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di __roje
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 SECONDA PARTE ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 SECONDA PARTE ***


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Capitolo [1]

Il vento era forte quel giorno, mi scombinava tutti i capelli costringendomi a sistemarli continuamente in modo che la frangia non mi cadesse sugli occhi. Era sempre la stessa storia in quel periodo dell’anno, in primavera si alzava sempre uno strano vento, di solito freddo, ricordandomi che l’inverno non aveva ancora abbandonato la nostra città per lasciare posto all’estate.
Sebbene odiassi il freddo, quel venticello era piacevole, lasciai che quella brezza mi accarezzasse il viso, per assaporare a pieno quella forza invisibile chiusi occhi per gustarmi quel momento. Quando però riaprii gli occhi tornai all’amare realtà, guardai l’orologio sul telefono e mi affrettai perché ero in ritardo.
Da quando la scuola era ricominciata, era ripreso anche il mio odio verso quell’ambiente. Era già passato un mese dall’inizio del terzo anno e tra i miei compagni ormai senior c’era una misteriosa euforia che non mi spiegavo affatto. Per me era tutto come sempre: i soliti professori, le solite lezioni, le solite facce.
“Aki-chan!” fui catturato alle spalle da due grossa braccia robuste che riconobbi immediatamente.
Cercai immediatamente di liberarmi “Lasciami andare Yoshida!” e obbedì.
“In ritardo anche oggi?”
Lo scrutai seccato “Lo sei anche tu veramente.”
E dal nulla, alle sue spalle sbucò la piccola figura di Mina che con un sorriso gentile mi salutò con un cenno di mano, “Buongiorno Aki-kun. Abbiamo perso il treno delle otto perché Yoshida non si è svegliato.”
“Stai portando sulla cattiva strada anche questa povera ragazza...”
Yoshida ridacchiò “Ma quando mai! Che poi io le dicevo di correre ma è lenta come una lumaca.”
“Ma io non riesco a correre così tanto! Tu sei allenato.”
Quei due erano proprio una coppia strana ma piacevole da guardare, mai avrei scommesso che Yoshida sarebbe riuscito a tenersi stretto una ragazza, eppure era successo e Mina sembrava molto felice insieme a lui.
Tutti e tre ci avviammo verso l’ingresso varcandolo, proprio vicino alla scarpiera notai un altra faccia familiare che vedendoci sorrise venendoci incontro.
“Oh ma siete in ritardo anche voi!” Mayu ridacchiò nel dirlo. Mina abbracciò l’amica raccontandole l’accaduto in fretta, poi Mayu mi rivolse un occhiata e mi si avvicinò cauta “Sei pallido anche oggi, hai dormito male?” senza preavviso allungò la sua piccola mano per sfiorarmi. Immediatamente la fermai tenendole la mano lontano da me.
Sudai freddo, non riuscii a reggere il suo sguardo o quello di Yoshida e Mina che avevano assistito alla strana scena. Sentito il respiro farsi più faticoso in quel momento, non mi sentivo molto bene.
“Scusatemi...” dissi e scappai via dritto verso l’aula.
Una volta cominciate le lezioni mi lasciai cadere sul banco, rigido e assente. La scuola era ricominciata da un mese e tutti i miei quaderni era ancora immacolati, non mi ero nemmeno interessato su chi fossero i miei compagni. Sapevo solamente che Yoshida era seduto a due file da me, e nient’altro.
Ogni giorno mi ripetevo quanto tutto fosse cambiato in fretta. A come Mayu in pochi mesi fosse diventata sempre più presente nella mia quotidianità, sforzandosi di essere carina nei miei confronti, ma io proprio non ci riuscivo. Ogni volta che lei tentava di parlarmi io istintivamente scappavo via.
Arrivò presto l’ora di pranzo, e come al solito ci riunimmo noi tutti: Yoshida, Mina, Mayu e Oija nella sala pranzo per farci reciproca compagnia. Quei momenti avrebbero dovuto essere divertenti, piacevoli, eppure per quanto mi sforzassi di sorridere, sentivo che non provavo più interesse in nulla. Spesso incontravo le occhiate preoccupate di Yoshida, l’unico che ne conosceva il vero motivo.
Ero nel bagno per lavarmi le mani e nel guardarmi allo specchio vidi una persona che non riconoscevo più. Era passato solo un anno, anzi forse anche meno e il mio viso era diventato pallido e smunto. Avevo lasciato che i capelli mi crescessero un po’ e ora per comodità li portavo in modo che non mi cadessero sui occhi, spesso mi aiutavo con codici o frontini ma il più delle volte cercavo di spostarli di lato.
“Aki” improvvisamente entrò anche Yoshida.
Abbassai lo sguardo, mi affrettai ad asciugare le mani per andarmene “Scusami, ci ho messo più del dovuto” abbozzai un sorriso per svignarmela.
Yoshida mi bloccò per un braccio “Devi chiederle scusa. Non merita questo trattamento, sembra quasi che sia appestata dal modo in cui cerchi di evitarla.”
Sollevai le spalle “Lo so, mi dispiace...”
Il mio amico sospirò nel vedermi così mansueto “Accidenti Aki. Non possiamo andare avanti così. Tutti si sono accorti del tuo stato da ameba, non fai altro che annuire a tutto e sorridi in maniera palesemente finta. Capisco come ti senti e voglio starti vicino ma me lo rendi difficile se dopo quasi un anno sei ancora in questo stato.”
“Sono otto mesi.”
“Eh?”
“Sono otto mesi da quando Hayato è andato in America” sollevai lo sguardo per guardarlo dritto negli occhi, mostrai quello che era un sorriso amaro nel parlarne, “non chiedermi di sorridere o di far finta che non sia successo nulla. Il ragazzo che amo è partito e non tornerà mai più quindi ti prego lasciami in pace.”
“Aki!”
Non ascoltai più nulla e lasciai il bagno percorrendo il lungo corridoio. Ricordare tutto ciò faceva ancora così male, sembrava quasi successo ieri eppure erano già passati otto mesi da quella famosa mattinata. Hayato improvvisamente non si era più presentato a scuola dopo la nostra discussione, e di conseguenza, preso dalla preoccupazioni ero andato a chiedere informazioni alla madre e fu allora che mi fu messa davanti la verità: Hayato si era improvvisamente trasferito in America lasciando ogni cosa. Lasciando me.
Ricordavo ancora perfettamente lo sconforto di quei giorni, il vuoto che avevo provato e la disperazione nel voler a tutti i costi reperire possibili numeri telefonici del padre o mail, ma di tali informazioni non se ne sapeva nulla e il numero di giapponese di Hayato era già diventato inattivo. Era scomparso.
Chiudere la nostra relazione era stata la decisione più dura della mia vita, e non c’era giorno che non pensassi a lui, ma più passavano le settimane e più il suo viso diventava offuscato così come la memoria dei suoi baci, delle sue carezze e della sua voce. Volevo tenermi stretto quei momenti ma ogni giorno che passava mi portava via un po’ di quelle sensazioni. I mesi passati insieme stavano lentamente svanendo così come era svanito lui stesso dalla mia vita.
Avevo tentato in ogni modo di rintracciarlo, anche tramite social ma niente. Sembrava essere scomparso nel nulla, un giorno arrivai anche a credere di aver solo sognato, che era stato tutto frutto della mia immaginazione perché non c’era più traccia della sua esistenza. Nessuno a scuola ne parlava più, il solito corteo di ragazze era svanito, e in giro non si vedeva più quella sua insolita chioma bionda.
Senza accorgermene ero arrivato fuori dalla mia classe e quasi senza stupore, notai Mayu intenta a sbirciare al suo interno in cerca di qualcosa. Sapevo perfettamente cosa voleva così mi feci coraggio e le andai incontro, seccato e annoiato da tutto ciò.
“Ehi” dissi per attirare la sua attenzione, Mayu in tutta risposta sussultò e sulle sua guance comparve un rossore improvviso, “volevi qualcosa?” le domandai.
“Si, beh... cercavo te in verità. Mi dispiace per questa mattina.”
Notai il tremore che aveva, il modo frenetico che aveva di toccarsi una ciocca di capelli e il chiaro disagio che provava non riuscendo neppure a guardarmi in faccia.
“Mi dispiace, non avrei dovuto scacciarti in quel modo. Sono stato maleducato.”
Mayu sollevò lo sguardo per guardarmi meglio, sorpresa delle mie parole “N-non importa davvero. Beh, se è tutto chiarito credo che me ne tornerò in classe. Ci vediamo in giro” e si voltò con un sorriso per andarsene.
Yoshida aveva ragione. Tutti i sentimenti cupi che provavo erano solo frutto delle mie scelte e di un passato che non potevo cambiare più ormai. Erano passati otto mesi, presto quel tempo si sarebbe allungato portandomi via altri suoi frammenti. Per quanto ancora volevo restare aggrappato a quei brandelli di una vita ormai passata? Hayato non c’era più e io non potevo farci niente.
“Mayu senti!” esclamai per attirare la sua attenzione, la ragazza si voltò a guardarmi muovendo i suoi lunghi capelli nel farlo, “se domani se libera che ne dici di andare a fare una passeggiata?”
Mi fissò seria poi spalancò la bocca con euforia “Certo!” annuì contenta.
Non meritava che io riservassi il mio malumore su lei. Mayu si era dimostrata sempre gentile nei miei confronti, anche quando non lo meritavo affatto. Non capivo bene cosa lei provasse verso di me, il suo comportamento era molto ambiguo ma di questo non me ne preoccupavo. Nel mio cuore non ci sarebbe stato più posto per nessun altro e quel dolore che sentivo era irreversibile ormai.




Note autrice.
Ebbene sì. Sono tornata dal regno dei morti hahah scherzo. Ho avuto molto da fare e alzare le chiappe per mettermi al computer era troppo ma per fortuna oggi è stato diverso e devo anche ringraziare voi. Sì, soprattutto voi che leggete e amate Ikigai. Questa storia, così come Shikkari sono cresciute grazie al vostro affetto e vanno avanti perchè voi mi invogliate a scrivere ma soprattutto a postare quello che racconto. Quindi grazie e vi auguro una buona lettura :)
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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***




Capitolo [2]

Oramai il viso di Hayato era sempre più sfocato, e più cercavo di rammentarlo più sentivo che quei momenti mi venivano portati via dal tempo che trascorreva rapido e inesorabile.
Le settimane divennero presto altri mesi, e senza che me ne rendessi conto era quasi iniziata la stagione estiva. Tra un uscita e l’altra avevo tentato di riprendere dei ritmi normali, cercando in ogni modo di lasciarmi tutto alle spalle.
“Ecco a voi, ho preso due porzioni con la salsa teriyaki e una normale per te Aki” Mayu mi servì la mia con fare gentile. Fece così anche con Yoshida e Mina che se ne stava seduti l’uno accanto all’altro sulla panchina.
“Grazie” dissi afferrando la mia.
Mayu mi osservò attentamente mentre addentavo il mio pasto di quel sabato pomeriggio. No che avessi chissà quanta fame, o voglia di uscire ma di recente mi ero imposto di fare cose che normalmente avrei rifiutato. Dopo diversi tentativi da parte di Yoshida, mi ero fatto convincere e ormai sembrava diventato normale uscire tutti e quattro.
Da fuori potevamo sembrare due coppie, e forse lo credeva anche Mayu visto l'entusiasmo che mi dimostrava ogni volto che si andava in giro, ma dentro di me sapevo che una cosa del genere non sarebbe mai accaduta. Per lei non sentivo assolutamente nulla.
La ragazza si mise a sedere accanto a me e fece un respiro profondo mostrandomi un viso sereno di chi si stava godendo completamente quella giornata insieme.
“Oggi è proprio una bella giornata vero?”
“Sì, fa abbastanza caldo” osservai a mia volta.
“Molto presto inizieranno anche le vacanze estive. Dovremmo andarcene tutti e quattro da qualche parte, che dici? Magari al mare, o in montagna.”
“Rischio i corsi di recupero, non credo sarà possibile farlo.”
Mayu si rattristì di colpo, “Aki lascia che ti aiuti nello studio.”
“No, ma ti ringrazio dell’offerta.”
Osservai il vassoio vuoto che tenevo sulle gambe, colsi l’occasione per allontanarmi cinque minuti, dritto verso la pattumiera non lontano da dove eravamo noi.
Era tutto così difficile. Dovevo contenermi dal trattarla male, e contemporaneamente tenerla lontano da me. Mayu però era tenace, non demordeva e non capivo bene cos’è che volesse da me. Ero suo amico, eppure sembrava non bastarle mai nulla. Lentamente iniziavo a chiedermi cos’è che mi avesse così colpito di quella ragazza a suo tempo, per lei un tempo avevo discusso con Hayato.
Il lunedì seguente arrivai come al solito in ritardo a scuola e correndo velocemente per evitare la chiusura dei cancelli mi dimenticai di prestare attenzione a certi dettagli che quel giorno aleggiavano nell’aria.
Percorsi rapidamente il corridoio, senza notare che avevo ancora dieci minuti di vantaggio prima dell’inizio della lezione. Eppure mi affannavo per arrivare in tempo e quando mi avvicinai a quella che era mia classe trovai qualcosa di anormale: fuori dalla porta c’era un sacco di gente e per lo più ragazze.
Una scena del genere mi era familiare e il cuore ebbe un capitombolo, quella sensazione fu così familiare che mi avvicinai lentamente con la speranza che fosse ciò che credevo. Mi feci largo tra quella folla, chiesi per favore di poter passare e dopo un po’ di fatica riuscii a varcare la soglia della mia aula.
Nell’ingresso vi trovai Yoshida con una faccia pallida, mi guardò preoccupato cercando di fermarmi nel proseguire. Ebbi il terrore che fosse successo qualcosa di brutto ma osservando meglio la cosa notai che quasi tutti i miei compagni avevano circondato un unico banco dove sedeva un ragazzo nuovo che non avevo mai visto. Lo fissai più attentamente e sgranai gli occhi, l’incredulità della cosa e di quel momento furono tali da paralizzarmi. Per un momento pensai di avere davanti un fantasma o una qualche allucinazione ma non fu così e più guardavo, più mi rendevo conto che si trattava proprio di Hayato anche se era completamente diverso.
Al posto dei biondi capelli di una volta, ora c’era una macchia nera. Li aveva tinti tutti e di quell’oro di un tempo non vi era più traccia. Non sembrava nemmeno più lui a guardarlo meglio, sembrava un altro. Se ne stava seduto al suo posto circondato dai nostri compagni e ci scambiava chiacchiere e risate che un tempo non avrebbe fatto. Il burbero ragazzo di una volta sembrava scomparso del tutto. Il principe che un tempo se ne stava lontano da tutti e tutto aveva lasciato posto ad un suo alter ego completamente diverso.
I capelli neri facevano risaltare i suoi occhi blu, che erano rimasti di stessi ma che emanavano una luce completamente diversa. La pelle era ancora bianca come la porcellana e ogni dettaglio del viso era come sempre perfetto, dovevo ammettere che anche scuro non aveva certo perso il suo fascino. Era sempre lui.
Il cuore mi si riempì di diverse emozioni contrastanti, da una parte volevo corrergli incontro e stringerlo a me, dall’altra volevo scappare prima di soffrire ancora. Era tornato e questo significava ulteriore sofferenza.
Ad un certo punto sembrò accorgersi della mia presenza, mi rivolse un occhiata e tutto parve fermarsi. C’eravamo solamente noi due, uno di fronte all’altro e quel momento sembrò come un sogno. Il cuore mi batteva forse nel petto, quegli occhi erano nuovamente rivolti verso di me in un espressione enigmatica ma dopo pochi secondi Hayato sfoderò un sorriso e mi salutò con un cenno di mano per poi tornare a rivolgere la sua piena attenzioni verso i compagni ancora incollati al suo banco.
Tutto era accaduto in pochi secondi eppure per me era sembrato un tempo lunghissimo. Hayato mi aveva rivolto un sorriso, un saluto ma non avevo sentito lo stesso calore di un tempo. Era chiaro che ormai per lui non ero altro che un comunissimo compagno di classe come tutti gli altri, aveva rimosso ogni cosa di me.
Yoshida aveva osservato tutta la scena e quasi immediatamente mi tirò via di lì portandomi fuori dall’aula. Lo fece per non so quale motivo ma lo apprezzai, mi portò in infermeria con la scusa di un calo di pressione improvviso e una volta avuto il permesso dell’infermiera, mi fece sedere su uno dei lettini.
“Stai bene?” mi scrollò per le spalle preoccupato.
“Non sono malato Yoshida, smettila di fare così” mi liberai dalla sua presa.
Yoshida cominciò a camminare avanti e indietro.
“Non ci posso credere... è tornato. Nessuno se lo aspettava, tutti sono rimasti così colpiti che la notizia ha fatto presto il giro della scuola e immediatamente ci siamo ritrovati a vivere il caos dell’anno scorso.”
“Ha i capelli neri...” commentai senza prestare attenzione a ciò che stava dicendo. Sollevai il viso per guardarlo mostrando un velo di tristezza che tentavo di tenere celato.
“Si ho visto anch’io, sembra completamente diverso da prima.”
“Sono stato io a ridurlo così.. è colpa mia se ora ha i capelli neri?”
Yoshida mi afferrò con forza per le spalle e mi si avvicinò improvvisamente guardandomi in maniera severa, “Non è colpa tua. Non devi addossarti la colpa di tutte le cazzate che fa quel ragazzo, ormai questa storia appartiene al passato!”
“Sono un disastro Yoshida. Non riesco a farne una giusta e non faccio altro che fare del male a tutti quelli che mi circondano. Per colpa mia anche tu devi sorbirti tutto questo... mi dispiace davvero!”
Accadde velocemente, fui colpito in pieno viso da uno schiaffo non troppo forte ma capace di zittirmi. Davanti mi trovai Yoshida, completamente diverso da prima, adirato nei miei confronti ma con gli occhi lucidi di chi voleva trattenere le lacrime. Lo guardai basito per quel gesto.
“Sei uno stupido!” mi gridò contro con rabbia, “Credi che io lo faccia perché sono costretto dalla nostra amicizia? Credi sul serio che tutti pensino a te come ad una sciagura nella loro vita? Se parli in questo modo non fai altro che ferirci tutti: io, Mayu, Mina e anche Hayato. Tentiamo di starti accanto ma tu scappi sempre via, come sei scappato quel giorno di quasi un anno fa lasciando l’unica persona che ti abbia mai amato davvero. Sei stato uno sciocco anche allora!”
Non avevo mai visto Yoshida versare delle lacrime, quella fu la prima volta. Mai avrei creduto che un tale ragazzone, così frivolo e possente potesse sciogliersi in quel modo davanti ad un amico. Mi dimostrò ancora una volta il bene che provava nei miei confronti.
Aveva ragione non facevo che scappare via da tutto. Un tempo mi ero incolpato di un qualcosa che nemmeno ero certo, aveva gettato tutto all’aria e rinnegato i miei sentimenti per un senso di colpa che magari nemmeno aveva ragione di esistere. Se anche ero stato io la ragione del suo infortunio, Hayato non me ne aveva mai addossato la colpa. Avevo fatto tutto da solo come uno sciocco.
La giornata trascorse molto velocemente, quasi come un soffio di vento e senza rendermene conto erano terminate tutte le lezioni. Mi resi conto di aver trascorso quasi la maggior parte del tempo a guardare Hayato da lontano. Era rimasto lo stesso genio di prima anche se tutto del suo aspetto era diverso e in lui non brillava più quella luce di principe.
Al suono della campanella lo avevo visto raccogliere le sue cose, gli si erano avvicinati alcuni compagni (tra cui anche maschi stranamente), gli avevano chiesto qualcosa ma Hayato aveva scosso la testa chiedendo scusa con un sorriso e si era divincolato dalle loro richieste. Mi chiedevo quand’è che anch’io avrei potuto rivolgergli la parola, o meglio se potevo avere il permesso di farlo dopo tutto quello che era successo.
Raccolsi tutto il mio coraggio e corsi fuori dalla classe munito della mia borsa, mi piazzai nel corridoio e con una buona dose d’aria chiamai il suo nome.
“Hayato!” era così strano pronunciare nuovamente quel nome. Il suo suono era dolce come sempre.
Hayato mi camminava davanti e sentì chiaramente la mia voce. Potevo osservare l’attaccatura dei suoi capelli, era rimasta la stessa così come le sue spalle erano come sempre larghe e perfette.
Nel sentirmi si voltò a guardarmi ma non mostrò stupore nel trovarmi lì, “Mi hai chiamato?” domandò.
Non sapevo più che dire, visto che nemmeno mi aspettavo che mi rispondesse con tanta facilità. Distolsi lo sguardo cercando un nuovo punto da osservare. Che cosa dovevo fare?
“E-ecco i-io...”
Hayato sorrise “Perdonami ma sono in ritardo per un impegno, ci vediamo domani.” Si girò e mi diede le spalle nuovamente camminando per andare via.
Non mi aveva nemmeno dato il tempo di parlare, non si era fermato nemmeno ad ascoltare cosa avessi da dire. Mi aveva trattato come i compagni di prima. Era come se neppure sapesse chi ero, tutto ciò fece più male che mai e non riuscivo a credere che si fosse arrivati a quel punto. Era tutta colpa mia se ora Hayato nemmeno mi mostrava interesse, mi ero giocato il suo amore definitivamente.


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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***




Capitolo [3]

Il ritorno di Hayato era diventato l’argomento principale di tutti i giorni. Ogni ragazzo e ragazza non faceva che parlarne, e da quando si era ripresentato con i capelli neri, le ragazze non avevano fatto a meno di notare quanto fosse ancora più sexy di prima.
Il corteo di ragazze aveva ripreso a seguirlo ovunque, ma a differenza di prima, Hayato nemmeno se le filava e non aveva più fatto finta di trovarlo piacevole. Anzi, le ignorava e aveva invece cominciato a fare amicizia con molte più persone, erano infatti molti i compagni di classe che gli davano a parlare e trovavano piacevole la sua compagnia. Era davvero cambiato.
Iku se ne stava seduto davanti a me mangiando il suo bento disse: “Da quanto ho sentito è stato negli Stati Uniti in questi mesi, ha frequentato una scuola li per terminare il secondo anno ma poi per motivi suoi è voluto tornare” ci raccontò ciò che aveva sentito.
Noi presenti, ascoltammo ogni cosa con attenzione. Yoshida si lasciò cadere contro la sedia e sbuffò, “Non ne posso più. Sembra un deja vù, non si fa che parlare di Hayato da una settimane.”
Mina rise “Sei geloso?”
“Per nulla!” Yoshida le fece broncio.
Iku lasciando perdere il loro battibecco si rivolse a me “Tu ci hai già parlato Aki? Eravate amici no?”
“No, non ne ho avuto occasione in verità.”
“Ah no? Credevo foste in contatto anche mentre lui era in America.”
Scossi la testa, “No, non ci parlo da un anno ormai.”
Fu allora che apparì dal nulla Mayu con una busta tra le mani, prese posto proprio accanto a me e come sempre mostrò a noi tutti il suo sorrisone e le sue guance sempre rosse. “Scusate il ritardo ma c’era molta fila vicino alla caffetteria” si giustificò, “ma ho preso un budino per tutti!”
“Sei una grande!” la venerò Yoshida afferrando il suo.
Mayu mi gettò un occhiata “Questo alla vaniglia è per te Aki.”
“Grazie ma passo, ho mangiato troppo” e feci per andarmene prima in classe.
In quei giorni non avevano fatto che girare voci su di lui, ognuna delle quali erano sembrate vere. Mi erano arrivate alle orecchie anche voci riguardo una presunta relazione avuta in quei mesi, e sentire una cosa del genere mi aveva ferito moltissimo ma cosa potevo farci? Non stavamo più insieme, e forse aveva trovato la felicità in qualcun altro. Lo meritava, era un bravo ragazzo e dovevo essere felice per lui.
Ma io lo amo.
Eppure dentro di me non potevo fare a meno di provare un sentimento egoistico, volevo ancora che guardasse solamente me come aveva fatto un tempo. Se chiudevo gli occhi mi tornavano ancora alla mente le sue dolci parole, i suoi baci e tutti i momenti trascorsi insieme. Momenti che sembravano essere frutto di un sogno ormai lontano.
Andai in bagno a darmi un rinfrescata e mi gettai una buona quantità di acqua in faccia. Mi guardai allo specchio maledicendomi per come ero e ciò che avevo fatto. Disprezzavo me stesso per la mia incapacità di andare oltre e di vivere normalmente la mia vita scolastica. Quei tre anni si erano rilevati l’inferno, non li avrei rimpianti anzi non aspettavo altro che la fine di tutto per potermi lasciare tutto alle spalle.
Il peggio arrivò quando al ritorno da scuola, giorno dopo giorno, non facevo che incrociare Hayato sulla via di ritorno. Lo trovavo sempre fuori dal suo cancello, e nel vedermi mi salutava con un cenno e un sorriso. Tutto così finto, tutto così vuoto. E questo era quasi tutti i giorni. Più cercavo di non incrociarlo e più non potevo fare a meno di guardarlo in classe, era assurdo che fosse riuscito ad andare avanti in quel modo. Il ragazzo che un tempo avrebbe urlato il suo amore per me era svanito, e per lui ero invisibile. Mi aveva ormai catalogato come una delle tante facce che avrebbe visto a scuola.
Era trascorso un mese dal ritorno di Hayato, e oramai si era circondato di persone che potevano chiamarsi suoi amici.
Non avevo mai creduto possibile che potesse essere così socievole, o magari faceva finta o era sul serio cambiato in qualche strano modo. Forse l’America gli aveva fatto bene.
Arrivò presto il giorno della visita medica e tutti noi venimmo convocati in palestra per pesarci. Era una seccatura, feci un respiro profondo e andai insieme a tutti i miei compagni verso lo spogliatoio per lasciare i vestiti li prima del controllo.
“Spero che l’infermiera dica che sono perfetto!” esclamò Yoshida guardandosi allo specchio. Cominciò a contrarre i muscoli del braccio per mostrarci la sua prestanza fisica.
“Ti dirà solamente che sei un pallone gonfiato” lo derise Oija togliendosi la maglietta, “vero Aki?”
“Eh? Ah si.”
Yoshida mi si avvicinò “Che fai non ti togli la maglietta? Mostraci i tuoi muscoli su!” e cominciò a tirarmi via i vestiti facendomi il solletico sui lati. Cercai di scappare via da quella presa.
“Lasciami Yoshida! Smettila!” cominciai a ridere per il solletico.
“Oija bloccalo non riesco a toglierla!” rise mentre cercava l’aiuto dell’altro e quest’ultimo si prestò allo scherzo tenendomi le braccia più che poteva, senza però stringere troppo. Erano due idioti.
“Piantatela davvero!” urlavo mentre ridevo.
Di colpo sentimmo il tonfo pesante di una porta che si chiudeva. Oija e Yoshida si fermarono colpiti da quel rumore, e subito dopo da dietro gli armadietti comparve Hayato a petto nudo, l’ampio torace in vista e i folti capelli neri che gli davano un aria così tenebrosa e sensuale.
Ci fissò con un espressione glaciale, e un brivido di freddo mi investì così come anche i miei amici.
Hayato si rivolse in particolare verso Yoshida con lo sguardo di chi voleva iniziare a fare a pugni, “L’insegnante ti sta cercando, è il tuo turno.”
Tutta la tensione di prima svanì di colpo quando Hayato mostrò un sorriso e lo sguardo di prima svanì di colpo. Ci sentimmo tutti molto meglio e Yoshida parve dimenticare subito l’accaduto andando fuori dallo spogliatoio seguito da Oija che era il primo dopo di lui.
Diversamente da loro io non potevo fare a meno di pensare che per un momento mi era sembrato di vedere il vecchio Hayato, quello che non faceva altro che guardare male il prossimo. Era stata un impressione forse.
Senza accorgermene eravamo rimasti da soli nello spogliatoio, mi voltai a guardarlo di nascosto e lo vidi intento a rimettersi la divisa addosso. Era ancora così bello, anzi forse più di prima. Volevo toccarlo, stringerlo a me, ma non potevo più farlo ormai e quel pensiero mi rese molto triste.
Fu in quel momento che Hayato si voltò anche lui cogliendomi di sorpresa, istintivamente tornai a fissare davanti a me l’armadietto, tenendo la testa bassa. Aveva capito che lo stavo fissando.
“Puoi smettere di fissarmi?”
Sussultai per quella domanda, allora raccolsi coraggio per voltarmi a guardarlo. Lo trovai rivolto verso di me, serio in volto che mi scrutava con attenzione.
“Non ti stavo fissando...”
Hayato sospirò, “Vengo fissato ogni dannato giorno qui, so riconoscere quando qualcuno lo fa. Se vuoi parlarmi fallo, ma smettila di fissarmi.”
“M-mi dispiace...”
Si voltò per indossare la camicia che cominciò ad abbottonare “Sono tornato da un mese e non c’è stato giorno in cui tu non mi abbia fissato. E’ snervante sai.” Se ne era accorto. “Quel giorno volevi dirmi qualcosa, ma sono dovuto scappare via. Cos’è che volevi?” si voltò di nuovo verso di me aspettando una risposta.
Alludeva chiaramente a quel giorno nel corridoio. “I-io volevo semplicemente... e-ecco...” le parole mi morirono in gola, così come era svanito tutto il coraggio di quel giorno. Non ricordavo neppure più cos’è che volevo dirgli.
“Va tutto bene adesso” disse di colpo e lo fissai stupito, “sono passati mesi da allora, all’inizio è stata dura. Devo ammettere però che se sono andato in America è stato principalmente per me stesso, e per la mia salute mentale ma adesso se sono tornato è perché sono capace di parlarti senza alcun problema. Possiamo essere amici se anche tu lo vuoi, frequentarci come compagni di classe e studiare insieme. Possiamo avere un rapporto normale, così come doveva essere anche allora.” Hayato stava sul serio dicendo quelle cose. La stessa persona che un tempo aveva dichiarato di amarmi. Tutto il suo amore si era consumato e ora mi chiedeva di essere suo amico? “E’ difficile per te vedermi come un amico?” mi domandò.
“Credo di no...”
“Perfetto allora se vuoi dirmi qualcosa fallo senza problemi e senza imbarazzo” mi sorrise, chiuse l’armadietto alle sue spalle, raccolse le sue cose per andare via, “ci vediamo in classe Aki.”
Erano mesi che non gli sentivo pronunciare il mio nome, udire di nuovo la sua dolce voce dirlo mi fece venire un colpo. Hayato era tornato ma non era più lo stesso, improvvisamente sognai di poter tornare indietro, di potermi stringere nelle braccia della persona che avevo amato così tanto. Adesso al suo posto c’era una persona che non riconoscevo più, che non mi trattava più male ma con un assurda gentilezza che sapeva di finzione. Il mio Hayato era definitivamente scomparso.
Da quel momento in poi le cose sarebbero andate avanti così, facendo finta di essere amici. Aveva anche detto che era così che sarebbe dovuta andare, che il nostro amore era stato sbagliato fin dall’inizio e forse era vero. Se fossimo rimasti semplici amici dall’inizio tutto quel disastro non sarebbe mai accaduto.
Era colpa di entrambi. Avevamo preteso troppo, cercato una felicità che non era destinata ad esserci e ognuno di noi aveva avuto le proprie colpe. Ci eravamo fatti del male a vicenda e ora tutto era finito senza lasciare traccia se non delle ferite che ancora cercavo di curare.


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***




Capitolo [4]

Era un normalissimo venerdì pomeriggio. Uno dei tanti che si sarebbero susseguiti in quel periodo autunnale. Tuttavia quel giorno qualcuno aveva deciso di trasformarci in schiavi, costringendoci a spostare tavoli enormi, a montare festoni e luci. Tutto ciò per un compleanno molto speciale.
Si sentì il rumore dell’ennesima lampadina che si rompeva sotto il tocco poco delicato di Yoshida.Sapevamo tutti che questo avrebbe significato caos.
“Maledizione Yoshida! Che dici qualcuna resterà viva per la festa?” tuonò Saori che dirigeva l’operazione.
Quella sera avremmo festeggiato il suo compleanno e per l’occasioni i genitori le avevano concesso lo spazio del dojo per invitare un po’ di amici. Una cosa intima insomma, ma Saori stava realizzando le cose in grande. Aveva pagato un dj, aveva comprato alcolici e piazzato luci ovunque per fare atmosfera.
“Il sindaco l’hai invitato?” osservò Oija guardando la quantità di cibo che c’era sul tavolo.
Saori sistemò un vassoio, “Spiritoso, ora porta questo sul retro. Non voglio che gli ospiti vedano scatoloni in giro” e gli indicò cosa raccogliere a mo’ di ordine.
Oija sbuffò e si chinò per raccoglierlo. Andò a posarlo passando accanto a Yoshida, che in piedi su una scala, tentava di mettere in funzioni le luci. Guardò l’amico passare con lo scatolone tra le mani. “Sei sempre in tempo per scappare. Trovatene un’altra” gli suggerì ironicamente ma con un po’ di verità. Oija rise e andò sul retro.
Nel frattempo io stavo sistemando le varie cibarie sul tavolo, lo stavo facendo meticolosamente per non essere ripreso e osservai che c’erano molte cose buone.
Ero felice quel giorno, contento di quella festa. Era l’ideale per distrarsi un po’, e poi c’erano parecchi dei miei amici quindi non mi sarei sicuramente annoiato.
Senza accorgermene si era avvicinata proprio Saori, nel vedermi mi sorrise “Allora, cosa indosserai questa sera?” domandò e assaggiò un pasticcino dai vassoi.
“Non saprei. Jeans e maglietta?”
“Cavolo Aki, ma vuoi restare solo a vita? Capisco che non sembri minimamente interessato al sesso opposto ma almeno provaci.”
Abbassai la testa. Anche se indossavo qualcosa di carino nulla avrebbe cambiato il fatto che ero un vero disastro.
“Non fa alcuna differenza quello che indosso, credimi” dissi con un sorriso forzato.
“Perché ti fai del male da solo? Sei un bel ragazzo, hai degli occhi molto particolari e se ogni tanto ti pettinassi i capelli si vedrebbe il bel viso che hai” si avvicinò e mi spostò con una mano la frangia, “devi avere più autostima, non sei da buttare come credi.”
Feci spallucce “Chissà. Qui ho finito, che altro posso fare?”
Saori sospirò capendo che avevo volontariamente cambiato discorso e mi diede un altro compito da svolgere. Così facendo mi ero divincolato da quella conversazione. Non avevo alcun motivo per vestirmi bene, nè per me stesso, nè per chiunque altro. A quella festa non ci sarebbe stato nessuno di così speciale con me.
Arrivò molto presto la sera e gli invitati iniziarono ad arrivare in gruppi. Il dojo era irriconoscibile, pieno di lui e la musica era alta. Erano stati spostati tutti gli attrezzi, il campo era stato svuotato per creare una pista da ballo, mentre il giardino era stato riempito di luci che simulavano un cielo pieno di stelle cadendo sulle teste delle persone. Sempre li era stato collocato il buffet e il piccolo chiosco per le bibite.
“Wow questa Saori ha fatto le cose in grande!” commentò Mina stupita della bellezza del posto.
Yoshida si reggeva a fatica in piedi, era chiaramente stanco, “Già.. è ovvio che sia bello dopo averci fatto sgobbare come muli per tre giorni di seguito!” rispose adirato.
“Abbiamo fatto un ottimo lavoro però” intervenni per calmarlo “Saori è felice almeno.”
Dal piccolo chiosco tornò anche Mayu portandomi un drink a caso. Ovviamente era stata invitata anche lei visto che tutti pensavano che fosse la mia ragazza, ma non lo era affatto. L’unica a non pensarlo era proprio Saori, non aveva mai giudicato male il nostro rapporto ma non aveva mai fatto domande al riguardo. Neppure sul fatto che io e Hayato non ci parlassimo più, chissà perché.
“Questo drink è davvero buonissimo” osservò Mayu.
Quella sera indossava un vestitino che scendeva più vaporoso dalla vita in giù mentre più stretto su petto. Era tutto di vellutino blu, e aveva lasciato i capelli sciolti, cosicché le morbide onde ramate le scendessero lungo le spalle. Portava anche un velo di trucco, ma nulla di esagerato. Era molto carina, dovevo ammetterlo.
Se ne stava accanto a me e ogni tanto si sistemava i capelli dietro l’orecchio tenendo lo sguardo basso. Sorseggiava il suo drink e ogni tanto mi guardava di sfuggita.
“Allora chi è questa tua amica che festeggia?” mi domandò ancora.
“Ora te la presento.”
Dalla folla vidi in lontananza Saori che parlava con qualcuno così con la scusa di interrompere quell’imbarazzante momento la portai con me verso di lei. Lo feci senza neppure rifletterci, e senza guardare bene con chi stesse parlando. Quando mi fui avvicinato abbastanza era ormai troppo tardi, e mi ritrovai davanti proprio Hayato con in mano un drink e con lui c’era Kuro entrambi vestito di nero.
Saori mi vide “Ah Aki sei qui!” esclamò facendo ricadere l’attenzione su di me. Hayato allora si voltò a guardarmi, i suoi occhi blu mi fissarono e fu allora che mi resi di cosa stavo facendo e immediatamente lasciai andare il braccio di Mayu spingendolo via, lasciando perplessa quest’ultima che non capì nulla.
Hayato sorrise “Oh sei venuto anche tu” disse semplicemente.
Kuro dal canto suo, il quale portava anche lui i capelli neri da ormai tanto tempo, se ne stava immobile e mi scrutava serio senza dire una parola.
Mayu si avvicinò a Saori con un sorriso stampato in faccia “Tu devi essere Saori vero? Ti faccio i miei auguri.”
“Oh grazie... e tu sei?”
“Sono Mayu Shinohara.”
Saori non seppe che fare e le rispose con un sorriso “E’ una tua amica Aki?”
Ero assente in quel momento. Non facevo che fare. Ma Hayato nel trovarsi davanti Mayu non fece assolutamente nulla, anzi tornò a parlare con Kuro e lo vidi anche ridacchiare per qualcosa che l’altro aveva detto. Da quando erano di nuovo così amici? Stanno insieme? Fu la domanda che mi balenò per la testa in quel momento. Tutto ciò non fece che scavare ancora una volta una voragine dentro di me e stranamente tutto intorno a me aveva perso di significato, non sentivo più nulla. Davanti agli occhi non avevo altri che un Hayato diverso da prima, dai folti capelli neri, che rivolgeva la sua attenzione ad un altra persona che non ero io.
“Aki!” la voce di Mayu mi riportò alla realtà. La guardai intontito, “Va tutto bene? Sei pallido.”
Ridacchiai “Certo, io sono sempre di questo colorito. Beh, noi ora andiamo ci vediamo in giro” mi rivolsi a Saori, ma anche agli altri due che ci fissarono andare via. Volevo allontanarmi il prima possibile, non volevo pi incontrarli ma ciò sarebbe stato difficile in un luogo così piccolo.
Una volta lontani abbastanza Mayu mi osservò e diede un occhiata alle sue spalle. “Incredibile. Quello è davvero Hayato Maeda? E’ completamente diverso da prima.”
“Già...”
“Cerchiamo gli altri che dici? Ho voglia di ballare un po’” mi afferrò la mano per trascinarmi con se. Ma subito la lasciai andare. Mayu ci restò male e mi guardò cupa, “Non ti va?”
“Ho bisogno del bagno adesso. Cerca gli altri, ti raggiungo li.”
Mayu non obiettò e mi lasciò andare, o meglio fui io a lasciarla da sola.
Iniziai a girare a vuoto in cerca di un posto tranquillo dove poter restare un po’ da solo perché sentivo di aver bisogno d’aria. Altro che festa divertente. Si stava rivelando un incubo, e lo sarebbe stato ogni qual volta avrei beccato Hayato. Eppure tutto mi aspettavo ma non di trovarlo li con Kuro. Stavano insieme ora? Alla fine Hayato aveva capito che lui era l’unico che poteva renderlo felice?
Distante dall'area della festa, c’era un piccolo stagno con delle carpe. Mi rifugiai li sebbene quel luogo fosse un covo di ricordi. Rammentavo delle giornate passate a dare da mangiare ai pesci mentre Hayato si cambiava per fare judo. Ricordavo dei pomeriggi passati in quella struttura solo perché volevo stare insieme a lui.
Tutto si era consumato troppo in fretta e quei momenti erano svaniti nel nulla. Senza rendermene conto avevo versato una lacrima e gli occhi mi erano diventati lucidi, subito li strofinai per darmi una calmata. Presto sarei dovuto tornare indietro eppure non volevo. Restare li significava poter varcare le porte dei ricordi, e abbracciare ancora una volta Hayato.
Nelle acque dello stagno vedevo il suo volto, i suoi biondi capelli e tutto l’amore che mi aveva sempre dimostrato ma che io non avevo mai colto finché non lo avevo lasciato andare.
Decisi dopo un a mezz’ora di tornare indietro, feci un lungo sospiro e mi diedi la forza di affrontare ciò che avrei visto alla festa. Non importava se Hayato stava con Kuro, dovevo dimenticarlo e forse aveva ragione Saori, dovevo cercarmi qualcuno anch’io.
“Un fiorellino come te non dovrebbe bere così tanto non credi?”
C’era però qualcun altro lì, oltre me? Me ne stupii ma tanto male, era il momento giusto per tornare indietro dagli altri e fingere di divertirmi un po’. Magari se buttavo giù un po’ di alcool mi sarei divertito davvero.
“Indossi delle mutandine colorate sotto questa gonna eh? Dimmi.”
“Ti prego smettila! Sono qui per cercare un mio amico!”
Quella voce fu familiare, fin troppo, al punto che preso da una brutta sensazione andai nella direzione da cui proveniva e una volta girato l’angolo, alle spalle del grosso dojo e lontano dalle altre persone c’era Mayu intimidita da un ragazzo più grande che, completamente ubriaco, stava cercando di alzarle la gonna.
“Prima indossate certa roba e poi fate le trattenute. Ipocrite!” continuò a gridarle contro cose a caso.
Vendendola in difficoltà, e così spaventata sotto le parole orribili di quell’individuo non potei fare altro che intervenire.
“Ehi lasciala stare!” gridai per interrompere la cosa.
Il ragazzo ubriaco si voltò a guardarmi, barcollò un po’ nel farlo e mi fissò con un grosso punto di domanda dipinto in faccia. “E tu chi cazzo sei?”
Mayu sorrise contenta di vedermi “Aki!” squittì stringendosi nelle braccia.
“Dacci un taglio amico, sei troppo ubriaco per capire qualcosa è meglio se torni a casa. Vieni Mayu torniamo dagli altri” allungai la mano per invitarla a muoversi e subito corse verso di me catapultandosi tra le mie braccia. La spostai, lei mi sorrise. Era tutto finito e ne ero felice.
“Non è giusto... quella ragazza era mia... e tuuuu te la sei presa...” continuò a borbottare il tipo.
Non vi diedi peso ma feci male, senza preavviso e ancora sotto l’effetto di alcool mi si catapultò addosso e cercando di colpirmi mi diede un pugno molto debole che però mi prese il labbro e questo lo sentii spaccarsi. Mayu vedendo ciò e vedendomi barcollare per il colpo gridò con tutta la voce che aveva.
L’individuo scrollò la mano dolorante per il colpo e continuò a buttare giù altra birra.
“Aki stai bene? Aki ti ha fatto male?” cercò di soccorrermi.
Ero in ginocchio e mi asciugai la bocca notando del sangue. Ero furioso, e lo ero già per fatti miei e non ero certo venuto li per prenderle da un tipo del genere. Era solo un verme così preso dalla rabbia che avevo dentro ignorai Mayu spingendola via, e mi scagliai contro quel tipo mandandolo a terra. Lo sovrastai assestando due pugni ma poi chissà come questo rispose allo stesso modo e cominciai ad incassare anche io. Colpo dopo colpo sentivo la testa girarmi così come l’adrenalina di prima si era esaurita.
Il tipo invece non sembrava neppure stanco e i miei colpi non lo avevano neppure fatto sanguinare un po’. Mi accasciai a terra, seduto e stanco per le botte. Mi venne da ridere che da uomo non ero neppure capace di difendere me stesso o una ragazza. Ero una schiappa, ero un fallimento in tutto. Avevo perso ogni cosa che contava. Hayato non era più mio e gli avevo fatto del male.
Senza accorgermene il mio avversario era furioso, più di prima e si stava rialzando ma nel farlo raccolse la bottiglia rotta della sua birra. Voleva chiaramente usarla ma non lo vedevo come un nemico, semplicemente non era in se. L’alcool può avere un brutto effetto sulla gente e chissà su di me cosa poteva creare. Chi ero io per dire che lui era il cattivo e io il buono, semplicemente eravamo due persone normalissime che si erano trovate li nel momento sbagliato.
“Ora ti uccido bassssardo!” bofonchiò da ubriaco.
Sorrisi ancora nel sentire il modo assurdo che usava per parlare. Mayu era sparita, forse era scappata e aveva fatto bene. Una persona intelligente avrebbe fatto così ma io ero un maledetto stupido, e lo ero stato dall’inizio rinnegando ciò che avevo sempre sentito.
Chiusi gli occhi, aspettando che quel ragazzo mi colpisse, e nella mia testa non riuscivo a pensare a nient'altro. C'era solo Hayato.



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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***




Capitolo [5]

Sentivo un gran vociare nelle orecchie. Possibile che non si potesse mai stare in pace? La cosa mi irritò non poco e senza accorgermene tutto quel frastuono mi riportò alla realtà.
Mi resi conto di aver dormito e ancora intontito cercai di distinguere un po’ ciò che mi circondava.
“Ti rendi conto che potremmo andare tutti in galera? Hai offerto alcolici a dei minorenni e uno di questi ha cercato di spaccargli la testa!”
Chi è che stava gridando così, mi domandai nel sentire quella voce così familiare. Mi resi conto dopo un po’ che era la voce di Yoshida, che furioso stava inveendo contro Saori.
“Non credevo che potesse succedere una cosa del genere! Chiamiamo l’ambulanza adesso.”
Le fermò la mano Oija “Non è ferito gravemente ma solo stordito per le botte.”
C’era però nel frattempo qualcun altro che mi stava accanto e cercava di passarmi qualcosa sulla guancia. Faceva male, bruciava ma dopo un po’ provavo sollievo: era il ghiaccio. Ero seriamente stordito da non capire cosa era successo e dove ero finito.
Quel tipo non mi aveva ammazzato allora.
“Come va Aki?” era Mina che premurosamente mi stava passando del ghiaccio sugli zigomi.
“Mayu...” borbottai.
“Sta bene, è solo scossa.”
Mi sentii più rilassato improvvisamente. Almeno fare quella bravata era servita qualcosa e potevo sentirmi in pace nel dire che avevo impedito a quel ragazzo di importunarla.
“Dov’è Hayato? Dove ha portato quel figlio di puttana?!” gridò ancora Yoshida furioso.
“Se ne stanno occupando lui e Kuro. Quel ragazzo è un mio amico e non è una cattiva persona. Era solo ubriaco e ha perso il lume della ragione.”
“Stronzate Saori! Quel bastardo poteva ucciderlo, aveva una bottiglia rotta in mano! Se non fosse stato per Mayu saremmo arrivati tardi e ora non parleresti così.”
Continuavo ad ascoltare cose che non sapevo.
“Ora basta!” intervenne la voce di Oija, “Se dovete discutere andate fuori! Non importa di chi è la colpa. Non possiamo denunciarlo perché altrimenti la colpa sarebbe nostra, noi abbiamo offerto quelle bibite e se non lo avessimo fatto tutto questo non sarebbe accaduto. Quindi adesso è inutile gridare e darci addosso, Aki sta bene ha solo dei tagli sullo zigomo e sul labbro mentre l’altro ha bisogno di andare a casa.”
Tutti parvero calmarsi dopo le sue parole ma Yoshida ancora furioso, uscì dallo spogliatoio sbattendo la porta dietro di se.
“E’ ancora furioso” osservò Saori.
“Gli passerà. Vuole molto bene ad Aki, come un fratello quasi e non accetta il fatto di non essere stato li per aiutarlo” aggiunse Mina.
Tenevo gli occhi chiusi ascoltando ogni singola parola. Yoshida era un buon amico e capivo la sua rabbia, anch’io avrei reagito allo stesso modo se qualcuno gli avesse fatto del male. Potevo capire come si sentiva.
“Ma quindi chi li ha fermati? Mayu non è venuta a chiamare voi?” domandò Oija con tono confuso.
“Non lo so sinceramente, ma Yoshida era con me e lo abbiamo saputo dopo mentre Aki veniva portato qui.”
Una mezz’ora dopo ero di nuovo vigile e mi tenevo del ghiaccio sulla guancia. Sentivo la faccia gonfia e il labbro inferiore mi faceva molto male. Non credevo di essere conciato così male. Nel frattempo Yoshida era tornato per farmi una bella ramanzina.
“Sei un idiota! Quando mai hai saputo fare a pugni eh? Volevi morire in qualche modo?!”
“Calmati non è successo nulla.”
“Cazzate! Se non fosse arrivato qualcuno quel bastardo ti avrebbe conficcato quella bottiglia nello stomaco.”
Capivo la sua preoccupazione ma ormai era tutto passato, sia io che Mayu stavamo bene e non aveva più senso parlarne. C’era però una sola cosa che mi chiedevo.
“Yoshida, chi è stato ad aiutarmi?”
Il mio amico inarcò un sopracciglio a tale domanda, “Io l’ho saputo tardi, non saprei dirti, dovresti chiederlo a Mayu. E’ stata lei ad avvertire qualcuno.”
Parlando di lei mi domandai se fosse il caso di chiederle come stesse ma forse non voleva neppure più sentire parlare di quella storia. Una cosa era certa, se ero ancora tutto intero era grazie al suo aiuto e al fatto che fosse corsa via per chiamare qualcuno, chiunque egli fosse.
La festa terminò subito dopo, ormai l’accaduto si era saputo e nessuno aveva più voglia di bere e di ballare. Erano tutti sull’attenti, terrorizzati che qualcun altro preso dall’alcool facesse qualcosa di stupido. Quindi una volta spente le candeline, aperti i regali Saori cominciò a salutare tutti gli amici e la serata si concluse così. Solo alcuni di noi restarono per aiutarla a mettere a posto e nel farlo mi avvicinai a Mayu, che con assoluta normalità stava sparecchiando il buffet.
“Stai bene?” le chiesi affiancandola per aiutarla.
Lei mi guardò sorpresa di vedermi li “S-sì tutto bene, ti fa ancora male la faccia?”
Scossi la testa “Non così tanto, è passato. Gli altri mi hanno detto che sei stata tu a chiedere aiuto, suppongo di doverti ringraziare altrimenti starei molto peggio di così.”
“Non ho fatto nulla io in verità...”
Un frastuono di piatti cadde nella pattumiera accanto a noi, e girandomi, attirato da quel baccano trovai Hayato che stava gettando delle cose e con nochalance ci gettò un occhiata veloce per poi andarsene. Mi domandai cos’è che avesse da guardare, non si era nemmeno curato di chiedere come stessi così semplicemente lo ignorai.
“Dicevi?”
“Nulla davvero... è meglio che vada ad aiutare Mina con questi vassoi” mi sorrise quasi a fatica scappò via.
Quel suo comportamento mi parve molto strano, tutto dopo l’accaduto aveva uno strano sapore. Mayu era evasiva, nessuno sapeva niente e non ne volevano parlare. Erano rimasti così scioccati da una cosa del genere?
Finii col non curarmene più di tanto e una volta sistemato ciò che dovevo feci per andarmene. Yoshida e Mina si offrirono di accompagnarmi ma dissi di no e li ringraziai, preferivo fare due passi da solo e mi stupì molto che Mayu a stento mi avesse salutato. Era ancora spaventata?
Avevo proprio bisogno di camminare da solo, di schiarirmi le idee e di dimenticare quella pessima serata. Non solo Hayato era venuto in compagnia di Kuro, ma mi ero anche fatto coinvolgere in una rissa e un po’ era stata colpa mia se ero conciato così male.
Mi toccai la guancia e mi faceva male, quel dolore era la prova della mia stupidità, del fatto che fossi un incapace e che sarei potuto finire anche peggio di così. Promisi a me stesso di non fare mai più una cosa del genere, quell’esperienza mi sarebbe servita per il futuro.
Arrivato al cancello di casa sospirai stanco, cercai le chiavi nelle tasche del giubbino e senza accorgermene un ombra mi mosse non lontano da me e vidi chiaramente che era proprio Hayato. Mi paralizzai nel vederlo li, eppure non dovevo, infondo abitavamo vicini, era normale. A quel punto anche lui si accorse della mia presenza e mi guardò fisso nella penombra delle nostre abitazioni.
Feci per salutarlo con un cenno di mano e quando fui sul punto di entrare nel mio cortile fui interrotto dalla sua voce che mi fermò di colpo.
“Sei conciato davvero male” disse di colpo.
Tornai indietro per guardarlo in faccia, e vi trovai une espressione davvero buia che mi scrutava nell’oscurità della nostra stradina. I suoi occhi erano freddi e distanti, diversi da prima e quel commento non fu carino.
“Un po’...” risposi non sapendo che altro dire.
Hayato fissò la maniglia del cancello davanti a se, pensai che la nostra conversazione era morta li. Piombò un silenzio imbarazzante, eppure un tempo avevamo avuto così tante cose di cui parlare. Come mi aspettavo Hayato fece per andarsene senza dire più una parola e di scatto, quasi con la paura di non potergli più rivolgere la parola mi gettai verso di lui.
“Stai rivedendo Kuro?!” esclamai preso dall’istinto, e mi ritrovai affacciato nel suo cortile con Hayato che mi dava le spalle e nel frattempo si era fermato sentendo quella domanda. “So che non ho il diritto di chiederti questo ma sono rimasto sorpreso di vedervi insieme.”
Hayato a quel punto si voltò e mi guardò con la stessa freddezza di prima. Non fece trasparire alcuno stupore per quella domanda.
Incassai la testa nelle spalle preso dalla paura di essere insultato, attendevo chissà cosa, aveva un dolore allo stomaco che non mi spiegavo.
“Kuro è un mio amico” disse semplicemente. Aveva chiaramente detto amico e ciò mi stupì, non era la risposta che mi aspettavo e lui se ne accorse tanto che gli partì una risatina che non capii “Credevi di sentire altro? Tipo che è il mio ragazzo o qualcosa del genere?”
Riusciva ancora a leggermi dentro così facilmente. “No, non intendevo questo.”
“No? Beh è così che stanno le cose comunque.”
Avevo chiesto la prima cosa che mi veniva in mente e la nostra discussione era già finita. Presto sarebbe rientrato in casa e non avremmo più avuto altre occasioni di parlare da soli, tale pensiero fu soffocante. Chiusi gli occhi sperando che il tempo si fermasse o qualcosa del genere, ma ciò non sarebbe accaduto e Hayato sarebbe sparito dalla mia vista di nuovo.
“Senti un po’...” cominciò di punto in bianco a dire e spalancai gli occhi, “domani ho intenzioni di andare in centro per fare shopping, perché non mi accompagni? Sempre se non hai nulla da fare” sorrise.
Ero confuso ma non ebbi alcuna esitazione sulla risposta. “Sì! Certo..”
“Perfetto allora ci vediamo domani pomeriggio vicino alla stazione di Shibuya per le cinque, non mi dire nulla ma prima ho qualcosa fare quindi ci vediamo direttamente lì.”
“Va bene.”
Hayato vedendomi chiaramente confuso tornò indietro di qualche passo e mi diede una rapida carezza sulla testa, quasi fossi un cane e mi sorrise ancora una volta in maniera carina. Fatto ciò mi salutò e rientrò in casa.
Che diavolo stava succedendo. Non solo Hayato era diverso, e mi sorrideva come se nulla fosse. Mi aveva anche invitato ad andare a fare compere con lui. Che diavolo aveva nella testa!
Me ne tornai anch’io a casa, mezzo intontito per quella improvvisa svolta e dentro di me oltre ai dubbi sentivo anche una strana felicità che avevo ormai dimenticato negli ultimi mesi.
Mi lanciai sul letto e stringendo a me il cuscino sorrisi al pensiero che il giorno dopo sarei stato ancora con lui.
Un momento però! Preso dalla lucidità mi misi a sedere, e sempre stringendo il cuscino tra le braccia mi domandai se fosse giusto andare in giro con lui.
Avevo rinunciato a lui per un motivo e ora improvvisamente ci stavo ricadendo solo perché era passato del tempo, non aveva senso tutto ciò. Tuttavia nonostante quelle mie perplessità non riuscivo a fare a meno di pensare alle ore che mi separavano dal nostro appuntamento, chissà se quell’ansia mi avrebbe fatto chiudere occhio. Sentivo le guance farmi male talmente che stavo sorridendo.



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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***




Capitolo [6]

Il giorno seguente cominciai a provare un senso di ansia mai sentito prima. Andavo avanti e indietro per la stanza, provavo e riprovavo continuamente degli abbinamenti ma nel guardarmi allo specchio mi reputai ridicolo così optai per qualcosa di molto semplice: felpa, jeans e giubbino. Mi sentivo uno stupido, a suo tempo non avevo mai provato qualcosa del genere quando sapevo di dovermi vedere con lui, adesso invece non facevo che provare un nodo allo stomaco. Non riuscii nemmeno a mangiare e quando arrivò l’ora di uscire di casa avvertii mia madre che avrei rincasato tardi e scappai via, ansioso di raggiungere il luogo del nostro incontro.
Hayato aveva parlato della stazione di Shibuya, così una volta arrivato mi piazzai accanto alla famosa statua di Hachiko e cominciai a guardarmi in giro alla ricerca del suo volto.
Tra i tanti visi banali e comuni, di tante persone che erano li, quello di Hayato sarebbe spiccato come una gemma nel deserto.
Sentivo il cuore battere forte contro lo sterno, ogni minuto che passava sentivo che mi rendeva più vicino a lui.
“Aki!”
Una voce molto familiare mi chiamò, così scattai in piedi e andai a girarmi nella direzione da cui proveniva. Ma ogni barlume di sorriso mi morì quando vidi che Hayato non era solo, ma era in compagnia di un altro ragazzo che non avevo mai visto prima.
Hayato indossava un cappotto lungo sui toni del grigio, aveva le guance arrossate dal freddo e i capelli neri erano arruffati ma cadevano morbidi sulla fronte creando un gioco carino da vedere. Il suo viso pulito risplendeva come la porcella più pregiata, e i suoi soliti occhi blu erano particolarmente luminosi quel giorno.
“Mi dispiace di averti fatto aspettare” disse avvicinandosi seguito dall’altro ragazzo.
“Sono arrivato da poco anch’io, tranquillo.”
Improvvisamente tutto il buon umore provato quella mattina era morto e tentavo di celare i brutti pensieri che avevo dietro un sorriso forzato. Ero in attesa che mi presentasse il nostro terzo compagno di shopping.
“Aki ti presento Shun, anche lui è stato per un pò in America in questi anni.”
Shun si fece avanti e mi fece ciao con la mano sfoderando un sorriso bello ampio, non ascoltai quasi nulla di ciò che mi disse di quel ragazzo. Odiavo il modo in cui si sorridevano tra di loro, e la confidenza che Hayato aveva usato per parlare di quel suo amico che non avevo mai visto prima. Un tempo era stato un antisociale unico, aveva odiato interagire col prossimo e ora improvvisamente era sempre circondato da persone.
Osservai meglio quel suo amico cercando di cogliere qualche dettaglio che mi sfuggiva. Era davvero un amico? Non dovevo solo preoccuparmi di Kuro come minaccia, ma ora ne uscivano come funghi stranamente. Shun era un ragazzo alto, più o meno quanto Hayato quindi pochi centimetri più di me e vestiva in maniera molto casual ma sembrava aver abbracciato completamente la moda americana indossando jeans larghi, scarpe da ginnastica e berretto con visiera che teneva all’indietro.
Riuscii a notare qualche ciocca castana che fuoriusciva dal cappello ma non potevo dire con certezza come fossero i suoi capelli o che taglio avessero. Aveva un viso pulito come quello di Hayato, le labbra erano a cuore e non sottili, il naso era piccolo e sottile e gli occhi erano leggermente tirati di un tenue color marrone molto vicino all’ambra.
Fisicamente era robusto, sembrava praticare qualche sport vista la massa muscolare che fasciava le braccia e le cosce. Le spalle erano larghe e messe in mostra dal giubbotto sportivo che indossava.
Da dove usciva un tipo del genere?
“Hayato io vorrei fare un giro in quel negozio di scarpe che ti dissi la settimana scorsa. Sempre se anche al tuo amico va bene” e mi rivolse un occhiata puntandomi addosso quei suoi occhioni profondi.
Hayato lo seguì a ruota e mi fissò “E’ un problema per te?”
“Ma certo che no” ridacchiai mettendo le mani davanti “sono qui per accompagnare.” E forse anche per scappare di corsa, gridai dentro di me. Sentivo quasi la necessità di inventare un malore e scappare via prima che il pomeriggio prendesse una svolta negativa per me. Eppure continuavo a chiedermi perché Hayato mi avesse invitato visto che aveva già compagnia.
Shun ci trascinò prima in un negozio di scarpe e poi in altri che vendevano per lo più abiti. Fu l’unico a provare e fare compere, mentre Hayato se ne stava in disparte come me e spesso prendeva il cellulare tra le mani rispondendo a dei messaggi che non riuscii a leggere.
Quel pomeriggio fu strano. Shun fu il solo a comprare delle cose, e gli accompagnatori sembravamo noi. Hayato mi rivolse poche frasi, e per lo più di cortesia. Per il restò restava in silenzio e per occupare il tempo giocava col cellulare, mentre io me ne stavo sempre seduto su una delle poltrone, preso dalla noia.
Quando finalmente quella interminabile passeggiata ebbe fine, ci ritrovammo in un piccolo fast food del centro. Per una strana coincidenza era proprio quello dove a suo tempo Hayato mi aveva portato prima di andare dal tizio che vendeva i film horror. Quel luogo fu un tuffo nel passato, ne guardavo l’interno e lo sguardo mi cadde proprio sul posto che a quel tempo avevamo occupato. Una strana malinconia mi assalì, a quei tempi avevo odiato la sua compagnia ed ero sempre arrabbiato mentre ora sentivo solo di essermi perso qualcosa di importante.
“Vuoi sederti vicino alla finestra?” senza accorgermene si era avvicinato Hayato e mi trovai il suo viso a pochi centimetri dal mio. Sussultai per ciò e indietreggiai.
“N-no, cioè è lo stesso.. davvero.”
Hayato parve confuso dalla mia risposta. Aveva anche dimenticato che un tempo eravamo andati spesso li. Poco dopo tornò da Shun che intanto stava ordinando qualcosa e restai ancora pochi secondi a guardare quel posto accanto alla finestra, ed ebbi un allucinazione: noi due seduti uno davanti all’altro, io indispettito e Hayato che mi rideva in faccia. Il nostro solito gioco, il nostro stare insieme. Quella scena svanì subito e tornai alla realtà.
Prendemmo posto un po’ più infondo, ordinammo qualcosa di molto semplice giusto per mettere qualcosa nello stomaco. Hayato però prima di addentare il suo panino ci disse che aveva bisogno del bagno così si allontanò un attimo lasciando me e Shun da soli. La situazione cadde in un silenzio insopportabile, gettavo occhiate nascoste verso l’altro ragazzo che mi era seduto davanti, non riuscendo a capire veramente cosa ci fosse dietro il loro rapporto o che intenzioni avesse lui nei confronti di Hayato.
“Sei un tipo di poche parole eh?” cominciò a dire improvvisamente.
Sussultai “In verità no!”
“E’ solo con me che non vuoi parlare?” mi sorrise amichevolmente,” Capisco il tuo disagio, non sai nemmeno chi sono ma io ti conosco perfettamente. Hayato mi ha parlato spesso di te negli anni.”
Aggrottai la fronte davanti a quel dettaglio “Ti ha parlato di me?”
Shun afferrò la sua bibita e cominciò a berne un sorso, per poi poggiarla sul tavolo “Sì, mi ha sempre detto tante cose di te, ogni volta che veniva in America non faceva che farmi un testa così di tutto quello che facevate insieme. Sono felice che abbia un amico che gli vuole così bene, mi dicevo.”
Intendeva sicuramente i diversi viaggi che Hayato aveva fatto negli anni per andare dal padre. Quella rivelazioni mi aveva reso felice, un tempo Hayato aveva parlato di me con qualcuno ma ormai tutto ciò apparteneva a un passato lontano.
“Quindi aveva te in America..”
“Sì, ci siamo conosciuti ad un corso di judo che si teneva in estate diversi anni fa. Inizialmente nemmeno mi parlava, più cercavo di fargli spiccicare due parole e più mi girava la faccia” rise nel ricordare ciò.
Sapevo perfettamente a cosa si riferiva e la cosa mi fece sorridere “Capisco cosa intendi. Anche con me l’inizio era molto schivo, sembrava quasi che mi odiasse a morte.”
“E’ quello che pensavo anch’io! – Sto’ ragazzo mi odia, è meglio che sparisca prima che mi meni!- Questo mi dicevo ogni volta che mi rivolgeva una brutta occhiataccia.” Scoppiammo a ridere. Chissà come parlare di ciò mi aveva riportato un po’ di buon umore, e forse era dovuto al ricordo di un Hayato così piccino e di quei tempi ormai andati. “Lui però non ti ha mai parlato di me vero?”
Scossi la testa dispiaciuto.
Shun sospirò con un velo di rammarico “Non mi sorprende. Ancora penso che un po’ mi odi, ma voglio convincermi del fatto che non sia così e che un po’ dentro di lui ci tenga a me. Sei fortunato” disse a me.
“Fortunato?”
“Per te non faceva che spendere belle parole ai tempi.”
Come facevo a spiegargli che la mia situazione era sempre stata diversa. Per me Hayato aveva provato qualcosa che andava oltre l’amicizia, e che un po’ ci stavo male. Per lui non ero mai stato un amico, come lo poteva essere Shun o Kuro, e un po’ li invidiavo perché non avevamo dovuto passare quello che avevo dovuto passare io. Finita la nostra storia il nostro rapporto si era praticamente distrutto mentre da semplici amici questo non sarebbe mai successo.
“Non pensarci troppo Aki” aggiunse in fine.
Spalancai gli occhi e lo trovai con il viso poggiato sulla mano, mi fissava con un sorriso tranquillo stampato in faccia. Non capii proprio il senso di quelle parole e nel momento stesso che tentai di chiedere spiegazione Hayato fece ritorno e mi zittii.
“C’era un casino di gente in quel lurido bagno” commentò tornando da noi “non avete ancora iniziato a mangiare?” notò vedendo i nostri vassoi ancora pieni.
“Ti stavamo aspettando e ho trovato l’occasione per conoscere meglio Aki.”
Hayato sorrise seccato e prese posto accanto a me piuttosto che dal lato dell’amico, “Mica gli ha fatto domande strane vero?” e mi guardò per constatare la cosa.
“No, niente del genere” intervenni e addentai il panino per togliere di mezzo quell’argomento, “vi conviene mangiare perché il mio è già freddo.”
Che senso avrebbe avuto dirgli di cosa avevamo parlato. Hayato si sarebbe sentito a disagio e volevo evitarlo, non avevo il diritto di tirare fuori tutto ciò o di parlare del passato. Mi convinsi che dovevo sentirmi contento, potevo stargli accanto e magari proprio come aveva detto potevamo ricostruire un rapporto sano, tornare gli amici che eravamo prima. In questo modo mi sarei sentito meglio no?
Quando finimmo di mangiare salutammo Shun che doveva tornare al suo appartamento. Avevo rivalutato quel ragazzo, era socievole e buono. Diversamente da Kuro con me era stato gentile e mi aveva donato, involontariamente, un sorriso tirando fuori quelle storie su Hayato.
Alla fine restammo io e Hayato da soli, guardammo Shun andare via.
Hayato tirò un lungo sospiro all’improvviso. Lo guardai incuriosito della cosa ma non dissi nulla.
“Pensavo che sarebbe andata peggio ma è andato tutto bene” commentò di colpo.
“Peggio? Che intendi?”
Hayato mi gettò un occhiata “Tu che ne pensi? E’ andata bene oggi no?”
Dovetti ammettere di sì, all’inizio avevo vissuto male la cosa ma poi il pomeriggio era trascorso normale e per finire Shun si era rivelato un bravo ragazzo.
“Credo che allora possa funzionare in questo modo.”
“Che cosa intendi?”
Mi rivolse uno sguardo improvvisamente serio, per un istante sembrò essere tornato quello di prima e il cuore mi sussultò nel petto.
“Quando ho deciso di invitarti mi sono detto – che cazzo sto facendo!? – mi sono sentito un pazzo ma poi ho pensato che era la cosa giusta da fare. Noi due siamo vicini di casa e frequentiamo la stessa scuola, è inevitabile che ci vedremo spesso e non voglio che accada come anni fa che siamo arrivati a dirci le peggior cose. Magari non possiamo stare insieme ma almeno puo' funzionare come amici.”
La mia mente si era come paralizzata in quel momento. La mia speranza legata a quell’incontro si era dissolta nelle sue parole, nell’idea che si era posto di far tornare il nostro rapporto come lo era alle origini. Ma andava davvero bene così?
“Tu puoi vedermi come un amico?” domandai.
Hayato guardò in alto e sospirò, “Credo di sì. In questo momento per te non sento più quello che provavo mesi fa, qualcosa è cambiato ma non posso mentire e dire che per me non esisti. Devi dirmi tu se ti sta bene questo.”
“Penso di sì.”
Abbassai lo sguardo fissando il vuoto. Quella conversazione per me non aveva alcun senso, così come le parole che avevo detto ma lo avevo fatto per non ferirlo, se quello era il suo modo di andare avanti non potevo dirgli che io lo amavo ancora e che lo avevo amato anche quando lo avevo lasciato andare.
Hayato forse notò l’ombra che aleggiava sul mio volto e quasi come una ventata di aria fredda mi accarezzò la guancia con la sua mano fredda sfiorandola delicatamente. Fu un momento strano, i miei occhi si specchiarono nelle sue iridi blu in un attimo che parve eterno. In quel piccolo gesto mi parve quasi di sentire di nuovo l’amore che Hayato aveva provato per me, fu un istante fugace che terminò subito e Hayato ritirò la mano nascondendola nella tasca del cappotto.
“Inizia a far freddo. Che dici andiamo a casa?”
“Sì, torniamo a casa” gli sorrisi.
Quel nostro incontro era stato molto diverso da come me lo sarei aspettato. Dietro le nostre parole c’era ancora dell’affetto, lo percepivo, ma le cose erano cambiate e forse dovevo anch’io adeguarmi a ciò che potevamo essere ancora. Magari essere amici era davvero la strada giusta da seguire.



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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***




Capitolo [7]

Il lunedì seguente fu una giornata molto dura e mi pentii amaramente di aver racconto ogni cosa a Yoshida, soprattutto quando iniziò a sgridarmi senza apparente motivo.
“Ma sei stupido o cosa?! Com’è possibile che ricadi sempre negli stessi fottuti errori!” gridò senza preoccuparsi di dare spettacolo, e furono molti gli studenti che nel corridoio si voltarono a guardarmi.
Io, dal canto mio, lo ignorai e non feci altro che guardare fuori dalla finestra standomene poggiato con le braccia sul davanzale.
“Ti rendi conto di quello che fai o no? Io non voglio di nuovo raccattarti da terra quando quel ragazzo ti farà stare male. Non capisco proprio chi è più stupido tra i due.”
Sospirai seccato “Non capisco perché tu ne stia facendo una tragedia. Non ci sono tornato insieme, semplicemente siamo andati a fare un giro e proprio Hayato ha chiarito che tra di noi non potrà esserci nient’altro se non amicizia.”
“Io non faccio sesso con i miei amici! Perché non puoi semplicemente tagliare tutti i rapporti con questo ragazzo? In questo modo non andrai mai avanti.”
Forse era vero. “Ti ripeto che tra me e lui non c’è e non ci potrà più essere nulla. Lo abbiamo chiarito sabato, e ora voglio vedere se come amici puo' funzionare come un tempo. Se così non dovesse essere allora smetteremo anche di parlarci.”
Yoshida simulò il gesto di strapparsi i capelli di testa “Ti rendi conto che non ha senso? Tu ami Hayato!” Lo gridò e immediatamente lo zittii furioso che avesse osato dirlo. Yoshida si accorse della mia reazione e cominciò a calmarsi, così lo lasciai andare liberandolo dalla mia presa. “Mi dispiace” disse con poca voce.
“Capisco la tua preoccupazione e ti ringrazio, sei un vero amico ma sto bene così. E’ vero, i miei sentimenti per lui sono sempre gli stessi ma ho preso una decisione tempo fa e non ho intenzione di tornarci insieme. Va tutto bene, davvero” sfoderai un sorriso, non finto, ero davvero convinto delle mie parole.
In quel preciso momento ci passò accanto Mayu che però si comportò in maniera molto strana, mi rivolse un occhiata distante e senza avvicinarsi a noi andò dritta verso la sua classe.
“Hai litigato anche con Mayu?” domandò Yoshida notando quel comportamento.
“No. Ma è dalla festa di Saori che non mi ha più cercato e a stento mi rivolge la parola.”
“Mah, le donne sono così strane. Forse da una parte è meglio avere un partner maschio, ci si comprende meglio e non bisogna lottare con gli sbalzi di umore” ridacchiò pensando alla cosa.
Ricambiai per quel pensiero così ingenuo da parte sua, ma la verità era un altra, nessuna relazione era semplice, che fosse con un uomo o con una donna.
Poco dopo il passaggio di Mayu vidi venire nella nostra direzione proprio Hayato con un budino tra le mani e dietro di lui un piccolo gruppo di ragazze che si teneva abbastanza distante per non farlo innervosire. Ormai Hayato 2.0 odiava tutte quelle cose e si comportava in maniera molto più normale. Il vecchio nomignolo di principe stava lentamente svanendo.
Diversamente da Mayu che mi aveva evitato, Hayato mi venne vicino.
“Non sei ancora andato a pranzo?” mi domandò e fece un cenno con la testa rivolto a Yoshida, quest’ultimo restò paralizzato dal nuovo atteggiamento del principe.
“Stiamo aspettando Mina per andare. Tu stai tornando in classe?”
“No, in verità stavo andando nella biblioteca abbandonato per avere un po’ di pace da quelle” e indicò il piccolo corteo a duecento metri da noi che ridacchiava. Capii il suo disagio.
“Mi dispiace...” dissi constatando la cosa.
Hayato ridacchiò “Figurati, ormai ci sono abituato ma almeno per il pranzo voglio un po’ di pace. Ci vediamo dopo in aula.”
“Si ciao-“
Yoshida a quel punto fece una cosa che non avrebbe dovuto fare, “Aki pranza con lui! Visto che Mayu non c’è sarebbe inopportuno per te startene da solo mentre io e Mina ci scambiamo effusioni.”
Lo guardai confuso per quella sparata, “Ma quali effusioni, se quando mangi non guardi più null-“ mi zittì tappandomi la bocca, e tentai di divincolarmi per liberarmi da quella presa.
Yoshida si rivolse verso Hayato, quest’ultimo aveva osservato tutta la scena in maniera seria senza dire nulla e dalla sua espressione era difficile dire cosa stesse pensando.
“Principe te lo lascio, mi raccomando fallo mangiare visto che il nostro Aki è diventato fissato di linea ultimamente. A dopo!” e Yoshida scomparve in meno di due minuti.
Ciò che era successo mi sconvolse profondamente e meno male che era stato il primo a dire che dovevo tenermi lontano da Hayato il più possibile. Me l’avrebbe pagata per ciò.
“Cos’è questa storia della linea?”
Mi ero completamente dimenticato di Hayato e quella domanda mi stupì, ridacchiai nervoso per l’imbarazzante situazione di prima. “E’ uno stupido! Non sto seguendo nessuna dieta.” Hayato mi diede le spalle e cominciò a camminare, lo seguii a ruota.
“Meglio. Pelle e ossa non saresti un bello spettacolo.”
E da una parte non mi erano mancati affatto i suoi commenti pungenti e quel suo tono sempre ironico. Non sapevo neppure perché lo stessi seguendo in biblioteca per pranzo, l’allarme nella mia testa mi diceva che era sbagliato ma la parte più razionale mi diceva che non c’era nulla di male. Eravamo due amici che volevamo pranzare insieme, nulla di più.
E così ci ritrovammo nella biblioteca abbandonata, dove tutto era cominciato, e la cosa mi mise a disagio. Continuai a dirmi che ero li in veste di amico e che davanti a me c’era un compagno, il mio vicino. Mi costringevo a non rivangare nessun ricordo e mi concentrai sul bento che avevo per le mani divorandolo.
Hayato mi fissò incredulo che lo stessi mangiando così velocemente.
“Forse dovresti rivedere la questione dieta.”
Mi fermai e lo guardai male “Ahah spiritoso. E tu? Mangi solo quel misero budino?”
“Ho dimenticato il portafogli questa mattina e non ho potuto comprare altro” e osservò il suo misero pasto cercando di convincersi che fosse abbastanza.
Quel ragazzo era sempre stato un disastro, e aveva fin da piccolo seguito una pessima alimentazione. Mi sorprendeva che fosse cresciuto così bene nonostante il pasti precotti e bruciati.
Senza che me lo chiedesse spostai il bento verso il centro del tavolo che avevamo occupato. Hayato non capì il gesto e fissò me e il bento perplesso. “Mangiane anche tu, lo sai mia madre abbonda sempre con le porzioni quindi è troppo per me.”
“Ho dimenticato i soldi, non sono un morto di fame...” commentò velenoso come al solito.
La cosa mi indispettì e ritirai la mia gentile offerta “Allora mangiati quello schifo” e divorai un altro boccone senza più nemmeno guardarlo in faccia. E io che avevo voluto fare una gentilezza, certe volte ero proprio un stupido irrecuperabile.
Con le bacchette catturai un altro boccone di pollo e nel portarlo alla bocca la mano di Hayato afferrò il mio polso e tirò il braccio verso di lui imboccandosi da solo. La cosa mi fece rimanere di sasso, che avesse osato tanto e restai per qualche secondo a fissarlo incredulo.
Hayato mandò giù il boccone e ghignò divertito “E’ ottimo come sempre.”
Cercai ancora una volta di convincermi che fosse una cosa normale tra due amici, che anche a suo tempo lo avevamo fatto e che spesso anche Yoshida si era comportato così. Eppure dentro di me non riuscivo a scacciare l’idea che per me fosse qualcosa di più.
“In cambio voglio il budino allora” dissi riprendendomi.
Hayato poggiò il mento sulla mano e con nonchalance mi passò il budino al cioccolato che aveva portato. Facemmo questo scambio, lui prese il mio pasto e io finii il pranzo col dolce. Il tutto serenamente, tra una chiacchiera e l’altra, tra qualche risata e battuta pungente.
Fu piacevole. Hayato era stranamente più loquace di un tempo, era diverso e magari non avrei mai accettato del tutto questo suo nuovo aspetto ma non potevo dire che mi dispiacesse. Osservandolo meglio e avendoci a che fare per un po’ iniziavo a comprendere che quel suo carattere burbero era ancora dentro di lui, magari più celato, ma sempre presente.
“Quindi Mina ha deciso di essere la fidanzata di Yoshida. Che coraggio.”
Risi per il commento, “Sì, dopo tutto quel casino Mina ha continuato ad uscirci per un po’ e poi chissà come Yoshida si è dichiarato. Sono una coppia strana ma si vogliono davvero bene.”
“Sono contento per loro.”
“Ah e poi chissà come anche Saori si è decisa a fare sul serio con Oija. Non lo avrei mai creduto ma è successo, e dovevi vedere quanto erano buffi a mare insieme quando decidemmo di andarci tutti insieme.”
Hayato ascoltò i miei racconti in silenzio e ogni tanto sorrideva anche se in apparenza sembrava forzato.
“E tu Aki?” domandò alla fine preso finalmente da un po’ di iniziativa.
“Io cosa?”
“Nessuna ragazza che ti piace? Nessuna ex?” L’unica domanda che non mi sarei aspettato venisse fuori in quel momento e proprio con lui. La cosa mi spiazzò tanto che sentii ogni parte del corpo venir meno, mi paralizzai. “Mi hai parlato degli altri, tu che mi dici? Nessuna novità in quel senso?”
“N-no nessuna. Lo sai sono sempre stato una frana con le ragazze” ridacchiai per smorzare la cosa.
Hayato prese a giocherellare con un pomodorino rimasto nel bento e non mi guardò in faccia dopo la risposta. Sembrò non curarsene in quel momento ma non era così.
“E tu? Non hai nessuna novità? Sei stato lontano così tanti mesi.”
Lasciò perdere il suo nuovo divertimento, mi rivolse di nuovo un occhiata e incrociò le bracia contro il petto. Sfoderò un aria divertita per qualche strano motivo. “Sono andato a letto con un po’ di persone ma nulla di serio in verità, dopo di te non ho più voluto impegnarmi.”
Quella frase più peggio di una pugnalata al petto. Persino un proiettile avrebbe recato meno danno e lui mi aveva rivelato tutto ciò con una tale leggerezza che quasi mi spaventò. Era stato con altre persone dopo di me, e scoprire ciò mi fece talmente male che sentivo il fiato farsi corto ma dovevo reggere, mantenere il gioco e continuare a ripetermi che quei discorsi erano del tutto normali tra due amici.
Feci ricorso a tutta la mia forza interiore per reggere quella conversazione. Non potevo crollare, non potevo dargli modo di credere che fossi ancora attaccato a lui in quel senso o lo avrei perso del tutto.
“C-capisco, ancora non capisco come tu faccia a parlare così facilmente di certe cose ahah.”
“Sono cose naturali no? Ormai abbiamo diciassette anni.”
Sì erano cose naturali ma non certo sentirle da parte sua. Mi chiedevo se i suoi partner fossero stati uomini o donne, se gli era piaciuto. Possibile che non avesse più pensato a me neppure un po’. Io al posto suo, se anche avessi incontrato qualcuno non sarei riuscito ad andarci a letto.
Mi resi conto di essere quasi assente in quella conversazione, quasi un automa. Non riuscivo proprio a focalizzarmi sulle cose che mi diceva perché ormai ero rimasto attaccato a quell’unica frase immaginando chissà cosa nella mia testa. Hayato tra le braccia di un altro.
“Aki?” sussultai nel sentirmi chiamare, “Sei un po’ pallido.”
Sorrisi “Davvero? Sarà dovuto al fatto che qui dentro è tutto chiuso” feci per alzarmi, andai dritto alla finestra per aprirla e prendere un boccata d’aria. Ma lo feci sopratutto per nascondere il viso da lui, sentivo di voler piangere ma dovevo impedirmi di farlo.
Spostai le tende per far passare l’aria, e guardandovi fuori notai la squadra di baseball che si allenava. Avevo tentato di scacciare ogni ricordo di quel luogo dalla mia testa, ma dentro di me stavano riaffiorando. Era stato li che Hayato aveva ammesso di amarmi e io di conseguenza con ingenuità avevo deciso di starci insieme, senza sapere che dentro di me già lo amavo così tanto.
“Sai sono sempre stato invidioso del tuo modo di fare. Non hai vergogna di parlare di certe cose, mentre io... forse resterò solo a vita visto che non riesco nemmeno ad accettare un budino da una ragazza. Sono una frana ahah dovresti darmi qualche lezione qualche volta.”
Mi voltai a guardarlo e trovai Hayato misteriosamente buio e serio, mi fissava con una strana intensità.
“Intendi Mayu per ragazza?” domandò con una voce stranamente profonda.
“Non lei, dico in generale sono un disastro.”
Guardai nuovamente fuori dalla finestra. Non provavo più alcuna emozioni, mi sentivo come svuotato di ogni cosa e forse andava bene così. Sapere che Hayato era stato con altre persone mi aveva come permesso di arrendermi una volta per tutte e accettare il fatto che fosse andato davvero avanti. In parte ero felice stranamente, potevo arrendermi.
Fu allora che accadde l’impensabile. Ero di spalle rispetto a dove era seduto Hayato, e perso nei miei pensieri, non mi accorsi che nel frattempo lui aveva lasciato il suo posto venendomi incontro. Si era avvicinato a me, si era attaccato da me e da dietro cominciò a sfiorare la mia mano. Una cosa del genere mi paralizzò, sentivo la sua presenza alle mie spalle e quel fugace tocco era reale.
Che stava succedendo improvvisamente? Con le sue labbra sfiorò la mia testa facendosi scappare un leggero bacio. Stava accadendo davvero o stavo sognando? Forse la scoperta di prima mi stava creando qualche allucinazione.
“Aki...” mi sussurrò all’orecchio con voce bassa e sensuale. La stessa aveva usato tante volte un tempo quando eravamo stati insieme. Mi lasciai cullare da tutto ciò e con le sue labbra cominciò a scendere lungo il mio collo, e finalmente la sua mano strinse la mia.
Era tornato il mio Hayato.



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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***




Capitolo [8]

“Hayato no...” mugugnai mentre con le sue labbra mi baciavano delicatamente il collo.
“Cosa no?” rispose lui seducente.
Strizzai gli occhi. Perché stava succedendo ciò che non doveva accadere. Dentro di me combattevo una guerra: la parte che voleva tutto ciò e quella che invece sapeva che era sbagliato. Così raccogliendo tutta la mia forza mentale riuscii a liberarmi dalla sua presa e a cacciarlo via.
Ci ritrovammo faccia a faccia, io ero confuso mentre Hayato mi fissava con quei suoi occhi glaciali chiaramente indispettito dal mio rifiuto.
“Che diavolo fai!” gridai confuso per ciò che era successo.
Hayato sorrise bieco “Cosa faccio? Volevo consolarti, visto che le mie parole ti hanno ferito così tanto.”
Inarcai un sopracciglio perplesso “Cosa?!”
“Quanto ancora vuoi fingere di non provare niente per me? Io posso continuare questo gioco ancora per un po’ ma mi chiedo quanto resisterai tu con questa farsa.”
“Stavi fingendo di voler essere mio amico?”
Scoppiò a ridere, “Sei sempre stato un credulone ma non credevo fino a questo punto. Secondo te, dopo che mi hai scaricato in quel modo, potrei mai esserti amico?”
Mi domandai chi fosse la persona che avevo ora davanti. “Mi hai preso in giro allora!”
“Ehi ehi ci sei arrivato. Sei sempre il solito ritardato.” Improvvisamente era ricomparso Hayato, lo stesso di cui mi ero innamorato e che mi era mancato, e la maschera del ragazzo cambiato era crollata lasciando posto alla sua vera faccia. “Allora?” fece.
“Allora cosa?”
Mise le mani in tasca e cominciò a camminare per la stanza rivolgendomi ogni tanto un occhiata. “Per quanto ancora vorrai far finta di niente, per quanto vorrai giocare a questo gioco del – non voglio stare con lui ma lo amo pazzamente? – ”
“Io non ti amo!”
Scoppiò a ridere “Ma per favore! Prima per poco non piangevi quando ti ho parlato delle persone con cui sono andato a letto. Bugiardo.” Scandì l’ultima parola con un velo di rabbia e mi fissò in cagnesco. “Sai, inizialmente quando sono tornato avevo in mente di vendicarmi in qualche modo, ma nel rivederti come uno stupido ho riprovato quelle maledette sensazioni e continuo a volerti così dannatamente al punto da odiarmi. Non hai fatto che ferirmi da quando ci siamo conosciuti, e mi hai preso in giro alla grande facendomi credere che mi avessi lasciato perché non provavi lo stesso. Li per li ci ho creduto perché non ho mai avuto alcuna certezza da te ma poi pensandoci attentamente in questi ultimi mesi, l’unico motivo che avevi per farlo era un altro..” Si avvicinò abbastanza da trovarmelo faccia a faccia e con le mano mi afferrò il mento sollevandolo verso di lui, “Tu mi ami al punto da rinunciare a me.”
Sbiancai per l’ultima frase visto che aveva colto a pieno tutto ciò che avevo fatto in quei mesi per lui.
“T-ti sbagli...”
“Sei stato egoista, non hai pensato affatto a me ma solo a te stesso. Mi ha fatto vivere dei mesi terribili, mi hai illuso che andasse tutto bene e non posso non odiarti per questo.”
Era ovvio che mi odiasse, lo meritavo eccome. Restai in silenzio sentendomi quelle accuse, e le giustificavo tutte. Ero stato spregevole, egoista come diceva lui e ancora desideravo che mi andasse dietro perché non volevo proprio lasciarlo andare.
Roteai gli occhi in modo da non guardarlo dritto in faccia.
“Guardami fottuto bastardo!” tuonò scuotendomi e costringendomi a guardarlo, “Per colpa tua ogni volta che ho tentato di andare a letto con qualcuno non sono riuscito a fare nulla perché avevo sempre te davanti agli occhi. Per colpa tua sono stato via da qui per disintossicarmi ma non ha funzionato. Potevamo essere felici e tu hai rovinato tutto e se devo essere infelice farò in modo che lo sia anche tu.”
Che cosa intendeva dire. Più lo ascoltavo, più sentivo che aveva già fatto qualcosa, e dal primo giorno che era tornato non aveva fatto altro che raccontare bugie come suo solito.
“Hayato...” lo guardai dritto negli occhi nella speranza che la lucidità gli tornasse ma ormai la sua espressione era un misto di rabbia e frustrazione.
“Non guardarmi così Aki, la tua punizione non è così male come tu credi. Se io non posso avere nessun altro, allora neppure tu potrai avere altri all’infuori di me.”
Sgranai gli occhi per quella affermazione. E senza preavviso Hayato catturò le mie labbra in un bacio prepotente, infilò la sua lingua e fui investito in pieno dal suo profumo così familiare, ma piuttosto che esserne felice mi resi conto che tutto ciò era sbagliato e che non lo stava facendo perché mi amava ma perché mi odiava al punto da ferirmi in quel modo.
Quando mi lasciò andare ghignò soddisfatto della cosa. “Sarai ancora mio che ti piaccia o no.”
Nel dirlo mi tirò a se per la cravatta e mi investì con quel suo sguardo così magnetico. Fui ancora una volta catturato da tutto ciò che rappresentava, sebbene con un diverso significato era successa la stessa cosa di mesi fa. Sempre in quel luogo ancora una volta Hayato mi aveva fatto suo.
Non restai ulteriormente ad ascoltare quella assurda conversazione e quasi di scatto corsi fuori dalla biblioteca. Hayato tuttavia non mi seguì e prima di lasciare la stanza mi parve di sentirlo ridacchiare, ero incredulo che la persona che un tempo aveva così tanto tenuto a me ora volesse farmela pagare in quel modo. Aveva detto che sarei stato ancora suo che mi piacesse o no, ma questo significava niente amore, e niente sentimenti. Era la mia punizione per tutto il male che gli avevo fatto in passato e un po’ sentivo di meritarmelo, non avevo giustificazioni al riguardo, e qualsiasi cosa avessi detto non avrebbe cambiato ciò che avevo fatto. Come avevano fatto le cose a prendere quella piega, mesi fa in quello stesso posto ci eravamo messi insieme, ora cos’eravamo? Nè amici, nè innamorati. Eravamo tornati agli inizi, a quando lui fingeva di odiarmi e ora sembrava essere vero.


Trascorse una settimana da quel confronto e nulla era cambiato tra di noi. La famosa punizione che aveva annunciato non sembrava essere cominciata, e Hayato continuava a comportarsi in maniera finta. Sorrideva, e si rendeva disponibile a parlare con chiunque illudendo le persone di essere diverso da prima. Per un momento pensai anch’io di essermi immaginato ogni sua singola parola ma poi la conferma arrivava ogni qual volta che i nostri sguardi si incrociavano e mi propinava un ghigno divertito.
Dentro di me non sapevo proprio come affrontare la cosa. Io non lo odiavo, e il mio senso di colpa non faceva che farmi accettare tutto ciò perché sentivo di dover pagare.
“Ti ho detto mille volte di non stuzzicarla, può essere molto suscettibile” sentii Yoshida avvicinarsi accompagnato da Oija che probabilmente si stava ancora lamentando di qualcosa. Il mio amico notò la mia presenza e notò dalla mia espressione che c’era qualcosa che non andava, “Aki ti senti bene? Sei pallido.”
“Sì sto bene, ho solo dormito poco stanotte.”
“Forse dovresti andare in infermeria e riposare un po’” propose Oija cingendomi una spalla.
“Forse dovrei fare così”.
Accolsi la sua proposta, era il momento giusto per allontanarmi un po’ per rifugiarmi lontano dalle occhiate di divertimento di Hayato. L’atmosfera era diventata insopportabile, ed ero stupito che da quando era tornato avesse pianificato ogni cosa per prendermi in giro in quel modo. Non sembrava più lui, eppure in parte era coerente a se stesso e potevo riconoscere un po’ di Hayato nelle sue parole.
L’infermiera acconsentì alla mia richiesta e mi lasciò occupare un letto, mi ci sdraiai sopra e la morbidezza del materasso mi cullarono in un sonno profondo che duro un oretta. Una volta sveglio mi sentivo di nuovo me stesso, potevo tornare in classe e affrontare tutta quella situazione.
Nell’andare a scostare le tende sentii però uno strano rumore di passi e mi accorsi che erano entrati nella stanza alcune persone. Qualcosa dentro di me mi disse di restare sdraiato e nascosto.
“Devono esserci degli antidolorifici da qualche parte.”
Riconobbi immediatamente quella voce, apparteneva a Kuro. La fortuna aveva voluto che per il terzo anno capitasse in un altra classe, quindi almeno un problema lo avevo sistemato ma non era del tutto sparito dalla mia vita e ora che era tornato Hayato, la sua presenza si faceva di nuovo sentire. Ma con chi stava parlando?
“Lo sai che non funzionano, lascia stare.”
Era Hayato, l’ultima persona che volevo mi trovasse li. Per un attimo smisi di respirare preso dall’ansia, nascosto sotto le coperte e dietro la tenda che mi separava di pochi metri da loro aprii bene le orecchie per sentire la loro conversazione.
“Dovresti farti vedere da un fisioterapista. Il dolore si fa sempre più forte in questo periodo dell'anno, vero?”
“E’ l’umidità, ci sono abituato ormai.”
Un po’ ero curioso, e in maniera molto cauta scostai leggermente la tende per ritagliarmi una fessura da cui guardare i due, e trovai Hayato seduto su uno sgabello che si toccava la spalla con una smorfia di dolore dipinta in faccia. Vederlo sofferente fu come ricadere nello stesso baratro, rammentai le parole di Hiroto, e della colpa che Kuro mi aveva dato per quella sua sciagura.
“Hai mai pensato di fare quell' operazione? Magari è la soluzione a tutti i tuoi problemi.”
Operazione?
“I medici non mi hanno mai garantito che la spalla tornerà del tutto a posto, perché dovrei farmi operare senza una speranza.”
Nella voce di Hayato percepii un senso di sconfitta. Doveva già aver affrontare l’argomento visto il modo in cui sospirava e il tono seccato che usava per rispondere all’altro.
“Hayato..” nell’espressione di Kuro vi lessi invece preoccupazione.
Hayato però ignorò la preoccupazione dell’altro, indossò nuovamente la giacca e aprì la porta per andarsene. Kuro di conseguenza fu costretto a seguirlo fuori e così entrambi sparirono.
La colpa era davvero mia quindi, di ogni cosa. Avevo accettato la cosa, ma quella storia dell’operazione era una novità e conoscendo quanto Hayato fosse testardo non avrebbe mai affrontato nulla del genere senza la certezza di tornare come prima. Ciò però non mi andava a genio, era l'ennesima cosa di cui non mi aveva parlato mentre Kuro ne era a conoscenza, tale pensiero mi irritò. Perché dovevo essere l’unico a pagare per tutto, amore e odio, erano gli unici sentimenti che Hayato aveva provato per me mentre i miei sentimenti erano molto più complessi e oltre l’amore, tenevo a lui come persona, come amico, fratello.
C’era un ultima cosa che potevo fare per lui e per me stesso, e dopo avrei seriamente chiuso con tutta quella storia. Dovevo convincerlo ad operarsi, a tentare quella strada ma come intendevo farlo se nemmeno ci parlavamo. Hayato aveva parlato di stare con me in un modo e nell'altro, forse dovevo approfittare di ciò e tentare in tutto per tutto.  



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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***




Capitolo [9]

Tornai in classe, dove vi trovai Yoshida insieme a Mina pronti per andare a pranzo. Entrambi mi scrutarono con attenzione, mi vennero vicino con un aria un po’ preoccupata. Cos’altro era successo adesso?
Mina, tra i due, era quella che sembrava maggiormente in pena. “Aki possiamo parlare un attimo?”
“Certo.”
I due si guardarono tra di loro lanciandosi un strana occhiata, e dopo mi portarono lontano da orecchie indiscrete. Ci rifugiammo sul tetto della scuola che di solito a quell’ora era ancora deserto. Non capivo proprio la necessità di andare così lontano da tutti.
Yoshida se ne stava in disparte con le braccia incrociate contro il petto, mentre Mina fu l’unica a farsi avanti per parlare con me. “Ascolta Aki, siamo un po’ preoccupati per Mayu.”
“Mayu? Che cosa è successo?” li guardai un po’ confuso. Era così assurdo che in poco tempo si stessero manifestando così tanti problemi tutti insieme.
Il mio amico affiancò la sua compagna e le fece cenno che avrebbe spiegato lui stesso cosa stava accadendo.
“Sono tre giorni che Mayu non viene a scuola, Mina ha cercato di contattarla ma non risponde alle chiamate e nemmeno ai messaggi. Ieri ha tentato di andare a casa sua ma la madre ha detto che non c’era.”
“In che senso non risponde? Non può essere sparita nel nulla! Che motivo avrebbe?”
“Si comporta in modo strano dal giorno della festa di Saori, non è più stata la stessa.”
Mi tornò in mente quella volta in corridoio, aveva evitato di rivolgere la parola sia a me che a Yoshida e la solita Mayu non avrebbe mai agito così. Era sempre stata gentile con me, con tutti e un simile comportamento non era proprio da lei. Che la causa fosse da ricondurre al ricordo spiacevole di quella sera?
“Credete che sia colpa dell’incidente?” domandai in cerca di conferma.
Yoshida fece spallucce “Non lo sappiamo, ma qualcosa è successo quella sera. Mayu dopo averti soccorso non ha voluto nemmeno sapere come stavi, non ha chiesto nulla e si è tenuta alla larga da noi.”
Forse la paura le impediva di stare insieme a noi, o meglio insieme a me. Ciò significava che era compito mio indagare e rivolvere la cosa. “Ci parlerò io, proverò a chiamarla e se non risponde andrò a casa sua.”
Mina si illuminò nel sentirmelo dire, “Grazie Aki! Sei la nostra ultima speranza.”
Ero un po’ confuso, non mi tornavano diverse cose. Era vero che Mayu quella sera non era con me quando mi avevano soccorso per le percosse, e che nei giorni successivi nemmeno si era fatta via ma per tutte le volte che l’avevo ignorata o evitata, nemmeno me ne ero curato più di tanto. Anzi avevo addirittura apprezzato la riconquista dei miei spazi, e poi la faccenda di Hayato non aveva fatto che distrarmi ancora di più.
Di ritorno dal tetto restai un po’ di più nel corridoio tentando di chiamarla, il cellulare bussò a vuoto e capii che stava facendo tutto di proposito. Fu in quel momento che guardandomi in giro beccai Hayato che mi scrutava dall’interno della classe con un espressione enigmatica. Quel suo modo di fare cominciò a stancarmi, e il sangue cominciò a ribollirmi nelle vene.
Finite tutte le lezioni informai Yoshida e Mina che sarei andato da lei, volevo parlarci da vicino. I miei amici apprezzarono l’idea e mi lasciarono fare, forse ero l’unico che poteva risolvere quella faccenda anche se non ero sicuro che l’incidente fosse la causa del suo strano comportamento.
Tuttavia non avevo contato un imprevisto, e poco fuori dall’edificio trovai Hayato piantato fuori dai cancelli della scuola, la mano in tasca e un ghigno dipinto in viso.
“Ehi Aki-chan ti va andare a fare un giro insieme?” cercò di trasformare il ghigno in un sorriso più dolce ma risultò forzato e per nulla rassicurante. Com’è di punto in bianco mi chiedeva una cosa del genere.
“Non posso, oggi ho da fare” e feci per superarlo dandogli le spalle.
“Stai andando da quella ragazza vero?” Mi paralizzai al suono di quella frase. Come diavolo faceva a saperlo? Ogni muscolo mi si bloccò, e in maniera scontata gli avevo dato una risposta chiara. Soprattutto quando andai a voltarmi lesse nella mia espressione basita ogni cosa. Hayato allora sorrise compiaciuto, “Pensavo di essere stato chiaro, ma a quanto pare parlo proprio a vuoto.”
“Come sai che sto andando da Mayu?” divenni serio anch’io a quel punto. Non si scherzava più.
Hayato lasciò andare la parete sulla quale si era poggiato e mi si avvicinò mantenendo quella sua aria sfrontata, “Ho sentito quei due parlarne in classe prima che tu tornassi. Ti hanno chiesto di pensarci tu vero? Credono che le tue parole possano farla riprendere ma loro si sbagliano se pensavo che la ragione del suo comportamento sia dovuto all’aggressione di quella sera.”
Strinsi i pugni dalla rabbia “Che cosa hai fatto Hayato? Mayu non c’entra nulla bastardo.”
Con la sua mano mi sfiorò la guancia con un tocco molto leggero e mi scrutò severo “Ho sempre odiato il modo in cui parlavi di quella ragazza, è stata una spina nel fianco sin dalle elementari e continua ad esserlo anche ora. Non guardarmi così” rise per il mio sguardo furioso.
“E’ con me che ce l’hai, non trascinarci dentro anche altre persone!”
Detto ciò mi allontanai con la fretta di voler raggiungere la casa di Mayu per parlarne. “E’ inutile andarci a parlare, non risolverai assolutamente nulla.”
Furono queste le ultime parole di Hayato prima che fossi abbastanza lontano da lasciarmelo alle spalle. Era sempre stato un ragazzo buono in fin dei conti e non potevo credere che avesse fatto o detto qualcosa a Mayu, non riuscivo ad accettare che avesse fatto in modo di farla stare male.
Arrivai presto a casa sua, e quando ad aprire fu la madre mi disse le esatte parole dette a Mina e cioè che Mayu non era in casa e le pronunciò con un velo di amarezza celato. Stava chiaramente mentendo ma non insistetti, la salutai e feci per andarmene. Ma prima di farlo tentai ancora di chiamarla, il cellulare squillava a vuoto e non c’era modo di raggiungerla. Che cosa era successo.
- Aki. –
La sua voce al telefono era debole ma finalmente aveva risposto. “Mayu? Sono io. Ma dove sei finita? Tutti noi siamo preoccupati, non rispondi alle chiamate e nemmeno ai messaggi.”
- Sono da mia cugina ad Osaka per il momento, torno la settimana prossima. –
Quando era partita e perché? “Va tutto bene? Ti sento strana.”
Ci fu un lungo silenzio in quel momento. – Va tutto bene, ma devo chiederti di non chiamarmi più per il momento, quando sarò pronta ti verrò a cercare io per parlare. –
Ero sconvolto per quelle fredde parole e subito dopo mi salutò riattaccando. Restai imbambolato non so quanto in cerca di una spiegazione, al perché fosse successo ciò e per quanto mi sforzassi non riuscivo a trovare altra causa se non Hayato.
Tornai a casa furioso, con l’intenzione di dirgliene quattro e bussai senza pensarci troppo, sbattendo ripetutamente la mano contro il legno della porta. Non mi importò che dentro ci potesse essere la madre o il piccolo Kou, ero dannatamente furioso ed esigevo una risposta chiara.
Per mia fortuna fu proprio Hayato a venire ad aprire e non fu sorpreso di trovarmi li. Sbadigliò, ancora assonnato, forse lo avevo svegliato ma non mi curai di ciò e senza permesso entrai in casa sua seguito dal suo sguardo. Chiuse la porta dietro di se e cupo come ero lo fissai furioso.
“Inizia a spiegare. Sono stanco di giocare a questo gioco, cos’hai detto a Mayu?”
Hayato sorrise divertito, “Qualcosa mi dice che non ha voluto vederti, non mi stupisce.” Mi passò davanti andando verso la cucina e versandosi un bicchiere d’acqua. Lo seguii con gli occhi mantenendo la mia posizione, ero arrabbiato e non riuscivo proprio a capire come quel risentimento lo avesse trasformato in un mostro del genere.
“Hai detto qualcosa che l’ha turbata vero?” ripresi la domanda ancora una volta.
Hayato poggiò il bicchiere sul tavolo e sollevò lo sguardo su di me, “Cosa ti fa credere che le abbia detto qualcosa?”
“Non sono sciocco! Sai un po’ troppo per essere qualcuno che non ha fatto niente.”
Mi riversò addosso un occhiata gelida “Ti ho già detto che ho sentito tutto da quei due in classe.”
Le sue erano tutte bugie, ormai non credevo più a nulla di ciò che mi diceva, non dopo la presa in giro dell’essere amici. Strinsi i pugni fino a farmi sbiancare le nocche.
“Perchè...” borbottai prima a bassa voce, “perché devi mettere in mezzo persone che non c’entrano nulla, prenditela con me e non con loro!” gridai.
Il solito sorriso di divertimento comparve sul suo volto e una particolare luce comparve nei suoi occhi, sembrava aver avuto un idea di qualche tipo. “Vuoi davvero che lasci in pace Mayu e tutti gli altri?”
“Si, ti prego! Lasciali fuori dalle nostre faccende.”
Hayato si accomodò su una delle sedie presenti nella sua cucina, e con la mano si toccò le labbra cercando di nascondere una risata che riuscii comunque a vedere. Sembrava particolarmente felice.
“Lo farò ad una sola condizione.”
“Quale?”
Con l’indice della mano mi indicò e con uno sguardo particolarmente intenso mi mangiò vivo. Un brivido freddo mi attraversò tutto il corpo e un po’ immaginai cos’è che volesse da me.
“Devi spogliarti e venire a letto con me.”
Sbigottito per la richiesta, ma non più di tanto perché sapevo perfettamente cos’è che voleva. Non ci pensai molto al riguardo, se per tenere i miei amici lontano dalla vendetta di Hayato dovevo sacrificarmi io allora andava più che bene. Ero l’unico a dover pagare gli errori del passato.
Hayato notando che non reagivo si toccò il viso e ridacchiò lasciando il suo posto a sedere. Mi diede le spalle e poggiò il bicchiere vuoto nel lavello. “Vattene via. Non ho più voglia di parlarti.”
Non stavo ascoltando più nulla e sicuro di ciò che stavo facendo mi tolsi prima la giacca, e la lasciai scivolare a terra e lentamente cominciai a sbottonare i bottoni della camicia. Attirai la sua attenzione col rumore della giacca finita a terra e nel voltarsi rimane sconvolto che mi stessi sul serio togliendo i vestiti.
“Facciamo presto.”
Lo guardai con odio e in tutta risposta Hayato parve compiaciuto della cosa, più di prima, convinto forse che non avrei mai accettato sul serio, ma non mi conosceva bene come credevo. Non sapeva quanto anch’io potevo essere testardo, non mi tiravo mai indietro se non c’era un valido motivo alle spalle.

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