme i vicoli di Vecchia Città, superando botteghe e locande, fino ad arrivare a un gruppo di casupole vicino all’isola dell’Alta Torre.

Sam si passò le mani sulla giubba, come a volerla pulire, e Brienne intuì che doveva essere nervoso. Il giovane Guardiano della Notte avanzò verso una porticina di legno consumato e picchiò forte. Dopo qualche secondo la porta si aprì e comparve sulla soglia una ragazzina vestita di lana che portava i capelli castani legati all’indietro. I suoi occhi scuri lanciavano lampi di rabbia.

“Non ti voglio vedere” esclamò la ragazza, “ho di meglio da fare piuttosto che…”

“Gilly, ti prego” la interruppe gentile Sam, “c’è un’amica che vorrei presentarti.” Gilly sembrò accorgersi solo allora della presenza di Brienne, che si affrettò a presentarsi. “Sono Brienne di Tarth” disse chinando appena il capo, “sono appena arrivata a Vecchia Città.”

Gilly sembrava indecisa. “Ciao” disse semplicemente, “se è così, credo che… ecco sì, che possiate entrare.” Rivolse un sorriso timido a Brienne, ma continuò a guardare furiosa Sam.

Vista dall’interno la casetta appariva se possibile ancora più squallida ed angusta di ciò che all’esterno poteva sembrare, nonostante fossero visibili gli sforzi di una mano femminile nel tentativo di renderla più accogliente.

Era composta da un’unica stanza di forma indecifrabile, ampia abbastanza da fungere da cucina, camera da letto e bagno. Non vi era camino ed il fuoco era stato acceso sul pavimento grazie a della legna, in un modo curioso che Brienne non aveva mai visto. In un angolo era sistemato un letto decadente, sommerso da pellicce, che da solo occupava almeno un terzo della stanza. Vicino alla porta c’era un tavolino con una sedia accanto, sulla quale era appoggiata una piccola tinozza piena d’acqua. Decisamente troppo piccola per fare un bagno, dovette constatare Brienne.

La casa era immersa in una pesante oscurità, richiarata solo da poche candele, il più delle quali ormai prossime allo spegnimento e coperte di cera. Da una specie di cesta ai piedi del letto si elevava un pianto lamentoso e Gilly corse ad inginocchiarvisi affianco. Quando si risollevò teneva tra le braccia un bimbo biondo dai lineamenti stravolti dal pianto.

“Lui è il piccolo Sam” lo presentò Gilly senza staccare gli occhi dal bambino. Brienne era rimasta a bocca aperta: possibile che Sam e Gilly avessero…?

Sam dovette intuire i suoi pensieri, perchè scosse energicamente la testa. “No, no, no, non è come sembra” si affrettò a dire arrossendo, “è figlio di Gilly e di suo… lasciamo stare, è complicato, però non è mio figlio.” Brienne si tranquillizzò e annuì.

Il volto di Gilly si era di nuovo rabbuiato. “Avevi detto che eri sempre occupato” esclamò muovendo minacciosa l’indice contro Sam, “che non potevi portarci alla Cittadella e ora arrivi qui con una… una sconosciuta e pretendi da me che faccia cosa? Ospitarla?”

“Brienne è una grande guerriera” disse Sam, “potrà proteggere te e il piccolo Sam.”

Gilly alzò gli occhi al cielo. “Ora non fingere di averla portata qui per me!” esclamò irritata “Mi credi stupida?”

Sam sgranò gli occhi. “NO!” urlò come sconvolto da quella insinuazione. Gilly parve rincuorata. “Allora dimmi la verità” lo esortò, ora con più dolcezza.

“E’ un’amica di Jon” spiegò Sam, “e deve tornare il più presto possibile a Nord. Io ho promesso di aiutarla.” Ci fu un momento di silenzio. “Perché non me l’hai detto subito?” chiese poi Gilly con voce atona.

Sam si torse le mani. “Brienne è in fuga” ammise, “l’esercito di Daenerys Targaryen è qui e…”

“Chi è Daenerys Targaryen?” lo interruppe Gilly curiosa.

“L’unica parente ancora viva di maestro Aemon” le spiegò Sam, “vuole diventare regina dei Sette Regni.” Poi continuò con il discorso di prima. “Come stavo dicendo” proseguì sforzandosi di riprendere il filo, “Brienne deve nascondersi da questo esercito perché si era infiltrata in una delle loro navi e non devono sapere che è qui. Io volevo solo proteggerti: se l’avessero trovata tu non ne avresti saputo nulla e se la sarebbero presa solo con me…”

Brienne pensò che quello di Sam fosse un pensiero molto dolce e premuroso e anche Gilly dovette essere d’accordo, perché adagiò il bambino sul letto e gli buttò le braccia intorno al collo.

“Oh Sam” singhiozzò Gilly e a Brienne parve una reazione un po’ eccessiva, “mi dispiace tanto… Scusami.” Sam sorrise. “Non preoccuparti” la consolò, “ma ora vieni che ti spiego cosa faremo.” Gilly si lasciò condurre al letto dove si sedette. Sam lasciò la sedia a Brienne che però la rifiutò preferendo sistemarsi per terra.

“Allora” iniziò Sam, “Brienne, potresti dirci cosa sai di questa spedizione di Daenerys?”

“Daenerys è rimasta alla Roccia del Drago” spiegò e quando vide Gilly aprire la bocca confusa si affrettò a specificare. “L’isola dove aveva portato il suo esercito. Da quello che sono riuscita a sentire sulla nave, ho potuto capire che solo una parte dell’esercito sia arrivato qui: al comando c’è Olenna Tyrell, credo…”

“Io ho visto scendere dalla nave Garth Hightower e suo fratello” ricordò Sam, “diceva di essere lui il comandante della guarnigione di Olenna…”

Brienne annuì. “Probabile” concordò, “alla fine Olenna è pur sempre una donna anziana.”

“Ma comunque terribile” bisbigliò Sam.

“I Lannister stanno marciando su Alto Giardino” spiegò Brienne, “e lo troveranno indifeso, per questo l’esercito di Daenerys andrà lì.” Sam si grattò il mento.

“Ma io devo arrivare nel Nord” specificò Brienne, “per avvertire lady Sansa.”

“Chi è Sansa?” chiese Gilly. Brienne si voltò verso di lei. “Sansa Stark” puntualizzò, ma Gilly continuò a fissarla interdetta.

Possibile che non conosca gli Stark?

“La lady di Grande Inverno?” provò senza ottenere risultato.

“La sorella di Jon” tagliò corto Sam e Gilly sorrise. “Ahhhh” esclamò, “non sapevo avesse una sorella.”

Un tempo ne aveva tanti di fratelli.

“Da dove vieni?” chiese Brienne con gentilezza a Gilly “E’ strano tu non abbia mai sentito nominare gli Stark…”

Gilly guardò Sam, che annuì. “Vengo da oltre la Barriera” rispose la ragazza sollevando il mento.

“Una bruta” sussurrò Brienne, per poi ricordare che Jon Snow aveva salvato la vita di molti bruti che l’avevano poi seguito in battaglia.

“Però sto imparando a leggere” si affrettò a dire Gilly, “alla Barriera c’era una bambina che mi insegnava, mi sembra si chiamasse…”

“Shireen” l’anticipò Brienne, non trovando la forza di guardarla negli occhi.

“Sì, esatto” esclamò Gilly, “sai cosa le è capitato dopo che è partita?”

“E’ morta” disse solamente Brienne non potendo spiegare le circostanze della sua morte, “io ho ucciso suo padre.”

Sam alzò la testa di scatto. “Stannis” disse incredulo, “e come…?” Brienne preferì non rispondere. Ci furono attimi di silenzio.

“Non mi piaceva Stannis” disse poi Gilly, “ha bruciato sul rogo Mance Rayder. Non conoscevo bene Mance, ma sembrava un brav’uomo.” Nella stanza era calata un’atmosfera pesante e malinconica e Sam diede un colpetto di tosse per far tornare tutti al presente.

“Quindi Brienne, ti serve un passaggio per il Nord.”

“Non preoccupatevi” disse Brienne, “saprò cavarmela da sola, siete stati già fin troppo gentili a ospitarmi qui.”

“Voglio fare di più” mormorò Sam alzandosi di scatto, “e credo di avere una soluzione. Tempo fa ho conosciuto alla Cittadella un maestro di nome Vyktor che viene da Raventree. Oggi pomeriggio si metterà in viaggio per tornare nelle Terre dei Fiumi e potrebbe portarti con sé. Vieni, andiamo a cercarlo…”

“Ma le donne non possono entrare nella Cittadella” fece notare Brienne, ma Sam sorrise.

“A quest’ora” spiegò Sam, “maestro Vyktor pranza sempre alla stessa taverna, la Stella della Sera, e si dà il caso che io sappia dove si trovi.” Poi si rivolse a Gilly. “Aspettami qui” le disse, “tornerò presto.” Detto questo, uscì e Brienne fece altrettanto dopo aver salutato con un gesto impacciato Gilly.

Sam la guidò per le vie di Vecchia Città fino di nuovo al porto. Accanto al mercato maleodorante del pesce sorgeva un edificio isolato, dal soffitto basso e le pareti consunte. Un’insegna scolorita con disegnata quella che in origine doveva essere una stella brillante era affissa alla porta. Sam entrò e Brienne lo seguì. Dentro furono colpiti dagli odori intensi di mille cibi mescolati e dalle grida e risate squallide dei clienti.

“Di qua” sussurrò Sam indicando uno dei tavoli più lontani dalla porta, “quello che parla…”

Vi sedevano tre uomini intenti ad ascoltare il racconto avvincente di un quarto davanti ai loro piatti sporchi. Il narratore aveva un viso affilato, occhi nocciola ed una fronte sporgente. I capelli erano corti e ben curati ed i vestiti sembravano di ottima fattura. Non portava nemmeno la catena dei maestri.

“E allora” stava dicendo Vyktor, “ho guardato ser Taryn negli occhi e gli ho detto: -Ehi, tu sarai pure di famiglia nobile e tutto quello che vuoi, ma sei così brutto che le donne preferirebbero fottersi il Folletto piuttosto che andare a letto con te!-”

Tutti risero sguaiatamente e Sam ne approfittò per schiarirsi rumorosamente la voce. “Maestro Vyktor, giusto?” chiese fingendosi incerto “Devo parlarti.”

Vyktor si lasciò andare mollemente sulla sedia. “Chiedo scusa” disse con sarcasmo, “ma voi chi siete?”

Prima che Brienne potesse aprire bocca Sam parlò. “Qualcuno che non vuole assolutamente che questa storia della taverna esca fuori alla Cittadella” disse con voce flautata, “o che il grandissimo lord Blackwood ne sia messo al corrente…”

Vyktor rimase spiazzato da quella velatissima minaccia e Brienne più di lui: mai si sarebbe aspettata che un ragazzo così buono come Sam potesse agire in quel modo. “Vieni con noi” proseguì Sam, “vogliamo solo parlare.” Vyktor sbuffò e si finse reticente, ma alla fine li seguì fuori dalla locanda.

“Chi cazzo sei?!” esclamò Vyktor passandosi le mani fra i capelli.

“Sono Samwell Tarly” si presentò Sam, “ci siamo già visti alla Cittadella.”

Un lampo di comprensione accese gli occhi di Vyktor. “Eri quello che origliava la mia conversazione con Ramyll e Ghuym” disse scoppiando a ridere.

Sam era arrossito. “Non stavo origliando!” esclamò “Siete voi che vi siete avvicinati. Comunque non è questo il punto” Indicò Brienne. “Lei” disse, “è Brienne di Tarth, una fanciulla a cui serve un passaggio per il Nord.”

“Se lei è una fanciulla” disse sarcastico Vyktor, “allora io sono…”

“Non ci interessa” lo interruppe ad alta voce Sam, “quello che voglio fare è solo chiederti gentilmente di aiutare Brienne a raggiungere il Nord.”

“Fossi scemo” esclamò Vyktor, “non pensare che io non abbia capito: la fanciulla è sicuramente in fuga ed io non prendo animali braccati sul mio carro.” Brienne rimase in silenzio: quell’uomo la disgustava, ma rappresentava la via più veloce per raggiungere Sansa.

“Forse non mi sono spiegato bene” disse Sam, “questo è un ordine.”

“E di chi?” chiese Vyktor, ridendo ancora più forte.

“Del Re del Nord” disse tranquillamente Sam. “Si dà il caso che il generosissimo lord Blackwood insieme a tutti i signori dei Fiumi si siano schierati dalla sua parte, ricordi?”

Vyktor deglutì. “E chi sei tu per fare la volontà del Re del Nord?” chiese senza abbandonare del tutto il tono scherzoso. Sam inspirò profondamente e Brienne intuì che stava per spararne una grossa.

“Sono il suo Maestro e, ehm, consigliere” disse Sam e Brienne dovette ricredersi: questa non era grossa, era enorme.

Vyktor rideva più forte che mai. “Questa è bella” disse indicando Sam.“Guarda che io mio ricordo di te, tu sei solo un Guardiano della Notte e…”

“Come il nostro re” osservò Sam e Vyktor finalmente ammutolì.

“Tu puoi scegliere se aiutarci o meno, ma sappi che, se deciderai di voltarci le spalle, io scriverò a Jon Snow e credo che la taverna potrai dimenticartela.”

Vyktor era sbiancato. “I-io” balbettò, “posso portarla fino a Delta delle Acque, da lì dovrà proseguire da sola.”

“Basterà” disse Brienne con un sorriso. Vyktor annuì. “Bene” mormorò, “bene… Partiamo fra mezz’ora: fatti trovare alla Porta Est.” Fece un cenno in direzione di Sam e si allontanò.

Appena non fu più in vista Sam si accasciò a terra, la schiena che strusciava lungo la parete logora. “Per gli Antichi Déi” disse tutto sudato, “ho avuto paura che non ci cascasse…”

Brienne sorrise. “Non pensavo fossi così bravo a mentire” osservò divertita.

Sam parve preoccuparsi. “Oh no, no, no” iniziò a balbettare, “io non… ecco non sono bravo, è solo che quando serve, io…”

Aveva il fiatone e Brienne gli mise una mano sulla spalla. “Ehi” lo rassicurò, “va tutto bene. Ti sono debitrice, il tuo aiuto è stato fondamentale.”

Sam sorrise. “E’ il minimo che Jon si sarebbe aspettato da me” disse con genuina umiltà.

Brienne notò la sfumatura triste della sua voce e gli diede una pacca sulla schiena. “Sei preoccupato per lui” disse, “e ti capisco, ma sono sicura che non si lascerà raggirare da Daenerys. Troverà una soluzione, ne sono sicura, e Davos lo aiuterà.” Brienne ripensò a quanto velocemente aveva cambiato idea nei riguardi di Davos Seaworth e si convinse che Jon Snow non avrebbe potuto sperare in un alleato migliore per fermare Daenerys Targaryen.

Sam si rialzò in piedi. “Questo lo so” disse con amarezza, “ma io non potrò aiutarlo.”

Brienne strinse le labbra. “E perché non lo raggiungi allora?” gli chiese inclinando leggermente il capo “Nel Nord dico, per quando tornerà.”

Sam scosse la testa. “Quando finirò di forgiare la mia catena” disse in tono serio senza guardarla negli occhi, “tornerò alla Barriera.”

“Non pensi che Jon potrebbe aver bisogno di un maestro al suo fianco?” chiese Brienne.

“Credimi” le disse Sam, “quando la guerra contro gli Estranei inizierà, gli uomini serviranno alla Barriera.” Brienne non poté che rimanere piacevolmente sorpresa davanti all’onore con cui Sam si diceva pronto a riprendere il proprio posto.

“Va bene” disse lei annuendo, “ma permettimi di ringraziarti per tutto quello che hai fatto per me: significa davvero molto. Credi che riuscirai a far avere delle lettere in segreto a Jon Snow durante il suo soggiorno alla Roccia del Drago?”

Sam ci pensò su. “Posso tentare” disse infine, “ma non ti assicuro nulla…”

“Se dovessi riuscirci” replicò Brienne, “digli che sto tornando a Nord e che rimango fedele alla causa di lady Sansa, che poi è anche la sua.”

“Certamente” la rassicurò Sam. Rimasero a guardarsi per qualche secondo.

“Sai come raggiungere la Porta Est?” chiese infine Sam.

“Credo di sì” rispose Brienne dopo un breve ragionamento.

“Allora prendi questo” disse Sam estraendo un corto pugnale, “non posso offrirti una spada, ma non ti farò viaggiare disarmata…”

Brienne lo prese e lo legò alla cintura. “Grazie” disse per l’ennesima volta. “Ora è meglio che vada.”

“Sì, certo” rispose in fretta Sam, “spero di rivederti un giorno.”

“Anch’io” replicò Brienne.

Poi si voltò lentamente per dirigersi nella direzione opposta a quella da dove erano venuti. Da quel momento era nuovamente sola in territorio potenzialmente ostile ed il viaggio si preannunciava lungo. Speriamo solo che Vyktor non si fermi in troppe taverne, si disse sorridendo mentre accelerava il passo.

 

Jaime

 

Non si poteva certo dire che avessero paura di essere notati. Jaime aveva elaborato un itinerario attraverso campagne e villaggi sperduti che tenesse l’esercito alla larga da città e castelli nemici, ma Bronn l’aveva definito noioso. Aveva stracciato le mappe e aveva detto: “Sai, i nostri antenati hanno costruito una meravigliosa strada che porta diritta ad Alto Giardino, perché dobbiamo impiccarci in quel modo?”

Jaime era rimasto inderdetto. “La Via delle Rose è trafficata…” aveva replicato aggrottando le sopracciglia.

“E che sarà mai” aveva detto con sufficienza Bronn, “avremo un fottuto esercito, chi mai potrà darci noie? Arriveremo più in fretta, dammi retta…” Tanto aveva detto e tanto aveva fatto che alla fine Jaime aveva ceduto.

Erano partiti la mattina presto da Approdo del Re con un esercito di circa trentamila unità, provviste per massimo una settimana e senza il saluto della regina. Jaime aveva atteso invano che Cersei si affacciasse almeno alla sua terrazza, ma le finestre erano sprangate e da dentro non proveniva nessun suono. Aveva dovuto accettare il fatto che sua sorella non volesse salutarlo e aveva portato il suo cavallo in testa alla colonna, tentando di evitare le chiacchiere incessanti di Bronn. Voleva rimanere da solo.

Non era sicuro del piano di Cersei e non avrebbe voluto abbandonarla da sola in una città che la odiava. Come poteva essere sicura che Daenerys decidesse di rimandare l’attacco? Perché gli era sembrata quasi ansiosa di liberarsi di lui? E soprattutto, credeva davvero di poter ottenere la fedeltà dei lord dell’Altopiano assediando un castello deserto? Semmai se li sarebbe ritrovati tutti contro e avrebbero avuto un motivo in più per non lasciare la causa di Daenerys Targaryen.

Perfino il Sud era stato infine raggiunto dai segni dell’inverno e, oltre al cielo eternamente grigio, i venti si sbizzarrivano e sulle colline più alte erano perfino visibili tracce di neve e ghiaccio mattutino. Jaime si chiedeva come fosse il clima a Dorne in quel periodo. I dorniani conoscevano l’esistenza degli abiti pesanti?

La marcia procedeva nei tempi previsti e fortunatamente non si erano registrati incidenti degni di nota. Tuttavia tra le fila dell’esercito regnava il malcontento e Jaime aveva sentito alcuni soldati parlare di abbandono della missione. Non poteva certo biasimarli: la maggior parte di quegli uomini venivano dalle Terre dell’Ovest ed erano già stati molto fortunati a essere sopravvissuti alla Guerra dei Cinque Re. Neanche il tempo di tornare a casa dalle loro famiglie ed erano stati richiamati all’ordine dalla Regina Folle.

Jaime non poteva nemmeno biasimare le persone che chiamavano sua sorella a quel modo. Cersei nell’ultimo periodo era diventata sempre più spietata ed egoista e già solo l’uso dell’Altofuoco aveva fatto nascere più di un sospetto. Jaime sapeva di trovarsi in una posizione difficile, ma non se la sentiva di condannare completamente l’operato di sua sorella. Lo considerava più che altro come una quasi naturale conseguenza a tutto quello che Cersei aveva dovuto subire a causa del volere di altri. In fin dei conti, pensava, se al Tridente avesse vinto Rhaegar, forse la Storia avrebbe avuto un esito diverso.

Nonostante da bambini Cersei avesse sempre cercato di mascherare la sua infatuazione per il principe, Jaime non avrebbe mai potuto dimenticare il viso pallido e gli occhi rossi di pianto di sua sorella quando Aerys Targaryen non aveva acconsentito al matrimonio. Forse se Cersei avesse sposato Rhaegar come era giusto, lei non si sarebbe sentita attratta da suo fratello e Joffrey, Myrcella e Tommen non sarebbero mai nati. Visto il loro destino, si diceva Jaime amareggiato, sarebbe stato meglio, per tutti.

Avrebbe rinunciato all’amore che provava per Cersei se ciò avrebbe comportato la felicità di sua sorella. Perché Cersei non era mai stata felice e il legame con Jaime non le era bastato. Jaime, invece, l’aveva amata oltre l’anima ed era doloroso accettare che per la gemella non fosse stato lo stesso.

Al terzo giorno di viaggio Bronn si era finalmente deciso ad abbandonare la retroguardia per raggiungere Jaime in testa. Appariva piuttosto rassegnato e la sua espressione era esilarante.

“Cosa c’è che non va, ser?” chiese Jaime fingendo un tono preoccupato “La cavalcatura non è di tuo gradimento?”

Bronn fece una smorfia. “Magari” borbottò, “mi chiedevo se per caso ci fossero dei bordelli qui vicino…”

Jaime scoppiò a ridere. “Ma non eri tu quello che voleva andare dritto ad Alto Giardino?” chiese ironico “Seguendo il mio percorso ci saremmo fermati in moltissimi villaggi, ma qui siamo in aperta campagna…”

“Vero” ammise Bronn, “ma sei tu che hai proibito ai soldati di portare delle puttane.”

Jaime alzò gli occhi al cielo. “Bronn, le provviste basteranno a stento a sfamare l’esercito” osservò, “e ricorda che la regina ha…”

“Chiuso tutti i bordelli di Approdo de Re” concluse per lui Bronn, “ma io infatti non intendevo puttane della capitale…”

Jaime decise di cambiare argomento. “Sai già come disporre i soldati?” chiese tanto per dire qualcosa.

“Ma sei tu il comandante!”

Jaime ghignò. “Giusto” concordò, “allora magari ti piazzo nell’avanguardia...”

“Primo: ci sono già stato una volta con il tuo fratellino e quello a prendere un martello in testa è stato lui” disse Bronn contando sulle dita. “E secondo: non credo avremo bisogno di un vero e proprio schieramento. Attacchiamo un castello vuoto, ricordi?”

Bronn alzò lo sguardo verso le nuvole gonfie di pioggia. “E poi” continuò, “stiamo parlando di Alto Giardino, credi troveremo qualcosa di più di rose e fiori?”

Jaime sorrise. “Con questo tempo nemmeno quelli” osservò spronando il cavallo.

La quinta sera giunse all’accampamento un corriere dal cavallo sfinito per la corsa con una lettera dalla regina. Jaime non si illudeva: se Cersei gli aveva scritto, era per dargli ordini, non certo per salutarlo. Strano anche il fatto che avesse preferito un corriere ai più comodi corvi, probabilmente voleva evitare che la lettera cadesse in mani sbagliate. Jaime ruppe il sigillo del leone ed iniziò a leggere muovendo solo le labbra.

Al comandante Jaime Lannister

Ho notizie a dir poco negative. Euron Greyjoy ha miseramente fallito e, da quel che sappiamo, Jon Snow ha raggiunto la Targaryen. Ciò significa che non mi resta molto tempo prima che decida di attaccare la capitale. La missione di Alto Giardino deve proseguire, ma anche su questo fronte ti devo mettere in guardia. Non si sa bene chi, e voglio ben sperare per te che non sia stato uno dei tuoi sottoposti, ma qualcuno ha spifferato i nostri piani alla ragazzina dei draghi, che ha inviato una guarnigione nell’Altopiano. Non ho idea di quanti siano, ma il piano rimane uguale. Combattete, vincete e in ogni caso non arrendetevi. Scrivimi quando avrai preso Alto Giardino e fai in fretta, Jaime: ho bisogno delle mie truppe.

Cersei Lannister, prima del suo nome, regina degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, Protettrice del Reame.

Jaime si accorse di aver rovinato la lettera a furia di stringerla fra le dita dell’unica mano che gli restava. Ho bisogno delle mie truppe, pensò irritato sollevando un sopracciglio. E al tuo fratellino non ci pensi, Cersei?

In ogni caso Jaime dovette essere riconoscente alla sorella per averlo messo al corrente del problema a cui stavano andando incontro. Quanti soldati può contare questa guarnigione inviata da Daenerys? si chiese stringendo le labbra Abbiamo o no almeno il vantaggio numerico?

Decise di andare a cercare Bronn e lo trovò che russava rumorosamente nella sua tenda. Batté la mano d’oro sullo scudo che il mercenario aveva lasciato sul pavimento e Bronn si svegliò di soprassalto.

“Ma che cazzo hai nella testa?!” urlò lui balzando a sedere. Jaime gli lanciò i pantaloni. “Credo che l’avanguardia sia da escludere” disse in tono stanco, “Daenerys ha inviato un piccolo comitato di benvenuto.” Bronn rimase a fissarlo per qualche secondo.

“Merda.”

Iniziarono subito a lavorare al piano d’attacco, o meglio, Jaime lavorava mentre Bronn si limitava a sbadigliare e annuire.

“Se siamo fortunati l’esercito di Daenerys sarà ancora in marcia” spiegò Jaime camminando avanti e indietro, “ma dobbiamo prendere il castello in fretta.”

“Secondo te ci sarà anche Daenerys Targaryen?” chiese all’improvviso Bronn senza cercare alcun collegamento logico. Jaime si fermò, preso in contropiede.

“Non credo” rispose, “perché?”

Bronn si protese in avanti. “Dicono sia la donna più bella del mondo e…”

“Non pensarci nemmeno” lo interruppe Jaime, “non abbiamo tempo.” Bronn sbuffò e imprecò a bassa voce.

“Ti ho sentito” disse Jaime dandogli le spalle. “Se vuoi lo posso ripetere ad alta voce” si offrì Bronn ridendo e Jaime preferì far finta di niente.

Il settimo giorno di marcia giunsero finalmente in vista di Alto Giardino. Proprio come avevano previsto l’esercito di Daenerys non era ancora arrivato e il castello era protetto da pochissimi soldati.

L’inverno aveva posato le sue gelide mani anche su quello splendore che era di solito Alto Giardino. Le rose erano morte e gli alberi spogli sembravano artigli più che eleganti siepi ben curate. Il marmo bianco che solitamente scintillava come perla sotto il sole, era ora opaco e la scarsa luce metteva in evidenza le sue antiestetiche venature. L’acqua del piccolo fossato era torbida e sabbiosa.

Jaime inviò un ragazzo ad accogliere la resa degli abitanti. Al ritorno il ragazzo arrivò seguito da una sentinella. “Lady Alerie vuole discutere i termini della resa personalmente con te” disse il soldato, “ti prego di seguirmi dentro da solo.”

“Come posso essere certo che non sia una trappola?” chiese Jaime sospettoso.

“Non ce ne sarà bisogno” disse una voce femminile alla loro destra. Sul portone era comparsa una donna.

Portava un lungo vestito nero dalla scollatura generosa e alle orecchie aveva delle piccole perle. I capelli castani striati di bianco erano raccolti in un’acconciatura che lasciava libera qualche ciocca ad incorniciare il volto. Nonostante qualche lieve segno del tempo, Alerie Hightower rimaneva una bella donna e la somiglianza con la figlia Margaery era impressionante.

“Vieni avanti, Sterminatore di Re” disse Alerie in tono glaciale, “possiamo parlare qui fuori se hai così paura dei miei trucchi.” Jaime strinse le labbra e avanzò. Ora si trovavano faccia a faccia sul soffice prato davanti all’entrata. Gli occhi di Alerie erano azzurri e non lasciarono quelli di lui nemmeno per un secondo.

Jaime iniziò a sentirsi a disagio e sentì la necessità di dire qualcosa. “M-mi dispiace molto” balbettò deglutendo, “per i tuoi figli.” Fece una pausa. “E tuo marito” aggiunse poi.

Alerie sollevò un sopracciglio sottile. “Grazie per le tue parole gentili” disse con fredda cortesia, “sono da parte di tua sorella?”

Jaime si morse il labbro. “Cersei non avrebbe voluto…”

“Risparmia il fiato” lo interruppe subito Alerie ora con voce tremante, “tua sorella ha fatto saltare in aria il tempio di proposito.” Aveva gli occhi lucidi. “I miei figli…” non riuscì a finire la frase che scoppiò in pianto. Jaime non sapeva bene cosa fare.

“So che cosa Olenna si aspetta da me” disse Alerie fra le lacrime, “che io sia forte e non ceda, ma non ce la faccio… i miei figli…” Le ultime parole furono rese incomprensibili dai singhiozzi. Jaime attese che si calmasse.

Alerie sollevò una mano pallida e si asciugò il volto, sistemandosi una ciocca dietro l’orecchio. “Non pensare che io non sappia perchè sei qui” disse ricomponendosi, “perché Cersei ti ha inviato qui. Vuole che l’Altopiano si schieri dalla sua parte… FOLLE!” Jaime quasi arretrò, colto alla sprovvista da quella veemente esclamazione.

“Dopo tutto quello che ci ha fatto” stava proseguendo Alerie ormai completamente passata dalla disperazione alla rabbia, “crede sul serio di avere una possibilità? No, abbiamo ancora una dignità e non ci piegheremo.”

Jaime capì che era arrivato il momento di intervenire. “Ascoltami” le disse con dolcezza abbandonando le formalità di rito, “io non approvo ciò che ha fatto Cersei, non ero lì quando è successo altrimenti forse avrei potuto fermarla.”

“E allora” ribatté Alerie, “se davvero non approvi, perché sei qui? Perché esegui ancora i suoi ordini?”

Bella domanda, sinceramente non ne ho idea. “Perché è mia sorella” rispose Jaime, “e ho giurato di obbedirle.”

Alerie lo studiò per un istante ed annuì. “E allora perché esiti?” chiese socchiudendo gli occhi ancora gonfi “Perché sei qui a parlare con me?”

Jaime sospirò. Perché voglio complicarmi la vita. “Per darti una possibilità” replicò. “L’esercito che Daenerys ha inviato non arriverà mai in tempo, quindi consegna il castello e non sarà fatto alcun male a nessuno degli abitanti.” Gli sembrava di rivivere l’incontro con il Pesce Nero a Delta delle Acque: possibile che toccasse sempre a lui quella parte?

Alerie sorrise. “Se avessi voluto salvarmi non sarei qui” rispose, “mio padre mi ha pregata tante volte di tornare a Vecchia Città, ma ho sempre rifiutato.”

“Non devi difendere ad ogni costo questo castello” osservò Jaime, “faresti meglio a tornare a casa.”

“Io sono a casa” disse Alerie guardandolo dritto negli occhi, “e non voglio vivere abbastanza da vederla profanata dagli assassini della mia famiglia. Non mi interessa cosa tu o Olenna vogliate da me, adesso sarò io a decidere.” Estrasse dalle pieghe della veste un corto pugnale e ne appoggiò la punta sul seno sinistro.

Jaime era rimasto paralizzato. Ma perché ogni volta che cerco di aiutare la situazione deve sempre degenerare? si chiese sconfortato. “Alerie…” la chiamò tentando di non perdere la calma “Non fare sciocchezze, ti prego… Lascia il pugnale.” Alerie scosse la testa: le lacrime avevano ripreso a scorrerle lungo le guance. E’ impazzita, pensò con orrore Jaime maledicendo la propria impotenza.

“Pensi che sono pazza, vero?” gli chiese Alerie con un risolino isterico “Invece sono lucidissima. So che Cersei ti ha detto di prendermi prigioniera per usarmi come ostaggio per convincere mio padre, e quindi l’Altopiano, ad appoggiarla, ma non ho alcuna intenzione di giocare questo ruolo.”

Si fermò a riprendere fiato. “Mi avete portato via tutto” continuò quasi in un sussurro, “mio marito, i miei adorati figli e ora la mia casa. Non posso vendicarmi,” scoppiò a ridere, “sarebbe troppo difficile, ma posso ostacolarvi. E se questa è l’unica arma che mi rimane, non esiterò ad usarla.”

Il movimento fu troppo veloce e Jaime non poté fare nulla se non guardare Alerie affondarsi la lama nel cuore e accasciarsi senza un gemito. Il suo corpo si piegò con grazia e Jaime vide che stava sorridendo. Come in un sogno si passò la mano sinistra fra i capelli e non rispose a Bronn che, arrivato di corsa, lo stava martellando di domande. Si udì il suono lontano di un corno.

“Cosa c’è ora?” chiese Bronn anch’egli scosso dalla vista del cadavere di Alerie. Jaime sollevò lo sguardo. In lontananza una nuvola di polvere si sollevava dove gli zoccoli di innumerevoli cavalli colpivano terra.

“Credo sia l’esercito di Daenerys” rispose sbattendo ripetutamente le palpebre.

“Che facciamo?” chiese Bronn fissandolo “Come ci disponiamo?”

“Niente” rispose Jaime scuotendo la testa, “li aspettiamo.”

E, senza attendere la risposta di Bronn, gli voltò le spalle e si sedette affianco al corpo della lady di Alto Giardino, in attesa.

             
   
                                                                                                                           "Non si piange sulla propria storia, si cambia rotta."






N.D.A.


Bentornati voi tutti!
Oggi sarò breve perchè ritengo il capitolo parli abbastanza già da sé XD XD La prima battaglia e le prime morti... Ovviamente non sono ancora morti personaggi importanti, ma posso dirvi che non tarderanno XD Sì, sono abbastanza sadica ^_^ . La battaglia di Porto Bianco non è finita, nei prossimi capitoli si vedrà l'altra parte dell'assalto in mare con le navi di Yara.
Mi scuso già per le scene d'azione, non sono esattamente il mio forte, ma nei prossimi scontri dovrebbero migliorare :-)
Spero in ogni caso il capitolo vi sia piaciuto!

Come al solito i ringraziamenti dovuti ai miei fedelissimi recensori... Grazie mille a giona, __Starlight__, GiorgiaXX, NightLion e Spettro94. Un ringraziamento speciale anche ai soliti Gian_Snow_91, leila91 e Azaliv87 (e ti prometto che risponderò a quella recensione lunghissima, abbi fede ^_^'')... Sono contenta anche perchè il primo capitolo di questa storia ha superato le mille visite, non so se è tanto, ma per me è un bellissimo traguardo!

Un saluto a tutti e alla prossima!

PS: la citazione di questa volta è del filosofo spagnolo Spinoza e l'ho pensata come perfetta per Theon che finalmente si sta lasciando il passato alle spalle accettando di cambiare.


 

 

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Capitolo 10
*** Strange meetings ***




Strange meetings                                                                                                      



Yara

 

La Silenzio non si vedeva da nessuna parte. Yara aveva dato ordine alle sue navi superstiti di prendere il largo per cercarla, ma non aveva ottenuto nulla. Lei e Tyene avevano osservato dalla spiaggia le imbarcazioni bruciare e l’avvicinarsi di scialuppe nemiche. Gli uomini che trasportavano avevano la carnagione scura e portavano armi che Yara non aveva mai visto. I mercenari, pensò reprimendo un’imprecazione. Presto sarebbero stati loro addosso e per quel momento sarebbe stato meglio avere pronto lo schieramento.

“Che facciamo?” chiese Benjameen, comparso dal nulla al loro fianco.

Yara valutò rapidamente la situazione. “E’ necessario far affondare le loro navi” disse indicandole, “o almeno distrarle, così che non possano inviare altri uomini a terra. Benjameen, credi di poterli tenere impegnati qui?”

Benjameen corrugò la fronte: quell’espressione gli donava incredibilmente. “Credo di sì” rispose, “Tyene, resti anche tu?” Tyene si leccò le labbra sfoderando coltello e spada. “Ovvio” disse tranquilla, “giochiamo a chi ne uccide di più?” Yara alzò gli occhi al cielo. “Non mi pare il momento” replicò, “richiamate l’esercito e ricordate che gli uomini di Marlon vi coprono le spalle dalla collina.”

Tyene annuì e Bejameen corse alle navi per radunare i soldati. Yara fece per andare quando Tyene le afferrò il braccio. “Ehi” la richiamò, “uccidine qualcuno anche da parte mia.” Yara sorrise e corse verso la Vento Nero. Si aggrappò alle grosse funi che conosceva a memoria e si issò a bordo.

“Prendiamo il largo!” urlò alla ciurma “Andiamo a prendere quelle navi!”

Ci furono esclamazioni di approvazione ed ognuno raggiunse il proprio posto. Yara controllò che tutto fosse in ordine e diede l’ordine di levare l’ancora. La nave tremò e, dopo qualche altro spiacevole scossone, iniziò lentamente a scivolare sull’acqua livida.

Yara entrò sottocoperta ed incontrò Ellaria Sand, che risaliva la piccola scala di legno che portava alle cabine. Si era completamente dimenticata di lei.

“Sbaglio o la nave si sta muovendo?” chiese Ellaria tentando di guardare oltre la spalla di Yara che le bloccava la visuale.

Yara si affrettò a spostarsi quel poco che bastava. “Sì” rispose, cercando affannosamente una scusa per la sua dimenticanza, “mi dispiace non averti avvertito, ma dobbiamo eseguire un’azione fulminea. Se vuoi tornare a riva possiamo forse inviare una scialuppa…”

“Non ce n’è bisogno, ti ringrazio” rispose Ellaria salendo un gradino, “non sarei molto utile in battaglia. Mia figlia?”

“Tyene è alla spiaggia” spiegò Yara risalendo a sua volta gli scalini scricchiolanti, “voleva combattere. C’è Benjameen con lei…”

“Non sono preoccupata per lei” disse con voce atona Ellaria, “sa cavarsela benissimo da sola.”

Non ho mai affermato il contrario.

Uscirono insieme sul ponte ed Ellaria si incamminò disinvolta verso prua. Si comporta come fosse a casa sua, pensò irritata Yara andandole di malavoglia dietro.

Dopo qualche passo fu raggiunta da ser Harras Harlaw il Cavaliere, che veniva in cerca di informazioni. Aveva occhi piccoli, denti sporgenti ed una carnagione straordinariamente pallida. Sembrava malaticcio. “Mia signora” la salutò, “qual è il piano?”

Yara indicò tre navi molto più a largo. “Dobbiamo raggiungerle” spiegò, “e anche il più presto possibile. Troviamo la Silenzio ed Euron e le facciamo colare tutte a picco.”

“Non è possibile che Euron sia venuto con solo tre navi” osservò Harras.

“La maggior parte ha scaricato gli uomini sulle scialuppe ed è ripartita” disse Yara. “Euron non vuole correre rischi inutili ed in ogni caso non ha attaccato con tutte le sue forze.”

“Intendi dire” suggerì Harras aggrottando le sopracciglia, “che se anche dovessimo vincere oggi non avremmo debellato interamente la minaccia?”

“Hai capito perfettamente” rispose Yara dandogli una pacca sulla spalla, “ma occupiamoci di un problema alla volta.”

“E se volessero arrendersi?” si intromise Ellaria “Cosa intendi fare?”

Yara si voltò verso di lei: aveva come l’impressione che la donna la stesse testando. “Dovranno consegnarmi Euron così che possa ucciderlo con le mie mani” rispose con calma, “e saranno accolti con tutte le precauzioni sulla mia nave.” Fece una pausa. “Le loro però le faremo colare a picco lo stesso” aggiunse poi con un ghigno. Dovette aver superato la prova, perché Ellaria le sorrise.

Yara si girò nuovamente verso ser Harras, che era rimasto in attesa. “La rotta deve essere corretta” comandò, “qualche grado a nord-ovest: il vento ci farà andare più veloci.”

“Certo, mia signora” disse Harlaw inchinandosi e tornando sui suoi passi.

Yara afferrò le corde delle vele e si mise in piedi sulla punta di prua. Portò una mano alla fronte come gesto automatico, nonostante non ci fosse sole da cui riparare gli occhi. Le tre navi parevano ferme ed erano vicinissime. Yara le scrutò attentamente. Esibivano tutte e tre la piovra su tela nera dei Greyjoy, ma nessuna di quelle imbarcazioni era la Silenzio. La Silenzio ha una polena a forma di sirena imbavagliata, ricordò Yara. Non può essere nessuna di queste…

Ma allora dov’era la nave di Euron? Possibile che non abbia partecipato all’attacco? si chiese perplessa Yara. Tutto si poteva dire di male di Euron Greyjoy, salvo che fosse un codardo: i folli come lui non hanno paura, neppure quando dovrebbero. Yara scosse la testa sovrappensiero. In quel momento dalla nave di destra che si parava loro di fronte si elevarono quattro squilli di tromba in rapida successione.

“Vogliono trattare!” urlò Yara alla sua ciurma dopo aver riconosciuto il codice “Avviciniamoci.”

La Vento Nero riprese a muoversi adagio finchè la sua prua quasi si sfiorava con quella della nave centrale delle tre avversarie. Sull’imbarcazione nemica si fece avanti un uomo che Yara riconobbe subito come Lucas Codd il Mancino, uno dei più importanti comandanti al servizio di Euron. Era stato il primo ad urlare il nome di Occhio di Corvo all’acclamazione del re e Yara riteneva fosse stato ampiamente ricompensato per i suoi servigi. Era un uomo tozzo e sporco, con barba e baffi inspidi e denti gialli. La sua risata di solito inondava di saliva tutti gli ascoltatori più vicini.

“So chi sei” urlò Yara protendendosi in avanti, “ordina ai tuoi uomini di gettare le armi ed arrendersi.”

Lucas si guardò intorno. “Te ne sei accorta, ragazzina?” chiese beffardo “Abbiamo tre navi, voi solo una. Direi che…”

“Allora è meglio se taci” tagliò corto Yara. “La maggior parte dei tuoi uomini sono mercenari del Continente Orientale, quanto sono bravi a combattere su una nave?” Lucas rimase un attimo in silenzio, probabilmente incapace di formulare una risposta convincente.

Yara sorrise. “Vedi?” gli chiese ironica. Poi si girò verso la ciurma del Mancino. “Non vogliamo farvi del male” disse a voce alta, “dobbiamo sapere solo dov’è Euron…” A quelle parole molti risero.

“A quest’ora dovrebbe aver quasi messo in atto il suo piano” esclamò sghignazzando Rodrik Freeborn, “non potete fermarlo.”

Yara sentì una goccia di sudore scivolarle lungo la schiena, ma si impegnò a non dar vedere la sua ansia. “Cosa intendi?” chiese aggressiva “Che ci colpirà alle spalle mentre siamo qui a dialogare con voi?”

“No” rispose Lucas, “noi siamo solo un diversivo, dovevamo attirare la Vento Nero qui e prendere tempo. E voi ci siete cascati in pieno.” Yara strinse i pugni. Alle sue spalle i marinai avevano già iniziato a bisbigliare preoccupati.

“La difesa è pronta” replicò lei sicura, “gran parte del nostro esercito è a terra e…”

Fu interrotta da un suono acuto che le perforò le orecchie. Sembrava il rumore di un corno così grande da non poter essere costruito e proveniva dalla spiaggia. Confusa, Yara scrutò per quanto potè la riva, ma era troppo lontana.

“E’ il segnale!” esclamò euforico Rodrik e tutti gli uomini sulle tre navi esultarono.

“Cos’era?” chiese ser Harras avvicinandosi “E cosa significa?”

Lucas si voltò verso di lui. “Che il piano ha funzionato” rispose con un ghigno orribile, “e che Euron ha conquistato Porto Bianco. Non vi rimane che arrendervi.” Yara era esterrefatta. Conquistato?! pensò arrabbiata Ma cosa stanno dicendo, non può averci messo così poco tempo a sbaragliare la nostra linea di difesa. Che stiano mentendo per farci paura?

Lucas dovette indovinare i suoi pensieri, perché scoppiò nuovamente a ridere. “Purtroppo per voi è la verità” disse estraendo la spada, “e ora deponete le armi.”

“O?” chiese in tono di sfida Ellaria.

“O tutti gli uomini di Porto Bianco saranno trucidati senza pietà” rispose Lucas spietato, “le donne diventeranno le nostre mogli di sale e i bambini saranno sacrificati al Dio Abbissale.”

“Sono nel castello” replicò Yara pensando a Theon: a quell’ora doveva aver tirato su il ponte levatoio da tempo.

“Ci vorrà del tempo” concesse Lucas, “ma non resisteranno a lungo. Scegliete voi, tanto vi batteremo in ogni caso.”

Yara si voltò verso l’equipaggio e vide l’orrore nei loro occhi. Nessun Uomo di Ferro aveva mai provato simpatia nei confronti della gente del Nord, ma davanti alla minaccia di uno sterminio di tale portata nessuno rimaneva indifferente. Il primo a decidere fu Harmund Sharp, che gettò a terra con furia la sua lancia. Uno ad uno i soldati buttarono le loro armi e Yara non poté non provare orgoglio nei confronti dei suoi ragazzi. Estrasse la propria ascia.

“Quella la prendo io” disse Lucas tendendo la mano, “ho sempre desiderato averla…”

Ellaria si avvicinò a Yara e le accostò le labbra all’orecchio. “La scialuppa di destra” suggerì, “qui ci resto io. Vai a vedere la situazione alla spiaggia, noi ti copriamo le spalle.”

Yara annuì impercettibilmente e allungò il braccio. Gli occhi avidi di Lucas seguivano i suoi gesti e presto il Mancino si ritrovò ad avere la mano sinistra saldamente aggrappata all’estremità del manico dell’arma, poco sotto la lama. Allora Yara diede uno strattone e Lucas, che non se l’aspettava, lasciò la presa. L’ascia fendette l’aria e si abbatté sull’avambraccio di Lucas, che urlò di dolore. Il sangue schizzò da tutte le parti e Yara approfittò della confusione generatasi per saltare nella scialuppa.

Tagliò in fretta le funi e la barchetta precipitò in mare. L’urto fu considerevole e acqua gelida si riversò all’interno. Yara rabbrividì quando le entrò nelle scarpe, ma rimase concentrata. Gettò l’ascia macchiata di sangue nel fondo della scialuppa ed afferrò i remi. Iniziò a remare con un ritmo frenetico, nel tentativo di allontanarsi dalle navi prima che i nemici avessero il tempo di recuperare archi e frecce.

Alle sue spalle arrivavano grida e imprecazioni, ma Yara non osò voltarsi: le avevano fornito un’occasione e doveva coglierla al volo. Continuò a remare con energia e non si fermò neppure quando le braccia iniziarono a pulsare dolorosamente. L’acqua, nei punti dove i remi battevano la superficie del mare, ribolliva e a ogni nuovo colpo altri spruzzi investivano la barchetta e chi la occupava.

Via via che la costa si avvicinava Yara tentava di scorgerci qualcosa, ma riusciva ad intravedere solo il fumo che saliva dalle navi che bruciavano. “Bastardi” li maledisse a denti stretti, “hanno incendiato tutta la nostra flotta e quella di Porto Bianco.” L’unica superstite era quindi la Vento Nero, sempre se a Lucas Codd non fosse saltato in mente di affondarla. Yara alzò gli occhi al cielo. Almeno gli ho tagliato la mano di cui andava tanto fiero, si consolò lasciando per un attimo un remo per detergersi la fronte sudata. Adesso non potrà più essere chiamato Mancino. In realtà era molto preoccupata per la sua ciurma e per l’esercito dorniano che aveva lasciato alla spiaggia.

Tuttavia, quando ormai mancavano pochi metri alla riva, Yara vide con orrore che la spiaggia era deserta. Adagiate in vari punti vi erano le scialuppe usate dai mercenari per raggiungere la terraferma e verso il precipizio a nord si vedevano chiaramente i segni della battaglia. Yara non attese che la barchetta toccasse terra, afferrò l’ascia e saltò nell’acqua gelida che le arrivò ben oltre le caviglie. Soffocò un’imprecazione e si affrettò a raggiungere il luogo che evidentemente aveva ospitato lo scontro.

La sabbia era smossa e in più punti imbevuta di sangue. Armi e parti di armature giacevano senza criterio, ma non c’era traccia di cadaveri. E’ impossibile che non sia morto nessuno, si disse Yara guardandosi attentamente intorno. Si chinò a raccogliere una punta di lancia spezzata, senza dubbio l’arma di un dorniano.

Dove sono i vinti? si chiese confusa E soprattutto, dove sono i vincitori?

Turbata da un oscuro presentimento si voltò verso il castello. Da quella distanza sembrava tutto in ordine, ma Yara sapeva di non potersi fidare. Si incamminò verso la città costeggiando il porto e superò le dune. Attraversò le strade deserte e giunse ai piedi del palazzo. E non fu più sola.

Euron era lì, circondato da circa quaranta Uomini di Ferro e un numero imprecisato di mercenari orientali. D’istinto Yara strinse forte l’ascia.

Sembrava la stessero aspettando ed Euron sorrise. “Benvenuta” la salutò con finta cortesia, “ci chiedevamo quando saresti arrivata. Pensavo Lucas non ti lasciasse più.” Si interruppe per una risatina eloquente e Yara rabbrividì. Quindi era tutto calcolato, pensò stupefatta. Beh, tutto eccetto la mano di Codd…

Yara dovette trattenersi dal sorridersi al ricordo di quella sua unica vittoria. “Che ne è stato del mio esercito?” chiese invece a voce alta. Euron fece un passo avanti: aveva un lungo corno a tracolla e Yara si chiese se fosse quello lo strumento colpevole di quel suono surreale che avevano sentito.

“Intendi i dorniani?” chiese Euron divertito “Non preoccuparti, stanno bene… Beh, certo non proprio tutti, ma la maggior parte…” Yara si chiese dove fossero Benjameen e Tyene, ma non aveva senso chiederlo a Euron.

“Abbiamo vinto” annunciò Occhio di Corvo sottolineando l’evidenza, “il castello è nostro ed abbiamo, per così dire, allegerito il suo lord di un peso inutile…” L’esercito sghignazzò e Yara vide con orrore la testa di Marlon Manderly infilzata su una picca poco lontana. Il sangue non si era ancora coagulato del tutto e gocciolava lungo il legno fino a terra.

Yara fissò lo zio negli occhi. “Il Nord non lo perdonerà” disse gravemente. “Wyman Manderly è a Grande Inverno e quando saprà dell’accaduto verrà qui con il suo esercito.” Yara decise di osare. “Il Re del Nord non rimarrà con le mani in mano” minacciò, “presto avrai tutto il Nord, le Terre dei Fiumi e la Valle contro.”

Euron rise più forte che mai e fece un altro passo avanti. “Credi di potermi imbrogliare?” le chiese sorridendo “So dov’è realmente Jon Snow e da lì non potrà venirvi ad aiutare.” Euron continuò a camminare. “Anzi, i miei uomini l’avevano quasi catturato durante il suo viaggio, ma sembra sia arrivato un drago a salvarlo…” Yara ammutolì.

“Daenerys non muoverà un dito” continuò Euron, “e nemmeno Grande Inverno. Forse neanche tu lo sai, ma non se la stanno passando così bene e hanno mandato molti uomini alla Barriera a proteggerla dagli Estranei.”

“Gli Estranei?” chiese Yara ironica.

Euron fece una smorfia. “Esistono, le fiamme me l’hanno mostrato” disse semplicemente, “ma Snow si sbaglia se crede di poterli fermare, se crede di essere lui il predestinato…” Yara non aveva idea di cosa stesse parlando, ma Euron era così immerso nel suo discorso da quasi non accorgersi di lei. Poi si riprese e sbatté più volte le palpebre.

“Dov’ero rimasto?” chiese, a nessuno in particolare “Ah sì, posso assicurarti che non verranno ad aiutarvi, quindi ti conviene arrenderti e stavolta sul serio.”

Yara strinse le labbra. “Dov’è mio fratello?”

“Speravo l’avresti chiesto” esclamò giulivo Euron portando una mano alla bocca e fischiando. Due uomini vennero avanti trascinando Theon per le braccia. A parte qualche taglio e i vestiti macchiati di terra e sangue altrui era fortunatamente illeso.

“Sai, Yara” proseguì Euron avvicinandosi Theon ed estraendo un coltello, “dovrei proprio ucciderlo: il figlio di mio fratello è una minaccia.” Theon non reagì e tenna la testa bassa.

A Yara si contrasse lo stomaco: non l’avrebbe mai ammesso, ma teneva a Theon più di chiunque altro. “Lascialo stare” urlò, “lui non c’entra e non vuole la corona.”

“Magari nemmeno i figli di Rhaegar Targaryen l’avrebbero voluta” osservò Euron, “ma gli altri non hanno aspettato per scoprirlo.”

“Sono io che mi sono proclamata regina” insistette Yara, “Daenerys si è accordata con me.”

“Te ne penti?” chiese Euron con voce di miele.

“No” rispose seccamente Yara, “ma ti sbagli se credi che a Daenerys non importi di noi e che non manderà qualcuno: ha bisogno di noi per prendere il Trono di Spade.”

“Oh, forse mi hai frainteso” insinuò Euron, “non potrà aiutarvi perché presto la Roccia del Drago subirà la stessa sorte di Porto Bianco.” Yara rimase senza parole. Non ora, pensò disperata. Non quando un terzo dell’esercito è nell’Altopiano.

E un altro terzo è stato appena sconfitto.

“Ma io non amo arrivare senza invito” stava dicendo Euron, “è maleducazione, quindi, Theon, mi dovresti fare un favore.” Euron fece un cenno ed i due uomini lasciarono andare il prigioniero.

“Adesso prenderai una barca” continuò Euron con voce dolce, “navigherai da solo fino alla Roccia del Drago e dirai a Daenerys che ha spezzato il cuore di un suo spasimante che vuole vendetta e che presto verrà da lei.” Poi si voltò verso i due brutti ceffi. “Portatelo alla Silenzio” ordinò, “e dategli una scialuppa abbastanza grande per poter affrontare il viaggio. Verrò io tra poco a dare altre istruzioni.” I due annuirono e condussero Theon via.

All’ultimo lui si voltò ed incontrò lo sguardo di Yara. Lei vide il dolore nei suoi occhi e fu assalita da un opprimente senso di panico.

Euron si girò nuovamente verso di lei. “Bene” disse battendo le mani, “e anche questa è fatta. Ora direi di passare alla fase tre…”

Yara sentì qualcuno avvicinarlesi alle spalle, ma non fece in tempo a voltarsi. Sentì un dolore forte alla nuca ed udì la propria voce gridare. Poi tutto divenne nero.

 

Daenerys

 

Tyrion e Varys erano in ritardo. Il pranzo era già cominciato e Daenerys dovette inventarsi una qualche scusa per giustificare la loro assenza. “Saranno andati a fare una passeggiata” disse sorridendo, “e non avranno sentito il gong. Possiamo iniziare…”

Quando erano arrivati alla Roccia del Drago, avevano trovato dei cuochi che Stannis si era lasciato dietro e che si erano detti felice di servire la nuova arrivata. Sull’isola cresceva poco, ma lady Olenna aveva portato molti dei più squisiti prodotti dell’Altopiano. Dany si era ormai abituata a quel tipo di cucina, molto raffinata e meno speziata del cibo che mangiava a Meeren o tra i Dhotraki, ma Jon era visibilmente a disagio.

“Ecco, io non ho mai mangiato cibo così” confessò lui imbarazzato.

“Cosa mangiate voi a Nord?” chiese curiosa Missandei.

Jon le sorrise. “Beh, di certo non tutta questa frutta e verdura” rispose appoggiando la schiena allo schienale, “più che altro la carne della selvaggina. Anche formaggi e, se i raccolti sono buoni, perfino legumi e pomodori. Di pesce solo quello di fiume purtroppo. Il resto lo importiamo.” Dany si protese in avanti.

“E’ la prima volta che vengo a Sud” continuò Jon.

“Non siamo molto a Sud” osservò Daenerys.

“Di certo non siamo a Nord” obbiettò Jon.

“E che cosa mangiavano i bruti?” si intromise di nuovo Missandei per smorzare la tensione che si era creata.

Jon si rilassò un poco. “Quasi esclusivamente carne” rispose, “a volte pure cruda.”

Missandei fece una smorfia di disgusto e tornò a concentrarsi sul suo piatto. Per un minuto abbondante tutti si limitarono solamente a mangiare. Dany capì di dover almeno tentare di fare conversazione per distogliere gli ospiti dal fatto che Tyrion e Varys non fossero ancora arrivati.

“E’ vero che ti chiamano Cavaliere delle Cipolle?” chiese per coinvolgere anche ser Davos, il quale, sentendosi chiamato in causa, quasi si strozzò nel tentativo di parlare. Tossì per qualche secondo, poi si asciugò la bocca sul tovaiolo. “Sì” rispose con gli occhi lacrimanti, “prima che Stannis mi accogliesse ero un contrabbandiere.”

“E perché mai ti avrebbe dovuto accogliere se eri un pirata?” chiese ostile Verme Grigio.

“Un contrabbandiere” ripeté Davos, “non proprio un pirata, ma comunque un fuorilegge. E’ stato durante la Ribellione di Robert. Aerys Targaryen aveva ordinato a lord Mace Tyrell di conquistare Capo Tempesta mentre Robert era in guerra altrove e Stannis aveva il compito di difendere il castello. Mace assediò Capo Tempesta e gli abitanti furono ridotti alla fame. Io riuscii a raggiungerli e li rifornii di viveri. In seguito Stannis mi premiò elevandomi di rango e io lo seguii qui. Però pretese anche un pagamento per i miei crimini…”

Davos si levò il guanto della mano destra e mostrò le dita mozzate. Dany posò per un attimo la forchetta. Il silenzio piombò nuovamente nella stanza.

Alla fine Daenerys si alzò in piedi. “Vado a cercare Tyrion e Varys” annunciò. Appena li trovo faranno bene ad avere una giustificazione convincente, pensò irritata.

Immediatamente Verme Grigio si alzò a sua volta. “Lascia che li vada a cercare io” disse in tono solenne. Missandei gli prese il braccio. “Non sei ancora guarito…” osservò a bassa voce. “So camminare” disse Verme Grigio.

“Preferisco andare io” li interruppe Daenerys, “tu rimani qui con gli ospiti, Verme Grigio.” Raccolse la gonna e si diresse verso la porta. Quando la mano scivolò sulla maniglia, questa si abbassò.

Stupefatta Dany si vide apparire davanti Tyrion e Varys. Tyrion aveva i capelli arruffati dal vento ed entrambi apparivano abbastanza provati.

“Chiediamo scusa per il terribile ritardo” disse il nano tutto d’un fiato prima che Daenerys avesse modo di aprire bocca, “ma abbiamo avuto un contrattempo. Potresti venire con noi?”

“Ora?!” chiese Daenerys incredula “Non vedete che stiamo pranzando? Su, venite anche voi, al resto pensiamo dopo…”

“Con tutto il rispetto, maestà” si intromise Varys, “non credo si possa aspettare.” Dany fissò l’eunuco negli occhi. E’ così serio, si disse, convincendosi dell’urgenza della cosa.

“D’accordo” disse annuendo. Poi si voltò verso il tavolo. Jon la stava osservando e Daenerys non sapeva bene cosa dire. “Torno subito” si limitò a borbottare prima di seguire Tyrion e Varys fuori dalla stanza. Camminavano velocemente e Dany fu costretta ad accelerare il passo. “Dove stiamo andando?” chiese curiosa. Si fermarono davanti ad una porta socchiusa dalla quale filtrava della luce chiara.

“Ci siamo” disse Tyrion, “ti conviene entrare da sola…” Sempre più confusa, Daenerys spinse con la mano la porta ed entrò.

Si trovava in un’ampia e stranamente luminosa camera e al centro troneggiava un grande letto sormontato da drappi rossi. Probabilmente era stata la stanza di chissà quale re in passato. Dany si avvicinò lentamente al letto e vide che era occupato da una figura quasi sepolta dalle numerose coperte. Sembrava dormisse, ma il suo respiro non era affatto regolare. Poi, nel sonno, la figura si voltò e Daenerys poté vederla in faccia. Si portò le mani alla bocca per soffocare un gridolino. E’ Jorah! pensò ora veramente esterrefatta Ma come è arrivato? Che cosa ci fa qui? E’ riuscito a curare il morbo grigio?

Tyrion e Varys nel frattempo erano entrati a loro volta. “L’abbiamo trovato sulla spiaggia” raccontò Tyrion a bassa voce, “era svenuto e non abbiamo idea di come sia arrivato qui. Credo sia molto disidratato ed ha bisogno di cure mediche, ma non sembra abbia più i sintomi del morbo grigio. Per sicurezza comunque non abbiamo toccato il braccio che era infetto.”

“Certo” mormorò Daenerys ancora troppo scossa, “certo… Varys, puoi chiamare maestro Pylos per favore?”

“Ovviamente” rispose Varys inchinandosi e lasciando la stanza. Daenerys si prese la testa fra le mani.

“Alla fine è tornato” osservò Tyrion mettendole una mano sulla schiena non potendo raggiungere la spalla.

Dany si costrinse a recuperare il contegno perduto. “Dovremmo andare via” disse stringendo le labbra, “e aspettare che si risvegli.”

“Sì, dovremmo” assentì Tyrion, “ma se vuoi puoi restare qui… Spiegherò io la situazione.”

“No” disse decisa Daenerys, “vengo con te.”

Non posso rimanere da sola con lui, pensò disperata. Mi sentirei troppo in colpa. Perché questa è tutta colpa mia. Avrebbe voluto gridare, piangere e dare sfogo alla propria frustazione, invece seguì in silenzio Tyrion fuori dalla camera e accostò nuovamente la porta.

Tornarono in sala da pranzo e fortunatamente nessuno fece domande. Daenerys riprese a mangiare con calma, senza sollevare gli occhi dal piatto. Sentiva il peso dello sguardo di Jon, ma non le interessava. Anche una regina aveva diritto a mostrarsi debole di tanto in tanto. Terminato il pasto, Verme Grigio, Missandei ed Obara si allontanarono subito, presto seguiti da Davos, che aveva intenzione di portare Gendry a pesca di granchi. Jon invece non lasciò la stanza e rimase al proprio posto. Per una manciata abbondante di minuti nessuno parlò.

“E’ successo qualcosa di grave?” chiese poi Jon con voce incerta. Dany lo guardò: sembrava sinceramente preoccupato.

“Abbiamo trovato una persona moribonda” spiegò Tyrion rimanendo sul vago.

Jon aggrottò le sopracciglia. “E’ Brienne?”

“No, no” si affrettò a rispondere il nano, “è un uomo amico della regina e…”

In quel momento Varys fece irruzione. “Perdonate l’interruzione” si scusò per poi voltarsi verso Daenerys. “Si è svegliato.”  

Dany balzò in piedi. “E’ da solo?” chiese angosciata.

“Maestro Pylos è stato con lui fino a poco fa” la tranquillizzò il Ragno Tessitore, “ma credo voglia vederti…”

“Arrivo subito” replicò Daenerys incapace di contenere del tutto il sollievo.

Jorah si è svegliato.

“Non vorrei sembrare invadente” disse Jon, “ma posso venire con voi?” Tyrion fissò Daenerys, come a volerle lasciare la decisione.

“C-erto” balbettò Dany presa alla sprovvista. Si avviarono così tutti e quattro verso la stanza ormai riservata a ser Jorah e, quando spinse per la seconda volta quella porta, Dany sentì il suo cuore batterle forte in petto.

Jorah sedeva dritto sul letto. Aveva i capelli lavati di fresco, probabilmente ad opera di Pylos, e indossava abiti puliti. In volto aveva i segni della malnutrizione e della febbre e nel complesso sembrava piuttosto invecchiato. I suoi occhi azzurri però erano più vivi che mai e guizzavano rapidi da un visitatore all’altro.

“Khaleesi” mormorò commosso, “sono felice di rivederti.”

Daenerys fece un passo avanti. “Anch’io” disse con sincerità, “temevo che non ti avrei pià rivisto.” Si sedette sul letto vicino a Jorah. “Come ti senti?” chiese stringendo appena le labbra.

Jorah fece una smorfia. “Non molto bene a dir la verità” rispose, “ma certo meglio di prima. Chi devo ringraziare per avermi salvato?”

“Beh, diciamo che è stato un Immacolato di nome Lumg a trovarti” spiegò Tyrion, “ma sono stato io a riconoscerti, quindi potrai ringraziare me…”

“In realtà” puntualizzò Varys, “lo abbiamo aiutato entrambi. E sono stato io a parlare con Lumg: il tuo alto valyriano fa pena.” Jorah rise e anche Daenerys si lasciò andare.

Tyrion era arrossito. “Beh, ecco” disse grattandosi il naso, “ha ragione lui.”

“Grazie a entrambi allora” disse Jorah con un sorriso stanco, “vi devo la vita…” Poi si voltò verso Jon che era rimasto in disparte. Daenerys vide una sottile ruga crearsi sulla fronte di Jorah.

“Chi sei?” chiese il cavaliere “Non credo di averti mai visto.”

Jon si riscosse e scrollò la testa. “Sono Jon Snow” rispose con un cenno di saluto, “un ospite della regina.”

“Sei troppo modesto” lo rimproverò divertito Tyrion per poi voltarsi verso Jorah. “Lui è il Re del Nord” puntualizzò con uno strano movimento del braccio che doveva essere la parodia di un inchino.

Jorah sgranò leggermente gli occhi. “Piacere di conoscerti allora” disse con calore, “mi chiamo Jorah Mormont.”

Dany vide il volto di Jon subire una metamorfosi repentina. Prima esprimeva stupore, poi irritazione, infine compassione.

“Sei il figlio di Jeor Mormont?” chiese poi Jon con voce indecifrabile. Jorah annuì. “Ero il suo attendente al Castello Nero” continuò Jon, “e una volta gli ho anche salvato la vita.”

Jorah chinò la testa. “Tyrion mi disse che era morto” mormorò.

“E’ stato tradito dai suoi stessi confratelli” raccontò Jon e Dany poté giurare di aver visto un ombra calare sul suo volto.

“So che non serve a molto” continuò Jon avvicinandosi, “ma io l’ho vendicato.” Jorah sollevò lo sguardo. “Grazie” rispose a bassa voce, “mi fa sentire un po’ meglio.”

“Ti aveva perdonato” disse Jon in tono misterioso, “e sperava di poterti rivedere un giorno, di vederti arrivare alla Barriera per prendere il Nero.” Jorah aveva gli occhi lucidi. Daenerys ricordava la colpa che aveva costretto Jorah alla fuga, ma vi era un particolare che le sfuggiva.

“Mio padre ti aveva condannato a morte” stava dicendo in quel momento Jon e Dany ricordò.

“Eddard Stark” disse Jorah incredulo, “sei suo figlio, vero?” Jon annuì. “So che ho sbagliato” disse Jorah prendendosi la testa fra le mani, “non avrei mai dovuto vendere quelle persone come schiavi. Sono stato anche un codardo a fuggire.”

Jon lo fissava con i suoi freddi occhi grigi e Dany sentì il bisogno di dire qualcosa. “Jorah ha pagato per i propri errori” disse sicura affrontando quello sguardo glaciale, che di fatto rappresentava il giudizio dell’intero Nord, “e mi ha aiutata durante la lotta contro la schiavitù ad Astapor, Yunkai e Meeren. E’ davvero pentito per le sue azioni sbagliate.”

Con quelle parole Daenerys intendeva anche perdonare Jorah per averla tradita in passato e sperò che lui avesse capito. Probabilmente andò così, perché le sorrise.

Dopo qualche secondo Jon annuì. “Se è così” disse, ora con gentilezza, “io non sono nessuno per poter giudicare.” Estrasse la propria spada e si avvicinò ancora di più al letto. Dany si alzò di scatto e Tyrion portò le mani avanti.

“Tranquilli” disse Jon con calma, “voglio solo fargli vedere una cosa…” Porse a Jorah la spada e Dany si risedette. “La riconosci?” chiese Jon facendo un passo indietro. Dany sapeva che era una spada di acciaio di Valyria, ma non riusciva a capire cosa avrebbe potuto vederci di più Jorah. Il cavaliere se la rigirò fra le mani e Dany vide che aveva gli occhi lievemente umidi.

“Lungo Artiglio” mormorò Jorah, “ma com’è possibile? La mia spada aveva l’impugnatura a forma di orso…”

“E’ andata distrutta in un incendio” spiegò Jon senza dare cenno di voler riprendersi la spada, “tuo padre la diede a me dopo che gli ebbi salvato la vita e mi fece fare un’impugnatura a forma di lupo.” Jon fece una pausa e Dany capì che stava per dire qualcosa di veramente difficile per lui. “Ora è giusto che torni a te” disse infatti Jon socchiudendo gli occhi.

Jorah lo fissò senza parole.“No” disse poi porgendola nuovamente a Jon. “La notte in cui fuggii la lasciai sul mio letto per conservare quella briciola di onore che mi rimaneva. So com’era mio padre e se te l’ha data vuol dire che non esisteva altra persona al mondo che avrebbe preferito vedere con quella spada. Non tradirò la sua memoria: ti ringrazio per la comprensione e l’offerta, ma non posso accettare. Spero capirai…”

Jon riprese stupito la spada e la ripose lentamente nel fodero. Poi annuì.“Capisco” disse semplicemente. Ci furono attimi di imbarazzato silenzio.

“Ora devi raccontarci come sei riuscito a tornare” disse poi Daenerys, “e come hai saputo che fossimo qui.”

“In realtà non lo sapevo” raccontò Jorah appoggiandosi ai cuscini, “diciamo che lo immaginavo. Dopo che ci siamo separati ho girato molti villaggi cercando una cura al morbo grigio e alla fine ho incontrato una ragazza che avevo visto già tanto tempo fa a Qaart.”

“Come si chiama?” chiese Dany curiosa.

“Non so il suo nome” ammise Jorah, “però tutte e due le volte che l’ho vista aveva una maschera d’oro sul viso…” Daenerys sussultò appena. Le tornò in mente il terribile sogno avuto sulla nave e rivide la donna con la maschera che le declamava la profezia.

Il Nero cadrà e sarà morte dal Ghiaccio, così come è morte dal Fuoco.

Rabbrividì e si costrinse a tornare al presente. “Lei mi ha ospitato per una settimana nella sua capanna” stava dicendo Jorah, “ed è riuscita a bloccare la malattia. Mi sono recato quindi a Volantis ed ho cercato un passaggio per il Continente Occidentale e mi sono accordato con un capitano. Andava ad Approdo del Re e io gli ho chiesto di lasciarmi una scialuppa per raggiungere la Roccia del Drago.”

Jorah fece una pausa per riprendere fiato: appariva abbastanza stanco.“Solo che era una nave di pirati” proseguì aggrottando le sopracciglia, “e dopo avermi derubato dei miei pochi averi mi hanno gettato in mare. Fortunatamente ero abbastanza vicino all’isola e ho nuotato finché ho potuto. Poi mi sono aggrappato a un tronco e mi sono risvegliato qui.” Terminato il racconto, Jorah sorrise.

Tyrion venne avanti.“Bene” esclamò dandogli una poderosa pacca sulla spalla, “ben tornato fra noi!”

Jorah si massaggiò la parte del corpo colpita. “Vacci piano però” scherzò divertito.

“Posso stare un attimo sola con lui?” chiese all’improvviso Daenerys “Aspettatemi qui fuori.”

Tyrion, Varys si inchinarono prima di uscire, mentre Jon andò direttamente alla porta.

Quando questa fu chiusa Jorah si voltò verso Dany. “Ti ha mancato di rispetto” osservò alludendo a Jon.

Daenerys sorrise. “Fidati” gli disse, “non è questo che conta: siamo già molto fortunati ad aver quasi ottenuto la sua alleanza.”

“Non ti serve” sbottò Jorah e Daenerys scoppiò a ridere.

“Non sarai geloso spero…”

“Certo che no” replicò Jorah, forse un po’ troppo in fretta, “è solo che non voglio che stai con persone potenzialmente pericolose.”

Dany alzò gli occhi al cielo. “Credi che non sia in grado di difendermi da sola, ser?”

“Non lo direi mai.”

Daenerys si inumidì le labbra. “Senti, io volevo dirti…” iniziò, ma fu subito interrotta da poderosi colpi alla porta. Si alzò in piedi infastidita: possibile che non si potesse avere un attimo di pace?

“Cosa c’è ora?” urlò senza riuscire a celare l’irritazione. La porta si spalancò ed entrò Verme Grigio. Dany cambiò immediatamente atteggiamento: doveva essere una faccenda seria.

“Mia regina” disse Verme Grigio affannato, “mi dispiace interrompere ma devi venire subito.”

Dany si avviò verso la porta, ora veramente preoccupata. “Di che si tratta?” chiese in ansia.

Verme Grigio si morse il labbro. “Theon Greyjoy è tornato” rispose.

Dany rimase a bocca aperta. Da solo? pensò confusa E perché mai sarebbe dovuto tornare? Forse si è stufato della missione o la sorella l’ha rimandato indietro.

“Non vedo quale sia il problema” replicò, adesso più tranquilla. “Dov’è ora?”

“Alla spiaggia, mia regina” rispose Verme Grigio in tono d’urgenza, “e Jon Snow ha detto di volerlo uccidere.”

Dany rimase paralizzata un secondo, poi, senza nemmeno salutare Jorah, si precipitò fuori dalla stanza.

 

Sansa

 

Doveva imparare ad usare la spada. Sansa aveva maturato questa idea durante una delle tante notti trascorse a rigirarsi nel letto inseguendo la speranza di un sonno tranquillo. Devo poter difendermi da sola, aveva deciso avvolgendosi stretta nelle coperte, non devo più dipendere da nessuno.

La mattina successiva si era recata all’armeria, ma il nuovo fabbro, un ometto basso proveniente da Ultimo Focolare, si era rifiutato di forgiarle una spada. “Potrebbe essere pericoloso, mia signora” le aveva detto sinceramente preoccupato, “ma non devi temere: hai più di mille soldati a proteggerti.”

Sansa si era astenuta dal dire ciò che in quel momento pensava e se n’era andata. “Mi trattano come fossi una bambina” si era sfogata con Alys, “non credono sia capace di far altro che sorridere e annuire.”

“E tu dimostra loro che si sbagliano” le aveva suggerito Alys, “e poi, l’armeria non è l’unico posto dove poter trovare un’arma…” Sansa aveva pensato a quella frase tutta la mattina.

A pranzo, quando Myun le aveva portato la zuppa, aveva deciso di chiedere il suo parere. “Senti, Myun” aveva detto iniziando a mangiare, “secondo te dove potrei procurarmi una spada?” Myun era rimasta visibilmente spiazzata e Sansa aveva temuto che non avrebbe risposto.

“Dai bruti, mia signora” aveva detto invece la ragazzina, “loro fanno combattere anche le donne, vero?”

Il giorno dopo di buon’ora Sansa e Tormund raggiunsero il campo dei bruti. Jon aveva offerto a Tormund le terre di Forte Terrore, ma il grosso bruto aveva rifiutato, dicendo che il suo popolo avrebbe preferito accamparsi più a nord. Le loro tende erano rimaste quindi dove le avevano piantate prima della Battaglia dei Bastardi e Sansa sentì un groppo in gola ritrovandosi costretta a ripercorrere a cavallo quella pianura ghiacciata.

Fu accolta con sorprendente calore dal Popolo Libero e specialmente le donne arrivarono a minacciarsi con i pugnali per il privilegio di parlare con la lady di Grande Inverno. Dicevano che era baciata dal fuoco e per questo fortunata. Erano donne muscolose, con volti induriti e capelli crespi, ma Sansa le ammirava. Ammirava la loro forza e il loro scarso pudore, la loro capacità di imporsi reclamando ciò che era loro. Nessun uomo poteva pensare di controllarle.

“Quando era ancora un corvo Jon era innamorato di una di noi” le raccontò Tormund senza guardarla negli occhi, “e lei era innamorata di lui. Si chiamava Ygritte.” Sansa notò l’utilizzo del tempo passato e preferì non fare domande: Tormund appariva già abbastanza provato di suo.

Anche Ygritte era una donna così?

Sapeva già la risposta, ma una punta di gelosia le si era piantata nel cuore e Sansa non capiva perché. O forse aveva solo la vista offuscata. Perché mi interessa? si chiese scrollando le spalle.

Ygritte sicuramente era stata più coraggiosa di lei e forse anche più affascinante. Forse Jon aveva amato lei più di quanto amasse Sansa. Ma cosa sto dicendo?! pensò Sansa afferrandosi la testa fra le mani quando nessuno poteva vederla Certo che non mi vuole bene come ne voleva ad Ygritte: sono due tipi di amore diversi… Eppure quella spiegazione non la convinceva del tutto.

Ci pensò Tormund a tirarle su il morale quando riemerse dalla tenda più grande con in mano una spada di medie dimensioni. “Perdona la fattura non proprio ottima” si scusò il bruto imbarazzato, “non siamo molto bravi a forgiare questo tipo di metallo…” Le porse l’arma. “E’ molto leggera” le spiegò, “ma abbastanza affilata da permetterti di infilzare un uomo adulto.”

Sansa accarezzò affascinata l’elsa. “Che cos’è?” chiese passando la mano su una pietra dura di colore giallo miele che era incastonata nell’impugnatura. Non aveva mai visto nulla del genere.

“Noi la chiamiamo ambra” rispose Tormund, “è molto rara e le nostre donne la usano per i loro gioielli.”

“E’ bellissima” mormorò Sansa. Provò a roteare goffamente la spada e la pietra luccicò alla debole luce del sole che filtrava attraverso le nuvole.

“Ambra” disse convinta, “la chiamerò Ambra.”

Tormund sbuffò. “Non capirò mai la vostra mania di dare nomi alle armi” borbottò, “non è che se urli il nome della spada quella ti viene in soccorso.”

Sansa rise. “No” ammise, “hai ragione.”

Tornarono a Grande Inverno che era pomeriggio inoltrato: Sansa non si era resa conto dello scorrere del tempo.

Alys l’attendeva sul portone ancora in riparazione e si torceva le mani. “Dove sei stata?” le chiese aiutandola a scendere da cavallo “Ti stanno cercando tutti…” Sansa accennò alla spada. “A prendere una cosa…” rispose vaga ed il volto di Alys si distese in un sorriso. Poi tornò seria.

“Devi venire subito” la incalzò, “e anche tu, lord Tormund: ci è giunta la notizia di una catastrofe…”

Sansa sentì il suo cuore fermarsi. “Jon…” mormorò angosciata incapace di trattenersi.

“No, no” si affrettò a tranquillizzarla Alys Karstark, “la lettera viene da…”

“Lady Sansa!”

Tutti e tre si voltarono all’unisono e videro Podrick correre verso di loro con la sua solita andatura ciondolante. Presto dovette fermarsi con le mani sulle ginocchia. “L’ho vista io” rantolò, “la lettera, l’ho raccolta io. Qualche contadino aveva tirato una freccia al corvo e io l’ho preso al volo. Sono riuscito a salvarlo e… ah sì, la lettera…”

Le porse un foglio stropicciato sul quale erano state buttate giù poche righe anonime in maniera piuttosto disordinata. Sansa si sforzò di decifrarle.

Hanno vinto, dovete aiutarci. Stanno per prendere il castello, non resisteremo a lungo. Ser Marlon Manderly è caduto. Richiediamo rinforzi a Porto Bianco il più in fretta possibile. Fate presto vi prego, le barche si avvicinano.

Sansa era paralizzata dall’orrore. “Che cosa significa?” chiese con un filo di voce.

“Gli Uomini di Ferro hanno attaccato Porto Bianco” rispose Alys mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare, “e sembra abbiano vinto.”

No, non ora…

“Com’è possibile?” mormorò facendo scorrere lo sguardo una seconda volta sulla lettera.

“Dice che Marlon è morto” osservò Alys, “secondo te è vero?” Sansa non sapeva cosa dire.

“Come hanno reagito gli altri?” chiese Tormund corrugando la fronte.

“Non bene” si intromise Podrick, “credo vi stiano aspettando per decidere la risposta.”

Sansa annuì. “Allora andremo subito” decise avviandosi verso il cortile principale, “Podrick fammi un favore: trova Myun e dille di raggiungermi nella Sala Grande.” Podrick azzardò un maldestro inchino e si allontanò.

“Alys” proseguì Sansa, “credi che lord Baelish ci onorerà della sua presenza?”

“Da quello che so è già lì” replicò lady Karstark accelerando il passo. Magnifico, pensò Sansa. Non avrebbe voluto parlare di eventuali piani militari davanti a Ditocorto, ma sembrava non esserci altra scelta: allontanarlo avrebbe destato sospetti. Ovviamente però non gli avrebbe affidato alcun ruolo nella futura azione di guerra, qualora ne avessero escogitata una.

Porse Ambra a Tormund e il bruto la nascose sotto le folte pellicce che erano i suoi abiti. Dal nulla Spettro comparve al loro fianco. Alys sussultò, ma Sansa non poté non tirare un sospiro di sollievo. Non vedeva il meta-lupo da giorni ormai ed era quasi arrivata a temere che gli fosse successo qualcosa di male. Invece Spettro sembrava perfettamente a suo agio: Sansa non l’aveva mai visto così felice. Magari alla Barriera era sempre così, si disse.

Come previsto nella Sala Grande regnava il caos. Tutti urlavano contemporaneamente e Sansa temette di avere un capogiro. La piccola Lyanna Mormont venne loro incontro. Era imbronciata e aveva un’aria decisamente infastidita.

“Non vogliono fare silenzio” disse accennando ai signori che stavano litigando. Sansa capì di dover prendere in mano la situazione.

“SILENZIO!”

Finalmente il gran chiasso cessò e Sansa poté riprendere fiato.

“Mia signora” la salutò Cley Cerwyn, “la situazione è degenerata.”

“Avreste dovuto aspettarmi” replicò Sansa con voce glaciale.

“Con tutto il rispetto, mia signora” intervenne Wyman Manderly avanzando, “la mia città è stata invasa, mio cugino è morto… Non credo si possa aspettare.” Wyman aveva gli occhi gonfi di pianto e sembrava più vecchio di una decina d’anni.

“Hai ragione, mio signore” assentì Sansa, “ma stare qui ad urlare e sbraitare non aiuterà certo Porto Bianco.” Ci furono mormorii d’assenso e Sansa ne fu incoraggiata.

“Dobbiamo far luce sulla situazione” proseguì sedendosi sul trono di legno che suo fratello le aveva lasciato, “e poi prenderemo una decisione. Insieme.”

Tutti i presenti borbottarono la loro approvazione e ripresero i loro posti. Sansa scorse Ditocorto nell’ombra in fondo alla sala e si chiese cosa stesse architettando. Decise di non curarsene.

“Allora” disse ad alta voce mentre Spettro si accucciava ai suoi piedi, “iniziamo dal principio: perché gli Uomini di Ferro hanno attaccato Porto Bianco e chi li guida?”

“Mi pare evidente” esclamò Wyman, “Porto Bianco è la città più importante e ricca del Nord e guarda caso si trova anche sul mare.”

“Ma è anche una delle più protette” osservò Sansa, “gli Uomini di Ferro avrebbero ottenuto un bottino maggiore attaccando dei piccoli villaggi, come fanno sempre d’altronde.”

“E poi perché spingersi fino a là” chiese lord Glover accavallando le gambe, “ci sono così tante città sulla costa occidentale, perché venire nel Mare Stretto?”

“Ci sono arrivate voci” spiegò Cerwyn, “secondo cui non sarebbe da escludere un’alleanza fra Cersei Lannister e il nuovo Re delle Isole di Ferro.” Ci furono esclamazioni di sorpresa ed imprecazioni represse solo a metà.

“Se anche fosse vero” disse Alys che era in piedi alla destra di Sansa, “chi sarebbe il nuovo Re delle Isole di Ferro?”

Sansa pensò immediatamente a Theon. No non può essere lui, si disse subito dopo, non avrebbe mai attaccato Porto Bianco. Ma allora dov’era in quel momento? Era tornato a casa? Era ancora vivo? Non aveva neppure raccontato a Jon cosa Theon aveva fatto per lei. Sansa rabbrividì e si strinse nelle spalle.

“Ma perché attaccarci?” stava chiedendo a nessuno in particolare lord Glover “Perché sfidare il Nord?”

“Magari questo Re delle Isole di Ferro stava solo eseguendo gli ordini di Cersei” suggerì Tormund accarezzandosi la barba.

“O forse perché sapeva che non avremmo potuto reagire” fece notare Lyanna Mormont, “perché in fin dei conti è così: non possiamo.” Sansa dovette darle ragione.

“Ma come facevano ad esserne sicuri?” chiese Cley Cerwyn “Qualcuno ha forse tradito?”

“Non ce n’era bisogno” intervenne Ditocorto finora rimasto in silenzio. Baelish fece qualche passo avanti ed uscì dall’ombra. Sansa dovette opporsi all’impulso di alzarsi e scaraventarlo di nuovo indietro.

“Vi chiedete chi sia il Re delle Isole di Ferro” continuò Petyr avanzando, “ebbene io ho la risposta: è Euron Greyjoy il fratello pazzo di Balon.” Sansa non l’aveva mai sentito nominare, ma altri nella sala decisamente sì a giudicare dalle loro smorfie disgustate.

“Gli Uomini di Ferro hanno attaccato Porto Bianco contro gli ordini di Cersei” stava spiegando Baelish, “e l’hanno fatto perché sapevano che il Nord non avrebbe potuto inviare rinforzi. Il nostro re li ha mandati tutti alla Barriera a proteggerla da non si sa neanche bene cosa.”

Ci fu un rumore secco: Tormund era balzato in piedi. “Gli Estranei esistono” disse il bruto fissando con odio Ditocorto, “io li ho visti. Jon ha fatto la cosa più saggia a decidere di fortificare la Barriera.”

Baelish non smise di sorridere. “Già” disse in tono enigmatico, “o forse pensava che inviando qualche migliaio di uomini al suo posto avrebbe rimediato al suo giuramento infranto.”

“Lord Baelish ritira immediatamente le tue parole” lo avvertì Glover con già la mano sull’elsa della spada, “non ti permettere di mancare di rispetto al nostro re.”

“Mancare di rispetto?” esclamò Baelish con finta sorpresa “Io sto solo dicendo la verità. Credete davvero che Jon Snow sia tornato dalla morte sciogliendo così il suo voto? Andiamo, è ridicolo. Non metto in dubbio il suo coraggio nell’affrontare Ramsay Bolton, nonostante anche in quel caso stesse portando il suo esercito al macello, ma dovete ammettere che la storia degli Estranei suoni abbastanza strana.” Spettro ringhiò e Tormund era sul punto di gettarsi in una rissa.

“Basta così” ordinò Sansa sforzandosi di apparire impassibile, “hai gettato abbastanza disonore sulla mia famiglia, lord Baelish: per la tua sicurezza ti invito a tacere.”

“E’ questo il prezzo per la verità?” chiese subdolo Ditocorto voltandosi verso i presenti “Per aver detto ciò che ognuno di voi pensa ma non ha il coraggio di dire?”

“Baelish” sibilò Sansa alzandosi, “un’altra parola e…”

“Jon Snow vi ha mentito” proseguì ugualmente Ditocorto e Sansa notò con angoscia che il pubblico pendeva dalle sue labbra. “Ha mandato i vostri uomini a congelare sulla Barriera per mettersi a posto la coscienza mentre le vostre famiglie vengono massacrate a Porto Bianco e voi non potete fare nulla. Vi pare l’operato di un buon re?”

Non ci fu il tempo per le risposte perché Tormund balzò dal tavolo e si scagliò su Baelish, atterrandolo. Alys urlò e fu di nuovo confusione. “Prova a ripeterlo” gridò Tormund mentre stringeva le mani intorno alla gola della sua vittima, “prova a ripeterlo ora, figlio di puttana.”

“Tormund, smettila!” gridò Sansa, ma furono necessari tre uomini robusti per separare i due combattenti. Tormund era rosso di rabbia e Baelish perdeva sangue dal naso. Tuttavia riacquistò subito il contegno perduto.

“Vedete” disse senza fiato, “i bruti sono pericolosi. Non avremmo dovuto accoglierli nelle nostre terre. Ma il problema ora è risolto perché Jon Snow è morto.”

Un silenzio glaciale seguì quest’affermazione e Sansa potè sentire il rumore di ogni singolo respiro che accelerava.

“C-come fai a saperlo?” chiese incapace di dire altro.

Ditocorto le sorrise ed estrasse una lettera. “Stamattina è giunta questa da Porto Bianco” spiegò, “indirizzata a te, mia signora. Mi sono permesso di leggerla data la situazione, ma volevo consegnarla direttamente nelle tue mani.”

Sansa la prese con mano tremante e lesse ad alta voce, con la lingua che si impigliava di tanto e in tanto nelle parole.

A lady Sansa di Grande Inverno

I miei uomini hanno conquistato Porto Bianco ed abbiamo infilzato la testa di Marlon Manderly su una picca: devo dire che fa un’ottima figura sulle mura, le rende meno serie. Io odio la serietà, ma suppongo a te questo non interessi. Ho fatto centinaia di prigionieri e se il Nord vuole che rimangano vivi dovrà frenare i piani di vendetta nei miei confronti, anche perché dopo una lettera così educata sarebbe un peccato rovinare una promettente amicizia, non trovi anche tu? Finché nessuno ci disturberà i cittadini di Porto Bianco saranno salvi e non programmeremo altre piccole escursioni. Mi sembra un accordo equo.

Euron Greyjoy, Re delle Isole di Ferro e lord di Pyke.

PS: Ah ho anche affondato la nave di tuo fratello. Credo l’accordo con Daenerys Targaryen sia saltato. Mi dispiace, nessun rancore vero?

Quando terminò la lettura Sansa rimase a fissare la lettera. Si sentiva svuotata e persa. La lettera portava il sigillo della piovra e non poteva essere un falso. Nella sala regnava il silenzio e tutti avevano chinato il capo.

“Credo dovremmo organizzare una cerimonia funebre” disse Baelish sollevando le sopracciglia, “e prepararci ad una nuova incoronazone.”

Sansa era senza parole: possibile che tutti i piani di Ditocorto si fossero compiuti? Possibile che sarebbe stata costretta a portare la corona?

“Dobbiamo pensare al futuro” stava dicendo Baelish, “e Sansa Stark è…”

“Non così in fretta!”

Sansa si sporse per vedere meglio e vide Myun correre nella sua direzione. Sorrideva trionfante e teneva fra le mani quella che sembrava essere un’altra lettera.

“Chi sei tu?” chiese Ditocorto irritato “Come ti permetti ad interrompere una riunione così importante? Portatela via.”

“No” ordinò Sansa alzando una mano, “voglio sentire cosa ha da dire.”

Myun le sorrise e le consegnò la lettera. Vi era il sigillo del meta-lupo e Sansa sentì batterle forte il cuore.

“Che cos’è?” chiese in un sussurro.

“Una lettera di Jon Snow mia signora” rispose Myun e tutta la sala eruppe in un’esclamazione, “dice di essere arrivato alla Roccia del Drago.”

 

Jon

 

Aspettare lo rendeva nervoso. Varys si era appena allontanato, mentre Tyrion si limitava a fissare la porta della stanza in cui Jorah e Daenerys stavano conversando. Jon era rimasto stupito da quell’incontro. Il Lord Comandante Mormont gli aveva parlato così poco di suo figlio e Jon se l’era sempre immaginato in modo diverso.

Da piccolo Ned gli aveva raccontato la storia di ser Jorah, condannato a morte e fuggito in esilio, per insegnargli il valore dell’onore. Jon aveva sempre considerato suo padre come la persona più giusta sulla terra ed un uomo così codardo da sfuggire ad una condanna di Ned Stark doveva necessariamente essere brutto e subdolo.

In quella stanza tuttavia Jon era entrato in contatto con un uomo profondamente pentito, che si trascinava dietro il peso del dolore e della sofferenza. Aveva anche rinunciato a Lungo Artiglio e Jon l’aveva preso come un tentativo di riconciliazione con il Nord intero. Una domanda da quel momento si era impossessata della sua mente e non accennava ad abbandonarla: se gli avessero mozzato la testa più di vent’anni prima avrebbero sbagliato? Forse la condanna a morte non è sempre la soluzione migliore, si disse Jon mentre attendeva paziente, forse andrebbe rivalutata qualora il condannato appaia veramente pentito.

Magari avrebbe anche potuto emanare una nuova legge nel Nord che avrebbe ristretto i casi in cui si poteva applicare la pena di morte, ma Jon era consapevole che si sarebbe scontrato contro una ferrea opposizione. Ma tanto valeva tentare.

Alla fine sono il re.

In quel momento sopraggiunse un soldato trafelato. Jon lo riconobbe subito: era Verme Grigio, l’Immacolato che Gendry aveva tramortito per aiutare Davos a fuggire. Solo che il suo volto, sempre duro ed impassibile, era stravolto da un’emozione violenta.

“Cos’è successo?” si affrettò a chiedere Tyrion. Il nano sembrava voler aiutare Verme Grigio a rimanere in piedi, ma data la sua altezza non stava ottenendo grandi risultati. Allora Jon fece un passo avanti e sorresse l’Immacolato mentre riprendeva fiato.

“Sto bene” borbottò Verme Grigio affannato liberandosi piuttosto rudemente del supporto, “ma devo avvertire la regina…”

“Daenerys al momento è occupata a parlare con il naufrago” spiegò Tyrion, “puoi dire a me però.”

Verme Grigio dovette valutare l’offerta, perché esitò un paio di secondi. Alla fine però si convinse a parlare. “Theon Greyjoy è tornato” disse serio, “da solo, su una barca che non era delle nostre. Ha urgenza di vedere la regina e…”

Jon impiegò qualche secondo a connettere quello che aveva appena udito con quello già che sapeva.“Aspetta un attimo” disse tentando di tenere a freno l’ira, “stai dicendo che Daenerys si è alleata con Theon Greyjoy?”

“Tecnicamente con sua sorella Yara” rispose Tyrion con noncuranza, “Theon è solamente un…” Poi dovette realizzare qualcosa, perché il suo volto già sfigurato si tramutò in una maschera d’orrore.

“Jon” disse il Folletto in tono grave ora, “so che cosa stai pensando, ma non farlo…”

“Ha tradito Robb” ribatté Jon non più capace di trattenersi, “ha distrutto Grande Inverno, ha costretto alla fuga Bran e Rickon.” Jon strinse le mani a pugno fino a sentire le unghie conficcarsi nei palmi. “Lo ucciderò” concluse, “e poi ringrazierò la regina per avermi dato questa opportunità.” Si mise a correre verso dove ricordava esserci l’uscita, accecato dalla rabbia.

“Jon, fermati” gli urlava dietro Tyrion non riuscendo a stargli al passo, “è una follia!”

Jon non lo ascoltò, ma ad un certo punto si sentì afferrare e fu costretto a girarsi. Verme Grigio gli puntava la spada alla gola, nonostante la sua presa tremasse un poco. “Non puoi ucciderlo” disse senza cambiare espressione, “è sotto la protezione della regina.”

Jon estrasse Lungo Artiglio: non avrebbe permesso a nessuno di fermarlo. “E allora vaglielo a dire alla tua regina” replicò menando il primo fendente.

Verme Grigio fu colto di sorpresa, ma si difese bene, indietreggiando di un passo solo. Si trovavano in un corridoio stretto e leggermente in pendenza, non proprio il luogo ideale per un duello, ma a Jon non interessava. Continuò a colpire furiosamente, lasciando che l’istinto prendesse il controllo. Verme Grigio era forte, ma non precisamente veloce e Jon decise di sfruttare quel suo punto debole.

Le spade cozzavano con suoni stridenti e più di una volta un affondo di Verme Grigio rischiò di strappare Lungo Artiglio dalla presa di Jon. Tyrion era appena arrivato e urlava loro di sospendere il combattimento, ma i suoi appelli rimasero inascoltati. Verme Grigio riuscì ad eludere la difesa di Jon, ma esitò un attimo di troppo e Jon ebbe il tempo di reagire. Spinse la spada in alto con tutta la sua forza e la lama schizzò via dalle mani dell’avversario, finendo sotto l’unico mobile di quell’angusto corridoio.

“Avresti dovuto colpirmi” osservò Jon tranquillo, per poi voltarsi e riprendere a correre. Nessuno per fortuna lo seguì.

Alla fine si ritrovò senza sapere come nelle cucine al pian terreno. Essendo il pranzo già stato consumato da tempo, probabilmente i cuochi erano in giro per il castello, fatto sta che le stanze erano deserte. Una porta era socchiusa e da essa proveniva un alito di vento. Jon la spinse ed ebbe dinnanzi la scogliera. Sulla destra c’era il porto, dove una decina di barche era ancorata. Una piccola figura era in piedi davanti al molo e guardava nella sua direzione. Jon sentì la rabbia sopraffarlo ancora ed affrettò il passo. Quando si trovò a pochi passi dalla figura si fermò, la punta della spada che sfiorava la ghiaia del sentiero.

Theon era cambiato più di quanto avesse immaginato. I suoi capelli erano più corti, le spalle più curve. Il suo sguardo si era fatto sfuggente ed irrequieto e sembrava non avere la forza per alzare gli occhi da terra. Jon rimase in silenzio, mentre il vento gli scompigliava i capelli. Poi, lentamente, Theon sollevò la testa tremante, fissandolo con sguardo supplice.

“Jon…”

“Non parlare” lo ammonì duro Jon, poi ci ripensò. “Anzi sì, parla pure, tutti hanno diritto a dire le loro ultime parole.” Ed alzò la spada.

Theon seguì la lama con gli occhi, ma non appariva spaventato, semmai rassegnato. “E così sia” disse con un sospiro, “non ti biasimo per voler prendere la mia vita. Ho fatto cose orribili.”

“Per fortuna te ne rendi conto” disse Jon spietato, “ma questo non cambia i fatti.”

“Hai ragione” ammise Theon, “non cercherò di convincerti del contrario. Voglio solo che tu sappia che non c’è giorno in cui io non mi svegli maledicendomi per quello che ho fatto, in cui non rimpianga la famiglia che avevo o in cui” Theon fece una pausa “non senta la mancanza di Robb.”

Jon sollevò Lungo Artiglio più in alto. “Non osare pronunciare il suo nome” sibilò, “lui si fidava di te! Tutti loro si fidavano di te e tu li hai traditi. Rickon è morto e Bran è scomparso. Dov’eri quando hanno piantato un coltello nel cuore di nostro fratello?” Era finito ad urlare e si accorse di aver gettato su Theon anche i propri rimpianti.

Dov’ero io?

Theon non parlava. Poi mormorò qualcosa che Jon non capì. “Parla più forte” gli ordinò seccamente.

“MI DISPIACE!” urlò Theon e Jon quasi fece un passo indietro per la sorpresa “Ho detto che mi dispiace e che ho meritato tutto quello che ho patito. Se vorrai uccidermi non opporrò resistenza, ma prima ti prego, devo consegnare un messaggio alla regina…”

“Così che ti possa salvare dalla tua pena?” chiese Jon sarcastico “Mi reputi così ingenuo? Credi di potermi raggirare come un tempo?”

“No” rispose Theon in tono più tranquillo, “mi sono pentito anche di averti trattato così male un tempo. Lo sai perché lo facevo?”

Jon si trattenne a stento dall’alzare gli occhi al cielo. “Non mi interessa” disse, “perché eri un egocentrico?”

“Per invidia” rispose Theon e Jon rimase spiazzato.

“Invidia?” ripeté confuso “E di chi eri invidioso?”

Theon prese un respiro profondo: sembrava stesse finalmente buttando fuori una serie di insicurezze che si portava dietro da sempre.

“Di te.”

Ora Jon era davvero incredulo. “Di me?!” esclamò “E si può sapere perché?” Jon aveva sempre considerato la propria posizione come una delle meno invidiabili esistenti, nonostante tutto l’affetto che gli aveva dimostrato suo padre nel crescerlo a Grande Inverno.

“Dicevo di amare la mia famiglia” raccontò Theon, “e di essere un Greyjoy come mio padre. Dicevo di non vedere l’ora di tornare alle mie isole e ridevo se mi chiedevano se fossi affezionato a voi Stark. Ma ogni volta mentivo. Ho sempre voluto essere uno di voi, far parte della vostra famiglia, ricevere l’affetto di Ned. Sognavo un giorno di sposare Sansa.”

Theon sospirò. “Tu eri solo un bastardo” continuò, “eppure eri così amato da quella gente, così tenuto in considerazione… Beh, eccetto che da lady Catelyn, ma credo sia comprensibile. E io invece, figlio legittimo ed erede delle Isole di Ferro, non ero nessuno. Non voglio che tu la consideri come un’attenuante, ma è questo il motivo che mi ha spinto a prendere Grande Inverno. Volevo rendere orgoglioso mio padre, dimostrare una volta per tutte chi ero e qual era il mio posto nel mondo, ma ho sbagliato.” Theon tacque, ma Jon non sapeva cosa dire. La storia che gli aveva raccontato sembrava fin troppo simile alla sua.

Non sono forse andato anch’io alla Barriera per diventare qualcuno? pensò Jon mordendosi il labbro Non ho fatto tutto quello che ho fatto per trovare il mio posto, per sentirmi parte di qualcosa? La risposta era semplice.

Vedendo che Jon esitava, Theon dovette riacquisire coraggio. “Jon” lo chiamò, “non devi sentirti in colpa se desideri ancora uccidermi.”

Jon rimase ancora una volta senza parole: come faceva ad aver capito così bene? Forse, in fin dei conti, lui e Theon erano sempre stati più simili di quanto avrebbero mai voluto ammettere.

“Io non…” iniziò Jon sollevando la spada, ma in quel momento sopraggiunsero Tyrion e Daenerys, seguiti poco lontano da Verme Grigio.

“Fermati!” esclamò Daenerys e Jon non seppe mai se in quel momento avesse provato rabbia o sollievo. Si voltò verso la regina.

“Lui è un mio alleato” disse Daenerys, “e quali che siano le sue colpe non hai il potere di giustiziarlo.”

“E poi, Jon” si intromise Tyrion, “secondo me dovresti graziarlo anche per il solo fatto che ha salvato tua sorella…”

“Cosa?!” esclamò Jon aggrottando la fronte e girandosi nuovamente verso Theon “Hai salvato Sansa?”

“Siamo scappati insieme” rispose Theon, “quando Ramsay controllava Grande Inverno. L’ho affidata a Brienne dicendole di condurla alla Barriera perché sapevo che tu eri là.” Jon non volle pensare al fatto che a quel tempo molto probabilmente lui era ancora un cadavere pugnalato disteso su un tavolaccio del Castello Nero.

“Sansa non mi ha mai detto nulla” sussurrò Jon incredulo: possibile che sua sorella gli avesse taciuto un’informazione così importante? In effetti era rimasta sempre sul vago circa i particolari della sua fuga. Jon abbassò la spada.

“Questo cambia tutto” disse, “non cancella i tuoi crimini certo, ma il Nord non può più condannarti a morte. Ti ringrazio per aver salvato la vita di mia sorella.” Theon sorrise appena. Trascorsero attimi di silenzio imbarazzato, durante i quali Jon evitò accuratamente lo sguardo di Verme Grigio.

Poi Daenerys fece un passo avanti, come a voler riprendere il controllo della situazione. “Mi fa piacere che abbiate chiarito” disse allacciando le mani davanti allo stomaco, “ma forse ora è meglio rientrare…” Jon annuì e fecero per incamminarsi, ma Theon non si mosse. “Aspettate” disse iniziando a tremare, “non credo ci sia più tempo.”

Fissò Jon negli occhi. “Mi dispiace, Jon” mormorò mentre una lacrima gli scivolava sulla guancia, “non ho potuto fare niente…”

La voce di Theon fu rotta dai singhiozzi e Jon sentì la rabbia crescere ancora una volta. Rinfoderò Lungo Artiglio ed afferrò Theon per il bavero, quasi sollevandolo da terra. “Cosa?” chiese senza curarsi delle esclamazioni di Tyrion e Daenerys “Cosa hai fatto ancora?”

Theon boccheggiava continuando a piangere e Jon perse la pazienza. “PARLA!” urlò scuotendolo con forza.

“Hanno preso Porto Bianco” gemette Theon portandosi una mano alla gola. Jon ammutolì.

“Chi?” chiese alle sue spalle Tyrion.

“Gli Uomini di Ferro” rispose Theon, “li guidava Euron.” Jon lasciò andare la presa e chinò il capo.

“Eravamo appena arrivati” stava continuando Theon, “ci hanno attaccati con un esercito di mercenari ed hanno preso la città. Non abbiamo potuto fare nulla. Yara, Tyene, Ellaria e Benjameen sono stati fatti prigionieri, così come il resto del nostro esercito.” Theon tornò a guardare Jon.

“Marlon Manderly è morto” disse con amarezza. Jon ricordò l’uomo che li salutava sorridente dal molo mentre la Lupa Solitaria prendeva il largo e sentì un groppo in gola.

“Euron mi ha lasciato andare” mormorò Theon, “per dire alla regina che sta arrivando con il suo esercito a Roccia del Drago per sterminarci tutti.” Daenerys aveva gli occhi sbarrati e anche Tyrion sembrava esterrefatto.

“Ora cosa facciamo?” chiese Daenerys “Alla Roccia sono rimasti troppi pochi soldati.”

“Richiama la guarnigione Tyrell e i Dothraki” suggerì subito Tyrion, “ci servono qui.”

“Non arriverebbero mai in tempo” osservò Daenerys, “saranno già a Vecchia Città ormai o addirittura in viaggio per Alto Giardino.”

“Attacchiamo Approdo del Re allora” disse il nano, “coglieremmo tutti di sorpresa e, se è vero che Cersei ha inviato Jaime nell’Altopiano, il Trono di Spade sarà praticamente indifeso.”

“Euron ci ha già pensato ad una mossa del genere” si intromise Theon, “e ha detto che se alla Roccia del Drago non troverà nessuno ucciderà ogni soldato prigioniero, per poi passare agli abitanti di Porto Bianco.” Tyrion rimase senza parole e Jon strinse la mani a pugno.

“Ergeremo le nostre difese” disse Daenerys convinta, “fortificheremo l’isola e schiereremo al meglio le nostre truppe. I miei draghi saranno in prima fila.”

“I miei uomini sono pronti a combattere e morire per te, mia regina” disse solennemente Verme Grigio e Daenerys annuì nervosa. Calò nuovamente il silenzio.

“Non posso restare qui” disse Jon ad un tratto.

Daenerys si voltò di scatto verso di lui. “Cosa intendi?” chiese allarmata.

“Solo quello che ho detto” ripeté Jon, “non posso restare. Hanno dichiarato guerra al Nord, minacciano il mio popolo: devo tornare.”

“Noi abbiamo un’alleanza” gli ricordò Daenerys scaldandosi, “non puoi lasciarci così.”

“Non ho fatto alcun giuramento” osservò Jon.

“Per quello che vale un tuo giuramento” disse con odio Verme Grigio. Jon avrebbe voluto urlargli in faccia la verità, dirgli che era stato pugnalato dai suoi stessi confratelli, che era morto e che era stato riportato in vita, gridargli che non era mai venuto meno al suo dovere, ma rimase in silenzio.

“Hanno attaccato la mia gente” disse, “cosa vi aspettate che faccia?”

“Che mantieni il sangue freddo e la mente lucida” rispose Tyrion, “so che cosa provi, ma non potresti aiutare nessuno tornando. Euron ha attaccato Porto Bianco solo per mandare un segnale a Daenerys: il Nord non è davvero in pericolo.”

“E se non avessi capito così bene i suoi piani come credi?” insinuò Jon “Per aver inviato un terzo del vostro esercito a Porto Bianco dovete aver pensato che Euron volesse attaccare la città, ma vi siete sbagliati.”

“Non è stata una mia idea!” esclamò il Folletto guadagnandosi l’occhiataccia della regina “Voglio dire… Euron non ha bisogno di conquistare ora il Nord, potrà farlo con calma quando le nostre teste saranno consegnate a Cersei e lei deciderà di premiarlo. Nessuno è folle al punto da lanciarsi in una guerra contro il Nord durante l’inverno.”

Tyrion riprese fiato. “E poi, Jon” continuò, “se Euron davvero sta navigando verso di noi non riusciresti a raggiungere la terraferma senza essere intercettato dalle navi dei mercenari di Cersei o dalla Flotta di Ferro, nessuno di noi può.”

Jon si morse un labbro ragionando. Cosa farà Sansa? si chiese angosciato. Pensò di scriverle per suggerirle una strategia, ma dovette affrontare un’altra dolorosa constatazione: Sansa non aveva mai risposto a nessuna delle sue lettere. Forse voleva maggiore indipendenza e Jon dovette arrendersi ed ammettere a sé stesso di non poterla aiutare, non nella situazione in cui si trovava almeno.

Tyrion ha ragione, pensò sopraffatto dalla frustrazione. Siamo prigionieri su quest’isola.

             
                                                                                                               "E' una bella prigione, il mondo."




N.D.A.


Bentornati a tutti! Un capitolo un po' intenso questo, vero? ^_^'''
Purtroppo la missione a Porto Bianco si è conclusa con un disastro, ma tutti i personaggi principali sono (per ora) ancora vivi. Voglio specificare che, proprio come Tyrion ha ben capito, il piano di Euron non riguarda la conquista del Nord, bensì la distruzione della minaccia di Daenerys. Possiamo dire che la regina, inviando Yara e gli altri a Porto Bianco temendo per un attacco ha di fatto causato l'attacco stesso XD XD Infatti Euron voleva colpire lei e non la città in quanto tale. Se gli alleati di Dany fossero sbarcati altrove Euron avrebbe attaccato lì.
La mossa di Euron di inviare Theon può sembrare stupida perchè darebbe un vantaggio a Dany (e in effetti non è il massimo di intelligenza), però ha una sua logica. Euron sa già che alla Roccia del Drago rimangono pochissimi soldati e con questa minaccia getta paura e disperazione, senza comunque lasciare modo ai nemici di organizzare una difesa o chiamare alleati (il Nord anche volendo non potrebbe rispondere a un'eventuale chiamata, in quanto l'intera sua flotta è bruciata a Porto Bianco)... Inoltre la lettera è molto nello stile pomposo ed eccentrico di Euron, quindi bene XD

Per la parte di Sansa penso di dover chiarire alcune cose qua e là... Ditocorto sta ovviamente sfruttando la situazione (e a mio avviso lo sta facendo molto bene), ma non si è in realtà inventato nulla. La lettera di Euron è stata veramente inviata dal Re delle Isole di Ferro e Baelish l'ha sfruttata solo perchè Euron diceva di aver ucciso Jon (anche se in realtà anche Euron sa che non è vero: stava giocando con Sansa)... La lettera che invece Arya tira fuori dopo e che vedremo più avanti dove esattamente fosse è ovviamente più vecchia ed è stata inviata da Jon esattamente al momento dell'arrivo a Roccia del Drago (contraddicendo di fatto quanto detto nella lettera di Euron, che invece è recente e risale a dopo l'attacco di Porto Bianco) che per qualche motivo però non è mai arrivata in mano di Sansa. Quindi Baelish sapeva che Jon era ancora vivo, ma nella sua menzogna è stato supportato involontariamente da Euron che diceva di averlo ucciso nella sua lettera. E' un po' complicato, è vero ^_^'''' però tutto verrà spiegherà meglio nei prossimi capitoli.

Anche per il breve duello Jon/Verme Grigio voglio spiegare: Jon sembra più forte dell'Immacolato, ma in realtà non è esattamente così. Verme Grigio si sta ancora riprendendo dopo l'incidente con Gendry, quindi non è al massimo delle sue capacità, inoltre ha combattuto senza l'intenzione di uccidere, mentre Jon in quel momento aveva abbastanza perso la testa (solo perchè Sansa non gli aveva mai detto nulla, altrimenti avrebbe avuto una reazione con Theon simile a quella della serie). Inoltre ho sempre visto Verme Grigio come un campione con la lancia e pugnale, ma con la spada non ricordo se l'abbiamo mai visto combattere.

Quindi ora la situazione si è complicata moltissimo per Daenerys, dato che sull'isola le rimangono solo gli Immacolati e un basso numero di dorniani e Dothraki. Messa così è ovviamente in svantaggio contro Euron, ma vedremo... Non aspettatevi ovviamente la battaglia nel prossimo capitolo XD XD Intanto c'è anche la questione ad Alto Giardino da risolvere...
Ancora una volta alcune scene sono troppo simili a quelle della settima stagione, tipo Jon che prende Theon per il bavero o l'ultimissima frase... Però come sempre sappiate che sono solo incredibili coincidenze :-)

Come al solito ringrazio i miei fedelissimi recensori, in ordine: giona, __Starlight__, Spettro94 e NightLion. Un abbraccione a tutti e non riesco a credere di essere arrivata al capitolo 10 e di aver già quasi superato le 70 recensioni!! E' fantastico!
Vi saluto e alla prossima!


PS: citazione stavolta dall'Amleto di Shakespeare e si può associare a davvero molti personaggi... A voi la scelta!













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Capitolo 11
*** Allies from the Storm ***


Capitolo 11

Allies from the Storm                                                                                                            

 


Brienne

 

Il carretto procedeva a scossoni e non esisteva buca su quella strada accidentata che le ruote non prendessero in pieno. Il cavallo baio era lento e vecchio e aveva bisogno di riposo ogni mezz’ora. Non vi era posto sui sedili del guidatore e Vyktor le aveva detto di mettersi dietro, tra le casse di merci. Brienne aveva subito accettato, ben felice di avere una scusa per non parlare con l’antipatico maestro.

Le prime miglia furono percorse nel più totale silenzio e Brienne ebbe modo di ammirare il panorama. Nonostante la necessità di rimanere nell’ombra, Vyktor aveva insistito nello scegliere la Strada delle Rose che da Vecchia Città li avrebbe portati dritti ad Alto Giardino. Da lì avrebbero testato la sicurezza della Strada del Re, assicurandosi in ogni caso di evitare di arrivare troppo vicini ad Approdo del Re. Brienne sapeva dell’esercito Lannister che marciava su Alto Giardino, ma confidava sul fatto che si trovasse ancora lontano. La preoccupava maggiormante l’incalzante esercito Tyrell che avrebbe potuto lasciare da un momento all’altro Vecchia Città.

Via via che si allontanavano dal mare il clima si irrigidiva e gli alberi apparivano sempre più spogli. Sulle colline il vento gelido mozzava il fiato. Brienne non aveva mai visto le terre dell’Altopiano ridotte in un tale stato di miseria. Da ragazza suo padre l’aveva portata con sé in viaggio, forse sperando di riuscire a prometterla all’erede di lord Tyrell. E così Brienne aveva visto i campi coltivati che si estendevano fino a perdita d’occhio e le pianure di girasoli e frutteti. C’era sempre il sole e niente sembrava poter turbare quella quiete perfetta. Ora invece i rami degli alberi parevano artigli ed il terreno era sterile e grigio.

Dopo due ore abbondanti Vyktor dovette annoiarsi della situazione e decise che Brienne doveva assolutamente conoscere tutta la storia della sua esistenza. Era evidentemente un uomo vanitoso ed egocentrico che amava pavoneggiarsi narrando in maniera pomposa e, secondo Brienne, distorta i fatti salienti della sua vita.

“E sapessi quando giunse la notizia!” stava esclamando con voce tragica voltandosi di tanto in tanto “Il povero Lucas ucciso in quel modo a un matrimonio. Roba da pazzi! Lord Tytos rimase chiuso nelle sue stanze per una settimana. Non voleva vedere nessuno, eccetto me ovviamente, e passava il tempo alla finestra. Suo figlio ucciso a un matrimonio! Nessuno poteva crederci. Voglio dire, se davvero volevano uccidere quel ragazzo-lupo, non potevano scegliere un altro momento? Era un matrimonio, per gli déi!”

Brienne sorrise freddamente. Era evidente che Vyktor non avesse davvero idea di cosa esattamente fosse successo alle Nozze Rosse e lei si chiese come avesse potuto un uomo rivoltante come lui diventare maestro. Probabilmente è un adulatore, si convinse infine.

Dopo un’altra ora di chiacchiere ininterrotte a Vyktor finalmente mancò il fiato e si fermarono sulla riva di un ruscello non segnato sulle mappe. Il maestro si appisolò subito e toccò a Brienne condurre il povero cavallo sfinito all’ombra di un salice che cresceva lì vicino. La bestia iniziò a brucare e Brienne la lasciò libera. Poi si sedette appoggiando la schiena alla ruvida corteccia.

Quanto sarebbe durato il viaggio? Cosa avrebbe trovato a Grande Inverno una volta tornata? Sansa stava bene? Brienne si augurava con tutto il cuore di sì, ma non riusciva a scacciare l’opprimente senso di angoscia che l’assaliva ogni volta che pensava a lei. E Davos? si chiese stupendosi nello scoprirsi preoccupata per lui Cosa gli sarà successo? Per quel tempo se tutto era filato liscio Jon Snow sarebbe dovuto essere alla Roccia del Drago già da un paio di giorni. E io sto qui a fare il giro lungo, si disse Brienne frustrata. E pensare che l’altra nave di Daenerys andava a Porto Bianco! Se avessi preso quella sarei arrivata in un attimo… Sapeva che non era il caso di piangersi addosso, ma quasi non riusciva a credere a tanta sfortuna.

Vyktor stava russando ormai da troppo tempo e Brienne decise di svegliarlo: non potevano perdere tempo. Quando si apprestò a scuoterlo la terra tremò e l’aria fu pervasa da urla provenienti dalla cima dell’ultima collina che avevano appena superato durante il viaggio. Brienne si voltò di scatto e vide la polvere sollevarsi là dove gli zoccoli di centinaia di cavalli colpivano terra.

I cavalieri portavano le effigi della rosa Tyrell, ma la maggior parte di loro faceva senza dubbio parte dei khalasar dei Dothraki. Brienne aveva letto un libro riguardo alle tradizioni dei signori dei cavalli e sapeva come riconoscerli: la pelle scura e le lunghe trecce abbellite con campanelle erano le loro principali caratteristice distintive. L’esercito di Daenerys! pensò Brienne troppo stupita per poter reagire.

Evidentemente le pause che Vyktor aveva imposto erano durate troppo ed erano stati raggiunti. Abbandonando ogni delicatezza, Brienne iniziò a scuotere il maestro con forza finché non aprì gli occhi.

“Si può sapere cosa…?”

“L’esercito è arrivato” lo interruppe subito Brienne, “dobbiamo nasconderci e lasciarli passare.”

Vyktor sgranò gli occhi e si tirò in piedi. Corsero al cavallo e cercarono di guidarlo velocemente verso il boschetto che cresceva poco lontano, ma la bestia inciampava continuamente.

“FERMATEVI.”

Brienne chiuse gli occhi maledicendo ancora una volta la regina dei draghi per non averle lasciato la spada. Quando si girò poté tuttavia constatare che non le sarebbe servita in ogni caso. Erano fronteggiati da non meno di venti soldati armati tra cui anche un paio di Dothraki. Brienne si sforzò di tenere la testa bassa, ma sapeva sarebbe stato tutto inutile.

“Cosa volete?” chiese Vyktor ad alta voce “Io sono un maestro della Cittadella e sto tornando a Raventree. Lord Blackwood non apprezzerà ritardi non giustificati.”

Almeno è abbastanza convincente.

“E lui chi è?” chiese un soldato accennando a Brienne.

“E’ una donna, deficiente” lo interruppe un altro. “E’ possibile che sia…?”

“Cosa sta succedendo?” chiese un ragazzo appena arrivato. Il gruppo di soldati si aprì a ventaglio per farlo passare. Brienne lo riconobbe subito: era il più giovane degli Hightower, il comandante della guarnigione Tyrell di Daenerys. Il ragazzo le venne davanti e Brienne incontrò il suo sguardo. Seppe subito che era stata riconosciuta.

“Lady Brienne” disse infatti il giovane con voce calma, “ti prego di seguirmi.” Poi si rivolse a Vyktor che osservava la scena in silenzio. “Siamo spiacenti per il disagio, maestro” si scusò, “sei libero di proseguire.”

Vyktor guardò Brienne incerto, ma non si fece ripetere l’offerta una seconda volta e si allontanò con il suo cavallo baio. Brienne sapeva che in caso di bisogno quel vigliacco non avrebbe mai preso le sue difese, ma in quel momento fu come se insieme a Vyktor e al suo cavallo se ne fosse andata anche l’unica possibilità di ritorno al Nord. Si impose di concentrarsi sul presente.

Il giovane Hightower era cordiale e la stava guidando verso quello che sembrava un accampamento in costruzione. I soldati stavano montando le tende e molti trasportavano legna ed utensili. In alcuni punti si sollevava il fumo bruno di un fuoco. Brienne non si era accorta che era ormai il tramonto. Fantastico, pensò amareggiata. Hanno deciso di accamparsi esattamente nello stesso posto dove ci eravamo fermati noi. D’altronde non poteva biasimarli: con il ruscello di acqua e il terreno soffice quel luogo era perfetto. Ed era anche vicino alla strada, un po’ troppo forse.

“Da questa parte” la invitò il giovane indicandole una tenda più grande delle altre e facendola entrare per prima. Dentro Brienne dovette attendere che gli occhi si fossero abituati alla penombra prima di poter distinguere le figure che la stavano fissando. Nella tenda era presente solo un lungo tavolo scuro con una manciata di sedie tutte intorno e sul quale era posata una candela quasi del tutto consumata.

“Diamine, Nymeria!” gracchiò la voce inconfondibile di Olenna Tyrell “Ti avevo detto di accendere altre candele, tra poco non si vedrà niente.”

Nymeria Sand, intenta ad contemplare la propria frusta, fece finta di non aver sentito. Olenna sbuffò e si rivolse all’accompagnatore di Brienne. “Garth, sii gentile” lo pregò ora con voce più dolce, “rimediaci delle candele. Ah, e visto che ci sei dovresti dire a Rakandro di mettere delle sentinelle ai confini.” Garth Hightower si inchinò e uscì.

Olenna sorrise a Brienne. “Bene” disse, “e ora veniamo a noi, ragazza. Come sei arrivata fin qui?”

“Io scommetto che ha rubato una nave” disse secca Nymeria.

“E allora per fortuna che non l’ho chiesto a te” ribatté Olenna acida.

“Sono salita sulla vostra nave” rispose Brienne ritenendo inutile inventare un’altra storia, “e mi sono nascosta.”

Olenna annuì incoraggiante. “Ed è possibile sapere perché?”

Brienne decise di dire la verità: arrivata a quel punto cosa sarebbe potuto cambiare? “Devo tornare nel Nord” disse con voce atona, “ho un incarico importante.”

Olenna sollevò le sopracciglia. “Capisco” disse solamente. Per qualche secondo ci fu solo silenzio.

“Sei stata tu ad uccidere Renly Baratheon?” chiese poi a bruciapelo la Regina di Spine.

Brienne fu sorpresa da quella domanda. “No” rispose decisa, “è stato un demone evocato dalla strega rossa di Stannis.” Nymeria si lasciò scappare un risolino irrisorio, ma Olenna la fulminò con lo sguardo.

“Non sono riuscita a salvare Renly” continuò Brienne, “ma l’ho vendicato: ho ucciso Stannis con le mie stesse mani.”

Olenna sembrò sorpresa. “Non mi era mai piaciuto Stannis” disse la vecchia con una smorfia, “troppo serio: non ci si può fidare di chi non prova emozioni.” Brienne ripensò al momento in cui l’aveva condannato a morte. Il volto di Stannis era una maschera di dolore e nei suoi occhi lei aveva visto il desiderio di morte. Forse non era poi così vero che non provasse emozioni.

Olenna sospirò profondamente. “Mia nipote si fidava di te” disse e per la prima volta la sua voce si incrinò, “diceva che eri una grande donna.”

Brienne strinse le labbra a disagio. “Margaery è stata molto comprensiva” disse abbassando la voce. “Sono triste per la tua perdita.” Olenna annuì. Calò nuovamente il silenzio.

“Sai” disse infine Olenna, “credo ti lascerò andare.”

La frusta sferzò l’aria con un rumore secco. “Non puoi” intervenne Nym che si era alzata in piedi esterrefatta, “è una prigioniera della regina!”

Era” la corresse Olenna, “ma a me sembra che sia riuscita a scappare e sfortunatamente nessuno è riuscito a trovarla.”

Nymeria Sand era rossa di rabbia. “Manderò una lettera alla regina” minacciò, “questo è tradimento. Brienne deve essere tenuta in custodia finché non saremo tornati alla Roccia del Drago.”

“E quando credi ci torneremo?” le chiese ironica Olenna “Apri gli occhi, bambina: siamo in guerra, due delle maggiori casate dell’Altopiano sono contro di noi e stiamo andando a combattere un esercito Lannister. Se anche vincessimo credi forse che ci sarà un dolce viaggio di ritorno in barca? Quali che saranno gli ordini di Daenerys noi marceremo su Approdo del Re e la assedieremo.”

“Intendi tradire la regina?!” esclamò Nymeria esterrefatta.

“Certo che no” rispose Olenna, “quando la città sarà presa potrà sedersi su quel dannato Trono che tanto desidera: io mi accontento di molto meno.”

Nym cominciava a capire. “Vendetta” sussurrò sorridendo maliziosa.

“Contro la donna che ha ucciso la mia famiglia” assentì Olenna, “e che ha fatto trucidare tuo padre.” Nymeria ora pendeva completamente dalle sue labbra e Brienne dovette ammirare le doti oratorie della Regina di Spine.

“Daenerys non conosce Cersei” stava proseguendo Olenna, “non sa fino in fondo quello che ha fatto e non le darebbe una morte abbastanza dolorosa. Noi invece potremo finalmente fare giustizia. Ma per far questo non possiamo portarci dietro una prigioniera che Daenerys rivuole indietro, altrimenti continuerà a tenerci d’occhio e non ci permetterà di agire.”

Nymeria era completamente d’accordo. “Ma gli altri?” chiese dubbiosa “Se non vogliono seguire questo piano?”

“Con Baelor e Garth ci parlo io” replicò Olenna, “in fin dei conti vorranno vendetta per i loro nipoti, mentre a Rakandro ci penserai tu.”

Nymeria annuì divertita. “Nessun problema” disse ridacchiando. Brienne giunse alla conclusione che Nymeria doveva essere una persona molto volubile e particolarmente ingenua.

Olenna le sorrise. “Dunque, Brienne” disse, “sei libera di andare dove desideri, ma mi sento di consigliarti di proseguire con la colonna del mio esercito. Eviterai incontri spiacevoli e viaggerai più in fretta. Una volta giunti ad Alto Giardino noi ci fermeremo per preparare le difese e tu potrai proseguire, ovviamente tenendoti lontana dalla Strada del Re. Ah, e ti farò anche forgiare una spada nuova, da quello che vedo la tua è rimasta nelle mani di Daenerys.”

“Ti ringrazio” disse Brienne chinando appena il capo, “e accetto volentieri la tua offerta.”

“Bene!” esclamò Olenna “E ora vieni che ti indico la tua tenda…” Fecero per uscire e quasi si scontrarono con Garth che rientrava carico di candele.

“Eccole, lady Olenna” ansimò il ragazzo, “sono tutte quelle che ho trovato.”

“Grazie, giovanotto” disse Olenna divertita, “ma temo ora non servano più. Vai dal fabbro e ordina che forgi una spada di ottimo acciaio. Poi chiama tuo fratello e aspettatemi nella vostra tenda: devo parlarvi.” Detto questo, Olenna superò l’esterrefatto Garth con ancora tra le mani le sue candele e Brienne la seguì.

Olenna la condusse a una tenda isolata dove avrebbe potuto riposare senza essere disturbata. Brienne la ringraziò nuovamente e si ritirò. Distesa supina nella crescente oscurità, si chiese se davvero potesse fidarsi di Olenna. Poi si ricordò le storie che aveva udito riguardo a come Cersei avesse effettivamente fatto uccidere Mace Tyrell ed i suoi figli. Bruciati vivi dall’Altofuoco, pensò rabbrividendo. Il desiderio di vendetta di quella donna deve essere genuino.

Involontariamente le tornò in testa la confessione che Jaime le aveva fatto in quel bagno saturo di vapori. Cersei sta diventando simile al Re Folle, si disse. Forse l’idea di Daenerys sul Trono di Spade non è poi così malvagia. Con quel pensiero che ancora le ronzava in mente Brienne si addormentò.

Fu svegliata la mattina seguente dagli squilli di tromba dei soldati che andavano schierandosi e indossò l’armatura rapidamente. Uscita dalla tenda, le venne incontro Nymeria. La ragazza aveva abbandonato l’aria scostante del giorno prima ed era solare e sorridente. Aveva i lunghi capelli castani sciolti in morbide onde sulla schiena e indossava un corpetto rinforzato in metallo. Le gambe tuttavia erano coperte da frusciante tessuto color indaco. Conduceva per le briglie un cavallo pezzato già sellato e aveva legata alla cintura una spada dall’elsa priva di ornamenti.

“Lady Olenna ti manda questi doni” disse Nymeria consegnandole le briglie e la spada, “spera che tu non abbia cambiato idea riguardo alla decisione di marciare con noi. In ogni caso ti avverto: procediamo molto in fretta.” Brienne annuì e saltò agilmente in sella.

Nymeria sorrise e, portandosi le dita alla bocca, fischiò. Dalla boscaglia emerse un secondo cavallo che la ragazza si affrettò subito ad accarezzare prima di salirgli in groppa.

“Adoro i cavalli” confidò a Brienne mentre si avviavano verso la colonna dell’esercito, “da piccola avrei voluto allevarli. Lui è Stalagmite.” Diede un’affettuosa pacca sul collo dell’animale. “E’ un dono di Rakandro. Quando me l’ha dato mi ha detto di non dargli alcun nome perché i Dothraki non danno nomi ai loro cavalli, ma io non ho potuto resistere. Rakandro ha quasi sorriso quando gli ho detto come l’avevo chiamato. Eccolo lì…”

Brienne seguì il dito puntato di Nymeria e vide un guerriero dothraki enorme sedere rigido sul proprio nero destriero. Aveva la pelle d’ebano ed il petto dipindo. La treccia gli arrivava oltre metà schiena.

“Rakandro era figlio di un Khal” raccontò Nym, “ma al momento della successione era ancora troppo giovane. Riuscì a sfuggire alla morte e da allora ha vagato solitario mettendo su un piccolo gruppo di fedeli compagni.” Dal tono della voce di Nymeria, Brienne riconobbe facilmente i sintomi dell’innamoramento. Decise di osare con la domanda che nessuna lady per bene avrebbe mai posto.

“Ma voi siete…?” chiese lasciando intenere il resto.

Nym non sembrò per niente scandalizzata e scoppiò a ridere. “Stiamo insieme” rispose con un sospiro, “e dice che un giorno mi sposerà e mi porterà a vedere il Continente Orientale. Lo sai che mia madre era una nobildonna di Volantis? Ora è morta però…”

Continuarono a chiacchierare per ore senza più far caso al resto dell’esercito che le fissava curioso, né al paesaggio circostante. Brienne si sentiva strana: era questo quello che provavano le ragazze normali quando si confidavano i segreti? Lei non era mai stata una ragazza normale e non aveva mai avuto grandi segreti, ma in quel momento credeva di essere tornata indietro nel tempo.

Era ormai da molto passato mezzogiorno quando la colonna si arrestò bruscamente. Brienne sollevò lo sguardo e rimase spiazzata: davanti ai loro occhi si ergeva, splendido nella sua decadenza, Alto Giardino.

“Perché siamo fermi?” chiese irritata Nymeria.

In quel momento si accostò loro Rakandro. “Nym, tu deve venire” disse con voce profonda, “è urgente.”

Nymeria fece cenno a Brienne di seguirla e insieme furono condotte dal grande guerriero attraverso le fila di soldati immobili. Arrivati vicini al portone, iniziarono ad udire dei lamenti e Nymeria saltò giù di sella. Brienne la imitò e fece per seguirla, ma lei scosse la testa.

“Resta con Stalagmite” le disse seria prima di rompere gli schieramenti insieme a Rakandro, anch’egli a terra adesso. Curiosa, Brienne si fece largo fra i soldati e, curandosi di essere coperta da essi, sfruttò la propria considerevole altezza per sbirciare qualcosa. La scena che le si presentò davanti agli occhi era quasi irreale.

Olenna era in piedi davanti al cancello e insieme a Baelor guardavano qualcosa più in basso. Brienne seguì il loro sguardo e vide Garth accovacciato e scosso da un pianto dirotto. Tra le braccia aveva quello che Brienne capì essere con orrore un cadavere di donna.

Quando sollevò nuovamente il viso, Brienne rimase senza fiato. Il suo cuore accelerò come impazzito e lei scosse la testa incredula. Seduto su una roccia, con le mani appoggiate sulle cosce e il volto addolorato, c’era Jaime Lannister.

 

Tyrion

 

Mentre rientravano nessuno fiatò. Theon continuava a lanciare occhiatine nervose a Jon che dal canto suo aveva un volto imperscrutabile. Tyrion non era rimasto più di tanto sorpreso dalle cattive notizie: aveva sempre pensato che dovevano aspettarsi un attacco di Euron. Ma ora la sua preoccupazione era un’altra.

I mercenari di quel matto erano evidentemente riusciti ad avere la meglio su un esercito organizzato e preparato come la guarnigione di Yara e Benjameen e ciò avrebbe dovuto spingere la regina a non sottovalutare il nemico. E invece Daenerys ancora una volta punta tutto sui propri draghi, pensò Tyrion mentre risalivano lungo il sentiero lastricato.

Non poteva biasimarla per considerare centro della propria strategia una macchina da guerra di quelle proporzioni, ma non era mai saggio in battaglia non avere delle carte di riserva. E poi, dopo l’incidente con Jon che sarebbe potuto potenzialmente finire in tragedia, Tyrion non era più nemmeno tanto certo del potere che Daenerys effettivamente esercitasse sulle sue creature.

Appena varcarono l’alto portone di legno scuro Daenerys si voltò verso Verme Grigio. “Richiama Obara, Varys, Davos e Missandei e portali nella stanza di Aegon” disse, “dobbiamo assolutamente parlare e desidero ci siano tutti.”

“Voglio che il mio scudiero sia presente” intervenne Jon e la regina, seppur sorpresa, annuì. “Benissimo” assentì, “chiama anche il ragazzo.” Verme Grigio si inchinò e scomparve dietro la prima parete.

Daenerys sospirò. “Seguitemi” mormorò prima di incamminarsi verso una rampa di scale. Salirono fino in una torre e Daenerys spalancò la porta di una stanza che Tyrion non aveva mai visto.

Aveva il soffitto piuttosto basso e le pareti spoglie. Una piccola finestra consentiva l’accesso a un balcone e il pavimento era composto da enormi lastre di pietra scura. Ma il vero cuore della stanza era sicuramente il tavolo di legno situato al centro. Tyrion rimase a bocca aperta quando vide che su di esso era intagliata una dettagliatissima cartina di Westeros, con tanto di nomi dei castelli principali e pedine per simboleggiare gli eserciti. Queste ultime erano poste in maniera disordinata e priva di senso e Tyrion intuì che non dovevano essere state spostate dalla partenza di Stannis Baratheon.

“Questo tavolo fu fatto scolpire da Aegon il Conquistatore” spiegò la regina, “perché potesse comprendere al meglio le dinamiche dei Sette Regni e io intendo utilizzarlo nello stesso modo.” Anche Jon era rimasto colpito dal mobile e passava la mano sul legno a rilievo che indicava la Barriera.

“Potete sedervi” li invitò Daenerys, “così aspettiamo gli altri.”

La regina prese posto a capotavola, davanti alle terre di Dorne, e Jon le si sedette di fronte, all’estremo opposto del tavolo dove la cartina sfumava nelle Lande dell’Eterno Inverno di cui non esistevano mappe. Tyrion, quasi senza accorgersi, scelse la sedia davanti a Castel Granito, mentre Theon gli si sedette affianco.

Rimasero a fissarsi negli occhi per qualche minuto saturo di imbarazzo, finché la porta non sbatté permettendo l’ingresso di Verme Grigio, subito seguito dagli altri. Varys chinò il capo davanti a Daenerys e si sedette tra Tyrion e Jon, mentre Missandei ed Obara preferirono il lato opposto del tavolo. Davos e il ragazzo che Tyrion ricordava chiamarsi Gendry trascinarono due sedie al fianco del loro re mentre Verme Grigio rimase in piedi.

Daenerys si schiarì la voce. “Bene” esordì, “penso che tutti voi siate a conoscenza della minaccia che grava su di noi e…”

“Hanno preso Tyene” la interruppe aggressiva Obara, “e anche Ellaria: non dobbiamo avere alcuna pietà.”

“Se è per questo anche Yara e Benjameen sono prigionieri” le fece notare con calma la Madre dei Draghi, “così come tutti i soldati dei loro eserciti, ma non potremo liberarli se neanche possiamo sperare di vincere Euron sul nostro territorio.”

“I numeri ci sono sfavorevoli, vostra grazia” disse Varys accarezzandosi le mani. “Euron può contare come abbiamo potuto appurare su un numero considerevole di mercenari ed Uomini di Ferro, mentre a noi restano poco più di diecimila uomini: 7853 Immacolati, contando anche Verme Grigio, e circa tremila fra Dothraki e dorniani. Considerando poi che i Dothraki non possono combattere su una nave, le nostre forze appaiono davvero scarne.”

“Allora non combatteremo su una nave” suggerì Verme Grigio, “i miei uomini possono costruire torri di guardia tutto intorno all’isola da cui potremo difenderci facilmente senza esporci più del necessario.”

Daenerys annuiva, ma Tyrion la trovava un’idea folle. “Se Euoron ha già lasciato Porto Bianco” disse facendo scorrere lo sguardo sui visi dei suoi ascoltatori, “in capo a cinque giorni, sette se gli déi sono generosi, ci sarà addosso. In cinque giorni le uniche torri che potremmo costruire sono di legno e a quel punto basterà una scintilla per far saltare in aria tutto.” Verme Grigio abbassò il capo, visibilmente pensieroso.

“La scelta più saggia” disse Varys a bassa voce, “sarebbe abbandonare l’isola, ma capisco non sia un’ipotesi da tenere in considerazione.”

Obara e Theon avevano alzato la testa di scatto e Daenerys scosse il capo. “Sarebbe la cosa più saggia da fare” concesse, “ma non abbandonerei mai i miei uomini così vigliaccamente.” Theon ed Obara sembrarono rilassarsi.

“Quindi” chiese Missandei, “cosa faremo?”

“Combatteremo con gli uomini che abbiamo” disse Daenerys, “e vinceremo.”

Jon, fino ad allora rimasto in silenzio, emise un suono indecifrabile. Daenerys si voltò verso di lui e Tyrion vide che era irritata. “Vuoi dire qualcosa?” lo incitò infastidita “Non sei d’accordo?”

Jon posò le mani sul tavolo ed indicò sulla mappa Grande Inverno. “Quando ho combattuto contro Ramsay Bolton” raccontò, “il mio esercito era un terzo il suo, ma speravo in ogni caso in una possibile vittoria. Mi aspettavo un certo tipo di battaglia, ma Ramsay non aveva alcuna intenzione di lasciare decidere a me come impostare lo scontro. Le sue azioni mi hanno sconvolto e avremmo perso se i Cavalieri della Valle non fossero giunti in nostro soccorso. Euron è un uomo pericoloso. Sapeva dove avrebbe potuto trovare la mia nave e sapeva quanti uomini avevo portato con me. Ciò significa che ha spie che lavorano per lui. Scommetto che ha conquistato Porto Bianco con qualche inganno…”

“E’ esatto” intervenne a sorpresa Theon, “ha attaccato dalla collina quando tutti si aspettavano un assalto dal mare ed ha ingannato Yara per far allontanare la sua nave.”

“Ciò che voglio dire” proseguì Jon, “è che i numeri in guerra contano e se siete davvero in svantaggio vi suggerirei di non sottovalutare il vostro avversario.”

Finalmente qualcuno che mi dà ragione, pensò Tyrion sollevato. Decise di cogliere l’occasione per sottolineare la propria opinione. “Sono d’accordo con Jon” proclamò, “non abbiamo abbastanza uomini per questa battaglia.”

Daenerys alzò gli occhi al cielo. “Su questo credo siamo tutti d’accordo” dissa con voce che fremeva di rabbia trattenuta, “ma dato che non possiamo tirarci indietro credo saremo costretti ad affrontare questa battaglia così.”

“Se solo richiamassi…”

“BASTA!” urlò Daenerys battendo le mani sul tavolo e Tyrion ammutolì “I Dothraki e l’esercito Tyrell sono in missione dall’altra parte del Continente e non possono fare nulla. Noi non possiamo fare nulla!” Daenerys sembrava sul punto di una crisi di nervi, Tyrion non l’aveva mai vista così.

“Mia regina” pigolò Missandei, “calmati…”

Daenerys si passò una mano fra i capelli argentei risistemando le trecce. “Perdonatemi” si scusò, “non so cosa mi sia preso.” Tyrion aveva una mezza idea, ma sapeva che era meglio tenersela per sé. Ci furono attimi di silenzio carico di tensione.

“Verme Grigio” disse poi Varys, “credi di poter far costruire le fortificazioni di cui parlavi in pietra? Magari in numero minore, ma almeno così saranno più solide.”

“Certo” rispose l’Immacolato, “farò mettere subito a lavoro i miei uomini.”

“L’ultimo baluardo difensivo sarà il castello” continuò Varys, “ma dobbiamo augurarci di non essere costretti a rinchiuderci qui dentro: sotto assedio su quest’isola si sopravviverebbe neanche una settimana.”

Tyrion fu costretto a dargli mentalmente ragione. La Roccia del Drago era sterile e, non avendo boschi, non permetteva neanche la caccia alla selvaggina. Tutti gli ottimi cibi che stavano gustando in quei giorni arrivavano direttamente dall’Altopiano, su generosa concessione di Olenna Tyrell.

“Non si arriverà a un assedio” disse sicura Daenerys e nessuno ebbe la forza di contraddirla.

Theon teneva gli occhi bassi ed Obara giocherellava con i lacci del corpetto color nocciola che indossava. Entrambi sembravano disinteressati alle decisioni che si stavano prendendo. Davos e Gendry continuavano a scambiare sguardi d’intesa con Jon e Tyrion aveva smesso da una decina di minuti di chiedersi riguardo a cosa avessero tanto da ammiccare. Varys osservava la regina e Missandei scuoteva debolmente la testa ricciuta.

A un certo punto Jon spinse la sedia all’indietro provocando un rumore stridente e fastidioso. “Io e il mio consigliere Davos Seaworth vorremmo proporvi un piano alternativo che potrebbe aiutarci a vincere questa battaglia” iniziò guadagnondosi immediatamente l’attenzione di tutti. “Come potete intuire non potrei mettere al servizio della regina i miei uomini neanche volendo, essendo ormai tagliate le vie di comunicazione con il Nord fino alla sconfitta di Euron, ma forse esiste un’altra soluzione.”

Jon fece una breve pausa e guardò Daenerys negli occhi. “C’è ancora uno dei Sette Regni che non ha dichiarato la propria lealtà” proseguì senza interrompere il contatto visivo, “un regno che aveva seguito un re ormai morto e che ora aspetta solo l’arrivo di un nuovo lord.” Tyrion aveva capito e, a giudicare dalla sua espressione esterrefatta, lo stesso si poteva dire di Daenerys.

“Le Terre della Tempesta” mormorò lei, “mi stai suggerendo di allearmi con i Baratheon? Con i parenti dell’Usurpatore che distrusse la dinastia della mia famiglia?”

Jon scosse la testa. “Non fu Robert Baratheon a causare la fine dei Targaryen” disse con calma, “ma le azioni sconsiderate di tuo padre. In ogni caso la linea pura dei Baratheon si è estinta. Robert e Renly sono morti senza eredi, mentre la figlia di Stannis è rimasta uccisa in guerra insieme al padre.”

“Capo Tempesta attualmente è senza un lord” intervenne Davos, “e ciò ha gettato gli alfieri dei Baratheon nel caos. Alcuni signori sono morti al seguito di Stannis nel tentativo di prendere Grande Inverno ai Bolton, ma la maggior parte non l’aveva seguito alla Barriera.”

“State proponendo” chiese Tyrion incuriosito, “di tentare un’alleanza con Capo Tempesta?” Jon e Davos annuirono.

“I territori che furono dei Baratheon sono i più vicini alla Roccia del Drago” spiegò Jon, “e se dovessimo ottenere il sostegno dei signori del luogo i rinforzi potrebbero arrivare qui in tempo.”

“Ma è una follia!” disse Varys con la fronte aggrottata “Se dovessimo inviare una nave verso Sud sarebbe intercettata dalle spie di Cersei…”

“Non se ci sono io su quella nave” lo interruppe Davos con un ghigno, “quando ero un contrabbandiere ho imparato a sfuggire alla flotta reale: se mi date una nave abbastanza piccola la farò passare inosservata.” Daenerys annuì: si vedeva che il piano la stava convincendo.

Tuttavia Tyrion aveva ancora un dubbio. “Sì, certo, molto bello” disse inarcando le folte sopracciglia, “ma perché dovrebbero questi signori delle Terre della Tempesta appoggiare la causa di Daenerys? Cosa darebbe loro una motivazione per morire per lei? Così come stiamo messi oggi non potremmo neanche assicurare una stabilità politica a questa gente…” Davos e Jon si guardarono ancora una volta.

“E’ qui che ti sbagli Tyrion” disse Jon sorridendo, “forniremo alla gente della Tempesta un’ottima ragione per seguire Daenerys, anzi in un colpo solo risolveremo anche i loro problemi di governo.” Tyrion non capiva.

“Spiegati meglio” disse Daenerys, “non è chiaro cosa tu intenda fare.”

Jon si alzò in piedi e poggiò una mano sulla spalla di Gendry, che abbassò lo sguardo. “E’ lui la chiave di tutto.”

Daenerys socchiuse gli occhi a fessura e Tyrion fu sul punto di scoppiare a ridere. Fortunatamente riuscì a trattenersi.

“E’ uno scherzo?” chiese con sufficienza Obara. Davos la guardò con freddezza.

“Gendry è il figlio naturale di Robert Baratheon” spiegò Jon, “l’unico rimasto in vita e come ultimo erede della casata Baratheon se riconosciuto sarebbe di diritto lord di Capo Tempesta.”

Furono necessari alcuni secondi per metabolizzare la rivelazione e Tyrion finalmente ricordò come mai il nome di Gendry non gli suonasse affatto nuovo: era l’unico figlio bastardo di Robert che si era salvato dallo sterminio voluto da Joffrey. Adesso il piano di Jon e Davos, seppur nella sua follia, acquisiva senso. Tyrion era però convinto che Daenerys non l’avrebbe presa bene.

“Tu vorresti che io legittimizassi il bastardo dell’Usurpatore?” chiese infatti Daenerys a metà fra il disgustato e l’incredulo.

“Sai, lo farei io” disse Jon in tono provocatorio, “ma la mia autorità si limita al Nord.”

Daenerys avvampò di rabbia. “Non lo farò mai” sibilò incrociando le braccia.

“Non eri tu che mi incitavi a mettere da parte l’odio fra casate?” chiese sarcastico Jon “Io l’ho fatto: sono qui a parlare con te per suggerirti un modo per salvare il salvabile nonostante io non sia assolutamente tenuto a farlo. Sarei potuto tornare a Nord, potrei farlo anche ora, e non credere che tre draghi e qualche soldato riescano a fermarmi.” Tyrion rabbrividì: come faceva Jon a essere così fiducioso?

“Se resto è perché voglio aiutarti” stava continuando Jon, “ma sarà tutto inutile se continuerai ad essere così egoista: stai condannando con le tue mani tutti i prigionieri di Euron e di conseguenza anche i cittadini di Porto Bianco che sono sotto la mia protezione.”

Jon ansimava e Daenerys non parlava. Tyrion vide il dubbio ed il rimorso nei suoi occhi e decise di insistere. “Jon ha ragione, Daenerys Nata dalla Tempesta” disse voltandosi verso la regina, “se non accetti il suo consiglio allora ascolta il mio. Se dai al popolo dell’Est un lord in cui credere e che tu stessa hai legittimizzato rendendolo tale, loro ti seguiranno ed il loro esercito farebbe la differenza. Riusciremmo anche a cogliere Euron di sorpresa. E’ il piano migliore che abbiamo.”

Daenerys lo guardò intensamente. Poi, lentamente, annuì. “D’accordo” disse con voce piatta, “legittimizzerò Gendry come Baratheon e seguirò questo piano. Chi lo accompagnerà a Capo Tempesta?”

“Io” disse subito Davos e Daenerys annuì nuovamente.

Spinto da un impulso improvviso Tyrion alzò la mano. “Andrò anch’io” disse attirando su di sé gli occhi di tutti.

“Tu sei il mio consigliere” osservò Daenerys.

“Certo” rispose il Folletto, “ma in battaglia non ti sarò di alcuna utilità. Lascia che svolga il compito che mi riesce meglio: occuparmi di diplomazia e politica.”

“A Mereen non è andata molto bene con nessuna delle due” fece notare Missandei.

“Era una situazione diversa” borbottò Tyrion imbarazzato, “non conoscevo le regole. Ora invece gioco in casa.”

Daenerys annuì per la terza volta. “E sia” disse, “puoi andare, ma sappi che mi aspetto dei risultati ed in fretta.” Tyrion accennò un buffo inchino. “Certo vostra grazia” disse con un sorriso. Jon sembrava compiaciuto e Tyrion gli fece l’occhiolino.

“Dovremo partire al più presto” disse Davos, “anche oggi se possibile.”

“Ma dovremmo preparare le navi…” osservò incerta Missandei.

Davos scosse la testa. “Non c’è tempo per le preparazioni” disse in tono grave, “dovremo accontentarci di quello che abbiamo. Credo che la barca con cui Theon Greyjoy è arrivato sull’isola andrà benissimo.” Tyrion si sentì mancare ripensando a quell’angusta imbarcazione, ma si impose di non mostrare alcun turbamento.

Mi ci sono cacciato da solo in questa situazione.

Daenerys si alzò in piedi. “Andiamo nella sala del trono” disse, “e, Verme Grigio, sii gentile e portami la spada così che io possa portare a termine questa cerimonia.”

I presenti iniziarono ad uscire e Tyrion rimase solo con Jon e Gendry. Il volto del ragazzo non esprimeva alcuna emozione, né positiva né negativa. Un pensiero fulminò la mente di Tyrion. “Dimmi, Gendry” disse avvicinandosi al giovane, “come ci si sente a star per diventare lord di Capo Tempesta?”

Gendry lanciò un’occhiata veloce a Jon. “E’ un onore” disse con voce atona, “un onore che mai avrei pensato di avere.” Una reazione un po’ piatta per un bastardo al quale veniva da un momento all’altro comunicato di essere l’erede della dinastia Baratheon.

Tyrion si voltò verso Jon. “Avevate in mente questo fin dal principio” disse tranquillamente, “e avevate già preparato Gendry per questo ruolo.” Non era una domanda, ma un’affermazione.

Jon non si scompose. “E’ vero” disse con calma. “Gendry mi ha salvato la vita sulla nave ed ha aiutato Davos a liberarsi. Era anche amico di mia sorella Arya.” Jon si fermò e Tyrion vide che era stato sopraffatto dalla commozione.

“Mi fido di lui” continuò Jon, “almeno quanto basta per affidargli un compito così importante come riunire gli alfieri dei Baratheon. Abbiamo parlato molto le scorsi notti insieme anche a Davos ed abbiamo convenuto che questa era la decisione migliore. Gendry si è dimostrato molto disponibile.” Il ragazzo sorrise. Sembrava tranquillo e quasi indifferente.

“Ma perché avevate la necessità di elaborare un piano del genere prima di sapere dell’arrivo di Euron?” chiese Tyrion.

Jon lo guardò negli occhi esitando. Poi dovette decidere di fidarsi. “Dovevamo assicurarci degli alleati a Sud in caso la situazione con Daenerys fosse degenerata” ammise, “dovevamo essere certi di poter contare su qualcuno se lei avesse deciso di intraprendere azioni militari contro il Nord, ma il nostro esercito è troppo lontano e occupato in altre battaglie. Se le cose si fossero messe male, Gendry e Davos sarebbero dovuti partire di nascosto per raggiungere le Terre della Tempesta e io avrei avuto ancora una carta da giocarmi con la regina."

“Era un ottimo piano” disse Tyrion colpito, “davvero, veramente astuto. Ma se questa rappresentava la vostra mossa di emergenza contro Daenerys, come mai adesso le avete confidato i vostri piani per aiutarla?”

Jon si mosse a disagio. “Non lo so” confessò, “l’ho vista che stava impazzendo e…” Scosse la testa come non capacitandosi delle parole che avevano appena lasciato la sua bocca. “Volevo dire” si corresse, “che Daenerys stava impazzendo e che con le sue mosse azzardate avrebbe messo in pericolo le vite dei cittadini di Porto Bianco. Ma ora dobbiamo andare, Gendry deve ricevere un cognome e tu ti devi preparare per la partenza.” Jon aprì la porta e lui e Gendry uscirono.

Tyrion gli venne dietro senza fretta. Sta nascendo qualcosa, si disse e sorrise perché sapeva che nessuno poteva vederlo.

 

Samwell

 

Non avrebbe mai pensato che Vyktor potesse credergli. Dire di essere il maestro di Jon è stato azzardato, pensò mentre osservava Brienne salire sul carretto. Se quell’idiota avesse avuto metà dell’ingegno di cui si vanta di possedere avrebbe certamente ricordato che sono ancora solo un novizio. In ogni caso il trucco aveva funzionato e Sam era felice di essere riuscito a mentire in modo credibile. Di solito le sue menzogne venivano sempre scoperte facilmente.

Sperava Brienne riuscisse ad arrivare a Nord senza incontrare difficoltà e che potesse avvertire Sansa Stark. Sam non aveva mai visto la sorella di Jon e lui ne aveva parlato così poco che faceva fatica a immaginarla. Jon amava raccontare di Arya, la sorellina a cui aveva regalato una spada, e di Robb, almeno fino al momento in cui aveva ricevuto la notizia della sua morte. Sam sapeva qualcosa anche di Bran, che aveva anche incontrato, e di Rickon, ma di Sansa quasi nulla.

Jon una volta, tempo prima della decapitazione di Ned Stark, gli aveva detto che sua sorella era andata ad Approdo del Re per essere promessa al principe Joffrey. Aveva detto che Sansa era bellissima, con lunghi capelli rossi e occhi azzurri, ma che non voleva parlare con lui perchè per una lady era disdicevole parlare con un bastardo. Sam sapeva anche che il meta-lupo di Sansa era stato ucciso su ordine di Cersei.

Si riscosse da questi pensieri quando il carretto si mise in movimento. Il cavallo che lo trainava era abbastanza vecchio e procedeva a fatica. Brienne si voltò verso Sam e fece un cenno di saluto. Lui a sua volta sollevò la mano agitandola appena, finché il carretto non svoltò l’angolo scomparendo alla vista.

Sam si sentiva in colpa per non aver potuto procurare una spada a Brienne, ma privarsi di Veleno del Cuore gli era parso un po’ eccessivo. Quella spada era destinata a lui dalla nascita ed era finalmente riuscito a toglierla dalle grinfie di suo padre. Continuava ad immaginare la sua faccia e quella di Dickon quando avevano scoperto il furto. Ogni volta che quel pensiero gli sfiorava la mente, Sam sorrideva.

Dopo aver salutato Brienne, quando ormai era pomeriggio inoltrato, era tornato in città. Le strade erano in fermento per l’imminente partenza dell’esercito Tyrell alla volta di Alto Giardino e tutti non vedevano l’ora di liberarsi dall’inquietante presenza dei cavalieri Dhotraki. Sam, per salvarsi dalla confusione, si era rifugiato nella Cittadella.

Anche lì maestri e novizi discutevano di politica e delle possibili conseguenze della futura battaglia e più volte tentarono di trascinarlo nei loro discorsi. A malapena Sam riuscì a raggiungere la biblioteca deserta. Rathin lo osservava sospettoso dal suo banco, ma Sam decise di ignorarlo.

In teoria avrebbe dovuto studiare per forgiare il primo anello della propria catena: l’esame si sarebbe tenuto da lì a tre settimane. Ma l’argomento che gli era stato assegnato, medicina e individuazione di piante curative, era noioso e poco utile in quel momento. Sam aveva già una sufficiente conoscenza in quel campo e perciò decise di continuare la sua caccia ai libri riguardanti gli Estranei.

Dopo un’ora trascorsa a perlustrare in lungo e in largo un quarto degli scaffali della biblioteca, salendo e scendendo le numerose scale che portavano ai livelli superiori, Sam si ritrovò con le gambe a pezzi senza aver concluso nulla. Una mano che si posò sulla sua spalla lo fece sobbalzare. Si voltò e si trovò davanti Tristyus, l’aiutante del bibliotecario.

“Serve aiuto?” chiese lui educato.

Sam stava ancora ansimando. “Sì, grazie” rispose grato del suo intervento. “Mi puoi dire dove trovo dei libri sugli Estranei?”

Stranamente Tristyus non parve sorpreso dalla richiesta come lo era stato a suo tempo Rathin e fece cenno a Sam di seguirlo. “Li stavo riordinando proprio in questo momento” disse conducendolo al corridoio 57b, “credo che questo faccia al caso tuo: contiene tutte le leggende che corrono sugli Estranei. Perché ovviamente lo sai che si trattano solo di leggende, vero?”

Sam si affrettò ad annuire e prese in mano il volume che Tristyus gli porgeva. Era un vecchio tomo piuttosto massiccio dal titolo scolorito che diceva: Gli Estranei: le creature di ghiaccio. Sam ringraziò Tristyus e fece per allontanarsi quando lo sguardo gli cadde sulla porta malconcia che aveva intravisto un paio di settimane addietro. Si fece coraggio e chiese.

“Tu sai cosa c’è là dietro?”

Tristyus sospirò. “Purtroppo no” rispose malinconico, “nessuno mi dice mai nulla, anch’io sono arrivato da poco. Immagino lì conservino libri segreti che non vogliono vengano letti da tutti.”

Sam annuì. “Va bene, grazie mille lo stesso” disse per poi allontanarsi.

Ciondolò tra gli scaffali ancora per un po’, finché non ne fu stufo. Non aveva voglia di rimanere nella biblioteca a leggere e pensò di tornare da Gilly. In fondo mi ha perdonato, si disse e ringraziò mentalmente Brienne che con il suo arrivo li aveva fatti riavvicinare. In ogni caso decise di ripassare al suo banco per sistemare la confusione delle sue carte e per poggiare alcuni libri di medicina che aveva preso solo per dimostrare di star studiando per l’esame.

Quando raggiunse la sua postazione rimase sorpreso. Sul tavolo c’era una piccola anfora foderata di pelle ed accuratamente sigillata che recava un biglietto di pergamena strappata in fretta. Sam lo prese fra le dita e lo lesse.

Sai che i miei genitori vengono da Dorne? Questo è il miglior vino che si produca da quelle parti. Goditelo ora che puoi prima di diventare maestro!

Tristyus

Sam rimase a fissare il foglio confuso. Sapeva che una volta diventati maestri il vino era proibito, ma perché Tristyus avrebbe dovuto fargli un regalo del genere? Anzi, perché mai avrebbe dovuto fargli un regalo? Forse sta cercando di fare amicizia, si disse Sam posando i libri e prendendo in mano l’anfora. Credo lo porterò da Gilly… Nessuno dei due era propriamente un amante del vino, ma Sam non era tipo da rifiutare un dono. E poi di certo il vino non gli dispiaceva e avrebbe anche potuto far bella figura con Gilly.

Uscì dalla Cittadella che era tardo pomeriggio e tentò di raggiungere la casa senza essere visto. Dopo neanche tre passi andò a scontrarsi con una figura che veniva da destra. Quando Sam si ricompose notò con orrore di aver appena urtato Olenna Tyrell. Ma l’esercito Tyrell non era ancora partito?

“Ehi, giovanotto, fa’ attenzione!” sbraitò la vecchia e Sam sperò che non lo riconoscesse. Poi Olenna lo guardò meglio e, dalla sua espressione, si capiva bene che fosse avvenuto l’esatto opposto. “Ma tu sei quello screanzato che mi avrebbe dovuto scaricare i bagagli e che invece se l’è svignata!” esclamò infatti la vecchia.

“Chiedo scusa” disse Sam imbarazzato, “andavo di fretta e…”

“Ti pare il modo di trattare una nobildonna?” continuava a berciare la Regina di Spine “Potrei farti frustare per questo, come ti chiami?”

“Pyp” rispose Sam dicendo il primo nome che gli venisse in mente.

“Pyp?” chiese Olenna con una smorfia disgustata “Che razza di nome è Pyp?”

“E’ un diminutivo di Pypar” spiegò Sam. Poi, colto da un’ispirazione improvvisa, porse alla vecchia l’anfora che teneva sottobraccio. “Questo è il migliore vino di Dorne” disse sperando di placare il furore della donna, “accettalo con le mie più sentite scuse.”

Olenna prese l’anfora dubbiosa e la esaminò. Quando fu certa del fatto che contenesse effettivamente vino annuì. “Per questa volta chiuderò un occhio, Pypar” disse ora con voce meno gracchiante, “ma la prossima volta ricorda quali attenzioni vanno riservate a una nobile signora.”

Sam si affrettò a scusarsi ancora una volta, per poi tirare un sospiro di sollievo quando Olenna si fu allontanata. Alla fine se l’era cavata piuttosto bene. Domani dirò a Tristyus che il suo vino era eccellente, pensò Sam rimettendosi in cammino. In effetti doveva essere grato per quel dono che era stato capace di tirarlo fuori da una situazione scomoda.

Arrivò a casa di Gilly che il sole stava tramontando. La trovò che indossava solamente una tunica leggera e quasi trasparente. Aveva i capelli sciolti che le arrivavano alle spalle e tra le mani stringeva Veleno del Cuore. Sam non aveva mai visto nessuno far roteare una spada con tanta grazia. Gilly era concentrata al punto da non aver notato la presenza di Sam e si accorse di lui solo quando la porta si chiuse con un rumore secco. Allora abbassò la spada.

Sam era senza parole e probabilmente rimase lì a boccheggiare come un pesce per qualche istante. “D-dove hai imparato?” balbettò troppo incredulo per aggiungere altro.

“Non ho imparato.”

“Sei bellissima” disse Sam e Gilly sorrise, “sentiti libera di usarla per esercitarti quando vuoi: sei molto più brava di me.”

Gilly rise piano. “Allora” chiese, “ci sono novità? Brienne è riuscita a partire?”

Sam si sedette sull’unica sedia della casetta. “Sì” rispose distendendo le gambe ancora doloranti, “ho rimediato per lei un passaggio per il Nord: non avrà problemi. Guarda invece cos’ho trovato in biblioteca…”

Sam le porse il libro e Gilly aggrottò la fronte nello sforzo di leggere il titolo. “Gli Estranei: le crature di ghiaccio” disse sillabando le parole.

Creature” la corresse dolcemente Sam. “Hai fatto incredibili progressi!”

“Troverai qualcosa di interessante in questo libro?” chiese Gilly sfogliandolo curiosa.

Sam sospirò. “Spero di sì” rispose incerto, “se siamo fortunati non sarà un altro buco nell’acqua.”

“Ha le figure!” esclamò Gilly eccitata “Guarda come sono belle…” Sam rimase in disparte non volendo invadere lo spazio di Gilly. Veleno del Cuore era adagiata per terra.

“Gilly…” chiamò Sam imbarazzato dopo qualche minuto “Ecco, dovrei…”

“Certo, certo” esclamò subito Gilly passandogli il libro. Il piccolo Sam si era svegliato e piangeva reclamando la madre. Lei lo prese in braccio cullandolo. “Ormai è abbastanza grande da poter imparare a camminare” disse tenendo il bimbo sotto le ascelle e facendoli posare i piedini per terra. Il piccolo Sam fece qualche passetto stentato per poi ruzzolare ai piedi del letto. Gilly rise e lo tirò su.

Sam ormai era immerso nella lettura. Il libro doveva essere molto antico a giudicare dalle pagine ingiallite e consunte, ma l’inchiostro era nitido e senza sbafature. Sam saltò tutti i capitoli riguardanti l’aspetto degli Estranei, alla fine ne aveva pur sempre ucciso uno, e iniziò a leggere direttamente dal punto in cui venivano narrate le leggende riguardanti la prima apparizione degli Estranei.

“Le origini degli Estranei si perdono nella notte dei tempi” lesse a mente Sam, “e molti le fanno risalire alla guerra fra i Figli della Foresta ed i Primi Uomini avvenuta migliaia di anni fa.” Sam conosceva le cause di tale mitologica guerra. I Primi Uomini erano originari del Continente Orientale ed erano giunti in quello Occidentale tramite una lingua di terra attraverso il Mare Stretto.

“I Figli della Foresta non potevano sperare di sconfiggere la potenza dei Primi Uomini” continuò a leggere silenziosamente Sam, “e perciò, secondo alcune credenze non accertate, utilizzarono le arti magiche in loro possesso per causare un violento terremoto che frantumasse il Braccio di Dorne, bloccando quindi l’invasione.” Sam si fermò: questo gli suonava nuovo.

“Ma i Primi Uomini nel Continente Occidentale non si fermarono nel Sud” riprese a leggere, “e spinsero i Figli della Foresta sempre più a nord fino nelle terre che ora noi consideriamo oltre la Barriera.”

“Puoi leggere ad alta voce?” lo interruppe Gilly curiosa.

“Certamente.” Sam si schiarì la voce e cercò il segno perduto.

“I Figli della Foresta videro gli uomini distruggere le loro foreste” lesse, “e dovettero decidere di passare a metodi più drastici. Così rapirono uno dei capi delle tribù dei Primi Uomini e lo…”

Sam si interruppe incredulo. “Lo trasformarono nel primo degli Estranei” mormorò sgranando gli occhi, “forse utilizzando il Vetro di Drago che gli uomini avevano portato dal Continente Orientale e che sembrerebbe provenire direttamente da Valyria.” Sam sollevò lo sguardo su Gilly che lo fissava. “Questa storia potrebbe avere un fondamento di verità” disse, “se gli Estranei sono stati creati dal Vetro di Drago ciò spiegherebbe perché vengano distrutti da esso. Prima di essere colpiti con il Vetro erano solo uomini.”

“Ma allora perché vogliono distruggere tutti?” chiese Gilly.

Sam scorse le righe successive. “Qui dice che gli Estranei avrebbero dovuto aiutare i Figli della Foresta nella guerra contro i Primi Uomini” disse, “ma che presto dovettero decidere che non valeva la pena sottostare agli ordini dei loro creatori. Fu allora che Brandon il Costruttore, fondatore della casata Stark, decise di scendere a compromessi con i Figli della Foresta e fu stretto il Patto.”

“Che genere di patto?” chiese Gilly avvicinandosi.

“Gli uomini e i Figli della Foresta si allearono contro gli Estranei” spiegò Sam, “ma della Lunga Notte e della Battaglia per l’Alba che seguirono non si hanno notizie. Si sa che gli Estranei furono ricacciati nelle Lande dell’Eterno Inverno e che Brandon il Costruttore, con l’aiuto dei Figli della Foresta e forse dei giganti, costruì la Barriera fondando l’ordine dei Guardiani della Notte.”

“Quindi” osservò Gilly, “al principio i Guardiani della Notte dovevano difendere gli uomini dagli Estranei, non dai bruti.”

“Già” disse Sam, “i bruti erano solo uomini che ebbero la sfortuna di insediarsi oltre la Barriera.”

Rimasero in silenzio per un po’, poi Gilly si alzò da terra. Si avvicinò a Sam e gli diede un bacio gentile sulle labbra. “Per oggi credo tu abbia letto abbastanza” sussurrò. Sam sorrise.

In quel momento piovvero dei colpi alla porta ed entrambi sobbalzarono. Il piccolo Sam si mise a piangere e Gilly andò da lui. Sam andò ad aprire e si ritrovò davanti un ragazzetto tutto pelle ed ossa con i capelli color paglia sporca.

“Hugo” lo salutò Sam, “cosa ci fai qui?”

Il ragazzino pareva senza fiato e continuava a cercare di sbirciare oltre la spalla di Sam. “Si tratta dell’arcimaestro Walgrave” spiegò Hugo, “stanotte è il tuo turno di controllare le chiavi.”

Sam avrebbe voluto darsi una manata in fronte. “Me n’ero dimenticato!” esclamò “Torno subito.” Corse dentro. “Gilly” la chiamò, “stanotte devo rimanere alla Cittadella, tornerò domani mattina. Se vuoi puoi continuare a leggere il libro così poi mi dici se trovi qualcosa di interessante.” Gilly strinse le labbra, ma annuì. Sam si avvolse nel cappotto e uscì.

Seguì Hugo fino alla Cittadella e si recò nelle stanze di Walgrave. L’arcimaestro dormiva profondamente e vi era un uomo al suo capezzale. Appena lo sconosciuto si alzò Sam vide che aveva al collo la catena da maestro.

“Piacere” disse l’uomo con un sorriso, “io sono Ebrose il guaritore e tu sei…?”

“Samwell Tarly” rispose Sam “Ma preferisco essere chiamato Sam.”

“Bene, Sam” disse Ebrose, “immagino tu sia qui per fare la guardia alle chiavi…” Sam annuì.

Ebrose si avviò verso la porta. “Perfetto” disse prima di uscire, “e ricorda di non perdere di vista quella grossa marrone: apre le porte più importanti.”

Sam diede un’occhiata al muro e vide la chiave di cui l’altro parlava. Era una chiave lunga con un grande anello in cui far passare una corda, ma sembrava piuttosto ordinaria.

“Buonanotte, Sam” lo salutò Ebrose e uscì.

Sam rimase solo nell’oscurità con il russare di Walgrave come unica compagnia. Represso un sospiro cercò di mettersi comodo mentre si preparava ad una lunga nottata.

 

Jaime

 

Erano arrivati molto prima del previsto. Jaime era ancora seduto sulla pietra davanti al cadavere di Alerie Tyrell quando vide sollevarsi la polvere dalla strada. I soldati intorno a lui si irrigidirono sfoderando le armi, ma Jaime rimase immobile.

Bronn era in piedi al suo fianco e lo osservava. “Pensi di lasciarti uccidere senza muovere un muscolo?” gli chiese sarcastico mentre l’esercito nemico si avvicinava.

“Per il momento mi limito ad attendere” replicò Jaime, “poi penserò al futuro.”

Bronn fece una smorfia. “Da quando in qua sei diventato un cazzo di filosofo?” chiese e molti uomini repressero delle risatine. Jaime li lasciò fare. Che ridano pure, si disse, ma intanto devono essere felici che qui ci sia io e non Cersei. Cersei avrebbe certamente fattto giustiziare chiunque avesse osato mancarle di rispetto.

Fanculo, Cersei. Fanculo te e i tuoi stupidi piani.

L’esercito che stava venendo loro addosso sembrava molto numeroso e, se la vista non lo ingannava, Jaime avrebbe potuto giurare di aver visto dei cavalieri dothraki. Magari erano anche più numerosi di loro.

“Ser Jaime” chiese un soldato temerario, “posso chiedere quali sono gli ordini?”

“Aspettare” rispose Jaime per l’ennesima volta.

“Ma signore, sono molto vicini.”

“Se vuoi tornartene a casa perché hai paura puoi farlo” disse Jaime seccamente, “ma poi sarai tu a spiegare il motivo a mia sorella.” La minaccia bastò a far calare un silenzio pesante fra i ranghi.

Bronn gli si accostò. “Questa era buona” gli concesse.

L’esercito nemico si era fermato a un centinaio di metri da loro e da lì si elevavano esclamazioni e grida. Jaime aveva fatto fermare i propri uomini nella pianura alle loro spalle e le tende erano già state smontate. A un certo punto quattro figure iniziarono ad avvicinarsi. L’uomo a cavallo, probabilmente un Dothraki, tornò presto sui suoi passi sparendo fra le sue fila, mentre le altre tre figure continuarono ad avanzare.

Presto Jaime fu in grado di riconoscere la sagoma inconfondibile di Olenna Tyrell che procedeva impettita. Il più giovane dei due ragazzi che venivano con lei lanciò un urlo e si mise a correre nella direzione di Jaime, che alzò una mano per evitare che i propri uomini attaccassero. Il ragazzo cadde in ginocchio vicino al cadavere di Alerie e lo strinse a sé. Anche Olenna e l’altro uomo erano ormai arrivati e anche loro si arrestarono. Olenna aveva un volto che non faceva trasparire emozioni, ma fissava Jaime con odio.

“L’HAI UCCISA!” urlò il giovane a terra.

“Si è tolta la vita” spiegò Jaime, “non ho potuto fare nulla…”

Il ragazzo si era alzato in piedi asciugandosi le lacrime. “Ti ammazzo…”

“Garth” lo richiamò Olenna, “non è ancora il momento.” Garth si voltò verso la vecchia e, senza smettere di guardare Jaime, fece un passo indietro.

La Regina di Spine invece avanzò. “Sterminatore di Re” lo salutò. Jaime ormai ci era abituato: quando la gente voleva offenderlo utilizzava sempre quell’appellativo. “E’ passato un po’ dal nostro ultimo incontro” proseguì Olenna, “come sta Cersei? Non vorrei che i preparativi per l’esplosione l’abbiano stancata.”

Indicò l’uomo che fino ad allora era rimasto in silenzio. “Lui è Baelor Hightower” disse, “erede di Vecchia Città, e lui è suo fratello Garth.”

Olenna indicò due figure più lontane. “E quelli sono Rakandro” continuò, “e Nymeria Sand, anche se credo che lei già la conosci…”

Jaime sentì il sangue ribollirgli nelle vene e d’istinto portò la mano al pugnale. Nymeria Sand era una delle Serpi delle Sabbie, le donne colpevoli dell’assassinio di Myrcella.

Olenna sorrise vedendo la sua reazione. “Sì” disse, “vedo proprio che ti ricordi di lei. Ma ora, Jaime, non ci hai chiesto perché siamo qui.”

Jaime si alzò in piedi risoluto a non accettare la provocazione. “Perché vi manda Daenerys Targaryen” rispose.

Olenna scosse la testa infastidita. “Non eseguirei mai degli ordini se non ne vedessi uno scopo vantaggioso per me” disse, “ma in questa missione uno ce n’è. Potrò arrivare ad Approdo del Re e assicurare a tua sorella una morte così dolorosa che al confronto il supplizio a cui ha destinato i miei nipoti e mio figlio sembrerà nulla.” Jaime fu stupito dalla franchezza con cui la vecchia gli aveva parlato, ma alla fine si vedeva che era consumata dal desiderio di vendetta.

“E poi, sì” concesse la Regina di Spine, “a Daenerys vederti sconfitto non dispiacerà.”

Jaime fece un passo avanti. “Olenna” tentò, “capisco i tuoi sentimenti, ma non c’è bisogno di una battaglia. Alerie si è suicidata proprio perché sapeva che ce ne sarebbe stata una.”

“Non parlare di mia sorella!” esclamò Garth estraendo la spada. La tensione ormai era altissima.

Olenna era salita a cavallo ed aveva voltato le spalle al gruppo di soldati Lannister. “Ora è tardi” disse, “ma puoi sempre evitare la battaglia che tanto temi. Nessuno vorrebbe profanare il proprio castello con il sangue nemico, quindi ti darò un’ora di tempo. Ritira le tue truppe o sarà guerra.” Baelor prese sottobraccio Garth e lo trascinò via di peso mentre il giovane imprecava contro i Lannister. Jaime sospirò.

“Cosa intendi fare?” gli chiese Bronn.

“Preparare la difesa” spiegò Jaime, “li hai visti i Dothraki a cavallo?”

“No” rispose Bronn, “sinceramente ero occupato ad osservare quella brunetta che…”

“Il punto è” lo interruppe Jaime, “che non possiamo sperare di avere la meglio su di loro in campo aperto. Perciò dovremo adottare una strategia alternativa.”

Jaime indicò il castello. “Spargi la voce” disse, “voglio gli uomini migliori intorno alle mura.”

“E tutti gli altri?” chiese poco convinto il mercenario.

“Al loro interno.”

In quel momento da est risuonò un corno. Jaime aguzzò la vista in quella direzione, verso la collina oltre la Strada delle Rose, e vide un altro piccolo esercito avanzare. Presto furono raggiunti da un ragazzo che portava l’insegna dei Tarly.

“Lord Randyll Tarly vuole parlarti, ser” disse il giovane. Jaime fece cenno a Bronn di non seguirlo ed andò dietro al ragazzo. Con la coda dell’occhio sbirciò l’esercito Tyrell e notò che si era accampato verso est.

Sotto un albero che stranamente ancora conservava le sue fronde lo attendeva lord Tarly con accanto un giovanotto che poteva avere massimo venti anni. Tutto intorno erano disposte le guardie di scorta. Jaime tese la mano e Randyll l’afferrò. Aveva una stretta salda e sicura.

Jaime abbozzò un sorriso. “Mi fa piacere che siate arrivati” disse secondo le formule di rito.

Lord Tarly era alto e calvo, con folte sopracciglia e occhi neri ed infossati. “Il piacere è mio, ser Jaime” disse senza smettere di scrutare il proprio interlocutore, “lui è mio figlio ed erede Dickon.” Tarly indicò il giovane al suo fianco, che chinò il capo in segno di saluto.

“Orton Meeryweather non è potuto venire” continuò Randyll, “e ha affidato a me le sue milizie. In tutto ti abbiamo portato seimila uomini.” Jaime annuì: erano ottimi numeri. Randyll Tarly aveva fama di essere un geniale condottiero e Jaime aveva bisogno di dividere il potere e soprattutto le responsabilità che ne derivavano.

“Puoi continuare a controllare il tuo esercito” disse, “ma questa non sarà una battaglia tradizionale.” Randyll aggrottò le sopracciglia indispettito: evidentemente tutto ciò che era poco tradizionale lo considerava fallimentare.

“I Dothraki sono abili in campo aperto” spiegò ancora una volta Jaime, “ma non conoscono le tecniche di assedio. Noi ci apposteremo all’interno del castello e combatteremo dalle mura in modo tale che i nemici possano avanzare pochi per volta.”

Randyll non era affatto convinto. “Le mura di Alto Giardino non furono costruite per sopportare un assedio” fece notare in tono di rimprovero, “i Dothraki potranno sfondarle senza problema. Servono dei soldati che proteggano le mura da fuori. Il mio esercito può farlo.” Jaime la considerava un’azione suicida, ma annuì lo stesso.

“A battaglia terminata” proseguì Tarly dando per scontata una loro vittoria, “dovrai permettere il saccheggio del castello.”

Jaime rimase interdetto. Alto Giardino era considerato da molti il più bel castello dei Sette Regni, forse secondo solo a Nido dell’Aquila, e autorizzare un saccheggio avrebbe significato permettere lo scempio di tanta bellezza. Nonostante ciò, Jaime annuì nuovamente. “E sia come dici” disse con un sospiro, “schiera i tuoi uomini in posizione.”

Poi saltò nuovamente a cavallo e si diresse al galoppo verso il portone del castello. Dall’accampamento Tyrell iniziavano ad arrivare i suoni di armature che venivano chiuse e lame che venivano affilate. L’ora concessa stava per scadere.

Jaime si mise a gridare ordini. “Siate pronti!” urlò “Vi voglio dentro le mura. Serrate i ranghi nei cortili, ma non entrate nel castello. Per la regina!”

“PER LA REGINA!”

Nella confusione generale Jaime adocchiò Bronn. “Tu non entri?” gli chiese il mercenario.

Jaime scosse la testa. “Credo salirò solo sulle mura” disse, “non vorrei essere troppo vicino a Olenna quando vedrà che abbiamo deciso di entrare nel suo castello.”

Bronn ridacchiò. “Che dobbiamo farci con le guardie del castello?” chiese.

“Uccidetele” rispose Jaime dato che non c’era alternativa, “ma che il cadavere di Alerie sia restituito ai suoi fratelli.”

“Ora?!” chiese incredulo Bronn “Non credi sia pericoloso?”

“Certo” replicò Jaime, “per questo sto inviando te…”

Bronn lo guardò per qualche secondo. “Al diavolo” borbottò mentre faceva girare il cavallo.

Jaime lo seguì con lo sguardo per qualche secondo prima di scendere di sella. Affidò il cavallo a un ragazzo che gli si era avvicinato e si avviò verso le mura. Secondo le sue disposizioni più della metà dei suoi soldati si era appostata nei cortili interni, senza tuttavia entrare nell’edificio, mentre gli altri pattugliavano tutto intorno. Purtroppo il fossato che circondava Alto Giardino era stretto e poco profondo, probabilmente ideato come elemento estetico senza pensare alle sue funzioni difensive.

“Gli arcieri sulle mura” urlò Jaime superando il portone con il simbolo della rosa e il motto dei Tyrell.

All’interno regnava il caos mentre i soldati si spintonavano per raggiungere le loro postazioni. Quei cortili assomigliavano più a sontuosi giardini e gli alberi crescevano alti. I fiori erano appassiti, ma il luogo manteneva lo stesso un alone di intoccabilità. Jaime tentò di distogliere i pensieri dall’imminente saccheggio. Prima dobbiamo vincere questa battaglia, si disse.

In lontananza vide un cavallo con in groppa quello che intuì doveva essere Bronn galoppare verso il castello e subito dopo si udirono le trombe da guerra suonare. Jaime allora salì sulle mura per avere una visuale migliore.

Ovviamente anche queste ultime non erano minimamente state concepite per permettere la difesa degli arcieri in caso di attacco ed erano invece straordinariamente basse e ornate con ghirlande di fiori secchi. Dal polverone che si elevava dall’accampamento nemico Jaime capì che i Dothraki erano stati mandati alla carica. Fortunatamente anche Tarly aveva fatto in tempo a schierare i propri uomini ed il portone doveva essere sufficientemente protetto.

Via via che l’orda dothraki si avvicinava Jaime poteva scorgere le singole figure. Non portavano armatura e non avevano spade, solo archi ed altre armi che non si erano mai viste nel Continente Occidentale. Urlavano mentre spronavano i loro cavalli. Dietro veniva la cavalleria organizzata che portava alti gli stemmi dei Tyrell e, qua e là, anche quelli dei Targaryen che ormai da anni erano scomparsi dalla circolazione. Jaime udì Randyll Tarly ordinare all’avanguardia di caricare gli aggressori, evidentemente per allontanare la battaglia dal castello.

Folle… Così li farà ammazzare.

“Mantenete le vostre posizioni” urlò agli uomini che lo fissavano in attesa di ordini, “scoccate frecce solo se siete sicuri che superino il fossato.”

Un arciere temerario tentò l’impresa, ma la freccia si conficcò a terra poco lontano dalla base delle mura. Dopo di lui nessuno più ci provò.

La battaglia era inziata e gli uomini di Collina del Corno stavano sopportando bene la furia dei Dothraki. Jaime vide un cavaliere affondare la propria spada nel petto scoperto e dipinto di un guerriero dothraki, solo per essere poi rudemente decapitato da un compagno del caduto.

Bronn stava combattendo contro un fante Tyrell incapace perfino di tenere una lancia in mano e si trovava quasi con i piedi nell’acqua del ruscello. Il frastuono della battaglia era insostenibile, ma Jaime ormai ci era abituato. Non poteva credere che da ragazzo questo fosse tutto ciò che occupasse i suoi sogni.

Mentre i Dothraki tentavano di sfondare il centro dello schieramento, la guarnigione dell’Altopiano si divise in due gruppi e si preparò ad attaccare ai fianchi. Jaime decise di spostare i suoi uomini da davanti il portone, già difeso sufficientemente da Randyll Tarly, ai lati, per poter sopportare anche questo secondo assalto. Jaime gridò l’ordine e osservò i suoi soldati schierarsi sulle nuove linee.

“Ora potete lanciare” disse poi agli arcieri ed una pioggia di frecce iniziò a cadere sui Dothraki, che tuttavia risposero con pari veemenza costringendo gli uomini di Tarly ad arretrare leggermente.

La battaglia proseguì senza particolari cambiamenti per molti minuti. Il lato destro se la stava cavando molto bene ed i Tyrell erano stati respinti fin oltre il fossato. A sinistra la situazione era più delicata ed alcuni cavalieri con lo stemma della rosa erano giunti vicini al portone. Jaime ordinò ad un terzo degli arcieri di spostarsi a sinistra e fece uscire altri uomini dai cortili.

Ad un certo punto si sentì afferrare bruscamente e fu costretto a voltarsi. Si trovò davanti una delle vedette che aveva posto nei punti di guardia sulle mura. Aveva gli occhi stralunati e parlava a fatica. Jaime represse l’impulso di urlargli in faccia.

“Mio signore, stanno scalando le mura… Dietro alle stalle… Servono rinforzi.”

Jaime strinse le labbra: si sarebbe dovuto aspettare una mossa del genere. Non possiamo permettere loro di entrare, pensò, conoscono il castello molto meglio di noi. Sguainò la spada e pregò di essere abbastanza abile in combattimento.

“Venite con me” urlò ai soldati più vicini, “servono uomini ad ovest.”

Poi afferrò con la mano d’oro la giacca della vedetta. “E tu vedi di rintracciare Bronn il mercenario” ordinò, “sai chi è?” L’uomo scosse freneticamente la testa. “Bene” ribatté Jaime, “allora sappi che è l’unico idiota a pensare di poter affrontare un Dhotraki senza avere il culo su un cavallo. Trovalo e digli che deve prendere il controllo della battaglia davanti al portone.” Detto questo, lo lasciò andare e si mise a correre verso le stalle.

Erano circa venti gli uomini che l’avevano seguito e Jaime sperava fossero sufficienti. Quel deficiente non gli aveva neppure specificato il numero approssimativo degli assalitori. Giunti sul posto Jaime poté tirare un sospiro di sollievo: gli scalatori erano circa trenta e sarebbe stato facile rispedirli indietro. Alcuni di loro erano a buon punto della scalata e Jaime riconobbe Garth Hightower che si affrettava su una scala di corda.

Quando i suoi occhi si posarono su Nymeria Sand che saliva poco più in basso, Jaime quasi sorrise. Così potrò ucciderla con le mie mani, si disse ripensando a Myrcella che gli si accasciava fra le braccia. Se aveva potuto comprendere in un certo senso l’omicidio di Joffrey, quello di Myrcella era stato una vana crudeltà. E quello di Tommen? non poté fare a meno di pensare Cos’è stato quello? Scosse la testa per tornare in sé.

“Tagliate le corde” gridò, “non fateli arrivare in cima!”

I suoi uomini si misero subito all’opera. Jaime afferrò con la mano d’oro la fune alla quale si reggeva Nymeria e con quella buona estrasse il pugnale ed iniziò a tagliare. Aveva lasciato cadere a terra la spada. Ci fu un grido. Jaime si voltò e vide che Garth ed altri due nemici erano già sulle mura. Le spade iniziarono a cozzare, ma Jaime decise di concentrarsi solo sul lavoro che doveva assolutamente portare a termine.

Nymeria da sotto lo fissava e continuava a salire: un sorriso le increspava le labbra. Jaime iniziò a tagliare più in fretta e finalmente la corda cedette. Vide con un brivido di insana gioia Nymeria cadere nel vuoto. E fuori una, pensò soddisfatto della sua vendetta.

All’improvviso però la ragazza si contorse con grazia in volo e slacciò qualcosa dalla cintura. Jaime capì di cosa si trattava solo quando era troppo tardi. La frusta schioccò e si avvolse stretta intorno ad uno dei merli delle mura. Nymeria inarcò la schiena facendo forza con le braccia e un secondo dopo Jaime se la ritrovò affianco.

La ragazza arrotolò la frusta con un ghigno. “Ti conviene raccogliere quella” gli suggerì accennando alla spada. Accanto a loro continuava la battaglia: altre funi vennero tagliate, ma altri nemici riuscirono a raggiungere le mura.

“Cosa fai?” urlò Garth rivolto a Nymeria “Lui è mio!”

Nymeria si voltò a guardarlo e Jaime ne approfittò per afferrare la propria spada. “Tu guida gli altri dentro” stava dicendo intanto la ragazza, “conosci il castello meglio di me. Ricorda gli ordini di Olenna…” Garth sbuffò e imprecò, ma alla fine si allontanò con il proprio gruppo di uomini, subito inseguito dai soldati Lannister.

Nymeria si girò nuovamente a fronteggiare Jaime. Il sorriso di scherno non aveva lasciato il suo viso nemmeno per un momento. Fece schioccare la frusta per terra. “Beh” disse guardandosi teatralmente intorno, “sembra proprio che siamo solo tu ed io. Sai, l’ultima volta sei stato fortunato ad aver affrontato Obara. Mia sorella potrà sembrare aggressiva, ma presto scoprirai che io non sono da meno.”

Detto questo, Nymeria mosse il braccio così velocemente che Jaime non riuscì a seguire la traiettoria della frusta. Dovette reprimere un gemito di dolore quando il laccio gli morse il braccio della spada. Nymeria dette uno strattone e Jaime quasi cadde in avanti. Fortunatamente riuscì a mantenere un precario equilibrio e tirò a sua volta. Nymeria mulinò il polso stringendo le labbra e Jaime sentì la presa della frusta allentarsi fino a scomparire.

“Credi di poter uccidere qualcuno solo con quella?” chiese sarcastico indicando il laccio che si era arrotolato ai piedi dell’avversaria.

“Magari un po’ di veleno…” suggerì Nymeria e Jaime sentì la rabbia montare di nuovo.

Avanzò e menò un fendente con la spada. Non era particolarmente potente e anche abbastanza storto. La frusta stavolta si avvolse intorno alla lama, bloccandola a pochi centimetri dal braccio nudo di Nymeria. Contemporaneamente la ragazza estrasse dalla cintura una corta daga con l’impugnatura di legno.

“A Dorne ai bambini viene insegnato a combattere con entrambe le mani” osservò, “così che non possano trovarsi un giorno nella tua situazione.”

Poi gettò a terra la frusta e colpì con la daga. Nonostante il colpo infertogli a piena potenza, Jaime era felice che fosse passata ad uno stile di combattimento più simile al suo. Rispose con rinnovato vigore e per la prima volta vide la sorpresa negli occhi neri di Nymeria. La giovane tentò qualche affondo, passando anche la daga alla mano destra, ma Jaime li parò tutti. Lentamente gli istinti del cavaliere stavano tornando ed i movimenti gli riuscivano sempre più naturali.

“Perché?” chiese costringendo Nymeria con la schiena premuta contro il parapetto interno. Ancora una piccola pressione e sarebbe caduta nel cortile delle stalle.

“Perché?” ripeté “Perché l’avete uccisa? Era innocente!”

Nymeria fece una smorfia. “Anche Aegon e Rhaenys erano innocenti” obbiettò, “anche mia zia Elia lo era. Ma ciò non ha impedito a tuo padre di farli uccidere ugualmente. Anche mio padre era innocente.”

“E’ morto in un combattimento a cui lui stesso ha voluto partecipare” osservò Jaime senza diminuire la forza con cui premeva la lama contro la daga di Nymeria.

“Ucciso come un animale!” urlò Nymeria. Poi sorrise. “Ma io capisco, sai” disse. “Non sono come Obara o Tyene, io vedo la verità. Mio padre è morto in guerra, mia zia ed i miei cugini sono morti in guerra e questo sta bene. Anche Myrcella è morta in guerra. Sono cose che capitano: le persone si uccidono fra loro da sempre e continuerà ad essere così in eterno. E’ così che va il gioco e bisogna adattarsi.”

Jaime provava solo orrore. “E a te piace?” chiese “Ti piacciono tutte queste uccisioni, questo degrado in cui siamo caduti?” Nymeria sembrò rifletterci su.

“Non conta ciò che credo io” rispose poi, “se è così che va il mondo io mi adeguo. Se un giorno cambierà, io cambierò con esso.” E diede un colpo più forte, liberandosi da quella posizione scomoda.

“A me non interessa la vendetta” continuò, “e non credo in nessuno. Faccio solo quello che va fatto.”

Jaime scosse la testa. “Tu sei matta” mormorò disgustato.

“Aspetta di conoscere meglio le mie sorelle” rise Nymeria, “e soprattutto Ellaria: è lei la più folle di tutte.”

Il combattimento riprese. Jaime attaccava ora animato da una foga maggiore di prima. “Così Myrcella non la volevi uccidere per vendetta” pensò accecato dall’ira, “la sua morte non significava nulla per te, era solo parte del gioco.”

Jaime lanciò un urlo di frustrazione e Nymeria si distrasse un attimo di troppo. Un colpo particolarmente violento le fece sfuggire la daga dalla mano e la fece volare oltre i bastioni. Jaime la fissò negli occhi intensamente. Avrebbe potuto ucciderla, niente sarebbe stato più facile in quel momento. Sarebbe stata felice, avrebbe avuto il suo ruolo nel gioco.

Ma ancora Jaime esitò e Nymeria stavolta non perse tempo. Si gettò a terra e afferrò la frusta. La fece arrotolare intorno all’asta dove di solito veniva issato il vessillo dei Tyrell e si lanciò oltre le mura, verso il cuore del palazzo.

Qualche secondo dopo Jaime sentì un tonfo, seguito da rapidi passi di corsa. Non fu necessario affacciarsi verso l’interno per capire cosa fosse successo. L’unica possibilità di vendetta gli era appena scivolata tra le dita.



                                                                                                                  "You did not break me, I'm still fighting for peace."

                                                  




N.D.A.


Bentornati a tutti! Scusate se questo capitolo salta fuori a orari improbabili, così come le risposte alle recensioni che mi lascerete nei prossimi giorni, ma attualmente mi trovo a Los Angeles e abbiamo un bel po' di ore di differenza ^_^''''' tuttavia, anche se piuttosto a fatica, sono riuscita a rimanere nei tempi e non ritardare l'aggiornamento.

Volevo giusto precisare un paio di cose, in particolare la scelta di Olenna di liberare Brienne. Sappiamo dai capitoli precedenti che Daenerys ha inviato dei messaggi alle sue due guarnigioni (quella diretta a Porto Bianco e quella diretta ad Alto Giardino) in seguito all'accordo (se si può definire tale) con Jon chiedendo che Brienne fosse messa in libertà. Tuttavia tale messaggio non ha ancora raggiunto Olenna, quindi la sua decisione di liberare Brienne, seppur ora in linea con i desideri di Daenerys, è presa andando contro i vecchi ordini della regina. Olenna è fedele a Daenerys, vuole vederla vincere, ma allo stesso tempo si tiene la possibilità di prendere decisioni di un certo spessore. In ogni caso non intende veramente tradirla nel vero senso della parola, solo seguire i propri interessi a patto non si scontrano con il fine ultimo di Dany, ovvero la conquista del trono. Per quanto riguarda il suo piano ovviamente si scoprirà nei capitoli successivi in tutti i dettagli.

La scelta di Jaime di far entrare i suoi soldati nel castello totalmente indifeso ha senso militarmente parlando dato che i Dothraki sono temibili in campo aperto ma non negli assedi, tuttavia ora se la dovrà vedere con il gruppo di Garth che è riuscito a entrare dalla parte ovest delle mura (mentre il portone così come la battaglia si trovano nella parte est) e conosce molto bene il castello. La battaglia vera e propria ovviamente sarà mostrata nei capitoli successivi.

Per Gendry e la sua missione, allo stesso modo, sarà tutto spiegato meglio dopo. Anche i suoi sentimenti, che Tyrion non riesce ad afferrare, saranno resi noti dopo.

Spero anche la caratterizzazione aggiuntiva che ho voluto dare a Nymeria sia stata apprezzata: non è niente di che, ma almeno la differenzia un minimo dalle sue sorelle.

Come al solito voglio ringraziare di cuore tutti coloro che continuano a sostenermi e a recensire, in ordine: giona, Spettro94 e __Starlight__. Ringraziamento speciale anche a leila91, che continua ad andare avanti e a NightLion e Red_Heart96 che si metteranno presto in paro.

E niente, ragazzi... Spero vi stiate godendo le vacanze e, in caso ancora non abbiate avuto modo di assaporarle, vi auguro di farlo al più presto! Probabilmente risposte a eventuali recensioni a questo capitolo arriveranno un po' più in ritardo del solito e vi prego di avere pazienza :-)

Alla prossima!


PS: stavolta iniziamo con le citazioni in inglese (si vede che l'America mi sta influenzando XD)... Quella di oggi viene dalla canzone "Elastic heart" di Sia e l'ho immaginata per Jaime, ma in realtà si può associare a tantissimi personaggi di Got, quindi a voi la scelta XD XD


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Capitolo 12
*** Letters and hope ***


Capitolo 12


Letters and hope                                                                                                      

 


Yara

 

La cella era umida e buia. Yara poteva giurare di aver sentito un ratto squittire. Quando si era risvegliata, con la testa che ancora le doleva per il colpo, si era ritrovata già incatenata in quelle che intuì dovevano essere le segrete del palazzo di Porto Bianco. I suoi occhi avevano impiegato diversi minuti ad ambientarsi, ma alla fine riusciva a scorgere delle ombre.

Il suo primo pensiero corse Theon. Quanto tempo era passato? L’esercito di Euron era già partito? Sperò che suo fratello stesse bene e dentro di sé era felice fosse stato liberato. Le catene l’avrebbero traumatizzato se possibile ancora di più di quanto fosse già. Presto Yara si rese conto di non essere sola. Accanto a lei erano legati anche Tyene e Benjameen. Di Ellaria nessuna traccia.

“Stai bene?” le chiese Benjameen e Yara annuì, prima di ricordare che non potevano vederla a causa delle tenebre. “Sì” disse allora voltandosi verso la direzione da dove proveniva la voce, “e voi? Che ne è stato dei nostri soldati?”

“Non lo sappiamo” rispose Tyene, “siamo stati rinchiusi qui molto prima di te, ma Euron ci ha detto che stanno bene, per ora almeno…”

“Di Euron non ci si può fidare” replicò Yara.

“Questo è ovvio” assentì Tyene.

“E la mia nave?” chiese Yara “Sapete cosa ne ha fatto Euron della Vento Nero?”

“Non sappiamo nulla” disse in tono di scusa Benjameen.

Yara chinò il capo. “Cosa è successo?” chiese “Come è riuscito a sconfiggervi?”

“E’ stato un vigliacco!” esclamò Tyene con rabbia. Yara non poteva vederla, ma se la immaginava con i lineamenti del viso contratti e gli occhi sgranati.

“La sua nave non si è fatta vedere” stava raccontando la ragazza, “e ha mandato avanti i suoi mercenari. Mentre tu e mia madre raggiungevate le tre barche che aveva piazzato lì come trappola, io e Benjameen affrontavamo i mercenari alla spiaggia. Poi c’è stato un boato, credo un suono di corno, ma non avevo mai sentito nulla di simile, e siamo stati attaccati dagli Uomini di Ferro di Euron che venivano dalla collina.”

“Dalla collina?” chiese incredula Yara.

“Aye” rispose Tyene, “forse le loro navi erano ancorate nella baia vicina…”

Yara corrucciò la fronte. “Avevo detto a Marlon Manderly di schierare metà dei suoi uomini proprio sulla collina” osservò, “come ha fatto Euron a scalarla senza problemi?”

“Non lo so” rispose Tyene, “ma dopo ha giustiziato Marlon davanti ai nostri occhi.” Questa parte Yara la conosceva.

“Cosa succederà ora?” chiese Benjameen.

Yara sospirò. “Euron ha inviato Theon alla Roccia del Drago con un messaggio per Daenerys.”

“Theon?” esclamò stupita ed irritata Tyene “Perché proprio lui?”

C’era polemica nella sua voce e Yara desiderò di poterla incenerire con lo sguardo. “Euron ha intenzione di attaccare l’isola” disse invece ignorando l’interruzione della Serpe. Benjameen sussultò e Tyene represse senza molto successo un’esclamazione di stupore.

“Quando?” si affrettò a chiedere Benjameen.

“Ora” rispose con voce atona Yara, “anzi, mi stupirei se Euron non fosse già partito.”

“Allora stupisciti” replicò con una risatina Tyene, “perché è ancora a Porto Bianco: è venuto a visitarci poco prima che ti svegliassi.”

“E’ stata Cersei a ordinare a Euron di attaccare Daenerys?” chiese Benjameen.

“Non lo so” rispose Yara, “ma ciò non cambia nulla: la regina non ha gli uomini per difendere la Roccia del Drago.”

“Forse lady Olenna è tornata dall’Altopiano con il suo esercito” suggerì Benjameen, ma Yara scosse la testa. “Non credo” replicò, “il viaggio per Vecchia Città è troppo lungo: a quest’ora saranno sì e no arrivati ad Alto Giardino.”

“La regina vuole allearsi con il Nord” disse Tyene con noncuranza, “potrà avere i suoi uomini…”

Yara si chiese se Tyene conoscesse un po’ di geografia dei Sette Regni. “Euron ha conquistato la città più importante del Nord” disse, “l’intera flotta degli Stark era qui ed è bruciata. Come credi Grande Inverno possa inviare rinforzi senza navi?” Tyene non rispose.

“E non è tutto” proseguì Yara, “Euron mi ha detto di aver attaccato la nave di Jon Snow mentre navigava verso la Roccia del Drago, ma che lui si era salvato per miracolo.”

“E’ arrivato sull’isola?” chiese Benjameen. “Suppongo di sì” rispose Yara, “ma probabilmente la maggior parte degli uomini che viaggiavano con lui è morta e non potrà aiutare Daenerys.”

“Quindi come farà?” chiese insistente Benjameen.

“Spero il nano le dia buoni consigli” disse Yara, “ma noi dovremo tentare di aiutarla.”

“Buona fortuna” disse Tyene sarcastica e Yara perse la pazienza. “Ascoltami bene” disse in tono duro, “noi abbiamo giurato fedeltà a Daenerys Targaryen e dobbiamo trovare il modo di aiutarla. Non conosco i costumi di Dorne molto bene, ma negli altri sei regni di solito si rispettano i giuramenti.”

“In questo periodo nessuno lo fa” fece notare Tyene, “tutti pensano solamente a loro stessi.”

“Questo non è un buon motivo per farlo anche noi” replicò Yara e Tyene tacque. “Dobbiamo trovare un modo per liberarci” continuò Yara, “o almeno provarci, e poi potremo salvare anche i nostri uomini.”

“E come li portiamo alla Roccia del Drago?” chiese annoiata Tyene “L’hai detto tu che la flotta è bruciata…”

A questo Yara non ci aveva pensato. Prima che potesse formulare una risposta, la porta sbatté. Entrarono due guardie armate che portavano entrambe una lancia più alta di loro. Uno dei due uomini afferrò Yara per il braccio e la tirò in piedi, mentre l’altro la liberò rudemente dalle catene.

“Re Euron vuole vederti” disse quello che la teneva spingendola verso la porta, “muoviti.”

Prima di uscire nel corridoio illuminato, Yara si voltò a guardare Tyene e Benjameen. Poi la porta fu nuovamente sbarrata. Venne spinta su per una scala a chioccila e lasciata in una grande sala. Vi era il camino acceso e tende alla finestra, una libreria e un tavolo appena lucidato. Yara intuì che doveva essere la stanza dove i Manderly di solito ricevevano i loro ospiti e provò un moto di rabbia.

“Gli Uomini di Ferro attaccano e conquistano le città del Nord da sempre.”

Yara si voltò. Euron stava avanzando verso di lei e sorrideva. “Come stai?” chiese in finto tono premuroso “Avevo dato ordine di non colpire troppo forte…”

Yara decise di stare al gioco. “Sto bene” rispose con un sorriso, “come procedono i tuoi piani di conquista, zio?”

Euron alzò lo sguardo al soffitto. “A rilento” disse, “i miei uomini non riescono a mettersi d’accordo riguardo a chi resterà a Porto Bianco.”

“Una scelta difficile.”

“Già” assentì Occhio di Corvo, “tutti vorrebbero venire in guerra, ma non posso lasciare la città scoperta, che razza di governante sarei? Un idiota.”

“Lo sei un idiota. Chi è così stupido da confidare al nemico i propri piani?”

Euron scoppiò a ridere tenendosi la pancia. “Ti riferisci all’avvertimento per Daenerys?” chiese, ma era una domanda retorica “E’ stato solo per non rovinare il divertimento.” Yara non capiva.

“Non ci arrivi, vero?” chiese Euron sorridendo “L’ho sempre detto che voi donne non siete intelligenti… Comunque il messaggio per la Madre dei Draghi è semplice: non deve lasciare la Roccia del Drago.”

“Altrimenti?”

“Altrimenti farò uccidere voi, i vostri uomini e tutti gli abitanti di questa città” rispose Euron senza smettere di sorridere.

Yara dovette ammettere che la situazione per Daenerys stava diventando veramente difficile: non avrebbe voluto essere al suo posto. Decise di indagare più a fondo le intenzioni dello zio e fece un passo avanti. “E dopo cosa farai?” chiese “Dopo aver sconfitto Daenerys Targaryen e tutti i suoi alleati… Andrai ad Approdo del Re e ti inginocchierai ai piedi di Cersei?”

Euron rise ancora più forte. “Credi davvero io mi prosterei mai davanti ad una donna?!”

“Ti sei alleato con lei.”

“Certo, ragazzina, mi serviva il suo oro per assoldare i mercenari” disse Euron, “ma i mei alleati sono già all’opera e presto non rimarrà nulla del regno di Cersei.”

Yara si chiese quali fossero questi alleati: forse era solo una menzogna. Pensò di cambiare argomento. “E i draghi?” chiese “Li ho visti con i miei occhi e sono giganteschi: come pensi di affrontarli? Faranno bruciare la tua flotta prima che il tuo esercito arrivi a terra.”

Stavolta il ghigno di Euron era spaventoso e i suoi occhi ardevano di follia. “Ho un’arma” disse piano, “grazie alla quale non dovrò più preoccuparmi dei draghi, anzi…”

Euron inspirò profondamente. “Sai, i draghi serviranno” continuò, “quando la vera guerra inizierà.”

Yara dovette trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo. “Quella contro gli Estranei?” chiese con sufficienza.

Euron la guardò negli occhi. “Esistono” ripeté, “il Dio me l’ha detto…”

“Il Dio Abissale?”

“Il Signore della Luce” disse Euron con gli occhi colmi di venerazione.

Yara fece una smorfia disgustata. “Ora hai abbandonato anche la nostra religione” disse sputando odio ad ogni sillaba, “tu non sei un Uomo di Ferro. E’ stato il mare a darti quella corona, è stato il Dio.”

“Infatti è una corona orrenda” disse Occhio di Corvo ridendo, “ma io non sono cieco come il tuo popolo, Yara, non sono un fanatico come mio fratello e il Signore della Luce mi ha parlato.” Euron fece una pausa: sembrava desideroso di raccontare qualcosa, anche se Yara era sua nemica.

“Un giorno” iniziò infatti, “durante uno dei miei viaggi la nave giunse vicino alle rovine di Valyria. Il mare fumava e l’aria era bollente. Potevo sentire i lamenti dei valyriani che persero la vita durante il Disastro. E fu su una di quelle sponde che lo trovai. Un meraviglioso uovo di drago fossilizzato rosso scarlatto. Pensai subito a quanto ricco sarei diventato dopo averlo venduto, a quanto lontano avrei navigato, ma poi sentii una voce che solo io potevo udire. Mi disse di disfarmi di quell’uovo perché mi avrebbe ricompensato con fuoco e fiamme vere. Così lo gettai in acqua.” Yara quasi non riusciva a credere alla follia di Euron.

“Mi ha detto che sono il prescelto” proseguì Occhio di Corvo sempre più esaltato, “che scenderò in guerra con il mio esercito per sconfiggere gli Estranei e riportare la pace.”

Quel discorso non aveva senso. “E allora perché porti la guerra nei Sette Regni?” chiese Yara scuotendo la testa “Perché uccidi tutte quelle persone?”

Euron inarcò un sopracciglio. “Beh, ho bisogno di un esercito molto grande per affrontare gli Estranei” rispose, poi il suo volto si indurì.

“Era fatta. Io avrei sposato Daenerys ed ereditato il suo regno” disse avvicinandosi minaccioso, “ero perfino riuscito a convincerli di agire per il bene delle Isole di Ferro, che sciocchi! Ma poi arrivate voi, una donna e una sottospecie di essere umano, a mandare in fumo i miei piani!” Euron aveva urlato e sbattuto un pugno sul tavolo. Yara non si era ritratta e lo osservava.

Euron si ricompose. “Vino?” chiese con voce quasi innocente.

La porta si aprì e per lo stupore di Yara entrò Ellaria Sand. Indossava un vestito verde smeraldo di seta frusciante e con una meravigliosa scollatura a cuore. Aveva i capelli puliti e portava dei pesanti pendenti alle orecchie.

“Che ci fai qui?” chiese Yara incredula ed Ellaria si limitò a sorridere.

“E’ vero quello che dicono” ridacchiò Euron, “che le donne di Dorne sono le più belle dei Sette Regni.” Ellaria gli si avvicinò muovendosi sensuale e i due si baciarono avvinghiandosi stretti.

Yara non distolse lo sguardo. “Perché, Ellaria?” chiese con voce carica di rancore.

“Euron ha promesso di tenere le Serpi delle Sabbie al sicuro” rispose Ellaria con un sorriso, “e di assicurare loro un ruolo importante nella nuova corte.”

Ellaria fece una pausa. “A me non interessa chi sieda sul Trono di Spade” spiegò, “l’unica cosa che voglio è vendetta contro i Lannister ed Euron me la concederà.”

“Anche Daenerys lo farà” osservò Yara.

“Cosa pensi farebbe quella ragazzina se Cersei decidesse di arrendersi?” chiese Ellaria provocatoria “La butterebbe in una prigione, ma non la ucciderebbe. Io invece la voglio vedere morire tra atroci sofferenze, lei e quel mostro di Gregor Clegane.”

“Forse non tutte le donne sono stupide dopo tutto” disse Euron con un ghigno, “Ellaria ha dimostrato grande furbizia e sarà ricompensata. Credi di poterlo fare anche tu, nipotina?”

Yara sputò ai suoi piedi. “Non sono una cazzo di traditrice” rispose guardando Ellaria.

“Non eri tu quella che aveva finto la morte del proprio fratello?” chiese la dorniana inclinando la testa. “I soldati parlano” aggiunse quando vide il volto sorpreso di Yara. Poi le si avvicinò.

“Daenerys non ha scampo” sussurrò con il volto a pochi centimetri da quello di Yara, “tra massimo sette giorni il mare e il sole sorgeranno ad ovest.” Yara voleva avventarsi su di lei, ma Euron batté le mani. Entrarono i due uomini di prima.

“Si sono messi d’accordo?” chiese Euron.

“No, vostra grazia” disse il primo uomo, “litigano ancora.”

Euron si passò una mano sul viso con un gesto stanco. “Prendine due” ordinò, “e impiccali. Vedrai come si metteranno subito d’accordo!” Il soldato chinò il capo ed uscì.

“Le navi sono pronte?” chiese Euron “Il resto della flotta è arrivato al porto?”

“Sì, vostra grazia” rispose il secondo uomo, “quali sono gli ordini?”

“Cominciate a caricare i prigionieri” rispose Euron e Yara ne fu colpita: sarebbero partiti anche loro.

“Mia nipote vuole una cabina” disse Euron, “fate in modo che ne abbia una e chiudetecela dentro.”

Yara si sentì nuovamente afferrare, ma si liberò con uno strattone. “So camminare da sola, grazie” disse con voce pungente. Prima di uscire si girò e vide che Euron stava bevendo vino mentre consultava una mappa distesa sul tavolo. Quando il suo sguardo incontrò quello di Ellaria, Yara fu convinta di averla vista ammiccare per una frazione di secondo. Ancora confusa, seguì la guardia fino fuori al palazzo. Le strade di Porto Bianco erano deserte.

“Dove sono i cittadini?” chiese Yara.

“Nelle case” rispose l’uomo che la scortava, “secondo gli ordini di re Euron.”

“Non possono uscire?!” esclamò Yara, ma il soldato non parlò più.

Mentre camminava Yara si guardò attorno. Almeno gli Uomini di Ferro non avevano portato un’eccessiva distruzione, se si escludeva l’incendio al porto e la breccia nelle mura del castello. Quando giunsero al porto, Yara rimase a bocca aperta. Il porto brulicava di barche.

Quindi sono tutte queste le imbarcazioni che Euron ha a disposizione.

Vide Tyene e Benjameen venire costretti a salire su una delle navi e tirò un sospiro di sollievo: sarebbero venuti anche loro. Cosa intende fare Euron? si chiese Yara mentre veniva fatta salire sulla passerella e condotta sottocoperta Perché si porta dietro i prigionieri? Euron non era tipo da negoziati, questo Yara lo sapeva bene, era quindi più probabile che avesse in mente qualche esecuzione dimostrativa del suo potere.

Si ritrovò presto in un’angusta cabina odorante di muffa e sentì la chiave girare nella toppa alle sue spalle. Nella stanzetta vi era un letto, un vaso da notte e un tavolino a tre gambe. Nessun oblò e nessuna tinozza per lavarsi. Yara si passò una mano fra i capelli castani aggrovigliati e sporchi e dovette rassegnarsi all’idea di non poter rimetterli in ordine. Non c’era abbastanza spazio per poter camminare, così Yara si sedette sul letto a riflettere.

Ellaria mi ha fatto l’occhiolino, pensò. Vuol dire che non è veramente una traditrice. Per fortuna Yara non aveva capito subito il suo gioco e le sue reazioni davanti a Euron erano state genuine e assolutamente credibili. Ellaria però aveva detto una frase che continuava ad imporsi prepotentemente sugli altri pensieri.

Il mare e il sole sorgeranno ad ovest ha detto, ricordò portandosi le ginocchia sotto il mento. Che nasconda un messaggio? Yara analizzò per qualche minuto la frase in mente e, quando giunse alla soluzione saltò in piedi.

Ma certo! pensò entusiasta per essere riuscita a capire Gli Uomini di Ferro sono il mare e i dorniani il sole, ma Ellaria ha contato il suo esercito solo per sembrare credibile agli occhi di Euron: in realtà quindi sarà solo il mare a sorgere. Vuol dire che attaccheranno la Roccia del Drago da ovest.

Yara sussultò quando capì cosa esattamente questo comportava. Euron aveva intenzione di colpire lì dove l’isola presentava difese naturali, come scogli a picco sul mare, e che per questo motivo era sempre meno controllata dalle vedette.

Ma stavolta sarebbe servito più di qualche sasso e qualche freccia per tenere testa a Euron Greyjoy.

 

Arya

 

La faccia che Ditocorto fece quando Arya consegnò la lettera a sua sorella era meravigliosa. Sembrava sorpreso che qualcuno avesse potuto trovarla, nascosta com’era. Ma Arya tentò al meglio di non mostrare un’espressione troppo vittoriosa.

“Baelish è pericoloso” l’aveva avvertita il Mastino, “se dovesse sospettare di te, stai certa che manderebbe qualcuno ad ucciderti. Non lui, certo, non vuole sangue sulle sue mani quello stronzo.”

Sansa aveva afferrato la lettera con la stessa foga con cui un naufrago si aggrappa alla mano che lo tirerà a terra. Via via che leggeva Arya vide il volto di sua sorella rilassarsi e le labbra aprirsi in un sorriso. Arya aveva imparato a memoria cosa diceva quel pezzo di carta.

A Sansa Stark, lady di Grande Inverno e del Nord

L’ultima lettera che ti ho inviato era da Porto Bianco, quindi la tua risposta non mi è mai arrivata. Spero che tu stia bene e che riesca a svolgere i tuoi compiti senza angoscia. Sei nata per governare, Sansa. Non temere di prendere decisioni drastiche se necessario, e non esitare a dare ordini diversi da quelli che avevo dato io se lo ritieni giusto. Ti chiedo solo una cosa: non togliere la guarnigione che ho inviato alla Barriera. I Guardiani della Notte avranno bisogno di ogni uomo che è partito per il Castello Nero e anche così non saranno sufficienti. Durante il viaggio la mia nave è stata attaccata dagli Uomini di Ferro e ho saputo che sono guidati da Euron Greyjoy. Io sto bene, sono arrivato alla Roccia del Drago e ho incontrato la Madre dei Draghi: credo un’alleanza non sia impossibile. Purtroppo gli altri uomini che erano partiti con me sono morti, ti prego di riferirlo alle loro famiglie e di fare qualcosa per onorarne la memoria. Mi manchi, ma sarò presto di ritorno al Nord. Salutami Spettro, Tormund e tutti gli altri lord. Sii forte, Sansa.

Jon

Fortunatamente Sansa aveva avuto il buonsenso di non leggerla ad alta voce. Arya aveva trascorso molto tempo a fissare quel pezzo di carta. Le era quasi sembrato di udire la voce di Jon. Aveva provato un desiderio fortissimo di scrivergli, dirgli che era viva e che portava ancora Ago legata alla cintura. Ma sapeva di non poterlo fare.

Lei e il Mastino stavano seguendo un piano pericoloso, non potevano permettersi di sbagliare o il Nord sarebbe caduto nelle mani di Ditocorto. Per il momento quindi nessuno al di fuori della Fratellanza senza Vessilli doveva sapere che Arya Stark era ancora viva. E soprattutto non devono sapere che vivo sotto il loro stesso tetto.

Sansa avanzò mettendosi proprio davanti a lei. “Dove l’hai trovata, Myun?” chiese con voce dolce.

Arya si finse spaventata. “Per terra” disse facendo tremare il labbro, “non so come ci fosse finita, ma era per terra con il sigillo rotto. Mi dispiace, non avrei dovuto leggerla…”

Sansa sorrise. “Non preoccuparti” disse gentilmente, “tutto il Nord ti è debitore. Se non fosse stato per te avremmo creduto che il re fosse morto.”

Sansa si rivolse alla sala rimasta in silenzio. “Re Jon è arrivato alla Roccia del Drago” confermò a piena voce, “e ha incontrato Daenerys Targaryen. Forse stringeranno un’allenza, ma in ogni caso Jon tornerà presto a Nord. La sua nave è stata davvero attaccata dagli Uomini di Ferro e mi duole dirvi che solo mio fratello è sopravvissuto.”

Ci furono mormorii ed esclamazioni spezzate. Tormund venne verso Sansa. “Euron ha quindi mentito?” chiese.

“In parte” rispose Sansa, “solo per quanto riguarda la presunta morte di Jon.”

“Quindi potrebbe aver mentito anche riguardo a Porto Bianco” suggerì speranzoso lord Manderly.

“Temo di no, mio signore” intervenne Ditocorto, “ho ricevuto altri messaggi riguardo a questo spiacevole fatto.”

“Taci se non vuoi che ti colpisca di nuovo” minacciò il bruto, “e stavolta più forte.”

“Tormund, calmati” disse Sansa. “Baelish ha ragione stavolta: Euron ha davvero preso Porto Bianco.”

“Quindi cosa faremo?” chiese Alys Karstark raggiungendo Sansa “Forse la cosa più giusta è richiamare gli uomini dalla Barriera e mandarli a Porto Bianco.”

Ci furono esclamazioni positive, ma Sansa scosse la testa. “Questo non è fattibile” disse e Arya sorrise, “mio fratello in questa lettera mi dice espressamente di non togliere la guarnigione alla Barriera.”

“Mia signora…” iniziò Baelish, ma Sansa lo interruppe subito. “Questa è la mia decisione” disse gelida fissando Ditocorto negli occhi, “e non cambierò idea. Inoltre Euron minaccia di sterminare tutti i cittadini di Porto Bianco se dovessimo tentare di riprendere la città.” Stavolta quasi tutti annuirono.

“Questa è la decisione di tuo fratello” disse Ditocorto a bassa voce venendo comunque udito da tutti.

Lord Glover si alzò in piedi. “Dimmi, lord Baelish” disse in tono duro, “sei così ansioso di screditare ai nostri occhi e a quelli della nostra lady il re che abbiamo scelto? Tu non sei del Nord, quindi non hai voce in queste faccende.” Ditocorto sorrise ed Arya sentì prudere la mano dalla voglia di ficcargli Ago in un occhio.

“Fare domande è il mio lavoro” rispose Baelish, “solo domande insistenti possono mettere in luce i punti deboli di un governo e solo sapendoli si può migliorare.” Arya lo odiava per quello che diceva, per tutto quello che riusciva a trasformare in belle parole.

“Tu sei un codardo” ringhiò Tormund, “non diresti queste cose se Jon fosse qui.”

“E perché mai?” chiese subdolo lord Baelish.

“Perché ti avrebbe già passato da parte a parte con la sua spada.”

Ditocorto ridacchiò. “Così?” chiese “Senza un processo? Credo che quello che sta insultando il nostro re sia tu.”

“Oltre la Barriera se qualcuno si azzardava a minacciare il re che seguivamo” disse Tormund facendo un passo verso Ditocorto, “si beccava un’ascia nel culo prima di aver modo di aprire bocca un’altra volta.”

“Allora siamo fortunati a non essere oltre la Barriera” replicò Baelish senza smettere di sorridere. Arya vide sua sorella alzare gli occhi al cielo.

“E’ inutile discutere di queste cose” disse infatti Sansa infastidita, “Tormund imparerà a controllarsi, ma tu, Baelish, non ti azzarderai mai più a mancare di rispetto a mio fratello. Mi sono spiegata?”

Baelish aprì la bocca per ribattere, ma dovette cambiare idea, perché scosse la testa. “Sì, mia signora.”

Sansa annuì. “Bene” disse, “potete andare, la riunione è finita.”

“Ma, mia signora” intervenne Wyman Manderly, “che ne sarà della mia città?”

“Non posso risolvere un problema così importante da sola” rispose Sansa, “devo confrontarmi con i miei consiglieri più fidati.”

“Siamo noi i tuoi consiglieri più fidati” intervenne Cley Cerwyn.

“E allora ricordami, lord Cerwyn” disse Sansa, “dov’eri durante la battaglia contro Ramsay Bolton?” Cerwyn abbassò lo sguardo ed Arya fissò con orgoglio sua sorella: era davvero cambiata.

“Tutti fuori” ordinò Sansa, “tranne Tormund, Alys Karstark e Lyanna Mormont. Podrick, fai mettere sei guardie fuori dalla porta.” Arya fece per uscire. “Rimani anche tu, Myun” la richiamò però Sansa. Quando tutti furono usciti e la porta richiusa, Sansa si rilassò. Arya si sedette accanto alla ragazzina di nome Lyanna Mormont.

“Quella sottospecie di ratto di palude” sibilò Tormund, “lascia che io lo uccida. Potrei tagliargli il…”

“Basta così!” esclamò Sansa “Ditocorto minaccia ogni singolo essere vivente che viene a contatto con lui, ma abbiamo bisogno di lui.”

“Dei suoi uomini” osservò Tormund, “e non certo al Moat Cailin dove li ha piazzati.”

“Lord Baelish andrebbe punito” disse la piccola Lyanna con la fronte corrugata, “sta tramando qualcosa.” Arya la guardò con ammirazione: così piccola eppure così in grado di comprendere il succo del problema invisibile ad altri.

“Ora forse stiamo esagerando” si intromise Alys, “non credo Baelish abbia cattive intenzioni.” Si voltò verso Sansa. “Ho visto come ti guarda” disse, “come ti segue, come ti parla. Credo che provi, diciamo, qualcosa per te. Non sopporta l’idea di vederti messa da parte, tutto qui.”

Arya capì all’istante di non potersi fidare di Alys Karstark. Se era davvero sveglia come sembrava, allora avrebbe dovuto accorgersi del comportamento di Ditocorto. Si rese conto che Sansa le aveva appena posto una domanda.

“Chiedo scusa, mia signora. Ero distratta…”

“Ti ho chiesto dove esattamente hai trovato quella lettera” ripeté pazientemente Sansa.

Arya avrebbe voluto dirle di averla rubata dalla scrivania di Ditocorto, ma la presenza di Alys le frenò la lingua. Doveva prima scoprire da che parte stesse quella ragazza. “Nel corridoio” rispose allora aggrottando le sopracciglia, “non saprei dire quale, sembrano tutti uguali.”

“Come mai l’hai raccolta?” chiese Lyanna Mormont e Arya fu certa di aver sentito il sospetto nella sua voce.

“Era per metà aperta, mia signora” disse Arya, “ho visto che c’era scritto qualcosa e l’ho raccolta.”

“Perché l’hai letta allora?” insistette la ragazzina.

“Perché volevo sapere a quale lord dovevo restituirla…”  

“Il nome del destinatario è scritto sempre in cima” disse ancora Lyanna senza cambiare espressione, “perché avresti avuto bisogno di leggerla tutta?”

“Lady Mormont, credo sia sufficiente così” intervenne ridendo Alys, “non vorresti spaventarla…”

“Volevo solo vedere se era fedele” replicò Lyanna stringendosi nella sua pelliccia.

“Mi fido di Myun” disse Sansa, “sa tenere i segreti che contano.”

“Cosa intendi fare riguardo a Porto Bianco?” chiese Alys.

Sansa sospirò. “Abbiamo le mani legate” rispose, “ma una cosa è certa: non è il Nord che Euron vuole, non ancora almeno.”

“Quale sarà la sua prossima mossa?” chiese Tormund “Se non vuole il Nord cosa farà?”

“Baelish ha detto che ha agito contro gli ordini di Cersei” osservò Alys, “forse l’ha tradita e vorrà attaccare Approdo del Re.”

Sansa scosse la testa. “E con quali uomini?” chiese “Le Isole di Ferro non sono molto popolate.”

“Allora il suo bersaglio è un altro” fece notare Tormund, “la ragazzina dei draghi.” Tutti si voltarono a fissarlo.

“Attaccherà la Roccia del Drago?” chiese Sansa “Ma Daenerys ha molti alleati, non potrebbe mai avere la meglio.”

“Si dice che Euron sia un folle” osservò Alys.

Sansa strinse le labbra. “Jon è su quell’isola” sussurrò, “e anche Davos e Brienne.”

“Saranno tornati prima dell’attacco” la rassicurò Alys, “semmai ce ne sarà uno.”

“Non credi sarà così?” chiese Tormund.

“No” rispose Alys, “secondo me folle o non folle Euron sta semplicemente facendo quello che i Greyjoy sanno fare meglio: saccheggiare villaggi e incendiare città. Niente di più.”

“Ma Porto Bianco è la città più grande del Nord” ricordò Lyanna, “nessun Greyjoy l’aveva mai attaccata.”

“Per questo credo che Euron sia folle” replicò Alys con un sorriso. Poi si voltò verso Sansa. “Abbiamo già abbastanza problemi qui” disse, “non caricarti anche di quelli degli altri. Jon ha detto che tornerà presto e così sarà. Soprattutto se saprà cosa è successo a Porto Bianco.”

Sansa annuì. “Per oggi basta così” disse, “andate tutti a riposarvi, domani dovremo prendere decisioni importanti.” Tutti chinarono la testa e uscirono.

“Se posso” disse Arya, “io tornerei direttamente alla locanda dove alloggio…”

“Neanche per sogno” rise Sansa, “d’ora in poi dormirai nella stanza accanto alla mia: ora fai parte dei miei consiglieri.”

Il cuore di Arya perse un battito. “Ma, mia signora” disse, “quella era la stanza di tua sorella…” Arya vide commossa che gli occhi di Sansa erano lucidi.

“Come fai a saperlo?”

“Una dama me l’ha detto” inventò Arya.

“Ho già fatto preparare la stanza” disse Sansa voltandole le spalle, “voglio vederla di nuovo occupata.”

“Grazie, mia signora.”

“Chiamami Sansa” le ricordò lei, “ora va’, ci vediamo dopo.”

Arya fece un cenno con il capo ed uscì, lasciando la sorella con le mani appoggiate sul tavolo e la testa china, Spettro addormentato sotto il tavolo. Salì di corsa le scale, ma non andò nella sua nuova stanza. All’ultimo piano picchiò forte alla porta di Sandor.

“Chi cazzo è?” ringhiò la voce del Mastino da dentro. Perché urlava sempre?

“La sguattera, milord” disse Arya, “devo pulire il pavimento…”

“Vallo a pulire da un’altra parte” replicò Sandor Clegane.

Arya perse la pazienza. “Se non apri subito questa porta” minacciò, “andrò a raccontare a mia sorella di quella volta che mi hai detto che avresti voluto scopartela a sangue.” Ci furono attimi di silenzio. Poi la porta si aprì.

“Entra” disse solamente il Mastino.

Arya corse dentro e si tolse il volto di Myun. “Forse dovremmo creare una parola d’ordine per entrare” suggerì.

Il Mastino fece una smorfia. “Non stiamo giocando, ragazzina” borbottò, “cosa hai scoperto a quel dannato Concilio Ristretto?”

Arya sospirò e si sedette sul letto. “Euron ha conquistato Porto Bianco.”  

“Chi cazzo è ora questo Euron?” chiese Sandor e Arya lo fulminò con lo sguardo. “Euron Greyjoy” precisò, “Re delle Isole di Ferro.”

Il Mastino grugnì. “E allora?”

Arya balzò in piedi. “Come allora?!” esclamò “Hanno attaccato il Nord mentre mio fratello è via!”

“Intelligenti” replicò Sandor guadagnandosi uno spintone da parte di Arya.

“Non sei d’aiuto” sibilò lei.

“E neanche tu” osservò Clegane, “vuoi davvero aiutare tua sorella? Rivelati e metti fine a questa sceneggiata.”

“Sei proprio stupido, sai.”

Il Mastino scoppiò a ridere e si versò il vino. Arya gli strappò il calice e lo scagliò a terra. “In mia presenza resterai sobrio” ordinò coprendo le imprecazioni di Sandor, “e ora ascoltami bene.” Lo guardò dritto negli occhi.

“Questo castello è pieno di spie” iniziò, “e non so di chi posso fidarmi e di chi invece no. Hai sentito quello che Baelish ha detto riguardo ai Cavalieri della Valle e dobbiamo fermarlo.”

“Tua sorella controlla un esercito che sarà il doppio di quello della Valle” obbiettò Sandor, “Baelish non può fare nulla.”

Arya alzò gli occhi al cielo. “L’esercito del Nord è decimato” spiegò, “hai visto quanti uomini sono stati massacrati alle Nozze Rosse e molti altri sono morti durante la Battaglia dei Bastardi, o almeno così è come la chiamano ho sentito. Jon ha inviato parecchi uomini alla Barriera e Porto Bianco è stata presa. Gli uomini rimasti vengono da casate minori: Umber, Karstark e Manderly sono fuori gioco.”

“Se non sbaglio” la interruppe il Mastino, “il Nord può contare sull’appoggio di tuo zio.”

“Ho lasciato mio zio a Delta delle Acque e sono sicura abbia riassemblato l’esercito Tully” disse Arya, “ma non potrà venirci in aiuto. I Frey minacciano la sua terra e anche i Lannister. Inoltre nessun esercito che viene dal Sud può sperare di marciare a Nord durante l’inverno.”

Arya abbassò lo sguardo. “E poi” proseguì, “quando ho lasciato Delta delle Acque ho liberato tutti i corvi perché mio zio non potesse informare Jon di avermi trovata.”

Il Mastino sembrava sorpreso. “Come fa il Nord a essere certo dell’alleanza con i Tully se non possono essere arrivati corvi?”

Arya scoppiò a ridere. “Oh uno ne è arrivato” disse, “ma ho fatto in modo di cancellare la parte della lettera che parlava di me.”

Poi tornò seria. “Baelish controlla la corrispondenza fra Sansa e Jon” disse, “nel suo cassetto ho trovato tutte le lettere che Jon aveva spedito a Sansa e che lei diceva non esserle mai arrivate. Ce n’erano anche altre di mittenti diversi tra cui una di Daenerys Targaryen.”

“Sai che Baelish sta architettando qualcosa” disse il Mastino, “perché non uccidiamo lo stronzo e la facciamo finita?”

Arya scosse la testa. “Ditocorto è abile” disse, “se lo accusassimo senza prove riuscirebbe a scagionarsi sicuramente. Dobbiamo agire nell’ombra e fargli fare un passo falso.”

Arya si avviò verso la porta. “Baelish intende prendere il Nord” ripeté, “i suoi Cavalieri sono appostati al Moat Cailin, a un giorno di galoppo da qui. Se iniziasse a sentirsi minacciato darebbe l’ordine di attaccare e per come siamo messi ora vincerebbe. Dobbiamo agire in fretta e pedinarlo per scoprire di più e quando sarà il momento metterlo alle strette.” Arya aprì la porta.

“E intendi fare tutto da sola?” chiese il Mastino.

“Ho detto noi” osservò Arya e Sandor ridacchiò.

“Hai detto anche che non ti fidi di nessuno” le ricordò lui, “nemmeno di tua sorella, perché non le dici chi sei davvero.”

“Non voglio metterla nei guai” si giustificò Arya, “sarà pericoloso.”

“Non ti fidi di lei” ripeté il Mastino, “ma ti fidi di me?”

Arya gli voltò le spalle ed uscì.

“Sì.” .

 

Brienne                                                                                                                   

 

Jaime non si era mosso neppure quando Garth Hightower l’aveva minacciato. Da dietro i soldati della prima fila, Brienne l’aveva visto alzarsi in piedi in silenzio e l’aveva udito chiedere ad Olenna di interrompere l’attacco. Ovviamente la Regina di Spine aveva rifiutato e presto erano tornati tutti indietro. “Lady Olenna ha dato ai Lannister un’ora per arrendersi” spiegò Nymeria, “ora monteremo l’accampamento.”

Le tende furono piantate a sud. Brienne seguì Nymeria, lasciandosi alle spalle il castello e Jaime. E’ ovvio, pensò, avrei dovuto immaginare di trovare Jaime qui, è il comandante dell’esercito di Cersei. Eppure si era sempre convinta che quello avvenuto a Delta delle Acque fosse stato il loro ultimo incontro. Aveva pensato che non l’avrebbe più rivisto. E invece era stato là, a pochi metri da lei, e probabilmente neanche l’aveva notata. Brienne se lo augurava.

Tirò le briglie del cavallo e scese. Lo lasciò libero ed entrò nella tenda dei comandanti dell’esercito. Come si aspettava vi trovò Olenna che si versava da bere, Garth e il fratello nel mezzo di un acceso litigio e Nymeria che se ne stava in piedi in disparte con Rakandro.

“Voglio ucciderlo!” stava urlando Garth “Hai visto cosa ha fatto a nostra sorella, Baelor, come puoi dirmi di stare calmo?!”

“Non è il momento giusto per la vendetta” replicò Baelor, “ora devi pensare a guidare l’esercito in battaglia…”

“Si fotta l’esercito” imprecò Garth, “io andrò a vendicare mia sorella.”

Baelor lo afferrò per le spalle. “Sei diventato matto, fratellino?” chiese “Sei il comandante, devi condurli alla vittoria e poi potrai pensare a Jaime Lannister.”

“Allora ti cedo il comando” disse Garth in tono di sfida.

“Non è me che hanno scelto come condottiero” replicò freddo Baelor.

“Ma sentitevi” li interruppe Olenna, “sembrate due bambini viziati. Garth, ti sei dimenticato perché siamo venuti qui? Dobbiamo sconfiggere i Lannister.”

Garth la guardò con odio. “Forse sei tu ad averlo dimenticato perché siamo qui” ribatté in tono insolente, “se davvero vuoi andare ad Approdo del Re contro gli ordini della regina.”

“Frena la lingua, ragazzino” lo avvertì Olenna, “ricorda con chi stai parlando. Ora che vostra sorella ha avuto la meravigliosa idea di uccidersi sono l’ultima dei Tyrell ancora viva: abbi rispetto.”

“Alerie è stata uccisa dallo Sterminatore di Re” sibilò Garth.

“Oh andiamo!” esclamò Olenna posando il calice “Hai stretto quel cadavere per almeno cinque minuti e non ti sei accorto che aveva ancora un pugnale in mano?”

Garth parve sorpreso, ma si ricompose subito. “Possono averlo messo i Lannister” suggerì, “per farci credere si tratti di suicidio.”

“Se avessero voluto farci credere fosse stato un suicidio” replicò la Regina di Spine, “l’avrebbero buttata giù dalle mura.” Sospirò. “Alerie si è tolta la vita” continuò, “ma ciò non prescinde il fatto che sicuramente sia arrivata a tale gesto a causa dello Sterminatore di Re.” Ora Garth taceva. Brienne capì che era il momento adatto per farsi avanti.

“Lady Brienne” la salutò Olenna, “vedo che non sei ancora partita per il Nord…”

Brienne abbassò il capo. “La strada è bloccata dall’esercito Lannister” spiegò, “ci sono sentinelle ovunque. Non posso rischiare di essere vista.”

Olenna annuì. “Bene” disse, “puoi farmi compagnia nella mia tenda durante la battaglia. Quando avremo vinto sarai libera di proseguire.”

“Oppure puoi combattere con noi” suggerì Nymeria, “ho sentito storie su di te: si dice che tu sia riuscita a tenere testa allo Sterminatore di Re quando ancora aveva la mano destra.”

In realtà lo stavo battendo.

“Nymeria” la richiamò Olenna, “lady Brienne non è qui per combattere per noi.”

“Non preoccuparti, mia signora” disse Brienne, “credo seguirò il consiglio di Nymeria. Combatterò per sdebitarmi.”

“E per quale debito?” rise Olenna.

“Mi hai liberata” rispose Brienne, “se non posso mettermi subito in viaggio per il Nord, almeno posso dare il mio contributo per far terminare al più presto questa battaglia.”

Olenna annuì. “Apprezzo molto il tuo aiuto, Brienne” disse in tono straordinariamente affettuoso, “e sappi che non verrà dimenticato. Appena avremo vinto ti verrà dato un cavallo fresco e, se li desideri, anche degli uomini che ti accompagnino a Grande Inverno.” Brienne sorrise.

In quel momento entrò nella tenda un soldato trafelato. “Mia signora” ansimò, “sono arrivati i rinforzi di Randyll Tarly e Orton Merryweather. Ser Jaime Lannister è andato a incontrare i comandanti.”

“Quei traditori” sibilò Olenna, “uccidetene quanti più riuscite, che vedano cosa succede a chi si ribella ai Tyrell.” Tutti annuirono e Nymeria si leccò le labbra. Il soldato si guardava nervosamente intorno.

“C’è altro?” chiese Garth facendo un passo avanti.

“Mia signora” disse l’uomo fissando Olenna, “Jaime Lannister ha preso il castello. Ha posto i suoi uomini all’interno.”

“COSA?!” urlò la Regina di Spine e il soldato sobbalzò “Come osa quel… quel...”

“Deve aver capito che non gli conveniva affrontare i Dothraki in campo aperto” suggerì Baelor scoccando un’occhiata a Rakandro.

“Certo che non gli conviene!” esclamò Olenna mettendosi a camminare intorno al tavolo. Congedò con un gesto il soldato che schizzò fuori dalla tenda.

“Jaime non è mai stato ad Alto Giardino” disse come parlando da sola, “vedrà le sue mura per quello che sembrano, un ammasso di rose e piante.” Olenna sollevò la testa. “Metterà degli uomini intorno alle mura” concluse. Si voltò verso Rakandro.

“Credi di poter sfondare le loro difese esterne?”

L’enorme guerriero aggrottò le sopracciglia. “Certo” rispose con quel suo tono aspro, “miei soldati essere i più forti.”

“Ottimo” disse Olenna, “li condurrai…”

“Condurre dove volere io” rispose minaccioso Rakandro, “non prendere ordini da te.”

Olenna rise. “Va bene” disse divertita, “tanto quei selvaggi ovunque vadano portano distruzione, quindi suppongo un posto vale l’altro.”

“Io porterò i miei uomini sotto le mura” disse Garth, “lo Sterminatore di Re sarà sicuramente là.”

“Ed è proprio per questo che sotto le mura ci andrà tuo fratello” disse Olenna e Garth strinse i pugni. “Baelor” proseguì la vecchia, “tu guiderai l’esercito Tyrell e tenterete di entrare. Sei già stato ad Alto Giardino, vero?” Baelor annuì.

“Bene” disse Olenna, “vorrà dire che una volta dentro saprai come muoverti e cerca di non distruggere i giardini.”

“Farò del mio meglio, mia signora” promise Baelor.

“E io?” chiese nervoso Garth “Che ruolo ho io in tutto questo?”

“Tu e Nymeria guiderete un pugno di uomini che sceglierete personalmente” spiegò Olenna, “e scalerete le mura ad ovest.”

“Scalare le mura?” chiese scettica Nymeria.

Olenna Tyrell si voltò verso di lei. “Sì, cara” disse, “suppongo tu sappia cosa significa scalare…”

“Ma a cosa serve?” la interruppe Garth sempre più impaziente “La battaglia sarà dall’altro lato, faremo la figura dei codardi.” Brienne non era sicura di considerare Garth Hightower intelligente. Era coraggioso, certo, ma metteva sempre tutto in discussione ed era più testardo di un mulo.

“Se non mi avessi interrotto” stava dicendo la Regina di Spine, “avresti avuto la risposta alla tua futile domanda. Conosci il castello, vero, ragazzo?” Garth annuì.

“E allora saprai che non è come appare” continuò Olenna. “Jaime si sbaglia di grosso se crede che Alto Giardino sia difeso solo dalle mura e dal torrente. Il castello è stato progettato per apparire invitante e per ingannare i nemici, che non avrebbero considerato bene le forze necessarie per prenderlo.” Olenna fece una pausa per riprendere fiato.

“Ma si dà il caso che io abbia passato metà della mia vita fra quelle mura” proseguì poi, “e che sappia cosa c’è fra le mura interne e il palazzo.” Fece una pausa d’effetto.

“Un labirinto.”

Brienne non ne fu sorpresa. Ricordava bene di come Mace Tyrell si fosse vantato di quell’attrazione con suo padre. Non capisco però come possa aiutare in questa situazione..

“Davvero?” chiese Garth confuso “E’ solamente una leggenda, come quella del Titano che si risveglia per proteggere Braavos…”

“Oh no, esiste sul serio” spiegò Olenna. “E’ così intrigato che chiunque non conosca la strada vi si perderà in pochi minuti. Il vostro compito è attrarre i soldati di guardia nei cortili interni nel labirinto, così che possiate ucciderli tutti nonostante lo svantaggio numerico.”

“Chiedo scusa, mia signora” intervenne Brienne, “ma come è composto questo labirinto?”

Olenna le sorrise. “Alto Giardino ha due cerchie di mura oltre a quelle che proteggono il palazzo vero e proprio” spiegò, “e quella più interna, quella che circonda il labirinto, presenta quattro porte. Quella a est, che si apre su un viale che arriva direttamente al palazzo, si trova davanti al portone principale che i Lannister stanno così coraggiosamente difendendo e in questo momento è chiusa.”

“Come fai ad esserne sicura?” chiese Nymeria.

“Perché Alerie prima di uscire ad incontrare lo Sterminatore di Re l’ha fatta chiudere” rispose Olenna.

“Ma come fai a saperlo?” insistette Nymeria Sand.

Olenna sospirò. “Perché quando la porta viene chiusa automaticamente sventola la bandiera di guerra” disse. Ci furono attimi di silenzio.

“E le altre tre porte sono aperte invece?” chiese infine Garth versandosi da bere.

“Certo” rispose la Regina di Spine, “altrimenti come potreste entrare nel labirinto? Entrerete dalla porta ovest e costringerete quei soldati Lannister a seguirvi. I Dothraki e l’esercito di Baelor intanto sbaraglieranno le milizie poste all’esterno e quando Jaime vedrà che sono arrivati al portone e che i suoi uomini dentro il castello sono scomparsi si arrenderà.” Brienne ne dubitava fortemente, ma non disse nulla.

“Mi sembra un buon piano” ammise Garth ora più tranquillo, “ma come ci orienteremo noi nel labirinto?”

“Il labirinto è composto da siepi” spiegò Olenna, “tra cui crescono delle piante sempre in fiore. Ve ne sono di tutti i colori e sembrano crescere a caso, ma ad ogni colore corrisponde un percorso. Se seguite i fiori blu arriverete al palazzo interno, con quelli gialli alla porta nord, con i rossi alla porta sud e con i viola potrete ritornare se necessario alla porta ovest. Ricordate che gli uomini di Jaime si trovano nei cortili davanti alla porta est, che è chiusa, e farete meglio a dividervi in gruppi per non dare nell’occhio. Se i nemici sono troppi, nascondetevi e aspettate i rinforzi di Baelor. Avete capito?” Nymeria e Garth annuirono.

“Bene” disse Olenna, “ora andate a cercare gli uomini che vi servono.”

Nymeria e Garth scomparvero e Olenna si rivolse a Brienne. “E tu? Sei ancora convinta di voler combattere questa battaglia?”

“Sì” rispose solenne Brienne, “a quale gruppo verrò assegnata?”

La vecchia rise. “A nessuno” rispose, “sarai tu a scegliere, mi sembra il minimo che io possa fare per ringraziarti del tuo aiuto.” Brienne sorrise.

“Allora se è possibile andrò con il gruppo di Baelor Hightower.”

“Più che possibile” disse la Regina di Spine, “e ora va’ con Baelor che ti indicherà la tua posizione.” Così Brienne seguì l’erede di Vecchia Città fuori dalla tenda.

“Sai combattere bene, mia signora?” chiese Baelor e Brienne annuì.

“Me la cavo meglio di molti…”  

“Sei troppo modesta” disse dolcemente Baelor, “io sono sicuro che le storie che si raccontano su di te siano tutte vere.” Si fermò a guardarla negli occhi. “Perciò ti chiedo di dividere con me il comando della guarnigione.”

“E’ un onore che non posso accettare” si affrettò a rispondere Brienne colpita dalla galanteria del giovane.

“Insisto” disse Baelor Hightower, “avrò bisogno d’aiuto…” Brienne chinò il capo con umiltà. “Grazie, mio lord.”

“Non sono ancora un lord” osservò lui, “puoi chiamarmi solo Baelor. Ah, ecco il fabbro… Chiedo scusa…” Baelor si allontanò e Brienne si diresse verso il proprio cavallo. Vide Nymeria parlare con Rakandro mentre accarezzava la criniera di Stalagmite.

“Vado a scalare le mura” stava dicendo la ragazza, “e poi in un labirinto. Se riesci a sfondare lo schieramento dei Lannister in fretta puoi raggiungermi.” Stava avvolgendo la frusta intorno al palmo della mano sinistra. Poi gettò le braccia al collo del guerriero che la sollevò. I piedi di Nym sfioravano appena terra.

“La tua barba fa il solletico” scherzò lei, “la taglierai per me?” Rakandro annuì e la baciò. Rimasero stretti per parecchi momenti e Brienne si costrinse a distogliere lo sguardo. Vide un cavallo sfrecciare verso la tenda dove era rimasta Olenna e il suo cavaliere portare una bandiera bianca. Trasportava qualcosa, ma Brienne non era interessata a scoprire cosa.

Montò in sella e guidò il cavallo verso soldati raggruppati sotto il vessillo dei Tyrell. Presto Baelor le fu affianco. Il gruppo di Nymeria e Garth si era già messo in cammino a piedi quando suonarono le trombe. Quasi immediatamente l’aria fu colma di polvere e di grida di Dothraki urlanti che lanciavano i loro cavalli al galoppo giù dalla collina.

“Non c’è bisogno di tanto chiasso” la rassicurò Baelor, “i Dothraki faranno il lavoro sporco e noi dovremo solamente raccoglierne i frutti.” Poi alzò la mano e diede il segnale.

L’esercito iniziò a muoversi e Brienne era sempre più sorpresa di trovarsi in testa. Il castello le si parò davanti agli occhi e vide soldati con i colori dei Lannister serrare i ranghi davanti al portone. Sulle mura c’erano arcieri che ancora non risciuva a distinguere bene e l’avanguardia era composta dagli uomini di Tarly e Merryweather. Quando furono abbastanza vicini, Brienne riconobbe con un tuffo al cuore Jaime in piedi sulle mura a dare ordini. Indossava l’armatura, ma aveva la spada infilata nel fodero. Stranamente gli arcieri non scoccavano alcuna freccia. I Dothraki stavano combattendo furiosamente contro i soldati di Tarly e Brienne era quasi accecata dalla brutalità con cui macellavano i nemici.

“Mia signora” le sussurrò Baelor, “Rakandro tenterà di arrivare al portone procendondo dritto, ma noi dobbiamo attaccare i soldati Lannister dai lati. Io andrò a sinistra e tu a destra: li prenderemo con una manovra a tenaglia.”

Brienne in verità non era molto esperta di battaglie, ma annuì ugualmente. Baelor si voltò e gridò ordini su ordini. Davanti a loro un Dothraki aveva appena cavato l’occhio ad un soldato che vestiva lo stemma dei Tarly e lo aveva buttato giù da cavallo.

“VAI!” urlò Baelor e Brienne senza pensarci troppo spinse il cavallo al galoppo verso destra.

Non si voltò per vedere quanti uomini la stessero effettivamente seguendo e rimase concentrata. Superò il piccolo ruscello facendo fare al cavallo un balzo senza fermarsi nemmeno un secondo. Sulle mura vide Jaime agitarsi e gridare altri ordini incomprensibili e una pioggia di frecce si abbatté su di loro. Brienne raggiunse le mura e sentì uomini urlare di dolore alle sue spalle, probabilmente feriti dalle frecce dei difensori del castello.

“Avanti!” urlò estraendo la spada.

Si scontrarono con i soldati Lannister appostati fuori dalle mura mentre le frecce continuavano a cadere e a mietere vittime. Una colpì Brienne alla spalla, che fortunatamente era protetta dall’armatura. Un uomo a cavallo le venne addosso e Brienne dovette squarciargli il petto per evitare che le fracassasse il cranio con la sua ascia.

Continuò a combattere limitandosi ad uccidere senza poter portare avanti un vero duello. Un giovane la pregò di risparmiarlo, ma Brienne lo trapassò con la spada in ogni caso. I guerrieri Lannister apparivano esausti e mal equipaggiati, ma Brienne sapeva che non avrebbero esitato ad ucciderla se si fosse mostrata troppo clemente. Il suo gruppo stava avanzando bene e Brienne riusciva ora a vedere il portone, prima che fossero caricati da una nuova schiera di soldati provenienti dall’interno.

Jaime era scomparso dalle mura, ma lei non aveva tempo di chiedersi dove fosse andato. Erano stati respinti indietro dai soldati appena arrivati e rischiavano di perdere il terreno che avevano conquistato. Brienne uccise un altro paio di fanti e si aprì un varco verso il portone.

Dall’altro lato Baelor non era ancora riuscito a fare breccia nello schieramento avversario. Gli uomini che erano partiti con Brienne erano rimasti troppo indietro e lei decise di andare avanti da sola.

Vide un cavallo farsi largo fra i ranghi e galoppare dentro le mura. Brienne intuì che doveva trattarsi di Randyll Tarly. Perché mai stava abbandonando i suoi uomini alla furia dei Dothraki?

In quel momento il cavallo di Brienne venne colpito da una freccia e si impennò. Brienne fu costretta a saltare a terra mentre la bestia si accasciava agonizzante. Si mise a correre verso il portone, ma fu costretta a fermarsi. La soglia era difesa ancora da un ultimo cavaliere.

“Da qui non si passa, mia signora” disse sorridendo Bronn.

 

Daenerys

 

La cerimonia fu semplice. Gendry si era inginocchiato ai suoi piedi e Verme Grigio le aveva portato la spada che era appartenuta a Brienne. Giuramento, la chiamava Davos. Aveva una magnifica elsa dorata tempestata di rubini e Daenerys dovette faticare non poco per brandirla. Tutti i presenti si erano disposti a semicerchio intorno a loro e Gendry aveva abbassato la testa a disagio.

Varys le aveva suggerito in precedenza le parole da utilizzare, ma Dany temeva di averle dimenticate. Suonavano troppo formali. Sollevò Giuramento e la appoggiò delicatamente sulla spalla sinistra di Gendry, che sussultò appena. Daenerys fece scorrere lo sguardo sui volti degli spettatori e vide che Jon la stava fissando impassibile.

Sentendo il peso del suo sguardo, Dany si concentrò sul proprio compito. “Io” iniziò con il tono più solenne che riuscì a tirar fuori, “Daenerys Targaryen, prima del mio nome, regina dei Sette Regni e protettrice del Reame, legittimo te, Gendry Waters, come figlio di Robert Baratheon.” Porse la spada a Verme Grigio.

“Ora alzati come Gendry Baratheon, lord di Capo Tempesta.”

Gendry quasi incespicò nel tentativo di alzarsi in fretta. “T-ti ringrazio per la tua cortesia, mia regina” balbettò, “e m-mi impegno ad eseguire i tuoi ordini.”

Daenerys sorrise. “Bene” disse, “allora io ti esorto, mio signore, a radunare i tuoi alfieri e a combattere per la tua regina.”

“E per il mio re” si lasciò sfuggire Gendry.

Dany rimase interdetta. “Direi di sì” replicò infine sbirciando nella direzione di Jon, “anche per il tuo re.” Avrebbe sistemato questa faccenda più tardi con Jon Snow.

“Vostra grazia” disse Gendry, “io non so come si fa il lord, come convocare gli alfieri, come farli combattere per me. Io sono cresciuto fabbricando armi, non so niente di queste cose.”

“Non preoccuparti” intervenne Tyrion, “io e Davos verremo con te e ti consiglieremo.”

“Non mi prenderanno mai sul serio” osservò Gendry.

“Forse sì” ipotizzò il nano, “se capiranno che non c’è altro modo per porre fine all’anarchia che si è impossessata della loro terra. Quando Daenerys avrà preso il Trono di Spade, ti verrà affidato un consigliere che ti aiuterà nelle decisioni insegnandoti come governare.” Gendry parve calmarsi e annuì. Ci fu un momento di quiete.

“Direi che è giunta l’ora della partenza” fece notare Davos, “non possiamo rimandarla.”

“Giusto” disse Daenerys per poi voltarsi verso Verme Grigio, “ordina ai cuochi di portare le provviste a bordo e tu, Obara, trova delle armi adeguate ai nostri avventurieri.” Verme Grigio si dileguò in fretta e Obara lo seguì controvoglia.

“Potete aspettare alla nave?” chiese poi Dany “Dovrei parlare un attimo con lord Tyrion.” Il nano sembrò sorpreso, ma gli altri annuirono e lasciarono la stanza.

Quando la porta si richiuse, Dany si voltò verso il Folletto. “Questa missione è di vitale importanza” disse, “e avete poco tempo. Tyrion, mi fido di te…” Il nano corrugò la fronte. “Gendry è troppo giovane e inesperto” continuò la regina, “e Davos… Davos…”

“Davos mette a rischio la tua alleanza con il Nord” concluse per lei Tyrion, “ti crede un mostro assetato di potere.”

“Si sbaglia” disse secca Daenerys.

Tyrion inclinò la testa. “E’ quello che ha potuto dedurre dal suo, diciamo, soggiorno.”  

“Non cominciare” lo frenò Dany. “Sottolineare i miei errori non porterà da nessuna parte…”

“Quindi ammetti di averne compiuti?” chiese Tyrion e Daenerys era sicura fosse una domanda a trabocchetto. Ma Tyrion aveva ragione.

“Sì” disse la regina voltandogli le spalle, “non avrei dovuto tenere prigionieri Davos e Brienne, il Nord l’ha preso come un gesto ostile.”

“Nient’altro?” la incoraggiò Tyrion.

Dany si morse il labbro a disagio. “Non avrei dovuto minacciare Jon Snow” mormorò, “pensavo fosse l’unico modo per garantirmi la sua fedeltà, era per una giusta causa…”

“La violenza non serve mai la giusta causa” disse Tyrion avvicinandosi, “crea solamente conflitti.”

Daenerys annuì. “Mi dispiace non aver seguito i tuoi consigli…”

“Puoi rimediare adesso” la consolò il nano, “e se mi ascolterai avrai modo di porre rimedio ai tuoi sbagli.” Dany si girò a guardarlo.

“Quest’alleanza non serve solo a noi e al Nord” spiegò Tyrion, “quest’alleanza serve a tutti i Sette Regni e oltre se davvero dovremo affrontare gli Estranei. Jon sarà prevenuto nei confronti dei Targaryen, ma è disposto a patteggiare: tu ti devi dimostrare aperta a compromessi.”

“Quale sovrano accetterebbe compromessi?”

“Un sovrano saggio ed è questo che devi diventare. Chiedi perdono a Jon per il tuo comportamento. Dimostrati interessata alla sua causa, non solo alla tua, e fai vedere di interessarti al Nord. Una regina deve conoscere i territori che governa.”

“Ma Jon non considera il Nord sotto il mio governo” osservò incerta Daenerys.

Tyrion aggrottò le sopracciglia. “Devo dedurre che il piano matrimoniale sia saltato?”

Dany non sapeva cosa rispondere. Non era il matrimonio in sé a preoccuparla, ma piuttosto come avrebbe reagito Jon Snow.

Non la prenderà bene.

Il suo unico desiderio era quello di riunire i Sette Regni, ma Daenerys soffriva la mancanza di uno scopo. Vedere Jon così dedito alla propria gente, gente che conosceva da tutta la vita, e alla sua famiglia, provocavano in lei attacchi d’ira, ma soprattutto un incolmabile senso di vuoto. Sarebbe stata in grado di governare i Sette Regni? Cosa avrebbe fatto dopo essersi seduta sul Trono di Spade? A Meeren aveva lottato per abolire la schiavitù, tra i Dothraki per la libertà, ma ora per cosa combatteva? Il grandioso sogno di pace che tanto l’aveva motivata e spinta oltre limiti che non avrebbe dovuto superare era solo una menzogna.

Vedendo che taceva, Tyrion le posò una mano sull’avambraccio all’altezza del gomito. “Se non vuoi sposarlo, non farlo” le disse con dolcezza, “troveremo un altro modo per limitare l’indipendenza del Nord, ma lascia che ti dica una cosa… Jon tiene a te, credo ti abbia perdonata per le vostre discussioni. Mi ha confidato che il radunare gli alfieri dei Baratheon sotto i vessilli di Gendry era un piano che lui e Davos intendevano usare contro di te. Eppure, quando ti ha vista in difficoltà per mancanza di alleati, non ha esitato a offrirtelo.”

“Voleva salvare la sua gente” disse Dany, “se perdessimo, Euron massacrerebbe la popolazione di Porto Bianco.”

Tyrion sorrise. “Certo” replicò, “certamente anche per questo, ma non è stato il suo primo pensiero.”

Tyrion fece ancora un passo avanti, gli occhi fissi in quelli della regina. “E’ stata una mossa d’istinto” continuò, “dopo aver visto la tua disperazione.”

Daenerys era scettica. “Come fai ad esserne sicuro?”

Tyrion sogghignò. “E’ la mia specialità” rispose, “comprendere le emozioni degli altri.” Inspirò profondamente. “Il tempo stringe” osservò, “dobbiamo recarci alle navi.” Dany annuì, la mente persa in altri pensieri. Era davvero parsa così disperata durante l’ultima riunione con i suoi alleati?

Tyrion uscì dalla sala del trono di corteccia e Daenerys lo seguì. Al porto Davos e Gendry avevano già preso i loro posti sull’imbarcazione mentre gli altri erano in piedi sulla spiaggia circondati da alcuni Immacolati. Dany fu sorpresa dall’assenza di Jon. Non saluta Davos e Gendry? si chiese, ma poi le venne il dubbio che potessero essersi già congedati durante il suo dialogo con Tyrion. Il nano prese posto sulla piccola nave e Daenerys avanzò. Tyrion la stava guardando e lei distolse lo sguardo.

Varys salì sul molo. “Vi auguro buon viaggio” disse, “e che possiate tornare presto con i rinforzi.” Lui e Tyrion si squadrarono per qualche secondo prima di annuire quasi contemporaneamente. Obara e Theon rimasero in disparte, mentre Missandei raggiunse la regina.

“Riusciranno a trovare abbastanza uomini?”

“Non lo so” ammise Dany tentando di mascherare la propria inquietudine, “possiamo solo sperare.” Missandei abbassò il capo. La barca aveva lasciato gli ormeggi.

“Ho paura per Verme Grigio” sussurrò la ragazza, “non vuole ammettere di essere stato ferito e il maestro non è riuscito a guarirlo appieno.”

Daenerys le mise una mano sulla spalla. “Non temere” la tranquillizzò, “Verme Grigio è un grande soldato, è sopravvissuto a peggio. Vedrai che si riprenderà in tempo e potrà affrontare i nemici al pieno delle sue forze.”

Missandei sospirò. “Vorrei solo poterci credere.” E si allontanò.

L’imbarcazione aveva quasi lasciato il porto e da lontano Dany vide Tyrion agitare il braccio in segno di saluto. Sollevò una mano e salutò finché la barca non venne inghiottita dalla nebbia che avvolgeva la Roccia del Drago. Il piccolo gruppo ancora fermo sulla spiaggia si disperse. Verme Grigio e Obara iniziarono subito a dedicarsi alla costruzione delle fortificazioni.

“Theon, Missandei” li chiamò Daenerys, “ho un compito molto importante da assegnarvi. Dovete riparare le navi che non sono potute partire per Porto Bianco e Vecchia Città e costruire, se ci riuscite, altre piccole imbarcazioni. Theon, confido che tu sappia come è fatta una nave.” Theon annuì e Dany si volse verso Missandei.

“Missandei, tu parlerai con i Dothraki e i dorniani rimasti sull’isola: avrete bisogno di aiuto per portare a termine questo incarico. Fatti accompagnare da Varys se non è impegnato…”

“Sarà un piacere” disse Varys sorridendo a Missandei. Quando vide che tutti erano stati messi a lavoro, Daenerys si avviò verso il castello.

Fece chiamare i cuochi, per ordinare di razionare le provviste, e maestro Pylos, per essere messa al corrente circa le condizioni di salute di Jorah.

“Migliora” rispose il maestro, “ma ha bisogno di assoluto riposo e molta acqua: era estremamente disidratato quando l’avete trovato.” Dany ringraziò Pylos, che promise di aggiornarla se ci fossero stati cambiamenti sostanziali, e raggiunse il corridoio delle stanze degli ospiti.

Con suo sommo sgomento Jon non era nemmeno lì. Sulla scrivania della sua stanza erano ammucchiate delle carte e Daenerys non seppe resistere alla curiosità. Sembravano bozze di lettere. Erano quasi tutte indirizzate a Sansa Stark, che Dany ricordava essere la sorella di Jon, qualcuna a un certo Edd e una sola a Samwell Tarly. Daenerys lesse solo qualche riga di una lettera destinata a Sansa e fu colpita dall’affetto con cui Jon rassicurava la sorella e chiedeva notizie del Nord e di Spettro. Il suo meta-lupo, pensò Dany ricordando le parole di Tyrion.

Lasciò i fogli dove li aveva trovati ed uscì dalla camera. Il seguente quarto d’ora lo impiegò a cercare Jon Snow per tutto il castello, confidando che l’avrebbe trovato al suo interno. Non era nella sala del trono, né in quella di Aegon e neppure in quella della Roccia. Guardò nei cortili, nelle cucine e nelle stalle, per poi passare in rassegna ognuna delle numerose stanze degli ospiti. Ma dov’è andato?! si chiese incredula: nemmeno lei conosceva il castello così bene da potersi permettere di girarlo senza problemi. Forse si era perso.

Continuando a camminare e rifiutandosi di chiamare i domestici, Daenerys si ritrovò in un’ala del palazzo piuttosto malridotta. Intuì che doveva trattarsi del corridoio dove affacciavano le stanze degli ultimi Targaryen che avevano abitato il castello. Ricordò, come se appartenessero a una vita precedente, le parole di Illyrio che raccontava a Viserys di come Stannis avesse lasciato intatte quelle stanze come simbolo della fine della casata Targaryen. Daenerys era emozionata: sarebbe potuta quasi venire in contatto con la sua famiglia.

All’improvviso sentì un rumore proveniente da una delle stanze in fondo all’oscuro corridoio e intravide la fievole luce di una fiaccola. Sorrise e la seguì. La porta della stanza era aperta e, nel buio, Dany sbirciò dentro.

Jon era lì, con una candela in mano, a guardare fuori dalla finestra dai vetri opachi. Daenerys entrò e lui si voltò a guardarla. Non sembrava sorpreso.

“Non ti dispiace se ho dato un’occhiata, vero?”

Dany scosse la testa. “No, certo” rispose, “ma come mai sei venuto qui?”

“Ero curioso” spiegò Jon, “dimmi, sai di chi era questa camera?”

Daenerys si guardò intorno. Nella stanza vi era un piccolo letto coperto di polvere e poco altro. “Direi di Rhaenys Targaryen” rispose incerta, “mia nipote.”

Jon annuì. “Aveva quattro anni quando l’hanno uccisa” sussurrò, “dicono si fosse nascosta sotto il letto di suo padre prima che i soldati facessero irruzione. Aveva un gattino nero e giocava ancora con le bambole.” Le porse qualcosa. Daenerys vide che era una piccola bambola di pezza con i capelli di lana ed il viso dipinto.

“Chiunque fosse Rhaegar” proseguì Jon, “i suoi figli non meritavano di morire in quel modo, nessun innocente lo meriterebbe.”

Dany capì che Jon le stava offrendo un ramoscello d’ulivo e si affrettò a cogliere l’occasione. “Tutte le persone che mi hanno raccontato storie su mio fratello” disse, “l’hanno descritto come un uomo nobile e gentile, ma ciò che ha fatto a tua zia è stato orribile.”

Dany sospirò. “Mio padre faceva bruciare le persone vive per il suo divertimento” osservò, “mio fratello Rhaegar ha ucciso una ragazza innocente causando una guerra e mio fratello Viserys mi ha venduta ai Dothraki…”

“Ti ha venduta ai Dothraki?” chiese inorridito Jon “Che fratello farebbe una cosa del genere?”

“Voleva un esercito” raccontò Daenerys, “ma ha ottenuto una colata di oro liquido in testa.” Jon non disse nulla.

“Talvolta” continuò Dany, “mi chiedo se anch’io sia destinata ad impazzire. Conosci la leggenda, no? Quando nasce un Targaryen gli Dei lanciano una moneta…”

“Per decidere se sarà un grande o un folle” concluse Jon, “ma è solo una storia. Siamo noi a decidere come lanciare la moneta e questo non vale solo per voi Targaryen.”

Daenerys fece un passo avanti. “E io? Come l’ho lanciata la mia moneta secondo te?”

Jon deglutì. “E’ troppo presto per dirlo.”

Daenerys annuì. “Capisco” disse, “vuoi aspettare per giudicarmi…”

“Non sta a me giudicarti.”

“Però lo fai” sussurrò Dany venendo sempre più vicina. “Credo sia normale” continuò, “tutti giudicano lo straniero.”

“E io per te sono uno straniero?”

“Forse” replicò Daenerys, “o forse chiamiamo straniero tutto ciò che non comprendiamo.” La candela si stava inesorabilmente consumando.

“Allora tu non mi comprendi?” domandò Jon in un soffio.

“E tu non comprendi me” disse Dany accennando un sorriso, “forse quindi è meglio ricominciare d’accapo, lanciare di nuovo la moneta.” Ormai erano vicinissimi, la mano di Jon che teneva la candela quasi abbandonata lungo il fianco.

“E stavolta” chiese lui e Dany sentiva il suo respiro accelerato, “chi scegli di essere?”

“Non lo so” ammise Daenerys, “tu chi vorresti che io fossi?” Gli posò una mano sul petto e Jon la seguì con lo sguardo.

“Una regina…”  

Dany inarcò le folte sopracciglia. “Non credo di sapere cosa significa” mormorò, “pensavo bastasse vincere le guerre e ricevere il popolo nella sala del trono, ma mi sbagliavo. Cosa significa essere regina?” Jon aprì la bocca due volte prima di parlare, la mano di Daenerys ancora adagiata sul suo petto.

“Donarsi alla propria gente” disse in un sussurro appena udibile, “aiutarla.” Dany lo afferrò per un lembo della camicia e lo attrasse a sé. Ora poteva udire il suo cuore martellare.

E il mio? Perché batte così veloce?

Sollevò lo sguardo ed incontrò gli occhi di Jon e vi trovò dentro lo stesso suo smarrimento, la stessa sua solitudine. La stessa disperata ricerca di un luogo di appartenenza. Vide tradimenti subìti e scelte coraggiose. Vide il dolore oltre ogni misura.

“E se” mormorò avvicinando il viso al suo, “la regina non avesse un popolo, né uno scopo e se sentisse solamente silenzio intorno a lei?”

Jon ora ansimava. “Allora dovrebbe creare un suo popolo” rispose a bassa voce, “trovare il suo scopo ed urlare.”

La candela si spense e cadde a terra spezzandosi quando Daenerys lo baciò mettendogli le braccia intorno al collo. Jon non si ritrasse, non si curò della candela e neppure delle tenebre che subito li inghiottirono. E quell’attimo fu perfetto nella sua oscurità.

                               

                                                                                                              "Quando il mondo dice, -Rinuncia-,
                                                                                                                     la speranza sussurra, -Prova ancora una volta.-"



N.D.A.

E poi la casa andò a fuoco e morirono tutti... Scherzo XD XD XD Ma mai lasciare cadere le candele se tutto intorno è legno XD
Bentornati a tutti e, uff, questo è stato un capitolo arduo da rivedere e sistemare. Le cose si stanno movimentando così in fretta che nemmeno io ricordavo cosa stesse succedendo quando sono andata a rileggerlo XD è stato come scoprire tutto d'accapo.
Solo qualche precisazione qua e là...

Ovviamente il POV di Brienne è cronologicamente posto in contemporanea con quello di Jaime del capitolo scorso. Jaime faceva vedere ciò che succedeva tra i Lannister e Brienne fra i Tyrell. Infatti a un certo punto Brienne non lo vede più sulle mura, proprio perchè Jaime è andato alla porta est dove Nymeria e Garth stanno scalando con il loro gruppo. E sappiamo già come è andata a finire.
Per motivi di trama ho dovuto cambiare leggermente la struttura di Alto Giardino. Nel "Mondo del Ghiaccio e del Fuoco" infatti dice che il castello ha sì tre cinte di mura, ma che il labirinto si trova nella fascia più esterna delimitatata dalle mura, mentre io l'ho posizionato in quella intermedia (mentre in quella interna, esattamente al centro di Alto Giardino, c'è il palazzo vero e proprio). In ogni caso immaginatevi una serie di tre cerchi concentrici: al centro c'è il palazzo (il cui accesso è stato serrato da Alerie), nella fascia intermedia il labirinto e in quella esterna, proprio sotto le mura che gli arcieri di Jaime difendono, i giardini e i cortili. E' un po' complicato, ma verrà spiegato meglio nel prossimo capitolo.

Per l'avvertimento di Ellaria, non iniziate con speculazioni sul ritorno di Khal Drogo XD XD secondo una teoria, nella profezia la parte del sole che sorge e tramonta si riferisce a Quentyn Martell, nato a Westeros e morto a Essos, ma dato che questo personaggio non esiste in Got ho dovuto inventare qualcos'altro ^_^ ma era solo un modo carino e misterioso per mettere la frase, consideratela un' easter egg, non qualcosa di provvidenziale e mistico XD

Infine arriviamo al punto "caliente"... So che molti di voi tifano Jonerys, mentre altri preferiscono Jonsa... Aiuto XD è ovvio ora che tra Jon e Daenerys stia nascendo qualcosa, ma è ancora all'inizio. Il bacio è stato un atto d'impulso, generato da un'improvvisa empatia nei confronti dell'altro. D'un tratto si scoprono molto simili, proprio ora che i loro consiglieri più fidati sono andati via. L'amore potrebbe nascere (come la fiamma potrebbe spegnersi in poco tempo), ma per ora non siamo ancora a quei livelli. Inoltre la questione del matrimonio è ancora aperta e non va assolutamente sottovalutata.
Comunque in ogni caso non aspettatevi ora la storia diventi focalizzata su Jon e Daenerys come coppia! Assolutamente no! Se volete storie romantiche credo siate finiti nel posto sbagliato XD qualsiasi coppia qua dentro rimarrà una sottotrama. Lo continuo a ripetere perchè non voglio deludere nessuno :-)

Basta, la smetto di prendervi tempo e vi auguro buone vacanze (immagino ora ad agosto ne avrete almeno un po' ^_^) e fatemi sapere che ne pensate del capitolo...
Come al solito ringrazio le anime pie che mi recensiscono, in ordine: giona, __Starlight__, Spettro94, GiorgiaXX e leila91, che si è praticamente fatta una maratona per rimettersi in pari XD
Ringraziamenti speciali anche a Azaliv87 e Gian_Snow_91, che pur essendo indietro continuano a recensire, e NightLion, per il continuo supporto.

A presto!

NB: la citazione di stavolta è anonima, l'ho solo trovata su internet. L'ho pensata per quello che Jon e Daenerys stanno provando a costruire, un rapporto normale dopo il loro inizio burrascoso, ma si può anche associare ad Arya che ha dato una seconda chance al Mastino e, in fondo, a Sansa.




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Capitolo 13
*** The labyrinth ***


Capitolo 13



The labyrinth
                                                                                                             

 


Jon

 

Non avrebbe dovuto, non avrebbe dovuto farlo. Era stato un errore, un’azione sbagliata. Ma in fondo era stata Daenerys a baciarlo. Jon forse avrebbe dovuto respingerla, anzi, avrebbe sicuramente dovuto respingerla. Perché? continuava a chiedersi mentre l’acqua ormai fredda del bagno gli gocciolava negli occhi. Quando iniziarono a lacrimare li chiuse e passò una mano fra i capelli bagnati ed aggrovigliati.

Era seduto in quella vasca da neanche ricordava quanto, con la porta sprangata come era solito tenerla da piccolo a Grande Inverno quando non voleva intrusi nella sua stanza. Di solito in quei casi dopo qualche ora suo padre veniva a bussare, ma ora non arrivava nessuno. Jon era felice per la pace che aveva finalmente trovato, ma la quiete faceva solo rimbombare i suoi pensieri.

Il pomeriggio del giorno prima, mentre Daenerys parlava con Tyrion, Jon aveva salutato Davos e Gendry sulla spiaggia. Il ragazzo l’aveva guardato con occhi spaesati e Davos gli aveva passato un braccio intorno al collo. Jon non avrebbe voluto affidare a Gendry un compito così gravoso, ma non c’era altra soluzione. Senza il supporto dei lord delle Terre della Tempesta sarebbero sicuramente uccisi tutti da Euron e i suoi mercenari molto prima che il Re della Notte mettesse piede nei Sette Regni.

Jon aveva parlato con Davos e aveva ringraziato Gendry per il suo coraggio, ma poi era tornato nel castello. Non aveva voluto incontrare Daenerys. Aveva vagato per quei corridoi bui dalle pareti di roccia per ore senza avere una meta fissa ed era giunto in un’ala che sembrava abbandonata. Aveva visto le stanze che erano state di Rhaegar ed Elia e della loro figlia Rhaenys.

Mentre tentava di intravedere qualcosa oltre lo spesso strato di sporcizia che ricopriva la finestra della camera di Rhaenys era entrata Daenerys. Di ciò che era avvenuto dopo Jon conservava vaghi ricordi.

Ricordava la cera della candela che teneva in mano sciogliersi e bruciargli la pelle, ricordava il buio che li avvolgeva ogni secondo più del precedente, ricordava Daenerys che si avvicinava. E intanto parlava, parlava, parlava. Jon ancora una volta l’aveva vista fragile, sola, come quando era stata abbandonata dal suo drago.

Aveva provato qualcosa, un sentimento strano che gli diceva di non arretrare e di guardarla negli occhi. Jon aveva capito di aver forse sbagliato a giudicarla così precocemente. Daenerys usava belle parole ed espressioni formali per nascondere i suoi sentimenti. In quel momento doveva essersi sentita persa e allo sbando dopo la partenza di Tyrion. Anche Jon si era sentito così.

Era la stessa cosa che aveva provato quando aveva visto Sam salire sul carretto che l’avrebbe portato alla Cittadella. Non era una bella sensazione. Una parte di lui che Jon tentava di soffocare sperava che anche Sansa avesse sentito la stessa cosa quando lui aveva lasciato Grande Inverno per raggiungere la Roccia del Drago.

Daenerys aveva paura, anche questo Jon aveva capito. Aveva paura di non essere all’altezza del proprio ruolo, di non essere amata e riconosciuta dai popoli che si apprestava a governare. Mostrava la sua forza con i draghi e celava le sue insicurezze. Jon si era sentito così simile a lei in quel momento. Entrambi erano alla ricerca di un’identità. Poi finalmente Daenerys aveva smesso di fare domande.

Quando l’aveva baciato Jon non aveva opposto la minima resistenza, aveva accolto le sue braccia intorno al collo, le labbra di Daenerys sulle sue. La candela era caduta a terra, ma fortunatamente si era spenta senza causare incendi o danni. Jon e Dany erano rimasti abbracciati ancora per un po’, poi, sempre al buio e senza potersi guardare, si erano separati ed ognuno aveva proseguito per la sua strada. Lui aveva sentito le guance in fiamme anche dopo che la Madre dei Draghi aveva lasciato la stanza.

Jon scrollò con decisione la testa per tornare al presente. Ma cosa mi prende? si chiese stropicciandosi gli occhi già arrossati Dovrei pensare all’attacco di Euron… Anche quando era stato con Ygritte non era riuscito a concentrarsi sulla guerra allora alle porte. Jon sentì una fitta al cuore al solo pensiero. Per Daenerys provava la stessa cosa che aveva provato per lei?

No, pensò convinto tirandosi in piedi. Uscì dalla vasca e si asciugò con calma, per poi rivestirsi. Quando chiuse il fermaglio con le piccole teste di meta-lupo, il pensiero gli corse a Spettro.

Cosa c’entra ora Spettro?

Si infilò gli stivali e tirò i lacci troppo stretti. Soffocando un’imprecazione, li sciolse e rifece rapidamente i nodi. Poi legò i capelli ancora umidi e fu pronto ad uscire.

Sapeva che sarebbe dovuto andare ad aiutare gli Immacolati che stavano costruendo le fortificazioni, ma non era dell’umore giusto. Inoltre, se davvero Euron aveva preso un castello così robusto come quello di Porto Bianco, allora non sarebbero state certo delle torrette ad impedirgli di prendere anche Roccia del Drago.

Voleva scrivere a Sansa, Edd e Sam. Senza Gendry e Davos il loro quartiere era silenzioso e Jon non ebbe nemmeno bisogno di chiudere la porta. Si sedette al tavolo e, come al solito, vi trovò le lettere arrivate quella mattina. Gli si strinse il cuore quando vide che Sansa ancora non gli aveva scritto. Possibile che tutti i corvi si fossero persi nelle tempeste? Jon sospirò: forse sua sorella più semplicemente non voleva scrivergli.

Aprì la lettera di Edd, che come era ormai consuetudine si lamentava del freddo su alla Barriera e della poca disciplina dei soldati che Jon aveva inviato, e poi quella di Sam, che era molto più breve e gli comunicava solamente di star facendo lenti progressi. Mentre le rimetteva al loro posto, Jon notò una terza lettera che era rimasta seminascosta.

Ruppe l’anonimo sigillo e sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Riconobbe quella strana grafia distorta immediatamente. Chiunque avesse scritto quella lettera aveva sicuramente scritto anche quella in cui annunciava la morte di Walder Frey. Jon strinse le labbra.

Walder Frey era stato trovato morto con la gola squarciata e la notizia era stata data da Edmure Tully insieme alla sua offerta di alleanza, come Sansa aveva scritto nell’unica lettera arrivata a Roccia del Drago. Chiunque fosse chi aveva inviato la prima lettera senza mittente, aveva avuto ragione. Jon fece scivolare lo sguardo sulle poche parole scritte a fatica ed iniziò a leggere.

  
                    
                                                  
I tordi hanno orecchie

                                                                 La tempesta non arriva ancora

                                                              I lupi si parlano, ma non si sentono

 

Jon si affrettò a voltare il foglio e vide nuovamente quella firma che aveva tanto provato a decifrare. “Nessuno” mormorò. “Nessuno ancora una volta…” Si alzò ed andò alla finestra ripetendo in mente le parole della lettera.

Sembra un codice, c’è un messaggio nascosto.

La tempesta che non arrivava poteva essere quella che avrebbero portato con sé gli Estranei e in quel caso si sarebbe trattato di una buona notizia. Ma Jon sospettava che il codice fosse più complicato di così. Tordo, pensò, tordo, tordo… Cosa significa?

Fu colpito da un’immagine improvvisa: un piccolo fermaglio a forma d’uccello che chiudeva il mantello di Petyr Baelish. Tirò un pugno alla parete ignorando le fitte di dolore che ne seguirono. I tordi hanno orecchie, pensò. Ditocorto sta architettando qualcosa… Hanno orecchie. Forse Baelish stava spiando qualcuno. Jon pensò immediatamente a Sansa, ma si costrinse a non perdere la calma.

I lupi si parlano, ma non si sentono.

E Jon capì. Le lettere, si disse, io scrivo a Sansa e lei deve aver scritto a me, ma non sono mai arrivate. Nessuno, chiunque fosse, aveva voluto metterlo in guardia: Ditocorto aveva sabotato la loro corrispondenza.

Non c’entrano nulla i corvi persi nelle tempeste, pensò Jon riprendendo a camminare, è questo che il messaggio vuole dire. Probabilmente allora anche la prima lettera che Daenerys affermava di avergli inviato era finita nelle mani di Baelish. Jon dovette sedersi per evitare di buttare all’aria qualche mobile. Quel figlio di puttana ha rischiato di trascinare il Nord in una guerra contro i draghi, pensò irato. Come ho fatto a essere così cieco?

Capì che doveva trovare un modo per mettersi in contatto con Sansa, un modo sicuro. Forse avrebbe dovuto anche lui utilizzare dei messaggi in codice. In quel momento sentì dei passi lungo il corridoio e d’istinto si alzò in piedi. Sulla porta era comparsa Daenerys.

“Spero di non aver disturbato.”

Jon scosse la testa nervoso. Improvvisamente gli sudavano le mani. “No, stavo solo riordinando le lettere…”

“A chi scrivi?” chiese Dany curiosa, ma Jon la fissò irritato. “So che hai letto le mie lettere ieri” l’avvertì. L’aveva capito dal profumo, lo stesso della regina.

Daenerys era arrossita appena e aveva chinato il capo. “Ero venuta a cercarti” si giustificò.

“E non hai saputo resistere alla curiosità” concluse Jon. Poi sorrise. “Alla Barriera il Lord Comandante poteva leggere, se voleva, le lettere che arrivavano ai confratelli” ricordò, “quando arrivò la notizia del risveglio di mio fratello Bran, il Lord Comandante fu il primo ad essere messo al corrente.”

“Non eri tu il Lord Comandante?” chiese Daenerys con una punta d’accusa nella voce.

Jon non poteva darle torto: lo considerava ancora un disertore. “Non all’epoca.”  

“E’ vero che hai salvato i bruti?”

Jon annuì.

“Perché?” chiese Dany confusa “Ho sempre sentito dire che i Guardiani della Notte proteggono la Barriera dai bruti, che altrimenti invaderebbero il Nord.”

“Un tempo era così” assentì Jon, “ma il Popolo Libero voleva solamente sfuggire alla minaccia degli Estranei. Eravamo naturali alleati.”

Anche se non tutti la pensavano così…

Daenerys era silenziosa. “Sì” disse infine, “suppongo di sì.” Poi indicò il corridoio. “Vuoi venire a fare una passeggiata con me?” chiese.

Jon la guardò. “Forse dovrei aiutare Verme Grigio…” 

La regina scoppiò a ridere. “Meglio di no” gli disse, “dopo il vostro fraintendimento non credo sia un’idea saggia. Allora? Questa passeggiata?”

A Jon non rimase altra possibilità che annuire. Uscirono insieme nel corridoio e salirono sulle mura a strapiombo sul mare. Intanto Daenerys parlava. “Jorah sta meglio” diceva, “maestro Pylos dice che ancora un paio di giorni e avrà riacquisito completamente le forze. Quando Euron arriverà però non voglio che combatta: sarebbe troppo pericoloso. Secondo te abbiamo qualche possibilità contro Euron?”

Jon fece una smorfia mentre salivano i gradini. “Credo di sì” rispose cauto, “ma molto dipenderà dall’esito della missione nelle Terre della Tempesta.”

Dany annuì. “Hai ragione” disse. “Penso sia strano per Gendry ritrovarsi da un giorno all’altro lord di Capo Tempesta…”

Non più di quanto lo sia per me ad essere Re del Nord.

“Insomma” stava continuando Daenerys, “era solo un bastardo.” Si fermò. “Senza offesa” aggiunse subito.

Jon rise. “E’ la verità, non può offendermi.” Ripresero a salire.

“Sai” disse Daenerys dopo un po’, “mi sono chiesta perché ora che sei re non hai preso il nome della famiglia di tuo padre. Non sarebbe tutto più semplice?”

Jon abbassò lo sguardo. “Certo che sarebbe più semplice” ammise, “ma non giusto.”

Erano arrivati in cima e Jon si voltò a guardare Daenerys negli occhi. Lei indossava un vestito di tessuto pesante nero con decori rossi ed aveva i capelli raccolti in un nido di trecce spettinate dal vento.

“Mio padre non ha mai voluto chiamarmi Stark” raccontò lui e fu come riaprire una ferita mai del tutto cicatrizzata, “non l’ha mai neanche negato certo, ma non voglio disonorare la sua memoria più di quanto abbia già fatto.”

“Magari c’era un motivo che spingeva tuo padre a non darti il suo nome.”

“Ovvio che c’era” replicò Jon, “non voleva mancare di rispetto a sua moglie.” Al pensiero di lady Catelyn, sentì la bocca inaridirsi.

“Ma come pensi di governare il Nord senza il nome della tua famiglia?” chiese ancora Daenerys.

Jon sospirò. “Il nome non è tutto.”

“No, suppongo non lo sia” disse Dany e per un po’ nessuno dei due parlò.

Era quasi il tramonto e il cielo limpido sembrava beffarsi delle preoccupazioni di coloro che si trovavano alla Roccia del Drago. Euron sarebbe arrivato da lì a tre giorni e nessuno di loro era pronto. Jon poggiò le mani sui merli delle mura e si sporse. La struttura del castello sembrava fondersi con la roccia sottostante che si ergeva indifferente alle onde che la consumavano sollevando schizzi di schiuma. Il mare era abbastanza agitato.

Poi un suono stridente fendette l’aria e Jon e Daenerys si voltarono all’unisono. Un drago gigantesco, nero come la pece, stava sorvolando la spiaggia. Aveva un’apertura alare impressionante e delle fauci imponenti. Jon era pronto a scommetere potesse stradicare un albero intero.

“Drogon!” esclamò Dany correndo per quanto poteva in direzione dell’animale. Jon la seguì incerto.

Quella bestia era molto più grande di Rhaegal e decisamente più selvaggia. Il drago si era avvicinato e Jon ora poteva sentire il vento provocato dalle sue ali. Poi il gigante posò le zampe sulle mura che tremarono. Daenerys si protese ad accarezzare la sua pelle squamosa.

“E’ il più grande” spiegò, come se Jon non se ne fosse già accorto da solo, “si chiama Drogon perché il nome del mio primo marito era Drogo.”

“Avevi detto che tuo fratello ti aveva venduta ai Dothraki…”  

“L’ha fatto” confermò Dany senza smettere di accarezzare il drago, “ma con il tempo io e Drogo abbiamo imparato ad amarci.” Jon notò che lei cercava di evitare il suo sguardo.

“Hai mai amato qualcuno?” chiese Daenerys a bruciapelo.

“Sì” disse Jon con amarezza, “si chiamava Ygritte ed era una bruta.”

Erasussurrò Dany. “E' morta?”

“Fra le mie braccia” disse Jon stringendo i pugni.

Daenerys si voltò verso di lui. “Mi dispiace.”  

“Eravamo in guerra” ribatté Jon con voce atona, “sapevamo entrambi che poteva succedere.”

Tu non sai niente, Jon Snow.

“Ho dovuto uccidere Drogo con le mie mani” raccontò Daenerys e Jon inorridì. “Una strega mi ha ingannata e ha preso la vita del bambino che portavo in grembo, Rhaego, dicendomi che avrebbe salvato mio marito. E invece lo ridusse ad una larva e io fui costretta a soffocarlo con un cuscino.” Aveva parlato con calma e con voce ferma, come se il dolore non la toccasse più, ma Jon sapeva quanto facesse male.

“Non è stata colpa tua” riuscì a dire solamente.

“E neanche tua se Ygritte è morta” disse Dany girandosi nuovamente, “ma sono morti in ogni caso.”

Riprese ad accarezzare Drogon per poi sussurrargli qualcosa in una lingua che Jon non comprese. Il drago ringhiò e spiegò nuovamente le ali. Un secondo dopo si sollevava in aria allontanandosi dalla fortezza. Dany rimase ad osservarlo mentre la sua figura rimpiccioliva.

“Quando ti ho invitato su quest’isola” cominciò senza guardarlo, “Varys e Tyrion mi hanno suggerito un modo per riunire Nord e Sud.” Fece una pausa, nonostante Jon avesse già capito dove volesse andare a parare.

“Era inclusa una proposta” proseguì Daenerys voltandosi, “una proposta di matrimonio.” Jon se l’aspettava, ma non poté impedire ad un fremito di rabbia di scuoterlo.

“Sarebbe per il meglio” stava dicendo Daenerys mentre gli si avvicinava, “un modo per garantire la pace e l’unità dei Sette Regni. Saremmo re e regina e divideremmo il potere di…”

“No” la interruppe seccamente Jon, “il Nord è un regno indipendente: mio fratello è morto credendo fermamente in questa causa e così tutti gli uomini che lo seguivano.”

“Jon, ascoltami” disse Dany prendendogli la mano, ma Jon la ritrasse bruscamente.

“Era tutto programmato quindi?”

Daenerys spalancò gli occhi. “Io non capisco…”

“I bei discorsi” la interruppe Jon, “le belle parole, la tua comprensione... era tutto un inganno.”

Dany sembrava sinceramente ferita. “No! Ascoltami, io…”

“No, ora ascoltami tu” disse Jon fissandola negli occhi. “Se ho accettato di aiutarti è solo perché ho bisogno di tutti gli uomini che riuscirò a trovare per affrontare quello che ci aspetta oltre la Barriera, ma ciò non vuol dire che condivida i tuoi metodi o le tue ambizioni. Finchè non vedrò il vessillo dei Targaryen sventolare su Grande Inverno, il Nord sarà un regno indipendente.”

Forse aveva esagerato e le parole erano state un po’ troppo aspre, ma non aveva visto altro modo per uscire da quella situazione. Magari Daenerys non aveva avuto sul serio l’intenzione di ingannarlo, ma Jon non poteva rimangiarsi ciò che aveva detto.

Le voltò le spalle e iniziò a scendere dalle mura. Quasi inciampò sui gradini bagnati e dovette aggrapparsi alla parete, ferendosi anche la mano. Si maledisse per aver dimenticato i guanti. Mentre scendeva tentò di convincersi di aver fatto la cosa giusta.

Ma se era davvero così, perché sentiva un macigno al posto del cuore?

 

Davos

 

Le onde facevano oscillare pericolosamente la piccola imbarcazione, ma almeno il vento la spingeva più veloce. Tyrion aveva già vomitato due volte.

“Non pensavo soffrissi il mal di mare” aveva scherzato Davos e il nano era riuscito addirittura a sorridere prima di doversi di nuovo sporgere fuori bordo.

Erano in viaggio da mezza giornata e la costa non era ancora in vista. Tyrion era preoccupato che potessero essere intercettati dalla flotta di Cersei, ma Davos sapeva dove si trovavano. Erano più o meno all’altezza di Capo Tagliente e avevano superato con successo la baia delle Acque Nere. Presto sarebbero arrivati in vista dell’isola di Tarth, la patria di Brienne, e da lì bastava seguire la costa per raggiungere Capo Tempesta.

Tyrion aveva già provveduto a inviare tutti i corvi in loro possesso con altrettanti messaggi ai lord di quelle terre. Erano stati tutti convocati a Capo Tempesta e dovevano recarsi al castello il più in fretta possibile e allertare i loro eserciti. Davos sapeva che molti di quei lord erano morti al seguito di Stannis, ma sperava che almeno i loro eredi si sarebbero presentati. Tyrion sembrava molto ottimista, Gendry invece era taciturno.

Trascorreva le ore seduto a poppa ad ossservare il mare e Davos non voleva disturbarlo. Tyrion tentava di intrattenerli con alcune scadenti battute, ma quando vide che nessuno gli stava più prestando attenzione smise di provare. Davos gliene fu grato.

Prima di partire Daenerys gli aveva affidato Giuramento, la spada di Brienne, e Davos sperava ardentemente di non ritrovarsi nella situazione di doverla usare. Sapeva che si trattava di acciaio di Valyria, Tyrion gli aveva detto che proveniva dalla spada di Ned Stark, ma non c’erano Estranei da uccidere nel Sud, non ancora almeno. Quando si erano salutati, Jon gli aveva detto di essere prudente.

“Ero un contrabbandiere” gli aveva ricordato Davos, “essere prudente è il mio mestiere.” E Jon aveva riso. Davos non credeva di averlo mai visto ridere davvero.

Poi Jon si era rivolto a Gendry. “So cosa significa per te” aveva detto, “dover sopportare questo onore che è più un peso che altro. Credimi, nessuno ti capisce meglio di me.” Gendry aveva annuito nervosamente e Jon gli aveva sorriso.

“Tornate presto” aveva detto prima di andarsene, “e tornate con un esercito. Dopo che avremo sconfitto Euron torneremo a casa.” Probabilmente aveva detto casa senza pensare che Gendry non aveva mai visto Grande Inverno e che Davos ci aveva passato a stento due settimane. Questa è stata la mia casa per molti anni, aveva pensato Davos e si era ricordato le parole molto simili che Mance Rayder, il Re oltre la Barriera, aveva pronunciato prima di salire sul rogo.

La barca non era eccessivamente piccola e lo spazio sottocoperta era sufficiente a ospitare tutti e tre nel sonno e a contenere le provviste. Aveva anche un ponte riparato da una tenda marrone logora, ma adatta a proteggerli da eventuali piogge. Tyrion ovviamente aveva portato il vino a bordo, ma, essendosi dimenticato i calici, lo tracannava direttamente dalla borraccia versandosene metà addosso. Era Davos di solito a tenere il timone. Le vele erano sempre gonfie di vento e si procedeva spediti.

Il secondo giorno Gendry gli aveva chiesto se poteva insegnargli a tenere la nave e Davos aveva accettato volentieri. Così, mentre Tyrion russava rumorosomente sottocoperta, Gendry correva da una parte all’altra afferrando quella o quell’altra corda. Almeno si distrae dai suoi pensieri, si disse Davos. Quali che siano non sembrano renderlo molto felice.

Gendry era lesto a imparare e abbastanza sveglio da capire in quale direzione soffiava il vento e in che verso era saggio orientare le vele per prenderlo al meglio. Si era portato dietro la sua mazza, alta quasi quanto Tyrion, e trascorreva molto tempo ad affilarne i bordi già estremamente taglienti. Si era anche offerto di sistemare Giuramento, dicendo di conoscere l’acciaio di Valyria, ma Davos si rifiutava di prendere decisioni senza consultare prima Brienne.

Chissà dove sarà lei a quest’ora.

Era sicuro fosse riuscita a lasciare in qualche modo la Roccia del Drago, ma era tornata al Nord o vagabondava ancora per gli déi sapevano quali terre? Davos sperava vivamente nella prima ipotesi. Certo, lui e Jon avevano parzialmente cambiato idea circa Daenerys Targaryen e forse non doveva più essere considerata una tale minaccia, ma Davos voleva che giungessero notizie dal Nord. Jon diceva sempre di aver scritto molte volte a sua sorella, ma di non aver ricevuto alcuna risposta. E non è un buon segno, pensò Davos stringendo i denti e tirando la fune della vela maggiore. La barca ebbe un sussulto, ma subito accelerò.

“Saremo a Capo Tempesta entrò l’alba” annunciò scendendo sottocoperta, “fareste meglio a riposarvi.”

“Non vuoi il cambio al timone?” chiese Tyrion disteso sulle pellicce e con i capelli arruffati. Davos fece una smorfia. “Non vedresti nemmeno il mare davanti a te.”

Tyrion si distese di nuovo. “Vorrà dire che impiegherò il mio tempo dedicandomi ad attività più produttive.”

“Quali attività, mio signore?” chiese piuttosto ingenuamente Gendry.

“Credo si riferisse all’ubriacarsi fino a perdere i sensi” rispose divertito Davos e fece per risalire la corta scaletta che portava sul ponte.

“Aspetta” lo richiamò Gendry, “voglio venire con te.” Davos si voltò a fissarlo. “E’ meglio se ti riposi” suggerì, “domani dovrai incontrare tutti quei lord e devi far loro una buona impressione.”

“Sono abituato a lavorare notte e giorno” replicò Gendry, “succedeva spesso quando vivevo ad Approdo del Re.” Davos lo osservò per qualche secondo, poi annuì.

Salirono insieme e Gendry si sedette sull’unica panca presente, mentre Davos si posizionò dietro il timone. Per qualche minuto si udì solamente lo scrosciare dell’acqua e l’infrangersi delle onde sui fianchi della nave. Gendry sporse una mano fuori accogliendo gli spruzzi gelidi. Uno lo colpì in pieno viso e Davos rise vedendolo ritrarsi.

“Senti” disse tentando di iniziare una conversazione, “non mi hai mai raccontato cosa è successo dopo che ti ho fatto fuggire dalla Roccia del Drago. Pensavo saresti tornato ad Approdo del Re…”

“Lo pensavo anch’io” ammise Gendry asciugandosi la faccia con la manica, “ma devo avere sbagliato rotta. Dopo qualche giorno avevo finito le provviste e mi sono dovuto fermare su una spiaggia. Gli abitanti di un piccolo villaggio mi hanno rifornito e mi hanno detto che mi trovavo alle Dita. Re Joffrey era appena stato ucciso e ho pensato che tornare nella capitale non sarebbe stata una scelta saggia. Così ho proseguito verso nord e sono arrivato a Porto Bianco. Lì un vecchio fabbro mi ha assunto nella sua bottega e quando è morto me l’ha lasciata in eredità.”

Davos lo stava guardando. “Hai fatto bene” si complimentò, “ma come ti sei ritrovato su quella barca con Jon?”

Gendry sospirò e chinò il capo. “Un giorno avevo sentito che il Re del Nord era arrivato in città” disse, “ma non avrei mai pensato di ritrovarmelo nella mia bottega. Voleva che affilassi la sua spada. Poi mi ha chiesto se volevo diventare il suo scudiero e partire con lui e io ho accettato.”

Davos era confuso. “L’ultima volta che ci siamo visti” ricordò, “mi hai detto che avevi sbagliato a fidarti dei nobili. Perché hai seguito un uomo che nemmeno conoscevi?” Gendry sollevò il mento.

“Avevo sentito parlare molto di lui” spiegò, “dicevano che aveva sconfitto i Bolton ed aiutato molte persone in difficoltà.” Gendry esitò. “Si diceva anche che era un bastardo” sussurrò come a non voler essere sentito, “come me e allora…” Lasciò cadere la frase. Davos annuì.

“Durante il viaggio in nave ho capito chi era” continuò Gendry, “ho sentito altri uomini chiamarlo per nome e mi sono ricordato. Arya Stark era mia amica, ser Davos, mi aveva parlato tanto del fratello che era andato alla Barriera e che le aveva regalato Ago.”

Vedendo la faccia confusa del Cavaliere delle Cipolle, Gendry rise. “Una spada, Ago era una spada.” Deglutì un paio di volte come a voler allontanare un pensiero triste.

“Sapevo che mi potevo fidare di Jon Snow” proseguì, “così gli ho detto chi ero e come avevo conosciuto sua sorella.”

Davos sapeva che Arya Stark non era più stata vista da anni e preferì non fare domande in merito. “Hai fatto bene” ripeté, “e ora sei Gendry Baratheon, lord di Capo Tempesta.”

“Non voglio essere un lord” disse Gendry. “I Baratheon non significano niente per me e non so nemmeno dove si trova il mio castello. Che razza di lord sarei se non so riconoscere nemmeno le mie terre, se non so nemmeno i nomi dei miei alfieri?” Aveva sputato quelle parole con rabbia repressa troppo a lungo e Davos capì che il ragazzo aveva bisogno di sfogarsi. Lo lasciò quindi parlare.

“Io non so cosa vi aspettiate da me” stava dicendo Gendry, “ma non ho idea di cosa dirò a tutti quei signori che verranno ad ascoltarmi. Se anche dovessero farmi delle domande stupide, come chi fu il fondatore di casa Baratheon, non saprei rispondere.”

“Orys Baratheon…”

“Cosa?”

“Il fondatore di casa Baratheon come lord di Capo Tempesta.”

Gendry sorrise. “Va bene” disse, “ora questo lo so, ma che mi dici di tutto il resto? Tutte le cose che un lord dovrebbe sapere e che io invece ignoro?”

“Io e Tyrion ti accompagniamo proprio per questo” replicò Davos incoraggiante e Gendry distolse lo sguardo.

“Guardami” lo invitò Davos con dolcezza. Gendry si voltò verso di lui. I suoi occhi azzurri brillavano anche nell’ombra.

Forse perché sta piangendo.

“Quando Stannis mi fece cavaliere” raccontò, “non avevo mai tenuto una spada in mano e conoscevo a malapena il modo appropriato per rivolgersi a un nobile. Il primo periodo fu un inferno, non facevo altro che sbagliare una regola dopo l’altra. Stannis però non se ne curava, diceva che l’importante era che rimanessi lucido e continuassi a usare il cervello. La buona educazione poteva andare a farsi fottere.”

“Stannis era cattivo” sussurrò Gendry rabbrividendo, “ho visto l’odio nei suoi occhi.”

Davos scosse la testa. “Stannis non era una persona malvagia” disse, “ma lo è diventato. Vedi, la Donna Rossa lo teneva sotto il suo controllo e lo spingeva a compiere azioni cattive. Lo Stannis che conoscevo io non avrebbe mai bruciato vivo un ragazzo innocente.”

Né tantomeno sua figlia.

“Ma un bravo lord non dovrebbe permettere a persone malvagie di controllarlo” osservò Gendry.

“No” replicò Davos, “non dovrebbe, ma non tutti sono abbastanza forti.”

Gendry lo guardò negli occhi. “E io?” chiese “Sono abbastanza forte io?”

Davos sorrise. “Assolutamente” lo tranquillizzò. “Tu hai conosciuto la miseria e sai come va il mondo. Un giorno potrai governare con giustizia e saggezza.” Gli spettinò i capelli neri. “Ma per il momento” continuò, “basterà che tu spieghi ai tuoi lord il perché a Daenerys Targaryen servano i loro uomini.”

Gendry aggrottò le sopracciglia. “E che succede” chiese, “se si rifiutano di aiutarci?”

Davos tirò un lungo sospiro. “Allora suppongo Euron ucciderà ogni singola persona rimasta a Roccia del Drago.”

Gendry sgranò gli occhi. “Ma è orribile” mormorò.

“Già” disse Davos, “per questo dovremo riuscire a convincerli.” Inclinò leggermente la testa. “Prova a dire il tuo nome…”

Gendry lo fissò con sguardo interrogativo. “Prova a presentarti” spiegò Davos, “devi convincerli di essere davvero un Baratheon.”

“Ma se non ne sono convinto nemmeno io!”

“Ma loro non lo devono sapere” ribatté Davos. “Su, avanti, prova…”

Gendry strinse le labbra e raddrizzò la schiena. “Io sono Gendry…”

“Voce più alta.”

“Io sono…”

“E tieni lo sguardo sui tuoi ascoltatori” disse ancora Davos, “osserva ognuno di loro, falli sentire importanti.”

Gendry annuì. “Io sono Gendry Baratheon…”

“Non trattenere il fiato prima di parlare” lo corresse di nuovo Davos, “si nota.”

“E’ inutile” disse Gendry.

“Prova” gli ordinò Davos.

“Io sono Gendry Baratheon.” Ci fu un attimo di pausa.

“Figlio di…” lo incoraggiò Davos.

“Figlio di Robert Baratheon” continuò Gendry.

Davos sbuffò. “I titoli di tuo padre…”

“Non li so!”

“Sì che li sai. Concentrati.”

“Figlio di Robert Baratheon” tentò ancora Gendry, “primo del suo nome, re degli Andali dei Rhaynar…”

“Si dice Rhoynar…”

Gendry brontolò. “Re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, lord dei Sette Regni e protettore del Rame.”

Reame rise Davos, “non Rame.”

Gendry stava perdendo la pazienza. “Non è facile” sibilò trattenendo la rabbia.

“Lo sarebbe” disse Davos, “se ci credessi…”

Gendry aveva il viso rosso ed i pugni contratti. “IO SONO GENDRY BARATHEON” urlò a pieni polmoni, “figlio di Robert Baratheon primo del suo nome, re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, lord dei Sette Regni e protettore del Reame!”

Alla fine stava ansimando e Davos gli lanciò un’occhiata trionfante. “Ecco” disse sorridendo, “stavolta era perfetto.”

Ci fu un rumore di passi veloci e Tyrion comparve sul ponte. “Qualcuno ha gridato?!” chiese stordito e ancora mezzo addromentato. Davos e Gendry si guardarono divertiti.

“No” rispose Davos in tono falsamente confuso, “forse stavi solo dormendo.” Alzò lo sguardo al cielo che si stava schiarendo. “Meglio che ti sia svegliato, comunque” continuò, “perché siamo arrivati.” Indicò la costa che era appena apparsa davanti alla prua. Tyrion e Gendry si voltarono di scatto.

Davos sorrise. Aveva visto Capo Tempesta solo due volte: quando aveva rotto l’assedio di Mace Tyrell e quando Stannis aveva marciato contro suo fratello Renly. Ogni volta la vista di quel castello lo impressionava. Se la Roccia del Drago era arroccata sulla collina e appariva come parte di questa, allora Capo Tempesta sembrava volersi gettare nel mare sottostante per quanto le sue mura si protendevano verso di esso.

Aveva solamente due grosse torri e pochissime finestre, piccole come feritoie. Le mura erano più spesse di qualunque altro castello del Continente Occidentale e compensavano l’assenza di un fossato divensivo. Si diceva fossero protette da potenti incantesimi. Davos sorrise ricordando come, insieme a pochi amici fidati, avesse scalato quella parete di roccia, rischiando anche di precipitare in mare, salvando il castello dalla fame.

Si voltò verso Tyrion e Gendry. “Capo Tempesta non ha un porto” spiegò, “perciò ci limiteremo a lasciare la barca sulla spiaggia. Da lì saliremo al castello tramite un sentiero che conosco.”

“E’ vero che questo golfo lo chiamano Golfo dei Naufragi?” chiese Tyrion.

“Aye” rispose Davos con una smorfia, “non tutte le navi sono abbastanza fortunate come la nostra.”

Tyrion inarcò le sopracciglia. Ormai erano vicinissimi e Davos poteva vedere la spiaggia di sabbia nera e ciottoli con alle spalle un bosco di alberi bassi. “Ci siamo” disse e saltò in acqua. Era gelida e gli inzuppò i pantaloni fin quasi al ginocchio, ma Davos ci era abituato. Trascinò la barca a secco e si accertò che fosse incastrata bene. Gendry scese a terra con un salto, Tyrion era esitante.

“Vuoi una mano?” chiese sarcastico Davos e il nano gli lanciò un’occhiataccia. “Sto bene così, grazie” rispose a denti stretti. Poi, reggendosi al bordo, si calò a terra.

Si incamminarono verso il sentiero che Stannis aveva mostrato a Davos molti anni prima attraverso il boschetto. L’aria era umida e si respirava a fatica. Ciò tuttavia non impediva al vento che spazzava incessamente le Terre della Tempesta di soffiare anche quel giorno.

Arrivati ai piedi della scalinata di pietra che portava al palazzo, furono però fermati da tre guardie armate. Davos riconobbe ser Gilbert Forring, il castellano che Stannis aveva lasciato a governare Capo Tempesta. Era un uomo alto e ben piazzato, con folti baffi scuri e sopracciglia cespugliose. Stringeva in pugno una lancia e aveva la spada legata alla cintura.

“Chi siete?” chiese con voce profonda il cavaliere “Cosa vi porta qui?”

Davos fece un passo avanti. “Sono ser Davos Seaworth, ser” si presentò, nonostante fosse convinto l’altro si ricordasse di lui, “Primo Cavaliere di re Stannis e nominato lord di Bosco delle Piogge.”

Ser Gilbert lo squadrò a lungo. “Re Stannis è morto” disse infine, “e così anche sua moglie e sua figlia, insieme a tutti gli uomini che l’avevano seguito. Perché tu sei ancora vivo, ser Davos?”

“Stannis mi aveva ordinato di tornare alla Barriera” rispose il Cavaliere delle Cipolle, “non ero presente quando è stato sconfitto.”

Gilbert spostò lo sguardo su Tyrion. “Che ci fa con voi un Lannister?”

“Magari sono il loro giullare” scherzò Tyrion, ma Forring rimase impassibile.

Tyrion abbassò lo sguardo. “Dai… Era solo una battuta, non delle mie migliori, certo, ma comunque…”

“Risparmia il fiato, Folletto” lo interruppe Gilbert, “ne avrai bisogno.”

“Non siamo qui per litigare” si intromise Gendry, “dobbiamo parlare con i lord che abbiamo convocato ed abbiamo fretta.”

Gilbert si voltò a guardarlo. “Così sarebbe lui il bastardo di re Robert che pretende di governare le nostre terre?” chiese con cruda ironia “Dimmi, ragazzino, perché i nobili signori che sono seduti nella sala d’ascolto del castello dovrebbero volerti ascoltare?”

Gendry assunse la postura che Davos gli aveva insegnato. “Perché io sono Gendry Baratheon” rispose con fierezza e Davos sorrise, “ultimo figlio di Robert Baratheon primo del suo nome, re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, lord dei Sette Regni e Protettore del Reame. La regina Daenerys Targaryen mi ha onorato della sua fiducia e ho una missione importante da portare a termine.” Fece una pausa. “E poi ora che i lord hanno viaggiato fino qui non sarebbe educato non riceverli” aggiunse velocemente.

Ser Gilbert lo fissò per qualche secondo, poi sorrise. “Credo tu abbia ragione” disse divertito. Poi si rivolse ad uno dei due soldati alle sue spalle.

“Lord Elwood” chiamò, “vai ad ordinare di aprire il portone e dì ai lord di tenersi pronti ad accogliere l’aspirante lord di Capo Tempesta.”

 

Jaime

 

Nymeria Sand era saltata giù da un bel pezzo quando Jaime decise finalmente di muoversi. Non era rimasto nessuno sulle mura. Spinse lo sguardo fuori dal castello e contò sette corpi di nemici che erano precipitati durante la scalata. Soltanto sette, pensò rinfoderando la spada. Abbiamo perso il vantaggio che avevamo.

Jaime non capiva quale fosse il piano di Olenna che Nymeria aveva così stupidamente menzionato. Anche se fossero riusciti a raggiungere il portone esterno da dentro, gli uomini Lannister schierati nei cortili sarebbero stati comunque troppi per essere sopraffatti. Forse non lo sanno, si disse Jaime affrettandosi a scendere dalle mura.

Da lontano giungevano le grida e il rumore della battaglia in corso e Jaime sperò Bronn avesse preso il controllo della situazione. I Tyrell non potevano pensare di vincere. Avevano più uomini, certo, ma arrivando tardi, avevano perso il vantaggio di potersi chiudere in un castello e difenderlo da un assedio.

Sceso a terra, Jaime si guardò intorno. Si trovava vicino alla struttura di legno chiaro che ospitava le stalle, con la paglia sul pavimento e rampicanti arrotolati intorno ai pali che sorreggevano la tettoia. Il cortile era delimitato da muriccioli nei quali si aprivano strade che portavano ad altri giardini e Jaime intravide fontane, bassi alberi da frutto e statue di marmo bianco. I sentieri erano di ghiaia e la pietra era trapunta di muschio.

Davanti a lui svettavano le mura interne e si apriva una porta sovrastata da un grazioso arco in pietra. Sicuramente Nymeria e il suo gruppo erano andati da quella parte e Jaime decise di seguirli. Forse così avrebbe capito cosa stessero organizzando. Oltrepassata la porta, si ritrovò con suo sommo stupore circondato da siepi così imponenti da guardare dall’alto in basso un uomo adulto.

Sollevando lo sguardo, Jaime vide la terza cinta di mura, la più alta, che proteggeva il palazzo vero e proprio. Sapeva che di entrata all’edificio ve n’era una sola ad est, entrata che i suoi soldati avevano trovato sbarrata. Cosa cercavano i nemici in quella specie di labirinto? Jaime rabbrividì, ricordando le leggende che si raccontavano su Alto Giardino.

In effetti quel posto assomigliava proprio ad un labirinto, fiorito e raffinato, ma allo stesso tempo insidioso. Jaime si voltò, deciso a tornare alle stalle, ma si accorse di essersi già inoltrato troppo per poter sperare di trovare la via d’uscita. Sospirò profondamente. Davanti a lui si aprivano tre diversi sentieri. Ne scelse uno a caso e continuò a camminare.

La battaglia chissà dove continuava ad infuriare e Jaime alzò gli occhi al cielo. Gli uomini stanno combattendo e morendo, pensò irato, e io perdo tempo fra i fiori.

Di fiori le siepi erano piene e stranamente la maggior parte non era ancora secca. Ve n’erano di tutti i colori e sarebbero stati un vero balsamo per la vista se Jaime non fosse stato così ansioso di uscire di lì.

Cercava di camminare senza far scricchiolare troppo la ghiaia sotto le suole per non attirare l’attenzione e aveva la mano sinistra adagiata sull’elsa della spada. Se era fortunato avrebbe almeno trovato gli scalatori e posto fine al loro piano, qualunque esso fosse. Di tanto in tanto sollevava lo sguardo e constatava che si stava avvicinando al palazzo e al cuore di Alto Giardino. Non sapeva neppure se ciò fosse uno sviluppo positivo. A un certo punto udì dei passi provenienti dal sentiero parallelo al suo e si arrestò.

“Aveva detto fiori rossi. Stiamo girando in tondo.”

“Assolutamente no, stiamo andando nella direzione giusta: adesso vedrai…”

Jaime seguì le loro voci fino al punto in cui i due sentieri si incontravano. I due uomini, che indossavano lo stemma di casa Redwyne, girarono nella sua direzione, ma Jaime fu più rapido. Aveva già estratto la spada in precedenza e li colse di sorpresa.

Colpì il primo al torace ed il secondo alle gambe, per poi tagliargli la gola quando vide che ancora respirava. Jaime si guardò intorno in allerta. Le grida non avevano richiamato nessuno e Jaime si convinse che il gruppo di scalatori aveva deciso di dividersi. Saggia decisione. Così posso ucciderli un po’ per volta.

Pulì la lama sui pantaloni di uno dei due morti e proseguì, continuando a scegliere la strada da seguire senza alcun criterio logico. Un paio di volte giunse a un vicolo cieco e dovette tornare indietro. Sapendo che Alto Giardino era di forma circolare, Jaime sperava di potere costeggiare le mura fino a raggiungere un’altra porta.

Il clamore della battaglia era sempre più intenso, segno che si stava avvicinando alla meta. Alla fine si ritrovò davanti le mura interne che proteggevano il labirinto. Jaime sorrise. Adesso posso seguirle, si disse, e trovare l’uscita.

Ad un tratto però sentì nuovamente delle voci, stavolta più numerose e concitate. Riconobbe quella del giovane Hightower.

“Sono nel labirinto” stava dicendo Garth, “sono entrati dalla porta sud e a quest’ora si saranno già persi. Nymeria è andata alla porta nord, in caso ne arrivino altri da quella parte: Feyer e Tytus, raggiungetela. Gli altri con me!” Ci furono esclamazioni e passi frettolosi.

Jaime si nascose dietro un tronco tagliato male e attaccò i due soldati che stavano passando in quel momento. Non era stata una mossa molto onorevole, ma a Jaime non interessava. Lasciò i corpi per terra e proseguì nella direzione opposta, verso il gruppo di Garth Hightower.

Da quel che aveva capito alcuni soldati Lannister erano stati così idioti da farsi attrarre all’interno del labirinto e ora rischiavano di cadere in una trappola. Jaime sbuffò: non aveva tempo per occuparsi di loro, doveva tornare sulle mura a dirigere la difesa del castello. Sperò che Bronn se la stesse cavando bene. Dunque, hanno parlato di porte nord e sud, ragionò fermandosi un attimo. Quella ad est deve quindi essere la porta sbarrata, mentre io sono entrato da quella a ovest.

Tornare indietro era fuori discussione, così Jaime decise di continuare il cammino verso la porta sud. Forse se era fortunato il gruppo di Nymeria a nord sarebbe anche stato respinto. Riprese a correre nella direzione che credeva essere esatta e si lasciò alle spalle le urla provenienti dal campo di battaglia. Incredibilmente trovò la porta che cercava in poco tempo, ma non vide nessuno nemmeno appostato nel cortile di fronte.  Jaime strinse le labbra. Aveva schierato più di cento uomini in quel dannato cortile, possibile che fossero tutti entrati nel labirinto?

Come a risposta alla sua muta domanda si elevarono alle sue spalle delle urla provenienti da più luoghi indistinti del labirinto e rumori di spade che iniziavano a cozzare. Jaime corse fuori verso le mura esterne e si diresse in fretta al portone principale. Con suo sommo sgomento vide che pochissimi uomini erano rimasti di guardia.

“Cosa vi salta in mente?!” esclamò con rabbia afferrando il primo soldato che gli capitò a tiro.

“N-non lo so, ser” balbettò quello in preda al panico. “Si sono sentiti dei rumori provenienti da oltre le mura interne e dei soldati sono andati a controllare.”

Jaime lo lasciò andare e rinfoderò la spada. Poi si passò la mano sana sul viso. Se la forza dothraki o Tyrell avesse sfondato il portone in quell’esatto momento, i Lannister non avrebbero avuto gli uomini per respingere gli aggressori.

“Rimanete in posizione” ordinò, “il primo che si allontana dal suo posto senza aver ricevuto ordini specifici sarà impiccato.”

“Ma i soldati hanno ricevuto ordini specifici, ser” si intromise un altro soldato, “da lord Randyll Tarly. Voleva facessero luce su quei rumori, li ha guidati lui stesso…”

Jaime era esterrefatto. Dalla padella alla brace, pensò incredulo. Ora anche i generali esperti cadono in trappole così ovvie? Notò che il portone era aperto e dovette trattenersi dal mettersi ad urlare.

“Perché quel cazzo di portone è aperto?” gridò “Volete che i Dothraki ci vengano a salutare fin dentro le mura? Sapete cosa significa difendere un castello?”

“Ordini di lord Tarly, ser, dice che presto molti uomini dovranno rientrare…”

Jaime non disse nulla, si limitò a correre su per i gradini di pietra fino in cima alle mura. Come si aspettava la situazione era tragica. Bronn non si vedeva da nessuna parte e i Dothraki erano ormai praticamente sotto le mura. Lo schieramento Lannister era allo sbando, stretto fra due lati dai soldati della rosa. Gli arcieri sulle mura erano stati decimati dalle frecce lanciate in corsa dai Dothraki e non erano più in grado di arrestare l’avanzata nemica. Jaime cercò con lo sguardo i vessilli dei Tarly e dei Merryweather, ma non li trovò.

Senza porsi troppe domande afferrò bruscamente il corno della ritirata dal collo della vedetta più vicina e lo suonò tre volte. Non possono fermarli, pensò Jaime con amarezza. Meglio che entrino nel castello: tenteremo di difendere le sue mura, per quanto possibile.

Gli uomini Lannister inziarono a ripiegare sul castello e, quando la maggior parte fu entrata, Jaime diede ordine di serrare il portone. Immediatamente i nemici iniziarono a prendere d’assalto le mura, che però per il momento reggevano. Jaime ordinò che nuovi arcieri fossero posizionati sui bastioni e nelle torri e che tutti gli altri si schierassero immediatamente.

Scese dalle mura e passò attraverso le fila in cerca di Bronn. Non lo trovò nemmeno questa volta. Iniziò a preoccuparsi e fece domande, ma nessuno l’aveva visto o sapeva di chi si trattasse.

“Dove sono i soldati di Collina del Corno e Lunga Tavola?” chiese allora a nessuno in particolare.

“Lord Randyll li ha portati con sé all’interno” spiegò un uomo che sanguinava dal braccio.

“Erano seimila uomini” osservò Jaime sforzandosi di essere calmo, “come hanno fatto ad entrare tutti quanti?” Nessuno rispose e molti scossero la testa.

La situazione era strana: come mai Randyll Tarly aveva sentito la necessità di portare i suoi uomini dentro le mura? Non era un codardo e la sua decisione di affrontare i Dothraki in campo aperto lo confermava. Qualcosa non andava e Jaime era sicuro c’entrasse il labirinto. Forse perfino Bronn era andato da quella parte.

“Difendete il portone” ordinò, “se entrano, siete morti. Più arceri sulle mura e lanciate ai nemici tutto quello che trovate.” Ci furono bisbiglii d’assenso. Jaime sapeva che potevano resistere massimo un paio d’ore, ma forse a quel punto sarebbe riuscito a mettere in salvo almeno l’altra parte dell’esercito che si era persa nel labirinto.

Davanti a lui si ergeva la porta est, chiusa con battenti di ferro, e Jaime si chiese se fosse stata Alerie Tyrell a dare quell’ordine. Decise di tentare la sorte con la porta nord e si diresse in quella direzione. Superò un numero incredibile di giardini quasi intatti, con alberi e piccoli chiostri, ma la terra smossa tradiva il passaggio di uomini. Jaime capì di essere sulla pista giusta. Quando finalmente giunse alla porta nord oltre la quale si estendeva l’ormai noto labirinto, Jaime si trovò davanti ad un orribile spettacolo.

Sulla soglia giaceva una decina di cadaveri, tra cui quello di Nymeria Sand. La ragazza aveva la schiena appoggiata alla siepe e gli occhi chiusi. Stringeva fra le mani la frusta e la daga dai bordi ondulati giaceva per terra qualche metro più in là. Del sangue fresco le sgorgava da una ferita all’altezza delle costole e inzuppava il terreno. Aveva la testa reclinata su una spalla.

Jaime vide altri cadaveri, alcuni che sfoggiavano l’emblema dei Tyrell, altri quello dei Lannister, tutti morti nello stesso posto e più o meno nello stesso modo. Alcuni erano stati colpiti da lunghe frecce. E poi, isolato al centro del primo sentiero del labirinto con un rivolo di sangue che gli scorreva sul mento, Jaime vide Bronn.

Non seppe mai quanto ci mise, ma in pochi secondi era al suo fianco. Gli prese la mano e Bronn aprì gli occhi. Sembrava stanco e rassegnato, ma quando vide Jaime si sforzò di sorridere.

“Dove cazzo eri finito?” 

Jaime notò che perdeva sangue dal petto e la ferita era grave. “Cosa è successo?” chiese in un sussurro incapace di dire altro.

Bronn fece una smorfia che si trasformò in un gemito di dolore. “Tradimento” disse a fatica, “siamo stati attaccati alle spalle…”

“Chi è stato?”

“Randyll Tarly” rispose Bronn iniziando a tossire, “è entrato nel labirinto, credo voglia uccidere chiunque incontri, non importa se combatte per i Lannister o per i Tyrell.” Jaime strinse le labbra.

Bronn si guardò la ferita. “Non era così che pensavo di morire” ammise, “ma ci sono modi peggiori. Salutami tuo fratello semmai lo rivedrai, digli che è l’uomo alto meno di un metro più coraggioso che abbia mai conosciuto.”

La tosse lo prese di nuovo e Jaime vide che stava sputando sangue. “Lo farò” promise.

“E la ragazza” mormorò Bronn chiudendo gli occhi e rilassando i muscoli, “credo provi qualcosa per te…”

“Chi?” si affrettò a chiedere Jaime “Quale ragazza?”

Ma non ottenne mai una risposta. Il corpo di Bronn fu percorso da brividi e poi rimase immobile. Jaime abbassò il capo. Bronn l’aveva aiutato in situazioni difficili, certo lo faceva per oro, ma aveva rischiato la vita più di una volta. Tyrion gli aveva raccontato che era stato Bronn a salvarlo dal processo a Nido dell’Aquila e a incendiare la nave carica di Altofuoco durante la Battaglia delle Acque Nere.

Bronn era diventato una presenza fissa e Jaime non aveva mai davvero pensato la storia potesse finire in quel modo. Avevano scherzato sulla morte così a lungo che si erano dimenticati che li attendeva paziente.

Jaime si tirò in piedi. Trascinò il corpo di Bronn fra le foglie per metterlo al sicuro e si promise di andarlo a riprendere semmai fosse uscito vivo da quella situazione. Spostò lo sguardo verso l’interno del labirinto. Impugnò la spada e si inoltrò fra le siepi, deciso a trovare Randyll Tarly.

Andando avanti, continuando a scegliere strade al posto di altre, si imbatté in altri cadaveri di soldati Lannister e Tyrell e, in qualche raro caso, Tarly o Merryweather. Jaime si chiedeva cosa mai avesse portato Randyll e Orton a tradire la causa di Cersei. Se non erano fedeli alla regina sul Trono di Spade e neppure alla ribelle Daenerys Targaryen, allora con chi si erano schierati? Jaime era assolutamente certo il Nord non avesse ruolo in questa cospirazione, ma allora chi?

Continuava anche a chiedersi chi fosse la ragazza di cui parlava Bronn. Certamente non si riferiva a Nymeria. Forse le sue erano state solo le parole senza senso di un morente. Giunse in una piazzola straordinariamente ampia, che constatò con tristezza essere occupata da cadaveri Lannister. Il sangue impregnava il terreno e l’odore era terribile.

All’improvviso sentì dei passi alle sue spalle e fece appena in tempo a schivare il fendente diretto alla sua spalla. Davanti a lui era apparso Randyll Tarly. Il suo volto come al solito non esprimeva emozioni, e la sua armatura era macchiata in più punti di sangue. Nonostante ciò, Jaime notò con rabbia che era illeso.

“Sterminatore di Re” lo salutò con voce piatta, “non mi aspettavo di trovarti qui.”

“E io di vedere che hai abbandonato così vigliaccamente il tuo posto” replicò freddamente Jaime. “Perché i tuoi uomini stanno massacrando i miei?”

Tarly fece una specie di sorriso. “Quando ho visto cosa il mio figlio maggiore stava diventando” raccontò, “l’ho costretto a prendere il Nero. Non volevo disonorasse il mio nome e la mia famiglia con la sua viltà.”

Jaime non capiva dove volesse arrivare. “Tu e lord Orton avete giurato fedeltà a mia sorella” gli ricordò Jaime stringendo la spada, “siete passati al nemico?”

Randyll sembrò disgustato. “Ti credevo un uomo, sai” disse con voce dura, “ma vedo che sei solo un rammollito che si nasconde fra le gonne di sua sorella, troppo pauroso per ammettere che sia una regnante disastrosa.” Jaime non disse nulla.

“E così anche quella ragazzina che si crede regina solo perché ha tre animali da compagnia che sputano fuoco” stava continuando Tarly. “Perché i draghi sono animali e possono essere uccisi come tutti gli altri. Finchè sarò in vita lotterò affinchè nessuna donna sieda sul Trono di Spade, ser Jaime. Non sono fatte per governare, porterebbero solo rovina.”

A Jaime venne quasi voglia di ridere, nonostante la situazione tragica. “Pensala come ti pare” disse, “ma hai seguito i vessilli di Cersei in guerra, i tuoi uomini sono morti per la sua causa, perché questo cambio d’idea tardivo?”

Stavolta Randyll rise sul serio, ma era una risata fredda e gutturale. “Questo” disse allargando le braccia, “era il piano fin dall’inizio. Così nessuno uscirà vincitore dalla battaglia e di certo non tu.”

“Ma perché lo fai?” chiese ancora Jaime “Non ha senso! Se anche tu adesso uccidessi ogni singolo soldato del mio esercito, Daenerys ne avrebbe uno dieci volte il tuo.”

“Sai cosa accadrà nel giro di pochi giorni alla Roccia del Drago?” chiese Tarly “Euron Greyjoy ha sconfitto la flotta di Daenerys Targaryen a Porto Bianco e attaccherà presto l’isola con tutti i mercenari per i quali tua sorella è stata così gentile da pagare. Annienterà anche questa minaccia e poi prenderà Approdo del Re.”

“Euron Greyjoy è un alleato di Cersei” replicò Jaime, “e mia sorella gli ha ordinato di aspettare. Non attaccherà la Roccia del Drago.”

“Euron non è agli ordini di Cersei” disse Randyll avvicinandosi, “così come non lo siamo io ed Orton Meeryweather. L’abbiamo seguita finché ci è risultato comodo, ma ora non lo è più. Come credi mi ricompenserà Euron quando gli consegnerò la tua testa?” E con questa domanda Randyll Tarly attaccò.

Jaime fu abbastanza abile da respingere l’attacco, ma si ritrovò costretto a fare un passo indietro e quasi inciampò in un cadavere. Randyll era un uomo abbastanza anziano, ma combatteva sufficientemente bene da mettere Jaime in difficoltà. I combattimenti veri testavano brutalmente le capacità della sua mano sinistra e mandavano all’aria mesi di miglioramenti.

Le spade si incrociarono e Jaime tentò di fare pressione per sbilanciare l’avversario. Ovviamente non ci riuscì: Tarly era solido come una roccia.

“Mio figlio saprebbe combattere meglio di te” disse Randyll con voce delusa, “mi aspettavo di meglio…”

“E allora continua ad aspettare” replicò Jaime liberandosi dalla situazione di stallo. Iniziarono a muoversi in cerchio scrutandosi.

“Hai ucciso il mio amico Bronn” disse Jaime. Era più un’affermazione che una domanda.

Tarly annuì. “Aye” rispose, “un lurido mercenario tagliagole. Un insulto a tutti i cavalieri.”

Jaime sentì i polsi fremere di rabbia. “Era mio amico” ripeté.

“Allora un insulto anche alla tua memoria” disse Tarly colpendo con veemenza.

Jaime non se l’aspettava, si era troppo distratto. Non fu capace di reagire in tempo e due colpi dopo aveva perso la presa sulla spada, che cadde a terra. Randyll la calciò lontana e Jaime indietreggiò. Questa volta inciampò davvero in un cadavere e cadde lungo disteso.

“Avrei preferito ucciderti mentri eri in piedi con una spada in mano” constatò Tarly alzando la spada, “ma credo non faccia alcuna differenza.” Jaime lo fissò negli occhi. Non sapeva cosa dire, ma non sarebbe scappato. Avrebbe affrontato la morte e peggio.

Proprio quando la spada stava per calare, Randyll sussultò violentemente guardandosi lo stomaco. Jaime seguì il suo sguardo e vide con meraviglia che era stato trapassato da una lama insanguinata conficcata nella sua schiena. Quando la spada fu estratta, il sangue sgorgò a fiumi e Tarly cadde a terra senza un grido.

Jaime sollevò lo sguardo verso il suo salvatore e rimase senza fiato. A pulire la lama sui pantaloni e a guardarlo dall’alto in basso con aria impassibile c’era Brienne.

 

Bran

 

Dopo aver visitato il Forte della Notte, seppur nella sua decadenza, a Bran il Castello Nero parve veramente piccolo. Era di forma quadrata e non aveva mura. Benjen diceva sempre che i Guardiani della Notte non sarebbero mai stati attaccati da sud e a nord erano protetti dalla Barriera, ma Bran riteneva che un castello per definizione dovesse avere delle difese. Invece il Castello Nero era costruito per metà di legno ed era un miracolo che non fosse bruciato già un centinaio di volte.

I due uomini che li avevano accolti oltre la Barriera aiutarono Meera a trasportarlo dentro e Bran si sentì addosso gli sguardi curiosi e interrogativi dei confratelli dei Guardiani. Cercò con lo sguardo Jon, ma non lo vide da nessuna parte. Le parole e le occhiate che i due uomini si erano rivolti gli avevano messo agitazione ed era ansioso di parlare con il Lord Comandante. Prima però furono scortati in quelle che immaginò sarebbero diventate le loro stanze, sotto alla grande gabbia che permetteva ai Guardiani di salire sulla Barriera.

“Verrà qualcuno a chiamarvi” disse uno dei due uomini, “quando il Lord Comandante sarà pronto a ricevervi.” Bran annuì e la porta fu chiusa. Meera si stava guardando intorno.

La stanza non era molto grande; aveva due letti bassi coperti da pellicce e un tavolino con una candela mezza consumata appoggiata sopra. Niente sedie o altri mobili. Poi Meera scorse qualcosa in un angolo e sorrise.

“Guarda, c’è una tinozza… Potremo farci il bagno!” Oltre la Barriera erano sopravvissuti lavandosi solo quando strettamente necessario e l’acqua dei torrenti era congelata.

“Forse è meglio aspettare” disse Bran incerto, ma Meera lo guardò male. Bran odiava quando diceva qualcosa che la faceva arrabbiare: si sentiva così in colpa.

“Sono mesi che non mi faccio un bagno” disse infatti Meera irata, poi si addolcì. “Non vuoi che ti aiuti?”

Bran scosse la testa: voleva solo riposare. “No grazie” rispose, “se puoi aiutami solo a salire sul letto.” Meera annuì e lo prese sotto le ascelle. Lo adagiò delicatamente sulle coperte e gli voltò le spalle. Quando Bran si spinse sul fianco fronteggiando il muro, sentì Meera togliersi i vestiti per il bagno. Pochi minuti dopo era addormentato.

Sognò di corvi, migliaia e migliaia di corvi che volavano sopra la Barriera. Vide i Figli della Foresta sotto gli Alberi del Cuore e uno di loro si voltò verso di lui. Bran indietreggiò.

“Lo sta cercando” disse la creatura. Aveva gli occhi color del muschio e la pelle scura come i Figli della Foresta della caverna del Corvo con Tre Occhi.

“Lui lo sta cercando” stava ripetendo quell’essere, “e quando l’avrà trovato non ci sarà più salvezza.”

Bran sentì un brivido corrergli lungo la schiena. “Cosa posso fare?” chiese preoccupato.

Il Figlio della Foresta lo osservò a lungo. “Scappa” disse poi, “prima che sia troppo tardi: la Barriera non è un posto sicuro.”

Poi la scena si dissolse come inchiostro nell’acqua e Bran si trovò nuovamente davanti all’esercito degli Estranei. Il Re della Notte venne avanti e sembrava quasi sorridere, per quanto ciò fosse possibile, e Bran sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene.

Poi il capo degli Estranei fece qualcosa che mai Bran si sarebbe aspettato: iniziò a parlare. Era una lingua sconosciuta, ma il suono faceva sanguinare le orecchie. Alzò lo sguardo e vide un’enorme creatura che lo fissava. Bran non aveva mai visto nulla del genere.

Il drago era bianco con scaglie dorate e aprì le mascelle irte di denti acuminati. Era pronto a sputare fuoco.

Bran si ritrovò a urlare e si svegliò si soprassalto con Meera che lo scuoteva violentemente. “Bran! Bran! Svegliati, è solo un sogno!” Sembrava disperata.

Bran aprì gli occhi e faticò qualche secondo a mettere a fuoco le immagini. Meera gli stava davanti, in ginocchio sul letto, con i capelli ancora bagnati e mezza svestita. I suoi occhi erano colmi di paura e sollievo.

“Che è successo? Cosa hai visto?”

Bran si tirò lentamente a sedere. “Avevo una visione” spiegò, “non pensavo mi sarebbe più successo nei sogni. Pensavo servissero gli alberi…”

Meera aveva stretto le labbra. “Jojen aveva visioni ovunque” ricordò con un velo di tristezza, “non servivano quegli stupidi alberi.”

Bran scosse la testa. “Stavolta era diverso” disse, “era come se qualcuno stesse cercando di mettersi in contatto con me…”

Meera aveva un’aria incredula. “E chi potrebbe mai fare una cosa del genere?”

“Non lo so” ammise Bran, “ma nel sogno ho visto i Figli della Foresta.”

Meera inarcò le sopracciglia. “Foglia mi aveva detto che loro erano gli ultimi della specie” osservò.

“Sì, l’aveva detto anche a me” replicò Bran, “ma questi erano diversi…” Non sapeva come spiegarsi: in quella visione c’era qualcosa che non lo convinceva. Poi d’un tratto capì.

“Gli alberi!” esclamò e Meera lo guardò interdetta “Gli Alberi del Cuore che i Figli della Foresta nel sogno stavano proteggendo non erano innevati. La terra era fertile: non possono trovarsi oltre la Barriera.”

Meera sembrava incredula. “Non ci sono Figli della Foresta a sud della Barriera” disse scettica.

Bran alzò gli occhi al cielo: molte cose non sarebbero dovute essere quelle che erano. “Così come non c’erano meta-lupi” replicò e il pensiero di Estate lo fece intristire. Si impose di essere forte.

“C’è un luogo nei Sette Regni dove i Figli della Foresta siano potuti sopravvivere?” chiese e Meera si alzò in piedi. Era pensierosa e Bran fu felice di vedere che aveva preso la sua supposizione sul serio.

“Mio padre” iniziò Meera incerta, “raccontava che alcuni Figli della Foresta potrebbero essere sopravvissuti sull’Isola dei Volti, nelle Terre dei Fiumi, protetti dagli Uomini Verdi. Ma nessuno li ha mai visti: sono solo leggende…”

“Anche gli Estranei lo erano” le ricordò Bran, “magari c’è del vero in quelle storie. Forse esistono Figli della Foresta ancora vivi…”

“Ma cosa volevano dirti?” chiese Meera “Hai detto era come se volessero mettersi in contatto con te…”

“Ed è così” affermò Bran, “mi hanno detto che lui sta cercando qualcosa e che quando lo troverà sarà la fine. Mi hanno detto di lasciare la Barriera perché è troppo pericoloso.”

Meera aveva sgranato gli occhi. “Lui chi?”

Bran abbassò lo sguardo. “Credo si riferissero al Re della Notte” rispose indeciso su come continuare. “Ho visto anche lui e, Meera, gli Estranei sanno parlare.”

Stavolta il volto della ragazza tradiva tutta la sua sorpresa. “E che ha detto?” chiese avvicinandosi.

“Non ho capito nulla” ammise Bran, “ma la loro voce è tremenda, fa venire voglia di strapparsi le orecchie.” Per un po’ nessuno dei due parlò. Bran decise di non dire del drago.

“Ma cosa sta cercando il Re della Notte?” chiese alla fine Meera e Bran scosse la testa. “Non ne ho idea” rispose e in quel momento la porta si aprì. Meera sobbalzò e si affrettò a coprirsi come meglio poteva.

L’uomo che era entrato distolse subito lo sguardo. “Chiedo perdono, mia signora” si scusò, “il Lord Comandante vuole vedervi. Sono venuto a scortarvi nelle sue stanze.” Bran fece forza sulle braccia per alzare la schiena il più possibile. L’uomo gli venne subito incontro. “Lascia che ti aiuti…” disse e lo prese in braccio. Aveva braccia robuste e lunghi capelli neri.

“Io mi chiamo Emmett” disse l’uomo, “ma gli altri mi chiamano il Ferrigno. Ora sono maestro d’armi al Castello Nero.”

“Dov’è mio fratello?” chiese Bran mentre Meera si legava i capelli.

Emmett sospirò. “Meglio che sia Edd a spiegarvi tutto” mormorò e Bran temette il peggio. Emmett lo trasportò lungo i corridoi e Meera li seguì. Entrarono in una stanza buia e angusta dalla porta di legno semisfondata e Bran fu aiutato a sedersi come meglio poteva. Meera rimase in piedi.

Dietro al lungo tavolo di legno invaso di carte di tutti i tipi sedeva un uomo che li osservava curioso. Aveva la fronte ampia ed i capelli lisci che arrivavano alle spalle. Vestiva tutto di nero, come erano tenuti i Guardiani della Notte.

“Puoi andare, Emmett” lo congedò il Lord Comandante e l’uomo alle loro spalle uscì chiudendo la porta. Bran tornò a concentrarsi su questo Edd che ora gli stava sorridendo.

“Quindi tu sei Brandon Stark?” Bran annuì. “Incredibile… E tu sei…?”

“Meera Reed” rispose Meera sulle difensive, “da Torre delle Acque Grigie.”

“Bene!” esclamò il Lord Comandante “Io sono Eddison Tollett, ma potete chiamarmi solo Edd. Sarete stanchi, volete qualcosa da mangiare?”

“No grazie, semmai dopo” rispose cortesemente Bran, “vorrei vedere mio fratello, Jon Snow.” Era strano chiamarlo ancora fratello dopo aver saputo la verità. La bocca di Edd assunse una piega amara e Bran fu sicuro di aver visto un’ombra calare sul suo viso.

“Jon mi aveva detto che vi eravate persi oltre la Barriera e che non era riuscito a trovarvi al Castello di Craster” disse Edd con voce seria, “aveva parlato anche di un meta-lupo e di un mezzo-gigante che stavano con voi…” Bran abbassò lo sguardo: il ricordo di Hodor bruciava ancora e avrebbe bruciato per sempre.

“Sono morti, ma cos’è successo a mio fratello?”

Edd spinse la schiena contro lo schienale. “E’ complicato” disse, “vuoi sapere tutta la storia?” Bran annuì con forza.

“Jon era stato eletto Lord Comandante” raccontò Edd, “ma in molti lo odiavano. So che forse è difficile da credere, ma le leggende su delle creature chiamate Estranei…”

“Sono vere” concluse per lui Bran, “lo sappiamo, abbiamo incontrato il loro esercito. Meera ne ha anche ucciso uno.”

Edd si voltò verso di lei con ammirazione. “Anche Jon ne ha ucciso uno” continuò, “e anche il suo amico Sam, ma credo lui voi lo conosciate già…”

Bran sorrise e annuì. “Sì, mi piacerebbe vederlo…”

“E’ partito per Vecchia Città” replicò Edd, “vuole diventare il nuovo maestro.”

Bran abbassò lo sguardo. “Cosa è successo a mio fratello?” chiese ancora vedendo che la storia si era arenata.

Edd sospirò. “Abbiamo combattuto gli Estranei insieme” proseguì, “e Jon ha deciso di permettere ai bruti di passare la Barriera per farli diventare nostri alleati nella guerra che verrà, ma molti confratelli non hanno apprezzato il suo gesto.” Fece una pausa.

“L’hanno pugnalato a morte.”

Bran non disse nulla. Era arrivato troppo tardi, tutte le sue visioni non avevano più valore.

“So che può sembrare incredibile” stava continuando Edd, “ma è stato riportato in vita da una sacerdotessa.” Bran alzò la testa di scatto non credendo alle proprie orecchie.

“Ma questo non ha senso!” esclamò Meera esterrefatta.

“Hai ragione” ammise Edd, “ma io l’ho visto con i miei fottuti occhi. Prima Jon era morto, adagiato proprio su questo tavolo, e poi era vivo. E’ stata la cosa più pazzesca che abbia mai visto.” Nonostante la situazione surreale in cui si trovava, Bran era felice suo fratello fosse vivo.

Mio cugino.

“E poi?” chiese allora “Dov’è ora?”

“Ha lasciato il Castello Nero con l’esercito dei bruti” spiegò Edd, “insieme a vostra sorella, quella con i capelli rossi, Sansa credo si chiami…” Quella conversazione era sempre più strana.

“Sansa?!” esclamò Bran non sapendo più cosa pensare “Cosa ci faceva alla Barriera?”

“Da quello che ho capito” rispose Edd, “era fuggita da suo marito, un Bolton mi pare, e voleva riprendere Grande Inverno.”

“Grande Inverno è bruciata.”

Edd lo fissò intensamente. “Quanti anni sono che sei oltre la Barriera?” chiese in tono doloroso e Bran sentì un groppo in gola.

“Cos’è successo mentre ero via?” chiese con un filo di voce non del tutto sicuro di voler sentire le risposte.

“I Bolton hanno preso il vostro castello” disse Edd, ma Bran lo interruppe.

“I Bolton sono alfieri di mio fratello Robb” disse, nonostante il vessillo di quella casata gli avesse sempre incusso timore.

Il volto di Edd esprimeva una profonda tristezza. “Mi dispiace, Brandon” disse, “ma tuo fratello Robb e tua madre sono morti. Jon aveva detto erano stati proprio i Bolton a tradirli…” Bran se l’aspettava. Sapeva che era sciocco sperare di ritrovare sua madre e Robb ancora vivi, ma il colpo fu duro lo stesso.

“Jon e Sansa hanno combattuto per riprendere Grande Inverno” proseguì Edd, “e hanno vinto. Ora le casate del Nord si sono schierate al loro fianco ed hanno proclamato Jon Re del Nord. Devo ammettere che un po’ lo invidio…” Bran si costrinse sorridere: almeno Jon e Sansa erano al sicuro. Grande Inverno è di nuovo degli Stark.

Chissà dov’erano Arya e Rickon in tutto questo. Di Arya non si sapeva più nulla, ma Rickon doveva essere ancora ad Ultimo Focolare.

Come leggendogli i pensieri, Edd scosse la testa. “Jon mi ha mandato un corvo” disse a bassa voce, “tuo fratello Rickon è morto.”

Bran aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Meera gli si avvicinò e gli strinse forte la mano. E’ colpa mia, pensò Bran disperato, pensavo sarebbe stato al sicuro. Lottò per ricacciare indietro le lacrime. Gli Stark avevano ripreso le loro terre, sì, ma la loro famiglia era stata massacrata. Rimanevano solo Jon e Sansa.

L’ultima volta che Bran aveva visto sua sorella era prima della caduta che gli aveva portato via le gambe, non ricordava nemmeno bene come era fatta. Realizzare ciò lo spaventò a morte. Avrebbe dimenticato anche Robb e sua madre? Le immagini di Arya si confondevano già nella sua mente e Bran ebbe paura.

Meera dovette comprenderlo, perché lo abbracciò stretto. “Troveremo la tua famiglia” gli sussurrò all’orecchio, “potrai tornare a Grande Inverno. Te lo prometto.” Bran si perse in quell’abbraccio e in quel momento non gli interessava che Edd li stesse guardando. Poi si separarono.

“Gli Estranei stanno arrivando” disse Bran ricomponendosi, “il loro esercito è immenso: sapete come combatterli?”

Edd fece una smorfia. “Jon ha inviato alla Barriera circa mille uomini per difenderla” spiegò, “ne ho inviati alcuni anche alla Torre delle Ombre e al Forte Orientale.”

“Inviane altri al Forte della Notte” suggerì Bran, “là esiste un passaggio segreto sotto la Barriera che gli Estranei potrebbero attraversare.”

Edd annuì. “Ma perché combattete questa battaglia?” chiese spostando lo sguardo da Bran a Meera e viceversa “Una ragazza e uno…” Lasciò cadere la parola storpio.

Bran sospirò. “Perché dobbiamo” rispose semplicemente, “non abbiamo avuto scelta. Ma non è stato sufficiente a fermarli, abbiamo solamente appreso più cose su di loro.”

“Per esempio?” chiese Edd alzandosi in piedi. Bran sollevò la testa per poter continuare a guardarlo in faccia.

“Come sono stati creati gli Estranei” rispose lui senza effettivamente spiegare come ciò fosse accaduto, “e altre cose che riguardano mio fratello. Per questo devo vederlo.”

“Temo che Jon non sia a Grande Inverno ora” disse Edd, “nell’ultima lettera diceva di trovarsi a Porto Bianco, pronto a partire per la Roccia del Drago.”

Bran corrugò la fronte. “Cosa va a fare alla Roccia del Drago?”

“Incontra Daenerys Targaryen” rispose Edd arrotolando alcuni fogli, “si dice abbia tre draghi.” Perfino Bran aveva udito quelle storie quando era ancora a Grande Inverno, ma ora il nome di Daenerys assumeva un significato completamente diverso. E’ la zia di Jon, realizzò sorpreso, e lui non lo sa!

“Posso mandare degli uomini che vi riaccompagnino a Grande Inverno” propose Edd con un sorriso, “da tua sorella.” Bran annuì: non aveva più nulla che lo legava alla Barriera o a ciò che stava più a nord. Sarebbero tornati a fronteggiare gli Estranei con un vero esercito e per quel giorno Bran avrebbe fatto in modo di trovarsi in groppa a un cavallo.

In quel momento un gelo irreale si diffuse nella stanza e Bran e Meera si guardarono con l’orrore negli occhi. Il fiato iniziò a condensarsi e tutte le candele si spensero. Edd si guardava intorno confuso e Meera aveva afferrato il braccio di Bran e stretto forte fino a fargli male. Il corno suonò una volta.

“Ranger di ritorno” mormorò Edd, “ma non ne abbiamo più inviati…”

La sua voce fu sovrastata dal secondo squillo. Bran sapeva ce ne sarebbe presto stato un terzo.

“Non ci sono più bruti oltre la Barriera…” Edd li fissò.

Il terzò suono pervase tetro e minaccioso l’aria del Castello Nero. Per un attimo nessuno si mosse.

Poi Edd si precipitò alla porta urlando ordini frenetici a confratelli terrorizzati. Bran guardò Meera, che annuì decisa. La ragazza lo prese in braccio trattendendo il fiato per lo sforzo e si affrettò a uscire. Bran sperò di non essere troppo pesante. Videro Edd precipitarsi sull’ascensore che l’avrebbe portato in cima alla Barriera insieme ad altri tre confratelli. Nel cortile regnava il caos.

“Meera, dobbiamo salire sulla Barriera” disse Bran e lei annuì. Lo trasportò fino alla cabina che aveva già iniziato ad alzarsi.

“Tornate dentro!” urlò Edd vedendoli arrivare “E’ pericoloso qui…”

Ovunque è pericoloso” replicò Bran. “Facci salire: dobbiamo vedere il loro esercito.”

La cabina si era arrestata a circa un metro da terra. Edd li stava studiando. Poi annuì. Due degli uomini che stavano con lui aiutarono Bran a salire e Meera saltò agilmente dentro chiudendo il cancelletto. Il vento aveva iniziato a soffiare forte e il legno scricchiolava minaccioso. Presto la foschia rese impossibile distinguere il Castello Nero.

“E’ incredibile” sussurrò uno degli uomini.

Bran sentiva la punta del suo naso congelare e gli occhi seccarsi. Meera aveva piccoli ghiaccioli fra i capelli. Finalmente arrivarono in cima. Si precipitarono fuori e Bran fu trasportato tra le fortificazioni di legno e i sentieri scavati nel ghiaccio.

“Meera, portami dall’altra parte… Voglio vedere…”

Meera si inginocchiò al suo fianco. Il vento ululava più forte che mai. Lo trascinò fino sull’altro lato e da lì Bran si sporse per vedere oltre. La vista mozzava il fiato già messo a dura prova dal gelo che si insinuava fin dentro le ossa.

L’esercito di non-morti copriva tutto lo spazio esistente fra la Barriera e il bosco. Gli Estranei non si vedevano ancora, ma Bran sapeva che sarebbero arrivati, alla fine, per far risorgere nel loro esercito i caduti della fazione avversaria. Meera stava tremando, forse di freddo, forse di paura.

Bran abbassò la testa. “Sono arrivati” disse semplicemente, mentre i versi striduli dei non-morti si elevavano e facevano tremare la Barriera.



                                                                         "I feel something so wrong doing the right thing." 





N.D.A.

Eccomi! Bentornati e spero proprio abbiate passato un buon Ferragosto ^_^ Forse un capitolo così tetro non è esattamente il miglior augurio però XD XD
C'era qualcuno che sperava le cose sarebbero andate meglio, ma ovunque guardate stanno andando a rotoli (salvo forse per la missione di Davos, Tyrion e Gendry che finora sta andando bene). E ora anche la Barriera è in pericolo perchè stavolta gli Estranei non perdono tempo come nella serie XD sono già qui e sono pericolosi.

E come avete visto sono iniziate le morti :-\ mi dispiace tantissimo per Bronn perchè come personaggio mi è sempre piaciuto, ma era giunta la sua ora. E purtroppo siamo solo all'inizio del massacro: nessun personaggio è al sicuro. Ovviamente nel prossimo capitolo attraverso il POV di Brienne si vedrà esattamente cosa sia successo tra il suo incontro con Bronn sotto le mura (quando Jaime stava ancora combattendo Nymeria) e il suo tempestivo intervento in aiuto di Jaime.
Per quanto riguarda il tradimento di Randyll Tarly (e Orton Merryweather) è ovviamente una mia interpretazione. Dai libri si capisce che Randyll è molto maschilista e odia vedere le donne indipendenti (come ad esempio Brienne, dato che si incontrano nel libro) o in posizioni di potere. E' inoltre un uomo rigido di carattere e tradizionalista, quindi non c'era modo appoggiasse Cersei o ancora meno Daenerys. Una sua alleanza con Euron quindi pareva una buona soluzione, un modo per lui per assicurarsi un posto importante nella nuova corte (ovviamente supponendo Randyll non sapesse nulla degli Estranei e dell'estenzione della follia di Euron). Ecco quali erano i tentacoli in movimento a cui Euron si riferiva nella sua conversazione con Yara, gli alleati che avrebbero attaccato Tyrell e Lannister dall'interno. E diciamo che ha anche funzionato dato che entrambe le parti sono state indebolite. Cersei pensava di tenere in scacco Euron e invece è risultato il contrario. Per fortuna c'era Brienne che, essendo sopra le parti, può permettersi di uccidere o salvare chiunque XD
Ovviamente non è stato l'intero esercito Tarly/Merryweather a entrare nel labirinto con Randyll. La maggior parte dell'esercito, guidata da Dickon, si è allontanata dalla battaglia molto presto lasciando l'avanguardia scoperta. Si chiarirà tutto più avanti.

La scelta di Jon di respingere Daenerys è una scelta emotiva dettata dal momento, ma posso dire che in questa situazione è nel torto. In questo momento era Daenerys la persona saggia che anteponeva il benessere del regno ai suoi desideri personali, mentre Jon, pur con tutte le attenuanti dovute alla sua situazione, era l'egoista. Se ci ripenserà si saprà solamente più avanti, ma in questo caso io sto con Dany.
Per le lettere ovviamente Arya è intervenuta per mettere al corrente Jon del problema di Ditocorto e ora almeno si smorza una ipotetica tensione fra lui e Sansa.

Come al solito ringrazio i miei recensori appassionati: GiorgiaXX, __Starlight__, giona e Spettro94. Un ringraziamento anche a NightLion che si sta rimettendo in pari ^_^

Vi auguro buone vancanze e ferie e ci si rivede fra due settimane!


PS: la citazione di questa volta, come molti avranno già capito, viene dalla canzone "Counting stars". L'ho pensata espressamente per Jon e il momento in cui cammina via da Daenerys pensando di star facendo la cosa giusta, ma sentendosi tremendamente in colpa.










 

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Capitolo 14
*** Farewell ***


Capitolo 14


Farewell                                                                                                                     

 


Sansa

 

I lord e le loro famiglie erano arrivati tutti insieme verso l’ora di pranzo. Sansa si era dovuta alzare di buon’ora per lavarsi i capelli e rendersi presentabile. Le temperature calavano giorno dopo giorno, così aveva scelto un vestito di lana pesante con ricami scarlatti. Myun le aveva chiuso i lacci del mantello intorno al collo e Sansa aveva accarezzato soddisfatta i piccoli lupi d’argento, l’unico gioiello che si concedeva.

Quella mattina erano attese molte nobili famiglie in seguito alla decisione di Sansa di invitare tutti i lord del Nord a trasferirsi a Grande Inverno. La paura per le dilaganti scorrerie dei Greyjoy aveva attanagliato i cuori di tutti, specialmente di coloro che avevano un castello sul mare.

Era stata Alys a proporre questa soluzione. “Non mi sentirei mai tranquilla se fossi a Karhold” aveva detto, “pensa a quante persone in questo stesso momento temono per la loro vita…”

Si era deciso di aprire le porte di tutti i castelli più interni e sicuri, ma Grande Inverno avrebbe ospitato la maggior parte dei pellegrini. Alcuni avevano suggerito di trasferire alcune famiglie a Forte Terrore, ma Sansa si era rifiutata categoricamente. “Quel castello verrà raso al suolo” aveva detto, “non appena ci saranno le condizioni per portare a termine una simile azione.” Nessuno fortunatamente si era azzardato a contraddirla.

Così quella mattina erano attesi ospiti da tutti gli angoli del Nord e Sansa era psicologicamente pronta a trascorrere l’intera giornata ad ascoltare i finti complimenti delle lady e i giuramenti dei lord.

Come al solito prese posto nella sala dei banchetti dopo aver dato ordine alle cucine di preparare dei pasti abbondanti. Le cuoche le avevano fatto notare che le provviste scarseggiavano, ma Sansa era decisa a lasciare quei problemi a un altro momento. Sedeva rigida sul trono di legno e per la prima volta si accorse di quanto fosse scomodo. Spettro quella mattina non si presentò, ma Sansa aveva ormai rinunciato a qualunque tentativo di comprendere le strane abitudini del meta-lupo.

Tormund era in viaggio con i bruti verso Ultimo Focolare, mentre Alys sarebbe arrivata in ritardo. Così aveva permesso a Myun di sederle accanto, insieme alla piccola lady Mormont, puntuale come al solito.

Quando due giorni prima c’era stata tutta la questione riguardo alla lettera di Jon, Sansa aveva capito benissimo che Myun non l’aveva trovata per terra in un corridoio. Evidentemente l’aveva rubata a qualcuno, ma non si sentiva abbastanza sicura da dirle a chi. Sansa una mezza idea ce l’aveva, ma una parte di lei si rifiutava di credere che Baelish si fosse lasciato cadere così in basso. Rubare delle lettere è un gesto così vile, pensò, non è il suo stile. Eppure il dubbio insistente rimaneva.

I primi ad arrivare furono i membri della famiglia Glover da Deepwood Motte. Il castello non era particolarmente in pericolo data la sua posizione nei boschi, ma era caduto nelle mani dei Greyjoy già una volta e per questo, quando aveva udito dell’attacco a Porto Bianco, lady Sybelle aveva preteso che il marito le concedesse di venire a Grande Inverno. Robett Glover aveva accettato e ora Sybelle si inchinava a Sansa, tenendo per mano il figlio Gawen ed in braccio la piccola Erena.

“Spero ci siano delle allattatrici” disse la lady con un sorriso. Non era particolarmente bella ed era anche abbastanza formosa, ma aveva un sorriso molto dolce. Sansa ovviamente si affrettò a far scortare lady Sybelle ed i figli nelle loro stanze, facendo promesse che non era sicura di poter mantenere.

Dopo fu il turno delle donne di Piazza di Thorren. Il castello era stato conquistato dagli Uomini di Ferro e il lord e il suo erede diretto erano stati uccisi. Piazza di Thorren era passata a lady Eddara Tallhart che ora si presentava insieme alla moglie del suo defunto zio, Berena Hornwood, e i cugini, Brandon e Beren.

Anch’essi furono tutti accolti calorosamente da Sansa, felice di poter vedere presto Grande Inverno risuonare di urla di fanciulli. Quest’accoglienza avrebbe ridato vita al castello e speranza ai suoi abitanti che magari avevano visto un padre o un fratello partire per la Barriera.

A mezzogiorno Cley Cerwyn presentò sua sorella, Jonelle, che doveva avere poco più di vent’anni. Era una ragazza molto graziosa e delicata, con grandi occhi neri e capelli castani. “Mia signora” la salutò con calore, “è un onore fare la tua conoscenza, sei molto più bella di come ti descrivono.” Jonelle Cerwyn si offrì come sua dama da compagnia e Sansa non poté rifiutare.

In seguito giunsero a Grande Inverno anche Lyessa Flint, lady di Capo della Vedova, uno dei luoghi colpiti dalle razzie di Euron, e l’anziano Ondrew Locke, lord di Antico Castello, che insistette per avere il permesso di baciare la mano di Sansa. Nonostante non si reggesse bene sulle gambe, lasciò il proprio posto a lady Lyessa e rimase in piedi finchè il giovane Beren Tallhart non si alzò per permettergli di sedersi.

Per ultima, accompagnata da una numerosa scorta, arrivò Barbrey Dustin, lady vedova di Barrowton. Sansa sapeva di non potersi fidare di lei: lady Dustin era conosciuta per l’odio che provava nei confronti di Eddard Stark, al seguito del quale aveva perso la vita il marito William.

Lord William Dustin era morto al tempo della Ribellione di Robert, durante la battaglia alla Torre della Gioia dove Ned aveva sconfitto ser Arthur Dayne. Per questo motivo lady Barbrey vestiva sempre di nero e portava i capelli perennemente raccolti. Giravano molte storie su di lei. Si diceva che in gioventù fosse stata una fanciulla bellissima e che addirittura fosse riuscita a sedurre Brandon Stark, lo zio di Sansa. In quel momento Barbrey la stava fissando intensamente, con un sopracciglio alzato.

“Chiedo perdono a nome di mio padre” disse lady Dustin in tono piatto. “Lord Ryswell non ha potuto lasciare i Rills perché colto da una febbre improvvisa. E’ molto anziano, ma ringrazia per la generosa offerta d’ospitalità.”

Sansa si sforzò di sorridere, nonostante quella donna la mettesse in soggezione. “La tua presenza è ben accolta a Grande Inverno” replicò con voce forzatamente calorosa, “spero troverai le tue stanze idonee. Stasera ci sarà un banchetto in onore dei nuovi arrivati e in seguito si discuterà di politica. Spero vorrai unirti a noi…”

Barbrey fece una smorfia che forse poteva passare per un sorriso. “Sono molto stanca per il viaggio mia signora” disse, “non sono più giovane come una volta. Vedrò se riuscirò a venire.” Detto questo, lady Dustin chinò appena il capo, raccolse le gonne ed uscì.

Alys, che nel frattempo era arrivata sedendosi al posto di Myun, si protese per parlare all’orecchio di Sansa. “Non ti puoi fidare di quella donna” la mise in guardia. “Mio zio Arnolf diceva che Barbrey Dustin fosse una delle più importanti sostenitrici di Roose Bolton. Non sopportava Ramsay, ma l’odio che prova per la tua famiglia è più forte.”

Sansa era inorridita. “Perché ci odia così tanto?”

“Incolpa tuo padre della morte di suo marito” rispose Alys Karstark, “e tua madre di avergli sottratto Brandon.”

“Ma mia madre non l’ha mai sposato!” esclamò Sansa incredula “Mio zio è morto prima che fosse celebrato il matrimonio.”

“Certo” replicò Alys, “ma le persone come Barbrey non capiscono questa differenza. Si dice addirittura che abbia tentato di fermare a Barrowton le ossa del lord tuo padre, ma fortunatamente ha fallito.”

Sansa stava scuotendo la testa. “Ma perché si è presentata?” chiese allora ed Alys sospirò. “Magari vuole ottenere qualcosa” rispose, “in ogni caso devi guardarti le spalle anche da lei.”

I nemici stavano diventando troppi e Sansa per un momento credette di essere tornata ad Approdo del Re. Poi si ricordò che aveva accanto anche delle persone di cui poteva fidarsi e si tranquillizzò. Accolse anche gli ultimi ritardatari e riuscì perfino a rilassarsi. Alla fine le guardie annunciarono che il flusso dei viaggiatori era terminato. Era pomeriggio inoltrato. Sansa fece per alzarsi.

“Un momento, mia signora” la fermò lord Cerwyn, “lord Howland Reed non è arrivato...” Sansa ricordò l’amico di suo padre di cui Ned aveva spesso parlato.

“Non credo verrà” intervenne Robett Glover, “è da anni ormai che evita ogni incontro e riunione. Lui e sua moglie si sentiranno al sicuro a Torre delle Acque Grigie e non posso certo dar loro torto. In quelle paludi non correranno alcun pericolo.”

Secondo le dicerie la Torre delle Acque Grigie, che si trovava nelle paludi impenetrabili dell’Incollatura, nella nebbia cambiava posizione lungo l’affluente della Forca Verde su cui sorgeva. Era un luogo di mistero, in cui gli stranieri raramente si avventuravano per paura dei Crannogmen, i piccoli uomini delle paludi che, secondo le leggende, erano nati dall’incrocio fra uomini e Figli della Foresta.

Le storie della Vecchia Nan erano piene di quei mostriciattoli e Sansa ricordava come si rannicchiava spaventata nelle coperte, terrorizzata dall’idea che uno di quei cacciatori di rane potesse uscire dall’armadio. Robb rideva sempre quando la vedeva così in ansia e Sansa sorrise con amarezza al ricordo.

“Scriverò una lettera a lord Reed” decise alzandosi, “e chiederò spiegazioni circa la sua assenza. Ricordo a tutti il banchetto di stasera e la riunione a cui tutti i lord e le lady sono invitati a partecipare subito dopo.”

La sala iniziò a svuotarsi. Stranamente Petyr Baelish non si era fatto vivo, nonostante Yohn Royce fosse al suo solito posto. Una parte di Sansa sperava che Myun avesse seguito i movimenti di Ditocorto. Scambiò qualche parola cortese con le persone che la fermavano e tentò di liberarsi della loro presenza il più in fretta possibile. Voleva il silenzio. Finalmente riuscì a chiudersi in camera sua, dove trovò Myun. Appena la vide, la ragazzina sorrise radiosa.

“Perché te ne sei andata?” chiese Sansa sedendosi al tavolo da toeletta “Mi avrebbe fatto piacere se fossi rimasta…”

Myun alzò le spalle. “Lady Karstark ha detto che il posto alla tua destra spettava a lei” disse con semplicità, “così ho pensato fosse meglio andarmene.”

Sansa strinse le labbra. Alys si era comportata male con Myun e la sua fretta di allontanarla dalla sala era ingiustificata. C’è qualcuno di cui possa fidarmi? si chiese Sansa esasperata da tutte quelle incertezze. Sapeva che la risposta più intelligente sarebbe stata no.

Myun aveva preso in mano la spazzola, ma Sansa le fece cenno di riporla. “Dimmi, Myun” iniziò in tono tranquillo, “dove hai trovato veramente la lettera che Jon mi aveva spedito?”

Myun non batté ciglio, probabilmente si aspettava una domanda del genere. “Vuoi sapere la verità, mia signora?”

“Sansa” la corresse subito la lady di Grande Inverno.

“L’ho rubata da un cassetto” replicò Myun senza accennare a voler continuare.

“Di chi era il cassetto?”

“Di lord Baelish” rispose Myun abbassando la testa, “mi dispiace, so che non avrei dovuto leggerla, ma avevo sentito lord Baelish dire cose strane e allora…”

“Va tutto bene” la rassicurò Sansa, “ma ora mi devi dire esattamente cosa hai sentito.”

Myun parve riordinare le idee per qualche momento. “Stava parlando con il capo degli altri cavalieri” raccontò e Sansa capì si stesse riferendo a lord Royce, “e stava dicendo che il re non ti scriveva più e che ti sentivi abbandonata. Ha detto che voleva vederti diventare regina, ma che tu non avessi il coraggio di tradire tuo fratello. Ha detto che ti voleva aiutare e che avrebbe portato qui i Cavalieri della Valle perché tuo cugino vuole che diventi Regina del Nord.”

Anche dopo che Myun ebbe finito di parlare, Sansa rimase a fissarla a bocca aperta. “Ha detto proprio i Cavalieri della Valle?” chiese preoccupata e Myun annuì. Secondo le voci i Cavalieri della Valle erano accampati al Moat Cailin.

Troppo vicini.

Sansa si alzò di scatto e si diresse alla porta. Il Nord era sull’orlo di una guerra e neanche lo sapeva. “Myun” la chiamò, “ti prego, sii gentile e vammi a chiamare Alys Karstark. Poi trovami un giovanotto riservato che possa portare un messaggio importante… Fai in fretta.” Myun scattò e Sansa attese paziente.

Aveva voglia di piangere. Perché Baelish si comportava così? Se voleva il Trono di Spade poteva benissimo portare il suo esercito a Sud, perché non la lasciava in pace? In pochi minuti Alys si precipitò dentro sconvolta.

“Sansa! Cos’è successo?”

Ma Sansa era troppo presa dal giovanotto che Myun aveva trovato.

“Buonasera, uccelletto” la salutò il Mastino. Sansa lanciò un’occhiata a Myun, che scrollò le spalle.

“Non credo tu sia la persona adatta...”

Sandor Clegane scoppiò a ridere. “Portare un messaggio” disse, “non è difficile. Magari se dovessi anche uccidere delle persone sarebbe pure più divertente…”

Sansa sospirò, ma in effetti il Mastino era la loro migliore opzione. “Baelish trama qualcosa” disse concitata, “devi raggiungere Tormund e i bruti ad Ultimo Focolare, li avevo mandati là a sistemare gli ultimi Umber che si erano ribellati. Avevo detto che avrebbero potuto prendere quelle terre, che sono le più a nord. Ora però ho bisogno di loro qui. Sandor, ti prego, posso fidarmi di te?”

Il Mastino la guardò negli occhi. “Sempre, piccola” rispose e Sansa sapeva che Sandor non era abbastanza raffinato da permettersi il doppiogioco.

Sorrise. “Raggiungi Tormund” disse. “Lo riconoscerai facilmente: è il capo dei bruti con la barba rossa, e digli che ho bisogno di lui qui. Grande Inverno rischia di essere attaccata.”

Alys si portò le mani alla bocca. Sandor guardò ancora Sansa. “Farò più in fretta che posso” promise per una volta serio, “e ricorda che qui hai la Fratellanza senza Vessilli al tuo fianco, uccelletto. Parlerò con Beric prima di andare…”

“No” lo interruppe Sansa, “Myun parlerà con Beric, tu devi andare subito, Sandor. Contiamo su di te.” Il Mastino annuì e lasciò la stanza.

Alys sembrava in preda all’agitazione. “Ma cosa succede?”

“Ditocorto minaccia il Nord con i Cavalieri della Valle” rispose Sansa. “Sai dov’è oggi?” Alys scosse la testa.

“Andiamo a scoprirlo” disse Sansa risoluta.

Si precipitarono nella Sala Grande dove tutti i lord si erano già accomodati per il banchetto. “Miei signori” disse Sansa ad alta voce, “vi chiedo dove si trovi in questo momento lord Petyr Baelish: desidero parlargli.” Ci furono mormorii confusi.

Poi lord Royce si alzò in piedi. “E’andato a caccia, mia signora” rispose impettito, “tornerà domani mattina al massimo.” Sansa sapeva bene che Baelish non andava mai a caccia. Decise di prendere una decisione drastica.

“Cavalieri” disse, “in nome di mio fratello Jon Snow da voi acclamato Re del Nord, io accuso Yohn Royce di tradimento e vi invito a portarlo nelle segrete perché possa essere interrogato più tardi.”

Le esclamazioni stupite riempirono la sala e perfino Alys afferrò Sansa per un braccio. “Sansa, aspetta” la supplicò, “come fai a sapere che mente? Forse dovresti aspettare tuo fratello…”

“Se aspettassi Jon farei prima a consegnare direttamente Grande Inverno a Baelish” ribatté, “devo cavarmela da sola.” Lyanna Mormont era stata la prima a ubbidire agli ordini di Sansa e le sue guardie avevano afferrato Royce, che si dibatteva urlando.

“Cosa significa tutto ciò?” stava chiedendo Wyman Manderly, ma Sansa lo ignorò. Come a conferma dei suoi sospetti, a Grande Inverno erano rimasti pochissimi Cavalieri della Vallle, giusto quelli necessari per quella sceneggiata.

Petyr, non mi puoi ingannare, ho imparato troppo bene da te.

Aveva sperato che richiamare tutti i lord del Nord a Grande Inverno avrebbe scoraggiato le eventuali azioni belliche di Baelish, ma ora si rendeva conto che era proprio l’occasione che Ditocorto stava aspettando. Royce fu portato via. Tutti chiamavano Sansa, chiedevano spiegazioni, urlavano.

“Era solo una precauzione” li rassicurò Sansa, “tornate pure a mangiare, miei signori, noi vi raggiungeremo fra poco.” Lentamente la calma tornò nella sala mentre Sansa usciva seguita da Alys e Myun.

“Ora tocca a noi” disse Sansa, “dipende tutto da quello che faremo. Myun, tu andrai alla locanda della Fratellanza senza Vessilli e dirai loro di restare pronti. Sai chi sono, vero?” Myun annuì e schizzò via.

“Perché non hai avvertito i lord del pericolo imminente?” chiese Alys.

“Perché l’unico modo per sconfiggere Ditocorto è prenderlo con le mani nel sacco” spiegò Sansa, “e ciò può accadere solo se attacca questo castello. E io voglio che lo attacchi così che possa condannarlo a morte. Ditocorto è stato sempre un passo avanti a noi perché aveva Royce che lo aiutava. Sapeva quando attaccare e quando non farlo perché si erano creati dei sospetti. Ora che Royce è in catene non potrà riferirgli che abbiamo capito il suo gioco e attaccherà, pensando di avere questo vantaggio. Ma non ci coglierà di sorpresa e lo sconfiggeremo facilmente.”

Sansa era convinta di potercela fare. Quando i Cavalieri della Valle si fossero trovati davanti un Nord unito, protetto dalle antiche mura di Grande Inverno, con un esercito di bruti in marcia verso di loro, si sarebbero certamente rifiutati di portare a termine l’attacco.

E io potrò parlare in nome di Robin Arryn, si disse Sansa mentre si allontanavano dalla sala del banchetto, e dire che sono stati manipolati da Baelish. Potrò rivelare anche che è stato lui ad uccidere Jon e Lysa Arryn. Stavolta aveva tutte le carte in regola per vincere: Ditocorto si era fidato troppo della sua ingenuità.

Alys si era fermata poco più indietro e si stava risistemando le gonne.

“Che succede?” le chiese Sansa fermandosi a sua volta e tornando indietro.

Alys fece una smorfia. “Questo stupido vestito…” borbottò. “I lacci si sono aggrovigliati…” Sansa si chiese perché mai dovesse scioglierli proprio in mezzo al corridoio, ma si avvicinò per aiutarla. In effetti il nodo era piuttosto stretto.

All’improvviso ci fu un lampo d’argento e Sansa cacciò un urlo di dolore e sorpresa. Guardò incredula il suo braccio sanguinare lì dove l’abito si era strappato e gli occhi le caddero sul pugnale dalla pesante impugnatura che Alys stringeva in mano. Stava stava sorridendo, ma senza calore o affetto, era un sorriso carico di scherno ed odio.

“Sei stata molto intelligente” si complimentò con lei mentre Sansa boccheggiava. “Davvero, hai compreso il suo piano alla perfezione, ma non hai ancora capito la lezione più importante…” Sansa sentì un dolore lancinante alla nuca e, prima che il buio la inghiottisse, udì le ultime parole di Alys.

“Non puoi fidarti di nessuno!”

 

Daenerys

 

Jon Snow non le parlò più per due giorni. Daenerys vide che la stava evitando, ma era troppo occupata nell’organizzazione della difesa dell’isola per preoccuparsene. Verme Grigio faceva lavorare gli immacolati senza sosta e al quarto giorno erano state erette ben cinque fortificazioni nei punti più esposti dell’isola.

Solo una sulla sponda ovest…

Fu Varys a spiegarle la situazione. “Quella riva è quasi a picco sul mare” disse, “le rocce e gli scogli non permetteranno a Euron di attraccare. La Torre delle Conchiglie sarà sufficiente.”

“In ogni caso voglio degli arcieri lì durante l’attacco” ordinò Daenerys e Varys chinò il capo in segno di reverenza.

Anche la costruzione delle navi procedeva molto bene. Tutte quelle che potevano essere sistemate erano state rimesse in acqua, compresa la Lupa Solitaria, la nave di Jon, che era la più malridotta. Alla Balerion, l’imbarcazione che Dany aveva acquistato per recarsi nelle Baia degli Schiavisti la prima volta, si erano aggiunte Vhagar e Meraxes e insieme erano le tre navi migliori a loro disposizione in quel momento. Ciò tuttavia non cambiava certo la cruda verità: se Tyrion e gli altri non fossero tornati presto con i rinforzi, niente avrebbe potuto arrestare l’avanzata di Euron.

Nessuna notizia era arrivata da Capo Tempesta e nemmeno da Alto Giardino. Daenerys non sapeva come la missione di Olenna stesse procedendo e sperava i Tyrell si sarebbero fatti sentire presto. Con una notizia di vittoria, pensò. Dopo la clamorosa sconfitta a Porto Bianco avevano disperato bisogno di buone notizie.

Theon e Missandei collaboravano sorprendentemente bene e perfino Obara aveva smesso di chiedere ogni due minuti della sua lancia. Tutti si davano da fare. Dal terzo giorno anche Jon era sceso in spiaggia a dare una mano, sempre evitando lo sguardo di Daenerys. Lei lo osservava dal balcone, guardava come trasportava la legna e spostava le pietre che sarebbero state lanciate agli invasori.

La scarsa popolazione di Roccia del Drago aveva trovato rifugio nel castello e a tutti color che potevano combattere erano state promesse armi ed armatura.

Dany aveva anche un problema con i draghi. Drogon era diventato gigantesco, e ciò era un bene, ma quasi non trovava più posto sull’isola. Cacciava tutta la notte per mare e tornava solo di giorno. Daenerys temeva potesse imbattersi nelle navi di ferro prima del necessario. Rhaegal era diventato molto più schivo e, nonostante non si allontanasse mai dalla Roccia del Drago, Dany non era completamente sicura di poter far affidamento su di lui. Rhaegal però sembrava seguire Drogon e Daenerys sperava questo bastasse.

Viserion invece, il più piccolo dei suoi draghi, era scomparso. Ormai non si faceva vedere da giorni e Dany era sempre più preoccupata. Non era da lui un comportamento del genere: era sempre stato il più pauroso fra i fratelli. Ma non aveva tempo nemmeno per andarlo a cercare, magari nei dintorni dell’isola o su qualche scoglio solitario, perché la sua presenza era richiesta da tutte le parti.

I pochi armaioli rimasti alla Roccia del Drago avevano intagliato quante più frecce possibili, ma non c’erano abbastanza archi oltre a quelli dei Dothraki. Il pomeriggio Dany si prendeva una pausa ed andava a visitare Jorah.

Il quarto giorno maestro Pylos annunciò che ser Jorah Mormont si era rimesso completamente in forze. Daenerys corse al suo capezzale e come al solito si sedette sul suo letto. Gli accarezzò i capelli finché Jorah non aprì gli occhi. Ora era visibilmente guarito e la sua pelle aveva riacquisito il colorito ambrato di sempre. I suoi occhi erano lucidi ed attenti.

“Khaleesi” la salutò con affetto, “non pensavo saresti passata…”

Dany sorrise. “Certo che sono passata” replicò, “volevo vedere come stavi…”

“Come procedono i tuoi piani?” chiese Jorah sistemandosi le maniche che gli arrivavano fino ai polsi.

“Stiamo in una fase di stallo” replicò Daenerys, “dobbiamo aspettare la risposta di Tyrion…”

Jorah rise. “Non è strano?” chiese ironico “Che la tua vita dipenda da un Lannister?” Dany abbassò il capo. “Scusa non volevo” disse Jorah, “era solo una battuta.”

“Avevi ragione” disse Daenerys, “ma io mi fido di Tyrion e ti ringrazio per averlo portato da me…”

“Ti fidi anche di Varys?” chiese Jorah e Dany non rispose. “Era lui a mettere al corrente Robert dei tuoi spostamenti” continuò Jorah.

“Lo so” replicò Daenerys, “ma Tyrion dice che probabilmente è stato Varys a impedire che fossi uccisa subito dopo la mia nascita.”

Jorah fece una smorfia. “Non credo abbia importanza ora” osservò, “in questo momento ci troviamo tutti sulla stessa barca…”

Fece per alzarsi, ma Daenerys lo trattenne. “Dove vai?” chiese in tono inquisitorio.

“Devo allenarmi” rispose Jorah, “devo essere pronto per la battaglia.”

Dany quasi scoppiò a ridere. “Tu non combatterai” replicò, “hai già rischiato la vita troppe volte per me e se ti dovesse succedere qualcosa io non potrei mai perdonarmelo.”

Jorah la stava guardando con occhi adoranti. “Sono io che ho giurato di proteggerti” le ricordò, “non posso restare a letto come un codardo.”

“Certo che puoi” tagliò corto Dany, “e lo farai, a costo di obbligarti a bere il latte di papavero fino a farti addormentare.” Gli si avvicinò.

“Non puoi combattere in queste condizioni” disse, “non ci faccio niente con il tuo cadavere.” Si alzò in piedi.

“Ti prego Khaleesi” la scongiurò Jorah, “fammi combattere per te, non chiedo altro…”

“Lo farai” promise Daenerys, “ma solo se vinceremo questa battaglia. Ti avevo detto che saresti stato al mio fianco quando avrei conquistato il Trono di Spade e intendo mantenere questa promessa, ma sei troppo debole per questa battaglia.” Senza veramente salutarlo Dany uscì dalla camera. Jorah, nonostante i suoi passati tradimenti, era forse la persona a cui teneva di più al mondo. Non gli avrebbe permesso di morire nella mischia caotica che sarebbe stata la battaglia contro Euron.

Dalle mura vide Missandei e Verme Grigio rincorrersi sulla sabbia durante una delle rare pause dal lavoro. Missandei rideva forte e Verme Grigio la schizzava con l’acqua marina che Daenerys sapeva essere gelida. Missandei si era messa a correre, ma Verme Grigio era più veloce e l’aveva acchiappata. Lei aveva cacciato un urletto, quando entrambi erano caduti nella sabbia. Dany sorrise: era bello vedere che qualcuno non dimenticava per cosa loro tutti stessero lottando.

La felicità, la spensieratezza, la pura serenità, erano tutti sentimenti che Daenerys Nata dalla Tempesta agognava da quando aveva memoria e che non aveva mai appieno compreso. Sperava che il Trono di Spade potesse colmare in qualche modo questo vuoto, ma ogni giorno i dubbi affondavano le loro radici sempre più in profondità in lei. Dany inspirò profondamente.

Perché Jon l’aveva attaccata quel pomeriggio sulle mura? L’aveva accusata di averlo ingannato e di avergli mentito, ma Daenerys non aveva capito nemmeno bene a cosa si riferisse. Pensava davvero che lei l’avesse baciato solo per spingerlo tra le su braccia e attrarlo in una trappola? Ha una così bassa opinione di me?

Sapeva di essersi comportata male con Jon durante i loro primi incontri, ma quel bacio non nascondeva secondi fini. In quel momento seplicemente Daenerys si era sentita in pace. Strinse le mani a pugno. Forse ha ragione, pensò allontanandosi dai bastioni, forse non sono in grado di controllare il Nord, forse dovrei smettere di provarci.

Ma ormai non era più un conto di sterile politica e alleanze: Daenerys sentiva di provare davvero qualcosa per Jon. Era un sentimento diverso dalla passione che l’aveva unita a Khal Drogo e a Daario Naharis e dall’affetto che provava per Jorah, era più una sorta di profondo rispetto che non era ancora pronta ad ammettere.

Dany ammirava Jon, le piaceva come parlava, come si infiammava nei discorsi che gli stavano più a cuore e come i suoi uomini lo seguivano. Jon Snow la metteva spesso in soggezione, la faceva sentire piccola e ingenua. Una ragazzina che doveva tutto quello che aveva più ai suoi draghi che alle sue reali capacità. Ma la cosa peggiore era che lei un po’ ci credeva a questi pensieri.

Sospirando, Daenerys riaggiustò il mantello sulle spalle e fece per scendere dalle mura. Quasi si scontrò con Jon che stava salendo di corsa. Rimasero a guardarsi: erano praticamente nello stesso punto di due giorni prima.

Jon sembrava tentare di evitare il suo sguardo ed era visibilemente nervoso. “Ho trovato qualcosa” disse veloce, “nel palazzo… C’è un giardino interno…” Sembrava senza fiato.

Quando la finirà di andare in giro per il mio castello senza permesso? si chiese Dany, ma in realtà era felice che Jon le rivolgesse di nuovo la parola. Forse si era pentito di quello che le aveva detto.

“Un giardino?” chiese sinceramente stupita “Non pensavo ci fossero giardini all’interno della Roccia del Drago…” La struttura del castello in teoria non ne avrebbe neanche permesso l’esistenza.

Jon sgranò gli occhi. “Pensavo l’avresti saputo tu” disse, “io stavo solo cercando il Vetro di Drago.”

“Il tuo Vetro è nei sotterranei” osservò Dany, “mi sembra di avertelo già detto…”

“E infatti pensavo di aver trovato l’entrata ai sotterranei” puntualizzò Jon, “e invece…” Le voltò le spalle e inziò a scendere.

“Dove vai?”

Jon girò appena la testa. “Te lo faccio vedere” rispose semplicemente e Dany dovette trattenere un sorriso. Lo seguì senza parlare e in silenzio percorsero corridoi che Daenerys non aveva mai visto.

“L’entrata ai sotterranei è completamente da un’altra parte” disse mentre tirava su la gonna per non inciampare. Jon non rispose e si limitò a fermarsi davanti a una porta arrugginita. Una debole luce filtrava attraverso la feritoia che si apriva nel ferro.

“Fa’ attenzione” l’avvvertì Jon, “è molto affilata…” Indicò il varco che evidentemente portava al giardino e Dany vide che era molto stretto e minacciato da barre di ferro acuminate. Jon le tese la mano e Daenerys l’accolse senza pensarci due volte. Insieme riuscirono a passare dall’altra parte.

Oltre una piccola e bassa galleria sbucarono all’aria aperta. Dany rimase a bocca aperta. Non avrebbe mai pensato che un simile posto potesse esistere alla Roccia del Drago. L’erba cresceva rigogliosa ed il prato soffice era punteggiato da fiori e piante aromatiche. C’era un piccolo laghetto d’acqua trasparente e tre alberi dalle fronde che quasi toccavano terra.

Daenerys sollevò il viso e vide che tutto intorno il giardino era protetto dalla viva roccia delle pareti del castello, nella quale non si aprivano finestre. Era facile capire il motivo per cui quel posto non era mai stato idividuato: l’unico modo per accedervi era attraverso quella porticina malmessa. Il giardino non era molto grande e la sua forma si adattava a quella delle mura. La luce che raggiungeva terra non era abbondante e Dany si chiese come potessero crescere tutte quelle piante, senza cure poi!

Iniziò a camminare e Jon le venne dietro. Al centro del giardino torreggiava una statua di bronzo più alta di un uomo. Raffigurava un drago con le ali spiegate e le fauci spalancate. I suoi occhi erano rubini rossi come il sangue. D’un tratto Daenerys si ricordò di un’antica storia che le aveva raccontato tante volte Viserys.

“Deve essere il leggendario Giardino di Aegon” mormorò e Jon si voltò a guardarla curioso. Dany capì che gli avrebbe dovuto spiegare tutta la storia.

“Si dice che Aegon il Conquistatore fece costruire un giardino alla Roccia del Drago” spiegò, “ma pochissimi conoscevano la sua vera posizione. Mio fratello diceva che solo un Targaryen può trovare il giardino, ma è ovvio che sia solo una leggenda questa.” Dany fece scorrere la mano sulla superficie della statua.

“Deve essere Balerion il Terrore Nero” disse, “il drago di Aegon.”

Jon si stava guardando intorno. “E’ un posto delizioso” osservò, “come mai è rimasto abbandonato così tanto a lungo?”

Daenerys scrollò le spalle. “Probabilmente il segreto è morto insieme a un mio antenato chissà quanti anni fa” disse, “fino a questo momento…”

Improvvisamente la quiete spettrale del giardino fu rotta da un ringhio sommesso. Daenerys si voltò verso l’angolo più lontano del giardino e quasi scoppiò a ridere per la sorpresa. Le scaglie di Rhaegal erano così verdi che gli avevano permesso di confondersi con il manto d’erba e nessuno dei due si era accorto della sua presenza. Il drago era rannicchiato in quella che doveva essere la sua tana e sembrava abbastanza assonnato. Dany e Jon si avvicinarono.

“Non pensavo fosse ancora sull’isola” sussurrò Jon sorpreso. Daenerys strinse le labbra: una parte di lei avrebbe voluto trovare Viserion al suo posto. Jon era arrivato molto vicino al drago sonnacchioso e Dany non lo fermò. Stavolta voleva vedere cosa era in grado di fare. Nessuno aveva mai domato i suoi draghi eccetto lei, nonostante Tyrion li avesse tenuti buoni il tempo necessario per liberarli dalle catene, o almeno così aveva raccontato.

Rhaegal aveva sollevato la testa e stava annusando la mano tesa di Jon. Sfoderò i denti ringhiando e Jon tirò indietro la mano. Si voltò verso Daenerys. “Sulla nave mi ha salvato la vita” raccontò, “è arrivato dal nulla e ha dato alle fiamme l’imbarcazione nemica. Io e Gendry saremmo morti se non fosse stato per lui.”

Jon sospirò. “Ma non devi pensare che io voglia prendere il tuo drago” continuò, “non saprei nemmeno come fare, hai visto che da me non si fa accarezzare. Tu sei la loro madre e loro appartengono a te.”

Dany non disse nulla. Si sentiva in imbarazzo, perché effettivamente aveva provato una fitta di gelosia quella volta sul balcone quando Rhaegal si era rifiutato di obbedirle. Aveva davvero temuto Jon potesse portarglielo via. Ora si accorgeva di quanto fossero vane e sciocche le sue preoccupazioni.

“Ero così accecata dai miei desideri” disse abbassando lo sguardo, “da non curarmi delle persone che mi stavano intorno. Rhaegal voleva solamente dirmi che stavo sbagliando tutto e ci è riuscito.” Il drago emise un verso basso e profondo.

Daenerys si voltò a guardare Jon negli occhi. “Avevi ragione” ammise, “non conosco il mio regno, men che meno il Nord, non posso sperare di governarlo.” Dany sospirò. Al diavolo quello che penseranno i miei consiglieri. “Non credo più il nostro matrimonio sia una buona idea” continuò, “non potrebbe in ogni caso unire il Reame…”

Jon stava scuotendo la testa. “No Daenerys, avevi ragione tu” disse e Dany alzò la testa incredula. “Ho parlato d’istinto, l’altro giorno, su quelle mura, e ho dimenticato il primo dovere di un buon sovrano: pensare al bene della sua gente. Mi dicevo che l’indipendenza del Nord era la scelta giusta, ma non è vero. Finchè esisterà rancore fra il Nord ed il Trono di Spade non ci sarà vittoria contro gli Estranei, così come non c’era quando il mio popolo era diviso a causa dei Bolton o quando i Guardiani della Notte rifiutavano un’alleanza con i bruti.”

Jon fece una pausa. “Non avrei mai pensato di sposarmi” confessò, “né che il mio matrimonio potesse rivestire una tale importanza, ma se ora le cose stanno così è mio dovere andare avanti. Io non ho un cognome da offrirti, nè ricchezze particolari, ma se questa è la strada da percorrere allora ti seguirò.”

Daenerys sapeva quanto gli era costato pronunciare quelle parole e non replicò. A cosa era disposta a rinunciare lei? Erano sempre gli altri a dover sacrificare i loro desideri? No, adesso anche lei doveva dimostrarsi comprensiva o non avrebbe mai potuto governare i Sette Regni.

“E’ questo quello che vuoi?” chiese a bassa voce.

Jon si morse il labbro. “Quello che voglio non conta” disse, “l’unica cosa che mi preme è che il Nord possa ricevere l’aiuto necessario quando la Lunga Notte arriverà.” Dany non capiva con quale forza un uomo potesse a tal punto rinunciare a sé stesso. Forse era stata la vita alla Barriera a temprare a quel modo il carattere di Jon Snow.

“Ma tu cosa vuoi?” insistette avvicinandosi appena.

“Non lo so.”

Daenerys annuì. Ci furono momenti di silenzio riempiti solo dal respiro pesante di Rhaegal che doveva essersi addormentato. “Neanch’io” ammise alla fine Daenerys, “credevo desiderassi il Trono di Spade, e non sono cambiata, ma poi cosa farò? Come riuscirò a gestire un territorio così vasto, genti così diverse? Ho paura.” Jon sembrava sorpreso dalle sue parole.

“Il nostro matrimonio è importante per i Sette Regni” proseguì poi Daenerys, “magari non è quello che avevamo immaginato, ma è nostro compito mantenere la pace. Io so quello che ti sto chiedendo, davvero, lasciare la tua casa e seguirmi al Sud, ma non lo farei se non fosse indispensabile.”

Jon annuì. “Se è così” disse sicuro, “allora non mi opporrò, ma a delle condizioni… Mia sorella Sansa resterà lady di Grande Inverno e sarà lasciata libera di decidere se e quando risposarsi. Le concederai ampi poteri sul Nord e una certa indipendenza dalla Corona. Il Nord si avvarrà del diritto di non inviare soldati nell’esercito del sovrano in casi eccezionali e sarà esonerato da tutti i doveri economici e militari nei confronti della Corona durante gli inverni. Inoltre, dopo che avrai preso il Trono di Spade, porterai il tuo esercito e i tuoi draghi nel Nord e combatterai al nostro fianco la Battaglia per l’Alba. Questi sono i miei termini.”

Daenerys non dovette neanche pensarci troppo, era più di quello che aveva sperato. “Accetto” disse. “Quando ci sposeremo rinuncierai al tuo titolo di Re del Nord, ma diventerai sovrano dei Sette Regni e…”

“Non voglio essere re dei Sette Regni” la interruppe subito Jon, “e puoi tenerti il tuo trono, non è questo che conta.”

Non è questo che conta. Quelle parole furono come un pugno nello stomaco per Dany, che quasi indietreggiò.

“A me interessa solo dell’alleanza” continuò Jon fissandola negli occhi, “ho la tua parola che quando verrà il momento combatterai con i tuoi draghi contro il nostro nemico?”

“Hai la mia parola” assentì solennemente Dany.

Jon annuì. “Bene” mormorò, “credo dovrò scriverlo a mia sorella…”

C’era dolore nella sua voce e Daenerys si sentì in colpa. Perché si sentiva così? Era la cosa giusta, anche Jon lo sapeva…

“Aspetta” lo richiamò mentre Jon stava già camminando verso l’uscita. Lui si fermò e si voltò a guardarla.

“Jon, i-io spero” balbettò Dany d’un tratto impacciata, “che possiamo essere felici insieme. Lo spero davvero, e sappi che non avrei mai voluto costringerti a fare nulla, è solo che…” Daenerys fece una pausa.

“Non abbiamo scelta.”

Jon era rimasto immobile. “Lo so” mormorò, prima di girarsi ancora una volta e scomparire fra i rampicanti. Daenerys rimase da sola, il vento che le fischiava nelle orecchie, ed una strana tristezza che le opprimeva lo stomaco.

E accanto a lei Rhaegal emise un tetro lamento.

 

Brienne

 

Bronn non sembrava intenzionato a lasciarla passare facilmente. Intorno a loro ancora infuriava la battaglia e i Dothraki stavano guadagnando terreno. Brienne aveva perso di vista Randyll Tarly, che si era allontanato verso lo schieramento Lannister interno, ma era decisa a seguirlo. In quel momento Nymeria e Garth dovevano essere già entrati nel labirinto e forse erano riusciti ad attirare i nemici nella trappola. A giudicare dall’esiguo numero di soldati che Brienne scorgeva dentro le mura, la situazione doveva stare proprio così.

Bronn stava roteando la spada. “Non pensavo di rivederti qui, mia signora” disse con un cenno di saluto. “Non eri forse al servizio di lady Sansa?”

“Lo sono” rispose fiera Brienne.

“Allora credo tu ti sia ritrovata nella battaglia sbagliata” replicò Bronn, “lady Sansa è nel Nord.” Brienne era stufa di sentirsi ripetere sempre le stesse frasi: neanche lei avrebbe voluto trovarsi là. “Combatti per i Tyrell?” chiese ancora Bronn “Per la Madre dei Draghi?”

Brienne roetò gli occhi. “Non credo sia tenuta a dirlo a te” rispose impugnando la spada a due mani.

Bronn sospirò. “Non avrei voluto finisse così.” 

Neanch’io, pensò Brienne mettendosi in posizione.

Bronn colpì per primo mirando alla gamba e Brienne fece appena in tempo ad intercettare il fendente. Lui fece una smorfia d’apprezzamento. Brienne spinse la lama verso l’alto, costringendo il mercenario a perdere il suo vantaggio. Bronn tentò un affondo a destra e subito dopo uno a sinistra. Era rapido e aveva i riflessi pronti. Non possedeva certo la forza bruta del Mastino, ma compensava questa mancanza con una più che discreta abilità con la spada. La sua tecnica di combattimento era molto particolare e sembrava un miscuglio di stili diversi. Brienne per fortuna era abituata ad adattarsi a situazioni estreme.

“Perché combatti per Cersei Lannister?” chiese per prendere tempo. Bronn tuttavia non interruppe certo la lotta e il combattimento li portò dentro le mura. I pochi soldati di guardia non accennavano a volersi intromettere.

“Combatto per oro” rispose Bronn menando un fendente alla gola, “è questo che significa mercenario.” Brienne scartò di lato per evitare che la spada di Bronn le tagliasse un braccio.

“Cersei è folle” esclamò Brienne, “sai quello che ha fatto, come fai a seguirla ancora?”

“I Lannister hanno l’oro” osservò Bronn, “piuttosto chiedilo a tutti questi bei soldati che credono nella sua causa.” Brienne strinse le labbra. Anche Jaime era rimasto al fianco di Cersei. Se la storia sul Re Folle è vera, si chiese, come può ancora appoggiare sua sorella? Forse perchè era sua sorella.

Ormai erano nel cortile. Alle loro spalle le urla di nemici e alleati diminuivano d’intensità. Le spade continuavano a cozzare e Brienne cominciava ad accusare la stanchezza. A giudicare dal sudore che imperlava la fronte di Bronn lo stesso si poteva dire di lui.

In quel momento da oltre le mura interne iniziarono a provenire delle grida strozzate e dei rumori di lotta. Bronn fermò il colpo e si girò verso la provenienza del frastuono. Brienne capì che gli scontri nel labirinto erano iniziati.

“Cosa sta succedendo?” chiese Bronn incredulo “Jaime aveva dato ordine di non entrare nel palazzo!”

Brienne sollevò lo sguardo. Davanti a loro si ergeva la porta est, che, come anticipato da Olenna Tyrell, era stata chiusa. Brienne vide un gruppo di soldati Lannister dirigersi verso i cortili di sinistra, quindi l’unico modo per allontanarsi dalla battaglia era andare a destra. Così, sfruttando il momento di distrazione di Bronn, Brienne si mise a correre in quella direzione, sparendo subito nel giardino adiacente.

Sentiva dei passi dietro di lei, ma non se ne curava più di tanto: nessuno di quei soldati aveva delle frecce. Superò una decina di graziosi cortiletti alberati e pieni di fontane prima di ritrovarsi davanti alla porta nord che Olenna aveva loro descritto.

Sotto l’arco della porta trovò Nymeria Sand, intenta a farsi scorrere la frusta fra le mani. Quando la vide arrivare scattò in piedi. Era accompagnata da sette uomini con stemmi delle casate dell’Altopiano.

“Che ci fai qui?” chiese Nym avvicinandosi “Era Baelor che doveva arrivare con i rinforzi…” Brienne era assolutamene certa di aver visto l’erede di Vecchia Città tentare di sfondare lo schieramento Lannister sotto le mura.

“Arriverà” disse convinta, “Piuttosto, perché siete voi qui? Lady Olenna ha detto di…”

“Lo so cosa ha detto” la interruppe brusca Nymeria, “ma restare nascosti era noioso. E comunque tutti i soldati sono entrati dalla porta sud: se ne stanno occupando Garth e i suoi.”

Brienne si guardò nervosamente dietro le spalle. “Senti, Nym” disse, “sta arrivando un gruppo di soldati, forse è meglio se…” Proprio in quel momento furono raggiunti. Fortunatamente Bronn si era portato dietro solo quattro soldati.

Nymeria sorrise. “Ora sì che mi diverto” disse. “Ben ritrovato, cavaliere, mia sorella Tyene ti saluta.”

Bronn sollevò le sopracciglia. “Dille che mi sono ricordato di un paio di donne più belle di lei” replicò. Poi indicò le siepi oltre la porta. “E’ un cazzo di labirinto quello?” 

Nymeria ghignò. “Non credo farai in tempo a scoprirlo” replicò. “Ho incontrato il tuo amichetto con la mano d’oro, non è riuscito nemmeno ad uccidermi.” Brienne sussultò, chiedendosi dove fosse in quel momento Jaime. Ma non aveva importanza.

Nymeria e Bronn avevano preso a scrutarsi avvicinandosi e Brienne raggiunse l’entrata del labirinto. Nym fece schiocchiare la frusta un paio di volte e fece per attaccare. All’improvviso frecce scagliate dal nulla colpirono due uomini di Nymeria, che caddero a terra ansimando. Nym si voltò verso l’entrata del cortile, dove erano apparsi gli uomini di Collina del Corno guidati da Randyll Tarly.

Bronn era stupito. “Che ci fate voi qui?” chiese in tono sospettoso.

“Ordini di ser Jaime” rispose Randyll facendo cenno ai suoi uomini di attaccare. Altre frecce partirono dai lunghi archi dei Tarly e il gruppo di Nymeria arretrò nel labirinto. Brienne capì che l’unica via di scampo consisteva nel tentare di far perdere le proprie tracce e, lentamente, avanzò verso il punto in cui il sentiero si ramificava, nascondendosi dietro una siepe. Non sarebbe morta in una guerra che non era la sua.

Nymeria invece non accennava a voler scappare ulteriormente e di fatto stava condannando i suoi uomini a morte. Uno dopo l’altro furono colpiti da frecce degli avversari o trapassati dalle loro spade. Nym combattè contro Randyll Tarly in persona e riuscì a tenergli testa per qualche tempo, finchè un soldato di Lunga Tavola non le affondò la lancia fra le scapole.

La ragazza cadde in ginocchio, abbandonandosi contro la pietra delle mura. Presto smise di respirare. Tutti i soldati dei Tyrell erano morti, ma Randyll continuò ad avanzare verso il cuore del labirinto. Bronn gli venne dietro.

“Il tuo lavoro qui è finito” disse, “i tuoi uomini servono fuori dalle mura: i Dothraki sono quasi arrivati al cancel…” Bronn non riuscì mai a finire la frase perché Randyll Tarly si era voltato di scatto colpendolo con la spada al torace. Brienne dovette reprimere un urlo di sorpresa.

Il volto di Bronn esprimeva incredulità mentre cadeva a terra contro la siepe. Il sangue sgorgava dalla ferita e tingeva di rosso le sue vesti. Randyll pulì la spada sui pantaloni e proseguì, mentre i suoi uomini si occupavano dei soldati Lannister che avevano seguito Bronn, prima di sparire anch’essi nel labirinto. Quando fu certa che se ne fossero andati, Brienne uscì dal suo nascondiglio.

Il sentiero che portava alla porta nord era sporco di sangue e coperto di cadaveri, Lannister e Tyrell in ugual misura. Bronn era ancora vivo e stava tossendo. Brienne gli si inginocchiò affianco.

“T-trova Jaime” balbettò lui, “trovalo e digli che è stato tradito.”

Brienne annuì. “Lo farò.”

“Credo sia in questo dannato labirinto” disse alzando gli occhi per vedere la siepe davanti a lui.

Brienne annuì nuovamente. “Vuoi che…?” chiese senza riuscire a finire la domanda. Bronn scosse la testa. “Voglio morire da solo” rispose, “mi sono sempre chiesto cosa si prova.” Poi chiuse gli occhi. Brienne si alzò in piedi e con un profondo respiro si addentrò nel labirinto.

Olenna aveva spiegato come orientarsi, quali fiori seguire per raggiungere le porte desiderate, ma Brienne non ricordava nulla. Allontanandosi dalla porta nord, Brienne si ritrovò a vagare senza meta. Sperava di poter trovare il gruppo di Garth prima che venisse attaccato dagli uomini di Tarly. Nymeria ha detto alla porta sud, ricordò, nonostante ciò non le desse alcun indizio circa la strada da seguire.

Brienne si chiedeva come stesse procedendo la battaglia oltre le mura esterne. Senza i soldati di Collina del Corno e Lunga Tavola a fermarli, i Dothraki dovevano essere ormai stati in grado di sfondare il portone. “Che poi era anche aperto” osservò Brienne continuando a camminare.

Qual era il piano di Randyll Tarly? Una volta che l’esercito di Daenerys avesse ripreso il castello, sarebbe rimasto intrappolato con i suoi uomini all’interno del labirinto. E che senso aveva tradire i Lannister se poi non si alleava comunque con i loro nemici?

Improvvisamente udì una voce provenire oltre la siepe alla sua destra. Raggiunse il varco fra le piante più vicino e si sporse leggermente, con estrema cautela. Davanti le si apriva una piazzola dal terreno di terra battuta delimitata dalle siepi. Vide non meno di venti cadaveri, ma dovette interrompere il conto perché la sua attenzione fu attratta da qualcos’altro.

Randyll Tarly era in piedi al centro della piazzola e le dava le spalle. Puntava la spada contro un uomo disteso ai suoi piedi la cui arma era volata qualche metro più in là. Brienne rabbrividì quando si rese conto si trattava di Jaime.

“Avrei preferito ucciderti in piedi con una spada in mano” stava dicendo Randyll con disprezzo, “ma non credo faccia alcuna differenza.”

Brienne lo vide sollevare la spada e agì d’impulso, senza pensare minimamente alle conseguenze. In quel momento non le interessava l’onore o il buon senso che le suggeriva di rimanere nascosta: in quel momento le interessava solamente che quella spada non colpisse Jaime Lannister. Non si accorse nemmeno di aver affondato la propria lama nella schiena di Randyll Tarly finchè non lo vide stramazzare ai suoi piedi. Rigidamente pulì la spada come faceva tutte le volte, tentando di evitare lo sguardo esterrefatto di Jaime.

“Brienne” mormorò lui visibilmente sconvolto senza nemmeno provare ad alzarsi.

“Ti conviene rimetterti in piedi” lo avvertì Brienne rinfoderando la spada, “potrebbero arrivarne altri.” Jaime apriva e chiudeva la bocca senza dire una parola. Brienne alzò gli occhi al cielo e gli porse la mano, aiutandolo ad alzarsi.

“Che ci fai qui?” chiese Jaime ancora incredulo.

“E’ una storia complicata” ammise Brienne guardandosi nervosamente intorno, “ci conviene allontanarci da qui…” Fece per dirigersi verso un nuovo sentiero, ma Jaime la trattenne per il braccio.

“Combatti per Daenerys Targaryen?” le chiese e nonostante tutto Brienne ebbe voglia di dargli un pugno in faccia. Jaime dovette intuire le sue intenzioni, perché lasciò la presa.

“Mi hai salvato la vita” osservò, “grazie.”

“Ti ho restituito il favore” precisò Brienne. Poi abbassò lo sguardo. “Il tuo amico Bronn è morto” disse a bassa voce, “mi dispiace.”

Jaime non sembrava sorpreso. “Lo so” disse infatti, “l’ho trovato agonizzante mentre entravo nel labirinto.” Brienne sgranò gli occhi. Bronn le aveva detto di cercare Jaime nel labirinto, ma adesso scopriva che in realtà ci era entrato dopo di lei. Dov’era stato fino a quel momento?

“Allora” chiese con amara ironia Jaime, “come ci si sente dopo aver colpito un uomo alle spalle?” Jaime scoppiò a ridere, una risata senza gioia. “Tutti mi hanno sempre rimproverato di aver pugnalato il Re Folle alla schiena” disse, “ma qual è la differenza?”

Brienne non era in vena di ragionamenti filosofici. “Ascoltami” disse, “i soldati di Randyll Tarly hanno lasciato le loro postazioni. Presto gli uomini di Daenerys prenderanno il castello: potrebbero essere già entrati in questo momento…”

“Aye” disse Jaime annuendo, “ho lasciato dei soldati a proteggere le mura, ma non potranno resistere a lungo. Speravo almeno di portare in salvo gli uomini che sono entrati qui.”

Brienne decise di rivelare i piani di Olenna. “Garth Hightower ha un pugno di uomini alla porta sud” disse, “secondo Nymeria anche i tuoi soldati si troverebbero lì, ma se verranno raggiunti da Randyll Tarly, saranno uccisi tutti senza distinzioni. Ha non meno di cinquanta uomini con sé.”

Jaime si morse un labbro. “E tu perché mi stai dicendo questo?” chiese “Perché riveli i piani del tuo esercito?”

“Io non combatto per Daenerys Targaryen” rispose tagliente Brienne, “io sono al servizio di lady Sansa.”

“Sì, questo me l’avevi già detto” la interruppe Jaime. “Ma allora perché ti trovi qui?”

“Ti ho detto che è una lunga storia” ripeté Brienne, “non credo sia una priorità adesso.”

Jaime la fissò. “No, non lo è” ammise. Poi sospirò. “Allora” disse, “cosa mi consigli di fare?”

Brienne ci pensò qualche momento. “Esiste una porta a ovest…”

Jaime subito la interruppe. “Lo so” disse, “ci sono passato.”

“Se la smettessi di interrompermi” disse Brienne irritata, “forse potrei concludere qualcosa.” Jaime alzò le mani in segno di resa.

“Se raggiungi le mura esterne da lì” continuò Brienne, “potrai calarti a terra e fuggire. Se segui il fiume potrai tornare ad Approdo del Re.”

Jaime annuì. “Potrebbe funzionare” disse soppesando l’idea, “così come loro le hanno scalate io potrei discenderle. Anche se ho una mano d’oro…”

“Ti calerò con una corda” propose Brienne.

Jaime annuì di nuovo. “Perché lo stai facendo? Non sei tenuta…”

Non lo so perché lo faccio, pensò Brienne e non rispose. “Dobbiamo andare” disse solamente, “a cercare i tuoi uomini.” Si misero in cammino senza scambiarsi più una parola. Seguirono le voci e qua e là trovarono nuovi cadaveri. A un certo punto furono quasi attaccati da un gruppo di una decina di soldati Lannister.

“Fermi, sono io” disse Jaime, “dove sono gli altri?” Gli uomini si guardarono.

“Alcuni sono morti, ser” disse un ragazzo che poteva avere al massimo vent’anni, “gli altri si nascondono. Non sappiamo come uscire…”

Un ricordo improvviso fulminò Brienne. “I fiori viola!” esclamò e tutti la guardarono confusi “Se seguite i fiori viola troverete la porta ovest. Salite sulle mura e calatevi come meglio potete a terra. Poi aspettate ser Jaime.” I soldati la guardavano sospettosi.

“Fate come vi dice” ordinò Jaime, “io vi raggiungerò.”

Gli uomini si allontanarono e Jaime e Brienne si rimisero in cammino. Incontrarono altri gruppi più o meno numerosi di soldati Lannister che si erano nascosti per evitare di cadere nelle imboscate degli uomini di Garth. A tutti Brienne spiegò la stessa cosa e tutti ebbero bisogno della conferma di Jaime. Alla fine arrivarono alla porta sud. Lo spettacolo che si parò davanti ai loro occhi era surreale.

Una trentina di soldati Lannister aveva unito le forze con il gruppo di Garth per affrontare i traditori, che tuttavia risultavano in vantaggio. I cadaveri si stavano accumulando. Jaime fece per gettarsi nella mischia, ma Brienne lo trattenne.

“Dove vai?”

“A combattere” rispose Jaime fissandola stupito, “sono il loro comandante…”

“Non puoi fare nulla” disse Brienne, “dobbiamo andare…”

Jaime la guardò come se fosse impazzita. “Non posso lasciarli qui a morire” disse aggrottando la fronte.

“Devi” replicò Brienne sicura, “così come hai lasciato a morire i soldati sulle mura ad est. Se Garth è fortunato verrà a salvarli l’avanguardia di suo fratello, ma in ogni caso per i tuoi uomini sarà la fine. Se ora vai rimarrai ucciso per niente.”

“Non voglio fuggire da codardo” disse Jaime irato.

“I tuoi uomini hanno bisogno di te” continuò Brienne decisa a essere forte, “gli uomini che ora ti aspettano su quelle mura, gli unici per cui la tua presenza può fare davvero la differenza.” Gli prese la mano sinistra e gliela strinse.

“So che è difficile” disse, “ma è la cosa giusta da fare.”

Jaime rimase a guardare qualche secondo la battaglia che ancora infuriava, poi si voltò e tornò sui suoi passi. Brienne gli venne subito dietro. Seguendo la pista dei fiori viola trovarono la porta ovest in pochi minuti e risalirono sulle mura esterne. A terra erano già scesi più di cinquanta uomini.

“Guarda quanti sei riuscito a salvarne” disse Brienne con un sorriso.

“Sei stata tu a salvarli” replicò Jaime guardandola negli occhi. “Quando i Tyrell avranno vinto, ti prego, fa’ avere sepolture dignitose a Bronn. Troverete il suo cadavere nella siepe vicino alla porta dove è morto.”

Brienne annuì. “Farò tutto il possibile” promise. Poi prese in mano una corda che trovò per terra e la porse a Jaime. “Legala intorno alla vita” suggerì, “io ti calerò a terra.”

“Non sei abbastanza forte” scherzò lui, ma fece come gli era stato detto. Brienne sentì qualcosa sciogliersi in lei mentre lo vedeva posizionarsi sul bordo. Sembrava combattuto.

“Brienne” disse Jaime in tono indecifrabile, “Bronn mi ha detto una cosa prima di morire… Ha detto che secondo lui tu… Tu, ecco, provavi qualcosa per me…” Brienne ci rimase di sasso e probabilmente arrossì anche, come una stupida ragazzina. Come poteva essersene accorto? Deglutì un paio di volte e scelse le parole da utilizzare.

“Io provo qualcosa per te” ammise, “da quando quella volta sei sceso nella fossa dell’orso. Ti ammiravo e mi chiedevo come era possibile che una persona così sensibile come te potesse fingere di essere egoista e prepotente. Quello non eri tu…”

Jaime abbassò lo sguardo. “Lo so” replicò con voce rauca, “non ero io, ma se sono tornato almeno in parte quello che sono veramente è solo grazie a te Brienne. Te ne sono grato.” Fece una pausa e si morse il labbro.

“Anch’io provo qualcosa per te.”

Brienne sentì tutto il suo corpo tremare. Lei che era così brava a dissimulare le proprie emozioni, stava lasciando che queste avessero il sopravvento.

Jaime aveva gli occhi lucidi, ma ora la stava guardando in faccia. “Vorrei che le cose fossero andate in modo diverso” mormorò commosso, “vorrei aver fatto scelte diverse. Non c’è futuro per noi, Brienne, ho scelto Cersei molti anni fa e, nonostante tutto quello che ha fatto, non posso voltarle le spalle. Non sono abbastanza forte.” Ora stava piangendo per davvero.

“Vorrei potermi strappare il simbolo del leone dal petto” continuò, “e vivere una vita semplice, magari con te, ma non posso. Non ho niente da offrirti, Brienne, non ti merito.” Brienne sentì le lacrime scorrerle lungo le guance prima che potesse ricacciarle indietro.

“Un giorno troverai un uomo che ti ami” stava dicendo Jaime, “e che tu amerai, e allora sarai felice. Te lo auguro, Brienne, ma non posso dividere con nessuno il peso delle mie scelte, men che meno con le persone a cui voglio bene.” Jaime si lasciò cadere oltre le mura e Brienne dovette trattenere la corda fino a spellarsi le mani.

“Jaime” lo chiamò quando ormai aveva toccato terra. Jaime sollevò lo sguardo. Aveva gli occhi arrossati.

“Io devo tornare nel Nord” disse, “lady Sansa ha bisogno di me.”

Jaime dal basso annuì. “Questo quindi è un addio.”

I suoi uomini avevano già raggiunto il fiume. Brienne non sapeva cosa dire, il dolore le faceva impigliare le parole in gola. Cosa avrebbe voluto, che Jaime Lannister rinunciasse a tutto per lei?

“Lo è” disse, i suoi occhi allacciati a quelli di lui.

“Mi mancherai, Brienne” disse Jaime in tono dolce, “sei la donna più speciale che abbia mai incontrato e ti devo tanto.” Brienne temette di poter scoppiare a piangere di nuovo. Fece cadere la fune, che si arrotolò a terra molti piedi più in basso. Ora c’erano le mura a dividerli e nessun modo di colmare quella distanza.

“Ti auguro buona fortuna” disse Brienne combattendo contro la malinconia.

Jaime strinse le labbra, il viso ancora rivolto in alto. “Buona fortuna” ripeté e poi si voltò, camminando verso i suoi uomini.

Alle sue spalle Brienne udì il corno della vittoria suonare e seppe che avevano vinto. Tutto ciò però non aveva importanza quando la guerra che si combatteva non aveva senso. Nel pallido sole del tramonto Jaime si voltò a guardarla un’ultima volta. I loro ruoli sembravano essersi invertiti dal loro incontro a Delta delle Acque. Brienne ora era sulle mura e Jaime in fuga, ma la tristezza era rimasta.

Nessuno dei due salutò, nessuno parlò o fece alcun cenno. Jaime si girò ancora una volta e proseguì a passo più svelto e Brienne rimase immobile, senza più tentare di trattenere le lacrime. Per il momento potevano scorrere, ci avrebbe pensato in seguito ad asciugarle. Presto la sagoma di Jaime si confuse con le altre, troppo lontane per essere riconosciute, e Brienne sentì qualcosa dentro spezzarsi.

Entrambi sapevano che non si sarebbero mai più rivisti.

 

Tyrion

 

La salita a Capo Tempesta fu più faticosa del previsto. I gradini di pietra non erano scivolosi, ma erano troppo alti per le gambe tozze e storte di Tyrion. Il nano fu costretto a far fermare il piccolo corteo non meno di tre volte perché era rimasto indietro. Il capo delle guardie, che Davos aveva detto chiamarsi Gilbert Farring, gli lanciava occhiate sospettose e Tyrion non riuscì a trattenersi.

“Sono uno spettacolo così raccapricciante?” chiese sarcastico cercando di tenere il passo. Ser Gilbert non lo degnò di una risposta. Tyrion iniziava a capire perché Stannis avesse scelto un uomo del genere come castellano di Capo Tempesta. Sbuffando, riprese a salire. Gendry almeno sembrava più rilassato e forse aveva perfino fatto breccia nella corazza spietata di Farring.

“Cosa succederà ora?” chiese Tyrion a Davos in un sussurro.

“Ascolteranno quello che abbiamo da dire” assicurò il Cavaliere delle Cipolle, “ma poi probabilmente metteranno Gendry alla prova, per vedere se veramente è il figlio di Robert.” Tyrion decise di non chiedere che tipo di prova dovevano aspettarsi.

Finalmente arrivarono in cima alla scogliera battuta dal vento e Tyrion si prese un attimo per ammirare il panorama. Il golfo sembrava così quieto e il mare era liscio. Non appariva come il luogo dove potesse scatenarsi una tempesta. Davos dovette indovinare i suoi pensieri, perché si avvicinò.

“Non farti illudere” gli suggerì. “Stannis mi ha raccontato che al tempo del regno di Aerys lui e Robert erano su questa scogliera a guardare la nave dei loro genitori rientrare nella baia. Il mare era calmo, ma all’improvviso si è alzato un forte vento e ha iniziato a piovere e la nave è affondata. Lord Steffon e lady Cassana sono morti in quel naufragio e Stannis e suo fratello non hanno potuto fare nulla.”

Tyrion rabbrividì. “Forse è meglio entrare” disse voltando le spalle alle placide acque del mare.

Seguirono Gilbert dentro le spesse mura di Capo Tempesta e attesero qualche minuto nel cortile brullo. Tyrion sapeva che i Baratheon erano rinomati per il disprezzo che provavano nei confronti dello sfarzo e del futile, in questo erano simili agli Stark anche non potevano vantarsi della stessa storia gloriosa.

Quella dei Baratheon era la casata maggiore più recente dei Sette Regni e, fino all’incoronazione di Robert, non erano stati molto potenti. Le loro tradizioni avevano da sempre combaciato perfettamente con le regole che Aegon il Conquistatore e i suoi discendenti avevano imposto e di conseguenza le Terre della Tempesta potevano sembrare il regno meno attaccato ai propri costumi, soprattutto se confrontato con il Nord o Dorne. Tuttavia Tyrion era certo che la gente della Tempesta conservasse gelosamente le proprie tradizioni, ma non era sicuro di volerle scoprire.

Alla fine anche l’enorme portone di bronzo, l’unico ornamento permesso in quel castello, venne aperto e Davos li guidò attraverso i corridoi. All’interno Capo Tempesta assomigliava sorprendentemente a Roccia del Drago, ma i soffitti erano più alti e la pietra più levigata. Tyrion notò che Gendry si guardava intorno nervoso, ma non aveva parole per confortarlo.

Arrivarono nella sala dei banchetti e Tyrion si stupì di trovarla così illuminata. Erano state accese sicuramente più di cento candele, che non erano solo posizionate sui lampadari, ma anche lungo le pareti. Tyrion dovette trattenere un sospiro di sollievo vedendo la sala gremita di gente. Le panche avevano una forma strana ed erano disposte a semicerchio intorno a quello che un tempo doveva essere stato il trono dei Re della Tempesta, che di fatto era una sedia normalissima con lo schienale leggermente più alto.

Ser Gilbert venne avanti. “Miei signori” disse in tono ossequioso, “vi presento Gendry Baratheon, figlio naturale di re Robert, accompagnato da ser Davos Seaworth e Tyrion Lannister.” Tyrion era certo di aver visto la faccia di Gilbert contrarsi in una smorfia mentre pronunciava il suo nome. Dovrai abituarti.

“Allora è vero” disse un uomo anziano seduto in prima fila, “uno dei bastardi di re Robert era riuscito a salvarsi. Se sei chi dici di essere allora sei mio pronipote.” Gendry lo guardò esterrefatto. L’uomo si alzò e gli porse la mano. Davos invitò con lo sguardo Gendry ad accettarla.

“Lui è lord Eldon Estermont” spiegò Davos mentre i due si stringevano la mano, “lord di Pietraverde e zio di re Robert.” Tyrion sapeva che gli Estermont avevano mantenuto una posizione molto cauta durante la guerra, rifiutandosi di schierarsi apertamente per la fazione di Stannis piuttosto che per quella di Joffrey. Lord Eldon era stato molto abile a mantenere la pace con entrambi i re e aveva inviato il suo erede e il di lui figlio ad Approdo del Re. Tyrion si chiedeva che fine avessero fatto.

“Perché siete qui?” chiese un ragazzino di massimo diciasette anni seduto all’estrema destra del semicerchio. Aveva la fronte sporgente e lo sopracciglia unite sopra il naso che gli conferivano un’aria da uomo. Gendry si voltò verso di lui.

“Chiedo perdono, mio signore” disse in tono educato, “con chi ho l’onore di parlare?”

Il ragazzo ghignò. “Sono Lucos Chyttering” rispose in tono di sfida, “e vorrei sapere chi tu sia.”

“Sono Gendry Barathe…”

“Certo, certo” lo interruppe Lucos, “ma cosa sai della casata di cui porti il simbolo? Della sua storia, della sua gente…” Gendry abbassò lo sguardo e Lucos sorrise. Tyrion iniziava a considerarlo irritante.

“Come pensavo” disse il ragazzino, “solo un bastardo…”

Lord Eldon mise una mano sulla spalla di Gendry. “Non essere precipitoso, Lucos” disse con voce calma, “se Daenerys Targaryen ha voluto legittimizzare il figlio di re Robert allora vuol dire che…”

“Vuol dire che ha bisogno dei nostri uomini, fratello” lo interruppe un uomo stravaccato sulla panca accanto al posto vuoto di Eldon, “questa è la semplice verità.”

Eldon scosse la testa. “Credo ci sia di più, Lomas” disse voltandosi verso la sala, “forse qualcuno ci riconosce finalmente la nostra importanza.”

“Ah, ma per favore!” esclamò un uomo in seconda fila alzandosi in piedi. Indicò Tyrion. “Che razza di codardo si alleerebbe con un Lannister?” chiese a voce alta “Credevo l’ultima Targaryen dovrebbe odiare il fratello dell’uomo che le ha ucciso il padre.”

Tyrion corrugò la fronte. “Non ti conosco” disse pensieroso, “lord…?”

“Lester Morrigen” rispose l’uomo, “da Nido dei Corvi.”

“Bene, lord Morrigen” replicò Tyrion facendo un passo avanti, “mettiamo subito in chiaro un paio di cose. Io non sono mio fratello. E’ facile da ricordare, non ci assomigliamo nemmeno.” Ci furono delle risatine.

“Daenerys mi ha scelto come suo Primo Cavaliere” continuò Tyrion, “ma solo per la mia abilità nel dare consigli. Quindi ora ve ne voglio dare uno anche a voi. Daenerys vuole prendere il Trono di Spade e per farlo dovrà sconfiggere la mia dolce sorella. Vi ricordate di Cersei, vero? E’ accusata di aver fatto uccidere suo marito, il vostro lord e re.”

“Mio figlio Aemon e mio nipote Alyn sono morti nell’esplosione del Tempio di Baelor” disse in tono grave lord Eldon. Ecco che fine hanno fatto…

“Il punto è” proseguì Tyrion, “che ora avete l’occasione di vendicare il vostro re e di aiutare la legittima regina dei Sette Regni a sedersi su quel dannato Trono. Fateci un pensierino almeno.” Si alzò in piedi un uomo dalla folta barba scura. Gendry lo invitò a presentarsi.

“Sono Arstan Selmy” disse lui, “lord di Sala del Raccolto.” Tyrion sussultò: quell’uomo doveva essere imparentato con ser Barristan il Valoroso. Daenerys aveva raccontato più di una volta come Barristan avesse coraggiosamente difeso la sua città dai Figli dell’Arpia, perendo nel tentativo.

“Non ho rifiutato la chiamata di Renly Baratheon” stava continuando lord Arstan, “e in seguito i miei uomini hanno combattuto per re Stannis nella Battaglia delle Acque Nere. Molti l’hanno seguito alla Barriera e sono morti con il loro re. Ora un’altra regina chiede il nostro aiuto per sconfiggere i suoi nemici dal mare.”

Arstan sospirò. “La mia gente ha sofferto abbastanza” disse con amarezza, “abbiamo perso due guerre e i nostri campi sono abbandonati ai venti dell’inverno. Non possiamo costringere i nostri uomini ad un’altra battaglia.” Ci furono esclamazioni d’assenso.

“Sono d’accordo” intervenne un ragazzo seduto vicino a Lester Morrigen, “la mia casata ha supportato Stannis fin dal principio, io ho perso mio padre e i miei zii in guerra, ma non ci siamo mai tirati indietro al nostro dovere. Io sono disposto ad accettare un nuovo lord di Capo Tempesta, ma non chiedetemi di mandare i miei uomini in guerra ancora una volta.”

“Tu sei Duram Bar Emmon, vero?” chiese Davos e il ragazzo annuì. “Conoscevo tuo padre” continuò Davos, “un brav’uomo, devoto alla causa di Stannis. Il nostro re si fidava di lui, gli aveva affidato una nave nell’avanguardia alle Acque Nere.” Tyrion strinse le labbra: in fondo era stato lui ad ordinare il ricorso all’Altofuoco contro quelle navi.

“Stannis è morto” stava dicendo Davos, “e le vostre terre sono lacerate dall’anarchia e dal caos. Gendry non sarà cresciuto per diventare lord, questo è vero, ma neanche Robert era nato per diventare re. Questa è la vostra occasione non solo per prendervi la vostra vendetta, ma anche per portare la pace in queste terre, unendovi sotto un unico vessillo.” Duram taceva.

“Ma lui non è adatto a governare le Terre della Tempesta” intervenne nuovamente Lucos Chyttering, “non è il nostro signore.”

“Ci sarà tempo per imparare” ribatté Eldon Estermont, “io direi di dare a questo ragazzo la possibilità di dimostrare quanto vale.” Nessuno osò contraddirlo, in fin dei conti era pur sempre lo zio del loro defunto re. Lucos borbottò qualcosa e incrociò le braccia.

Gendry si fece avanti: sembrava più sicuro di sé di quanto Tyrion non l’avesse mai visto prima. “Avete ragione” disse ad alta voce, “io non sono il signore di cui avete bisogno, non conosco la storia della mia casata né i confini delle mie terre. Vi posso assicurare però che conosco la guerra. Non l’ho combattuta in armatura e a cavallo, ma l’ho vissuta. La fame, la paura, la perdita delle persone che si amano.” Gendry si era rattristato tutto d’un colpo.

“So quello che vi stiamo chiedendo” continuò dopo essersi ripreso, “i pericoli ai quali andrete incontro se appoggerete la nostra causa. Non conoscevo mio padre, non l’avevo mai visto e neanche sapevo di essere suo figlio fino a un paio d’anni fa. Non ho mai nutrito alcun sentimento benevolo nei confronti di Stannis: ha tentato di farmi bruciare sul rogo.” Molti nella sala trasalirono.

“Ser Davos mi ha salvato la vita” proseguì Gendry, “e mi ha detto di fuggire. Così sono fuggito. Poi la Madre dei Draghi e il Re del Nord mi hanno detto che sarei diventato lord di Capo Tempesta ed ho detto di sì. Che alternativa avevo? Quale alternativa avete voi? Daenerys è l’unica con un esercito abbastanza grande da poter sconfiggere Cersei, ma se ora voi non l’aiutate, Euron Greyjoy distruggerà ogni cosa alla Roccia del Drago.”

“Allora le voci sono vere?” chiese Duram Emmon “Le Isole di Ferro si sono alleate con Cersei Lannister?” Gendry annuì e Duram appoggiò la schiena allo schienale.

“Se la regina ha così tanti uomini” intervenne Lomas Estermont, “perché avrebbe bisogno dei nostri?”

“Perché ha inviato il suo esercito a combattere altre battaglie” spiegò Tyrion. Ser Lomas fece una smorfia. “Non molto saggio da parte sua” osservò sarcastico.

“Padre!” lo riprese il giovane seduto alla sua sinistra “Non sta a noi giudicare le azioni strategiche di un sovrano.” Si alzò in piedi. Era un giovanotto piuttosto attraente, con folti capelli castano chiaro e occhi color nocciola. Avanzò finché non fu davanti a Gendry. “Le tue parole mi hanno convinto” disse con un sorriso sincero, “credo tu abbia la stoffa di un comandante, anche se ci sono molte cose che dovrai imparare.” Estrasse la propria spada e Tyrion temette avesse cattive intenzioni. Si tranquillizzò solo vedendo il sorriso di Davos. Il giovane posò la spada ai piedi di Gendry e si inginocchiò.

“Il mio nome è Andrew Estermont” disse a capo chino, “sembra che io sia tuo zio… Spero di poterti servire con onore.” Gendry era rimasto senza parole, forse troppo incredulo per poter rispondere.

“Accettiamo con gioia la tua fedeltà, ser Andrew” intervenne Davos in tono di cortesia, “alzati per favore.” Andrew si rimise in piedi.

“La casata Estermont sosterrà Gendry Baratheon come legittimo lord di Capo Tempesta” disse lord Eldon guardando fieramente il nipote, “e non verrà meno al suo dovere nei confronti della vera regina dei Sette Regni.”

“Eldon, è una follia!” esclamò Lomas esterrefatto.

“Taci, fratello” lo rimproverò duramente Eldon, “ho preso la mia decisione. Perfino tuo figlio ha capito meglio di te: non è follia servire il proprio signore.” Ser Lomas serrò i pugni con rabbia, ma non disse niente. Tyrion capì che stavano procedendo bene. Gli Estermont erano la più importante famiglia delle Terre della Tempesta dopo i Baratheon, ed averli dalla loro parte era un grande risultato. Come previsto, gli altri lord iniziarono a parlare a bassa voce fra di loro. Ser Andrew si risedette, mentre Eldon rimase in piedi.

“Non dirò che il ragazzo si sia comportato male” prese la parola lord Morrigen, “ma ciò non vuol dire che noi dobbiamo seguire una regina straniera che, a quanto ho sentito, ha portato nel Continente Occidentale dei Dothraki selvaggi.” Lucos Chyttering alzò il proprio calice in segno di assenso. A Tyrion quel ragazzino sembrava sempre più antipatico.

“Non è una regina straniera!” esclamò una vocetta acuta dal fondo della sala. Tyrion strinse gli occhi e vide un bambino che ad occhio e croce doveva avere sette anni venire verso di loro.

Nonostante la giovanissima età, aveva dei tratti così raffinati ed eleganti da renderlo immediatamente riconoscibile nella folla che si era accalcata nella sala. I suoi capelli erano di un biondo chiaro e gli arrivavano alle spalle e la sua pelle era bianca come il latte. Aveva occhi azzurri e lentiggini sul naso e indossava vestiti troppo imponenti per la sua corporatura minuta.

“Sono Monterys Velaryon” disse il bambino e Tyrion sgranò gli occhi. I Velaryon discendevano dall’antica Valyria e condividevano lo stesso sangue dei Targaryen. Spesso i re del drago si erano sposati con esponenti di quella casata per mantenere puro il loro prezioso sangue.

“Lord delle Maree” stava dicendo il piccolo Monterys, “e mastro di Driftmark. La mia famiglia è sempre stata fedele ai Targaryen, quindi la nostra adesione alla causa della regina è fuori discussione, ma ora mi rivolgo a coloro che ancora non hanno ancora scelto.” Il bambino, con grande compostezza, si girò verso la sala che lo guardava in rispettoso silenzio.

“Quanto tempo credete passerà prima che Cersei nomini uno dei suoi scagnozzi per governare le vostre terre?” chiese con la sua voce leggermente stridula “Volete davvero vedere la casa dei Baratheon estinguersi? Scomparire come non fosse mai esistita? Certo, Gendry non ha esperienza, ma che importa? Ha tutta la vita per imparare, proprio come me. Quando Daenerys Nata dalla Tempesta siederà sul Trono di Spade, alle Terre della Tempesta sarà concessa la pace e la possibilità di ricostruire ciò che la guerra ha distrutto. Dovete avere coraggio ed aiutare la legittima regina a riprendersi i Sette Regni e così avrete anche la vostra vendetta.” Tyrion credette in quel momento di non aver mai sentito discorso più convincente.

Dovette risultare efficacie, perché Lester Morrigen sorrise. “Mio fratello era nella Guardia Reale di Renly Baratheon” disse, “è rimasto ucciso nella Battaglia delle Acque Nere. Non avrei mai pensato di poterlo vendicare, ma sembra sia arrivato il momento. Gli uomini di Nido dei Corvi seguiranno il signore di Capo Tempesta ovunque egli riterrà giusto.” Tyrion quasi tirò un sospiro di sollievo quando uno dopo l’altro tutti i lord giurarono fedeltà a Gendry.

Duram Emmon gli offrì gli uomini di Punta Acuminata e lady Mertyns quelli di Bosco delle Brume. Anche coloro che erano rimasti in silenzio ora parlavano tutti insieme e Tyrion riconobbe molte antiche casate. Grandison, Errol, Swann, Fell, Wylde, Connington, tutte si dichiararono in favore della causa della regina dei draghi. Davos sorrideva e si occupava delle conversazioni, mentre Gendry tentava di rispondere a tutte le domande che gli venivano poste.

Nessuno faceva caso a Tyrion, che dal canto suo era felicissimo così. Non avrebbe sopportato le solite insinuazioni riguardo al suo presunto tradimento o gli insulti che ormai erano diventati la prassi. Alla fine tutti acclamarono Gendry Baratheon come lord di Capo Tempesta e Tyrion poté tirare un sospiro di sollievo.

“Sì, sì molto bene” disse con voce che tradiva la fretta, “credo abbiamo festeggiato abbastanza. E’ tempo di prendere il mare per la Roccia del Drago: la regina ci sta aspettando.” Gendry ripeté subito l’ordine, con il tono di chi si sta abituando ad un ruolo di comando, e tutti i presenti ruggirono il loro entusiasmo. Strano, pensò Tyrion sarcastico, è così facile manipolare gli esseri umani, fino a un’ora fa ci avrebbero volentieri lasciato ai pesci…

Ma tutto questo non aveva importanza ora che avevano raggiunto il loro scopo. La missione aveva avuto un successo strepitoso, ma Tyrion era ancora inquieto. Fece scorrere lo sguardo sulla sala in festa. Abbiamo guadagnato abbastanza uomini per poter fare la differenza, si disse. Adesso Daenerys ha i numeri per battere Euron.

Un pensiero però continuava a tormentarlo: sarebbero tornati in tempo?



                                                  "Ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è ciò che diventi."



N.D.A.

Bentornati a tutti! L'estate sta finendo e immagino starete tutti tornando (o siate già tornati) alla vita quotidiana...
Mi scuso subito se questo capitolo è venuto fuori un po' triste... Fin dal titolo si capiva che non sarebbero state rose e fiori XD

Abbiamo la conclusione della battaglia di Alto Giardino con la vittoria dei Tyrell (e quindi di Daenerys) su Lannister e alleati di Euron Greyjoy. L'addio fra Jaime e Brienne è stato straziante da scrivere, sono due personaggi che adoro e che riconosco avrebbero un potenziale enorme insieme. Ma non sempre la vita va come desideri e a volte brutte scelte del passato ti condizionano per sempre. Non è sicuro riuscire a riconominaciare e nel loro caso non era possibile. Jaime non poteva semplicemente cancellare tutto il male che aveva fatto, nonostante davvero volesse una vita nuova, magari con Brienne. Non ha scelto Cersei, non prova più nulla per lei, ha scelto la responsabilità per le sue azioni passate e l'unico modo per rimanere fedele a sé stesso senza fuggire come un codardo. Lo deve almeno ai suoi uomini che l'hanno sempre seguito. So che magari molti di voi volevano un lieto fine per questi due, ma ritengo che così sia più realistico e più IC.

Per quanto riguarda il Nord la situazione è degenerata e presto si rischierà un conflitto armato contro i Cavalieri della Valle. Una precisazione... Nei libri Barbrey dice a Theon che le ossa di Ned sono state bloccate all'Incollatura e che, semmai fossero giunte a Grande Inverno, le avrebbe date ai cani. Nella serie però è specificato più volte che Ned sia stato seppellito, quindi ho cambiato leggermente la cosa facendo che Barbrey avesse tentato di appropriarsi delle ossa, tuttavia fallendo.

Per quanto riguarda il meeting a Capo Tempesta mi sono basata sui libri per tutti i lord che si incontrano, cambiando quando dovevo la loro backstory se andava in conflitto con la serie. In particolare ser Andrew nei libri è assegnato alla protezione di Edric Storm, un altro dei figli di Robert che non esiste nella serie, quindi qui ho scelto di fargli giurare fedeltà a Gendry.

Inoltre è bene specificare che tecnicamente Jon, pur avendo acconsentito a cedere l'indipendenza del Nord e sposare Daenerys, non ha ancora perso il suo titolo in quanto l'accordo verrà stipulato solo al momento del matrimonio, o almeno questi sono i piani finora.

Come al solito ringrazio i miei fedelissimi recensori e le nuove arrivate, in ordine: giona, __Starlight__, GiorgiaXX, pillyA (benvenuta!) e Paola92 (benvenuta!). Un ringraziamento anche a tutti gli altri recensori che continuano a seguire la storia e che tentano disperatamente di rimettersi in paro XD e a tutti coloro che leggono senza recensire... Un abbraccio a tutti quanti!
Spero il capitolo vi sia piaciuto e ci vediamo tra due settimane!


NB: la citazione di stavolta è del filosofo Eraclito, atuore della dottrina (seppur mai da lui enunciata con tali parole) del "panta rei". L'ho pensata appositamente per Jaime, per far capire quanto le scelte di tutta una vita possano influenzare pesamentemente una persona, ma si adatta a qualsiasi personaggio.


 

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Capitolo 15
*** Revelations ***


Capitolo 15


Revelations                                                                                                            

 


Samwell

 

Lo studio per forgiare la catena da maestro ormai occupava quasi tutto il suo tempo. In situazioni normali Sam avrebbe adorato trascorrere così tanto tempo sui libri apprendendo dei più svariati argomenti, ma non era quello il caso. La sua mente era distratta, svogliata, tesa alla ricerca di qualche indizio nascosto che potesse aiutarlo a capire qualcosa di più riguardo agli Estranei. Si era ridotto a leggere di nascosto la notte, senza farsi vedere da Gilly, per evitare di farla arrabbiare.

“Sam, sei così pallido” diceva sempre lei, “ti stanchi troppo: devi riposarti.”

In effetti le notti in bianco, unite ai lunghi turni di guardia alle chiavi di Walgrave, rendevano le giornate pesanti ed interminabili. Sam ormai era abituato ad andare in giro con borse bluastre sotto gli occhi. Per fortuna nessuno faceva molte domande. Solo Tristyus sembrava preoccuparsi del suo stato di salute. Il giorno dopo la prima veglia alle chiavi gli aveva chiesto come fosse andata. Sam era sfinito, ma si era ricordato delle parole di cortesia che aveva preparato. “Ho assaggiato il tuo vino” aveva detto con un sorriso tirato, “era davvero ottimo, il più buono che abbia mai bevuto. Grazie…” Tristyus non aveva detto niente e si era limitato ad abbassare il capo imbarazzato.

Da quel giorno l’aveva aiutato nelle ricerche dei libri sulle antiche leggende, nonostante le sue proposte non soddisfacessero mai appieno le esigenze di Sam. Continuava a proporre libri troppo vaghi e generici, la cui lettura portava solo via tempo prezioso. Ciò faceva innervosire Sam, che tuttavia non aveva il coraggio di contraddire Tristyus.

“Vedrai” diceva l’aiutante del bibliotecario quando gli porgeva un nuovo tomo, “questa sarà la volta giusta che troverai quello che cerchi.” Ma la volta giusta non arrivava mai.

Col tempo Sam era entrato in confidenza con Ebrose, il più amichevole fra gli arcimaestri. Il suo anello e la bacchetta che portava sempre legata alla cintura erano di puro argento e spesso Sam si ritrovava a fissare il metallo lucente con sguardo estasiato. Ebrose era molto disponibile e saggio; possedeva una personalità che Sam poteva collegare a maestro Aemon. Il pensiero gli faceva venire gli occhi lucidi tutte le volte.

Ebrose lo chiamava spesso per aiutarlo nelle operazioni difficili o quando aveva bisogno di una mano per accudire l’anziano Walgrave. “Un tempo era l’uomo più saggio che io avessi mai conosciuto” diceva a Sam accennando al vecchio arcimaestro, “con una memoria prodigiosa. Ora la sua mente è incerta e fa fatica perfino a riconoscere i suoi amici.”

“Ma perché allora le chiavi non vengono affidate a qualcun altro?” chiese una volta Sam confuso “Perché non a qualcuno che abbia ancora la capacità di custodirle?”

Ebrose sospirò. “Per tradizione le chiavi sono affidate all’arcimaestro dall’anello di ferro” spiegò, “e le tradizioni qui sono dure a morire.”

Sam non aveva potuto trattenere la curiosità. “Cosa aprono quelle chiavi?” chiese abbassando la voce come consapevole di star infrangendo qualche regola.

“Delle porte” rispose semplicemente Ebrose senza guardarlo.

Ma Sam voleva sapere qualcosa di più. “Certo” replicò, “ma cosa c’è dietro quelle porte di così importante? Tu hai mai visto i libri che tengono lì?”

Ebrose si era girato verso di lui. “Non sono libri” rispose, “più che altro sono documenti e carte così preziosi da dover essere tenuti nascosti.”

Sam non era convinto. “L’arcimaestro Marwyn quando sono arrivato mi ha detto che non tutta la conoscenza può essere accessibile all’intera Cittadella” osservò, “quindi qualunque cosa vi sia nascosta è ben più di semplici documenti.”

Ebrose sorrise. “Oh, ti stupiresti delle cose che un semplice documento può rivelare” disse in tono enigmatico, “delle convinzioni che può far vacillare. Non tutti sono pronti a leggere tali fonti, credimi.”

“Quindi nessun libro?” insistette Sam ed Ebrose sospirò.

“Uno solo” rispose, “un solo libro è custodito nei sotterranei, ma non ti dirò il titolo quindi non sprecare fiato a chiederlo. Ora, ti ho già spiegato come far bollire correttamente questo tipo di erbe?”

Sam continuò a seguire le lezioni di Ebrose per qualche giorno e riuscì a superare senza grandi difficoltà l’esame di medicina, guadagnandosi il suo primo anello, che era proprio di argento. Prima di iniziare la preparazione per il secondo esame, che sarebbe stato sull’evoluzione delle leggi nei Sette Regni, Sam decise di ritornare alle ricerche sugli Estranei e ricominciò a frequentare assiduamente la biblioteca.

Rathin continuava a tenerlo d’occhio e ciò lo innervosiva, soprattutto perché non capiva il motivo di tale ossessione nei suoi confronti. Forse fa così con tutti, si era ritrovato a pensare Sam non trovando altra spiegazione logica. In effetti sembrava proprio avesse ragione.

Gilly era sempre più nervosa e sfogava spesso la sua frustazione su Sam. Lui sopportava, sapendo che lei stava attraversando un momento difficile, così persa nella città più grande dei Sette Regni.

“Sam, io non ce la faccio più!” era esplosa una sera con le lacrime agli occhi “Il piccolo ha iniziato a camminare ed ho paura che si faccia male ed al mercato tutti mi guardano in maniera strana. Cos’ho che non va?” Sam l’aveva abbracciata mentre Gilly piangeva disperata. Tutta la tensione accumulata nell’ultimo periodo si era finalmente sciolta.

“Ehi” l’aveva rassicurata lui, “non devi dirlo neanche per scherzo. Tu non hai niente che non va, è solo che la gente non è capace di vedere il lato speciale delle persone: si fermano al nostro aspetto, al nostro comportamento.”

Gilly aveva sollevato lo sguardo, gli occhi gonfi di lacrime. “E’ un posto orribile” sussurrò, “ti prego, torniamo alla Barriera.”

Sam sospirò. “Torneremo” promise, “ma prima io devo diventare maestro così che possa aiutare Jon e i miei confratelli. Quando torneremo ti troverò una casetta, per te e per il piccolo Sam, a sud della Barriera e vi verrò a trovare ogni giorno.” Sam era sicuro Jon l’avrebbe aiutato a proteggere Gilly.

Lei sorrise, un timido sorriso triste. “Quanto ci vorrà?” chiese a bassa voce.

“Non molto” assicurò Sam, “ma ora vieni a vedere il libro che ho trovato!” Gli occhi di Gilly si erano subito illuminati. Aveva spinto Sam da parte mentre tentava di sistemare sul tavolo il manoscritto polveroso.

“Fammi vedere” esclamò eccitata. Sam la lasciò fare, felice di vederla nuovamente serena.

Di albe, tempeste e neve” lesse Gilly scandendo bene le parole, “di cosa parla?”

“Secondo te?” chiese Sam ironico e Gilly rise. Era così carina quando rideva. Iniziò a sfogliare le pagine ed arrivò alla meravigliosa illustrazione di un drago.

“E’ bellissimo” mormorò accarezzando la pagina, “vorrei tanto vedere un drago…” Sam aveva letto abbastanza riguardo ai draghi per capire che quello non era un esemplare qualsiasi. Si affrettò a leggere qualche riga della pagina affianco.

“Un Drago di Ghiaccio” disse stupito, “qui c’è scritto che è una creatura mitologica che vive tra i ghiacci del Mare dei Brividi, un lontano parente dei draghi di Valyria e delle viverne di Sothoryos.” Più andava avanti e più la lettura lo coinvolgeva.

“Questi draghi hanno occhi azzurri penetranti” recitò mentre Gilly continuava a fissare l’illustrazione, “ali trasparenti e dimensioni enormi. Invece di fuoco sputano ghiaccio e, secondo alcune leggende, hanno aiutato i Primi Uomini e i Figli della Foresta a costruire la Barriera. Qui c’è scritto addirittura che il Vetro di Drago proverrebbe dal loro respiro glaciale.”

“Ma in Gli Estranei: le creature di ghiaccio c’era scritto che il Vetro di Drago proveniva da Valyria” osservò Gilly.

“E’ normale trovare pareri discordanti” la tranquillizzò Sam, “soprattuto su leggende e storie antiche.”

“Ma chi ha ragione?”

Sam sospirò. “Non credo i Draghi di Ghiaccio esistano sul serio” replicò, “probabilmente sono solo storie. Ritengo più verosimile la teoria che vuole il Vetro di Drago provenire da Valyria.” Un pensiero lo fulminò.

“Un momento” disse, più a sé stesso che a Gilly, “all’epoca del Patto fra Figli della Foresta e Primi Uomini Valyria non esisteva ancora e credo nemmeno Vecchia Ghis…”

“I draghi esistevano all’epoca?” chiese Gilly curiosa.

Sam strinse le labbra. “Non lo so” ammise, “nessuno sa esattamente come siano nati i draghi. E se anche fossero esistiti, che collegamento ci sarebbe con il Vetro di Drago? Come ci sono arrivati quei pugnali al Pugno dei Primi Uomini?”

Come è arrivato il Vetro di Drago a Westeros?

Sam sentiva di essere vicino alla soluzione, che gli mancava solamente un anello per completare quella catena di pensieri.

Gilly chiuse il libro di scatto. “Si è fatto tardi” disse alzandosi, “devi andare a dormire.”

Sam non aveva la forza di opporsi. Continuerò a leggere domani, si disse mentre si sistemava sul pavimento come meglio poteva non essendoci posto per un secondo letto. Non voleva lasciare Gilly da sola quella notte ed era troppo tardi per tornare alla Cittadella.

Gilly sembrò rilassarsi quando lo vide sdraiarsi per terra e rimboccò con un sorriso le coperte al piccolo Sam. “Buona notte” sussurrò soffiando sulla candela. Sam si rigirò ancora un paio di volte non trovando una posizione comoda, per poi cadere addormentato.

Fu svegliato da Gilly che lo scuoteva bruscamente. “Sam!” lo chiamava con voce strozzata “C’è qualcuno alla porta…” Sembrava terrorizzata. Sam si tirò a sedere, stropicciandosi gli occhi assonnati. A giudicare dall’oscurità che avvolgeva l’unica stanza della casa doveva essere ancora notte fonda.

“Non ti muovere” sussurrò alzandosi, “ci penso io: tu resta con il piccolo Sam.”

Mentre Gilly tornava alla culla, Sam estrasse Veleno del Cuore da sotto il letto. Non era capace di brandirla correttamente, ma non sarebbe andato là fuori inerme. Lentamente si accostò alla porta e la spalancò di colpo sollevando la spada. La sorpresa gliela fece quasi sfuggire dalle mani. Sulla soglia c’era l’arcimaestro Ebrose, con i capelli grigi scompigliati ed un’aria angosciata.

“Maestro!” esclamò Sam esterrefatto “Cosa è successo?!”

Ebrose si guardò nervosamente intorno. “E’ un posto sicuro per parlare?” chiese guardando Sam negli occhi “E’ davvero urgente, Sam: ho bisogno del tuo aiuto…”

Sam si fece da parte per farlo entrare. “Qualsiasi cosa” disse convinto, “sono a tua disposizione.” Ebrose entrò e non fece domande riguardo a Gilly che lo fissava sospettosa con un bambino in braccio.

“Lei è Gilly” la presentò Sam, “una mia amica: mi dà una mano con i libri.” Fortunatamente Ebrose non sembrava in vena di indagare oltre. Sam lo fece accomodare sull’unica sedia, mentre lui prese posto sul letto accanto a Gilly.

“Sam, alla Cittadella da giorni stanno succedendo cose strane” iniziò Ebrose con voce rauca, “sono scomparsi dei libri, alcuni di questi addirittura unici, e i maestri non riescono a ritrovarli. Trattano tutti lo stesso argomento…” Fece una pausa.

“I draghi.”

Sam lanciò un’occhiata nervosa al grosso libro appoggiato sul tavolo. Ebrose dovette indovinare i suoi pensieri, perché scosse la testa. “No, Sam, non parlo di libri su stupide leggende riguardanti i Draghi di Ghiaccio” lo rassicurò, “quelle non sono altro che dicerie… No, i libri che sono stati rubati parlano dei draghi di Valyria e in particolare del legame che esisteva fra loro e i Targaryen.”

Ebrose inspirò profondamente. “Ci sono molte cose che non sai, Samwell” disse in un tono che a Sam ricordò molto maestro Aemon, “riguardo a quello che i maestri hanno fatto.” Ora l’arcimaestro stava tremando.

“Cose orribili” sussurrò, “davvero…”

Sam iniziò a sentirsi in colpa. “Non devi raccontarmele per forza…”

Ebrose scosse nuovamente la testa. “Devo” replicò, “sembrerà strano, ma tu sei l’unica persona in tutta la Cittadella di cui io mi fidi veramente, Sam. E pensare che ci conosciamo da poco, mentre molti maestri sono qui da più di cinquant’anni...” L’ombra di un sorriso passò sul suo volto, prima che questo riacquisisse la grave serietà di poco prima.

“I maestri della Cittadella non hanno mai amato i Targaryen” iniziò, “vedevano cosa il malgoverno di molti dei loro re stava portando ai Sette Regni, cosa le loro guerre intestine stavano distruggendo. I sovrani accoglievano i maestri alle loro corti, ascoltavano i loro consigli, ma non ne ottenevano mai la completa fedeltà.”

Ebrose strinse le labbra. “Per generazioni i maestri si sono susseguiti alla Fortezza Rossa” proseguì con voce carica di disprezzo, “ed hanno complottato per privare i Targaryen della loro arma più potente.”

Sam era rimasto a bocca aperta. “I draghi?” chiese incredulo “Ma come può essere possibile?”

“Sai perché gli ultimi draghi erano così piccoli?” chiese Ebrose senza aspettarsi una vera risposta “Perché i complici dei maestri della Cittadella da anni ormai li avvelenavano. Non ti dirò in che modo, ma questo veleno rendeva i draghi deboli e poco fertili. I maestri dissero ai sovrani che era colpa del poco spazio concesso agli animali, ma ovviamente non era così. Alla fine quindi i draghi si estinsero.” Sam non sapeva cosa dire.

“Ti ho sconvolto?” chiese Ebrose con una smorfia “Anch’io reagii come te quando me lo spiegarono. L’arcimaestro Marwyn in persona mi disse che era stato un atto necessario, un piccolo passo verso il rovesciamento di una dinastia. All’epoca re Aerys II sedeva ancora sul Trono di Spade.” Ebrose guardò Sam negli occhi, per quanto fosse possibile nella penombra.

“Tutti gli arcimaestri esultarono quando giunsero le notizie” continuò con amarezza, “della vittoria di Robert al Tridente, della morte del Re Folle, perfino della brutale uccisione dei figli di Rhaegar.”

Ebrose rabbrividì. “Erano solo dei bambini” mormorò, “eppure tutti gioirono ugualmente. Siamo stati liberati, diceva Marwyn. Puoi intuire il loro sgomento quando pochi giorni dopo arrivò questo messaggio…”

Ebrose estrasse qualcosa dalla tasca. Era un vecchio pezzo di carta ingiallito dal tempo, ma, per la cura con cui l’arcimaestro lo maneggiava, doveva trattarsi di uno di quei documenti importanti. Sam lo prese in mano e tentò di leggere l’inchiostro scolorito.

La seconda moglie di Rhaegar Targaryen è prossima al parto. Il principe sembra essere sicuro si tratti di una bambina, che prenderà il nome di Visenya Targaryen, principessa dei Sette Regni.

Sam stava boccheggiando. “La seconda moglie di Rhaegar?” chiese con un filo di voce “Rhaegar ha avuto un’altra figlia?”

“I maestri si sono sforzati di interpretare il messaggio” spiegò Ebrose, “non è firmato e non fornisce alcuna indicazione riguardo all’identità della donna. Visenya Targaryen è stata cercata in tutti i Sette Regni, nonostante solo gli arcimaestri siano a conoscenza della sua esistenza, ma non è mai stata trovata.”

Ebrose chinò il capo. “Ma Marwyn non voleva lasciare pedere” continuò con voce spezzata, “era convinto di poter trovare la bambina ed eliminarla insieme alla minaccia che rappresentavano i Targaryen. Era sicuro che re Robert avrebbe ucciso anche Viserys e il figlio non ancora nato della regina Rhaella una volta presa la Roccia del Drago. E alla fine trovò una donna che si convinse essere la seconda moglie di Rhaegar: Ashara Dayne, la bellissima sorella di Arthur Dayne.”

Sam era confuso. Sapeva che per molto tempo lady Ashara era stata considerata la donna con cui Eddard Stark aveva generato il suo bastardo, perfino Jon gli aveva raccontato di averci creduto per un periodo. Si diceva che Ashara Dayne si fosse buttata dalla scogliera di Stelle al Tramonto per gelosia, dovendo rinunciare a Ned per sempre.

“Ashara è morta precipitando da una scogliera” disse Sam, “mentre era…”

“Incinta” concluse per lui Ebrose in tono grave, “e non è precipitata: è stata spinta.”

Gilly lanciò un gridolino.

“Mi stai dicendo che è stata assassinata?” chiese Sam trovando le parole a fatica.

“Sì” disse Ebrose con tristezza, “dai sicari della Cittadella. Tutto perché Marwyn credeva il figlio che portava in grembo fosse Visenya Targaryen. Io ero furioso quando mi riferì cosa aveva fatto. Sembrava addirittura orgoglioso. Io gli dissi che Ashara era innocente, che non aveva prove lei fosse davvero la seconda moglie di Rhaegar. Lui mi disse ancora una volta che era stato un atto necessario.”

Ebrose inspirò profondamente. “Ma io non avevo detto la verità” proseguì infervorandosi, “non avevo detto tutto quello che sapevo. Qualche settimana prima il mio amico Arthur Dayne mi aveva fatto recapitare questo, implorandomi di tenerlo segreto. E così ho fatto per tutto questo tempo: tu sei il primo che lo vede in più di vent’anni…”

Sam prese con mano tremante il secondo pezzo di carta, chiedendosi cosa dovesse aspettarsi questa volta.

Da oggi fino alla fine dei tempi affermo che Lyanna di casa Stark e Rhaegar di casa Targaryen sono un’unica mente, un unico corpo, un unico cuore. Che gli Antichi Dei concedano loro molti figli e benedicano questa unione.

Il documento portava la data di circa un anno prima dell’inizio della Ribellione di Robert ed era firmato da Arthur, così come dai due sposi. Sam non sapeva cosa doveva pensare.

“A volte” disse Ebrose rompendo il silenzio, “la soluzione più semplice si rivela essere quella corretta. Ashara Dayne e suo figlio sono morti invano, ma almeno Marwyn si è messo l’anima in pace. L’anno successivo ricevemmo la notizia della morte di parto della regina Rhaella, della nascita di Daenerys Targaryen e della fuga della principessa e del principe Viserys ad Essos. Da allora la situazione è tornata tranquilla e nessuno ha più contestato la decisione di Marwyn.”

Sam ancora non capiva. “Ma se Rhaegar e Lyanna si sono sposati” disse ricordando quello che Jon gli aveva raccontato riguardo al rapimento di sua zia, “vuol dire che si amavano? Sono dunque fuggiti insieme?”

“Credo di sì” rispose Ebrose, “ma non ne avremo mai la certezza.”

“Ma allora come è morta lady Lyanna?” insistette Sam.

“Forse di parto” suggerì Ebrose, “dando alla luce sua figlia.” Quel ragionamento aveva un senso seppur nella sua follia.

“Credi che Visenya sia sopravvissuta?” chiese ancora Sam “Che possa essere ancora là fuori da qualche parte?”

“Non lo so” rispose Ebrose, “tutti i miei segreti tentativi di localizzarla sono stati vani. Forse semplicemente non è mai nata. Ma semmai risultasse ancora viva, questi devono rimanere nascosti e la Cittadella non è più un posto sicuro.” Ebrose si alzò e Sam lo seguì con lo sguardo.

“Sono al sicuro qui?” chiese l’arcimaestro e Sam boccheggiò.

“Maestro…”

“Sono al sicuro?” ripeté Ebrose e Sam annui suo malgrado. “Bene” disse l’arcimaestro uscendo, “buona fortuna, Samwell, e tieniti stretta quella chiave: credo tu sappia quale porta apre…”

All’improvviso Sam sentì qualcosa pesargli in grembo. Incredulo prese in mano la grossa chiave marrone. Quando sollevò nuovamente lo sguardo Ebrose era scomparso.

Gilly lo stava fissando con apprensione. “Che cosa facciamo?” chiese, l’angoscia palpabile nella voce.

Sam sospirò e ficcò la chiave sotto il cuscino. “Andiamo a dormire” rispose tranquillo stendendosi nuovamente a terra. Fuori stava appena albeggiando.

 

Arya

 

La corsa contro il tempo verso la locanda della Fratellanza l’aveva sfinita. Arya entrò ansimando e si diresse spedita verso la camera di Beric Dondarrion. Quando fu certa di non avere addosso occhi indiscreti, si tolse cauta il volto di Myun. Sansa aveva finalmente deciso di entrare in azione. Non che avesse molta scelta, almeno non dopo quello che Arya aveva sentito.

Beric aprì la porta di scatto. “Arya?” chiese a bassa voce guardandosi intorno “Che ci fai qui a quest’ora? E’ tardi, pensavo fossi al banchetto…”

“Ci saresti dovuto essere anche tu” gli ricordò Arya, “mia sorella ti aveva invitato, ma non è il momento di pensare alle feste. Sansa è nei guai.”

L’espressione di Beric divenne grave. “Cos’è successo?”

Arya si guardò intorno. “Ditocorto è andato al Moat Cailin” rivelò nervosa, “a radunare i Cavalieri della Valle: vogliono fare un colpo di stato.”

Arya l’aveva sentito proprio quella mattina. All’alba, nelle cucine deserte, Baelish aveva salutato Yohn Royce e gli aveva confidato i propri piani.

“Tu rimarrai qui con una scorta” aveva detto Ditocorto, “così da non destare sospetti, e io andrò al Moat Cailin. Entro sera sarò di ritorno con l’esercito di lord Robin Arryn e domani il Nord sarà nuovamente di lady Sansa, così come è giusto che sia. Non credo ci sarà bisogno di una battaglia: i bruti sono tutti a Ultimo Focolare e gli altri lord saranno completamente ubriachi per quando tornerò.”

Ditocorto aveva mormorato qualche altro avvertimento e poi era partito. Nessuno si era davvero preoccupato per la sua strana assensa ed Arya era certa Royce avesse una scusa pronta. Per tutta la giornata Myun aveva cercato di avvertire Sansa, che però era stata troppo occupata a causa dell’arrivo dei lord e delle loro famiglie. Quando finalmente era riuscita ad avvicinarla, Arya aveva creduto fosse troppo tardi.

Il sole era ormai tramontato quando il Mastino aveva lasciato in segreto Grande Inverno e Yohn Royce era stato sbattuto in cella. Sansa aveva agito con sorprendente rapidità e sangue freddo ed Arya ne era rimasta davvero colpita. Non aveva esitato ad accusare apertamente Royce, ma non aveva neppure diffuso il panico fra gli abitanti di Grande Inverno.

Arya era sicura Sansa avesse compreso il punto della situazione. Dovevano fingere di essere deboli, in modo da far uscire allo scoperto Baelish e poterlo battere sul suo stesso terreno. Era un piano rischioso, ma l’unico che potesse funzionare. Arya sperava solo il Mastino avrebbe richiamato i bruti in tempo.

Sandor non si era nemmeno lamentato troppo per quell’incarico imprevisto: sembrava quasi ansioso di dimostrarsi gentile agli occhi di Sansa. Arya non riusciva a comprendere ancora appieno quel comportamento, ma finché fosse rimasto fedele alla loro causa a lei andava bene così. Mettere in allerta la Fratellanza senza Vessilli era stata un’ottima idea dello stesso Sandor e Arya era stata felice Sansa le avesse affidato il compito del reclutamento.

In quel momento Beric sembrava stordito. “Sei sicura, Arya?” chiese incerto “Stai accusando di tradimento una persona molto importante, forse dovresti aspettare…”

Ma Arya era stufa della politica d’attesa della Fratellanza. “Baelish ha tradito mio padre e gli ha puntato un coltello alla gola” sibilò irata, “e poi ha complottato con Tywin Lannister per ingannare mia madre e mio fratello.” Arya questo lo sapeva: aveva udito la conversazione fra Ditocorto e Tywin ad Harrenhal.

“E’ pericoloso” continuò, “e ti sto dicendo che sta venendo qui con un esercito che sarà il triplo di quello che noi abbiamo a disposizione in questo momento. A mia sorella servono gli uomini della Fratellanza.”

Beric aveva cambiato espressione. “Ned Stark era mio amico” disse in tono serio, “lo stimavo molto. E’ su suo ordine che ho radunato la Fratellanza e combattuto nelle Terre dei Fiumi. Abbiamo giurato fedeltà alla lady di Grande Inverno e manterremo la nostra parola: se ha bisogno di noi, ci saremo.”

Arya annuì. “Chiama Thoros” ordinò, “e raduna gli altri. Fatevi trovare nel Parco degli Dei fra massimo un quarto d’ora, ma non date nell’occhio. Anche se Royce è in prigione, potrebbero esserci altre spie nel castello. Dobbiamo evitare che il rapporto delle nostre azioni giunga all’orecchio di Baelish. Aspettate me e Sansa là: io devo ancora fare una cosa. Ricordate di chiamarmi Myun.” Arya applicò nuovamente il volto della ragazzina e si girò.

“Arya” la richiamò Beric in tono affettuoso, “inizi a parlare come una vera lady.”

In tempi remoti quelle parole avrebbero procurato un’ondata di disgusto, ma ora Arya ne fu quasi lusingata. Era strano come i suoi sentimenti fossero così tanto cambiati. Ma in fondo era il mondo ad essere diverso, lei si era solo adattata.

Arya uscì dalla locanda e si diresse verso i margini della Foresta del Lupo. L’oscurità era calata e a Città dell’Inverno le luci iniziavano a spegnersi. Ditocorto ha scelto bene il momento dell’attacco, pensò con amarezza, nessuno se ne accorgerà.

Da Grande Inverno provenivano ancora le risate dei partecipanti al banchetto e Arya ne fu rassicurata. Significava che la situazione non era ancora degenerata, ma aveva comunque poco tempo. Presto ebbe davanti solo gli alti alberi innevati della Foresta e si fermò, inspirando profondamente. Sapeva che Nymeria sarebbe arrivata, lo sentiva nelle ossa e nel cuore. Ora aveva bisogno di lei.

Il meta-lupo emerse subito dalla nebbia, gli occhi gialli scintillanti nella foschia. Intorno a Nymeria si radunò il branco di lupi ed al suo fianco comparve Spettro. Il meta-lupo bianco era silenzioso come al solito ed il suo manto candido era visibile anche nell’ombra che l’avvolgeva. Arya si chinò ad accarezzare Nymeria e l’animale protese il muso.

“Dovete venire con me” sussurrò Arya, “tutti quanti. Ma siate discreti, non si devono accorgere di voi.” Sembrò addirittura che Nymeria stesse annuendo. Poi ululò e tutti i lupi le vennero dietro con il loro tetro richiamo. Spettro rimase in silenzio. Arya sorrise e si diresse verso le mura del castello, evitando il portone principale, che era sorvegliato.

Conosceva un’entrata che portava dritta al Parco degli Dei. L’aveva scoperta per caso, insieme a Jon e Robb quando aveva sette anni. Li aveva seguiti di nascosto mentre si allenavano con le spade al limite della Foresta ed era inciampata in una pianta di rampicanti. Si era ferita il ginocchio e non aveva trattenuto i singhiozzi. Robb e Jon l’avevano trovata subito, ma dietro quelle piante avevano visto anche una porta dimenticata.

“Sarà il nostro segreto” aveva detto Jon scompigliandole i capelli e Robb aveva riso. Al ricordo gli occhi di Arya si inumidirono.

Ritrovò l’entrata senza troppi problemi, i rampicanti erano tutti secchi, e riuscì ad entrare nel Parco degli Dei. L’atmosfera irreale di quel luogo l’avvolse immediatamente ed Arya si sentì a casa. Uno dopo l’altro tutti i lupi entrarono e si disposero in un cerchio straordinariamente ordinato. Beric e i membri della Fratellanza non erano ancora arrivati.

Arya era sicura avrebbero superato senza problemi le sentinelle semplicemente dicendo di essere invitati al banchetto, perciò decise di cercare Sansa. L’ultima volta che l’aveva vista era nella sala dei banchetti che rassicurava i lord e le lady seduti ai lunghi tavoli. Poi Arya si era recata a Città dell’Inverno e Sansa era rimasta con Alys Karstark.

Arya strinse le labbra: non si fidava di Alys, la sua ingenuità esagerata riguardo a Ditocorto era sospetta. Dall’altro lato, però, Sansa si trovava nel posto più sicuro in quel momento, circondata da uomini leali agli Stark. Arya decise che sarebbe entrata per cercare sua sorella.

“Tu e i tuoi lupi dovete rimanere qui” mormorò a Nymeria, “aspettate Beric e Thoros: loro vi conoscono. Io tornerò presto.” Nymeria si mise seduta, subito imitata dal suo branco. Spettro invece seguì Arya nel castello. In fondo nessuno si sarebbe sorpreso di vederlo accanto alla servetta di lady Sansa.

Arya salì le scale sforzandosi di assumere un comportamento naturale. Si affacciò alla Sala Grande, ma di Sansa non vi era traccia. Forse è tornata in camera, si disse tornando indietro, sempre seguita da Spettro.

La stanza di Sansa tuttavia era deserta. Spettro pareva inquieto e Arya iniziò a preoccuparsi. Ricordò Vento Grigio che si dimenava alle Nozze Rosse, come percepisse il pericolo che correva Robb, ed ebbe paura. Ciò siginificava che Sansa o Jon erano in pericolo? Arya non lo sapeva, ma in quel momento poteva solamente pensare a sua sorella.

Spettro rimase ad annusare il letto di Sansa ed Arya si precipitò nella sua stanza. Quando raggiunse il letto, la porta le si chiuse di scatto alle spalle.

“Lord Baelish ha detto che la sguattera di lady Sansa ha tradito” disse un uomo appena emerso dall’ombra. Era piuttosto basso e grasso e brandiva un corto coltello. Arya continuò a frugare sotto le coperte.

“Dice che sai troppe cose” continuò l’uomo avanzando goffamente, “e che sei diventata una minaccia.”

La mano di Arya si chiuse intorno all’impugnatura di Ago. Quando l’uomo scattò in avanti, lei brandì la spada e gliela affondò vicino al cuore scoperto.

Infilzali con la punta.

L’uomo cadde in ginocchio grugnendo. Arya gli si avvicinò tranquilla e gli sfilò il coltello. Poi si protese in avanti e gli sussurrò in un orecchio.

“Lo sai chi sono?” chiese e l’uomo rispose con un gemito. “Sono Arya Stark” mormorò Arya e gli tagliò la gola, come aveva fatto molti mesi prima a Meryn Trant. L’assalitore si accasciò a terra.

Con fredda calma Arya rinfoderò la spada e aprì la porta senza toccare il cadavere. Baelish aveva mandato qualcuno ad ucciderla e quella era la prova definitiva dei suoi loschi scopi. Arya entrò nuovamente nella camera di Sansa, solo per trovare Spettro che, con la lingua a penzoloni, guardava la spada che era apparsa fra le coperte. Arya sorrise. Anche in quella situazione non le sfuggiva la sottile ironia di come sia lei che Sansa avessero scelto lo stesso posto per nascondere le proprie armi.

Ambra, Sansa ha detto di averla chiamata così.

La raccolse e ne ammirò l’elsa decorata dalla pietra dorata. Poi la legò alla cintura e lasciò la stanza. Dov’è Sansa? si chiese sempre più preoccupata. Fece qualche altro tentativo in stanze attigue, ma non la trovò.

Spettro continuava a voltarsi indietro e a fermarsi a ogni angolo ed Arya capì di aver bisogno d’aiuto o ci avrebbe impiegato troppo tempo. Sarebbe potuta tornare nella sala dei banchetti e allertare tutti i presenti, oppure avrebbe potuto raggiungere Beric ed i lupi nuovamente nel Parco degli Dei.

Mentre valutava le alternative, Spettro iniziò a correre. Senza pensarci troppo Arya lo seguì e raggiunse l’ala est del castello. L’accesso però era bloccato da una porta sbarrata dall’interno. Qualcosa non va, pensò Arya mordendosi il labbro. Non c’erano altri modi per raggiungere i corridoi e le stanze oltre la porta, ma poi Spettro raggiunse una finestra aperta. Arya sentì il sangue gelarle nelle vene.

Poco sotto il davanzale correvano i tetti che giravano tutto intorno alla torre. Avrebbe potuto scalarli facilmente ed entrare nell’ala est da un’altra finestra. Salì sul davansale, ma al momento del salto esitò. Bran scalava queste mura, pensò d’un tratto tremando. Era il più bravo, ma poi un giorno è caduto. Molti dicevano che era stato spinto giù, ma lei aveva paura lo stesso. Spettro la fissava intensamente e Arya annuì. Non era il momento per la paura, non lo era più da anni ormai.

Non oggi, non oggi, non oggi. E saltò.

Si aggrappò senza fatica ai merli delle mura e proseguì a tentoni, rassicurata dal buio che l’avrebbe celata alla vista di potenziali nemici. Avanzava lentamente, assicurandosi sempre di avere una presa salda sulle pietre su cui poggiava mani e piedi. Non era difficile e presto i suoi muscoli si rilassarono, rendendo i movimenti meno rigidi. Acquisì sicurezza e rapidità e si ritrovò dopo pochi minuti dalla parte opposta della torre.

Putroppo tutte le finestre erano chiuse, ma Arya non demordeva: ne avrebbe trovata una aperta e sarebbe entrata. Si aggrappò al ramo secco di un albero che crescava lì vicino e si calò sul davanzale della grande finestra senza vetri del piano inferiore. Si diede una spinta e saltò dentro sfoderando contemporaneamente Ago. Ciò che vide nella piccola stanza della torre orientale la lasciò senza fiato.

Aveva trovato Sansa, che ora la guardava con occhi sgranati. Aveva il vestito strappato in più punti ed era seduta sul letto. Sembrava disorientata, ma non ferita. La porta era palesemente chiusa a chiave dall’esterno. Arya sentì il sangue ribollirle nelle vene.

“Myun?!” esclamò Sansa incredula “Che ci fai qui? Come mi hai trovata?” Il suo sguardo si posò sulla finestra.

“Sei passata da ?”

Arya le si avvicinò. “Chi è stato?” chiese a sua volta.

Il volto di Sansa si indurì. “Alys Karstark ha tradito” mormorò, “si è alleata con Ditocorto da quello che ho capito… E’ sempre stata lei la spia.” Arya avrebbe voluto mettersi ad urlare. Tutti i loro piani, tutte le loro precauzioni, non erano servite a nulla.

“Ho sbagliato” disse Sansa con il labbro che tremava, “è tutta colpa mia…” Le lacrime iniziarono a sgorgare ed Arya pensò di ritrovarsi di nuovo davanti alla bambina a cui avevano appena ucciso Lady. Non sapeva bene come consolarla.

“Non è vero” disse, “vedrai che andrà tutto bene.” Erano parole piuttosto stupide, ma non aveva trovato di meglio.

“Ora ti libero” disse con più convinzione raggiungendo la porta. Forse l’avrebbe potuta forzare con Ago.

“Aspetta” la fermò Sansa e Arya abbassò Ago.

“Non credo sia una buona idea” continuò Sansa ora più lucida, “se ora provi a forzarla impiegheresti troppo tempo e non posso nemmeno fuggire con te sui tetti… Myun, Alys sta andando alla sala dei banchetti, credo voglia chiudere le porte…” Arya rabbrividì ricordando le Nozze Rosse.

“Devi avvertire gli altri lord” disse Sansa, “parlare in mio nome, dire loro di stare pronti… Ti prego…” Sansa sembrava nuovamente disperata.

Arya strinse le labbra. “Quando soffiano i venti dell’inverno” mormorò ricordando le parole di loro padre, “il lupo solitario muore, ma il branco sopravvive.” Vide la confusione e la sopresa sul volto di sua sorella.

“Cosa…?”

Arya sorrise. “Mio padre una volta mi disse che voi Stark lo ripetete spesso” spiegò, “è un modo per ricordarvi di restare uniti…” Sansa annuì. “Avrai bisogno di questa” disse Arya estraendo Ambra e posandola sul pavimento. Sansa era rimasta a bocca aperta.

“La nascondo sotto il letto” continuò Arya spingendo la spada con il piede, “in caso di pericolo potrai raggiungerla.”

“Ma non so usarla!” esclamò esterrefatta Sansa.

“Infilzali con la punta” disse Arya con un sorriso e pensò a Jon.

Sansa la guardò per qualche momento. “Myun” sussurrò, “perché fai tutto questo per me? Posso fidarmi?”

Arya non si mosse. “Sempre.” In quel momento dal Parco degli Dei arrivarono gli ululati dei lupi ed Arya si voltò di scatto.

“Quelli sono lupi?” chiese Sansa stupefatta.

Arya saltò sul davanzale. “Devo andare” disse voltandosi un’ultima volta, “ma tornerò a liberarti.”

Sansa sorrise. “Buona fortuna” mormorò, prima che Arya scomparisse oltre la finestra.

Non avrebbe voluto abbandonare sua sorella, ma Sansa aveva ragione. Se volevano sperare di mantenere un minimo di effetto sorpresa, dovevano far credere ad Alys e Baelish di essere stati sconfitti. Ditocorto non le farà del male, pensò Arya rassicurandosi, vuole davvero renderla Regina del Nord, ha bisogno di Sansa.

Si aggrappò al tetto delle stalle e si calò prudentemente a terra. Corse senza voltarsi indietro verso gli alberi-diga ed udì le urla concitate delle sentinelle sulle mura.

“Chiudete le porte!” gridavano “Anche a Città dell’Inverno, avvisate tutti!”

Arya non era sicura di voler sapere cosa stesse succedendo. Arrivata al Parco degli Dei, Nymeria e Beric le corsero incontro.

“Dov’eri finita?!” chiese Beric con una punta d’angoscia nella voce “Non ti trovavamo da nessuna parte, pensavamo fosse successo qualcosa…” Nymeria ringhiò e Arya si affrettò ad accarezzarla.

“Alys Karstark ha tradito” disse, mentre gli altri membri della Fratellanza si avvicinavano, “mia sorella è prigioniera nella torre orientale, ma mi ha ordinato di non liberarla, non ora almeno. Abbiamo un piano…”

Thoros fece un passo avanti. “Non credo abbia più importanza” disse con voce grave, “ormai è tardi per qualunque piano premeditato: possiamo solamente combattere.” All’improvviso si sentirono dei colpi possenti al portone di Grande Inverno.

“SONO SOTTO LE MURA!”

Arya si mise nuovamente a correre, Nymeria sempre al suo fianco. Salì sulle mura, incurante delle occhiate incredule, e si affacciò. Lo stomaco le si strinse quando vide l’esercito. I soldati erano quasi tutti a cavallo e portavano i vessilli dell’aquila degli Arryn e delle altre casate della Valle. Davanti a tutti si ergeva Petyr Baelish, con il suo solito ghigno sulle labbra.

“Veniamo in pace” gridò Ditocorto con voce possente, “in nome di Robin Arryn, lord di Nido dell’Aquila e protettore della Valle. Il nostro signore desidera vedere il suo fedele alfiere Yohn Royce libero il più presto possibile e sua cugina Sansa Stark di Grande Inverno sul trono del Nord. Aprite le vostre porte affinchè possiamo riportare le cose al loro giusto ordine.”

“MAI!” urlò Arya nascosta dietro i merli delle mura e tutte le guardie le vennero dietro con un solo grido.

“Parlo a nome di lady Sansa” disse Arya rivolgendosi ai soldati. Ai suoi soldati.

“La nostra signora non vuole il trono” proseguì, “e Baelish vi sta ingannando. In questo stesso momento i signori del Nord sono rinchiusi nella sala dove banchettavano: sono stati traditi da Alys Karstark, in combutta con Ditocorto.” Ormai tutte le precauzioni non avevano più senso, bisognava lottare per sopravvivere.

“Ma tu chi sei?” chiese un soldato “Tu che ci vieni a dire queste cose…”

“Myun” rispose Arya, “e lady Sansa si fida di me, quindi non vedo perché non debba farlo tu.” L’uomo abbassò il capo.

“Combatterete per la vostra signora?” gridò Arya “Per il vostro re, per la vostra terra?”

Ci fu un coro di ruggenti esclamazioni. Gli uomini accorrevano e gridavano il nome di Jon o di Sansa. Arya quasi si commosse.

“Ultimo avvertimento” gridò Baelish da sotto, “arrendetevi o scorrerà il sangue. Ripeto, siamo qui per aiutare lady Sansa a riprendersi il posto che le spetta.”

Per tutta risposta Arya afferrò l’arco di Thoros, si sporse un poco e scoccò una freccia che trafisse uno dei Cavalieri della Valle in prima fila.

“Il vostro sangue” mormorò e corse giù dalle mura.

I colpi d’ariete continuavano a far scricchiolare il portone, che fortunatamente era stato riparato di recente. Tutti gli uomini stavano accorrendo nel cortile e portavano armi e anche cavalli. Nymeria ululò e i lupi uscirono dall’ombra. Gli uomini indietreggiarono quando gli animali si strinsero intorno ad Arya. Lei continuò a correre verso il palazzo.

“Notizie dai bruti che Sandor è andato a richiamare?”

Beric scosse la testa. “Non ancora” rispose, “ma arriveranno.”

“Dentro il castello ci sono ancora almeno cinquanta Cavalieri della Valle oltre a Royce ed Alys” disse Arya, “dobbiamo liberare i lord prigionieri nella Sala Grande e dare l’allarme. Poi andremo a prendere mia sorella.”

Il sacrificio di Sansa era stato inutile: se l’avesse liberata quando ne aveva l’opportunità, ora avrebbero avuto un problema di meno. Arya sperò riuscisse a cavarsela da sola.

“Troveremo Alys” continuò spietata, “e la uccideremo… E poi faremo lo stesso con Ditocorto, Royce e chiunque altro minacci la mia famiglia, ogni singolo soldato del loro esercito se necessario. Stanotte vendicheremo mio padre.”

Nymeria ringhiò e tutti gli uomini della Fratellanza urlarono la loro approvazione. Arya sorrise e passò la mano sul manto del meta-lupo, mentre nell’altra stringeva Ago.

Beric Dondarrion fece un passo avanti. Estrasse la propria spada e si inginocchiò davanti ad Arya. Tutti fecero lo stesso e Nymeria guardò in alto verso la sua padrona.

“Che il Signore della Luce ci protegga!” esclamò Thoros di Myr e la spada di Beric prese fuoco. Arya sorrise e non si mosse.

“Gli uomini della Fratellanza senza Vessilli sono tuoi, mia signora” disse il Lord della Folgore sollevando appena il capo, “la Lupa di Sangue di Grande Inverno.”

 

Cersei

 

Le sue giornate erano così monotone. Tra un’esecuzione e l’altra nella capitale non succedeva niente di nuovo. Cersei non era sicura questo fosse un buon segno. Il popolo era stranamente quieto nell’ultimo periodo e la regina temeva stesse preparando una nuova rivolta. Per precauzione portò avanti il suo programma di impiccagioni quotidiane, giusto per non far dimenticare alla feccia a chi doveva la propria lealtà.

Cersei aveva rinunciato già da un pezzo a lasciare la Fortezza Rossa, era troppo pericoloso, e teneva sempre la Montagna vicino. Trascorreva le giornate bevendo vino e guardando dalla finestra le rovine del Tempio di Baelor. Era strano pensare che lì sotto riposassero le ceneri dei suoi figli e di Tywin Lannister. Era strano non avere una tomba su cui piangerli. Cersei non sapeva nemmeno se avrebbe voluto farlo. Ormai il suo unico pensiero era il Trono di Spade.

Aveva sognato di sedervisi fin dalla più tenera età e il potere riservato alla regina reggente non le era mai bastato. Da sempre malediceva gli Dei per averla fatta nascere donna. Se fosse stata un uomo avrebbe potuto ottenere tutto ciò che aveva avuto suo padre nella metà del tempo. Avrebbe potuto combattere, uccidere, farsi valere, e invece per troppo tempo era stata messa da parte, costretta ad aspettare.

Il potere che guadagnava passo dopo passo non era mai abbastanza, Cersei voleva di più, sentiva di poter arrivare più in alto. Donne come Daenerys Targaryen o Margaery Tyrell dovevano, o avevano dovuto, la loro posizione alla propria abilità nell’uso delle armi che la natura conferisce ad una fanciulla, ma Cersei le disprezzava per questo.

Lei era diversa ed aveva conquistato il proprio Trono uccidendo i nemici uno dopo l’altro. Nessuno l’aveva fatto per lei, né Cersei era mai scesa a compromessi. Aveva semplicemente preso quello che era suo. Era stato arduo, certo, ma ora poteva dirsi più vicina che mai allo scopo che da sempre si era prefissata: non vedere più nessuno sopra di sé, più nessuno a darle ordini.

Qyburn si stava dimostrando un alleato prezioso e arguto e Cersei continuava a gioire per avergli permesso di dimostrare le proprie abilità. Grazie alle giovani spie di Qyburn, Cersei aveva la situazione sotto controllo in quasi tutti i Sette Regni. Solo il Nord, le Isole di Ferro e la Roccia del Drago sfuggiavano alle sue briglie di conoscenza.

Sapeva che Daenerys con i suoi seguaci era arrivata sull’isola del drago, ma non aveva più ricevuto notizie da allora. Probabilmente le sue previsioni si erano rivelate esatte e Tyrion aveva consigliato alla reginetta di attendere. Che sciocco, pensava Cersei. Non ha ancora capito che bisogna cogliere al volo le opportunità?

Gli ultimi rumori riguardo al Nord segnalavano una forte tensione interna e Cersei era convinta che i suoi nemici si sarebbero presto distrutti da soli. Rideva quando pensava che Jon Snow sperava in un’alleanza con Daenerys Targaryen. Era molto più probabile a quell’ora fosse già stato bruciato vivo da uno di quei mostri. Cersei lo sperava: sarebbe stato tutto più semplice allora.

Nemmeno di Euron Greyjoy aveva più notizie e immaginava ciò fosse dovuto alla pausa che aveva imposto ad Occhio di Corvo prima dell’attacco a Daenerys.

“E’ fondamentale che riuniate le vostre milizie prima dello scontro con Daenerys Targaryen, vostra grazia” continuava a ripeterle Qyburn, “avrete molte più possibilità in questo modo.”

L’idea di dipendere pericolosamente da Euron infastidiva non poco Cersei, che avrebbe preferito disporre di un esercito più grande per conto suo. I mercenari assoldati da Occhio di Corvo poi erano costosi e le finanze della Corona si stavano inesorabilmente prosciugando.

La Banca di Ferro aveva inviato ben tre lettere, dicendosi pronta a supportare Daenerys Targaryen se non avesse ricevuto i suoi soldi indietro in breve tempo. Cersei aveva risposto ricordando che i Lannister pagano sempre i loro debiti e che non si sarebbe dimenticata di loro, nel bene e nel male. Da allora non erano arrivate più lettere e la regina si sentiva più tranquilla.

Di Alto Giardino non si sapeva nulla e Cersei si chiedeva quanto potesse durare quell’azione militare. Jaime non è neppure più in grado di prendere un castello deserto? pensava stizzita. Aveva ricevuto notizie dello sbarco dell’esercito Tyrell al servizio di Daenerys avvenuto più di una settimana prima a Vecchia Città, era possibile ancora non fosse arrivato ad Alto Giardino? Cersei era scettica ed attendeva notizie da Jaime.

Una mattina Qyburn la svegliò prima del solito, dicendo di avere importanti novità. “Mi scuso per l’ora, vostra grazia” disse quando si accomodarono nella camera del Primo Cavaliere, “ma credo tu debba saperlo il prima possibile.”

Fece un respiro profondo. “Mi sono giunte voci dalle Terre della Tempesta” disse guardando Cersei negli occhi, “certo potrebbero essere menzogne o storie…”

“Cosa hanno sentito i tuoi uccelletti?” tagliò corto la regina.

“Sembra che tuo fratello Tyrion si sia recato a Capo Tempesta insieme a ser Davos Seaworth” spiegò, “da quello che ho capito vogliono convincere i lord a riconoscere come loro signore l’unico figlio bastardo di Robert Baratheon rimasto in vita, così che possano appoggiare Daenerys Targaryen.” Cersei abbassò il capo, riflettendo. Si sforzò di ricordare il giorno in cui Joffrey aveva ordinato l’uccisione dei bastardi di Robert.

“Janos Slynt aveva detto mancava un ragazzo all’appello” fu costretta ad ammettere, “un apprendista fabbro mi pare, si chiamava…”

“Gendry Waters” rispose per lei Qyburn, “secondo le mie fonti è stato riconosciuto dalla regina come Gendry Baratheon.”

Cersei strinse i denti. In quel piano sentiva la puzza di Tyrion. Ormai lo sognava quasi tutte le notti, che le scivolava alle spalle stringendole le mani intorno alla gola e soffocandola.

Tentò di tornare in sé. “Questa è una complicazione che non avevamo previsto” ammise, “ma non è detto questi lord vorranno seguire Daenerys.”

“Se posso permettermi, vostra grazia” azzardò Qyburn, “non credo passeranno neppure dalla tua parte: molti dei loro parenti sono morti nella Battaglia delle Acque Nere.”

Cersei strinse le labbra. “Quanti uomini avranno ora le Terre della Tempesta?” chiese poggiando le mani sul tavolo.

Qyburn consultò un paio di carte. “Non più di diecimila” rispose, “la maggior parte è morta al seguito di Stannis.”

Cersei si rilassò un poco. “Allora non rappresentano una grande minaccia” disse, “che la ragazzina prenda pure gli avanzi di Stannis…”

“Con tutto il rispetto, vostra grazia, non credo dovremmo ragionare così” la interruppe gentilmente Qyburn, “i numeri di Daenerys sono alti, rischiamo di non poter difendere Approdo del Re in caso d’attacco.”

Non voglio difendere la città, voglio difendere il mio Trono.

“Possiamo arruolare nuovi mercenari” si costrinse a dire Cersei, “e una volta che Jaime avrà preso Alto Giardino potremo contare sull’appoggio di un alto numero di casate dell’Altopiano.” Cersei si versò da bere e lo offrì a Qyburn, che rifiutò.

“Alla fine su quali forze può contare Daenerys Targaryen?” continuò la regina “L’esercito dell’Altopiano è diviso e ho già i Tarly e i Merryweather dalla mia parte. Gli uomini di Dorne non hanno navi e il loro esercito è il meno numeroso dei Sette Regni. I Dothraki sono micidiali in campo aperto, ma non riuscirebbero a espugnare una fattoria se questa fosse protetta da mura decenti. Cos’ha quindi? Qualche soldato straniero e tre lucertole.”

“Dimentichi il Nord, vostra grazia” osservò cauto Qyburn, “se anche la Valle e le Terre dei Fiumi uniscono le forze con Daenerys, potrebbero formare un esercito imponente.”

Cersei ebbe voglia di ridere. “Le Terre dei Fiumi sono devastate” gli ricordò, “non possono fare nulla in questo momento. La Valle non ha partecipato nemmeno alla Guerra dei Cinque Re e di certo Baelish non entrerà in campo ora che la situazione è così precaria. L’esercito del Nord ormai non esiste quasi più ed è impensabile una sua alleanza con i Targaryen.”

“Eppure” disse Qyburn, “Davos Seaworth è andato con tuo fratello a Capo Tempesta e lui ha giurato fedeltà a Jon Snow.”

Questa a Cersei suonava nuova. “Non era fedele a Stannis?” chiese cercando di ricordare le storie riguardo al Cavaliere delle Cipolle.

“Non più evidentemente” rispose Qyburn, “ma se ha accompagnato Tyrion a Capo Tempesta vuol dire che Jon Snow ha trovato un accordo con Daenerys Targaryen.” Cersei dovette dargli ragione.

“In ogni caso sarà difficile per l’esercito del Nord superare l’Incollatura ora che l’inverno è arrivato” proseguì Qyburn, “quindi credo che per il momento non dovremmo preoccuparci.”

Improvvisamente irruppe nella stanza un uomo con in mano una lettera. Ser Gregor fece subito per scaraventarlo contro il muro, ma Cersei lo fermò con un cenno.

“Cosa vuoi?”

“U-una lettera, vostra grazia, da t-tuo fratello…”

Cersei scattò in piedi. Strappò la missiva dalle mani dell’uomo e gli sbatté la porta in faccia. Tornò alla sua sedia e lacerò la carta affannata. Quasi rischiò di rovinare la parte con il testo. Iniziò a leggere divorando le parole.

A Cersei Lannister, regina dei Sette Regni

Ho fallito. Alto Giardino è nelle mani di Olenna Tyrell e degli Hightower e molti dei nostri uomini sono morti. Alerie Tyrell si è suicidata davanti ai miei occhi e non ho potuto fare nulla. Sei stata tradita, Cersei, da Randyll Tarly e Orton Merryweather, ma soprattutto da Euron Greyjoy al quale i due avevano giurato fedeltà. Randyll Tarly è morto, ma mi ha detto che Euron ha attaccato e preso Porto Bianco, sconfiggendo la guarnigione di Daenerys, e che presto sbarcherà alla Roccia del Drago. Euron vuole il Trono di Spade per sé, devi assolutamente richiamare i mercenari. Una parte del mio esercito credo si sia data alla macchia nelle terre dell’Altopiano e io sono riuscito a fuggire con solo 86 uomini. Siamo diretti ad Approdo del Re e spero di rivederti presto. Mi dispiace.

Jaime Lannister.

Cersei si accorse di star tremando di rabbia e strappò il foglio in pezzi piccolissimi. Poi li gettò nel fuoco. Qyburn le lanciò un’occhiata interrogativa.

“Jaime ha perso” disse acida Cersei, “ed Euron, Tarly e Merryweather hanno tradito. Non possiamo fidarci di nessuno.”

Qyburn si morse il labbro. “Questo è un bel problema” sussurrò, “ma forse possiamo ancora cavarcela, in fondo non ci serviva Alto Giardino e anche così Jaime ha inferto un duro colpo all’esercito di Daenerys.”

“Avevo affidato a Jaime quasi trentamila uomini” pensò Cersei, “e ne riporta indietro solo 86…” Non l’avrebbe mai perdonato, come aveva potuto perdere anche quando aveva la vittoria in mano?

Forse era nella mano sbagliata…

Qyburn continuava a berciare di piani di guerra strampalati. “Se Euron ha vinto a Porto Bianco” stava dicendo, “avrà indebolito Daenerys. Forse dobbiamo aspettare che sia lui a finirla così da poterci occupare solo dei superstiti.”

“Tolgo la guarnigione da Castel Granito” annunciò Cersei e Qyburn sollevò lo sguardo di scatto. “Ne sei sicura, vostra grazia?” chiese incerto.

“Nessuno attaccherà il castello” disse Cersei, “non ora almeno, e quegli uomini servono nella capitale. Chiunque vinca fra Euron e Daenerys avrà un esercito decimato e per allora avremo recuperato le nostre forze.”

Si alzò nuovamente in piedi. “Scrivi delle lettere e fanne fare tante copie” ordinò, “e inviale a Castel Granito, Lannisport e ogni castello dell’Ovest. Voglio che tutti gli uomini e i ragazzi a partire dai dodici anni siano arruolati e partano il prima possibile per Approdo del Re. A Castel Granito restino solamente 200 guardie.”

Qyburn chinò il capo. “Certamente” disse in tono reverenziale, “e per i mercenari?”

Cersei ragionò un attimo. “Scrivi ai comandanti di Euron” decise poi, “e ricordagli chi ha pagato la loro grande flotta e le loro armature. Vedremo da che parte vorranno stare: Euron Greyjoy non può offrire loro nulla.”

Cersei sospirò. “Randyll Tarly è già morto” continuò, “ma voglio la testa di Orton Merryweather insieme a quella di sua moglie e di loro figlio. Voglio che Lunga Tavola bruci, così come Collina del Corno e tutti i loro abitanti.”

“Credo ci penserà già Olenna Tyrell a punire i traditori della sua casata” disse Qyburn e Cersei annuì.

“E ser Jaime?” chiese poi Qyburn.

Jaime ha tradito la mia fiducia, pensò Cersei desiderosa di sfogare la sua rabbia su qualcuno. Ha lasciato che la sua inettitudine mettesse a repentaglio la sicurezza del mio Trono.

“Che torni pure ad Approdo del Re” disse in tono glaciale uscendo dalla stanza, “starà nell’avanguardia semmai i Dothraki dovessero attaccare la capitale.”

 

Jon

 

Spettro si aggirava inquieto nei corridoi bui di Grande Inverno. Sembrava stesse cercando qualcosa e Jon percepiva tutta la tensione del suo corpo. Sentiva le zampe scattare e le mascelle contrarsi. Correva nella penombra e Jon udiva le urla provenire da fuori il castello; le urla e altri ululati. Cambiò direzione, saltò giù per le scale e fece fuggire di terrore una servetta.

Aveva una missione, Jon lo sapeva, e Spettro seguiva un istinto primordiale. Improvvisamente capì che doveva arrivare nella Sala Grande il più presto possibile. Non aveva idea del perché, ma Spettro non si fermò. Le porte erano sbarrate e si sentivano i pugni della gente all’interno stridere sul legno. Jon ebbe paura e Spettro arruffò il pelo.

Il meta-lupo si alzò sulle zampe posteriori e poggiò quelle anteriori sulla porta. Jon sentì che doveva riuscire ad aprirla. Spettro fece scivolare le zampe dalle lunghe unghie sulla sbarra che bloccava la porta, facendo pressione sull'estremità. Jon lo guidò, gli diede forza, e la sbarra scivolò via.

Spettro fece un balzo all’indietro e si accucciò. Quando sulla soglia apparvero gli uomini con espressioni esterrefatte sul volto, Jon quasi urlò.

 

Si svegliò di soprassalto, scoprendosi tutto sudato. Le coperte si erano arrotolate intorno alle gambe e faticava a muoversi. Con il cuore che batteva all’impazzata, Jon si prese la testa fra le mani. Cosa stava succedendo? si chiese senza fiato In nome degli dei, che cosa mi sta succedendo?!

Si impose di calmarsi e deglutì un paio di volte. Le membra gli tremavano e aveva la gola secca. Guardò verso la finestra e vide solo oscurità. Era ancora notte fonda. Jon si asciugò il sudore e rimase a fissare il muro davanti a sé. Ero a Grande Inverno, pensò ancora sconvolto, ma non ero io… Era come se fossi Spettro. Era sembrato tutto così reale, così tangibile e Jon ebbe paura. Era solo un sogno, si disse per tranquillizarsi, solo uno stupido sogno.

Eppure era risaputo i meta-lupi percepissero il pericolo nell’aria, che nelle loro vene scorresse magia dimenticata. Jon ricordava l’ululato straziante di Estate il giorno che avrebbe visto la caduta di Bran dalla torre. Sam gli aveva raccontato di come Spettro fosse comparso al momento opportuno salvando lui e Gilly e Davos gli aveva descritto gli ululati che il meta-lupo aveva elevato quando il suo padrone era morto. Jon scosse la testa.

Era solo un sogno, niente di vero.

Tirò le coperte fin sotto le orecchie e tentò di tornare a dormire. Le immagini del sogno però continuavano a perseguitarlo e, dopo qualche minuto, Jon scattò in piedi. Decise che non aveva senso sforzarsi di dormire in quelle condizioni e si vestì. Forse una passeggiata avrebbe calmato i nervi e gli avrebbe permesso di tranquillizzarsi. Aprì lentamente la porta e uscì.

Il castello era silenzioso come una tomba e Jon ne fu quasi messo in soggezione. Ormai si orientava sufficientemente bene e non ebbe difficoltà a trovare l’uscita e il sentiero per la spiaggia. Il mare era calmo e una brezza leggera gli faceva ondeggiare i capelli.

Raggiunse il piccolo porto e osservò le imbarcazioni oscillare dolcemente sotto la pallida luce della luna. Riconobbe facilmente la Lupa Solitaria e sentì un groppo in gola. Erano ormai passati sei giorni dall’arrivo di Theon a Roccia del Drago e ancora nessuno sapeva dove si trovasse Euron.

Jon era sempre più preoccupato per Sansa, che ancora non si faceva sentire, e per la situazione in sospeso con Ditocorto. Sperava sua sorella non fosse realmente in pericolo, ma il sogno l’aveva gettato nello sconforto. Era davvero strana l’idea di stare su un’isola che presto sarebbe stata presa d’assalto e preoccuparsi invece per una terra lontana centinaia di miglia. Jon sospirò e chinò il capo.

Non aveva ancora trovato il coraggio di scrivere a Sansa riguardo al patto che aveva stipulato con Daenerys il giorno prima. In quel giardino nascosto dalla roccia nera del castello, davanti a quella statua inquietante e al respiro di Rhaegal, Jon si era sentito stranamente in pace. Per quanto la decisione presa fosse stata ardua da accettare, sapeva che era stata la cosa giusta. Jon si mise a camminare verso il molo. Raccolse una pietra e la lanciò in acqua. In quel momento i suoi sentimenti nei confronti di Daenerys erano più confusi che mai. La sposerò, pensò rabbrividendo forse di freddo o forse di timore, sarà mia moglie…

Non era il pensiero del matrimonio in sé a preoccuparlo, ma quanto ne sarebbe conseguito. Non c’era futuro per lui a Nord, nessuna speranza di vivere il resto dei suoi giorni a Grande Inverno, nessuna possibilità di rimanere nella terra a cui apparteneva. Ma era davvero così? Era vero che apparteneva al Nord? Suo padre lo diceva sempre e Robb ci scherzava spesso, ma Jon non ne era mai stato convinto. Amava Grande Inverno più di ogni altro luogo, ma ciò non gli aveva impedito di scegliere la Barriera a vita.

Grande Inverno spetta a Sansa, pensò Jon sollevando lo sguardo verso le stelle. Era per lei in fondo che aveva rinunciato a tutto quello che ancora aveva di più caro, perché lei potesse governare serena su una terra in pace. I lord l’avrebbero odiato appena saputo che aveva ripudiato il titolo di Re del Nord. L’avrebbero visto come un traditore, l’avrebbero insultato, ma a Jon non interessava. L’importante è che Sansa sia al sicuro, si disse, e che Daenerys porti il suo esercito vero la Barriera il più presto possibile. Il resto non conta.

Ma davvero non contava mai nulla quello che lui desiderava? Aveva detto a Daenerys di non sapere cosa voleva, ma era una menzogna. Fin da bambino era cresciuto tentando come meglio poteva di annullare la propria identità, i propri sogni, considerandoli un insulto alla famiglia che così generosamente lo aveva cresciuto. Era stato abituato a non aspettarsi mai nulla e a trarre il meglio dalla propria situazione. Aveva amato la sua famiglia, aveva stimato suo padre oltre ogni limite e aveva tentato di seguire il suo esempio come meglio poteva. Aveva sempre scelto il dovere, sempre scelto il bene degli altri al proprio, ma non era mai stato abbastanza.

Tutte le mie decisioni, realizzò mentre osservava la luna nell’acqua, tutte le miei azioni, le mie convinzioni, esistevano tutte per qualcun altro. Ma anche così si era fatto dei nemici, anche così era stato tradito e ucciso. Jon quasi scoppiò a ridere. Era strano pensare che l’unica decisione che avesse mai preso in tutta la sua vita veramente per sé stesso fosse quella di abbandonare i Guardiani della Notte.

“Perché devo essere io a combattere questa guerra?” chiese ad alta voce “Perché questa responsabilità non può essere affidata a qualcun altro? Perché io?”

Si sedette sul molo e lasciò che le punte delle scarpe sfiorassero la superficie del mare. Chiuse gli occhi. Gli venne in mente suo padre, il suo sguardo, la sua voce, il suo sorriso. “Ci saranno volte in cui sarai stanco” gli aveva detto Ned quando Jon era ancora molto piccolo, “quando penserai di non poter andare avanti o vorrai disfarti delle tue responsabilità. Quando crederai di essere arrivato alla fine e ti sembrerà che il mondo ti vada contro. Ma se nessuno può farlo, se nessuno è in grado di prendere il peso che tu porti sulle spalle, allora è tuo dovere proseguire, finché gli dei vorranno e finché ne avrai la forza.” Quando Jon riaprì gli occhi, si accorse che stava piangendo. Mi dispiace, padre, pensò passandosi il braccio sul viso, non ci riesco…

Poi qualcosa si accese in lui: il ricordo di Sansa che rideva al Castello Nero. Si sentì invaso da un tepore strano e si alzò in piedi incerto. Sposerò Daenerys, decise. Perché sono l’unico che può porre fine alla rivalità fra le nostre casate e perché è il mio compito. Ringraziò suo padre per avergli ancora una volta indicato la strada nei momenti di smarrimento. Sarebbe arrivato fino in fondo e niente l’avrebbe potuto distogliere dal suo obiettivo. Per la prima volta in vita sua sentì di essere importante.

All’improvviso udì qualcuno singhiozzare nel buio. Stupito, seguì quel suono e trovò Theon sul molo accanto con lo sguardo perso verso l’orizzonte. Quando vide arrivare Jon, saltò in piedi e si ritrasse.

“Neanche tu riesci a dormire?” chiese con una certa gentilezza Jon.

Theon abbassò lo sguardo. “No” rispose in un sussurro, “ho paura…” Jon gli venne vicino e stavolta Theon non si tirò indietro.

“Di cosa?” chiese Jon “Della morte?” La morte non doveva fare paura, Jon sapeva quanto il suo abbraccio fosse accogliente.

“Non ho paura di morire” replicò Theon mentre altre lacrime gli solcavano il volto, “ho paura per Yara. Chissà dov’è in questo momento, non voglio le succeda nulla di male…”

“Sono sicuro stia bene” disse Jon, “è più utile viva che morta a Euron.” Capì subito di aver detto la cosa sbagliata, perché Theon quasi corse via. Jon lo afferrò per un braccio nel tentativo di trattenerlo.

“LASCIAMI!” esclamò Theon dimenandosi con tanta forza che Jon quasi ne fu sbilanciato. Rimasero a guardarsi qualche secondo, poi Theon cadde in ginocchio nascondendosi il viso nelle mani.

“Mi dispiace” singhiozzò, “mi dispiace, non volevo… Io…” Era incapace di andare avanti: sembrava in preda a un attacco di panico.

“Theon” lo chiamò Jon chinandosi al suo fianco, “devi smetterla di assumerti colpe che non sono tue.” Le tue bastano e avanzano.

“Basta compiangerti” proseguì, “devi trovare la forza di guardare la vita in faccia. Hai sbagliato, hai pagato e ora ricominci.”

“Ma non so come fare!” esclamò Theon tutto d’un fiato “Yara è l’unica che mi è stata vicino, l’unica che davvero ha tentato di aiutarmi, e ora non so nemmeno se la rivedrò mai più…”

“E’ vero” disse Jon non trovando convenienti le bugie rassicurative, “potresti non vederla mai più, ma in questo momento devi pensare a te. Combatti per ciò in cui credi.”

“Io non credo in nulla” mormorò Theon, “non c’è nulla in cui valga la pena credere.”

“Ti sbagli” disse Jon scuotendo appena la testa, “credi nei valori, nei legami e soprattutto in te stesso.”

Theon sollevò lo sguardo a guardarlo. “Non so se ne sono capace...”

Jon avrebbe voluto prenderlo a schiaffi. “In questo nemmeno tua sorella avrebbe potuto aiutarti” osservò e si tirò in piedi. Fece per andarsene e si scontrò con Daenerys che veniva nella sua direzione. Jon si fece da parte e Daenerys si guardò la punta dei piedi.

“Stavo cercando Theon, devo dargli una cosa…”

Theon si era alzato e li guardava con occhi grandi e confusi. Daenerys gli si avvicinò. Jon si chiese come mai fosse sveglia a quell’ora della notte. Aveva anche lei dei demoni che continuavano a perseguitarla? Intanto Daenerys aveva estratto qualcosa. Jon strizzò gli occhi e riconobbe un lungo arco sottile che splendeva di una luce perlacea. Era un oggetto meraviglioso, così leggero ed elegante, ma allo stesso tempo fatale.

“Questo l’ho trovato nella sala del tesoro” spiegò Daenerys porgendo l’arma a Theon, “è un arco di osso di drago e Varys mi ha detto che si tratta di un’arma molto rara. La precisione di questo arco è impressionante e supera perfino quella degli archi delle Isole dell’Estate, che vengono esportati in tutto il mondo.”

“Perché lo stai dando a me?” chiese Theon visibilemnte incredulo.

Daenerys sorrise. “Perché so che sei molto bravo con il tiro con l’arco” replicò, “e ti servirà un’arma per la prossima battaglia.”

Theon abbassò nuovamente il capo. “Non posso accettare…”

“Devi” lo interruppe Daenerys con semplicità, “è un ordine. Quando Euron arriverà, ormai non ci dovrebbe volere molto, dovremo essere pronti e armati. Combatterai per me, Theon Greyjoy?”

Theon strinse le labbra. “Lo farò” promise e strinse in mano il dono. Per un po’ nessuno dei tre parlò.

“E’ quasi l’alba” osservò Daenerys, “credo ti convenga andarlo a provare ora che hai tempo. Verme Grigio ti darà le frecce…” Theon abbozzò un sorriso e corse via. Jon era sicuro fosse più sollevato e tranquillo adesso. Si accorse che Daenerys lo stava scrutando e si voltò verso di lei.

“Perché l’hai fatto?” chiese a bruciapelo.

Daenerys si finse sorpresa. “Fatto cosa?” chiese ridendo.

“Lo sai cosa intendo” disse Jon e Daenerys sospirò. “Non riuscivo a dormire” confessò, “così sono uscita sulla terrazza a fare due passi e vi ho visti.” Si interruppe.

“E poi?” la incitò Jon.

“Ho capito che Theon stava attraversando un momento particolarmente difficile” continuò Daenerys, “e ho pensato che così avrei potuto aiutarlo.”

Jon era sinceramente colpito. “E’ stato un gesto gentile da parte tua” ammise, “credo tu gli abbia restituito un po’ di dignità…”

Daenerys sorrise, quasi timidamente. “Perché sei qui fuori?” chiese poi in tono stanco.

Jon guardò altrove. “Mi sono svegliato per un sogno” raccontò, “ho sognato di essere a Grande Inverno e…”

“Ti manca molto?” lo interruppe Daenerys “Grande Inverno…”

Jon non sapeva bene cosa rispondere. Certo, il Nord gli mancava, ma allo stesso tempo era imbarazzato da quel suo sentimento.

“Sì” disse infine, “ma non solo Grande Inverno, mi manca mia sorella e i miei amici.”

“Capisco” mormorò Daenerys e poi i suoi occhi brillarono. “Un giorno mi porterai a vederlo?” Jon fu colto alla sprovvista da quella domanda.

“Il Nord” precisò Daenerys, “Grande Inverno, Porto Bianco, la Barriera, voglio conoscere tutti quei luoghi… Voglio conoscere ogni angolo più remoto del mio regno.” Jon non aveva mai desiderato viaggiare, ma sorrise ugualmente e apprezzò il pensiero.

“Il Continente Orientale era così diverso” raccontò Daenerys perdendosi nei ricordi. “Ho visitato Pentos, Qarth, Astapor, Yunkai e Meeren e ogni volta trovavo persone differenti. Ho viaggiato con i Dothraki nel Grande Mare d’Erba e ho faticato per diventare la loro Khaleesi. Non voglio commettere l’errore di sottovalutare il mio ruolo nei Sette Regni…” Daenerys lo stava guardando e Jon si sentì estremamente a disagio. Forse l’aveva giudicata troppo in fretta, senza conoscere la vera storia dietro certi suoi atteggiamenti.

“Voglio essere una buona regina” proseguì Daenerys, “mi aiuterai?”

“Certo” rispose Jon d’istinto, prima ancora di pensare ad una risposta.

Daenerys sembrò rilassarsi. “Bene” sussurrò impacciata, “io volevo solo dirti, ecco, che sono felice che tu sarai al mio fianco. Credo potrò imparare molto da te…” Perfino nella penombra Jon poté giurare di averla vista arrossire. Era una strana sensazione ricevere un complimento del genere.

“Anch’io sono felice” si costrinse a dire Jon nonostante i suoi sentimenti fossero ancora avvolti da una fitta nebbia, “con il tempo credo impareremo ad andare d’accordo.”

Daenerys quasi rise. “Non ce la stiamo cavando bene su questo fronte” scherzò e Jon sentì l’amaro in bocca. “Già” ammise e vide il dolore negli occhi di Daenerys.

“Ma miglioreremo” gli promise lei come frettolosa di vederlo di nuovo felice, “saremo i sovrani migliori che i Sette Regni abbiano mai visto.”

Io mi accontento di sconfiggere gli Estranei, pensò Jon, ma questa volta non lo disse ad alta voce. “Me lo auguro” sentì invece la sua voce dire e Daenerys sorrise. Si sedette su una roccia sulla spiaggia ormai illuminata dai primi raggi del sole.

“Dai” lo invitò, “raccontami del Nord…” Jon aggrottò le sopracciglia, non sapendo da dove iniziare.

Proprio quando aveva appena aperto bocca desideroso di descrivere la vita alla Barriera, Verme Grigio sopraggiunse di corsa. “Mia regina” esclamò scoccando un’occhiata non proprio pacifica a Jon, “è tempo di prepararsi. Euron è qui, a meno di un’ora di navigazione.” Daenerys scattò in piedi all’istante. Jon percepì il suo nervosismo.

“Qualche traccia di Tyrion e Davos?” chiese lei, ma Verme Grigio scosse il capo. Suonava quasi come una condanna a morte.

“Va bene” disse Daenerys riacquisendo un certo contegno. “Verme Grigio, raduna gli altri. Preparate tutte le torri e mettete in mare le navi. Che le difese siano pronte entro mezz’ora.”

L’Immacolato si inchinò e scomparve, urlando ordini in una lingua sconosciuta, che Jon intuì essere alto valyriano. Daenerys si voltò verso di lui. All’orizzonte già comparivano i triangoli delle vele nere di Euron.

“Sei pronto?” sussurrò Daenerys e Jon capì che doveva essere terrorizzata. Si girò a guardare il mare e subito lei fece lo stesso.

“Sì” mormorò Jon con una sfumatura d’affetto nella voce.

E le loro mani nella chiara luce dell’alba si intrecciarono.


                                                            "A warning to the people, the good and the evil: this is war."



N.D.A.


Oggi sarò svelta perchè il capitolo parla abbastanza da sé ^_^
Per la parte di Sam ho ovviamente dato fondo a una serie di teorie riguardo il complotto dei maestri, riadattando tutto perchè entrasse nella storia. Anche la storia di Ashara è stata quindi cambiata: fan dei libri vi prego non lapidatemi XD XD
Inoltre un Easter Egg: il titolo del libro letto da Sam, "Di albe, tempeste e neve", era inizialmente il titolo di questa storia XD XD prima ovviamente che riuscissi a trovare quello attuale che a mio modesto avviso è mille volte meglio XD XD XD
Per il resto ci tenevo che le battaglie che Jon e il Nord devono affrontare avvenissero nello stesso momento, quindi la notte in cui succedono gli avvenimenti è la stessa. Stanno combattendo due battaglie così diverse però in un certo senso questo li unisce.
Spero abbiate apprezzato i pensieri di Jon in questo capitolo: racchiudono tutto ciò che penso del personaggio e il modo in cui è cambiato durante la serie e questa storia ^_^

Come al solito ringrazio i miei recensori: Red_Heart96, __Starlight__, PillyA, giona e Spettro94. Un ringraziamento speciale anche a leila91 e NightLion che si stanno piano piano rimettendo in paro. Le vostre recensioni sono la vita ^_^

Il prossimo capitolo sarà totalmente incentrato sulla battaglia contro Euron e avrà ben 5 POV invece di 4... E' enorme, davvero enorme, quindi spero siate sufficientemente pronti ed emozionati :-) preparatevi anche a una serie di salti temporali e a una struttura narrativa piuttosto intrecciata in quanto molti POV avverranno contemporaneamente solo in diverse parti di Roccia del Drago. Giusto perchè sappiate cosa vi attende XD

Un grazie infinito a tutti e spero il rientro alla quotidianità non sia stato eccessivamente traumatico XD
Alla prossima!

NB: la citazione di stavolta non ha bisogno di spiegazioni e viene dalla canzone "This is war" di 30 Seconds to Mars. Sorry per il cliffhanger XD










 

 

 

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Capitolo 16
*** The Battle of the Five Towers ***


Capitolo 16


The Battle of the Five Towers                                                                               



                                                  "It's the moment of truth and the moment to lie, the moment to live and the moment to die."


Yara

 

Furono sei giorni interminabili. La nave continuava a sussultare e, nonostante ciò non le desse fastidio, Yara era frustrata per non poter vedere il mare, sentire i suoi spruzzi sulla pelle. Trascorreva le giornate seduta sul letto, tentando come meglio poteva di ricordare la geografia della Roccia del Drago.

Sapeva che l'isola non era molto estesa, con un buon vento a poppa una nave avrebbe potuto circumnavigarla in un quarto d’ora, e che aveva una forma allungata. Durante il suo soggiorno, Yara aveva fatto lunghe passeggiate sulle scogliere della costa nord, il punto dove le montagne toccavano l’acqua, ed era assolutamente certa le navi di Euron non potessero attraccare lì, anche a causa dei pericolosi scogli marini. Questo almeno fino a Capo Vento, il promontorio che riparava il porto dai venti del Nord e che delimitava l’inizio di una costa frastagliata, ma comunque agibile.

Le navi lunghe della Flotta di Ferro non potrebbero attaccare a Punta del Pesce Volante, pensava Yara ricordando la scogliera dell’estremo orientale dell’isola, ma navi più piccole forse… Tuttavia era certa Daenerys avesse fortificato Capo Vento e Punta del Pesce Volante, soprattutto data la loro posizione strategica e il loro essere naturali punti d’avvistamento.

Oltre la Cala del Drago Azzurro le rocce si frantumavano e diventavano sabbia. La costa sud era interamente sabbiosa e ospitava anche l’unico piccolo insediamento umano di Roccia del Drago, se si escludeva ovviamente il castello, che invece dominava il porto. Qualunque comandante con un minimo di buonsenso attaccherebbe le spiagge o il porto, si diceva Yara stringendo le labbra, oppure tenterebbe la fortuna sulla costa est dove le navi non rischiano di incagliarsi ed affondare.

E invece Ellaria le aveva suggerito l’intenzione di Euron di attaccare da ovest. Ma ad ovest la parete di roccia è a picco sul mare, pensava Yara incerta. Una scalata in quel punto potrebbe essere fatale… La roccia dell’isola era così dura nelle pareti del castello come friabile sulla costa. Una frana era sempre possibile e di solito le imbarcazioni evitavano quel tratto di mare. Cosa voleva fare Euron? Era forse una trappola quella che stava tessendo?

Yara non poteva far altro che porsi domande e sperare che la difesa di Daenerys fosse pronta. Non hanno navi, pensava amareggiata. Quasi tutta la mia flotta è bruciata a Porto Bianco o è stata presa da Euron. Alla Roccia del Drago erano con molta probabilità rimaste meno di dieci imbarcazioni, contando anche quelle che, all’epoca della partenza per Porto Bianco, non erano state ritenute sicure abbastanza.

Le navi di Euron invece, nonostante non si avvicinassero neanche lontanamente al numero esagerato di mille, creavano comunque una flotta imponente e soprattutto variegata. C’erano navi lunghe e armate di rostri, agili imbarcazioni da guerra e piccole caravelle per gli attacchi fulminei. Euron disponeva di rematori in abbondanza, casomai il vento non fosse stato dalla sua parte, e di uomini esperti nella navigazione.

Yara sapeva che da questo punto di vista Daenerys pareva spacciata. I suoi Immacolati erano organizzati e micidiali, ma Yara non era certa si muovessero bene su una nave. I dorniani, su stessa ammissione di Tyene, non erano più così abituati al mare, per non parlare dei Dothraki, che avevano visto una nave per la prima volta il mese prima. E’ anche vero però, si diceva Yara tentando di trovare uno spiraglio di luce, che Daenerys potrebbe riuscire a spostare la battaglia a terra, dove sicuramente gli Uomini di Ferro sarebbero più in difficoltà. Poi si era ricordata di come i mercenari stranieri di Euron avessero annientato l’esercito di Benjameen e aveva capito che la situazione era davvero disperata.

La notte del sesto giorno, Yara fu bruscamente svegliata da Rodrik Freeborn. “Il re vuole vederti” le disse sputando a terra. Yara si alzò e seguì Freeborn fuori dalla cabina. Era la prima volta che usciva e aveva l’opportunità di vedere la nave su cui si trovava. La riconobbe quasi subito: era la Silenzio.

Finalmente l’ho trovata! Le venne da ridere.

Rodrik la spintonò rudemente.“Il Mancino non ti ha perdonata” le sussurrò all’orecchio, “fossi in te terrei gli occhi aperti, puttana.”

Yara alzò gli occhi al cielo. “Lo chiamate ancora il Mancino?” chiese sorpresa “Non è che brilliate di fantasia…”

Rodrik divenne rosso di rabbia. “Bada a come parli” sibilò, “se non vuoi che…”

“Basta così, Rodrik” intervenne Euron che era appena comparso in fondo al corridoio, “torna a lavoro. Avverti Botley e gli altri: vi voglio sottocoperta al più presto.” Yara si ricordava di Germund Botley, lord di Orkwood, uno dei più accesi sotenitori di Euron all’Acclamazione di Re. Freeborn si inchinò sgraziato e scomparve.

Occhio di Corvo sorrise a Yara. “Nipote” la salutò in tono falsamente affettuoso, “mi sei mancata. Vuoi passeggiare sul ponte con me?”

“No, ma tanto mi costringeresti lo stesso, giusto?”

Euron annuì, senza smettere di sorridere. Poi fece strada a Yara fino al ponte. Era ancora notte, ma le stelle andavano già sbiadendo. In lontananza, proprio all’orizzonte, si riuscivano ad intravedere dei piccoli fuochi.

“La Roccia del Drago” sussurrò Euron anticipando i pensieri di Yara.

Lei si voltò a guardarlo. “Che ci fai sveglio dopo l'Ora del Lupo, zio?”

Euron fissò il mare. “L’Ora della Piovra” la corresse. “Sai come è stato costruito il Trono del Mare, Yara?” Yara annuì: aveva sentito la storia migliaia di volte. Il saggio e coraggioso Re Grigio aveva ucciso Nagga, il più pericoloso dei Draghi Marini, e aveva ricavato un trono dalle sue spropositate mascelle.

“Intendi costruirti uno sgabello con le ossa dei draghi di Daenerys?”

Euron rise. Perché rideva sempre? “Credo tu abbia frainteso le mie intenzioni” disse con voce flautata, “perché mai dovrei voler uccidere un drago?”

Yara alzò un sopracciglio. “Non lo so, forse perché se non lo farai la tua flotta prenderà fuoco?”

Euron scosse la testa. “Niente di tutto questo accadrà” la rassicurò, “i draghi sono una benedizione, saranno essenziali quando sconfiggerò gli Estranei…” I piani di Euron avevano sempre meno senso agli occhi di Yara, ma non voleva dargli la soddisfazione di vederla confusa.

Euron si sfregò le mani. “Bene” esclamò, “siamo in vista della meta. Credo io debba andare a qualche consiglio di guerra.”

Con suo sommo stupore, Yara fu ammessa nella cabina del consiglio. La sua sorpresa però raggiunse picchi inauditi quando vide che erano presenti anche Tyene e Benjameen, incatenati accanto alla porta. Euron prese posto al tavolo ed Ellaria gli venne vicino seducente. Euron le sorrise e le cinse i fianchi con un braccio. Poi indicò la sedia alla sua destra a Yara che, guardinga, si sedette, facendola scivolare il più lontano possibile dallo zio.

Nella sala arrivarono subito una decina di uomini. Parevano tutti piuttosto eccitati. Yara riconobbe subito Lucas Codd, con il braccio sinistro fasciato e distolse lo sguardo. C’erano anche Rodrik Freeborn, il preannunciato Germund Botley e Donnor Saltcliffe. Gli altri erano comandanti delle navi di Euron che Yara aveva visto poche volte. Vide Torwold il Dentescuro, Quellon Humble e il Rematore Rosso. Gli altri non li conosceva.

“Salute a tutti” esclamò Euron, “come forse avrete notato siamo quasi arrivati alla Roccia del Drago e spero che voi tutti abbiate sete di sangue.” Ci furono sghignazzi d’assenso e qualche urlo. Yara incrociò appena lo sguardo di Tyene.

“Il piano è semplice” continuò Euron, “dovete solo ricordare che non ci sono regole e che potete distruggere tutto ciò che volete e scegliere di fare prigionieri gli uomini e le donne che vorrete, anche se non credo troverete granché sulla Roccia del Drago, eccetto ovviamente la regina.” Gli uomini eruppero in risate sguaiate.

“Solamente” continuò Euron, “lasciate i draghi e Jon Snow a me.”

“Mio re” intervenne Quellon Humble, “come potremo difenderci dai draghi se dobbiamo stare attenti a non ucciderli?”

“Non ce ne sarà bisogno, vedrai” rispose enigmatico Euron, “in quanto a Jon Snow, mi serve vivo, quindi ricompenserò chiunque lo porti da me.”

“Gli Uomini di Ferro non fanno prigionieri per ottenere riscatti…” si azzardò a dire Torwold.

“Questo è un ordine” tagliò corto Euron con voce pericolosa. Tutti annuirono e Yara pensò che quel piano non avesse senso. Nessuno di quegli uomini, neppure Euron stesso, aveva mai visto il Re del Nord, come avrebbero fatto anche solo a riconoscerlo? Ma non furono sollevate altre obiezioni.

“Daenerys Targaryen non ha una flotta” andò avanti Euron, “non sarà difficile raggiunere la riva. Da lì dovrete riuscire ad annientare la sua guarnigione puntando verso il castello, intesi?” Ci furono grida ed esclamazioni.

“Lord Saltcliffe” chiamò Euron e Donnor venne avanti, “ti affido il comando della Kraken, la più grande delle nostre navi, spero tu sia degno di tale onore…” Yara strinse le labbra. I doni di Euron sono avvelenati, così le aveva sempre detto suo zio Aeron.

“Lo sono, vostra grazia” disse Donnor Saltcliffe, “dove desideri porti la nave?”

“Che rimanga vicina alla Silenzio” ordinò Euron, “insieme sfonderemo lo schieramento di Daenerys al porto.” Donnor annuì.

“Lord Botley” chiamò ancora il Re delle Isole di Ferro, “a te concedo la Piovra di Nebbia, che da secoli attraversa il Mare dell’Estate senza essere notata dai vascelli che deruba. Tu la porterai ad ovest ed attaccherai la prima baia che incontrerai con cinquanta uomini. Porterai con te anche Harren, Kemmett e Qarl, insieme ai loro uomini. Avrete sette navi leggere.”

Yara adesso aveva capito. La Baia delle Conchiglie! pensò come fulminata Come ho fatto a non pensarci prima? E’ da lì che Botley attaccherà. Dalla piccola caletta partiva un sentiero dimenticato e coperto di erbacce che si snodava tra le montagne e che arrivava dritto al castello. Era anche probabile quella zona non fosse affatto sorvegliata.

“Codd manterrà il controllo della Vento Nero che mia nipote ci ha così gentilmente ceduto” disse Euron e Yara strinse i pugni sentendo tirata in causa la sua nave, “mentre Torwold e Rodrik, voi porterete la Sangue di Sale verso le spiagge del sud dell’isola, dove già si stanno dirigendo i miei mercenari. E’ probabile sarà il punto più protetto dell’isola, ma, spezzato quello schieramento, avremo vinto. Ciò che è morto non muoia mai!”

“Ciò che è morto non muoia mai!”

Tutti urlarono e, uno dopo l’altro, si congedarono e uscirono. Quando la sala si fu svuotata, Euron si versò da bere e ne offrì anche ad Ellaria, che accettò con un sorriso. Poi si rivolse ai suoi prigionieri. “Ho imparato a leggere nelle fiamme” confidò posando il calice, “so vedere il futuro se voglio. Avete mai bevuto l’Ombra della Sera di Qarth? Ha un sapore orribile, ma rende le menti lievi e dopo riesci a vedere…”

Euron emise un lungo sospiro. “So che sconfiggerò Daenerys” proseguì, “so che combatterò gli Estranei e che ne uscirò vincitore. Sono io il prescelto…”

“Tu sei matto” sputò Benjameen Sand.

“Anche la Piovra Rossa era matto” osservò Euron con voce suadente, “ma viene ricordato come uno dei più grandi re delle Isole di Ferro.”

“Alla Piovra Rossa venne tagliata la gola nel sonno” gli ricordò Yara, “o te lo sei dimenticato?”

Euron la guardò. “Nessuno potrà tagliare la mia” le assicurò a bassa voce. Yara non capiva da dove gli venisse quella sicurezza: credeva forse di essere invulnerabile? Un corno suonò dal ponte ed Euron si alzò in piedi.

“Credo siamo arrivati” disse, “è ora di incontrare la mia mancata sposa.”

Ellaria gli prese un braccio. “Aspetta, amore” gli disse, “avevi promesso avresti liberato mia figlia, così che possa combattere al tuo fianco questa battaglia…”

“Madre!” esclamò sconvolta Tyene “Cosa stai dicendo?!” Yara non sapeva se Tyene avesse compreso il gioco di Ellaria, ma in ogni caso il suo tono era convincente. Si voltò verso Euron, che annuì.

“Certamente” acconsentì Occhio di Corvo, “ma dovrà giurarmi fedeltà…”

“Lo farà” assicurò Ellaria ed Euron liberò Tyene dalle catene. Tyene si riassestò i vestiti e guardò sua madre con odio. Benjameen non disse nulla e Yara sperò almeno lui avesse compreso.

Poi Ellaria afferrò Euron e lo baciò con trasporto. Occhio di Corvo la strinse e rimasero avvinghiati diversi secondi. Yara vide il disgusto sul volto di Tyene. Quando finalmente i due si separarono, Ellaria sorrise. Si portò una mano al collo.

Yara capì immediatamente che qualcosa non andava e guardò Tyene, che era sbiancata. La mano di Ellaria si chiuse intorno a dove prima doveva esserci stata una collana, ma strinse solamente l’aria. Il suo volto si trasfigurò in una maschera di orrore.

Ellaria chinò il capo di scatto e guardò a terra. “La collana…” mormorò con voce strozzata, mentre un rivolo di sangue scendeva dal suo naso e da quello di Euron.

Occhio di Corvo sorrise e aprì la mano, dove stringeva il ciondolo che evidentemente Ellaria stava cercando. “Il Lungo Addio, giusto?” chiese con finta noncuranza mentre apriva la minuscola ampolla “Avresti dovuto trovarne uno migliore, so riconoscere l’odore di questo da miglia di distanza…”

Euron bevve il contenuto dell’ampolla, che Yara aveva capito essere l’antidoto al veleno, e Tyene urlò. Ellaria si accasciò a terra tremando ed Euron si pulì il sangue dal naso con il braccio.

“Non è facile avvelenarmi” osservò come divertito. Il corpo di Ellaria rimase immobile e Tyene si avventò su Euron. Benjameen gridò qualcosa, ma Yara aveva ancora le mani legate e non poté fare nulla. Tyene, disarmata com’era, stava riempiendo di pugni Occhio di Corvo che, fortunatamente, sembrava non avere la spada a portata di mano. Yara sentì dei passi sopra la sua testa e capì che il rumore aveva allertato qualcuno.

E’ la nostra occasione.

“TYENE!” urlò e la ragazza si fermò, gli occhi accecati dalle lacrime. Euron era momentaneamente a terra. Sembrava svenuto. “Dobbiamo andare” la esortò Yara, “stanno arrivando…”

“Voglio ucciderlo” gridò Tyene, ma Yara scosse la testa. “Non c’è tempo” replicò, “Daenerys ha bisogno di noi.” Tyene fece un passo indietro, sempre continuando a singhiozzare.

“Libera me e Benjameen” disse Yara, “trovate una scialuppa e raggiungete il porto. Dite a Daenerys i piani di Euron e dove esattamente vuole attaccare.” Tyene sciolse i nodi di Yara e liberò Benjameen, che la strinse mentre singhiozzava disperata.

“Mi occuperò io di lei” promise il giovane e Yara annuì, “ma tu dove andrai?”

“Ho una faccenda da sbrigare” spiegò Yara, “ci vediamo al castello. Fate attenzione, mi raccomando…” Benjameen le sorrise e Yara corse fuori dalla cabina. Udendo i passi che venivano nella sua direzione, cambiò prontamente strada e raggiunse il ponte.

Ormai la Roccia del Drago era vicinissima e Yara vide che le sette navi di Botley si erano già allontanate dalle altre per raggiungere il loro obiettivo. La rotta della Silenzio invece, come annunciato, puntava sul porto. Yara scorse le poche navi di Daenerys venir loro incontro. Pensare di raggiungere senza essere vista il porto o Punta del Pesce Volante era impensabile, quindi una sola era la strada da percorrere. Yara sperò Tyene e Benjameen fossero riusciti a fuggire dalla seconda porta di quella cabina. Se la caveranno, pensò ed adocchiò la sua nave.

Evitò tutti gli uomini che correvano sul ponte e raggiunse il punto sull’imbarcazione più vicino alla Vento Nero. Fortunatamente la sua nave quasi sfiorava la Silenzio e Yara la raggiunse con un salto neanche troppo lungo. Sembrava deserta, ma sicuramente portava a bordo almeno l’equipaggio. Yara avanzò silenziosa come un gatto.

Conosceva quella nave meglio di qualunque altro luogo al mondo e non faticò a trovare il posto dove gli uomini di Euron si erano raggruppati. Senza farsi vedere chiuse la porta e la sprangò. Si sarebbe occupata di loro più tardi: ora doveva trovare Lucas Codd.

Il Mancino era a prua a scrutare l’orizzonte. Non fu sorpreso di vederla. “Re Euron mi ha concesso la tua nave” iniziò, “e anche la tua ascia. Chissà, magari più tardi mi concederà anche te…” La vista della sua preziosa arma nelle mani di quel verme fece andare Yara su tutte le furie.

“Ti avrà anche dato la mia ascia” osservò avvicinandosi, “ma sai come usarla?”

Codd fece un tentativo sollevando l’arma sopra la testa con l’unica mano che gli restava, ma Yara fu più rapida. Prima che Lucas Codd potesse rendersi conto di ciò che stava succedendo, Yara gli aveva trafitto il cuore con lo stiletto che portava sempre nascosto tra i seni. Lo estrasse lentamente e il Mancino cadde a terra. Yara nascose nuovamente lo stiletto, raccolse la sua ascia e gettò il cadavere di Lucas Codd nel mare nero.

Poi tornò sui suoi passi, sfondò la porta che aveva sprangato, e uccise ogni singolo uomo rimasto dentro. Non fu difficile: erano tutti già ubriachi fradici. Ora la nave è di nuovo mia, pensò Yara lanciando l’ascia in aria e riprendendola al volo.

Corse al timone e invertì la rotta. La Vento Nero era forse la più veloce tra le navi delle Isole di Ferro e nessuna imbarcazione di Euron poté inseguirla quando Yara virò verso nord. Avrebbe superato Capo Vento, costeggiato la lunga parete di roccia a picco sul mare e raggiunto la Baia delle Conchiglie.

Troverò Germund Botley e le sue sette navi, si disse Yara mentre la Vento Nero sfrecciava rapida sul pelo dell’acqua allontanandosi dalle altre, e poi tornerò dalla regina.

Il vento le gonfiò i capelli e Yara sorrise.

 

Theon

 

Non aveva neppure fatto in tempo a scoccare la prima freccia dall’arco che gli aveva donato Daenerys quando fu dato l’allarme. Theon stava risalendo il sentiero verso il castello e Verme Grigio l’aveva avvertito subito. Così, come voleva il protocollo che tante volte Varys aveva ripetuto, era tornato indietro verso il porto.

Daenerys e Jon erano ancora lì, a scrutare l’orizzonte con le mani intrecciate. Quasi gli sembrava brutto intromettersi.

Poi Jon si voltò e lo vide. “Stanno arrivando” disse solamente, ma questo Theon già lo sapeva. Aveva visto le navi lontane diventare sempre più grandi ed erano tante, troppe anche solo per essere contate.

Daenerys sembrava nervosa. “Dove sono Obara e Verme Grigio?” chiese continuando a voltarsi verso il mare aperto.

Theon fu preso alla sprovvista. “Obara è andata alla spiaggia credo” disse incerto. “Le avevi affidato la Torre della Palma vostra grazia…”

Daenerys sembrò ricordarsene solo in quel momento. “E’ vero” ammise, “ma forse non serve più: Euron sta attaccando qui. E’ diretto al porto, dovremmo schierare i nostri uomini qui.”

“Lo sconsiglio vostra grazia” intervenne Varys che era appena comparso alle loro spalle. “Euron non si lascerà scappare l’occasione di attaccare la spiaggia: è il punto in assoluto più accessibile.”

“Cosa devo fare allora?” chiese Daenerys angosciata.

“Invia da lady Obara i tuoi Dothraki” suggerì Varys, “la Spiaggia di Fuoco è l’unico punto su tutta l’isola in cui potranno combattere. Altrove ti risulterebbero inutili.”

La regina annuì. “E sia” decise. “Varys, trova Missandei e fatti aiutare a spostare i Dothraki alla Spiaggia di Fuoco. Spiega a Obara la situazione e dille di non lasciare Torre della Palma fino a ordine contrario. Poi tu e Missandei occupatevi di far evacuare il villaggio e chiudete le porte del castello.”

Varys si inchinò. “Sarà fatto, mia regina” promise e si dileguò. Theon era sempre più in ansia.

Verme Grigio comparve fra le palme del sentiero. “Mia regina” esclamò trafelato, “Obara Sand dice di aver avvistato navi venire da sud: richiede rinforzi.” Theon si voltò verso la regina.

“Ho già inviato alla spiaggia i Dothraki” spiegò Daenerys tentando di mantenere la calma, ma Verme Grigio scosse la testa. “Mancano ancora altre quattro torri” osservò, “dove devo piazzare gli Immacolati?”

Daenerys guardò Jon in cerca di supporto. “Metà di loro fra Torre delle Rocce e Torre della Marea” rispose lui, “mentre gli altri servono sulle navi… Quanti navi abbiamo a proposito?”

“In grado di restare a galla undici” rispose Theon.

“Solo undici?!”

“Dieci se consideri il porto” lo corresse ancora Theon, “la Stella del Mattino è ancorata nella Baia delle Conchiglie…”

“A cosa serve laggiù?” chiese ancora Jon.

“Era una precauzione” intervenne Daenerys, “ma in ogni caso è troppo tardi per sperare di spostarla. Dobbiamo accontentarci di dieci navi…”

“I miei Immacolati sono pronti” affermò fiero Verme Grigio, “attendiamo l’ordine.”

Daenerys si morse il labbro. “Devo andare a incontrare Euron” disse risoluta, “porterò con me settanta Immacolati e cento dorniani e prendiamo il largo con tutte e dieci le navi.”

“E’ pericoloso!” esclamò Jon “Euron ne ha almeno quattrocento di navi.”

“Non attaccheranno tutte da est” gli ricordò Daenerys, “e io devo raggiungere Drogon…”

L’espressione di Jon cambiò. “Sei sicura troverai il drago lì?” chiese e Daenerys annuì.

“Bene” continuò Jon, “allora vengo con te.”

“No!” gridò la regina “Tu devi rimanere a dare ordini a…”

“A chi?” la interruppe Jon “Non ho uomini da offrirti e per gli ordini basta già Verme Grigio. Prenderò la Lupa Solitaria e ti verrò dietro.”

Daenerys lo stava guardando. “Va bene” acconsentì infine, “io salirò sulla Balerion… Verme Grigio lascio a te il comando supremo di tutti gli eserciti rimasti a terra e, casomai ci fosse segno delle navi da Capo Tempesta, suonate il corno due volte in rapida successione, capito?” Verme Grigio annuì.

“Resta ancora scoperta la Torre del Vento” fece notare Jon, “oltre a quella della Baia delle Conchiglie…”

“Non ho abbastanza uomini per occuparle entrambe” disse Daenerys, “la Torre delle Conchiglie resterà vuota, mentre Theon andrà a Capo Vento.”

Theon sobbalzò udendo il suo nome. “Io?” chiese incredulo “Da solo?”

La regina scosse la testa. “Ti affido la Torre del Vento” disse, “e il comando di cinquanta uomini dell’esercito di Dorne. Euron non attaccherà mai da quel promontorio, ma sarà un buon punto d’avvistamento per le navi nemiche e potrete aiutare la nostra flotta a rallentarle semmai arrivassero troppo vicine al porto.”

Theon chinò il capo. “D’accordo” assentì e Daenerys gli sorrise. “Ora andate alle vostre postazioni” ordinò, “Verme Grigio si occuperà della divisione dei vari gruppi. Buona fortuna a tutti…”

Poi Daenerys si voltò e Theon scambiò un ultimo sguardo con Jon, che subito la seguì. Andarono in direzione delle loro navi, mentre Verme Grigio e Theon tornarono nuovamente verso il castello, dove si era radunata una folla di soldati. Il capo degli Immacolati spiegò, prima in alto valyriano e poi nella lingua comune, gli ordini di Daenerys e scelse il gruppo di Immacolati e dorniani che sarebbe stato assegnato alle dieci navi insieme alla regina e a Jon. Poi si voltò verso Theon.

“Devi scegliere cinquanta uomini di Dorne” gli ricordò, “veditela tu, io devo portare i miei uomini alla Torre delle Rocce. Invia gli altri a Punta del Pesce Volante.” Così Verme Grigio gridò qualcosa in valyriano e si allontanò con i suoi Immacolati. Theon rimase solo con una folla di dorniani che lo scrutavano sospettosi.

Poi un ragazzo si fece avanti. “Mi chiamo Arron Qorgyle da Sandstone” si presentò, “e ti offro i miei uomini per questa missione.”

Theon annuì sollevato. “Bene” disse ad alta voce, “andremo a Capo Vento come ci è stato ordinato dalla regina Daenerys, mentre tutti voi altri seguirete Verme Grigio a Torre della Marea.” I soldati di Dorne borbottarono qualcosa, creando anche una gran confusione, ma alla fine obbedirono.

Arron Qorgyle sorrise a Theon. “Andiamo?” lo incitò con delicatezza e si incamminarono. Costeggiarono il porto e Theon vide le navi prendere il largo, andando incontro a quelle di Euron. Davanti a tutte intravedeva la Balerion e la Lupa Solitaria, che avanzavano sul mare luccicante. Theon procedeva in testa al piccolo gruppo, stringendo di tanto in tanto il lungo arco di osso di drago.

La Torre del Vento era già visibile quando iniziarono ad arrampicarsi sulla scogliera. Alla loro sinistra si ergeva imponente il castello e più di un soldato si fermò a osservarlo. Theon raggiunse la cima di Capo Vento per primo e si voltò verso il mare. La Torre, che come le altre fortificazioni erette in fretta dagli Immacolati altro non era che una bassa costruzione di pietra grezza, permetteva di tenere sotto controllo il porto e la costa del nord dell’isola fino alle montagne.

Theon, investito in pieno dalla luce del sole sorgente, strizzò gli occhi e tentò di mettere a fuoco le navi in lontananza. La piccola flotta della regina si era ormai allontanata parecchio dal porto, mentre le navi di Euron sembravano sempre più vicine e minacciose. Da lì Theon vide che queste ultime si stavano aprendo, come a voler circondare le dieci imbarcazioni di Daenerys.

Arron gli mise una mano sulla spalla, facendogli perdere la concentrazione. “Forse dovremmo appostarci nella torre” propose e Theon abbassò il capo. Non sarebbero stati di grande aiuto a Daenerys là dove si trovavano, ma dovevano rispettare gli ordini ricevuti. Così Theon fece disporre gli arcieri sul bordo della scogliera e gli altri guerrieri intorno alla torre.

All’improvviso udirono un suono stridente provenire dal mare ad est e Theon non poté far a meno di voltarsi in quella direzione. Sembrava che il drago nero di Daenerys, Drogon, fosse finalmente sceso in campo. Theon lo vedeva planare accanto alle imbarcazioni della sua padrona e riusciva a udire i suoi ruggiti minacciosi contro il nemico. Poi eruttò fuoco e le navi di Euron in prima fila bruciarono.

Theon sorrise e si girò nuovamente. Fu allora che vide qualcosa che gli gelò la risata sulle labbra. Una nave, più piccola delle altre e sicuramente più veloce, sfrecciava oltre Capo Vento, mantenendosi comunque vicina alla costa dell’isola, ma non abbastanza per rimanere vittima degli scogli sommersi. Theon sapeva che non poteva essere una delle navi di Daenerys e si preoccupò.

Deve essere un’imbarcazione di Euron, pensò esterrefatto. Ma perché va da quella parte?

Arron dovette formulare i suoi stessi pensieri, perché corse da lui. “E’ una barca nemica” affermò, “e sembra dirigersi verso ovest…”

Theon rifletté un momento. “La Baia delle Conchiglie!” esclamò con orrore “E’ diretta sicuramente da quella parte… Nella cala l’acqua è bassa e si può raggiungere il castello senza problemi.” Probabilmente Euron aveva inviato una sola nave per non attirare troppo l’attenzione.

“Quanti uomini può trasportare una nave del genere?” chiese e Arron gonfiò le guance. “Direi una ventina” rispose, “non sembra particolarmente grande…”

“Allora prendo trenta dei tuoi soldati” disse Theon, “e vado alla baia.” Arron strabuzzò gli occhi.

“Ma abbiamo degli ordini!” gli fece notare “Dovresti prima dirlo alla regina…”

“Daenerys è in mare e ha già troppi problemi” disse Theon con amarezza, “e Torre delle Conchiglie non è difesa. Se gli Uomini di Ferro la raggiungono prima di noi allora potranno attaccare Obara e Verme Grigio alle spalle.” La battaglia per il momento sembrava ricalcare la stessa logica di quella a Porto Bianco e Theon era desideroso di riuscire ad anticipare le mosse di Euron.

“Devo fermarli” sussurrò e Arron annuì. “Allora va’” lo esortò, “resterò io a Torre del Vento e, qualunque problema dovesse sorgere, accenderò il fuoco sul tetto come è stato stabilito.” Theon gli sorrise nervoso e Arron ordinò a una trentina dei suoi dorniani di seguirlo.

Allora Theon si lanciò a perdifiato verso il castello e raggiunse in pochi minuti il sentiero attraverso le montagne che portava alla Baia delle Conchiglie. Non si voltò più indietro, neppure per vedere come stesse procedendo il confronto navale fra Daenerys ed Euron. Il piccolo gruppo corse lungo il sentiero costeggiando la spiaggia, ora affollata di Dothraki, e vide da lontano Torre della Palma.

Theon salutò frettolosamente Missandei, che lo guardava a bocca aperta, intenta a radunare una piccola folla nel villaggio. Ci vollero meno di dieci minuti per raggiungere la Torre delle Conchiglie, quando all’improvviso Theon udì nuovamente il suono sinistro che aveva capito provenire dal corno di Euron. Stavolta il corno suonò quattro volte e molti soldati si tapparono le orecchie. Non c’era però tempo per chiedersi cosa quel rumore significasse, così proseguirono.

Theon era sicuro di essere stato più veloce della nave che aveva visto a Capo Vento, così pensò di avere un po’ di vantaggio. Potremo organizzarci, pensò, e sistemare gli uomini sul dirupo…

Dovette rimangiarsi ogni sua convinzione quando raggiunse il posto di guardia. Fuori dalla Baia delle Conchiglie erano ancorate non una, ma ben sette navi e alcuni uomini si stavano già arrampicando verso la torre. Ma com’è possibile? si chiese Theon incredulo Nessuna di queste è la nave che abbiamo visto…

Tentò di contare gli uomini che stavano attaccando, ma erano troppi. Lo sguardo gli cadde su qualcosa nascosto dietro le fronde di un albero acquatico. La Stella del Mattino! E’ ancora qui per fortuna…

Theon si voltò verso i suoi compagni, che guardavano il mare confusi. “Devo salire su quella nave” disse indicandola, “ma mi serve il vostro aiuto. Quanti di voi hanno un arco o una balestra?” Almeno la metà alzò la mano. “Bene” continuò Theon, “quelli con un arco si metteranno in prima fila e colpiranno più nemici possibili. Non fateli arrivare in cima.”

Theon indicò sei uomini che non avevano alzato la mano poco prima. “Voi verrete con me” disse, “scenderemo da sotto la torre…” Gli uomini si misero in posizione e cominciarono a piovere frecce sui nemici.

Theon e i compagni che aveva scelto iniziarono la pericolosa discesa. In più punti la roccia minacciò di sbriciolarsi sotto le loro dita, ma alla fine arrivarono sul ponte della nave. La Stella del Mattino era piuttosto piccola e sicuramente non progettata per le lunghe distanze. Aveva un solo albero maestro e nessuna cabina sottocoperta. Theon attese che tutti fossero a bordo e gridò l’ordine di partire.

Dalla cima i guerrieri di Dorne continuavano a scoccare frecce che il più delle volte colpivano gli avversari. La scalata dei nemici era tenuta sotto controllo, ma ciò avrebbe funzionato finchè fossero durate le frecce. Mentre la Stella del Mattino iniziava a muoversi, Theon corse a prua e tese il suo arco. Incoccò una freccia e mirò al timoniere della nave nemica più vicino. Quando lasciò la corda, nemmeno vide la freccia che aveva appena scagliato. Meno di un secondo dopo l’uomo si accasciava morto.

Theon continuò a incoccare e scoccare e l’arco era sempre preciso e letale. Caddero non meno di altri quindici uomini per le sue frecce. Poi la nave più grande fra le sette si accostò a sinistra della Stella del Mattino. Theon allora la riconobbe. Era la Piovra di Nebbia, la più usata fra le imbarcazioni dei banditi della Isole di Ferro. L’uomo che la guidava era Germund Botley e Theon sentì un peso in fondo allo stomaco.

“Guarda chi si rivede” lo salutò Botley, “Theon il Voltagabbana. Che ci fai qui?”

Theon non rispose, era troppo occupato a tentare di capire quanti nemici stessero venendo loro addosso. Sulla nave di destra riconobbe Kemmett Pyke il Bastardo, con il suo ghigno di denti storti, e Qarl lo Schiavo. Non poteva sperare di avere la meglio su tutti loro contemporaneamente.

Un urlo di dolore lo costrinse a girarsi e vide uno dei suoi compagni cadere a terra colpito da una freccia. A un secondo Kemmett Pyke piantò un coltello nel cranio. Le navi erano ormai vicinissime e stringevano la piccola Stella del Mattino in una morsa da cui era impossibile fuggire. Theon prese un’altra freccia dalla faretra, ma in quel momento un uomo della ciurma di Botley urlò.

Theon si voltò verso il punto che l’uomo indicava e vide comparire la nave che avevano intravisto a Capo Vento. Stava procedendo a tutta velocità verso l’imbarcazione di Kemmett Pyke e non accennava a rallentare. Quando fu abbastanza vicina, Theon la riconobbe.

E’ la Vento Nero!

La nave si scontrò con quella di Kemmett colpendola alla fiancata e lo scossone che ne derivò fece tremare anche la Stella del Mattino e la Piovra di Nebbia. Theon barcollò tentando di rimanere in piedi. La nave del Bastardo si era spezzata in due sotto il rostro della Vento Nero e gli uomini che strasportava erano finiti in acqua. Theon vide Qarl e Kemmett andare affondo a causa delle loro armature di metallo e udì le grida di Botley dalla Piovra di Nebbia. Quando la Vento Nero girò, muovendosi sui resti dell’altra nave, Theon poté vedere chi la timonava.

“YARA!” Allora era riuscita a liberarsi! Incomprensibilmente gli venne da piangere.

“SALTA SU!” gli urlò Yara “SALTATE SU TUTTI!”

Lui annuì e si issò sulla nave della sorella, seguito dai quattro compagni superstiti.

Theon corse per abbracciare Yara, ma lei lo scansò brusca. “Non è il momento” lo sgridò, “dobbiamo andarcene subito da qui…”

“Ma i miei soldati sono alla torre” obiettò Theon, “non possiamo lasciarli…”

“Ci sono troppi nemici, Theon” disse Yara facendo virare di colpo la nave, “dobbiamo andare.” Ma si trovarono la strada bloccata da un’altra imbarcazione.

“Merda” imprecò Yara.

Girò il timone e la Vento Nero sussultò pericolosamente. La nave si inclinò e rischiò di capovolgersi. Uno degli uomini di Dorne urlò di terrore. Theon si sporse avanti, ma non avevano dove andare. Ovunque erano comparse navi che tentavano di chiudersi intorno alla Vento Nero. Theon vide il volto teso di Yara e tentò di trovare una soluzione.

Poi un’ombra calò dal cielo e le navi nemiche presero fuoco. Theon sollevò la testa di scatto e, con sua immensa sorpresa, vide il drago verde della regina, Rhaegal, volare sopra di loro. Il drago non li degnò di uno sguardo, né accennò a voler scendere. Semplicemente appiccò il fuoco a tutte le sei navi di Euron, inclusa la Piovra di Nebbia. Incredibile, pensò Theon senza fiato. I nemici morivano urlando e le navi si inabissavano.

Anche la Stella del Mattino subì la stessa sorte, ma Theon non aveva tempo per restarci male. Rhaegal era già scomparso, volando a nord verso il castello, e i dorniani avevano respinto gli aggressori dalla baia. Capiranno che devono rimanere a Torre delle Conchiglie, si disse Theon mentre la Vento Nero navigava verso sud, noi dobbiamo andare.

Per qualche minuto nessuno parlò. Yara non sembrava molto provata dallo loro esperienza, ma Theon sapeva che riusciva a nascondere bene le emozioni.

“Devo raggiungere la spiaggia” disse a un certo punto lei, “Euron intende mandare i suoi mercenari là.”

“La Spiaggia di Fuoco è protetta dai Dothraki” la rassicurò Theon, “è il luogo più sicuro…”

“Ed Euron questo lo sa bene” lo interruppe Yara, “perciò non sono tranquilla.” Presto le montagne della parte occidentale dell’isola si addolcirono e comparve in vista la Torre della Palma.

“La regina l’ha affidata ad Obara Sand” spiegò Theon, “sulla spiaggia sono schierati i Dothraki…”

Yara annuì. “Avviciniamoci” disse girando il timone. Theon andò a prua e tentò di distinguere qualcosa. Il sole era ormai sorto da un’ora e il suo riverbero sul mare era accecante.

Finalmente la Spiaggia di Fuoco fu in vista. Le navi dei mercenari di Euron stavano attaccando il litorale e l’esercito della regina non poteva far altro che attenderle a terra.

“Fermati qui!” esclamò Theon e, quando furono nell’acqua bassa, si tuffò in mare. Nuotò fino alla riva ed uscì dall’acqua. Si trovava a metà strada fra Torre della Palma e la Cala del Drago Azzurro, dove sembrava concentrarsi l’attività. Theon fece per andare in quella direzione, ma Yara dalla nave lo richiamò.

“Va’ avanti via mare” urlò Theon voltandosi un attimo, “io procedo a terra.” Yara annuì e presto la Vento Nero si allontanò dalla costa. Theon si mise a correre sulla sabbia stringendo in mano l’arco e non curandosi dei vestiti bagnati. Presto incontrò Obara.

“Che succede?” le chiese.

“La regina è alla Torre delle Rocce” spiegò lei senza nemmeno guardarlo, “ma mi ha ordinato di tenere lo schieramento dei Dothraki qui insieme a Missandei. Sembra stiano arrivando altre navi di Euron.” Obara fece roteare la lancia e la conficcò nel terreno. “E noi li aspetteremo” disse convinta.

Theon decise di passare oltre e riprese a correre. Giunse alla Torre delle Rocce con il fiato corto. Gli Immacolati erano perfettamente schierati lungo la costa e trovò anche Daenerys. La regina sembrava esausta e Theon vide con orrore che aveva i vestiti bruciati in più punti.

“Theon?” chiese Daenerys incredula “Cosa ci fai qui? Pensavo fossi morto… Il porto e Capo Vento sono persi. Euron ha preso la Torre del Vento, credevo fossi lì…” Parlava a fatica e molto velocemente, come avesse paura di cadere nuovamente nel panico.

“Cosa è successo?” chiese Theon abbandonando le formalità, “dove sono le nostre navi?”

“Bruciate” fu la sola risposta di Daenerys e Theon vide la paura nei suoi occhi. Si guardò intorno nervoso. La Vento Nero si era fermata davanti alla Spiaggia di Fuoco, evidentemente per aiutare i Dothraki e Obara.

“Dove sono Jon e Verme Grigio?” chiese Theon e Daenerys quasi si accasciò.

“Sono voluti rimanere a Torre della Marea” rispose con le lacrime che le scorrevano sulle guance, “mi hanno detto di andare avanti… Stanno lottando contro Euron da soli… E Drogon…” Daenerys scoppiò in singhiozzi e Theon si sentì a disagio. Non era solito consolare qualcuno e la situazione era davvero strana.

Dopo qualche secondo Daenerys si tirò su. “Dobbiamo abbattere i mercenari che arrivano da sud in fretta” spiegò, “così che possiamo tornare a Punta del Pesce Volante ad aiutarli.”

In quel momento le navi dei mercenari emersero dalla foschia che dilagava a sud rendendo l’aria lattiginosa e pesante e presero ad avanzare. Come un sol uomo gli Immacolati della costa frastagliata si misero in posizione. Non avevano archi, perciò avrebbero dovuto attendere che il nemico fosse davvero vicino per attaccare.

Le imbarcazioni che si dirigevano verso la Torre delle Rocce dovevano essere massimo una ventina: le restanti evidentemente si stavano preparando all’assalto alla Spiaggia di Fuoco.

Poi una nave solitaria venne avanti, puntando verso Cala del Drago Azzurro. Era molto piccola e aveva vele di dimensioni sproporzionate con lo stemma della piovra. Portava un unico soldato. L’uomo saltò a terra sulla piccola spiaggia di ciottoli della cala e guardò su verso la torre, mentre alle sue spalle le altre navi continuavano ad avanzare inesorabilmente.

Fu allora che Theon vide Daenerys accasciarsi al suo fianco emettendo un suono gutturale. La sua voce era solo un sussurro ed esprimeva uno sgomento oltre ogni possibile immaginazione, ma Theon riuscì a capire le uniche due parole che mormorò.

Daario Naharis.

 

Daenerys

 

Dal molo la Balerion sembrava così grande e robusta, ma, una volta che Daenerys c'era salita sopra, si era accorta di quanto in realtà le tremasse sotto i piedi. Aveva diviso il proprio esercito come le era sembrato giusto e aveva posto le difese dell’isola lì dove aveva potuto. Era certa la Spiaggia di Fuoco e Cala del Drago Azzurro fossero protette a sufficienza.

I Dothraki avrebbero fermato qualunque invasore finché avessero avuto la terra sotto gli zoccoli dei loro cavalli e gli Immacolati non erano certo da meno. Daenerys era preoccupata per il porto. Dieci navi, pensò spostando lo sguardo nervosa verso le imbarcazioni incalzanti di Euron, contro almeno duecento… Cosa possiamo fare?

L’unica loro speranza era Drogon, che Dany sentiva essere vicino. Anche Rhaegal sicuramente non era lontano, ma, nonostante tutte le rassicurazioni di Jon, Daenerys non avrebbe mai dimenticato quella volta in cui il suo drago le aveva sputato fuoco contro. Non si fidava più di lui. In quanto a Viserion, era ormai una settimana che non si faceva più vivo. Di certo non era stato avvistato altrove, o la notizia si sarebbe diffusa a macchia d’olio, ma Dany continuava a chiedersi dove fosse finito. Non era da lui allontanarsi molto dalla sua padrona.

La Balerion aveva ormai lasciato il porto e avanzava a velocità sostenuta, ma non eccessiva. Jon l’aveva raggiunta a prua. All’inizio aveva affermato di voler navigare sulla sua nave, la Lupa Solitaria, ma all’ultimo aveva cambiato idea, decidendo di accompagnare Daenerys sulla stessa imbarcazione. Dany non l’avrebbe mai ammesso, ma quel gesto l’aveva tranqullizzata.

Si voltò appena e vide le altre nove navi inseguire la Balerion. Ognuna portava una trentina di uomini e una sembrava più malandata dell’altra. Dany tornò a concentrarsi sulle navi nemiche sempre più vicine.

Jon la stava guardando. “Come va? Non è la tua prima battaglia, vero?”

Daenerys scosse la testa. “Non lo è” rispose, “ma ogni volta è come se lo fosse.”

E stavolta sembrava tutto più reale, più pericoloso, adesso che non poteva più contare sui draghi come prima. I draghi avevano sempre reso tutto più magico, l’avevano fatta sentire al di sopra di tutto e tutti. Ora era solo una donna persa nel mare di una guerra che non conosceva minimamente.

Jon le mise una mano sulla spalla. “Ce la caveremo” le disse rassicurante e Dany avrebbe tanto voluto crederci. Ormai erano molto vicini e Daenerys fece cenno al timoniere, un Immacolato dalla pelle stranamente chiara, di fermarsi. La Balerion si arrestò e rimase a essere cullata dalle onde. Dalla massa indistinta di navi che li fronteggiava, se ne separò una, che aveva una strana polena a forma di sirena imbavagliata. Deve essere la nave di Euron, pensò Dany sforzandosi di ricordarne il nome che certamente Theon o Yara le avevano detto.

“La Silenzio” le venne in aiuto Jon e Daenerys annuì. Per evitare di far vedere di star tremando, incrociò le braccia e sollevò un poco il mento.

Sulla prua della Silenzio comparve un uomo. Non era particolarmente alto e aveva corti capelli castani. Vestiva un armatura di metallo grigio ghiaccio e aveva un enorme corno a tracolla. Sulla fronte portava una corona che a Dany parve fatta di legno grezzo, certamente non opera di qualche artigiano. Sembrava vagamente stordito, come se si fosse appena svegliato, ma subito dopo sorrise.

“Euron…” sussurrò Jon, ma Daenerys l’aveva già capito.

“Salve” salutò l’uomo con tono che in altre circostanze sarebbe potuto passare per gioviale, “io sono Euron Greyjoy, lord di Pyke, comandante della Silenzio e Re delle Isole di Ferro.” Fece una pausa e Dany sentì i suoi occhi addosso.

“Beh?” chiese Euron “Dove sono finite le buone maniere? Presentatevi…”

Jon fece un passo avanti. “Non è tempo per i tuoi trucchi, Greyjoy” disse in tono sprezzante, “e non credo tu abbia fatto tutta questa strada per chiederci i nostri nomi.”

Euron spostò lo sguardo su di lui. “Tu devi essere il famoso Re del Nord” disse affabile, “è un piacere conoscerti, anche se pensavo il nostro incontro sarebbe avvenuto in circostanze diverse…” Dany poteva sentire tutta la rabbia che Jon tratteneva a stento.

“I tuoi mercenari hanno massacrato i miei uomini” sibilò lui, “e hanno quasi affondato la mia nave.”

“Piano con gli insulti, ragazzo” lo frenò Euron ridendo. “Heryet era un Uomo di Ferro, uno dei miei migliori alleati, ed è morto per causa tua. Per quanto riguarda gli altri, beh avevi ragione, erano tutti mercenari…”

Daenerys capì che doveva dire qualcosa. “Non c’è bisogno di una battaglia, lord Euron” disse ad alta voce, “puoi ancora fermare questa follia e…”

“Stavo per dirvi la stessa cosa” disse Euron con finta sorpresa, “che coincidenze! Volete la distruzione di Cersei? Bene, l’avrete, ma in cambio desidero i vostri giuramenti di fedeltà. Rinunciate alle vostre corone e sarete perdonati.”

“Non portiamo corone a differenza tua” fece notare tagliente Jon, “e dimmi perché mai dovremmo seguire te.”

Euron sorrise di nuovo ed allargò le braccia. “Perché io sono il prescelto dal dio.”

Dany non capì. Tuttavia non aveva senso insistere. “Vuoi dunque una battaglia?” chiese incalzante.

Euron alzò le spalle. “Se la volete voi” replicò, “io non dirò certo di no…” E urlò ordini aspri all’equipaggio della sua nave. Gli Uomini di Ferro erano in allerta e tirarono le funi. Accanto alla Silenzio comparve una seconda nave, che era molto più grande e meglio equipaggiata. Al confronto la Balerion pareva un giocattolo.

“E’ la Kraken” disse Jon visibilmente preoccupato, “la più grande nave della Flotta di Ferro.” Dany si voltò nuovamente a guardarla e rabbrividì. I suoi uomini si stavano preparando e le navi si stavano mettendo in posizione.

La Vhagar avanzava impavida da destra per evitare che la Flotta di Ferro si stringesse a morsa intorno alle dieci navi di Dany, mentre la Meraxes proseguiva a sinistra. La Lupa Solitaria era rimasta indietro e Daenerys non riusciva più a vederla con la coda dell’occhio.

Jon estrasse la sua spada dal fodero e in quel momento Dany desiderò più di ogni altra cosa poter stringere anche lei un’arma. Euron non si era mosso dalla sua posizione mentre le imbarcazioni intorno a lui danzavano sull’acqua.

La prima freccia partì da un dorniano della Meraxes e colpì un Uomo di Ferro sulla Kraken. Ci fu un momento di silenzio e poi fu come se fosse esploso l’inferno. Frecce e altre armi venivano tirate da ambedue le parti e furono portate tavole con cui tentare l’arrembaggio.

Alcuni Immacolati riuscirono a conquistare una nave minore gettando anche in mare i suoi occupanti, ma la gioia fu di breve durata. Con il suo temibile rostro la Kraken tagliò in due la Principessa del Mare, la più piccola fra le navi di Dany, e quasi tutti i suoi occupanti annegarono a causa del peso delle armature. Alcuni furono tratti in salvo dalla Meraxes, che però dovette presto fronteggiare una nuova nave nemica che riuscì ad agganciarla, mettendone alla prova l’equilibrio. Daenerys non sapeva più dove guardare e si sentiva maledettamente impotente.

Finalmente Drogon comparve sopra di loro. Daenerys sorrise e urlò al drago in valyriano di scendere. Drogon planò e si arrestò a mezz’aria sbattendo solo le ampie ali. Con cautela Dany si arrampico sulla sua zampa anteriore e si sistemò sulla schiena. Jon dalla nave le sorrise e le fece un cenno con la mano. Daenerys gridò al drago di volare, finché non si ritrovò esattamente sopra le navi nemiche.

Guardò verso Euron e si stupì di vederlo ancora sorridere. Perché non era spaventato? Dany si impose di non pensarci e tornò a concentrarsi sulla battaglia che si stava combattendo.

“Dracarys” sussurrò al drago e Drogon ruggì così forte da far increspare la superficie del mare. Poi sputò fuoco sulle navi nemiche. Non sulla Silenzio, ma su tutte le piccole imbarcazioni che la circondavano. Dal basso venivano le urla degli uomini morenti miste alle grida di terrore. Perfino Jon sembrava scosso da quello spettacolo. Eppure Euron era ancora impassibile. I suoi uomini stavano morendo tutti intorno e lui sorrideva. Ormai Dany odiava quel sorriso e i suoi denti leggermente storti.

Capì che c’era qualcosa di sbagliato qualche secondo più tardi. Fu l’urlo strozzato di Jon a farla tornare in sé. Il Re del Nord le stava dicendo qualcosa gesticolando, ma Daenerys non capiva. Fece scendere Drogon di qualche metro ed osservò attentamente le barche che bruciavano. Improvvisamente le venne un attacco di vomito e dovette combattere per ricacciarlo indietro.

Gli uomini che stavano morendo non erano Uomini di Ferro, non solo almeno. La maggior parte era composta dai prigionieri che Euron aveva fatto a Porto Bianco. Soldati di Daenerys o anche solo cittadini innocenti. Jon sulla Balerion era pallidissimo e fissava Euron con odio.

Occhio di Corvo dal canto suo stava ridendo. “Piaciuto il trabocchetto?” chiese come incurante delle comunque notevoli perdite subite dal suo esercito “Dovreste vedere le vostre facce…” Dany ordinò a Drogon di volare verso la Silenzio. Questa volta non posso sbagliare, pensò reggendosi forte mentre il drago ripartiva, un colpo ed Euron prenderà fuoco.

Ma Occhio di Corvo ancora non mostrava alcuna paura, anzi, sembrava quasi affascinato dalla situazione. Tutto ciò a Dany non interessava: Drogon l’avrebbe incenerito in ogni caso. Quando il drago stava per sputare fuoco, però, Euron portò il corno alle labbra.

Il suono che ne derivò non assomigliava a nulla che Daenerys avesse mai udito. Era acuto e feriva le orecchie. Drogon sussultò violentemente. “Non è nulla” lo rassicurò Dany mentre Euron soffiava nello strano strumento una seconda volta.

Il drago precipitò di un paio di metri e Daenerys sentì Jon dietro di lei urlare qualcosa. Il terzo suono arrivò inaspettato quanto il primo e stavolta Drogon sbandò pericolosamente. “E’ tutto a posto” continuava a sussurrargli Daenerys terrorizzata. Il drago ruggiva come ferito e i suoi versi facevano accapponare la pelle quasi quanto il rumore del corno. Ormai era a pochi metri dalla Silenzio ed Euron non era arretrato di un passo.

“Dracarys!” urlò Dany, ma Drogon non la sentì. Il drago continuava a lottare per mantenere una rotta di volo dritta e per non sbilanciarsi. Cosa sta succedendo? si chiese Dany cedendo al panico.

Quando il corno suonò per la quarta volta Drogon era ormai rigido e del tutto spaesato. Euron a quel punto ripose lo strumento a tracolla e saltò sulla punta estrema della prua, reggendosi solo alla fune della vela. Gridò qualcosa che Daenerys non comprese e Drogon emise quello che doveva essere un gemito di dolore. Un attimo dopo tutto intorno a loro aveva preso fuoco. Euron continuava ad urlare e Drogon a sputare fiamme.

La Meraxes fu la prima colpita e poi fu il turno della Lanterna di Lucciola, la piccola nave a cui Missandei aveva scelto il nome.

“DROGON!” gridò Dany pietrificata dall’orrore “Cosa stai facendo?”

Ma il drago non le rispondeva più. Il suo fiato ardente ridusse in cenere altre tre navi di Daenerys: la Dolce Onda, la Guardia del Faro e la Macchia di Luna, e tutti gli uomini che trasportavano. Sulla Balerion Jon stava correndo verso poppa per invertire la rotta e urlava ordini ai capitani delle altre tre navi superstiti. La Vhagar tentò di virare verso Capo Vento per evitare il furore del drago, ma venne raggiunta da tre navi nemiche prima che riuscisse ad allontanarsi abbastanza.

La Bacio di Piuma, l’imbarcazione di Obara Sand, si trovava in una posizione ancora più difficile, poiché era dritta sulla traiettoria del fuoco di Drogon e circondata da nemici. I suoi uomini, tutti dorniani, presero la decisione più saggia. Con l’aiuto di Jon saltarono sulla Balerion e lasciarano la nave al suo destino. Subito anche la Bacio di Piuma fu incendiata e fatta a pezzi. A quel punto Drogon volò in direzione della Balerion, che finalmente era riuscita a seminare le altre navi Greyjoy. No, pensò Dany e tirò forte le scaglie del drago.

“Fermati” urlò in valyriano, “Drogon smettila!” Per tutta risposa il drago fece fuoco ancora una volta. Ormai Daenerys stava piangendo quando vide anche la Balerion bruciare. I suoi uomini si gettarono in mare e Dany cercò con lo sguardo Jon. Anche lui era saltato in acqua, ma nel frattempo agitava le braccia in direzione della costa.

Daenerys sollevò appena il capo e vide con un tuffo al cuore la Lupa Solitaria, l’unica imbarcazione superstite, che tornava indietro a riprendere i sopravvissuti. Ma non sarebbe mai arrivata in tempo. Drogon stava per far fuoco ancora e Dany era disperata. Poi si ricordò della frusta. La teneva sempre con sé con la promessa di usarla solo in situazioni di vero bisogno. Come questa, pensò tirando fuori il piccolo strumento di fili di cuoio appuntito. Colpì Drogon sul collo.

“Basta!” urlò “Devi smetterla subito!” Continuò a colpire e il drago ruggì. Daenerys non demordeva e proseguiva spietata. Sembrava stesse funzionando. Poi però il drago fece un movimento brusco e Dany perse la presa. Prima che avesse modo di comprendere la situazione stava precipitando.

L’impatto con l’acqua gelida le svuotò i polmoni e le tolse ogni energia. Pensò che forse era meglio lasciarsi andare alle onde. Ma poi mani robuste la riportarono in superficie. Jon l’aiutò ad aggrapparsi a un legno semibruciato che galleggiava lì vicino.

“Stai bene?” le chiese urlando e Dany annuì.

“Il mio drago…” mormorò cercando Drogon con lo sguardo, ma era scomparso. Almeno così non avrebbe più combinato disastri. “Non so cosa sia successo” disse Daenerys mentre il panico montava di nuovo, “era come se non lo controllassi più… Era come, come se…”

“Basta così” la interruppe Jon, “vedrai che andrà tutto bene: ci stanno venendo a prendere.” Poi l’abbracciò e Dany si perse in quella senzazione di tepore.

La Lupa Solitaria arrivò una manciata di secondi più tardi e li caricò tutti sopra. Erano sopravvissuti in trentaquattro. Fecero rotta verso la Torre della Marea e Dany sperò Theon e gli altri a Capo Vento potessero mettersi in salvo in tempo. Quella zona dell’isola ormai era persa.

Le navi di Euron li stavano inseguendo, ma la Lupa Solitaria aveva un buon vantaggio su di loro. Daenerys tremava di freddo e Jon non smetteva di voltarsi indietro. Finalmente arrivarono alla Grotta delle Maree, dove abbandonarono la nave, e risalirono la scogliera fino a Torre delle Rocce sorvegliata dagli Immacolati. Mandarono a chiamare Verme Grigio ed Obara Sand e Dany chiese il rapporto della situazione.

“I mercenari minacciano la Spiaggia di Fuoco” disse Obara, “e credo ne stiano arrivando altri più ad est…”

Nonostante fosse già sfinita, Daenerys si impose di mantenere la calma. “Obara, tieni i Dothraki schierati sulla spiaggia” ordinò, “fatti aiutare da Missandei per la lingua. Gli Immacolati invece resteranno a Cala del Drago Azzurro. Il villaggio è stato evacuato?”

Obara annuì. “Varys ha portato tutti gli abitanti nel castello” disse, “e predisposto le difese più estreme.” Dany annuì. Presto Obara era scomparsa nuovamente verso Torre della Palma e Verme Grigio si avvicinò. La maggior parte delle navi di Euron avevano fatto rotta verso il porto, dove i soldati sarebbero potuti sbarcare più facilemente, mentre altre si dirigevano a Capo Vento. Evidentemente volevano prendere d’assalto il castello. Solo la Silenzio veniva verso la Punta del Pesce Volante.

“Quanti uomini ci sono a bordo?” chiese all’improvviso Jon.

“Saranno una trentina” stimò Verme Grigio.

Jon si voltò verso il mare. “Dobbiamo fermarli” disse con voce grave, “o raggiungeranno la spiaggia per primi e prenderanno i Dothraki alle spalle.”

“Ma non abbiamo uomini” esclamò Daenerys.

Jon si girò a guardarla. “Andrò io” si offrì, “mi bastano venti Immacolati.”

“Non dai tu gli ordini agli Immacolati” disse acido Verme Grigio, “per questo andrò anch’io.”

Dany non credeva alle sue orecchie. “Ma è una follia!” boccheggiò “Chi fermerà i mercenari a Torre delle Rocce?”

“I miei soldati sapranno cosa fare anche senza di me” assicurò Verme Grigio. Daenerys scosse la testa.

“Dany” la chiamò Jon ed era la prima volta che usava quel nome, “lo sai che dobbiamo farlo… Lasciaci andare…”

Daenerys inghiottì le lacrime annuendo. E Jon la baciò di nuovo. Fu un bacio leggero, appena accennato, ma ciò bastò a far incendiare le guance della Madre dei Draghi.

Quando si separarono Jon si voltò ed iniziò a camminare verso la Torre della Marea e non si voltò più indietro. Verme Grigio lo seguì, insieme ad alcuni dei suoi soldati. Dany chinò il capo e si costrinse a voltare le spalle al pericolo di Euron. Il suo compito ora era guidare gli Immacolati contro i mercenari e non si sarebbe tirata indietro.

Raggiunse in breve tempo la Torre delle Rocce e rimase a guardare il mare, che a sud era coperto da una leggera foschia. Cercò di ignorare i rumori che provenivano dalla battaglia ad oriente e rimase immobile. Dopo qualche minuto vide una figura affannarsi su per il promontorio. Aguzzò la vista e riconobbe Theon. Non doveva essere a Capo Vento? si chiese incredula, ma felice di vederlo vivo. Theon aveva i vestiti bagnati e stringeva in mano l’arco di osso di drago.

“Theon?” chiese Dany esterrefatta “Cosa ci fai qui? Pensavo fossi morto… Il porto e Capo Vento sono persi. Euron ha preso la Torre del Vento, credevo fossi lì…”

Theon era affannato e respirava velocemente. “Cosa è successo?” chiese a sua volta “Dove sono le nostri navi?”

A Daenerys venne voglia di piangere. “Bruciate” riuscì solamente a dire.

Theon si guardò intorno confuso. “Dove sono Jon e Verme Grigio?” 

Dany si sentì morire. “Sono voluti rimanere alla Torre della Marea” spiegò iniziando a singhiozzare, “mi hanno detto di andare avanti… Stanno lottando contro Euron da soli… E Drogon…” Non riuscì più a trattenere le lacrime e non si curò dell’espressione di disagio di Theon. Aveva bisogno di sfogarsi. Poi ritrovò un certo contegno e raddrizzò la schiena.

“Dobbiamo abbattere i mercenari che arrivano da sud in fretta” disse guardando Theon negli occhi, “così che possiamo tornare a Punta del Pesce Volante e aiutarli.”

In quel momento apparvero le navi dei mercenari e gli Immacolati serrarono i ranghi. Dany raggiunse la cima del promontorio sopra a Cala del Drago Azzurro. Una nave dalle vele dipinte con il simbolo dei Greyjoy si era separata dalle altre e avanzava per prima. Quando toccò terra ne scese un uomo che subito venne verso la Torre.

Dany lo scrutò attentamente e, quando l’uomo sollevò il volto verso di lei, poté sentire il suo cuore perdere non uno, ma centomila battiti. Ebbe una vertigine e cadde in ginocchio, schiacciata da quell’orribile scoperta. Com’è possibile? si chiese senza avere più lacrime da versare. Le sue labbra si aprirono e chiusero intorno a quel nome un po’ di volte prima che fosse in grado di pronunciarlo.

“Daario Naharis” sussurrò e fu certa che Theon al suo fianco l’avesse sentita. Daario le sorrise e fu più doloroso di un coltello nelle costole.

Perché? Perché? Perché? Perché?

“PERCHE’?” gridò e Daario Naharis si avvcinò. I mercenari stavano sbarcando e gli Immacolati avevano iniziato la battaglia.

“Theon” ordinò Daenerys, “sali alla Torre delle Rocce… Se vedi che la situazione sta diventando disperata, accendi il fuoco e Obara dalla spiaggia invierà rinforzi.”

Theon la guardò come fosse matta. “Non posso lasciarti a…”

“ORA” urlò Daenerys e Theon chinò il capo. Poi si mise a correre e scomparve oltre le rocce. Daenerys era pronta a fronteggiare Daario, solo la spiaggia della cala li separava.

“Perché?” ripeté ancora una volta, ora in tono tagliente. Mi ha tradita, realizzò faticando ancora ad accettare la verità.

Daario sorrise. “Mi annoiavo” rispose semplicemente, “governare non è il mio forte.” Fece un passo avanti.

Non avresti governato, pensò Daenerys, avresti protetto la città, obbedito ai miei ordini. “Mi avevi giurato fedeltà” gli ricordò e il mercenario annuì. “Ho rispettato i tuoi ordini” la rassicurò, “i Secondi Figli sono rimasti a Meeren a mantenere la pace, sono solo io…”

“Sai cosa intendo” replicò Dany tentando di apparire più sicura di quanto realmente fosse. Dopo Drogon non era più certa di nulla.

Daario Naharis sospirò. “Io ti ho amata” disse, “più di ogni altra donna con cui abbia diviso parte della mia vita. Ti amavo e tu mi hai respinto. Non per dovere, non per onore come mi volevi far credere, ma perché ti eri stancata di me.”

Tre tradimenti dovrai conoscere: uno per sangue, uno per oro e uno per amore.

“Ti ho sentita parlare al Folletto” continuò Daario avvicinandosi, “non stavo origliando, è stata solo una coincidenza. Hai detto che non hai provato nulla allontanandomi, che avevi solo voglia di dimenticare.” La voce di Daario sembrava davvero ferita.

“Io ho visto andare via la cosa più bella che mi fosse mai capitata” continuò pieno d’amarezza, “e tu non hai provato nulla.”

Dany sentiva le lacrime nuovamente pizzicarle gli occhi: era troppo da sopportorare per una sola giornata. Mirri Maz Durr, Jorah Mormont, pensò ricordando i suoi precedenti tradimenti, Daario Naharis.

E uno per amore.

“Ho tentato di dimenticare” stava dicendo Daario ora con voce più sprezzante, “ogni giorno della mia vita, ogni momento. Ma poi sentivo nuovamente le tue parole e sapevo che non potevo continuare a tormentarmi così.”

Daario Naharis sospirò. “Poi Euron Greyjoy è venuto a Meeren” continuò e Daenerys sentì il suo stomaco rivoltarsi, “abbiamo parlato a lungo. Non voleva i miei uomini, voleva solo me. Mi ha offerto più oro di quanto tu possa immaginare e mi ha proposto di seguirlo. E io ho detto di sì. Mi ha affidato una nave e alcuni uomini della Compagnia Dorata e mi ha promesso che avrei potuto parlarti. E ora siamo qui.” Daenerys sollevò il volto rigato di lacrime.

“Cosa provi per me?” chiese Daario a bassa voce e il suo tono era gentile, come fosse pronto a perdonare.

Tre tradimenti dovrai conoscere.

Dany sostenne il suo sguardo. “Nulla” mormorò e vide la rabbia montare negli occhi di Daario come mai prima d’allora l’aveva vista. Il mercenario non parlò, si limitò a estrarre la spada. Daenerys chiuse gli occhi, arrendendosi alla profezia.

E uno per amore.

Sentì l’aria mossa dalla spada sfiorarle la pelle e si preparò per il colpo che avrebbe messo fine alla sua vita. Ma il colpo non arrivò mai e al suo posto Daenerys udì un urlo che non aveva niente di umano.

“STAI LONTANO DA LEI!”

Aprì gli occhi di scatto e vide che Daario era arretrato e fissava qualcosa alla sua destra. Si voltò in quella direzione e vide Jorah, scintillante nella sua armatura dell’orso, in piedi al suo fianco. Daenerys non aveva parole, così non disse nulla.

Nemmeno Daario e Jorah parlarono quando le loro spade si incrociarono. Sembrava uno scontro che entrambi avevano rimandato per troppo tempo. Daenerys vide l’odio negli occhi di Jorah e seguì con angoscia la sua spada. Daario era rapido e variava spesso stile di combattimento, ma Jorah era animato da una forza che Dany non aveva mai visto.

Il cavaliere dell’orso fu colpito di striscio alla gamba destra, ma mantenne saldo il suo equilibrio. La spada di Jorah calò ancora una volta e Daario non riuscì a schivarla, finendo colpito alla spalla. Jorah non perse tempo e gli piantò la spada nello stomaco.

Quando Daario Naharis si accasciò a terra, Jorah cadde in ginocchio estraendo qualcosa dalla gamba ferita. Daenerys corse da lui e vide che stringeva in mano il pugnale preferito di Daario, sporco del suo stesso sangue. Jorah la guardò e si tirò in piedi. Poi raccolse il cadavere di Daario e lo gettò in mare.

“Sei ferito” mormorò Daenerys senza fiato.

“Tranquilla non è niente” la rassciurò lui, “tu stai bene?” Dany annuì e tutta la tensione si sciolse. Abbracciò Jorah con tutta la forza che le restava. E’ finita, pensò stranamente sollevata. La profezia si è conclusa, nessuno più mi tradirà. Era una sensazione meravigliosa.

Si allontanò da Jorah e tornò a concentrarsi sulla battaglia. Gli Immacolati resistevano bene, ma non sarebbe potuta proseguire così in eterno: i mercenari di Euron che attaccavano la costa in quel punto erano troppi. Stiamo perdendo, realizzò Dany e tutta la gioia di un momento prima svanì.

Poi, improvvisamente, il corno dalla Torre della Palma suonò due volte e d’istinto Daenerys scrutò il mare, la speranza sull’orlo di un baratro.

 E le navi della Tempesta, con il fiero cervo dei Baratheon sulle vele e il vento a poppa, erano lì.

Sono tornati, pensò Dany provando un sollievo inimmaginabile. E stavolta le gambe non la ressero più.

 

Tyrion

 

La velocità con cui i lord della Tempesta radunarono gli uomini e misero in mare le loro navi lo sorprese enormemente. Sembrava avessero finalmente capito l’importanza della puntualità in quella missione.

Gendry si stava lentamente calando nei panni del piccolo lord apprendista e Davos lo consigliava in tutto. Ser Andrew non lo lasciava mai e lo zio Eldon Estermont si stava dimostrando paziente e comprensivo. Era quello che aveva potuto mettere a disposizione più uomini, non avendo esattamente seguito Stannis in guerra, ma era abbastanza saggio da non vantarsi della cosa.

Le navi presero il largo dal Golfo dei Naufragi, che fortunatamente non riservò cattive sorprese, al tramonto del sesto giorno dall’arrivo di Theon Greyjoy a Roccia del Drago. Speriamo non sia troppo tardi, pensò Tyrion mentre passeggiava sul ponte.

A Gendry lord Estermont aveva fatto dono della più grande nave della flotta, la Furia Grigia, la cui imponente costruzione era stata ordinata da re Robert in epoche che sembravano remote. “Consideralo un dono di tuo padre” gli aveva detto Eldon con affetto e Gendry non aveva risposto.

Tyrion sapeva che il ragazzo non poteva provare nulla, benchè meno affetto, per Robert Baratheon, non avendolo nemmeno mai conosciuto. Forse quando viveva ad Approdo del Re era anche stato uno di quelli che più derideva il grasso re le cui uniche ambizioni erano il vino e le puttane.

“Se si esclude l’altezza” aveva scherzato Davos, “Robert assomigliava molto a te.” Tyrion aveva riso alla battuta, ma in sé ne era rimasto scosso. L’epoca delle scopate selvagge con puttane che neanche conosceva era finita da un pezzo. Dopo Shae, Tyrion aveva ripudiato quella vita, o almeno ci aveva provato, essendo ancora perseguitato dal vizio del bere.

Ero davvero simile a Robert Baratheon?

Quando la luna raggiunse la sua massima altezza nel cielo aveva appena superato Stonedance. Gendry era nervoso e non riusciva a stare fermo. Continuava ad affilare maniacalmente la sua mazza, scrutando attentamente il mare. Ser Andrew era al suo fianco e lo intratteneva, mentre Davos era a prua.

Tyrion decise di raggiungerlo. “A cosa pensi?” chiese tentando senza molto successo di sporgersi oltre il parapetto. Davos si voltò a guardarlo e dovette reprimere una risatina.

“Sono davvero così buffo?” chiese Tyrion fingendosi offeso.

“Molto” rispose Davos. “Comunque stavo pensando a quando con Stannis abbiamo fatto questo stesso tragitto, sempre di notte. Siamo arrivati al Golfo delle Acque Nere che non era nemmeno l’alba.” Tyrion si mosse a disagio captando la delicatezza dell’argomento. Rimpianse l’idea di averglielo chiesto.

“So che sei stato tu, Tyrion” disse all’improvviso Davos, ma la sua voce non era d’accusa, “a ordinare l’uso dell’Altofuoco sulle navi di Stannis. Mio figlio è morto a causa tua…” Tyrion strinse le labbra e non disse nulla.

Davos lo fissò. “Non do la colpa a te” continuò, “ma voglio sapere una cosa… Sapendo esattamente la distruzione e l’orrore che l’Altofuoco provoca quando brucia, tu ora lo utilizzeresti una seconda volta?”

Tyrion non dovette neanche pensarci. “Mai” rispose con voce grave e Davos annuì, tornando a guardare l’orizzonte. Per quella che parve un’eternità ci fu solo silenzio. Poi la vedetta gridò qualcosa che al principio Tyrion non comprese.

“Siamo arrivati” disse Davos tornando indietro e lasciando il nano solo a prua. Il sole era finalmente sorto, ma una tetra nebbia non permetteva una visuale nitida.

Tyrion corse dietro a Davos. “Dove siamo diretti?” chiese “Al porto?”

Davos scosse la testa. “Alla Spiaggia di Fuoco” rispose, “da dove potremo capire qual è la situazione sull’isola. Se è tranquilla, in guerra o…”

“Distrutta” concluse per lui Tyrion deglutendo.

“Precisamente” replicò il Cavaliere delle Cipolle. “Dov’è finito Gendry? Ho qualcosa per lui…”

Gendry arrivò pochi secondi dopo, con l’armatura nuova già montata e la mazza in pugno. Davos gli sorrise. Poi gli porse un fazzoletto di stoffa su cui era ricamato il cervo incoronato dei Baratheon con il loro motto, Nostra è la furia. Gendry lo prese confuso ed emozionato.

“Shireen l’aveva cucito per suo padre” disse Davos con voce piegata dalla commozione. “Quando Stannis decise di cambiare simbolo e stemma, ordinò di bruciare tutti gli altri. Questo però non volle distruggerlo e me lo affidò. Un giorno mia figlia potrebbe diventare regina, mi disse, e voglio che allora questo ritorni a lei.” Davos dovette asciugarsi gli occhi umidi e anche Gendry si era intristito. Legò il pezzo di stoffa al polso.

“Non preoccuparti ser Davos” disse, “non lo perderò.” Davos annuì. Arrivò lord Eldon, seguito da ser Andrew.

“Allora, mio signore” disse il lord di Pietraverde rivolgendosi a Gendry, “abbiamo stabilito che in caso di battaglia tu resterai nel centro, lontano dal pericolo…”

“Non preoccuparti, zio” lo tranquillizzò ser Andrew, “lo proteggerò io.” Gendry sorrise. Stava per dire qualcosa, ma le sue parole furono sopraffatte dai tamburi delle navi.

Davos si voltò verso il mare. “Non siamo soli” disse con amarezza e Tyrion capì quello che intendeva. Davanti alla spiaggia c’era una fila minacciosa di navi che sembravano prossime allo sbarco.

“Sono di Euron” disse Davos, “dunque la battaglia è già iniziata… Siamo arrivati in tempo.” Da quella distanza Tyrion già riusciva a vedere una delle nuove torri che Daenerys aveva ordinato di costruire, che svettava sulla spiaggia circondata da guerrieri a cavallo. I Dothraki, pensò. Ma dove sono gli Immacolati e le navi di Daenerys?

“Attaccheremo le imbarcazioni di Euron alle spalle” disse Eldon Estermont, “così non potranno sfuggirci.”

In quel momento però la Furia Grigia fu raggiunta da una nave che sembrava venire dalla torre. Davos urlò agli arcieri di stare pronti. La nave aveva il simbolo dei Greyjoy, ma i suoi passeggeri non sembravano avere atteggiamenti minacciosi. Quando venne abbastanza vicina, Tyrion la riconobbe.

“E’ la Vento Nero!” esclamò ricordando la nave di Yara. Qualcuno era arrivato a prua e stava cercando un dialogo.

“Vado io” si offrì Tyrion e raggiunse il punto più vicino alla Vento Nero. Quando vide che quel qualcuno era proprio Yara Greyjoy urlò di abbassare gli archi. Si è liberata…

“Sono alleati?” chiese Yara ad alta voce.

“Portiamo rinforzi dalle Terre della Tempesta” spiegò Tyrion, “siamo qui per aiutare…”

Yara lo squadrò per qualche momento. “I mercenari stanno attaccando la spiaggia” disse, “Obara Sand sta tentando di disciplinare i Dothraki, ma Missandei è scomparsa e non riusciamo a comunicare con loro.”

“Dov’è la regina?”

“Da quello che so, a Cala del Drago Azzurro” rispose Yara, “a contenere l’attacco da est con gli Immacolati... Mio fratello è andato a cercarla, ma non è tornato.”

Tyrion si morse il labbro. Quanti attacchi c’erano contemporaneamente sulla stessa isola? Prese una decisione. “Dobbiamo raggiungere Daenerys” disse, “solo lei può riuscire a far ragionare i Dothraki. Il castello?”

Yara scosse la testa. “Varys lo sta difendendo” rispose, “ma a Capo Vento è stato acceso il fuoco sulla torre, credo il porto ormai sia nelle mani di Euron…”

Meno male che abbiamo deciso di non attraccare là, non poté far a meno di pensare Tyrion. “Puoi portarmi a terra?” chiese “La tua nave sembra veloce…”

Yara annuì.

“Allora andiamo…”

“Aspettate!” si intromise Davos “Cosa dobbiamo fare noi?”

“Create un varco nello schieramento navale nemico” rispose il nano, “distruggete più navi possibili e non fateli arrivare alla spiaggia. Io devo andare, non servirei a nulla qui…” Davos annuì.

Tyrion si arrampicò sul parapetto e saltò goffamente sulla Vento Nero. Yara fece virare la neve che sfrecciò verso la torre. Mentre si lasciavano alle spalle le imbarcazioni alleate, Tyrion udì due suoni di corno provenire dalla spiaggia. Passarono accanto alle navi nemiche che tentavano di raggiungere la spiaggia. La maggior parte era carica di mercenari, ma Tyrion era sicuro l’assalto fosse guidato da Uomini di Ferro fedeli a Euron.

“Prima di liberarmi ho sentito Euron discutere dei suoi piani” disse Yara, “alla spiaggia avrebbe inviato Torword e Rodrik Freeborn sulla Sangue di Sale. Credo sia quella laggù…” Yara indicò una nave che era già arrivata a terra.

Più in fretta, non abbiamo tempo.

Via via che si avvicinavano divenne chiaro il caos che regnava sulla spiaggia. I cavalli dei Dothraki erano imbizzarriti e mancava uno schieramento preciso.

Yara gettò l’ancora. “Non posso arrivare a terra” spiegò, “o mi prenderanno la nave. Da qui si prosegue a nuoto.”

Tyrion tentò di non pensare alle gelide acque che lo attendevano e si tuffò. Yara presto lo seguì dopo aver legato la sua ascia alla cintura. Saltarono anche altri tre uomini, che Tyrion immagginò venissero da Dorne, e sulla Vento Nero rimasero solamente due soldati. Nuotarono tentando di non attirare l’attenzione e raggiunsero facilmente la spiaggia. La piccola torre sorgeva isolata e dietro si vedevano i tetti delle case del villaggio.

Tyrion si voltò verso il mare e vide con sollievo che la flotta di Gendry aveva iniziato l’attacco alle navi nemiche. Sembrava se la stessero cavando bene, perciò si tranquillizzò. Poi però vide che sempre più soldati riuscivano a raggiungere la spiaggia. Pensare di riuscire a raggiungere Cala del Drago Azzurro senza essere falciati da quei guerrieri assetati di sangue era una follia.

“Cambio di programma” esclamò Tyrion e Yara si voltò a guardarlo. “Non possiamo andare a cercare la regina ora, resteremmo di certo uccisi. Dobbiamo riuscire a comunicare con i Dothraki.” Yara lo fissò come fosse impazzito.

In quel momento vennero raggiunti da Obara Sand. Indossava un corpetto di cuoio senza maniche e pantaloni larghi marroni. In mano stringeva la lancia che tante volte aveva chiesto a Tyrion. Obara vide dove lo sguardo del Folletto si era posato e ghignò. Fece roteare in aria la lancia e la puntò contro Tyrion.

“Come mai qui, mezzouomo?” chiese senza alcuna gentilezza.

Tyrion finse di guardarsi intorno. “Ho portato i soldati che vinceranno questa battaglia dato che i tuoi non ne sono in grado” disse tranquillo. “La regina ti aveva affidato quella torre là, vero? Come mai i Dothraki non hanno ricacciato gli invasori sulle loro navi?”

Obara divenne rossa di rabbia. “Sono dei selvaggi” disse, “non capiscono una parola della lingua comune e Missandei non so dove sia finita.”

“Forse qualche guerriero dothraki conosce il valyriano” suggerì Tyrion, “potremmo provare con quello…”

Obara lo guardò con disgusto. “Io non lo conosco” replicò freddamente, “nessuno a Dorne lo conosce.”

“Ma si dà il caso che io lo sappia” ribatté Tyrion. Almeno un pochino…

Obara lo stava squadrando. “Proverai a parlare con loro” assentì infine, “e spero per te che non sia solo un’altra perdita di tempo.” Si recarono verso il centro dell’orda, dove gli uomini si urlavano insulti nella loro lingua gutturale. Non mi vedranno mai in groppa a quei cavalli, pensò Tyrion, ma decise di fare un tentativo lo stesso.

“Guerrieri!” urlò nel suo pessimo valyriano. Fortunatamente alcune teste si voltarono verso di lui. Yara ed Obara lo stavano osservando.

Tyrion si fece coraggio. “La nostra regina non è qui” proseguì sbagliando sicuramente qualche accento, “ma ciò non vuol dire che dobbiate azzuffarvi fra di voi. Le navi di Euron Greyjoy sono arrivate: trasportano mercenari che, come voi, vengono dal Continente Orientale.” Qualche cavaliere si era avvicinato e seguiva il discorso, un altro traduceva nella loro lingua.

“Affondatele!” esclamò Tyrion e ci furono cori di grida. “Ma non andate tutti insieme” si raccomandò il Folletto, “o verrete travolti dai vostri stessi compagni. Accerchiate i nemici e distruggeteli: non devono arrivare al castello!”

Anche le ultime frasi vennero tradotte e tutti i guerrieri si misero ad urlare contemporaneamente, agitando le loro armi. Tyrion, Yara ed Obara si scansarono quando i Dothraki caricarono verso il mare. Fortunatamente l’acqua per i primi dieci metri era molto bassa e permise il passaggio dei cavalli. L’orda si scontrò con il crescente schieramento di nemici che raggiungevano la costa.

A largo la Furia Grigia aveva sfondato le prime file e navigava veloce verso la spiaggia. Le altre navi della flotta si stavano aprendo a ventaglio, bloccando la ritirata dei nemici. I mercenari erano quindi presi fra le navi della Tempesta e i Dothraki. La loro unica speranza consisteva nel cercare di farsi strada sulla Spiaggia di Fuoco.

Obara si passò la lancia da una mano all’altra. “Credo mi butterò nella mischia” disse e poi si rivolse a Tyrion. “Grazie per l’aiuto” borbottò controvoglia prima di sparire nella calca. In quel momento però Tyrion scorse un fuoco accendersi verso est.

“E’ la torre vicino a Cala del Drago Azzurro!” esclamò Yara esterrefatta “Dove ci sono la regina e Theon: stanno chiedendo aiuto!” Tyrion lanciò un’occhiata ancora una volta alla battaglia sulla spiaggia. La situazione stava volgendo a favore dell’armata di Daenerys, non sembravano esserci problemi.

“Torna sulla Vento Nero” disse a Yara, “raggiungi Davos e digli di inviare metà della flotta a Cala del Drago Azzurro per aiutare Daenerys. E che siano le navi più veloci e con i guerrieri migliori. Io ci andrò via terra: voglio vedere cosa succede…”

Yara annuì senza ribattere e corse nuovamente al mare, seguita dai guerrieri di Dorne. Rimasto solo, Tyrion si diresse verso l’interno dell’isola e costeggiò il villaggio. Si chiedeva dove fossero finiti in tutta quella confusione i draghi di Daenerys. Raggiunse presto la torre su cui bruciava il fuoco e vi trovò Daenerys, Theon e Jorah che scrutavano il mare.

“Tu?!” esclamò Dany stupita “Come sei riuscito ad arrivare qui? Raggiungere la spiaggia dal mare è impossibile!”

“Ho avuto una mano da Yara” rispose Tyrion e si rivolse a Theon, “sta bene, tranquillo.”

Scrutò attentamente la costa. Gli Immacolati stavano combattendo contro un altro gruppo di mercenari che avevano abbandonato le loro navi in mare. Tyrion si chiese dove fossero finiti Jon e Verme Grigio, ma pensò fosse meglio non chiedere.

“Qual è la situazione?” si informò invece.

Daenerys sospirò. “La nostra flotta è bruciata e gli Uomini di Ferro stanno attaccando il castello da nord. Non credo però riusciranno a fare breccia nelle mura…”

“Chi lo difende?” chiese Tyrion.

“Varys” replicò Dany, “insieme a poche guardie.”

Tyrion annuì. “Missandei non si trova” disse e Daenerys rimase a bocca aperta. “Obara dice che è scomparsa. Siamo riusciti lo stesso a mettere in riga i Dothraki ed ora stanno combattendo.”

La regina sembrava sconvolta. “Missandei…” mormorò, poi scosse la testa. “Abbiamo bisogno di uomini qui: gli Immacolati stanno cedendo.”

“Arrivano” la rassicurò Tyrion, “ah, eccoli…” E indicò una cinquantina di navi che si stavano allontanando dalla battaglia sulla spiaggia. Venivano a gran velocità verso la torre e Dany si rilassò. Quando le imbarcazioni raggiunsero la costa, i mercenari tentarono di riprendere il mare, ma furono falciati dalle navi da guerra della Tempesta. Gli Immacolati sulla costa ebbero un po’ di tregua, mentre Tyrion e Theon si sporsero verso la piccola cala. La Vento Nero stava passando proprio in quel momento e Yara si protese verso di loro.

“Missione compiuta!” urlò “E’ andato tutto come previsto… Ora torno alla spiaggia.”

“Aspetta!” esclamò Theon “Voglio venire con te!”

Yara alzò gli occhi al cielo, ma si vedeva che era felice. “Muoviti” lo esortò e Theon saltò sulla nave che subito virò per riprendere il largo. Tyrion alzò la mano in cenno di saluto e tornò indietro.

Alla torre gli alleati avevano avuto facilmente ragione dei nemici, ma Daenerys si stava torcendo le mani.  “Jon e Verme Grigio sono a Torre della Marea” disse, anche se Tyrion non aveva idea di dove fosse, “hanno bisogno di aiuto.”

“Invia gli Immacolati, Khaleesi” intervenne Jorah che perdeva molto sangue dalla gamba, “qui abbiamo finito…” In quel momento due figure comparvero lungo il sentiero che portava al castello. Si sostenevano a vicenda e sembravano esauste.

“Sono Benjameen e Tyene!” esclamò incredula Dany riconoscendoli per prima. Si misero a correre verso di loro.

“Come avete fatto a fuggire?” chiese la regina ansimando.

Tyene era troppo provata per parlare, così si fece avanti Benjameen. “Non è importante ora” replicò, “gli Uomini di Ferro stanno forzando il portone: non reggerà a lungo. Varys non ha abbastanza sentinelle per tenere il castello. Se dovessero entrare ucciderebbero tutti gli abitanti del villaggio che si sono rifugiati lì.”

Daenerys si morse il labbro. Tyrion capiva la difficile situazione in cui si trovavano. Dany doveva scegliere se inviare i suoi uomini al castello o in soccorso di Jon e Verme Grigio.

“Jorah” chiamò infine la regina, “prendi quaranta Immacolati e inviali a Torre della Marea. Poi torna alla spiaggia e cerca Missandei: non posso pensare potrebbe esserle successo qualcosa di grave. Gli altri soldati verranno con noi al castello.”

“Khaleesi, non voglio lasciarti.”

Daenerys non aveva voglia di discutere. “Non abbiamo tempo” disse, “fa’ come ti dico. Ti prego…” Era una supplica quella e Jorah annuì.

“E la flotta?” chiese Tyrion vedendo che le navi di Capo Tempesta erano rimaste davanti alla Cala del Drago Azzurro.

Dany chinò il capo. “Sceglieranno loro dove ritengono giusto andare: non abbiamo navi per inviare altri ambasciatori. Dalla loro posizione potranno intervenire sia alla spiaggia che alla Torre se necessario.” Tyrion era d’accordo.

Due minuti dopo stavano marciando verso il castello seguiti dalle ordinate truppe degli Immacolati. Quando raggiunsero il portone, lo trovarono preso d’assalto dai nemici. Le navi usate dagli Uomini di Ferro si trovavano nel porto poco più a nord, ma Euron non si vedeva da nessuna parte.

“Euron è andato a Punta del Pesce Volante” spiegò Dany come leggendogli nella mente, “abbiamo visto la Silenzio dirigersi in quella direzione.”

Daenerys gridò qualche ordine in alto valyriano e gli Immacolati attaccarono. Gli Uomini di Ferro certamente non si aspettavano un attacco alle spalle e permisero all’esercito di Daenerys di rompere il loro assedio. Presto i nemici, privi di un capo, si dispersero e furono inseguiti dai gruppi di Immacolati.

Alcuni preferirono arrendersi e giurare fedeltà a Daenerys insieme a tutti i loro uomini, mentre altri morirono combattendo. Alla fine Varys spalancò le porte del castello e corse fuori. Sorrise appena vide Tyrion: non sembrava affatto sorpreso. Dany gli chiese notizie di Missandei, ma Varys l’aveva persa di vista durante l’evacuazione del villaggio. Poco dopo dalla spiaggia tornarono anche Theon e Yara.

“I nemici sono caduti” annunciò Yara, “e la flotta delle Terre della Tempesta si è ancorata a largo della costa. Attendono il permesso di utilizzare il porto.” Fece una pausa e abbassò il capo.

“Obara Sand è caduta” disse poi con voce grave, “mentre combatteva contro Rodrik Freeborn. Non aveva voluto restare lontana dalla battaglia. L’ho vendicata e ho decapitato il suo assassino.”

Daenerys annuì e chinò il capo. “Ti ringrazio, Yara” disse, “sono certa che tutti voi abbiate combattuto con coraggio, così come Obara Sand. Le daremo funerali grandiosi e gli onori che le spettano, proprio come a tutti i caduti di questa battaglia.”

La situazione si stava calmando. Tyene era stata portata dentro e maestro Pylos stava guarendo le sue ferite, mentre dalla spiaggia cominciavano a risalire i Dothraki. Jorah non era ancora tornato dalla sua ricerca, ma Tyrion era fiducioso. In fondo Missandei di certo non era andata in mezzo alla battaglia, probabilmente si era soltanto persa.

Dany però era ancora inquieta: mancavano all’appello gli Immacolati inviati a sconfiggere gli uomini della Silenzio. Tyrion poté vedere il sollievo invadere il volto della regina quando sul sentiero che portava al porto comparvero i guerrieri che erano stati mandati in missione. Tuttavia fu subito chiaro che c’era qualcosa di strano.

Daenerys corse loro incontro e Tyrion le venne dietro. Li guidava Verme Grigio, ferito in più punti, che si aggrappava al braccio di Missandei per riuscire a stare in piedi. Eccola dov’era finita, pensò Tyrion sorridendole. Missandei non ricambiò il sorriso e continuò a guardare Daenerys.

“Dov’è Jon?” chiese la regina con un filo di voce e la gioia di Tyrion si spense.

Verme Grigio scosse il capo. “Eravamo nella Grotta delle Maree” spiegò con le parole che uscivano fuori a fatica, “quando è arrivata la Silenzio di Euron. Abbiamo combattuto a lungo, non stavamo neanche perdendo. Poi il suolo ha tremato e sono iniziati a cadere dei massi dal soffitto della grotta. Jon era rimasto indietro e mi ha detto di portare Missandei fuori di lì e tornare a prenderlo dopo. Voleva affrontare Euron da solo. Ho fatto come mi ha detto, ma quando mi sono voltato l’ingresso alla grotta era crollato.” Verme Grigio fece una pausa e alzò lo sguardo. Per quella che era forse la prima volta Tyrion vedeva lo smarrimento nei suoi occhi.

“E’ rimasto chiuso là dentro” disse poi l'Immacolato con un sussurro, “insieme a Euron.”

 

Jon

 

Stavolta era stato lui a baciarla, un bacio veloce e casto, ma pur sempre un bacio. In quel momento Jon non aveva pensato a niente, non aveva creduto in nulla. Era stato un attimo di smarrimento, continuava a ripetersi, ma allora aveva scelto di smarrirsi.

Aveva lasciato Daenerys sulla costa con il vento nei capelli e l’acqua salata che le bagnava il vestito. Non si era più voltato indietro durante il loro cammino verso la Torre della Marea. Verme Grigio continuava a lanciargli occhiate di rimprovero per neanche era ben chiaro cosa, ma Jon aveva imparato ad ignorarlo. Ce l’ha ancora con me per quanto è successo all’arrivo di Theon? si chiese allungando il passo. Sperava di distanziare Verme Grigio e avere finalmente un momento di tranquillità per pensare a ciò che era successo in mare.

Euron aveva soffiato in quel corno e Drogon era impazzito. Non impazzito, si corresse mentalmente Jon, solo cambiato. Era come se non eseguisse più gli ordini di Daenerys. Aveva attaccato con il fuoco la piccola flotta dell’isola e si era rifiutato di rivolgere la sua aggressività agli invasori.

Euron lo sapeva, realizzò Jon, sapeva quali erano gli effetti di quel corno. Infatti gli era sembrato strano nessun Uomo di Ferro avesse cercato almeno di ferire il drago che stava distruggendo la flotta del loro re.

Erano arrivati a Punta del Pesce Volante e la Torre della Marea si ergeva davanti a loro. Non che fosse molto alta, anzi, ma c’era qualcosa che ispirava sicurezza in quella costruzione. Da lì la costa era visibile fino al porto e oltre. Le navi di Euron avevano attraccato e i soldati si stavano riversando sui sentieri. Prenderanno di mira il castello, pensò Jon, ma almeno non disturberanno Daenerys ed Obara nella loro lotta alla spiaggia.

Il fuoco di Torre del Vento ardeva già da un paio di minuti e implorava aiuto. Jon strinse le labbra e provò pena per Theon che era stato inviato a Capo Vento. Spero riesca a scappare, si disse, perché i soccorsi non arriveranno.

Verme Grigio stava dando ordini in valyriano ai pochi Immacolati che li avevano seguiti e Jon aveva rinunciato a tentare di convincerlo a renderlo più partecipe. Si sedette sulla scogliera in attesa. La Silenzio era l’unica nave che stesse navigando in quella direzione e ormai era quasi arrivata. Jon non capiva come mai Euron volesse attaccare in quel punto con una nave sola, ma non gli interessava: sarebbe stato più semplice per loro abbatterlo. Poi la Silenzio virò a nord e cambiò leggermente rotta.

Jon aggrottò le sopracciglia. “Dove sta andando?”

“Alla Grotta delle Maree” rispose Verme Grigio in tono piatto, “proprio dove hai lasciato la nostra ultima nave.”

Jon si voltò a fronteggiarlo. “La vedi questa costa?” gli chiese “Credi avremmo potuto lasciarla in un altro punto con i nemici che avanzano verso il porto e la spiaggia?”

Verme Grigio non rispose e Jon gli diede nuovamente le spalle. “Ci conviene muoverci” disse poi, “sarà più facile combattere se Euron non avrà spazio per scappare. Un luogo stretto è l’ideale.”

“La regina ha detto di tenere Torre della Marea” replicò con voce dura Verme Grigio, “non di lanciarci nella trappola del nemico.”

“Non è una trappola!” esclamò Jon “Euron è costretto a passare da quella grotta se vuole raggiungere la Torre, ma non vorrebbe farlo, nessuno vorrebbe se potesse evitarlo. Dobbiamo fermarlo prima che arrivi qui.”

Verme Grigio gli si mise davanti. “Tu non dai ordini qua” disse freddamente, “non siamo nel Nord e io obbedisco solo alla regina.”

Jon non riusciva a credere fosse così testardo. “Ascoltami” disse lottando per non perdere la pazienza, “so che stimi molto Daenerys e che la seguiresti ovunque, non è così?”

Verme Grigio annuì, le labbra serrate.

“Ma lei ora non è qui” proseguì Jon, “non può sapere cosa sta succedendo. Se permettiamo ad Euron di raggiungere la torre, poi potremmo non essere più in grado di fermarlo. Potrebbe sfuggirci e raggiungere la spiaggia o il castello e causare solo danni. Sto cercando di aiutare…”

Verme Grigio ci pensò qualche secondo. “Andremo alla grotta” decise infine, “ma lascerò la maggior parte degli uomini qui.”

Jon annuì. “D’accordo” replicò e Verme Grigio si allontanò. Avrebbero potuto cogliere Euron di sorpresa, magari nascondendosi dietro alle rocce, e avrebbero risparmiato molte vite. Era un buon piano.

Jon sospirò e si incamminò verso la Grotta delle Maree. La Silenzio ora non si vedeva più e probabilmente era già entrata nella caverna. Verme Grigio aveva scelto di portarsi dietro quindici compagni, lasciando gli altri a guardia della torre.

Per accedere alla Grotta delle Maree dalla scogliera esisteva un’unica entrata, anche poco agevole, che fendeva la roccia fino al cuore. Si poteva passare uno per volta e bisognava fare attenzione a non ferirsi le mani colpendo le pareti. La grotta poi si estendeva sotto la scogliera e incorniciava un angolo di mare riparato, idoneo per piccole barche in cerca di rifugio. Esistevano più gallerie là sotto, ma nessuna di quelle portava in superficie.

Jon decise di scendere per primo ed estrasse Lungo Artiglio per sicurezza. Fece cenno a Verme Grigio, che si era calato l’elmo, di seguirlo senza fare rumore. Discesero lentamente lungo la stretta fessura e più di una volta Jon sentì l’aria mancargli. Finalmente giunsero nella grotta vera e propria e poterono allargarsi.

Quella in cui si trovavano era la sala più ampia, fievolmente illuminata dalla luce del sole che brillava sul mare rendendolo trasparente. In realtà la grotta era quasi completamente immersa nella penombra. Jon ritrovò subito la Lupa Solitaria dove l’avevano lasciata e si stupì di trovarla ancora intatta. Della Silenzio non c’era traccia. Sarà ancorata fuori dalla grotta, pensò Jon ispezionando la zona con lo sguardo.

“Sono già dentro” mormorò, “forse si nascondono…” Magari Verme Grigio non aveva tutti i torti a temere un’imboscata.

“Dobbiamo controllare i cuniculi” osservò il capo degli Immacolati, “se sono nascosti staranno lì.”

Jon strinse le labbra. “E’ buio pesto laggiù” fece notare, “magari possiamo aspettare che escano allo scoperto…”

Non aveva ancora finito di parlare che si udirono dei rumori di passi frettolosi lungo il corridoio dell’entrata. Verme Grigio fece cenno ai suoi uomini di appostarsi vicino all’apertura e anche Jon fece lo stesso. I passi erano sempre più vicini e rimbombavano contro le pareti. Chiunque sia, pensò Jon stringendo Lungo Artiglio, non è molto saggio a fare tutto questo baccano.

Poi una figura entrò nella grotta e Verme Grigio scattò. Ci fu un urletto di donna e il capo degli Immacolati fece un salto indietro. Jon si avvicinò e dovette soffocare un’esclamazione quando vide Missandei. La ragazza sembrava sconvolta dal fatto che Verme Grigio avesse tentato di attaccarla, ma la sua sorpresa era nulla se paragonata a quella dell’Immacolato.

“Cosa ci fa qui?” chiese Verme Grigio tentando di mascherare la propria incredulità “La regina ti aveva detto di aiutare Varys a evacuare il villaggio…”

“L’ho fatto!” squittì nervosa Missandei “Sono tutti nel castello… Varys mi ha detto che potevo restare o tornare alla spiaggia e io ho scelto di andarmene. Volevo andare da Obara, ma poi ho visto alcuni Immacolati che correvano e dicevano che stavi combattendo da solo contro Euron… Avevo troppa paura…”

Verme Grigio era esterrefatto. “Hai disobbedito agli ordini” disse come faticando a crederci.

Missandei sgranò gli occhi. “No!” esclamò “E’ solo che avevo paura per te… Alla spiaggia c’era così tanta confusione, non capivo più nulla… Non sarei servita a nulla lì…”

“Ma neanche qua!” disse con troppa veemenza Verme Grigio “Non puoi combattere, saresti dovuta rimanere al castello. E’ pericoloso!”

“Non posso restare chiusa in una stanza se so che potresti morire” disse Missandei con le lacrime agli occhi, “non è giusto!” Ora stava piangendo.

“Non ce la faccio” proseguì tra i singhiozzi, “quante altre volte mi chiederai di aspettare in ansia il tuo ritorno? Quante altre volte mi costringerai a temere di non vederti mai più? Tu non hai idea di quello che passo ogni volta che ti vedo combattere…” I singhiozzi inghiottirono le parole che seguirono e Missandei continuò a piangere.

Allora la maschera di compostezza di Verme Grigio si frantumò e corse ad abbracciarla. Jon quasi si vergognò di dover assistere ad una scena così intima. Verme Grigio aveva fatto cadere a terra la lancia e si era tolto l’elmo.

“Ti amo” le disse, “ma non devi metterti in pericolo per me…”

Missandei quasi rise. “Non puoi dirmi cosa devo fare” replicò, “io voglio stare con te, nel bene e nel male. Sempre…” Verme Grigio sorrise e Jon era certo che quella fosse la prima volta che lo vedeva effettivamente felice.

“Ma che bel momento... Sembra proprio un peccato interrompere, ma credo abbiamo delle faccende da sbrigare…”

Jon si voltò di scatto e vide Euron Greyjoy uscire dall’ombra, seguito da una decina di Uomini di Ferro. Verme Grigio d’istinto strinse a sè Missandei cercando di proteggerla, dimenticandosi addirittura di raccogliere l’arma che aveva fatto cadere. Euron fece un passo avanti e il gruppo di Immacolati si strinse davanti all’ingresso.

“Un comitato di benvenuto” scherzò Occhio di Corvo, “siamo fortunati…” I suoi uomini risero e sguainarono le spade.

Verme Grigio disse qualcosa in valyriano e gli Immacolati attaccarono. Jon, che pensava il loro piano prevedesse la difesa dell’unica via per la superficie, fu preso alla sprovvista e non fece in tempo a partecipare alla carica. Verme Grigio lasciò Missandei, che tremava come una foglia, vicino all’ingresso, e, recuperata la lancia, si gettò nella mischia.

Euron rimaneva in disparte, ma i suoi uomini combattevano bene. Uno di loro piantò un coltello fra le scapole di un Immacolato e un altro ne ferì un secondo. Verme Grigio stava combattendo contro un soldato armato di ascia e rischiò più volte che la sua lancia si spezzasse sotto i colpi selvaggi del nemico.

“Prendi Euron!” urlò ad un certo punto l’Immacolato e Jon notò che il Re delle Isole di Ferro si stava dirigendo verso la Lupa Solitaria.

“Non ci pensare nemmeno” sibilò e si mise a correre in quella direzione.

Presto l’acqua gli arrivò alle caviglie, ma non si fermò. Euron era salito a bordo e si stava dirigendo verso il timone. Che avesse capito che lo scontro nella grotta era perso? Ma allora perché uscire allo scoperto in quel modo?

Jon non rimase a farsi domande e saltò sulla nave, afferrando la corda che solitamente legava la vela all’albero maestro. Si issò sul ponte e si nascose dietro la prima cassa che trovò. Era tutto ancora semidistrutto dall’attacco sulla via per la Roccia del Drago e non c’erano molti nascondigli.

Udì i passi di Euron alle sue spalle. Non stava correndo, non era neanche un passo spedito. Era la camminata di qualcuno che contemporaneamente ammira il panorama. Perché è salito su questa nave se non vuole fuggire? si chiese Jon confuso Non sembra nemmeno intenzionato a volerla far muovere…

“Jon” lo chiamò a quel punto Euron con voce stucchevole, “perché ti nascondi? Hai troppa paura per affrontarmi?” Jon abbandonò immediatamente quell nascondiglio improvvisato. Euron sorrise. “No, sembra di no” concesse.

“Che ne hai fatto dei prigionieri?” chiese Jon per guadagnare tempo. Euron sembrava disarmato, ma Jon non si fidava.

“Alcuni sono bruciati per colpa della tua regina” replicò Euron.

“Non è la mia regina.”

“Ah no?” chiese Euron con voce insinuante “Credo voi due siate molto legati…”

Jon ne aveva abbastanza. Lo scontro fra Uomini di Ferro e Immacolati procedeva bene e stava favorendo i soldati di Daenerys. Verme Grigio era stato ferito al braccio sinistro, ma continuava a combattere come se nulla fosse.

“Cosa vuoi?” chiese Jon con vana rabbia “I tuoi uomini stanno morendo e tu sei qui a parlare con me…”

“Che muoiano pure” replicò Euron, “sono un sacrificio necessario.”

Jon credette di risentire la voce di Melisandre. “Un sacrificio per cosa?”

Euron allargò le braccia. “Per salvare il mondo.”

Jon quasi si lasciò scappare una risata. E’ completamente fuori di testa. Poi decise che il tempo delle chiacchiere doveva terminare. Brandì Lungo Artiglio e menò un fendente indirizzato alla testa. Euron non si mosse fino all’ultimissimo istante. Subito dopo un’altra lama si oppose alla spada di Jon. Il metallo era oscuro e sembrava che la luce ci scivolasse sopra.

“Acciaio di Valyria…” non riuscì a fare a meno di mormorare Jon.

“Esatto” assentì Euron spingendo la spada in avanti e costringendo Jon ad indietreggiare, “ti presento Crepuscolo, la leggendaria spada della Piovra Rossa.”

Jon ci rifletté un attimo. “Crepuscolo è andata perduta...”

“Era stata gettata in mare” lo corresse Euron passando una mano sul piatto della lama, “perché non fosse più ritrovata, ma io ho fatto immergere i miei uomini per mesi, finché non fu riportata in superficie.” Jon non voleva pensare a quanti fossero morti in quella folle operazione.

“Un re deve avere una spada degna di lui” proseguì Euron, “non si dovrebbe accontentare.”

Jon strinse le labbra e provò un nuovo attacco. Tenendo la spada salda nella destra, colpì di lato piegandosi in avanti. Euron non si ritrasse, limitandosi ad intercettare il colpo. Lungo Artiglio fu spinta in alto e Jon non riuscì a liberarla da quella posizione senza arretrare ulteriormente. Dal fondo della grotta si elevavano ancora le grida dello scontro. Ormai gli Uomini di Ferro superstiti erano appena quattro e gli Immacolati li avevano circondati.

“Sei più debole di quanto mi aspettassi” disse Euron scuotendo la testa. Jon si preparò a colpire di nuovo, ma si fermò quando udì quel richiamo. Dopo quasi due settimane alla Roccia del Drago avrebbe riconosciuto quel verso ovunque.

Subito dopo la bocca della grotta prese fuoco e apparve Rhaegal. Jon non aveva idea da dove fosse spuntato, ma sapeva che non poteva rimanere lì. Dalle grida che provenivano dal mare Jon capì che il drago doveva aver incendiato la Silenzio. Euron non se ne curava e fissava Rhaegal affascinato. Da qualche parte giunse l’urlo di Verme Grigio.

Il drago era quasi entrato nella caverna, quando Jon si accorse del corno che Euron stava portando alle labbra. No, pensò e si mise a correre verso la poppa della nave, che era rivolta verso il mare.

“RHAEGAL!” urlò con quanto fiato aveva nei polmoni “VATTENE!”

Quando il corno suonò, il rumore colpì le pareti così forte da farle tremare. Rhaegal ruggì ed inziò a dibattersi. Vai via, pensò Jon, esci di qui…

Il corno suonò una seconda volta e le pareti sussultarono. Da dietro Verme Grigio stava gridando qualcosa, ma Jon non sentiva. Ti prego, pensò stringendo le mani intorno alla balaustra. 

Rhaegal lo fissò e finalmente si voltò. Volò fuori dalla grotta, verso il mare aperto, e Jon tirò un sospiro di sollievo. L’attimo tuttavia fu di breve durata, perché dal soffitto iniziarono a cadere dei massi. Missandei dal suo angolo urlò di terrore e anche Verme Grigio fu preso alla sprovvista. Jon si voltò.

La frana stava bloccando anche l’uscita dal mare e presto la grotta sarebbe sprofondata nell’oscurità. Jon saltò nuovamente a terra e Verme Grigio gli corse incontro.

“Dobbiamo uscire di qui” disse l'Immacolato, “o restiamo bloccati.” Jon si girò ancora una volta. Euron non era più visibile sulla Lupa Solitaria, ma di certo non era riuscito ad uscire.

“Prendi Missandei e gli altri” disse Jon, “ed uscite. Io vi raggiungo dopo…”

Verme Grigio non sembrava convinto. “I soldati non lasciano da soli i propri compagni” disse, “io resto con te.”

“No” replicò Jon scuotendo la testa, “Missandei ha bisogno di te. Va’ con lei…”

Verme Grigio lo guardò per qualche istante, mentre il mondo intorno a loro esplodeva. Poi annuì e si voltò. Jon lo vide radunare i superstiti e prendere per mano Missandei. Insieme scomparvero oltre la piccola apertura nella roccia.

Poi, lentamente, Jon si girò a fronteggiare di nuovo Euron, che sapeva attenderlo alle sue spalle. Si scrutarono per qualche momento, mentre le rocce continuavano a cadere.

“Saresti potuto andare” osservò Jon, “avresti potuto uccidermi ed uscire di qui. Perché sei rimasto?” Euron sorrise per l’ennesima volta.

“Non voglio ucciderti” rispose, “e non voglio andarmene, non ancora almeno.” Tutto ciò non aveva senso, ma Jon aveva smesso di tentare di interpretare la mente di Euron.

“Per molti anni ho viaggiato” stava raccontanto Occhio di Corvo, “visto posti che tu nemmeno ti immagineresti. Sono stato a Braavos, a Volantis, nelle Isole dell’Estate, perfino ad Asshai. All’epoca pensavo solamente a divertirmi e a depredare le navi. Ero temuto fino nel lontano Mare di Giada.”

Euron sospirò. “Poi mi imbattei nel mio destino” proseguì, “e vidi chiaramente cosa sarei diventato. Un eroe, un salvatore, un dio…”

Gli occhi di Euron ardevano di follia. “So che hai visto gli Estranei” disse poi e Jon sussultò, “so che hai incontrato il Re della Notte. L’ho letto nel fuoco. Il Signore della Luce mi ha parlato, mi ha donato il corno con cui legare i draghi alla mia volontà dicendomi di usarli contro l’esercito dei morti. Radunerò il più grande esercito che Westeros abbia mai visto e sconfiggerò gli Estranei.”

Jon non credeva alle proprie orecchie. “A te non interessa della vita delle persone che combattono per te” replicò, “come puoi pensare di difendere il mondo dagli Estranei?”

“Sono solo soldati” disse Euron con sufficienza, “solo pedine al mio servizio, al servizio del dio.”

“Tu non sei un dio.”

“No” assentì Euron, “ma lo diventerò. Sei stato molto bravo con quel drago, non avrei mai pensato potesse riuscire a sfuggire al richiamo del corno, ma è tutto inutile: non si può fuggire.” Il gelo nelle sue parole metteva i brividi.

Euron vuole salvare il mondo, pensò Jon, solo per poi distruggerlo e sedersi sulle ossa degli uomini. Fece un passo avanti. “Allora perché sei qui a parlare con me?” chiese in tono provocatorio “Gli Estranei marciano sulla Barriera, non pensi dovresti essere là?”

Euron si avvicinò. “Non è ancora ora” rispose continuando ad avanzare e Jon rimase immobile, “il mondo non è ancora pronto a vedere la mia vera natura. Ho avuto altre visioni, sai? Il dio mi ha parlato e mi ha detto di procurarmi assolutamente una cosa…”

Crepuscolo calò troppo velocemente e Jon gemette di dolore. La spada gli aveva aperto una ferita sull’avambraccio destro, stracciando la manica della maglia. Jon strinse la mano sinistra sulla ferita, mentre il sangue gli ruscellava tra le dita e gocciolava fino a terra.

“Il tuo sangue.”

Cosa?!

“I-il mio sangue?”

Euron rise. “Sì, Jon Snow” replicò, “il dio richiede il tuo sangue, non ho idea del perché o a cosa esattamente servirà, ma non sono solito mettere in dubbio la sua volontà.”

Jon ancora non riusciva a formulare un pensiero completo. Euron era certamente un folle, ma era davvero convinto di aver tenuto delle conversazioni con il suo dio. Perché mai un dio avrebbe voluto avere il suo sangue, cosa poteva avere di così speciale? Jon sapeva che erano domande vane. Aveva un delicato velo di lacrime che gli offuscava la vista a causa del dolore per la ferita, ma era ancora lucido.

Ignorando il formicolìo che si era impossessato del suo braccio destro, Jon strinse Lungo Artiglio e si lanciò su Euron. Occhio di Corvo schivò il colpo e gli sferrò un pugno allo stomaco che mandò Jon in ginocchio.

“Non puoi uccidermi” stava dicendo Euron, “io sono il prescelto dal dio, non morirò per mano di un uomo…” Non fece in tempo a terminare la frase che Jon l’aveva trapassato dal basso con la spada. Mentre si rialzava in piedi, vide finalmente il sorriso di Euron gelarsi sul suo viso.

“Allora vaglielo a dire al tuo dio” gli sussurrò Jon all’orecchio spingendo la spada più a fondo, “digli che si era sbagliato.” Poi estrasse Lungo Artiglio ed Euron si accasciò a terra.

Ancora senza fiato, Jon raccolse Crepuscolo e se la legò alla cintura. Senza degnare di uno sguardo il cadavere di Occhio di Corvo, andò verso l’uscita, solo per trovarla sbarrata da due massi enormi. Il suo cuore inziò ad accelerare e Jon si guardò intorno. L’unico modo per uscire di lì sembrava essere attraverso la parete franata che bloccava l’entrata alla grotta dal mare.

Incurante del sale che faceva bruciare la ferita sul braccio, Jon si tuffò in acqua. Nuotò fino alla parete e si arrampicò. Reggendosi a fatica alla roccia scivolosa, cercò uno spiraglio di luce e, quando lo ebbe trovato, si aprì un varco scavando a mani nude. Quando uscì alla luce del sole, Jon aveva lividi dappertutto ed escoriazioni sulle mani.

Saltò nuovamente in mare e si mise a nuotare verso nord. A ogni bracciata si sentiva più stanco ed un paio di volte temette di non potercela fare. Se voleva sperare di sopravvivere, aveva bisogno di raggiungere la costa il più in fretta possibile, non importava chi ci fosse ad aspettarlo, se amici o nemici.

Finalmente raggiunse il porto e non si curò di identificare i simboli dipinti sulle vele delle numerose navi ancorate. Afferrò il bordo di un moletto e si tirò su, tentando di riprendere fiato. Udì delle grida e vide qualcuno correre verso di lui. Era Daenerys.

“Jon!” esclamò lei e Jon potette giurare stesse piangendo “Ero così preoccupata… Verme Grigio ci ha raccontato tutto… Euron?”

“Morto” disse Jon con una smorfia di dolore.

“Dico a Tyrion di chiamare maestro Pylos” disse Daenerys preoccupata, “sei ferito…” Allora anche Tyrion era tornato.

“Sto bene” replicò Jon cercando di non tremare, “cosa è successo? Mentre ero via…”

Il volto tormentato di Dany si aprì in un sorriso luminoso. “I nemici sono sconfitti” rispose, l’emozione forte nella sua voce, “Roccia del Drago è salva!”

Jon sentì tutti i suoi muscoli rilassarsi e si lasciò andare. E’ incredibile, pensò e improvvisamente gli venne voglia di ridere, abbiamo davvero vinto.


                                                                                             "The moment to fight, the moment to fight, to fight, to fight, to fight!"


N.D.A.


Cucù... Se siete arrivati alla fine di questo capitolo allora meritate tutta la mia stima e rispetto XD XD XD Era davvero un'ammazzata XD XD XD solo per sistemarlo ci ho messo un giorno intero, ecco perchè è uscito così tardi ^_^

Che dire... Come si può capire è stato difficile da scrivere, molto difficile... Il capitolo più complicato finora e di gran lunga il più lungo... Spero davvero vi sia piaciuto e che apprezziate tutto lo sforzo. Non sono neanche lontanamente un'esperta di battaglie, ma credetemi se ci ho messo l'anima XD specialmente per renderla originale e complessa.. Non so come sia venuta, ma vi prego di avere pietà XD

Come al solito ci tengo a precisare alcune cose...

In primo luogo Evocatore di Draghi (il corno di Euron) nei libri reca una scritta secondo cui chiunque soffi al suo interno morirà. Ho ovviamente ignorato tale particolare per permettere che fosse Euron a usarlo e più di una volta. Per il resto il modo in cui dovrebbe avere effetto sui draghi sono sconociuti, quindi ho immaginato XD

Quando Yara pensa al fatto che i doni di Euron sono avvelenati, in realtà nei libri quella frase viene ripetuta molte volte da Victarion, l'altro fratello di Euron e Balon, ma che non esiste nella serie. Per questo l'ho data a Aeron.

Inoltre Crepuscolo, la spada di Acciaio di Valyria di Euron, in realtà dopo essere appartenuta alla Piovra Rossa passò di generazione in generazione fino ad arrivare, se non sbaglio, ad Harras il Cavaliere (non ne sono sicura, a ogni modo non venne perduta). Tuttavia ritengo che l'idea di averla ripescata dal mare fosse molto più suggestiva, quindi perchè no XD XD

Per il resto ovviamente la greografia della Roccia del Drago è stata inventata da me, così come i nomi dei posti. Ho però tenuto fede alla forma allungata dell'isola che si vede nelle cartine dei libri.

Un ringrazimento enorme a tutti i miei recensori, in ordine: Red_Heart96, __Starlight__, giona e Spettro94. Un ringraziamento speciale anche a leila91 (che spero mi perdonerà se il titolo di questo capitolo assomiglia troppo a quello del terzo film di Lo Hobbit XD XD), Azaliv87 (giuro solennemente che rispondo alla recensione... non è passata inosservata) e Gian_Snow_91 che stanno recensendo i capitoli scorsi per rimettersi in paro. Inoltre questa storia ha da poco superato le 100 recensioni e non so proprio come ringraziare voi tutti che prendete parte del vostro tempo per scrivere un commento a questa storia. Vi adoro tutti e tanto e sappiate che questo traguardo significa moltissimo per me. A tutti gli altri che sono rimasti in silenzio finora rivolgo l'invito a farvi avanti, bastano anche poche parole ^_^

E niente, spero davvero questo capitolo non vi abbia confusi troppo e che sia stata una degna prova per Daenerys & co...

Grazie mille ancora a tutti e alla prossima!


NB: entrambe le citazioni di stavolta vengono sempre dalla canzone "This is war" di Thirty Seconds to Mars. Volevo creare una certa continuità con il capitolo scorso ^_^




 

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Capitolo 17
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Capitolo 17


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Brienne

 

Alto Giardino risplendeva sotto i raggi del pallido sole pomeridiano. Se non fosse stato per gli evidenti segni di guerra, la battaglia appena conclusa sarebbe potuta passare inosservata. I cadaveri erano stati tutti recuperati e Brienne si era offerta volontaria per andare a prendere quelli nel labirinto. Ebbe così modo di occuparsi personalmente del corpo di Bronn e di seppellirlo come aveva promesso a Jaime. Olenna ordinò che tutti i cadaveri dei nemici venissero bruciati nei campi lontano dal castello, mentre gli alleati avrebbero ricevuto sepolture adeguate. Alto Giardino venne ripulito, ma l’odore di sangue persistette.

La vittoria dell’esercito di Daenerys poteva essere considerata grandiosa e le perdite non erano state troppo pesanti. Avevano però colpito i generali o gli eredi di importanti casate. Horas Redwyne e ser Jon Fossoway erano caduti in battaglia, così come ser Luthor Tyrell, uno dei cugini del defunto lord Mace. Tuttavia il colpo più grave era arrivato dal ritrovamento del cadavere di Baelor Hightower. Nessuno sapeva come esattamente fosse morto o chi lo avesse ucciso. Quando Garth lo vide, avvolto nel sudario nell’ingresso del castello, non disse nulla e corse fuori dalla stanza. Brienne poteva solo provare ad immaginare come bisognava sentirsi a perdere un fratello e una sorella nel giro di due giorni.

“Baelor era l’erede di lord Leyton Hightower” disse Olenna avvicinandosi a Brienne, “era amato da tutti a Vecchia Città e si era appena sposato. Lo chiamavano Baelor Sorriso Smagliante… Adesso Garth erediterà l’Alta Torre e quella graziosa spada di acciaio di Valyria di Baelor… Come si chiamava? Ah, Vigilanza… Ma non sarà mai benvoluto come suo fratello.” Brienne le dava ragione. Garth non era né raffinato né aggraziato e il suo carattere era scostante.

Olenna scosse il capo, sistemando il sudario di Baelor. “Quanto male ancora potranno fare all’Altopiano prima che questa guerra finisca?” Brienne non seppe come rispondere.

Quella sera cenarono nella sala del terrazzo da cui si potevano ammirare i giardini del castello, così famosi per le loro fontane e i loro aranci. Brienne aveva deciso che sarebbe ripartita la mattina successiva di buon’ora.

“Mi è stata recapitata adesso una lettera di Daenerys” le aveva detto Olenna, “in cui mi invita a lasciare libera Brienne di Tarth qualora la dovessi trovare. L’avrei fatto in ogni caso, ma ora nessuno potrà obiettare.” Brienne aveva annuito, sollevata per non essere più ricercata. Forse Davos o Jon Snow erano riusciti a convincere la Madre dei Draghi del nobile scopo della loro spedizione a Roccia del Drago.

A cena erano presenti molti degli esponenti delle nobili famiglie dell’Altopiano. Brienne sedeva davanti a Garth, che a stento toccò cibo, e vicino a lady Mina, la maggiore fra le sorelle di Mace Tyrell, accorsa ad Alto Giardino appena ricevuta la notizia della morte del figlio Horas. Sedeva rigida e pallida, ma non indossava i colori del lutto. Suo marito, Paxter Redwyne, uno dei più importanti alfieri dei Tyrell, invece era rimasto ad Arbor e Mina non sembrava contenta della cosa. L’altra sorella di Mace, lady Janna, si diceva essere impazzita a causa della morte del marito, Jon Fossoway, ed essersi unita alle Sorelle del Silenzio. Alla cena erano anche presenti lord Arthur Ambrose, che Brienne ricordava aver sposato una delle figlie di Leyton Hightower, e Mathis Rowan, lord di Goldengrove.

Rakandro si era rifiutato di partecipare e Brienne l’aveva visto nelle stalle intento a prendere a pugni il muro. Era strano vedere un guerriero dothraki in quelle condizioni. Rakandro aveva voluto a tutti i costi occuparsi personalmente dei funerali di lady Nym ed aveva trasportato il suo corpo nell’accampamento dei Dothraki. “Voglio che essere ricordata come vera Khaleesi” aveva detto nella lingua comune senza perdere il suo aspro accento straniero. Olenna aveva dovuto acconsentire.

La cena proseguiva senza particolari degni di nota; tutti mangiavano in silenzio. “Dunque” disse ad un tratto la Regina di Spine, “qual è il bilancio della battaglia, Garth?”

Il giovane sembrò ridestarsi in quel momento dal suo torpore. “Abbiamo perso circa treimila uomini” disse con voce piatta, “soprattutto tra i Dothraki.”

“Lo Sterminatore di Re?” chiese lord Rowan e Garth scosse la testa. “Non l’abbiamo trovato” rispose, “supponiamo sia riuscito a fuggire.”

“Se è così” intervenne Arthur Ambrose, “sarà sicuramente diretto ad Approdo del Re. Il resto del suo esercito è stato annientato, ser Garth?”

“Quasi completamente” replicò Garth, “anche se abbiamo ragione di pensare che una parte dei suoi uomini vaghi per l’Altopiano. Tuttavia non abbiamo prove certe…”

“Dobbiamo mettere a punto un piano per quanto riguarda i traditori” disse Olenna, “Randyll Tarly è morto, ma il suo erede, Dickon mi pare si chiami, ha riportato l’esercito del padre a Collina del Corno.”

“Cosa intendi fare, madre?” chiese lady Mina.

“Invierò ser Tanton Fossoway a Lunga Tavola, tanto per cominciare” replicò Olenna, “e farò giustiziare Orton Merryweather. Il castello passerà alla moglie per un periodo e ser Tanton prenderà il figlio di Orton come protetto. Credo ciò basterà per assicurarci la fedeltà di lady Taena.”

“Russel Merryweather ha solo otto anni” obiettò Mina, “non credi sia crudele separarlo dalla madre?”

Olenna si voltò verso di lei. “E’ grande abbastanza” replicò, “e l’alternativa sarebbe quella di radere al suolo il castello.” Lady Mina abbassò lo sguardo.

“Lord Rowan” chiamò poi la Regina di Spine, “tu porterai i tuoi uomini a Collina del Corno e offrirai a Dickon Tarly la pace in cambio del suo giuramento di fedeltà: non posso condannarlo per gli errori del padre, ma se dovesse nuovamente macchiarsi di tradimento… Randyll Tarly aveva un altro figlio, giusto?”

Sam, pensò Brienne, ma non disse nulla.

“Sì” rispose Mina, “Samwell, un bravo ragazzo, ma è stato mandato alla Barriera.”

“In caso di tradimento da parte del fratello” decise Olenna portando la forchetta alla bocca, “potremo liberare Samwell Tarly dal suo giuramento e renderlo lord di Collina del Corno.” Brienne era certa Sam non l’avrebbe apprezzato.

“Olenna” intervenne Garth, “sei sicura di voler attaccare Approdo del Re contro gli ordini della regina?”

“Il piano non è cambiato” replicò la Regina di Spine, “avrò la mia vendetta su Cersei e tu vendicherai tua sorella e tuo fratello. O non vuoi più?”

“Certo che voglio!” esclamò Garth sbattendo le mani sul tavolo “Ma mio padre ha appena perso due figli: ha bisogno di me…”

Olenna alzò gli occhi al cielo. “Tuo padre ha altri sette figli a consolarlo” gli ricordò. “Ah no, sei: tua sorella Lynesse è ancora a Lys, vero? In ogni caso credo lord Leyton potrà fare a meno di te.”

Garth strinse le labbra. “Devo riportare le ossa dei mie fratelli a Vecchia Città” disse con voce gelida, ma Olenna scosse la testa. “Le ossa di Alerie riposeranno ad Alto Giardino” replicò, “e sarà lord Ambrose a riportare quelle di Baelor a tuo padre.” Garth si alzò in piedi di scatto e fece per uscire.

“Sei il comandante della guarnigione Tyrell della regina” gli ricordò Olenna, “è tuo dovere restare e ascoltare i piani di guerra.”

Garth Hightower le voltò le spalle. “Mi è passato l’appetito” replicò e corse fuori sbattendo la porta. Brienne non avrebbe mai pensato che l’esercito di Daenerys potesse nascondere così tanti conflitti interni. Sembrano tutti pronti a divorarsi a vicenda, pensò rabbrividendo.

Olenna stava scuotendo la testa. “I giovani…” borbottò tornando a concentrarsi sul suo pasto. Per un po’ ci fu solo il rumore delle posate che raschiavano i piatti.

“A chi passerà adesso Alto Giardino?” chiese Arthur Ambrose masticando una crosta di pane “Lord Mace aveva parecchi zii e cugini… Credo ser Olymer Tyrell potrebbe essere una scelta giusta: ha anche degli eredi…”

Olenna scosse la testa. “Nessun cugino o zio di Mace scavalcherà le mie figlie” ribatté acida. “Quando un lord muore senza eredi il castello passa ai suoi fratelli. Alto Giardino spetta di diritto a Mina.”

“Cosa?!” esclamò lady Mina stupefatta “Madre, io ormai vivo ad Arbor…”

“Lady Mina ha ragione” intervenne lord Rowan, “ormai lei neanche porta più il nome della vostra famiglia…”

“Silenzio!” berciò Olenna “Qui non si tratta di convenienza, ma di giustizia. Ho perso un figlio e due nipoti ad Approdo del Re e ora la mia figlia più piccola è impazzita. Ma sarò morta prima di vedere uno di quegli ottusi cugini di Mace lord di Alto Giardino.”

“Madre, ti prego ripensaci” la supplicò Mina. “Horas è morto, Hobber è diventato erede di Arbor, come potrei assicurare un futuro alla casata Tyrell?”

“Farai sposare Desmera al figlio maggiore di ser Olymer, Raymund Tyrell, e un giorno diventeranno lord e lady di Alto Giardino. Così eviteremo l’estinzione del nostro nome.”

Mina era rimasta a bocca aperta. “Mia figlia ha solo sedici anni!” 

“E io ne avevo quattordici quando sono stata data in sposa” replicò Olenna, “in altre circostanze ti avrei ascoltata, ma qui c’è in ballo la sopravvivenza di una dinastia, Mina, mi dispiace ma non hai scelta. La questione è chiusa.”

Allora anche Mina Redwyne si alzò in piedi e lasciò la stanza. Brienne la seguì con lo sguardo. Era crudele costringere una figlia a fare ciò che non voleva, ma Olenna aveva ragione, non c’era altro modo.

“Le passerà” assicurò la Regina di Spine, “questa è la sua casa dopotutto.” Un silenzio di tomba aleggiò pesante sul resto della cena. Terminato il pasto, Arthur Ambrose e Mathis Rowan si congedarono e Brienne rimase sola con la Regina di Spine.

Olenna le sorrise. “Sembri provata, mia cara” le disse ora in tono affettuoso. “Il mio discorso ti ha sconvolta?”

Brienne si affrettò a scuotere la testa. “No” rispose, “è solo che lady Mina sembrava così infelice…”

Olenna sospirò. “Non avrei mai voluto che avesse sposato Paxter” raccontò, “ma mio marito era stato così categorico: mio nipote era il miglior partito per Mina. Ricordo che la consolai e le descrissi le bellezze di Arbor. Alla fine partì per il proprio matrimonio serena ed in seguito mi scrisse di essere felice. Il suo rapporto con Paxter non è dei migliori, ma Mina adora i suoi figli. Ora che Horas è morto è caduta in depressione.”

Olenna inspirò profondamente. “Con Mace è stato sempre tutto più facile” raccontò, “lui si era innamorato di Alerie Hightower e mi pregò di convincere suo padre alle nozze. Alerie mi è sempre piaciuta. Era intelligente, dolce, disponibile, ma anche molto più forte di ciò che sembrava, lo dimostra il modo in cui ha scelto di morire. Ha avuto coraggio. Margaery aveva molte cose in comune con lei: insieme a Loras erano la luce della vita di Alerie.” Olenna si era intristita e Brienne scelse di non dire nulla per non violare il suo dolore.

“Mina capirà” proseguì la Regina di Spine con la voce che si incrinava, “tutti dobbiamo fare dei sacrifici… Non è forse vero?”

Brienne si era distratta un momento. “Certo, mia signora” replicò con voce acuta, “ma chiederle di abbandonare quella che ormai è diventata la sua casa per venire a vivere qui perseguitata dallo spettro di suo fratello non è un po’ troppo?”

Olenna non rispose subito. “Capirà” ripeté chinando il capo. Brienne rimase nuovamente in silenzio.

“Cosa farai ora?” le chiese Olenna “Cosa farai quando sarai tornata a Grande Inverno dalla tua preziosa lady Sansa?”

“Quello che lei mi ordinerà di fare” rispose pronta Brienne, “la proteggerò da qualsiasi pericolo.” Come ho fallito a proteggere sua madre e sua sorella, pensò con amarezza.

Olenna annuì. “Ho sete” disse all’improvviso, “gradirei bere un po’ di vino…”

Brienne si alzò in piedi. “Chiederò nelle cucine” replicò, “qui è finito...”

“Non serve” ribatté Olenna, “prendi quella piccola anfora sul comodino…”

Brienne si affrettò a portarle quello che chiedeva. Il contenitore era foderato di pelle e chiuso con un tappo di pece nera. Olenna sorrise.

“La storia di come ne sono entrata in possesso è così buffa” rivelò. “Me l’ha data un giovanotto impertinente di Vecchia Città di cui non ricordo nemmeno il nome. Diceva essere il migliore vino di Dorne: adesso lo vedremo…” Olenna ruppe il sigillo e si versò il vino nel calice. “Ah l’odore è ottimo” disse chiudendo appena gli occhi godendosi l’aroma, “ne vuoi un po’?”

Brienne scosse il capo. “No, ti ringrazio” rifiutò con cortesia, “non bevo molto spesso…”

Olenna non parve sorpresa. “Dovresti provare almeno” disse prima di bere qualche sorso, “è davvero squisito, dolce al punto giusto…”

Brienne voleva dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola quando vide Olenna irrigidirsi.

“Lady Olenna?” la chiamò avvicinandosi preoccupata “Ti senti bene?”

Le mani di Olenna afferrarono convulsamente il tavolo. Brienne era impietrita dal terrore e le sembrò di ritrovarsi nuovamente nella tenda di Renly quando l’ombra di Stannis era sgusciata dentro. Solo che questa volta fu il corpo di Olenna ad afflosciarsi, sbattendo sul tavolo. Brienne sentì le budella contorcersi quando vide che aveva ancora gli occhi aperti. E’ morta, pensò tentando di metabolizzare quello che era appena successo. E' morta davanti a me…

Si affrettò a prendere in mano l’anfora e versò dell’altro vino in un secondo calice. Lo annusò, ma non sentì niente di strano. In quel momento nella stanza entrò Garth Hightower. I suoi occhi si spostavano rapidi dal corpo di Olenna Tyrell a Brienne, che ancora teneva in mano l’anfora incriminata.

“Cosa è successo?” chiese con voce che fremeva di rabbia “Hai tre secondi per spiegare prima che chiami qualcuno…”

“Garth, aspetta” lo pregò Brienne. Perché finisco sempre in queste situazioni?! “Io non c’entro. Lady Olenna ha bevuto un po’ di questo vino ed è morta… Te lo giuro…”

Garth le strappò l’anfora dalle mani e la annusò. La sua espressione cambiò e Brienne riconobbe la paura. “E’ veleno” mormorò incredulo, “un veleno molto raro, ma ho seguito un corso alla Cittadella: non me lo potrei mai dimenticare. Non so il nome, non credo neanche ne abbia uno, ma sono certo venga da Braavos. Provoca una morte quasi istantanea. Dove aveva preso quest’anfora lady Olenna?”

“Mi ha detto che gliel’ha data un giovane a Vecchia Città” rispose Brienne, “dicendole che conteneva il miglior vino di Dorne, ma non so altro… Pensi siano stati sicari dei Lannister?”

Garth si morse il labbro. “A Vecchia Città?” chiese scettico “Sembra improbabile…”

Brienne si guardò nervosamente intorno. “Ascoltami” sussurrò, “intendi aprire un processo?”

Garth la fissò. “Siamo in guerra” disse con calma, “Daenerys conta su di noi e io ho un esercito a cui pensare. Invierò un corvo a mio padre dicendogli di far condurre ricerche di questo veleno a Vecchia Città. Forse così si riuscirà a trovare il colpevole.”

“Che farai?” chiese Brienne e Garth sospirò. “Porterò avanti il piano di Olenna” rispose risoluto, “marcerò su Approdo del Re con tutti gli uomini che vorranno seguirmi e vendicherò la mia famiglia e quella di mia sorella. Quando avrò le teste di Cersei e Jaime Lannister su due picche sarò ben felice di aprire le porte a Daenerys Targaryen e lei potrà sedere sul Trono di Spade. Ma non cederò a nessuno questa vendetta: devo essere io.”

Brienne sussultò udendo il nome di Jaime. “Garth” disse a bassa voce, “io devo andare.”

Garth Hightower la fissò stupito. “Ora?” chiese “Non vuoi venire con noi fino almeno alle Rapide Nere?”

Brienne scosse il capo. “E’ ora che io torni al Nord” replicò, “ho temporeggiato anche troppo.”

Garth annuì. “Bene, cosa ti serve?”

“Solo un cavallo” rispose Brienne, “ho dell’oro con me: comprerò delle provviste lungo la strada.”

“Allora va’.”

Brienne si diresse verso la porta. “Mi dispiace” disse all’ultimo, “per tuo fratello e tua sorella. E anche per lady Olenna: non ho potuto fare nulla. Spero tu riesca ad ottenere la vendetta che tanto brami.”

Garth strinse le labbra. “La avrò” promise e Brienne uscì.

Non voleva restare in quel castello un secondo più del necessario o rischiava di nuovo di essere accusata di un omicidio che non aveva commesso. Per fortuna Garth le aveva creduto, ma forse gli altri lord si sarebbero dimostrati meno accondiscenti. Brienne entrò nelle stalle deserte e cercò un cavallo che non portasse le briglie. All’improvviso sentì un fruscio alle sue spalle e si voltò. Si trovò davanti Rakandro, che teneva per le redini un cavallo che Brienne riconobbe subito come Stalagmite, il meraviglioso animale di Nymeria Sand.

“Tu stare andando?” chiese il Dothraki indicando l’uscita e Brienne annuì.

Rakandro le porse le redini. “Prendere lui” disse con voce cavernosa. “Nym non volere suo cavallo ammazzato come dice tradizione. Gli voleva bene, avere dato anche un nome. Lo prendi?”

Brienne accarezzò Stalagmite commossa. “Mi prenderò cura di lui” promise e vide che Rakandro aveva gli occhi lucidi. Poi Brienne saltò in sella e diede un colpo di tacco. Stalagmite partì al passo e la portò verso le mura interne. Rakandro rimase a guardare senza muoversi.

Brienne rabbrividì quando vide la porta ovest. Con i labirinti ho chiuso, si disse e lanciò il cavallo al galoppo incurante dei mille cortili che avrebbero dovuto superare prima di arrivare al portone principale. Finalmente stava tornando da Sansa Stark e non avrebbe permesso più a nulla di fermarla.

 

Sansa

 

In principio non aveva riconosciuto la stanza dove Alys Karstark l’aveva portata. Aveva una forma circolare, con un letto e un piccolo tavolino e una grande finestra senza vetri. Sansa immaginava fosse molto lontana dal cuore del castello. Quando era tornata in sé, si era trovata adagiata sul letto. La ferita sul braccio non sanguinava più e Sansa si era messa a sedere confusa.

Dal tavolino, Alys la stava osservando. “Ce ne hai messo di tempo per svegliarti” disse con un sorriso, “ho avuto paura di aver colpito troppo forte.”

Sansa la fissò con odio. “Perché l’hai fatto?”

“Non è ovvio?” chiese Alys “Per il potere. Lord Baelish ha promesso di spartirlo con me…”

Ditocorto, c’entrava sempre Ditocorto. Sansa si malediceva per non averlo giustiziato quando ne aveva l’opportunità. “Da quanto state cospirando contro la mia famiglia?”

Alys rise. “Dal principio” rivelò, “da quando hai rifiutato l’offerta di lord Baelish che voleva fare di te la Regina del Nord.” Alys si protese in avanti. “Io avrei dovuto sedurre tuo fratello” continuò, “e allontanarlo da te, ma si è dimostrato più arduo del previsto. Così abbiamo dovuto adottare un’altra strategia.”

Alys sospirò. “Lord Baelish è molto deluso da te, Sansa” disse, “non può credere di averti insegnato così poco. Lui conosce le tu ambizioni, sa che tu vorresti il…”

“Lui non mi conosce affatto” sibilò Sansa disgustata, “e neanche tu. Quello che Ditocorto suggeriva era tradimento: io non sono come lui.”

Alys sorrise. “No, certo che no” replicò, “io gliel’ho detta sai, l’ho avvertito. Ma lui non mi ha ascoltata. Ora sta portando i Cavalieri della Valle a Grande Inverno solo per te.”

“Il Nord è stato dilaniato dalla guerra” disse Sansa, “gli Stark hanno finalmente ripreso Grande Inverno e Baelish vuole di nuovo far scorrere sangue? Non lo permetterò.”

“E come pensi di fermarlo?” chiese sarcastica Alys “E comunque non è detto debba scorrere sangue. Se la gente del Nord sceglierà di accettarti come regina…”

“Non lo farebbe mai” la interruppe Sansa convinta. “Sono stati i lord a scegliere Jon, non lo tradirebbero mai.”

Alys scosse la testa. “Era così anche quando è stato eletto Lord Comandante dai Guardiani della Notte” disse a bassa voce. “Com’era andata a finire?”

Sansa sentì il sangue ribollire per la rabbia. “Stavolta è diverso” disse, “nessuno permetterà a Ditocorto di allungare le mani sul Nord.” Alys la guardava come se provasse compassione. Sansa ne era nauseata.

“Il trono spetta a te” disse Alys, “Baelish non vuole portartelo via. Vi sposerete e, dopo che avrete sconfitto i Lannister, lui siederà sul Trono di Spade e tu sarai la sua regina.”

“Io non lo sposerò mai” ribatté Sansa. Poi inclinò appena il capo. “Cosa ti ha promesso Baelish per convincerti ad aiutarlo?”

“Il Nord” rispose Alys, “una volta che avrà preso Approdo del Re.”

Sansa scosse la testa. “Non condannerete all’estinzione il mio nome” disse stringendo le coperte, “e Grande Inverno non sarà mai tuo.”

Alys si alzò in piedi. “Lo sai, un tempo sarebbe potuto essere mio” raccontò. “Mio padre voleva riuscire a convincere lord Eddard a promettermi in sposa a Robb Stark, ma lui si è rifiutato. E cosa ci ha guadagnato mio padre? Tre figli morti e la sua testa presa da quello stesso uomo che avrei voluto fosse mio marito.”

Alys aprì la porta. “Apprezzo il fatto che tu voglia lottare per la tua famiglia” continuò, “ma a volte semplicemente non è possibile. Baelish farà cadere il regno di tuo fratello e io lo aiuterò.”

“I lord ti fermeranno” minacciò Sansa, ma Alys rise. “E come potrebbero” chiese, “quando sono chiusi in una stanza?” E, senza aggiungere altro, uscì.

Sansa sentì la chiave girare nella toppa e rimase immobile. Vuole rinchiudere gli ospiti del banchetto nella Sala Grande, realizzò, così sarà ancora più semplice per Baelish entrare a Grande Inverno. Sansa si alzò e andò alla finestra, ma questa affacciava sulla tetra Foresta del Lupo e non forniva alcun indizio circa la situazione là fuori. Sansa tornò a sedersi sul letto e si prese la testa fra le mani. Se solo fosse stata meno ingenua e più attenta, ora non si sarebbe trovata in quella situazione di impotenza.

Non aveva alcuna intenzione di lasciar vincere Ditocorto, ma non sapeva cosa fare. Se avesse avuto più coraggio si sarebbe potuta calare dalla finestra, ma dopo quello che era successo a Bran, un’azione del genere era fuori discussione. Devo avvertire qualcuno, si disse Sansa nervosa, devono sapere che Alys è una traditrice. Sentì il panico iniziare a montare e la vista le si offuscò a causa delle lacrime represse.

In quel momento però sentì un tonfo provenire da sotto la finestra e il pavimento tremò. Sansa sollevò di scatto lo sguardo e vide Myun che la fissava con occhi stralunati. Aveva i capelli legati all’indietro e stringeva in mano una spada sottile ma affilata. Sansa si chiese dove l’avesse trovata.

“Myun?! Che ci fai qui? Come mi hai trovata?” Sansa vide la finestra e rabbrividì. “Sei passata da ?”

Myun fece un passo avanti. “Chi è stato?” chiese senza rispondere alle altre domande.

Sansa serrò i denti. “Alys Karstark ha tradito” sussurrò felice di aver trovato qualcuno da avvertire, “si è alleata con Ditocorto da quello che ho capito… E’ sempre stata lei la spia.”

Il volto di Myun era impassibile, ma Sansa sapeva che stava riflettendo. Quella ragazzina era molto sveglia. Sansa chinò il capo. “Ho sbagliato” disse sentendo la desolazione invaderle l’animo, “è tutta colpa mia…” E scoppiò in lacrime. Jon aveva torto, Sansa non era la persona adatta a proteggere Grande Inverno. Aveva rovinato tutto.

“Non è vero” stava dicendo Myun con la sua vocina, “vedrai che andrà tutto bene. Ora ti libero.”

Sansa sollevò il capo e vide Myun dirigersi verso la porta. Capì subito che non era una buona idea. Alys e Ditocorto hanno scelto di portare avanti l’attacco nonostante io abbia capito, pensò. Non posso rischiare si tirino indietro proprio ora perché sono fuggita. Myun avvertirà i lord e prepareranno la difesa del castello. Baelish deve assolutamente attaccare.

“Aspetta” disse quindi Sansa e Myun si fermò, “non credo sia una buona idea: se ora provi a forzarla impiegheresti troppo tempo e non posso nemmeno fuggire con te sui tetti… Myun, Alys sta andando alla sala dei banchetti, credo voglia chiudere le porte. Devi avvertire gli altri lord, parlare in mio nome, dire loro di stare pronti… Ti prego…” Sansa sapeva di suonare disperata, ma non le interessava.

Myun la stava guardando più seria di quanto Sansa l’avesse mai vista. “Quando soffiano i venti dell’inverno” disse la ragazzina, “il lupo solitario muore, ma il branco sopravvive.”

Sansa poté sentire il suo cuore sciogliersi. Era la frase che diceva sempre nostro padre per far smettere di litigare me e Arya. Ebbe bisogno di tutto il suo autocontrollo per non annegare nei ricordi. “Cosa…?”

Myun sorrise. “Mio padre una volta mi disse che voi Stark lo dite spesso” spiegò, “è un modo per ricordarvi di restare uniti…”

Sansa annuì, ma provava solo tristezza. Ora io sono da sola.

“Avrai bisogno di questa” stava dicendo Myun e, con grande sorpresa di Sansa, estrasse Ambra e la depose sul pavimento. Sansa rimase a bocca aperta. “La nascondo sotto il letto” proseguì Myun spingendo l’arma con il piede, “in caso di pericolo potrai raggiungerla.”

“Ma non so usarla!” si lasciò sfuggire Sansa.

“Infilzali con la punta” replicò Myun con un sorriso e a Sansa venne voglia di ridere. Fissò la ragazza per qualche attimo. “Myun” mormorò, “perché fai tutto questo per me? Posso fidarmi?”

“Sempre” rispose Myun e Sansa sentì di poterle credere.

Improvvisamente dalla finestra si udirono provenire delle grida miste a quelli che Sansa credette essere ululati. Sembravano venire dal Parco degli Dei. Myun si era voltata verso la finestra.

“Quelli sono lupi?” chiese Sansa incredula: lupi nel Parco degli Dei?

Myun salì sul davansale e Sansa ebbe voglia di gridarle di non farlo. “Devo andare” si scusò Myun, “ma tornerò a liberarti.”

Sansa si concesse un sorriso. “Buona fortuna” fu tutto quello che le venne da dire e Myun saltò.

La stanza era di nuovo silenziosa e Sansa si sentì in colpa. Non era giusto avesse affidato un compito così gravoso a Myun. Sarei dovuta essere io. Io a salire sulle mura e urlare a Baelish di andarsene. Da fuori le grida occasionali non accennavano a placarsi. Sansa tirò da sotto il letto Ambra e la strinse in pugno. Non era pesante, ma Sansa non si sentiva lo stesso a suo agio con un’arma in mano.

Da piccola, se le avessero offerto una spada, avrebbe riso e rifutato. “I cavalieri proteggono le dame” avrebbe detto, “non ho bisogno di una spada, mio fratello mi terrà al sicuro. Per sempre!” E Robb l’avrebbe presa in braccio, chiamandola principessa. Sansa sospirò. Robb non era stato in grado di proteggerla, così come non lo era stato Baelish e nemmeno Jon. Devo cavarmela da sola, si disse risoluta stringendo le dita intorno all’elsa.

In quel momento la porta alle sue spalle sbatté e Sansa si voltò di scatto senza perdere la presa su Ambra. Alys era comparsa sulla soglia e stava osservando incredula la spada che Sansa teneva in mano. Per un secondo rimasero immobili, congelate nelle loro posizioni. Poi la mano di Alys corse al pugnale che aveva legato alla cintura. Sansa agì d’istinto. Spinse Ambra in avanti e l’affondò nel petto di Alys Karstark che lanciò un grido d’agonia.

Il sangue iniziò a sgorgare e imbrattò le maniche dell’abito di Sansa, che non riusciva a credere ne fuoriuscisse così tanto. Terrorizzata, estrasse la spada ed Alys cadde a terra. Quando il suo corpo non si mosse più, Sansa poté tornare a respirare. Al disgusto per la scena macabra, si sostituì il dolce piacere della vendetta e Sansa sorrise. Era una sensazione meravigliosa, così simile a quella che aveva provato quando il primo mastino aveva azzannato la faccia di Ramsay Bolton.

Sansa pulì come meglio poteva la spada e lasciò la stanza. Iniziò a correre per il lungo corridoio che le si era aperto davanti e raggiunse le scale. Per la fretta quasi inciampò nella gonna. Doveva liberare i lord dalla Sala Grande e spiegare loro la situazione, qualora non ci avesse già pensato Myun. Sansa continuò a camminare spedita fino a sentire nuovamente il vociare degli ospiti. Quando raggiunse la porta della Sala Grande, però, la trovò già spalancata. Sulla soglia si era accalcata una folla di persone urlanti e i bambini piangevano. Sansa vide Podrick venirle incontro.

“Mia signora!” esclamò lui inarcando le sopracciglia per lo stupore “Non riuscivamo a trovarti da nessuna parte: pensavamo fosse successo qualcosa…”

“Lady Stark!” la chiamò Wyman Manderly facendosi largo nella calca “Cosa significa tutto questo? Ci siamo ritrovati chiusi nella sala, ma non abbiamo idea di chi sia stato. Saremmo ancora là dentro se non fosse stato per quella bestia…”

Sansa si voltò e vide Spettro che la fissava con la lingua a penzoloni. “Spettro ha aperto la porta?” chiese faticando a ritenerlo possibile.

“E’ l’unica spiegazione” disse lord Manderly, “non c’era nessun altro fuori.”

Sansa sapeva che non era il momento di porsi domande a cui tanto non avrebbe potuto dare risposta. “Ascoltatemi” disse ad alta voce e ottenne subito il silenzio, “lord Baelish e Alys Karstark si sono macchiati di tradimento e hanno portato i Cavalieri della Valle alle porte di Grande Inverno.” Ci furono esclamazioni di sorpresa e perfino terrore. Sansa vide lady Sybelle stringere a sé i figli bambini.

“Mia signora” intervenne Cley Cerwyn, “come possiamo fermarli?”

Non ne ho idea, pensò Sansa, ma si impose di essere forte. “Difenderemo il castello” disse, “mio padre ripeteva sempre che cento soldati a Grande Inverno possono resistere per anni all’assedio di un esercito di mille.”

“Dov’è il nostro re?” chiese Lord Locke “Cosa dovremmo difendere?”

Sansa percepiva l’accusa nella sua voce. “Re Jon attualmente è intento a forgiare un’alleanza che salverà il Nord dalla furia dei draghi” sibilò, “ti consiglio di tenere a freno la lingua mio signore se non desideri essere accusato di tradimento.”

Ondrew Locke chinò il capo canuto. “Chiedo perdono se ho mancato di rispetto a sua grazia” si scusò, “non era mia intenzione.”

Sansa annuì. “Tutte le donne e i bambini rimarranno nel palazzo” continuò, “mentre voi, miei signori, verrete con me a negoziare con lord Baelish.”

“Non dobbiamo negoziare” disse sprezzante lord Cerwyn, “verrà giustiziato per questo.”

“Certamente” assentì Sansa, “ma ha ancora un esercito sotto le nostre mura. Non possiamo semplicemente andare ed ucciderlo.” Fece scorrere lo sguardo sui presenti. “Quanti uomini avete?” chiese. “Tra Città dell’Inverno e l’accampamento…”

“Io trecento!” esclamò Wyman Manderly.

“Centocinquanta” disse lord Glover.

“Settantasette” rilanciò Cerwyn. Altri urlarono i loro numeri, ma nessuno superava le duecento unità.

“Io ne ho ventitre” disse per ultima la piccola Lyanna Mormont e Sansa le sorrise. In tutto arrivavano a stento a mille soldati.

Si accorse che Barbrey Dustin non aveva parlato. “Lady Dustin” la chiamò, “Barrowton non mette a disposizione nemmeno dieci uomini?”

Barbrey la fissò per qualche secondo, come studiandola, e Sansa sostenne il suo sguardo penetrante. “Ho centotrenta uomini” disse infine lady Dustin, “spero siano sufficienti.” Sansa annuì.

“Dobbiamo quindi scordarci gli uomini di Karhold?” chiese lord Manderly.

Sansa non sapeva cosa dire. “Potrebbero decidere di combattere per noi” replicò, “Alys Karstark è morta.” In molti sussultarono. “Ho trovato il suo cadavere” precisò Sansa evitando di entrare nei particolari, che fortunatamente nessuno chiese. “Miei signori” disse poi, “vi invito a radunare i vostri uomini il più in fretta possibile e a posizionarli nei punti più vulnerabili del castello: le mura e il portone. Lord Glover e lord Manderly verranno con me ad incontrare Baelish.”

Tutti ruggirono la loro approvazione ed estrassero le spade. Sansa si diresse verso l’uscita, seguita dal silente Spettro. “Podrick” lo chiamò, “va’ al Parco degli Dei e trova Myun, la mia dama da compagnia. Dille che ho bisogno della Fratellanza senza Vessilli.” Podrick annuì e corse via.

Fuori regnava la confusione. Uomini e cavalli correvano in tutte le direzionie si sentivano i colpi d’ariete contro il portone. Sansa inviò Cerwyn e Brandon Tallhart a controllare la situazione. Come possono radunare gli uomini se non riescono a raggiungere Città dell’Inverno? si chiese mentre saliva i gradini di legno che portavano alle mura. Poi pensò che potevano passare dalla porta secondaria che non era stata presa d’assalto, probabilmente perché era rinforzata in ferro. Raggiunse i bastioni e guardò in basso. Spettro ringhiava e Glover e Manderly la raggiunsero subito dopo. La pianura era completamente occupata da cavalli e cavalieri, ma non c’era traccia di Baelish.

Si fece avanti un uomo a cavallo. “Sono Jon Lynderly, lord di Bosco della Serpe” si presentò, “con chi ho l’onore di parlare?”

"Sansa di casa Stark” rispose Sansa, “lady di Grande Inverno e di Forte Terrore, Protettrice del Nord in assenza di sua grazia. Dov’è lord Baelish?”

Lord Lynderly chinò il capo. “Non c’è bisogno di una battaglia, mia signora” disse, “deponete le armi: siamo venuti in pace.”

Sansa ebbe la fermezza di spirito di sorridere. “A me non sembra, mio signore” replicò. “Non capisco molto di guerra, ma avrete almeno diecimila uomini alle porte del mio castello. Io la vedo come un’azione aggressiva.” Sansa fece una pausa. “E ho un messaggio per lord Baelish” aggiunse poi, “se lo vedi, digli che Lysa Arryn non approverebbe le sue azioni…”

Lasciandosi alle spalle l’espressione confusa di Lynderly, Sansa ridiscese le scale. “Siate pronti” ordinò agli arcieri. Glover e Manderly continuavano a seguirla, probabilmente senza capire le sue intenzioni.

In quel momento furono raggiunti da Podrick. “Mia signora” esclamò, “non trovo Myun da nessuna parte, ma ti ho portato la Fratellanza senza Vessilli.” Sansa alzò lo sguardo e vide Beric Dondarrion e Thoros di Myr venire verso di lei, seguiti dai loro uomini.

“Lady Sansa” disse Beric, “siamo ai tuoi ordini.”

“Quella è una spada fiammeggiante?!” chiese incredulo Robett Glover accennando all’arma di Dondarrion e Beric annuì.

“Per i sette inferi…” mormorò Robett.

“Beric” intervenne Sansa, “i tuoi uomini possono uscire dalle mura?”

“Certamente, mia signora” rispose Beric e Sansa annuì. “Bene” disse, “allora portali alla Foresta del Lupo e, se dovesse scatenarsi una battaglia, attacca i nemici dal fianco sinistro.” Beric annuì.

“Quando i bruti di Tormund arriveranno, si uniranno a voi” proseguì Sansa, “ma mi raccomando: attaccate solo se inizia uno scontro. Per il momento i cavalieri stanno solamente dando qualche colpo alla nostra porta.” Beric chinò il capo e, radunati i suoi uomini, si diresse verso la porta secondaria.

Devo trovare Baelish, pensò Sansa, e per farlo mi serve Myun. “Podrick” disse allora, “ritorna al castello e dì alle donne di radunare tutti i mobili che riescono a trovare: in caso il portone ceda potrete rinforzarlo con quelli.” Si voltò verso Robett e Wyman, mentre Podrick correva di nuovo. “Miei signori” disse, “voi andrete nuovamente sulle mura e controllerete la situazione. Se vedete che i nemici diventano troppo aggressivi o che si avvicinano eccessivamente, usate le frecce. Io devo andare…”

“Lady Sansa! E’ pericoloso…”

“Lord Baelish non vuole davvero una battaglia” spiegò Sansa irritata per il tempo che le stavano facendo perdere, “altrimente avrebbe mandato i suoi uomini a Città dell’Inverno per poter raggiungere la porta secondaria. No, Ditocorto vuole solo spaventarci e farci cedere alle sue richieste.”

“Ma non devi andare per forza tu, mia signora” insistette Wyman, “torna nel castello…”

Sansa lo fissò con sufficienza. “Sono la lady di Grande Inverno” gli ricordò, “questa è la mia battaglia quanto è la tua, mio signore, perciò non starò a guardare mentre altri la combattono per me.”

Manderly annuì. “Certo, mia signora.” Poi, insieme a lord Glover, si avviò verso le mura.

Sansa sospirò e guardò Spettro. Il meta-lupo sembrava ansioso di dirle qualcosa. “Cosa c’è Spettro?” chiese Sansa e Spettro non rispose. Iniziò a correre però e Sansa non ebbe altra scelta se non quella di seguirlo. Erano arrivati nel cuore del Parco degli Dei quando il meta-lupo finalmente si fermò. In quel luogo regnava l’oscurità, mitigata dalla sola luce della luna. Sansa si guardò intorno. Poi Myun le venne incontro con la spada sottile in mano.

Sansa stava per dire qualcosa, ma Myun si portò l’indice alle labbra. “Non siamo sole” mormorò e Spettro ringhiò più forte che mai. In quel momento Petyr Baelish uscì dall’ombra, seguito da una decina di guardie. Sansa si chiese come fosse riuscito ad entrare.

“Sansa!” esclamò Ditocorto in tono affettuoso “Pensavo non sarei riuscito a trovarti…” Fece cenno alle guardie di rimanere indietro e avanzò.

“Non sei il benvenuto” disse freddamente Sansa facendo un passo avanti, “e verrai giustiziato per il tuo tradimento, così come ho giustiziato Alys Karstark.”

Baelish non ne fu impressionato. “Hai fatto bene” disse a sorpresa, “quella ragazza era troppo ambiziosa…”

“Era ambiziosa per causa tua” osservò Sansa, “l’hai plagiata.”

Baelish scosse la testa. “Hai capito male” le disse, “io non sono tuo nemico.”

“Allora di chi è l’esercito qua fuori?” chiese ironica Sansa “I Cavalieri della Valle hanno giurato fedeltà a Jon e ora tu li hai fatti rivoltare contro la mia casata.”

“Non contro la tua casata” la corresse Baelish, “contro un bastardo che ti ha sottratto i tuoi diritti, che se n’è andato a Sud lasciandoti sola.”

“Hai rubato le lettere che Jon mi inviava” disse calma Sansa, “e scommetto che non gli facevi arrivare neanche le mie.”

Baelish sospirò. “Non ho mai fatto nulla del genere...”

“Myun le ha trovate nel tuo cassetto.”

“Strano” replicò Ditocorto, “mi pareva avesse detto di aver trovato la lettera per caso in un corridoio…”

“Hai cercato di farmi uccidere per quello che avevo scoperto” intervenne Myun.

“E’ falso” ribatté Baelish, “non avete alcuna prova.”

Sansa si morse il labbro: Baelish aveva ragione. “Se non ritiri le tue truppe” minacciò, “dirò a tutti che sei stato tu ad uccidere Lysa Arryn.”

Ditocorto sorrise. “Andiamo, Sansa” disse, “tu stessa hai testimoniato di aver visto tua zia suicidarsi, hai giurato… Ciò ti rende mia complice.” Sansa avrebbe voluto urlare.

Baelish si avvicinò ancor di più. “Non sono venuto a strapparti la tua casa” disse a bassa voce, “ma a restituirtela. Voglio solo che sia fatta giustizia, che la casa Stark abbia un futuro.”

“Non ti è mai interessato della mia famiglia!”

“Lo sai che non è vero” disse Baelish in tono ferito, “sai che ho amato tua madre, proprio come ora amo te. Catelyn ha liberato Jaime Lannister per riaverti indietro: sono stato io a convincerla, io a riportarle le ossa di tuo padre, io a dedicarmi alla ricerca di tua sorella, io che ti ho salvato da Approdo del Re. Lo so che mi odi per l’incidente del matrimonio, ma ti giuro, Sansa, che io non avevo idea di che razza di mostro fosse Ramsay. Non ho mai voluto la rovina della tua famiglia, davvero…”

“Menzogne!”

Sansa si voltò stupita. A sorpresa era stata Myun a parlare. Lei fece un passo verso di loro e Spettro digrignò le zanne candide.

“Come, prego?” chiese freddamente Baelish “Cosa hai detto, ragazzina?”

“Che sono menzogne” ripeté tranquilla Myun. “Perché non dici a lady Sansa di come hai ingannato sua madre dicendole che le avresti ridato entrambe le sue figlie se avesse liberato lo Sterminatore di Re?” Sansa guardò Baelish con la coda dell’occhio e lo vide vacillare.

“Di cosa stai…”

Myun lo interruppe subito. “Io ero ad Harrenhal” disse e Sansa la guardò confusa. “Quando hai incontrato Tywin Lannister io ero là. Ricordo esattamente quello che hai detto: fino a quando Robb Stark non sarà sconfitto.”

Baelish era diventato pallido, ma non cedeva. “E’ una follia!” esclamò in tono rabbioso.

Myun venne sempre più vicina, ormai era accanto a Sansa. “Perché non racconti a lady Sansa” sussurrò la ragazzina, “di quella volta in cui tradisti la fiducia di Eddard Stark e gli puntasti un pugnale alla gola causandone l’arresto?”

Sansa si sentì svenire. Mio padre si fidava di Baelish? si chiese incredula E Ditocorto l’ha tradito? A giudicare dall’espressione di Ditocorto c’era più di una verità nelle parole di Myun. Ma come fa a sapere tutte queste cose? si chiese Sansa lasciandosi prendere dall’angoscia. Spettro continuava a ringhiare.

“E’ inaudito!” esclamò Baelish “Perché pensi lady Sansa dovrebbe crederti? A te, una ragazzina che conosce appena? Perché mai dovrebbe prendere in considerazione la parola di una servetta?”

Myun sorrise e Sansa pensò ci fosse qualcosa di inquietante in quel sorriso. “Perché io non sono una servetta” rispose Myun in un sussurro e si portò una mano al volto.

Poi successe qualcosa di strano, di disgustoso. Fu come se la ragazzina cambiasse faccia, come se si stesse togliendo una maschera. Adesso il suo viso era rotondo, le sopracciglie marcate e scure, i capelli castani e gli occhi grigi come l’alba. Quegli occhi brillavano di una luce che Sansa non avrebbe mai potuto dimenticare e le sue gambe cedettero, mandandola carponi nella neve, le lacrime che rigavano incontrollabili il suo viso. Un lupo ululò da qualche parte nel parco e Sansa sollevò appena lo sguardo, la vista offuscata dal pianto.

“Sono Arya Stark di Grande Inverno e sono tornata a casa.”


Samwell

 

Maestro Ebrose fu ritrovato morto nel suo letto tre giorni dopo il colloquio con Sam. I maestri avevano decretato fosse stato un raro veleno ad ucciderlo e Marwyn aveva rafforzato le difese della Cittadella. A nessuno era più permesso portare i libri presi in prestito al di fuori della biblioteca, che divenne il luogo più sorvegliato. Si diceva l’arcimaestro Ebrose fosse morto nel tentativo di difendere “alcuni importanti documenti” che poi erano stati rubati dal suo assassino. Giravano voci anche riguardo alla sparizione di una chiave.

Sam ormai viveva nel terrore qualcuno potesse sospettare di lui. Aveva convinto Gilly a cambiare casa e a non lasciare mai da solo il piccolo. Sam vedeva che avevano paura e si sentiva tremendamente in colpa. Maestro Ebrose è stato ucciso per quello che sapeva, pensava, noi potremmo essere i prossimi. Non poteva sopportare l’idea di mettere Gilly in pericolo, ma non aveva scelta. Ebrose gli aveva chiesto aiuto e forse era anche morto per questo e Sam doveva impegnarsi a custodire quei documenti.

Ogni volta che li rileggeva li trovava sempre più sconvolgenti. Jon deve sapere che sua zia non è stata rapita, si diceva, e che era sposata al principe Rhaegar. L’idea dell’esistenza di Visenya Targaryen da qualche parte là fuori gli metteva i brividi. Non potendo più coinvolgere Gilly nelle sue ricerche, Sam trascorreva gran parte del tempo nella biblioteca a leggere.

Un giorno si imbatté in un’antica leggenda, una di quelle che si raccontano ai bambini per insegar loro le gesta di grandi eroi. Sam ne rimase affascinato. Raccontava della storia del tredicesimo Lord Comandante dei Guardiani della Notte che si proclamò Re della Barriera.

“Nessuno conosce la sua vera identità” lesse a bassa voce Sam, “ma molti sospettano si trattasse di uno Stark. Egli si innamorò di una donna dalla pelle più bianca della luna e più fredda del ghiaccio e grazie ai suoi incantesimi legò i confratelli dei Guardiani alla sua volontà. Egli prese il nome di Re della Notte.” Sam si fermò. Il Re della Notte della storia era certamente umano, quindi non poteva avere nulla a che fare con il gelido capo degli Estranei che Jon gli aveva descritto.

“Per tredici anni il Re della Notte e la sua sposa regnarono alla Barriera” continuò a leggere, “finché Brandon Stark il Distruttore, alleandosi secondo le leggende con il Re Oltre la Barriera Joramun, non pose fine al suo regno di terrore, liberando i Guardiani della Notte.” Sam era certo quelle fossero solo leggende fini a sé stesse, che non avessero alcun collegamento con gli Estranei. Poi però vide una nota a fondo pagina.

“Joramun è considerato il primo Re Oltre la Barriera” lesse Sam, “ed è famoso per il suo corno, uno strumento che si diceva essere in grado di risvegliare i giganti dalla terra e di far crollare la Barriera. Non esistono fonti certe riguardo all’esistenza di tale corno, che in ogni caso sarebbe andato perduto.” Sam rabbrividì al pensiero di un oggetto capace di provocare il crollo della Barriera. Sono solo sciocchezze, si disse. Solo favole. Però lo erano stati anche gli Estranei.

In quel momento gli si avvicinò un ragazzo. Sam lo riconobbe dopo qualche istante: era Leo Tyrell, uno dei nipoti di lord Mace, che studiava alla Cittadella come novizio. Tuttavia era sempre svogliato e lamentoso e si era guadagnato il soprannome il Pigro. Era una delle poche persone con cui Sam parlava volentieri.

“Cosa leggi, Sam?” chiese Leo tentando di sbirciare oltre la spalla di Sam, che chiuse il libro.

“Niente di importante, solo qualche noiosa legge per l’esame. Perché sei venuto?”

Leo sbuffò e il ciuffo di capelli biondi gli cadde sull’occhio. “Non hai saputo?” chiese sorpreso “L’esercito di Daenerys Targaryen ha sconfitto i Lannister ad Alto Giardino. Ci saranno presto celebrazioni in città.”

Leo si guardò intorno. “Dicono l’erede di lord Leyton sia caduto in battaglia” sussurrò come fosse un segreto importante.

Sam sospirò. “E allora?” chiese leggermente irritato.

“Allora dovresti venire ai cortei” replicò Leo Tyrell, “saranno meravigliosi…”

Sam stava per rifutare, ma poi pensò che gli avrebbe fatto solo bene un po’ di svago. Così sorrise. “Credo verrò” disse e decise di chieder anche a Gilly di andare.

Ma lei fu categorica. “No, Sam” disse, “qualcuno deve rimanere con quei documenti.”

“Ma anche se arrivasse qualcuno a prenderli” disse Sam, “come pensi di poterlo fermare?”

Gilly lo guardò. “Il maestro ti ha dato un compito” gli ricordò, “dobbiamo portarlo a termine.”

“Allora resterò anch’io” decise Sam, ma Gilly gli prese le mani. “Passi tutto il tempo a lavorare” disse in tono affettuoso, “lo sai che non ti fa bene. Va’ e divertiti.”

“Posso portare almeno il piccolo?” chiese Sam e Gilly sorrise. “D’accordo” replicò, “ma stai attento: ormai cerca sempre di scappare.”

Sam rise e prese per mano il bambino. “Andiamo?” gli chiese e il piccolo Sam annuì mettendosi una manina in bocca. Salutarono Gilly e uscirono.

La grande piazza di Vecchia Città era gremita di gente. Tutti venivano a festeggiare la vittoria e a piangere la morte di Baelor Hightower. Ovunque erano stati appesi gli stendardi della rosa dei Tyrell e dell’Alta Torre degli Hightower. Lord Leyton, solitamente vestito di bianco, indossava quel giorno abiti neri. Al suo fianco una giovane donna piangeva in silenzio.

“Perché piange?” chiese il piccolo Sam.

“Quella è lady Rhonda” gli spiegò Samwell, “è la vedova di Baelor Hightower… Piange perché suo marito non c’è più.”

Piccolo Sam aggrottò la fronte. “Dov’è andato?” chiese “E chi è Baelo Hitouerrr?”

Sam rise. “Non preoccuparti” lo rassicurò, “tornerà presto.”

Intanto lord Leyton aveva iniaziato il suo discorso di commemorazione del figlio e in molti nella piazza si stavano commuovendo. “Baelor era il mio più profondo orgoglio” disse il lord dell’Alta Torre, “non era solo gentile e coraggioso, ma anche intelligente e accorto. Amava la sua famiglia più di ogni cosa e sua moglie più di sé stesso.” Lady Rhonda singhiozzò più forte. “I Sette Dei sono stati crudeli” continuò Leyton, “perché in un solo giorno mi hanno privato non solo del mio erede, ma anche della più devota delle mie figlie. Alerie è sempre rimasta fedele al suo dovere. E’ diventata lady di Alto Giardino e ha dato a suo marito due splendidi figli. E’ morta suicida, per difendere il mio onore e quello di questa città.” Ci furono sospiri e Sam si rattristò un poco. “

Onore a Baelor Hightower!” urlò qualcuno e tutti gli vennero dietro. “Onore ad Alerie Tyrell!”

Sam si unì al coro e anche il piccolo seguì il suo esempio, pur non capendo cosa stesse dicendo. “Perché urlano?” chiese infatti.

“Perché sono felici.”

“Ma se stanno piangendo…” Sam non seppe cosa dire.

“La causa di queste morti orribili sono i Lannister” stava dicendo lord Leyton. “Mio figlio, ed ora erede, Garth mi chiede di inviare nuove truppe così che possa attaccare Approdo del Re ed ottenere giustizia. Io chiedo il vostro parere: cosa volete?”

La folla esplose in un ruggito. “Vendetta per Vecchia Città!” urlarono “Vendetta per Alto Giardino!” Leyton stava sorridendo.

“Cosa vuol dire vendetta?” chiese il piccolo e Sam scoprì di non saperglielo spiegare. “E’ complicato” ammise e il bambino chinò il capo.

“E allora vendetta sia!” esclamò Leyton allargando le braccia “Invierò il nostro esercito al completo ad Alto Giardino in supporto di mio figlio.”

Sam prese in braccio il bimbo. “Vuoi venire alla fontana?” gli chiese e lui sorrise, i denti da latte che sporgevano in avanti. Sam gli permise di mettere i piedi in acqua e di raggiungere gli altri bambini.

“Guarda!” gridò il piccolo Sam al primo ragazzino che incontrò “Io so andare sotto!” E si buttò sotto l’acqua. Sam si precipitò a riprenderlo, ma il bambino venne su ridendo e sputacchiando. Sembrava si stesse divertendo e Sam si rilassò un poco.

Nuovamente gli si avvicinò Leo Tyrell. “Hai sentito?” gli chiese eccitato “Lord Leyton ha detto manderà un esercito a vendicare la mia famiglia e i suoi figli.”

Sam sorrise. “E’ vero” disse, “sono sicuro lady Olenna sarà felicissima di questo aiuto.”

Leo lo fissò incredulo. “Lady Olenna è morta” disse e Sam sussultò, “è stata avvelenata. Si dice addirittura sia stato a causa di un veleno messo nel suo vino.”

Leo gli si accostò. “Lord Leyton non ha voluto dirlo al popolo” confidò, “ma ho saputo che si sospetta che lady Olenna abbia ottenuto l’anfora di vino avvelenato da qualcuno a Vecchia Città. Ci pensi? C’è un assassino fra noi… Ci saranno delle indagini e… Ti senti bene?”

Sam stava barcollando. All’improvviso le gambe gli erano diventate di gelatina e sudava freddo. Il terrore gli impediva di perdere quel poco di lucidità mentale che gli restava. Era stato lui a dare ad Olenna l’anfora di vino, l’anfora che gli aveva regalato Tristyus. Voleva uccidermi, pensò Sam boccheggiando. Ricordò l’espressione indecifrabile che Tristyus aveva fatto quando Sam gli aveva detto di aver bevuto quel vino. Era stato prima che Ebrose gli affidasse quei documenti, quindi come mai lo voleva morto? Sam non riusciva a capire. Tristyus credeva maestro Ebrose avesse i documenti, pensò, e l’ha ucciso per questo. D'un tratto realizzò che lui era il prossimo.

Afferrò Leo per le spalle e il ragazzo lanciò un gridolino. “Ascoltami” gli disse Sam, “so chi è l’assassino di lady Olenna e dell’arcimaestro Ebrose.”

Leo Tyrell sgranò gli occhi. “E chi è?” chiese curioso “Devi dirmelo, o saremo tutti in pericolo!”

Sam scosse la testa. “Tu ora prenderai il piccolo Sam” disse, “lo porterai nella tua stanza alla Cittadella e vi ci chiuderete dentro.”

“Sei impazzito?! Penseranno sia mio figlio!”

Sam alzò gli occhi al cielo. “Dirai che sono ordini di lady Leyla Hightower. Voi due siete molto amici, no?”

Leo arrossì. “D’accordo” assentì, “ma non dire in giro di me e lady Leyla, ti prego: siamo solo amici.”

Sam sorrise. “Tranquillo.”

Poi si mise a correre verso casa. Dovette spingere nel fango non meno di due passanti nella fretta di raggiungerla. Quando arrivò, spalancò la porta di scatto e trovò Gilly riversa sul pavimento. Il suo cuore si fermò e cadde in ginocchio prendendola fra le braccia. Fortunatamente era solo svenuta. Sam le sorresse la testa mentre riprendeva conoscenza.

“Sam…”

“Shh, non parlare. Cosa è successo?”

“E’ arrivato un uomo” balbettò Gilly, “ha detto che voleva una cosa che tenevi nascosta. Ho provato a fermarlo, ma mi ha spinta a terra…”

Sam era impietrito. Corse al nascondiglio dove aveva riposto i documenti, ma, con sua enorme sorpresa, li trovò ancora lì. Se non ha preso i documenti cosa cercava? Trovò la risposta pochi secondi dopo, quando vide che la grossa chiave era scomparsa. Improvvisamente capì. Tristyus non vuole i documenti, vuole l’unico libro che è custodito nei sotterranei.

Sam tornò da Gilly e le accarezzò i capelli. “Ora ti metto a letto” le disse con dolcezza, “così starai meglio…”

“Dov’è mio figlio?” chiese Gilly mentre Sam la sollevava.

“Al sicuro” rispose lui adagiadola sul letto, “lo andrò a prendere quando tutto questo sarà finito.” Poi estrasse da sotto la culla Veleno del Cuore.

Gilly, nonostante la debolezza, sgranò gli occhi. “Cosa vuoi fare?” gli chiese con voce rauca.

“Devo fermare Tristyus” rispose Sam, “in questo momento sono rimasti in pochi alla Cittadella: gli altri stanno tutti al corteo.”

“Non puoi andare” lo supplicò Gilly, “cosa potrai fare?”

Sam la guardò. “Ucciderlo” disse, “se riesco.” Poi si chinò a baciarla. “Tornerò presto” promise, “con il piccolo Sam.” Poi uscì.

Corse per le strade e raggiunse in poco tempo le mura della Cittadella. Il fuoco dell’Alta Torre ardeva e il fumo si disperdeva nell’aria. Sam entrò e corse verso la postazione di Rathin. Con orrore lo trovò morto, rigido sulla sua scrivania. Sam non si fermò e si diresse verso gli scaffali ordinati della biblioteca. Via via che proseguiva si imbatteva in nuovi cadaveri e ogni volta li superava senza guardarli in faccia. Finalmente arrivò alla porta, che trovò spalancata, con la chiave marrone ancora nella toppa.

Sam prese un bel respiro e si lanciò nella semioscurità del corridoio che si apriva sotto i suoi occhi. Lungo i fianchi correvano due scaffali, dove rotoli si ammucchiavano e prendevano polvere. In fondo la fioca luce di una candela illuminava un poco il luogo. E fu lì che trovò Tristyus, chino su quell'unico libro custodito oltre la porta. Non sollevò la testa, ma sembrava consapevole della presenza di Sam.

“Credevo ti avrei trovato in casa” disse infatti Tristyus e Sam si avvicinò appena. “Da quel che sapevo i maestri non possono avere donne.”

Sam ignorò l’insinuazione. “Le hai fatto del male” sibilò stringendo Veleno del Cuore.

Tristyus sollevò le sopracciglia. “Mi pare di non averla uccisa.”

Il suo tono noncurante fece ribollire il sangue nelle vene di Sam. “Hai tentato di uccidermi” disse lui e Tristyus annuì. “E’ vero” assentì sollevando finalmente il capo.

“Perché?” chiese Sam aggressivo.

“Così avrei potuto prendere il tuo posto” spiegò Tristyus con un sospiro, “così come ho fatto con l’aiutante del bibliotecario.”

Sam rabbrividì. “Chi sei?”

Tristyus sorrise. “Nessuno” rispose in tono tetro, “ma mi puoi chiamare con qualsiasi nome: ne ho usati così tanti. E avrei preso anche il tuo…”

“Ma perché?” ripeté Sam confuso.

Tristyus chiuse il libro di scatto. “Eri addetto alla custodia delle chiavi di maestro Walgrave” spiegò annoiato, “ed eri così inesperto.”

Sam aggrottò le sopracciglia. “Che cosa vuoi?” chiese e Tristyus si alzò in piedi. “Un uomo è stato inviato qui dalla Casa del Bianco e del Nero di Braavos” raccontò e Sam non capì quel cambio di soggetto, “un uomo aveva il compito di recuperare questo libro.”

Sam guardò il libro che Tristyus teneva in mano. “Perché è così importante?”

Tristyus gli si avvicinò. “Non sai niente degli Uomini senza Volto, Samwell Tarly?” chiese a sua volta e Sam scosse la testa “Esistono da secoli a Braavos, fin da quando la città è stata costruita. Sono nati per combattere lo schiavismo di Valyria. Degli uomini portavano il dono agli schiavi agonizzanti delle miniere…”

“Che dono?”

“Morte” sussurrò Tristyus e Sam rabbrividì.

“Ma non era sufficiente” proseguì l’uomo, “e presto iniziarono a pensare a come portare il dono a tutti gli abitanti di Valyria.”

“E ci fu il Disastro” concluse Sam.

Tristyus annuì. “Ma non fu una catastrofe naturale come tutti credono” disse, “furono gli Uomini senza Volto a causarla. Essi pregarono il dio dai Mille Volti e, grazie ai potenti incantesimi che furono loro concessi, provocarono l’eruzione di tutte le Quattordici Fiamme in contemporanea e Valyria fu distrutta. Hanno liberato gli uomini dallo schiavismo dei draghi.” Sam era inorridito.

“In seguito” proseguì tranquillo Tristyus, “trascrissero tutta la magia che avevano utilizzato in un libro in caso sarebbe nuovamente servita in futuro.” Le dita di Tristyus accarezzarono la copertina. “Gli Uomini senza Volto odiano i draghi” proseguì, “e hanno sempre creduto fosse necessario ucciderli, anche ricorrendo alla magia. Ma i maestri sono stati sempre contrari. Loro odiano la magia più di quanto odino i draghi e perciò fecero rubare alla Casa del Bianco e del Nero questo libro, di cui dopo si persero le tracce. Loro temevano la magia e i servitori del dio dai Mille Volti: li ritenevano pericolosi.” Sam era sempre più incredulo.

“Ora una nuova regina ha ridestato i draghi dalla pietra” andò avanti Tristyus, “ma i maestri si sarebbero sempre rifiutati di fare ciò che invece va fatto. Così un uomo è stato mandato a recuperare il libro: Sangue e Fuoco, più comunemente chiamato La Morte dei Draghi.

“Ma a cosa ti serve?” chiese Sam incapace di comprendere quella follia.

“Un uomo non ci fa nulla. Un uomo lo deve riportare a Braavos da dove è stato rubato. E poi…”

“Volete uccidere i draghi?” chiese Sam ripensando al titolo del libro.

“Un uomo non sa cosa altri hanno deciso” ammise Tristyus, “ma crede che quella sia la strada giusta: un mondo senza draghi e senza magia oscura.”

“Così che la vostra magia non conoscerà rivali” osservò tagliente Sam.

Tristyus lo fissò. “Sai come sono nati i draghi, Samwell Tarly?” chiese in tono grave “E soprattutto perché?”

Sam si morse un labbro. Me lo sto chiedendo da mesi, pensò e scosse la testa.

“Nacquero insieme alla magia che si sprigionò dall’avanzata dell’ombra nelle terre oltre Asshai” raccontò Tristyus, “nacquero dalle viscere delle Quattordici Fiamme di Valyria e sono fuoco fatto carne. Il loro potere è oscuro e proviene dalla magia nera di Stygai. Per millenni i valyriani e i loro eredi Targaryen l’hanno usato per piegare i popoli alla loro volontà, ma i servitori del dio dai Mille Volti li fermeranno.”

“E per farlo userete la magia” fece notare Sam, “proprio come loro.”

Tristyus sospirò. “Solo se sarà necessario.”

Sam scosse la testa. Hanno causato il Disastro di Valyria, pensò con orrore. Cosa farebbero a Westeros?

Tristyus gli si avvicinò. “Un uomo deve passare” disse, “e non vorrebbe dover far male a qualcuno.”

Sam brandì Veleno del Cuore. “Puoi andare” concesse, “ma lascia qui il libro.”

Tristyus rise. “Puoi uccidere qualcuno con quella spada, Samwell Tarly, ma non Nessuno.”

“E perché mai?” chiese Sam sollevando un sopracciglio in atteggiamento di sfida.

“Perché un uomo è Nessuno” spiegò Tristyus, “e Nessuno non può morire. Non puoi uccidere un uomo che è sé stesso e chiunque altro.”

Sam fece ancora un passo avanti, ma Tristyus non diede cenno di volersi difendere in alcun modo. “Se sei Nessuno” disse Sam con calma, “non sei chiunque o qualsiasi cosa tu voglia. Se sei Nessuno, sei niente!”

Ed affondò la lama nel cuore di Tristyus.

All’inizio non successe nulla e Sam temette di aver sbagliato. Poi Tristyus sputò sangue e cadde a terra senza un gemito. Sam scaraventò via Veleno del Cuore e dovette aggrapparsi allo scaffale per non perdere l’equilibrio. All’improvviso gli girava la testa. Raccolse con mani tremanti La Morte dei Draghi e la spada e, quasi inconsciamente, si diresse nuovamente verso la porta, barcollando leggermente. Ritornò nella biblioteca e si affrettò a lasciarla. La Cittadella non era più posto per lui adesso. Sarebbe andato a riprendere il piccolo Sam e dopo a casa di Gilly. Poi avrebbero lasciato immediatamente Vecchia Città e si sarebbero rimessi in viaggio portandosi dietro i documenti di Ebrose.

E’ fatta, pensò Sam continuando a camminare. Si va a Grande Inverno.

 

Davos

 

Qualcuno era salito sulla Furia Grigia a dire loro che avevano vinto. E allora tutti avevano gridato ed esultato, nonostante nessuno avesse davvero seguito la battaglia. Avevano inneggiato a Gendry, che non si era mosso dalla sua nave, e alla gloria di casa Baratheon. Davos sperava solamente la situazione sull’isola non fosse troppo terribile e che Jon fosse sopravvissuto. Le navi erano entrate nel porto, già occupato dalle imbarcazioni dei nemici sconfitti, e furono tutte ancorate. Davos scese sul molo insieme a Gendry.

“Andiamo a incontrare la regina” disse a lord Eldon. “Dì ai tuoi uomini si aspettare qui.” Eldon Estermont chinò il capo in direzione di Gendry e salì nuovamente sulla nave. Davos si avviò verso il castello e Gendry lo seguì. Sembrava così impacciato con ancora l’armatura addosso. Arrivarono al portone, ma non trovarono nessuno ad accoglierli.

A Davos sembrò strano. “Andiamo” disse a Gendry e insieme entrarono.

Subito venne loro incontro Varys. “Benvenuti” li salutò, “la regina vi sta aspettando nella sala di Aegon.” Lo seguirono per le stanze ricche di ombre di Roccia del Drago e arrivarono nella stanza del grande tavolo dipinto, dove gli altri avevano già preso posto. Davos sorrise quando vide che c’era anche Jon.

Daenerys li raggiunse. “Tyrion mi ha raccontato del vostro viaggio a Capo Tempesta” disse con un sorriso. “Tutti noi siamo vivi solo grazie a voi. Grazie.”

Davos sorrise. “Dovere” replicò, “ma è stato Gendry a convincere gli alfieri dei Baratheon in verità: ha fatto un discorso davvero notevole.”

“Confermo” intervenne Tyrion e Gendry arrossì lievemente.

Daenerys annuì e fece loro cenno di sedere. Quando tutti si furono sistemati, si schiarì la voce. “Abbiamo vinto questa battaglia” disse, “e abbiamo annientato il pericolo che Euron Greyjoy rappresentava per noi. Ho già inviato degli uomini ad accogliere i nostri salvatori dalle Terre della Tempesta e mostreranno loro le stanze che ho fatto preparare. I soldati verranno ospistati nel villaggio insieme ai Dothraki.”

Fece un sospiro profondo. “Abbiamo vinto” ripeté con amarezza, “ma a caro prezzo. Molti dei nostri soldati sono morti e anche Obara ed Ellaria Sand ci hanno lasciato. Sono state coraggiose e si sono battute per noi: non le dimenticheremo.” Davos vide una ragazza, che intuì essere Tyene Sand, sedere pallida affianco ad un attraente giovanotto. Deve essere Benjameen Sand, si disse, il comandante dell’esercito di Dorne.

“Abbiamo liberato i prigionieri” proseguì Daenerys, “tutti quelli che abbiamo potuto e ora sono affidati alle cure di maestro Pylos e dei suoi assistenti.”

La regina fece un bel respiro. “Purtroppo non credo ci sia tempo per i festeggiamenti” continuò seria, “abbiamo ricevuto notizie terribili da Alto Giardino. Lord Varys, illustra per cortesia la situazione…”

“Certamente, vostra grazia” assentì l’eunuco. “Il nostro esercito è riuscito a prendere il castello e a scacciare i soldati di Jaime Lannister. I nemici sono stati quasi sterminati, ma un gruppo vaga ancora per l’Altopiano. Si presuppone cercherà di tornare ad Approdo del Re.”

“Cosa c’è di terribile allora?” chiese Yara seduta dall’altra parte del tavolo “In ogni caso abbiamo più uomini…”

“La guarnigione Tyrell e i Dothraki hanno subìto gravi perdite” replicò Varys. “Baelor Hightower e Nymeria Sand sono morti in battaglia.” Tyene emise un urlo strozzato e Benjameen la strinse a sé.

“E lady Olenna è stata avvelenata subito dopo” sussurrò Varys e Davos sussultò. Aveva sentito molte storie riguardo alla Regina di Spine, pur non avendo mai avuto l’opportunità di incontrarla, e non gli era mai sembrata il tipo di donna facile da uccidere. Eppure…

“Chi è stato?” chiese Tyrion e Varys scrollò le spalle. “Nessuno lo sa” replicò, “ma l’esercito scalpita e reclama vendetta.”

“L’avranno” promise Daenerys, “ma devono attendere ad Alto Giardino. Scrivigli, per favore, Varys, raccomanda loro di non marciare su Approdo del Re finché non saremo sbarcati sulla terraferma.” V

arys chinò il capo rispettoso. “Sarà fatto, vostra grazia.”

Daenerys annuì. “Ora” disse alzando appena la voce, “dobbiamo discutere riguardo alle nostre azioni future. Cersei ormai non ha più alleati, credo sia il momento giusto per colpire.” Ci furono esclamazioni d’assenzo, ma Davos vide che Jon era rimasto in silenzio.

“Potremo sbarcare vicino ad Approdo del Re” continuò la regina, “e da lì cingere la città d’assedio.”

“Ma sarebbe una manovra troppo lunga” osservò Jon, “e darebbe modo a Cersei di escogitare un piano di fuga.”

“Cersei non fuggirebbe mai” obiettò Tyrion.

“Ma i suoi soldati sì” replicò Jon, “e finché Cersei avrà un esercito, seppure chissà dove, sarà una minaccia.”

Daenerys lo stava studiando. “Cosa proponi di fare, Jon?” 

Jon sospirò. “Colpire Castel Granito” rispose. “Anche mio fratello Robb stava programmando un’azione militare del genere quando fu ucciso. Se prenderai la roccaforte dei Lannister, priverai Cersei del suo potere anche agli occhi della popolazione.”

“Castel Granito non è mai caduto” fece notare poco convinto Davos.

“Perché nessun aggressore lo conosceva bene come me” replicò Tyrion versandosi da bere. “Ho trascorso tutta la mia giovinezza a pulire quelle fogne: conosco modi per entrare che chiunque si sognerebbe. Non credo nemmeno mio padre sapesse che la Rocca ha così tanti punti deboli.”

“Credi sia possibile prendere il castello?” chiese Daenerys e Tyrion annuì. “Con un certo esercito ovviamente” precisò ammiccando.

“Da quello che i miei uccellini hanno sentito la fortuna sembrerebbe favorirci” intervenne Varys, “perché Cersei ha tolto la guarnigione da Castel Granito: sono rimaste solo 200 guardie.”

Tyrion fischiò. “E’ la nostra occasione…” disse guardando la Madre dei Draghi. Davos la considerava un’azione futile e poco pratica, ma Daenerys doveva avere altri progetti.

“Hai ragione” disse infatti la regina, “invierò gli Immacolati a prendere il castello. Tu e Varys andrete con loro.”

Verme Grigio si protese in avanti. “E’ pericoloso, mia regina” obiettò. “Se porto gli Immacolati a Castel Granito non resterà nessuno a difendere Roccia del Drago.”

Daenerys scosse la testa. “Non resterò a Roccia del Drago” replicò lasciando tutti sorpresi. “Sull’isola rimarranno solo alcuni soldati a proteggere la gente del villaggio.”

“Chiedo perdono, vostra grazia” intervenne Varys, “ma se non hai intenzione di attaccare subito Approdo del Re, dove desideri portare il resto del tuo esercito?”

“A Duskendale” rispose Daenerys, “e da lì invierò ambasciatori per ottenere la fedeltà dei lord delle terre della Corona. Avremo modo di rappresentare una minaccia più incalzante per Cersei e potremo attendere il ritorno di ser Garth e Rakandro con i loro uomini.” Davos credeva fosse un buon piano, ma troppo dispendioso: non era stato saggio per Daenerys dividere il proprio esercito la prima volta.

“Tyrion” chiamò la regina, “tu, Varys e Verme Grigio porterete gli Immacolati a Lannisport dal mare e assedierete Castel Granito. Accetterete la resa di qualunque lord dell’Ovest che dovesse decidere di abbandonare la fazione di Cersei. Verme Grigio, so che i tuoi Immacolati non porteranno più distruzione di quella davvero necessaria.” Verme Grigio annuì fieramente e Missandei gli strinse il braccio.

“Yara” continuò la regina, “tu ritornerai alle Isole di Ferro con i tuoi uomini e ti farai incoronare regina. Ristabilita la pace, riporterai le tue navi ad Approdo del Re per assediare la città dal mare.”

Yara sorrise. “Con grande piacere.”

Theon si mosse a disagio. “Vostra grazia” disse a bassa voce, “chiedo di poter accompagnare mia sorella.”

Daenerys scosse la testa. “No, Theon” rispose la regina con calore, “ho bisogno di qualcuno esperto che si occupi delle mie navi per quando arriveremo a Duskendale.” Theon chinò il capo, ma non disse nulla.

“Tutti gli altri” proseguì la regina, “verranno con me…”

“C’è un altro problema” la interruppe Jon, “Porto Bianco è ancora controllata dagli Uomini di Ferro: è mio dovere andare a liberarla.”

“Tu devi rimanere al mio fianco” replicò Daenerys, “manderò qualcun altro a riprendere Porto Bianco.”

Jon la stava fissando impassibile e Davos si aspettava di vederlo controbattere. Invece annuì. “D’accordo” disse, “ma che sia deciso in fretta: la città sta soffrendo.”

“Euron ha lasciato massimo tremila uomini a Porto Bianco” intervenne Benjameen Sand, “ma potrebbe essere difficile espugnare il castello.”

“Non possono occuparsene gli uomini del Nord?” chiese Yara irritata “Invece di far muovere l’esercito della regina?”

Jon si voltò verso di lei. “I miei soldati sono stati inviati alla Barriera a difenderla dagli Estranei” replicò freddamente. “Se mia sorella avesse creduto di essere in grado di riprendere Porto Bianco ora non avremmo questo problema. Evidentemente ci sono state complicazioni…” Davos era stupito Jon non sapesse cosa stava succedendo nel Nord. Diceva di scrivere sempre a Sansa, ricordò.

“Jon ha ragione” stava dicendo Daenerys, “è stata colpa mia se Euron ha attaccato Porto Bianco e perciò saranno i miei uomini a rimediare.”

Gendry si alzò in piedi. “Mia regina” iniziò, “mi offro volontario per questa missione. Ho vissuto a Porto Bianco per più di un anno: conosco la sua gente.” Davos si chiedeva cosa gli fosse passato per la testa.

Daenerys annuì. “Molto bene” replicò. “Gendry, ti incarico di riportare la pace a Porto Bianco con l’esercito della Tempesta.” Gendry sorrise e Davos era sempre più confuso.

“Ser Davos andrà con lui” intervenne a quel punto Jon e Davos si voltò di scatto verso di lui, “e proseguirà verso Grande Inverno. Riferirà a mia sorella cosa è successo a Roccia del Drago e parlerà ai lord dell’alleanza che ho stipulato con Daenerys Targaryen.”

“Jon” disse Davos, “non sarebbe meglio se fossi tu a riferire ai tuoi alfieri della tua decisione?”

Jon lo guardò. “Non posso tornare a Nord” replicò, “non ancora almeno…” Davos voleva ribattere, ma capì che non era il momento adatto.

“Molto bene” ripeté Daenerys, “allora è deciso: Davos e Gendry raggiungeranno il Nord e libereranno Porto Bianco. Credo sia sufficiente per una giornata… L’assemblea è sospesa: ora devo andare a trovare i feriti della battaglia. Siete liberi di andare e inziate a prepararvi per la partenza.” Uno dopo l’altro tutti uscirono. Jon si attardava, sicuramente di proposito, e Davos lo aspettò. Gendry indugiò qualche momento sulla soglia, ma poi scelse di uscire.

La stanza divenne sorprendentemente silenziosa. Jon stava accarezzando la superficie della mappa di legno lì dove rappresentava Grande Inverno.

Davos gli si avvicinò. “Perché vuoi che io ritorni a Grande Inverno al tuo posto?”

Jon sollevò lo sguardo. Sembrava stanco e combattuto. “Daenerys mi ha proposto un’alleanza” rispose, “mi ha chiesto di rinuciare al titolo di Re del Nord e di sposarla. E io ho accettato.”

Davos era rimasto a bocca aperta. Jon Snow era l’ultima persona al mondo che si poteva dire ambiziosa, il suo gesto doveva quindi nascondere un fine diverso dal desiderio di governare i Sette Regni.

Jon sospirò. “Daenerys ha giurato che quando verrà il momento porterà il suo esercito e i draghi a Nord” spiegò, “che ci aiuterà a sconfiggere gli Estranei. Non è tuttavia disposta a concedere l’indipendenza al Nord. Ho dovuto accettare di sposarla.”

“Ti ha costretto?”

Jon scosse la testa. “E’ stata una mia scelta” rispose in tono piatto.

“Non credo i lord la prenderanno molto bene” osservò Davos guardandolo negli occhi, “non vorrebbero vederti abbandonarli…”

“Non li sto abbandonando!” esclamò Jon con veemenza. Poi si calmò e si risedette. “Non ho notizie di Sansa da quando la mia nave è salpata per la Roccia del Drago” proseguì ora con voce rotta, “non ho idea di cosa stia succedendo laggiù e temo che Baelish stia tramando qualcosa. Vorrei poter tornare ad aiutarla, credimi è l’unica cosa che davvero mi interessa in questo momento, ma non posso. Se voglio che quest’alleanza funzioni devo rimanere accanto a Daenerys e convincerla a non trascinare il Nord nella sua guerra. Devi parlare con Sansa, spiegarle il motivo della mia scelta e dirle che tornerò.”

Davos si morse un labbro. “Non devi farlo per forza” gli disse, “non devi farlo se non vuoi.”

“E’ il mio dovere…”

“Fanculo il dovere! La tua gente ha bisogno di te ora e non certo qui. Parla con la regina, convincila a lasciarti andare. Convincila di star dicendo la verità riguardo agli Estranei e otterrai il suo appoggio senza doverti sacrificare ulteriormente.”

Jon sollevò lo sguardo. “Sai che non è così semplice” mormorò per poi alzarsi nuovamente in piedi. “Ti sarà affidato un carico di Vetro di Drago” disse ora in tono risoluto, “e sarà tuo compito assicurarti che il numero più alto possibile di armi vengano forgiate da esso.”

Davos sapeva che non aveva senso insistere. “Cosa devo farci con Giuramento?” chiese accennando alla spada che portava alla cintura.

Jon tentennò. “Non so dove si trovi Brienne” osservò incerto, “ma sicuramente tenterà in tutti i modi di tornare a Grande Inverno da Sansa. Potresti trovarla lì, quindi è meglio se porti la spada con te.”

Davos annuì. “Quando pensi partiremo?” si informò e Jon alzò le spalle. “Non ne sono sicuro” ammise, “ma credo Daenerys abbia una certa fretta. Suppongo al massimo domani mattina.” Davos capì in quel momento che da quando lui era partito per Capo Tempesta, Jon era cambiato profondamente. Prima era ansioso di tornare a Grande Inverno a qualsiasi costo, mentre ora appariva rassegnato.

Eppure non sembra poi troppo rattristato dalla prospettiva di sposare Daenerys.

Nonostante ciò fosse un risultato positivo e l’indizio di una possibile intesa fra i due promessi sposi, avrebbe anche rischiato di distrarre Jon da quello che contava davvero. Davos non avrebbe mai voluto ragionare in quel modo, ma era il suo compito fornire consiglio affinché fossero evitate catastrofi. “Jon” lo chiamò quando lui stava già dirigendosi verso la porta, “dimmi solo una cosa: resterai fedele alla tua gente, vero?”

Jon si girò a guardarlo. “Fino alla morte” sussurrò prima di uscire e Davos sentì i suoi muscoli rilassarsi.

Il mattino successivo furono messe in mare le navi e la Roccia del Drago si svuotò. Tutti correvano sulla spiaggia trasportando provviste e tessuti. Gendry aveva spiegato la situazione ai suoi nuovi alfieri, che si erano detti felici di seguirlo a Porto Bianco, e le navi erano state stipate di Vetro di Drago.

Prima di partire, Daenerys voleva tenere uno dei suoi famosi discorsi d’incoraggiamento, così radunò tutti sui moli davanti il porto. “La battaglia contro Euron ci ha reso più forti!” esclamò “E i nostri morti non verranno dimenticati: Obara, Nymeria, Olenna, Ellaria, Baelor e tutti gli altri non saranno morti invano. Noi porteremo avanti anche le loro ambizioni e alla fine vinceremo!”

Tutti esultarono e poi fu il momento dei saluti. Davos vide Verme Grigio abbracciare forte Missandei, che aveva le lacrime agli occhi, prima di salire sulla nave che l’avrebbe portato a Castel Granito, seguito subito da Varys. Tyrion si trattenne ancora alcuni minuti con la regina e fece qualche altra battuta. Stranamente dovette scegliere di salutare anche Davos.

“Alla prossima dunque” disse il nano dandogli la mano, “è stato interessante lavorare con te, Cavaliere delle Cipolle.”

Davos non poté trattenersi dal sorridere. “Lo stesso per me, Folletto” replicò e Tyrion gli fece l’occhiolino. Poi salì anch’egli sulla nave carica di Immacolati.

Yara abbracciò Theon e salutò rapidamente Tyene e Benjameen per poi raggiungere la sua Vento Nero. Presto le vele si aprirono e la nave prese il largo, con le altre imbarcazioni della Flotta di Ferro che tentavano di batterla in velocità, senza troppi risultati.

A quel punto Davos vide Jon avvicinarsi a lui e Gendry. Tutti gli altri erano già saliti sulla Raggio di Luce e sul molo restava solamente Daenerys.

“Vi ringrazio per il vostro aiuto” disse Jon con affetto, “è sempre apprezzato. Mi raccomando, scrivetemi ogni cosa e ricordate di inviare i corvi a Duskendale.” Il suo sguardo incontrò quello di Davos. “Fa’ che mia sorella capisca” lo pregò e Davos annuì. Poi si abbracciarono.

Jon gli voltò le spalle e tornò da Daenerys. Insieme salirono sulla passerella della nave e ordinarono di tirare su l’ancora. Davos seguì Gendry sulla Furia Grigia e si affacciò sul mare liscio come l’olio. La Raggio di Luce si stava lentamente allontanando verso la limpida luce del mattino e Davos sentì un brivido scendergli lungo la schiena.

Daenerys stava andando a prendere il trono che mai aveva visto, ma di cui tanto aveva parlato. E Jon Snow era con lei.


                                                                                                                                                                               "Vindica te tibi." 



N.D.A.


Eccomi ^_^

Spero la storia continui a piacervi e abbiate apprezzato questo capitolo. Diciamo che dopo lo scorso forse serviva qualcosa di un po' più calmo di questo XD, ma temo dovrete accontentarvi. A ogni modo è un turning point per così tanti personaggi: Sam, Brienne, Arya (e quindi anche Sansa), in parte Jon e anche Gendry (nonostante per ora non sembri). Quello che è successo in questo capitolo avrà enormi ripercussioni sulla storia.

Andiamo con le precisazioni XD.... Innanzitutto per la Cittadella... Che gli Uomini senza Volto stiano tentando di rubare "La morte dei draghi" è una teoria piuttosto accreditata, così come l'idea che essi abbiano causato il Disastro di Valyria (che siano nati per porre fine alle sofferenze degli schiavi di Valyria invece è vero). Il resto è inventato XD nei libri abbiamo indizi che sia Jaqen l'uomo che va in missione (dato che Arya viene addestrata da un altro), ma qui invece ho creato il personaggio di Tristyus. Chiaramente Ebrose aveva equivocato: pensava i nemici volessero i documenti (quelli sul matrimonio tra Rhaegar e Lyanna e su Visenya Targaryen), mentre in realtà Tristyus puntava unicamente alla chiave (e quindi al libro).

Quindi ora i personaggi si stanno muovendo di nuovo: Dothraki e Tyrell in "rivolta" liberi contro la capitale (opponendosi agli ordini di Daenerys), Greyjoy di ritorno alle Isole di Ferro (tranne Theon), Immacolati con Tyrion e Varys a Castel Granito, Uomini della Tempesta con Davos a riprendere Porto Bianco e tutti gli altri soldati di Daenerys in viaggio verso Duskendale. La scelta di dividere l'esercito porterà fortuna questa volta?

Per quanto riguarda la morte di Olenna... Lo so, muore avvelenata come nella serie, ma vi giuro che quando scrissi il capitolo la settima stagione non era ancora uscita XD XD Mentre l'assedio di Castel Granito era nell'aria sarebbe successo, ma preparatevi a qualcosa di diverso rispetto alla versione della serie.

Per il resto spero davvero il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio i miei meravigliosi recensori: __Starlight__, GiorgiaXX, giona e leila91 (che ringrazio profondamente per l'impegno nel rimettersi in paro... risponderò a tutte le recensioni, lo prometto!!). Ringraziamenti anche a Gian_Snow_91 che continua a recensire. Mi scuso con tutti quelli a cui sto leggendo e recensendo le storie (in particolare Spettro94 e Azaliv87) per essere stata poco attiva in queste due settimane: spero di rimediare al più presto! (Azaliv, lo so che sembra che sto ignorando le tue recensioni, ma la verità è che le adoro, ma non ho mai due ore di fila da dedicare loro per scrivere una risposta decente data la lunghezza... appena posso giuro che lo farò ^_^)

Niente, grazie mille a tutti e sappiate che questa settimana andrò a Praga, quindi è possibile ritarderò un pochino a rispondere alle vostre eventuali recensioni. Spero ciò non vi scoraggi dal lasciarne XD XD
Alla prossima!


NB: stavolta si va con le citazioni colte XD XD questa è del filosofo romano Seneca (autore che sto studiando proprio in questo momento) e significa, per coloro fossero digiuni di latino, "rivendica te a te stesso". In questo capitolo l'ho immaginata per molti personaggi, in particolare Sam, che finalmente si libera dalle catene della Cittadella, ma anche e soprattuto Arya, che rivendica la propria vera identità riprendendosi il suo posto legittimo.


 

 

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Capitolo 18
*** The melting ice ***


capitolo 18


The melting ice                                                                                                         

 


Arya

 

Aveva così tanto immaginato il momento in cui avrebbe rivelato la sua identità al mondo che, quando accadde davvero, nemmeno se ne accorse più di tanto. Fu un gesto naturale quello di sfilarsi il volto di Myun e tornare a essere sé stessa, come non lo era più stata da quando aveva visto la lama abbattersi sul collo di Ned Stark. Da quel momento aveva avuto tanti nomi: Arry l’orfano, Cat la gatta dei canali, Larra la venditrice di vongole, Mercy e infine Myun. Ma ora, ora tornava a essere Arya, solo Arya.

Osservò con crescente soddisfazione l’espressione di pura incredulità, mista anche a timore, calare sulla faccia di Baelish. Non hai più scampo, pensò e brandì Ago. Alle sue spalle Sansa doveva essere caduta a terra e la sentiva respirare affannosamente.

“Arya Stark è morta” sussurrò Ditocorto.

Arya rise. “Se sono qui davanti a te” osservò, “come potrei essere morta? Comunque ti do una prova della mia identità. Al torneo in onore della nomina a Primo Cavaliere di mio padre tu ti sedesti accanto a Sansa e le raccontasti la storia dell’orribile bruciatura di Sandor Clegane e la raccomandasti di non farne parola con nessuno o il Mastino l’avrebbe uccisa.”

Baelish aveva perso anche quel poco di colore che gli era rimasto.

“Arya…” mormorò Sansa avvicinandosi “Com’è possibile? T-tu eri lei? Non capisco…”

“Non è il momento per le spiegazioni” obbiettò Arya senza perdere di vista Ditocorto, “dobbiamo occuparci di lui…”

Baelish si voltò e iniziò a correre verso l’uscita segreta. Era stata Arya a mostrargliela, tentando di attirarlo nel Parco degli Dei. Certo, non si sarebbe mai aspettata l’arrivo di Sansa.

“Sta scappando!” esclamò Sansa ancora palesemente scossa “Devo chiamare le guardie…”

“Non ce n’è bisogno” replicò Arya e fischiò. Dall’ombra uscirono i lupi del branco che si strinsero minacciosi intorno a Baelish. Le sue guardie, terrorizzate, l’avevano abbandonato ed era fuggite. Arya rise vedendo che l’unica arma a disposizione di Ditocorto era la sua corta daga. Gli si avvicinò. “Questa la prendo io” disse sfilandogliela dalla mano. Baelish oppose resistenza, ma Nymeria comparve ringhiando al fianco di Arya.

“Ma quella è Nymeria?” chiese con voce strozzata Sansa.

Arya si rigirò il pugnale di Baelish fra le mani: sembrava acciaio di Valyria ed aveva un’elsa di osso di drago decorata. “L’ho ritrovata sul Tridente” spiegò accennando alla meta-lupa.

Sansa stava scuotendo la testa stupefatta. “Non ci posso credere…”

“Sansa” la chiamò Baelish, “ti prego, lasciami andare… Ho fatto tutto questo per te…” Ditocorto tacque quando Arya gli puntò Ago alla gola.

Sansa le mise una mano sulla spalla e venne avanti. “Hai complottato contro la mia famiglia” sibilò e Arya non l’aveva mai vista così arrabbiata, “hai tentato di far uccidere mia sorella. Questo è imperdonabile.” Sansa sollevò il mento. “Sarai incarcerato” disse con voce fredda come il ghiaccio, “in attesa della tua condanna.” Baelish strinse le labbra.

In quel momento sopraggiunse Cley Cerwyn con la sua scorta. “Cosa succede, mia signora?” chiese preoccupato “Abbiamo sentito gridare e poi ululati di lupi…” Il suo sguardo si spostava nervoso da Sansa, a Baelish fino ad Arya, che aveva ancora un coltello e una spada braavosiana in mano.

“Abbiamo catturato lord Baelish” spiegò Sansa con calma, “saresti così gentile da accompagnarlo nelle segrete?” Cerwyn chinò il capo e fece un cenno ai suoi uomini. Immediatamente i lupi si allontanarono e i soldati poterono afferrare Ditocorto. Stranamente Baelish non si divincolò, né tentò nuovamente di fuggire.

Rimaste sole nel Parco degli Dei, con solo il vento della notte a colmare quel tetro silenzio, Sansa e Arya si guardarono. Poi lasciarono cadere le armi e si abbracciarono. Arya non ricordava nemmeno l’ultima volta che si era sentita così in pace. Affondò le dita nei capelli fiammanti di sua sorellla scompigliandoli, ma Sansa non protestò. Arya si accorse che stava piangendo in silenzio.

“Arya... mi dispiace, mi dispiace tanto…” Si separarono e Sansa aveva già gli occhi gonfi.

“Non è stata colpa tua” disse Arya.

“Sono tua sorella maggiore” singhiozzò Sansa, “avrei dovuto proteggerti e invece ero così egoista… Perdonami, ti prego…”

Arya trovò la forza di sorridere. “Già fatto” replicò, “tanti anni fa.” Sua sorella continuava a piangere e Arya le mise una mano sulla spalla.

“Vorrei essere fuggita insieme a te da Approdo del Re” mormorò Sansa, “sarei dovuta venire via… E’ stato orribile.”

Arya sapeva che era meglio non sottolineare tutti gli orrori che aveva dovuto affrontare lei. Le diede un colpetto gentile sulla schiena. “Forza” la incoraggiò, “dobbiamo difendere il nostro castello, non credi?” Fece una piccola pausa. “Insieme” concluse stringendo forte la mano di sua sorella. Sansa annuì.

Raccolsero spade e daga e si diressero nuovamente verso le mura, i lupi che le seguivano tenendosi alla giusta distanza insieme a Nymeria e Spettro. I colpi d’ariete non erano cessati, ma non avevano minimamente intaccato la resistenza del portone di legno. Arya ne fu compiaciuta. Salirono sui bastioni e si sporsero. La situazione non era cambiata e rimaneva in stato di stallo. Tutti le guardavano sorpresi, ma nessuno si azzardò a fermarle, forse anche per via dei due meta-lupi che venivano con loro.

“La vostra ribellione è finita!” urlò Sansa “Abbiamo catturato il traditore lord Baelish, ma tutti voi siete innocenti. Sospendete immediatamente l’attacco e saremo clementi. Scriverò io stessa a lord Arryn, sono sicura accetterà questa nuova situazione. Alzate la bandiera bianca e noi permetteremo ai vostri lord di entrare per dichiarare ancora una volta la loro fedeltà a casa Stark.”

I colpi d’ariete al portone erano terminati. Sansa ed Arya rimasero a guardare tutti quei cavalieri. Poi un cavallo venne avanti e il suo padrone scese a terra. Tirò fuori un fazzoletto bianco, una macchia ben visibile nella notte, e lo legò alla propria spada. In molti lo imitarono. I più reticenti tentarono di arretrare verso la Foresta del Lupo, ma Arya vide che la Fratellanza era lì ad aspettarli. Deve essere stata Sansa ad ordinare così, realizzò.

Ormai il campo sembrava punteggiato da piccoli pezzi di stoffa candidi e Sansa annuì. “Che sia aperto il portone” ordinò, “e che a tutti i nobili signori della Valle sia permesso l’ingresso. I loro soldati torneranno all’accampamento.” Sansa scese nuovamente la scala di legno ed Arya la seguì. Una folla si stava accalcando vicino al portone che si stava spalancando.

Sansa si fece largo senza eccessiva cortesia. “Miei signori” disse ad alta voce agli alfieri di Grande Inverno, “accompagnate i nostri ospiti nella Sala Grande e reggiungeteci là. Accetteremo i giuramenti di fedeltà e terremo i processi di Petyr Baelish e Yohn Royce.”

“Mia signora” obbiettò lord Glover, “forse non è il caso di rimandare queste cose a domani mattina? Non credi abbiamo tutti bisogno di riposo?”

Sansa sollevò un sopracciglio. “Qualcosa lo rimanderemo a domani” assicurò, “le esecuzioni.” Detto questo, si diresse verso il palazzo con Arya che le veniva dietro.

Entrarono nella Sala Grande, che nel frattempo era stata rimessa in ordine, ed Arya provò un brivido di trepidazione quando tornò a sedersi al lungo tavolo di legno affianco a sua sorella. Nymeria e Spettro si accucciarono ai loro piedi e Sansa sorrise. “Bentornata a casa” sussurrò e la gente iniziò a entrare. I signori del Nord presero posto ai lunghi tavoli ancora visibilmente scombussolati.

Poi Podrick corse dentro. Quando vide Arya dovette riconoscerla, perché rimase paralizzato. “Arya?” chiese esterrefatto nella confusione che regnava in quella sala “Sei davvero Arya Stark?” Arya annuì e Podrick boccheggiò.

“Perché sei qui?” chiese Sansa e il ragazzo parve ridestarsi.

“Beric Dondarrion dice che i bruti sono arrivati” disse lui, “chiede quali siano gli ordini.”

Arya vide che sua sorella si era rilassata. “Dì a Beric di venire qui insieme a Thoros, il Mastino e Tormund” disse Sansa. “Gli altri possono tornare al loro accampamento.” Podrick annuì e uscì con la sua buffa corsetta a gambe larghe. Poi Sansa fece cenno al primo lord della Valle di avvicinarsi. Trascorsero quasi un’ora ad ascoltare lo stesso giuramento di fedeltà, a guardare uomini inginocchiarsi e posare a terra le proprie spade. Arya si stava annoiando a morte, ma Sansa non mostrava cenno di cedimento.

Alla fine fu portato al loro cospetto Yohn Royce. Aveva le mani legate davanti allo stomaco e sembrava smarrito. Appena vide Sansa, cadde in ginocchio. “Mia signora” balbettò, “ti scongiuro di credermi: ho fatto quello che ho fatto solo perché Baelish mi ha costretto.”

Sansa lo ignorò. “Yohn Royce, lord di Runestone e tutore di Robin Arryn” iniziò con voce profonda, “sei accusato di aver cospirato insieme a lord Baelish per spodestare il Re del Nord. Come ti difendi?”

Royce sussultò. “Io non c’entro!” esclamò con voce strozzata “Mi ha costretto. Avrei dovuto obbedirli o mi avrebbe fatto giustiziare… Ti prego, mia signora…”

Sansa lo stava osservando. “Miei signori” disse rivolgendosi alle tavolate, “chiedo il vostro parere.”

“E’ colpevole!” gridò lord Cerwyn “E’ anche troppo vigliacco per ammetterlo.”

“Palesemente colpevole” borbottò l’anziano Locke.

“Deve essere punito!” esclamò Robett Glover.

“Ma sentitevi!” intervenne acida Barbrey Dustin “Sono qui da appena un giorno e già mi sono resa conto del tormento a cui quest’uomo è stato sottoposto da Baelish. Come potete essere stati così ciechi da non accorgervene tanto a lungo? E’ stato obbligato…”

“Poteva sempre rifiutare, mia signora” ribatté Robett, “e mantenere il suo onore intatto.”

“Ti ricordo, lord Glover” si intromise Lyanna Mormont, “che anche tu, così come la maggior parte dei lord qui presenti, hai obbedito per lungo tempo a Ramsay Bolton. Sai quindi cosa si prova quando si ha paura e nemmeno in quel caso ti ricordasti del tuo onore o di ciò che era giusto.” Robett Glover era ammutolito imbarazzato.

“Il nostro re e la nostra signora sanno perdonare” andò avanti lady Mormont, “o le teste di più della metà della gente che ora è seduta in questa stanza sarebbero dovute essere infilate su delle picche.” La sala divenne silenziosa.

Poi Sansa si alzò in piedi. “Lord Royce” chiamò e Yohn sollevò lo sguardo, “ti permetto di fare ritorno nella Valle con i tuoi uomini a due condizioni. Dovrai giurare nuovamente fedeltà alla mia casata e convincere lord Arryn a cessare ogni ostilità nei confronti del Nord e a riconoscere mio fratello come suo re. Il suo titolo di lord rimarrà intatto. Se accetti queste condizioni sei libero di andare.”

Royce si prostrò ai suoi piedi. “Giuro che la mia fedeltà non vacillerà mai più” balbettò con voce tremante, “e mi auguro di poter servire adeguatamente casa Stark fino al giorno della mia morte. Parlerò con lord Robin e lo persuaderò ad abbandonare l’idea di questa follia, che, ne sono sicuro, non è partita da lui. Che gli dei ti benedicano, mia signora.”

Sansa annuì. “Partirai domani all’alba” decretò, “per ora ti permetterò di ritornare alle tue stanze.” Royce si inchinò profondamente e fu scortato fuori.

L’atmosfera nella sala iniziò a scaldarsi e Arya seppe in anticipo che stava per essere portato a giudizio Ditocorto. Baelish entrò nella sala con volto impassibile e non dovette neppure essere trascinato. Camminava lentamente, con la schiena ben’eretta e guardava Sansa negli occhi. “Lord Baelish” disse lei con voce tagliente, “sei accusato di tradimento, manipolazione, menzogna, cospirazione e tentativo di colpo di stato. Tutto il Nord è stato testimone delle tue azioni, ma hai qualcosa da dire a tua discolpa?”

Ditocorto sorrise. “Sono fiero” disse, “di averti fatto da maestro di vita Sansa, provo orgoglio vedendoti oggi così.”

Non sembrava intenzionato a proseguire, perciò Sansa annuì. “Molto bene” disse asciutta, “se non vuoi aggiungere altro, sarai scortato nuovamente nella tua cella. Domani mattina si terrà la tua esecuzione.” Anche mentre veniva condotto via, Baelish non smise un attimo di sorridere. Arya moriva dalla voglia di prenderlo a pugni.

Sansa scrollò appena il capo. “Ma ora è tempo di una meravigliosa notizia!” esclamò con voce commossa rivolta alla sala “E’ con immensa gioia che vi presento mia sorella, Arya Stark.”

L’annuncio fu seguito da qualche secondo di puro tangibile stupore. Poi i presenti esplosero in urla di felicità. Arya venne loro incontro, con Nymeria sempre al suo fianco, e sorrise. Tutti la chiamavano, tutti le facevano domande e dicevano il suo nome. Non si era mai sentita così ben voluta in tutta la sua vita.

“Lupa di Sangue!” esclamavano delle voci dal fondo della sala ed Arya seppe che la Fratellanza era arrivata. Sansa le venne vicino e le strinse forte la mano. Casa Stark esiste ancora, pensò Arya, ora e per sempre.

Quella notte andarono a dormire che era quasi l’alba. Le loro stanze erano ancora vicine e Sansa sorrise quando aprì la porta. “Sansa” la chiamò Arya e la sorella esitò, “come hai fatto ad uccidere Alys Karstark?”

Sansa fece una risatina. “L’ho infilzata con la punta” rivelò a bassa voce ed Arya provò ammirazione. Poi, incurante del cadavere che ancora giaceva ai piedi del suo letto, si mise sotto le coperte addormentandosi immediatamente.

Solo poche ore più tardi erano nuovamente tutti riuniti nel cortile. E’ strano portare di nuovo i colori degli Stark, si disse Arya giocherellando con la piccola spilla a forma di meta-lupo. Aveva perfino permesso a sua sorella di farle le trecce. Sansa invece appariva radiosa, nonostante le occhiaie bluastre, e salutava tutti i lord che si riversavano in quel fazzoletto di terra.

Quando il ceppo sporco di sangue secco fu posizionato, Arya non poté resistere e fece una smorfia. Ci siamo, pensò e Baelish fu fatto rimanere in piedi, mani incatenate dietro la schiena, davanti al pezzo di legno. Aveva i capelli scompigliati e indossava una semplice camicia grigia mezza sbottonata, ma non sembrava spaventato. Sansa ed Arya gli si pararono di fronte, mentre i presenti si sistemavano in cerchio intorno a loro. Tra di essi c’erano anche i membri della Fratellanza, Tormund con i suoi bruti e il Mastino, che stranamente rimaneva in silenzio.

Sansa fece un passo avanti, il vento che le gonfiava il mantello scuro. “Petyr Baelish” inziò con voce solenne tenendo in mano Ambra, “lord di Harrenhal e lord potettore della Valle, in nome di Jon Snow Re del Nord, del Tridente e della Valle, io, Sansa di casa Stark, lady di Grande Inverno e di Forte Terrore e principessa del Nord ti condanno a morte.” Fece una pausa. “Hai delle ultime parole?”

Ditocorto sorrise. “Ti auguro di essere felice” disse solamente e piegò spontaneamente la testa sul ceppo. Arya ricordava bene le parole di suo padre: chi proclama la sentenza deve anche eseguirla. Sansa però esitava.

Arya allora le si affiancò. “Posso farlo io” sussurrò, “lascialo a me…”

Sansa si voltò verso di lei incerta. “Hai mai ucciso qualcuno?” chiese con un filo di voce .

Arya trattenne a stento le risa. “Ho ucciso io Walder Frey” mormorò e gli occhi di Sansa brillarono di sorpresa e ammirazione. Poi lei annuì.

“Ago non può tagliare teste” continuò Arya, “puoi prestarmi Ambra?”

Sansa le porse la spada ed Arya se la passò da una mano all’altra. Era davvero leggera, quasi snella quanto Ago. Baelish non si muoveva ed Arya gli venne più vicino. Sansa non stava distogliendo lo sguardo e aveva le labbra serrate. Quando Arya sollevò la spada poté sentire tutti i presenti trattenere il respiro con un sol uomo. Questo è per mio padre, pensò facendo calare la spada sul collo di Ditocorto. Il sangue spruzzò immediatamente, ma Arya non si ritrasse e neppure Sansa lo fece. Mentre la testa di Baelish rotolava lasciando nella neve fresca una tetra scia rossa, Arya e Sansa, a lati opposti del ceppo, sollevarono contemporaneamente lo sguardo e si fissarono.

Il Nord era appena stato liberato.

 

Jaime

 

Fu di gran lunga la marcia più estenuante di tutta la sua vita. Camminarono nelle basse acque gelide del Mander e risalirono verso nord. Presto Jaime non sentì più i piedi, ma non avevano altra scelta se non quella di proseguire. Non avevano nemmeno cavalli ed erano costretti a mantenere un passo sostenuto se speravano di non essere trovati dagli esploratori dei Tyrell. Jaime voleva solo uscire dall’Altopiano il più in fretta possibile.

Superarono Sala dei Cedri, ma non sostarono: erano ancora troppo vicini ad Alto Giardino. Quando arrivarono a Ponteamaro, tuttavia, Jaime dovette cedere alle richieste dei suoi soldati sfiniti e fermare la comitiva in una locanda per la notte. Ebbero modo perciò di lavarsi e indossare abiti più comodi al posto delle pesanti armature di metallo. Jaime rimase sveglio tutta la notte tentando di scrivere una lettera a Cersei che non provocasse un suo istantaneo scatto di collera. Continuava a scrivere e stracciare fogli. Quando il sole sorse, si arrese e legò alla zampa del corvo l’ultimo messaggio che aveva buttato giù. Che Cersei se la prenda pure, pensò con amarezza vestendosi, stavolta ha ragione.

La missione ad Alto Giardino era stata un completo disastro e Jaime si era salvato solo grazie all’intervento di Brienne. Quando le aveva detto addio, sola sulle mura e in lacrime, Jaime aveva desiderato di poter fare una scelta diversa. Avrebbe potuto seguirla a Nord, ricominciare una vita normale lontano da quella follia. Ma non posso, pensava e quella convinzione feriva più di qualsiasi arma. Non esisteva uno scenario in cui gli era concesso di trascorrere gli anni che gli restavano in pace. Davanti a lui c’era solo incertezza, dolore e morte. Non voleva abbandonare Cersei e in parte si incolpava per come era diventata. Non ero con lei quando avevo bisogno di me, si diceva tormentandosi, non l’ho aiutata abbastanza.

Tutto quello che Cersei aveva subìto era stato a causa della sua incapacità di proteggerla. Era probabilmente troppo tardi per sperare di rimediare, ma Jaime doveva tornare indietro e affrontare le conseguenze delle sue azioni: non c’era via di fuga.

Ripresero il cammino il giorno seguente e stavolta percorsero la Strada delle Rose. Correvano grandi rischi lungo quella via, ma fortunatamente la strada era deserta. Arrivarono sotto le mura di Approdo del Re al tramonto e Jaime fu sorpreso dal trovare un accampamento Lannister alle porte della città. E questi soldati da dove saltano fuori? si chiese mentre il portone veniva aperto.

Cersei non era lì ad accoglierlo, non che Jaime si aspettasse di vederla. Attraversarono esausti le spoglie vie della città e videro occhi spaventati che li spiavano dalle finestre e da dietro porte falsamente sbarrate. Jaime si impose di ignorarli e proseguì fino alla Fortezza Rossa. Fu accolto al portone da Qyburn, sorridente e subdolo come al solito.

Il Primo Cavaliere chinò il capo appena lo vide. “Ser Jaime” lo salutò, “i tuoi soldati troveranno posto nell’accampamento: spero il viaggio di ritorno non sia stato troppo arduo.”

Jaime fu costretto a stirare le labbra in un sorriso. “Una meraviglia” rispose con voce di miele. Poi fece cenno ai suoi uomini superstiti di ritornare all’accampamento. In effetti non avrei dovuto portarli fino a qui. Quando erano entrati in città, però, la sua testa era stata altrove.

Qyburn sorrise. “Sua grazia vuole vederti” annunciò, “seguimi per favore.” Jaime gli venne dietro e presto realizzò non erano diretti nelle stanze di Cersei.

Poi Qyburn si fermò. “Devo avvertirti” lo mise in guardia, “sua grazia non è del suo umore migliore.” Jaime l’aveva immaginato, ma sentì lo stesso un brivido scendergli lungo la schiena. Qyburn aprì la porta e lo lasciò entrare. Cersei sedeva rigida sul Trono di Spade e la sala era deserta. Jaime venne avanti, gli occhi di ghiaccio di sua sorella che lo trapassavano.

“Grazie, Qyburn” disse la regina, “puoi andare. Ricorda a ser Gregor di rimanere a guardia della porta e poi torna a dedicarti ai tuoi compiti. Rafforza la rete di spie: voglio sapere cosa succede nell’Altopiano.”

Qyburn si inchinò. “Sarà fatto, vostra grazia” disse ed uscì chiudendosi la pesante porta alle spalle.

Jaime tornò a concentrarsi su Cersei. Era vestita di nero, come succedeva sempre più di frequente ormai, e portava la corona d’argento sui corti capelli biondi che arrivavano ora a sfiorare la nuca. Stringeva le dita intorno alle lame dei braccioli fino a far diventare bianche le nocche e a Jaime parve di rivedere Aerys Targaryen con le mani ferite ed eternamente sanguinanti.

“Non ti conviene stringere così forte” l’avvertì accennando ai braccioli, “o finirai per tagliarti.”

“Credi di essere spiritoso?” lo apostrofò acida Cersei “Lo sai chi era spiritoso? Il nostro caro fratellino…”

Jaime abbassò lo sguardo. “Cersei…” iniziò, ma lei alzò una mano per farlo tacere. Jaime ammutolì.

“Ti avevo affidato il mio esercito. Dovevi solamente prendere un castello deserto e…”

“Non era deserto.”

Cersei fece una smorfia. “No, certo che no” replicò, “sei addirittura riuscito a farti incastrare da una donnetta.”

Jaime strinse le labbra. “Alerie si è suicidata davanti ai miei occhi” disse con voce grave venendo avanti, “dovresti ammirare il suo coraggio, non denigrarlo.”

Cersei sbuffò. “Il suicidio è l’arma dei deboli” replicò gelida, “di coloro che sanno di non poter vincere e di non avere la forza per controbattere.”

Jaime d’istinto pensò a Tommen. E lui perché l’ha fatto Cersei? pensò Forse perché avevi distrutto tutto ciò a cui teneva, perché avevi spazzato via il suo regno? Ma quelli restarono solo pensieri. “Cersei” disse tentando un’altra strategia, “ho fatto tutto quello che ho potuto, i miei uomini sono morti per te…”

“I miei uomini vorrai dire. E hanno fatto proprio quello che non dovevano: morire.”

Jaime indicò la porta. “Abbiamo combattuto” disse, “siamo stati traditi dai nostri stessi alleati, c’erano dei Dothraki e un labirinto…”

“Non mi interessano i problemi che avete dovuto affrontare” ribatté Cersei. “Era una battaglia, cosa credevi di trovare? So solo che Alto Giardino è ancora nelle mani dei nostri nemici e che Daenerys è sempre più forte, mentre noi ci siamo indeboliti.”

Jaime si morse il labbro. “Ci rifaremo” promise, “ne sono certo, ti do la mia parola.”

Cersei rise. “La tua parola?” chiese sarcastica alzandosi in piedi “Credi conti ancora qualcosa per me la tua parola? Mi hai promesso tante cose in questi anni, Jaime, e non hai mai tenuto fede alla tua parola.” Cersei gli venne incontro e Jaime non si mosse. “Mi avevi promesso che saresti rimasto sempre al mio fianco” sussurrò, “che non avresti permesso a nessuno di farmi del male, che avresti protetto i nostri figli…”

Non potevo proteggerli da te. “Mi dispiace” disse Jaime, “davvero, so che in parte è stata colpa mia, ma voglio rimediare… Sono tornato per questo…” Cersei lo fissava con uno sguardo indecifrabile. Le faccio ribrezzo, realizzò Jaime e sentì qualcosa dentro di lui risvegliarsi: la rabbia.

“Con le tue azioni hai messo in pericolo la nostra famiglia” stava dicendo Cersei, “e il mio regno. Non ti si possono affidare nemmeno i compiti più facili.”

“Avevamo Alto Giardino” replicò Jaime alzando la voce, “avevamo alzato il vessillo del leone, i nostri soldati erano nei cortili…”

“E allora poi cos’è successo?” chiese freddamente Cersei “Se la missione stava procedendo così bene, allora perché sei tornato con ottanta uomini?”

“Ottantasei” non poté far a meno di correggerla Jaime e gli occhi di Cersei si infiammarono.

“E’ tutto uno scherzo per te?” chiese la regina dandogli una spinta sul petto abbastanza forte da farlo barcollare.

“Ti ho già detto che voglio rimediare!” ripeté Jaime quasi urlando.

Cersei gli voltò le spalle. Camminò fino all’unico tavolino presente nella sala e si versò il vino. Poi si sedette nuovamente sul Trono di Spade. “Allora sentiamo” disse portandosi il calice alle labbra, “Cosa intendi fare per fermare Daenerys Targaryen?”

Jaime si ricompose. “Tentare di prendere l’Altopiano con la forza è stato un errore” disse, “forse avremmo dovuto convocare i lord e discutere.”

Cersei rise. “Non ci sarà più niente da discutere” ribatté, “Olenna Tyrell è morta.”

Jaime sussultò. “Come è accaduto?” chiese incredulo rifiutando di credere che fosse un crollo dovuto alla vecchiaia.

“Di certo non per merito tuo” replicò Cersei e Jaime incassò il colpo, “pare sia stato veleno…”

“Che ne sarà dell’esercito dell’Altopiano e dei Dothraki?” 

Cersei scrollò le spalle. “Se somo saggi resteranno ad Alto Giardino.”

Jaime era scettico. “Garth Hightower ha il comando” disse, “e vuole vendetta per sua sorella e per i suoi nipoti. Non credo si fermerà.”

Cersei sospirò. “In ogni caso il nostro problema primario è un altro” osservò, “Euron ha attaccato Roccia del Drago con tutti i suoi Uomini di Ferro e i miei mercenari riuscendo anche a perdere. Daenerys ha ottenuto l’alleanza di ventimila uomini delle Terre della Tempesta ed ha lasciato l’isola.”

Jaime era rimasto immobile. La situazione era davvero degenerata. “Dove è diretta?” chiese preoccupato “Credi vorrà attaccare Approdo del Re ora?”

Cersei scosse la testa. “Dovrà prima aspettare di riunirsi alla guarnigione di Alto Giardino” spiegò, “per il momento tenterà di sbarcare da qualche parte nelle terre della Corona. Ho già mandato corvi a tutti i lord e detto loro di opporsi al suo arrivo con ogni mezzo.” Jaime sapeva che ciò non sarebbe mai stato possibile, ma non disse nulla.

“Quindi ora siamo qui” proseguì Cersei posando il gomito destro sul bracciolo, “cosa mi consigli di fare?”

Ah, adesso chiede la mia opinione? pensò Jaime irritato Qyburn non è più disponibile? In ogni caso tentò di pensare ad una soluzione. “Potremmo andarle incontro” suggerì, “spostando la battaglia lontano dalla città…”

Cersei fece una smorfia. “Sei uscito di senno?” chiese nuovamente rabbiosa “Affrontare quei suoi sporchi soldati stranieri in campo aperto? No, mai: resteremo all’interno delle mura di Approdo del Re.”

“Cersei, Daenerys ha tre draghi” le ricordò Jaime, “potrebbe mettere a ferro e fuoco la città.”

“Potrebbe” concesse Cersei, “ma il mio esercito la fermerà prima.”

Jaime capì che si riferiva ai soldati accampati alle porte di Approdo del Re. “Dove hai trovato così tanti soldati?” chiese sospettoso.

Cersei sorrise. “Ho tolto la guarnigione da Castel Granito” spiegò, “e reclutato ogni uomo in grado di tenere in mano una lancia in tutto l’Ovest.”

Jaime era esterrefatto. “Nemmeno nei momenti più accesi della guerra nostro padre avrebbe mai anche solo pensato di lasciare sguarnito Castel Granito.”

Cersei alzò gli occhi al cielo. “E tu come fai a sapere cosa pensava?” chiese “Se ricordo bene eri a marcire in una cella…”

Jaime avanzò. “Cersei, è pericoloso” l’avvisò, “e se Daenerys decidesse di prendere Castel Granito?”

“Non lo farà mai, è troppo presa dalla sua ridicola rivendicazione al Trono” replicò Cersei con noncuranza. “E se anche dovesse espugnare Castel Granito, cosa avremmo perso? Non c’è più oro nelle miniere di Lannisport…”

Jaime non poteva credere stesse parlando sul serio. “E’ il castello della nostra famiglia” disse tentando di mantenere la calma, “appartiena ai Lannister da…”

“Oh, ti prego risparmiami i discorsi di nostro padre” lo interruppe annoiata Cersei, “li conosco molto meglio di te. I miei soldati servono qui, la questione è chiusa.”

Jaime sapeva bene non aveva senso insistere. “Bronn è morto” disse dopo un momento di silenzio, “è stato ucciso da Randyll Tarly.”

Cersei non parve scossa da quella notizia. “Era solo un mercenario” osservò, “se non fosse stato per lui Tyrion sarebbe stato giustiziato a Nido dell’Aquila e tutte queste tragedie non sarebbero avvenute.”

“E chi avrebbe salvato la città da Stannis?” si lasciò sfuggire Jaime.

Cersei lo fissò intensamente. “Tywin Lannister ha salvato la città da Stannis” lo corresse scandendo bene le parole.

“Il trucco dell’Altofuoco però è stato opera di Tyrion” insistette con amarezza Jaime.

“L’idea era stata mia.”

Jaime sentì un vuoto nello stomaco. Incapace di ribattere, preferì rimanere in silenzio. Trascorsero momenti di tensione. “Posso andare?” chiese infine Jaime “Vostra grazia?” Cersei annuì senza guardarlo e Jaime le voltò le spalle, incamminandosi verso l’uscita. Aveva urgentemente bisogno d’aria. Uscì sul terrazzo e si aggrappò con l’unica mano al davanzale. Davanti a lui si allargava Approdo del Re, le macerie del Tempio di Baelor ancora polverose. La città era quieta, come in attesa di qualcosa. La paura l’ha paralizzata, realizzò con dolore Jaime, la gente si è rassegnata.

Stranamente quel pensiero risvegliava in lui uno strano desiderio di ribellione. Nessuno proteggerà la città quando Daenerys arriverà con i suoi draghi, pensò, perciò lo devo fare io. Tutti avrebbero combattuto per il potere, per la vendetta, per il Trono di Spade, ma lui non avrebbe dimenticato il popolo che tanto stava soffrendo anche a causa sua. Proteggerò Approdo del Re dai Dothraki, si disse Jaime, dagli Immacolati, dalla vendetta dell’Altopiano, dal fuoco dei draghi.

Ma soprattutto avrebbe protetto la città da Cersei.

 

Daenerys

 

Dopo il cosiglio Daenerys, Jon e Tyrion erano scesi nei sotterranei a recuperare il Vetro di Drago. Tyrion faceva strada con la fiaccola in mano e, come primo esploratore, fu quello che più andò a sbattere contro le insidiose rocce affilate delle pareti. Dany procedeva a rilento, tastando bene la pietra con la mano prima di proseguire. Nel buio che li circondava riusciva a distinguere solo lo scintillio dell’armatura di Jon, che la precedeva. Nessuno di loro sapeva esattamente dove fossero diretti, ma andavano avanti. Alla fine di un lungo corridoio oscuro Tyrion si fermò di colpo e Daenerys rischiò quasi di andare addosso a Jon.

“Cosa c’è?” chiese lui.

“Credo di aver trovato qualcosa” disse Tyrion chinandosi a terra. Raccolse quel qualcosa e lo porse a Jon, che lo esaminò. “E’ Vetro di Drago” decretò e lo passò a Daenerys, “vuol dire che ce n’è altro qui intorno.”

Dany si rigirò il pezzo di Ossidiana fra le mani. Era a forma di rozzo pugnale ed aveva i bordi sceggiati. Nonostante non fosse stato ancora lavorato, appariva liscio al tatto, proprio come il vero vetro. Tyrion e Jon ne avevano raccolti un’altra decina.

“Come hanno fatto ad arrivarci quaggiù?” chiese Daenerys.

Jon si voltò verso di lei. “Non ne ho idea” ammise. “I Guardiani della Notte ne hanno trovati alcuni al Pugno dei Primi Uomini, oltre la Barriera, ma non sappiamo come ci siano arrivati.”

Daenerys abbassò nuovamente lo sguardo sulla strana arma. “Ma che cos’è esattamente?” insistette “E come mai può uccidere gli Estranei?” Jon non sembrava in grado di rispondere.

“Alcuni ritengono il Vetro di Drago derivi dal respiro di drago congelato” si intromise Tyrion continuando a frugare in terra, “altri che sia stato creato tramite la magia dei Figli della Foresta, altri ancora che fu portato qui dai Primi Uomini.” Si sollevò in piedi, le braccia cariche di Ossidiana. “Non credo ci sarà dato sapere la verità” concluse, “ma se può uccidere gli Estranei, è l’arma perfetta.”

Presto si resero conto che non sarebbe mai stato possibile per loro tre trasportare tutto il Vetro di Drago in superficie, così Daenerys decise che avrebbe inviato gli Immacolati più tardi. Quando finalmente lasciarono quel posto umido e scomodo, il sole era già tramontato.

“Non credo qualcuno abbia voglia di cenare stasera” osservò Tyrion, “io penso proprio me ne andrò a letto.” Il nano represse un gigantesco sbadiglio dietro la mano ed accennò un saluto. Poi si allontanò fischiettando.

“Darò ordini ai cuochi di servire da mangiare a chiunque lo chieda” disse Daenerys, “ma neanch’io ho fame. Tu ne hai?” Jon scosse la testa. La battaglia l’aveva davvero provato e Dany sapeva di non star messa certo meglio. I miei draghi mi hanno abbandonata, pensò, sono stata tradita ed alcuni fra i mei più valenti soldati sono morti.

Quel pomeriggio era andata a trovare Jorah, nuovamente messo a letto da maestro Pylos. “Khaleesi” l’aveva salutata Jorah, “sono felice tu stia bene.” Dany si era subito accertata che la ferita alla gamba di Jorah non fosse troppo grave.

Fortunatamente maestro Pylos l’aveva tranquillizzata. “Non preoccuparti, vostra grazia” aveva detto, “solo una ferita, neanche troppo profonda, domani mattina sarà già in grado di camminare in modo corretto.” Jon invece si era rifiutato di far esaminare da Pylos le sue di ferite e Daenerys aveva smesso di chiedere.

Era andata vicino a Jorah ed aveva sorriso. “Continui a salvarmi la vita” aveva sussurrato, “e io non so più come ringraziarti.” Jorah aveva abbassato lo sguardo imbarazzato.

“Daario Naharis ha cercato di uccidermi” aveva sussurato Dany prima di essere vinta dalla commozione, “m-mia ha tradita e poi…”

“E’ tutto finito” aveva detto Jorah con una smorfia di dolore, “è morto.”

“Ha detto era stata colpa mia” aveva mormorato Daenerys piangendo, “ha detto l’avevo abbandonato… Forse aveva ragione lui, io sono stata una sciocca…”

“No!” aveva esclamato Jorah prendendole i polsi “Non lo dire mai più! Se davvero ti avesse amata, ti avrebbe saputo lasciar andare: l’ha fatto solo per oro.” Ma Dany sapeva Jorah si sbagliava. Daario era il tradimento per amore, aveva pensato, l’oro non c’entra.

Quella notte, nonostante il sonno arretrato e l’incredibile stanchezza, Daenerys non era riuscita a dormire bene. Continuava a muoversi, a sbadigliare e non si fidava a tenere gli occhi chiusi.

La mattina dopo invece non riusciva a tenerli aperti. Sembrava che gli altri fossero riusciti a riposarsi molto meglio di lei, soprattutto Tyrion, che appariva piuttosto allegro. Scesero alla spiaggia dopo colazione e Daenerys diede ordine di preparare le navi. Tutto il Vetro di Drago raccolto fu caricato sulla Furia Grigia, una delle navi dirette a Porto Bianco.

Anche quella mattina Dany si sforzò di ripetere l’ennesimo discorso preparato d’incoraggiamento e poi vennero i saluti. Le prime navi a salpare furono quelle di Yara, dirette alle Isole di Ferro, e poi fu il turno delle imbarcazioni degli Immacolati, che si apprestavano a espugnare Castel Granito. Daenerys osservò commossa Missandei e Verme Grigio stringersi in un abbraccio e Tyrion agitare la mano dalla nave in segno di saluto. Non avrebbe mai voluto dividere in quel modo il suo esercito, ma non c’era scelta. I nemici erano forti e loro dovevano assicurarsi di avere terreno saldo su più fronti possibili.

Poi Jon era andato a salutare Davos, mentre Tyene, Benjameen, Missandei e Theon salivano sulla nave. Daenerys aveva dato disposizioni affinché Jorah fosse scortato nella sua cabina all’alba, in modo da lasciarlo poi riposare. Presto Jon fu di ritorno e Daenerys vide Davos e Gendry allontanarsi sul molo. Si voltò un’ultima volta verso l’isola. Era strano lasciarla così presto dopo averla sognata così a lungo.

Jon le prese la mano. “Andiamo?” chiese a bassa voce e Dany annuì. Salirono insieme sulla Raggio di Luce e rimasero a guardare la costa che si allontanava. Avevano virato verso nord, e poi si sarebbero diretti ad occidente. Presto le navi della Tempesta, che per il primo tratto li avevano affiancati, non furono più in vista. Fu allora che Daenerys sentì Jon sospirare, un sospiro lungo, quasi sconsolato.

“Qualcosa non va?” chiese girandosi verso di lui.

Jon tenne gli occhi bassi, fissi sulla scia che la loro nave lasciava sull’acqua. “Sarei dovuto andare con loro” disse in tono mesto, “sarei dovuto tornare da mia sorella. Sono settimane che non ricevo sue notizie, sono preoccupato.”

Daenerys si morse il labbro. “Io non avrei voluto tenerti lontano dalla tua famiglia” confidò, “mi dispiace, non odiarmi per questo.”

Jon voltò la testa a guardarla, i gomiti poggiati sul parapetto. “Io non ti odio” replicò, “so che è mio dovere seguirti ora che noi…” Fece cadere la frase e tornò a fissare il mare.

Dany si sentiva sempre più a disagio e non sapeva cosa dire. “Non mi hai più parlato del Nord” riuscì a tirare fuori infine.

Jon sospirò di nuovo. “Non so se ne ho voglia ora” rispose e raddrizzò la schiena. “Dove sono i tuoi draghi?”

Dany non avrebbe voluto rispodere. “Rhaegal ci sta seguendo” rispose con un filo di voce, “Drogon l’ho visto stamattina: era ancora scosso, ma credo abbia capito che deve venire con noi. Di Viserion ancora nessuna traccia.”

“Dove credi sia andato?” chiese Jon e Daenerys pensò a quante volte aveva posto a sé stessa quella domanda.

“Non lo so.”

Jon la stava guardando.

“Ti ringrazio per quello che hai fatto con Euron” mormorò Daenerys senza guardarlo negli occhi, “Verme Grigio mi ha raccontato tutto. Hai rischiato di morire…”

Jon rise. “Si rischia di morire tutti i giorni” osservò con voce leggera.

“Valar Morghulis” mormorò Dany prima di accorgersi di aver parlato in valyriano.

Stranamente Jon non sembrava confuso. “Tutti gli uomini devono morire” tradusse correttamente.

Daenerys annuì. “Hai paura della morte?”

Jon abbassò nuovamente lo sguardo. “No” rispose con un’amarezza che Dany non comprese.

“Io ne sono terrorizzata” disse lei e Jon la guardò, “non c’è sera in cui io non vada a letto con la paura e mattina in cui non mi svegli con questo stesso pensiero. Ho paura di morire prima di aver avuto l’opportunità di vivere la vita che ho sempre sognato, la vita per cui mi preparo da sempre.” Daenerys sospirò. “Sai” continuò, “forse sono sempre stata così ossessionata dall’idea della morte e di ciò che avrei potuto perdere da dimenticarmi di vivere il presente.”

“E’ un problema di molti, dicono” osservò con gentilezza Jon.

Dany sorrise tristemente. “All’inizio pensavo di non poter riuscire a vivere fra i Dothraki” rivelò, “erano un popolo così rude, così rozzo e ne avevo paura. La mia relazione con Khal Drogo non era iniziata bene ed ogni notte peggiorava. C’è stato un momento in cui ho pensato di non poter più andare avanti, in cui ho creduto fosse meglio farla finita.”

Jon la ascoltava a bocca aperta. “E che cos’è che ti ha spinto a continuare?” chiese “Che ti ha dato la forza necessaria…”

Daenerys sorrise. “Le mie tre uova di drago” rispose. “Erano la cosa più bella e preziosa che avessi mai posseduto e mi bastava guardarle per ricordarmi chi ero: io sono il sangue del drago ed i draghi non possono avere paura.” Ora anche Jon stava sorridendo. “Da allora ho saputo chi ero” continuò Daenerys, “cosa sarei potuta diventare e quando mi sono lanciata nelle fiamme insieme al cadavere di mio marito non ho avuto paura. E il giorno dopo erano nati i miei draghi.”

Jon sembrava sinceramente colpito. “Vorrei avere la tua sicurezza” disse in tono piatto, “sapere esattamente chi sono, a quale posto davvero appartengo, ma non l’ho mai saputo. Sono stato il bastardo di Grande Inverno, poi una recluta dei Guardiani della Notte, poi un disertore che si era unito ai bruti. Sono diventato Lord Comandante, Re del Nord e ora sto per sposare la regina dei Sette Regni, ma non ho mai trovato il mio posto.”

“Perché hai infranto il tuo giuramento?”

Un’ombra calò sul volto di Jon. “Preferisco non parlarne.” rispose e Daenerys non insistette.

“Quando ci sposeremo” disse lei dopo qualche momento, “ho intenzione di legittimizzarti come Jon Stark e…”

“Così che tu non sfiguri davanti ai Sette Regni sposando un bastardo?”

La voce di Jon era tagliente e Dany ne fu ferita. “Non intendevo questo” si affrettò a dire, “è solo che mi sembrava giusto, tutto qui.”

Jon si era allontanato verso le cabine. “Che ne sai di che cosa è giusto?” chiese “Che ne puo’ sapere un Targaryen, voi che da sempre vi vantate del vostro sangue?”

Daenerys era ammutolita. Perché si è arrabbiato? si chiese con le lacrime agli occhi Cos’ho detto di sbagliato?

Poi Jon si passò una mano sul viso e Dany vide che era pentito. “Perdonami” sussurrò, “non so che cosa mi sia preso.”

Daenerys gli si avvicinò. “Va tutto bene” lo rassicurò, “ma ti prego dimmi perché non vuoi…?”

Jon sospirò e all’improvviso era triste e stanco. “Sono solo Jon Snow” replicò, “solo questo e niente di più. Non chiedermi di essere qualcosa di diverso: non ne sarei capace.”

Daenerys scosse la testa. “Non te lo chiederò mai più” promise e in quel momento arrivò Missandei. La giovane li osservò con un’espressione a metà fra il sorpreso e l’imbarazzato. Jon subito fece un passo indietro.

“Vostra grazia” disse Missandei, “non vorrei disturbare, ma il cuoco dice che è pronto a servire il pranzo.”

Daenerys sorrise. “Grazie per avermi avvertita” replicò, “arriviamo subito. Puoi chiamare anche gli altri per favore?” Missandei chinò il capo e rientrò sottocoperta. Daenerys e Jon si guardarono.

“Sarà meglio andare” disse Jon e Dany annuì. Si recarono insieme nella cabina dove era stato imbandito il tavolo. Presto furono raggiunti anche da Tyene, Benjameen, Missandei e per ultimo Theon, che si portava sempre dietro l’arco di osso di drago. Dany era felice di vedere che si era così affezionato a quel dono. Per prima fu servita la zuppa di legumi e cipolle, che tutti sorseggiarono in religioso silenzio. Poi fu il turno della carne di maiale cotta al sangue, che risultò particolarmente difficile da tagliare. A Theon sfuggì anche la forchetta per terra e ciò bastò a rompere la rigida atmosfera che aveva accompaganto il pasto.

Daenerys sapeva che erano tutti prostrati dalla recente battaglia, che aveva sentito in giro inziava ad essere chiamata la Battaglia delle Cinque Torri, e da quelle future. Tyene aveva perso la madre e due sorelle nel giro di un paio giorni, Missandei era terrorizzata dall’idea di non rivedere più Verme Grigio e Theon era in pensiero per Yara. Poi ovviamente c’era Jon, i cui sentimenti rappresentavano in gran parte ancora un mistero per Daenerys.

Il pranzo si concluse dopo qualche scambio di battute di circostanza. Tutti sembravano avere fretta di tornare nelle proprie stanze. Presto quindi si separarono e ognuno andò per la propria strada senza dire una parola più del necessario. Daenerys vide che Jon stava per uscire e gli prese un braccio. Lui si voltò a guardarla confuso.

“Ti devo far vedere una cosa” disse Dany, “puoi venire nella mia cabina?”

Jon parve pensarci su un attimo. Poi annuì e la seguì fino alla porta della cabina che era stata assegnata alla regina. Daenerys la aprì ed entrambi entrarono. La stanza non era particolarmente grande ed era scarsamente arredata. Aveva un largo finestrino così basso sul mare che le onde spesso colpivano il vetro e una piccola libreria con una decina dei libri più famosi. Il letto però era spazioso e il materasso soffice scompariva sotto le coperte verde-erba. Al centro della stanza c’era il tavolo, con un cesto di frutta sopra. Daenerys lo prese in mano e lo spostò sul comodino. Poi distese un enorme foglio e si scansò per permettere a Jon di vedere.

Lui poggiò le mani sul tavolo ed accarezzò la carta incredulo. “Ma questo è…”

“Il Nord” concluse per lui Daenerys, “l’ho disegnata io stessa copiandola da un vecchio libro: pensavo sarebbe stato un esercizio valido per imparare un po’ di geografia.” Jon era rimasto senza parole.

“Ti piace?” chiese Dany improvvisamente impacciata.

“E’ meravigliosa” rispose Jon con un sorriso e Daenerys sentì il suo cuore accelerare senza un vero motivo.

“Avanti” disse a bassa voce, “raccontami qualcosa…”

Jon si spostò in modo che le fosse esattamente davanti, solo il tavolo a dividerli. “Grande Inverno secondo la leggenda è stato costruito da Brandon il Costruttore” iniziò sbiarciando di tanto in tanto l’espressione di Daenerys, “il fondatore di casa Stark famoso per aver eretto anche la Barriera.”

“E’ davvero alta come la descrivono?” chiese Dany curiosa.

Jon annuì. “Anche di più” disse indicandola sulla cartina, “la prima volta che la vidi pensavo sarei morto prima di arrivare in cima. Quando c’è la nebbia poi non si riesce nemmeno a vedere dove finisce.” Jon indicò qualcosa sul disegno. “Io vivevo al Castello Nero” raccontò e Daenerys percepì qualcosa di molto simile a nostalgia nella sua voce, “insieme alla maggior parte dei Guardiani della Notte. Poi ci sono anche altre fortezze lungo la Barriera, come la Torre delle Ombre e il For…”

“Basta con le nozioni o non ricorderò nulla” scherzò Daenerys, “raccontami di te: voglio sapere come vivevi…”

“Alla Barriera?”

Dany scosse la testa. “Immagino lì la vita fosse noiosa” disse, “dimmi di Grande Inverno…”

Jon deglutì, ma stavolta non si tirò indietro. “Cosa vuoi sapere?”

“Cosa vuoi raccontarmi?”

Jon sorrise. Il suo sguardo si perse nel vuoto. “Da piccolo io e Robb correvamo sulle mura” iniziò con calma. “Ricordo che una volta litigammo mentre eravamo lassù su chi dovesse fare il lord di Grande Inverno nel nostro gioco e lui mi diede una spinta. Io caddi sulla scala e mi storsi una caviglia. Nostro padre mise Robb in punizione dicendo che doveva rimanere in camera da solo per tutto il pomeriggio, ma io lo andai a trovare lo stesso. Lui mi chiese scusa per la spinta e mi promise che almeno una volta mi avebbe fatto fare il lord di Grande Inverno. Ma solo una volta, ricordo che disse.” Jon aveva gli occhi lucidi e Daenerys si sentì in colpa.

“Mia sorella Arya invece mi seguiva ovunque” continuò però lui e sorrise, “era sempre là, con gli occhi sgranati, a guardarmi mentre mi allenavo con la spada. Diceva di voler provare anche lei, ma nostro padre non lo permetteva. Arya non voleva cucire, danzare o suonare uno strumento e scappava sempre dalle sue lezioni facendo infuriare la septa. Dicevano tutti che ci assomigliavamo tantissimo e devo ammettere che con lei avevo un rapporto speciale. Quando ho dovuto dirle addio prima di partire per la Barriera le ho regalato una spada e lei l’ha chiamata Ago.”

Jon sospirò, nuovamente triste. “Sansa dice che Arya è fuggita da Approdo del Re prima dell’esecuzione di nostro padre” disse con voce spenta “e che da allora nessuno aveva saputo cosa le fosse successo. Poi Brienne l’ha incontrata, ma Arya è scappata di nuovo.” Jon tacque. Daenerys provava un sentimento strano in quel momento, mentre sentiva qualcuno raccontare della sua famiglia. Lei non aveva mai avuto una famiglia e non aveva ricordi da condividere. Tutto ciò era incredibilmente frustrante.

“Bran e Rickon invece amavano le storie” continuò all’improvviso Jon e Dany sollevò lo sguardo, “tutte le storie della Vecchia Nan. Ricordo una volta la Vecchia Nan si era ammalata e Rickon venne da me e Robb chiedendo una storia. Tentammo di raccontare loro quella del lord che viveva nella torre insanguinata, ma non ci ricordavamo il finale. Allora abbiamo inventato ed è venuto fuori il racconto più esilarante che abbia mai sentito. Alla fine erano arrivate anche Sansa ed Arya e stavamo tutti ridendo.” Sembrava quasi Jon volesse buttare tutto fuori, come necessitasse di liberarsi di un peso. Mi ha scelto come confidente, realizzò all’improvviso Daenerys e provò un moto d’orgoglio e commozione.

Jon aveva abbassato gli occhi. “E mio padre…” iniziò e Dany si sporse in avanti. Jon si era fermato di nuovo.

“Che uomo era?” chiese allora Daenerys curiosa.

“L’uomo migliore che abbia mai conosciuto” replicò lui, “lo ammiravo tantissimo e il mio unico desiderio era di renderlo orgoglioso diventando come lui. Sognavo che un giorno mi avrebbe reso uno della sua famiglia a tutti gli effetti, uno Stark, e che mi avrebbe donato Ghiaccio, la spada della sua casata. Ma era un sogno stupido.”

“Non è vero!” esclamò Daenerys e Jon la guardò interdetto “Volevi solo essere accettato, non c’è niente di cui vergognarsi.”

Jon rise. “Ero piccolo all’epoca” disse, “non capivo come funzionava il mondo, speravo addirittura che avrei potuto ereditare Grande Inverno. Poi ho capito che non sarebbe mai successo ed ho abbandonato quei sogni.”

“Eppure sei qui” osservò sorridendo Daenerys, “sei Re del Nord, nonostante tutto.”

Jon la guardò negli occhi. “Aye, sono Re del Nord” replicò, “perché la mia famiglia è morta.”

Ma Dany scosse la testa. “Sai, c’è soprattutto una cosa che ammiro di te” rivelò, “dove sei riuscito ad arrivare pur non essendo ambizioso. I tuoi uomini ti seguono perché credono in te, perché ti hanno scelto…”

“Così come fanno i tuoi.”

Dany strinse le labbra. “Metà del mio esercito pensa unicamente alla vendetta” disse, “io rappresento solamente un’alternativa a Cersei.” Poi sollevò la testa. “Ma tu hai unito il Nord” proseguì, “e Tyrion dice che è stata un’azione molto complicata. Hai fatto pace con i bruti e loro hanno combattuto per te.”

“Ho solamente detto loro cosa sarebbe successo se il Nord non si fosse unito” disse Jon.

“Non solo questo” replicò Dany, “tu glielo hai fatto capire e il Nord ha avuto fiducia in te.”

Jon sembrava sorpreso. Daenerys gli si avvicinò facendo ondeggiare leggermente i fianchi. Le sue mani accarezzavano il tavolo e lisciavano il disegno. Jon non si mosse. Daenerys gli andò dietro e gli posò le mani sulle spalle.

Poi si protese in avanti e gli sussurrò in un orecchio. “Sconfiggeremo i nemici” mormorò, “i miei, i tuoi: tutti quanti. Insieme. E poi il mondo sarà nostro.”

Jon si voltò di scatto a fronteggiarla, le pupille dilatate e il fiato corto. E Dany lo baciò con trasporto, mettendogli le braccia intorno al collo e chiudendo gli occhi. Inizialmente Jon tentò di ritrarsi, poi Daenerys sentì che i suoi muscoli si stavano rilassando e le sue labbra restituivano il bacio. Jon le mise le mani sui fianchi e assecondò i suoi movimenti. Dany affondò le dita nei suoi capelli e lo strinse a sé. Rimasero così per qualche secondo, poi, lentamente, si allontanarono.

Jon la guardava con occhi grandi ed un leggero rossore sulle guance. Sembrava un bimbo che è stato colto in flagrante mentre tentava di rubare dalla dispensa. Aprì la bocca per parlare, ma Dany gli appoggiò l’indice sulle labbra. “Non dire niente” sussurrò e gli accarezzò una guancia, resa ruvida dalla barba.

Poi le sue mani scesero e Daenerys iniziò a sciogliere i lacci del farsetto, senza mai staccare gli occhi dai suoi. Quando finalmente la giacca e la camicia caddero a terra, Daenerys fece un passo indietro per ammirare il suo lavoro. Vide con orrore che il petto di Jon era attraversato da cicatrici. Sembravano essere state causate da tagli profondi, che Dany stentava a credere si fossero rimarginati. Accarezzò la cicatrice che correva sopra il suo cuore.

“Come te le sei fatte queste?” chiese con un filo di voce, ma Jon le prese il viso fra le mani e la costrinse delicatamente a guardarlo negli occhi.

“Non dire niente” mormorò e la baciò di nuovo.

Stavolta le sue mani iniziarono timide a spogliarla e Daenerys lo incoraggiò facendo ondeggiare il proprio corpo. Presto fu libera dal pesante mantello e subito dopo anche il vestito fu sbottonato. Rimasta nuda, Dany sorrise. Vedeva che gli occhi di Jon la stavano divorando, ma lui ancora non si muoveva. Sembrava combattuto. Daenerys allora gli prese una mano e lasciò che lui la accarezzasse. Poteva vedere la passione risvegliarsi nei suoi occhi e ne fu piacevolmente sorpresa. Jon le era sempre apparso così freddo e controllato, ma evidentemente era capace di provare emozioni come tutti. Ci penso io a fargli perdere il controllo, si disse Daenerys e, afferratolo all’improvviso, lo spinse supino sul letto.

Jon emise un verso acuto e Dany si lasciò scappare un risolino. Salì lentamente sul letto, avendo cura di continuare il contatto fisico. Jon aveva sollevato il capo e la stava osservando. Il suo petto si sollevava e si abbassava velocemente e Daenerys era certa di poter udire il rumore del suo cuore. Per un attimo le sembrò di essere tornata nella tenda di Khal Drogo, ma poi allontanò quel pensiero. Il passato era cenere e non si può vivere di ricordi. Ciò che contava era il presente e l’uomo che aveva davanti.

Vide che fra i loro corpi esisteva ancora un ostacolo e si affrettò a slacciare le braghe di Jon. Le fece poi scivolare lentamente via e si stese sopra di lui. Appoggiò le mani sul materasso sopra le spalle di Jon per un attimo, poi sollevò la schiena. Iniziò con movimenti lenti, proprio come Doreah le aveva insegnato tanto tempo prima, e nemmeno per un attimo smise di guardarlo negli occhi. Presto Jon si tirò su per abbracciarla e le loro posizioni si invertirono. Dany si sentì adagiare sul soffice materasso e rilassò i muscoli.

Presto i loro respiri si fecero corti e rapidi e l’iniziale calma divenne frenesia nel tentativo di placare il loro bisogno. I movimenti divennero veloci e urgenti e Daenerys si ritrovò a gemere sottovoce. Alla fine urlò forte il suo nome. Rotolarono sul letto esausti e rimasero a fissare il soffitto per un po’. Dany cercava disperatamente di riprendere fiato. Non si era mai sentita così completa come all’apice di quel rapporto ed ora che l’eccitazione stava scemando tornava la lucidità.

Si voltò verso Jon e lo abbracciò. Pochi secondi più tardi sentì le sue braccia circondarla e si sentì a casa, per la prima volta nella sua vita, nonostante quella non fosse la Roccia del Drago, o Approdo del Re, o Pentos, nonostante quella fosse solamente una nave che puzzava di muffa e legno tarlato. Dany alzò il mento e guardò Jon negli occhi. Si accorse che stava sorridendo ed il suo cuore si riscaldò.

“Credo che mi sto innamorando” mormorò lei sfiorando con le labbra il suo orecchio e fu sicura di aver assunto la sfumatura del cielo al tramonto.

L’espressione di Jon cambiò bruscamente e Daenerys temette stesse per andarsene o urlare o entrambe le cose. Invece l’abbracciò più stretta.

“Credo anch’io” replicò Jon con un sussurro e Dany pensò di non aver mai vissuto un momento tanto felice.

 

Bran

 

Gli Estranei ai piedi della Barriera non sembravano avere fretta. Erano già quattro giorni che il loro esercito era fermo là sotto senza dare cenno di voler attaccare. I non-morti rimanevano immobili e non sentivano il freddo o la stanchezza, né avevano bisogno di cibo. I Guardiani della Notte invece e i soldati che erano stati inviati da Jon erano allo stremo delle forze. Ormai una tormenta perenne avvolgeva il Castello Nero e risultava impossibile inviare dei corvi con richieste di soccorso. Gli emissari di Edd non erano riusciti a raggiungere nemmeno il Forte Orientale o Torre delle Ombre e i Guardiani si erano dovuti rassegnare a rimanere del tutto isolati.

Bran e Meera trascorrevano le giornate nella stanza del Lord Comandante tentando di non permettere ai loro arti di congelare. I fuochi che venivano accesi morivano dopo pochi minuti ed era difficile anche cucinare. Meera aveva sempre la punta del naso arrossata e aveva preso l’abitutdine di sfregarsi le mani gelide ogni due secondi. Bran si era dovuto trattenere più di una volta dal manifestare il suo fastidio.

“Se potessi vi manderei entrambi a Grande Inverno” continuava a ripetere Edd, “ma è impossibile con questa tempesta.”

Bran lo sapeva e non si lamentava. Lo zio Benjen l’aveva avvertito, gli aveva detto che si sarebbe trovato alla Barriera all’arrivo del Re della Notte. Aveva però anche detto che Bran sarebbe stato pronto e invece non era così. Bran non aveva la minima idea di quello che avrebbe dovuto fare.

La seconda notte sognò nuovamente i Figli della Foresta. Erano agitati e continuavano a parlare nella loro strana e incomprensibile lingua con voci acute. Poi iniziarono a lanciare esclamazioni anche nella lingua comune. Dicevano che ormai era tardi, che il Re della Notte aveva trovato ciò che cercava e gli uomini erano condannati.

Bran però non si voleva arrendere. “Cosa posso fare?” chiese e i Figli della Foresta si voltarono verso di lui “Cosa posso fare per fermarli?”

“Niente” rispose uno dei Figli, “non c’è più tempo, Brandon Stark.”

Bran si morse il labbro. “Cos’è che il Re della Notte ha trovato?” chiese disperato.

I Figli della Foresta inclinarono la testa e si apprestarono a rispondere, ma le loro parole furono portate via dal vento e Bran si svegliò. Quando si accorse di essere nuovamente nel suo letto senza aver appreso l’informazione che gli serviva, tirò un pugno alla parete urlando.

Immediatamente Meera si precipitò nella stanza. “Cosa succede?” chiese spaventata.

Bran scosse la testa. “Stavano per dirmi cosa cercava” rispose, “ma poi mi sono svegliato.” Meera non sembrò aver ben capito e Bran decise di non parlarne più.

Il pomeriggio del quarto giorno Edd convocò una riunione nel refettorio. A Bran e Meera fu concesso il privilegio di sedere in prima fila davanti al tavolo del Lord Comandante. Edd sembrava più nervoso del solito, così come tutti i presenti. L’inverno li sta consumando, pensò Bran guardandosi intorno. Meera gli prese una mano e la strinse forte.

Emmett il Ferrigno si alzò in piedi e parlò per primo. “Questa mattina Ulmer era di turno sulla Barriera con i suoi ragazzi” iniziò, “e ha riferito che i morti stanno serrando i ranghi. Dice di aver visto anche alcuni Estranei avanzare…” Ci furono molti mormorii ed Edd dovette battere due volte il bicchiere sul tavolo per riportare il silenzio.

“Dobbiamo colpirli!” esclamò un uomo seduto vicino alla finestra che Bran ricordò chiamarsi Kedge “Distruggerli prima che abbiano l’opportunità di scalfire la Barriera.”

“Se non te ne fossi accorto” ribatté un altro confratello, “sono troppi. Siamo riusciti gli dei solo sanno come a sconfiggere l’esercito di bruti di Mance Rayder, ma stavolta non ce la faremo.”

“Hai preso il ruolo di Edd come uccello del malagurio, Tim?” chiese Emmett e tutti risero.

“Dico solo la verità” si difese Tim, “non possiamo sperare di ricacciarli indietro, non questa volta.”

“Notizie da Cotter Pyke e Denys Mallister?” chiese un uomo dal fondo della sala.

Edd scosse la testa. “Non è possibile raggiungere in alcun modo il Forte Orientale e la Torre delle Ombre” rispose, “gli uomini che abbiamo a disposizione sono qui.” Ci fu un momento di silenzio.

“Perché non attaccano?” chiese poi Emmett guardano Edd.

“Non ne ho idea” replicò il Lord Comandante. “Al Pugno dei Primi Uomini e ad Aspra Dimora non hanno certo esitato: sono stati sempre i primi ad attaccare e non hanno lasciato il tempo di organizzare una difesa.”

“Forse stavolta sanno di avere più tempo perché siamo spacciati” suggerì tetro Tim e il suo vicino gli diede una spinta.

“Jon non aveva detto che il fuoco può uccidere i non-morti?” chiese d’un tratto Iron Emmett e Bran sussultò udendo il nome di suo fratello. Cugino, si corresse mentalmente per l’ennesima volta.

“Aveva salvato Mormont con una torcia” continuò Emmett, “ricordo che stette tre giorni con la mano fasciata.”

Eddison annuì. “Sì, lo ricordo anch’io” replicò, “cosa consigli quindi di fare?”

Emmett sospirò. “Colpirli con frecce incendiate” propose allargando le braccia. Bran sapeva già in principio che non avrebbe funzionato.

“Ci abbiamo già provato” intervenne infatti un confratello con il volto sfregiato, “ma le frecce si spengono quasi subito dopo essere state scoccate. Sembra quasi il fuoco si ritiri davanti al loro esercito. Sarà colpa di questo fottuto inverno.” Il suo commento ricevette i brontolii d’assenso di più di metà dei presenti.

“Abbiamo ancora del Vetro di Drago?” chiese Kedge, ma il Lord Comandante scosse la testa. “Tutto perduto ad Aspra Dimora” rispose con amarezza. “Jon ha promesso che ce ne porterà dell’altro, ma non credo arriverà in tempo.” Le terribili implicazioni di quell’affermazione aleggiarono tetre sulla sala.

“In ogni caso non sarebbe servito a molto contro i morti” proseguì quindi Edd, “sono troppi.”

“Ma almeno avremmo potuto tentare di uccidere gli Estranei!” esclamò Kedge e ricevette il supporto di molti.

“Sì, ma non ce l’abbiamo” tagliò corto il Lord Comandante, “quindi dobbiamo trovare un’altra strategia.”

“E quale sarebbe?” chiese sarcastico Kedge “Aspettiamo forse che se ne vadano da soli come stiamo facendo?”

“Piano con le parole, Occhiobianco” replicò duro Emmett, “stai parlando al tuo Lord Comandante.”

Kedge sbuffò. “Se non facciamo qualcosa tra poco saremo tutti morti” ribatté acido, “e allora non sarà rimasto nessun Lord Comandante a cui i nostri cadaveri dovranno ubbidire.”

“No” intervenne Bran senza riuscire a trattenersi, “ci sarà solamente un esercito di Estranei a cui i nostri cadaveri dovranno ubbidire.”

Kedge si voltò verso di lui, il suo occhio cieco ancora più minaccioso di quello sano. “Cosa ti fa credere di poter arrivare qui a sparare sentenze, ragazzino?” chiese con voce minacciosa “Non mi sembra indossi i vestiti neri, quindi non ti immischiare.”

“Sono Brandon Stark” ribatté Bran alzando la voce, “legittimo lord di Grande Inverno e si dà il caso che io abbia diritto a essere ascoltato.” Suo padre gliel’aveva detto tante volte quando tornava dalle sue visite alla Barriera. Kedge rimase in silenzio.

“Cosa hai da dire, Bran?” chiese Edd con gentilezza.

Bran si tirò su come meglio poteva. “Io ho visto il Re della Notte da molto più vicino di chiunque di voi” iniziò facendo scorrere lo sguardo sulle facce che lo fissavano, “e Meera ha ucciso un Estraneo con la sua lancia e il Vetro di Drago.” Ci furono mormorii d’ammirazione.

“Finché la Barriera si ergerà, saremo al sicuro” proseguì Bran, “i morti non possono attraversarla.”

“Come fai a saperlo?” chiese Edd inarcando un sopracciglio.

“Me l’hanno detto i Figli della Foresta” mentì Bran non sapendo bene come spiegare la situazione di Benjen.

“I Figli della Foresta si sono estinti” dichiarò un confratello in prima fila, “non esistono più da millenni.”

“Proprio come gli Estranei” ribatté Bran e nessuno parlò. “La Barriera è protetta da incantesimi potenti” andò avanti, “e non permetteranno ai morti di oltrepassarla finché non saranno rimossi.”

Bran inspirò profondamente. “Tuttavia non siamo al sicuro” proseguì. “Il Re della Notte ha un’arma, qualcosa che probabilmente permetterà al suo esercito di oltrepassare la Barriera…”

“Che cos’è?” chiese Emmett.

Bran abbassò il capo. “Non lo so.”

“Allora come fai a sapere che esiste?” chiese velenoso Kedge.

“Lo sa e basta” intervenne Meera, “e vi conviene dargli ascolto se non volete che…”

In quel momento la porta sbatté ed entrò un uomo.

“Elron” esclamò Edd, “che cosa succede?”

Elron venne avanti. “I morti si spostano” disse, “vengono verso la Barriera.”

“Il Re della Notte è con loro?” chiese Bran senza riuscire a mascherare la sua urgenza.

Elron si voltò verso di lui, ma fortunatamente non fece domande. “Credo di sì” rispose, “ho visto un Estraneo a cavallo separarsi dal gruppo.”

Bran sussultò. E’ qui, pensò rabbrividendo, ha con sé quello che ha trovato.

Edd stava dando ordini. “Tutti quelli che non possono combattere vadano sulla Barriera” disse, “gli altri davanti al portone.”

“Non basterà!” esclamò Bran ed Eddison si voltò verso di lui. “Dobbiamo uscire ad affrontarli” continuò Bran e sentì Meera trattenere il fiato.

“Non abbiamo le armi” esclamò Emmett esterrefatto. “Bran, credo tu debba andare adesso…”

“NO” urlò Bran ed Emmett fece un passo indietro. “Dobbiamo riuscire a portare via al Re della Notte la sua arma segreta o tutti i vostri sforzi non saranno serviti a nulla.”

“Bran, è troppo pericoloso” disse Edd inarcando le sopracciglia.

“E’ più pericoloso rimanere qui” osservò Bran, “dobbiamo almeno tentare…”

Edd lo fissò qualche secondo, poi annuì. “Molto bene” disse con voce profonda, “andremo io, Emmett, Kedge, Matthar e Bedwyck. Gli altri si divideranno fra la Barriera e il portone. Se non dovessimo tornare, sigillerete il tunnel.” Tutti annuirono e i prescelti da Edd si avvicinarono.

“Vengo anch’io” disse Bran e in molti si voltarono a guardarlo.

“Non credo sia una buona idea…” iniziò Edd, ma Bran lo interruppe subito. “Sarò utile” promise, “conosco gli Estranei meglio di voi.” Poi si voltò verso Meera. “Tu rimani qui.”

Lei scosse la testa. “E pretendere che sia uno di loro a trascinarti?” chiese sarcastica “Non ci penso neppure. Io vengo con te, Brandon, e non credo tu possa fare molto per impedirmelo.” Bran non rispose, ma in cuor suo era felice Meera avesse deciso di accompagnarlo. Allora annuì e lei lo aiutò a scendere dalla panca. Poi lo adagiò sulla slitta improvvisata e inziò a tirarlo.

Nel cortile del Castello Nero i confratelli correvano in direzioni diverse avvertendo i capi della guarnigione voluta da Jon. Edd e gli altri si erano diretti al portone che si stava lentamente sollevando. L’organo era in funzione e altri uomini erano in fila per essere trasportati sopra la Barriera. Quando il portone fu spalancato Meera portò Bran nel tunnel. Erano sette in tutto e Bran poteva vedere le espressioni spaventate dei suoi compagni, ma anche la loro determinazione. Stiamo andando alla morte, realizzò Bran e per un attimo fece fatica a respirare.

Quando anche il secondo portone fu alzato un vento gelido li investì. Tutti d’istinto si protessero la faccia con il braccio. L’esercito dei morti si parò davanti ai loro occhi e Bran notò con orrore la presenza di giganti. Come avrebbero fatto a sconfiggerli? Sarà il problema di qualcun altro, pensò con amarezza quando Meera avanzò.

Davanti a tutti, dritto sul suo cavallo decomposto, il Re della Notte li stava osservando impassibile. Bran immediatamente cercò con lo sguardo un oggetto che potesse assomigliare all’arma, ma non notò niente di strano: almeno, niente di più strano di un esercito di morti guidato da esseri di ghiaccio. Edd gridò qualcosa e tutti estrassero le loro spade. Bran vide con stupore che anche Meera ne stringeva una fra le mani. Curiosamente aveva l’elsa nera come la pece e, guardando meglio, Bran poté vedere che era decorata da due draghi sinuosi che si attorcigliavano intorno all’impugnatura. Avevano gli occhi di rubini.

“Dove l’hai presa?” chiese lui incredulo.

“Dalla caverna del Corvo con Tre Occhi” rispose Meera, “prima che arrivassero…”

“E’ acciaio di Valyria!” esclamò esterrefatto Edd esaminando la spada “Jon ha ucciso un Estraneo con una spada così!”

Bran rimase a bocca aperta e Meera quasi ebbe paura della spada. “Possiamo uccidere il Re della Notte” mormorò poi lei e Bran annuì pensieroso. Qualunque cosa fosse quella spada, non era certo il momento di pensarci: se poteva uccidere gli Estranei, era una mano dagli dei.

In quel momento Emmet gridò. Bran si voltò di scatto e vide che i non-morti stavano caricando. Superavano senza difficoltà il Re della Notte e venivano loro addosso.

“STATE PRONTI” urlò a pieni polmini Eddison, “DOBBIAMO COLPIRLI TUTTI INSIEME!”

Il vento ululava forte e Bran vide che gli altri erano in difficoltà anche solo a rimanere in piedi. Meera tirò fuori l’arco ed inziò a scoccare frecce. Nonostante centrasse sempre il bersaglio, i morti non si arrestavano. Kedge andò avanti con la propria ascia e Bedwyck gli coprì le spalle. Insieme ne abbatterono una decina, ma Kedge fu ferito al petto e iniziò a sanguinare. Edd ed Emmett combattevano a destra, mentre Meera e Matthar saltellavano da una parte all’altra scoccando frecce. Bran teneva gli occhi fissi sul Re della Notte, aspettando una sua reazione, un suo minimo movimento.

L’urlo di Meera lo riportò alla realtà. Bran vide che un non-morto gli stava correndo incotro emettende versi striduli. Meera mollò l’arco in terra e corse avanti brandendo la spada. Si mise di fronte a Bran e tagliò in due il cadavere che tentava di accoltellarla. Bran la vide stupirsi per quel risultato inaspettato, per poi continuare a combattere avanzando. Bedwyck era caduto e Kedge era rimasto solo ad urlare nella neve ormai rossa di sangue che vorticava loro intorno. Matthar corse verso di lui colpendo i morti che tentavano di finirlo. Poi però le frecce finirono e Matthar cadde in ginocchio tentando di proteggere l’amico. Le spade dei morti calarono su entrambi e Bran distolse lo sguardo.

Vide che i non-morti correvano verso il portone rimasto aperto. Stava per urlare qualche inutile avvertimento, ma poi vide che i morti, non appena misero piede nel tunnel, si dissolsero come avveunto nella grotta del Corvo con Tre Occhi.

Edd era rimasto a bocca aperta. “Avevi ragione!” esclamò “I morti non possono passare!” E ricominciò a combattere con rinnovata fiducia.

Sembrò per un attimo che l’assalto dei morti avesse subìto una battuta d’arresto. Bran spostò lentamente lo sguardo sul Re della Notte e vide che aveva estratto qualcosa dalla sella del suo destriero morto. Sembrava essere un corno, uno di quegli strumenti che i soldati suonavano in tempo di guerra. Da piccolo Bran aveva sognato il momento in cui gli avrebbero permesso di diventare uno scudiero e si era allenato a soffiarci dentro. Il corno che il Re della Notte stringeva fra le mani sembrava semplicissimo, senza particolari incisioni e decorazioni, e anche di dimensioni modeste. Eppure esso risvegliò qualcosa in Bran, una favola che la Vecchia Nan aveva raccontato a lui e Rickon così tante volte da perdere il conto. Il gelo del terrore si impadronì del suo corpo già provato dal freddo mentre Bran ascoltava nuovamente la favola del tredicesimo Lord Comandante dei Guardiani della Notte. La Vecchia Nan terminava il racconto sempre allo stesso modo.

“La pace fra Joramun e Brandon il Distruttore fu duratura” era solita dire con voce misteriosa, “e il Re Oltre la Barriera decise di disfarsi del suo corno magico. Perché sapete, egli diceva di possederne uno in grado di risvegliare i giganti dalla terra e far tremare il mondo. Non abbiate paura dei bruti, piccoli lord, temete questo corno, perché semmai verrà ritrovato e qualcuno ci soffierà al suo interno la Barriera cadrà e gli Estranei torneranno.”

Bran vide il mondo intorno a sé girare, folgorato com’era da quella rivelazione. Non vogliono oltrepassare la Barriera, pensò con crescente orrore, la vogliono distruggere.

Mentre i non-morti tornavano alla carica, Bran afferrò Meera per la pelliccia che indossava. “Meera” sussurrò faticando a respirare per il freddo pungente, “il corno… Il corno è l’arma…”

Meera lo guardò con occhi sgranati. “Bran, sono in troppi!” esclamò con le lacrime agli occhi “Non ce la faremo mai a prenderlo…” Si girò nuovamente verso l’orda che si stava avvicinando. Edd ed Emmett si erano avvicinati a loro e tentavano di proteggersi a vicenda. Emmett aveva un brutto taglio sull fronte, mentre Edd zoppicava.

“Che facciamo?” urlò Emmett per farsi sentire sopra il frastuono “Ne arrivano altri…”

“Resistiamo” rispose Eddison puntando la spada contro gli aggressori, “finché ci riusciremo…” Continuarono a combattere e il cuore di Bran perdeva un battito ogni volta che un pugnale dei morti passava troppo vicino a Meera. Non aveva più fiato neanche per avvertire della minaccia del corno di Joramun. Si stavano difendendo bene, le spalle alla Barriera, semplicemente i nemici erano troppi.

Poi un’ombra lucente scese dal cielo e l’aria arse di fumo. I non-morti più vicini presero fuoco, mentre l’ombra planava davanti a loro. Tutti sollevarono lo sguardo increduli e Bran riconobbe il drago del sogno. Era una bestia magnifica ed enorme, con scaglie dorate che a causa del candore della neve assumevano sfumature bianche.

“Quello è un drago?” chiese Edd appoggiandosi alla propria spada per non cadere.

“Il suo fuoco è l’unico che funziona contro l’inverno degli Estranei” disse Bran improvvisamente riacquisendo energie, “ma non basterà a fermarli. Dobbiamo prendere il corno del Re della Notte.”

“Perché?”

“Perché…”

Le parole gli morirono in gola. Il Re della Notte aveva portato il corno alla bocca.

NO, pensò Bran disperato e provò il desiderio irrefrenabile di mettersi a correre, ma le sue gambe rimasero paralizzate come sempre. Forse percependo l’immane pericolo, il drago smise di eruttare fiamme e scese a terra alle loro spalle. Bran si voltò verso l’animale, che lo stava fissando con i suoi occhi gialli. Aveva le ali ancora spiegate e sembrava in attesa. Bran non fece in tempo a chiedersi nulla che il cielo crollò sulle loro teste.

Il suono che udirono non aveva niente di naturale. Fu come se ogni singola pietra della terra si fosse frantumata, come se il mare avesse creato un’onda così alta da inghiottire il mondo, come se il vento avesse spazzato via tutti gli alberi delle foreste. Il drago ululò di dolore e Bran poté solamente tapparsi le orecchie così forte da farle sanguinare. Vide che anche gli altri erano sbiancati, come rendendosi all’improvviso conto del loro destino.

Poi fu tutto silenzio, innaturale proprio come il suono che l’aveva preceduto, la calma prima della tempesta. E la tempesta non tardò ad arrivare con il volto di cupi scricchiolii alle loro spalle. Bran si voltò lentamente e vide profonde fessure aprirsi nella Barriera.

“Per i Sette Inferi...” mormorò solamente Edd quando i primi blocchi di ghiaccio iniziarono a precipitare, frantumandosi davanti al portone e di fatto bloccando l’unica via di fuga. L’esercito dei morti arretrò e il Re delle Notte fece girare il suo cavallo cadavere. Voltavano le spalle alla fine dei Guardiani della Notte.

Bran guardò Meera e la scoprì pallida come un cencio. “Mi dispiace…” sussurrò mentre la Barriera si sgretolava davanti ai loro occhi. Dalla cima già potevano udire le urla disperate dei confratelli.

Poi il drago ruggì di nuovo. Bran lo guardò e vide che stava sbattendo le ali inquieto. Perché è venuto fin qui? non poté far a meno di chiedersi.

Edd gli mise una mano sulla spalla. “Andate...”

Bran alzò lo sguardo di scatto. “Dove?” chiese incredulo.

Edd sorrise. “Salite su quel drago” disse, “fuggite via di qui o morirete.”

Bran era esterrefatto. “Ma non possiamo cavalcare un drago” disse e Edd scosse la testa. “So che puoi farlo” sussurrò.

Bran voleva mettersi ad urlare, ma poi vide il volto teso di Meera che lo guardava. Devo portarla via di qua, si disse e annuì. Poi scivolò nella mente del drago. Provò un dolore lancinante e sentì che il drago si stava dibattendo, tentando in tutti i modi di cacciarlo via. Abbiamo bisogno del tuo aiuto, pensò Bran mentre il buio l’avvolgeva, dobbiamo fuggire… Ti prego… All’improvviso nell’oscurità che l’avvolgeva si accesero due fiammelle gialle e Bran riaprì gli occhi.

Il drago lo stava studiando e, mentre il mondo intorno a loro precipitava, Bran ulrò a Meera di andare in quella direzione. Fortunatamente lei non perse tempo con domande inutili e lo trasportò fino alle zampe del drago. Un blocco di ghiaccio cadde poco più in là e Bran capì di avere poco tempo. “Dobbiamo salire” disse e Meera sgranò gli occhi, “aiutami.”

“Bran…”

“AIUTAMI” urlò lui e Meera lo sollevò, le lacrime che le solcavano le guance. Bran si aggrappò alle squame del drago e si issò con grande fatica. L’animale emise un cupo brontolio. Meera era titubante.

“Meera” disse Bran mentre altro ghiaccio si staccava dalla Barriera, “sali, adesso.”

Trattenendo i singhiozzi, Meera saltò e Bran la prese per mano mentre si sistemava sul dorso del drago. Poi Meera si accasciò e il drago inziò a battere le ali. Quando si sollevò da terra Bran provò una strana sensazione in fondo allo stomaco. Il rumore del ghiaccio che continuava a creparsi era insostenibile e Bran sentì Meera tremare alle sue spalle. Vide Edd ed Emmett correre verso la Barriera e rimase a guardare con gli occhi umidi quando questa venne loro incontro. Volevano morire come Guardiani della Notte, realizzò con il cuore pesante, vicino a ciò che hanno protetto tutta la vita.

La Barriera si era ormai incrinata e Bran rabbrividì quando vide che ciò avveniva in tutta la sua lunghezza e non solo in un unico punto. Sembrava la fine del mondo. Forse lo era davvero. Il drago continuò a volare verso sud e passò sopra il Castello Nero, che ancora si ergeva come ultimo baluardo. Poi il ghiaccio lo spazzò via e ci fu un boato che Bran era certo fosse stato sentito fino a Grande Inverno e oltre. E’ fatta, pensò con tristezza indescrivibile osservando le macerie avvolte dal fumo e dalla polvere. Presto il ghiaccio iniziò a dissolversi e il vento ammantò tutto di bianco. Bran sospirò e chinò il capo, il drago che continuava il suo folle volo verso chissà dove.

La Barriera era crollata e la Grande Guerra cominciava.


                                                      "With our backs to the Wall, the darkeness would fall: we never quite thought we could lose it all."



N.D.A.


Eccomi!! Perdonate tutti il ritardo (per fortuna solo di un giorno... dai, poteva andare peggio XD), ma ieri non ho avuto neanche un attimo libero e non sono riuscita a pubblicare. Ho rimediato subito però ^_^

Che dire di questo capitolo in più di quanto scritto... Consideratelo il primo turning point di questa storia: la Barriera è crollata e ora tutti i personaggi sono chiamati a reagire. Cosa sceglieranno? Dalle loro decisioni dipende tutto e vedrete che non sarà così semplice come potrebbe sembrare (quando mai qualcosa è semplice nell'universo di Got? XD)...

Almeno Baelish è morto dai XD qualcosa di positivo... E i fan della Jonerys spero saranno soddisfatti XD ovviamente la scena in questione non è esplicita per rimanere nelle regole per il rating arancione della storia. Quando scrissi la scena in questione la settima stagione ancora non era uscita, ma c'era nell'aria il rumor della famosa "boat scene" (che poi si rivelò vera) e per questo decisi di utilizzarla anche nella mia storia. Stranamente anche la dinamica tra i due è molto simile a come è uscita fuori nella serie XD

A questo punto molti personaggi stanno prendendo le loro decisioni più importanti: abbiamo visto Sam e Brienne lo scorso capitolo (e anche Arya, ma per lei c'è ancora molto che la attende) e ora anche Jaime ha preso posizione. I nodi cominciano a venire al pettine, ma per i personaggi principale non sarà così facile XD

Ringrazio infinitamente i recensori dello scorso capitolo: __Starlight__, leila91 e Red_Heart96... La risposta alla storia ultimamente è un po' più tiepida del solito (lo so, è probabilmente colpa mia che non riesco a concepire che voi tutti abbiate una vita XD XD), quindi se ci siete vi invito a farvi sentire: le recensioni, dalle più corte alle più lunghe, sono ciò che mi spinge sempre a dare il massimo nel rivisionare questi capitoli e continuare a scrivere (sono quasi arrivata alla fine, correntemente al capitolo 30 ^_^) e sentirvi mi riempie sempre di gioia. Quindi ringrazio immensamente quelli che continuano a farmi sapere i loro pensieri con tanto impegno ^_^, non ho parole per dire quanto vi sia grata. E il primo capitolo di questa storia ha da poco superato le 2000 visite e tutto questo è fantastico! Grazie mille!

E niente, spero il capitolo vi sia piaciuto e alla prossima! Spero puntuale XD


NB: la citazione di oggi è dalla canzone "Ready, aim, fire" degli Imagine Dragons. Mi sono presa la libertà di scrivere "wall" con la maiuscola per indicare la Barriera (che nella versione inglese, per quelli che non lo sapessero, si chiama appunto "the Wall") però per il resto era troppo perfetta la situazione XD



 

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Capitolo 19
*** Dangerous decisions ***


Capitolo 19


Dangerous decisions                                                                                               



Samwell

 

Era una settimana ormai che viaggiavano su quel carretto, quando finalmente raggiunsero la Forca Rossa. Sam aveva deciso di evitare l’Ovest per sicurezza e aveva condotto Gilly e il bambino in una serie di tortuosi sentieri attraverso le Terre dei Fiumi. Qua e là avevano visto i terribili segni della guerra. I villaggi erano in rovina e molti risultavano abbandonati. Le poche locande ancora aperte si erano rifiutate di dare ospitalità a dei forestieri provenienti dal Sud, nonostante Sam avesse insistito dicendo di far parte dei Guardiani della Notte. Nell’Altopiano era facile trovare una grotta in cui accamparsi ed accendere un fuoco per la notte, ma via via che si dirigevano a Nord l’inverno si faceva sempre più insistente. Le tormente erano frequenti e Sam capì di non poter spingere il loro cavallo oltre.

“E’ stremato, Sam” continuava a ripetere Gilly, “non può proseguire…”

Durante il viaggio Gilly si era molto affezionata all’animale, arrivando a chiamarlo Snowfall. Aveva anche imparato a cavalcarlo, quando il cavallo andava al passo, ed era preoccupatissima per il suo stato di salute. Sam sapeva che non sarebbero potuti andare avanti così, anche perché il piccolo si era preso un brutto raffreddore. Così decise di non guadare il fiume, ma di seguirlo verso ovest.

“Andiamo a Delta delle Acque” annunciò a Gilly, “non è lontano.”

La deviazione costò loro un altro pomeriggio di viaggio, ma in serata giunsero ai piedi delle mura del castello. Sam sapeva che questo era ritornato nelle mani di casa Tully e sperava finalmente di ricevere ospitalità. Delta delle Acque era adagiato su un’isoletta al centro del fiume e il ponte levatoio era tirato su.

Presto sulle mura si affacciò una vedetta. “Chi siete?” chiese con voce cavernosa e Sam notò che degli arcieri li tenevano sotto tiro. Gilly stringeva forte il piccolo.

“Mi chiamo Samwell Tarly, sono un confratello dei Guardiani della Notte e sto tornando alla Barriera: chiedo ospitalità per una notte.”

“Se è così” chiese la sentinella, “come mai hai una donna con te?”

Sam si morse il labbro. “Spiegherò tutto al vostro signore” ribatté, “ma per favore lasciateci entrare…”

La guardia ghignò. “Sei forse un disertore?”

Sam stava per rispondere, ma venne interrotto da una voce femminile.

“Pypos, cosa succede qui?”

La sentinella si affrettò a chinare il capo. “Nulla, mia signora” disse, “è solo un vagabondo che…”

“E’ così che accogliamo gli ospiti?” chiese la giovane appena comparsa con voce calma “Apri quel portone o mio marito ne sarà informato.”

“Ma, mia signora, potrebbero essere nemici…”

“A me non sembra abbiano un esercito” ribatté la ragazza, “su, falli entrare.”

Riluttante Pypos fece aprire il cancello. Il ponte levatoio calò e Sam sorrise incoraggiante a Gilly. Fece avanzare il cavallo fin dentro le mura, dove fu subito preso in custodia. Sam aiutò Gilly, che teneva per mano il bambino, a scendere dal carretto. Sentì il portone alle loro spalle chiudersi e si guardò intorno curioso. Si trovavano in un cortile quadrato con al centro una fontana senz’acqua. Tutto intorno correva un porticato. Poi la fanciulla che avevano intravisto sulle mura venne loro incontro sorridente. Era di corporatura minuta e carnagione pallida. Aveva capelli castani acconciati in trecce sottili intorno al capo e grandi occhi azzurri.

“Benvenuti” li salutò con la sua voce cristallina, “io sono Roslin, lady di Delta delle Acque.”

Sam quasi rimase a bocca aperta per la sorpresa. “Roslin Frey?” chiese ricordando il nome della donna che, gli avevano raccontato, si era sposata alle Nozze Rosse.

Roslin lo fissò. “Roslin Tully” lo corresse gentilmente, “non voglio più avere nulla a che fare con la mia vecchia famiglia. Ma ditemi piuttosto, cosa vi porta fino a qui e dove siete diretti?”

“Dobbiamo tornare alla Barriera” intervenne Gilly, “Sam è nei Guardiani della Notte.”

Roslin le sorrise. “Sarà meglio che ne parliate con mio marito” decise. “Venite, vi porterò da lui.”

La seguirono su per la scalinata di pietra e furono ammessi in una stanza spaziosa con un bel camino acceso. Un bambino poco più piccolo di Sam giocava vicino al fuoco. Aveva i capelli scuri arruffati e le guance paffute. Appena li vide entrare lasciò cadere il cavaliere di legno che aveva in mano e corse fra le braccia spalancate di Roslin.

“Mamma!” esclamò, per poi guardare gli intrusi con aria corrucciata. “Chi sono loro?” chiese sulle difensive.

“Ospiti” replicò Roslin mettendo una mano sulla spalla del figlio. Poi si rivolse a Sam e Gilly. “Lui è mio figlio” disse, “Brynden Tully, erede di Delta delle Acque.”

Inaspettatamente Gilly si inginocchiò accanto al piccolo Sam. “Coraggio” disse, “vai a presentarti…” Lei e Roslin si scambiarono un’occhiata d’intesa. Il piccolo Sam, strofinandosi il naso gocciolante, fece un passetto avanti. “Io sono Sam” borbottò.

Brynden alzò un sopracciglio. “Quelli sono tuoi genitori?” chiese guardando curioso Samwell e Gilly.

Il piccolo Sam sembrava confuso. “Beh sì” rispose incerto, ma Gilly scoppiò a ridere. “Io sono sua madre” spiegò più a Roslin che a Brynden, “ma Sam non c’entra nulla.”

Brynden Tully corrugò la fronte. “Hanno lo stesso nome?” Gilly annuì. Il bambino non parve capire.

“Proprio come tu porti il nome del tuo prozio, Bryn” intervenne Roslin. “Ora perché non porti Sam nella tua stanza e non gli fai vedere la tua collezione di spade di legno? Potete anche giocare insieme…”

Gli occhi di Brynden si illuminarono. “Sì!” urlò e prese per mano il piccolo Sam, praticamente trascinandolo fuori dalla stanza. Sam e Gilly risero.

In quel momento un uomo entrò e venne verso di loro. Indossava un fermaglio a forma di trota e Sam capì doveva trattarsi di Edmure Tully. “Pypos mi ha detto che abbiamo ospiti” disse Edmure avvicinandosi, “un certo Samwell Tarly…”

“Sono io, mio signore” si affrettò a presentarsi Sam, “e lei è Gilly, una mia amica. Veniamo dalla Cittadella e io sono un confratello dei Guardiani della Notte.”

Edmure sorrise. “Nessun Guardiano della Notte sarà mai scacciato da questo castello” disse in tono caloroso, “potrete rimanere quanto vorrete: so quanto può essere difficile viaggiare con questo terribile inverno.”

“Ti ringraziamo per la tua ospitalità” disse Sam sollevato, “chiederemmo solo di curare il raffreddore del figlio di Gilly, non vorremmo peggiorasse.”

Edmure annuì. “Dirò a maestro Vyman di dare un occhiata al bambino” promise, “ma raccontatemi di più…” Fece loro cenno di sedersi sulle sedie coperte di cuscini e lui prese posto accanto a Roslin. “Tu se vuoi puoi andare” le disse Edmure.

“Posso restare?” chiese Roslin con finta voce implorante ed Edmure rise. “Certo, mia signora” disse in tono scherzoso e poi si voltò verso Sam e Gilly. “Allora?” chiese “Che cosa avete da raccontare?”

Sam aprì la bocca per parlare, ma Gilly lo precedette. “Nell’Altopiano c’è la guerra, mio signore” disse, “siamo dovuti fuggire da Vecchia Città perché non era più un posto sicuro…” Sam fu colpito dalla capacità di Gilly di mentire. In realtà non è neanche poi tanto una bugia, rifletté, la Cittadella non era più un posto sicuro, ma non certo per la guerra.

“Sono vere le voci?” chiese Roslin “L’esercito di Daenerys Targaryen ha davvero sconfitto i Lannister?” Sam e Gilly annuirono.

“E’ solo questione di tempo” assicurò Edmure, “e Cersei vedrà il suo regno crollare.”

“Tu hai giurato fedeltà al Nord, vero lord Edmure?” chiese Sam ricordando le parole pompose di Vyktor.

Edmure Tully annuì. “Mia nipote Sansa Stark è lady di Grande Inverno” rispose, poi sospirò. “Siete diretti là?” chiese in tono piuttosto strano.

“Credo ci passeremo” replicò Sam.

“Allora quando arrivate vi prego di mandarmi un corvo dicendomi cosa diamine sta succedendo lassù” continuò lord Edmure. “Sono quasi due settimane che non riceviamo notizie: l’ultima lettera che ho ricevuto dal Re del Nord diceva di aver accettato la mia alleanza, ma poi più nulla.”

“Abbiamo sentito voci su Cavalieri della Valle accampati al Moat Cailin” disse Roslin mentre Edmure le circondava le spalle con un braccio, “e su guai nel Nord… Siamo abbastanza preoccupati.”

Sam si chiedeva cosa potesse essere successo. “So solo che Jon Snow è andato a Roccia del Drago” disse abbassando la voce, “da allora non ricevo notizie neanch’io.”

Edmure sembrava sorpreso. “Conosci il Re del Nord?” chiese curioso “A dire la verità io non l’ho mai conosciuto, ma mia nipote Sansa mi ha parlato tanto bene di lui da farmi quasi dimenticare non sia figlio di mia sorella Catelyn…”

“Eravamo amici alla Barriera” disse Sam, “abbiamo combattuto insieme gli…”

“Estranei” lo anticipò Edmure, “lo sappiamo, la lady ce l’ha detto.”

Sam si interruppe. "a lady?"

“Ci ha mostrato come leggere i segni nel fuoco” stava raccontanto Roslin, “ma io non ho visto nulla…”

Sam iniziava a farsi un’idea. “Melisandre?” chiese incredulo “La Donna Rossa?”

Edmure e la moglie annuirono. “Ci ha detto che dobbiamo essere pronti” proseguì il lord di Delta delle Acque, “che presto l’esercito dei morti arriverà. Ci ha detto di non sacrificare soldati per guerre inutili.”

Sam si alzò in piedi e Gilly lo seguì con lo sguardo. “Posso incontrarla?” chiese ansioso.

Edmure sembrava sorpreso. “Ma certo” rispose mascherando solo in parte la sua esitazione, “ti porto subito da lei.”

Sam annuì, poi si voltò verso Gilly, che era rimasta seduta. “Tu resta con lady Roslin” disse, “io torno subito.” Gilly annuì e Sam seguì Edmure fuori dalla stanza. Passarono davanti a altre sale, tutte riscaldate dall’immancabile caminetto, e si fermarono davanti a una porta chiusa. Edmure bussò.

“Avanti.”

Sam rabbrividì quando ricordò quella stessa voce condannare al rogo Mance Rayder. Edmure aprì la porta ed entrambi entrarono.

Melisandre era in piedi davanti alla finestra e dava loro le spalle. “E’ arrivato Samwell Tarly?” chiese senza voltarsi e Sam rimase a bocca aperta. Edmure non disse nulla e si limitò ad uscire, chiudendo la porta. Allora Melisandre si voltò. Aveva i lunghi capelli rosso scuro raccolti sulla schiena, tranne alcune ciocche che incorniciavano il viso.

Sam deglutì. “Come facevi a sapere…”

“Che saresti venuto?” chiese Melisandre “L’ho letto nel fuoco. Ho visto anche che avresti portato una spada rubata e un libro pericoloso.” Melisandre inclinò la testa. “Ho forse sbagliato?” chiese e Sam scosse la testa.

“Bene” replicò la Donna Rossa, “allora fammi vedere questo libro…”

Sam estrasse il grosso tomo dalla borsa che portava sempre con sé. Non l’aveva ancora aperto e non era sicuro di averne voglia.

Sangue e Fuoco” lesse Melisandre sgranando gli occhi, “questo contiene segreti così oscuri…”

Sam ebbe conferma dei suoi peggiori timori. “L’uomo che stava tentando di rubarlo” disse, “diceva di venire dalla Casa del Bianco e del Nero di Braavos…”

“Gli Uomini senza Volto” disse Melisandre, “una setta di assassini che venerano il dio della morte. Noi devoti al Signore della Luce li odiamo più di ogni altra corrente religiosa.”

“Quell’uomo mi ha detto che sono stati loro a causare il Disastro di Valyria” proseguì Sam sforzandosi di ricordare tutto, “che i draghi sono alimentati dalla magia nera di Stygai… Cosa significa?”

“Perché lo chiedi a me?” chiese a sua volta Melisandre “Cosa ti fa pensare che io conosca la risposta?”

“Non la conosci?”

La Donna Rossa sospirò. “Non ho detto questo” replicò, “ma in questi casi la verità risultà, diciamo, volubile. Io posso solo dirti quello che so…”

“Sarà sufficiente” assicurò Sam e Melisandre annuì.

“Le risposte che cerchi sono sepolte nell’orribile storia della Terra delle Ombre” iniziò la sacerdotessa, “dove, migliaia di anni fa, prima del Tempo dell’Alba, esistevano due città: Asshai e Stygai. Asshai si trovava sul mare e aveva un porto, mentre Stygai era nell’entroterra, lì dove la luce è poca e la terra sterile. Entrambe le città prosperavano grazie alla magia dei loro sacerdoti e vivevano in armonia ai confini del mondo, non condividendo i loro segreti con nessuno. Ma la gente di Stygai non era sazia e bramava anche il potere di Asshai. Le due città finirono per iniziare una guerra che durò secoli, della cui esistenza nessuno al di fuori dei loro abitanti era al corrente. Utilizzarono le loro arti magiche nel tentativo di sopraffarsi a vicenda, ma gli stregoni di Stygai andarono troppo oltre. Il potere che fecero scaturire distrusse la loro città e causò una pericolosa avanzata dell’ombra in quelle terre. Asshai ne uscì completamente cambiata e da quel momento è stata immersa nelle arti oscure. La sua terra è stata maledetta e da allora non nacquero più bambini…”

“Ma com’è possibile!” esclamò esterrefatto Sam “La sua gente dovrebbe essersi estinta migliaia di anni fa se fosse vero…”

Melisandre scosse la testa tristemente e toccò il grosso rubino che portava sempre al collo. “I rubini sono pietre intrise di potere” spiegò, “riescono a celare il vero aspetto di una persona agli occhi degli altri.”

“Quindi” disse Sam stentando a crederci, “mi stai dicendo che tu in realtà hai centinaia di anni e che se ti togliessi quella collana appariresti vecchia?”

Melisandre annuì e Sam sentì il bisogno di sedersi. “Per i Sette Inferi…” riuscì solamente a mormorare.

“Ma non è tutto qui” continuò Melisandre, “la fine di Stygai e la forza che ne scaturì portarono la magia in questo mondo, tutta la magia, e provocarono la nascita dei draghi.”

“Cosa?!”

“E’ così” insistette Melisandre iniziando a camminare, “essi nacquero dalle Quattordici Fiamme di quella che sarebbe diventata Valyria, furono dotati di ali e fuoco, ma non rimasero tutti a Essos. Molti raggiunsero Sothoryos e persero la loro capacità di sputare fuoco a favore di zanne velenifere. Trascorrendo sempre più ore nelle grotte buie i loro occhi cambiarono e i loro corpi divennero simili a serpenti. Adesso vengono chiamati viverne.”

Sam era rimasto a bocca aperta e non aveva intenzione di chiuderla.

“Altri invece volarono verso il Mare dei Brividi” proseguì lentamente Melisandre, “e con il passare dei secoli raggiunsero dimensioni spaventose e iniziarono a soffiare freddo. Adesso vengono chiamati Draghi di Ghiaccio.”

“Non è possibile” intervenne Sam, “i Draghi di Ghiaccio non esistono.”

“Forse ora non più” concesse Melisandre, “ma un tempo dominavano le Lande dell’Eterno Inverno.” La Donna Rossa andò verso il braciere. “Altri ancora si immersero nei mari” continuò, “e svilupparono zampe palmate e branchie come i pesci. Adesso vengono chiamati Draghi Marini, probabilmente estinti anche loro.”

Melisandre guardò Sam negli occhi. “Infine” disse a bassa voce, “molti secoli prima dell’arrivo dei Primi Uomini, i draghi giunsero a Westeros.”

Sam ormai aveva rinunciato a tentare di mascherare l’incredulità. “E perché i Primi Uomini non ne hanno trovato traccia?”

“La magia non aveva solamente creato i draghi” spiegò Melisandre, “aveva anche rafforzato le creature già esistenti, gli stregoni, i giganti e soprattutto i Figli della Foresta. Questi ultimi temevano i draghi per la loro indole indomabile, ma riuscirono con la loro magia a trasformare il loro fuoco in armi.”

“Il Vetro di Drago” concluse Sam. “E che cosa successe ai draghi arrivati a Westeros?” chiese aggrottando le sopracciglia.

“Nessuno sembrava in grado di sottometterli” disse la Donna Rossa, “così i Figli della Foresta li sterminarono, salvando così i loro alberi-diga, e la maggior parte del Vetro di Drago venne nascosto sull’isola oggi nota come Roccia del Drago.” Sam era rimasto semiparalizzato da tutte quelle rivelazioni. Stava cercando le parole per esprimere le proprie emozioni, quando Melisandre venne verso di lui.

“Ti ho detto tutto quello che ho appreso, nonostante alcune cose possano non corrispondere al vero, ma ora mi devi ascoltare: gli Estranei sono più vicini di quanto immaginiamo, ma Jon Snow non è ancora pronto per diventare il Principe che fu Promesso.”

“Come fai a sapere che è davvero lui?” chiese Sam incerto e spaventato allo stesso tempo.

“L’ho visto tornare dal regno dei morti” disse Melisandre e Sam sussultò, “l’ho visto liberare Grande Inverno proprio come le mie visioni mi avevano suggerito e quando guardo nel fuoco chiedendo al Signore di mostrarmi Azor Ahai…” Melisandre fece una pausa e spostò lo sguardo sul braciere. “Vedo solo neve” concluse in un sussurro.

Sam la fissava strabiliato, poi si ricordò di una cosa. “Ho letto alcuni libri sull’argomento” disse, “e ricordo perfettamente la profezia riguardo ad Azor Ahai: egli deve avere sangue del drago. Jon non può essere il Principe che fu Promesso.”

“Forse sua madre aveva il sangue di Valyria.”

Quella frase fece scattare qualcosa nella mente di Sam. Improvvisamente tutti i tasselli di quel quadro fino a un secondo prima confuso tornarono ai loro posti e la risposta apparve chiara. Sam fu colpito da un’ondata di stupore e lasciò cadere a terra La Morte dei Draghi.

Melisandre si chinò subito a raccoglierlo. “Che fai, sei impazzito?!” chiese acida “Ne esiste un’unica copia…”

Ma la mente di Sam era altrove. Ma certo, pensò ormai pienamente cosciente. Come ha potuto l’arcimaestro Ebrose essere così cieco tutti questi anni? Visenya Targaryen non esisteva, non era mai esistita. Ned Stark era stato l’ultimo a vedere sua sorella Lyanna ancora viva ed era tornato in seguito nel Nord portando con sé un bambino che diceva essere il suo figlio bastardo. Lo voleva proteggere da Robert Baratheon, realizzò Sam senza fiato. Tutti quegli anni a fingere di aver disonorato sua moglie…

Melisandre lo guardava interdetta. “Ti senti bene, Tarly?” chiese facendo un passo avanti.

Sam doveva ancora riprendersi dall’iperventilazione. “Jon Snow è figlio di Rhaegar Targaryen e Lyanna Stark.”

La Donna Rossa si immobilizzò. “Cosa hai…?”

Sam non le diede modo di terminare la frase. “Devo andare” disse correndo verso la porta. Senza lasciare tempo a Melisandre di controbattere, si era già messo a correre verso la stanza di prima. Spalancò la porta e si precipitò dentro. Roslin e Gilly stavano chiacchierando, mentre il piccolo Sam e Brynden giocavano sul tappeto con cavallini di stoffa.

Gilly gli sorrise. “Sam” lo salutò, “stavamo giusto dicendo…”

“Dobbiamo partire” la interruppe Sam, “subito.”

Il sorriso di Gilly svanì. “Come subito?” chiese senza capire “Il piccolo sta ancora male…”

Sam sospirò. “E’ urgente” insistette, “dobbiamo tornare nel Nord.” Gilly scosse la testa.

“Gilly…”

“NO!” urlò lei “Non puoi rovinare tutto, finalmente stavamo bene qui…”

“Allora rimanete a Delta delle Acque” suggerì Sam, “sarete al sicuro…”

Gilly si alzò in piedi. “Pensi di abbandonarci?” chiese con bassa voce minacciosa “Noi veniamo con te.”

“L’hai detto tu che è pericoloso per il piccolo” le ricordò Sam.

“Se posso intromettermi” intervenne Roslin con voce conciliante, “potete lasciare il bambino qui: sembra diventato amico di Brynden. Non correrebbe pericoli ed avete la mia parola: lo tratterei come fosse mio figlio.”

Sam guardò Gilly, che era sbiancata. “E’ la scelta migliore” le disse con gentilezza, “ma se vuoi puoi restare con lui.”

Gilly scosse il capo. “Io verrò con te” decise, “ma non metterò in pericolo la vita di mio figlio.”

Raggiunse il piccolo Sam e lo abbracciò forte, dandogli un bacio sulla fronte. “Noi stiamo partendo” gli disse, “e tu resterai qui insieme a Brynden e lady Roslin. Voglio che ti comporti bene…”

“Quando torneraiii?” 

“Presto” promise Gilly con un sorriso. Poi andò da Roslin e la baciò su entrambe le guance. “Grazie per quello che hai fatto per noi” disse, “ti siamo debitori. Saluta tuo marito da parte nostra.”

“E’ stato un piacere” disse Roslin. Poi le sue sopracciglia si unirono verso l’alto. “Partite ora?” chiese con un velo di tristezza e Gilly annuì. Sam andò a salutare il piccolo e rese omaggio alla lady di Delta delle Acque. Poi lui e Gilly si diressero verso l’uscita, dopo che Roslin aveva assicurato loro che avrebbero trovato il ponte levatoio abbassato.

All’ultimo Sam si voltò a guardare il bambino che si erano lasciati alle spalle. E’ più al sicuro qui, continuava a ripetersi. Gli Estranei presto attaccheranno il Nord. Prima o poi però, se non fossero stati fermati, avrebbero distrutto l’intero Continente Occidentale.

Quando Gilly uscì dalle stalle tirandosi dietro un riposato Snowfall, Sam sorrise. Salirono insieme sul carretto e solo allora Sam si accorse di aver dimenticato La Morte dei Draghi. Realizzò quanto poco gliene importasse e scrollò le spalle. Il ponte levatoio calò e Sam e Gilly furono di nuovo fuori nella tormenta.

“Allora?” chiese Gilly nuovamente sorridente “Cos’è tutta questa fretta?”

Sam la strinse a sé. “C’è una cosa che Jon deve sapere” disse solamente mentre il portone veniva di nuovo chiuso alle loro spalle. Davanti c’era solamente neve.

 

Jon

 

Duskendale era la città con le più alte mura Jon avesse mai visto. Non che in effetti ne avesse visitate tante… Il suo castello era a picco sul mare, con torri slanciate verso il cielo, e il porto riparato da alberi alti. Il popolo aveva accolto le navi di Daenerys correndo e agitando le braccia. La Raggio di Luce era stata ormeggiata e Jon era saltato a terra. La gente della città sembrava così entusiasta.

Jon sapeva che erano molti anni che Duskendale non era più governata da nessun lord, in seguito alla fallita ribellione di Denys Darklyn. Il Re Folle aveva punito severamente i traditori passandoli a fil di spada e causando l’estinzione di casa Darklyn e Hollard. Era la stessa politica che Tywin Lannister aveva portato avanti contro i Reyne di Castamere. E la stessa che noi abbiamo utlizzato ponendo fine ai Bolton, realizzò Jon, ma non si sentiva minimamente in colpa.

Vide scendere dalla nave anche Theon, Missandei, Tyene e Benjameen, che lo raggiunsero subito. Benjameen corse a dare disposizioni per i soldati di Dorne, mentre Missandei andò a parlare con coloro che venivano loro incontro. Alla fine anche Daenerys scese dalla nave, tenendo per mano Jorah Mormont. Jon sapeva che il cavaliere era stato ferito durante la Battaglia delle Cinque Torri mentre tentava di salvare la vita della sua regina e ciò aveva fugato ogni dubbio rimasto riguardo dove giacesse la lealtà di ser Jorah.

Jon alzò lo sguardo ed incontrò quello di Daenerys. Si affrettò a distoglierlo. Dopo quel pomeriggio sulla nave durante il quale si erano lasciati andare, Jon provava una forte vergogna. Come era successo con Ygritte, non riusciva a capacitarsi di aver alla fine ceduto. Certo, ora la situazione era diversa e non esistevano voti di castità da rispettare o guerre fra popoli che duravano da secoli, ma Jon conservava sempre i suoi valori, o almeno ci provava. Eppure, quando Daenerys gli si era avvicinata seducente, non era stato capace di resistere. Continuava a ripetersi che presto l’avrebbe sposata e che era normale lei desiderasse degli eredi. Il solo pensiero gli faceva girare la testa. Jon ormai tentava solamente di evitarla, per quanto possibile.

I castellani di Duskendale resero omaggio a Daenerys e il suo corteo, offrendo ospitalità e doni. Era la prima volta che Jon vedeva Daenerys alle prese con il popolo e il suo ruolo di regina ed era curioso. Daenerys sembrava perfettamente a suo agio e sollevava la mano per salutare la folla sorridendo. “Accetto il vostro cortese invito” disse ai castellani. “Spero di essere degna della vostra fiducia.” Jon era sorpreso nessuno avesse accennato al fatto che proprio il folle padre di Daenerys avesse causato il declino della città. Forse hanno davvero capito che Cersei sarà la rovina dei Sette Regni, pensò seguendo gli altri lungo la scalinata per il castello.

Jon non aveva mai conosciuto Cersei. L’aveva scorta durante la visita di re Robert a Grande Inverno molti anni prima e gli era sembrata piuttosto altezzosa, ma non la conosceva. Sansa però gliene aveva parlato a lungo, descrivendo l’ossessione di Cersei per il potere e la sua malvagità. Jon sapeva che c’era Cersei dietro la decapitazione di suo padre e, probabilmente, anche dietro alla caduta di Bran giù dalla torre. Il desiderio di vendetta era straordinariamente attraente, ma lui continuava a imporsi di rimanere lucido e concentrato sul reale obbiettivo.

Arrivati alle porte del castello di Duskendale, Jon si voltò verso il porto. Da lassù le navi sembravano molto più piccole e il mare assumeva tutte le colorazioni del verde e dell’azzurro. Entrarono nel palazzo e furono mostrate loro le stanze degli ospiti. Il castello era spoglio e cupo, progettato pensando più ai suoi scopi difensivi piuttosto che alle comodità. Le camere erano piccole e umide, chiaramente non usate da molto tempo. Daenerys ringraziò i castellani, i quali si dichiararono pronti a fornirle tutto ciò di cui aveva bisogno.

Quando se ne furono andati, Daenerys tornò a rivolgersi ai suoi alleati. “Venite” li incitò, “abbiamo molto di cui discutere.”

Jon e gli altri la seguirono nella stanza più grande, dove trovarono delle poltrone che si rivelarono dure come il resto del castello. Dany si sedette aggraziata e accavallò le gambe. All’appello mancavano solo Benjameen e Jorah.

“Dunque” iniziò Daenerys, “intanto voglio annunciarvi che, in assenza di Tyrion, a fare le veci di Primo Cavaliere sarà Missandei.”

Missandei parve sopresa. “Vostra grazia” obbiettò, “non credo una donna sia mai stata Primo Cavaliere…”

“C’è sempre una prima volta.”

“Ma io non conosco Westeros, vostra grazia.”

“Neanch’io” osservò Dany, “quindi tu capirai la mia situazione meglio di chiunque altro.” Missandei la guardò per un paio di secondi, poi annuì.

“Come ben saprete Cersei tiene Approdo del Re” continuò Daenerys, “e il popolo sta soffrendo. E’ consigliata da suo fratello Jaime, colpevole di aver assassinato mio padre, e da Gregor Clegane, che uccise i figli bambini ela moglie di mio fratello Rhaegar come fossero bestie. Tutti loro pagheranno per quello che hanno fatto alla mia famiglia e ai Sette Regni, ma non è ancora giunto il momento di attaccare.”

In quel momento la porta sbatté ed entro Benjameen Sand. “Mi sono perso qualcosa?” chiese in tono allegro. Daenerys scosse la testa e Benjameen andò a sedersi accanto a Tyene, afferrando un frutto dal cesto sul tavolino e addentandolo.

“Stavo appunto dicendo” proseguì Daenerys, “che abbiamo bisogno di alleati.”

“Non ne abbiamo già abbastanza?” chiese Benjameen inarcandò le sopracciglia.

“Gli alleati non sono mai abbastanza” gli ricordò Dany, “e poi in questo momento molti sono impegnati in altre missioni. Dovremo riuscire a prendere la capitale versando meno sangue possibile…”

“I nostri soldati dorniani saranno sufficienti” intervenne Tyene, “non si daranno al saccheggio se così ordinerai.”

“Dobbiamo cercare alleati nelle Terre della Corona” insistette Daenerys, “o potrebbero vederci come invasori e passare dalla parte di Cersei.” Tyene e Benjameen si guardarono, poi spostarono nuovamente lo sguardo sulla loro regina e annuirono.

Daenerys si alzò in piedi. “Ho studiato bene le casate di questa zona” iniziò, “e credo che valga la pena fare qualche tentativo…” Aprì una cartina e indicò due punti. “Benjameen tu andrai a parlare a Rosby con lord Gyles” disse, “mentre Tyene prenderà la Sabbia di Sogno ed andrà a Stokeworth a parlare con lady Tanda.”

“Cosa?” esclamò Benjameen “Perché invii proprio noi? Veniamo da Dorne e non conosciamo questa gente, molti ci odiano…”

“Voi due siete i comandanti dell’esercito di Dorne” spiegò Daenerys, “e i vostri soldati sono gli unici che in questo momento possono combattere. Verrete accompagnati da una scorta e inviterete i lord a venire a Duskendale con il loro esercito per parlare con me.”

Benjameen non sembrava convinto. “Gli Stokeworth e i Rosby insieme non hanno più di tremila uomini” osservò, “il loro appoggio alla nostra causa è superfluo.”

“Ma il loro eventuale appoggio alla causa di Cersei non lo sarebbe” ribatté Daenerys. “Cosa pensi accadrà se, mentre i tuoi uomini stanno assediando Approdo del Re, venissero attaccati alle spalle dagli eserciti di Rosby e Stokeworth? Quelle morti sono superflue.” Benjameen chinò il capo.

Dany si rivolse a Theon. “Theon, il tuo contributo alla Battaglia delle Cinque Torri è stato vitale” disse con un sorriso, “così ho deciso di nominarti maestro della flotta. Quando siederò sul Trono di Spade farai parte del mio Concilio Ristretto.”

Jon sbirciò la reazione di Theon. Sembrava genuinamente esterrefatto. Jon non aveva perdonato Theon, più che altro tollerava la sua esistenza e provava pena per lui, ma dovette dar ragione a Daenerys. Senza di Theon gli Uomini di Ferro di Euron avrebbero preso la Torre delle Conchiglie, pensò, e probabilmente avremmo perso.

Theon stava ancora tentando di parlare. “Vostra grazia, non merito tale onore...”

Daenerys rise. “Certo che lo meriti” tagliò corto, “accetti?” Theon annuì e sorrise.

“Bene” disse Daenerys, “allora tu ti occuperai di preparare la flotta per l’assedio. Resterai a Duskendale e lavorerai al porto.”

“Come vuoi, vostra grazia” disse Theon e Jon sentì che il suo tono celava la gioia.

“Missandei” chiamò poi la regina, “tu scriverai una lettera a Garth Hightower, comandante della guarnigione Tyrell, e gli dirai di portare i suoi uomini e i Dothraki di Rakandro alle porte di Duskendale. Quando saranno arrivati e avremo ricevuto notizie da Tyrion, Yara e Gendry, potremo procedere all’assedio.”

Missandei annuì. “Dove la devo indirizzare?”

Daenerys parve riflettere. “Ad Alto Giardino” rispose poi, “qualcuno sicuramente sarà rimasto e potrà farla recapitare a Garth.” Missandei annuì di nuovo.

“Jon” disse quindi Daenerys e Jon si voltò a guardarla, “è ora di mettere alla prova la nostra alleanza: il Nord deve fare la sua parte.”

Jon si morse il labbro. “Daenerys, te l’ho già detto” le ricordò, “sono pronto ad offrirti tutto il mio supporto, ho combattuto per te, ma i miei uomini non possono scendere così a sud: gli Estranei sono più vicini ogni giorno che passa e l’inverno rende l’Incollatura molto pericolosa da superare.” Daenerys lo fissò e Jon pensò stesse per arrabbiarsi. Invece sorrise. Forse finalmente ha capito, si disse Jon e la tensione lo abbandonò.

“Capisco” disse Dany, “non richiederò il supporto del Nord, ma tu sei alleato della Valle e delle Terre dei Fiumi.”

Jon sussultò: l’idea di coinvolgere Baelish in una guerra a sud non lo entusiasmava per niente. “I Cavalieri della Valle sono rimasti nel Nord” osservò, “ma forse Edmure Tully potrebbe sostenerti. Io non imporrò nulla: sarai tu a scrivergli e a chiedergli di inviare le sue truppe. Non aspettarti però molti uomini: casa Tully è stata una delle più colpite dalla Guerra dei Cinque Re.” Così come casa Stark, non poté far a meno di pensare.

Dany annuì. “Bene” disse, “scriverò io stessa a lord Edmure e gli chiederò di abbracciare la mia causa.” Si diresse verso la porta e tutti si alzarono. “La riunione è finita” annunciò, “Tyene e Benjameen partiranno oggi pomeriggio, mentre gli altri hanno tutti i loro doveri qui.”

“Cosa intendi fare con i draghi, vostra grazia?” chiese allora Missndei.

Daenerys si immobilizzò, la mano ferma sulla maniglia. Si girò nuovamente verso di loro. “Ora che siamo in una grande città non possono rimanere liberi” disse in tono mesto, “specialmente dopo quello che è successo alla Roccia del Drago. Li rinchiuderò io stessa nei sotterranei del castello. Potete andare.” Daenerys lasciò per prima la stanza e corse via. Tyene e Benjameen tornarono nelle loro stanze, mentre Theon scese al porto. Missandei invece salì alla corvaia per cercare un corvo adatto a inviare la lettera.

Rimasto solo, Jon si chiese cosa potesse fare. Era piuttosto strano avere del tempo libero. Così decise di approfittarne per farsi un bagno e cercò le stanza delle vasche. Quando finalmente la trovò, aprì la porta di scatto. Quasi fece un salto indietro quando vide che dentro c’era già Jorah. Il cavaliere era seduto sul bordo di una vasca ed era a petto nudo. Stringeva nella mano destra una spugna e se la strofinava con veemenza sul corpo. Appena sentì Jon entrare, alzò la testa e si coprì il braccio sinistro, ma ormai il danno era fatto. Jon aveva visto il segni del Morbo Grigio sulla sua pelle.

“Perché sei qui?” chiese Jorah in tono aspro “Vattene.”

Jon invece entrò e chiuse la porta alle sue spalle. “Daenerys mi aveva detto che avevi trovato un cura” disse avvicinandosi, “ma se fosse così la pelle sarebbe tornata al suo colore naturale, non sarebbe diventata nera.”

“E’ un caso diverso” borbottò Jorah, “ma sono guarito.”

“La figlia di Stannis Baratheon, Shireen, era stata curata da piccola dal Morbo Grigio” continuò Jon, “ma la sua cicatrice non era come la tua. La sua, nonostante tutto, sembrava pelle, la tua sembra roccia.” Jorah sospirò e sembrò accasciarsi.

“Non ti sei mai curato” mormorò Jon, colpito da un gesto tanto temerario: avrebbe potuto contaminare altre persone, anche senza volerlo.

“Non è così” disse Jorah, “è solo più complicato.” Jon si sedette accanto a lui, invitandolo con lo sguardo a continuare.

“Ho viaggiato per il Continente Orientale alla ricerca di una cura” raccontò Jorah con amarezza, “ma ovunque mi dicevano che la malattia mi stava consumando e che mi sarei dovuto rassegnare. Poi incontrai una donna che avevo già visto a Qarth. Portava una maschera sul volto e diceva di chiamarsi Quaithe. Mi offrì un patto: avrebbe potuto trattare la pelle infetta e bloccare la malattia, in modo che non potessi più rischiare di trasmetterla ad altri, ma ciò avrebbe accelerato il decadimento dell’infezione. Mi disse che se avessi accettato il Morbo Grigio non mi avrebbe ucciso in dieci anni o più, ma in massimo tre lune.”

Jon era incredulo. “E tu hai accettato?”

Jorah annuì. “Desideravo solo una cosa” disse con un sorriso da sognatore, “poter essere al fianco di Daenerys quando avrebbe conquistato i Sette Regni. In questo modo potrò spendere il resto dei miei giorni con lei, senza rappresentare un rischio per qualcuno.”

Jon si sentì oppresso da un indicibile tristezza. “Quanto ti resta?” chiese a bassa voce.

“Poche settimane ormai” rispose Jorah, “ma saranno sufficienti.”

“Daenerys non ne sa niente.”

Jorah scosse la testa. “Non volevo che fosse influenzata da questo” spiegò, “volevo mi trattasse come ha sempre fatto e che non fosse in pena per me. Maestro Pylos ovviamente ha capito subito la situazione, ma è un brav’uomo e ha accettato di aiutarmi a mantenere il segreto: tu sei il primo dopo di lui a scoprirlo.”

“Se non vuoi” disse Jon, “non lo dirò a Daenerys.” Poi non poté trattenere la curiosità. “Mi ha detto che tu l’hai tradita” disse ricordando le parole di Daenerys dopo quel pomeriggio di passione.

Jorah lo guardò. “E’ vero” rispose con amarezza, “ma è stato tanto tempo fa.”

“Daenerys ha parlato di una profezia” continuò Jon, “di tradimenti e…”

“Era la profezia degli stregoni di Qarth” lo interruppe Jorah. “Le hanno predetto che dovrà accendere tre fuochi, cavalcare tre destrieri e subire tre tradimenti.”

“Ma ora i tradimenti sono finiti” osservò Jon, “o almeno lei sostiene che sia così… La strega che le ha ucciso suo figlio era il tradimento per sangue, mentre tu l’hai tradita per oro e…”

“Io non l’ho tradita per oro!” esclamò Jorah indignato “Volevo solamente ottenere il perdono reale e poter tornare a casa… Ascoltami: quella era solo una stupida profezia e non tutte le profezie si avverano. Sai che cosa le avevano anche predetto quando ancora viveva con i Dothraki? Che suo figlio sarebbe diventato lo Stallone che Monta il Mondo, che avrebbe unito tutti i khalasar sotto il suo vessillo. E prima ancora, suo fratello Rhaegar era ossessionato dall’idea del drago che doveva avere tre teste ed era convinto che suo figlio sarebbe stato il Principe che fu Promesso. E che cosa è successo? Rhaego e il principe Aegon sono stati uccisi e le profezie non si sono avverate. Non è bene che Daenerys perda il sonno a casua di queste sciocchezze.” Jon lo stava fissando, le mani sulle ginocchia e il busto in avanti.

Jorah fece una breve pausa. “Daenerys mi ha detto tutto, sai” disse senza guardarlo, “della vostra alleanza, del vostro imminente matrimonio…”

Jon si sentì all’improvviso estremamente a disagio. Trovarsi nella stessa stanza di un uomo prossimo alla morte e così follemente innamorato non sembrava più una scelta saggia.

“Tu la ami?” chiese Jorah tornando a guardarlo.

Jon deglutì un paio di volte. Una parte di lui avrebbe voluto scoppiare a ridere, tergiversare, dire che sposava Daenerys solamente per senso del dovere e per spirito di sacrificio. Forse le ragioni che l’avevano spinto in principio ad accettare il patto offertogli da Daenerys erano davvero mosse da sentimenti del genere, ma ora la situazione era cambiata e Jon non riusciva bene a capire quanto. Una parte di lui gli urlava di star tradendo Ygritte e la sua casata, ma le emozioni alla fine furono quelle che ebbero la meglio.

“Sto imparando a farlo.”

Jorah annuì. “Lei ti ama?” chiese in tono indecifrabile.

“Così dice” rispose Jon sulle difensive. Jorah si alzò in piedi e Jon fece altrettanto.

“Bene” disse il cavaliere, “vi auguro di essere felici.” Gli tese la mano e Jon la prese esitante. La stretta di Jorah era ferrea e faceva scricchiolare le dita. Jon strinse le labbra.

“Trattala con onore, Jon Snow” sussurrò Jorah con voce velatamente minacciosa, “come merita una regina e rendila felice.”

Lasciò andare la mano e Jon dovette combattere l’impulso di ritrarsi. Invece rimase a fissare Jorah negli occhi.

“Lo farò.”

Jorah annuì. Si infilò la camicia che aveva lasciato sul pavimento e coprì con cura il braccio infetto. Fece per uscire, poi si voltò. “Altrimenti ti strapperà il cuore” disse con un ghigno, “e lo darà in pasto ai suoi draghi.”

La porta sbatté di nuovo e Jon rimase solo con il suo turbamento.

 

Davos

 

Sembrava passato così tanto tempo da quando aveva lasciato Porto Bianco per recarsi di nascosto alla Roccia del Drago con Brienne ed era strano ritornarci. Davos contava che gli Uomini di Ferro lasciati da Euron Greyjoy sarebbero stati colti di sorpresa e si augurava la liberazione non avrebbe richiesto troppo tempo. Via via che la Furia Grigia sia avvicinava alla costa si potevano scorgere i resti di quella che era stata la piccola flotta del Nord. Davos era certo fra quei relitti ci fossero anche le navi di Stannis. E’ stato bruciato tutto, si disse ricordando il racconto di Theon. Le banchine erano deserte e dalla città non provenivano rumori.

Gendry era particolarmente nervoso. “Cosa dobbiamo fare?” chiese in tono falsamente tranquillo.

“Per prima cosa stare calmi” scherzò Davos, “e ricordare il piano.”

“Abbiamo un piano?” chiese sorpreso Gendry.

Davos capì che stava entrando nel panico. “Te l’ha spiegato ser Andrew prima.”

Gendry sospirò. “Non posso guidare un assedio” mormorò, “non so come fare!”

“Non sarà un assedio se siamo fortunati” replicò Davos, “probabilmente si arrenderanno.”

“E se non lo facessero?” insistette Gendry “se decidessero di combattere?”

“Allora lascerai il comando a tuo zio Eldon” disse Davos, “e resterai nelle retrovie al sicuro.”

Gendry sollevò il capo. “Ma un buon capo guida il proprio esercito” fece notare con amarezza, “non si nasconde come un codardo…”

Davos rise. “Sì e in teoria i sovrani dovrebbero seguire i loro sudditi in battaglia” disse, “eppure Daenerys non è qui.” Gli passò un braccio intorno alle spalle. “Andrà tutto bene” lo rassicurò, “gli Uomini di Ferro non saranno più di mille: li superiamo dieci a uno.”

Gendry parve rilassarsi e Davos si alzò dalla scomoda panca di legno sul ponte della nave. “Guarda” disse, “siamo arrivati.” Nel porto c’erano solamente una cinquantina di navi della Flotta di Ferro, perciò le imbarcazioni della Tempesta non riscontrarono difficoltà nel legare gli ormeggi. Gendry fu raggiunto sul pontile da Andrew ed Eldon Estermont e subito dopo da Lester Mirrigen e Monterys Velaryon. Il bambino era avvolto da un mantello blu notte con un piccolo fermaglio a forma di cavalluccio marino ed aveva un’espressione corrucciata che gli donava almeno un paio di anni. A Davos ricordò incredibilmente la piccola Lyanna Mormont. Tutti insieme si diressero verso le case bianche della città. Le strade erano silenziose.

“Dove sono finiti tutti?” chiese Andrew stupito. Davos non voleva subito pensare al peggio.

“Forse sono scappati” suggerì Gendry incerto. Si avvicinava sempre più al bianco castello dei Manderly e Davos sentiva l’ansia crescere a ogni passo. Finalmente raggiunsero le mura. Eldon diede ordini ai soldati di disporsi su tre file e di stare pronti. Gli arcieri avevano già gli archi tesi e la mano di Davos scivolò istintivamente su Giuramento. Per qualche istante non successe nulla. Poi sulle mura comparvero degli uomini.

“Chi siete?” gridò una guardia dalla voce profonda. Davos stava per dire qualcosa, ma Gendry fece un passo avanti.

“Sono Gendry Baratheon, lord di Capo Tempesta e alleato di Daenerys Targaryen. Questa città appartiene al Re del Nord: vi chiedo di arrendervi e di consegnare il cancello.”

La sentinella scoppiò in una squallida risata. “E perché mai dovremmo, ragazzino?”

“Euron Greyjoy è morto” intervenne Davos, “le sue navi ora appartengono alla Madre dei Draghi. Molti Uomini di Ferro alla Roccia del Drago hanno scelto di arrendersi e Daenerys ha permesso loro di ritornare alle proprie isole. Sappiamo che non avete abbastanza uomini, quindi perché ostinarsi a combattere per una causa ormai persa?”

“Abbiamo degli ostaggi” osservò l’uomo sulle mura, “ogni singolo abitante di Porto Bianco morirà prima che i vostri soldati riescano a prendere il castello.”

Era successo esattamente ciò che avevano tanto temuto. Davos strinse le labbra e Gendry si voltò verso di lui. “Cosa facciamo?” chiese incerto.

“Dobbiamo prendere quel castello” disse Morrigen, “dobbiamo attaccare, mio signore.”

“Ma causeremmo la morte di centinaia di innocenti” protestò Andrew.

Morrigen lo squadrò dall’alto in basso. “Cosa suggerisci di fare allora?” chiese in tono di sfida.

“Chiediamo di inviare qualcuno a trattare la resa” propose ser Andrew, “così da guadagnare almeno un po’ di tempo: sentiamo cosa hanno da dire e poi decidiamo.” Morrigen non rispose, ma Davos capì che era d’accordo.

Gendry annuì. Si girò nuovamente verso le mura. “Desideriamo discutere i termini della resa del castello” disse, “inviate un vostro rappresentante a dialogare oppure troveremo un modo per far breccia nelle mura.”

La sentinella non rispose e si limitò a scomparire otlre i bastioni. Davos si avvicnò a Gendry e attesero un paio di minuti. Poi il portone si spalancò e venne fuori un uomo con il simbolo dei Greyjoy sull’armatura scortato da quattro soldati. Gendry fece un respiro profondo e andò loro incontro. Si comporta come un vero lord, pensò Davos con ammirazione e lo seguì. Furono presto raggiunti da Andrew Estermont che portava il vessillo dei Baratheon.

“Chi sei?” chiese Gendry rivolto all’uomo accigliato che lo stava fissando.

“Gyles Farwynd” rispose quello sporgendo il mento, “erede di Luce Solitaria e incaricato da re Euron di tenere Porto Bianco.”

“Sai queli erano le intenzioni del tuo re quando ha lasciato questa città?” chiese Davos e Gyles annuì. “A Roccia del Drago è stato versato già abbastanza sangue” proseguì Davos, “non vogliamo che questa questione finisca in un massacro.”

“Vi daremo la possibilità di lasciare il Nord” incalzò Gendry, “avete la mia parola.”

Gyles Farwynd rise. “Due volte un uomo ha fatto questa offerta agli Uomini di Ferro, a Grande Inverno e Moat Cailin” disse a bassa voce, “e due volte il patto non è stato rispettato. I nostri fratelli sono stati passati a fil di spada proprio da coloro che avevano giurato di avere clemenza.”

Gendry parve confuso, ma Davos aveva capito. “E’ stato Ramsay Bolton” osservò, “è stato lui a scuoiare i vostri uomini vivi e a gettarli in pasto ai suoi cani: lord Gendry vi sta offrendo un accordo sincero.”

“E io come faccio sapere che non state mentendo?” chiese Gyles stringendo gli occhi “Che non brucerete le nostre navi appena saremo saliti?”

“Quelli qui che hanno la passione di dare alle fiamme le navi avversarie siete voi” osservò Davos con voce dura. Poi sorrise. “Ma se non volete arrendervi, fate pure” disse con calma. “Noi saremmo stati clementi: lord Gendry e i suoi alfieri non hanno mai avuto nulla a che fare con gli Uomini di Ferro, non stanno cercando alcuna vendetta. Non hanno interesse a vedervi distrutti e neppure Daenerys Targaryen. Dall’altra parte la gente del Nord... Oh sì che avrebbe motivo per sterminarvi tutti, non trovi? Noi possiamo aspettare i rinforzi da Grande Inverno e quando saranno arrivati prenderemo questo castello prima che abbiate la possibilità di impiccare il primo ostaggio. A voi la scelta…” Gendry ed Andrew lo stavano guardando con ammirazione. Davos aveva spudoratamente mentito riguardo al Nord, le cui truppe non si sarebbero mosse da Grande Inverno e dalla Barriera almeno fino al ritorno di Jon, ma sembrava che le sue parole avessero sortito l’effetto sperato.

Gyles si guardava intorno a disagio. Poi si rivolse a Gendry. “Se consegnamo il castello” mormorò, “non romperete la vostra promessa?”

“Non lo faremo” promise in tono solenne Gendry, “lo giuro sulla mia spada.” E la estrasse dal fodero. Davos era sorpreso anche solo dal fatto che avesse una spada. La osservò attentamente e il suo stupore divenne incredulità. E’ acciaio di Valyria, pensò. Dove l’ha trovata?

Gyles annuì, poi fece un cenno verso le guardie ancora sulle mura. Presto il vessillo della piovra fu ammaniato e sui bastioni tornarono a sventolare il tritone dei Manderly e il meta-lupo degli Stark. I vicnitori poterono entrare nel castello, mentre lord Eldon si occupava di condurre gli Uomini di Ferro alle loro navi. Davos si chiedeva se Yara Greyjoy li avrebbe fatti tutti giustiziare ugualmente, ma si rese conto che non era un suo problema.

La popolazione di Porto Bianco fu liberata e tutti riconoscevano Gendry e urlavano il suo nome. Il ragazzo sembrava profondamente emozionato e Davos era felice di vederlo sorridere. Presto poterono prendere posto nella sala dei banchetti e Davos si sedette al fianco di Gendry. “Dove l’hai trovata quella spada?” chiese accennando all’arma.

“Re Jon me l’ha donata” spiegò Gendry, “la notte prima di partire. Mi ha detto che era la spada di Euron Greyjoy e che si chiama Crepuscolo.”

Davos era sorpreso. “E’ acciaio di Valyria.”

Gendry annuì. “Sì, l’aveva già notato” disse estraendo di poco la spada, “so che può uccidere gli Estranei. Ma perché il re l’ha voluta dare proprio a me?”

Davos inarcò le sopracciglia. “Forse voleva fornirti un’arma…” azzardò, ma Gendry scosse la testa. “Sa bene che ho già Tuono, la mia mazza” disse, “mi ha visto combattere sulla nave contro i sicari di Euron… Quindi, perché?”

Davos sopirò. “Doveva pur darla a qualcuno” osservò, “e tutti sanno che io combatto peggio di un bambino.”

“Lo stesso vale per me” ribatté Gendry, “sembra come mi avesse voluto fornire un qualche indizio per capire qualcosa, come volesse che facessi qualcosa…”

Davos lo stava guardando negli occhi. In effetti Jon avrebbe potuto benissimo regalare la spada a Gendry in pieno giorno, poco prima della partenza, e invece aveva scelto la notte, come non volesse essere scoperto. Davos stesso non si era accorto della spada di Gendry fino a non molti minuti prima. “Ricordi cosa ti ha detto esattamente?” chiese avvicinando la sedia.

Gendry ci pensò sopra un attimo. “Mi ha detto sappi che l’acciaio di Valyria uccide gli Estranei” recitò, “in caso di bisogno, usala a Nord.

Davos si grattò il mento: sembrava un messaggio criptico, sempre ammesso fosse davvero un messaggio.

Poi Eldon Estermont arrivò a sedersi accanto a Gendry. “Ci sono notizie sorprendenti, nipote” disse. “Abbiamo ricevuto voci secondo cui il Nord sarebbe sull’orlo di una guerra civile: sembra c’entrino in qualche modo dei ribelli della Valle. Non sappiamo altro, ma il Nord potrebbe non essere più un posto sicuro anche ora che Porto Bianco è liberata.”

Fu allora che Davos capì. Si alzò in piedi, subito imitato da Gendry. “Puoi scusarci un momento, lord Eldon?” chiese ed Estermont chinò il capo e fece ritorno al suo tavolo. Davos si rivolse a Gendry. “Seguimi” gli disse e lo condusse lontano dalla sala, fino in una stanza vuota.

Gendry aveva gli occhi sgranati. “Una rivolta nel Nord?” chiese incerto.

“Non lo sappiamo” osservò con calma Davos, “potrebbero essere, anzi sono probabilmente, delle notizie di qualche giorno fa, prima che gli Uomini di Ferro si ritirassero nel castello per paura delle ritorsioni di Daenerys.” Jon gli aveva accennato ad una certa tensione fra lui e Baelish, ma Davos non aveva mai pensato questa sarebbe potuta sfociare addirittura in una rivolta.

“Ascoltami” disse posando le mani sulle spalle di Gendry, “Jon ha corso un rischio enorme affidantoti quella spada, se fosse scoperto potrebbero accusarlo di tradimento.”

Gendry era esterrefatto. “E’ solo una spada…” mormorò.

Davos scosse la testa. “Jon con quelle parole intenteva dirti di portare il tuo esercito a Nord semmai le cose si fossero messe male” spiegò, “di proteggere la sua famiglia e la sua casa ora che lui non può.” Davos si sentiva un idiota: e lui che aveva pensato Jon avesse abbandonato la causa del Nord!

Gendry sembrava spaventato. “Ma io ho promesso alla regina che avrei riportato i soldati nelle Terre della Corona dopo aver liberato Porto Bianco” disse a bassa voce, “ho giurato fedeltà a lei…”

Davos sorrise. “Non devi fare nulla che tu non voglia” disse in tono rassicurante. “Jon ti ha solo chiesto aiuto, ma allo stesso tempo ti ha esposto a grandi rischi. Io farò come è stato stabilito ed andrò a Grande Inverno e porterò con me il Vetro di Drago, ma tu puoi scegliere.” Gendry sembrava incapace di articolare una frase di senso compiuto.

“Io non voglio vederti in pericolo” disse Davos in tono affettuoso, “ma non posso nemmeno obbligarti ad andare o a tornare indietro. Il Nord è nei guai e sembra non a causa del Re della Notte o degli Estranei, ma per problemi interni. Lady Sansa non ha gli uomini per affrontare una rivolta e il fatto che non abbia avvertito suo fratello mi fa temere il peggio.”

“Il mio esercito farebbe la differenza?” chiese Gendry in un sussurro.

Davos sapeva di dover essere onesto ed annuì. “Non è una decisione da prendere a cuor leggero” mormorò guardando Gendry negli occhi, “appena la regina saprà che le hai voltato le spalle saremo tutti accusati di tradimento.”

“E cosa farà re Jon allora?”

Davos sospirò. “Conosce i rischi” disse con voce grave, “ma se è abbastanza furbo darà la colpa a noi.” Davos era perfettamente certo Jon non l’avrebbe mai fatto, ma non voleva mettere toppo sotto pressione Gendry. Jon ha fatto la sua scelta, si disse capendo che quello era l’unico modo per garantire al Nord protezione nonostante le tante guerre nel Sud.

Gendry stava annuendo. “Tu mi hai salvato la vita da Stannis e dalla Donna Rossa, ser Davos” disse, “e re Jon mi ha portato con sé via da Porto Bianco senza neanche conoscermi e ha avuto fiducia in me. Se ora sento di essere qualcuno, è solo merito vostro. Non vi volterò le spalle, qualcunque sia il prezzo.” Gendry si avviò nuovamente verso la sala dei banchetti e Davos lo seguì. Non poteva credere a quanto quel ragazzo fosse cresciuto in così poco tempo. Appena entrarono Gendry sussurrò qualcosa all’orecchio di ser Andrew, che batté il calice sul tavolo per richiedere silenzio.

“Miei signori” inizò Gendry ad alta voce, “avevamo preso un impegno con Daenerys Targaryen: riportare il nostro esercito ad Approdo del Re, così da poterla aiutare a prendere il Trono di Spade.” Ci furono esclamazioni e borbottii. “Tuttavia” continuò Gendry, “io sono dell’idea che dovremmo cambiare il nostro piano.” La sala iniziò ad agitarsi.

“Il Nord è nei guai” spiegò Gendry, “tutti noi sappiamo che i veri nemici verranno da oltre la Barriera, eppure la regina si rifiuta di inviare uomini a proteggere il Nord, che ora sembra anche precipitato nel caos.”

“Perché dovrebbe interessarci?” chiese Morrigen “Abbiamo giurato fedeltà a Daenerys…” Davos vide Gendry annuire.

“Il Re del Nord è mio amico” disse il ragazzo, “e se sono qui ora, a parlare come vostro signore, lo devo solo a lui e a ser Davos.”

“Questo non lo mettiamo in dubbio, mio signore” intervenne Duram Bar Emmon, “ma non è nostro compito proteggere il regno di qualcun altro.”

“Io non vi chiederò di seguirmi” disse Gendry, “coloro che vorranno potranno portare le proprie navi a Sud, aiutare Daenerys Targaryen e nessuno li fermerà. Ma io andrò a Grande Inverno, insieme a ser Davos e a coloro che vorranno venire, perché è nei momenti di paura e sconforto che ci dobbiamo aiutare l’un l’altro. Jon Snow ha aiutato le Terre della Tempesta a ritrovare la stabilità e ora io tenterò di salvare il suo regno dalla guerra civile. Coloro che verranno con me saranno considerati dalla regina come traditori, voltagabbana e bugiardi, ma avranno modo di aiutare davvero i Sette Regni.”

Davos era davvero colpito dalla bellezza di quel discorso. La semplicità della mente non istruita di Gendry era meravigliosa e gli permetteva di arrivare dritto al punto. I suoi alfieri erano straordinariamente silenziosi.

Poi Andrew si alzò in piedi. “Te l’ho detto, mio signore” disse con un sorriso, “ti seguirò ovunque.” Gendry annuì e Davos vide che era sollevato. “

Hai parlato bene” ammise Morrigen con una smorfia, “un uomo non può rimanere insensibile a un tale discorso… mio signore.” In molti sollevarono il calice in segno di approvazione.

Tutti attendevano il verdetto di Eldon Estermont. “Ritengo sia una decisione avventata” disse l’anziano lord di Pietraverde, “dettata dal furore della gioventù… Ma in fondo, il motto dei Baratheon è Nostra è la furia: cosa potevamo aspettarci dal figlio di re Robert? Noi saremo sempre con te, mio signore.”

Ormai era fatta e nessuno osò scegliere di tornare a Sud. Tutti sembravano entusiasti all’idea di vedere il Nord, come dimenticando che era stato la tomba di Stannis Baratheon e della sua famiglia, e si complimentavano con Gendry per il grande coraggio.

Davos osservava la scena in disparte, guardando Gendry con sguardo fiero. Jon era in trappola a Sud costretto a sposare la regina per salvare il suo popolo, ma loro avrebbero aiutato Sansa a combattere i ribelli, i non-morti e gli Estranei, per il bene del Nord e dei Sette Regni. Quindi sta accadendo davvero, realizzò Davos. Stiamo veramente sfidando Daenerys Targaryen Nata dalla Tempesta? Ci stiamo davvero ribellando al suo volere?

Davos era certo la reginetta non l’avrebbe presa bene, ma, vedendo il sorriso di Gendry e ricordando la tristezza di Jon bloccato così lontano da casa, capì che ciò che pensava Daenerys Madre dei Draghi non gli interessava.

 

Sansa

 

Brienne era arrivata a Grande Inverno due giorni dopo l’esecuzione di Baelish. Quando il suo cavallo, un meraviglioso esemplare di Dorne, era entrato al trotto nel cortile, Sansa si era precipitata fuori dalla sua stanza senza nemmeno finire di intrecciare le ultime ciocche di capelli. Arya le era venuta dietro con un’espressione diffidente sul volto. Sansa non poteva credere Brienne fosse riuscita ad abbandonare Roccia del Drago ed era piuttosto strano avesse impiegato tutto quel tempo a tornare.

Perché Davos non è con lei?

Brienne sembrava raggiante. “Lady Sansa” la salutò chinando appena il capo, “sono dolente di non essere potuta tornare più in fretta, sapevo avevi bisogno di me, ma…”

“Non c’è bisogno di scusarsi” la interruppe gentilmente Sansa, “sono felice sei di nuovo qui. Credo tu abbia già incontrato mia sorella Arya…”

Gli occhi di Brienne divennero enormi quando il suo sguardo si posò su Arya, che aveva fatto un passo avanti. Sembrava rimasta senza parole. “S-sono contenta di vedere che stai bene” balbettò Brienne davvero a disagio. “Mi dispiace di non essere riuscita a proteggerti, mia signora.”

“Chiamami Arya” la invitò lei, “e non è stata colpa tua: sono io che sono fuggita.”

Sansa aveva già ascoltato quella storia. “Mia sorella è andata a Braavos” disse alzando gli occhi al cielo, “ed è stata lei ad uccidere Walder Frey e a liberare nostro zio Edmure. Non credo avesse bisogno della tua protezione.” Ora Brienne era davvero esterrefatta e fissava Arya con espressione quasi spaventata.

“Entriamo dentro” le incitò Sansa per smorzare la tensione crescente, “ci sono tante cose che ci devi raccontare, Brienne.” Diede ordine ai lord e ai vari inservienti di non disturbarle, ma permise a Brienne di salutare il suo scudiero.

Podrick era al settimo cielo. “Mia signora!” esclamò appena la vide “Sono così…”

“Spero le tue abilità nel combattere siano enormemente migliorate” lo interruppe Brienne incrociando le braccia.

Podrick arrossì. “Credo si sì” rispose imbarazzato.

Brienne annuì. “Dopo controlleremo” disse e seguì Sansa ed Arya nella stanza che un tempo era stata di Catelyn. Sansa ricordva come amava giocare accanto al fuoco mentre sua madre ricamava sulla sedia a dondolo. Si sedettero al tavolo e Sansa versò il vino. Arya preferì la birra e bevve un intero boccale in pochi secondi. Sansa fece finta di non aver visto sua sorella pulirsi la bocca con la manica.

“Allora” disse rivolta a Brienne, “raccontaci tutto... La Regina dei Draghi ti ha lasciato andare?”

Brienne sospirò. “Teneva me e ser Davos prigionieri” replicò, “ma io sono riuscita a fuggire. Davos invece è voluto rimanere e…”

“Come sta mio fratello?” la interruppe Arya sporgendosi sulla sedia.

“Arya!” la sgridò Sansa “Lasciala parlare!”

“Nessun problema” la tranquillizzò Brienne con un sorriso. Poi si rivolse ad Arya. “Sono fuggita prima che Jon Snow arrivasse alla Roccia del Drago, mi dispiace” disse e Arya chinò il capo.

“E dopo dove sei andata?” chiese Sansa.

Brienne inspirò profondamente. “Sarei voluta tornare subito al Nord, mia signora” rispose, “ma mi sono ritrovata sulle navi dirette a Vecchia Città.”

Sansa era stupita. “Vecchia Città?” chiese confusa “Perché mai Daenerys avrebbe dovuto inviare qualcuno a Veccia Città?”

“Da quello che ho capito aveva diviso il suo esercito in due” spiegò Brienne, “metà è stato inviato a Porto Bianco a proteggere la città da Euron Greyjoy e l’altra metà ad Alto Giardino.”

“Euron Greyjoy ha conquistato Porto Bianco” osservò Sansa, “non sapevo però avesse affrontato anche gli uomini di Daenerys Targaryen…”

“Euron ha attaccato anche la Roccia del Drago” disse a bassa voce Brienne e Sansa ed Arya sia guardarono. Jon era lì, cosa sarà successo?

“Credo però sia stato sconfitto” continuò Brienne, “o almeno così ho sentito sulla strada verso Grande Inverno…”

Sansa tirò un sospiro di sollievo. “E poi dove sei stata?” chiese riprendendo il filo del discorso.

“Ho seguito l’esercito Tyrell in battaglia contro Jaime Lannister” rispose Brienne, “e l’esercito di Daenerys è riuscito a tenere il castello.” Brienne esitò. “Lady Olenna è stata avvelenata” confidò e Sansa sussultò, “non si sa da chi, ma è morta. Io sono partita subito dopo…”

Sansa ricordava la vecchia ed energica Regina di Spine. Ammirava la sua determinazione, così come aveva sempre invidiato la capacità di Margaery di convincere con gentilezza le persone a fare quello che voleva. Sansa aveva sempre pensato loro fossero le donne in grado di reggere il gioco del trono ed era disgustata dalla propria debolezza. Eppure sono state uccise, pensò, e io sono viva.

“Sono felice tu sia di nuovo fra noi, Brienne. E' successo così tanto mentre eri via…”

Brienne strinse le labbra. “Baelish ti ha importunata?” chiese con voce dura “Lo uccido se è così…”

Sansa rise. “Diciamo che ha fatto di tutto per farmi tradire la mia famiglia” raccontò, “ha perfino organizzato una marcia dei Cavalieri della Valle su Grande Inverno.” Brienne era quasi saltata sulla sedia.

“Non c’è stata una battaglia” la tranquillizzò Sansa, “siamo riusciti a gestire la situazione. Baelish è stato giustiziato per il suo tradimento.”

Brienne sembrò rilassarsi. “Com’era giusto, mia signora.”

“Ti avverto, Brienne” disse Sansa in tono falsamente minaccioso, “chiamami ancora una volta mia signora e ti farò bandire da Grande Inverno. Sono Sansa per te.” Brienne si irrigidì per un momento, poi sorrise.

Sansa si alzò in piedi. “Mio fratello e Davos ancora non sono tornati” disse con amarezza, “e io ho un intero regno a cui pensare… Spero solo Jon non abbia ceduto alle lusinghe di quella regina…”

“Lo sai che non lo farebbe mai!” esclamò Arya con foga.

“Jon è cambiato, Arya” sospirò Sansa, “è diverso da come lo ricordi.”

“Io lo conosco molto meglio di te” borbottò Arya e Sansa sentì un dolore nel petto, “so che non tradirebbe mai la fiducia dei suoi uomini.”

Sansa si augurava sua sorella avesse ragione. E’ vero, pensò, non conosco Jon come dico di conoscerlo, non so veramente cosa pensi o cosa voglia. Era strano capire di aver compreso molto meglio l’anima di un serprente come Baelish piuttosto che quella del proprio fratello. Sansa decise di non pensarci.

Arya stava fissando Brienne. “Il Mastino è tornato, sai” disse. “Non l’avevi ucciso, ma c’eri andata molto vicino. Ora è dalla nostra parte.”

Brienne era rimasta a bocca aperta. “Non credo sia un uomo affidabile…” iniziò, ma Arya la interruppe subito. “La lealtà di Sandor Clegane è fuori discussione” disse asciutta, “è anche merito suo se sono riuscita a smascherare i piani di Ditocorto.”

Brienne chinò il capo in segno di rispetto. “Se è così” disse in tono fiero, “non dirò più nulla contro di lui.” Arya annuì, un sopracciglio alzato.

Sansa sapeva di dover riportare l’ordine. “Sarai molto stanca per il viaggio” disse rivolta a Brienne, “ti prego, va’ a riposarti. Ordinerò di portare acqua calda nella tua stanza qualora tu volessi fare un bagno. Parleremo ancora a cena: ci sarà un banchetto in onore del ritorno di mia sorella.”

Brienne sorrise. “Non mancherò” assicurò e uscì.

Sansa si accorse che Arya la stava fissando. “Cosa c’è?” chiese inarcando le sopracciglia.

“Ti fidi di quella donna?” le chiese Arya in tono sospettoso.

“Sì, mi ha salvato la vita quando sono fuggita da Ramsay” rispose Sansa, “senza di lei non avrei mai raggiunto la Barriera.” Fece una pausa. “E tu ti fidi del Mastino?” chiese ironica e Arya rise.

“Lo sai” continuò Sansa, “mi ha aiutato ad Approdo del Re e mi ha protetto come poteva da Joffrey. Avevi ragione tu Arya, era davvero un mostro ed io ero così cieca…”

Arya le venne vicina e le prese la mano. “Eri innamorata” disse, “non potevi sapere chi era davvero.”

Sansa sollevò lo sguardo, gli occhi improvvisamente colmi di lacrime. “Tu c’eri, vero?” chiese “Quando hanno decapitato nostro padre. Ho sempre sentito che tu eri là nella folla, da qualche parte…” Arya annuì, le labbra serrate. Per un po’ nessuna delle due parlò.

“Ero anche alle Torri Gemelle” mormorò poi Arya e Sansa girò la testa di scatto, “ho sentito le Piogge di Castamere suonare e visto cosa hanno fatto al cadavere di Robb…” Sansa stava trattenendo il respiro.

“Ho visto i balestrieri uccidere Vento Grigio” proseguì Arya con amarezza, “ho visto il vessillo degli Stark bruciare. Volevo entrare, andare a salvare mio fratello, ma il Mastino mi ha afferrato. Mi ha portata via da lì e mi ha salvato la vita.” Ora Sansa stava singhiozzando.

“Ho continuato a sperare nostra madre fosse sopravvissuta” andò avanti Arya, “pensavo fosse stata presa prigioniera. Poi ho sognato Nymeria che ritrovava il suo cadavere sulla riva del fiume e ho capito che era morta.”

Sansa non resistette ed abbracciò sua sorella. Sentì le braccia di Arya aggrapparsi alla veste sulla schiena e la strinse più forte. “E’ tutto passato” mormorò lottando con i singhiozzi che le mozzavano le parole, “nostro padre, nostra madre, Robb e Rickon non ci sono più, ma abbiamo ancora una famiglia. Io e te siamo vive, siamo insieme, e presto Jon tornerà e forse anche Bran è ancor là fuori da qualche parte. La nostra famiglia esiste ancora, Arya, e dobbiamo difenderla a tutti i costi.” Si separarono e Sansa tirò le labbra in un sorriso. Arya sembrava piuttosto turbata.

“Non sono mai stata una brava sorella maggiore” disse Sansa abbassando lo sguardo, “ma voglio rimediare. Ricorda che a me puoi dire tutto…” Arya annuì e in quel momento entrò Podrick.

Sansa raddrizzò la schiena. “Hai dimenticato di bussare, Pod” disse severa.

“Mi dispiace, mia signora” balbettò Podrick, “è arrivata una lettera e un dono dalla Valle.”

Sansa si avvicinò sorpresa e prese in mano il rotolo di pergamena che portava il sigillo del falco degli Arryn. Arya intanto aveva afferrato il pacco che Podrick le porgeva. Sansa srotolò la lettera ed iniziò a leggerla.

A Sansa Stark, lady di Grande Inverno e Protettrice del Nord

Mia signora, la Valle è tua. Lord Robin ha accettato di annettere i suoi domini al regno di tuo fratello per far fronte al pericolo degli Estranei, a patto che il suo titolo rimanga invariato. E’ pronto a riconoscere Jon Snow come suo re e a rispondere a eventuali chiamate alle armi. Per il momento, però, i Cavalieri della Valle resteranno qui per non creare altri problemi. Inoltre lord Robin invia al Nord un dono prezioso, scusandosi per i danni che il tradimento di lord Baelish ha causato. Spera sarà di tuo gradimento.

Yohn Royce, lord di Runestone e nuovo consigliere di lord Robin Arryn

Sansa sorrise: sembrava lei avesse fatto bene a risparmiare la vita a Royce. Adesso anche la Valle è tornata al suo posto, si disse. Jon sarà fiero di me quando saprà come ho gestito la situazione.

Intanto Arya aveva strappato la stoffa sottile che avvolgeva il dono e ne aveva estratto qualcosa. Sansa si girò e fissò incredula la spada che era comparsa fra le mani di sua sorella. Arya la impugnò e la lama riflesse la luce che entrava dalla finestra.

“E’ acciaio di Valyria” mormorò Sansa, “Jon dice può uccidere gli Estranei.” Arya sollevò lo sguardo.

Sansa prese in mano la spada e la esaminò. “La riconosco” disse d’un tratto, “è Signora Piangente, la spada di ser Lyn Corbray…”

Arya rise. “Chissà come hanno fatto a convincerlo a cederla a te” disse divertita.

“Da quello che so, ser Lyn era unodei maggiori sostenitori di Baelish” osservò Sansa. “Forse gli hanno fatto un’offerta: consegna la spada o perdi la testa.” Tornò a fissare la spada. “Che ne facciamo?” chiese “Vuoi prenderla tu?”

Arya scosse subito la testa. “Io ho Ago” disse, “la spada che mi ha regalato Jon, non potrei mai sostiuirla. E poi credo la daga che ho preso a Ditocorto sia di acciaio di Valyria, quindi Signora Piangente non mi serve. Dovresti prenderla tu…”

“Mi credi una signora piangente?” scherzò Sansa. Poi scosse anch’ella il capo. “No” replicò, “ho già Ambra e questa spada servirà a coloro che affronteranno gli Estranei: sarebbe sprecata se la tenessi io…”

“Quindi a chi la darai?” chiese Arya curiosa “Tormund? Brienne? Thoros?” Abbassò la voce. “Podrick?” chiese ed entrambe risero.

“Non lo so” ammise Sansa, “credo dovremmo conservarla e decidere più avanti.” Arya annuì.

“Adesso vieni” la invitò Sansa, “ti devi preparare per la festa…”

Arya alzò gli occhi al cielo, ma la seguì lo stesso fuori dalla stanza. “Solo perché il banchetto è in mio onore, ciò non vuol dire che devo essere abbigliata come un giullare” brontolò.

Sansa la accompagnò nella sua stanza e chiuse la porta. “Tranquilla” la rassicurò, “ho chiuso con i vestiti del Sud. Ora… Preferisci il blu-notte o il verde-smeraldo?”

Arya mise il broncio. “Il blu” rispose alla fine senza alcuna allegria.

Sansa si tuffò nell’armadio alla ricerca dell’abito giusto. “Eccolo!” esclamò trionfante estraendone uno “E ora chiudi gli occhi…”

Arya sollevò un sopracciglio contrariata, ma fece come la sorella le aveva detto. “Se trovo anche un solo fiocco sul vestito, ti strozzo” minacciò e Sansa sorrise. Aiutò la sorella a vestirsi e si fece da parte per osservare il risultato. Poi prese la spazzola e si mise ad intrecciare i corti capelli scuri di Arya. “Non voglio sapere cosa stai facendo” disse lei in tono sofferente. Le mani esperte di Sansa terminarono in fretta e lei guidò la sorella davanti allo specchio.

“Ora puoi aprire gli occhi.”

Arya li spalancò subito e fissò per qualche secondo la sua immagine nello specchio. Sansa sapeva di aver fatto la scelta giusta. L’abito non aveva un corpetto eccessivamente stretto e le gonne avevano solamente due strati. Le maniche erano lunghe, ma non coprivano le mani. Il tessuto era elastico e comodo, di un bel colore uniforme senza decorazioni. Ciò esaltava la lucentezza del fermaglio a forma di mata-lupo appuntato sulla spalla. Le dita di Arya lo accarezzarono. I capelli invece erano lasciati morbidi, i ciuffi ribelli arrotolati e legati dietro la testa in un’acconciatura a corona.

Arya sembrava piacevolemten sorpresa. “E va bene” ammise, “hai fatto un buon lavoro.”

Sansa le diede un rapido bacio sulla fronte, poi aprì la porta. “Credo possiamo andare” disse, “ci staranno aspettando.” Arya annuì e allungò la mano verso Ago.

“Quella è meglio lasciarla qui” osservò Sansa, “non ti servirà. E in caso di pericolo ci saranno comunque Nymeria e Spettro. Sempre se non sono tornati nella foresta…”

Arya sorrise e seguì Sansa fino alla Sala Grande. Tutti i lord abbandonarono le loro sedie appena le giovani Stark entrarono. Si fecero avanti sciogliendosi in complimenti e Sansa temette sua sorella potesse irritarsi come accadeva tanti anni prima. Invece Arya sorrideva e continuava a comportarsi in maniera educata. E’ così tanto cambiata, pensò Sansa orgogliosa, ma non ha rinunciato mai al suo carattere… E’ solo diventata più matura, proprio come me. Era strano ritrovarsi così simili dopo tanti anni.

Si sedettero una accanto all’altra al lungo tavolo di legno e furono presto raggiunti da Tormund. “Mie signore” le salutò “siete bellissime…”

“Come procedete l’integrazione del popolo libero?” chiese Sansa “Hanno accettato le terre di Ultimo Focolare?”

Il grosso bruto annuì. “La maggior parte del Popolo Libero è rimasta là” rispose, “mentre i guerrieri sono tornati qui. Quando il vostro amico dalla faccia bruciata ci è venuto a chiamare è stato arduo convincerli a venire in vostro soccorso, ma alla fine ci sono riuscito.”

“Li hai minacciati?” chiese Arya.

Tormund fece una smorfia. “Nahh... cioè, non troppo…”

Sansa rise. “Fortunatamente non è stata necessaria una battaglia” disse con un sorriso e il bruto annuì. In quel momento fece il suo ingresso nella sala Brienne.

Tormund sgranò gli occhi. “Non mi avevate detto era tornata a Grande Inverno!”

“E’ arrivata oggi” si giustificò Sansa.

“Credo allora andrò a salutarla” disse Tormund e si allontanò dal tavolo. Sansa osservò divertita il bruto tentare di iniziare una conversazione con una Brienne eccessivamente sulle difensive.

Arya le si avvicinò. “E’ bello essere tornata a casa” confessò e Sansa sorrise. Il banchetto era iniziato e c’era anche la musica.

“Finalmente possiamo rilassarci” sussurrò Sansa, “agli altri problemi penseremo dopo…”

In quell’esatto momento le porte in fondo alla sala si spalancarono di colpo e corse dentro una sentinella trafelata.

“Mia signora!” quasi gridò senza fiato e Sansa scattò in piedi “Al cancello… Credo sia…”

L’uomo non riusciva più a parlare, ma Sansa aveva sentito abbastanza. “Miei singori” disse ad alta voce, “continuate pure la cena… Tormund e Brienne: venite con me.”

Si precipitò fuori dalla sala con Arya, Brienne e Tormund che le venivano dietro a passo spedito. Attraversarono il cortile di corsa e raggiunsero il portone spalancato. La prima cosa che Sansa vide furono due piccole figure. Poi distinse una ragazza, coperta di logore pellicce e con folti ricci scuri, e un ragazzo dall’aria provata disteso nella neve. Fu allora che il suo cuore si fermò. Sentì Arya esclamare qualcosa alle sue spalle, ma non se ne curò.

Fece un passo avanti, quasi tremando. “Bran?” chiese incerta. Il ragazzo la fissò, poi sorrise. E allora Sansa si sciolse in nuove lacrime e corse ad abbracciarlo.

“BRAN!” urlò Arya e Sansa presto se la ritrovò affianco. Sapeva che guardando le guance arrossate e l’emozione negli occhi di sua sorella si trovava in realtà di fronte a un riflesso di sé stessa.

“Per gli dèi, Bran” chiese Arya, “dove eri finito?”

“Lontano” fu l’unica risposta del fratello.

“Stai bene?” chiese Sansa preoccupata, poi sollevò lo sguardo verso la ragazza che era con Bran. “State bene?” chiese nuovamente angosciata.

“Io sono Meera Reed” si presentò, “fortunatamente stiamo bene.” Sembrava incapace di andare oltre.

Sansa tornò a concentrarsi su suo fratello. “Bran, Bran, Bran” sussurrò bagnando la pelliccia con il suo pianto, “come avete fatto ad arrivare fin qui?”

Bran la guardò, i suoi occhi spenti e distanti. “Un drago ci ha salvato la vita” spiegò e Sansa credette di aver capito male.

“Un drago?” chiese Arya esterrefatta e Bran annuì. Sansa dovette reggersi al muro del cancello per combattere la vertigine. Tormund e Brienne erano rimasti indietro, ma ascoltavano tutto.

“E dov’è ora?” chiese Sansa con un groppo in gola “Dov’è il drago?”

“E’ volato via” rispose Bran abbassando lo sguardo.

Sansa temette fosse impazzito, ma anche quella Meera sembrava sincera. Scrollò le spalle, tentando di ritrovare un po’ di contegno. “Non importa” disse con un sorriso, “entrate dentro: starete gelando. Stavamo appunto festeggiando il ritorno di Arya…”

Sansa fece per alzarsi, ma la mano di Bran si chiuse attorno al suo braccio. Lei lo guardò incredula. “Bran…”

“Il tempo delle feste è finito” disse Bran in tono grave e Sansa sentì ogni calore sfuggirle dal corpo, “la Barriera è crollata. Il Re della Notte e il suo esercito marciano su Grande Inverno.”



                                                                                    "Adesso so quello che devo fare e so nel mio cuore che è giusto." 


N.D.A.


Bentornati a tutti! Questo è un po' un capitolo di passaggio, ma si gettano le basi per molti degli avventimenti futuri ^_^ è veramente pieno di indizi...
Per il resto sento di dover specificare alcune cose (come al solito XD)...

In primo luogo, tutto ciò che Melisandre racconta a Sam è una mia personale interpretazione che spieghi la nascita del Vetro di Drago, l'esistenza di specie diverse di draghi, il mistero di Stygai, il motivo per cui Melisandre in realtà sia vecchissima e in generale la crescita della magia sia a Westeros che a Essos. Alcune informazioni sono effettivamente vere e confermate nei libri (come ad esempio il fatto che ad Asshai non ci siano più bambini o che i draghi siano arrivati anche a Westeros prima ancora dei Primi Uomini), ma il resto è solamente una mia visione dato che la verità non è stata ancora svelata. Probabilmente Martin ha in mente qualcosa di MOLTO più complicato XD ma a ogni modo ho voluto inserirla lo stesso per dare risposta a tutte quelle domande.

In secondo luogo, non ricordo esattamente cosa ne sia stato di Duskendale dopo che il Re Folle aveva fatto uccidere tutti gli esponenti delle due famiglie principali (risparmiando solo ser Dontos, che come sappiamo è stato fatto fuori su ordine di Baelish), quindi ho supposto la città fosse rimasta prima di una casata principale. Se per caso nei libri invece Duskendale è stata assegnata a qualcun altro, prendetela come una divergenza per motivi di trama XD

In terzo luogo, quando Gendry e gli Uomini della Tempesta arrivano a Porto Bianco e ricevono le notizie della rivolta e della guerra civile in realtà tutto il disastro si è già concluso e Baelish è morto. Infatti la Battaglia delle Cinque Torri e quella a Grande Inverno avvengono la stessa notte. Tuttavia le notizie arrivano a Porto Bianco in ritardo e quindi Gendry e Davos pensano che il Nord sia ancora in pericolo a causa dei Cavalieri della Valle. Alla fine la decisione di Gendry risulta comunque quella giusta alla luce della recente caduta della Barriera, di cui ancora nessuno sa nulla.

Sembra proprio Daenerys stia perdendo appoggio a vista d'occhio: Gendry le ha voltato le spalle portando i propri uomini a Nord e, anche se lei ancora non lo sa, Garth Hightower e i Dothraki hanno deciso di agire per proprio conto. Senza Greyjoy e Immacolati (al momento occupati in missioni altrove), riuscirà Dany a prendere il trono? La situazione è estremamente instabile e il prossimo capitolo sarà decisivo a riguardo.

Serve anche che iniziate a tenere a conto le varie spade di acciaio di Valyria XD XD per ora ne sono comparse 8: Lungo Artiglio (Jon), Giuramento (Davos, ma che tornerà a Brienne), Lamento di Vedova/Dominatrice (Cersei), Veleno del Cuore (Sam), Crepuscolo (Gendry), Verità (Garth Hightower), Signora Piangente (che ancora non ha un proprietario scelto) e la misteriosa spada di Meera (tutti i lettori dei libri avranno già capito cosa sia ^_^). In più c'è ovviamente la daga di Ditocorto ora nelle mani di Arya. Non male direi io XD XD

Quindi... La Barriera è crollata e ora il Nord è completamente esposto agli attacchi degli Estranei. Cosa sceglierà di fare Sansa? E come questo avvenimento influenzerà il resto dei Sette Regni?

Come al solito voglio ringraziare i miei recensori: PillyA (buona fortuna con la tesi!), GiorgiaXX, __Starlight__, Red_Heart96 e Spettro94 (che si sta rimettendo in paro). Grazie mille di cuore e sappiate che vi adoro tutti ^_^

Inoltre voglio chiedere a voi tutti un parere. Più avanti, quando l'identità di Jon verrà svelata, che nome preferite sia il suo originale, Aegon o Jaehaerys? Quando scrissi il capitolo tutte le scommesse puntavano su Jaehaerys, ma poi, come sapete bene, la serie ha rivelato si trattasse invece di Aegon. Io continuo a preferire Jaehaerys (Aegon è un po' troppo comune tra i Targaryen, inoltre l'altro figlio di Rhaegar si chiamava così, nonostante al momento della nascita di Jon il bambino fosse già morto), ma se voi voleste Aegon sono disposta a cambiarlo. Sappiate però che se nessuno dice nulla rimarrà Jaehaerys XD
Detto questo, un abbraccio a tutti e alla prossima!


PS: la citazione (libera, in quanto non ricordo le parole esatte usate nella versione italiana) è dal film Iron Man e l'ho scelta specificatamente per Gendry che ora sta contribuendo in modo molto importante agli snodi della trama. In fondo anche il titolo di questo capitolo era per lui :-) la citazione la dedico a leila91 per la nostra passione comune per i film Marvel ^_^





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Capitolo 20
*** The dragon's roar ***


Capitolo 20


The dragon’s roar                                                                                                    

 



                                                                                                               "Grazie per avermi fatto male, non lo dimenticherò."


Arya

 

Dopo le parole di Bran era come se anche il vento si fosse congelato. Incurante del delicato abito blu, Arya si inginocchiò nella neve e afferrò il fratello per le spalle.

“Arya!” esclamò Sansa, ma Bran non si mosse.

Arya lo scosse con forza. “La Barriera è crollata?” chiese ad alta voce per non tradire il panico. Bran annuì e Arya lo lasciò andare. Le tremavano le mani.

Tormund era venuto avanti. “Non è possibile!” esclamò incredulo “Il Popolo Libero ha tentato di buttare giù il vostro dannato muro per secoli senza mai nemmeno scarflirlo… Gli Estranei non possono aver…”

“Il Re della Notte ha il Corno di Joramun” lo interruppe Bran e Tormund sbiancò.

“Che cos’è?” chiese Sansa ancora carponi nella neve.

“Uno strumento che secondo le leggende poteva far crollare la Barriera” spiegò il bruto con voce grave. “Mance l’ha cercato per anni, senza mai trovarlo.” Tormund tacque e Arya vide che aveva le pupille dilatate. Lei non sapeva praticamente nulla di questi Estranei, eccetto quello che raccontavano le storie della Vecchia Nan, ma credeva nella loro esistenza. Beric era sembrato sincero e Thoros per una volta non aveva fatto battute.

Sansa si alzò in piedi. “Entriamo dentro” disse con voce indecifrabile, “e parliamone… Tormund, puoi aiutare mio fratello?” Il bruto ammiccò e prese in braccio Bran, che non batté ciglio. Arya si chiese cosa gli fosse successo oltre la Barriera da renderlo così apatico. Poi notò una cosa e corse a raggiungere Bran.

“Dov’è Estate?”

“E’ morto” rispose Bran senza guardarla e Arya non seppe cosa dire. Aspettò Sansa e insieme entrarono nel palazzo.

Tutti i lord fissavano esterrefatti Bran e molti dovevano averlo riconosciuto, perché si misero a bisbigliare fra loro. Tormund lo mise a sedere al tavolo di legno e lasciò il posto accanto a Meera. Sansa tuttavia rimase in piedi. Il suo volto era teso e gli schiamazzi erano cessati. Arya sapeva che spiegare la situazione non sarebbe stato facile.

“Miei signori” iniziò sua sorella, “purtroppo mio fratello Brandon Stark è tornato con notizie terribili.” Nessuno commentò, nessuno nemmeno fiatò. La tensione si poteva tagliare con un coltello.

“La Barriera è caduta.”

“Non è possibile!” esclamò Cley Cerwyn “Esiste da migliaia di anni…”

“E’ qualcosa di impensabile” gli fece eco Brandon Tallhart.

“Sciocchezze!” gridò qualcuno dal fondo.

“Io c’ero” intervenne Bran e tutti si voltarono a guardarlo. "Io e Meera eravamo lì quando è successo. L’abbiamo vista sgretolarsi sotto i nostri occhi, abbiamo visto i Guardiani della Notte soccombere al suo crollo. L’esercito dei morti sta arrivando e non c’è più nulla che possa fermarlo.” Arya rabbrividì suo malgrado. I presenti erano nuovamente silenziosi e l’improvviso panico era tangibile.

“Cosa facciamo?” chiese lord Glover “Non sappiamo niente di questi Estranei, non li abbiamo mai combattuti, non li abbiamo mai nemmeno visti… Cosa potremo contro di loro?”

Tormund si alzò dalla sua panca. “Io li ho visti” iniziò, “così come tutti i sopravvissuti del mio popolo. Io e Jon Snow abbiamo combattuto l’esercito dei morti ad Aspra Dimora, quando era ancora Lord Comandante dei Guardiani della Notte, e le cose che abbiamo visto farebbero cagarsi sotto anche il più coraggioso uomo del mondo. I non-morti hanno fatto a pezzi il nostro accampamento e alla fine il Re della Notte è venuto avanti e ha fatto risorgere tutti i nostri caduti. Se si vuole avere una speranza di batterli, non bisogna cedere alla paura.”

Arya ricordò le parole di Syrio Forel: la paura uccide più della spada.

“Per distruggere i non-morti è necessario il fuoco, giusto?” chiese Sansa e Tormund annuì.

“No” obiettò Bran, “appena gli Estranei saranno abbastanza vicini risulterà impossibile accendere anche solo una scintilla.”

Sansa era rimasta a bocca aperta. “Allora occorre il Vetro di Drago…” disse incerta e Arya si morse il labbro.

“Re Jon aveva detto che sarebbe andato a riprenderlo” osservò Manderly, “ma non è ancora tornato…”

Sansa sospirò. “Jon non è qui” disse con amarezza, “so che avete riposto in lui la vostra fiducia, mei signori, e penso che non avreste potuto fare scelta migliore. Ma non è ancora tornato e non c’è più tempo per aspettarlo: il Nord deve difendersi da solo.” Ci furono attimi di doloroso silenzio e Sansa chinò il capo.

“Meera ha una spada di acciaio di Valyria” disse ad un tratto Bran.

“E’ un’arma valida” constatò Tormund e Meera annuì.

“Io ho la daga di Baelish” disse Arya, “anch’essa di acciaio di Valyria e abbiamo ricevuto in dono Signora Piangente dai lord della Valle.” Ci furono esclamazioni entusiatiche: tutti conoscevano quella spada per fama.

“La mia spada, Giuramento, è di quel metallo” intervenne Brienne, “ma Daenerys Targaryen me l’ha sottratta…” Tormunc imprecò ad alta voce.

“Quindi” ricapitolò Sansa, “abbiamo due spade valyriane e una daga, corretto?”

“La mia lama non sarà di acciaio di Valyria” si intromise Beric Dondarrion con un ghigno, “ma è infuocata…” La sala esplose in una risata liberatoria.

Sansa appoggiò le mani sul tavolo. “Ho bisogno di discutere della situazione con i mei consiglieri” disse in tono autoritario, “potete andare tutti a dormire tranne Brienne e Tormund. Domani mattina vi comunicherò le nostre decisioni circa la protezione del Nord.” Uno dopo l’altro i lord si incinarono e uscirono. Sansa fece cenno a Tormund e Brienne di avvicinarsi e concesse loro di sedere al tavolo di legno.

“Bran, ora non posso più dare ordini” osservò Sansa voltandosi verso il fratello. “Tu sei l’erede di nostro padre: Grande Inverno spetta a te.”

Bran scosse la testa. “Sono il Corvo con Tre Occhi” replicò e Arya si chiese che cosa intendesse, “non sarei affatto un buon lord e in questo momento il Nord ha bisogno di un comandante forte.”

Sansa si lasciò cadere sulla sedia e sospirò. “Vorrei che Jon fosse qui” mormorò tristemente, “lui saprebbe cosa fare… Io invece non ho idea di come affrontare questa minaccia…”

Arya le venne vicino. “Noi siamo qui per aiutarti” le ricordò con affetto e Sansa annuì. “Tormund?” chiamò “Puoi prendere quella cartina sullo scaffale per favore?” Il bruto si allontanò e tornò con il rotolo richiesto. Brienne lo aiutò a distendere la cartina sul tavolo.

“Avete visto gli Estranei al Castello Nero?” chiese Sansa lisciando la carta e Bran e Meera annuirono.

“Però altri potrebbero essere rimasti verso il Forte Orientale” osservò Bran, “o anche in altri punti della Barriera… Non lo sappiamo.”

“Quindi dobbiamo aspettarci un attacco sia da est che da ovest” fece notare Arya osservando la cartina. “Icastelli più a nord di Grande Inverno sono Ultimo Focolare, Karhold, Deepwood Motte e Forte Terrore.”

“Forte Terrore è deserto” ricordò Sansa con voce dura, “e nessuno ci metterà più piede. Deepwood Motte e Karhold invece sono piuttosto decentrati: non credo verranno presi d’attacco.”

“Gli Estranei non attaccano secondo uno schema razionale” disse Bran, “non puoi illuderti di prevedere le loro mosse.”

Sansa sembrò irritata. “E allora che cosa dovremmo fare secondo te?” chiese con un velo di accusa nella voce.

“Inviare una guarnigione in ogni castello.”

“Ma non abbiamo abbastanza uomini, Bran!” esclamò Sansa “L’Incollatura è troppo ardua da superare durante l’inverno e quindi non possiamo contare sul sostegno della Valle e delle Terre dei Fiumi e in ogni caso i loro soldati non arriverebbero mai in tempo… Abbiamo già perso troppi uomini alla Barriera e Porto Bianco: non possiamo permetterci di sbagliare ancora.”

“Intendi difendere solo Ultimo Focolare?” chiese stupita Arya. Sansa la guardò e annuì.

“La mia gente è ancora là” disse Tormund con angoscia, “anziani, bambini e donne incinte…”

Sansa si morse il labbro. “Invieremo dei soldati a…”

Ma Arya aveva subito capito non avrebbe funzionato. “A fare cosa?” chiese “Non possono fermare gli Estranei, solo rallentarli…”

“Ci faranno guadagnare tempo” disse Sansa, “e permetteranno al Popolo Libero di fuggire.”

“Si faranno ammazzare” ribatté Arya alzando la voce.

“Ci faremo ammazzare tutti se non facciamo qualcosa!” urlò Sansa.

Rimasero a guardarsi senza fiato. In quel momento si sentì bussare alla porta.

“AVANTI!” gridarono all’unisono.

Podrick entrò tutto tremante. “Non volevo disturbare…” si scusò con una vocina sottile.

Sansa scossa la testa. “Nessun problema” lo tranquillizzò con voce forzatamente calma, “cosa succede?” Arya si preparò all’annuncio di un’altra catastrofe. Invece

Podrick sembrava come emozionato e allo stesso tempo confuso. “C’è un esercito alle porte” bofonchiò, “ma hanno le bandiere bianche di pace e gli stemmi dei Baratheon… Li guida il Cavaliere delle Cipolle, mia signora.” Arya ricordò l’uomo che Sansa le aveva raccontato essere andato a Roccia del Drago insieme a Brienne. Forse anche Jon è con lui, pensò con il cuore che iniziava ad accelerare.

Sansa invece era solamente interdetta. “Davos?” chiese incredula “E hai detto Baratheon?!”

Podrick annuì. “Il cervo, mia signora” precisò, “quello di re Robert.”

Sansa annuì. “Andiamo” disse rivolta agli altri e tutti insieme uscirono nuovo, lasciando Bran insieme a Meera.

“Sembra che questa sia la serata dei grandi ritorni” disse sarcastica Arya affrettandosi.

Fuori dal portone c’erano davvero soldati con i vessilli delle casate della Tempesta e Arya li osservò a bocca aperta. L’uomo che venne avanti salutando Tormund, Brienne e Sansa doveva essere ser Davos Seaworth, il Cavaliere delle Cipolle. Arya sapeva Jon l’aveva scelto come suo consigliere, ma si chiedeva cosa ci faceva lì con un’esercito dei Baratheon. Evidentemente se lo stavano chiedendo anche gli altri.

“Davos!” esclamò Sansa “Brienne mi aveva detto eravate stati tenuti prigionieri da Daenerys Targaryen… Sono felice anche tu sia riuscito a fuggire.”

Davos chinò appena il capo. “In realtà la situazione era un po’ più complicata” disse in tono di scusa, “ma non credo sia il momento migliore per parlarne…”

“Jon dov’è?” chiese Arya.

Davos si voltò verso di lei. “Chiedo scusa” disse in tono gentile, “ma non ti conosco…”

“Lei è mia sorella Arya” disse Sansa.

Davos sgranò gli occhi. “Arya Stark?” chiese esterrefatto “Jon mi ha raccontato tanto di te…” Arya sentì il suo cuore riempirsi di commozione. “Lui sta bene” continuò Davos con un sorriso, “è rimasto con Daenerys…”

“Stai dicendo che ha scelto di rimanere con lei?!” chiese Sansa in tono aggressivo “Ora che più abbiamo bisogno di lui…”

Davos sembrava incerto delle parole da utilizzare. “Fidati, mia signora” disse infine, “se avesse potuto sarebbe tornato. Però ha inviato questo esercito a proteggere il suo popolo…”

Sansa guardò i soldati sospettosa. “Cosa è successo nel Sud?” chiese sulle difensive “Perché tu sei potuto tornare con un esercito e Jon è dovuto rimanere con Daenerys Targaryen?”

Davos sospirò. “Non devi giudicare severamente tuo fratello” le disse. “Jon non desiderava altro che tornare qui: ha disobbedito agli ordini di Daenerys per inviare questi uomini.”

Arya sentì le lacrime pizzicarle gli occhi, ma Sansa rimase impassibile.

“C’è stata una battaglia alla Roccia del Drago e Daenerys ha sconfitto Euron Greyjoy” continuò Davos, “in seguito Jon l’ha pregata di permettermi di ritornare al Nord per capire cosa stesse succedendo qui e ha anche inviato parte del suo esercito a liberare Porto Bianco…”

“Avete liberato Porto Bianco?”

Davos annuì. “In seguito io avrei dovuto proseguire da solo” disse, “ma abbiamo ricevuto notizie riguardo ad una ribellione e il nuovo lord di Capo Tempesta ha deciso che non avrebbe riportato i soldati a sud come gli era stato ordinato da Daenerys, ma sarebbe invece venuto in vostro soccorso.”

“Lord di Capo Tempesta?” chiese Sansa aggrottando le sopracciglia “La casata dei Baratheon si è estinta…”

Davos scosse la testa. “Daenerys ha legittimizzato l’ultimo dei bastardi di Robert” spiegò. Poi si voltò verso i soldati alle sue spalle. “Gendry, ieni a presentarti a lady Sansa…”

Fu come se qualcuno avesse dato ad Arya un pugno nello stomaco, svuotandole i polmoni. Gendry venne avanti di malavoglia, quasi trascinando i piedi. Non era molto cambiato dall’ultima volta che Arya l’aveva visto, ma ora portava i colori dei Baratheon. Teneva gli occhi bassi, finché Davos non gli diede una leggera gomitata.

“Mia signora” inziò Gendry, “io sono Gendry Barathe…”

Il suo sguardo incontrò quello di Arya e Gendry ammutolì. Davos si voltò verso di lui e così anche Sansa, ma Gendry sembrava incapace di articolare parola. Arya gli si avvicinò lentamente. Quando fu abbatsanza vicina, si fermò e lo guardò dritto negli occhi.

“Ciao, Arya” mormorò lui azzardando un timido sorriso.

E Arya lo schiaffeggiò forte in pieno viso.

“Arya!” arrivò l’urlo strozzato di Sansa e l’esclamazione di stupore di Davos, ma Arya non se ne curò. Raccolse la gonna, voltò le spalle a tutti e corse a perdifiato nel castello.

Mi aveva abbandonata, continuava a ripetersi. Aveva preferito la Fratellanza a me. Entrò nella sua stanza e sbatté la porta, senza tuttavia chiuderla a chiave. Una remota parte di lei desiderava Gendry le fosse venuto dietro. Così, quando udì i colpi alla porta, metà del suo cuore gioì, mentre l’altra metà maledisse gli dèi.

“Arya!” la chiamava Gendry da fuori “Ti prego apri, voglio solo parlarti… Io…”

Arya corse alla porta e la aprì di scatto. “COSA VUOI?!” gli urlò in faccia.

Gendry si ritrasse mortificato. “Volevo solo…”

“Parlarmi” lo interruppe brusca Arya, “questo lo hai già detto!”

“Allora perché me l’hai chiesto?”

Arya non seppe cosa rispondere. Gli voltò le spalle, tentando di mantenere quanto più possibile la calma, e si sedette sul letto. Non invitò Gendry a prendere la sedia del tavolino, né lui chiese il permesso. “Cosa vuoi?” chiese ancora Arya “Perché sei qui, perché indossi quei vestiti?”

Gendry sospirò. “E’ complicato da spiegare.”

Arya rise. “La scusa più petetica che abbia mai sentito” lo schernì sferzante e Gendry abbassò lo sguardo.

“Così sei alleato di Daenerys Targaryen” continuò Arya accavallando le gambe. Sansa le aveva raccontato abbastanza storie riguardo a quella donna che quasi Arya l’aveva inserita nella lista dell’odio per aver costretto Jon a lasciare Grande Inverno.

“Ero scudiero di tuo fratello!” esclamò Gendry con più determinazione ora “Mi prese con sé quando partì da Porto Bianco e mi portò alla Roccia del Drago. E’ stato lui a dirmi di obbedire agli ordini della regina, lui a suggerire il piano per farmi diventare lord di Capo Tmpesta, lui a dirmi di venire in soccorso del Nord in caso di pericolo…”

“Non parlare di Jon come se lo conoscessi!” disse acida Arya, ma in realtà quasi lo invidiava.

Gendry spostò il peso del corpo sulla gamba destra. “Adesso perché te la prendi con me?” le chiese alzando la voce “Cosa ti ho fatto per meritare tanto odio?”

Arya scattò in piedi, gli occhi ardenti e il fiato corto. “Cosa mi hai fatto?” ripeté in tono pericolosamente calmo “Mi hai lasciata con la Fratellanza.”

Afferrò un libro e glielo tirò addosso, mancandolo di almeno due piedi.

“Hai detto che tenevi a me” continuò Arya accecata dalle lacrime afferrando un altro libro, “ma mi hai abbandonata!”

Lanciò anche quello e Gendry si coprì la testa con le braccia. Arya gettò a terra il cesto della frutta, che, cadendo, macchiò il pavimento.

“Hai detto che mi volevi bene” continuò ad urlare mentre le lacrime le bagnavano le guance, “eppure non saresti stato disposto a venire con me, a essere la mia famiglia…”

Prese in mano il candelabro, ma Gendry le bloccò il polso, costringendola delicatamente ad appoggiarlo nuovamente sul tavolo. Arya allora cercò a tentoni Ago e la puntò contro il petto di Gendry.

Lui sorrise. “Ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?” chiese con calma “Nella comitiva del vecchio Yoren. Ti ho vista mentre minacciavi Frittella con questo spadino ed ho capito subito che eri una ragazza. E’ davvero forte, ricordo di aver pensato.”

Arya premette la punta di Ago sull’armatura di Gendry.

“E da allora” proseguì lui, “tutte le mie convinzioni riguardo alle ragazze si sono dissolte. Mi avevano sempre detto fossero serpi velenose, pronte a psosciugarti di ogni forza e ricchezza prima di abbandonarti. Invece tu eri così diversa… Insomma, guarda solo la tua reazione adesso: quale ragazza per bene urlerebbe così?”

Arya lo colpì di nuovo e Gendry rise.

“E’ per questo che mi piaci.”

Arya si immobilizzò. “Stai mentendo.” 

Gendry scosse la testa. “Mi sei sempre piaciuta” disse, “ho sempre sognato di poter dividere la mia vita con te e solo con te…” Il cuore di Arya prese a battere selvaggiamente suo malgrado.

“Ma come avrei potuto?” stava dicendo Gendry “Tu eri la figlia di un lord, la sorella di un re, io non ero niente.”

Arya gli si avvicinò, ogni suo astio svanito. “Lo sai che non è vero” mormorò, “lo sai che a me non interessano certe cose…”

“Lo so” replicò Gendry con affetto, “ma ad altri interessano. Non potevamo stare insieme, così ho…”

“Così hai preferito scaricarmi alla prima occasione?” 

Gendry sgranò gli occhi. “No!” esclamò “Ho preferito farmi da parte, lasciarti libera di tornare alla tua famiglia senza doverti preoccupare di me, senza che fossi derisa per causa mia. Ti volevo troppo bene per poter permettere che fossi messa a disagio se potevo evitarlo. Volevo fossi felice dopo tutto quello che avevi passato, anche se significava perderti.” Arya sentiva il suo labbro tremare.

“Poi quella donna è venuta a portarmi via” continuò Gendry con amarezza, “mi ha detto che ero il bastardo di Robert Baratheon, mi ha ammaliato con belle parole, per poi tentare di bruciarmi sul rogo. Ser Davos mi ha aiutato a fuggire e mi sono nascosto a Porto Bianco. Da quel momento l’unica cosa che avrei desiderato era ritrovarti, l’unica mia aspirazione. Ma poi seppi delle Nozze Rosse e credetti fossi morta insieme alla tua famiglia. Fidati, non ho mai conosciuto dolore più grande di quello che provai quel giorno. Pensavo di averti perduta per sempre e invece eccoti qui, a puntarmi la tua spadina al cuore…”

Arya non rispose. Si limitò a posare Ago sul letto e a gettare le braccia intorno al collo di Gendry, saltandogli addosso. Poi premette le labbra sulle sue e, vinto il primo momento di incertezza, lo baciò con trasporto. Gendry rispose con crescente passione e l’abbracciò stretta. Arya sapeva che non c’era tempo per tutto quello, che gli Estranei sarebbero presto arrivati per ucciderli tutti, che entrambi sarebbero dovuti essere al consiglio di guerra. Sapeva anche che la porta era rimasta socchiusa.

In quel momento però tutti quei problemi erano fumo.

 

Tyrion

 

Il viaggio per Castel Granito fu sorprendentemente breve e presto furono in vista della Roccia. Era risaputo l’enorme montagna su cui sorgeva la sede di casa Lannister fosse più alta sia della Barriera che dell’Alta Torre di Vecchia Città e, vista dal mare, era uno spettacolo impressionante. La Roccia gettava un’ombra imponente e, nonostante il freddo dell’inverno, riusciva a emergere dall’acqua bagnata dal sole. A prima vista l’osservatore ingenuo non avrebbe riconosciuto i segni del lavoro umano e forse l’avrebbe scambiata per una semplice montagna. Tyrion però a Castel Granito c’era cresciuto e ne conosceva ogni segreto.

“Sai orientarti qui dentro meglio di tuo padre” diceva spesso suo zio Gerion quando era certo Tywin non lo potesse udire. Gerion Lannister era famoso per la sua abilità di perdersi ovunque, ma era stata la figura più confortante che Tyrion avesse mai conosciuto durante la sua infanzia. E alla fine, forse, era stato proprio il suo scarso senso dell’orientamento a condannare lo zio, perduto in mare mentre tentava di raggiungere Valyria.

Tyrion invece conosceva ogni angolo di Catsel Granito, ogni più piccolo foro nella Roccia, ogni possibile collegamento con l’esterno. Caro padre, pensò il nano con una smorfia, guarda che traditore che sono! Il primo Lannister a portare i nemici all’interno di Castel Granito… Tyrion scosse la testa e rientrò sottocoperta, raggiungendo Varys e Verme Grigio.

Il capo degli Immacolati stava ripetendo per l’ottocentesima volta il piano che avevano elaborato e Varys lo ascoltava fissando il vuoto. “Tremila soldati terranno impegnate le guardie” stava dicendo Verme Grigio, “mentre mille tenteranno di arrampicarsi. Gli altri porteranno le navi dall’altr…”

“Dall’altra parte della Roccia” continuò Varys, “così che possano utilizzare il passaggio indicato da lord Tyrion… Credo me lo ricorderò.”

Tyrion rise. “Varys ha ragione” osservò versandosi da bere, “e poi non sarà una battaglia difficile: Cersei ha lasciato pochissimi uomini.”

Verme Grigio portò le mani dietro la schiena. “In guerra non si hanno mai certezze, nano” disse asciutto, “potremmo trovare una resistenza maggiore di quella che ci aspettiamo.”

Tyrion decise di non controbattere, così si rivolse a Varys. “I tuoi uccelletti hanno notizie interessanti dalla capitale e dintorni?” chiese per cambiare discorso. Sapeva che Jaime era riuscito a sopravvivere alla Battaglia del Labirinto, così ora chiamavano lo scontro avuto luogo ad Alto Giardino, e ne era felice. Si chiedeva solo come mai Jaime non avesse ancora capito di che razza di mostro era innamorato.

Varys si lasciò andare ad uno dei suoi teatrali sospiri. “Notizie positive e negative” rispose, “quali vuoi sentire per prime?”

Tyrion inarcò le sopracciglia. “Le positive, ovvio” replicò accennando un brindisi.

“Daenerys con il suo seguito è arrivata senza problemi a Duskendale” disse Varys, “e sta pianificando l’attacco ad Approdo del Re. Da quanto ho udito, inoltre, Porto Bianco è stata liberata con successo: credo Daenerys possa aspettarsi il ritorno dell’esercito della Tempesta in pochi giorni.”

Tyrion annuì. “Bene” disse, “e quali sono le notizie negative?”

Varys lo guardò. “Garth Hightower si è ribellato agli ordini della regina” disse e Tyrion sussultò. “E' in cerca di vendetta per suo fratello, sua sorella e lady Olenna: intende affrontare l’esercito Lannister alle porte della capitale senza attendere il resto delle forze di Daenerys.”

Tyrion era rimasto senza parole. “E i Dothraki?” riuscì alla fine a chiedere con un rantolo.

“Sono allo sbando” rispose Varys, “stanno mettendo a ferro e fuoco le Terre della Corona e credo parte dell’orda sia arrivata anche nell’Ovest.” Tyrion sentì la necessità di sedersi.

“Suppongo decidano di seguire ser Garth” concluse Varys a bassa voce.

“E’ terribile” disse Tyrion, “non hanno alcuna possibilità contro un intero esercito Lannister e i Dothraki non sanno gestire gli assedi.”

“Ad Alto Giardino evidentemente se la sono cavata piuttosto bene.”

Tyrion scosse il capo. “Li hai visti alla Roccia del Drago” disse, “non hanno disciplina, non seguono gli ordini, non conoscono nemmeno la nostra lingua!”

“In realtà mi sembra Rakandro la stesse imparando” ricordò Varys, “ciò però non cambia la situazione, giusto?”

Tyrion strinse le labbra. “Garth non può sperare di controllarli” disse con amarezza, “soprattutto senza uno scopo preciso.”

“La regina ha bisogno degli Immacolati” si intromise Verme Grigio, “dobbiamo tornare indietro.”

“No” replicò subito Tyrion, “il nostro compito è prendere Castel Granito. Daenerys ha ancora il supporto dei dorniani e presto anche Gendry e Yara saranno di ritorno. Inoltre ha pur sempre tre draghi…”

Due draghi” lo corresse Varys. “Viserion, a quanto dice, è introvabile.”

Sembra le fila degli alleati si stiano assottigliando, pensò Tyrion, ma evitò di dirlo ad alta voce. “Noi andiamo avanti con il piano” ripeté, “prendiamo il castello e ritorniamo a Duskendale. Decideremo poi come gestire questa situazione. In caso di necessità ricordate che la nostre regina ha comunque dalla sua parte il Nord, le Terre dei Fiumi e la Vallle.” Anche se nessuno di questi tre regni le andrà in soccorso, non poté fare a meno di pensare.

Nonostante ammirasse la fermezza d’animo di Jon e i suoi valori, proprio non riusciva a comprendere la sua testardaggine. Non c’era modo che gli Estranei riuscissero a superare la Barriera, quindi perché non aiutare Daenerys a prendere il Trono di Spade con l’esercito del Nord? In quel modo si sarebbe potuta evitare un’altra guerra lunga e sanguinosa.Tuttavia Tyrion credeva ci fosse margine di miglioramento. Aveva osservato attentamente Jon e Daenerys quando ne aveva avuto l’opportunità ed era sempre più certo del suo pensiero iniziale: quel matrimonio non sarebbe stato solo politico. Ciò ovviamente era un bene e così la regina avrebbe potuto persuadere il suo futuro sposo a collaborare. Tyrion sorrise malizioso immaginando i modi in cui Daenerys poteva riuscire a persuaderlo.

Posò il calice sul tavolo. “Meglio che saliamo sul ponte” disse. “la Roccia è uno spettacolo troppo bello da perdere…”

Varys e Verme Grigio lo seguirono fuori dalla cabina. Tyrion vide che le navi si stavano già dividendo in gruppi per meglio circondare Castel Granito. Fece scorrere lo sguardo sulla roccia baciata dal sole ed ebbe quasi una vertigine. Sarà una bella scalata, si disse.

Alcune navi della flotta della regina avevano il leone dei Lannister dipinto sulle vele e portavano i lord alfieri di Cersei che avevano deciso di cambiare fazione quando gli Immacolati erano giunti a Lannisport. Tra di loro c’era Tytos Brax, lord di Hornvale, che aveva inviato il fratello in battaglia. Tyrion sospettava fosse stato più il desiderio di lord Tytos di sbarazzarsi di ser Flement a spingerlo a tale decisione. Poi c’era anche Terrence Kenning, lord di Kayce, con il suo fedele cavaliere Kennos che lo seguiva ovunque, e soprattutto Roland Crakehall, uno dei più potenti signori dell’Ovest. Rimanevano dalla parte di Cersei invece i Marbrand di Ashemark, i Farman di Isola Bella e i Westerling del Crag. Le altre erano casate minori e poco importanti, i cui uomini non avrebbero mai fatto la differenza in battaglia.

Verme Grigio, eretto sulla prua della loro Soffio Dorato, gridava ordini in valyriano ai suoi soldati. Tyrion tentò di seguire il suo discorso, ma la sua conoscenza dlela lingua era davvero troppo scarsa. Prestò rinunciò e tornò a fissare il mare. A Castel Granito l’acqua non era limpida e calda come nell’Altopiano o a Dorne, ma quel golfo almeno era riparato da tempeste e mareggiate e ciò aveva reso quello di Lannisport uno dei porti più sicuri al mondo. Sulle mura della fortezza erano già apparse le guardie, che sembravano perfettamente coscienti del pericolo. Tyrion le vedeva correre e scomparire inghiottite dalla Roccia. Se fossero intelligenti si nasconderebbero nelle viscere del castello, pensò. Se Loren Lannister fosse rimasto in quelle mura al sicuro, neanche il fuoco dei tre draghi di Aegon il Conquistatore avrebbe potuto raggiungerlo. Sembrava invece che la Storia non avesse insegnato nulla. Tyrion, però, ne era rassicurato: non avevano molto tempo per prendere quel castello.

La Soffio Dorato e altre quattro navi virarono verso nord, lasciando che il resto della flotta attaccasse la piccola guarnigione di Cersei. Tyrion guardò con apprensione le imbarcazioni dirigersi verso la Porta del Leone. Sarebbe stata una missione suicida: anche difese da pochi soldati le mura di Castel Granito erano impenetrabili. Tornò a concentrarsi sul loro scopo.

“Vedete quella fessura laggiù?” chiese indicando un punto della Roccia “E’ il principale scarico delle fogne. Da lì tutta la merda dei signori del castello finisce in mare…”

Varys gli lanciò una strana occhiata. “Il tuo grande piano” disse scettico, “sarebbe quindi quello di risalire lungo quei condotti?”

Tyrion sollevò un sopracciglio. “Sembra così terribile?” chiese sarcastico.

“Neanche troppo” rispose Varys, “ma sembra un lavoro adatto ad una persona della tua statura…”

A questo Tyrion non ci aveva pensato. “Stavo scherzando” sbuffò, “voi due proprio non comprendete l’ironia…” Verme Grigio lo stava fissando storto.

“E va bene” si arrese Tyrion, “certo che non passeremo dalle fogne: in quella fessura esiste una scala interna che usavo durante la manutenzione. E’ vecchia e arrugginita, ma il mio caro padre non volle mai farla levare. Diceva sempre che, qualora avessi arrecato disonore alla casata Lannister, mi avrebbe rispedito laggiù. Da ragazzo era il mio peggior incubo, sognavo così spesso di…”

“Sono sicuro il tuo racconto sarebbe molto toccante” lo interruppe Varys allacciando le mani davanti lo stomaco, “ma credo sia meglio tornare al piano.”

Tyrion alzò gli occhi al cielo: non lo facevano mai divertire. “Varys, sei mai stato a Castel Granito?” 

L’eunuco scosse la testa. “Mai avuto il piacere.”

“Allora non puoi avere idea di quanto siano intricati i corridoi” replicò il nano, “di quante trappole siano nascoste, di quanti tranelli, vicoli ciechi e pozzi. La Roccia all’inizio ospitava una miniera: Castel Granito non è una fortezza come le altre.” Tyrion fissò le onde.

“Io farò strada a Verme Grigio e massimo cinquanta altri Immacolati” proseguì, “ed entreremo attraverso il passaggio, colpendo le vedette alle spalle. Varys, tu invece resterai alle navi e dirigerai l’attacco frontale.”

Verme Grigio venne avanti. “Cosa ti fa credere lui possa dire agli Immacolati cosa devono fare?”

Tyrion aggrottò la fronte. “Preferiresti rimanessi io?” chiese sarcastico “Con il mio pessimo valyriano? Varys conosce la lingua…”

“Non è adatto a guidare gli Immacolati” insistette Verme Grigio e Tyrion si chiese il motivo di quella cocciutaggine.

“Chiunque saprebbe guidare gli Immacolati. A voi basta dire cosa fare, come e quando.”

Ora Verme Grigio sembrava davvero arrabbiato, ma Tyrion era intenzionato a stroncare la sfuriata sul nascere. “Senti” disse in tono serio, “io so che tutti voi credete in Daenerys, che la considerate la vostra salvatrice e avete ragione. Vi ha liberati dalla schiavitù e adesso la aiuterete a riprendersi il Trono che le spetta di diritto, ma sono sempre necessari sacrifici. Io e la regina abbiamo bisogno di te e dei tuoi cinquanta uomini più discreti su per quella scaletta arrugginita e qui deve rimanere qualcuno a gestire la situazione. Varys conosce la guerra: è affidabile.”

Verme Grigio lo scrutò per qualche secondo, poi annuì. “Cosa dobbiamo fare?” chiese in tono più rilassato.

Tyrion sospirò. “Saliamo sulle scialuppe” disse convinto, “e gettiamoci nella mischia.”

Pochi minuti dopo le piccole barchette si stavano avvicinando rapidamente alla scogliera. Tyrion guardava gli Immacolati remare e si chiese come potessero essere così instancabili. Dall’altro lato della Roccia la battaglia era già cominciata e si vedevano le prime frecce volare da entrambe le parti. Varys aveva diviso le navi in due gruppi che stavano assaltando la Bocca del Leone. Le sentinelle resistevano lanciando pietre dai bastioni. L’acqua era diventata di un invitante colore turchese e Tyrion saltò dalla scialuppa, bagnandosi fino alla cintura. Il gruppo di Verme Grigio lo seguì fino alla fessura e il nano entrò per primo. L’umidità e la necessità di non essere visti non permetteva loro di accendere una torcia, così dovettero procedere alla cieca tentando di non scivolare. Tyrion trovò la scaletta e fischiò. Subito venne raggiunto da Verme Grigio.

“Quando saliremo” disse Tyrion a bassa voce, “ci ritroveremo nei bagni che, con un po’ di fortuna, saranno deserti. Da lì dovrete fare attenzione a non perdervi: vi basterà seguire me…” Tyrion alzò le mani e sorrise, poi iniziò a salire.

L’odore di ruggine era forte e il metallo era ruvido al tatto. I pioli scricchiolarono, ma non cedettero. Presto Tyrion sbucò nella stanza sopra le loro teste e fu sollevato dal trovarla avvolta nella penombra. Attese paziente che anche tutti gli altri fossero arrivati e fece cenno a Verme Grigio di avvicinarsi.

“Chi è fra questi l’uomo di cui puoi fidarti maggiormente?”

“Layol” rispose subito Verme Grigio. “E' sempre stato leale e lo conosco da quando eravamo in addestramento.”

Tyrion annuì. “Bene” disse, “digli di prendere metà degli uomini e di andare a sinistra. Non è difficile orientarsi da quella parte: ci sono solamente le cucine e le camere da letto dei servi. Dovranno raggiungere la cima della Roccia e sconfiggere le guardi che troveranno là in modo tale che noi non verremo colpiti alle spalle quando attaccheremo.” Verme Grigio iniziò a tradurre tutto in valyriano e quello che doveva essere Layol si allontanò con un pugno di uomini.

“Noi invece” proseguì Tyrion, “andiamo a destra, verso il cuore della miniera…”

Aprì la porta del bagno e controllò che nel corridoio non ci fosse nessuno. Silenziosi corsero verso le scale e Tyrion li guidò attraverso i saloni. Gli stendardi rossi e oro dei Lannister erano ovunque, ma sembravano impolverati. Da quand’è che questo castello non ha più un lord? si chiese Tyrion con amarezza. Superarono un solarium e due armerie, dove la confusione sugli scaffali tradiva la fretta della preparazione alla battaglia. Tyrion andò avanti lungo una scala a chiocciola piuttosto ripida e finalmente uscirono sulla prima terrazza. Il sole picchiava e l’aria era secca.

Tyrion si affacciò, cercando di scrutare il mare. La maggior parte degli Immacolati aveva raggiunto la terraferma e stava caricando con le legioni. Alcuni avevano anche appoggiato le scale di legno alle mura e stavano affrontando impavidi la salita. Tyrion sollevò lo sguardo verso il cielo e vide che il vessillo del leone era stato strappato da Castel Granito. Al suo posto sventolava il drago a tre teste dei Targaryen.

“Layol ha trionfato” urlò Tyrion, “ora tocca a voi: raggiungete le sentinelle sopra la Porta del Leone e terminate il lavoro.”

Gli Immacolati non urlarono la loro gioia come avrebbero fatto normali soldati, come Tyrion ricordava aver udito alle Acque Nere, ma semplicemente si misero in posizione. Iniziarono a scalare la Roccia a mani nude, riuscendo anche a trasportare le loro armi. Tyrion si obbligò a non guardare l’altezza vertiginosa a cui si trovavano. Alla terrazza sopra la Bocca del Leone si poteva accedere anche dall’interno, ma una simile decisione sarebbe stata sicuramente più rischiosa. Per prendere di sorpresa le guardie l’opzione migliore era quella di calarsi sopra le loro teste e ciò prevedeva quella scalata. Tyrion si sfregò le mani e si arrampicò di mezzo metro.

“Tu non devi venire per forza” lo richiamò Verme Grigio che era già salito fino al davanzale delle scuderie.

Tyrion fece una smorfia. “Ormai non saprei come scendere” replicò con amara ironia.

Una pietra dopo l’altra riusciva tuttavia ad avanzare e si ritrovò sorpreso dalle proprie prestazioni atletiche. Fortunatamente la Roccia offriva molti anfratti ed appigli, duri a sgretolarsi. A metà percorso le mani inizarono a sudargli, ma non causarono grandi problemi. Quando finalmente atterrò sulla lisca pietra del terrazzo, le membra gli tremavano per lo sforzo e il cuore minacciava di scoppiargli nel petto. Gli venne da ridere: lui era stato costretto a sedersi per riprendere fiato, mentre gli Immacolati combattevano già.

Le sentinelle, colte alla sporvvista, lasciarono perdere le pietre che stavano scagliando in mare e sulla scogliera e si voltarono a fronteggiare la nuova minaccia. Appena fu in grado di reggersi in piedi, Tyrion corse al parapetto e vide che i portoni di Castel Granito, non più difesi dalle guardie, erano stati spalancati. Sorrise all’esercito che si stava riversando nella fortezza, superando in massa compatta la Bocca del Leone. Si voltò nuovamente verso il gruppo di scalatori, che stava avendo facilmente la meglio sui nemici spaesati. Tyrion si morse il labbro riconoscendo fra loro alcune sue vecchie conoscenze, ma non intervenne.

Verme Grigio stava attaccando con la lancia un giovane armato di una spada più alta di lui e al tempo stesso faceva roteare lo scudo. Colpì il ragazzo al fianco, poi al ginocchio. Quando l’avversario cadde a terra, l’Immacolato si avventò su di lui per finirlo.

“Mi arrendo!” gridò terrorizzato il giovane “Mi arrendo!”

Verme Grigio esitò e Tyrion gli corse incontro. “Risparmialo” gli disse, “la regina ha detto di perdonare tutti coloro che sarebbero passati dalla sua parte, ricordi?” Verme Grigio annuì e ritirò la lancia.

Tyrion sorrise e fece un passo indietro. Fu quello che gli salvò la vita. Il ragazzo, con il volto sfigurato da un’odio impensabile per la sua giovane età, aveva fatto roteare la spada, mancandolo per un pelo. Verme Grigio era subito scattato in avanti, allungando il braccio dello scudo per proteggere Tyrion. Il giovane era scattato in piedi e colpiva furiosamente, senza un motivo apparente.

“Traditore! Hai ucciso il tuo re!”

Tyrion cadde a terra, soffocato dal peso dello scudo, e vide Verme Grigio conficcare la sua lancia nel petto del ragazzo. Questi barcollò e, mentre già il capo degli Immacolati si apprestava a soccorrere Tyrion, gli affondò la spada nello stomaco.

Tyrion avrebbe voluto urlare qualcosa, ma lo scudo gli premeva il diaframma, mozzandogli il respiro. Vide il ragazzo cadere a terra negli spasmi dell’agonia e Verme Grigio estrarre la spada dal proprio ventre. La lama aveva trapassato la leggera armatura e il sangue sgorgava copioso. Verme Grigio guardò Tyrion, poi si accasciò contro il muretto.

Allora il nano raccolse tutte le sue forze e riuscì finalmente a liberarsi del pesantissimo scudo. Probabilmente si era storto una caviglia, ma riuscì lo stesso a raggiungere Verme Grigio. Gli tolse l’elmo e gli sostenne la testa.

“Ehi” disse ansimando, “devi rimanere sveglio… Mi senti? Devi rimanere sveglio… La tua regina ha bisogno di te…”

Verme Grigio aprì gli occhi e Tyrion vide con orrore che aveva le pupille dilatate.

“A-abbiamo preso il castello?” chiese Verme Grigio in un soffio e Tyrion annuì. “I miei uomini hanno combattuto bene?” domandò l’Immacolato tossendo sangue.

Tyrion si accorse di avere le lacrime agli occhi. “Sono stati molto valorosi” rispose tirando su col naso.

Verme Grigio annuì, il sangue che gli bagnava il collo. “Dì alla regina” mormorò bagnandosi appena le labbra, “che mi dispiace non poterla più aiutare: ho fallito.”

Tyrion aveva le mani viscide di sangue. “Non è vero” si affrettò a dire, “hai fatto tutto il possibile, devi essere orgoglioso…”

“E dì a Missandei” lo interruppe Verme Grigio con un rantolo, “che non avrei mai voluto lasciarla… I-io la amo…”

Tyrion chinò il capo, tentando di allontanare la disperazione. Intorno si erano radunati gli altri Immacolati, tutti che osservavano in doloroso silenzio la scena. Verme Grigio afferrò il braccio di Tyrion, che sobbalzò.

“Glielo dirai?” chiese l’Immacolato piangendo “Glielo dirai, Tyrion?”

Tyrion sentì tutti i muscoli della faccia contrarsi. “Te lo prometto” disse e, per la prima volta, vide Verme Grigio sorridere, come fosse finalmente in pace.

Poi la sua presa si allentò ed egli morì.

 

Daenerys

 

Quando le vennero a dire di Garth, Daenerys non ci voleva credere. Camminava avanti e indietro per la stanza torcendosi le mani. Com’era possibile Garth avesse tradito, che le avesse voltato le spalle ignorando i suoi precisi ordini? Dany non riusciva a capire.

“Vuole vendetta, vostra grazia” disse Missandei. “I Lannister hanno ucciso suo fratello e sua sorella…”

“E l’avrebbe avuta con me!” esclamò Daenerys “Ho giurato di punire Cersei per quello che ha fatto, quindi perché tradire?”

“Se posso” intervenne Jon in piedi con la schiena appoggiata alla parete, “non credo questo Garth abbia tradito… Non lo conosco, certo, ma se aveva deciso di seguirti voleva dire che desiderava vederti sul Trono di Spade.”

Daenerys si fermò a guardarlo. “Spiegati meglio.”

“Intendo dire che probabilmente non desidera sottrarti i tuoi diritti” disse Jon, “dopo che avrà ottenuto la sua vendetta il Trono sarà tuo. Questo non può essere considerato tradimento…”

“Ha disobbedito ai miei ordini” osservò tagliente Dany, “sta marciando su Approdo del Re senza il mio consenso. Come chiameresti questa azione?”

“Una follia” rispose Jon e Daenerys tacque, “ma una follia dettata dal dolore per la perdita di coloro che amava: non giudicarlo troppo severamente, Daenerys…”

Dany alzò gli occhi al cielo. “Si faranno solo ammazzare” disse, “non è stata affatto una decisione saggia.”

Jon sospirò. “Non lo è stata” assentì all’improvviso malinconico, “ma ti posso dire per esperienza personale che non sempre scelta saggia e scelta giusta coincidono; a volte non si può andare contro il proprio istinto…”

Daenerys si chiese quale fosse l’esperienza a cui Jon stava facendo riferimento. Intrecciò le mani in grembo ed inclinò appena la testa. “Presto sarai re dei Sette Regni” disse e Jon chinò il capo, “e governerai al mio fianco: cosa faresti in questa situazione? Come agiresti?” Daenerys scrutò l’espressione di Jon, che tuttavia rimase piuttosto impassibile.

“Garth Hightower ha fatto la sua scelta” disse lui in tono grave, “e i suoi uomini hanno deciso di seguirlo: non possono sfuggire alle loro responsabilità.”

Dany aggrottò le sopracciglia. “Stai suggerendo” chiese stupita, “di non fare nulla? Di lasciare che conduca al macello i miei uomini?”

Jon scrollò le spalle. “Quale alternativa hai?” chiese a sua volta “Se decidi di inseguirlo finirai per scontrarti con i Lannister senza il supporto di tutto il tuo esercito e ciò potrebbe causare un numero di morti maggiori di quello necessario.”

Daenerys annuì: il ragionamento di Jon aveva un senso. Sono fortunata ad averlo al mio fianco quando prenderò il Trono di Spade, pensò con un moto improvviso di affetto. “Bene” disse, “vorrà dire che ci atterremo al piano previsto e attenderemo il ritorno degli Immacolati, degli Uomini di Ferro e dell’esercito della Tempesta prima di colpire.” Daenerys fece per uscire dalla stanza.

“Vostra grazia” la richiamò invece Missandei, “c’è ancora la questione dei Dothraki…”

La bocca di Daenerys assunse una piega amara. “Hai ragione” ammise lei in tono grave. “Cosa si sa di loro?”

Missandei scosse appena la testa, i riccioli che le ondeggiavano davanti agli occhi. “Molto poco in realtà” spiegò, “sembra stiano commettendo razzie in tutte le terre che attraversano.”

Dany l’aveva sempre temuto, ma non che ora fosse maggiormente pronta ad affrontare un problema del genere. “Notizie di Rakandro?”

Missandei alzò le spalle. “Nulla, vostra grazia” rispose, “suppongo sia ancora a capo dei Dothraki…”

“Dove sono diretti?” chiese Jon venendo avanti.

“Credo Approdo del Re” replicò Missandei, “ma stanno distruggendo tutto nelle Terre della Corona e nell’Ovest.”

“C’è pericolo sconfinino nelle Terre della Tempesta?” chiese Dany riflettendo un attimo.

“Penso di no” rispose Missandei, “cosa intendi fare, vostra grazia?”

Daenerys guardò Jon, che le fece un cenno col capo. “Invierò ser Jorah a capo di una drappello di uomini che facciano da ambasciatori con i Dothraki” rispose Daenerys. “Sappiamo che Tyene è riuscita a convincere facilmente lady Tanda ad unirsi alla nostra causa e in questo momento l’esercito di Stokeworth si sta dirigendo qui. Benjameen invece sta riscontrando dei problemi con lord Rosby. Jorah andrà in suo aiuto e insieme procederanno per incontrare Rakandro o chi comanda l’orda di Dothraki. Forse non possiamo impedire a Garth di attaccare i Lannister, ma siamo ancora in tempo per evitare che i Dothraki radano al suolo interi villaggi e città.” Si accorse solo allora che Jon la stava fissando e poté giurare di aver visto un lampo d’orgoglio nei suoi occhi. Ne fu più rincuorata di quanto avrebbe mai voluto ammettere.

Missandei li stava osservando e sembrava imbarazzata. “Chiedo perdono, vostra grazia” disse con una sfumatura quasi impercettibile di malizia nella voce, “ma credo sia meglio se vado ad avvertire ser Jorah sel nuovo piano…”

Dany si affrettò ad annuire. “Ottima idea” concordò, “potresti anche andare a controllare il lavoro di Theon?” Missandei annuì ed uscì, chiudendo piano la porta.

Daenerys si voltò verso Jon e sorrise. “Sembra sia quasi giunto il gran momento” disse trattenendo a stento l’emozione, “presto avrò quello che mi spetta di diritto.”

Jon abbozzò un sorriso. “Come ci si sente?”

Dany inarcò le sopracciglia. “Non lo so” ammise sedendosi su una poltroncina foderata di velluto rosso. “Tu come ti sentivi quando stavi per riconquistare Grande Inverno?”

Jon parve sorpreso dalla domanda. “Avevo paura.”

“Di morire?”

Jon scosse la testa. “Di non poter proteggere mia sorella” rispose con amarezza, “di non riuscire a salvare mio fratello, di deludere coloro che mi avevano seguito…”

Dany deglutì: era un bel peso da sopportare. “Ed hai paura di questo ora?”

Jon rimase in silenzio. “Sì” sussurrò infine.

Daenerys si chiese se avesse paura di lei, di ciò che avrebbe potuto fare. “Non deluderai nessuno” disse accavallando le gambe.

Jon rise. “I lord del Nord mi hanno scelto come loro re” osservò, “non la prenderanno bene appena sapranno del nostro… accordo.”

“E’ la cosa giusta da fare.”

“Lo so. E' per questo che ho accettato, per il bene del Nord.”

Sarà il sovrano dei Sette Regni, non poté fare a meno di pensare Daenerys, e continua a pensare solo alla sua gente… Non sapeva se ciò fosse una virtù o meno. Si alzò in piedi. “Si è fatto tardi” disse, “sarà meglio andare a dormire.” Jon non si muoveva e Dany lo guardò sollevando un sopracciglio.

“Questa è la mia stanza” fece notare lui imbarazzato.

Dany quasi arrossì. “Perdonami” si scusò, “sono molto stanca.” Prima di uscire però, gli venne vicino e gli diede un bacio sulla guancia. “A domani” mormorò e, senza attendere la risposta, uscì dalla camera.

La mattina dopo fu svegliata da poderosi colpi alla porta.

“Maestà, maestà!”

Dany si alzò stropicciandosi gli occhi: doveva essere successo qualcosa. Aprì la porta e si ritrovò davanti Theon, sudato e ansimante. “Cosa succede?” chiese Daenerys preoccupata.

“Notizie da Castel Granito, vostra grazia” rispose Theon. “Gli Immacolati hanno trionfato.”

Daenerys tirò un sospiro di sollievo, ma il sorriso le morì sulle labbra quando vide l’espressione addolorata di Theon. “C’è dell’altro?” chiese sentendo un groppo in gola.

Theon guardò a terra. “Verme Grigio è morto” disse a bassa voce, “ucciso da una delle guardie. Tyrion dice che gli ha salvato la vita…”

Daenerys fece un passo indietro, come a voler prendere le distanze da quella notizia. Si ritrovò con il fiato corto ed ebbe un lieve giramento di testa. Vide Theon sporsi in avanti per sorreggerla e si affrettò a ritrovare un certo contegno. Sapevamo poteva succedere, si obbligò a pensare. Era una possibilità. Tuttavia era dalla morte di Barristan Selmy che non sentiva il suo cuore tanto oppresso.

Respirò profondamente. “Dov’è Missandei?” chiese con un filo di voce.

“Si rifiuta di aprire la porta a chiunque” rispose Theon con angoscia, “non vuole parlare con nessuno…”

Dany quasi si fece prendere dal panico: era una situazione che non sapeva gestire. Il suo primo pensiero fu quello di andare a svegliare Jon e chiedergli aiuto, ma poi decise che doveva cavarsela da sola. “Andrò a parlare io con Missandei” disse convinta, “tu riferisci tutto a Jon…” Theon annuì e corse via.

Daenerys tentò di calmare il tremito che la scuoteva e si avviò verso la stanza della sua consigliera. Bussò, ma ovviamente non ricevette risposta. Tentò ancora altre quattro volte.

“Andate via!”

Dany non l’aveva mai sentita così disperata. “Missandei, sono io” disse cercando di sembrare calma, “ti prego, aprimi…”

Ci furono attimi di silenzio, ma Daenerys poteva sentire i singhiozzi dell’amica, nonostante la porta a dividerle. “Missandei, ti prego” la implorò, “voglio aiutare…”

I singhiozzi cessarono e, lentamente, la porta si aprì. Daenerys corse dentro e la richiuse alle sue spalle. Trovò Missandei con addosso solo una veste leggera seduta al suo tavolo davanti a una lettera. Aveva i capelli scompigliati, la schiena curva e gli occhi gonfi di pianto.

Daenerys prese la sedia davanti alla sua. “Ne vuoi parlare?” chiese dolcemente dopo qualche secondo.

Missandei sollevò appena il mento. “Non c’è nulla di cui parlare” disse, ma il abbro tremante tradiva i suoi sentimenti. “E-eravamo coscienti di ciò…”

Dany venne più vicina. “Missandei, io sono tua amica” le disse prendendole le mani, “a me puoi dire tutto, lo sai: non tradirò mai la sua fiducia…”

Missandei la guardò, gli occhi grandi e lucidi. “Gli avevo detto che sarebbe stato pericoloso!” urlò a un certo punto “L’avevo pregato di portarmi con lui, ma ha sempre rifiutato. Diceva che sarebbe tornato, che non dovevo preoccuparmi per lui, aveva promesso…” Missandei stava singhiozzando incontrollabilmente.

“Gli uomini non dovrebbero fare promesse che potrebbero essere costretti a non mantenere” disse Daenerys con tristezza ricordando il giuramento di Khal Drogo. “Verme Grigio sapeva quali erano i rischi e anche tu: lui era un soldato…”

“Non era solo quello!” esclamò Missandei acida. Poi sgranò gli occhi. “M-mi dispiace, mia regina” balbettò senza fiato.

Daenerys l’abbracciò. “Non ti scusare” le disse, “hai ragione, lui era molto più che un soldato, era uno degli uomini migliori che abbia mai conosciuto.”

Missandei sospirò. “Era coraggioso” disse distrutta dalla malinconia, “e gentile, ma sembrava sempre triste. L’ho visto pochissime volte ridere.”

“Rideva per te” disse con affetto Daenerys, “lui ti voleva bene, lo sai, ed avrebbe voluto vederti reagire…”

Missandei scosse il capo. “Non so se ci riesco.”

Dany le mise delicatamente le mani sulle spalle. “Devi essere forte” le disse, “come lo era lui, non puoi permettere che il dolore rovini il ricordo che hai di lui.”

Missandei la guardò negli occhi. “Ho paura” ammise, “di dimenticare…”

Dany scosse la testa. “Ho amato Khal Drogo” raccontò, “e quando è morto ero distrutta, sentivo fosse stata colpa mia. Ma ancora adesso, dopo anni, ricordo il suo viso, il suono della sua voce, la dolcezza del suo sorriso. Verme Grigio resterà sempre con noi, non abbandonerà i suoi compagni, la sua regina e soprattutto non abbandonerà te…” Missandei annuì, le lacrime che iniziavano a seccarsi sulle sue guance.

Daenerys si alzò in piedi. “Ci vuole tempo per queste cose” disse con calma, “non pretendere troppo da te stessa. Darò disposizioni che tu non venga disturbata finché tu non lo vorrai. Ricorda: qualunque cosa puoi contare su di me, so quanto sia difficile…”

Missandei accennò un sorriso triste. “Grazie, vostra grazia.”

“Dany” la corresse Daenerys stringendole le mani. Poi le sorrise e uscì.

Al contrario di Missandei, lei aveva bisogno di compagnia in quel momento. Jorah era partito durante la notte e Theon doveva essere tornato al suo lavoro al porto, così, neanche troppo controvoglia, Daenerys tornò alle stanze di Jon. Lo trovò nella spaziosa anticamera, in piedi davanti alla finestra. Quando la sentì entrare, si voltò.

“Hai parlato con Missandei?”

Dany annuì.

“Theon mi ha detto di Verme Grigio” continuò Jon in tono grave, “e mi dispiace: mi sembrava un uomo in gamba…”

“Più di quanto immagini” replicò Daenerys. “Lui e gli Immacolati sono stati i primi soldati a seguirmi: volevano combattere per me.” Sospirò e si sedette, mentre Jon rimase in piedi.

“Ti sei mai sentito in colpa per la morte di qualcuno?” chiese Daenerys in tono stanco.

“Ho mandato il mio amico Grenn a morire durante una battaglia alla Barriera” rispose con amarezza Jon, “e, anche se il suo coraggio ci ha salvati tutti, quella mia decisione mi tormenta ancora la notte.”

“Verme Grigio era il migliore comandante del mio esercito” disse Dany aggrappandosi ai braccioli della sedia, “la sua fedeltà non poteva essere messa in discussione e io lo stimo, lo stimavo, molto. Adesso è morto per causa mia.”

“Non è stata colpa tua” obiettò Jon, “siamo in guerra, c’è sempre la possibilità che…”

“Sbaglio o hai detto siamo?” lo interruppe Dany piacevolmente sorpresa “Hai deciso finalmente di considerarti parte della mia guerra?”

Jon la fissò incredulo, forse accorgendosi solo ora di ciò che aveva detto. “Io…” iniziò, ma poi scosse la testa. “I nostri nemici sono gli Estranei, sai cosa ne penso riguardo a tutto questo: è uno spreco di tempo prezioso.”

“Quindi la morte di Verme Grigio secondo te è stata vana?”

“Verme Grigio è morto per ciò in cui tutti voi credete e ciò gli rende onore” replicò Jon, “ma ciò non cambia i miei ideali.”

A Dany venne voglia di ridere. “E quali sarebbero i tuoi ideali, Jon Snow?”

“La protezione della mia gente” rispose Jon e per poco Daenerys non alzò gli occhi al cielo. Eccolo di nuovo che parla della sua gente, pensò a metà fra l’irritato e il divertito.

Si alzò e gli andò incontro. “Lo sai” disse camminando letamente, “mi sono sempre chiesta, fin dal primo momento che ti ho visto, quale fosse il tuo obiettivo: saperlo permette di comprendere la personalità di un uomo e di capire se è degno di fiducia o meno. Eppure, per quanto io e Tyrion ci siamo sforzati, non siamo riusciti a dare un senso al tuo comportamento…”

Jon rise. “Avete entrambi passato troppo tempo con gente bugiarda e falsa” replicò, “disposta a qualsiasi infamità per ottenere ciò che vuole, ed ora non siete più in grado di discernere il vero dal falso. Io non ho ambizioni e non ti pugnalerò alle spalle, tranquilla. Non ho mai voluto essere scelto come Lord Comandante dei Guardiani della Notte, non ho mai desiderato diventare Re del Nord e certamente non voglio essere re dei Sette Regni. Il mio unico scopo è quello di distruggere l’esercito dei non-morti e di garantire al mio popolo la pace che gli è stata strappata da così tante guerre. Questo sono io, non c’è altro, mi dispiace.”

Daenerys era rimasta colpita da un tale discorso, ma si impose di rimanere impassibile. “Ti credo” disse con calma, “sono certa che ciò che dici è vero, ma ci sarà tempo per sconfiggere gli Estranei: esiste una Barriera fra noi e loro e non la supereranno facilmente. Siamo al sicuro, Jon, almeno per ora.”

Jon abbassò lo sguardo incerto e Daenerys gli sfiorò il viso con la mano. “Devi imparare a desiderare qualcosa” mormorò e Jon la guardò, “o la tua esistenza sarà arida. Qualcosa per te, che possa anche rappresentare il bene per gli altri. Sai cosa voglio io? Sconfiggere Cersei e vendicare tutte le persone che hanno sofferto e perso la vita a causa sua…” Poggiò l’altra mano sul petto di Jon e sentì il suo cuore battere all’impazzata.

“Voglio liberare Approdo del Re e i Sette Regni dalla sua tirannia” proseguì Daenerys, “entrare nella Fortezza Rossa con te e Tyrion al mio fianco e sedermi sul Trono di Spade.” Dany colmò la poca distanza che li separava ancora.

“Voglio sposarti, governare con te, amarti fino al giorno della mia morte…”

Jon sussultò vistosamente e Daenerys sorrise. “Quando verrà il momento” disse, “quando il mio esercito sarà pronto, forte ed unito, allora marceremo contro gli Estranei e gli distruggeremo, ma ora dobbiamo pensare a noi, alla nostra vita. Puoi dimenticare i tuoi non-morti per un po’, Jon Snow?”

Jon non rispose, ma Daenerys capì lo stesso che aveva finalmente ceduto. Si protese in avanti per baciarlo, ma si immobilizzò quando si udì qualcuno bussare alla porta. Jon si ritrasse immediatamente e Dany soffocò un’imprecazione.

“Chi è? In questo momento sono impegnata…”

“E’ urgente, vostra grazia.”

Daenerys non ebbe altra alternativa se non quella di aprire. L’uomo che si ritrovò di fronte era un soldato dorniano e teneva in mano due rotoli, chiusi con la ceralacca. “Vostra grazia, sono arrivate queste” disse porgendole le missive.

Daenerys annuì e lo congedò. “Questa è per te” disse consegnando a Jon la lettera con il sigillo del meta-lupo. Jon la prese perplesso. Dany osservò attentamente la lettera indirizzata a lei, che portava il simbolo del cavalluccio marino, e la srotolò incerta iniziando a leggere.

Alla regina Daenerys Targaryen

Porto Bianco è stata liberata e gli Uomini di Ferro scacciati, ma è mio dovere quale fedele servitore di casa Targaryen avvertirti: l’esercito della Tempesta non ti sosterrà contro Cersei Lannister. Lord Gendry ha deciso di portare il suo esercito a Grande Inverno per aiutare a sedare una ribellione, almeno da quello che ho capito. Tutti i lord delle Terre della Tempesta sono con lui e io sono tenuto a seguirlo in battaglia, nonostante penso questo sia un errore. E’ possibile che ci sia una cospirazione in atto, tra ser Davos Seaworth e lord Gendry e forse è coinvolto anche il Re del Nord. Spero le mie informazioni siano servite, vostra grazia, purtroppo non posso aiutarti.

Monterys Velaryon, lord delle Maree e Mastro di Driftmark

Daenerys si accorse di star tremando dalla rabbia nel vano tentativo di reprimerla. Traditori, pensò irata stringendo il pezzo di carta fra le mani. Gendry aveva giurato fedeltà a lei, era stato reso lord di Capo Tempesta e come la ricompensava? Abbandonandola quando più aveva bisogno dei suoi uomini. Ma era qualcos’altro ciò che l’aveva ferita. Rilesse quelle poce parole.

Forse è coinvolto anche il Re del Nord.

Jon non lo avrebbe mai fatto, pensò tentando di trovare una giustificazione. Sa che lo aiuterò a sconfiggere i suoi nemici una volta che avrò preso il Trono di Spade. Eppure Daenerys continuava a essere divorata dal dubbio: Jon aveva davvero cospirato alle sue spalle per strapparle gli alleati? E per farci cosa poi? Dany non credeva alla storiella della ribellione.

No, lui non c’entra nulla, non agirebbe mai in questo modo…

Ma non è forse vero che gli uomini fanno cose folli se pensano che esse possano proteggere la loro famiglia?

Daenerys non resistette oltre e si voltò a fronteggiare Jon. Lui la fissava con occhi vitrei, la sua lettera caduta a terra. Dany si chiese cosa avesse letto di così sconvolgente, ma si accorse che l’informazione non le interessava.

Non è stato lui.

“Gendry ha portato i suoi uomini a Grande Inverno. Dimmi che tu non hai nulla a che fare con questa storia.”

L’espressione di incredulità e forse anche di sollievo che comparve sul volto di Jon fu la prova di tutti i sospetti a cui lei non voleva credere. Daenerys strinse le dita lungo il bordo del tavolo. E’ stato lui, pensò esterrefatta. Lui ha detto a Gendry di agire così…

Jon lo stava guardando. “Sono stato io” rispose poi in tono indecifrabile e Dany sentì il mondo intorno a lei sgretolarsi. “Ma tutto ciò non ha più alcuna importanza: la Barriera è crollata.”

 

Jon

 

Rimasero a guardarsi per qualche secondo. Jon sapeva che Daenerys era arrabbiata per la storia di Gendry, ma in quel momento aveva altro per la testa. Nonostante tutto, era felice, data la situazione così disperata, che qualcuno fosse andato in soccorso del Nord. Non sarebbe stato però abbastanza se davvero la Barriera era crollata. Una parte di Jon aveva sempre temuto ciò sarebbe potuto accadere, ma in ogni caso il colpo fu terribile. Dovrei essere là, pensò provando rimorso. A Grande Inverno ad aiutare la mia gente, non qui… Sono stato uno stupido…

Vide che Daenerys taceva, così decise di affrontare la questione per primo. “Daenerys, dobbiamo subito preparare una piano di difesa per…”

“Non venire a dire a me quello che devo fare!” lo interruppe lei minacciosa “E non cambiare argomento…”

Jon era stupefatto. “Cambiare argomento?” chiese iniziando ad innervosirsi “Ti ho appena detto che la Barriera è stata abbattuta, sono stati gli Estranei a farlo ed ora hanno la possibilità di distruggere il Nord…”

“Hai cospirato alle mie spalle” disse gelida Daeneyrs ignorandolo, “hai spinto i lord della Tempesta ad abbandonare la mia causa… Perché?”

Jon abbassò per un attimo lo sguardo. “Ho detto a Gendry di aiutare il mio regno qualora avesse ricevuto notizia esso fosse in difficoltà una volta giunto a Porto Bianco” ammise. “Evidentemente hanno saputo del crollo della Barriera e…”

“Mi hai tradita.”

Jon sentì l’aria mancargli a causa dell’accusa. “Tentare di aiutare la propria famiglia è tradimento adesso?” Stava alzando leggermente la voce.

“Sì, se agisci alle mie spalle” ribatté Daenerys tagliente. “Perché non mi hai semplicemente detto come stavano le cose?”

“Mi avresti forse ascoltato?” replicò Jon con amarezza “Mi avresti concesso i tuoi uomini, mi avresti permesso di tornare a casa?”

Daenerys non rispose e Jon fece un passo avanti. “Mi dispiace non averti avvertita” mormorò, “ma non avresti mai capito, proprio come non capisci ora…”

Daenerys divenne rossa di rabbia. “Mi consideri stupida forse?” lo attaccò “Capisco che hai sabotato i miei piani inviando uomini la cui fedeltà non ti appartiene a combattere una guerra della cui esistenza nemmeno eri certo. Ti rendi conto di quante persone le tue azioni azzardate hanno messo in pericolo, adesso che lo scontro con Cersei è vicino?”

Jon davvero non capiva. “Ma ti rendi conto di quante persone sono in pericolo in questo momento perché noi stiamo qui a litigare invece di pensare ad un piano?” replicò irato “Mi ascolti quando parlo? LA BARRIERA E’ CROLLATA!”

Stavolta aveva urlato davvero, ma Daenerys non sembrava scossa più di tanto. “Credi che questo renda lecito il tuo operato?” chiese lei alzando un sopracciglio “Che renda onore alla tua pazzia? Che solo perché ora la minaccia potrebbe essere più incalzante la tua decisione sia giustificata?”

Jon rimase a bocca aperta. “Potrebbe essere?” ripeté con minacciosa calma “Credi chi abbia inviato la lettera stesse mentendo riguardo alla Barriera?” Daenerys accarezzò il tavolo e Jon la fissò disgustato Perché non vuole capire? si chiese frustrato.

“E’ difficile pensare una cosa tanto grande possa sciogliersi come neve al sole” osservò tranquilla Daenerys.

Jon avrebbe voluto urlare, ma si impose di non perdere la pazienza. “Non si è sciolta, è stata distrutta” sibilò ora veramente arrabbiato. “Perché ti rifiuti di vedere la verità?”

Daenerys si voltò di scatto verso di lui, il fuoco negli occhi. “E tu cosa fai?” ribatté acida “Vedi solo quello che ti interessa…”

“Vuoi che ti chieda perdono per quello che ho fatto?” chiese Jon con cruda ironia.

“Sarebbe un buon inizio, il tradimento è punibile con la morte.”

“E allora richiama quelle guardie dothraki che sono qui fuori e fammi uccidere, vostra grazia.”

Daenerys strinse gli occhi. “Pensi non lo potrei fare?”

Jon era stufo di quei giochini di potere. “Ascoltami” disse con voce dura, “non so se te ne sei resa conto, ma il tempo per tutto questo è finito. Gli Estranei invaderanno il nostro continente ed uccideranno ogni singola persona che ancora respira se non verranno fermati…”

“E di cosa ti preoccupi?” chiese Daenerys “Davos ha portato con sé il Vetro di Drago che tu dici può uccidere questi fantomatici nemici e grazie al tuo sublime coraggio adesso ci sono altri ventimila uomini nel Nord pronti a combatterli.”

“E molto presto saranno altri ventimila non-morti dell’esercito del Re della Notte” replicò Jon. “Non possono farcela da soli, il Nord non può farcela da solo.” Sospirò e fece un passo avanti. “Daenerys” disse con calma, “abbiamo bisogno del tuo aiuto…”

Daenerys lo fissò come fosse impazzito. “Ho appena perso il mio più valente generale” disse con voce roca, “i miei Dothraki, i miei soldati dell’Altopiano e per causa tua anche il supporto delle Terre della Tempesta e tu ora stai chiedendo il mio aiuto?!”

Jon strinse i pugni. “Sì.”

Daenerys rise.

“Lo trovi divertente?” chiese gelido Jon.

“No” rispose Daenerys, “solo il fatto che tu davvero immagini io possa in questo momento lasciare tutto quello che ho ottenuto fino ad ora per andare a salvare il Nord…” Jon ammutolì e sgranò gli occhi.

“Non posso” disse Daenerys ora nuovamente seria. “I Dothraki stanno distruggendo interi villaggi e devono essere fermati, Cersei sta facendo soffrire il mio popolo e devo porre fine alla sua follia. E’ necessario che io sieda al più presto sul Trono di Spade.”

“La tua è follia” replicò Jon inorridendo. “Come puoi pensare ai tuoi desideri egoistici quando la salvezza di tutti i Sette Regni è a rischio?”

Daenerys batté un pugno sul tavolo. “Desideri egoistici? E’ questo che pensi di me, che sono una ragazzina egoista?”

“In questo momento ti stai comportando come se lo fossi.”

Gli occhi di Daenerys mandarono faville. “Allora illuminami” disse lei freddamente, “cosa dovrei fare?”

Jon strinse le labbra. “Combattere per i vivi” rispose, “portare i tuoi draghi e il tuo esercito a Nord ora, prima che sia troppo tardi. Dimostrare di essere degna del Trono a cui tanto aspiri…” Daenerys lo stava guardando e Jon sperò avesse finalmente capito.

“La guerra per cui i miei sostenitori hanno deciso di combattere è qui” replicò invece Daenerys, “i loro obiettivi riguardano Cersei e il Trono di Spade, non un esercito di non-morti che non hanno mai visto…”

Jon non risuciva a capacitarsi di tanta inutile testardaggine. “I miei confratelli dei Guardiani della Notte probabilmente sono rimasti uccisi dal crollo della Barriera” disse pensando ad Edd, “e così tutti gli uomini avevo inviato io stesso. Sono morti tentando di proteggere le loro famiglie e tutti noi… E per cosa? Per un’altra vana guerra per il potere senza che nessuno si accorga della vera minaccia…”

Daenerys sollevò il mento. “Anche volendo non potrei portare il mio esercito a Nord” osservò. “L’inverno è arduo da sopportare e i miei uomini non potrebbero sopravvivere. Morirebbero in troppi e non posso permetterlo: il Nord dovrà cavarsela da solo.”

Jon era senza parole: davvero aveva pensato di poter amare una donna del genere? “E cosa ne sarà dei suoi abitanti?” chiese “Di tutti coloro che non possono combattere e di tutti coloro che invece periranno? L’esercito del Re della Notte aumenta ad ogni morte e presto arriverà anche qui: non c’è un posto sicuro.”

“Invierò parte del mio esercito all’Incollatura” disse Daenerys, “magari al Moat Cailin, così che possa difendere il Sud dai morti. Le Terre dei Fiumi e la Valle potranno inviare i loro uomini e sono certa riusciranno tutti insieme a fermare gli Estranei.”

Jon quasi boccheggiava a corto d’aria. “E il mio popolo?” chiese con il tono più tranquillo che riuscì a tirar fuori.

“Il Nord in questo momento non può essere difeso” disse Daenerys poggiando le mani sullo schienale della sedia più vicina, “perciò la popolozione dovrà abbandonarlo e scendere a Sud. Saranno accolti a Delta delle Acque e…”

“Stai dicendo di consegnare il mio regno agli Estranei?”

“Il mio regno. Hai rinunciato al tuo titolo, Jon Snow…”

“Non ancora.”

Daenerys parve lievemente sorpresa da quella risposta.

“La mia gente non riuscirà a raggiungere il Sud in tempo” continuò Jon, “quanti vecchi, donne e bambini moriranno?”

Daenerys parve triste, almeno per un momento. “Troppi” rispose sincera, “ma non c’è altro che io possa fare.”

Jon scosse la testa. “Io ho combattuto per te” le fece notare, “ho ucciso Euron Greyjoy per te, ho accettato di sposarti…”

“Non sembravi così dispiaciuto qualche giorno fa...”

Jon decise che non avrebbe sopportato oltre e si avviò verso la porta. “Con il tuo permesso” disse gelido, “salgo sulla prima nave per Porto Bianco, vostra grazia.”

Daenerys disse qualcosa in una lingua sconosciuta e Jon si ritrovò la strada sbarrata dalle due guardie dothraki. Fu costretto ad arretrare di qualche passo. Daenerys camminò con calma verso l’uscita e Jon la seguì con lo sguardo.

“No, non andrai da nessuna parte” replicò Daenerys senza voltarsi a guardarlo, “non permetterò tu metta ancora a rischio i miei piani: non posso più fidarmi di te.” Daenerys parlò ancora una volta in dothraki e uno dei due uomini afferrò Lungo Aritglio, che era appoggiata alla parete.

“NO!” urlò Jon tentando di raggiungerla, ma si ritrovò l’arakh dell’altro guerriero appoggiato sul petto e dovette arretrare. L’uomo tornò indietro ed entrambi uscirono.

Jon era senza fiato, sconvolto da quella situazione. “Perché?” chiese “Avevi giurato avresti aiutato il Nord quando la vera guerra fosse iniziata, io ti ho creduto… Come puoi pensare di essere una buona regina se non rispetti i tuoi giuramenti?”

Daenerys si fermò e si girò verso di lui. “Poprio tu osi parlare di giuramenti? Tu che hai disertato i Guardiani della Notte… Hai pensato al tuo giuramento allora?”

Jon sentì il suo sangue ribollire e non fu più capace di trattenersi. “Il mio giuramento è stato sciolto” disse sentendo ogni fibra del suo corpo fremere.

Daenerys scosse la testa. “Da quello che mi hanno spiegato, solo la morte può…”

“IO ERO MORTO!”

Al diavolo le conseguenze.

“I miei confratelli mi hanno pugnalato sei volte per aver permesso ai bruti di attraversare la Barriera, uno di quei coltelli mi ha attraversato il cuore. Io il mio giuramento l’ho rispettato, fino alla morte.”

Vide l’incredulità e la comprensione farsi strada sul viso di Daenerys, che tuttavia rimase in silenzio. Ma a Jon non interessava se gli credesse o meno. Pochi secondi dopo Daenerys uscì e la chiave girò nella toppa.

Appena fu solo, Jon corse ad afferrare uno degli attizzatoi del caminetto. Era di ferro nero e sembrava robusto. Tornò alla porta e tentò di forzarla, ma presto l’attrezzo gli si piegò tra le mani. Jon imprecò e lo scaraventò a terra. Allora andò alla finestra e la spalancò. Purtroppo le sue stanze erano al terzo piano e davano sul mare. Jon guardò in basso e fu colto da un senso di vertigine. Le pareti del castello erano liscie, senza alcun appiglio per poter sperare di intraprendere una scalata. Jon pensò di poter calarsi di sotto, ma non avrebbe avuto molte possibilità una volta caduto in mare.

Fu colto dalla rabbia e lanciò una delle tre fragili sedie di legno contro il muro. Sono stato uno stupido, continuava a pensare mentre distruggeva l’anticamera. Come ho potuto non accorgermi, come ho potuto fidarmi di lei?

Afferrò il grande specchio sopra il camino e lo scagliò a terra, solo per poi doversi allontanare dalle scheggie che sfrecciavano da tutte le parti. Fece ancora qualche tentativo con la porta e alla fine si lasciò cadere sul letto esausto. Non aveva neanche più voce per urlare. Non sarebbe dovuto essere lì, non avrebbe dovuto abbandonare il suo popolo. Pensò a Sansa e sentì le lacrime bagnargli gli occhi.

“Mi dispiace” sussurrò, “vorrei essere con te, non sono riuscito a proteggerti come avrei dovuto…”

Il Nord non era in grado di fermare l’avanzata dei non-morti, nemmeno con l’aiuto degli uomini di Gendry. Jon provò un moto di affetto nei confronti del ragazzo, che aveva rischiato tutto per aiutare sua sorella nel difficile compito che l’aspettava. Moriranno tutti, realizzò Jon con orrore, e io non sarò con loro. Ho fallito di nuovo…

La sua seconda vita non era servita a nulla, se non a prolungare l’agonia. Jon non seppe mai quanto tempo rimase sospeso in quel limbo di desolazione, in bilico fra sonno e veglia. Forse pochi minuti, o forse diverse ore. Poi, a un certo punto, sentì dei rumori provenire dal corridoio. Si mise immediatamente a sedere sul letto e cercò con gli occhi un’arma: chiunque avesse aperto la porta, Jon avrebbe lottato per uscire di lì.

Tornò a recuperare l’attizzatoio storto e si appostò vicino all’entrata. Quando la porta si spalancò con un cupo cigolio, Jon era pronto a gettarsi sulla persona che entrava. La sorpresa lo lasciò completamente impietrito. Si era aspettato di vedere Daenerys, o al massimo una delle sue guardie, e invece trovò Theon.

“Cosa ci fai qui?” chiese Jon incredulo.

Theon si portò l’indice alle labbra, pregandolo di parlare a bassa voce. “So tutto” sussurrò, “sono venuto a liberarti…”

Jon non ci credeva. “La Barriera…”

Theon annuì. “Daenerys si sbaglia” mormorò, “vieni con me…”

Jon lo seguì e vide con suo sommo stupore che le due sentinelle giacevano a terra trafitte da frecce. Jon guardò Theon sempre più confuso e colpito. Si incamminarono tentando di fare meno rumore possibile verso le scale e scesero fino alle dispense dove erano accumulate le provviste.

Theon gli porse una bisaccia. “Tieni” disse senza guardarlo negli occhi, “ne avrai bisogno per il viaggio…”

Jon annuì e se la mise a tracolla, nemmeno controllando cosa conteneva. “Grazie…”

Theon sembrava a disagio. “Non puoi lasciare Duskendale via terra” spiegò. “Le mura sono sorvegliate, però possiamo prendere una nave: quella che ho appena finito di costruire è una fra le più veloci… Si chiama Cuore d’Inverno…” “

Intendi venire con me?” chiese Jon sorpreso “Daenerys ti ha offerto un posto nel Concilio Ristretto…”

Theon scosse la testa. “Voglio tornare a Grande Inverno” disse con un velo di malinconia, “ora che è nuovamente la casa che ricordo da sempre. Voglio dare il mio contributo in questa guerra: scriverò anche a mia sorella Yara…” Jon annuì di nuovo.

Theon era imbarazzato. “Posso venire?” chiese timidamente.

Jon gli sorrise. “Credo proprio Sansa sarà felice di rivederti.”

Theon arrossì, poi sembrò ricordarsi di qualcosa. “Quasi dimenticavo” disse porgendo a Jon Lungo Artiglio apparsa dal nulla, “questa è tua…”

Jon la fissò incredulo, ma non chiese dove Theon l’avesse trovata. In quel momento si udirono delle grida dai piani superiori e Jon capì che si erano dovuti accorgere della sua fuga. Guardò Theon, improvvisamente pallido. “Cosa facciamo?” chiese in un sussurro “Non riusciremo mai a raggiungere il porto…”

Le voci aspre di guerrieri dothraki erano sempre più vicine. Theon aprì una porta e indicò la scala. “Nei sotterranei” ansimò, “passeremo da lì… Presto!”

Jon fece appena in tempo a vedere che i loro inseguitori li avevano raggiunti, che entrambi si buttarono giù a capofitto lungo la ripida rampa. Sotto era buio e il pavimento umido. Nella corsa, Jon rischiò di inciampare più di una volta. Theon continuava a voltarsi indietro e Jon sapeva che non avevano un grande vantaggio: presto sarebbero stati presi. Non faremo in tempo ad uscire da qui, pensò disperato, quando udì il ruggito del drago.

Era Rhaegal, Jon ne era certo, e sembrava quasi chiamarlo.

Cambiò bruscamente direzione e Theon gli venne dietro senza fare domande. Arrivarono ad un’enorme porta di pietra ed insieme riuscirono a spalancarla. I draghi erano là. Drogon dormiva, ma Rhaegal ruggiva e si dimenava nelle catene. Quando vide Jon, tuttavia, i suoi movimenti si rilassarono. I loro sguardi si incontrarono e Jon fu folgorato da un’idea, l’idea più folle che avesse mai avuto. Iniziò a camminare verso il drago.

“Che fai?” gli gridò Theon “Ti incenerirà!”

“Non lo farà” rispose Jon convinto, “ho un piano.” Si fermò e si voltò verso Theon, che doveva aver capito, perché appariva terrorizzato.

“Non funzionerà…”

“Devo tentare” replicò Jon, “o non avremo scampo.”

Theon annuì ed impugnò il suo arco. “Allora va’” disse risoluto fronteggiando i nemici che ormai erano entrati nella stanza, “io li trattengo…”

Jon prese ad avanzare verso Rhaegal, cercando per quanto poteva di ignorare i rumori dello scontro che si stava consumando alle sue spalle. Ti prego non mangiarmi, pensò senza distogliere lo sguardo da quello del drago. Ho bisogno del tuo aiuto. Già una volta mi salvasti la vita, ti prego…

Il drago non si mosse. Jon si voltò una frazione di secondo, giusto in tempo per vedere Theon uccidere due Dothraki in rapida successione. Tornò a concentrarsi su Rhaegal. So che mi capisci, pensò costringendosi ad avanzare, so che vuoi aiutarmi… Lentamente fece cadere a terra le catene con un lugubre tintinnio.

Ho bisogno di te, pensò Jon accorgendosi solo ora di star trattenendo il respiro, ti prego…

Allungò esitante una mano e chiuse gli occhi. Quando sentì la pelle squamosa del drago sotto il suo palmo, li riaprì estasiato. Rhaegal stava battendo leggermente le ali, come a sgranchire i muscoli. Poi appoggiò una zampa a terra e fissò Jon. Lui annuì e, prendendo un respiro profondo, iniziò ad arrampicarsi sull’ala del drago. I suoi movimenti erano lenti e rigidi, paralizzati dal terrore, ma Jon non si fermò finché non fu seduto sul dorso. Solo allora sentì la tensione abbandonarlo e poté tornare a respirare normalmente.

Si voltò verso Theon, che aveva respinto la maggior parte degli assalitori e che lo stava fissando. La mano che teneva l’arco si rilassò lungo il fianco e Theon sorrise.

Quando la freccia del Dothraki lo trafisse a pochi centimetri dal cuore, Theon si guardò il petto confuso. Jon sentì la vita scivolargli via dalle membra. La seconda freccia colpì Theon alla gamba sinistra, facendolo cadere a terra.

La rabbia di Rhaegal esplose insieme a quella di Jon. Il drago balzò in avanti, nonostante il poco spazio a sua disposizione, e sputò fuoco sui Dothraki rimasti. Le loro urla rimbombavano nelle orecchie di Jon mentre si lasciava scivolare a terra. Corse da Theon e si buttò in ginocchio accanto a lui. Theon aveva le veste umide di sangue, ma sembrava ancora lucido. Jon non sapeva cosa dire e lo guardò inerme respirare affannosamente.

“Prendi il mio arco” sussurrò Theon cercando di sollevare il braccio, “ti prego, non voglio venga perduto…”

Jon prese l’arma in mano lentamente e rimase in silenzio.

“M-mi dispiace” balbettò Theon piangendo, “per Robb e s-ser Rodrick… Io non volevo, davvero…” Iniziò a tossire e Jon non comprese le parole che seguirono.

“Adesso li rivedrò” sussurrò Theon con il volto contratto, “e potrò chiedere perdono.”

Jon sentì il cuore stretto in una morsa: lui oltre la morte non aveva visto nulla.

“Mi dispiace” ripeté Theon cercando lo sguardo di Jon. Ormai rantolava e tentava di rimanere aggrappato alla vita qualche secondo ancora.

Jon gli sorrise. “A nome del Nord, ti perdono” sussurrò e vide la gioia, pura e semplice, inondare lo sguardo di Theon. Quando il corpo smise di muoversi, i suoi lineamenti erano distesi.

Jon impiegò qualche minuto per rimettersi in piedi. Raccolse la faretra semivuota di Theon e tornò accanto al drago. Rhaegal lo stava aspettando, il capo chino in attesa. Jon sospirò e salì nuovamente sul suo dorso. Guardò un’ultima volta il cadavere di Theon: sperava almeno Daenerys l’avrebbe seppellito. In quel momento non riusciva a provare emozioni, la sua mente era spossata.

Strinse fra le mani le scagli del drago. “Andiamo, Rhaegal” mormorò e il drago ruggì. Poi sbatté le ali un paio di volte e si alzò in volo di un metro. Superò i corpi bruciati dei Dothraki ed uscì dalla stanza.

Jon sentì un vuoto nello stomaco quando Rhaegal uscì dai sotterranei ed iniziò la sua ascesa al cielo nell’aria frizzante. Vide gli sguardi esterrefatti della gente che diventava sempre più piccola sotto di lui e si abbandonò alla musica del vento. Il drago volava in maniera magnifica e Jon non aveva più paura.

Adesso sapeva che sarebbe tornato a casa, che avrebbe combattuto e che niente si sarebbe mai più posto fra lui e il suo dovere. Rhaegal emise un verso soddisfatto e Jon si permise di ridere.

Il Nord lo stava aspettando.

 

   

                                                                     "Il destino mi osserva, stavolta no, non posso fermarmi, stavolta sarai tu a guardarmi."



N.D.A.


Ben tornati! Capitoletto intenso, vero? ^_^'''' spero non siate troppo arrabbiati o distrutti XD XD quello che è successo era nell'aria e i personaggi stanno iniziando a prendere le loro decisioni.
Mi dispiace tantissimo per Verme Grigio e Theon, ma dovevano andare. Lo so, Verme Grigio e Missandei sono una coppia stupenda e Theon stava migliorando tantissimo, ma almeno sono morti felici, in particolare Theon che ha ricevuto il perdone per tutti i suoi crimini. Hanno entrambi pagato (anche se volutamente, nessuno li ha forzati) per una guerra frivola e inutile, ma hanno avuto il coraggio di fare le loro scelte e non voltarsi indietro.

Spero almeno la scena tra Gendry e Arya basti a riscaldare un capitolo altrimenti molto oscuro e pesante. Si sono finalmente ritrovati e chiariti e, essendo entrambi cresciuti, è normale la situazione si stia riscaldando ;-P

Ma arriviamo al cuore del capitolo, che davvero segna un punto di svolta enorme nella trama: il litigio tra Daenerys e Jon. Purtroppo i pensieri di Dany non vengono mostrati per intero e, vista sotto gli occhi di Jon, appare veramente spietata. In realtà la ferita del tradimento di lui è terribile e oscura tutto il resto. Non sente di dovere più niente a quest'uomo di cui si fidava e che ha complottato alle sue spalle. Ne è terrorizzata. Jon ovviamente la pensa in modo diverso, in quanto vede tutto in funzione del bene del suo popolo e poco si cura invece dello stato emotivo di Daenerys (non perchè in sé non gli interessi, bensì considera priorità altre cose). Le loro visioni diversissime si scontrano con una violenza mai vista finora e il loro legame si spezza. Jon adesso ha fatto la sua scelta: lasciarsi tutto alle spalle e tornare al suo posto, per fare ciò che va fatto e rimanere con il suo popolo. Daenerys invece non vuole lasciare il Sud in mano a Cersei e rimarrà a lottare. E' finita per sempre tra loro? Può darsi, di certo hanno preso una bella batosta. C'è la possibilità di un riavvicinamento? Anche questo è possibile, ma dipenderà da come reagiranno nel tempo alle nuove sfide che li attendono ^_^ per ora sono molto fissi sulle loro posizioni (nel bene e nel male) e non sono disposti a cambiare idea.
Adesso si aprono però migliaia di possibilità diverse...

Come al solito ringrazio di cuore i miei recensori, in particolare __Starlight__, Spettro94 e Red_Heart96. Ragazzi il vostro supporto è sempre stupendo :-) non so come farei senza.

Non ho nient'altro da dirvi, quindi alla prossima!

PS: stavolta, per un capitolo così importante, abbiamo ben due citazioni, entrambe musicali. La prima viene dalla canzone "Pronto a correre" di Marco Mengoni e la seconda dalla canzone "Lo stadio" di Tiziano Ferro. Entrambe possono essere associate sia a Daenerys che a Jon e a quello che devono aver provato durante questo scontro.








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Capitolo 21
*** Dark Sister ***


Capitolo 21


Dark Sister                                                                                                                 

 


Brienne

 

Quando Arya Stark era corsa via, tutti l’avevano seguita con lo sguardo stupefatti. Quel ragazzo di nome Gendry sembrava mortificato.

“Non so cosa le sia preso” si scusò Sansa imbarazzata, “vado a vedere…”

“Chiedo scusa, mia signora” intervenne Gendry, “posso andare a parlarle? Credo io le debba delle scuse...”

Sansa lo squadrò per un attimo. “D’accordo” assentì poi. “Podrick ti porterà alla stanza di Arya…” Gendry ringraziò e seguì Podrick dentro il castello. Brienne pensò che forse lui e Arya si erano conosciuti durante i pellegrinaggi della ragazza. Tornò a guardare Davos, che le sorrise.

“Sono felice di vedere che stai bene, mia signora” disse il Cavaliere delle Cipolle, “ero certo saresti riuscita a trovare un modo per ritornare da lady Sansa. E’ stato un lungo viaggio?”

Brienne trattenne una risatina. “Più di quanto immagini” rispose, “ero salita per sbaglio su una nave per Vecchia Città…”

Davos sgranò gli occhi. “Per i Sette Inferi!” esclamò incredulo “E’ stato un viaggio pazzesco…” Brienne annuì.

Davos allargò le braccia e si rivolse a Sansa. “Come vedi, mia signora” disse, “ora hai seimila uomini in più per sedare la rivolta… E’ stato Baliesh a causarla?”

Sansa aggrottò la fronte. “Ditocorto è morto” disse. “Io e Arya l’abbiamo giustiziato per tradimento: la ribellione di cui parli è stata gestita con successo già qualche giorno fa. Tuttavia ora che la Barriera è crollata il vostro aiuto sarà più necessario che mai…”

“La Barriera è crollata?” chiese Davos sconvolto “Com’è possibile?”

“Pensavo lo sapessi” intervenne Tormund, “non è per questo che sei qui?”

Davos scosse la testa, ancora esterrefatto. “Come ho detto avevamo avuto notizie di una rivolta” replicò, “non certo del crollo della Barriera…” Si guardò le scarpe. “Mia signora” continuò guardando Sansa, “l’esercito delle Terre della Tempesta è sotto il comando di Gendry, ma sono certo deciderà di rimanere per affrontare i morti.”

Brienne non poté reprimere un brivido di paura. Non aveva mai visto l’esercito degli Estranei che tutti dicevano si stesse muovendo alla conquista di Westeros, ma ne aveva sentito parlare. Davos le aveva raccontato storie in tono appassionato, ma nemmeno lui poteva vantare un incontro ravvicinato con i nemici di ghiaccio. Jon Snow aveva ucciso un Estraneo, da quello che si sentiva dire in giro, ma era partito prima che Brienne potesse chiederglielo. Certo, Tormund non sembrava aspettare altro che trovare il momento per raccontarle una storia del genere, ma Brienne era risoluta a mantenere le distanze.

Sansa annuì. “Molto bene” disse, “tu e lord Gendry potrete essere ospitati nel castello, troveremo due camere libere, ma tutti gli altri soldati e lord dovranno tornare all’accampamento o recarsi a Città dell’Inverno.” Davos annuì.

“Adesso torniamo dentro” continuò Sansa, “e troviamo un posto più opportuno per discutere.” Davos corse ad avvertire i lord alle sue spalle, per poi seguire Brienne, Sansa e Tormund dentro le mura di Grande Inverno. Brienne se lo ritrovò presto al suo fianco e fu con sorpresa che vide che le stava porgendo Giuramento.

“Questa è tua” disse Davos, “Daenerys ha acconsentito a restituirtela…”

Brienne prese in mano la spada con un sorriso e i suoi pensieri corsero inevitabilmente a Jaime. “Grazie” sussurrò sistemandola nel fodero, “cosa è successo su Roccia del Drago?”

Davos fece una smorfia. “Forse la Madre dei Draghi non è così terribile come pensavamo” confidò a bassa voce, “forse addirittura ci verrà in soccorso ora che la Grande Guerra è comincita. Diamine, ancora non ci posso credere che la Barriera sia crollata…”

“Nemmeno io” replicò Brienne con amarezza. Poi si ricordò di una cosa. “Davos, tutti i lord della Tempesta sono qui?”

Il Cavaliere delle Cipolle rifletté un attimo. “Non credo” rispose, “perché me lo chiedi?”

Brienne sospirò. “Pensavo fosse possibile ci fosse anche mio papre” replicò abbassando lo sguardo.

“Mi dispiace” disse Davos addolorato, “di lord Selwyn non so nulla…”

“Non importa” si affrettò a dire Brienne, “abbiamo altro a cui pensare ora…” Entrarono nella Sala Grande e Sansa disse loro di accomodarsi al lungo tavolo.

“Davos, ti presento mio fratello Brandon Stark” disse Sansa, “e Meera Reed, di Torre delle Acque Grigie.”

Davos sorrise. “Vedo che gli Stark sono finalmente tornati a Grande Inverno” osservò allegro, “Jon ne sarà felice…” In quel momento Podrick entrò nella stanza.

“Allora?” chiese Sansa “Mia sorella?”

Pod parve piuttosto imbarazzato. “Ehm” mugugnò, “credo voglia rimanere in camera sua con lord Gendry, mia signora.”

Sansa era sconcertata. “Come fai a dirlo?” insistette “Te l’ha detto lei?”

Podrick era sempre più a disagio. “Credo le sue parole siano state vai a farti fottere” balbettò e Tormund scoppiò a ridere rumorosamente. Brienne lo trovava un comportamento estremamente sguaiato.

Sansa alzò gli occhi al cielo. “D’accordo” disse visibilmente innervosita, “inizieremo la discussione senza di loro…”

“Vuoi vada a svegliare lord Beric e Sandro Clegane?” chiese Podrick, ma Sansa scosse la testa. “No” rispose, “lasciali dormire: domani metteremo al corrente tutti i lord a decisioni prese.” Podrick si inchinò e fece per uscire.

“Oh, assolutamente no” lo fermò Sansa. “Tu rimani: vieni a sederti con noi…” Podrick sembrò disorientato per un attimo, ma poi sorrise e prese posto fra Tormund e Brienne, che quasi tirò un sospiro di sollievo.

“Allora” iniziò Sansa, “su quanti uomini possiamo contare?” Tutti borbottarono cifre poco precise.

“Credo nel Nord si possano racimolare massimo venticinquemila soldati” disse Davos facendo dei calcoli, “se si decide di arruolare anche i ragazzi piuttosto giovani…”

Sansa annuì. “Quanti bruti hai, Tormund?” 

“Meno di mille in grado di combattere.”

Sansa si morse un labbro. “Così come siamo messi il nostro esercito non arriva neanche a cinquantamila unità.”

“Mia signora” intervenne Brienne, “chiedo scusa, ma il Nord non può contare sull’appoggio delle Terre dei Fiumi e della Valle? Possiamo chiedere aiuto a loro…”

“Invierò i messaggi” assentì Sansa, “ma non arriveranno mai in tempo: l’Incollatura è insidiosa e il ghiaccio ha reso la Strada del Re pericolosa…”

“Su quali altre forze possiamo contare?” chiese Tormund visibilmente non molto pratico di quegli affari.

“C’è la Fratellanza senza Vessilli…” tentò Podrick per dimostrarsi utile.

“La Fratellanza senza Vessilli è sotto il mio comando!”

Tutti si voltarono.

Arya e Gendry erano appena entrati, ma se la prima aveva uno sguardo determinato e sicuro, il secondo sembrava solamente intimidito dall’ambiente in cui si trovava.

“Arya!” esclamò Sansa stizzita “Podrick vi era venuto a chiamare già qualche minuto fa…”

Arya roteò gli occhi. “E infatti eccoci qui” disse con un sorriso di scherno. Sansa dovette decidere di contenersi, perché non replicò. Arya le si sedette affianco, mentre Gendry rimase indeciso per qualche secodo. Alla fine scelse il posto accanto a Davos.

“Stavate dicendo?” chiese Arya in tono leggero puntando i gomiti sul tavolo.

“Contavamo quanti uomini abbiamo a disposzione per affrontare gli Estranei” spiegò Sansa con pazienza, “e come sarebbe a dire la Fratellanza è sotto il tuo comando?”

Arya ridacchiò. “Mi hanno scelto come loro capo.”

Sansa la guardò per un attimo. “Quanti uomini ci sono nella Fratellanza?” chiese poi in tono serio.

Arya alzò le sopracciglia. “Mi sembra sui quaranta” rispose, “ma dovrei chiedere…”

Sansa sospirò. “Sono troppo pochi” mormorò, “l’esercito degli Estranei ne avrà almeno…”

“Centinaia di migliaia” disse per lei Brandon con la sua voce apatica. “Io e Meera li abbiamo visti: non c’è modo di sconfiggerli con i numeri che abbiamo…”

“E se neanche abbiamo le armi per distruggerli” borbottò Tormund, “siamo fottuti.”

Davos si agitò sulla sedia. “A questo posso rimediare io” intervenne, “ho portato con me tutta l’Ossidiana che Jon ha recuperato a Roccia del Drago…”

Il volto di Sansa si illuminò. “E’ un’ottima notizia!” esclamò rassicurata “Spero il nostro armaiolo sappia utilizzarlo per farne delle armi…”

“Se posso, mia signora” si intromise Gendry, “io ho lavorato ad Approdo del Re alla bottega di un fabbro e desidero rendermi utile…”

Sansa annuì. “Molto bene” concordò allacciando le mani in grembo, “ti saranno date le armi dei solati perché tu possa rinforzarle con il Vetro di Drago. Desidero anche che tu ti occupi della mia spada, Ambra.”

Gendry chinò il capo. “Certamente, mia signora” disse, “mi metterò a lavoro domani mattina.”

“Oltre al Vetro di Drago, al pugnale di Arya e a Signora Piangente, quindi non abbiamo altre armi di acciaio di Valyria da usare contro gli Estranei?”

Brienne si ricordò della sua spada. “Davos mi ha restituito Giuramento” disse e Sansa sembrò rasserenarsi.

“Anche Crepuscolo è di acciaio di Valyria” osservò Gendry accennando alla propria arma, “era di Euron Greyjoy…”

“Direi che non siamo messi male” osservò Sansa, “se non c’è altro…”

“La spada di Meera è di acciaio di Valyria” intervenne Brandon e tutti guardarono la ragazza.

“L’abbiamo trovata oltre la Barriera” disse Meera estrendola e posandola sul tavolo, “ma non sappiamo cosa ci facesse lì…”

Arya l’afferrò, esaminadola attentamente. Brienne poté giurare fosse colta da una forte emozione.

“Questa è Sorella Oscura!” esclamò Arya emozionata “La leggendaria spada che Visenya Targaryen usava quando non cavalcava il suo drago Vhagar…”

Brienne fissò la spada incredula e Meera si ritrasse come impaurita. “Come fai ad esserne sicura?” chiese Sansa scettica.

“Visenya è sempre stata la mia eroina preferita” spiegò Arya. “Dopo Nymeria Martell ovviamente, e so tutto di lei. Ho visto così tante illustrazioni della sua spada che saprei riconoscerla ovunque. I due draghi che si intrecciano sull’elsa e i riflessi scuri, tutto torna!”

“Ma che cosa ci faceva Sorella Oscura oltre la Barriera?” chiese Meera incredula “L’abbiamo trovata in una grotta…”

“La spada, se non mi sbaglio, andò perduta durante la una delle ribellioni Blackfyre” disse Arya. “Il suo ultimo possessore noto fu Brynden Rivers, uno dei bastardi di Aegon il Mediocre.” Meera fissava incredula la spada.

“Non ha importanza come ci sia finita lassù” disse Sansa, “l’importante è che possa uccidere gli Estranei.” Meera riprese Sorella Oscura con cautela, come preoccupata di rovinare un oggetto di tale valore.

Sansa sospirò di nuovo. “Abbiamo bisogno di un piano ora” disse in tono stanco, “in modo da distribuire le nostre forze in maniera saggia… Se ci rifugiamo in castelli, gli Estranei riusciranno a trovarci in ogni caso?”

“Ad Aspra Dimora i morti hanno fatto a pezzi la fortificazione in legno dell’accampamento” raccontò Tormund, “credo riuscirebbero a scavalcare le mura…”

“La tua gente è ancora ad Ultimo Focolare” disse Sansa rivolta al bruto, “dobbiamo trovare il modo da farla fuggire da lì…”

“Inviare uomini ed incontrare i non-morti in campo aperto non è una scelta saggia” osservò Davos accarezzandosi la barba, “soprattutto se i numeri non sono dalla nostra parte… Però forse si può provare a respingerli protetti dalle mura: perdonate la mia ignoranza, ma sono abbastanza alte quelle di Ultimo Focolare?”

“Abbastanza” rispose Arya, “ricordo però che sono molto spesse e non possono essere demolite facilmente.”

“E’ già qualcosa…”

“Porterò i miei uomini di nuovo là” intervenne Tormund con il suo vocione. “Siamo gli unici che conoscono un minimo questa minaccia: senza Jon Snow a guidarli i vostri soldati non hanno speranza contro gli Estranei.”

“Hai ragione” disse Davos, “ma voi del Popolo Libero non potreste mai sperare di difendere un castello, non avete abbastanza discliplina: è necessario che dei soldati esperti vengano con voi… Il Re della Notte conosce lo stile di combattimento dei bruti, ma quello di Westeros potrebbe coglierlo alla sprovvista.” Brienne aveva la sensazione che ciò non sarebbe accaduto.

“Se è così” intervenne Gendry, “porterò metà dei miei uomini ad Ultimo Focolare insieme a…?” Guardò Tormund con aria interrogativa. “Tormund” si presentò il bruto e Gendry annuì.

“Sei sicuro di quello che dici, Gendry?” chiese Davos con voce grave.

“Lo sono” rispose fieramente il ragazzo e a Brienne non sfuggì lo sguardo di puara che balenò negli occhi di Arya per un secondo.

Poi la ragazza si alzò in piedi. “Porterò la Fratellanza senza Vessilli insieme all’esercito della Tempesta” annunciò seria.

Prima ancora che Brienne potesse realizzare il peso di tale affermazione, Sansa era già scattata in piedi, facendo cadere a terra la propria sedia. “NO!” urlò con voce strozzata. Arya sostenne lo sguardo della sorella.

“Tu devi rimanere a Grande Inverno” continuò Sansa, “non puoi andartene proprio ora, è troppo pericoloso…”

“Per questo voglio fare la mia parte.”

“Puoi benissimo contribuire da qua.”

Arya rise. “Come fai tu?” chiese sarcastica “Non sono io quella che deve governare…”

“Arya, ti prego” la supplicò Sansa con le lacrime agli occhi, “non voglio rischiare di non rivederti mai più… Io…”

“Sansa” la interruppe tranquillo Brandon, “Arya può andare.”

Sansa si voltò sconvolta verso di lui. “Cosa?!” chiese distrutta “Dici che dovrebbe andare?!”

Brandon annuì. “E’ ciò per cui si prepara da sempre” disse in tono misterioso, “non abbiamo il diritto di impedirle di andare.”

Sansa aveva gli occhi gonfi di lacrime. “Bene!” esclamò battendo le mani sul tavolo “Partirete tutti domani mattina. L’udienza è conclusa.” Girò le spalle a tutti e corse fuori dalla sala.

Tra i rimasti scese un silenzio saturo di imbarazzo e nessuno si azzardava a muoversi. Poi Davos si alzò in piedi. “Dovete riposarvi” disse con voce saggia, “meglio che ce ne andiamo tutti a dormire.”

Brienne non attese ulteriori inviti e raggiunse la propria stanza. Mentre si svestiva ripensò allo sguardo perso di Sansa e alle lacrime che aveva tentato di nascondere. Si addormentò con quell’immagine che danzava ancora davanti ai suoi occhi chiusi.

Il mattino seguente il vento gelido dell’inverno faceva svolazzare i mantelli della piccola folla che si era radunata nel cortile per salutare coloro che partivano. Sansa era eretta nel suo abito scuro, pallida come la luna e con gli occhi arrossati. I capelli le ondeggiavano nella brezza. Arya invece indossava i pantaloni e portava alla cintura Ago e la daga di acciaio di Valyria. Continuava a scherzare con Gendry ed evitava lo sguardo di sua sorella. Brienne vide Tormund venirle incontro e dovette reprimere l’istinto di sguainare Giuramento.

“Io sto andando” borbottò il bruto sottolineando l’ovvietà, “volevo salutarti... Spero di rivederti presto.”

Sembrava si stesse impegnando per essere gentile e Brienne non ebbe il cuore di rispondere in maniera sgarbata. “Ti auguro buona fortuna” disse solamente e vide Tormund sorridere.

Poi il bruto si voltò e tornò verso i suoi compagni. Brienne lo seguì con lo sguardo e per sbaglio incrociò quello di Sandor Clegane, già in sella al suo cavallo. Era assolutamente certa il Mastino l’avesse riconosciuta, eppure non sembrava arrabbiato. Fece uno strano cenno con la testa che poteva essere scambiato per un saluto e Brienne ricambiò.

Poi Sansa venne avanti, composta come sempre. “Il vostro coraggio potrebbe fare la differenza” disse a voce alta rivolta ai soldati in partenza. “Noi tutti aspetteremo con ansia il vostro ritorno e speriamo in una luminosa vittoria. Per il Nord!”

Tutti elevarono al cielo le loro preghiere, anche i soldati della Tempesta che il Nord lo vedevano per la prima volta. Sansa si avvicinò ad Arya e le prese le mani. Brienne non sentì cosa le due sorelle si dissero, ma dovette essere un momento molto intenso, perché entrambe avevano gli occhi lucidi. Poi Arya abbracciò Sansa e Brandon e saltò a cavallo, portando l’animale affianco a quello di Gendry.

Sansa si diresse verso il Mastino stringendo qualcosa fra le mani. “Ti sei dimostrato un alleato fedele di casa Stark” disse in tono solenne, “perciò io ti ricompenso con questo dono: una spada di acciaio di Valyria che potrai usare per affrontare i nostri nemici. Si chiama Signora Piangente...”

Il Mastino fece una smorfia. “Fanculo i nomi delle spade” disse prendendo l’arma in mano, “roba da ragazzine.” Poi sospirò. “Mi mancherai, uccelletto” disse in tono quasi affettuoso, “stammi bene.” Sansa annuì e il cavallo di Sandor Clegane si allontanò.

Le trombe suonarono e la colonna iniziò ad uscire dal portone. Sansa rimase ferma, senza piangere o mostrare segni di cedimento. Sembra una regina, realizzò Brienne con ammirazione. Arya si voltò un’ultima volta verso sua sorella, per poi lanciare il cavallo al galoppo dietro al resto del piccolo esercito. Il vento spazzava quella terra prostrata dalla desolazione e quegli uomini coraggiosi continuarono a cavalcare verso una battaglia quanto mai incerta.

Brienne non era sicura sarebbero tornati indietro.

 

Yara

 

Il Mare del Tramonto era agitato. Le onde facevano sbandare la Vento Nero pericolosamente e le navi più piccole rischiavano di rovesciarsi. Molti marinai si erano sentiti male, altri preferivano rimanere sottocoperta, ma Yara non aveva paura delle tempeste. Camminava sui ponti delle navi da quando aveva tre anni ed ormai non barcollava più. Il mare era la sua casa, l’unico luogo dove si sentisse davvero a proprio agio. Quando Daenerys le aveva dato il permesso di ritornare alle Isole di Ferro per riportare l’ordine dopo il malgoverno di Euron, Yara aveva accettato con entusiasmo. Non le interessavano più di tanto gli intrighi politici che avrebbero messo la Madre dei Draghi sul Trono di Spade e di certo non era intenzionata a combattere una guerra più del necessario. La Flotta di Ferro sarebbe arrivata ad Approdo del Re solo per chiudere l’assedio via mare, questo era l’accordo.

Yara era solo rimasta stupita dalla decisione di Daenerys di affidare le proprie navi a Theon. Il suo ruolo nella battaglia è stato determinante, pensava. Forse sarebbe stato giusto permettergli di ritornare a casa con me… Theon però era sembrato felice della scelta della regina e Yara non aveva insistito. Finalmente suo fratello si era ripreso e la sua determinazione in battaglia l’aveva alquanto colpita. Yara non l’avrebbe mai ammesso, ma era fiera di lui.

Avevano superato Lannisport, dove le navi degli Immacolati si erano separati dalla Flotta di Ferro, ed erano arrivati all’altezza di Kayce. Uno spruzzo d’acqua gelida colpì Yara in faccia e lei decise di ritornare al coperto. Si diresse verso la cabina di suo zio Aeron, ancora troppo debole per abbandonarla.

L’avevano trovato a bordo della Vittoria di Ferro, una delle navi di Euron ancorate al porto al momento della vittoria di Daenerys. Era rinchiuso ed incatenato, con in corpo i segni delle torture che Euron doveva avergli inflitto. Daanerys l’aveva fatto soccorrere da maestro Pylos ed aveva chiesto a Yara cosa dovesse farci con lui.

“Euron è stato una maledizione quanto per noi tanto per lui” aveva risposto Yara. “Con il tuo permesso riporterò mio zio alle Isole di Ferro: se deciderà di giurarmi fedeltà quale sua regina, lo lascerò vivere. Altrimenti gli staccherò la testa con la mia ascia.” Daenerys aveva annuito.

Ora Yara sperava di riuscire a parlare con suo zio, di capire magari quale situazione dovesse aspettarsi di trovare alle Isole di Ferro. Aeron stava visibilmente meglio e Yara lo trovò seduto sul letto. Chiuse la porta alle sue spalle e gli si avvicinò.

“Zio, vedo che stai riacquistando le forze…”

Aeron sospirò, ma non disse nulla.

Yara si sedette sulla sedia più vicina. “Senti” iniziò, “devo sapere cosa ti ha fatto Euron, come ha ridotto le nostre isole…”

Gli occhi di Aeron erano vacui. “Mi ha torturato” rispose con un filo di voce, “farneticava riguardo a un sacrificio, a qualcosa di grandioso. Diceva che il mondo stava per essere distrutto per poi venir forgiato nuovamente, più forte di prima…”

Yara iniziò a credere la follia di Euron fosse stata più grave del previsto. “Cos’altro diceva?”

“Che gli Estranei sono reali” proseguì Aeron, “e che solo lui avrebbe potuto fermarli, ma che ciò avrebbe richiesto fuoco e sangue.” Yara rabbrividì suo malgrado.

“Diceva di poter legare i draghi alla sua volontà” raccontò ancora Capelli Bagnati, “e che presto il mondo si sarebbe inginocchiato ai suoi piedi, riconoscendo la sua natura divina.”

Yara alzò gli occhi al cielo. “Era davvero un coglione” osservò sbuffando.

“Era un uomo pericoloso” disse Aeron tremando appena. “L’ho visto tagliare la lingua a molti dei prigionieri fatti a Porto Bianco, sono sorpreso tu sia ancora viva, Yara.”

Yara sollevò le sopracciglia. “Non è così facile uccidermi.” Poi si alzò in piedi. “Quando arriveremo alle Isole di Ferro” disse in tono autoritario, “mi concederai la corona che Daenerys Targryen mi ha promesso…”

Aeron era titubante. “Conosci la legge” obbiettò, “il sovrano può essere scelto solo dall’Acclam…”

“Conosco la legge bene almeno quanto te” lo interruppe Yara, “ma dove ci ha portato l’ultima Acclamazione? Ad eleggere Euron Greyjoy, che si è schierato dalla parte sbagliata provocando la morte di centinaia di Uomini di Ferro.” Aeron chinò i capo.

“Io sono la regina delle Isole di Ferro” concluse Yara, “e per il tuo bene, zio, ti invito a scegliere adesso da che parte stare.”

Uscì sbattendo la porta. Salì nuovamente sul ponte, godendosi l’aria che le sferzava il viso, e rimase a fissare immobile il mare finché il castello di Pyke non comparve a prua. Quel giorno stranamente il cielo era limpido e l’isola non sembrava avvolta dalla nebbia. Yara aiutò i mozzi a legare gli ormeggi e fu la prima a saltare sulla scialuppa. La barchetta ondegggiò un poco, ma Yara si tenne forte ed attese i rematori. Quando finalmente mise piede sulla spiaggia dagli scogli grigi incrostati di sale, si sentì a casa, molto più di quando suo padre era ancora vivo.

Scortata da tre uomini, raggiunse la folla di pescatori e nobili che si era radunata verso l’introterra. Sembravano tutti piuttosto sorpresi di vederla, alcuni apparivano anche spaventati. Yara sogghignò. Ora tutti quelli che hanno appoggiato Euron temono la mia vendetta, pensò soddisfatta. La loro paura è così divertente. Yara non aveva certo intenzione di giustiziarli, non tutti almeno, ma lasciare che il dubbio li corrodesse per un po’ era una punizione meravigliosa. I principali sostenitori di Euron l’avevano seguito a Roccia del Drago ed erano morti durante la battaglia, ma Yara era certa Occhio di Corvo avesse lasciato qualcuno a tutela delle Isole di Ferro mentre andava in guerra.

La folla si aprì, permettendo al corteo dei vincitori di passare. Yara raggiunse uno spiazzo pianeggiante e salì in piedi su un ceppo di albero tagliato. Si voltò poi a fronteggiare le molte facce che la guardavano. “Il vostro re è morto” disse ad alta voce, “ucciso dopo aver trascinato gli Uomini di Ferro in una battaglia suicida contro Daenerys Targaryen. Ora io chiedo a voi tutti: è questo l’operato di un buon re? Euron si è alleato con Cersei Lannister, la donna che ha fatto esplodere il Tempio di Baelor con l’Altofuoco causando la morte di decine di persone, per poi complottare contro di lei. Non gli sono mai interessate le Isole di Ferro, ci sputava sopra, ciò che voleva era il Trono di Spade e le vostre vite non erano nulla per lui: vi avrebbe sacrificati tutti se ciò fosse stato necessario per ottenerlo.”

Ci furono mormorii di sorpresa e Yara si chiese se quella stupida gente avesse creduto anche solo per un momento che Euron avrebbe fatto il bene del popolo. Alzò le mani. “Daenerys Targaryen sarà un’ottima regina dei Sette Regni” proseguì, “mio fratello Theon è anche rimasto con lei per occuparsi delle sue navi. Daenerys è pronta a concedere alle Isole di Ferro l’indipendenza dalla Corona, a patto che le nostre razzie cessino del tutto.” Yara fece una pausa. “E a patto che io diventi la vostra regina” concluse con un sorriso.

Molti esultarono, probabilmente la maggior parte, altri rimasero in silenzio. Yara vide suo zio Aeron restare in disparte. Almeno stavolta non si è intromesso con la sua Acclamazione, pensò scrollando le spalle. In molti iniziarono a urlare il suo nome, anche battendo le mani per farsi sentire.

Poi un uomo venne avanti. Era alto e possente, con una barba ispida ed occhi infossati. Yara lo riconobbe come Dunstan Drumm, lord di Vecchia Wyk, uno degli ultimi ad unirsi ad Euron.

“Chi dice che tu debba essere regina? Le Isole di Ferro non accettano donne sul Trono del Mare.”

Yara scese con un salto dal ceppo e fece cenno alle sue guardie di rimanere indietro. “Sono la figlia di Balon Greyjoy” rispose, “e l’unica qui con abbastanza cervello per poter sperare di combinare qualcosa di buono.”

Drumm sputò ai suoi piedi. “I Greyjoy hanno portato solo distruzione alle Isole di Ferro” disse con voce dura, “il tuo nome non significa un cazzo, è ora che una nuova dinastia prenda il controllo…” E sguainò la sua spada.

Yara la riconobbe subito: era Pioggia Rossa, la letale spada di acciaio di Valyria di casa Drumm. La sua scorta venne subito avanti, ma Yara ordinò loro di stare indietro. “Molto bene” disse con un sorriso, “faremo alla tua maniera, così che dopo che ti avrò ucciso nessuno si azzarderà a contestare la mia rivendicazione al Trono del Mare.”

Yara impugnò la sua ascia, mentre la folla si allargava per lasciare spazio ai due contendenti. Dunstan fece roteare la luna spada un paio di volte, per poi lanciarsi all’attacco. Yara conosceva la sua tattica: avrebbe colpito subito e con forza, ma ciò l’avrebbe indebolito più velocemente. Devo tenerlo occupato più a lungo possibile, decise, così da stancarlo.

Pioggia Rossa calò a pochi centimetri dalla sua spalla, ma Yara fece in tempo a scartare verso destra, la ghiaia che scricchiolava sotto i suoi stivali. Dunstan grugnì e sollevò nuovamente la spada, protendendosi in avanti. La lama incrociò il ferro dell’ascia di Yara, che tuttavia si vide costretta ad arretrare a causa della violenza del colpo. Si accorse di essere già umida di sudore. Drumm avanzò e menò un altro fendente, che Yara riuscì ancora una volta ad intercettare.

Non posso sperare di respingere i suoi attacchi per molto. Devo essere io a colpire.

Abbassandosi per evitare un altro colpo, rotolò a terra e colpì l’avversario alla coscia, sbilanciandolo. Dunstan grugnì e Yara vide che sanguinava. Tuttavia non era un taglio profondo, sicuramente non fatale. Pioggia Rossa si abbatté su di lei e Yara fece appena in tempo, in ginocchio com’era, a sollevare l’ascia. L’urto delle due armi le fece tremare tutto il corpo, ma concesse a Yara più tempo per pensare alla sua prossima mossa. Facendo forza sulle gambe, riuscì a sollevarsi un poco, allontanando la lama nemica dal suo viso.

Fu allora che con la mano sinistra estrasse lo stiletto e lo conficcò nella gamba sana di Drumm. Poi balzò all’indietro, tirandosi in piedi. La seconda ferita doveva aver fatto infuriare il suo avversario, perché ora avanzava più selvaggio che mai. Yara parò altri due colpi, prima che fosse ferita all’avambraccio destro. Il dolore le fece sfuggire l’ascia dalla mano e Dunstan calciò l’arma lontano con un ghigno. Yara fu abbastanza svelta da estrarre la propria spada, ma il suo metallo era scadente, soprattutto se paragonato a quello di Pioggia Rossa.

Yara sentì la sua spada piegarsi impercettibilmente sotto i ripetuti colpi dell’avversario e pregò il Dio Abissale di non farla spezzare. L’armatura la proteggeva da eventuali ferite al torace, ma la gola era scoperta e Yara sapeva che era lì che Dunstan mirava ogni suo attacco.

Fece un passo indietro e inciampò in una pietra che sporgeva dal terreno accidentato. Si protesse con la spada come meglio poté, ma Dunstan riuscì a ferirla alla gamba. Il dolore era cocente, ma Yara si impose di ignorarlo. In quel momento vide che ser Harras aveva recuperato la sua ascia. Si scambiarono un’occhiata in un frammento di secondo e Yara seppe che lui aveva capito. Si rimise in piedi, incurante del dolore alla gamba e al braccio e fronteggiò Drumm, che la osservava sarcastico.

“Il gioco finisce qui” disse lui crudele e partì alla carica.

Yara si costrinse a tenere lo sguardo sul nemico e, all’ultimo momento, fece cadere a terra la spada sollevando il braccio. Quando Pioggia Rossa calò, Yara si spostò di lato, afferrando il polso libero di Dunstan. Diede uno strattone con tutta la sua forza e gli fece perdere l’equilibrio per qualche secondo. Poi alzò lo sguardo. L’ascia stava roteando, volando dritta nella sua direzione a velocità sorprendente. Yara inspirò profondamente e si protese per afferrarla al volo. La sua mano si strinse con successo intorno al manico e Yara tirò a sé l’avversario, piantandogli l’ascia nel cranio. Il sangue zampillò immediatamente e Yara saltò indietro. Il corpo di Drumm cadde a terra con un tonfo sordo e la folla rimase silenziosa.

Con calma Yara pulì l’ascia sui pantaloni e si chinò a raccogliere Pioggia Rossa dalla mano inerte del cadavere. La sollevò in alto, in modo che tutti potessero vedere il suo trofeo. “Ho pagato il prezzo di ferro” urlò a tutti i presenti, “ed ora questa spada mi appartiene, le Isole di Ferro mi appartengono… Io sono la vostra regina!”

Questa volta tutti ruggirono la loro approvazione ed agitarono le proprie spade. Yara chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Poi suo zio Aeron venne avanti, i capelli gocciolanti di acqua di mare e le mani strette intorno ad una corona di legno levigato. Era molto più bella di quella che era stata di Euron, con i rametti delicati intrecciati come esili gambi di fiori. Yara guardò suo zio, che annuì. Le posò la corona sul capo e Yara spinse i capelli dietro le orecchie. Quando sollevò lo sguardo, Aeron si inginocchiò ai suoi piedi, subito imitato da tutti i presenti.

“Lunga vita alla regina Yara! Yara! Yara! Yara!”

La nuova regina dal canto suo, si limitò a legare alla cintura la sua ascia e Pioggia Rossa, per poi sollevare la mano in cenno di saluto. La processione fino al palazzo fu grandiosa e, una volta che Yara ebbe potuto finalmente sedersi sul Trono del Mare, la regina decise che avrebbe rimandato tutte le questioni importanti al giorno dopo. Ordinò che fossero preparate le navi per la partenza per l’assedio di Approdo del Re e chiese di essere lasciata sola.

Quando fu l’unica rimasta nella sala, Yara scoppiò a ridere. Aveva visto suo padre sedersi sul quel trono ed aveva sognato il giorno in cui sarebbe finalmente spirato. Non era stato un buon re, aveva solamente indebolito le Isole di Ferro. La sua flotta però era stata forte, le navi ben progettate e robuste, ed ora era bruciata a Roccia del Drago o affondata chissà dove. Io renderò questa terra forte, promise Yara a sé stessa, nessuno oserà più ridere di noi.

La mattina dopo Aeron le chiese udienza urgentemente e Yara lo ammise alla sala del trono. Suo zio era pallido e sembrava trattenere qualche sconcertante rivelazione.

“Yara, stanotte ho avuto una visione…”

Yara represse l’istinto di alzare gli occhi al cielo. Bene, la nostra famiglia è completamente uscita fuori di senno.

Aeron fece un passo avanti. “Crederai che sono pazzo” disse come indovinando i suoi pensieri, “ma non è così: ascoltami…”

Yara inarcò le sopracciglia. “Cosa hai visto?”

“Ghiaccio che si frantumava” disse Aeron con voce di morte, “cadaveri che strisciavano ed uscivano dalle tompe. Ho visto un drago color smeraldo volare via da una città, ho visto un kraken tentare di afferrarlo con i suoi tentacoli, ma finire trafitto da frecce nemiche. C’era una spada rossa, un lago ghiacciato e un lupo enorme. Ho visto neve tingersi di rosso, un pugnale scuro che squarciava la notte, fuoco ovunque e le tenebre che avvolgevano questo mondo. Ho visto creature di ghiaccio e morte invadere una terra di neve e gelo.”

Yara era rabbrividita. “E tutto questo cosa significa?” chiese raddrizzando la schiena.

“Non è molto chiaro” ammise Aeron, “ma una cosa è certa: gli Estranei sono tornati e stanno minacciando il Nord.”

Yara avrebbe voluto che suo zio si stesse sbagliando, ma qualcosa le diceva che doveva credergli. “E cosa vuoi che faccia?” chiese irritata “Se anche fosse vero, cosa pensi potrei fare? Andare in aiuto di quella gente? Lo sai che ci odiano…”

“Se tutto questo è reale” insistette Aeron, “e gli Estranei stanno davvero attaccando, allora non ci sarà un posto sicuro, Yara. Nemmeno le Isole di Ferro potranno proteggerci.”

Yara si alzò in piedi. “Ho giurato fedeltà a Daenerys Targaryen” gli ricordò, “ho giurato che l’avrei aiutata a vincere la guerra contro Cersei e così farò.”

In quel momento le porte sbattereno ed entrò ser Harras Harlaw, trafelato e con un’espressione d’orrore in viso. Stringeva fra le mani una lettera e ansimava. “Vostra grazia” disse, “sono arrivate terribili notizie da Duskendale... Io non so cosa dire… Sono così sconvolto che…”

“Cosa hai saputo?” chiese Yara con angoscia.

Harras la guardò negli occhi. "Tuo fratello Theon è morto” mormorò, “da quello che Tristifer Botley scrive sarebbe stato ucciso con delle frecce da guerrieri dothraki durante un incidente con uno dei draghi. Mi dispiace molto, mia regina.”

Yara rimase immobile, assimilando la notizia. Mio fratello è morto, pensò tentando di stabilizzare il suo respiro, mio fratello è morto, è stato ucciso.

Aveva lasciato Theon sotto la protezione di Daenerys. “Sarà al sicuro con me” aveva detto la regina e Yara ci aveva creduto. E invece Theon era morto. I Dothraki sono sotto il controllo della regina, si disse mentre la rabbia la divorava. Se lei non è in grado di controllarli, non è adatta a governare i Sette Regni. La visione di Aeron era vera: il drago, le frecce, il kraken, tutto era così fottutamente reale.

Yara si passò una mano tremante fra i capelli, allontanandoli dal viso. Pensò a suo fratello, al modo in cui era cambiato, a come l’aveva supportata durante l’Acclamazione. Era stata dura, ma Yara era perfino riuscita a fargli capire che esisteva ancora qualcosa di buono nella sua vita. L’aveva seguita fino a Meeren, aveva combattuto a Porto Bianco e Roccia del Drago e mai una volta aveva ceduto al terrore. Yara fu colta dal rimorso per non essere stata più gentile con lui e non avergli davvero detto addio. “Ci rivedremo presto” aveva detto semplicemente quando si erano separati sul molo di Roccia del Drago. Non aveva nemmeno risposto al suo abbraccio.

Yara non aveva bisogno di una famiglia, ma si era sempre sentita disposta a qualsiasi cosa per proteggere coloro che amava. Eppure, per tutta la sua vita, non aveva mai davvero tenuto a qualcuno. Forse sua madre, ma era morta già da tanto tempo, troppo per poterla ricordare. I suoi fratelli maggiori erano stati fatti a pezzi quando era solo una bambina e suo padre era sempre stato scontroso, troppo perché lei potesse affezionarglisi. Theon era l’eccezione. Yara non aveva mai capito se ciò che provava per lui fosse amore fraterno, semplice compassione, disgusto viscerale o odio, almeno fino a quel momento. Yara pensò con amarezza che il vero valore di ciò che si ha lo si comprende solamente nel momento in cui lo si perde.

Theon voleva vivere, pensò, il rimorso che lasciava spazio all’ira, e quei bastardi non gliel’hanno permesso. Ho sbagliato a fidarmi di Daenerys Targaryen, non commetterò ancora una volta questo errore.

Voltò le spalle a ser Harras ed Aeron. “Ser Harras?” chiamò con voce atona.

“Sì, vostra grazia?”

“Scrivi a Tristifer e digli di abbandonare immediatamente Duskendale con tutti i suoi uomini e con il corpo di mio fratello” ordinò, “e di ritornare alle Isole di Ferro. Inoltre voglio che i marinai siano pronti: si salpa domani mattina all'alba.”

“Per Duskendale o Approdo del Re?”

Yara si voltò appena verso di lui. “Per Lancia di Sale” rispose asciutta e vide la confusione negli occhi del Cavaliere.

“Ma, vostra grazia” obbiettò Harras, “vuoi portare i tuoi uomini nel Nord?”

Yara sorrise, incrociando le braccia davanti al petto. “Esatto. Andiamo a dare una mano ai nostri adorati nemici.”

 

Bran

 

La sedia a rotelle funzionava a meraviglia. Maestro Wolkan aveva dato istruzioni precise ai falegnami, perfino riguardo al tipo di legno da utilizzare. Bran la trovava sorprendentemente comoda, soprattutto se foderata di soffici cuscini. Era la cosa migliore avesse mai provato da quando erano partiti per il viaggio oltre la Barriera, eppure Bran aveva nostalgia di Ballerina e della sella speciale disegnata da Tyrion Lannister. Sorrise al ricordo: sembravano passati secoli da quei giorni, Robb all’epoca non era ancora partito per la guerra e loro padre era Primo Cavaliere del re. Ma ricordare tutto ciò che era stato rendeva il presente solo più spiacevole.

Quella mattina avevano salutato Arya e gli altri soldati che partivano per Ultimo Focolare. Sansa non aveva pianto, ma Bran sapeva che era distrutta. Meera se l’era presa con lui, dicendogli che non avrebbe dovuto favorire la decisione di Arya di partire.

“Hai davvero dato il tuo assenso a mandare tua sorella in guerra?!” gli aveva chiesto quando erano rimasti soli “Sai meglio di me quanto sia pericoloso…”

Bran aveva annuito stancamente. “Certo che lo so” aveva replicato, “ma il compito di Arya non è quello di rimanere qui a non fare nulla…”

Meera gli aveva lanciato un’occhiataccia, una di quelle che facevano sentire Bran in colpa. “E tu che ne vuoi sapere di quale sia il suo compito?” aveva chiesto in tono accusatorio “Solo perché ora sei il Corvo con Tre Occhi, Bran, ciò non vuol dire che tu ti debba innalzare al di sopra di tutti… Non è giusto nei confronti di lady Sansa!”

“Il compito di Sansa è quello di organizzare la difesa di Grande Inverno” aveva osservato Bran. “Arya non era di alcuna utilità qua.”

Meera aveva messo le mani sui fianchi. “Ah è così?” aveva chiesto arrabbiata “Allora dato che neanch’io servo a niente qui, magari decido di andarmene in guerra!”

Bran l’aveva guardata. “Il tuo posto è al mio fianco” aveva detto con calma, “ho bisogno del tuo aiuto…”

“Allora smettila di comportarti come se fossi il centro del mondo!” aveva esclamato Meera stizzita e aveva lasciato la stanza.

Ora, sulla sua sedia a rotelle nuova di zecca, Bran ripensava a quelle parole. Non sopportava vedere Meera arrabbiata, ma molto probabilmente lei aveva frainteso. Bran sapeva che il posto di Arya non era a Grande Inverno, non ancora almeno. Lo sapeva e basta. Doveva essere lasciata libera di fare le proprie scelte, proprio come Bran quando aveva deciso di rincorrere il proprio destino verso l’ignoto. In un modo o nell’altro, il fato avrebbe sempre trionfato ed era futile tentare di evitarlo. La storia di Hodor ne era la prova. Bran non voleva comportarsi in un modo piuttosto che in un altro, semplicemente faceva quello che riteneva giusto. E allora perché Meera non riusciva a capire?

Pranzarono in silenzio, tutti seduti al lungo tavolo di legno che faceva parte dell’esistenza di Bran da quando aveva memoria. Nessuno sembrava in vena di parlare, soprattutto Meera, che non alzava gli occhi dal piatto.

A un certo punto Davos, che Bran aveva saputo essere il principale consigliere di Jon, osò rompere quel silenzio. “Quanto credete impiegheranno per raggiungere Ultimo Focolare?” Bran non ne aveva idea, così non parlò.

“Un pomeriggio” rispose Sansa con voce atona, “se le condizioni sono ottimali.” Davos aggrottò la fronte.

“Pensi ci siano possibilità di respingere questi Estranei, lady Sansa?” chiese allora Brienne.

Sansa lasciò cadere la forchetta nel piatto con troppa veemenza. “Non lo so, Brienne, non lo so!” esclamò irritata “Non ho mai visto gli Estranei, non ho mai visto i non-morti, non ho mai neppure assistito davvero a una battaglia… Lasciami in pace, ti prego.” Brienne sembrava sconvolta da una simile reazione e anche Davos appariva a disagio. Podrick si limitò a concentrarsi sul proprio pasto.

Poi Sansa sospirò. “Devi perdonarmi” disse rivolta a Brienne, “sono molto stanca e non so quello che dico…”

“Non devi scusarti” si affrettò a dire Brienne, “siamo tutti sconvolti…”

Sansa appoggiò le mani sul tavolo. “Credo abbiamo delle possibilità” replicò, “ma tutto dipende dalla strategia che adotteranno a Ultimo Focolare.”

“Le strategie non servono contro gli Estranei” non poté trattnersi dal dire Bran. “Loro attaccano e basta, ma mandano avanti sempre i loro non-morti per primi.” Indicò Meera. “Lei ha ucciso un Estraneo” disse in tono orgoglioso.

“Complimenti, mia signora” si congratulò Davos, “ora il numero di Estranei uccisi sale a tre…”

Bran sapeva che il primo ad uccidere un Estraneo era stato Samwell Tarly, il confratello dei Guardiani che aveva incontrato al Forte della Notte. Ricordò di non averlo visto al Castello Nero e si chiese se fosse ancora vivo. Ci furono attimi di silenzio in cui tutti si dedicarono al pranzo.

“Quanti sono gli Estranei?” chiese poi Podrick a nessuno in particolare.

“Non lo so con esattezza” rispose Bran sbirciando Meera, “ma non troppi: forse un centinaio massimo, ma credo più probabile una cinquantina.”

“Il problema sono i non-morti” proseguì Meera. “Ce ne sono più di centomila e ogni nostro morto diventa un’arma nelle mani degli Estranei. I non-morti non pensano, ucciderebbero anche i loro cari, e possono essere distrutti definitivamente solo dal fuoco.” Podrick annuì, gli occhi grandi di agitazione.

“Tu sei la figlia di Howland Reed, giusto?” chiese improvvisamente Sansa e Meera annuì “Non riesco a mettermi in contatto con tuo padre, qual è il motivo secondo te? I corvi non tornano mai indietro…”

Meera cambiò posizione sula sedia. “Torre delle Acque Grigie non è facile da trovare” spiegò. “E' costruita su una piccola isola artificiale e si muove nella nebbia. La leggenda dice che solo il destino può portare gli stranieri a trovarla. E’ normale i corvi non riescano a raggiungerla, però se vuoi posso aiutarti e recapitare un messaggio a mio padre…”

Sansa le sorrise. “Sei molto gentile” la ringraziò educata. Poi si alzò in piedi. “Dovete scusarmi” disse, “devo andare a parlare con lord Manderly riguardo alla sicurezza di Porto Bianco. Ser Davos, vuoi accompagnarmi?”

Davos quasi si strozzò con il vino che stava bevendo. “Certo, mia signora” rispose subito seguendola fuori dalla sala. Bran sospirò e continuò a mangiare.

“La tua Sorella Oscura è meravigliosa” osservò Brienne rivolta a Meera, “sai usarla?”

Meera la fissò incerta. “No” ammise poi, “sono un’arciera, non una spadaccina.”

Brienne sorrise. “Allora dovresti imparare, non credi?” chiese gentile “Vuoi allenarti con me e Pod?”

Meera guardò Bran. “No, non posso” disse in fretta, “devo aiutare Bran a…”

“Tranquilla” la rassicurò lui, “con questa sedia a rotelle posso spostarmi da solo e in caso di bisogno c’è sempre maestro Wolkan…” Meera non sembrava convinta.

“Avanti, mia signora” disse Podrick in tono incoraggiante. “Brienne è la migliore con la spada: è riuscita a insegnare perfino a me!”

Brienne fece una smorfia. “Spero solo lady Meera sia meno goffa di te.”

Meera rise. “D’accordo” assentì, “ma non voglio che mi chiamate mia signora o lady, solo Meera.”

Brienne annuì. “Forza” disse alzandosi, “andiamo nel cortile davanti all’armeria, credo che per iniziare sia meglio utilizzare spade da addestramento.”

Meera iniziò a spingere la sedia a rotelle di Bran. “Vuoi che ti porti da qualche parte in particolare?” chiese e Bran scosse la testa. “Voglio vedervi mentre combattete” rispose e Meera non disse nulla. Posizionò la sedia all’ombra di un albero e si assicurò che le gambe di Bran fossero ben coperte. Nonostante non volesse essere trattato come un neonato, Bran amava quelle premure.

Brienne era tornata indietro dall’armeria e porse le spade a Podrick e Meera, che approfittò della pausa per legarsi i capelli all’indietro. “Ora proverete ad attaccarmi insieme” disse Brienne impugnando la spada a due mani. “Vi conviene collaborare e non dimenticate la difesa…”

Meera e Podrick si guardarono per un momento. Podrick attaccò per primo, riuscendo a tenere impegnata Brienne per qualche secondo. Meera continuava a essere indecisa riguardo alla mano con cui impugnare l’arma e, quando ebbe optato per la destra, si lanciò in avanti. Era evidente non avesse alcuna idea di quello che stava facendo e i suoi movimenti erano scoordinati. Brienne la colpì non eccessivamente forte sulla spalla e Meera cadde a terra.

“Se non hai uno scudo” disse Brienne aiutandola ad alzarsi, “devi imparare a difenderti con la sola spada. Tienila alta e in orizzontale, così da poter bloccare i colpi del tuo avversario.”

“Ma Sorella Oscura è più corta della tua” osservò Meera perplessa.

“E’ vero” replicò Brienne, “ma entrambe sono di acciaio di Valyria: in un vero combattimento non si spezzeranno.”

“La mia lo farebbe però” borbottò Pocrick afflitto e le due donne risero.

“Di nuovo” disse poi Brienne e Meera tornò in posizione, stavolta la sua presa più decisa sull’impugnatura della spada.

Bran li osservava senza parlare e fu quasi soffocato dai ricordi. In quello stesso cortile aveva sfidato e battuto il principe Tommen durante la visita di Robert Baratheon a Grande Inverno. L’aveva mandato a sedere nella polvere e ser Rodrick aveva lodato la sua bravura. In quel luogo aveva visto Jon e Robb affrontarsi da quando era abbastanza grande da poter camminare. Ricordava il suono delle spade, le loro risate, le grida di Sansa quando sua sorella le tirava i capelli, le suppliche di Arya per poter imparare a combattere, le folli corse di Rickon giù per le scale, il sorriso di suo madre e lo sguardo orgoglioso di suo padre.Tutto questo era stato prima della caduta.

Bran sospirò e, poggiando le mani sulle ruote della sedia a rotelle, la fece girare. Tutti i suoi sogni si erano infranti, la sua vita non contava più nulla. Era il Corvo con Tre Occhi e l’unica cosa che riusciva a fare era avere delle stupide visioni. Non era quello che voleva. Chiuse gli occhi, ascoltando i gridolini di Meera. In quel momento sarebbe voluto essere al suo fianco, a ridere e divertirsi nonostante gli Estranei minacciassero di spazzare via tutto. Avrebbe voluto abbracciarla, dirle quanto fosse importante per lui, che l’avrebbe sempre protetta. Invece non era capace nemmeno di badare a sé stesso. Mi dispiace, Meera, pensò sentendo un peso sul cuore. Non posso rappresentare per te ciò che tu sei per me. Voleva solo quel tormento finisse, in qualunque modo.

Notò di essere entrato nel Parco degli Dei, che era silenzioso come al solito. Bran si guardò diffidente intorno: sembrava solo. Spinse la sedia a rotelle fino all’Albero del Cuore e vi accostò titubante la mano. E’ questo che posso fare, pensò convinto. Solo così riuscirò a rendermi utile. Quando la mano toccò il tronco, Bran sentì il suo corpo gelare e fu avvolto dall’oscurità. Si ritrovò nella stessa radura dei sogni, con i Figli della Foresta che lo fissavano curiosi.

Bran andò loro incontro. “Il Re della Notte l’ha usato” disse con amarezza, “il Corno di Joramun…”

Un Figlio della Foresta annuì. “Lo sappiamo. La Barriera è crollata. Gli Uomini hanno perso, Brandon Stark.”

Bran scosse la testa. “Non ancora” obbiettò. “Combatteremo fino alla fine: abbiamo delle armi per sconfiggere gli Estranei.”

Il Figlio lo guardò con compassione. “Non serviranno contro il Re della Notte” disse in tono tetro, “nulla può contro di lui…” Bran rabbrividì e decise di cambiare discorso. “Voi dove vivete?” chiese inginocchiandosi nell’erba “Qui non c’è neve…”

I Figli si fissarono. “Viviamo su quella che chiamate Isola dei Volti” rispose uno di loro, “protetti dagli Uomini Verdi.”

Allora Meera aveva ragione, pensò Bran sorridendo. I Figli della Foresta non si sono ancora estinti. “Voi conoscete gli Estranei” disse. “Forse se riuscissi a venire ad incontrarvi…”

“Non puoi!” esclamò un altro dei Figli con gli occhi sgranati “L’ultima volta che abbiamo permesso a degli umani di camminare fra quest alberi, gli Estranei si sono risvegliati e voi uomini vi siete messi a combattere fra di voi.”

“Eppure non potevamo mandarli via” continuò un Figlio che doveva essere un esemplare femmina, “sono venuti per sposarsi sotto gli alberi sacri.”

All’improvviso Bran capì perché quella radura gli sembrava così familiare: era il luogo del matrimonio di Rhaegar e Lyanna. Perché sarebbero dovuti arrivare sull’isola? pensò Bran esterrefatto Possibile stessero solo cercando un luogo nascosto?

Uno dei Figli della Foresta si era avvicinato. “Gliel’abbiamo detto” mormorò triste. “Abbiamo detto loro che avrebbero causato morte e distruzione, ma non ci hanno voluto ascoltare…”

Un altro si fece avanti. “Tu sei il Corvo con Tre Occhi, giusto?” chiese e Bran annuì “Devi stare attento, tutto dipende da te ora. Noi lo conoscevamo, il Corvo con Tre Occhi che era prima di te…” Bran era rimasto a bocca aperta.

“Lo conoscevamo prima che partisse per la Barriera” aggiunse un altro, “era un uomo così impetuoso, con quella sua spada nera, Sorella Oscura la chiamava…” Bran tentò di ricordare quello che Arya aveva detto a proposito della spada.

“Diceva di essere figlio di un re e di chiamarsi Corvo di Sangue.”

Bran sgranò gli occhi. Brynden Rivers! pensò folgorato dalla rivelazione Il Corvo con Tre Occhi era Brynden Rivers, ecco perché Sorella Oscura era in quella caverna…

La scena sfumò e Bran si ritrovò di nuovo nella sala del Trono di Approdo del Re. Vide una regina vestita di nero sedere sul Trono di Spade e urlare qualcosa che tuttavia non comprese. Poi le immagini divennero confuse e presero a scorrergli davanti agli occhi veloci. Vide una torre avvolta dalla nebbia e un uomo affacciato alla finestra. Vide l’Altofuoco distruggere il Tempio di Baelor, vide un ragazzo e un uomo affrontarsi in combattimento sotto le mura di una città. Vide Rhaegar cadere nelle acque del Tridente, i rubini che schizzavano via dalla sua armatura, e mormorare il nome della donna che amava. Vide Lyanna nel suo letto di sangue, mentre cantava con voce morente una strana melodia di ghiaccio e fuoco a suo figlio. Poi vide una ragazza scrivere in fretta un breve messaggio e lanciare un corvo dalla finestra della Torre della Gioia. Vide l’acqua ribollire di sangue e una spada accendersi nel fuoco.

Poi udì il ruggito del drago.

Era a terra nella neve, le sue scaglie candide intrise di sangue ed il corpo in agonia. Era circondato da non-morti e non sembrava capace di sputare fuoco. Bran rimase immobile mentre osservava con orrore il Re della Notte avvicinarsi alla bestia. Quando estrasse la sua arma, Bran avrebbe voluto urlare, ma riuscì fortunatamente a trattenersi. Il Re della Notte sollevò la falce di ghiaccio e colpì. Il suono che seguì costrinse Bran a tapparsi le orecchie, le lacrime che minacciavano di tradirlo. Strinse gli occhi e rimase là tremante e paralizzato dal terrore. Quando osò aprire gli occhi, rischiò di cadere a terra per lo spavento.

Gli occhi del drago erano blu e ben aperti e le sue ali nuovamente spiegate. Il suo repiro era gelido e Bran lo vide congelare il gruppo di non-morti più vicini. Il drago ruggì nuovamente, stavolta come cupo avvertimento, e lo sguardo del Re della Notte incontrò quello di Bran. Fu allora che lui ritornò in sé.

Meera era al suo fianco e sembrava terrorizzata. “Bran” disse con voce concitata, “che ti succede?”

Bran sentiva sudore freddo bagnargli la schiena. “I-il drago” balbettò senza il fiato, il cuore che batteva all’impazzata per il panico, “quello che ci aveva salvati… E’ stato ucciso dagli Estranei… Meera, lui è, lui è uno di loro ora... Sputa ghiaccio, come facciamo a sconfiggere un drago?” Bran sentiva di star sentendosi male. “Non ce la faremo mai” disse ansimando e quasi piangendo, “è tutto perduto… Un drago, come potremmo mai…”

Meera lo schiaffeggiò forte. “BASTA!” urlò e Bran ammutolitì. “Ti comporti come un ragazzino” proseguì lei. “Tua sorella e tanti altri sono andati là a fronteggiare questo nemico e tu stai qui a piangere?! Li credi spacciati? Sei sicuro della loro morte?”

Bran al fissò incredulo. “No!”

“Allora smettila di parlare come avessimo già perso, dobbiamo ancora combattere…”

“Ma hanno un drago…”

“E allora distruggeremo anche il loro drago” disse Meera convinta, “sarà solo più diffcile.” Si alzò in piedi. “Ti avverto, Brandon Stark” disse in tono minaccioso, “se ti comporterai ancora così, giuro che ti lascerò qui e me ne tornerò a casa.”

Bran si sforzò di sorridere. “Non lo farò” promise a bassa voce.

In quel momento sopraggiunse ser Davos. “Eccovi, siete qui” disse piuttosto imbarazzato di averli trovati da soli. “Venite, ci sono nuovi arrivi a Grande Inverno…”

Bran aggrottò la fronte: che Jon fosse finalmente tornato? Meera spinse la carrozzella fino al portone, dove trovarono anche Sansa, Brienne e Podrick. Brienne sorrideva ai nuovi arrivati, come si salutava un vecchio amico. Bran sentì Meera sussultare. Era una coppia a essere arrivata a Grande Inverno. La ragazza era bruna e coperta di pellicce, mentre il ragazzo aveva la barba scura ed era abbastanza grasso. Bran sorrise quando la coppia si fece avanti per rendere omaggio a Sansa.

“Piacere di conoscerti, mia signora, io sono Samwell Tarly.”

 

Cersei

 

Jaime era venuto nelle sue stanze per affrontarla. Cersei lo vedeva lì in piedi, con la mano d’oro abbandonata lungo il fianco e quella sua aria contrariata.

La regina sospirò. “Se devi dire qualcosa dillo in fretta” lo avvertì impaziente.

Jaime fece un passo verso di lei. “Hanno preso Castel Granito” disse come se Cersei non ne fosse già a conoscenza, “io ti avevo avvertito, i…”

“Era la soluzione migliore” lo interruppe Cersei, “ora l’esercito protegge Approdo del Re.”

“Abbiamo abbandonato la nostra terra” osservò Jaime corrugando la fronte, “abbiamo tradito la fiducia dei nostri alfieri…”

“La maggior parte ancora ci sostiene.”

“Ma molti sono passati dalla parte di Daenerys” ribatté Jaime, “e non me la sento certo di biasimarli…”

Cersei alzò gli occhi al cielo. “Non abbiamo bisogno di loro, Jaime” disse tranquilla, “noi siamo leoni.”

“I leoni lavorano in branco” osservò Jaime, “e noi non abbiamo più alleati.”

“Abbiamo un esercito.”

Jaime scosse la testa. “Un esercito che non è neanche la metà di quello della Regina dei Draghi” disse con amarezza. “Come possiamo sperare di sconfiggerla?”

Cersei si alzò dalla poltrona. “Qyburn voleva parlarmi” disse cambiando argomento, “dice di avere delle notzie importanti.”

Jaime inclinò la testa. “Mi permetterai di venire con te?” chiese con una punta d’ironia nella voce che a Cersei non piacque affatto.

“Solo se ci risparmierai i tuoi commenti inutili” ribatté lei freddamente prima di uscire dalla camera. Salutò ser Gregor e gli chiese di seguirla. Non si voltò a controllare se Jaime fosse o meno dietro di lei. La caduta di Castel Granito era stata opera di Tyrion, di questo Cersei ne era sicura, solo lui avrebbe potuto condurre un esercito in quella missione.

“La Roccia è inespugnabile se non si conoscono i suoi segreti” diceva sempre loro padre, “e i suoi segreti sono il tesoro dei Lannister.”

E ora Tyrion aveva venduto quel tesoro a una puttana straniera. Cersei si impose di mantenere la calma. Forse è morto nella battaglia, pensò speranzosa, forse è rimasto finalmente ucciso. Il ghigno malefico di Tyrion continuava tuttavia a perseguitarla. Cersei si portò d’istinto le mani alla gola, come a volerla proteggere. Le parole di Maggy la Rana la tormentavano nel sonno, quella parola ripetuta allinfinito: valonqar, fratellino.

Cersei scosse la testa, tenendo a bada l’isteria. No, non glielo permetterò, si disse ansimando. Non si avvicinerà a me… Ricordò le urla di Melara Hetherspoon mentre Cersei la spingeva in quel freddo pozzo di Castel Granito. All’epoca voleva che la profezia si avverasse, voleva la sua corona di regina, e non aveva esitato ad uccidere la sua amica perché ciò avvenisse.

La strega aveva predetto che Melara sarebbe morta annegata in un pozzo in giovane età, ricordò Cersei, e io ero terrorizzata dall’idea che ciò potesse non avverarsi. Non provava rimorso per quello che aveva fatto, in fondo si era limitata ad obbedire alla profezia. E tutto il resto si era compiuto, ogni tassello era andato al proprio posto. Cersei aveva odiato e al tempo stesso temuto Tyrion per tutta la vita, ma ora era decisa a non permettere alla profezia di avverarsi, a qualunque costo.

Raggiunsero le stanze del Primo Cavaliere e trovarono Qyburn seduto al tavolo intento a leggere delle carte. Subito si alzò in piedi, chinando il capo. “Mia regina” la salutò e Cersei gli fece cenno di risedersi. Prese posto dall’altra parte del tavolo e si versò il vino. Presto furono raggiunti da Jaime, che si sedette dal lato di Qyburn.

“Bene” iniziò Cersei, “quali sono queste novità?”

Qyburn posò le mani sul tavolo. “Sembra che Daenerys non sia più in grado di controllare il suo esercito” spiegò, “e ha perso il supporto di molti dei suoi alleati. Al momento, da quanto i miei uccelletti riferiscono, può contare solamente sull’esercito di Dorne: gli altri si sono ammutinati o risultano impegnati in altre missioni.”

“Dove si trova in questo momento la ragazzina?” chiese Cersei desiderosa di sfruttare a proprio vantaggio la situazione.

“A Duskendale, vostra grazia.”

Cersei rise. “A visitare le celle in cui è stato imprigionato suo padre?” chiese sarcastica “Sta perdendo troppo tempo…”

“Credo abbia una strategia” si intromise Jaime. “Vorrà colpire Approdo del Re quando sarà al massimo della forza.”

“Sta cercando di ottenere la fedeltà dei lord di queste terre, vostra grazia” disse Qyburn. “Gli Stokeworth sono passati dalla sua parte e credo anche i Rosby.”

“I loro eserciti sono patetici” ribatté Cersei. “Non ci daranno fastidio.”

“Sono sempre nuovi nemici da aggiungere alle fila di quelli che abbiamo già” osservò Jaime scettico, “e Daenerys ha anche tre draghi, non dimenticartelo.”

“Su questo credo possiamo rallegrarci” intervenne Qyburn, “sembra che uno dei draghi sia scomparso, mentre un altro è stato rubato…”

Jaime era incredulo. “Rubato?!” ripeté “E da chi?”

“Non lo so, mio signore” rispose Qyburn “Ma nessuno può sperare di controllare quelle bestiacce, quindi chiunque sia stato non ci darà problemi.”

“In ogni caso dovremmo preparare la città per un assedio” insistette Jaime, “rinforzare le mura e…”

“Non credo ci sarà il tempo, mio signore” obbiettò Qyburn e Cersei si voltò a guardarlo. “Garth Hightower marcia su Approdo del Re insieme all’esercito che era di Olenna Tyrell. Si è ribellato a Daenerys Targaryen e sta cercando vendetta per la sua famiglia.” Cersei sbuffò irritata.

“Di quanti uomini è composto il suo esercito?” si informò Jaime.

Qyburn aggrottò le sopracciglia. “Non più di ventimila suppongo.”

“I Dothraki sono con lui?”

Qyburn scosse la testa. “I selvaggi sono rimasti a radere al suolo qualche villaggio nell’Ovest” replicò. “Anche loro sembrano sfuggiti alle redini di Daenerys.”

Cersei annuì. “Perfetto” disse alzandosi, “vorrà dire che porteremo il nostro esercito fuori ad affrontare quello di Garth Hightower e lo distruggeremo.”

Jaime sgranò gli occhi. “Cersei, è una follia! Perderemmo troppi uomini e non potremmo difenderci all’arrivo di Daenerys.”

Cersei lo guardò con sufficienza. Non gli avevo detto di risparmiarmi i suoi stupidi commenti? “Credi sia meglio lasciare che Garth assedi Approdo del Re?” chiese aggressiva “Così da ridurci alla fame prima ancora dell’attacco di quella ragazzina? Così che stremati non potremmo mai difenderci? A volte mi chiedo da che parte stai, Jaime.”

Suo fratello sembrava ferito da quell’accusa, ma Cersei era stufa della sua stupidità. La sua incapacità mi ha già fatto perdere l’Altopiano, pensò irata. Stavolta deciderò io.

Si alzò in piedi. “Ho preso la mia decisione” disse in tono che non ammetteva repliche. “Jaime, tu porterai il mio esercito fuori dalle mura e incontrerai quello di ser Garth in battaglia. E vedi bene di vincere questa volta e di punire quei traditori: non voglio sia mostrata nei loro confronti alcuna pietà.”

Jaime sembrava provato. “Cersei, io…” iniziò con voce debole.

“Miei signori” lo interruppe gelida la regina ed uscì dalla stanza senza voltarsi indietro.



                                               "Il peggior dolore che un uomo può soffrire: avere comprensione su molte cose e potere su nessuna."




N.D.A.

Eccomi!!! Perdonate questo mostruoso ritardo!!! Ho dovuto studiare tantissimo in questo periodo pre-natalizio e non ho avuto un attimo per respirare e sistemare questo capitolo. Vi prego tutti di perdonarmi, proverò a essere più puntuale ^_^

Dire che questo capitolo sia di passaggio è dire veramente poco XD XD XD Il prossimo sarà molto più intenso. Per ora si sta solamente preparando la scacchiera e vari esercito sono inviati: spero non abbiate perso il conto ^_^''''''
Dany perde alleati a vista d'occhio: sarà in grado di vedere i suoi errori e sistemare le cose?
E le spade di acciaio di Valyria sembrano spuntare come funghi XD XD XD in realtà sono tutte spade che già esistono nell'universo di Martin, non ho inventato nulla ^_^ che il Corvo con tre occhi fosse Brynden Rivers è una teoria piuttosto accreditata (praticamente confermata nei libri), così come il fatto che abbia conservato Sorella Oscura.

E' strano postare un capitolo in cui né Jon né Daenerys compaiono XD XD XD ma torneranno presto!

Come al solito ringrazio i miei fedelissimi: __Starlight__, GiorgiaXX e Red_Heart96. E un grazie anche a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite, seguite e ricordate: spero davvero vorrete prima o poi lasciare un commento ^_^

Mi scuso con tutti coloro a cui sto recensendo le storie. So di essere scomparsa per troppo tempo e spero vivamente di tornare in carreggiata il più presto possibile :-)

Gli aggiornamenti torneranno regolari ogni due settimane il sabato. Quindi ne approfitto ora che posso per farvi tantissimi auguri di buon Natale! Vi auguro di trascorrere delle splendide vacanze!


NB: tornano le citazioni colte, stavolta con Erodoto. La trovo perfetta per descrivere ciò che deve sentire Bran che conosce più di tutti e resta comunque il più impotente quando il male accade.










 

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Capitolo 22
*** Jaehaerys Targaryen ***


Capitolo 22


Jaehaerys Targaryen                                                                                               

 



                                                                            "La verità è tanto più difficile da sentire quanto più a lungo la si è taciuta."


Tyrion

 

Avevano avvolto il cadavere di Verme Grigio nel lenzuolo più bello trovato sulla Soffio Dorato, adagiandolo poi sul suo letto. Alcuni Immacolati erano rimasti a vegliare su di lui e Tyrion li aveva visti piangere. Era divorato dal senso di colpa e non riusciva a smettere di pensare a ciò che era successo a Castel Granito. Verme Grigio, il più abile e coraggioso degli Immacolati, ucciso da un ragazzino che non riusciva nemmeno a impugnare bene la spada.

E tutto per colpa mia.

Tyrion non trovava pace. Se Verme Grigio non avesse dovuto difenderlo da quell’attacco, non sarebbe mai stato colto impreparato. Tyrion si malediva per non essere in grado nemmeno di proteggere sé stesso. Seduto accanto al corpo dell’Immacolato caduto, il nano mandava giù un calice di vino dopo l’altro, senza neppure sentirne il gusto. Cercava disperatamente di annegare nell’incoscienza, ma il sonno era un lusso che non riusciva a permettersi: in qualche modo il suo corpo era deciso a castigarsi. Vomitò due volte prima che Varys arrivasse a portargli via la caraffa. Tyrion non si oppose, troppo stanco anche solo per muoversi.

“Non credo che ubriacarsi sia la soluzione giusta in questo momento” osservò Varys con la sua voce calma.

Tyrion alzò leggermente lo sguardo. “E’ sempre la soluzione giusta.”

Varys sospirò e, raccogliendo le ampie vesti, si sedette sulla piccola poltrona che Tyrion aveva rifiutato per uno scomodo sgabello. “So che può allievare la sofferenza…”

“Cosa ne sai tu?” lo interruppe subito Tyrion irritato “Tu non bevi mai vino, non puoi sapere cosa si provi quando si è ubriachi…”

“Forse non te lo ricordi” obbiettò Varys, “ma sei stato proprio tu a spiegarmi perché bevi così tanto. Mi dicesti che lo fai perché ti aiuta a dimenticare, a offuscare nella tua mente i ricordi che vorresti rimuovere e che invece ti perseguitano. Lo fai perché vuoi nascondere a te stesso i tuoi errori.”

Tyrion aggrottò le sopracciglia. “Quest’ultima cosa non l’ho mai detta.”

Varys rise. “No, ma ho ragione lo stesso, non è forse così?” Varys aveva un’espressione sarcastica e Tyrion non poté far a meno di annuire brontolando.

“Non è stata colpa tua, Tyrion” disse Varys in tono serio ora.

“Sì invece!” esclamò Tyrion balzando in piedi “E’ morto per difendermi e questo perché sono solo un nano ubriaco che rischia di farsi ammazzare da uno scudo.”

Varys incarcò le sopracciglia. “Una volta Bronn mi disse che avevi ucciso un uomo con uno scudo: non ti devi vergonare che sia stato usato come arma contro di te…”

Tyrion alzò gli occhi al cielo. “Non è questo il punto…” mormorò sconfortato.

“Lo so” replicò Varys in tono comprensivo, “ma pensavo ti aiutasse a stare meglio: non ti devi sentire in colpa. Verme Grigio era un soldato e sapeva bene che questa poteva essere la fine della sua avventura, tutti noi lo sappiamo. Non gli rendi onore vomitando l’anima ai piedi del suo cadavere.”

Tyrion si sentì ancora peggio e dovette reprimere un altro conato. Varys si alzò in piedi a sua volta e lo sostenne. “Vieni” gli disse a bassa voce, “andiamo a parlare da un’altra parte…”

Tyrion si lasciò guidare fuori dalla cabina e quasi non si rese conto che Varys l’aveva condotto sul ponte. L’eunuco disse qualcosa riguardo a una salutare boccata d’aria, ma Tyrion non stava ascoltando. Lasciò correre lo sguardo sul mare.

Daenerys aveva già ricevuto la lettera? Come aveva reagito? Si sarebbe accontentata di piangere la morte di Verme Grigio o avrebbe preteso vendetta? In quel caso Tyrion già poteva vedere la sua testa staccarsi dal collo.

Daenerys non agirebbe mai così. La verità era tuttavia che Tyrion non poteva sapere cosa passasse nella mente della Madre dei Draghi. Abbiamo preso Castel Granito, pensò, come ci aveva ordinato, ma sarà soddisfatta?

Tyrion si accorse che Varys lo stava fissando e capì che doveva avergli rivolto una domanda. “Non guardarmi così, non ho idea di cosa cazzo tu mia abbia chiesto…”

Varys scosse la testa. “Chiedevo solo se preferivi il vino di Dorne o quello di Arbor, ma non credo sia così importante.” Tyrion imprecò sottovoce e tornò a guardare le onde.

“Chi comanderà adesso gli Immacolati?” La domanda di Varys lo raggiunse ovattata come provenisse da un punto lontano.

Tyrion inspirò profondamente, tentando di riscuotersi. Non mi interessa. “Immagino la decisione spetti a Daenerys.”

Varys era scettico. “Tu chi proporresti?” chiese curioso.

Uno qualsiasi di loro. Tyrion non rispose e fortunatamente Varys non insistette.

Impiegarono altri due giorni per arrivare in vista del porto di Duskendale. Tyrion aveva visitato la città almeno due volte e sapeva che l’acqua era profonda abbastanza da permettere alle navi di rggiungere le banchine, dove venivano ormeggiate. Di solito i guardiani del porto riscuotevano un tributo ai capitani delle navi, ma questa volta nessuno si fece avanti. Tyrion non ne fu stupito: in fondo Daenerys doveva essersi ormai stabilita al castello. Mentre scendevano a terra, il corpo di Verme Grigio traportato da due Immacolati alle loro spalle, notò che il porto era quasi deserto.

“La città sembra essere sprodondata nel caos” osservò Varys con voce grave.

Tyrion lo guardò. “Non arriviamo a conclusioni affrettate.” Cos’è successo qui?

Furono scortati verso il castello ed ammessi alle stanze della regina. Tyrion non poté far a meno di notare che i rari passanti bisbigliavano fra loro e camminavano in fretta. Si accomodarono sulle sedie che furono loro indicate e attesero.

Presto la porta si spalancò ed entrano Daenerys e Missandei. La ragazza si arrestò di colpo quando vide il corpo di Verme Grigio avvolto nel suo sudario. Dovette trattenere i singhiozzi e coprirsi la bocca con la mano. Poi venne avanti e si inginocchiò accanto al cadavere, piangendo in silenzio.

“Forse è meglio se ti lasciamo da sola…” Era stata Daenerys a parlare. Tyrion osservò Missandei, che annuiva senza guardare nessuno.

Deve aver letto la mia lettera, deve sapere... Aveva promesso a Verme Grigio e doveva assicurarsi il messaggio fosse stato recapitato. Qualcosa però lo bloccava: Missandei era già abbastanza addolorata e Tyrion non volle aggiungere altra sofferenza.

Si alzò in piedi e seguì Daenerys e Varys nelle stanza adiacenti. Daenerys chiuse la porta alle sue spalle e si voltò verso di loro. “Come è successo?” chiese con un filo di voce.

“E’ morto gloriosamente in battaglia, vostra grazia” rispose Varys prima che Tyrion avesse il tempo di aprire bocca, “il suo piano ci ha permesso di prendere Castel Granito.” Daenerys annuì, le sopracciglia appena inarcate. Sembrava stanca e allo stesso tempo furiosa: Tyrion non riusciva a dedurlo con certezza.

“In quanti sono morti?” si informò ancora la regina e Varys disse qualche numero, che Tyrion era certo Daenerys avrebbe dimenticato il momento seguente.

Fece un passo avanti. “Alcuni alfieri di mia sorella sono passati dalla tua parte” disse, “e sono pronti a giurare fedeltà: sono casate antiche ed importanti.”

La regina annuì di nuovo. “Bene” assentì, “organizzeremo una breve cerimonia.” Sembrava frettolosa e la sua mente appariva altrove.

A cosa pensa?

“Vostra grazia” tentò Tyrion, “abbiamo saputo di ser Garth e i Dothraki: hai già un piano per fermarli?”

Un lampo attraversò gli occhi di Daenerys e Tyrion quasi si ritrasse. “Certo” rispose lei, “dobbiamo marciare su Approdo del Re e colpire con tutte le nostre forze. Ho già inviato ser Jorah a negoziare con Rakandro: credo riuscirà a persuaderlo a far ritornare i Dothraki nel mio esercito.” Tyrion e Varys si scambiarono una rapida occhiata.

“Pensavo il piano prevedesse attendere i rinforzi di Yara e Gendry” obbiettò Tyrion incerto.

Le mani della regina tremarono. “Non arriveranno” replicò asciutta, “entrambi hanno portato i loro uomini a Nord.”

Tyrion era rimasto a bocca aperta. Cosa sono andati a fare lassù? Non riusciva a capire, Yara era sempre stata una delle più fedeli sostenitrici di Daenerys e Gendry doveva la sua legittimizzazione alla regina. Che motivo avevano di voltarle le spalle in quel modo? Provò a dire qualcosa, ma nuovamente Varys lo anticipò.

“Vostra grazia, se posso chiedere…”

“Lord Varys, la tua presenza è richiesta al porto” lo interruppe Daenerys, “Tyene Sand sta arrivando con i nuovi alleati e ho bisogno che tu accolga lady Stokeworth e il suo seguito. Posso contare su di te?” Varys sembrava sorpreso, poi chinò il capo e uscì. Tyrion si rivolse a Daenerys.

“Non dovrebbe essere Theon Greyjoy ad occuparsi di queste faccende?”

Daenerys sussultò. “Theon è morto in un incidente.”

Tyrion ebbe bisogno di qualche secondo per metabolizzare la notizia. E’ morto? Improvvisamente capì il motivo della confusione che si era impossessata di Duskendale e del perché Yara avesse preso una decisione tanto drastica. Aveva la bocca asciutta.

“C-come è potuto succedere?” Daenerys lo guardò intensamente, ma non disse nulla. Tyrion capì che doveva insistere. “Cosa è successo qui?” Si accorse di un altro particolare. “Dov’è Jon?” Daenerys sembrò ridestarsi e Tyrion vide la rabbia impossessarsi di lei.

“E’ un traditore!” urlò la regina “Ha cospirato con Gendry e Davos per portarmi via gli alleati e poi… E poi è fuggito…”

Tyrion, incredulo, fece un passo indietro. Come?

“Con il mio drago… Rhaegal.”

Stranamente Tyrion si scoprì non particolarmente scosso dalla rivelazione, era come se una parte di lui sapesse da sempre che sarebbe successo. Eppure non credeva Jon capace di azioni tanto vili come il furto del drago o la fuga. Deve essere accaduto qualcos’altro, realizzò, qualcosa che possa giustificare un comportamento del genere… Forse c’entra la morte di Theon…

Tentò di calmare la regina. “Vostra grazia, forse Jon non intendeva…”

“Prendere il mio drago?” lo interruppe sprezzante Daenerys “stai forse dicendo l’ha rubato per sbaglio?”

Tyrion si ricompose. “Sto solo dicendo che forse aveva dei motivi.”

Daenerys rise e la sua risata era quasi crudele. “Certo, è venuto a raccontarmi ancora una volta le sue favolette sugli Estranei, sull’esercito dei non-morti, diceva addirittura la Barriera fosse crollata…”

Tyrion si congelò al suo posto. La Barriera è crollata? Com’era possibile? Come si poteva anche solo immaginare che una struttura così possente potesse essere distrutta? Tyrion ricordava il senso di vertigini che l’aveva assalito quando si era sporto oltre quel gelido muro di ghiaccio. Ed ora era davvero scomparsa?

Daenerys continuava a parlare veloce senza dare cenno di voler smettere, ma Tyrion intanto rifletteva. Se la Barriera non c’è più, pensò rabbrividendo, e le leggende sono reali, gli Estranei potranno attaccare Westeros. E’ per questo che te ne sei andato, Jon? Tuttavia Tyrion non riusciva a capire la necessità di una fuga.

“Vostra grazia, non credi che dovremmo fare qualcosa?”

Daenerys si voltò verso di lui esterrefatta. “Cosa pensi dovremmo fare? Abbiamo già il nostro piano.”

Tyrion si rese conto di dover procedere con estrema cautela. “E’ possibile che Jon dicesse il vero” azzardò, “e se è così è tuo dovere aiutarlo.”

Daenerys sbuffò. “Non è mio dovere fare niente!” esclamò stizzita “E ha tradito, come potrei fidarmi di lui?”

“Un esercito di morti minaccia il tuo regno…”

“Il Nord non è il mio regno, l’ha detto anche lui… Se ci tiene così tanto alla sua indipendenza allora lo difenderà da questa minaccia da solo.”

Tyrion quasi non vedeva nulla della Daenerys che aveva conosciuto nella donna spietata che si trovava davanti. “Se gli Estranei esistono, distruggeranno ogni cosa e non si fermeranno al Nord, lo sai…”

“Questo sarà un problema per un altro momento” replicò Daenerys, “per ora la nostra attenzione deve essere rivolta ad Approdo del Re.”

Tyrion faticava a credere che Daenerys facesse sul serio. E’ cambiata così tanto?

“Maestà” tentò ancora, “ti prego, ripensaci: non puoi abbandonare il Nord così…” Avevi giurato l’avresti aiutato, ecco perché Jon è fuggito dopo il tuo rifiuto.

Daenerys sembrava sul punto di esplodere. “Sono questi i tuoi saggi consigli?” chiese sarcastica “So bene che molti innocenti moriranno nel Nord, ma Jon Snow ha fatto la scelta sbagliata e li ha condannati, come un generale inetto che manda i propri soldati a morire.”

Tyrion non aveva parole ed era una sensazione insolita per lui. Come fai a sapere la scelta sbagliata sia la sua?

Si sforzò di farla ragionare. “Sono sicuro abbia fatto ciò che riteneva giusto, forse potresti perdonarlo e…” Daenerys girò di scatto la testa verso di lui e Tyrion ammutolì.

La regina avanzò lentamente. “Mai” sibilò, “mi fidavo di lui e mi ha ricompensata complottando contro di me, minacciando la sicurezza del mio regno con le sue bugie. Non potrò mai tornare a guardarlo negli occhi.”

“Magari insieme a Gendry ha agito così solo per evitare che il Nord cadesse” mormorò Tyrion, “perché loro contavano sul tuo aiuto, ma sapevano che il tuo esercito ci avrebbe messo troppo tempo per intervenire. Daenerys, ti supplico, ascoltami: la guerra contro Cersei può attendere, dobbiamo andare a Nord. Non farlo per Jon, né per me, né per il tuo drago, fallo per tutte quelle persone innocenti che non sono responsabili delle azioni del loro re. Fallo per il tuo sogno di pace, se questo significa ancora qualcosa per te. Fallo perché sei migliore di mia sorella e sei capace di mettere da parte l’odio ed il desiderio di vendetta.” Tyrion attese qualche momento, il silenzio che calava come una lama su di loro.

“Mi chiedo a quale causa tu debba davvero la tua fedeltà” disse infine Daenerys freddamente e Tyrion realizzò con orrore di aver perso. Sconfitto, chinò il capo.

“Appena l’esercito che Tyene ha raggruppato arriverà, partiremo per Approdo del Re” continuò Daenerys impassibile, “ci riuniremo con i Dothraki, ser Jorah e Benjameen, poi assedieremo la capitale fin quando non avrò la testa di Cersei su una picca e l’intero esercito Lannister ridotto in cenere da Drogon. Allora mi siederò sul Trono di Sade e deciderò come e quando intervenire contro gli Estranei. E quando tutto questo sarà finito, volerò a Nord e costringerò chiunque sia rimasto a governare a giurarmi fedeltà. Mi sono spiegata?”

Il tono di Daenerys era aspro ed intransigente, completamente privo di una qualunque forma di empatia. Tyrion annuì mesto, la mente ormai lontana.

Daenerys sorrise. “Ho preso la mia decisione…”

“Ed io ho preso la mia.”

Lentamente, Tyrion si sfilò la spilla da Primo Cavaliere. L’aveva sempre portata con orgoglio, fiero della regina che aveva giurato di consigliare, ma ora era tutto diverso. Daenerys non era più la stessa, ma Tyrion sentiva di non essere cambiato e non voleva prendere parte alla sua follia.

Gettò la spilla ai piedi di Daenerys, che lo fissava incredula e ferita. Tyrion vide la delusione nel suo sguardo, ma ormai lei si era spinta troppo oltre per poter sperare di ottenere il suo appoggio.

La mia regina non avrebbe abbandonato metà del regno al proprio destino, avrebbe continuato a lottare.

Tyrion guardò Daenerys negli occhi un’ultima volta, poi si voltò e uscì senza premurarsi di chiudere la porta.

 

Sansa

 

Samwell Tarly era esattamente come Jon l’aveva sempre descritto. Sansa lo trovava cordiale ed educato, talvolta quasi timoroso di offendere qualcuno. “Chiamami Sam” disse per prima cosa e Sansa aveva annuito contenta.

Poi anche la ragazza al fianco di Sam si fece avanti e disse di chiamarsi Gilly, tendendo impacciata la mano. Sansa la squadrò per un secondo. Era giovanissima, forse perfino più piccola di lei, e sembrava vagamente a disagio. Sansa vide che Sam stava fissando un punto alle sue spalle.

“Brandon!” esclamò “Non pensavo fossi riuscito a sopravvivere oltre la Barriera…”

Sansa si voltò e vide che erano arrivati anche Bran e Meera. Mio fratello conosce Sam? Notò che anche Meera stava sorridendo.

“E’ solo Bran” disse lui, “sono felice di rivedervi… Dov’è il bambino?” Sam e Gilly si guardarono.

“Lo abbiamo lasciato a Delta delle Acque” spiegò Sam, “dove sarà più al sicuro…” Gilly chinò il capo.

“Avete quindi conosciuto mio zio, lord Edmure?” si informò Sansa facendo un passo avanti.

“Sì, mia signora” rispose Gilly, “e anche sua moglie e loro figlio.”

Sansa fu sorpresa dallo scoprire di avere un cugino, ma non fece domande. “Venite da Vecchia Città, vero?” si limitò a dire gentile “Sarete entrambi esausti: entriamo dentro…” Senza aggiungere altro, voltò loro le spalle e tornò sui suoi passi. I lord che alloggiavano a Grande Inverno a quell’ora si dedicavano ai loro compiti e Sansa era certa di trovare la stanza dei ricevimenti libera. Era molto più piccola di quella dei banchetti e perciò veniva usata di rado.

Aprì la porta e lasciò che gli altri si accomodassero, poi prese posto sulla poltrona vicino al fuoco. Meera spinse la carrozzella di Bran fino alla finestra.

Sansa si schiarì la voce. “Credo sia l’ora delle presentazioni…”

“Non credo ce ne sarà bisogno” la interruppe a bassa voce Sam.

Così Sansa scoprì che lei e Podrick erano gli unici a non aver avuto il piacere di conoscere i nuovi ospiti. Bran e Meera erano stati condotti oltre la Barriera proprio da Sam e Gilly, Davos li aveva conosciuti al Castello Nero quando ancora era fedele a Stannis e Brienne aveva ricevuto il loro aiuto a Vecchia Città.

“Se è così allora” disse Sansa ridendo, “lui è Podrick Payne, lo scudiero di Brienne.” Podrick sorrise imbarazzato e Sam gli strinse la mano.

“Molto piacere.”

Ci furono momenti di silenzio, durante i quali nessuno sapeva bene cosa dire. Poi Davos si protese in avanti. “Jon diceva che hai ucciso un Estraneo” disse sollevando un sopracciglio, “è vero?”

“L’ho pugnalato con il Vetro di Drago” rispose Sam, “ed è stato come se si stesse sgretolando davanti ai miei occhi.”

Sansa pensò sollevata che fortunatamente quasi tutta l’Ossidiana era stata affidata a Gendry e Tormund per la loro missione a Ultimo Focolare. Aveva anche consegnato loro Ambra, nella speranza che al ritorno sarebbe stata rinforzata dal Vetro di Drago. I suoi pensieri corsero inevitabilmente ad Arya, persa chissà dove, e rabbrividì. Si impose si rimanere composta. Non è il momento.

Nessuno sembrava avere la minima idea di quanto gravoso fosse il compito che Jon le aveva lasciato. Doveva ascoltare ogni singola inutile lamentela dei lord, ogni richiesta d’aiuto del popolo e ogni pretesa dei soldati, per poi tentare come meglio poteva di gestire il tutto. Ora addirittura un nemico che Sansa non aveva mai visto bussava alla loro porta e il Nord si aspettava da lei che riuscisse a fermarlo.

La pressione a cui era sottoposta le faceva perdere il sonno e la rendeva nervosa. Tutto quello che desiderava era che Jon tornasse finalmente a casa per poter scaricare sulle sue spalle tutte quelle responsabilità.

Non sono adatta a governare. Eppure una parte di lei voleva dimostrare di esserne capace, di poter uscire vincitrice da quell’orrenda situazione. Voleva che al suo ritorno Jon fosse fiero di lei.

“Questa è la mia spada” stava dicendo Sam mostrando qualcosa, “si chiama Veleno del Cuore ed è acciaio di Valyria.” Sansa si ridestò improvvisamente dai suoi pensieri.

“Dove pensi di andare ora?” chiese Brienne e Sam sospirò.

“La Barriera mi aspetta…”

“La Barriera è crollata” disse Sansa con calma. Vide l’orrore esplodere negli occhi di Sam e il suo labbro tremare.

“C-come è potuto accadere?” chiese lui con un filo di voce.

“Il Re della Notte l’ha distrutta” rispose Bran inespressivo e Sam si voltò verso di lui.

“I miei confratelli…?”

Bran scosse la testa e Gilly si portò le mani alla bocca per soffocare un gemito. Sansa pensò dovesse essere terribile scoprire che tutte le persone che conoscevi erano morte. Un po’ come è successo a tutti gli abitanti di Grande Inverno quando è caduto nelle mani di Ramsay.

Sam stava boccheggiando senza fiato. “Jon… lui lo sa?”

Sansa lo guardò. “Maestro Wolkan ha inviato un messaggio a Duskendale” fu costretta a dire.  

“Ma tornerà, non è vero?” insistette Sam.

Questo speravo potessi dirmelo tu. “Sono sicura di sì” rispose Sansa, “non appena l’avrà ricevuto.”

Sam annuì. “E gli Estranei?” chiese ancora “Avete un piano per fermarli?”

Sansa avrebbe voluto urlargli che no, non avevano idea di come anche solo affrontarli, ma rimase immobile. “Abbiamo inviato dei gruppi ad Ultimo Focolare” spiegò invece, “tenteranno almeno di rallentarli.”

Sam sgranò gli occhi. “Che genere di gruppi?”

Sansa però ne aveva abbastanza delle sue domande. “La situazione per il momento è sotto controllo” sbraitò innervosita, “i soldati sono stati armati con l’Ossidiana, quindi sono pronti per uno scontro.” Sam ammutolì.

Vorrei poter credere anch’io alle mie parole.

Per un po’ regnò il silenzio, poi Sam si alzò in piedi. Sembrava piuttosto teso, come se si stesse preparando ad un annuncio speciale. “Vorrei parlare con voi di una cosa…”

“Suppongo tu volessi dire che desideri parlare con me di questa cosa” lo interruppe subito Bran e Sansa aggrottò le sopracciglia confusa. Anche Sam era spiazzato.

Bran inclinò la testa sulla spalla. “Suppongo sia meglio andare nello studio” proseguì tranquillo, “Meera ci potrà accompagnare…” Dopo qualche secondo, Sam annuì.

Gilly gli afferrò un braccio. “E io?” chiese con una punta di accusa nella voce “Io non posso venire?”

Sansa si fece avanti, decisa ad assecondare la strana decisione di suo fratello. “Tu puoi venire con me” propose con un sorriso incoraggiante, “così che io possa mostrarti le stanze tue e di Sam.” Tanto ormai il castello si è svuotato.

Gilly all’inzio appariva dubbiosa, ma poi acconsentì. Meera condusse via Bran e Sam verso lo studio, mentre gli altri si alzavano in piedi.

Sansa si rivolse a loro. “Davos, desidero tu vada a controllare se per caso sono arrivati nuovi messaggi: qualunche novità voglio che mi sia riferita immediatamente.” Davos annuì e uscì con un rapido cenno del capo.

Sansa si rivolse a Brienne e Podrick, che la fissavano in attesa. “Voi potete tornare ai vostri allenamenti, ho intenzione di raggiungervi tra poco…”

Brienne inarcò le sopracciglia. “Sei ancora dell’idea che tu debba imparare a combattere?”

Sansa roteò gli occhi. Almeno non mi chiama più mia signora. “Brienne, so che hai giurato di proteggermi e non metto minimamente in dubbio la tua abilità, ma devo essere in grado di difendermi da sola quando loro arriveranno. Se tu lo puoi fare, lo posso fare anch’io.”

Brienne la guardò a lungo, poi sorrise orgogliosa. “Allora sarò onorata da insegnrarti l’arte della spada.”

E io di avere te come insegnante, pensò Sansa con affetto. Brienne e Podrick lasciarono presto la stanza e lei si rivolse nuovamente a Gilly. “Seguimi” le disse incoraggiante e la condusse verso le camere da letto del primo piano. Gilly sembrava affascinata da ogni cosa che vedeva e da ogni oggetto che sfiorava. Sansa la osserava di sottecchi.

“Vieni da oltre la Barriera, giusto?” Gilly annuì.

“Sei mai stata in un palazzo?”

“Ho visto il Castello Nero, Collina del Corno e Delta delle Acque” raccontò Gilly, “ma nessuno era grande come questo.”

Sansa la guardò. “Ma sei stata anche alla Cittadella” ricordò perplessa, “da quello che so, la biblioteca è enorme e i soffitti delle stanze altissimi.”

Gilly sbuffò. “La Cittadella è preclusa alle donne” le ricordò, “io vivevo in una casetta a Vecchia Città insieme al mio bambino.”

Si era intristita e Sansa l’abbracciò per consolarla. “Sono sicura si troverà bene a Delta delle Acque” la rassicurò, “mio zio è un brav’uomo. Come si chiama il piccolo a proposito?”

“Sam.”

Sansa ne fu stupita. “Ma il padre è…?” chiese incerta ricordando il voto di castità imposto ai Guardiani della Notte. Non che ora conti qualcosa, si disse, dato che il loro ordine è morto.

Gilly scosse vivacemente la testa. “Non è Samwell” disse semplicemente. Non accennava a voler rivelare chi fosse il vero padre del bambino e Sansa non lo chiese.

“Tu preghi gli Antichi Déi, non è così?”

Gilly la fissò curiosa. “Dovrei?” chiese corrucciando la fronte.

“I bruti di solito venerano gli Anrtichi Déi” spiegò Sansa, “come gli uomini del Nord.” Tranne me. “Se vuoi dopo ti mostro il nostro Parco degli Déi, è un luogo davvero meraviglioso anche se non si prega. Ah, eccoci arrivate…” Sansa si fermò davanti la porta di una stanza.

In quel momento furono raggiunte da Spettro, che veniva dalla direzione opposta. Il meta-lupo si faceva vedere molto più spesso nel castello ora che Nymeria e il suo branco di lupi avevano seguito Arya a Ultimo Focolare. Sansa era certa si sentisse un po’ solo.

“Spettro!” esclamò a sorpresa Gilly e il meta-lupo estrasse la lingua in segno di saluto.

Sansa si voltò verso la ragazza. “Lo conosci?”

Gilly rise. “Ha salvato la vita a Sam una volta al Castello Nero” raccontò, “i suoi confratelli lo stavano picchiando perché tentava di proteggermi.”

Sansa si chiese a quali orrori Gilly era dovuta sopravvivere. Eppure non perde il sorriso, notò meravigliata. Aprì la porta e mostrò all’ospite le due stanze. “Sono comunicanti” spiegò, “e la mia camera è in fondo al corridoio: per qualunque cosa non ti fare problemi.”

Gilly vagò per la stanza accarezzando le coperte del letto e facendo correre le dita sul legno levigato del tavolo. Sembrava una bambina affascinata da qualunque cosa. Sansa dovette ammettere che assomigliava molto alla ragazzina ingenua che un tempo era lei, solo che Gilly non era così stupida.

Poi la porta si aprì ed entrò Meera. Spostò lo sguardo da Spettro, a Gilly, fino a Sansa, per poi rivolgersi a quest’ultima. “Tuo fratello e Sam ti devono parlare. Ti aspettano nello studio…”

Sansa la fissò incredula. Ora mi vogliono coinvolgere? Gilly non disse nulla e Sansa si rivolse direttamente a Meera. “Aiuta Gilly a sistemarsi, per favore” disse dirigendosi verso la porta, “ed accompagnala ovunque desideri, magari nel Parco degli Déi o nel cortile dove si allenano Brienne e Podrick. Io vi raggiungo appena posso…” Meera annuì e Sansa uscì dalla camera.

Procedette spedita lungo i corridoi, evitando tutti coloro che tentavano di parlarle. Raggiunse in breve lo studio, entrò e chiuse la porta. Bran e Sam la stavano fissando e Sansa si sedette a disagio sotto i loro sguardi.

Bran le sorrise. “Dobbiamo parlare” disse in tono serio, “io avrei voluto aspettare che Jon tornasse dal Sud, ma Sam mi ha convinto a non farlo.”

Sansa guardò Sam in cerca di risposte e lui si limitò a scrollare le spalle. “Vi lascio soli” mormorò aprendo la porta, “avete molto da dirvi…” Appena fu uscito, Sansa tornò a guardare Bran, avvolto nelle sue pellicce su quella sedia a rotelle.

“Di cosa mi devi parlare?” chiese Sansa tenendo a bada il tremito della voce.

Bran sospirò. “Sai che sono il Corvo con Tre Occhi?” Sansa annuì.

“E sai che cosa significa?”

“Che puoi avere delle visioni riguardo al passato” rispose lentamente Sansa considerando assurda quella situazione.

“Proprio così” assentì Bran, “e mentre ero oltre la Barriera ho avuto delle visioni molto particolari: ho scoperto delle cose riguardo a Jon.” Sansa, colta alla sprovvista, non seppe cosa replicare.

Bran chinò il capo. “Ho scoperto chi è sua madre.”

Sansa si accorse di avere la bocca spalancata solo quando si ritrovò a doverla richiudere. Da bambina si era sempre chiesta chi fosse la donna che aveva fatto soffrire sua madre e che aveva disonorato suo padre ed aveva elaborato teorie più o meno complesse. Alla fine si era arresa, limitandosi ad ignorare per quanto possibile il suo fratello bastardo.

In quel momento, però, poté solo pensare alla gioia che avrebbe provato Jon non appena Bran l’avrebbe rivelato. Forse è ancora viva, forse potrà incontrarla come ha sempre desiderato.

“Allora?” chiese impaziente.

“Sei sicura di volerlo sapere?” chiese Bran “Potrebbe essere un po’ destabilizzante…”

Sansa alzò gli occhi al cielo. “Bran” disse con un sorriso, “ormai nulla mi sorprende più di quanto io lo sia già.”

“E’ Lyanna Stark.”

Come?!

Sansa ammutolì. Bran doveva essere impazzito se accusava loro padre di incesto. Rabbrividì disgustata al solo pensiero. Ned aveva amato Lyanna con tutta l’anima, ma come un fratello ama una sorella, non oltre. Cosa sta dicendo, in nome degli déi?

“Bran, io non credo che…”

“Va tutto bene” la interruppe Bran, “so che è difficile da capire…”

Sansa scosse la testa. “Non c’è niente da capire” ribatté con voce acuta, “non è semplicemente possibile che nostro padre abbia…”

“Nostro padre non era il padre di Jon” replicò Bran con calma, “lui è figlio di Rhaegar Targaryen.”

Sansa sentì il bisogno impellente di ridere. Jon non è mio fratello. Tutto ciò non aveva senso.

“Rhaegar e Lyanna si amavano” stava proseguendo Bran, “e sono fuggiti insieme. Non c’è niente di vero nelle storie orribili che si raccontano qui a Nord riguardo a Rhaegar, era un brava persona.” Sansa continuava a scuotere la testa.

“Sansa…”

“No!” esclamò lei con voce rotta “Non puoi semplicemente dirmi una cosa del genere ed aspettarti che ti creda. E’ tutto così, così…” Sansa non sapeva come continuare.

“Lo so, è pazzesco” ammise Bran, “ma è la verità.”

Sansa sollevò il mento. “E allora come mai abbiamo passato la nostra vita credendo che Jon fosse il nostro fratello bastardo?” chiese quasi in tono di sfida.

“Ned promise a Lyanna che lo avrebbe protetto” spiegò Bran. “Jon non sarebbe mai stato al sicuro finché Robert fosse rimasto ossessionato dall’idea di uccidere i Targaryen.”

“Jon non è un Targaryen.” Sansa aveva parlato senza riflettere.

“Ho visto Rhaegar e Lyanna sposarsi davanti agli alberi-diga” disse Bran inarcando le sopracciglia, “e Sam ha trovato questo documento alla Cittadella firmato dagli sposi e dai testimoni. Il matrimonio è valido.”

Sansa prese con mani tremanti il pezzo di carta che Bran le porgeva e lo lesse lentamente. Quando sollevò nuovamente lo sguardo, la sua mente era svuotata. “Mi stai dicendo che Jon per nascita dovrebbe prendere il nome dei Targaryen?” chiese con orrore.

Bran alzò le spalle. “E’ molto probabile il suo vero nome non sia nemmeno Jon” osservò, “ho sentito Lyanna sussurrare qualcosa all’orecchio di nostro padre, ma ero troppo lontano per capire.”

“Se tutto questo è vero” mormorò Sansa fissando Bran negli occhi, “Jon potrebbe rivendicare il Trono di Spade e la sua pretesa sarebbe più forte di quella di Daenerys…” E’ sua zia!

Bran annuì. “Cosa pensi dobbiamo fare?”

Sansa prese un respiro profondo. Jon è nostro cugino. “Se i lord venissero a conoscenza di questo” osservò con voce grave, “Jon perderebbe il loro supporto ed il Nord tornerebbe diviso. Dobbiamo tenere tutto segreto, quanti ne sono a conoscenza?”

“Solo io, tu, Sam, Gilly e Meera” rispose Bran, “e credo anche Howland Reed: era alla Torre della Gioia insieme a nostro padre.”

Sansa annuì e, alzatasi, si avviò verso la porta. “Bene” disse all’ultimo, “nessuno deve saperne nulla finché Jon non sarà tornato, poi sceglierà lui cosa fare. Riuscirete tu e Sam a tenere quel documento nascosto?”

“Certamente, non preoccuparti” assicurò Bran e Sansa uscì. Sarebbe dovuta andare nel cortile ad allenarsi con Brienne, ma all’improvviso non ne aveva più voglia.

Le parole di Bran continuavano a tormentarla e Sansa non sapeva più a cosa credere. Provava pena per Jon, al quale avrebbero dovuto spiegare una verità che certamente aveva sempre immaginato diversa, e faceva ancora fatica ad accettare quella nuova realtà.

Tuttavia, nonostante l’incredulità e il timore per cosa quel documento avrebbe potuto scatenare, non poté reprimere un senso di strana pace, che la invadeva, rilassando i suoi muscoli. Jon non è mio fratello, continuava a ripetersi, è mio cugino. Cosa cambiava ciò? Tutto.

Ritornò nella sua stanza e trovò Spettro ad aspettarla ai piedi del letto. Senza pensarci, Sansa gli gettò le braccia al collo, come anni prima amava fare con Lady, e seppellì il viso nelle sue pellicce.

“Jon tornerà presto” mormorò e Spettro emise un basso gorgoglio, “lo sento, vedrai come sarà felice di rivederci. Abbiamo tante cose da dirgli: voglio che quando sarà il momento tu sia al mio fianco.”

Spettro non replicò in alcun modo, ma Sansa si sentì confortata dal suo silenzio. Lentamente si alzò e si buttò supina sul letto, restando per qualche minuto immobile a fissare il soffitto. Le implicazioni della rivelazione di Bran si impossessarono di lei ed il suo cuore prese a battere all’impazzata. D’un tratto Sansa sentiva il suo corpo in fiamme, senza però comprenderne appieno il motivo.

Jon non è mio fratello.

 

Jaime

 

Almeno Cersei gli aveva permesso di portarsi dietro Lamento di Vedova, o Dominatrice, o qualunque altro nome di merda fosse stato assegnato a quella spada.

La prima volta che Jaime la prese in mano si accorse che era molto più corta di Giuramento e decisamente più leggera. Ricordava suo padre che la donava a Joffrey il giorno prima delle nozze e come lui non avesse avuto il tempo di usarla.

Jaime rise ripensando a come suo figlio avesse fatto a pezzi il libro dono di Tyrion. Adesso quella spada sarebbe finalmente andata in battaglia ed avrebbe fatto scorrere sangue e non svolazzare pagine strappate.

Cersei era stata molto fredda al momento dei saluti, nonostante tutti i tentativi di Jaime di farla sorridere. L’aveva aspettato alle porte della città, con Qyburn e la Montagna al suo fianco ed un’espressione impassibile.

“Immagino stavolta ti impegnerai di più” aveva detto gelida, “per ottenere risultati migliori di quelli dell’ultima volta.” Jaime si era limitato ad annuire, sapendo che qualsiasi parola avrebbe solo peggiorato la situazione. 

“Ti sarà affidato l’intero nostro esercito” aveva proseguito Cersei, “terrò ad Approdo del Re solamente gli uomini di pattuglia e le Cappe Dorate. Non mi deludere, Jaime.”

“Non lo farò” aveva replicato Jaime con un peso sul cuore. Cersei non aveva aggiunto altro ed era rientrata. La Montagna l’aveva seguita, mentre Qyburn si era attardato giusto il tempo necessario per lanciare a Jaime uno sguardo carico di significato.

A Jaime Qyburn non piaceva. Gli doveva molto probabilmente la vita per come era riuscito a trattare la ferita della mano mozzata, ma non approvava il suo atteggiamento. Lo sorprendeva sempre accanto a sua sorella, intento ad offrirle i suoi subdoli consigli, e gli sembrava di rivedere Rossart che bisbigliava all’orecchio del Re Folle.

Jaime scosse la testa per scacciare quei pensieri. Non è il momento.

Ormai da qualche giorno si trovava all’accapamento eretto presso le Rapide Nere, vicino Tumbleton, proprio ai margini del Bosco del Re. Le tende erano molto numerose e i loro colori sgargianti attiravano l’attenzione dei passanti, ma le apparenze ingannavano.

Visto da lontano quello poteva sembrare l’accampamento di un grande esercito, tuttavia la realtà era ben diversa. Passeggiando fra le tende, Jaime si era imbattuto in ragazzini terrorizzati e in anziani tremolanti e non riusciva ancora a credere quelli sarebbero stati gli uomini che avrebbe dovuto guidare in battaglia.

Bronn gli mancava terribilmente e sopportare la sua assenza era molto più arduo del previsto. Jaime era stato solito lamentarsi del carattere irrispettoso e poco ortodosso del mercenario, ma col tempo era diventato un amico fedele, che l’aveva anche aiutato in situazione di necessità. Ora che era morto, Jaime si sentiva solo e circondato da nemici.

L’esercito dell’Altopiano non si vedeva e le vedette che si spingevano fino sui monti, riferivano che la Strada delle Rose era sgombra. Jaime era sempre più interdetto: cosa aveva in mente Garth Hightower?

Ricordava lo sguardo di odio profondo che quel ragazzo gli aveva lanciato sotto le mura di Alto Giardino e sapeva che era in cerca di vendetta. Quando capirà che io non c’entro con la morte di sua sorella?!

Almeno avrebbero dovuto fronteggiare solamente l’esercito Tyrell dato che Garth era abbastanza stupido da non attendere i rinforzi di Daenerys. Jaime sapeva che in fondo non poteva lamentarsi: avevano tutte le carte in regola per vincere e per tornare indietro in tempo per la difesa di Approdo del Re.

Il quarto giorno di vana attesa per un nemico che non si presentava, una sentinella chiese udienza urgente a Jaime.

“Mio signore, stanno arrivando! L’esercito nemico è stato avvistato a sud…”

Jaime era perplesso. Si era aspettato Garth scegliesse di portare i suoi uomini fra i monti delle sorgenti del Mander, e invece attaccava da sud.

“Dove si trova esattamente?” chiese Jaime nervoso.

“Sulla Strada delle Rose, mio signore, vicino al Bosco del Re.”

Jaime annuì. “Bene” disse alzandosi dalla branda, “suona l’allarme: voglio metà dell’esercito in marcia contro i nemici.”

“E l’altra metà, mio signore?”

Jaime sospirò. “Resterà vicino all’accampamento, in modo da poter ritirarsi verso Approdo del Re in caso di bisogno.”

Quello era l’unico modo per tentare di contenere le perdite: in fondo l’esercito di Garth non poteva essere troppo numeroso. Jaime inoltre aveva bisogno di uomini addestrati e non di ragazzi reclutati solo poche settimane prima.

Chiuse i ganci dell’armatura sulle spalle e sistemò i gambali. Il metallo era rigido e rendeva goffi i movimenti, ma già molte volte aveva fatto la differenza fra vita e morte in battaglia. Jaime respirò profondamente ed uscì dalla tenda.

Ignorando la confusione che lo circondava, ordinò che gli si fosse portato il suo cavallo. Saltò in sella e tentò di farsi sentire sopra il frastuono. Affidò a ser Raynard Ruttiger la retroguardia che sarebbe rimasta nei pressi dell’accampamento e partì con l’altra metà dell’esercito alla volta di Bosco del Re.

Dovettero proseguire verso sud molto più del previsto e si ritrovarono a superare la Strada delle Rose, con gli alberi non troppo rassicuranti del bosco sulla sinistra. Alla fine finalmente arrivarono in vista dell’esercito Tyrell.

Jaime quasi tirò un sospiro di sollievo scorgendo i loro esigui numeri. Fin troppo esigui, fu costretto ad ammettere colto dal dubbio. Tuttavia non ebbe tempo per ragionare oltre, perché un destriero si era separato dal gruppo e veniva verso di loro al trotto.

Jaime strizzò gli occhi e riconobbe Garth Hightower, splendido nella sua armatura grigia, che faceva avanzare il suo cavallo guardando dritto davanti a sé. Le trompe dell’Altopiano suonarono all’unisono.

“Vogliono patteggiare!” esclamò ser Lymond Vikary che cavalcava al fianco di Jaime “Hanno bandiera bianca…”

Jaime si morse il labbro. Tutto questo è così strano. Serrò la mano sinistra sulle briglie e il cavallo fece un balzo in avanti. “State indietro!” urlò “Andrò io a discutere con lui…”

Garth si era fermato poco più in là e sembrava attenderlo. Jaime lo raggiunse in pochi secondi e sostenne il suo sguardo accusatore.

“Sterminatore di Re” lo salutò sprezzante Garth e Jaime neanche sussultò. Ormai era così abituato.

“Non pensavo ti avrei mai rivisto” osservò e Garth fece una smorfia. “Neanch’io” replicò, “se solo Nymeria non fosse stata tanto vigliacca ora saresti sotto terra a fare da cibo per i vermi.”

Jaime ritenne inutile sottolineare come in realtà fosse stato lui a mostrare pietà nei confronti di Nymeria Sand e non viceversa.

“Saresti dovuto morire ad Alto Giardino” continuò Garth, “ma forse è un bene tu sia ancora vivo: ora potrò essere io ad ucciderti.”

Jaime quasi provava pena per lui. In molti ci hanno provato, ragazzo. Tentò la diplomazia. “Ascoltami” disse in tono serio, “so che sei arrabbiato, ma…”

“Arrabbiato?! Hai ucciso mia sorella, mio fratello e la madre del mio signore! Tu hai…”

“Frena la lingua” lo interruppe Jaime tagliente, “io non ho nulla a che fare con le morti di Baelor ed Olenna. In quanto a tua sorella, te lo ripeterò ancora una volta: si è tolta la vita…”

“Non parlare di Alerie come se la conoscessi” sputò fuori Garth, “tutti loro sono morti a causa dei Lannister.”

Jaime alzò gli occhi al cielo. “Avete scelto di unirvi a Daenerys Targaryen” osservò, “e ne avete pagato le conseguenze.”

Garth rise. “A me sembra siate voi quelli fuggiti da Alto Giardino sconfitti.”

“E allora perché avresti tradito la tua regina dopo una così grande vittoria?”

Garth divenne rosso di rabbia. “Io non l’ho tradita!”

“Ma sei comunque qui contro i suoi ordini” fece notare tranquillo Jaime.

Garth parve rimanere per un secondo senza parole. Poi sbuffò. “Le mie decisioni non ti riguardano.”

Jaime dovette trattenere un sorrisetto. “Bene” disse guardandosi intorno, “dove sono i Dothraki?”

Lo sguardo di stupore di Garth era la risposta che Jaime cercava. Stupido ragazzino, pensò, attaccare i Lannister senza nemmeno avere le spalle protette…

“Come vedi la situazione non si mette bene per te” continuò Jaime, “quindi ti chiedo, perché lanciarsi in una battaglia suicida? Fa’ voltare il tuo esercito e torna a Vecchia Città e ti prometto il perdono reale per le azioni compiute contro la regina.” Prima però Cersei ti farà tagliare le palle.

Garth ovviamente scosse il capo. “Noi illuminiamo la via” disse citando il motto della sua casata, “e non possiamo tornare indietro, non finché il nostro compito non sarà concluso.”

Estremamente poetico ed enormemente sciocco.

Jaime sollevò le sopracciglia. “Se è questo che vuoi, allora sarà guerra.”

Garth sorrise, poi si portò le dita alla bocca e fischiò. Subito i lancieri alle sue spalle si misero in posizione e la cavalleria, seppur mal equipaggiata, serrò i ranghi.

“Stavolta non sarai così fortunato” sibilò Garth. “ADESSO!”

Imrpovvisamente l’attacco cominciò e Jaime vide i cavalli nemici caricare. Notò che molti, proprio come avvenuto ad Alto Giardino, correvano verso destra, tentando di circondare l’esercito Lannister.

Non sarà così facile.

Jaime fece voltare il cavallo e tornò in fretta dai suoi soldati. Diede ordine di sfondare le linee Tyrell per spingere gli uomini nemici verso le Rapide Nere.

“A quel punto saranno in trappola” spiegò Jaime in fretta, “e i nostri uomini rimasti all’accampamento potranno colpirli alle spalle.”

Jaime tuttavia non aveva calcolato che fra il suo esercito e le Rapide Nere correva la Strada delle Rose, che presto fu invasa con facilità da soldati nemici che bloccarono il passaggio.

Jaime imprecò quando vide che molti suoi uomini si trovavano ormai a nord della strada, completamente allo sbando. Garth Hightower inviò contro di loro la fanteria e li disperse.

“Rimanete uniti!” gridò Jaime ai soldati ancora intorno a lui “I cavalli davanti, tutti gli altri verso gli alberi!”

Così iniziarono ad indietreggiare, mentre la cavalleria teneva a bada i nemici che tentavano di avvicinarsi. Jaime sentiva Garth urlare comandi incomprensibili a causa della considerevole distanza che li separava e vide i soldati avversari continuare la loro manovra di accerchiamento.

Non basterà, pensò Jaime convinto, appena saremo arrivati al Bosco del Re sarà facile disperderci e coglierli di sorpresa.

Il Bosco del Re poteva essere insidioso e potenzialmente pericoloso, ma Jaime lo conosceva molto bene. Ci aveva accompagnato Robert durante le sue battute di caccia così tante volte da perdere il conto. Ricordava che Cersei si era sempre rifiutata di venire e che lui, quando aveva potuto, era rimasto con lei.

Jaime strizzò gli occhi pensando a cosa avevano fatto in quei giorni fortunati. Tentò di concentrarsi sul sentiero che il suo cavallo aveva imboccato.

L’animale corse sotto un albero nodoso dai rami storti e Jaime fu costretto ad abbassare la testa per non esserne colpito. I suoi uomini erano quasi tutti entrati nel bosco, ma i soldati Tyrell sembravano esitare, continuando a spingere i loro cavalli nella prateria. Jaime si chiese perché non li seguivano nel bosco.

La risposta arrivò fin troppo presto, quando dal folto degli alberi sbucarono degli urlanti cavalieri dell’Altopiano.

Il cavallo di Jaime si imbizzarrì e lui dovette serrare le redini per evitare di cadere. Ecco dove erano finiti. “Disperdetevi!” si mise a urlare ai suoi uomini “Raggiungete il mare!” Non era una strategia vincente, né in realtà una vera strategia, ma non c’erano alternative. Se fossero usciti dalla foresta, i nemici rimasti fuori li avrebbero certamente sopraffatti, ma non potevano neanche sperare di vincere una battaglia fra gli alberi.

Jaime strinse le labbra e lanciò il cavallo al galoppo, pregando che non inciampasse in qualche radice. Vide i fanti cadere falciati dai cavalli in fuga ed udì le loro urla terrorizzate. Per un momento credette di ritrovarsi nel Bosco dei Sussurri, quando il suo esercito era stato colto di sorpresa da quello di Robb Stark.

Stavolta era un altro ragazzo a sfidarlo e tutto ciò che Jaime conaervava di quei tempi lontani era il leone d’oro sulla placca toracica della sua armatura. Tutto era cambiato.

Vide un soldato lanciarsi con una lancia contro di lui e si affrettò a brandire la spada, più pesante che mai nella sua mano sinistra. Ferì l’uomo al petto e lo lasciò stramazzare al suolo. Il cavallo si ritrasse nitrendo e le briglie scivolarono via dalla mano d’oro di Jaime.

Merda.

Tentò in un disperato tentativo di afferrarle sporgendosi oltre il fianco dell’animale, ma non bilanciò bene il peso e cadde a terra. Il cavallo continuò la sua corsa nel bosco e Jaime si rimise in piedi a fatica. Intorno a lui regnava la confusione e fu per miracolo che non si ritrovò calpestato dagli zoccoli degli animali.

Barcollò, nascondendosi come meglio poteva dietro felci e tronchi, e cercò di allontanarsi da quel disastro. Sapeva che non era un mossa onorevole, che un vero comandante rimaneva con il proprio esercito, ma a Jaime non interessava. Il mio onore non vale un cazzo per nessuno, pensò stringendo i denti. E' inutile che muoia per convincere qualcuno del contrario.

Improvvisamente una figura si scaraventò su di lui facendogli perdere ancora una volta l’equilibrio. Jaime si tirò in piedi e vide Garth Hightower che lo fissava con occhi di brace. Tra le mani stringeva una stupenda spada bianca, dall’elsa spendente d’argento. Jaime la riconobbe subito: era Vigilanza, la spada di acciaio di Valyria che da generazioni accompagnava la nobile casata Hightower.

Per tutta risposta Jaime sfoderò Lamento di Vedova. Garth scosse ironico la testa e si lanciò all’attacco.

Jaime intercettò il colpo poco sopra la testa e, con un rumore orrendamente stridente, fece scivolare via la lama avversaria. Garth si piegò in avanti a casua del contraccolpo e Jaime ne approfittò per tentare un affondo.

Le spade continuarono a collidere senza che uno dei due contendenti riuscisse a ferire l’altro. Garth era animato da una furia che lo accecava, rendendo i suoi movimenti confusi e poco precisi. Jaime dal canto suo riuscì a mantenere il controllo necessario per non affaticare inutilmente il braccio sinistro.

Provò qualche finta, sempre evitando di colpire troppo duramente per risparmiare energie. Un tempo Bronn gli aveva detto che quella era la tattica migliore quando si era costretti a combattere con la mano debole.

Dopo qualche minuto Garth stava già ansimando, ma non demordeva. Vigilanza calò ancora una volta e il suo possessore lanciò un teatrale urlo di guerra. Jaime bloccò ancora una volta il colpo, ma non fu abbastanza rapido da notare il coltello che trovò la strada fra le placche dell’armatura che proteggeva le gambe.

Sentì una fitta di dolore e si affrettò ad estrarsi l’arma dalla carne prima che il sangue iniziasse a sgorgare. Garth aveva fatto un passo indietro e sorrideva. Jaime resistette alla tentazione di lasciarsi cadere in ginocchio e rimase in attesa, con la mano d’oro che tentava di bloccare l’emorraggia.

Lentamente Garth gli si avvicinò, sollevando Vigilanza sopra la testa.

“Questo è per Alerie” mormorò prima che la lama calasse.

Tutto accadde così in fretta che nemmeno Jaime in seguito seppe ricordare esattamente cosa fosse successo, ma in qualche modo Lamento di Vedova riuscì a trapassare il petto di Garth senza trovare resistenza.

Jaime spinse la lama più a fondo, mentre Vigilanza cadeva a terra.

“Non ho ucciso tua sorella” disse con calma quando il corpo di Garth Hightower si irriggidì.

Estrasse Lamento di Vedova con un sospiro e si premurò di raccogliere anche Vigilanza. Osservò esitante il cadavere di Garth, prima di decidere di nasconderlo in un cespuglio per evitarne lo scempio.

Jaime dovette soffocare un urlo di dolore quando posò il peso sulla gamba ferita. Devo andarmene da qui.

Con le due spade legate alla cintura, si incamminò verso la direzione che sperava portasse al mare e fortunatamente non si imbatté in altri nemici. Presto altri suoi uomini si unirono a lui e raggiunsero una radura sulla cima della collina.

Jaime sorrise sollevato quando vide a est il mare: costeggiandolo sarebbero potuti tornare all’accampamento senza farsi intercettare.

Poi uno dei soldati che era con lui urlò e indicò terrorizzato qualcosa oltre il Bosco del Re e la Strada delle Rose, qualcosa verso le Rapide Nere e le colline.

Nonostante la notevole distanza, da quell’altezza Jaime riuscì a distinguere quello che gli parve un esercito discendere dai monti intorno Tumbleton. Vide con orrore quei cavalieri dirigersi verso l’esatto punto dove erano state piantate le tende e dove metà dell’esercito Lannister era in attesa del loro ritorno.

Poi scorse in lontananza una terrificante ombra nera e la seguì ipnotizzato con lo sguardo mentre planava sull’accampamento.

E fu fuoco ovunque.

 

Jon

 

Della caduta Jon non conservava alcun ricordo. Si era risvegliato in quel letto sconosciuto, dentro quel castello sconosciuto e osservato da occhi sconosciuti. Fugata l’iniziale confusione, il suo primo pensiero era corso a Rhaegal.

Avevano percorso non si sa quante miglia verso nord prima che la bufera li colpisse. Jon non aveva idea di quale zona stessero sorvolando e, anche volendo, non avrebbe saputo come ordinare al drago di atterrare. I venti si erano alzati e Rhaegal aveva iniziato a sbandare pericolosamente.

Jon aveva tentato di urlare qualcosa per farsi sentire sopra il frastuono, ma presto si era ritrovato costretto a concentrare tutte le sue energie nel tentativo di non farsi spazzare via. Quando a causa del freddo intenso il ghiaccio aveva cominciato a formarsi sulle ali di Rhaegal e il suo volo si era fatto sempre più incerto, Jon aveva saputo che era finita.

Erano precipitati dal cielo, con il drago che tentava disperatamente di frenare come meglio poteva la caduta e Jon che cercava di scorgere qualcosa nella coltre di nebbia che sembrava avvolgere quei luoghi.

Quando Rhaegal aveva colpito il suolo, Jon aveva perso la presa sulle sue scaglie, cadendo chissà dove. Da quel momento in poi non ricordava nulla.

Ora guardava con apprensione e timore la donna che sedeva accanto al suo letto. Aveva i capelli scuri trattenuti da una fascia e il suo volto era affilato e austero. Tuttavia, non appena lo vide aprire gli occhi, la donna sorrise e si alzò in piedi.

“Howland, vieni vedere: si è svegliato…” Si era girata verso la porta e presto sulla soglia comparve un uomo.

Jon si tirò a sedere, scrutandolo. Doveva avere l’età che suo padre avrebbe avuto se fosse vissuto e l’aria di chi ha visto la guerra negli occhi. I suoi capelli erano castani e gli sfioravano il collo, mentre gli occhi, oscurati da folte sopracciglia, erano color nocciola. Il suo viso aveva lineamenti squadrati, addolciti solo in parte dalla corta barba rossiccia. Sulla sua cappa Jon notò la spilla dell’alligatore e improvvisamente capì.

“Io sono Howland Reed” si presentò l’uomo, “e lei è mia moglie, Jyana.” La donna chinò appena il capo. “Non ci aspettavamo il tuo arrivo e non di certo in quel modo, vostra grazia.”

Jon dovette reprimere lo stupore. “Sai chi sono?”

Howland Reed sorrise. “La tua spada parla per te.” Accennò a Lungo Artiglio, appoggiata al muro sotto la piccola finestra.

Jon annuì, poi si ricordò di Rhaegal. “Il mio drago…”

“Sta bene” lo interruppe Howland, “non è rimasto ferito dalla caduta e da allora è rimasto fermo sulla riva del fiume. Credo ti stia aspettando.” Il suo tono era calmo, come non fosse affatto sopreso dal fatto che il Re del Nord fosse precipitato davanti casa sua a bordo di un fottuto drago.

Jon si guardò intorno. “Siamo a Torre delle Acque Grigie?”

Howland annuì. “Potrai rimanere finché vorrai” disse cortese. “Io e Jyana siamo onorati di averti come nostro ospite, vostra grazia.”

Jon scosse la testa. “Vi devo la vita” osservò, “credo possiamo lasciar perdere titoli e formalità.” Scostò le coperte e si alzò in piedi. Indossava abiti puliti e si chiese chi fosse stato a spogliarlo mentre era privo di coscienza. Cosa avevano pensato delle sue cicatrici? Jon ricordò l’incredulità negli occhi di Daenerys e allontanò con forza quel pensiero.

Daenerys è morta.

Lady Jyana gli porse una ciotola di terracotta contenente uno strano intruglio. “Bevilo” lo incitò, “ti aiuterà a recuperare le forze.”

Jon chiuse gli occhi e mandò giù la brodaglia senza riprendere fiato. Poi posò la ciotola sul comodino e tentò di ricomporsi.

“Grazie.”

Jyana gli sorrise e il marito la strinse a sé.

“Forse è meglio che ti lasciamo da solo” disse Howland. “Se vorrai fare un giro della Torre potrai trovarmi in salotto.” Poi aprì la porta ed uscì insieme alla moglie, non prima di aver rivolto al loro ospite un ultimo sorriso.

Rimasto solo, Jon si lasciò cadere nuovamente sul letto. Le gambe gli tremavano e la testa gli doleva terribilmente. Tentò di riordinare le idee.

Si trovava nell’Incollatura, nel Nord, ma Grande Inverno era ancora lontana e sarebbe stata difficile da raggiungere con quelle tempeste. Jon si prese la testa fra le mani. Non posso rimanere qui, pensò con angoscia. A quest’ora l’esercito dei morti potrebbe aver già superato Ultimo Focolare. Rabbrividì al solo pensiero.

Se solo Daenerys non avesse agito in quel modo…

Per impedire a vani ricordi di assalirlo, Jon si allacciò gli stivali e lasciò la stanza. Se resto ancora un minuto da solo impazzisco, pensò procedendo a passo spedito.

I corridoi della Torre erano umidi e silenziosi. Jon rimase sorpreso dall’assenza di servitori, per poi ricordarsi che gli Uomini delle Paludi si diceva non amassero la compagnia. Ormai non si sa più se credere o meno alle leggende, pensò con amarezza.

Finalmente trovò il salotto di cui parlava Howland. Il lord di Torre delle Acque Grigie era in piedi davanti alla finestra aperta, mentre Jyana leggeva accanto al fuoco. Quando lo sentirono entrare, entrambi sollevarono lo sguardo.

Howland gli fece cenno di avvicinarsi e gli indicò qualcosa fuori. Jon strinse gli occhi e osservò l’acqua della Forca Verde scorrere ai piedi della fortezza. Sulla riva coperta di neve e fango, immerso nella nebbia, Rhaegal dormiva profondamente. Jon non l’aveva mai visto così in pace.

“Il tuo drago è una bestia fedele” disse Howland e Jon pensò a Spettro.

Hai fatto il tuo dovere, amico mio? Hai protetto mia sorella?

“Non è il mio drago” mormorò Jon solamente e Howland non fece domande. Trascorsero attimi di silenzio.

“Hai notizie da Grande Inverno?” chiese poi Jon temendo che la quiete l’avrebbe distratto da ciò che contava davvero in quel momento.

Howland sospirò. “Non quante ne desideri temo” ammise. “Torre delle Acque Grigie è piuttosto isolata sai, mi stupisce che tu sia riuscito a trovarla.”

“Diciamo che ci sono caduto.”

Lord Reed rise. “Giusto” assentì, poi tornò serio. “In ogni caso so solo ciò che mia figlia Meera mi ha scritto più o meno una settimana fa, quando è arrivata a Grande Inverno. Mi ha detto degli Estranei, del crollo della Barriera e che lei era là, insieme a tuo fratello Brandon.”

Jon sbarrò gli occhi. “Bran?” Com’era possibile fosse sopravvissuto alla vita oltre la Barriera?

Howland annuì. “Sta bene” lo rassicurò, “entrambi sono riusciti a raggiungere Grande Inverno.”

Jon sentì il sollievo scivolargli in corpo, una sensazione di felicità che non provava dall’arrivo di Sansa al Castello Nero. Un altro pezzo della sua vita tornava al posto che gli spettava. “Come hanno fatto?” chiese ancora incredulo “A sfuggire al crollo della Barriera…”

“Meera dice che sono stati salvati da un drago dalle scaglie bianche e dorate.”

Jon si immobilizzò. Viserion.

Howland stava studiando la sua reazione e Jon deglutì a fatica. “Sono i draghi di Daenerys Targaryen, vero?” chiese poi gentilmente lord Reed. Jon non ebbe altra scelta che non quella di annuire, poi guardò Howland negli occhi. Non pensare a lei.

“Ciò che è successo con la Madre dei Draghi non ha importanza ora” disse a bassa voce, “le sue intenzioni non hanno più importanza. L’unica cosa che voglio è tornare a casa per poter aiutare il mio popolo in questa guerra, solo questo mi preme.”

Gli occhi di Howland divennero lucidi di commozione. “Parli proprio come Ned” mormorò e Jon sentì una fitta da qualche parte in quello che restava del suo cuore.

“Voi due eravate molto amici” disse sforzandosi di trovare un tono leggero, “mio padre ci raccontava sempre di come avete combattuto alla Torre della Gioia.”

Howland e Jyana si scambiarono una rapidissima occhiata, che tuttavia non sfuggì a Jon.

“Vorrei parlare con Jon Snow da solo” disse lord Reed rivolto alla moglie.

“Howland…”

“Jyana, per favore” la interruppe subito Howland. Si guardarono negli occhi per qualche istante, poi lady Jyana chiuse il libro, si alzò e uscì dalla stanza.

Howland si voltò nuovamente verso Jon. “Seguimi” disse semplicemente, avviandosi a sua volta verso la porta. Senza parole, Jon gli andò dietro.

Attraversarono molte stanze anguste e salirono diverse rampe di scale prima che Howland si fermasse. Jon scoprì di essere stato condotto in quella che sembrava la stanza più alta della Torre. C’erano due sedie, un piccolo baule nascosto in un angolo e un camino acceso. La finestra era troppo piccola perché la luce potesse veramente illuminare la stanza, che perciò risultava avvolta da una tetra penombra.

Howland si sedette e fece cenno a Jon di fare lo stesso. Si stava accarezzando la barba e il suo sguardo era vacuo.

“Credi nel vero amore, Jon Snow?”

Jon, colto alla sprovvista, non rispose subito. Pensò a Ygritte e ai suoi capelli baciati dal fuoco, alla passione che aveva acceso le loro notti e alla freccia che aveva posto fine alla sua vita. Mi avrebbe ucciso se Olly non avesse scoccato quella freccia.

Poi il pensiero di Daenerys tornò a farsi strada prepotentemente nella sua testa e Jon sentì la rabbia assalirlo.

“No.”

Howland tirò un sospiro profondo.

“Quello che esisteva fra i tuoi genitori era vero amore.”

Fu come se il mondo intero si fosse fermato, congelato in quell’attimo. Jon alzò la testa di scatto, il cuore che già batteva all’impazzata. Mia madre…

“T-tu sai chi è m-mia madre?” balbettò, l’emozione che gli impastava la lingua.

“So chi sono i tuoi genitori.”

Jon quasi non ascoltava, la sua mente intenta ad assaporare in anticipo il momento di quella rivelazione. Non temere, padre, pensò commosso, lord Howland manterrà la tua promessa. Rivolse a lord Reed uno sguardo carico di impazienza e lo vide mordersi il labbro.

“Tua madre era la donna più forte che io abbia mai conosciuto” iniziò Howland e Jon fu subito colpito come un pugno da quell’era. Allora è morta, pensò cercando di stabilizzare il suo respiro.

“Al grande torneo di Harrenhal fui preso di mira da tre cavalieri” continuò lord Reed, “non ricordo neppure i loro nomi, solo che mi picchiarono perché credevano che gli Uomini delle Paludi fossero mostri. Io non riuscivo a difendermi, ma poi è arrivata tua madre brandendo una spada e li ha messi in fuga. Mi ha aiutato a rialzarmi e mi ha portato nella tenda della sua famiglia.”

Howland fissò Jon negli occhi. “Lei era già promessa a un lord” continuò, “ma io ho visto il modo in cui lei e tuo padre si guardavano. Non puoi comandare al tuo cuore, Jon Snow, è questo che da sempre rende deboli i giuramenti dei Guardiani della Notte, così facili da spezzare. Non si può rinunciare all’amore.”

Sospirò. “Io ero là il giorno in cui è morta” mormorò con voce spezzata. “Ho visto il letto intriso di sangue, ho visto Ned abbracciare il suo cadavere, ho dovuto separarlo da lei con la forza.”

Jon si accorse di star trattenendo il respiro. “Cos’è successo?” chiese con un filo di voce.

Howland tornò a guardarlo. “Cosa sai dei fatti accaduti alla Torre della Gioia?”

Jon strizzò le palpebre, disorientato dalla domanda. “So che mio padre ha sconfitto ed ucciso ser Arthur Dayne” disse, “ma che non ha fatto in tempo a salvare mia zia Lyanna.”

Howland scosse il capo. “Tutte menzogne.”

Jon lo fissò incredulo. “Ma…”

“Ascoltami” lo interruppe Howland, “Arthur Dayne avrebbe ucciso Ned se non fossi stato abbastanza vile da pugnalarlo alle spalle.”

Jon ascoltava sempre più esterrefatto. Non è possibile, mio padre non avrebbe raccontato una bugia.

“E Lyanna non è stata uccisa da Rhaegar Targaryen come tutti al Nord credono” continuò Howland.

Questa volta Jon scosse la testa convinto. “Rhaegar ha rapito mia zia” disse sicuro, “l’ha portata a Dorne, l’ha stuprata e poi l’ha uccisa.”

“Questa è la storia che è stata diffusa così a lungo da affossare la verità” ribatté Howland, “la verità che Rhaegar e Lyanna si amavano, che sono fuggiti insieme da un destino che non volevano.”

Jon tacque un attimo, un terribile presentimento che si impossessava lentamente di lui. Cercò di allontanarlo, ma quello tornava ogni volta.

“Allora, se ciò che dici è vero, come è morta Lyanna?”

Howland lo osservò con sguardo pieno di compassione. “E’ morta di parto” disse con calma, “dando alla luce il figlio suo e di Rhaegar, un bambino che Ned giurò di proteggere e che allevò a Grande Inverno come suo bastardo.”

La mente di Jon non realizzò subito la rivelazione e lui fissò confuso Howland per una manciata di secondi. Poi si sentì mancare e dovette aggrapparsi con forza ai braccioli della sedia. Tutto ciò non ha senso, si disse per calmarsi, tutto ciò non ha senso.

“Stai mentendo” sibilò, senza neanche riconoscere la propria voce.

Howland scosse il capo. “No” replicò con voce grave, “per quanto la verità possa far male, non si può cambiarla.”

Jon stava tremando violentemente, forse di rabbia, forse di paura o forse solo di freddo. “Mio padre era Eddard Stark” disse alzando la voce, sperando che facendolo avrebbe convinto sé stesso.

“Lo è diventato” assentì Howland, “ma i tuoi genitori sono Rhaegar Targaryen e Lyanna Stark.”

Il fratello di Daenerys.

“NO!” Jon aveva urlato, ma nemmeno se n’era accorto. In ogni caso non aveva alcuna intenzione di scusarsi.

Howland Reed si protese in avanti. “Tua madre in punto di morte fece promettere a Ned di proteggerti” raccontò, “di nasconderti agli occhi di Robert Baratheon che aveva giurato di sterminare i Targaryen. Sei fortunato a non aver ereditato i tratti di tuo padre. Assomigli così tanto a Ned che nessuno avrebbe dubitato fossi davvero suo figlio, ma in te c’è il sangue del drago.”

“Io non sono un Targaryen” disse Jon, la voce come veleno. Ormai tuttavia la realtà gli si stava concretizzando davanti agli occhi. La sua intera esistenza era stata una menzogna, un inganno.

Solamente esistendo aveva esposto la sua famiglia ad un rischio enorme, un rischio che i suoi fratelli non avevano mai meritato.

Cugini.

Improvvisamente Jon sentì la necessità di piangere. Aveva trascorso una vita odiando la propria condizione di bastardo, invidiando i privilegi di Robb, sognando di poter diventare uno Stark, quando in realtà sarebbe dovuto grato agli déi di essere vivo. Mio pad… Mio zio ha sacrificato il suo onore per salvarmi, realizzò senza fiato. Ha messo in pericolo la sua posizione, la sua amicizia con il re, i suoi stessi figli. Io non meritavo tutto questo.

Rhaegar e Lyanna forse si erano davvero amati, ma con le loro azioni avevano condannato i Sette Regni a una guerra senza fine. Non erano stati capaci di stare al loro posto e il mondo aveva sanguinato per il loro egoismo. Jon pensava di poterli odiare per questo. Erano fuggiti insieme, avevano generato un bastardo ed erano morti, incuranti dell’equilibrio che avevano spezzato.

Howland stava frugando nel baule dandogli le spalle, per poi riemergere con qualcosa in mano. “La copia originale è andata perduta” spiegò porgendo a Jon un foglio di carta, “ma fortunatamente tua madre conservava ancora questa in un cassetto alla Torre della Gioia. Ned mi ha incaricato di custodirla.”

Jon si alzò in piedi e prese il documento con mano incerta, sforzandosi di leggerlo attraverso le lacrime represse che gli offuscavano la vista.

Da oggi fino alla fine dei tempi affermo che Lyanna di casa Stark e Rhaegar di casa Targaryen sono un’unica mente, un unico corpo, un unico cuore. Che gli Antichi Déi concedano loro molti figli e benedicano questa unione.

Jon non sapeva cosa dire, perciò rimase in silenzio.

Howland Reed gli venne vicino e gli mise una mano sulla spalla. “Sai cosa significa, vero?” chiese con gentilezza “Questo documento prova che sei il loro figlio legittimo, nonché primo nella linea di successione al Trono di Spade, se i Targaryen avessero continuato a governare a Westeros.”

A Jon stavolta venne da ridere. Daenerys e i suoi discorsi, maledisse mentalmente. Mi avrebbe fatto decapitare se fosse venuta a conoscenza di questa storia.

E’ mia zia.

Il pensiero colpì Jon come un fulmine, lasciandolo stordito. Quindi quando erano andati a letto insieme era stato incesto? Jon non voleva davvero pensarci, troppo disgustato dalla sola idea. Howland lo stava osservando.

“Jaehaerys Targaryen.”

Jon lo guardò confuso. “Cosa?”

“Jaehaerys Targaryen” ripeté lord Reed, “è questo il nome che tua madre scelse per te. Ned poi lo cambiò in Jon in onore di Jon Arryn. Penso sperasse così di diventare per te il padre che lord Arryn era stato per lui.”

Jon non replicò. Anche il mio nome è una finzione.

“So che tutto questo è difficile per te” continuò Howland, “so che probabilmente sei arrabbiato con i tuoi genitori, con il mondo intero per averti rovinato la vita. Ma sappi che tua madre ti amava, che tuo padre lasciò tre delle più forti Guardie Reali a difenderti e che Ned ti considerò da subito come suo figlio.”

Ora Jon stava piangendo, senza più cercare di trattenere le lacrime. “Era tutto quello che volevo” sussurrò, “renderlo fiero, essere davvero suo figlio. Ho trascorso tutta la mia vita credendomi un bastardo, odiandomi per ciò che ero e temendo di perdere la mia famiglia. Quando partii per la Barriera pensai di potermi lasciare tutto alle spalle, ne ero convinto, ma non fu mai possibile. Credevo mia madre fosse una puttana, mi vergognavo di questo, ma il pensiero di mio padre mi dava forza. E’ sempre stato il mio orgoglio, poter dire di essere suo figlio, l’unico esempio che sentissi di poter seguire, che mi faceva credere ancora nel bene di questo mondo.”

Jon sospirò. “E ora scopro che non era vero” proseguì con amarezza, “che la sorte beffarda mi ha sottratto anche l’unica cosa che la vita mi aveva concesso.”

Howland scosse energicamente il capo. “Lo sai che non è così” disse, “potrai essere figlio di Rhaegar Targaryen, principe dei Sette Regni, ma tuo padre resterà sempre Eddard Stark. Le cose che ti ha insegnato vivranno con te e i suoi figli saranno sempre i tuoi fratelli.”

Jon aveva la gola secca. “Non sono Jaehaerys Targaryen.”

“Questo dipende da chi tu scegli di essere” replicò lord Reed, “e questo forse ti può aiutare.”

Jon prese in mano il secondo foglio, ormai quasi insensibile a qualunque altra emozione. “Che cos’è?” chiese con voce atona.

“Il testamento di Robb Stark” rispose Howland, “scritto poco prima degli eventi delle Nozze Rosse, quando credevamo Bran e Rickon fossero morti, ed affidato a me, Maege Mormont e Galbart Glover. Loro sono morti e questo è rimasto a me.” Lo incoraggiò con lo sguardo a leggerlo.

Jon ebbe un tuffo al cuore quando riconobbe la scrittura e la firma di Robb.

Io, Robb Stark, lord di Grande Inverno, Re del Nord e del Tridente, in caso di una mia prematura dipartita senza eredi, dichiaro che a succedermi quale Re del Nord debba essere mio fratello, Jon Snow, che io legittimizzo come Jon Stark di Grande Inverno.

Se Jon aveva pensato di essere diventato immune alle emozioni si era sbagliato di grosso. Continuò a fissare quel pezzo di carta per diversi secondi.

Jon Stark di Grande Inverno.

Jon non poteva credere Robb avesse davvero fatto una scelta simile. Io ero un confratello dei Guardiani della Notte all’epoca, pensò esterrefatto.

Fino a pochi mesi prima una rivelazione del genere gli avrebbe regalato una gioia incredibile, ma quante cose erano cambiate? La gioia non era più un opzione.

Howland si avviò verso l’uscita. “Meglio che tu rifletta un po’ da solo” disse con la mano sulla maniglia, “non voglio intromettermi più di quanto sia già stato costretto a fare. Ma lo dovevo a Ned e Lyanna…”

Quando la porta si chiuse silenziosa, Jon quasi non se ne accorse. Il suo sguardo si spostava dal contratto di matrimonio dei suoi genitori al testamento di Robb.

Adesso cosa avrebbe fatto, come avrebbe convinto qualcuno a combattere ancora per lui? I lord del Nord gli avrebbero sputato addosso appena scoperta la verità sulle sue origini Targaryen e, semmai fossero riusciti a sopravvivere in qualche modo alla Grande Guerra, Daenerys l’avrebbe fatto certamente ammazzare.

Dall’altra parte, Jon sapeva di non poter fingere di essere chi non era, di non poter accettare un nome che non era suo.  Jaehaerys Targaryen non esiste, Jon Stark non può esistere.

Ma allora lui chi era?

Jon prese un respiro profondo. Ricordò ogni cosa che aveva amato della sua famiglia, il sorriso di Sansa quando avevano ripreso Grande Inverno, lo sguardo fiero di Ned davanti ad un bersaglio centrato alla prima freccia, la risata di Robb quando perdeva una sfida, la dolcezza di Bran ogni volta che perdonava qualcuno, la curiosità di Rickon quando gli avevano messo in braccio Cagnaccio la prima volta, gli occhi sgranati di Arya quando le aveva regalato Ago.

Pensò a Spettro che lo aspettava fedele, a Sam sepolto sotto la polvere della Cittadella, a Davos e Tormund che l’avevano sostenuto durante le scelte più delicate. Ripensò a Lyanna Mormont che lo sceglieva come suo re.

Tutti loro hanno creduto in me, realizzò allora Jon, mi hanno seguito per quello che sono. Maestro Aemon non avevano scelto Jaehaerys Targaryen come lord Comandante dei Guardiani della Notte, i lord del Nord non avevano eletto Jon Stark come loro re. Avevano tutti seguito Jon Snow.

Ormai risoluto, Jon si alzò in piedi ed andò verso il caminetto. Gettò il contratto di matrimonio nel fuoco, ma la sua mano esitò quando fu il turno del testamento. Indeciso, lo piegò con cura e lo mise in tasca.

Nessuno verrà mai a sapere di tutto questo, pensò osservando la carta che diventava cenere. Il Nord ha bisogno di me e non dei miei titoli veri o presunti.

Jon andò alla finestra e si sporse appena. Vide che Rhaegal guardava nella sua direzione, attendendo paziente di ripartire. Jon inspirò e si avviò verso la porta.

La Grande Guerra non avrebbe risparmiato nessuno e il tempo dei dubbi era finito da un pezzo.



                                                                "La vita può essere capita solo all'indietro, ma va vissuta in avanti."



N.D.A.

Ehila.... *corre a nascondersi*
Ne è passato di tempo eh... Sono davvero mortificata, non avrei mai pensato di fare un ritardo del genere, ma poi c'è stato Natale in mezzo, la scuola è ricominciata, così come l'ansia per la maturità e mille altri problemi. Inoltre il blocco dello scrittore alla fine ha colpito pure me. Non certo su questo capitolo, ma sto ferma a 29 a pochi passi dalla fine senza riuscire a concludere. Temo di aver perso tutto il mio entusiasmo per questa storia e non riesco più a ad andare avanti e quindi continuare a postare i capitoli vecchi mi fa male e ogni volta ho paura di cosa succederà quando raggiungerò il momento in cui non ce ne saranno altri pronti. Ormai sento mi sia passata tutta la voglia di scrivere questa storia, la stessa voglia che mi spinse a iniziare a pubblicarla, perchè ho superato la mia "fase fanfiction" e ho invece un libro originale che ho iniziato a scrivere e che invade i miei pensieri. Ma tenterò lo stesso di tenere duro e darvi la conclusione (avevo previsto sui 35 capitoli, uno più uno meno) che meritate. Non voglio deludervi, spero di ricevere il vostro supporto perchè questo è il momento peggiore per uno scrittore, quando non ama più la sua creatura. Rileggo questi capitoli scritti ormai più di un anno fa e non mi piace il mio stile, sento di essere ormai andata troppo avanti e che dovrei lasciar perdere. Ma voglio riuscire a portarla a termire e sappiate che tenterò con tutta la mia buona volontà a darmi da fare. Ci tenevo però a essere onesta con voi, specialmente nei confronti di chi segue questa storia da tempo. Sappiate che il vostro supporto è tutto per me.

Passanso al capitolo, che dire, il POV di Jon è in assoluto uno dei miei preferiti. Io sono dell'idea che debba essere Howland a svelare le sue origini e alla fine è, come diceva Meera, il destino a portare qualcuno a trovare Torre delle Acque Grigie. Ho tentato di catturare i sentimenti di Jon nella loro complessità, perchè non credo molti si rendano conto quanto possa distruggerti il fatto che l'unica cosa che ha rappresentato il tuo fare nella vita (nel caso di Jon, essere figlio di Ned) si dimostri una menzogna. Ma alla fine riesce a uscire dal vortice più forte di prima, con la consapevolezza di non aver bisogno di alcun nome per poter aiutare la sua gente. In un certo senso è andato oltre la mentalità del tempo. Ha distrutto il documento del matrimonio (seppur non sapendo che l'originale scomparso è in mano di Sam e Bran), ma non ha avuto la forza di bruciare anche quello di Robb. Alla fine il legame con la sua famiglia rimane lo stesso.
Lo so che il nome di Jon è Aegon, ma quando scrissi il capitolo girava la teoria del nome come Jaehaerys e mi piaceva così tanto che non ho voluto correggerlo.

Per il resto spero davvero il capitolo sia stato apprezzato, ma mi guardo bene dal far promesse su quando di nuovo aggiornerò la storia XD XD Vi prometto che tornerò, tenterò di tornare agli aggiornamenti ogni due settimane, ma non me la sento di promettere nulla.
Vi adoro tutti se siete arrivati fin qui e ancora seguite questa storia nonostante tutto!
Alla prossima!


NB:  anche stavolta ben due citazioni!! La prima è di Anna Frank, mentre la seconda di Kierkegaard. Ovviamente sono riferite alla scoperta delle sue origini da parte di Jon, ma anche alla sua decisione di non rimanere a piangersi su, ma piuttosto agire e andare avanti.



 

 

 

 

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