Seconda opportunità

di Fata_Morgana 78
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***
Capitolo 4: *** Quarta parte ***
Capitolo 5: *** Quinta parte ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prima Parte ***


La cena era ormai finita da un pezzo, il coprifuoco stava per scattare e per i corridoi il vociare degli studenti delle varie Case andava scemando.
C’erano poche luci accese. I sotterranei, regno della Casa dei Serperverde, erano fiocamente illuminati; solo uno spicchio di luce più forte “offendeva” il corridoio.
 La studentessa, con il cuore in tumulto, lasciò passare l’ultimo gruppo di compagni di Casa; poi uscì dal ritratto che dava l’accesso alla Sala Comune e si incamminò silenziosa lungo il corridoio fermandosi davanti alla porta dell’Aula di Pozioni.
- Professore, mi scusi se la disturbo. – parlò con voce bassa e titubante - Posso farle una domanda? – continuò aprendo la porta che scricchiolò debolmente.
 L'uomo, che aveva tolto la veste che indossava solitamente durante le lezioni ed era rimasto con un paio di pantaloni aderenti ed una camicia nera, era impegnato a mettere a posto degli ingredienti di pozioni, ed alzò un sopracciglio osservando la sua studentessa entrare.
 La ragazza, nascondendo il viso dietro il caschetto biondo ramato, con un sospiro continuò:
-  Oh sì lo so. Le ho già fatto una domanda.
Il Pozionista non poté far a meno di increspare le labbra in quello che poteva assomigliare ad un sorriso. Ma durò poco, perché lo sguardo nero come una notte senza stelle dell'uomo, fu attraversato da un lampo irritato e la ragazza pensò bene di sbrigarsi a porre la sua domanda.
-  Non aveva detenzione stasera, signorina. – parlò con la sua voce strascicata, un po’ annoiata.
La ragazza annuì mentre osservava le mani dell'uomo muoversi sicure dividendo gli ingredienti per le pozioni, lo sguardo di lei era calamitato dalla pelle diafana, che sembrava così liscia, e dalle unghie ben curate, rimaste macchiate qua e là da qualche ingrediente.
-  È vero, signore. Ma avevo bisogno di chiederle una cosa. - continuò avanzando verso il bancone, gli occhi fissi sulle mani dell'uomo.
Il pozionista sbuffò, attirando l'attenzione di lei sui suoi occhi.
- Non ho tutta la sera per lei, signorina. – disse acidamente.
- Ha ragione signore. – sobbalzò – Volevo chiederle se potevo aiutarla a smistare gli ingredienti.
L'uomo la osservò in silenzio per alcuni secondi, durante i quali lei si mordicchiò le labbra, cercando di evitare di guardarlo negli occhi troppo a lungo.
- Si accomodi signorina Johnson. - le fece posto al tavolo, mostrandole alcuni ingredienti ancora da sistemare.
- Grazie professor Piton. - esultò felice lei mettendo la sua borsa e la tunica su una sedia poco lontano.
- Ha chiesto al suo Caposcuola il permesso? - domandò notando in quel momento i colori della Casa Serpeverde.
- Non ne ho bisogno, signore. - scosse la testa dopo averlo guardato negli occhi, il nero opale di lui si mescolò al miele di quelli di lei, che sentì le guance colorarsi di rosa acceso - Sono io il Caposcuola di Serpeverde quest'anno. Basta che lei mi firmi un permesso per rientrare. - gli fece un sorriso incerto e continuò a sistemare gli ingredienti.
 Severus si limitò a emettere un suono annoiato, poi chinò il capo continuando a lavorare in silenzio, concentrandosi sui preziosi ingredienti che erano finalmente giunti al Castello dal villaggio magico sulle coste gallesi dal quale si rifornivano solitamente.

I due, lavoravano in armonia per buona parte del tempo, apprezzando l’uno la silenziosa compagnia dell'altra. Il professor Piton, aveva riconosciuto la strega che si era affacciata nella sua aula quella sera: era Clarice Johnson una delle studentesse migliori della sua Casa; ma, aveva preferito fingere di non sapere chi lei fosse realmente. Dal canto suo, la signorina Johnson Caposcuola Serpeverde, era colpita dalla propria audacia. In tutti gli anni di Scuola non aveva mai osato tanto, non aveva mai trovato il coraggio di avvicinarsi a quell’uomo che tormentava i suoi sogni e che faceva accelerare i battiti del suo cuore; così di tanto in tanto, lanciava rapide occhiate al profilo del suo professore, trovandolo "interessante".
Severus, troppo concentrato dalla catalogazione degli ingredienti, si era quasi dimenticato di non essere solo e sobbalzò quando sentì provenire un gemito di dolore da parte della sua alunna.
- Signorina che succede? – la chiamò girandosi e, notando che si era tagliata, continuò – Come ha potuto essere così distratta?
- Mi scusi professore. – mormorò cercando di essere sarcastica; ma la ferita bruciava come lava, e gli occhi chiari della ragazza erano pieni di lacrime di dolore.
- Mi faccia vedere. – disse perentorio prendendo la mano ferita nella sua.
Clarice sobbalzò, la mano dell’uomo era semplicemente perfetta: grande, calda, la pelle del palmo era morbida, rassicurante. La mano di Clarice stava raccolta nel centro del palmo della mano di Severus, come una rondine in un nido.

 La ragazza non poté impedirsi di arrossire. Il calore della mano del docente sembrò diffondersi in tutto il suo corpo.
- Cosa stava facendo? – le domandò.
- Stavo sistemando quelle radici. – gliele indicò con un cenno del capo – Mi è sfuggito il coltello di mano. – spiegò mentre lui ripuliva la ferita con un panno pulito.
- Non le ho dato un coltello. – la sgridò stringendo gli occhi.
- Lo so. – fece un sorriso mesto – Ho usato il mio. Una mia antenata era una Pozionista molto conosciuta, professore. Data la mia passione per questa materia, mia madre ha deciso di regalarmi i suoi strumenti. – chiarì indicandoglieli sul tavolo.
- Non le avevo chiesto di tagliare nessuna radice. – la sgridò brusco mentre osservava i lembi della ferita.
- Volevo fare un lavoro il più accurato possibile, professore. – spiegò.
- Questo dimostra che non è poi così brava come la sua antenata, no? – disse con cattiveria costringendola a guardare la mano ferita.
- È crudele. – sibilò tra i denti.
- Signorina, la vita…
- È ingiusta, lo so bene. – concluse la studentessa sfilando la mano da quella calda dell’uomo, non appena se la portò al petto, Severus avvertì uno strano senso di vuoto nel proprio palmo.
- Non ho ancora finito di disinfettarla. La radice che stava tagliando è…
- Mandragora. – concluse – Ma sto bene. – tentò di rassicurarlo; ma l’uomo non le credette e, prendendola per un braccio, la costrinse a sedersi.
- Visto che è una studentessa del Settimo Anno, e che ha “passione” per la materia che insegno, – replicò seccamente – dovrebbe sapere quali controindicazioni ha la radice di Mandragora.
- Li conosco signore. – gemette mentre l’uomo riprendeva a disinfettarla con attenzione.
- Perché non l’ho mai notata alle mie lezioni? – le chiese fasciandola dopo aver applicato una pomata rinfrescante.
- Perché non mi piace stare al centro dell’attenzione. – rispose sospirando di beatitudine, le mani calde dell’uomo erano piacevoli sulla sua pelle fredda.
- Vada a pulire i suoi strumenti. – la congedò – Per stasera abbiamo fatto abbastanza. – l’orologio della Scuola suonò 12 rintocchi.
- È mezzanotte. – sorrise Clarice – L’ora delle streghe, come diceva sempre mia mamma.
- Che sciocchezza. – roteò gli occhi il Pozionista.
- Mia madre è nata e cresciuta tra Babbini, professore. – spiegò con un’alzata di spalle – La sua famiglia era scappata dall’Inghilterra Magica e, per anni, hanno vissuto nella parte non magica.
- Non sono affari che mi riguardano, signorina. – la zittì brusco.
- Ha ragione. – sobbalzò – Ma visto che è per colpa sua se mi sono tagliata, pensavo volesse ascoltarmi.
- Colpa mia? – chiese inarcando un sopracciglio.
- Le sue mani. - ammise a denti stretti e voce bassa - Mi sono incantata ad osservare le sue mani al lavoro.
- Sciocchezze. - sbottò allontanandosi di scatto, come se lo avesse punto - Lei vaneggia, signorina. - e, indicandole la porta con un gesto, la invitò ad uscire.
Clarice, ricacciando indietro alcune lacrime, raccolse tutte le sue cose e, arrotolando con cura i propri strumenti di lavoro, osò alzare lo sguardo sull’uomo che si era messo in disparte perso nel suo mondo.
- È molto tardi. Torni nel dormitorio.
- Se preparassi ora l’Amorentia, sono certa che sentirei odore di vecchi libri, ingredienti per pozio...
- La smetta. - la zittì facendo un passo verso di lei - Non deve neanche pensarle queste cose. Se ne vada. - e le girò le spalle, tremando di rabbia.
- Buona notte signore. - mormorò prima di uscire, il cuore gonfio di angoscia.

La notte trascorse lenta e dolorosa per entrambi. Clarice non riuscì a riposare e lasciò vagare il proprio cervello in libertà, immaginando chissà quale futuro per lei che era una Pozionista così naturalmente portata. Avrebbe voluto studiare, approfondire le ricerche e le scoperte fatte finora, ma immaginava che i suoi genitori avessero per lei altri piani. Magari un matrimonio combinato e la conseguente interruzione dei suoi studi. Una lacrima dispettosa le accarezzò la guancia, nessuno sembrava mai interessato a sapere cosa lei avrebbe voluto fare “da grande”. Sembrava che tutti dessero per scontato che lei sarebbe stata una moglie ubbidiente, una madre amorevole. Ma, in quel momento, lei voleva essere tutt’altro che una “sforna bambini”, voleva dimostrare al mondo magico quanto valesse come ricercatrice. Ma, nessuno, si fermava mai abbastanza a lungo per ascoltare realmente la risposta che teneva celata nel cuore.
Severus, dal canto suo, non appena la ragazzina uscì dall’aula, raggiunse i propri alloggi e, dopo essersi tolto toga e mantello, si versò una generosa dose di whisky, lasciandosi sprofondare nella sua poltrona preferita.
Sospirando, dopo aver finto di bere, estrasse dalla camicia un ciondolo da cui non si separava mai e lo aprì.
Dal ciondolo, prese “vita” una miniatura di Lilian Evans che lo fissava coi suoi occhi grandi e troppo sinceri.
- Oh Lily. - gemette alzando verso di lei il bicchiere con il liquore - Possibile che ogni, dannato, anno sia sempre la stessa storia?
La figura fece un mezzo giro su sé stessa, poi mosse pochi incerti passi, sembrava stesse pattinando sul ghiaccio. L’uomo la osservò con un sorriso triste.
- Perché allontani sempre tutti, Piton? - parlò una voce, era quella della “sua” Lily - Perché non cerchi di...
- Andare avanti? - ringhiò Piton chiudendo il ciondolo - Tu lo hai fatto, Evans. Hai scelto Potter, lo hai sposato e generato un figlio con lui. Ed io... - scagliò il bicchiere contro il camino - Io ho ucciso entrambi... io... - un singhiozzo lo fece zittire e, troppo stanco per sopportare oltre la tensione della giornata, decise di andare a letto aiutando il proprio sonno con una delle sue formidabili pozioni.

Il mattino dopo, il Castello, si svegliò con il chiacchiericcio allegro degli studenti. Era sabato, c’era uno spiraglio di sole, non c’erano lezioni e tutti erano più felici e rilassati.
Clarice, che non sopportava il cicaleccio delle sue compagne di casa, prese le sue cose per disegnare e raggiunse il lago nero. Scovò un posto isolato, al sole, ed iniziò a disegnare. Dapprima, fece una bozza del paesaggio circostante; poi iniziò a disegnare ciò che più di tutto l’aveva ossessionata: le mani di Severus Piton. Era così concentrata sul proprio disegno che si accorse di non essere più sola, solo quando una voce parlò, facendole cadere di mano il suo prezioso album.
- È dotata di molti talenti, vedo.
- Professore. - balbettò raccogliendo i disegni - Non è buona educazione spaventare una persona in questo modo.
- Persona? - arcuò un sopracciglio - Mai considerate persone i miei studenti. Comunque, ad ogni buon conto, non volevo spaventarla. Di solito non trovo mai nessuno qua.
- Non avevo mai notato questo posto. - mormorò con gli occhi bassi - Vedo che ha compagnia. - continuò indicando il libro con la mano fasciata - La lascio alla sua lettura. Buona giornata, signore.
Clarice raccolse i carboncini e le matite, si era legata i capelli usando un pennello, il professore non riuscì a trattenere un sorriso.
- C’è abbastanza spazio per entrambi. - la fermò, stupendosi lui stesso di averlo detto - Come sta la sua mano, signorina?
- Non bene. - ammise - Sono passata da madama Chips, che ha provveduto a medicarla e darmi delle pozioni. - la studentessa si arrischiò a guardarlo negli occhi - Ho avuto una reazione simile anche lavorando con le radici di Mandragora in serra, professore. - fece un mezzo sorriso - Forse sono allergica alla radice.
- Ne sono desolato. - replicò con un cenno del capo.
- Colpa mia e della mia inettitudine, professore. - cercò di usare un tono allegro, ma risultò talmente finto che Severus cercò con lei il contatto visivo. Clarice sentì il tocco della mente del giovane insegnante e, scuotendo la testa, continuò - Occlumante naturale, professore. Non insista.
- Una Serpeverde dotata di molteplici talenti. - ghignò - Abile Pozionista. Ambiziosa. Disegnatrice. Occlumante. Che altro?
- Innamorata della persona sbagliata. Intrappolata in una famiglia retrograda. Costretta ad un matrimonio combinato. - si strinse nelle spalle - Disperata, perché odia la propria vita fuori da questa Scuola.
- Fatalista. Esagerata. Degna Serpeverde.
- Già. - Clarice aveva terminato di sistemare le sue cose - Buona lettura, professore. - e si incamminò lungo il sentiero, senza voltarsi mai indietro.
 
Severus la osservò chiedendosi se stesse sbagliando a chiuderla fuori dalla propria vita. Poi si osservò: cosa avrebbe potuto dare lui, un uomo nero dentro e fuori, a quel tenero fiore? Sospirando, tentò di leggere, ma gli occhi d’ambra di Clarice non sembravano volerlo lasciare in pace.
Sulla via del ritorno al Castello, trovò Silente che stava parlando con un gruppo eterogeneo di studenti di case ed età diverse.
- Ooh mio caro ragazzo. - lo accolse con il suo sorriso sereno - Va tutto bene?
- Buongiorno Albus. - lo salutò con un breve inchino - Sì, ho dormito poco.
- Problemi di cuore? - chiese il Preside della Scuola.
- Hm?
- Una delle studentesse migliori della tua Casa, - continuò invitandolo a passeggiare - questa mattina mi ha chiesto di poter essere esonerata da alcune lezioni. - lo guardò da dietro gli occhiali a mezza luna - Mi ha detto che vorrebbe dare i MAGO in quelle materie da privatista.
- E chi è costei, Preside?
- Johnson...
- Clarice Johnson? - sobbalzò trattenendo il fiato il Pozionista.
- Sì lei. Mi ha detto che ha problemi di salute e che deve fare dei controlli.
- Bugie. - ringhiò e, chiedendo scusa, lasciò l’uomo da solo e sparì in un frusciar di mantello.
Rapido, Severus raggiunse il dormitorio della sua Casa e, dopo essere entrato, chiese agli studenti rimasti dentro a poltrire, se avessero visto la loro Prefetto. Tutti risposero di no, si erano visti a colazione e poi la ragazza era come sparita. Il professore li ringraziò con un cenno della testa, poi uscì a cercare la studentessa. La trovò al limite della Foresta Proibita che, seduta per terra su un cuscino di muschio, stava disegnando un cucciolo di Trestal.
L’arrivo del professore spaventò il cucciolo che, emettendo il suo particolare verso, raggiunse il resto del branco.
- Oh è lei. - lo accolse Clarice.
- Aspettava qualcun altro?
- In verità no. - ridacchiò - Di solito passa Hagrid a ricordarmi che ho perso troppo tempo a disegnare, credevo fosse lui. - lo guardò dritto negli occhi, trovandolo bellissimo contro lo sfondo delle chiome degli alberi della Foresta - Ho capito che non poteva essere Hagrid, quando il piccolo Trestal è fuggito. Non conosce il suo odore, professore, lo ha spaventato. - mandò la testa di lato chiedendo - Lei li vede?
- Sventuratamente sì. - rispose acido.
- Scusi. - sobbalzò lei mordendosi il labbro - Ho la tendenza a parlare senza riflettere. - gli fece un piccolo sorriso, a cui lui rispose con un breve sospiro.
- Ha del talento. - disse indicando il disegno.
- Dice? - storse la bocca, critica - Avrei potuto fare meglio. È un po’ come per le pozioni.
- Sciocchezze. - la interruppe con uno sbuffo - Se fosse più brava di così, sarebbe lei dietro la cattedra ad insegnare.
Clarice avvampò deliziosamente, si alzò dal cuscino di muschio e si ripulì i pantaloni che aveva indossato quel giorno.
- Potrei vedere alcuni dei suoi disegni?
- Certo. - la strega passò il fascicolo di disegni al professore e lui iniziò a sfogliarli osservandoli con attenzione.
C’erano disegni di paesaggi, alcuni di compagni di Scuola e molti dedicati al laboratorio durante la preparazione di alcune pozioni. C’erano anche disegni più “leggeri”, come di uno Snaso che sembrava vero, oppure il ritratto dettagliato di un Boccino d’Oro e, quello che lo fece arrossire leggermente, fu il disegno che la ragazza aveva dedicato alle sue mani.
- Quando ha fatto questo? - domandò con la sua voce strascicata il Pozionista. Clarice, che non ricordava quali disegni avesse portato con sé quel giorno, sobbalzò osservando le mani del professore.
- Lo stavo disegnando stamattina al Lago, signore.
- Quando ha osservato così ossessivamente le mie mani?
- Ieri sera, gliel’ho detto, professore. - rispose a disagio.
- Perché ha chiesto di essere esonerata dalle mie lezioni?
- Non è stata una mia scelta. - si strinse nelle spalle - I miei genitori hanno deciso che ad anno nuovo sarò la perfetta moglie di un qualche Lord di Durmstrang. - si strinse nelle spalle - Studiare è accessorio. Farò meno lezioni perché... - lacrime di rabbia e singhiozzi ruppero il sarcastico fiume di parole della giovane strega.
- Non è giusto. Lei è tra le migliori del suo anno di studio. Ha molte possibilità di fare la differenza.
- Grazie signore. - mormorò Clarice.
- Ci sarà qualcosa che possiamo fare.
Lei scosse la testa e spiegò al professore che i suoi genitori avevano previsto per lei una serie di visite ed esami al San Mungo per garantire che fosse in grado di generare figli e in buona salute; e poi una serie di sedute presso un centro estetico per renderla gradevole agli occhi di quello che lei stessa definì il suo compratore.
- Mi sento una bestia da riproduzione. - ammise con un sorriso triste.
- Non è troppo tardi per cambiare la sua vita, signorina. - le mise una mano sulla spalla in un gesto rassicurante.
- Dice, professore? In sette anni di Scuola non ho stretto legami con nessuno. Sono uscita con un paio, forse tre, ragazzi.
- Ha solo 17 anni, non può permettere ad altri di decidere per lei. Davanti alla legge magica lei è maggiorenne, i suoi devono ascoltarla.
- In un mondo perfetto, signore. Nello stesso mondo dove nessun mago oscuro sarebbe mai esistito, dove lei ed io potremmo essere felici e dove io avrei il coraggio di rubarle un bacio. - Clarice mandò la testa di lato aspettando un gesto, una carezza, un sorriso da parte di Severus; ma lui restò lì ad osservare qualcosa dietro le spalle della giovane strega senza dire o fare niente.

Clarice prese i suoi disegni dalle mani dell’uomo e, silenziosa come la neve che cade, scappò in direzione del Castello nuove lacrime a rendere lucidi i suoi occhi color ambra.
- Albus, da quanto sei lì? - domandò Severus.
- Non volevo ascoltare, lo giuro. - si palesò il Preside - Ero venuto a passeggiare quaggiù per sfuggire da Minerva e dai suoi fastidiosi resoconti.
Il Pozionista fece un mezzo sorriso, raggiunse il Preside e camminò in silenzio al suo fianco per alcuni minuti.
- Ma davvero esistono famiglie così tradizionaliste?
- Le famiglie purosangue. - annui l’uomo più anziano.
- Ma è solo una bambina.
- È una giovane donna. - lo contraddisse il Preside - Cresciuta per ubbidire alle richieste dei genitori e del marito. Lei ha tanti sogni nel cassetto. Vorrebbe viaggiare, studiare. Ma farà quello che le hanno ordinato di fare perché la famiglia ha bisogno di questo matrimonio per tornare importante, per azzerare alcuni debiti del padre che ha fatto una serie di investimenti errati.
- Capisco. Ma non è giusto.
- La vita è ingiusta. Non ami ripeterlo come un mantra anche tu, Severus?
- Non è divertente sentirselo dire, signore. - borbottò.
- Fa tu qualcosa per lei.
- Sì, e cosa?
- Datti una possibilità di essere felice.
- Felice? Io ho amato una sola donna e...
- Ed è morta per proteggere il figlio dell’uomo che amava. Lei ha scelto James Potter, Severus. Sono anni che ti struggi nei sensi di colpa e nei rimpianti. Non è giusto, mio caro ragazzo. Lily non avrebbe voluto questo per te.
 Severus distolse lo sguardo e ripensò agli occhi tristi e pieni di lacrime di Clarice.
- Va da lei. - gli suggerì il Preside.

Severus annuì, salutò con un sorriso incerto il suo mentore e tornò verso il Castello in uno svolazzar di veste e mantello. Rientrando, sentì la voce di uno dei suoi Serpeverde carica di lascivia e malizia.
- Dai, cosa ti costa essere carina con me, bambolina? Tra qualche mese sarai sposata, tuo marito apprezzerà un po’ di esperienza.
- Prima di fare esperienza con te, lurido verme, mi lancio dalla Torre di Astronomia. - la voce femminile era quella di Clarice.
- Signorina Johnson? - la chiamò Severus entrando - Mi è sembrato di sentire la sua voce.
- Lasciami Black. - sibilò la strega - O vuoi essere punito dal nostro Capocasa? - un lampo di terrore attraversò gli occhi del codardo compagno di Casa che la lasciò scappando in uno dei corridoi.
- Signorina? - la richiamò il professore.
- Sono qui. - uscì dall’ombra massaggiandosi un braccio.
- Sta bene? Chi era?
- Quel coglione di Black, mi ha solo colto di sorpresa. Di solito è troppo codardo per fare una mossa. Come ha sentito la sua voce, è scappato.
- Sicura di stare bene?
- Sì, grazie. - gli sorrise sincera - Grazie signore.
- Ha da fare?
- No, niente. - si strinse nelle spalle.
- Potrei offrirle un the?
- No, grazie. Lei è ancora uno dei miei docenti.
- Ma lei ha subito una violenza. È scossa. È mio compito occuparmi di lei.
- Preferisco occuparmi di me stessa. - fece un breve inchino e mormorando un “con permesso”, fu pronta per allontanarsi da lui.

Severus guardò con attenzione il corridoio: era deserto e, seguendo l’istinto, raggiunse Clarice e la bloccò. Prima che lei potesse dire o fare qualcosa, il Pozionista la baciò, bloccando sul nascere ogni protesta o recriminazione della ragazza. Il bacio durò una manciata di secondi, erano troppo esposti per poterlo rendere migliore.
- Professore...? - mormorò lei sgranando gli occhi.
- Le ho già ripetuto che non è consentito a nessuno studente l’accesso alla Foresta Proibita. - sbottò lui che aveva sentito dei passi - La smetta di inventare scuse e mi segua, pulire i calderoni le metterà un po’ di sale in quella testa dura.
Clarice aprì la bocca per replicare ma l’arrivo della professoressa di Trasfigurazione è uno stuolo di Grifondoro, le fece cambiare idea.
- Tutto bene Severus? - domandò la donna fermandosi ad osservarli.
- Sì Minerva. Mentre raccoglievo radici per le pozioni, ho visto questa ragazzina sgattaiolare nella Foresta.
- Signorina Johnson... Da lei non mi sarei mai aspettata un simile comportamento. - bofonchiò la donna.
- Professoressa, come ho tentato di spiegare al mio Capo Casa, ero lì solo per disegnare.
- La punizione è irremovibile. Se continua ad essere così petulante, sarò costretto a levare punti alla nostra Casa ed affidarla alla professoressa. Così scontrerà con lei ed i suoi Grifoni la punizione.
- Preferirei leccare le spire del serpente di Salazar piuttosto che stare con i Grifondoro in punizione, signore. - ansimò sbiancando - Starò zitta e buona, lo giuro.
- Ottimo. Mi segua.
In silenzio, i due Serpeverde raggiunsero l’aula di Pozioni e, non appena entrarono, l’uomo la sigillò con una serie di incantesimi.
- Sto per baciarti ancora. - la avvisò facendo un passo avanti.
- Professore, non è divertente. - ingollò a vuoto lei - La prego di smetterla di prendersi gioco di me. Cosa ha fatto, una scommessa? Oppure è sotto una maledizione? Sono due anni che mi struggo d’amore per lei, ma non ero mai abbastanza e ora...
- Grosse lacrime avevano ripreso a rotolare lungo le guance di Clarice, ma Severus non rispose, limitandosi ad abbracciarla, stringendola contro il suo petto, cullandola fino a che non si calmò.
- Nessuna maledizione. Nessuna scommessa. Sono cinico e meschino, ma non giocherei mai con un cuore. - le accarezzò i capelli con un gesto gentile.
- Grazie per avermi lasciato piangere. - mormorò staccandosi dal petto dell’uomo - Vorrei andare nella mia stanza. La prego.
- Certo. - Severus la lasciò andare lentamente e, in silenzio, la guardò uscire dall’aula di Pozioni.

Trascorsero alcuni giorni dopo il loro “bacio rubato“e Severus non ebbe più la possibilità né di parlarle né di restare da solo per alcuni minuti con lei.
Clarice non era mai sola, non era più tornata al Lago Nero né al recinto dei Trestal. Era diventata come invisibile e questo rendeva il Pozionista più nervoso e rabbioso del solito.
Un giorno, dopo che uno studente del secondo anno di Corvonero aveva quasi fatto esplodere il suo laboratorio, Severus uscì dall’aula intossicato e fu lì che la vide che lo guardava con gli occhi sgranati.
- Professore! - lo raggiunse facendo cadere i libri che teneva stretti - Sta bene?
- Scoppio di salute, non vede? - rispose saccente.
- Mi aspetti qua. - sorrise prima di entrare in classe e riparare con pochi incantesimi ai disastri combinati dai suoi compagni.
- Grazie. - mormorò.
- La porto in Infermeria?
- No, per carità. - scosse la testa - I miei alloggi sono...
- Dopo la mia camera, lo so. - annuì arrossendo.

In silenzio, i due Serpeverde, raggiunsero gli appartamenti del Pozionista che aveva iniziato a respirare meglio rispetto a prima.
- Grazie signorina. - le sorrise rapido sprofondando nella sua poltrona preferita.
- Le preparo un bagno, - annunciò - puzza di fumo e ingredienti di Pozioni. Un mix tutt’altro che gradevole. - gli sorrise dolcemente notando il volto annerito del suo professore preferito.
- Può chiamare un elfo domestico, non ho bisogno di una bal... - ma non terminò la frase perché Clarice lo stava baciando come se da quello dipendesse la sua stessa vita.
Quando entrambi conclusero l’aria nei polmoni, Clarice, fu costretta a porre fine al bacio e, con le guance in fiamme, disse:
- Lo faccio perché mi va. Non perché hai bisogno di una balia. - gli rubò un bacio a stampo e corse verso la stanza da bagno dove iniziò a riempire la vasca con acqua calda e sali profumati. Non appena fu soddisfatta del risultato, la ragazza andò a chiamare il suo professore.
- Clarice... - sospirò vedendola tornare, si era tolta la toga ed aveva arrotolato le maniche della camicia sopra i gomiti.
- Per favore, lasciami fare questa cosa perché lo voglio. Non perché qualcuno lo pretende.
Severus si alzò dalla poltrona e la tirò contro il suo petto, riprendendo a baciarla con passione crescente, fino a quando lei gemette contro le sue labbra. Le mani grandi, bianche e calde del Pozionista, accarezzavano dolcemente la schiena di Clarice che, senza fiato, si staccò dalle labbra dell’uomo gemendo di piacere.

Clarice fece un passo indietro e, con un sorriso audace, si allentò la cravatta verde argento e sbottonò i primi bottoni della camicia bianca senza mai lasciare il contatto visivo con lui.
- Fermati, per favore. - la pregò mentre già intravedeva il reggiseno di pizzo - Non oggi. Non così. - le sorrise.
Clarice si tolse ugualmente la cravatta, ma chiuse la camicetta sorridendo all’uomo che amava.
- Va bene. - annuì - Ma lascia che ti aiuti.
- Grazie. - le dedicò uno dei suoi rari sorrisi e Clarice sentì le guance avvampare per l’emozione.
Severus la osservò senza capire poi, scuotendo la testa, raggiunse il bagno dove lo aspettava la vasca già pronta. Clarice lo aiutò a togliere gli strati superficiali di vestiti e, quando restò solo con i pantaloni, lui la fermò. La giovane strega osservava il torace muscoloso del suo professore in un mix tra rispetto e curiosità artistica. Severus, notandolo, le domandò:
- Ti piace ciò che la veste cela?
- Direi di sì. - mormorò seguendo il guizzare dei muscoli mentre si muoveva - Mi piacerebbe molto disegnarti. - lo guardò da sotto le lunghe ciglia.
- Dammi il tempo di lavarmi.
- Esco subito. - annuì lei.
- Non così in fretta. - le bloccò il polso e lei sentì la pelle calda contro la propria - Mi hai baciato già due volte, ed ancora non ho sentito il mio nome uscire dalle tue labbra.
- Non è corretto, professore. Ci siamo baciati tre volte, Severus, non dovresti essere così approssimativo nei calcoli.
- Ottima osservazione. Dieci punti a Serpeverde per la brillante risposta della strega migliore del mio corso.
Clarice, con un sorriso ed un bacio uscì dal bagno, lasciando al giovane uomo la privacy di cui aveva bisogno per lavarsi e mandare via la tensione accumulata durante le ultime ore di lezione.
Lei lo aspettò pazientemente nel salottino dei suoi appartamenti e, quando sentì la porta della stanza da bagno aprirsi, si alzò in piedi per raggiungerlo.
Ciò che vide la lasciò completamente senza salivazione. Severus era uscito dal bagno con solo un paio di pantaloni aderenti addosso, il torace era nudo ed era ancora imperlinato di minuscole gocce di acqua. Il docente, si stava asciugando i capelli con un asciugamano, sembrava distratto, quasi sobbalzò quando vide Clarice nella stanza.
- Non sei andata via?
- No. Volevo vedere come stavi.
-  E con le tue lezioni?
-  Recupererò. - rispose stringendosi nelle spalle - Severus, posso ritrarti così? Sei semplicemente perfetto.
- Adolescenti. - bofonchiò a disagio il Pozionista.
- Lo prendo per un sì. - ridacchiò Clarice che, con pochi e mirati colpi di bacchetta, creò un ambiente migliore per poter disegnare.
Severus, con un sorriso sornione disegnato sulle labbra, prese posto nella poltrona che lei aveva preparato e, portandosi la mano sinistra ad accarezzare il mento in una posa sensuale, non staccò mai i suoi occhi di opale da quelli oro liquido di lei. Clarice, dopo aver ingoiato a vuoto un paio di volte, sistemò una tela vuota sul cavalletto e, mai sazia di ciò che Severus le mostrava, iniziò a ritrarlo. Restarono in silenzio per tutto il tempo che la strega impiegò per rendere più verosimile possibile il disegno dell’uomo sulla tela.
Severus, osservava affascinato le rughe di espressione della giovane strega e, più di una volta, si ritrovò a sorridere notando come si era sporcata il viso.

 La giovane strega, si fermò verso l’ora di pranzo. Aveva le mani ed il viso imbrattati di carboncino.
-  Sei bellissima.
 Clarice si osservò e, ridendo, rispose:
- Ooh lo immagino. Posso usare il bagno?
- Accomodati pure. - acconsentì l’uomo indicandole con un gesto la porta semiaperta in fondo al corridoio.
Con un sorriso, la giovane strega raggiunse il bagno e restò senza parole notando in che stato si fosse conciata per un ritratto: occhi lucidi, guance arrossate, labbra gonfie ed umide come se fosse stata baciata a lungo. Mordendosi il labbro inferiore con un gesto nervoso, la ragazza cercò di ritrovare un minimo di contegno.
“Smetti di sognare ad occhi aperti, ragazzina!” Disse mentalmente alla sua immagine allo specchio “Cosa ci proverai ad illuderti così. Lui non ti vorrà mai. Tu sei una sciatta purosangue Serpeverde, non potrai mai occupare un posto importante nel suo cuore.”
Si dedicò un sorriso di scherno, poi si lavò le mani ed il viso e, non appena si sentì pronta, tornò dal docente.
- Ho abusato fin troppo della sua gentilezza, professore. - parlò tornando al lei, facendogli indurire la mascella.
- Per me è stato piacevole. - biascicò - Ho chiesto ad uno degli Elfi Domestici della Scuola di portare il pranzo per entrambi.
- Non doveva disturbarsi. - arrossì.
- Perché mi stai dando del lei nuovamente?
- Perché quando uscirono da qui, tutto tornerà come prima. Io sarò solo una delle studentesse della Scuola. Figlia di una famiglia Purosangue, promessa ad un tipo che non ho mai visto. Venduta per pagare i debiti dei miei. - lo guardò, cercando di sorridere ma con scarsi risultati.
Severus la raggiunse e la strinse contro il proprio petto, in quel momento l’Elfo portò il pranzo e disse al mago che era tutto pronto e caldo per mangiare. Il mago lo mandò via con un cenno della mano, continuando a tenere stretta la giovane strega, proteggendola dagli sguardi indiscreti della creatura che lavorava nelle cucine della Scuola.
- Mangiamo. - le accarezzò i capelli con un gesto gentile, rabbrividendo alla sensazione del respiro caldo di lei contro il proprio torace.
- Non mandarmi via. - lo pregò affondando il naso contro il collo dell’uomo. Severus la cullò con dolcezza, poi la prese per mano e la condusse al tavolo apparecchiato.
Mangiarono in silenzio, gustandosi i manicaretti della cucina della Scuola; alla fine del pasto, Clarice fece evanescere i piatti e si mosse a disagio sulla sedia.
- Cosa ti piacerebbe fare? - domandò lui godendosi un sorso di liquore.
- Baciarti. - ansimò osservando le sue labbra. Severus annuì, appoggiò il bicchiere sul tavolo e le tese la mano.
Clarice sorrise, sedette di traverso in grembo a Severus ed appoggiò le sue labbra morbide contro quelle mascoline dell’altro.

 Si baciarono a lungo, assaporandosi con lentezza. La bocca di Clarice fu invasa dal sapore del liquore di lui; mentre nella bocca di Severus esplose il sapore del dolce ai mirtilli mangiato a pranzo da lei.
Quando si separarono, ansimanti, lei appoggiò la fronte contro la spalla nuda del docente mormorando:
- Mi sento leggermente ubriaca.
-  Per un bacio innocente?
-  Santo Salazar. - squittì arrossendo - Bacio innocente questo?
- Era il tuo primo bacio? - domandò accarezzandole il viso.
- Nossignore. - sorrise - Ma mai, nessuno, è stato così coinvolgente.
- Perché hai baciato qualche moccioso con la bocca sporca di latte. - bofonchiò lui tra il serio e il faceto e, prendendo nuovamente il bicchiere in mano, bevve un rapido sorso di liquore.
- Posso? - domandò curiosa lei.
- Sì, ma non così... - Severus bevve ancora e, trattenendo il liquido in bocca, accostò le sue labbra a quelle di lei, baciandola profondamente.
Clarice chiuse gli occhi e si aggrappò alle spalle dell’uomo gemendo contro le sue labbra. Il liquore bruciava, era forte ma delizioso mescolato al sapore di Severus. Il professore, pose fine al bacio lentamente, senza fretta di farlo cessare.
I due maghi Serpeverde, restarono insieme per l’intera giornata. L’uomo giustificò la propria assenza dicendo che non si sentiva bene a causa dei fumi respirati in laboratorio; e, la ragazza, non si presentò alle lezioni lasciando che fossero i suoi compagni a trovare scuse plausibili per la sua assenza.

Fino a che restarono in compagnia l’uno dell’altra, Clarice fu calma e tranquilla. Raccontò a Severus qualcosa di sé, dei suoi sogni e dei progetti che aveva e che, a causa di quel dannato matrimonio, non avrebbe mai potuto realizzare. Severus, dal canto suo, la ascoltò annuendo appena. Era una questione complicata e lui non sapeva che fare per aiutarla.
Restarono in silenzio ad osservare il caminetto per alcuni minuti, poi lei si alzò e, facendosi audace, sedette in grembo all’uomo, intrappolando il bacino di lui con il proprio.
- Cosa vorresti fare, Occlumante naturale? - le domandò con un ghigno serafico.
- Sedurre l’uomo che amo. - rispose poggiando le sue braccia sulle spalle muscolose di Severus.
- Non credo sia una buona idea, Clarice. - ansimò mentre lei muoveva sensuale il proprio bacino contro il suo.
Fu così che iniziò la relazione tra il Capocasa Serpeverde e la sua migliore studentessa, tra dubbi, paure e perplessità da parte dell’uomo e determinazione e voglia di vivere da parte di lei. Dopo la loro prima volta, Severus la abbracciò strettamente dicendo:
- Sarei stato più gentile se...
- Non volevo gentilezza. - lo zittì con un bacio - Volevo sentirmi viva. Volevo sentirmi importante e desiderata.
- Sei splendida. - le sorrise accarezzandole la schiena nuda - Una perfetta Serpeverde.
- Grazie Severus. - ghignò lei alzando il viso per guardarlo - Posso dormire qui?
- Non credo sia una buona idea.
- Sono Caposcuola. Ho una camera singola, nessuno si interessa realmente di me. - mormorò disegnando arabeschi sul suo petto muscoloso - Nessuno si accorgerà della mia assenza.
Il Pozionista sospirò godendosi le carezze di lei, ed annui quando la mano di Clarice scese sotto le lenzuola per accarezzare la sua virilità che si stava lentamente risvegliando.
- Tu mi farai morire. - gemette perdendosi nelle sensazioni piacevoli che lei gli stava trasmettendo.
- Ti amo Severus Piton. - gli soffiò sulle labbra baciandolo.

Continuarono a frequentarsi, imparando a conoscersi, facendo l’amore dove capitava (anche sulla Torre di Astronomia una volta, o nelle aule vuote), fino a quando Clarice restò una studentessa della Scuola.
I controlli sulla sua salute al San Mungo, avevano dato ottimi risultati: era in buona salute e molto fertile e lei usò questa sua peculiarità per farsi mettere incinta dall’uomo che amava. Aveva saputo dai suoi genitori che la famiglia del suo futuro marito non avrebbe gradito una moglie impura (non vergine), e lei, per essere certa di non doverlo sposare, fece in modo non solo di perdere la verginità ma anche di farsi mettere incinta. Si sentiva meschina nei confronti di Severus, usare suo figlio per essere libera non lo trovava giusto, ma non voleva nemmeno costringere il professore a vivere con lei visto che mai, in tutti quei mesi, le aveva detto di amarla. Troncare la loro relazione fu doloroso per entrambi, Severus riuscì a mascherare di più il proprio dolore e consolò la studentessa cullandola a lungo.
- Non dimenticarmi. - lo pregò.
- Non lo farò. - le sorrise asciugandole le lacrime.
- Ho una vera ossessione per le tue mani, Sev. - mormorò baciandole e vezzeggiandole dolcemente.
- Adori sentirle addosso alla tua pelle nuda. È eccitante farti gemere usando solo i polpastrelli. - le mormorò nell’orecchio facendola tremare.
- Devo andare. - mugolò triste - Tra poco i miei carcerieri saranno qui.
-  Non andare. - le disse - Potrei dire loro che...
- Che la loro perfetta figliola ha avuto una relazione con il suo docente di Pozioni? - scosse la testa - Mi accuserebbero di averti lanciato un incantesimo, oppure di averti dato dei veleni e di averti minacciato.
- Non potresti farmi niente coi veleni. - le baciò la punta del naso - Lo sai vero?
- Io sì, ma loro non crederebbero mai che hai scelto me liberamente. Penserebbero che sei costretto a... - e concluse la frase con un gesto stanco della mano.
I due, restarono abbracciati in silenzio per un lungo momento, ognuno perso nel proprio dolore. D’un tratto, uno degli allarmi anti intrusione del Pozionista si azionò, rivelando la presenza di qualcuno al di là della porta.
- Chi è? - domandò.
- Severus, sono io Albus. - le porte si aprirono, Clarice era davanti al camino, gli occhi lucidi.
- Buongiorno Preside. - lo accolse il Pozionista.
- Buongiorno figlioli. - fece un sorriso mesto - Clarice, sono arrivati. Sei certa di non voler salutare nessuno?
- Ne sono certa, signore. - annuì senza forza - Non ho stretto legami di amicizia in questi anni. Troppo secchiona e solitaria per molti di loro.
- Ma non per me. - le strinse la mano Severus, certo che Albus non li avrebbe né giudicati né smascherati.
- Grazie. - mormorò emozionata lei - Posso dargli un ultimo bacio, signor Preside?
- Vi concederò dieci minuti. Dirò ai tuoi genitori che stai salutando alcuni compagni di studio di Pozioni.
- Grazie. - sorrisero i due, gli occhi spenti.
Albus lasciò gli appartamenti di Severus in silenzio, tornò verso il suo studio e, puntualmente, dopo dieci minuti Clarice lo raggiunse stringendo contro il proprio petto Blackie, la gatta nera che l’aveva accompagnata ad Hogwarts.
- Madre. Padre. - salutò senza alzare gli occhi, un forte senso di nausea a stringerle lo stomaco.
- Clarice. - la chiamò la donna che l’aveva messa al mondo per dovere e non per amore - Se sei pronta, andiamo.
- Non sono pronta. Ma ormai mi avete venduta, quindi è inutile che fingiate di essere i migliori genitori del mondo. - guardò il Preside- Grazie per tutti questi meravigliosi anni, signore. Qui, ho capito il vero significato di amore, famiglia, amicizia e rispetto. Non dimenticherò mai niente.
- Le porte della scuola saranno per sempre aperte per te, signorina. - mormorò il Preside avvolgendola in un rapido abbraccio.
Clarice mormorò un commosso grazie, poi seguì i genitori fino ai confini della scuola dove si sarebbero smaterializzati. Un attimo prima di svanire, Clarice lanciò il suo Patronus (una bellissima lince) chiedendole di dare un ultimo messaggio a Severus. La lince scattò tra le rocce della scuola e scomparve nei sotterranei nell’attimo stesso in cui Clarice si ritrovò nella sua vecchia ed asettica stanza.

La mattina di Natale, Clarice era ormai al terzo/quarto mese di gravidanza, la famiglia Johnson andò a Durmstrang, per iniziare i preparativi per le nozze che sarebbero avvenute il primo giorno del nuovo anno.
Clarice si preparò con attenzione, indossando un bell’abito elegante che celava le sue forme arrotondate, pettinò i capelli e scese nel salone, dove i suoi la aspettavano vicino ad un vecchio calice di ottone, trasformato in Passaporta.
Il Castello del suo promesso sposo, era costruito con enormi blocchi di pietra nera, era tetro e decadente. Però emanava potenza e solidità, in fin dei conti quella era una delle famiglie più ricche ed antiche del posto. Clarice sospirò e si accarezzò con un gesto rapido il ventre, era preoccupata e il suo bambino (o bambina) percepiva il suo stato d’animo, amplificando le sensazioni negative percepite all’inizio.
La famiglia di Durmstrang, li accolse sulla porta. Erano allineati in ordine di importanza: padre, madre, figlio primogenito e il resto dei suoi fratelli, le sorelle erano ultime e quasi nascoste dall’ombra del Castello.
La giovane strega storse il naso davanti a quell’ostentazione di potere, ma non disse niente, limitandosi a sospirare ed inchinarsi non appena il padre disse il suo nome; poi si isolò nel proprio mondo pensando a Severus ed alle sue magnifiche mani.
- Posso accompagnarti in sala da pranzo? - la voce dal forte accento bulgaro del giovane uomo la riportò bruscamente alla realtà e, presa in contropiede, non le restò che annuire ed appoggiare la propria mano sul braccio muscoloso di lui - Il tuo nome è difficile per me da dire. - le confessò - Dopo sposati, chiederò al sacerdote un nome bulgaro per te.
- Perché non una moglie bulgara, allora. - mormorò sentendo le guance arrossarsi per la rabbia.
- Perché le poche streghe rimaste, sono quasi tutte mie cugine. Volevo portare sangue nuovo in famiglie. - spiegò come se avesse imparato a memoria quella nozione.
- Ooh. - si limitò a mormorare Clarice, affatto interessata ai discorsi del fidanzato.
Il pranzo si svolse nel più completo ed imbarazzato silenzio. I commensali gustarono i piatti senza mai alzare gli occhi dal tavolo e, durante tutto il tempo, Clarice sentì una presenza nella sua testa, qualcuno che voleva provare a spiare. Appoggiandosi allo schienale della poltrona, chiuse gli occhi e si portò una mano alla fronte. Respirando come le aveva insegnato Severus, respinse facilmente quell’attacco fastidioso creando un’onda di magia potente che investì il capo famiglia, facendolo oscillare.
- Tutto bene, caro? - lo osservò la moglie sobbalzando.
- Avremo una nuora interessante. - sorrise cattivo - Sei un’occlumante naturale, signorina? - le chiese.
- Sì, signore. - annuì - Non creo volutamente simili barriere. È la mia mente che non gradisce ospiti indiscreti. - concluse pulendosi la bocca nel tovagliolo, non aveva quasi toccato cibo, ma si sentiva sazia.
- Interessante. - mormorò l’uomo.
Il resto del pranzo passò senza altri incidenti, alla fine del pasto Ian (il promesso sposo), in compagnia dei suoi fratelli e sorelle, propose alla famiglia di Clarice di fare un giro del Castello e, mentre la giovane strega stava per rifiutare, la madre accettò entusiasta per entrambe. Il padre di Clarice e quello di Ian, restarono nel salone per concludere alcuni punti importanti del loro contratto matrimoniale. La strega sorrise e, osservando il “suocero”, disse:
- È prevista una visita da uno dei vostri maghi guaritori, vero?
-  Sì, signorina. Prima di firmare questi fogli, tu sarai accuratamente visitata. Non vogliamo una sposa difettosa.
- Mi trova d’accordo con lei, signore. - sorrise Clarice che salutò con un profondo inchino, seguendo senza gioia alcuna Ian ed il suo noioso seguito.
Alla fine del tour del Castello, Clarice venne scortata in una stanza per gli ospiti dove trovò una vasca piena di acqua calda e dei teli puliti. Sospirando, si tolse l’abito che aveva indossato e si infilò nella vasca sospirando beata. Accarezzandosi il ventre, si permise di versare alcune lacrime. Severus le mancava terribilmente e avrebbe voluto lui vicino in quel momento.
Come se il mago avesse sentito il turbamento della giovane strega, evocò il suo Patronus a forma di cerva e, dopo averle affidato un messaggio, la osservò scomparire per raggiungerla.
 Clarice, che si era finita di lavare, sobbalzò quando vide apparire la cerva luminosa e pianse lacrime di gioia quando sentì la voce di Piton uscire dalla bocca del Patronus:
- Non sei costretta a sposarlo se non vuoi. Puoi diventare una grande Pozionista, non lasciarti vendere.
 Clarice accarezzò la cerva e la osservò sparire non appena terminò il suo messaggio. Con un nuovo sorriso ad illuminarle gli occhi, lei stessa evocò la propria lince sussurrandole un messaggio per il suo professore: “non mi lascerò comprare da nessuno, Sev. Non dimenticarmi... Ti amo...”.

Fece appena in tempo a far uscire la lince che bussarono alla porta. Era il medimago di famiglia che, con alcune infermiere al seguito, era arrivato per visitarla. La giovane strega si strinse il telo al petto, poi sorrise al medimago e lo seguì verso il lettino per permettergli di visitarla.
 Il medico osservò con attenzione le pergamene inviate dai colleghi del San Mungo, appuntò lui stesso alcuni promemoria poi si apprestò a visitare la ragazza che aveva girato il viso verso la finestra, evitando di guardare i presenti in faccia. L’uomo la comprendeva, quelle visite erano umilianti per le giovani donne e lui stesso pregava che quella pratica retrograda finisse in fretta.
 Per fortuna, già il primo incantesimo di diagnostica rivelò qualcosa di nuovo ed il medimago si apprestò a fare esami più mirati nella zona del ventre.
- Sei incinta. - le disse osservandola con attenzione.
- Lo so. - annuì lei - Volevano una vergine. Io non lo sono. Il mio bambino ne è la prova.
- Non desideri questo matrimonio?
- Lei vorrebbe essere venduto per salvare la famiglia dalla bancarotta? La stessa famiglia che in 17 anni non le ha mai dato un briciolo d’amore?
- Credo che non lo farei.
- Ma lei è un uomo, può farlo. Io in quanto donna, almeno nella famiglia Johnson, non ho diritto di replica. - ingollò a vuoto - La vita è preziosa, ed è degna di essere vissuta. Non mi sarei mai potuta uccidere. Mi sono innamorata. Ho fatto l’amore con la persona che mi ha amata ed accettata per ciò che sono. Aspetto un figlio da lui. Questo figlio salverà la mia vita. Non sarò schiava della famiglia di Ian. Non diventerò una giumenta da riproduzione. - concluse.
Il medimago le sorrise comprensivo, poi le propose di continuare la visita per verificare lo stato di salute del suo bambino. Clarice accettò sorridendo felice, osservò il medico armeggiare sul suo ventre piacevolmente rotondo ed osservò le prime immagini del suo bambino riflesse sul muro e pianse emozionata e felice.
- Il bambino sta bene. Le dimensioni sono corrette per i suoi mesi, ma devi iniziare subito a prendere alcune pozioni. - gliele scrisse su una pergamena - E mangia regolarmente. Mangia ogni volta che hai fame. Il tuo puntino deve crescere. - le sorrise.
- Grazie dottore. - annuì con un sorriso lei - Adesso faccia scoppiare lo scandalo. Voglio andare via da qui. Il prima possibile.

Il medimago annuì, le disse di vestirsi ed uscì per parlare con il signore del Castello ed i suoi genitori. Non appena l’uomo annunciò dello stato di gravidanza di Clarice, il Castello fu invaso da urla di ogni tipo e dal fracasso di vetri rotti.
La giovane strega Serpeverde sorrise e, finendo di allacciarsi le scarpe, aspettò il teatrale ingresso dei suoi genitori che non tardò ad arrivare. Il padre aveva gli occhi iniettati di sangue e rabbia, le si avvicinò minaccioso, pronto a percuoterla così forte da farle perdere il bastardo che aveva in grembo, ma il medimago si frappose fra lui e Clarice dicendo:
- Ogni vita è preziosa, signore. Se lei farà del male a sua figlia o al suo bambino, io la denuncerò e lei trascorrerà il resto della sua inutile vita in prigione.
-  Quella puttana non è mia figlia.
- Meglio puttana che vacca da riproduzione, signor Johnson. - rispose Clarice accarezzando il suo ventre.
- Cosa faremo ora? - pigolò la madre.
- Io sparirò. - annunciò Clarice osservando i suoi patetici genitori - Mi darete i soldi che mi spettano, o farò scoppiare uno scandalo di dimensioni epiche. - li guardò con un sorriso cattivo - Serpeverde fino al midollo. - concluse fiera.
- Non hai modo di fare scoppiare uno scandalo.
- Ooh sì invece. - sorrise serafica, aveva programmato tutto - Quel coglione di Ian è venuto ad Hogwarts per uno studio sulle Pozioni. Noi abbiamo il miglior Pozionista di sempre, no? È lì che mi ha sedotto. Dirò ai giornali che mi ha costretta a fare sesso con lui più e più volte durante il suo soggiorno perché suo padre gli aveva ordinato di fare esperienza prima del matrimonio e che le Pozioni anticoncezionali che mi ha dato erano difettose. Quando ha scoperto che dovevo essere io sua moglie, ha rifiutato perché mi aveva già sverginata e mi ha abbandonata pur portando suo figlio in grembo. - Rise davanti allo sconcerto dei suoi - E dirò anche che voi mi avete abbandonata, che avete creduto a lui ed alla sua famiglia solo perché hanno pagato i vostri debiti per farvi sbarazzare del mio bambino.
-  Non ne hai il coraggio. - tremo’ la madre.
- Ho già scritto tutto, madre. - la contraddisse - I miei articoli a tutti i giornali partiranno domani mattina se non tornerò a casa con voi e non mi darete tutto ciò che ho chiesto.

 Così, la famiglia Johnson lasciò le fredde terre della Bulgaria senza che i tre si guardassero più in faccia.
 Il signor Johnson firmò tutta una serie di documenti a favore di Clarice mentre lei preparava le valigie aiutata dagli elfi domestici. Il mattino dopo, la giovane strega, spedì le sue cose nella casa irlandese della sua ava Pozionista poi, in compagnia della madre, andò in banca per mettere in chiaro la sua situazione finanziaria.  Alla fine di tutto, Clarice osservò la madre provando per lei una pena infinita.
-  Addio signora Johnson. - la salutò.
- Non andare ti prego. - la implorò.
- È tardi. - si strinse nelle spalle - Non ho più niente che mi trattiene qui. Devo girare pagina. Essere una persona migliore, una madre migliore per mio figlio. Non ve lo lascerò usare come avete fatto con me.
- Sei cambiata. - sobbalzò.
- Merito dell’uomo che amo. - confessò, poi la salutò con un rapido abbraccio e si smaterializzò davanti alla porta della sua nuova casa.

La giovane strega si guardò intorno respirando a pieni polmoni, quel piccolo paese le trasmetteva un senso di serenità difficile da spiegare. Lei non era mai stata in Galles, ma aveva letto molto su quella Nazione dove aveva deciso di andare a vivere. Il villaggio dove si era appena materializzato non era molto grande, si affacciava sul Mare d’Irlanda e la casa della sua ava aveva una meravigliosa vista su una scogliera.
Clarice, entrò nella piccola casa aprendo magicamente tutte le finestre e la porta sul retro. Quella casa era rimasta disabitata per lunghi, lunghissimi anni e lei impiegò settimane per darle un aspetto vivibile, chiedendo l’aiuto di alcuni elfi domestici della famiglia Johnson che le erano comunque fedeli.
Quando la casa della sua bis bis bis bis nonna tornò linda e pinta, Clarice cercò un lavoro che fosse adatto a lei e alle sue competenze. La sua vicina, una sua coetanea incinta del suo secondo bambino, le indicò la bottega della curatrice che era già da tempo che cercava un aiuto.
La ragazza la ringraziò con un sorriso e, grazie alla pazienza della vecchia curatrice del villaggio, imparò molte cose nuove, come gestire il negozio ed i suoi affari. La giovane strega scoprì che la donna, che l’aveva accolta come sua apprendista, aveva frequenti commerci con la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, infatti tutti gli ingredienti per le Pozioni destinate a Severus partivano da lì.
- Clarice? - la chiamò la vecchia e saggia strega - Stai bene?
- Madame Sullivan, è sicura che mai nessuno della Scuola si è mai presentato qui?
- In tutti questi anni, non ho mai visto nessuno di persona. Molte comunicazioni, ma niente di più. - le sorrise - Intuisco che il padre del tuo bambino non sappia che lui sta per arrivare, vero?
- Sono stata egoista. Quando ho scoperto di essere incinta, dovevo sposare un altro uomo. Non ho detto niente al suo vero padre, non mi aveva mai detto che mi amava, non volevo che si sentisse costretto a sposarmi... - spiegò con un sorriso triste la strega più giovane.
- Dai tempo al tempo, bambina. Prima o poi tutto si aggiusterà. - le picchiettò con affetto la vecchia curatrice sulla mano, tornando poi al proprio lavoro.

Clarice, dopo quella conversazione, decise di scrivere una pergamena al Preside dove gli raccontò che non si era sposata riuscendo a scappare da quelle nozze indesiderate e che era andata a vivere nel villaggio della curatrice che riforniva la Scuola di erbe ed ingredienti per pozioni.
Lo pregò, inoltre, di non raccontare niente a Severus o agli altri insegnanti. L’uomo accettò a condizione che lei si diplomasse; fu con entusiasmo che Clarice accettò, studiando proficuamente e superando tutti gli esami con il massimo dei voti.
Gli anni trascorsero inesorabilmente. La guerra colpì di striscio il piccolo villaggio anche se nell’intera comunità magica si sparse la voce del negozio di erbe e ingredienti più rifornito di sempre e, molto spesso, i Mangiamorte andavano a fare i gradassi, pretendendo di avere il meglio dei suoi prodotti al minor prezzo. Per fortuna Clarice, aveva imparato a tenere a bada il suo carattere ribelle e, seguendo gli insegnamenti della sua tutrice, aveva sempre evitato di entrare in conflitto con chi credeva di essere in diritto di trattarla male perché più ricco. La giovane strega, poco dopo il suo trasferimento, aveva cambiato il proprio cognome in Prince sia per non essere riconosciuta sia per non essere facilmente rintracciata da Severus o dai suoi familiari, sia per tenere vivo il ricordo del suo unico vero amore usando il cognome della madre di lui; e, poco dopo, partorì il suo bambino un bel maschietto sano e forte che chiamò Daniel Severus James Prince. Non fu facile essere una madre single, ma lei fece del suo meglio impegnandosi per stare sempre vicino a suo figlio senza trascurare il suo lavoro.
La vecchia curatrice era morta poco dopo il secondo compleanno di Daniel e, non avendo una famiglia in vita, aveva lasciato tutto alla giovane strega che era stata la sua migliore e più capace apprendista.
Clarice si era rimboccata le maniche ed aveva dato nuova vita al vecchio negozio, rimodernandolo e rendendolo meno “cupo”.

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


~~Sei anni dopo

 Erano trascorsi sei lunghi anni da quando Clarice aveva cambiato in meglio la propria vita. Il villaggio dove era nata e cresciuta la sua ava, era piccolo e pieno di calore e affetto. Ci abitavano molte famiglie di maghi e streghe che accolsero con entusiasmo l’arrivo della giovane donna e della sua pancia che cresceva a vista d’occhio. Lei stessa era cambiata molto dai tempi della scuola, era diventata più donna, aveva fatto allungare i capelli e il suo corpo era cambiato in meglio dopo la gravidanza.
- Mamma! - la chiamò Daniel strappandola dai suoi pensieri.
- Danny. - gli sorrise abbassando lo sguardo su di lui, il bambino aveva i capelli nerissimi del padre e gli occhi d’ambra di lei con piccole screziature color opale, era un bambino per lo più silenzioso, amava leggere ed imparare sempre cose nuove, era molto intelligente e magicamente molto dotato, l’unione perfetta dei suoi poteri e di quelli di Severus.
- Posso portare, Berty, la mia Puffola Pigmea a scuola oggi?
- Sicuro che sia una buona idea? - ridacchiò la giovane donna - Non ha un buon carattere la tua bestiolina.
- Colpa del tuo gatto. - si imbronciò il bambino.
- Giusta osservazione. - rise lei, coinvolgendolo, Daniel avrebbe voluto ribattere ma il campanello della porta d’ingresso suonò, rivelando l’arrivo di un cliente.
- Buongiorno. - parlò una voce strascicata e roca.
- Buongiorno. - rispose lei sorridendo mentre scompigliava i capelli del suo bambino, che fuggì in giardino ridendo felice.
- Danny, prendi pure la tua Puffola per la scuola, ma fai attenzione e avverti la maestra. -
- Grazie mamma! - trillò felice dal giardino sul retro.
- C’è nessuno? - parlò ancora la voce maschile camminando tra gli scaffali ordinati.
- Al bancone, signore. Mi scusi se non l’ho raggiunta, ma avevo per le mani una serie di barattoli da sistemare. - parlò lei pulendosi le mani sul grembiule - Come posso aiutarla? – domandò non appena lui la raggiunse; si guardarono nello stesso istante: gli occhi di opale dell’uomo si spalancarono di stupore non appena si incatenarono a quelli d’ambra di lei. Si guardano negli occhi per un tempo indefinito, incapaci anche solo di parlare o muoversi.
- Clarice? - soffiò senza fiato l’uomo ingollando a vuoto varie volte, incapace di aggiungere altro.
La strega lo osservò mordendosi con forza il labbro inferiore, sembrava invecchiato molto in quegli anni, gli occhi erano spenti e cerchiati da profonde occhiaie.
- Professore - lo salutò con un sorriso sincero, la voce solo leggermente incrinata - Cosa la porta nel mio umile negozio? - domandò fingendo di possedere una tranquillità che era ben lungi da provare, il cuore che le batteva forte nella cassa toracica.
Severus era talmente incredulo che non riuscì nemmeno a formulare una risposta decente per quella semplice domanda; la verità era che non era andato in quel negozio per caso: finita la guerra, sconfitto Voldemort definitivamente, lui era rimasto a Scuola dove non solo continuava ad insegnare Pozioni; ma dove rivestiva il ruolo di Preside eletto all’unanimità dal collego docenti capeggiato da Minerva McGranitt. Insediarsi nell’ufficio che era stato di Albus Silente, non fu affatto facile per lui. Quell’uomo era stato il suo mentore e amico più caro e vivere a contatto con tutti gli oggetti cari al vecchio Preside gli faceva più male che bene; così, decise di riporre gli oggetti appartenuti ad Albus in alcune scatole e fu proprio durante una di quelle sere passate a dare la propria impronta al nuovo studio, con la mente sommersa di pensieri, che aveva trovato alcune vecchie lettere dentro uno scompartimento nascosto della scrivania. Vinto dalla curiosità aveva iniziato a leggerle, scoprendo così che la ragazza che l’aveva ossessionato, non solo non si era mai sposata, viveva nel paesino della sua ava pozionista, e lavorava nel negozio che, settimanalmente, mandava i rifornimenti di ingredienti per lui e per la scuola.
Contenendo a stento la rabbia, Severus si girò verso il ritratto di Silente chiedendo spiegazioni sulle pergamene che stringeva in mano e che erano state ingiallite dal tempo.
L’ex Preside osservò con la sua aria serena ed affettuosa l’uomo che l’aveva sostituito alla guida della Scuola e gli aveva consigliato di andarla a trovare, erano passati talmente tanti anni ed entrambi meritavano un po’ di serenità. Severus, sospirando, aveva deciso di provare a rivedere Clarice; non vi aveva però riposto troppe speranze in quanto quello scambio di lettere era avvenuto molti anni prima. E tutto poteva essere cambiato. Ed invece eccola lì, bella come se la ricordava se non di più. Con quel sorriso che gli aveva da subito fatto battere forte il cuore e quegli occhi dove potevi leggere tutte le emozioni che vi passavano. Era così intento a fissarla ed ammirala che non si rese conto che erano passati alcuni minuti dalla domanda posta da lei e ancora non le aveva dato una risposta.
Imbarazzata da quello sguardo ricco di parole non dette, Clarice sorrise mostrandogli con un cenno della mano uno sgabello mentre si apprestava a preparare una buona tazza di the.
- Accomodati, hai l’aria stanca, posso offrirti un the di mia creazione? - chiese con un sorriso timido.
- Sì, grazie... - annuì Severus senza smettere di guardarla, temeva che, se avesse distolto lo sguardo, lei sarebbe scomparsa - Sei veramente tu? Che fine hai fatto? Perché non hai più dato tue notizie a nessuno? - iniziò a domandarle.
- Che non io non abbia dato mie notizie a nessuno, è errato Severus. Sono rimasta in contatto con Albus, - fece un sorriso triste pensando con affetto al Preside della Scuola – A lui ho chiesto di non dire a nessuno dove mi trovassi in realtà. Ho trovato il modo di liberarmi dalle indesiderate nozze, Severus. - spiegò posandogli davanti una tazza di the caldo - I miei hanno finto che non fossi mai esistita. Ed io mi sono rifatta una vita. Ho finito di studiare da privatista. - si morse le labbra osservandolo accomodarsi con un sospiro stanco, Daniel gli assomigliava terribilmente.
- Cosa ti ha portato qui? - chiese dopo aver bevuto un lungo sorso di the forte, come lo amava lui.
- La mia ava Pozionista. - ammise - Lei aveva qui una casetta, ho fatto in modo che mio padre la cedesse a me. Mi sono trasferita, ho studiato e poi ho iniziato a lavorare come apprendista dalla guaritrice del paese. - mostrò con un gesto il negozio - Lei era sola. Niente famiglia né figli. Mi ha presa sotto la sua ala. Mi ha trasmesso la sua conoscenza, e poi mi ha lasciato in eredità il negozio. - sorrise - Mi piace molto questo lavoro.
- Perché non mi hai più cercato? Perché il mio Patronus non ti ha più trovata?
- Perché ho cambiato molte cose nella mia vita.
- Ho visto. Sul cartello c’è scritto “Prince”. Sei sposata?
- Magari! - rispose una vocina alle loro spalle, facendoli sobbalzare - Almeno avrei anche io un papà e non sarei quello “troppo strano”!

Severus si girò lentamente verso la voce e restò per una manciata di minuti completamente senza parole mentre osservava quel bambino, gli sembrava di guardarsi in uno strano specchio ringiovanente.
- Io sono Daniel Severus James Prince. - si presentò, annoiato da quel lungo silenzio.
- Severus Tobias Piton. - gli strinse la piccola mano tesa, ingollando a vuoto.
 Clarice teneva lo sguardo basso, i pugni talmente serrati che le nocche erano diventate bianche.
- Danny, amore, va a prepararti per la scuola. – si intromise tra loro con un sorriso - Tra poco passerà Rose con Tom per accompagnarvi. Io e il signore dobbiamo parlare.
- Va bene mamma. - borbottò il bambino, quello strano uomo lo incuriosiva, si sentiva come attratto da lui.
- Va piccolo mio. - lo baciò sulla nuca e lo osservò andare verso il retro per prendere il grembiule e lo zaino scolastico.
- Daniel Severus “James” Prince? - ripeté con un ringhio il Pozionista - Me lo avresti mai detto? -
- Detto, cosa? - alzò lo sguardo Clarice.
- Clarice! - urlò sbattendo un pugno sul tavolo - Credi che sia cieco? Lui è...
- Mio figlio. - annuì la strega appoggiando i palmi sul piano in legno del bancone - L’ho portato nel mio grembo per nove mesi. L’ho partorito e cresciuto. Lui mi ha salvato da una vita spenta. Mi ha dato una seconda possibilità. È stancante, intelligente e molto dotato. A volte è troppo maturo per i suoi sei anni ed io vorrei potergli dare un futuro più sereno e spensierato; non sempre mi è possibile... Però faccio del mio meglio Severus, io e Danny stiamo crescendo insieme. - fece un sorriso malinconico osservando il figlio aspettare fuori dal negozio il suo migliore amico per andare a scuola.
- Perché sei sparita? Perché non mi hai più cercato? - continuò a chiedere Severus seguendo il suo sguardo.
- Quando ho scoperto di essere gravida, avrei voluto dirtelo. Ma ho avuto paura, perché temevo che credessi che volevo incastrare te in un matrimonio senza amore. - lo guardò, ma distolse presto lo sguardo - Ho scelto comunque di tenere il bambino. Lui mi ha salvato da un matrimonio fasullo, da una vita infernale a sfornare figli su figli nelle terre fredde.
- Gli hai dato anche il mio nome. - il pozionista era sempre più arrabbiato.
- Mi piace il tuo nome. - arrossì - E lui ti assomiglia veramente tanto. -
- Perché lo hai chiamato James? - chiese alzando un sopracciglio.
- Perché era la tua nemesi, e non gli avrei mai dato il nome di mio padre. - rabbrividì lei.
- Perché dopo aver evitato il matrimonio non sei venuta da me? Perché non mi hai detto di lui? Dannazione! È mio figlio! Avevo il diritto di saperlo! – volle sapere Severus con un tono di voce talmente basso e fintamente calmo che Clarice rabbrividì, chiudendo gli occhi.
La strega stava per rispondere quando il bambino rientrò nel negozio, interrompendo nuovamente il loro discorso; li aveva raggiunti con una espressione arrabbiata in viso.
- Mamma. - la chiamò con il suo cipiglio fiero, così simile a quello di Severus.
- Cosa è successo? - domandò lei con un sorriso incerto, nascondere certe emozioni non era facile, soprattutto con Severus lì fermo ad osservarli.
- Stavo aspettando in giardino Tom e una delle stupide piante che stai curando lì fuori, mi ha morso il sedere. - e glielo mostrò tirando su con il naso.
- Perché ti sei avvicinato alle piante della signora Morgan? Lo sai che non sopportano i bambini. - domandò con un sospiro.
- Non l’ho fatto apposta. - singhiozzò lui, ma dai suoi occhi non uscì una sola lacrima.
- Che piante sono? - chiese Severus preoccupato che il bambino, suo figlio, potesse essere entrato in contatto con qualche tipo di veleno.
- Brutte, antipatiche e coi denti aguzzi. - rispose con voce arrabbiata il bambino.
- Danny. - sospirò la madre - Sono comuni piante carnivore. La signora Morgan le tiene nel giardino di casa sua. Di tanto in tanto, le porta da me perché possa prendere un po’ dei loro frutti. Lo sai che sono ottimi per fare dei decotti e… - spiegò mentre controllava che il figlio stesse bene, ma l’uomo la bloccò dicendo:
- Ovviamente. - replicò con la sua voce strascicata l’uomo. Clarice sorrise e finì di disinfettare il figlio dicendo:
- Mi era mancato il tuo sarcasmo.
Daniel guardò prima la madre poi il cliente seduto sullo sgabello, gli piaceva l’odore dell’uomo, gli ricordava quello della mamma.
- Vi conoscete? - chiese prendendo alcuni biscotti dal piatto che Clarice aveva appoggiato sul banco da lavoro.
- Ti ho già parlato di lui, Danny. - sorrise lei - Era il mio insegnate di...
- Pozioni! - concluse il bambino sorridendo, Severus non era mai stato un bambino così felice alla sua età - Ne porta l’odore addosso, come te mamma.
- La tua mamma era la mia studentessa migliore. La più coraggiosa è dotata, sai? - confessò il professore.
Daniel stava per rispondere quando il campanello del negozio suonò nuovamente e i tre vennero raggiunti dalla voce della vicina di casa di Clarice, Rose, e dal vociare vivace di Tom.
- Clarice ci sei? Danny è pronto per la scuola? - chiese allegra la giovane donna.
La scena che le si parò davanti fu, quanto meno, surreale. Clarice, tesa come una corda di violino, che stava finendo di disinfettare il morso sul sedere di suoi figlio; mentre Danny stava parlando con un signore seduto sullo sgabello di fianco al bancone e la cosa che sorprese più di tutti la ragazza fu la somiglianza che vide tra l’uomo e Danny quando questo alzò lo sguardo su di lei.
- D-danny, vai con Tom ed aspettatemi fuori dal negozio - disse con un sorriso forzato al bambino, che ubbidiente uscì dal negozio con il suo amico.
Quando la porta si chiuse, Rose passò il suo sguardo dall’amica all’uomo seduto che, si vedeva lontano un miglio, era arrabbiato e nervoso.
Guardando negli occhi la sua amica e leggendovi il turbamento che stava provando disse:
- È Lui vero?
- Sì. - annuì semplicemente Clarice.
- Santa Morgana. - esalò Rose abbracciando l’amica e, capendo che i due avevano bisogno di parlare, dichiarò: - Vado ad accompagnare i ragazzi a scuola, ripasso appena li avrò lasciati. Ci vediamo tra poco.
- Non sarà una conversazione né leggera né piacevole né corta. – la bloccò Severus mentre la giovane donna posava la mano sulla maniglia della porta – Le consiglio di passare più tardi. Magari dopo che i bambini saranno usciti da scuola.
Rose avrebbe voluto ribattere, ma lo sguardo duro che il Pozionista le riservò la fece desistere.
- Clarice, - la chiamò – se hai bisogno di me sai come fare. Lancia un incantesimo e verrò da te.
- Grazie Rose. – le sorrise la nuova guaritrice che, con un cenno impercettibile della testa, la invitò ad andare via dal negozio.

Clarice e Severus restarono nuovamente soli. La tensione tra loro era palpabile. La strega faceva fatica a respirare e non riusciva a muovere un muscolo.
- Se non avessi trovato le lettere nella scrivania di Albus, se non fossi mai venuto qua. Io avrei continuato a vivere senza sapere di avere un figlio. – mormorò con voce pericolosamente calma l’uomo alzandosi, sovrastandola con la sua altezza.
- Questa guerra maledetta ci ha cambiato tutti. – rispose facendo un passo indietro, Severus era comunque più alto e muscoloso di lei – Ho fatto cose di cui non vado fiera. L’unico lato positivo in tutto questo è…
- Nostro figlio. – concluse lui stanco di sentirsi escluso.
- Nostro… - annuì lei, era inutile negare l’evidenza, erano l’uno la fotocopia dell’altro.
- Spiegami perché non dovrei prenderti per il collo, adesso, Clarice e farti sentire tutto il dolore che sento io adesso dentro di me.
- Perché Daniel resterebbe solo. – fece un altro passo indietro lei spaventata – Qui nessuno sa chi è suo padre, né chi è realmente la mia famiglia.
- Quella strega che è venuta a prendere il bambino. Lei sa.
- Lei è la mia migliore amica. Quando sono arrivata qua, ero completamente sola. – spiegò mentre una lacrima rabbiosa le solcava il viso – La mia famiglia mi aveva appena voltato le spalle. Sono stata diseredata. Mi hanno dato quello che volevo per scomparire, per fingere che non fossi mai esistita.
- Ma avevi me. – disse alzando le mani, stringendo i pugni davanti al viso.
- Te?! – Clarice alzò gli occhi di scatto, guardandolo – Tu, una spia. Un Mangiamorte doppiogiochista. – mandò la testa di lato – Avrei dovuto dirti che aspettavi un figlio? Mettere ancora di più a repentaglio la tua vita? – un sorriso triste le incurvò le labbra – Non ho mai capito perché, alla fine, sei venuto a letto con me. – si indicò con un gesto della mano – Guardami, Piton. Dimmi cosa vedi! – lo pregò. Il Pozionista la osservò in silenzio per alcuni minuti cercando qualcosa da dire che non la facesse infuriare ancora di più. Mentre il silenzio aleggiava pesante tra loro, Severus sgranando gli occhi, disse:
- Lui sapeva tutto!
- Lui “chi”, scusa? – domandò mettendo le mani sui fianchi.
- Albus Silente, ecco chi! – replicò lasciandosi cadere sullo sgabello con un sospiro stanco – Lui è venuto qua a trovarti, poco dopo il tuo “insediamento”. – spiegò.
- No. – i capelli di Clarice ondeggiarono dolcemente attorno al suo viso, accarezzandole le spalle – Non è mai venuto nessuno. Albus Silente lo avrei riconosciuto.
- No se fosse stato sotto Polisucco. – ringhiò stringendo gli occhi.
- E perché, di grazia, sarebbe venuto indossando la pelle di un’altra persona? – chiese con una risata sarcastica.
- Perché tu gli hai scritto che eri riuscita a fuggire da un matrimonio che non volevi. Ma senza scendere nel dettaglio. Albus ha avuto il sospetto che avessi fatto qualcosa, temeva per la tua vita. Temeva che tu avessi compiuto qualche atto scellerato.
- Quindi è venuto qui, fingendosi un’altra persona. – mormorò lei portandosi una mano davanti alla bocca – Ero incita di sei, forse sette, mesi quando uno strano vecchietto si è presentato al negozio della mia mentore. – spiegò.
- Per tutto questo tempo lui ha tenuto questo segreto. – Severus distolse lo sguardo.
- Ha tenuto in vita te, professore. – mormorò con un singhiozzo Clarice – Se tu… Tu avessi saputo di Danny.
- Avrei mandato tutto alle ortiche. Non avrei più combattuto. Avrei bruciato ogni mia copertura. Mettendovi in serio pericolo. – annuì.
- La guerra ha colpito di striscio il villaggio. Qui sono arrivati i disperati. Quelli che scappavano. Abbiamo aiutato i feriti. Seppellito i morti, pur non sapendo chi fossero. – guardò il giardino – Siamo stati presi di mira dai Mangiamorte. Da noi hanno preso scorte di medicinali e pozioni. – spiegò – Poi la situazione è migliorata. Gli Auror hanno iniziato a tenere pulito questo luogo, ripulendolo dalla magia nera che ci stava invadendo.
- E tu sei stata sola ad affrontare tutto questo. – ringhiò senza riuscire a contenere la rabbia l’uomo.
Clarice sentì nuovamente gli occhi riempirsi di lacrime, osservò l’espressione stanca e triste dell’uomo che le sedeva davanti e, senza rendersi conto di quello che stava facendo, gli accarezzò la guancia.
- Il peggio lo avete vissuto voi, Sev. – mormorò con dolcezza, l’uomo alzò gli occhi incatenando il suo sguardo stanco a quello ambra di lei – So quello che è successo a Scuola in questo periodo. So tutto di Harry Potter, il figlio di Lily. Di quello che avete vissuto sulla vostra pelle. Delle persone che sono morte, per una guerra senza senso. – parlava con voce dolce, come faceva quando tentava di tranquillizzare Daniel dopo un brutto sogno.
Severus si appoggiò alla mano di lei, lasciandosi accarezzare ad occhi chiusi.
- Decidere di scomparire, come se non fossi mai esistita, è stata la cosa più difficile che io potessi fare. – continuò leccandosi le labbra improvvisamente secche – Sarebbe stato così facile dirti tutto. Cercarti dicendoti che aspettavo tuo figlio. – ingollò a vuoto – Ma Albus mi ha raccontato quello che stavi facendo. Quanto la tua vita fosse in pericolo giorno dopo giorno. Mi ha raccontato di quello che hai fatto durante tutti questi anni per proteggere e formare il figlio di Lily e James.
- Quel Potter. – mormorò allontanandosi dalla mano calda della strega – Ma non sono venuto fin qui per palare di lui, né della guerra. Voglio sapere perché ho dovuto scoprire in questo modo di avere un erede.
- Non alzare la voce con me. – lo pregò sobbalzando.
- Non vuoi che alzi la voce Clarice? Mi hai lasciato credere di essere l’onorevole moglie di un mago bulgaro per sei, lunghissimi, anni.
- Vuoi farmi credere che saresti venuto a cercarmi se ti avessi detto che non mi ero mai sposata.
Severus sgranò gli occhi, sentendo la rabbia montare dentro di lui come la marea.
- Non so cosa avrei fatto. Ma non sarei rimasto in disparte a…
- A cosa? – un sorriso triste le disegnò le labbra – Tu mi avresti accusata di essere incinta di chissà chi. Non avresti accettato il fatto che il figlio poteva essere tuo. Saresti scappato.
- Non sono un codardo! – urlò Severus perdendo la pazienza.
- Io sì. – gridò in risposta Clarice – Sono un’egoista. Una codarda. Ti ho usato, va bene? È questo che vuoi sentirti dire?
- No. voglio la verità. – sbatté un pugno sul tavolo, la tazza di the cadde a terra, frantumandosi.
- Vuoi la verità?

Il campanello tintinnò, interrompendo nuovamente i loro discorsi. Severus ringhiò verso la persona che era entrata, gli occhi neri che pieni di collera.
- Buon… Buongiorno… - parlò una voce di donna – Non è un buon momento signora Prince? – chiese passando rapidamente lo sguardo da Clarice a Severus e viceversa.
- Sagace la signora! – parlò Severus tremando - Non è un buon momento. – concluse indicandole la porta con un gesto secco.
- Severus! – tuonò Clarice – Non ti permetterò di spaventare i miei clienti! – uscì da dietro il bancone, raggiungendo l’anziana strega che tremava spaventata.
- Quello… - mormorò non appena Clarice la fece allontanare dalla furia del suo ex professore – E’ pericoloso come un Mangiamorte.
- Ha il carattere di un Ungaro Spinato, signora Smith. – le sorrise con dolcezza la curatrice – Ma non è cattivo.
- Sa nasconderlo benissimo. – mormorò nuovamente la donna prendendo i sacchetti con i medicinali che Clarice aveva preparato per lei e, dopo aver pagato, lasciò in tutta fretta il negozio.
- Potresti chiudere il negozio, per cortesia? – ruggì Severus facendola sobbalzare.
- Non ci penso nemmeno. – lo guardò incrociando le braccia sul petto lei – Questo luogo mi da’ da vivere, sai? Ho i miei clienti. Persone che vengono da me per le mie pozioni. Le stesse che tu mi hai insegnato a distillare. – cercò di sorridere, ma finì solo per mordicchiarsi il labbro inferiore.
Severus distolse lo sguardo, avrebbe voluto dirle di smetterla di mordersi in quel modo sensuale il labbro, perché lo faceva impazzire e quasi dimenticare il perché non l’aveva ancora baciata e privata dei vestiti, come desiderava fare da quando l’aveva vista.
- Non posso pretendere che tu capisca le mie scelte, Piton. – sospirò lisciandosi le pieghe del grembiule che indossava sul lavoro – Albus e Rose mi hanno ripetuto fino allo sfinimento che stavo facendo la cosa sbagliata. – guardò fuori dalla finestra, come rincorrendo i suoi ricordi – Una volta sono anche tornata a Scuola, sai?
- Quando? – domandò lui ingollando un bolo di saliva.
- Sono passata a prendere i miei diplomi dopo la nascita del bambino. Ti ho visto a lezione. – fece un sorriso al ricordo – Stavi dando il tormento al giovane Potter. Sono rimasta ad osservarvi per un po’, poi Albus mi ha convocata.
- Perché non sei entrata? – chiese muovendo le mani in un gesto impotente.
- Perché ho visto come lo guardavi.
- Come scusa? – arcuò un sopracciglio, senza capire.
- Guardavi gli occhi di quel ragazzino con un sentimento talmente forte che io… - fece qualche passo tra gli scaffali per mettere più distanza tra lei e quell’uomo tornato dal passato a darle il tormento – Io ho odiato entrambi. Tu non avevi mai guardato i miei occhi in quel modo. Poi Albus mi ha detto chi fosse quel ragazzino, ed ho capito tutto. – sistemò alcuni barattoli fuori posto – Gli occhi di Lily. L’unica donna degna di essere amata da te. – lo guardò mentre si sorreggeva al bancone, il corpo di Severus tremava – A che scopo dirti di Danny? – domandò stringendosi nelle spalle.
- Quindi avrei dovuto scoprire di lui a Scuola? Quando l’avrei visto per la prima volta durante lo smistamento del primo anno?
- Non ho intenzione di mandare mio figlio ad Hogwarts. – rispose continuando a sistemare il negozio.
- Prego? – la rabbia di Severus era palpabile – E dove vorresti mandarlo a studiare?
- In un’altra scuola di magia. Dove non c’è l’uomo che l’ha generato. – rispose di botto.
- Non puoi farlo! – gridò, la sua rabbia era palpabile – Non puoi tenerlo lontano da me. Non è giusto!
- Sono stata padre e madre per sei anni. L’ho cresciuto sacrificando per lui tutto. Lavoro per garantirgli un futuro migliore del mio. Non puoi arrivare tu e pretendere di sfasciare tutto quello che ho costruito!
Il Pozionista e la curatrice erano uno di fronte all’altro, al centro del negozio di lei. Si stavano urlando addosso cose che non pensavano realmente, accecati dalla rabbia. Non si erano resi conto del tempo che era trascorso a velocità doppia e non sentirono la porta sul retro aprirsi, troppo presi a litigare.
- Non voglio sfasciare niente. – alzò le mani in segno di resa l’uomo – Perché non provi a fidarti un minimo di me.
- Non posso farlo. – mormorò cocciutamente lei, Severus gettò la testa in avanti troppo stanco per contiuare e, abbassando le spalle, replicò:
- Non ti permetterò di tenermi ancora lontano da lui. – Daniel era tornato da scuola un’ora prima del previsto, aveva fatto la strada con il suo migliore amico, si erano salutati e lui era corso al negozio. Lungo la strada aveva raccolto alcune piante medicinali per il giardino della sua mamma, voleva farle un regalo, non pensava di trovare lo strano uomo del mattino ancora lì e, soprattutto, non pensava di assistere alla loro litigata.
- È già deciso. – rispose Clarice e il bambino vide i fiumi di lacrime correre lungo le guance della madre – Lui merita un futuro migliore.
- Non puoi pretendere che finga…
- Esatto. Fingi. Fingi di non averci mai trovato. Di non aver mai letto quelle lettere. Sono anni, ormai, che fingi di non essere mai venuto a letto con me. Continua pure a fingere che…
- Non puoi chiedermi questo! – urlò zittendola – Lui è mio figlio, dannazione, voglio essere presente nella sua vita! Per colpa della tua stupidaggine, ho perso i suoi primi sei anni. Che Salazar mi perdoni, ma non ti permetterò di escludermi dal resto della sua esistenza! – non appena terminò la sua sfuriata, sentirono un rumore di vetri rotti provenire da dietro il bancone.
Entrambi gli adulti si voltarono verso il banco da lavoro dove videro Daniel che, per scappare, era inciampato su un cesto pieno di barattoli di vetro, rompendone alcuni.

Clarice non riuscì a trattenere un singhiozzo, gli occhi del figlio erano spalancati e pieni di lacrime e rabbia. Il suo piccolo corpo tremava come una foglia mossa dal vento. Era arrabbiato per essere stato scoperto ed ancor di più lo era perché non riusciva a smettere di piangere.
- Daniel. – lo chiamò Severus ritrovando per primo la voce – Daniel, ascolta…
Ma il bambino, dopo aver gettato a terra le piantine, scappò via correndo per la strada con le lacrime ad offuscargli la vista. Clarice si accasciò sul pavimento, il corpo scosso da forti singhiozzi che non riusciva a trattenere.
- Ti sembra questo il momento per piangere Johnson? – le gridò contro Severus, la voce tradiva la forte emozione che provava in quel momento.
- Mio figlio mi odia. Il padre di mio figlio ha appena minacciato di portarmelo via. – alzò gli occhi cercando di racimolare un po’ di dignità – Se permetti, faccio quello che mi pare. E tu non sei il benvenuto qui. – gli indicò con un gesto la porta – Vattene, tornate da dove sei venuto. Sparisci dalle nostre vite.
- Non puoi essere seria Clarice! – tuonò l’uomo tremando – Non puoi aspettarti questo da me. – la guardò, un lampo di supplica ad illuminare i suoi occhi neri.
- Ah no…? – la strega si rialzò da terra, con un colpo di bacchetta ripulì il disastro causato dalla rabbia di Daniel, poi si girò per fronteggiarlo; ma fu proprio in quel momento che il campanellino tintinnò nuovamente facendo entrare un gruppo di giovani maghi e streghe.
- Professor Piton. – parlò una strega, era molto graziosa con lunghi capelli ondulati castano scuro ed occhi chiari – Il ritratto di Silente ci ha detto che l’avremmo potuto trovare qui.
- Signorina Granger. Il suo tempismo è ineccepibile. Come hai tempi della scuola. – ringhiò il Pozionista girandosi verso la porta, il mantello svolazzò attorno alla sua figura, disegnando strane forme nell’aria.
Clarice si incantò ad osservare gli svolazzi del mantello, il modo elegante che aveva l’uomo di muovere le mani… quelle dannate mani che aveva tatuate in fondo al cuore… le stesse mani che, poco dopo la nascita del loro bambino, si era fatta tatuare dietro il collo per sentirsi meno sola.
- Signora. – parlò una voce maschile, la strega curatrice spostò lo sguardo da Severus al ragazzo che aveva parlato, sembrava preoccupato e lei arrossì: era rimasta in contemplazione silenziosa per parecchio.
- Sì? – parlò cercando di mantenere un tono basso e sereno.
- Sta bene? Sembra molto turbata.
- Mai stata meglio. – mentì ritrovando la sua allegria – Non capita tutti i giorni di veder entrare nel proprio umile e misero negozio Harry James Potter, il Salvatore del Mondo Magico. – concluse facendo un inchino rapido, sperando di non sembrare troppo beffarda come si sentiva in realtà.
- Oh beh. – arrossì il giovane mago distogliendo lo sguardo – Grazie…? – sorrise.
- Ci sono troppi Grifondoro nel mio negozio. – parlò allontanandosi per tornare dietro il bancone – Può fare qualcosa lei, professor Piton? – lo guardò mandando la testa di lato.
- Uscite per favore. – gli intimò l’uomo con un cenno della testa, mormorando i ragazzi uscirono dal negozio, lasciandoli nuovamente soli.
- Puoi andare con loro, Severus. – lo pregò ingollando a vuoto, sentiva una voragine al posto del cuore.
- No. – sbottò lui sbattendo un pugno sul tavolo – Non andrò via. Non seguirò quelle teste di legno. Non ti permetterò di chiudermi fuori dalla tua vita ancora una volta. Ti ho lasciato andare sei anni fa. – la prese per gli avambracci, tenendola stretta – Non puoi chiedermi di fare finta di niente. Di voltare le spalle a tutto questo. Di voltare le spalle a noi.
- Noi? – Clarice fece una risata sarcastica – Non esiste nessun n…
Clarice non terminò la frase, perché la bocca dura ed esigente di Severus si era posata con rabbia sulla sua. Il bacio non fu affatto bello. Fu crudele, pieno di rabbia. Un bacio furioso, che le fece sanguinare il labbro tormentato della strega più giovane.

Un colpo di magia involontario li fece separare. Clarice fu sbattuta contro gli scaffali dietro di lei, Severus volò a metà negozio. La strega si toccò il labbro con la mano che tremava. Posò i suoi occhi chiari prima sull’uomo, poi sulla fonte della magia.
- Daniel. – parlò con la voce tremula Clarice.
- Rose mi ha convinto a tornare a casa. – spiegò il bambino tremando di rabbia.
- Daniel, ti prego. – ingollò a vuoto Clarice – Ascoltami per favore.
- No. – uno sfrigolio di magia fece oscillare alcuni barattoli.
- Daniel. – fece un passo avanti Severus – Vorrei parlare con te.
- Sono io che non voglio parlare con voi due. – scosse la testa corvina lui – Andrò da Tom. Ho già chiesto a Rose di potermi ospitare. – concluse.
- Non sono d’accordo Danny. – intervenne Clarice fermando il fiume di parole del figlio.
- Sono arrabbiato. – ammise – Dammi tempo mamma.
La strega abbassò la testa distogliendo lo sguardo da quello arrabbiato del figlio, posandolo su quello di Severus solo per un attimo.
- Non puoi andare via così arrabbiato Daniel. E se vuoi andare via arrabbiato, lasciami venire con te. Perché sono anch’io arrabbiato con Clarice. – concluse attirando completamente l’attenzione del bambino.
- Tu, arrabbiato con lei? – domandò arcuando un sopracciglio, in quel momento erano l’uno lo specchio dell’altro.
- Molto. – ammise a denti stretti.
- Vuoi raccontarmi perché? – chiese sulla difensiva, Severus annuì.
Daniel si mordicchiò il labbro inferiore come faceva sempre sua madre Clarice, poi scosse la testa mormorando:
- No grazie. – e si girò verso la porta senza salutare né lui né la madre.
- Daniel Severus James Prince. – lo richiamò la strega – Non andrai da nessuna parte. Non ci sarà Rose a difenderti questa volta. Non ti permetterò di fuggire dalle tue paure. L’ho già fatto io e guarda in che guaio mi sono cacciata. – concluse indicando loro stessi con un gesto – Tu, stasera, cenerai a casa con me. Sarai gentile. Mi racconterai della tua giornata e mi chiederai scusa per i barattoli che hai rotto con la tua scelleraggine.
Daniel, con la testa bassa, ascoltava la madre parlare. Il suo esile corpo stava tremando di rabbia a stento trattenuta.
- A cena, ci sarà anche Severus. – concluse con un bisbiglio appena udibile, ma padre e figlio alzarono la testa all’unisono fissando i loro occhi nel viso di Clarice.
- Non credo di aver sentito bene. – rispose infatti il mago – Mi hai appena invitato a cena?
- L’ho fatto. – fece un sorriso mesto.
- Accetto. – mormorò il bambino.
- Vai da Tom a giocare. – lo abbracciò ed il bambino si rilassò tra le braccia della madre, lasciando uscire alcune lacrime.
- Verrai a chiamarmi tu? – le chiese affondando il naso nel petto florido di lei.
- Ti manderò il mio Patronus. – lo baciò sulla nuca e lui sorrise correndo via dal negozio.
I due restarono in silenzio per alcuni minuti, poi il Pozionista parlò:
- Sicura di quello che hai detto?
- No. – ammise con un mezzo sorriso – Ma ormai l’ho fatto e non torno indietro. – gli puntò addosso i suoi occhi, avrebbe voluto aggiungere altro ma le ombre dei ragazzi fuori dalla porta glielo impedì – Dovresti andare Severus.
- Andare? – domandò senza capire.
- Le tue guardie del corpo. – gliele indicò con un cenno della testa – Stanno facendo avanti e indietro davanti alla porta. Vorrebbero ascoltare ciò che ci stiamo dicendo, ma non possono. – spiegò.
- Come “non possono”, Clarice. – domandò l’uomo.
- Ho migliorato un incantesimo di tua creazione. – spiegò con un sorriso sornione appoggiando i gomiti al bancone, Severus la osservò rivedendo in quella bella donna la studentessa che gli aveva fatto perdere la testa anni fa.
- Il mio Muffliato era perfetto. – si offese l’uomo incrociando le braccia sul petto, Clarice sorrise e guardò avidamente le sue mani, ricordando le sensazioni che le trasmettevano sulla pelle nuda.
- Non così perfetto, Severus. – ghignò, i due maghi si guardarono negli occhi poi scoppiarono a ridere divertiti.
- Mi era mancato il suono della tua risata Clarice. – ammise rilassando le braccia.
- Mi era mancato ridere con un adulto di sesso maschile. – sorrise distogliendo lo sguardo – Perché mi hai baciata prima? – domandò.
- Perché straparlavi.
- Oh. – la porta si aprì nuovamente, ad entrare fu la strega più giovane della compagnia, l’espressione accigliata e stufa.
- Professor Piton, la prego, è tardi e dobbiamo rientrare. La passaporta sta per attivarsi.
- Andate voi. – li congedò con un gesto secco della mano – Signorina Weasley chiuda la bocca prima che le ci entrino le mosche. – le disse secco, con la sua voce strascicata che Clarice trovava così sexy.
- Ma signore, cosa diremo alla professoressa McGranitt? – chiese aprendo la porta per far sentire la risposta al resto del gruppo.
- Che il Preside della Scuola si prende un giorno di riposo. – rispose con un’alzata di spalle la donna dietro il bancone.
- Serpeverde, immagino. – borbottò Ginevra stringendo gli occhi; la strega più grande, che non aveva gradito il tono supponente della ragazzina, osservandola con attenzione replicò:
- Capelli rossi. Sguardo assente. Abiti di seconda mano. Devi essere una Weasley. Grifondoro tra l’altro.
- Ma come si permette! – tuonò Ron offeso.
- Come mi permetto io? – alzò un angolo della bocca Clarice – Voi piombate nel mio negozio, mi offendete e poi chiedete a me “come si permette”?
- Clarice. Nessuno ti ha offeso. – scosse la testa senza capire Severus.
- Professore. – alzò gli occhi al cielo la curatrice – Non stavi prestando attenzione, vero? Ti ho detto che ho migliorato il tuo incantesimo. Loro non possono sentire noi quando la porta del negozio è chiusa, ma la regola non vale per me. – e mostrò all’uomo uno strano artefatto magico che non aveva mai visto.
- Cos’è questo? – chiese.
- Si basa su un oggetto babbano. – spiegò – Lo chiamano “baby monitor”, lo usano per ascoltare i bambini piccoli quando dormono in un’altra stanza. Io ho migliorato la loro idea creando questo. Sembra un soprammobile. Passa inosservato, però mi permette di sentire quello che succede in strada quando sono in laboratorio e non sento il campanello. – concluse con un’alzata di spalle. In quel momento, un elegante gatto nero entrò dalla porta sul retro attirando l’attenzione dei presenti.
- Blackie? – domandò Severus.
- Una sua discendente. – annuì accarezzandola Clarice – La mia Blackie è passata a miglior vita anni fa. Ma ho sempre avuto con me un gatto nero.
- Un cliché. – borbottò Hermione.
- Il più antico dei cliché. – ridacchiò – Signor Potter, perché mi sta guardando in quel modo? Ho qualcosa che non va?
- Conosce da molto tempo il nostro insegnante, signorina? – domandò spostando lo sguardo ora sull’uno, poi sull’altro.
- È stato il mio insegnante di Pozioni. – si strinse nelle spalle.
- E il bambino che abbiamo visto uscire dal retro? – chiese ancora Harry.
- Non vedo come questo la riguardi, signor Potter. A meno che… - scivolò sul bancone – Lei non provi un’attrazione segreta per il suo professore. Anzi, ex professore.
- Purtroppo ancora professore. – biascicò Severus con un sospiro – Il Ministero della Magia, ha chiesto che potessero ripetere l’ultimo anno visto che la Guerra ha fatto quello che ha fatto. – spiegò.
- Oh. – mormorò pensierosa – La Scuola cerca insegnanti? – chiese.
- No. – scosse la testa Hermione – Il corpo docenti è al completo.
- Tu cosa insegni, Sev? – chiese curiosa.
- Ho mantenuto la mia cattedra di sempre. – borbottò.
- Il miglior Potion Master del Mondo Magico. – si mordicchiò il labbro, inseguendo chissà quali ricordi.
Severus le dedicò un sorriso sincero, poi ordinò ai suoi studenti di uscire dal negozio, seguendoli dopo pochi istanti. Clarice li osservò andare via con la scorta di erbe e radici che aveva ordinato la Scuola, poi, ricordandosi di non avergli detto a che ora presentarsi per cena; evocò il suo Patronus, un lupo siberiano, al quale affidò un breve messaggio “ti aspettiamo per le venti, sii puntuale”.

Angolo dell’Autrice:
Questo è un progetto piccolo piccolo, che avrebbe dovuto concludersi al secondo capitolo (anzi al primo senza un incontro tra Severus e il figlio, ma poi la storia è cambiata in fase di scrittura…)

Non andrò oltre al terzo capitolo. Avrei voluto concluderla stasera, ma non ci sono riuscita. Ci tenevo a pubblicarla stasera, per augurare a tutti voi una Felice Festa della Donna, perché tutti meritano una seconda possibilità di essere felici. Perché la donna dovrebbe essere festeggiata e corteggiata ogni giorno, non solo in occasione di una ricorrenza.

Grazie a Dreamsneverend che mi ha spinto a scriverla, portando la luce nel caos dei miei più caotici pensieri.

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Capitolo 3
*** Terza parte ***


Il viaggio con la passaporta fu rapido e indolore, Piton fu l’unico ad atterrare in piedi nel cortile della Scuola e, con un ghigno serafico, osservò gli studenti che l’avevano accompagnato.
- Signore. – parlò Harry aiutando Ginny ad alzarsi – Chi era quella donna, perché siamo andati là?
- Non sono cose che ti riguardano, Potter. – rispose gettandogli un’occhiata sprezzante – Tutto ciò che ti è concesso sapere è che lei gestisce il miglior negozio di rifornimenti di ingredienti per Pozioni.
- E quel bambino? – si azzardò a chiedere Hermione.
- È suo figlio. – rispose di getto l’uomo – Non vedo come essere una madre infici negativamente sul suo lavoro.
- La domanda può essere lecita, signore. Non posso credere che lei non abbia notato che le assomiglia! – borbottò offesa la Granger.
- Se lo dice lei. – si strinse nelle spalle – Adesso fate fluttuare queste casse nell’aula. Weasley, Potter, senza rompere niente; altrimenti subirete la mia ira! – gli puntò il dito contro e i due migliori amici ingollarono a vuoto alcune volte. E, senza aspettare una risposta, si smaterializzò nel suo nuovo ufficio, sfruttando i nuovi poteri che essere il Preside di Hodwarts gli dava.
Non appena varcò la soglia del proprio ufficio, notò un Patronus acciambellato sul tappeto davanti alla scrivania; sobbalzò: cosa ci faceva un Patronus lì? E, soprattutto, di chi poteva essere? Lui, non conosceva nessuno che avesse per Patronus un lupo siberiano.
Il Patronus, voltò il muso regale nella sua direzione e, alzandosi con un movimento fluido, lo raggiunse parlando con la voce di Clarice:
- Ti aspettiamo per le venti in via delle Radici 27, non tardare per favore.
- Sarò puntuale, grazie. – rispose il Preside della Scuola osservando il Patronus correre via fino a scomparire; poi, passandosi una mano sul viso stanco, raggiunse la scrivania.
Era quasi l’ora di pranzo, ma lui non aveva voglia né di mangiare né di essere assalito dalle domande curiose dei suoi colleghi/sottoposti che volevano sapere cose di cui lui non si sentiva ancora pronto a parlare.
- Allora mio caro ragazzo. – parlò il ritratto di Albus facendolo sobbalzare – Hai trovato le risposte che stavi cercando? – domandò con un sorriso.
Il Pozionista e Preside della Scuola si girò verso il muro e, fissando i suoi occhi neri in quelli chiari dell’uomo sul dipinto, rispose:
- Ho trovato altre domande. E una “sorpresa”.
- Dovrebbe avere intorno ai sette anni. – annuì Albus battendosi un dito sul viso, pensieroso.
- Tu sapevi del bambino allora. – bofonchiò Severus.
- Avevo fatto un giuramento, ragazzo mio. – mormorò dispiaciuto – Non sono mai stato tipo da infrangere i giuramenti. Ma, adesso, sono morto. E tutto è decaduto. – sorrise.
- E i miei guai sono aumentati. – ringhiò sbattendo un pugno sul tavolo con rabbia – Non basta tutto quello che ho sofferto. Tutte le cose orribili che ho subito e dovuto far subire alle persone. Non basta tutto quello che ho fatto per proteggere il figlio di Lily e…
- James, Severus. Non dimenticarlo.
- E come potrei? – sbottò sgonfiandosi come un palloncino bucato – Assomiglia così tanto al padre che me lo ricorda ogni giorno.
- Ma non sei arrabbiato con me per questo, vero? Non perché ti ho chiesto di proteggere un bambino innocente. Di formarlo per affrontare un pazzo che voleva ucciderlo e soggiogare l’intera umanità.
- Non sono arrabbiato per quello, no. – ammise massaggiandosi stancamente i seni nasali – La Guerra è finita. Voldemort è stato sconfitto. Harry è un eroe e, grazie a lui, molti nomi infangati sono stati riabilitati. – fece un mezzo sorriso – Compreso il mio. La cosa che mi ferisce è aver scoperto solo dopo la tua dipartita che io ho un… - non terminò la frase, perché la porta del suo ufficio si aprì, lasciando entrare il Golden Trio.
- Professor Piton? – lo chiamò Harry facendo un passo avanti.
- Potter. Weasley. Granger. Quale vento di sventura vi conduce da me? – chiese con un sospiro stanco.
- Abbiamo terminato di trasportare le casse nell’aula di Pozioni, signore. – spiegò Hermione.
- Abbiamo pensato di aiutarla mettendo a posto alcuni ingredienti. – continuò Ron – Dentro una delle casse abbiamo trovato queste. – gli passò alcune pergamene.
- Scommetto che le avete lette, vero? – domandò alzando un sopracciglio l’uomo.
- È solo il riepilogo delle cose presenti nelle scatole, signore. – si strinse nelle spalle Harry.
- La signorina Prince è molto brava. – sorrise Hermione – E dannatamente precisa.
- Ex alunna. Ex Serpeverde. – spiegò Albus facendo capolino nel quadro.
- Professor Silente, salve. – lo salutarono quasi in coro i tre Grifoni, Severus alzò teatralmente gli occhi al cielo; poi chiese loro se avessero bisogno di altro e, quando scossero la testa, li congedò. Non aveva voglia di parlare con nessuno, soprattutto non con loro.
Gli studenti, uscirono dall’ufficio del nuovo Preside che, prima che la porta si chiudesse alle loro spalle, disse:
- Per l’ottimo lavoro svolto, dieci punti a Grifondoro. – poi chiuse loro la porta in faccia, ma rise davanti alle loro espressioni sorprese.
Il resto della giornata, trascorse lento e esasperante. Severus tenne alcune lezioni, degli studenti fecero scoppiare le loro pozioni; assegnò detenzioni e tolse punti a tutte le case tranne alla sua amata Serpeverde poi, dopo l’incontro con il corpo insegnanti, si ritirò nei suoi appartamenti per prepararsi per la serata.
Non l’avrebbe ammesso neanche sotto cruciatus, ma quell’incontro con la sua ex-alunna e loro figlio lo agitava. Era nervoso e sperava di non rovinare tutto con il suo carattere antipatico e saccente.
- Hai pensato ad un dono da portare loro, caro ragazzo? – domandò Albus comparendo nel quadro di un altro ex Preside che era vicino alla porta della sua camera da letto.
- Regalo? Perché, signore, dovrei portare un regalo alla donna che ha nascosto per sei anni la presenza di mio figlio nel mondo? – ripeté l’uomo uscendo dalla camera, si era fatto una lunga doccia ed aveva avuto il tempo di indossare solo i boxer puliti. Le signore presenti nei quadri, pigolarono commenti piccanti arrossendo deliziosamente.
Ascoltando le parole degli ex Presidi presenti nei quadri, lui mandò la testa di lato dicendo:
- Non porterò nessun regalo. Almeno non stasera a questa prima cena. – ribatté serrando le labbra in una linea dura, in quel momento incolpava sia Harry sia Voldemort per aver perso i primi sei anni di vita del figlio: se loro non ci fossero stati, se la guerra non fosse stata una Spada di Damocle sulle loro teste, forse le cose tra lui e Clarice sarebbero potute andare diversamente.
- Adesso non cercare scuse per nasconderti ancora, Piton. – lo sgridò con dolcezza Albus – Sia tu sia la ragazza, avete fatto delle scelte incontrovertibili. Non necessariamente condivisibili. Tu hai messo a repentaglio la tua vita per mantenere una promessa. Lei è scomparsa perché temeva che se tu avessi scoperto la verità, avresti rinunciato a tutto. Compresa la tua vita.
- Quello che non capisco è perché, finita la guerra, lei non mi ha cercato. Perché?
- Questo non devi chiederlo a me, Severus. – scosse la testa l’ex Preside – Non posso risponderti. Sono solo un quadro incantato. Durante la guerra, ho avuto pochissimi contatti personali con Clarice. – spiegò.
- Spero di riuscire a mantenere la calma per parlare con lei.
- Lo farai. Tu e Clarice avete un carattere molto simile. Se tu inizierai ad urlare contro di lei, mostrando il tuo caratteraccio, lei si chiuderà in difesa. Corri il rischio di farla scappare ancora.
- Non voglio che scappi ancora. – scosse la testa nera l’uomo e storse la bocca, chiudendosi in camera da letto per vestirsi.
Prendendo un paio di paio di pantaloni neri dal taglio classico, una camicia slim color ghiaccio che metteva in risalto i suoi muscoli e la giacca nera, elegante, abbinata ai pantaloni e si vestì. Non voleva indossare abiti troppo eleganti ma non voleva neanche andare vestito troppo causal. Quell’abbigliamento lo faceva sentire sicuro ed elegante al tempo stesso.
Dopo un’ultima occhiata allo specchio e dopo aver sistemato i capelli e la barba con la magia, il Preside uscì dalla sua camera a grandi passi. Per tutto il tempo, aveva immaginato molti scenari su come sarebbe potuta andare la serata con Clarice e Daniel, ma nessuno degli scenari concepito con la fantasia riuscì a soddisfarlo o farlo stare sereno. Andando a prendere alcuni dei ricordi che teneva nella stanza del pensatoio, il Pozionista guardò il pendolo che teneva in ufficio e vide che erano già le sette di sera.
Camminando nervosamente per la stanza, il Pozionista andò a controllare alcune pozioni che stavano bollendo a fuoco molto basso nel suo laboratorio e, a cinque minuti alle venti, si smaterializzò nella via dove abitavano Clarice e Daniel usando il suo camino.

Mentre le campane suonavano otto rintocchi, Severus raggiunse la casa che gli aveva indicato la ragazza con il suo Patronus. La casa era a due piani, aveva le pareti esterne color pervinca; una porta di legno al naturale, il tetto spiovente con tegole perfettamente distribuite ed un comignolo dal quale usciva un sottile filo di fumo. Dalla casa, proveniva una musica allegra che fece spuntare un sorriso sulle labbra di Severus: quelle erano le canzoni che canticchiava sempre Clarice quando erano insieme e dipingeva.
L’uomo si prese alcuni secondi per ammirare la via e il retro della casa, dove faceva bella mostra di sé un giardino ben curato. Un gatto nero saltò sulla staccionata dipinta dello stesso colore della casa, facendolo sobbalzare.
- Gatto! – parlò guardandolo – Non è buona educazione spaventare le persone.
Il gatto miagolò annoiato, poi si allontanò sculettando sinuoso. Il Pozionista, sospirando, lo seguì fermandosi davanti alla porta chiusa dove bussò con un colpo secco e sicuro.
La musica all’interno della casa si acquietò, il Pozionista sentì dei passi provenire dal piano di sopra e la voce annoiata di Daniel dire:
- Vado io mamma.
- Grazie amore. – rispose Clarice da quella che Severus immaginava fosse la cucina.
Daniel aprì la porta e si fermò ad osservare, dal basso verso l’alto, l’uomo fermo sulla soglia che aspettava di poter entrare in casa; perdendosi a contemplarlo, curioso di vedere se lui avrebbe abbassato lo sguardo per primo com’era successo ad altri uomini che avevano tentato di corteggiare sua madre nel corso degli anni. Severus era abituato a sostenere ogni tipo di occhiata e, con un sorriso serafico sul viso, ricambiò lo sguardo curioso del bambino; studiandolo, riempiendosi gli occhi e il cuore di lui che non aveva potuto vedere prima.
- Danny! – la voce di Clarice li fece sobbalzare entrambi e, all’unisono puntarono i loro occhi su di lei che si ritrovò squadrata da quattro paia di occhi così diversi eppure così simili – Che fine hanno fatto le tue buone maniere? – continuò la strega con un sorriso, la voce solo un po’ incerta mentre guardava Severus.
- Scusa mamma. – biascicò il bambino e il Pozionista sobbalzò sentendo in lui lo stesso tono strascicato che usava durante le lezioni.
- Accomodati Severus. Daniel “abbaia ma non morde”. – sorrise.
- La stessa cosa non la si può dire della sua mamma. – mormorò il Pozionista a bassa voce nell’orecchio di lei. Clarice sgranò gli occhi rabbrividendo, la mente invasa dai ricordi di loro mentre facevano l’amore e di quanto a lei piacesse “marchiarlo” e morderlo dove poteva.
- Severus! – ansimò sentendo le guance andare a fuoco.
- Mamma, stai bene? – domandò Daniel sghignazzando – Sei diventata rossa, rossa. Hai la febbre?
- No. – gli fece la linguaccia – Accomodati Severus, - continuò – la cena è pronta, finisco di apparecchiare.
- Vuoi aiuto? – domandò.
- Se non ti scoccia. Danny, aiuti anche tu?
- Sì. – annuì il bambino precedendoli in cucina.
- La tua casa è molto graziosa. – notò il Pozionista guardandosi intorno.
- Grazie. – sorrise lei.
- È piccola, ma per me e la mamma è perfetta. – ghignò Daniel finendo di prendere i piatti dallo sportello.
Ridacchiando a disagio, i due adulti aiutarono il ragazzino a finire di apparecchiare la tavola. Clarice pregò i due di sedersi poi si girò per andare a prendere i vassoi in cucina.
- Mamma? – la chiamò Daniel e non aggiunse altro, Severus immaginò che il bambino avesse inviato un’immagine nella mente della madre che, infatti, rispose con un dolce sorriso:
- Girasoli?
- Sì, ti prego. – annuì.
- Severus, potresti trasfigurare i “non ti scordar di me” in girasoli, per cortesia?
- Certamente. – assentì il mago che, dopo aver estratto la bacchetta dalla tasca interna della giacca, trasfigurò con un gesto i fiori che facevano bella mostra di sé sul tavolo in un bel mazzo di girasoli.
- Grazie. – mormorò Daniel – Sono perfetti. – sorrise, poi, osservando la bacchetta ancora tra le mani del mago, chiese – Posso vederla? Prometto di non provare ad usarla. – e lo guardò dritto negli occhi, senza mai distogliere lo sguardo.
- Certo. – annuì Severus – Ma fai molta attenzione. Una bacchetta riconosce la mano della persona che la sta tenendo.
- Sono troppo piccolo per fare incantesimi. – cercò di tranquillizzarlo, ma il ghigno che gli tirò le labbra fece preoccupare Severus.
- Se provi a tirare qualche tiro gobbo al nostro ospite, Daniel, andrai a letto rapido come l’Espresso per Hogwarts ma senza cena. – lo rimproverò la madre tornando con un paio di vassoi ricolmi di antipasti.
- Uffa mamma. Non posso neanche divertirmi un pochino? – la guardò facendo gli occhioni da “cucciolo”, ma la donna scosse la testa replicando:
- Non mi diverte raccogliere i resti del cibo e di piatti da terra perché tu devi dimostrare la tua teoria.
- Teoria? – chiese curioso Severus, gli faceva piacere che suo figlio fosse un bambino curioso.
- Dice di aver sentito dire da qualcuno, ma non vuole dirmi da chi, che le bacchette magiche riconoscono i membri della famiglia. – spiegò con un sospiro Clarice mettendosi seduta – Da quel momento, le rare volte che ho avuto un ospite maschile a cena, lui si è fatto prestare la bacchetta creando disastri e interrompendo bruscamente la serata. – concluse gettando un’occhiata ammonitrice al figlio che si limitò a soppesare la bacchetta del mago in silenzio.
- Legno di betulla, nucleo di crine di unicorno, 12 pollici e mezzo, rigida. – sciorinò Severus guardando il bambino osservarla con attenzione.
- È molto bella, sembra potente e ben calibrata.
- Olivander è il migliore del Mondo a creare bacchette.
- Io potrei diventare bravo quanto lui, sai, mamma? – replicò Daniel porgendo la bacchetta a Severus, un gesto semplice, ma che fece partire un incantesimo dalla punta della stessa che cambiò i colori dei petali di alcuni fiori.
- Daniel Severus James Prince! – tuonò Clarice – Cosa ti avevo detto?
- Scusami! – piagnucolò il bambino – Scusa mamma. Scusami! Scusami! Scusami! – sembrava spaventato dall’aria rabbiosa della madre – Non l’ho fatto di proposito. Ti giuro.
- È stato un incidente Clarice. – annuì Severus cercando di proteggere il bambino – Un movimento involontario dei nostri polsi. Per favore, non mandarlo via. – la supplicò.
- Adesso, per favore. Mangiamo. – tirò un lungo sospiro lei per cercare di calmarsi.
Padre e figlio si limitarono ad annuire, poi Severus si lasciò conquistare dai profumi e dai colori del cibo presente sul tavolo.
- È opera tua tutto questo, Clarice? – domandò servendosi dal vassoio più vicino.
- Non è tutta farina del mio sacco, - ammise – ma è opera mia. – sorrise mentre vedeva il figlio riempirsi felice il piatto di “pappa al pomodoro”.
- La mamma ha preso lezioni di cucina. – spiegò il bambino annusando il profumo che proveniva dai vassoi – È stata la vecchia elfa domestica della signora Swan ad insegnarle tutto.
- Swan? – chiese Severus sistemandosi con un gesto elegante il tovagliolo sulle gambe, imitato da Clarice che, annuendo spiegò:
- La vecchia proprietaria del negozio. Quando sono approdata qua, avevo sì e no 18 anni. – sorrise – Non sapevo fare molto, devo ammetterlo. Avevo una grande passione: le Pozioni. Ma per il resto ero una frana. – Daniel ridacchiò, aveva sentito quel racconto tante volte nella sua breve vita – Essendo cresciuta in una famiglia ricca, non ho mai sentito la necessità di imparare a prendermi cura di me stessa o della casa. C’era sempre chi ci pensava. – fece un sorriso guardando il figlio – Ma qui era tutto diverso. In molti mi hanno aiutato. La casa è stata sistemata e ritinteggiata velocemente, le cose rotte sono state riparate. Tutti avevano un debito con mia nonna. Anche la vecchia curatrice. – spiegò sentendo gli occhi di Severus puntati addosso.
- Potevi venire da me. Chiedere aiuto a me. – mormorò, le sue mani tremarono leggermente, Clarice distolse lo sguardo dal suo piatto per fissarle a lungo, perdendosi nei suoi ricordi.
- La mamma mi ha sempre detto che il mio papà era, anzi è, un mago molto potente. Un mago che aveva un compito molto importante da portare a termine. – lo guardò – Non ha mai voluto dirmi il nome di quel mago. Di mio padre. – sospirò – Temeva che avrei fatto una pazzia e che sarei andato a cercarlo.
- Perché, mocciosetto, - ridacchiò Clarice dopo aver bevuto un lungo sorso d’acqua – non l’avresti fatto?
- Certo che sì! – annuì fiero – Io e Tom eravamo pronti a partire non appena fossi riuscito a farti dire il nome. – concluse gonfiando il petto, fiero del suo coraggio.
- Dei, un figlio Grifondoro no. – alzò gli occhi al Cielo teatralmente Severus.
- No, è troppo Serpeverde per essere definito Grifondoro. – rise Clarice e il respiro si mozzò nella gola del Pozionista, erano anni che non sentiva quella risata cristallina, erano anni che non si sentiva così “vivo” vicino a qualcuno.
- Santo Salazar! – squittì Daniel – Non vedo cosa ci sia di male nel voler scoprire chi è tuo padre. – una lacrima dispettosa gli rigò il viso – È stato difficile sai mamma? Vedevo come mi guardavi, con gli occhi malinconici e pieni di lacrime che hai sempre nascosto dietro un abbraccio o un bacio sulla testa. In quei momenti capivo che dovevo assomigliare a lui. – fissò i suoi occhi chiari in quelli del padre – E avevo ragione.
- Scusate. – Clarice, la voce rotta di pianto, si alzò dal tavolo e, facendo fluttuare i vassoi verso la cucina, si allontanò da loro.
Cercando di ritrovare un contegno, la strega si appoggiò al bordo del lavabo e sobbalzò quando sentì la voce di Severus provenire dallo stipite della porta.
- È tardi per piangere, Clarice.
- Non ho pianto per sei anni. – spiegò asciugandosi gli occhi – Non ho pianto neanche quando è nato. – si girò a fronteggiarlo – Quando ho scoperto di essere incinta, ho promesso al piccolo seme che cresceva in me che sarei stata forte. Che non avrei permesso a niente e nessuno di spezzarmi. Che non avrei più versato una lacrima rimpiangendo ciò che poteva essere ed invece non è stato. – fece un sorriso triste – Ma voi sapete quali tasti della mia anima toccare per farmi sciogliere in lacrime.
- Non è divertente farti piangere. – scosse la testa corvina Severus – Anche se un po’ di dolore te lo meriti. – sospirò – Mi hai invitato a cena per permettermi di stare insieme a Daniel. Ti prego, non roviniamo tutto.
- Non vorrei mai rovinare la tua serata, - ammise – le emozioni giocano brutti scherzi. Ho immaginato talmente tante volte di essere così, noi tre insieme.
- Non voglio saperlo. – la zittì – Continuiamo la nostra cena. Sono qui per mio figlio. – concluse e, vedendola sgranare gli occhi ferita, non poté fare a meno di incurvare le labbra in un sorriso crudele e soddisfatto.

La cena, nonostante tutto, si svolse in un’atmosfera distesa, parlarono molto durante il pasto. Clarice era diventata un’ottima cuoca e i due uomini fecero onore alla sua cucina. Lei, invece, mangiò poco o niente: aveva lo stomaco chiuso e il cervello affollato da troppi pensieri.
D’un tratto, l’urlo di Daniel la strappò dal torpore nel quale era caduta e, sobbalzando, si girò verso suo figlio che stava sbraitando contro la sua gatta.
- Mamma, questa gatta mi odia! – sbottò il bambino.
- Non ti odia, - sorrise indulgente la donna posando gli occhi sull’animale fiero ed elegante che li osservava dalla mensola del camino – non molto. – concluse.
- È una gatta cattiva.
- Anche la tua Blackie aveva un brutto carattere. – annuì ricordandosi della gatta nera che Clarice aveva ai tempi della Scuola.
- Ho scoperto, da quando abito qui, che i gatti neri sono legati in modo particolare alle streghe della mia famiglia. Solo alle streghe però. – si mordicchiò le labbra giocando con il cibo – Sopportano i compagni di vita della strega che hanno scelto di seguire; ma questo non impedisce loro di essere dispettose nei confronti dei figli. Soprattutto i maschi.
- Questo significa che, - sbottò Daniel – se dovessi avere una sorellina anche lei avrebbe un gatto nero perfido come il tuo!
Al termine “sorellina”, Severus che stava bevendo un sorso di vino, si strozzò: il vino gli era andato di traverso e l’aveva sputato poco elegantemente nel piatto che aveva davanti.
- Severus? – lo chiamò Clarice spaventata – Stai bene? – fece per alzarsi, ma lui la bloccò con un cenno della mano.
- Sorellina? – domandò quando ritrovò la voce – C’è qualcosa che devo sapere?
- Cosa? – domandarono in coro madre e figlio, il bambino aveva dipinta sul volto un’espressione fintamente innocente. Aveva parlato di proposito di una “sorellina”, voleva vedere la reazione del mago che non lo deluse affatto.
- A quel che mi risulta, ho un solo figlio. – rispose sarcasticamente Clarice – Danny sa essere tagliente e sarcastico. Talmente sarcastico, che se continua a prendersi gioco di noi, non mangerà il dolce questa sera. – concluse con un sorriso sardonico.
- In quanto a sarcasmo ho preso bene da entrambi. – sbuffò il bambino incrociando le braccia sul piccolo petto.
- Non possiamo darti torto. – sorrise Severus capendo il gioco astuto del figlio: con quella frase buttata lì, aveva scoperto che lui era ancora interessato alla madre.
Il clima teso si distese con una risata collettiva, Severus si lasciò conquistare dall’ottimo cibo preparato da Clarice e dalle chiacchiere curiose di quel bambino che aveva scoperto essere suo figlio.

Daniel era saccente e brillante. Era molto intelligente per la sua età ed aveva una parlantina sciolta e spigliata. Al contrario di sua madre, non sembrava interessato al mondo delle Pozioni e questo un po’ gli dispiacque perché lui ne era da sempre rimasto affascinato.
- Avrei alcune domande per voi. – disse Severus pulendosi la bocca dopo aver terminato il secondo e il contorno che aveva nel piatto – Clarice, perché il tuo Patronus è diventato un lupo siberiano? E tu, Daniel, hai mai pensato a cosa ti piacerebbe fare da grande?
- Perché mamma, prima che animale era il tuo Patronus? – chiese curioso il bambino, non conosceva quella storia.
- Prima avevo una lince. – sospirò la curatrice che aveva appena finito di mangiare il cibo nel suo piatto – Ma, dopo aver conosciuto Aduial nella foresta, il mio Patronus è cambiato.
- Chi è Aduial? - domandò Severus scoprendosi improvvisamente geloso.
- Poco dopo la nascita di Daniel, siamo stati attaccati da un gruppo di Mangiamorte. – spiegò la donna guardando fuori dalla finestra – La curatrice, per paura che facessero del male a me e al bambino, mi mandò nella Foresta. Quella che sta vicino al villaggio, poco prima della strada per il mare. – l’uomo annuì, aveva notato la Foresta durante la visita di quella mattina – Mi sono persa nel bosco. Non sono riuscita a raggiungere il gruppo di maghi e streghe sotto l’ala protettiva dei Membri dell’Ordine della Fenice. – sospirò – Correvo tra gli alberi cercando di seguire le tracce magiche delle persone che conoscevo. Ma ero troppo spaventata per farlo nel modo giusto e… sono stata scovata da un gruppo di Mangiamorte. Loro stavano per attaccarmi, quando un enorme lupo siberiano è uscito dal folto della foresta ed ha affrontato i maghi oscuri, facendoli fuggire. – puntò i suoi occhi in quelli di Severus – Ho scoperto che quel lupo in realtà era un uomo. Un vecchio druido, Aduial. – sorrise al ricordo.
- E cosa ci faceva qua un druido? – domandò l’uomo muovendosi sulla sedia.
- Era venuto per prendere delle erbe dalla signora Swan. – rispose Daniel, lui aveva conosciuto Aduial era stato per lui una sorta di nonno.
- Già. La guerra lo ha trattenuto al villaggio per un lungo periodo. Da lui e dalla signora Swan ho imparato molto sulle pozioni e sui loro ingredienti. Ho imparato ad usare anche erbe e radici che non avevo mai preso in considerazione. – spiegò con un sorriso sereno – Mi piaceva camminare nella Foresta in compagnia dell’Animagus lupo. Mi faceva sentire al sicuro. Lui è stato come un padre per me.
- Ed un nonno per me. – annuì Daniel – Sono stato triste quando è dovuto tornare nel suo villaggio. Ma di tanto in tanto, ci sentiamo ancora. Vero mamma?
- Sì, amore! – annuì Clarice allungando una mano verso il bambino.
- Adesso è il momento del dolce, vero? Vero? Vero? – la guardò sbattendo le palpebre.
- Sì, piccola peste. Arriva. Però tu devi rispondere alla domanda che ti ha fatto Severus. Non essere scortese, ok?
- Sì. – annuì Daniel che, osservando la madre mentre si alzava, si girò verso Severus in attesa che lui smettesse di guardare la schiena della strega per prestare a lui tutta l’attenzione necessaria. – Avevo già risposto prima alla tua domanda, sai? – ridacchiò notando lo sconcerto di Severus, Clarice era già tornata e lui la ringraziò con un sorriso mentre gli porgeva una fetta di torta – Pensavo lo avessi capito dal modo in cui guardavo la tua bacchetta. – continuò il bambino dopo aver ingollato un grosso boccone di torta al cioccolato.
- Prego? – inarcò un sopracciglio l’uomo.
- Danny vorrebbe diventare un creatore di bacchette magiche, secondo solo alla fama del grande Olivander. – spiegò la strega con un sorriso sincero.
- Non mangi la torta? – domandò Daniel osservando il piatto di Severus con il dolce ancora intero.
- Non ho mai amato mangiare i dolci. – spiegò con un’alzata di spalle l’uomo.
- Adesso ho capito! – ridacchiò Daniel dopo aver finito di bere il suo bicchiere di latte.
- Capito cosa? – chiese curioso il Pozionista.
- Perché la mamma ha seguito proprio questa ricetta. – indicò la torta ancora da tagliare – L’aspetto è quello di una comune torta al cioccolato, ma è creata con un mix di farine speciali e ingredienti per pozioni che la rendono unica.
- Daniel. – lo pregò di smetterla Clarice, ma non ebbe successo.
- È la torta preferita. – concluse Severus – Una torta unica nel suo genere. Prende l’aspetto del dolce preferito dalla persona che la prepara, ma il sapore cambia a seconda di chi sia il commensale che la mangia. – annuì, aveva letto di quella speciale torta ma non aveva mai trovato nessuno in grado di crearla. Nemmeno gli Elfi della Scuola sapevano cucinare una meraviglia del genere.
- Non è completamente esatto. – ridacchiò – La torta al cioccolato è la mia torta preferita. Mamma pensa a me durante la preparazione di questo dolce speciale.
Clarice, sorseggiando un po’ d’acqua annuì, mentre Severus staccava un pezzetto della torta curioso di assaggiarla. Non appena se la portò alla bocca, un’esplosione di sapori invase le sue papille gustative: la torta non era dolce, sapeva di zenzero e cannella gli ingredienti che più spesso sua madre usava quando poteva fargli i biscotti con un retrogusto di scotch che lo sorprese.

Quando finirono di cenare, la strega fece fluttuare i piatti fino al lavello e con un incantesimo incantò la cucina affinché fossero puliti e messi al loro posto.
I tre si spostarono nel salottino, Clarice sprofondò nella sua poltrona preferita e la gatta nera le si acciambellò immediatamente sulle gambe.
Severus e Daniel parlarono ancora a lungo. Il bambino era molto curioso del lavoro svolto dal padre ad Hogwarts, voleva sapere molte cose della Scuola e delle sue Case; del Quidditch e di come i punti potevano essere persi oppure “vinti” dagli studenti.
Severus rispose pazientemente a tutte le domande, era ancora nervoso ed arrabbiato; ma il bambino non c’entrava niente: non doveva scaricare su di lui la propria frustrazione come faceva il padre con lui stesso quand’era bambino. D’un tratto, Daniel iniziò a sbadigliare sempre più frequentemente.
Clarice temeva quel momento: il momento in cui lei e Piton sarebbero rimasti da soli.
- Mamma… - pigolò Daniel – Non voglio andare a letto.
- Piccolo mio. – gli sorrise lei alzandosi, parlando per la prima volta da quando erano andati in sala – Si sta facendo tardi, tu domani hai la scuola.
- Ma non è giusto! – borbottò.
- Posso accompagnarlo io? – propose Severus speranzoso.
- Come? – Clarice si girò verso l’uomo, poi annuì – Mocciosetto mio, sei fortunato. Stasera c’è Severus che ti porta in braccio fino in camera tua.
- Finalmente! – squittì Daniel tendendo le braccia verso il Pozionista – Non dovrò fluttuare con la paura di essere lasciato a dormire sui gradini.
Severus sorrise, prese il bambino tra le sue braccia e si riempì le narici del suo profumo: sapeva di sapone al limone; cioccolato; matite a cera e sole. Odorava di vita.
Sentendo gli occhi riempirsi di lacrime, l’uomo strinse contro il proprio petto il corpicino stanco del figlio e, in silenzio, seguì Clarice al piano di sopra. Insieme, sistemarono Daniel per la notte; poi scesero al piano di sotto dopo avergli augurato la buona notte.

Quando rientrarono nuovamente nel salotto, la strega, tormentandosi le mani, si girò verso Severus dicendo:
- Non voglio trattenerti oltre, Sev.
- Non vorrei andare via adesso che siamo rimasti soli, Cly. – scosse la testa l’uomo osservandola, in quel momento gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo, quando lui era solo un insegnante e lei una delle sue più promettenti studentesse – Ti sei mai pentita di…? – iniziò a chiederle, ma lei scosse la testa dicendo:
- Tuo figlio è una piccola serpe. Se fossi in te, lancerei alcuni incantesimi prima di iniziare a fare i discorsi dei grandi. – e, davanti allo sconcerto di Severus, la strega presa la sua bacchetta lanciando incantesimi per impedire al figlio di origliare.
- L’hai chiamato “tuo figlio”. – mormorò emozionato l’uomo.
- Sono stanca di mentire. – si strinse nelle spalle – Lo capirebbe anche un cieco che Danny è tuo figlio. Siete identici. – sorrise stanca.
- Ma gli occhi sono i tuoi. – annuì l’uomo osservando con attenzione le foto e gli oggetti presenti sulle mensole.
- Già. – biascicò – Una magra consolazione per averlo portato in grembo nove mesi. – sorrise, nelle sue parole non c’era cattiveria ma orgoglio.
- Facciamo un patto Clarice. – disse dopo alcuni lunghi minuti di silenzio.
- Patto? – chiese lei curiosa.
Severus annuì, dalla tasca della giacca prese una scatola nera e la face tornare alle sue dimensioni originali con un colpo di bacchetta. Mostrandola alla giovane donna, disse:
- Qua dentro ci sono alcuni dei miei ricordi più preziosi, Clarice Johnson. – le sorrise quando le guance di lei si tinsero di rosa – Se vuoi averli, devi raccontarmi tutto. Spiegarmi dall’inizio alla fine perché hai scelto me. Perché ti sei lasciata mettere incinta proprio da me. Perché, porco Godric, mi hai usato per fuggire da un matrimonio. E, soprattutto, perché mi hai nascosto la presenza di un figlio che, ora che ho trovato, non ti permetterò di portarmi via di nuovo.
Clarice ingollò a vuoto alcune volte. La rabbia nella voce di Severus l’aveva scossa profondamente. L’uomo aveva tutto il diritto di essere arrabbiato con lei. Anche lei stessa, quando ripensava a tutto quello che aveva fatto, si dava dell’idiota per non essere tornata a chiedere aiuto quando poteva.
Ma ormai era troppo tardi. Il passato non si poteva cambiare, era un’adulta; una madre e doveva convivere con i fantasmi del passato, imparando dai suoi errori e cercare di fare del proprio meglio per stare vicino al figlio che stava crescendo.
- Sto aspettando Clarice. – parlò Severus e lei sobbalzò, rendendosi conto di essere stata in silenzio per un lungo tempo, persa a rincorrere i suoi pensieri.
- Facciamo che tu mi dai quella scatola per ringraziarmi della cena e dalla meravigliosa serata. – tentò di sorridere lei; ma Severus scosse lentamente la testa replicando:
- Quid pro quo, Clarice.
La strega puntò i suoi espressivi occhi chiari in quelli dell’uomo e restò a fissarlo per alcuni interminabili minuti. Severus sostenne senza sforzo apparente quello sguardo, ma negli occhi di lei stavano passando uragani di emozioni che diventavano sempre più difficili da gestire.
- Ti dirò tutto. – annuì Clarice – Ma ad un patto.
- Quale? – mandò la testa di lato lui.
- Che tu ascolterai senza interrompermi. Se avrai domande per me, le farai tutte solo alla fine del mio racconto. – gli tese la mano – Affare fatto?
- Affare fatto. – lui ricambiò la stretta di mano e si lasciò cadere sul divano mentre lei sedeva compostamente in poltrona.
Clarice, chiudendo gli occhi, cercò di dare un senso al tumulto di ricordi ed emozioni che aveva nel cuore e, dopo aver tirato un profondo respiro, iniziò a raccontare: gli parlò dettagliatamente di come aveva fatto a fuggire alle nozze; dell’ultima conversazione avuta con i genitori che l’avevano definita una “puttana” del ricatto che aveva posto loro per ottenere l’agognata libertà dalla famiglia di Durmstrang. Del trasferimento nella casa della sua ava; di come, dopo i primi mesi di completa solitudine, avesse trovato nella vicina di casa un’amica ed una confidente sincera e discreta. Del suo apprendistato con la vecchia signora Swan, la proprietaria del negozio; di come il loro rapporto si fosse evoluto tanto da diventare l’erede di tutti gli averi della curatrice alla morte di lei.
Parlò a lungo, interrompendosi di tanto in tanto, per aggiungere dettagli soffocare singhiozzi o lasciarsi andare a piccoli sorrisi pieni d’amore.
Raccontò a Severus tutta quella che era stata la sua vita per sei anni, delle difficoltà dopo la nascita di Daniel, di quanto fosse complicato a volte crescerlo da sola e, abbassando la testa per fissare il tappeto, concluse dicendo:
- Non sono mai venuta a cercarti dopo che sono rimasta incinta Severus, perché tu non mi hai mai detto che mi amavi. Ogni volta che te lo sussurravo io, tu diventavi rigidi e taciturno. – una lacrima le rigò il viso, la lasciò correre e non notò che lo stesso Pozionista stava piangendo – Ho avuto paura. Una terribile paura di essere rifiutata anche da te, he temuto che tu mi avresti accusata di volermi legare a te con un bambino non tuo per fuggire ad un matrimonio che non desideravo. – ammise dopo aver ingollato a vuoto un paio di volte – O, peggio, mi sono immaginata che data la tua educazione rigida, ti saresti sentito obbligato a sposarmi. – si morse il labbro nervosa - Non avrei mai voluto obbligarti a fare la “cosa giusta” solo perché c’era un bambino in arrivo. Peggiore di un matrimonio senza amore, c’è solo il matrimonio riparatore senza amore. – concluse con un sorriso amaro.
Severus, dopo aver indossato la solita algida maschera che portava a Scuola, si alzò dal divano porse la scatola con i propri ricordi a Clarice e, ferito dalle parole e dal racconto della giovane strega, uscì dalla casa senza nemmeno salutare. Troppo scosso per poter dire o fare qualcosa, sa che potrebbe dire cose che non pensa veramente, guidato dalla rabbia e dal dolore;  così preferì  scomparire tornando al sicuro nei suoi appartamenti nei sotterranei della Scuola di cui è diventato Preside.

Clarice osservò per un tempo indefinito la porta dalla quale l’uomo era uscito. Non riusciva a fermare le lacrime, evocare quei ricordi era per lei doloroso. Sapeva che avrebbe dovuto affrontare quella conversazione prima o poi; ma la reazione che aveva sempre sperato di generare in lui non era una fuga. Avrebbe preferito sentirlo urlare, vederlo rompere alcuni oggetti nella stanza. Ma quel silenzio gelido e privo di vita, le aveva spezzato il cuore definitivamente.
Asciugandosi con un gesto rabbioso le lacrime, Clarice raggiunse la propria camera. Lì, aveva sistemato un pensatoio, dono della vecchia curatrice del villaggio.
Sospirando e senza pensare a gettare incantesimi silenzianti alla stanza, prese una delle fiale contenute nell’astuccio e lasciò che il liquido argenteo in essa contenuto scivolasse nel pensatoio.
Preoccupata da ciò che avrebbe potuto vedere, la strega introdusse la testa nel pensatoio, lasciandosi travolgere dai ricordi del Pozionista.
In quelle fiale, erano contenute un sacco di “prime volte”. La prima volta che Severus aveva notato la testa biondo ramata di Clarice tra quelle troppo nere o troppo bionde dei compagni di Scuola. Il lampo di luce soddisfatto che illuminò gli occhi di lei quando venne smistata in Serpeverde.
La prima volta che avevano parlato e lui non si era sentito infastidito, perché le cose che domandava o diceva quella ragazzina taciturna non erano noiose o senza senso come quelle della maggior parte delle sue coetanee.
In ogni fiala c’era Clarice. La sua crescita. I suoi miglioramenti. Il suo trasformarsi da crisalide impacciata in sensuale farfalla. Per la prima volta, Clarice si sentì bella. Per la prima volta capì cosa significava essere guardata con amore da qualcuno che teneva a te.
Rivisse con gli occhi di Severus la sera che entrò nel suo laboratorio. La preoccupazione nel vedere che si era tagliata con un coltello affilato. Sentì il cuore dell’uomo battere più veloce quando la propria mano fredda entrò in contatto con la sua più calda. Notò che dietro il cipiglio fiero ed arrabbiato c’era qualcosa che non aveva visto: preoccupazione, affetto. Cose che mai prima d’ora nessuno le aveva dato.
Si rivide nella Foresta a disegnare. Notò lo sguardo ammirato e pieno di meraviglia di Severus quando gli mostrò i propri disegni. Sentì il suo corpo riempirsi di orgoglio quando si imbatté nel disegno delle mani del Pozionista. Dopodiché venne catapultata nella stanza dell’uomo, dopo che si era intossicato. Rivisse i baci, le carezze, l’audacia avuta nel pregarlo di poterlo dipingere fino ad approdare alla prima volta che fecero l’amore, fu in quell’occasione che lei gli disse che l’amava. Severus non ricambiò, ma se lei avesse guardato meglio il suo sguardo, avrebbe visto tutto l’amore in esso contenuto e che il Pozionista non era in grado di esprimere ancora a voce. Quella era l’ultima fiala, gli ultimi ricordi che l’uomo aveva di lei. Non aveva conservato quelli del loro addio. Erano troppo dolorosi per entrambi.
Clarice uscì dal pensatoio senza riuscire a trattenere i singhiozzi: non aveva capito niente in tutti quegli anni. Per paura di essere mandata via, aveva perso un’occasione per essere realmente felice.
Sfinita per tutte le lacrime versate, la strega si addormentò vestita sul proprio letto.

Trascorsero così alcuni lunghissimi giorni. Severus era più nervoso e solitario del solito. Rispondeva male a tutti, non sopportava i sorrisi e l’allegria delle persone che lo circondavano e tendeva sempre a punire coloro che erano troppo innamorati per rendersi conto del suo stato d’animo più nero del solito.
All’inizio, sia gli insegnanti sia gli studenti, avevano dato la colpa del suo malumore al fatto che, dopo la guerra e la distruzione della scuola di magia e stregoneria, il numero delle iscrizioni fosse andato in forte calo; ma, con il trascorrere dei giorni, capirono che era ben altro ciò che affliggeva ed innervosiva l’uomo.
Una mattina, Hermione che aveva appena finito il suo lungo saggio per Pozioni, chiese ad Harry di accompagnarla dal Preside, perché doveva parlare a quattr’occhi con lui.
- Hermione. – ingollò a vuoto Harry – Per quanto io ami sfidare la sorte, ti dico “no grazie”.
- Codardo. Hai ucciso Voldemort, non puoi avere paura di Severus! – gli fece la linguaccia; ma sbiancò quando la voce del Preside rispose:
- Non credevo di essere entrato tanto in confidenza con lei, signorina Granger, da averle permesso di chiamarmi addirittura per nome. – guardò gli studenti al tavolo – Per questa sua mancanza di rispetto, sono costretto a togliere 50 punti a Grifondoro.
- Sì signore. – mormorò colpevole Hermione – Mi scusi, sono stata irrispettosa. Non volevo. – alzò lo sguardo su di lui continuando – Potrei parlarle privatamente?
Severus annuì e fece alla strega e al mago Grifondoro un cenno, invitandoli a seguirlo.
- Di cosa voleva parlarmi, signorina?
- Ecco, vede signore… - Hermione iniziò a parlare a macchinetta, illustrando un “piano” per aiutare la comunità magica a conoscere e tornare ad amare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Il piano era semplice: organizzare una settimana di lezione per i giovani maghi e le giovane streghe dai sei anni di età. Permettere loro di partecipare alle lezioni con i genitori, prendere parte alle attività, giocare a Quidditch. Vivere nella casa per una settimana in una casa, partecipando alla gara della Coppa delle Case – Nel mondo non magico, fanno queste cose, vero Harry? – si girò verso il compagno di Casa che annuì lentamente – Le chiamano “Open Day”, di solito durano solo un paio di giorni. Tanto per far vedere le scuole e i loro programmi di studio.
- Interessante. – si limitò a replicare Severus che, senza aggiungere altro, se ne andò lasciandoli in attesa di una risposta che tardò ad arrivare.

Un giorno Severus, stanco delle lamentele del corpo insegnanti e degli agguati di Hermione per avere una risposta affermativa alla sua idea, lasciò la Scuola e tornò nel villaggio di Clarice e Daniel. Aveva bisogno di vederli senza essere visto; così, indossando il mantello dell’invisibilità preso in prestito da Potter, raggiunse prima il negozio della curatrice Prince, poi il parco giochi dove aveva visto il figlio e il suo migliore amico.
- Clarice. – sentì una voce di donna sospirare – Non stai reagendo affatto bene.
- E come dovrei reagire, Rose, eh? – rispose stancamente la strega Serpeverde.
Severus camminò attento a non urtare nessun oggetto, era certo di non poter essere visto; ma se avesse fatto cadere qualcosa, le due streghe avrebbero capito di non essere più sole in quel momento.
Non appena il Potion Master riuscì a trovare un buon luogo dove poter osservare Clarice e la sua amica senza essere notato, sobbalzò, la madre di suo figlio aveva il viso mortalmente stanco e bianco; gli occhi cerchiati da profonde occhiaie. Sembrava spenta e vuota. In quel modo, aveva visto sua madre diventare sua madre a causa delle molestie subite da parte del marito.
- È che non so cosa fare. – disse Clarice mettendo a posto una serie di preziose radici, le trattava con estrema cura – Tutto mi sarei aspettata tranne che lui… - e non riuscì a concludere la frase, perché il campanello tintinnò, facendo entrare un piccolo gruppo di clienti che fu prontamente servito ed assistito da Rose.
- Non siete stati completamente onesti l’uno con l’altra. – continuò la strega prendendo la mano della curatrice nella sua – Ma questo non significa che tutto sia perduto. – le sorrise.
- L’ho accusato di non avermi mai amata. – altre lacrime rotolarono giù dai suoi occhi arrossati – Ma io non avevo mai osservato lui attentamente. Ero troppo presa da me stessa. Dai miei sentimenti verso di lui. Volevo credere che non potesse ricambiarmi. L’ho usato. – ammise e Severus sobbalzò quando sentì il forte singhiozzo che le squassò il petto.
- Basta piangere e fare la vittima. Non ti ho mai vista arrenderti ancor prima di combattere. Hai affrontato e vinto molte sfide. – la consolò l’amica – Adesso va nel retro, sciacquati la faccia e prendi una di quelle miracolose pozioni che sai distillare grazie a quell’uomo burbero ma meraviglioso. – le baciò la fronte e Clarice sorrise.
A quel punto, Severus approfittò dell’ingresso di un altro gruppo di clienti ed uscì dal negozio, troppo scosso per restare un attimo di più.

Camminando nascosto dal mantello, l’uomo raggiunse il parco giochi dove aveva visto giocare un gruppo di bambini non appena era arrivato. Silenzioso come il vento, Severus adocchiò il figlio ed il migliore amico: i bambini erano intenti a dondolare pigramente sull’altalena, osservando il resto dei loro amici scatenarsi in altri giochi.
- Allora amico. – parlò il bambino girandosi verso il suo amico – Com’è andata la cena?
- Insomma. – sbuffò Daniel – Speravo meglio. – ammise continuando a guardare gli altri giocare.
- È stato antipatico e cattivo con voi? – chiese mandando la testa di lato.
- No, Tom. – sospirò – Io ho fatto di tutto per metterlo in difficoltà, ma lui ha saputo gestire la serata bene. Abbiamo parlato molto. L’ho tempestato di domande e lui ha sempre risposto, senza mai sbuffare o perdere la pazienza come hanno fatto gli altri. Ho usato la sua bacchetta. – sorrise – E non ho fatto esplodere niente! – concluse.
Al sentir nominare al figlio “altri” uomini che avevano provato a corteggiare Clarice, la sua mascella si irrigidì così come i pugni si strinsero fino a far sbiancare le nocche.
- Ricordo che ridevi divertito perché gli altri perdevano presto la pazienza, mostrando alla zia Cly che non sarebbero stati un buon padre per te.
- Già. – sospirò appoggiando la testa alla catena dell’altalena – Lui invece ha risposto al mio sarcasmo con sarcasmo. Mi ha spiegato molte cose. Abbiamo riso. Ecco io… - guardò l’amico e Severus notò i suoi occhi pieni di lacrime – Ho quasi sperato di trovarlo a colazione la mattina dopo. – soffiò a denti stretti.
- Oooh! – Tom sgranò gli occhi.
- Lui è il mio vero padre, Tommy. – spiegò guardando l’amico del cuore negli occhi.
- Perché è andato via allora?
- Perché temo non ami più la mia mamma. – confessò trattenendo a stento un singhiozzo, Severus avrebbe voluto intervenire, ma il bambino continuò – Li ho sentiti parlare per un po’, poi la mamma ha silenziato la stanza e non so cosa si siano detti di preciso. So che hanno parlato del passato. Alla fine della chiacchierata lui è andato via. Ho sentito sbattere la porta. Poi mamma è salita in camera sua, è andata al pensatoio e lì è rimasta per un po’. L’ho sentita piangere talmente tanto che ho dovuto nascondere la testa sotto il cuscino per smettere di ascoltare. – sospirò.
- Mi dispiace Danny. – mormorò Tom appoggiando una mano sulla spalla del suo migliore amico.
- Già. – sbuffò l’altro alzando gli occhi e, notando Rose arrivare a chiamarli per la merenda, continuò – Fingiamo di giocare, sta arrivando tua mamma.
- Ok.
Severus fece un passo indietro, avrebbe voluto seguire suo figlio e il bambino per vedere come stava Clarice; ma preferì restare nel parco per poi tornare a Scuola.
- Tommy, Danny. – li chiamò la strega con un caldo sorriso – Venite, è pronta la merenda.
- Mamma. – le prese la mano Tom – Come sta la zia Clarice?
- Sempre triste. – sospirò – Io non capisco perché si ostina a questo silenzio. Perché non lo cerca?
- Perché è testarda e cocciuta. – pigolò Daniel strappando un sorriso a suo padre, ancora nascosto dal mantello – Spero che lui sia meno orgoglioso della mamma. Altrimenti non avrò mai né un papà né un fratellino o una sorellina. – gemette calciando i sassolini lungo la strada.
Il Pozionista sentì il cuore stringersi in una morsa, si allontanò dal villaggio senza mai mostrare la sua presenza e, con la mente affollata da più dubbi che certezze, tornò alla Scuola di Magia e Stregoneria.

Non appena entrò nel perimetro della Scuola, trovò Hermione, Ron, Harry e Draco che stavano studiando in Sala Grande.
- Signorina Granger. – la chiamò con la sua voce bassa e profonda – Signor Potter. – continuò – Dovrei parlarvi.
- Sì, signore. – sorrise incerto Harry, Draco gli mise una mano sulla gamba, in un gesto rassicurante.
- Possiamo sentire anche noi, signore? – chiese il rampollo Malfoy sorridendo al suo padrino.
- Sì, non sono piani segreti per sgretolare la vostra relazione, signor Malfoy. – ghignò in risposta l’uomo facendo arrossire il figlioccio. All’inizio, non aveva preso bene la relazione tra il figlio del suo nemico giurato e il figlio del suo migliore amico. Non perché fosse contrario a rapporti tra persone dello stesso sesso; ma perché non gli sembravano una bella coppia.
- Ha ponderato la nostra proposta, signore? – chiese con un sorriso Hermione guardandolo negli occhi.
- Sì. Ma spieghiamo ai vostri fidanzati di cosa stiamo parlando. O non la finiranno più di interromperci con le loro inutili domande. – sbuffò il Preside – Venite. Andiamo nel mio ufficio. Non voglio discorrere con voi qui.
Il Golden Trio più uno, seguì Severus lungo i corridoi del Castello fino al suo ufficio dove entrarono con un misto di dolore e piacere nel petto.
- Questo posto, signore, è carico di ricordi. – mormorò Harry, emozionato.
- Lo so. – annuì il Pozionista – Per questo ho preteso che fosse ricostruito fedelmente. – ammise e lasciò che lo sguardo degli studenti vagasse sull’ambiente – Ho solo dato la mia impronta. Ci sono i miei libri. Alcuni miei oggetti personali. E, come potete vedere, non c’è più l’appollaiatoio della Fenice. Lei è andata via non appena Albus… - e non finì la frase, parlare della morte del suo mentore gli faceva molto male.
- Ha fatto ricreare anche la stanza da letto. – sorrise perplesso Draco – Perché, signore? Lei non dorme qua. Continua ad abitare nei suoi vecchi appartamenti, vicino alla sua Casa.
- Non lo so. – si strinse nelle spalle l’uomo – Ho chiesto che fosse fatta un po’ più piccola la camera da letto, ho dato la precedenza all’ambiente dell’ufficio. Ho aggiunto i miei libri personali a quelli che mi ha donato Albus. Avevo bisogno di più librerie. Poi, egoisticamente, ho pensato che un letto non fosse scomodo anche quassù. Se una sera fossi troppo stanco per rientrare, potrei dormire comodo, senza dovermi arrangiare nel divano. – concluse, logico come sempre.
- Ha fatto bene, professore! – gli sorrise Ron, parlando per la prima volta da quando erano arrivati.
- Comunque, non siamo venuti qui per scambiarci convenevoli e frasi fatte. – tuonò Severus – Ma per discutere di un progetto che Harry ed Hermione hanno sottoposto alla mia attenzione qualche giorno fa. – guardò i due Grifondoro continuando – Prego, signorina. Parli lei.
Hermione, con un sorriso grato, raccontò a Ron e Draco della sua idea: quella di aprire le porte della Scuola per una settimana ai futuri studenti e ai loro genitori. Per permettere a tutti di conoscere la Scuola di Magia e Stregoneria di Hodwarts, per fargli provare i programmi, i giochi. Per far vivere tutti come se fossero studenti.
- E dici che avrà successo la tua idea? – chiese scettico Ron.
- Secondo me sì. – annuì Harry – Nella parte non magica, è comune che le scuole restino aperte per permettere alle famiglie di visitarle. Per vedere le aule, i programmi di studio e quant’altro.
- Qui non è mai stato fatto niente del genere, sfregiato del mio cuore! – lo prese in giro Draco, facendolo arrossire.
- Malfoy, possibile che sai creare nomignoli meno offensivi? – si imbronciò Harry.
- No. – rise – Perché è divertente vederti così imbronciato e poi… - continuò allacciando le sue braccia attorno ai fianchi del ragazzo – I nomignoli più teneri, mi piace riservarli per la camera da letto. – concluse prima di baciarlo, ficcandogli senza tante cerimonie la sua lingua golosa in bocca.
Severus distolse lo sguardo reprimendo una smorfia disgustata, cosa che non riuscì a Ron ed Hermione.
- Quindi, - parlò Ron – vediamo se ho capito bene: per un’intera settimana, a Scuola non ci saranno lezioni per noi. Ma saremo impegnati nel far conoscere l’ambiente scolastico a futuri studenti.
- Esatto. – annuì Hermione – Dovremmo invogliare le famiglie magiche a far venire i propri figli a studiare qua. – sorrise.
- Immagino che tu stia pensando ai Babbani. – sospirò Draco.
- Già. Per loro non possiamo fare niente. Non a tutti i bambini babbani compiano poteri magici prima degli undici anni. – sospirò.
- Però, già invogliare i magici a tornare ad animare le mura del Castello… Beh… sarebbe una bella vittoria. – sorrise Harry abbracciando l’amica – Non credete?
- Sì. – mormorarono in coro gli studenti, Severus annuì distrattamente, troppo concentrato su sé stesso.
- Zio Piton. – lo chiamò Draco – Qualcosa ti preoccupa?
- Più di una in realtà. – ammise con un sorriso stanco – Devo dirvi una cosa. Ma gradirei che non uscisse da queste mura.
- Promesso. – annuirono simultaneamente i quattro.
- Ho scoperto di avere un figlio di sei anni. Si chiama Daniel. La madre è la…
- Ragazza del negozio di erbe. – concluse Hermione che, porgendo una mano verso Draco, continuò – Paga Malfoy, ho vinto io.
Severus arcuò le sopracciglia e chiese spiegazioni per quell’uscita di dubbio gusto, gli studenti, arrossendo raccontarono al loro insegnante e Preside delle loro illazioni e della scommessa che ne era seguita riusciscendo a farlo sorridere da molto tempo a questa parte.
- Darò 5 punti ciascuno per Grifondoro e 15 a Serpeverde. – disse a mo’ di congedo.
I maghi e la strega uscirono dall’ufficio del Preside sorridendo e, non appena la porta si chiuse alle loro spalle, furono quasi investiti dalla Vice Preside che cercava disperatamente il Preside Piton.
- Lo abbiamo lasciato nel suo ufficio, signora. – rispose Harry.
- Grazie signor Potter. Ma voi, cosa ci fate qua tutti insieme? – li guardò – Vi siete rimessi nei guai?
- No, signora. – arricciò il naso aristocratico Draco – Abbiamo parlato di un progetto con il mio Capo Casa. Aveva bisogno di affidarci alcune mansioni. – indicò i tre grifoni – Sono o non sono il Golden Trio? – chiese con un mezzo sorriso sulla bocca e, Minerva, borbottando, li salutò per raggiungere Severus nel suo ufficio.
- Se non fossi innamorato di te, ti avrei già spaccato quel nasino all’insù Malfoy! – ringhiò rassegnato Harry.
- Mi ecciti quando sei così macho, Potter! – lo derise bonariamente Draco che, prendendolo per mano, lo trascinò lungo il corridoio, seguito a ruota da Hermione e Ron che non riuscivano a smettere di ridere.

Severus parlò a lungo con Minerva, le raccontò del progetto che la signorina Granger gli aveva proposto e le domandò di indire una riunione urgente con tutto il corpo docenti.
La donna, sorpresa dall’enfasi dell’uomo, uscì dal suo ufficio annuendo dicendogli di raggiungerla dopo quindici minuti nella sala professori.  Il Pozionista osservò la porta chiudersi, si massaggiò i seni nasali e, prendendo un rotolo di pergamena nuovo, iniziò a scrivere.
Scrisse di getto. Senza pensare di rendere coerenti i suoi discorsi. Scrisse a Clarice e a Daniel e, quando terminò, arrotolò il foglio e lo sigillò in modo che solo lui (o suo figlio) potesse aprirlo.
Con il cuore più leggero e la mente affollata da mille pensieri, l’uomo raggiunse l’aula professori dove trovò tutti pronti ad ascoltare il loro Preside.
Severus raccontò loro del progetto dell’Open Week ad Hogwarts, illustrando ampiamente il progetto; raccontando di come avrebbero coinvolto i bambini e le bambine nelle varie attività. Mostrando ai genitori, ancora troppo scettici, che la Scuola era tornata più sicura, più bella e più formativa di prima.
I professori accolsero con entusiasmo l’idea di Piton, dettero qualche consiglio e qualche spunto di riflessione all’uomo; poi iniziarono ad organizzare tutto: un piccolo campionato di Quidditch, compreso.
- Potremmo approfittare di questa settimana con le famiglie ed i bambini per inaugurare la nuova aula, signore. – parlò la nuova insegnante di Storia della Magia.
- Perché, non è stata ancora resa agibile agli studenti? – chiese Severus arcuando un sopracciglio, era certo di aver firmato tutti i permessi giorni fa ormai.
- Non ancora signore. – scosse la testa colpevole Minerva – Colpa mia, ho avuto un contrattempo e l’aula di Pittura che ha voluto, non è stata ancora resa visibile ed accessibile.
- Bene, allora faremo come ha detto la professoressa Smith. Approfitteremo dell’arrivo degli ospiti per mostrare loro che la Scuola, nonostante la guerra, è cresciuta e si sta migliorando. – sorrise, un sorriso rapido, che assomigliava molto ad un saluto; ma, prima di andare via da lì, continuò – Devo dirvi una cosa.
- Sta male, signore? Ha bisogno di qualcosa? – chiese sollecita la nuova insegnante, era americana e da subito aveva mostrato un certo interesse per quell’uomo taciturno.
- Mai stato meglio signorina Smith. – sbuffò contrariato di essere stato interrotto, di nuovo, da quella giovane strega troppo petulante per i suoi gusti – Volevo solo avvisarvi che ho intenzione di invitare anche la signorina Prince a questo incontro genitori-figli-scuola.
- La signorina che gestite quel favoloso negozio di erbe e decotti? – domandò l’infermiera della Scuola, il Preside annuì poi riprese a parlare:
- Lei ha un figlio di circa sette anni. – incrociò le mani sul tavolo, fissandosi le unghie ben curate, concluse – Che potrebbe essere mio.
Nella sala professori calò un silenzio irreale. Severus si era aspettato domande, risate e prese in giro; tutto, ma non quel silenzio tombale.
- Bastava dirvi che, forse, ho un figlio per farvi stare zitti e attenti durante una riunione? – sdrammatizzò l’uomo arcuando solo un sopracciglio.
- Beh, la notizia ci ha colto molto di sorpresa Severus. – sorrise con affetto materno Minerva – Tutto ci saremmo aspettati, tranne di ricevere una notizia del genere da te.
- Non vi ho chiesto di aiutarmi a mantenerlo. – replicò sulla difensiva – Anzi, vi prego di trattarlo come un qualunque altro ospite durante la settimana in cui sarà nostro ospite. Io e la madre non ci siamo lasciati proprio bene.
- Beh, - cercò di sdrammatizzare la professoressa Bumb – è una notizia che ci ha sorpresi professor Piton. Ma faremo come ci ha chiesto. – sorrise.
- Vi ringrazio. E conto anche sulla vostra discrezione. Non vorrei rendere il loro soggiorno sgradevole.
- Che strano. – mormorò Minerva osservando un grosso registro – Qui il cognome del bambino non c’è.
- È uno dei motivi che mi ha indotto ad accettare la proposta della signorina Granger di fare questa settimana conoscitiva della Scuola. La madre mi ha detto di aver iscritto il figlio in un’altra scuola di magia.
- Ma questa è la migliore! – sbuffò la professoressa Smith.
- La nostra Penelope ha ragione. – annuì l’insegnante di Erbologia – Nessuna è mai stata ai livelli della nostra amata Scuola.
- Ne sono consapevole. Dobbiamo solo ricordare a tutti ciò che noi non abbiamo mai dimenticato. – concluse con un sospiro – Avete altro da discutere con me? – domandò alzandosi.
- No, signore. Abbiamo finito. – annuì l’insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, Remus Lupin – E, se non vi dispiace, vorrei tornare da mio marito e i bambini prima che distraggano tutto con la scusa di fare i loro “innocenti” esperimenti! – concluse con un sorriso sincero e imbarazzato.
- Va pure Remus. – gli dedicò un mezzo sorriso Severus, aveva fatto pace da un pezzo con uno dei Malandrini che l’avevano perseguitato quand’era uno studente. Aveva scoperto che Remus era un brav’uomo; con un grande cuore e molti talenti, tra i quali la cucina. Odiava il suo essere un licantropo e la pozione che distillava Severus gli era sempre di grande aiuto. Si era sposato da prima della guerra con un altro Malandrino: Sirius Black; ma con lui i rapporti non si erano ancora completamente appianati – Salutami i bambini e tuo marito. – concluse congedandolo.
Remus annuì uscendo dalla sala professori, felice che il Preside cercasse di creare un rapporto non conflittuale con Sirius.

I giorni trascorsero velocemente, c’erano davvero molte cose da organizzare per accogliere gli ospiti al Castello e tutto doveva essere, maniacalmente, perfetto.
Finalmente, dopo un mese di preparativi, i Gufi furono pronti per consegnare in tutta l’Inghilterra Magica le lettere di invito per la “Open School Week”.
Severus guardava i volatili lasciare la Guferia con le preziose lettere nel becco, il suo cuore sembrava battere veloce, allo stesso ritmo delle ali dei rapaci.
- Preside Piton? – lo chiamò l’insegnante di Storia – Anche lei qui? – lo avvicinò ancheggiando provocante o, almeno, provandoci.
- Signorina Smith, - sospirò – non si finga così sorpresa di vedermi qui. Ha sentito che ne parlavo in cortile con Remus e Sirius. Perché, di grazia, mi ha seguito?
- Volevo cercare di stare qualche minuto da solo con lei. – confessò stringendosi nelle spalle, facendo così scivolare il suo maglioncino sulle spalle.
- Non mi interessa ciò che sta tentando di offrirmi da quando è arrivata in questa Scuola. Ho provato ad essere gentile, indulgente. A fingere di non notare i suoi inutili tentavi di seduzione. - scosse la testa, impedendole di replicare – Credevo di essere stato esaustivo, signorina. Non sono interessato a storie da una notte. Non ho bisogno di qualcuno che mi scaldi il letto per “sfogare i miei istinti maschili”. Le ho già detto e ripetuto che la sua “mercanzia” non mi interessa. – e senza aspettare una risposta dalla donna, Severus si inchinò lasciandola sciogliersi in lacrime di rabbia in Guferia.
Hagrid, che aveva assistito suo malgrado a quello scambio di battute, tossì uscendo dall’ombra.
- Non pianga professoressa. – tentò di consolarla – Non è un uomo cattivo. E, tutto sommato, è un bravo Preside.
La signorina Smith si irrigidì, voleva vendicarsi dell’ennesimo rifiuto di Severus. Avrebbe voluto accusarlo di molestie davanti agli altri insegnanti e poi al Ministero della Magia; ma la presenza di Hagrid cambiava tutto: lui aveva visto ogni cosa. Avrebbe potuto lanciargli un Oblivion, ma era troppo rischioso come incantesimo su di lui che era un mezzo gigante.
- Grazie Rubeus. – mormorò accettando il fazzoletto – Sei molto gentile. Fa male sentirsi dire “no” dalla persona che ti piace. – gli indirizzò un piccolo sorriso – Ti lascio al tuo lavoro. – e lasciò la Guferia.

I messaggi giunsero a destinazione nei tempi previsti; e la Scuola ricevette tutte risposte positive: per una settimana molti maghi e streghe avrebbero accompagnato i rispettivi figli tra le mura di quel Castello dove avevano studiato e vissuto momenti indimenticabili.
Quando la lettera giunse al negozio di Clarice, lei guardò il gufo con gli occhi sgranati. Daniel, che stava facendo i compiti al bancone, osservò prima il gufo poi la madre e viceversa.
- Mamma!? – la chiamò scuotendola dal suo torpore – Non hai intezione di prendere la lettera? Sono certo che quel gufo ha il compito preciso di restare lì finché non lo fai. – le sorrise.
- Danny. Sai che gufo è questo? E che sigillo c’è sulla lettera?
- È una lettera di Hogwarts! – urlò il bambino sgranando gli occhi, felice – È una lettera di papà! – esclamò facendola sbiancare, era la prima volta che il figlio si riferiva ad alta voce a Severus chiamandolo “papà”.
- Prendila tu tesoro. – gli sorrise pulendosi le mani sul grembiule che indossava al lavoro.
- Certo! – Daniel prese la lettera dal becco del gufo, ruppe il sigillo e lesse l’invito ad alta voce.
Clarice ascoltò con attenzione, poi un grosso sorriso le distese le labbra. Era un’idea brillante per cercare di far tornare la Scuola ai livelli di un tempo.
- Ci andremo, vero mamma? – la guardò speranzoso – Voglio vedere la tua Scuola. – abbassò la testa triste – So che non vuoi mandarmi lì a studiare quando compirò 11 anni. Ti ho sentito urlarlo a lui. – confessò mordicchiandosi le labbra.
- Ci andremo e ho detto cose assurde, spinta dalla rabbia e dalla paura. – gli accarezzò la testolina corvina – Decideremo insieme. Trascorreremo questa settimana nella mia vecchia Scuola. Parteciperai a tutte le attività, poi andremo a vedere anche altre Scuole di Magia. E sceglierai quella che ti piace di più.
- Grazie mamma! – un sorriso felice illuminò gli occhi del bambino che, passandole la lettera, disse – Devi rispondere “sì” con un colpo di bacchetta.
Clarice fece ciò che il figlio le aveva chiesto, poi dette alcuni bocconi prelibati al gufo e lo osservò tornare verso la Scuola soddisfatto. Aveva portato a termine il suo lavoro ed era stato anche coccolato dalla donna e il bambino, non sempre era piacevole consegnare lettere per la Scuola di Magia.

Non appena Clarice aveva apposto il suo “sì” sulla lettera, dentro la busta erano apparsi altri documenti. La strega sorrise: avevano fatto le cose in grande, infatti chiedevano alle famiglie di far portare ai figli un po’ di materiale scolastico.
- Guarda mamma. – parlò Danny che aveva finito di leggere – Noi abbiamo praticamente tutto.
- Già. Gli ingredienti per le pozioni non ti mancano. – ridacchiò – E nemmeno il calderone e altre piccole cose.
- Portiamo anche Berty? – domandò speranzoso.
- Certo, e anche Jewell. – annuì la strega indicando la gatta che dormiva al sole.
Annuendo, madre e figlio prepararono le valigie e tutto il necessario per la settimana di prova alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Il mattino della partenza, al Binario 9 e ¾, c’erano moltissime persone e un gran vociare. Daniel si guardava attorno con gli occhi sgranati per lo stupore e la meraviglia. Erano arrivati insieme alla famiglia di Tom, sua madre Rose, la figlia maggiore Amber e il padre William.
- Ma tu prendevi il treno ogni anno, mamma? – domandò intrecciando le dita della mano a quella della mamma.
- Sì, tesoro. – annuì la strega – Come la maggior parte delle persone qui presenti. – gliele indicò con un cenno del capo.
- Conosci qualcuno? – chiese curioso guardandosi attorno.
- Mmh. – storse la bocca lei seguendo lo sguardo del figlio – Troppe persone, di età diverse. Alcune, credo, hanno scelto di non frequentare la Scuola. Non ricordo molti volti dei miei ex compagni di classe o Casa.
- Perché eri troppo secchiona, mamma? – ridacchiò Daniel.
- Come sei carino, figlio! Non ti comprerò niente dalla signora del carrello! – concluse facendogli la linguaccia, una risata alle loro spalle li fece sobbalzare.
- Non ci credo! – parlò una voce maschile che fece irrigidire Clarice – Dopo tutti questi anni ti riconoscerei tra mille! Non sei cambiata molto.
La strega si girò verso la fonte della voce, trovandosi davanti quell’idiota di Black. Lo stesso che aveva provato a violentarla nel corridoio buio di Serpeverde. Se non avesse parlato lui per primo, riconoscendolo, lei non l’avrebbe mai saluto. Era radicalmente cambiato dall’ultima volta che l’aveva visto: era ingrassato molto ed aveva perso quasi completamente i capelli. Osservandolo con attenzione, lo si poteva paragonare ad un oscillante mostro di gelatina.
- Jonathan Black? – chiese arcuando un sopracciglio lei, ai tempi della Scuola era tra i più corteggiati dalle oche senza cervello – Tu dalla famiglia di Sirius Black hai presi i geni recessivi. Oppure ti sei mangiato qualche membro della famiglia in questi anni. – disse senza celare cattiveria nella voce la strega.
- Essere cugini di ottavo, nono grado purtroppo non aiuta! – sospirò teatralmente l’uomo – Cosa ci fai sul Binario, Clarice?
- Porto mio figlio a Scuola. – glielo indicò, il bambino era impegnato a chiacchierare con Tom, Amber ed altri coetanei incontrati alla stazione.
- Alle fine non hai sposato il tizio bulgaro?
- No. – disse secca.
- E come…? – chiese.
- Non sono affari che ti riguardano. – si strinse nelle spalle – Adesso scusami, ma vorrei fare il viaggio seduta, preferisco salire a bordo. – così dicendo fece levitare il proprio bagaglio e, girandosi verso i suoi amici, chiese loro di seguirla perché il treno stava riempiendosi velocemente.
Annuendo, William fece fluttuare i bagagli della sua famiglia e chiese a Rose di occuparsi dei tre bambini: c’era veramente molta gente, il rischio di perdersi era alto. Camminarono nel treno in silenzio e, dopo aver trovato uno scompartimento vuoto, entrarono per sistemarsi.
- Chi era quello mamma? – chiese Daniel curioso.
- Un idiota che voleva farmi del male. – spiegò sbuffando, i ricordi spiacevoli a riempirle di bile la bocca – Per fortuna tuo padre era lì e mi ha aiutata.
- Per fortuna. – sorrise Daniel – Non mi sarebbe piaciuto il mostro gelatinoso come papà! – ammise facendoli ridere, allentando così la tensione.
- Hai ragione amore! – le loro chiacchiere furono interrotte dall’aprirsi della porta dello scompartimento. Un uomo si affacciò con la propria figlia, sobbalzando quando notò che anche quello scomparto non più vuoto come sembrava da terra.
- Scusate. – parlò – Il treno è quasi tutto pieno, avete un posticino, almeno per Alba? – chiese indicando la ragazzina con i capelli biondo grano.
- Ma certo!  – sorrise Rose – Basterà stringerci un pochino. – guardò il marito che annuì dicendo:
- I bambini si adatteranno presto, si accomodi. Io mi chiamo William Quentin. Loro sono mia moglie Rose e i nostri figli Amber e Thomas. - l’uomo entrò nello scompartimento con un sorriso grato, rimpicciolì il proprio bagaglio e spinse la figlia verso gli altri bambini.
- Io sono Clarice Prince. – si presentò la strega – Lui è mio figlio Daniel. – tese la mano aspettando che anche l’uomo rivelasse il suo nome.
- Piacere di conoscervi. Io sono Richard Patterson. Sono americano, trasferito in Inghilterra per amore. – sorrise – Ho conosciuto la madre di Alba durante le mie vacanze estive e non ho più potuto fare a meno di lei.
- Che romantico! – squittì Rose abbracciandosi al petto del marito, era una romantica ed amava ascoltare quel genere di storie.
- Perché sei con Alba? – chiese Tom curioso.
- Perché la mia mamma ha avuto da poco una coppia di gemelli urlanti! – sbuffò Alba facendo sorridere gli adulti – È rimasta a casa dalla nonna ed io ho pregato il papà di portarmi! – lo guardò sbattendo le sopracciglia – Papà non riesce mai a dirmi di no!
- Ciao Alba. – parlò Daniel – Io mio chiamo Daniel, ma puoi chiamarmi Danny.
- Io sono Amber, ciao. – le sorrise la bambina, era più grande di loro di due anni e stava leggendo uno dei suoi libri preferiti.
- Io sono Thomas, ma puoi chiamarmi Tom o Tommy. – si unì l’altro bambino facendola ridacchiare.
- Piacere mio. – rispose – Giochiamo? – propose mostrando loro le sue gobbiglie.
- Possiamo mamma? – chiesero in coro i bambini, ognuno rivolto alla propria mamma.
- Certo. – annuì Rose.
- Ma usate l’arena, - continuò annuendo Clarice – almeno le gobbiglie non andranno in giro per il treno. – concluse prendendo la scatola incantata per i combattimenti con le gobbiglie.
- Wwwooooowwww!!! – squittì Alba – Che bella!
- Grazie. – arrossì Daniel, era una sua creazione anche se l’aveva realizzata uno dei maghi artigiani del loro villaggio.
- È nata da un’idea di Danny. – spiegò Tom orgoglioso – Io trovo che sia molto bella.
Il resto del viaggio sul Treno lo fecero chiacchierando del più e del meno, rispondendo alle domande dei bambini e mangiando le delizie comprate dalla “signora del carrello”. Clarice raccontò che, generalmente, la partenza dell’Espresso era la mattina e non la sera, in modo tale da arrivare a Scuola la sera per l’ora di cena. In quel modo, invece, sarebbero arrivati in pieno giorno e avrebbero visto Hogwarts in tutto il suo splendore. Arrivarono alla stazione del villaggio di Hogsmeade che il sole era alto nel cielo e, non appena scesero dal treno, Clarice fu investita da un’onda prepotente di ricordi.
- Mamma, - la chiamò Daniel – tutto bene?
- Sembra passato un battito di ciglia. – mormorò stringendo la mano del figlio – Eppure, manco da questo luogo da sette anni.
- Sei felice di essere qui?
- Sì. – annuì.
- Prometti mamma. – la guardò negli occhi – Farai di tutto per chiarirti con lui. – il tono supplice del figlio le strinse il cuore – Ti prego.
- Farò tutto ciò che posso, amore! – lo baciò sulla nuca, ma furono interrotti dalla profonda voce di Hagrid che li stava chiamando:
- Ospitiiii… Ospitiii da questa parte!
- Rubeus Hagrid! – chiosò Clarice – Guardiacaccia e Mastro di Chiavi della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts! – sorrise.
- Tu come… - la osservò il mezzo gigante, riconoscendo in quel sorriso quello della studentessa Clarice che adorava disegnare le creature di cui lui stesso si prendeva cura – Tu sei Clarice! – la riconobbe.
- In carne e ossa. Lui è mio figlio, Daniel. – lo presentò ed Hagrid sobbalzò: era la versione bambina e sorridente dell’attuale Preside, per fortuna che Piton li aveva avvisati dell’arrivo di Clarice e del bambino.
- Ben arrivati a scuola. – sorrise distogliendo lo sguardo – Cerca il cartello con il tuo nome, Clarice. Ad ognuno di voi, è stato affidato uno studente come guida e uno ai bambini. Voi grandi arriverete al Castello in carrozza. I bambini in barca.
- Mh. – annuì lei che, spostandosi cercò tra le mani degli studenti in fila quello con il proprio nome.
Lo teneva tra le mani un ragazzo biondo platino, con i tratti del viso eleganti e le labbra piegate in uno strafottente sorriso: apparteneva alla sua stessa ex-Casa.
- Serpeverde ti aiuterà sulla via della grandezza. – parlò Clarice fermandosi davanti al ragazzo.
- Signorina Clarice Prince. – fece lui un rapido inchino – Bentornata tra le mura della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. – le baciò la mano con galanteria, facendola arrossire come una quindicenne – Io sono Draco Lucius Malfoy, e sarò la sua guida in questo viaggio fino alla Scuola.
- Onorata di conoscerti, giovane Malfoy. – sorrise la donna – Lui è Daniel Prince, mio figlio.
- Piacere. – mormorò il bambino osservando con gli occhi sgranati i capelli biondo platino del ragazzo davanti a lui.
- Piacere mio. – gli strizzò l’occhio il Serpeverde – Questo bel ragazzo al mio fianco, - se lo tirò addosso – che ha messo il broncio perché nessuno lo considera, è Harry James Potter il mio fidanzato. A lui è affidato il compito di scortare Daniel fino alla Scuola.
- Ben arrivati. – sorrise il Grifondoro nella sua splendente uniforme.
- Naaah! – storse la bocca il bambino – Mamma, non è giusto! A te tocca una Serpe! A me un Grifone! Facciamo scambio? – la pregò facendo gli occhioni da cucciolo.
- Non siamo figurine di cioccorane! – ridacchiò Harry.
- Tu lo sei! – rise Draco coinvolgendo gli altri.
- Prometto che non sarò troppo Grifondoro, Daniel. – gli sorrise – Sono fidanzato con un Serpeverde dopotutto.
- Hai scordato di aggiungere Splendido, Potter! – rise di gusto Draco mentre si occupava del bagaglio di Clarice.
- Modesto. – roteò gli occhi al cielo Clarice ridacchiando.
- Dopo quello che abbiamo vissuto, signorina, mi piace farlo ridacchiare con le mie battute.
- Fai bene. – annuì – Però, chiamami Clarice e dammi del tu. Mi fai sentire vecchia altrimenti.
- Vecchia tu? – la guardò, trovandola incantevole – Sei una ragazzina. In uniforme, potresti confonderti con le studentesse del Settimo Anno!
- Oh Draco Malfoy! – lo prese a braccetto – Ti bacerei!
Spudorato, il ragazzo porse la guancia che lei accarezzò con un bacio leggero. Quella ragazza gli piaceva, aveva sentito molto parlare di lei e capiva perché il suo Capo Casa ne fosse così innamorato. Era completamente diversa dalla prima donna che aveva ossessionato Severus, con un carattere solare nonostante tutto ciò che aveva vissuto sulla propria pelle.
- I Threstal. Erano anni che non ne vedevo. – disse sottovoce.
- Non è buon segno vederli. – scosse la testa Draco, anche lui li vedeva ma avrebbe preferito continuare a credere che le carrozze si muovevano grazie a qualche arcana magia.
- Lo so Draco. – annuì comprensiva – Saliamo? – propose un po’ stanca per la tensione accumulata durante il viaggio.
- Certo. – Draco la condusse verso una delle carrozze vuote e, raccontandole di come era cambiata la Scuola nel corso di quegli anni, aspettarono che qualcun altro salisse con loro.
Alla fine, a fare loro compagnia furono una studentessa Corvonero che Draco aveva chiamato Luna e un uomo con la faccia tonda e rubiconda.

Guardandosi attorno meravigliati, giunsero fino al Castello dove ad aspettarli c’erano Mastro Gazza (arcigno come Clarice lo ricordava) e una giovane insegnante che la donna non aveva mai visto.
- Ci mancava solo lei! – borbottò Draco tra i denti.
- Ben arrivati genitori! – cinguettò la professoressa – Avete fatto buon viaggio? – un coro di assensi la avvolse e lei annuì soddisfatta – Ottimo, ottimo. – aveva ascoltato metà delle risposte e delle domande che erano state fatte, stava cercando quella che riteneva la sua “rivale”, la donna di cui aveva parlato in aula professori Severus.
- Sta cercando te, Clarice. – mormorò Draco sottovoce.
- Me? – lo guardò senza capire – Perché?
- Perché è da quando è arrivata, due anni fa, che cerca di portarsi a letto Severus Piton. – rispose con un’alzata di spalle il biondo Serpeverde.
- Ah. – fu tutto ciò che replicò Clarice alzando gli occhi a guardarla – Lei è il genere di donna che piace adesso al tuo professore di Pozioni, Malfoy? – chiese a denti stretti.
- No. ma questo lei non riesce a capirlo! – storse la bocca il mago.
- Meglio per lui. – fece un sorrisetto sarcastico, la professoressa non riuscendo ad individuare la “lei” di Severus, invitò tutti ad entrare, rassicurandoli che dei bagagli si sarebbe occupato Mastro Gazza aiutato dagli Elfi Domestici della Scuola.
Clarice seguì il fiume di genitori lungo i sentieri che conducevano al Castello perdendosi ad osservare il panorama rimasto immutato, osservando la Scuola che si stagliava fieramente davanti a loro. Bella come se non fosse mai stata distrutta durante la Guerra.
- Che bello essere nuovamente a casa! – mormorò con un sospiro, un altro genitore la sentì ed annuì lentamente.
- Ha frequentato la Scuola? – chiese infatti.
- Sì, alcuni anni fa. – sorrise – Lei?
- Molti più di lei! – ridacchiò – Sono nonno e accompagno il mio nipotino. Purtroppo mio figlio non ha potuto lasciare la moglie. Sa, ha riportato una grave ferita e sta guarendo lentamente. Ma non avrei mai permesso a Nathan di perdersi una settimana di meraviglie.
- Ha fatto bene! – sorrise Clarice – È un nonno premuroso.
- Ed egoista! – ammise – Qui ho trascorso gli anni migliori della mia vita. Vorrei provare a ritrovare un po’ di quella serenità.
- Le auguro di farcela. – annuì la strega, poi furono separati dall’arrivo di altri genitori che si unirono a loro parlando di tutte le meraviglie che avevano visto camminando.
In gruppo, sempre scortati ognuno dal proprio studente, gli adulti raggiunsero la Sala Grande dove erano già approdati i bambini vociando.
- Mamma! Mamma! – urlò Daniel non appena riconobbe la testa di sua madre tra gli altri – Sei arrivata finalmente! – la abbracciò, riempiendosi le narici del suo odore.
- Ehi, siamo rimasti separati poco amore! – lo abbracciò – Cosa ti è successo?
- Ho avuto la sfortuna di fare il viaggio con una coppia di fratelli, un maschio e una femmina, veramente odiosi! – spiegò assottigliando lo sguardo – Sono i figliocci di Harry e hanno preso in giro per tutto il tempo la tua Casa, mamma. – alcune lacrime gli riempirono lo sguardo.
- Non devi dare ascolto alle chiacchiere ed alle cattiverie gratuite, sai piccolo? – cercò di consolarlo Draco – Dicono sempre cose orribili su Serpeverde, che ha dato i natali ai più potenti maghi oscuri e simili. – gli sorrise – Ma nessuno pensa che quell’uomo lassù, che ha quasi perso la vita per salvare quella di Harry Potter, è uno dei maghi Serperverde più potenti di sempre. – concluse indicando con la testa il leggio dove era apparso Severus.
Clarice sentì il fiato mancarle, si sentiva soffocare in mezzo a tutta quella gente.
- Mamma. – la chiamò Daniel – Mamma…?
- Clarice, - la chiamò Draco facendola allontanare dalla folla – tranquilla. Io so chi siete. Lui è mio zio. – ammise.
- Quindi sei mio cugino? – chiese mandando la testa di lato Daniel.
- Sì piccoletto! – ridacchiò.
- Foorteeee! – rise felice Daniel.
Clarice si era calmata, la sensazione di peso sul cuore era passata ed aveva ripreso a respirare normalmente.
- Grazie. – sorrise.
- Di niente. Adesso vi darà il benvenuto. Un discorso del tutto simile a quando accoglie gli studenti del primo anno. – sorrise, Harry li stava raggiungendo.
- Drake, - lo chiamò infatti – tutto bene?
- Sì Potter. – gli baciò le labbra.
- Troppa folla, il tuo fidanzato è stavo svelto a portarmi qua prima che io mi rendessi ridicola svenendo. – arrossì la strega.
Harry si limitò a sorridere poi, sistemandosi gli occhiali sul naso, si girò verso il Preside per ascoltare almeno qualche parola del suo discorso, alla fine del quale i presenti proruppero in un forte applauso.
- Bene. Adesso che il discorso è finito ed ha presentato il corpo docenti, potremmo accompagnare gli adulti nelle rispettive stanze. – sorrise Draco.
- Non dormiremo nel dormitorio? – chiese Clarice.
- Il Preside, - rispose una strega fermandosi di fianco ad Harry – ha pensato che fosse meglio lasciare noi nei dormitori. In fin dei conti è la nostra Scuola e ci sono ancora studenti minorenni.
- Non ci avevo pensato. – annuì Clarice – Quindi, verremo scortati al Villaggio…? – chiese.
- Una parte di voi sì. – parlò una voce profonda alle loro spalle che li fece sobbalzare tutti: silenzioso come la neve che cade, Severus li aveva raggiunti.
- Professor Piton, - si girò Clarice ingollando a vuoto – impari a fare rumore quando cammina. Mi ha fatto perdere dieci anni di vita! – sospirò cercando di placare il suo cuore che batteva troppo, troppo veloce.
- Desolato! – ridacchiò cercando gli occhi di Daniel che brillavano felici – Ciao Danny.
- Ciao p…ehm… professore. – si riprese con voce emozionata – Io e la mamma dove dormiremo, Draco? – chiese.
- Voi due, - rispose la strega consultando la lunga lista che aveva tra le mani – dormirete al Castello. Nella stanza, vuota, del Prefetto Serpeverde.
- Coooosaa? – sgranò gli occhi Clarice, ma non poté aggiungere altro perché la professoressa gattamorta si stava avvicinando muovendosi sinuosa.
- Ci sono problemi, Severus? – chiese mielosa – Alla signora non piace la sua sistemazione? – continuò guardandola senza vederla.
- No, anzi. Devo ringraziare il Preside Piton per avermi dato una delle stanze migliori che la Scuola ha a sua disposizione. Da ex-alunna Serpeverde, mi sento onorata di poter occupare la stanza del Prefetto della mia ex-casa, professoressa. – concluse con un sorriso tutt’altro che dolce.
La donna sobbalzò come se l’avesse scottata, cercò di dire qualcosa ma Severus glielo impedì ordinando a Draco di scortare la signorina e suo figlio nella stanza a loro assegnata perché il pranzo, seguito dalla prima lezione, sarebbe iniziato da lì a breve. Clarice e Daniel ringraziarono con un sorriso l’uomo e seguirono silenziosamente Draco per il dedalo di corridoi della Scuola.
Non appena Draco disse al dipinto la parola d’ordine, lo studente si girò verso Clarice dicendo:
- Sai tornare in Sala Grande per il pranzo?
- Certo. – annuì – Draco, che lezione c’è dopo pranzo?
- Pozioni. Scommetto un galeone che parteciperai “pozionista migliore del suo corso”. – ridacchiò uscendo per lasciarli liberi di riposare.
- Danny! – pigolò Clarice lasciandosi cadere sul letto a baldacchino – In che situazione ci siamo messi?
- Il novanta per cento della colpa è tua, mamma! – si strinse nelle spalle il bambino che gironzolava curioso per la stanza.
- Grazie amore, anch’io ti voglio bene! – sbuffò. Un lieve bussare alla porta interruppe i loro discorsi, Daniel andò ad aprire trovandosi davanti Rose ed Amber.
- Ragazze! – le accolse con un sorriso la strega – Anche voi siete rimaste al Castello?
- Sì, siamo state sistemate nella stanza del Prefetto Corvonero. Ho chiesto alla mia guida di portarmi da te, perché mi sento un po’ persa.
- Accomodatevi. – si fece da parte Daniel.
- Danny. – parlò Amber – Ma quello che parlava, tutto serio-serio, è tuo papà?
- Già. – annuì.
- Wow! – si mordicchiò le labbra la bambina – È un mago molto affascinante! – ammise arrossendo.
- Anch’io diventerò affasciante come lui da grande! – replicò gonfiando fiero il petto.
- Mmh, tu diventerai anche meglio. – ridacchiò Amber – Perché hai qualcosa di tua mamma! – ammiccò facendo sorridere le due adulte.
- Vi siete cambiate per il viaggio? – chiese Clarice.
- Sì, dopo il treno; la barca e la carrozza, ci sentivamo sporche. – annuì Amber.
- Cambiamoci anche noi, Danny. – rifletté Clarice – Quella strega con le tettone vuole portarci via papà.
- Impossibile. – scosse la testa Daniel – Lei non ha un figlio adorabile come me. – concluse facendo scoppiare a ridere i presenti.
Clarice e Daniel si diressero verso la stanza da bagno, la strega aveva preso un cambio completo di abiti per entrambi e, sorridendo, aiutò il figlio a cambiarsi facendogli indossare un paio di pantaloni blu scuro aderenti, un maglioncino con il collo a lupetto chiaro ed un cardigan dello stesso colore dei pantaloni.
Sorridendo, Clarice lo spinse nell’altra stanza per mettersi le scarpe mentre lei osservò con occhio critico ciò che aveva scelto per quel pranzo.
- Forza Cly! – si disse sorridendo alla propria immagine nello specchio – Facciamo vedere a quel vecchio serpente che non sono poi così male.
Un brivido le corse lungo la schiena dopo che si fu tolta gli abiti che indossava, non ricordava che in quelle stanze faceva più freddo che nel resto del Castello, avrebbe chiesto agli Elfi di accendere il caminetto per mandare via un po’ di quell’umidità.
Smettendo di perdersi in pensieri inutili, la giovane donna indossò l’abito che aveva scelto: era a maniche lunghe e si modellava seducente attorno al suo fisico, era nero con una stampa floreale bianca; era lungo poco sopra il ginocchio, infatti sotto ci aveva abbinato dei leggins neri che mettevano in risalto le sue gambe toniche. Osservandosi criticamente nello specchio a figura intera nel bagno, si disse che non stava affatto male vestita così. Per essere un po’ più sexy, slacciò i laccetti che chiudevano il vestito sul seno creando un seducente gioco di vedo non vedo.
Senza pensare alle conseguenze, con un colpo di bacchetta si acconciò i capelli in uno chignon che impreziosì con un fermaglio bianco a forma di fiore, come quelli stampati sul suo abito.
Raggiunse gli altri in camera mentre si infilava le scarpe nere con il tacco basso.
- Wooooowwwwwww! – mormorò Daniel – Sei la mia mamma tu? – le sorrise.
- In carne ed ossa. – fece un giro su stessa la donna.
- Bella. – annuì Amber dopo averla osservata in silenzio per alcuni minuti.
- Grazie Amber. – le baciò la testolina – Andiamo? – disse prendendo uno scialle di lana nero per affrontare il ghiaccio dei corridoi.
Rose non riuscì a rispondere, perché qualcuno bussò discretamente alla porta. Clarice aprì, trovandosi davanti Harry e Draco.
- Ragazzi. – li accolse.
- Devo aver sbagliato stanza, Harry. Qua c’è una stella. – e indicò Clarice.
- Malfoy! – alzò teatralmente gli occhi al cielo Harry – Tu sì, che sai come mettere in imbarazzo una bella ragazza! – le porse il braccio – Stai benissimo Clarice. – le sorrise.
- Grazie Harry.
- Madame Quentin, - fece un rapido inchino Draco – ho chiesto alla sua accompagnatrice di poterla sostituire per il pranzo. Spero non le dispiaccia.
- Assolutamente no. – arrossì Rose poggiando la mano sul braccio muscoloso di Draco – Grazie.
Chiacchierando allegramente, gli studenti condussero le due donne con prole al seguito, fino in Sala Grande.
- Tu saresti potuta tornare tranquillamente da sola, vero mamma? – domandò Daniel.
- Sì amore. – annuì la strega – Però è più bello essere sostenuti da qualcuno. – e strinse la mano sul braccio di Harry che arrossì compiaciuto.
- Vogliamo solo che sia felice. – mormorò il Grifondoro – Ha sofferto troppo. E per troppo tempo. – concluse aggiustandosi gli occhiali – Adesso vogliamo che viva una vita più serena e piena d’amore. – sospirò poggiando una mano sulla spalla del bambino, che sgranò gli occhi felice per quella confessione.
- Sedete dove volete. – disse loro Draco – Non esiste più l’assegnazione dei tavoli anche se…
- Serpeverde! – dissero in coro Amber e Daniel, impedendo al ragazzo di finire la frase.
- Prego, allora! – fece un inchino teatrale – Clarice, fai strada tu?
- Con estremo piacere, Draco. – sorrise muovendosi sicura verso il tavolo in cui era stata per tutti gli anni di studio. Sentiva sulla propria figura gli occhi curiosi di molte persone, non solo donne ma anche alcuni uomini che avevano accompagnato i figli al posto delle compagne/mogli.
Come brace, bruciarono sulla sua figura gli occhi di Severus e lei, poco prima di arrivare al tavolo, lasciò scivolare lo scialle, a terra piegandosi sensualmente per raccoglierlo facendo deglutire le persone più vicino a lei, Severus compreso.

Il pranzo si svolse in armonia. Le portate si susseguirono con il giusto ritmo, la cucina della Scuola era migliorata nel corso degli anni e Clarice mangiò con gusto, assaporando una pietanza dopo l’altra, facendo quasi l’amore con il cibo. Daniel mangiava nello stesso modo entusiastico, rapito dalla bravura degli Elfi che lavoravano nelle cucine del Castello. Alla fine del pasto, Severus si alzò dal suo posto dicendo:
- Chiunque voglia partecipare al primo laboratorio di Pozioni, è pregato di seguire il suo accompagnatore fino all’aula preposta. A questa dimostrazione, potranno partecipare anche i bambini.
- Stasera, - lo affiancò Minerva – saranno distribuiti in tutti gli alloggi, sia interni alla Scuola sia quelli esterni, gli orari con le varie lezioni o laboratori creati per questa settimana.
- Esattamente, grazie professoressa McGranitt. – le sorrise indulgente Severus – Ci saranno attività che i ragazzi potranno svolgere senza la vostra supervisione; ed altre, come quella che andremo a fare adesso, dove la presenza di un genitore è obbligatoria.
- Se uno non volesse venire a lezione di Pozioni, signore? – domandò un uomo dal tavolo di Tassorosso – Cosa potrà fare? Annoiarsi fino all’ora di cena?
- Assolutamente no, signore! – scosse la testa il Preside – I miei colleghi, saranno a vostra disposizione per fare qualunque cosa i vostri figli abbiano voglia o curiosità di provare.
- Anche una partita di Quidditch? – domandò un bambino, avrà avuto sì e no otto/nove anni.
- Anche. – annuì il Preside.
Un coro di ovazioni entusiastiche si levò dalla Sala e le persone iniziarono a defluire scompostamente.
- Danny, - lo chiamò Clarice – cosa vuoi fare tu? Quiddtch o Pozioni?
- Mamma… - un’espressione triste dipinse gli occhi del bambino – Entrambi!
- Facciamo così. – parlò Amber – Io vorrei provare Pozioni. Alla mia di mamma piace il quidcomesichiama. – guardò Clarice – Ci scambiamo? – sorrise.
- Ti scoccia andare con Amber a Pozioni? – chiese Rose.
- Assolutamente no. – scosse la testa Clarice – E tu farai il bravo con Rose al campo?
- Sssssìììì!!! – saltellò felice il bambino schioccando un bacio sulla guancia della sua amica – Chi viene tra Harry e Draco?
- Harry. È una frana in pozioni! – rise Draco scuotendo la testa.

Ridendo, il gruppo si separò. Il cuore di Clarice batteva forte contro le costole e si rese conto di stringere con forza il braccio di Draco quando lui le prese la mano per allentare la presa delle dita.
- Stai tranquilla. Andrà tutto bene.
- Lo spero. – sorrise mentre entravano in classe.
L’aula di Pozioni era la stessa di sempre, quella che lei aveva disegnato a memoria tante e tante volte nel corso degli anni. Il luogo dove era iniziato tutto. Dove il suo cuore si era sentito vivo ed aveva iniziato a battere ripetendo come un mantra il nome del suo ex-professore.
L’uomo fece il suo teatrale ingresso, chiudendo con un colpo di bacchetta tutti gli scuri dell’aula e, prendendo posto sul soppalco dietro la scrivania, scrisse alcuni ingredienti sulla lavagna.
Stava per iniziare con le sue raccomandazioni, quando vide Clarice in uno dei primi banchi con una bambina che aveva visto al fianco della sua amica Rose.
Clarice, notando lo sguardo perplesso sorrise mimando con le labbra la parola Quidditch facendolo sospirare sconsolato. Lei sorrise e, mettendo una mano sulla spalla di Amber le indicò con precisione maniacale dove il professore tenesse tutti gli ingredienti.
Mentre la classe iniziava a lavorare sulla Pozione, Severus iniziò a parlare. Raccontando di quanto quella materia fosse importante, non solo per il mago che ne possedeva la conoscenza; ma anche per l’intera collettività. Infatti, era per merito di Maestri Pozionisti che esistevano cure per malattie più o meno gravi. O terapie a lungo termine, come la pozione per la Licantropia o l’Insonnia.
Clarice spiegava a bassa voce ad Amber come preparare nel modo corretto i vari ingredienti. La bambina era molto attenta, le piaceva ascoltare la voce di Severus. Le cose che stava raccontando erano interessanti, in quel momento pensò che anche lei avrebbe potuto, un giorno, fare la differenza.
Purtroppo, fu quel pensiero felice a distrarla e, invece di mettere un pizzico di radice come le aveva suggerito Clarice, ne aggiunse una dose troppo elevata creando immediatamente una reazione errata nel composto.
- Amber no! – tentò di fermarla la curatrice, ma non fece in tempo a bloccare la mano della piccola che, spaventata, lasciò scivolare tutta la radice tritata nel loro calderone – Professore! – chiamò – Faccia sgomberare l’aula per cortesia!
L’uomo, notando lo sguardo spaventato e preoccupato della sua ex alunna, fece come lei gli aveva chiesto facendo uscire prima i bambini e i suoi alunni. Nel mentre, Clarice aveva estratto la sua bacchetta creando una specie di incantesimo scudo attorno al calderone che sbuffava impazzito.
- Draco, porta in salvo Amber. Qua ci penso io. – gli sorrise incoraggiante lei.
- Sicura, Clarice? – chiese lui incerto.
- Sono una curatrice, ne ho combinati di disastri simili… - ridacchiò mentre iniziava a recitare incantesimi più mirati a calmare e dividere gli ingredienti della pozione – Se il mio calderone potesse parlare… - concluse.
Draco accompagnò Amber nel corridoio insieme agli altri bambini e studenti. La piccola sembrava mortificata, ma il Serpeverde le sorrise dicendo che non tutti i mali vengono per nuocere, lei era riuscita a far restare da soli il Preside e Clarice. Lui, Daniel, Harry e sua mamma Rose stavano cercando il modo per farli tornare insieme e un passo importante lo avevano fatto grazie al suo intervento inaspettato.
Le lacrime abbandonarono gli occhi di Amber che, gettando le braccia al collo di Draco, disse che sperava davvero di finire in Serpeverde allo smistamento, perché già adorava quella Casa.

Dall’aula di Pozioni, gli ospiti in corridoio, udirono un lieve sibilo poi il silenzio. Alcuni istanti dopo, uscì dall’aula Severus portando Clarice in braccio.
- Sta bene. – rassicurò subito i presenti – Ha solo inalato più fumo di quanto volesse ammettere. Una fiala di Pozione ricostituente e tornerà in forma come prima.
- Possiamo dire che la lezione è finita, signore? – domandò Draco.
- Sì, la prima lezione non è andata esattamente come speravo. – ammise il Pozionista desolato – Ma sono felice che abbiate partecipato in numero così elevato.
- Potremmo terminare la preparazione delle Pozione domani, signore? – domandò un bambino dopo aver alzato la mano.
- Certo che sì. – annuì lui – Adesso andate, siete liberi. Mi occuperò io della donna. Ah, signor Malfoy, avvisi lei suo figlio. Lo faccia con tatto. La madre sta bene. È solo svenuta.
- Lo farò signore. – alzò un angolo della bocca Draco in un sorriso sardonico.
Severus, scuotendo la testa, portò Clarice negli appartamenti dove abitava ancora nonostante fosse diventato Preside e, con delicatezza, l’adagiò sul letto a baldacchino.
La giovane donna mugolò nell’incoscienza del sonno e rabbrividì, il corpo di Severus era caldo ed avvolgente. Ma ora quel calore era scomparso e a lei mancava terribilmente.
- Severus… - pigolò passandosi la lingua sulle labbra.
- Sono qui. – parlò lui con la sua voce modulata e profonda – Bevi. – le accostò una fiala alle labbra e lei, ubbidente, la mandò giù. La riconobbe dal sapore “Pozione Ricostituente”.
L’uomo appoggiò la fiala vuota sul comodino e fece per alzarsi dal letto; ma le dita di lei serrate con forza alla sua toga, glielo impedirono.
- Resta. Ho freddo. – mugolò accoccolandosi contro il suo petto.
- Resto. – annuì – Ma tuo figlio…
- Nostro… - ebbe la forza di dire prima di scivolare nel sonno.
Severus si crogiolò dentro quell’aggettivo possessivo, Clarice aveva detto “nostro” e l’aveva fatto nuovamente con cognizione di causa. Forse, non era tutto completamente perso.

Il resto della giornata trascorse senza altri incidenti. Clarice, grazie alla pozione di Severus riposò tranquillamente fino all’ora di cena e, quando si svegliò, si ritrovò al centro di un letto che non era il suo, avvinta ad un corpo troppo adulto per essere quello di suo figlio e si mise seduta sobbalzando, svegliando Daniel che dormiva alle sue spalle e stolsare chi era stato fino a quel momento il suo cuscino.
- Cosa è successo? – parlò – Dove… - e non terminò la frase: era nella camera da letto privata di Severus.
- Ben svegliata Clary. – le sorrise il Pozionista – La bambina della tua amica, ha fatto quasi esplodere uno dei miei calderoni. – spiegò – Tu hai reagito prontamente ma…
- Fumi tossici che non avevo calcato. – annuì – Sono svenuta.
- Mi hai fatto spaventare mamma. – la abbracciò Daniel.
- Scusa Danny. – ricambiò l’abbraccio – Severus mi ha dato una pozione potente. Ho dormito come un orso in letargo. – arrossì.
- Mamma. Io ho litigato con due bambini. Gli stessi che offendevano i Serpeverde.
- Fratelli gemelli? Un maschio e una femmina? – domandò Severus mettendosi seduto.
- Sì, come lo sai?
- Sono i figli di Lupin e Black. – sospirò passandosi una mano sul viso – Sono due piccoli scavezzacollo, come lo erano i loro genitori.
- I famosi Malandrini. – biascicò Clarice.
- Esattamente. – annuì l’uomo.
- Andiamo in camera nostra, mamma? – chiese Daniel – Vorrei farmi una doccia. Ho sudato molto.
- Certo tesoro.
- Mamma. – si fermò un attimo prima di lasciare la stanza – Devi ringraziarlo. Ti ha aiutato a far passare la “bua”! – e, senza aspettare la replica della madre, uscì dalla stanza.
Clarice si passò la mano tra i capelli con un gesto nervoso. Fu un quel momento che Severus notò il tatuaggio che aveva dietro il collo, nel punto che lui preferiva baciare di più di tutti gli altri.
Mentre la strega cercava di trovare qualcosa di intelligente da dire, il Pozionista seguì con un dito il contorno del tatuaggio: le sue mani, lo stesso disegno che lo aveva incantato anni prima.
- E questo? – le soffiò sulla pelle delicata del collo facendola fremere.
- Volevo averti sempre vicino. – ammise lei sentendo il corpo reagire come se quei sette anni non fossero passati – Mi sono fatta tatuare da un artista babbano. Non volevo un tatuaggio magico. Volevo qualcosa di statico. Che fosse sempre lì ogni volta che ne avessi avuto bisogno. – disse a voce bassa girandosi verso di lui.
Severus e Clarice erano ad un soffio l’uno dal viso dell’altra. La strega chiuse gli occhi inumidendosi le labbra; il mago gettò alle ortiche il proprio orgoglio e, con un ruggito gutturale, si avventò su quelle labbra che sognava di poter ribaciare da troppi anni ormai.
Fu un bacio profondo, carico di parole ed emozioni. Alcune lacrime sfuggirono dagli occhi di Clarice che si strinse il possibile contro il petto di Severus che ricambiò l’abbraccio, serrandola con le sue forti braccia.
Si divisero quando erano entrambi a corto di fiato, Daniel, appoggiato allo stipite della porta, li osservò dicendo:
- Bisogna sempre ringraziare quando qualcuno si prende cura di te.
Gli adulti sobbalzarono, separandosi palesemente a disagio. Clarice si alzò dal letto del Pozionista e, con un ultimo timido sorriso, lo ringraziò prima di uscire non solo dalla sua camera da letto ma anche dai suoi appartamenti.
Con una mano davanti alla bocca che non riusciva a smettere di tremare per l’intensità del bacio che si erano scambiati, madre e figlio rientrarono nella loro camera dove trovarono ad attenderli Rose e una morfiticata Amber.
- Allora, come stai? – chiese Rose.
- Lasciami abbracciare tua figlia! – pianse di gioia lei – Mi ha baciata! Grazie a lei mi ha baciata! – disse e, i presenti in quella stanza, iniziarono ad urlare e ballare seguendo ognuno il proprio ritmo della felicità
- Avrai presto un papà! – sorrise Amber, non più triste per l’errore commesso.
- Finalmente! – assentì fiero Daniel – Non sarò più solo con la mamma!
Qualcuno bussò alla porta, interrompendo la loro euforia. Andò ad aprire Rose che si trovò pietrificata davanti a Severus Piton.
- Salve. – sorrise ritrovando la voce – Sta cercando Clarice?
- Onestamente no. – scosse la testa – Vorrei avere la possibilità di fare una passeggiata con Danny. Noi due da soli. Se la madre, ovviamente, è d’accordo.
Clarice fu veloce a nascondere la delusione provata per quel rifiuto ma, incrociando gli occhi imploranti del figlio, non riuscì a dire di no.
- Certo. Danny, mi raccomando. Il Castello è molto grande e pieno di trabocchetti. Stai vicino a Severus.
- Lo farò mamma. Grazie.
Padre e figlio si incamminarono lungo il corridoio; il primo tratto di strada lo fecero in un gradevole silenzio; beandosi l’uno la presenza dell’altro, poi, mano a mano che la strada di allungava si palesò anche la necessità di intavolare una qualche conversazione.
Severus chiese al figlio della sua scuola, di come si trovava a vivere in quel piccolo villaggio ed il bambino fu ben lieto di rispondere in modo logorroico, vivace ed esastivo.
Il Pozionista, si riempì le orecchie della sua voce, sorridendo e annuendo mentre lui chiacchierava.
Incontrarono lungo il cammino altri studenti e ospiti; alcuni provarono a fermarli o unirsi alla loro passeggiata; ma il Preside cambiò percorso molte volte, facendo perdere a tutti gli indesiderati le loro tracce. Infine, condusse il figlio nel suo posto “speciale”, quello dove aveva baciato la madre la prima volta.

Daniel si riempì le narici con gli odori esterni e, osservando il Lago nero, disse:
- Sei diverso rispetto agli altri uomini che hanno corteggiato la mamma. Nessuno ha mai dimostrato la tua pazienza o il tuo interesse nei miei confronti. Non lo fai solo perché sono tuo figlio. Lo fai perché sembra interessarti ciò che racconto. È bello!
Il Pozionista si limitò a dedicargli un sorriso sincero, il drago della gelosia che ruggiva nel suo ventre: non sopportava l’idea di “altri” vicino alla sua Clarice. Nessun altro andava bene per lei. Sapeva, osservando il figlio, che erano destinati a stare insieme. Sperava solo di poter avere con lei un’altra possibilità.

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Capitolo 4
*** Quarta parte ***


A Dreamsneverend che non solo ha creduto che questa storia valesse la pena di essere pubblicata ma che mi ha anche spinto ad andare oltre il primo ed unico capitolo che avevo deciso di scrivere…

Quarta Parte

Le giornate nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts trascorrevano serene e dense di impegni. I bambini, e gli stessi genitori che non avevano avuto la possibilità di frequentare la Scuola, erano entusiasti sia dei programmi sia dell’ambiente che li aveva accolti così calorosamente.
Clarice, osservava il figlio correre insieme al gruppo di amici che si era creato passando da una lezione all’altra come se fosse cresciuto in quell’ambiente, anziché in un piccolo villaggio scozzese.
- Signorina Prince, buongiorno. – la salutò Draco facendola sobbalzare – Tutto bene, Clary? – le chiese dispiaciuto di averla fatta spaventare.
- Sì, tutto bene Dray, grazie. Ero solo persa nei miei pensieri. Stavo osservando i bambini. – e glieli indicò con la testa, Draco ed Harry le erano stati molto vicini in quei giorni, spronandola a non perdere la speranza di far breccia nel cuore del loro insegnante.
- Ti piacciono molto i bambini, vero? – chiese Harry raggiungendoli.
- Sì. – annuì lei sorridendo, raccontando loro alcuni dei momenti più importanti vissuti con suo figlio.
- Adesso ci vorrebbe proprio o un fratellino o una sorellina.
- Oppure entrambi. – ridacchiò Draco abbracciando il fidanzato, anche loro desideravano dei figli e non vedevano l’ora di poter ufficializzare la loro unione per iniziare le pratiche di adozione.
- Ci vorrebbe della materia prima che, - sospirò sconsolata – al momento non ho sottomano.
La prima campanella della mattina suonò, interrompendo la loro conversazione. Draco ed Harry salutarono Clarice con un bacio sulla guancia, lei li abbracciò e, augurando loro buona giornata, andò alla ricerca del figlio che trovò in cortile intento a discutere, nuovamente, con i gemelli che erano spalleggiati da un adulto che sembrava più bambino di loro.
- Daniel. – lo chiamò – Va tutto bene? – chiese avvicinandosi, l’uomo si girò e le dedicò uno sguardo beffardo.
- Hai bisogno della mammina a difenderti?
- I suoi figli, signore, hanno bisogno del papà per intrattenere una conversazione? – sbottò di rimando lei mettendosi al fianco del figlio, guardando l’uomo con espressione dura.
- Ma come…? – iniziò, ma la voce seccata di un altro uomo interruppe quella diatriba.
- Ancora a mettere zizzania tra i bambini, Sirius? Non ti vergogni neanche un po’? Eppure sei un docente di questa Scuola, non uno studente!
- Uffa, tu non sai proprio divertirti Lunastorta! – fece una specie di labbrino l’uomo con i capelli neri, lunghi sulle spalle ed il pizzetto aristocratico che l’altro aveva chiamato “Sirius”.
- Lei è Sirius Black? – inarcò un sopracciglio la giovane strega – Docente di Difesa contro le Arti Oscure? – lo guardò mandando la testa di lato.
- Già anche se non si direbbe, mio marito è un buon insegnante. – sorrise colpevole l’altro uomo che, tendendole la mano, si presentò – Io sono Remus Lupin in Black. E loro sono i nostri figli, Elettra e Zahir.
- Piacere di conoscerla professor Lupin. – sorrise Clarice – Ho letto alcune delle sue pubblicazioni, io sono Clarice Prince. Lui è mio figlio, Daniel.
- Daniel, la mia Elettra parla molto di te.
- Ooh lo immagino! – alzò gli occhi al cielo il bambino, quel gesto ricordò a tutti l’espressione di Severus.
- Oddei! – gemette Remus – Ho rivisto… - guardò Clarice – Il nostro Preside bambino.
- Già. – annuì lei – So che voi docenti siete a conoscenza della sua vera identità. Poi, voi avete la sua stessa età, andavate a Scuola insieme. Siete due dei quattro Malandrini. – li guardò assottigliando gli occhi, sapeva dei tiri gobbi che avevano fatto al “suo” Severus e non poteva provare né affetto né simpatia per loro. Soprattutto per Sirius Black, alias Felpato.
- Come può un essere viscido come Mocc… - iniziò Sirius, ma non riuscì a terminare la frase: Remus l’aveva zittito con un bacio, impedendogli di dire qualcosa di sconveniente. Clarice, aspettò a disagio che i due finissero di scambiarsi tenere effusioni e, dopo aver raggiunto il fianco di Sirius, gli sussurrò all’orecchio:
- Professor Black, non sono affatto come le donnette che è abituato ad affrontare lei. Non mi faccio mettere in soggezione dalla sua aria dark, così vissuta. Non mi spaventa il suo ghigno né la sua facciata da pazzo. – gli puntò gli occhi negli occhi – Io ho affrontato una guerra, esattamente come voi. Sono sfuggita ad un gruppo di Mangiamorte che voleva stuprarmi e uccidermi, non necessariamente in quest’ordine, con un bambino di poche settimane stretto al seno. Tutto questo mi ha reso la donna che sono. E non le permetterò, né ora né mai di offendere una persona che per me è importante. Non le permetterò di chiamare con quell’orrendo soprannome il padre di mio figlio, non esiterò a schiantarla la prossima volta. Ringrazi l’intervento di suo marito e la presenza dei bambini, altrimenti l’avrei fatto anche adesso.
- Non avrei saputo farti una ramanzina migliore, Sir. – parlò Remus incrociando le braccia sul petto.
- La ringrazio professor Lupin.
- Non ha niente di cui ringraziarmi, signorina. – scosse la testa Remus – Suo figlio stava difendendosi egregiamente, quando Sirius ha deciso di mettersi in mezzo. I bambini stavano giocando, sai? Non hanno lezione e stavano sfidandosi ad una partita di gobbiglie. Danny è molto bravo a giocare. – sorrise – Li ho osservati attentamente.
- Volevo solo mettere un pizzico di pepe nella loro partita noiosa! – si strinse nelle spalle Sirius – Vi devo chiedere scusa, mi sono lasciato prendere la mano.
- Papà tu sei troppo competitivo! – sbuffò il gemello – Ci stavamo divertendo con lui. È il primo amico che abbiamo.
- Già, papà. – annuì la bambina – L’unico che ha avuto il coraggio di avvicinarsi a noi. Di diventare nostro amico senza provare soggezione per i nostri “famosi genitori”. Non possiamo passare tutto il tempo con Draco; Harry e voi due. – gemette stringendosi nelle spalle.
Remus e Sirius, restarono colpiti dalle parole dei loro figli: non avevano mai valutato il fatto che per loro potesse essere complicato farsi degli amici, perché erano dei Black figli degli Eroi del Mondo Magico.
- Abbiamo iniziato con il piede sbagliato. – mormorò dispiaciuta Clarice guardando ora gli adulti ora i bambini, sentendosi in colpa per aver creato quell’atmosfera così tesa – Io sono Clarice Prince, lui è mio figlio Daniel. Siamo molto felici di vivere questa esperienza. Ho frequentato questa Scuola quand’ero una bambina. La materia che preferivo era Pozioni. – quando Sirius ridacchiò, lei non poté impedirsi di arrossire ed Elettra la difese dicendo:
- Come se tu non avessi scelto di insegnare Difesa perché non sopporti di stare lontano da papà.
- Già. – biascicò il fratello.
- Perché il suo cognome mi dice qualcosa, ragazzina? – mormorò pensieroso Remus passandosi una mano stanca sul viso.
- Perché sono colei che rifornisce la Scuola del necessario per le pozioni, decotti e quant’altro crea il vostro superbo Preside. – rispose con un sorriso sincero lei.
- Anche la nostra pozione? – domandò Elettra.
- Sì, anche la vostra pozione. – annuì Sirius scompigliando loro i capelli con affetto. Clarice mandò la testa di lato, cercando di capire; ma, davanti agli occhi spaventati di Remus, decise di non chiedere niente.
- Perché non andate a giocare nella vostra camera, ragazzi? – disse loro Sirius – Portate anche Danny, mi sembra che dopo avete lezione insieme.
- Sì papà. – annuì Elettra.
- Grazie papà. – sorrise Zahir.
- Posso andare mamma? – chiese Daniel.
- Ma certo tesoro. – lo baciò sulla nuca – Va pure, mi raccomando!
- Dai mamma. In fin dei conti sono figlio di due fantastici Serpeverde! – ridacchiò facendo sorridere gli adulti.

Non appena i bambini scomparvero dalla loro vista, Remus si girò verso Clarice dicendo:
- Abbiamo adottato i bambini che avevano un anno. Erano stati abbandonati dai loro genitori.
- Da loro padre. – annuì Sirius prendendo per mano il marito.
- Già. La madre è stata una delle vittime della guerra. – riprese il racconto – Prima di morire, durante la loro rocambolesca fuga, era stata morsa da un Licantropo e…
- I bambini potrebbero essere come lei. – concluse Clarice capendo immediatamente ciò che pesava nei cuori dei due professori – Prendono una pozione simile alla sua, vero?
- Sì. Ma, ti prego, smettiamola con questo “lei”, mi fa sentire ancora più vecchio. – ridacchiò, Sirius e Clarice annuirono sorridendo - Le pozioni sono distillate in modo diverso. Loro non hanno ancora sviluppato la mia…
- Usa pure il termine “patologia”. – si strinse nelle spalle Sirius con rabbia – Non mi piace e lo sai. Perché non è una malattia. E patologia è un temine talmente brutto da sentire che mi fa andare il sangue in fumo.
- Concordo con Sirius. – annuì lentamente Clarice – Non è una patologia. È una particolarità che può essere tenuta sotto controllo. Per fortuna esistono cure che possono essere create ad hoc. Ma non sto dicendovi niente di nuovo, avete a vostra diposizione il miglior Potion Master di sempre. – concluse con un sorriso.
Una campanella li fece trasalire, strappandoli dai loro ragionamenti. I due insegnanti si girarono a guardare Clarice dicendo:
- Noi dobbiamo andare. – sorrise Remus, lei lo ricambiò annuendo comprensiva:
- Non vi trattengo oltre. Buona lezione. – fece un breve inchino e si congedò.
- A presto, signorina. – le dedicò un sorriso furbo Sirius, ma nelle sue parole non c’era più la strafottenza di prima; infatti, non appena furono abbastanza lontani da lei, mormorò al marito: - È una donna molto forte.
- È la degna compagna del nostro Piton. – annuì il Licantropo ridacchiando. Scambiandosi un bacio, i coniugi Black raggiunsero ognuno la propria classe.

Clarice iniziò a girovagare per i corridoi di quella Scuola che amava con tutta sé stessa. Non l’avrebbe ammesso con nessuno, ma quel luogo le era mancato tanto, al pari di quanto le era mancato trascorrere del tempo con Severus.
Lungo il suo peregrinare, incontrò gruppi di genitori e studenti che si affrettavano a raggiungere la classe per la lezione successiva. Per scrupolo, la strega controllò l’orario suo e di Daniel: il bambino aveva lezione di Erbologia e l’insegnante aveva creato per loro qualcosa di semplice, che i bambini delle varie età potevano gestire in tranquillità, senza la presenza costante dei genitori.
La strega, riempiendosi i polmoni degli odori conosciuti durante il proprio soggiorno di studi lì, si sentì attratta da una rampa di scale e, senza una ragione apparente, iniziò a salire.
Seguendo un’aura magica che non aveva mai avvertito prima, Clarice raggiunse l’ultimo piano e si trovò davanti ad una porta che, per quanto si sforzasse di ricordare, nei suoi anni di studio non aveva mai visto.
Mandando la testa di lato, e dopo aver controllato che non ci fosse nessun altro con lei, Clarice spinse lentamente la porta e quando i suoi occhi si abituarono alla penombra che vi regnava dentro, si portò una mano alla bocca guardandosi attorno scioccata.
Quell’aula, nei tempi che lei era una semplice studentessa, non c’era mai stata. Tutto lì dentro era nuovo; gli arredi, i tendaggi i materiali. Con un incantesimo fece aprire le tende, lasciando che la luce del Sole invadesse pienamente la stanza. Era talmente concentrata a guardarsi attorno, dai libri sulle tecniche di pittura; a quelli di Storia dell’Arte; ai colori; pennelli; tele che si accorse di essersi messa a piangere commossa, solo quando una lacrima le colpì la mano che aveva portato sul cuore.
Severus aveva creato nella Scuola un’aula di Pittura. Era perfetta: l’esposizione della luce, la disposizione delle tele sui cavalletti erano stati studiati con cura maniacale, rendendo l’ambiente luminoso, familiare e confortevole. Clarice mosse alcuni passi sui tappeti soffici che ricoprivano il pavimento vicino alle librerie; poi si diresse verso una delle tele poste sul cavalletto vicino alla finestra e, seguendo il proprio cuore, iniziò a disegnare usando il carboncino che aveva trovato lì vicino.
Disegnò seguendo solo il proprio cuore, senza ascoltare il cervello che le diceva di smetterla che stava rendendosi solo ridicola. Disegnò nel silenzio solitario della stanza fino a quando sentì due forti braccia maschili serrarla da dietro.
Il respiro di Clarice accelerò come i suoi battiti cardiaci; ma, non appena l’uomo la strinse contro il proprio petto, si rilassò riconoscendone l’odore: era Severus. Lei gli si appoggiò contro sospirando di piacere, riempiendosi le narici dell’odore di lui, così mascolino e particolare mescolato com’era agli ingredienti per Pozioni che erano parte della sua stessa vita.
- Ti piace? – le sussurrò con la sua voce roca e bassa, terribilmente sexy lui.
- È perfetta! – annuì cercando le mani di lui con le proprie – È l’aula che mancava per rendere ancora più unica questa scuola, Sev. – ammise lei senza smettere di sorridere.
- Pensavo a te quando l’ho creata. – ammise e solo in quel momento la strega notò che il colore predominante della stanza era quello dei suoi occhi.
- Tu sì che sai come farmi restare senza parole. – ingollò a vuoto, troppo emozionata per cercare di dire qualcosa di sensato.
Lui ridacchiò contro il suo collo, sfiorando con le labbra il tatuaggio delle proprie mani.
- Ti ho interrotta, stavi creando qualcosa. – disse senza accennare a lasciarla andare.
- Mi piace che tu mi abbia interrotta. – mormorò arrossendo e, girando leggermente il busto, si trovò vicino alle labbra di lui che, rapido e silenzioso, la baciò senza darle il tempo né di parlare né di pensare.
Clarice si aggrappò con forza alla veste nera dell’uomo e, avvicinandosi il più possibile a lui, ricambiò il bacio approfondendolo. Continuarono a baciarsi, giocando l’uno con la lingua dell’altra, fino a quando la necessità di respirare fu talmente impellente per entrambi da costringerli a separarsi.
Severus, appoggiò la fronte contro quella di Clarice, restando ad occhi chiusi per dare il tempo al proprio cuore di tornare a battere normalmente.
- Preside Piton! Preside Piton, è qui? – gracchiò qualcuno fuori dalla porta, dalla voce sembrava la professoressa di Storia della Magia.
La giovane strega tra le braccia di Severus, scostò la testa indietro per guardarlo negli occhi con aria interrogativa.
- Vado a vedere cosa vuole. Ti prego aspettami qui. – la baciò nuovamente, in modo più breve ma ugualmente bisognoso – Non scappare.
- Non ho intenzione di scappare. – sorrise accarezzandogli la guancia – E una mezza idea di ciò che vuole da te, io ce l’avrei.  – sospirò lasciandolo andare lentamente – Basta che mi avvisi in qualche modo se non puoi tornare da me. Hai degli impegni come Preside. Lo capisco; ma, ti prego, non lasciarmi qui tutto il giorno… - lo implorò e lui annuì mentre usciva.
Clarice, fuori dall’aula, sentì alcune voci non solo quella della professoressa che voleva portarle via Severus. Erano insegnanti e genitori che chiedevano di poter andare a visitare il Villaggio. Severus annuì, dicendo che la visita poteva essere organizzata ma che, per farlo, occorrevano alcuni giorni per preparare al meglio ogni dettaglio. L’uomo disse loro che avrebbero potuto usare le carrozze per garantire a tutti, compresi i bambini, di potersi godere la visita del Villaggio senza stancarsi o perdersi lungo il cammino. Con la sua voce pacata e profonda, garantì ai presenti che tutto sarebbe stato organizzato per domenica. Soddisfatti, i docenti e i genitori salutarono il Preside lasciandolo libero di tornare alle proprie mansioni.
- Clarice? – la chiamò Severus.
- Sono qua. – si mostrò lei che stava sfogliando un libro di Storia dell’Arte – Devi andare via, vero? – chiese mestamente.
- Purtroppo sì. Non avevo previsto una vista al Villaggio. Non volevo rischiare di perdere qualche ospite; ma…
- È giusto che tutti possano vedere il Villaggio, bere una Burrobirra da Madama Rosmerta o comprare dei dolcetti da Mielandia. – sorrise con dolcezza.
- Avrei una cortesia da chiederti. – sospirò passandosi una mano sul viso.
- Se posso. – posizionò al suo posto il libro e seguì fuori dall’aula Severus, aspettando che le chiedesse questo “favore” che sembrava metterlo a disagio.
- Non guardarmi così! – la pregò distogliendo a fatica gli occhi dalle sue labbra piene – Vorrei tornare a baciare le tue labbra, Clarice. E non farei altro per tutto il giorno! – le sussurrò con un soffio dentro l’orecchio, facendola arrossire come un pomodoro maturo.
- Professore… - si fece aria con la mano – Non sono cose da dire. Ma da fare! -  sorrise lei audace facendolo scoppiare in una risata sincera.
- Rimedierò a questa mancanza! – annuì – Però avrei bisogno adesso che tu prendessi il mio posto a lezione. Avrai pieni poteri, come se fosse la loro insegnante. – le accarezzò le labbra con un dito -  Ho pozioni con quegli zucconi del settimo anno.
- Io? – trillò lei – Sev, ma non sono in grado di…
- Ssshhh… - la zittì con un bacio rapido dato in mezzo al corridoio – Lo sei! – le sussurrò sulle labbra, strappandole un gemito – Sei un’eccelsa pozionista. E se non vai via adesso, ti riporto dentro quell’aula di Pittura e… - non finì la frase, lasciandole intuire quali fossero le sue intenzioni: Severus la desiderava ancora, esattamente come lei desiderava lui.
- Andrò a tenere la tua lezione. – annuì ad occhi chiusi, Clarice temeva che dentro il suo sguardo lui potesse leggere quel sentimento che le traboccava dal cuore.
- Sono felice che hai deciso di venire. – mormorò lui, ma lo disse talmente piano e senza darle il tempo di aprire gli occhi o replicare; che Clarice credette di esserselo solo immaginato. La curatrice non poté rispondere, perché Severus era scomparso nel corridoio, rapido e silenzioso come uno spettro, lasciandola piena di dubbi e domande che sarebbero rimaste, al momento, senza risposte.
Così, con il cuore che batteva come un tamburo, corse verso l’aula di Pozioni dove arrivò con le guance rosse e il fiato corto. Portandosi una mano sul petto, cercò di calmarsi e di trovare un contegno: non voleva certo né far sfigurare il Preside, né farsi mettere i piedi in testa da una classe di ragazzi quasi maggiorenni. Dopo un ultimo lungo sospiro, varcò la soglia dell’aula, e il lieve mormorio che regnava all’interno si chetò: tutti temevano l’arrivo del “pipistrello dei sotterranei”.
- Buongiorno classe. – parlò cercando Harry e Draco tra gli studenti, erano seduti ad un banco in seconda fila e le sorrisero felici di vederla – Io sono la signorina Clarice Prince. Sono una Pozionista nel villaggio dove abito ed oggi, per impegni improrogabili, il vostro docente e Preside, mi ha pregato di prendere il suo posto.
- Perché non resta per sempre, signorina? – sospirò un ragazzo con i capelli rossi e le lentiggini al primo banco facendola sospirare.
- Lei è troppo gentile. – scosse la testa Clarice – Ma amo troppo il mio lavoro per rinunciarvi. – si strinse nelle spalle – Bene, che ne dite di iniziare? – guardò la classe che annuì di rimando – Chi sa dirmi a che punto del programma siete arrivati?
Subito la mano di una ragazza Grifondoro scattò verso l’alto, Clarice le dette il permesso di parlare con un cenno regale della testa; pregandola di presentarsi perché lei in classe conosceva solamente Draco ed Harry, rispettivamente il proprio accompagnatore e quello di suo figlio.
- Mi chiamo Hermione Granger, signorina e siamo arrivati a… - la strega Babbana parlò dettagliatamente del programma a Clarice, lei la ascoltò attenta sorridendo di tanto in tanto e, non appena Hermione concluse, disse:
- Grazie signorina Granger, io ci provo ma non se funziona… ehm ehm… 20 punti a Grifondoro. – strizzò loro l’occhio – Fatemi sapere se li avete presi.
- Ma non è giusto! – si lamentò una ragazza Serpeverde – Quella antipatica so-tutto-io vuole sempre stare in primo piano.
- Signorina…?
- Parkinson. – rispose lesto Draco.
- Grazie signor Malfoy. – sorrise grata – Signorina Parkinson, perché non facciamo un gioco?
- Gioco? – la guardò – Che gioco?
Draco e Harry scuotevano la testa, ma nessuno sembrava prenderli in considerazione.
- Vista la spiegazione dettagliata datami dalla signorina Granger, voi dovreste essere in grado di preparare una perfetta “Pozione Rituale della Seconda Possibilità”, giusto?
- Ehm… - la Parkinson si mosse a disagio sulla sedia – Teoricamente sì.
- Allora facciamo una sfida: Serpeverde contro Grifondoro. La Casa che preparerà la Pozione migliore, avrà ben 100 punti. – un mormorio eccitato si diffuse nell’aria – Ascoltatemi bene: terrò conto non solo della preparazione finale della pozione; ma di tutta una serie di fattori: scelta degli ingredienti; preparazione; cura del calderone; messa in sicurezza. Se uno di questi elementi dovesse venire a mancare, toglierò almeno 50 punti alla squadra vincente. Avete capito?
Gli studenti mormorarono frasi di assenso, la giovane strega li pregò di divedersi in due gruppi poi dette loro il via per preparare la pozione.
Portandosi le mani dietro la schiena, iniziò a camminare tra i vari banchi osservando con attenzione le diverse modalità di lavoro dei due gruppi: i Grifondoro facevano gruppo unito, tutti si rendevano utili, chi leggendo gli ingredienti, chi andando a prenderli, chi iniziando a sistemarli sul tavolo per la preparazione. I Serpeverde sembravano meno organizzati, ma lavoravano ugualmente insieme seguendo le direttive che gli venivano impartite dal loro leader naturale: Draco Malfoy.
Clarice sorrise ed annuì lentamente in direzione dell’uno e dell’altro gruppo, facendo capire loro che al momento era molto compiaciuta da entrambe le fazioni.
La strana lezione, era quasi giunta al termine quando la porta si aprì lasciando entrare l’arcigno professore di Pozioni: Severus Piton.
- Cosa succede qua dentro? – domandò avvicinandosi a Clarice – Perché c’è tutto questo silenzio e…
- Ssshhh! – lo zittì lei mettendosi un dito sulla bocca – Non disturbarli per cortesia. Stanno lavorando duramente.
- Ah. – annuì lui con un sorriso – Ovviamente. – e restò sorpreso per il modo così diverso che aveva Clarice di interagire con la classe, dando piccoli spunti e suggerimenti ma senza far sentire gli studenti degli inetti come, spesso, si divertiva a fare lui. Clarice batté le mani un attimo prima che la campanella terminasse la fine della lezione, dicendo:
- Tempo scaduto ragazzi. – un mormorio contrariato si levò dagli studenti, ma entrambi i gruppi avevano terminato nei tempi la loro pozione.
- Adesso, di grazia. – parlò Severus – Posso sapere cosa è successo?
- Ho lanciato loro una sfida. – spiegò Clarice – Ho voluto vedere se erano in grado di lavorare insieme e fare fronte comune ad una richiesta, ad un’emergenza. – spiegò indicandoglieli con la testa – Li ho messi sotto pressione e un gruppo contro l’altro. – sorrise – Ma hanno reagito esattamente come speravo: tirando fuori il meglio di loro. – gli indicò i tavoli – I Grifondoro sono più abituati a lavorare in gruppo, sono più organizzati e la signorina Granger è un vero mastino. – le sorrise – I Serpeverde sono più per il “vivi e lascia vivere”; ma si sono aiutati molto e Malfoy è un leader naturale. – concluse.
- Cosa hai chiesto loro di preparare? – chiese con un sorriso, il primo che mostrò ai suoi studenti.
- Pozione Rituale della Seconda Possibilità. – sorrise davanti all’ironico nome della pozione: sembrava rappresentare esattamente la loro situazione attuale.
- Ed ha promesso, signore, - parlò Malfoy – 100 punti alla Casa che avesse creato la pozione migliore.
- Ah sì? – arcuò un sopracciglio l’uomo – E quale dei due gruppi avrebbe lavorato meglio? – chiese.
- Questo deve deciderlo lei, professore. – si strinse nelle spalle Clarice – È tornato e ho perso i miei “poteri” di insegnante. – sospirò.
- Ma non è giusto! – bubbolò Harry – Clarice è o non è la fidanzata del Preside? – continuò, beccandosi un’occhiataccia da parte di Hermione; Ron; Draco; Severus e Clarice.
- Potter! Visto che non perde mai l’occasione di stare zitto, inficio la prova della signorina Prince non dando a nessuna delle due case i punti in palio. Anzi, la aspetto stasera alle 21 per una detenzione che si protrarrà per tutta la settimana. I miei calderoni hanno sentito la sua mancanza. – la campanella suonò, gli studenti scivolarono fuori dall’aula borbottando arrabbiati verso la stupidità di Harry.
Non appena restarono soli, Clarice si avvicinò ai banchi ed osservò con attenzione le pozioni che avevano distillato: erano entrambe perfette e, portandole a Severus, glielo fece notare.
- Hai degli studenti dotati.
- Non come lo eri tu. – le sorrise.
- Dici così perché sono la tua “fidanzata”? – ridacchiò mimando le virgolette sull’ultima parola.
- Non ti ci mettere anche tu, per favore, Clary! – rispose con un basso ringhio, irritato – Non va bene che vengano messe in giro simili voci. Tu non sei la mia fidanzata.
- No, hai ragione. – annuì lei ferita facendo un passo indietro – Sono solo l’egoista e stronza madre di tuo figlio. – distolse lo sguardo dalle mani che l’uomo chiuse a pugno sulla scrivania – Adesso è meglio che vada, professore. Ho una lezione con mio figlio, non vorrei arrivare tardi. – fece un sorriso di circostanza – Con permesso… - fece per andarsene ma lui la bloccò con la più stupida delle domande:
- Che lezione avete in comune?
- Pozioni, purtroppo. – mormorò con una mano sullo stipite della porta e, senza guardarlo in viso, uscì dall’aula con il cuore gonfio di dolore. Immaginava che non sarebbe stato facile, ma trovare tutto quell’ostruzionismo, la deprimeva.
Clarice andò a cercare Daniel e lo trovò in compagnia di Rose; suo marito William, Remus e dei loro rispettivi figli.
- Salve. – salutò la strega con un sorriso tirato – Andiamo a lezione, Danny? – domandò.
- Arrivo mamma. – saltò giù dal muretto lui – Sai che le lezioni di oggi sono state bellissime? – ridacchiò – Ci siamo divertiti moltissimo. Soprattutto con Hagrid e le sue bestioline strane. – la guardò mandando la testa di lato – Tu cosa hai fatto? Dove sei stata?
- Se ve lo raccontassi, non ci credereste! – cercò di sorridere, ma non era affatto facile – Ho aiutato il Preside con la lezione di Pozioni, ho finito da pochi minuti. Stamattina, però, ho scoperto che la Scuola ha un’aula di Pittura. – i suoi occhi brillarono e Remus annuì dicendo:
- È stata voluta da Severus. Ci ha detto che, secondo lui, dovevamo stimolare i talenti degli studenti. Non esiste un vero corso di Pittura. Non dà crediti per gli esami. È come…
- Una biblioteca per lo spirito? – sorrise Rose.
- Esattamente. – annuì il Licantropo – Abbiamo scoperto, per esempio, che Elettra e Zahir sono molto bravi a dipingere. Farlo, li calma e li rasserena durante le fasi più acute della luna.
- Mia mamma è una pittrice con la “P”maiuscola. – mormorò fiero Daniel osservando Remus, quell’uomo gli piaceva a pelle, così come i suoi figli.
- Veramente? – il professore sorrise, ma fu interrotto dalla figlia che chiese alla strega se poteva insegnarle qualcosa.
- Ma certo Elettra! – annuì felice Clarice – Mi piacerebbe dipingere con te. Anche con te, Zahir se vuoi.
- Perché no? – si strinse nelle spalle il bambino fingendo indifferenza; ma, in realtà, era felice di essere stato però accolto nel gruppo.
- Quando?
- Tra le vostre lezioni e le mie, le nostre giornate sono sempre molto dense di impegni. – parlò Remus lisciandosi i baffi – Potremmo organizzarci dopo cena. I nostri dopo cena sono tutti molto tranquilli. Che ne dite? – erano arrivati davanti alla classe di Pozioni, dovevano entrare e smettere di parlare dei loro progetti.
- Per me va bene. – annuì Clarice – Amber, Tom, vi unite a noi?
- Certo! – annuì Amber – Tu che farai Danny? – chiese.
- Mi piacerebbe partecipare. Posso mamma?
- Non devi neanche chiederlo, sei sempre il benvenuto amore! – lo abbracciò e lo baciò sulla nuca, facendo ridacchiare gli altri bambini, felici di poter passare altro tempo insieme. Fu in quel momento che arrivò trafelato Sirius, interrompendo i loro discorsi.
- Scusate! – ansimò – Mi ero scordato della lezione di Pozioni! – si era appoggiato le mani sulle ginocchia, cercando di riprendere fiato – Chi fa lezione con me?
- Elettra! – disse subito Remus – Lei è molto portata per le Pozioni. Io terrò sott’occhio questo giovane Malandrino! – concluse bloccando il figlio con una mano sulla spalla.
Clarice sorrise e, incitandoli ad entrare, condusse suo figlio fin dentro l’aula per partecipare alla lezione di Pozioni come studentessa, anziché docente stavolta. Nonostante il tumulto interiore che sentiva, la lezione si svolse serena, fortunatamente non ci furono incidenti e Piton fu meno glaciale e antipatico rispetto alle altre volte. Quando la campanella suonò, il professore chiese a Clarice e Daniel di fermarsi.

Clarice era a disagio, si guardava la punta delle scarpe e non alzava il viso. Avrebbe voluto essere altrove in quel momento, non aveva voglia di stare sola con Severus e loro figlio. Non si sentiva ancora pronta a parlare con entrambi. Il bambino osservò con attenzione prima la madre poi il padre e, incrociando le braccia sul piccolo petto, disse:
- Allora? Posso sapere da uno di voi cosa è successo, o devo andare a chiedere ad Harry o Draco?
- Se sei un ragazzino così intelligente come pensa tua madre, Danny, potresti provare a capire da solo cosa è successo. Giusto? – chiese acidamente Severus.
- Visto che fai l’antipatico, - lo guardò arrabbiato - tu e la mamma non vi siete ancora messi insieme. E iniziano a circolare voci sul fatto che lei potrebbe essere la tua fidanzata.
- Sei più vicino alla verità di quanto credi, Danny. – mormorò Clarice stringendosi nelle spalle.
- Non mi farò giudicare da voi. – tuonò dando un pugno sul tavolo Severus – Vi ho chiesto di fermarvi perché volevo invitarvi a cena.
- Meglio di no. – rispose con una risata nervosa lei – Io declino l’invito. Non ho voglia di passare una serata silenziosa nei suoi appartamenti, signore. E non mi sembra nemmeno giusto, visto che per lei non rappresentiamo niente. – guardò il figlio – Andiamo Daniel, abbiamo approfittato anche troppo del tempo del Preside. Ha molti impegni inderogabili da portare a termine.
- Ma… Mamma… - cercò di fermarla Daniel – Io vorrei andare a cena con papà!
- Ssshh! – gli poggiò un dito sulle labbra – Rivolgiti a lui chiamandolo “signore” o “professore”. Nessuno deve sapere chi siamo. – concluse e, senza aspettare una risposta, lo prese per il polso e lo trascinò fuori dalla porta dell’aula che si chiuse alle loro spalle con un tonfo talmente forte che sentirono tintinnare alcuni barattoli di vetro.

Clarice trascinò Daniel in camera loro e, senza dire niente a nessuno, cambiò la parola d’ordine che faceva aprire la porta. Ricordava ancora l’incantesimo necessario per farlo e non voleva che qualcuno entrasse senza il suo consenso. Da studentessa, non poteva impedire al Preside di varcare quella soglia anche senza parola d’ordine; ma ora non era più una studentessa e doveva a tutti i costi difendere suo figlio dalla tempesta che stava per abbattersi su di lei.
Non appena la porta si chiuse alle loro spalle, Daniel strattonò la mano da quella della madre urlando:
- Perché lo hai fatto? Perché? Perché mamma?
Clarice si accasciò sul pavimento come un sacco vuoto, troppo stanca per riuscire a combattere contro la rabbia di Daniel. Lo lasciò urlare, lo lasciò piangere. Lasciò che riversasse su di lei tutta la sua rabbia e la sua furia e, quando ebbe finito di strillare, si alzò in piedi dicendo:
- Sei bravo ad umiliarmi, esattamente come tuo padre. Dov’è il bagno lo sai. Sei abbastanza grande per lavarti e vestirti da solo. Va pure a cena con chi vuoi. – lo guardò un attimo negli occhi, i suoi erano privi di luce; quelli del bambino dilatati per la paura delle cose che stava dicendogli la madre.
- Mamma… - parlò, gli faceva male la gola per quanto aveva urlato. Clarice finse di non sentire quel richiamo singhiozzato, non sarebbe riuscita ad evitare di riversare sul figlio il dolore che sia le sue parole sia quelle di Severus le avevano scavato dentro.
Senza voltarsi indietro, la curatrice uscì dalla stanza. Non aveva bisogno di qualcuno che la portasse in giro. Conosceva bene le strade e i passaggi segreti della Scuola, anche con la ricostruzione certe cose non erano state cambiate. Evitando i corridoi troppo rumorosi, raggiunse la biblioteca sempre vuota e silenziosa.
Clarice, scelse il tavolo più nascosto che riuscì a trovare e, non appena si rese conto di essere sola, si lasciò andare ad un pianto disperato costellato di singhiozzi talmente forti che le toglievano il fiato.
- Clarice! Clarice! – la voce di Draco la strappò dall’incoscienza che tanto agognava – Harry, vieni presto l’ho trovata!
- Draco… - parlò con voce inferma – Cosa fai qui…?
- Oddei Clarice! – la abbracciò di slancio Harry, si sentiva in colpa.
- Lasciatemi stare. – li pregò – Non voglio vedere nessuno.
- Tuo figlio è disperato. – le appoggiò una mano sulla spalla Draco – Sei sparita ieri pomeriggio.
- Ieri? – aveva pianto così tanto da essere riuscita a svenire, erano anni che non le succedeva.
- Ti abbiamo trovata grazie alla Mappa del Malandrino. L’avevo modificata in modo da non vedere tutte le persone presenti, ma Severus ci ha pregato di cercarti. È molto in ansia per te. – le rivelò Harry.
- Certo. – fece un sorriso sarcastico lei – Lo immagino. – ingollò e sentì la gola ardere – Vorrei andare in camera a prendere alcune cose. – li guardò – Che giorno è, oggi?
- Mercoledì. – rispose prontamente Draco.
- Solo mercoledì? – gemette – Draco, porterai tu mio figlio a lezione da Piton. Né il vostro Preside né il bambino hanno piacere a trascorrere del tempo con me.
- Perché dici così? – le sorrise con dolcezza Harry – Tuo figlio ti ama immensamente.
- Certo. Come io amo il pianto della Mandragola. – sbuffò alzandosi – Non ho bisogno che mi seguiate, per cortesia. Conosco la Scuola a menadito. – li guardò – Dite al vostro caro Preside, che non ho bisogno di baby-sitter.
- Diglielo tu stessa! – si arrabbiò Draco alzandosi – Non è difficile, va da lui e digli: “non ho bisogno di dei baby-sitter”! Non hai bisogno della nostra compagnia perché sei una tipa tosta, una che sa reagire al meglio alle situazioni. E poi, che fai? Ti nascondi dietro le nostre toghe perché non sei abbastanza donna per affrontare l’uomo che ami? – e, senza darle il tempo di rispondere, il biondo Malfoy lasciò la Biblioteca con uno svolazzo di mantello del tutto simile a quello di Severus.

Clarice restò a guardare il corridoio nel quale era sparito mordicchiandosi il labbro, un attimo dopo sentì qualcosa di caldo sulle proprie spalle, sbattendo gli occhi per mettere a fuoco chi o che cosa fosse sorrise vedendo Harry.
- Dray vuole molto bene a Severus. – le disse sottovoce – È solo arrabbiato.
- Non è il solo ad essere arrabbiato con me. – sospirò – Tu cosa ci fai ancora qua, Harry?
- Il fatto è che mi piaci. – ammise – Mi piace vederti interagire con Danny e Sev. – arrossì – Vorrei essere al posto di tuo figlio a volte. Devi essere una gran mamma! – sorrise imbarazzato davanti a quell’ammissione.
- Sono un disastro in realtà! – sospirò.
- Andiamo a colazione. – la pregò – A stomaco pieno parleremo di un’idea che mi è venuta in mente ora.
- Quale idea?
- Ricreare il vostro primo incontro. – le strizzò l’occhio.
- Dovrei entrare in classe dicendogli “professore, posso farle una domanda”? – ridacchiò lei alzandosi, sentiva il corpo pesante.
- Dovrete trovare il modo di chiarirvi, o no? Vuoi impedire a tuo figlio di avere un padre? Vuoi rendere tutti e tre infelici? Allora sì che saresti una stronza!
Clarice avrebbe voluto ribattere a tono, usando il suo sarcasmo come scudo, ma non ci riuscì perché la voce di suo figlio glielo impedì.
- Mamma! – squittì il bambino, Clarice alzò lo sguardo e restò senza fiato: Severus e Daniel si tenevano per mano, entrambi avevano l’aria triste e stanca.
- Danny. – lo chiamò inginocchiandosi ed aprendo le braccia lo invitò a raggiungerla.
- Scusami mamma! Scusami! Scusami! Scusami! – pianse stringendosi a lei, infilando il viso nell’incavo del suo collo, riempiendosi i polmoni del suo odore.
- Non dovevo dirti quelle cose, Danny. – lo cullò, stringendolo con amore – Perdonami amore! Mamma è stata cattiva.
- Perdonami tu. – la supplicò – Volevo davvero stare con papà. – ammise e Clarice si irrigidì leggermente – Mi ha detto lui di chiamarlo così.  – spiegò con un singhiozzo.
- Va bene, amore… - lo baciò sulla nuca ed alzò gli occhi incerta, cercando lo sguardo di Severus che era freddo e distante.
- Ora che avete chiarito, posso tornare al mio lavoro. – parlò con la sua voce strascicata, sembrava distante anni luce da lì. Come se guardasse delle immagini all’interno dello Specchio delle Emarb (Specchio delle Brame), ben conscio che non fossero reali.
- Grazie per averlo protetto. – mormorò lei alzandosi, avrebbe voluto aggiungere altro, ma tutto diventò nero e l’ultima cosa che sentì fu la voce di Daniel che la chiamava spaventato.
Clarice si risvegliò tempo dopo, sentiva la testa pulsare e le sembrava di avere mille spilli piantati in altrettante parti del corpo. Ovattata, le giunse la voce dell’infermiera che stava rassicurando Daniel.
- La mamma si riprenderà presto. Stai sereno.
- Lascia lavorare la signora. – lo pregò Rose con voce dolce – Vedrai che la mamma starà subito meglio. – lo rassicurò.
- Sono sveglia. – parlò Clarice, tentando di nascondere la delusione di essersi svegliata in Infermeria, anziché nel letto di Severus.
- Mamma! – trillò il bambino fiondandosi sopra il letto per abbracciarla stretta.
- Madama Chips ha ragione, ieri sera non ho cenato. – confessò – Mi sono dimenticata sia della cena sia della colazione.
- Stai meglio ora? – la guardò.
- Sì, amore. – lo abbracciò.
- Mi dispiace di aver litigato con te, mamma. – sospirò accoccolandosi contro il suo fianco – Ho parlato con rabbia. Ho fatto il…
- Sono stata io una mamma egoista, Danny. – lo contraddisse – Ero molto arrabbiata con lui. – ingollò a vuoto - E tu hai subito la mia rabbia.
- Tu la mia. – ammise sospirando – Non penso nessuna delle cose che ti ho urlato. Volevo solo passare la serata con te e papà. Come abbiamo fatto a casa. Mi piace stare insieme.
- Non credo sarà più possibile. – parlò lei mordendosi il labbro – Io e tuo padre abbiamo litigato pesantemente.
- Più pesantemente di quando eravate studentessa/insegnante? – le domandò Madama Chips portando un vassoio ricolmo di cibo.
- Madama Chips, lei…? – Clarice la guardò con gli occhi sgranati e la vecchia infermiera, ridacchiando, replicò:
- Certo che lo sapevo, mia cara. Eravate molto bravi a nascondervi agli occhi di tutti. Ma, alcune volte, non avete notato me nei pressi della Serra. – le sorrise con affetto – Erano anni che non vedevo Severus così felice come quando stavate insieme. – accarezzò con un gesto gentile la testa del bambino – Questo giovanotto poi, è la copia di suo padre.
- Già. – mormorò Clarice con un sospiro triste.
- Adesso mangiate. – ordinò tornando al suo cipiglio di sempre – Più tardi, quando avrò finito di somministrarle tutte le pozioni di Piton, sarete liberi di andare via.
Clarice sgranò gli occhi e si girò verso il comodino che era zeppo di fiale.
- Le ha portate papà quando dormivi. – spiegò Daniel – Ha chiesto, anzi, ordinato a Madama di fartele prendere. E senza storie! – concluse usando il cipiglio tipico di Piton.
- Agli ordini, principino! – lo prese in giro ridacchiando; poi dedicarono la loro attenzione al vassoio pieno di cibo; erano entrambi affamati.
Mangiarono di gusto, alla fine del pasto, Clarice fu costretta a prendere tre pozioni; una delle quali, la fece cadere in un profondo sonno ristoratore.

La giornata trascorse lentamente, a tratti fu noiosa. Clarice passò molto tempo dormendo, mentre Daniel partecipò a tutte le attività, compresa la lezione di Pozioni dove fu accompagnato da Draco.
Sospirando, la strega prese dal comodino un libro che le aveva lasciato Harry per aiutarla a distrarsi e sobbalzò quando sentì una voce dire:
- Vedo che stai meglio. – era Severus, ma era rimasto sulla soglia della stanza, senza entrare completamente.
- Molto meglio. Grazie. – annuì lei a disagio, non le piaceva dover stare a letto mentre lui era in piedi e così lontano – Puoi entrare se vuoi. – lo invitò.
- Non vorrei disturbare. – provò a dire l’uomo, anche se moriva dalla voglia di raggiungerla e stringerla e sgridarla per essere scappata di nuovo da lui.
- Ti prego. – sospirò – Gradirei un po’ di compagnia. Anche silenziosa. Ma sono stanca di stare qui a fissare quella parete bianca che sembra prendersi gioco di me. Sono stanca di aspettare i passi di Madama Chips per dover prendere le pozioni. Lei non si ferma mai un minuto più del dovuto. – sorrise, anche se un po’ incerta.
- Allora mi fermo. – annuì – Cosa stavi leggendo? – le domandò tanto per non restare completamente in silenzio.
- Non l’ho ancora aperto. – confessò – Me lo ha portato Harry. – glielo porse, le loro dita si sfiorarono ed entrambi sentirono come una scossa elettrica attraversarli. Si guardarono negli occhi e lei si passò la lingua sulle labbra improvvisamente secche.
Severus si tirò indietro lentamente, portando il libro con sé, resistendo al forte impulso di baciare quella bocca che gli mancava come l’aria nei polmoni.
- Storia dell’Arte. – parlò con tono svogliato – Vuoi leggere? – chiese.
- Non ne ho voglia. – ammise stringendosi nelle spalle, poi distolse lo sguardo dall’uomo seduto sulla poltrona vicino al letto, distratta da un movimento dietro le loro spalle.
- Severuuusss! – miagolò la professoressa di Storia della Magia ancheggiando – Finalmente ti ho trovato, brutto malandrino!
- Penelope. – sbuffò lui – Abbiamo finito di parlare meno di venti minuti fa. – disse alzandosi, sembrava a disagio e le labbra della donna erano troppo gonfie.
- Ho capito il tuo gioco. – ridacchiò sistemandosi la scollatura in modo che i suoi seni fossero più “in bella mostra” – Sei venuto a trovare questa mammina e non vuoi metterla a disagio. Hai tutto grande allora, anche il cuore! – concluse ridendo con cattiveria.
Clarice si limitò a stringere le mani a pugno, sentiva tutto il corpo tremare di rabbia; ma non avrebbe dato soddisfazione né a quell’arpia né a Severus di vederla piangere nuovamente.
- Questa è un’Infermeria. – tuonò Madama Chips che aveva sentito le risate sguaiate della professoressa fin dentro il proprio ufficio – Non la piazza del mercato. – guardò prima Clarice; poi Severus ed infine Penelope, il pallore della sua giovane paziente non le piacque affatto e non le piacque nemmeno che il Preside non l’avesse guardata neanche un momento – Fuori! – continuò – La signorina ha bisogno di riposo assoluto. Non ho detto che poteva ricevere visite. Anche le sue, Preside, sono fuori luogo! – concluse.
- Ma come si permette, vecchia strega! – replicò sentendosi intoccabile Penelope – Lei non deve parlarmi così.
- Lei non deve permettersi di entrare nelle camere dei miei pazienti ridendo così. La signorina ha subito un trauma, e non deve essere disturbata finché non si sarà ristabilita.
- Penelope, sta zitta! – la zittì duramente Severus – Usciamo subito Madama Chips.
Il Preside fece uscire la professoressa dall’Infermeria, fece per girarsi a guardare Clarice ma si trovò davanti il corpo di Madama Chips che lo guardava con occhi furenti.
- Lei non la merita affatto! – lo congedò prima di chiudere la porta sul viso dell’uomo. Clarice si era stesa di fianco, mostrando la schiena alla porta; ma sembrava che stesse piangendo.
Severus avrebbe voluto rientrare, ma la voce di Minerva che lo stava cercando, lo costrinse a desistere e tornare ad occuparsi dei suoi impegni di Preside.

Quel mercoledì scivolò così: lento e silenzioso. Clarice riuscì a lasciare l’infermeria solo nel tardo pomeriggio, dopo aver ingannato Madama Chips, non aveva più preso le pozioni non voleva niente che fosse stato preparato da quell’uomo che le aveva spezzato il cuore.
Clarice scivolò silenziosamente lungo il corridoio, amava passeggiare in mezzo a quelle antiche mura. Le donavano quel pizzico di tranquillità che, in quel momento, le mancava.
Rincorrendo i suoi pensieri, la giovane strega raggiunse l’ingresso del suo “appartamento”, dove trovò ad aspettarla un impacciato Sirius.
- Signor Black. – gli sorrise lei.
- Signorina Prince. – sospirò – Posso chiamarti Clarice? – la guardò, lei annuì dicendo:
- Con piacere, Sirius. – lo guardò – Posso aiutarti?
- Eravamo preoccupati per te. – ammise – Rem è a lezione, i bambini lo stesso ma Zahir mi ha chiesto di venire a trovarti.
- Grazie. – arrossì lievemente – I vostri bambini sono dolcissimi.
- Elettra ha una cotta per tuo figlio. – ghignò, ma senza cattiveria strappando un sorriso alla strega più giovane.
- Io sono innamorata di entrambi i gemelli! – sospirò portandosi una mano sul cuore – Amo i bambini, infinitamente. – concluse distogliendo lo sguardo.
- Stai male, Clary? – le domandò sollecito.
- Sono un po’ triste. – ammise – Ho litigato con Draco. Ho perso Severus. – ingollò a vuoto.
- Vuoi fare due passi? – la invitò.
- Mi vorrei cambiare. – si indicò – È da ieri che indosso gli stessi abiti. – fece un sorriso imbarazzato, Sirius annuì dicendo:
- Ti aspetto in giardino. Non restare chiusa dentro.
- Grazie. – lo baciò sulla guancia, poi sussurrò la propria parola d’ordine e scomparve all’interno della stanza.
Facendo profondi sospiri, si concesse una lunga doccia: aveva bisogno di lavare via la stanchezza e la tristezza accumulate. Dopo, si vestì indossando un completo nero, che rispecchiava il suo umore in quel momento, che le calzava a pennello e metteva in risalto il suo bellissimo fisico.
Pettinandosi i capelli fino a farli diventare una vaporosa nuvola d’oro rosso, Clarice si guardò allo specchio ma senza vedersi realmente. C’erano molte cose di lei che non le piacevano in quel momento, le occhiaie profonde erano la peggiore tra queste.
- Su Clarice! – si disse – Sorridi! – e, con un colpo di bacchetta magica, si acconciò i capelli in una complicata treccia. Non appena fu soddisfatta del risultato, uscì dal suo appartamento per raggiungere Sirius in giardino.
Il professore di Difesa, la stava aspettando fumando una strana pipa; ma non era solo. Con lui c’era un giovane uomo che Clarice non aveva mai visto ma che, a colpo d’occhio, le ricordò moltissimo uno degli amici più cari di Harry.
- Chiedo scusa. – parlò sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio lei – Ci ho messo un’eternità. – sorrise.
- Sei stata velocissima, Clarice! – scosse la testa Sirius – Stavo rivangando il passato con un caro amico! – glielo indicò con la testa – Lui è il secondogenito della famiglia Weasley. Si chiama Charles, ma…
- Preferisco essere chiamato Charlie! – le dedicò un sorriso sghembo, imbarazzato. Clarice gli tese la mano presentandosi a sua volta:
- Piacere, io sono Clarice Prince. – Charlie ricambiò la stretta di mano, poi si mosse a disagio sui talloni, sentendosi come di troppo.
- Di cosa stavate parlando, se posso saperlo… - chiese.
- Di argomenti non molto piacevoli. – sospirò Sirius – Abbiamo vissuto insieme la Seconda Guerra Magica, quella della liberazione definitiva da Voldemort.
- Oh. – gli occhi di Clarice si accesero di curiosità e, mettendosi seduta, chiese – Vi va di raccontarmi qualcosa? Se non è troppo doloroso per voi… - e posò gli occhi su Charlie, così diverso dal tipo d’uomo che era solita frequentare, di solito cercava “copie” di Severus capelli ed occhi scuri, introversi e taciturni. Quel giovane uomo aveva capelli rosso acceso, che portava lunghi a sfiorargli le spalle; un viso solare sempre pronto a sorridere; occhi chiari e sinceri, azzurri come il cielo; ed una spruzzata di lentiggini che le misero allegria.
- Non si ricorda mai volentieri il passato. – mormorò Charlie sospirando, infilò le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni e Clarice notò solo in quel momento che fosse più alto di Sirius e molto muscoloso.
- Sono stata indiscreta, scusate. – mormorò incrociando le mani sulle gambe – Nel villaggio dove abito, si sono sentite molte storie. Alcune troppo ridicole per essere vere. Altre troppo romanzate per riuscire a crederci. – osservò i due uomini ed arrossì notando lo sguardo intenso di Charlie.
- Che lavoro fai? – le chiese il rosso.
- La guaritrice. – rispose – Ho sempre mandato i rifornimenti di medicinali e ingredienti durante la guerra. – spiegò – Nel mio piccolo, ho cercato di aiutare il più possibile.
Charlie e Sirius avrebbero voluto dirle che aveva fatto molto, perché era rischioso spostare rifornimenti durante una guerra; ma nessuno dei due riuscì a dire una sola parola perché furono interrotti dall’arrivo di una splendida bambina bionda in lacrime.
- Zioooo! Zio Charlie! – disse con un accento francese che fece sorridere Clarice.
- Viky, tesoro, - la raggiunse lui – cosa è successo?
- Quel bambino laggiù. – e indicò un ragazzino grassoccio con i capelli color sabbia – Mi ha detto che sono brutta e che ho un brutto odore!
- Ma non è assolutamente vero! – cercò di consolarla Charlie, scatenando in lei un pianto ancor più isterico.
- Non ha figli, eh? – mormorò Clarice a Sirius che stava ridendo come un matto davanti alla scena.
- No. Charlie alleva i draghi. Ed è molto bravo nel suo lavoro. Ma…
- Con le persone non è granché. – sbuffò Clarice – Lo vedo! – e si alzò, con un movimento fluido ed elegante.
- Ti prego, tesoro dello zio, non piangere. – la supplicò, ma la bambina sembrava non riuscire a trattenere i forti singhiozzi che la scuotevano tutta.
- Ciao. – le si inginocchiò davanti Clarice per essere al suo livello – Perché stai piangendo, Petite étoile? – la bambina e Charlie la guardarono sgranando gli occhi, lei li osservò e, stringendosi nelle spalle, disse – Mi piace studiare le lingue straniere. Non sono bravissima in francese, ma qualcosa so dirla…
- Io mi chiamo Victoire Weasley e sono sua nipote. – spiegò.
- Io mi chiamo Clarice, - le sorrise asciugandole gli occhi con un fazzoletto pulito, Charlie la guardava affascinato – perché stavi piangendo Victoire? – chiese.
- Perché mi hanno detto che puzzo e sono brutta. – rispose singhiozzando.
- E chi te lo ha detto? – chiese indurendo lo sguardo la donna, la bambina le indicò con un dito il colpevole di quelle lacrime – Quel bambino non merita nessuna delle lacrime che stai versando, sai? – le sussurrò all’orecchio – Secondo me, tu gli piaci molto. Ma lui è uno sciocco e non sa come dirtelo.
- Dirmi cosa? – sgranò gli occhi la bambina.
- Che sei bellissima! – rispose con semplicità Clarice, le lacrime scomparvero dal volto della bambina, ed un sorriso sfavillante le arricciò le labbra.
- Veramente?
- Sei splendida, piccola stella! – annuì lo zio con un sorriso sincero – Era quello che cercavo di dirti anch’io, sai?
- Ma tu sei maschio. – lo accusò incrociando le braccia sul petto – Certe cose non sai dirle, altre non le capisci proprio! – concluse scuotendo i lunghi capelli biondi.
- Non posso darle torto! – rise Clarice, la prima risata dopo ore di interminabili lacrime.
- Insegni qui, Clarice? – chiese Victoire curiosa.
- Dei no. – scosse la testa la strega – Sono una mamma, mio figlio è… - si guardò intorno e lo vide arrivare di corsa, ridendo in compagnia dei suoi nuovi e vecchi amici – È quel bambino laggiù, quello con i capelli neri e gli occhi…
- D’ambra! – concluse Victoire – Siamo insieme ad Erbologia. È molto simpatico!
- Ed un gran rubacuori. – borbottò Sirius che li aveva raggiunti – Non gli bastano Amber ed Elettra? – ridacchiò finendo di pulire la pipa.
- Io sono per un quarto Veela. – dichiarò – Se realmente lo volessi, lui sarebbe mio. – replicò guardando Sirius – Ma a me piace l’altro bambino. – ed indicò Zahir arrossendo – Lui mi fa sentire sempre speciale.  – ammise.
Sirius gonfiò il petto, orgoglioso, Charlie e Clarice lo guardarono e, all’unisono, dissero:
- Non montarti la testa. Merito di Remus! – non appena terminarono di parlare, si guardarono scoppiando a tutti ridere.
- Mamma! Mamma! – la chiamò Daniel correndole incontro – Stai meglio?
- Sono in perfetta forma, amore! – lo abbracciò – E stavo facendo conoscenza con Victoire e suo zio Charlie. – glieli indicò e Daniel sorrise loro, educato.
- Ciao Viky! – la salutò Zahir seguito a ruota dalla gemella.
- Ciao. – mormorò la biondina felice – Zio, posso andare con loro?
- Avete lezione? – chiese Charlie.
- Abbiamo un incontro con Hagrid. – rispose prontamente Amber che aveva consultato il suo orario – Una di quelle lezioni che possiamo seguire da soli. – mostrò il foglio prima ai suoi genitori poi a Clarice.
- Allora andate. – annuì la guaritrice – Mi raccomando. – concluse guardando il figlio.
- Sì, mamma! – annuì Daniel prima di correre dietro il resto dei suoi amici.
- Ufh! – parlò il marito di Rose – Non so voi, ma io sono stanco di correre dietro quei monelli. – andiamo a riposare un po’ Rosy? – la abbracciò e la strega annuì, nascondendo a fatica uno sbadiglio.
- È stato Danny vero? – arrossì Clarice – Vi chiedo immensamente scusa! – si frugò in tasca e dette loro due fiale di sua creazione di pozione ricostituente – Prendete queste, starete subito meglio. – poi li baciò sulla guancia, osservandoli andare verso il Castello.
Con una scusa, anche Sirius si dileguò, lasciando Charlie e Clarice da soli. Il giovane Weasley, grattandosi la testa, cercò qualcosa da dire ma lei lo anticipò dicendo:
- Facciamo due passi? Sono stata costretta a letto con una terrificante emicrania per un giorno intero. – mentì, ma non voleva raccontargli la verità – Avrei voglia di camminare un po’.
- Ma certo! – le porse il braccio, ricordando le lezioni di “galanteria” che sua madre lo aveva costretto a prendere da un vecchio e aristocratico zio – Mi piace camminare. Lavoro all’aria aperta, sai?
- Veramente? – lo guardò per un momento – Che lavoro fai, Charlie?
La conversazione, grazie a quella semplice domanda, partì piacevole e leggera. Charlie raccontò a Clarice nel dettaglio che tipo di lavoro facesse, quale fosse la sua reale passione: era un allevatore di Draghi. Aveva portato lui dalla Romania i Draghi per il Torneo Tremaghi; lui stava allevando la draghessa che Hagrid gli aveva affidato. Era molto soddisfatto del suo lavoro e dei risultati ottenuti con i suoi bestioni e Clarice lo ascoltava con attenzione, rapita dai suoi racconti.
Camminarono e parlarono molto, fino a quando si trovarono nei pressi del Lago Nero dove si fermarono a riposare un po’. Fu in quel momento che Severus tornò dalla Serra di Erbologia con una cesta carica di ingredienti. Era così concentrato sui propri pensieri che sussultò quando, alzando lo sguardo, li vide: Charlie Weasley e la sua Clarice, seduti su un masso a godersi gli ultimi raggi del sole, che parlavano spalla contro spalle, ridacchiando sommessamente. I capelli di lei che sfioravano la pelle del collo di lui.
Una furia cieca si impossessò dell’uomo che, senza fermarsi a riflettere, si parò davanti a loro dicendo:
- Non dovreste controllare i vostri figli?
- Hm? – Charlie alzò lo sguardo, mettendo a fuoco il professore – Piton! – lo salutò con un sorriso sincero – Sono arrivato da poco e devo ambientarmi. C’era Bill qui con Viky, ma è dovuto tornare a casa di corsa, sembra che a Fleur si siano rotte le acque. Io ero libero. – spiegò stringendosi nelle spalle – Ed ho pensato di venire da mia nipote.
- E dov’è tua nipote? – chiese trattenendo a stento la rabbia, Clarice gli guardò le mani, stringevano con tanta forza quel cesto che avrebbero potuto romperlo da un momento all’altro.
- A lezione da Hagrid. – rispose la strega alzandosi – Con mio figlio. – lo guardò, sfidandolo a dire qualcosa.
- La lezione, signorina, – ringhiò – terminerà tra una decina di minuti.
- Saranno sufficienti per raggiungere la Capanna di Hagrid! – ridacchiò Charlie tendendole la mano – Vieni Clary, conosco ancora molte scorciatoie che il caro pipistrello non sa! – concluse irriverente verso Piton.
Clarice sorrise, prese la mano di Charlie e lo seguì correndo lungo i sentieri che conducevano alla casa del Guardiacaccia della Scuola.
Severus ruppe dalla rabbia il cesto e, maledicendosi per non essere riuscito a trattenerla, raggiunse in fretta la sua aula per sistemare le radici prima di perderle lungo il percorso.

Non appena furono fuori dalla vista di Severus, Charlie smise di correre ma non lasciò andare la mano di Clarice che continuava a sghignazzare divertita.
- Grazie Charles. – mormorò.
- Per cosa? – chiese continuando a camminare lungo quei sentieri che portava impressi nel cuore.
- Per avermi fatta sorridere. – rispose onesta.
- Sei triste? – le chiese scostandole il ramo di un albero per farla passare.
- Ho litigato con una persona… - iniziò lei, ma Charlie la interruppe dicendo:
- Sei innamorata, molto innamorata, di questa persona. E lui è geloso di te. – la guardò in tralice e, vedendola sbiancare, spiegò – Non sono molto bravo nei rapporti con i miei simili. Passo troppo tempo in mezzo a bestioni enormi, che potrebbero uccidermi in più modi di quelli che saresti capace di elencare. – ridacchiò quando notò il luccichio offeso negli occhi di lei – Però ho notato che molti comportamenti tra i Draghi e gli esseri umani sono simili.
- Simili? – lo guardò aggrottando le sopracciglia.
- Certo ragazzina! – ridacchiò.
- Ma per favore! Non sei tanto più grande di me. Non fare l’uomo vissuto! – sbuffò una risata.
- Io stavo parlando del linguaggio del corpo. – le dette una spallata leggera, facendola sorridere.
- E cosa avresti capito, o sommo professore, dal linguaggio del mio corpo?
- Non posso rispondere a questa domanda, o potrei venire schiantato talmente lontano che sarei un vecchio sdentato al mio ritorno! – rispose riprendendo a correre, ma senza più tenerle la mano stavolta. Clarice, fu talmente destabilizzata da quella risposta, che si limitò a restare ferma alla fine del sentiero per poi scoppiare a ridere fino a restare senza fiato.
Quando raggiunse la capanna di Hagrid, i bambini stavano uscendo entusiasti dalla lezione: Charlie si era fermato a salutare un gruppo di persone (altri genitori) che Clarice non aveva mai notato in quei giorni. Lei era sempre rimasta nei pressi dei sotterranei Serpeverde, in quei luoghi si sentiva più a proprio agio.
- Ehi Clary! – la chiamò lui con un sorriso – Vieni, ti presento alcuni amici.
- Non ci conosciamo. – parlò un uomo stringendosi nelle spalle – In quale casa sei stata smistata tu?
- Ma come, non lo ricordi caro? – gracchiò acidamente la donna sistemandosi gli occhiali sul naso – È una Serpeverde, per questo non ti ricordi di lei.
- Complice anche il fatto che sono più giovane di voi? – chiese usando lo stesso tono cattivo della donna – Magari voi vi siete diplomati l’anno che ho fatto lo smistamento. Per questo ignoro felicemente chi siete. – concluse stringendosi nelle spalle.
- Woooooowwww! – fischiò Charlie – Un lungo applauso alla strega Clarice che ha zittito la logorroica coppia! – lo Weasley le dedicò un applauso e un sorriso, Clarice lo guardò arcuando un sopracciglio e mimando con le labbra un “cresci va”, girò loro le spalle e per raggiungere l’ingresso della capanna.
- Eccomi qua. – si palesò salutando il mezzo gigante.
- Ben arrivata Clarice. – le sorrise Hagrid – Ho saputo da voci di corridoio che ti sei sentita male. Ora come stai?
- Ottimamente, Hagrid, grazie. – sorrise con gentilezza.
- Te la fai con il secondo cucciolo degli Weasley? – domandò in tono cospiratorio.
- Cosa? – Clarice lo guardò sgranando gli occhi, il figlio, che aveva sentito tutto, la osservò in silenzio in attesa di una risposta – Non me la faccio con nessuno! – replicò – E poi, di grazia, non sono affari tuoi!
- Lo sono, se il Preside della Scuola arriva a passo di carica sbuffando come un drago a cui hanno appena rubato l’uovo! – rise di gola il Guardia caccia facendola sobbalzare.
- Danny, - supplicò il bambino, Severus era ancora abbastanza lontano, forse potevano scappare – ti prego andiamo via. Non ho voglia di affrontarlo. Non adesso. Non così.
- Ti piace quel pagliaccio Grifondoro con i capelli color carota, mamma? – chiese usando lo stesso tono accusatorio del padre, il cuore di Clarice perse alcuni battiti.
- Prima di tutto, modera i termini ragazzino. Non è educato parlare così di una persona che non conosci.
- Prima di tutto, mamma, è buona educazione rispondere ad una domanda diretta. Non girarci attorno cercando di farmi perdere il filo del discorso e…
- Clarice. – tuonò perentorio Severus, lei alzò gli occhi al cielo supplicando tutti gli Dei di darle una mano.
- Sì, Preside Piton? – si girò a fronteggiarlo.
- Gradirei parlarti in privato. – disse a denti stretti, tremava di rabbia e la cosa non piacque né al bambino né alla giovane donna.
- No, grazie. – rifiutò con garbo – In questo momento lei è molto adirato con la sottoscritta che ha la colpa di aver riso in compagnia di un nuovo amico. – e indicò Charlie che non si era allontanato di un passo, pronto ad intervenire in caso di bisogno.
- Nuovo amico? – ripeté sprezzante Severus – Adesso si chiama così…?
- Non dirlo! – lo pregò – Per rispetto sia della tua intelligenza sia per la presenza di Danny. Altrimenti, dovrei farti notare che non sono stata io a baciare un’altra donna. – il colpo andò a segno, il Preside sgranò gli occhi e Daniel spalancò la bocca, ferito dal comportamento del padre.
- Andiamo via mamma. A questo punto, vorrei conoscere anch’io la persona che ti ha fatto ridere. – mormorò rabbiosamente.
Clarice prese la mano del figlio e si avvicinò al rosso che li osservava con un sorriso sghembo dipinto sulle labbra.
- Ciao. – parlò Daniel non appena gli furono davanti – Io sono Daniel Prince. Prima non ci siamo presentati.
- Ciao Daniel. Io sono Charles Weasley. Lo zio di Viky. Ci siamo visti prima, dimmi, che tipo è la mia nipotina?
- Una tosta! – ridacchiò, trovando subito simpatico quel ragazzo.
Severus era rimasto fermo lì, nello stesso punto dove loro lo avevano lasciato. Li guardava con un misto di dolore e rabbia dipinto sul viso.
- Adesso, - parlò Charlie – vorrei la verità.
- Quell’uomo è mio padre. – rispose schiettamente Daniel, Charlie spalancò occhi e bocca, facendo ridacchiare Clarice.
- Weasley. – parlò Severus che li aveva raggiunti silenziosamente, come il suo solito – Vorrei parlare privatamente con Clarice.
- Professor Piton. – sorrise Charlie tendendogli la mano – Per me non è un problema, ma deve chiedere alla signorina e al figlio se sono d’accordo.
- Ovviamente. – lo guardò indurendo lo sguardo – Non che la loro opinione mi interessi! – concluse e, senza dare il tempo a Clarice di dire qualcosa, la prese per un polso facendo smaterializzare entrambi nel suo ufficio.

La giovane donna, con il senso di nausea tipico della smaterializzazione, impiegò un attimo a riprendersi e capire che erano svaniti dal parco davanti alla capanna di Hagrid per apparire nell’ufficio del Preside, lasciando il loro bambino nelle mani di un perfetto sconosciuto.
- Come hai potuto! – urlò lei battendogli alcuni pugni sul petto – Riportarmi subito da nostro figlio! – continuò a picchiarlo, ma erano colpi talmente deboli che Severus a fatica li sentiva.
- Smettila. – le prese entrambe le mani in una delle sue, Clarice rabbrividì sentendo quel tepore che aveva imparato così bene a conoscere – Charlie è un Weasley, ha sei fratelli più piccoli e alcuni nipoti. – la guardò – Tuo figlio è abbastanza intelligente da…
- Non è solo “abbastanza intelligente”! – replicò arrabbiata, divincolandosi come un Basilisco per liberarsi – È un bambino fin troppo sveglio per la sua età. Ma avrei gradito avvertire Rose. Non voglio che sia un peso per una persona che neanche conosce. – spiegò e Severus annuì, non aveva considerato il fatto da quel punto di vista.
- Giusta osservazione. – e, prendendo la propria bacchetta dalla scrivania, recitò – Expecto Patronum. – dalla punta della bacchetta iniziò ad uscire una luce argentata che si trasformò prima in fumo e poi in un Patronus corporeo. Il mago e la strega lo guardarono sorpresi: era da molto tempo che non il Preside non si avvaleva di un Patronus e non aveva idea che avesse cambiato forma dalla Cerva di Lily al Lupo Siberiano di Clarice.
- E la Cerva? – balbettò Clarice.
- Non so quando sia cambiato. – biascicò continuando a guardare incantato quel Patronus e lui ricambiava lo sguardo, in attesa di sapere cosa dovesse fare – Rose, io e Clarice abbiamo bisogno di parlare da soli. Occupati tu di Danny, per cortesia. – disse e, dopo aver ordinato al lupo di raggiungere la strega Rose, quello sparì dallo studio correndo velocemente tra i corridoi del Castello.
- Potresti lasciare andare le mie mani? – lo pregò Clarice – Ho capito che non potrò andare da nessuna parte, fintanto che tu non lo permetterai.
- Non sei mia prigioniera, Clary. – scosse la testa lui.
- Hai ragione. Non lo sono. – ammise facendo qualche passo per la stanza, erano anni che non entrava nell’ufficio del Preside – È quasi uguale a prima. – sorrise girandosi verso l’uomo che la osservava.
- Sì. – annuì – Non volevo dare un’impronta troppo diversa. – ammise – Ero a mio agio qua dentro. Sia come studente, sia come professore. – spiegò.
- Sev. – ingollò a vuoto – Perché siamo qua? – chiese torturandosi le mani.
- Perché dobbiamo parlare. Parlare sul serio.
- Parlare di cosa? – chiese accarezzando alcune copertine di vecchi libri – Di te e quella Penelope? – non poté evitare di sputare il nome di quella donna con astio.
- O di te e Charles Weasley, se preferisci. – ribatté con rabbia mista a disgusto il Preside.
- L’ho conosciuto non più tardi di oggi. – spiegò con un’alzata di spalle – È stato il tuo professore di Difesa a presentarmelo. Non il Licantropo, quel Black. – concluse piazzando i suoi occhi in quelli neri di lui.
- Dobbiamo dirci tutta la verità. Senza nasconderci dietro paure. – disse l’uomo alzandosi con un gesto elegante dalla scrivania dove si era seduto – Non voglio avere paura di parlarti con il cuore in mano. E tu devi fare lo stesso con me. Saremo soli, Clarice. – con uno schiocco di dita apparve un vassoio con una teiera e due tazze, al centro della composizione c’era una fiala di Veritaserum che faceva bella mostra di sé.
- Veritaserum? – fece un mezzo sorriso Clarice – Davvero?
- Sarai onesta fino in fondo con me?
- Non lo so. – ammise – E tu?
- Ci sono cose che non vorrei dirti. Ma non voglio avere ombre tra noi.
- Allora accetto. – la strega versò il the nelle due tazze, poi osservò i gesti eleganti di Severus che aggiungeva ad entrambe le bevande le stesse gocce di pozione.
In silenzio, il mago e la strega bevvero il loro the corretto; poi si accomodarono nelle poltrone davanti al caminetto acceso ed iniziarono a parlare.
Parlarono a ruota libera di tutto quello che veniva loro in mente. Il siero della verità più potente del Mondo, distillato dal miglior Pozionista del Mondo, aveva fatto sciogliere loro la lingua e condivisero segreti e ricordi l’uno con l’altra, anche quelli più nascosti e dolorosi.
Severus, disse dei maltrattamenti subiti da bambino a causa del padre babbano. Parlò a lungo del suo amore non corrisposto per Lily Evans in Potter; di come si fosse lasciato lusingare dalla Magia Oscura di Voldemort e di come, per rimediare agli errori commessi, avesse dato anima e corpo per proteggere Harry Potter, l’unica speranza per l’intero Mondo (non solo quello Magico) di sopravvivere alla follia di quel mago oscuro. Le raccontò di come si fosse lentamente e inesorabilmente innamorato di lei. Di come non l’avesse ammesso con sé stesso i primi tempi; di quanto fosse spaventato dal fatto che lei gli avesse detto che l’amava e del terrore che aveva di non saperla corrispondere.
Le raccontò di quanto le fosse mancata, di come la sua vita fosse cambiata in meglio grazie alla sua presenza e del tempo che aveva sprecato per cercarla, non solo nell’Inghilterra Magica ma anche in Bulgaria dove pensava che fosse sposata con un uomo che non amava. Parlò a lungo Severus, continuando a bere il suo the corretto al Veritaserum per darsi coraggio, per non permettere alla parte razionale del proprio cervello di prendere il sopravvento.

Clarice ascoltò con attenzione ogni parola. Ascoltò con il cuore, con la mente e l’anima. Gli erano mancate quelle lunghe chiacchierate con Severus. Quando si frequentavano, passavano molto tempo a discorrere di tutto quello che incuriosiva Clarice, lei aveva sempre voglia di imparare cose nuove e Severus era un insegnante paziente, ma solo con lei.
Si rese conto di essere rimasta in silenzio un momento di troppo, quando un colpo di tosse dell’uomo la riportò al presente.
- Scusami. – disse – Stavo pensando al passato. A quando passavano le notti, quando non potevamo fare l’amore, a parlare di tutto quello che mi passava per la testa. Ricordo che leggevo qualcosa in biblioteca e poi ti tempestavo di domande e teorie assurde. – ridacchiò vedendolo annuire.
- È un bel ricordo. – mormorò con voce morbida – Era bello stringerti a me, anche solo per dormire insieme.
- Sì… - annuì – Lo era.
- Tocca a te parlare. – la incitò e Clarice, prima di aprire il proprio “vaso di Pandora”, bevve un lungo sorso di tea al Veritaserum; dopo aver tirato un lungo sospiro, chiuse gli occhi ed iniziò a parlare esattamente come aveva fatto lui.
Raccontò della paura di non ricevere la lettera della Scuola. Della gioia quando il gufo planò dritto di fronte a lei il giorno del suo undicesimo compleanno e del lampo d’emozione che brillò negli occhi dei suoi genitori che non l’avevano mai realmente né amata né capita.
Descrisse con dovizia di particolari i suoi primi anni al Castello, la gioia di essere stata smistata in Serpeverde (la prima della sua famiglia); il fascino del proprio Capocasa e l’idiozia di alcuni compagni di Scuola che pensavano che lei fosse una facilina come molte delle altre compagne, sia di Casa sia di Scuola.
Raccontò di come si fosse innamorata di lui. Il più silenzioso, cupo e arcigno professore che avesse mai avuto modo di incontrare sul suo percorso scolastico. Di come l’aveva colto, ogni tanto, a guardarla con una luce diversa negli occhi, con una punta di orgoglio e qualcos’altro a cui non aveva mai saputo dare un nome. Di come il suo cognome, anche detto con un pizzico di rabbia, detto da lui provocasse in lei lunghi brividi. Gli disse del coraggio che aveva dovuto raccogliere, lei che non aveva mai fatto niente per farsi notare da nessuno in particolare, per riuscire ad attirare l’attenzione del giovane uomo. Di come si fosse tagliata apposta, solo per potersi avvicinare a lui, per essere toccata da lui.
Gli raccontò di quanto il suo primo rifiuto le avesse spezzato il cuore e di come i loro successivi baci avessero fatto esplodere d’amore e passione il suo giovane cuore.
Gli disse che avrebbe voluto chiedere ai suoi genitori il permesso di poterlo frequentare alla “luce del sole”; ma di non averlo mai potuto fare perché le avevano comunicato, tramite gufo, che doveva sposarsi con un mago bulgaro per azzerare il debito causato dalla pessima gestione degli affari del padre.
Piangendo, confessò di come si fosse ribellata a questa decisione dicendo ai suoi genitori che non avrebbe potuto sposare un altro uomo perché era innamorata. Di come loro le dissero che era tutto scritto e deciso.
Di come, ridendo, suo padre le avesse detto che se quest’altro uomo che lei tanto amava l’avesse ricambiata almeno un po’, avrebbe potuto averla pagando però i debiti di famiglia.
Mentre la madre, bevendo l’ennesimo drink della mattina, guardandola le disse “ma chi potrebbe innamorarsi mai di una come te. Sei così scialba e insignificante.” Aggiungendo con cattiveria “mentre ti stringe le tette o ti tocca là sotto, te lo dice che ti ama?”.
Clarice ammise di non aver risposto a quella domanda, perché non poteva. Perché non avevano mai parlato di sentimenti, almeno non esplicitamente.
Così, gli disse di come aveva avuto l’idea della gravidanza e gli raccontò, con più dovizia di particolari la storia che Severus già sapeva passando dalla nascita del bambino, fino ad arrivare al modo in cui si erano ritrovati. Il Pozionista si accorse di stare piangendo solo quando lei, che gli si era seduta in grembo con le gambe di lato, asciugò le sue lacrime con caldi baci.
- Non piangere, Sev! – lo pregò con un sorriso incerto.
- Abbiamo distrutto le nostre vite. – ammise il Preside abbracciandola – Non ho pensato che tu fossi scialba e insignificante. Ma non pensavo che fosse giusto legarti a me visto che…
- Visto che eri una spia. Un Mangiamorte doppiogiochista. – fece un sorriso triste – Chissà, forse mio padre se avesse saputo che eri un Mangiamorte, avrebbe acconsentito a farci frequentare.
- Avrei avuto paura. – disse Severus – Paura che qualcuno facesse del male a te e nostro figlio. Non avrei fatto bene il mio lavoro. Forse sarei scappato, abbandonando Harry al proprio destino.
- Io e Danny avremmo causato la fine del giovane Potter e l’avvento dell’Oscurità. – rabbrividì abbracciandolo – Ho sbagliato, Severus. Alla fine della guerra, avrei dovuto cercarti e raccontarti tutto. Avrei dovuto coinvolgerti nella vita di nostro figlio. – una lacrima rigò il suo viso ed andò a morire nella veste nera dell’uomo.
- Non ho avuto nessuna relazione dopo di te. – le confessò cullandola – Nessuna donna, seppur spigliata e vogliosa di compiacermi, era te.
- Non ho avuto nessun altro uomo nella mia vita, dopo te. – mormorò colpita dalle parole di Severus – Escluso Danny, ovviamente. – il Preside ridacchiò facendo rimbombare la cassa toracica della donna.
- Non ho mai baciato la professoressa Smith. Di lei mi dà fastidio tutto. Anche l’odore. – confessò.
- Perché la tieni? – chiese.
- Perché non ho ancora trovato di meglio. – si strinse nelle spalle.
- Rose è una storica. – disse ricordandosi d’un tratto della sua migliore amica – Lavora con me in negozio, perché non ha trovato di meglio. – gli sorrise – Potresti prenderla in considerazione?
- Ci penserò. – annuì – Ma le parlerò non appena gli effetti della pozione saranno svaniti.
- Hai tempo fino a domenica! – mormorò con un sorriso sincero, il primo dopo tanto tempo, lei.
- Ti amo Clarice! – disse di getto – E non lo dico perché indotto dalla pozione. Lo dico perché è vero!
- Ti amo anch’io Severus. – gli prese il viso tra le mani – Non ho mai smesso di amarti! – confessò; poi non ci fu più tempo per le parole e il silenzio dell’ufficio del Preside fu interrotto da gemiti, sospiri e frasi senza senso, mormorate l’uno sulle labbra dell’altro.
Passarono la notte così: coccolandosi, baciandosi, respirandosi, parlando come facevano quando lei era una studentessa e non avevano la possibilità di fare l’amore. Clarice, avvolta dal calore del corpo di Severus, si addormentò con il viso nascosto nell’incavo del collo dell’uomo che continuò ad accarezzarle la schiena fin quando le fiamme del caminetto smisero di crepitare.
- Ragazzo mio. – parlò Albus dal suo quadro – Perché non la porti a letto?
- Non voglio addormentarmi. – mormorò – Se fosse solo un inganno della mia mente stanca? Se lei non fosse qui?
- Lei è qui! – ridacchiò un altro ex Preside – Abbiamo sentito tutti la sua voce, percepito la sua magia. È una strega forte.
- È una mamma! – parlò una ex Preside dal proprio quadro – Ma è reale, Piton. Portala a dormire, siete entrambi molto stanchi. – sorrise e l’uomo annuì. Depositando un bacio sulla tempia di Clarice, si alzò dalla poltrona con lei in braccio e, come se non avesse peso, la condusse fino alla camera da letto. Non andò nella sua nei sotterranei del Castello, era troppo stanco per fare tutta quella strada.
Con un incantesimo non verbale, fece scivolare il copriletto e le lenzuola fino ai piedi del letto; poi trasfigurò i loro abiti in qualcosa di comodo e la sistemò nel letto con un gesto gentile.
- Mmmm… - mugolò lei rabbrividendo – Severus… - il cuore dell’uomo si fermò, anche nell’incoscienza del sonno mormorava il suo nome con un amore e una passione che non aveva mai sentito pronunciare da nessun’altra voce.
- Sono qui, anice stellata, sono qui. – si stese al suo fianco e l’abbracciò.
Clarice sorrise nel sonno, si accomodò nell’abbraccio caldo dell’uomo e si lasciò trasportare nel mondo dei sogni, serena come non era da tempo.
Il Pozionista coprì entrambi i corpi con le coperte che aveva sistemato in fondo al letto; poi, troppo stanco per continuare a pensare, si lasciò scivolare nel sonno.

La nottata trascorse tranquilla, Severus e Clarice dormirono abbracciati, riempiendosi l’uno i polmoni dell’odore dell’altra. Al mattino furono svegliati dall’arrivo, in successione, della civetta delle nevi di Harry e del Patronus corporeo di Draco, un Drago.
- Svegliaaaa! – urlò il Patronus dello studente Serpeverde facendoli sobbalzare – Dove è finita Clarice, zio Severus? Se le hai fatto del male, giuro sui resti di Salazar, che uso i tuoi organi interni per creare pozioni o cibo per lo stupido cane di Hagrid! Rispondi alla civetta del mio Harry. – ordinò il Patronus prima di scomparire.
Severus e Clarice erano svegli, i cuori di entrambi battevano come rulli compressori al lavoro; il primo a riprendersi fu l’uomo che, girandosi verso di lei, con un sorriso le disse:
- Buongiorno Cly.
- Giorno Sev. – si scambiarono un bacio a fior di labbra, poi lei si stiracchiò nel letto a baldacchino, notando solo in quel momento che non fossero nella camera di Severus.
- Abbiamo dormito nella mia seconda camera da letto. – spiegò notando il suo sguardo curioso – È la camera da letto dell’Ufficio del Preside. – le disse – Era molto tardi ed ero troppo stanco.
- Mi dispiace. – arrossì accarezzandogli il viso – Mi sono addormentata profondamente. Tutte quelle emozioni…
- Non devi dispiacerti. – si alzò dal letto l’uomo – Raggiungo quel dannato pennuto, poi torno da te.
- Ti aspetto. – annuì lei godendosi il tepore delle coperte, finché l’immagine del figlio che non vedeva dal pomeriggio precedente le invase con prepotenza la testa.
Alzandosi dal letto rapidamente, Clarice si fiondò nella stanza adiacente alla ricerca della sua bacchetta magica.
- Clarice? – la chiamò Albus dal suo quadro.
- Albus! – gli sorrise con affetto – Dei, sono impresentabile… - arrossì rendendosi conto di indossare una camicia da notte lunga sul ginocchio nera con lo scollo a barca che lasciava scoperte le sue spalle.
- Io ti trovo molto graziosa! – le strizzò l’occhio un Preside con il naso e guance rosse, segno che amava bere molto.
- Clarice. – la chiamò Severus raggiungendola con la lettera di Harry in mano – Perché ti sei alzata? Stai male?
- No, - lo abbracciò – volevo solo inviare un messaggio a Danny. – spiegò e lui le porse la pergamena, la lettera non era da parte di Harry ma di loro figlio.
“Cari mamma e papà,
ieri pomeriggio non è stato divertente essere lasciato con quel Weasley senza riuscire a capire cosa stava succedendo e dove stavate andando. Soprattutto perché, quando ho provato a chiederlo a lui, ha saputo rispondermi tutto arrabbiato che senz’altro eravate andati a farmi un fratellino o una sorellina.”
Le guance di Clarice diventarono rosse come frutti maturi, Severus accentuò la stretta del proprio abbraccio e le spostò i capelli di lato per poter continuare a leggere con lei la lettera del figlio.
“Non che la cosa mi dispiaccia, tu lo sai mamma. Ma, prima di prendere qualunque decisione, o prima di chiederle di sposarla, professore, dovrai reclamare e conquistare la sua mano. Lei è il mio mondo.”
- Sei anche il mio. Lo sei stata quando ti ho persa. Sei tornata ad esserlo quando ti ho visto dietro il bancone del negozio. – mormorò con voce commossa l’uomo stringendo Clarice – E vorrei poter entrare a fare parte del vostro mondo. – le girò il viso per poterla guardare negli occhi.
- Non posso deciderlo da sola. – mormorò commossa lei – Vorrei parlarne anche con Daniel.
- Va bene. – annuì solenne Severus che, senza lasciare i fianchi della donna, chiamò un Elfo Domestico ordinandogli di andare a prendere Daniel Prince e di condurlo subito al cospetto del Preside.
La creatura fece un profondo inchino e, dopo ossequiosi saluti a Severus e Clarice, scomparve per ricomparire alcuni istanti dopo con il bambino addormentato tra le braccia.
Clarice corse a togliere quel pesante fardello dalle braccia dell’Elfo che le dedicò un sorriso riconoscente.
- Che ore sono? – chiese la strega bisbigliando.
- Le sette e mezza. – rispose Severus dopo aver controllato l’orologio sulla scrivania – Se Danny dorme così beatamente, quando ha scritto la lettera?
- Ieri sera. Magari ha passato del tempo con Harry e Draco. – baciò la tempia della donna e le indicò la camera da letto – Tu e il bambino rimettetevi a dormire. La mia mattina, generalmente, inizia alle sei.
- Cosa fai di solito? – domandò la donna dopo aver sistemato il figlio al centro del letto.
- Mi piace tenermi in forma. Faccio un po’ di allenamento correndo lungo la riva del Lago Nero. Mi aiuta a schiarirmi le idee e creare un elenco mentale di tutte le cose che devo fare durante la giornata.
- Anch’io mi sveglio molto presto. – spiegò la donna – Ci sono delle piante che hanno esigenze particolari e devono essere curate prima del sorgere del sole.
- Facciamo colazione prima che Daniel si svegli?
- Volentieri. – annuì lei prendendo la mano che lui le porgeva.
Severus e Clarice si accomodarono al tavolo che era stato portato dalle cucine della Scuola e mangiarono in silenzio, ascoltando il crepitio del caminetto che era stato riacceso.
Clarice stava bevendo il suo caffelatte quando la porta della camera si aprì, lasciando uscire uno stranito Daniel che stropicciandosi gli occhi, cercava di capire dove si trovasse: si era addormentato con Tommy, com’era arrivato lì? Cercando di orientarsi, il bambino vide i suoi genitori allo stesso tavolo che lo fissavano sorridendo felici. Si passò nuovamente le mani sugli occhi, si dette un pizzicotto sul braccio poi corse verso di loro lanciandosi tra le braccia del padre, piangendo emozionato. Severus lo strinse contro il proprio petto, affondando il viso nei suoi capelli morbidi e setosi.
- Non è un sogno, vero? – pigolò strusciando il viso contro il petto del padre – Siamo tutti e tre insieme nello stesso posto e voi non state litigando?
- È tutto vero, piccolo! – annuì Severus accarezzandogli con dolcezza la schiena.
- Siete la cosa più bella che io abbia mai visto! – sorrise Clarice portandosi una mano davanti alla bocca.
- Mamma! – le sorrise lui senza staccarsi dall’abbraccio del padre.
- È la verità piccolo mio! – annuì abbracciando entrambi.
- Ti amo Clarice. – mormorò Severus, sentiva il cuore esplodergli nel petto – E amo questo mostriciattolo.
- Ehi. Non sono un mostriciattolo! – finse di offendersi Daniel, gli occhi ambra brillavano come pietre preziose.
- Certo. E io non sono tuo padre. – ridacchiò davanti all’espressione sbalordita del figlio.
- Papà! – lo colpì sulla spalla con un pugno – Non ti libererai di me così facilmente. Ma impegnati a trovare un soprannome migliore. – lo sfidò con lo sguardo, Severus lo guardò poi scoppiò a ridere davanti all’espressione buffa del figlio, coinvolgendo subito dopo Clarice e Daniel.
La strega baciò a lungo Severus sulle labbra, fino a quando Daniel li fece separare, stanco di essere schiacciato tra i loro corpi.
- Mamma, papà. – li guardò serio con le labbra serrate – Ve lo dico in anticipo: voglio una famiglia. Non pretendo una famiglia “normale”. – mimò il gesto delle virgolette sull’ultima parola - Vorrei solo essere felice con voi.
- Mi impegnerò a darti quanto meriti, ragazzino. – annuì commosso Severus – Anche a me piacerebbe avere una famiglia felice con voi.
- E vorresti altri figli, vero? – lo guardò speranzoso.
- Tutti quelli che tua madre è disposta a darmi. – annuì.
Felice, il bambino abbracciò un’ultima volta i suoi genitori poi corse in giro per l’ufficio ridendo, troppo soddisfatto per restare fermo un minuto di più. Severus baciò Clarice e Daniel, finì di fare colazione poi disse loro che doveva andare perché la mattina di scuola stava per iniziare e lui aveva sia lezioni normali sia quelle con gli ospiti. A tal proposito, Clarice si ricordò che anche loro dovevano sbrigarsi perché quella mattina avevano delle lezioni in comune da seguire.

La giornata trascorse nel migliore dei modi: Daniel brillò in tutte le attività alle quali partecipò, si sentiva felice e vedere sua madre sorridere dopo tanto tempo lo faceva sentire pieno di energia e vitalità.
La stessa Clarice dette il meglio di sé durante alcuni laboratori, guadagnandosi i complimenti sia della professoressa McGranitt sia della professoressa Smith che aveva sostituito l’insegnante di Aritmanzia perché si era sentita poco bene dopo la colazione.
All’ora di pranzo, finalmente Daniel e Clarice riuscirono a raggiungere i loro vicini e più cari amici.
- Ehi! – la accolse William con il suo sorriso cordiale – Ciao straniera!
- Ciao Willy. – si abbracciarono – Scusate, ieri sono scomparsa! – continuò a parlare stringendo con forza la sua migliore amica.
- Ne è valsa la pena? – chiese Rose dandole un bacio sulla guancia.
- Diciamo che abbiamo fatto enormi passi avanti.
- Tanto enormi che devo preparare la culla? – ridacchiò William malizioso.
- Noooo! – Clarice arrossì – Non ancora almeno. – rise felice.
Un colpo di tosse li fece sobbalzare, erano arrivati in “branco” Harry; Draco; Hermione; Charlie ed un ragazzo che gli somigliava parecchio, lo stesso che l’aveva supplicata di fermarsi ad insegnare Pozioni al posto di Piton.
- Buongiorno. – salutò Draco – Come va Clarice? – chiese, era ancora arrabbiato; ma Harry lo aveva costretto a fare il primo passo.
- Draco, - lo avvolse in un abbraccio stritolante, da mamma – scusami. Sono stata una scema egoista.
- Ehi! – ridacchiò Harry – Non è tutto merito di Draco se siamo qui, sai? – fingeva di essere geloso, ma i suoi occhi verdi brillavano di gioia.
- Potter, lasciami abbracciare una donna in pace! – sospirò Draco, felice di aver fatto pace con quella strega – I suoi sì che sono abbracci morbidi, mica come quelli della babbana e di Pansy!
- Ehi! – gli dette uno scappellotto Hermione – Se non ti piacciano i miei abbracci, smetti di chiedere le “coccole” quando Harry non c’è! Sei imbarazzante!
- Strega! – gli fece la linguaccia Draco staccandosi dall’abbraccio di Clarice, lasciando ad Harry la possibilità di abbracciarla.
- Sono felice che abbiate parlato! – le disse all’orecchio – E mi dispiace se mi hai odiato all’inizio. – sospirò – Non è facile avere i suoi occhi. – concluse.
- Mi dispiace di essere stata una sciocca, Harry. – lo baciò sulla guancia – E di essermi fermata alle apparenze.
- Miseriaccia! – parlò il ragazzo rosso più giovane – Non voglio crederci! – sospirò guardando Clarice – Una così bella ragazza…
- Non sono malata. – rise lei non appena Harry la lasciò andare.
- Non ascoltare mio fratello Ron. – roteò gli occhi al cielo Charlie – È sempre molto teatrale nell’esternazione dei suoi sentimenti.
- Ron Weasley. – intuì la strega – Sai, Charlie, che tuo fratello mi ha fatto il filo durante la mia lezione di Pozioni? – Ron arrossì, incassando la testa tra le spalle.
- Non è vero! – pigolò.
- Ooh è verissimo! – rise Draco che amava metterlo in imbarazzo – L’ho visto io.
- E quando, Drake. – ghignò Hermione – Prima o dopo aver finito di pomiciare con Harry?
- Non eri attenta Granger! Eravamo già stati separati in due gruppi. – sospirò – Purtroppo non potevo più baciare il mio Potterino!
- Malfoy, contegno! – lo intimò Harry imitando la voce della professoressa di Trasfigurazione, facendo scoppiare a ridere i presenti.
- Dei, - mormorò Rose – non pensavo che foste così spassosi. Insomma… - indicò Harry – Tu sei una persona famosa…
- Non per mia scelta. – mormorò toccandosi la cicatrice.
- Ah, ah. – gli prese la mano Draco – Tu sei molto di più di quella cicatrice.
- Lo so! – gli sorrise – A volte dimentico.
- Per fortuna hai un fidanzato bello e intelligente come me, che ti ricorda l’ovvio! – replicò Draco alzando il mento con aria di provocazione, sfidando tutti a dire il contrario.
La risata di pancia che parti da Clarice, lasciò prima tutti interdetti poi li coinvolse.
- Scusami Draco! – parlò asciugandosi le lacrime dai lati degli occhi – Non volevo ridere di te. Ma siete così belli che…
- Lo so. – annuì il platinato – Siamo favolosi! – le sorrise strizzando l’occhio.
- Clarice. – la chiamò Charlie dopo che lo scoppio di ilarità cessò.
- Sì?
- Potrei parlarti in privato? – chiese arrossendo.
- Ma certo! – sorrise lei – Ragazzi, io e Charlie andiamo fino al campo da Quidditch. Ci raggiungete là?
- Sì cara. – annuì Rose – Aspettiamo che i bambini finiscano la lezione, poi veniamo a lezione di volo. Oggi la prendo anch’io una lezione. – cinguetto allegra facendo sorridere il marito.
- A dopo. – salutò la strega.
Clarice e Charlie raggiunsero il campo da Quidditch camminando in silenzio, erano entrambi tesi ed imbarazzati. Lui avrebbe voluto chiederle molte cose; ma temeva di farla allontanare mostrandosi irragionevolmente geloso.
- Quindi tu e Piton avete avuto una relazione. – iniziò e, notando la mascella di lei irrigidirsi, comprese di aver detto subito le cose sbagliate.
- In un certo senso, sì. – annuì cercando le parole adatte per spiegargli della sua storia d’amore.
- Circolano strane voci su voi due. – la guardò – Ho sentito dire da alcuni ex studenti, credo tuoi compagni di Scuola, che…
- Non mi interessa ciò che gli altri dicono. – lo interruppe – Ciò che conta è ciò che so. Che ho vissuto.
- Io…
- No, tu vuoi sapere. Ti racconterò la verità: mi sono innamorata di Severus Piton il primo giorno di Scuola. Avevo 11 anni ed un desiderio incredibile di finire nella Casa capeggiata da quel mago così scuro e misterioso. L’ho amato come si ama da ragazzini: da lontano, platonicamente. Poi sono cresciuta e sono uscita con altri ragazzi. Niente di serio. Qualche passeggiata, qualche bacio e qualche carezza più maliziosa. Ma nessuno era lui. Nessuno aveva i suoi occhi magnetici o le sue mani. – sospirò appoggiandosi ad un albero – Dei, le sue mani! Ne ero ossessionata sai?
- Non c’è bisogno che tu mi racconti tutto, Clarice. – mormorò imbarazzato – Non volevo offenderti.
- È che sono stanca di sentire voci. Racconti e bugie. Vorrei, da adesso, che venisse fuori la verità.
Clarice continuò a parlare con Charlie, raccontandogli di come la relazione con Severus fosse iniziata e di come, per colpa dell’egoismo dei suoi genitori finita prima che lei potesse dirgli di essere incinta di Daniel. Cambiò leggermente il finale della storia: quella parte, intima e privata, delle scelte che aveva compiuto non voleva discuterla con un estraneo, era stanca di essere giudicata da tutti.
- È una bella storia. – annuì il rosso allevatore di Draghi – E, da quello che ho capito, è finita nel migliore dei modi. – le sorrise.
- Ci stiamo lavorando. – ammise arrossendo lei – Sei anni di silenzio sono lunghi da riempire.
- Saprei io come farti riempire i silenzi! – mugugnò osservandola con malcelato desiderio, Clarice lo guardò aggrottando le sopracciglia, avrebbe voluto rispondere a tono ma l’arrivo del Patronus di Severus glielo impedì:
- Raggiungimi con Daniel in sala professori tra dieci minuti. Ti spiegherò tutto appena arrivi. – concluse, Clarice accarezzò il lupo siberiano un attimo prima che scomparisse.
- Devo andare. – si strinse nelle spalle.
- Ho sentito. – sospirò Charlie – Mi dispiace che tu abbia scelto lui di nuovo. Sentivo che poteva esserci qualcosa di speciale tra noi. – le sfiorò il viso con una carezza.
- Sei un ragazzo molto simpatico Charlie. – gli prese la mano, fermando quel tocco indesiderato – Ma lui non è mai uscito dal mio cuore. – la voce del figlio distrasse entrambi dal discorso – Devo andare. Ti auguro veramente di essere felice, lo meriti!
- Anche tu streghetta. – le strizzò l’occhio lasciandola andare a malincuore.
- Mamma! Mamma! – Daniel agitava la mano mentre la chiamava – È arrivato un messaggio da papà, andiamo?
- Eccomi tesoro. – gli prese la mano, sentì lo sguardo di Rose penetrante sulla nuca – Cosa c’è? – le domandò.
- Ha convocato anche me e William. – rispose con voce tremula per l’emozione.
- Non ne sapevo niente! – sorrise la guaritrice – Andiamo dai, non sopporta i ritardatari. Non li ha mai sopportati quand’era più giovane, figuratevi ora. – concluse facendo scoppiare a ridere gli adulti.
- Mamma. – parlò il bambino dopo qualche momento di silenzio – Se dovesse chiederti di sposarlo lo faresti? Verremmo a vivere qua?
- Non so per quale motivo ci ha mandato a chiamare Danny. – sospirò – Però non mi piacerebbe vivere al Castello. Il mio lavoro al villaggio mi piace e…
- Ma non vedrei mai papà! – sbuffò.
- Danny, stiamo curandoci per una ferita che al momento non esiste. – lo baciò sulla nuca e il bambino annuì sconsolato: sua madre aveva ragione, dovevano parlare con il Preside per scoprire cosa stesse realmente succedendo.
In silenzio, ascoltando il vociare degli ospiti e degli studenti, il gruppo raggiunse la sala insegnanti. Fu Clarice a bussare e la porta le fu aperta dalla professoressa di volo.
- Ben arrivati signore e signori. – li accolse – Prima parleremo in privato con la signorina Prince e suo figlio. – annunciò facendosi da parte per farli passare – Accomodatevi pure su quelle sedie lì. – disse rivolta a Rose e Richard che annuirono.
- Buongiorno a tutti. – salutò Clarice – Danny, saluta anche tu.
- ‘Giorno… - pigolò il bambino, emozionato di trovarsi di fronte a quella folla di persone che lo fissavano curiosamente.
- Clary, Danny. – parlò Severus comparendo da una porta laterale – Grazie per essere venuti con così poco preavviso.
- Stavamo aspettando l’inizio della prossima lezione. – si strinse nelle spalle il bambino – Eravamo liberi. – sorrise.
- Ottimo. Ruberò ad ognuno di voi solo pochi attimi. – annunciò Severus, i professori parlottarono tra loro in risposta alla dichiarazione del Preside che, dopo averli zittiti con un gesto della mano, continuò – Ricordate tutti una nostra ex alunna, il suo nome è Clarice Johnson, vero?
- Come dimenticarla! – annuì l’insegnante di Erbologia – Eccelleva in tutte le materie. Soprattutto nella mia e nella tua, Piton.
- Esattamente. – annuì Minerva – Un talento naturale per pozioni. Ma anche in Trasfigurazione non era affatto male.
- Si impegnava molto in tutto quello che faceva, - si aggiunse a loro la voce di Sibilla Cooman – ma perché stiamo parlando di lei come se non ci fosse, visto che è qui? – concluse indicandola con un cenno della testa la professoressa di Divinazione.
- Era qui che volevo arrivare. – sbuffò Severus – Signore e signori, Clarice Prince in realtà è la signorina Johnson, e questo bambino è nostro figlio.
Un mormorio concitato e scandalizzato si levò dal tavolo dei professori, Severus aveva appena confessato di aver avuto una relazione con una sua ex-studente e di aver concepito con lei un figlio mentre ancora era il suo insegnante.
- Non voglio né essere difesa né giudicata da nessuno di voi. – parlò Clarice prendendo la mano di Severus, intrecciando le loro dita insieme – Ho amato profondamente il mio professore di Pozioni. Lui era l’unico che mi trattava da persona. Che non si fermava all’apparenza dell’educata, seria, marionetta purosangue e Serpeverde. – si strinse nelle spalle – Era così bello poter essere me stessa in sua compagnia. Curiosa, logorroica, spaventata. – Severus l’abbracciò, coinvolgendo il figlio nell’abbraccio – Quando ho scoperto di essere rimasta incinta, ho avuto paura a tornare qua a scuola perché la guerra incombeva su tutti noi. La mia famiglia mi aveva portato via, isolandomi dal resto del mondo. Volevano che io sposassi un uomo per salvare i loro conti in banca e quando non ho potuto farlo, mi hanno cancellato dalle loro vite. – fece un sorriso accarezzando i capelli del figlio – Mi sono ricostruita una nuova vita. Una nuova identità, prendendo il nome della madre di Severus, un modo per sentirlo vicino. – guardò i presenti – Sapevo da Albus tutto quello che stava accadendo. Lui era l’unico a conoscenza della presenza del bambino, che fosse figlio di Severus. L’avevo scongiurato di non dire niente. Perché non volevo dare altri pensieri all’uomo che non ho mai smesso di amare. – concluse e Severus unì le proprie labbra a quelle della giovane donna in un bacio profondo e carico d’amore.
- Ho creduto per anni che tu fossi morta. – sospirò sulle labbra di lei alla fine del bacio – Sono felice di essermi sbagliato e di averti ritrovato. Quando la tua famiglia ti ha portato via dalla Scuola, ho tentato di cercarti ma poi ho dovuto desistere credendoti più al sicuro lontano da qui, fulcro di molti scontri.
Continuarono a parlare a lungo, fino a quando la campanella non indicò loro che era giunta l’ora di pranzo.
Severus congedò tutti gli insegnati, tranne la McGranitt la Vice Preside.
- Devo parlare con te, Minerva. – le disse e la donna annuì, restando comodamente seduta al proprio posto.
Penelope Smith, passò vicino al Preside con gli occhi sgranati era furente e non riusciva a gestire la propria rabbia.
- La ucciderò Piton! – urlò rivolgendosi a Clarice – Ucciderò quella puttana e suo figlio e tu sarai mio. Solo mio! Devi essere mio Severus! – cercò di lanciarsi addosso a Clarice, ma Severus fu più veloce e, lanciandole un incantesimo bloccante, fermò ogni sua mossa.
- Questa donna è completamente pazza. – parlò Minerva – È un pericolo per l’intera scolaresca. Come abbiamo fatto a non accorgerci prima che fosse così…?
- Perché credeva di poterlo conquistare. – rispose Daniel stringendosi nelle spalle – Non si sentiva minacciata dalla presenza né di voi professoresse né da quelle delle studentesse. – era logico, un perfetto ragionamento alla Piton.
- Impressionante! – ansimò Minerva – È realmente un piccolo te, Severus!
- Ho fatto un buon lavoro, vero? – ridacchiò Clarice per scacciare la tensione.
- Ottimo mia cara. Ottimo. – Minerva le batté con affetto le dita sulla mano senza mai staccare gli occhi dall’altra donna che si agitava e mugolava peggio di una creatura intrappolata – Dovremmo fare qualcosa per lei. – disse rivolgendosi al Preside.
- Ha bisogno di aiuto. – annuì Severus – Ho scritto ad un vecchio amico che fa il Medimago al San Mungo. Descrivendo nel dettaglio i comportamenti della donna. Soprattutto della sua ossessione per me. – si mosse a disagio – Mi ha detto che sono patologie comuni a chi ha subito maltrattamenti o abusi durante la guerra. In me vede una specie di salvatore. Vuole avermi non perché mi ama, ma perché è convinta che legandomi a sé, nessuno possa più farle del male.
- Utopia! – sospirò Clarice provando pena per quella strega.
- Ho inviato un gufo all’ospedale e… - non terminò la frase che dal camino della sala arrivarono due infermieri e il Medimago amico di Severus – Eccoli qua, puntuali come non mai. – li accolse.
- Buongiorno. – parlò il medico – Scusate, ho avuto un’emergenza. – si grattò la testa – Chi mi regala i suoi ricordi? Ho bisogno di sapere cos’è successo per poterla internare e curare. – la osservò – Lei non mi darà mai il permesso spontaneamente.
- Non ha famiglia? – domandò Clarice.
- Nessuno. – rispose l’infermiera che aveva accompagnato il medico – Da quello che è scritto qua, sono morti durante un attacco di Mangiamorte.
- Capisco. – annuì la guaritrice che, prendendo la sua bacchetta, estrasse un lungo filamento argenteo dalla testa, era il ricordo delle minacce e dell’attacco scongiurato contro la propria persona.
Dopo di lei, anche Minerva e Severus passarono al medico i loro ricordi; Daniel, osservando la madre, chiese:
- Puoi togliere anche il mio, mamma? – singhiozzò – Non voglio avere incubi per colpa sua! – e indicò Penelope con un cenno del capo.
- Ma certo amore! – Clarice sfilò dalla mente del figlio quel ricordo, lo imbottigliò e lo passò al medico che lo prese con un sorriso.
- Grazie giovanotto. – gli disse – Questo sarà il più prezioso di tutti, perché è il più reale.
- È stato orribile dottore! – tremò.
- È andato tutto bene. – lo consolò Severus e il bambino annuì, lasciandosi abbracciare.
- Piton! – ridacchiò il medico mentre i suoi aiutanti prendevano Penelope – Brutto marpione, dove hai tenuto nascosto un figlio e una moglie?
- Lontano dalle tue grinfie. – ridacchiò il Preside senza rettificare le parole dell’uomo, in fondo lui e Clarice non erano ancora sposati.
- Bravo. – rise l’uomo – Noi qui abbiamo finito. – disse – Buona giornata. Ti farò sapere come procede la cura.
- Grazie. – annuì Severus – Buona giornata a voi. – li salutò un attimo prima di vederli sparire nel camino.
- Moglie, eh? – ridacchiò Minerva mentre Clarice si controllava entrambe le mani alla ricerca dell’anello che avrebbe attestato questa sua dichiarazione.
- Lui è un caro amico, mi ha ricucito molte volte dopo i miei scontri durante la guerra; ma ha una passione troppo smodata per le belle donne. – spiegò con un sospiro alla guaritrice – Non volevo spaccargli la faccia con un pugno alla babbana. – la baciò – Ho preferito lasciargli credere che tu fossi…
- Ma lo sarà, vero? – lo interruppe Daniel incrociando le braccia sul petto – Cioè, vi sposerete, non è così?
- Vorrei avere la possibilità di fare a tua madre una proposta degna di questo nome, ragazzino. Ma succede sempre qualcosa che manda all’aria i miei piani.
- Mh. – annuì Daniel – Ti darò tempo fino a domenica. – disse puntandogli il dito sul petto – Pensa ad un modo per chiedere la mano della mamma. Un modo originale. Non banale. Perché lei è unica. – sorrise.
- Basta adesso! – li pregò Clarice – Ho già fatto carico di troppe emozioni e non è ancora ora di pranzo. – baciò il figlio e poi Severus, dolcemente, sulle labbra.
- Andate a raggiungere Draco e Harry. – li pregò l’uomo – Sono sicuro che saranno mortalmente curiosi di sapere tutti i dettagli.
- Posso farli spaventare un pochino? – ridacchiò Daniel da perfetto Serpeverde – Magari arrivando prima io con la faccia un po’ triste. – i genitori, ridendo, annuirono.
- È così bello vederti ridere, Preside! – si asciugò una lacrima furtiva Minerva.
- Mi è mancato il suono della sua risata! – annuì Clarice – Ma ora vi lascio al vostro lavoro. Dico a Rose di entrare?
- Te ne sarei enormemente grato. – assentì con il capo osservandola uscire.
Clarice, sorrise ai due insegnanti; poi aprì la porta uscendo in corridoio e trovando Richard e Rose seduti dove li aveva lasciati.
- Ehi. – si alzò Rose – Tutto bene?
- Tutto ok. – si abbracciarono – Sev ha parlato di noi a tutta la Scuola. Finalmente siamo la sua famiglia. – sorrise felice.
- Oooh! – William strinse entrambe nel suo “abbraccio da orso” – Non potevi rendermi più felice di così, splendore! – la baciò sulla tempia, con l’affetto di un fratello.
- Grazie Willy! – arrossì Clarice – Vorrebbero parlarvi. – continuò staccandosi dal loro abbraccio pieno di affetto.
- Tosca santissima. – gemette Rose – Spero non sia successo niente…
- Credo che potrebbe piacerti ciò che ha da dirti Severus. – la incoraggiò ad entrare e spinse oltre la pesante porta anche un recalcitrante William.
Non appena la porta dell’aula professori si chiuse, Clarice si incamminò verso la Sala Grande dov’era certa che avrebbe trovato Harry con Draco e quel dispettoso di suo figlio.
- Allora?! – la raggiunse squittendo felice Draco – Racconta tutto. Dalla prima all’ultima parola che vi siete detti.
- Tuo figlio ci ha fatto prendere un colpo! – la raggiunse Harry, seguito a ruota dal resto dei loro amici – È arrivato qua che stava piangendo.
- Merito della polvere piperina. – ridacchiò Daniel – Se non fossi una schiappa in pozioni, avresti riconosciuto il mio pianto assolutamente finto.
- Danny! – lo sgridò la madre – Ma…
- Ehi, è Harry che vuole essere trattato come un ragazzo normale. – si strinse nelle spalle il bambino.
- È ciò che è. Non mi sarei aspettata da te un comportamento diverso. – strinse le braccia sotto al seno la donna – Sai che non mi piacciono i miti. E non mi piace neanche enfatizzare la popolarità. Harry è un ragazzo meraviglioso e unico nel suo genere. – sorrise con dolcezza – Esattamente come te.
- Grazie Cly! – Harry la abbracciò, commosso di ricevere da lei una simile dimostrazione d’affetto.
- Non sono una che fa complimenti a caso, ragazzo. – ricambiò l’abbraccio – Se mi farai arrabbiare o il tuo comportamento non mi piacerà, te lo dirò.
- Anche se mi farà soffrire, vero, zia Clary? – la guardò Draco con un adorabile espressione da cucciolo bastonato.
- Ma certo. – ridacchiò stando al gioco – Sei il mio biondino preferito! Per te solo coccole e biscottini.
- Ehi! – sbuffò – Non sono un cucciolo!
- Ooooh lo sei! – lo abbracciò Harry – Il mio meraviglioso e indomabile cucciolo di Drago! – si scambiarono un bacio, facendo sospirare tutte le ragazze presenti in Sala che, forse, ancora speravano di poter conquistare un cuore di uno o dell’altro.
- Oche illuse. – ghignò Hermione – Hanno provato a somministrare loro l’Amorentia talmente tante volte che ho perso il conto.
- Sapete che la mia mamma ha creato una specie di antidoto?
- Ma l’antidoto esiste già. – gli fece notare Ron con un’alzata di spalle.
- Sì, infatti. – annuì Hermione sorridendo al neo-fidanzato.
- Ho detto “una specie”. – sbuffò – Mamma, come si chiama la cosa che hai distillato per quel principe?
- Dovrei distillare qualcosa per farti stare zitto. – ridacchiò – Comunque, il principe di un regno qua vicino, mi ha chiesto di creare per lui un rimedio in grado di bloccare il filtro d’amore.
- E sei riuscita a distillare una pozione del genere? – gli occhi di Draco brillavano.
- Certo! – annuì – Non è stato facile. Ho dovuto lavorarci a lungo, soprattutto per non avvelenare il mio cliente. – ridacchiò.
- Mi vorresti come assistente? – sospirò il Serpeverde.
- Sei un eccellente studente di pozioni. – annuì lei – Mi piacerebbe averti come mio assistente.
- Dici sul serio mamma? – sgranò gli occhi Daniel – Hai mandato via tutti quelli che sono venuti a chiederti un lavoro, tranne Rose.
- Rose non prepara le pozioni. Lei non è una Pozionista come me e tuo padre. – spiegò – Lei mi aiuta in negozio.
- Perché non hai mai preso con te un assistente? – domandò curioso Ron.
- Perché volevano entrare nel mio letto, e non solo per dormire. – replicò indurendo lo sguardo.
- Scusa. – arrossi Ron – Non volevo essere invadente.
- Non chiedere scusa, Ron. – gli dette un bacio sulla guancia – Hai fatto una domanda lecita, scusa per la mia risposta dura. Certi comportamenti, sia maschili sia femminili, mi fanno arrabbiare molto.
- Hai ragione. – annuì Hermione – A volte noi femmine sappiamo essere veramente stupide.
- Così come noi maschi. – le fece eco Harry causando un mormorio d’assenso nel resto del gruppo.
- Adesso, però, possiamo andare a mangiare mammina? – la pregò Daniel – Ho una faaaameeee! – piagnucolò.
- Certo amore! – ridacchiò la strega più grande che, prendendo il figlio per mano, si lasciò guidare ad un tavolo con sufficienti posti liberi per tutti.

Mangiarono parlando allegramente con i loro vicini di tavolo. La mattina era stata molto impegnativa per tutti, sia i genitori sia i bambini erano molto soddisfatti e la Scuola aveva ricevuto già molte richieste di iscrizione per giovani maghi e giovane streghe intenzionati a studiare lì.
- Mamma. – parlò il bambino mentre mangiava il dolce – Io voglio venire a studiare qua.
- Lo avevo intuito Danny. – sorrise la donna dopo essersi pulita la bocca con il tovagliolo, avrebbe voluto dire altro, ma la voce del Preside glielo impedì:
- Signore, signori. – parlò dal suo leggio con il gufo – Vi prego di fare silenzio e di ascoltarmi con attenzione per qualche momento. – li pregò; in sala calò un silenzio rilassante, l’uomo sorrise e continuò – Vorrei dire che, per problemi gravi di salute, la professoressa di Storia della Magia Penelope Smith, ci ha dovuto lasciare prima della fine dell’anno scolastico e che al suo posto, abbiamo assunto la professoressa Rose Quentin.
L’applauso partì spontaneo dal tavolo di Clarice e, ben presto, tutta la sala ne fu coinvolta.
Severus aspettò che il rumore causato dal battito delle mani cessasse, poi continuò a parlare:
- Colgo l’occasione per portarvi a conoscenza di una nuova aula della Scuola, un’aula di Pittura. Da alcuni di voi è stata definita una “biblioteca dell’anima” e non avrei saputo trovare un nome migliore per descriverla. – ammise con un sorriso sincero – Vorrei approfittare della presenza della signorina Clarice Prince, una ex-studentessa della Scuola che è da sempre stata un’eccelsa pittrice. Vorrei, in accordo con gli altri insegnanti, chiederle di tenere alcune lezioni di base. Senza impegno. Per chiunque volesse partecipare.
Gli studenti della Scuola iniziarono a parlottare tra loro, alcuni erano felici di avere la possibilità di prendere lezioni di pittura; altri un po’ meno perché temevano di dover studiare una nuova materia e di avere più compiti da fare durante la giornata. Sentendo queste voci, Clarice si alzò dicendo:
- Nessuno vi chiede mai di fare un esame su ciò che fate in Biblioteca, per il corso di Pittura sarebbe uguale. Non è obbligatorio. È solo un modo per sfogare un momento “no”, non tutti possono giocare a Quidditch e sfogarsi prendendo a randellate le Pluffe! – concluse stringendosi nelle spalle e molti ridacchiarono, dandole ragione. Severus, dal proprio leggio, le dedicò un sorriso carico d’amore che la fece arrossire.
- Siete veramente una bella coppia. – sussurrò a bassa voce una ragazzina che sedeva vicino ad Hermione.
- Grazie. – mormorò la strega colpita dall’arguzia della strega Corvonero.
- Mi chiamo Luna, piacere. – le sorrise.
- Piacere mio Luna. – ricambiò il sorriso la strega più grande che, più serena, riprese a mangiare chiacchierando con i vicini di posto del più e del meno, soprattutto della propria passione per la Pittura.
Alla fine del pasto, poco prima che le persone iniziassero ad uscire dalla Sala Grande, una studentessa del settimo anno di Tassorosso, si avvicinò a Clarice chiamandola con voce incerta.
- Signorina Prince…
- Sì? – Clarice si girò e le sorrise, era una ragazzina graziosa, con lunghi capelli neri con boccoli perfetti ed occhi color nontiscordardime.
- Mi scusi se la disturbo. – sorrise a disagio, le sue amiche la incoraggiavano a parlare – Vorrei… Ecco…
- Parla tranquilla. – la esortò – Non ho mai mangiato nessuno. Giuro!
- Volevo chiederle se potesse darmi alcune lezioni di pittura. Vorrei fare un quadro da regalare al ragazzo che mi piace. – sbottò d’un fiato, arrossendo fino alla radice dei capelli.
- Ma certo! – annuì Clarice – Sei libera adesso e per la prossima ora?
- Ho due ore libere. – gioì.
- Bene! – Clarice si voltò verso il figlio che sorrideva felice – Che orario hai, Danny?
- Ho un’ora di buco, - rispose il bambino mostrandole l’orario – e poi Divinazione. Ma posso saltarla? – la pregò. Clarice annuì, baciandolo sulla nuca e, voltandosi verso la studentessa disse – Precedimi pure, io passo a prendere delle cose, poi ti raggiungo.
- Grazie. – sorrise felice la ragazza correndo verso l’aula di Pittura. Clarice aspettò che la sala si svuotasse, poi si girò verso il tavolo dei professori dov’erano rimasti solamente Severus, Rose e Minerva.
- Hai reso molto felice quella ragazzina. – le sorrise la sua migliore amica.
- Vuole solo imparare a dipingere. – mormorò arrossendo Clarice – Per me è stato importante saperlo fare. – confessò toccandosi il collo dov’erano tatuate le mani di Severus.
- Sono le mani di Piton? – domandò Rose osservandole con attenzione per la prima volta, Clarice non permetteva mai a nessuno di vedere cosa celavano i suoi lunghi capelli.
- Certo. – assentì la guaritrice – Le mani che mi hanno perseguitata durante gli anni che ho studiato qua. Le stesse mani che… - e non finì la frase perché Severus l’aveva raggiunta e baciata sulle labbra per impedirle di dire qualcosa di troppo personale.
- Questo sì che è un buon metodo di zittire la propria donna! – ridacchiò William abbracciando Rose, era felice per il nuovo lavoro di sua moglie, finalmente avrebbe insegnato in una Scuola di prestigio e lui poteva aprire la sua bottega di artigiano in uno dei fondi di Hogsmeade, cercando di creare un futuro migliore per i loro figli.
Quando i due si separarono per mancanza di fiato, Clarice aveva le guance rosse come un pomodoro maturo e le labbra gonfie e vogliose di baci. Alzando i suoi occhi ambra, trovò quelli color pece di lui e l’amore che vi lesse dentro, la stordì al pari di un potente schiantesimo.
- Dovresti raggiungere la “biblioteca per lo spirito”. – le disse con la sua voce bassa e morbida Severus.
- Lo so. – annuì lei trattenendo a stento un sussulto, quella voce era carica di promesse erotiche che avevano scosso profondamente i suoi nervi tesi – Ma non credo di saper trovare l’aula dopo un bacio così. – mormorò facendo ridere i presenti.
- Se papà ti lasciasse andare. – ridacchiò Daniel – Potrei portarti io.
- Vuoi dipingere con me, Danny? – chiese Clarice osservando con amore il figlio.
- Se vuoi. – si strinse nelle spalle.
- Vorresti fare una passeggiata nella Foresta Proibita con me, Danny? – lo invitò Severus, mai sazio di passare del tempo con il figlio.
- Mi piacerebbe moltissimo. – annuì il bambino che, girandosi verso la madre, chiese – Posso andare con papà?
- Ma certo amore! – lo abbracciò – Mi raccomando, non ti allontanare e dai ascolto a papà. La Foresta è bella quanto pericolosa. – lo baciò sulle labbra, un breve bacio a stampo che Daniel ricambiò con gli occhi ricolmi di gioia per poter andare a visitare la Foresta di cui aveva tanto sentito parlare in quei giorni da Harry e Draco.
Dandosi appuntamento per il tardo pomeriggio, il gruppo si separò: Daniel e Severus raggiunsero il portone per uscire dalla Scuola chiacchierando allegramente; la professoressa di Trasfigurazione andò verso il proprio ufficio, aveva un interessante saggio da finire di leggere sul quale stava preparando alcune lezioni per gli studenti più grandi; Rose e suo marito raggiunsero l’appartamento negli alloggi di Corvonero, per festeggiare degnamente la svolta che aveva preso il loro futuro.
I bambini erano in compagnia dei gemelli Black, li avevano visti allontanarsi subito dopo pranzo. Clarice sorrise felice, in quei giorni di Scuola si erano create delle belle amicizie che sperava potessero proseguire anche in futuro.

La strega, persa nei propri pensieri, raggiunse l’aula di Pittura dove trovò la studentessa Tassorosso in compagnia delle sue amiche.
- Eccomi. – salutò entrando.
- Ben arrivata. – la salutò – Mi chiamo Honey Jackson, grazie per avermi concesso un po’ di tempo.
- Piacere di conoscerti, Honey. – le sorrise – Hai già un’idea su cosa vorresti dipingere? – le chiese mettendosi seduta su uno sgabello non lontano dal gruppo di studentesse.
- Ecco io… - Honey arrossì, ed una delle ragazze che l’accompagnava ridacchiò incitandola a continuare.
- Non sono un insegnante. Non sono qui per giudicarti né per prenderti in giro.
- Lei è una strana Serperverde, allora. – mormorò una ragazzina con i capelli corti dai riflessi blu notte.
- Strana? – arcuò un sopracciglio Clarice – Atipica. Mi piace di più. – si strinse nelle spalle – Ma non amo le etichette. – confessò – Forza, Honey. Senza un soggetto da dipingere, è un problema insegnarti qualcosa. – concluse aprendo le braccia in un gesto rassegnato la donna.
- Ecco ho questo. – si fece coraggio la studentessa passandole una foto ritagliata da una rivista. Clarice la guardò con attenzione: nella foto c’era Charlie Weasley mentre stava interagendo con una coppia di enormi Draghi.
- È bellissima. – annuì Clarice con un sorriso – Verrà un bellissimo quadro. – la incoraggiò – Scegli una postazione.
La strega più giovane osservò con attenzione i vari cavalletti con le tele, poi prese posto in uno di quelli che la ispiravano di più. Con interesse osservò Clarice prendere alcuni oggetti da un mobile lì vicino, ma lei si limitò ad estrarre la bacchetta magica, in attesa di cominciare.
- Ecco qua. – parlò la curatrice mettendole vicino tutto ciò che poteva servirle – Visto che è la prima volta per te, ti sconsiglio di usare il carboncino. Anche perché la foto è a colori, e penso che vorresti qualcosa di più simile all’originale possibile, vero? – Honey annuì, Clarice continuò – Ottimo, scegli la matita che senti più… tua…
- Matita? – Honey arcuò entrambe le sopracciglia – Come matita? Dobbiamo disegnare veramente? Cioè, lei non sta per insegnarmi un incantesimo in grado di ricreare questa foto su tela come se fosse stata dipinta da me?
- Incantesimo? – sgranò gli occhi color ambra Clarice – Davvero tu credi che io crei le mie opere usando degli incantesimi? – guardò le ragazze che avevano iniziato a mormorare frasi incomprensibili – Vorresti dirmi che anche in Biblioteca lasciate che la magia faccia tutto al posto vostro? Che non leggete libri né prendete appunti? – incrociò le braccia sul petto quando loro annuirono.
- Siamo Tassorosso, ci piace fare tutto con il minimo dello sforzo. – parlò una castana con i capelli a caschetto – La magia ci aiuta molto in questo.
- Allora mi spiace deludervi. Ma qui si lavora veramente. Non conosco nessun incantesimo. Nessuna magia che possa aiutarti a creare quella foto sulla tela. Io posso insegnarti come disegnare e poi dipingere.
- Oppure potresti fare tu il disegno per me. – le chiese unendo le mani in segno di preghiera Honey.
- Spiacente ragazzina. – scosse la testa Clarice – È a te che interessa conquistare il ragazzo. Non a me.
Honey si mordicchiò le labbra nervosamente: non avrebbe voluto cedere alle parole di Clarice, ma non poteva perdere l’occasione per creare a Charlie qualcosa di speciale, per fargli capire quanto lui le piacesse realmente.
- Insegnami, per cortesia! – mormorò alla fine di una lunga lotta interiore.
- Ottimo. Togli la toga, arrotola bene le maniche e… preparati a sporcarti mentre crei! – le sorrise Clarice incoraggiante.
- Sono pronta! – annuì Honey e le sue amiche la incoraggiarono battendo piano le mani.
- Ma il tuo pubblico deve restare a fare lezione, oppure hai intenzione di mandarle via? – chiese la strega più grande indicandole con un cenno del capo.
- Anche loro vorrebbero imparare. – si strinse nelle spalle Honey arrossendo di colpo.
- Ok… su, prendete posto ed iniziamo…
Clarice aspettò che tutte le ragazze si fossero sistemate poi iniziò a spiegare loro i rudimenti del disegno. Insegnò il modo corretto per imprimere il tratto sulla tela, consigliò loro che tipo di matita usare per disegnare, come fare la prospettiva e come rendere unica ogni loro opera.
Mentre spiegava, lasciandosi trasportare dalla passione per il disegno e la pittura, Clarice non si accorse che Charlie era arrivato e che si era fermato sulla porta dell’aula ad ascoltarla rapito.

Clarice riuscì a far disegnare qualcosa di decente a tutte le ragazze presenti e le premiò, permettendo loro di usare delle tempere incantate che avrebbero reso i loro disegni più simili alla realtà. Il più bello di tutti, risultò essere quello di Honey che, con le lacrime agli occhi per l’emozione, si gettò tra le braccia di Clarice ringraziandola per averla aiutata a creare quella bellissima tela.
La strega abbracciò la studentessa, poi si allontanò di un passo non appena sentì una risatina provenire dall’ingresso dell’aula.
- Charlie. – strinse gli occhi Clarice – Cos’hai da ridere?
- Mi piace guardarti insegnare. – rispose.
- Mi piace insegnare. – ammise Clarice – Il nostro tempo, ragazze, - continuò mentre loro mettevano a posto il materiale – è terminato. Potete portare via i vostri dipinti. Le tempere incantate asciugano subito. – concluse.
Con un mormorio sommesso, le studentesse terminarono di sistemare i materiali che avevano usato e, dopo aver preso ognuna la loro tela, uscirono in fila indiana dall’aula di Pittura.
- Vorresti farmi un ritratto? – chiese Charlie facendo fermare Honey fuori dalla porta, tremava di gelosia perché la domanda non era stata rivolta a lei ma alla strega più grande.
- No, grazie. – declinò l’invito Clarice – Non ho voglia di mettermi a dipingere adesso. E non ho mai amato fare ritratti con i soggetti reali davanti. – fece un sorriso a Charlie e conquistò lei stessa l’uscita, approfittando del fatto che Honey era rimasta lì ferma – Avevi bisogno di parlare con me, piccola Honey? – le domandò.
- Ooh sì. – annuì la studentessa rossa come un frutto maturo – Vorrei alcuni consigli su come migliorare il mio tratto… - rispose con la prima cosa che le venne in mente, riuscendo così a trascinare via dall’aula vuota Clarice.
- Grazie. – le disse quando furono abbastanza lontane – So come difendermi dalle avances indesiderate, ma l’aula di Pittura è sacra per me. Non volevo creare là dentro brutti ricordi.
- Io sono innamorata di lui. – mormorò Honey – I miei genitori sono di origini Rumene. Charlie lavora vicino casa nostra. Lui non mi ha mai guardata come guarda te.
- Nessuno l’ha mai guardato come tu guardi lui. – ridacchiò facendola arrossire – A me lui non piace, è simpatico e sa farmi ridere, ma sono innamorata di un’altra persona. La amo da tutta la vita. Vorrei costruire con lui il mio futuro.
- È un uomo fortunato. – rispose dopo alcuni istanti di silenzio.
- Cosa te lo fa credere?
- Dal modo in cui ne parli. – si strinse nelle spalle lei – Da come hai iniziato a brillare quando hai preso a pensare a lui. A parlarmi di lui. Dovete amarvi molto se solo parlarne ti rende così… luminosa…
- Grazie Honey. – arrossì Clarice – Hai detto cose molto carine. – le sorrise – Ma adesso andiamo, tra poco dovrai essere a lezione.
In silenzio, le due streghe scesero le scale che conducevano all’aula di Pittura ognuna persa nei propri pensieri. Il resto delle giornate trascorsero serene a Scuola e ricche di impegni. Le lezioni serali di pittura tenute da Clarice avevano un largo seguito. La prima sera si presentarono pochi studenti; la maggior parte di loro troppo scettica per partecipare; ma, davanti ai racconti dei rispettivi compagni di Casa e Scuola, furono costretti a ricredersi.
Le lezioni di Clarice erano armoniose e simpatiche. Lei insegnava a disegnare con il cuore: ascoltando la propria anima, cercando di bloccare sulla tela tutto ciò che rendeva felice l’artista.
Le lezioni successive, furono veri e propri “tutto esaurito”, costringendo i professori presenti a creare nuove tele e più materiale per riuscire a far partecipare tutti.
Fu quella sera che Clarice, istigata dalla folla, si pose al centro della stanza e prese lei stessa a disegnare riversando sulla tela bianca che aveva davanti ciò che viveva nel proprio cuore.
Clarice disegnò Severus, era il suo soggetto preferito: in tutto ciò che disegnava l’uomo era presente in qualche modo. Lo disegnò come lo aveva visto ad inizio settimana: cupo e arrabbiato sotto il loggiato della Scuola, quando l’aveva vista ridere e scherzare con Charlie Weasley. Tracciò sulla tela la gelosia presente nella posa tesa del suo corpo, e la rabbia che faceva brillare i suoi occhi neri come la pece. Si dedicò alle labbra, tese in una linea sottile; ed infine alle mani che stringevano con forza alcuni libri.
Disegnò, particolareggiandolo al massimo, il paesaggio che lo circondava e la piega delle vesti; lasciando la classe completamente senza parole.
Fu Daniel, quando la madre dette l’ultimo colpo di colore al muro della Scuola, a far partire l’applauso: quello era in assoluto il lavoro più bello e dettagliato che le avesse mai visto fare.
- Wow! – mormorò Remus che le era stato dietro le spalle tutto il tempo.
- Ragazzina. – ingollò a vuoto Sirius – Hai lasciato senza parole anche me. – le dette un bacio sulla tempia – È bellissimo.
- Sirius, - sbuffò Draco – dire che è bellissimo è riduttivo! – sorrise – È eccelso. Complimenti Clary.
- Grazie Draco. – sorrise lei arrossendo, osservando solo in quel momento la propria tela.
- Tu disegni senza renderti conto, vero? – domandò Harry che osservava sia lei sia il dipinto.
- Nella maggior parte dei casi è così. – annuì – Mi lascio trasportare dalla passione per la pittura e…
- Crei meraviglie! – annuì Honey che non si era persa una lezione, migliorando notevolmente.
- Grazie Honey. – ingollò a vuoto la strega.
- Su ragazzi. – batté le mani Minerva con gli occhi lucidi dall’emozione – È molto tardi, domani avete lezione. Andate tutti a letto. Su.
Con alcuni, sapienti, colpi di bacchetta i professori presenti nell’aula, pulirono e ordinarono tutto; uscendo dalla stanza insieme agli alunni presenti.
Nell’aula restarono solo Clarice e Severus che lei, in mezzo a quella folla di persone, non aveva assolutamente notato.
- Sei diventata ancora più brava. – le disse osservando il dipinto che si stava asciugando.
- Dici? – gli sorrise con il cuore che batteva forte contro le costole – Sono troppo monotematica? – chiese mandando la testa di lato.
- Finché i soggetti siamo io e Danny, continua ad esserlo! – ridacchiò abbracciandola – È stata una lezione molto interessante. Ti piacerebbe insegnare a Scuola? – le chiese prima di chinarsi a baciarla dolcemente.
- Oooh no… Tenere dei corsi di pittura sì, ma essere un insegnante e dover fare le stesse cose tutti i giorni no. Non riuscirei.
- E stare con me, tutti i giorni, riusciresti? – le chiese.
Clarice sorrise audacemente al Preside e, dopo aver bloccato gli ingressi all’aula con alcuni incantesimi, replicò:
- Stai attento a quello che chiedi, Sev. Perché la mia risposta potrebbe… - ma non finì la frase perché Severus azzerò ulteriormente la distanza tra i loro corpi. Clarice gli cinse i fianchi con le esili braccia ed alzò il viso vogliosa di ricevere altri baci che non tardarono ad arrivare.
Furono baci rabbiosi, famelici, ricchi di parole non dette. Furono baci di lingua; saliva e denti. Furono baci che incendiarono i sensi ad entrambi, riattizzando il fuoco della passione che non si era mai sopito tra loro.
Con pochi, rapidi, gesti Severus sfilò gli abiti di Clarice facendoli cadere a terra dove presto furono raggiunti dai propri. Senza mai staccare gli occhi neri da quelli ambra di lei, la stese sul tappeto del pavimento e la venerò con lo sguardo.
- Sei bellissima. Semplicemente perfetta. – mormorò accarezzandole i seni più pieni dopo la gravidanza.
- Sono cresciuta… - mormorò inarcandosi verso le sue carezze.
- Sei diventata donna. – annuì chinandosi a baciarla, poi non ci fu più tempo per le parole perché era troppa l’urgenza, per entrambi, di tornare a possedersi completamente: anima e corpo.
Severus scivolò in lei con un’unica fluida spinta, Clarice si aprì per riceverlo più che poté; poi si aggrappò con le gambe e le braccia al busto dell’uomo donandogli libero accesso al proprio corpo voglioso.
Si amarono senza fretta, mangiando i sospiri e i gemiti l’uno dalla bocca dell’altro e, quando raggiunsero l’apice del piacere, lo fecero insieme chiamandosi dolcemente per nome.
Clarice, con gli occhi chiusi ed il respiro ansante, cullò sopra il proprio corpo Severus che, con il viso affondato nel collo di lei, sembrava non volerne sapere né di togliersi né di uscire da quel corpo che l’aveva accolto con lo stesso calore e amore di tanti anni prima.
Ansimando, Severus scivolò di fianco a Clarice e l’abbracciò tirandosela addosso. La giovane strega sospirò beata, godendosi le sensazioni meravigliose che stare tra le braccia dell’uomo le donava.
- Mi era mancato tutto questo. – ammise Clarice con il viso appoggiato sul petto di Severus.
- Mi eri mancata tu, Clarice. – la strinse con dolcezza, la sentì sorridere contro la propria pelle nuda e sorrise di rimando, improvvisamente felice. A disturbare la loro quiete, ci pensò Edwige la civetta delle nevi di Harry – Maledizione! – tuonò Severus alzandosi con un movimento fluido.
- Che succede? – si preoccupò la donna stringendosi addosso il mantello del Pozionista.
- È un messaggio di Harry, vuole sapere se Danny può dormire con Draco stasera visto che noi siamo… - tossì – Ehm, spariti.
- Morgana benedetta! – squittì lei arrossendo – Abbiamo dimenticato Danny! – si guardarono e scoppiarono a ridere, Severus vergò una rapida risposta poi guardò la civetta volare via.
- Ho detto di sì. – la fece alzare, nuda e bellissima baciata dalla luna che filtrava dalla finestra – Vorrei passarla con te questa notte. – le mormorò mordicchiandole il labbro.
Severus e Clarice trascorsero quella notte magica chiusi dentro l’aula di Pittura della Scuola, amandosi e venerandosi come non avevano fatto per troppi anni.
Il mattino, li trovò teneramente abbracciati sul tappeto vicino alla finestra, i corpi intrecciati coperti dal mantello nero dell’uomo. Il primo a svegliarsi fu Severus che, stringendo il corpo caldo di Clarice contro il proprio, le dette un tenero bacio sulla tempia.
- Non voglio alzarmi. – pigolò lei.
- Dobbiamo Cly. – le baciò le labbra con un bacio soffice – La Scuola ha bisogno di me. Nostro figlio ha bisogno di te.
- Sai come essere convincente, Piton! – ridacchiò mentre strofinava il naso contro il suo petto.
Si rivestirono in silenzio dopo aver usato sui rispettivi corpi un incantesimo di pulizia, per renderli presentabili almeno fino ai rispettivi appartamenti dove si sarebbero potuti lavare e cambiare.
Severus ripulì la stanza con attenzione e, mentre tendeva la mano a Clarice, disse:
- Stavo pensando di organizzare un ballo.
- Ballo? – sorrise lei mandando la testa di lato.
- Un modo per ringraziare tutti di aver partecipato. Per regalare loro un buon ricordo della Scuola. Qui non si viene solo per studiare. Ma anche per socializzare.
- È una bella idea. – annuì la strega intrecciando le dita della mano a quella dell’uomo – Mi piace.
- Harry e Draco, hanno vissuto il Ballo del Ceppo. – disse.
- Ne ho sentito parlare. – rispose – Quando c’ero io, non avete fatto il Torneo Tremaghi. Ma ho letto qualcosa su qualche libro. Oppure una rivista. Ora non ricordo.
- La Gazzetta del Profeta ha raccontato un sacco di fandonie sul Torneo. – ringhiò Severus – Soprattutto sulla partecipazione di Harry.
- Amore… - lo zittì lei fermandosi – Per quanto io rispetti e voglia bene ad Harry e Draco, non mi interessa parlare di loro adesso! – si scambiarono un bacio che lasciò entrambi senza fiato.
- Sai che non sarò mai propenso alle smancerie in pubblico, vero?
- Non te ne ho mai chieste e non te ne chiederò mai. – sorrise Clarice – Avevo solo bisogno del bacio del buongiorno.
- Ti amo Clarice! – mormorò stringendola contro il proprio petto, respirando a pieni polmoni l’odore della donna.
Restarono abbracciati in silenzio per alcuni istanti; poi delle voci nel corridoio li fecero separare, mandandoli ognuno per la propria strada.
La strega raggiunse rapidamente l’appartamento che le era stato affidato, entrò e si dedicò con passione e serenità alla propria persona. Si sentiva bene, si sentiva amata. Erano anni che non le capitava di sentirsi così viva. Era felice di avere la possibilità di costruire un futuro con l’uomo che non aveva mai smesso di amare.

Severus, con la mente affollata di mille pensieri, raggiunse il suo appartamento nei sotterranei. Si tolse gli abiti che aveva tenuto tutto il giorno e si diresse verso il bagno.
Riempiendo la vasca di acqua tiepida e Sali da bagno profumati, si osservò allo specchio: Clarice aveva lasciato un enorme succhiotto tra il collo e la spalla, in quella porzione di pelle che restava sempre coperta dalla camicia. Sorrise, quando stavano insieme da più giovani, nessuno dei due aveva mai osato pensare di poter fare una cosa simile. La loro relazione doveva restare nascosta, altrimenti lui avrebbe rischiato non solo di perdere il posto; ma di bruciare la sua copertura tra le fila dei Mangiamorte.
Ma ora aveva un’altra possibilità. Poteva essere felice e crearsi quella famiglia che aveva sempre desiderato. Rincorrendo i propri pensieri, finì di lavarsi poi si preparò per affrontare al meglio una nuova giornata scolastica.
Aprendo il suo armadio, quel giorno decise di non indossare la sua solita veste nera ma di limitarsi a vestire un paio di pantaloni aderenti di pelle di drago che mettevano in risalto le sue gambe toniche ed il suo sedere sodo ed una camicia bianca sulla quale abbinò una giacca elegante a monopetto.
Soddisfatto del risultato, pettinò i capelli corvini e, dopo aver indossato le scarpe, uscì dal suo appartamento raggiungendo la Sala Grande per la colazione.
A metà strada trovò Clarice; Draco; Harry; Rose; William; Daniel; Amber e Thomas che camminavano chiacchierando animatamente.
- Buongiorno. – parlò facendoli sobbalzare, il primo a riprendersi dallo stupore fu William che, con un sorriso, rispose:
- Buongiorno a lei professore.
- Papà! – lo abbracciò Daniel felice di vederlo – Oggi mi porterai nella Foresta con te? – chiese.
- Foresta? – trillò Amber – Perché Danny può andare a vedere la Foresta Proibita e noi no, mamma? – si lamentò osservando Rose – Non è giusto, uffa!
- Perché andare nella Foresta è proibito. – spiegò Clarice – È sempre stato proibito. A nessuno degli studenti è mai stato concesso di andarci. – sorrise.
- Ma c’era qualcuno, - ghignò Severus – che si divertiva molto a non rispettare le regole.
- Ma dai Sev! – arrossì infatti la curatrice – Andare a disegnare ai margini della Foresta, non era come entrare a fare due passi.
- Quello infatti, - sghignazzò Draco – quello lasciatelo fare al mio Potterino. A lui piace tanto perdersi nella Foresta.
- Fortuna che ho te che mi vieni sempre a cercare, Malfoy! – ghignò di rimando il Grifondoro prima di zittirlo con un bacio a stampo.
- Miseriaccia! – sbuffò Ron, si erano congiunti con il resto degli studenti e ospiti presenti al Castello - Possibile che non riuscite a tenere le labbra lontano per più di qualche istante?
- Parli così perché sei geloso, Weasley! – rise Draco appoggiando la testa sulla spalla di Harry.
- Tzh! – arrossì Ron – E di cosa dovrei essere geloso?!
- Del fatto che il mio fidanzato mi dia tutti i baci di cui ho bisogno mentre la tua preferisce i libri alle tue labbra e alle tue… - lo guardò assottigliando lo sguardo, in cerca della parola giusta – Grazie maschili. – concluse non volendo essere troppo maleducato, c’erano sempre dei bambini.
- Dracoooo! – urlarono gli adulti come se fossero un’unica voce.
Il biondo platino, mandò la testa all’indietro scoppiando a ridere divertito mentre i bambini guardavano ora lui ora il resto degli adulti senza capire fino in fondo il perché di quello scoppio di ilarità.
Erano arrivati alla porta di ingresso al salone, quando Severus si fermò dicendo:
- Rose, noi dovremmo andare al tavolo degli insegnanti.
- Sì, sono molto emozionata. – mormorò l’amica di Clarice storcendosi le mani.
- Non devi esserlo. – la abbracciò l’amica – Sii te stessa. Fai conoscenza con gli altri insegnanti. Il più cupo e taciturno, l’hai già imparato a conoscere. – indicò con la testa Severus che la guardò arcuando un sopracciglio – Come hai visto non morde, fa solo finta.
- Prima che dica qualcosa di cui potrei pentirmi, - sbuffò Severus – entrate in Sala Grande e fate colazione. Anche questa giornata sarà molto impegnativa. – salutò tutti con un cenno del capo, poi si chinò su Clarice, baciandola dolcemente sulle labbra.
- Buona giornata Sev. – gli sorrise con le guance rosse.
- Anche a te, Cly. Anche a te. – sghignazzò allontanandosi con la sua camminata elegante.
Daniel osservò i suoi genitori con un sorriso sornione dipinto sulle labbra e, prendendo per mano la madre, chiese:
- Avete finalmente fatto pace, mamma?
- Sì, amore. – annuì la donna – Ci siamo detti tutta la verità. Anche quella più dolorosa. Ne avevamo bisogno, sai? – continuò mentre prendevano posto a tavola vicino a quelli che erano diventati i loro amici in quei giorni.
- Ne sono felice. – ridacchiò.
- Ti prego di non dire niente però. – gli sorrise accarezzandogli la guancia con un dito – Vorremmo farlo noi.
- Mamma, ma per chi mi hai preso!? – sbuffò indignato e, con uno scintillio felice negli occhi, si concentrò sulla colazione e sulle chiacchiere degli altri bambini intorno a lui.

Angolo dell’Autrice:

E per fortuna che questa storia non doveva andare oltre la terza parte… Siamo arrivati alla quarta, a cui seguirà una quinta perché… ho creato un capitolo troppo lungo, raccontando troppe cose e si è sdoppiato.
Dream, ti vedo ridere anche da qua… Per favore, contegno Serpeverde! ^_^
A parte gli scherzi e le battute, vorrei ringraziare chi passa a leggere le mie storie; chi ha inserito questa fiction in una delle categorie; chi si ferma a lasciare un messaggio o una recensione a chi, come Dreamsneverend è stata con me fin dall’inizio, sopportando e supportando le mie farneticazioni; e, soprattutto, che mi ha spinto a pubblicare questa fiction che mi convinceva veramente poco.
Un abbraccio speciale a Gremilde che, nonostante il periodo poco piacevole che sta attraversando, continua con passione e pazienza a trascrivere la storia su Wattpad. Una dedica e un abbraccio speciali al gruppo di maghi e streghe più bello di tutto Whatsup: Hogsmeade, onorata di camminare al vostro fianco!

 

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Capitolo 5
*** Quinta parte ***


Quinta Parte


Le giornate scivolarono via veloci e piene di impegni, le lezioni erano serrate in quegli ultimi giorni e tutti gli ospiti della Scuola correvano come api laboriose da una lezione all’altra. Clarice e Daniel si erano trasferiti nell’appartamento di Severus e trascorrevano più tempo possibile insieme; imparando a conoscersi e convivere. Per Severus non era facile stare con altre persone, era troppo abituato a vivere da solo ma non voleva perdere l’occasione di conoscere Clarice e Daniel, aveva troppi anni da recuperare.
Fu durante una colazione che, in accordo con il resto del corpo insegnanti, Severus in veste di Preside annunciò alla platea che la gita al Villaggio di Hogsmeade sarebbe stata fatta il sabato per permettere alla Scuola di organizzare nel migliore dei modi il Ballo di Primavera, un modo per salutare e ringraziare tutti per la partecipazione alla prima Open Week della Scuola. I presenti accolsero la notizia con un lungo applauso, Minerva prese la parola dopo Severus spiegando che per la serata era necessario un abito elegante, da Gala perché il Ballo sarebbe stato del tutto simile a quello del Ceppo al quale la scolaresca aveva già avuto modo di partecipare. Severus annuì e concluse dicendo che si sarebbe svolto la sera della domenica, per permettere a tutti di prendere il treno per Londra il mattino successivo.
- Miseriaccia! – gemette Ron lasciando cadere il cucchiaio nel suo porridge – Un altro ballo no!
- Soprattutto se la mamma ti costringerà a mettere nuovamente il vestito della zia… - rise Ginny mandando la testa all’indietro, coinvolgendo Hermione nella risata.
- Chissà se stavolta qualcuno mi inviterà per primo, o mi terrà come ultima scelta. – borbottò la strega Babbana appoggiando il mento nel palmo della sua mano. Ron arrossì e distolse lo sguardo, imbarazzato.
- Domani avremo il tempo di andare a comprare i vestiti eleganti. – annuì Luna con un sorriso.
- Sarà bello trascorrere la nostra mattina facendo un po’ di shopping. – assentì Draco, gli occhi che brillavano.
- Ma non abbiamo bisogno di fare shopping, Drake. – scosse la testa Harry – I nostri abiti da cerimonia sono perfetti. Li abbiamo presi per la serata di Beneficenza al Manor. – lo guardò – Perché comprare un altro abito?
- Ma non shopping per noi, Potter! – ridacchiò e puntò i suoi occhi su Clarice e Daniel – Ma per loro! Sarà divertente, vedrai!
- Ooh no! – scosse la testa Ron – Harry fermalo. Sta facendo di nuovo gli “occhi da pazzo”.
- Già. – annuì Hermione – Ricordo quando ha accompagnato me a cercare l’abito per il ballo. È stato terrificante!
- Ma tu eri bellissima. – incrociò le braccia sul petto Draco fingendosi offeso – Oppure sbaglio?
- Hermione era splendida. – sorrise Ginny – L’abito sembrava cucito apposta sulla sua pelle. Hai ottimo gusto, Draco.
- Grazie Ginny. Se vuoi, posso aiutare anche te a scegliere qualcosa che ti faccia sembrare una femmina e non un sacco di patate!
- Ehi! – la sorella di Ron arrossì, offesa.
- Ragazzi. Non c’è bisogno di litigare. – sbuffò Clarice guardandoli – Draco, accetto la tua offerta. Sarà bello fare shopping con qualcuno che non sbuffa ogni tre secondi. – e indicò il figlio con un gesto della testa – Potremmo andare insieme, lasciando indietro Harry e Danny.
- Accetto! – annuì Harry con un sospiro – Danny, ti porterò da Mielandia e dai Tiri Vispi dei fratelli Weasley, passeremo una mattina fantastica! – gli strizzò l’occhio, facendo sorridere felice il bambino.
- Non è giusto zio Harry! – pigolò una vocina alle loro spalle, era Elettra che li aveva appena raggiunti – Voglio passare anch’io la mattina con te! – gonfiò le guance.
- Non devi chiederlo a me, piccola! – la baciò facendola sedere in grembo – Sai che i tuoi papà devono darti il permesso. Ma tu hai il vestito elegante per il ballo? – le domandò facendole il solletico.
- Mmh. – scosse la testa – I miei papà sono eccezionali e li amo tantissimo. Ma non capiscono molto in fatto di vestiti da femmina! – ridacchiò.
- Allora perché non ti unisci a noi? – le sorrise Clarice, quella bambina le piaceva sempre di più.
- Zio Drake posso? – lo guardò sbattendo le lunghe ciglia.
- Sì che puoi piccolo mostro! – sospirò teatralmente Draco – Però devi darmi almeno 5 bacini. – concluse porgendole la guancia, Elettra roteò platealmente gli occhi al cielo imitando l’espressione di suo padre Sirius, poi si lanciò tra le braccia di Draco facendo ridere tutti.
- Sarete ottimi genitori! – li lodò Clarice osservandoli.
- Con Elettra e Zahir è facile. – la ringraziò con un sorriso Harry – Sono bambini fantastici e mi sono innamorato di loro la prima volta che li ho visti. Anche se erano due ranocchietti. – concluse facendo il solletico alla bambina che gli aveva fatto la linguaccia.
- Zio Drake. – ridacchiò – Proteggimi!
- Tu bruto, non toccare la mia piccolina! – rise felice Draco stringendo tra le sue braccia Elettra che non aveva smesso un momento di ridere.
La colazione terminò tra risate e conversazioni leggere, Clarice osservava tutti con il cuore leggero. Si sentiva bene circondata da tutte quelle persone e già sentiva il cuore pesante all’idea di dover tornare nel suo villaggio. Soprattutto perché Rose e la sua famiglia si sarebbero trasferiti al Villaggio di Hogsmeade per permettere alla strega di insegnare a Scuola.
- Clarice? – la voce profonda di Remus la fece sobbalzare, strappandola dai suoi pensieri.
- Remus… - lo accolse portandosi una mano sul petto, respirando affannosamente.
- Scusami. – arrossì il Licantropo – Non volevo spaventarti. Ti avevo già chiamato, ho visto che ti sei fermata pensavo mi avessi sentito.
- Oooh Salazar benedetto. – squittì distogliendo lo sguardo – No che non ti ho sentito. Ero completamente persa nel mio mondo. Scusami.
- Tranquilla. – le sorrise e, invitandola a camminare con un gesto elegante della mano, le chiese – Elettra mi ha detto che vorrebbe venire con te a comprare un abito per il ballo di sabato. – nella voce dell’uomo c’era una punta di speranza.
- L’ho invitata io. Anzi. Draco, però mi è sembrata una buona idea. – sorrise all’uomo che si illuminò in un sorriso sereno.
- Sarebbe fantastico! – ammise – A me piace portare i bambini a fare compere. È divertente andare per negozi, ma non sono bravo a consigliare Elettra. E Sir è peggio di me. Lui vorrebbe farla vestire come una bambola di porcellana, tutta pizzi e merletti. Ha gusti troppo retrò in fatto di abbigliamento femminile. Forse a causa della sua educazione Purosangue. – ridacchiò a disagio.
- Oddei! – squittì – Anch’io sono una Purosangue, ma non sono stata cresciuta con crinoline, pizzi e merletti. Per mia fortuna. – sorrise – Stai tranquillo, Rem. Penserò io alla bambina. Poi vi darò qualche suggerimento femminile. In modo tale da portarla aiutare in futuro!
- Sei un tesoro! – mormorò l’uomo sollevato.
- Per così poco. – arrossì deliziosamente Clarice.
I due continuarono a camminare chiacchierando fino a quando incontrarono Sirius e Charlie che stavano risalendo il corridoio dalla parte opposta.
- O cielo mio marito! – rise felice di aver trovato Remus, Sirius.
- Ci eravamo visti poco meno di mezz’ora fa. – lo prese bonariamente in giro il Licantropo, Sirius lo abbracciò e, strattonandolo contro il proprio petto, rispose:
- Mezz’ora lontana dalle tue labbra è troppo! – e lo baciò senza dargli il tempo di replicare.
Clarice li guardò sospirando beata: erano veramente una bella coppia. Fece un passo indietro ed andò a sbattere contro il petto di Charlie Weasley che la osservava con attenzione.
- Ti vedo diversa. – parlò dopo alcuni istanti di silenzio.
- Diversa? – lei si girò per osservarlo, poi guardò sé stessa: quel giorno aveva indossato un paio di pantaloni aderenti color caramello che disegnavano perfettamente le sue gambe, ai quali aveva abbinato un maglioncino con lo scollo a barca rosa pallido sotto al quale aveva indossato una canottiera con ampi spallini ricoperti di strass.
- Sì, dalla prima volta che ti ho vista. Sei diversa. – si strinse nelle spalle, quasi incapace di spiegarsi.
- Scusa Charlie, continuo a non capire. Non ho fatto niente di diverso da… - e si zittì, perché lui scosse la testa parlandole sopra:
- Sei più luminosa. Più felice. – spiegò.
- Aaahhh. – Clarice sorrise mandando la testa di lato – È perché sono felice. – ammise a bassa voce.
- Perché nessuno sa ancora di voi? – domandò a bruciapelo.
- Perché Danny gli ha concesso fino a domenica per fare la sua mossa. – ridacchiò la strega osservando il via vai del corridoio – Che dici, andiamo a lezione? Sta arrivando tua nipote a passo di marcia! – la indicò con un cenno della testa, facendo distogliere lo sguardo di Charlie dal suo corpo.
Sospirando per essere riuscita a liberarsi di Charlie senza creare guazzabugli o incidenti, Clarice riprese a camminare lungo il corridoio dove si fermò a parlare con i fantasmi delle Case che la salutarono con affetto. Tutti, anche il Barone Sanguinario si ricordava di lei e della sua bravura in tutte le materie della Scuola. Felice per quell’intermezzo inaspettato, la giovane donna raggiunse l’aula di Storia della Magia dove Daniel l’aspettava per la prima lezione delle loro amica Rose.
La giornata trascorse serena, le lezioni si susseguirono a ritmo serrato portando la sera molta stanchezza nei presenti che, dopo cena, andarono subito a dormire.
Clarice, dopo aver sistemato Daniel nel suo letto, raggiunse la camera di Severus: lui non era ancora arrivato, dal suo laboratorio personale filtrava una luce soffusa stava lavorando ad alcune pozioni e lei non voleva disturbarlo. L’uomo, sentendo i passi della strega davanti alla porta, alzando la testa dal calderone la chiamò:
- Cly, cara, potresti venire un attimo da me?
- Certo. – annuì aprendo la porta, aveva già indossato la sua camicia da notte e la vestaglia, Severus la trovò semplicemente perfetta.
- Potresti aiutarmi con queste pozioni? Non mi ero accorto di aver quasi finito le scorte.
- Volentieri professore. – annuì entrando – Mi dici cosa devo fare? – si scambiarono un bacio e lei sorrise, felice di avere la possibilità di viverlo nel privato.
- Devo fare le scorte di pozione Antilupo per i Black. Quella di Remus è quasi pronta, ma sono indietro con quella dei bambini.
- Ok. – Clarice si tolse la vestaglia e, girandosi alla ricerca di un grembiule, disse – Hai qualcosa da potermi prestare? Non vorrei sporcarmi.
- Lavora nuda… - le disse ammiccando seducente.
- Severus! – Clarice arrossì e si affrettò ad indossare un camice che aveva adocchiato su una sedia – Sei un maniaco!
- Sei tu che risvegli in me simili istinti. – ammise con un’alzata di spalle, le guance di Clarice si tinsero di rosso ma iniziò a lavorare decidendo di fingere di non aver sentito la voce roca e sexy di Severus vibrare nel suo orecchio.
- Smettila amore. – lo pregò ansimando, le mani dell’uomo sui suoi fianchi erano bollenti – La pozione per i bambini, concentrati su quella.
- Era solo una scusa. – le disse mentre le lambiva il collo con la lingua – Per farti entrare nella caverna del pipistrello… - le mordicchiò la pelle sensibile dietro l’orecchio – È da stamattina che ho voglia di te, ma sei sempre riuscita a scappare e adesso… - la girò intrappolandola tra il tavolo e il suo corpo muscoloso – Sarai mia. – concluse un attimo prima di baciarla.
- Mmm… sono sempre tua… - ansimò lei senza fiato mentre le mani esperte del Pozionista vagavano sul suo corpo.
- Andiamo nel nostro letto? – le chiese dopo un altro languido bacio.
- Nostro? – domandò arcuando un sopracciglio lei.
- Prima di te, nessuna donna è mai entrata in quel letto. – sorrise felice della sua gelosia – Dopo di te, nessuna è stata degna di entrarci. Tu sei stata la prima, ragazzina. – concluse facendole scoppiare il cuore in petto dalla gioia.
- Ti amo Severus. E lascia che ti dimostri quanto! – lo prese per mano e lo condusse in camera da letto dove, dopo aver chiuso e silenziato le tende del baldacchino, gli dimostrò molte e molte volte quanto smisurato fosse l’amore e la voglia che provava per lui.
Si addormentarono stremati, dopo essersi amati per buona parte della notte. Mai apparentemente sazi l’uno dell’altra, mai paghi di baci; coccole e carezze.
Quel sabato mattina, la sveglia suonò verso le otto nella camera del Pozionista strappandolo da un lungo sonno ristoratore. Aprendo gli occhi, vide Clarice addormentata sul fianco vicino a lui. Il viso rilassato, le labbra increspate in un sorriso dolce, era bellissima.
- Buongiorno Cly. – le baciò la spalla, lasciata nuda dallo spallino della camicia che era scivolato seducente verso l’incavo del braccio.
- Mmmhhh… - mugolò stirandosi contro il corpo muscoloso dell’uomo – Buongiorno a te, Sev. – girò il viso verso il suo, reclamando un bacio che non tardò ad arrivare.
- Dormi un altro po’, Cly. – le sussurrò nell’orecchio – Devo raggiungere la Sala Grande per verificare che vada tutto bene.
- Tutto bene? – aprì un occhio, languido per il sonno ancora.
- Ricordi che oggi c’è l’uscita a Hogsmeade.
- Oggi? Merlino santissimo, l’avevo scordato! – gettò le coperte di lato, alzandosi con un gesto fluido – Stamattina devo andare a fare shopping per il Ballo di Primavera. – spiegò.
- Veramente? – le sorrise – Pensavo non ti interessasse un vestito di gala.
- Perché no? – lo guardò gonfiando le guance – Solo perché lavoro in un negozio di mia proprietà, preferisca la comodità dei pantaloni alle gonne, questo non significa che non mi faccia piacere sentirmi donna, coccolandomi con trattamenti estetici e bei vestiti. – concluse girandogli le spalle, le parole di Severus l’avevano ferita, ma non voleva darlo a vedere.
- Non volevo offenderti. – mormorò lui cercando di rimediare.
- Tranquillo. – si strinse nelle spalle – Ho capito che non riesci proprio a vedermi come donna. Mi chiami sempre “ragazzina”. – finì di vestirsi senza guardarlo – Pensa tu a nostro figlio, non voglio far aspettare Draco.
- Vai in paese con lui? – chiese.
- Non sarai geloso del tuo figlioccio gay, vero? – lo guardò mandando la testa di lato, Draco era già fuori dalla porta che la stava aspettando con il suo sorriso più sexy dipinto sulle labbra.
- Sono geloso di chiunque posi il suo sguardo su di te. – ringhiò possessivo Severus abbracciandola e baciandola fino a lasciarla senza fiato.
- Potrei vomitare! – bofonchiò Draco imitando il tono usato solitamente dal suo padrino.
Clarice e Severus si girarono a guardare Draco e scoppiarono a ridere, coinvolgendolo.
- Mi raccomando, Malfoy. – parlò il Preside puntandogli il dito addosso – Prenditi cura di lei.
- Come se fosse mia zia. – gli strizzò l’occhio e, davanti all’espressione severa del suo padrino, scoppiando a ridere continuò – Giusto, lei è mia zia!
La curatrice, alzando gli occhi al cielo, si staccò dall’abbraccio di Severus e, dopo aver preso Draco sotto braccio, lo guidò fuori dall’appartamento dicendo:
- Sev, Danny verrà a prenderlo tra poco Harry. Lui si occuperà dei bambini che non vogliono venire a comprare vestiti.
- Potter con mio figlio? – borbottò assottigliando lo sguardo.
- Dai prof. – gemette il rampollo Malfoy – Smetti di essere così duro nei confronti di Harry. Lui ha rischiato la propria vita per salvare le nostre. Anche quella di tuo figlio.
- Dray ha ragione. – annuì Clarice – Abbiamo tutti un debito nei confronti di quel ragazzo. – gli sorrise – E sono felice che Danny possa passare del tempo con lui. Altrimenti sarà circondato da troppi Serpeverdi.
- Va bene. – sbuffò una risata dal naso l’uomo -  So che Danny sarà in ottime mani. – ammise, poi osservò Clarice e Draco lasciare i sotterranei con il sorriso sulle labbra.
Non appena si chiuse la porta alle spalle, vide Danny uscire dalla propria stanza sbadigliando.
- Giorno papà! – salutò.
- Buongiorno Daniel. – si abbracciarono con affetto – Sei pronto per fare colazione? Tra poco Harry passerà a prenderti.
- Ssssìììì! – urlò felice il bambino – Vieni anche tu al Villaggio papà? – lo guardò implorante.
- Non posso figliolo. – sospirò vedendo la delusione dipingere gli occhi ambra del figlio – Devo organizzare la festa per domani. Non posso lasciare tutto sulle spalle delle professoresse. – gli accarezzò con dolcezza il viso – Poi, se fossi presente, non riusciresti a divertiti al massimo.
- Perché? – domandò spalmando una dose generosa di marmellata sul una fetta di pane tostato.
- Perché sono il Preside della Scuola e il loro professore. Avrebbero paura, i tuoi amici, di essere loro stessi.
- Paura di una tua punizione? – domandò capendo il ragionamento del padre che, con un sorriso, annuì.
- Sei veramente molto intelligente, figliolo.
- Papà. – lo guardò – E se finissi in Corvonero?
- Sarei fiero di te. – ammise con un’alzata di spalle, era sincero avrebbe accettato perfino un figlio Grifondoro, se questo significava averlo ogni giorno nella propria vita.
Bussarono alla porta, il Preside si alzò andando ad aprire: sull’uscio trovò Harry, con Tom e Zahir e Ron.
- Professore buongiorno. – salutò balbettando Ron.
- Buongiorno a voi, ragazzi. – li fece accomodare – Avete già fatto colazione? – chiese educatamente.
- Sì, signore grazie. – annuì Harry – I ragazzi ci hanno svegliato presto. – spiegò indicando Tom e Zahir – Ed abbiamo mangiato con calma. – si girò verso Daniel – Ciao Danny, la mamma e Drake sono già andati?
- Sì, Harry. – rispose con la bocca piena, ingollando il grosso boccone con fatica.
- Mangia piano, mastica e rispondi solo dopo che hai ingollato il boccone Daniel. – lo rimproverò Severus che non tollerava maleducazione a tavola.
Daniel sobbalzò, fece quanto il padre gli aveva detto e, solo dopo aver ingollato il boccone aiutandosi con del succo di zucca, disse:
- Vi chiedo scusa.
- Finito di mangiare piccolo? – domandò Harry con un sorriso.
- Sì, - annuì – ho finito. Il tempo di vestirmi e sarò subito da voi. – sorrise.
- Accomodatevi. – li invitò Severus – Mi mettono ansia le persone in piedi. Brutti ricordi. – confessò riferendosi alle riunioni di Voldemort e dei suoi Mangiamorte.
Ron ed Harry si affrettarono ad eseguire l’ordine/invito del Preside, seguiti a ruota da Tom e Zahir che si guardavano attorno curiosi.
- Professor Piton. – lo chiamò d’un tratto Zahir che aveva adocchiato dei libri che sembravano molto antichi.
- Sì, Zahir, dimmi. – lo invitò a parlare mentre finiva di bere il suo caffè.
- Lei ama molto i libri, vero?
- Molto. – annuì – Al pari di tuo padre Remus.
- Lo stavo per dire. – ridacchiò il giovane figlio di Black – Anche a me iniziano a piacere. – confessò – Non come a mia sorella Elettra.
- Tua sorella sarà una grande studentessa. – ridacchiò Harry che aveva seguito la bambina nel fare i compiti alcune volte.
- È una piccola Hermione. – annuì Ron facendo ridere i bambini.
- Se Mione ti sente, ti da’ uno scappellotto! – rise Tom coinvolgendo Zahir e Harry nella risata.
- Benedetta gioventù! – sbuffò Severus, ma Harry capì che lo aveva fatto solo per nascondere la risata che stava rischiando di uscire dalla sua gola: voleva mantenere la sua aria austera; ma da quando Clarice e Daniel erano nella sua vita, l’uomo era cambiato in meglio.
- Sono pronto! – si annunciò Daniel entrando nella stanza.
- Sei stato molto veloce. – lo lodò Severus osservandolo con un amore tale che Harry invidiò nuovamente il bambino: lui stesso avrebbe voluto sentire quello sguardo ricolmo di amore paterno addosso.
- Grazie papà. – mormorò felice del complimento il bambino – Andiamo?
- Certo! – si alzò Ron dal divano – In marcia. – ordinò con un tono fintamente severo guardando i bambini che, ridendo, scattarono in piedi.
- Papà… - lo chiamò sottovoce Daniel, era rimasto indietro e si mordicchiava il labbro nervosamente.
- Danny, tutto bene? – lo chiamò Harry preoccupato.
- Sì, Harry. È solo che… - era a disagio – La mamma è uscita e non ha pensato a lasciarmi dei soldi per i dolcini… - sospirò.
- Non è un problema tesoro. – gli sorrise l’uomo – Ci penso io.
- Non è necessario zio. – lo fermò Harry – Ho abbastanza soldi per viziare i miei tre piccoli accompagnatori. – strizzò l’occhio al bambino e, tendendogli la mano, continuò – Oggi voglio rendere felici i miei piccoli sostenitori.
- Harry non è necessario. – scosse la testa corvina Severus.
- Ma voglio farlo. Ti prego, zio. – il tono supplice della voce di Harry fece zittire le proteste di Severus – Voi mi avete dato la famiglia che non ho mai avuto. – spiegò – Lascia che io ricambi in qualche modo. È poco, lo so. Ma lo faccio volentieri.
- Mi faccio viziare volentieri dal cugino Harry! – Daniel lo abbracciò di slancio, un abbraccio sincero che riempì il cuore di Harry di gioia.
- Andate. – sorrise emozionato il Pozionista – Passate una buona giornata e…
- Non ti dirò del vestito della mamma. – lo anticipò il bambino facendogli la linguaccia.
Severus non riuscì a trattenere la risata che sgorgò improvvisa dal suo petto e fu con quel suono inaspettato che il gruppo di adulti e bambini, raggiunse l’uscita del Castello per unirsi ai gruppi in partenza per il Villaggio di Hogsmeade.

Draco, in compagnia di Clarice; Luna; Amber; Elettra; Ginny; Rose ed Hermione, era il più eccitato all’idea di poter trascorrere una giornata intera a fare shopping per una festa. Era più elettrizzato lui, delle due bambine che, per tutto il viaggio in carrozza dalla Scuola al Villaggio, non avevano smesso un secondo di chiacchierare.
- Che bello trascorrere una giornata di shopping pre-serata di gala! – gemette felice Draco prendendo la mano di Clarice tra le sue.
- Ti mancano le feste, Dray? – chiese la strega più grande sorridendo felice.
- Molto. Quelle che i miei genitori organizzavano al Manor erano fantastiche. – sospirò – Io ho sempre pensato che le idee di mio padre sulla purezza del sangue e altre cavolate del genere fossero giuste. – distolse lo sguardo dagli occhi di Clarice – Sono stato cresciuto in un mondo così diverso da quello reale. Mi hanno fatto credere che solo i Purosangue avessero diritto di avere tutto. – concluse, non voleva scendere troppo nel dettaglio.
- Magari i maschi Purosangue. – scosse la testa Clarice, nella sua voce non c’era cattiveria ma tristezza per quello che lei stessa era stata costretta a vivere sulla propria pelle – Noi femmine, venivamo usate come “merce di scambio”. Un modo per aiutare le famiglie a saldare debiti o diventare più ricche e potenti. – spiegò con un sorriso amaro – Mi dispiace per i tuoi genitori Drake.
- Mio padre ha avuto la punizione che meritava. – disse con voce algida il ragazzo – Mia madre, dopo un lungo ricovero al San Mungo, è tornata a casa. – sorrise – Abbiamo venduto il Manor e lei è andata in una delle case della famiglia Black. È serena e si diletta nel giardinaggio.
- Giusto, - sorrise Elettra – tu ed io siamo cugini.
- Ma io non posso avere una cugina bella come te! – le dette un buffetto sulla guancia – Mi toccherà fare molti duelli per tenere lontani i maschietti da te, signorina!
- Draccoooooo! – Elettra arrossì e, nascondendosi il viso tra le mani, mormorò – Io ho già trovato il maschietto che mi piace…
- Veramente? – domandò Hermione con un sorriso – E chi è?
- Daniel Prince. – rispose di botto, facendo urlare Amber di gelosia.
- Lui è mio! – strillò la figlia di Rose.
- Ehi. Ehi. – si mise in mezzo Luna – Signorine, niente urla o movimenti bruschi. Altrimenti i Threstal potrebbero spaventarsi e farci finire fuori strada con la carrozza.
- Le signorine ben educate non si comportano così. – fece eco alle parole di Luna, Ginny.
- E tu cosa ne sai? – la guardò Draco mandando la testa di lato, ancora non gli andava giù che fosse stata la ragazza di Harry per un periodo.
- Mi stai dando della selvaggia, Malfoy? – chiese dura.
- Adesso basta! – tuonò Clarice – Smettete subito di litigare. Abbiamo deciso di passare questa giornata insieme. Una giornata rilassante e all’insegna dello shopping. Non voglio litigi, né scherzi né altro. Altrimenti considerate conclusa la nostra uscita. – minacciò e tutti sobbalzarono davanti al tono perentorio della giovane donna. Un tono che non ammetteva repliche.
Dopo quel primo momento di acredine, il resto della giornata trascorse senza altri intoppi. Draco accompagnò le ragazze in giro per negozi e fu veramente instancabile nel consigliare, far provare ed abbinare ad ognuna abiti e accessori. Il tempo trascorse veloce e sereno.
Luna e Ginny, trovarono i rispettivi abiti nel primo negozio dove si fermarono a cercare. Il vestito di Luna era in raso color pesca, corto sul ginocchio e con il corpetto aderente che fasciava alla perfezione il seno della ragazza. La fascia in vita, era messa in evidenza da due strisce di brillantini che rendevano l’abito luminoso. La gonna di raso, era nascosta da una sopra gonna composta da spicchi di tulle di una tonalità leggermente più chiara rispetto al corpetto; corti davanti e lunghi a sfiorarle le caviglie dietro. Luna, all’abito abbinò un paio di scarpe con le fasce in strass come la fascia in vita con il tacco alto ma non vertiginoso.
Il vestito di Ginny era un tubino con il corpetto a cuore senza maniche in organza nero con strass ed il corpo a clessidra che metteva in risalto le sue giovani forme. Al quale abbinò un paio di decolté con il tacco impreziosito di strass esattamente come il corpetto del suo vestito.
Hermione trovò il vestito che stava cercando nel terzo negozio che visitarono; Draco restò senza parole quando glielo vide addosso: sembrava cucito su misura per le sue forme morbide.
La strega, aveva scelto un abito lungo a sirena viola scuro con il corpetto a cuore, sorretto dietro al collo da una striscia sottile di tessuto trasparente; impreziosito sulla fascia del seno e sulla schiena da una trama di fiori viola chiaro, arricchiti di piccoli strass. Era lungo fino alle caviglie e si apriva sul davanti con un profondo spacco “a sipario”. Anche lei abbinò all’abito un paio di decolté con il tacco alto, che riprendevano i colori del vestito.
Nello stesso negozio dove Hermione acquistò l’abito e gli accessori, Clarice e Rose trovarono i vestiti per due felicissime bambine.
Amber ed Elettra scelsero degli abiti molto simili, entrambi con la gonna in organza sui toni del blu. Sembravano due pezzetti di cielo.
- Draco, stiamo bene? – chiese Amber facendo una giravolta per gonfiare la gonna.
- Siete bellissime signorine! – annuì il giovane mago – Mi concederete un ballo, vero? – domandò strizzando loro l’occhio.
- Se mio zio non balla con me, - lo minacciò Elettra – io non gli faccio più le coccole!
- Giammai! – rise Draco facendo il solletico ad entrambe, Clarice lo guardò con il sorriso sulle labbra pensando ancora una volta che era davvero bravo con i bambini.
- Clary? – la chiamò Luna strappandola dai suoi pensieri – Hai trovato qualcosa?
- No. – scosse la testa – Sono tutti molto belli. Ma nessuno di questi è il mio. – spiegò con un sospiro.
- Per voi, belle signore. – parlò Draco mentre Ginny ed Hermione avevano portato le piccole a cambiarsi – Ho lasciato la carta vincente per ultima. Vi porterò nel negozio dove si serve mia madre. Lì, sono sicuro che troverete qualcosa.
- Qualcosa che ci possiamo permettere? – domandò Rose alzando un sopracciglio, i Malfoy erano ricchi cosa che non poteva dire della sua famiglia.
- Senz’altro. – la rassicurò – La proprietaria del negozio ha un debito con la mia famiglia. – spiegò – Con mia madre, in modo particolare. Il marito della signora era un Mangiamorte. Lui ha tentato di uccidere Harry per ordine di Voldemort. Ha fallito ed è stato ucciso di alcuni Auror perché aveva tentato la fuga. Quando la sua identità è stata svelata… - concluse con un’alzata di spalle.
- Gli affari della signora sono crollati. Ma lei… - chiese Clarice, interrotta subito dal mago più giovane.
- Mai. Non è mai stata d’accordo con le idee vaneggianti di quel pazzo e ha sempre cercato di tenere il marito lontano dall’oscurità.
- La stessa oscurità che ha riempito il cuore del mio Severus. – sospirò improvvisamente triste la donna.
- Ehi, zia… - la abbracciò Draco – Ma lo zio Severus ha avuto la forza di tornare verso la luce. Ha combattuto per salvare molte e molte vite. – le dette un bacio – È un eroe al pari del nostro amato Harry. – concluse indicandole con un cenno della testa la fontana posta al centro del paese che rappresentava il Golden Trio e Severus che, mantello spiegato, vegliava su di loro.
- Oddei! – ridacchiò Rose – Ma il professor Piton cosa dice di questa fontana?
- Cose non ripetibili alle donzelle! – ridacchiò Draco continuando a camminare per le vie rumorose del Villaggio.
Rose e Clarice scoppiarono a ridere e, aspettando il resto del gruppo, raggiunsero il biondo platino che si era fermato davanti ad una piccola ma luminosa bottega.
- Entrate signore. – le invitò – Questo è il negozio di cui vi parlavo. Sono certo che troverete qualcosa di speciale.
Con un sorriso le due streghe entrarono nel negozio seguite a ruota da Draco che, come se fosse un cliente abituale, salutò:
- Buongiorno Madame Mary.
- Buongiorno. – rispose la voce di una donna dal retro bottega – Ooh signor Malfoy! – lo accolse con un sorriso dolce sulle labbra – Che bello vederla. Come sta? E sua madre?
- Meglio, grazie Madame. – annuì facendole un galante bacia mano – La mamma non ha passato bei momenti; ma è in fase di ripresa. E lei?
- Gli affari vanno leggermente meglio, grazie. – li invitò a sedere, poi chiese come poteva aiutarli. Draco spiegò alla donna del Ballo di Primavera e che stava cercando qualcosa di speciale per le due streghe che lo stavano accompagnando.
La donna, dopo aver dato una rapida occhiata alle due donne, si aprì in un sorriso dicendo:
- Ho quello che fa per voi.
- Per la zia qualcosa di molto speciale. – la pregò girandosi verso Clarice – Lei è la fidanzata del mio padrino, vorrei che fosse bellissima. Come se…
- Dovesse andare ad una festa di fidanzamento? – concluse Madame Mary intuendo il pensiero del giovane mago.
- Esattamente!
- Bene. – annuì – Signorina zia, mi segua. – le strizzò l’occhio – Ho qualcosa che sembra uscito dai miei aghi solo per lei.
- Ooh grazie…
Clarice seguì Mary verso il retro del negozio; la donna le passò una scatola chiedendole di provarsi il vestito contenuto al suo interno. La strega la ringraziò con un sorriso e, non appena aprì la scatola, si lasciò sfuggire un urletto.
- Clarice? – la chiamò Draco – Tutto bene?
- Entra Dray. – rispose la strega con la voce tremula per l’emozione – Ma prometti di non dire niente. Nessuno dovrà sapere niente fino al Ballo.
- Lo giuro io… - e restò senza parole: l’abito calzava perfettamente sul corpo di Clarice; ne modellava le forme mettendo in evidenza i suoi punti di forza, rendendola ancora più donna e sexy di quanto non fosse normalmente.
- Draco. – lo chiamò – Allora? – chiese emozionata.
- Zia, se fossi etero, avrei già iniziato a provarci spudoratamente con te. Tanto da provare a sfilarti quel vestito per metterti le mani addosso! – le sorrise – Sei perfetta. Bellissima. Un sogno!
- Grazie. – mormorò a disagio, mai si era sentita così femmina e così consapevole di esserlo come in quel momento.
- Non ringraziarmi. – le baciò la guancia e notò nella scatola la stola abbinata all’abito e le scarpe – E sarai la più bella e la più desiderata della Sala. Lo zio dovrà metterti presto un anello al dito, altrimenti dovrà tornare ad essere campione di duelli per tenere tutti i maschi lontani da te.
- Esagerato! – alzò gli occhi al cielo Clarice.
- Sincero. – le fece la linguaccia uscendo – Adesso torna in te, zietta. Quest’abito lo prendiamo e non ne proverai altri. Sei perfetta!
- Grazie… - Clarice si guardò un’ultima volta allo specchio soddisfatta del risultato poi, come Draco uscì dal salottino di prova, si cambiò tornando ad indossare gli abiti con i quali era uscita.
Scegliere per Rose fu leggermente più complicato; non riusciva a trovare qualcosa che sentisse suo che la facesse stare a proprio agio. Provò molti abiti creati da Madame Mary, fino a quando riuscì a trovare quello che la fece sentire bellissima e donna, come non le succedeva da tempo.
Il vestito era uno spezzato: la gonna era nera e scendeva morbida fino alle caviglie, da dove partiva uno spacco laterale che si fermava oltre la metà della coscia. Il corpetto, che fasciava perfettamente le sue forme morbide, era color panna con ampi spallini che si incrociavano dietro la schiena ed era impreziosito da un ricamo nero dall’ombelico fin sopra il seno sinistro. Prese le scarpe alla schiava abbinate al vestito e guardò Clarice con espressione felice e soddisfatta.
- Sarete bellissime, signore. – annuì Draco facendo loro strada verso il bancone. Chiacchierando, le due amiche pagarono i rispettivi conti, poi uscirono contente dei loro acquisti.
Dopo aver terminato le rispettive compere, si dedicarono al loro benessere fisico, così felici di poter passare del tempo insieme in completo relax, da non rendersi conto che l’ora di rientrare a Scuola stava arrivando.
- Signore. – parlò Draco con un sorriso sereno sulle labbra – Non vorrei essere il guastafeste della situazione ma…
- Le carrozze stanno rientrando. – sospirò Rose indicando con un cenno del capo i primi cocchi che stavano lasciando il Villaggio.
- Esatto! – annuì il mago che, guardando Clarice, chiese – Stai male, Clarice?
- No, Drake. Sto bene. È che… - si mordicchiò nervosamente le labbra – Quell’abito che mi hai fatto prendere, non sarà troppo?
- Troppo? – sgranò gli occhi il mago – Ma se sembra cucito apposta su di te. Sei bellissima e il professor Piton non ti toglierà gli occhi di dosso nemmeno per un attimo.
- È che non…
- Cly, anche se non ti ho visto, sono sicura che sei uno splendore! – la rassicurò Rose con un sorriso – La metà delle ragazze della Scuola indieranno il tuo fisico e la possibilità che hai di indossare ciò che vuoi. Dopo aver avuto un bambino poi. – le dette un bacio sulla guancia, facendola arrossire.
- Rose ha ragione, zia! – annuì serio Draco che, guardandola continuò - Vedrai che poi mi ringrazierai. Ah, e del vostro prossimo bambino voglio essere io il padrino! – concluse facendola diventare viola per l’imbarazzo.
- Draco! – squittì Clarice – Smettila di fare lo scemo!
- Ma zia. Mi vuoi bene perché sono così scemo!
- Ehi, lui è il mio scemo. – parlò Harry facendoli sobbalzare – Giù le mani dal mio Drake!
- Harry! – lo rimproverò Hermione – Ti sembra questo il modo di arrivare?
- È il metodo Serpeverde! – rise Daniel affacciandosi, in mano aveva alcune buste di dolci.
- Mielandia, eh? – ridacchiò Luna facendo spazio al bambino.
- Sì. È un negozio bellissimo. Anche se il mio preferito è…
- I Tiri Vispi dei fratelli Weasley. – concluse Elettra con un sorriso – È anche il mio preferito! I gemelli sono fantastici!
- Esatto! – annuì il bambino porgendole un sacchetto pieno di api frizzole.
- Tutti i membri della famiglia Weasley sono fantastici! – gonfiò il petto Ron mettendosi seduto di fianco alla sorella.
- Ma quanti siete? – domandò Rose ridacchiando.
- Troppi. – gemette Ginny dando una spallata giocosa al fratello maggiore.
- Zitta tu, mocciosa! – le fece la linguaccia.
- Dovrebbero essere sette. – rispose Elettra guardando con un sorriso i due fratelli.
- Brava Elly. – annuì Ginevra.
- Ti prego. Non chiamarmi così. Sai che non mi piace.
- Ha un nome così bello! – annuì Luna – Perché dovete chiamarla in un altro modo?
Chiacchierando, aspettarono che il grosso degli ospiti e degli studenti si affrettasse alle prime carrozze. Loro non avevano nessuna voglia di rientrare, stavano così bene seduti al bar a ridere e scherzare che l’idea di tornare tra le mura del Castello non allettava nessuno di loro: soprattutto gli ospiti visto che quella sarebbe stata per loro la penultima notte da trascorrere a Scuola
Alla fine, furono costretti ad andare verso la piazza dove i cocchi si fermavano. Non potevano rischiare di perdere quel passaggio, nessuno di loro aveva voglia di tornare indietro a piedi, soprattutto perché le ragazze erano piene di pacchi ingombranti che avrebbero rallentato il loro cammino.
Mentre aspettavano una carrozza libera, Draco si frugò in tasca e, con un sobbalzo, esclamò:
- Dannazione!
- Dray, tutto bene? – chiese Harry preoccupato.
- No. Ho dimenticato i gemelli. – sbuffò – Dovevo ritirarli oggi. – gli dette un bacio – Porti tu le signore al Castello? Io aspetto la prossima carrozza.
- Ma… - tentò di protestare Harry, ma fu inutile, Draco si era allontanato di corsa per raggiungere rapidamente la gioielleria che non era molto distante dalla piazza.

Il mago Serpeverde, raggiunse il negozio con il fiatone e, non appena alzò gli occhi per guardare quante persone aveva avanti, sobbalzò nel vedere il suo padrino che aspettava pazientemente al bancone.
Draco entrò, ma restò in disparte nascosto da un pesante tendaggio nero dove poteva osservare senza essere visto. Vide il commesso del negozio tornare con un piccolo vassoio sopra il quale erano poggiati due anelli; allungando un po’ il collo il mago più giovane osservò con attenzione: uno era di oro giallo con la fascia a forma tempestata di piccole pietre preziose ed il nodo centrale dov’era incastonata una pietra di ametista, sembrava molto antico e prezioso.
Sostando lo sguardo sull’altro anello, Draco sorrise: era in oro bianco, composto da due fasce che intersecandosi formavano il simbolo dell’Infinito. Una fascia era impreziosita da piccoli diamanti, l’altra da smeraldi leggermente più grossi rispetto alle altre pietre.
Severus osservava l’anello con una luce intensa negli occhi. Era in estasi e già immaginava la faccia di Clarice quando lo avrebbe visto. Era certo che l’avrebbe adorato, com’era successo a lui.
All’inizio, avrebbe voluto darle l’anello di sua madre. Lo stesso che aveva immaginato al dito di Lily; ma, quando era andato in gioielleria per farlo pulire, aveva visto quella fascia in oro bianco ed aveva capito che era quello l’anello perfetto per la donna con la quale avrebbe trascorso il resto della sua vita.
- Zio! Anche tu qui?! – si palesò Draco stanco di stare nascosto – Ehi, - continuò vedendo l’uomo sbiancare e arrossire – è quello che penso?
- Cosa ci fai tu qui, Malfoy? – ringhiò a denti stretti l’uomo troppo imbarazzato per rispondere.
- Sono venuto a prendere i gioielli miei e di Harry. – rispose con un sorriso mentre il commesso incartava il prezioso anello di oro bianco – Allora zio, hai deciso di fare il grande passo? – domandò con un sorriso.
- Sì. – annuì.
- Ottima scelta. – sorrise il ragazzo mentre gli passavano i gioielli che aveva pagato precedentemente – Sia per il gioiello sia per la donna. – lo salutò con un cenno del capo, poi ringraziò i commessi ed uscì dal negozio con il cuore gonfio di emozioni. Era felice per lo zio ed anche un po’ invidioso di Clarice: lui ed Harry avevano parlato di andare a vivere insieme dopo la Scuola, ma convivere non era come sposarsi e lui desiderava ardentemente un bel matrimonio.
Tornò in piazza e notò che Harry, Clarice e Daniel erano ancora lì che lo stavano aspettando.
- Ehi! – sorrise il Serpeverde abbracciando felice il suo ragazzo – Potevate andare!
- Non entravamo tutti in una carrozza. – lo baciò sulla tempia Harry stringendolo – Io ho preferito aspettare. Clary e Danny sono stati gentili da farmi compagnia.
- Mamma. – parlò Daniel con un sorriso – Ma se papà dovesse chiederti di sposarlo, dove andremmo a vivere?
- Dei. – squittì la strega arrossendo – Non ci ho pensato! – ammise ridendo, Severus si fermò in un vicolo per poterli osservare senza essere visto.
- A me piacerebbe una casa qua. – rifletté il bambino – Il Villaggio mi piace. Ed ho saputo che anche i gemelli Black abitano qua.
- Affrontiamo una cosa per volta, Danny. – lo baciò sulla testa – Prima il Ballo. Poi vedremo papà che intenzioni ha. Vorrei tanto che ci chiedesse di fermarci. Ma non restarci troppo male se non dovesse farlo subito.
- Prometto che non farò scenate, mamma. – la abbracciò il bambino.
- Siete così belli! – squittì Draco – Voglio essere adottato dalla tua famiglia Danny!
- Ehi! – Harry si finse offeso – Anch’io. Clarissa è la mia mamma preferita!
La risata generale dei tre maghi e del bambino, coprì il rumore della carrozza che si era fermata alle loro spalle.
- Andiamo. – rise Clarice – Siamo gli ultimi.
- Una volta tanto! – sbuffò Harry – Hermione e Draco sono fissati con l’orario di rientro. Ci siamo sempre fatto rientrare al Castello con dieci minuti di anticipo pur di non arrivare tardi! – Draco fece la linguaccia al fidanzato, poi aiutò Clarice e Daniel a salire sulla carrozza, stanco e felice per la giornata trascorsa in loro compagnia.
Il resto del sabato trascorse sereno, Clarice tenne l’ultima lezione nell’aula di Pittura e i suoi “studenti”, le regalarono una bellissima tela con raffigurata lei che stava dipingendo.
Con le lacrime agli occhi per la commozione, la giovane strega ringraziò tutti calorosamente abbracciando quel quadro come se fosse una persona.
Fu Severus che, vista l’ora tarda, invitò tutti ad andare a dormire pregandoli di non attardarsi il giorno dopo nella Sala Grande per dare tempo agli Elfi Domestici di sistemare tutto il Ballo di Primavera.
I due, per mano, raggiunsero l’alloggio del Pozionista.
- Sei felice? – domandò l’uomo facendola entrare.
- Molto. – annuì – Ma anche triste. – ammise guardando il quadro – Domani sarà il nostro ultimo giorno qui. – fece un sorriso veloce e continuò – Vado da Danny.
- Danny dorme. – la fermò prendendola per mano l’uomo – Sono passato a controllare io prima di salire nell’aula di Pittura. Deve essersi stancato molto al Villaggio oggi.
I due si abbracciarono e Clarice annuì, raccontando a Severus tutto quello che avevano fatto quel giorno in compagnia dei suoi studenti. L’uomo la ascoltò rapito, pensando che la sua voce era come un balsamo per la sua anima tormentata. La strega aprì alcuni bottoni della camicia nera indossata dall’uomo e sorrise quando vide che lui ancora portava il ciondolo incantato.
Ricordava ancora quando l’aveva scoperto per la prima volta, ricordava la gelosia e le lacrime che aveva versato in silenzio. Si sentì improvvisamente stupida ad essere stata gelosa di un ricordo.
- Cara, - la chiamò preoccupato – stai bene?
- Splendidamente. – annuì – È il tuo ciondolo. – si strinse nelle spalle – So che è sbagliato, ma una punta di gelosia c’è. Soprattutto perché lo porti sul cuore. – gli baciò il petto, esattamente dov’era il cuore che iniziò a battere più veloce sotto le sue labbra.
- Ti amo Clarice. – le disse prendendole il mento tra le mani – Non te lo dico spesso, ma cerco di dimostrartelo in ogni modo. – osservò il ciondolo – Se non vuoi che lo porti, posso toglierlo.
- Non farlo. – scosse la testa – Saresti infelice senza questo ciondolo. – sorrise.
- Sarei infelice senza te e Danny. – replicò serrando il suo abbraccio.
- Ti amo Sev. – si baciarono – Ma sono troppo stanca per una battaglia verbale con te. – ridacchiarono entrambi – Portami a letto, amore! – lo pregò accasciandosi contro il suo petto muscoloso.
L’uomo non se lo fece ripetere due volte e, prendendola in braccio, la portò fino alla camera da letto che avevano condiviso in quei giorni che avevano passato insieme.
Quella notte dormirono abbracciati, troppo stanchi e pieni di emozioni contrastanti per cercare un contatto più profondo di un semplice abbraccio.

La domenica vorticò rapida attorno agli ospiti del Castello. C’era chi si affrettava a fare le valigie; chi dava gli ultimi ritocchi all’abito per il Ballo di Primavera chi, ancora, cercava compagnia per non andare in sala solo con il proprio figlio o figlia.
Molti uomini invitarono anche Clarice; ma lei rifiutò tutti con galanteria. Aveva promesso a Daniel di andare con lui al Ballo e non avrebbe certo infranto una promessa fatta al figlio per l’ego di qualche bellimbusto sconosciuto. Dopo il pranzo, lo stesso Weasley andò all’attacco:
- Bella strega, con chi andrai al ballo stasera? – le chiese.
- Con mio figlio. – replicò smettendo di leggere il libro che profumava di Severus – Non sto cercando nessun accompagnatore. – concluse a mo’ di congedo.
- Anch’io sono stato catturato da mia nipote. – sospirò – Però mi concederai almeno un ballo o due?
- Uno, Charlie. – sbuffò.
- Facciamo tre. – la pregò facendo gli occhioni da cucciolo.
- Facciamo due e non consecutivi. – lo guardò non abboccando al suo sguardo ferito – È la mia ultima offerta, prendere o lasciare.
- Sei una strega senza cuore.
- Sono una perfetta Serpeverde, Weasley! – sghignazzò Clarice.
- E va bene. – annuì sconfitto il domatore di Draghi – Due balli e non consecutivi. – la guardò con ardore, ma lei aveva occhi solo per il libro sembrava che nient’altro esistesse al di fuori di quelle pagine.
- Hai bisogno di altro? – chiese sentendosi osservata.
- No. – scosse la testa lui colpito che avesse sentito il suo sguardo – Nient’altro. A stasera.
- Ciao Charles. – lo congedò con un sorriso rapido, aveva visto Severus camminare sotto il portico e non voleva né scenate di gelosia né malumori a rovinare una serata così importante per la Scuola.
Il Pozionista, non appena vide il rosso Weasley andare via senza Clarice, si rilassò le dedicò un sorriso e continuò a seguire i preparativi della serata in compagnia del corpo insegnati.
La curatrice sorrise con amore a Severus, si stava impegnando così tanto perché tutto fosse perfetto che era dannatamente fiera di lui e avrebbe voluto gridare a tutti quanto grande fosse il suo amore nei confronti di quell’uomo meraviglioso.
- Mamma. – la chiamò Daniel strappandola dai suoi pensieri.
- Sì, amore, dimmi.
- Posso andare a giocare con Tommy e Zahir sulle rive del Lago Nero?
- Se mi prometti che farete attenzione sì. – annuì – E non dovete tardare troppo.
- Lo sappiamo. Remus si è offerto di venire a farci compagnia.
- Veramente? – un sorriso gentile dipinse le labbra della donna – Mi piace molto il professor Lupin. Con lui sono più tranquilla. – annuì.
- Grazie mamma! – Daniel la abbracciò e la baciò – Profumi di papà. Ed è l’odore più buono del mondo! – rise correndo via.
Clarice continuò a leggere il suo libro indisturbata nel giardino della Scuola, dove fu raggiunta da Luna ed Hermione che la stavano cercando per iniziare a prepararsi per il ballo.
- È già così tardi? – chiese lei chiudendo il libro.
- No, siamo in perfetto orario! – le sorrise Luna – Ma se non iniziamo ora, faremo tardi.
- Possiamo venire a vestirci da te? Nell’appartamento da Prefetto che ti è stato assegnato all’arrivo? Vorremmo fare una sorpresa ai nostri ragazzi. – mormorò Hermione arrossendo.
- Ma certo! – annuì – Chiamate anche Ginny se volete.
- Grazie! – Luna ed Hermione abbracciarono strettamente la strega più grande poi, prendendola per mano, la trascinarono fino ai sotterranei dove Ginny e le scatole dei loro abiti le stavano aspettando.
Ridendo, Clarice sbloccò la porta di ingresso e le invitò ad entrare. Si prepararono impiegando tutto il tempo necessario: volevano essere bellissime per i loro cavalieri per conquistarne definitivamente il cuore.
La strega più grande le osservava con affetto, erano così carine e spontanee avevano ritrovato il sorriso nonostante avessero attraversato l’inferno della guerra. Erano giovani donne da ammirare.
- Clary? – la chiamò Ginny – Tu non ti vesti?
- Sì. Scusate. – arrossì lei – Vi stavo ammirando. Siete forti. Dolci. Determinate e bellissime. – aprì le braccia accogliendole tutte in un abbraccio materno – Sono fortunata ad avervi conosciute.
- Siamo noi fortunate ad aver trovato te. – sussurrò Hermione – Grazie…
- Non ringraziatemi… - le baciò sulla fronte con affetto, come se fosse la loro sorella maggiore.
- Non voglio piangere! – si lamentò Ginny – Ho impiegato ore per avere questo trucco.
- Ooh no, vi prego. Solo sorrisi oggi. – le supplicò Clarice.
Ridacchiando le streghe più giovani lasciarono andare Clarice che poté rifugiarsi in bagno per lasciare andare le lacrime d’emozione che aveva trattenuto a stento dentro gli occhi.
Dopo aver pianto brevemente, la curatrice si concesse una lunga doccia: il cuore le batteva forte contro le costole, cosa sarebbe successo quella sera? Lei e Severus si sarebbero detti addio o qualcosa sarebbe cambiato nel loro rapporto? Sospirando, asciugò magicamente il proprio corpo e, dopo averlo cosparso con un olio secco, si diresse verso la camera da letto dove aveva sistemato il suo abito.

Con un incantesimo non verbale, lo chiamò a sé e, osservandolo attentamente, si chiese per l’ennesima volta se non avesse osato troppo.
- Clarice, - la chiamò Luna strappandola dai suoi pensieri – sei pronta per farti pettinare?
- Non ancora Luna! – ingollò un groppo di saliva – Datemi altri cinque minuti! – le pregò.
- Dai mamma! – la voce di Daniel la fece sobbalzare – Sono già pronto anch’io. Non voglio arrivare tardi al ballo, sai?
- Tranquillo Danny. – ridacchiò Hermione – Vedrai che la mamma sarà così bella che sarà valsa la pena aspettarla.
- Mah… - bofonchiò il bambino facendo ridere le tre studentesse.
Clarice non potendo più rimandare, indossò il suo vestito sentendolo aderire perfettamente al proprio corpo; poi prese la stola dalla scatola e, dopo aver indossato le scarpe, raggiunse le ragazze e Daniel nella stanza adiacente.
Dell’abito, i presenti in sala poterono vedere solamente la lunga gonna di organza blu notte. Il corpetto era nascosto alla loro vista dalla stola che Clarice teneva stretta.
- Vorrei dirti che sei bella mamma. – sbuffò Daniel – Ma con quella coperta sulle spalle…
- Questa coperta, ragazzino, - replicò secca Clarice – si chiama stola e serve per non far vedere la parte sopra dell’abito. Voglio che sia una sorpresa.
- Ma dai. Almeno con noi… mostrati! – la pregò Hermione, seguita a ruota da Luna e Ginevra.
Sospirando sconfitta, la strega più grande lasciò scivolare la scola lungo la schiena scoprendo il corpetto dell’abito che aveva scelto di indossare.
Nella stanza calò il silenzio Clarice era perfetta, semplicemente bellissima. Facendole molti complimenti, Luna; Hermione e Ginny finirono di sistemarle l’acconciatura e il trucco rendendola simile ad un’opera d’arte. Vociando allegramente, le studentesse, lasciarono l’appartamento di Clarice con la promessa di ritrovarsi in Sala Grande per fare un brindisi tutti insieme.
Clarice, dopo aver controllato l’ora con la sua bacchetta magica, si girò verso il figlio dicendo:
- Aspettiamo ancora cinque minuti, tesoro. Vorrei fare un’entrata ad effetto.
- Vuoi far scoppiare il cuore di papà. – rise il bambino intuendo il piano della madre.
- Il piano sarebbe quello. – annuì unendosi alla risata del figlio.
- Ok. – approvò il ragazzino con un ampio sorriso sul viso.
Restarono in silenzio per alcuni minuti, poi Clarice si alzò dalla scrivania invitando il figlio ad andare. Avevano atteso abbastanza. Raggiunsero la Sala Grande quasi per ultimi, camminavano lentamente, godendosi le occhiate curiose e invidiose delle persone che incontravano lungo il cammino.
Sulla porta d’ingresso, trovarono la famiglia Black. Remus e Sirius erano molto eleganti nei loro smoking neri dal taglio classico; Zahir indossava un abito a doppiopetto blu scuro che si abbinava perfettamente al vestito di sua sorella Elettra. Erano bellissimi. Sembravano un dipinto vivente.
- Ciao. – sorrise Clarice emozionata.
- Clarice! – la accolse con un ampio sorriso Elettra – Non siamo bellissimi io e mio fratello?
- Siete semplicemente stupendi! – annuì la strega.
- Non ho mai visto Elettra così felice di indossare un vestito. – la ringraziò Sirius con un sorriso sincero.
- Ooh Sir, l’ho fatto con piacere. È stato un bellissimo pomeriggio che, spero, di poter ripetere.
- Lo spero anch’io! – squittì Daniel stringendo la mano di sua madre.
- Su, su. Non rattristiamoci adesso! – li pregò Remus – Entriamo che dovrebbero esserci già tutti.
- Andiamo. – annuì la strega – Sirius? – lo chiamò un attimo prima che entrasse in sala.
- Sì, Clarice? – la guardò il mago.
- Una volta dentro la sala, potresti aiutarmi a togliere la stola?
- Perché io? – ridacchiò.
- Ti prego. – lo supplicò – Mi serve uno sfacciato ma che non voglia provarci con me.
- Sono l’uomo che fa per te! – le fece un perfetto inchino e lei arrossì, felice.
In silenzio entrarono nella Sala Grande dove videro per la prima volta gli addobbi; i tavoli con il cibo e le bevande ed il palco con la band che suonava dal vivo. Ancora il Ballo non era iniziato, c’erano persone che ridevano, alcune parlavano, altre già bevevano qualcosa per scacciare la tensione.
La famiglia Black e la famiglia Prince, si fecero tra la folla che si era assiepata all’ingresso per raggiungere il soppalco dove stava il tavolo dei professori.
Non appena furono vicino al soppalco, Severus sorrise a Clarice e a Daniel; stava per iniziare a parlare quando il “cane rognoso” si apprestò a togliere con un gesto antico e galante la stola dalle spalle della sua compagna. La gelosia per l’intimità del gesto passò in secondo piano non appena Severus posò gli occhi su Clarice e sul vestito da lei indossato.
L’abito scelto dalla giovane donna era perfetto nella sua semplicità; e la rendeva così sexy e seducente che Severus ebbe difficoltà a non saltare giù dal soppalco per raggiungerla e baciarla e amarla lì davanti a tutti.
Il vestito di Clarice era composto da un corpetto aderente che metteva in risalto le sue forme procaci fatto interamente di minuscoli brillantini che sembravano schegge di stelle. Il corpetto, incantato magicamente, si era avvolto alla sua pelle diventando quasi un tutt’uno con lei celando, ma non troppo, le forme naturali del seno. Due strisce sottili di brillantini correvano dal corpetto fino al collo dove formavano un’elegante chiusura gioiello che scendeva sensuale lungo la schiena lasciata completamente nuda.
La gonna, per quanto il corpetto era elaborato, era di una semplicità disarmante: in organza blu notte, scendeva morbidamente fino alle caviglie impreziosite dalle scarpe abbinate al vestito.
Clarice aveva raccolto i capelli in un complicato chignon, lasciando che qualche ciocca ribelle si arricciasse attorno al suo viso finemente truccato. Era la donna più bella presente in sala. Era bella come un sogno e letale come un basilisco.
Severus ringraziò di aver scelto di indossare l’abito da cerimonia con tanto di mantello, perché la vista di Clarice vestita in quel modo, l’aveva eccitato a tal punto da sentire i pantaloni tirare dolorosamente sul cavallo.
- Preside? – lo chiamò uno dei professori scuotendolo dal proprio torpore – Diamo il via al Ballo?
- Eh!? – Severus osservò la sala, tutti aspettavano un suo gesto, una parola per poter iniziare la festa – Sì. Certo! – annuì.
- Perché non apri tu le danze Severus? – gli strizzò l’occhio Remus.
- Trovo che sia un’ottima idea! – gli dette man forte Minerva – Scegli una dama dalla Sala e… balla con lei! – lo invitò a scendere con un sorriso; la strega anziana aveva notato che l’uomo non aveva staccato neanche per un momento gli occhi dalla figura sensuale di Clarice.
- Lo farò! – annuì il Preside che, scendendo gli scalini del soppalco, raggiunse rapido come un falco Clarice dicendo – Vuole concedermi questo ballo, miss?
- Con piacere, signore. – annuì lei facendo un’elegante riverenza.
La musica si diffuse nella stanza, Clarice e Severus iniziarono a ballare escludendo tutto e tutti dal loro piccolo e meraviglioso mondo. L’uomo continuava a mangiarla con gli occhi, esterrefatto che lei avesse trovato il coraggio di indossare un abito così provocante.
- È stato tuo nipote Draco a convincermi. – ammise alla fine del ballo.
- Ha fatto dannatamente bene! – annuì lui baciandole la mano – Sei… - sospirò – Troppo bella, mi lasci senza parole.
- Oooh daiii! – arrossì felice lei; poi non ci fu più tempo per le parole perché entrambi furono “rapiti” dagli altri invitati presenti che pretesero con loro un ballo.

Clarice e Severus, si rincorsero più volte sulla pista da ballo. Sembrava che qualcuno non volesse che ballassero nuovamente insieme perché, come erano troppo vicini, qualcuno si frapponeva tra loro, finendo per allontanarli. Ad un certo punto della serata, Clarice fu raggiunta da Charlie Weasley, molto elegante nel suo completo blu notte.
- Signorina Prince, mi concede l’onore di un ballo? – le chiese facendo un inchino.
- Rispetto sempre le mie promesse, Charlie. – annuì lei alzando gli occhi al cielo.
Charlie e Clarice ballarono un lento. Il giovane uomo stringeva con possesso il corpo della strega contro il proprio. Clarice poteva sentire la mano bollente del domatore di Draghi al centro della sua schiena, ma era un contatto che la disturbava, non le dava piacere come la mano del suo compagno.
- Sei così bella che sembri un sogno, Clary! – le disse lui in un bisbiglio all’orecchio, lei ringraziò con un sorriso imbarazzato, non apprezzava tutta quella confidenza da parte di chi aveva già rifiutato più volte.
- Mi stai stringendo troppo, Charlie. – gli disse allontanandolo un po’ – Dovremmo ballare, non stare incollati. – gli sorrise.
- Non posso farci niente! – sospirò accarezzandole con dolcezza il viso, un gesto che aveva già compiuto nell’arco della serata e che Severus non aveva affatto apprezzato.
- Ti prego, basta. – lo redarguì lei.
- Non stavo facendo niente. – ridacchiò lui sistemandole un ricciolo dietro l’orecchio, sfiorando una volta di troppo la pelle del collo di lei.
Davanti a quel gesto, così fintamente innocente, Severus non riuscì più a trattenersi: scusandosi con i genitori che lo avevano fermato a parlare, attraversò la pista da ballo a passo di marcia e, dopo aver toccato Charlie sulla spalla per chiedere di poter ballare con la strega, avvolse Clarice nelle spire del proprio abbraccio e la baciò lì davanti a tutti.
La baciò come se da quel bacio dipendesse la salvezza dell’intero Mondo, Magico e non. La baciò facendole sentire la potenza del proprio amore nei suoi confronti. La baciò come se fosse la cosa più bella, unica e preziosa presente in quella Sala. La baciò come un uomo innamorato bacia la donna della sua vita.
Clarice chiuse gli occhi e rispose al bacio con la stessa passione e intensità dell’uomo, gemendo felice quando sentì le mani che tanto amava sostenere la sua schiena nuda.
Il Preside pose fine al bacio quando il bisogno di respirare divenne impellente per entrambi e, con il fiato corto, appoggiò la fronte contro quella di Clarice non volendo staccarsi completamente da lei.
Un boato di applausi, fischi e frasi di auguri li investì facendoli trasalire. La strega arrossendo distolse lo sguardo da quello nero dell’uomo che, con un sorriso sornione, le disse:
- Dici che ho scoperto le mie carte? Adesso tutti sospettano che mi piaci tu?
- Per Salazar! – squittì lei, la voce piccola per l’emozione – Secondo me hanno ben più di un sospetto. – sorrise.
- Congratulazioni professore. – mormorò mestamente Charlie che aveva continuato a fissare la coppia scuotendo la testa, nella vana speranza che fosse solo un Molliccio quello – Anche a te, Clarice.
- Grazie giovane Weasley. – si girò verso di lui Severus senza mai mollare la presa sulla schiena della giovane donna.
- Non essere triste, Charles. – gli sorrise lei con affetto – Qui in Sala, sono certa che ci sarà qualcuno in grado di farti battere il cuore.
- Spero che tu abbia ragione, Clary. – mormorò stringendo i pugni; poi, prima di dire o fare qualche gesto di cui poi si sarebbe pentito, si allontanò salutando con un profondo inchino.
- Non essere triste. – le baciò la mano Severus mentre osservava Clarice guardare Charlie sparire tra la folla degli invitati.
- Mi dispiace che abbia reagito così, Sev. – sospirò e, girandosi a guardarlo, continuò – Giuro che non l’ho mai illuso, non gli ho mai fatto credere che…
- Sì, lo so. – la zittì lui con un bacio a fior di labbra – Lasciagli il tempo di farsi passare il dolore cocente della delusione. – le sorrise indicandole un punto della sala – Starà presto bene.
Clarice rispose al sorriso del Preside poi camminò tenendolo a braccetto, fermandosi a parlare con questa o quella persona che voleva congratularsi con loro per essersi fidanzati. Nessuno dei due contraddisse tale voce, incassando con sorrisi e frasi di circostanza gli auguri dei più audaci.

La serata trascorse in maniera perfetta. Il Ballo fu un vero e proprio successo: cibo e bevande non mancarono mai e la musica accompagnò allegramente la festa fino a che la Sala si svuotò.
Albeggiava quando gli ultimi ospiti e gli ultimi studenti abbandonarono la Sala Grande, lasciando finalmente soli Severus; Clarice; Daniel; la famiglia di Rose; la famiglia Black; Harry; Draco; Hermione; Minerva e i due Weasley più giovani. I loro bambini si erano addormentati sui comodi divani dopo aver giocato, mangiato e ballato, lasciando gli adulti liberi di godersi la serata.
- Complimenti Severus. – parlò Albus dal suo quadro posto in Sala Grande per l’occasione – È stata una festa molto riuscita. Anche meglio del Ballo del Ceppo.
- Già. – ridacchiò Draco abbracciando il fidanzato – Lì eravamo più “legnosi”.
- Beh. – sbuffò Harry – Ci credo, a parte che non stavamo ancora ufficialmente insieme io e te biondino. Poi ricordi che rischiavo di morire un giorno sì e l’altro pure? – lo baciò dolcemente sulle labbra, per impedirgli di rispondere con sarcasmo alla sua battuta.
- Sono felice che la serata sia stata piacevole per tutti. – parlò con la sua voce bassa e modulata l’uomo – Adesso, però, gradirei per un momento la vostra attenzione. – era emozionato, si vedeva da come camminava nervosamente da una parte all’altra della Sala. Voleva assicurarsi che fossero rimaste presenti solo le persone che lui considerava come una specie di famiglia.
Con un gesto, chiese ai presenti di mettersi comodi sulle sedie imbottite che aveva evocato dalla parete e, mentre tutti si apprestavano a fare ciò che lui aveva chiesto, tese una mano a Clarice, invitandola al centro del semicerchio che aveva creato.
- Clarice. – parlò dopo alcuni minuti di silenzio imbarazzato.
- Sì, Severus? – lo incoraggiò con un sorriso lei.
- Ascoltami con attenzione, per favore.
- Sì, professore. – annuì senza lasciare la mano calda di lui.
- Io e te, Clarice, siamo come la Pozione Polisucco così complicata da creare ma che ha effetti incredibili su chi l’assume… Siamo come l’Essenza di Dittamo, utile per guarire brutte ferite ma altamente infiammabile, da maneggiare con cura. - fece una pausa e un sorriso che la giovane strega ricambiò – Tu sei la mia Pozione Rigenerante e Risvegliante, da quando sei entrata nella mia vita la prima volta qualcosa è cambiato qui… - si toccò il cuore – È cambiato in meglio. Ma avevo paura di ammetterlo con me stesso. Non volevo mettere in pericolo la tua vita trascinandoti nel delirio della mia. Ed ho quasi rischiato di perdere te e nostro figlio. – con un movimento fluido ed elegante, Severus si inginocchiò e, dopo aver estratto una scatolina di velluto dalla tasca dell’abito che indossava, continuò – Clarice Prince, vuoi essere le mie Lacrime di Fenice e sposarmi? – le sorrise aprendo la scatola, troppo emozionato per cercare di dire altro.
Clarice guardò l’anello poi l’uomo in ginocchio davanti a sé, si portò le entrambi le mani alla bocca e, scoppiando a piangere, rispose:
- Io sarò le tue Lacrime di Fenice, se tu sarai le mie Severus!
- È un sì? – chiese l’uomo con un groppo in gola.
- Sì. Sì. Sì. – annuì felice lei – Mille volte sì, Severus Tobias Piton! – gli gettò le braccia al collo ed incollò le proprie labbra a quelle dell’uomo, bagnandole con le sue lacrime di gioia.
Davanti a quel bacio carico d’amore, i presenti in Sala iniziarono ad applaudire ed urlare i loro migliori auguri agli sposi. Quel fracasso, fece svegliare Daniel che, stropicciandosi gli occhi, raggiunse il semicerchio di sedie dicendo:
- Che succede? Perché tutta questa confusione?
- È successa una cosa bellissima, tesoro! – lo abbracciò Rose con gli occhi lucidi dall’emozione.
- Sì? – biascicò assonnato – Cosa?
- Guarda là. – gli consigliò William emozionato come la moglie.
Il bambino fece come gli era stato detto e notò in quel momento che al centro del semicerchio c’erano i suoi genitori che si stavano baciando mentre piangevano.
- L’ha fatto? – chiese improvvisamente sveglio – Papà ha chiesto alla mamma di sposarlo? – continuò guardando Harry e Draco.
- Sì, - annuì il biondo Malfoy – è stata una proposta bellissima! – si asciugò gli occhi – Prendi spunto Potterino.
- Ma figuriamoci. – rise a disagio Harry – Non ti farò mai una proposta usando le Pozioni. – ridacchiò – Non sono così bravo come Piton. Rischierei di offenderti e basta.
- Aaah. – sbuffò Daniel che, ridendo, raggiunse i genitori abbracciandoli strettamente.
- Mi hanno detto che sei stato bravo, papà. – lo baciò sulla guancia – Vedo che la mamma è molto felice.
- Mi ha chiesto di diventare le sue Lacrime di Fenice, Danny. – annuì mentre le lacrime le scorrevano sul viso – Non trovi che sia…
- La più bella dichiarazione d’amore di tutti i tempi? – concluse il bambino abbracciando la donna – Sì, mamma lo è. – poi guardò la mano della giovane donna dicendo – E l’anello?
- Non l’ha ancora messo. – glielo mostrò – Ti piace, figliolo?
- Molto papà. – il bambino prese la scatola e, con dolcezza, la avvicinò al padre affinché potesse mettere l’anello al dito di sua madre.
Severus non indugiò oltre, prese la fascia di oro bianco e la lasciò scivolare dolcemente al dito anulare della mano sinistra di Clarice. L’anello, che era stato incantato, si adattò perfettamente al dito della curatrice scintillando magnificamente.
- Congratulazioni ragazzi. – parlò Albus dal suo quadro, anche lui era commosso, come il resto dei presenti – Avete impiegato anni per incontrarvi, amalgamarvi ed amarvi. Avete attraversato mille peripezie. La guerra, il vostro orgoglio, hanno rischiato di dividervi per sempre. – sorrise mentre loro si abbracciavano stringendo il bambino tra i loro corpi – Ed avete generato una creatura unica. Che da voi ha preso il meglio, mescolandolo con quel pizzico di arguzia e vitalità che contraddistinguono la sua scintilla vitale. – ridacchiò mentre Daniel distoglieva lo sguardo, imbarazzato da quelle belle parole – Adesso non permettete a nessuno di rovinare ciò che volete creare! Siate come l’Elisir dell’Euforia e quello della Vita. Sbaragliate chi non crede in voi con la forza del vostro amore, diventate i Mollicci ed il Riddikulus di chi pensa che l’amore non esista, dimostrare a tutti che uniti si è forti e soli senza amore non si è nessuno. Sorridete alla vita, anche se dovesse mettervi di fronte a prove difficili, non disperate. Uniti potrete cambiare le sorti di ogni partita. Siate l’uno per l’altra Lacrime di Fenice. – l’ex-Preside concluse il proprio discorso iniziando ad applaudire, coinvolgendo i presenti che erano rimasti colpiti dalla profondità del suo discorso e, troppo emozionati per replicare, si unirono felicemente all’applauso.
Silente, con un ultimo sorriso ed un inchino, sparì dal quadro posto in Sala Grande raggiungendo quello più tranquillo che Severus aveva fatto sistemare nel suo ex ufficio. Era emozionato e non voleva farsi vedere dai vivi mentre alcune lacrime dispettose gli rigavano la tela sul viso.

Clarice abbracciò e baciò tutti, ebbra di felicità si lasciò stringere dando e ricevendo amore da chi aveva assistito a quella bellissima e affatto banale dichiarazione d’amore.
- Adesso sei mia zia a tutti gli effetti, sai?
- Non ancora biondino! – scosse la testa Harry – Sono fidanzati. Non ancora sposati!
- Harry, abbiamo impiegato sei anni per fidanzarci. – sbuffò Severus – Potremmo organizzare il nostro matrimonio alla fine della Scuola.
- Mi piacerebbe sposarmi a dicembre. – sospirò Clarice con aria sognante – In mezzo alla neve, un paesaggio magico, da “favola”. – sorrise quando sentì le lunghe braccia di Severus stringerla possessivamente.
- Sarebbe perfetto. – annuì Rose con il suo modo di fare pratico e spiccio – Un matrimonio invernale e una meta estiva. Io saprei già dove organizzare il vostro viaggio di nozze. Una località che piacerà ad entrambi. Con storia, mare e tanto relax. – sorrise strizzando loro l’occhio.
- Ma dobbiamo parlarne ora? – sbadigliò sfinito Daniel – Non possiamo aspettare domani? – chiese speranzoso.
- Domani…? – Clarice ingollò a vuoto.
- Domani dovrete tornare al vostro villaggio? – si irrigidì Severus.
- Già. – annuì lei – Ma non pensiamoci adesso. – lo baciò sulle labbra – È molto tardi. Andiamo a dormire tutti. Non voglio rovinare le parole bellissime di Albus con pensieri tristi. Ricordi? Dobbiamo essere il Molliccio e il Riddikulus di chi non crede in noi. Essere l’uno per l’altra Lacrime di Fenice. – si scambiarono un bacio carico di amore, facendo sospirare i presenti.
- Forza via. Ognuno nella propria stanza. – li congedò Minerva – Abbiamo vissuto fin troppe emozioni stasera! Sono vecchia per queste cose. Via. Via! – concluse uscendo per prima, non voleva farsi vedere mentre piangeva commossa dai presenti.

Vociando emozionati, gli studenti si dissolsero nel corridoio raggiungendo ognuno la propria stanza.
Severus, che portava in braccio Daniel addormentato, non riusciva a staccare gli occhi dalla schiena di Clarice, così nuda e così sensuale mentre camminava ammirando il suo anello.
- Ti piace, cara? – le domandò?
- Immensamente! – annuì lei – Non avresti potuto scegliere anello migliore. Così semplice e con un messaggio così intenso. È il simbolo dell’Infinito. Vuol dire che saremo noi per…
- Sempre. – concluse l’uomo con un sorriso emozionato sulle labbra.
- Sì. Per sempre. – sorrise lei – Entriamo amore mio?
- Sì. – Severus disse la parola d’ordine al quadro che chiudeva la porta ed entrò per primo per portare Daniel nel suo letto per farlo dormire.
Clarice lo aspettò nel salotto con un bicchiere di liquore in mano. Lo stesso liquore che aveva bevuto dalla bocca dell’uomo la prima volta che erano stati insieme.
- Cly? – la chiamò facendola sobbalzare – Scusa. Non volevo spaventarti.
- Stavo rivivendo vecchi ricordi. – spiegò mostrandogli il bicchiere.
- È per me? – domandò lui con un sorriso sornione.
- Sì, professore. – si passò la lingua sulle labbra – Ma lo berrai alle mie condizioni.
- Mmh. Interessante. – annuì slacciandosi il cravattino, stanco di stare ancora imbustato in quell’abito da “pinguino elegante” – Posso prima mettermi leggermente più comodo? – chiese continuando a togliersi il mantello, la giacca, il gilet, restando così in maniche di camicia.
- Per me puoi stare anche nudo. – ridacchiò Clarice arrossendo.
- Signorina Prince. – sgranò gli occhi, fingendosi contrariato – Sono cose da dire? E non pensa al suo futuro marito? – si lasciò andare nella poltrona che preferiva e lei gli sedette in grembo, facendo alzare il vestito, scoprendo così le sue lunghe e belle gambe.
Severus appoggiò le sue mani grandi e calde sulle cosce di lei, facendola rabbrividire di piacere. Clarice, con un ghigno sensuale, si portò il bicchiere alle labbra e, dopo averne bevuto un piccolo sorso, si chinò sulla bocca del suo uomo, baciandolo mentre lo faceva bere emulando ciò che lui aveva fatto con lei quasi sette anni fa.
- Non ricordavo che questo liquore avesse un sapore così buono. – mormorò con gli occhi chiusi Severus.
- Nemmeno io. – gemette Clarice, non era abituata a bere e le poche gocce che aveva ingerito le stavano già facendo girare la testa.
- Sei bellissima. – le disse lui togliendole il bicchiere dalle mani.
- Non vuoi più il tuo liquore? – ridacchiò facendo aderire il suo bacino con quello dell’uomo.
- Mi piacerebbe berlo direttamente dalla tua pelle, moglie! – rispose ansimando l’uomo mentre Clarice continuava a muoversi su di lui.
- Fallo… - gemette mentre un brivido le scorreva sulla pelle.
Severus le sganciò il bottone gioiello che teneva su il corpetto del vestito e si beò della vista del corpo nudo della sua compagna. Alla luce fioca dell’alba, il Pozionista lasciò scivolare il liquore sulla pelle calda di Clarice osservando le spire che esso disegnò seducenti lungo il suo corpo.
Severus, affascinato, seguì con la lingua il percorso tracciato dal liquore facendole inarcare la schiena e gemere di piacere. Fecero l’amore nella poltrona dove si erano dati il primo vero bacio, toccandosi, mordendosi, unendo le loro anime fino a formarne una, fino a raggiungere le più alte vette del piacere.
- Ti amo Clarice. – mormorò con il viso affondato nel seno di lei Severus.
- Mi piace sentirtelo dire, Sev. – ansimò lei abbracciandolo, le dita avvolte tra i capelli di lui, il corpo soddisfatto, abbandonato contro quello del suo compagno.
Restarono a respirarsi per una manciata di minuti, poi un brivido di freddo fece accapponare Clarice e Severus si rese conto che il camino era spento e lei era completamente nuda tra le sue braccia.
- Sono un’egoista Clary. – le disse mordicchiandole la pelle della spalla – Andiamo a dormire.
- Non sei egoista. – ridacchiò lei mentre un brivido di tutt’altra natura le increspava la pelle – Ma hai ragione, andiamo a letto. – si scambiarono un ultimo bacio; poi Severus l’avvolse nel proprio mantello e la portò in braccio fino in camera da letto.
Con un sorriso, la donna raggiunse il bagno e si concesse una rapida doccia non voleva andare a letto sporca del proprio piacere e di quello del suo quasi marito. L’uomo la raggiunse nel giro di alcuni minuti, anche lui aveva bisogno di darsi una rinfrescata, era stata una lunga giornata.
Si lavarono a vicenda, scambiandosi tenere effusioni e dandosi dolci baci fino a quando furono puliti e pronti per uscire. Severus asciugò entrambi con un colpo di bacchetta; poi Clarice si lasciò scivolare sulla pelle una camicia da notte in raso verde acqua e si girò a guardare l’uomo che dormiva abitualmente con solo un paio di boxer aderenti.
Per mano, raggiunsero il grande letto a baldacchino dove si stesero stanchi dalle emozioni della giornata. Si addormentarono abbracciati, il sole sorgeva lento ma per loro era come se fosse calata la notte.

Purtroppo, il momento di alzarsi da quel piacevole tepore, arrivò troppo velocemente: i due furono svegliati dall’insistente bussare di Minerva e di Rose alla loro porta.
- Preside Piton! – urlava la professoressa di Trasfigurazione – Preside Piton, insomma si svegli!
- Severus! Clarice! – le dava man forte Rose – Forza, aprite questa porta. Sto iniziando a preoccuparmi.
- Mmmhhh! – mugugnò Clarice tirandosi le coperte sopra la testa – Ti prego, amore, fa qualcosa.
- Posso cruciarle? – sbadigliò il Pozionista troppo stanco per alzarsi.
- No! – rise la strega, avrebbe voluto aggiungere altro ma Daniel si era alzato ed era andato ad aprire loro la porta.
- Danny, tesoro, grazie. – lo salutò Rose abbracciandolo – Mamma e papà?
- Ancora a letto. – sbadigliò – Buongiorno professoressa McGranitt. – le sorrise – Perché siete qui così presto?
- Perché oggi è lunedì, tesoro. – rispose con un sorriso l’amica di sua madre – La colazione è servita e tutti gli ospiti sono già in Sala.
- Oggi… - biascicò il bambino.
- Sì, amore. – annuì Clarice che si era alzata sentendo le voci all’interno del salotto, aveva indossato la veste da camera di Severus per coprire la camicia da notte troppo seducente – Dobbiamo preparare le nostre cose per tornare a casa.
- A casa? – Daniel sgranò gli occhi, lui non voleva tornare a casa. Lui voleva restare lì, a Scuola con suo padre.
- Certo. – rispose la voce baritonale di Severus che, prima di raggiungerli in salotto aveva indossato dei pantaloni e una maglietta, continuò con un sorriso – Tu e la mamma dovrete prendere le vostre cose.
- Quindi non ci stai mandando via? – lo guardò con gli occhi che brillavano di gioia.
- Mandare via la mia famiglia? – rispose inarcando un sopracciglio il mago – Certo che no. Dovremmo fare un lavoro di squadra. – gli scompigliò i capelli con dolcezza – Non vivremo al Castello. Così come non vivranno al Castello Rose e la sua famiglia.
- Andrai a cercare una casa per noi? – rise felice.
- Certo che sì. – lo guardò con solennità – Una casa in grado di accogliere la nostra famiglia.
- Avrai il tempo che ti serve dopo aver salutato gli ospiti e pensato agli studenti, Preside! – lo sgridò duramente Minerva, lei era l’unica che poteva rivolgersi a lui in quel modo duro.
- Ha ragione Minerva. – annuì l’uomo che, dopo un breve sospiro, continuò – Lasciateci il tempo di fare una breve colazione. Poi inizierò a svolgere tutte le attività che mi competono. – le pregò con un sorriso e le due donne sorrisero comprensive.
- Mi sembra equo. – annuì con un sorriso Rose – Io vado ad aiutare Willy con i bagagli. – si congedò – Con permesso.
- Ciao Rose. A dopo. – la salutò con un bacio e un abbraccio Clarice, anche Minerva li salutò dopo aver scambiato qualche altra frase con Severus su come organizzare al meglio il trasporto degli ospiti dalla Scuola alla stazione.
Gli adulti e il bambino, fecero colazione nel salotto del sotterraneo poi Severus si congedò da loro, raggiungendo il resto del corpo insegnanti per salutare e ringraziare gli ospiti di essere intervenuti così numerosi all’iniziativa.
- Mamma, - la chiamò Daniel vestendosi.
- Sì, Danny?
- Sei felice di poter sposare papà?
- Certo che sono felice. Mi dispiace lasciare il villaggio, ma sono felice di poter vivere con gli uomini della mia vita. – lo baciò sulla testa nera, respirando il suo odore di bambino così unico e speciale che l’avrebbe riconosciuto tra mille.
- Ho avuto paura, sai? – confessò mentre si sistemava le scarpe.
- Paura? – chiese lei mandando la testa di lato, i capelli le accarezzarono la schiena facendola rabbrividire.
- Paura che lui non ci volesse nella sua vita. – sospirò – So che non è stato facile per voi.
- Non sarà mai facile, tesoro. – gli spiegò continuando a spazzolarsi i capelli con gesti gentili – Abbiamo dei caratteri forti, prendiamo fuoco nel ghiaccio. – ridacchiò – Io non sono molto brava a gestire la rabbia e papà non è granché bravo ad esternare i suoi sentimenti. Avrai un bel da fare con noi.
- Mh. – sbuffò una risata – Spero presto di non essere più solo.
Clarice arrossì a quell’affermazione: anche lei desiderava ardentemente un altro figlio dal suo Severus; ma quello non era il momento opportuno, non con il trasloco e una nuova vita da affrontare.
Bussarono alla porta, la strega andò ad aprire per evitare di dover rispondere alle altre domande impertinenti di suo figlio. Fuori dalla porta trovarono Draco ed Harry.
- Famiglia Prince. – fece un rapido inchino Draco, gli occhi brillavano di gioia.
- Ragazzi! – Clarice li avvolse in uno dei suoi abbracci “da mamma”, riempiendoli d’amore e calore – Che bello vedervi. – li baciò sulla guancia.
- Siete pronti? – chiese Harry lasciandosi cullare dall’affetto della donna.
- Onestamente no. – sospirò – Ma sappiamo che è provvisorio. – sorrise.
- Ehi Danny. – lo chiamò Draco – Ti piacerà un sacco vivere a Hogsmaede.
- Spero che papà trovi una casa vicino ai Tipi Vispi. – ridacchiò abbracciando i due studenti con affetto.
- Dei, spero di no! – squittì Clarice – Non sopporterei di vederlo sempre con la faccia scura a causa dei dispetti dei gemelli Weasley.
- A questo non avevo pensato! – ridacchiò pensieroso il bambino.
- Amore, va con Harry e Draco. – sorrise la strega io finisco di chiudere i bagagli e sono pronta.
- Ok mamma. – annuì – Andiamo in Sala Grande?
- Sì. Stiamo aspettando che tutti gli ospiti presenti al Castello ci raggiungano lì. Alcuni sono già alla stazione.
- Giusto. Non tutti si erano fermati a dormire qua. – annuì Clarice – Allora invece che fare da sola, posso chiedere il vostro aiuto ragazzi?
- Ma certo zia! – annuì Draco estraendo la bacchetta – Con gli Elfi Domestici del Manor, facevo spesso i bagagli per andare in vacanza. – sorrise – Era quasi divertente.
- Io non sono mai andato in vacanza. – mormorò Harry – Ma vi aiuto volentieri. Che incantesimo usiamo, zia Clary? – le chiese.
La strega sorrise ai due ragazzi, consigliò loro uno degli incantesimi che preferiva per fare i bagagli poi si misero al lavoro. Daniel li osservò sorridendo, gli piaceva molto osservare le evoluzioni degli incantesimi e i movimenti dei polsi quando essi venivano lanciati, lo avevano da sempre affascinato.
- Pronti! – disse Draco dopo alcuni minuti di lavoro – I bauli sono pronti, da qui in poi ci penseranno gli Elfi della Scuola.
- Grazie ragazzi. – li baciò nuovamente Clarice.
In silenzio, raggiunsero la Sala Grande dove trovarono il resto degli ospiti già pronti per rientrare alle loro case. Tra tutte le facce che aveva imparato a conoscere in quella settimana, Clarice vide Charlie Weasley in compagnia della studentessa Tassorosso, Honey di cui però non ricordava il cognome.
Sembravano intimi, si tenevano per mano e si parlavano a bassa voce. Gli occhi di lei erano umidi di lacrime e quelli chiari di Weasley sembravano colmi di molte emozioni.
- Vuoi andarlo a salutare, mamma? – domandò Daniel che aveva seguito lo sguardo della donna.
- Direi che sarebbe un comportamento educato. – annuì la donna – Vieni con me? In fin dei conti è lo zio di una tua amica.
- Certo che vengo. – ridacchiò – Viky è una tipa tosta. Però io… - arrossì.
- Però tu?
- Io preferisco Elettra. – confessò diventando rosso come un pomodoro maturo.
- Non Amber? – chiese mentre camminavano verso Charlie e Honey.
- Lei è la mia migliore amica. – rispose stringendosi nelle spalle – Le voglio bene. Tanto.
- Lo comprendo molto tesoro. – annuì la strega – Vedrai che crescendo troverai altre ragazze che ti piaceranno, e molti altri amici e amiche con cui condividere esperienze diverse.
- Ooh lo so. – gli occhi ambra scintillarono, facendola sorridere felice.
- Clarice. – la salutò con affetto Honey – Che bello, temevo di non poterti salutare!
- Honey! – si abbracciarono con slancio – Sarebbe dispiaciuto molto anche a me. – ammise – Ciao Charlie.
- Clary. – si scambiarono un bacio sulla guancia e un rapido abbraccio.
- Cosa farai ora Clary? – chiese la studentessa – Tornerai nel tuo villaggio?
- Sì, ma sarà provvisorio. – rispose Daniel che, mostrando la mano sinistra ai due, continuò – Papà e mamma si sposeranno, verremo a vivere qua.
- Al Castello? – chiese arcuando un sopracciglio il domatore di Draghi.
- Non credo che Clarice sarebbe felice qua. – scosse la testa Honey – Anch’io non vorrei viverci. Preferirei una casetta, anche piccola, al villaggio.
- Esatto. Ho bisogno di avere contatto con le persone. – annuì la strega più grande – E poi, non vorrei lasciare del tutto il mio lavoro. Ma solo portarlo con me. – concluse con un sorriso.
- Ti auguro di essere felice ogni giorno della tua vita. – le sorrise sincero Charlie.
- Te lo auguro anche io, domatore. – si abbracciarono con più calore.
- Io ti devo ringraziare, sai? – mormorò arrossendo Honey – Grazie a te, ho trovato il coraggio di dare a Charlie il dipinto. Gli ho parlato e… abbiamo passato la notte del Ballo insieme. – distolse lo sguardo – In Sala Comune Tassorosso a parlare. Raccontandoci le nostre vite. I nostri sogni.
- È bellissimo. – sorrise felice Clarice – Sono sontuosamente felice per te, tesoro!
- Alla fine della Scuola, tornerò in Romania. – continuò Honey – Charlie mi ha promesso che parlerà con i miei genitori. Vorrebbe avere il loro permesso per frequentarmi. – concluse con un sorriso incerto.
- Ne sono felice. – annuì lei – Bravo Charles, non farti scappare questo splendore di ragazza!
- Fossi matto! – ridacchiò lui arrossendo.

La conversazione in Sala Grande fu interrotta dall’arrivo del Preside Piton seguito dal corpo docenti al gran completo. I maghi e le streghe, si posizionarono sul loro soppalco e, uno alla volta, salutarono e ringraziarono i presenti per essere intervenuti così numerosi alla loro iniziativa. Dopo che finirono con i convenevoli, la professoressa McGranitt consegnò magicamente ad ognuno degli ospiti un plico di fogli per poter effettuare l’iscrizione a Scuola per il proprio figlio/nipote.
Con un caloroso applauso, i presenti risposero ai saluti dei docenti poi, seguendo quelli che erano stati i loro accompagnatori per tutta la settimana, raggiunsero le carrozze che li avrebbero condotti alla stazione.
Draco trattenne Clarice e Daniel, Severus stava aspettando che tutti andassero via per poterli raggiungere.
- Ci salutiamo qui, zia. – parlò con voce triste – Lo zio ci ha chiesto di farvi compagnia, ma vuole esserci lui alla stazione.
- Ragazzi. – Clarice ingollò un groppo di lacrime – Mi mancherete terribilmente! – disse abbracciandoli con amore.
- Anche tu ci mancherai. – rispose Harry – E’ stato bello conoscerti.
- Anche per me. – annuì lei – Ma sarà un arrivederci breve. Poi torneremo.
- E mi prenderai al lavoro con te? Vero? – la guardò Draco speranzoso.
- Studierai per diventare curatore, farai come ho fatto io: dei corsi di specializzazione in Pozioni e qualcuno anche di Erbologia. Poi sarai il mio assistente. Ne sarò onorata. – ammise.
- Studierò con profitto. – promise il giovane Serpeverde.
- Lo so fratello di casa. – lo baciò sulla guancia.
- Adesso, zia, gongolerà fino alla fine della Scuola. – sospirò Harry, ma era felice per Draco.
- Lascialo gongolare. Poi quando troverà insegnanti più crudeli di Severus che non si lasceranno conquistare dal suo bel faccino, rideremo io e te. – baciò anche Harry che la abbracciò di slancio.
I due maghi salutarono abbracciandolo strettamente anche Daniel che li aveva ascoltati parlare felice, sapere che non avrebbe perso l’amicizia di Draco ed Harry lo rasserenò, facendolo sentire ancora più importante ed amato. Severus li trovò così, abbracciati che parlavano come se fossero una famiglia. Quel pensiero lo colpì come un pugno allo stomaco: Clarice aveva accolto Harry e Draco nella sua vita come aveva fatto lui, amandoli come se fossero sangue del suo sangue.
- Ehi. – parlò il Preside – Posso unirmi a questo abbraccio?
- Papà! – urlò felice Daniel gettandosi contro il padre.
Clarice sorrise piena d’amore e, raggiungendo il figlio e il fidanzato, si lasciò stringere.
- Pronta ad andare amore? – le chiese dopo averla baciata.
- Pronta. – annuì – Anche se non completamente felice.
- Nemmeno io, papà. – squittì Daniel.
- Sarà solo per una manciata di giorni, piccolo. – lo rassicurò.
- Ci sentiremo tramite gufo? – chiese.
- Anche tramite camino.
- Sev. – lo guardò Clarice – Perché non vieni a dormire a casa nostra?
Dai papà, ti prego!!! – lo supplicò il bambino e il Preside scoppiò a ridere, lasciando completamente senza parole i propri studenti che non l’avevano mai né visto né sentito lasciarsi andare così liberamente.
- Ti amo Severus! – lo abbracciò strettamente lei.
- Anch’io. – sospirò l’uomo chinandosi a baciarla.
Tenendosi abbracciati, raggiunsero l’ultima carrozza che li avrebbe portati alla stazione. Il viaggio dalla Scuola fino alla stazione del treno lo fecero tenendosi stretti, in silenzio, erano troppo emozionati per parlare, troppo bisognosi di stare vicini per sprecare tempo con le parole.

Il Preside li aiutò a prendere posto sul treno, William aveva tenuto loro dei posti occupati. Il treno era pieno ed aspettava solo i passeggeri ritardatari per partire. Sulla banchina, Clarice salutò Rose con un lungo e stretto abbraccio poi Severus baciandolo fino a che il bisogno di respirare glielo concesse.
Daniel abbracciò e baciò il padre e la migliore amica di sua madre, poi scappò sul treno per non farsi vedere in lacrime.
- Questi giorni passeranno in fretta! – mormorò Clarice baciando le mani di Severus.
- Poi sarà per sempre. – annuì lui commosso.
- Per sempre! – sussurrò come un eco lei.
- Adesso va, Clary. – la pregò Rose – Altrimenti William ed i bambini scenderanno di nuovo.
- Sì. A tra qualche giorno Rosy! – la abbracciò un’ultima volta, poi scomparve sul treno.
Le porte dell’Espresso si chiusero magicamente, la locomotiva fischiando iniziò la sua corsa verso Londra, riportando a casa i maghi e le streghe che avevano condiviso per una settimana l’esperienza più magica e unica della loro intera vita. Clarice, William ed i bambini, parlarono poco durante il viaggio di ritorno. Tutti avevano lasciato un pezzo di cuore in quella Scuola e pregavano di poter trovare presto una casa dove poter vivere insieme a coloro che amavano.

Angolino dell’Autrice:

Non riesco a crederci… Sono riuscita a finire anche questa quinta parte…
Non odiatemi però se non c’è un vero e proprio “happy ending”. Chissà, forse dopo questa parte potrebbe esserci un… epilogo, vero Dream?

Grazie a tutti coloro che passano a leggere, a chi ha inserito la mia storia in una delle categorie a chi trova un momento per lasciarmi una recensione e, soprattutto, a Dream perché mi ha condotto fino a qui.
Ai maghi ed alle streghe del gruppo What’s Up “Hogsmeade” perché mi incoraggiano a non smettere mai di inseguire i miei sogni.

Dream, che altro aggiungere? Grazie perché mi accompagni nel caos dei miei pensieri, sei la mia bussola quando troppe idee rischiano di soffocarmi. Perché riesci sempre a regalarmi un sorriso spontaneo e perché sai come “pungolarmi” per andare avanti: facendomi riflettere e ridere. Alimentando con la tua fantasia la mia. Grazie dal più profondo del mio cuore!

 

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


Epilogo

Seconda Opportunità

“Dal giorno del nostro rientro al villaggio che aveva visto nascere Daniel, era passati rapidamente molti e molti giorni. Le stagioni si erano succedute con velocità, lasciando nei nostri cuori molti sentimenti contrastanti: tristezza per dover lasciare un luogo che avevamo chiamato “casa” per anni e allegria perché avremmo iniziato una nuova avventura, in un villaggio nuovo e come famiglia.
La casa scelta da Severus era semplicemente perfetta. Strutturata su due piani con un ampio giardino dotato di serra, dove avrei potuto sistemare tutte le mie piante per continuare a rifornire la Scuola di tutto quello che occorreva loro per creare pozioni.

Poco dopo il nostro insediamento al Villaggio di Hogsmeade, ero riuscita a trovare un negozio non molto grande ma sulla via principale in vendita ed ero riuscita a comprarlo grazie ai soldi guadagnati dalla vendita del negozio con la casa nel nostro vecchio villaggio. Era perfetto: molto luminoso, con ampi scaffali ed un piccolo deposito sul retro dove avrei potuto tenere le scorte.
Eravamo felici. Abitavamo vicino ai nostri nuovi amici: i Black avevano una bella villa in fondo alla via, Rose e la sua famiglia avevano trovato una casa non troppo distante dalla nostra ed avevamo scoperto che anche Harry e Draco sarebbero venuti a vivere nella nostra via, in una villetta a due piani che Harry aveva comprato al fidanzato per il suo compleanno.
Era tutto così magico che, a volte, la sensazione che tutto fosse solo un sogno si impossessava del mio cuore facendomi venire degli attacchi di panico che mi toglievano il fiato. Per fortuna, Severus era sempre vicino a me e, grazie alla sua presenza ed al suo amore, lentamente la paura che avrei potuto perdere tutto da un momento all’altro, andò dileguandosi sostituita dalla paura per l’arrivo del nostro matrimonio.

Come un uragano, i preparativi investirono me, Rose e Draco. Harry, Severus e Daniel non erano interessati ai nostri discorsi. Di tanto in tanto ci davano piccoli suggerimenti; ma il grosso del lavoro lo fecero Draco e sua madre Narcissa che era una vera esperta nella creazione di eventi. All’inizio non fu facile averla intorno, era una donna di una bellezza algida e austera che sembrava avere troppo in comune con il mio Severus per non esserne gelosa. Ben presto, però, capii che lei voleva bene al mio Severus perché lui aveva salvato non solo la vita di Harry, ma anche quella del suo Draco da morte certa e niente di tutto quello che aveva fatto per organizzare il nostro matrimonio le sembrava abbastanza per ripagare il suo debito.
Fu in quel momento che decisi di darle una possibilità ed imparai a conoscerla. Una perfetta strega Purosangue, con idee lontane dal mio modo di vedere e di vivere la vita; ma era tutto sommato una persona gentile e disponile; dotata di molteplici talenti che mise a nostra disposizione per creare un matrimonio semplicemente perfetto.”

Clarice posò la piuma sulla scrivania e, girandosi a guardare dalla finestra la neve che scendeva lenta, sorrise. Era da poco spuntata l’alba, quel giorno lei e Severus si sarebbero sposati nel giardino di Hogwarts, il luogo più caro ad entrambi e la strega era troppo nervosa per riuscire a dormire di più.
Lei e il Pozionista, erano stati separati il giorno precedente perché per tradizione nelle 24 ore precedenti le nozze, gli sposi non potevano né vedersi né sentirsi.
Clarice era stata raggiunta a casa da Rose, Harry e Draco che si erano proposti di fare compagnia a lei e Daniel. Quella mattina, la strega era salita nella sua mansarda quella che Severus aveva attrezzato per lei per dipingere e si era messa a scrivere a scrivere sul proprio diario alcuni pensieri che le affollavano la mente.
Clarice adorava quella casa, l’aveva amata dalla prima volta che l’aveva vista e visitata. L’aveva sentita sua ed abitarla con il suo quasi marito e loro figlio, era meraviglioso. Un gufo picchiettò contro il vetro ovale della finestra, la strega sobbalzò spaventata.
- Ciao. – lo salutò aprendo, era un gufo della Scuola che entrò zampettando, grato di non dover stare fuori sotto la neve.
Clarice prese la pergamena dalle zampe dell’animale e, dopo avergli dato una manciata di bocconcini, ruppe il sigillo di ceralacca: il messaggio era stato vergato dalla grafia elegante di Severus.
“Clarice, queste 24 ore sembrano non voler passare più; ho come l’impressione che il tempo sia stato dilatato da qualche crudele Giratempo. Tra poco sigleremo con la parola per sempre la nostra unione. Non vedo l’ora che tu sia qua, moglie.”
Con le lacrime agli occhi, Clarice scrisse una rapida risposta a Severus poi si girò verso la porta dove qualcuno aveva appena bussato.
- Avanti. – parlò, la voce tremula per l’emozione.
- Clary. Sono io. – aprì Rose – Non ti ho trovato in camera ed ho pensato che fossi quassù. Nel tuo posto speciale.
- Mi conosci bene ragazza mia. – si abbracciarono – Troppe emozioni. Non riuscivo più a dormire. Ed ho preso una fiala di pozione sonno senza sogni.
- Me lo hai ripetuto tu fino alla nausea, Clary: quando le emozioni prendono il sopravvento, le pozioni hanno effetti ridotti.
- Sì, sì… Lo so… - sospirò e tornò a guardare fuori, la neve scendeva soffice, era un’immagine rasserenante per lei.
- È tempo di iniziare a prepararti, tesoro. – le disse dopo alcuni minuti di silenzio e la strega annuì, il cuore le batteva così forte contro le costole che temeva di vederlo fuggire via dalla gabbia toracica da un momento all’altro.
- Non essere nervosa. Andrà tutto bene. – le sorrise Rose intuendo i pensieri dell’amica.
- Spero che vada tutto bene. Voglio che vada tutto come abbiamo programmato ma se…
- Ssshhh. Non dirlo!
- Ma se non avessero concesso a Fiorenzo il permesso per sposarci? – squittì, incapace di tenere per sé quel pensiero.
- Ci saranno Harry e Draco. – le ricordò – Un po’ ci sperano che l’affascinante centauro non si presenti. Hanno studiato molto per prendere la dispensa, sai?
- Amber e Tom…? – chiese alzandosi, Rose la zittì dicendo:
- Willy sa già tutto. I bambini ti faranno da paggi, sono emozionati e preparati.
- Spero che non si mettano a litigare con i figli dei Black.
- Ehi. È il giorno tuo e di Severus Piton. Lascia fuori tutte le energie negative, altrimenti sarò costretta a prenderti a schiaffi.
- Scema! – rise Clarice, grata di avere una persona speciale come Rose al suo fianco in un momento come quello.
- Però ti faccio ridere. – le dette una spallata giocosa – Andiamo dai, il tuo bagno alla lavanda ti aspetta.

Annuendo, Clarice seguì la sua migliore amica fino alla stanza da bagno dove si concesse un lungo e rilassante bagno in vasca. Quando uscì dall’acqua ormai fredda, trovò un telo di spugna riscaldato magicamente con sopra un messaggio da parte di Draco: “per la mia zia preferita”.
La strega non riuscì a trattenere un sorriso e, più serena, continuò a prepararsi per il giorno più importante della sua vita. Non appena fu asciutta, raggiunse la sua camera da letto avvolta nella propria veste da camera. Sentiva le voci dei suoi ospiti, segno che Rose aveva iniziato a svegliare tutti.
- Eccoti. – le sorrise la professoressa di storia della magia – Vuoi mangiare qualcosa?
- Ho lo stomaco chiuso. – scosse la testa.
- Però non puoi stare completamente digiuna, zia. – la rimproverò con un sorriso Harry – Corri il rischio di svenire per un calo di zuccheri e lo zio non ci perdonerebbe mai una cosa simile.
- Onestamente non me la perdonerei mai nemmeno io. – sorrise la strega – Allora Harry, portami del succo di zucca ed un fagottino con marmellata alla…
- Ciliegia! – la interruppe Draco entrando con ciò che la giovane sposa aveva chiesto – Ho osservato con attenzione il tuo modo di fare colazione, cara zia. Mangia che poi Rose inizierà a vestirti. – sospirò teatralmente il biondo platino, attirando l’attenzione delle due donne su di sé.
- Stai male, Drake? – domandò Clarice preoccupata.
- Ooh no, affatto. – sorrise il mago più giovane – Stavo solo pensando al tuo povero abito. Certo, non dev’essere facile essere indossato da uno splendore come te. Lo farai sfigurare. Tutti diranno: “guarda che sposa meravigliosa”; ma nessuno ricorderà il modello del tuo abito.
- Draco! – arrossì Clarice.
- Il mio bellissimo fidanzato, è una frana a fare i complimenti perché è troppo abituato a riceverne. – lo schernì Harry con un sorriso.
- È perché sono adorabile, Potterino del mio cuore.
- Mi vengono in mente molti aggettivi. Ma adorabile non è tra questi. – scosse la testa castano scuro Harry facendo ridere di gusto Clarice e Rose.
- Ragazzi, fuori. – li scacciò la professoressa – La nostra sposa ha fatto colazione ma ora devo pensarci io a lei. – sorrise e Clarice annuì.
- Mi sembra giusto! – annuì Harry che, prima di uscire, si fermò sulla soglia dicendo – Tra i babbani c’è l’uso di avere qualcosa di nuovo; qualcosa di prestato; qualcosa di vecchio e qualcosa di blu il giorno delle nozze.
- Ne avevo sentito parlare anch’io Harry. – annuì Rose sorridendo.
- Ecco io… - il mago raggiunse la sposa tenendo tra le mani un astuccio di velluto blu scuro che aprì dicendo – Questa collana l’ho trovata tra le cose che mi hanno lasciato i miei genitori nella mia camera blindata. – gliela mostrò era di una semplicità disarmante: era un girocollo semirigido in oro con una trama di foglie e fiori che terminavano in una piccola goccia di diamante che stava proprio sul seno – Vorrei che la portassi come cosa prestata.
- Harry! – singhiozzò lei troppo emozionata per dire altro.
- Non volevo farti piangere. – ammise mestamente – Scusami.
- La collana è bellissima. – annuì Rose asciugandosi gli occhi – È un bellissimo gesto, caro. Clarice è felice, ma troppo emozionata per riuscire a dirtelo.
- Allora accetti il mio prestito? – la guardò con gli occhi da cucciolo.
- Sì che lo accetto, ma tu dovrai accompagnarmi sotto l’arco matrimoniale Potter. Altrimenti ti crucerò. – la voce era troppo emozionata per risultare realmente minacciosa ed Harry abbracciò di slancio Clarice mormorando un flebile “lo farò grazie”.
Poi Rose lo cacciò dalla stanza che chiuse con una serie di incantesimi anti intrusione. Nessuno doveva interrompere, nuovamente, la preparazione della giovane ed emozionata sposa.

Clarice si passò sul corpo i suoi oli profumati ed una speciale polvere glitterata su spalle e scollatura, di un bel verde smeraldo che ricordava molto i colori del suo abito; poi si girò verso Rose che aveva preso dall’armadio il suo abito da sposa. La strega lo guardò sorridendo, innamorandosene ancora di più: non aveva scelto un modello di abito da sposa classico, aveva scartato il bianco a priori scegliendo un vestito che modellasse perfettamente il suo corpo, facendola sentire bellissima.
L’abito era senza spalline, il corpetto aderente ricordava il pistillo di un fiore, era di raso pregiato di una delicata sfumatura champagne che scendeva fino alla vita messa in risalto da una cintura di raso verde Tiffany chiusa a scomparsa sulla schiena che restava quasi completamente nuda.
La gonna era a più strati soprapposti: uno spicchio in raso color champagne; uno spicchio in tulle verde Tiffany scuro ed uno spicchio di raso di una sfumatura leggermente più chiara e si apriva a fiore ad ogni passo fatto dalla donna. Era bellissimo, perfetto sul fisico sinuoso ma giunonico di Clarice.
La strega lo indossò aiutata dalla sua migliore amica che, dopo aver chiuso l’ultimo bottone sulla schiena, disse:
- Sei stupenda. Però… - la osservò con occhio critico per alcuni istanti – Ti manca qualcosa.
Il panico illuminò gli occhi di Clarice che, guardando la propria immagine allo specchio, disse:
- Non c’erano accessori previsti con questo abito. Non mi manca niente, credo.
- È qui che ti sbagli, amica mia. – ridacchiò Rose – Ricordi cosa ti ha detto Harry? Una cosa prestata, una nuova, una regalata e una blu.
- La cosa prestata ce l’ho. – sorrise Clarice prendendo la collana dalla scatola con mani tremanti – La cosa nuova è il mio vestito.
- Ti mancano ancora due cose, piccola strega. – ridacchiò la sua amica porgendole una scatolina color avorio.
- Ma cosa…?
- Aprila su.
Clarice annuì e, dopo aver tolto il coperchio dalla scatola, restò per alcuni istanti senza parole: appoggiato sul velluto color avorio all’interno della scatola, c’era una spilla raffigurante un serpente, ma non uno qualsiasi: era il simbolo della casa di Salazar Serpeverde, quella che aveva visto nascere la storia d’amore tra lei stessa e Severus.
- Rosy… - ingollò a vuoto – È bellissima. È perfetta.
- Questo è l’oggetto regalato, amica mia. Che ti porti tanta, tantissima fortuna. – le sorrise Rose prendendo la spilla dalla scatola.
- Dove la mettiamo? – chiese Clarice dopo aver abbracciato la sua amica.
- Sul fianco. – sorrise – Dove doveva stare il fiore abbinato a questo vestito che io ho fatto sostituire da questa meraviglia. – concluse appuntandole la spilla con sicurezza.
Clarice si guardò un’altra volta allo specchio: se possibile, con quel gioiello appuntato sul fianco, l’abito era ancora più bello.
- È perfetta! – annuì battendo le mani, felice.
- Tu lo sei, amica mia. – ridacchiò Rose – Adesso pensiamo alle scarpe. Poi capelli e trucco.
Clarice annuì e, dopo aver indossato le scarpe abbinate al vestito, prese posto in un panchetto per lasciare alla sua amica campo libero nell’acconciatura e nel trucco.
Rose osservò per alcuni minuti Clarice in silenzio, voleva creare qualcosa di speciale ma di non troppo elaborato perché la sua amica amava la semplicità ed era già bella così con i capelli ancora arruffati e il viso senza trucco.

Chiudendo gli occhi, la professoressa prese la propria bacchetta e recitò alcuni incantesimi per il trucco e l’acconciatura. Per il viso, scelse delicate tonalità sull’avario e rosa che mettevano in risalto il viso della giovane sposa senza appesantirlo; la parte più complicata fu scegliere l’acconciatura giusta: nessuna di quelle che aveva provato sembrava andare bene.
I capelli sciolti, appesantivano l’insieme perché andavano a nascondere i dettagli dell’abito e i glitter che splendevano sulla pelle di Clarice non si vedevano. Una treccia troppo complicata o qualcosa di troppo vaporoso non la convincevano, perché la sposa era già bella così sua semplicità e non voleva rendere ridicolo l’insieme. Cambiò altre due o tre acconciature fino a quando creò quella che era perfetta con l’abito: un bouquet di boccoli che si ingegnò a raccogliere sulla sommità della nuca come se fossero tanti boccioli di rosa, fino a lasciare scoperti il collo (per far vedere il tatuaggio delle mani), sia per dare il giusto credito all’abito che indossava.
Clarice si guardò allo specchio incredula: quella lì non poteva essere lei, senz’altro la sua amica aveva incantato lo specchio per farle uno scherzo.
- Allora… - mormorò titubante Rose – Che ne pensi?
- Rosy… - balbettò – Ma sono veramente io?
- Ma certo che sei tu! – rise di cuore la professoressa – Chi altri potrebbe essere così bella?
- Ma che ne so… - sospirò – Non mi sembra vero.
Bussarono alla porta, facendole sobbalzare.
- Sì? – parlò Rose – Chi è?
- Sono William, amore. – parlò l’uomo dall’altro lato della porta – Non vorrei mettervi fretta ma da casa per arrivare a Scuola il tragitto è lungo e sta iniziando a nevicare sempre più seriamente. Vi manca molto?
- Siamo quasi pronte. Rose ha appena finito di rendermi bellissima. Si cambia e possiamo andare.
- Ottimo Clary! – sospirò William dall’altra parte – Sono così felice che vorrei abbracciarti strettamente.
- È solo una scusa per vedere il mio abito. – ridacchiò la curatrice – Spiacente, ma vedrete come sono vestita solo al rinfresco. Nessuno, neanche Danny mi ha mai vista.
Borbottando frasi incomprensibili, l’uomo si allontanò dalla porta lasciando alle donne il tempo di finire di prepararsi. Clarice, dopo essersi guardata un’ultima volta allo specchio, con un sospiro prese le scarpe abbinate all’abito e, un attimo prima di indossarle, notò sul comò davanti allo specchio un sacchetto che prima non aveva notato: si era materializzato lì dalla Scuola ed era da parte della Vice Preside.
All’interno del sacchetto c’era una giarrettiera talmente sexy che le guance di Clarice divennero bordeaux “ecco qualcosa di blu”, recitava il biglietto siglato M.M.G.
- Clary. Tutto bene? – le chiese l’amica ridendo.
- Io nemmeno pensavo esistessero cose del genere! – gemette la strega.
- Ehi. La prof non ha badato a spese. È una giarrettiera edibile, sai?
- Edibile? Cosa significa?
- Che il tuo futuro marito potrà mangiarla. – rispose Rose che, annusandola, disse – Dovrebbe sapere di mirtillo.
- Rooooosseeeeee! – urlò Clarice strappandole di mano la giarrettiera.
- Merlino benedetto Clarice! – rise ancora Rose – Smettila di fare la santarellina e indossala. Dobbiamo andare. – le fece notare.
- Va bene. Va bene. – sbuffando, Clarice indossò la giarrettiera “commestibile” poi inforcò le scarpe abbinate al vestito, anch’esse color champagne con dettagli verde Tiffany.
Rose, quel giorno aveva scelto di indossare un abito in organza blu oltremare chiaro che metteva in risalto il suo corpo e faceva scintillare ancora di più i suoi grandi occhi pieni di vita. Per Clarice la sua migliore amica era bellissima ed era felice di averla scelta come sua Damigella d’Onore. Non avrebbe voluto avere nessun’altro al proprio fianco in un giorno così importante.
- Dai tesoro. – le sorrise Rose – Andiamo. O non arriveremo in tempo e Severus penserà che ci hai ripensato e sei scappata di nuovo.
- Basta scappare. – scosse la testa biondo ramata lei – Sono stanca di nascondere al mondo il mio amore per quell’uomo meraviglioso. – sorrise – Mi aiuti con il mantello?
- Con estremo piacere, sorella. – sorrise la professoressa che, raggiunto il manichino dove si trovava il mantello, lo prese per portarlo alla sua migliore amica.
Il mantello abbinato all’abito era stato tessuto con del filamento magico molto pregiato, al tatto era soffice sembrava una nuvola tant’era leggero; ma era studiato appositamente per resistere alle temperature più basse garantendo alla persona che lo indossava di mantenere sempre il proprio calore corporeo intatto.
Il mantello, che nascondeva completamente il vestito di Clarice, era dotato di un enorme cappuccio che avrebbe protetto l’acconciatura e il viso della sposa fino al suo arrivo sotto l’arco matrimoniale posto nel giardino della Scuola.
Il mantello, esternamente, era dello stesso avorio dell’abito mentre internamente era foderato di tessuto verde Tiffany cangiante che mutava ad ogni passo della strega, sfruttando sia il calore corporeo prodotto dalla donna sia la luce ambiente, creando un effetto unico: sembrava una grotta piena di smeraldi. Il gancio che lo fermava sul petto della strega era formato da due serpenti in oro bianco: uno con gli occhi di diamanti e l’altro con gli occhi di smeraldo che si intrecciavano magicamente, chiudendosi nel simbolo dell’infinito.
Rose sorrise a Clarice e, tendendole la mano, la invitò a raggiungere gli altri fuori dalla porta. Non c’era più bisogno di rimandare: doveva andare dritta verso il suo futuro.
La strega guaritrice ricambiò il sorriso della migliore amica e, dopo aver tolto gli incantesimi a protezione della porta, raggiunse gli uomini che la stavano aspettando in salotto.
Harry; William; Draco e Daniel la guardarono sgranando gli occhi: con quell’elegante mantello sembrava la Regina delle Nevi.
- Mamma. – squittì Daniel emozionato – Sei bellissima.
- Grazie mio tesoro! – sorrise lei – Andiamo?
- Certo! – annuì Harry senza fiato, vederla con indosso la collana di sua madre gli riempì il cuore di gioia – Da questa parte, Clarice. – e le porse il braccio che lei fu lesta ad accettare facendo passare il braccio da un’apertura laterale che le permetteva di muoversi ma senza far aprire il mantello.
- Sei veramente una serpe, zia! – ridacchiò Draco – Fino all’ultimo non vuoi dirci niente del vestito, di cosa ti vergogni?
- Non mi vergogno. – rise mentre raggiungevano la carrozza messa a disposizione dalla signora Malfoy – Voglio che sia una sorpresa per tutti. È il mio giorno. Mie le regole, nipote.
- Corretta affermazione. – annuì con un sospiro Draco – Ma non è facile da accettarla.
Parlando, salirono tutti sulla sontuosa carrozza della famiglia Malfoy per raggiungere rapidamente la Scuola dove si sarebbe svolto il rito matrimoniale.
Il cuore di Clarice batteva sempre più forte man mano che si avvicinavano al Castello. Era piena di dubbi, temeva di non trovare nessuno ad aspettare il suo arrivo. Temeva di non trovare Severus fermo sotto l’arco matrimoniale per sposarla.
Daniel le prese la mano e la rassicurò con un sorriso dicendo:
- Papà ti ama troppo per giocarti uno scherzo simile, mamma. Sorridi, sei la sposa.
- Ho paura amore. – ammise con un sorriso forzato.
- È giusto che tu ne abbia. – annuì Harry sistemandosi gli occhiali sul naso – Questo ti rende umana. Ma goditi il tuo giorno.
- Vivilo pienamente. – gli fece eco Draco – Non permettere che qualcosa o qualcuno te lo rovini. Sei la regina di questa festa. Tue le regole. Lo hai detto poco fa. – la carrozza si fermò nel cortile della Scuola, il viaggio era sembrato brevissimo e lunghissimo al tempo stesso.
Per prima scese la famiglia Quentin, seguita a ruota da Daniel e Draco e per ultimo Harry che aveva il compito di accompagnare la sposa.

Non appena varcarono l’arco cerimoniale posto all’ingresso del cortile, a tutti si mozzò il fiato: sul cortile era stato gettato un incantesimo che rendeva il paesaggio ancora più fiabesco.
La neve da terra era stata sostituita dalle sedie per gli ospiti e dal lungo tappeto verde smeraldo con ricami argento che avrebbe condotto Clarice da Severus.
L’incantesimo aveva creato una sorta di cupola: la neve continuava a fioccare placidamente tutt’attorno al giardino, ma nessun fiocco aveva la possibilità di passare, limitandosi a scivolare lungo l’arco creato dall’incantesimo fino a toccare placidamente terra.
Le sedie erano color champagne e la prima di ogni fila, quella più vicina al tappeto, era stata abbellita da un mazzolino di fiori con un fiocco di tulle verde Tiffany.
Ad aspettare la sposa, emozionata e felice, all’inizio del percorso c’era Narcissa Malfoy, bellissima nel suo abito nero con inserti argento. La potente strega, tra le mani reggeva il mazzolino della sposa: una cornucopia di rose arancioni screziate di rosso.
Le due donne si scambiarono un rapido sorriso, poi Narcissa le passò il mazzolino indicandole con un gesto della mano di iniziare a camminare verso Severus che la stava aspettando.
Clarice annuì con un sorriso, sistemò con cura il cappuccio sopra la testa e si lasciò guidare tra gli applausi e la musica dell’orchestra fin sotto l’arco matrimoniale da un emozionatissimo Harry James Potter.
- Chi conduce questa donna? – chiese Fiorenzo scalpitando con i suoi possenti zoccoli.
- Harry James Potter. – rispose con voce forte e chiara il mago.
- Viene di sua volontà? – domandò ancora.
- Sì. Viene di sua volontà per sposare l’amore della sua vita. – replicò Harry con un sorriso e Clarice lo ringraziò mentalmente per quella risposta.
- Bene. – annuì Fiorenzo – E tu, - chiese a Severus – sei pronto ad accoglierla nella tua vita?
- Lo sono. – parlò con voce emozionata il mago.
- Va a prendere la tua sposa. – lo invitò il Centauro e l’uomo non se lo fece ripetere due volte; con alcuni incerti passi raggiunse Harry e Clarice.
Harry prese nella sua la mano che Clarice aveva appoggiato sul proprio braccio, vi depositò sopra un rapido bacio poi la posizionò al sicuro, nella mano grande e calda di Severus.
Fu solo in quel momento che la strega alzò gli occhi per guardarlo: Severus non era mai stato così bello agli occhi della donna. Indossava un tight nero che modellava perfettamente il suo fisico, mettendo in risalto la linea delle spalle e del torace, al quale aveva abbinato una camicia color ghiaccio ed un plastrons (una cravatta ampia e larga) dello stesso colore del vestito sopra la quale aveva appuntato una spilla a forma di serpente con gli occhi di smeraldo.
Il Pozionista, osservò in silenzio per alcuni secondi gli occhi di Clarice leggendovi dentro la stessa passione e amore che brillava nei propri e, dopo averle baciato galantemente la mano, la condusse sotto l’arco dove li stava aspettando il Centauro per celebrale le loro nozze.

Non appena furono sotto l’arco, il Preside abbassò con un gesto galante il cappuccio della sua Clarice, sorridendo davanti allo splendore del trucco e dell’acconciatura che erano state create per lei.
- Sei bellissima. – le mormorò emozionato.
- Anche tu lo sei amore. – sorrise cercando di non piangere.
- Possiamo dare inizio al rito matrimoniale. – tuonò il Centauro interrompendo il loro scambio di complimenti.
I due maghi annuirono e, girandosi verso Fiorenzo, ascoltarono con attenzione tutto ciò che il Centauro diceva loro: rispondendo a turno alle domande, recitando antiche formule, bruciando incensi e candele fino a che, dopo aver legato i loro polsi con un nastro di raso rosso, Fiorenzo disse:
- Clarice. Severus. Vi dichiaro marito e moglie. Spero che accetterete di buon grato tutti i figli che il fato vorrà donarvi e che siate sempre presenti l’uno nella vita dell’altro. Ma senza essere opprimenti o soffocanti. – sorrise felice per loro – Vi auguro di trovare nel vostro compagno un amico, un amante e un confidente. Qualcuno con cui poter parlare di tutto e niente. Qualcuno con cui leggere un libro in silenzio o cantare canzoni per le recite della scuola dei propri figli. – Ricordate sempre, di essere l’uno le Lacrime della Fenice dell’altro. – alzò le loro mani unite verso gli ospiti – Che l’uomo non divida, ciò che gli antichi riti hanno unito. Severus, puoi baciare la sposa! – concluse e, mentre i neo signori Piton si scambiavano un lungo emozionato bacio, i presenti si alzarono in piedi avvolgendoli in un caldo e sentito applauso.
- Moglie. – sussurrò Severus sulle labbra di Clarice.
- Marito. – ansimò lei senza fiato per l’intensità del bacio.
- Ti amo. – continuò lui contro il suo orecchio.
- Come io amo te, Sev. – ansimò emozionata Clarice, poi si allontanarono per siglare alcuni documenti che non solo avrebbero attestato il loro matrimonio ma che rendevano Daniel al cento per cento figlio di Severus.
Non appena tutta la parte burocratica fu terminata, i due sposi raggiunsero per mano gli ospiti in Sala Grande. Severus e Clarice non riuscivano a staccare l’uno gli occhi dall’altro, si sorridevano, si cercavano la mano, spaventati che quello potesse essere solo un sogno.
Non appena varcarono le porte di legno della Sala Grande, furono investiti da una pioggia di petali di rosa; chicchi di riso e frasi ben augurali urlate qua e là dagli invitati.
Severus ringraziò i presenti con uno dei suoi rari sorrisi, poi li invitò a prendere posto che la festa sarebbe iniziata da lì a un momento. Furono i neo sposi ad aprire il corteo nuziale, raggiungendo felici il tavolo che era stato sistemato per loro dagli Elfi sul soppalco, al posto di quello lungo usato durante la Scuola.
Daniel abbracciò e baciò a lungo i genitori, piangendo felice: finalmente erano una famiglia, finalmente anche lui aveva un papà oltre ad una mamma. Felice di vedere così uniti i suoi genitori, il bambino si asciugò le lacrime, li baciò un’ultima volta prima che la voce di Draco lo facesse sobbalzare:
- Godetevi il pranzo. Danny starà con noi.
- Ma… - iniziò Clarice, subito interrotta dal figlio:
- Mi piacerebbe stare con i miei amici, mamma. – la supplicò e la strega annuì, intuendo che il figlio era troppo emozionato per stare con loro così esposto.
- Divertiti amore. – lo baciò sulla fronte, facendolo sospirare di piacere.
- Anche voi. – annuì prima di scappare via.
Gli sposi, dopo essersi scambiati il primo di tanti baci, salirono le scale del soppalco e prima di mettersi seduti, Clarice si sganciò la fibbia del mantello dicendo:
- Potresti aiutarmi, amore?
- Certo moglie. – annuì lui con un mezzo sorriso a disegnarli il volto.
Clarice lasciò scivolare il mantello via dalle spalle e tutta la sala ammutolì d’improvviso. Severus, concentrato nel compito di togliere il mantello senza rovinarlo, non capì il perché di quello strano silenzio fino a quando non guardò lui stesso la moglie con indosso quel seducente e peccaminoso abito da sposa.
L’uomo strinse tra le mani il mantello così forte da far sbiancare le nocche. Una ben visibile e mal gestibile erezione a tendergli il davanti dei pantaloni che non aveva mai sentito stretti come in quell’imbarazzante momento.
- Tutto bene, caro? – chiese con voce soffice come velluto la donna facendo un mezzo giro su se stessa, per farsi guardare meglio dal marito.
- Tutto bene. – ringhiò lui serrando forte la mascella – Sei bella come un sogno. – le disse pensando ai gattini nei piatti della signora Umbrigde; oppure ai ridicoli maglioni creati dalla signora Weasley, tutto per cercare di far calare la pressione sessuale che faceva vivere di vita propria una sua parte anatomica.
- Che la festa abbia inizio. – dichiarò Clarice aprendo le braccia in un gesto elegante, degno di una signora Purosangue.
La Sala si sciolse in un applauso spontaneo e gli sposi presero posto al loro tavolo. Severus aveva difficoltà a stare fermo in una posizione: era doloroso stare troppo a lungo fermo nella stessa posizione, niente di tutto quello che aveva evocato (la stessa immagine di Voldemort era stata scacciata dalla scintillante pelle glitterata di Clarice che riluceva sotto il soffitto invernale della Sala Grande), era riuscito a placare il proprio disagio.
Ringraziò che la tavola fosse stata apparecchiata con una lunga tovaglia e, dopo aver gettato un’occhiata furtiva alla moglie e alla Sala, decise di provare a slacciare almeno il bottone che premeva in un punto doloroso. Al sospiro di sollievo che l’azione procurò, Clarice si girò verso il marito inchiodandolo con uno dei suoi sorrisi più luminosi.
- Va tutto bene, Sev? – chiese sollecita – Hai il volto teso. Sembri arrabbiato. – gli fece notare sporgendosi verso di lui, avvicinandosi, invadendogli le narici con il suo profumo.
- Non sono arrabbiato, cara. – parlò stringendo gli occhi.
- Allora cos’hai? – gli chiese ancora poggiando la mano sul braccio di lui.
- Ho un problema mia diletta. – rispose con un sorriso e, dopo averle preso la mano per baciarla, la depositò sulla patta dei suoi pantaloni. Clarice avvampò, ma non tolse la mano, godendosi appieno il calore e la durezza del marito.
Severus si appoggiò con la schiena allo schienale imbottito della sedia lasciando andare dalle labbra un tremulo e lento sospiro.
- Vuoi che tolga? – chiese la strega, nessuno sembrava fare realmente caso a loro, troppo impegnati a godersi la festa e l’ottimo cibo offerti dagli sposi.
- Non farlo. Ti prego, non farlo.

Rimasero in silenzio per un po’, fino a quando furono serviti loro i primi piatti e furono costretti a rimettersi seduti in modo adeguato. Causando nuovo disagio al Preside che non riuscì a nascondere una smorfia dolorosa.
- Il professor Piton sta male? – domandò l’Elfo che li stava servendo.
- No. sto bene. – bofonchiò.
- La faccia è tutta rossa, gli occhi arrabbiati. – scosse le lunghe orecchie la creatura, era preoccupata che l’uomo potesse morire nel giorno delle sue nozze, non sarebbe stato affatto bello per quella bella e seducente sposa.
- Tranquillo. – gli sorrise Clarice affabile – Siamo solo molto emozionati. – concluse e l’Elfo sembrò crederle, quegli occhi d’ambra non sembravano capaci di dire bugie.
In silenzio, mentre in Sala ridevano e cantavano le canzoni proposte dall’orchestra dal vivo, gli sposi mangiarono i loro piatti preferiti. Clarice osservava i presenti con un’espressione entusiasta a dipingerle il viso, era così felice che Severus pensò che fosse diventata improvvisamente più bella.
- Adesso gli sposi faranno il primo ballo! – tuonò la voce del cantante dal proprio palco.
- No. – rispose di getto Severus facendo sobbalzare la moglie – È presto per il primo ballo, gustiamoci ancora queste superbe pietanze. Godetevi questa giornata in relax, chiacchierando con i vostri vicini. – addolcì il suo rifiuto con un mezzo sorriso, scatenando l’applauso degli uomini presenti in Sala che non avevano voglia di ballare.
- Sev. – sospirò Clarice dopo essersi pulita elegantemente la bocca – Dobbiamo fare qualcosa. Non puoi stare così.
- Non devi preoccuparti di niente. – mentì il Pozionista – Ho preferito non alzarmi per ballare perché sono ancora impresentabile; ma ho portato con me la mia valigetta con le pozioni. Ne andrò a prendere una e starò meglio.
- Non sarà necessaria. – la donna si alzò con un movimento fluido, qualcuno notò che si era alzata ma nessuno le dette particolare importanza.
- Che intenzioni hai? – domandò Severus senza riuscire a staccare gli occhi dalle sue forme sinuose malcelate dall’abito.
- Vieni con me. – gli tese la mano dopo aver indossato nuovamente il mantello.
Lui annuì e, nascondendo al meglio delle sue possibilità la fastidiosa erezione nei pantaloni, seguì la moglie che era uscita da una delle porte di servizio usate dai docenti durante le lezioni.
Camminando rapidamente lungo i corridoi vuoti e poco illuminati, Clarice trovò lo sgabuzzino delle scope di Gazza e, dopo aver sbloccato la porta con un incantesimo, entrò, trascinandosi dietro il marito.
Non appena la porta si chiuse magicamente alle spalle di Severus, la strega si fiondò sulle labbra del marito assaporandole lentamente, appassionatamente.
- Lascia che mi prenda cura di te. – ansimò contro la bocca del marito la giovane donna che, senza aspettare risposta, si inginocchiò a terra, occupandosi del disagio dell’uomo che l’aveva fatto stare male per la prima parte del pranzo.
Severus ansimò boccheggiando, si sentiva un ragazzino imberbe. Ma tutte le emozioni e la tensione accumulate in quei giorni, in quelle ore soprattutto, si erano dileguate per lasciare posto a quella fastidiosa erezione non appena aveva posato gli occhi sulla pelle nuda e candidamente esposta della moglie.
Mordendosi forte le labbra, l’uomo si riversò nella bocca della moglie nel giro di pochi attimi. Troppo eccitato per resistere a lungo, troppo goloso di quella bocca per non lasciarsi andare al piacere che solo Clarice sapeva dargli.
La strega, felice di aver soddisfatto il neo marito, si alzò in piedi e, con pochi rapidi gesti di bacchetta, ripulì entrambi. Severus la abbracciò e la baciò; poi, cullandola dolcemente, le disse tra i capelli:
- Sei una fonte infinita di sorprese amore mio.
- Lo so. – gli baciò la mandibola – Ma adesso torniamo in sala. Tra poco si renderanno conto che non siamo lì e mio marito ancora mi deve il primo ballo.
Ridendo, più sereni e felici, gli sposi raggiunsero nuovamente la Sala Grande dove la festa era continuata tra giochi, spettacoli e cibo in abbondanza. Nessuno sembrò essersi reso conto della loro assenza e, se anche qualcuno più malizioso l’aveva notato, preferì tacere per continuare a godersi quella splendida giornata.

La festa scivolò tranquilla e piacevole, come una chiatta su un fiume. Non mancarono i momenti imbarazzanti, né quelli commoventi. Tutti parteciparono attivamente alla buona riuscita delle nozze e Clarice e Severus furono due “padroni di casa” impeccabili.
Dopo aver aperto le danze, come da tradizione, ballarono un po’ con tutti: Harry; Draco; Daniel e William furono i primi di una lunga serie di uomini che vollero ballare con lei; mentre Severus danzò con Minerva; Amber; Elettra e Rose per prima, senza mai dimenticarsi di dare un bacio a sua moglie tra la fine di un ballo e l’inizio del successivo.
Alla fine di un romantico lento, Harry salì sul palco e chiese un attimo di attenzione e di silenzio. Si era messo d’accordo con il cantante e con il resto della band e, non appena si sentì pronto, iniziò a cantare la canzone sua e di Draco. Il giovane Malfoy non appena riconobbe la musica, smise di fare il girotondo con i bambini, concentrandosi sulla voce emozionata del suo Harry e sulle parole della canzone che erano state completamente cambiate: non era la loro colonna sonora, era una proposta di matrimonio cantata davanti a tutte quelle importanti persone.
Draco si portò una mano tremante davanti alla bocca e, accompagnato dalla madre altrettanto emozionata, raggiunse il palco dove Harry lo stava aspettando continuando a cantare il suo amore per il platinato Malfoy.
Non appena Draco lo raggiunse sopra il palco, lo zittì con un bacio mozzafiato, facendo partire un roboante applauso da parte della folla che aveva assistito rapita alla scena.
- Wooooowwww! – strillò Clarice facendo vero e proprio “tifo da stadio” – Bravi ragazziiii!!!
- Anello! Anello! Anello! – le dette man forte Rose da un altro lato della sala.
Harry si sciolse dall’abbraccio di Draco e, mettendosi in ginocchio, porse al fidanzato una scatolina di velluto verde smeraldo dicendo:
- Draco Lucius Malfoy, mi vuoi sposare?
Il mago Serpeverde aprì la scatolina emozionato, all’interno del velluto verde c’era una fedina a forma di boccino d’oro. Il ragazzo la guardò inarcando un sopracciglio, poi sorrise felice per l’idea del suo amato Grifondoro.
- Harry James Potter, saresti perso senza di me. – estrasse l’anello e lo mostrò alla platea, ricevendo ancora applausi – Certo che ti sposo!
- Ed Harry Potter si conferma il miglior cacciatore di sempre! – rise il cantante del gruppo – Catturando il suo boccino d’oro, aggiudicando la partita a Grifondoro! Auguri ragazzi! – concluse incitando la folla ad applaudire ancora per quella coppia che si era appena ufficializzata.

Draco ed Harry raggiunsero i neo sposi al centro della Sala e, dopo aver ricevuto abbracci; baci e congratulazioni, sparirono tra la folla, vogliosi di continuare a divertirsi e godersi appieno l’atmosfera giocosa e felice di quella splendida giornata.
Dopo un’altra serie di balli a coppie, il cantante della band coinvolse tutti gli invitati in uno scatenato ballo di gruppo e, mentre i maghi e le streghe ridevano e si divertivano, la professoressa McGranitt annunciò l’arrivo della torta.
Gli sposi si guardarono sorpresi: si erano lasciati coinvolgere da quell’aria goliardica e felice, che non avevano notato il trascorrere del tempo. Il pranzo era quasi terminato, ma la festa era ancora nel vivo.
Clarice e Severus raggiunsero la loro torta nuziale: era stata montata su una serie di piedistalli di legno che ricordavano una scala a chiocciola, una sorta di “scala della vita”; complicata, ricca di imprevisti ma che se affrontata insieme avrebbe portato loro grandi soddisfazioni.
I piani della torta, erano stati ornati con delicati fiori d’arancio. Non era la stagione di fioritura delle arance, ma la professoressa Sprite era riuscita ad averne un po’ per il Preside e la futura moglie, come segno di buon auspicio per la loro unione.
La copertura di panna della torta era color champagne e verde Tiffany. Sulle “scale” della torta erano stati disegnati due serpenti intrecciati nel simbolo dell’Infinito e, sullo scalino più in alto, erano state posizionate due statuine raffiguranti Clarice e Severus. Tra brindisi, applausi e fischi, gli sposi tagliarono la torta.
Ne mangiarono la prima fetta a metà e Severus sgranò gli occhi sorpreso: Clarice aveva chiesto ed ottenuto la miglior “torta preferita” che lui avesse mai mangiato.
La strega si morse il labbro inferiore davanti all’espressione sorpresa dell’uomo e, dopo che lui l’ebbe baciata fino a toglierle il fiato, mormorò:
- Volevo che la nostra torta ti piacesse, Sev.
- È perfetta! – le baciò a stampo le labbra – Grazie.

La festa proseguì fino a sera inoltrata fu solo quando l’ultimo degli invitati alle nozze lasciò il Castello di Hogwarts che Rose si avvicinò a Severus e Clarice reggendo tra le mani un antico medaglione Maya dicendo:
- Questo, signori Piton, è il nostro regalo di nozze per voi.
- Ma… - provò a parlare Clarice, ma Harry scosse la testa pregandola di ascoltare in silenzio.
- Abbiamo scelto di mandarvi in una splendida località in Messico per circa due settimane. – spiegò con un sorriso Draco – Si è occupata di tutto Rose, è eccezionale.
- Non ho fatto niente di speciale. Ho messo a disposizione le mie conoscenze di storica ed ho progettato per voi un piccolo itinerario. Avete entrambi bisogno di questi giorni di assoluto relax. Lontano da tutto e da tutti i problemi legati ai rispettivi lavori.
- Dovete essere marito e moglie. – parlò Daniel con un sorriso – Ve lo meritate.
- Alla Scuola penserò io. – disse la Vice Preside – Tra poco ci saranno le vacanze di Natale. Saprò gestire tutto per una manciata di giorni.
- E il negozio potrà restare chiuso. – sorrise William intuendo il pensiero di Clarice – Non lo avevi ancora aperto stabilmente, proprio per concentrarti sui preparativi delle nozze. Andate.
Severus e Clarice si presero per mano ed annuirono, troppo emozionati per parlare.
- I vostri effetti personali sono già nel resort magico che abbiamo prenotato. – sorrise felice Rose – Vi aspettano già questa sera. – baciò l’amica e il marito di lei, abbracciandolo brevemente – Danny starà da noi. Non sarà solo e starà bene. Ci saremo noi, i suoi nuovi amici e i cugini che lo adorano.
Clarice e Severus si guardarono per alcuni istanti negli occhi, poi l’uomo disse:
- Accettiamo la vostra generosa offerta. Grazie. – non appena finì di pronunciare quella frase, la passaporta tra le mani di Rose iniziò ad attivarsi.
- È ora di andare piccioncini. – ridacchiò la professoressa di storia della magia – Un ultimo abbraccio a Danny e poi via. La passaporta si riattiverà per tornare a casa.
Velocemente, Clarice abbracciò e baciò tutti seguita a ruota da un imbarazzato marito che si limitò a coccolare il figlio.

Il viaggio tramite passaporta fu veloce e fastidioso, come sempre, per la giovane strega che atterò in piedi solo grazie alla presenza del marito al proprio fianco.
I coniugi Piton, si guardarono intorno con gli occhi sgranati: quel posto era bellissimo, semplice e raffinato. In una sola parola: perfetto. Tenendosi per mano, raggiunsero la reception dove una strega messicana li stava aspettando con il sorriso sulle labbra.
Sbrigate le formalità di registrazione, un fattorino li accompagnò nella suite luna di miele e li lasciò soli augurando loro un buon soggiorno.
Clarice si guardò intorno esterrefatta, era tutto troppo bello per essere vero. Le sembrava di vivere dentro un sogno.
- Stai bene, amore? – le domandò Severus appoggiando le sue mani calde sulle sue spalle nude.
- Mai stata meglio, Sev. – sospirò appoggiandosi contro il torace del marito – Sono felice. Sono con te in un luogo da sogno. Adesso non dovremmo più nasconderci o fingere.
- Adesso potremmo vivere alla luce del sole il nostro amore. – le baciò il collo lui concludendo la sua frase.
- Sì amore… - ansimò lei chiudendo gli occhi.
- Bene… - ghignò contro la pelle sensibile della clavicola Severus – Prima ti sei presa cura di me, moglie mia. Adesso… Lascia che ti mostri come le mani di questo Pozionista siano in grado, non solo di dosare sapientemente gli ingredienti; ma, anche, di amare…
Il vestito di Clarice scivolò a terra, esponendo alla vista innamorata di Severus il suo corpo malcelato dalla biancheria sexy che aveva indossato.
L’uomo la prese in braccio e la condusse sul letto dove si amarono mai apparentemente sazi l’uno dell’altra fino al mattino successivo.

I giorni della Luna di Miele trascorsero tranquilli, costellati da incontri appassionati tra le lenzuola; escursioni nei luoghi indicati loro da Rose e lunghi bagni di sole e relax nella spiaggia privata del resort.
Era tutto perfetto: location, cibo, tempo; ma, come tutte le cose, anche la Luna di Miele giunse al termine e la mattina del loro rientro in Inghilterra, Severus notò qualcosa di strano in Clarice.
- Sei triste, cara? – le domandò.
- No. – scosse la testa – Non troppo. – rettificò – Sono stata benissimo qua con te. Però mi manca Danny.
- Ma sei triste.
- Sì, perché qui sei stato tutto per me. Ad Hogwarts dovrò dividerti con i tuoi impegni. – si scambiarono un bacio carico di passione, in quell’istante la passaporta si attivò, impedendo al Pozionista di replicare.
L’uomo tenne stretta contro il proprio petto la moglie, anche a lui dispiaceva lasciare quel luogo incantato dove aveva imparato molto sia sulle abitudini della donna sia sugli antichi popoli Messicani; dove aveva trovato erbe e radici da provare a coltivare con proprietà curative a lui sconosciute ma molto utili; ma era felice di poter tornare a casa, alla propria quotidianità. I piccoli riti a cui era abituato gli erano mancati ma era sicuro che presto la sua routine sarebbe stata ripristinata e migliorata dalla presenza di Daniel e di Clarice nella sua vita.
La strega, stringendosi al petto di Severus chiuse gli occhi, pensando con un pizzico di nostalgia alla vacanza appena finita; ma felice di poter tornare a casa da suo figlio e dal suo negozio ancora da finire di sistemare. Severus sarebbe stata una costante nella sua vita: non più sola adesso, l’uomo che aveva sempre amato era finalmente parte integrante della sua vita.

Entrambi, strinsero con forza la passaporta tra le dita considerando che sì, i giorni di relax erano terminati, ma che quel medaglione Maya li stava conducendo verso il primo di una lunga serie di giorni da vivere insieme; mano nella mano per affrontare tutte le prove che la vita (a tratti dispettosa e irriverente) aveva in serbo per loro.

 


Note dell’Autrice:

Non. Ci. Posso. Credere.

Sono arrivata, realmente, alla fine di questa storia. Sono felice e triste al contempo.
Felice, perché ho incanalato la mia fantasia in qualcosa che non solo ha reso felice me; ma che ha regalato a chi è passato a leggere piccole/grandi emozioni.

Triste perché… È sempre un po’ triste mettere il “flag” completata ad una storia che è stata la tua compagna di viaggio per un po’.

Vorrei ringraziare dal più profondo del mio cuore chi è passato semplicemente a leggere, chi mi ha dedicato un “minutosecondo” (cit. Lily e il Vagabondo) del suo tempo lasciandomi una recensione e chi ha inserito la fiction in una delle categorie.

Il mio grazie, soprattutto va a: aghy; Aloysia Piton; a_sun93; BorderCollie; LadyAlexiaCrowley; SereG; e Mark190000.

A Dreamsneverend; Rossella; Simona e Rose, vorrei dire:

“Un amico vero lo riconosci subito, ti fa scoppiare a ridere anche quando proprio non lo vuoi, se ti domanda come stai dissolve anche il più triste pensiero e, basta stare in sua compagnia per sentirsi speciali.
 Questo è un vero amico, colui che trasforma la tua vita, in una vita speciale!
 (Stephen Littleword)”

Grazie per esserci. Grazie per gli spunti, i consigli, i sorrisi e le risate di pancia che mi regalate.
Grazie per aver creduto in questa storia ed avermi aiutato a portarla avanti.

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