Nessuna paura

di Enchalott
(/viewuser.php?uid=1058687)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo giorno ***
Capitolo 2: *** Prima notte ***
Capitolo 3: *** Secondo giorno ***
Capitolo 4: *** Seconda notte ***
Capitolo 5: *** Terzo giorno ***
Capitolo 6: *** Terza notte ***
Capitolo 7: *** Quarto giorno ***



Capitolo 1
*** Primo giorno ***


L'imminente conclusione di "Dragon Ball Super" mi rende un po' nostalgica. Ritorno sulla storia d'amore di Bulma e Vegeta (che adoro), con un'altra ipotesi e un altro sviluppo, diversi rispetto a quelli che racconto nella mia precedente "Amare. Senza di te è solo una parola". Qui il filone narrativo è più movimentato e avventuroso. Siamo nel periodo precedente l'arrivo dei cyborg e Vegeta si è ripreso da poco dall'esplosione della gravity room.
Buona lettura e grazie in anticipo! ^^

Primo giorno

Vegeta la fissò con lo sguardo di una belva. Ma non servì. La terrestre continuava a tenergli testa, indirizzandogli un fiume inarrestabile di parole irate. Allarmate. Il principe non sapeva decidere se lo irritasse di più la preoccupazione nei suoi riguardi o la totale assenza in lei di paura, puntualmente esibita ogni volta che, caparbiamente, l’apostrofava in quel modo impudente. Strinse i denti per la rabbia, ma anche per la fitta spasmodica che gli arrivò al cervello.
 
Bulma non fece una piega davanti all’espressione ostile del principe dei Saiyan. La macchia di sangue che si allargava rapidamente sulla benda bianca che gli stringeva la vita attirava la sua attenzione, ancor più degli occhi neri d’onice tagliente di lui. La ferita era abbastanza grave e la sua intollerabile ostinazione nell’allenarsi l’aveva fatta riaprire. Da come teneva la mano premuta sulla medicazione, era certa che gli facesse un male cane, ma non c’era verso di smuoverlo dalla nuova gravity room.
 
Due gocce rosse caddero a terra e Vegeta si piegò, nello sforzo di restare eretto.
“Tu sei completamente pazzo!” gridò la ragazza “Non ci sarà più nessun allenamento oggi! Scendi da questa maledetta capsula e vieni a farti medicare!”.
“Non provare neppure a pensare di potermi dare un ordine, donna” rispose lui, la voce gelida e composta, che strideva con l’espressione furibonda “Levati di torno, se ci tieni alla pelle”.
Lei ignorò la minaccia: “L’ultima volta ti ho portato in infermeria più morto che vivo, sei andato in coma! Vuoi forse ucciderti, Vegeta?!”
Lo sguardo di lui si fece volutamente impenetrabile, nel ripensare alla notte in cui l’aveva vegliato senza posa, mentre si dibatteva tra la vita e la morte, in seguito all’esplosione di cui era rimasto vittima. Neppure allora aveva mostrato alcun timore nello stargli accanto. Quella sicurezza, ostentata da una fragile terrestre, gli risultava insopportabile: un’insolenza che lo lasciava interdetto, ancor più del fatto che lei stesse ospitando a casa sua l’uomo spietato e privo di umanità che aveva tolto la vita ai suoi amici. Era un pianificatore, non tollerava di essere preso in contropiede; era il principe dei Saiyan, non ammetteva di essere giudicato; era un guerriero, non sopportava di essere fissato con immensa dolcezza da quei luminosi occhi del colore dell’acquamarina…
Chi!” sogghignò sprezzante “Non sono debole come gli abitanti di questo insignificante pianeta. Ti conviene uscire da qui, finché puoi farlo con le tue gambe…”.
Il sangue stillava tra le sue dita contratte.
“Sei tu che non ti reggi in piedi!” esclamò lei adirata “Basterà aspettare e vedremo chi non riuscirà ad uscire da qui!”.
Vegeta la fissò, socchiudendo gli occhi, quasi ammirato dalla sua testardaggine, che tuttavia aveva superato la misura concessa. Lei era incosciente tanto quanto lui, ma non aveva le sue stesse doti fisiche, gli stessi incredibili poteri nel ki. Perché, allora? Perché non era terrorizzata?
“Detesto ripetermi” le disse, spostandosi lentamente nella sua direzione. La guardò come se fosse una sfortunata preda.
Lei seguì il movimento con una certa apprensione, ma rispose con altrettanta sufficienza: “Credi che abbia paura di te?”
“No” ammise lui. Le indirizzò un sorriso freddo: “Ma ne avrai”.
Con la velocità di una folgore, il principe accese il dispositivo di regolazione della gravità e la impostò a dieci. Bulma si sentì pesante come un macigno e stramazzò a terra, soverchiata, impossibilitata a muoversi, stentando persino a stare seduta. I vestiti che aveva addosso diventarono insopportabili come se fossero intessuti di piombo. Ecco perché lui si addestrava sempre semisvestito. Tentò di reagire, ma non riuscì spostarsi di un millimetro.
“Sei impazzito!?” strillò al suo indirizzo “Spegni quell’affare!”
Per tutta risposta, Vegeta, muovendosi con indifferenza in una gravità che non gli faceva effetto, si diresse verso il quadro di comando della capsula, che era originariamente un’astronave, destinata poi all’uso secondario che lui ne faceva. Premette il pulsante di accensione. Il portellone d’ingresso si chiuse e il veicolo tondeggiante iniziò a vibrare.
Bulma trascolorò.
“Vegeta! Smettila immediatamente!”
Il principe visualizzò le mappe spaziali, senza degnarla di un cenno, la luce azzurrina dello schermo riflessa sul volto intento. Con la familiarità di chi ha svolto quell’operazione un’infinità di volte, impostò una rotta e fece rientrare i supporti che sorreggevano il veicolo, che si alzò da terra in verticale. Alla ragazza mancò il fiato per la velocità ascensionale.
“Vegeta!”
Lui inserì il pilota automatico e scivolò, reggendosi a ciò che trovava, verso la cassetta del pronto soccorso appesa alla parete. Si liberò della benda impregnata di sangue ed esaminò la ferita, corrugando la fronte: per fortuna, non si era del tutto riaperta. Si ripulì, come evidentemente era abituato a fare, arginando l’emorragia come poteva, e si annodò una nuova fasciatura, senza emettere un gemito, nonostante la stretta pressione della medicazione sulla carne viva gli dolesse incredibilmente.
La ragazza lo vide impallidire, ma rimanere ostinatamente in piedi, col sangue che scendeva sulla sua dogi da combattimento.
La capsula continuò a salire verso le stelle. Attraversò l’atmosfera e uscì dall’orbita della Terra, precipitando in una strana penombra, interrotta dal barbagliare rosso e blu delle luci artificiali.
“Vegeta, lascia che ti aiuti!” pregò, più angosciata dalle sue condizioni, che irata per l’improvviso suo colpo di testa.
Lui sollevò il viso e le incollò addosso quegli occhi scuri, feroci e tristi che erano il suo mistero più attraente. La sua bocca piegata all’ingiù prese un’increspatura quasi divertita.
“Aiutarmi?” sorrise freddamente “Pensa a te stessa”.
Si avvicinò e posò un ginocchio a terra per essere alla sua altezza, squadrandola a pochi centimetri di distanza. Bulma continuò a restare suo malgrado puntellata sul pavimento, bloccata dalla gravità, ma non distolse lo sguardo da lui.
“Nonostante tutto, continui ancora a sfidarmi” le disse il principe, valutando la sua reazione. C’era una sorta di rispetto in quelle parole, che non avevano traccia di risentimento. La terrestre era combattiva, sfacciata e intrigante. Degna di considerazione. Inarcò un sopracciglio, sorprendendosi ad osservarla con un interesse mai provato. Poi in lui prevalsero l’orgoglio e la necessità di essere ritenuto non scalfibile.
“Lo sai come si chiama questo?” domandò lei irata “Rapimento! Sei un dannato…”
Vegeta si mise a ridere, ma con ben poca ilarità. Allungò il braccio, sfilandole la fascia elastica rossa che portava in testa. I capelli azzurri le scesero sulle spalle e sul volto. Lui le scostò una ciocca dalla guancia, ma non ritrasse la mano, fissandola intensamente.
“Ehi!” brontolò la ragazza un po’ sorpresa “Cosa stai cercando di fare?”
Il principe si riscosse e le rivolse nuovamente uno sguardo torvo. Le sganciò dal polso il braccialetto, che cadde con un tintinnio. Eppure lei non intercettò nessun reale pericolo né nella sua vicinanza né in quell’improvviso contatto né nella sua espressione imbronciata. Lui le slacciò la cintura che stringeva il vestito leggero. Bulma si domandò dove volesse arrivare e poi si irrigidì, nel vedere la sua mano scendere ancora verso di lei.
Vegeta iniziò a sbottonarle il coprispalle smanicato che portava sull’abito, senza che lei potesse reagire. Cercò di sollevare un braccio con scarsi risultati. Lui le tolse l’indumento, gettandolo a terra, poi ricominciò a guardarla, imperscrutabile.
Bulma arrossì, ma aggrottò le sopracciglia, sentendo la collera salire.
“Se rimetti la gravità a zero, mi spoglio da sola!” gli urlò in faccia infuriata “Almeno giochiamo ad armi pari! Chissà se hai il fegato di farlo o sei solo un idiota che scopre l’acqua calda! E io che pensavo che fossi intelligente!”
Lui spalancò gli occhi, disorientato davanti a quella replica inaspettata, ingiuriosa, ma non implorante pietà e si fermò. Gli aveva appena appioppato del vigliacco imbecille, pur trovandosi nella peggiore delle posizioni. Sulle sue labbra si disegnò un sorriso obliquo, ma sincero. Si alzò con una lieve smorfia di fatica e si diresse al quadro dei comandi.
Chi!” sbuffò con poca convinzione “Speravo che la gravità potenziata ti bloccasse almeno quella lingua insopportabile!”
Spense il dispositivo e Bulma si rialzò, massaggiandosi le membra indolenzite e sistemandosi l’abito, con l’unico desiderio di lanciargli qualcosa in faccia.
“Se credi di avermi spaventata, ti sbagli di grosso!”
Vegeta si girò di scatto e avanzò verso di lei; la ragazza indietreggiò fino a trovarsi contro la parete robusta del velivolo, che intanto proseguiva la sua corsa nello spazio, la Terra ormai ridotta ad un puntino confuso tra gli astri.
Lui sbatté la mano contro la superficie metallica, a un centimetro dal suo orecchio, facendola sussultare.
“Da dove giunge questa tua incosciente temerarietà, donna? Sei così sicura di cavartela, qui da sola con me?”
Lei riguadagnò l’autocontrollo e si impose di non cedere sulle gambe che tremavano a causa della prolungata immobilità e, soprattutto, della sua vicinanza. Gli sorrise, sfacciata, sapendo che qualsiasi risposta non intimidita era per lui un’ulteriore provocazione.
“Ho visto di peggio, se vuoi saperlo!” proferì irritata “Scienziati pazzi, creature disgustose, organizzazioni criminali segrete, mostri di ogni genere, demoni sfuggiti all’aldilà, esseri che complottavano ogni sorta di scelleratezza, alieni con smanie di conquista, morti, feriti, fantasmi, reincarnazioni…! E l’elenco sarebbe ancora lungo! Ti assicuro che tu sei il problema minore!”
Il principe si incupì ulteriormente a quell’offesa non troppo velata, ma non recedette, deciso ad aver ragione di lei, a capire perché lo avesse aiutato. Vegliato. Mai lasciato solo. Senza paura. Perché era quello il pensiero che continuava a mulinargli in testa, indipendentemente dai suoi tentativi di ignorarlo.
“Complimenti, un bel curriculum…” le disse ironico.
Poi riprese le redini della situazione, rivolgendole quella domanda, nella voce una durezza in grado di scavare una voragine in un pianeta: “Che cosa ti ha fatto credere che io non avrei abusato di te? O che non intenda farlo ora?”.
Bulma trasalì. La risposta che affiorò per prima le diede un nodo in gola. La tenne per sé. A lui fornì la seconda, meno privata ma ugualmente veritiera. Terribilmente più drastica.
“Ma per favore!” esclamò esasperata “Non ti lasci toccare da nessuno, non sopporti la vicinanza altrui neppure quando sei mezzo morto! Ti ritieni superiore ai terrestri e ti infastidisce anche solo condividere l’aria con noi! Detesti persino essere fissato per più di qualche secondo! Sei talmente arrogante e pieno di te, che dubito che tu ti sia mai degnato di sfiorare una donna nella tua vita in qualsiasi modo! O semplicemente di notarla, nel tuo delirio di onnipotenza! Figuriamoci sbatterla a terra, volente o nolente, e concederle una sola cellula dell’impareggiabile principe dei Saiyan!”
Vegeta rimase impietrito difronte a quel torrente inarrestabile di parole, che bruciava più della ferita che aveva sul corpo, perché incomprensibilmente faceva male all’anima. Un oltraggio che aveva il sapore amaro della verità, che aveva inspiegabilmente ascoltato senza interrompere, pur avendone tutte le facoltà. Voleva sentire, ma voleva anche che lei tacesse, che la smettesse di inchiodargli parole incandescenti nel cuore. La fissò scioccato, pensando a come ridurla al silenzio, a come impedirle di osare oltre. Se concederle l’ardire di vivere, dopo aver scoperchiato in lui una vulnerabilità.
“Stai zitta!” ringhiò afferrandola per il collo. Ma non strinse. Anzi, fu più un accostamento che un atto violento di minaccia. Non aveva fatto altro che posare le dita sulla sua nuca, il pollice sulla sua gola.
Bulma continuò il discorso, come se lui non fosse capace di spezzarle il respiro all’istante: “Bel tentativo, bravo! Non capisco perché tu ci tenga tanto a vedermi tremante! Sei davvero un insopportabile prepotente…”
“In un modo o nell’altro…!” la interruppe lui, gridando furente, con un guizzo d’energia azzurra nella mano libera, puntata al suo cuore.
“Vedi di ammazzarmi subito, almeno” mormorò lei, stringendogli il polso, come se volesse agevolare l’atto omicida.
La luce che balenò negli occhi neri e profondi di Vegeta reclamò che non parlasse più. Che non si opponesse, quando le si avvicinò ulteriormente e fece rientrare il ki, estinguendo il bagliore così come l’aveva generato. La sua voce si ridusse a un sussurro e terminò la frase in sospeso: “…dovrai tacere”.
La baciò. E, per tutte le galassie, lei ricambiò il bacio. Non era una reciproca concessione. Era un ardente desiderio, concentrato sulle loro labbra, che continuarono a unirsi ed a sfiorarsi con voluttà per un tempo incalcolabile.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Prima notte ***


Prima notte

L’astronave diede uno scossone, che fece perdere loro l’equilibrio. Vegeta si resse alla parete e lei al suo corpo solido. Si guardarono, col respiro ancora accelerato, come per accertarsi che fosse successo nella realtà e non in un sogno. Gli occhi di Bulma luccicarono nei suoi con l’effetto di una deflagrazione. Lui arrossì violentemente e si staccò dall’abbraccio, senza una parola, girandole la schiena. Afferrò la maglietta che aveva appoggiato su una delle poltroncine, quando aveva iniziato l’allenamento e se la rinfilò, provocandosi un’altra fitta all’addome, che gli restituì la contezza di sé. Le tempie gli pulsavano spasmodicamente e i battiti cardiaci non accennavano a rallentare. Piantò le mani sulla console dei comandi e diresse alle stelle, che sfilavano veloci nell’oblò difronte, uno sguardo rabbioso e terribilmente perso.
La ragazza lo lasciò fare, intuendo la sua tempesta interiore. Non che lei fosse in una condizione viscerale tanto differente: le era solo più congenito accettare il bacio che si erano scambiati, in quanto veicolo di sentimenti veri, estremi e profondi. Lui, invece, non era abituato a mostrare nulla di sé, se non la gelida imperturbabilità nella normalità o la ferocia incontenibile in combattimento. Figurarsi un atto così umano.
“Andiamo a casa” gli disse, dopo un silenzio interminabile.
La parola casa gli fece socchiudere leggermente le palpebre, ma non si mosse né verso di lei né verso gli strumenti di bordo.
Bulma gli si avvicinò, spezzando l’atmosfera tesa e surreale: “Vegeta!”
“Stai lontana da me…” mormorò lui in un brontolio sordo, come quello di una belva che si prepara alla difesa, a caccia di un inutile riparo dall’incontrollabile perdita della padronanza di sé. Non gli era mai accaduto.
“Allora spostati!” ribatté lei spazientita “Se non lo fai tu, ci penso io a riportare questo aggeggio sulla Terra! Non so neanche dove stiamo andando!”.
Il principe incrociò le braccia sul petto, facendosi lievemente da parte, ma non indietreggiò. Lei si sedette al comando e controllò la rotta; lui la osservò, mentre richiamava velocemente i dati che le servivano. Geniale e piena di risorse.
“Pianeta Isuyo? E dove sarebbe?” domandò la ragazza più a se stessa che a lui “Due giorni di navigazione a partire da ora… Ma cosa ti è venuto in mente?”
Vegeta le scoccò uno sguardo adirato, ma non si sprecò a rispondere.
Bulma reimpostò le coordinate per il terzo pianeta del Sistema Solare e le inviò al computer di bordo. La capsula non virò di un centimetro.
“Ma che…” borbottò lei ripetendo l’operazione da capo.
Stesso risultato. Al terzo tentativo, iniziò a preoccuparsi. Riprovò ancora. Niente.
“Si può sapere cos’hai combinato con i comandi, Vegeta?”
Il principe, che aveva seguito le manovre con crescente irrequietezza, si avvicinò al monitor, uscendo finalmente dal suo mutismo.
“Donna, se non sei in grado di rientrare a casa tua, non dare la colpa a me! Portavo astronavi quando tu giocavi ancora con le bambole!”
“Ehi!” brontolò Bulma risentita “Io ne ho fatta partire una quando avevo cinque anni! Dopo averla riparata! Perciò se ti dico che questo dannato sistema non funziona, puoi fidarti!”.
Vegeta la guardò con una certa meraviglia, sollevando un sopracciglio. Le si affiancò ai comandi, e reimpostò a sua volta la rotta del ritorno, con lo stesso fastidioso esito.
Chi! Stupida tecnologia terrestre!” ringhiò “Non vale niente!”
“Qui non è la scienza terrestre! È il cervello saiyan che non funziona!” strillò lei di rimando. “Se tu non avessi avuto l’acutissima iniziativa di portarmi quassù per non si sa bene cosa, non ci troveremmo in questa situazione!”
“Il mio cervello funziona perfettamente!” rispose lui con lo stesso tono irato, perché sapeva benissimo cosa l’aveva spinto a decollare con lei, ma non tollerava la domanda implicita “Passa ai comandi manuali, anziché parlare a vanvera!”
“Oh, già fatto, altezza reale!” rimandò lei sarcastica “Non ci spostiamo di un millimetro!”.
Si alzò e fece forza sul timone a leva, che rimase imperterrito nella stessa posizione.
“Cos… altezza reale?!” ripeté lui sbigottito da tanta impertinenza. “Prova a rivolgerti a me ancora in questo modo e…”
Altro scossone. Vegeta si aggrappò al sedile e rimase impassibile. Bulma si afferrò a lui, nascondendogli il viso contro la spalla. La mano di lui si posò sulla sua schiena a trattenerla.
“V-Vegeta…”
“Non è l’astronave” spiegò lui con calma “E’ la conformazione di questa zona dello spazio. Non serve agitarsi”.
Lei lo fissò con sincero riguardo, mentre i loro volti quasi si sfioravano e il sapore del bacio di poco prima tornava a farsi strada nei loro sensi. Gli occhi allungati e profondi del principe erano privi di incertezze. Non aveva paura. Forse non ne aveva mai avuta in vita sua.
“Ehi, donna” disse, sospendendo quel gioco di sguardi “Il comunicatore funziona?”
“Sì, perché?”
“Avvisa tuo padre. Le capsule di questo tipo solitamente hanno un sistema per essere richiamate dalla base, in caso di bisogno. Quando noi Saiyan tornavamo dalle missioni troppo malconci per navigare e il pilota automatico aveva dei problemi, ci facevano rientrare con una sorta di trazione a distanza”.
“Sarebbe fantastico” commentò lei.
Si mise in contatto con la Capsule Corporation e, dopo un paio di tentativi, il dottor Brief rispose, comparendo sullo schermo.
“Bulma, tesoro, ma dove sei?” le chiese con una certa apprensione. “Per caso sull’astronave che è decollata dal nostro giardino?”
“Sì, papà. Vegeta aveva nostalgia dello spazio!” aggiunse con un pizzico di sarcasmo.
Il principe brontolò qualcosa nella sua lingua.
“Capisco… Ma suppongo siate nei guai, invece! Quel veicolo non è stato testato completamente. Dal momento che Vegeta lo sta usando solo come palestra, gran parte delle funzioni di navigazione non è stata programmata! Non pensavo volesse salpare!”
“Cosa!?” esclamò lei in fibrillazione.
Il principe intervenne, chiedendo allo scienziato se fosse possibile richiamare via computer l’apparecchio dalla Terra, come aveva pensato.
“Mi dispiace” rispose lui “Non ho installato nulla del genere. Non è un’astronave da guerra”.
Vegeta incrociò le braccia e iniziò a meditare, tentando di ricordare i particolari della procedura di avvio che aveva eseguito quasi automaticamente. C’era qualcosa che gli era sfuggito, dato che, in quel frangente, era distratto da ben altro.
“Non riusciamo a tornare indietro!” esclamò la ragazza “Ci dovrà pur essere qualche sistema! L’unica cosa chiara è che siamo diretti verso il pianeta Isuyo!”
“Ohibò” commentò il vecchio “Perché non l’avete detto subito?” domandò, aggiustandosi gli occhiali “E’ uno dei luoghi inseriti nel menu dei test di navigazione”.
Il principe si illuminò: “Stai dicendo che il velivolo è programmato per raggiungere una meta di default, atterrare e tornare indietro automaticamente, anche senza passeggeri a bordo?”
Bulma lo guardò sgranando gli occhi. Sveglio, oltre che affascinante.
“Sì” rispose il dottor Brief “Se avete inserito il pilota automatico, è proprio il comando che avete fornito al computer. Raggiungerà il pianeta e poi rientrerà sulla Terra. Dovrete aspettare poco più di tre giorni e poi sarete a casa”.
“Ah, perfetto!” sbottò lei esasperata, lanciando al compagno di viaggio un’occhiata di rimprovero, ma anche di divertita ripicca “Sai dirmi almeno se è un posto con un’atmosfera, dell’ossigeno e una gravità decente?”.
“Ma certo, cara. Tutti i pianeti che ho scelto come eventuali test di prova presentano condizioni simili a quelle del nostro” affermò il padre, come se la cosa fosse matematica, provocandole un moto di stizza.
“Toccheremo terra e torneremo subito, comunque”.
“Uhm, vi converrà fermarvi per fare rifornimento” suggerì lo scienziato.
“Perché?” sbottò Vegeta spazientito.
“L’astronave non è equipaggiata con viveri o acqua per un viaggio. Ho lasciato qualcosa in dispensa, ma non vi basterà per i prossimi tre giorni. Dovrete fare scorta”.
Chi!”
“Ooh…” sospirò Bulma, pensando all’appetito formidabile dei Saiyan e a come diventavano noiosi quando erano a digiuno. “C’è altro?” chiese rassegnata.
“Beh, ragazzo” fece lui rivolgendosi al principe “Abbi cura di mia figlia e pensaci tu a farla ragionare, se serve”.
“Papà!!”
Vegeta serrò le braccia e sogghignò.
 
“La cena è pronta, tesoro!” trillò Bulma allegra.
Hah…” assentì il principe sovrappensiero, con la guancia appoggiata alla mano e l’aria tediata dal paesaggio monotono. Poi si ravvivò, rabbuiandosi, nel cogliere la tonalità satirica della terrestre: “Tesoro!?! Come osi prendermi in giro?”.
Sul tavolo facevano bella mostra un paio di scatole di biscotti, tre bottiglie d’acqua, una di un superalcolico non ben identificato e del caffè solubile.
“Lo so che mia madre ed io ti abbiamo viziato in questi mesi, ma questo è ciò che passa il convento oggi”.
“Viziato?” ripeté lui seccato. “Quando combattevo per Frieza, ero abituato a digiunare anche per giorni! Sopravvivo benissimo!”
“Ah, ecco perché eri così sciupato, quando sei arrivato…” commentò lei.
Vegeta la fissò, pensando a come si fosse occupata di lui, trasparente, per non farglielo pesare, salvo i rimbrotti, piuttosto frequenti, in merito ai suoi allenamenti estremi. La seguì con lo sguardo, mentre divideva le gallette e scaldava l’acqua per il caffè, il vestito bianco che frusciava ad ogni movimento. Forse, per atterrirla davvero, avrebbe dovuto toglierle anche quello. No. Sarebbe stato umiliante e basta. Lei non lo meritava. Poi, non sarebbe servito. Aveva avuto cura di sbattergli in faccia il motivo per cui, secondo lei, non aveva creduto neanche per un momento che lui l’avrebbe presa con la forza. Non si era sbagliata.
“Abbiamo un altro problema” disse Bulma porgendogli il piatto.
“Non mi dire…” sospirò lui.
“Abbiamo un solo letto”.
Vegeta quasi si strozzò con il biscotto che stava masticando. Lo buttò giù con un sorso di caffè e tornò a respirare.
“Lo risolveremo facendo i turni” rispose aleatorio “Nappa e Radiz si alternavano sempre”.
“Scordatelo!” esclamò lei perentoria “Io non sono un guerriero Saiyan e qui non siamo in fase d’attacco! Non c’è bisogno di fare la sentinella, abbiamo il pilota automatico più tenace dell’universo. Voglio dormire, ho bisogno di riposo, non posso mica farmi venire le rughe anzitempo!”
“Non ho intenzione di passare l’intera nottata su una poltroncina per farti un favore!” ribatté il principe irato.
“Non te l’ho chiesto! Guarda quella ferita! Continua a sanguinare! Hai bisogno di stare disteso e di sonno ristoratore. Se ti fai passare l’atteggiamento scontroso, il letto è abbastanza grande per entrambi e io non ho problemi a dividerlo con te”.
“Come?”
Vegeta la puntò come se fosse impazzita. Proporre al principe guerriero, che aveva quasi distrutto la Terra, di coricarsi con lei, senza fare una piega… Anzi, più che al sangue regale, stava pur sempre parlando a un uomo! O stava sottintendendo vagamente che non lo considerava tale? A quel pensiero, si infuriò parecchio.
“A tuo rischio!” le rispose sprezzante “Tu non hai mai spartito il letto con un Saiyan!”
“Ti sbagli” ribatté lei con un sorrisetto “L’ho fatto con Goku”.
Vegeta spalancò gli occhi: per fortuna, in quel momento non stava mangiando nulla o sarebbe stato soffocamento certo. La fronte iniziò a pulsargli come quando era veramente fuori di sé dalla rabbia.
“C-cos’hai… fatto tu?” balbettò, pensando, anzi, sperando di aver frainteso.
Lei lo fissò un istante, sbattendo le palpebre, stupita dalla sua reazione estrema, anche se era stata volutamente e maliziosamente ambigua per rispondergli a tono.
“Cosa vai a pensare!” strillò arrossendo “Son-kun era poco più che un bambino! Mi si è infilato tra le coperte senza permesso, perché era abituato così con il nonno adottivo e ha russato tutta la notte!”
Il principe la osservò con aria dubbiosa, prima di sputare fuori un: “Ane yatsoo…” che non era difficile interpretare come un’offesa rivolta all’odiato rivale.
“Ora che ci penso, però…” aggiunse Bulma, rimembrando la situazione incredibilmente imbarazzante, creata da Goku “Quella di togliere senza scopo i vestiti alle ragazze deve essere una caratteristica saiyan…”.
Rimarcò bene le parole per dispetto, dato che lui era sempre così odiosamente altezzoso.
Vegeta scattò in piedi, colpendo la tavola a mani aperte, nuovamente furioso. Fu da lei in due falcate e la sollevò senza complimenti, trasportandola sul letto. La sbatté giù, incombendole sopra a pochi centimetri. La ragazza lo guardò, trattenendo il respiro.
“E dimmi, donna...” mormorò “Kakarott ti ha dato anche il bacio della buonanotte?”.
“Beh... no di certo”.
Gli occhi neri del principe erano su di lei, terrificanti e ipnotici, feroci e tristi, profondi e scintillanti. Annullò la breve distanza e la baciò, più intensamente della prima volta, con una passione sfrenata che, scoprì, faticava sempre di più a controllare. Le sfiorò il collo con le labbra e Bulma sentì il calore salirle al viso, gli affondò le mani nei capelli, abbandonandosi a quel contatto repentino e inatteso.
Lui si allontanò, se lo impose brutalmente, puntellandosi con le braccia, senza staccarle lo sguardo di dosso, con il petto che si alzava e si abbassava più rapidamente del normale.
“Io non sono Kakarott” disse con un sogghigno.
Si sdraiò dall’altra parte del letto, dandole le spalle e fece di tutto per addormentarsi. Il sonno non giunse immediato. Una reazione fisica così forte non l’aveva mai avuta in vita sua.
Bulma si tirò addosso la coperta, con i pensieri in fiamme.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Secondo giorno ***


Secondo giorno
 
Bulma aprì gli occhi, nella penombra delle luci artificiali, senza capire in quale momento della giornata si trovasse. La capsula stava proseguendo verso il pianeta Isuyo, presto sarebbero giunti a destinazione, secondo i calcoli del computer.
Vegeta era accanto a lei, ancora immerso nel sonno. Era la spossatezza, dovuta all’allenamento del giorno prima e alla ferita, a farlo dormire così profondamente; di solito restava vigile più a lungo. Si era girato sulla schiena, i lucidi capelli neri sparsi sul cuscino, le labbra appena socchiuse, il naso all’insù che proiettava una leggera ombra sulla carnagione ambrata del viso, la mano abbandonata sul corpo atletico. Era di un fascino sconvolgente, ma non era solo il suo aspetto fisico ad attirarla, era il suo carattere. La sua mente agile e sicura, il suo orgoglio, il suo atteggiamento regale, la sua determinazione, perfino i suoi momenti di rabbia e i suoi silenzi. Sentiva da tempo che il principe dei Saiyan era l’uomo per lei: non aveva mai amato nessuno come amava lui. Non era uno stupido, probabilmente aveva compreso perfettamente quei sentimenti inespressi. Ma era caparbiamente inaccessibile. Il suo primo bacio era giunto così inaspettato, che lei non era stata in grado di coglierne il significato. Il secondo, altrettanto imprevisto e totalizzante, le aveva fatto capire quanto lo desiderasse. Che se lui le avesse davvero strappato i vestiti, non sarebbe stata una violenza, perché lei sarebbe stata sua con piena coscienza e lo avrebbe confessato apertamente. Si assopì con il cuore in tumulto.
 
L’astronave ebbe un vuoto e Vegeta si mise a sedere sul letto. Il sistema non segnalava anomalie, quindi nulla di grave: era abituato a viaggiare e ai fenomeni dello spazio. Mancavano poche ore alla destinazione programmata.
La ragazza dormiva ancora, voltata su un fianco. Il suo sguardo assorto si posò su di lei. Osservò le lunghe ciglia, che disegnavano un chiaroscuro leggerissimo sul viso perfetto, i capelli sciolti, che ricadevano sulle spalle candide, la bocca delicata, le forme morbide celate dal lenzuolo, il respiro regolare, scandito dal sollevarsi del seno florido, le mani affusolate e rilassate nel sonno. Era di una bellezza folgorante, ma non era la sua esteriorità a impedirgli di staccare i pensieri da lei. Era ciò che aveva dentro. Era combattiva e indomita, intelligente, ostinata all’eccesso, coraggiosa e temeraria, ma anche gentile e accogliente. L’unica donna che avrebbe mai potuto amare, che avrebbe potuto ricambiarlo. Si era tolto tutti i forse su di sé al momento del loro primo bacio, che gli era venuto tanto spontaneo da sconcertarlo. Al secondo, dettato da una gelosia tanto folle quanto ingiustificata, si erano volatilizzate le incertezze su di lei, quando non aveva reagito prendendolo a ceffoni, come l’aveva vista fare con chi le mancava di rispetto. Nonostante l’inesperienza, si riconosceva innamorato di lei ed era certo che la terrestre lo avrebbe intuito. La voleva con tanta forza da doverle stare a distanza di sicurezza, per non cedere all’impulso, perché non le avrebbe mai fatto del male. Nonostante questo, non avrebbe permesso che le emozioni interferissero con i suoi progetti, a costo di non vederla mai più.
 
“Ho bisogno di una doccia!” affermò Bulma, stiracchiandosi. “Intanto che sono in bagno, puoi scaldare l’acqua per il caffè, per favore?”.
Vegeta, ancora steso sul letto, aggrottò la fronte, le braccia incrociate dietro la testa, squadrandola obliquo e oppositivo.
“E’ un no?” domandò lei, alzandosi in piedi “Ieri l’ho preparato io, sei tu quello abituato ai turni o sbaglio?”.
“Sono anche abituato ad una maggiore deferenza!” ribatté lui irato. I turni li facevano i suoi sudditi, non lui e ci sarebbe mancato altro.
“Nessun problema!” fece lei strizzandogli l’occhio “Potresti fare il caffè, principe dei Saiyan?”
Chi!” sbuffò lui, irritato dall’uso del suo titolo come arma di ricatto.
“Allora non dire più che non sei come Goku” continuò lei pungente “Lui non sa fare una O con un bicchiere, nella vita di tutti i giorni. Si vede che non sei capace neanche tu”.
“Donna, non sfidarmi…” proferì tra i denti.
Ma lei era già sparita oltre la porta. Vegeta fu preso dall’idea di sfondarla a calci con tutte le conseguenze del caso, ma poi rinunciò. Si alzò e controllò la rotta: erano quasi arrivati, il che significava che si trovava circa a metà della forzata e stretta convivenza con la terrestre. Sarebbero stati sufficienti per decidere se tornare alla Capsule Corporation o se andarsene, spegnendo per sempre i suoi sentimenti.
Iniziò a fissare con astio il pacchetto del caffè.
 
Bulma rientrò, indossando la tuta da lavoro che aveva trovato nel comparto degli attrezzi, decisamente più comoda e appropriata al viaggio. Vegeta portava ancora la dogi blu macchiata di sangue e le bende del giorno prima. Aveva scaldato l’acqua. Con il ki.
“Mi dispiace” gli disse con un sorriso “Ho trovato solo questa tuta e non è della tua taglia”.
“Non l’avrei messa comunque” rispose il principe con sufficienza, notando il vistoso marchio della Capsule Corporation sulla manica.
Lei gli passò la scatola dei biscotti, appoggiandosi alla console dei comandi, accanto a lui.
“Come va quella ferita? Dovresti cambiare la medicazione”.
“Sono finite le garze”.
“Possiamo strappare il lenzuolo…”
“Poi non ti lamentare che hai freddo” rispose lui “Stanotte ti ci sei seppellita”.
Quelle parole scatenarono in lei un assurdo senso di familiarità. Ripensò al fatto che avevano dormito insieme, stentando ancora a crederci, e che stavano facendo colazione fianco a fianco, come se fossero compagni per la vita. Terminò di mangiare la sua razione, pensierosa.
Vegeta si sfilò la maglietta, per andarsi a lavare a sua volta. Sarebbe stato un problema bagnare la lesione in quelle condizioni precarie e senza forniture mediche.
“Ho una soluzione” disse lei.
“Sarebbe?”
“Quando atterreremo, chiamerò di nuovo mio padre e gli dirò di contattare Son Goku”.
Il principe si adombrò visibilmente, iniziando a intuire dove lei volesse arrivare.
“Tu dovrai espandere più che puoi il ki, così lui sarà in grado di percepirlo a distanza e potrà raggiungerci con il teletrasporto. Dopodiché, ci darà un passaggio per la Terra. Non importa per l’astronave, ne posso costruire un’altra. Mi preoccupa di più la tua ferita”.
Vegeta si girò e le puntò addosso uno sguardo cupo e adirato.
“Io non ho bisogno di Kakarott!” ruggì “Preferisco crepare dissanguato, piuttosto che ricevere un favore da lui!!”.
“Sei un testone!” gridò lei, parimenti alterata “Metti a rischio la vita per il tuo stupido orgoglio! La chiedo io la cortesia, non tu, se è questo il problema!”
“Il discorso è chiuso!!”
“E se dovessimo avere qualche avaria!? Questa capsula continua a piroettare! A te non importa, ma io non sono un Saiyan! Non ho la vostra resistenza! A me non ci pensi!?”
Il principe iniziò a fremere di collera. E come no, per tutte le galassie! Era lei che continuava a nominare Kakarott come la perfezione assoluta, come ancora di salvezza, come destinatario di incondizionata fiducia, paragonandolo più o meno esplicitamente a lui, che tutte le volte finiva sul piatto più basso della bilancia!
“Se lo contatti…” ringhiò minaccioso e gelido “… io ti ammazzo”.
Sparì dietro la porta del bagno. Qualcosa nei suoi occhi aveva trattenuto Bulma dal rispondergli per le rime, ma non era stata l’intimidazione assassina. Le era sembrato offeso con lei, più che fuori di sé per l’umiliante idea di farsi aiutare dal nemico. Fu a sua volta tentata di aprire quel dannato uscio per fargli sputare il problema, ma pensò che non ce ne fosse bisogno.
“Se stai pensando che io sia innamorata di Goku, sei un idiota!!” gli urlò dietro.
Nonostante le fitte provenienti dalla fasciatura stretta che stava effettuando, Vegeta sorrise.
 
L’astronave atterrò senza problemi sul pianeta Isuyo. Non erano segnalate forme di vita complesse. Il principe controllò i valori di ossigeno, atmosfera e gravità e poi aprì il portellone, facendo scendere la scaletta. Volò giù, appoggiando con circospezione i piedi per terra, esplorando la zona con lo sguardo, ma soprattutto con il ki, come un guerriero suo pari era uso a fare.
Ooi, donna! Muoviti! È tutto tranquillo quaggiù!”.
“Prima mi dici di non uscire e poi mi metti fretta!” borbottò lei, scendendo i gradini con cautela. “Beh, almeno è un bel posto…” commentò guardandosi intorno.
La zona in cui si trovavano era verdissima, con una flora lussureggiante che ricordava la foresta tropicale terrestre. Avevano attraccato in una piccola radura, concludendo la prima parte del test di navigazione e lasciando in standby il sistema, pronti a ripartire al minimo cenno di pericolo.
La ragazza osservò gli strani alberi azzurri, dalle foglie lucide e lanceolate, carichi di frutti rossi dall’aria succulenta. Lunghe liane rampicanti pendevano dai rami, ma non erano così fitte da non permettere il passaggio: avrebbero potuto attraversare comodamente la vegetazione per cercare cibo e, soprattutto, acqua. C’erano anche dei cespugli color zafferano, che creavano un sottobosco altrettanto piacevole alla vista, dotati di un intenso profumo di erbe aromatiche. Anch’essi erano rigogliosi e offrivano ghiotte bacche violacee. Bulma pensò che, dopo due giorni di orrendo caffè solubile e biscotti secchi, era proprio quello che desiderava.
“Ehi, Vegeta, ritengo che siano commestibili” disse, tirando fuori la strumentazione di verifica dalla capsula hoi-poi che si era portata dietro.
Il principe, tuttavia, guardava in alto e sulla sua fronte c’era la ruga verticale che compariva quando era particolarmente concentrato o quando qualcosa non gli quadrava.
“Che ti prende?”
“Le lune” rispose lui indicando il cielo sopra di loro.
“Non ti facevo così romantico!” ironizzò lei.
“Piantala!” ringhiò lui “Ti va bene che non ho più la coda o sarei già diventato un oozaru, facendoti finalmente tacere!”
Bulma ridacchiò e indirizzò lo sguardo verso i due grandi globi perlacei che sovrastavano l’atmosfera. La scienziata che era in lei notò subito la particolarità.
“Hanno una posizione molto strana e sono troppo vicine alla superficie del pianeta” continuò lui “Non mi piace. Prendiamo quel che serve e andiamocene”.
“Sei più bravo di me” commentò la ragazza “Hai impiegato pochi secondi per avere la visione completa della situazione. Ammirevole”.
Vegeta arrossì leggermente al complimento, ma rispose secco: “Sono un guerriero Saiyan! Sono abituato a scendere su pianeti che non mi sono familiari. Comprendere al volo, significa sopravvivere. Per me, ovviamente. Per gli altri designa morte”.
Lei sospirò: “Mi piacerebbe sapere cos’hai pensato quando sei giunto sulla Terra…”
“Che non era male” rispose lui, voltandosi di tre quarti e fissandola beffardo “E che l’avrei rivenduta a buon prezzo!”.
“Perché l’ho chiesto?” brontolò Bulma rassegnata “Tieni, aiutami a raccogliere un po’ di frutta e poi andiamo a cercare l’acqua” fece, porgendogli un contenitore.
Chi!” soffiò lui “Ragioni come una terrestre…Porta qui quell’affare”.
Si diresse verso il primo albero e lei lo seguì con la voglia di strangolarlo, come tutte le volte in cui lui la trattava con malcelata superiorità. Il principe appoggiò una mano sulla corteccia grinzosa ed espanse il ki, trasmettendo la vibrazione energetica al tronco: tutti i frutti piovvero dai rami, riempiendo il contenitore all’istante e sparpagliandosi sull’erba. Bulma ne sistemò la quantità necessaria al viaggio nel pesante container e lo richiuse nella capsula, riducendolo a pochi centimetri trasportabili.
Vegeta la osservò a braccia incrociate: “Certo che quelle hoi-poi sono un’invenzione geniale. Avrebbero fatto comodo anche a noi guerrieri…”
“Ma non le avete ideate, perché ragionate come Saiyan!” rispose lei, pareggiando i conti.
Uno a uno. Il principe incassò la frecciata senza ribattere, anzi, si sentì addirittura divertito dal fatto che la terrestre riuscisse ad avere quasi sempre l’ultima parola. Pensò, senza mentirsi, che gli sarebbe mancata, se avesse deciso di andarsene.
“Di qua, donna” le disse sogghignando.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Seconda notte ***


Seconda notte

Fu allora che qualcosa di piccolo, leggero, candido e freddo gli piovve sul naso, facendolo arrestare di colpo. Lo prese tra le dita guantate e si ritrovò con una gocciolina d’acqua che scorreva verso il palmo della mano. Spalancò gli occhi e diresse lo sguardo al cielo, la cui tinta stava rapidamente virando dall’azzurro chiaro al bianco latte.
“Oh, nevica…” esclamò Bulma sorpresa.
I fiocchi gelati scendevano verso il basso sempre più fitti, volteggiando lievi, prima di toccare terra, depositandosi ai suoi piedi. Vegeta osservava lo strano fenomeno a bocca aperta, lasciando che i minuscoli cristalli ghiacciati gli si depositassero sulla mano aperta, sulle spalle e sui capelli.
“Sembra che tu non abbia mai visto la neve…” commentò lei incredula.
Hah…” assentì piano il principe “Sul mio pianeta non succedeva mai. Ne ho sentito parlare, ma non mi è capitato di vederla personalmente…”
“Anche dove abito io è rarissima” ammise lei.
In pochi minuti, la coltre bianca aveva ricoperto tutto il paesaggio, creando uno stridente contrasto con l’aspetto di jungla della vegetazione e precipitando l’intero pianeta nel silenzio. Era bizzarro trovarsi in quella crescente quiete ovattata, sapendo di essere i soli. Il principe smise di fissare in alto, mentre la nevicata si intensificava. Si girò verso di lei: le sue iridi nerissime sarebbero state in grado di dare fuoco anche quell’inverno improvvisato. Bulma ricambiò lo sguardo senza parlare, aspettando che fosse lui il primo. Ma la sua espressione mutò, lasciando trasparire una tristezza molto più gravosa di quella che era solita albergare nei suoi occhi fieri. Abbassò il viso, come se stesse cercando di occultarla.
“Andiamo!” le disse sbrigativo.
“Aspetta…Io…”
“Che vuoi?” rispose duro.
La ragazza si crucciò: “Sei strano da qualche giorno”.
“Assurdità” ribatté lui granitico “Cerco di adeguarmi alla coabitazione forzata!”.
“Perché devi risultare sempre così antipatico!” esclamò lei irritata.
Vegeta, per tutta risposta, le girò la schiena e procedette oltre. Bulma mugugnò al suo indirizzo, poi si chinò, raccolse una consistente manciata di neve, la rese compatta e la scagliò. Il principe parò con una mano, ma il grumo si sfarinò all’impatto e gli piovve addosso. Non fece neppure in tempo a recriminare, che ne arrivò un secondo. Lo schivò.
“Cosa stai facendo!?” le gridò “Ti pare il momento di giocare?”
“Non è un gioco, è una sfida!” lo punzecchiò lei, senza cessare la gragnuola.
“Che cosa!?”
“Difenditi, Saiyan!”
Il principe stentava a credere ai suoi occhi, ma alle sue orecchie la parola “sfida” suonava come un richiamo irresistibile.
“Te ne pentirai…” borbottò con un sogghigno.
Imperturbabile, espanse il ki e fece sollevare la coltre candida intorno a lui in un vortice di fiocchi e lo spinse contro di lei ad una velocità che non poteva sicuramente evitare.
“Così non vale!” strillò la ragazza ridendo.
Chiuse gli occhi e si riparò con il braccio dal turbine artificiale: quando lo scostò, lui era già alle sue spalle, rapido come il pensiero. Si limitò ad atterrarla con un solo movimento leggerissimo e la tenne ferma nella neve. Bulma lo guardò con occhi scintillanti e lui arrossì, scostando subito le mani dalle sue spalle.
“Ti arrendi?” le chiese.
“Mai” rispose lei, lanciandogli uno sguardo in grado di sciogliere tutta la maledetta neve nei paraggi. Il principe si alzò.
“Risposta esatta” affermò “Mai arrendersi. Sei salva”.
Bulma gli sorrise e fu certa di scorgere sulle sue labbra la stessa piega.
“Dobbiamo sbrigarci” rimarcò, notando che la neve le circondava già le caviglie “E’ bella da guardare finché non diventa troppa!”
Vegeta scosse la testa e allungò il braccio: “Big Bang Attack!” pronunciò deciso, mentre un fascio d’energia azzurra partiva dalla sua mano tesa, aprendo un varco nello strato compatto e attraverso le piante rigogliose. “Nessun problema” dichiarò soddisfatto.
La neve attutiva i loro passi e tutti i rumori, mentre perlustravano la zona in cerca d’acqua potabile. Il principe aveva sorvolato velocemente il territorio, ma la vegetazione era troppo fitta per scoprire eventuali sorgenti dall’alto ed il manto bianco non faceva altro che disorientarlo, perciò avevano stabilito di proseguire a piedi. Il loro respiro si condensava in nuvole leggere e si perdeva verso l’alto in spire sottili. Per altre due volte Vegeta liberò la strada col suo metodo drastico, osservando sempre più preoccupato la posizione delle due lune sfavillanti nel cielo pallido.
“Sto congelando!” lamentò Bulma, passandosi le mani sulle braccia intorpidite. “Non penso di resistere ancora a lungo vestita così, vorrei rientrare alla navicella!”
A pensarci bene, faceva davvero freddo, ma il principe stava sottilmente bruciando il ki e la sua dogi era studiata anche per ripararlo dalle intemperie. La neve arrivava praticamente alle loro ginocchia, avrebbe dovuto usare nuovamente l’energia spirituale per spazzarla via. Forse sarebbe stato meglio riportare la terrestre alla base e arrangiarsi da solo.
“Quante storie” borbottò seccato.
“Scusa se non sono refrattaria a tutto come te!”
Vegeta le scoccò un’occhiataccia e la prese per un braccio, passandole un velo d’aura caldissima, che le arrestò i brividi. Lei lo guardò, spalancando gli occhi per l’inusuale gentilezza ricevuta e lo ringraziò con un sorriso. Lui interruppe il contatto, imbarazzato e poi si concentrò su qualcosa all’orizzonte.
“Guarda!” le disse indicando un punto tra le rocce, nel vorticare fitto dei fiocchi.
Bulma aguzzò la vista e scorse a malapena un piccolo lago dalla forma quasi perfetta.
“Come hai fatto a vederlo da qui?”.
“Dimentichi un po’ troppo spesso che sono un Saiyan” ribatté lui infastidito “I nostri sensi sono molto più acuti dei vostri. Anzi, in condizioni normali avrei sentito l’odore dell’acqua, ma con tutta questa neve, mi confondo”.
“Ah, ora capisco…” fece lei, ripensando alle varie stranezze di Goku.
“Se nomini nuovamente Kakarott, ti lascio qui in mezzo!” ringhiò lui.
“Leggete anche la mente?” domandò lei, sentendosi trapassare da quegli occhi scurissimi.
“Quasi! Sei monotematica, non è complicato!”
“Ehi! Non che tu abbia tutta questa fantasia…”
Una folata di vento particolarmente intensa le fece serrare le palpebre, spingendo loro addosso una raffica di fiocchi ghiacciati e pungenti. La situazione stava rapidamente degenerando.
“Questa ha tutta l’aria di una bufera! Dobbiamo sbrigarci!” intimò lei intirizzendo.
Il principe si diresse verso il lago, trascinandola per un polso, quasi senza più vedere nulla. Le sponde erano piuttosto basse, l’acqua era potabile, così riuscirono a fare scorta in breve. Ma il vento divenne insopportabile: li flagellava, costringendoli a camminare piegati alla cieca e il rischio di perdere l’orientamento divenne la priorità da contrastare. Vegeta si levò in volo per pochi metri, ma non riuscì a distinguere nulla, se non il fronte più intenso della tempesta, che procedeva della loro direzione. Qualcosa, inoltre, lo trascinava inesorabilmente verso il basso, costringendolo ad una fatica doppia per tenersi in aria.
“Maledizione!” imprecò scendendo al suolo “Dobbiamo toglierci da qui prima che arrivi il grosso della tormenta! Presto, infiliamoci tra quelle rocce! Prega che ci sia un riparo!”
“Ma non riesci a volare!?” strillò lei angosciata.
“E’ una domanda idiota!” ribatté lui, afferrandole una mano, per non perderla in quel muro bianco e compatto che li circondava sempre più inesorabile.
Avvistò un anfratto tra le rocce e la spinse dentro con urgenza, un attimo prima che quell’inferno incolore si scatenasse in tutta la sua forza, latrando alle loro calcagna, lugubre come un demone fuoriuscito dagli inferi, congelando la superficie dell’acqua e tutto ciò che si trovava sul suo tragitto.
L’ambiente era abbastanza spazioso e sopportabilmente asciutto. Si sedettero contro la parete ruvida, accendendo la luce artificiale contenuta nella capsula. La caverna si illuminò, ma rimase gelida e piena di spifferi taglienti. Bulma rabbrividì violentemente.
“Ma che razza di pianeta è!?” esclamò stizzita “Mio padre ha parlato di condizioni simili a quelle della Terra, ma questo postaccio è una trappola mortale!”.
“Il pianeta ha i giorni contati o peggio” rispose il principe serio “Le lune sono troppo vicine: se è come credo, presto si scontreranno con la superficie e sarà la fine. Dobbiamo andarcene quanto prima, nonostante la dannata neve!”
La ragazza continuava a sussultare per il gelo pungente e per l’angoscia, tentando di scaldarsi con scarsi risultati, sapendo che presto sarebbe andata in ipotermia. Non c’era nulla per accendere il fuoco e i loro vestiti erano fradici: un vero guaio.
“Mi tocca morire assiderata quando sono ancora giovane e bellissima!” recriminò “Non è giusto! E la colpa è solo tua!”
“Falla finita!” grugnì Vegeta, ancora innervosito dallo strano problema del volo.
La guardò tremare, accigliato. Poi l’afferrò e la trascinò verso di sé. Bulma non fece in tempo neppure a realizzare la mossa, che si trovò con la schiena appoggiata al suo petto, seduta tra le sue ginocchia, avvinta dalla stretta poderosa delle sue braccia. Lui chiuse gli occhi ed espanse il ki, concentrandosi affinché non fosse dannoso, avvolgendola in una tiepida energia azzurra, passandole il suo calore, accendendo pensieri ed emozioni in entrambi.
“Grazie…” mormorò la ragazza, quando riuscì a ritrovare la voce “E’ meravigliosa…”
“Che cosa?”
“La tua aura”.
Vegeta riaprì gli occhi e si fece impercettibilmente più vicino, inalando il profumo della sua pelle attraverso i capelli scompigliati che gli solleticavano il viso.
“Non me l’ha mai detto nessuno” rispose turbato.
“Perché l’hai usata per ucciderli…” sussurrò lei, esausta, abbandonandosi alla spossatezza, che le stava facendo chiudere gli occhi, al calore che la pervadeva.
“Taci!” intimò lui, serrando l’abbraccio.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Terzo giorno ***


Terzo giorno
 
Ore o minuti o giorni. Il bianco devastante dell’esterno stava ancora infuriando, anche se con minor impeto. Forse la tormenta aveva passato il punto cruciale. Avrebbero dovuto uscire da lì in ogni caso, raggiungere l’astronave, sperare che non fosse danneggiata e ripartire velocemente. Troppi fattori ipotetici, non andava affatto bene!
Il principe dei Saiyan stava riflettendo, con lo scopo di eliminare tutti i rischi dal suo piano. Avrebbe aperto un varco tra le nubi con l’uso del Gaalick Cannon per bloccare momentaneamente la neve e poi avrebbe ritentato il volo, trasportando anche la terrestre. Lei sarebbe stata in grado di riparare l’astronave, se ce ne fosse stato bisogno, ma il problema era il tempo a loro disposizione, oltre alle condizioni atmosferiche. Avrebbe dovuto creare una barriera di energia, per consentirle eventualmente di lavorare. La ferita all’addome continuava a pulsare, anche se la temperatura polare contribuiva a placarne le fitte: una consistente emissione di ki l’avrebbe fatta riaprire di certo. Fattore da non sottovalutare. Abbassò lo sguardo e osservò la ragazza dormire incoscientemente tra le sue braccia: erano in grave pericolo, soli, in un luogo inospitale e agonizzante. Eppure, non era mai stato così sereno in vita sua. Si forzò di non cedere al sonno o sarebbe stata la fine.
 
“Vegeta…”
“Mmh...”
Il principe si riscosse dal torpore in cui era precipitato, affaticato a causa dell’addestramento arduo, cui si era sottoposto nei giorni precedenti. Non aveva mangiato con l’abbondanza cui era ormai abituato, così aveva ceduto al dormiveglia, cullato dal caldo contatto con la terrestre. Per fortuna, era riuscito a mantenere un inconscio controllo sul ki, che non si era spento.
Qualcosa fece oscillare l’aria.
Un punto luminoso si materializzò all’interno della spelonca rocciosa. Bulma pensò di avere le traveggole o che la neve stesse penetrando all’interno del riparo. Sentì Vegeta tendersi dietro di lei e vide che anche lui lo stava fissando, già sulla difensiva.
Il bagliore virò di tono e si colorò come il tramonto, avvicinandosi lentamente, ampliandosi come un’onda circolare nell’acqua placida. Al suo interno, un’ombra indistinta veleggiava come se stesse tentando di acquisire una forma determinata.
“Vegeta…”
“Ferma!” ordinò deciso il principe “Avverto un ki immane, non è il caso di fare colpi di testa. Mantieni il sangue freddo”.
La ragazza deglutì per l’agitazione, ma non obiettò.
“Non sembra ostile” specificò lui, concentrato al massimo “Ma non mi fido comunque”.
“Benvenuti” disse una voce profonda.
La figura che si stava componendo, tuttavia, non aveva parlato: aveva vibrato direttamente nelle loro menti. Improvvisamente, prese dimensione e colore, trasformandosi in una creatura antropomorfa. Due acuti occhi di un nocciola chiarissimo si volsero su di loro. L’essere si raddrizzò sulle gambe posteriori, raggiungendo un aspetto quasi umano: aveva un manto fulvo e spesso, due grandi orecchie appuntite cariche di anelli, un muso allungato e ferino. Le braccia erano robuste e avvolte da fasce di seta violacea, le mani grandi e artigliate; una di esse stringeva un lungo bastone nero, sormontato da una specie di clessidra luminescente, da cui scendeva una sabbia sottile. Portava una veste fluttuante dello stesso color pervinca, chiusa da una fascia dorata e ricoperta di strani simboli, da cui spuntavano tre code folte con la punta sottile e bianca. Le caviglie erano cinte da cerchi di metallo dorato. Avanzò tintinnando.
“Io sono Kitsu. Io governo questo luogo sacro” emanò.
Vegeta si alzò in piedi senza esitare: “Io sono Vegeta, principe di tutti i Saiyan” rispose con fierezza e senza inchinarsi formalmente “Sei forse una divinità, Kitsu del pianeta Isuyo?”
Bulma si raddrizzò a sua volta, sperando con tutte le forze che lo strano essere non si fosse risentito per il contegno arrogante del principe. Avrebbe voluto tirargli una manata sulla testa per il tono che aveva usato! Fece un educato cenno di saluto.
“Lo sono e non lo sono” riverberò lui atarassico “Isuyo ed io siamo una cosa sola”.
“Perdonaci, Kitsu-sama” interloquì la ragazza rispettosamente “Se siamo venuti qui e ti abbiamo arrecato disturbo. Non era nostra intenzione. Il nostro mezzo di trasporto ha un problema e siamo rimasti bloccati dalla bufera di neve”.
Vegeta la guardò corrucciato, irritandosi per l’ossequio, che considerava eccessivo.
“Lo so” inviò lui alla loro mente “Qui non accade nulla che non sia richiesto. Ma il tempo, in cui ciò si realizza ed è concesso, è limitato”.
La ragazza rimase interdetta: “Che cosa intendi? Puoi forse aiutarci?”
“Lo sto già facendo, fanciulla della Terra” gioì la divinità.
“Allora cosa sarebbe questa nevicata fuori controllo?” sbottò il principe.
Lei lo fulminò con lo sguardo, ottenendo in cambio un’occhiataccia parimenti infuocata.
“E’ ciò che il tuo cuore ha chiesto, principe dei Saiyan”.
“Cosa?” squittì Bulma, guardandolo ad occhi spalancati.
“Io non ho chiesto proprio niente!” ribatté lui sdegnato “Stai mentendo!”
Kitsu rintoccò a terra con la punta del bastone e la bufera cessò di colpo. Li scrutò con quegli occhi adamantini e sorrise, mostrando i canini acuminati.
“Io non posso mentire, giovane guerriero. Siete stati voi a giungere qui con l’anima colma di desideri e dubbi, forse inconsapevoli; Isuyo li ha percepiti e vi ha concesso il suo, il mio aiuto. Ciò che accade, non sempre obbedisce alle nostre aspettative. Le vie per trovare ciò che si cerca non sono quelle che ci figuriamo”.
Vegeta spalancò gli occhi e ripensò ai due giorni antecedenti, iniziando a comprendere che cosa stesse dicendo il signore di quel luogo. Strinse i pugni, fremendo.
“Continuo a non seguirti…” ammise Bulma un po’ amareggiata.
La sabbia della clessidra sull’asta lignea continuava a scorrere lentamente e a splendere nell’oscurità. Il brillare dell’aura aranciata della creatura infondeva calma e fiducia.
“Quando sei scesa su questo pianeta” risuonò l’essere potente “Non desideravi forse qualcosa da mangiare per te e per il tuo compagno, che vi permettesse di sopravvivere e che aiutasse lui a ritemprarsi dalla ferita? Non hai pensato alla quiete come necessità?”
“Beh… sì…” ammise lei sorpresa.
“Isuyo ti ha donato la sua foresta e i suoi frutti ristoratori”.
Il principe la fissò con una malinconia infinita e colpevole nello sguardo, all’udire che lei lo aveva anteposto a tutto. Ancora una volta.
“E tu, guerriero, non sei forse giunto qui con il dolore nell’anima?”
Vegeta arretrò di un passo, sperando inutilmente che la divinità non continuasse.
“Non ti sei forse chiesto cosa avresti provato, se avessi scelto di sparire per sempre dalla vita di questa donna? Cosa avrebbe provato lei, nel non doverti mai più vedere? E, cosa, invece, sarebbe successo, se tu avessi deciso di restare?”
“C-come?” balbettò Bulma, con le lacrime che salivano rapidamente agli occhi.
Il principe distolse lo sguardo.
“Il gelo immane che hai sperimentato, che avete vissuto, è stato la risposta al tuo dubbio. Non l’unico, come sai. Isuyo non pecca di mancanza. Non hai desiderato disperatamente un riparo per lei, di salvarla con le tue sole forze per mostrarle che…”
“Basta!!” tuonò Vegeta furente “Se sai leggere tanto bene nella mente, di certo hai visto che voglio solo andarmene da qui!”
La creatura si fece da parte e indicò l’uscita, ormai sgombra dalla neve: “Non è mia intenzione trattenervi. Sono venuto per avvertirvi che il tempo a vostra disposizione è quasi concluso. Quando la sabbia di questo sundoke sarà esaurita, il pianeta collasserà e si rigenererà per accogliere a suo tempo nuovi visitatori. Perciò, affrettatevi”.
Il principe non se lo fece ripetere due volte e si diresse verso l’apertura. Poi si arrestò e rivolse ancora una domanda: “Perché non riesco a volare come al solito? È opera tua?”
“Perché, guerriero Saiyan” ondulò la creatura “Le difficoltà, le paure e i dubbi non si possono impunemente sorvolare”.
Lui uscì senza girarsi. Bulma lo seguì. Si fermò vicino alla divinità e si inchinò.
“Grazie, Kitsu-sama”.
“Neppure le tue lacrime passeranno in silenzio, fanciulla” mormorò questi, mentre lei si allontanava “La sabbia non è ancora consumata per un’ultima ragione. Fatti coraggio”.
 
La ragazza lo rincorse e lo raggiunse, afferrandolo per un gomito.
“Aspettami, Vegeta! Si può sapere che cos’è questa storia? Vuoi partire? Perché?”
Il principe si liberò con uno strattone, gli occhi neri carichi di rabbia, di orgoglio e di dolore puntati al cielo livido.
“Non sono affari tuoi!”
“Vegeta…” lo chiamò lei, la voce ridotta a un flebile fiato “Vuoi davvero andartene?”
Lui non rispose. Aveva già preso la sua decisione. Ancora prima che Kitsu si manifestasse.
Si fissarono, in mezzo ai cumuli di neve sollevata dal vento, sullo scenario cianotico che reggeva i due satelliti opalescenti, nella desolazione di un pianeta morente, che non aveva ancora finito di farsi garante risolutivo delle loro domande.
La terra sotto i loro piedi tremò con un boato agghiacciante. Una crepa profonda si aprì nella montagna, facendo franare le rocce e spaccando la superficie imbiancata. Le lune erano immense e sembravano dover precipitare da un momento all’altro. Un fulmine squarciò il firmamento e si abbatté a pochi passi da loro.
Vegeta espanse il ki: “Chiudi quella bocca, se vuoi tornare a casa!”
La prese per un braccio e la trascinò verso l’astronave, tentando di levarsi in volo con scarsi risultati. Le folgori continuavano a crollare dall’alto, schiantandosi fragorosamente al suolo, sollevando spruzzi di terra e pietre ad ogni impatto.
“Che altro c’è!? Non hai ancora finito, maledetto!?” imprecò lui.
“Non è il pianeta!” gridò la ragazza, tentando di sovrastare il caos “Siamo noi! Devi liberare la mente da tutti i desideri!”.
“Sto solo pensando a come salvare la pelle!” replicò lui furente “Non spiega questa tempesta di fulmini! O non è vero che questo dannato posto ci vuole aiutare!”.
L’aura di Vegeta raggiunse il picco. La ferita iniziò a bruciare, ma non sentì ancora il sangue sgorgare attraverso la fasciatura. Schivò i lampi implacabili con l’agilità di un ballerino, conducendo con sé la terrestre, trascinandola letteralmente attraverso il pandemonio circostante, verso la salvezza.
Bulma cercava di stare al passo, preoccupandosi di non rallentarlo, con il cuore in gola; ma l’unico fulmine che l’aveva già colpita a morte era la consapevolezza che lui stesse meditando di andarsene.
La capsula sferica comparve all’orizzonte, mente un’altra crepa devastava lo strato di crosta fredda, mostrando sul fondo della fenditura abissale flutti di magma incandescente, le scariche elettriche che zigzagavano, sibilando come frecce intorno a loro.
“E’ la terza volta che guardo lo stesso finale!” ruggì il principe, girandosi verso la tempesta di folgori “Comincia a stancarmi!”
Accelerò, a mezza via tra il volo e la corsa disperata, saltando attraverso le rocce che si rivoltavano come serpi in un nido.
“Vegeta!” gridò Bulma indicando l’astronave, ormai vicina.
Il principe respinse con un fascio energetico un fulmine e si girò, trasecolando: la spaccatura aveva raggiunto i sostegni del veicolo spaziale e ne aveva inghiottito uno, facendolo inclinare pericolosamente. In bilico sulla fossa ribollente, la capsula rischiava di precipitare nella lava e, sicuramente, in quella posizione non sarebbe riuscita mai a decollare.
“Vai!” le gridò “Accendi i motori al massimo, falla uscire da lì!”
“Non avrai intenzione di restare qui!”
“Se non si raddrizza, ci restiamo tutti e due!! Sbrigati!”
Le diede il tempo di arrampicarsi sulla scaletta penzolante e di rifugiarsi all’interno. Dissolse la barriera e si preparò a respingere le saette sfrigolanti, che minacciavano di colpirlo con sempre più frequenza. Una scarica particolarmente intensa lo sbatté a terra, stordendolo e investendolo con un’ondata di terra e schegge di pietra. Il principe si rialzò immediatamente, con le orecchie che fischiavano, scrollandosi, ed elevò ulteriormente il ki; la ferita riprese a sanguinare; l’astronave era sempre nella stessa posizione precaria.
“Muoviti, donna!” urlò.
Il veicolo, con i motori al massimo, rombava per liberarsi dalla prigionia micidiale, ma non si spostava di un centimetro. Bulma manovrava i comandi con la forza della disperazione: quelli del decollo, le leve per l’atterraggio, dava al computer l’ordine di far rientrare i supporti, ma non c’era niente da fare. Bloccò tutti i sistemi sulla funzione di ascesa verticale e si affacciò all’esterno, reggendosi come meglio poteva.
In mezzo alla tempesta elettrica, Vegeta schivava e respingeva i fulmini, muovendosi come un acrobata, rivestito della sfavillante energia azzurra che le aveva salvato la vita la notte precedente. Non poteva permettere che restasse lì in mezzo.
“Vegeta! Devi rientrare! L’astronave è bloccata, dobbiamo aspettare che la crepa si allarghi e decollare in verticale! Vieni immediatamente! Bisogna chiudere il portellone!”
“Che cosa!? Ma sei pazza? Se una di queste saette colpisce la capsula, saltiamo per aria! Riprova, vattene da lì!”
Gridavano l’uno all’altra, in mezzo al frastuono assordante, in balia della distruzione.
“Vegeta!!”
La terra tremò e si dimenò come una creatura marina, esalando vapori incandescenti. Una delle lune impattò con la superficie, spezzandosi a metà, scuotendo il pianeta nella sua interezza. L’astronave si inclinò quasi oltre il baricentro e Bulma scivolò fuori, urlando, aggrappandosi al portellone spalancato, con le gambe penzolanti sull’abisso infuocato.
“Maledizione!!” imprecò il principe, raccogliendo tutte le energie residue, concentrandole nella mente e nel corpo, cercando di non farsi abbattere al suolo.
Il suo ki esplose con una potenza immane, bloccando i lampi mortali, tenendolo in equilibrio perfetto con la potenza della devastazione. Non poteva fare nulla per lei. Se fosse volato in suo soccorso, le saette avrebbero distrutto la loro unica possibilità di salvezza. Se fosse rimasto fermo, lei sarebbe caduta nel baratro.
Rabbia. Profonda e desolante. La totale impotenza lo rendeva furibondo. L’aura si allargò a dismisura, facendolo vibrare in tutte le fibre più intime.
Dolore. Intenso e incessante. La ferita si lacerò e un getto caldo di sangue gli scese copioso lungo il fianco; l’anima venne dilaniata a sua volta dal pensiero di lei e una luce intensa si fece strada nel suo io. L’energia azzurra si schiarì, diventando abbagliante.
Tristezza. Devastante e radicata. Se l’avesse persa per sempre, se lo avesse permesso, se…mai!!
Non per me. Per lei.
“Bulma!!”
Qualcosa di possente fuoriuscì dal suo corpo, insieme con il grido che eruppe dalle sue labbra. Il ki si sollevò come uno tsunami ed assunse il colore dell’oro fuso. Sentì i capelli che si raddrizzavano, li sentì ondeggiare nella furia, ma non li vide diventare biondi e splendenti. Gli occhi, verdi come il mare, erano su di lei, lei sola, pregando che riuscisse a resistere.  
Final flash. Lo pensò soltanto e diventò un’onda portentosa.
Successe in un attimo. Vegeta respinse le folgori con la stessa determinazione con cui si abbattevano e guadagnò un granello infinitesimale di tempo. Volò con fatica incommensurabile verso la capsula, lo squarcio nel fianco che sprizzava come una sorgente, ed afferrò la ragazza per un braccio, scaraventandola all’interno del veicolo.
“Vai!!!” ordinò.
Appoggiò le mani sulla superficie tondeggiante e fece leva con uno sforzo sovrumano, che lo esaurì definitivamente. La capsula si raddrizzò e si mosse, libera da costrizioni. Il principe si fiondò all’entrata, tirandosi dietro il portellone e chiudendolo con uno schianto. Stramazzò sul pavimento, stremato, in un lago di sangue, col respiro spezzato, mentre Bulma faceva decollare l’astronave in verticale, alla massima velocità.
Il veicolo rispose, barcollando e scricchiolando, portandoli finalmente fuori da quell’inferno, mentre la crosta del corpo celeste si crepava come un guscio d’uovo, eiettandosi all’esterno in una deflagrazione immane. Prima che tutto annegasse nella luce, che la distruzione ultima fosse troppo distante per essere seguita da occhi umani, la ragazza fu certa di cogliere, al di sotto della scorza rocciosa, una superficie di puro cristallo color arancio.
 
“Vegeta!” gridava lei, riparandosi dalla luce dorata riflessa sul suo viso, tamponandogli a tratti il sangue che usciva a fiotti, tenendolo fermo a terra, mentre lui si contorceva dal dolore, la vista annebbiata dallo sforzo e dalla mancanza d’ossigeno.
“Vegeta, siamo al sicuro! Fai rientrare il ki, non riesco ad avvicinarmi!”
Il principe si rese conto di essere ancora in emissione incontrollata e richiamò l’energia spirituale, riprendendo un po’ di fiato e un po’ di consapevolezza. La luce si estinse.
Gli occhi turchesi di Bulma erano pieni di lacrime, mentre premeva convulsamente sulla sua ferita e gli versava dell’acqua fredda sul volto, per farlo riavere.
“Io… io non…” tossì lui, piegato dalla spossatezza e dalla grave emorragia.
Le afferrò la mano, scosso dalle convulsioni, mentre percepiva la vita scivolare via. Lei la strinse e si abbassò su di lui, accarezzandogli il viso cereo e tirato.
“Tu sei…” mormorò sfiorandolo con un bacio “…un super Saiyan!”

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Terza notte ***


Terza notte

Vegeta pensò che se fosse morto con le labbra di una donna sulle sue, probabilmente, intere generazioni di Saiyan si sarebbero rivoltate nella tomba, disconoscendolo. Sicuramente, era stato peggio crepare con la risata crudele di Frieza nelle orecchie, tra le lacrime di rabbia, mentre pregava Kakarott di vendicare il suo sangue. Sollevò debolmente le dita e la sfiorò, perché quel bacio lo voleva… e che tutto il resto andasse all’inferno prima di lui!
Era davvero diventato un guerriero leggendario o aveva sognato? Qualcosa in lui si era mosso, aveva avvertito la trasformazione, forse aveva realmente raggiunto lo stato di super Saiyan. Tutto era confuso e indistinto.
La voce di Bulma gli giungeva a tratti, come un’eco lontana. Riuscì a metterla a fuoco e a connettere le sue parole.
“Dobbiamo fermare il sangue! Vegeta, mi senti?”
“Ti sento…” rispose a fatica.
“Ho solo un cauterizzatore a bordo” stava dicendo, mentre frugava febbrilmente nella cassetta del pronto soccorso “Ma non ci sono né anestetici né sedativi!”
“Fallo…” rantolò lui esausto “Sono abituato ai metodi drastici”.
Lei lo guardò con preoccupazione crescente, preparando ciò che le sarebbe servito.
“Farà davvero male… Io non sono un medico e…”
“Non inizierai ad avere paura proprio ora, donna?”
Lei fece un cenno di diniego, ma l’espressione angosciata non mutò. Prese il liquore, che aveva trovato in dispensa, e lo rovesciò sullo squarcio per disinfettarlo. Vegeta si contrasse per lo spasmo, mordendosi le labbra a sangue.
“Bevi questo” disse avvicinandogli la bottiglia alle labbra.
“Ha un odore disgustoso, ne faccio volentieri a meno!”
“Lo so che non bevi alcolici, ma non ho altro per lenire il dolore!”
Il principe rifiutò e chiuse gli occhi, concentrandosi per resistere a quelli che sarebbero stati minuti interminabili.
Bulma accese lo strumento e lo calò sulla ferita aperta con tutta la delicatezza che poté usare. Lui si inarcò per l’atroce sofferenza, sollevandosi da terra con un gemito soffocato. La ragazza si arrestò, spingendolo giù.
“Cerca di stare fermo, ti prego, lo so che è una tortura…”
Fredde gocce di sudore gli scendevano dalla fronte per l’affaticamento e per la debolezza, era bianco in volto e gli occhi erano velati a causa dell’emorragia. Ma era sveglio e resisteva. Fece scendere lo strumento per la seconda volta e lui si dimenò nuovamente, scosso da brividi incontrollati e lancinanti. Il suo respiro si fece sempre più accelerato, nello sforzo di contrastare il dolore insopportabile senza emettere alcun suono. Bulma inghiottì un sorso di alcolico per darsi lo stesso suo coraggio e si sentì bruciare le budella.
“Cerca di non ubriacarti…” ansimò lui con un filo di voce.
La ragazza riprese a cauterizzare, tentando di non farsi distrarre dai suoi lamenti soffocati, di non pensare alla vita pulsante che aveva tra le mani, all’eventualità che lui…
Vegeta lottava, ma era sfinito e, nonostante la tempra, non riusciva più a riguadagnare e a mantenere la calma interiore per le fitte troppo prolungate. Il dolore lo rendeva vigile, anziché abbatterlo, e lo devastava senza tregua.
“Ehi, donna… passami quella porcheria…” chiese, senza più resistenza da opporre.
Ingollò il liquido verdino e lo sputò, tossendo; riprovò, tentando di vincere il voltastomaco che gli creava, imprecando ad ogni goccia schifosa che gli scendeva nell’esofago.
Lei lo guardò combattere con la sofferenza e si aggrappò alla sua tenacia per non cedere allo sconforto. Avrebbe voluto aiutarlo. Avrebbe preferito dare la vita per lui.
“Pensa a qualcosa di bello…” gli suggerì con la voce che tremava, sentendosi terribilmente stupida e inutile. Strinse con forza il cauterizzatore.
Il principe la fissò interdetto, ma dovette chiudere gli occhi, perché tutto aveva preso a girare e la sensazione di nausea si stava facendo violenta. Percepì nuovamente il calore pungente sulla ferita e gli mancò il fiato, mentre stringeva i pugni madidi nell’inutile prova di non muoversi. Qualcosa di bello… era una parola. Certamente non avrebbe potuto scomodare i ricordi legati al suo pianeta natale, che erano un puzzle di sconfitte, umiliazioni e privazioni… argh! Darei qualsiasi cosa per un senzu o per una teca di rigenerazione! Anche l’essere stato ridotto al rango di servitore da quel bastardo di Frieza non poteva essere di sicuro una rimembranza piacevole, così come le offese subite negli anni da parte di esseri inferiori come Dodoria e Zarbon oppure… ouch! Per le stelle, sta diventando insostenibile anche per me… Oppure il suo scarso successo su Namecc, con Kakarott che gli era passato davanti e aveva sconfitto Frieza al posto suo… ah! Maledizione! Non pensavo che sarebbe stato così arduo, anche se la terrestre mi aveva avvisato…
Vide, tra le reminiscenze sfocate dal dolore, l’albero contro cui si era appoggiato, in disparte, quando il drago Polunga lo aveva trasferito sulla Terra in mezzo ai nemici. Che c’entra ora l’albero, perché Lei.  Agh!! Ti prego, fai in fretta… Rivide la ragazza dai capelli azzurri e dagli occhi del colore delle onde oceaniche, che si girava verso di lui e gli parlava amichevolmente, come se lui non fosse stato un mostro, dicendogli… Aah! Basta, non ce la faccio più! Dicendogli di seguirla. Già, lui non avrebbe saputo dove andare e poi il suo sorriso era così… Ouch! Per l’universo! Sì, ci stava arrivando, forse avrebbe potuto pensare a quella cocciuta, insopportabile, irriverente, inebriante terrestre, che gli stava bruciando la carne per non farlo morire… L’unica bellezza nella sua vita era lei. Lo era la sua bocca, il suo corpo che avrebbe stretto, che avrebbe… se solose… aaah!
Vegeta si contorse e gridò con tutto il fiato che gli era rimasto. Perse i sensi.
 
Bulma vide quasi con sollievo che lui era venuto meno e terminò di chiudere la ferita, arrestando il fiotto di sangue definitivamente. Applicò una benda con le mani che ancora tremavano, poi tagliò lunghe strisce di stoffa dal vestito bianco che portava il giorno della partenza e fece girare le fasce intorno alla sua vita, fermandole. Gli abbassò la maglietta, che era ridotta a un cencio e gli infilò un asciugamano piegato sotto la testa, perché non fosse a contatto con il pavimento di gelido metallo. Respirava. Con fatica, ma il suo petto muscoloso si alzava e si abbassava con sufficiente regolarità. L’ambiente si andava gradualmente riscaldando, ma non era ancora vivibile. Asciugò da terra le chiazze di sangue, con un brivido, sperando che ne avesse in corpo ancora abbastanza per sopravvivere. Ma certo, era così! Era un Saiyan! Quante volte quegli alieni testardi erano stati dati per spacciati e poi… Si asciugò la lacrima che le scendeva lungo la guancia e strappò la coperta dal letto, portandola da lui. Non voleva spostarlo, non ne era in grado e il solo pensiero che la lacerazione si riaprisse… Gli deterse il sudore dalle tempie, sperando che non gli venisse la febbre, dato il disinfettante improvvisato che aveva adoperato per sterilizzare. Prima di chiudere la bottiglia, si calmò con un altro sorso.
“Ti ubriacherai con quella robaccia…” sussurrò lui impercettibilmente.
“Vegeta…”
Il principe socchiuse gli occhi, ancora annebbiati, ma terribilmente intensi sul volto esangue, sfiorandosi con cautela la medicazione. Ben fatto. Sollevò una mano e strinse fiaccamente quella che sentiva accarezzargli la fronte.
“Oh, per le galassie, sei freddo come il ghiaccio!”
La ragazza si guardò intorno, ma i mezzi per fargli riguadagnare la temperatura ideale erano terminati e il maledetto impianto di riscaldamento era di una lentezza esasperante. Scaldò dell’acqua e riuscì a sciogliere dentro la tazza alcuni dei frutti violacei che aveva raccolto su Isuyo: il sapore non era sgradevole, ricordava vagamente quello delle susine mature.
“Tieni” disse avvicinando con cautela il recipiente alle labbra di lui “Devi bere, ti reidraterà e ti scalderà un po’. Siamo messi male anche con l’aria calda!”
Vegeta riuscì con fatica a sorseggiare il liquido bollente, ma si accasciò subito, sfiancato. Tutto continuava a girare vorticosamente intorno a lui e si sentiva la mente intorpidita e confusa. Faticava a tenere gli occhi aperti, ma rifiutava di cedere come un debole al dolore.
“Al diavolo!” esclamò Bulma con le mani sui fianchi “A mali estremi…!”
Si sedette sul pavimento accanto a lui e spostò la coperta, accostandoglisi. Lui si voltò, senza alcun moto di ribellione, sfinito.
“So che non ti andrà a genio, ma non ho altre soluzioni! Perciò dormirò con te anche stanotte, solo dovrò starti molto vicino: un’induzione, per non farti rischiare l’ipotermia”.
Si sdraiò accanto a lui, su un fianco, abbracciandolo, nel tentativo di passargli più calore corporeo possibile. Vegeta percepì in sé un’ondata rovente dal basso verso l’alto, che gli salì alla testa, passandogli per il cuore, che accelerò le pulsazioni.
“Non mi darà così tanto fastidio, donna…”.
La ragazza riuscì a intercettare il proprio moto di sorpresa, provocato dalla risposta stranamente conciliante, in mezzo a tutte le emozioni causate dal contatto col corpo di lui.
“Bulma” specificò “Quando sei diventato super Saiyan, hai gridato il mio nome…”
“Non rammento nulla del genere”
“Che ti sei trasformato te lo ricordi?”
“Sì… vagamente…”
“Comodo selezionare le memorie con la scusa dell’essere mezzi morti!”
Nonostante la sofferenza e le condizioni precarie, il principe produsse un sorriso. Il capogiro lo disturbava e non riusciva quasi a muoversi, ma ugualmente sollevò il braccio e la cinse a sua volta. Non era il ki a generare tutto il caldo che lo stava invadendo.
“Tu…” mormorò “Non hai avuto paura?”
“No.” realizzò lei.
“Perché?”
Bulma se lo domandò a sua volta, dal momento che erano sfuggiti alla morte per un soffio e che non erano ancora al sicuro, chiusi in quell’astronave programmata per fare quello che le pareva, come se il computer fosse un optional di scarsa rilevanza.
“Perché c’eri tu.” rispose con sincerità.
Vegeta si irrigidì impercettibilmente e il concetto di cuore calmo in mezzo alla furia gli fu terribilmente palese, ancor più che nell’istante in cui aveva percepito la trasformazione. Aprì gli occhi ancora lucidi e fece salire la mano sul suo viso, sfiorandolo.
“Induzione, eh…?” sogghignò.
“Sì, è quando si trasmette...”
“Lo so cos’è.”
E non era quella. Ouyo, avrebbe detto in lingua saiyan. Legame. Le parole che avrebbe voluto usare erano distanti, perse in qualche angolo della sua mente annebbiata, così non le trovò, ma riuscì ugualmente ad articolare il suono in quell’idioma che non era il suo.
“Tu sei così… bella… e io ti…”
Bulma trasalì. Non poteva essere lui a parlare. Pensò che stesse delirando e gli toccò la fronte, per accertarsi che non fosse febbricitante. Lo fermò, le dita sulle sue labbra.
“Non dire nulla. È l’alcol che si esprime al posto tuo. Non sei abituato, ti fa sragionare…”
“No…” continuò lui, la voce impastata e incerta.
“Vegeta, non…”
Non avrebbe ascoltato nulla di dettato dal momento critico o dall’irrazionalità farneticante di chi aveva appena guardato la morte in faccia. Non era dignitoso per nessuno di loro. Lui serrò la stretta. Per le stelle, non pareva poi tanto spossato!
“Non sono così ubriaco o moribondo da non poterti dire che ti ringrazio”.
L’abbraccio si allentò e il principe si abbandonò contro di lei, vinto dalla stanchezza. Come tutti i Saiyan, alla morte che lo fissava, aveva risposto con uno sguardo ancora più terrificante. La ragazza lo osservò dormire tranquillamente contro il suo petto e chiuse gli occhi. Poco più di un giorno e poi sarebbero tornati sulla Terra. Per la prima volta, pensare a casa, la rendeva infelice, perché lui forse se ne sarebbe andato per sempre.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Quarto giorno ***


Eccoci alla conclusione della vicenda! Vorrei davvero ringraziare tutte le persone che mi hanno lasciato un feedback, in particolare Old Fashioned, Misatobulma e Shanley, che hanno avuto la pazienza e l'assiduità di leggere tutto. Ho mantenuto verde il rating, anzichè girarlo in giallo, non mi sembrava necessario. Buona lettura!

Quarto giorno
 
Bulma si destò dopo poche ore, indolenzita dal crudo contatto con il pavimento. Il principe non si era mosso e continuava a dormire placidamente, appoggiato a lei. Si mise a sedere, cercando di non svegliarlo e lui si spostò nel sonno, lasciando intravedere la medicazione: fortunatamente non c’era sangue, la cauterizzazione era stata risolutiva, benché drastica. Gli saggiò la fronte con il polso e la trovò tiepida, ma non eccessivamente calda. Non era andato in ipotermia e non sembrava avere la febbre. Grazie ai Kami.
Si alzò, rintuzzandogli la coperta e andò a preparare qualcosa da mettere sotto i denti, pensando che per un Saiyan fosse la cura migliore e, se non altro, più gradita. Gli strani frutti del pianeta Isuyo erano piuttosto rigeneranti: se n’era accorta quando aveva bevuto il decotto improvvisato, poche ore prima. Sperava che contribuissero a far riprendere anche Vegeta. Kitsu-sama aveva affermato che erano la risposta al suo desiderio di ristoro. Voleva che lui stesse bene. Nient’altro. Aprì la cassetta per prenderne altri.
“Per le stelle!” le scappò a voce alta.
In mezzo alle bacche variopinte c’erano alcuni pesci dall’aspetto invitante. Rinunciò a qualsiasi spiegazione logica e iniziò a cucinare silenziosa.
 
Vegeta riprese coscienza e stese il braccio, che annaspò nel vuoto: realizzò di essere solo nel giaciglio estemporaneo. La terrestre si muoveva in punta di piedi poco distante da lui, ma il suo calore gli era rimasto dentro. Sentiva la ferita asciutta, il che era un buon segno, così come le pulsazioni contenute indicavano che non c’era infezione.
Gli eventi delle ore precedenti gli si affacciarono alla mente: la neve aveva avuto uno scopo, l’apparizione del signore del luogo anche, la tempesta di fulmini più che mai. Probabilmente, quel pianeta dannato era davvero un posto sacro. Non si capiva bene a chi. Nulla di ciò, tuttavia, aveva avuto su di lui lo stesso potente effetto di quando aveva sentito affermare dalla ragazza che non aveva avuto paura, perché era con lui. Shireei. Fiducia. Faceva una certa impressione esserne il destinatario.
Il profumo stuzzicante del cibo gli giunse alle narici e riaccese tutte le altre percezioni, snebbiandolo definitivamente. Si alzò sui gomiti con cautela, spinto dalla voragine che aveva nello stomaco, che protestava ferocemente.
“Vegeta!”
“Ce la faccio!”
Il principe si raddrizzò con fatica; lei ignorò, come di consueto, il suo orgoglioso tentativo di rifiutare qualsiasi aiuto, facendolo sedere con precauzione.
“Come ti senti?” indagò.
“Bene, a parte il tamburo che mi batte dentro la testa”.
“Quel liquore orribile!” borbottò Bulma “Spero che mio padre non pensi di farne scorta!”
Gli passò un vassoio colmo e lui osservò sorpreso il pesce che faceva bella mostra in mezzo alla frutta tagliata con cura.
“Abbiamo avuto tempo di pescare?” le chiese perplesso.
“No. Sarà il risultato di qualche desiderio sottaciuto. Come la tempesta di fulmini”.
Hah…” sospirò lui, comprendendo l’allusione all’apocalittico scenario terminale deliberato dal pianeta. Fagocitò tutto con lestezza saiyan e le porse nuovamente il piatto.
“Che il mio fine fosse quello di diventare super Saiyan, non è mai stato un segreto. Ma in quel momento non ci stavo proprio pensando. Evidentemente, Isuyo agisce oltrepassando le riflessioni più epidermiche… certo che il sistema che ha usato è stato piuttosto perentorio. Chi! Ancora un po’ e ci restiamo secchi…”
“Indubbiamente l’ha considerato necessario” commentò lei con un velo di tristezza “Rasentare la morte, ti fa apprezzare la vita. Devi comunque scegliere, quando non hai scelta e, per farlo, devi restare calmo. Ti ha imposto tutte queste condizioni in una volta”.
Gli offrì un terzo piatto pieno e riportò le coperte al loro posto, accomodandole sul letto. Lui la seguì con lo sguardo e percepì un tuffo al cuore. Non era da lei rinunciare. Forse, non gli aveva più domandato nulla sulla questione della partenza per ordine di priorità: la premura di salvargli la vita aveva annullato tutte le altre. Ancora…  lui anteposto a lei.
“Non solo. Non basta questo per la trasformazione”.
Lei sollevò quegli occhi blu, così carichi di sentimenti.
“L’ha ritenuto indispensabile…” concluse Vegeta sottovoce.
Come quella maledetta, gelida neve. Ma l’ultima considerazione non la espose a voce alta. Riuscì a dirigersi da solo verso il letto, quello vero, le energie ripristinate dal pasto abbondante e rinvigorente. La lesione non gli doleva più così tanto: si sarebbe ripreso presto, più potente di prima, come succedeva sempre al sangue saiyan che veniva lambito dal decesso. Come già era accaduto nel suo funesto passato di distruttore… e su Namecc… e sulla Terra, nella gravity room… come una maledizione, che lo portava a bramare l’ascesa infinita… come una benedizione, che gli donava immeritate chance… come poter salvare lei… cambiare qualcosa… baciami ancora, ti prego… una sola volta… sconfiggimi o io…
Il sonno lo avvolse.
 
Si svegliò per l’ennesimo scossone, che comunque passò quasi inosservato: ormai erano assuefatti al continuo balletto dell’astronave che, in meno di ventiquattr’ore, sarebbe rientrata alla Capsule Corporation.
La terrestre non era tra le coltri con lui ma, ne era certo, non aveva smesso di vegliarlo, nonostante avesse a sua volta bisogno di riposo. Era di un’altra tempra rispetto a lui, non era abituata a rischiare la vita in quel modo avventuroso, tuttavia il suo coraggio indomito era ineccepibile. La vide affacciata all’oblò, vicino ai comandi, di spalle, assorta.
“Tu… piangi?”
Lei trasalì e si asciugò le lacrime con una mossa fugace.
“Non sto piangendo…”
Il principe scosse la testa e sedette sul bordo del letto, appoggiando i piedi nudi a terra. Il contatto col freddo pavimento fece risalire tutte le sensazioni che aveva sperimentato, una dopo l’altra, con la precisione di un conto alla rovescia. Il computer segnalava inesorabile il tempo rimasto a quell’incredibile viaggio. Strinse le lenzuola tra i pugni.
“Ti fa male la ferita?” domandò lei, sviando l’argomento.
“Non più” rispose senza lasciarsi distrarre “Fa male a te”.
Bulma si girò, con gli occhi luccicanti, percossa da quell’affermazione insolita e lo guardò mentre, intento, fissava il suolo, con le mani incrociate sulle ginocchia.
“Il pianeta non avrebbe potuto trovare metafora più indovinata di quella della neve, sai?” gli disse “Ti dà l’impressione di essere distante e indifferente a tutto, mentre cade lieve; è fredda e impalpabile, ma in realtà porta un peso insospettabile; se la tieni troppo tra le mani, al contrario, ti ustiona e, se vuole, può anche ucciderti”.
Vegeta le rivolse uno sguardo ardente e non rispose, riconoscendosi fin troppo bene nell’allegoria. Volutamente ostentava freddezza, interponeva tra loro un algido distacco, reso più struggente dal fatto che Kitsu avesse rivelato a bruciapelo le sue elucubrazioni. Ne era consapevole.
“Eppure, se quelle mani riescono ad essere più calde di essa e non la lasciano cadere, si trasforma in acqua e restituisce la vita” continuò lei avvicinandosi.
Il principe, terribilmente commosso, non staccò gli occhi dal suo viso.
“Quel gelo era per me, non per te” replicò “Il pianeta mi ha pagato con la stessa moneta che uso solitamente. Per sopravvivere, ho dovuto agire al contrario: accendere il ki per salvarmi, accettare che mi venisse affidata la responsabilità della tua vita. Come tu hai sempre fatto con me. Il ghiaccio mi è entrato nelle ossa, nonostante l’uso dell’energia spirituale, mi è stato inferto con spietata risolutezza, affinché potessi capire che cosa mi sta aspettando là fuori, nella solitudine, e potessi scegliere con accortezza”.
Lei era in piedi, a un passo da lui, e lo ascoltava. Gli posò una mano sulla spalla.
“Io ti ringrazio, principe dei Saiyan. Mi hai salvato la vita due volte, non mi dovevi niente”.
“Cosa? Che stai dicendo?! Tu stai forse…”
Le dita di Bulma gli percorsero il viso, in una carezza dolcissima.
Vegeta si curvò e si prese la testa tra le mani, disperatamente. Se quello era un commiato, se lei avesse pronunciato quella dannata parola di congedo, lui… “Combatti…” mormorò.
“Come?”
“Combatti!” gridò lui.
La ragazza rimase immobile per un istante. Poi pizzicò il cursore della cerniera della tuta che indossava e lo abbassò fino a metà, scoprendo il top bianco che le fasciava il corpo. Vegeta scattò in piedi e nella sua mano la zip continuò la corsa, andò oltre, stracciando la stoffa fino in fondo. Le abbassò l’indumento sui fianchi, stringendola con forza, cercando le sue labbra, strappandosi a sua volta i vestiti che gli erano divenuti insopportabili.
“Perché!?” le domandò, baciandole impetuosamente il collo e le spalle, lasciando che la mano di lei indugiasse sul suo petto, che sfiorasse i suoi addominali scolpiti, che lo accarezzasse “Perché sei tu che mi stai dicendo addio!?”
La risposta lo scudisciò, mentre le sollevava la canottiera e assimilava il contatto con il suo corpo di seta, mentre la mano di lei gli percorreva la schiena fino alla cicatrice della coda che non c’era più.
“Perché ti amo…”.
Sussultò. Le liberò l’altro braccio dalla manica e la tuta scese a terra…e non era mai stato così bello sentire pronunciare il suo nome come dalla sua bocca e desiderare di essere toccato da lei, mentre la spingeva sul letto e la cercava in quella stretta sempre più nuda, più vera, più trascinante…
“Ripetilo…” ansò, con le mani tra i suoi capelli sciolti, sentendo il suo seno conto il petto solido, la pelle attraversata dai brividi accesi dalla sua fragranza “…o non lo crederò reale…”. La udì sussurrare ancora quelle due parole e furono uno schiaffo, furono una certezza o non gli avrebbero fatto così male, non lo avrebbero incendiato ancor più del sentirla aderire ad ogni suo centimetro, dell’avere la sicurezza che lei lo voleva tanto quanto lui anelava lei…
“Non riesco a dirlo…” ma fu su di lei col silenzio bruciante di baci, perché il linguaggio che stavano usando per accogliersi apparteneva all’universo “Non riesco a dire che ti amo…” e, per tutte le galassie, invece, lo aveva davvero detto, tirandole fuori una lacrima rovente, che si perse nell’amplesso, nell’intreccio con le sue braccia delicate, che lo guidavano al suo cuore. Il battito impazzito era lo stesso, era sincrono al suo, lo avvertiva nel risvegliarsi ancora più fino dell’istinto atavico del suo sangue, nella natura ancestrale di Saiyan, che gli pulsava nelle vene, nell’unirsi dei loro corpi, perché le loro anime lo avevano già fatto…
“Vegeta…”
Sollevò il viso da lei, in attesa.
“Questo… questo fa paura…”
“Terribilmente…”.
Dividersi in un’altra creatura era esistere, era vivere dentro di lei non solo per un’istante, era divenire uno e lui non lo avrebbe mai creduto, nemmeno in mille anni sarebbe mai arrivato a pensare di riuscire a sentirsi così, di poterlo davvero fare, di volersi dare, di volerla avere, di… oh, stelle…
Bulma lo strinse sospirando, mentre si adagiava su di lei, in lei, senza più fiato e le sue membra tese di guerriero si rilassavano e le dita si arrampicavano per intrecciarsi alle sue, senza interrompere il legame, che oltrepassava quello fisico e incandescente di passione, che irrompeva nell’anima, in una contrazione d’amore perpetuo. Unì il respiro al suo, prima rapido e impetuoso, poi sempre più regolare, affondandogli le mani nei capelli, restando con i suoi muscoli possenti a premerle addosso, sentendolo rovente e sereno, riconoscendolo nell’umanità fusa di loro, nella quiete di quell’abbraccio, nell’amore e basta.
Vestiti come il giorno in cui erano venuti al mondo, senza barriere, avevano percepito la paura, che avevano negato, evaporare e lasciarli finalmente soli l’uno con l’altra. A volersi, ad amarsi.
 
Sulla sua spalla, Bulma in un sonno leggero percepiva a tratti la sua mano salire e scendere lentamente lungo la spina dorsale. A sua volta, cingeva con dolcezza il suo torace che si sollevava e si abbassava piano. Sopore e veglia sotto il baluginare ombroso delle luci rosse e blu della capsula, che correva ostinata verso la Terra.
Il computer emise un segnale e Vegeta si tirò su delicatamente, con la fronte aggrottata, fissando lo schermo petulante, che gli poneva una richiesta che aveva ignorato fino a quel momento. Si alzò e si diresse alla console, leggendo il messaggio “test di navigazione ultimato”. Diede un ok e l’aggeggio pretese nuove attenzioni, domandando istruzioni sulla procedura d’arrivo: “scegliere criterio finale; navigazione veloce per termine procedimento - 30 minuti/navigazione lenta di registrazione dati - 4 ore”.
Il principe dei Saiyan sogghignò e inviò il comando.
“Quattro ore?” domandò la ragazza, leggendo la nuova cifra sul timer.
Hah, non di meno” rispose lui, avvicinandosi con uno sguardo che non lasciava dubbi.
Si sedette sul bordo del letto e sentì le mani di lei scorrergli sugli omeri e circondarlo.
“Davvero? E come vorresti impiegarle?” gli sussurrò all’orecchio.
“Induzione” fece lui sottilmente divertito.
“Che…?”
“Per trasmettere il calore si fa senza vestiti…lo sapevi?”.
“Sì, sono una scienziata” rise lei. “E… lo chiamate davvero così?” aggiunse, maliziosa.
Vegeta si girò a guardarla, facendole capire che la stava prendendo in giro. L’abbrancò a sorpresa, con un sorriso sagace, senza farsi intimidire dalla richiesta.
“No. Teikyuketori” rispose, issandola a sé tra le braccia. “È intraducibile…”.
“Provaci…” mormorò lei sulle sue labbra.
“Offrire e ricevere in uno” interpretò lui, acceso dal contatto stretto dei loro corpi.
“Fare l’amore…” traspose lei, lasciando che le sue mani tornassero a sfiorarle la pelle.
Hah…” la trapassò con quegli occhi profondi di ossidiana nera “Ho forse dato un’altra impressione prima?” domandò sarcastico, mentre lei si affidava alla sua movenza lieve, che la sollevava senza sforzo, nonostante la cautela per via della ferita.
“Mmh, vediamo, come posso dire…” ironizzò la ragazza, accarezzandolo, provocandogli un brivido cocente sul collo.
“Parli troppo…” rise lui senza imperiosità nella voce.
 
L’astronave bucò l’esosfera, facendo scattare il sistema di raffreddamento. Vegeta calzò gli stivali e si alzò in piedi, portandosi una mano al fianco bendato: il male era sopportabile e la lesione non aveva più sanguinato. Bulma si legò le maniche della tuta sbrindellata in vita e si ravviò i capelli, ancora umidi per la doccia, osservando la superficie color zaffiro del suo pianeta avvicinarsi. Le terre emerse divennero più nitide, le montagne illuminate dall’incipiente tramonto svettarono per prime durante la discesa, poi fu la volta delle colline verdi e gialle; ma fu il mare ad avere la parte principale, cosparso di polveri luccicanti come corniole scheggiate, lento e inesorabile come il tempo, mentre si frangeva schiumando sulle coste rocciose.
La discesa verticale rallentò, mentre si dirigevano fianco a fianco verso il portellone d’uscita.
La capsula si posò al suolo con un sobbalzo, ribellandosi per l’ultima volta alla fredda logica della tecnologia, estraendo i supporti aggranchiati. La luce filtrò dal portellone che si stava schiudendo lentamente.
“Te ne andrai?”.
Il principe la guardò imperscrutabile, senza rispondere, e si diresse verso l’apertura spalancata. Lei lo seguì.
 
Il comitato di accoglienza era al gran completo. Il dottor Brief accorse per primo, con la moglie al fianco, seguito a breve distanza dagli immancabili Krilin e Yamcha.
Vegeta scese gli scalini senza volare, mentre tutti fissavano inorriditi il loro vestiti sporchi e strappati, il loro aspetto terribile, chiedendosi cosa fosse successo lassù nello spazio.
“Oh, cielo!” fece la signora Brief, scorgendo le macchie di sangue rappreso sulla dogi del Saiyan e le fasce di medicazione, che facevano capolino dalla stoffa lacerata.
“Tesoro, stai bene?” domandò lo scienziato alla figlia.
“Fammi un favore!” rispose lei inviperita “Cancella quel maledetto pianeta Isuyo dalle mappe di navigazione! E fa’ qualcosa di crudele a quel computer! Resettalo! Distruggilo! Ah! Guai se compri ancora quel liquore verde!”
Il vecchio la lasciò sfogare, tirandosi i baffi, sbigottito, osservandola dirigersi verso casa a un passo dal compagno di viaggio che, invece, pareva arrogantemente indifferente.
“Si può sapere cosa ti è saltato in mente?” esclamò Yamcha, rivolto all’indirizzo del principe “Partire per le tue mattane con lei a bordo…Cosa credevi di…”.
Vegeta si arrestò di botto e si voltò, saettandogli contro un’occhiata che avrebbe fatto esplodere il Sole. Bulma lo vide serrare i pugni con forza e si interpose, prima che quel ki devastante andasse a segno.
“La tua premura non è necessaria, Yamcha, grazie! La colpa è di mio padre, non di Vegeta! Se non ci fosse stato lui, io sarei morta!”.
Il dottor Brief spalancò la bocca, stupefatto. Le labbra di Vegeta si piegarono in un sogghigno appena percettibile, mentre continuava a carbonizzare con lo sguardo il malcapitato guerriero terrestre, che batté in ritirata. Poi i suoi occhi si spostarono sull’altro giovane vestito d’arancio, che era rimasto timidamente in disparte con un familiare sacchetto di stoffa legato alla cintura.
“Ehi, tu…” gli disse gelido, tendendogli la mano.
Krilin non se lo fece ripetere e gli lanciò perspicacemente un senzu a distanza di sicurezza. Il principe lo inghiottì e tutte le ferite sparirono dal suo corpo all’istante. Ignorando i presenti, si avviò con calma verso l’ingresso dell’edificio, sciogliendosi le bende dalla vita.
“Ne vuoi uno anche tu, Bulma?” si informò gentilmente l’amico.
“No, grazie, Krilin, io sto bene. Ti ringrazio di essere venuto e di aver portato i senzu. Mi dispiace di averti fatto preoccupare. Sei davvero un tesoro”.
Vegeta si fermò impaziente, sempre dando le spalle al pubblico: “Bulma!” ringhiò.
“Arrivo! Insomma, mi metti sempre fretta!”
La ragazza lo raggiunse, sbuffando, ed entrambi sparirono oltre la soglia.
“Non… non ci posso credere…” sbottò Krilin con un’espressione impagabile.
La signora Brief sorrise civettuola, come una che la sapeva lunga, intrecciando con tranquillità le dita sul candido grembiule di pizzo.
“Venite, ragazzi” cinguettò “Vi offro tè e pasticcini. Festeggiamo il felice rientro”.
 
Iniziarono a salire la scalinata che conduceva alle camere, in silenzio. Bulma era immersa profondamente nei suoi pensieri, con lo sconforto nello sguardo e nel cuore. Non si era neanche accorta che lui l’aveva chiamata per nome. All’ultimo gradino, fece per svoltare a sinistra, verso la propria stanza, e sentì la mano di lui sul polso.
“Dove stai andando?” le chiese Vegeta, che si stava dirigendo a destra.
“Nella mia…”
Lui la guardò intensamente, attirandola a sé con un movimento appena accennato.
“Non credo proprio” disse con un sogghigno “Puoi venderla quella camera”.
“Non m’importa quello che credi tu, principe dei Saiyan!” lo rimproverò dolcemente lei “Non me ne starò ai tuoi ordini!”
“Ma davvero?” rispose lui con un guizzo divertito negli occhi “Ritieni ce ne sia bisogno?”
Lei lo fissò seria: “E’ un “rimango” il tuo?”
“Andrò lontano e sarai costretta ad annegare nella paura per causa mia. Ma non oggi. E neppure domani. Talvolta, forse…”.
“Non ho paura”.
Chi!” fece lui, prendendole il viso tra le mani e lasciando che quelle iridi turchesi risplendessero nel nero assoluto delle sue.
“Resterò affinché tu ne abbia. Resterò per te”.
Bulma, in un impeto di gioia incontenibile, raggiunse le sue labbra con un bacio e lo sentì fremere e si sentì sollevare da terra con altrettanta foga.
“A tuo rischio” le mormorò all’orecchio “Hai visto che ho preso un senzu, vero?”
“Disposta a correrlo, ora e per sempre”.
Vegeta sorrise e sparì nell’ombra del corridoio con la sua donna tra le braccia.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3753863