Lux In Tenebris

di about_mydreams
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue. ***
Capitolo 2: *** 1 - Hi, Granger. ***
Capitolo 3: *** 2 - Welcome into the wolves' cave ***
Capitolo 4: *** 3 - Why? ***
Capitolo 5: *** 4 - Weaknesses ***
Capitolo 6: *** 5 - Don't be afraid of me ***
Capitolo 7: *** 6 - Elizabeth Randall ***
Capitolo 8: *** 7 - Greengrass women ***
Capitolo 9: *** 8 - Smoking room ***
Capitolo 10: *** 9 - Unpleasant guests ***
Capitolo 11: *** 10 - Opportunity ***
Capitolo 12: *** 11 - Attempt to escape ***
Capitolo 13: *** 12 - «I'm so tired, Draco.» ***
Capitolo 14: *** 13 - Like Beauty and the Beast ***
Capitolo 15: *** 14 - The Truth ***
Capitolo 16: *** 15 - Bad memories ***
Capitolo 17: *** 16 - A bad feeling. ***
Capitolo 18: *** 17 - Not just a presentiment. ***
Capitolo 19: *** 18 - Patriarchy ***
Capitolo 20: *** 19 - A weight to carry. ***
Capitolo 21: *** 20 - First Contact. ***
Capitolo 22: *** 21 - A strange day. ***
Capitolo 23: *** 22 - Naked. ***
Capitolo 24: *** 23 - Dangerous attraction. ***
Capitolo 25: *** 24 - A small and fleeting moment of happiness. ***
Capitolo 26: *** 25 - Mother's Hearts. ***
Capitolo 27: *** 26 - Snowflake. ***
Capitolo 28: *** 27 - A surprising man. ***
Capitolo 29: *** 28 - Patricia Blanchard. ***
Capitolo 30: *** 29 - Not to be good enough. ***
Capitolo 31: *** 30 - Confusion. ***
Capitolo 32: *** 31 - A perfect moment, or almost. ***
Capitolo 33: *** 32 - No coincidences. ***
Capitolo 34: *** 33 - I'll be there for you. ***
Capitolo 35: *** 34 - Captured! ***
Capitolo 36: *** 35 - Bitter tears ***
Capitolo 37: *** 36 - And everything changed ... ***
Capitolo 38: *** 37 - Back to home ***
Capitolo 39: *** 38 - The fear I have of losing you ***
Capitolo 40: *** 39 - The light went out. ***
Capitolo 41: *** 40 - Light in the darkness ***
Capitolo 42: *** Epilogue. ***



Capitolo 1
*** Prologue. ***




Prologo
 
Godric's Hollow Agosto 2017,
Sedici anni dopo la caduta di Lord Voldemort.

 
Il sole è calato fuori da queste mura, l'oscurità comincia a prendere il sopravvento, ma i colori del tramonto sono alquanto affascinanti ed io mi perdo a contemplare l'arancione e il rosa mescolarsi insieme; il momento del giorno  che preferisco. La giornata lavorativa è stata stancante, ma la dedizione al dovere è una caratteristica innata e non mi pesa farmi in quattro affinché le mie azioni siano perfette in quanto prossima a diventare Ministro della Magia. Nonostante tutta la fatica che ogni giorno devo sopportare, non appena metto piede in casa le cose cambiano radicalmente: sono semplicemente moglie e mamma. 
Guardo ancora fuori dalla finestra nel grande salotto godendomi la pace della strada alberata di Godric's Hollow. Non sono ancora abituata a tutta questa quiete, benché siano trascorsi sedici anni. Ero sempre pronta a combattere in passato, bacchetta alla mano, ed il mio carattere fiero e coraggioso mi rendeva il compito molto semplice. Ogni cosa è cambiata, io in prima persona lo sono. Il dolore, la solitudine e l'incessante paura di morire non possono non mutare l'animo delle persone; almeno io mi sento totalmente diversa, forse perché per qualche tempo sono stata anche dietro la barricata nemica, e credo che sia stato proprio in quel periodo che il mio mutamento abbia avuto inizio. Quell'avvenimento ha cambiato la visione che avevo del mondo.
«Mamma!» la voce stridula e tremante di Rose richiama la mia attenzione.
Mi volto verso l'ingresso del salotto ed una bimba di dodici anni, dai capelli rossi e la corporatura minuta, corre verso di me in lacrime. Stringe forte le braccia intorno i miei fianchi nascondendo il volto contro il tessuto morbido del cotone della maglia celeste che ho indossato questa mattina -e ancora non ho tolto. 
All'inizio questa routine normale -lavoro, casa, marito e figli- mi sembrava solo un miraggio, una sorta di felicità illusoria prima della grande catastrofe. Mi ci è voluto del tempo per abituarmi alla realtà dei fatti, per dimenticare gli orrori della guerra e per scrollare via gli incubi durante le notti. Certo, le cicatrici -visibili e non- sono rimaste, ma ora le indosso con fierezza.
«Rose, cos'è successo?» le chiedo dolcemente accarezzando piano la testa.
«Mi ha dato uno schiaffo!» urla indignata la ragazzina, alzando gli occhi verso di me mostrando un rossore acceso sulla guancia sinistra, un colore non dovuto di certo al pianto.
«È stato Hugo?» domando stanca, esasperata dai continui battibecchi tra i miei figli minori.
«No, sono stata io.» un'altra voce femminile, molto più matura di quella di Rose, richiama il mio sguardo nuovamente sulla soglia del salotto.
«Tu?» dico incredula rivolgendomi alla primogenita, ferma sotto l'arco con le braccia incrociate ed una sofferenza profonda disegnata sul viso pallido e negli occhi dorati.
«Lo ha rifatto, mamma ...» parla con astio stringendo i denti e puntando lo sguardo addolorato verso sua sorella. «Non la smetteva ed io ... non sono riuscita a controllarmi.» c'è tanto dolore nella sua voce, un inflessione non del tutto estranea.
«Ma è vero!» insiste la più piccola alzando con orgoglio la testa, voltandosi di scatto verso la quasi sedicenne. «Tu non-»
«Basta così!» interrompo la replica di Rose, in maniera autoritaria e secca. «Fila immediatamente in camera, Rose. Senza fiatare.» le ordino guardandola dritta in viso, squadrandola con grande disappunto.
Mia figlia, dopo avermi fissata incredula per un po', dopo aver tentato di rabbonirmi con occhi languidi e teneri e labbruccio in bella mostra, comprende che questa volta non la perdonerò tanto presto. Nonostante abbia dodici anni si comporta come una bambina ancor più piccola, spesso tiranneggiando i suoi fratelli. 
Mi ricorda un po' me alla sua età: piena di insicurezze dentro ma forte e dura fuori. Sono sicura che col tempo riuscirà a smussare i lati spigolosi del suo carattere, però per adesso devo essere intransigente davanti le sue marachelle -o vere cattiverie.
«Parleremo dopo della tua punizione!» le urlo seria prima che scompaia oltre il corridoio per raggiungere la sua stanza.
Sospiro profondamente per scacciare questa strana sensazione di amaro dalle labbra e quella spiacevole di disagio alla bocca dello stomaco. Mi sento in colpa per aver punito e trattato in modo severo Rose, ma non ho potuto fare altrimenti. 
Mi concentro sulla figura slanciata ancora immobile di Lux, la mia bellissima luce: ha lo sguardo basso e vacuo, perso in chissà quali pensieri, le braccia strette sotto il seno in una morsa stretta, come a volersi difendere dalle offese della sorella e dalla sofferenza che la gente spesso le procura. Lei non è come me, o suo padre, è un misto di entrambi: orgogliosa e razionale, estremamente curiosa e a volte sconsiderata, è furba ed intelligente, spesso calcolatrice ma dal cuore buono, ama studiare quanto divertirsi, è riservata e tende a risultare misteriosa, ha molta creatività e si concentra sempre su ciò che le interessa, sa essere anche saggia a volte, eppure sempre attenta e distaccata. Non mi sono stupita, di fatti, quando è stata smistata in Corvonero. 
Non ha un indole violenta, mai si è azzardata a schiaffeggiare Rose prima di ora. Deduco, dunque, che ci sia qualcosa di più profondo ad averla disturbata.
«Tutto bene?» chiedo curiosa avanzando piano nella sua direzione; non voglio invadere i suoi spazi.
«No, mamma.» risponde piatta alzando gli occhi verso di me.
Mi guarda inespressiva, come se fosse svuotata di ogni emozione. Un'altra caratteristica già riscontrata in suo padre: quegli occhi d'oro riescono ad attraversarti, a leggerti dentro tanto é intenso il suo sguardo. I capelli biondi sono mossi sulle spalle, la pelle diafana senza imperfezione e il volto di un angelo dannato mi portano indietro nel tempo.
Mi siedo sul divano, pronta emotivamente per affrontare nuovamente lo stesso argomento. Ogni volta è la stessa storia: Rose la offende e Lux inizia a rimuginare fino a cadere in uno stato di ansia e disagio. È una ragazza decisa, eppure quando si tratta della sua vita privata si mostra molto vulnerabile.
«Vieni a sederti qui.» la invito, con dolcezza, a raggiungermi sul divano, picchiettando la mano sul posto vuoto accanto a me. 
Lei, seppur in silenzio, ubbidisce.
«Cosa c'è che non va?» indago, cercando di inserirmi nella sua vita da adolescente in punta di piedi.
«Non so chi sono.» sussurra sinceramente, abbassando però lo sguardo verso il pavimento. «A volte penso ... di non essere nel posto giusto qui.»
«Invece sei proprio dove dovresti essere.» affermo con sicurezza afferrando le mani tra le mie, stringendo le dita sottili in una morsa protettiva. «Sei intelligente, Lux, quindi sai bene quanto ti adoriamo. Sei mia figlia! Come potrebbe essere diverso?»
«È solo ... che a volte penso che Rose abbia ragione: non faccio parte di questa famiglia, non veramente.»
«Non dire sciocchezze!» la ammonisco, con il cuore in gola e la voglia di piangere crescente.
Odio vedere mia figlia in questo stato, non posso sopportare il pensiero che lei si senta inadeguata o non apprezzata. Comprendo quanto sia difficile accettare la realtà delle cose, ma mi si spezza il cuore nel vederla triste. Soffre già abbastanza senza che qualcuno le metta in testa strane idee. Rose avrà una punizione che ricorderà per tutta la vita ed imparerà a rispettare la sorella!
«Tu sei nata e cresciuta in questa famiglia, non importa quale sia il tuo cognome.»
Il silenzio cade nella stanza, un silenzio ingombrante e teso. Non provo questa sensazione di impotenza da tanto tempo, e speravo di averla dimenticata, sepolta insieme al dolore e alla tristezza. 
Non so esattamente come fare per tirarle su il morale. Tento ogni giorno di farla stare bene, ma capisco quanto le parole possano essere inutili rispetto ai fatti, e quando una sorella ti sbatte in faccia la verità escludendoti spesso dalla propria vita né rassicurazioni né gesti possono riempire quel vuoto. 
Cerco di essere una buona madre, Ron cerca di essere un buon padre, ma pare che i nostri sforzi scompaiano difronte a queste situazioni.
«Non mi hai mai raccontato come vi siete conosciuti ... » rompe il silenzio, alzando lo sguardo e sorridendomi triste.
«Se ti raccontassi la nostra storia sarebbe meglio? Ti sentiresti meglio?» domando curiosa e col cuore colmo di speranza.
«Forse. Non lo so.» scuote la testa sospirando forte. «Solo ... voglio sapere la verità, mamma. Ci sono persone che dicono cose cattive su di lui, ma se tu lo hai amato non poteva essere così orrendo, no? Ed io desidero conoscerlo.» afferma decisa guardandomi dritta negli occhi, con un'espressione determinata che mi riporta alla mia adolescenza. «Per quanto la nonna mi abbia detto tante cose, credo che solo tu possa essere sincera con me.»
Sorrido felice, accarezzandole piano una guancia, scrutando il viso dolce in ogni suo dettaglio e beandomi della bellezza ancora un po' infantile di mia figlia. Finalmente, dopo molto tempo, riesco a vedere una scintilla di interesse e speranza nei suoi occhi. Sono molto orgogliosa di come sia diventata, e se per fugare ogni suo dubbio dovrò ripercorre un passato che vorrei solo dimenticare allora sono pronta a sacrificarmi, purché lei sia serena.
«Ti racconterò tutto, sin dal principio.»
 
.Spazio autrice.
Salve miei cari lettori!
Questo é l'inizio di una storia particolare, una storia che coltivo già da un po'.
É la prima volta che mi cimento in una fanfiction potteriana e, dopo aver letto parecchie Dramione, mi sono convinta a scriverne una. 
Spero che il prologo abbia stuzzicato la vostra curiosità e spero di essere all'altezza della situazione - zia Row perdonami! 😖
Al prossimo aggiornamento 😘
 

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Capitolo 2
*** 1 - Hi, Granger. ***


 
Capitolo 1

《HI, GRANGER.》

Correvo. Correvo più veloce che potevo, guardandomi indietro sperando di aver seminato i miei inseguitori; facevo attenzione a non inciampare sui miei stessi passi perché un errore del genere sarebbe potuto essere fatale. 
Il vento soffiava forte e il cielo era terso di grandi nuvole scure, come a voler ricordare il periodo buio che il mondo magico stava attraversando. I lunghi capelli neri mi finivano in faccia ad ogni movimento e il corpo allenato facilitava il mio fuggire. 
Non ero più me stessa da due anni ormai, dalla battaglia di Hogwarts la mia vita non era più la stessa.
Mi ero persa, quel giorno, impegnata a combattere e concentrata sul mio obbiettivo, troppo lontana dai miei amici e dall'Ordine della Fenice. 
Harry Potter, "il bambino che è sopravvissuto", rischiò la vita. Da ciò che si dice in giro, era conciato talmente male da essere trasportato di tutta fretta e di peso in un luogo sicuro. D'altronde, non credo alla parole di luridi Mangiamorte o chiunque creda nei valori del Signore Oscuro. Io, purtroppo, non ho assistito allo scontro decisivo.
Da quel momento, Voldemort e i suoi seguaci si impossessarono di tutto: erano ai vertici del Ministero della Magia, al potere di Hogwarts, erano nelle strade a caccia di babbanofili e mezzosangue. E fu per ciò che decisi di nascondermi. Per un po' ero stata nella Londra babbana alla disperata ricerca dei miei compagni, ma sarebbe stato stupido continuare a cercare in quel mondo: la casa dei Dursley era stata perquisita e delle sentinelle vi erano appostati davanti l'abitazione, aspettando che Harry Potter arrivasse;  Grimmauld Place, la vecchia residenza dei Black, era protetta da incantesimi che non potevo sciogliere poiché la mia bacchetta era andata persa. Per qualche tempo mi nascosi in casa dei miei genitori, ma alla fine fu scoperta ed io non potei più tornare. 
Compresi che l'unico modo di rintracciare l'Ordine era di tornare nel mondo magico e affrontare qualsiasi avversità la vita mi poneva davanti. Ciò che non avevo messo in conto era la caccia sfrenata ad Harry ed i suoi amici: c'erano delle taglie sulle teste di quello che veniva chiamato il "Trio d'oro" e la ricompensa era davvero generosa, per chi li avesse aiutati, invece, sarebbe finito ad Azkaban. Compresi quanto la situazione fosse seria nell'attimo in cui, a Notturn Alley, scrutai una locandina con sopra le facce del Trio, la mia faccia.
Decisi così di nascondermi, non prima di aver fatto scorta di ingredienti per pozioni e aver rubato una bacchetta. Per un qualche mese, dopo le varie peripezie nel mondo babbano, sono riuscita ad eclissarmi in una abitazione (o bottega) fatiscente, abbandonata dai proprietari molto tempo prima in una piccola strada di Diagon Alley. Nessuno avrebbe mai pensato che Hermione Granger fosse così vicina, eppure quel giorno qualcuno riuscì a scovarmi.
Avevo il cuore che batteva forte e, nonostante il corpo allenato, i muscoli bruciavano, il respiro era così veloce da pizzicare le narici e la gola divenne secca e calda. I Ghermitori, un piccolo gruppo di tre persone, sembravano inarrestabili e instancabili. Ero arrivata a Nottur Alley tra urla e incantesimi, contando sul buio e le strade strette per confonderli e passare più inosservata, però loro non accennavano a voler desistere dalla caccia. Il mio volto sconosciuto, il nome altrettanto straniero fece scattare qualcosa in loro, decidendo di volermi portare al ministero etichettandomi come Mezzosangue. Ovviamente ero fuggita.
La paura era il vero potere, e Voldemort lo sapeva bene.
Svoltai in un vicolo il più velocemente possibile, scavalcando un basso muro alla fine della strada. Correvo a perdifiato voltandomi e pregando di averli seminati. Non erano scomparsi dalla visuale ma erano, per fortuna, lontani. Se avessi avuto ancora una bacchetta sarebbe stato più semplice e meno adrenalinico affrontarli, ma come le precedenti, anche l'ultima si spezzò dopo aver pronunciato uno schiantesimo. Erano oggetti magici, ma non erano i miei; nessuna di quelle mi aveva scelto.
Svoltai a sinistra e mi immersi in una strada più ampia e più frequentata. Rallentai la corsa, ma i passi erano comunque frenetici. Calai il cappuccio del mantello sul volto, continuando per la mia strada a testa alta. Non volevo dare troppo nell'occhio e la via brulicava di sentinelle, Mangiamorte che, in tutta la loro inquietudine, marciavano fieri per mantenere l'ordine -quasi fossero poliziotti dediti alla giustizia. A quei tempi era tutto surreale, il mondo sembrava andare al contrario: vi erano criminali a dare la caccia a innocenti solo per uno stupido credo, per volere di un folle. Non fu difficile paragonarli ad i Nazisti. L'umanità era retrocessa ad anni bui, e ciò non interessava solo il mondo magico: quello babbano era altrettanto in pericolo. In maniera ironica, c'era un filo conduttore non troppo sottile tra la storia dei non maghi e quella dei maghi. 
Ripensando a ciò, notai di sottecchi una porta scura in mezzo al grande muro in mattoni all'incrocio di due piccole vie. Senza pensarci un attimo, mi rintanai in uno spazio angusto chiudendo, in modo frenetico, la porta dietro le spalle. Respirai per il sollievo non appena mi resi conto che in quella bottega non ci fosse nessuno. Ero stata davvero fortunata. 
Dopo la lunga corse, con l'adrenalina che aveva ormai abbandonato ogni parte del corpo, scivolai lungo la parete accasciandomi stancamente al suolo. Chiusi gli occhi per un attimo, godendomi il silenzio di quella catapecchia. Ero nuovamente scampata al pericolo.
Mi strinsi nel mantello, strofinai le mani contro le braccia cercando di attenuare il gelo arrivato fin dentro le ossa. Posi lo sguardo verso il basso e mi accorsi di avere le scarpe e l'orlo della cappa completamente bagnati e ricoperti di fango. Tremavo come una foglia a causa del freddo e della stanchezza, e per di più puzzavo di terra, pioggia e sale. Ero decisamente messa male. Credendo di essere al sicuro, desiderando una qualsiasi fonte di calore, mi imposi di alzarmi e di cercare almeno una coperta per riscaldarmi. 
Rabbrividii più volte barcollando leggermente per la fatica. Non ricordavo quando avessi fatto l'ultimo pasto, o quando avessi dormito in modo decente, ma in quel momento sembrava di avere sulle spalle quei due anni di difficoltà.
Con sforzo, camminai verso un alto banco di legno scuro, lungo e consumato dal tempo. C'era aria pesante in quella stanza, un fetore di chiuso e di muffa; la luce scarsa proveniente dalle finestre sporche non mi permetteva di vedere granché, ma da ciò che gli occhi riuscirono a percepire capii di essere in una bottega. Mi avvicinai alla struttura il legno che avevo di fronte. Sul ripiano vi erano dei barattoli con dentro qualcosa. Ne presi uno tra le mani tremanti con fare curioso e, con non poche difficoltà, riconobbi il contenuto: zanne di serpente. Probabilmente vi era tempo prima un negoziante di ingredienti per pozioni. Sempre più interessata, mi spostai verso la vetrina, anch'essa in legno, posta alla destra del grande banco. Con uno sguardo rapido, capii che non vi erano solo ingredienti per comporre decotti, ma anche pozioni già pronte. Aprii la vetrinetta e presi tra le mani una boccetta con un liquido trasparente, posta nel ripiano più in basso. Era incolore, la aprii e annusai: non avevo nessun odore. Quello era Veritaserum, ne ero sicura. 
Alzai lo sguardo verso una delle mensole più altre e fui catturata da una bottiglietta con un liquido argenteo e denso. Mi alzai sulle punte per afferrarla, intuendo solamente cosa potesse esserci, tolsi il tappo ed un odore ferroso e pungente arrivò alle narici: sangue di unicorno. Solo un uomo privo di scrupoli avrebbe potuto ucciderne uno, o comunque speculare sul sangue di un animale tanto magnifico. Dedussi di essere in una bottega di contrabbando, d'altronde non potevo aspettarmi niente di diverso a Notturn Alley.
《E tu chi sei?》 una voce roca e sorpresa, mi fece sobbalzare e allontanare dalla vetrina. 《Vuoi derubarmi?》 m'incalzó l'uomo, avanzando verso di me.
A quanto pare non era un ambiente abbandonato, ma solo sciatto e trascurato. Il proprietario era un omone alto e fisicamente ben piazzato, gli occhi erano scuri e le labbra sottili; un filo di barba intorno alle guance e le sopracciglia folte, insieme all'espressione seria, gli conferivano un aura inquietante. Stringeva tra le mani la bacchetta, in allerta e attento ad ogni mia mossa. Mi guardava con sospetto, ma anche con fare curioso, come se stesse scrutando ogni parte di me minuziosamente. Interessato.
《Non voglio derubare nessuno.》 risposi sicura, ingoiando la paura e ignorando il palpitare del cuore, assumendo un atteggiamento orgoglioso. Dovevo pur inventarmi qualcosa. 《Ero venuta ad acquistare questo》 gli dico mostrando la boccetta con il sangue di unicorno. 《Poiché so che voi siete uno dei pochi che commercia questo tipo di cose.》
《Hai detto bene, ragazzina.》 sorrise fiero l'uomo avanzando verso di me con passi pesanti, per poi voltarsi verso il lungo banco di legno e posizionandosi dietro la struttura. 《E non è l'unico pezzo pregiato della mia collezione. Ovviamente in vendita solo agli intenditori.》 si abbassò alla ricerca di qualcosa scomparendo dalla mia visuale.
《È un bene che io lo sia, allora.》 ribattei decisa, posando il sangue di unicorno al proprio posto e seguendo il proprietario.
Poggiai i gomiti sulla superficie fredda di legno ed aspettai che l'uomo spuntasse fuori da sotto il bancone, probabilmente stava cercando qualcosa da farmi vedere. Dovevo agire, non potevo restare lí. Se ciò che credevo era giusto, sarebbe potuto entrare un Mangiamorte in qualsiasi momento e l'effetto della Pozione Polisucco stava per esaurirsi. Potevo finire seriamente nei guai.
《Ha finito? Dovrei proprio andare.》 annuncio annoiata, senza far trapelare la fretta e la tensione montate nel petto. In quell'attimo non avevo più freddo.
《 Oh, tu non vai proprio da nessuna parte, dolcezza.》
Non ebbi nemmeno il tempo di reagire o capire ciò che stava accadendo, poiché una sfera di Polvere Buiopesto Peruviana venne lanciata in aria precludendomi la fuga e, successivamente, uno schiantesimo mi colpì sbalzandomi contro la parete alle mie spalle. Battei  forte la testa e l'ultima cosa che ricordo è di aver maledetto i gemelli Weasley.
Per quanto riguarda il mio risveglio, fu abbastanza brusco. Sentivo dei dolori al ventre ed iniziai a tremare. Stavo ritornando ad assumere le mie sembianze. Volevo scappare, volevo muovermi, ma non ci riuscivo. Aprii piano gli occhi e capii di essere ancora in quel maledetto negozio, riversa sul pavimento con solo il mantello umido a coprirmi e nascondermi il volto.
I dolori aumentarono, però tenni duro stringendo i denti. Ero stata torturata con una Maledizione Senza Perdono e quello che sentivo non era nulla in confronto, potevo benissimo sopravvivere. Il capo pulsava come non mai e tutto intorno a me era sfocato, mi sentivo come se fossi sott'acqua: non riuscivo a sentire o vedere in modo nitido. C'era più luce nella piccola stanza grazie a delle candele, ma l'odore sgradevole invece era aumentato, probabilmente il proprietario aveva iniziato a preparare pozioni e gli effluvi si erano espansi ovunque. Magari era anche per ciò che mi sentivo stordita.
《Che piacere rivedervi, Signore.》 riuscii a captare il tono dell'uomo che mi aveva schiantato, una voce carezzevole totalmente diversa da quella con cui mi si era rivolto
《Hai quello ti ho chiesto, Brendan?》
La voce del "Signore" non mi era nuova, ma nemmeno così familiare. Il tono era calmo ma piatto, quasi indifferente; era anche freddo e scostante. Non riuscii a vederlo, l'unica cosa che i miei occhi furono in grado di recepire fu l'altezza del secondo uomo e il suo vestiario scuro. 
Un altro crampo all'altezza dello stomaco mi fece piegare, ed un rumore di catene accompagnò un gemito di dolore. Pregai Merlino che nessuno dei presenti mi avesse sentito, non volevo di certo attirare l'attenzione.
《Che cos'è quello?》 chiese il secondo uomo, avvicinandosi un po' a me con passo sicuro.
《Una vagabonda che ho intenzione di vendere all'asta, Mio Signore.》 rispose quello con voce beffarda.
Piano, tentai di alzare lo sguardo verso l'uomo che mi stava davanti e che mi scrutava -per Godric, riuscivo a sentire il suo sguardo puntato su di me! Cercai di poggiare il peso sui gomiti provando a non mostrare troppo il mio viso. Non potei muovermi con libertà poiché una grossa catena era avvinghiata stretta alla mia caviglia; bruciava quella parte di pelle, proprio come i muscoli ad ogni movimento. Ero debole a causa della pozione e per la botta, ero completamente esausta per la lunga corsa eppure la mia volontà di scappare e combattere era ancora forte. Mai nessuno avrebbe potuto spezzarla.
Con grande difficoltà, mi misi seduta e riuscii e vedere chi mi stava di fronte. Spalancai gli occhi per la sorpresa e la paura, per la rabbia anche, perché il mio sguardo si incrociò con Draco Malfoy. In quegli anni non era cambiato, aveva tutta l'aria di essere lo stesso ragazzino borioso, solamente i suoi tratti erano mutati, era cresciuto. Non mi soffermai sui dettagli in quel momento: il mio più grande timore era quello di essere riconosciuta, ma se da parte mia mostrai, forse, un po' di perplessità nel vederlo, lui aveva un'espressione impassibile.
《A quanto hai intenzione di venderla?》 chiese guardandomi per altri secondi prima di voltarsi verso il commerciante.
《Mentre era svenuta ho dato un'occhiata sotto al mantello.》 rabbrividii per il disgusto. 《È giovane, abbastanza in salute e molto bella -i suoi occhi azzurri e grandi faranno girare la testa a molti.》 parlò come se fossi un pezzo di carne prelibato. Se non fossi così stanca avrei già obbiettato. 《Ha un corpo niente male ed una fierezza da fare invidia: mi ha mentito guardandomi negli occhi. I Ghermitori la stavano cercando, dunque suppongo sia una Mezzosangue. Quindi ...》
Aveva avuto a che fare con i Ghermitori, ecco perché mi aveva catturata. Pensò bene, però, che vendermi all'asta a qualche signorotto malato fosse più proficuo per i suoi affari. Ci aveva visto lungo.
《Ti do il doppio del prezzo iniziale di vendita.》 asserisce sicuro Malfoy allontanandosi da me, interrompendo il suo interlocutore.
《Volete darmi milleduecento galeoni?》 chiese stupito l'uomo.
《Sono pochi?》
《No, Mio Signore. Non credevo di farci tutti questi soldi!》
Merlino! Parlavano come se io non fossi presente, come se fossi per davvero un oggetto che può essere comprato e rivenduto, rivendicandone poi il possesso. 
Un altro spasmo mi strinse lo stomaco, tanto da farmi gemere più forte e obbligandomi ad annaspare, a respirare in maniera controllata per sopportare il dolore improvviso. Tremavo per la sofferenza ed i conati non potevano più essere mantenuti.
《È tutta vostra.》
Dei passi risuonarono nel silenzio della bottega, facendo scricchiolare il pavimento sotto le suole di scarpe lucide e fatte su misura. Sapevo benissimo che Malfoy si stesse avvicinando per portarmi via. Mi aveva comprata e per una assurda legge insensata ero di sua proprietà ed io non potevo nemmeno ribellarmi. Ciò che mi spaventava era la consapevolezza di dover entrare nel Manor ed io odiavo quel posto. 
Inaspettatamente, il giovane si abbassò alla mia altezza flettendosi sulle ginocchia e ponendosi proprio davanti a me coprendo la visuale all'uomo dietro il bancone. Con delicatezza, calò ancora di più il cappuccio sul mio volto e, con una calma impressionante, sussurrò: 《Adesso tu vieni con me, Granger.》

.Spazio autrice.
Salve, miei cari Dramione Addicted! 
Eccomi qui con il primo vero capitolo della storia. Vorrei scusarmi se non é il massimo, ma non sono abituata a scrivere al passato, dunque devo un po' abituarmi e spero che i prossimi saranno migliori.
Detto ciò prego che vi sia piaciuto! Aspetto i voatri commenti e pareri su come continuerà perché, ATTENZIONE ATTENZIONE, Hermione andrà nella tana dei lupi.

STAY TUNED FOR THE NEXT CHAPTER! 👊

 

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Capitolo 3
*** 2 - Welcome into the wolves' cave ***


Capitolo 2
Welcome into the wolves' cave.


Draco Malfoy mi aveva riconosciuta. Nonostante vi fosse un'illuminazione fioca, benché provai a nascondere il volto lui riuscì ad identificarmi. Avevo la vana speranza di passare inosservata, ma avrei dovuto immaginare che non sarebbe stato possibile. 
Mi preparai al peggio, ad essere onesta. Ero ricercata e un Mangiamorte mi aveva trovata. Per un attimo, avevo creduto di essere al sicuro, ma le cose erano irrimediabilmente precipitate. La mia solita fortuna si era esaurita.
Un ulteriore  fitta alla pancia mi fece gemere forte e piegare in due, tanto da poter sentire il profumo dei vestiti di Malfoy che ancora mi era davanti. Il sudore imperlava la fronte e il freddo sembrava aumentare secondo dopo secondo, la testa doleva in modo intenso e lo stomaco era in subbuglio, e tutto per via della Pozione Polisucco. Stringevo i denti per sopportare la sofferenza, stringevo  le braccia contro il ventre sperando di attenuare il male, ma fu tutto inutile.
Inaspettatamente, Malfoy decise di aiutarmi. Con maniere gentili e lente, pose le mie mani sulle sue spalle chiedendomi tacitamente di aggrapparmi a lui. Piano, usando mosse non troppo brusche, riuscì a rimettermi in piedi senza che io soffrissi ulteriormente.  Era stato cortese nei miei riguardi, e ciò mi stupì in un primo momento, poi ricordai che mi aveva comprato e dunque non poteva permettersi di trattarmi male. Aveva speso una fortuna per avermi e la cosa mi nauseava: nonostante avesse impedito la mia vendita all'asta a qualche ricco snob con qualche problema di megalomania, non avrei mai potuto considerarlo un salvatore, un cavaliere. Se Draco Malfoy mi aveva comprata una ragione doveva esserci. Il suo animo non era così generoso. A breve avrei abbandonato quella catapecchia in cui ero stata aggredita, eppure non ne ero rincuorata.
Sotto lo sguardo perplesso e beffardo del contrabbandiere, il ragazzo mi portò fuori invitandomi a tenere il capo basso cosicché nessun altro sarebbe stato in grado di riconoscermi. Ed in quel momento mi chiesi del perché di tanta premura. 
Non lontano da quella bottega fatiscente, vi era una imponente carrozza scura trainata da cavalli neri. Non ricordo bene i dettagli, ero debole a causa degli effetti della pozione, ma ricordo di essere stata sorpresa nel notare quanto la struttura in legno fosse semplice. Niente fronzoli particolari, niente decorazione barocca.
Fare anche soli piccoli passi mi sembrava un'impresa impossibile, ed ero ben consapevole che Malfoy stesse maledicendo Merlino e tutti i maghi del mondo non solo perché doveva trasportare con le sue sole forze il mio peso, ma soprattutto perché era da troppi minuti accanto a me. Ero sicura che nella sua testa si dichiarasse disgustato dalla vicinanza di una Mezzosangue. Aveva molti pregiudizi a quei tempi e non avrei mai creduto possibile che un Malfoy potesse superarli.
Aprì la porticina della vettura e mi spinse dentro l'abitacolo con forza, ma senza risultare sgarbato. Quasi con un tonfo, presi posto sul morbido sedile su di una parete della carrozza. La pozione era totalmente svanita ed io ero ritornata ad essere me stessa. Mi sentivo stanca e a stento riuscivo a tenere gli occhi aperti, tuttavia non mi fidavo del ragazzo che in quel momento si era seduto di fronte. Lo conoscevo bene -o almeno credevo di sapere tutto. 
Respiravo velocemente e il tremolio proprio non voleva abbandonarmi. Il dolore alla testa si era attenuato, ma continuavo a sentirmi confusa. Le gambe erano doloranti ma leggere, quasi non le sentivo, gli spasmi erano scomparsi però ero intorpidita e il ventre doleva. 
Chiusi gli occhi per un secondo provando a normalizzare il respiro. Ingoiai una grossa quantità di saliva cercando di lenire il bruciore alla gola.
Sobbalzai nell'attimo in cui Malfoy batté il pugno contro la carrozza e, questa, iniziò a muoversi. Pensai che la mia discesa verso l'inferno stava per cominciare ed io ero troppo debole per reagire, oltre ad essere disarmata. Se solo avessi avuto la mia bacchetta, avrei schiantato quel damerino spocchioso in un secondo, distruggendo rovinosamente il suo ego.
《Hai un aspetto pessimo, Granger.》 il silenzio venne rotto da lui che, con il suo tono distaccato e pacato, mi guardava in modo attento.
《 Non c'è bisogno di sottolinearlo, Malfoy.》 risposi piano alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa.
《Sgarbata ...》 mi riprese beffardo, alzando un sopracciglio e rimanendo inespressivo sul volto. 
《E tu sei davvero un gentiluomo.》ironizzai.
《Ti ho appena salvata da una situazione abbastanza scomoda, potresti anche essere riconoscente.》 rivelò piatto, accennando un ghigno presuntuoso sulle labbra sottili
《Smettila di dire sciocchezze.》 sbuffai stanca, già esasperata dalla sua presenza e dal suo tono altezzoso.
Scossi nuovamente il capo e mi rannicchiai ancora di più dentro il mantello, sprofondando nel sedile di pelle. Avevo freddo, le dita delle mani erano gelide e le punte dei piedi erano quasi insensibili. Non solo la pozione mi aveva indebolita, ma i giorni di stenti cominciavano a pesare.
《La tua testardaggine è perfino più forte del tuo corpo.》 ribatté sicuro squadrandomi da capo a piede. 《Non sei cambiata per niente.》
《Nemmeno tu, se è per questo. Sei sempre il solito borioso.》 risposi stizzita mentre il mal di testa e il disagio aumentavano.
《Sempre così gentile ...》 disse sarcastico alzando gli occhi al cielo.
Distolse l'attenzione su di me per porla, invece, su di una piccola valigia quadrata di pelle scura. Un oggetto a cui non avevo fatto caso prima, forse troppo stordita e sopraffatta dagli eventi. Era posta proprio accanto al ragazzo che, con gesti fluidi, l'aprì tirandone fuori una bocchetta trasparente allungata. Somigliava più ad una provetta, ora che ci penso. Il liquido all'interno era di un giallo chiarissimo, quasi incolore. 
Malfoy me lo porse con sicurezza e sguardo fiero. Di rimando, assottigliai gli occhi e arricciai le labbra provando ad assumere un atteggiamento quanto meno minaccioso, ma certamente diffidente. Era un Mangiamorte, un ragazzo che si era preso gioco di me per anni insultandomi e divertendosi alle mie spalle. Non importava che avesse tentato di aiutarci poco prima della battaglia di Hogwarts, non mi sarei mai lasciata andare.
《È essenza di Purvincolo. Per i dolori.》 dichiarò in tono neutro tenendo in mano la pozione.
《So cos'è, Malfoy. Semplicemente non mi fido di te.》 rivelai pungente, alzando il capo in segno di fierezza e decisione.
《Se avessi voluto ucciderti lo avrei già fatto, Granger. Sei debole per la fame e per di più disarmata, sarebbe stato fin troppo facile.》 ammise sorridendo beffardo, con un'espressione divertita sulla faccia; Malfoy era decisamente irritante.
《Cosa ti fa pensare che io sia davvero disarmata?》 chiesi curiosa incrociando le braccia al petto, guardandolo altezzosa. 
《Se tu avessi una bacchetta non saremmo qui: avresti schiantato il contrabbandiere o, comunque, me.》 snocciolò il suo pensiero guardandomi dritta negli occhi, ancora alquanto divertito. 《Ti conosco, Granger.》
《Ci sei abituato, vero Malfoy?》 fu il mio turno di sbeffeggiarlo, ricordando tutte le volte che era stato sconfitto a duello o il pugno datogli al terzo anno di Hogwarts. Quello fu proprio soddisfacente.
《Sei prevedibile, tutto qui.》 ribatté scocciato, cambiando repentinamente umore. Avevo toccato un tasto dolente.
《Certo, continua a ripetertelo.》 ridacchiai con le poche forze rimaste.
Il ragazzo sbuffò sommesso, tendendo la mano con il rimedio nuovamente nella mia direzione. La Pozione Polisucco, il poco cibo e il sonno scarseggiante mi rendevano particolarmente vulnerabile e, di certo, non potevo andare avanti in quel modo. Avrei rischiato la vita. D'altronde, accettare quella pozione sarebbe potuto essere ugualmente fatale. Il risultato sarebbe stato lo stesso. In un moto di irrazionalità pura, decisi di rischiare. Afferrai la boccetta dalla pallida mano di Draco, la stappai e ne annusai il contenuto: non era piacevole, ma nemmeno disgustosa come altre pozioni. Presi un profondo respiro prima di buttare giù in gola una quantità sufficiente di essenza di Purvincolo. Resi la piccola  fiala al suo proprietario e mi misi comoda aspettando che la pozione facesse effetto.
Chiusi gli occhi godendo del calore allo stomaco che la pozione aveva scaturito. Mi sentii subito meglio, e il gelo nelle ossa scomparì a poco a poco. Il mal di testa c'era ancora, ma era meno pressante di qualche minuto prima, le gambe parvero diventare più forti e la respirazione regolare, il dolore al ventre non era scomparso del tutto ma era sopportabile.  Piano, il corpo provava meno sofferenza, ed io percepii una strana ed inquietante calma.
Aprii gli occhi e mi focalizzai sul paesaggio fuori dal finestrino. Malfoy non aveva fatto nessun incantesimo alla carrozza, dunque avremmo viaggiato per qualche ora prima di arrivare al Manor. Speravo che il momento non sarebbe mai davvero arrivato. Spostai lo sguardo verso il ragazzo di fronte a me ed iniziai a studiarlo con interesse. Non che mi importasse realmente di lui, ma c'era qualcosa di diverso: Draco Malfoy aveva fascino ed eleganza, era impossibile negarlo; la sua espressione in pieno contrasto con il viso: la prima era distaccata, lui sembrava quasi indifferente a tutto ciò che gli accadeva intorno, il secondo era piacevole da guardare, marmoreo e quasi etereo. Appariva come un angelo. Dannato, certo, ma pur sempre un angelo. Le iridi chiare, azzurre, erano fredde come lo sguardo, eppure molto intenso. Tanti avevano provato disagio nel guardare i suoi occhi. A me non è mai capitato. Eppure anche qui, rispetto al ragazzino che era un tempo, qualcosa era mutato. 
La guerra cambia ogni persona, indipendentemente dalla parte in cui ci si schiera. Dunque, potei ben dedurre che le battaglie e il nuovo regime avessero trasformato il suo essere, o comunque smussato gli angoli della sua personalità. Sembrava ... più consapevole, più maturo. Ecco, forse Draco era cresciuto davvero in quei due anni e si era reso conto di ciò che lo circondava diventando, così, impassibile ad ogni cosa.
Per il resto non era cambiato nulla: il vestito che fasciava la sua figura longilinea era di alta sartoria, probabilmente confezionato su misura. Avevano un colore particolare la giacca ed il pantalone indossati quel giorno. Ricordo fosse di un verde talmente scuro da apparire nero ad un primo esame, ma solo con la luce si riuscivano a percepire  le altre sfumature di colore. La gamba destra accavallata a quella sinistra e le mani intrecciate sul ginocchio in una posa signorile e composta; la punta del naso leggermente all'insù gli conferiva un'aria di sufficienza. Cosa che anche il tono in cui spesso parlava confermava. Sarà stato anche meno arrogante e presuntuoso, ma era pur sempre Malfoy. Un ragazzo che aveva scelto la parte oscura, non importava per quale motivo.
Distolsi lo sguardo e abbassai le palpebre, troppo stanca per poter resistere. Mi addormentai profondamente, sonnecchiai come non mi capitava da molto tempo, forse grazie al dondolio della carrozza. Non avevo più dolori ormai e quando mi svegliai ero riposata, in parte. Mi maledissi, comunque, per aver abbassato la guardia per un lasso di tempo prolungato.
《Giusto in tempo.》 la voce di Malfoy, anche se bassa e calma, risultò irritante e altissima perforandomi i timpani. Forse non ero proprio in forma come volevo credere.
《Siamo arrivati?》 chiesi con voce tremante, senza mascherare la mia ansia. Ero messa proprio male!
《Quasi, sì.》 rispose senza cambiare inflessione nel tono, armeggiando con la sua valigia.
Come poco prima, dopo aver cercato con calma, mi porse una boccetta con un intruglio denso e scuro all'interno. Una visione poco piacevole e disgustosa. Dedussi dunque che in quel bagaglio teneva una serie di scorte di pozioni pronte all'uso. Ed io cominciai a chiedermi il motivo di questa scelta bizzarra, poiché ciò che mi stava porgendo era Pozione Polisucco. Prima l'essenza di Purvincolo e poi una pozione per cambiare aspetto. C'era decisamente qualcosa che non quadrava; Draco Malfoy aveva un segreto. Ed in quel momento mi ripromisi di scoprirlo.
《Come mai hai tutte queste pozioni?》 chiesi simulando indifferenza, afferrando la fiala dalle sue mani.
《Di questi tempi è meglio essere pronti ad ogni evenienza.》 rispose enigmatico guardandomi dritto negli occhi, sfidandomi quasi a ribattere.
《Non avrò le sembianze di un animale o qualcosa di strano, vero?》 domandai scettica stappando la fiala e annusandola. Merlino, ricordo ancora la puzza dell'intruglio!
《Fai troppe domande, Granger. Bevi e taci.》 si spazientì, ritornando ad essere il ragazzo scorretto di un tempo.
《È legittimo avere dei dubbi dato che sei tu ad avermi dato la pozione. Non puoi mica mettermi a tacere!》 sbottai stizzita, puntandogli un dito contro.
《Merlino volesse!》 esclamò sbuffando, riferendosi alla mia ultima battuta.
《Sei un cafone!》
Detto ciò, ritrovai la calma ed il coraggio e decisi di ingurgitare la pozione, provando a non respirare. Era disgustosa. Mancò davvero poco che rigettassi la mistura, però alla fine mi imposi di resistere. Dopotutto, non potevo entrare a Malfoy Manor come Hermione Granger. 
Qualche minuto e non ero più io. Non avevo uno specchio, dunque non conoscevo il mio nuovo volto, ma dalle mani sottili e curate, dai lunghi capelli castani potei capire di essere una ragazza. Almeno questo era un punto positivo.
Mentre un sospiro di sollievo fuoriuscì dalle labbra, la carrozza rallentò per poi fermarsi definitivamente. Ammetto che il cuore iniziò a battere veloce per la paura. Avevo vissuto un momento terribile nelle mura di quella casa e l'ultima cosa che volevo era proprio tornarci. 
Guardai oltre il finestrino e il respiro si mozzò in gola. Nel grigiore delle campagne del Witshire svettava alta e imponente Malfoy Manor, la casa degli orrori. Ricercai la determinazione che caratterizza ogni Grifondoro affinché potessi sopravvivere nella tana dei lupi.
 
.Spazio autrice.
Salve, Dramione Addicted!
Allora, la nostra Hermione é stata "salvata" da Malfoy ed abbiamo il primo scontro tra i due. Devo dire che mi diverto molto a scrivere le loro discussioni! 

Lei é arrivata al Manor e sappiamo tutti cosa é successo in quella casa proprio alla  nostra eroina. Cosa succederà adesso? Sarà davvero nella tana dei lupi ...

STAY TUNED FOR THE NEXT CHAPTER 👊


 

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Capitolo 4
*** 3 - Why? ***


Capitolo 3
«Why?»

Tenevo gli occhi puntati sulla possente figura della dimora e la mente faceva fatica ad elaborare l’evento. Sono stata torturata in quella casa, umiliata e derisa, e l’ultima cosa che avrei mai voluto era proprio ritrovarmi davanti al Manor. Poche volte ho avuto paura nella mia vita, ma quel giorno tremavo a causa dell’ansia che montava nel petto secondo dopo secondo. Certo, non avrei mai mostrato la mia debolezza, soprattutto alla presenza di un Malfoy, eppure sentivo le viscere fremere e le dita muoversi appena nell’aria fredda e tetra del posto. La grande casa costruita su tre piani, in periferia del Witshire ed immersa nel verde, era avvolta da una foschia inquietante e il gelo della sera cominciava a farsi sentire sempre più intensamente. Ero emotivamente e fisicamente provata: i dolori tornarono all’improvviso -seppur non forti come ore prima- e i ricordi di un passato che avrei preferito seppellire cominciarono a ritornare in mente. Per un attimo, mi sembrò di riuscire a sentire le urla di Bellatrix Lestrange echeggiare intorno alla dimora.
Scossi la testa e chiusi gli occhi per qualche attimo. Avevo decisamente bisogno di riposare e mangiare, ma non mi fidavo di Draco Malfoy, del ragazzo che mi aveva fatto sentire stupida moltissime volte. Eppure non potevo fare altrimenti in quel momento.
Ero persa nei pensieri ancora con lo sguardo puntato sulla dimora del diavolo quando percepii un tocco caldo sul braccio, all’altezza del gomito. L’algido Malfoy mi aveva afferrata in una morsa stretta ma non soffocante né dolorosa, eppure decisa. Mi voltai verso di lui e lo guardai perplessa, in cerca di spiegazioni, tuttavia egli tenne gli occhi chiari puntati davanti a sé alzando il capo in segno di superiorità. Non capii perché del suo atteggiamento. Certo, era stato altezzoso per tutto il tempo, ma quell’attimo mi parve diverso, come se dovesse dimostrare di essere realmente in quel modo; lo trovai alquanto forzato.
«Se mai dovessimo incontrare qualcuno, lascia parlare me.» disse distaccato cominciando a camminare, trascinandomi con lui. «Non aprire bocca, intesi Granger?»
«Quindi non sei solo … fantastico.» ribattei ironica, alzando gli occhi al cielo e seguendolo senza opporre resistenza.
Il silenzio in cui versava il posto mi fece pensare ad una casa disabitata; il disagio sentito fin dentro le ossa era lo stesso. In cuor mio sperai che la prima impressione fosse giusta, che Draco vivesse da solo e non fossi, dunque, a convivere forzatamente con un viscido e schifoso quale era Lucius Malfoy. Non so per quale motivo, d’altronde aveva le stesse colpe del figlio, eppure era difficile tollerarlo. Ciò che aveva combinato in passato sarebbe stato troppo da perdonare. Per quanto riguardava Narcissa Malfoy le cose erano un po’ diverse: aveva provato a proteggere il figlio, aveva salvato Harry da morte certa e non ero sicura della sua scelta. Mi chiedevo: “Ha davvero deciso lei da che parte stare?”. Non l’ho mai davvero creduto nonostante fosse la matrona di una famiglia di Mangiamorte.
«Tieni il sarcasmo sotto controllo. Non c’è da scherzare.» ribatté serio, stringendo di più la presa contro il braccio. Iniziava a far male.
«È l’ultima cosa che voglio, te lo assicuro.» imitai il suo stesso tono, cercando di stare al passo.
«Buon per te.» rispose sospirando e serrando la mascella, allentando la presa sulla mia pelle questa volta.
Avanzammo nel cortile principale, verso il cancello pesante e riccamente decorato. Intorno a noi, alte siepi verdi e rigogliose facevano da recinto non permettendo alla vista di vedere altro se non l’imponente Manor. Era tutto curato, tutto perfetto, avvolto in un silenzio angoscioso. 
Il buio scendeva piano sul Witshire, dunque l’atmosfera era alquanto inquietante e tesa, nervosa proprio come Draco.
Salimmo le piccole scale di marmo bianco dell’entrata principale finendo sotto un piccolo portico sorretto da colonne doriche, dallo stile semplice e pulito, niente fronzoli o decorazioni eccessive, niente capitello eccessivamente elaborato. Senza nemmeno dire una parola, il grande portone di legno color mogano, liscio ed elegante, si aprì in silenzio mostrando l’ingresso tetro. Benché stesse diventando notte al di fuori delle mura, le luci non erano ancora accese e l’aria intorno a me divenne ancora più cupa. L’arredamento era austero, con pareti dipinte di verde arricchite da fiori astratti neri, vi era un grande lampadario sontuoso al centro della stanza, nella parte sinistra dell’ambiente un paio di poltrone imbottite e apparentemente comode dello stesso colore delle pareti erano a ridosso della stessa. Al di sopra delle sedute, dei dipinti del Manor in un'epoca precedente dominavano il muro: l’atmosfera non era così minacciosa come in quel momento, fredda come al solito ma decisamente più leggera. 
Non ebbi molto tempo per guardarmi intorno poiché, a grandi passi, Draco mi trascinò verso un arco aperto nella parete sinistra dell’ingresso. Potevo benissimo vedere delle grandi scale di marmo condurre verso i piani alti. Non sapevo dove mi stesse portando, ma immaginavo in un luogo lontano da occhi indiscreti, magari a debita distanza dai suoi genitori eppure abbastanza vicino a lui da tenermi sotto controllo.
I pensieri furono interrotti da una voce proveniente dal culmine delle scale, un tono serio e altezzoso che pronunciò il nome del ragazzo che avevo accanto: «Draco ...»
Il tono leggermente perplesso ma comunque pacato, mi costrinse ad alzare lo sguardo verso l’alto quasi in uno scatto. In tutta la sua eleganza, Narcissa Malfoy, la padrona del Manor, fissava suo figlio e me alternando lo sguardo con espressione interrogativa, seppur mantenendo un atteggiamento di superiorità e finta indifferenza. Indossava un vestito lungo bordeaux e bianco a maniche lunghe di un tessuto che, da quella distanza, appariva caldo e confortevole. I capelli biondi, di una tonalità forse più scura di quella della prole, erano legati dietro la testa in un basso chignon: sofisticato e ordinato. Guardandola con attenzione, mi resi conto che Draco aveva ereditato proprio da lei i lineamenti gentili del viso e l’innata raffinatezza dei movimenti. La carnagione lattea e quasi eterea della padrona di casa era in pieno contrasto con le labbra rosse fuoco: una donna discreta ma che sapeva bene come attirare l’attenzione di qualcuno.
«Madre ...» era sorpreso l’erede Purosangue, potei ben capirlo dalla tensione del suo corpo e dalla forza contro il braccio.  L’espressione in viso era neutra. Capii subito quanto i Malfoy fossero degli ottimi bugiardi. «Credevo foste impegnata questo pomeriggio.»  
«Il mio impegno si è congedato pochi minuti fa.» rispose la donna in tono piatto, scendendo le scale tenendo gli occhi fissi sulle nostre figure. «Piuttosto, chi è la ragazza di fianco a te?» chiese squadrandomi con gli occhi scuri e il solito fare altezzoso.
«L’ho comprata. Per voi.» confessò sicuro alzando il mento, orgoglioso della sua idea.  «È una Mezzosangue, certo, ma credo sia meglio per voi avere una domestica vera piuttosto che un elfo.»
«Non ne ho bisogno.» ribatté fiera, quasi quanto il figlio, raggiungendoci alla fine della gradinata. 
Una donna longilinea apparve ai miei occhi; una figura diversa da pochi attimi prima. A guardare meglio i dettagli del viso mi accorsi della stanchezza disegnata sui lineamenti angelici, le occhiaie erano visibili nonostante la volontà di mascherarle con i cosmetici, la carnagione era pallida perché sfatta, il volto scarno, lo sguardo spento. Era una bella figura, eppure segnata dagli eventi: la guerra era insostenibile anche per lei. Per quanto le acque si fossero calmate, Harry Potter e l’Ordine della Fenice, come anche l’Esercito di Silente, organizzavano “piccole” imboscate ai Mangiamorte sperando di eliminare quanti più seguaci possibili. Molte volte provai a rintracciarli aspettando una loro mossa, ma quando riuscivo a capire dove sarebbero apparsi era sempre troppo tardi. Era sfiancante seguirli e attendere, dunque supponevo che anche per Lady Malfoy la vita nel suo bel castello non fosse per nulla facile dovendo subire le ire e i deliri del marito, con o senza battaglie da parte della resistenza -non contando l'angoscia che sicuramente l'attanagliava ogni qualvolta l'amato varcava l'uscita di casa.
«Sì, invece.» asserì Draco con fermezza, sfidandola quasi a ribattere.
La donna guardò il ragazzo arricciando le labbra in segno di disapprovazione, alzò il mento (come il figlio) con fare superiore e fissò me supponente. Dovetti mordermi la lingua per non parlarle a tono, per non dar voce ai miei pensieri: sapevo bene quanto l’orgoglio della nobile casata fosse importante, conoscevo bene il loro mantra –“Un Malfoy ha bisogno dell’aiuto di nessuno”-, eppure non riuscivo a sopportare i loro occhi irritati dalla mia presenza. Merlino, ero esattamente come loro! Avrei davvero voluto dire la mia, ma ero nella casa del nemico e dovevo essere attenta se avessi voluto scoprire i complotti di tutti.
«Bene.» concesse la Lady, non davvero convinta della situazione ma mascherando il dissenso sotto coltri di finta indifferenza e fierezza. «Come desideri.»
Detto ciò, se ne andò a testa alta non degnandoci nemmeno di un’occhiata; era indifferente, o almeno fingeva di esserlo. Scomparì oltre l’ingresso alle nostre spalle addentrandosi nel cuore della casa trascinandosi il lungo abito rosso, un vestito che mi riportò alla mente alla nobiltà di un tempo passato. Confesso di essermi voltata a guardarla, confusa ed incuriosita dalle parole di Draco.
«Andiamo.» comandò lui neutro, riprendendo a trascinarmi su per le scale.
Lo seguii senza proferire parola, non volevo di certo irritarlo. Non sapevo quale sarebbe stata la mia sorte, e nonostante il fuoco di ribellione che ardeva nel petto alto come una pira decisi di tacere ed essere il più attenta possibile. Da ciò che avevo capito, sarei stata molto vicino alla signora del Manor, dunque reputai giusto stare al mio posto per indagare meglio e indisturbata -o comunque ci avrei provato con tutta me stessa.
Ci ritrovammo in un piccolo pianerottolo del piano superiore chiuso tra quattro mura, come se fosse una piccola anticamera, con le stesse decorazione dell’atrio inferiore. A grandi passi, uscimmo dall’ambiente angusto dall’arcata frontale alle gradinate principali percorrendo, così, un lungo corridoio illuminato dalle debole luce del sole che oramai era tramontato dietro le colline; era prevalentemente buio nell’andito, vedevo solamente la figura scura di Malfoy davanti a me e sentivo dei borbottii provenire dalle pareti -forse vi erano dei quadri, ma non potevo dirlo con certezza. Le luci, per qualche ragione a me sconosciuta, non erano ancora state accese. Lì per lì pensai che fosse giusto vivere nell’oscurità per loro, perché era ciò che avevano scelto (solo dopo capii quanto le tenebre in realtà fossero delle amiche). Svoltammo verso destra camminando lungo un altro breve corridoio, finché Malfoy si fermò davanti l’ultima porta dell’ala est, l’aprì con la magia e mi condusse all’interno. Con un movimento di bacchetta, riuscì ad illuminare quella che sarebbe stata la mia stanza nei giorni futuri. Ad essere onesta, fui immediatamente affascinata dalla bellezza e raffinatezza che mi circondava: la camera era grande e spaziosa, forse troppo per una sola persona; la struttura di legno scuro intagliato del letto a baldacchino padroneggiava l’intero ambiente nonostante fosse posto a ridosso della parete di fronte l’ingresso, proprio alla sinistra di una grande finestra che, mi accorsi da subito, dava sul confine della parte est del Manor circondata dal verde; la coperta sul materasso era di color smeraldo, un colore che in qualche modo non mi dispiaceva; bassi comodini mogano erano posizionati ai lati del letto su cui poggiava una elegante lampada di vetro bianco; una scrivania antica, in tono con il resto della mobilia, era a ridosso della parete sinistra, non lontano da una stretta porta simile a quella d’entrata; una grande libreria, invece, faceva da padrone sul muro opposto, completa di moltissimi volumi che -non nego- attirarono subito la mia attenzione e, per di più, vi erano delle poltrone su cui potersi rilassare e leggere, ed un piccolo e rotondo tavolino da caffè era posizionato al centro delle due sedute comode; il soffitto era alto e a volta, con al centro un lampadario di vetro bianco non troppo appariscente.
Insomma, la stanza in cui Malfoy mi aveva condotta era meravigliosa, di un lusso che non avevo mai visto prima, ma sapevo bene in cuor mio che quella sarebbe stata solamente una gabbia d’oro. Non mostrai stupore di fronte alla bellezza sotto i miei occhi, non avevo molto di cui essere felice: sarei stata prigioniera di un Mangiamorte nella sua casa degli orrori a fare da balia alla matrona purosangue per eccellenza. 
Ero esausta e confusa, avevo paura di restare lì; avevo subito troppo tra quelle quattro maledette mura e non potevo credere di dover trascorrere anche solo cinque minuti al maniero. Quella camera enorme, in quel momento, sembrò ristringersi e soffocarmi. Volevo andare via e continuare a cercare Harry e Ron, ma sapevo che nelle mie condizioni fisiche, per di più sprovvista di bacchetta, probabilmente non sarei sopravvissuta o peggio sarei stata una facile preda per i Ghermitori. Di certo non potevo scappare proprio in quell’attimo, ma mi ripromisi di farlo non appena possibile. Non conoscevo le intenzioni di Draco, dunque temevo potesse fare di tutto.
«Questa sarà la tua stanza.» sottolineò l’ovvio per spezzare il silenzio. «Lì c’è un piccolo salotto privato.» disse indicando la porta accanto alla scrivania. «E lì, invece, l’armadio e di fianco il tuo bagno personale.» continuò ancora facendo dei passi verso il centro della camera, facendo rimbombare di poco i suoi passi leggeri in tutto l’ambiente. «La mia camera, ovviamente, è in fondo al corridoio. Dovrò tenerti sotto controllo, Granger.»
«Qui sono io quella diffidente, Malfoy.» parlai seriamente avanzando nella sua direzione, tenendo lo sguardo fisso sulla sua schiena; non si era ancora voltato per rispondermi.
«Non è una questione di fiducia.» affermò piatto avvicinandosi alla grande finestra accanto al letto.
«Allora cosa?» chiesi spazientita ed irritata dal suo comportamento roteando gli occhi in segno di stizza.
Non rispose. Aspettai qualche secondo il suono della sua voce, ma non arrivò mai nulla. Lo fissai incuriosita e alquanto perplessa desiderando avere forza a sufficienza per poter leggergli la mente. Era un enigma quel ragazzo ed io, da curiosa che sono sempre stata, volevo sapere davvero cosa gli passasse per la testa, avrei voluto capire le sue intenzioni e carpire i suoi segreti così da poterli usare come vantaggio. Godric Grifondoro non sarebbe stato fiero delle mie idee, ma era una situazione di emergenza: più riuscivo a sapere più la prospettiva di una fuga si apriva davanti a me. Era logico.
Persa ormai nelle mie elucubrazioni mentali, non avevo realmente badato a Draco, pur continuando a guardarlo intensamente. Si era spostato lungo tutta la stanza con passi lenti ed andatura eretta e elegante, completamente a suo agio. Probabilmente aveva insonorizzato la stanza affinché nessun rumore arrivasse all’esterno, cosicché nessuna discussione potesse essere udita al di là della porta. Più lo guardavo più le domande crescevano. Proprio non riuscivo a capire …
«Bene.» affermò soddisfatto degnandomi della sua attenzione. «Verrò a medicarti le ferite più tardi, ma prima manderò un elfo per portarti qualcosa di pulito. Hai davvero bisogno di lavarti.» spiegò neutro -un po’ disgustato sull’ultima frase- avvicinandosi a piccoli passi. Merlino, sembrava proprio un felino che puntava la sua preda. «Mia madre verrà da te una volta pronta. Dunque, ti ho lasciato la fiala di pozione sul comodino. Avrai lo stesso aspetto, d’ora in poi. Vedi di trovare una storia credibile, Granger.»
Lo guardai sorpresa, elaborando ancora le informazioni appena ricevute: lui sarebbe venuto a medicarmi, dunque sarebbe stato a contatto con la mia pelle e il mio sangue. “Perché non farlo fare ad un medimago o a un elfo?”, pensai subito; non mi parlò mai con altezzosità o arroganza, ma potei scorgere una flebile gentilezza. “Perché dovrebbe avere dei riguardai nei confronti di chi ha sempre disprezzato?”, mi chiesi continuando a guardarlo perplessa. “Perché sembra che voglia tenermi al sicuro?”, era la domanda più assillante ed incomprensibile.
«Cosa vuoi da me, Malfoy?» sussurrai scrutandogli il viso, in cerca di qualche emozione rivelatrice, che mi facesse comprendere il suo atteggiamento.
«Voglio che te ne stai buona e zitta senza crearmi problemi.» sorrise beffardo, superandomi e camminando verso l’uscita.
«Non fare lo stupido!» esclamai voltandomi nella sua direzione, infastidita dalla volontà di glissare sull’argomento. «Sai benissimo cosa voglio dire!» gli puntai il dito contro usando un tono duro. Si girò lentamente a guardarmi, annoiato anche. «Tu che vuoi medicarmi? È troppo per entrambi, Malfoy. Sarò anche debole, ma la mente è ancora ben lucida.» asserii irritata,  muovendo le braccia ad ogni parola pronunciata a causa del nervoso. «Mi hai catturata, quindi … perché non mi usi come esca per trovare Harry? Perché non mi uccidi e basta?»
«Se avessi voluto ucciderti lo avrei già fatto, non mi va di ripetermi.» rispose infastidito avvicinandosi a me con un lungo passo. Lo avevo a pochi centimetri di distanza; era così strano.
«Perché, Malfoy?» mormorai, stanca di combattere con il suo mutismo. Forse non era ancora il momento di essere così insistente.
«Perché qui sei al sicuro.»
Furono deboli le sue parole, quasi inudibili, eppure mi arrivarono forte e chiaro, arrivarono come un grande schiaffo contro il viso. Non potevo davvero credere alle mie orecchie. Dunque le mie idee sul suo desiderio di proteggermi erano reali, ma ciò non mi confortò, anzi mi confuse ancora di più. Perché sarei stata al sicuro in quel covo di serpi? Non aveva senso. Eppure rimasi zitta a guardare gli occhi chiari di Malfoy prima che, avvolto dal silenzio, se ne andò lasciandomi sola in un ambiente sconosciuto.
Mi aveva sorpresa, tuttavia un miliardo di nuove domande vorticavano nelle testa in modo incessante. Volevo sapere di più, dovevo conoscere di più, nonostante sapevo benissimo che non fosse il momento adatto. Mi precipitai alla porta sperando di raggiungerlo, ma era stata chiusa. Cercai di fare forza con le braccia, però le ante rimasero serrate. Allora, ricordando Draco alla finestra, corsi in quella direzione per costatare la mia ipotesi: sigillata. Provai ad aprirla, ma fu tutto inutile. Mi aveva chiusa in quella stanza estraniandomi da ogni cosa. Iniziai a tremare per la paura e per la rabbia, urlai sperando che mi sentisse e tornasse indietro. I miei sforzi furono vani.
«Maledetto Malfoy!» imprecai ad alta voce sedendomi sul pavimento, con le spalle contro il letto. 
Calde lacrime scesero lungo le guance paffute non mie, il cuore batteva velocemente a causa dell’ansia, tremavo perché mi sentivo impotente e senza forze. Ero disperata e continuavo a chiedermi come fossi capitata in una situazione così scomoda. 
Malfoy aveva detto che sarei stata al sicuro, ma in realtà ero diventata una prigioniera. La prigioniera di Malfoy Manor.

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Capitolo 5
*** 4 - Weaknesses ***


Capitolo 4
«Weaknesses»

 
Ero da sola in una stanza troppo grande, in una camera dove i pensieri parevano amplificarsi senza motivo preciso facendo eco tra le alte pareti decorate. Malfoy mi aveva lasciata in balia di me stessa e delle tante domande che vorticavano incessanti nella testa. In qualsiasi modo analizzassi la vicenda capitatami, non riuscivo a capire i comportamenti del ragazzo. Aveva detto che il Manor era un posto sicuro, ma nutrivo dei seri dubbi, per di più aveva intenzione di curarmi le ferite lui stesso. Non c’era logica in ciò che stava accadendo, eppure ero consapevole che una vera spiegazione doveva esserci. Avrei dovuto essere paziente e aspettare, ambientarmi bene in quel grigiore inquietante. Anche l’atteggiamento quasi arrendevole della Lady era bizzarro, non aveva opposto molta resistenza alla notizia di una Mezzosangue tra la servitù, alla presenza di una ragazza che la sua famiglia aveva sempre disprezzato. Qualcosa bolliva nel calderone dei Malfoy, ne ero certa.
Mi guardai intorno in attesa di un elfo o dell’entrata di Draco. Non potevo fare nulla se non restare buona e aspettare, così decisi di dare un’occhiata in giro. Mi alzai lentamente dal pavimento guardando attentamente ciò che mi circondava, dovevo familiarizzare con l’ambiente se avessi voluto vivere in quella stanza senza dare di matto per i prossimi tempi. Non sapevo esattamente quanto a lungo sarei stata prigioniera del Malfoy Manor, dunque sentirmi a mio agio era importante, se non essenziale per me.
Pian piano mi rimisi in piedi e feci qualche passo in avanti verso la finestra bloccata ed osservai meglio l’esterno: da ciò che potei capire, la camera assegnatami si trovava nell’ala est del maniero, nel posto più lontano dai padroni ma abbastanza vicino a Draco per essere sorvegliata. Alla fine i miei pensieri erano corretti. Il panorama al di fuori del vetro era affascinante e quasi non riuscivo a distogliere lo sguardo, benché delle sensazioni diverse e discordanti nascevano allo stesso tempo nel petto e mi facevano rabbrividire. Non so descrivere esattamente se fosse una percezione positiva o negativa, sta di fatto che il verde intenso del confine est della grande villa, perfetto e ben curato, con alberi alti e grandi siepi, rimandavano una sensazione di pace e tranquillità; la foschia spessa e grigia che avvolgeva l’abitazione signorile, il buio scuro e la notte silenziosa, restituivano, invece, un senso di inquietudine e timore.
Guardai attentamente la vista, poggiando la fronte sul vetro freddo così da poter osservare – o almeno provarci- uno dei punti esposti del lato orientale, ovviamente quello più visibile dalla mia posizione: l’angolo della struttura, dove si trovava proprio la mia stanza. Vi erano due uomini incappucciati il cui volto era nascosto da una maschera, completamente coperti di abiti neri e minacciosi. I Mangiamorte sorvegliavano l’area a loro destinata. Mi voltai verso sinistra, ma fu davvero impossibile poter porre lo sguardo verso l’altra parte della casa; ero limitata dal vetro.
Non capivo il perché delle sentinelle a sorvegliare il Manor. All’ingresso non vidi nessuno al nostro arrivo, anzi, c’era una calma ed un silenzio inquietanti, potevo comprendere il motivo di voler proteggere i confini intorno alla proprietà, eppure non trovavo nessuna spiegazione logica per ciò. Ero sicura di ricordare incantesimi di protezione intorno al maniero, incantesimi potenti e antichi proprio come il casato dei Malfoy, dunque era davvero strano che fosse difesa fisicamente da maghi. In un attimo, ricordai che quella famiglia purosangue, in passato, non aveva completamente soddisfatto le aspettative di Lord Voldemort, scappando addirittura dalla battaglia di Hogwarts. Mi chiesi se tutti quei Mangiamorte intorno alla villa non facessero altro che controllare i padroni di casa poiché erano inaffidabili, eppure conoscendo Lucius ero sicura avesse trovato qualche escamotage per rientrare nelle grazie del Signore Oscuro dopo tutti gli sbagli commessi. Avevo così tante domande a vorticare nella testa e ancora nessuna risposta.
Decisi, così, di non pensarci più di tanto perché avrei avuto molto tempo per trovare soluzioni ai miei dubbi. Poggiai la schiena sul davanzale della finestra poggiando le spalle contro il vetro, alzai il capo e puntai lo sguardo sul soffitto bianco e ben curato. Non avrei mai pensato di potermi trovare nella dimora del nemico, a stretto contatto e dipendente da lui, tuttavia ero davvero lì e non potevo fare niente per migliorare la mia situazione se non aspettare e pensare. Per una volta, mi sarei comportata come una vera serpe. D’altronde, la guerra cambia l’animo delle persone.
Uno strano movimento alla mia sinistra mi fece porre l’attenzione proprio sulla parete a me di fianco. Vi era un lungo specchio verticale a padroneggiare il muro il cui riflesso rimandava una giovane donna che non conoscevo, una ragazza carina e in salute. Mi avvicinai meglio per contemplare il mio nuovo aspetto, per acquisire una certa confidenza con il mio volto inedito: avevo le sembianze di una giovane donna dai lunghi capelli scuri, lisci, e dagli occhi azzurri ed espressivi; non ero molto alta, forse qualche centimetro in meno alla mia statura naturale, la pelle era rosea e liscia, il seno un po’ più pieno del mio, le gambe più tornite, come la vita e i bacino. Avevo un aspetto bellissimo, di una persona non segnata dalla guerra. Ciò che denotava le vicissitudini vissute erano i vestiti sporchi e stracciati, abiti che ho recuperato quando mi sono nascosta nella vecchia casa dei miei genitori e abilmente infilati nella mia inseparabile borsetta di perline. Peccato aver perso un tale oggetto così indispensabile quando fui costretta a scappare qualche ora prima, dapprima che Malfoy mi trovasse.
Un sonoro “pop”, mi distrasse dai pensieri e un po’ – ammetto- mi spaventò. Mi voltai di scatto impaurita, ma ciò che mi apparve davanti non fu nessuna minaccia, come la mia mente temeva, ma solamente un piccolo elfo domestico, giovane e dalla pelle grigiastra i cui occhi grandissimi e scuri facevano trasparire tutta la dolcezza della creatura, tutto il timore nei miei confronti. Le sorrisi, rincuorata che fosse l’esserino e intenerita dalla sua figura. Teneva tra le mani degli asciugamani e abiti puliti, e mi guardava leggermente incuriosita restando in silenzio, forse studiandomi per essere sicura di potersi in qualche modo fidare.
«Ciao.» ruppi il silenzio avvicinandomi piano, cercando di non spaventarla.
«Il padroncino ha chiesto a Tabby di portare questi alla signorina.» rispose prontamente senza mai distogliere lo sguardo. Era strano per un elfo che, di solito, hanno il capo basso in segno di sottomissione. Mi piaceva.
«Puoi darli a me, Tabby.» le dissi sorridendo ancora, facendo un passo avanti e abbassando alla sua altezza per prendere ciò che mi porgeva. «Grazie.»
«La signorina non deve ringraziare Tabby. E’ ciò che ha ordinato il padroncino Malfoy.» ribatté calando un po’ la testa e portando una mano sulle lunghe orecchie con fare nervoso e arretrando di qualche passetto.
Nulla da fare, la natura degli elfi nell’obbedire senza ricevere riconoscenza era più forte di tutto. Nonostante la creatura davanti a me avesse qualcosa di diverso, aveva l’istinto di intimorissi facilmente. Capii di aver fatto un passo falso con quel “grazie”. D’altronde, non poteva certo essere altrimenti, era al servizio dei Malfoy ed immaginai che né gratitudine né gentilezza le fu mai riservata, forse punizioni e incantesimi, invece, ne aveva avute tanti. Al solo pensiero un senso di nausea si impadronì dello stomaco.
«Sì … hai ragione.» annuii seria in volto (facendo anche fatica a parlare in qual modo, ma sapevo benissimo che far ragionare un elfo riguardo ai propri diritti era pressoché inutile) camminando verso il letto per poi poggiare indumenti e asciugamani sul letto.
«Padron Malfoy verrà a medicare le ferite della signorina, quindi si pulisca e aspetti. Tabby ora va via.» detto ciò, con autorità e distacco – come insegnato, ovviamente, dalla famiglia che serve- sparì velocemente, proprio com’era arrivata.
Non riuscii a comprendere il cambio repentino del suo modo di fare, ma pensandoci meglio arrivai alla conclusione che si era, in qualche modo, imposta di non provare curiosità eccessiva o emozione per un nuovo volto all’interno della casa. Tuttavia, c’era anche la possibilità che fosse stato proprio Draco a raccomandarle distanza assoluta.
La testa mi scoppiava e, guardando con intensità ciò che Tabby mi aveva portato, sentii l’irrefrenabile necessità di crogiolarmi nell’acqua calda e abbandonare qualsiasi pensiero anche solo per cinque minuti. L’Hermione razionale di una volta non avrebbe mai abbassato la guardia – non che lo avessi fatto per davvero- ma ero davvero stanca e avrei pensato a sentirmi in colpa il giorno dopo.
A passi lenti, mi diressi verso il bagno privato, la cui porta si apriva proprio di fronte a me, non lontana dall’armadio riservatomi. Una volta varcata la soglia, raggiunsi il lavabo su cui posai gli asciugamani puliti e solamente dopo mi guardai intorno per ispezionare anche la sala da bagno. Era il più lussuoso che avessi mai visto in vita mia. La stanza era di forma rettangolare, ma larga abbastanza per contenere tutti i conforti che una famiglia agiata come i Malfoy potevano (e possono) permettersi e pretendono di avere nella loro dimora. O forse, semplicemente, era troppo tempo che non vedevo un vero bagno – dopo essere scappata da casa mia nella Londra babbana. Mi appariva tutto come grandioso e maestoso, magari perché in quegli anni di guerra era davvero difficile concepire l’esistenza di cose di uso quotidiano. Ero considerata un’impura e avevo perso tutto, ed immagino che a quei tempi non ero di certo la sola a ritrovarmi meravigliata davanti alla bellezza di una normalissima stanza. Magari deliravo e non me ne rendevo conto, avevo assunto due pozioni quasi contemporaneamente e non sarebbe stato strano un effetto collaterale.
Ciò che aveva catturato di più la mia attenzione era stata proprio la vasca da bagno, una grandissima vasca bianca arrotondata negli angoli e poggiata su piedi decorati da una figura stilizzata di un basilisco. Non ho bei ricordi legati a quell’animale mitologico, ma in quel momento osservai con curiosità il modo in cui era rappresentato e come i dettagli risaltavano grazie al colore dorato. Senza nemmeno volerlo davvero, mi avvicinai alla tinozza di lusso e accarezzai il bordo bianco e freddo con il dito indice della mano destra infastidita dal freddo della ceramica. Non mi immergevo in acqua calda ad oziare da moltissimo tempo ed il mio corpo fremeva al solo pensiero del tepore che, di lì a pochi minuti, mi avrebbe avvolta completamente.
Dunque, senza pensarci troppo e senza rimirare altro se non la vasca davanti a me, mi tolsi i vestiti e la biancheria lanciandoli non curante in qualche angolo della grande stanza. Ero come ipnotizzata, tant’è che vi entrai senza nemmeno aprire il rubinetto per far scorrere l’acqua, cosa che feci subito dopo essermi seduta. Immediatamente una piacevole calura si espanse in tutto il corpo al solo contatto con i piedi, un nebbia di vapore salì verso l’alto diffondendosi nella stanza e dando vita ad una bolla quasi magica in cui mi sentivo a mio agio e, in un modo contorto, protetta. Dopo un anno e mezzo, mi sembrava di riuscire ad avere un po’ di pace, un po’ di quiete dimenticando, temporaneamente, i dolori e le ferite della guerra. Chiusi gli occhi beandomi di una realtà che, a dirla tutta, mi pareva alternativa, quasi ci fosse un universo parallelo dove fuori dalle mura regnava la pace; era come vivere normalmente, un momento rilassante dopo una giornata piena. Tuttavia ero ben a conoscenza della realtà, ma la testa non poté fare a meno di godere di quella visione semplicistica ed ottimistica della realtà. Era illogico e mi sentii anche in colpa in seguito, eppure in quell’attimo, persa tra il calore dell’acqua e l’odore di vaniglia del sapone, fui felice di essere egoista tant’è che decisi di spegnere i pensieri e di beneficiare a pieno del bellissimo abbraccio cado in cui mi ero avvolta. Finsi indifferenza. Non sarò mai fiera di ciò che pensai al tempo e del mio comportamento, ma ero così spossata e persa che non reputai importante l’attimo di debolezza.
Non c’era niente intorno o fuori da quella stanza. Solo silenzio e calore, tanto calore. Non m’interessava nemmeno più curiosare in giro.
Piansi, senza un motivo preciso. Sentivo come … un peso in fondo al cuore e alla bocca dello stomaco. All’inizio pensai di essere contenta per la effimera e illusoria calma ritrovata, oppure era il mio istinto Grifondoro che riemergeva secondo dopo secondo a causa del mio grande egoismo momentaneo. Riflettendoci, però, sono più che sicura non ci fosse un motivo preciso per cui stessi piangendo, ma ero stata piegata dagli eventi, dalla guerra che andava peggiorando, dai miei fallimenti nel trovare Harry e Ron – mi mancavano da morire! -, dal dovermi sempre nascondere o scappare per non essere portata al Ministero e interrogata, fuggire via per non essere uccisa; ero sopraffatta dalla mille emozioni che imperversavano nel petto da quando avevo messo piedi quel giorno al maniero del nemico, ero stranita dai miei stessi pensieri. Non era servito a niente decidere di non riflettere, perché pensare era la sola cosa davvero mia che non avevo perso, che Voldemort non mi aveva portato via.
Così lasciai che le lacrime calde segnassero le guance, lasciai che la mia debolezza venisse fuori così da diventare molto più forte dopo. Singhiozzai, urlai senza preoccuparmi di nulla – la camera era insonorizzata -; la tristezza, la rabbia e la frustrazione vennero fuori. Non avrei mai creduto che dopo due anni di sofferenze mi sarebbe bastato fermarmi un attimo, ma fermarmi davvero, per crollare come un castello di carte al vento.
Piansi. Piansi davvero tantissimo quella sera.
 

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Capitolo 6
*** 5 - Don't be afraid of me ***


Capitolo 5
«Dont be afraid of me. 
»

Non so per quanto tempo sono stata in acqua a bearmi del calore e del tepore diffuso in tutta la stanza, ma ricordo che il liquido divenne freddo e la pelle, che aveva ripreso un po’ di colore, stava diventando nuovamente gelida. Per di più le dita erano raggrinzite, per questo decisi di terminare il bagno, consapevole comunque di aver usufruito abbastanza della vasca e di aver abbassato la guardia per troppo tempo. Come avevo ben pensato, il momento di pace finì presto; fu effimero e, direi, alquanto sfuggente.
Il calore stava abbandonando il corpo e, difatti, rabbrividii nell’attimo in cui mi alzai e fui a contatto con l’aria fresca della stanza – ormai anche il vapore era sparito. Con movimenti rapidi, rimisi i piedi sul morbido tappeto davanti la vasca ed afferrai il grande asciugamano portatomi da Tabby poco prima. Per arrivarci, però, dovetti camminare sulle fredde mattonelle e, ancora una volta, tremai per il gelo che si irradiò in ogni parte di me. Se avessi avuto la mia bacchetta avrei potuto rimediare qualcosa di caldo da indossare trasfigurando gli abiti che mi erano stati dati, oppure avrei trovato un modo per riscaldare l’ambiente. Novembre era ormai entrato e il clima era davvero rigido. Non sapevo quanto giovasse alla mia salute il freddo, ma di certo non mi sarei lamentata con Malfoy. Il mio orgoglio era appena ritornato, non mi sarei abbassata a chiedere aiuto a lui.
Mi avvolsi bene nel lungo telo verde soffice e piacevole a contatto con la pelle. Da quanto potei constatare, quella famiglia aveva un vero e proprio debole per il color smeraldo e i colori neutri come il nero e il bianco. Minimalisti, austeri, proprio come i loro comportamenti, freddi e distaccati. Niente a che vedere con il calore che la Tana dei Weasley riusciva a trasmettere dal primo momento in cui ci si metteva piede.
Sorrisi al pensiero di quella dimora, strana e quasi fatiscente, non bella da vedere, ma dal sapore di casa. Ripensai a tutte le estati trascorse insieme ai miei amici, alla gioia, alla dolcezza e ai buonissimi manicaretti di Molly e alla voglia di vivere e alla curiosità di Arthur. Ricordai i bei momenti trascorsi con Harry e Ron, i giorni trascorsi ad Hogwarts, gli avvenimenti poco piacevoli che seguirono la morte di Silente … Qualsiasi cosa accadesse, noi tre eravamo insieme ed inseparabili; le avversità ci fortificavano, ci univano e nulla avrebbe potuto separarci, ma ovviamente erano pensieri stupidi perché la guerra era davvero stata capace di mettere distanza tra noi. Mi chiesi cosa avrebbero detto se avessero saputo della situazione in cui mi trovavo, del fatto che avrei vissuto con la mia nemesi per un tempo indefinito. Harry, forse, sarebbe stato sorpreso e, con voce pacata, mi avrebbe risposto che non gli piaceva la situazione ma che sarebbe stato vantaggioso per capire i segreti di Draco; Ron sarebbe andato su tutte le furie. Ritrovai il sorriso, ancora più grande, nell’immaginare il volto e le orecchie rosse per la rabbia, la voce profonda urlare che proprio non era d’accordo, che sarebbe stato un suicidio per me. La dolcezza di quel ragazzo mi mancava da impazzire, come gli abbracci caldi e confortanti dell’altro. Ovviamente, i rapporti che avevo con i due non erano paragonabili: con il “bambino che è sopravvissuto” vi era una connessione che potrei definire spirituale – se credessi a certe cose -, un legame fraterno che mai avrei pensato di riuscire ad instaurare, eravamo entrambi razionali il più delle volte e il nostro modo di comportarci nelle varie situazioni era alquanto simile, forse lui un po’ più istintivo di me, ma alla fine ci completavamo; con il rosso le cose erano decisamente diverse: avevo sempre considerato Ron un ragazzo svampito e poco attento, con la sfera emotiva di un bradipo, tanto dolce e timido da suscitare tenerezza. Eravamo opposti (lo siamo ancora), così distanti da credere di non poterci mai incontrare, invece è stato proprio il contrario. In qualche modo, il suo modo di fare, di vivere semplicemente senza mai preoccuparsi davvero era qualcosa di rassicurante per me, una specie di placebo che riusciva ad ammansire la mia ansia ed il mio orgoglio. Era un testone adorabile ed io mi ero infatuata senza una vera ragione, e mi andava bene così, benché fu difficile scendere a patti con questa consapevolezza.
Involontariamente, le dita della mano destra finirono sulle labbra ed io fermai i passi non lontano dal letto, completamente persa nei pensieri, in quel bellissimo ricordo che custodivo (e lo faccio ancora) gelosamente nel cuore: il bacio con Ronald nella Camera dei Segreti. Fu istintivo, data la paura e l’adrenalina, avvicinarci ed unire le labbra. Ricordo il calore e la sicurezza che quell’unione mi scaturì nel petto, non avevo mai sentito nulla del genere ed ero davvero felice di aver mostrato i miei sentimenti e, per di più, Ron provava lo stesso. Eravamo nel bel mezzo della battaglia eppure io non vedevo l’ora di poter vivere il nostro rapporto alla luce del sole, all’alba di un nuovo giorno. Quel ricordo è stato un’ancora per me moltissime volte, in tutti quei momenti, soprattutto, in cui lo sconforto primeggiava sulla determinazione e l’orgoglio. Ronald, proprio come Harry, è sempre stato con me. Ero sicura che sarei tornata dai miei amici, ma non ero certa che sarei stata la stessa persona che loro avevano conosciuto.
Scossi la testa provando a non pensare a ciò che sarebbe stato, piuttosto dovevo concentrarmi sul presente, un’attualità che si presentava ricca di attimi poco piacevoli, se non addirittura nefasti. Vi era la possibilità di non uscire vivi da lì, ma nonostante ciò mi imposi di non spegnere la fiamma della speranza. In fondo Malfoy non aveva torto: se avesse davvero voluto mettermi nei guai avrebbe sicuramente avvertito sua zia Bellatrix e in quel momento non sarei stata, invece, in una camera lussuosa, lui non avrebbe promesso a sua madre una compagnia per le sue giornate scure, non sarebbe stato così attento nei miei riguardi. “Ma allora perché?”, continuavo a ripetermi mentre il pensiero caldo del bacio con Ron spariva a poco a poco.
Lo stomaco riprese a dolere come qualche ora prima, ma in una maniera decisamente meno intensa. Capii che era trascorso più tempo di quanto credessi e pochi minuti dopo mi sarei ritrovata con il mio vero aspetto, tuttavia non credevo di essere sicura di voler davvero vedermi allo specchio. Non lo facevo da molto. Ero sicura di essere cambiata, avevo paura di non riconoscermi più, di vedere una Hermione distrutta anche nel fisico, non solo nella mente e nello spirito. Temevo di osservare quanto la guerra avesse impresso il proprio marchio su di me, eppure, in un impeto di coraggio – ripetendomi che prima o poi il momento sarebbe arrivato, guidata anche da una flebile curiosità – mi voltai verso lo specchio alle mie spalle, dapprima con gli occhi chiusi facendo titubante un passo in avanti per essere più vicina al mio riflesso. Respirai profondamente stringendo i pugni in preda all’ansia, muovendomi nervosamente sul posto, successivamente ingoiai tutta l’amarezza che avevo in gola e decisi di alzare le palpebre per scoprire cosa fossi diventata agli occhi degli altri. Ciò che vidi, per fortuna, non era così terribile come credevo, benché avessi vissuto due anni di stenti e in situazioni più che precarie: il volto stava pian piano riprendendo i tratti naturali e potei notare che fosse scarno, ma di certo non ammalato dal poco cibo ingerito; gli occhi, invece, nonostante l’animo battagliero, erano più spenti a causa di tutti i fallimenti subiti nel corso del tempo e della speranza che andava spegnendosi lentamente, il sogno di poter riunirmi ai miei compagni – sebbene una parte di me, quella ancora orgogliosamente viva e Grifondoro, aveva fiducia di un ricongiungimento; le labbra erano secche e screpolate per le basse temperature in arrivo; i capelli scuri del mio “presta volto” si arricciavano al passare dei secondi, schiarendosi anche, e, in un modo assurdo, vedere la chioma folta ed ingestibile ancora presente mi fece sentire sollevata: almeno una cosa non era cambiata, benché mi arrivassero oltre la spalla.
Il collo e le spalle erano ricoperti di graffi, ferite curate e ormai guarite, tuttavia vi erano lividi visibili che, man mano, diventavano di un colore più scuro col passare del tempo. Mi sentivo come un serpente durante la muta. Ironico, davvero.
Sospirai rumorosamente e, con un gesto deciso, tolsi l’asciugamano gettandolo ai miei piedi, rimanendo nuda a contemplare il mio corpo che, ormai, era quasi alle sembianze naturali: le clavicole erano prominenti, i seni piccoli non erano più tanto sodi come anni prima, la pancia era piatta, forse anche troppo, ma ringraziai Merlino nel non vedere le costole attraverso la carne, sarebbe stato davvero un brutto colpo; le gambe erano più magre di prima, ovviamente, ma nulla faceva pensare che avessi digiunato o che ingerissi davvero pochi alimenti. Ero messa abbastanza bene e questo mi rincuorò alquanto. Ciò che era alquanto preoccupante, era il grande ematoma che avevo all’altezza dello stomaco e un segno rosso sulla caviglia destra, bruciava un po’, ma ci feci caso solamente in quel momento. Così, mi ricordai di essere stata schiantata dal contrabbandiere a Notturn Alley e tutto fu più chiaro. Mi voltai così da poter vedere in che condizioni fosse la schiena: vi erano lividi e graffi anche lì. Pizzicava tutto in modo alquanto fastidioso, forse me ne resi conto tardi a causa di ciò che era successo in così poche ore, magari l’adrenalina aveva anestetizzato ogni dolore insieme all’Essenza di Purvincolo. Mi ero rilassata e i dolori erano tornati per torturarmi. Necessitavo di qualche medicazione e di bere alcune pozioni, Draco aveva ragione nel volermi aiutare. Dunque, ricordando che sarebbe potuto arrivare in qualsiasi momento, ripresi l’asciugamano abbandonato per terra e lo lanciai sulle poltrone alla mia destra e mossi passi decisi verso il letto su cui vi erano i miei vestiti.
Non appena fui pronta, mi resi conto di quanto fossero scomodi: era un vestito datato, forse di un passato troppo lontano, ma a quanto pare non così tanto distante per la famiglia Malfoy. Rimpiansi pantaloni comodi e felpe semplici e calde: l’abito era lungo ed ampio fino a qualche centimetro dalla caviglia, ed era blu con le maniche bianche. Era bello, lo ammetto, ma pensai davvero fosse fuori contesto. Con chi mi sarei potuta lamentare? Era già tanto avessero messo una Mezzosangue a vivere sotto il loro stesso tetto, ad occupare una stanza tutta sua invece di dormire in uno scantinato o tra gli elfi. I nobili erano strani, non c’era null’altro da dire o da pensare.
Ad un attenta analisi, nel silenzio della camera, sentii come un fuoco scoppiettare e percepii una temperatura leggermente più alta di quando ero entrata in bagno. Mi voltai verso la grande porta a due ante che conduceva nel piccolo salotto adiacente e comunicante con la mia stanza e mi accorsi che era aperta, al contrario di quanto ricordassi. Stranita, e dannatamente curiosa, attraversai la stanza a passo veloce e varcai la soglia della stanza: era piccola, ma confortevole, calda e accogliente; vi era un camino proprio di fronte l’entrata ed era acceso e vivo, un grande divano imbottito mi dava le spalle ed altre due poltrone erano alla destra e alla sinistra del primo. Vi entrai interessata e notai vi fosse anche una piccola libreria, formata da mensole scure in una struttura alta, posizionata proprio dietro gli arredi, sulla parete a sinistra della porta. Ero davvero euforica per quel piccolo dettaglio, ma non feci in tempo ad avvicinarmi che un altro particolare mi saltò agli occhi: dinanzi al divano verde scuro, poggiato su un tappeto lungo e decorato con lo stemma della casata purosangue nel centro, vi era un basso tavolino da caffè, più largo di quello nella camera da letto, su cui era stato messo un vassoio ricolmo di leccornie. Di fatti, alla sola vista, lo stomaco cominciò a ribellarsi più di prima, anche perché gli effetti della pozione svanivano del tutto ed io digiunavo da un po’, ormai. Tuttavia, non sapevo se fidarmi o meno. “E se Narcissa avesse fatto mettere da un elfo del veleno?”, mi chiesi mentre avanzavo con la fame sempre più pressante. Sapevo che Draco non sarebbe stato felice di un mio decesso, ma non potevo di certo conoscere i pensieri della Lady del Manor. Il ragazzo aveva un piano per me, dunque non avrebbe potuto esserne complice, ma non potevo davvero credere alla pacatezza d’animo e al pacifismo della donna. Sospirai, indecisa sul da farsi.
«Sto entrando.» la voce chiara di Malfoy mi arrivò ovattata da dietro la porta che, in un secondo, venne spalancata mostrando la figura esile del ragazzo.
«Delicato, Malfoy.» dichiarai alzando gli occhi al cielo, infastidita dal suo atteggiamento e stufa della sua boria.
Egli, senza nemmeno darmi retta, entrò nella stanza chiudendo la grande anta dietro le spalle; portava in una mano la sua inseparabile valigetta di cuoio mentre l’altra era nascosta nella tasca dei pantaloni di alta sartoria. Notai che al collo non aveva la cravatta e tanto meno vi era la giacca a coprirlo dal fresco della notte ormai calata, solamente la camicia nera, con i primi due bottoni slacciati, nascondeva un corpo che, potevo immaginare, fosse magro e tonico. Non che pensassi alla fisicità del ragazzo in quel momento, ma vederlo quasi privo di quella che avevo sempre considerato la sua armatura, i capelli meno in ordine di ore fa e un’espressione affaticata sul viso mi fecero pensare; tutto ciò aumentava la curiosità di sapere cosa gli stesse accadendo, cosa nascondesse.
Con molta sicurezza si avvicinò a me lanciandomi uno sguardo veloce e privo di interesse mentre raggiungeva il divano alle mie spalle. Era elegante il suo portamento, affascinante quell’aria menefreghista che perennemente aveva sul volto, eppure la sua freddezza e il suo distacco portavano appunto a tenersi a distanza. Nonostante fosse un ragazzo pieno di charme, nessuna, a parte qualche arrivista, si sarebbe avvicinata ad un tipo del genere: non emanava sicurezza, né dolcezza e non era davvero gentile. Un po’ mi dispiacque, ad essere onesta, pensare al bambino che era stato anni addietro e paragonarlo a ciò che avevo in quel momento davanti agli occhi. Era solo, un uomo di diciannove anni completamente solo, senza apparente affetto, ma sapevo benissimo – come lui d’altronde- che la colpa della solitudine era sua e di nessun altro. Da fonti attendibili, ero a conoscenza del fatto che i suoi amici come Zabini e Greengrass si erano tenuti lontani dalla guerra, nonostante fossero molto attivi dalla società reggente. Draco si era ritrovato isolato a combattere battaglie in cui, ovviamente, credeva. Non doveva certo essere facile, ma non provavo pena, solo una lievissima tristezza nel notare quanto il suo volto pallido fosse cambiato, quanto lo fosse lo sguardo.
«Vedo che ti sei sistemata, Granger.» parlò piatto, attirando la mia attenzione.
Mi voltai nella sua direzione e lo guardai attentamente nell’atto di poggiare la ventiquattrore sul basso tavolino da caffè e aprirla subito dopo. Non riuscii a vedere il viso, ma immaginai fosse lo stesso di pochi attimi prima: neutro e indifferente. Mi chiesi se si potesse fingere un’emozione del genere, perché non credevo davvero possibile che fosse diventato così proprio lui, proprio il ragazzo che aveva reazioni spropositate ogni qualvolta mi guardava o era nelle mia stessa stanza; mi chiesi dove il suo veleno fosse finito. Non che mi lamentassi, ma sembrava mancasse qualcosa.
«Sei stato proprio tu a dirmi di avere un aspetto pessimo, no?» dissi incrociando le braccia al petto facendo qualche passo nella sua direzione. «E poi sono prigioniera, cosa potevo fare se non rifocillarmi almeno un po’?»
Silenzio. Non rispose al tono saccente con cui gli parlai, non rispose beffardo … non rispose e basta. Cosa diamine gli era preso? Pensai, lì per lì, che stesse applicando magari una nuova tecnica di tortura, perché odiavo (e odio) essere ignorata e lui lo sapeva benissimo, non per niente abbiamo trascorso moto tempo ad Hogwarts a rispondere alle accuse l’uno dell’altro. Sì, doveva essere un modo per farmi innervosire – era davvero più semplice pensarla in questo modo.
«Siediti, devo medicarti la ferita alla caviglia.» ordinò sicuro, guardandomi negli occhi per la prima volta da quando era in camera. Era categorico e autoritario il tono, ma stranamente non ostile.
«Sicuro? Potresti infettarti.» lo provocai ghignando, avvicinandomi al divano a piccoli passi. Mi divertivo ad infastidirlo, soprattutto in quel momento in cui pareva subire senza reagire. In verità cercavo di scuoterlo, non ero abituata ad un Malfoy mansueto.
«Siediti su quel divano prima che cambi idea, dannata Grifondoro!» imprecò a denti stretti iniziando a perdere la pazienza. Ecco, in quel momento potei vedere quello che restava del vecchio Draco, tuttavia sapevo bene quanto sfuggente potesse essere l’attimo.
«Come vuoi, Malfoy.» acconsentii trattenendo un sorriso di scherno.
Con la caviglia dolorante, raggiunsi la comoda seduta imbottita e mi sedetti, proprio davanti a lui. Era in piedi e mi fissava, lo fece per qualche secondo di troppo, secondi in cui -a mio parere- rifletteva su quanto potessi essere infetta o se, toccandomi, potesse ammalarsi, o cose del genere. Scosse la testa sospirando profondamente, abbassando lo sguardo e flettendosi sulle ginocchia così da essere facilitato nella medicazione.
Sicuro di sé, afferrò con gentilezza il piede ferito e, attentamente, con la mano sinistra, abbassò piano il calzino arrotolandolo ben oltre il tallone, così da poter studiare l’entità del danno: vi era una striscia rossa e graffiata sulla caviglia. Il bruciore stava diventando più intenso, tanto da sembrare che il sangue in quella specifica parte fluisse più velocemente del solito. Davvero mi chiesi come fosse possibile non far caso al dolore di una ferita, magari ero abituata, come fossi anestetizzata contro il male fisico.
Sussultai non appena le dita fredde e pallide di Draco vennero a contatto con la pelle. Fui sorpresa dal suo gesto, dal suo tastare piano la gamba per cercare altre ferite, nello sfiorare la parte dolorante e leggermente sanguinante della caviglia. Lo guardai stranita e nella mente una sola domanda svettava alta e rumorosa, brillante, come i fuochi d’artificio: “Cosa diavolo è successo al Malfoy che conoscevo?”. Mi stava toccando, e non era ancora scappato a gambe levate disgustato da tutta la situazione assurda in cui ci ritrovavamo.
Il silenzio calato nella stanza mi stava facendo impazzire, la mente cominciava a vagare libera e, per di più, continuava ad elaborare informazioni ed ipotesi riguardo il ragazzo davanti a me. Pesava quella quiete, più di un masso sulle spalle. A pensarci bene, era fatta di sentimenti repressi e tanti segreti, forse era composta anche da emozioni non proprio ben definite. Decisi, così, di spezzare il silenzio – stranamente non imbarazzante-, rabbrividendo ancora per i contatto gelido delle sue dita contro la pelle.
«Hai le mani fredde.» sussurrai, incantata dai movimenti automatici che compiva il ragazzo mentre, con un pezzo di stoffa imbevuta di pozione, curava la ferita al piede. Sembrava avesse fatto quelle esatte operazioni tantissime volte. «Quasi dimenticavo che i serpenti sono animali a sangue freddo.» lo provocai sorridendo, senza mai distogliere lo sguardo da lui.
Come avevo ben pensato, lui non rispose, continuando a portare avanti il suo lavoro, ovvero fasciare la parte ferita della gamba con delle garze grazie ad un incantesimo. Non mi degnò nemmeno di uno sguardo, come se io non esistessi per lui. Tuttavia, dall’atmosfera che si respirava nella stanza, sapevo benissimo che non era per inimicizia o per fastidio, era nuovamente indifferente.
«Sei cambiato …» mormorai quasi involontariamente, assottigliando lo sguardo e fissandolo intensamente.
«Anche tu, per quanto ti ostini a nasconderlo.» rispose piatto, alzandosi e raggiungendo la valigetta aperta; pulì le mani con un pezzo di stoffa non sporco del mio sangue.
«Ho dovuto. Per sopravvivere.» ribattei fiera, piegandomi per rimettere il calzino al suo posto.
«Abbiamo una cosa in comune, Granger.» disse calmo, voltandosi verso di me con altrettanta tranquillità; mi guardò serio, portando entrambe le mani in tasca.
Alzai la testa di scatto alle sue parole e, irritata e alquanto offesa, risposi con astio: «Non credo proprio, Malfoy.» mi rimisi in piedi avvicinandomi con piccoli passi alla sua alta figura. «Per due anni sono scappata da quelli come te cercando di vivere almeno un altro giorno, provando a non finire al Ministero per essere bollata come fossi una reietta a causa di un credo illogico portato avanti da un pazzo.» risposi stringendo i denti, iraconda. «Tu sei dalla parte dei potenti adesso, sei un Malfoy che, nonostante abbia commesso molti errori, verrà sempre rispettato ed ammirato. Io, invece, ho dovuto lottare ogni dannato giorno con la solitudine e la sofferenza, con la frustrazione e i continui fallimenti. Quindi, permettimi di dissentire: tu ed io non abbiamo niente in comune, Draco. Proprio nulla.»
«Tu credi sempre di sapere tutto, ma in realtà non sai niente.» mormorò indispettito, guardandomi infastidito, irrigidendosi.
«Be’, anche tu non sai com’è vivere dall’altra parte della barricata. Non sai cosa vuol dire essere ricercata, essere inseguita per niente. Io sarei impura? E voi cosa siete se non assassini che vi arrogate il diritto di decidere chi deve vivere e chi deve morire?» alzai il tono di voce parola dopo parola, gettandogli addosso tutto il veleno che riserbavo da troppo tempo. «Mi disgustate!»
«Forse hai ragione, forse no, e nemmeno m’importa.» rispose guardandomi dritto negli occhi, con autorità e fermezza. «Ma tu, invece, sei davvero brava a puntare il dito contro gli altri pur non conoscendo la verità. Non sai niente di me, di quello che ho passato in questi anni … eppure ti permetti di giudicarmi.» sussurrò calmo avvicinandosi fin troppo, lasciando tra i nostri corpi solamente qualche centimetro di distanza. «Sto vivendo il mio inferno personale in silenzio e di certo non sarà una saccente qualunque a poter condannare o meno le mie scelte. Non ti permetto di parlare così di me in casa mia. Tu non sai nulla, Granger, dunque sei pregata di tenere le tue idee per te, nessuno ti ha chiesto un parere.» parlò accostando il suo volto al mio. «Se vuoi sopravvivere al maniero ti consiglio vivamente di tenere quella boccaccia chiusa, o sarà peggio per te.»
«Mi stai minacciando?» ero irrimediabilmente irritata, quasi digrignai i denti come un animale.
«E’ un avvertimento. Perché quando accadrà il peggio nemmeno io potrò fare nulla.» mi disse piatto, tornando ad essere apatico. «Non è me che devi temere.»
Detto ciò, raccolse i suoi effetti personali lasciando un paio di boccette di vetro, contenente delle pozioni, sul tavolino da caffè accanto al vassoio del cibo ed andò via senza degnarmi di uno sguardo. Restai da sola in quella grande stanza con nuove e moltissime domande e, ancora una volta, non vi era nessuno a cui esporle.
Non era lui che dovevo temere, aveva detto. Perché mai Draco Malfoy voleva proteggermi, allora?
 

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Capitolo 7
*** 6 - Elizabeth Randall ***


Capitolo 6
«Elizabeth Randall»

Dopo lo scontro con Draco ero così sfinita – fisicamente e mentalmente- da essere crollata dal sonno su quel grande letto morbido, con ancora in testa domande senza nessuna risposta. Quella notte dormii come non avevo potuto fare in due anni, crollai in uno stato di incoscienza pesante; abbassai totalmente la guardia quella notte, me ne resi conto solamente al mio risveglio. Malfoy aveva messo in chiaro quanto non fosse vantaggioso per lui uccidermi o farmi del male in qualsiasi modo, ma non potevo sapere cosa volessero gli altri inquilini del maniero. Avrei davvero voluto essere vigile, avrei voluto che i pensieri e le preoccupazioni mi tenessero sveglia, tuttavia fu esattamente il contrario ciò che avvenne. Ero esausta di scappare, anche solo di rimuginare su tutti gli avvenimenti accaduti in pochissimo tempo e, devo ammettere, che quella lunga dormita fu rinvigorente, per il corpo e per l’animo.
Mi piacerebbe dire di essere stata svegliata dalla debole luce del sole che attraversava la finestra dell’ala est, come si leggerebbe in qualsiasi bel libro. Purtroppo non fu così. Ricordo di aver sentito delle dita fredde e ruvide contro la pelle, ma non diedi molto peso a quel tocco leggero, al contrario feci finta di niente, troppo rinfrancata e sicura nel caldo abbraccio del sonno e delle coperte morbide. Voltai il capo dalla parte opposta del disturbatore. Feci un gravissimo errore. D’improvviso, una scossa perforante mi attraversò partendo dalla testa, esattamente dalla tempia sinistra. Ero confusa, la mente alquanto offuscata dall’incantesimo e il cuore batteva forte non solamente per lo spavento, ma soprattutto per la magia energizzante. “Innerva” viene usata come contro incantesimo allo “Stupeficium” e non per far risvegliare le persone da uno stato dormiente. Rischiai davvero grosso quella mattina, tuttavia capii solamente in un secondo momento cosa stava accadendo. La vista si annebbiò un pochino e i battiti continuavano ad aumentare, tanto da pensare che il muscolo vitale fosse sul punto di uscirmi dal petto, avevo le vertigini e dovetti chiudere gli occhi un paio di volte per ritrovare la calma senza andare nel panico.
«Signorina.» sentivo una voce chiamarmi, un suono basso ed ovattato. «A Tabby dispiace svegliare lei in questo modo, ma la padrona sta arrivando.»
Era il piccolo elfo che, il giorno prima, si era presa cura di me. Guardai quell’esserino ancora stordita per il forte incantesimo, non riuscendo davvero a comprendere le sue parole. Scossi la testa tentando di mandar via il senso di confusione e l’intorpidimento della notte, tuttavia i risultati furono vani. Era stata davvero troppo potente la magia, tanto da scombussolare il delicato equilibrio della mente, ma il mio spirito era decisamente più resistente, dunque tentai di mettere bene a fuoco non solo ciò che avevo davanti, cercai anche di comprendere le parole dell’elfa. Sembrava agitata e preoccupata, e continuava a muovere le labbra e chiedermi qualcosa, eppure non riuscivo proprio ad arrivarci.
«Aspetta!» ansimai con decisione, alzando una mano così da fermare il suo fiume di parole concitate. Dovevo concentrarmi altrimenti non saremmo andati da nessuna parte. «Ripeti … lentamente, Tabby.»
«La padrona sta arrivando.» scandì bene, esattamente come le avevo chiesto. «E la signorina non può presentarsi in questo stato. Il padroncino si arrabbierà con Tabby se la padrona la vede così.» finì la frase nervosa, abbassando le orecchie lunghe e torturandosi le grandi mani sfregando le une con le altre.
Lì per lì non capii a cosa si stesse riferendo, tuttavia mi bastò solamente un attimo per ricordarmi in che situazione mi trovavo. Mi voltai di scatto verso lo specchio alla mia sinistra, mi sporsi in avanti e mi accorsi di essere ritornata ad avere il mio normale aspetto: ero di nuovo Hermione Granger. Così, con un balzo – procurandomi un dolore lancinante alla testa- , rischiando anche di cadere per le lenzuola arrotolate intorno alle caviglie, scesi dal letto e, velocemente, aprii il cassetto del basso mobile acconto al lussuoso giaciglio ed afferrai la boccetta contenente la Pozione Polisucco. Il giorno prima, Draco aveva lasciato sul tavolino del mio salotto una variegata serie di intrugli, dagli unguenti per i lividi a misture per cambiare aspetto. Quella serpe eccelleva nel preparare pozioni e ciò mi rassicurava quanto preoccupava; era capace di guarire quanto di uccidere.
Mi avvicinai allo specchio con il cuore in gola, aspettando che il volto cambiasse, attendendo con trepidazione di vedere il viso di quella ragazza sconosciuta. Mi appuntai mentalmente di chiedere a Malfoy dove si fosse procurato il campione di capelli. A poco a poco, la chioma ribelle divenne liscia e nera, gli occhi grandi color ambra divennero di ghiaccio e la pelle pallida cominciò a colorarsi di rosa, la carnagione malaticcia sparì.
Sospirai di sollievo non appena notai la trasformazione, ma quella calma fu solamente momentanea, come fumo negli occhi, perché una voce alle mie spalle mi fece sussultare e voltare verso l’entrata della stanza con uno scatto improvviso.
«Noto con piacere che sei in piedi.» fu altezzoso il suo modo di parlare, fu sprezzante il suo sguardo su di me ed irritante il cipiglio indifferente disegnato sul bel viso marmoreo.
Posi l’attenzione sulla padrona di casa, ma cercai comunque di guardare la stanza di sottecchi pregando Merlino ed ogni mago che non ci fosse qualcosa fuori posto, che non ci fosse anche solo un piccolo indizio della mia vera identità.
C’eravamo solamente lei ed io nella stanza, Tabby era sparita – probabilmente aveva tagliato la corda non appena la signora aveva fatto il suo ingresso. L’atmosfera all’interno di quelle quattro mura era tesa e nervosa, vi era un silenzio imbarazzante e terribile, tanto intenso da far correre piccoli brividi lungo le braccia nude. Tremavo, e non perché indossavo solamente una canotta (abbastanza sporca, tra l’altro): avevo paura, avevo un gran terrore che potesse sfogare la sua frustrazione su di me e sapevo quanta rabbia repressa potessero avere dentro di sé i Black.
Stoica e a testa alta, senza mai distogliere lo sguardo dall’algida figura della Dama del Manor, seguii i suoi eleganti movimenti mentre, lentamente, attraversava la stanza guardandosi in giro. Quella mattina Narcissa Malfoy indossava un lungo vestito nero di velluto, il cui orlo toccava appena il pavimento, abbastanza stretto in vita tanto da mettere in risalto il fisico asciutto e slanciato; il colore scuro, poi, la  faceva apparire non solo più pallida, ma anche più minacciosa e seria di quanto già non fosse. Era bella, non c’era nulla da dire al riguardo, tuttavia la sua austerità mi spaventava.
«Qual è il tuo nome?» domandò con voce calma e bassa, tornando a fissare la mia figura.
«Elizabeth.» risposi prontamente. «Elizabeth Randall.»
La sera precedente, prima di crollare per la stanchezza, reputai necessario trovare un nome ed un cognome da presentare qualora, appunto, me lo avessero chiesto. “Elizabeth” era molto comune, e dunque anche credibile, per il resto, invece, ho dovuto richiamare tutta la fantasia che mi era rimasta. Alla fine, ricordai di uno zio di mio padre con nome proprio “Randall”. Niente di complicato, ma decisamente verosimile.
«Bene, Elizabeth.» iniziò a parlare la donna avvicinandosi a me di qualche passo, non troppo ovviamente. «Poiché mio figlio ti ha comprata per me è giusto che io ne approfitti. Non mi va di ripetermi, dunque poni molta attenzione.» era intransigente mentre, con freddezza, avanzava ulteriormente nella mia direzione. «Ogni mattina dovrai venire nella mia stanza per rassettare ed occuparti di me, dopodiché sarai la mia ombra se te lo chiederò, starai in cucina se lo vorrò o ti confinerai qui, nell’ala est, finché non avrò bisogno di te. Non parlare se non è strettamente necessario o se non sei interrogata; a nessuno interessa la tua opinione, a meno che tu non voglia essere punita. Hai capito, Elizabeth?»
«Sì, mia signora.» ribattei veloce, stringendo i denti e cercando di impedire a me stessa di essere irriverente. Avrei davvero voluto risponderle per le rime, dirle, magari, di smetterla di fissarmi come se fossi un essere inferiore, ma dovevo tacere per il mio stesso bene. Ero consapevole che le minacce venivano attuate, non erano solo parole.
«Perfetto.» sogghignò, lanciando un’occhiata boriosa lungo il mio corpo. «Ora vestiti, avrai molto da fare: le donne Greengrass saranno qui tra poco. Recati nelle cucine, gli elfi ti daranno le direttive.»
Detto ciò, andò via, con la stessa altezzosità con cui era arrivata. Chiuse delicatamente la porta dietro le esili spalle lasciandomi da sola, nel silenzio confortante di quelle quattro mura. Tutta la tensione era scomparsa e l’aria era di nuovo rilassata. Respirai per il sollievo e abbassai le palpebre cercando di ritrovare la calma, tentando di non pensare a ciò che quella giornata mi avrebbe riservato. Avrei dovuto sopportare le sorelle Greengrass forse per delle ore, avrei dovuto ascoltare i loro discorsi sconclusionati e magari anche razzisti. Per essere una famiglia neutrale nei confronti della situazione politica, non avevano nessuno tipo di problema nel frequentare la prima roccaforte di Voldemort. Mi chiesi se non avessero dei veri interessi, più forti della guerra, che li obbligava a trascorrere del tempo a casa Malfoy.
Ci pensai a fondo mentre mi preparavo per adempiere ai capricci della Lady, e ricordai un pettegolezzo che, in tempi relativamente tranquilli, raggiunse ogni ragazzo delle quattro case ad Hogwarts: dopo il diploma, le casate dei Malfoy e dei Greengrass si sarebbero unite tramite un matrimonio. Perché le nozze erano combinate, l’amore non c’entrava nulla, e le più potenti famiglie erano andate avanti così per secoli, spesso sposando lontani parenti così da mantenere inalterata e pura la linea di sangue. Che sciocchezze!
Il solo pensiero mi disgustava. Loro, persone che possedevano la magia da generazioni e che si vantavano della superiorità del loro sangue, portavano avanti una tradizione antiquata e illogica, per non dire pericolosa. Incoerenti e stupidi, ecco come li definii in quel momento carico di irritazione e tensione.
Ero un fascio di nervi quando, lentamente, uscii dalla camera, dal mio porto relativamente sicuro, addentrandomi nel corridoio dell’ala est. Voltai verso destra, a qualche metro dalla mia stanza, scendendo le scale orientali e ritrovandomi, di fatto, in un corridoio mai visto prima. Mi sarei dovuta orientare presto in quella casa, non volevo nemmeno pensare alle conseguenze di un mio possibile ritardo ad un ordine dai padroni. Era ironico, a pensarci bene, che io, Hermione Granger, Grifondoro per eccellenza, amica di Potter, avessi paura delle punizioni di un Malfoy o di una Black. Ma sì, tremavo al solo ricordare il dolore provato alle torture di Bellatrix in quella stessa casa, e la cosa più strana era che qualcuno al maniero, nonostante tutto, tentava di proteggermi e ciò mi confondeva non poco. Se mi fosse accaduto qualcosa, Draco non avrebbe potuto muovere un dito, ma se gli avessi chiesto aiuto, per qualsiasi cosa, ero quasi certa mi avrebbe appoggiato. Dovevo scoprire il perché di tanta disponibilità e avevo la sensazione che di tempo ne avrei avuto.
Mi guardai intorno, imboccando il corridoio del piano inferiore, cercando qualche indizio che mi avrebbe condotto alle cucine. Avanzai cauta verso il lato nord della casa, sperando di intravedere almeno un elfo per chiedere informazioni, ma mi bloccai al di fuori di una stanza – una delle tante- la cui porta era socchiusa e da essa fuoriusciva un leggero sentore di tabacco ed un chiacchiericcio sommesso. Si era presentato un’opportunità più unica che rara: avrei potuto tentare di capire cosa stava succedendo, chiunque ci fosse dall’altra parte. Dunque, mi accertai non vi fosse nessuno in quel corridoio e mi accostai all’uscio il più piano possibile – sarebbe stato stupido farmi scoprire.
«Chi è quella ragazza, Draco?» la voce di Narcissa Malfoy rimbombò nel silenzio di quella camera; il tono sicuro ed intransigente di chi voleva sapere e non ammetteva menzogne.
«Solo una Mezzosangue, madre.» rispose il ragazzo con calma e gentilezza, una cordialità vera e non forzata, come invece sembrava fare con me.
«Le hai concesso una camera, deduco sia qualcosa di più.» insisté la donna, un po’ irritata dalla risposta vaga della prole.
Il ragazzo aveva un segreto, lo avevo capito, ma a quanto pare anche Narcissa Malfoy sospettava qualcosa. Il modo in cui la madre parlava al figlio fece nascere in me ancora più desiderio di conoscere la verità e non solo quella relativa a Draco, ma volevo sapere cosa fosse successo nel Manor stesso, alla signora che andavo a servire. Qualsiasi informazione sarebbe stata utile quando avrei ritrovato Harry e Ron.
«E’ l’unica vera domestica che abbiamo, di certo non potevo disporle un letto tra gli elfi. Anche se è una Mezzosangue.» rispose ridacchiando beffardo, sbuffando subito dopo; capii stesse fumando e, quasi, potevo immaginare il fumo uscire dalle sue labbra, nero come la sua anima e come il tatuaggio oscuro impresso sulla sua pelle.
«Tu mi nascondi qualcosa, Draco.» espresse i suoi pensieri, agitata e preoccupata per la sorte toccata al suo unico figlio. Sentii i tacchi della donna battere contro il pavimento, il che mi fece pensare si fosse avvicinato al ragazzo.
«Non vi crucciate, madre. Non ho nessun segreto, né complotto qualcosa.» ribatté il giovane erede con una dolcezza che mai avrei pensato gli potesse appartenere. «Quella ragazza è solo il mio nuovo giocattolo. E il vostro, certo.» ed era tornato ad essere lo stupido che era, perdendo ogni tipo di tenerezza in un solo secondo; era il Malfoy che conoscevo.
«Spero tu sappia cosa stai facendo, figlio.» ritornò seria, la donna, e vi lessi anche un briciolo di nascosta tristezza nella sua frase, mascherata davvero bene dall’indifferenza.
Draco non rispose, credo fece finta di nulla, o forse non voleva ammettere che, magari, sua madre avesse ragione e che non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo o di come sarebbe andata a finire per lui.
Il suono dei tacchi della Lady si facevano sempre più vicine, ed io, senza farmi prendere dal panico, mi nascosi sotto la rientranza delle grandi scale da cui ero scesa. Riuscii a scorgere, per un breve attimo, il volto segnato della padrona: aveva un’espressione triste, potevo ben capirlo, eppure fingeva risultando finta. E’ normale essere preoccupati per il destino del proprio figlio, ma per i Malfoy anche le emozioni erano complicate; vi erano regole sui sentimenti, nel loro mondo.
Sospirai, felice di esser riuscita a nascondermi. Uscii allo scoperto e, per fortuna, nessuno si accorse delle mie azioni alquanto sospette. Più tranquilla, ripresi il mio cammino superando, anche, la stanza in cui madre e figlio avevano discusso.
«Cosa stai facendo?» una voce familiare interruppe il silenzio del lungo andito facendomi sbuffare e alzare gli occhi al cielo. Ed io che speravo di incontrarlo il più tardi possibile quel giorno.
«Cerco la cucina. E’ li che mi vuole tua madre.» risposi voltandosi verso di lui, incrociando le braccia al petto.
«Lo immaginavo.» disse abbassando lo sguardo per aggiustare i polsini delle camicia sotto la manica della giacca.
Era affascinante, Draco Malfoy, non avrei mai potuto mentire a me stessa. I completi di alta sartoria, di un tessuto scuro e che gli fasciavano il corpo alla perfezione, mettevano in risalto i suoi punti forti: il volto e il fisico. Non era molto diverso da sua madre, in fondo. I movimenti garbati ed eleganti, insieme all’abbigliamento, creavano qualcosa di attraente, e il viso d’angelo, etereo, era decisamente un punto a suo favore. Forse, per la prima volta, riuscii ad apprezzare qualcosa di quell’uomo. Carisma e bellezza, però, non erano le uniche cose che contavano in una persona, e lui non aveva altro ai miei occhi – o almeno in quel momento.
«La famiglia Greengrass sarà qui a breve. Molto probabilmente dovrai servire loro il thè … o qualcosa del genere.» continuò con fare gentile ma indifferente e distante. Ritornò a guardarmi negli occhi, eppure capii che non mi vedeva davvero, come se ci fosse un muro enorme tra noi due, un ostacolo che lui stesso aveva posto tra noi.
«Suppongo ci sarai anche tu.» parlai piano avvicinandomi un po’, provando a comprendere il suo comportamento.
«Supponi male.» rispose lapidario continuando a fissarmi e, allo stesso tempo, chiudendosi la giacca. «Abbiamo affari da discutere.»
«Abbiamo?» chiesi curiosa, sperando in una risposta vera da parte del mio interlocutore.
«Puoi arrivare alle cucine seguendo questo corridoio. Sono su un piano sopraelevato, sarà facile da raggiungere.» deviò elegantemente il discorso, voltandosi pronto per andare via. «Ti auguro una buona giornata, Elizabeth
La sua ultima battuta fu recitata di spalle, senza nemmeno accennare a girarsi dalla mia parte, mentre camminava verso solo Merlino sa dove. Il mio unico punto di riferimento aveva messo delle chiare barriere tra noi senza una ragione, nemmeno ventiquattro ore dopo avermi trascinata nella casa degli orrori. Ero di certo la strega più intelligente della mia generazione, ma in quel momento una grande ansia e un’immensa paura si facevano spazio dentro di me. Avevo patito la solitudine per due lunghi anni e, in fondo all’animo, quando Malfoy mi aveva presa con se, sperai che quella brutta sensazione di freddo si attenuasse almeno un po’. Peccato che stessi gelando. 
 

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Capitolo 8
*** 7 - Greengrass women ***


«Greengrass women.»

Scossi la testa cercando di mandar via la brutta sensazione che avevo nel petto, uno stato d'animo fatto di angoscia pura. L'Hermione Granger di anni prima, quella che vedeva il mondo in maniera diversa, avrebbe sicuramente provato sensazioni differenti, avrebbe assunto atteggiamenti decisamente ostili nei confronti di colui che mi aveva sempre insultata, ma ogni cosa era cambiata. Io ero cambiata, e, ad essere onesta, una parte di me non riusciva nemmeno a riconoscermi. Tuttavia, il lato razionale, capiva benissimo quanto il mutamento fosse quasi naturale in un clima di ostilità e difficoltà come quello che attraversava il mondo magico. 
Sospirai profondamente, provando a non dar retta all'angoscia prepotente che iniziava a schiacciare il petto e i polmoni; mi sembrava quasi di non riuscire a respirare a causa dell'ansia.

Mi ripresi, o almeno me lo imposi, e seguii le istruzioni date da Malfoy qualche minuto prima. A testa alta, attraversai il lungo andito fino ad arrivare, appunto, ad un piano sopraelevato raggiungibile tramite dei piccoli gradini di pietra. La porta di legno scuro davanti a me era ben chiusa, ma dall'esterno riuscii a percepire dei movimenti dall'altra parte: deboli passetti e rumori di pentolame riempivano, evidentemente, la cucina. 
Con ritrovato coraggio, salii le scale e varcai la soglia dell'enorme ambiente. Era davvero strana quella stanza, mi ricordava le cucine usate in un tempo decisamente lontano; avevo visto una cosa del genere solamente in film storici o documentari, ma mai dal vivo. A quanto sembrava, i Malfoy erano più legati al passato di quanto pensassi. Eravamo alla soglia del nuovo secolo, eppure quella cucina pareva essere appena uscita dall'epoca passata: un lungo piano in muratura era a ridosso delle basse mura spoglie -mattoni scuri e grossi erano in vista- ed era posizionato esattamente alla parete alla mia sinistra fino a quella di fronte a me, il resto della stanza era occupato da grandi ceste colme di cibo e da un grosso tavolo di legno su cui erano poggiati ingredienti per il pranzo. Era un ambiente cupo, illuminato soltanto da un paio di finestre sulle pareti laterali: ad occidente, era visibile il cortile interno della proprietà, mentre ad oriente era possibile ammirare il verde del confine. Tra l'altro, accanto a quell'ultima si erigeva, possente e annerita, un'altra porta, forse quella di servizio. Ed era lì, di fatto, che gli elfi potevano accedere alle cucine. Suppongo che meno si facessero vedere meglio era per loro. 
Rimasi a scrutare il posto per un po', tenendo la porta aperta dietro le spalle. Osservavo come quelle piccole creature si dessero da fare, preparando i pasti e pulendo tutto affinché potessero lavorare nell'ordine. E pensare che quella famiglia di purosangue nemmeno li trattava in modo umano ... 
Negli anni passati avevo delle idee per migliorare le loro condizioni di vita, ma il quel momento non avrei potuto fare praticamente niente. Come potevo pensare di proteggere gli elfi se non ero in grado nemmeno di proteggere me stessa? Ero nella tana del lupo e non riuscivo a ribellarmi per davvero, mi ero arresa alla situazione senza nemmeno combattere. Certo, la mia permanenza sarebbe stata utile, ma avevo rinunciato alla libertà senza alcuna resistenza vera e propria. Solo in quel momento mi resi conto che l'Hermione di un tempo era davvero scomparsa. 

«Signorina!» richiamò l'attenzione una vocina allarmata e acuta. Mi voltai, dalla parte dell'entrata, ed una Tabby agitata chiudeva la porta con fatica. «I Signori non vogliono che questa porta resti aperta, altrimenti puniscono Tabby. La signorina deve essere attenta!» mi ammonì, aggrottando la fronte in segno di dissenso.
«Farò più attenzione.» le dissi trattenendo un sorriso; mi piaceva il suo carattere forte, di certo non era così sottomessa come gli altri – almeno non con me.
«La padrona vuole che la signorina servi il tè nel Salone Piccolo, nella parte ovest della casa.» mi istruì facendo dei passi avanti, camminando verso il tavolo. Io fui subito dietro di lei, con lo sguardo che vagava ai fornelli davanti ai quali un paio di elfi erano intenti a cuocere qualcosa.
«Non so dove sia questo salone.» dissi tranquilla fermandomi proprio davanti la superficie di legno, notando l'ampio vassoio in porcellana, finemente decorato con smalti dorati, su cui vi era tutto il necessario per servire la signora del Manor.
«Ve lo mostrerà Tabby!» esclamò a petto in fuori e testa alta, fiera di potermi fare da cicerone. «Ma la signorina Elizabeth deve essere veloce, Tabby non aspetterà ... e nemmeno Lady Malfoy.» di nuovo, mi puntò il dito contro con fare minaccioso, tuttavia non lo era affatto.
«Va bene, farò come vuoi.» la rassicurai trattenendo, ancora una volta, un sorriso.
Non so perché, ma quella piccola elfa mi ispirava una certa simpatia. Era sicura di sé, aggettivo che non avrei mai attribuito a quelle creaturine schiavizzate, eppure lei era diversa e, per di più, pareva essere dalla mia parte, nonostante fosse dura nei miei riguardi. Tabby aveva visto il mio vero aspetto e non ne sembrava minimamente turbata o sorpresa. Gli elfi mantengono i segreti dei padroni da sempre, eppure quella piccola bugia avrebbe potuto mettere a rischio la sua stessa vita. Tabby e Draco correvano davvero un grosso pericolo aiutandomi: l'elfo lo faceva per lealtà nei confronti del padrone, ma per ciò che riguardava il mago ... era tutto un mistero, una incognita che presto sarei riuscita a scoprire.
Con un schiocco di dita, l'elfo domestico fece fluttuare il vassoio non lontano dal suo corpicino e, con le orecchie ed il lungo naso all'insù, cominciò a marciare velocemente verso l'uscita, la stessa che avevo varcato qualche minuto prima. Senza aprire bocca, dunque, la seguii facendo attenzione al percorso fatto, guardando attentamente ciò che mi circondava – e non solo per cercare qualche punto di riferimento. Nel lungo andito non vi era la luce del sole ad illuminare le pareti, ma il compito di rischiarare il cammino lo avevano delle deboli luci affisse alle pareti. Le poche finestre poste sul muro destro affacciavano nel cortile interno, quasi sempre in penombra, e le spesse tende scure non lasciavano filtrare nemmeno un po' di luce naturale. A decorare le mura, non c'erano altro che dei quadri, semplici tele magiche i cui protagonisti si spostavano da una cornice all'altra, sussurrando appena. Il buio e i mormorii creavano un'atmosfera inquietante. 
Nulla di fatto: da qualsiasi angolazione guardassi quella immensa casa i brividi e l'inquietudine non accennavano a sparire. L'unico posto apparentemente sicuro era davvero la mia camera, lontano da tutto e tutti, protetta da incantesimi e accessibile non proprio a chiunque. Draco Malfoy aveva pensato ad ogni cosa.
Tabby ed io svoltammo a destra, imboccando un piccolo atrio senza uscita. Vi erano solamente due porte, di cui una era semi aperta lasciando che chiacchiericci sommessi riempissero li piccolo ambiente in cui ci eravamo fermati. L'altra era chiusa, ma supposi fosse un guardaroba o una toeletta per gli ospiti. Scartai a priori la possibilità di una stanza importante: non erano così stupidi, i Malfoy, da nascondere qualcosa in bella vista con la possibilità che i loro stessi collaboratori, in quanti frequentatori della dimora, potessero curiosare. Sicuramente, dopo la fuga di Lucius dal campo di battaglia, la famiglia sarà stata controllata e, magari, poteva esserlo ancora. Ero davvero certa che il padrone della villa non aveva lasciato nulla al caso, aveva pensato a tutto anche lui. Lucius Abraxas Malfoy era un vigliacco, ma non uno sprovveduto.
«Ecco, questo è il Salone Piccolo.» affermò Tabby indicando la soglia davanti noi. «Elizabeth deve prendere il vassoio adesso. Tabby deve tornare nelle cucine.»
Annuii sospirando profondamente, afferrai l'oggetto galleggiante tra le mani e mi preparai mentalmente a ciò che mi sarebbe potuto accedere in quella stanza. Non vedevo le Greengrass da molto tempo, ma ricordavo benissimo quanto la più grande delle sorelle fosse simile a Draco, una perfetta regina delle serpi. Erano amici, ovviamente, e nessuno dei due si sprecava nel prendere in giro i più deboli e a fare scherzi infantili e fastidiosi. Erano spesso insieme, uno accanto all'altra, partner nei loro crimini, e quando camminavano per i corridoi di Hogwarts la folla tendeva a lasciar loro il cammino fissandoli intensamente: erano tutti terrorizzati da quelle serpi, nessuno mai che si mettesse contro i rampolli di due delle famiglie più potenti del mondo magico. Solamente Harry, Ron ed io abbiamo sempre avuto il coraggio di schierarci contro e, spesso, ne abbiamo pagato il prezzo. 
Per quanto riguarda Astoria, invece, la più piccola della famiglia, non sapevo moltissimo a quel tempo. Era in Serpeverde anche lei, come sua sorella, eppure aveva un carattere totalmente diverso: era più riservata e meno propensa a scontri verbali con gli altri, forse era subdola, ma non potevo saperlo. 
Conoscendo Daphne Greengrass, comunque, non mi aspettavo niente di buono dall'imminente incontro, tuttavia non potevo tirarmi indietro. Ero lì e dovevo fingere indifferenza verso qualunque volto conosciuto avrei visto da qual momento in poi, perché sapevo in cuor mio che queste non sarebbe state le uniche persone di Hogwarts che avrei rivisto.
Mi voltai verso Tabby, magari per avere un incentivo da quella creatura, ma lei non c'era. Velocemente come era apparsa a me in cucina, era andata via senza che nemmeno me ne rendessi conto, tornando alle faccende a cui era stata indirizzata. 
Sospirai nuovamente e raccolsi tutto il coraggio che avevo sempre con me, ormai relativamente pronta. Nonostante la porta fosse semi aperta, bussai piano, tenendo il vassoio in equilibrio con una sola mano – di certo non volevo sembrare poco educata e non desideravo attirare la collera di quelle donne altezzose e razziste.
«Prego, entra pure.» la voce della padrona di casa mi diede il permesso di varcare la soglia; un tono decisamente più gioviale di quando aveva parlato a me quella mattina.
Così, a testa alta e passi lenti, entrai nel Salone Piccolo con fare sicuro ed esperto, ma dentro ero terrorizzata di compiere un passo falso. Tentai con tutte le mie forze di domare la paura di sbagliare, ormai ero davvero brava a farlo.
Mi avvicinai al quartetto di donne sorridenti, poggiando piano il vassoio con tè e biscotti sul basso tavolino davanti al divano, su cui erano sedute le sorelle Greengrass, e le poltrone su cui, invece, vi erano le due matrone, una di fronte all'altra. Ci fu uno spesso silenzio nel frattempo che compievo il mio dovere, come se fossi sotto esame, e non dovevo solo superare lo sguardo critico ed attento della Signora Malfoy, ma anche quelle delle sue ospiti. Non mi ero mai sentita così tanto sotto pressione, nemmeno gli esami veri e propri ad Hogwarts mi angosciavano in quel modo, eppure gli sguardi di quelle donne mi turbavano. Sapevo di cosa fossero capaci i Black e i Malfoy, e la mente si rifiutò di immaginare cosa sarebbe successo se, per caso, non fossi stata all'altezza in quella circostanza. Pregai Morgana e Merlino che tutto andasse per il meglio.
«Dunque è lei la tua nuova domestica.» asserì la Signora Greengrass con fare curioso, ma mantenendo comunque un certo contegno – non avrebbe potuto mostrare il suo reale interesse nei miei confronti, sarebbe stato sconveniente per una donna del suo rango.
«Sì.» affermò la padrona del Manor seguendo attentamente il mio versare il tè nelle tazzine di fine porcellana. «Un gentile regalo del mio Draco.» commentò abbozzando un sorriso.
«Una Mezzosangue, suppongo.» si intromise la più grande delle sorelle Greengrass.
«Esatto, mia cara.» sospirò stanca Lady Malfoy, prendendo la tazzina di tè piena, senza aspettare che io riempissi quelle dei suoi ospiti. «Nonostante non sia una ... gradita presenza, è sempre meglio che avere un elfo tra i piedi.» spiegò alla fine, con fare altezzoso.
La matrona della casata ospitante parlava di me come se io non ci fossi, come se non dovesse rispettarmi in quanto essere umano, e ciò portava anche le altre donne a commentare e giudicare senza nessun riguardo verso la mia persona. Non ero un soprammobile, né tanto meno un animale da compagnia che non comprende cosa gli succede intorno; ero una ragazza con una mente pensante, costretta a stare rinchiusa in quella casa per non essere uccisa, eppure a loro non importava nulla. Mi trattavano come immondizia. Dovevo andare via prima di fare o dire qualcosa di irreparabile e, come ricordatomi da Draco, lui non ci sarebbe sempre stato a tirarmi fuori dai guai. L'essere razionale era la mia caratteristica, perciò non avrei mandato tutto all'aria per delle donne snob e infime. Finii velocemente il mio lavoro e, non appena tornai eretta, con le mani ben unite – stringendo forte le dita tra loro per darmi forza- portate davanti a ventre, attenta a quando intromettermi nel discorso, mormorai in maniera educata: «Se la Signora non ha più bisogno di me, io mi congederei.»
«Resta, Elizabeth, non si può mai sapere quando potrò necessitare di te.» non si voltò a guardarmi, ma mi fissò di sottecchi gelandomi sul posto, usando un tono intransigente, che non ammetteva repliche.
«Come desiderate.» ribattei distogliendo lo sguardo, calando anche il tono di voce, senza mai, però, abbassare la testa.
La mia idea di andare via e trascorrere delle ore in pace, magari in camera a leggere uno dei libri all'interno di una delle librerie, era sfumata davanti agli occhi. Sarei dovuta restare lì ad ascoltare le loro chiacchiere inutili ed infamanti, non c'era via d'uscita. 
Così, indietreggiai di qualche passo ponendomi esattamente dietro la poltrona della padrona, in modo da poter avere una perfetta visuale delle tre donne Greengrass. Le scrutavo curiosa, soprattutto la più adulta, una donna distinta e altezzosa – con un atteggiamento non molto diverso da Narcissa Malfoy- che non avevo mai visto prima di allora. Avevo una certa familiarità con l'aspetto delle figlie, ma non avevo mai visto la madre e, tanto meno, conoscevo il suo nome. Aveva una bella presenza, devo ammetterlo: i lunghi capelli scuri, dello stesso colore di quelli di Astoria, cadevano lisci sulle spalle; gli occhi azzurri, proprio come quelli di Daphne, avevano una forma allungata – ricordavano un qualcosa di orientale- ed era intenso il suo sguardo, ma non freddo; le labbra erano piccole e sottili, colorate di un rosa leggero che le donava particolarmente, in perfetta armonia con la carnagione rosea; il naso filiforme completava perfettamente il viso delicato. La bellezza semplice della donna era impressionante ed incantevole, tanto da dimenticare i segni dell'età comparsi sulla pelle. Più fissavo la signora Greengrass più mi rendevo conto di quanto le figlie le somigliassero: avevano un piacevole aspetto, molto semplice, ma di un fascino particolare. Tra le due giovani donne, quella più prorompente e vanitosa era di certo la primogenita, tuttavia il suo aspetto genuino era a dir poco splendido. Non avrei potuto dire lo stesso per il carattere.
«Come mai Draco vi ha fatto questo dono? E' insolito.» commentò la signora Greengrass portandosi, subito dopo, la tazzina di tè alle labbra.
«Mio figlio si preoccupa troppo, Camille.» rispose la diretta interessata con tono non curante, come se non fosse poi così importante il motivo.
«Be', qualsiasi sia la ragione, è stato gentile da parte sua.» intervienne Astoria sorridendo appena, rivolgendo uno sguardo gentile alla signora Malfoy.
«Mia sorella è troppo presa dal suo futuro marito per ammettere che, tutto sommato, non è stata una grande idea quella di Draco.» la scherní Daphne con tono beffardo ed altezzoso. «E' una Mezzosangue e, come tutta la feccia, dovrebbe essere bollata e portata in un ghetto adatto. Non capisco proprio come sia potuta sfuggire ai Ghermitori. Di solito sono efficienti.» sputò veleno, parola dopo parola, con un eleganza ed un indifferenza da mettere i brividi.
Erano maligne le sue affermazioni, disumane e irrispettose, eppure nessuno si azzardò a ribattere. Anzi, annuirono appena, continuando a bere indisturbate il loro maledetto tè e mangiare stupidi biscotti! Solamente qualche lungo secondo dopo, la bocca di Astoria, libera di parlare, redarguì la sorella: «Abbi un po' di rispetto, sorella, sono esseri umani.» non si scompose, né portò avanti la sua idea con veemenza. Era distaccata, la piccola dei Greengrass, quasi indifferente, come se non ci credesse davvero, ed io iniziavo ad irritarmi ogni minuto che passava.
«Parliamo del loro posto all'intero della società magica, tesoro.» controbatté l'altra, spostando una ciocca di capelli biondi dietro un orecchio. «I nati babbani, o comunque i Mezzosangue in generale, saranno anche esseri umani, questo nessuno lo mette in dubbio, ma sono come dei parassiti per noi maghi di sangue puro. Non meriterebbero nemmeno un dono unico come la magia, sono davvero fortunati! Dovrebbero ringraziarci per permettere loro di esistere tra di noi, ma non possono pretendere di essere esattamente come Purosangue. Ghettizzati e messi ai margini della società come manovalanza, è quello il loro posto.»
«Queste tue idee, mia cara Daphne, non sono per niente neutrali come, invece, è la tua famiglia sulla situazione politica attuale.» commentò Narcissa Malfoy, poggiando, con eleganza, la tazzina ormai vuota.
Non so cosa la ragazza bionda rispose, ma io ero decisamente satura. Emarginati, aveva detto, buoni a nulla, aveva continuato imperterrita, meritevoli – in sintesi- di morire e di essere trattati come bestie solamente per un'idea stupida e antica della purezza del sangue. Loro uccidevano, violentavano, torturavano innocenti senza un reale motivo ed incolpavano noi, i Mezzosangue. Tremavo tutta, avevo il cuore che batteva all'impazzata e il fiato corto. I muscoli mi dolevano a forza di trattenermi, la bocca mi faceva male a forza di tenerla ben chiusa e serrata. Parassiti della società ... Severus Piton era un Mezzosangue ed morto per salvare un bambino innocente, fedele all'amore grande che provava per Lily Potter, Ninphadora Tonks era una Mezzosangue ed era morta per ciò in cui credeva, combattendo per un mondo migliore in cui suo figlio potesse vivere sereno, Albus Silente era un Mezzosangue, un uomo saggio e giusto che fino alla fine ha cercato di fare il meglio affinché tutti noi fossimo al sicuro; era l'uomo che ha tentato di salvare Draco, dannazione! 
Tutti loro stavano seguendo il credo di un folle il cui sangue stesso era misto, quindi ... non riuscivo a capire come potessero avere il coraggio di parlare in quel modo così cattivo ed irrispettoso nei confronti di persone che, effettivamente, non avevano nessuna colpa.
Non sarei rimasta lì in silenzio ad ascoltare altre oscenità, ero stanca di tacere e, di fatti, decisi di parlare e al diavolo le conseguenze!
«Se noi meritiamo di essere braccati come animali voi assassini meritereste di peggio.» fu solamente un sussurro il mio, ma abbastanza forte da arrivare alle orecchie dei presenti.
Di fatti, le mie parole fecero calare un silenzio teso e pesante in tutto il salone – che poi tanto piccolo non era. Le donne Greengrass mi guardarono sconcertate, come se solamente in quel momento si fossero realmente accorte della mia presenza, come se non avessero mai visto una persona parlare, ma le compresi poiché, secondo i loro ideali, una come me non avrebbe neanche potuto respirare. E provai pena per loro. Solamente Astoria, me ne resi conto in un secondo momento, mi fissò in maniera diversa: era sorpresa, certo, ma era anche divertita dalla mia risposta. Per quanto riguarda, invece, Narcissa Malfoy mi guardò come se avessi imprecato contro Morgana, Merlino e tutti i maghi del Paradiso: era furiosa ed i suoi occhi scuri mi gelarono sul posto, tanto che non riuscii a raggiungere la porta per andare via in maniera indignata; c'era qualcosa di inquietante in quella donna, ma non m intimorii reggendo perfettamente l'occhiata a testa più che alta.
«Hai osato ribattere, sporca di una Mezzosangue!» esclamò offesa alzandosi e avanzando di poco nella mia direzione.
«E potrei anche continuare ad insultarti.» ribattei sicura di me, facendo un passo avanti anch'io, verso di lei. 
Avevo decisamente affrontato di peggio, una ragazzina arrogante e snob non mi faceva paura.
«Adesso taci, Elizabeth.» la voce autoritaria della padrona di casa risuonò in tutto l'ambiente, rimbombando tra le pareti tanto era alta e determinata nel chiudermi la bocca. «Congedati immediatamente, porgendo prima le tue scuse.»
«Mi congederò, Signora, come volete, ma non aspettatevi remissione per coloro che mi hanno offesa e denigrata. Ho una dignità, nonché rispetto per me stessa.» mormorai stringendo i denti, senza mai voltarmi verso la donna, ma tenendo gli occhi ben fissi su Daphne Greengrass così che potesse vedere quanto disgusto provavo nei suoi confronti.
Detto ciò, uscii fuori da quella stanza a grandi passi. L'atmosfera stava diventando pesante ed io avevo una gran voglia di schiantarla, di umiliarla come lei aveva appena fatto con me, avrei voluto farla piangere come stavo facendo io in quel momento. Per la rabbia, per l'assenza di umanità in quelle persone, per le parole maligne che erano state appena pronunciate, non riuscii proprio a fermare le stille bollenti che chiedevano insistentemente di uscire e scivolare lungo le guance. Tremavo ancora mentre attraversavo quasi di corsa il corridoio, pronta per chiudermi in camera e sfogarmi come si deve: spaccare tutto ciò che mi capitava sotto mano, dopotutto ero sprovvista di magia, non avrei potuto fare altro. Tuttavia, cercai di contenere il pianto quanto più potevo – non volevo farmi vedere da nessuno in quello stato, ferita nel profondo-, così asciugai quelle lacrime sfuggite al mio controllo svoltando verso destra, in modo da arrivare alle scale del lato est. Non ero così lontana dalla mia meta, ma i miei propositi vennero bloccati prontamente da una mano che mi afferrò il braccio costringendo a fermarmi e voltarmi: Draco Malfoy era davanti a me con un faccia perplessa e curiosa, scrutandomi bene in viso. Non c'erano più gocce salate, ma solamente l'espressione di indifferenza e irritazione – per fortuna.
«Cos'è successo?» sussurrò cauto, facendo alcuni passi avanti e costringendo me a farne qualcuno indietro, così da nasconderci da occhi indiscreti.
«Dovresti chiederlo a tua cognata e alla tua fidanzata.» rispondo stizzita, divincolandomi dalla sua presa, guardandolo astiosa. Era tutta colpa sua se mi trovavo in quella maledetta casa e in quella situazione.
«Ma lo sto chiedendo a te!» rispose irritato, avanzando di un altro passo. «Cosa Merlino è successo?» chiese lentamente, ormai spazientito dal mio tergiversare.
«Avevi detto che sarei stata al sicuro ...» sputai in collera, con il fiato corto e il cuore che batteva fortissimo. «Ma come posso esserlo in questa casa piena di persone che pensano sia giusto uccidermi? Bella famiglia ti sei scelto, Malfoy! Proprio adatta ad un razzista come te.»
«Cos'hai fatto, Granger?» domandò piano, anche lui col fiato spezzato.
«Quello che era giusto, come sempre.» mormorai un po' più calma, leggermente stupita dal suo glissare sul mio insulto. «Se la tua intenzione era quella di farmi umiliare, deridere o avere una sorta di rivincita su di me, be' complimenti, ci sei riuscito. In meno di ventiquattro ore, per di più.» avevo la voce spezzata ed ero sull'orlo delle lacrime. Dovevo andare via, non mi sarei fatta più vedere vulnerabile da lui. «Ora, se vuoi scusarmi, mi ritiro nella mia stanza. E anche se non mi scusi, non me ne fregherebbe lo stesso, me ne vado.» parlottai dandogli le spalle e correndo verso le scale, già pronta per una crisi di nervi.
«Ti sei appena messa nei guai!» urlò dietro di me, con fare scocciato.
«Ne pagherò le conseguenze!» gli risposi allo stesso modo, ormai già intenta a salire le scale.Intravidi una figura femminile nel corridoio principale, quello percorso per uscire dal Salone Piccolo, ma non me ne curai, ad essere onesta. L'unica cosa che avevo in testa era rinchiudermi in stanza e piangere tutte le mie lacrime maledicendo il momento in cui Malfoy mi aveva scoperta in quella bottega.
Col senno di poi, con tutto ciò che successe dopo, avrei dovuto star più attenta a quella donna ferma nell'andito perché, se non fosse stato per lei, magari non ci troveremo nemmeno qui. 

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Capitolo 9
*** 8 - Smoking room ***


«Smoking Room.»

Quella notte fu un vero inferno. Non riuscii a chiudere occhio, avevo davvero paura che qualcuno potesse intrufolarsi nella stanza e uccidermi con un solo e semplice incantesimo, o anche con la forza bruta, soffocandomi. Da quando ero rimasta sola, restavo vigile ogni notte nel caso in cui dovessi scappare da Ghermitori o Mangiamorte, dunque restare alzata tutta la notte a leggere non mi pesò affatto. 
La sera precedente, Draco era venuto in camera mia e, con calma, mi aveva annunciato che dovevo essere punita per aver mancato di rispetto a degli ospiti, alla sua futura famiglia, per di più. Si stava discutendo il contratto matrimoniale quel giorno, e la mia bravata aveva scosso i Greengrass offesi dal comportamento nei loro riguardi. Ovviamente, non mancai di spiegare il mio punto di vista e maledire quella stupida famiglia e il ragazzo stesso davanti a me. Ero pronta alle conseguenze, sapevo che la mia sfuriata avrebbe scatenato una serie di reazioni a catena con risultati inevitabili. 
Con grande indifferenza e quiete, il rampollo dei Malfoy mi annunciò che non mi avrebbe torto nemmeno un capello, che non mi avrebbe punito per ciò che avevo combinato, ma lo avremmo fatto credere. Ci accordammo affinché le nostre versioni fossero uguali e poi, tranquillamente, era andato via lasciandomi sorpresa e confusa per l'ennesima volta. Più rimuginavo sui modi di fare di quel ragazzo più non riuscivo a capire poiché una fitta rete di possibilità si apriva nella mente, tutte molto credibili. Draco aveva un segreto, Narcissa aveva un segreto ed io ero troppo curiosa di sapere quali fossero, di conoscere le loro debolezze per ritorcergliele contro.
«Dovresti porre maggiore attenzione ai tuoi compiti, Elizabeth.» mi richiamò la voce severa della padrona di casa.
Ero nella stanza della matrona a riordinare il suo enorme guardaroba perché, testuali parole, "le tue mani sono sicuramente meno sudice di quelle di un elfo ed io non voglio infettarmi". Lì per lì, mi domandai perché mai non lo facesse con la magia ed ero anche sul punto di chiedere per saziare la mia bramosia di sapere, ma ricordando cosa fosse successo il giorno prima, preferii tacere. La aiutai anche a vestirsi e pettinarsi, azioni che avrebbe potuto compiere con l'aiuto della bacchetta, eppure anche in quel frangente non la utilizzò. Potrebbe sembrare una sciocchezza, ma in realtà non lo era: i Malfoy erano una fierissima casata di Purosangue ed erano orgogliosissimi della sacralità del loro sangue, della bravura con le arti magiche ed ogni occasione era la migliore per dimostrare le proprie abilità, quindi non aveva senso risparmiarsi con gli incantesimi. Invece era quello che la signora del Manor stava facendo, o almeno apparentemente. Iniziai a pensare, proprio in quel frangente, che Draco non mi avesse comprata per umiliarmi come avevo pensato e che aveva, di certo, un secondo fine per tenermi reclusa in casa sua sotto mentite spoglie, ma aveva comunque colto l'occasione per aiutare davvero sua madre. Formulai un'ipotesi decisamente possibile: Narcissa Malfoy era troppo debole, nel corpo e nella mente, per lanciare anche la più semplice delle fatture; quella donna era troppo provata dalla guerra, dalle scelte prese da suo marito e da suo figlio. Almeno così credevo. Lo avrei scoperto, con moltissima pazienza.
«Perdonate, signora. Ero sovrappensiero.» mi scusai, scuotendo la testa e ponendo realmente maggiore attenzione al compito assegnatomi.
Non dovevo distrarmi. Quella donna, seduta davanti alla sua preziosissima e grande toeletta, su cui vi erano una miriade di cosmetici, creme e profumi costosi, mi fissava attentamente ed intensamente, come se mi stesse studiando. Assottigliava lo sguardo ogni qualvolta mi muovevo all'interno dell'immensa camera completamente adibita alla cura della matrona della casata Malfoy. Era, ed è, impensabile per me riempire un'intera stanza solo di vestiti, scarpe e accessori, ma lei era una donna in vista, un'aristocratica il cui aspetto era di fondamentale importanza. Sorrisi quando, di prima mattina vi entrai, pensando a quanto io, invece, fossi il contrario – e non solo riferendomi alla donna che servivo. Ero completamente diversa da Astoria Greengrass, semplice ma tanto elegante, o da Daphne Greeggrass, sempre al passo con la moda e sensuale, o anche solo da Ginny che, pur essendo la quinta essenza della genuinità e comodità, era un po' più vanitosa della sottoscritta. Non che non mi piacessi, ma avevo un modo tutto mio di intendere l'estetica.
«Me ne sono resa conto.» rispose atona, respirando profondamente, voltandosi verso la finestra esattamente davanti a sé.
Di sottecchi, osservai il profilo sottile e garbato della donna e, come stava facendo poco prima con me, la studiai – o almeno ci provai: gli occhi scuri erano contornati da occhiaie di un viola abbastanza accentuato che, anche se coperte con cosmetici, non andavano davvero via; le labbra sottili, di un rosa naturale quel giorno, erano leggermente screpolate e, di tanto in tanto, come gesto abitudinario, le ammorbidiva con un balsamo adatto che portava con sé quando poteva (e non era in compagnia); le iridi marroni non erano calde come ci si aspetterebbe, al contrario erano di una freddezza che mai avevo visto, nemmeno negli sguardi torvi e fieri del fu Severus Piton. Nonostante ciò, trasudavano una tristezza infinita, quasi inconsolabile, nascosta sotto coltri di finta indifferenza. Era complicata, Narcissa Malfoy, forse anche più del figlio, eppure suscitava in me emozioni non completamente negative, sentivo come un'empatia nei suoi confronti. In fondo, eravamo due donne distrutte – seppur in modo diverso- da una guerra a cui nessuna aveva deciso di partecipare.
Era bellissima, nella sua alterigia e nel suo orgoglio, con la pelle pallida quanto la luna e stretta in quegli abiti così scomodi, ma che le donavano un autorità a dir poco affascinante.
«Spero che tu abbia imparato la lezione, dopo ciò che è accaduto ieri, Elizabeth.» spezzò il silenzio, senza mai voltarsi nella mia direzione. «Mio figlio ti ha impartito una giusta lezione ...» sospirò volgendosi lentamente nella mia direzione, fissandomi fiera, alzando un sopracciglio e assottigliando – nuovamente- lo sguardo. Sotto esame ancora una volta.
Avrei voluto rispondere che no, sottopormi ad una Maledizione Senza Perdono non è proprio un equo castigo da impartire nei confronti di un servitore. Ma, onestamente, a cosa sarebbe servito ribattere se non farmi odiare ancora di più da quella donna? Dunque, preferii tacere, guardandola in viso a testa alta, senza mai distogliere gli occhi dai suoi. Certo, Draco non mi aveva davvero fatto del male – solo Merlino sapeva il perché -, ma lei doveva credere che avessi pagato il mio sgarro. Dunque, realmente indignata per la frase, continuai a reggere i suoi occhi accusatori e freddi – tanto freddi- senza mai davvero demordere. Non avrebbe avuto vita facile con me, perché non avevo intenzione di farmi spezzare da lei, da nessuno di loro.
«Dov'è che ti ha trovato, esattamente?» domandò curiosa dopo qualche minuto di silenzio, persistendo nel lanciarmi occhiate gelide e ammonitrici. Mi accorsi, però, che vi era anche un pizzico di curiosità in lei.
«In una bottega. Il proprietario aveva intenzione di vendermi al miglior offerente.» spiegai ritornando a sistemare, nel miglior modo possibile, uno dei tanti copricapo della donna. «Tuttavia, il signorino mi ha comprata prima. Dicono che ho proprio un bel visino.» proseguii, serrando la mascella sull'ultima affermazione, quasi sarcastica.
«La bellezza è un'arma e, usata nel modo giusto, può portare dei grandi vantaggi.» commentò superba Narcissa, alzando la testa ed un sopracciglio, fissandomi con espressione stranita, guardinga direi.
«Sarà come dite voi, signora, ma credo che le apparenze ingannino la maggior parte delle volte.» ribattei con calma, senza sembrare irrispettosa. «Conta anche la mente, non solo l'estetica.» sentenziai alla fine, dandole le spalle e facendo un passo verso un lungo vestito, appeso al centro del lungo corrimano dorato (il quale dominava tre pareti della camera, interamente occupato da abiti), che andava sistemato.
«Sono d'accordo.» disse sicura.
Mi voltai verso di lei quasi di scatto, sorpresa della sua affermazione. «Suppongo, dunque, che tu sia un'esperta nell'irretire ... le persone.» sussurrò ghignando, guardandomi con malizia.
A quelle parole riuscii a capire il filo logico di quella conversazione: Narcissa Malfoy supponeva che io stessi stregando suo figlio per avere dei vantaggi in quella casa. Al solo pensiero di me e Draco Malfoy insieme, stretti l'uno all'altro, ridacchiai di gusto e il riso rimbombò nella camera chiusa. Ovviamente, lei non poteva minimamente sapere del rapporto instabile tra la prole e me. Era assurdo solo pensare ad un rapporto diverso dall'inimicizia tra noi due.
«Con tutto il rispetto, ma siete terribilmente fuori strada.» le risposi voltandomi completamente verso di lei avanzando anche di qualche passo, senza mai perdere l'ilarità. «Non sono quel tipo di persona, e ciò che è accaduto ieri dovrebbe confermarlo. Senza contare, che se fossi un'arrivista, adesso non sarei qui a parlare con voi, ma al sicuro nel letto di qualche ricco snob a godere dei privilegi di concubina, seppur Mezzosangue.» a poco a poco divenni seria, sempre più fiera ed orgogliosa del mio animo battagliero e dei miei valori. «Non ho bisogno di ricorrere a infimi mezzucci per ottenere quel che voglio, signora Malfoy. Mi basta il mio ingegno.» ritornai a sorridere – appena- beffarda: non volevo rischiare di innervosirla.
Per un lunghissimo momento, la signora mi scrutò in viso in maniera attenta ed interessata, era come se la sua mente stesse analizzando ciò che avevo detto, come se stesse valutando la mia personalità a seguito di quelle risposte. Notai, nelle sue iridi scurissime e altrettanto profonde, una scintilla di rispetto e, ne fui ancora più convinta, nell'attimo in cui lei sorrise furba e scosse appena la testa.
Non si pronunciò, ovviamente, una nobile come lei non poteva certo dar soddisfazione ad una reietta della società come me. Tuttavia, quello sguardo non disgustato e quasi ammirato, un po' mi rincuorò: dopotutto, non era un mostro privo di cuore.
Ritrovato il suo algido contegno, si alzò lentamente dall'alto sgabello imbottito e, con sguardo fiero e indifferenza, intrecciando le mani davanti al grembo, si rivolse a me: «Continuerai il lavoro un altro giorno, Elizabeth. Puoi anche andare.» sospirò alla fine, facendo dei piccoli passi verso il centro della stanza.
Narcissa Malfoy, d'un tratto, divenne più pallida di quanto già non fosse, chiuse gli occhi in uno scatto improvviso e barcollò leggermente. Per quanto fossi prigioniera in quella casa, non mi piaceva vedere una donna come lei, forte e determinata, vinta dalla stanchezza e dalle circostanze; a prescindere da chi fosse, non avrei mai voluto il suo male. Forse non avrei mai dovuto sentire o solo pensare determinate cose su di lei, ma la guerra mi aveva insegnato quanto valesse una vita, dunque non avrei fatto finta di nulla.
«Signora, state bene?» chiesi prontamente, camminando nella sua direzione, ma restando comunque abbastanza lontana da lasciarle spazio e aria.
«Niente che un po' di Firewhisky non possa curare.» rispose piano, riaprendo gli occhi e respirando profondamente.
«Ne siete sicura?» domandai ancora, così che la mia coscienza fosse apposto.
«Congedati, Elizabeth. Adesso.» mormorò con sicurezza, quasi con il solito gelo che la caratterizzava.
Intuivo, comunque, che qualcosa non andasse, che non stesse davvero bene, ma che, da brava madre, moglie e donna Malfoy, dissimulasse; non voleva che altri vedessero il suo stato, non voleva essere umiliata. Mi chiesi quanto suo figlio o suo marito si stessero impegnando per farla stare bene, tuttavia, da ciò che potei vedere in quei due giorni scarsi, capii che le loro intenzioni di mettere fine a questi atti di servilismo per Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato erano inesistenti. Sospirai prima di varcare la soglia della stanza, pensando che se gli uomini di casa se ne fregavano di quella situazione la ragione per cui avrei dovuto preoccuparmene io non c'era. Anche se mi dispiaceva davvero vederla così stanca e deperita.
A passo veloce, attraversai il corridoio del secondo piano, su cui vi era un bellissimo lucernario di vetro da cui poter ammirare la bellezza del cielo, appena uscita dalla Camera D'avorio. Merlino, in quella casa c'era tantissime stanze e ognuna di loro aveva un nome tutto suo, un sostantivo che rispecchiava perfettamente lo stile con cui erano decorate. Era tutto davvero surreale e particolare in quel maniero!
Svoltai a sinistra imboccando, così, un altro andito molto più stretto del precedente, in modo da arrivare alle scale occidentali, unico accesso all'ultimo piano della villa. Arrivata al piano della mia camera, decisi di rinunciare a chiudermi all'interno poiché avevo molto da scoprire in quella casa ed un'occasione del genere non me la sarei fatta sfuggire. Dunque, scesi fino al piano terra e mi incamminai verso il corridoio principale raggiungendo, in questo modo, la parte orientale della casa, la zona in cui erano situato non solo il Salone Fumatori, in cui si riunivano gli uomini per dilettarsi dopo le loro riunioni, ma vi era anche lo studio di Lucius Malfoy. Non so come, ma avrei trovato il modo di intrufolarmi lì dentro – oppure in quello di Draco, non lontano dalla sua camera da letto. Ero sicura che in uno dei due avrei trovato qualcosa di compromettente. Dovevo stare attenta, ovviamente; entrare non sarebbe stato facile e quello non era decisamente un buon momento poiché, proprio nel Salone Fumatori, si erano rinchiusi Lucius, Draco e altri due uomini, di cui uno, ero certa, fosse Yaxley. Avrei riconosciuto quel volto burbero e maligno ovunque. Li avevo visti di sfuggita rinchiudersi in quella sala, prima di seguire la signora nella Camera D'Avorio.
«Accidenti!» sentii una vocina imprecare, non molto lontano da me. «Alf deve stare attento!» continuò a parlare con timore.
Avanzai il passo, curiosa di vedere cosa stesse accadendo a quel piccolo e giovane elfo – perché di una di quelle creaturine si trattava: la sua voce era acuta, molto infantile, forse era anche più giovane di Tabby stessa.
Di fatti, poco lontano, vi era un piccolo esserino grigiastro, orecchie lunghe e braccia corte, portava sulla testa un grande vassoio con tantissime leccornie. Era alquanto barcollante e ci mancò davvero pochissimo allo schianto del cibo sul pavimento, per fortuna, però, riuscì a salvarsi in tempo – l'elfo, intendo.
«Ehi ...» sussurrai, avvicinandomi piano a lui tentando di non spaventarlo.
«Oh, signorina Elizabeth!» esclamò contento non appena si voltò nella mia direzione, sorridente e con occhi che esprimevano gioia.
Non conoscevo quell'elfo, ma aveva un visino davvero simpatico e dolce, ed ora che potevo vederlo in volto, potevo accreditare l'idea riguardante la sua giovinezza: aveva una statura leggermente più piccola rispetto a Tabby, gli occhi grandi quanto una pallina da tennis erano vitrei e pieni di vita, il corpicino coperto da uno straccio consunto. Era davvero carino, e la sua espressione serena e sorridente mi trasmise uno strano buon umore. Era chiaro come il sole il fatto che non conosceva appieno la vita e le condizioni in cui le creature come lui versavano.
«Conosci il mio nome ...» asserii perplessa, senza mai smettere di sorridere.
«Tutti conoscono il vostro nome! E' stato il padroncino a portarla qui ... e siete davvero bella!» esclamò con stupore, sgranando ancora di più gli occhi aquosi.
«Grazie.» mi si riscaldò il cuore a sentirlo. Il mio ringraziamento, stranamente, lo reso contento. «Come ti chiami?»
«Alf!» disse sicuro, a petto in fuori, orgoglioso del suo nome.
«Bene, Alf, perché non usi la magia per portare quello?» indicai il vassoio ancora sulla sua testa, tenuto fermo dalle grandi mani tremanti – non riusciva proprio a star fermo, poverino. «Sei inesperto?»
«Proprio così.» annuì fortemente, facendo oscillare un po' la punta del lungo naso. «Alf non è bravo con la magia, così non la usa e non fa danni.» concluse sorridendo timidamente.
«Ti aiuto io.» decretai convinta prendendo il vassoio senza nessuna difficoltà, attenta a non rovesciare tutto. «Dove devo portarlo?»
«Al padron Malfoy nel Salone Fumatori.» rispose senza batter ciglio, guardandomi un po' intimorito. «Il padrone si arrabbierà con Alf?» chiese tremando leggermente e abbassando le orecchie vicino agli occhi.
«No, non preoccuparti. Me ne prenderò la responsabilità, sta tranquillo.» lo rincuorai sinceramente, contenta di quella notizia fortuita caduta a fagiolo.
Sapevo che rischiavo tanto entrando in quella stanza, sarei stata circondata da Mangiamorte, uomini senza scrupoli né morale. D'altronde, non mi sarebbe mai capitata un'altra opportunità come questa.
Salutai Alf e gli sorrisi ancora una volta, presi un profondo respiro e avanzai verso quella stanza. Il cuore batteva forte, il respiro era mozzato e anch'io, come Alf, un po' tremavo immaginando solamente cosa sarebbe successo una volta varcata quella soglia. Nonostante tutto non demorsi, convinta della mia scelta, bussai delicatamente all'anta chiusa davanti a me. Chiusi gli occhi, ascoltando il battito frenetico del cuore e raccogliendo il coraggio Grifondoro, mettendo da parte il disgusto per quelle persone; dovevo indossare una maschera di indifferenza, proprio come i Malfoy. 

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Capitolo 10
*** 9 - Unpleasant guests ***


«Unpleasant guests.»

«Entra.» comandò una voce dura e doppia.
Alzai le palpebre e, abilmente, aprii la porta varcando con qualche passo la soglia della stanza. In quel momento sarei voluta morire: vi erano quattro Mangiamorte; i Malfoy, Yaxley e Rowle insieme in un unico spazio, intenti a guardare dalla mia parte, chi sorpreso e chi irritato. Si può benissimo immaginare chi mi fissasse con astio e fastidio: Draco assottigliò lo sguardo, pallido in volto, corrugando la fronte in un moto di rabbia evidente, ma fu solamente un attimo – che potei benissimo vedere- poiché assunse, dopo qualche secondo di stupore, il suo solito atteggiamento gelido e distaccato. Ciononostante, la scintilla di fastidio per la mia presenza era abbastanza chiara nei suoi occhi azzurri.
Velocemente, osservai Lucius Malfoy, il cui aspetto non era cambiato di una virgola, oltre all'aria stanca e le occhiaie profonde sotto gli occhi manteneva l'espressione superba e il portamento fin troppo eretto ed impostato; il suo sguardo fiero mi fissava mentre, con calma e garbo, poggiai il vassoio sul tavolino da caffè nella parte sinistra della sala, accerchiato da due piccoli divani neri di pelle: uno frontale e l'altro mi dava le spalle. Sulle comode sedute, vi erano rispettivamente Yaxley e Rowle, i due Malfoy erano in piedi di fronte la porta: il più grande dei due teneva in mano del Wisky Incendiario, l'altro semplicemente era lì in palato, con le mani nelle tasche.
Si respirava una certa tensione all'interno di quel salone, una forte curiosità per il mio ingresso. Ovviamente di natura diversa per ognuno di loro. Mi guardavano tutti e riuscivo a percepire ogni occhiata su di me e quella particolarità mi agitava più di quanto potessi ammettere a me stessa, ma c'è una ragione per cui sono stata smistata in Grifondoro tempo fa: non demorsi, non mi feci sconfiggere dalla paura, anzi andai avanti con il mio intento ingoiando le preoccupazioni, ignorando il palpitare agitato del cuore e una strana quanto dubbia sensazione alla bocca dello stomaco.
«Sarebbe dovuto essere quello stupido elfo a servirci, non tu.» spezzò il silenzio Draco, sibilando quasi, stizzito anche dalla mia iniziativa.
Stavo per rispondere quando una voce profonda e calda, proveniente dalla mie spalle, bloccò il tentativo di replica: «Andiamo Draco, preferisci una creatura rivoltante come quella ad un essere così ... perfetto come questo?» chiese malizioso, attirando la mia attenzione. Era stato Rowle a parlare. «Dove Merlino l'avevate nascosta?»
«E' nuova.» ribatté il padrone di casa, telegrafico e freddo. «E' la domestica di Narcissa.»
«Interessante ...» sussurrò Rowle alzandosi e avanzando di un passo nella mia direzione. Il suo sguardo lascivo mi preoccupava, sta di fatto che non abbassai il capo nemmeno una volta. Semplicemente lo ignorai meglio che potei.
«Puoi andare, Elizabeth.» intervenne Draco, in maniera tempestiva direi, serrando la mascella e fissandomi espressivo, come a voler dire: "Vattene immediatamente o sarà peggio per te".
Non volevo congedarmi, sarei dovuta rimanere lì per scoprire qualcosa, ma non potevo oppormi apertamente ad un ordine. Mi sarei potuta mettere nei guai e, tra l'altro, proprio non riuscivo a trovare una giusta scusa per restare in quello studio ed ascoltare le loro possibili conversazioni.
Spostai lo sguardo per un breve momento e notai che, accanto al vassoio, c'era la Gazzetta del Profeta con in prima pagina un articolo intitolato "La resistenza al Ministero della Magia: attacco prontamente sventato dal servizio d'ordine". Harry aveva attaccato ancora i Mangiamorte, o almeno ci aveva provato, ed aveva fallito. Nel frattempo io ero rinchiusa in quella gabbia di matti a servire proprio coloro che avevano fermato l'aggressione. Incredibile!
A quanto pare, non furono del tutto inutili i miei sforzi per entrare in quella maledetta stanza. Sapevo almeno che non era cambiato molto in quei giorni nel mondo lì fuori, sapevo che l'Ordine era ancora attivo e pronto per la battaglia in qualsiasi momento. Pregavo che Harry e Ron stessero bene nonostante l'offensiva compiuta contro "il servizio d'ordine". I Mangiamorte, persone senza nessuno scrupolo e sentimento, avevano cambiato nome, a parer mio irrispettoso nei confronti di tutte le persone che lottavano per uscire da quell'incubo in cui eravamo rinchiusi; ci facevano apparire come sbagliati, noi della resistenza, non bastava registrare e uccidere chi non aveva natali magici. La follia arrivava davvero a livelli molto alti.
«Lasciala stare, Draco.» la voce vicina di Rowle mi riportò alla realtà.
Avevo indugiato un po' troppo sulla notizia appresa, così da ritrovarmi sovrastata dal corpo alto e possente dell'uomo. «A quanto pare desidera restare qui con noi. Potremmo divertirci ...» sussurrò al mio orecchio, accarezzandomi piano una guancia mentre l'altra mano scendeva sul mio fianco sinistro, imprigionandomi tra le sua braccia.
Lo guardavo negli occhi, iridi color del mare, senza paura, ma con una leggera irritazione sempre più crescente a causa del suo tocco sulla pelle. Mi sentii sporca, mi sentii sbagliata nell'attimo in cui quell'uomo mi si avvicinò sempre di più, secondo dopo secondo. Ero stata comprata – ufficialmente- per essere la domestica di Narcissa Malfoy e non la concubina del Mangiamorte di turno, e pregavo Merlino che Rowle tenesse le distanze, che non andasse oltre perché qualora lo avesse fatto non avrei sicuramente retto e non volevo finire nei guai, non volevo fare qualcosa di sbagliato alla presenza di Lucius; un gesto folle sarebbe stato punito in altrettanto modo.
«Il signor Malfoy mi ha congedato.» ribattei fredda, restando immobile al mio posto, gettando solamente uno sguardo a Draco, davanti a me, costatando quanto anche lui fosse infuriato.
«Il signor Malfoy ...» accennò ironico. « ... è solamente un moccioso che non sa apprezzare.» mormorò a qualche centimetro dalle mie labbra. Non aveva un cattivo odore, al contrario, ma i suoi occhi, le sue parole e le carezze lascive mi davano i voltastomaco. «O forse sì?» chiese sorridendo beffardo, stringendo la presa intorno la vita, intrappolandomi definitivamente tra la morsa del suo abbraccio. Mi sentivo in realtà tra le spire di un serpente. «Dimmi ...» continuò a parlare piano – senza che nessuno mettesse fine a quel patetico teatrino- mentre la bocca calava sul mio collo; c'era solo un respiro di distanza. «Ti fai possedere per bene dal giovane Draco? Io potrei darti molto di più.»
«Non sono quel tipo di donna.» ribattei a denti stretti, trattenendomi dall'allontanarlo con uno strattone.
«Hai un profumo buonissimo, pur essendo una Mezzosangue.» borbottò ignorando la mia risposta, tirando su col naso l'odore del sapone con cui mi lavai quella mattina. «Fiori. Divino.»
Dopo l'ultima battuta, Rowle poggiò le sue infime labbra sul collo lasciandomi un lungo bacio bagnato e fin troppo spinto, facendomi sentire la lingua che si muoveva su un piccolissimo pezzo di pelle. Ero a dir poco disgustata! Non solo mi aveva offesa, non solo aveva cercato di adescarmi, ma provava anche a sedurmi davanti a tutti, come se fossi davvero una prostituta di cui godere a proprio piacimento.
Oltraggiata oltre ogni dire, mi divincolai velocemente da quella stretta e feci uno sbaglio di cui, però, non mi sono mai pentita: lo schiaffeggiai così forte da farlo vacillare per un attimo, da farlo confondere per brevi secondi, conferendo alla sua guancia ispida una connotazione rossastra. La mano faceva male per il colpo inferto, ma mai quanto il mio orgoglio indignato e ferito.
Il cuore batteva all'impazzata per l'adrenalina in circolo, e anche perché sapevo bene che al mio gesto ci sarebbero state delle conseguenze non proprio piacevoli. Dunque, il mio buon proposito di star lontana da scocciature andò in frantumi proprio in quel momento.
«Tu! Lurida Mezzosangue, come osi-»
«Lascia stare, Lucius.» bloccò sul nascere la protesta del padrone di casa, solo con un gesto della mano; lui continuava a sorridere divertito, fissandomi allo stesso modo. «Mi piacciono selvagge.» mormorò in prossimità del mio viso, avvicinandosi nonostante lo avessi allontanato, nonostante lo stessi ancora fissando con tutto il disprezzo che avevo in corpo. «Sarà davvero una goduria averla sopra di te, Draco, mentre si muove indomabile ...» alzò la voce così che le sue viscide e nauseanti parole potessero arrivare al diretto interessato, senza mai tuttavia distogliere gli occhi da me.
Continuava a darmi della poco di buono ed io continuavo ad essere irritata per questo. Alzai la mano, ancora un po' dolorante, per lanciargli l'ennesimo ceffone, ma lui fu più veloce bloccando con forza il mio intento, fermando il polso con una stretta vigorosa e dolorosa. Mi guardava irritato, ma c'era una scintilla di ammirazione nel fondo dei suoi occhi o forse, semplicemente, era eccitazione per la sfida che gli si era presentata davanti: una Sanguesporco che riusciva ad opporsi al proprio padrone, una reietta che andava contro le convenzioni di quella società retrograda e corrotta, una donna il cui orgoglio era più importante della propria vita.
«Dovresti educarla meglio, Draco. Il tuo giocattolino non sa stare al suo posto.» in moto d'ira improvviso, mi schiaffeggiò talmente forte, con il dorso della mano libera, da lasciare non solo una guancia rossa e bruciante, ma anche un graffio sullo zigomo a causa del pesante anello che portava all'anulare (un cameo con lo stemma della sua famiglia).
Il dolore alla pelle era forte, talmente tanto da sentire un caldo infernale anche nel petto dovuto alla paura. Ero sicura si sarebbe formato anche un bel livido sul volto e non se ne sarebbe andato con l'esaurirsi della pozione.
Avrei potuto reagire ancora una volta, però mi trattenni perché temevo davvero di morire per mano di quel rude schifoso: non solo mi aveva trattata come una pezzente, ma si sentiva addirittura offeso! Ero così arrabbiata ed umiliata che, se non fossi stata in quella stanza, con i Malfoy a guardarmi e Yaxley a ridacchiare divertito, avrei iniziato a piangere scagliandomi contro Rowle, magari mettendogli le mani alla gola. Ero però in svantaggio, non solo numericamente: non avevo la bacchetta con me. Dunque, l'unica cosa saggia era ingoiare il dolore e la vergogna.
«Vattene subito, Elizabeth.» la voce urgente e dura di Draco riempì la stanza. Era categorica, ma potei notare anche una nota di preoccupazione nel tono ... forse aveva paura che Rowle gli rovinasse il "giocattolino".
Non obbiettai, comunque, ed ubbidii all'ordine senza guardare nessuno, senza voltarmi indietro ma a testa alta, sperando di far capire a tutti loro che non avrebbero mai potuto piegarmi, tanto meno dei Mangiamorte! Uscii dal Salone Fumatori con molta calma, nascondendo la mia ansia, e solamente una volta fuori da quel piccolo inferno corsi nella mia stanza salendo le scale est e attraversando il corridoio del primo piano. Con il nervosismo ormai al culmine e la vista appannata dalle lacrime, chiusi la porta del rifugio poggiandomi ad essa e respirando profondamente, cercando di non cadere nel baratro, tentando di non toccare il fondo ma di restare quanto più a galla possibile. Non dovevo farmi prendere dallo sconforto o dalla tristezza.
A grandi passi attraversai la camera per arrivare al bagno, aprendone l'anta di legno con un singolo scatto repentino. Avevo urgenza di sciacquare il collo: le labbra di Rowle avevano insozzato la mia pelle con i suoi baci, con il suo respiro così vicino, con le carezze lascive lungo i fianchi. Così, aprii il rubinetto del lavabo in tutta fretta ed iniziai a strofinare il punto esatto in cui quell'uomo si era permesso di sfiorarmi; l'acqua scorreva piano lungo il collo bagnando le clavicole e le scapole, scendendo fin sotto i bordi del vestito. Non importava se mi fossi inzuppata, l'unica cosa che avevo in testa era allontanare l'odore di Rowle su di me. Avevo il cuore accelerato, il respiro corto e i pensieri che vorticavano nella testa come un uragano e, certe idee, erano a dir poco pericolose, ma in quel momento volevo solamente andare via; desideravo un abbraccio, un abbraccio dei miei amici e bramavo parole di conforto che mi avrebbero sorretta e rinvigorita. Stavo cadendo a pezzi e non c'era nessuno che potesse aiutarmi davvero.
«Granger.» il mio nome, pronunciato lentamente da Malfoy, spezzò la catena infinita dei miei deliri.
Mi voltai piano verso di lui, con i capelli un po' umidi su di una spalla e l'altra ancora percorsa da piccole gocce d'acqua, le mani strette al bordo di ceramica davanti a me e lo sguardo indignato e ferito puntato sulla sua figura slanciata. Era di pietra l'espressione del principe delle serpi, i suoi occhi fermi ed indifferenti tenuti su di me, entrambe le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni di alta sartoria, il corpo teso come la corda di un violino, il portamento eretto ed elegante. Nonostante fosse un volto familiare e non ostile – almeno fino a quel momento- il suo viso granitico mi fece paura.
«Devi seguirmi.»
Il tono serio ed intransigente usato mi fece capire di essere nei guai, ma di quelli seri, e nessuno mi avrebbe salvata questa volta. Nemmeno lui avrebbe potuto, ed immaginavo che questa volta l'esecutore sarebbe stato il padrone stesso; Lucius Malfoy non avrebbe delegato come, invece, aveva fatto sua moglie in precedenza.
Mi chiesi cosa avrei dovuto fare, forse pregare Draco di intercedere per me ... ma ero già stata umiliata abbastanza e la mia fierezza mi impediva di scendere così in basso: non avrei chiesto pietà a nessuno, perché, tra l'altro, quell'uomo non sapeva nemmeno cosa fosse e dubitavo che suo figlio avrebbe potuto accogliere una tale richiesta. Non avrebbe mai scelto di andare contro la famiglia, il rampollo.
Annuii alzando la testa in segno di sicurezza, rassegnata ormai ad accettare il mio destino. Avanzai piano verso il ragazzo, fermo sulla soglia del bagno, ci scambiammo una lunga occhiata, intensa, e mi parve anche, per un momento, di notare i suoi lineamenti addolcirsi leggermente mentre scuoteva la testa, dispiaciuto per ciò che mi sarebbe accaduto. Tuttavia, come detto, fu solo un fugace attimo in cui vidi la parvenza di umanità in Draco.
Tornò ad essere distaccato, mi fece segno con una mano di precedermi ed, insieme, uscimmo dalla stanza assegnatami nel silenzio più assoluto. La quiete si prolungò fino allo studio di Lucius, una tranquillità surreale e densa, quasi la si poteva toccare con le dita. Non percepivo nulla intorno a me se non il battito frenetico del cuore il cui eco rimbombava forte anche nelle orecchie; per quanto tentassi di essere forte, il terrore stava facendosi largo in ogni parte di me ad ogni passo più vicino alla meta. Sembrava di andare verso il patibolo, di dover rispondere di un crimine commesso, giudicata come fossi il peggiore dei peccatori e punita di conseguenza con torture, o peggio.
Avevo gli occhi di Draco puntati addosso, la sensazione che volesse dirmi qualcosa, ma non fece altro che tacere per tutto il tempo, fin quando non entrammo all'interno dello studio ovale del pater familias.
«Vieni avanti, Mezzosangue.» ordinò lentamente Lucius, con il solito cipiglio superbo disegnato sul volto.
Il principe mi aveva sorpassata ed io nemmeno mi ero accorta di essere ferma sulla soglia, troppo impegnata ad ascoltare il cuore frenetico, i pensieri altrettanto turbolenti, la paura sempre più pressante.
Erano davanti a me, il re e il suo erede, ed entrambi mi guardavano con attenzione, come due leoni osservano la propria preda prima di attaccarla e sbranarla. Attorno a me sparì tutto, vi era solo il Lord poggiato di schiena alla scrivania, con le mani dietro la schiena, come a voler nascondere qualcosa. Anche Draco svanì.
«Riconosco, ragazza, che il tuo spirito e la tua volontà di libertà siano ammirevoli.» iniziò cauto facendo un passo avanti, ma lasciando comunque le braccia dietro si sé. «I miei ospiti ne sono rimasti affascinati come, d'altronde, anche mia moglie e mio figlio.» continuò facendosi più vicino e cominciando a girarmi intorno. Io ero immobile nel mezzo del piccolo studio. «Guardandoti bene, comprendo anche il motivo per cui Draco ti ha comprata e, devi ammettere, che il suo è stato un gesto di generosità nei tuoi riguardi, Sanguesporco, portarti qui in casa nostra.» mormorò con lentezza mentre era dietro di me, con voce dura sull'insulto. «Per quanto affascinante tu possa apparire, non posso incoraggiare questi atteggiamenti. Devi imparare a stare al tuo posto ...» era davanti a me, mi fissava intensamente e in maniera sprezzante. «Hai insultato i miei ospiti, sotto i miei occhi, nella mia casa, offendendo l'ospitalità che ti è stata concessa.» sussurrò a denti stretti assottigliando gli occhi, guardandomi con malignità. «E se la punizione inferta da mio figlio non ha funzionato, confido nella mia esperienza per essere il più persuasivo possibile.» si allontanò con studiata flemma senza mai distogliere lo sguardo dal mio.
I suoi occhi chiari, freddi quanto quelli di Draco, brillavano di una scintilla particolare, di un luccichio agghiacciante da mettere i brividi. Per un momento, rividi nell'uomo la stessa follia che mosse Bellatrix anni prima quando ... quando mi torturò e marchiò il braccio sinistro senza alcuna pietà. Allora capii, capii che a breve sarebbe arrivato lo stesso dolore e Lucius non si sarebbe risparmiato; sarebbe stato al pari di sua cognata: spietato e glaciale. Tremavo al solo pensiero di dover subire un'ulteriore atrocità, tuttavia, in un secondo, mi preparai al peggio, rimanendo fiera e alzando la testa in un moto di altezzosità.
«Crucio!» il silenzio venne spezzato dalla sua voce tonante mentre pronunciava, senza preoccupazione alcuna, una Maledizione Senza Perdono.
La bacchetta nascosta dietro le spalle del Lord venne puntata su di me e la scintilla rossa, propria dell'incantesimo, si diresse feroce e veloce verso nella mia direzione. Sarebbe stato inutile provare a schivare l'attacco o tentare di fuggire, ero prigioniera e, in un modo o nell'altro, l'avrei pagata e, forse, anche in maniera maggiore se mi fossi sottratta. Non m'importava il modo in cui avrebbero visto la mia arrendevolezza, che pensassero pure di avermi domata, l'unica cosa che contava era restare in vita e sapevo non mi avrebbero uccisa; Draco non avrebbe permesso mi prendessero la vita, gli servivo, ne ero certa.
Non appena la maledizione arrivò dritta al petto un dolore indescrivibile, paragonabile a mille lame bollenti, si diramò in tutto il corpo. Mi sentivo bruciare, dalla testa ai piedi; un calore insopportabile mi infiammò il capo bloccando ogni tipo di riflessione, gli occhi lacrimavano e le mani tremavano per la volontà di resistere, di non piegarmi davanti a loro. Una forte stilettata, dovuta all'intensità sempre crescente dell'incantesimo, mi fece barcollare finché le gambe divennero molle e le ginocchia vennero in contatto con il pavimento in legno. Non c'era nessuna scappatoia, nessun pensiero che potesse alleviare il dolore lancinante che stava spezzando il corpo, l'unica soluzione per scaricare la sofferenza era urlare. Le grida rimbombavano tra quelle mura, magistralmente insonorizzate, mentre la tortura diventava sempre più potente, sempre più malefica: a quanto pare Lucius Malfoy desiderava davvero tanto castigarmi poiché l'incanto era proporzionale alla sua furia. Soffrivo, soffrivo tanto e, ancora adesso, a ricordare ogni attimo di quella lenta agonia mi scombussola anima e mente. Nessuno dovrebbe usare quella maledizione perché è davvero crudele, non che importasse qualcosa a quegli assassini.
Inarcavo la schiena cercando sollievo, urlavo sperando che il dolore finisse, tremavo provando a combattere l'incantesimo. Era tutto inutile: più mi opponevo, più l'uomo provava piacere nel torturarmi.
«Adesso basta.» la voce di Draco, decisa e autorevole, arrivò nel momento esatto in cui quel supplizio finì.
Ero riversa sul pavimento, il volto rivolto verso i due uomini, la pelle bollente per le scariche di pena e per il sudore che imperlava ogni parte della cute incollando il vestito di stoffa sul corpo, gli occhi pieni di lacrime dovute alla rabbia e alla potenza della Maledizione Senza Perdono, la gola secca e dolorante per le urla strazianti emesse durante la tortura, i muscoli indolenziti e il respiro appena udibile. Mi sentivo impotente, debole ed inutile. Non meritavo una vendetta così brutale solo per aver difeso il mio orgoglio, il mio essere donna e non un oggetto sessuale. Eravamo nel XX secolo eppure ... il diritto di parola, alla dignità pareva non toccare la realtà del Manor, ma dopotutto il "re del castello" era uno spietato Mangiamorte, vigliacco, che avrebbe fatto di tutto per restare a galla, per portare avanti il suo pensiero da Purosangue.
«Non intrometterti.» sibilò Lucius voltandosi verso il figlio, indignato che quest'ultimo avesse strattonato la bacchetta facendogli perdere la concentrazione.
Draco si era messo di fronte al padre, davanti a me, come a volermi proteggere non solo dall'ira del padrone di casa, ma anche da qualsiasi altro attacco gli venisse in mente. Ero certa che non mi avrebbe lasciato morire, dovevo solamente capire il perché.
«Invece lo faccio, padre. E posso anche.» ribatté serio, nascondendo le mani nelle tasche, irrigidendo un po' le spalle. «Elizabeth è sotto la mia protezione, che vi piaccia o no.» disse autoritario – peccato non poter scrutare l'espressione sul viso d'angelo. «Dunque, da questo momento in poi, sarò solamente io ad occuparmi della sua ... istruzione.»
«Ti metti contro tuo padre per questa ... feccia!» esclamò disgustato facendo un passo avanti, guardandomi ostile. Sussultai al contatto con il suo sguardo, non volevo mi infliggesse altro dolore.
«Sto semplicemente salvaguardando i miei interessi: mia madre ha bisogno di Elizabeth, e non permetterò a nessuno di mettersi in mezzo ai miei affari!» tuonò il ragazzo in risposta, con tutta l'arroganza e la superbia che lo caratterizzavano. «E dovrebbero essere anche i vostri, padre. E' di vostra moglie che sto parlando.»
Certo, avrebbero potuto benissimo rimpiazzarmi quando volevano – di certo non ero la più grande domestica sulla faccia del pianeta- eppure il ragazzo ne faceva una questione di principio. Ironico da parte sua difendermi così, seppur per un proprio tornaconto.
Ricordando il pallore della donna ed i sussulti improvvisi di qualche ora prima, potevo ben comprendere la rabbia composta e la frustrazione di Draco: cercava di salvare sua madre dalla tristezza e la stanchezza in cui si era avvolta, dal dolore che provava vendendo i suoi cari sempre più corrotti dalle tenebre. Fu in quel momento che vidi una piccola luce nel fu serpeverde davanti a me: aveva scelto di salvare sua madre, l'unica persona di cui apparentemente più gli importava, ad ogni costo, andando contro il volere del padre stesso, colui che era stato per quel ragazzo biondo una guida ed un modello da seguire. Dopotutto, un cuore lo aveva, pur sepolto sotto coltri di ghiaccio e indifferenza.
Evidentemente, il modo di agire del figlio, le parole taglienti e il fare sibillino ed insinuante con cui aveva parlato, aveva bloccato ogni tentativo di risposta del padre che, con sguardo assottigliato ed un cipiglio severo sul volto, guardava la figura snella e slanciata davanti a sé. Approfittando di quella battaglia di sguardi, ormai leggermente più lucida di minuti prima, decisi di muovermi piano, cercando di essere quanto più delicata possibile per non sentire nuovamente dolore, per mettermi in piedi. Per quanto fossi grata a Draco di avermi difesa dopo aver assistito alla tortura, non avevo nessuna intenzione di mostrarmi debole o bisognosa di cure; il mio orgoglio mi impediva di mostrare la sofferenza agli occhi dei due uomini.
Lentamente, respirando affannata per lo sforzo, alzai la schiena mettendomi seduta e, solamente dopo, portando le ginocchia sotto di me, tentai di alzarmi, ma un fitta alla testa e delle orribili vertigini rischiarono di farmi ruzzolare nuovamente a terra e, solo allora, per la sorpresa, mi permisi involontariamente di emettere un piccolissimo gemito che, per mia sfortuna, risuonò nell'ambiente silenzioso – seppur carico di astio.
Abbassai il volto, puntando lo sguardo in basso concentrandomi solamente nel far sparire il dolore con profondi e controllati respiri, e quando vidi delle scarpe scure ed eleganti entrare nel mio campo visivo, troppo vicino, mi accorsi che Draco era in prossimità del mio corpo. Alzai di conseguenza il capo vedendo lo sguardo perplesso del giovane, notai il respiro lievemente accelerato e la sua indecisione riguardo un pensiero che, probabilmente, gli stava passando per la testa. Era inevitabile pensare che, forse, voleva aiutarmi a rimettermi in piedi e, poiché si muoveva un po' sul posto insicuro sul da farsi, capii che stava avvenendo una lotta interna tra i suoi principi e ciò che era giusto fare. Lo tolsi dall'imbarazzo: riuscii a raddrizzarmi da sola.
Lo guardai, carica di astio e indignazione: aveva assistito senza intervenire, come era successo qualche anno prima. Aveva fatto in modo che suo padre la smettesse, e gli ero grata per ciò, ma non potevo esimermi dall'avercela anche con lui, ad incolparlo per avermi rinchiusa in quella dannatissima casa. A testa alta, spostai lo sguardo prima sul Lord alle sue spalle fissandolo con lo stesso disgusto che provava nei miei riguardi, e poi mi rivolsi verso Draco guardandolo con fierezza e dignità. Non avevo paura di loro e quella dimostrazione appena compiuta sapevo avrebbe irritato il padrone di casa. Non m'importava davvero.
Senza congedarmi, volsi le spalle e andai via dallo studio, proseguendo dritta verso le scale est, a pochi metri da quella maledetta stanza. Feci non poca fatica a salire i gradini e, di tanto in tanto, dovevo mantenermi al corrimano di ferro nero, sentendo sotto le dita accaldate il freddo del materiale che, almeno un poco, alleviava il calore ancora presente in tutto il corpo.
Mi sentivo vuota, come sospesa su di una scopa, in alto nel cielo, senza nessun controllo ed in procinto di cadere al suolo in qualsiasi momento. Avevo davvero paura di toccare il fondo e farmi seriamente male, ma la mia volontà era davvero forte e mi imposi di non crollare finché non fossi all'interno della mia stanza. Da sola insieme al silenzio e i pensieri.
Tuttavia, avrei dovuto ben pensare che, in quel maniero, non tutto va secondo i piani: una mano, un stretta decisa, si chiuse intorno all'avambraccio sinistro costringendomi a voltare l'attenzione alla persona dietro di me.
«Ti avevo avvertita, ma ovviamente fai sempre di testa tua, giusto?» il tono irritato di Draco arrivò dritto e violento alle orecchie, ormai completamente abituate al silenzio in cui mi ero rinchiusa per non crollare.
«Lasciami!» biascicai quasi senza forza, tentando di divincolarmi dalla sua morsa.
«Non posso intromettermi ogni volta che ti metti nei guai, soprattutto con mio padre!» esclamò indignato, ma potei benissimo sentire una nota di preoccupazione nell'inflessione della sua voce.
«Non ti ho chiesto niente, Malfoy.» ribattei sussurrando, sgranando gli occhi di fronte ai suoi toni e i suoi comportamenti nervosi. «Non voglio niente da te!» borbottai stringendo i denti, stufa della scenata.
«Non metterti nei guai, Granger.» mormorò avvicinandosi al mio viso, guardandomi dritto negli occhi. C'era una strana nota nel tono, come se ... la sua fosse una leggerissima supplica, quasi impalpabile. «Sta al tuo posto, non rispondere a nessuna provocazione e cerca di tenere a bada quel tuo stupido orgoglio Grifondoro. Ti farai uccidere altrimenti.»
«Perché?» chiesi piano, senza nemmeno rendermi realmente conto di aver formulato quella domanda ad alta voce. Era da giorni che mi chiedevo il motivo per cui lui tenesse così tanto alla mia incolumità.
«Non voglio averti sulla coscienza.»
«Non insultare la mia intelligenza, Malfoy.» risposi indignata, guardandolo dritto negli occhi senza mai staccare lo sguardo dalle belle iridi ghiaccio del mio interlocutore. «Quello schifoso di Rowle mi ha messo le mani addosso e tuo padre mi ha appena torturato, quindi ... quindi merito di più di una risposta vaga, non credi?» domandai stizzita, avvicinando di più il suo viso al suo; solo qualche centimetro a separarci.
«Perché, dannata stupida, se tu muori ...» iniziò a parlare serrando la mascella, come se fosse davvero difficile fare una confidenza del genere. Per il suo orgoglio, ovvio. «... se tu muori, morirò anche io con te!»

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Capitolo 11
*** 10 - Opportunity ***


«Opportunity»

«… se tu muori, morirò anch’io con te!», questa frase mi perseguitò per i giorni successivi. Non facevo altro che pensare ad un significato logico da dare a quelle parole, ma nonostante avessi rimuginato tanto non capii la connessione tra la mia vita e la sua; avevo pochi elementi per formulare delle vere e proprie ipotesi.
In quel momento, stanca per la fattura appena subita, rimasi sorpresa e non feci domande. Il giorno dopo, invece, ormai ripresa dalla Maledizione Senza Perdono ero pronta a fare i giusti quesiti a Draco, purtroppo per me lui decise di tenermi il più lontano possibile ed incontrandomi il meno possibile – cosa non molto difficile in questa enorme casa. Le uniche volte in cui riuscivo a vederlo erano gli attimi in cui decideva di trascorrere del tempo con sua madre, spesso dopo una missione, uscito dal suo studio o dopo un giro di ronda per le strade della città. Non eravamo mai soli e si premurò, tra l’altro, di non varcare mai la soglia della mia stanza. 
Ci provai, una volta, poiché lo incontrai per caso tra i corridoi del primo piano, ma lui mi liquidò con un gesto della mano dicendo di non aver tempo da perdere con me. 
Potevo ben capire il suo atteggiamento: da buon codardo, si era rintanato nel suo guscio sicuro una volta resosi conto di ciò che mi aveva detto; aveva capito di essersi esposto troppo con quella affermazione. Da parte mia, invece, non volevo altro che sapere la verità, comprendere il legame tra noi, e non avere il controllo sulla mia vita mi faceva irritare. Tuttavia, il fatto che Malfoy avesse deciso di evitarmi non comportò una mancanza nel mio interesse per lui, anzi lo acuì ancora di più: feci attenzione ad ogni suo spostamento e alla sua quotidianità, ma l’unica cosa sospetta erano i suoi frequenti giri di notte, dopo che il Manor si fosse addormentato – qualche volta ero riuscita a vederlo dalla mia finestra. Avrebbe potuto sgattaiolare fuori per qualsiasi motivo, ma il sesto senso mi diceva che le sue passeggiate notturne non avevano nulla a che fare con il suo ruolo da Mangiamorte. Dovevo solamente mettere insieme i pezzi.
«Sei fin troppo persa nei tuoi pensieri in questi giorni, Elizabeth.» il tono pacato ed autorevole di Narcissa Malfoy mi riportò alla realtà. «E non so se ciò possa andarmi bene o meno. Sai, potrei pensare tu stia complottando qualcosa.» continuò con voce superba, sospirando lievemente.
Mi voltai verso di lei aggrottando la fronte, bloccando le braccia a mezz’aria nel gesto di compiere un’azione, e guardandola, vestita di tutto punto e comodamente seduta sullo sgabello imbottito, ricordai – in pochi secondi- dove mi trovavo e perché fossi lì: Narcissa Malfoy, quella fredda mattina di Novembre, mi annunciò che sarebbe partita quanto prima, nella giornata stessa, per occuparsi della sua tenuta estiva in Scozia e, dunque, mi intimò di prepararle i bagagli per il viaggio esortandomi a seguirla nella Camera D’Avorio. Per quanto la sua versione fu convincente, dentro di me conoscevo la realtà dei fatti: quella donna voleva allontanarsi dal buio che la circondava per rimettersi in sesto, o almeno provarci. 
L’aiutai a prepararla così da poter affrontare il lungo tragitto che sarebbe andata a compiere di lì a poco con una carrozza incantata. Sarebbe stato più facile raggiungere il luogo con un la Smaterilizzazione, ma purtroppo la Lady non aveva la forza fisica per poter reggere una magia così intensa, nemmeno se congiunta. Più passava il tempo, più mi rendevo conto quanto fosse debole quella donna, e ciò mi dispiaceva. Trascorrevo i giorni con lei e, a differenza di quello che potessi immaginare, devo ammettere che era una compagnia abbastanza gradevole. Ovviamente non perdeva tempo ad ammonirmi ogni qualvolta ne avesse occasione, ma non fu mai davvero scortese con me – a differenza di altri. C’era silenzio la maggior parte delle volte tra noi, ma quei momenti in cui la quiete veniva riempita discutere con lei mi stimolava; le chiacchiere non erano mai frivole, ed io imparavo sempre qualcosa della sua persona o del mondo in cui viveva. Ed è da queste conversazioni che arrivai alla ragione del suo malore. Se prima erano solamente congetture, in quel momento avevo la sicurezza che la debolezza era dovuta a ciò che la circondava, a ciò che i suoi occhi da madre erano costretti a vedere. Non era preoccupata per suo marito, ma per suo figlio.
«Non potrei mai, mia signora. So bene cosa mi aspetterebbe se mai dovessi provarci.» risposi fiera, quasi quanto lei, riscuotendomi dai pensieri che fino a poco prima affollavano la mente.
Posi nuovamente l’attenzione sul suo bagaglio aperto e non ancora finito, poggiato su di un mobiletto in marmo bianco, candido appunto come l’avorio. Piegai un lungo abito grigio non senza poche difficoltà adagiandolo, poi, all’interno della valigia e così feci con un cappotto sormontato di pelliccia ed una camicia da notte.
Il silenzio scese ancora tra noi, un silenzio non proprio tranquillo, intervallato solamente da deboli sospiri della donna alle mie spalle. Avevo la sensazione che volesse dirmi qualcosa, senza mostrare però emozione nel farlo; imparai a conoscerla.
«Il livido è quasi sparito, noto.» come pensavo, Narcissa parlò, usando una voce indifferente, mostrando disinteresse verso per il mio stato.
«Sì, quasi non si vede più.» ribattei trattenendo un sorriso – avevo la certezza che, almeno un po’, si fosse affezionata a me. «Ho la pelle dura, dovreste saperlo.»
«E la lingua troppo lunga, lo so bene.» asserì seria, nascondendo una vena divertita.
«Non mi faccio calpestare da nessuno, signora.» mi voltai nella sua direzione, utilizzando la stessa freddezza e serietà della donna.
«Il fatto che tu non mi infastidisca, Elizabeth, non ti permette, di certo, di poter avere quel tono con me.» parlò con autorità, tuttavia potei notare quasi un rimprovero materno piuttosto che un ammonimento gelido lanciato solo per ferirmi.
Gli occhi scuri si intrecciarono ai miei, seri e leggermente assottigliati, a voler sottolineare il rimprovero appena fatto. La sua postura eretta e il viso pallido, il lungo vestito rosso scuro e il trucco sul volto le davano un aspetto etereo; se non avessi saputo che fosse viva, avrei pensato che davanti a me vi fosse un fantasma. Bella nella sua spettralità. 
Ci guardammo per un tempo lunghissimo, nuovamente persa tra i pensieri, ancora a rimuginare sulla signora che ero costretta a servire: forse era davvero uno spettro, era l’anima vagante di una nobildonna che, un tempo, aveva tutto, ma che in realtà capì di non avere nulla. Non mi ero mai chiesta come l’altra fazione avesse vissuto la guerra, non avevo mai pensato alle conseguenze di quella battaglia per “l’altra parte”. Certo, da ciò che avevo visto fino a poco tempo prima il senso di trionfo e superiorità non erano spariti in quei due anni, ma non tutti gli uomini erano senza coscienza e Narcissa Malfoy ne era un esempio.
Il silenzio fu spezzato da una breve risata che, involontariamente, mi riportò a focalizzarmi sulle labbra della signora: erano leggermente inarcate verso l’alto. Perplessa, alzai lo sguardo verso i suoi occhi notando l’ilarità arrivare alle iridi, facendole brillare un po’ sotto la luce tenue proveniente dalle finestre dietro di lei. 
Non compresi il motivo di quella gioia improvvisa, così continuai a fissarla incuriosita. Mi chiesi se avessi qualcosa sulla faccia o se avessi fatto qualcosa che, di lì a poco, mi avrebbe portato un’ammonizione.
«State ridendo di me?» domandai cauta, facendo un passo avanti e studiando l’espressione comparsa sul dolce viso della donna.
«Assolutamente no.» rispose mantenendo il contatto tra i nostri sguardi ed un tono pacato e ancora divertito. «Ho solo pensato che … il tuo temperamento non farà altro che portare guai.»
«Vi divertono le mie sciagure?» chiesi incrociando le braccia sotto al seno, un po’ irritata dal commento appena fattomi.
«Non mi riferivo alle tue.» replicò seriamente, lasciando però che sulle labbra restasse una scia di debole divertimento.
In un primo momento non capii cosa intendesse, ma dopo un attimo di ragionamento non fu difficile arrivare alla soluzione: Narcissa Malfoy era divertita dai possibili guai in cui avrei potuto trascinare suo figlio. Non potevo comprendere ai tempi il perché di quel suo pensiero, ma lì per lì pensai che quella donna fosse strana poiché nessuna madre avrebbe voluto sapere la propria prole in difficoltà, però erano meglio in guai relativi ad una donna piuttosto che essere al servizio del Signore Oscuro. 
Serrai le labbra tra loro, provando a non sorridere in modo sfacciato una volta avuta la consapevolezza del pensiero appena rivoltomi dalla dama. Abbassai lo sguardo sperando di nasconderle il divertimento appena comparso sul mio viso; non sarebbe stato educato ridere apertamente delle disgrazie che, a causa mia, avrebbero potuto colpire il rampollo della famiglia per cui sono stata comprata. Ammetto, però, che pensare a Draco in difficoltà mi divertiva davvero, eppure, nonostante ciò, continuavo a chiedermi perché si sarebbe messo tra me e i guai solo per salvarmi. Non eravamo nulla l’uno per l’altra, né amici né parenti, eppure a sua detta c’era qualcosa che ci teneva indissolubilmente uniti. Peccato non potessi capire, ancora.
«Bene, riprendi il tuo lavoro, scansafatiche.» mi sgridò in maniera pacata, ritornando al tono formale ed indifferente a cui ero abituata.
«Certo, mia signora.» annuii prontamente, riportando gli occhi sul bagaglio quasi pronto. 
Il sorriso scemò pian piano, tuttavia non scomparve. E per la prima volta in quella casa mi sentii un pochino più leggera, ma sapevo benissimo che non appena Lady Malfoy avrebbe varcato la soglia del maniero l’angoscia e il buio sarebbero tornati a tormentarmi.
***
Narcissa Malfoy era ormai partita da qualche ora e, come avevo previsto, il grigiore riscese nuovamente in quella casa. Vi era un silenzio inquietante tra i corridoi del piano terra, c’era una quiete tale da poter ascoltare il mio respiro regolare senza il minimo sforzo. Ad interrompere di tanto in tanto la tranquillità c’erano i leggeri chiacchiericci degli elfi in cucina, udibili già dal corridoio principale, quello parallelo alla porta d’ingresso. Sorrisi debolmente, quasi amaramente, all’idea di quelle creature che, contente, si prodigavano per i loro padroni senza nessuna remora. Il ricordo della dolcezza di Alf e della severità di Tabby mi tornarono in mente mentre, lentamente, attraversavo gli anditi scuri della casa diretta proprio verso le cucine. 
Non c’era traccia degli uomini Malfoy e, una parte di me, quella ficcanaso e determinata a scoprire i torbidi segreti dei Mangiamore, si chiedeva dove potessero essere. Li avevo visti salutare la padrona di casa – li ho sbirciati da una finestra che dava sul cortile esterno della magione-, ma dopo erano scomparsi, senza che me ne accorgessi. Formulai l’ipotesi che i due si fossero rinchiusi all’interno dei rispettivi studi, però non vi erano elfi piangenti o in presa al panico in giro per la villa cosa molto frequente quando il principe e il re erano in casa.
Smisi di pensare quando, d’improvviso, una voce squillante richiamò la mia attenzione: «Signorina Elizabeth!»
Mi voltai di scatto alle mie spalle e sorrisi non appena gli occhi individuarono una piccola creaturina dai grandi occhi scuri e acquosi, pieni di vita e inconsapevolezza: Alf, il più dolce e mansueto degli elfi.
«Ciao!» lo salutai con entusiasmo, facendomi trasportare dal tono gioioso con cui pronunciò il mio nome. 
Mi avvicinai un po’ e lui fece lo stesso finché, ormai prossimi, mi abbassai alla sua altezza flettendo le ginocchia e poggiandole poi sul freddo pavimento di marmo così da essergli proprio davanti al viso. Quell’elfo suscitava una tenerezza immensa riscaldandomi il cuore, colmandolo al contempo di speranza e positività perché, in mezzo a tutto quel nero, vi era ancora qualche anima pura e candida.
«Come stai? Ti vedo contento!» ridacchiai divertita, notando la sua espressione tranquilla ed il sorriso grande che gli illuminava il piccolo e grigio volto.
«Oh, Alf sta davvero bene!» esclamò felice alzando le braccia esili al cielo, sottolineando il suo stato d’animo. «I padroni non ci sono, così gli elfi sono più tranquilli.» spiegò con fierezza, alzando il nasino lungo e appuntito all’insù.
Alla sua affermazione, il mio sorriso scomparve e l’espressione tornò ad essere seria e scura. In un primo momento non avevo colto immediatamente le sue parole, ma quello successivo iniziai ad elaborare ogni cosa: Narcissa non era la sola ad aver lasciato il Manor, ma a detta della creatura davanti a me anche gli altri Malfoy non erano presenti. Draco mi aveva lasciata da sola senza nemmeno avere la decenza di avvisarmi, mi aveva lasciata in una grande casa sorvegliata da Mangiamorte subdoli e senza pietà. Lì per lì, un moto di paura iniziò a crescere in maniera esponenziale, tanto da far accelerare il cuore e mozzare il fiato, ma un attimo dopo capii che era la mia occasione per muovermi all’interno della villa senza nessun fiato sul collo. 
Scossi la testa e chiusi gli occhi per un momento, cercando di non farmi possedere dalla curiosità e dalla mania di controllo, poi, ingoiando un grosso nodo di insicurezza, alzai le palpebre sorridendo cortese al piccolo essere e chiesi: «Quindi … Draco e suo padre non sono in casa?», volevo una vera conferma da parte di Alf, pregando di non aver frainteso le sue parole.
«Esatto, signorina Elizabeth!» rispose con entusiasmo sempre crescente.
«Oh!» esclamai altrettanto contenta, ma cercando di contenere la sensazione di trionfo invadente il petto. «Se è così, allora, io andrò immediatamente a riposarmi. Non avrò nulla da fare per delle ore.» spiegai tranquilla – nonostante avessi un uragano di emozioni diverse che mi devastavano dentro- rimettendomi in piedi senza mai perdere il sorriso e il contatto con i grandi occhi di Alf.
«Sì! Anche Alf adesso va a riposarsi, ma senza che Tabby lo venga a sapere.» sussurrò ridacchiando poggiando una sua manina contro la bocca, come a voler nascondere il movimento delle labbra; si avvicinò di qualche passettino in modo da far ascoltare solamente a me la frase.
«Il tuo segreto è al sicuro con me.» mormorai, strizzando l’occhio destro in segno di complicità. Il mio gesto lo fece ridere, tanto da dover coprire la bocca con le dita lunghe e ossute. «A più tardi, allora.»
«Buon riposo, signoria Elizabeth!» disse con enfasi, senza mai perdere il sorriso ingenuo e gioviale, muovendo una mano in aria in segno di saluto.
Lo imitai, intenerita dal suo gesto, e gli voltai le spalle pronta per andare al piano di sopra. Tuttavia, non era quella la mia vera meta. Mi nascosi dietro la tromba delle scale est ed aspettai che l’elfo fosse ben lontano dal vedere dove, in realtà, mi sarei diretta.     

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Capitolo 12
*** 11 - Attempt to escape ***


«Attempt to escape.»

Era davvero l’unica possibilità che avevo per ricavare informazioni utili sui piani di Draco e la sua famiglia, dunque non sarei andata davvero a riposare – anche se l’idea di rilassarmi con un buon libro in camera, per dimenticare l’incubo che stavo vivendo, mi allettava moltissimo-, ma sarei corsa dritto verso lo studio del ragazzo.
Sapevo che in quello di Lucius sarebbe stato davvero difficile entrare, mentre nutrivo speranze nell’intrufolarmi nella stanza in cui il principe del maniero trascorreva la maggior parte del suo tempo. Ero davvero sicura di trovare qualcosa, anche un piccolissimo indizio che mi avrebbe aiutato a capire il cambiamento di Draco nei miei riguardi. Una teoria un po’ strampalata si era insinuata nella testa, ma la scartai a priori reputandola impossibile.
Allungai il collo fuori dal mio nascondiglio per guardarmi in giro: non c’era nessuno. Avevo la via libera. 
Il cuore riprese a battere forte e le mani iniziarono a tremare non solo per l’eccitazione di entrare furtivamente in una stanza a me vietata, ma anche perché la bramosia di conoscenza era moltissima. Odiavo restare nell’ignoranza, ed ero ben consapevole che se non avessi indagato da sola non avrei avuto mai delle risposte.
Avendo campo sgombro, avanzai nuovamente nel corridoio camminando svelta verso la mia meta. Non ero lontana, forse un paio di metri, ma la prudenza non era mai troppa: in punta di piedi, controllando di tanto in tanto alle mie spalle, arrivai davanti alla porta di legno scuro dello studio privato di Draco. Devo ammettere che un po’ mi faceva paura entrare in quella stanza, in fondo non sapevo cosa avrei potuto trovare e l’ignoto rende codardo anche il più impavido degli uomini.
Respirai profondamente ritrovando coraggio e fierezza, poggiai la mano sul pomello rotondo ed intagliato e, con un gesto deciso, lo voltai verso destra sbloccando la serratura. Sollevata dalla mancanza di incantesimi o, comunque, dal trovarla chiusa da una comunissima chiave, aprii la porta lentamente superando la soglia con cautela – il fatto che non ci fossero protezioni all’esterno non voleva dire che non ci fossero all’interno. Chiusi la porta alle spalle quanto più piano possibile, restando però con la schiena poggiata contro l’anta di legno aspettando l’attivarsi di una possibile trappola. Dopo qualche lungo secondo nulla era accaduto, dunque mi rilassai un po’ ammirando l’eleganza e la semplicità della piccola stanza. L’ambiente era pressoché quadrato e l’arredo era ben disposto ed essenziale: nella parte sinistra vi era un grande camino in pietra grezza e grigia che riusciva a riscaldare senza difficoltà le mura dello studio, davanti a me una finestra dava sul confine est illuminando la stanza con la scarsa luce del sole, nella parte destra, sul fondo, c’era una libreria angolare fatta di legno chiaro – esattamente come il pavimento- che si prolungava fin dietro la scrivania d’epoca poco distante, sempre nello stesso lato; non lontano dalla mia figura immobile, vi era un piccolo divano in pelle nera con davanti un basso tavolino da caffè. Al contrario di come credevo, quella stanza era l’unica, in cui ero stata fino a quel momento, a infondere calore e sicurezza. 
Feci qualche passo in avanti, ancora un po’ timorosa, ma più avanzavo più mi convincevo che nulla mi avrebbe attaccato, che davvero il giovane Malfoy aveva lasciato incustodito il suo studio. Forse stavo per fare un buco nell’acqua, ma dovevo almeno tentare se volevo riconquistare la mia libertà. 
Con l’adrenalina in circolo e il timore che, prima o poi, qualcuno avesse potuto scoprirmi, scattai in avanti verso la scrivania cominciando a studiare ciò che vi era poggiato sopra: documenti notarili e atti di varie proprietà mischiati insieme, senza nessuna logica – come se li stesse leggendo ma un impegno più importante lo avesse richiamato all’ordine. Ne presi un paio tra le mani per studiarli, ma leggendo capii che non c’era nessuna irregolarità e nemmeno nulla di strano. Erano atti di compravendita, anche, a nome dei Malfoy. Mi chiesi se ciò non avesse a che fare con il legame che avevano con Voldemort, alla ricerca di un rifugio sicuro, ma poi ricordai che posto più sicuro di Hogwarts non c’era. Non mi soffermai molto su quelle carte, perché sapevo per certo che la mente di tutto era alla scuola ed ordiva complotti proprio da lì.
Poggiai i fogli al loro posto e, abbassando lo sguardo, individuai un cassetto appena sotto il piano di scrittura della scrivania. Lo aprii senza pensarci: all’interno vi era un sacchetto di velluto rosso scuro. Non appena lo afferrai, il contenuto tintinnò ai miei movimenti. Sciolsi il nodo con cui era sigillato e, nel cassetto stesso, ne svuotai il contenuto: monete, erano galeoni d’oro che Draco Malfoy teneva all’interno della sua scrivania. Mi chiesi se non fossero per le emergenze, qualora fosse costretto a scappare via dal Manor, ma, al formulare questa ipotesi, un’altra si insinuò nella mente: “Perché mai Draco dovrebbe andar via?”. Fino a quel momento, la ricerca non stava dando i frutti sperati poiché iniziai a pormi altre domande piuttosto che mettere fine a quelle che mi avevano turbato in quei giorni.
Riposi la piccola sacca dove l’avevo trovata con molta attenzione – nessuno doveva pensare ad un'irruzione nella stanza (Malfoy sarebbe impazzito, altrimenti!)- ed iniziai a guardarmi intorno in cerca di qualcosa che potesse aiutarmi a comprendere quel ragazzo che, agli occhi di tutti, mi aveva salvata da un destino crudele. Mi avvicinai al camino, ispezionandolo come meglio potevo, ma non trovai nulla se non un sacchetto di Metropolvere accanto all’attizzatoio; mi avvicinai alla libreria sperando di trovare incongruenze nella struttura così, magari, da poter accedere ad un passaggio segreto, ma ciò che trovai fu una quantità di libri sull’economia e la gestione dei beni. Non c’era niente fuori posto, e la cosa cominciava ad innervosirmi, per di più non potevo restare troppo tempo in quella stanza perché il rischio di essere scoperta diventava maggiore con l’avanzare dei minuti. 
Feci un mezzo giro su me stessa, dando le spalle alla libreria e la scrivania, pronta ormai ad andare via, ma poi qualcos’altro attirò la mia attenzione: quotidiani erano sparsi sul tavolino da caffè davanti al divano. Mi avvicinai velocemente e mi accomodai sul sofà, pronta a consultare quelle copie de “La Gazzetta del Profeta”. A quanto pare, Draco conservava tutti gli articoli dei giorni passati leggendoli di volta in volta. Ciò che notai, forse una stranezza non troppo rilevante, fu l’argomento che le gazzette avevano in comune: gli attacchi che l’Ordine della Fenice ordiva contro i Mangiamorte. I titoli parlavano chiaro, ed io ne ero sorpresa; mi chiesi se Draco odiasse tanto Harry da gioire per i suoi fallimenti e le perdite subite dalla resistenza, oppure, magari, l’unico scopo era tenere tutto sotto controllo per guidare, poi, i piani del Signore Oscuro contro i miei amici. Era troppo anche per una serpe come lui, per un codardo come lui. Egli era cambiato, certo, eppure non avevo mai percepito nessuna cattiveria nei suoi occhi o nei suoi gesti, e poi, se davvero voleva Harry morto, avrebbe potuto usarmi come esca.
«E allora perché?» sussurrai, dando voce ai miei pensieri mentre sfogliavo piano una pagina di giornale. «Cosa stai combinando, Draco?» riflettei mormorando, mentre un pensiero, già vagliato e poi scartato, sorgeva nella testa.
Nel frattempo i miei pensieri cavalcavano a briglia sciolta, un rumore di passi rimbombò nel silenzio del corridoio al di fuori dello studio. Mi immobilizzai all’istante, gelata al solo pensiero di essere scoperta dal protagonista delle mie congetture. 
Dei mugolii di piacere accompagnavano la camminata pesante di quell’uomo, perché solamente un maschio, per di più rozzo, avrebbe potuto essere così rumoroso nell’avanzare. Provando ad essere il più cauta possibile, richiusi i quotidiani poggiandoli sul tavolino di legno e, subito dopo, mi alzai guardinga – il mio subconscio mi portò a cercare la bacchetta, ricordando poi di non averla più. 
Mi mossi piano verso la porta, con il cuore in gola e il fiato corto, accostandomi alle sue cerniere così da poter essere nascosta qualora venisse aperta. Quasi non feci in tempo a formulare la frase, che l’anta venne spalancata con malagrazia ed una grossa figura superò la soglia di ingresso entrando poi nel mio campo visivo: era, ovviamente, un uomo dalla grande stazza, alto e con indosso un lungo mantello nero. Versi di godimenti accompagnavano la sua avanzata, ma se prima credevo che ci potesse essere una donna con lui, alla fine capii che, probabilmente, stava assaggiando una delle prelibatezze fatte dagli elfi per i propri padroni. Quel Mangiamorte, che avrebbe dovuto proteggere la proprietà, era in realtà in casa a nascondersi dalle responsabilità ingozzandosi come un maiale. Se solo Draco lo avesse visto, lo avrebbe cacciato a pedate senza risparmiargli insulti poco eleganti, perdendo la sua compostezza.
Dunque, c’era un mago negligente davanti a me ignaro della mia presenza. Anche quella era la mia occasione, la possibilità di scappare da quell’inferno. Per quanto volessi conoscere gli oscuri segreti dei Malfoy agognavo la libertà più di qualsiasi cosa al mondo, e quell’uomo aveva una bacchetta che mi avrebbe permesso di filarmela via senza troppi problemi.
Riempita da quel desiderio, mi avvicinai piano al tavolino alla mia sinistra, senza mai staccare gli occhi dall’uomo che, in quel momento, era intento a darmi le spalle preso com’era dal desiderio di accendere il camino. Con una mossa veloce, afferrai il posacenere di spesso vetro e lentamente mi avvicinai al mago che, ormai, aveva tirato fuori la bacchetta pronto a lanciare un incantesimo sulla legna all’interno del focolare. Respirai profondamente prima di lanciare l’oggetto contro la nuca dell’uomo con tutta la forza di cui ero capace. In un primo momento lui barcollò all’indietro, confuso per la botta e per l’avvenimento appena successo, ed io potei così vederlo in faccia e riconoscerlo: Vincent Goyle. Approfittai del suo smarrimento, per rubargli velocemente la bacchetta e, prima che si riprendesse, lanciai uno “Stupeficium” non verbale così potente da schiantarlo contro il muro opposto a dove ero io in quel momento. Il ragazzo era a terra, privo di sensi e circondato da quattro bignè alla crema; era il solito goloso di sempre, senza nemmeno un briciolo di cervello in quella grande testa. 
Non credevo di poter utilizzare un incantesimo tanto potente, poiché non usavo la magia da un po’, ma ne rimasi altamente soddisfatta perché mi resi conto di essere libera. Dovevo andare via, però: di lì a poco sarebbero arrivati gli elfi per il rumore sordo dovuto al corpo di Goyle che cadeva al suolo, loro poi avrebbero chiamato Malfoy ed io non potevo permettere che mi costringesse a restare.
Con la bacchetta del nemico stretta tra le mani, iniziai a correre fuori dallo studio di Draco, raggiungendo poi il corridoio principale e voltando verso sinistra diretta alla porta d’ingresso. Grazie ad un incantesimo, riuscii ad aprire i grandi battenti della massiccia porta. Non appena accadde, una distesa immensa di verde di stagliò davanti ai miei occhi. Avanzai di qualche passo e, chiudendo gli occhi, respirai a fondo aria pulita, aria fresca; respirai aria di libertà. In un attimo mi resi conto di non dover perdere tempo: avevo davvero i minuti contati, e i Malfoy sarebbero potuti tornare da un momento all’altro. Perciò, attraversai il patio e scesi le brevi scale di marmo, poi ripresi a camminare celermente tenendo la bacchetta nascosta tra le pieghe del lungo vestito; lo sguardo fiero e la testa alta mascheravano la sensazione di ansia che mi agitava tutta, che mi fece dubitare – per qualche secondo- della mia decisione. Non mi importava di dover affrontare qualche Mangiamorte, la mia autonomia era ciò che più contava.
A grandi passi superai il cortile esterno senza destare troppi sospetti, in fondo ero solo una domestica che faceva una passeggiata, ma nell’attimo in cui varcai il cancello d’uscita un paio di maghi si avvicinarono piano, guardandomi in maniera perplessa, curiosi di conoscere le mie intenzioni. Senza pensarci un secondo, sfoderai la bacchetta schiantando prima l’uno poi l’altro, avvantaggiandomi dell’effetto sorpresa. A quel punto ripresi a correre, senza curarmi di nulla. Decisi di star lontana dalla strada sterrata, perché potevo essere un bersaglio facile, così mi addentrai nella boscaglia ai limiti della proprietà. Le gambe si muovevano veloci andando incontro alla libertà e la mente non aveva nemmeno messo in conto di rischi di quella fuga – forse un po’ insensata. Per quanto avessi trovato un equilibrio all’interno del Manor, ero pur sempre prigioniera ed uno spirito libero come il mio faceva fatica ad abituarsi.
Andavo avanti godendomi il contrasto tra il freddo di Novembre e il caldo dovuto alla corsa, andavo avanti per la mia strada sentendo voci alle mie spalle ed incantesimi che venivano lanciati e schiantati al suolo. Mi voltai con il cuore in gola, con il respiro che quasi mi mancava, rispondendo agli attacchi subiti. Avrei dovuto immaginare, però, che il mio desiderio di libertà non coincideva con il disegno del destino: d’un tratto la bacchetta di Goyle non rispondeva più ai comandi, ed io, la strega più brillante della mia generazione, avrei dovuto prevederlo. 
Ebbi paura, una paura tale da bloccarmi per qualche secondo sul posto, tra il terreno scosceso ed umido a causa della nebbia sempre più fitta, e fu in quel momento che riconobbi i miei inseguitori: vi era Fenrir Greyback, il lupo mannaro più feroce e senza scrupoli che io abbia mai visto – d’altronde era un seguace di Voldemort-, scorsi Augustus Rockwood, quell’idiota di Goyle che, quasi claudicante, urlava maledizioni alla mia persona, ed infine c’era Yaxley che mi guardava ghignante, con i suoi occhi azzurri e glaciali.
Benché sapessi di essere in netto svantaggio, il mio cuore mi diceva di continuare a correre, e feci proprio quello: andare avanti senza curarmi di chi mi stava inseguendo, nascondendomi di tanto in tanto dietro grossi alberi per riprendere fiato. Il respiro bruciava le narici ed i polmoni ogni volta che mi fermavo, i muscoli – compreso il cuore- facevano tanto male, ma la paura di ritornare in quella casa era decisamente troppo forte e non avrei rinunciato a combattere. In quel momento, il fuoco che sentivo bruciarmi dentro era alto, ma non mi stavo comportando come una coraggiosa Grifondoro, ma come una pazza incosciente. Ma non ero lucida abbastanza per comprenderlo.
Uscii dall’ennesimo nascondiglio, con il cuore che galoppava all’impazzata per le continue emozioni turbolente, e ripresi a correre, nonostante l’andamento fosse meno stabile di poco prima. Il mio spirito era intatto, ma non il mio corpo: a causa di un sasso o del terreno cedevole, o forse semplicemente per la fatica, caddi rovinosamente tra le foglie secche e la terra bagnata, sentendo la puzza di pioggia attaccarsi alla pelle. Mi mancò il fiato per un attimo, poiché il petto cozzò violentemente sul terreno, tuttavia mi ripresi subito e tentai di rialzarmi. Feci velocemente leva sulle braccia piegandomi in ginocchio con la gamba destra, ma mentre mi mettevo in piedi degli artigli scavarono affondo nel polpaccio in una morsa quasi mortale. Urlai per il dolore, mi voltai e vidi Greyback sorridermi vittorioso. Io ero disgustata, oltre che in preda al panico. Con la gamba non ferita, riuscii a dargli un paio di calci in testa così da fargli mollare la presa e, ancora più in fretta, mi alzai e corsi più forte che potevo, ma con una gamba ferita non potevo andare molto lontano, e lo sapevo bene. Non mi arresi.
Il polpaccio sinistro bruciava moltissimo e il petto non era da meno – per la botta presa-, la testa cominciava a vorticare e la vista ad appannarsi; un senso di tristezza iniziò a prevalere sul desiderio di riscatto, la consapevolezza che la mia fuga non era altro che un capriccio infantile e terribilmente stupido. Draco mi avrebbe fatto una ramanzina terribile, se mai ne fossi uscita viva.

E mentre i pensieri divagavano e il mio corpo peggiorava, mi sentii scaraventata nuovamente per terra in modo così rude da battere il capo su qualcosa di terribilmente duro. La confusione si fece sempre più intensa, e dovetti sbattere le palpebre più volte per rendermi conto che quel lupo mannaro era sopra di me, trionfante e ghignante. Iniziai a dimenarmi, tentai di liberarmi dalla sua presa mettendogli le mani intorno al collo, ma beccandomi uno schiaffo in pieno viso; portai i pollici sui suoi occhi provando, in qualche modo, ad accecarlo, ma in risposta Greyback tirò fuori gli artigli infliggendomi una ferita profonda dal petto al ventre. Gridai per l’immenso dolore che stavo provando, un male paragonabile solamente alla Maledizione Senza Perdono con cui mi torturarono due anni prima; fu una cosa atroce, mi sentii … svuotata e nuda, impotente e debole: il petto erano squarciato in più parti e riuscivo a percepire il sangue colare lentamente dalla ferita, provocandomi spasmi di bruciore incontrollato – sembrava di essere stata messa su di un rogo- ed il polpaccio, ormai, era formicolante; il sangue era fuoriuscito in abbondanza a causa della corsa. Ero spacciata, sentivo la fine vicina ed era stata colpa mia. Questa volta non avrei potuto incolpare Draco, ma solamente la mia stupidità.
Mi lasciai andare, mi lasciai prendere dall’oscurità, eppure, prima di chiudere definitivamente gli occhi, ormai stanca, percepii il possente corpo di Greyback scaraventato lontano da me e due mani sul volto. Poi il buio. 

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Capitolo 13
*** 12 - «I'm so tired, Draco.» ***


«I'm so tired, Draco.» 

Un ronzio fu tutto ciò che sentii. Non percepivo il mio corpo e, per un attimo, pensai di essere morta davvero, ma più passavano i secondi più tutto intorno a me diventava nitido. Dei leggeri pizzichi iniziarono a salire alle terminazioni nervose, sentivo la testa pesante, quasi fosse un macigno, ed ero un po’ confusa. Un leggero sbuffare ed un tintinnio di vetri mi diedero la conferma di essere viva, perciò aprii gli occhi lentamente. Feci fatica, all’inizio, a mettere tutto bene a fuoco, a riconoscere dove fossi e chi fosse accanto a me. In un primo momento, vidi i tendaggi del letto della mia camera, lo riconobbi quasi subito; sentivo sotto le dita la morbidezza delle coperte e sul corpo il calore da esse emanato. In lontananza, si percepiva lo scoppiettare di un fuoco: il camino nel piccolo salotto privato era stato acceso e le porte evidentemente spalancate affinché il tepore arrivasse nella stanza. Sospirai piano, felice di percepire il battito un po’ accelerato del cuore, ma malinconica allo stesso tempo per essere ritornata in quella maledetta casa. 
Chiusi gli occhi trattenendo la voglia di urlare e piangere; scalpitavo per andare via, ma capivo benissimo che nelle mie condizioni non era proprio possibile. La sensazione di impotenza e subito dopo quella di debolezza si impossessarono di me, e la consapevolezza di dover essere ancora prigioniera quasi mi uccise. Lacrime di rabbia repressa scesero lentamente lungo le guance, bruciando come le fiamme dell’inferno.
«Sei sveglia.» il commento secco e diretto, proveniente dalla mia sinistra, mi portò ad aprire gli occhi e voltare piano il capo in quella direzione.
Poggiato con un spalla ad una colonna di legno del letto, c’era Draco Malfoy che mi fissava serio e distante, forse anche un po’ irritato. In quel momento era davvero ben lontano dalla perfezione estetica a cui ero abituata: aveva i capelli biondi scompigliati che ricadevano in leggere onde sulla fronte, la camicia bianca spiegazzata e sporca di sangue in più punti, le maniche arrotolate al gomito ed alcuni bottoni aperti che lasciavano intravedere il petto candido. La botta in testa doveva essere grave, perché pensai che fosse davvero affascinante con l’espressione nervosa e quell’aria sconvolta e scomposta.
«E tu sei arrabbiato.» ridacchiai con tono ovvio, provando a mettermi seduta.
Nonostante avessi male ovunque riuscii nell'intento, con le mie sole forze mentre Malfoy mi guardava indifferente, come se la mia sofferenza non gli toccasse minimamente.
E lì, capii che era stato lui, di nuovo, a togliermi dai guai. Capii che mi aveva davvero salvato la vita in quella circostanza mettendo a rischio il suo orgoglio e la sua reputazione per curarmi. Ero sempre più confusa – e non solo perché avevo battuto la testa.
«Non hai minimamente pensato alle conseguenze delle tue azioni, non è da te, Granger.» mi schernì ghignando cattivo; in un attimo mi sembrò di essere tornata indietro nel tempo, di essere di nuovo ad Hogwarts a subire i suoi insulti. Tuttavia, una parte di me, sapeva che era il suo orgoglio ad essere ferito poiché non gli avevo ubbidito. «Mi deludi.»
«Cosa ti aspettavi da una prigioniera?» chiesi tra i denti, serrando la mascella e assottigliando gli occhi nervosa per il suo stupido commento.
«Da te mi aspettavo un po’ di buon senso.» sussurrò scostandosi dalla colonnina e avanzando lentamente verso di me. Mi fissava intensamente, come fossi la sua preda e lui non vedesse l’ora di mangiarmi. «E sai perché, stupida di una Granger? Perché non avresti mai potuto superare le sentinelle lì fuori senza magia,» era inquietante il modo in cui mi stava parlando. «perché l’effetto della pozione sarebbe terminata di lì a poco mostrando il tuo volto e perché io avrei potuto non essere qui per salvarti la pelle.» si era avvicinato alla mia figura seduta, guardandomi con disapprovazione. «E se ti fossi fermata solo un minuto a pensare, avresti desistito dal compiere un'azione così folle. E suicida.»
Mentirei se dicessi che non mi colpì ciò che disse perché aveva ragione, ed io ne ero ben consapevole. Tuttavia avrebbe dovuto anche comprendere la smania di libertà che avevo, non avrebbe dovuto sottovalutare il mio spirito battagliero e determinato. Non avrebbe mai dovuto nemmeno pensare ad una mia resa davanti alle sue richieste, alle sue volontà, benché i miei desideri fossero discutibili. 
Continuava a guardarmi intensamente, ed il silenzio sembrava diventare pesante ogni minuto di più. Aspettava una mia risposta, ma mai avrei potuto ammettere di essere in torto, c’era già la mia coscienza a darmi della stupida, non era necessario farmi umiliare ancora da Draco.
«Hai perso molto sangue.» continuò pacato, mutando il tono in serio e freddo; era di nuovo indifferente. «La tua gamba era messa abbastanza male, la ferita al petto, invece, era messa decisamente peggio.» spiegò voltandosi verso il comodino alla mia sinistra armeggiando con un paio di pozioni. Sulla superficie notai bende insanguinate e acqua rossastra, bottigliette di unguenti tappati ma sporchi del prodotto in esso contenuto, segno di un utilizzo passato. «Alla testa avevi solamente un taglio superficiale, anche se ha sanguinato parecchio.» ritornò a guardarmi con autorità ed orgoglio, indicandomi poi una serie di fialette: «Dovrai prenderne una ogni due ore. Per le bende verrò io a cambiarle: è meglio che l’uso della Polisucco sia limitata, per il momento.» ordinò, sospirando profondamente passandosi una mano tra i capelli scompigliati. «Ora riposa.»
Ero stanca di sentire continuamente lamenti sul mio comportamento. Ero irritata dalle sue imposizioni: diceva sempre cosa dovevo fare e come dovevo agire. Ero disperata perché quella casa non aveva fatto altro che portare dolore nella mia vita, due anni prima e in quel preciso momento. Ero esausta di essere trattata come una bambola, un oggetto a cui nessuno da troppa importanza. Ero Hermione Granger, e Merlino solo sapeva cosa avevo dovuto sopportare in quegli anni lontana dai miei affetti, lontana da un vero luogo sicuro, lontana da casa. Basta, doveva finire lì. Non m’importava di essere debole, né ero riconoscente a Malfoy per avermi salvata. Ero viva, ed avevo l’obbligo morale di combattere finché avrei avuto fiato.
Parlai, dunque, bloccando la sua uscita trionfale, e forse ferendo anche il suo ego: «Ti diverti, non è vero, Malfoy?» quasi gracchiai tanto la voce era carica di rabbia. «Mi dai ordini, mi rimproveri …» sussurrai scostando le coperte e mettendomi in piedi barcollante. «mi umili e ci provi gusto, così da affermare quanto sia superiore il tuo stupido sangue.» sputai velenosa zoppicando, poggiando una mano sul materasso per non cadere.
«Spero sia solamente la botta alla testa a farti parlare in questo modo, e la rabbia per essere ancora qui.» mormorò agitato ma mantenendo un tono alquanto pacato, avanzando di qualche passo nella mia direzione. «Se così non fosse devo dedurre che la tua perspicacia sia andata diminuendo in questi anni.»
«Invece ho capito benissimo.» dissi piano, avvicinandomi ancora a lui. «Mi tieni qui rinchiusa per un motivo, per un tuo tornaconto personale. E per quel che ne so, potresti consegnarmi a Tu-Sai-Chi in un attimo.»
«Se non fosse per me saresti morta, Granger!» esclamò adirato, facendo un ulteriore passo verso di me, trovandosi a soli pochi centimetri dal mio viso. «Se non ti avessi coperto le spalle non saresti qui a sputare sentenze.»
«Se non ti avessi incontrato, probabilmente ora sarei con Harry ed avrei ancora la mia libertà!» sbraitai senza controllo, con le lacrime agli occhi al solo pensiero del mio migliore amico.
«Sappiamo entrambi che non è vero.» mormorò ghignando, alzando le sopracciglia con fare superiore. «Non sei riuscita a trovarlo in due anni e non ci saresti riuscita mai, te lo dico io. Sei sola e priva di magia, sei praticamente inutile.» sospirò guardandomi fisso negli occhi, facendomi sentire vulnerabile e nuda. «Puoi anche non ringraziami, puoi mentire a te stessa convincendoti che sia tutta colpa mia, ma sei abbastanza intelligente da capire quanto io abbia ragione. Senza di me, saresti in una cella, nella migliore delle ipotesi, torturata e marchiata come una bestia.»
«Sta zitto, Malfoy.» lo esortai con voce tremante e occhi umidi di lacrime represse.
«E sì, mi servi viva.» ammise tranquillo, ritornando ad essere serio. «Quindi puoi provare a scappare, puoi provare ad ammazzarti se è quello che vuoi, ma io non te lo permetterò. Ovunque tu vada, io ti riporterò di nuovo qui, Granger. E non credere che mi piaccia correrti dietro!»
«Basta!» esclamai esasperata e arrabbiata.
Con un movimento veloce, dovuto alla vicinanza tra i nostri corpi, poggiai la mano sinistra su una sua spalla per mantenere l’equilibrio mentre con l’altra afferrai la bacchetta nascosta dietro la schiena, tenuta al sicuro all’interno dei pantaloni; l’avevo notata non appena si era avvicinato, quando ero ancora a letto, e nella mente si era già formata la speranza di ricevere la libertà tanto desiderata.
Tuttavia, avevo sottovalutato chi avevo di fronte. Draco non fu nemmeno così sorpreso, né tentennò quando percepì l’assenza della bacchetta. Repentino, afferrò il polso saldamente, stringendolo forte così da farmi allentare pian piano la presa intorno alla sua arma, mentre l’altro braccio avviluppò la vita in modo da tenermi stretta, da non lasciarmi fuggire via – o magari impedendomi di cadere, anche. 
Alla fine la sua forza ebbe la meglio sulla mia debolezza e la bacchetta cadde sul letto ed io, allo stesso modo, caddi in uno stato di tristezza che avevo sentito esplodere nel cuore solamente poche volte. Ogni illusione fatta sull’uscire da quella villa era andata in frantumi, e non importava quanto volessi negarlo a me stessa: Draco aveva maledettamente ragione, ancora una volta. Ed io ero così arrabbiata …
«Lasciami.» iniziai a dimenarmi – con gli occhi pieni di lacrime bollenti - non appena la bacchetta fu lontana dalle mie mani.
«Calmati, Granger.» rispose pacato senza, però, sciogliere la stretta; mi guardava negli occhi e cercava di restare tranquillo volendo infondermi la stessa sensazione. Io, però, ero troppo stravolta per rendermene conto.
«Ho detto di lasciarmi!» gridai stringendogli il colletto della camicia tra le mani, in due pugni, scrollandolo. «LASCIAMI!» urlai ancora, in preda alla disperazione, tentando di fuggire via.
«Devi calmarti!» esclamò severo, riprendendomi tra le sue braccia facendo scontrare la mia schiena con il suo petto. «Smettila.» mi sussurrò all’orecchio.
«No!» ribattei categorica, mentre stille infuocate solcavano le guance. Mi aggrappai al suo braccio destro che mi avvolse le spalle provando a farmi star buona.«Devi lasciarmi, Malfoy! Adesso basta!» alzai nuovamente la voce stringendo forte il suo avambraccio tanto da lasciargli i segni delle unghie corte e spezzate. «Basta …» sussurrai singhiozzando fermandomi dall’allontanarlo. «Sono così stanca …» mormorai poggiando il capo contro la sua spalla, chiudendo gli occhi e piangendo tutta la disperazione di cui ero colma. «Sono così stanca, Draco.»
Lo sentii sospirare profondamente. Non si distanziò dal mio corpo tremante, non mi lasciò cadere nel baratro incurante del mio dolore, non derise il mio stato, ma restò con me, in silenzio ad ascoltare il male che mi attanagliava, la rabbia che veniva fuori mischiata alla frustrazione. Perché sì, ero davvero arrabbiata, ma con me stessa, per essere così debole da sola, per essere consapevole di quanto il ragazzo avesse ragione: ero solamente un'illusa che aveva vissuto come una fuggitiva per troppo tempo; avevo vissuto da sola con la speranza di ritornare dai miei amici, ma fino a quel momento non era successo, nonostante ci avessi provato tantissime volte. Ero andata decisamente oltre con la mia fuga e sarei dovuta restare inerme per parecchio tempo. Ero stata proprio una stupida.
Piansi, piansi tantissimo quella notte. Mi disperai tra le braccia del mio nemico.

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Capitolo 14
*** 13 - Like Beauty and the Beast ***


«Like the Beauty and the Beast»
 
Sbuffai per l’ennesima volta in quella fredda giornata di quasi metà novembre. Ero terribilmente annoiata e niente avrebbe potuto distrarmi, se non qualcosa di davvero inaspettato. Avevo letto tutti i libri presenti sugli scaffali della mia stanza ed in quel momento non c’era nulla che potesse aiutarmi a superare la noia dovuta alla degenza che stavo vivendo. 
Le conseguenze delle mie azioni furono gravi e la guarigione lenta e dolorosa. Malfoy aveva ragione e non facevo che ripetermelo: con quella maledetta fuga avevo rischiato di morire, eppure nell’attimo in cui decisi di cogliere l’opportunità mi era sembrata una buona idea. Ovviamente la razionalità era alquanto compromessa, ottenebrata dall’eccitazione e della voglia di libertà, anche dalla speranza di poter uscire dall’incubo in cui mi ero ritrovata a vivere da due anni a quella parte.
Avevo dei segni profondi sulla gamba destra a causa degli artigli di Greyback che, con cattiveria, affondarono nella carne; sorte simile fu per il petto. Sarebbero rimasti i segni di quell’aggressione incisi sulla pelle, deturpandola – nonostante quelli sul polpaccio sarebbero stati sempre più profondi e visibili degli altri-, tuttavia non era un problema: ormai avevo cicatrici ovunque, visibili e non. Ciò che non potevo sopportare era essere ferma a letto o, come in quel momento, seduta su di una poltrona a fissare il cielo scuro fuori dalla finestra. La signora del maniero non era ancora tornata e poi, nelle mie condizioni, non avrei comunque potuto starle dietro. In certi momenti mi chiedevo come stesse, Lady Malfoy, una donna forte e fragile alle stesso tempo: era riuscita a sopportare il Signore Oscuro in casa propria senza impazzire, eppure era così debilitata a causa delle azioni che suo figlio compiva per quello stesso uomo. Avevo ben capito che Narcissa fosse così stanca non per suo marito, ma per Draco. Nei giorni precedenti alla sua partenza, ancor prima di essere aggredita, avevo notato il modo in cui il giovane rampollo della casata si prendesse cura della madre e come quest’ultima si illuminasse, quasi, alla sola vista della prole. In quei momenti, provavo un po’ di invidia: chissà quando avrei potuto rivedere mia madre.
Scossi la testa cercando di non rimuginare sui miei genitori e su ciò che avevo fatto loro per tenerli lontani dalla guerra poiché ero davvero stufa di piangere e di pensare; non avevo fatto altro che riflettere in quelle lunghe giornate di noia. Per di più, le uniche visite che ricevevo erano di Draco e, sporadicamente, di un Curatore esperto. Sta di fatto che trascorrere delle ore con il principe delle serpi non era di mio gradimento – anche perché spesso non parlavamo, ma ci guardavamo soltanto- eppure non mi sarei mai lamentata, almeno potevo vedere un volto a me familiare.
Dopo quella sera, in cui piansi tra le sue braccia, non parlammo moltissimo, né affrontammo l’argomento. Sinceramente, in un primo momento mi pentii amaramente di essermi lasciata andare ad una tale crisi, credendo mi avrebbe poi presa in giro, ma non lo fece. Draco Malfoy era davvero cambiato ed io facevo davvero fatica ad immaginarlo, in quanto ero abituata al ragazzino borioso ai tempi della scuola. Tuttavia, capii che quei giorni erano ormai terminati, e se io stessa ero diversa allora lui non faceva nessuna eccezione. Dovevo solamente farmene una ragione.
Ad interrompere le mie riflessioni furono dei colpi decisi alla porta. E’ una cosa molto stupida, ma in quel momento mi parve davvero sospetto quel semplice gesto: Draco non aveva la delicatezza di annunciare il suo arrivo, semplicemente apriva la porta e varcava la soglia – d’altronde era casa sua-, il Medimago non entrava senza il ragazzo dunque escludevo fosse lui, gli elfi apparivano solamente se direttamente interpellati. L’unico che mi veniva in mente era Lucius Malfoy, ma dubitavo fortemente che potesse farmi visita ed ero sicura che, come il figlio, sarebbe entrato senza permesso qualora avesse voluto qualcosa. Iniziai a pensare a chi potesse essere e, al contempo, il cuore cominciò a palpitare forte a causa del nervosismo. Avevo ricominciato ad assumere la pozione Polisucco, integrandola con le misture curative così da non trovarmi impreparata, dunque non avevo paura di essere scoperta, eppure tremavo al solo pensiero di dover rivivere una qualsiasi punizione immotivata. In un gesto automatico andai a cercare la bacchetta tra le pieghe della vestaglia, solo dopo ricordai di non avere più una.
Ero in allerta, con gli occhi fissi sulla porta, completamente tesa per ciò che poteva esserci oltre quella soglia. Più forte, quel qualcuno continuò a bussare. Non ero sicura che palesarmi fosse una buona idea, ma d’altronde non potevo fare altrimenti: la curiosità mi stava consumando – insieme alla paura.
«Avanti!» esclamai decisa, con gli occhi ancora puntati sulla porta.
Il battente della sontuosa anta di legno venne aperta lentamente, quasi con timore direi, e quando posai lo sguardo sul volto roseo della persona che, inaspettatamente, mi sorrideva, proprio non potevo credere ai miei occhi. In un primo momento avevo creduto di avere le allucinazioni, magari dovute al miscuglio delle medicine e della pozione, ma esclusi immediatamente quella possibilità poiché non avevo nessun motivo per immaginare, esattamente in piedi sulla soglia, Astoria Greengrass.
Ero confusa, e non poco. Non capivo perché mai la futura signora Malfoy fosse in camera mia, sorridente e con un’espressione gentile sul viso. Devo ammettere che, anche quella volta, Astoria brillava di luce propria, aveva una bellezza fuori dal comune: era elegante e delicata, meno prorompente della sorella, ma di certo non meno magnifica. La pelle rosea era valorizzata dal leggero make up che contornava perfettamente il viso ed il delicato rossetto quasi in tinta con il colore naturale delle labbra le dava un aspetto ancor più aggraziato; ciò che indossava, invece, risaltava la figura magra e slanciata: un vestitino azzurro aderente alle sue curve delicate scendeva fin sopra le ginocchia, era a costine ma indubbiamente di lana dato che il clima era davvero rigido, ed una sottile cintura era chiusa intorno alla vita per dare più forma all’abito stesso; gli stivaletti neri con un tacco abbastanza alto slanciava la sua figura già magra, il volto leggermente truccato e i lunghi capelli scuri alzati in una mezza coda, poi, rimandavano un aspetto pressoché angelico.
«Astoria Greengrass?» chiesi più a me stessa, cercando di trovare, nella mente, una buona ragione per la sua presenza nella stanza.
Ero a dir poco stupita, e suppongo lo fossi anche da fuori poiché la giovane donna in questione ridacchiò divertita della mia espressione mentre, con movimenti delicati, chiudeva la porta dietro le sue spalle.
Pensavo, pensavo, ma nessuna congettura poteva motivare la sua visita. Iniziai a preoccuparmi e ad allarmarmi.
«Ciao, ti disturbo?» domandò gentile avanzando verso il centro della stanza; camminava con le mani dietro la schiena e un sorriso alquanto insicuro sul volto - particolarità, quest’ultima, che proprio non riuscivo ad associare ad una donna di alta nobiltà proveniente da una famiglia così potente.
«Se per disturbo intendete interrompere il mio continuo contemplare fuori la finestra …» lasciai la frase in sospeso, pronunciandola, però, con sarcasmo. 
Lei ridacchiò appena, sorridendomi divertita, e nel frattempo, con un colpo di bacchetta, fece lievitare la comoda poltrona davanti al tavolino da caffè per portarla esattamente di fronte alla sottoscritta. E per quanto pochi minuti prima si mostrava, in qualche modo, remissiva, in quel preciso momento camminava con fierezza e a testa alta, senza però smettere di sorridere cordialmente nella mia direzione. Ed io, nel mentre, la guardavo attenta, scrutando ogni sua mossa. I Greengrass si professavano neutrali, tuttavia, se erano ancora vivi, un motivo doveva esserci, un motivo che non esulava dal governo oscuro instaurato dal Signore Oscuro, ne ero certa. Però, la sicurezza ritrovata di Astoria la attribuii al suo futuro matrimonio: sarebbe stata una Malfoy, dunque imparava a destreggiarsi tra i corridoi e le stanze del Manor.
«Ho saputo che sei stata attaccata.» disse sedendosi con grazia, senza mai distogliere lo sguardo da me. «Come stai adesso?»
«Meglio, grazie …» risposi diffidente, terribilmente perplessa per quella richiesta. «Con tutto il rispetto, signorina Greengrass, ma cosa ci fate qui?» domandai dando voce ai miei dubbi – in fondo lei era l’unica che poteva fugarli.
«Be’, la voce di ciò che ti è successo si è diffusa abbastanza velocemente, d’altronde i Malfoy sono circondati da tante persone e le notizie corrono. Poi, quando c’è di mezzo un idiota come Goyle che va vantandosi di aver catturato la “stupida mezzosangue di Malfoy” i pettegolezzi non fanno che gonfiarsi.» espirò composta, portando gli occhi al cielo in segno di esasperazione – sull’ultima affermazione, soprattutto. «Ho chiesto conferma a Draco di quello che ti era successo, e così ho pensato di venire a farti visita, pensando non avessi molta compagnia.» ammise sorridendo ancora una volta, alzando le spalle ed inclinando la testa da un lato, come se fosse davvero entusiasta di essere accanto a me.
«Sono … onorata di essere una vostra preoccupazione, ma non posso fare a meno di chiedermi perché tanta premura. Vi ricordo che ho insultato vostra sorella, e per estensione la famiglia stessa.» ribattei decisa, assottigliando gli occhi continuando a guardarla con distacco.
«Non l’ho dimenticato, Elizabeth.» i tratti del suo volto, nel rispondere, divennero dolci, e lo stesso fu per lo sguardo. «Avrei voluto appoggiarti, in effetti, ma non potevo.» confessò sospirando pesantemente, scuotendo appena la testa e abbassando lo sguardo per pochi attimi. «Ho idee diverse dalla mia famiglia, ma i miei futuri suoceri non gradiscono il mio essere tollerante e, a dirla tutta, nemmeno i miei parenti.» sorrise appena e i nostri occhi si incontrarono; una strana sensazione mi attraversò: sembrava sincera. Ero sconcertata. «Questo … clima di terrore ed oscurità non gioverà a nessuno e schiavizzare i Mezzosangue non porterà a niente, è solo una pratica disumana. Nonostante ciò, appoggio la visione della nostra superiorità del sangue.» ammise onesta senza mai smettere di sorridere, senza mai smettere di guardarmi. 
Lo apprezzai.
«Avrei molto di cui dissentire.» risposi schietta, in un moto di orgoglio. Avrei potuto elencare maghi e streghe con natali non propriamente magici che avevano fatto la storia, ma non mi sembrava corretto iniziare una discussione di tale portata. Non ne avevo le forze.
«Non ne dubito.» ridacchiò divertita. «Dopotutto, devi avere un carattere davvero interessante per aver attirato la simpatia di Lady Narcissa e la preoccupazione di Draco.» sorrise nel pronunciare quelle parole, ma sapevo che erano fiele. 
Avevo ben compreso il suo insinuare, ma non poteva essere il più lontano dalla realtà: non avrei mai potuto rabbonire la signora della casa per infilarmi nel letto del figlio. Il solo pensiero mi rendeva inquieta, e il velato attacco un po’ mi offese. Dissimulare: è ciò che ho imparato restando in quella casa. Lo facevano tutti, ed iniziai a farlo anch’io.
«Il coraggio e l’orgoglio non mi mancano, lo ammetto, ma da quando sono qui ho solo ricevuto ramanzine e punizioni severe, inflitte, per di più, dal signorino stesso per ordine della Lady.» dissi con lo sguardo fintamente perso, simulando un tono triste e risentito. Draco non mi aveva mai punito, nonostante sua madre avesse sentenziato la mia condanna.
«Oh, mi dispiace. Non lo sapevo.» si scusò, in qualche modo, ritornando ad essere più Astoria e meno Greengrass.
«E’ successo solamente un volta. La seconda è avvenuta per mano del … padrone stesso.» digrignai i denti, ancora rancorosa per ciò che quell’essere mi aveva fatto. Tremavo al solo ricordare quel dolore lancinante ed il calore che si propagava in ogni parte di conseguenza. Rabbrividii.
«Ora capisco perché hai tentato di scappare …» mormorò sospirando forte, muovendosi a disagio sulla poltrona, quasi come fosse lei la colpevole.
«Non è stata una mossa saggia, come potete vedere.» quasi rimproverai me stessa, per l‘ennesima volta, per essere stata così stupida. «Ma meglio non pensarci. Quel che è fatto è fatto.» sorrisi, continuando a dissimulare: avrei voluto urlare e strepitare, ma non sarebbe servito a nulla.
«Sì, hai ragione.» si riprese, tornando a sorridermi gioiosa ed assumendo nuovamente una posizione composta che più si addiceva ad una signorina come lei. «Ti ho portato una cosa, quasi me ne dimenticavo!» esclamò raggiante, voltando leggermente il busto verso destra cercando qualcosa dietro la sua schiena – qualcosa che ha tenuto ben nascosto da quando ha varcato la soglia. «Ecco a te, spero di non offerti con questo regalo.»
Abbassai lo sguardo verso le sue mani perfettamente curate: Astoria Greengrass mi stava porgendo un libro, e non uno qualunque. Era una fiaba babbana, un racconto che io conoscevo molto bene. La copertina doveva essere bianca in origine, perché si presentava ai miei occhi ingiallita ed invecchiata, il cui titolo, in un elegante corsivo stilizzato, brillava ancora di un leggero dorato: La Bella e la Bestia. 
Con mai tremanti, presi il piccolo libricino ed iniziai a sorridere come una stupida, come se davanti a me avessi un tesoro di inestimabile valore. In effetti, era davvero importante. Senza volerlo i ricordi di un’infanzia lontanissima cominciavano a tornare a galla, ed un senso di nostalgia prese pieno possesso del cuore. Mi mancava terribilmente il mondo non magico, desiderai raggiungere quella pace e quella spensieratezza che avevo quando ero a casa mia, una piccola villetta in un bel quartiere della Londra babbana. Più di tutto, però, mi mancavano i miei genitori. 
Accarezzavo la copertina con l’indice e il medio, saggiando la porosità della carta consumata e i dolci rilievi del titolo. Era come tornare indietro nel tempo, e ciò fece davvero male, perché avevo la consapevolezza che tutto era cambiato e che sarebbe stato sempre diverso con il passare del tempo.
«Ti piace?» chiese divertita ed un po’insicura.
«Lo adoro, signorina Greengrass.» dissi, seriamente rapita da quel dono. «Grazie.» mormorai quasi commossa, con il cuore pieno di una piacevole e calda emozione.
«L’ho comprato in una piccola libreria mentre ero in vacanza la scorsa estate. L’ho trovato per caso, tra possenti volumi di magia. Non so come abbia fatto a notarlo. Ho letto le prime righe e ne sono rimasta affascinata, così ho deciso che doveva essere mio. Ovviamente l’ho ben nascosto ai miei genitori.» disse divertita. «Una volta completato, me ne sono innamorata, tanto da leggerlo ancora!» esclamò così entusiasta da costringermi, in qualche modo, ad alzare lo sguardo su di lei: aveva gli occhi che brillavano di contentezza. «Quando ho saputo dell’accaduto … non so, ho trovato delle affinità. Spero di non essere stata inopportuna.»
«Assolutamente no.» sorrisi scuotendo il capo, felice di avere tra le mani qualcosa di nuovo da leggere (anche se conoscevo già la storia). «Al contrario: non potrei esserne più contenta. Mi riporta alla mente la mia infanzia.» abbassai il tono della voce, come lo sguardo, perdendomi a scrutare la bellezza di quel libro.
«Spero sia stata bella.» commentò con voce dolce.
«Lo è stata, nel bene e nel male.» risposi sorridendo nostalgica, senza mai distogliere lo sguardo dalla copertina: ero come ipnotizzata.
Pregustando già il momento in cui avrei iniziato a leggere quella storia, cominciai a riflettere su tutte le emozioni che quel dono aveva suscitato in me. E’ davvero difficile da spiegare, ma riuscii a sentire, per un breve momento, il calore di casa mia e la voce della mamma che, sorridendo, con tono basso, mi raccontava la storia di Belle e della Bestia cattiva nel castello. Mi sono sempre rispecchiata nella protagonista, e, in quel momento, le parole di Astoria presero a riecheggiare nella mente. Diceva di vedere affinità tra la storia e la mia vita, ed io non potevo darle torto: sono stata comprata e rinchiusa in un Manor, ho tentato di scappare e sarebbe andata davvero male se Draco non fosse venuto in mio soccorso, per di più quella notte fu per me il cambiamento di tutto. Ero ben consapevole che ogni cosa sarebbe stata diversa da quel momento in avanti, mi domandavo solo se sarei stata fortunata come la Bella …
«Mi chiedo se avrò mai lo stesso lieto fine.» senza nemmeno rendermene conto, esposi i miei dubbi continuando a fissare il libro, mormorando appena, più a me stessa che alla mia interlocutrice.
«Pensi a qualcuno in particolare?» chiese curiosa Astoria, riportandomi alla realtà, ricordandomi che anche lei era presente nella stanza.
«Sì, a qualcuno che non vedo da tempo …» confessai sorridendo, alzando la testa e guadandola dritta negli occhi. 
In verità pensavo a più persone, perché il mio lieto fine sarebbe stato ritornare dai miei amici sana e salva per combattere al loro fianco. Tuttavia, preferii tenerlo per me, non c’era bisogno che lei lo sapesse. Avevo già detto abbastanza, mi ero già esposta a sufficienza e non volevo, di certo, uscirne ferita.
Non saprò mai se quella conversazione avrebbe avuto o meno un seguito, perché in quel momento la porta venne velocemente – e brutalmente- aperta facendo voltare di scatto Astoria e me verso l’ingresso dove un sorpreso Draco Malfoy, con ancora una mano sulla maniglia, alternava lo sguardo da me alla sua futura sposa.
Non seppi decifrare il suo sguardo, notai solamente il volto rilassato contratto da un’espressione di perplessità. D’altronde, se ci fossi stata io al suo posto, avrei reagito allo stesso modo. Non so cosa stesse pensando, forse aveva paura che avessi detto qualcosa di sconveniente riguardo la mia identità o magari riguardo la nostra situazione, tuttavia la sua compostezza non permetteva una corretta lettura delle sue emozioni.
«Astoria, cosa ci fai qui?» chiese tranquillo, con la fronte corrugata – curioso della risposta- , chiudendo la porta dietro di sé con gesti secchi e decisi, ma terribilmente eleganti.
La signorina, messasi in piedi non appena il suo sguardo si fu posato sul  fidanzato, gli sorrise gentile e, avanzando di qualche passo, gli rispose: «Ero venuta a salutare Elizabeth e a farle un po’ di compagnia.» il tono di voce era basso, amorevole nei confronti del ragazzo tanto da farmi sentire un po’ a disagio. «E’ bello vederti, finalmente. Sei sempre così occupato.» sembrò rimproverarlo, sempre in modo dolce e tenero.
«Sai che ho da fare, Astoria.» le rispose secco, riservandole uno sguardo distaccato.
«Sì, lo so …» ammise debolmente, come delusa di quella risposta. «Stai molto bene, oggi. Il blu ti dona particolarmente.» continuò a parlare come una moglie devota al suo uomo. Io non sapevo cosa pensare.
«Bene.» ritrovò la sua allegria, voltandosi verso di me e sorridendo. «Io torno da mia sorella, di sotto. E’ stato un piacere parlare con te, Elizabeth.» fu cordiale e raggiante nel salutarmi.
«Anche per me, signorina Astoria.» le dissi sorridendo al suo stesso modo.
Per quanto, a tratti, la sua presenza mi abbia insospettito, è stato davvero piacevole parlare con qualcuno che non sia Draco Malfoy, che in quanto a comunicazione non era messo bene. E’ un uomo enigmatico, il principe del Manor, e comprenderlo non è facile. Non parlava mai più del dovuto, non mostrava mai le sue emozioni, era sempre pratico e rigido, dunque era davvero complicato stargli dietro.
La donna mi sorrise ancora una volta e poi si voltò verso Draco. Mi dava le spalle, perciò non potevo vedere la sua espressione, eppure ero sicura stesse guardando il suo promesso con tutto l’affetto di cui era capace, con l’amorevolezza usata nel parlargli precedentemente. Ebbi quindi la sicurezza che Astoria Greengrass ne fosse innamorata e, nel momento in cui lei gli si avvicinò per posargli un debole bacio sulla guancia, alzandosi sulle punte, capii, invece, che lui non provava niente. 
Nuova di questa consapevolezza, mi ritrovai a provare una certa empatia nei confronti della ragazza: un amore non corrisposto è la cosa peggiore che possa accadere ad una persona. Sapevo fosse un matrimonio combinato così da poter rafforzare il potere delle due famiglie, eppure Astoria stava investendo sentimenti che Draco non sentiva. Sperai non uscisse distrutta da quell’unione.
«Cosa vi siete dette?» la domanda del signorino arrivò quasi improvvisa per me, risvegliandomi dai pensieri, facendo scemare quel sentimento di cameratismo femminile.
«Suppongo volesse conoscermi perché, in qualche modo, teme che possa prendere il suo posto.» ribattei sincera, guardandolo avanzare nella mia direzione. Nemmeno mi ero accorta che la ragazza bruna fosse uscita di scena.
«Nel mio letto?»
«Nel tuo cuore.» risposi pronta, sorridendo davanti all’espressione realmente perplessa ed innocente di Draco. «E’ innamorata di te, Malfoy.»
Sospirò rumorosamente, chiudendo gli occhi per un attimo ed abbassando la testa. Poggiò una mano sui fianchi mentre l’altra corse tra il suo capelli dove rimase per qualche secondo, come se quella posizione lo aiutasse a pensare. Oppure lo aiutava a non farlo. 
Era bello, Draco Malfoy. Era di una bellezza elegante ed affilata, eterea per certi versi. Indossava un completo blu scuro, con camicia candida come la sua pelle, che metteva in risalto i suoi occhi azzurri e tormentati. Era un insieme di pericolo e sicurezza: a vederlo, a prima vista, appariva come un angelo che avrebbe fatto di tutto per proteggere, ma bastava scrutarlo meglio in viso e studiare la sua pelle macchiata di nero per capire quanto rischioso lui fosse. Egli era una perfetta contraddizione.
«E’ proprio una sciocca …» sussurrò scuotendo la testa, ritornando in posizione eretta.
«Gentiluomo come sempre.» mormorai alzando gli occhi al cielo, infastidita dal suo commento a dir poco inopportuno.
Nonostante l’irritazione, riportai lo sguardo su di lui. Mi stava già guardando con biasimo, per di più. Se ne stava con le mani sui fianchi a fissarmi con un sopracciglio alzato ed un ghigno beffardo disegnato sulla bocca sottile. In effetti, con me, cavaliere lo è stato, ma il mio orgoglio non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce. Ero riconoscente al ragazzo per avermi tolto dai guai e avermi guarito le ferite, e devo ammettere che in certi momenti le sue attenzioni mi facevano piacere in quanto, di solito, ero sempre io a prendermi cura di altri, ma nonostante ciò lui era sempre un Malfoy, un Serpente. Anzi, posso dire con certezza che era la mia Bestia.
«Ce la fai ad alzarti?» domandò ritornando serio, lasciando perdere il mio commento.
«Sì, perché?» chiesi a mia volta, curiosa.
«Seguimi.» disse semplicemente, senza nessun tipo di spiegazione. Era fatto così, e stavo imparando a conoscerlo ormai.
Lentamente, facendo leva sulle braccia, poggiate sui braccioli della poltrona, riuscii a mettermi in piedi. Il dolore alla gamba era pressoché sparito, ma a volte il bruciore tornava prepotente ed il male compariva ogni qualvolta mi sforzavo fino al limite. 
Non mi aiutò, il principe del maniero, ma era comunque presente nel mezzo della stanza, con gli occhi puntati su di me. Con il senno di poi, sono arrivata alla conclusione che Draco, benché non fosse vicino a me, era comunque pronto ad aiutarmi, a risollevarmi, qualora fossi letteralmente caduta.
Camminai piano, zoppicando un pochino, raggiungendo il ragazzo che, a grandi passi, era arrivato alla soglia d’entrata e aveva aperto la porta così da farmi passare senza nessuna difficoltà. Uscimmo in corridoio e, a piccoli passi, con Draco come guida, ci incamminammo al lato opposto dell'andito, superando le scale di servizio dell’ala est. C’era silenzio tra di noi, vi era solo il debole sussurrare e i fruscii dei quadri appesi alla parete. Non potevo scrutare il suo viso, ma dalla postura dritta e rilassata, capii che fosse tranquillo. Mi domandai il motivo. 
In quei giorni di reclusione non potei vagare per la casa, dunque non sentii discorsi razzisti, non sentii nemmeno le novità sul fronte politico e tanto meno potei leggere la Gazzetta per avere informazioni su Harry e l’Ordine. Pregai Merlino e Morgana che stessero tutti bene, e mi chiesi se Draco fosse così calmo perché qualcosa fosse successo. Non riuscivo più a vedere il bicchiere mezzo pieno.
Ci fermammo di fronte un’imponente porta di legno scuro intagliata nei bordi, decorata al centro con disegni astratti in rilievo. Niente di troppo elaborato, niente fronzoli inutili, solamente eleganza traspariva dalle ante. 
Non so per quale ragione, forse per la maestosità del tutto, pensai istintivamente che al di là della soglia ci fosse un luogo di raccoglimento, di pace e silenzio. Ipotizzai fosse uno degli studi in cui i signori della casa si rinchiudevano per meditare o per sbrigare i loro sporchi affari, e magari quello in cui ci accingevamo ad entrare era quello di Narcissa. Immaginavo già la raffinatezza degli interni e i vari passatempi in cui si dilettava la padrona della villa, tuttavia non comprendevo il perché Draco mi ci avesse portato. Sua madre non c’era, nessuno mi aveva avvisato di un suo rientro a casa.
Stavo formulando altre ipotesi, ovviamente più logiche, ma ogni mio pensiero venne bloccato dai movimenti del ragazzo che, sicuro di sé e con un leggero ghigno ad inarcare le labbra (lui non avrebbe mai ammesso che stesse, in qualche modo, sorridendo), spalancò, a due braccia, le ante possenti della porta. Non appena elaborai ciò che i miei occhi videro, spalancai la bocca estasiata: una biblioteca.
Sotto lo sguardo attento del mio accompagnatore, feci piccoli passi all’interno della maestosa stanza con lo sguardo che vagava in fretta da una parte all’altra. In quel momento, sorridendo come una stupida, con gli occhi spalancati per la sorpresa e lucidi per la strana emozione riportata a galla, ogni cosa sparì lentamente: non c’era più la guerra fuori da quell’inquietante casa, non ero lontana dai miei amici, non sentivo nessun dolore fisico perché non c’era stata nessuna aggressione, non percepivo nemmeno la presenza di Malfoy che continuava a fissarmi in silenzio. L’unica cosa che sentivo era una tremenda nostalgia ed una sensazione di familiarità che non provavo da anni, dall’ultima volta in cui ero stata ad Hogwarts. Ero completamente a mio agio, ero nel mio posto sicuro ed ero così grata a Draco per avermi dato un rifugio in cui scappare ogni qualvolta ne avessi voglia.
Feci dei veloci passi avanti ritrovandomi al centro della biblioteca, così avrei potuto guardarla nella sua interezza: vi erano alti scaffali di legno scuro, quasi nero, che arrivavano pressoché al soffitto i cui ripiani erano facilmente raggiungibili grazie a delle scale mobili e delle lunghe piattaforme, con parapetto finemente intagliato, su cui spostarsi; le larghe finestre a ridosso del soffitto permettevano alla luce del sole di illuminare in maniera perfetta l’intera camera, facendo quasi brillare il pavimento di marmo bianco con venature di grigio, al cui centro – proprio dov’ero io- si componeva lo stemma della famiglia Malfoy; decentrati, pressoché sotto le piattaforme ad entrambi i lati della biblioteca, vi erano delle poltrone dall’aspetto comodo, dal tessuto morbido e rosso, che accoglievano i lettori rifocillandoli durante la lettura. Si respirava un’aria misteriosa, antica, ed un odore di carta appena stampata aleggiava nell’aria. Era tutto meraviglioso!
«E’ … bellissimo, Draco!» esclamai ridacchiando felice, quasi senza fiato, voltandomi verso di lui.
«Ed è solamente una parte delle raccolte della famiglia Malfoy.» dichiarò tranquillo nascondendo le mani nelle tasche dei pantaloni, ritornando ad avere un’espressione quasi seria sul viso.
«C’è un’altra biblioteca?» chiesi sorpresa, sorridendo ancora di più, per la prima volta realmente interessata alle parole del ragazzo.
«I volumi più antichi sono conservati nella biblioteca dell’ala ovest.» rispose con un ghigno compiaciuto, avanzando verso di me lentamente, come a voler godere della mia espressione sempre più sbalordita.
«E’ stupefacente!» dissi ridendo, guardandomi ancora intorno, prima di riportare gli occhi su Draco. 
Si era avvicinato, quasi mi aveva affiancato, e forse per la prima volta mi soffermai a studiarlo, provai a capirlo, ed inevitabilmente le parole di Astoria mi ritornarono alla mente: anche la Bestia aveva portato la sua bella nella biblioteca del castello provando a conquistarla, perché l’unica cosa che voleva era renderla felice. Ero certa che Draco non lo avesse fatto per vedermi sorridere, ma forse per darmi un po’ di tranquillità da tutto il brutto che mi circondava. 
Lo guardai, incuriosita sempre di più, e dal modo in cui contemplava la stanza e dai sospiri sollevati che spezzavano appena il silenzio, arrivai alla conclusione che per lui quella stanza era una sorta di rifugio. E per quanto Malfoy ed io non avevamo nessun tipo di amicizia, sapeva benissimo, come tutta la scuola, quanto i libri mi piacessero e mi dessero pace. 
Fu un gesto estremamente gentile da parte sua condividere il suo posto speciale con me. Ne dedussi, alla fine, che per quanto fosse attivo e partecipe al regime in atto anche per Draco era difficile vivere in quella casa, in quella situazione; trovava sollievo nella biblioteca, magari con il naso affondato in un libro. Eravamo simili, dopotutto. Quella nuova consapevolezza mi scaldò inspiegabilmente il cuore.
«Grazie, Draco.» gli dissi sicura, attirando la sua attenzione, guardandolo negli occhi.
«Almeno così starai lontana dai guai.» ghignò divertito, dandomi le spalle per afferrare un possente volume da un tavolino da caffè.
«Non esserne troppo sicuro.» ribattei sorridendo, avvicinandomi allo scaffale di sinistra, esattamente al lato opposto in cui era lui.
«Temevo lo avresti detto …» sospirò drammatico scuotendo la testa.
Non gli distolsi mai completamente lo sguardo, studiando la sua espressione risposta dopo risposta, nonostante fosse di profilo. Sorrideva divertito, non era un ghigno, tanto meno beffeggiante, ma era un vero e proprio sorriso. Gli donava terribilmente.
«Bene, io ho delle cose da sbrigare.» disse attirando la mia attenzione, ritornando serio e imperscrutabile. «Prova a non farti male, Granger.» asserì, quasi esasperato, mentre voltava le spalle pronto ad andare via.
Non so cosa mi prese, forse fu l’emozione per quella sorpresa, oppure lo scambio di battute scherzose tra noi, o ancora i suoi sorrisi. Sta di fatto, comunque, che sentivo il desiderio di fermarlo, di godere ancora un po’ della sua compagnia. 
Era stato davvero gentile ed io mi sentii un pochino più legata a quella serpe. Alla mia Bestia.
«Sai …» iniziai a dire, guardandolo di sottecchi, mentre scorrevo il dito sul dorso di alcuni volumi – provando ad essere disinvolta. «Astoria aveva ragione.» a quella mia affermazione si bloccò proprio sulla soglia.
«A proposito di cosa?» chiese curioso voltandosi verso di me, con un tomo ben stretto in una mano.
Mi voltai piano anch’io, incatenando i miei occhi ai suoi e, per un momento, mi ci persi - erano di una bellissima tonalità di azzurro, dovetti ammetterlo. Cominciai a sorridergli, fronteggiandolo, senza avere la minima paura di essere derisa: «Quel colore ti dona particolarmente.»
Draco mi guardò stupito, in un primo momento, poi scosse la testa e, borbottando un «Donne, chi le capisce!», lasciò la stanza con passi veloci ma estremamente eleganti, nascondendo perfettamente il suo imbarazzo. Lo avevo preso alla sprovvista e non aveva idea di come ribattere al mio inaspettato complimento – era ciò che realmente pensavo, in effetti. 
Risi ripensando alla sua espressione sconcertata e, come fu per la Bestia e Belle, sapevo, sentivo, che le cose, da quel momento in poi, sarebbero state diverse. 

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Capitolo 15
*** 14 - The Truth ***


«The Truth.»

Ricordo fossero gli ultimi giorni di Novembre quando Narcissa Malfoy ritornò a casa.
Fui avvisata da Draco stesso, il giorno prima, quando come ogni pomeriggio veniva in camera mia per controllare le ferite e assicurarsi che assumessi le giuste medicine per ristabilirmi completamente. Era meticoloso nel suo lavoro, seppur improvvisato, di Medimago, ma sapevo benissimo che dovevo ringraziarlo per ciò che stava facendo: grazie a lui sono guarita in poco tempo. Era un ottimo pozionista e, per di più, era un perfezionista, dunque anche curarmi divenne una questione di principio; ne andava della sua reputazione.
Da quel piacevolissimo momento in biblioteca la situazione tra lui e me si era inspiegabilmente appianata: avevamo smesso di litigare. I toni accesi e l'acredine nella voce scomparì del tutto facendo, invece, posto ad un punzecchiarsi amichevolmente, ad un simpatico stuzzicarsi . C'erano molti sorrisi, per la maggior parte trattenuti, dopo le nostre "discussioni". 
Ancora oggi, non capisco come sia stato possibile arrivare ad un equilibrio tra noi due, così diversi per carattere, così differenti per modi di pensare. Iniziai a scoprire lati nuovi di quel ragazzo, parti di lui che non avevo mai visto, ed uno di quelli potei vederlo con i miei occhi nel momento in cui la signora del Manor tornò dalla Scozia.

Era una mattina scura come le altre, ed io stavo decisamente meglio, trepidante di poter uscire dalla stanza e fare qualcosa di utile (se posso definire "utile" servire il nemico). Il freddo si percepiva in ogni parte della villa, ma diventava sempre più intenso nell'avvicinarsi all'entrata principale. Il grande portone era aperto e la temperatura bassa entrava, senza nessuno ostacolo, all'interno della dimora facendomi rabbrividire. Io ero lì, come anche un paio di elfi, con gli occhi fuori dalla magione osservando la carrozza della donna avvicinarsi lenta alla casa. 
Alzai gli occhi al cielo, scrutandolo: grosse nuvole grigie e spesse preannunciavano pioggia, l'umidità mi attaccava alla pelle, e a causa di ciò, il freddo penetrava dentro le ossa. Decisamente non il giorno migliore per un ritorno; pregai non fosse un presagio nefasto.

La carrozza incantata arrivò finalmente davanti al portone. Il cocchiere, lo stesso uomo slanciato e magro che condusse Draco e me in quella casa ormai tre settimane prima, scese dall'alto sedile imbottito e, a lenti passi, si diresse verso lo sportello della struttura. Con movimenti eleganti del braccio, a testa alta, lo aprì e, dal piccolo e comodo cubicolo, ne uscì una donna bellissima, con un sorriso appena accennato sulle labbra: Narcissa Malfoy era vestita di un lungo abito blu di velluto che scendeva ondeggiante, quasi, fino ai piedi e le spalle e le braccia erano riparate dal clima rigido grazie ad un altrettanto lungo cappotto nero – almeno fino al ginocchio- adornato intorno al collo di una pelliccia grigio scuro. Non mi soffermai molto sui dettagli del vestiario della donna, ciò che mi colpì fu il volto: la carnagione era pallida, non malaticcia come tempo addietro, e sulle gote vi era un naturale rossore che denotava una salute di ferro; gli occhi scuri erano privi di quel velo di tristezza che avevo visto opacizzarli non appena arrivata in quella casa e l'espressione, come mostrava il sorriso appena accennato ma spontaneo, era decisamente più rilassata. La signora davanti a me era molto diversa da quel pallidissimo fantasma che si aggirava per il Manor con le occhiaie profonde, la finta compostezza ed il sorriso tirato, per non parlare della stanchezza che le si leggeva in volto senza nessun tipo di sforzo. Tutto era pressoché scomparso e, onestamente, ne ero contenta. Quella donna non meritava tanto dolore per le scelte del marito e del figlio. A quei tempi non l'avrei mai ammesso né ad altri né a me stessa, ma mi stavo pian piano legando a quella donna. Solamente dopo tanto tempo, dopo tutto, riuscii a capire quanto lei fosse importante, se non indispensabile.

«Bentornata, mia signora.» dissi sorridendo non appena avanzò verso l'ingresso, abbassando il capo in segno di rispetto (la riverenza era fuori discussione ... ed anche imbarazzante).

«Grazie, Elizabeth.» mi rispose cordialmente distaccata, senza mai perdere quel sorriso pressoché beffardo. «Sono davvero contenta di essere a casa.» continuò fermandosi esattamente di fronte alla sottoscritta, (non degnando nemmeno di uno sguardo gli elfi che si prodigavano per prendere i grandi bauli della donna) mentre toglieva con estrema eleganza dei guanti neri di lana rasata.

«Vi trovo davvero bene.» sussurrai decisa, pregando non si offendesse per il mio commento – se così fosse stato avrei subito l'ennesimo rimprovero, niente che non potessi sopportare.

«Sì, mi sento benissimo.» confermò alzando gli occhi dalle sue mani e guardandomi intensamente. «Dunque preparati a sgobbare il doppio, cara Elizabeth.» affermò intransigente, alzando il mento in segno di superiorità senza, però, smettere di sogghignare.

«Sono qui per voi, signora Malfoy.» ribattei prontamente, abbassando il capo per qualche attimo e sorridendo di rimando – la lontananza aveva rinvigorito anche il suo carattere.

«Madre!»

La voce di Draco Malfoy riempì tutto l'atrio di ingresso, rimbombando tra le parenti tanto l'esclamazione fu forte e il tono profondo. 
La signora del maniero ed io ci voltammo verso l'arco che affacciava sul corridoio principale ed un alto ragazzo biondo, il principe della casa, entrò nel nostro campo visivo. Aveva lo sguardo puntato verso la madre, accennando ad un sorriso vero e sentito, fissandola con tenerezza e felicità nel vederla. Indossava una camicia bianca i cui primi bottoni erano slacciati, dei pantaloni neri di alte sartoria che fasciavano bene le gambe lunghe e delle scarpe classiche dello stesso colore; i capelli erano liberi da brillantina e, poiché leggermente più lunghi rispetto a due anni prima, qualche ciocca ricadeva ondulata sulla fronte alta. Vi era un debole rossore sulle guance, che unito al sorriso sincero, gli davano un aspetto più umano e piacevole – non ricordava il ragazzino viziato che era stato, non ricordava nemmeno l'algido servo del Signore Oscuro. 
In quel momento, mentre avanzava con passi lunghi e veloci verso il suo genitore, riuscii a scorgere il vero Draco. A quel tempo, tuttavia, credevo fosse solamente una mia personale illusione, poi capii, proprio quel giorno, quanto lui tenesse alla donna.

Egli, in maniera gentile e composta, avvolse la madre in un abbraccio stretto e pieno di amore. Il ragazzo, più alto di diversi centimetri, stringeva il corpo della donna in una morsa ferrea e decisa, come se avesse timore di perderla. Gli occhi di Narcissa brillarono nell'attimo in cui si rifugiò tra le braccia del figlio, poi abbassò le palpebre per godere a pieno la sensazione di calore e premura.
Nel guardarli insieme, così bene in quell'abbraccio, un fastidioso nodo allo stomaco andò formandosi, sempre più intenso, provocandomi una sensazione di oppressione e malessere generale: il cuore iniziò a battere forte per la malinconia, il fiato spezzato dal pianto che voleva a tutti i costi palesarsi, la gola gonfia di singhiozzi repressi e parole non dette, la mente piena di tantissimi ricordi piacevoli con i miei genitori, che in quel momento non ricordavano della mia esistenza. Per quanto sia sempre stata una persona indipendente, la mancanza di figure forti come mia madre e mio padre era terribilmente forte, e guardare quella manifestazione di affetto mi provocava un'immensa nostalgia. 
Feci un profondo respiro chiudendo gli occhi per un momento, cercando di ricompormi ed ingoiare la voglia di piangere e mandare via ogni tipo di sensazione. Dissimulare.

«Sono davvero contento siate tornata, madre.» la voce bassa di Malfoy attirò la mia attenzione distraendomi da pensieri tristi.

Avevano sciolto l'abbraccio, madre e figlio, ma continuavano a guardarsi negli occhi con lo stesso amore e la stessa tenerezza di poco prima. Draco non si allontanò totalmente dalla donna: teneva le mani ben salde sulle sue spalle e lei di conseguenza, probabilmente per non mettere fine al contatto intimo con la prole, ne stringeva delicatamente i polsi. Erano davvero belli insieme, erano uno spettacolo inaspettato: seppur carico di contegno, potei percepire l'affetto tra i due, cosa che non credevo potesse esistere in tutta la bruttezza che mi circondava.

«Anch'io sono felice di essere di nuovo a casa, Draco.» mormorò sorridendo amorevolmente. «Come stai?» chiese interessata, posando piano una mano sulla sua guancia.

«Sto bene, e vedo che anche voi vi siete ripresa.» rispose debolmente, quasi le stesse confidando un segreto.

«Sì, è vero.»

«Ne sono felice.» sorrise annuendo, assumendo un'espressione seria, senza mai perdere quella dolcezza solo a lei riservata. «Se non vi dispiace, adesso torno a lavoro, madre.»

«Va pure, caro. Ora andrò di sopra a riposare un po'. Il viaggio è stato davvero lungo.» ribatté la donna senza mai staccare gli occhi dal volto sereno del ragazzo, orgogliosa di ciò che aveva davanti – come ogni mamma, d'altronde.

«A più tardi.» dichiarò convinto lasciando un piccolo bacio sulla guancia pallida di Narcissa, prima di allontanarsi da lei e dalla sua stretta rassicurate. «Elizabeth.» disse solenne per congedarsi dalla stanza, con una gentilezza ed una morbidezza nella voce che mai avevo sentito prima di allora, in maniera educata, proprio come imponeva la sua educazione da nobile.

Per qualche attimo l'atrio rimase in silenzio, scandito solamente dai passi celeri di Draco che lasciava sua madre e me dietro le spalle – gli elfi avevano fatto ciò che gli spettava ed erano andati via, lasciando noi due donne da sole.
Fu strano vedere il giovane Mangiamorte in atteggiamenti amorevoli nei confronti dell'algida Narcissa, ma non potrei negare di aver provato una sensazione di fierezza: finalmente mi rendevo pian piano conto di quanto il ragazzino viziato e borioso fosse sparito per far posto ad un uomo – di soli diciannove anni- più maturo e consapevole. Cominciavo ad apprezzarlo sul serio, ed era davvero strano fare certi pensieri su di lui, su quel giovane che mi aveva tante volte presa in giro. Le persone cambiano, dopotutto, dovevo solamente capire fino a che punto lo fosse realmente.

«Bene!» esclamò la signora sospirando forte, sorridendo altezzosa, portando il suo sguardo nel mio. «Allora, Elizabeth, gli elfi hanno portato i miei effetti personali nella Camera D'Avorio, dunque va di sopra e disfa i bagagli e poi porta tutto in lavanderia.» comandò autoritaria, con il mento in alto e l'espressione orgogliosa disegnata sul volto. «Fa attenzione che quelle ... bestioline non tocchino i miei vestiti, conto su di te.» istruì puntandomi un dito contro, diventando seria in un attimo. «Ora, prima di ritirarmi, ho delle questioni da ... discutere con mio marito. Puoi andare ed iniziare i tuoi compiti.»

Detto ciò, mi voltò le spalle ed attraversò, con estrema eleganza, a passi misurati, lo spazioso ingresso così da poter raggiungere Lucius. Potrei scommettere che, sull'ultima frase, gli occhi le si accesero di una scintilla particolare e l'espressione le si trasformò da dura a provocante. Ero più che certa ( e lo sono tutt'ora) che i due padroni del maniero non avrebbero parlato affatto. 
Scossi il capo sgranando gli occhi: non volevo immaginare una possibile passione tra i due. Avevo i brividi solamente a pensarci. Tuttavia, ragionandoci su, mentre andavo verso le scale per salire al primo piano e poi al secondo ed adempiere ai miei doveri, quel particolare riguardo marito e moglie, il loro rapporto, mi confuse non poco: Narcissa Malfoy, fino a qualche tempo prima, era debole, talmente fragile da non riuscire nemmeno a produrre il più semplice degli incantesimi e tutto a causa della cieca lealtà nei confronti dell'uomo che aveva sposato e delle scelte prese dal figlio dopo essere stato iniziato alla parte oscura. Dunque mi chiesi, anche a ragione, come fosse possibile sopportare tutto quel dolore, come fosse possibile amare così tanto un uomo tanto da accettare la propria condizione. Ero ben consapevole che i Malfoy avevano potere e libertà di azione in quel regime di terrore, ma non comprendevo come lei potesse ancora amare Lucius. 
Non potevo capire, in quel momento, quanto l'amore vero legasse due persone in maniera quasi indissolubile. Lo appresi solamente tempo dopo, nel peggior modo possibile.

Nel frattempo che la mente si perdeva in elucubrazioni riguardo l'amore e si sorprendeva per la devozione di quella donna forte e autoritaria, ero arrivata alla camera della signora ed avevo preso ciò che era destinato al lavaggio. Feci tutti quei movimenti assorta nei pensieri, quasi in manieri meccanica, completamente concentrata nel valutare quanto gli atteggiamenti di Narcissa fossero giusti o meno. 
Afferrai gli abiti tra le braccia e, con non poca fatica – ormai completamente concentrata sui miei compiti-, ritornai al piano terra percorrendo il lungo corridoio dell'ala est arrivando alle scale che conducevano al vestibolo antistante alle cucine. Proprio lì, sulla parete sinistra, vi era l'entrata posteriore che mi avrebbe condotto alla lavanderia, ma prima sarei dovuta passare per il Cortile Della Fontana. Il nome diceva tutto: lo spazioso ambiente aperto era curato alla perfezione, con aiuole verdissime da cui spuntavano meravigliosi fiori di tutti i tipi con colori sgargianti (potevo solo immaginarne il profumo) ed al centro vi era una fontana monumentale di un marmo lucido la cui rappresentazione mi riportava alla mente le sculture ellenistiche. In effetti, mi fermai a scrutarla - nonostante avessi un grande cumulo di vestiti tra le braccia-, incantata dalla bellezza e dalla raffinatezza con cui erano state scolpite le statue e, soprattutto, mi incuriosiva l'allegoria rappresentata che riprendeva miti puramente babbani. Suppongo, tuttavia, che i Malfoy non fossero immuni allo splendore della Grecia antica. La fontana poteva dividersi un tre parti differenti: una prima parte consisteva nella raffigurazione di Zeus, padre di tutti gli dèi, che stringeva in una mano una folgore, innalzato su di una piattaforma di marmo con lo sguardo severo posto alle figure in basso; una seconda parte riproduceva una serie di dèi minori, disegnati perfettamente in ogni dettaglio, i cui corpi si intrecciavano per tutta la rotondità della struttura (non so ben dire chi fossero, non seppi identificarli con chiarezza in quel momento); una terza parte, l'ultima, consisteva in una semplicissima vasca in cui veniva raccolta l'acqua che zampillava da piccole aperture poste nella parte superiore del monumento. 
Socchiusi gli occhi assottigliando lo sguardo, perplessa da ciò che stavo guardando. In un primo momento non capii perché quella scelta di personaggi, ma poi all'improvviso, come un fulmine, arrivai alla soluzione: il dio supremo dell'Olimpo simboleggiava i maghi purosangue – la folgore era la magia- che, dall'alto della loro superbia, guardavano coloro che avevano ereditato le stesse proprietà divine ma con delle eccezioni. Quegli dèi intrecciati, con lo sguardo fiero ma piegati sotto la potenza del Superiore, figuravano i Mezzosangue, coloro che non erano maghi per discendenza. 
Nonostante la meraviglia del gruppo scultoreo, mi sentii un po' offesa da quella rappresentazione. Bellissima, però oltraggiosa.

Scossi la testa roteando gli occhi, infastidita, così decisi di riprendere il percorso verso il retro della cucina, dove era collocata la lavanderia, lasciando i pensieri scivolare via insieme all'indignazione. Quei tipi di considerazione non mi aiutavano ad andare avanti. 
Avanzai a passi sicuri nella piccola stanzetta dai pavimenti e dalle mura di un bianco splendente le cui uniche macchie di colore erano gli elfi che, indaffarati, si spostavano da un parte all'altra per lavare ed asciugare i vestiti degli abitanti del maniero. Senza dar fastidio a nessuno di quegli esserini, poggiai gli abiti della signora su di un lungo ripiano di marmo nero posizionato esattamente davanti all'entrata della stanza. Lasciai tutto nelle abili manine degli elfi – Narcissa non sarebbe mai venuta a saperlo.

Mentre attraversavo la soglia di uscita della lavanderia, uno strano odore di cui prima non mi ero accorta (forse non c'era nemmeno) iniziò ad aleggiare nell'aria, non troppo lontano da dove ero. Benché non riuscissi ad identificarlo, aveva qualcosa di tremendamente familiare, qualcosa che avevo sentito più e più volte, qualcosa che mi riportava inevitabilmente indietro nel tempo, a momenti decisamente leggeri e spensierati. Era l'odore di una pozione che sobbolliva, ne ero sicurissima: gli effluvi non erano proprio gradevoli, ma si riusciva a percepire nell'aria una corrente di aria calda che non poteva appartenere al clima rigido di novembre. 
Mi guardai intorno e notai, per la prima volta, un piccolo edificio indipendente, dunque separato dal resto dell'abitazione, eppure non così lontano dal retro delle cucine. Lo stile non si discostava da quello del Manor, ma era di dimensione decisamente ridotte rispetto al corpo centrale. Mi accorsi che una finestrella di quella struttura era aperta cosicché gli odori delle pozioni non soffocassero chiunque le stesse preparando.

Ero davvero curiosa di scoprire chi ci fosse in quella stanza, ma avevo davvero timore che si trattasse di Lucius e dunque non azzardavo ad avvicinarmi. Tuttavia, decisi di chiedere informazioni ad un elfo appena uscito dalla lavanderia. Quasi con timore, mi rispose che a trascorrere molto tempo nella stanza dei calderoni era il giovane Malfoy. Addirittura, mi raccontò di quando una volta restò per giorni chiuso in quell'edificio per completare una mistura difficilissima che, alla fine, portò a termine con risultati stupefacenti.

Ringraziai la creaturina e, nuova di questa informazione, decisi di entrare nel regno di Draco Malfoy con tutta la sicurezza che mi contraddistingue. Non avevo paura di lui, si era dimostrato corretto nei miei confronti, a tratti anche gentile, dunque ero certa non mi avrebbe fatto del male. Al massimo mi avrebbe rivolto battutine pungenti portandomi a perdere la pazienza, o magari mi avrebbe cacciata bruscamente, ma nulla di più. 
A testa alta, arrivai davanti alla semplice porta di legno scuro del tutto chiusa. Provai a spingerla con forza pregando Morgana fosse aperta: fui fortunata. Mi immersi, immediatamente, in un ambiente pressoché cupo, illuminato da un alto candelabro incantato appeso al soffitto e composto da tante candele che, per certi versi, mi ricordava quelli di Hogwarts. Vi era luce abbastanza forte da mostrare gli altissimi scaffali di legno intorno alle pareti alla mia destra in cui erano contenute diverse boccette piene di pozioni, tenute al sicuro da un'anta di vetro con i bordi di legno. Davanti questi ripiani, vi era una larga penisola la cui struttura era dello stesso materiale dei primi, ma la copertura era in muratura chiara su cui erano poggiati un paio di calderoni e delle boccette vuote. Invece, di fronte a me, vi era uno stretto arco scavato nella pietra che conduceva ad un piano sotterraneo da cui proveniva l'odore e il calore sentiti nel cortile poco prima. Senza indugiare più del dovuto, avanzai verso le piccole scale di pietra e scesi cercando di non fare troppo rumore: non sapevo come Draco avrebbe reagito alla mia incursione.
Mi fermai un attimo sugli scalini una volta che il ragazzo entrò nel mio campo visivo: mi dava le spalle ed era poggiato con una mano sul ripiano davanti a sé (dello stesso materiale di quello presente nel ripostiglio di sopra), la schiena era leggermente ricurva sul calderone in peltro mentre mescolava con la mano destra il composto, la camicia bianca aderiva al busto a causa dell'umidità formando una seconda pelle molto sottile, i capelli biondi erano ondulati per il vapore proveniente dal pentolone. Era davvero molto concentrato su ciò che stava facendo poiché non si accorse dei miei passi sempre più vicini. Sorridevo, passo dopo passo, ripensando ai momenti di lezione di due anni prima.

«Quindi questo è il tuo rifugio, Malfoy.» commentai segnalando la mia presenza, facendomi più vicina alla sua figura.
Lui parve non sentirmi, forse era così focalizzato sulla pozione da non aver nemmeno percepito la mia voce. Decisi di continuare: «Sembra di essere nei sotterranei di Hogwarts: il calore che sembra attaccarsi alla pelle e l'odore di ingredienti non ben identificati.»

«E' rassicurante.» ribatté calmo, senza degnarmi di uno sguardo ma perpetuando il suo compito. 

«E' vero ...» ammisi sorridendo nostalgica, poggiando la schiena contro il ripiano su cui stava lavorando, esattamente al suo fianco: riuscivo a sentire il calore della fiamma sotto il calderone.

Incrociai le braccia al petto e, nel silenzio, approfittando della quiete del ragazzo e della sua decisione di non mandarmi via, iniziai a guardarmi intorno curiosa: la stanza dei calderoni (era appunto lì che cuocevano le pozioni) era completamente di pietra, apparendo quasi come un sotterraneo vero e proprio dove le pareti erano spoglie e il pavimento era lastricato, al cui lato destro delle scale vi era un basso mobile le cui ante erano aperte mostrando calderoni di materiali e dimensioni differenti, nella parte opposta, invece, vi erano degli alti ripiani a ridosso del muro su cui vi erano custoditi in dei barattoli le componenti per le pozioni; dietro di me vi era il palco su cui Draco Malfoy faceva sfoggio della sua maestria: un grande e lungo banco la cui base di appoggio era fatto di marmo occupava la parete opposta all'entrata su cui il ragazzo preparava le sue misture, lunghe provette negli appositi sostegni, riempite di pozioni quasi fino all'orlo, occupavano ordinatamente e perfettamente in fila l'uno accanto all'altra, ed anche l'una davanti all'altra, la parte destra del piano, poggiate contro il muro. 
Quelle fiale attirarono la mia attenzione tanto da voltarmi a scrutare attentamente ogni mistura di colore e consistenza diversa.

«Pozione Ossofast ...» cominciai ad elencare indicando una pozione dal colore bianco e dalla consistenza liquida. «Parecchia Pozione Ossofast!» commentai ridacchiando scuotendo piano la testa. «Questo è ... Veritaserum o Distillato della Morte Vivente, entrambi utili nel tuo caso.» considerai spostando gli occhi da una pozione all'altra, tutte e due limpide come l'acqua. «Pozione Dorata: illegale – non che mi aspettassi qualcosa di diverso-, ma valida per le maledizioni ...»

«Come la conosci?» chiese sorpreso – suppongo si fosse voltato verso di me curioso, ma non posso dirlo con certezza dato che mantenevo lo sguardo fisso sulle pozioni.

«Reparto Proibito.» risposi tranquilla alzando le spalle, come se entrare in quella sezione delle biblioteca ad Hogwarts non fosse, appunto, proibito. «Pozione Polisucco ...» affermai incerta osservando curiosa i composti color fango. «Tantissima Polisucco.»

Ero a dir poco perplessa. Tutto ciò che avevo sotto gli occhi serviva ai Mangiamorte per portare avanti i propri piani, eppure c'era qualcosa che non quadrava: mi chiedevo perché mai loro avessero bisogno di cambiar volto con la Polisucco se avevano il pieno controllo della realtà e mai nessuno andava contro il regime esistente, mi domandavo perché tanto Veritaserum se bastasse un Cruciatus per far parlare i nemici (o almeno quelli non pronti a morire), mi chiedevo perché il Distillato Della Morte Vivente fosse in così grandi quantità per la stessa motivazione della Polisucco. C'era decisamente qualcosa che non tornava, e avevo tutta l'intenzione di capire cosa stesse succedendo. Però dovevo andarci piano.

«A proposito di questa pozione ...» iniziai rivolgendomi a lui, poggiando il fianco destro contro il banco e incrociando le mani al petto, riferendomi all'ultima mistura citata. «Voglio sapere come ti sei procurato il capello della ragazza a cui ho rubato l'aspetto?» domandai sorridendo beffarda, prevedendo già la sua probabile risposta.

«No, non vuoi saperlo.» ghignò ironico spegnendo il fuocherello sotto al calderone, spostando quest'ultimo sul retro del banco.

«Quindi ... è per le tue abilità di pozionista che Tu-Sai-Chi vi ha perdonato.» affermai sicura, ritornando ad essere seria ma usando un tono basso e cauto – non avrei mai voluto si chiudesse a riccio privandomi di risposte.

«Perspicace.» ribatté secco, voltandosi completamente verso di me guardandomi serio, nascondendo le mani in tasca.

Lo fissai per alcuni secondi, attimi importanti per leggere gli occhi chiari di quel ragazzo – che nulla aveva di quel bambino odioso di anni fa. Non riuscii a comprendere molto, per certi versi era una persona enigmatica e autoritaria, padrone delle proprie emozioni, come ci si aspetta da un Malfoy. Eppure nelle sue iridi azzurre, che in penombra com'eravamo apparivano di un grigio scuro, potei leggervi il leggero divertimento nello scambio di battute, ma allo stesso tempo la fermezza di non far trasparire più del concesso, e dalla sua espressione capii che non provava disgusto nei miei confronti. Benché sia sempre stato brusco nei modi, mi ha rispettata fino alla fine, ed anche il quel momento: mi guardava con rispetto, come se stesse chiacchierando con un suo pari. Ammetto che quel gesto mi piacque, e nemmeno poco.

«Tuttavia, le sentinelle al di fuori del Manor vi tengono d'occhio.» continuai allo stesso modo di poco prima, senza mai distogliere lo sguardo dal suo. «Lucius ha minato più volte la fiducia del suo padrone ...» i pensieri scivolavano dolcemente fuori dalla mia bocca in maniera pacata e riflessiva, ma al contempo sicura: non ho mai avuto paura di lui.

Non rispose e tanto meno la sua espressione mutò. Non capii come influirono le mie parole su di lui: magari era furioso, però la sua educazione gli imponeva uno sguardo neutro, oppure ... era davvero indifferente alle mie giustissime deduzioni.
Avevo intuito tutto non appena gli occhi mi si erano posati sulle gran quantità di miscugli. In più li preparava alla luce del sole, senza nascondersi ... il che significava essere dalla parte del giusto – era autorizzato a farlo. Eppure, nonostante quelle mie consapevolezze, ero certa ci fosse qualcosa di Draco che non riuscivo a cogliere.

E mentre ci guardavano, ci sfidavamo, con lo sguardo cercando di captare il più possibile dell'altro, un gesto ed una smorfia del ragazzo mi incuriosirono non poco, mettendomi subito in allerta: con una mossa veloce, ritirò la mano dal pantalone e sul viso si disegnò un'espressione appena accennata di dolore.
Irritato da ciò che aveva fatto – che mi aveva appena mostrato- strinse i denti irrigidendo, di conseguenza, la mascella facendo apparire i tratti del volto ancora più spigolosi – ma piacevoli. 
Draco aveva qualcosa in tasca, dunque di piccolo, che gli aveva fatto male. C'erano poche probabilità che, quello custodito, fosse un Asticello o qualche animaletto poiché restava comunque uno schizzinoso viziato. Dunque cosa poteva mai essere? E poi, d'improvviso, i galeoni nel cassetto della sua scrivania mi tornarono in mente. E capii ogni cosa.

«Dammelo.» dissi sicura porgendogli il palmo della mano, pronta ad afferrare l'oggetto. «Mostramelo, Draco.»

Senza dire nulla, tirò fuori dalla tasca un galeone d'argento e, delicatamente, lo poggiò sulle mie dita. Il metallo era ancora caldo, ma andava raffreddandosi veloce per l'incanto ad esso annesso. Non avrei mai creduto possibile che loro comunicassero ancora in quel modo.

«Sono stata io ad incantare un galeone per la prima volta, al quinto anno, per comunicare con i membri dell'Esercito di Silente.» sussurrai piano tenendo gli occhi fissi sulla moneta e perdendomi, per pochi attimi, in bellissimi ricordi in cui eravamo tutti insieme: Harry, Ron ed io.

«Sì, me lo hanno accennato.» mormorò – non alzai la testa per guardarlo.

«Sai ...» sospirai forte abbassando le palpebre e scuotendo la testa per qualche secondo, cercando di elaborare ciò che mi si era appena palesato davanti. «Di tutte le ipotesi a cui ho pensato ... questa era quella che ho scartato a priori.» parlai piano posando con un gesto stanco la moneta sul banco ed alzando, poi, la testa così da poter fissare Draco negli occhi. «Tu sei uno di noi ...» dirlo ad alta voce, fissando le iridi azzurre, era a dir poco incredibile. «Tu sei una spia per l'Ordine, per Harry ...» continuai sorpresa, sempre più sbalordita.

«Sapevo ci saresti arrivata, prima o poi.» commentò lui serio, senza mai distogliere lo sguardo; era rilassato, quasi sollevato.

«Ora tutto ha un senso: le tue uscite notturne avvengono per incontrare Harry, tutti quei giornali nel tuo ufficio sugli attacchi ai Mangiamorte ... sono attacchi i cui piani erano basati sulle informazioni passate da te! E poi ... il sacchetto di galeoni sono solo una piccola precauzione qualora dovessi fuggire, e alla fine ci sono io: quando mi hai comprata e portata qui, in realtà, lo hai fatto per proteggermi ed hai continuato a tirarmi fuori dai guai perché, se mai dovessi rimanerci secca, poi la colpa cadrebbe su di te. L'Ordine non te lo perdonerebbe mai ...»

«Ottima osservazione, Signorina Granger.» ghignò divertito, ricordandomi il modo in cui sorrideva perfido anni addietro.

«E hai fatto tutto per tua madre.» completai sorridendo sconcertata – mi sentivo pressoché svuotata. «Non posso crederci!»

«Che io abbia un cuore?» domandò pronto, irritato dalla mia ultima esclamazione.

«Che tu possa andar d'accordo con Harry!» ridacchiai divertita, lasciando perdere il tono e lo sguardo riservatomi pochi istanti prima.

«E' strano, in effetti.» ritornò calmo, provando a trattenere un sorriso, ponendo di nuovo le mani in tasca.

«Da quanto va avanti questa collaborazione?» iniziai con la prima domanda, terribilmente curiosa di conoscere i particolari.

«Circa un anno.» ribatté deciso.

«Non sei da solo, vero?»

«Credi davvero che ti risponda?» disse alzando un sopracciglio in una palese espressione di perplessità e sorpresa; sapevo fosse retorico.

«No, ovviamente. Devi tutelare gli altri, in fondo è pericoloso ciò che stai – o state- facendo.» replicai da me. «E poi ... capisco che tu abbia deciso di rischiare la vita per tua madre, ed è una motivazione più che ottima, ma mi chiedevo ... se almeno un po' lo fai anche per te.» azzardai a domandare, mordendomi il labbro inferiore per l'incertezza.

«Cosa vuoi sentirti dire?» m'interrogò freddo e duro, cambiando umore in maniera repentina; ero consapevole si sarebbe comportato così: indifferente, in modo da tenere a bada i suoi sentimenti.

«Solo la verità.»

«Siamo tutti egoisti, Granger, non prendiamoci in giro.» ribatté lapidario, lanciandomi uno sguardo freddo e quasi ammonitore.

Annuii, preferii non fargli notare la sua mancanza di risposta diretta ed il suo modo di sviare l'argomento, ma mi feci bastare la sua risposta: seppur in maniera indiretta aveva, comunque, affermato un pizzico di egoismo in quell'impresa. Ad essere onesta, non avrei avuto nulla da dire in caso avesse ammesso il desiderio di voler pensare a se stesso, se mai avesse avuto paura di essere giudicato. Avrei compreso alla perfezione, invece: in una realtà del genere, quella che lui stava vivendo, nessuno avrebbe voluto averci a che fare; scappare, in quel caso, non lo vedevo come un atto di vigliaccheria, bensì come un modo per sopravvivere. Forse, trovandomi nella sua stessa situazione, avrei fatto esattamente lo stesso. 
Alla fine, Draco Malfoy non era cattivo, né tanto meno meschino, come voleva apparire tempo fa. Ero consapevole che qualcosa lo avesse cambiato, ma doveva già germogliare in lui il disagio nel militare tra le fila dei Mangiamorte. Azzardo nel dire che, forse, non abbia mai voluto davvero diventare un servo del Signore Oscuro, ma il suo destino era scritto e gli insegnamenti impartiti hanno, poi, fatto il resto. Mi ripromisi di non giudicarlo più.

Nel silenzio caduto tra di noi, tutt'altro che scomodo, ognuno immerso nei propri pensieri, una domanda mi sorse spontanea: "Se Harry e Draco collaborano ... perché mai io sono ancora al Manor?"
Non aveva senso essere ancora rinchiusa in quelle mura quando il ragazzo davanti a me sapeva bene come contattare il mio migliore amico e, dunque, accordare un incontro tra noi due. L'unica spiegazione era che Harry non voleva nessun confronto con me, al momento, e ... forse ero anche riuscita a capire il perché.

«Lui non si fida di te, vero? E' per questo che sono ancora qui ...» esposi senza esitazione la mia idea, sorridendo amara.

«Per ora è meglio così.» rispose enigmatico, addolcendo un po' lo sguardo ma rimanendo sempre molto serio.

«Scommetto non voleva nemmeno che sapessi del tuo ruolo in tutto ciò ...» sospirai scuotendo la testa, abbassando gli occhi verso il pavimento provando ad elaborare le molte informazioni appena acquisite.

«Lui non voleva, ma io sì.» ammise tranquillo, sorprendendomi non poco – di fatti alzai subito la testa e lo guardai interessata. «Sarai anche una fastidiosa saccente, ma non potrei mai negare la tua intelligenza. Sarebbe da stupidi.»

«Mettermi al corrente ti avrebbe aiutato, certo.» annuii pienamente d'accordo, ritrovando l'orgoglio ed alzando il mento, cercando di riprendermi dalla notizia secondo cui Harry non voleva vedermi.

«Esattamente.» commentò indifferente, come se non mi avesse fatto un complimento poco prima – non era proprio da lui.

«Bene ...» sospirai rumorosamente, ormai satura di informazioni; mi sentivo stranamente spossata. «Dimmi solo se ... se stanno bene.» chiesi con il cuore in gola, percependo gli occhi pizzicare per le lacrime che, inspiegabilmente, pretendevano di uscire ma che ricacciai indietro con forza.

«Sono vivi, Granger.» sussurrò cupo senza mai smettere di guardarmi serioso.

Gli credetti subito, non mi stava mentendo. 
Annuii sorridendo appena e espirando bruscamente ancora una volta, cercando di calmare tutte le emozioni che, al solo intendere i miei amici, iniziarono a riempire il petto. 
Nonostante tutto, nonostante l'incertezza della mia situazione, in quel momento mi sentii stranamente protetta: Draco era dalla mia parte ed ero certa che non avrebbe permesso a nessuno di farmi del male per non rischiare l'ira dei miei amici. Era bizzaro provare determinati sentimenti nei suoi confronti, come la sicurezza ed il sollievo di vederlo accanto a me, ma alla fine li accettai tutti, uno per uno, perché era la cosa migliore da fare. Avrei trascorso con lui chissà quanto tempo e, prima o poi, mi sarei dovuta lasciare andare. Solo non sapevo quanto, in futuro, mi sarei lasciata andare.

«Meglio che vada, adesso.» dissi sorridendo, tornando ad essere la solita forte Hermione.

Non rispose, fece solo un cenno nella mia direzione prima che mi incamminassi verso l'uscita. Tuttavia, come successe per la biblioteca, qualcosa mi fece fermare a pochi passi dalle scale di pietra: avevo una cosa da dirgli e non avrei perso, di certo, l'occasione. Ormai il filo rosso del destino ci stava legando, ed io lo sentivo, però non ho mai fatto nulla per reciderlo davvero. Innocentemente, credevo fosse una connessione dovuta a quello che stavamo vivendo acuita da ciò che mi aveva appena confessato. Per Merlino, quanto mi sbagliavo!

«Sai Malfoy ...» iniziai a parlare voltandomi verso di lui, mordendomi il labbro inferiore per trattenere uno stupido sorriso. «Sei davvero sorprendente.» continuai di getto, senza pensare minimamente a cosa lui potesse dirmi – rischiavo, dopotutto, di farmi dare della stupida pazza.

Per un attimo, lessi perplessità ed incredulità sul suo viso – ovviamente non avrebbe mai pensato potessi rivolgergli un complimento, ma se lo meritava. Poco dopo lo vidi stringere la mascella tentando di non ridere e portare le braccia al petto incrociandole, ed i suoi occhi si accesero di divertimento. Di fatti mi rispose con un sorriso sulle labbra sottili, un sorriso che non avevo mai visto prima in lui:

«E te ne stupisci?»

«Assolutamente sì!» esclamai ridacchiando allegra, trascinandolo quasi a gioire platealmente con me. 
Poi tornai seria in un attimo, mentre un pensiero mi attraversò la testa riportandomi alla conversazione di prima – che mai realmente se ne andò dalla mente: «Puoi dir loro che mi mancano tanto?»

«Lo farò.» rispose ritornando anche lui ad essere severo in volto.

«Grazie.» sospirai sollevata. Prima di andarmene, tuttavia, avevo ancora una cosa da dirgli: «E tu ... sta attento, Draco.»

Detto ciò me ne andai, privandomi della sua reazione, ma avevo bisogno di allontanarmi da quel luogo – da lui- per poter riflettere su ciò che avevo appena appreso riguardo Malfoy ed i miei amici, riguardo ciò che avevo capito su me stessa. L'idea che lui potesse essere scoperto mi preoccupava, benché non fosse da solo in quell'affare di tradimento, poiché qualora fosse andato via io sarei rimasta col fianco scoperto, con l'appoggio di nessuno. Tuttavia, avevo timore anche per la sua persona: si era dimostrato gentile e ... dovetti ammettere che mi sarebbe davvero dispiaciuto non averlo più intorno.

Sì, necessitavo assolutamente di rimanere da sola rintanata nella mia stanza.

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Capitolo 16
*** 15 - Bad memories ***


«Bad memories.»

«Questa sera si terrà una festa in onore di Lady Malfoy e voi, signorina, siete stata assegnata al servizio nel Salone da Ballo.» un elfo anziano, il cui nome mi era del tutto ignaro, si presentò in camera mia quella mattina esordendo in questo modo. «Ma prima dovrà occuparsi della signora ed adempiere ai suoi doveri.» continuò con il mento ed il lungo naso appuntito all'insù. Con uno schiocco di dita sparì com'era apparso: all'improvviso.

Mi ero svegliata da qualche minuto e la mente non ancora lucida – nonostante fossi, oramai, abituata ad esser ridestata al mattino presto- fece fatica ad elaborare quelle informazioni. Tuttavia, più trascorrevano i minuti, più l'intorpidimento del sonno scompariva ed io più comprendevo cosa avrebbe comportato una festa a Malfoy Manor: ci sarebbero stati Mangiamorte ovunque, mi sarei ritrovata circondata dal nemico. In un primo momento provai una sgradevole sensazione di panico, chiedendomi come avrei fatto a sopportare solo la vista di quegli assassini che mi avrebbero guardata con disgusto. Nell'attimo successivo, però, mi imposi la calma, provando a controllare il battito accelerato del cuore, e riflettei con tranquillità: certo, sarebbe stato pericoloso per me ritrovarmi in una stanza piena di servi dell'Oscuro Signore, ma quell'evento sarebbe potuto essere molto vantaggioso per carpire informazioni da Mangiamorte boriosi e fieri del loro operato. E poi, pensai, con Draco nei paraggi non dovrei rischiare moltissimo.

Rincuorata – un pochino- da quell'ultimo pensiero e colma di determinazione, mi preparai per quella giornata che si prospettava decisamente lunga. 
Ed occupandomi dei miei impegni da ancella di Narcissa Malfoy, mi ritrovai a guardare fuori dalla finestra, nella mia stanza, gli ospiti che arrivavano alla magione. La sera era calata, ma potevo benissimo riconoscere i "nobili" arrivati per festeggiare il compleanno della padrona di casa. Individuai i Greengrass al completo mentre avanzavano tranquilli verso il grande portone di ingresso con addosso i loro vestiti eleganti – mi ricordavano un tempo passato ma decisamente affascinante. Notai che tutti gli ospiti indossavano vesti pregiate cucite con stoffe lussuose ed iniziai a riflettere anche su questo: nonostante i Malfoy non fossero più ai vertici della comunità magica, i loro ... amici Purosangue accorrevano in molti per i festeggiamenti con sorrisi luminosi sui volti e apparentemente senza problemi. Osservando la sfilata di Mangiamorte e famiglia, mi domandai se l'erede di quell'antica casata non ne avesse risollevato il nome al punto tale da essere stati riconsiderati degni di appartenere alla nuova – e oscura- società magica. Ancora non potevo credere alle rivelazioni di quel ragazzo. Draco Malfoy stava facendo il doppio gioco da quasi un anno e nessuno, apparentemente, aveva il minimo sospetto. Ovviamente, nonostante il suo silenzio, capii perfettamente che non fosse da solo ad operare sotto copertura, eppure quando ripensavo alla sua confessione non potevo non sorprendermi ogni volta. Era diventato un uomo dalle mille risorse, non c'era nulla da dire. D'altronde, contro ogni mia aspettativa, la famiglia Malfoy mi aveva sorpreso molto volte – Lucius a parte.

Continuai a guardare tutte quelle persone attraversare il giardino d'entrata e, al contempo, desideravo che l'Ordine fosse lì per imprigionarli tutti e mettere fine, almeno in parte, al clima di terrore al di fuori di quelle maledette quattro mura. Essere reclusa era fastidioso, ma dopo l'incidente con Greyback e le sorprendenti rivelazioni di Draco avevo messo in un angolo la mia voglia di libertà, sperando di conquistarla presto con l'aiuto del giovane.

«Signorina!» la voce acuta di Alf mi fece sussultare per lo spavento. «Alf non voleva metterle paura, ma la signorina deve darsi da fare in cucina: gli ospiti sono arrivati.» continuò a parlare mesto, con le orecchie verso il basso e torturandosi le mani nervoso.

«Arrivo subito, Alf.» risposi sorridendogli, distogliendo l'attenzione dalla vetrata e, dunque, dagli invitati. 
Anche lui, come l'elfo di questa mattina, sparì con uno schiocco accompagnato dall'inconfondibile suono della Smaterializzazione.

Sospirai rumorosamente chiudendo gli occhi per qualche attimo, provando a trovare il coraggio tipico della casa Grifondoro, quella temerarietà che mi aveva contraddistinta per tutti gli anni ad Hogwarts e che aiutò Harry con la ricerca dei frammenti dell'anima di Voldermort; cercai di restare calma tentando di scacciare l'angoscia dal petto e la brutta sensazione di una catastrofe imminente dallo stomaco.

Alzai le palpebre, ormai pronta ad affrontare qualsiasi cosa ci fosse stata in quel salone e qualsiasi persona presente al ricevimento. Avevo solamente un unico scopo quella sera: cercare informazioni riguardante i miei amici, ipotetiche notizie che Draco non mi aveva ancora dato. 
Forte di quella convinzione, decisi di uscire dalla camera e raggiungere, a passi veloci e a testa alta, le cucine nella parte nord dell'ala est. Lungo il corridoio si sentì riecheggiare della dolce e lenta musica, unita al mormorio degli ospiti e ai sussurri eccitati provenienti dai quadri nell'andito principale – quello che conduce all'ingresso. Attraversai il braccio orientale del Manor attenta a qualsiasi rumore, avvicinandomi di poco alle porte delle varie stanze che ne costellavano il lato destro: il Salottino Orientale era vuoto e lo stesso per la Sala dei Fumatori, ma riuscii a percepire un chiacchiericcio nella Sala Colazione.

Lentamente, non prima di aver voltato il capo in ogni parte del corridoio assicurandomi di essere sola, accostai alla porta chiusa da cui provenivano le voci e vi poggiai su l'orecchio; chiunque fosse in quella stanza non doveva essere lontano dalla soglia d'ingresso. Erano sicuramente un uomo ed una donna che discutevano, in maniera composta, riguardo qualche ospite forse non troppo gradito, ma riuscii a comprendere solo sprazzi di conversazione: 
«... dille di contenersi, e non mi riferisco solamente al suo comportamento.» riconobbi subito il tono sprezzante della donna: la padrona di casa, nonché la festeggiata.

«Credi sia nella posizione di poter fare richieste, moglie?» chiese irritato l'altro, alzando di poco il tono – riuscii a sentire perfettamente quella domanda da parte del marito Lucius Malfoy.

«Non m'importa se siamo o meno nella posizione, ma in quel salone c'è tutta la nobiltà magica più influente e pretendo che stia al suo posto, insieme a quegli altri sudici assassini!» esclamò nervosa la donna. Non avevo mai sentito Narcissa Malfoy infervorarsi in quella maniera, e tanto meno avrei creduto possibile che parlasse in maniera plateale contro i colleghi di suo marito.

«Abbassa la voce!» la rimproverò subito lui. «Ricordi che anche tuo marito è come loro?»

«Lo ricordo eccome!» rispose arrogante – immaginai la fierezza nel suo sguardo mentre teneva testa al suo sposo. «E sai benissimo cosa penso di te e della situazione in cui ci hai messo. Per Morgana, se non fosse stato per Draco ...»

«Cosa stai insinuando, donna? Che sono un incapace?» ribatté arrabbiato il Lord del maniero punto sul vivo.

«Sto dicendo che hai reso tutti noi degli schiavi!»

«Come osi?!»

Dopo l'ultima esclamazione, mi allontanai dalla porte velocemente, come se fossi rimasta scottata. Non erano informazioni utili quelle appena sentite e, per di più, erano questioni personali che proprio non mi interessavano. Tuttavia ebbi l'ennesima conferma dell'intolleranza di Lady Black in Malfoy riguardo il regime vigente ed anche del ruolo di Draco all'interno della famiglia stessa, nonché della società. L'unica novità davvero importante era l'ostilità di Narcissa nei confronti di qualcuno presente alla sua stessa festa, qualcuno appartenente alla schiera dei Mangiamorte. In quel momento la brutta sensazione allo stomaco non fece che acuirsi.

Scossi la testa, provando a non pensare a ciò che avevo sentito, provando a mettere un freno alla strana empatia che sentivo nei confronti della donna. Sono sempre stata incapace di odiare davvero, a parte qualcuno in particolare, ed ascoltare una conversazione dove il marito non dava il giusto peso ai timori della sua sposa, paure pienamente giustificate, mi scatenava rabbia – avrei voluto lanciare contro quell'uomo uno Schiantesimo, di quelli forti, per metterlo a tacere.

Strinsi i pugni, imprimendo il segno delle corte unghie nei palmi, cercando di mantenere la calma: non mi riguardava quella questione. Così, dopo aver sospirato piano, rilasciando tramite la bocca un po' di irritazione, voltai le spalle alla porta incamminandomi verso le cucine dove gli elfi mi stavano aspettando: in quel momento era il mio posto.

Senza volgere attenzione a quella porta, a ciò che avevo lasciato, salii i gradini di pietra che mi avrebbero condotto nelle cucine. Attraversai la soglia con decisione, spingendo il pesante battente di legno e richiudendolo immediatamente dietro di me – non avrei mai voluto un'altra ramanzina da Tabby. Sgranai gli occhi davanti allo spettacolo che mi si presentò in quella stanza: tutte le piccole creaturine erano in fermento; camminavano da una parte all'altra della grande cucina, indaffarati nel preparare le pietanze per gli ospiti della festa. Non avevo mai visto tanti elfi insieme e nemmeno credevo che il Manor ne avesse un alto numero – anche Alf stava dando un aiuto, pelando delle patate (almeno credo lo fossero). Mi chiesi quale fosse la ragione della mia presenza.

«La signorina è in ritardo!» mi riproverò Tabby, venendo a grandi passi verso di me a testa alta – come se non mi temesse. «I camerieri sono tutti nel Salone, mancate solo voi!»

«Camerieri?» domandai perplessa, abbassando il capo volgendo l'attenzione verso quell'esserino.

«I signori non volevano gli elfi nella stanza.» rispose diretta, abbassando le lunghe orecchie appuntite e guardandomi con occhi tristi e lucidi.

«Capisco ...» ribattei annuendo, dandomi della stupida per non averci pensato prima: alla festa "esclusiva", di certo, creature sudici come loro non avrebbero partecipato; gli invitati sarebbero stati disgustati di fronte alla presenza degli elfi, non sia mai si fossero sporcati i vestiti costosi e pacchiani indossati per quell'occasione. «Cosa devo fare?» chiesi di conseguenza, rassegnandomi all'evidenza.

Tabby mi voltò le spalle e, con uno schiocco di dita, fece galleggiare due vassoi nella mia direzione: su di uno vi erano dei piccoli dolcetti di cioccolato, probabilmente delle Ciocconocciole, e sull'altro dei Zuccotti di Zucca di un bel colore arancione con glassa colorata dai gusti, sicuramente, diversi. Avevo immaginato sarebbero state servite pietanze raffinate dai gusti particolari e atipici, invece mi ritrovai a dover "mettere in tavola" quei dolci che, tempo prima, avevo mangiato anche ad Hogwarts. Certo, erano presentati in maniera elegante e minimalista, ma la sostanza era ciò che di più semplice ed umile c'era.

La genuinità è apprezzata anche dai palati sopraffini ... e boriosi, pensai mentre afferravo il cabarè di pasticcini, cercando di tenerli ben stretti tra le mani, pregando Merlino e Morgana di non inciampare provocando disastri. 
Feci un profondo respiro e, determinata, mi avviai verso l'uscita principale della cucina. Ero concentrata, tanto da camminare in maniera lenta per mantenere l'equilibrio. Tuttavia, una voce roca ed alta quasi mina la mia stabilità fisica – avevo fatto tante cose nella vita, ma mai la cameriera. Mi voltai verso i fornelli dove un elfo femmina, leggermente ricurva sulla schiena e dal fisico più pieno degli altri, assottigliò gli occhi e puntò il dito nella mia direzione con un'aria di disapprovazione.

«Cosa fa la signorina!» mi rimprovera mentre poggia le mani sui fianchi, cinti da un piccolo grembiule sporco. «Dovete entrare dal retro!» gracchiò antipatica dall'alto del suo gabellino, utile per poter cucinare agevolmente.

«Devo uscire dal cortile?» domandai sconcertata, rabbrividendo solo al pensiero del gelo che mi avrebbe colto una volta messo piede fuori dall'edificio.

«Sì.» rispose pronta Tabby. «Come ha detto Indra!» continuò orgogliosa, con il naso all'insù.

«Adesso dovete andare o i signori si arrabbieranno.» mi incalzò Indra puntandomi il dito contro.

Sospirai sconsolata, poco desiderosa di attraversare il Cortile della Fontana con una camminata lenta e cadenzata attenta a non far danni coi maledetti vassoi. Senza protestare, comunque, arrivai alla porta sul retro e, prima di oltrepassarne la soglia le orecchie captarono un commento proveniente proprio da Indra – la sua voce tonante e roca l'avrei riconosciuta tra tante.

«Feccia.»

Feccia. Sanguesporco. Schifosa Mezzosangue. Insulti a cui sono sempre stata abituata; ingiurie che lo stesso Draco Malfoy, quello che stava collaborando con Harry per salvarsi la pelle, mi rivolgeva prima della guerra. Ero quasi immune a quel tipo di calunnie e da un'elfa anziana come Indra, probabilmente cresciuta in quella casa, un po' me lo aspettavo. Era già tanto che mi rivolgesse la parola senza offendermi. Eppure esisterà in eterno una parte di me che resterà ferita ogni volta che quegli insulti verranno pronunciati.

A testa alta, lasciandomi alle spalle quel commento inopportuno, oltrepassai quanto più velocemente possibile il cortile, sentendo il freddo aggrapparsi alle mani e al viso arrossandomi la pelle. Non ci badai, l'unico mio obbiettivo era arrivare al coperto e più mi focalizzavo sul freddo e l'umidità più rischiavo di tremare e far cadere i vassoi sul bellissimo prato verde. Dovevo solo concentrarmi.

Per fortuna la porta posteriore dell'ala ovest era socchiusa, così riuscii a sgattaiolare all'interno rapidamente, non senza difficoltà. Con il piede, e grazie a tanta abilità, accostai l'anta di legno al battente senza chiuderla davvero e, con un grande respiro, attraversai il corridoio ritrovandomi davanti una possente porta di legno nero spalancata – non mi fermai a notare i dettagli, ero troppo impegnata a non inciampare.  Camminai attraverso l'ampia stanza dei ritratti, dipinti di antenati delle casate Malfoy e Black. Non badarono a me, nessuno mi degnò di uno sguardo poiché erano troppo impegnati a godersi la musica o ridacchiare tra di loro. Ne fui felice, almeno non avrei sentito altre offese alla mia persona, non credo sarei riuscita a sopportare senza ribattere.

Attenta, arrivai al Salone da Ballo, ma ... non appena misi piedi in quella stanza la paura si insediò in ogni parte di me ed i brutti ricordi mi invasero la mente, non dandomi pace. Non badai ai festoni dorati appesi leggiadri tra i lussuosi lampadari d'epoca, non mi accorsi della musica dolce che allietava i balli degli ospiti, non mi resi conto delle luci gialle che animavano quella stanza, non sentii i chiacchiericci e le risate riecheggianti tra le pareti riccamente decorate, né mi stupii per il pavimento di marmo pregiato, non feci attenzione ai volti sorridenti delle persone che mi circondavano ... almeno non a tutti. Solo un viso mi era terribilmente familiare e spiccava inquietante tra la folla di nobili e Mangiamorte: i suoi occhi erano ancora più neri dell'ultima volta, più folli, le labbra sottili erano piegate in un ghigno terrificante, i lunghi capelli scuri le scendevano ribelli lungo le spalle ed il vestito che indossava era nero come il marchio che portava sul braccio destro, nero come il suo cuore. La risata di quella donna risuonò chiara nella testa, mescolata alle mie urla strazianti, ed il dolore per le sue torture parve risvegliarsi. I suoni e le persone scomparvero, rimanemmo solamente io, lei e la sua bacchetta in una stanza scura. Bellatrix Lenstrange ghignava verso di me con l'arma sguainata ed una Maledizione Senza Perdono venne pronunciata dalla sua bocca: ero ritornata a due anni prima, in quella maledetta sala insieme a quella maledetta donna.

Divenne tutto sfocato, la paura divenne sempre più forte ed il cuore rischiò di uscire dal petto tanto batteva forte; ansimavo perché l'aria cominciò a mancarmi e la gola diventava più secca secondo dopo secondo. Percepii solamente il continuo tremare delle gambe e delle mani. Ero talmente scossa, nel corpo e nell'anima, che i vassoi, a cui ero stata così attenta, caddero sul prezioso pavimento con un sonoro rumore metallico, un frastuono imponente tanto da far voltare un bel po' di gente – almeno quelle più vicino a dove ero.
Qualcuno sussurrò maldicenze al proprio partner senza togliermi gli occhi di dosso, qualcun altro mi guardava perplesso ed altri ancora provavano semplicemente disgusto e non ebbero nemmeno la decenza di nasconderlo.  Ero terrorizzata, gli incubi in cui quella donna mi torturava ricomparvero e mi fecero rabbrividire. Angoscia e paura, non provavo altro in quel momento. Tremavo moltissimo ed avevo i muscoli rigidi e per un attimo credei di svenire per il tumulto interiore, tanto ero debole.

Quella volta, al contrario di qualche tempo prima, potei scappare. Mi voltai, senza guardarmi indietro e senza curarmi di ciò che era successo, e tornai indietro a passi sempre più veloci. Mi accorsi di correre quando sentii dei borbottii provenire dai ritratti che commentavano la mia fuga. Non capii quel che dissero, ma non m'importava. L'unica cosa che desiderassi era rifugiarmi in camera e restare sola per le prossime ore, cercando di inventare una scusa plausibile con i signori della casa – sperai non mi punissero per ciò che avevo fatto.

Avevo bisogno di aria e fuori la temperatura era perfetta: il gelo mi avrebbe dato una svegliata ed avrei iniziato a tremare per il freddo e non a causa della rabbia, o almeno speravo fosse così. Dunque, senza pensarci troppo, aprii brusca la porta sul retro e mi inoltrai nel Cortile della Fontana, ignorando i leggeri passi dietro di me. 
Arrivai alla monumentale fonte e mi fermai, senza aver prima barcollato un po' a causa del dolore al petto. Poggiai le mani sulla bassa vasca sentendo il freddo del marmo bianco sotto ai palmi. Chiusi gli occhi ed il buio mi avvolse. Cercai di regolarizzare il respiro, ma ogni qualvolta l'aria mi arrivava ai polmoni il petto doleva. Il volto di Bellatrix riuscivo a vederlo anche da dietro le palpebre chiuse, potei sentire nuovamente la sua risata risuonare in testa ed il ricordo della Maledizione Cruciatus divenne sempre più reale. Il male allo sterno si acuì a quel pensiero e la cicatrice al braccio prese a pizzicare come la prima volta, il respiro mi si mozzò e gli occhi mi si riempirono di bollenti lacrime. Stavo avendo una crisi di panico in piena regola e non sapevo proprio come uscirne; nemmeno l'aria gelida di novembre poté aiutarmi. Dovevo concentrarmi su altro.

«Granger!» il mio cognome rimbombò nel freddo cortile, tra il leggero vento quasi invernale.

Non risposi al suo richiamo poiché la voce mi arrivò come un leggero sussurro. Riconobbi il tono sicuro di Draco, ma in quel momento dargli retta era l'ultima cosa che volevo. 
Non so se continuò a chiamarmi perché io non sentii nulla se non il rumore del mio stesso respiro affannato ed il tremore che mi scuoteva le membra. Suppongo che il mio ignorarlo lo avesse irritato dato che, con una mossa quasi brusca, mi sentii afferrare per un braccio prima e voltata verso di lui dopo. Non riuscivo a muovermi, ero letteralmente inerme tra le sue mani mentre il cuore mi scoppiava nel petto.

«Granger.» mi richiamò nuovamente con tono vacillante, quasi preoccupato. Io però non lo degnavo nemmeno di uno sguardo, non potevo davvero. «Andiamo Granger!» tentò di scuotermi, a parole e fisicamente, ma non riuscii a reagire.

D'un tratto percepii il gelo sparire dalle guance. Alzai gli occhi nella sua direzione e mi resi conto che a scaldarmi erano le sue mani: i palmi pallidi erano poggiati delicati sulla mia faccia e le dita affusolate si muovevano in maniera impercettibile in un moto molto piacevole, quasi mi provocava solletico. 
Non avevo fatto caso a lui nella stanza, prima. Non avevo fatto caso a niente che non fosse sua zia pazza, in realtà. Guardandolo, pensai che fosse davvero bello: indossava un completo di alta sartoria, forse creato proprio su misura, di colore grigio ... un grigio molto simile ai suoi occhi nell'oscurità della notte, come in quell'esatto momento; aveva i capelli più corti rispetto all'ultima volta in cui l'avevo visto ed una leggera barba contornava la mascella affilata, leggermente più scura del colore della chioma, in contrasto con la pelle d'avorio. Era affascinante, dovetti ammetterlo a malincuore. Ciò che mi stupì, tuttavia, fu sentire il panico scemare; a poco a poco la crisi svanì, veloce così come era arrivata. L'unica cosa che continuai a sentire era il batticuore, ma d'altronde non potevo pretendere che scomparisse del tutto data la portata della reazione avuta. 
Lo guardavo negli occhi, attenta ad ogni movimento, ed ero confusa, mi sentivo svuotata e debole; era come se assistessi alla scena dall'esterno, non ero padrona del mio corpo e dei miei pensieri. Era strano.

«Calma.» sussurrò lentamente, senza mai perdere il contatto con il mio sguardo.

Era serio in volto e, nonostante la delicatezza con cui si era approcciato a me, percepivo freddezza e distanza. La sua voce decisa mi risvegliò una forte rabbia e, all'improvviso, non vidi altro che la causa di tutti i miei guai; il ragazzo che la guerra aveva reso maturo si era dissolto lasciando il posto al Mangiamorte figlio di Mangiamorte. Draco aveva lasciato il posto a Malfoy.

«Lasciami!» urlai irritata allontanandomi dalla sua calda stretta, spingendolo bruscamente. Tornai a sentire freddo, fuori e dentro.

«Per Salar, ma che ti prende?» domandò terribilmente infastidito dal tono rivoltogli e dalla ingratitudine mostrata.

«Mi stai prendendo in giro!» esclamai arrabbiata, facendo un passo nella sua direzione; le mani prudevano e reclamavano una bacchetta. «In quella maledettissima stanza sono stata torturata e quella pazza di tua zia è qui!» sputai tutto d'un fiato, sentendo di nuovo il cuore pulsare veloce. «Che diamine ci fa lei qui!» dissi nervosa, con voce tremante e mani nei capelli. Sentivo il panico invadermi ancora una volta e la disperazione riempirmi il cuore. Non ero al sicuro, dovevo allontanarmi da lì.

«Devi calmarti o avrai un'altra crisi, Granger, per l'amor di Merlino!» esordì a denti stretti, segno che la pazienza lo stava abbandonando.

«Non dirmi di stare calma, Malfuretto!» gli puntai un dito contro, insultando come un tempo facevo a scuola; non avevo più il senso della realtà, era la paura a guidarmi. «Non ho chiesto il tuo aiuto e tanto meno lo desidero! Voglio solo andare il più lontano possibile dalla tua famiglia.» la voce iniziò ad incrinarsi seriamente e le lacrime si intrappolarono tra le ciglia. «Voglio solo andarmene ...» sussurrai, ingoiando la voglia di liberare un pianto inconsulto ed infinito. Nonostante ciò, stille calde solcarono il visto incontrollate, senza che io lo volessi. Non avrei mai voluto piangere ancora davanti a lui, ma davvero non riuscivo a controllarmi.

«Non puoi, e lo sai.» rispose pacato, parlando con cautela – come se fossi io la pazza da tenere sotto controllo.

«Non ho bisogno che tu me lo ricordi.» parlai a denti stretti mentre le lacrime scendevano copiose e la rabbia diventava sempre più viva. « E NON PROVARE AD AVVICINARTI!» gridai con foga, spaventata, nell'attimo in cui Draco avanzò di qualche passo, forse nella speranza di farmi ragionare. «Ne ho abbastanza della tua razzista famiglia. Ne ho abbastanza di averti tra i piedi. Sono stanca di essere rinchiusa come fossi una prigioniera e di essere insultata per le mie origini. Ne ho fin sopra i capelli di tutto questo, Draco, e quando me ne andrò non risparmierò nessuno. E la prima a perire sotto la mia bacchetta sarà quella folle di tua zia!» 

«Stai delirando.» commentò pratico, guardandomi con serietà; aveva indossato la solita maschera di indifferenza e non capii cosa provava in quel momento, alle mie parole.

«Fottiti, Malfoy!» imprecai a voce alta, con il battito ancora troppo accelerato e la voglia di urlare dolore e paura intrappolati nella gola, con il fiato corto e gli occhi gonfi di lacrime amare, con il petto colmo di tristezza e frustrazione.

Senza aspettare una sola parola, gli voltai le spalle e corsi verso la porta posteriore della cucina, nell'ala orientale del maniero. Mi richiamò ancora e ancora una volta prima che la sua voce sparì dietro le spesse mura della stanza. Attraversai il corridoio in pochissimi secondi e salii le scale che conducevano al primo piano in un lampo. Arrivai in camera mia altrettanto velocemente.
Tutte le cattiverie dette a Draco le pensavo davvero, perché ero stanca di tutto, ma non avrei mai potuto uccidere qualcuno a sangue freddo – non ero come loro. L'idea di ammazzare la mia carnefice era allettante e la mia vendetta voleva essere assecondata, però non avrei mai avuto il coraggio di farlo. Meritava di marcire ad Azkaban in una cella al freddo e al buio, con i crampi allo stomaco per la fame e la mente annebbiata dalla solitudine.

Sapevo bene che non avrei dovuto urlare contro Draco, ma lui era lì e non ho potuto fare a meno di lasciarmi andare, di nuovo. Quel ragazzo scatenava emozioni fin troppo forti, emozioni non sentite prima d'ora. In quel momento non sapevo se fosse un bene o un male, ero terribilmente confusa e spaventata ed ero ben consapevole che quella notte gli incubi si sarebbero ripresentati. A niente sarebbe servito piangere e urlare, dimenarmi e sfogarmi rompendo tutto ciò che avevo davanti. Ormai Bellatrix era rientrata nella mia vita ed io non potevo far nulla per allontanarla.


.SPAZIO AUTRICE.

Allora, sono passati esattamente due mesi dall'ultimo aggiornamento ed io mi scuso, come sempre, per il ritardo. Cercherò di scrivere anche il continuo il prima possibile perché so bene che questa parte è di passaggio, ma ci voleva un po' di tempesta dopo la quiete. Sta di fatto che il prossimo capitolo sarà il preludio ad una serie di momenti Dramione che so adorerete. Tranquilli, non saranno smielati - anche perché con il caratterino di quei due sarebbe impossibile. 

Bene, miei carissimi amiciui, lasciate un commento per farmi sapere cosa ne pensate. RICORDATEla vostra opinione è importantissima! 

AH, una cosa importante. CERCATE DI NON MORIRE: vi posterò una foto di Draco, come l'ho immaginato per la festa di Narcissa. 


STAY TUNED FOR THE NEXT CHAPTER!

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Capitolo 17
*** 16 - A bad feeling. ***


«A bad feeling.»

Il clima al di fuori di quelle tristi mura era sempre più gelido, Dicembre era ormai alle porte, e l'unica modo per non morire assiderati in quella tenuta era restare nei pressi dei camini presenti in casa. Il cielo era grigio e prometteva neve; il sole nascosto dietro le coltri di nuvole spesse. L'atmosfera al di fuori e il nervosismo all'interno del maniero non preannunciavano, di certo, un giornata gioiosa. 
Era pomeriggio inoltrato quando Lady Malfoy ed io ci rintanammo nella Sala da Pranzo, dove erano soliti – i padroni- consumare i pasti. La stanza era posta vicino all'ingresso principale e le finestre regalavano il panorama cupo dell'immenso cortile antistante il Manor. Guardai la volta oltre gli spessi vetri ed una certa malinconia mi attraversò, una tristezza mi si aggrappò al cuore senza un apparente motivo. Tuttavia, non ero l'unica ad essere giù di morale: qualcosa turbava la mente di Narcissa, l'avevo notato. Eppure in quel momento non me ne curai, troppo presa dai miei pensieri, dai ricordi amari che quella giornata grigia aveva riportato alla mente.

C'era una quiete molto tesa tra la padrona e me, una tensione tale da poterla sentire sulle spalle, pesante. Ella leggeva, apparentemente tranquilla, comodamente seduta sul divanetto in pelle nera posto esattamente di fronte alla grande vetrata, nella parte occidentale della stanza rettangolare; io mi ero collocata, invece, in maniera composta sul divano accanto, dirimpetto il prezioso tavolo in vetro – la Sala da Pranzo aveva un piccolo salottino così da poter intrattenere gli ospiti dopo il ricco banchetto, oppure per trascorrere del tempo in famiglia (momenti davvero rari con tutto ciò che stava accadendo)- con lo sguardo concentrato sulla volta. 
Nonostante il camino fosse funzionante e una lucente fiamma rossa brillava tra i cocci di legna bruciata, il freddo e l'umidità riuscirono ad accattarsi alla pelle e ad arrivare alle ossa. Allora decisi di alzarmi, in completo silenzio, ed attizzare il fuoco – attenta affinché il caldo scialle di lana sulle spalle non cadesse o scoprisse, per sbaglio, anche solo una parte di schiena. 
Sospirai scuotendo la testa, tenendo gli occhi puntati sul fuoco. Non riuscivo proprio a smettere di pensare agli avvenimenti del giorno prima, erano una fissazione ormai ben radicata tanto che i sensi di colpa non facevano altro che darmi il tormento. Avevo trattato Draco Malfoy davvero molto male, sputandogli addosso parole crudeli. 

Il giorno dopo il compleanno della signora del maniero, il giovane venne a cercarmi e, con molta decisione e distacco, con un tono che proprio non ammetteva repliche, mi condusse nuovamente nella Sala da Ballo. Un silenzio surreale scese nella stanza; non riuscivo a percepire la presenza di Draco alle mie spalle, non riuscivo a sentire altro che i palpiti veloci del cuore ed il respiro sempre più corto. Rischiai di avere una nuova crisi di panico quando la quiete venne riempita dalle risate folli di Bellatrix, quando il fantasma del passato si ripresentò davanti a me mostrandosi in tutta la sua bruttezza. Le mie urla ancora riecheggiavano in quell'ambiente freddo, ritornato cupo dopo i festeggiamenti, illuminato solamente dai deboli raggi del sole che, a stento, penetravano dalle enormi vetrate. La paura si fece sempre più forte, tanto da offuscare la ragione. 

«Affrontalo.» sussurrava Draco serio, ancora alle mie spalle, eppure io proprio non riuscii a farcela. Mi sentii sopraffatta dalle emozioni, piena di rabbia e timore; ebbi un terrore così grande da non essere capace di far nulla, né di rispondere al ragazzo né di muovere un solo muscolo per andare via. Ero circondata da oscurità ed echi di parole lontane unite ad urla e folle divertimento, ma ricordavo bene ci fosse anche tanta indifferenza proveniente proprio dai padroni di casa, da Draco. Mi vedevo distesa piangente sul freddo pavimento, pregando quella donna malvagia di smetterla, urlavo disperata e terrorizzata colpita dalla Maledizione Crutacius ripetutamente, ma la vista di me quasi agonizzante non era abbastanza per intervenire. Non avrebbero mai potuto farlo: ero solo una Sanguesporco. 
Ritornò tutto, ogni cosa, ogni ... più piccolo dettaglio mi ritornò alla mente, ed ormai colma di mille emozioni ebbi la forza di voltarmi verso il giovane rampollo della nobile casata Purosangue. Lo guardai con occhi gonfi di lacrime, mani tremanti e viso rosso scosso dalla collera. 

«Smettila di essere gentile, Malfoy, non sopporterò oltre la tua ipocrisia.» sibilai stringendo i denti  - trattenendo il desiderio di scoppiare in lacrime. «Qual era il tuo scopo portandomi qui? Non ti soddisfa abbastanza il modo in cui vengo trattata, ma vuoi essere tu ad umiliarmi, non è vero?» continuai ansimando mentre una lacrima traditrice mi scivolò lungo la guancia. «Non ho bisogno di questi mezzucci per ricordare chi sono perché lo so da me. E ne sono fiera. Sono sopravvissuta alle torture di quella pazza di Bellatrix Lestrange e a due anni di completa solitudine, braccata come fossi un animale e di certo sopravvivrò ai ricordi e a questa casa.» la voce divenne leggermente più alta; la rabbia iniziò ad invadermi tutta ... e ad annebbiarmi la mente. «Io non voglio dimenticare, Malfoy.» sussurrai guardando Draco negli occhi ed avvicinandomi a lui con un paio di passi calmi, posati: ero diventata il subdolo serpente che morde la preda avvelenandola; la paura mi trasformò in cacciatore. «Non voglio dimenticare il modo in cui sono entrata in questa casa. Non voglio dimenticare il dolore delle torture subite a causa di uno schifoso Mangiamorte. Non voglio dimenticare la vigliaccheria dei Malfoy nel negare aiuto ad una persona moribonda e non voglio dimenticare nemmeno il tuo patetico tentativo di uccidere Silente. Non voglio dimenticare tutte ...» la voce a quel punto mi tremò, ma non mi fermai – non ebbi la capacità di farlo. «tutte le persone che ho perso a causa di voi assassini. Non scorderò tutti gli stupidi insulti rivoltimi e tanto meno gli sforzi fatti per uccidermi.» le lacrime scesero lente lungo il volto, stanche di essere trattenute, arrivando alle labbra; amaro era il loro sapore. «Non ignorerò il mio passato perché mi rende ciò che sono adesso e non zittirò il dolore perché è ciò che mi fa andare avanti.» parola dopo parola, mi sentivo sempre più svuotata e triste, priva di ogni energia. «E non perdonerò nessuno di voi, Draco ...» mormorai affranta. «Se è redenzione quella cerchi ... io non posso dartela.»

Non aveva risposto. Lui non aveva interrotto il mio infinito monologo, né aveva avuto il coraggio di ribattere. Se ne stette lì fermo, a pochi passi da me, guardandomi serio indossando la sua solita maschera fatta di indifferenza. Ero consapevole di aver, certamente, smosso qualcosa dentro di lui, e la mascella contratta ne era una prova, ma restò in silenzio, tranquillo, mentre io tremavo ed il cuore scoppiava nel petto per la rabbia, il respiro era spezzato per le troppe parole frettolose. 
Il silenzio perpetrava, così ... decisi di voltargli le spalle e andare via lasciandolo da solo in quella grande stanza. A mente lucida, dopo delle ore, mi resi conto di aver fatto un passo falso poiché allontanare Draco era l'ultima cosa da fare. Ne andava del mio labile legame con Harry. Tuttavia ero ben consapevole che ci fosse dell'altro: era stato spiacevole litigare con lui; gli eventi ci avevano legato, nel bene e nel male, e al solo pensare di dover stare lontana dall'unica persona che mi avesse mostrato un po' di cordialità ... creava una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco. 

Ero davvero dispiaciuta per le parole rivoltegli, non era da me comportarmi a quel modo. Draco cercava di aiutarmi, aveva provato a farmi superare delle paure ed io lo avevo attaccato con una serie di sottintesi che lo descrivevano come un criminale senza scrupoli, come l'uomo peggiore che avessi mai incontrato. Non era così, assolutamente, e mi pentii di ogni singola sillaba pronunciata.

A nulla valsero le mie scuse, fatte quella sera stessa. Era inamovibile, quasi indifferente davanti il mio reale pentimento. 

«Accetto le tue scuse, Granger.» mi disse con voce piatta, guardandomi dritta negli occhi; il suo sguardo era gelido ed io riconobbi il ragazzino privo di morale di molti anni prima. Eppure io avrei tanto voluto confrontarmi con l'uomo che era diventato. 
Era in piedi davanti a me, a pochi passi dalla soglia d'uscita della Antica Biblioteca – primo piano, ala ovest. Si era alzato dalla grande poltrona di pelle marrone ed era pronto per andar via, dopo avermi liquidato con poche parole, ma io gli avevo impedito di fuggire ponendomi davanti alla porta, guardandolo con pentimento. 
«Tuttavia, se è ciò che pensi non dovresti scusarti.» continuò serio avanzando di un passo, facendosi un po' più vicino. «Ed ora ti sarei grato se mi facessi uscire.»

«Non avrei dovuto trattarti in quel modo. Mi dispiace davvero ...» mormorai scuotendo la testa, abbassando lo sguardo rassegnata e spostandomi di lato così da lasciarlo libero. 

«Non devi.» ribatté sicuro, fermandosi sull'uscio della porta appena spalancata dandomi le spalle. «Non avevi poi così torto.»

Fu solo un sussurro pronunciato, eppure mi arrivò forte e chiaro, tanto violentemente da far male come uno schiaffo. Non lo consideravo davvero un assassino e nemmeno un vigliacco, non più almeno. 
Fece male, tanto male. Ed era tutta colpa mia. Ero consapevole che il mio discorso fosse pronunciato per ferire, ma non avrei mai immaginato che lui potesse rifletterci su. Credevo mi avrebbe urlato contro, che avremmo litigato come sempre e poi tutto sarebbe tornato come prima, ma il suo elaborare e colpevolizzarsi era del tutto nuovo. D'altronde quello era un inedito Draco Malfoy, dunque mi sarei dovuta aspettare qualsiasi tipo di reazione. 
Mi maledissi. Non volevo ferirlo – per Merlino, non sapevo nemmeno perché mi sentissi in quel modo!
Ancora, a nulla valsero i miei richiami. 

Un rumore alle mie spalle mi distrasse dai pensieri. Posai l'attizzatoio nell'apposito contenitore e mi voltai nella direzione della donna, ancora comodamente seduta sul divano, in tutta la sua compostezza. 
Una tazzina da tè era appena caduta sul lussuosissimo tappeto persiano ed un elfo domestico – quello assegnato alla Lady il cui nome scoprii fosse Poppy- era inginocchiato ai piedi della donna chiedendo perdono per il disastro. Non mi ero resa conto del rumore della Smaterializzazione della creaturina e nemmeno della voce di Narcissa che la invocava. Ero completamente immersa nei ricordi, soffocata dai sensi di colpa. 
Come già detto, non ero l'unica ad essere malinconica quel giorno. La signora della tenuta fu pressoché assente per tutto il tempo trascorso insieme, e lo era anche in quel momento: guardava Poppy senza però vederla davvero. Nessun rimprovero sottile, nessun insulto contro l'esserino. C'era solo silenzio. 

Al contrario di ciò che dissi a Draco, qualcosa in me era cambiato nei confronti di quella famiglia. Non l'avrei mai ammesso ad alta voce, ma c'era qualcosa che mi legava a quella donna, forse si trattava solamente di solidarietà femminile, ma in verità poco importava.
Mi fermai a guardarla: calma ed elegante come sempre, rivolse gli occhi verso il suo elfo a stento e si concentrò nuovamente sulla sua lettura, e doveva essere un libro davvero interessante poiché fissava le pagine con intensità. Il volto era nuovamente pallido e le occhiaie evidenti sotto gli occhi scuri e stanchi. Sembrava stesse ritornando ad essere la Narcissa Malfoy conosciuta il primo giorno in questa casa. Era terribilmente in pena per qualcosa, ma non era difficile capire per cosa, o meglio per chi, fosse in pena. C'era da comprendere solo perché. 

«Va tutto bene, signora?» domandai tranquilla, raggiungendo il posto che avevo lasciato poco prima. 

«Sì, certo.» ribatté decisa, senza alzare gli occhi su di me. 

«Con tutto il rispetto, avete una pessima cera.» mormorai altrettanto sicura, alzando il mento e voltandomi nella sua direzione. 

«Che sfacciata!» esclamò piano scuotendo il capo e arricciando le labbra colorate di rosso.
  
«Come se non mi conosceste, ormai.» sorrisi divertita senza mai distogliere l'attenzione dalla donna davanti a me.

La vidi chiudere gli occhi e sospirare. Supposi stesse combattendo con se stessa, indecisa se aprirsi o meno con me – con una come me. Tuttavia, si arrese alla necessità di liberarsi da quel peso, o almeno condividerlo con qualcuno. Nonostante il contegno, ella rilassò le spalle, in tensione fino al quel momento, ed iniziò a respirare in maniera più pesante – forse stanca di dover mantenere le apparenze e dunque libera di mostrare le emozioni. 

«Ho un pessimo presentimento, Elizabeth.» un sussurro appena udibile, ma che nel silenzio e nella pace di quella stanza, solamente lei ed io – Poppy era scomparsa d'improvviso come era arriva- riverberò tra le mura spesse di quella vecchia magione. 

«Riguardo a cosa?» chiesi gentile, abbassando il tono così da creare una "intimità" o familiarità che la portasse a fidarsi di me. 

«Mio marito e mio figlio sono partiti in missione questa mattina.» rispose secca, con lo sguardo vacuo puntato in avanti, fuori dal Manor; la matrona avrebbe voluto essere con gli uomini che più amava. «E provo questa angoscia profonda da quando hanno lasciato casa.» mormorò, inghiottendo il nodo di amarezza fermo in gola. 

Inspirai ed espirai profondamente, percependo il nervosismo della donna. Doveva essere doloroso per lei restare in disparte, perché troppo debole, e attendere solitaria che gli eventi facessero il proprio corso. 
Potei benissimo capire come si sentisse, d'altronde anch'io aspettavo che qualcosa accadesse senza fare nulla in sostanza, e mai come quella volta mi sentii davvero vicina a lei. Segretamente, ammiravo Narcissa Malfoy per la sua forza e la sua determinazione nel non arrendersi – mettendo da parte, ovviamente, qualsiasi diversità potesse dividerci, tra cui la fazione di appartenenza in quella guerra. 

D'improvviso la vidi spalancare gli occhi, schiudere la bocca ed impallidire. Guardava dritto, senza accennare a battere le ciglia. Alzò una mano a mezz'aria, indicando appena qualcosa fuori nel cortile.

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Capitolo 18
*** 17 - Not just a presentiment. ***


«Not just a presentiment.»

«Per Merlino ...» sussurrò appena, con voce tremante.

Immediatamente, mi voltai spaventata, temendo un attacco, ma ciò che poi vidi, forse, era addirittura peggio di un'offensiva nemica. Nel Cortile Esterno Lucius Malfoy urlava a squarciagola affinché qualcuno lo aiutasse, la paura distorceva il volto affilato e pallido simile a quello di Draco e gli si poteva leggere negli occhi la disperazione. L'uomo trascinava a forza verso il portico esterno un corpo immobile ricoperto di sangue, palesemente ferito e dal viso morente. Era Draco. Draco teneva mollemente un braccio lungo le spalle del padre mentre, quest'ultimo, stringeva possessivo la presa intorno alla vita del figlio. Non appena realizzai chi fosse in pericolo di vita, imprecai a bassa voce e corsi velocemente nel vestibolo dell'ingresso. Per fortuna, degli elfi domestici aprirono i pesanti battenti con uno schiocco di dita così Lucius poté entrare in casa senza perdere tempo, riparandosi dal freddo e dal vento che iniziò a soffiare sibilino. Stremato, adagiò piano il corpo esanime del giovane ed io, immediatamente, mi inginocchiai accanto a lui pregando che fosse ancora vivo.

«Cosa è successo?» chiese trattenendo la rabbia e la paura Narcissa Malfoy; non mi ero nemmeno resa conto mi avesse seguito.

«Siamo caduti in una trappola e lo hanno colpito a morte.» ribatté l'uomo ansimando, indietreggiando di qualche passo. «Traditori del loro sangue!» sussurrò malevolo, stringendo i denti.

«Chi è stato, Lucius?» domandò con tono debole, piatto, sua moglie.

«E' stato quell'idiota di Paciock.» mormorò allo stesso modo il marito.

«Vi siete fatti sconfiggere da un branco di ragazzini, dunque.» si indispettì l'altra al sentire la risposta.

Nel mentre la discussione tra i due padroni di casa aveva inizio e continuava senza che muovessero solo un muscolo per aiutare la loro prole, forse troppo scossi da ciò che era successo, io cercai di salvargli la vita. Non avrei mai potuto accettare la sua dipartita, non in quel momento poi. Mi sentii ancora più in colpa a sentire il nome di Neville, come se fossi stata io a colpirlo.

Non ebbi tempo per fare supposizioni e nemmeno per sondare le tutte le sfaccettature delle emozioni palpitanti nel petto; l'unica cosa che riuscissi a percepire era la paura di perderlo. 
Con estrema velocità, come se lo avessi sempre fatto, poggiai due dita al collo bianco del ragazzo sperando di sentire sotto i polpastrelli il battito, anche lieve, del cuore. Le voci sommesse dei coniugi Malfoy mi infastidivano e non poco, eppure concentrandomi riuscii a percepire un leggero palpito: c'era ancora un soffio di vita in lui ed io dovevo aggrapparmi a quella speranza, seppur flebile, per ritrovare tutta la grinta e la praticità che mi contraddistinguono da una vita intera. 
Un movimento veloce delle mani e la camicia bianca intrisa di sangue venne aperta, facendo saltare via tutti i bottoni dalle asole – lo strappo della stoffa riecheggiò nel vestibolo e i piccoli bottoncini bianchi rimbalzarono sul freddo pavimento di marmo. Dovei distruggere quel capo di alta sartoria (se solo Draco fosse stato in sé mi avrebbe urlato contro) per accertarmi delle condizioni in cui le ferite versavano. Sapevo fosse ferito in modo grave, ma il sangue sgorgava così copioso dalle ferite che non riuscivo a vedere nulla se non rosso. Mi fermai per qualche secondo, insicura su come procedere. Dovevo pensare, dovevo capire come fare per poter rimediare a quel disastro prima che affogasse nel suo stesso sangue. L'unica soluzione, quella più veloce poiché non era presente nessun Curatore, era la magia proibita ed io non avevo la bacchetta. Tuttavia per salvarlo avrei rischiato anche una punizione. Dunque, forte di quella determinazione, mi voltai verso Narcissa e Lucius Malfoy guardandoli temeraria, interrompendo i loro discorsi – davvero inappropriati in quel momento.

«Mi serve la bacchetta.» tuonai con sicurezza, passando lo sguardo prima all'uno e poi all'altro.

«Neanche per idea, Sanguesporco.» ribatté secco il signore del Manor, con un tono che non ammetteva repliche. Peccato che io non volessi arrendermi.

«Se non intervengo subito, lui morirà.» dissi con veemenza, voltando il capo verso la signora, sicuramente più permissiva – e debole in quel momento- del marito. «Vi prego.» mormorai terrorizzata; stavamo perdendo solamente tempo.

Senza dire un parola, Narcissa mi porse la sua arma ed io, sollevata, la afferrai senza nemmeno ringraziarla, concentrandomi solamente sul ragazzo morente davanti a me. 
Sentii una protesta da parte di Lucius, ma fu interrotta, magari dallo sguardo gelido della consorte o forse da un suo cenno, non saprei dirlo con certezza e nemmeno m'importava. Sospirai e mi concentrai sul difficile incantesimo che stavo per compiere; non sapevo se avrebbe funzionato o meno, ma dovevo tentare ... avrei fatto qualsiasi cosa.

«Vulnera Sanentur.» sussurrai portando la bacchetta a qualche centimetro dalle ferite del ragazzo. «Vulnera Sanentur.» ripetei ancora, sperando che i tagli si chiudessero quanto più possibile.

E' un incantesimo curativo, certo, ma anche illegale; l'incanto cura qualsiasi ferita, anche relative alle Arti Oscure, quindi era l'idea migliore per guarirlo. Tuttavia, è molto difficile da usare e solamente Guaritori esperti possono avere successo in questa pratica. Io ne avevo solo letto qualcosa nella Sezione Proibita ad Hogwarts, ma mai l'avevo usata su qualcuno. Però, come già detto, dovevo tentare il tutto per tutto.
Lentamente le ferite iniziarono a guarire, seppur non in modo perfetto. Mi bastava, comunque. Quando si erano rimarginate abbastanza e il flusso del sangue diminuì, utilizzai un incantesimo per pulirlo da tutto quel fluido di un rosso vivo – e preoccupante- ed un altro per bendare le ferite. 
Potevo sperare. Tutti potevamo sperare che Draco tornasse alla vita, eppure non era ancora finita.
Come se quella fosse casa mia, iniziai a dare ordine agli elfi senza pensarci troppo.

«Tappy!» esclamai con tono alto richiamando la sua attenzione. «Corri a prendere delle bende pulite e dell'acqua fredda e poi va nella Stanza delle Pozioni e prendi delle misture curative. Lui è il tuo padrone e credo tu sappia dove pone le cose.»

Lei, già presente nell'ingresso e scattante, annuisce sicura facendo oscillare la punta del naso e sparì con un "pop".

«Poppy!» era l'elfo della signora, ma in quel momento mi servivano tutti per guarire Draco. «Chiama un Guaritore il più in fretta possibile, ti prego.»

L'esserino guardò prima la sua padrona e poi, come l'altra, si smaterializzò con uno schiocco di dita.

«Voi altri!» esclamai mettendomi in piedi rivolgendomi ai tre elfi rimasti, tra cui vi era Alf; stringevo tra le dita l'impugnatura della bacchetta e, anche se non era la mia, mi sentii nuovamente invincibile. Come una volta. «Trasportate Draco nella sua stanza, ma non siate troppo bruschi e visualizzate bene la camera. Capito?» tuonai seria, ormai l'Hermione Granger salvatrice delle importanti chiappe di Harry Potter era tornata e, nonostante la paura, mi sentii viva, mi sentii nuovamente me stessa.

Senza nemmeno guardare quegli esserini, resi la bacchetta alla sua proprietaria. Per il breve attimo in cui i nostri occhi si incontrarono, potai notare un lampo di gratitudine mista alla paura. Tuttavia non diedi peso, in quel momento, a ciò che mi circondava. Il mio obbiettivo era sicuramente appena apparso al primo piano ed io dovevo correre contro il tempo per poter riportare Draco indietro alla vita terrena. A grandi passi, con il cuore che batteva all'impazzata nel petto, andai di sopra nella stanza del rampollo della casata.
Quando spalancai la porta di legno, con una mossa poco delicata, vidi Draco disteso sul suo letto confortevole e spazioso. Al contrario della sua immobilità di poco prima, in quel momento si contorceva da dolore e leggeri gemiti, seguiti da ansimi, riempirono la camera. Evidentemente spostarlo non fu un'idea brillante, ma non poteva restare sul pavimento – il freddo non gli avrebbe giovato. Ebbi la conferma della mia supposizione quando, avvicinandomi, mi accorsi che le bende in cui ero avvolto era macchiate di sangue. Stavo impazzando ed il Guaritore ancora non era arrivato!

Con le mani tremanti e sporche, afferrai una boccetta di Essenza di Purvincolo, pregando i maghi del Paradiso che potesse fare effetto anche con i dolori dovute a ferite da Maledizioni. 
Intenta a togliere manualmente, non senza difficoltà, le fasce ormai macchiate, non mi resi conto della presenza dei genitori del giovane Malfoy. Solo una lieve imprecazione proveniente dal padrone di casa segnalò la loro presenza; non riuscii a sentire nemmeno i loro passi tanto ero concentrata a procurargli il minor dolore possibile.

D'improvviso, Draco tossì costringendomi a bloccare ogni movimento; dalle sottili labbra un tempo rosee fuoriuscì un fiotto preoccupante di sangue. Emorragia interna. Ecco, le cose si erano appena complicate ed io non potevo fare niente per aiutarlo, non avevo i mezzi.
Mi avvicinai al suo viso portando una mano dietro la nuca e l'altra sulle guance accarezzandogliele e sussurrando parole di conforto, aspettando che gli spasmi della tosse terminassero. Ero spaventata a morte e per l'ennesima volta mi sentii impotente. Guardavo il volto paurosamente pallido del ragazzo, la bocca secca e di un colore violaceo, la difficoltà nel respirare a causa del sangue in gola e il panico di non poter più litigare, battibeccare insieme e poi sorriderne come due idioti si impossessò di me facendomi tremare, mostrando la parte più nascosta del mio cuore che aveva iniziato a tenere inspiegabilmente a lui. 
D'improvviso mi si appannarono gli occhi, consapevole di non poter far altro che pulire le ferite al petto e al ventre. Dovevamo aspettare.

«Signori Malfoy.» una voce tonante rimbombò per tutto il corridoio ed un uomo di statura possente, con una valigetta di pelle di drago stretta tra le mani, avanzava sicuro nella stanza.

«Sia ringraziata Morgana.» sussurrai sollevata allontanandomi dal ragazzo così da lasciar più spazio d'azione al Curatore arrivato appena in tempo.

«Cosa gli è successo?» domandò serio l'uomo, il cui nome nemmeno m'interessava, afferrando la bacchetta pronto per conoscere le condizioni del paziente.

«Incantesimi oscuri.» rispose Lucius Malfoy, ancora nervoso e provato per ciò che in qualche minuto era successo; Narcissa, al suo fianco, era una statua di sale: immobile e pallida, ma un solo tocco avrebbe potuto sgretolarla.

«Avete cercato di contrastarne gli effetti?»

«Sì.» fui io a ribattere quella volta – me ne presi cura io, in fondo. «Ho cercato di chiudergli le ferite, ma non ho una bacchetta mia. Ho fatto il possibile.» dissi velocemente, con una strana angoscia a stringere lo stomaco – i battiti del cuore sempre più veloci. «E poi ha bevuto dell'Essenza di Purvincolo per i dolori, non avevo altro.»

«Hai fatto bene, ma adesso ci penso io. Andate fuori.» secco, telegrafico, con una voce autoritaria ci ordinò di andare via e di lasciarlo lavorare.

Non avrei voluto lasciarlo da solo, ma sapevo che aveva una chance in più di sopravvivere. Mi sentii più rincuorata nel sapere di aver fatto un buon lavoro e di aver contribuito a farlo stare bene, eppure non ero del tutto tranquilla. Non lo sarei stata finché non l'avrei visto di nuovo in piedi.

Lasciai la stanza insieme ai genitori di Draco. Ci fermammo sulla soglia della stanza, lontani, ma la porta ci venne sbattuta in faccia con un agile movimento di bacchetta del Guaritore. 
Poggiai la schiena sul freddo muro adiacente all'ingresso della camera del piccolo Lord. Abbassai il capo e mi accorsi di essere coperta del sangue del ragazzo, quel sangue di cui lui tanto si vantava. Alzai le mani con i palmi rivolti verso l'altro osservando attentamente le macchie, riflettendo su ciò che era appena successo: avevo provato a salvarlo con i mezzi che avevo, l'avevo rassicurato quando l'emorragia si era fatta evidente ed in quel momento ero terribilmente in ansia per la sua sorte. Tremavo. 
Era diventato un punto di riferimento importante, era l'unico legame che avessi con Harry e poi ... non volevo proprio perderlo. Avrei voluto rivedere i suoi occhi chiari e duri, avrei voluto risentire la sua voce orgogliosa e vedere il sorriso beffardo disegnato sulle labbra sottili. Draco Malfoy stava diventando una parte della mia vita ed io lo capii solo in quel momento. Avevamo litigato il giorno prima e non volevo che quella fosse la nostra ultima conversazione; desideravo ce ne fossero altre in futuro. Non potevo considerarlo un amico, ma era per me un valido alleato in ogni aspetto di quella vita reclusa in quattro mura, in quella vita da incubo. Forse i miei pensieri erano egoisti, eppure non m'interessava. Io avevo bisogno che Draco ritornasse da me.

«Elizabeth.» la voce sottile della signora mi richiamò; la sentii appena.

«Sì?» chiesi debolmente alzando il capo e voltandomi verso di lei.

«Va a darti una ripulita.» sussurrava ancora, Narcissa Malfoy, con lo sguardo puntato sulla porta chiusa. «Dopo ritorna qui, starai tu con Draco questa notte.» il tono era sempre più basso e vacillante. Stava cedendo.

«Narcissa-»

«Così ho deciso.» ribatté autoritaria ritrovando la voce, mettendo immediatamente fine alle proteste del marito.

«Come desiderate.» annuii semplicemente, stremata.

Obbediente, mi ricomposi e, a passi lenti, mi diressi in camera mia – fortunatamente non troppo lontana da quella del giovane. D'un tratto comparì la stanchezza tanto da rallentare i movimenti, tanto da farmi sentire ogni arto pesante; comparve anche il senso di vuoto e la confusione mi annebbiò un po' la mente. Avevo ancora il sangue di Draco appiccicato alle pelle, ma ciò che più mi dava fastidio era saperlo fermo in quel letto a combattere tra le vita e la morte. 
Mi chiesi come fosse possibile essere arrivata a quel punto, a temere che una parte di me stessa se ne vada insieme a lui qualora le cose non andassero bene. Erano preoccupanti quelle sensazioni, quei pensieri, eppure decisi di non badarci troppo. Volevo solamente che Draco stesse bene, niente era più significativo di quello. 
Dovevo ritrovare la grinta. Così, mi rifugiai in bagno per rifocillarmi, pronta per trascorrere la notte accanto a lui.


 

BENE, ORA POTETE DAR SFOGO ALLA VOSTRA FANTASIA, MIE BELLE DRAMIONE SHIPPERS <3

 

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Capitolo 19
*** 18 - Patriarchy ***


 
 
«Patriarchy.»

Ero ritornata in me, finalmente. Dopo un lasso di tempo molto lungo, devo ammettere. Aver assistito alla caduta di un alleato, ricoperta del suo sangue, fu terribile. Ebbi davvero paura, la stessa tremarella provata quando fu Ron ad essere ferito. Il solo paragone la diceva lunga su ciò che provavo in quel momento, e ne ebbi timore. Tuttavia, mi concentrai solo sulla naturale preoccupazione dovuta al pensiero di perdere l'unica persona in quella casa che era dalla mia parte. Era ciò che mi ripetevo; non potevo permettermi altro in quel frangente e tanto meno avevo desiderio di pormi domande sulle mie emozioni. 
Mi era stato dato un compito ed io lo avrei assolto con la diligenza che da sempre mi contraddistingue. Così, dopo un caldo bagno, mi ricomposi e raggiunsi la camera di Draco. Dal momento che avrei dovuto prendermi cura di lui per tutta la notte, decisi fosse saggio portare con me delle fiale di Pozione Polisucco così da non rischiare di essere riconosciuta l'indomani. Ne afferrai un paio nascondendole nella scollatura così, se mai avessi incontrato qualcuno, non avrei dovuto dare alcuna spiegazione. Per fortuna il corridoio dell'ala est era deserto e silenzioso, forse anche troppo silente; non percepii nemmeno i soliti chiacchiericci leggeri dei quadri. Tutto taceva in rispetto della sventura capitata all'erede della nobile famiglia. Anche la stanza di Draco era nella quiete assoluta, e se la pace al di fuori di quelle quattro mura mi era indifferente non potei dire lo stesso per l'interno. Vedere quel ragazzo immobile, disteso supino, con gli occhi chiusi ed il solo respiro debole a dimostrazione del refolo di vita ancora aggrappato a quel corpo, per di più immerso in un innaturale silenzio, mi restituiva un senso di angoscia. 
Mi avvicinai piano, desiderosa di vedere come stesse: il volto era più pallido del normale, malaticcio, le profonde occhiaie erano ben visibili ed erano di un viola intenso, le labbra sottili erano screpolate e leggermente più scure, il respiro, come già detto, era debole. Sospirai un pochino sollevata vedendo il suo volto disteso in un sonno sicuramente indotto dalle pozioni curative - ed anche dalla stanchezza, senza dubbio. Doveva stare meglio se Narcissa e Lucius lo avevano lasciato da solo e quel pensiero mi rincuorò non poco. 
Presi le fiale dalla mia scollatura e le nascosi nel cassetto del comodino, accanto al letto di Draco, approfittando della mia solitudine. Non era una grande idea, lo so bene, ma le provette le avrei consumate nel giro di qualche ora poiché erano solamente due e poi sarei stata da sola in quella camera, dunque ero abbastanza sicura di non essere scoperta. Tra l'altro, quelle lunghe boccette, iniziavano a darmi fastidio nascoste dov'erano.

Alzai gli occhi sulla finestra. Di certo il panorama di cui godeva il ragazzo era decisamente diverso dal mio poiché, data la posizione delle vetrate, era possibile ammirare la bellezza del cortile principale, nonché l'ingresso stesso della tenuta; era vantaggioso per il suo lavoro da spia per l'Ordine sapere chi entrava e chi usciva dal Manor quando lui era rinchiuso in camera, dunque lontano dalle notizie della comunità. Non sapevo che ore fossero, ma a giudicare dalla notte fitta e dalla luna alta e luminosa nel cielo doveva essere ora di cena, più o meno. 
Mi voltai verso di lui guardandogli nuovamente il volto marmoreo, assicurandomi che respirasse ancora. Gli poggiai una mano sulla fronte sperando non avesse la temperatura alta, ciò poteva significare vi fosse un'infezione in atto, ma per fortuna non fu così. Certo, la sua pelle era calda, piacevole al tatto poiché avevo la mano fredda, eppure non c'era nulla di cui preoccuparsi. Ero nuovamente sollevata. 
Spostai una ciocca dei suoi biondissimi capelli dalla fronte e continuando a scrutarlo sorrisi appena. Ripensai ai vecchi tempi a Hogwarts dove eravamo solo due ragazzi con caratteri insopportabili che battibeccavano per qualsiasi cosa. Tuttavia la realtà era diversa, di quegli adolescenti che vivevano nell'antica scuola, burlandosi stupidamente dell'altro, non era rimasto che cenere. In quella fase della storia si doveva combattere per sopravvivere, rischiare di morire per avere un giorno di vita in più. E Draco ne era un esempio.

Non sapevo ancora cosa fosse successo con precisione, né il perché Neville lo avesse attaccato, ma al solo ricordo del sangue sulle mie braccia mi fece rabbrividire. A rifletterci su, quell'avvenimento fu un paradosso non da poco: io, designata come impura e poco degna di essere una strega a causa della mia condizione di nascita, ero stata macchiata dal sangue puro del discendente, l'unico, di una delle famiglie più antiche del mondo magico. Alla fine, Draco ed io eravamo ossimori: perfettamente contrari l'uno all'altro. Non sapevo bene se essere spaventata o divertita da quel pensiero - a beffe della società in auge.

Sospirai per l'ennesima volta scuotendo il capo ed allontanandomi dal corpo inerme del ragazzo. Non dovevo - potevo- indugiare su pensieri nefasti perché avrebbero solo nutrito la mia malinconia. Così, decisa a scacciare i pensieri, iniziai a percorre la stanza a passi lenti scrutando in giro: la mobilia presente era classica ed elegante ed aveva un colore scuro che restituiva calore e dava carattere all'ambiente, in pieno contrasto con il marmo bianco del pavimento; il letto grande e spazioso era posto al di sotto delle finestre luminose ed alte, di fronte alla porta d'ingresso. Ciò che mi colpì, però, fu la bellissima piccola libreria a ridosso della parete occidentale rispetto al talamo. La struttura in legno, che conservava tomi dai volumi diversi, era alta - i cui ripiani lontani potevano essere raggiunti da un colpo di bacchetta- e finemente decorata con forme geometriche dorate. I libri custoditi sembravano antichi ed altri semplicemente consumati, tanto da pensare fossero quelli preferiti di Draco - usurati dal suo continuo sfogliarli. Ne sorrisi. 
Rapita, mi avvicinai alla fonte della conoscenza e comincia a scorrere gli occhi, toccando i dorsi delle copertine, sui titoli dei libri. Vi erano letture di filosofia e letteratura, storia ed economia, ma notai anche volumi riguardanti miti e leggende, non sorprendendomi di ritrovare il ciclo arturiano tra essi, ed ancora commedie e tragedie di autori magici definiti classici. Avevo a disposizione una libreria intera da cui attingere dagli argomenti più svariati ed interessanti. Sono più che sicura di aver avuto gli occhi lucidi per l'emozione, in quel momento (non paragonabile, certo, a quella sentita nella biblioteca dell'ala est). In uno strano modo, quei libri mi facevano sentire a casa. Ero sicura che a Draco non sarebbe dispiaciuto se ne avessi preso uno e, anche se fosse stato, era incosciente, dunque nessuno avrebbe potuto controbattere, nessuno avrebbe potuto infastidirmi. O almeno così credevo.

Afferrai un tomo di discrete dimensioni attirata dal titolo affascinante “L’altro lato di Emrys”*. Il libro aveva una copertina rigida di un marrone scuro su cui risaltavano incisi, con una tintura dorata, il titolo, in un bel carattere corsivo elegante, e un disegno inanimato di Merlino. Era bellissimo, ed io già pregustavo quella lettura immaginandomi seduta sulla comoda poltrona posta davanti alla libreria rivolta, però, verso il letto su cui Draco dormiva beato. Ed era proprio quella seduta che stavo raggiungendo quando sentii qualcosa aggrapparsi violentemente al petto. Indietreggiai brusca verso la libreria facendola vacillare, colpendola con la schiena; il volume che stringevo tra le mani cadde con un tonfo riecheggiando tra quelle pareti silenziose.

In un primo momento non capii cosa fosse successo – ero troppo distratta per accorgermi di tante cose-, ma non appena alzai lo sguardo sulla soglia d’entrata incontrai gli occhi glaciali ed iracondi di Lucius Malfoy mentre, stretta in una mano, reggeva la sua bacchetta puntandola nella mia direzione. Ero stata colpita da un incantesimo lieve ed io me ne resi conto solamente in quel momento. La testa iniziò a dolermi un po’ a causa del colpo contro le mensole dietro le spalle, ma sentivo decisamente male al petto e alla schiena. Ero consapevole che, presto o tardi, sarebbero comparsi dei lividi su entrambi i punti.
L’incantesimo rivoltomi in quel modo così blando era intenzionale, ovviamente, fatto solo per attirare l’attenzione, tuttavia ne ero già spossata. Sapevo, però, che quello era solamente il preludio di qualcosa di molto peggio: glielo potevo leggere negli occhi e nella rabbia disegnata sul viso. 
Confusa, e anche un po’ spaventata da quell’aura così nera e negativa che aleggiava intorno all’algida figura di Lucius, mi piegai su me stessa accusando il colpo e gemendo per la fitta improvvisa. Distolsi lo sguardo dal padrone del Manor per rivolgerlo verso un Draco ignaro e ancora dormiente; per fortuna gli schiamazzi non lo destarono. Se si fosse svegliato in quel momento avrebbe sicuramente preso le mie difese e, a giudicare dall’ira che brillava in quegli occhi chiari così simili al figlio, ero sicura che nemmeno lui sarebbe stato risparmiato.

«Tu!» sbottò con voce alta avanzando nella mia direzione senza mai abbassare l’arma. «Lurida sporca Mezzosangue!»

In un attimo, con lunghe falcate, colmò la distanza che vi era tra il mio corpo tremante di paura ed il suo traboccante di odio. Provai ad indietreggiare, senza distogliere gli occhi dal volto appuntito e pallido di Malfoy, ma lui non me lo permise: afferrò il mio braccio chiudendolo tra le lunghe e pallide dita in una morsa stretta e violenta – sarebbero comparsi dei segni anche lì. Tentai più volte di divincolarmi, ma più mi agitavo più la sua stretta diventava forte. Se solo avessi avuto la bacchetta con me lo avrei affatturato in pochi secondi, tanto che Ginny sarebbe stata fiera di me. Purtroppo era disarmata e contro la sua energia scaturita dalla rabbia non potevo fare molto.

«Lasciatemi!» esclamai con voce tremante, sibilando tra i denti; dovevo tenere duro, mantenere la testa alta – nonostante vi fosse insicurezza nel tono.

«Taci!» mi ammonì maligno.

In un attimo, egli mise giù la bacchetta come riflesso della sua azione seguente: mi schiaffeggiò con un tale impeto da scaraventarmi per terra; lo schiocco feroce della sua mano contro la mia pelle riecheggiò in tutto l’ambiente. Il male alla guancia ed il bruciore alle labbra non erano nulla in confronto all’umiliazione che sentivo divampare dentro come un incendio; il male fisico non era nulla in confronto a quello dell’anima. 

Trattarmi in quel modo solo perché credeva fosse un suo diritto, essendo “superiore di razza”, era a dir poco disgustoso. Mi aveva torturata già una volta e ne aveva tratto piacere calpestando una parte della mia fierezza, piegandomi senza però spezzarmi. Non avrei permesso che accadesse ancora. Alzai il capo nella sua direzione imponendomi di non tremare, di soffocare la paura. Incrociai gli occhi dell’uomo senza mai accennare a spostarli. Lo guardai con orgoglio e dignità, amore per me stessa; socchiusi gli occhi e lo fissai con sfida. La frustrazione della mia condizione si stava tramutando in rabbia, irruente quasi quanto la sua, anche se ero in posizione di evidente svantaggio.

Lucius Malfoy torreggiava sulla mia figura ancora seduta sul freddo pavimento, ancora un po’ scossa per l’accaduto ma decisamente più sicura e determinata. Scrutai il suo volto pallido e affilato notando le pieghe sulla fronte, le narici allargate e il fiato corto dovute all’ira; gli occhi erano lucidi ed arrossati, annebbiati dall’esautorazione del poter e del prestigio di cui godeva in quella casa in un tempo passato. Perché avevo capito, più o meno, il motivo per cui aveva iniziato a colpirmi: quello che era un patriarcato si era trasformato improvvisamente in un matriarcato; ai vertici della sua famiglia, con potere decisionale, oramai vi era sua mogli e non più lui. Quell’uomo un tempo glorioso era disceso all’ultimo gradino della scala sociale, e vedeva in me una valvola di sfogo, nonché la cosiddetta “goccia che fa traboccare il vaso”. D’altronde, non era un segreto che fossi diventata quantomeno una presenza sopportabile per Narcissa, sua sposa e compagna di tante – troppe- disavventure. 

Ammetto che quella consapevolezza un po’ mi spaventò poiché avrebbe potuto anche uccidermi pur di riaffermare la sua autorità in quella magione. Difatti, continuavo a respirare solamente grazie agli interventi di Draco e al sottile legame che avevo instaurato con la padrona di casa. Se fosse stato per il nobile davanti a me sarei già morta qualche settimana prima sotto i suoi Cruciatus.
«Cosa volete da me?» chiesi seria, stringendo la mascella impedendomi, così, di urlare per il fastidio con cui mi guardava.
Emettendo un ringhio profondo di stizza, afferrò con furia delle ciocche consistenti di capelli e, con uno strattone, mi ordinò silenziosamente di alzarmi. Sentivo la cute pizzicare esattamente al centro del capo dove la chioma era tesa e chiusa nel suo pugno, percepivo un forte bruciore agli occhi per il dolore ed il cuore riprese a battere velocemente per le grida soffocate graffianti la gola. 
Con malagrazia, mi spinse contro la libreria ravvivando quel dolore alla schiena dovuto allo schianto di poco prima. La mano bianca dalle lunghe dita sottili si spostò veloce intorno alla gola, serrandola brutalmente, mentre l’altra ritornò a puntarmi contro la bacchetta, esattamente all’altezza della tempia sinistra. Nonostante il panico iniziò ad insinuarsi, infame, in ogni parte di me, cercai di controllarmi, di dissimulare proprio come un Malfoy, perpetuando nell’azione di guardarlo negli occhi con fierezza. Non importava se il dolore alla schiena e alla testa diventava più intenso, non mi fregava della guancia arrossata e del piccolo rivolo di sangue discendente lento lungo il labbro, ciò di cui mi curai fu solo la mia dignità fin troppo calpestata – non solo da quell’uomo.

«Avrai anche conquistato la fiducia di mia moglie, maledetta Sanguesporco, ed irretito la ragione di mio figlio, ma non ingannerai me.» sibilò a pochi centimetri dal mio volto permettendomi di sentire il suo respiro caldo ed affannato sulla pelle. Il signor Malfoy aveva gli occhi spalancati tanto erano ricolmi di rabbia. «Sei solamente feccia che tenta di elevare la sua condizione, ma se pensi che io lo permetterò ti sbagli di grosso.» sussurrò tremante stringendo la presa contro la gola; quasi non riuscivo più a mandar giù la saliva per dar sollievo al bruciore che sentivo. «Oggi hai scavalcato la mia autorità denigrandomi agli occhi della mia signora.» l’ira crebbe nella sua voce e decise di serrare ancora un po’ la sua presa.

«Tentavo di salvare … la vita a vostro figlio. » riuscii a dire sicura, senza mai distogliere gli occhi da quelli pazzi di lui.
«Con cui sei fin troppo in confidenza, sudicia meretrice.» commentò velenoso, attanagliando ancora un po’ la gola. «Da quando chiami il tuo padrone, colui che ti ha comprata, con il proprio nome?» ghignò beffardo, sorridendo sinistro ed approssimandosi ancora un pochino al mio volto. «Sei la sua concubina, dunque.»

«Non sono …» il fiato cominciava a venir meno. «Non sono quel genere … di persona.» stringevo i denti per la collera e per lo sdegno, ma la voce adesso tradiva il tremolio del cuore: avevo davvero paura di morire, e per quanto odiassi essere la stupida damigella in pericolo, sperai che Draco si svegliasse e mi aiutasse prima che i miei occhi si chiudessero per sempre. Gli effetti dei farmaci si rivelarono più forti del chiacchiericcio sommesso prodotto da Malfoy e me.

«Sei una donna disperata, quindi sei assolutamente quel genere di persona.» le sue labbra ritornarono in una linea sottile ed il suo tono divenne nuovamente rabbioso. «Ti avverto, Sanguesporco: sta lontana da mio figlio o, credimi, non avrò pace finché non sarai in una bara sepolta sotto metri di terra. In fondo, il posto che ti spetta è proprio nel lordume del fango.»

La voce ferma con cui parlò mi fece rabbrividire. La cattiveria con cui decretò quello che sarebbe potuto essere il mio futuro mi fece paralizzare, come se e parole fossero il peggiore dei veleni con cui sono intinsi i denti dei serpenti. E se fino a qualche secondo prima ero fiera come un leone, in quel momento cominciai ad abbassare la testa come un docile gatto. Forse fu il modo in cui mi guardò a farmi vacillare, però ero sicura che, se avesse potuto, mi avrebbe ammazzato in quel preciso attimo. Tuttavia, egli non poteva inimicarsi maggiormente la sua consorte che, a giudicare da quel dialogo ascoltato alla festa di compleanno, in qualche modo, lo riteneva responsabile delle sciagure ricadute sulla loro nobilissima famiglia. E fu per quel motivo, ne ero convinta, che mi lasciò andare, con un movimento improvviso.

Non appena la presa intorno al collo venne meno, potei finalmente respirare normalmente. La gola bruciava ad ogni respiro fresco che riempiva prima le narici e poi i polmoni. Tossii per l’improvvisa ondata di ossigeno che, finalmente, mi rinfrancò. Nonostante fossi libera, ancora riuscivo a percepire le dita del Mangiamorte sulla pelle e non era una sensazione piacevole. 
Tremavo, poggiata contro la biblioteca, piegata su me stessa con lo sguardo fisso sul pavimento. Sentivo le mani e le gambe leggere a causa del sollievo per essere ancora viva diffusosi in tutto il corpo. Capii che, per quanto volessi ribellarmi e per quanto potessi far affidamento sulle mie capacità che mi avevano fatto sopravvivere, in quella casa ero completamente esposta, ero debole, e con Draco fuori gioco rischiavo grosso. E fu in quel momento che mi chiesi perché mai Harry e l’Ordine mi avessero abbandonata in quella dannata dimora. Non era sicuro restare lì, ma non sapevo dove si incontrassero con Draco e, se mai lo avessi saputo, non avrei potuto raggiungerli comunque. Ero già scappata una volta e il solo pensiero di ciò che mi era successo mi fece rabbrividire; porto tutt’ora i segni di quella giornata, sulla pelle e nell’anima.

Riuscii a capire che l’uomo se ne fosse andato solamente grazie al rimbombo dei suoi passi pesanti, ancora arrabbiato. Il silenzio discese nuovamente nella stanza come una spessa coperta pronta a confortare, ma io ero più terrorizzata che mai. Alzai gli occhi verso il ragazzo assopito e mai come in quel momento avrei voluto che mi guardasse, anche con serietà e rimprovero, ma avrei voluto avvertire quel senso di complicità che spesso m’invadeva quando lui mi era accanto; non era cosa da poco avere un alleato in tempi come quelli. Però Draco dormiva ancora tranquillo tra le braccia di Morfeo, ed io mi sentivo insicura, vulnerabile e esposta. Avevo terribilmente paura, ma c’è una cosa che ho imparato nella vita, e in quella casa: mai mostrare il fianco scoperto al nemico. Dissimulare, qualsiasi cosa accada; apparire sempre sicuri di sé. Mi ero esposta con Lucius, è vero, eppure elaborai ciò che successe e ne presi coscienza. Sapevo cosa aspettarmi da quel momento in avanti. Potevo solo diventare più forte. Così, respirando profondamente, mi ricomposi e, a testa alta, ripresi il libro caduto poco prima e mi sedetti sulla comoda poltrona come se niente fosse successo, come se non avessi lividi doloranti sul corpo, come se non avessi il cuore ancora palpitante veloce nel petto, come se non sentissi il desiderio ardente di piangere e sfogare la rabbia e il dolore. Dovevo mostrare la parte più dura di me, quella corazza che mi aveva aiutata in molte situazioni spinose tempo prima. Ero Hermione Granger, dannazione, e avrei dato sfoggio del mio coraggio facendo vedere a tutti chi davvero fossi e cosa potessi fare!

«Granger?» un sussurro debole, appena udibile, risuonò forte nella calma di quella camera ed arrivò chiarissimo alle orecchie.

Voltai l’attenzione verso il ragazzo appena sveglio e ancora un po’ confuso. Scrutai gli occhi azzurri – che ricambiavano lo sguardo- , ancora un po’ velati di sonno, e sospirai di sollievo – era bello sapere che stava meglio. Sorrisi appena senza mai smettere di guardare quelle iridi così chiare e belle, ma a volte così fredde e distanti. In quel preciso attimo, ogni ostilità che mi aveva avvelenato il sangue a causa di quell’uomo spregevole andò scemando secondo dopo secondo. Draco era vivo, dopotutto avevo di nuovo la mia ancora a cui potermi aggrappare. Ebbi davvero molta paura di perdere quello che, forse, era diventato una specie di amico e vedere con i miei occhi che, invece, lui non mi aveva abbandonata mi rese inspiegabilmente felice; guardare le sue iridi azzurre era la cosa migliore che mi fosse capitata in quella maledetta giornata. Provo una certa vergogna nell’ammettere che avessi gli occhi gonfi di lacrime per la felicità.

«Sei tornato, Draco …»
      


-Spazio autrice-
*Il titolo del libro è di mia invenzione, se per caso vorreste utilizzarlo vi prego di citarmi. 

Buona sera, miei cari Dramione Shippers. So di essere in ritardo, ma ho avuto delle cose da fare.
Tuttavia, spero che il capitolo vi piaccia, e se così non fosse, la colpa è tutta di una mia lettrice che, chiacchierando, mi ha fatto notare quanto Lucius fosse una figura marginale ed effimera - GRL POWER! Ho pensato, dunque, di aggiungere questo trafiletto prima di un interessante momento Dramione. 
Aspetto, OVVIAMENTE, i vostri commenti e le vostre stelline.

Per chi non lo sapesse, ho un account Instagram in cui posto citazioni e spoiler delle mie storie. Il nome con cui cercarmi è: about_mydreams. [http://www.instagram.com/about_mydreams/]

 
STAY TUNE FOR THE NEXT CHAPTER.
 

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Capitolo 20
*** 19 - A weight to carry. ***


«A weight to carry.»


«Sei tornato, Draco ...» sussurrai sorridendo appena, senza mai distogliere lo sguardo da quello di lui. 

«Cos'è successo?» domandò debole, con le palpebre non del tutto aperte; sembrava ancora assopito a causa delle misture somministrategli.

«Dovrei chiedertelo io.» ribattei piano – a non voler turbare l'atmosfera delicata appena creatasi – alzandomi nel frattempo e poggiando il libro sulla poltrona imbottita.

In risposta, Draco sospirò profondamente e chiuse gli occhi, come se volesse concentrarsi sui ricordi, probabilmente anche confusi. Decisi di rispettare i suoi tempi, d'altronde era appena riemerso dalle tenebre più nere e non avevo nessun diritto di assillarlo con domande scomode – seppur la mia curiosità fosse molta. Trovandomi dal lato opposto rispetto a dove lui riposava, colmai a grandi passi la breve distanza che mi separava da Draco andando dalla parte sinistra del letto non distogliendo mai lo sguardo dalla sua figura distesa. Più mi avvicinavo, più mi rendevo conto di quanto il suo volto fosse pallido ed il respiro stanco.

Una volta Harry raccontò a Ronald e me di come avesse visto quello stesso ragazzo biondo piangere nel bagno dei ragazzi al sesto piano ad Hogwarts mentre coffessava le sue malefatte a Mirtilla Malcontenta. Il Bambino Che è Sopravvissuto lo aveva visto sconvolto, ma ciò non lo fece desistere dall'attaccarlo. Nonostante quella storiella, personalmente non lo avevo mai visto così fragile, anzi. Era sempre stato irritante, ghignante insieme ai suoi amici mentre camminava sicuro per i corridoi dell'antica scuola. Tuttavia, in quasi due mesi, avevo conosciuto lati di Draco che non credevo potessero appartenergli, però ... assistere direttamente ad una sua disfatta era stato qualcosa di nuovo e per niente piacevole. Tempo indietro avrei provato una certa soddisfazione perversa nel saperlo ferito, ma non eravamo più semplici ragazzini. Per quel motivo, decisi di avvicinarmi e controllare se stesse bene o se avesse bisogno di una nuova visita da parte di quell'intransigente Guaritore. Per la seconda volta, poggiai il palmo della mano contro la sua fronte tiepida: temperatura normale; sospirai sollevata.

«Hai la mano fredda ...» commentò con voce roca non appena mi discostai dalla sua pelle.

Avrei voluto dirgli la verità, avrei voluto dirgli che era stata la paura a rendere le dita così gelide. Avrei voluto urlargli che suo padre era un mostro capace di far tremare anche il più valoroso degli eroi, ma preferii tacere. Sapevo benissimo che non avrebbe, di certo, fatto qualcosa contro Lucius, qualsiasi fossero state le sue condizioni. Tuttavia, in quel frangente, preferii non voler scuoterlo ulteriormente; ero cosciente quanto lui tenesse a suo padre e all'opinione che aveva di lui.

«Fa molto freddo, nonostante il camino sia acceso.» gli sorrisi appena dandogli le spalle e versando un po' d'acqua fresca in un bicchiere. La gentilezza che gli stavo riservando, in realtà, aveva solamente lo scopo di nascondere la mezza verità rifilatagli. «Ti aiuto a bere.»

Senza mai perdere il piccolo sorriso sulle labbra – per rassicurarlo in qualche modo, oltre a dimostrazione del mio sollievo- mi avvicinai ulteriormente reggendo il bicchiere colmo. Con la mano libera, posta dietro la sua nuca, lo aiutai ad alzare il capo così da mandar giù qualche goccia in modo da trovare un po' di sollievo – almeno speravo. 
Le dita a contatto con la sua pelle calda formicolavano per la vicinanza. A parte lo schiaffo datogli tempo indietro non avevo mai toccato Malfoy a quel modo, ma devo ammettere che quella strana sensazione di elettricità non mi dispiacque. Tuttavia, ricollegai il tremore e l'incertezza a ciò che era successo prima del suo risveglio. Avrei potuto tentare di convincere chiunque del contrario, però sapevo bene quanto quell'incontro con Lucius mi avesse scosso. Non badai, dunque, ai sentimenti tumultuosi e contrastanti nel petto e nella pancia; non badai nemmeno al sottile filo rosso del destino che stava unendo la mia vita a quella di Draco. Le Moire si divertivano a tessere e recidere legami, mentre io davo la colpa – di quelle emozioni- alla solitudine vissuta per troppo tempo, ma dissolta con l'arrivo dell'erede dei Malfoy. Erano gratitudine e paura che mi tenevano stretta a lui, o così credevo.

«Va meglio?» chiesi ingenua distogliendo l'attenzione dal suo volto nel frattempo che poggiavo il bicchiere vuoto sul comodino.

«Un po'.» mi rispose sospirando.

«Bene.» mi voltai nuovamente, espirando rumorosamente.
Ammetto di essermi sentita davvero meglio nel constatare che stesse bene e che le ferite non avessero riportato nessun danno serio. Senza il giovane Malfoy la mia vita sarebbe stata davvero a rischio. Se Draco fosse morto, Lucius non avrebbe esitato un solo attimo a lasciarmi nelle mani del nuovo Ministero, oscuro e corrotto tanto quanto lui – se non di più.

Fissavo quel giovane uomo che stava rischiando tutto pur di mettere in salvo sua madre, oltre che se stesso, e non potei fare a meno di provare un po' di ammirazione. Era cambiato molto negli ultimi tempi ma , nonostante avessi scoperto il suo lato compassionevole e protettivo, facevo ancora fatica a vederlo sotto una luce nuova. L'unica luce sotto cui lo avevo visto l'ultima volta era il bagliore rossastro della Maledizione Cruciatus. Ed era sorprendente notare che un ragazzo come lui, fuorviato dal volere e dal credo di un padre autoritario, avesse scelto di stare dalla parte giusta.

«Cos'hai fatto alla faccia?» domandò perplesso, indicando con un lieve cenno del capo nella mia direzione.

«Non lo so.» mentii alzando le spalle, simulando indifferenza. «Perché?» chiesi fintamente ingenua.

«Hai una guancia arrossata.» mormorò sospirando nuovamente, serrando gli occhi per qualche secondo; provava dolore.

Una volta alzate le palpebre, quelle sue iridi così fredde e intense vennero incastrate alle mie. Mi studiava, Draco Malfoy, spostando lo sguardo lungo tutto il mio volto e forse, dopo qualche secondo di spesso silenzio, riuscì a capire che gli stavo mentendo. Era estremamente serio, seppur ancora pallido e debole, e continuava a guardarmi come se volesse capire cosa si celasse dietro la corazza in cui mi ero rinchiusa. Peccato che quello scudo stesse cedendo, forse per la solitudine perpetrata nel tempo o magari per le continue sorprese che lui stesso mi riservava, o ancora perché mi mancavano i miei amici e tutte quelle disavventure mi stavano lacerando pian piano.

Alla sua affermazione alzai le spalle, facendo nuovamente finta di nulla. Mi sedetti accanto a lui senza mai distogliere lo sguardo dal suo. Anch'io avrei voluto capire – o almeno tentare di farlo- cosa gli passasse per la testa, cosa sentisse in quel clima di oscurità, in quel momento in cui lui tentava di far emergere la luce nel buio. Preferii stare zitta, non chiedere cosa stesse pensando, dopotutto non mi riguardava nemmeno. Mi ero già preoccupata abbastanza a causa delle ferite riportate.

«Tuo padre dice che è stato Neville a ridurti così.» sussurrai sospirando, scuotendo piano la testa per scacciare ogni tipo di pensiero che mi facesse anche solo provare un minimo di profonda empatia nei suoi confronti.

«Ho ricordi confusi.» rispose allo stesso modo, distogliendo gli occhi da me e puntandoli sul soffitto. «Ma quell'inetto di Paciock lo ricordo bene.» parlò serrando la mascella, quasi sibilando; assunse un'espressione corrucciata e le iridi chiare brillavano di cattiveria e fastidio.

«Credi che lui non sapesse?» chiesi realmente perplessa, chiedendomi perché il mio amico avrebbe voluto uccidere un alleato, qualcuno che aiutasse l'Ordine.

«Potter non ha detto a tutti chi collabora con loro.» rivelò inspirando ed espirando forte. Ancora una volta strizzò gli occhi, probabilmente qualche fitta lo aveva infastidito.

«E' follia, Draco!» esclamai stupefatta allargando le braccia. Mi alzai dal letto ed iniziai a fare brevi passi, davanti e indietro, dal lato del letto su cui il ragazzo pallido era sdraiato. «Tutti avrebbero dovuto sapere di te. Per Merlino, Neville avrebbe potuto ucciderti! Si può sapere cosa passa per la testa di quel ragazzo?» parlavo con foga crescente, elaborando secondo dopo secondo le possibili conseguenze della decisione di Harry. «E l'Ordine ha permesso una cosa simile? Non sanno che sei la sola occasione che ha per sventare ogni possibile attacco di Tu-Sai-Chi?»

«Sembri preoccupata per me, Granger.» ghignò divertito, ridacchiando appena.

«Ma cos'ha in testa: un'invasione di Bundimun?*» continuai a parlare, senza nemmeno da credito al suo commento sarcastico. Ero davvero arrabbiata; non potevo credere che fossero stati tutti così imprudenti. «Oh, se ci fossi stata io gli avrei-»

Bloccai la frase e il continuo camminare non appena elaborai cosa stessi per dire: se fossi stata lì, accanto ai miei amici, avrei tentato in tutti i modi di far ragionare chiunque avesse anche solo proposto di mantenere il silenzio riguardo una situazione tanto delicata. Se fossi stata con loro molte cose sarebbero diverse, quello era certo. 
Mi rabbuiai subito, sentendo nascere nel petto una grandissima nostalgia e un intenso senso di impotenza. Non ero riuscita a cavarmela da sola, non ero riuscita a raggiungere la resistenza a causa della mia debolezza; mi sentivo anche in colpa per la condizione di Draco, e non sapevo nemmeno perché. Mi portavo dentro un peso insopportabile, un tumulto di emozioni impossibili da spiegare e da scacciare, e la mente sempre in attività non faceva altro che rimuginare su ogni cosa successa e provata. Sospirai abbassando le palpebre per qualche secondo, cercando di allontanare l'angoscia e la maledettissima voglia di piangere che sentivo stringermi la gola. Non potevo cedere, non davanti a lui.

«Non ti ha abbandonata.» la leggera voce di Draco riempì il silenzio della stanza. Fu quella a tirarmi fuori dai pensieri tumultuosi.
Quel ragazzo mi sorprese – accadeva oramai di frequente. Volsi l'attenzione verso le sue labbra, talvolta così gentili ed altre velenose, sorpresa fosse stato davvero lui a parlare. Draco Malfoy, seppure con tono di voce distaccato e quasi autoritario, senza mai distogliere gli occhi severi dai miei, mi aveva appena rincuorata. «Semplicemente non si fida di me, ma crede in te.»

«Qui non è sicuro e lo sai anche tu.» ribattei piano riportando lo sguardo sui suoi occhi azzurri – gemme di ghiaccio bollente.

«Nessun posto è sicuro, Granger.» sussurrò muovendosi piano, tentando di alzare un po' la schiena così da poggiarla contro la spalliera intagliata. Sono certa che odiasse la posizione di debolezza in cui si trovava, non sopportava farsi vedere in quel modo da me, per questo motivo tentò di mettersi seduto così da non "essere in svantaggio". «Se fossi rimasta con quel contrabbandiere saresti finita tra le lenzuola di qualche uomo senza scrupoli e se fossi tornata dai tuoi cari amici ... avresti comunque rischiato la vita in battaglia, combattendo in missioni pressoché suicide. Quindi dimmi: cosa cambia? Almeno qui ci sono io che ti tengo d'occhio e ti nascondo.»

«Noto un certo compiacimento nell'ultima parte del tuo discorso, Malfoy. Mi sbaglio?» chiesi un po' irritata dal tono altezzoso usato – ed anche perché ero consapevole che avesse ragione. Incrociai le braccia al petto, alzando il capo in segno di superiorità - in fondo, molto in fondo, ero anche piacevolmente divertita da quell'atmosfera un po' più leggera.

«Affatto.» rispose ghignando soddisfatto, continuando a guardarmi negli occhi; è ormai seduto con le spalle poggiate alla struttura lignea del letto dietro di lui. Si sentiva più a suo agio in quella posizione meno sottomessa e quasi alla pari, lo avevo capito. Nonostante ciò, sapevo benissimo fosse debole e stanco; il pallore in volto era davvero eloquente.

«Vanesio.» commentai trattenendo un sorriso, mostrandomi orgogliosa.

Cercai di nascondere il viso raggiungendo a passi lenti la poltrona dalla parte opposta a dov'ero. Afferrai il libro e mi accomodai, riprendendo il posto da cui ero stata spodestata ben due volte a causa di Malfoy diversi. 
Abbassai lo sguardo ed aprii il volume pregustando già le lettere stampate su quella carta un po' gialla e consumata. Pregavo potessi rilassarmi leggendo e che nessuno mi interrompesse.

«Dovresti riposarti.» gli dissi infatti attenta a non guardarlo, concentrata sulla prefazione del saggio.

«Non darmi ordini.» borbottò sbuffando piano.

«E' un consiglio, non un ordine, Malfoy.» ribattei sicura, seccata per essere stata interrotta.

Lo sentii mormorare qualcosa, ma non capii precisamente cosa disse. Tanto meglio! In pochi minuti un silenzio piacevole avvolse l'intera camera ed io riuscii ad immergermi completamente nella lettura dimenticando tutti gli avvenimenti successi in quella strana giornata. Il camino all'interno della lussuosa stanza del ragazzo scoppiettava vivo rilasciando un tepore meraviglioso. Era sera inoltrata ormai, e coccolata dalla quiete e dal caldo iniziai a percepire la stanchezza appesantire il corpo. Avrei voluto dormire, lasciare che ogni tipo di pensiero e timore si spegnesse per delle lunghissime ore, ma avevo promesso a Narcissa Malfoy di vegliare il figlio per tutta la notte. Dunque, complice anche la preoccupazione di un possibile declino delle sue condizioni, resistei più che potei alla potenza del sonno, ma quando gli occhi mi si chiusero per qualche secondo capii di dover fare davvero qualcosa. Decisi così di iniziare a leggere a voce mediamente alta, sperando ciò funzionasse contro la stanchezza. Il tono leggero e basso riecheggiava tra le pareti dell'ambiente e lo scoppiettare del fuoco era un perfetto sottofondo. Ogni cosa mi riportò indietro nel tempo e per un breve attimo mi sembrò di essere tornata ad Hogwarts. Quel pensiero mi diede un po'di serenità.

«Vorrei dormire, Granger.» farfugliò piano, come a non voler veramente interrompere quella strana magia creatasi.

«Sta zitto e dormi.» lo ammonisco, più gentile di quanto vorrei, senza degnargli davvero della mia attenzione.

«Ringrazia Salazar che non abbia le forze per discutere con te ...» sbuffò debolmente – suppongo si fosse mosso, in quel momento, perché sentii il frusciare delle lenzuola di seta contro la pelle.

«Grazie, davvero.» dissi sarcastica interrompendo nuovamente la frase che avevo appena iniziato a leggere.

La pace scese nuovamente tra di noi ed io ripresi da dove ero stata interrotta. Minuto dopo minuto, parola dopo parola, il silenzio veniva spezzato dal fuoco, dalle mie parole e dal respiro pesante di Draco. Quella notte non fui più interrotta. 

*I Bundimun sono diffusi in tutto il mondo       

*Bundimun sono diffusi in tutto il mondo. Abili nello strisciare sotto i pavimenti di legno e dietro gli zoccoli delle pareti, infestano le case. La presenza di un Bundimun di solito è annunciata da un intenso puzzo di marcio. 
Il Bundimun secerne un liquido che fa marcire le fondamenta della dimora in cui si trova. 
Il Bundimun in stato di riposo assomiglia a una macchia di funghi verdastri con gli occhi, anche se quando è spaventato sgattaiola via sulle sue numerose zampette lunghe e sottili. 
Si ciba di sudiciume. 
[Fonte: Potterpedia.it]

SCUSATE IL RITARDOH
Tra un impegno e l'altro, una serie e l'altra, un blocco e l'altro e l'aggiornamento di Incest non ho avuto molto tempo. Cercherò di impegnarmi si più affinché non dobbiate aspettare così tanto si nuovo.

STAY TUNED FOR THE NEXT CHAPTER!

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Capitolo 21
*** 20 - First Contact. ***


«First contact.»


La mattina seguente fui congedata dalla padrona del Manor. Diceva avessi un aspetto orrendo e che necessitassi di riposo se avessi voluto continuare a servirla.

«Se non sei sveglia la tua utilità è nulla.» aveva detto sprezzante guardandomi dall'alto in basso, con sguardo algido.

Era avvolta nella sua spessa vestaglia da camera su cui ricadevano ondulati i capelli bruni, il volto era pallido a causa della sua evidente mancanza di sonno, ma continuava a essere elegante e posata. Sembrava che niente potesse turbarla. Potevo solo immaginare il dolore che sentiva nel vedere il suo unico figlio rischiare la morte per mano di qualcuno.

Avevo davvero un aspetto pessimo, comunque, lo sapevo bene. Me n'ero resa conto non appena varcai la soglia del bagno nella camera di Draco alle prime luci dell'alba: avevo profonde e scure occhiaie, capelli arruffati a causa del caldo del caminetto e le labbra screpolate per il freddo del clima dicembrino. Ero spossata nonostante non avessi fatto altro che leggere tenendo sotto controllo l'ammalato. Non avevo contrariato in alcun modo il volere della signora, d'altronde ero preoccupata anch'io per il giovane rampollo di casa Malfoy e credevo fosse facile vegliare un giovane ferito - ho trascorso molte notti insonni in passato-, eppure parecchie volte gli occhi si chiudevano per la stanchezza. Mi trovavo a casa del nemico, ma la quotidianità e la relativa calma nuovamente acquisita mi avevano avvolto, forse anche un po' indebolita e ammorbidita. Mi stavo fagocitando in quell'esistenza fatta di ozio e non sapevo se essere sollevata per essere sopravvissuta fino a quel punto o essere disgustata da me stessa per la sensazione di calore che provavo nel petto.

Mentre i sensi di colpa e i pensieri mi affollavano la mente, arrivai nella mia stanza, pronta per immergermi nell'acqua calda e lavare via la stanchezza e il peso che annodava lo stomaco. Ero molto confusa in quel momento, non sapevo bene cosa stessi provando: ero stata in pena per Draco Malfoy, quel ragazzino che aveva reso la mia vita un inferno insultandomi ogni qualvolta ne avesse avuto la possibilità, avevo avuto paura di perderlo, di vederlo morire tra le mie braccia, quando tempo indietro avrei voluto vederlo soffrire almeno un po'. Passato e presente si mischiavano tra loro confondendomi. Ripensai al ragazzo di un tempo, a quello che era stato, e fu difficile paragonarlo alla persona che era diventata. Non capivo chi lui fosse davvero, e per quanto volessi far finta di disinteressarmi a lui sapevo, in cuor mio, che non fosse così. Iniziavo a ritenere Draco un amico, o comunque qualcosa che vi si avvicinava, e ne avevo terribilmente paura.

Non sapevo più chi io fossi.

Dopo essermi rifocillata, decisi di rispondere al brontolio dello stomaco – non avevo toccato cibo il giorno prima. Attraversai, dunque, il corridoio dell'ala est del primo piano assaporando l'assenza di chiacchiericci e borbottii dei quadri alle pareti. Il Manor taceva ancora nel rispetto di ciò che era successo. Quel silenzio investiva la casa lugubre di un'inquietudine così intensa da poterla avvertire sulla pelle; non si sentivano nemmeno i passetti veloci degli elfi. Con camminata attenta, volendo rispettare quella quiete, mi diressi verso le cucine, ma non vi arrivai mai: la voce di Lucius Malfoy tuonò tra le antiche mura di quella dimora, turbandone la pace. Il tono feroce e gli strani rumori provenivano dal fondo del corridoio, precisamente dallo studio del signore. Non senza timore, mi avvicinai alla stanza così da poter ascoltare più chiaramente i suoi deliri.

«L'assassino di mio figlio è ancora a piede libero!» stava urlando a qualcuno con voce tanto alta da far tremare la porta chiusa. «Mi servono uomini per catturare quella feccia, traditore del proprio sangue!»

«Non adesso.» rispose l'interlocutore, anch'egli ad alta voce. «Molti dei nostri sono feriti. Abbiamo perso parecchi maghi in questa ricognizione.»

«Non m'importa di quegli stupidi Mangiamorte.» sibilò Lucius non accennando a calare il tono. «Se mio figlio fosse morte, voi e il Signore Oscuro avreste perso uno dei migliori alchimisti delle vostre fila.» si infervorava secondo dopo secondo. «Esigo un piccolo gruppo di uomini autorizzati, oppure ricompenserò chiunque mi porti vivo quell'inetto di Paciock. Penserò personalmente alla sua dipartita.» continuò acre.

«Tu, Lucius, non sei in diritto di chiedere nulla.» lo ammonì lo sconosciuto trattenendo l'ira. «E se mai quel traditore dovesse cadere nelle tue mani hai l'obbligo di portarlo all'Oscuro Signore. E' uno degli amici di Potter.»

«Voi datemi degli uomini ed io vi assicuro che Paciock sarà vostro.» sono sicura che stesse ghignando, anche se non potei vederlo.

Ci fu un silenzio che durò infiniti secondi, attimi in cui il mio cuore si fermò e la mente cominciò a pensare a come agire se mai Neville iniziasse ad essere cacciato come un animale.

«Va bene.» si arrese l'uomo. «Parlerò con il nostro Signore ed intercederò per te, ma se fallisci nessuno avrà pietà di te. Nemmeno tuo figlio potrà salvarti.» la sentenza era stata data con voce ferma intrisa di malignità. Neville era spacciato.

Mi allontanai velocemente dalla porta, a cui mi ero pericolosamente avvicinata, guardandomi alle spalle mentre attraversavo il lungo corridoio – con la paura che mi vedesse e punisse. Risalii le scale di corsa e camminai verso la stanza di Draco: era l'unico che potesse aiutarmi. Poi, però, mi fermai a pochi passi dalla meta. Cominciai a riflettere sul fatto che lui non potesse usare la magia perché era debole, dunque non avrebbe potuto incontrare Harry. Di certo non potevo mandargli un messaggio tramite gufo perché sarebbe stato sicuramente intercettato dai nemici. L'unico modo che avessi per comunicare era quel galeone incantato, tuttavia non era una garanzia: non sapevo dove i due si incontrassero, nemmeno io dunque avrei potuto raggiungerlo qualora lo avessi "chiamato". Avrei potuto modificare un po' l'incantesimo, ma non avevo una bacchetta e non sapevo cosa sarebbe successo qualora avessi usato quella di Draco. Dovevo solo provare e sperare – pregare- che funzionasse. Una parte di me avrebbe voluto un aiuto da parte del giovane, per avere un appoggio, ma l'altra, quella orgogliosamente Grifondoro, avrebbe preferito cavarsela da sola per dimostrare a se stessa di non essere diventata una inetta. Dovevo mostrarmi forte, sempre.

Decisi dunque di farmi coraggio e varcare la soglia della camera da letto del ferito. Avevo già preparato una scusa plausibile da rifilare a Lady Narcissa, ma con mio grande sollievo non era al capezzale del figlio.
Camminai piano verso il letto non volendo interrompere, ancora, la pace regnante tra quelle mura. Ero a qualche passo di distanza quando capii che Draco dormiva beato, con un colorito meno malaticcio ed il respiro rilassato. Era stato gravemente ferito e aveva davvero bisogno di riposare, ma avevo una paura tremenda di fallire agendo da sola – anche se non lo avrei ammesso nemmeno per tutti i galeoni d'oro del mondo. Non senza timore, chiusi la porta della camera e mi avvicinai alla panca di legno intagliato posta ai piedi del letto. Al di sopra di essa, vi era il pantalone di Draco perfettamente ripiegato dagli elfi insieme alla camicia strappata; era ancora tutto macchiato di sangue. Quell'ordine fatto dalle creaturine era in contrasto con quelle chiazze vermiglie che caratterizzavano, invece, il caos delle ore precedenti. Nonostante il contrasto dei sentimenti, ammetto di aver provato una forte angoscia a quella vista, e tutti i momenti passati tornarono in mente come un fiume in piena. Non potevo farmi prendere dallo sconforto in quel momento: avevo una missione da compiere. Velocemente afferrai i pantaloni del ragazzo cercando nelle tasche il galeone incantato. Non appena le dita vennero in contatto con il materiale della falsa moneta, la strinsi forte contro il palmo accorgendomi fosse fredda. Aprii la mano così da poter vedere se, per caso, ci fosse qualcosa che mi facesse capire dove si incontrassero i due. Vi erano dei numeri attorno al bordo, ma non sapevo a cosa si riferissero: potevano indicare longitudine e latitudine o magari semplicemente la data e l'ora dell'ultimo incontro avuto – poiché il luogo fosse già concordato in precedenza.

Sbuffai, infastidita da quelle incertezze e dall'ansia che iniziò ad invadermi il petto. Avrei dovuto modificare l'incantesimo se avessi voluto comunicare con i miei amici. Mi chiesi, in quel momento, con il galeone ancora sul palmo, se fossi abbastanza in forze per manovrare un incanto così difficile. Certo, avevo imparato quel sortilegio al quinto anno ad Hogwarts, ma era da mesi, precisamente dalla mia venuta in quella casa, che non praticavo la magia. Non dovevo pensarci, dovevo solamente agire per il bene dei miei amici. Dunque, cominciai a pensare a dove avessero potuto nascondere la bacchetta di Draco. Mi avvicinai alla scrivania e cercai nei cassetti, ma vi trovai solamente l'astuccio per conservare l'oggetto ligneo. Rovistai anche nella panca, ma vi erano solamente delle divise di Quidditch, una pluffa, un guanto da portiere e una mazza da battitore. Diedi un'occhiata anche nei comodini, ma niente. Stavo perdendo la speranza, e la paura di una ritorsione contro l'Ordine, di una possibile imboscata imminente, fece aumentare i battiti del cuore così tanto da avere il fiato spezzato e la gola secca. L'ultima possibilità di trovare l'unico oggetto in grado di poter scagliare la magia era cercare nell'armadio tra i capi di Draco; il mantello era il luogo più plausibile per occultare la bacchetta. Aprii le possenti ante intagliate e scure del guardaroba e scrutai il lato sinistro dell'interno dove erano sistemate tutte le cappe scure appartenenti al giovane lord. Le scrutai uno ad uno, cercando freneticamente nelle tasche interne ciò che agognavo – tenendo stretto tra le mani il galeone- e alla fine, dopo qualche minuto apparsomi lunghissimo riuscii a sentire sotto le dita la consistenza lignea e fredda dell'impugnatura dell'asta. La tirai fuori dal taschino trionfante con un sorriso di soddisfazione sul volto ed una speranza più forte, tanto da rabbuiare una parte della preoccupazione che sentivo crescere nello stomaco. L'unica cosa da fare era solamente mettere in atto il cambiamento dell'incantesimo e i pensieri negativi sarebbero spariti come fumo tra le dita – o almeno pregavo i maghi del paradiso fosse così. Mi auguravo di riuscire a salvare la vita di almeno uno dei miei amici, cosa che non avevo potuto fare appieno con Draco. Mi sentii impotente quando lo vidi agonizzante sul pavimento dell'ingresso del Manor il giorno prima e non volevo accadesse anche ad uno dei miei affetti più cari.

Fissai la moneta sul palmo della mano, ormai libera dalla stretta ed ero prontissima ad eseguire l'incantesimo, tuttavia esitai per qualche secondo. Iniziarono a vorticare moltissimi pensieri nella mente, le stesse preoccupazioni di pochi istanti prima, ma poi una nuova domanda fece capolino nella testa: "E se riuscissi davvero a comunicare con Harry, potrei chiedergli perché mi abbia lasciata al Manor da sola e perché non mi abbia voluta lì con loro".

Nel frattempo un profondo respiro ed un piccolo lamento di Draco richiamarono la mia attenzione, tant'è che mi voltai nella sua direzione potendo vedere la leggera smorfia di dolore comparire sul suo viso. E fu in quel momento che un dubbio importante mi assalì: ero davvero pronta ad andare via da quella casa qualora Harry e gli altri mi avessero rivoluto accanto? Guardavo il ragazzo biondo con intensità, tenendo ancora la moneta nel palmo e la bacchetta nella mano destra, ed una strana sensazione di disagio comparì al solo pensiero di lasciarlo da solo in quella situazione spinosa e delicatissima. Mi ero affezionata a lui più di quanto volessi ammettere e la cosa mi spaventava davvero tanto.

Scossi la testa riemergendo da quelle pericolose costatazioni e mi concentrai sul da farsi. Alzai la bacchetta sussurrando un Proteus e allo stesso tempo ne ruotai la punta intorno al bordo in senso antiorario. Sussurrai altri piccoli incantesimi continuando a muovere la bacchetta incrociando – metaforicamente- le dita affinché le modifiche avessero successo. Una volta completato il rituale, inspirai ed inspirai profondamente cercando di scacciare la nuova ondata di preoccupazione che aveva iniziato a schiacciare il petto.

«Funziona, ti prego.» sussurrai chiudendo gli occhi ed ingoiando un fiotto di saliva che, anche se per poco, inumidì la gola secca.

Con un movimento deciso del polso, mossi quel bastoncino all'apparenza innocuo in direzione del galeone d'oro pensando bene a ciò che volessi comunicare all'altro. Un leggero bagliore avvolse la moneta, segno che fosse pregna di magia. Il luccichio andò affievolendosi con il passare dei secondi, ma nulla stava cambiando: vi erano incisi ancora i numeri misteriosi. Avevo cominciato a perdere la speranza, a pensare che fossi fuori allenamento e che la bacchetta di Draco avesse rifiutato i miei ordini, ma poi all'improvviso comparvero delle parole sul bordo superiore ed inferiore dell'oggetto appena incantato: "Siete in pericolo. State attenti."

Non appena quelle due brevi frasi apparvero il sollievo sciolse ogni preoccupazione e paura. Ci ero riuscita nonostante quella bacchetta non fosse mia. Era stato bellissimo risentire la sensazione della magia solleticare le dita come una piccola scossa elettrica. Ero felicissima e ridacchiai per ciò, abbassando le braccia lungo i fianchi con ancora i due oggetti magici stretti tra le mani. Non mi capitava di essere così fiera di me stessa da troppo tempo ormai; avevo pensato, ad un certo punto, di aver perso ogni tipo di capacità, di aver perso ciò che mi rendeva Hermione Granger, ovvero quella particolare destrezza con ogni tipo di incantesimo e fattura.

Lentamente, riposi i manufatti incantati dove li avevo trovati cercando di mascherare quello che avevo appena fatto – anche se, ovviamente, avrei dovuto confessare a Draco del messaggio mandato a Harry. 
Mi sentivo più leggera, tanto da decidere di riprendere a leggere quelle pagine mancanti de "L'altro lato di Emrys" comodamente seduta sulla poltrona accanto al letto, ma quella quiete venne bruscamente interrotta dai lamenti di Draco sempre più lunghi e rumorosi. Celermente mi avvicinai e lo scrutai: aveva la fronte imperlata di sudore e quelle goccioline salate scendevano lente lungo il collo fino al petto bagnando la maglietta del pigiama, le labbra erano rosse, il respiro accelerato e gli occhi appena schiusi erano lucidi, tanto da far apparire bellissimo il colore delle sue iridi.

«Mi sento andare a fuoco, Granger.» aveva mormorato con difficoltà, deglutendo rumorosamente respirando a bocca dischiusa così da far entrare quanto più ossigeno nei polmoni.

Senza perdere tempo, posi una mano sulla sua fronte e la preoccupazione di cui mi ero privata qualche momento prima ricomparve improvvisa: Draco scottava tantissimo. Intuendo cosa stesse accadendo, scostai le coperte con un movimento veloce e brusco, sollevai la t-shirt scura scoprendo il ventre e parte del petto e così potei notare le bende completamente zuppe di sangue, segno che le ferite si erano riaperte. Dovevo fare qualcosa e anche alla svelta.

«Tabby! Poppy!» chiamai a gran voce, leggermente tremante, i due elfi al servizio rispettivamente di Draco e di Narcissa. 
Le due piccole creature apparvero quasi simultaneamente, con occhi sgranati per il tono usato ma serie in volto comprendendo fosse una questione urgente. «Tu!» indicai la prima parlando con fermezza e autorevolezza. «Va a prendermi dell'acqua fredda, degli asciugamani puliti e un paio di forbici. Corri!» esclamai quasi brusca alla fine. «E tu, Poppy, va a chiamare il Guaritore e poi avvisa i signori Malfoy che Draco non sta bene. Ma prima il Guaritore!»

Entrambe annuirono solenni e scomparvero in uno schiocco di dita. Nel frattempo corsi a versare dell'acqua fresca in un bicchiere e, immergendovi due dita, bagnai le labbra sottili e secche del ragazzo sperando provasse un po' di sollievo. Non appena poggiai il bicchiere sul comodino alle mie spalle, sentii lo schiocco della materializzazione, mi voltai nella direzione dell'ingresso e vidi Tabby venire nella mia direzione con un catino e degli asciugamani bianchi fluttuanti dietro di lei, le forbici, invece, erano strette tra le lunga dita nodose. Non appena mi affiancò afferrai quelle cesoie in maniera quasi disperata ed iniziai a tagliare la maglietta, così da poter avere una visuale completa dello sterno e della pancia di Draco, e feci lo stesso, poi, con le bende macchiate. Posai le forbici sul materasso e scostai i brandelli di tessuto dalla pelle bagnata di liquido vermiglio sporcandomi, di nuovo, le mani del suo sangue. Tolsi anche i cerotti che ricoprivano le ferite e ciò che vidi mi fece rabbrividire: le ferite grondavano, i bordi erano frastagliati e una leggera patina bianca ricopriva la pelle. Le lesioni si erano riaperte ed infettate. Una pesante angoscia cominciò a stritolare la bocca dello stomaco e una paura intensa si posò sul petto come un macigno. Tremavo mentre prendevo uno degli asciugamani volanti e lo immergevo nel catino con l'acqua fredda. Tentai di pulire le ferite con gentilezza e delicatezza, ma ogni volta che la stoffa di morbido cotone zuppa veniva in contatto con la pelle bollente Draco gemeva di dolore. Comprendevo fosse sofferente, tuttavia non potevo fare diversamente. Afferrai un asciugamano pulito, lo piegai e lo immersi nell'acqua, lo strizzai quanto bastava e lo poggiai sulla fronte calda cercando di procurargli un po' di sollievo. Ritornai poi ad occuparmi delle ferite sanguinanti; premevo contro di esse, alternando la pressione da una all'altra, sperando di fermare il sangue.

Ero disperata, non posso negarlo. Guardavo il viso sofferente e pallido di Draco e gli occhi mi si riempivano di lacrime di frustrazione, per l'impotenza, e di dolore nel vederlo soffrire. E mentre cercavo di ingoiare la voglia di piangere, sussurrando preghiere a fior di labbra, cercando in ogni modo possibile di evitare un'emorragia, sentii un leggero tocco sul polso sinistro. Mi voltai verso il ragazzo e capii di essere stata sfiorata proprio da lui; voleva attirare la mia attenzione. Lo guardai intensamente, continuando a reprimere il bisogno di piangere, senza mai smettere di occuparmi dei tagli rossi ed infiammati.

«Aiutami ...» mormorò guardandomi stanco; si sentì appena la voce roca.

A quelle parole mi si strinse il cuore e le lacrime si intrappolarono tra le ciglia. Il cuore mi batteva veloce, la gola doleva per gli urli trattenuti, il petto faceva male per la grande paura di vederlo chiudere gli occhi per sempre. Ed ancora una volta i sentimenti divennero contrastanti poiché una parte di me gridava di aiutarlo mentre l'altra, più rancorosa, mi rimproverava per quel desiderio. La verità, tuttavia, era che ... avevo iniziato a volergli bene davvero.

«Ci sto provando, Draco.» gli risposi con voce tremante e occhi appannati. «Sto facendo il possibile.» sussurrai lasciando che una stilla bollente scendesse piano lungo la guancia.

Lui mi guardò serio, sospirò e, delicato e flemmatico, avvolse le dita intorno al mio esile polso. Lo guardai stupita di quel gesto semplice, ma intimo. Mi bloccai, dimenticando quasi cosa stessi facendo, e mi persi a fissare le iridi chiare e lucide; quegli occhi dicevano più di quanto Draco volesse. Lentamente, iniziò ad accarezzarmi la pelle con il pollice, senza mai smettere di guardarmi. Nonostante lo stupore, i suoi tocchi leggeri mi calmarono, mi diedero un po' più di sicurezza: lui non voleva morire ed io non lo avrei mai permesso. Paradossalmente, fu Draco a consolare me. 
Quell'atmosfera elettrica e calda, magica, venne interrotta dal rumore dei battenti della porta che vennero spalancate con irruenza ed urgenza. Voltai il capo verso l'ingresso e mi accorsi che il Guaritore era appena arrivato.

«Fuori.» disse severo.

Ed io annuii obbedendo. Guardai Draco per un breve attimo e poi andai via, interrompendo quel piacevole contatto tra le nostre pelli. Attraversai la stanza a grandi passi cosicché il Guaritore potesse occuparsi del ragazzo il prima possibile. Una volta oltrepassata la soglia, la porta si chiuse alle mie spalle producendo un forte rumore.
Ero confusa, non sapevo cosa pensare né cosa stessi provando precisamente. Avrei voluto stringergli la mano, stargli vicino per tutto il tempo provando a rincuorarlo in qualche modo - magari avrei potuto semplicemente sussurrargli che tutto sarebbe andato bene. Poi, non appena quei pensieri si formulavano nella testa, mi sentivo patetica e mi chiedevo se non stessi sviluppando una particolare forma di sindrome di Stoccolma. Mi sentivo stanca, come svuotata.

«Cosa è successo?» quella domanda mi riportò alla realtà.

Piano, alzai lo sguardo e mi accorsi della presenza di Narcissa. Da sola. 
Lì per lì non sapevo cosa dirle; le parole mi si fermarono in gola. Gli occhi ripresero a pizzicare per le lacrime bollenti, il fiato divenne nuovamente corto e la gola si seccò ancora una volta. Aprii e chiusi la bocca un paio di volte – dandomi ancora della stupida- alla fine, riprendendomi dalla confusione, le risposi debolmente: «Le ferite si sono infettate.»

Scossi la testa abbassando lo sguardo sul pavimento e, come successe la sera prima, mi ritrovai a fissare le mani sporche di sangue. Tremavo, di nuovo. Non riuscivo a capire perché mi sentissi così insicura, perché avessi così tanta voglia di piangere e urlare. Mi sentivo davvero patetica.

«Mi dispiace.» mormorai senza un vero motivo, ritornando a guardare la donna.

Narcissa Malfoy era una statua di sale: aveva un cipiglio serio sul volto, il busto eretto in una posizione elegante e altezzosa, le mani unite davanti al ventre ed un autocontrollo invidiabile. Sapevo quanto quella donna fosse legata al figlio e sarebbe bastata una parola di troppo per farla crollare, ma essendo una Black e una Malfoy era abile a nascondere ciò che provava davvero. Era composta nel suo dolore.

«Dì al Guaritore di venire in salotto non appena ha terminato.» disse algida, controllata, guardandomi con distacco – minimamente toccata dalla mia affermazione. «Resta con Draco anche questa notte.»

Detto ciò, se ne andò. Mi voltò le spalle e, con passo sicuro e veloce, si diresse lungo il corridoio per raggiungere le scale che l'avrebbero condotta al piano di sopra, nelle sue stanze. Ero sicurissima che, una volta sola, si sarebbe lasciata andare ad un pianto disperato. Non riuscivo a capire come facesse a trattenere le emozioni, avrei voluto imparare anch'io ad essere gelida e distaccata così da non farmi coinvolgere. Purtroppo era troppo tardi. Ero più che compromessa.

Dopo un tempo parso infinito, il Guaritore uscì dalla stanza e mi accorsi quanto fosse provato. Non appena chiuse la porta della stanza, mi avvicinai chiedendogli come stesse Draco. Per fortuna il peggio era passato, gli aveva fatto bere una serie di pozioni che avrebbero cauterizzato le ferite nel giro di qualche ora. Mi raccomandò di farlo riposare e mi proibì di farlo muovere nelle prossime ventiquattro ore che, a detta sua, erano cruciali per una completa guarigione. Ero molto sollevata nel sapere che stesse bene, tanto che sorrisi ringraziando Merlino e Morgana. L'uomo mi avvertì di fargli ingerire delle pozioni a due ore di distanza, misture che aveva preparato in ordine sul comò accanto al letto. Con il cuore più leggero, lo ringraziai e gli dissi ciò che Narcissa mi aveva riferito.

Non aspettai nemmeno un secondo di più: entrai nella lussuosa camera per costatare con i miei occhi il miglioramento del ragazzo. Mentre Tabby ed Poppy stavano sistemando, io mi avvicinai cauta a Draco cercando di essere discreta in modo da non disturbarlo. Lo guardai attentamente, scrutandolo, e mi accorsi del colorito meno malaticcio e dell'assenza dei sudore, delle labbra più rosee e meno secche e del respiro regolare. Poggiai delicatamente una mano sulla fronte costatando che anche la temperatura fosse diminuita. Sorrisi involontariamente restandogli vicino, con ancora le dita sulla testa. Cominciai ad accarezzarlo piano, gentilmente, non rendendomi davvero conto di cosa stessi facendo; ero in preda alle emozioni e la ragione era stata messa a tacere.

«Stai bene.» sussurrai a me stessa, sospirando sollevata senza mai perdere il leggero sorriso formatosi sulle labbra.

Contro ogni logica, contro ogni principio seguito fino a quel momento, presi una decisione: quella notte gli sarei stata vicino davvero. Raggiunsi il lato opposto del letto, la parte libera, e mi sedetti sul bordo espirando forte. Tolsi le scarpe e raggiunsi Draco sul materasso, mi distesi sul fianco sinistro così da essere rivolta verso di lui, non perdendolo mai di vista. Mi avvicinai ancora un po' al suo corpo coperto e addormentato, mi sistemai comodamente e portai la mano sinistra sotto il viso e la destra andò a cercare quella di Draco. E come lui aveva fatto con me, avvolsi le dita intorno al suo polso caldo accarezzandogli piano la pelle con il pollice. Avevo la mente completamente svuotata da ogni tipo di pensiero. Chiusi gli occhi godendomi il silenzio e lo scoppiettare lento del fuoco nel camino in lontananza. Ero stanca e sentivo il corpo sempre più pesante e, nonostante provai a combattere il sonno, decisi di lasciarmi andare. Mi addormentai tranquilla, mano nella mano con una Serpe. 

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Capitolo 22
*** 21 - A strange day. ***


«A strange day»


Quello fu un giorno decisamente strano.
Erano trascorsi due giorni e Draco viveva in uno stato di dormiveglia perpetuo ed eravamo tutti molto preoccupati; Narcissa Malfoy era così distrutta da non curarsi di mostrarsi fragile davanti a me, una persona considerata inferiore. Lucius, invece, era solo furioso, intento a progettare la sua vendetta. In effetti, non c’era nulla fuori dall’ordinario, ma quella mattina fu … decisamente anormale sia per me sia per lui, ci scommetto la bacchetta.
Come accadeva da giorni, ormai, mi prendevo cura di lui e, ancora scossa da ciò che era successo, mi addormentavo sul letto, nel posto vuoto di fianco. Non avevo minimamente pensato alla sua reazione qualora si fosse svegliato vedendomi così vicina, l’unica cosa che mi preoccupava era la sua salute e volevo controllarlo in ogni momento. Tuttavia, il sonno, a volte, era più forte della mia volontà facendomi sprofondare nell’incoscienza tipica della notte. E quel giorno successo proprio quello.
Ero davvero stanca, avevo dormito a mal appena nelle giornate precedenti, e quella notte mi abbandonai a una quiete profonda. Sembrava mi fossi assopita solo qualche momento prima quando, all’improvviso, qualcosa iniziò solleticare la punta del naso – più che solleticare, la parola giusta sarebbe ruotare in modo fastidioso la punta del mio naso. Infastidita e confusa, aprii gli occhi lentamente. Mi ci vollero dei lunghi secondi per comprendere che era Draco Malfoy, sveglio e alquanto divertito, a irritarmi mentre il suo indice premeva contro il naso.
Per un attimo i nostri sguardi s’incrociarono e la sua tortura si arrestò. Il nervosismo scemò pian piano permettendo al sollievo di espandersi nel petto, lentamente, facendomi sorridere appena. Lui invece era serio e restava impassibile e in silenzio mentre i suoi occhi restavano fissi nei miei; mi sarebbe piaciuto capire cosa gli passasse per la testa in quel momento, ma era sempre Malfoy e se avessi chiesto, avrebbe sicuramente commentato aspramente … o con una battuta sarcastica.

Restammo in silenzio per un po’, ci guardavamo e basta. Non gli ero mai stata così vicino, in maniera quasi intima, e non badai nemmeno al fatto che fossi ancora nel suo letto, accanto a lui. E la prima cosa strana di quella giornata fu la familiarità che sentii standogli così prossima, ero perfettamente a mio agio come se fosse normale avere un approccio del genere con Draco. C’eravamo insultati per tanto tempo, la sua famiglia aveva fatto del male alle persone cui volevo bene, eppure … eppure c’era qualcosa di diverso in quel ragazzo. Forse eravamo solo spezzati entrambi e dunque ci comprendevamo, ma sentivo ci fosse dell’altro … magari ero solamente ammaliata dai suoi nuovi modi di fare. Avrei attribuito un nome a tutto solo qualche tempo dopo.

«Mi stai respirando un po’ troppo vicino, Granger. Potresti infettarmi così.» un ghigno comparì sulle sue labbra sottili ancora un po’ violacee e, accompagnato da un tono beffardo, ruppe la tranquillità del momento.

Ecco, Malfoy era tornato e a quanto pare anche il suo umorismo nero.
Alzai gli occhi al cielo mugugnando infastidita. Era troppo bello credere di poter avere un attimo di pace, per fortuna lui mi ricordò in pochi secondi chi avessi davanti – lo stesso tempo che i miei pensieri positivi su di lui impiegarono per scomparire. Decisi di mettermi in piedi e ignorare quella frase inopportuna, elencando nella mente cosa avrei dovuto fare quella mattina: prima di tutto avrei controllato, come ogni giorno al mio risveglio, la temperatura di quello sciagurato di un Malfoy e poi gli avrei fatto bere le medicine prescritte.

Sospirando profondamente, m’incamminai veloce verso le finestre e, con un gesto veloce, aprii le tende, che la sera precedente avevo chiuso, così da illuminare la stanza – anche se il sole era nascosto dietro grandi nuvoloni grigi. Guardai fuori dalle vetrate, assorta, scrutando il cortile d’ingresso; avevo preso quella strana abitudine e mi ero accorta che molti Mangiamorte arrivavano e andavano via da quella casa in piccoli gruppi ed in maniera assai frequente, soprattutto dopo l’incidente di Draco. L’istinto mi suggeriva che fosse a causa della collera di Lucius e della sua voglia di vendicare l’offesa subita, e poche volte il mio intuito si è sbagliato in questi anni.
I pensieri furono interrotti da un lieve gemito di dolore. Mi voltai, quasi di scatto, in direzione del non-defunto-Malfoy e mi accorsi dell’espressione sofferente nel tentativo di mettersi seduto sul letto, con la schiena contro la testiera, facendo forza sulle braccia. Scossi la testa, impressionata dalla sua testardaggine, e con passo veloce mi avvicinai a lui, pronta ad aiutarlo.

«Fa piano.» mormorai, come un leggero rimprovero, afferrando delicatamente un braccio e aiutandolo a mettersi dritto.
Sospirò serrando la mascella e chiudendo gli occhi, poggiando la testa contro la struttura lignea dietro le spalle. Potevo capire quanto fosse frustrante essere inchiodati a un letto, privi di qualsiasi autonomia, e per di più confusi. 
Mi dispiaceva davvero tanto vederlo in quello stato; oltre che dolorante sembrava arrabbiato. Sentivo una strana compassione nei suoi confronti, ma non era una buona idea mostrargliela … non l’avrebbe presa bene.
«Come ti senti?» chiesi interessata interrompendo il silenzio sceso nella stanza.

«Come se un bolide mi avesse colpito ovunque. Con violenza e insistenza.» ribatté mormorando, restando ancora in quella posizione meditabonda.

«In effetti … sei stato male.» replicai in un sussurro, con voce un po’ tremante. Ripensare a ciò che era successo, al suo sangue sulle mani, mi si annodava lo stomaco e un senso di oppressione compariva nel petto, schiacciando il cuore.

Forse a causa del mio tono grave, Draco aprì piano gli occhi e voltò il capo nella mia direzione. Mi guardò in silenzio, proprio come poco prima, ma stavolta … scrutava tutto il mio viso – lo sentivo sulla pelle. Ed anche allora, non sapevo a cosa stesse pensando: magari mi diede della stupida o al contrario era stupito dalla preoccupazione che traspariva dalla voce, però lui era granitico come sempre. Dissimulava.

«Cos’hai sul collo?» chiese perplesso senza mai distogliere lo sguardo – quasi non batteva le palpebre.

Lo fissai curiosa per qualche secondo, non capendo a cosa si stesse riferendo. Con l’indice e il medio della mano destra mi accarezzai la base del collo per capire cosa avesse visto di così strano. Sentii un lieve dolore alla parte destra della gola, un leggero bruciore che mi fece sussultare – non ci avevo nemmeno fatto caso. D’improvviso la consapevolezza si fece spazio nella mente: avevo addosso i segni delle mani di Lucius Malfoy che, in un raptus di rabbia, si era scagliato contro di me minacciandomi.
Poche volte nella vita mi è mancata la parola, e quello fu uno di quei momenti in cui mi ritrovavo ad essere indecisa sul da farsi: avrei potuto confessare e insultare a gran voce suo padre per ciò che mi aveva fatto, ma poi mi chiesi a cosa sarebbe servito poiché Draco non avrebbe potuto fare niente nelle condizioni in cui versava. Avrebbe potuto parlargli, certo, ma niente avrebbe fermato quell’uomo dal perseguire le sue idee.
In qualche strano modo, sentivo che la cosa giusta fosse non informarlo di quanto successo; aveva già tanto di cui preoccuparsi ed io sapevo benissimo cavarmela da sola. Dunque, accennai un sorriso e scossi la testa facendo un gesto con la mano per minimizzare il tutto.

«Non lo so.» dissi tranquilla scrollando le spalle mentre mi avvicinavo a lui, pronta per medicarlo e somministrargli le medicine. «Però non è niente, non sapevo nemmeno di avere dei segni.» continuai a mascherare l’inquietudine che aveva iniziato a riempire il cuore al solo ricordo di quelle violenze.

Nel frattempo gli ero arrivata in prossimità e avevo allungato una mano affinché potessi sentire sotto le dita la temperatura sulla fronte, ma venni fermata dal mio intento dalla presa forte di Draco contro il mio polso. Non era stretta, non mi faceva male, era solo forte, decisa, e allo stesso modo iniziò a guardarmi dritto negli occhi, la mascella tesa e le narici leggermente allargate a dimostrazione ulteriore del suo disappunto.

«Non mentirmi.» sussurrò autoritario. Tuttavia, sentivo vi fosse un tremolio nella voce, credo fosse preoccupazione.

Capii che non fosse arrabbiato con me dal modo in cui mi fissava: sicuro, ma c’era una dolcezza nascosta in quelle iridi chiare.
Sì, era proprio un giorno strano.

«Non sto mentendo.» mormorai il più decisa possibile, senza vacillare, con tono morbido. «Davvero, Draco. Sto bene.» dissi piano abbozzando un sorriso.

Continuò a guardarmi per qualche attimo, indeciso se credermi o no. Ciò che mi colpì non furono i suoi occhi velati da ansia e incertezza e nemmeno la profondità con cui le iridi azzurre tentavano di sondare la mia anima, ma il contatto prolungato della sua mano contro la mia pelle. Mi aveva scacciata dal suo letto con un commento razzista, eppure non si faceva problemi a toccarmi in quel modo. Non riuscivo a capire cosa stesse accadendo tra noi: non eravamo più due ragazzini che s’insultavano facendo forza sulle proprie credenze, ma eravamo un giovane uomo e una giovane donna in difficoltà che si stavano scoprendo pian piano, con le debolezze e i difetti che li contraddistinguevano, ed io ero terrorizzata e rincuorata allo stesso tempo di potermi affezionare in modo indissolubile a lui perché tutto ciò che avevo visto di Draco mi piaceva. Ero terribilmente confusa da quei nuovi sentimenti e dal comportamento contradditorio di lui, mi sentivo una completa idiota.

«Fai proprio schifo a mentire, Granger.» sbuffò ghignando, alleggerendo la tensione calata nella stanza e interrompendo i miei pensieri – ed anche il nostro caldo e confortante contatto.

«Sei davvero carino, Malfoy.» ribattei ironica ma con voce piatta alzando gli occhi al cielo; ero segretamente sollevata non avesse insistito.

Ritrovata un po’ di tranquillità, riuscii a poggiare la mano sulla sua fronte perlacea. Sospirai, confortata nel costatare che la febbre fosse sparita del tutto. Mi rimaneva da controllare solamente le ferite, e di quelle avevo un po’ paura: avevo ancora impresso nella mente lo stato in cui versavano le cicatrici rosse sul quel petto ampio e bianco. Rabbrividii al solo pensiero.
Chiusi gli occhi e scossi la testa cercando di allontanare ogni tipo di ricordo e di concentrarsi solamente sul presente, su ciò che dovevo fare.

«Granger?» sentii chiamare ed alzai le palpebre per puntare lo sguardo su di lui. «La Polisucco.» quasi mormorò il nome di quella pozione; mi guardava attento, anche leggermente corrucciato. Per un attimo, pensai che avesse richiamato la mia attenzione solo per distogliermi da brutte memorie ma, qualunque fosse stato il suo intento, avevo apprezzato.

«Sì, giusto.» annuii debolmente, ancora un po’ scossa da quei nefasti pensieri.

Avevo proprio dimenticato di avere il mio vero aspetto in quel momento, troppo presa dal resto. Se non me lo avesse ricordato, avrei avuto elevate possibilità di essere scoperta qualora fosse entrata la padrone del Manor.
Mi avvicinai all’alto comodino posto dalla parte in cui riposava il giovane Malfoy, laddove erano anche le varie pozioni curative, ed aprii con movimenti lenti il primo cassetto. Afferrai una provetta piena di un sostanza color fango, tolsi il tappo di sughero e, respirando profondamente e ritrovando il tanto decantato coraggio Grifondoro, ingoiai tutta mistura in un unico sorso. Se solo ci ripenso, riesco ancora a sentire la consistenza molliccia e gelatinosa contro la lingua ed il suo sapore a dire poco nauseante. Non c’è nulla di più orrendo della Pozione Polisucco.

«Oh, per tutti i maghi del paradiso che schifo!» esclamai chiudendo gli occhi concentrandomi sul non vomitare.

«Sempre a lamentarti …» commentò beffardo lui, sorridendo sghembo e guardandomi divertito.

«Taci, Malfoy!» lo rimproverai seccata mettendo al proprio posto la piccola ampolla ormai vuota. «Questo orrore farebbe impallidire Merlino in persona …»

Guardai nel cassetto assicurandomi che le scorte di pozione precedentemente messe lì bastassero ancora per qualche giorno: ve ne erano solamente due. Mi appuntai mentalmente di prenderne almeno altrettante fiale, così da essere sicura di indossare i panni di Elizabeth per lungo tempo.
Al quel pensiero, una volta richiuso il cassetto, volsi lo sguardo vero le mie mani. Sentivo che quel miscuglio orribile stava già agendo sulla mia immagine: la pelle acquisì un colorito leggermente più scuro e le dita divennero più lunghe ed affusolate le cui unghie erano in uno stato decisamente migliore delle mie – quelle vere. Sospirai sorridendo amara: non ricordavo l’ultima volta che avessi avuto il mio aspetto, oramai erano due mesi circa che lo specchio rifletteva la figura di Elizabeth, la serva di Malfoy Manor. Solamente Morfeo era in grado di vedere la Hermione Granger nella sua totalità, completamente vulnerabile. Nonostante il mio carattere venisse fuori in ogni circostante, mi mancava essere me stessa ed avevo davvero paura di non riuscire più a ritrovarmi davvero.

«Le cose cambieranno, Granger.» ancora una volta, la voce sicura però tremendamente rassicurante di Draco mi riportò alla realtà. «Devono cambiare.»

Mi guardava tranquillo, potrei quasi dire in maniera dolce, benché avesse un’espressione seria, imperturbabile, sul bel viso affilato. Mi scrutava ancora con quegli occhi così freddi ma che riuscivano benissimo a scaldarmi. Non so precisamente perché, eppure, continuando a tenere gli occhi nei suoi, gli credei; sapevo dicesse la verità. Anche quello era decisamente strano.

«Anche perché quella chioma cespugliosa che hai in testa, prima o poi, spunterà fuori da sola, incontenibile, come se avesse vita propria.» ghignò alla fine, prendendosi gioco di me.

Sbuffai e alzai gli occhi al cielo incrociando le braccia al petto. Sapevo che il suo commento inopportuno non era per ferirmi, ma solamente per alleggerire quella tensione che, prepotente, era nuovamente scesa tra di noi.
Quel continuo cambio di atmosfera e quegli sguardi erano qualcosa che mi destabilizzava totalmente. Non sapevo cosa passasse a lui per la testa e, tanto meno, ero in grado di decifrare cosa stesse succedendo a me. Stavo bene con Draco, non mi dispiaceva bisticciare rispondendo alle sue provocazioni, non mi dispiaceva nemmeno perdermi in quelle iridi di ghiaccio il cui sguardo, però, era bollente e … vederlo esanime tra le mie braccia fu davvero devastante, tanto da dover ammettere che, in fondo, un po’ di bene gli volevo. E quella consapevolezza faceva decisamente male al cuore e pesava come un macigno sulle spalle, ma quando gli ero accanto non riuscivo a non sentirmi bene. Se Harry e Ron avessero saputo quanto mi fossi affezionata a Draco sarebbero morti sul colpo, lo sapevo bene. Purtroppo fu inevitabile legarmi a lui.

«I tuoi commenti sarcastici, e decisamente inopportuni, sono un buon segno di guarigione. Tuttavia, vorrei ricordarti chi ti fa da balia, Malfoy. Non ti conviene metterti contro di me!» ribattei con voce fiera e mento alto, guardandolo dall’alto verso il basso con le mani poggiate sui fianchi. 

«Stupido orgoglio rosso-oro.» sbuffò scuotendo la testa ed incrociando le braccia contro il petto; la sua espressione seria si trasformò in un broncio fastidioso.

«Fastidiosa serpe.» risposi allo stesso modo, alzando gli occhi al cielo seccata.

Mettendo da parte questi inutili battibecchi, mi avvicinai a lui e, forse con poca delicatezza, afferrai le coperte che nascondevano parte del suo corpo, e le tirai ai piedi del letto in un'unica mossa. Come previsto, Malfoy mi guardò con rimprovero, ma io non vi badai: la cosa importante, in quel momento, era occuparsi delle ferite e somministragli le medicine; avevamo perso fin troppo tempo.

«Ce la fai a sederti sul bordo del letto? Così è più facile cambiare le bende.» dissi pacifica guardandolo in viso con un’espressione rassicurante – o almeno speravo lo fosse.

Dapprima, Draco mi fissò incerto, forse indeciso se fidarsi o meno di me e delle mie capacità di Curatore, poi sospirando e scuotendo leggermente il capo, mentre stringeva la mascella, si fece forza con le braccia e piano riuscì a sedersi esattamente di fronte a me poggiando i piedi sul pavimento freddo. Non lo aiutai nei movimenti, conoscendolo, mi avrebbe ammonito con lo sguardo o sbeffeggiato con un commento antipatico; non volevo si sentisse un infermo non autosufficiente, tra l’altro. L’orgoglio, imparai, che non era importante solamente per me.

«Senti dolore?» chiesi curiosa notando avesse morso le labbra più volte mentre mi si poneva davanti.

«Sì …» annuì, sospirando stanco.

Un po’ preoccupata – ancora reduce da ciò che avevo vissuto-, presi le forbici dall’alto comodino e, lentamente, tagliai le bende in cui il suo torace ed il suo ventre erano avvolti. Poggiai l’attrezzo dov’era poco prima e poi mi occupai di togliere piano le garze – per fortuna- immacolate. Restavano solamente i cerotti con cui i tagli erano coperti, intrisi di unguento. Tentennai per qualche attimo, spaventata da ciò che potesse esserci sotto quei medicamenti, e dal disagio che percepii lungo la schiena capii che Draco mi stava fissando, in silenzio. Deglutii un po’ di saliva cercando di dar sollievo alla gola secca causata dal cuore che batteva forte nel petto; ero ansiosa, lo ammetto. Eppure quella mia paura era irrazionale, lo sapevo: lui stava bene, non aveva febbre ed era uscito dal quello stato comatoso in cui fu intrappolato per qualche tempo – troppo. Le immagini di Draco sporco di sangue che mi chiedeva aiuto erano marchiate a fuoco nella mente, sotto le palpebre.

Sospirai profondamente e, decisa, cercando di non far tremare le mani, staccai i cerotti quanto più dolcemente possibile. Li accatastai l’uno sull’altro sul comodino, accanto alla brocca con l’acqua, ripromettendomi di chiamare Tabby affinché ripulisse tutto.
Il sollievo mi pervase quando costatai che quei tagli erano chiusi, forse solo un po’ rossi lungo le sottili cicatrici che si stavano formando, ma avevano un aspetto migliore a giorni prima; le medicine erano efficaci. Ed io, in tutto ciò, ero compiaciuta, d’altronde avevo aiutato affinché si rimettesse. Sorrisi rincuorata guardando ancora una volta quei segni rossastri sul petto e sulla pancia del ragazzo.

«Bene, le ferite hanno un bell’aspetto.» dissi sorridendo alzando lo sguardo verso di lui.

«Come possono avere un bell’aspetto? Sono cicatrici!» ribatté stizzito alzando gli occhi al cielo.

«Invece di brontolare come un calderone in piena ebollizione, prendi la fiala con la pozione blu.» parlai decisa, mantenendo sempre le mani sui fianchi guardandolo truce. «Io vado a riempire la vasca: hai bisogno di un bagno.»

Gli diedi le spalle e, a passo deciso, varcai la soglia del bagno privato del giovane. La grande vasca, posizionata sul lato destro della stanza, non era dissimile a quelle che avevo io in camera, tuttavia era decisamente molto più spaziosa ed elegante con i piedini leonini dipinti in oro. Vi era molta opulenza in quel bagno, ma l’ultima cosa a cui pensavo in quel momento era l’arredamento. Con un gesto veloce della mano, aprii il rubinetto dorato – l’acqua zampillava dalle fauci di un piccolo leone- e restai qualche secondo a fissare il fondo di quella pregiata tinozza di ceramica. Sospirai poggiando le mani sul bordo freddo e chiusi gli occhi per un attimo: provavo troppe emozioni in contemporanea e queste mi stavano confondendo; dovevo allontanarmi un attimo da lui per concentrarmi e capire cosa diamine mi stava accadendo. Non mi ero mai sentita così vulnerabile. Il peso delle preoccupazioni, delle paure e dei piacevoli sentimenti mi stavano crollando tutti addosso in un unico momento lasciandomi spossata e destabilizzata. Era proprio una stranissima giornata, ed era appena cominciata.

«Qui ce ne sono tre di pozioni blu!» l’improvviso tono esasperato di Malfoy fece dissipare ogni tipo di pensiero, portandomi a sbuffare e alzare gli occhi al cielo.

Un po’ irritata dalla brusca interruzione del mio meditare, ritornai in camera da lui a passi pesanti visibilmente scocciata, lasciando che la vasca si riempisse. Tuttavia, quando guardai il viso confuso del ragazzo mentre osservava quelle tre ampolle con sfumature diverse, non riuscii ad essere scortese come avrei voluto – e dovuto. Anzi, qualcosa si sciolse di fronte al suo broncio aristocratico. E mi diedi della stupida.

«E’ questa, Malfoy.» dissi sospirando forte prendendo la prima fiala della lunga serie posata sul comodino.

«Anche le altre sono delle stesso colore, Granger. Sicura sia quella giusta?» mi chiese scettico guardandomi altezzoso.

«Una è azzurra e l’altra è cobalto, Draco, quindi sì, sono sicura.» ribatto fiera, quasi ferita dal suo non fidarsi. «Adesso bevila così possiamo andare in bagno.» dissi più tranquilla porgendogli la mistura colorata.

«Andiamo?» domandò perplesso mentre stappava la piccola ampolla.

«Non credo riusciresti a lavarti da solo: le ferite ti fanno ancora male e potrebbero comunque riaprirsi. » spiegai spicciola intanto che lui ingollava tutta la pozione. «Dovrai sopportare la mia presenza ancora per un po’.» sorrisi beffarda prendendo la fiala dalle sue mani ormai vuota.

«Bene …» commentò cupo; la voce piena di ironia.

«Ce la fai ad alzarti da solo?» domandai gentile ignorando il suo appunto.

Draco annuì convinto e, dandosi una spinta con le braccia, si mise in piedi. Per un momento barcollò poiché erano trascorsi quasi quattro giorni dalla sua immobilità, però ritrovò immediatamente l’equilibrio. Il suo sguardo da incerto divenne fiero, come se avesse dimostrato a se stesso e a me di non aver bisogno di nessuno – soprattutto dopo avergli detto che lo avrei aiutato a lavarsi. Nonostante mi aspettassi più rimostranze su quel punto, fui felice di non dover discutere ancora con lui su qualcosa di così stupido – anche se per un Malfoy  l’orgoglio è importante.
Mi accostai a lui cosicché da poter essere di supporto qualora lo avesse voluto e poi … ammetto che mi piaceva l’idea che Draco sentisse la mia presenza, come una specie di sicurezza. Così, mosse dei passi quasi zoppicando, stringendo i denti di tanto in tanto per il fastidio che le cicatrici gli procuravano. E nonostante non mi degnasse di uno sguardo mentre ci avvicinavamo al bagno, io gli rimasi accanto per tutto il tempo guardandolo di sottecchi, come una mamma preoccupata per il proprio figlio.

Arrivati a destinazione, mi accorsi che la vasca era piena quasi fino all’orlo così, velocemente, chiusi il rubinetto. Nel frattempo, Draco, stanco, si sedette sul bordo della vasca e sospirò piano – aveva davvero bisogno di altro riposo, cosa che avrebbe fatto dopo, me ne sarei assicurata. Lo guardai per un po’, tentata di dirgli di sfilarsi i pantaloni ed entrare nella tinozza, ma decisi di non farlo e di lasciargli i suoi tempi senza essere assillato da una me preoccupata. Tentai di calmarmi anch’io, ripetendomi che se fosse stato male avrei potuto soccorrerlo subito poiché gli sarei stata vicina, così gli voltai le spalle – in modo che potesse avere un po’ di privacy- e presi i sali da fa sciogliere nell’acqua (conservati in un contenitore di vetro in un alto mobiletto al di sopra del lavabo), la spugna e l’accappatoio (in un ripiano al di sotto del lavabo). Posai quest’ultimo sul bordo del lavandino così sarebbe stato più facile per Malfoy prenderlo per asciugarsi, stappai la boccetta contenente i sali ed un bellissimo aroma di pino mi riempì le narici. Mi attardai ancora qualche secondo, in modo da dare a Draco un po’ più di tempo, e quando sentii lo sciabordio dell’acqua mi voltai sicura che fosse entrato nella vasca.
Il suo sospiro di sollievo riempì la stanza ed io ne sorrisi, rallegrata trovasse conforto nell’acqua calda – forse si sarebbe anche rilassato grazie a quel tepore, lo speravo.

Versai quei granuli profumati nell’acqua accorgendomi che Draco aveva avuto la decenza di non togliere i boxer, così da non farmi sentire a disagio. Lo apprezzai; forse aveva capito avesse realmente bisogno di me per lavarsi. Dunque, in silenzio afferrai la spugna e mi sedetti sull’orlo freddo della vasca da bagno alle spalle di Draco, spostando il lungo vestito da un lato affinché non si bagnasse. Lentamente affondai la spugna nell’insieme di acqua e sapone, strizzai per togliere l’eccesso d’acqua e iniziai a strofinare piano sulla schiena pallida di lui. Ero un pochino titubante al principio nell’avvicinarmi così tanto a Draco, ma poi, continuando ad “accarezzarlo”, la paura scemò e l’atmosfera divenne meno tesa: la luce del sole attraversava la finestra posta sulla parete opposta all’ingresso rischiarando tutto l’ambiente, il ragazzo sospirò ancora e rilassò le spalle abbassando un po’ la testa poggiandosi quasi contro di me ed io continuavo a muovere la spugna lungo la schiena fino al bordo del suo intimo e a risalire sulla nuca. La quiete scese tra noi come una calda coperta avvolgente, interrotta solo dalla sciabordio dell’acqua contro la vasca da bagno. E anche quello fu un momento a dir poco strano poiché non avevo mai vissuto una intimità tanto forte con qualcuno, nemmeno con Ronald, ma ciò che era più strano era la piacevole sensazione di calore al petto e allo stomaco – come se quello fosse stato giusto, come se io fossi stata al posto giusto al momento giusto. Ed era assurdo!

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Capitolo 23
*** 22 - Naked. ***


«Naked.»

In quel clima di tranquillità, senza mai smettere di toccare la schiena di Draco, non potei fare a meno di pensare a tutto ciò che in poche ore era successo: il litigio che ancora mi tormentava, la preoccupazione crescente quando l’ho visto a terra ricoperto del suo stesso sangue, il panico delle mani di Lucius su di me ed il sollievo di vederlo vivo e vegeto. Vi era un insieme di emozioni così ingarbugliato da rendermi non poco confusa, ed io non lo ero mai con i sentimenti – almeno non così spesso. Il dolore di perderlo era acuito da quella discussione avuta nel salone, dove gli ho sputato addosso tutta la mia frustrazione, ed il rimorso di non avergli parlato, chiarito davvero la situazione, mi mangiava viva.

«Devo chiederti scusa.» diedi voce ai pensieri, mormorando così da non interrompere la beatitudine in cui ci eravamo rinchiusi.

«Per cosa?» chiese curioso voltando il capo verso destra – ed io potei ammirarne il profilo affilato mentre, tra una “carezza” e l’altra di spugna, lo guardavo attenta.

«Per quello che ti ho detto qualche giorno fa, nel salone.» risposi tenendo gli occhi fissi sulle mani che, piano, si mossero verso le sue braccia.

«Non devi scusarti, te l’ho già detto.» ribatté serio, rivolgendo lo sguardo di fronte a sé impedendomi di osservare l’espressione sul viso – so per certo, però, che serrò la mascella.

«Invece devo.» affermai sicura, quasi categorica. «Ero furiosa e spaventata ed ho sfogato tutto contro di te; eri lì.» mormorai continuando a tenere lo sguardo basso e a muovere la spugna lungo la schiena e le braccia in un moto lentissimo. «Non sei un assassino, non l’ho mai pensato davvero, e tanto meno un vigliacco. Lo sei stato, certo, ma … le cose cambiano.» sospirai forte come a volermi liberare di un peso. «Non avrei dovuto urlarti contro. Tu non avevi colpe, scusami.» chiesi venia nuovamente, con tono sommesso – e con l’orgoglio un po’ spezzato, però i sensi di colpa erano più forte della fierezza stessa. «Anzi, dovrei ringraziarti per aver cercato di farmi affrontare le paure. Sei stato gentile, lo riconosco, quindi … grazie, Draco.»

«Scuse e ringraziamenti … questo sì che è un giorno da ricordare, Granger.» ribatté divertito ridacchiando appena.

«Ricorderemo questi giorni, certo, ma non per le mie scuse ed i miei ringraziamenti, Malfoy.» risposi sorridendo, anch’io divertita dal suo commento.

Ancora una volta, ebbi la strana sensazione che la battuta di Draco fosse un tentativo, anche ben riuscito, di alleggerire un po’ la tensione creatasi con il mio discorso serio. Il suo tono apparentemente spensierato mi contagiò e fu dunque facile ironizzare su quanto accaduto nelle pazze giornate precedenti ed il suo palese intento di non rispondere alle mie scuse mi portò a non insistere nei suoi confronti.
Mi ero liberata di un peso, ma non conoscevo bene il nuovo Draco per sapere come avrebbe reagito – in verità non conoscevo nemmeno così bene il vecchio e lo realizzai solo in quel momento quando il silenzio ritornò ad essere il padrone della stanza. Interpretai il suo mutismo come un’accettazione di scuse e ringraziamenti.

Mi alzai dall’orlo della vasca stringendo tra le mani la spugna pregna di acqua con l’intento di poggiarla nel lavabo, così da poterla strizzare e lasciarla asciugare, ma mentre portavo avanti il mio intento nella quiete assoluta, la voce di Draco riempì tutto l’ambiente con una semplice domanda:

«Perché?» fu un sussurro quello che uscì dalle sue labbra sottili, eppure io lo sentii benissimo.

«Perché cosa?» chiesi tranquilla, stringendo la spugna tra le dita così da far colare l’acqua – ero del tutto ignara del significato attribuito alla domanda.

«Perché mi hai salvato.» spiegò serio con un freddezza nella voce da farmi impallidire.

Lì per lì mi bloccai nei gesti e mi irrigidii alquanto, terrorizzata dal fatto che Draco avesse carpito un po’ delle mie emozioni. Tuttavia, quelle erano incomprensibili per me figuriamoci per un esterno. Dunque lui mi aveva chiesto perché lo avessi salvato dato la rivalità che c’è sempre stata tra noi. E, a quel punto, una domanda mi sorse spontanea:

«Perché non avrei dovuto farlo?» mi voltai verso di lui guadandolo incuriosita con un po’ di irritazione nella voce; mani umide e cuore palpitante.

«Sono molti i motivi, Granger, non prendiamoci in giro.» commentò cinico, voltando il capo nella mia direzione; i suoi occhi erano impassibili e freddi – non bruciavano più sulla pelle.

«Credevi … che ti avrei lasciato morire per ciò che tua zia mi ha fatto? Hai davvero pensato che mi sarei lasciata influenzare dai … litigi passati?» chiesi irritata, quasi offesa, facendo dei piccoli passi verso di lui. «Ma che considerazione hai di me!»

«Io non ti conosco, non so quello che ti passa per la testa.» rispose subito serrando la mascella e riportando lo sguardo sulla pareti di fronte a sé.

«Be’, ma un po’ sì, mi conosci! Sono sempre la ragazza saccente ma sveglia di Hogwarts, sono quella … che tira fuori dai guai gli amici e per nessuna ragione al mondo ti avrei lasciato morire.» ribattei con foga avvicinandomi alla vasca e inginocchiandomi accanto a lui, sperando potesse guardare la sincerità dei miei intenti. «Hai ragione, non ci conosciamo – io non so nemmeno se quello di oggi è il vero Draco o meno. Siamo stati due ragazzini che non hanno fatto altro che insultarsi per tutto il tempo e ti confesso che darti quel pugno al terzo anno è stato decisamente liberatorio e soddisfacente.» ridacchiai divertita sull’ultima affermazione, contagiando per qualche secondo anche lui – il sorriso scomparve tanto veloce quanto apparve. «Certo, a causa della guerra alcuni lati del nostro carattere si sono sicuramente smossati, ma restiamo sempre gli stessi solo … con più consapevolezze.» continuai a parlare veloce cercando il suo sguardo, non trovandolo. «E nonostante le differenze tra noi io …» balbettai un po’, conscia della portata della confessione che stavo per fare. «io ci tengo davvero, Draco, e non avrei mai permesso che tu morissi.» mormorai senza mai smettere di fissarlo, ancora inginocchiata accanto a lui. «Quindi ti chiedo: di cosa hai paura veramente?»

Fu un debole sussurro il mio che, immediatamente, portò il ragazzo a voltarsi dalla mia parte. Avevo fatto centro, avevo capito che dietro la sua domanda ci fosse qualcosa di più e non solo lo stupore di essere salvato da quello che era un rivale anni addietro. Tuttavia non riuscivo a capire cosa temesse.
Mi guardava intensamente sorridendo amaramente e scuotendo piano la testa, ma non smetteva nemmeno un attimo di sondarmi l’animo con quelle iridi azzurre. Sembrava volermi entrare dentro e, come un malattia, uccidermi lentamente. La gola divenne secca a causa del battito accelerato ed il respiro diventò corto, ma cercai di dissimulare e di reggere quello sguardo raggelante – di nuovo, non sentivo il solito calore.
Nonostante i segnali negativi che preannunciavano avvenimenti pressoché nefasti, io insistetti nel cercare di comprenderlo, ma non perché sentissi compassione nei suoi riguardi, ma solo una fortissima curiosità. Credo che lui, però, non riuscì a capirlo in quel momento.

«Parlami.» sussurrai nel modo più gentile che conoscessi. «Parlami, Draco. Permettimi di conoscerti.» mi stavo aprendo a lui, dolcemente, provando a lasciarmi andare così da sondare anche i miei sentimenti.

Mi guardò e stette in silenzio per qualche secondo, che a me parve essere un’eternità, e poi con voce glaciale, severa e … maligna mi disse: «Sta al tuo posto, Mezzosangue.»

Ed in un solo attimo sembrava essere svanito tutto: la complicità, i sorrisi, le provocazioni amichevoli e il tempo trascorso a preoccuparsi per l’altro. Era tornato il vecchio Draco Malfoy altezzoso e razzista, quel ragazzo che mi offendeva senza una ragione. Era ritornato ad essere l’algido signore del Manor, una strana ed inquietante copia di suo padre.
Rimasi in silenzio a guardarlo, confusa dal suo repentino cambio di atteggiamento; lo guardavo e quasi non lo riconoscevo. Tuttavia, avevo la strana impressione che quell’insulto, in realtà, fosse solo un modo per nascondere il suo vero stato d’animo poiché ero arrivata vicino alla radice del problema. Nonostante la consapevolezza che quello era solo un modo per proteggersi, il dolore e la delusione presero il posto di quella bella emozione piacevole provata fin poco prima.  Forse mi ero solamente illusa di conoscere almeno un po’ l’uomo che era diventato, forse avevo sbagliato tutto.
E mentre lui si alzava in piedi al centro della vasca pronto per uscirne e asciugarsi, raccolsi tutta la dignità che avevo e mi alzai anch’io, a testa altissima, mantenendo il ruolo che mi era stato assegnato e appena sottolineato da lui.

«Bene.» risposi distaccata facendo dei passi indietro verso la soglia senza mai staccare lo sguardo dalla sua figura. «Aspetto di là, così da medicare le ferite.»

Fredda. Tagliente. Indifferente. Fiera. Irrimediabilmente addolorata dentro. Mi voltai, dunque, e a grandi passi attraversai la camera da letto preparando tutto il necessario sterile per medicarlo. Mi imposi di spegnere ogni tipo di pensiero perché non avevo le forze per rimuginare su quanto accaduto, tanto fui scossa da quell’avvenimento. Io mi spogliai delle debolezze e lui ne approfittò per pugnalarmi al petto.
Aspettai che si fosse asciugato e vestito prima di procedere con le cure e, nel frattempo, cercai di mettere ordine nella stanza chiedendo aiuto a Tabby. Così le garze sporche di sangue sparirono, l’acqua della brocca cambiata e le lenzuola sostituite. I minuti di attesa furono molti, ma onestamente non m’interrogai sul motivo - ero troppo concentrata sulle faccende così da non pensare, era il mio intento.
Quando lo vidi zoppicare verso di me, pulito e vestito solamente di un pantalone del pigiama, la voglia di allontanarmi da quella stanza si fece decisamente più pressante. Purtroppo dovevo restare, il senso del dovere, appunto, me lo imponeva.
Restai ferma e lontana mentre si avvicinava al letto per sedersi in modo composto cosicché sarebbe stato più facile medicarlo. Ammetto che, per un breve momento, lo guardai in volto e fui meravigliata dal trovare gli occhi di Draco puntati a terra e le spalle rilassate, quasi curve. Ciò che non cambiò fu la mascella tesa, ma ormai avevo capito che stringeva i denti quando era irritato per qualcosa. Non volli sapere per cosa lo fosse.

Mi accostai e diedi nuovamente un’occhiata alle ferite sperando che il bagno o il sapone non le avessero irritate. Con la mano poggiata sul materasso e gli occhi puntati sulle parti lese, avvicinai il viso al corpo del giovane – diversi centimetri dividevano la sua pelle del torace dalla punta del mio naso- così da controllare meglio ogni cicatrice. Per fortuna avevano un bel colorito, non era cambiato nulla, eccetto per una. Quella più alta, esattamente sullo sterno era ancora rossa, il che un po’ mi preoccupava. Decisi così di avvicinare la mano libera sulla ferita assicurandomi che quel  colorito non fosse sangue, ma prima che potessi sfiorare la pelle pallida, le dita di Draco si chiusero velocemente intorno al mio polso impedendomi il movimento.
Alzai gli occhi nella sua direzione e lo sguardo che mi riservò fu duro e ammonitore.

«Giusto, potrei infettarti.» replicai con cattiveria, senza distogliere lo sguardo.

Lo stupore attraversò le sue iridi solo per un attimo, poi tornò ad essere indifferente. Ne avevo avuto abbastanza di lui per quel giorno. Liberandomi con un lieve movimento del polso, iniziai a medicarlo nel silenzio più assoluto concentrata su ciò che dovevo fare. Riuscivo a sentire i suoi occhi che seguivano ogni mio movimento ed io pregavo Merlino che non aprisse bocca altrimenti lo avrei insultato così tanto da far impallidire Salazar in persona. Tuttavia continuai facendo finta di nulla, nascondendo la delusione e l’angoscia che il suo gesto mi avevano procurato andando a scavare ancora più in profondità quel dolore causato dal termine “Mezzosangue”. Mi aveva fermata dal solo sfiorarlo come se fossi un’appestata. Faceva davvero male ed ero arrabbiata con me stessa per quello.
Una volta messi i cerotti e le bende, ricontrollato tutto, posai le garze pulite e le forbici nel cassetto senza mai degnarlo di uno sguardo. Mi voltai poi verso di lui e, con compostezza e fierezza, gli parlai, non badando all’espressione cupa che aveva sul viso.

«Fra un paio d’ore prendi la pozione grigia, non dimenticartene, è per prevenire qualsiasi infezione. Adesso vado da Lady Narcissa per vedere se ha bisogno di me.» coincisa, veloce e fiera. Guardandolo dritto in faccia, non temendo il suo sguardo.

Mossi un paio di passi, con il mento alto e il sollievo nel cuore per il mio imminente allontanamento, ma non arrivai all’uscita di quella stanza. Draco me lo impedì: afferrò gentilmente il polso con un gesto veloce, così da impedire la mia fuga, sussurrando un debole: «No, Granger. Aspetta.»

Alquanto irritata e sorpresa – emozione che mascherai-, mi voltai nella sua direzione incontrando i suoi occhi freddi … che in quel momento mi bruciavano la pelle. Si era addolcito, come i tratti del suo viso, e nonostante sembrasse il solito ragazzo algido c’era qualche traccia di insicurezza – forse pentimento. In un attimo era ritornato il Draco conosciuto in quei mesi ed io non seppi che fare: starlo a sentire significava capitolare, mantenere l’orgoglio, forse, mi avrebbe allontanato da lui e io non volevo che accadesse nessuna delle due ipotesi. Mi sentivo una stupida perché ero già arrivata al punto in cui la sua presenza era importante.

«Ascolta, io-»

«Draco!» un richiamo forte e chiaro di una voce che prorompete risuonò in tutta la stanza.

Entrambi, quasi con uno scatto, ci voltammo verso la soglia della camera dove le ante dell’ingresso erano state spalancate con forza e il nome del giovane appena pronunciato. Astoria Greengrass comparve davanti a noi in tutta la sua bellezza e preoccupazione; doveva essere molto in ansia per il suo promesso sposo poiché aveva abbandonato la naturale compostezza.
Per un attimo il tempo si fermò: c’eravamo Draco ed io ancora uniti da quella presa e la giovane donna leggermente arrossita sulle guance ed il fiato corto con il volto piegato dall’ansia che spostava lo sguardo da me a lui, fino a fermarsi sulla mano di lui. Avrei voluto ascoltarlo e capirlo, ma … in verità una parte di me fu davvero grata ad Astoria per essere intervenuta in maniera così improvvisa. Nonostante ciò, l’aria divenne tesa.

«Ho interrotto qualcosa?» chiese perplessa la nuova arrivata, con la tristezza negli occhi.

«No, signorina Astoria.» le risposi sorridendo allontanandomi da Draco e avvicinandomi a lei di qualche passo, come se quel contatto non avesse avuto nessun’importanza reale. «Ho appena medicato il signor Malfoy e gli stavo raccomandando di assumere la pozione grigia, ma fa i capricci, quindi lo affido a voi.» continuai bonaria guardandola serena, sperando credesse alle mie parole. «Ora, se non vi dispiace, raggiungo Lady Narcissa. Buon giornata.»

Detto ciò, camminando piano senza dare l’impressione di fuggire, arrivai all’uscita chiudendo dietro di me le ante della porta. Rimasi fuori da quella stanza per qualche minuto, respirando profondamente e elaborando ciò che era appena successo. Mi sentivo confusa e ferita, ma il suo ultimo sguardo era così diverso che credevo volesse scusarsi. Ciò che mi faceva arrabbiare, tuttavia, era il formicolio di piacere intorno a polso: il suo calore e il suo tocco erano ancora lì ed io lo percepivo benissimo, come se le sue dita non fossero mai scomparse.
Mi maledii per aver iniziato a provare qualcosa per lui.

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Capitolo 24
*** 23 - Dangerous attraction. ***


«Dangerous attraction.»

Erano giorni che non varcavo quella porta. Il solo ricordare il modo in cui mi aveva chiamata mi faceva provare una strana sensazione che di rabbia non aveva assolutamente nulla. Molte volte la preoccupazione diventava tanto forte da farmi percorrere celere la distanza che separava le nostre camere, tuttavia non avevo la forza di entrare. Restavo lì davanti alla porta, con la mano sulla fredda superficie di legno, attenta ai rumori che provenivano dall'interno. Sospiravo profondamente e chiudevo gli occhi ripetendomi quanto fossi forte, che quell'insulto non doveva turbarmi come, invece, accadeva. Lui non doveva turbarmi in quel modo. Non era la prima volta che mi denigrava, né tanto meno che usava quel tono freddo ed indifferente, eppure riportare tutto alla mente procurava una fitta acuta di dispiacere al petto. Mi chiedevo che fine avesse fatto la ragazza di un tempo, quella saccente che avrebbe risposto d'impeto sputandogli in faccia altrettanto veleno; dov'era la Hermione Granger di tredici anni che aveva avuto il coraggio di prenderlo a pugni; dov'era quella ragazza fiera e coraggiosa di un tempo. Ero cambiata; per quanto non volessi ammetterlo, ero completamente diversa da quella ragazzina di un tempo. Avevo vissuto così tanto, avevo sofferto e perso così tanto che il mio animo battagliero si era spento un po'. La verità è che ero davvero tanto stanca di combattere. Avrei voluto avere un minimo di pace nella mia vita, avrei voluto sentirmi, per una dannata volta, protetta e non essere quella che protegge. Paradossalmente, era così che mi sentivo quando Draco mi era vicino e quel momento di intimità condiviso nel suo bagno, mentre gli sfioravo la pelle delicatamente, credevo fosse un passo avanti. Mi sbagliavo di grosso. 
In quei giorni trascorsi lontano da lui, al servizio esclusivo della signora del maniero, ebbi molto di cui riflettere: forse mi stavo ammalando, mi ripetevo, perché non era possibile che sentissi fitte di dolore quando la sua voce distaccata ripeteva quanto detto quel maledetto giorno. Magari soffrivo di quella sindrome per cui la vittima prova qualcosa per il carnefice, eppure Draco non era davvero il mio oppressore. Tuttavia, non potevo affidarmi completamente al mio intelletto perché una malata non sa di esserlo. 

Sbuffai per l'ennesima volta mentre, ancora, mi ritrovai davanti alla porta del principe di Malfoy Manor. Avevo il cuore che batteva forte e le mani tremavano per la paura di quello che sarebbe successo se fossi entrata nella stanza. Non avevo nulla da perdere ed era mio diritto dirgli cosa pensavo di lui e della sua odiosa boria, però non sapevo come avrei reagito nel vederlo in carne ed ossa. Avevo immaginato il nostro scontro tante volte, ma ero consapevole che la realtà sarebbe stata molto diversa. Dovevo farlo per me stessa, per tutta la fatica che avevo fatto per lui; dovevo sapere com'erano le sue condizioni. Magari, pensai, di averlo ucciso o gravemente mutilato. Sorrisi al mio sciocco pensiero infantile, ma rinvigorita decisi di battere le nocche sulla porta ed entrare senza che lui mi desse il permesso. Non appena varcai l'ingresso, con la mano ancora sulla maniglia, notai il ragazzo biondo accanto alla scrivania, con indosso solo i pantaloni del pigiama, guardarmi incuriosito reggendo una lettera tra le mani. Fu più difficile di quanto pensassi; sopportare i suoi occhi azzurri, che mi fissavano attenti, non fu facile; guardarlo mezzo nudo, non fu semplice. Ero una giovane donna in una situazione difficile, con una inspiegabile cotta per il cattivo ragazzo e che si imbatteva, dopo tanto tempo, in una bellezza simile. Perché Draco Malfoy aveva innumerevoli difetti, ma gli anni non fecero altro che migliorarne l'aspetto esteriore. Un angelo dannato, certo, ma pur sempre un angelo. 
«Ciao.» disse secco, spezzando il silenzio sceso nella stanza; c'era un'aria così elettrica da riuscire a sentirla sulla pelle. 

«Ciao.» risposi distaccata, risvegliandomi da pensieri poco opportuni. «Sei in piedi, vedo.» continuai sospirando, facendo un passo avanti e chiudendo la porta alle mie spalle. 

«Mi sento molto meglio, sì.» rispose tranquillo annuendo, senza distogliere gli occhi dai miei.

«Bene, mi fa piacere.» stesso tono di poco prima; mento alto e fiero, cuore che batteva all'impazzata e fiato che veniva a mancare. Non capivo cosa mi stesse accadendo. 

Mi voltai per andare via, non sapevo cos'altro fare. Avrei voluto urlargli quanto stupido fosse stato, quanto dolore mi avesse ancora provocato con la sua freddezza e quanto mi sbagliassi su di lui, sull'idea che mi ero fatto del nuovo Draco. Avrei voluto fare molte cose prima di entrare in quella stanza, ma poi lo vidi e quel petto liscio e bianco, quelle iridi così chiare, quel volto spigoloso dall'aria distaccata e la sua voce chiara e alta bloccarono ogni mio buon proposito. Mi stavo comportando come una stupida ragazzina, eppure quel calore nel petto, per quanto me lo imponessi, non accennava a scomparire.

«Aspetta.» mi richiamò sospirando, facendo qualche piccolo passo nella mia direzione. 

Non sapevo bene come interpretare ciò che aveva appena fatto. Non si sarebbe mai scusato, non era da Malfoy. Forse era un modo diverso per chiedermi di restare, per far un passettino avanti nei miei confronti e poter così parlare e confrontarci. La mia mente correva veloce e trovava sempre il lato positivo nelle azioni di lui. Ero completamente impazzita.
Chiusi gli occhi e li strinsi per qualche attimo, mi morsi il labbro inferiore provando a tenere sotto controllo le mille riflessioni che affollavano la testa. Dovevo darmi una calmata; non ero così agitata nemmeno durante i G.U.F.O. 

Mi voltai nella sua direzione mostrando la miglior maschera di indifferenza che possedevo; avrei avuto la forza per affrontarlo. Lo guardai negli occhi un'ultima volta e, ancora, questi dal colore freddo emanavano, invece, una sensazione bruciante sulla pelle. C'era qualcosa sul suo viso che non seppi decifrare, un'espressione diversa dal solito distacco: i tratti erano leggermente più morbidi, la mascella non era tesa e la bocca era un po' schiusa e piccoli sospiri accarezzavano lenti le labbra rosee e sottili. Mi tendeva qualcosa, Draco Malfoy, ma solamente qualche secondo dopo me ne resi davvero conto - troppo concentrata a studiarlo come se fosse una meravigliosa statua rinascimentale. 

Mi diedi della stupida per l'ennesima volta, ripetendomi che se i miei amici mi avessero vista si sarebbero infuriati additandomi come un'appestata. Scossi lievemente il capo e alternai lo sguardo tra il viso marmoreo di lui e la pergamena che le dita lunghe e sottili porgevano nella mia direzione. Sospirai e, a passi lenti, diffidente, mi avvicinai incuriosita di sapere il motivo per cui volesse farmi leggere la sua corrispondenza. Delicatamente, con lo sguardo puntato nel suo a testa alta, presi la lettera e immediatamente mi allontanai camminando verso la scrivania e poggiandovi la schiena sui bordi della superficie di legno scuro. Scacciando l'ansia che le sue iridi insistenti mi stavano provocando, ignorando la reazione del mio corpo in prossimità del suo, mi concentrai sulle parole scritte sul foglio spesso e ingiallito. La calligrafia corsiva era sottile e tondeggiante, appena inclinata verso sinistra e apparteneva sicuramente alla mano di una donna. Lì per lì, non capii perché era così importante che leggessi lettere delle sue amanti, di fatti alzai lo sguardo e lo fissai perplesso in una muta domanda. Draco non si scompose, fece solo un cenno del capo rivolto alla pergamena stessa. Così decisi di seguire il suggerimento e leggere quelle parole: 

Caro Draco,
ho appena saputo quello che ti è accaduto. Non immagini quanto sia stata male al solo pensiero di poterti perdere. Sei importante per me, più di quanto tu possa immaginare, e la mia vita non sarebbe stata la stessa se fossi venuto a mancare. Avrei voluto esserti accanto e tenerti la mano, fregandomene di tutto, ma sai che non posso; nessuno capirebbe. Spero ti rimetta presto e di rivederti quanto prima, perché mi manchi moltissimo, amore mio. Starti lontana diventa sempre più difficile. Ho tantissime cose da dirti, perché qui a casa le cose non vanno bene e solamente tu puoi aiutarmi ad alleviare il peso di ciò che sta accadendo. I miei genitori litigano e i miei fratelli non sanno cosa fare; mi sento impotente e tu sei sempre stato l'unico che mi abbia aiutato a prendere le giuste decisione riguardo al mio futuro. Vorrei che tu fossi qui, mio amato Draco, ad abbracciarmi e a sussurrarmi che andrà tutto bene, che ce la caveremo. 
Sei sempre stato fondamentale nella mia esistenza e sapere che adesso sei più lontano che mai mi fa soffrire tanto. Tuttavia, ti prometto che cercherò di resistere e che sarò forte finché non sarò di nuovo tra le tue braccia. 
Ti amo.
Per sempre tua,
Patty. 


«Patty?» sussurrai scuotendo il capo, rivolta più a me stessa che a lui. 

Non riuscivo a capire il motivo per cui avrei dovuto leggere quella dannata missiva che, ammetto, mi aveva infastidita più di quanto volessi. Era una normale lettera di una ragazza innamorata persa che, ovviamente, non era la sua futura sposa. Tuttavia, continuavo a leggere quelle parole e più passavano i secondi più quella calligrafia mi sembrava familiare; sentivo di averla già vista. 

«Patty ...» ripetevo mormorando appena, aggrottando le sopracciglia perplessa. 

Anche in questo nome c'era qualcosa di tremendamente conosciuto. Eppure non ho mai sentito quel nome ad Hogwarts, o almeno non nella cerchia di persone frequentate da Malfoy. Escludevo a priori fosse una babbana; poteva sopportare una Sanguesporco, ma non una donna priva di poteri e inferiore -secondo le sue credenze. Pensai anche che potesse essere una ragazza che aveva frequentato Beauxbatons e che Draco avesse conosciuto in questi anni bui, ma sarebbe stato quanto meno inverosimile vedendo la vita che conduceva. Nonostante ciò, sentivo che qualcosa mi stava sfuggendo, altrimenti Draco non mi avrebbe fatto partecipe della sua vita intima. E poi, d'improvviso, scavando nei ricordi, capii dove avevo già visto quella calligrafia. 

«Ginny.» sussurrai sorridendo nostalgica, scorrendo lo sguardo ad ogni parola, studiando ogni curva di quelle lettere; la sentii un po' più vicina. 

«Già.» mi rispose appena, sospirando. 

«Una corrispondenza del genere è pericolosa per entrambe le parti.» lo ammonii quasi, alzando gli occhi nella sua direzione, facendo trasparire una leggera preoccupazione.

«Chiunque la vedrebbe penserebbe che è solo una lettera d'amore, Granger. Lo hai creduto anche tu, no?» sogghigna appena, incrociando le braccia al petto e avanzando un pochino. «E poi è solo in caso di emergenza.»

Chiusi gli occhi e annuii sospirando forte, riflettendo su ciò che vi era riportato in quella missiva. Alzai le palpebre e, con flemma, poggiai la lettera sopra lo scrittoio fermandomi qualche secondo a guardarla. Da quanto avevo capito, la situazione nel loro rifugio era alquanto instabile, proprio come lo era in quella dimora. 

«Quindi le cose non vanno bene.» affermai debolmente, voltandomi piano nella sua direzione -quasi sobbalzai nel vedere quanto si fosse avvicinato. 

«A quanto pare no, ma tentano di resistere come possono.» ribatté scrollando le spalle, abbassando appena il capo e poggiando il fianco sinistro contro la scrivania. 

«Quindi Neville gli avrà detto cosa ti ha fatto e, di conseguenza, lui avrà ammesso il tuo ruolo in tutta questa storia ...»

«E perciò litigano.» continuò la mia frase, alzando lo sguardo e mostrandomi la stanchezza e la vulnerabilità intrisa negli occhi. 

Era strano vederlo in quel modo, non ero abituata a guardare un Draco Malfoy così vulnerabile. Per un momento, la maschera dell'algido erede di una delle più antiche casate del mondo magico scomparve facendo emergere solo il viso di un ragazzo cresciuto troppo in fretta portatore di un grosso peso sulle spalle. Ed era esattamente quel Draco che mi affascinava, non perché fossi attratta da casi umani, ma semplicemente credevo che quello fosse il vero lui. Certo, l'arroganza e la severità erano una sua caratteristica, ma ciò non significava essere indistruttibile. Lo aveva dimostrato quella volta in cui mi aveva insultata e anche il quel preciso momento. Però, a differenza del precedente episodio, stava mostrando una tranquillità che non mi aspettavo. Mi guardava attentamente, mi studiava quasi, ma non lo faceva per il desiderio di colpirmi, potevo vederlo. 
L'atmosfera diventava sempre più intensa, i suoi occhi bruciavano sulla pelle e il cuore aveva iniziato a battere forte, il suo profumo di pino arrivò alle narici e, senza motivo, la gola mi si seccò. Proprio non riuscivo a capire come fosse possibile provare un'attrazione nei suoi confronti. 

«Patty, eh?» dissi distogliendo lo sguardo, sorridendo appena per cercare di alleviare la tensione nell'aria.

«E' stata una sua idea, ma ammetto che non mi dispiace.» sorrise beffardo - lo sentivo dal tono leggero e leggermente altezzoso. 

«Credo sia proprio una buona idea, comunque.» sorrisi anch'io appena, spostando lo sguardo sulla lettera abbandonata sulla scrivania. «Ancora non posso credere a quello che stai facendo.» ammisi diventando seria, accarezzando con tocco leggero la ruvidità della carta e le lettere scritte dalla mia amica. 

«Nemmeno io, a dire la verità.» mormorò lento, sospirando per l'ennesima volta.

Cadde nuovamente il silenzio, una quiete ancora più pesante e tesa di quella precedente. Mi sentivo stranamente a disagio; percepivo il suo sguardo sulla pelle e la vicinanza tra di noi non mi aiutava molto. Mi ripetevo che quella strana attrazione fisica fosse dovuta al troppo tempo trascorso insieme, al fatto che, anche se in maniera sbagliata, mi avesse salvata. Tuttavia, non sapevo quanto potessi contare sul mio raziocinio. Ero continuamente in ansia, mi sentivo braccata come un animale, ospite nella casa di quegli assassini che mi volevano morta; ero lontana dai miei affetti, portavo il peso di ciò che avevo fatto ai miei genitori sentendomi continuamente in colpa, ero stata torturata da un uomo con idee antiche e radicate, umiliata da quasi tutti in quella dannatissima casa e avevo combattuto con fierezza ogni singola volta. Eppure, quando ero accanto a Draco, qualcosa cambiava ed io non potevo accettarlo. Avrei dovuto mettere un freno a qualsiasi cosa stessi iniziando a provare, sradicando quei sentimenti prima che sbocciassero, ma non si può scegliere chi amare. Nonostante ci provassi, solamente tempo dopo capii quanto fosse inutile e che non valesse davvero la pena lottare contro se stessi. In quel momento, però, ero decisa ad essere il più distante possibile. 

«So quello che ti ha fatto.» un debole sussurro uscì dalle labbra sottili del ragazzo, eppure le parole arrivarono impetuose come le onde di un mare in tempesta. «So che mio padre ti ha quasi uccisa, di nuovo.»

«Eri incosciente. Lo hai solo immaginato.» dissi senza fiato, scuotendo la testa e tenendo gli occhi puntati sulla scrivania. 
Nel frattempo mi raggelai sul posto, con il cuore che batteva all'impazzata. Non che io volessi proteggere Lucius, ma mentivo solo per non preoccupare lui. Non sapevo nemmeno perché lo facessi. 

«Non mentire. Non a me.» il tono divenne autoritario, tanto che mi costrinse a posare lo sguardo su di lui: il Draco imperscrutabile era tornato. «Ho visto i lividi che hai provato a nascondere e ho parlato con mio padre, quindi smettila di fare la dura e dimmi cosa è successo.»

«E perché mai dovrei, Malfoy?» dissi irritata, serrando appena la mascella e corrugando la fronte per la rabbia. «Non siamo amici. Ricordati qual è il mio posto.»

Decisa, secca, senza nessuna paura sputai tutto il veleno con il quale lui stesso mi aveva infettata. E a quelle parole, il volto di Draco si rabbuiò: chiuse gli occhi e abbassò il capo, il pomo di Adamo si abbassò, segno che avesse la gola secca, scosse la testa e respirò profondamente. Rialzò le palpebre qualche secondo dopo e mi guardò attentamente, serrando la mascella. Tuttavia, il suo sguardo non era duro, ma quasi dispiaciuto. Si avvicinò ulteriormente, senza distogliere gli occhi dai miei ed io, invece che indietreggiare, rimasi ferma aspettandolo, completamente incantata dalle iridi azzurre che mi fissavano come se ... come se fossi importante. Quel pensiero mi attraversò la mente come un lampo, ma mi dicevo fosse solamente frutto dell'immaginazione; se provavo dell'attrazione non significava che anche per lui fosse lo stesso. Mi sentivo ridicola.

«Io ... non avrei dovuto.» sussurrò scuotendo il capo e sospirando; continuando a guardarmi senza nemmeno batter ciglio.

«Sì, non avresti dovuto, Draco.» risposi ferma, reggendo il suo sguardo intenso. 

Sentivo le palpitazioni accelerare, la gola seccarsi maggiormente e le mani tremare appena; non capivo cosa mi stesse succedendo. Percepivo il calore del suo corpo, il fiato bollente sfiorava appena il mento e la bocca, il profumo divenne ancora più intenso provocando una parziale perdita di lucidità. Il culmine della mia stupidità arrivò nell'attimo in cui spostai per qualche secondo lo sguardo sulle sue labbra sottili e rosee. Mi ammonii e distolsi immediatamente gli occhi posandoli ancora sulla superficie della scrivania. Era tutto così confuso, non capivo più nulla. C'era una strana elettricità nell'aria, l'attrazione stava per diventare forte tanto da avere i brividi a fior di pelle al solo pensiero di avvicinarmi ancora. Era cambiato tutto da quel giorno. Non avrei mai pensato che aiutarlo a lavarsi avrebbe suscitato così tante emozioni da stordirmi. Volevo solo che mi parlasse, che si aprisse con me, io che sono la sua unica alleata come lui lo è per me; volevo tendergli la mano e fargli capire che non era da solo a combattere quella guerra, che anch'io c'ero dentro. Volevo conoscere chi fosse il vero Draco, senza nessuna maschera, senza nessun impedimento, ma tutto ciò che è successo fece solo intensificare una complicità che, anni indietro, non esisteva.

Sospirai forte e scossi appena la testa, allontanando qualsiasi tipo di pensiero inopportuno. Continuavo a guardare quella lettera, ripetendomi che fosse stata Ginny a scriverla, ma che di sicuro anche Harry fosse lì accanto a lei. Un sorriso appena accennato si formò sulle labbra e una miriadi di ricordi mi invase la mente. Avevo condiviso così tanto con loro che non averli accanto mi faceva sentire a disagio; trascorrere due anni senza avere notizie dirette fu davvero terribile. Ogni giorno mi chiedevo quando mi avrebbero trovata, sempre che mi cercassero. Da quando ero rinchiusa al Manor, però, non avevano tentato di avere nessun tipo di contatto, nemmeno una lettera per chiedermi se andasse tutto bene. Nonostante la piccola delusione che compariva nel petto, desideravo tornare a casa. 

«Mi mancano ...» sussurrai sorridendo appena, nostalgica. «Mi sono sempre stati vicini e adesso ... adesso mi sento un po' persa.» 
Non sapevo a chi stessi parlando, se a me stessa così da esprimere tutta la malinconia opprimente oppure a Draco, come se volessi fargli capire quanto in realtà fossi fragile. L'altro, comunque, rimase in silenzio a guardarmi, rispettando il mio dolore e lasciandomelo manofestare. 
«Quando seppi di essere una strega ero terrorizzata.» ridacchiai scuotendo la testa, senza mai distogliere lo sguardo da quella lettera. «Lessi tutti i libri possibili per sentirmi anche solo un po' più vicina a quella che sarebbe diventata la mia realtà. Credevo sarebbe stato difficile integrarmi poiché, a prescindere da tutto, non sono mai stata una persona semplice, eppure quando ho incontrato Harry e Ron ho capito che non sarebbe stato così terribile appartenere a quel mondo tanto lontano da me. Certo, le persone che mi hanno denigrato non sono mai mancate, ma ho sempre resistito perché più il tempo passava più mi rendevo conto che il mio futuro, quello che volevo essere, era possibile solo qui, da quest'altro lato del mondo.» mormorai con gli occhi che pizzicavano leggermente. «Sono quella che sono anche grazie a loro.»

Ed una seconda volta, Draco non disse nulla. Continuavo a percepire i suoi occhi su di me, ma le labbra restavano serrate. Mi sarebbe davvero piaciuto sapere cosa stesse pensando, se mi credesse stupida o, semplicemente, non gliene fregasse nulla di ciò che avevo confessato. Ammissione che non avevo mai fatto con nessun altro. Non sapevo nemmeno il motivo per cui gli avessi detto ciò che custodivo gelosamente nel cuore, ma se volevo che si fidasse allora avrei dovuto fare altrettanto. Mi sentii sollevata, tuttavia, nel dire ad alta voce ciò che avevo provato quando ero una ragazzina di undici anni impaurita e affascinata allo stesso tempo da un mondo totalmente sconosciuto. Ci sarebbero state tante altre cose da dire riguardo quel periodo, ma non ero pronta ad aprirmi completamente a lui, a mostrarmi ancora più vulnerabile. 

«Vi odiavo tutti.» il sussurro di Draco, quasi rabbioso, fu inaspettato. Mi voltai di scatto nella sua direzione, curiosa di vedere il suo viso: aveva gli occhi chiusi e la mascella tesa, le mani aperte sulla scrivania e il capo basso, come se volesse nascondersi alla mia vista. Guardavo solamente il suo profilo e lo trovavo davvero bello. 
«Avevate quello che spettava a me: ammirazione degli studenti e dei professori, gloria, attenzioni. Io ero un Malfoy e venivo trattato come uno qualunque. Per un ragazzino di undici anni che è cresciuto con la convinzione di essere superiore a tutto e tutti è stato difficile essere messo da parte.» sospirò scuotendo appena il capo. «Avrebbero dovuto accogliere me con onori, inchinandosi quasi al cospetto di un Malfoy, invece era Potter quello circondato da persone, importanti o meno che fossero. Ero solo geloso.» riuscii a vedere un leggero sorriso, tutt'altro che divertito; era triste. «Se dici questa cosa a qualcuno, Granger, sappi che me la pagherai.» si voltò nella mia direzione e mi puntò il dito contro, aggrottando la fronte e socchiudendo gli occhi come espressione di ammonimento. Però io non ero preoccupata, anzi: sorrisi.

«A chi vuoi che lo dica, Malfoy? Qui mi odiano tutti.» ribattei scrollando le spalle, lasciando trasparire una certa tranquillità. 

Non avrei mai creduto che Draco si sarebbe esposto fino a quel punto, però ne fui contenta. Era come se fossimo un pochino più legati, in qualche modo, e non me ne dispiaceva per niente. Lo guardavo serena, con un sorriso appena accennato sulle labbra e lui ricambiava lo sguardo in silenzio, ancora una volta. Non aveva accennato a spostarsi, mi era ancora vicino e le sensazioni diverse e confuse si ripresentarono di nuovo nel petto e allo stomaco, facendomi tremare un po'. Scrutai il suo volto, lo impressi nella mente; ne sentivo quasi l'esigenza. Notai avesse un colorito più roseo rispetto a quando varcai la soglia e gli occhi continuavano a fissarmi in quel modo che proprio non riuscivo a capire, ma mi piaceva. Discesi lungo il collo marmoreo, arrivando al petto glabro segnato da bianchissime e sottili cicatrici e passando al ventre, anch'esso riportava le tracce delle ferite. Aveva una fisicità asciutta, priva di muscolatura allenata, ma vi era solamente un accenno di addominali sviluppati sulla pancia. Ciò che però affascinava in lui era la pelle bianca, all'apparenza priva di imperfezioni, che lo faceva sembrare etereo. Quegli occhi azzurri e quei capelli così biondi gli davano le sembianze del perfetto esempio di dio pagano. Draco aveva una bellezza particolare che non a tutti poteva piacere, ma in qualche modo io ne stavo diventando vittima. 

In tutto quel candore, vi era qualcosa che stonava, che faceva cadere la maschera di eccellenza rivelando chi lui fosse realmente: il Marchio Nero. Lo fissavo con intensità pensando a quanto fosse stato difficile per un quasi sedicenne averlo impresso sul braccio, quanto avesse fatto male il momento della marchiatura ed al motivo che avesse spinto un ragazzo giovane ad entrare a fare parte di una cerchia di odiatori di chi è diverso da loro. Quell'emblema di morte, portato da assassini, su di lui non mi faceva paura. Non sapevo cosa avesse fatto in quei due anni in cui vivevo come un eremita, ma il modo in cui si era comportato con me e ciò che mi aveva raccontato Harry anni prima mi facevano credere fermamente che Draco non era in grido di uccidere. Se lo avesse fatto, poi, io non l'ho mai saputo. 

«Smettila di fissarlo.» la voce grave del protagonista dei miei pensieri, spezzò la quiete in cui -non mi ero accorta- era scesa la stanza. 

Portai lo sguardo su di lui e l'espressione seria, la mascella tesa e la rigidità improvvisa del corpo furono segnali inequivocabili della sua irritazione. Non volevo si arrabbiasse, non era la mia intenzione; io ero dalla sua parte. 
Si voltò dandomi le spalle, camminando verso il letto su cui giaceva la maglia del pigiama, ed immediatamente capii che voleva coprirsi affinché il marchio non fosse sotto i miei occhi. In fondo, quel terribile e oscuro segno era il simbolo di oppressione per tutti i nati babbani come me. 
Senza nemmeno pensarci troppo, mi avvicinai celermente afferrando con entrambe la mani il braccio destro, esattamente dove quel teschio ed il serpente era stati incisi. 

«Non coprirlo.» dissi in un sussurro, tenendo gli occhi su quella inquietante figura. «Non mi fa paura, non preoccuparti.» continuai allo stesso modo, avanzando ancora un pochino in prossimità dell'alta figura davanti a me, iniziando anche ad accarezzarne con tocco leggero delle dita le linee scure. 

«Infatti sono tranquillo.» ribatté mostrando indifferenza. 

Tuttavia, io non vi credei. Sollevai lo sguardo e lo fissai con biasimo, alzando gli occhi al cielo infastidita da quel suo essere sempre così finto distaccato. Lui non era ciò che voleva far credere; dietro ogni azioni c'era sempre una valida spiegazione, ma era troppo orgoglioso e pieno di sé per ammettere di fare qualcosa di disinteressato. Ignorai la sua fierezza, concentrandomi nuovamente sul Marchio Nero. Avevo molte domande da fargli, quei dubbi che mi avevano attraversato la mente alla sua sola vista, così decisi di agire; non avevo nulla da perdere.

«Io ... io non capisco.» sussurrai continuando ad accarezzare il braccio; la pelle era calda sotto le dita. «Perché lo hai accettato? Sapevi quanto fosse pericoloso.»

«Era quello che dovevo fare. Era il mio destino.» rispose tranquillo, guardandomi senza vergogna - sentivo di nuovo il suo sguardo intenso su di me. 

«Avevi una scelta, Draco. Avresti potuto chiedere aiuto a Silente.» mormorai alzando lo sguardo e puntandolo nel suo. 

In maniera del tutto involontaria, mi avvicinai di più così da sentire il calore del suo corpo sul mio; la mano sinistra non accarezzava più la pelle segnata, ma le dita si chiusero intorno all'avambraccio, coprendo il Marchio stesso. E nell'attimo in cui abbassò appena la testa per riuscire a guardarmi meglio, percepii appena il suo respiro bollente sulla pelle. 

«Sei una sciocca se pensi che avrei davvero potuto farlo senza subirne le conseguenze.» 

«Non hai nemmeno provato a ribellarti.» la voce diventava sempre più debole, come se i nostri fossero stati segreti inconfessabili di cui eravamo gelosi. 

Come successo poco prima, non elaborando le mie azioni forse per la troppa vicinanza o per il discorso importante, poggiai la mano destra, leggera, contro il petto di Draco. Sotto le dita, percepii il battito del suo cuore e quando il mio anche il mio riprese a battere forte chiusi la mano a pugno, senza però allontanarmi da quel piacevole tepore. 

«Se lo avessi fatto, adesso non saresti qui.» continuai a parlare, guardandolo interessata. 

«E nemmeno tu.» fu pronto a ribattere, seppur mormorando.

«Sì, sarei al sicuro.» affermai decisa.

Ci fu qualche secondo di silenzio, attimi che mi parvero infiniti a causa delle innumerevoli sensazione che iniziavano ad intensificarsi. Malfoy mi guardava attento, spostando lo sguardo su tutto il mio viso, come se volesse studiarlo con cura. La mano sinistra, quella libera dalla mia presa, mi accarezzò appena i capelli, quasi impaurita, e poi divenne più deciso il tocco quando passò i polpastrelli lungo la mia guancia. Piccoli brividi si formarono sulla pelle, il respiro si mozzò e il cuore palpitava veloce. Avevo l'istinto di chiudere gli occhi e di godermi quell'elettricità creatasi e quelle carezze delicate. Tuttavia, ero come ipnotizzata dalle iridi azzurre nelle quali desideravo perdermi anche per pochi istanti. Quel ragazzo mi aveva incantata e non riuscivo a capire come fosse stato possibile. 

«Ne sei certa?» sussurrò avvicinando il viso al mio; sentivo il suo respiro veloce contro le labbra. 

«Non sono più sicura di niente ormai.» 

La gola divenne arida, i battiti accelerarono ancora e una sensazione di forte calore si presentò alla bocca dello stomaco; il petto era gonfio di aspettativa e faceva quasi male; il profumo intenso mi arrivò forte al naso, offuscando completamente la ragione. Era come guardare la scena al di fuori, come se quel momento non fossi io a viverlo davvero e mi sentivo strana. Volevo che si allontanasse, ma le sue labbra erano vicine e mi attraevano tantissimo; erano il peccato. Draco alternava lo sguardo dagli occhi alle labbra ed io facevo esattamente lo stesso, ma nessuno dei due avanzava verso l'altro per mettere fine alla distanza; due esseri troppo impauriti da ciò che un bacio avrebbe potuto significare e da ciò che avrebbe potuto comportare. 

Eravamo vicini. L'aria intorno a noi era tesa. Io sentivo caldo; la testa vorticava per le emozioni troppo intense. Volevamo quel bacio, entrambi. Bramavamo le labbra dell'altro, entrambi. Eravamo dei codardi, tutti e due. 
Sospirai forte, lasciando che il fiato fuoriuscisse dalle labbra e sfiorasse quelle di lui. Chiuse gli occhi, Draco, e si passò la lingua sulla bocca inumidendola poiché era diventata secca. In un momento di lucidità, per entrambi, capimmo che quello che stava per succedere sarebbe stato sbagliato; prendemmo consapevolezza delle nostre azioni. Tuttavia, i sentimenti confusi per lui e per tutta la situazione generale non sparirono subito.

E mentre ci allontanavamo piano dall'altro -un po' riluttanti-, guardandoci negli occhi, la porta della camera si aprì con un tale impeto da farci sobbalzare. Ci voltammo, insieme, verso la soglia d'ingresso ed un algido Lucius Malfoy ci guardava con disgusto, dall'alto in basso. Non mostrò il suo risentimento per aver trovato una indegna Mezzosangue e il suo "erede al trono" in atteggiamenti inequivocabili, ma manteneva un'espressione severa e solo un accenno di disapprovazione. Aveva i capelli sciolti che ricadevano lunghi oltre le spalle, di un biondo ormai spento; gli occhi piccoli e dello stesso colore del figlio erano gelidi, nulla a che vedere con il calore che emanavano quelli di Draco, tuttavia erano privi di quel luccichio di vitalità che li avevano contraddistinti in passato; indossava una divisa nera appena visibile dai lembi non chiusi del pesante mantello tenuto sulle spalle. La sua figura risultava alquanto inquietante a causa del nero dei suoi visiti ed il pallore del volto smunto. Per quanto volesse mantenere le apparenza, anche il padrone del Manor non stava bene. La guerra aveva segnato proprio tutti. 

«Esci da qui, Mezzosangue.» tuonò deciso, con voce alta, ma cercando di mantenere la calma. 

«Certo, signore.»

Senza aggiungere altro, fugando lo sguardo insistente di Draco, percorsi la stanza a passi veloci, con il cuore che batteva forte nel petto. Non mi opposi, né discussi con l'uomo perché la cosa più logica da fare in quel momento era davvero andare via. Ci aveva trovati molto vicini e non volevo subirmi la sua ira; aveva già provato ad uccidermi e non gli avrei dato un ulteriore pretesto per farlo. 
Afferrai la maniglia della porta con sicurezza -le mani tremavano appena- e, prima di uscire da quella stanza, mi concessi un ultimo sguardo verso Draco; mi stava guardando anche lui, con espressione seria per giunta. Abbassai il capo e chiusi la porta lasciando i due uomini da soli. 

Ingoiai il nodo di ansia che mi aveva stretto la gola e sospirai forte provando a scacciare quella sensazione opprimente che mi aveva attanagliato il petto alla vista di Lucius Malfoy. Le mani tremavano ancora e il cuore era accelerato, ma per quelli non sapevo a cosa fosse dovuto. Avere Draco vicino a me fu destabilizzante; provavo una serie di emozioni che Ron non mi aveva mai suscitato prima. Avevo sempre sognato un amore travolgente, ma non capivo perché dovesse essere proprio lui a farmi sentire certe cose. Il destino di stava prendendo gioco di me ed io, per la prima volta, non sapevo come comportarmi. Decisi di calmarmi e andare nella mia stanza, magari la lontananza da Draco mi avrebbe fatto desistere. Per Merlino, quanto mi sbagliavo!

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Capitolo 25
*** 24 - A small and fleeting moment of happiness. ***


La storia resta sospesa, ma questo capitolo l'avevo scritto a metà tempo fa e durante le vacanze l'ho solo terminato. 
 
«A small and fleeting moment of happiness.»


Il freddo era diventato pungente; Dicembre scorreva veloce. Leggeri fiocchi di neve avevano imbiancato la vasta terra appartenente ai Malfoy la sera precedente, scendendo silenziosi dal cielo carico di nuvole grigie. Nonostante il sole fosse coperto quella mattina, tutto sembrava alquanto incantato al Manor. C’era una strana quiete al di fuori della dimora, si sentiva in lontananza solamente il canto dei pavoni albini che, aggraziati, sapevo stessero passeggiando lungo il cortile interno. 

Chiusi gli occhi e respirai profondamente, godendomi la sensazione di freddo sulla pelle. Ho sempre adorato l’inverno, soprattutto quando ero a scuola: mi piaceva camminare per il castello guardando il livore che vi era oltre le mura di pietra; mi piaceva imbacuccarmi ed uscire fuori all’aria aperta per giocare con la neve insieme ai miei amici; mi piaceva andare ad Hogsmeade e bere una calda burrobirra da “I tre manici di scopa”; mi piaceva sentire la lana dei pesanti maglioni sulla pelle; adoravo trascorrere le giornate in biblioteca guardando di tanto in tanto la neve, ma il momento che preferivo era restare in Sala Comune insieme ad Harry e Ron accanto al camino chiacchierando di compiti e futilità. Ho sempre sopportato il freddo, tuttavia le cose hanno iniziato man mano a mutare quando decisi di seguire il mio migliore amico nella ricerca degli Horcrux: dormire in tenda mentre il gelo diveniva sempre più forte, fuori e dentro. In quelle situazioni estreme, si comincia anche a sentirsi costantemente malinconici e spaventati, tanto, appunto, da sentir freddo in ogni parte di sé.

Tuttavia, c’era un altro motivo per cui adoravo l’inverno ed era il Natale. Dopo mesi di lontananza dal mondo babbano, nel periodo natalizio potevo tornare a casa dai miei genitori e poi stare dai Weasley per un po’ coccolata dalla cucina di Molly e dal calore di una grande famiglia. In quell’anno di ricerca dei pezzi dell’anima di Voldemort, avevo trascorso il Natale con Harry, seppur in modo alquanto triste, ero grata di essere viva e insieme ad una delle persone che amavo. Con la guerra e il mio allontanamento, tutto era nuovamente cambiato: ero sola, inseguita e impaurita; il Natale era scomparso e sapevo che la situazione non sarebbe cambiata tanto presto.

Riflettendoci su, ricordai che non mancasse poi molto al giorno di festa, ma ero consapevole che non avrei provato né gioia né gratitudine nemmeno quell’anno. Era tutto così scuro e ignoto che un grande senso di angoscia mi annodò lo stomaco e tentai di alleviare il peso espirando forte, ancora a occhi chiusi. Niente avrebbe potuto riportarmi indietro nel tempo, nulla avrebbe potuto rendere le cose più facili e meno dolorose. Potevo solo accettare la condizione in cui vivevo e andare avanti provando a scoprire quanti più segreti custodiva quella casa e, al momento giusto, scappare via; una parte di me aveva terribilmente paura che quel giorno non arrivasse mai, eppure sapevo che Harry qualcosa avrebbe fatto per mettere un punto a tutta l’oscurità che regnava. Il maggior timore che avevo era quello di restare in disparte mentre i miei amici rischiavano la vita, pregavo che non lo avrebbero permesso, che Draco stesso non lo avrebbe permesso.

«Sei decisamente strana, Elizabeth.» il tono beffeggiante del giovane rampollo Malfoy mi sottrasse ai pensieri. «Restare fuori al gelo, con gli occhi chiusi, persa in chissà quali pensieri … sicura di stare bene?»
«E tu invece hai troppa paura di congelare il tuo regale didietro? Per questo sei rintanato in casa da giorni nonostante tu sia guarito?» lo sbeffeggiai anch’io, sorridendo divertita, voltandomi verso la sua alta figura affacciata alla finestra dello studio di suo padre.

Quella tarda mattina, dopo aver finito le incombenze che la signora Malfoy mi aveva impartito, decisi di prendere un po’ d’aria fresca – allontanandomi dal buio interno di cui ero stufa- e uscii sulla terrazza orientale. Camminai lentamente misurando l’intero spazio e, successivamente, arrivai quasi ai confini sorvegliati dai Mangiamorte – cercai di tenermi il più lontana possibile da loro, non volevo guai. Tentai di godere il silenzio e il freddo, ma non tutto andò secondo i piani: Draco Malfoy era una spina nel fianco, lo era sempre stata. Tuttavia, in cuor mio sapevo che quell’interruzione non mi era davvero dispiaciuta. Negli ultimi tempi, dopo il suo attacco, qualcosa ci unì – inevitabilmente- e poi quel bacio non dato, ma desiderato, accentuò ancora di più quel legame che, in maniera involontaria, avevamo creato in quei mesi. Tutto il malcontento e l’animosità che c’erano all’inizio tra noi due sparirono, lasciando spazio ad una bellissima complicità. Ci punzecchiavamo scherzosamente; non c’erano più insulti.

Lo guardai per dei lunghi secondi, sorridendogli beffarda. Per fortuna, era guarito completamente da quelle brutte ferite ed io ne ero davvero sollevata. Al solo ripensare al sangue che mi aveva imbrattato le mani tempo indietro un senso di nausea comparì allo stomaco e dei brividi mi attraversarono tutta. Draco era davanti a me, che mi rimandava un sorriso, bello nella sua immagine pura e divina. Se ne stava lì, con gli avambracci poggiati sul davanzale, ghigno sulle labbra e divertimento sul viso; i suoi occhi sembravano più scuri quel giorno, ma non meno caldi.

«La tua lingua è fin troppo biforcuta, esattamente come quella di un serpente.» disse tranquillo, insinuante.
«Ho imparato dai migliori.» ribattei fiera, alzando il mento e facendo un passo verso di lui.
«Non so se essere fiero o preoccupato.» ridacchiò divertito, scuotendo appena il capo.
«Potresti essere entrambi e, nel frattempo, raggiungermi e mostrarmi che non sei un codardo, Malfoy.»
«Sai bene che non lo sono, Elizabeth.» il tono divenne un po’ più serioso, sottolineando il mio nome; mi guardò ammonendomi, quasi – io mi divertivo molto a sfidarlo. «E poi non devo dimostrazioni a nessuno.»
«Oh, allora sei proprio un fifone …»
«Mi stai provocando.» fu pressoché un sussurro il suo, eppure lo capii perfettamente; nei suoi occhi potei leggere eccitazione per quella piccola istigazione.
«Assolutamente sì.» gli risposi trattenendo a stento un sorriso di sfida.

Ci guardammo per attimo che mi parvero lunghissimi. Io cercai di mantenere un’espressione seria, senza lasciar trapelare il divertimento e il desiderio di trascorrere anche solo cinque minuti in sua compagnia; lui mi fissò allo stesso modo, con un sorriso divertito ed un’espressione leggermente irritata a causa della mia sfida. L’atmosfera elettrica era decisamente palpabile; mi perdevo nei suoi occhi chiari, in quel mare di ghiaccio, e non volevo più risalire in superficie. L’attrazione tra di noi era innegabile, in fondo eravamo due giovani adulti che vivevano a stretto contatto e che erano uniti da un segreto ed uno scopo comune. Eravamo il punto fermo l’uno dell’altro e, conoscendoci, capivo il perché provassimo desiderio. Tuttavia, l’appagamento dei sensi non era l’unico motivo per cui mi piaceva stare insieme a lui. Dovevo ammettere a me stessa che dietro quell’espressione indifferente e quell’arroganza c’era molto di più. Draco Malfoy era diventato un ragazzo maturo, completamente diverso da ciò che era stato in passato ed io trovavo piacevole trascorrere del tempo in biblioteca la sera insieme a lui, in silenzio, ognuno concentrato sulla propria lettura, ma consapevoli di non essere soli; mi piaceva sentirlo parlare delle sue pozioni, dei suoi esperimenti ed invenzioni perché gli occhi gli si illuminavano; non mi era indifferente la sua distaccata gentilezza ed i radi sorrisi sinceri e bellissimi; mi piaceva il modo in cui mi guardava e mi parlava, come se volesse sempre rassicurarmi e trattandomi alla pari; ero curiosa di conoscere cosa nascondessero quelle iridi azzurre sempre così apparentemente distanti e velate di tristezza.
Mi guardò di sbieco un’ultima volta prima di scomparire dalla finestra, lasciandola completamente aperta. In maniera implicita, aveva accettato la mia sfida. Una cosa stupida, forse quasi infantile, eppure l’idea di ritrovarmi a battibeccare ancora, guardandolo non come un nemico ma come un alleato, mi allettava non poco.

Sorridendo – forse più ghignando-, un’idea ancor più bambinesca mi balenò in testa. Mi abbassai lentamente, guardando il punto in cui il ragazzo sarebbe dovuto apparire, e presi della neve tra le mani formando una palla dalle medie dimensioni – pronta per essere lanciata al mal capitato. Con le dita intorpidite per il freddo, nascosi il piccolo cumulo di neve dietro la schiena, mettendo su la miglior espressione innocente che potessi fare e provando in tutti i modi a non ridere come una sciocca. In effetti, un po’ stupida mi ci sentivo, eppure provai uno strano senso di sollievo, come se tutto ciò che stesse accadendo dentro e fuori dalle mura non mi riguardasse, non mi toccasse minimamente. Non ne ero consapevole al quel tempo, ma un momento del genere, che si preannunciava spensierato, non poteva che farmi del bene perché avrei affrontato attimi molto duri in un futuro nemmeno troppo lontano.
Trepidante, aspettavo che Draco mi raggiungesse e, quando vidi la sua figura comparire all’angolo del lato est della casa, in tutto il suo splendore da angelo dannato – coperto da un lungo cappotto nero in pieno contrasto con la carnagione chiara-, sorrisi appena aspettando paziente il momento adatto per irritarlo. 

Mi ripetevo di attendere ancora un po’, quel tanto che bastava affinché lui si avvicinasse cosicché da poter centrare il bel viso affilato con la palla di neve. Quando fu a solo qualche passo di distanza agii: con tutta la forza e l’eccitazione che avevo in corpo, lanciai la neve contro il giovane rampollo che, come avevo ben sperato, gli finì dritto in faccia. L’espressione di sorpresa e di stizza di Draco era impagabile. Non avrebbe mai creduto potessi abbandonarmi ad un simile atteggiamento immaturo – non eravamo più bambini e, per di più, non avevamo mai avuto un certo tipo di confidenza tale da poter scherzare insieme. Tuttavia le cose cambiano.
Il silenzio regnante nei dintorni della tenuta venne interrotto dalla mia risata. Un riso così sincero e chiaro da sorprendere, postumo, anche me stessa. Non ricordavo quando avessi riso così tanto l’ultima volta. Guardando il viso sempre più sconvolto del ragazzo, l’ilarità aumentava secondo dopo secondo. Socchiusi istintivamente gli occhi, sentendoli leggermente bagnati da lacrime di divertimento, e feci qualche passo indietro come a volermi allontanare da una sua possibile reazione. 
Era bello sentire quella sensazione calda al petto, quella sensazione di libertà e spensieratezza.

«Non l’hai fatto davvero, Granger.» disse a denti stretti, quasi come un sibilo – potei sentire il nervoso nella sua voce, decisamente poco velata.
«Sì, invece!» ribattei continuando a ridere, in maniera un po’ meno vigorosa.

E, d’improvviso, - non che non me lo aspettassi-, venni colpita esattamente in fronte da qualcosa di gelido: Draco mi aveva appena colpito con una palla di neve. Smisi di ridere all’istante, restando a bocca aperta per la sorpresa ma divertita per quello che, sapevo, si sarebbe trasformato in un momento ludico – uno di quegli attimi che avrei custodito gelosamente nel cuore e nella mente. 
Alzai gli occhi verso il ragazzo davanti a me, ghignante e pronto a vendicarsi con un ulteriore lancio. Mi ripresi dalla confusione iniziale e, con uno scatto veloce, mi abbassai per recuperare altra neve, tuttavia nel frattempo Draco mi colpì subdolamente.

«Adesso è guerra!» ridacchiò divertito, mentre, a passi lunghi, dimezzava la distanza tra noi.
«Avrai pane per i tuoi denti, Malfoy!» dissi determinata, senza nascondere un sorriso nell’esatto momento in cui risposi al suo precedente attacco.

E lì, nel livore di Malfoy Manor, lui ed io iniziammo a rincorrerci lanciando palle di neve al nemico, nascondendoci dietro agli alberi che delineavano il confine della proprietà; le risate e i gridi emozionati, i deboli lamenti per essere stati colpiti dalla neve e le intimidazioni amichevoli per quella guerra riempirono tutta la quiete che circondava quella cupa e triste casa. Mi sentivo leggera, mi sentivo una bambina – come catapultata indietro nel tempo-, mi sentivo al sicuro ogni volta che gli occhi di Draco incontravano i miei; ero completamente a mio agio insieme a lui. Per la prima volta in due anni, provai un effimero sprazzo di felicità. Mi sarebbe piaciuto sapere cosa pensasse Malfoy di tutto quello, ma a giudicare dal suo sorriso sereno fui convinta che provasse i miei stessi sentimenti.
Mi nascosi dietro ad un albero per l’ennesima volta, cercando di scampare alla gelida aggressione del mio compagno di giochi. Avevo il fiato corto, le mani gelide a causa della neve, sentivo il naso e le guance arrossate per la bassa temperatura, la fronte imperlata un po’ di sudore per le corse frenetiche, i capelli erano umidi per i ripetuti tiri mancini del mio avversario, ma non m’importava: mi stavo divertendo ed ero decisa a godermi a pieno il momento.

Con solo il mio respiro affannato in sottofondo, ascoltai i possibili passi di Draco, ma niente: c’era silenzio completo. Mi accigliai iniziando a preoccuparmi alquanto, domandandomi se ci fosse stato qualche problema. Dunque, mi sporsi un po’ verso destra, ma la mia visuale era libera, di Malfoy nemmeno l’ombra; il cuore iniziò a battere forte, la mente che correva veloce.
D’improvviso, una forte stretta intorno alla vita ed un freddo acuto alla faccia mi fecero trasalire; riconobbi il riso ed il fiato caldo di Malfoy contro il collo. Quel farabutto mi aveva appena teso una trappola! Mi dimenavo cercando di allontanarmi dalla sua stretta, ma più ci provavo più mi stringeva; l’altra mano, invece, era impegnata a spalmare per bene la neve su tutto il mio volto. Imprecai, tra una risata e l’altra, continuando a muovermi per liberarmi, ma Draco era ostinato. Mi strinse con entrambe le braccia e mi alzò di qualche centimetro da terra tenendomi ben salda contro il petto finché, troppo esausto per le risate continue e per le rincorse, mi lasciò andare mettendomi con le spalle contro un albero così da non poter comunque scappare da lui – non ne avevo la minima intenzione, comunque.
Continuai a ridere, più sommessa di poco prima, e cercavo inutilmente ti togliere quel po’ d’acqua assorbito dai capelli stringendo qualche ciocca. Solamente qualche istante dopo mi resi conto che Draco non stava ridendo. Alzai il volto verso di lui e mi accorsi che, non solo assunse un’espressione seria, ma era così vicino da poter sentire appena il suo profumo fresco di pino. Mi guardava con intensità, con fronte aggrottata, come se ci fosse qualcosa che lo rendesse insicuro o forse curioso – non so bene come descriverlo-, ricordo solo che gli occhi risplendevano in quella grigia giornata e lo sguardo bruciava sulla pelle.

«Che c’è?» chiesi con ancora un’ombra di sorriso, scuotendo appena il capo; ero perplessa e interessata.
«Come ci riesci?» domandò serioso, spostando una mia ciocca bagnata dietro l’orecchio, con incedere lento e quasi affettuoso. 

Continuava a fissarmi sentitamente, come se contassi solo io e nulla più - ebbi l’impressione, in effetti, che anche Draco si estraniò dalle circostanze esterne concentrandosi su quel preciso attimo. I suoi occhi continuavano ad essere bollenti, il suo fiato si era leggermente regolarizzato, ma potevo sentirne appena il calore sul volto; avevo un’immensa voglia di sfiorarlo, di accarezzarlo come lui aveva fatto con me, tuttavia preferii scacciare quel desiderio per non aggravare l’attrazione che sentivo bruciare dentro.

«A fare cosa?» ribattei di rimando, non capendo a cosa si riferisse.
«A sorridere così.» sussurrò, quasi senza fiato.

Per qualche secondo restai spiazzata dalla sua risposta, ma poi capii che anche lui aveva difficoltà nel lasciarsi alle spalle tutto ciò che era e che continuava ad essere e, una parte di me, pensava anche si fosse sentito in colpa per quel fugace momento di sollievo appena vissuto insieme. Personalmente, non ero affatto pentita. Così gli rivolsi un debole sorriso carico di tristezza; capivo bene come si sentiva.

«E’ l’accettazione, Draco.» gli risposi in un sussurro, non volendo interrompere quella calda e magica intimità che si era creata. «Ho accettato l’idea di essere rinchiusa in questa gabbia e di non essere la benvenuta. Mi sono adeguata alla scelta fatta dai miei amici di lasciarmi qui per tenerti sotto controllo piuttosto che avermi con loro. Tuttavia, non accetto l’idea di smettere di combattere, no, quello mai. Lotterò finché potrò, con o senza Harry e Ron accanto.» gli dissi decisa, avvicinandomi un po’ di più. «E se … e se nel frattempo riesco ad avere momenti felici li vivo senza ripensamenti, perché non so cosa possa accedere l’indomani. E, Draco, …» gli sussurrai dolcemente, assecondando quel desiderio di contatto accarezzandogli piano una guancia: era gelida e arrossata, morbida. «io credo che dovresti farlo anche tu.»

Ci fu un attimo di silenzio. Un attimo in cui chiuse gli occhi, serrò appena la mascella ed ingoiò un quale nodo formatosi in gola, poi, con voce incerta, mormorò: «Come?»

«Posso aiutarti, se me lo permetti.» continuai a parlare a voce bassa, avvicinandomi ancora, finché solo pochi centimetri dividevano i nostri volti. 

Con la mano libera, afferrai le sue dita in una stretta gentile e, ammetto, un po’ spaventata poiché non sapevo come avrebbe potuto reagire a tanto vicinanza – nonostante quel bacio mancato giorni prima. A quel contatto, lui aprì gli occhi e il modo in cui mi fissò divenne più morbido, meno autoritario, ma l’intensità rimase la stessa ed io mi beai di quelle iridi azzurre.

«Poco fa, con te, ho vissuto il primo vero momento di spensieratezza dopo anni di sola paura.» confessai sorridendo, ingoiando un fiotto di saliva tentando di eliminare l’arsura comparsa in gola – dovuta forse alla sua vicinanza, forse al suo sguardo o anche alla voglia tremenda di baciarlo. Ero così confusa. «Grazie, Draco.» sussurrai, stringendo la presa contro le sue dita; avevo il cuore che batteva forte ed il respiro mozzato.

Il giovane non parlò, limitandosi a guardarmi in silenzio, con sguardo serio, ma c’era qualcosa – forse nei suoi lineamenti meno spigolosi del solito- che mi diede l’impressione ci fosse una sorta di sfumatura tenera, o magari affetto. Insomma, se io mi sentivo legata a lui, probabilmente ero lo stesso per Draco. Non lo sapevo e, onestamente, non ero sicura di volerlo davvero sapere. Avevo paura: quei sentimenti così improvvisi per qualcuno di così diametralmente opposto a me mi spaventavano da morire. Nonostante quella insicurezza, non riuscivo a spegnere quell’interesse profondo che avevo nei suoi confronti. E lì, in quel momento, il desiderio di un bacio si fece forte esattamente come in passato. Mi sentivo strana, scombussolata, come se mi avessero affatturata: il cuore palpitava forte, il respiro divenne corto e la gola ancor più secca, il gelo intorno a me si era trasformato in piacevole fresco e la voglia di essere stretta tra le sue braccia perdendomi in un bacio appassionato quasi mi sopraffece. Tuttavia, ancora una volta, la razionalità ebbe la meglio. Non era il momento giusto, lo sentivo. Così, facendomi del male, mi allontanai piano dal suo corpo. Lui non mi fermò.

«Sarà meglio che vada.» dissi sorridendo appena, cercando di dissimulare il tumulto di sentimenti scazzottanti nel petto. «E’ quasi ora di pranzo e, prima di andare da tua madre, devo cambiarmi.»

Non rispose, Draco Malfoy, limitandosi solo a stringere più forte quel contatto tra le nostre mani che non avevo avuto il coraggio di sciogliere. Non so cosa volesse dirmi, forse era una tacita preghiera di restare ancora un po’ accanto a lui, ma ignorai qualsiasi cosa e decisi di allontanarmi … lentamente. Gli camminai di fianco piano, senza guardarlo negli occhi ma con ancora le dita incrociate alle sue, mentre lui se ne stava fermo allo stesso posto guardandomi di sottecchi. Quando la distanza fu troppa, allora mollammo la presa sull’altro – ammetto che lo feci a malincuore. Per un fugace attimo, valutai l’ipotesi di fermarmi e correre da lui per avere ciò che bramavo, ma poi quella sensazione di “sbagliato” si rifece viva convincendomi ad abbandonare quella stupida fantasia e continuare a camminare verso l’interno caldo della casa.

Non mi voltai. Draco non mi richiamò. Forse era davvero troppo presto – o semplicemente troppo e basta. Era strano sentire un tale trasporto verso una persona per cui si è provato solamente fastidio per molti anni. Tuttavia, razionalizzando, capivo che quel ragazzo biondo non somigliava per niente al bambino borioso che mi insultava alla prima occasione, e ciò mi piaceva parecchio. Poi, però, ripensavo a chi fosse, cosa avrebbe comportato stargli accanto e, così, quel trasporto si attenuava trasformandosi in paura. Nemmeno un volta pensai a come avrebbero reagito i miei amici se fossero stati a conoscenza del legame che stava nascendo tra lui e me; non mi importava. 
Ero confusa. Ero impaurita. 

Nonostante tutto, però, un sorriso appena accennato mi incurvava le labbra al solo ripensare a quanto bene fossi stata insieme a Draco e le dita che lo avevano accarezzato – toccato quella pelle così fredda e pallida- formicolavano ed erano calde. Il cuore non accennava a smettere di palpitare forte e, scommetto, che se mi fossi guardata allo specchio avrei visto gli occhi brillare di emozione. Comunque non ebbi il tempo di poter assaporare quella strana dolcezza che sentivo sulla lingua a seguito delle emozioni intense, ché un forte strattone mi fece trasalire e un dolore intenso salire lungo il fianco destro. Non capii molto lì per lì, ma quando mi ritrovai nella Sala Fumatori, con le spalle al muro ed una mano contro il collo, alzai lo sguardo ed incontrai gli occhi azzurri e ricolmi d’ira di Lucius Malfoy. Una mano mi teneva forte la gola, stringendo secondo dopo secondo, e l’altra stringeva la bacchetta puntata contro il mio stomaco.

Non riuscivo a respirare, il cuore pompava velocemente il sangue a causa della paura, gli occhi mi si riempirono di lacrime e, disperata, tentai di ribellarmi cercando di afferrargli il volto, dimenandomi. Più andavo avanti più la presa diventava salda contro la trachea. Anche la testa cominciava a dolere e piccole vertigini comparvero all’improvviso; la vista si stava oscurando. Non potevo fare nulla, ero inerme. Sentivo la vita scivolare via tra le dita. Avrei voluto gridare, chiamare quel giovane uomo che mi stava rubando il cuore, chiedere aiuto alla donna che si era mostrata gentile con me, ma non potevo. Il panico si impossessò di ogni fibra del corpo e le lacrime mi riempirono gli occhi spalancati. Provai ancora a liberarmi, ma nulla. L’unico risultato che ebbi fu il consumo di quelle poche energie che mi restavano. Al solo ripensarci provo un grande senso di angoscia.

«Te lo dirò solamente un’ultima volta, Sanguesporco: sta lontana da mio figlio.» parlò sussurrando, stringendo i denti in preda all’ira. «Non metterai a rischio tutto quello che ho costruito in questi anni, non lo permetterò. Non sei altro che una lurida meretrice!» sputò veleno prima di lasciare la presa sulla gola per darmi uno schiaffo tanto forte da farmi cadere a terra in ginocchio e graffiarmi il labbro spaccandolo. «Stai superando il limite, feccia!» sibilò ancor più in collera, lanciandomi un calcio nello stomaco facendomi gemere, cadere definitivamente e piegare sul pavimento dal dolore. «Se non ti ho ucciso è solo per mio figlio!» un ulteriore calcio.

Ero a terra, stremata. Non riuscivo a respirare, non riuscivo a muovermi. Subivo senza combattere; non ne avevo le forze. Tremavo, avevo davvero paura di morire; non sono mai sta aggredita con così tanta violenza e rabbia. Mi chiesi perché a me, perché mi stesse succedendo tutto quello quando non avevo fatto nulla. Mi ero solo presa un attimo di felicità, niente di più. 

Non contento di quanto mi avesse inflitto, si piegò sulle ginocchia alla mia altezza, afferrò brutalmente una ciocca di capelli tra le mani e strattonò il mio viso verso l’alto facendomi gemere per il bruciore al cuoio capelluto. Puntò la bacchetta sotto il mento, nel punto esatto in cui le sue mani mi avevano premuto, e a denti stretti continuò a minacciarmi: «Tuttavia, potrei decidere anche di non essere così misericordioso, a costo di mettermi contro mio figlio. Avvicinati ancora una volta e finalmente potrò provare il piacere di mettere fine alla tua misera vita.» e con un altro forte strattone mi lasciò andare.

Mi accasciai stremata, portando le gambe contro il torace e le braccia a coprire il viso. Ero lì distesa su freddo pavimento a tremare come una foglia, a sentire una forte umiliazione bruciare il petto. E solo quando sentii i passi dell’uomo allontanarsi, potei dar sfogo al dolore: cominciai a piangere; mai avrei dato a Lucius la soddisfazione di vedermi spezzata. 
Sentivo male dappertutto e non avevo la forza di rimettermi in piedi. Singhiozzavo e lo stomaco rimandava fitte tremende, la gola bruciava per via della forte stretta e il fiato era mozzato – solo respirare mi procurava sofferenza-, il cuore sembrava impazzito e i nervi erano talmente tesi che il corpo non voleva smettere di tremare. Mi sentivo persa. Ero dolente. 

«Draco …» sussurrai appena, procurandomi un terribile dolore alle labbra e alla gola. 

Non sapevo cosa fare. Volevo chiudere gli occhi, dimenticare tutto facendomi abbracciare dall’oblio, ma avevo timore di non risvegliarmi. 
Ero stata minacciata per ciò che stava nascendo con Draco, eppure in quel momento pensavo solamente a lui e a quanto avrei voluto essere trovata ed aiutata. Non potevo morire senza aver trovato i miei amici, senza aver baciato quelle labbra sottili e rosee che tanto bramavo. Eppure le forze mi stavano abbandonando.

Avevo appena chiuso gli occhi, stanca, e in quell’attimo sentii dei passi da lontano. Sperando non fosse il mio carnefice, produssi un lamento leggermente più forte degli altri: funzionò. Percepii una camminata veloce, qualcuno che chiamava il mio nome con preoccupazione crescente, un’imprecazione ed una frase lontana: «Non mollare. Ci sono io con te.»
Sentii un piacevole calore e il tremolio del corpo sparire piano. Ricordo di essermi sentita al sicuro; sentivo un piacevole profumo di pino solleticarmi le narici e allora capii: Draco Malfoy era venuto da me e mi teneva tra le braccia. Così, rasserenata, mi lasciai abbracciare dal buio consapevole che, insieme a lui, sarei stata bene.


 

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Capitolo 26
*** 25 - Mother's Hearts. ***


«Mother's heart.»

Quanto può essere effimera la felicità? In quei giorni trascorsi tra incertezze e barcolli fisici non facevo che chiedermelo. Mi ero lasciata andare solamente un attimo e tutto mi si era ritorto contro. Provavo ancora dolore per le botte subite, ma ingoiavo le urla e la voglia di piangere; la mia fragilità non veniva fuori nemmeno quando Draco mi medicava.
In quelle fredde giornate era tutto più silenzioso e gelido tra di noi, come se fossimo tornati all'inizio. Lo guardavo e cercavo di capire cosa lo turbasse, ma quell'espressione neutra era impenetrabile. Sarebbe stato inutile chiedere, perché sapevo non avrebbe risposto. Il nuovo Draco Malfoy era così: gelido e silenzioso; a stento mi guardava. Credo si sentisse in colpa ed impotente per ciò che mi era successo, proprio quello che avevo provato io. Avrei voluto dirgli che non ne valeva la pena, che le colpe di suo padre non dovevano ricadere su di lui e che io mai gli avrei puntato il dito contro. Tuttavia decisi di tacere, sembrava la scelta più sensata al momento. Lo guardavo e basta, ammiravo la sua algida ed affilata bellezza chiedendomi di continuo cosa nascondesse quell'espressione immutabile. Per la prima volta, mi fermai a fissare Draco Malfoy veramente e ammetto, contro ogni logica, che ciò che vedevo mi piaceva: era elegante in ogni movimento, gentili erano i suoi tocchi, gli occhi azzurri erano pieni di malinconia, stringeva i denti -e di conseguenza la mascella- di tanto in tanto come se i suoi stessi pensieri lo infastidivano; incrociava appena il mio sguardo, ma quando lo faceva, nonostante una sorta di lontananza imposta, sentivo come se nulla fosse cambiato; era piacevole, mi sentivo protetta e compresa.
Sospirai profondamente mentre ritornavo con i piedi per terra, alle faccende imposte dalla mia signora in quella giornata fredda. Mancava sempre meno a Natale e, oltre a tutta l'angoscia causata dagli ultimi avvenimenti, c'era quella ricorrenza che mi ricordava costantemente quanto fossi distante dalla mia famiglia.

«Hai le mani fredde, Elizabeth.» disse piano Lady Malfoy scrutando attentamente la mia espressione attraverso lo specchio.

«Perdonatemi, farò più attenzione.» risposi sorridendo appena - mostrando una serenità che non mi apparteneva-, incontrando i suoi occhi nel riflesso di fronte a me.

Quella mattina la signora del Manor si destò dal sonno più presto del solito e, di conseguenza, mandò un elfo a svegliare anche me. Aveva la festa di Natale da preparare e voleva che fosse tutto perfetto e, dato che le cose da fare e gli ordini da impartire erano tanti, decise di anticipare la sua routine quotidiana. Dunque, mentre io le pettinavo i lunghi capelli scuri lentamente, districandoli con spazzola e mani, lei si occupava della sua pelle spalmando sulla faccia un profumatissimo unguento alla rosa passando poi ad una crema di uno strano olezzo che picchiettava sotto gli occhi. Nonostante questa minuziosa cura di sé, era molto chiaro lo stato in cui versava quella donna: era nuovamente ricaduta in uno stato di ansia e buio, e questa volta nemmeno un soggiorno lontano da tutto l'avrebbe aiutata. Solamente quando il suo adorato Draco le era accanto riacquistava un po' di colore sulle guance e di vita; la quasi morte del figlio l'aveva spezzata, come biasimarla.

«Ti sei ripresa, vedo.» spezzò nuovamente il silenzio, parlando con voce sicura ma sguardo basso, quasi indifferente, concentrata nell'atto di chiudere una boccetta di qualche cosmetico dei suoi.

«Sì, signora.» risposi allo stesso modo di prima, guardandola di sottecchi attraverso lo specchio - nel frattempo intrecciavo delle ciocche di capelli affinché la donna avesse una pettinatura semplice e ... degna, direi.

«Immagino che Draco ti abbia aiutata.» continuò algida, guardandomi dritta negli occhi - sempre attraverso lo specchio poiché ero ancora alle sue spalle.

Era molto strano il suo tono, notai, come se fosse appena diventata un serpente strisciante pronta a colpire la sua preda per avvelenarla. Era sempre così Narcissa Malfoy, arrivava alle questioni che le interessavano lentamente, come se prima mettesse alla prova le risposte dell'interlocutore. Per fortuna non avevo nulla da nascondere o di cui vergognarmi, dunque non mi preoccupai di quella freddezza e di quel muro che sentivo stava innalzando parola dopo parola.

«Grazie alle sue pozioni sono guarita velocemente, sì.»

«Ne sono grata.» sorrise nella mia direzione scrutando attentamente il mio volto, come se solamente in quel momento mi vedesse per davvero. «Mi sarebbe dispiaciuto sapere mio figlio da solo.»

«Io credo che suo figlio sia tutt'altro che solo, signora Malfoy.» ribattei distrattamente, concentrata nel mettere l'ultima forcina nei capelli morbidi della donna cosicché le ciocche laterali al volto sarebbero rimaste lontane dagli occhi per tutto il giorno -o almeno speravo.

«Sono così stanca di fingere.» sospirò profondamente, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa, sussurrando appena, ma riuscii a sentire in modo chiaro la frase.

Con compostezza, si alzò dalla bassa sedia della toeletta nella Camera d'Avorio e si voltò lentamente verso di me. Alzò il mento, in tutta la sua bellezza e fierezza, e mi guardò seria; i suoi occhi non erano mai stati così freddi e distanti. Era minuta la donna, il suo corpo era abbastanza debole, eppure in quel momento si ergeva sicura ed era più simile ad una leonessa che ad un serpente; mi sovrastava quasi, facendomi sentire piccola e indifesa. Non provai lo stesso disagio che mi sopraffaceva alla presenza di suo marito, ma ero comunque molto forte. Avevo uno strano presentimento; divenni inquieta, però dissimulai, esattamente come una Malfoy.

«La strega più brillante della propria generazione, eppure così cieca e presa da altro da non capire cosa le accade intorno.» asserì sicura la donna facendo un passo nella mia direzione.

Le sue parole mi gelarono sul posto. Aveva scoperto chi fossi, ma come avesse fatto era impossibile saperlo. Eravamo stati così attenti, sempre riforniti di pozione Polisucco, sempre nascosta qualora non avessi con me una fiala ... quella donna era molto più sveglia di quanto credessi, forse l'avevo sottovalutata. Per un momento, pensai alla possibilità che fosse stato proprio il suo carissimo figlio a dirle la verità, ma poi mi dissi che sarebbe stata insensato e pericoloso qualora avessero saputo in cosa fosse realmente coinvolto.
Il cuore batteva forte, il fiato mi si mozzò e, solo per un attimo, gli occhi mi si appannarono di lacrime mentre la mente correva veloce immaginando le scene più atroci come conseguenza di quella scoperta, ma poi ritornai in me e mantenni la calma. L'unica soluzione era negare.

«Non so di cosa parliate.» risposi sicura, forse un po' troppo rigida.

«Se pensi che ti denuncerò, ti sbagli.» sussurrò tranquilla, facendosi ancora più vicina. «Da quando sei qui è tutto diverso.» confessò con una strana preoccupazione in volto - aveva smesso i panni della signora del Manor per indossare quelli di madre. «Non so in cosa sia immischiato Draco e tanto meno voglio saperlo, ma almeno ha te accanto e ciò mi tranquillizza.» la voce le tremava, sorrideva tristemente; avevo l'impressione che mi stesse dicendo addio e un fastidioso nodo allo stomaco iniziò ad infastidirmi. «Ti chiedo solo una cosa ...» mormorò avvicinandosi così tanto da sentire il calore che il suo corpo emanava. Ciò che mi stupì più di ogni altra cosa fu il sentire le mani fredde di Narcissa Malfoy stringere le mie caldi e tremanti. «Qualsiasi cosa accada, promettimi di stargli vicino.»

«Signora Malfoy -»

«Non m'importa quale sia il tuo nome né del tuo sangue, voglio solo che mio figlio sia felice e che sia al sicuro.» era disperata la sua voce, altrettanto gli occhi ricolmi di lacrime. «Sei una donna intelligente, sai che sono malata e che, forse, non riuscirò a superare tutto questo.»

«Non dite così.» suonò come una supplica la mia, ma vedere il tormento di quella donna mi spezzò il cuore.

«Entrambe sappiamo che è una possibilità.» disse con voce tremante, lacrime amare sul viso e un sorriso appena accennato di chi ha accettato il proprio destino. «Promettimelo, per favore.» sussurrò stringendo la presa sulle mie mani. «Non dubitare delle mie parole, sono sincera, oramai hai imparato a conoscermi. Credi mi sarei mostrata così vulnerabile se non fossi disperata?» chiese continuando dignitosamente a piangere. «Il mio cuore di madre non potrebbe sopportare di vederlo nuovamente spezzato a causa di qualcosa che non ha nemmeno scelto liberamente. Devo sapere che lui ha qualcuno accanto pronto a tenergli la mano quando arriveranno i tempi bui, altrimenti non potrò andarmene in pace.» trattenne un singhiozzo e così chiuse gli occhi cercando di ritrovare almeno un po' di contegno, ma Narcissa era bellissima nella sua disperazione di mamma. «Promettimelo, ti prego.»

Avevo gli occhi gonfi di lacrime represse, la gola che doleva per i singulti trattenuti, il cuore batteva forte e le mani non smettevano di tremare. Mi sentivo così vicina a quella donna come mai mi ero sentita prima e, stranamente, non mi dispiaceva. Comprendevo il suo disagio e sapevo benissimo che avesse ragione, in tutto. Narcissa Malfoy non mi aveva mai guardata con supponenza né con disgusto, ma con distaccato rispetto; mi aveva sempre trattata come se fossi una sua pari, al contrario di chiunque altro in quella casa, abitante o ospite che fosse stato. Era una donna speciale e sapere che, forse, il prezzo più alto di tutti l'avrebbe pagato lei, una madre che aveva assistito quasi inerme alla disfatta del figlio, mi faceva provare una strana sensazione di nausea. Non avrei mai potuto negarle nulla, anche perché il mio cuore e la mia mente avevano riservato un posto speciale a quel ragazzo, senza sapere bene nemmeno perché.

«Glielo prometto, Narcissa.»

La donna sospirò chiudendo gli occhi. Lasciò andare le mie mani e sospirò forte. Mi diede le spalle voltandosi verso i numeri vestiti ordinatamente riposti sulla parete opposta. La vidi alzare la testa e la sentii schiarirsi la gola: era tornata ad essere la signora di Villa Malfoy. Il momento emotivo era finito. E a me andava bene. Era giusto così.

«Bene.» la voce era nuovamente limpida e acquistò un tono serioso. «Ora puoi andare, Elizabeth. Ti chiamerò se ho bisogno.»

«Come volete, mia signora.» risposi ossequiosa, sorridendo appena.

Feci come mi aveva ordinato. Uscii dalla stanza chiudendo la porta, cosicché lei avrebbe avuto ancora un po' di tempo da sola, magari per pensare o forse anche per piangere. Pensierosa, mi avviai verso la mia stanza. Avevo la testa piena di dubbi, rivivevo continuamente ciò che era successo ed il cuore, ogni volta, mi faceva davvero tanto male. Nessuno in quella famiglia mi aveva mai tratta con riguardo prima di quella guerra, e anche durante a dire il vero. Tuttavia, le cose erano cambiate così radicalmente da farmi venire il mal di testa. Possibile che persone dalle convinzioni così radicate potessero modificare le loro idee a causa di un particolare evento senza provare nemmeno avversione per se stessi?, mi chiedevo. Era per questo che Draco mi teneva lontana?, continuavo a rimuginare.

Tuttavia, una cosa era certa: avrei mantenuto la promessa fatta a Narcissa, e non solo per senso del dovere, ma perché, come capii quel giorno stesso, non mi piaceva l'idea di stare lontana da Draco. 




*Note che apprezzerei leggeste: 
Il capitolo non doveva essere strutturato in questa maniera, ma era stato concepito per essere totalmente diverso. Tuttavia, l'istinto mi ha portata a deragliare dall'idea originale, forse perché un po' mi sento come Narcissa. Tuttavia, spero non sia troppo melenso per voi o, peggio, completamente fuori contesto dalla linea del romanzo. 
Nonostante ciò, spero abbiate apprezzato perché c'ho messo tutta me stessa, davvero, per dar vita alla sofferenza della signora del Manor. 
Il capitolo sarebbe dovuto essere più lungo e contente anche una parte Dramione, ma mi sembrava ingiusto nei confronti di questa donna tanto forte quanto fragile. 

Spero vi sia piaciuto, spero abbiate pianto un pochino e aspetto i vostri commentini con ansia <3


 

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Capitolo 27
*** 26 - Snowflake. ***


«Snowflake.»

Quella conversazione mi aveva caricato di tristezza e ansia: una donna come lei, algida e aristocratica, cresciuta nella convinzione di essere superiore a tutti perché discendente di una stirpe Purosangue, si era piegata di fronte a ciò che aveva sempre disprezzato per il bene di suo figlio; l'altra parte di me, però, non si fidava completamente. La razionalità mi diceva che non avrebbe mai tradito Draco, ma c'era comunque quel lato fastidiosamente Grifondoro avverso alle Serpi che continuava a non crederle.

Con quelle strane sensazioni addosso, camminai piano verso la mia stanza cercando di non rimuginare troppo su quanto accaduto nella Camera D'Avorio. Ero combattuta, non sapevo se fosse saggio parlarne con Draco o meno; non potevo prevedere la sua reazione.

Sbuffai frustrata mentre, con un solo movimento veloce, aprii la porta della mia stanza chiudendola, poi, poco gentilmente. Con i pensieri ancora in subbuglio, chiedendomi cosa fosse più giusto fare, camminavo lungo la stanza sospirando rumorosamente. Guardavo il soffitto di tanto in tanto, bisbigliando un «Cosa devo fare?» e «Si arrabbierà?», perché oltre il giusto e lo sbagliato c'era anche il timore di ferire Draco in qualche modo. Non volevo si ritrovasse ulteriormente nei guai - la sua situazione era già abbastanza complicata-, non volevo si sentisse in colpa per lo stato d'ansia perpetuo in cui versava la donna più importante della sua vita e poi ... non mi sembrava giusto rivelare ciò che la signora ed io ci fossimo dette, mi sembrava quasi di violare qualcosa di intimo e sacro.

Emisi un verso di esasperazione, fermandomi a pochi passi dal letto. Abbassai gli occhi verso il pavimento scuotendo la testa, sospirai forte e mi convinsi che no, quello doveva restare un segreto tra me e la signora del Manor -almeno per un po'.

Sbuffai per l'ennesima volta, alzai lo sguardo e mi accomodai sul letto in maniera poco elegante e solo in quel momento mi accorsi di qualcosa poggiato sulle coperte. Casualmente, notai un pacchetto molleggiare a causa del mio peso sul materasso. Voltai lo sguardo verso sinistra e guardai perplessa la confezione nera tenuta insieme da un elegante fiocco argentato, il tutto accompagnato da una piccola pergamena arrotolata e mantenuta dal nastro stesso. Senza una vera ragione, mi guardai intorno, come se davvero potesse esserci qualcuno nella stanza, proprio in quel momento. Mi diedi della stupida, ma guardavo con diffidenza quella scatolina chiedendomi se non contenesse un oggetto affatturato.

Lentamente, sfilai la lettera e, con mani tremolanti, la srotolai pregando Merlino e Morgana di non morire sul posto. C'era solo un semplice frase, breve e coincisa, scritta con una grafia tondeggiante ed elegante, leggermente pendente verso destra: "Nascondila bene". Nessuna firma, solo una sottospecie di ordine. 
Il cuore mi batteva forte e la paura cominciò a seccarmi la gola e appesantire il petto, tuttavia avevo un gran bisogno di soddisfare la mia curiosità. Così, decisa, come solo Hermione Granger sa esserlo, afferrai la scatolina scura e la spacchettai - trattenni quasi il fiato per tutto il tempo. Non ero sicura di quello che avrei trovato all'interno, ma, ciononostante, mai avrei pensato di poter vedere ... quello: una sottile catenina d'argento reggeva un piccolo pendente a forma di fiocco di neve, lavorato con del fine vetro di un azzurro appena accennato e poggiato su di una base d'argento; al centro del fiocco stesso c'era una piccolissima pietra bianca. Rimasi senza fiato per dei lunghissimi secondi - o forse anche di più- e gli occhi si riempirono di lacrime, in maniera del tutto involontaria. Immediatamente, capii che quel meraviglioso regalo non era altro che un gesto di tenerezza, d'affetto, da parte dell'ultima persona al mondo che mi sarei aspettata.

Il cuore riprese a palpitare veloce, ma quella volta a causa dell'emozione. Calde e dolorose lacrime scesero lungo le guance, ma non feci niente per arrestare quella strana e bellissima sensazione che sentivo nascere dentro. Draco Malfoy mi aveva appena conquistata. Non m'importava nulla della collana, ma lui era riuscito a sorprendermi, a dirmi indirettamente che quel momento era stato importante e che lo avrebbe custodito gelosamente tanto quanto avrei fatto io. Era come se, in quella catenina, avesse racchiuso quell'attimo di felicità vissuto insieme. Ed è stato proprio in quel momento che mi resi conto quanto importante fosse diventato, quanto, ormai, non potevo far niente per spingere fuori dalla mente e dal cuore quel ragazzo che tempo prima mi aveva disprezzato. Mi chiesi come fosse possibile essere arrivata a quel punto, mi chiesi perché fosse successo a me, mi chiesi perché non provavo nessun ribrezzo nel pensare a noi due insieme. C'erano così tante domande, eppure non facevo che guardare quel delicato gioiello e sorridere tra le lacrime. Forse avevo davvero sviluppato qualche forma di affetto malato nei suoi riguardi, ma in quel preciso momento mi resi conto che l'unica cosa che volessi davvero era correre da lui e perdermi nel suo sguardo. Era irrazionale e intenso e tutto ciò non faceva che confondermi, creando solo maggiori dubbi.

Scossi il capo e asciugai le lacrime, senza mai smettere di sorridere come una stupida. Cercai di ricompormi, sospirai profondamente e abbandonai il regalo sul letto, smaniando per vederlo. Uscii veloce dalla stanza e attraversai il corridoi allo stesso modo fino ad arrivare davanti la porta del suo studio; ultimamente si richiudeva sempre lì, forse per pensare o anche per non vedermi. Sospirai nuovamente, chiudendo gli occhi e poggiando una mano sul petto, sperando quasi di riuscire a calmarmi con un semplice gesto.

Mi feci coraggio, riaprii gli occhi e bussai piano alla porta. Un debole «Avanti» mi permise, dunque, di mettere da parte definitivamente la paura e di aprire la porta. Mi fermai sulla soglia non appena gli occhi mi si posarono su di lui: era in piedi davanti al camino, in una mano dei fogli che leggeva con attenzione e nell'altra reggeva un bicchiere con del liquido ambrato. Avrei voluto dirgli tante cose, fargli molte domande, tuttavia averlo a così poca distanza saziò la mia necessità di vederlo, certo, ma allo stesso tempo ogni pensiero sparì dalla mente. Mi sentivo una stupida, però restai lì a guardarlo, nella sua intera e oscura bellezza, senza dire nulla per un tempo che mi parve infinito.

«Ti serve qualcosa?» il silenzio venne spezzato proprio da lui, dalla sua voce chiara. Draco Malfoy, però, non mi degnò di uno sguardo.

Quel suo atteggiamento cominciava a stufarmi perché non era giusto farmi impazzire in quel modo! C'era un'ombra sul suo volto pallido, un'espressione di indifferenza e sembrava alquanto preoccupato per qualcosa, dunque qualsiasi tipo di irritazione passò immediatamente, concentrandomi su ciò che potesse, eventualmente, tormentarlo.

«Va tutto bene?» chiesi curiosa, chiudendo la porta dietro di me, senza mai smettere di guardarlo.

«Certo.» freddo e diretto. «Che cosa vuoi?»

«Smettila.» sussurrai avanzando appena, cominciando ad essere quasi offesa dai suoi modi di fare; sembrava di essere tornati indietro nel tempo.

«Sei venuta qui per farmi perdere tempo, Granger?» si innervosisce, andando verso la scrivania, continuando a mantenere gli occhi lontani dai miei.

Peccato che io avessi davvero bisogno di quegli occhi. La giornata era iniziata in maniera strana e continuava ad esserlo, ma lui era la mia unica sicurezza e vedere quanto mi fosse lontano mi stava facendo davvero male - più di quanto credessi possibile.

«Quando la smetterei di sentirti in colpa per quello che mi è successo?» quasi urlai, andando dritta al punto della questione, facendo un passo verso la sua direzione. «Dovrebbe essere tuo padre a vergognarsi, non tu.»

«Non so di cosa tu stia parlando.» continuò ad usare un tono distaccato, a non guardarmi; l'unico segno di cedimento fu il debole sospiro che lasciò le labbra subito dopo.

«Allora guardami!» gli dissi con foga avvicinandomi a lui, proprio davanti la scrivania. «Abbi il coraggio di guardarmi e dirmi in faccia che non mi stai evitando, che non ti senti sporco per quello che mi è successo quel giorno! Guardarmi e dimmelo, Draco!»

Provocato, alzò di scatto il capo guardandomi dritta in faccia, lasciandomi vedere, finalmente, quelle bellissime iridi ghiaccio. Il suo volto era una maschera di collera, arrabbiato più con se stesso che con me per essere stato scoperto, serrò la mascella e continuava a fissarmi, a sfidarmi mettendo da parte la vergogna e la paura.

Sorrisi appena, finalmente. Riuscii a calmarmi nell'esatto momento in cui i nostri sguardi si incrociarono. Una sensazione di quiete e sollievo m'invasero il petto, come se fossi riuscita a liberarmi di un peso. E anche se la sua espressione non era amichevole, mi bastò guardarlo per ritornare ad essere ... in pace.

«Rischi la vita ogni giorno lavorando con i nemici del tuo Signore ma scappi da me.» sussurrai senza smettere un solo istante di studiare ogni particolare del suo viso, con un sorriso debole sulle labbra. «Non ... non alzare muri, Draco.» continuai a parlare piano, avvicinandomi così tanto a lui da percepire il fiato caldo e frenetico sul mento. «Non con me, ti prego.»

Perpetrava nel suo mutismo, fissandomi e basta. Nessun segno di cedimento, solo una maschera di indifferente, ma sapevo benissimo quanto, in realtà, fosse tormentato. Se stesse provando anche solo un minimo di quello che stavo sentendo io in quel momento nei suoi confronti, allora doveva essere proprio confuso. Personalmente, più lo guardavo, più mi perdevo nei suoi occhi; più il suo profumo mi inebriava, più la lucidità mi abbandonava; più il cuore batteva forte, più i sentimenti diventavano grandi e reali. Avevo, di nuovo, voglia di baciarlo, ma non ero certa fosse la cosa giusta da fare; non era certa che lui lo volesse davvero. Tuttavia, non mi allontanai, ma mi beai della sua vicinanza e dei suoi occhi su di me che, attenti, mi scrutavano; l'irritazione era scomparsa dal suo volto.

«Che cosa vuoi da me?» mormorò quasi senza fiato, senza mai distogliere lo sguardo.

Avevo ben capito quale fosse il reale significato di quella domanda, ma decisi di far finta di nulla, perché, onestamente, non sapevo bene nemmeno io cosa volessi.

«Voglio ringraziarti.» dissi sincera, sorridendo persa in quel mare di ghiaccio che era suo sguardo. «Mi hai fatto un regalo meraviglioso, Draco. Non puoi immaginare quanto io ne sia felice.»

«Non è niente.» minimizzò sussurrando, distogliendo prima gli occhi dai miei e poi dandomi le spalle; avevo appena creato una crepa nella gelida corazza di un Malfoy e non mi sarei fermata.

«Niente?» dissi sorpresa, prendendogli la mano e bloccando qualsiasi tentativo di allontanamento da me. «Mi hai regalato letteralmente un momento di felicità. Ed è un cosa meravigliosa.» feci un passo avanti stringendo la sua mano nella mia, continuando a sorridere a guardarlo dritta negli occhi.

Ancora una volta, Draco preferì tacere. Non prese le distanze dal contatto tra le nostre dita, non si allontanò bruscamente da me, ma ricambiò la stretta continuando a fissarmi. Mi scrutò in un modo così intenso da fermarmi il respiro, da crearmi brividi piacevoli sulla schiena. Avrei dato qualsiasi cosa per sapere cosa stesse pensando. Aspettavo mi dicesse qualcosa, che facesse una battuta, ma niente: mi guardava e basta, con quasi una ritrovata calma.

«Che c'è?» chiesi divertita, sperando di poter mettere fine a quello sguardo che, ammetto, mi metteva un po' a disagio - sembrava volermi leggere fino in fondo e la sensazione di vulnerabilità stava crescendo. Ero in imbarazzo.

«Gli occhi azzurri non ti si addicono.» affermò con serietà, senza mai smettere di guardarmi.

In un primo momento non capii, restai semplicemente sorpresa. Tuttavia, qualche secondo dopo, percepii chiaramente il messaggio: a lui piacevano i miei occhi scuri, quelli veri. Draco Malfoy avrebbe voluto specchiarsi in quegli occhi marroni della Mezzosangue che aveva sempre preso in giro, ma che aveva imparato a rispettare e, forse, a cui aveva iniziato a tenere. Mi ci volle tutta me stessa per non lasciarmi andare completamente. Sentii gli occhi riempirsi di brucianti lacrime di felicità. Era riuscito a sorprendermi ancora.

«Grazie.» sussurrai avvicinandomi di più. Mi alzai sulle punte e, con tutto il coraggio che mi ha sempre contraddistinto, poggiai le labbra sulla pelle fredda della sua guancia: diedi un dolce e lungo bacio a Draco Malfoy per la prima volta. «Grazie per tutto.» gli sussurrai subito dopo, ancora ad una piccola distanza dalla sua pelle pallida.

Ritornai a guardarlo e ciò che vidi fu solo confusione e incredulità sul suo viso. Prima che potesse risvegliarsi da quello stato, prima che io potessi farlo, gli voltai le spalle e andai via dallo studio, lasciando che quell'atmosfera surreale rimanesse intatta ancora per un po'. Chiusi la porta e per qualche secondo vi poggiai la schiena, con tutto l'intento di riprendermi. Tremavo ed il cuore batteva tanto velocemente da sentire dolore, il fiato era mozzato e la gola bruciava. Non avrei mai potuto credere di riuscire a fare una cosa del genere; mi ero esposta, in qualche modo lo avevamo fatto entrambi, e mi faceva terribilmente paura. Non avevo mai provato emozioni così forti e prorompenti. Mi ripetevo che forse era solo per il gusto del proibito, che magari ero ammattita o, addirittura, era una stupida cotta passeggera, ma sapevo di mentire a me stessa. Quei sentimenti, tutte quelle emozioni che mi stavano scoppiando dentro erano vere ed io stavo seriamente iniziando a provare qualcosa di profondo per Draco Malfoy.

 Quei sentimenti, tutte quelle emozioni che mi stavano scoppiando dentro erano vere ed io stavo seriamente iniziando a provare qualcosa di profondo per Draco Malfoy        

Qui le cose si fanno più serie che mai a quanto pare. 
Spoiler: nel prossimo capitolo sarà il giorno di Natale. Che possa accadere qualche miracolo?

Stay Tuned :*

 

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Capitolo 28
*** 27 - A surprising man. ***


«A surprising man.»


Nevicava, quel Natale. M'incantai a fissare i fiocchi di neve candidi che, lenti, si posavano sulle colline del Wiltshire. Il freddo divenne sempre più pungente col passare del tempo e il cielo s'incupì maggiormente, ma forse, mi ripetevo, era solamente il riflesso di come mi sentivo in quel periodo. Avevo sempre amato il Natale e ciò che rappresentava, ma da quando ero rimasta da sola le cose era irrimediabilmente cambiate.

Sospirai chiudendo gli occhi, stringendo tra le dita il ciondolo regalatomi da Draco qualche giorno prima. Ero combattuta tra mente e cuore, tra ciò che era giusto e sbagliato; tra quello che la Hermione di un tempo avrebbe pensato e quello che ero diventata. Ammetto che era strano sentire tutte quelle emozioni per una persona che mai avrei creduto potesse entrarmi così sotto pelle, una persona così diversa e distante dal mio mondo e dal mio modo di essere. Eppure sapevo di non dovere chiedere scusa a nessuno per quei sentimenti, sarei stata ipocrita con me stessa. Ormai nulla era come prima.

C'era così tanto silenzio nel corridoio del primo piano che fu facile perdersi tra i pensieri -nemmeno i lievi chiacchiericci dei quadri infastidivano quell'atmosfera di tranquillità. La notte ormai era calata e non mancava molto alla festa a cui Narcissa Malfoy si era dedicata per tutta la settimana. Mi aveva congedata ore prima, dicendo di stare nelle mie stanze e non muovermi, ma mi ero soffermata più del dovuto a contemplare la neve, a crogiolarmi in quei ricordi di tempi andati in cui il Natale era fatto di calore familiare e prelibati banchetti.

Scossi la testa, imponendo a me stessa di scacciare ogni tipo di pensiero passato che mi avrebbe solo portato ancor più malinconia in quella giornata che di festività, nell'aria, non aveva proprio nulla. Così, ricomposta, decisi di percorrere il restante del corridoio e di rinchiudermi in camera mia. Avevo in mente di prepararmi un bagno caldo, avrei acceso il cammino nel mio salottino e avrei trascorso il tempo a leggere un buon libro finché il sonno non fosse sopraggiunto, tuttavia non feci nulla di ciò che mi ero prefissata.

Quando aprii piano la porta della camera, ormai spossata dalla giornata faticosa, guardai immediatamente il letto bramando la freschezza delle lenzuola sulla pelle e, al contempo, il calore delle coperte che sarebbe sopraggiunto col passare dei minuti. Mi accorsi, con mia grande sorpresa, che ci fosse qualcosa poggiato sul letto, qualcosa di vistoso: un grande pacco la cui scatola era di un bel rosso brillante. Rimasi ferma sulla soglia a bocca aperta per qualche secondo, non credendo ai miei occhi. Il cuore iniziò a battere forte e la gola si seccò a causa del fiato mozzato. D'istinto, portai nuovamente le dita al ciondolo che avevo al collo racchiudendolo in una morsa stretta, pensando inevitabilmente che ancora una volta ci fosse Draco dietro quella sorpresa. Scoprii, nei giorni seguenti a quel regalo, che avere la catenina sempre con me, ben nascosta sotto i vestiti, mi faceva sentire bene, mi faceva sentire al sicuro; era come avere una piccola parte di lui con me - ma questo non l'ho mai davvero ammesso nemmeno a me stessa.

Chiusi la porta con cautela, senza distogliere lo sguardo da quel regalo con la paura che potesse svanire da un momento all'altro. Una parte di me non poteva credere fosse possibile che lui, proprio lui, mi avesse sorpresa ancora, per di più a Natale, e dunque ero cauta avanzando piano; l'altra parte, però, era terribilmente affascinata dalla situazione, affascinata dal tenebroso ragazzo cattivo che aveva deciso di redimersi e di mostrare chi fosse in realtà. Fino a qualche mese prima avevo tutto ben chiaro nella testa, una vita ben programmata una volta finita la guerra: avrei finito gli studi, avrei continuato la mia storia con Ronald, avrei intrapreso un lavoro al Ministero e avrei voluto vivere in una bella casetta non lontano dai miei migliori amici. Ogni cosa era perfetta nella mia mente, ma in quel momento, davanti a quel pacco, con il cuore che scalpitava nel petto, niente aveva più senso.

Le mani tremavano, i battiti acceleravano secondo dopo secondo e il fiato mancava, sentivo gli occhi bruciare a causa delle lacrime e uno strano senso di paura mi annodò lo stomaco. Non capivo cosa mi stesse succedendo, era tutto così intenso e amplificato da fare terrore. Così scombussolata, aprii la scatola poggiando il coperchio di cartone ai piedi del letto con movimenti lenti. All'interno vi era una carta molto leggera, di un bianco che lasciava intravedere un tessuto colorato, ma ad una prima occhiata - in quelle condizioni mentali poi- non riuscii bene a capire di cosa si trattasse. Ordinatamente poggiate alla sommità vi era un biglietto ed una fialetta contenente una mistura color fango - capii immediatamente di cosa si trattasse, tuttavia non intuii il motivo per cui era stata inserita nel pacchetto.

Incuriosita, presi delicatamente la provetta di vetro in una mano e il biglietto nell'altra riconoscendo subito la calligrafia di Draco: "Prendi la pozione, ti aspetto in camera mia". Rimasi a fissare quel pezzetto di pergamena con quella breve e coincisa frase per un lungo tempo, chiedendomi cosa avesse mai in mente e se dovessi fidarmi ancora da lui. Tuttavia, dopo quel bellissimo regalo fattomi, il pensiero di un oggetto affatturato o di un semplice scherzo di cattivo gusto venne cacciato immediatamente via dalla testa. Con mani tremanti, immaginando solamente ciò che quella scatola potesse contenere, scostai la carta sottile e impalpabile, respirando profondamente. Quando i miei occhi videro il tessuto giallo di un bel vestito il cuore cominciò a palpitare veloce ed io, non so bene perché, mi allontanai di scatto, come se avessi appena toccato qualcosa di bollente. Chiusi gli occhi e scossi la testa: non potevo credere a quello che stava succedendo. Sentivo i battiti accelerare e il respiro mancare; le mani tremavano un pochino e la testa iniziò a vorticare appena. Presi posto sul letto, ad una certa distanza da quel pacco - da lui. Draco mi aveva appena regalato un vestito per partecipare alla festa di Natale organizzata da sua madre e alla quale ci sarebbe stata tutta la società magica vigente, tra cui la famiglia della sua futura sposa e la ragazza stessa. Continuavo a chiedermi perché lo stesse facendo, perché mi volesse a quel ricevimento quando sapeva perfettamente la difficoltà che provavo nel mischiarmi tra loro. Fu allora che mi tornarono in mente le cattiverie del rampollo di casa Malfoy, le innumerevoli umiliazioni a cui mi sottoponeva di fronte all'intera scuola, quel suo sguardo così disgustato ogni qualvolta ero nei paraggi, tutto quello che aveva fatto al sesto anno, la sua innegabile natura subdola e opportunista. Quello era Draco Malfoy, il ragazzo viziato e arrogante che mi bistrattava ogni qualvolta desiderava. Gli occhi bruciavano per le lacrime represse, così fui costretta ad abbassare le palpebre e a respirare ancor più profondamente per calmare i palpiti frenetici del cuore. Eppure, quel bambino che ricordavo si contrapponeva fortemente al giovane uomo che avevo conosciuto in quei mesi di reclusione forzata. Certo, restava borioso e presuntuoso, però c'era una tristezza cupa nei suoi occhi e tutta quella verve usata per insultarmi e prendermi in giro la utilizzava per creare pozioni, lavorando con il ragazzo che ha sempre odiato affinché potesse salvare se stesso e sua madre. Era diventato distaccato, nascondendo dietro l'indifferenza qualsiasi emozione; non c'era più traccia del ragazzino spaventato di un tempo, non c'era traccia nemmeno della sua codardia, ma al contrario si era andato a mettere in una situazione molto scomoda. Ero sicura non fosse l'unico della nostra generazione ad aiutare la resistenza, ma andare oltre il proprio orgoglio e gli ideali a cui si è aggrappato per tutta la sua vita deve essere stata la prova più difficile da superare.

Scossi il capo, oramai confusa dai miei stessi pensieri, e aprii gli occhi alzando lo sguardo verso il mio riflesso nello specchio. Mi bloccai sul posto, come colpita da un Incantesimo della Pastoia, nell'attimo in cui mi resi conto di aver afferrato il ciondolo regalatomi qualche giorno fa: un gesto, avevo notato, che facevo spesso quando ero sovrappensiero. Sbuffai rumorosamente, mentre i ricordi di quel giorno, di quello che lui mi aveva detto e di quanto fossimo stati vicini, mi affollavano la mente. Mi chiesi come Harry e Ron avrebbero reagito se avessero saputo quanto il mio cuore batteva nel solo avvicinarmi a Draco. Andava tutto contro quello per cui si stavano battendo, nonostante ora collaborassero. In un momento di stizza, mi tolsi velocemente la collana e la poggiai non curante sul letto, accompagnando il gesto nervoso con un gemito di frustrazione. Mi sentii vuota. Sentii l'assenza di quella catenina, di quella sicurezza che mi aveva invaso nell'esatto momento in cui l'avevo messa al collo. I miei amici sarebbero rimasti di stucco se avessero saputo cosa stessi pensando, ma i sentimenti che provavo per lui diventavano più veri ogni qualvolta i nostri occhi si incontravano, ogni volta litigavamo e ogni volta in cui ci avvicinavamo così tanto da percepire il calore delle labbra dell'altro. Era bello perdermi in quegli occhi azzurri e da qualche tempo avevo smesso di sentirmi in colpa.

Di sottecchi, guardai quel piccolo e fragile fiocco di neve, cercando di resistere al desiderio insano di stringerlo tra le mani per avvertire quel senso di pace che mi invadeva quando lui era accanto a me. Tuttavia, qualcosa nel ciondolo attirò la mia attenzione, un qualcosa che non avevo notato prima. Poiché l'oggetto era stato lanciato non curante, la parte posteriore del fiocco di neve era ben visibile e mi accorsi che c'era un'incisione su quella sottile base di argento. Incuriosita, afferrai la collana portando quella breve frase, appena visibile, scritta in un elegante carattere corsivo, vicino agli occhi - non volevo perdere nemmeno una lettera. Quando vidi quella scritta, un dolce sorriso m'incurvò le labbra e delle calde lacrime scivolarono incontrollate lungo le guance. Di una cosa ero certa: Draco Malfoy non smetteva di stupirmi. Quelle parole intagliate sull'argento mi scaldarono il cuore, quel "Afterall, you are Pure" mi fece capire chi fosse davvero l'uomo che avevo davanti e quanto fosse speciale per me. Subito dopo, sapevo esattamente cosa fare.

***

Ero nervosa e i motivi erano molteplici, non potevo negarlo. Dovevo considerare il fatto che presentarmi a quella festa insieme al rampollo di casa Malfoy significava attirare tutti gli sguardi, nonché quelli della famiglia della futura sposa del ragazzo; dovevo mettere in conto che sarei stata circondata da nemici, da persone che se avessero saputo chi fossi realmente avrebbero voluto catturarmi e usarmi come esca affinché Harry uscisse allo scoperto; dovevo fare i conti, in fine, con i miei sentimenti, perché andarci insieme a Draco, indossando il bellissimo vestito che mi aveva regalato, mi rendeva più agitata di quanto mi piacesse ammettere.

Quando guardai il mio riflesso nello specchio, seppur non fossi realmente io - avendo bevuto la pozione mandatami-, rimasi sconcertata dalla bellezza di quell'abito. Ricordo di aver fatto un paio di giri su me stessa per vedere la gonna ampia alzarsi di qualche centimetro da terra lasciandola poi ricadere, leggera, lungo i fianchi. Sembrava appartenere ad un'altra epoca, ad un tempo lontano, tanto da farmi sentire regale. Ammetto che un po' mi sentii una stupida a quei pensieri, per essermi lasciata andare a riflessioni così superficiali e inopportune in un momento come quello e, soprattutto, in un contesto particolare. Tuttavia, quel vestito giallo così elegante, la cui gonna ampia e decorata con piccolissimi diamantini luccicanti mi faceva sentire in una favola, non era altro che il gesto gentile di un giovane uomo che, per qualche motivo, apprezzava la mia compagnia e che mi voleva al suo fianco in quella serata, con tutti i rischi che ciò comportava. Non sapevo cosa significasse per Draco, ma ero consapevole di cosa significasse per me, e nonostante le paure e l'agitazione che mi facevano tremare le mani, mi presentai alla porta della sua camera come mi aveva chiesto.

Respirai profondamente chiudendo gli occhi, ingoiai un fiotto di saliva sperando di poter metter fine all'arsura che avevo in gola a causa del fiato mozzato; portai una mano al petto sperando, inconsciamente, di poter metter fine al battito incontrollato del cuore. Della Hermione razionale non era rimasto niente, se non un ricordo latente che, di tanto in tanto, nei momenti di difficoltà, emergeva risolvendo qualsiasi problema. La donna davanti alla camera di Draco Malfoy era una Hermione Granger colma di sentimenti confusi e contrastanti, era una donna nuova che stava per incontrare un uomo nuovo; entrambi erano stati, in qualche modo, forgiati dagli eventi della guerra. Ed io ancora non potevo credere a quanto, questo, ci avesse portati ad essere vicini, troppo.

Con ansia crescente, bussai alla porta, guardando attenta il corridoio e pregando che nessuno mi notasse - dato il colore sgargiante dell'abito sarebbe stato difficile il contrario. E mentre ero impegnata a fissarmi intorno, la porta venne aperta e la mia totale attenzione fu attirata dalla figura che, sorridente, si stagliava dinnanzi a me. Non avrei mai potuto negare il fascino oscuro e misterioso che quel ragazzo trasudava e, ammetto, che io non ne ero immune, nemmeno in quel momento. Mi guardò attento ed i suoi occhi azzurri, sempre così distaccati e indifferenti, mi fecero rabbrividire -ma non di una sensazione negativa. Mi persi in quelle iridi chiare e fredde come il ghiaccio per un tempo che mi parve infinito, per un lungo attimo in cui tutta l'ansia scomparve e tutto ciò che rimase fu il batticuore. Draco poteva mostrarsi algido e distante, mascherando i suoi veri sentimenti, però gli occhi non mentivano, mai. Sapevo fosse nervoso e felice almeno quanto me di essere lì, insieme, ma eravamo troppo orgogliosi per ammetterlo ad alta voce. Ci vedevo una tempesta in quegli occhi, eppure non mi fece paura, anzi: trovavo solo calore e conforto in quello sguardo indagatore; mi infondeva una sicurezza del tutto insensata, eppure mi sentivo bene quando quelle iridi mi fissavano in quel modo.

Ci fu un silenzio che mi sembrò durare in eterno, un lungo momento in cui i nostri occhi erano come incatenati all'altro. Per un attimo, desiderai essere me stessa, volevo che Draco guardasse me - la vera me- con quel luccichio e quella attenzione. Ero sempre nascosta dietro volti sconosciuti e, in realtà, mi andava bene finché fossi stata al sicuro, ma da quando lui mi era entrato così silenziosamente dentro la questione della Polisucco cominciava ad essere difficile da sopportare.

Riconobbi, in un momento di lucidità, che quei pensieri e quei desideri non sarebbero mai appartenuti alla Hermione di qualche anno fa che guardava Malfoy solo come il bullo che la infastidiva. Eppure era tutto così diverso in quel momento e il ragazzo davanti a me non era, di certo, quel ragazzino stupido di un tempo. Ero confusa, molto, così decisi di spezzare il silenzio tra noi prima che la mente si riempisse di altre elucubrazioni che mi avrebbero solo portato allo sfinimento.

«E' da pazzi, lo sai, vero?» gli chiesi senza mai distogliere lo sguardo dal suo, con un tono saccente e abbastanza fastidioso.

«Eppure sei qui.» mi rispose sicuro, ghignando divertito.

«Perché ho, evidentemente, perso il lume della ragione.» ribattei stizzita dal suo modo di comportarsi, quasi come se non comprendesse - o fregasse- ciò che sarebbe potuto succedere; come se non capisse appieno la portata di quello che mi aveva chiesto.

«E' possibile.»

«Allora tu dovresti ragionare, non ti pare?» gli domandai nervosa, entrando nella sua stanza senza nemmeno chiedergli il permesso, con voce perentoria - quella che mi ha sempre caratterizzata a scuola. «Hai pensato al fatto che la tua fidanzata sarà alla festa?» dissi camminando per la camera ampia- senza nemmeno badare ai dettagli che la abbellivano o che la rendevano magnifica-, andando davanti e indietro con ansia crescente. «Cosa diranno i suoi genitori? E tua madre e tuo padre? Non voglio dare a Lucius una possibilità ulteriore di prendersela con me! Senza contare che-»

Il mio sproloquio agitato venne bruscamente interrotto dalla presa ferrea di Draco intorno alla vita che, con una forza brusca, mi attirò verso di sé. Il tremore che prima mi scuoteva, era scomparso del tutto, lasciando il posto ad una sensazione ben diversa: la gola si seccò all'improvviso e il battito del cuore divenne ancora più intenso mentre il respiro caldo del ragazzo si mescolava col mio. Ancora una volta, i nostri sguardi si persero nell'altro, ma Draco mi guardava in modo diverso da poco prima, come se cercasse qualcosa che però, purtroppo, non c'era. Tuttavia, quell'aria divertita e algida, come se niente potesse scalfirlo, continuava ad essere presente sul suo volto pallido. Era molto bello quella sera nel suo completo blu notte, ma c'era qualcosa di diverso nei suoi occhi, una luce ed una euforia mal celate che non comprendevo totalmente. E speravo davvero che, un po', quella bellezza nascosta fosse dovuta anche a me.

«Zitta, Granger.» sussurrò sorridendo, senza mai smettere di guardarmi. «Sei così petulante ...»

«E tu ti sopravvaluti, Malfoy.» risposi pungente, seccata da quel commento.

«Per Merlino, cosa devo fare per farti chiudere la bocca?» alzò gli occhi al cielo e sbuffò appena, continuando a tenermi stretta a sé e a sghignazzare.

«Non è semplice zittirmi, dovresti saperlo bene.»

«Potrei sorprenderti.» mormorò avvicinandosi un po' di più, tanto da far toccare le punte dei nostri nasi.

Per qualche secondo restai spiazzata dalla sua risposta, guardandolo incredula. Non fu solo per la replica in sé, ma per il modo in cui la pronunciò e anche per quella scintilla particolare che non accennava a lasciare i suoi occhi. Draco sorrideva sinceramente divertito, come se ... noi non fossimo noi; aveva un'espressione rilassata che non gli avevo mai visto in viso durante quei mesi di convivenza; c'era una vitalità in lui che non avrei creduto potesse appartenergli. Quel ragazzo mi aveva già sorpresa, molte volte, ma l'orgoglio mi impose di tacere, ancora, e di continuare, invece, a battibeccare e rigirare tutto. Alzai il mento, avvicinandomi appena a lui, poggiando le mani sui suoi avambracci e stringendo le dita intorno ad essi in maniera delicata; gli sorrisi allo stesso modo in cui stava facendo lui e lo guardai divertita ma con sfida.

«Fallo allora.» lo provocai, sussurrando lentamente parola dopo parola, curiosa su come sarebbe andata a concludersi quella situazione. «Sorprendimi, Draco.»

Ridacchiò divertito, il giovane Malfoy, scuotendo appena il capo, senza mai perdere quella vivacità e quella contentezza che gli si leggevano facilmente in viso. Anzi, se è possibile, tutto divenne ancor più intenso: il suo sguardo su di me, il suo sorriso enigmatico e la sua stretta intorno alla vita. Mi mancava il respiro ad essergli vicina, eppure, allo stesso tempo, ero così rallegrata da quella piccola sfida e così assuefatta dalle emozioni che tutti i dubbi scomparvero all'improvviso - come dimenticati- provando solo una leggerezza che da tempo non mi apparteneva.

Ormai immersa nella tempesta delle sue iridi azzurre, non notai il modo in cui il sorriso si trasformò da divertito a beffardo. Continuavamo a guardarci e tanto mi bastava, ma quando tutto scomparve ed una brutta sensazione all'ombelico, come uno strappo, si presentò improvvisa capii che, forse, avrei dovuto dare più importanza a quell'impertinenza comparsa sul volto affilato di Draco. Mi ritrovai ancora stretta tra le sue braccia, in un posto che non era la sua stanza, confusa e con un accenno di nausea, mentre mi stringevo con più vigore a lui. Solo in quel momento compresi che si fosse Smaterializzato e che io non ne ero più abituata. Mi aveva decisamente stupito, forse anche troppo. Per un attimo fui tentata di urlargli contro ogni tipo di imprecazione conoscibile, ma alla fine decisi di rinunciarvi: avevo lanciato io la sfida e lui l'aveva presa molto seriamente. Tuttavia, nonostante sogghignasse per la mia espressione perplessa e, forse, per il colorito pallido dato dal voltastomaco, Draco mi tenne stretta a sé senza accennare a sciogliere quella specie di abbraccio. Una parte di me ne fu grata, ma l'altra avrebbe solo voluto Schiantarlo. Per sua fortuna non avevo una bacchetta.

«Ti odio.» gli sussurrai chiudendo gli occhi, aggrappandomi maggiormente alle sue braccia dopo l'ennesimo capogiro.

«Sei un tantino melodrammatica.» ribatté divertito, ridacchiando addirittura. «Stai bene?» chiese più seriamente, avvicinando il volto al mio - come se fosse davvero interessato alla mia salute.

«Credo di non essere più avvezza a questo tipo di magie.» mormorai amareggiata, tornando a guardarlo negli occhi. «Come hai fatto a Smaterializzarti?» domandai curiosa, facendo un paio di passi indietro allontanandomi da lui - la vicinanza con Draco mi stava facendo più male di quanto volessi ammettere a me stessa.

«La villa potrà anche essere piena di Mangiamorte, ma il Manor risponde solo ai Malfoy.» sussurra sorridendo beffardo; un suono appena udibile, come fosse un segreto.

«Bene.» dissi annuendo convinta, pensando al fatto che questa informazione potesse tornarmi utile in futuro.

Mi guardai intorno, incuriosita dalla stanza in cui mi aveva portata. Solo quando mi ricomposi e alzai lo sguardo realizzai di essere nell'atrio principale, e non in una camera isolata difficile da raggiungere; eravamo praticamente allo scoperto, chiunque avrebbe potuto vederci e fraintendere la situazione.

«Perché siamo all'entrata principale?» chiesi allarmata, facendo qualche passo nella sua direzione con occhi spalancati dall'ansia. «Sei impazzito!»

«So quello che faccio, Granger.» mormorò sbuffando e alzando gli occhi a cielo. «Gli invitati fanno ingresso direttamente nella sala da ballo, nell'ala ovest. Non passa nessuno qui, tranquilla.»

«Sono tranquilla, Malfoy.»

«Non si direbbe.»

«Senti, lasciando perdere questo, ho un'altra domanda.» dissi seria, scuotendo il capo e poggiando le mani sui fianchi.

«Non avevo dubbi.» sussurrò prendendomi in giro, con quel sorriso che avrei volentieri fatto scomparire con una perfetta Fattura Orcovolante.

«Chi dovrei essere io?» andai dritta al punto, sorvolando il suo commento antipatico, riferendomi alla ragazza di cui avevo preso l'aspetto.

«Semplice: sarai Patty.» ribatté candidamente, con un sorriso da finto innocente che, a dir la verità, stonava parecchio insieme a quello sguardo furbo.

«Ti ha dato di volta il cervello?!» esplosi furibonda, avvicinandomi nuovamente, così da farmi sentire, tanto da percepire il suo respiro bollente sulla pelle. «Vorresti portare la tua amante ad una festa organizzata da tua madre e alla quale parteciperà anche la tua futura sposa? Chi ha partorito questa idea, un Troll, forse? E' pessima! E se fossi Astoria ti Schianterei all'istante!» continuai innervosita, gesticolando come forse non avevo mai fatto.

«Punto primo:» disse sorridendo ancora, afferrando le mie mani e stringendole tra le sue - credo lo abbia fatto per innervosirmi, o per paura che potessi colpirlo, ma non come gesto carino nei miei confronti. «nessuno sa che Patty è la mia amante, a meno che non abbiano letto le mie lettere, il che è possibile. Tuttavia, loro non sanno che io so, quindi Patty è, ufficialmente, una mia cara amica rimasta sola a Natale ed io, da gentiluomo quale sono, l'ho invitata ad unirsi a noi non potendo permettere che una giovane donna come lei stia in una grande casa senza nessuno intorno.» spiegò convinto, sorridendomi beffardo; furbo e subdolo com'era aveva pensato a tutto, lasciandomi senza parole. «Punto secondo: Astoria non farà mai una scenata di gelosia di fronte a tutti. E' una Greengrass e non può umiliare la sua famiglia, ma potrebbe comunque venire da te per farti sapere quale sia il tuo posto, questo non lo escludo. Ma, onestamente, di Astoria mi importa ben poco e mia madre ... lei è un po' strana in questo periodo, è come se avesse capito che quella ragazza non fa per me. Non lo so e non lo voglio sapere.» la sua espressione cambiò parola dopo parola, fino a perdere l'ilarità e diventare serio.

Sospirò profondamente e iniziò a guardarmi con una tale intensità da spaventarmi, tanto che, per un secondo, pensai mi avesse lanciato un Legilimens senza che me ne accorgessi e, dunque, mi stesse leggendo la mente; sembrava volermi scandagliare i pensieri e mi ritrovai ad essere un po' imbarazzata e allo stesso tempo a disagio - come un tempo.

«Una volta mi hai detto che bisogna apprezzare i brevi momenti felici che la vita regala, ed è quello che sto facendo, Granger.» sussurrò appena, stringendomi le mani e portandole contro il suo petto, accarezzando il dorso con i pollici in un movimento lento e delicato. «E ... io-io ...» chiuse gli occhi per un breve attimo sospirando profondamente, alzando un po' il capo - appariva come un giovane uomo che stava cercando il coraggio di aprirsi, e non come ... un Malfoy. «Io ti sto chiedendo di viverne uno con me.»

Lo aveva fatto di nuovo. Mi aveva sorpresa. Lì per lì non riuscii a comprendere completamente ciò che volesse dire e ciò che implicasse quella affermazione, ma poi mi bastò guardarlo di nuovo negli occhi per capire che c'era davvero molto di più dietro quella maschera di indifferenza e distacco; Draco era molto di più e lo stava dimostrando in quel preciso momento. Si era aperto con me mettendo da parte l'orgoglio e le sue credenze, chiedendomi di aiutarlo a lasciarsi andare, ad essere ciò che non era potuto essere fino a quel momento. Ero sconcertata e estremamente confusa, però il cuore mi batteva forte e gli occhi pizzicavano per le lacrime di emozione. Non so cosa mi stesse succedendo, o forse preferivo non soffermarmi a pensarci troppo perché la risposta mi avrebbe spaventata ancora di più. Così gli sorrisi, stringendo la presa contro le sue mani, e annuii piano senza mai distogliere lo sguardo da quegli occhi azzurri che tanto mi facevano sentire bene.

Non pensai più a nulla dopo le sue parole. Non c'era più Astoria, né i suoi genitori, né il timore di essere circondata da nemici. C'erano solamente gli occhi profondi e chiari di Draco, il suo calore, le nostre mani unite, i visi vicini e una leggerezza e allegria decisamente fuori contesto. Tuttavia, stavamo bene ed eravamo pronti a cogliere quell'attimo di felicità che la vita ci stava presentando, dimentichi di tutto e tutti.

«Andiamo allora.» gli dissi sorridendo. «Però non lasciarmi da sola, Draco.» fu quasi una preghiera la mia, perché l'idea di allontanarmi da lui una volta nel salone ed essere alla mercé di quelle persone mi spaventava terribilmente.

«Non lo farò.» promise solenne, tenendo le mie mani tra le sue con ancora più vigore.

Dopo qualche secondo lasciò il piacevole intreccio che ci univa e, con fare elegante, guardandomi negli occhi e sorridendo sincero, mi diede le spalle e mi porse il braccio come tacito invito ad aggrapparmi ad esso. Lo fissai per un tempo indefinito, insicura e con la testa che ragionava incessante tra cos'era giusto e cosa no, in battaglia con ciò che il mio cuore voleva. Alla fine, mi ripetei che anche Draco meritava quella stessa felicità che lui aveva regalato a me ed io ero contenta, assurdamente, di farne parte. Lui era diventato importante per me e niente mi avrebbe fermato dal vedergli ancora una volta quel bellissimo sorriso che gli illuminava il volto.

Gli sorrisi e mi avvicinai, poggiai delicatamente una mano sul braccio sinistro teso continuando a tenere gli occhi su di lui. Era tutto così surreale: i battiti incessanti del cuore che risuonavano in gola, le labbra inarcate in un sorriso, il calore percepito non appena il mio braccio si intrecciò al suo, il fruscio piacevole del vestito sul pavimento e il caldo che mi riempiva il petto. Era tutto così strano e nuovo allo stesso tempo che, per un attimo, fui certa fosse solo un sogno.

Lasciai ogni pensiero in quell'ingresso, pronta per andare a quel ballo che, di piacevole, aveva solo la compagnia di Draco, lo sapevo. Eppure accanto a lui mi sembrava tutto diverso e più giusto; ancora, non mi sentivo in colpa. Così, come solo una coraggiosa Grifondoro avrebbe potuto fare, camminai a testa alta fino alla sala da ballo, fianco a fianco con il giovane uomo per cui, inspiegabilmente, avevo iniziato a provare qualcosa di serio. Sentivo che sarebbe stata una serata sorprendente, esattamente come lo era stato Draco fino a quel momento.

Ave, o miei Dramione Shipper! Dopo due mesi di assenza sono di nuovo qui con un lunghissimo capitolo di LIT pieno di momenti da fangirl        

Ave, o miei Dramione Shipper! Dopo due mesi di assenza sono di nuovo qui con un lunghissimo capitolo di LIT pieno di momenti da fangirl. Questo è solamente la prima parte del tanto atteso Natale, ma poiché il capitolo sarebbe stato eterno, ho deciso di dividerlo così da tenervi sulle spine >.< 

Spero che vi sia piaciuto e che lo abbiate goduto fino alla fine, parola dopo parola. A me ha divertito molto scriverlo, soprattutto la parte di loro due insieme. Ma non temete, da qui in poi ci saranno momenti Dramione come se non ci fosse un domani! Ormai siamo a più di metà storia, quindi ... 

Ciancio alle bande, mi aspetto mooolti commenti per questa parte e tantiiiissimi scleri *-*

Al prossimo capitolo, mie bellissime serpi <3

 

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Capitolo 29
*** 28 - Patricia Blanchard. ***


«Patricia Blanchard.»

La sala da ballo di Villa Malfoy era irriconoscibile: l'atmosfera che si respirava non era gelida come l'avevo immaginata, ma piacevole; i bagliori delle candele coloravano l'ambiente di un caldo arancione facendo sparire tutto quel grigiore che caratterizzava la dimora stessa; il grande e alto albero di Natale era il protagonista dell'angolo conversazione, dove si erigeva maestoso accanto al camino della parete destra, davanti al quale vi erano stati sistemati dei comodi divani di cui gli ospiti avrebbero potuto godere; le decorazioni di quel bellissimo abete erano d'oro e d'argento, culminante in un puntale a stella al cui centro vi era lo stemma della famiglia; il camino era accesso e quel rosso vivo animava ancora di più la stanza; drappi dorati scendevano leggeri dalle finestre e sembravano brillare sotto la luce delle candele; nella parte sinistra della sala un quartetto di musicisti suonava una dolce canzone di sottofondo, non troppo alta per non disturbare le chiacchiere allegre degli invitati; il soffitto era incantato, esattamente come quello di Hogwarts, e riprendeva il cielo limpido e stellato che vi era fuori dalle finestre; dei camerieri, racchiusi in una divisa nera, reggevano vassoi di fine argenteria offrendo leccornie a quei palati viziati. Era tutto surreale e terribilmente strano. Per quanto quell'aria non fosse pesante e oscura, mi sentivo comunque a disagio. Guardavo gli ospiti che riempivano il grande salone e un grosso nodo allo stomaco si formò immediatamente: ero circondata da Mangiamorte e famiglia di sangue puro, ero in campo nemico. In quella stanza la maggior parte di loro avrebbero voluto vedermi morta solo per i miei natali, figurarsi se avessero saputo chi si fosse nascosto dietro quel viso sconosciuto. Con agitazione crescente, strinsi ancora un po' la presa contro il braccio del mio accompagnatore mentre avanzavamo piano oltre la soglia della grandiosa stanza. Al mio gesto, Draco ridacchiò divertito ed io, irritata, gli lanciai uno sguardo truce e sussurrando lo ammonii con un secco «Taci!».

Non appena fummo notati, una serie di teste e borbottii accompagnarono il nostro ingresso continuando a fissarci sbalorditi anche quando ci fermammo ai margini della sala, non volendo dare troppo nell'occhio - anche se con la chioma biondissima di lui e il colore sgargiante del mio vestito fu quasi impossibile. Preoccupata, mi guardavo intorno cauta, studiando le espressioni di chiunque guardasse verso di noi indignato o perplesso che fosse. Ero spaventata a morte potessero scoprirmi, che anche un solo semplice gesto avrebbe potuto smascherarmi; ero nella tana dei lupi, con tutto il branco presente, e non potevo abbassare la guardia. Per quanto la Polisucco potesse nascondermi, io restavo comunque Hermione Granger.

«Rilassati.» mormorò ghignando lui, ormai di fronte a me, distante qualche passo.

«Sono letteralmente circondata, Malfoy. Come faccio a stare calma?» quasi lo aggredii, strofinando le mani una contro l'altra per il nervoso. «E' stata una pessima idea.» sussurrai scuotendo il capo, riportando lo sguardo verso il ragazzo.

Draco scosse il capo e alzò gli occhi al cielo, ma, ad essere onesta, sembrava più divertito dalle mie paranoie piuttosto che infastidito. Di fatti, subito dopo, bloccò uno dei cameriere prendendo due bicchieri dal vassoio per poi mandarlo via. Me ne offrì uno, mentre l'altro lo portò immediatamente alla bocca bevendone un sorso, senza mai distogliere lo sguardo dal mio. Per un attimo, mi persi a guardare quell'azzurro profondo che erano i suoi occhi, quel colore vivo che brillava di divertimento e sfida - col mondo, con se stesso. Era molto bello quella sera, non potevo negarlo, e la sua vicinanza - quello sguardo profondo- mi smosse qualcosa dentro: avevo una disperata voglia di baciare quelle labbra rosee e leggermente bagnate di champagne.

Scossi appena il capo, distogliendomi da pensieri inopportuni, e ritornai a guardare la stanza attenta a chiunque si avvicinasse o attraversasse la soglia. Mi ammonii silenziosa, pensando a quanto fossero sciocchi i miei desideri, soprattutto in quel momento. Non dovevo mostrare emozioni ambigue che avrebbero suscitato troppe domande. Tuttavia, razionalmente, mi resi conto di dover mantenere la lucidità non solo quella sera, ma anche dopo, quando saremmo ritornati ad essere noi. Draco mi faceva perdere il controllo, in qualche modo; quando ero insieme a lui non mi riconoscevo, lasciandomi spesso guidare dalle emozioni ed è una cosa che non avevo mai fatto prima.

«Guarda che non è avvelenato. Puoi berlo.» interruppe i miei pensieri, con fare beffardo, facendo un cenno del capo al secondo bicchiere che ancora teneva in mano.

Lo fissai confusa, non capendo a cosa si riferisse. Tuttavia, in pochi secondi, elaborai le sue parole - ero ancora stordita da quei pensieri strani- e mi resi conto che Draco associò la mia perplessità ad una mancanza di fiducia nel bere ciò che lui mi stava porgendo. Fu meglio così, per entrambi.

Annuii senza rispondere, prendendo il flute pieno di alcolico frizzante e ne bevvi un sorso, ancora a disagio sentendo gli occhi di tutti gli altri su di me. Forse erano solo fantasie, forse ero solamente io ad essere in ansia, sta di fatto che sentivo di non essere nel posto giusto.

«Dovremmo inventarci una storia per rendere credibile la tua presenza qui.» interruppe nuovamente il silenzio, con tono piatto quella volta, attirando la mia attenzione.

«Non avevi detto che Patty è una tua amica rimasta sola il giorno di Natale?» chiesi sovrappensiero, quasi non badando a ciò che mi stava davvero dicendo, eppure era davvero importante.

«Questo non basterà ai curiosi. Svegliati.» ribatté sbuffando, poggiando il bicchiere su uno dei vassoi di un cameriere che, gentile e in silenzioso, porgeva l'oggetto in un tacito invito a liberarci degli ingombri; io feci come Draco.

«Non cominciare a fare lo stronzo, Malfoy.» dissi voltandomi nella sua direzione, indispettita da suo tono. «Non puoi biasimarmi se sono preoccupata!» sussurrai nervosa, guardandomi intorno circospetta.

«Se fai così è peggio!» mormorò un ammonimento, stizzito dal mio atteggiamento. «Sembrerà che abbiamo qualcosa da nascondere. Sii naturale.»

«Odio quando hai ragione.» borbottai stufa, incrociando le braccia al petto.

«Abituati, accadrà spesso.» mi prese in giro, facendo quel sorriso da sbruffone che non ho mai sopportato.

«Ringrazia che non ho la bacchetta, altrimenti ti avrei già fatto sparire quel sorrisino dalla faccia.» ribattei sicura, assottigliando gli occhi con fare minaccioso e avanzando di qualche passo nella sua direzione.

«Ringrazio, ringrazio.» continuò a prendermi in giro, sorridendo divertito. «Ritornando a noi: tu sei Patricia Blanchard, una lontana parente del capostipite della famiglia stessa. Hai studiato in casa, non hai mai frequentato nessuna scuola perché-»

«Perché i miei genitori non sono altro che idioti con il credo del sangue puro?» suggerii ironica, sorridendogli irritata.

«Sì, esattamente.» annuì serio lui, nascondendo le mani in tasca e alzando il mento. «I Blanchard sono degli stronzi.»

«Mi ricordano qualcuno ...» lo provocai, guardandolo dritto negli occhi, leggermente divertita.

«Se fossi stata comprata da loro saresti ridotta ad un Vermicolo strisciante, mia cara sapientona.» rispose sorridendo, con voce altezzosa - come se avessi dovuto ritenermi fortunata ad essere in quella casa e non altrove.

«Prima che ti colpisca facendoti molto male, mi dici come ci siamo conosciuti?» chiesi sbuffando appena, seccata dalla sua supponenza.

«Qualche tempo fa ho fatto visita alla magione dei Blanchard a Lossiemouth, sull'isola di Mainland. Lì c'è una piccola comunità di maghi che predilige tranquillità al caos della vita in città e il capo famiglia è uno di questi.» cominciò a spiegare tranquillo, senza mai distogliere lo sguardo dal mio; si mostrava così indifferente che io stessa, se avessi potuto vederlo con gli occhi di un ospite, avrei pensato non ci fosse nulla di male in quel volto all'apparenza sereno. «Henry Blanchard è il miglior commerciante di ingredienti per pozioni e ho cercato di convincerlo a collaborare con me, ma ovviamente c'è mancato poco che mi schiantasse. E' in questa situazione che ti ho conosciuta, cara Patricia.» sorrise beffardo sull'ultima affermazione. «Quest'uomo, seppur un bastardo, preferisce alienarsi dalla società magica londinese, famiglie dal sangue puro comprese. Nessuno qui lo ha mai visto, forse solamente il Signore Oscuro uno volta, e se qualcuno è andato a fargli visita quel burbero lo avrà fatto cacciare a calci nel sedere dalla sua lussuosissima dimora. Dunque, non c'è nulla di cui tu debba preoccuparti, comportati come una di noi, per quanto ti è possibile.»

«Frequento tua madre e te da mesi, ormai. Avrò pur imparato qualcosa, non credi?» quella volta toccò a me essere superba, credendo fermamente nelle mie capacità.

«Lo spero, altrimenti siamo finiti.»

«Hai una grande fiducia in me, noto.» commentai ironica, scuotendo la testa un po' divertita. Non lo avrei mai ammesso ad alta voce, ma battibeccare con lui stava diventando il mio passatempo preferito.

In un attimo, la sua espressione cambiò visibilmente: dal sorriso ghignante e l'espressione seccata alla serietà assoluta. Mi guardava con attenzione, puntando i suoi occhi azzurri e tumultuosi nei miei - in quelli di Patricia Blanchard -, ed immediatamente una sensazione di piacevole calore si espanse nel petto. Se prima mi ero sentita a disagio e volevo solo andare via da quella stanza, in quel preciso momento, persa nel suo sguardo intenso, mi sentii al sicuro, mi sentii al posto giusto; era lì che dovevo essere: accanto a lui. Mi diedi della stupida, subito dopo, perché fare certi pensieri non era appropriato, eppure non riuscivo a distogliere l'attenzione da lui. Era bello nella sua serietà.

«Mi fido più di quanto tu possa credere e mi piaccia ammettere.» sussurrò lento; forse per permettermi di imprimere meglio quelle parole, forse perché gli costava confessare quanto il nostro legame fosse diventato più forte nel corso del tempo.

Qualunque fosse la giusta ipotesi, quella frase ebbe il potere di farmi tacere; rimasi davvero senza parole non sapendo cosa potessi ribattere di fronte la portata di quell'ammissione. Lo guardai perplessa, credendo per un secondo di non aver capito, tuttavia lui continuava ad essere serio e a fissarmi ammirato. Draco era riuscito a sorprendermi nuovamente quella sera ed era riuscito nell'ardua missione di imbarazzarmi. I battiti del cuore divennero veloci e il fiato mozzato, tutto a causa di una semplice frase.

Lui continuava a guardarmi attento, ma d'improvviso un sorriso divertito comparì sulle sue labbra sottili e lì capii che, era ovvio, stesse ridendo della mia probabile faccia confusa e leggermente arrossata a causa della vergogna. Mi sentii ancora più stupida e, di conseguenza, dato il tumulto di emozioni confuse, mi innervosii. Scossi il capo e alzai gli occhi al cielo, spostando l'attenzione al centro del grande salone, scrutando ancora gli invitati che, in quei minuti, erano notevolmente aumentati. Spostai lo sguardo, poi, sull'ingresso e in quel momento, bellissima e fiera, fece la sua comparsa Astoria Greengrass che, sorridente, se ne stava ferma accanto alla sorella e esattamente dietro i suoi genitori. Non potei non ammirarla nella sua eleganza e delicatezza. Indossava quel lungo vestito di seta color cobalto, perfettamente intonato ai suoi occhi, raffinato ma seducente, con un disinvoltura invidiabile. Quella giovane donna sembrava perfettamente a suo agio mentre stringeva la mano ad un uomo sorridente a me sconosciuto; era leggiadra nel muoversi e il suo sorriso sembrava illuminare la sala, oltre che contagiare chiunque avesse di fronte. Era bella e conturbante come una ninfa. Astoria Greengrass sarebbe stata una perfetta signora Malfoy un giorno, e immaginarla accanto a Draco - all'uomo per cui iniziavo a provare qualcosa- fece più male di quanto fossi disposta ad ammettere a me stessa. In cuor mio, sapevo che un legame tra lui e me sarebbe stato alquanto impossibile, nonostante l'appoggio di Narcissa. Tuttavia, continuavo a chiedermi: "Se non ci fosse stata la guerra e Draco mi avesse incontrata per caso, decidendo di mettere da parte qualsiasi ostilità, sua madre sarebbe stata comunque d'accordo nel vederci insieme?".

Chiusi gli occhi e sospirai forte, imponendomi di scacciare nuovamente quei pensieri inopportuni. Mi ripetevo quanto fossi stupida; mi dicevo che nella mia vita non ci fosse più spazio per sciocchi problemi adolescenziali. Nonostante i soli diciannove anni, avevo la sensazione di aver perso la mia gioventù e che fossi maturata, invece, così velocemente da esser diventata arida. Eppure, stando accanto a Draco, proprio in quel momento, mi batteva forte il cuore, come se fosse tornata all'improvviso quella voglia di giovinezza. E sapevo di non potermelo permettere. Ero arrivata in quella casa con la determinazione di voler conoscere i segreti celati tra le mura buie e antiche, invece mi ero ritrovata a dover rivedere i miei piani e le mie idee. Tutto per colpa sua.

«Draco.» una voce dolce e familiare, richiamò la mia attenzione, facendomi voltare alle spalle del ragazzo.

Narcissa Malfoy, nel suo raffinato abito rosso scuro, sorrideva appena, lanciando occhiate prima al figlio e poi alla sottoscritta. I suoi occhi ci fissavano quasi ammonitori ed io non riuscii a capire se sapesse chi io fossi in realtà, e dunque cosa avevamo escogitato per essere lì insieme, oppure se semplicemente non fosse d'accordo con l'idea del figlio di invitare un'altra donna -che non fosse la sua fidanzata ufficiale- ad una festa e appartarsi con lei. Qualunque fosse stato il pensiero della matrona, rischiavamo di finire nei guai.

«Madre, siete splendida.» sorrise il ragazzo, ormai voltato dalla parte della donna. 
Le prese una mano tra le sue e la portò alle labbra, sfiorandone appena il dorso.

«E' tu sei un perfetto adulatore, ma ricorda chi hai davanti, figlio. Sono io che ti ho insegnato ad esserlo.» disse ricambiando il sorriso, in modo più debole, alzando il mento in segno di alterigia.

Come il figlio, Narcissa Malfoy non avrebbe mai smesso di sorprendermi: aveva appena detto a Draco che le moine non avrebbero fermato lei dal fargli una ramanzina o dal comportarsi come una degna donna della sua nobile casata, il tutto in maniera elegante e piccata. Per quanto, a volte, affrontare argomenti spinosi non le piaceva, con la prole era una donna diversa; segretamente l'ammiravo per quello.

«Non mi presenti la tua giovane amica?» chiese con tono quasi indifferente, ma sapevo benissimo quanto, in realtà, fosse irritata.

«Lei è Patricia Blanchard, madre.» ribatté l'altro calmo, mantenendo un sorriso accennato sul volto; io chinai appena il capo in segno di rispetto.

«Blanchard?» domandò curiosa, ma credo fosse più sospettosa – sapeva bene come nascondersi.

«Sì, signora Malfoy. E' un piacere conoscervi.» risposi gentile, guardandola decisa negli occhi; non avrei mai dovuto calare il capo, non sarebbe stato consono al cognome che mi era stato concesso per quella sera.

«Il piacere è mio, signorina Blanchard, credetemi.» replicò algida, guardandomi da capo a piedi. 

In quel momento sentii freddo e il cuore cominciò a battere veloce per la paura di essere scoperta, tuttavia avevo trascorso molto tempo in quella casa e sapevo bene come dissimulare. Dunque sorrisi, fingendo di non aver realmente compreso quanto la mia presenza la infastidisse. 

«Vi sono grata per avermi invitata, signora Malfoy. Sarebbe stato un Natale deprimente restando da sola in una grande casa, con degli elfi per giunta.» ringraziai educata, ma con quella nota di altezzosità degna di un membro di una grande e pura casata.

«Cosa ci fate a Londra, Patricia Blanchard?» era sempre più curiosa - più pericolosa.

«Suo zio le ha commissionato di trovare un raro ingrediente per una pozione che sta sperimentando. Henry Blanchard è anche un ottimo alchimista, madre.» intervenne Draco, parlando con tranquillità invidiabile; nessuno avrebbe minimamente sospettato fosse un bugiardo spudorato.

«Per questo ho chiesto aiuto a vostro figlio.» sorrisi, guardando Draco mentre pronunciavo la frase. «Conosco la sua fama di pozionista.» mi rivolsi di nuovo a lei, senza mai far trapelare il nervosismo.

«Certo. La sua fama.» ribatté stizzita, mostrandolo appena sul volto ben truccato e raffinato. «Draco, figlio, dovresti venire con me. Importanti persone del Ministero vorrebbero conoscerti.» si voltò verso il ragazzo, non badando più alla mia presenza.

Gli tese la mano, in un tacito invito a seguirla; fredda e algida nella sua nobiltà. Il giovane Malfoy le sorrise e annuì, afferrando delicatamente la mano di sua madre e, dandomi le spalle, con un gesto rispettoso del capo, si congedò lasciandomi da sola. Guardai madre e figlio, la prima sotto braccio del secondo, mentre di avvicinavano ad un uomo corpulento a me sconosciuto.

Scossi il capo, ancora un po' scossa per la conversazione avuta con la signora del maniero, ma al contempo segretamente divertita. Narcissa Malfoy aveva fatto il suo dovere di madre: proteggere il figlio da qualsiasi arrivista volesse arrivare ad un possibile matrimonio, dilapidando il patrimonio e mettendo in ridicolo il nome stesso della famiglia. In un momento di debolezza pensai subito che Astoria, anche in quello, sarebbe stata a dir poco impeccabile.

Scacciai veloce quei pensieri, chiudendo gli occhi per qualche secondo e espirando profondamente. Un senso di oppressione sembrava schiacciarmi il petto e ostruire la gola impedendomi, così, di respirare. Per un breve istante, gli occhi pizzicarono di lacrime, ma, non so nemmeno io come, riuscii a trattenere quella strana sensazione di inadeguatezza che, senza una ragione, aveva iniziato ad invadermi. Ero rimasta da sola in un angolo, con la sola musica di sottofondo a farmi compagnia; Draco non aveva mantenuto la promessa fattami minuti prima, tuttavia non potevo fargliene una colpa. Non sapevo cosa fare, né come comportarmi. Di certo una Blanchard non avrebbe avuto di questi problemi, avrebbe girato per la sala come se fosse la padrona indiscussa della casa, ma io ero Hermione Granger, la Sanguesporco circondata dai nemici, e l'unica mia sicurezza se n'era andata sorridente assieme a sua madre.

Riaprii gli occhi ritrovando quella sicurezza che, un tempo, era il mio tratto distintivo nelle situazioni critiche, ma quando la sala fu nuovamente sotto il mio sguardo, Astoria Greengrass era già a pochi passi da me - da Patricia. Una lieve sensazione di fastidio mi annodò lo stomaco: stava avanzando determinata verso quella che credeva fosse l'amante dell'uomo che stava per portarla all'altare. La più giovane delle Greengrass era pronta a mettere in chiaro la situazione, esattamente come aveva detto Draco. Prima la signora Narcissa e poi lei; finché sarei rimasta in quella stanza, non avrei avuto un attimo di pace, lo sapevo bene. Tuttavia, quando accettai l'invito di Malfoy, immaginavo che i guai sarebbero potuti arrivare in qualsiasi momento. Comunque, era già troppo tardi per scappare via: la futura signora Malfoy, mi si avvicinò con un gentile sorriso sulle labbra rosa, il mento alzato in segno di superiorità e una compostezza da sembrare rigida come un tronco. Per quanto cercasse di mascherare il nervosismo, non ci riuscì appieno; non era brava come i padroni di quella casa, ma sicuramente avrebbe imparato con il tempo. Ne aveva le capacità.

Bella nel suo essere letale, si fermò esattamente di fronte a me sorridente, guardandomi attenta in volto. Ci fu qualche secondo di silenzio, alquanto teso. Tuttavia, cercai di comportarmi come si conviene ad una ragazza cresciuta in un ambiente ristretto di vedute e rigido.

«Salve, signorina Greengrass.» fui io a interrompere quella quiete fastidiosa, con tono gentile e amichevole - come se non avessi attraversato la soglia di quella stanza a braccio del suo fidanzato.

«Mi conoscete, vedo, ma io non posso dire lo stesso di voi.» affermò prontamente, senza mai perdere l'alterigia che contraddistingueva la sua importante e ricca casata.

«Avete ragione.» le sorrisi, alzando il mento con fare superiore. «Sono Patricia Blanchard, molto piacere.»

«Oh, abbiamo l'onore di conoscere una persona appartenente ad una delle casate nobiliari più antiche e prestigiose del mondo magico.» sentii quasi dell'ironia nella sua voce, ma non me ne curai; d'altronde, potevo capirla: stava morendo di gelosia e di rabbia.

«La mia famiglia non ama mostrarsi troppo. Preferiamo la calma di un'isola alla vita caotica della città.» cercavo di essere cordiale e sorridere, pregando Merlino e Morgana che Draco arrivasse quanto prima per liberarmi da quello che poteva essere un problema.

«Sì, lo so bene.» annuì altrettanto amichevole, ma era chiaro che ci fosse qualcosa ad infastidirla. «Be', sarà sicuramente meno avventurosa la vostra vita a Lossiemouth.»

«Assolutamente. Londra mi destabilizza alquanto.»

«Dunque cosa ci fate così lontana da casa?» chiese incuriosita, continuando a guardarmi con sufficienza - quasi non fossi alla sua stessa altezza. Ammetto che quel suo atteggiamento, seppur giustificato, cominciava ad innervosirmi.

Mi armai di sorriso e pazienza. Mantenni la calma pensando ad agire non come Hermione Granger, ma come una Malfoy. D'altronde avevo imparato moltissimo durante quei mesi e, in quel momento, avevo l'occasione di mettere tutto in pratica.

«Sono qui per conto di mio zio, signorina Greengrass. Tuttavia, non credo vi interessi davvero quello che faccio.» le risposi gentile, senza mai perdere il contatto con i suoi grandi occhi chiari. «Andate dritta al punto.» la invitai, ormai stufa di quei mille giri di parole.

Potevo ben immaginare cosa volesse sapere, o meglio cosa volesse dirmi. Dunque, con un sorriso, seppure essendo molto seria, decisi fosse arrivato il momento di mettere in chiaro le cose; niente sotterfugi, niente scorrettezze, ma solo la verità. Avevo già perso troppo tempo ed iniziavo a innervosirmi restando più del dovuto insieme alla donna che avrebbe sposato Draco - il ragazzo, per cui, avevo iniziato a provare qualcosa di forte. Stava diventando tutto assurdo.

«Siete più sveglia di quanto credessi.» ammise sorridente, ma potei notare un accenno di nervosismo in quell'espressione apparentemente angelica. «Vedete, forse voi non lo sapete, ma io sarò la prossima Signora Malfoy e di certo non mi piace che il mio futuro sposo si presenti ad una festa con un'altra donna.» disse calma, avvicinandosi di qualche passo; io restai immobile, aspettando intimidazioni che, sapevo, sarebbero arrivate. «Posso sembrare una donna gentile e affabile, e in effetti lo sono anche, ma non fate lo sbaglio di credere che sia innocua. Ciò che mio è e resterà tale; ciò che desidero sarà mio ugualmente, perché ottengo sempre quello che voglio.» il tono fu tagliente, serio e l'espressione di quella donna, che un attimo prima era quasi divino, si trasformò in quello di un demone: cupo, minaccioso; gli occhi le brillavano di ira e sfida.

Ci fu un breve silenzio. Ci fu un momento in cui la guardai attenta, senza mai abbassare lo sguardo o il capo - e non perché avessi il volto di un Blanchard o di chicchessia, ma perché ero io-, e mi resi conto, in quel momento, il vero motivo per cui fu smistata, ai tempi, in Serpeverde.

Le credevo. Credevo davvero che se avesse avuto anche il solo dubbio di una possibile relazione tra il suo uomo e me avrebbe sfoderato qualsiasi arma affinché lei ne uscisse vincitrice. I suoi occhi erano diventati freddi e distaccati, la sua espressione dura; mostrava tutta la fierezza tipica di una Purosangue. Aveva idee più tolleranti, era stata gentile, ma alla fin fine restava ciò che era. Tuttavia, il suo tono diretto e quasi brusco non mi intimorirono e se avesse anche solo pensato di avermi spaventata si sbagliava di grosso.

«State minacciando la persona sbagliata, signorina Greengrass. Conosco Draco perché sono in affari con lui, non ho di certo bisogno di irretirlo per arrivare a fama e denaro. A differenza di molti altri, non necessito che il mio cognome sia associato a quello dei Malfoy. Il nome Blanchard fa aprire molte più porte, credo lo sappiate bene, e ho sufficiente intelligenza da poter camminare da sola.» ribattei lentamente, cosicché le mie parole potessero arrivarle chiare e coincise. «Dunque non abbiate la presunzione di conoscermi, Astoria Greengrass. Se avete poca fiducia nel vostro fidanzato non è affar mio.» continuai facendo un passo nella sua direzione e guardandola con la sua stessa alterigia, da capo a piede. «Certo posso capire la vostra disapprovazione nel vedermi qui, insieme al vostro futuro marito, ma credo sia opportuno per entrambe stare al proprio posto. Sono un' invitata, nonché amica del padrone di casa, e mi comporterò come tale.» sorrisi appena, ammorbidendo un po' i toni e l'espressione dura di qualche secondo prima. «Potete stare tranquilla, signorina. Vi auguro una buona serata.»

Le rivolsi un sorriso più grande, come per rincuorarla, come per capire il suo disagio, ma la verità era un'altra: provai una certa soddisfazione nel vederla ammutolire, seppur fu una sensazione breve e di cui mi vergognai quasi subito. Tuttavia, per un fugace momento, ero stata meschina nei confronti di una ragazza innamorata. Io al suo posto avrei fatto anche di peggio. Eppure, mi era piaciuto vederla sorpresa e poi quasi offesa dalle mie parole, ed era tutta colpa di quei sentimenti subdoli che iniziavano a nascere nei confronti di Draco. Per un attimo, solo per un attimo, provai una gelosia che solamente al sesto anno di scuola, con Ronald, avevo sentito bruciarmi dentro. Non potevo credere stesse davvero succedendo a me, non potevo credere alla profondità di quei sentimenti che, inaspettati, mi erano cresciuti nel petto senza che ne avessi il controllo.

Voltando le spalle alla ragazza innamorata, mi avviai verso l'ingresso, troppo confusa e sopraffatta da tutto quello che stavo provando. Il cuore mi batteva forte, il respiro era veloce e mozzato, la gola bruciava per un pianto che cercavo in tutti i modi di trattenere e le lacrime pizzicavano gli occhi. Non potevo dare un nome a quelle emozioni così potenti e totalizzanti, perché sarebbe stato ridicolo. Continuavo a dirmi che non poteva essere, che dovevo svegliarmi da quella illusione, ma quando ormai ero vicina alla soglia del salone ed ero pronta ad uscire una presa decisa bloccò ogni mia intenzione. Era chiaro chi mi avesse impedito di andare via. Il profumo di pino arrivò prima dei suoi occhi chiari color del ghiaccio ma bollenti come il sole. Mi guardò curioso, con un sorriso beffardo disegnato sul bel volto affilato, senza mai lasciare la presa contro il mio braccio - dita fredde e ferme nella stretta gentile. Mi chiesi perché il cuore stesse battendo all'impazzata; mi chiesi perché mi sentivo meglio ora che lui era accanto a me, che sentivo il suo profumo.

«Dove stai andando?» domandò divertito in un sussurro, avvicinando appena il suo volto al mio.

«La mia permanenza è stata fin troppo lunga, Malfoy.» riposi con compostezza, provando ad imitare la stessa tranquillità avuta con la futura sposa. La sua sposa. «Voglio andare in camera mia.»

«Senza nemmeno concedermi un ballo? Vergognati!» mi ammonì divertito - scherzando come se nulla fosse, come se non avessi appena discusso con Astoria.

«Draco, smettila!» lo rimproverai dura, scuotendo la testa; non faceva altro che confondermi.

«Granger.» mormorò appena il mio nome, dolcemente. «Balla con me.»

Mi guardava serio, con un sorriso vero, appena accennato. Raramente lo avevo visto in quel modo e mi piaceva. Mi specchiai in quegli occhi profondi e chiari che mi fecero rabbrividire, che mi bloccarono il respiro. Ed io capii che per tutto quello c'era davvero un nome, ma faceva tremendamente paura perché, in fondo, saremmo sempre stati Draco e Hermione. Tuttavia, nonostante la consapevolezza, avevo una tremenda voglia di lasciarmi andare e accettare il suo invito. E mai come quella volta, mente e cuore facevano a gara per il predominio.

 

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Capitolo 30
*** 29 - Not to be good enough. ***


«Not to be good enough.»

Lo guardai per quelli che mi sembrarono lunghissimi secondi, scossa per la sua proposta così innocente e naturale. Tuttavia, in quel frangente, non c'era niente di normale; non avremmo potuto permetterci di essere ciò che avremmo davvero voluto. In gioco c'era la sua reputazione; sentivo gli occhi di molti su di noi, curiosi e sgomenti per il sorriso e le attenzioni che Draco mi stava riservando. Non avrebbe dovuto arrivare alla festa insieme ad una donna che non fosse stata la sua futura sposa, non avrebbe dovuto mancare di rispetto ai suoi genitori e alla sua carica di pozionista nella società di Mangiamorte. Doveva restare tutto com'era se avremmo voluto che le cose funzionassero al di fuori di quelle tetre e fredde mura. Fui io a rinsavire, dunque. Uno dei due avrebbe dovuto distruggere quel momento complice, non avremmo avuto altra scelta.

«Non essere ridicolo, Draco.» gli sussurrai preoccupata, scuotendo piano il capo; avrei voluto essere meno incerta, ma i suoi occhi avevano uno strano effetto su di me. «I tuoi genitori, Astoria e i futuri suoceri la vedranno come una specie ... di oltraggio, o qualcosa del genere. Non puoi stare qui con me.»

«Ho smesso di far decidere gli altri per me, Granger.» ribatté serio, anche leggermente infastidito, avvicinandosi ancora un po' - sembrava mi stesse confidando un segreto.

«Lasciami andare.» chiesi gentile, cercando di divincolarmi dalla sua mano ferma intorno al mio braccio. «Per favore.»

Rimase a guardarmi senza dire una parola, ma gli si leggeva in viso quanto fosse stato riluttante a darmi ascolto. Così restò lì immobile, a respirare profondamente e sondarmi l'anima con i suoi occhi azzurri - occhi che, al solo pensiero, mi scuotono ancora. Aveva un modo tutto suo di fissarmi, e se all'inizio vi leggevo solo diffidenza e indifferenza con il passare del tempo riuscii a percepirne il calore e l'intensità; c'era sempre una tacita richiesta di affetto e una paura ben nascosta che facevano brillano le iridi ghiaccio di Draco. Mi piacevano, e molto, ma erano anche la mia debolezza.

«Draco.» una voce carezzevole interruppe il contatto visivo tra noi due - in fondo, seppur una parte di me ne era rattristata, fu la cosa migliore che potesse accadere; prima o poi avrei ceduto.

Ci voltammo verso quella voce femminile che non era estranea, ritrovando una sorridente Astoria guardare il suo futuro sposo con orgoglio e ammirazione. Potrei quasi dire con certezza che quella tranquillità così ben visibile sul volto tondo e roseo della giovane donna fosse soltanto apparenza. Il discorso fattomi prima era un chiaro segnale di quanto fosse scocciata dalla mia presenza e dalla premura mostrata nei miei confronti dall'uomo che amava. Non avrei potuto biasimarla, anch'io al suo posto avrei cercato di allontanare qualsiasi tipo di minaccia potesse anche solo toccare la persona amata.

«Mi fai ballare?» chiese gentile, porgendo con grazia una mano nella sua direzione - continuò a far finta che io nemmeno esistessi.

«In verità-»

«E' un'ottima idea.» intervenni sorridente, interrompendo qualsiasi scusa Draco cercasse di rifilare. «La signorina Greengrass ha la priorità, amico mio. Dopotutto, è la tua sposa.» rivolsi lo sguardo al ragazzo che non aveva intenzione di lasciarmi andare il braccio.

Trascorse qualche secondo, guardandomi dritto negli occhi senza accennare una parola, con serietà e determinazione, prima che una voce maschile a me estranea interrompesse il momento così da toglierci da un possibile imbarazzo.

«Penso io alla tua ospite, Draco.» tutti e tre voltammo la nostra attenzione sul ragazzo dalla pelle ebano appena arrivato. Lo riconobbi subito: era composto come sempre, silenzioso e con modi gentili - l'esatto opposto di come il suo amico appariva ai tempi della scuola. Avvolto in un completo di alta sartoria color nero, Zabini sorrideva cordiale mostrando tutta la sicurezza che lo ha sempre contraddistinto; il suo tento mi fu chiaro da subito e, sperai, tuttavia, che non fosse poi così palese alla giovane ragazza speranzosa di essere al centro delle attenzioni del suo amato. «Balla insieme alla tua fidanzata, tranquillo. E' tutta la sera che dici di voler restare da solo con lei ed io ti tolgo l'incombenza della giovane Blanchard. Senza offesa.»

«Nessuna offesa.» risposi senza perdere il sorriso, mantenendo le apparenze. «Trovo il vostro immolarsi per la causa davvero nobile.» continuai divertita, facendo un passo verso Zabini - non c'era più nessuna resistenza che mi tenesse accanto al padrone di casa.

Non so se Astoria capì la nostra intenzione di sviare qualsiasi idea si fossero fatti tutti (lei compresa) riguardo il rapporto tra Draco e me, ma è certo che la giovane sorrise di fronte alle parole del nuovo arrivato e guardava il suo promesso con gioia e aspettativa. Quest'ultimo, messo alle strette e presa ormai consapevolezza di quanto fosse sembrata davvero inadeguata la sua distanza con la giovane Greengrass, le sorrise appena e le prese quella stessa mano che, poco prima, gli aveva offerto.

«Dovrai aspettare, Patricia. La mia fidanzata, come hai detto, ha la priorità.»

Detto ciò - con un tono che aveva l'aria di essere quasi sarcastico, e infastidito- condusse Astoria al centro del grande salone, accompagnati da una lenta musica di sottofondo. Non ho mai saputo ciò che si dissero durante quel ballo, ma a guardarli dall'esterno erano davvero bene assortiti, insieme. Tuttavia, il giovane sposo prescelto non appariva entusiasta come avrebbe dovuto essere. Avevo l'impressione che la tollerasse appena, eppure lei era così innamorata di lui che i suoi occhi azzurri brillavano ogni qualvolta incontravano quelli del suo amato; Astoria avrebbe fatto qualsiasi cosa per Draco.

E mentre li guardavo in disparte, un po' turbata nel vederli così vicini, la voce carezzevole di Zabini mi distrasse da inopportuni pensieri: «Finalmente ho l'onore di conoscere qualcuno appartenente alla famiglia Blanchard.»

«Il piacere è mio, signore.» dissi abbassando un po' il capo, come ossequio. «Peccato io non abbia l'onore di conoscere il vostro nome.»

«Blaise Zabini, signorina.» si avvicinò lento, prese delicatamente la mia mano e vi poggiò un leggero bacio sul dorso - un contatto che nemmeno sentii. «Cosa ci fa una donna del vostro lignaggio qui, alla villa di uno dei seguaci dell'Oscuro Signore.»

«Sono un'amica di Draco e sono a Londra per conto di mio zio.» risposi sorridente, memore di ciò che il rampollo Malfoy aveva detto a sua madre.

«Uomo eccentrico.» commentò, alzando il mento e infilando le mani nelle tasche; mi guardò in un modo che, ad essere onesta, non mi piacque per niente e il suo continuo accenno di sorriso peggiorava le cose.

«Dipende dai punti di vista.» ribattei diplomatica, mantenendo le apparenze - come una brava Malfoy.

Restammo in silenzio per lunghissimi attimi mentre la musica cambiava, diventava sempre più dolce e sembrava essermi familiare - una specie di reminescenza dal mio mondo di appartenenza. Guardai istintiva Draco volteggiare insieme alla sua fidanzata e qualcosa, dentro, mi si spezzò: era quello il suo posto, tra le braccia di una donna che gli somigliava molto più di quanto mi piacesse ammettere; per quanto lui combattesse per uscire dal buio in cui era stato avvolto, saremmo sempre stati troppo diversi, come il sole e la luna. Una parte di me si era illusa che forse, un giorno lontano, avremmo potuto essere qualcosa di differente che due alleati perché ammisi, forse per la prima volta, di essere attratta da quel ragazzo che un tempo mi aveva deriso.

«In questo mondo avere desideri è pericoloso, non trovate?» Blaise interruppe, ancora, i miei pensieri, attirando l'attenzione verso di lui: il volto sereno e concentrato, il tono quasi casuale - come se quelle parole non fossero state pronunciate di proposito.

Non sapevo quanto conoscesse quel ragazzo e se sapesse la verità su Draco, ma dal modo in cui si rivolse capii che quell'intesa tra il suo amico e me non era passata inosservata. Ero ben consapevole quanto una sola frase avesse potuto significare, dunque dovevo pensare a cosa ribattere e in fretta. Così decisi di sorridergli, anche se aveva gli occhi ben fissi sulle coppie danzanti, e di dissimulare quell'angoscia che sentivo crescere nel petto.

«I desideri sono per i sognatori, o per gli illusi, e di questi tempi nessuno può permettersi di esserlo.»

«Siamo d'accordo, a quanto pare.» mi sorrise, voltandosi verso di me.

«A quanto pare.» ricambiai la gentilezza.

C'era qualcosa negli occhi di Zabini che, ammetto, un po' mi inquietò: vi era una strana scintilla di vittoria e divertimento che mi fece quasi rabbrividire. Per un attimo ebbi la sensazione di essere stata scoperta - era come se lui vedesse oltre la maschera che avevo indosso. Ne fui terrorizzata, perché per quanto fossi consapevole che Draco, di certo, non stesse agendo da solo per aiutare l'Ordine non sapevo di chi potessi fidarmi. Dunque sorrisi al ragazzo, mantenendo le apparenze senza mai vacillare - ormai ero diventata davvero brava.

A portarmi via da quei pensieri, fu un leggero dolore allo stomaco. Più che altro ricordo fosse un leggero pizzico. Ero consapevole che l'effetto della pozione stesse svanendo lentamente e che avrei dovuto scappare il prima possibile da quel salone. In maniera quasi spontanea, guardai dritto davanti a me, in direzione di quel ragazzo che, ormai, mi era più caro di quanto mi piacesse ammettere. E in un attimo, mi ritrovai ad annegare nei suoi occhi azzurri. Mi stava guardando, Draco Malfoy, eppure la ragione per cui lo stesse facendo non mi era nota, anche se una parte di me, quella illusa, sperasse che la vicinanza con Zabini lo infastidisse almeno quanto irritasse me la sua con Astoria. Non potevo far nulla per fermare i battiti veloci del cuore, né tanto meno avrei potuto allontanare quella gelosia che, pian piano, mi invase il petto e lo stomaco. Era del tutto irrazionale - non era da me-, ma sapevo che in quella situazione la logica non avrebbe potuto aiutarmi: sebbene sapessi che quei sentimenti per lui fossero inappropriati, nulla mi avrebbe impedito di provare quella forte attrazione; era questione di chimica, dopotutto.

Ancora una volta, i dolori che preannunciavano la fine dell'effetto della Polisucco si ripresentarono, questa volta un po' più intensi tanto da dissipare l'espressione serena a favore di una sofferente. Ingoiai un fiotto di saliva e respirai più profondamente, cercando allo stesso tempo di non allarmare il ragazzo ancora di fianco a me. Dovevo correre via, con o senza Draco.

«Vogliate scusarmi, signor Zabini.» mi rivolsi al giovane, provando a mascherare un dolore sempre più fastidioso. «Si è fatto tardi e devo tornare a casa.»

«Vi accompagno, se lo desiderate.» si offrì subito, con tono gentile, però c'era qualcosa che poco mi convinceva nella sua voce, come una velata ironia.

«Non vi scomodate per me, posso benissimo tornare a casa da sola.» risposi sorridendo, lievemente sollevata dalle fitte temporaneamente scomparse.

«Non aspettate Draco?»

«E' in ottima compagnia, perché disturbarlo?» risi appena - più nervosa di quanto volessi. «Spero di rivedervi.»

«Lo spero anch'io, signorina Blanchard.»

Il mio vecchio compagno di scuola mi sorrise cordiale e forse, per la prima volta in quella sera, fu davvero sincero. Senza essere trattenuta ulteriormente, mi avviai verso l'uscita del salone, non prima di aver lanciato un'ultima occhiata a Malfoy e alla sua futura sposa. Mi concessi solo pochi secondi, eppure quello sguardo quasi preoccupato mi rimase ben in mente anche quando, ormai, avevo raggiunto il corridoio principale. Mi guardai intorno sperando di non essere seguita, ma il fastidio allo stomaco e il formicolio alla pelle rendevano la mia concentrazione meno ferrata del solito; la mia camera sembrava essere un dolce e lontano miraggio. Arrestai il lento cammino a pochi passi dallo svoltare verso l'andito che mi avrebbe condotto alle scale dell'ala est, ma ero troppo confusa per poter proseguire anche solo di poco. Poggiai una mano alla parete alla mia destra per riprendere fiato; stavo sudando e i battiti del cuore divennero sempre più veloci, la pelle iniziava a bruciare intensamente. Stavo ritornando ad essere me e dovevo trovare la forza per raggiungere la mia meta; nessuno, nemmeno un elfo, avrebbe dovuto vedermi - c'era già Tabby a mantenere il segreto per il suo padrone. E proprio quando stavo per riprendere il tragitto, sentii una leggera stretta contro le dita e una voce a me familiare esclamare: «Andiamo via di qui». Uno strappo all'altezza dello stomaco mi fece mancare il respiro e d'improvviso non ero più nel buio corridoio, ma nella mia accogliente stanza. Mi avvicinai piano al letto poggiando la schiena su di una colonna del baldacchino per riprendere fiato: la smaterializzazione e il ripristino del mio vero volto mi avevano a dire poco stancato; provavo una nausea intensa.

«Stai bene?» domandò curioso, avvicinandosi un po'.

Sapevo fosse stato Draco a portarmi via da lì; avrei riconosciuto il suo profumo di pino e il suo tocco anche ad occhi chiusi. Quel pensiero mi spaventò, perché per quanto avessi potuto accettare di provare sentimenti nei suoi confronti, riconoscerlo dal nulla e nel buio presupponeva una certa intimità che, inconsapevoli, avevamo costruito nel corso del tempo.

«Sto bene.» risposi affannata, cercando di allontanare quegli strani pensieri. «Dovresti essere con Astoria, Draco. La festa non è finita.» mi tranquillizzai, ormai il dolore allo stomaco stava sparendo; restava solo una brutta sensazione sulla pelle.

«Non m'importa, Granger.» ribatté non curante, attirando il mio sguardo su di sé. «Non volevo restare.»

«E' una questione di dovere, lo sai bene.» continuai stanca, respirando profondamente e facendo qualche passo nella sua direzione: Draco era rimasto in mezzo alla stanza a guardarmi attento.

«Te l'ho già detto:» sussurrò avvicinandosi ancora. «ho smesso di far decidere gli altri per me.»

Non risposi a quell'affermazione, lo guardai e basta. Ero così spossata da non avere forze necessarie per replicare. Mi persi nei suoi occhi di ghiaccio, occhi che rimandavano un calore mai provato prima. Tempo addietro avevo provato sentimenti così forti solamente per Ronald, il mio amico di sempre e il compagno di molte avventure, eppure mi ci erano voluti anni per ammettere di esserne innamorata. Con Draco, invece, è tutto molto diverso; ogni cosa sembrava essere amplificato e nessuna spiegazione razionale riusciva a tranquillizzare il vortice incessanti di dubbi. Eravamo così diversi da essere, allo stesso tempo, perfettamente compatibili: le mie mancanze scomparivano di fronte alle sue certezze, le sue debolezze venivano colmate dalle mie sicurezze. Avevamo diverse cose in comune, come il piacere che ci donava la lettura; ci divertiva litigare tra noi e sfidarci. E dove c'erano silenzi, non c'era disagio. Draco ed io eravamo in sintonia come mai ero stata con nessuno. Nel primo periodo davo la colpa al troppo tempo trascorso insieme e all'influenza che la sua famiglia e l'intera situazione di pericolo avevano su di me. In quel momento, però, così persa nel suo sguardo attento, ammisi a me stessa che, semplicemente, mi piaceva ciò che avevo davanti. Il nuovo Draco Malfoy, l'uomo risoluto e maturo che era diventato, mi attraeva come nessun ragazzo prima. Era scomparso Ron da quando era comparso lui, la mia razionalità era svanita a favore delle emozioni e qualsiasi volontà di voler fuggire da quella casa era stata dimenticata perché Draco e la confusione erano le uniche cose a riempirmi la testa.

Lui sorrise sereno, all'improvviso, facendomi mozzare il fiato e accelerare i battiti; le mani tremavano e le strinsi in un pugno, trattenendo il desiderio di avvicinarmi ancora di più e sentire il suo profumo e il suo calore.

«Cosa c'è?» chiesi con voce appena tremante, senza mai distogliere gli occhi dai suoi.

«Questo vestito ti sta davvero bene, Hermione

Era forse la prima volta che mi chiamava per nome e la dolcezza con cui lo pronunciò provocò un sentimento di calore nel petto e allo stomaco; il sorriso, poi, che continuò a mantenere mi fece girare la testa. Mi sentivo una stupida adolescente di fronte al suo primo amore, tuttavia, avevo imparato a conoscerlo e c'era sempre un motivo dietro alle sue azioni o le sue parole - perché lui era diventato anche questo: un uomo concreto. Così, incuriosita, mi voltai verso lo specchio alla parete destra della stanza, a poca distanza del letto. E quando guardai il mio riflesso mi accorsi di aver ripreso del tutto il mio vero aspetto; la Smaterializzazione aveva accelerato il processo e, per fortuna, non soffrii troppo quella volta.

Mi guardai attenta, analizzando ogni piccolo dettaglio del mio viso tanto da avvicinarmi moltissimo allo specchio. Mi sfiorai piano le guance notando quanto i tratti del mio viso fossero meno delicati di due anni prima; i capelli non erano arricciati ma solamente un po' crespi, seppure bene acconciati in una mezza coda; il vestito giallo si sposava bene con la pelle olivastra e, il corpetto stretto, mostrava le forme delicate finendo poi in una morbida e lunga gonna. Se a Patricia Blanchard quello stesso abito stava d'incanto a Hermione Granger donava particolarmente. Non sono mai stata una donna vanitosa, eppure quella volta mi sentii meravigliosa. Non mi riconobbi. Quella ragazza non ero io.

Chiusi gli occhi portando le mani allo stomaco, provando allo stesso tempo a calmare il respiro. La ragazza riflessa nello specchio non era quella di due anni prima. Avevo visto nei miei occhi una luce che, forse, solo i primi anni di scuola riluceva; c'era una tranquillità che non mi era mai appartenuta davvero e sapevo che quella sensazione era dovuta alla presenza di Draco nella stanza; non c'era più quella stessa Hermione appassionata che rischiava la vita. Vedevo solo qualcuno che si era arreso al corso degli eventi, stanca di combattere per sopravvivere preferendo lasciarsi prendere per mano da qualcuno che fare da sé. Mi chiesi cosa avrebbero detto i miei amici vedendomi agghindata in quel modo, se avessero saputo quanto fossi ormai spenta di quella passione battagliera che mi aveva sempre caratterizzata e che mi aveva fatto sopravvivere fino a quel momento; mi chiesi cosa avrebbero detto se avessero saputo quanto Draco fosse diventato importante. Mi chiesi chi fossi diventata e dove si fosse nascosta la vera me. Lacrime calde e piene di dolore solcarono il viso arrivando alle labbra e al mento. Respirai profondamente perché non potevo fare altro. Ero impotente, non avevo più la magia e venivo punita per ciò che ero; ero stata esautorata di ogni potere e autorità diventato l'ombra di quella che ero un tempo.

Dita calde avvolsero improvvisamente le mie ancora poggiate sullo stomaco, un leggero respiro solleticò l'orecchio destro e il profumo di pino rischiarò un po' di quella oscurità in cui ero appena caduta. Draco mi stava abbracciando, seppure impercettibilmente, ed io non ebbi il coraggio di aprire gli occhi e guardarlo.

«Ho sentito il rumore dei tuoi pensieri da lontano, Granger.» sussurrò appena, intrecciando delicatamente le sue dita alle mie. «Smettila di colpevolizzarti.»

Risi tra le lacrime, in risposta a quella affermazione. Mi lasciai andare contro il suo petto, scuotendo appena il capo. Nessuno avrebbe potuto indovinare i miei pensieri, ma lui trovava sempre un modo per sorprendermi.

«Non dovresti usare la Legilimanzia su di me, Draco.» lo rimproverai bonariamente, non avendo la forza per litigare davvero - d'altra parte, così vicini, non avrei potuto arrabbiarmi.

«Mi conosci bene, ormai. Ottengo sempre quello che voglio.» ribatté in un sussurro soddisfatto, mentre un sorriso beffardo compariva sulle labbra sottili.

Aprii gli occhi per vedere la sua espressione e mi piaceva vederlo accanto a me in quel modo, così intimi, così complici, come se non ci fosse stata nessun tipo di diversità a separarci prima. Rabbrividii nel sentire il suo respiro sul collo e l'abbraccio ancora più forte, ma quando lasciò un leggero bacio sulla spalla destra chiusi nuovamente gli occhi per godere della morbidezza delle sue labbra e lì capii che, ormai, non potevo più nulla contro ciò che provavo per lui.

«Sei un subdolo, Malfoy.» mormorai sorridendo, completamente in balia di Draco.

«E' un gran complimento, Granger.» ridacchiò divertito.

Con un gesto lento, mi fece voltare tra le sue braccia così da potermi perdere ancora nei suoi occhi. E se un minuto prima sembrava tranquillo e spensierato, in quel momento mi guardava preoccupato; non avrebbe usato di nuovo la magia per sondare i miei pensieri, lo sapevo bene, eppure cercava di capire cosa mi turbasse. Se io non ero più Hermione Granger, davanti a me non c'era Draco Malfoy. Eravamo occhi negli occhi, le mani ancora strette e il respiro un po' più accelerato; era tutto surreale, ma sentivo fosse giusto così.

«Cambiare è naturale.» sussurrò accennando un sorriso beffardo. «Guarda cosa sono diventato io.» una mano di Draco lasciò andare la mia per poggiarsi su una guancia e cancellare i residui delle lacrime da sotto gli occhi.

«Ho sempre saputo chi sono, non ho mai dubitato.» confessai sospirando profondamente, rilassata; era così bello il suo tocco delicato sulla pelle. «Adesso, però, mi guardo e non mi riconosco. Mi sento impotente e ... sono stanca, Draco.»

«Non dovresti biasimarti per questo.»

«E invece sì!» ribattei con fervore, senza mai allontanarmi dalle sue carezze e dal suo profumo. «Non sono riuscita a raggiungere i miei amici e sono rinchiusa in queste mura senza magia, prosciugata di tutte le forze. Mi restano solamente il mio orgoglio e la mia dignità, ma anche questi cominciano a vacillare.» continuai con ansia crescente e le lacrime che minacciavano di scendere ancora; mi aggrappai a Draco come se fosse l'unica luce in mezzo alle tenebre, stringendo la sua camicia bianca tra le dita. «Dov'è finita la me razionale e coraggiosa? Dov'è la me che non si arrendeva?»

«Di cosa hai paura, esattamente?» chiese gentile, continuando ad accarezzarmi il viso con entrambe le mani - in quel momento Draco mi guardava come se non esistesse altro a parte me e mi fece sentire amata dopo tanto tempo.

«Di non essere all'altezza di ciò che verrà.» confessai in un mormorio, lasciando libera qualche lacrime che, prontamente, asciugò con gesti lenti del pollice.

«Salazar, Granger! Mi hai portato molti problemi da quando sei qui a causa del tuo caratteraccio, e tu dici di non essere all'altezza?» disse divertito, avvicinando ancora di più il suo viso al mio. «Sei la persona più testarda, determinata e orgogliosa che io conosca.» erano solo sussurri i nostri, come uno scambio di segreti.

«Potrei offendermi e dire cose poco carine sul tuo conto.»

«Ne avresti di cose da dirmi, ci scommetto.» era così vicino da sentire il suo fiato sulle labbra e le punte dei nostri nasi si sfioravano piano.

«Non sai quante.» sorrisi appena, con il cuore che batteva al'impazzata e la testa annebbiata per la vicinanza.

«Però ora sono davvero stanco di parlare, Granger.»

E senza darmi il tempo per ribattere, Draco mi baciò. Il semplice contatto tra le nostre labbra fu sufficiente per far sparire ogni paura e preoccupazione. C'eravamo solamente noi in quel grande e oscuro maniero; non m'importava della sua futura sposa né dei suoi genitori al piano di sotto, non mi preoccupavo minimamente di cosa avrebbero potuto pensare i miei amici. Io desideravo quel bacio da settimane, desideravo essere tra le braccia di Draco e lasciarmi andare. Niente avrebbe rovinato quel bellissimo momento.

Tutto sembrava scorrere così lento - il bacio, le sue carezze-, ma era anche così intenso che sentii fisicamente dolore. Avevo il cuore che batteva forte per l'emozione e il petto mi si riempì di sollievo, tremavo sotto i suoi tocchi leggeri e avevo lo stomaco scombussolato. Mi sentivo così felice e stranita allo stesso tempo, ma non vi avrei mai messo fine. Fu un bacio che, col passare dei secondi, diventava sempre più profondo e passionale.

Draco smise di accarezzarmi il volto, preferendo stringermi la vita per tenermi ancora più vicino - riuscii a sentire la tensione del suo corpo e il battito veloce del cuore. Tanta fu la veemenza postuma dei nostri baci, fui costretta a reggermi a lui, a tenerlo ancora più stretto a me; misi una mano tra i suoi capelli morbidi tenendo il palmo ben saldo sulla nuca per trattenerlo contro le mie labbra. Non avrei mai voluto separarmi da lui, da quei sentimenti ormai palesi per entrambi. Tuttavia, d'improvviso, Draco smise di baciarmi lasciando, invece, che le labbra sfiorassero prima il mio mento e poi il collo, dopodiché mi abbracciò forte. Ebbi come l'impressione volesse nascondersi da me; poggiò la fronte sulla mia spalla senza proferire parola ed io non avrei mai voluto mettergli pressione, se avesse voluto parlarmi lo avrebbe fatto di sua scelta. Mi limitai dunque a ricambiare, accarezzandogli lentamente il collo, ispirando il suo buon profumo. Restammo in silenzio per un po', fermi e in piedi nel mezzo della stanza, ma poi Draco decise di interrompere quella bellissima pace con una semplice quanto complicata domanda: «Perché, Granger?»

«Cosa?» chiesi perplessa, sciogliendo l'abbraccio per poterlo guardare negli occhi, ma non me lo permise: mi afferrò le mani e se le portò al petto, poggiò la fronte sulla mia e chiuse gli occhi nascondendosi di nuovo a me.

«Perché non mi odi? Perché non ti disgusto?»

E a quelle parole fu tutto molto più chiaro. Io resistevo ai sentimenti verso di lui perché avevo paura di essere ferita, ero terrorizzata all'idea che fossero diretti a quello stesso ragazzo che per anni mi aveva derisa; dall'altro parte, invece, Draco resisteva perché non si sentiva all'altezza.

«Perché mai dovrei odiarti, Draco?» chiesi nervosa, stringendo le mie mani nelle sue.

«Sono molti i motivi e lo sai.» faceva fatica a parlare e mostrare la sua vulnerabilità, ma nonostante ciò stava provando a confidarsi; si stava fidando di me. «Alla fine dei giochi, sono io ad avere il sangue sporco.» sorrise amaro, con una tristezza nella voce da stringermi il cuore. «Tu sei ... ciò che di più puro io abbia mai visto.»

Gli occhi mi si riempirono di lacrime. Quelle parole erano bellissime e tristi allo stesso tempo. Draco non mi vedeva più come un essere indegno, ero solo una donna al suo pari. Tuttavia era il modo in cui vedeva se stesso ad essere sbagliato. Non era giusto si addossasse colpe inutili che lo avrebbero solo fatto soffrire, c'era molto di più in lui ed io lo vedevo. La situazione aveva un che di ironico: era Draco a non sentirsi all'altezza di me, quando poco prima mi aveva stretto a sé per lo stesso motivo. Era convinto di non essere cambiato, di essere sempre il ragazzo insicuro e arrogante di un tempo, ma non era così. Era ora che anche lui capisse quanto bello fosse.

«Draco.» pronunciai il suo nome sorridendo, ma con un grosso groppo in gola e gli occhi gonfi di lacrime. «Io non potrei mai odiarti.» presi il suo volto tra le mani e lo costrinsi a guardarmi negli occhi. «Hai fatto delle scelte sbagliate ma che ritenevi avessero salvato te e la tua famiglia, adesso stai cercando di rimediare agli errori passati e ci vuole un grande coraggio per farlo. Stai mettendo a rischio tutto ciò che hai costruito e la tua stessa vita per essere libero. Devi essere fiero di te!» sussurrai sorridente, accarezzandogli piano le guance, mentre calde e salate stille mi scendevano lungo il volto. «Mi hai appena detto che non devo colpevolizzarmi e nemmeno tu devi farlo, perché quello che vedo è un giovane uomo capace di andare contro i suoi stessi principi per salvare le persone che ama; quello che vedo è un ragazzo diverso, maturo e consapevole dei propri errori. Quello che vedo, Draco, mi piace da morire.»

Ancora, senza dire nulla, senza chiedere il permesso, mi baciò di nuovo. Strinse l'abbraccio in cui erano racchiusi i miei fianchi, sentendo per la seconda volta il calore del suo corpo contro il mio; una mano mi accarezzava la schiena lentamente facendomi rabbrividire; le labbra cercavano con foga le mie e le lingue si sfioravano con passione; tremavo per il desiderio che avevo di lui e iniziai ad essere accaldata. I respiri diventavano sempre più corti, piccoli ansimi riempivano la stanza e le sue mani divennero più audaci. Avevo capito che Draco mi voleva tanto quanto io volevo lui, ma sapevamo che non era ancora il momento. E quando le sue mani risalirono lungo la vita fino alla schiena, indeciso se togliere o meno il vestito, rinsavimmo entrambi.

«Dobbiamo fermarci.» disse senza fiato, continuando a tenermi stretta a sé - eravamo solo ad un soffio l'una dall'altra.

«Sì, credo sia meglio.» sorrisi nervosa, ma anche segretamente contenta per ciò che era successo.

Ci allontanammo lentamente, io feci qualche passo indietro e lo guardai un po' imbarazzata. Non avevo mai baciato un ragazzo con tanto trasporto e, ben che meno, avevo provato così tanto desiderio prima di allora. Avevo baciato Ron nella Camera dei Segreti, ma era stato diverso, quasi innocente. Con Draco era stato tutto fuorché innocente.

Credo che anche lui si vergognasse di come aveva perso facilmente il controllo, ma ai sentimenti non si può mettere un freno. Non era certo colpa nostra se c'era attrazione, era semplice chimica, e la conoscenza profonda dell'altro e la consapevolezza di quanto fossimo complementari aveva fatto tutto il resto. Si schiarì la voce e mi guardò attento, con quello sguardo che mi fece sentire nuovamente importante e amata.

«Meglio che vada.» sussurrò sorridendo divertito.

«Sì. Buona notte, Malfoy.» risposi cercando di trattenere un sorriso, ma fallendo miseramente.

«Buona notte, Granger.»

Draco si congedò con educazione e distacco. Andò via senza nemmeno guardarmi un'ultima volta prima di chiudere la porta dietro di sé. Sapevo lo avesse fatto per resistere alla tentazione, eppure mi mancò il fiato e la sua assenza così improvvisa mi fece sentire vuota. Il cuore non smetteva di battere veloce e la mente era piena del ricordo di quel bacio così urgente e meraviglioso da riprovare le stesse sensazioni ancora e ancora. Non volevo che andasse via, non mi piaceva il modo in cui ci eravamo lasciati. Così, presa da una strana frenesia e da una insana voglia di lui, alzai il lungo vestito per non inciampare e corsi fuori dalla stanza e Draco era ancora lì. Non se n'era andato, ma camminava lentamente e sovrappensiero, anche lui indeciso se andare o restare. Il petto mi si riempì di felicità nel vedere i passi fermarsi a poca distanza dalla sua camera; sorrisi come una stupida e non ci pensai troppo nell'attirare la sua attenzione chiamandolo a gran voce. Si voltò e mi guardò per qualche secondo prima di sospirare forte e raggiungermi a grandi passi, ma io non aspettai che fosse lui a venire da me. Imitandolo, camminai nella sua direzione finché, ormai vicini, lo abbracciai di slancio baciandolo con desiderio. Sentirmi di nuovo stretta a lui, al sicuro tra le sue braccia, mi diede una pace che solo a mente lucida definii insensata. In quel momento, però, non importava. Eravamo noi ciò che contava.

«Buona notte.» sussurrai sorridendo contenta.

«Sarà davvero una buona notte adesso.» rise beffardo, tenendomi stretta con un braccio mentre l'altra mano mi accarezzava il viso.

«Stupido.»

Mi baciò ancora, un semplice bacio fugace prima di allontanarsi e rientrare nella sua camera. Lo guardai darmi le spalle per qualche secondo prima di fare lo stesso e ritirarmi nella mia stanza. Era incredibile che avessi baciato Draco e avessi provato tanto piacere nel farlo. Mi sentivo bene e avevo la sensazione di poter fare qualsiasi cosa perché lui mi sarebbe stato vicino, avrebbe creduto in me e mi avrebbe aiutato a rialzarmi quando gli eventi mi avrebbero messo in ginocchio - io avrei fatto ugualmente.

Tuttavia, Blaise aveva ragione: i desideri potevano essere pericolosi. Draco ed io ci eravamo appena messi in una situazione tale da pagarne le conseguenze in futuro. Non lo sapevamo ancora, troppo felici anche solo per pensare, ma quella sera fu il declino di tutto.

NON E' UN MIRAGGIO! HO AGGIORNATO!

 

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Capitolo 31
*** 30 - Confusion. ***


«Confusion.»


Chiacchiere. Non c'era altro in quello stesso salone che mesi prima aveva visto lo scontro tra me e la maggiore delle sorelle Greengrass. In effetti, mi sembrava di aver già vissuto quel momento, anche se tutto era diverso: avevo baciato il futuro sposo nemmeno ventiquattro ore prima. La sensazione di protezione e leggerezza provate la sera precedente mi accompagnarono tutta la notte e al mattino avevo un piccolo sorriso sulle labbra, cosa che sparì immediatamente nell'attimo esatto in cui Lady Malfoy mi informò della venuta della famiglia della sposa così da poter chiudere definitivamente quella storia del contratto matrimoniale.

Ferma in un angolo, a tè già servito alle donne Greengrass, me ne stavo in silenzio ad ascoltare cosa Astoria avesse immaginato per il suo grande giorno. Mi sentivo terribilmente in colpa. Ero consapevole che le nozze fossero combinate e che Draco non fosse molto interessato alle attenzioni di quella ragazza, eppure lei era stata gentile con me ed era davvero innamorata del rampollo Malfoy.

Osservavo Astoria e l'enorme nodo alla gola diventava sempre più intenso impedendomi di respirare; vedevo l'entusiamo brillare nei suoi grandi occhi azzurri e io mi sentivo morire. Non aveva fatto nulla per meritare di essere tradita in quel modo, eppure il solo pensare di allontanare Draco mi procurava una strana insicurezza. In tutto ciò, quel giorno, sembrava essere ancora più bella e luminosa; sembrava avere decisamente più sicurezza della sera prima e inevitabile fu chiedermi se quel sentimento fosse dovuto a qualcosa che Draco le avesse detto durante il loro lungo ballo.

Mi sentivo una stupida ragazzina al suo primo innamoramento, con il cuore leggero e una felicità quasi dimenticata. Tuttavia, l'altra parte di me capiva quanto fosse ingiusto per Astoria quella situazione ambigua. Di certo non era stupida, in cuor mio sapevo fosse a conoscenza del disinteresse del suo sposo nei confronti del matrimonio, eppure appariva come una donna felice a cui la vita stava sorridendo.

«Dunque credo sia meglio questa primavera. Il giardino del Manor in fiori sarà perfetto come sfondo della cerimonia, non pensate?» si rivolse sorridente alla sua futura suocera prima e a sua madre dopo.

«Sarà fatto come vuoi, Astoria.» ribatté la signora Malfoy, sorridendo appena - non capii se fosse sincera o meno, ma c'era una stanchezza nelle movenze di quella donna che mi riportarono ai mesi precedenti, a quando Draco mi portò al Manor.

«Sì, figlia mia. Qualsiasi cosa tu desideri sarà realizzato. Dopotutto, sposerai un Malfoy!» commentò euforica la signora Greengrass, poggiando la tazza di tè ormai vuota sul tavolino di fronte a lei.

«No, madre. Io non sposerò un Malfoy, ma Draco, l'uomo che amo.» rimbeccò la giovane seria e con il mento alto, orgogliosa di ciò che aveva appena detto.

Quelle parole mi fecero più male di quanto volessi ammettere. Gli occhi di Astoria brillavano al solo nominare il suo fidanzato ed io, in qualche modo, mi ero messa in mezzo. A quel punto, erano molte le domande che mi riempivano la testa: mi chiesi se fossi solo un momentaneo divertimento per lui prima delle nozze; mi dissi che forse, se io non ci fossi stata, Draco si sarebbe davvero innamorata di lei; mi chiesi cosa sarei stata se lui si fosse realmente sposato intrattenendo ancora una qualche pseudo relazione con me. D'altro canto, mi ripetevo di non illudermi e di restare lucida come sempre, perché sperare in qualcosa in un momento simile non mi giovava di certo. Iniziavo a provare sentimenti veri per Draco, ma tutto intorno a noi era incerto e oscuro, non potevo lasciarmi completamente andare - non sarebbe stato sicuro.

Ero in preda alla confusione e alla tristezza, un insieme di sentimenti così forti da farmi cadere in una voragine di insicurezza che non mi apparteneva; l'unica volta in cui mi sentii vulnerabile fu solo durante la ricerca degli Horcrux, quando Ron ci abbandonò e restammo solamente Harry ed io. Al di fuori ostentavo calma e lucidità, ma dentro ero tutt'altro. E in quel momento fu lo stesso.

«Draco, figlio mio. Vieni, siediti pure.» la voce tranquilla di Lady Malfoy mi fece quasi trasalire.

Ero esattamente di fianco a lei, accanto alla poltrona in cui si mise comoda minuti prima. Avevo perso la cognizione del tempo essendo ben concentrata su me stessa, sui mille pensieri che affollavano la testa - la promessa sposa del ragazzo per cui sentivo qualcosa era proprio davanti a me, non avrei potuto fare altro che riflettere. Tuttavia, quando sentii il nome di Draco, posi l'attenzione sulla soglia del salotto e lui era lì, vestito completamente di nero e con un sorriso appena accennato rivolto a sua madre. Il cuore mi batté forte e, per un attimo, trattenni il respiro. Non mi ero mai sentita così tanto coinvolta prima e in così poco tempo.

Lo guardai avanzare con eleganza verso la donna più importante della sua vita, occhi negli occhi con lei. Ebbi la sensazione che Draco nemmeno vedesse chi occupasse la grande stanza oltre sua madre; c'era solo lei e il bene infinito che provava nei suoi confronti. In qualche modo, quel pensiero mi scaldò dentro. Avevo imparato a conoscere quel giovane ragazzo e, per quanto egoista potesse essere, stava rischiando tutto per salvare la vita di sua madre - una donna troppo stanca e provata per andare avanti in quel mondo oscuro in cui viveva.

Si chinò sulla donna, lasciando un debole bacio sulla guancia. La signora Malfoy sorrideva di rado: quando mi provocava ed io ribattevo prontamente, quando guardava delle vecchie foto di famiglia o anche quando rileggeva dei vecchi libri, eppure ogni volta che suo figlio le si avvicinava brillava di una luce particolare.

«Madre.» disse ossequioso con un sorriso. «Signora Greengrass, è un piacere vedervi al Manor. Di nuovo.» continuò sorridente, ma scorsi, in fondo, un certo sarcasmo - nonché fastidio.

Seguì il suggerimento della donna e si sedette sullo stesso divano su cui c'era Astoria, all'estremità opposta; era più vicino a sua madre che alla futura sposa. Era calmo e controllato, nessuna emozione precisa si leggeva sul suo volto; rividi, in quel momento, il ragazzo freddo e distaccato che mi aveva comprata mesi prima e rinchiusa in quelle tetre quattro mura. Non c'era nulla del Draco che avevo baciato solo la sera precedente.

Accavallò le gambe con estrema eleganza e lentezza. Guardò prima di fronte a sé, ascoltando ciò che la signora Greengrass stava dicendo, poi distolse subito lo sguardo puntandolo su sua madre, sorridendo appena. Sembrava non fosse interessato alla conversazione che le donne ospiti stessero portando avanti, ma ebbi l'impressione avesse la volontà di trascorrere del tempo con Narcissa. Draco non era molto presente, per un motivo o per un altro, ed era costantemente in pericolo per il doppio gioco che portava avanti da un anno, perciò cercava di trascorrere più momenti possibili con la donna. Un tipo di affetto fatto di sguardi e piccole attenzioni, ma pur sempre forte e indissolubile.

«Parlavamo del vostro matrimonio, Draco.» disse entusiasta la signora Greengrass, sorridendo felice alla minore delle sue figlie. «E' un bene che tu sia arrivato proprio adesso!»

«Non ne dubito.» ribatté sarcastico, mantenendo quel sorriso accennato che, per chi non aveva una profonda conoscenza di lui, avrebbe creduto fosse genuino. Ed ero sicura di non essere stata la sola ad accorgermi che fingeva.

«Ho pensato che sarebbe bello celebrarlo in primavera. Il giardino fiorito di tua madre sarebbe perfetto, non credi?» intervenne dolcemente Astoria, rivolgendo la totale attenzione sul suo fidanzato.

Restò ferma per un po' dov'era, lontana da lui, ma quando Draco la guardò finalmente in volto, la ragazza si avvicinò appena - dal posto in cui ero riuscivo a guardare tutti i presenti, riuscivo ad analizzare le loro espressioni. E se l'ereditiere dei Malfoy sembrava indifferente, la più giovane delle Greengrass mostrava tutta la devozione che aveva per l'altro.

«Come vuoi.» la guardò per un attimo, continuando a rivolgere a tutti quel sorriso finto.

Tempo prima non mi sarebbe importato vedere Draco Malfoy a disagio perché, in qualche modo, se lo meritava. Quel giovane uomo, che ormai non aveva nulla a che fare con il bambino viziato di anni addietro, mi suscitava emozioni tali da simpatizzare: non mi piaceva guardarlo sprofondare nel buio. Seppur un matrimonio non fosse paragonabile alle tenebre in cui era costretto a vivere, era sicuramente un aspetto della sua vita che non gli piaceva e che gli faceva sentire quell'enorme peso sulle spalle che portava da troppo.

«Bene!» sorrise entusiasta, facendosi sempre più prossima al ragazzo. «Mi piacerebbe celebrare il rito sotto un grande arco pieno di fiori e le rose rosse della vostra serra sarebbero bellissime.»

Non avevo mai visto il giardino curato dalla stessa signora del Manor, nella parte nord del Cortile della Fontana - l'ampio spiazzale interno della tenuta. Narcissa me ne parlò un pomeriggio uggioso, forse una delle prime volte in cui discutemmo come due donne alla pari. C'era così tanto trasporto nella sua voce che non fu difficile per me immaginare il piccolo angolo di paradiso in cui la signora si rinchiudeva per trovare un po' di pace e luce in quella vita così nera. Mi confessò che in quel posto si sentiva così rilassata da perdere la cognizione del tempo; si sentiva così se stessa che tornare alla realtà era difficile, accettare di aver contribuito in qualche modo a ciò che stava accadendo la prosciugava di tutte le forze. La donna teneva moltissimo al suo piccolo mondo e immaginai che la proposta avanzata da Astoria non le facesse così tanto piacere. Tuttavia tacque e sospirò appena, servendosi un'altra tazza di tè.

«No.» ribatté Draco deciso, guardandola serio. «Scegli altri fiori, Astoria.» intransigente il suo tono, freddo il suo sguardo; nessuno avrebbe potuto contrariare quella decisione, né avrebbe dovuto. Ma Astoria non sapeva.

«Perché no? Sono meravigliosi, Draco. Renderanno tutto più romantico.» rispose, alquanto lamentosa.

«Quelle rose non si toccano e basta. Non insistere.» fu categorico e il tono ancora più tagliente. Se avesse potuto uccidere con una sola occhiata, Astoria ne sarebbe uscita gravemente ferita.

Quella sua voce così autoritaria non mi piaceva, tanto meno rivolta ad una donna. Lei non conosceva le sue motivazioni e chiedere le sembrò la cosa giusta da fare - e avrei fatto lo stesso al posto suo. Eppure c'era una cosa in cui Astoria continuava a sbagliare: non riusciva a capire davvero come rivolgersi al suo sposo, però ne era innamorata; amava il suo lato oscuro, il mistero in cui lui si avvolgeva per nascondere le emozioni e le intenzioni, la sua posizione sociale e il suo cognome altisonante. Nonostante quelle ultime cose, non era una scalatrice sociale, teneva davvero a Draco come persona, ma avevo la netta sensazione non lo conoscesse del tutto - lui le ha precluso quella possibilità.

«Non inaspriamo gli umori, su! Stiamo organizzando un matrimonio dopotutto.» intervenne sorridente la signora Greengrass, provando a stemperare la tensione crescente.

Astoria sorrise e annuì col capo, cambiando repentinamente l'umore: restò perplessa nel sentire la frase dura di Draco, ma fu solamente un attimo. Era una donna forte e nobile, le avevano insegnato a non mostrarsi vulnerabile di fronte agli altri e aveva colto l'opportunità di sua madre per nascondere ciò che davvero sentiva.

E di nuovo le chiacchiere riempirono la stanza; quel breve momento di imbarazzo e disagio scomparve veloce, rimpiazzato da argomenti e commenti futili riguardo l'organizzazione delle nozze. 
Solamente Astoria e sua madre parlavano con entusiasmo, la signora Malfoy si limitava a commentare di tanto in tanto, ma Draco restava in silenzio - annuiva quando gli veniva fatta una domanda. 
Non potevo immaginare cosa stesse pensando o provando in quel momento, ma avevo l'enorme impulso di togliere l'impassibilità dal suo volto con una delle mie risposte pungenti. Se lo avessi fatto, lui avrebbe ribattuto irriverente e il suo solito sorriso beffardo sarebbe apparso, mostrando il divertimento che provava ogni volta che ci sfidavamo. Un pensiero, il mio, così egoista che, per un attimo, mi mancò il respiro. Non avevo mai dato la precedenza ai miei impulsi, avevo sempre messo la razionalità al primo posto e quel breve pensiero mi spaventò ulteriormente: se il bacio significava essere fisicamente attratta da lui, il desiderio di vederlo sereno andava al di là di quello.

Spostai lo sguardo verso il ragazzo, nel modo più discreto possibile, e, con mia grande sorpresa, Draco mi stava già guardando. Fu solo un attimo, quasi impercettibile, eppure riuscii benissimo a immedesimarmi in lui: era frustrato, e quello sguardo così spento mi riportò, ancora, al momento in cui arrivai in quella casa. Era stupefacente come madre e figlio fossero tesi e malinconici in compagnia dei Greengrass che, al contrario, erano di una vitalità al limite dell'opportuno, dato il clima di terrore e oscurità che c'era al di fuori di quelle quattro lussuose mura.

Distolsi subito gli occhi dal ragazzo e cercai di ricomporre tutti quei pensieri razionali che mi arrovellavano la testa prima che Draco mi confondesse. Non avevo mai provato sensazioni del genere, quasi viscerali. Ritornai ad ascoltare, senza molta attenzione, gli sproloqui della signora Greengrass, eppure sentivo benissimo lo sguardo tagliente di Malfoy ancora su di me; sentii i brividi di eccitazione correre lungo la nuca. Sospirai forte e scossi il capo per scacciare qualsiasi tipo di pensiero affiorasse nella mente; era il momento meno indicato per provare quel calore che la sera prima mi aveva fatta sentire viva.

«Elizabeth.» il tono sicuro della signora Malfoy mi riscosse dai pensieri.

«Sì, signora?» chiesi avanzando di un passo e spostando lo sguardo verso di lei.

«Al momento non mi servono i tuoi servigi. Puoi andare.» mi guardò appena, sorseggiando ancora il tè che ormai era diventato freddo.

Sembrava essere indifferente, la voce ferma ma del tutto casuale. Eppure la sua postura e la sua leggera alterigia suggerivano il contrario: supposi si fosse resa conto degli scambi di sguardi prima e il fissare insistente di Draco poi. Narcissa Malfoy sapeva essere discreta quando voleva e non avrebbe permesso a due ragazzi in preda all'euforia di essersi trovati di mandare all'aria tutto ciò per cui il suo caro figlio aveva combattuto e ottenuto. Le fui davvero grata; non avrei sopportato oltre il cicaleggio di una prolissa signora Greengrass e lo sguardo di fuoco di Draco.

Con un cenno ossequioso del capo, mi congedai, mantenendo l'orgoglio e il mento alto, ma non appena uscii dalla stanza un moto di sollievo mi pervase. Ero talmente tesa all'interno del salotto che quando me ne allontanai, distante da chiacchiere e attenzioni, sentii le mani tremare e le ginocchia diventare deboli; il cuore mi batteva veloce nel petto e il respiro accelerava secondo dopo secondo. Mi sentii in trappola, più di quanto fossi; mi mancava il fiato. Decisi così di dirigermi nel Cortile della Fontana, alienandomi da quelle discussioni che, a malincuore, dovevo ammettere mi facevano provare uno strano senso di inquietudine. Non m'importava fosse Dicembre, avevo davvero bisogno di sentire il freddo pungere sulla pelle per alleviare quelle emozioni tanto strambe e confuse.

A passi veloci, mi diressi verso il giardino interno del grande maniero, senza nemmeno guardarmi indietro - dubitavo che la padrona di casa mi richiamasse al servizio dopo ciò che aveva visto. La bassa temperatura del Wiltshire mi investì all'improvviso lasciandomi ancora di più senza fiato. A grandi passi mi avvicinai alla fontana centrale dove l'acqua produceva un suono rilassante e continuo. Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo, cercando di controllare le emozioni tumultuose che mi riempivano il petto.

Poggiai le mani sul freddo marmo della vasca più bassa di quella fonte monumentale e continuai a espirare e inspirare mantenendo la calma, quanto possibile. Un brivido mi risalì la schiena, e sapevo bene non fosse dovuto solamente al gelo di quella giornata d'inverno. C'era qualcosa in tutta quella situazione che mi turbava più di quanto mi piacesse ammettere; continuavo ad avere la sensazione di non essere più me stessa. Se Draco aveva trovato la luce nelle tenebre, io avevo avuto un assaggio di quanto l'oscurità potesse essere conturbante.

Non mi sentivo così da moltissimo tempo. Non provavo così tanto per qualcuno da moltissimo tempo. Mentre Astoria programmava il suo grande giorno il fastidio si era presentato senza che lo volessi: per quel matrimonio in generale, per l'impassibilità dello sposo, per quell'entusiasmo della sposa, per quel contratto da rispettare, per quel silenzio da mantenere e per la mia stupida e insana gelosia nei confronti di un uomo che mai avrei pensato potesse entrarmi così sotto pelle. Era tutto così sbagliato e confuso da farmi girare la testa.

Respirai profondamente un'altra volta, resistendo a quella stanchezza che cominciava ad indebolirmi le gambe. Ero molto combattuta: una parte di me avrebbe voluto dimenticare tutto ciò che era accaduto il giorno prima, ma l'altra desiderava nuovamente perdersi nell'abbraccio sicuro di Draco e tra i suoi baci caldi. Mi ripetevo di mantenere la calma, o sarei finita con l'avere un vero attacco di panico e, in quel momento, attirare l'attenzione era l'ultima cosa che volevo.

«Stai bene, Elizabeth?» una voce tranquilla e familiare mi fece sussultare.

Mi voltai di scatto, pronta per attaccare, ma quando mi resi conto chi avessi davanti e quanto esposta in realtà fossi, mi sgonfiai come un palloncino. Tuttavia, il cuore non smetteva di battere forte; mai come in quel momento avevo il terrore di un confronto e il sorriso gentile di Astoria non faceva che aumentare il mio disagio.

«Sei pallida.» commentò con espressione preoccupata, facendo qualche passo verso di me.

«Sto bene, signorina Astoria. Avevo solo bisogno di un momento.» le risposi abbozzando un sorriso; dissimulare, come un Malfoy.

«Immagino ti sia scoppiata la testa con tutte quelle chiacchiere.» sorrise divertita, avvicinandosi ancora fino ad essere esattamente accanto a me.

«No, assolutamente.» mentii spudorata, ricambiando il sorriso e trattenendo tutti quei pensieri scuri in un angolo della mente. «A volte il Manor può essere ... opprimente.»

«A me piace, invece.» asserì a testa alta, orgogliosa, sedendosi sul marmo freddo della vasca della fontana; il suo sguardo era alto e brillante mentre guardava la sua futura dimora.

«Perché non ne siete prigioniera, signorina Astoria.» ribattei un po' infastidita, scuotendo il capo e incrociando le braccia al petto.

«Hai ragione. Non volevo offenderti.» disse colpevole, senza mai perdere quella giovialità che l'aveva caratterizzata per tutto il tempo. «E' solo che ... questo luogo ha sempre avuto un certo fascino ai miei occhi, così pieno di storia, impregnato di magia e detentore di così tanti segreti.» era innocente il suo tono, del tutto casuale, ma non so per quale motivo, in quel momento e su quell'ultima frase mi si annodò lo stomaco. «I Malfoy sono una delle casate più antiche del mondo magico e il Manor avrà assistito a moltissimi eventi. Sai, Elizabeth, ci sono cose che succedono in questa casa che restano in questa casa e i proprietari sono gli unici detentori di questi misteri. E' affascinante, non credi?» si voltò verso di me, sorridendo serena e con sguardo furbo; quei suoi occhi grandi e azzurri sembravano volermi scavare dentro.

Mai come prima sentii un gelo profondo, una di quelle sensazioni viscerali che scuote e fa girare la testa; il cuore mi batteva forte a causa della paura di essere scoperta, ma per mia fortuna ricordai di essere stata a stretto contatto con la signora del Manor che continuava imperterrita a fingere di stare bene e di essere felice.

«Da questo punto di vista, sì. Avete ragione.» ammisi con un sorriso, annuendo e volgendo lo sguardo finto interessato verso quella casa che, in verità, non faceva che rimandarmi tristezza e terrore.

«Quando diventerò una Malfoy questa primavera, scoprirò tutto quello che c'è da sapere e condividerò ogni cosa con Draco.» ancora una volta, i suoi occhi brillarono nel pronunciare la sua ultima frase. «Sai non ho mai provato sentimenti così profondi per qualcun'altro prima.» sorrise dolcemente, arrossendo appena. «Ho sempre guardato Draco da lontano, è sempre stato l'amico di mia sorella; come una figura irraggiungibile, capisci che intendo?»

«Posso immaginare.» risposi con calma, sentendo il nodo allo stomaco diventare sempre più stretto e doloroso. Avevo rubato il sogno di una ragazza innamorata e desiderai scomparire con uno schiocco di dita.

«Quando mi hanno detto che sarei stata la sua sposa ero davvero felice. Avrei vissuto tutta la vita insieme all'uomo che ho sempre amato in silenzio; ero finalmente libera di vivere alla luce del sole i miei sentimenti.»

Gli occhi di Astoria rilucevano di sentimento e le sue parole erano così accorate e sincere da lasciarmi senza fiato per lunghissimi attimi. Avevo sempre saputo quanto per lei fosse speciale il suo futuro marito, ma sentirle dire quelle cose, con quello sguardo sognante, mi fecero provare un profondo senso di colpa; mi fecero sentire sporca.

Draco ed io avevamo condiviso solamente una sera, eppure tutto ciò che ci era successo aveva legato in qualche modo le nostre vite. Tuttavia non c'era amore tra noi due. Sicuramente provavamo un forte interesse ed un'attrazione fisica tale da poter restare a baciarci per ore, però nessuno era innamorato dell'altro. Astoria, invece, era completamente persa di lui. Così mi chiesi se non fosse saggio per tutti fare un passo indietro e lasciare che quelle dolci effusioni delle sera precedente rimanessero solamente un ricordo; sarei potuta tornare al piano originale: scoprire qualcosa che potesse essere vitale per vincere questa guerra e scappare per tornare dai miei amici.

Le mie emozioni erano così confuse da non riuscire a trovare un solo sentimento preponderante in quel miasma che mi riempiva il cuore. Guardavo la giovane donna e, il ricordo del ballo della sera precedente e la consapevolezza di quanto perfetti potessero essere insieme, mi provocava un'angoscia profonda. Mai avrei pensato di poter ancora sentire il cuore battere per qualcuno in questo momento oscuro e difficile, eppure era successo velocemente, e altrettanto celere era l'istinto di mettermi da parte. Non ci capivo più niente.

«Posso chiederti una cosa ... confidenziale, Elizabeth?» la dolce voce di Astoria mi fece tornare alla realtà.

«Certe. Chiedete pure.» annuii appena, ancora frastornata dai miei stessi pensieri.

«Forse è un po' inopportuno chiedertelo, ma ... per caso hai notato qualcosa di strano in Draco nell'ultimo periodo?»

Una domanda innocente, posta in modo altrettanto candido, che mi fece fermare il cuore e trattenere il respiro. Sapevo non fosse una stupida e che avrebbe capito quanto il suo sposo fosse lontano da lei, ma di certo non mi aspettavo tanta schiettezza, sopratutto con me.

Rimasi in silenzio per qualche secondo, non essendo preparata ad una richiesta del genere. Scossi la testa e ingoiai in fiotto di saliva per alleviare il senso di bruciore alla gola; sperai che quella mia pausa non la insospettisse, ma Astoria era furba - non era in Serpeverde per caso.

«Sai qualcosa che io non so?» chiese preoccupata, alzandosi e facendo un passo nella mia direzione.

«No, signorina. Siete voi a farmi preoccupare, adesso.» riuscii ad uscire da quella situazione complicata, mostrando anch'io agitazione - quale fosse la causa era diventato irrilevante. «Credete davvero sia successo qualcosa?»

«Non sono sicura, per questo l'ho chiesto a te.» ribatté incerta, incrociando le braccia al petto. «Ho notato che è molto ... lontano, negli ultimi tempi.»

«Mi dispiace, Astoria, ma non ho le risposte che cercate. Sono solo una serva e i signori non parlano quando ci sono io.» ribattei prontamente, mostrando tutto il rammarico che una donna dalla sua parte avrebbe provato. «Il signorino Malfoy è molto impegnato e spesso non è a casa, è tutto ciò che so.» le dissi vagamente; di più non avrei potuto fare.

«Io intendevo emotivamente, Elizabeth.» confessò senza giri di parole, guardandomi seriamente in volto.

«Oh.» espirai appena, fintamente sorpresa di quella rivelazione. «Vi chiedo nuovamente scusa, ma non so nulla della vita privata del vostro sposo. Quando non sono con la signora Malfoy, sono sempre in camera mia.»

«Be', ho tentato. Non mi aspettavo troppo, in verità.» ammise triste, abbassando lo sguardo e alzando le spalle in segno di resa.

L'ultima risposta fu davvero difficile da darle; avevo un terribile e strettissimo nodo in gola che quasi non mi permise di parlare. Il senso di colpa divenne sempre più forte, soprattutto dopo aver notato l'espressione malinconica di Astoria nel non ricevere quelle sicurezze di cui aveva bisogno. Una parte di me, in quel momento, mi diceva che in realtà lei sapeva che Draco non la amasse davvero e cercava solo una conferma al suo dubbio; l'altra parte, tuttavia, non era proprio d'accordo. Vedevo quella giovane donna realmente innamorata e spaventata di perdere quell'amore che tanto aveva sognato. Mi sentii così meschina da distogliere lo sguardo per portalo, di nuovo, sulle mura del maniero freddo e scuro.

«Grazie, Elizabeth. E scusami se ti sono sembrata inopportuna.» mi disse con un sorriso, ritrovando un po' di quella luce che di solito la faceva brillare.

«Non preoccupatevi. Vi comprendo benissimo.» sussurrai abbozzando un sorriso; mi faceva male la faccia nel continuare a fingere di essere serena.

«Bene. Allora a presto.» mi salutò cordiale, facendo qualche passo in direzione della villa.

«A presto.»

Mi guardò mantenendo quel piccolo sorriso per qualche secondo, poi volse le spalle e andò via. Nonostante tornò il silenzio, sentii che l'atmosfera intorno a me diventò pesante; è come se le mie bugie mi fluttuassero accanto e che fosse solo questione di minuti prima che qualcuno se ne accorgesse.

Il cuore riprese a battere veloce e le mani a tremare, il petto doleva per il terribile peso che mi portavo dentro, la gola mi si seccò per il respiro mozzato e gli occhi mi bruciavano di lacrime represse. Respirai profondamente affinché non fossi assalita nuovamente dal panico; nemmeno l'aria fredda servì a riscuotermi. La conversazione con Astoria mi aveva segnata più di quanto volessi.

Restare nel cortile non sarebbe servito a nulla se non a rivivere ancora e ancora quella scena, a mostrarmi quanto fosse distrutta la giovane donna innamorata dell'uomo che io avevo baciato. Scossi il capo e scacciai i ricordi; volevo il vuoto, volevo la calma e necessitavo di un pochino di calore. Il gelo era entrato fin dentro le ossa, attaccandosi alla pelle, e prima che potesse anche arrivarmi al cuore, decisi di raggiungere la mia stanza.

A passi veloci entrai in casa provando un leggero sollievo grazie al caldo in cui era avvolto l'interno del Manor. Attraversai il lungo corridoio principale con la smaniosa voglia di rinchiudermi nella sicurezza della mia stanza lontano da tutte le dinamiche avvenute in quella grande tenuta. Ero davvero stanca di dovermi preoccupare della mia incolumità fisica e della mia sanità mentale; quei sentimenti così profondi e confusi per Draco non sarebbero dovuti fiorire, eppure non potevo far finta di nulla, c'erano e dovevo farci i conti. Quindi mi ripromisi che, una volta sdraiata su letto con lo sguardo fisso sul soffitto, avrei pensato con razionalità a ciò che mi stava accadendo.

Richiusi velocemente la porta della camera dietro di me - con la paura inconscia di essere seguita- e sospirai profondamente poggiando la fronte sulla fredda superficie dell'anta appena serrata. Abbassai le palpebre e provai a calmare il respiro agitato, cercai di scacciare il volto di Astoria e le sue parole dalla testa, ma con scarsi risultati.

Non volevo ammetterlo nemmeno a me stessa, ma avevo la strana sensazione che quel bel discorso fattomi solo qualche minuto prima era uno stratagemma ben organizzato dalla giovane donna per sapere se fossi io il motivo per cui Draco era distante. Avevo così paura di essere scoperta e finire nei guai che non potei fare a meno di pensare al peggio; se cosi fosse stato non avrei saputo come comportarmi e mi chiesi se dovessi dirlo a Malfoy. Tuttavia era solo un dubbio, non c'era nulla di concreto, e Astoria poteva solo essere una ragazza insicura di questo amore nato in circostanze particolari. Avevo la testa che mi scoppiava e faceva male, il cuore che non smetteva di battere veloce portandomi a tremare appena. Iniziai così a espirare e inspirare lentamente; dovevo calmarmi, altrimenti non avrei potuto pensare in maniera lucida. 

 

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Capitolo 32
*** 31 - A perfect moment, or almost. ***


«A perfect moment, or almost.»
 

«La conversazione con Astoria deve averti particolarmente turbata per non accorgerti della mia presenza.»

La voce boriosa ma tranquilla di Draco mi fece sobbalzare, completamente ignara che fosse nella mia stessa stanza. Ero talmente presa dai troppi pensieri e dalle infinite paure da non aver nemmeno guardato davanti a me.

Mi voltai di scatto e lo trovai seduto serenamente sulla poltrona nel bel mezzo della stanza, con gli occhi bassi intento a leggere il libro che avevo deciso di iniziare proprio quella mattina - prima di sapere che avremmo avuto ospiti. Invidiavo il suo essere così impassibile e tranquillo, come se nulla potesse turbarlo. E anche il quel momento aveva l'espressione indifferente mentre girava piano una pagina, con il suo modo di fare elegante e posato. Rimasi a fissarlo per lunghi secondi, studiando i particolari del suo profilo: bello ed affilato; allo stesso tempo, tuttavia, non sapevo cosa pensare né tanto meno ero sicura di ciò che provavo nel trovarmelo davanti. Così rimasi in silenzio ricordando ancora le parole della sua fidanzata.

«Ti senti bene? Hai una cera pessima.» il tono rimase piatto, come se non gli importasse davvero; alzò lo sguardo e mi fissò non aggiungendo altro.

«Ho molte cose a cui pensare.» ribattei fredda, incrociando le braccia al petto - particolarmente irritata dal suo tono.

«E, di grazia, potresti mettermi al corrente? Ho come la vaga sensazione che quei pensieri riguardino me.» sorrise beffardo, posando il libro sul basso tavolino davanti a sé. Lui era divertito, io decisamente no.

«Draco ...» sospirai scuotendo il capo; feci un passo in avanti e spostai lo sguardo lontano dal suo.

«Dico sul serio, Granger.» assunse un'espressione seria, accavallando le gambe e intrecciando le mani sul grembo; sentivo i suoi occhi su di me. «Cosa ti ha detto Astoria?»

«Che ti ama e che ha paura di perderti.» confessai stanca, sentendo ancora forte il senso di colpa. «E so che è la verità.» ammisi tornando a guardarlo negli occhi; sorrisi malinconica mentre parlavo rendendomi sempre più conto che le circostanze avrebbero inevitabilmente influito sulle nostre vite. «Ieri quando ballavate insieme le brillavano gli occhi e ti stringeva come ... come se potessi scappare da un momento all'altro. Ha paura che tu non riuscirai mai ad amarla.»

«E' questo che ti preoccupa? I sentimenti di Astoria?» chiese confuso, restando ben fermo seduto; continuava solo a fissarmi perplesso con quei suoi bellissimi occhi azzurri.

«Sai che non è così.» scossi il capo, sospirando poi forte. «Mi chiedo solo se sia giusto quello che è successo tra noi. Tutto qui.»

«Vieni qui.» disse tranquillo, facendomi segno con la mano.

«Non credo-» feci per ribattere - stare vicino a lui mi avrebbe privato di qualsiasi lucidità.

«Non mi va di ripetermi, Granger.» sbuffò appena, annoiato. «Vieni qui, per favore.» continuò a muovere la mano facendo segno di avvicinarmi; la sua espressione divenne nuovamente tranquilla e i tratti duri del viso si addolcirono appena.

Se fossi stata la vecchia me avrei ribattuto con una risposta pungente ricordandogli che non poteva darmi ordini, ma -purtroppo o per fortuna- non era rimasto molto di quella che ero due anni prima. Poi resistere agli occhi azzurri di Draco stava diventando davvero difficile. Per quanto quel ragazzo fosse orgoglioso e distante, mi stava mostrando un'attenzione tale da confondermi maggiormente.

Non sapevo come eravamo arrivati al punto di aver bisogno di un contatto con l'altro, ma in quel momento, nonostante tutti i pensieri su Astoria e il matrimonio, sul mio ruolo in quella storia, ogni cosa scomparve come neve al sole. C'eravamo solo lui ed io, insieme allo strano e piacevole desiderio di conoscerci davvero.

Scossi appena il capo e sospirai profondamente, mi avvicinai piano facendolo spazientire un pochino: alzò gli occhi al cielo e sospirò stanco, al contrario io ero davvero divertita. Quelle piccole sfide, quei brevi attimi in cui non eravamo Malfoy e Granger, mi erano particolarmente cari e mai vi avrei rinunciato.

Tesi una mano verso di lui che, prontamente, afferrò in una presa salda. Mi guardò per qualche secondo prima di trascinarmi gentilmente sulle sue gambe. Mi circondò i fianchi con entrambe le mani tenendomi ben vicino al suo corpo e, semplicemente, mi fissò. Continuò a tenere gli occhi ben fermi nei miei, serio e impassibile; non avrei mai potuto comprendere cosa gli passasse per la testa, era impossibile capire fino in fondo Draco Malfoy. Nonostante ciò, mi lasciai scrutare attentamente, perché mi piaceva moltissimo il modo in cui mi guardava: era così diverso dagli anni precedenti che ogni volta mi ritrovavo sorpresa dal non leggervi disgusto. Mi rilassai, non so nemmeno io come, e sperai di restare stretta a lui ancora per un po' - contro ogni logica esistente e in contrapposizione a tutto quello che avevo pensato prima di vederlo. Ero completamente persa nei suoi occhi chiari, assuefatta dal profumo di pino e dipendente dal suo calore. Non riuscivo proprio a capire come potesse essere accaduto, ma non mi importava molto e lasciavo che le cose avvenissero e basta - forse per la prima volta in vita mia.

«Perché continui a fissarmi in silenzio?» chiesi divertita, con sorriso beffardo sulle labbra; mi piaceva sfidarlo e provocarlo ed ero anche diventata brava.

«Non ho molto da dire, in effetti.» ribatté piccato, abbozzando un sorriso e guardandomi furbo.

«Be', potremmo parlare di Astoria, per esempio.»

«Come ho detto: non ho nulla da dire.» insistette lui, avvicinando piano il suo viso al mio: il naso sfiorò appena il mio e la fragranza di pino divenne più intensa, tanto da avvolgermi completamente; il cuore mi batté forte e il respirò si mozzò.

«Cerchi di irretirmi, signor Malfoy?» sussurrai con un sorriso sincero, felice; eravamo occhi negli occhi e le labbra quasi si sfioravano.

«Sta funzionando?» domandò orgoglioso, accarezzandomi il naso con il suo.

Allontanai improvvisamente il volto dal suo, lo guardai dritto negli occhi con cipiglio severo e l'espressione intransigente che mi caratterizzava: «Sono abbastanza lucida da capire che stai evitando l'argomento in ogni modo, quindi no, non sta funzionando, Draco.»

«Lo immaginavo.» sospirò esasperato, alzando il capo per evitare il mio sguardo inquisitore. «Sei pedante, Granger, te lo hanno mai detto?» sbuffò infastidito, senza mai lasciarmi andare, ma tenendomi ancora stretta a sé.

«Sì, più di una volta. Dunque trova un altro insulto per offendermi, Malfoy.» risposi scuotendo il capo, stanca del suo essere evasivo però divertita per questo assaggio di normalità.

«Preferirei tapparti la bocca, invece.» affermò insinuante, lanciandomi uno sguardo che non poteva essere frainteso.

«Draco!» lo rimproverai scoppiando a ridere.

Era bello poter godere di quei piccoli momenti felici che, sapevamo, non sarebbero tornati. Era liberatorio poter sorridere e ridere in quel momento così buio e triste, fatto solamente di incertezze continue e battaglie a cui non volevamo davvero partecipare; gli adulti avevano scelto per noi, per il nostro futuro, e quei sorrisi così radi erano talmente belli che li avremmo davvero conservati per sempre. Come quell'attimo, quando Draco decise di ridere insieme a me guardandomi come mai aveva fatto prima di allora. Stava nascendo così tanto tra noi che il solo pensiero di lasciar perdere mi preoccupava.

Piano piano la mia risata scemò e la stanza fu riempita solo dai leggeri ghigni di Draco. Pensavo, non facevo altro da un po' ormai, a quanto fosse surreale ciò che stava avvenendo in quella camera, tra lui e me. Non avrei mai creduto possibile poter provare qualcosa per qualcun'altro dopo Ronald, eppure non era stato così. Ogni cosa stava cambiando velocemente dentro e intorno a me ed io non sapevo se fosse positivo o meno, ma non ero sicura di riuscire a restare al passo con tutto. Allo stesso tempo, insieme a lui, le cose apparivano diverse, forse più chiare e definite. Ed io ne ero terribilmente spaventata.

«Va tutto bene?» domandò confuso dal mio repentino cambio di umore.

«Non è strano? Tu ed io intendo.» risposi in un mormorio, senza mai distogliere lo sguardo.

«Che vuoi dire?» diventò serio anche lui e, mi parve, si rabbuiò appena.

«Siamo così diversi, lo siamo stati per tutta l'adolescenza, e adesso ...» scossi il capo e sospirai profondamente. «Ho conosciuto un Draco Malfoy così differente da quello che eri e ... a volte mi sento confusa.»

«Granger, una volta mi hai detto che per quanto siamo cambiati, in fondo, siamo sempre gli stessi.» ribatté piano, accarezzandomi delicato il viso. «Siamo solo cresciuti, siamo più consapevoli di ciò che siamo e di ciò che possiamo fare.»

«Draco, sono una nata babbana, lo ricordi?» gli dissi dura, guardandolo quasi con biasimo - non seppi nemmeno io perché.

«Lo ricordo perfettamente, Granger. Come ricordo anche il modo in cui Bellatrix ti ha torturata nel salone di casa mia.» affermò con stizza, mettendo fine alle carezze. «Non voglio più vivere così.»

«Non volevo farti arrabbiare.» sussurrai colpevole, sfiorando piano i contorni del suo viso con le dita, alternando deboli carezze sulle guance fredde. «E' che non mi spiego come sia possibile questo rapporto tra noi quando ci siamo odiati per tanto tempo.»

«Smettila di pensare.» mormorò più calmo; afferrò la mano dedita alla tenerezza riservatagli e la portò contro le labbra, lasciandovi un lieve e dolce bacio. Fui intenerita da quel gesto così semplice quanto intimo. «Granger, tu sei ...» chiuse gli occhi e scosse il capo; faceva fatica a parlare. «Tu sei la cosa migliore che mi sia capitata e sei l'unica che può aiutarmi a redimermi.»

Rimasi senza parole - non sapevo come ribattere. Non avrei mai creduto si aprisse così tanto con me, raccontandomi i suoi pensieri. Dunque non ero nemmeno preparata a tanta dolcezza e a una confessione così forte. Per lui ero molto più di quanto credessi e mi fece scaldare il cuore, inumidire gli occhi e mi sentii lusingata; Draco credeva in me quanto persona, donna, e per me, così emotivamente coinvolta, fu più di quanto potessi chiedere. In un modo tutto irrazionale, sapevo che i miei sentimenti erano rivolti a qualcuno che non li avrebbe traditi.

«Se ti sentisse tuo padre ti ucciderebbe, lo sai?» dissi sorridendo con le lacrime agli occhi, tanto emozionata.

Mi avvicinai a lui e poggiai la fronte sulla sua, con una mano saldamente racchiusa nella sua e l'altra intenta a continuare le carezze interrotte poco prima. Cresceva qualcosa dentro di me, una forte emozione, a cui non sapevo dare nome o spiegazione.

«Allora è una fortuna che non mi importi la sua opinione.» sussurrò beffardo.

Ancora occhi negli occhi, sorridenti, e forse col cuore più leggero, ci baciammo. Tutte quelle sensazioni provate la sera precedente ritornarono forti e prorompenti: il cuore che batteva veloce, il desiderio di stringerlo e toccarlo, quella sensazione di calore allo stomaco, la voglia di lasciar perdere tutto e andare via; il suo profumo, il suo sapore, la dolcezza e la possessività con cui mi teneva stretta a sé mi faceva sentire nel posto giusto - a casa- dopo tanto tempo. Ed era una cosa paradossale, a pensarci bene, perché era per Draco Malfoy che stavo provando tutto quello. Tuttavia, non avrei mai voluto allontanarmi; avrei goduto di quella vicinanza fino all'ultimo respiro.

Nonostante l'atmosfera elettrica e calda, il suono piacevole dei nostri baci tanto voraci e tanto desiderati, la volontà di essere noi e nient'altro, la brama di andare oltre e di sfiorarci per davvero; nonostante il momento perfetto, niente sarebbe potuto rimanere tale per sempre.

Una voce agghiacciante rimbombò nel corridoio. Era lontana, quella voce, appena udibile, eppure riconoscemmo immediatamente a chi appartenesse. Per lo stupore e la paura ci allontanammo bruscamente l'uno dall'altra, guardandoci per lunghi minuti sperando di aver solo immaginato ogni cosa. Però, di nuovo, quella voce acuta e canzonatoria richiamò fortissimo il mio compagno. Draco spalancò gli occhi perplesso e io, invece, ero a dir poco spaventata. Il fiato mi si mozzò e tremai appena, scossi il capo non volendo credere che il mio peggiore incubo si stesse realizzando.

«Sta calma, Granger.» sussurrò serioso, sperando di calmarmi.

«Draco! Dove sei, Draco?» quel tono leggero e freddo, divertito e beffardo, risuonò nuovamente nel corridoio; era più vicina.

Mi alzai celermente allontanandomi dal ragazzo che, preoccupato, mi imitò immediatamente. Feci dei passi indietro, provando a mettere ancora maggior distanza tra lui e me; razionalmente sapevo che Draco non avesse nulla a che fare con ciò che stava accadendo, ma non ero lucida, ero solo impaurita da quella maledetta presenza.

«Non muoverti di qui, hai capito Hermione?» disse autoritario, come un vero e proprio ordine.

Annuii appena, non riuscendo nemmeno a guardarlo negli occhi. Ero diventata rigida, mi tremavano le mani e le lacrime avevano iniziato a scendere senza che lo volessi. Sentivo il cuore battere così intensamente da percepire i palpiti stessi in gola, la testa vorticava e tutto sembrava sfocato; una sensazione orribile.

Draco se ne era andato, non me ne accorsi; ero in una spirale di denso e oscuro panico che quasi mi soffocò. Era scomparso tutto, ogni pensiero su Astoria e le insicurezze sul rapporto tra me e Draco; ero solo piena del terrore che provavo per Bellatrix Lestrange.

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Capitolo 33
*** 32 - No coincidences. ***


«No coincidences.»


I giorni dopo l'improvvisa apparizione di Bellatrix, la situazione in quella enorme casa cambiò radicalmente: Draco era spesso via insieme a sua zia nella strenua lotta contro i membri dell'Ordine e gli amici di Potter, e quando era al Manor si rinchiudeva nel suo studio o nel laboratorio uscendone solo a tarda notte; la signora Malfoy, d'altro canto, era diventata lo spettro di se stessa, troppo preoccupata per il destino del suo unico figlio, e le uniche volte in cui sembrava stare meglio era quando tornava nella sua stanza dopo aver trascorso ore nel tanto caro giardino di rose; dall'altra parte, il signor Malfoy era troppo impegnato a cercare Neville e chiunque avesse attentato alla vita del suo erede per preoccuparsi dello stato di sua moglie. Come Draco, anche Lucius Malfoy stava via per moltissimo tempo, spesso accompagnando il figlio in quelle missioni di ricerca, ma quando ritornava, spesso a mani vuote, era di malumore tanto da rinchiudersi anch'egli nel suo studio o in camera da letto per sbollire la rabbia. Mi chiesi molte volte come fosse possibile che quell'uomo fosse così ostinato nel seguire una ideologia tanto fallace, un'idea che ancora in pochi credevano fosse giusta. Le cose stavano mutando, riuscivo a sentirlo nell'aria, ma sapevo che prima sarebbero arrivati momenti bui e difficili.

Anche per me qualcosa era cambiato. All'inizio credevo di essere paranoica e che l'arrivo di Bellatrix avesse, in qualche modo, scalfito l'equilibrio mentale ed emotivo che ero riuscita a costruirmi, ma con il passare del tempo divenne tutto più reale. Mi sentivo osservata, e non era di certo dovuto agli sguardi cattivi che mi rimandavano i quadri ogni qualvolta camminavo per i corridoi. C'era qualcosa di più: sussurri, suoni di passi e quella terribile sensazione alla nuca che mi accompagnava ormai da giorni. Delle ipotesi inquietanti iniziarono a riempirmi la testa, ma nonostante ciò preferii far finta di nulla, poiché non avevo la sicurezza di essere seguita. Tuttavia, quel secondo giorno di Gennaio ebbi una prova parziale di quanto non fossi pazza.

Camminavo lungo il corridoio del secondo piano, appena uscita dalla stanza della signora Malfoy che, seppur debole, voleva indossare bei vestiti e incipriarsi il naso per vedere suo figlio sano e salvo rientrato a casa - ormai viveva di quei brevi attimi, Narcissa, per sentirsi un po' meglio. I sussurri dei quadri facevano, come sempre, da sottofondo e la poca luce che filtrava dalle finestre rendeva l'atmosfera ancora più triste e inquietante, ma ero abituata a tutto quello. E mentre raggiungevo le scale che mi avrebbero condotto alla mia camera, dei brividi lungo la nuca mi misero in allarme: la sensazione di essere osservata era ritornata. Mi fermai nel mezzo dell'andito e mi guardai intorno, ma oltre i personaggi nelle cornici che ghignavano alla vista della mia espressione perplessa, non c'era nulla. Seppur con un nodo allo stomaco, ripresi il cammino sempre allerta al minimo cambiamento intorno a me.

Un leggero suono di passi, quasi impercettibile, risuonò per un breve momento tra le mura. Non mi voltai subito, volevo essere sicura di non aver immaginato tutto, ma quando quei passi divennero un po' più veloci non esitai a voltarmi di scatto. Notai appena qualcosa muoversi contro la parete, come una veloce scia. Tenni gli occhi ben fermi su quel punto, ma non c'era niente. Il cuore iniziò a battere velocemente e il fiato si mozzò appena, ma con determinazione e curiosità feci qualche passo in avanti sperando di vedere qualcosa oltre quella semi oscurità.

«C'è qualcuno?» chiesi sicura, spostando lo sguardo da una parte all'altra del corridoio. «C'è nessuno?» ripetei, voltandomi di spalle per scrutare anche l'atra parte dell'andito.

«Il tuo sangue sporco ti ha marcito il cervello, feccia!» ridacchiò un nobile uomo a cavallo in un quadro; aveva tutte le caratteristiche fisiche per essere riconosciuto come un antenato degli attuali padroni di casa.

Scossi il capo e sospirai profondamente, lasciando perdere quel commento inopportuno e maligno. Ripresi a camminare, tra le risate dei quadri, con un unico obbiettivo: andare da Draco. Non potevo più continuare a sentirmi in quel modo, con tanti dubbi ad arrovellarmi il cervello. Dovevo confrontarmi con lui e parlargli apertamente per trovare così una soluzione che non mettesse entrambi nei guai. C'erano troppe coincidenze, stavano succedendo troppe cose strane per far finta di nulla.

Dunque, con sempre maggiore determinazione e bisogno di parlare, scesi al primo piano dirigendomi verso lo studio del giovane ragazzo. La signora Malfoy mi disse che Draco era tornato quella stessa mattina e che subito si era rinchiuso nello studio, dunque sperava di vederlo a pranzo per passare un po' di tempo tra madre e figlio. Anch'io sperai di trascorrere del tempo insieme, qualora fosse stato libero, ma avevo ben altro in mente che parlare di complotti e persecuzioni. In quel periodo niente, però, andava secondo i piani.

Scacciai qualsiasi pensiero inopportuno, che non riguardasse la nostra incolumità, e mi apprestai a raggiungere lo studio. Quando mi ritrovai di fronte la porta scura di legno, non mi degnai nemmeno di bussare: afferrai la maniglia fredda e spalancai la porta. Avevo troppa fretta e provavo una forte inquietudine per avere buone maniere.

Quando lo studio fu sotto i miei occhi, vidi Draco perplesso che teneva in mano un bicchiere di Whisky Incendiario; aveva il volto stanco e una carnagione pallida, le occhiaie scure e il suo abbigliamento scarmigliato - lontano dalla perfezione a cui lui era abituato- sottolineavano ulteriormente quanto provato fosse, più di quanto egli volesse ammettere - ne ero certa.

«Ma prego, Elizabeth, entra pure, non mi disturbi affatto.» disse ironico, sorridendo appena e scuotendo il capo.

«Dobbiamo parlare.» dissi seria chiudendo la porta alle mie spalle, restando però ferma sull'uscio.

«Non è mai un buon segno.» ribatté in uno sbuffo, scolandosi poi il contenuto del bicchiere tutto d'un fiato.

«E' una cosa importante, Draco.» sussurrai avanzando verso di lui. «La stanza é-»

«Nessuno ci sentirà, Granger.» mi anticipò serio, guardandomi incuriosito; non dovevo avere una bella cera. «Che cosa succede?» domandò, infatti, erigendo il busto con orgoglio, pronto a sbrogliare qualsiasi situazione, e nascondendo le mani nelle tasche dei pantaloni.

«Credevo fosse solo la mia immaginazione all'inizio, per questo non ti ho detto nulla, ma ... adesso è diverso.» mormorai scuotendo il capo, con gli occhi ben fissi in quelli di Draco. «Credo proprio che qualcuno mi stia seguendo, o che mi tenga d'occhio.»

«Come lo sai?» chiese in un sospiro profondo, passandosi una mano tra i capelli. 
Non avrei mai voluto caricarlo di altri problemi, eppure sapevo che era giusto metterlo al corrente di ciò che avevo visto - con tutto quello che stava accadendo intorno a noi.

«Poco fa ero in corridoio, al secondo piano, e ho prima sentito dei passi e poi ho visto qualcosa. Non so cosa di preciso, ma quando ho chiesto se ci fosse qualcuno ... niente.» spiegai scuotendo il capo, ancora confusa. «So che sembra folle, ma so quello che visto ... e quello che ho sentito. Non ti sembra tutto così strano? Non credo siano coincidenze.»

«Lo pensi anche tu, quindi.» mormorò scosso, chiudendo gli occhi e togliendosi la cravatta - già allentata- con un gesto nervoso per lanciarla, subito dopo, sulla scrivania.

«Tua zia che ritorna all'improvviso, i continui compiti che ti assegnano, io che vengo seguita ... non può essere un caso.» sussurrai intrecciando le braccia al petto.

«Qualcuno sa di noi.» affermò Draco sbuffando.

Con passi flemmatici e spalle basse - come se il peso del mondo fosse tutto su di lui - raggiunse la scrivania e vi si appoggiò mollemente. Chiuse gli occhi e si portò le mani sul viso, respirando profondamente. Quello non era il Malfoy di un tempo, certo, ma non era nemmeno il ragazzo che avevo conosciuto in quei mesi; era come invecchiato di vent'anni in un solo attimo. I capelli in disordine, la camicia allentata nei primi bottini e con le grinze, la giacca nera poggiata malamente sul divano, il caos regnante nello studio e quell'espressione così sfatta e turbata lasciavano ben trasparire l'esasperazione in cui era precipitato quel ragazzo. Scoprii che non mi piaceva saperlo in angoscia, né tanto meno vederlo esausto.

«Ehi.» mi avvicinai piano, scostandogli le mani dal volto e intrecciando così le nostre dita. «Andrà tutto bene. Non sei solo.» cercai di rassicurarlo sorridendogli.

«Già.» disse solamente, guardandomi attento; non un sorriso, né preoccupazione: era inespressivo, e ciò mi preoccupava.

Mi fissò intensamente e per quanto mi sforzai di capire a cosa stesse pensando, fu tutto inutile. Avrei potuto chiedere, ma dubitavo mi avrebbe dato spiegazioni; si era aperto con me, mi aveva detto come si sentiva, tuttavia sapevo quanto fosse difficile per lui parlare di quel mondo oscuro in cui era stato catapultato. Aveva moltissimi sensi di colpa, lo avevo capito, e stava facendo di tutto per ripulire in qualche modo la sua immagine - più che il suo nome. Preferiva agire in silenzio, portando il peso da solo nonostante fossimo insieme in quella scomoda situazione. Era troppo presto per chiedere altro, per andare oltre quei suoi lunghi mutismi, così mi adeguai e gli sorrisi appena stringendo ancora un po' la presa contro le sue dita.

D'un tratto, scosse il capo distogliendo lo sguardo, lasciò andare la presa dalle mie mani in modo gentile e fece il giro della scrivania portandosi esattamente dietro di essa. Aprì uno dei cassetti con un leggero sospiro, ci fu il suono di uno scatto e poi Draco afferrò elegantemente qualcosa dall'interno. E di nuovo notai quanto provato fosse da quella situazione: i suoi gesti, i suoi occhi, il suo volto denotavano uno stanchezza che mai gli avevo visto prima.

«Avrei voluto darti questo in un altro momento,» disse in un sussurro, avanzando nuovamente verso di me. «ma le circostanze sono cambiate.» continuò con un sorriso triste, guardandomi dritto negli occhi; quasi mi ipnotizzò.

Con difficoltà, posi lo sguardo verso la scatola scura e lunga che mi stava porgendo; non potevo credere a ciò che stavo vedendo: quell'astuccio custodiva senza dubbio una bacchetta. Lo riconobbi subito.

Tremante per l'emozione e l'incredulità, afferrai il pacchetto e lo rigirai tra le mani per lunghissimi secondi: Draco mi aveva appena fatto dono di una bacchetta e ciò significava che si fidava di me, e parecchio anche. Alzai gli occhi guardandolo confusa e senza parole, con il cuore che batteva forte, per poi riportare lo sguardo su quel regalo. Lo aprii lentamente lasciando il coperchio sulla scrivania, e quando vidi quella stessa bacchetta che mi aveva accompagnata nelle strenue battaglie scolastiche e non, gli occhi mi si inumidirono senza un vero motivo. La afferrai delicatamente, quasi fosse fatta di vetro, poggiando anche il resto del pacchetto sullo scrittoio.

Guardai quella bacchetta come se avessi ritrovato il tesoro più grande; mi sentii completa dopo due anni di buio e incertezza; provai una sensazione piacevole lungo il braccio, come una serie di piccole scariche elettriche che attestavano il ritorno della magia nel mio corpo provato. Fu una sensazione bellissima.

«E' la mia bacchetta, Draco.» mormorai contenta, fissandolo riconoscente e piacevolmente stupita. «Come hai fatto a procurartela?»

«Ho delle conoscenze, Granger.» liquidò l'argomento in fretta, con il solito tono indifferente. «Devi usarla solo in caso di emergenza.» disse con decisione e serietà, facendo un passo avanti e guardandomi autoritario.

«Lo farò.» annuii altrettanto convinta, capendo perfettamente le sue ragioni: voleva tenermi fuori da guai e proteggere se stesso.

«Dico sul serio, Granger: solo in caso di estrema emergenza, capito?»

«Sì, Draco, ho capito.»

«Bene.» sospirò rassicurato, scuotendo appena il capo.

Sbuffò, si passò una mano tra i capelli e attraversò la stanza recuperando la sua giacca. La infilò velocemente, riprese la sua bacchetta poggiata sulla scrivania nascondendola nella giacca. Afferrò il lungo cappotto di lana cotta, nero, dall'appendiabiti accanto al camino e lo indossò. In pratica, Draco si stava preparando per uscire senza dire una parola, non facendo nemmeno caso alla sottoscritta ancora presente nella stanza che lo fissava con curiosità e preoccupazione: era tornato solo da qualche ora e aveva tutta l'intenzione di uscire un'altra volta. Non capivo, proprio non riuscivo a comprenderlo.

«Dove stai andando?» chiesi curiosa, attonita di fronte al suo disinteresse.

«Devo discutere di questa situazione con chi di dovere, per capire come agire da adesso in avanti.» ribatté mentre si avvicinava al camino, restando di spalle e non degnandomi nemmeno di uno sguardo tanto era preso dai suoi pensieri.

«Stai andando da Harry?» domandai per essere sicura che la mia teoria fosse corretta; spalancai gli occhi e mi sentii impotente di fronte quella possibilità: se non avessi chiesto non me lo avrebbe detto.

«Sì.» rispose in un sospiro, voltandosi verso di me con espressione più morbida e, forse, anche un po' colpevole per avermi tenuto all'oscuro fino a quel momento.

Mai come in quell'attimo sentivo i miei amici più vicini, ad un passo da me. I volti di ognuno di loro mi tornarono in mente, come un fulmine a ciel sereno. Avevo voglia di riabbracciarli, di sfiorarli e di capire se davvero stessero bene, se avessero bisogno di qualcosa; avevo così tanta paura di perderli e di non avere mai più la possibilità di raggiungerli che mi si annebbiò completamente la ragione. Draco poteva escludermi da qualsiasi cosa stesse facendo per uscire vivo dal dominio di Voldemort, ma non poteva pensare di tenermi lontana dai miei amici ancora. 

Il cuore iniziò a battere all'impazzata per la rabbia di essere stata esclusa, per l'impotenza i cui ero stata costretta a vivere; tremavo per la tensione e per la scarica di energia che mi aveva dato il ritorno alla magia; il fiato mi si mozzò e i pensieri mi si spensero completamente, come i sentimenti che sentivo per Draco. Non avrei permesso che l'unico legame con i miei amici andasse via senza di me. Dunque, in un momento di orgoglio e decisamente poca lucidità, alzai lentamente la bacchetta contro il ragazzo ormai a soli pochi passi dal camino.

Sentivo gli occhi bruciare di lacrime e il cuore fare male, ma la disperazione era tanta e Draco divenne solo un ostacolo nel raggiungimento dei miei scopi; ammetto, tuttavia, che una parte di me trovava atroce quel mettersi contro di lui.

«Cosa stai facendo, Granger?» chiese curioso, con fredda calma, facendo un passo verso di me; era fiero e coraggioso tanto quanto lo ero io; bello nella sua irritazione.

«Non ti permetterò di andare via senza di me.» ribattei decisa, ma la voce tremò appena e non potei far nulla per nasconderlo.

«E vorresti affatturarmi, per caso?» continuò a provocarmi, con quel suo tono superiore e altezzoso. «Non fare la sciocca e metti giù la bacchetta.»

«No.» sussurrai scuotendo il capo; la punta dell'arma ondeggiò appena. «Voglio vedere i miei amici, adesso. Ne ho il diritto.»

«Non succederà.» scosse il capo, parlandomi tranquillamente e in maniera sempre più fredda.

«Allora ti schianterò senza pensarci due volte, Malfoy!» strinsi i denti arrabbiata, minacciandolo non solo con le parole: con un incantesimo non verbale lanciai un Expelliarmus che lo sfiorò appena; si infranse subito contro i mattoncini che abbellivano il camino dietro di lui.

«Forza, fallo.» si avvicinò così tanto, per niente turbato da quanto successo, che la punta della bacchetta toccò il suo petto - coperto solo dalla camicia. «Questa volta non mancare il bersaglio.» sussurrò tagliente, guardandomi dritto negli occhi - occhi che non rimandavano più quel calore confortante, ma erano davvero freddi come il ghiaccio, tanto da intimorirmi. «Ma ricorda che nessuno, oltre me, sa dove siano i tuoi amici. Vuoi schiantarmi? Fa' pure, ma non ti riporterò lì adesso, non finché questa questione non sarà risolta e noi saremo pronti.»

Aveva ragione, colpirlo non avrebbe risolto nulla, tanto meno mi avrebbe fatto stare meglio - al contrario mi sarei solamente sentita in colpa per avergli fatto del male. Ricacciai indietro qualche lacrima, ingoiai un grosso fiotto di saliva e iniziai a respirare piano sperando di ritrovare la calma e la lucidità.

Scossi il capo e chiusi gli occhi; non volevo lasciar perdere, non volevo che se ne andasse proprio in quel momento in cui la mia vita era diventata un'incognita ancora più grande del solito. Da quando avevo scoperto quei sentimenti per Draco ero diventata decisamente più instabile; dentro di me c'era sempre una continua lotta su ciò che era giusto e ciò che volevo: era giusto tornare dai miei amici affinché fossi al sicuro, come era giusto non essere avventati, ma non volevo mettermi contro Draco e non volevo restare in quella casa senza di lui. Era impossibile controllare tutto, e con quello che stava accadendo, ogni cosa sembrava degenerare sempre di più. Non sapevo nemmeno quanto avremmo resistito prima di arrivare alla fine.

«Calmati.» sussurrò afferrandomi piano il polso ancora teso verso di lui. «Metti giù la bacchetta.» mi ripeté lentamente, accompagnando il braccio verso il fianco con movimenti attenti; mi trattava come una pazza, ma d'altronde non potevo biasimarlo.

Non risposi. Lo guardai dritta negli occhi con orgoglio, ma lasciando che mi abbassasse l'arma senza muovere un solo muscolo. Eravamo fisicamente vicini, eppure non potevamo essere più lontani: lo avevo sfidato apertamente, avevo messo in dubbio le sue intenzioni minacciandolo e scagliandogli un incantesimo. Avevo decisamente superato il limite, ma non me ne resi conto subito: volevo solo andare insieme a lui e vedere i miei amici. Nient'altro.

«Adesso io vado, Granger.» mi avvisò serio, puntandomi un dito contro; continuò a guardarmi severo e, forse, anche un po' deluso. «Non fare niente di stupido.»

«Non puoi pretendere che me ne stia con le mani in mano mentre tu sei via.» ribattei nuovamente irritata, risvegliandomi dall'apatia e avanzando verso di lui.

«Invece lo pretendo eccome!» alzò di poco la voce, fissandomi minaccioso. «Sei avventata e potresti mettere nei guai tutti e due. Sta al tuo posto, Granger!»

Senza darmi il tempo di rispondergli, voltò le spalle e, in un attimo, sparì avvolto dalle alte fiamme verdeggianti del fuoco magico. Era davvero andato via senza di me; stava per incontrare i miei amici ed io ero rinchiusa ancora in quelle mura all'oscuro dei piani che Harry aveva su di noi. Non ero stata considerata, come se non avessi una testa pensate o abbastanza carattere da poter trovare una soluzione ad una brutta situazione.

Scossi il capo, arrabbiata con i miei amici, arrabbiata con Draco, e di certo non me ne sarei stata ferma ad aspettare che qualcuno prendesse decisioni al posto mio. Avrei fatto da sola o, quanto meno, aiutato a venire a capo di ciò che stava accadendo. Così, decisa, nascosi la bacchetta nella manica destra del vestito e uscii dallo studio di Draco - non sarei potuta rimanere lì in ogni caso, sarebbe stato ancora più sospetto fermarmi più del dovuto.

Camminai piano per il corridoio, consapevole che prima o poi avrei sentito di nuovo quella orrenda sensazione di essere osservata e seguita. Arrivai fino alle scale dell'ala est, non molto distante dalla mia stanza, e iniziai a scendere lentamente fino ad arrivare al piano terra. Mi fermai qualche secondo subito dopo l'ultimo gradino, mi guardai intorno sospirando, indecisa sul da farsi: camminare senza meta per tutto il maniero sarebbe stato ambiguo, ma forse andare verso il cortile esterno per beneficiare di aria fresca mi avrebbe aiutata a pensare al da farsi - proprio come nei giorni precedenti.

Mi diressi verso il corridoio principale davanti a me, in modo da accedere al cortile dall'ala ovest senza passare per le cucine - ci mancavano solo gli insulti degli elfi per finire "bene" quella giornata. E mentre camminavo per quel lungo andito, buio e freddo, risentii quei passettini alle mie spalle e un paio di occhi fissarmi proprio dietro la nuca. Ero sicura fosse la stessa persona di minuti prima. Ero preparata, quella volta; non avrei usato la bacchetta, altrimenti sarei potuta finire nei guai, ma decisi di fare finta di niente continuando a camminare verso la mia meta. Tuttavia, la mente stava elaborando ogni cosa ripetendosi che quei passi, così svelti e delicati, li avevo già sentiti prima: c'era qualcosa di decisamente familiare. Così, in un attimo, collegai tutto.

Mi fermai all'improvviso a soli pochi passi dalla porta che mi avrebbe portato all'esterno. Mi voltai di scatto, vedendo l'attimo esatto in cui un piccolo elfo tentò di smaterializzarsi, ma con un colpo veloce di bacchetta glielo impedii - cercando quanto possibile di nasconderla alla vista stessa del piccolo elfo.

Un tremante Alf tentò di scappare via con la magia, ma non ci riuscì. I suoi lamenti divenne sempre più acuti e spaventati; provava e riprovava a schioccare le dita per scappare, ma non accadeva nulla oltre che lievi scintille. Prima che potesse tirarsi le orecchie, o fare di peggio, mi avvicinai veloce e, allo stesso modo, lo trascinai piangente nel piccolo stanzino adiacente al Salone Piccolo.

«Elizabeth non punisca Alf, per favore!» implorò tremando appena; si inginocchiò e si tirò le orecchie davanti agli occhi, così da non guardarmi in faccia.

«Non ti punirò, Alf.» lo tranquillizzai - tentai- abbassandomi per essere alla sua stessa altezza. «Ma devi dirmi perché mi stavi seguendo.»

«Alf non può dire niente. Lo puniranno!» piagnucolò con voce sottile, congiungendo le mani e spalancando gli occhi acquosi.

«E' importante, Alf!» lo supplicai, ma la piccola creatura era così impaurita che non faceva altro se non scuotere il capo in senso di diniego. Ci volevano le maniere forti - seppur a malincuore. «Se non parli con me sarà il padrone stesso a punirti, lo capisci? Gli dirò tutto!» gli parli duramente, afferrandogli le manine piccole e magre.

«No no! Il padrone non deve sapere!» si lamentò con tono stridulo, avvicinandosi piano a me. «Il padrone ucciderà Alf!»

«Allora parlami, ti prego! Perché mi stai seguendo?» gli richiesi determinata.

«Alf non lo sa.» confessò sottovoce, come se qualcuno oltre la sottoscritta potesse sentire.

«Allora chi è stato?» insistetti ancora, guardandolo serio in quei suoi grandi occhi innocenti; mi sentivo un mostro per come lo stavo trattando.

«No no!» scosse forte la testa, ma così forte che per un momento credei potesse spezzarsi il collo stesso. «No, Alf non può!»

«Allora vado subito da padron Lucius!» lo minacciai con il cuore in gola, spaventata da quanto stesse accadendo.

«No, Alf non vuole morire!» si lasciò andare ad un pianto liberatorio, continuando a scuotere il capo - ma in modo meno energico.

«Dimmi chi è stato Alf! Dimmi chi ti ha detto di seguirmi, forza!»

«E' stata la padrona!» confessò tra le lacrime a gran voce. «E' stata la padrona del Manor!»

Lo guardai perplessa, completamente immobile; come raggelata. Narcissa Malfoy non avrebbe mai chiesto una cosa del genere ad un elfo. Lei sapeva la verità su di me, era a conoscenza che Draco fosse collegato agli Auror e all'Ordine e mai avrebbe messo in pericolo il suo unico figlio. Non aveva senso che mi facesse seguire adesso, che mi tenesse d'occhio quando mi aveva chiesto esplicitamente di stare vicino a Draco e di aiutarlo.

Continuavo a ripetermi che era impossibile e che niente di quello che aveva appena ammesso il piccolo elfo avesse davvero un solido fondamento. Tuttavia, non c'erano ragioni per cui quella creatura piccola e innocente mi mentisse dopo averlo minacciato. C'era qualcosa che non quadrava in quella storia e io lo avrei scoperto a tutti i costi.

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Capitolo 34
*** 33 - I'll be there for you. ***


«I'll be there for you.»
 
Ero nervosissima. Camminavo in lungo e in largo per la mia stanza senza riuscire davvero a capire cosa stesse accadendo intorno a me. Avevo il cuore che batteva forte e i pensieri totalmente confusi: mi chiedevo perché mai la padrona di casa avrebbe chiesto di seguirmi quando sapeva la verità su di me, su suo figlio; non aveva motivo di mettere in pericolo nessuno dei due. Non aveva senso ciò che Alf aveva confessato. Tuttavia, con il passare del tempo, altre ipotesi mi si formarono nella mente e tutte preoccupanti: quell'elfo era inesperto, innocente, e chiunque avrebbe potuto ingannarlo e convincerlo a stare dalla propria parte. Alla fine, personalmente, avevo nemici sia dentro che fuori da quelle quattro mura e avrei scommesso che anche per Draco fosse lo stesso. Qualcuno mi stava facendo seguire perché aveva capito che una nata babbana stava intrattenendo una relazione con un purosangue, in particolare con Malfoy, e se avessero saputo chi fossi in realtà mi avrebbero torturata fino allo sfinimento, uccidendomi subito dopo. Anche se un paio di nomi mi balzarono subito in testa, non potevo escludere nessuno; poteva riguardare la famiglia Malfoy oppure il credo che ella serviva. Non c'era niente di certo in quella situazione e a complicare le cose c'era Draco, con i suoi segreti riguardo i piani di Harry. In tutto ciò, dovevo fare i conti con i sensi di colpa per essermi messa contro di lui e, allo stesso tempo, con la rabbia che continuava a divampare per esser stata messa da parte dalle persone di cui mi fidavo - erede della casata compreso.
Ero così agitata da non sentire altro se non i palpiti agitati del cuore rimbombare nelle orecchie; grattavo le dita della mano sinistra con le unghie della destra cercando di alleviare quel senso di impotenza e di caos che sentivo agitarmi dentro. Se ne avessi avuto la forza, avrei pianto e mi sarei lasciata andare, ma ero tesa e aspettavo il ritorno di Draco per saperne di più - sperando si degnasse di mettermi al corrente delle loro decisioni nonostante le incomprensioni.
Il solo pensare a lui e al mio migliore amico insieme mi faceva infuriare maggiormente, così decisi di smettere di pensarci e di vedere il da farsi quando si sarebbe fatto vivo.
Per fortuna non aspettai molto. Con la boria che lo contraddistingueva, entrò in camera mia chiudendosi la porta alle spalle a lanciando un Muffliato cosicché nessuno potesse ascoltare la conversazione che - evidentemente- avremmo sostenuto di lì a poco. Quella volta, come qualche ora prima, era molto evidente la stanchezza sul suo volto, ma c'era qualcosa che lo turbava e non sapere cosa fosse aggiungeva altra tensione al mio stato emotivo già decisamente precario.
«Allora?» fui io a rompere il silenzio, incrociando le braccia al petto e guardandolo dritto in faccia; mi chiusi completamente a lui - in cuor mio sapevo che da quella stanza ne saremo usciti distrutti in qualche modo.
«Sei nervosa, Granger, o sbaglio?» ribatté subito, fissandomi attento e preoccupato.
«Certo che sono nervosa, che domande fai? Ti aspettavo per delle risposte visto che hai deciso di non portarmi con te.» gli rimproverai incattivita, proteggendomi in realtà da ciò che avevo scoperto e da ciò che la mia verità avrebbe scatenato.
«Dovrei essere io quello arrabbiato e non viceversa. Ti ricordo che mi hai puntato la bacchetta contro e hai lanciato un incantesimo che mi ha quasi sfiorato.» precisò serio, ancor più irritato dal mio attacco, più sospetto; fece dei passi verso di me e mi guardò in silenzio per qualche secondo prima di chiedermi con falsa calma: «Cosa hai fatto?»
«Prima dimmi cosa vi siete detti tu e Harry, Draco.» risposi autoritaria, avanzando anch'io verso di lui - con occhi pieni di determinazione. «Questo me lo devi.»
Scosse il capo serrando la mascella, come un animale arrabbiato. Si passò una mano tra i capelli frustrato e respirò profondamente per mantenere la calma, per non sfogare l’avvilimento; sapeva che avessi ragione per quello, come io sapevo di aver torto per altro. Non eravamo più bambini, non potevamo più comportarci da adolescenti senza pensieri rinchiusi nel nostro piccolo mondo, ormai la realtà aveva bussato alla nostra porta e non potevamo ignorarla. Peccato si sarebbe portata via una parte di noi.
«Prima di quanto pensi sarai insieme ai tuoi amici, Granger.» ammise a denti stretti, irritato. «Era quello che volevi, no?»
«Quando?» chiesi insistente, speranzosa di andare via il prima possibile.
«Quando avranno un piano sicuro.» ribatté secco, non volendo continuare quella conversazione. «Adesso dimmi che cosa hai fatto.»
Mi mancarono le parole. Per un breve attimo, il coraggio venne meno e il timore che quello che ci fosse stato tra noi potesse svanire nel nulla mi bloccò. Il suo sguardo inquisitore, così attento alla mia espressione, non aiutò a sciogliermi, ma al contrario mi congelai sul posto: sapevo che sarebbe andato tutto storto e, tra l'altro, non aveva nemmeno torto, ma io non potevo sapere chi mi stesse seguendo e perché.
Non avevo paura di lui, ma di perderlo.
Respirai profondamente e strinsi l'intreccio delle braccia contro il petto ancora un po' - a protezione dei miei stessi sentimenti. Distolsi lo sguardo per un breve momento, per poi riportarli di nuovo in quelli di ghiaccio di lui - sempre più freddi e distanti. Nonostante tutto, come io avevo il diritto di sapere cosa fosse successo con Harry, anche Draco doveva sapere la verità, per l'incolumità di entrambi.
«Ho scoperto chi mi seguiva.» confessai tutto d'un fiato, senza mai distogliere lo sguardo ma con il cuore che palpitava forte. «Era Alf.»
«Alf? Il nostro elfo Alf?» chiese perplesso, scuotendo il capo come a non poter credere a ciò che avevo appena detto.
«Sì ed è questo che mi preoccupa.» ammisi con ansia crescente. «Ho parlato con lui e-»
«Cosa hai fatto?» mi interruppe subito, spalancando gli occhi e guardandomi attento.
«Ho dovuto farlo, Draco.» dissi convinta, mentre guardavo il ragazzo voltarmi le spalle e scuotere il capo in disaccordo. «Davvero ti aspettavi che rimanessi in disparte senza fare niente?» alzai il tono di voce, quasi indignata, facendo un passo verso di lui e iniziando a gesticolare nervosa.
«No!» ribatté veloce, voltandosi e guardandomi arrabbiato. «Credevo che tu avessi più buon senso, che avessi capito di non dover ficcare il naso in ogni dannata cosa, Granger!»
«Ed io credevo che avessi imparato a conoscermi. Ci sbagliavamo entrambi, a quanto pare.» risposi altezzosa, alzando il mento fiera di fronte al suo sguardo inquisitorio.
«Non fare la saccente con me, perché non funziona.» sibilò quasi come un serpente, a pochi centimetri dal mio viso. «Alf può essere stato manipolato da chiunque, lo sai questo?»
«Me ne sono resa conto quando mi ha detto che è stata la padrona del Manor a chiedergli di seguirmi.» gli dissi con la stessa rabbia e orgoglio; non mi sarei fatta piegare da Draco Malfoy, anche se una parte di me odiava ciò che stava succedendo.
«Avresti dovuto aspettare me e avremmo trovato una soluzione,» si allontanò dandomi nuovamente le spalle per qualche secondo; si passò le mani tra i capelli esasperato e scosse il capo incredulo - o forse non voleva pensare alle possibili conseguenze del mio comportamento testardo. «ma ovviamente devi sempre fare di testa tua, vero? Non potevi, per una volta, fare come ti avevo detto?»
«Sono stata messa in disparte dal primo giorno in cui sono arrivata qui, Draco. Sono stanca, non lo capisci?»
«Ed io no, Granger?!» urlò spiazzandomi. «Credi che sia facile per me tutta questa situazione del cazzo?» continuò con lo stesso tono, guardandomi con occhi spalancati e arrossati. «E come se non bastasse, quando credo di aver trovato un po' di pace, mi ritrovo di nuovo a dover combattere per qualcosa che non posso nemmeno controllare!» si sfogò con rabbia crescente; io rimasi ferma a mio posto guardandolo crollare lentamente - mi sentii così male. «Chiunque abbia chiesto a quell'elfo di spiarci, adesso verrà a sapere che tu conosci la verità. E quali credi siano le ripercussioni? Non avremmo più un momento di pace, saremo costantemente sorvegliati ed io non potrò facilmente comunicare con il tuo amichetto, a questo ci hai pensato?»
«Ho - ho minacciato Alf dicendogli che se avesse detto la verità a chiunque, anche alla padrona del Manor, avrei parlato io stessa con il signor Malfoy.» mormorai ritornando ad intrecciare le braccia al petto - ormai era inutile, comunque, il mio cuore era già stato colpito dalle parole di Draco.
«E credi davvero che questo servirà? Credi che questa tua minaccia possa fermare chiunque voglia metterci in pericolo?» domandò sorridendo nervoso; si muoveva così agitato da sembrare un animale in gabbia. «Sei così sciocca.»
«Draco-»
«Lascia perdere, non ho più voglia di discutere con te.» mi bloccò immediatamente. «Ci hai messo ancora più in pericolo e per questo ne pagheremo le conseguenze.» si calmò alquanto il suo tono, ma restò comunque irritato e freddo. «La cosa che mi fa infuriare è che sai che ho ragione, eppure non hai esitato a metterti contro di me, ad attaccarmi. Allora mi chiedo cosa davvero abbiamo vissuto e ... se vale la pena rischiare tutto per noi due.»
La sua voce così delusa e triste, i suoi occhi così spenti, fecero più male di qualsiasi maledizione. Mi guardò per qualche secondo scuotendo la testa e sospirando forte; io restai in silenzio, completamente mortificata di fronte le sue parole. Avevo moltissimi pensieri in testa in quel momento, che non mi accorsi subito dell'uscita di Draco dalla stanza che, arrabbiato, sbatté la porta facendomi tremare. Solo in quel momento mi ripresi accorgendomi che lui non c'era più; era andato via lasciandomi da sola con un grande senso di colpa.
Calde e scomode lacrime scesero lungo il volto, accompagnato da qualche singhiozzo leggero. Sapevo si sarebbe arrabbiato, ma non che avrebbe messo in discussione ciò che eravamo diventati l'uno per l'altra.
Una parte di me sapeva benissimo che avesse ragione, che non avrei mai dovuto agire di impulso ma con intelligenza; avevo anche sbagliato a puntargli contro la bacchetta, ad attaccarlo verbalmente non appena aveva messo piede nella mia stanza. L'altra parte, tuttavia, era convinta di aver agito bene, di aver finalmente fatto qualcosa di concentro per capire cosa stava accadendo; avevo un piccolo spunto su cui ragionare e poter, magari, arrivare a chi ci fosse dietro quel costante spiarci.
Non mi sarei mai aspettata di sentirmi così colpita dalle sue parole: provavo uno strano peso al petto e un forte senso nausea. Mi faceva male la testa, avevo delle leggere vertigini, tanto da essere costretta a sorreggermi contro una colonna di legno del letto; le lacrime scendevano ancora più copiose e il cuore mi si spezzò lentamente mentre le sue parole rimbombavano nella testa in maniera incessante.
Mi sentivo più sola e abbandonata che mai; avevo sfiorato con le dita la serenità, ma non avevo fatto in tempo a stringerla tra le mani che mi era scivolata via senza che potessi fare nulla. Meritavo un po' di pace dopo quasi due anni di affanni, ma la vita mi stava mettendo nuovamente alla prova e quella volta ero più stanca di quanto lo fossi stata in passato.
Volevo addormentarmi senza aver il timore di essere uccisa nel sonno, volevo continuare a vivere insieme a Draco senza doverci preoccupare di nulla, volevo smettere di avere costantemente paura e per me, tutto ciò, sarebbe accaduto solo se avessi raggiunto i miei amici. Desideravo solo quello: poter ricominciare a sperare di poter avere una vita migliore. Stare lì, in quella casa fredda e oscura, non mi aiutava. L'unico momento di luce era quando Draco e io eravamo insieme, ma anche quello sembrava essere compromesso ormai.
Tutto era cominciato a causa nostra, perché qualcuno sapeva di noi due. Era logico da parte di Draco avere dei dubbi riguardo ciò che stava nascendo, ma tuttavia mi chiedevo se davvero fosse stato così facile per lui dimenticare quello che avevamo vissuto in quei mesi: il lento avvicinamento, l'affinità, l'attrazione sempre più visibile e poi il bellissimo bacio a Natale.
La parte di me più pessimista, si domandò se quella scenata non fosse solo un pretesto per non avere più nulla a che fare con me poiché si era già divertito attirandomi nella sua rete - senza contare il dubbio opprimente riguardo di chi si fosse realmente invaghito, di Hermione o di Elizabeth. Il lato più ottimista, invece, credeva strenuamente che Draco avesse visto al di là dell'aspetto fisico e che le sue parole fossero solo dettate dalla delusione e dalla stanchezza visibili sul suo bel volto.
A tutto questa confusione sentimentale, si aggiunse la pungente e pressante preoccupazione riguardo alla persona di cui Alf aveva parlato. Non poteva essere Narcissa, lo sapevo bene. C'era qualcosa che mi sfuggiva e ciò mi faceva irritare maggiormente. Non capivo troppe cose; tutto stava cominciando a sfuggirmi di mano e non avere il controllo sulla mia vita mi spaventava.
Sarebbero accadute cose terribili da quel momento in poi, ne avevo la certezza, e avere Draco al mio fianco sarebbe stata l'unica consolazione in quel mare di oscurità. Dovevo mettere da parte l'orgoglio e parlargli, ma allo stesso tempo ero così nervosa e arrabbiata che non avrei mai potuto affrontare un discorso con lui senza attaccarlo di nuovo.
Decisi così di aspettare che la tensione tra noi scemasse almeno un po'. Andai in bagno e feci un lunghissimo bagno caldo ripensando a ciò che era successo in pochi attimi e a come tutto sembrava essersi capovolto. Più passava il tempo e più sentivo la necessità di chiarire la mia posizione con lui.
Chiusi gli occhi e mi abbandonai al caldo abbraccio dell'acqua e del profumo intenso dei sali da bagno. Respirai profondamente e cercai in ogni modo di non pensare, di non analizzare la realtà com'ero solita fare. Avrei voluto trascorrere quei minuti in completo silenzio e tranquillità, ma nonostante le buone intenzioni proprio non riuscivo a spegnere i pensieri.
Mi tornarono in mente molti momenti vissuti in quella casa cercando di trovare una spiegazione logica a quanto ci stava accadendo: il mio arrivo al Manor non era stata vista come una buona cosa, ma poi la situazione si era evoluta, prima con Narcissa e poi con Draco; le punizioni subite sono state terribili e gli sfoghi di Lucius Malfoy mi avevano segnato più di quanto più piacesse ammettere, più fisicamente che mentalmente; il matrimonio combinato con la minore della casata Greengrass e l'amore di quest'ultima per Draco, mista al desiderio profondo di diventare una Malfoy a qualsiasi costo - anche del suo cuore; l'affinità con Draco, trasformatosi in chimica e culminato poi in quel bellissimo bacio a Natale metteva in seria difficoltà quella parte razionale di me che, a tutti i costi, voleva tornare a combattere al fianco dei suoi amici, dalla parte giusta.
Mi sentivo persa, in qualche modo, ed era una sensazione davvero strana. Avevo trascorso due anni da sola, alla continua ricerca di una soluzione, eppure in quel momento, ferma nella vasca, avevo l'impressione di essere completamente smarrita: tutto vorticava intorno e una forte sensazione di disagio si posò sul petto.
Chiusi gli occhi e respirai profondamente, scossi il capo e mi imposi di mettere un freno ai molti dubbi che mi affollavano la testa. Non era giusto, per nessuno dei due, provare quella rabbia e quella delusione che ci aveva colpito quando l'altro non era d'accordo.
Non eravamo i ragazzini di un tempo, eppure ci stavamo comportando come tali: arrabbiati e rancorosi, aspettando che uno facesse la prima mossa. Razionalmente, sapevo di non poter perdere un alleato; sentimentalmente, ero consapevole che Draco fosse di più che un semplice complice. Avevo bisogno di essere lucida per poter analizzare ciò che stava accadendo intorno a noi, ma non potevo esserlo se il mio pensiero era esclusivamente rivolto al ragazzo. Sapevo che lui non sarebbe mai venuto da me; non si sarebbe mai piegato ai suoi desideri - sarebbe apparso debole. Allora decisi di farlo io.
Uscii dalla vasca e mi asciugai velocemente, mi rivestii e poi avanzai verso la porta della stanza, sempre più convinta di andarlo a cercare e chiarire. Tuttavia mi fermai. Non sapevo se fosse davvero una buona idea; se mi avesse cacciata non sarei più tornata a parlargli, ma al contrario mi sarei ostinata affinché fosse Draco a scusarsi per primo. In quel momento mi resi conto che forse, poi, tanto bene non lo conoscevo.
D'altronde, ero consapevole che quell'orgoglio che tanto mi aveva mosso in passato non poteva continuare a condizionare fortemente le mie scelte. Avevo bisogno non solo del ragazzo che era in contatto con i membri dell'Ordine, ma anche di quel giovane uomo che mi aveva fatto battere il cuore dopo tanto tempo e che aveva riacceso la fiamma della speranza - andata man mano a spegnersi con il passare degli anni.
Mente e cuore facevano a gara per avere il predominio sulle mie scelte e io mi ritrovai a guardare una porta chiusa indecisa se andare o meno. Se fossi stata quella di un tempo mi sarei data della stupida, però niente, allora, era così scontato; le azioni facevano la differenza.
«Non essere sciocca, Hermione!» mi rimproverai a voce alta, scuotendo il capo. «Dov'è finito il tuo tanto decantato coraggio?» sospirai profondamente, cercando di riprendere il controllo di me stessa.
Con ritrovata decisione, aprii la porta e andai alla ricerca di Draco; avevo il cuore che batteva veloce e tremavo appena - l'ennesimo confronto era vicino e il timore di litigare era ancora presente; non mi piaceva quella sensazione di insicurezza.
Cominciai a riflettere su dove potesse essere: i primi luoghi che mi vennero in mente furono il suo studio e il laboratorio dove si rinchiudeva per lavorare, tuttavia se avesse avuto i miei stessi pensieri e sentimenti non sarebbe stato lì - non si sarebbe concentrato; considerai dunque potesse essere in una delle biblioteche, poiché quello era il posto in cui pareva davvero rilassarsi rinchiudendosi in un mondo suo - come il giardino per sua madre. Così mi avviai velocemente - ma non troppo per non dare nell'occhio qualora mi stessero ancora osservando- verso la Nuova Biblioteca, il luogo in cui mi aveva portata dopo il tentativo di fuga. Aprii la porta e chiamai il suo nome piano, quasi con innaturale paura di trovarlo davvero lì, però non c'era; si sentiva solamente il rumore debole delle fiamme del camino che si accesero non appena superai la soglia della stanza.
Andai via sospirando forte e convinta che fosse nell'altra biblioteca, quella dell'ala ovest; libreria che io non avevo mai visto. Se così non fosse stato, avrei dovuto ritrattare il mio stesso pensiero e ammettere che, forse, per Draco era più facile spegnere la voce della coscienza mettendosi al lavoro.
Quando aprii la porta un piacevole tepore mi avvolse e l'odore di legna mi arrivò lieve alle narici; il profumo di vecchie pagine stimolò quella parte di me assetata di conoscenza; c'era solo il crepitio del fuoco nel camino, non si sentiva altro. Mi guardai intorno incuriosita e affascinata: il posto era più piccolo di quello dell'ala est, ma rimandava una familiarità e un calore tale da provare la strana sensazione di sentirmi a casa. Vi erano alti scaffali di legno chiaro pieni di volumi intrisi di magia e mistero, potevo sentirlo, e i piccoli corridoi che separavano le varie sezioni mi riportarono alla mente la biblioteca di Hogwarts.
Spostavo lo sguardo da una parte all'altra, sorpresa ed entusiasta, facendo dei piccoli passi all'interno della stanza. Chiusi la porta dietro di me e mi concentrai solo su ciò che avevo di fronte: mi accolse un piccolo corridoio le cui pareti non erano altro che librerie colme. Con le dita della mano sinistra, sfiorai piano il dorso delle copertine saggiando la porosità di quei libri; respirai a pieni polmoni il profumo di pagine antiche mischiate a quello del legno sempre più presente passo dopo passo. Alla fine di quel piccolo andito, vi era una interruzione che, in qualche modo, faceva da ingresso ad un ristretto salottino: il camino era esattamente di fronte a quell'apertura, davanti alla costruzione in marmo un bianco tappeto faceva da padrone; due poltrone di un bel verde smeraldo era rivolte verso la fonte di calore e, inaspettatamente, su una di quelle vi era la persona che stavo cercando.
Riuscivo a vedere solo il profilo di Draco, meno pallido perché illuminato dalle fiamme vive; il cuore mi batteva forte e mi preoccupava la sola idea di vederlo andare via da me. Sospirò piano e chiuse gli occhi per un breve attimo, scosse la testa e si risistemò sulla poltrona; gli occhi erano fissi sul fuoco alto nel caminetto e pareva esser perso in chissà quali pensieri.
Dunque non mi ero sbagliata, anche lui aveva bisogno di calmarsi e di un luogo di pace per poter mettere in ordine i pensieri. Pensai che forse non era tutto perduto e che un riavvicinamento non fosse così impensabile alla fine.
Come incantata, avanzai piano e silenziosamente verso di lui e, senza pensarci troppo, lo abbracciai dolcemente restando alle sue spalle; non avevo ancora il coraggio di guardarlo negli occhi. Abbassai il capo verso il suo collo e ispirai il buon profumo di pino che ebbe un immediato effetto tranquillizzante: il cuore smise di battere veloce e il tremolio svanì.
Senza dire nulla, Draco sospirò e intrecciò piano le nostre dita, sfiorandomi il dorso delle mani con i pollici. Non mi aveva allontanato, ma stava rispondendo alla mia tenerezza. Ne fui davvero sollevata; c'era una possibilità per noi e l'avrei colta al volo, ne avevamo bisogno.
«Mi dispiace» gli sussurrai con il capo ancora nascosto contro la sua spalla destra. «Non avrei dovuto prendermela con te» accarezzai con il naso la pelle scoperta del collo inebriandomi, ancora, della sua buonissima fragranza.
Un lunghissimo silenzio scese tra noi; si sentiva il crepitio del fuoco e il respiro pesante di Draco. Stava zitto e con gli occhi fissi davanti a sé, eppure continuava ad accarezzarmi - e io lo lasciavo fare. Quell'intimità mi piaceva, e anche se non diceva nulla sapevo che non era più arrabbiato; la sua espressione diceva ben altro e a me stava bene.
Fece un grosso respiro e, con gesti gentili, mi fece capire di sedermi sulle sue gambe, tenendomi stretta una mano mentre mi mettevo di fronte a lui. Mi accomodai e, subito, lo abbracciai di nuovo poggiando la testa contro il suo collo - per nascondermi ancora dai suoi occhi, per aver messo da parte il mio orgoglio e per essergli, allo stesso tempo, più vicina possibile.
Draco, d'altra parte, mi abbracciò forte e mi tenne stretta a sé, accarezzandomi piano i capelli. Mi baciò impercettibilmente la fronte e rimase con le labbra calde lì, fermo, con gli occhi persi nuovamente nel vuoto - potevo scommetterci.
Quei suoi gesti, così naturali e affettuosi, mi rincuorarono. C'erano ancora i dubbi e le incertezze su ciò che sarebbe stato, ma la rabbia era sparita e avevo la sicurezza che, nonostante tutto, Draco ci sarebbe stato.
«Non penso davvero quello che ho detto» mormorò in un sospiro - come se si fosse appena tolto un peso. «Ne valiamo la pena, Granger.»
Sorrisi alle sue parole e, finalmente, lo guardai negli occhi senza paura. Erano bellissimi, più di quanto fossero mai stati prima. Quelle iridi che in precedenza rimandavano solo distacco e delusione - un po' mi avevano intimorito-, in quel momento erano di una dolcezza infinita e trasmettevano calore e sicurezza. Draco era una contraddizione, un ragazzo complicato e con molte responsabilità, senza contare i sensi di colpa che lo accompagnavano. Bisognava capirlo ed io ci stavo provando, e il fatto di essere lì fermi a guardarci, a cercare di capire come stesse l'altro era un piccolo passo avanti per entrambi. Lui era lì e ci sarebbe stato, come io sarei stato al suo fianco finché lo avrebbe voluto.
Gli accarezzai piano una guancia sorridendogli appena, senza mai distogliere lo sguardo dal suo; mi piaceva perdermi in quel mare freddo che erano i suoi occhi. La pelle sotto le dita era calda, seppur in volto manteneva un certo pallore; il suo profumo di pino continuava ad essere presente e lo sentivo bene anche su di me, ed era una sensazione piacevole e strana allo stesso tempo; mi batteva forte il cuore e un certo tepore mi riempì il petto: era bello essere lì con lui, ritagliare un momento solo per noi due, soprattutto dopo quel litigio.
Era tutto sparito, c'eravamo solo noi; c'erano i nostri corpi vicini accaldati dalle fiamme ancora vive nel camino e dai sentimenti tumultuosi; c'erano le nostre mani che sfioravano delicatamente la pelle dell'altro; c'erano gli sguardi intesi e un bagliore particolare in essi. Secondo dopo secondo l'atmosfera diventava sempre più elettrica e calda. Ci avvicinammo a poco a poco e, senza nemmeno accorgercene, le nostre labbra si toccarono delicatamente.
Era alquanto strano ritrovarmi lì vicino a lui dover aver litigato, eppure provavo una sensazione allo stomaco che non avevo mai sentito prima. Sembrava di essere tornata a casa dopo giorni spesi a vagare nell'oscurità e nel gelo. E se un tempo credevo che la sua vicinanza non facesse altro che confondermi, in quel momento avevo solamente certezze: qualunque cosa fosse accaduta, intorno e tra noi, ci saremmo stati l'una per l'altra.
Lo baciavo con la mente sgombra da ogni pensiero, piena soltanto di quel sentimento che, pian piano, stava diventando forte e incontrollabile. Un po' come i nostri baci: da dolci e semplici si trasformarono in appassionati e voraci. Le mie mani stringevano i suoi capelli cercando di tenerlo più vicino; le sue erano avvinghiate ai miei fianchi e stringevano forte, spingendomi verso di lui. Eravamo come due disperati che si aggrappavano all'altro in cerca di qualcosa - forse di conforto o magari di calore umano, sta di fatto che stare insieme a Draco in quel momento sembrava essere l'unica cosa giusta.
Con un lento e delicato gesto, mi avvolse tra le sue braccia per poi prendermi in braccio una volta in piedi - senza mai smettere di baciarmi. Si chinò piano per terra, poggiandomi sul soffice tappeto proprio di fronte al camino ardente; capii subito cosa sarebbe successo di lì a poco e non ne fui spaventata, ma al contrario avevo il suo stesso desiderio di diventare completamente sua.
Mi ritrovai supina, con Draco sopra di me che continuava a baciarmi; con un braccio si teneva in equilibrio per non pesarmi, mentre l'altra mi accarezzava lentamente una gamba -coperta da spesse calze per non soffrire il freddo.
Ricordo ogni cosa di quel momento, è ancora ben nitido nella testa: i nostri baci, i respiri mozzati, il desiderio che cresceva insieme ai nostri sentimenti, i sorrisi appena accennati. Tuttavia, ricordo anche un momento in cui Draco sembrò titubare: allontanò di poco il viso dal mio e iniziò a guardarmi in silenzio. Più lo fissavo e più mi rendevo conto ci fosse qualcosa che lo turbasse a tal punto da frenare quei baci appassionati e interrompere l'atmosfera intima creatasi.
Mi fissava incerto, scuotendo piano il capo; era come indeciso se andare oltre o meno, ma avevo la netta sensazione che il motivo non fosse legato alle sensazioni di lui, piuttosto riguardava me. Però io stavo bene, volevo essere baciata e accarezzata come poco prima, ma Draco non smetteva di scrutarmi attentamente senza proferire parola. E così, quasi come un lampo, la soluzione mi si presentò chiara. Gli sorrisi cercando di rassicurarlo; le mie mani gli accarezzavano piano il volto sperando di trasmettergli la mia tranquillità.
«Sono io, Draco» sussurrai avvicinandomi alle sue labbra. «Non importa quale sia il mio aspetto. Sono io.»
«Granger-» cercò di rispondere, ma non glielo permisi.
Misi fine alla piccola distanza che ci separava bloccando qualsiasi tipo di protesta, facendo scivolare le mani lungo le sue spalle fine a stringerlo forte per poterlo sentire contro di me.
«Continua, Draco.» mormorai sulle sue labbra, prima di riprendere a baciarlo come se ne dipendesse la mia vita.
E lo fece, continuò a baciarmi con passione ardente, mi accarezzò con desiderio e mi spogliò lentamente godendo di ogni gesto, di ogni mio sguardo e di ogni sospiro. Era bello essere tra le sue braccia, era bello provare tutte quelle sensazione che quasi avevo dimenticato. Mi sentii donna, amata e viva in modo diverso da come era successo in quei due anni passati. Tutto era nuovo e travolgente; il calore delle sue mani e dei suoi baci mi faceva girare la testa. Draco Malfoy era conturbante perfino in intimità.
Mi concessi completamente a lui, senza maschere, senza incertezze o ripensamenti. Io ero sua come lui era mio. E quella notte, che mi parve fin troppo breve, fu l'apice di qualcosa che nessuno dei due era pronto ad ammettere. Sapevo in cuor mio quanto fosse importante quel giovane uomo che mi stava baciando, ma ero troppo spaventata da poter ammettere ad alta voce quanto, effettivamente, mi fosse entrato nel cuore.
Sfatti e appagati dal momento di passione, ci stringemmo l'uno all'altro ancora distesi sul tappeto e senza la minima voglia di ritornare alla realtà. Mi misi comoda contro il corpo accaldato del ragazzo e poggiai la testa sulla sua spalla. Immediatamente, Draco mi avvolse con un braccio la vita così da non capire dove cominciasse il suo corpo e finisse il mio; eravamo una cosa sola e quella sensazione mi piaceva non poco.
Ci avvolse la quiete più profonda; un silenzio non imbarazzato, era tranquillo. Sembrava fossimo abituati l'uno all'altro; pareva che quegli abbracci bollenti e quell'atmosfera che profumava di pino e sale fossero la normalità nella nostra vita.
Mai avrei pensato potessi vivere un tale momento paradisiaco con Draco Malfoy. Avevo sempre creduto che Ron sarebbe stato l'unico e il solo, ma il destino - aiutato forse da un paio di occhi azzurri- aveva smosso la mia esistenza senza che io ne avessi il pieno controllo. Ammetto, tuttavia, che quel tipo di impotenza non mi dispiaceva, perché stare vicino a Draco, essere diventata così importante, era una bella sensazione.
Tenni per me quelle idee, non era il caso di mostrargli la mia fragilità - ne aveva avuto un assaggio fin troppe volte. Così chiusi gli occhi e restai in silenzio, godendo del calore del camino e del ragazzo stretto a me. Il suono delle fiamme vive, dei nostri respiri e l'odore che aleggiava intorno a noi mi fece rilassare a tal punto da avere i primi sentori del sonno; era stata una giornata a dir poco dura.
Non so quanto tempo trascorremmo in silenzio - stavo così bene da aver perso ogni percezione; sentivo solo il calore della pelle di Draco. Tuttavia, quella bolla di quiete e intimità scoppiò nell'attimo esatto in cui lui pronunciò le parole: «Dovremmo andare.»
Fu solo un sussurro, accompagnato da una debole carezza lungo la schiena. E nonostante esortasse, in qualche modo, a ritornare alla realtà, Draco restava immobile tenendomi ancora stretta a sé con lo sguardo puntato sul camino.
«Lo so» sospirai tristemente, consapevole che quel bellissimo momento sarebbe dovuto finire prima di essere scoperti. «Non voglio uscire da questa stanza e tornare di là» confessai in un mormorio - mi costò anche parecchio ammetterlo.
«Dobbiamo» disse in un sbuffo voltandosi verso di me. «Rischiamo tanto restando qui» parlò dolcemente, accarezzandomi la fronte con la mano che non mi stringeva.
Annuii guardandolo negli occhi, sapendo che avesse ragione. Allungai appena il collo per avvicinarmi al suo viso e lo baciai delicatamente, desiderando allungare quel bel momento insieme ancora per pochi minuti.
Quando mi allontanai e lo fissai nei occhi, l'espressione afflitta quanto la mia, capii che ormai la magia creatasi era sparita del tutto.

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Capitolo 35
*** 34 - Captured! ***


«Captured!»

Mi sentivo strana da qualche giorno. Guardavo fuori dalla finestra e quell'angoscia profonda non accennava a sparire, ma al contrario aumentava. Le nuvole sembravano essere più grigie e dense, il cielo era nero e di cattivo auspicio.
In un primo momento, pensai fosse solo la paura di essere seguita ancora o, peggio, di essere scoperta - anche se non avevo più la percezione di sguardi furtivi intorno (se non i soliti quadri inopportuni). Dopo ciò che era successo tra Draco e me in biblioteca era cambiato tutto, e per quanto fossi contenta di ritrovarmi spesso insieme a lui, avevo molta paura di essere smascherata - mi ero esposta così tanto che chiunque mi guardasse avevo la sensazione sapesse.
Scossi il capo e sospirai profondamente, continuando a guardare fuori dalla finestra del Salotto Est. Incrociai le braccia al petto sperando di provare un po' di calore in quella mattina gelida e buia - il camino acceso nella stanza non mi aiutava, ma forse era solo l'agitazione.
«Sei poco loquace quest'oggi, Elizabeth» richiamò la mia attenzione la signora del Manor.
Mi voltai nella sua direzione con occhi spalancati dalla sorpresa - avevo dimenticato di essere in sua compagnia. La padrona di casa non era migliorata molto, dal punto di vista emotivo e psicologico: era entrata in uno stato di agitazione, ma non lo dimostrava apertamente. Personalmente, mi accorgevo del suo disagio quando chiudeva gli occhi e sospirava forte, poi si allontanava da sola nel suo angolo di paradiso - nel roseto nella parte ovest del Cortile della Fontana. Molte volte avrei voluto accompagnarla e godere di quel silenzio che tanto la rilassava, magari discutendo di argomenti futili solo per allietare il tempo. Tuttavia, preferii non invadere qualcosa che per quella donna era tanto sacro - invadere il suo privato non sarebbe stato opportuno.
La guardai senza dire una parola per qualche secondo, contemplando il suo volto pallido illuminato e appena arrossato sulle guance per il trucco che, quotidianamente, applicava per non mostrare la sofferenza; gli occhi erano privi di quella luce di curiosità e speranza, ma solo un osservatore attento avrebbe potuto comprendere, per tutti gli altri era il solito sguardo distaccato della padrona di casa. In quella villa niente era come appariva.
«Perdonatemi, signora» risposi sorridendo debolmente; sospirai subito dopo cercando di scacciare quella strana sensazione opprimente lo stomaco. «Ho solo una strana sensazione.»
«Nel corso del tempo ho imparato a non sottovalutare l'istinto. Fallo anche tu» mi disse seria, senza mai distogliere lo sguardo dal mio e restando comodamente seduta sul piccolo divano bianco con ricami dello stesso colore.
«E cosa dovrei fare esattamente?» chiesi curiosa, facendo qualche passo nella sua direzione.
«Agire come meglio credi.»
«E come posso fare se non so cosa succederà?» domandai in un sospiro, scuotendo piano il capo. «Potrebbe essere semplicemente un mio stato d'animo, non trovate?»
«No, non trovo.» ribatté prontamente, con il mento alto e un sorriso furbo.
Non ebbi il tempo di rispondere, né quello di riflettere sulle sue parole, poiché delle urla gioiose rimbombarono lungo i corridoi dell'ingresso. C'erano diversi uomini che ridevano e festeggiavano, il tutto accompagnato da battiti di mani e mormorii da parte dei quadri; casa Malfoy non era mai stata così tanto rumorosa - se non durante il ballo a Natale. Tuttavia, sapevo che quel giubilo non avrebbe portato a nulla di buono.
Narcissa ed io restammo a fissare la porta per qualche momento, perplesse di fronte a tante risa, ma quando Lucius Malfoy, accompagnato da altri Mangiamorte, varcò la soglia con un sorriso contento sul viso quella sensazione tanto discussa ebbe un senso.
«Finalmente, Cissy!» esordì il padrone del Manor ridacchiando felice e avvicinandosi a sua moglie; sempre composto e elegante, seppur il volto scavato e le occhiaie mostravano una grande stanchezza. «Ci siamo riusciti, moglie mia.»
«A fare cosa, esattamente?» domandò curiosa voltandosi, nel frattempo, verso il marito accomodatosi accanto a lei con un grande sorriso.
«Siamo riusciti a prendere un gruppo della resistenza, e c'era anche quel traditore di Paciock.»
Il tono soddisfatto del padrone di casa mi portò uno sconforto tale da sentire le ginocchia diventare deboli. Un gruppo era stato preso e Neville ne faceva parte; il mio amico era nelle loro mani e io non potevo fare nulla per rimediare a ciò che era successo. Sarebbe stato portato sicuramente dal Signore Oscuro, non avrebbero perso tempo portandolo prima in casa; lo avrebbe torturato per avere informazioni e, forse, lo stesso Voldemort si sarebbe divertito a farlo.
Lucius Malfoy raccontava alla sua consorte come fosse avvenuta la cattura, lodando le loro strategie e il modo impeccabile di usare determinati incantesimi, ma io non riuscivo a sentire nulla se non un ronzio in sottofondo. Parlava ancora, sempre più emozionato, ma non capivo nulla. Sapevo che Neville si sarebbe fatto uccidere piuttosto che rivelare dove fosse Harry e il solo pensiero mi spaventava e rattristava allo stesso tempo. Non comprendevo come fosse potuto accadere.
Mi ritrovai a fissare il vuoto, con un continuo ronzio fastidioso come sottofondo e i pensieri si azzerarono; non riuscivo a capacitarmi. Sperai solamente che Harry, Ron e Ginny fossero al sicuro in quel momento.
«Elizabeth» mi richiamò lady Malfoy, riportandomi alla realtà. «Lasciamo che tutti loro festeggino» disse avvicinandosi con grazia. «Congediamoci pure.»
Annuii e, silenziosa, seguii la donna fuori dal salottino. Sentivo la testa dolore - come avessi un cerchio stretto intorno che premeva sempre di più- e, allo stesso tempo, diverse domande la riempivano. Dovevo parlarne con l'unica persona a conoscenza dell'intera situazione e capire come fosse stato possibile che alcuni membri dell'altra fazione fossero stati catturati - d'altronde era proprio lui a coordinare le azioni di Harry e l'Ordine in base a come avrebbero agito i Mangiamorte.
Un senso di ansia persistente mi riempì il petto e il capo cominciò a vorticare. Fui costretta a fermarmi e a respirare profondamente. Chiusi gli occhi per qualche secondo ripetendomi che sarebbe andato tutto bene, che Draco avrebbe avuto le risposte che tanto bramavo, che sarebbe finito tutto presto e mi sarei ricongiunta ai miei amici.
«Hai un aspetto pessimo» sussurrò appena Narcissa - nemmeno mi ero accorta si fosse fermata a pochi passi da me.
Non risposi, mi limitai solo ad alzare lo sguardo fieramente e ingoiare il grosso groppo alla gola formatosi a causa della preoccupazione.
«E' nel Salotto dei fumatori e non sarà solo, ora.»
Per un secondo la guardai perplessa, ma il suo volto serio e preoccupato mi fece capire cosa davvero intendesse. Narcissa era molto più perspicace di quanto dimostrava; era una madre amorevole più di quanto le piacesse ammettere, e sapevo bene quanto le pesasse il ruolo che suo figlio aveva in quella società e fuori da essa.
La ringraziai con un sorriso, incapace di parlare e, a passi svelti, camminai verso la stanza indicatami. Arrivai subito, poiché solo qualche metro mi divideva dal ragazzo. Respirai profondamente imponendomi calma e compostezza; nessuno doveva avere il minimo sospetto di quello che stava accadendo tra noi.
Bussai alla porta e, quando mi diede il permesso per entrare, varcai la soglia a testa alta accennando un sorriso. Draco era in piedi davanti alla finestra, esattamente di fronte a me e mi guardava serio, indifferente, e niente sul suo volto mi suggeriva che sapesse - ma era ovviamente impossibile.
Come detto da Narcissa, non era solo in quella stanza. C'erano dei volti a me noti e la paura irrazionale di essere riconosciuta si impadronì di me, seppur fossi sotto effetto della Pozione Polisucco.
«Questa è la nata babbana al servizio di tua madre, Draco?» chiese ghignando quello che riconobbi come Theodore Nott - un compagno di scuola smistato a Serpeverde al primo anno.
Mi guardava incuriosito mentre beveva un sorso di liquore; mi sentii come carne al macello, una sensazione orribile.
«Sì» rispose lapidario l'interessato, senza nemmeno guardarlo. «Cosa c'è, Elizabeth?» si rivolse direttamente a me, mettendo fine a qualsiasi conversazione pericolosa i suoi compari potessero iniziare.
«Vostra madre vuole che la raggiungiate nello studio» inventai velocemente, restando impassibile di fronte allo sguardo interessato di Nott e quello cattivo di Goyle.
«Certo, arrivo subito» annuì serioso.
«Non puoi abbandonarci nel bel mezzo dei festeggiamenti, Draco!» si lamentò Goyle portandosi un pasticcino alla bocca.
«Lascialo stare, Gregory» intervenne annoiato Zabini, seduto sul divano di pelle nera alla mia sinistra. «Narcissa non è famosa per la sua pazienza.»
«Va pure tranquillo, noi intanto apriremo quella bottiglia di vino elfico a cui tieni particolarmente per sopperire alla tua assenza» sorrise furba la più grande delle Greengrass, guardandomi divertita.
«Fate come volete» sentenziò Draco serio, senza mai distogliere gli occhi dai miei.
Mi seguì fuori dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Restammo in silenzio finché arrivammo davanti lo studio del giovane padrone di casa. Quella quiete sapevo benissimo preannunciasse tempesta - almeno da parte mia- perché lui sapeva e festeggiava con i suoi amici piuttosto che venire da me a parlarne. Ci sarebbe stato modo, comunque, di dirgli tutto quello che pensavo.
Entrammo nello studio, io come una furia, per prima, posizionandomi subito al centro; Draco, invece, mostrava tutta la sua calma e indifferenza mentre chiudeva la porta e si voltava, poi, verso di me. Poteva sembrare anche non toccato dagli eventi, ma il suo sguardo diceva il contrario e io in qualche modo ne volli approfittare, subdolamente.
«Spero di non essere stata inappropriata ad interrompere i tuoi festeggiamenti» sorrisi ironica, incrociando le braccia.
«Granger» mi riprese autoritario, lanciandomi sguardi ammonitori.
«Cosa, Draco?» iniziai a perdere la pazienza. «Ti rendi conto di cosa tuo padre e i suoi ... compari hanno fatto?» gesticolai nervosa, alzando appena il tono di voce. «Com'è potuto accadere? Perché?» chiesi agitata; camminavo su e giù per la stanza con il cuore che batteva forte per la rabbia. «Sei tu quello che li aiuta! Cosa diamine è successo?»
Malfoy sospirò prima di rispondermi, forse per non lasciarsi sopraffare dall'ira, ma quei secondi furono davvero lunghi a mio avviso - in quello stato emotivo così turbolento.
«Potter organizza delle squadre di ricognizione ogni giorno, così per capire cosa succede al di fuori del loro nascondiglio» cominciò a spiegarmi con tranquillità, facendo qualche passo nella mia direzione e senza mai distogliere i suoi occhi freddi dai miei. «E' una strategia pericolosa ma necessaria, Granger.»
«E questo cosa centra?» chiesi ansiosa di scoprire di più.
«E' stata durante l'avanscoperta di questa notte che i Mangiamorte hanno agito. Con il favore del buio è stato più facile attaccarli» riprese senza mutare il tono di voce atono; tuttavia lo sguardo bruciava sulla pelle. «Il gruppo di Paciock si è allontanato troppo dai confini che delimitano il nascondiglio e così sono stati presi.» 
«Tu lo sapevi?» domandai con il cuore in gola; faceva male.
«Non sempre rivelo ciò che so all'Ordine, Granger. Se lo facessi rischierei di essere ucciso e Potter perderebbe un alleato prezioso. Lui ne è consapevole.»
«Quindi lo sapevi» sussurrai sorpresa, addolorata che proprio il ragazzo per cui iniziavo a provare qualcosa avesse tradito i miei amici. «Lo sapevi e non hai fatto niente!» la rabbia cominciò a farsi strada, sopprimendo l'infinita tristezza della notizia appena appresa.
«Non posso fare nulla» ribatté più stizzito, accentuando il "posso".
«Quindi te ne stai qui al sicuro, a bere con i tuoi amici mentre Neville verrà torturato?» mi avvicinai a lui con lunghi passi, alzando ancora il tono di voce; ero completamente nel panico e la rabbia si stava mischiando alla paura. «Sai bene che lo uccideranno! Uccideranno tutti, Draco!» gli occhi erano rossi per le lacrime trattenute, la gola mi bruciava per le urla e le mani tremavano per il nervoso; avevo il cuore che batteva così velocemente da riuscirlo a sentire in gola.
«Hermione, calmati» la maschera di sicurezza si spezzò appena vedendomi così agitata; si avvicinò a me di poco, preoccupato potessi collassare da un momento all'altro.
«Calmarmi? Come posso calmarmi?» urlai ancora di più, ritraendomi appena. «E' tutta colpa tua!» iniziai a piangere disperata, tremando più di prima. «Dovevi fare di più!» gli urlai contro, ormai fuori controllo. «Sei un codardo!» lo spinsi piano, lontano da me. «Sei sempre stato un vigliacco!» lo spintonai di nuovo, ma un po' più forte. «Non hai fatto niente, Draco!»
Più lui cercava di avvicinarsi per rincuorarmi, per calmare il mio animo a dir poco agitato, più io lo respingevo tremante; avevo la mente troppo accecata dalla rabbia e dal dolore per rendermi conto di quanto Draco cercasse di aiutarmi, di quanto paziente si stesse dimostrando di fronte alla mia improvvisa pazzia. Tuttavia, avevo la testa piena di pensieri negativi: mi chiedevo cosa sarebbe accaduto a tutti noi se avessero catturato Harry invece che Neville; mi domandavo se quel giovane ragazzo che aveva dimostrato un tale coraggio pari a quello del Prescelto stesso fosse già stato torturato oppure fosse a marcire in una cella aspettando con nervosismo la sua ora; mi chiedevo quanto mancasse prima che trovassero tutti loro; mi domandavo in quanto tempo avrebbero capito ci fosse una spia dall'interno e immaginavo le conseguenze più nefaste per il giovane che avevo imparato a conoscere e che mi stava entrando nel cuore; mi chiedevo quando sarebbe arrivato il momento in cui avrebbero scoperto anche me, unendomi così al destino del mio povero amante.
Draco mi parlava, ma io non sentivo nulla se non il dolore intenso che mi stringeva il cuore. Lo spintonavo, sentivo il calore emanato dal corpo del ragazzo, ma nulla servì a farmi risvegliare; stavo continuando ad urlargli contro parole bruttissime dettate solamente dal momento di sconforto.
D'improvviso, però, tra un insulto e un altro, Draco mi afferrò le mani e con un gesto veloce mi attirò a sé richiudendomi in uno stretto abbraccio. Ci volle qualche secondo per capire cosa stesse accadendo e, in un primo momento, mi dimenai tra le sue braccia intimandogli di lasciarmi: piangevo ancora più forte, lo pregavo di lasciarmi andare, continuavo a insultarlo, tremavo. Draco era impassibile, mi stringeva a lui senza dire nulla, senza nemmeno rispondermi a tono. Si stava dimostrando comprensivo e affettuoso, per niente turbato da quanto accaduto in quello studio. Il senso di colpa cominciò ad emergere e, piano piano, smisi di fare resistenza abbandonandomi a quella stretta calda e familiare; la consapevolezza di quanto avevo detto e fatto cominciò ad affiorare quando Draco mi lasciò un piccolo bacio sulla tempia destra. In quel momento mi sciolsi completamente. Tutto il dolore si trasformò in un pianto disperato, e l'unica salvezza per non cadere ancora più in basso fu proprio quello stesso ragazzo che avevo insultato.
Avvolsi le braccia intorno alla sua vita, artigliando con le dita la camicia in un tentativo estremo di averlo ancora più vicino, e nascosi il volto contro la sua spalla - imbarazzata per ciò che gli avevo fatto. Piangevo senza ritegno, singhiozzavo nel tentativo di respirare correttamente; la testa mi doleva e avevo un forte dolore al petto che non riuscivo a mandare via. Non mi ero mai sentita in quel modo, come se non avessi più nulla in cui credere, per cui combattere; provavo solo un forte senso di fallimento.
Draco mi accarezzava i capelli, restando in silenzio, in un vano tentativo di calmare il pianto e il tremolio; mi tenne vicina a sé per un tempo lunghissimo lasciandomi ispirare il suo buonissimo profumo che sapevo mi sarebbe rimasto addosso per ore.
«Mi dispiace» gli dissi in un sussurro, tra un singhiozzo e l'altro. «Scusami, scusami!» mi strinsi ancora un po' a lui.
«Va tutto bene» sussurrò in un sospiro, senza mai fermare la dolce carezza lungo i capelli. «Anch’io devo chiederti scusa per non poter rimediare.»
«No, no! Tu non centri, lo so!» scossi il capo con forza. «Scusami tu, ti prego!» dissi ancora, nella più completa vergogna. «Non penso quello che ho detto. Davvero, perdonami!»
«Lo so, sta tranquilla» parlò ancora piano, lasciandomi un lungo bacio sulla guancia. «Va tutto bene.»
Strinsi di più la presa contro la sua camicia, le lacrime continuavano a scendere copiose e il tremolio non accennava a scomparire. Ero sopraffatta da tante cose, in quel momento, ma Draco mi era vicino e non pensava minimamente di andarsene. Se ne stava fermo, in silenzio, a rimettere insieme i pezzi di una Hermione caduta preda della follia. Quella non ero io; feci fatica a riconoscermi quando, a mente fredda, ripensai a ogni cosa. Tuttavia, la paura di perdere i miei amici, di perdere Draco e di essere uccisa senza aver potuto nemmeno combattere mi aveva spaventato così tanto da aver dato vita ad una assurda scenata. Mi sentivo in colpa nei suoi confronti che si era dimostrato gentile, ma ero stanca di essere trasportata dagli eventi non avendo il controllo della mia vita. In quel momento, però, non potevo fare niente- soprattutto quando avevano appena catturato un folto gruppo dei nostri.
«Non lasciarmi da sola» gli dissi un po' più calma, senza avere l'intenzione di cercare i suoi occhi; ancora mi vergognavo. «Resta con me sta notte, e anche quelle a venire.»
Draco restò in silenzio per quello che mi parve un lunghissimo attimo. Lì per lì non seppi cosa pensare, forse mi ero spinta troppo oltre - avevo oltrepassato un limite che lui, invece, non era disposto a superare. Tuttavia, sospirando piano, baciandomi appena, sussurrò un dolcissimo: «Sempre.»

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Capitolo 36
*** 35 - Bitter tears ***


«Bitter tears»

Quella notte non fu semplice, devo ammetterlo, ma avere Draco accanto mi aiutò parecchio. Tra carezze e baci, nudi sotto le coperte, parlammo tanto; ci raccontammo come forse non avevamo mai davvero fatto. 
Scaricai tutte le preoccupazioni piangendo in silenzio, stretta al suo petto, immersa in un silenzio pacifico e confortevole. Pensai molto, confessai molto, eppure Draco non accennò ad allontanarsi da me. Seppur in disaccordo su alcuni argomenti sussurrati, continuò ad accarezzarmi la schiena e a sorridere ai nostri piccoli battibecchi.
«Quando tutto questo finirà ho intenzione di andare via» esordì d'improvviso, con molta calma, dopo un lungo momento di silenzio.
«E dove vorresti andare?» domandai curiosa, sorridendo alla sola idea che tutto si sarebbe risolto. 
«Dove ti piacerebbe che fuggissimo, Granger?» mi sussurrò malizioso, mordendomi appena l'orecchio; rabbrividii.
«Oh, quindi sono compresa anche io in questo progetto. Interessante» risi divertita, stringendomi ancora un po' a lui.
«Non vorrai mica lasciarmi da solo in balia delle tentazioni» asserì deciso, ma con un velo di ironia e lussuria non troppo malcelati.
«Così ti priverei del divertimento» risposi piccata, alzando il capo nella sua direzione per guardarlo negli occhi.
«O potresti essere tu il divertimento» mormorò a pochi centimetri dalla mia bocca, ma senza l'intenzione di porvi un bacio; mi provocava, si divertiva. 
La mia risata riecheggiò in tutta la stanza, seguita immediatamente dalla sua. Sembravamo due ragazzi completamente diversi da quelli che, invece, ore prima eravamo stati: niente brutti pensieri, né tanto meno litigi o dubbi. C'eravamo solo noi e le nostre strane idee - i nostri progetti di speranza.
Ci fu nuovamente silenzio, una quiete così rilassata da dimenticare ogni cosa; ci crogiolavamo in quella atmosfera così pacifica, rinchiusi nella nostra bolla intima, da scordare chi davvero fossimo. Era una sensazione piacevole.
«Quando ero piccola» interruppi quella calma con un sussurro, riportando alla mente un dolce quanto amaro ricordo «insieme ai miei genitori trascorrevamo le estati in Provenza da mia nonna» confessai evitando i suoi occhi - una parte di me aveva paura di essere giudicata «Ricordo che nel piccolo giardino davanti casa, lei coltivava tantissimi fiori tra cui la lavanda. Quando apriva le finestre quel buonissimo profumo invadeva l'intera cottage e allora sì che, per me, iniziava l'estate».
«E' un bel ricordo» affermò, continuando con le carezze; mi lasciò anche un piccolo bacio sulla testa.
«Lo è» annuii appena con le lacrime agli occhi «Spero di poter vivere ancora momenti come quelli, insieme a loro».
Draco non rispose, si limitò semplicemente a stringermi forte e respirare profondamente. In quella notte di confessioni gli avevo raccontato tutto quello che avevo fatto ai miei genitori per salvarli, a ciò a cui avevo rinunciato, e lui non disse nulla. Mi guardò e mi accarezzò lentamente, senza mai allontanarsi o biasimarmi in qualche modo. 
Non sapevo come e quando fosse diventato sensibile, ma apprezzai i suoi gesti d'affetto e il suo silenzio; mi bastava che mi fissasse dritto negli occhi per capire quanto mi fosse vicino. Era strano, ma allo stesso tempo bellissimo.
«Dovremmo farlo, allora» intervenne convinto, strappandomi ai pensieri «Andare in Provenza, intendo. Quando tutto sarà finito».
Alzai il capo verso di lui per scrutare i suoi occhi: erano così blu e sinceri, che non ci pensai troppo prima di avvolgergli le braccia al collo e baciarlo - con un sorriso sulle labbra. Era una bella sensazione avere qualcuno su cui contare in un momento tanto difficile, qualcuno, tra l'altro, che aveva catturato anche il mio cuore. 
Fu una notte stupenda, Draco fu così meraviglioso e comprensivo che mettermi a nudo non era stato difficile. Nonostante ciò, anch'io fui custode delle sue confidenze e dei suoi timori, e giurai a me stessa che mai lo avrei tradito. 


La mattina seguente fu davvero difficile svegliarsi, ma sapevo di avere dei doveri da cui non potevo esimermi. Non sapevo che ore fossero, ma il sole era alto e quei deboli raggi che entravano in stanza mi fecero intendere che sicuramente era passata l'ora abituale del mio risveglio. Pensai fosse strano che la signora del Manor non avesse ancora richiesto la mia presenza nelle sue stanze, ma non vi badai molto nel momento in cui, allungandomi alla mia destra, ritrovai il letto freddo e vuoto. Draco era andato via, senza dire una parola, e dato che il suo calore si era già disperso, doveva essersi alzato molto tempo prima. 
Per un attimo mi chiesi se ciò che fosse successo quella notte, l'intimità creatasi e le confidenze, fossero state - in qualche modo - troppo da elaborare; forse c'era stato un passo avanti nella nostra neo relazione, ma complicato da accettare poiché tutto era successo abbastanza velocemente.
Non sapevo cosa pensare. Mi misi a sedere al centro del letto, nascondendo la pelle nuda dietro le coperte, con lo sguardo puntato sul cuscino vuoto accanto al mio. 
Ammetto che anch'io mi sentivo vulnerabile al solo ripensare alle paure confessate, però non capivo perché scappare in quel modo - se di fuga davvero si fosse trattata. Impauriva anche me sapere di aver messo i miei sentimenti nelle sue mani, però avevo fiducia in ciò che stavamo costruendo. 
Scossi il capo, reputando giusto dargli il beneficio del dubbio; dovevo smettere di pensare sempre in maniera negativa. Dunque, con i bei ricordi di quella notte, sorrisi e mi alzai spostando le coperte. Il freddo pungente di gennaio mi fece rabbrividire, così, prima di andare in bagno, mi infialai la felpa - ormai pulita - con cui arrivai nella villa (mi faceva sentire un po' me stessa), ovviamente dopo aver indossato l'intimo.
Mi avvicinai piano al letto per rifarlo, ma la porta d'ingresso si aprì lentamente mostrando un Draco serio e un po' sopraffatto. Sospirò profondamente mentre chiuse la porta dietro di sé; mi guardò attento, senza mai distogliere lo sguardo dal mio volto. Aveva gli occhi segnati da occhiaie, la fronte aggrottata e il pallore evidente - segno che non avesse dormito moltissimo. Tuttavia, ebbi l'impressione che ci fosse altro oltre la stanchezza a turbarlo.
Bloccai ogni mia intenzione di risistemare la stanza e mi concentrai su di lui. Più lo fissavo, più mi rendevo conto che qualcosa lo preoccupava nel profondo. Se ne stava in silenzio, non accennava a parlarmi. Mi scrutava, attento, e quasi ebbi l'impressione che volesse salutarmi. Sensazione, e possibilità, che mi fecero rabbrividire.
«Cos'è successo?» sussurrai perplessa, incrociando le braccia al petto «Sei andato via senza dire niente».
«Avevo un incontro» mormorò in un lungo sospiro, distogliendo gli occhi da me «Con il tuo amico» tornò a fissarmi.
«Per quello che è successo ieri?» chiesi scossa, scuotendo appena il capo.
«Già» annuì piano «Hanno perso molte persone e la cattura di quei maghi ... ha reso tutti molto più agitati».
«Quindi cosa hanno deciso di fare?»
«Hanno un piano per recuperare i loro compagni, e entrando a Hogwarts ...»
«Vorrebbero mettere fine a tutto, una volta e per sempre» conclusi al suo posto, sottraendolo a quelle che sembravano parole difficili da pronunciare.
«Esatto» sospirò avvicinandosi appena - ma non abbastanza da sentire il suo profumo «Poiché tutto sta procedendo velocemente, ti rivogliono a casa».
A quelle parole rimasi di pietra. Non avrei mai pensato che potesse accadere davvero; mi ero rassegnata all'idea di non rivederli più - non prima della fine, comunque. Fu una notizia stupenda, tanto forte da scaldarmi il cuore. Avrei rivisto i miei amici, la mia famiglia e sarei stata di nuovo bene e a mio agio. 
Non avrei più dovuto nascondere il mio vero aspetto, né tanto meno celare il mio vero essere; sarei ritornata la Hermione Granger di un tempo, quella forte e indipendente, quella che non si sarebbe spezzata facilmente - eppure sapevo che avevo molto di più da perdere. 
«Dici davvero?» chiesi molto contenta.
«Sì» ribatté malinconico, solo l'ombra di un sorriso.
«Quando verranno a prenderci?» domandai euforica, ormai vicinissima a lui.
«Verranno questo pomeriggio» ribatté sicuro, senza mai distogliere quello sguardo triste che ancora non riuscivo a spiegarmi «Tu e mia madre verrete scortati in una delle nostre carrozze, facendo credere a tutti di andare in Scozia-».
«Aspetta» bloccai la sua spiegazione, chiudendo gli occhi per assimilare ciò che aveva appena detto; avevo una bruttissima sensazione «Tu dove ti collochi in tutto questo?»
Ero agitata dall'eventuale risposta. Dalla sua espressione così triste e rassegnata avevo ben compreso - finalmente - cosa avesse intenzione di fare, ma desideravo fosse lui a dirmelo; volevo che Draco ammettesse che mi stesse lasciando.
«Io devo restare» disse solenne, alzando appena il volto con fare superiore.
«No, tu non devi» cominciai a innervosirmi, scuotendo appena il capo.
«Sì, invece e lo sai bene» ribatté ancora, guardandomi severo - nulla mi avrebbe messo a tacere, però.
«Quello che so è che non puoi restare qui da solo. Potrebbero facilmente scoprirti!» la voce iniziò a vacillare e il cuore a battere veloce.
«Non sono ingenuo. E non sono da solo».
«E credi che il tuo amico Zabini e la maggiore delle Greengrass possano salvarti facilmente dall'orda di Mangiamorte che sono in questa casa?»
Restò immobile di fronte alla scoperta verità. Dal momento in cui ammise di essere dalla nostra parte e, in modo implicito, confessò di non essere l'unico a combattere contro quelli che una volta erano gli alleati, mi impegnai - seppur discretamente - a capire chi gli fosse accanto in un momento così difficile e delicato. Ci furono due avvenimenti che mi diedero la conferma che Daphne Greengrass e Blaise Zabini fossero connessi a Harry e gli altri, ma decisi tuttavia di tenere il segreto per proteggere loro e me stessa. Tuttavia, in quel momento, presa dall'agitazione, non importava più. L'unico scopo che mi ero prefissata era quello di convincerlo a venire con me, a qualunque costo.
«Come?» sospirò rassegnato, seppur con una certa irritazione in fondo alla voce. 
«A Natale, seppur Zabini sia stato discreto, mi ha fatto capire in maniera implicita che conoscesse la verità e poi, ieri, quando eri con tutti i tuoi amici mi ha guardata in modo strano e ho avuto la conferma. Per la Greengrass, invece, ci ho messo un po' ad accettarlo - più che a capirlo: mi aveva insultata apertamente senza problemi, ma poi è rimasta in silenzio quando ci ha visti così vicini alla festa. Almeno, i suoi genitori hanno continuato a guardarmi con disprezzo, ma lei non ha fatto letteralmente niente per proteggere gli interessi della sorella».
«Sono impressionato» sussurrò, senza mai distogliere lo sguardo dal mio e continuando a sorridere malinconico.
«Sì, be', ma non è questo il punto!» parlai con enfasi, ingoiando la voglia che avevo di piangere «Non-non puoi restare qui. Se dovessero capire cosa hai fatto ti torturerebbero e ... io non voglio questo».
«Non importa ciò che desideriamo, Granger. Ci hanno già fatti seguire una volta e non sappiamo se continuano a farlo. Già restando qui, insieme, in questa camera, rischiamo grosso. Quindi è più logico che io resti, per fugare ogni tipo di sospetto» insisteva, alterandosi appena - sapevo benissimo non avesse voglia di discutere, ma io non potevo accettare di perderlo quando ci eravamo appena trovati.
«No!» esclamai categorica; gli occhi bruciavano per le lacrime represse e il cuore continuava a battere veloce «Non ti permetterò di restare!» la voce iniziò a tremare e qualche calda stilla scese lungo il volto, ma prontamente la asciugai. 
«E come vorresti impedirmelo, esattamente?» chiese irritato, con tono distaccato «Vuoi puntarmi di nuovo la bacchetta contro?».
«Sì, se sarà necessario» ribattei secca, fissandolo con una serietà che, forse, nessuno dei due si aspettava; piangevo, eppure ero determinata a far valere le mie idee. «Non posso andare via mentre tu resti qui a rischiare la vita, lo capisci?»
«Se vi seguissi metterei in pericolo mia madre e te» ribatté categorico, con un cipiglio sempre più severo in volto.
«So badare benissimo a me stessa!» mi intestardii, guardandolo severa.
«Non cominciare, Granger!»
«Ma come puoi pensare che resti indifferente?!» alzai la voce, sicura, continuando a lasciar scorrere le lacrime lungo le guance; un po' per rabbia, un po' per tristezza «Ti prego, ragiona! Io non voglio rischiare di perderti!»
Draco mi guardò colpito, sospirò profondamente chiudendo gli occhi prima di tornare a fissarmi addolcito e rispondermi: «Non sono mai stato così tanto lucido, Hermione» sussurrò avvicinandosi «E' proprio perché anch'io non voglio perderti che devo lasciarti andare, senza che tu corra dei rischi».
«No» sospirai trattenendo un sonoro singhiozzo «Non voglio lasciarti ...» 
Sorrise appena, senza mai distogliere lo sguardo del mio. Era malinconico, esattamente come appena entrato nella stanza, minuti prima, ma aveva quella dolcezza negli occhi che mi colpì dritta al cuore ed ebbi l'assoluta certezza di non poter andar via senza di lui; c'era qualcosa che si stava smuovendo dentro di me, ma avevo ancora troppa paura per poter ammettere a me stessa cosa fosse quel sentimento tanto forte da farmi piangere. 
In pochi hanno visto le mie lacrime e mai avrei pensato di lasciarmi così andare di fronte a Draco, eppure mi risultò inevitabile mostrarmi vulnerabile: mi stavo innamorando di lui, ma ammetterlo a voce alta, o solo con me stessa, mi avrebbe solo destabilizzato di più.
«Anch'io non vorrei,» sussurrò accarezzandomi piano «ma è la cosa giusta da fare e questo lo sai anche tu. Sei solo troppo scossa per accettarlo» continuò a parlarmi piano, teneramente, asciugandomi le lacrime con tocchi gentili «Smetti di piangere adesso» sorrise appena, con una tristezza pari a quella mostrata solo nei confronti di sua madre «Prendi la Pozione Polisucco e preparati. Presto verranno a prenderti».
«Non posso farti cambiare idea, vero?» chiesi in un mormorio, chiudendo gli occhi e ormai arresa alla sua determinazione.
«No, non puoi» sussurrò in un ghigno.
Mi lasciò un dolce e lungo bacio sulla fronte, come a volersi congedare senza soffrire ulteriormente, ma dopo tutto ciò che avevamo condiviso quella notte a me non bastava. E nemmeno a lui: quando mise fine a quel bacio innocente, sospirò forte e, dopo qualche secondo, si decise a baciarmi sul serio. Fu un contatto di labbra molto dolce e lento; ci prendemmo il nostro tempo, anche se sapevamo fosse pericoloso - qualcuno avrebbe potuto pensar male vedendo Draco entrare in camera mia e non uscire dopo lunghissimi minuti. Non importava. Niente, in quel momento, aveva rilevanza se non noi due, i nostri corpi stretti in un abbraccio e le bocche che si rincorrevano piano e con desiderio. 
Una parte di me desiderava restare insieme a Draco, infischiandosene di ciò che egli stesso aveva imposto; avrei affrontato qualsiasi avversità e conseguenza pur di stare con lui. Nonostante ciò, volevo rivedere i miei amici, sapere come stessero e combattere a loro fianco affinché tutto il buio di cui eravamo circondati potesse finire. 
Trattenni le lacrime a stento: quel bacio aveva quasi il sapore di un addio. Tuttavia, mi imposi di restare calma e di scacciare qualsiasi pensiero negativo la mente elaborasse. Mi ripetevo che ci saremmo rivisti e che avremmo potuto viverci senza avere più paura; ci saremmo rifugiati in Provenza, insieme, in un piccolo cottage immerso nella natura, lontano dal trambusto della città e magari ci saremmo rimasti per sempre.
Forte di questi nuovi e positivi pensieri, l'ansia che mi animava si alleviò appena. Non avevo mai pensato al futuro in quel modo da quando la guerra aveva cambiato la mia vita, però quel piccolo progetto, quella promessa che ci eravamo fatti la notte prima, mi faceva sentire fiduciosa a tal punto da poter sognare.
Draco mise fine a quel lungo bacio - non senza un certo fastidio; avremmo voluto restare nel nostro piccolo mondo ancora un altro po', ma entrambi sapevamo che non era possibile, non in quella realtà.
Ci guardammo per qualche secondo, io arresa e triste nell'avere la consapevolezza che dopo qualche ora non lo avrei più visto; lui, invece, cercava di sorridere ed essere coraggioso, provava ad essere quel Draco che aveva sfidato tutti pur di salvarsi, ma il sorriso appena accennato era malinconico, gli occhi avevano perso quel luccichio di speranza che aveva fino alla notte prima e il volto era pallido. Aveva paura, però preferiva non mostrarla; il ragazzo che un tempo sarebbe scappato e avrebbe chiesto al padre di risolvere i suoi problemi non c'era più. Tuttavia, in quel preciso istante, avrei voluto fosse più egoista e codardo così sarebbe venuto con me e Narcissa sottraendosi a qualsiasi tipo di pericolo. 
«Prendi la pozione e preparati a partire» ripetè in un sussurro stanco, a pochi centimetri dalle mie labbra «Diremo che accompagnerai mia madre in Scozia, nella nostra tenuta, perché lei ha bisogno di te. Nessuno dirà nulla, d'accordo?»
«No, non sono d'accordo, ma ... qualsiasi cosa dicessi non servirebbe a niente» mormorai, poggiando piano la mia fronte sulla sua - volevo sentirlo ancora una volta sulla pelle «Sei un ... dannato testardo!» la voce vacillò appena, ma non potei impedire ad altre lacrime di scendere.
«Senti chi parla» ridacchiò piano, iniziando ad accarezzarmi delicatamente le guance per scacciare, ancora, le scie lasciate dal mio pianto leggero.
Sospirò forte e chiuse gli occhi. Lo rifece di nuovo. Capii che ci fosse qualcosa che lo turbasse nel profondo, qualcosa che volesse dirmi ma di cui aveva paura di ascoltare la risposta. 
Tremavo, ancora vicino a lui, aspettando paziente il momento in cui avrebbe parlato - pendevo dalle sue labbra e non mi importava. Qualsiasi cosa avrebbe fatto o detto sapevo mi avrebbe colpita e che mai lo avrei dimenticato.
«Aspettami, Hermione» un dolce mormorio tremante che mi colpì nel profondo.
«Ti aspetterò. Sempre»
Detto ciò si allontanò velocemente, senza nemmeno guardarsi indietro: attraversò la stanza e chiuse la porta. Né un cenno, né un'occhiata, né un'ulteriore parola di conforto: Draco Malfoy si era volatilizzato; mi aveva lasciata al centro della camera, con il cuore vuoto e gli occhi colmi di lacrime che cercavo di trattenere. Ero consapevole del motivo per cui mi avesse voltato le spalle in quel modo: desiderava mettere fine ad un addio che invece sarebbe stato infinito e doloroso. Tuttavia, nonostante le sue buone intenzioni, il solo pensare alla lontananza faceva male.
In quel momento sorrisi, lasciando che le lacrime scorressero lungo il viso; mi sfogai silenziosa chiedendomi quando fossi diventata così profondamente sentimentale e così legata a lui.
Non mi sarebbe servito a niente guardare la porta chiusa, Draco non sarebbe ritornato indietro, dunque l'unica cosa da fare era prepararmi e attenermi al piano, sperando che quel pomeriggio non ci sarebbero stato brutte sorprese.

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Capitolo 37
*** 36 - And everything changed ... ***


«And everything changed ...»

Avevo preso la Polisucco, avevo indossato uno dei soliti vestiti d'altri tempi che la signora mi aveva procurato, avevo nascosto la bacchetta tra le pieghe del pesante mantello poggiato sulle spalle - date le basse temperature- e, alla fine, decisi di provare a sorridere e a comportarmi come se nulla fosse; come se non stessi andando via e lasciando, così, in quell'ambiente oscuro, il ragazzo di cui mi stavo innamorando.
Draco non si fece rivedere dopo la nostra discussione, tanto meno io lo cercai. Non avrei potuto fargli cambiare idea, nemmeno se gli avessi puntato di nuovo la bacchetta contro lo avrebbe fatto. I suoi occhi così determinati e la voce così seria non li avevo mai visti prima d'ora; il solo pensiero della sua testardaggine mi faceva innervosire. D'altro canto, anche se non lo avrei mai ammesso ad alta voce - soprattutto a Draco- ero consapevole che forse, al suo posto, avrei fatto esattamente la stessa cosa: avevo cancellato i ricordi di me nei miei genitori e mi sarei fatta uccidere se avessi vissuto la sua stessa situazione per proteggere chi mi stava a cuore.
 
Sospirai e scossi appena la testa, scacciando quei pensieri così pesanti da sentire male al petto. Camminavo di fianco a Lady Malfoy, ormai eravamo arrivate nell'ingresso principale, ma ero così distratta dai miei stessi pensieri da non aver fatto caso a nulla, nemmeno a Draco davanti a noi che procedeva con passo tranquillo tenendo in una mano la rigida valigia della madre. E, per di più, c'era una quiete molto tesa, ma i padroni di casa riuscivano a dissimulare come se nulla fosse. Io, invece, non ero così brava, seppur avessi imparato qualcosa.
Non mi guardò in faccia nemmeno per un secondo, il giovane Malfoy, e lo stesso fece con Narcissa, ma andava bene così, per tutti. Sarebbe stato difficile salutarsi quando nessuno sapeva se ci saremmo rivisti davvero; per quanto gli promisi di aspettarlo, eravamo consapevoli che quello potesse essere in realtà un addio.
 
Ormai fuori le mura del Manor, il cuore iniziò a battermi forte, preoccupata che potesse accadere l'irreparabile. Una carrozza di legno scuro, senza troppi fronzoli incisi, ma solo delle finte colonne torte come decoro negli angoli, apparve dinanzi a noi in tutta la sua eleganza. Ero arrivata in quel calesse mesi prima e me ne sarei andata a bordo dello stesso, ma solo con più consapevolezze ed il cuore occupato dallo stesso ragazzo che mi aveva comprata (per proteggermi).
Accanto alla carrozza, vi era il cocchiere che, serio, ci stava aspettando; un uomo diverso da quello che avevo intravisto la prima volta: era panciuto, quello che stavo guardando, e i suoi occhi erano vivaci e di un bel marrone scuro. Di fianco all'uomo, un ragazzino, mio coetaneo, con corti capelli biondi e grandi occhi chiari; era così minuto, rispetto a chi gli stava vicino, da sembrare molto più piccolo della sua età effettiva. Non avevo mai visto nessuno dei due, tuttavia non ero mai uscita dal maniero e i Mangiamorte intorno e la signora stessa sembravano essere a proprio agio. Pensai di essere un po' paranoica, ma forse a causarmi agitazione era la situazione in sé e quei mantelli neri sempre in giro per il giardino della tenuta, attenti a qualsiasi passo dei Malfoy.
 
«Bene» esordì Narcissa, fermandosi esattamente di fronte la carrozza, rivolta verso il suo caro figlio; io me ne stavo in disparte «Allora noi andiamo» accennò un sorriso, con gli occhi attenti puntati sul viso di Draco.
 
«Fate buon viaggio, madre» disse solenne, prendendole la mano per lasciarle un piccolo e fugace bacio sul dorso «Mi mancherete» sussurrò sorridendo malinconico - come ogni volta che sua madre lasciava il maniero.
 
«Anche tu mi mancherai» mormorò con occhi un po' lucidi, lasciandosi andare all'amore di madre.
 
Lo accarezzò delicatamente, con un sorriso dolce sulle labbra e con ancora una mano stretta a quella del figlio.
Si guardarono per qualche secondo, intensamente, prima che la donna salisse sull'elegante calesse senza voltarsi indietro.
 
Io, semplicemente, feci un passo avanti nella sua direzione, lo guardai appena facendogli un cenno reverenziale con il capo e gli diedi le spalle, pronta a seguire la signora. Fissarlo negli occhi per dirgli addio sarebbe stato troppo difficile; avrei custodito, invece, la nostra promessa nel cuore aspettando il momento in cui tutta quell'oscurità sarebbe finita per stare nuovamente insieme. Tuttavia, Draco non era della mia stessa opinione.
 
«Elizabeth» sussurrò il mio nome con sicurezza, nell'esatto momento in cui poggiai un piede sul rialzo della carrozza.
 
«Signore?» mi voltai ossequiosa, ritrovandomi costretta a guardare quegli occhi tanto azzurri che mi avevano conquistata.
 
«Prenditi cura di lei» mormorò serio, ma il suo sguardo si addolcì un po' «E sta attenta»
 
«Anche tu» sussurrai con un nodo alla gola, la voce tremante e il cuore che batteva all'impazzata; lo stavo davvero lasciando indietro.
 
Restai a fissarlo per qualche secondo di troppo, sarei dovuta voltarmi e andare via cosicché il piano si compisse, ma quei pochissimi attimi avrebbero portato ad una svolta nei progetti di Draco e dell'Ordine. Con il senno di poi, a mente lucida, mi diedi la colpa per moltissime cose e quello che stava per accadere era l'apice di tutti quegli avvenimenti successi tra le mura del Manor a cui non avevo dato peso.
 
Nell'attimo in cui distolsi lo sguardo dal ragazzo, una voce piena e tranquilla fermò ogni nostro intento: Draco ed io ci voltammo verso la porta d'ingresso vedendo Lucius Malfoy avanzare lento; anche la moglie si sporse per guardare il marito.
 
«Narcissa, stavi andando via senza salutarmi» disse l'uomo fermandosi a qualche passo di distanza, abbastanza lontano fisicamente ed emotivamente da noi tre.
 
Avevo una brutta sensazione e a giudicare dal volto serio di Draco e dal pallore appena accennato della signora non ero l'unica. Lucius Malfoy era sempre troppo impegnato per occuparsi di cosa facesse o di come stesse la sua consorte; non era mai andato a salutarla quando partiva davvero per la Scozia nella disperata ricerca di un po' di pace. Dunque, c'era un motivo per cui si trovava di fronte tutti noi.
 
«Lucius» disse l'interessata con non curanza, scendendo dalla carrozza «E' commovente sapere quanto tu sia ancora interessato a tua moglie» continuò con voce sicura, mal celando ironia; si era fermata esattamente tra Draco e me, di fronte ad un uomo ormai distante «Avevo perso le speranze».
 
«Non dire sciocchezze, Cissy» parlò lento, ponendo entrambe le mani sul suo inseparabile bastone «Sai bene quanto io tenga a te. Per questo ti chiedo di rimandare la tua partenza».
 
«E perché dovrebbe, padre?» chiese curioso Draco, un po' irritato per quella pretesa e il suo modo di fare così tranquillo; sembrava che nulla lo toccasse «Non vedete che ha bisogno di andare via di qui?» domandò serrando la mascella, un passo più vicino a quell'uomo; ciò mi preoccupò «Non vedete come l'abbiamo ridotta?» sussurrò arrabbiato, guardando allo stesso modo suo padre.
 
«Draco» lo ammonì sua madre.
 
«Non parlami in questo modo, Draco» disse serrando la mascella, tanto che le sue parole apparvero come un sibilo.
 
Nel mentre io restavo in disparte, con il cuore che batteva forte e la tentazione irrefrenabile di richiamare il giovane e sua madre per andare via da una situazione che, avevo capito, poteva solamente peggiorare. Guardavo Lucius Malfoy con timore, ma provavo anche un pizzico di pietà: cercava in tutti i modi di essere autoritario, quando aveva perso il suo potere - in casa e non- molto tempo prima; voleva mantenere il controllo e avevo paura potesse fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentito. Non avevo mai fatto caso a quanto anche lui sembrasse piegato dagli eventi della guerra: racchiuso in un elegante completo nero, pallido e con occhiaie evidenti, i capelli biondissimi racchiusi in una coda dietro la nuca, emaciato, fissava fiero e irato il suo unico figlio. Tuttavia, nonostante il suo aspetto, sembrava non si pentisse delle scelte fatte.
 
«Altrimenti?» lo provocò l'altro, guardandolo allo stesso modo - forse più velenoso.
 
«Non farmelo fare» suonò come una supplica e una minaccia al tempo stesso.
 
«Cosa, Lucius? Cos'è che vuoi?» domandò stanca Narcissa, facendo un passo avanti, ma sempre un passo indietro a suo figlio.
 
«Rimanda il tuo viaggio e parliamo, moglie mia» mantenne un certo controllo; quella era davvero una preghiera per sua moglie.
 
Quel suo tono, quei suoi occhi mi fecero pensare: stava chiedendo alla consorte di non andare via, nonostante le insistenze del figlio, e, per di più, c'era una strana inflessione nella voce del signor Malfoy, come se sapesse qualcosa di importante. E così, come un lampo, ebbi la certezza che conoscesse il motivo di quella partenza alquanto improvvisa e, forse, anche di me.
Mi guardai intorno con circospezione: alcuni Mangiamorte si stavano avvicinando lentamente, circondandoci nei lati; il cocchiere e il ragazzo afferrarono le bacchette che nascondevano nella maniche della camicia. Sentendomi minacciata, decisi di prendere anch'io la bacchetta ben nascosta nel mantello e mi tenni pronta ad attaccare - o difendermi.
 
«No» sussurrò la donna «Farò questo viaggio che ti piaccia oppure no» era determinata seppur esausta.
 
«Bene, l'avete voluto voi» alzò il mento e usò un tono più solenne; nessuna traccia di compassione o di intimità «Prendetela».
 
Draco si posizionò davanti a sua madre, convinto, come tutti, che fosse lei quella in pericolo, ma non era così: sentii chiaramente il rumore acuto di un incantesimo alla mia sinistra. Anche se improvviso, seppur in maniera meno repentina del solito, riuscii a proteggermi dalla magia gridando un «Protego!».
 
Nonostante ciò, un'altra voce, altrettanto alta, si levò quasi contemporaneamente alla mia. Guardai a destra e vidi la figura alta e slanciata, tutta bardata di nero, di Draco. Eravamo quasi schiena contro schiena, entrambi con le bacchette tra le mani e puntate in avanti, verso quei Mangiamorte che ormai ci avevano circondato.
 
Avevo il cuore che mi batteva forte e la gola divenne secca per l'agitazione. Erano trascorsi mesi dalla mia ultima rappresaglia, eppure sembrava che nulla fosse cambiato. Tuttavia, nonostante fossi sollevata di aver ritrovato il mio spirito combattivo - che pensavo di aver perso- c'erano molte cose che mi confondevano e Lucius era uno di questi.
 
Non ci volle molto per capire che quei due cocchieri, bacchette alla mano puntate contro i nemici, posizionate di fronte Narcissa, fossero in realtà degli alleati - membri dell'Ordine il cui aspetto era mutato come il mio. Per il signor Malfoy, però, mi ci volle più tempo e un po' d'aiuto per capire il motivo delle sue azioni.
 
«Non volevo crederci quando mi è stato riferito che mio figlio, il futuro della casata Malfoy, si intratteneva con una Sanguesporco» parlò con cattiveria, avanzando di qualche passo.
Con un gesto studiato e repentino, sfilò dal suo elegante bastone da passeggio una bacchetta che, immediatamente, puntò contro suo figlio: la sua delusione.
«E, per di più, una Sanguesporco molto preziosa al Signore Oscuro»
 
Il volto pallido e magro, le profonde occhiaie e il suo tono basso e disperato mi fecero rabbrividire. Si avvicinò ancora un po', insieme ai Mangiamorte che, ormai ci avevano chiuso ogni via di fuga. Non avremmo potuto raggiungere nemmeno la carrozza alle nostre spalle: una sola mossa e saremmo stati colpiti senza pietà.
 
«Come avete potuto nascondere Hermione Granger sotto il nostro tetto!» urlò scagliando un incantesimo ai piedi del figlio - voleva spaventarlo, non colpirlo davvero «Quando Astoria mi ha raccontato tutto, non volevo crederci, ma poi ... ha detto che aveva visto coi suoi occhi mio figlio baciare quella- quella feccia!» la punta della bacchetta finì sotto il mento di Draco.
 
Avrei voluto allontanare quell'uomo disperato e distrutto, quindi molto pericoloso, dal ragazzo, ma c'erano diversi Mangiamorte che mi avevano sotto tiro. Nessuno di noi avrebbe potuto fare niente senza un'idea ben chiara in testa.
 
«Astoria? Cosa centra Astoria?» chiese perplesso Draco, con un leggero tremore nella voce.
 
«La padrona del Manor, Draco» risposi pronta.
 
Era tutto molto più chiaro e logico: lei sapeva già da molto tempo, ci aveva tenuto d'occhio per capire i nostri piani e noi, invece, avevamo abbassato la guardi come degli sciocchi, troppo presi da quei nuovi sentimenti. Mi sentii una stupida. Eppure, allo stesso tempo, non avrei mai creduto possibile che proprio Astoria, la giovane donna che amava profondamente Draco, si sarebbe schierata contro di lui.
 
«Sarebbe andato tutto bene se non l'aveste nascosta!» continuò ancora Lucius contro quella che fino a poco tempo prima era la sua famiglia «Avremmo potuto riavere la nostra libertà e il prestigio di un tempo!» era fuori di sé dalla rabbia, dalla delusione; fece scorrere la punta della bacchetta lungo la gola di suo figlio finché non si fermo esattamente al centro di essa; aveva gli occhi gonfi di lacrime, Lucius Malfoy, ma niente se non la morte avrebbe potuto mettere fine alla sua vergogna.
 
«Malfoy!» urlò qualcuno dei Mangiamorte, ormai impazienti di catturarci tutti.
 
C'era fermento nell'aria, si poteva facilmente percepirlo; un'atmosfera così carica di tensione da pesare sulle spalle: Malfoy era distrutto, i seguaci del Signore Oscuro erano trepidanti nel volermi catturare per essere così ricompensati dal loro padrone - come dei cani fedeli-, Narcissa era algida dietro i due falsi cocchieri, ma aveva il cuore in pezzi nel vedere l'uomo che aveva amato contro il ragazzo che amerà sempre. Dovevo approfittare di quella tensione, di quel momento dall'equilibrio così fragile per poter portare la situazione a nostro vantaggio. E poi un'idea.
 
«Smateralizzazione» sussurrai facendo un passo indietro e così mi avvicinai ancora un po' a Draco, nella speranza che potesse sentirmi.
 
A Natale, dopo essermi sentita poco bene a seguito della Polisucco, Draco mi portò in camera smaterializzandosi. Dunque, lui era l'unico che poteva scomparire da quella casa senza causare effetti indesiderati.
 
Forse per il troppo tempo trascorso insieme e la complicità creatasi, o anche perché eravamo in pericolo e i sensi erano tutti in allerta, Draco sembrò capire subito ciò che avevo in mente.
E tutto cambiò in un attimo. Lanciai un incantesimo contro i Mangiamorte di fronte a me e, immediatamente, approfittando del trambusto, afferrai la mano di Draco - seppur continuavo a difendermi contro gli attacchi dei nemici. Allo stesso tempo, anche il ragazzo di fianco a me e i due cocchieri iniziarono a combattere con tutte le forze. Nell'aria si sentiva il rumore degli incantesimi e l'odore di sudore e paura.
 
Con movimenti fluidi, Lucius Malfoy scagliò un attacco contro suo figlio, intento a tener testa a un Mangiamorte dal mio lato, ma quando mi accorsi di ciò era troppo tardi. La maledizione avanzava veloce verso di noi, non avrei mai potuto schivare quell'incanto, né avrei potuto avvisare Draco per tempo. Tuttavia, contro ogni nostra immaginazione qualcuno salvò il ragazzo: in tutta la sua algida bellezza, Narcissa puntò la bacchetta contro suo marito per proteggere il figlio. Era debole, eppure nulla le avrebbe impedito di combattere per salvaguardare il suo bene più prezioso - come una fiera leonessa protegge i suoi cuccioli dagli attacchi nemici. Così vedevo la signora del Manor, tuttavia ero anche preoccupata, consapevole del suo stato fisico.
 
«Dobbiamo andare!» esclamai tra il caos, tenendo ancora la mano in quella di Draco.
 
«Tu, come hai potuto!» ringhiò come un animale ferito Lucius rivolgendosi alla moglie.
 
«Non ti permetterò di toccare mio figlio!» esordì sicura la donna, scagliando subito dopo un ulteriore incantesimo al fine di stordire quell'uomo che, un tempo, era stato il suo caro sposo.
 
La situazione stava degenerando e tutti noi, nonostante avessimo la determinazione di fuggire e la volontà di sopraffare il nemico, eravamo comunque in inferiorità numerica. Dovevamo andare via il prima possibile.
 
«Draco, adesso!» gli urlai, stringendogli la mano - avevo davvero paura di perderlo.
 
«Finnigan!» gridò lui disperato, preoccupato per se stesso e per sua madre, mentre combatteva senza sosta.
 
I due cocchieri, il cui aspetto era ancora celato grazie alla pozione, si avvicinarono piano a noi. Quasi allo stesso tempo, Draco poggiò la mano con la bacchetta sulla spalla di sua madre e gli altri appena richiamati fecero lo stesso. Così, in un secondo, sentii il tanto familiare strappo all'ombelico che ci portò lontano da quel campo di battaglia. Se avessimo aspettato ancora un po' ci avrebbero catturato tutti e, nella peggiore delle ipotesi, torturato fino a supplicare di morire.
 
Eravamo lontani dal Manor, lo sapevo bene, eppure il senso di paura e di non essere ancora totalmente al sicuro era ben presente: avevo il cuore che batteva forte e le mani tremavano.
Sentivo le mani umide e c'era un profumo intenso di erba e terra intorno a me. Ero distesa al suolo, lontano dai miei compagni e provavo una forte sensazione di smarrimento; ogni suono mi arrivava debole e sembrava che tutto intorno girasse.
 
Mi alzi sui gomiti e guardai in alto: il cielo era grigio, grosse nuvole presagivano un temporale imminente, e il vento gelido iniziò a trapelare sotto i vestiti; l'erba bagnata, poi, non aiutava. Diedi un'occhiata a ciò che mi circondava: eravamo su un'alta pianura, o forse era una collina, in quella che sembrava aperta campagna. Dinanzi a noi vi erano diversi casolari abbandonati - o almeno così sembrava. Nell'aria si sentiva anche l'odore del mare, ma non riuscivo a vederlo, dunque doveva essere abbastanza lontano ed era solo grazie alle potenti folate d'aria che potevo sentirlo. Non sapevo dove fossimo atterrati, ma, da ciò che avevo visto, avevo la sensazione di essere in Scozia.
 
Mi misi seduta, ancora un po' frastornata. Presi la bacchetta caduta ai miei piedi e volsi gli occhi alla ricerca degli altri: i due cocchieri avevano svelato la loro identità - Seamus Finnigan e Hannah Abbott- e sembravano confusi tanto quanto me, Draco si stava mettendo in piedi mentre Narcissa era già alzata e guardava fisso di fronte a sé; i lunghi capelli scuri sciolti e scompigliati ondulavano al vento, il portamento elegante e deciso, le spalle rigide e gli occhi puntati su qualcosa di non ben definito. La signora Malfoy era regale e bella anche in un momento difficile come quello.
 
«Madre?» chiese Draco preoccupato, ormai in piedi e a qualche passo dalla donna «State bene?»
 
Quel giorno gli avvenimenti sembravano essere così intensi e veloci da confondere chiunque li vivesse, proprio come in quel momento: Narcissa Malfoy, come una bambola rotta, cadde di peso senza emettere un singolo suono. L'unica cosa che risuonò nell'aria furono le urla spaventate di Draco.

Vi chiedo umilmente scusa per il modo in cui ho scritto le scene d'azione, ma purtroppo non sono il mio forte. Nonostante ciò spero che nel complesso vi sia piaciuto questo capitolo.

Manca sempre meno alla fine ... 🐍

 

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Capitolo 38
*** 37 - Back to home ***


«Back to home»

Aprii lentamente gli occhi ed una fioca luce del sole mi infastidì appena. La testa mi faceva male e un senso di smarrimento mi invase d'improvviso.
Sbattei le palpebre un paio di volte, provando a mettere a fuoco ciò che avevo di fronte: un soffitto bianco, scrostato in alcuni punti; la parte più alta delle pareti era in mattone rosso, non c'era vernice o rivestimenti appariscenti. Dedussi, dunque, che la brandina su cui ero sdraiata fosse posta a lato della stanza. Non capivo.
Chiusi nuovamente gli occhi e provai a muovermi: avevo dei leggeri dolori, probabilmente dovuti ad una prolungata immobilità, ma nulla di più. Non ero ferita.
Mi concentrai dunque su ciò che era avvenuto: Draco aveva provato a far scappare me e sua madre, Lucius ci aveva scoperto ed eravamo scappati dopo un breve duello. E poi, come un fulmine, il ricordo di Narcissa Malfoy che cadeva come una bambola e il seguente urlo di Draco mi riportarono alla memoria quella vallata in cui ci smaterializzammo e i casali a qualche metro di lontananza. Dovevo essere stata portata lì, al sicuro, dopo essere svenuta.
Ero finalmente tornata dai miei amici e Draco era con me. Sospirai di sollievo, nonostante il senso di confusione ancora predominante.
Non potevo credere che tutto ciò che era accaduto era soltanto per la gelosia di una donna. Mi chiesi quando avesse potuto vedermi con il mio vero aspetto, ero sempre molto attenta. Narcissa non mi aveva mai confessato come fece a scoprire chi fossi, e nemmeno mi interessava dato che il suo silenzio proteggeva anche me, ma con Astoria era diverso. Aveva messo in pericolo tutti e Draco non lo avrebbe mai perdonato; nessuno di noi lo avrebbe fatto.
Mi misi seduta al centro del letto, lentamente; la testa mi faceva davvero male. Chiusi gli occhi sperando di trovare un po' di sollievo il quel silenzio innaturale. La camera doveva essere stata insonorizzata con un incantesimo perché nemmeno il più piccolo rumore arrivava all'interno; volevano farmi riposare, lo capivo, ma non c'era più tempo. Ne avevo già perso troppo restando lontano da loro, dal momento che ero lì mi sarei data da fare.
Sospirai e scesi piano dal letto. Abbassi gli occhi e notai di avere ancora i vestiti di quel pomeriggio, di quando scappammo dalla villa. Alzi lo sguardo e guardai il mio riflesso attraverso lo specchio, posto sopra un mobile di fattura antica e di colore scuro. Il viso era il mio, finalmente, ma mi appariva molto più segnato rispetto a qualche giorno fa; ero pallida e un po' stanca. Sbuffai, infilando una mano tra i capelli; il dolore alla testa era ancora presente, mi sentivo ancora confusa, ma non potevo continuare a restare in quella camera. Così, decisi di darmi una rinfrescata. Uscii dalla stanza e mi guardai intorno in cerca di qualcosa che mi indicasse dove fosse il bagno, ma nel lungo corridoio non c'era nulla. Tuttavia, riuscii a sentire i chiacchiericci concitati delle persone all'interno del grande casale; dovevano essere tutti al piano di sotto a discutere. Incuriosita, consapevole che qualcosa si stesse muovendo, andai incontro a quelle voci ritrovandomi così in un grandissimo ambiente dove quasi un centinaio di persone - tra cui molte di mia conoscenza- discutevano sul da farsi. Seduto su un lungo tavolo di legno, c'era Harry che ascoltava con attenzione ciò che un alto uomo dai capelli scuri - mi dava le spalle, non lo riconobbi subito- aveva da dire; accanto al bambino sopravvissuto, in piedi, a braccia conserte, c'era Ginny con espressione corrucciata; Ronald, invece, se ne stava poggiato di schiena al tavolo con lo sguardo davanti a sé, quasi abbattuto. Era così bello rivedere i miei amici, sapere che stavano bene - forse solo un po' ammaccati, ma vivi.
Restai ferma per un po' sui gradini più bassi della scala di ferro, guardando tutti i volti, familiari e non; un senso di calore e orgoglio, mescolato alla stanchezza, mi pizzicò lo stomaco e riempì il petto. Fu una cosa strana, ma gli occhi mi riempirono di lacrime. E mentre ero ancora lì, contentissima di far parte di quella parte che avrebbe messo fine a tutto, il mio sguardo si incrociò con quello di Ginny.
«Hermione!» esclamò emozionata, sorridendo contenta.
Alla sua affermazione, moltissime teste si voltarono nella mia direzione. Il tempo si fermò per qualche secondo - mi sentii ancora più confusa-, ma nonostante ciò superai gli altri gradini in silenzio tenendo gli occhi fissi sui miei amici al centro della stanza. Stavo per parlare, per dir loro quanto fossi contenta di essere finalmente insieme, ma un uragano dai lunghi capelli rossi mi piombò addosso stringendomi in un abbraccio fortissimo.
«E' così bello averti qui» disse commossa, avvinghiandosi ancora un po'.
«Sono contenta di essere tornata da voi» ribattei sorridendo, sull'orlo delle lacrime.
Davanti a me Ron e Harry mi guardarono felici, con occhi pieni di quella luce che avevo visto spegnersi nell'attimo in cui il Prescelto era stato ferito nella Foresta Proibita. Era come se nulla fosse cambiato tra noi, come non fossi mai andata via. Ero finalmente a casa.


Eravamo tornati nella stanza al piano superiore, quella da cui ero uscita qualche momento prima. Eravamo in piedi, non troppo lontani dalla porta e ci guardavamo negli occhi, come a voler accertare che fossimo davvero tutti insieme nella stessa stanza - era tutto reale.
Avevamo deciso di parlare da soli almeno per un momento, noi quattro, così da aggiornarci su quanto accaduto. Tuttavia, io non avevo molto da dire poiché Draco era sempre in contatto con loro e raccontava qualsiasi cosa potesse avvantaggiare l'Ordine - o quello che mi sembrò essere un vero e proprio esercito.
«Come ti senti?» mi chiese Harry dopo qualche minuto di silenzio; mi guardava preoccupato, come se potessi crollare da un momento all'altro.
«Sono un po' frastornata, ma sto bene» risposi con un debole sorriso.
«Hai dormito per un giorno e mezzo, è ovvio che ti senta così» intervenne Ginny, avvicinandosi un po'; mi guardò allo stesso modo del suo fidanzato, ma con un pizzico di dolcezza in più.
«Sei svenuta non appena vi abbiamo recuperato fuori dal casale. La smaterializzazione ti ha sfinita» commentò Ron; la sua voce era molto più profonda di quanto ricordassi.
A pensarci bene, erano tutti molto più maturi e segnati di quanto ricordassi. Mi chiesi se anch'io fossi cambiata tanto quanto loro. Dopotutto, prima di essere stata portata al Manor, ero rimasta da sola per quasi due anni cercando di sopravvivere.
«La Abbott e Seamus ci hanno detto cosa è successo a casa Malfoy» iniziò serio Harry, curioso di capire.
«Sì, è stato a dir poco inaspettato» ribattei sospirando «Lucius Malfoy non è esattamente in sé, ma se non fosse stato per Astoria Greengrass non credo avrebbe scoperto chi fossi»
«I Greengrass non sono neutrali in questa guerra?» domandò Ginny interessata, quasi agitata.
«No, per niente» risposi scuotendo il capo «Daphne è dalla nostra parte e lo stesso per Zabini, stanno aiutando Draco, anche se non so come; Astoria, invece, be' ... la questione è diversa: ha agito da ragazza innamorata»
«Vuoi dire che avete rischiato la vita perché una stupida ragazzina era gelosa?» chiese sorpreso Ronald, incrociando le braccia al petto.
«Esatto» annuii.
«Miseriaccia!»
«Malfoy ci aveva detto che qualcuno lo aiutava, ma non sapevamo chi fosse» rifletté Harry, incrociando le braccia al petto con aria pensosa «C'è altro che hai notato quando eri lì?»
«Sapete più voi di quanto sappia io» confessai a malincuore «Il Manor è costantemente sorvegliato dai Mangiamorte perché lui non si fida più; Lucius è completamente sottomesso al Signore Oscuro e, a volte, questo è stato fonte di litigio con sua moglie. Narcissa ha sempre tentato di proteggere suo figlio, esattamente come ha fatto adesso. Nelle sue condizioni, ha lanciato incantesimi per difenderlo da Lucius» sospirai alla fine, dispiaciuta «E' tutto così confuso» scossi il capo «Se non fosse intervenuta, avremmo avuto una possibilità in meno di scappare»
«Dobbiamo molto alla signora, a quanto pare» mormorò irritato Ron, roteando gli occhi verso l'alto.
«Che vuol dire?» chiesi perplessa.
«Vuol dire che senza Narcissa non sarei nemmeno qui» ribatté pronto Harry, guardandomi serio «Sono stato gravemente ferito nella Foresta Proibita, è vero, ma la madre di Draco si è assicurata che Voldemort pensasse fossi morto. Non ne sarei uscito senza di lei»
«E' per questo, allora, che ti sei fidato di Draco» mormorai in un sospiro; era tutto più chiaro.
«Glielo dovevo» commentò secco, continuando a fissarmi serio.
«Lei come sta adesso?» chiesi preoccupata, ricordando ciò che era successo.
«E' fuori pericolo, ma è ancora incosciente» intervenne Ginny «Si riprenderà lentamente. Malfoy non ha mai lasciato il suo capezzale»
«E ...» avevo quasi paura di domandare «Lui? Sta bene?» sussurrai con lo sguardo basso.
«Non proprio» continuò l'altra «Era preoccupato anche per te. Ci chiedeva continuamente se ti fossi svegliata»
«È stato fastidioso, nonché imbarazzante!» sbuffò Ron, leggermente rosso in viso.
«E perché è stato imbarazzante, Ronald?» chiese sua sorella, divertita dalla vergogna dell'altro.
«Oh, andiamo!» divenne ancora più rosso «Ci guardava con quella faccia da ... fesso!»
«Lui ha la faccia da fesso?» ghignò Ginny.
«Ammetti che è stato strano vederlo in quel modo per la nostra Hermione!» si irritò un pochino per essere appena stato preso di mira dalla sorellina, eppure era ancora a disagio.
«In effetti ...» commentò sottovoce Harry, ridacchiando divertito.
Fu davvero bello ascoltare quel piccolo litigio fraterno, un conflitto privo di ogni senso, così leggero da essere fuori contesto. Eppure, mi riportò indietro di diversi anni, quando i nostri pensieri erano rivolti solo ai problemi scolastici e adolescenziali. Mi si riempì il cuore di un sentimento caldo e molto piacevole; gli occhi si riempirono di lacrime per la commozione. Non importava che stessero litigando su Draco o speculando sulla natura del nostro rapporto, era troppo bello essere insieme a loro.
«Va bene, adesso smettetela!» esclamai in un sorriso, scuotendo appena il capo «Lasciamo perdere Draco per un attimo e raccontatemi cosa è successo durante la mia lunga assenza»
I tre sospirarono, si guardarono negli occhi per qualche secondo prima di raccontarmi le vicende che ci avevano tenuti separati per così tanto. Ginny mi spiegò come, dopo che Harry cadde dalle braccia di Hagrid, lo avessero recuperato velocemente e trasportato in un luogo sicuro mentre studenti e Auror combattevano contro i Mangiamorte; ricordo che in quel momento io ero nella mischia, impegnata nel difendermi dal nemico tanto da allontanarmi dal resto del gruppo. Cercai di scappare tra i corridoi della scuola, attraverso i giardini, arrivai addirittura nei pressi del Platano Picchiatore dove riuscii a schiantare Rockwood e a scivolare verso l'entrata della Stamberga Strillante. Da quel momento in poi, fui in fuga per il successivo anno e mezzo.
Harry mi parlò della lunga degenza che aveva affrontato per riprendersi, a tratti anche dolorosa. Ronald mi raccontò di come i suoi genitori avessero trovato quel posto, in Scozia, non troppo lontano dai territori di Hogwarts.
«Siamo così vicini?» chiesi sorpresa, e anche un po' spaventata.
«Queste costruzioni sono visibili solo a chi sa dove si trovano. Erano nascondigli di vecchi contrabbandieri di oggetti magici, dunque ci sono molte protezioni di base, e poi ... gli Auror ci hanno aiutati a lanciare altre barriere» snocciolò Harry, sedendosi sul letto «Nessuno sospetta della nostra posizione»
«Ma hanno catturato Neville e il suo gruppo, no?»
«Sì, è vero» ribatté Ron «E' successo perché si è avvicinato troppo ai territori della scuola. Che testone!»
«Gli abbiamo detto molte volte di non sconfinare, ma di osservare la situazione da lontano. Non ci ha ascoltato. Gli piace fare l'eroe» commentò Ginny, scuotendo il capo in dissenso.
«Sta di fatto, comunque, che dobbiamo liberare lui e gli altri» disse pratico il ragazzo con la cicatrice.
«Chi altro c'era insieme a lui?»
«Luna, Cho, Susan e Michael» ribatté pronto Harry.
«Quanti altri sono stati catturati prima di questo gruppo?»
«Quasi un centinaio in due anni, ma le nostre fila restano comunque numerose e abbiamo ucciso molti dei loro»
«In quanti dei nostri sono morti?»
«Troppi» rispose Ron, sospirando poi forte «Tuttavia, ci sono molti maghi e streghe che vogliono aiutarci, come ha detto Harry. E i Malfoy sono tra questi»
«E chi ha avuto la brillante idea di non dire niente riguardo al ruolo di Draco in questa guerra?» domandai irritata, ricordando lo stato in cui ritornò dopo l'attacco di Neville e gli altri.
«È stata un'idea di tutti noi» mormorò Ginny sicura «Abbiamo pensato che meno sapessero più al sicuro sarebbe stata la nostra fonte, ma sappiamo che ha rischiato di morire. Ci dispiace, Hermione»
«Se non fossi intervenuta in tempo, avreste perso un elemento importante dell'Ordine» dissi autoritaria, incrociando le braccia al petto; il solo ricordo di Draco riverso a terra, ricoperto di sangue, mi fece rabbrividire «Lucius si è ... davvero arrabbiato per ciò che ha fatto Neville. Sapete se-se gli abbia fatto qualcosa prima di portarlo al castello?»
«Non lo ha cruciato, se è ciò che vuoi sapere» si avvicinò appena Ron, con il mento alto e la voce piena di determinazione «Ha fatto di peggio: lo ha torturato entrandogli nella mente. Ha giocato con i suoi ricordi. Io ero lì, Hermione, e ho visto e sentito il dolore di Neville. Non ho potuto far nulla se non starmene fermo e nascosto»
«Mi dispiace. So quanto possa essere devastante la rabbia di Lucius» sussurrai portandomi una mano al collo; sentivo ancora le sue mani strette intorno alla gola mentre mi minacciava.
«Ti ha fatto del male?» chiese preoccupata Ginny, posando piano una mano sulla mia spalla; sentire il suo calore mi confortò.
«Più di una volta» ammisi con fatica.
«Stai bene adesso?» domandò Ron confuso, scuotendo il capo; forse non si aspettava confessassi una cosa del genere.
«Se non ci fosse stato Draco mi avrebbe uccisa al primo tentativo. Anche Narcissa mi ha protetta; credo si sia affezionata a me come io a lei»
«Per Merlino, ma quanto dobbiamo a quella famiglia!» borbottò Ron, di nuovo rosso in viso, indietreggiando di qualche passo.
Nessuno badò al suo commento; credo fossero d'accordo con lui. Potevo capirli, essere debitori di qualcuno che nel passato aveva solo creato problemi non era semplice. Anch'io all'inizio non volevo accettare che fossero diversi da ciò che credevo, che la guerra li avesse cambiati così in profondità, eppure mi ritrovavo ad amare una persona così distante da ciò che era sempre stata. Nessuno avrebbe potuto capire cosa stesse succedendo, ma andava bene, perché in quel momento qualsiasi aiuto avrebbe solo giovato.
Sospirai forte, chiusi gli occhi e provai a contenere il terribile mal di testa fattosi più pressante; troppe informazioni, troppi eventi e troppa magia a cui non ero ancora abituata.
«Perché non ti riposi ancora un po'?» sorrise Ginny; aveva lo sguardo preoccupato.
«Ginny ha ragione. Ti avranno anche protetta, ma non eri di certi in casa loro per vacanza» sospirò Ron, facendo dei passi verso la porta «Io vado di sotto a controllare la situazione»
Con sicurezza, lanciandomi un ultimo sorriso, aprì la porta scomparendo poi dietro di essa. Era cresciuto moltissimo in quei due anni, fisicamente e caratterialmente. Forse la me di anni prima avrebbe trovato il ragazzo ancora più affascinante del solito, con la sua imponente altezza e la prestanza fisica, ma in quel momento avevo in mente e nel cuore solamente un ragazzo biondo che era riuscito a sorprendermi giorno dopo giorno.
«Draco è con sua madre?» chiesi sospirando stanca; avevo un gran bisogno di vederlo.
«E' in infermeria, non si è mosso da lì» ribatté la mia amica.
«Ti accompagno, se vuoi» intervenne subito Harry, guardandomi serio.
«Allora io vado. Dobbiamo parlare con l'Ordine e decidere il da farsi» si congedò la ragazza.
Mi abbracciò forte prima di andar via, ripetendomi quanto fosse felice di avermi lì, insieme a lei. Profumava di buono, Ginny; l'odore di pulito e di spezie, in qualche modo, mi fecero sentire definitivamente a casa.
Rimanemmo Harry ed io nella stanza. Lui mi guardava con uno sguardo misto di preoccupazione e nostalgia. Tuttavia, non capivo a cosa fosse dovuto quel suo lato pensieroso: avevo il presentimento riguardasse Draco e il mio legame con la sua famiglia. Forse pensava che la mia lealtà fosse cambiata, indirizzata verso qualcuno che non fossero le persone con cui ero cresciuta. Era un dubbio legittimo, se fosse stato quello; avrei avuto delle perplessità anch'io, fossi stata in lui. In una guerra come quella che stavamo combattendo, ognuno avrebbe dovuto rivedere le proprie priorità, me compresa. Non avrei lasciato nessuno indietro, comunque, né i miei amici né il ragazzo che amavo.
«Vieni, andiamo» sospirò appena, sorridendomi, mentre mi dava le spalle per camminare poi verso la porta.
Respirai forte anch'io, scacciando qualsiasi preoccupazione, e seguii Harry nel corridoio per poi pormi di fianco a lui. Stargli così vicina, dopo tanto tempo, mi pervase di una sensazione piena di nostalgia, riportandomi indietro ai tempi in cui camminavamo lungo i corridoi del castello parlottando di lezioni e di cosa avremmo affrontato l'indomani. Come per Ginny, provai una sensazione di familiarità, stando con Harry, così forte da travolgermi; gli occhi mi si riempirono appena di calde lacrime che riuscii però a controllare.
Nonostante ciò, sentivo che il silenzio tra noi nascondeva delle perplessità; avevo la sensazione volesse dirmi qualcosa. Di fatti, ormai arrivati al piano terra, prima di voltare l'angolo che avrebbe portato alla stanza adibita ad infermeria, Harry interruppe quella quiete quasi scomoda.
«Stai davvero bene, Hermione?» domandò bloccandosi d'improvviso.
«Sì, sto davvero bene» risposi tranquilla, quasi sussurrando «Vi ho detto la verità: Draco a Narcissa mi hanno protetto come hanno potuto»
«Allora perché sono preoccupato per te?» domandò con un sorriso malinconico; il suo tono era estremamente stanco.
«Perché non ti fidi di lui nonostante tu sappia quanto significhi per me, sbaglio?» domandai cauta, un po' nervosa dal suo giudizio; Harry era importante per me e ciò che pensava mi interessava, ma di certo non mi avrebbe fatto cambiare idea su Draco.
«Non sbagli» sospirò appena «Ho capito che voi ... sì, insomma ...ehm» era in difficoltà; abbassò lo sguardo verso il pavimento mentre passava la mano destra dietro la nuca «Vi volete bene, ecco» riuscì a dire alla fine, rosso in viso.
«Harry-»
«No, ascolta» sospirò profondamente prima di chiudere gli occhi per un attimo «E' vero, per quanto ci abbia aiutato, non ho molta fiducia in lui, ma in te sì. Quindi volevo dirti che ... che per quanto mi turbi solo l'idea di sapervi insieme proverò ad accettarlo. Ecco»
Era impacciato e a dir poco imbarazzato mentre continuava a parlare. Per quanto il tempo fosse trascorso, per quanta distanza ci fosse stata tra noi, ogni cosa sembrava essere immutata. Lui era sempre lo stesso Harry, con i capelli scuri scompigliati e i grandi occhi verdi limpidi e pieni di speranza, gli abiti più grandi di almeno una taglia e il viso allampanato.
Gli sorrisi, facendomi avanti lentamente per poi allungare le braccia e stringerlo forte. Harry sarebbe stato sempre importante per me e essere così vicina a lui, dopo quasi due anni, mi fece sentire sollevata. Il fatto che continuasse a fidarsi di me nonostante le scelte fatte, significava molto; quel leggero senso di colpa per essermi innamorata di Malfoy scomparì nell'esatto momento in cui il mio migliore amico ricambiò l'abbraccio.
Ci allontanammo dopo lunghi attimi, lui ancora rosso in volto e io con un debole sorriso. Ci guardammo per qualche secondo prima che Harry ritornasse in sé e mi guidasse lungo un corridoio dalle pareti bianche che faceva da collegamento con un edificio secondario, di dimensioni ridotte rispetto a quello principale ma altrettanto funzionale. Diverse persone, conosciute e non, si affaccendavano nel grande atrio in cui vi erano dei lettini destinati ai malati. C'erano numerosi feriti in quel momento e l'aria puzzava di pozioni curative e sangue secco.
Guardai attentamente i volti degli allettati, ma non c'era nessuna traccia di Narcissa, tanto meno di Draco. Tuttavia, notai che i maghi e le streghe in quell'atrio avevano ferite superficiali, non gravi: qualcuno aveva dei piccoli tagli sulla faccia e un uomo adulto, mai visto prima, era intento a curarli; una giovane donna era stesa e aveva la fronte imperlata di sudore e un braccio steccato ripiegato sul petto - probabilmente le stavano guarendo le ossa. In un primo momento mi spaventai perché se Narcissa non era lì, forse, era più grave di quanto pensassi, ma poi mi tranquillizzai ricordando che Draco fosse una spia e non tutti si fidavano di lui. La decisione giusta era isolarlo finché la situazione non si fosse calmata, o finché qualcuno non avrebbe spiegato quale fosse stato realmente il suo ruolo.
Sta di fatto che le brandine all'interno di quel grande atrio che era l'infermeria brulicava di persone. Da alcune piccole camere poste sul lato est del piano, provenivano chiacchiericci concitati; al piano superiore, invece, dove le stanze erano di numero superiore c'era un'innaturale calma - vi erano certamente i malati più gravi che avevano bisogno di cure lunghe e costanti.
Avevo il cuore che batteva veloce e un senso di inadeguatezza mi riempì il petto, perché mentre io ero rinchiusa a Malfoy Manor, pressoché protetta, quelle persone combattevano ogni giorno per sopravvivere cercando di creare un futuro in cui poter star bene.
«Posso aiutare, Harry» sussurrai ferma in un angolo della stanza, con gli occhi puntati sulle brandine «Ho delle conoscenze base di guarigione. Voglio davvero rendermi utile»
«Certo. In infermeria c'è sempre bisogno di aiuto e poi ... preferirei che restassi lontana dall'azione per un po'» mormorò senza fissarmi, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé.
«Perché?» domandai curiosa - e anche un po' offesa.
«Devi rimetterti in forze, per prima cosa, e poi ... se qualcosa dovesse andare storto ci deve essere qualcuno al comando. Tu sai tutto ciò che si deve fare per mettere fine a questa guerra»
Per qualche secondo rimasi immobile a fissarlo, incredula di fronte alla sua affermazione. Alla fine capii: le sorti della guerra erano incerte e per quanto tutti noi credessimo che l'Ordine ce l'avrebbe fatta bisognava essere pronti anche alla disfatta. Qualora Harry sarebbe morto, Ronald ed io eravamo gli unici a conoscere gli elementi giusti per portare la vittoria dalla nostra parte. Era una possibilità che non mi piaceva - al solo pensiero mi si stringeva il cuore -, ma era anche un pensiero molto lucido; qualcuno avrebbe dovuto pensarci.
Non dissi nulla, non riuscii a parlare, e mi limitai ad annuire. Il solo considerare di poter perdere Harry quando lo avevo appena ritrovato mi metteva a disagio. Non che non fossi consapevole di quanto le circostanze fossero pericolose, ma rivedere i miei amici, anche solo per qualche ora, mi aveva fatto illudere che tutto sarebbe andato per il meglio e che sarebbero sempre stati insieme a me. Forse ero ancora confusa per ciò che era accaduto o magari ero solo troppo emotiva, sta di fatto che il piano di Harry mi faceva paura.
Scossi il capo, decisa a non pensare a quell'eventualità. Mi guardai intorno, con il cuore gonfio di tristezza, ed in quel momento nacque in me la forte determinazione di voler fare qualcosa per tutti i feriti di guerra. Mi sarei data da fare non appena avessi parlato con Draco; ne sentivo la necessità. Seppure sapevo che stesse bene, volevo assicurarmi di persona che non avesse nemmeno un graffio.
Con gli occhi ancora fissi sullo scenario di fronte a me, Harry mi incitò a continuare a camminare indicando una porta in fondo, esattamente alla mia destra. Mi precedette ed io lo seguii distogliendo gli occhi da quel marasma di lamenti e gemiti. Arrivammo alla soglia di una piccola stanza, la cui porta era rimasta semi aperta, al cui interno vi era Narcissa Malfoy, pallida in volto, distesa su di una brandina dalle bianche lenzuola. Accanto a lei c’era Draco, rigidamente seduto su di una poltrona - probabilmente una sedia trasfigurata poiché non c'erano comodità in quel casale.
La camera era esattamente come la mia: pareti di mattoni rossi e pavimenti bianchi; una sola piccola finestra filtrava i deboli raggi del sole che ancora splendeva. C'era un silenzio spaventoso, solamente il respiro di Draco spezzava quella quiete; sembrava tutto così sottile, come se prima o poi qualcosa sarebbe andato storto.
Guardavo il ragazzo attentamente, da fuori, anche se mi dava le spalle: aveva i capelli scompigliati, le spalle rigide e, di tanto in tanto, sospirava pesantemente; si passava le mani tra i capelli con fare nervoso e spostava lo sguardo continuamente da sua madre alle mani - forse, un po', tremava dalla paura di perderla.
Non avevo mai visto Draco così abbattuto, tuttavia, nel ripensare ai miei genitori, anch' io provavo un certo turbamento; non avrei mai potuto capire quanto fossero pesanti i suoi sentimenti in quel momento. Aveva sempre cercato di proteggere sua madre e, invece, era priva di sensi.
Non sapevo se Harry fosse ancora accanto a me oppure andò via subito, ma io, senza nemmeno curarmene, varcai piano la soglia della stanza cercando di non infrangere quella quiete sottile e illusoria. Mi avvicinai a lui e, delicatamente, gli avvolsi le braccia al collo nascondendo il viso contro la sua spalla; il suo profumo mi arrivò alle narici e, in qualche modo, mi risollevò. Draco era con me e stava bene; il suo odore di pino era più debole ma c'era e il calore del suo corpo mi rimandava sempre la stessa sensazione di sicurezza. Chiusi gli occhi così da poter godere a pieno di lui, in silenzio.
Dall'altra parte, non ci fu nessun sussulto improvviso ma solamente un lungo e profondo sospiro. Mi aveva riconosciuto ed era sollevato anche lui di sapere che stessi bene; aveva una preoccupazione in meno a pesare sulle spalle. Prese le mie mani tra le sue e le strinse forte, le portò alla bocca e ne baciò piano i dorsi, i palmi e poi le dita; erano così caldi e delicati i suoi baci da farmi rabbrividire un pochino di piacere.
Non si voltò a guardarmi, rimase con gli occhi ben fissi di fronte a sé, continuava solamente ad accarezzarmi. Draco Malfoy aveva paura di guardarmi e rendersi conto che quella davanti a sé non ero davvero io, che non fossi reale; aveva rischiato di perdere due persone a cui teneva e il suo timore di rimanere solo era comprensibile.
«Stai bene» sussurrò dopo lunghissimi minuti sospirando.
«Sto bene» ripetei con un lieve sorriso, baciandolo sul collo.
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, poi il bisogno di guardarlo divenne così forte da allontanarmi da quella stretta per accomodarmi piano sulle sue gambe. Fu istintivo per me avvicinarmi ancora di più - ne sentivo la necessità, un desiderio quasi viscerale di avere la sua pelle a contatto con la mia-, ma solamente qualche istante dopo pensai che forse avrebbe potuto rifiutarmi poiché sua madre era proprio lì, incosciente. E invece, seppur sorpreso, mi guardò attentamente e con una dolcezza che mai avrei attribuito a Draco Malfoy, finché non mi sedetti; mi accolse sul suo grembo e mi abbracciò stretto contro il petto, sospirando di tanto in tanto. Sentivo il suo cuore battere forte e il respiro tremolante infrangersi sul mio collo: era più preoccupato di quanto desse a vedere.
«Sono qui» gli sussurrai accarezzandogli piano la nuca «Sto bene»
Non rispose, ma continuò ad abbracciarmi in silenzio respirando il mio profumo, con il capo chino sulla spalla. Ed io, invece, non facevo che accarezzargli la testa, i capelli, il collo ... ringraziando il cielo di essere ancora insieme e di essere vivi. Ci richiudemmo in una tranquillità confortevole e intima, qualcosa di cui al maniero non avevamo davvero goduto. Sarebbe stato tutto diverso da quel momento in avanti, tuttavia c'era la realtà da affrontare e, in verità, tra i due quella più lucida sembravo essere io.
«Tua madre come sta?» chiesi in un sussurro, interrompendo il silenzio.
«Sta bene, ma è ancora debole» rispose piano, deciso finalmente a guardarmi negli occhi «Il suo continuo sonno, però, mi preoccupa»
«I Guaritori cosa dicono?» domandai curiosa, senza mai smettere di toccarlo piano.
«Dicono che si riprenderà con il tempo e che ... dormire le può solo giovare» spiegò abbattuto in un sospiro; chiuse gli occhi per un attimo e scosse il capo, a non voler credere al parere dei Guaritori.
Una parte di me lo capiva, perché molti di loro erano volontari, non professionisti che avevano studiato medicina perché dovevano prendersi cura dei feriti durante la guerra e ciò avrebbe fatto vacillare anche l'uomo più coraggioso; Draco aveva paura di perdere la persona per cui aveva combattuto e aveva rischiato la vita. Non me la sentii di biasimarlo.
«Andrà tutto bene, Draco» mormorai con un debole sorriso, poggiando le mani sulle sue guance pallide «Starà bene. Tutti noi staremo bene» gli lasciai un piccolo bacio all'angolo della bocca; lo sentii sospirare forte «Qualsiasi cosa accada, puoi contare su di me» un altro bacio, ma sulle labbra «Io sono qui» ripetei, dandogli un altro bacio fugace subito dopo.
Restai accanto a lui per lunghissimi minuti, alternando baci e carezze con parole gentili e di incoraggiamento. Se un po' avevo imparato a conoscerlo ero cosciente del fatto che dentro di sé stesse covando una rabbia impetuosa e, non appena sua madre si sarebbe ripresa, avrebbe fatto qualsiasi cosa per vendicare ciò che le era accaduto. In cuor mio speravo di essere l'acqua che avrebbe spento il suo fuoco, ci speravo davvero perché non avevo nessuna intenzione di rischiare di perderlo; aveva messo in pericolo la sua vita nel momento in cui aveva fatto un accordo con l'Ordine ed era stato difficile, negli ultimi tempi, accettare la situazione - essendomi innamorata.
Lo guardai attentamente mentre, a occhi chiusi, si beava delle mie premure e, in quel momento, capii di dovergli dire tutto quello che provavo prima che qualcosa fuori dal nostro controllo ci separasse. Tuttavia, ero consapevole che in quel contesto sarebbe stato inopportuno. Così, sussurrando, seppur in un debole sorriso, gli chiesi se volesse restare da solo e, senza nemmeno rispondermi, annuì piano con il capo. Lo capivo e, seppur il mio desiderio di restare ancora tra le sue braccia fosse forte, mi alzai piano cercando di fare il meno rumore possibile e uscii dalla stanza in cui Narcissa era ancora addormentata.
Mi chiusi piano la porta alle spalle, poggiandovi la schiena. Abbassai le palpebre e respirai profondamente nel vano tentativo di fermare il battito veloce del cuore. Non sapevo per quale motivo, ma sentivo lo stomaco annodato e provavo un'ansia tale da sentire il petto pesante; era la stessa brutta sensazione di quella volta in cui Draco ritornò alla villa in fin di vita. Nonostante ciò, scacciai quei pensieri: ero a casa e sarei stata al sicuro lontano dal campo di battaglia; mi sarei occupata di aiutare in infermeria, era giusto così, e avrei fatto di tutto affinché anche lui rimanesse al sicuro.
Sospirai profondamente, cercando di alleviare il dolore al cuore. Avanzai di qualche passo e, con ritrovato coraggio, superai quel lungo corridoio con le pareti bianche per ritornare nella stanza principale ancora brulicante di persone - volevo trovare i miei amici e discutere sul da farsi.
«Hermione!» una dolce voce, a me molto familiare, mi fece bloccare nel bel mezzo della camera «Hermione cara!»
Mi voltai sorridendo, in direzione della donna che mi stava chiamando: Molly Weasley, con passo veloce e un grandissimo sorriso ad illuminarle il volto, si stava avvicinando - aveva le braccia spalancate, desiderosa di un abbraccio e commossa nel sapere che stessi bene. E come un uragano, mi strinse così forte da farmi mancare il respiro, accarezzandomi piano i capelli; continuava a mormorare quanto fosse felice e le sue lacrime mi bagnarono le guance nel momento in cui mi riempì il viso di baci.
«Mamma, lasciala respirare!» ridacchiò Ginny, appena arrivata alle spalle di sua madre.
«Sono così contenta di vederti!» si staccò un po', lasciando perdere il commento della figlia.
«Anch'io sono felice di essere qui con voi» sussurrai commossa, ancora tra le braccia della matrona.
«Per l'amor di Merlino! Sei così magra, cara!» esclamò infastidita, guardandomi dall'alto in basso «Forza, vieni con me!» continuò sorridendo.
Così, senza che potessi protestare, mi afferrò il braccio trascinandomi poi lungo l'enorme stanza dirigendomi dalla parte opposta in cui ero arrivata. Come per arrivare all'infermeria, percorsi un lungo corridoio e a niente valsero le mie domande su dove stessimo andando; dietro di noi Ginny ci seguiva e ridacchiava divertita, ma senza rispondere alle mie richieste. Tutto ciò, aveva il sapore di casa e un profumo di famiglia e normalità che, inevitabilmente, mi fecero sorridere. Alla fin fine, niente era davvero cambiato.


Buona sera, miei carissimi lettori 🌙
No, non è un illusione dovuta al caldo di questi giorni, HO DAVVERO AGGIORNATO! 😍
Okay, sì, mi dispiace di essere in ritardo (come al solito), ma che come potevo fare? Ho il lavoro e lo studio, e poi ... ammetto che mi è mancata un po' l'ispirazione (e la voglia 😋). Però, per farmi perdonare, il capitolo è davvero lungo ... anche se non credo sia il migliore che abbia scritto, ad essere onesta 😂😂
Credo sia meglio che la smetti di blaterare. Spero che il capitolo vi sia piaciuto nonostante tutto.
Siamo quasi alla fine e, anche se lentamente, porterò la storia al termine 😣
Ora voglio leggere i vostri commenti. Su su, che aspettate? Commentate u.u
Al prossimo capitolo ❤

 

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Capitolo 39
*** 38 - The fear I have of losing you ***


«The fear I have of losing you»

Molly Weasley mi aveva trascinato in un'enorme stanza che era stata adibita a mensa. In un piccolo angolo, dietro uno spesso vetro, c'era una piccolissima cucina con tutto ciò che serviva per poter sfamare il cospicuo esercito che abitava nel casale. E mentre ero intenta a guardare la donna - che per certi versi, era come una seconda mamma- cucinare ascoltavo le sue chiacchiere allegre su come lei e suo marito avessero trovato quel posto e come tutti si dessero da fare quando non erano in missione; raccontava contenta qualche aneddoto divertente successo in cucina e di qualche rimbrotto particolare a Ronald; diceva quanto fosse stata in pena per me e che fosse davvero contentissima di vedermi - era quasi commossa. Ginny ed io ci limitavamo a sorridere e ridacchiare di tanto in tanto, senza mai interrompere la sua parlantina. Non ascoltai davvero ogni cosa che mi disse, ma la guardavo attenta assecondando quel calore di felicità che sentivo dentro. Era cambiata molto esteriormente: aveva le rughe più profonde sul volto e delle brutte occhiaie scure che parevano spegner la luce dentro di lei; continuava ad avere le forme morbide, ma era più trasandata di quanto potessi immaginare; i capelli erano un po' più lunghi e striati nelle tempie di bianco; sorrideva contenta, eppure c'era qualcosa di diverso dal sorriso dolce e confortevole che era solita rivolgere a tutti. La perdita di un figlio, la guerra continua e l'ansia che qualcun altro dei suoi figli non potesse più tornare avevano avuto un peso non indifferente su quella donna, eppure continuava a essere calorosa e i suoi occhi rilucevano di speranza, seppur flebile.

«Sei così magra, mia cara» scosse il capo spegnendo il forno «Tutta pelle e ossa ti hanno fatta diventare» mormorò voltandosi nella sua direzione.

Con un colpo di bacchetta, una porzione consistente di pollo con contorno di patate fuoriuscì levitando dal forno e si posò su uno dei lunghi tavoli presenti nella mensa. Il profumo era invitante e lo stomaco cominciò a contorcersi per la fame. Non avevo mai sofferto, i pasti erano sempre regolari e abbondanti a Villa Malfoy, ma mangiavo pochissimo a causa della paura, soprattutto i primi tempi.

Sorrisi a Molly e mi accomodai di fronte al piatto. Lo guardai per qualche secondo e una serie di ricordi felici, di estati spensierate, mi ritornarono in mente. C'era Ginny di fronte a me, esattamente come in quel momento; c'era la signora Weasley sorridente, come in quel momento; c'erano anche Harry e Ron, seduti l'uno accanto all'altro, e anche se non erano fisicamente lì erano più vicini di quanto lo fossero stati negli ultimi due anni. Molte cose erano diverse, ma altre restavano le stesse, come il sapore dei piatti della donna seduta di fronte, proprio accanto a sua figlia.

«E' buonissimo, signora Weasley!» esclamai sorridendo, con ancora un pezzo di pollo in bocca.

«Grazie, Hermione» ribatté in un sorriso «Sono contenta di vedere che stai bene e che non abbia perso l'appetito. Vedendoti, prima, ho pensato avessi smesso di mangiare» continuò preoccupata.

«I Malfoy mi hanno trattata bene, ma ...» sospirai scuotendo il capo «ero costantemente in ansia; quella casa non è mai stata completamente sicura per me, seppur Draco mi abbia protetta»

«Eravamo molto preoccupati per te» confessò malinconica la donna «E vederti sembra quasi un miraggio» sussurrò con un sorriso, allungando una mano nella mia direzione in una tacita richiesta di stringere la mia; sentire la pelle calda di Molly mi investì di una sicurezza e un senso di benessere che credevo non avrei mai più provato.

«Alcuni membri dell'Ordine non erano d'accordo nel farti restare con i Malfoy, ma nonostante ciò nessuno si fidava pienamente di Draco» spiegò Ginny, diventata d'un tratto seria.

«Io sono rimasta in quella casa solamente tre mesi, lui vi passa informazione da più di un anno: come potete non fidarvi?» domandai curiosa - anche un po' nervosa- poggiando la forchetta accanto al piatto (all'improvviso non ebbi più fame).

«Avevamo paura che potesse pugnalarci alle spalle, Hermione. E' pur sempre di Draco Malfoy che parliamo: ci avrebbe aiutato per un suo tornaconto, ma se la nostra collaborazione gli si fosse rivoltata contro sapevamo che ci avrebbe abbandonati, o peggio venduti» spiegò la ragazza con tono calmo ma deciso «Così, quando ci ha detto di averti trovata, abbiamo pensato che con te lì, in casa sua, avevamo qualcosa in meno di cui preoccuparci»

«Draco non vi avrebbe mai tradito» sospirai profondamente «Farebbe di tutto per sua madre»

«Io non ero d'accordo, avrei voluto che tornassi a casa; volevo che fossi al sicuro» confessò in un mormorio triste Molly, stringendo la presa sulla mia mano ancora nella sua «Tuttavia, Harry ci aveva raccontato di Narcissa e ... una piccola parte di me sperava che lei ti avrebbe trattata bene»

«Lo ha fatto, devi credermi» le sorrisi appena «Quella donna morirebbe per proteggere suo figlio e sapeva fossi l'unica speranza che lui avesse per ... uscire da quell'inferno»

«Sono felice che siate entrambi qui, sani e salvi, al sicuro» ripeté Molly, con gli occhi umidi di lacrime e un sorriso malinconico.

«L'hai già detto, mamma» la rimproverò appena Ginny.

«E lo dirò finché vorrò, signorinella!» ribatté solenne, voltandosi verso sua figlia che, invece, la fissava di sottecchi con espressione stanca.

Iniziarono a battibeccare, con Molly che mi teneva ancora la mano e non accennava a lasciarla, e sembrò che ogni cosa ritornasse al suo posto: non c'era una guerra al di fuori di quelle mura, perché non eravamo più in un casale su qualche collina della Scozia, ma alla Tana in un giorno qualunque di piena estate. Ritornare indietro nel tempo era strano quanto confortevole; ricordare quei momenti e avere la speranza tangibile che tutto sarebbe tornato come un in passato mi riempiva di serenità e gioia. Una parte di me era ben consapevole di essere un'illusa poiché niente sarebbe stato più come prima, ma l'altra parte preferiva così, alienandosi totalmente da quel mondo oscuro in cui ero costretta a vivere.

Guardavo le due donne punzecchiarsi e sorrisi appena, piena di nostalgia nei confronti di quei litigi con i miei genitori. Mi mancavano moltissimo, in quel momento più che mai, e mi ripromisi di fare il possibile affinché potessero ritorare con me.

E mentre ero gonfia di gioia e maliconia al contempo, con gli occhi fissi su Molly e Ginny, un chiacchiericcio concitato mi fece distogliere l'attenzione dalle due. Anche queste ultime tacquero e si voltarono in direzione dell'entrata dalle mensa, a soli qualche metro da noi. Ci scambiammo qualche occhiata perplessa, ascoltando attentamente le voci alterate: qualcuno stava litigando.

Quasi in sincrono, ci alzammo curiose - ed io ero anche un po' preoccupata- e camminammo a passo veloce per raggiungere la sala principale; avevo uno strano presentimento. Sulla soglia, ci fermammo tutte e tre a guardare la scena: Harry si trovava in mezzo alla stanza, dividendo quasi a metà il folto gruppo di persone presenti; da un lato, vi era Draco con espressione nervosa, spalle tese e occhi fiammanti di rabbia, guardava un ragazzo dalla parte opposta che aveva esattamente il suo stesso stato d'animo; intorno, qualcuno borbottava, prendendo le parti di uno o dell'altro.

«Diamoci una calmata» disse Harry al centro, guardando prima uno e poi l'altro.

«Sono calmissimo, Potter. E' il tuo amico che ha dei problemi» ribatté Draco, con fare indifferente e freddo -sapevo benissimo, però, ci fosse qualcosa che lo turbasse.

«Tutti hanno dei problemi con te, Malfoy!» inveì l'altro, un giovane uomo più o meno della nostra età, con un forte accento dell'est, alto e biondo, puntandogli un dito contro «Nessuno vuole che tu venga con noi, chiediti il perchè!»

«Ne ho il diritto tanto quanto voi» fece un passo avanti; si stava innervosendo davvero «Ho rischiato quanto voi in questi anni!»

«Niente di quello che dirai o farai potrà mai farci fidare di te! Sei pur sempre uno di loro, un Mangiamorte!»

«Cosa hai detto?»

Il sussurro di Draco, freddo e tagliente, il lungo passo avanti che fece arrivando ad una spanna dal naso di Harry, mi mise in allarme. E prima che potesse fare una sciocchezza, corsi da lui mettendo quanta più distanza tra i due litiganti - aiutata dal mio amico bruno.

«Siete forse impazziti?» alzai la voce, fissando prima uno e poi l'altro «Vi sembra questo il momento di litigare? Dobbiamo restare uniti, ora più che mai! Siamo dalla stessa parte»

«Davvero Hermione, lo siamo?» chiese una voce insicura alle mie spalle.

Mi voltai, pronta a rispondere a tono, ma incontrai lo sguardo triste e arrabbiato di Dennis Cannon che alternava gli occhi da me a Draco. Il volto del giovane era pallido e segnato da profonde occhiaie; era dimagrito moltissimo dall'ultima volta che lo avevo visto, eppure il suo sguardo bruciava di una determinazione invidiabile. Fece un passo avanti, distinguendosi dalla folla ormai silenziosa ai lati della stanza. Mi guardava sicuro, deciso nell'avere una risposta sincera: aveva perso suo fratello due anni prima, a Hogwarts, e ciò lo aveva marchitao più di quanto volesse dare a vedere e capivo benissimo la sua reticenza nei confronti di chi aveva combattuto per il nemico. Però Draco non era un avversario, non lo era mai davvero stato.

«Sì, Dennis, lo siamo» risposi sicura, alzando il mento con fare superiore «Dobbiamo smetterla con i pregiudizi. Sono stati proprio questi a dare il via a tutto questo» dissi accorata, spostando lo sguardo in tutta la sala «Draco ha tutto il diritto di combattere, perché ha rischiato la vita per passarvi informazioni utili affinchè poteste essere un passo avanti a loro» mi voltai verso il ragazzo dell'est e lo guardai con una risolutezza che solo una donna innamorata possiede «Ed io mi fido di lui»

«Anch'io mi fido di Malfoy» intervenne Harry, sicuro di sé «Ha fatto da spia per l'Ordine in questo lunghissimo anno e senza di lui non avremmo avuto molte delle informazioni che abbiamo adesso. Quindi smettiamola una buona volta» era stanco, eppure fermo nelle sue convinzioni «Magari, quando tutto questo sarà finito, potremmo discuterne duellando»

«Harry!» lo ripresi indignata.

Lui mi sorrise appena e scosse il capo, prima di incrociare le braccia e puntare lo sguardo dritto verso Draco: «Tuttavia, ti sarei grato se evitassi di provacare gli altri, Malfoy».

Prima che potesse dare una rispostaccia, lo trascinai in un angolo della stanza; aveva l'espressione nervosa, le spalle erano ancora rigide e gli occhi induriti fissi sul mio migliore amico e il minore dei Canon. Non sapevo il motivo preciso che aveva dato inizio al litigio, tuttavia avevo compreso la volontà di Draco di voler combattere - una parte di me, però non capiva perché questo desiderio improvviso.

Dovetti richiamare la sua attenzione un paio di volte, poiché aveva lo sguardo fisso davanti a sé. Si decise a guardarmi solo quando gli accarezzai il viso con entrambe le mani; le iridi chiare, così turbate, sembravano essere un mare in tempesta. Mi osservava attento, senza mai abbandonare quel cipiglio pensieroso e duro, e pur sapendo non fosse rivolto a me non potei fare a meno di preoccuparmi.

«Cos'è successo?» gli chiedi piano, accarezzandogli lentamente le guance.

«Stanno organizzando squadre di ricognizione per studiare gli ultimi dettagli del piano prima di entrare al castello. Ed io voglio partecipare» ribatté sicuro, poggiando le mani sulle mie.

Lo guardai un po' sorpresa, sperando in cuore mio di aver capito male. Sapevo volesse fare qualcosa, ma non così velocemente; il suo desiderio di vendetta era più forte della razionalità: sua madre non si era ancora ripresa e sarebbe stato sciocco lasciarla da sola. E poi, ad essere onesta, non volevo rischiare di perderlo un'altra volta.

«Capisco il tuo desiderio di combattere, ma adesso sei solo mosso dal risentimento verso tuo padre» sussurrai decisa, con gli occhi fermi nei suoi - in realtà tremavo dentro «Non puoi essere di nessun aiuto così. Pensa a tua madre»

«E secondo te a chi sto pensando, Granger?» disse nervoso, guardandomi severo - senza mai allontanarsi da me.

«La vendetta non aiuterà Narcissa a svegliarsi» sussurrai con voce tremante; dovevo ricompormi «Quando aprirà gli occhi si sentirà confusa e avrà bisogno di te. Senza contare che ha rischiato la vita per salvarti, come credi si sentirebbe se sapesse che ti sei volontariamente messo in pericolo?»

Una strana ansia iniziò a stringermi il cuore; guardavo i suoi occhi decisi e sapevo che nulla di ciò che avrei detto lo avrebbe fatto desistere. Tuttavia, dovevo provarci. Non poteva andare fuori e combattere dopo ciò che ci era successo; eravamo vivi, insieme e non volevo riassaporare il gusto amaro della perdita. Sapevo che se fosse uscito dal rifugio c'era una buona possibilità di non verdelo più, o di vederlo ferito.

Sentivo il cuore battere forte e la gola divenne secca; le mani cominciarono a tremare appena, nonostante fossero ancora sulle guance di Draco e lui, in risposta, strinse ancora più forte la presa sulle mie dita. Lo fece per consolarmi, per darmi il coraggio di accettare la sua decisione, ma io non volevo crederci.

«E come potrò guardare in faccia mia madre sapendo che l'uomo che diceva di amarla l'ha ridotta in quello stato?» sussurrò irritato al solo pensiero di ciò che suo padre aveva scatenato.

«A tua madre non importa, Draco. Lei vuole solo che tu sia al sicuro; ha fatto tutto questo per te» momorai con voce incerta, quasi sull'orlo delle lacrime - non volevo separarmi da lui.

«Esatto, lo ha fatto per me ed io devo ripagare il suo sacrificio» disse convinto, avvicinando un po' il suo volto al mio; riuscii a leggere la disperazione nei suoi occhi azzurri e ne ebbi paura.

«Ti prego» supplicai tremante in un sospiro, chiudendo gli occhi - non volevo piangere davanti a lui «Tua madre è qui ed io non andrò con loro adesso, quindi ti prego: resta, con me» aprii gli occhi e lo fissai decisa.

Non avei mai supplicato nessuno, ma il mio istinto mi urlava di insistere, di convincerlo a rimanere nel rifugio finché non sarebbe arrivato il momento giusto, e quello non lo era.

Draco mi sorrise sincero, uno di quei sorrisi che avevo scoperto solamente di recente; i suoi linemanti si addolcirono e le iridi azzurre brillanrono di un emozione che purtroppo non capii. Avrei voltuo dirgli che la sua vicinanza mi faceva battere forte il cuore, che i suoi tocchi leggeri mi piacevano da morire, che il suo modo di baciarmi lasciava la mente completamente vuota e il suo sorriso, di fatti, cancellava ogni dubbio dalla testa. Però decisi di tacere e di continuare a guardarlo attenta, fissando ogni più piccolo dettaglio del suo volto nella mente e beandomi delle carezze lente che aveva iniziato a fare sulle guance. Ne ero innamorata, pazzamente, ma ero troppo codarda per poterglielo dire in quel momento; fui proprio una stupida a non farlo.

«Non ti libererai così facilmente di me» sussurrò ad un soffio dalle mie labbra; occhi negli occhi «Tornerò e, quando tutto questo sarà finito, faremo qualsiasi cosa tu voglia» accarezzò il mio naso col suo, lentamente «Ma adesso devo andare là fuori e combattere, per quanto terrore io provi» la voce gli tremò appena «Devo farlo per mia madre. E per te»

«No, non devi» scossi il veemente il capo, con la gola dolente per il pianto trattenuto «Narcissa ed io abbiamo bisogno di te» mormorai quasi strozzata, poggiando la fronte sulla sua.

«Siete ciò che di più prezioso io abbia» confessò ad occhi chiusi «Tornerò, Granger» sospirò alzando le palpebre; mi guardò e mi sorrise dolcemente «Devi promettere che mi aspetterai».

Tremò appena, Draco Malfoy. Riuscii a percepire il suo corpo teso, il cuore che gli batteva forte e il desiderio di piangere e urlare trattenuto in fondo alla gola. Era nelle mie stesse condizioni, eppure non voleva desistere. Sapeva bene quali fossero le priorità in questa guerra, e seppur mosso dalle emozini, era pronto a mettere da parte la vigliaccheria che l'aveva sempre contraddistinto e a lottare per le persone che amava. Non avevo mai conosciuto quella parte di lui prima, e per quanto il mio essere Grifondoro ne fosse fiera, la me donna invece era spaventata a morte.

«Cosa posso fare per farti cambiare idea?» tentai ancora; un lacrima sfuggì al mio controllo.

«Niente» scosse piano la testa e asciugò le lacrime che, lente, mi scendevano lugno il viso.

«Ti aspetterò, Draco» sussurrai mettendogli le braccia intorno al collo, così da averlo più vicino «Ti aspetterò sempre» sussurrai prima di posare piano le mie labbra sulle sue.

Mi staccai piano, con gli occhi serrati senza mai allontanarmi davvero. Draco sospirò forte: il suo fiato caldo mi sfiorò la bocca, come un invito a baciarlo ancora, ma non dovetti aspettare molto. Con la stessa lentezza, avvicinò ancora il viso al mio e mi baciò di nuovo e poi di nuovo; aveva la mia stessa sensazione, lo capii dal quel bacio disperato che mi lasciò senza fiato. Fu così coinvolgente e lento, così sentito, che la paura di perderlo per sempre si acuì invece di attenuarsi. Una parte di me credeva che fosse ridicolo pensare che quella fosse la fine quando avevamo appena iniziato a stare insieme - non era detto che sarebbe finita male; l'istinto, però, mi diceva di godere a pieno quel momento perché sarebbe potuto essere l'ultimo.

Ci allontanammo appena, ci guardammo negli occhi e sorridemmo debolmente all'altro. Era bello, anche con le occhiaie e il volto un po' pallido, restava sempre di un fascino particolare; era elegante e raffinato, dai tratti delicati, eppure in certi momenti, soprattuto quando era arrabbiato, c'era un qualcosa di tagliente nelle sue espressioni. Avevo conosciuto l'uomo che era diventato lasciando indietro qualsiasi pregiudizio e ricordo spiacevole; ci eravamo scoperti e ritrovati, e fu meraviglioso. Innamorarmi di lui fu meraviglioso. Non avrei mai creduto in vita mia di poter amare così intensamente un Malfoy.

«Ritorna da me, o giuro che ti affatturo!» esclamai in un debole sussurro, ancora stretta a lui.

Draco ridacchiò divertito, annuendo appena. Mi lasciò un debole bacio sul naso, si avvicinò al mio orecchio e, in maniera seria, con un tono che mi fece contorcere lo stomaco mormorò: «Tornerò sempre da te».

Chiusi gli occhi assaporando il momento. Calde lacrime scivolarono lungo il viso e il cuore riprese a battere velocemente. Ero consapevole che, in altre circostanze, non avrebbe mai ammesso così apertamente i suoi pensieri e i suoi sentimenti, ma se sentiva l'esigenza di esternarli era solamente perché di lì a poco sarebbe partito. Nonostante la bellezza delle sue parole, in fondo era anche una cosa triste: sembrava mi stesse dicendo addio.

«Malfoy» la voce solenne di Harry infranse quella bolla di intimità in cui ci eravamo rinchiusi e ritornammo alla dura realtà «Dobbiamo andare».

Draco annuì piano. Si allontanò da me e mi guardò mentre mi ripulivo velocemente il viso dalle lacrime. Ricambiai lo sguardo, solo per qualche attimo, prima che lui facesse dei passi indietro e seguisse Harry e gli altri fuori dal casale. Guardai l'uomo che amavo andare via, con l'angoscia che mi riempiva il petto e gli occhi che si velavano nuovamente di lacrime; era strano sentire questa vulnerabilità pressante dopo aver ritrovato sicurezza insieme a Draco, e a peggiorare le cose c'era anche la partenza di Harry e Ron decisi a esser alla testa dei gruppi di ricognizione. Non solo rischiavo di perdere il ragazzo di cui ero innamorata, ma anche i miei migliori amici - la mia famiglia.

E mentre pensavo a quanto sola e indifesa mi sentissi, un paio di occhi si posarono su di me e non accennavano a distogliere lo sguardo; riuscivo a percepire il peso di quelle iridi scure fisse sulla nuca.

Mi voltai in direzione della mia amica: Ginny mi guardava seria, con le braccia incrociate al petto e un'espressione di disappunto sul visetto lentiginoso; sembrava giudicarmi e la cosa non mi piacque particolarmente.

«Non guardarmi così» dissi seria, nel silenzio della stanza ormai vuota.

«Non mi piace quello che ho visto, quello che tutti hanno visto» sentenziò a testa alta, sicura di sé «Dennis ha ragione».

«Non m'importa quello che pensate di lui, io mi fido e anche Harry» ribattei decisa, facendo un passo verso di lei «Se non credete in lui allora credete nel mio giudizio. Poche volte mi sono sbagliata, no?»

«I sentimenti che provi per lui potrebbero non renderti lucida e non è quello che ci serve al momento, Hermione» continuò dura, ferma nelle sue convinzioni.

«Io so bene cosa voglio e da che parte stare, ma non costringetemi a scegliere perché la mia decisione potrebbe non essere così scontata» risposi tagliente a testa alta e con una fierezza degna di Narcissa Malfoy.

La ragazza annuì lentamente senza proferire parola, forse non si aspettava tanta determinazione nel difendere quel giovane uomo che ormai faceva parte della mia vita. Non avrebbero mai capito fino in fondo come avessi fatto ad innamorarmi di lui, ma non importava, le cose stavano in quel modo e non avrei cambiato idea; se tenevano a me avrebbero dovuto accettare anche Draco.

Guardai Ginny per qualche secondo, poi le voltai le spalle e mi incamminai velocemente verso l'infermeria. Non solo avevo il desiderio di aiutare chi aveva combattuto, ma se fossi rimasta con le mani in mano avrei pensato ai miei amici in ricognizione e sarei finita in una spirale di tristezza infinita.

Mi bloccai sulla soglia di quell'ospedale improvvisato, chiusi gli occhi e scossi il capo scacciando via ogni tipo di turbamento; avevano bisogno anche del mio aiuto e dovevo restare lucida. Sospirai profondamente cercando di fermare il battito veloce del cuore e entrai nella stanza, pronta a mettermi in gioco ancora una volta.

Passarono delle ore e mi ritrovai a camminare da un lato all'altro dell'infermeria, completamente presa dal lavoro. In quel contesto, seppur quasi inappropriato, fu felice di ritrovare moltissimi volti conosciuti che mi accolsero a braccia aperte. Rivedere chi faceva parte della mi via adolescenziale, come Madama Chips, mi riempì il cuore di un debole sollievo. Conoscere la loro storia, sapere quanto avessero sofferto e combattuto per scappare dal castello di Hogwarts mi fece sentire nuovamente in colpa e per quello stesso motivo mi impegnai ancora di più nel prendermi cura di chi fosse malato. Ero così occupata che non pensai ad altro se non a pozioni, incantesimi e ad alleviare il dolore dei feriti.

D'improvviso, però, una serie di voci concitate si avvicinò all'infermeria. Tutti noi volontari ci fermammo, pronti per accogliere chiunque varcasse la porta. Erano tornati, lo sapevamo. Il cuore riprese a battere all'impazzata e le mani cominciarono a tremare, così strinsi la presa contro la bacchetta - appena usata per un incatesimo di guarigione. Quando apparirono di fronte a me, Harry e Ron insieme alla Abbott e a Dean trasportavano un sanguinante Anthony Goldstein privo di sensi; Dennis Canon zoppicava, ma non sembrava avere altri problemi. Riuscii a vedere, seppur intenti a trasportare il corpo pesante del giovane, che i miei due migliori amici avevano solamente qualche graffio sul viso e nulla più; Hanna aveva un profondo graffio sul braccio sinistro che sanguinava veloce, ma si fece forza e aiutò gli altri; Dean, invece, aveva le maniche del maglione bruciacchiate e graffi sulla fronte, però anche lui stava bene. Tuttavia, in quel caos di persone e chiacchiere, mancava qualcuno.

Quella brutta sensazione che avevo ore prima ritornò; mi si chiuse la gola e tremavo tutta.

«Harry» chiamai con voce incerta, attirando la sua attenzione «Dov'è Draco?» sussurrai, restando immobile con gli occhi fissi su di lui.

«Hermione» sospirò avanzando piano; lo sguardo per terra, una mano dietro la testa, l'espressione tesa e il capo che scuoteva appena: non era un buon segno «Malfoy è stato catturato. Mi dispiace»

Fu come ricevere una doccia gelata. Me lo sentivo che non sarebbe dovuto andare via, invece non sono riuscita a trattenerlo ed era caduto nelle mani di Voldemort; Lucius, suo padre, non gli avrebbe mai perdonato il tradimento.

Sentii la testa vorticare e il cuore cadere in un profondo abisso; ero svuotata e l'unica cosa a cui pensavo era il suo viso e i suoi occhi. Non gli avevo nemmeno parlato dei miei sentimenti e rischiavo di non vederlo più. Tremavo più di prima, il petto mi faceva male e la stanza ruotava, ma nonostante non fossi completamente in me trovai la giusta razionalità che mi spinse a reagire: Draco non era ancora perduto, lo avrei salvato a qualsiasi costo.

«Dobbiamo entrare nel castello» dissi senza fiato, chiudendo gli occhi per qualche attimo.

«Lo faremo» annuì Harry, con tono condiscendete, poggiando le mani sulle spalle - niente avrebbe potuto consolarmi in quel momento «Dobbiamo radunare tutti e decidere la giusta strategia. Oggi ci hanno scoperto, ci stavano aspettando, ma nonostante ciò abbiamo delle informazioni utili che possiamo usare a nostro vantaggio» spiegò lentamente.

«Bene» sospirai decisa «Io verrò con voi questa volta» dissi solenne.

«Devi restare qui, Hermione. Ne abbiamo parlato» scosse il capo, stringendomi appena le spalle.

«Non resto qui mentre Draco è rinchiuso nel castello chissà in quali condizioni. Non esiste!» sussurrai ferma; non volevo si discutesse delle mie decisioni, non in quel momento soprattutto.

«E' pericoloso adesso!» esclamò ad alta voce, lasciando la presa sulle spalle «Loro sanno che stiamo arrivando, lo capisci? Se le cose andranno male, cosa farà l'Ordine senza di te?» urlò esasperato; la stanza calò nel silenzio.

«Ho affrontato moltissimi rischi in questi anni, non vedo perché adesso sia così diverso!»

«Per Merlino, Hermione!» disse innervosito, passandosi una mano tra i capelli «Fin dove sei disposta a spingerti per quello lì?!» mi guardò arrabbiato.

Con una calma che non mi era mai appartenuta, alzai il capo e feci un passo nella sua direzione, e poco importava il chiacchiericcio intorno a noi. Lo guardai decisa in quegli occhi chiari che riuscivano sempre a calmarmi ma che in quel momento non riconobbi e tagliente come il ghiaccio gli risposi: «Cosa saresti stato disposto a fare se fosse stata Ginny ad essere catturata?»

Per un breve istante Harry rimase a fissarmi a bocca socchiusa, poi scosse il capo e chiuse gli occhi. Serrò la mascella e respirò profondamente, come se non volesse urlare ancora una volta, ingoiando così l'irritazione che la mia domanda gli procurò. Seppur mi avesse detto che avrebbe tollerato Draco per amor mio, che si fidava di lui, non riusciva a capire ciò che ci legava, esattamente come Ginny. Non me ne stupii, né fui delusa.

«Tieni a lui fino a questo punto?» chiese sorpreso, quasi senza fiato per quella nuova consapevolezza.

«Sì, esatto»

«Bene» sospirò sicuro, alzando il capo e guardandomi poi negli occhi «Se è quello che vuoi, allora tieniti pronta perché presto partiremo»

Aveva ceduto, seppur non fosse d'accordo; mi conosceva bene da sapere che non avrei cambiato idea per nessuna ragione al mondo. E così mi ritornò la speranza di poter rivedere Draco e quando lo avrei avuto davanti a me non avrei esitato un attimo ad ammettere che lo amavo. Tuttavia, avevo ancora quella strana sensazione allo stomaco e ne ebbi paura. 

 

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Capitolo 40
*** 39 - The light went out. ***


«The light went out»

Quella notte c'era una forte umidità nell'aria e il freddo era così pungente da sentirlo dentro le ossa, eppure ero sicura nessuno di noi soffrisse davvero la bassa temperatura. Come da piano, ci eravamo divisi in piccoli gruppi ognuno con un compito ben preciso: il mio aveva il compito di raggiungere e liberare i prigionieri nei sotterranei. Ne discutemmo a lungo riguardo a quale gruppo dovessi inserirmi, ma io non avevo intenzione di essere da nessun'altra parte; volevo raggiungere Draco -se fosse stato nei sotterranei- e, allo stesso tempo, aiutare coloro che fossero stati feriti e lasciati a morire. Ovviamente, Harry non era d'accordo. Lui avrebbe voluto che rimanessi indietro, al sicuro nel casale, ma se proprio ero decisa a seguirli mi aveva suggerito di far parte della squadra di ricognizione - lontana dal fulcro della battaglia, certo, ma comunque esposta. Inutile dire quanto mi sia battuta strenuamente affinché fosse andata come volevo io. Alla fine, dopo furiosi battibecchi - e diversi insulti a Malfoy- il mio migliore amico cedette. 
Andare in battaglia dopo mesi era spaventoso quanto eccitante. Il cuore mi batteva all'impazzata e la mano che stringeva la bacchetta tremava appena, il fiato diventava corto per ogni passo compiuto verso il castello. Il gruppo di cui facevo parte, con a capo un giovane uomo di qualche anno più grande, di stazza possente e capacità superiori in incatesimi di attacco e di guarigione, sarebbe entrato dal lato est, coperti da un altro gruppo che avrebbe fatto da distrazione, fino ad infiltrarsi nei pressi del Cortile di Mezzo - non lontano da quella che un tempo era l'aula di Difesa Contro Le Arti Oscure. Sarebbe stato un lungo cammino, ma eravamo l'unica speranza per i prigionieri poiché la maggior parte dei combattenti sarebbe stata in prima linea. Una volta terminato il nostro compito, avremmo dovuto mettere in salvo chi fosse in condizioni peggiori e chiamare i rinforzi. Tuttavia, qualcuno doveva restare; una o due persone in più, in quei momenti, potevano fare la differenza.
Sospirai profondamente provando a mantenere la calma. Aspettavamo piazientemente che il capo gruppo -David Bradley- desse il permesso per muoverci verso il castello; non era facile essere sottoposta a qualcuno. Non potevo fare ciò che volevo perché avrei messo tutti in pericolo, ma l'attesa sembrava essere infinita. Ci trovavamo appena fuori dai confini ad est, potevamo vedere il Platano Picchiatore scuotere le fronde spoglie; dei chiacchiericci sommessi si sentivano dall'altra parte e la tensione pareva rafforzarsi ogni secondo di più; il cielo sopra di noi era scuro e prometteva pioggia, ma niente ci avrebbe fermato. Il folto gruppo che avrebbe fatto da diversivo avanzò prima lungo le mura di confine e poi, con grande coraggio e sicurezza, si mostrò ai Mangiamorte di guardia e inziarono a duellare. Da quel momento, riuscivamo a sentire solamente i fischi degli incantesimi lanciati e le urla dei maghi; l'aria si intrise ancora di più di agitazione. Altre schianti e urla si alzarono in quello che era il parco di Hogwarts il che significava che la battaglia era iniziata davvero; un parte di me si sentiva tremendamnete in colpa a essere quasi nelle retrovie, ma in quella circostanza le emozioni presero il sopravvento e mai avrei lasciato che qualcun altro salvasse Draco.
Con un cenno della mano, David ci ordinò di avanzare cauti, con lui alla testa del gruppo. Non eravamo nemmeno una decina, ma a detta della Resistenza, meglio un piccolo manipolo di persone preparate e veloci piuttosto che un folto numero che attirasse troppo l'attenzione. Tuttavia, era decisamente più pericoloso: se uno di noi si fosse ferito, o peggio, le possibilità di salvare i prigionieri sarebbero diminuite notevolmente. Scossi il capo e mi imposi di pensare solamente a raggiungere i sotterranei e a combattere qualora fosse stato necessario; dovevo sopravvivere.
Guidati da un concentrato David, ci incamminammo celeri verso la classe di Difesa Contro Le Arti Oscure. Avevano studiato la pianta della scuola con molta attenzione, per anni, e anche se il capogruppo aveva frequentato il castello qualche tempo prima di noi, si muoveva sicuro verso la meta e tutti riuscivamo a stargli dietro senza problemi. E per quanto cauti fossimo stati, era ovvio che non tutto potesse andare bene: fummo attaccati. Da prima ci furono un paio di incantesimi che ci colpirono di striscio, cadendo per terra spaccando il gruppo - ma nonostante  ciò cercammo di restare insieme. Il secondo attacco, invece, fu di tutt'altra natura: tre uomini si avvicinarono a passi veloci, scagliando maledizioni e incanti a raffica, senza nemmeno mirare. Uno degli incantesimi mi sfiorò il fianco destro - riuscii ad evitarlo per un soffio-, ma quando risposi agli attacchi di uno di loro (una donna alta e robusta, dalla folta chioma nera e liscia; donna che non riconobbi) iniziò un testa a testa che mi parve infinito. Più mi impegnavo a ribattere, più quella si divertiva e diventava ostinata. L'aria divenne elettrica e intorno a me ogni cosa sembrava scorrere lenta; sentivo il sudore scendere sulla fronte e il sangue nella bocca dopo aver incassato bene un paio di colpi. Sorrideva, quella donna maledetta, e aveva un'espressione di tale godimento da farmi innervosire ancora di più: si era messa contro la ragazza sbagliata. Scagliai un paio Stupeficium non verbali in maniera così repentina che un baluginio di preoccupazione iniziò a dipingersi sul volto della Mangiamorte, poi, con un movimento veloce del polso, riuscii prima a toglierle la bacchetta e successivamente la schiantai così forte da farla svenire all'istante. 
Sospirai profondamente, un po' esausta ma pienamente soddisfatta. Mi guardai intorno per qualche attimo e, per fortruna, nessuno sembrava essere ferito profondamente; eravamo solo ammaccati, ma nulla di più.
«State bene?» chiese con il fiato spezzato David, guardandoci attento.
Nessuno rispose davvero, se non con un cenno del capo. Non stavamo bene, quella che stavamo vivendo non era una situazione normale, ma dovevamo combattere e stringere i denti.
«Andiamo» disse con un gesto della mano, invitandoci a seguirlo. 
Ci accostammo alle mura antiche della scuola, uno dietro all'altro; oltrepassammo la guferia e, a passi svelti, riuscimmo ad entrare nell'edificio: ci stavano aspettano. Un altro nugolo di Mangiamorte si abbatté su di noi e, seppur provati dalla precedente guerriglia, riuscimmo a tener loro testa. Tuttavia, il gruppo che prima aveva fatto da distrazione affinché noi potessimo entrare più facilmente, venne in nostro soccorso - ormai le sentinelle nei pressi del Platano erano state sconfitte. Nonostante l'aiuto, alcuni di noi ne uscirono fisicamente più distrutti di altri. Io ricordo di aver avuto una ferita al braccio, qualche incantesimo mi aveva colpita allo stomaco e al fianco e mi faceva male la testa, tutto ciò non ci fermò. Andammo avanti, seguiti dal gruppo di distrazione guidato da quello stesso giovane dell'est che aveva discusso con Draco. Quel ragazzo -Sebastian credo si chiamasse- era molto potente e deciso; la sua magia era così veloce e precisa da far impallidire gli avversari, ma nonostante la sua abilità tendeva più ad attaccare che a difendere tant'è che si ritrovò anch'egli con diverse ferite -seppur superficiali.
Dunque, sentendoci protetti dalla bacchetta affilata di Sebastian, proseguimmo celeri attraversando il castello in fretta. Inutile dire quanti Mangiamorte ci attaccarono nel frattempo e quante volte rischiammo di perdere qualcuno, eppure sembrava che la nostra forza di vivere fosse decisamente più forte di qualsiasi esercito. Non so quanto tempo impiegammo per arrivare ai sotterranei, sembrò un'eternità, ma quando ci ritrovammo di fronte alla porta del dormitorio Serpeverde sospirammo tutti di sollievo. 
Eravamo feriti, stanchi e turbati; le bacchette sguainate tra le mani tremanti, i fiati corti, la pelle ricoperta di sudore e sangue e il cuore che batteva all'impazzata. Seppur provati, eravamo decisi ad andare avanti.
«Preparatevi a qualsiasi cosa ci sia dall'altra parte del muro» avvisò David, tendendo il braccio esattamente di fronte a sé «Abbiamo saputo che i prigionieri sono qui, ma non quanto siano protetti. Fate attenzione: i nostri amici potrebbero essere diventati i nemici» continuò piano, con la voce che tremava appena «E ricordate: curiamo prima i più gravi e portiamoli al sicuro, chi riesce a combattere vada in prima linea. Hanno bisogno di ognuno di noi»
Annuimmo, troppo tesi anche solo per una parola. 
Strinsi la presa sulla bacchetta, l'altra andò sulla tracolla della borsa piena di pozioni curative - e qualche pergamena con istruzioni utili. Sospirai profondamente per l'ennesima volta, ingoiai un fiotto di saliva per alleviare l'arsura in gola e mi passai la lingua sulle labbra per lo stesso motivo. Avevo il terrore di scoprire cosa ci fosse dall'altra parte; scendere in campo, dopo tanto tempo, fu più difficile di quanto credessi.
David sospirò forte, puntò la bacchetta dritta verso il muro di fronte a sé e con voce decisa chiamò un paio di noi -tra cui io- che lo aiutassero. Con sguardo fiero - ed una rabbia latente- gridammo «Bombarda Maxima!». La pietra esplose con un forte rumore e una grande quantità di polvere si diffuse nell'aria, ma restemmo tutti fermi in posizione di attacco.
Sentimmo dei chiacchiericci sommessi, segno che ci fosse davvero qualcuno dall'altra parte; le informazioni erano corrette. Tuttavia, quando la polvere si diradò Ghermidori e Mangiamorte cominciarono ad attaccarci. Non avemmo nemmeno il tempo di renderci conto di quanti prigionieri ci fossero, o quanti fossero feriti, iniziammo a combattere strenuamente senza risparmiarci. Dovevamo occuparci dei feriti e portarli al sicuro, volevamo che la guerra finisse ... ed io volevo arrivare a Draco il prima possibile, assicurarmi che stesse bene.
Lanciammo incantesimi uno dopo l'altro, incassando quando uno di quelli ci investiva. Combattei con un Mangiamorte, il cui volto era coperto, che nonostante fosse malconcio poiché colpito da numerosi incanti, continuava a rialzarsi rabbioso; muoveva la bacchetta con velocità, pronunciando maledizioni continue. Per quanto stanca mi sentissi, continuai ancora e ancora finché il nemico non fu a terra, schiantato in un angolo. 
Il cuore batteva forte, i muscoli bruciavano e la testa vorticava appena; lo sforzo della battaglia mi sfibrò più di quanto mi aspettassi, e non era ancora finita. Un Ghermidore, approfittando del mio disorientamento, mi attaccò alle spalle: mi afferrò i capelli e mi lanciò sul freddo pavimento di pietra. Sbattei leggermente il capo e sentii le vertigini aumentare; pareva che tutto intorno a me tacesse. Tuttavia, dopo qualche attimo di smarrimento, riuscii a voltarmi e puntare la bacchetta contro di lui: «Expulso!»
Ci misi tutta la foga che ancora mi era rimasta in corpo per gridare quell'incantesimo e, per mia fortuna, funzionò: scaraventò quell'uomo dall'altra parte della stanza; perse i sensi tanto forte fu il colpo alla testa.
Rimasi a fissare il corpo immobile di quello per qualche secondo, respirando profondamente per riprendere fiato. Sentivo le dita tremare intorno alla bacchetta e la debolezza prendere possesso di ogni fibra del mio corpo. Ero spaventata e preoccupata, ma nonostante ciò sapevo di non potermi fermare proprio in quel momento. Dovevo continuare a rialzarmi perché la guerra imperversava all'infuori dei sotterranei, ed avevo un compito da portare a termine.
«Hermione?» sentii un debole sussurro chiamare il mio nome «Hermione!»
All'ennesimo richiamo, lo sguardo scattò verso l'altro: una mano tesa, ricoperta di polvere e sangue, era proprio di fronte a me. Per qualche secondo non riconobbi a chi appartenesse, ma bastò solamente uno sguardo più attento per capito che quel il volto pallido e smilzo appartenesse a Neville. Stava bene, seppur parecchio turbato. Era un vero sollievo.
«Neville!» sorrisi contenta.
Mi alzai velocemente accettando il suo aiuto, e non gli diedi nemmeno il tempo di guardarmi bene in viso che lo abbracciai forte. Tremavo appena dal conforto di saperlo vivo e al nostro fianco. Gli strinsi le braccia così strette al collo, da fargli emettere un gemito di fastidio, tuttavia il ragazzo non protestò nè si allontanò; ricambiò l'abbraccio solamente qualche istante dopo. Capivo che potesse essere confuso dal mio slancio, ma avere la certezza che non lo avessero ucciso e che avesse conservato quello spirito risoluto di sempre mi scaldarono il cuore.
«Stai bene?» gli chiesi senza allontanarmi.
«Sì» rispose senza fiato «Solo un po' ammaccato»
«Hai qualche ferita?» continuai allentando un po' la presa su di lui.
«Qualche graffio, nulla di che» sospriò profondamente «Però morirò di asfissia se non mi lasci andare»
«Oh, scusa! Scusami!» ridacchiai nervosa.
Mentre faceva qualche passo indietro lo fissai attenta, decisa a trovare qualsiasi cosa non andasse in lui. Gli presi il volto tra le mani e notai diversi graffi che sarebbero andati via velocemente, ma il taglio netto alla testa doveva essere curato il prima possibile. Per quanto rimostranze facesse, riuscii a pulire il sangue secco e a medicarlo con qualche incantesimo e un paio di pozioni. Per i lunghi minuti in cui era stato guarito, teneva stretto tra le mani il Capello Parlante. Non mi ci volle molto per capirne il motivo: solo un vero Grifondoro avrebbe potuto estrerre la Spada di Godric Grifondoro dal quel vecchio copricapo, e lui stava aspettando il momento giusto per uccidere il Serpente - l'ultimo frammento di anima di Voldemort. 
Sospirai sollevata non appena finii con lui. Mi guardai intorno, ormai libera di cercare il mio vero obbiettivo, ma non riuscivo a vederlo. Nessuno si stava prendendo cura di eventuali ferite e tanto meno era raggruppato insieme a coloro che non avevano gravi percosse: tra loro riuscii a vedere anche Luna -che mi sorrise appena- e Cho -che, al contrario, mi guardava diffidente. C'erano molti volti a me sconosciuti, alcuni erano in piedi e pronti a combattere, altri invece erano feriti e bisognosi di cure. Nonostante il dolore, le ferite e le umiliazioni subite, tutti avevano un'espressione determinata sul volto: volevano combattere.
«Hermione» un sussurro sopra i chiacchiericci, esattamente alle mie spalle, mi fece sussultare.
Mi voltai di scatto, riconoscendo quella voce: Draco era poggiato mollemente contro il muro -accanto al camino della sala comune Serpeverde- e mi fissava sorridendo, con gli occhi un po' vacui e il viso pallido; sembrava stravolto.
Mi precipitai accanto a lui, senza intralciare le cure che David stava eseguendo sul giovane. Gli posai piano le mani sulle guance e lo guardai attentamente, preoccupata potesse essere ferito gravemente, mentre lui mi sorrideva sollevato.
«Sta bene?» chiesi a David, senza allontanarmi da Draco.
«Sto bene» sussurrò in uno sbuffo, debolmente; come se potesse davvero convincermi che non gli fosse accaduto nulla.
«Lo hanno torturato diverse volte» si intromise David, stappando una boccetta di pozione «Tuttavia, non ha nessuna lesione interna. E' solo disidratato e stanco» sospirò passandomi quella che riconobbi fosse Essenza di Purvincolo, utile per lenire i dolori «Dagli anche questa» mi porse una provetta con una Pozione Rinvigorente di uno sgargiante arancione.
Annuii appena, troppo attenta alle espressioni del ragazzo semi incosciente. Avrei voluto chiedergli così tante cose, ma sapevo che quello non sarebbe stato il momento giusto; ce ne sarebbe stato il tempo per parlare.
David andò via per occuparsi di qualcun altro, mentre io rimasi accanto a lui -totalmente insensibile a qualsiasi cosa stesse accadendo intorno a me. Fui terribilmente egoista, lo so bene, ma non avevo mai sperimentato una sensazione così forte di paura e ansia per qualcuno che non fossero Harry e Ron. Quando lo vidi, un po' provato ma comunque vivo, mi sentii così sollevata da provare una strana sensazione di leggerezza; come fossi sospesa nell'aria con la mente completamente sgombra -nonostante non fossimo al sicuro.
Aiutai Draco ad ingoiare la Pozione Rinvigorente portandogliela alle labbra. Chiuse gli occhi e aspettò che le cure facessero effetto. Non era completamente lucido e le bellissime iridi azzurre erano velate di dolore e stordimento, tuttavia bastò qualche attimo e ritornò decisamente più lucido.
Alzò le palpebre e fissò il suo intenso sguardo su di me. Si sistemò contro il muro, in maniera più comoda e composta, e avvicinò una mano al mio viso. Mi accarezzò piano ed io sospirai per il sollievo, ancora una volta, con il petto gonfio di gioia.
«Non dovresti essere qui» sussurrò stanco, sbuffando appena.
«Anche tu» gli sorrisi, poggiando una mano sulla sua -ancora sul mio viso.
«Stai bene, vero?» domandò preoccupato.
«Sono solo un po' ammaccata, ma sto bene»
«Bene» sospirò tranquillo «Aiutami ad alzarmi»
«Sei sicuro?»
«Sì, Granger. Adesso sto meglio» 
Annii appena, sospirando forte. Mi tese una mano e piano lo aiutai a rimettersi in piedi. Barcollò per un momento, chiuse gli occhi per riprendersi e, quando li riaprì, sembrava essere tornato ancora più lucido. Si guardò intorno per qualche secondo, forse realizzando solamente in quell'attimo cosa lo circondasse. Sospirò profondamente prima di chiedermi cosa avessimo in mente. E mentre gli spiegavo il piano -che ci fossimo divisi e avremmo poi portato i feriti più gravi nel rifugio mentre gli altri sarebbero rimasti a combattere- Draco non accennò nemmeno una volta a guardarmi, ma girava lo sguardo per tutta la stanza studiando attentamente ogni persona presente. Non aveva nessuna espressione particolare sul viso, non potevo immaginare cosa stesse pensando e ciò mi preoccupò un pochino. Tuttavia, una parte di me, credeva semplicemente che fosse ancora confuso per quello che aveva vissuto.
«Noi riportiamo i feriti al rifugio» la voce di David attirò l'attenzione di tutti nei sotterranei «Rimarrete tutti qui?» 
«Sì, restiamo» rispose prontamente Neville.
Un piccolo gruppo di persone, tra cui Luna e Cho, si strinsero intorno a lui e annuirono, con l'espressione più determinata che io avessi mai visto. Nessuno si oppose, nessuno disse nulla, ci fu solamente un grande silenzio lungo pochi attimi carico di cose non dette - ci sarebbe stato il tempo di discutere e ognuno di noi sperava in cuor suo di vedere tutti sani a salvi alla fine della guerra.
«Bene» sospirò il nostro coraggioso capogruppo - aveva il viso contratto dall'ansia dimentico di quella sicurezza mostrata fino a poco prima «Vi auguro buona fortuna, ragazzi».
E detto ciò riuscì a Smaterializzarsi, grazie alle barriere ormai cadute. Tutti sapevamo che non fosse una buona idea poiché i feriti avrebbero potuto peggiorare, ma non era nemmeno il caso di ritornare sul campo di battaglia con il rischio di non ritornare mai al rifugio. Per noi, invece, che avevamo scelto di essere lì, era completamente diverso: eravamo provati, stanchi e con qualche graffio, ma eravamo abbastanza in forza da poter combattere e aiutare. Avevamo il dovere di mettere fine a tutto, così da poter vivere il futuro che meritavamo.
Per un attimo un pesante silezio scese nel sotterraneo, intervallato solamente dai respiri affannati e spaventati di ognuno di noi, ma poi la voce di Neville -coraggioso come forse non lo era mai stato- si levò in alta per incoraggiarci ad andare lì fuori, allo stesso modo in cui fece anni prima, quando vedemmo Harry tra le braccia di Hagrid.
«Granger» mi richiamò sicuro Draco, mentre Neville ancora parlava.
Mi voltai piano e feci un passo verso di lui. Era agitato; respirava velocemente e il volto divenne un po' più pallido, e sapevo non fosse dovuto a ciò che gli era successo. Qualcosa lo turbava profondamente; i suoi occhi lucidi non potevano mentire. 
«Va tutto bene?» sussurrai preoccupata, poggiando le mani sulle sue spalle.
«Hermione» sospirò il mio nome, con la voce tremante, mentre le sue mani si posarono delicatamente sulle mie guance rosse «Se ti chiedessi di andare via insieme, proprio adesso, tu mi seguiresti?»
Restai in silenzio di fronte quella richiesta così vera e spontanea. Mi persi nei suoi occhi chiari e una parte di me avrebbe voluto andare via con lui in un luogo sicuro e aspettare che la guerra finisse per poter vivere senza paura; l'altra parte, invece, quella puramente Grifondoro e leale ai suoi ideali e agli amici voleva restare, ed era così forte il desiderio che nemmeno l'uomo che amavo avrebbe potuto farmi cambiare idea. Forse avrei dovuto essere più egoista e andarmene, ma in quel momento l'unica cosa che davvero desideravo era combattere per l'avvenire. 
«Draco, io ...io non ...» non ebbi il cuore di rifiutarlo. Tuttavia, lui capì.
«Lo sapevo» sospirò con il respiro corto, poggiando la fronte sulla mia per qualche attimo - il tempo di riprendere fiato «Allora ti conviene ascoltarmi bene, perché non lo ripeterò una seconda volta» mi guardò determinato, seppur il terrore fosse ancora presente nei suoi occhi e nella sua voce «Sono follemente innamorato di te Hermione Granger e vorrei portarti via di qui immediatamente, ma so che non posso» lui gli occhi pieni di lacrime e terrore; io il cuore in subbuglio e le mani tremanti «E ti giuro che nell'esatto momento in cui questa follia finirà, ce ne andremo in Provenza, in uno di quei cottege che tanto amavi da bambina» rise nervoso, ed io feci lo stesso senza ormai trattenendo le lacrime «E quando saremo lì faremo tutto quello vogliamo a patto che resteremo al sicuro, lontano dalle conseguenze. E non provare nemmeno a ribattere, Granger».
Non potevo, non avrei mai potuto obbiettare di fronte quella inaspettata quanto dolce dichiarazione. Draco non era mai stato una persona di troppe parole, eppure in quel momento, dove la morte pendava sul collo come la spada di Damocle, si lasciò completamente andare: gli occhi rossi e il volto pallido, le mani tremanti sulle mie guance e l'espressione impaurita disegnata sul volto. Non aveva detto nulla per farmi desistere, sapeva sarebbe stato inutile, ma aveva così tanta paura che per un attimo fui davvero tentata di lasciare tutto - in fondo, anche io temevo di non uscirne viva. 
Lo guardai con gli occhi strabordanti di lacrime, le labbra tremanti e i sentimenti in subbuglio. Avevo un profondo mal di testa e tutte quelle emozioni mi fecero provare uno strano senso di smarrimento, oltre che le vertiggini. Seppur non fosse al suo massimo, Draco era davvero bello, forse come non lo era mai stato prima - spoglio della sua solita maschera di indifferenza; erano meravigliose quelle insicurezze, ed io lo amai un po' di più.
«Draco, io-»
«Hermione!» la voce preoccupata di Neville ruppe quel momento accorato «Diobbiamo andare adesso» mi guardò serio, stringendo la bacchetta tra le mani «Hanno bisogno di aiuto».
Annuii, rassegnata al fatto che non avrei potuto ancora confessare i miei sentimenti, ma l'avrei fatto quando quella guerra sarebbe finita; avrei detto a Draco che lo amavo quando saremmo stati in Francia, da soli e finalmente liberi. Lo promisi a me stessa.
Guardai per un attimo l'uomo che amavo e mi accorsi che lui non aveva distolto lo sguardo nemmeno un momento. Mi fissava attento, come se quella fosse stata l'ultima volta che mi avrebbe vista, ma io non feci lo stesso: ero convinta che ne saremmo usciti insieme e che avrei rivisto i suoi occhi azzurri all'infinito.
«Andiamo» sussurrò sorridendomi appena.
Draco non voleva combattere, ma allo stesso tempo desiderava starmi accanto per proteggermi e assicurarsi che non morissi. Non c'era bisogno di parole, quello lo sapevo bene; credo che lui tenesse a me più di quanto avesse ammesso, ma in quel momento non lo capii a pieno. Pensavo solamente a combattere per sopravvivere. Lo avevo sempre fatto.
Ci allontanammo l'uno dall'altro e seguimmo Neville e gli altri fuori dai sotterranei. Non l'avevo notato prima, ma il gruppo che aveva deciso di restare era abbastanza numeroso, ne eravamo una ventina. Certo, eravamo consapevoli che non avremmo fatto la differenza, ma la nostra presenza poteva comunque aiutare e la determinazione che tutti noi avevamo ci rendeva, in qualche modo, più forti. Tuttavia, col senno di poi, avrei dovuto scegliere di scappare via e lasciare che fossero altri a mettere fine a quella oscurità. 
Non ricordo moltissimo di quei momenti, molti sono annebbiati a causa della stanchezza e dell'adrenalina; eravamo molto provati nonostante la convinzione di potercela fare. Però, altri istanti sono impressi nella memoria; attimi in cui ho creduto di morire dal dolore. 
C'era un forte odore di sale, sangue e cenere; l'aria era pregna di magia e gli incantesimi fischiavano in ogni angolo del castello. D'improvvviso, un urlo straziante squarciò quella cupa atmosfera trasmormandola in qualcosa di peggiore; i Mangiamorte contro cui stavamo combattendo si fermarono per qualche secondo, con gli occhi spalancati. Draco ed io, seppur feriti e provati, continuavamo a combattere fianco a fianco, senza mai allontanarci, in quella che prima era la Sala Grande. Qualcosa cambiò intorno a noi in maniera percepibile, eppure tutto sembrava essere immobile e sempre uguale. Fu una strana sensazione, ma in quel momento capimmo che Voldemort era stata confitto e, successivamente, ne avemmo la conferma dalle grida di Bellatrix sulla soglia dell stanza e dalla fuga di Mangiamorte che scomparivano in dense fumate nere. Tuttavia, seppur alcuni codardi avevano deciso di abbandonare il campo prima di essere catturati, altri rimasero determinati a vendicare il Mago Oscuro in cui avevano creduto e ... Bellatrix era tra questi. 
La battaglia in Sala Grande risprese, ancora più furiosa, e ammetto che fu difficile tenere testa a così tanta rabbia. Eppure mancava poco, così poco e quell'incubo sarebbe finito; dovevamo tenere duro. Ad uno ad uno i Mangiamorte caddero sotto le bacchette degli Auror; ne rimasero solamente pochi, ma quelli non avevano nessuna intenzione di desistere. Non sapevo chi fosse l'uomo che mi aveva appena lanciato uno Schinatesimo, dal volto deformato dall'ira, però ero cosciente del fatto che avrei faticato ad allontanarlo. Ero così impegnata a difendermi, ero ormai priva di forze, che non mi resi conto di ciò che avveniva intorno a me, tanto da non accorgermi che Draco stava combattendo contro sua zia. E quando finalmente con uno Stupeficium avevo lanciato il mio avversario contro la parete e mi guardai intorno era ormai troppo tardi per intercettare la Maledizione Senza Perdono che Bellatrix mi aveva scagliato. Avevo la bacchetta ancora tra le mani tremanti, la alzai per difendermi anche se sapevo non sarebbe servito. 
Un urlo echeggiò nella stanza, sovrastando il resto: «Avada kedavra!».
Era disperato. Era tremante. Era il mio Draco. E se l'incantesimo contro Bellatrix la centrò in pieno facendola cadere al suolo come un giocattolo rotto, io mi ritrovai in piedi a fissare il punto in cui era appena deceduta. Guardavo con occhi spalancati e la paura nel petto la schiena possente di Draco esattamente di fronte a me: aveva parato il colpo e ripagato sua zia con la stessa moneta. Era finita. Non potevo crederci.
Draco si voltò lentamente nella mia direzione, mi guardò per qualche secondo e in quegli occhi azzurri ci vidi tutto l'amore che provava per me. E poi anche lui cadde al suolo. E tutto sembrò precipitare velocemente. Fu solo quando lo vidi immobile ai miei piedi che capii: non aveva usato la magia per difenderci, ma si era gettato davanti a me con l'intento di essere colpito al posto mio.
«No» sussurrai piano, mettendomi in ginocchio «No, Draco» mormorai mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime.
Gli accarezzai il volto e i capelli, lo scossi forte premendo le mani contro le spalle, ma lui non apriva gli occhi. Il panico cominciò ad impossessarsi di me e la consapevolezza di quello che davvero era successo mi travolse come un treno in corsa.
«Svegliati ti prego!» urlai disperata poggiandogli la testa sulle mie ginocchia «Non puoi morire, Draco! Non puoi lasciarmi da sola!» piansi tremante, mentre continuavo ad accarezzarlo «Mi avevi promesso di portarmi in Francia, di avere un futuro insieme. Ti prego svegliati!» abbassai il capo, con il volto completamente bagnato, e poggiai la fronte contro la sua «Cosa dirò a tua madre quando si sveglierà? Apri gli occhi Draco!»
Non so cosa successe nel frattempo, ma mi sembrò di essere circondata dal silenzio. Un silenzio rispettoso ma teso. Forse sbagliavo, forse ero solo accecata dal dolore della perdita e dai sensi di colpa che sentivo mi stessero per schiacciare: lui voleva andare via insieme, ma era rimasto a combattere per me.
Più trascorrevano i minuti senza che lui aprisse gli occhi più il cuore mi si spezzava. Non potevo credere che fosse successo davvero. Draco non poteva essere morto, non quando era tutto finito e potevamo essere liberi.
«Hermione» fu solo un sussurro quello di Ron (non seppi nemmeno quando mi avesse raggiunto), che nemmeno sentii nitidamente tra il pianto e i singhiozzi «Hermione, lascialo andare».
«No!» gli urlai contro «Non posso, non posso» dissi tra i singhiozzi sempre più forti; mi faceva molto male il petto.
«Hermione, ti prego» mormorò dolce Ginny accanto a me, posando una mano sulla mia spalla.
«No, no no!» scossi il capo disperata, colpevole «Non gli ho nemmeno detto che mi sono innamorata di lui, Ginny! Lui non sa che lo amo!»
«Malfoy lo sa, ne sono certa» mormorò lei piano, come stesse parlando ad una pazza: stavo impazzendo per il dolore.
«No, no» piansi ancora «Draco. Draco» ripetei, come se avessi paura di dimeticare il suo nome, piegata su di lui e stringedolo forte contro il petto «Draco. Draco. Draco!» 
Senza preavviso, con una dolcezza infinita, Ron mi afferrò le braccia e mi allontanò dal corpo senza vita del ragazzo che amavo. Non opposi resistenza, non ne avevo le forze. Vidi Auror e studenti alzare Draco dal punto in cui era deceduto e portarlo dall'altra parte della stanza, dove erano stati spostati altri caduti di guerra. E allora piansi più forte, aggrappata alla forti spalle del mio migliore amico. 
In quel momento avevo perso la poca luce che avevo trovato in mezzo a tutta quella oscurità. Draco aveva significato futuro quando non ne vedevo uno e speranza quando ormai non vedevo via d'uscita, e se n'era andato via per sempre. Non avrei più visto i suoi occhi azzurri, tanto meno il sorriso impertinente, né avrei più sentito la sua voce e la sua risata. Era davvero tutto finito ed era solo colpa mia.
Continuai a piangere consapevole che una parte di me era morta insieme a lui.

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Capitolo 41
*** 40 - Light in the darkness ***


«Light in the darkness»

Mi sentivo terribilmente vuota. Avevamo vinto, eppure non ero felice come avrei dovuto essere. Guardavo fuori la finestra con sguardo perso, mentre la pioggia scendeva copiosa al di fuori di quelle fredde e lussuose mura che mi avevano visto prigioniera; che avevano assistito alla nascita di quel sentimento a dir poco miracoloso per quei tempi oscuri.
I giorni successivi alla sconfitta di Voldermort furono i più difficili per tutti noi. Soffrivamo per le perdite umane e per la distruzione completa di quella scuola che per anni era stata un luogo sicuro. Dovevamo iniziare da capo, ma non sarebbe stato facile. Avevamo fatto la conta dei morti e avevamo seppellito i nostri compagni; assistere a così tanto dolore non fece altro che spezzarmi ancora un po'. Di quei giorni, infatti, non ho un nitido ricordo; fu tutto così veloce e soffocante. 
Anche in quel momento mi mancava l'aria: c'era appena stato il funerale di Draco. Narcissa aveva deciso che suo figlio sarebbe stato accanto ai suoi avi, avrebbe riposato in pace non troppo lontano da lei. Non fu facile dire quanto accaduto alla matrona di casa Malfoy. 
La donna si svegliò qualche giorno dopo la fine, chiedendo immediatamente di vedere Draco, ma invece c'ero solamente io al suo fianco. Ricordo mi guardò confusa, con gli occhi vacui di chi si era smarrito e non sapeva se si sarebbe ritrovato. Mi sentii così male a guardare quegli occhi intensi che, immediatamente, iniziai a piangere. Dapprima abbassai il volto e piansi in silenzio, ma poi ogni singola immagine del momento della sua morte mi si ripresentò veloce nella mente e i singhiozzi divennero più forti e disperati. Era colpa mia, non facevo che ripeterlo; non trovavo pace.
«Mi dispiace» dissi tra i singulti «E' tutta colpa mia» mi portai le mani sul volto - non avevo il coraggio di guardarla «Non ho mantenuto la promessa che vi avevo fatto».
Nella stanza del rifugio c'erano solamente i miei lamenti. Narcissa stette in silenzio, elaborando ciò che le avevo appena detto. Non c'era bisogno di essere esplicita, credo che il mio dolore e la mia disperazione fossero state molto eloquenti. E per un lungo momento vi fu solamente l'eco dei miei singhiozzi e il borbottio continuo delle mie scuse ad una madre che aveva perso il figlio, la sua intera famiglia.
Ero così concentrata e imbarazzata, da non aver sentito il fruscio delle lenzuola. Sentii solamente un tocco gentile alle mani che ancora mi coprivano gli occhi; dita che mi invitavano dolcemente a mostrarmi. Alzai lo sguardo e mi ritrovai il volto pallido e algido di Narcissa Malfoy che mi sorrideva triste, con le lacrime intrappolate tra le ciglia. Mi prese una mano tra le sue mentre l'altra iniziò ad accarezzarmi piano il capo, ma più la fissavo più i sensi di colpa mi assalivano.
E piansi ancora, con gli occhi dritti in quelli della donna. Aveva appena perso tutto, eppure sembrava tranquilla seppur infinitamente triste e mi consolava come fossi sua figlia.
«Lui voleva andare via,» borbottai tra le lacrime «ma è rimasto per me» continuai singhiozzando «E' tutta colpa mia. Vi chiedo scusa!»
Poggiai il volto sul suo grembo, nascondendomi ancora al suo sguardo privo di ogni giudizio. Avrei preferito mi urlasse contro, che mi desse la colpa di tutto, invece il suo comprendere mi fece inspiegabilmente più male. 
Sospirò forte e continuò ad accarezzarmi il capo senza dire una parola, eppure ero consapevole di quanto stesse soffrendo. Avevo visto con i miei occhi il dolore di una madre preoccupata per suo figlio, l'unica cosa bella che le era rimasta in un mondo ormai perduto. 
«Non è colpa tua» sussurrò con voce tremante «So bene quanto tenesse a te e non sono sorpresa di sapere che ti è stato vicino» continuava a consolarmi, ma percepivo le sue lacrime anche se non potevo vederle.
«Voleva andare via! Voleva portarmi al sicuro!» ripetei «Perdonatemi!»
«Non c'è niente che io ti debba perdonare» uscì come un lamento quella frase «Hai portato la luce nella vita di mio figlio e gli hai dato la speranza per un futuro. E ti ringrazio per questo».
Scossi il capo, incredula di fronte a tali parole, e non potei far altro che piangere ancora, piangere più forte. Non poteva avermi perdonato, io non mi ero perdonata e forse non lo avrei mai davvero fatto. 
Continuai a restare ferma lì, in lacrime, sulle gambe di Narcissa, a mormorare ancora una scusa dietro l'altra; lei, invece, continuava a passare le mani tra i miei capelli e a dar sfogo al suo dolore il silenzio. 
Nei giorni successivi al risveglio della Signora Malfoy ero stata così impegnata da riuscire a pensare alla perdita solamente la notte, quando andavo a letto; piangevo inzuppando il cuscino di lacrime. Tuttavia in quel momento, in quella casa, sembrava che quella sensazione di dolore e senso di colpa ritornassero a galla tutto d'un botto. 
I funerali di Draco si erano appena conclusi ed io rimasi a guardare la pioggia cadere, a sentirne il debole suono contro le vetrate perdendomi completamente nel ricordo di quello che era stato. Aveva fatto male dirgli nuovamente addio, però per mia fortuna avevo accanto non soltanto Narcissa, ma anche i miei migliori amici. Molte persone parteciparono a quella funzione privata, persino qualche figura che poi sarebbe finita ai vertici del Ministero. Mi aveva riempito il cuore vedere così tanta gente che aveva giudicato Draco in passato come qualcuno immeritevole di fiducia; la loro presenza significava moltissimo, soprattutto per Narcissa.
«Hermione» mi richiamò la voce dolce e bassa di Harry «Come stai?» mi chiese gentile, quasi con timore -era ovvio che non stessi bene, ma mi piacevano le sue premure.
Si era fermato alla mia destra. Io voltai il capo e lo guardai dritto in quegli occhi verdi che tanto mi avevano fatta sentire a casa in passato -un passato che mai come in quel momento mi appariva terribilmente lontano.
«Con il tempo starò meglio» sussurrai sorridendo triste.
«Sai che puoi contare su di noi, vero?» mi prese per mano e la strinse forte; un cipiglio serio comparì sul suo viso che, con quel suo solito aspetto scarmigliato, mi fece quasi sorridere divertita.
«Sì, lo so» annuii intenerita «Grazie Harry»
«Noi andiamo al camino. Ti aspettiamo, va bene?» 
«Va bene»
Mi sorrise, strinse ancora un po' le dita contro le mie e andò via. Lo vidi raggiungere Ginny e Ron che, da lontano, mi sorrisero affettuosamente. Andarono via dal Salone Piccolo in silenzio. Sapevano avessi bisogno di un po' più di tempo per razionalizzare e di parlare con la padrona del Manor. 
Narcissa era seduta sul divano con la testa alta ma lo sguardo basso, avvolta in un abito nero che la rendeva ancora più pallida. La fissai per qualche attimo e pensai che staccarmi totalmente e subito da lei, da quello che era successo in quella casa con suo figlio fosse troppo doloroso da fare adesso. 
Mi avvicinai e poi mi sedetti al suo fianco. Non sapevo cosa dirle. Avevamo pianto insieme durante la cerimonia tenendoci strette per mano, ma in quel frangente non sapevo come comportarmi. 
«Grazie per avermi avvertito della cerimonia» sussurrai stringendo le mani a pugno sulle gambe.
«Draco avrebbe voluto fosse così» sospirò piano voltandosi verso di me «E anch'io, a dire il vero».
«Non me lo merito» mormorai trattenendo le lacrime.
«Sì, invece. Te l'ho già detto: non hai colpe» fu molto dolce la sua voce. Mi fece alzare gli occhi su di lei con un gentile gesto delle dita sotto il mio mento «Ho imparato a conoscerti, Hermione. So chi sei, e lo sapeva anche Draco» si rattristò al pronunciare il suo nome «Sei sempre stata gentile con me e la tua compagnia è a dir poco piacevole»
«Allora, posso chiedervi di ... di tornare qui per-per tenerci compagnia?» sussurrai con le lacrime che minacciavano nuovamente di scendere, il cuore che batteva forte e le mani chiuse che tremavano appena.
«Puoi venire tutte le volte che vuoi» mi sorrise, quasi sollevata «Paradossalmente, sei l'unica persona che mi è rimasta».
A quelle parole mi lasciai completamente andare ad un nuovo pianto liberatorio. Con slancio, l'abbracciai stretta nascondendo il volto tra i suoi capelli sciolti; aveva un buonissimo profumo di pino. Le sussurrai un tremante «Grazie!» e mi beai di quella calda stretta materna.
Non sapevo cosa sarebbe successo in futuro, ma ero certa che quella donna sarebbe stata un punto fermo in quella mia nuova vita. Ne ebbi poi dimostrazione solamente qualche mese dopo.
Era da un po' di tempo che non mi sentivo bene: avevo gli incubi ogni notte e dunque mal di testa frequenti, avevo perso completamente l'appetito e le nausee mi stavano facendo davvero soffrire molto; mi sentivo continuamente senza forze ed ero sempre assonnata. Tuttavia, non ero l'unica a stare male. Anche Harry, Ginny, Ron e i Weasley non avevano una bella cera, e con gli avvenimenti postumi della guerra -come aiutare a ricostruire Hogwarts o le riunioni dell'Ordine per decidere i prossimi passi- era normale che non fossimo in forma. 
Nonostante ciò, quando un giorno di marzo mi sentii davvero poco bene a Malfoy Manor, Narcissa, spaventata dal mio colorito a dir poco cadaverico, chiamò un Guaritore affinché mi visitasse. Non avrei mai creduto che quel momento avrebbe cambiato la mia vita per sempre.
«Finalmente una luce in questo mare di tenebre» aveva commentato commossa la donna, guardandomi con un amore di mamma che avevo ormai dimenticato.
In un primo attimo, appresa la notizia, mi sentii terribilmente persa. Mi chiesi cosa avrei fatto e cosa ne sarebbe stato dei miei progetti, ma poi mi fermai a ragionare sospirando profondamente: avevo una parte di Draco con me che sarebbe vissuta per sempre.
Tuttavia, quell'ultima consapevolezza arrivò dopo giorni in cui mi ero rinchiusa in una stanza di Grimmauld Place, ormai il quartier generale dell'Ordine. Harry mi aveva concesso di restare lì finché ne avessi avuto bisogno, poiché i miei genitori ancora non ricordavano nulla di me e la mia vecchia casa era stata distrutta dai Mangiamorte venuti a cercarmi anni prima. 
Una mattina, dunque, mi alzai e dopo tanto tempo sorrisi. Fuori c'era un sole lieve e quell'inizio di primavera entrò nella stanza scaldandola appena. Ero ancora a letto a guardare il soffitto ed una mano finì sul mio ventre senza che nemmeno lo volessi. Chiusi gli occhi e sospirai forte. Dovevo rialzarmi e trovare la forza di andare avanti perché ne andava anche di un'altra vita e mi ripromisi di non essere più egoista; quella piccola luce aveva bisogno di me.
Seppur il dolore e i dubbi mi facevano dolore la testa ero determinata ad andare avanti e prendermi il tempo per rimettermi in sesto.
Quella stessa mattina bussarono alla porta e i volti preoccupati dei miei migliori amici fecero capolinea dallo spiraglio aperto da Ginny. Li guardai affettuosa, consapevole di dover affrontarli e dire loro la verità; mi ero nascosta per troppo tempo.
«Possiamo?» domandò la ragazza, aprendo completamente la porta.
«Certo» sorrisi appena.
«Vai da qualche parte?» domandò curioso Ronald non appena mise piede nella stanza.
Me ne stavo andando. Avevo bisogno di spazio e tempo per me stessa, e non solo, per capire e riprendermi. Era stata una decisione presa d'improvviso, ne avrei parlato con loro appena le valige sarebbero state pronte.
«Sto andando via» dissi tutto d'un fiato.
«Cosa?» chiesero quasi in coro, con lo sguardo preoccupato.
«Perché?» domandò Ginny.
«E' successo qualcosa?» intervenne anche Harry, facendo un passo in avanti.
Annuii sospirando. Ingoiai un fiotto di saliva per alleviare la secchezza che avevo in gola. Ero terrorizzata sia per quello che avrebbero potuto dire, sia per ciò che mi aspettava da quel momento in avanti; mi batteva fortissimo il cuore.
«Sono incinta»
Per un po' ci fu solo il silenzio nella stanza. Guardavo i volti sorpresi dei miei amici e aspettavo che fossero loro a rompere il ghiaccio; ero già troppo provata per tutto.
«Cosa-come lo hai scoperto?» fu la più piccola dei Weasley a riprendersi per prima, ancora un po’ confusa.
«Qualche giorno fa al Manor» confessai in un lungo sospiro.
«E perché non ce lo hai detto?» fu curioso Ron, seppur il suo tono sembrava essere indispettito.
«Be', ecco ...» farfugliai «Io-io dovevo venire a patti con la notizia» chiusi gli occhi e respirai profondamente «Narcissa ne è stata subito molto felice, ovviamente, ma io ... io non sapevo cosa pensare. All'inizio ero solo preoccupata di vedere i miei progetti andare in frantumi, ma poi ... le cose si sono complicate» scossi il capo trattenendo le lacrime «Insomma, questo bambino non conoscerà mai suo padre» iniziai a piangere ancora e la frase risuonò come un lamento «E Draco-Draco non potrà mai godere di suo figlio» continuai allo stesso modo «Cosa gli dirò? Come farò da sola?»
«Ma non sei da sola» intervenne Ron, avanzando di poco verso di me «Noi saremo sempre qui, Hermione»
«Lo so, Ron» gli sorrisi asciugandomi le lacrime «Ma non è lo stesso. Mi sarebbe piaciuto vedere come sarebbe andata tra noi, come avrebbe reagito alla notizia e come avrebbe cresciuto nostro figlio» confessai triste «E' per questo che devo andare via. Ho bisogno di allontanarmi da ogni cosa e riprendere in mano la mia vita. Sarà difficile, lo so bene, però ne ho davvero bisogno» dissi decisa.
«E dove andrai?» chiese cupo Harry; sapevo che la notizia della mia partenza li avrebbe rattristati.
«In Provenza» sorrisi felice «E' lì che volevamo andare Draco ed io non appena la guerra sarebbe finita» sospirai di nuovo, trovando un po' di sollievo nel dolce ricordo di quella notte trascorsa insieme tra baci e confessioni «Non preoccupatevi, non ho nessuna intenzione di interrompere la nostra amicizia. Come so che voi ci sarete per me, anche io ci sarò sempre per voi. Saremo ad una passaporta di distanza».
«Non puoi ripensarci?» domandò speranzoso Ron, con la voce appena tremante.
«Sono sicura di quel che faccio» mi avvicinai a lui e gli accarezzai piano una guancia sorridendogli con gli occhi ancora umidi «Tornerò, state tranquilli!» mi voltai a guardarli uno per uno «Non ho intenzione di abbandonare il mio paese, né voi. Ho solo bisogno di tempo».
Con le lacrime agli occhi, Ginny corse ad abbracciarmi e la sua stretta fu tanto forte da soffocarmi quasi, ma non me ne lamentai. Subito dopo si unì anche Ron che mi lasciò anche un dolcissimo bacio sulla guancia, trattenendo la voglia di piangere. Harry, invece, rimase fermo a pochi passi di distanza a fissarmi triste, con lo sguardo colmo di preoccupazione e malinconia. Capivo fosse difficile soprattutto per lui che aveva trovato in me e Ron la famiglia che non aveva mai potuto avere. Tuttavia, si riprese e, piangendo silenzioso, ci raggiunse e si strinse in quell'abbraccio scomodo ma pieno d'amore.
Mi sentii bene tra le braccia dei miei amici dopo moltissimo tempo. Sapevo di aver preso la giusta decisione e non mi restava altro da fare che iniziare la mia nuova vita insieme alla mia piccola luce.

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Capitolo 42
*** Epilogue. ***


Godric's Hollow Agosto 2017

Nella stanza scende un silenzio abbastanza teso. Sospiro piano e chiudo per qualche secondo gli occhi; il cuore mi batte veloce e le sensazioni provate alla morte di Draco ritornano a galla, esattamente come le immagini di quei momenti.
Lux sembra turbata. Si asciuga le lacrime e abbassa lo sguardo sul tappeto ai piedi del divano. I lunghi capelli biondi le nascondono il volto, ma sento il suo fiato un po' corto e il pianto farsi appena più forte; è troppo orgogliosa per mostrarsi così debole. In cuor mio spero solo che questa storia non l'abbia confusa ancora di più.
«Stai bene tesoro?» sussurro preoccupata, accarezzandole piano la testa.
«Sì» sospira forte asciugandosi le guance «Sì, sto bene» rialza lo sguardo e mi sorride triste.
«Ne sei sicura?»
«Sono sicura» annuisce sospirando profondamente -spera di calmarsi «Cosa è successo dopo?»
«Sono andata in Provenza, a Vaucluse, e mi sono dedicata agli studi e poi ... sei nata tu» le sorrisi felice, ricordando quanto amore avessi provato nello stringerla a me la prima volta «Non è stato facile, soprattutto i primi tempi, ma Narcissa mi ha aiutato tanto. È venuta a trovarci spesso dopo la tua nascita»
«E i tuoi genitori?» domanda curiosa, aggrottando la fronte; il suo volto adesso è leggermente arrossito per il pianto, ma per fortuna è molto più tranquilla.
«Il Ministero mi ha aiutati a trovarli, però non ha potuto ridar loro la memoria. Avrebbero potuto esserci serie conseguenze essendo stati esposti per troppo tempo alla mia magia. Dunque, ho preferito non rischiare» confessai con ancora la stessa tristezza di anni fa «Mi basta sapere che stanno bene».
«E ... Lucius è ancora ad Azkaban?»
«Ci resterà per sempre in quel posto» sussurro in un sospiro; cerco di essere quanto più indifferente possibile -non voglio odi quell'uomo come lo odio io, nonostante le sue azioni.
«E di Astoria cosa ne è stato?» è sempre più curiosa.
«Dopo il processo a sua sorella Daphne, che ha scagionato l'intera famiglia grazie all'aiuto dato, lei è andata negli Stati Uniti ed ha sposato un uomo facoltoso-almeno così ho sentito dire» le rispondo sorridendo; non nego che un po' di rancore nei suoi confronti non è mai sparito: se non si fosse comportata come una ragazzina gelosa, magari le cose sarebbero state diverse.
«Capisco» mormora mordendosi il labbro subito dopo.
C'è nuovamente silenzio all'interno del nostro salotto. Lux sembra ancora pensierosa e vorrei si sentisse libera di esprimere sé stessa senza pura di essere giudicata. Forse è colpa mia, avrei dovuto parlarle ed essere chiara sulla situazione complessa in cui la mia bambina si è ritrovata a causa mia.
«Tesoro» sussurro afferrandole le mani «ascoltami bene: non importa quale sia il tuo cognome» la guardo seria in viso «tu sei una Malfoy, una Weasley e anche una Granger» le dico convinta «Ti abbiamo cresciuta in modo che solamente tu potessi decidere chi essere davvero e nessun altro» stringo un po' di più la presa «Capisco che certe persone possano diffidare di te a causa del tuo cognome, ma hai tanti amici che ti vogliono bene perché sei Lux»
«Ma se è mia sorella a far presente questa differenza in continuazione ...»
«Rose, quando sarà più grande, comprenderà meglio qualsiasi situazione. Lei ti vuole bene, ma credo sia solamente un po' invidiosa delle attenzioni che susciti, in famiglia e non»
È ridicolo, mamma» scuote il capo e sbuffa.
«Lo so, tesoro, ma è solo una bambina. Abbia pazienza, va bene?»
«Va bene» sospira profondamente, chiudendo gli occhi per qualche attimo; non mi lascia andare le mani e capisco abbia bisogno di altre conferme e di supporto.
«Sarebbe molto fiero di te e della giovane donna che sei diventata» mormoro in un sorriso, spostandole una ciocca di capelli biondissimi dietro l'orecchio; è così bella la mia luce, così somigliante al padre in modi che non so nemmeno spiegare.
«Suppongo avrebbe preferito vedermi in Serpeverde» scherza; un sorriso triste sulle labbra.
«Sì, certo» ridacchio all'immaginare il cipiglio di disappunto di Draco se solo avesse saputo la notizia «Tuttavia, meglio Corvo che Grifone»
«Immagino lo avrebbe fatto impazzire!» rise di gusto.
«Avrebbe borbottato per settimane intere e mandato una lunga lettera di disappunto alla preside» aggiungo sincera, sulla scia del divertimento di mia figlia.
«Avrei voluto conoscerlo» sospira malinconica, cambiando ancora umore.
«Anch'io avrei voluto lo conoscessi. Non era un tipo facile, ma ti avrebbe amata più di qualsiasi altra cosa al mondo»
«Sì, adesso lo so» mi sorride sincera, guardandomi dritta negli occhi.
La guardo per lunghissimi minuti, studiandone ancora una volta i particolari: il volto affilato dalla carnagione chiara, gli occhi grandi e scuri dalle folta ciglia bionde, il naso piccolo con la punta all'insù, le labbra sottili e naturalmente rosee e quei capelli biondi come il grano, morbidi e leggermente mossi che le cadono disordinati sulle spalle; ha sempre un'espressione indecifrabile sul volto ed è così chiusa e riservata che è sempre difficile entrare nel suo mondo, eppure, quando si apre e si mostra per la ragazza sensibile e sveglia qual è, si capisce benissimo quanto bella sia in realtà -dentro quanto fuori. Ronald ed io abbiamo fatto un buon lavoro con lei. Ammetto che il merito è anche di Narcissa: quando era più piccola mi ha chiesto se Lux potesse imparare certe maniere e etichette a cui i Malfoy e i Black tenessero particolarmente, appellandosi al fatto che fosse l'ultima delle due famiglie. Accettai senza problemi; mi ha aiutata molto in passato a crescere Lux prima di Ron. Certo, schiaffeggiare sua sorella non è esattamente ciò che sua nonna le ha insegnato, se sapesse impallidirebbe, ma credo che a volte la rabbia vada oltre le buone maniere.
Scuoto il capo e lascio la presa dalle sue mani. Mi guarda un po' perplessa, eppure non chiede nulla: slaccio la collana che ancora porto al collo e gliela porgo con un sorriso.
«Lui vorrebbe che l'avessi tu» 
«La porti ancora, dopo tutto questo tempo» mi guarda sorpresa, con gli occhi lucidi.
«Sì, è l'unica cosa che ho di lui» sospiro guardando quel fiocco di neve che tanto aveva significato -e significa- per me.
«E vuoi darla a me?» chiede insicura, seppur sappia benissimo quanto contenta sia in realtà.
«Io ho te, Lux. Avrò sempre una parte di Draco con me ed è arrivato il momento che anche tu ne abbia una» le accarezzo piano il viso «Adesso sai ogni cosa: chi era realmente, cosa ha fatto ... e cosa significa quella collana. So che non basta, non basterà mai, ma almeno così potrai sentirlo più vicino»
«Grazie, mamma» mormora contenta, fissando attenta l'incisione sul ciondolo «E' importante per me» sospira forte «Posso chiederti un'altra cosa?»
«Certo»
«Papà Ron?» domanda curiosa stringendo il girocollo tra le dita «Voglio dire, quando è iniziato?»
«Quando siamo tornati dalla Francia» sorrido sincera, con il cuore riscaldato da una sensazione molto piacevole «Ho finito gli studi, con un grandissimo aiuto da parte di Narcissa, e non appena hai compiuto un anno siamo tornate a casa. Non è stato facile crescere te e avviare la mia carriera, ma Ron è stata la persona che ci è stata più vicina. Mi ha aiutato tantissime volte, lo chiamavo ogni qualvolta tu stavi male e ... lui si precipitava nel nostro piccolo appartamento di Londra e si prendeva cura di noi. Mi ci è voluto un po' per capire che i sentimenti per lui era tornati, in maniera diversa dai tempi adolescenziali o da quelli che ho sempre provato per Draco. Mi sono innamorata piano piano della sua gentilezza, della sua goffaggine e del suo immenso cuore»
«Sì, papà è proprio una bella persona» dice piano, fissando attentamente la collana «Gli voglio molto bene»
«E' tuo padre. Il fatto che non abbiate lo stesso cognome non significa niente»
«Lo so. Lui mi ha cresciuta e mi ama come se fossi sua figlia, eppure ... adesso, conoscendo la storia, mi sento un po' in colpa: non ho mai potuto chiamare "papà" quello stesso uomo che si è sacrificato per noi»
«Draco è tuo padre e lo sarà per sempre; c'è tanto di lui in te. E lo è anche Ron. Sono sicura che lui sarebbe felice nel saperti con qualcuno che ti ama incondizionatamente e che darebbe la vita per te»
Lux annuisce sospirando forte. Non mi guarda, tiene quegli occhi scuri profondi ben fissi sul ciondolo, lo gira e lo rigira tra le dita con espressione meditabonda.
«E' tanto a cui pensare» sussurra appena «So di avere una grande famiglia e so che tutti mi vogliono bene, ma ... credo di dover ancora trovare il mio posto nel mondo. Suppongo che sia normale alla mia età ... e dato il cognome che porto»
«Ti pesa essere una Malfoy?» domando curiosa; è la prima volta che la sento parlare così.
«A volte, soprattutto quando le persone mi guardano diffidenti. Tuttavia, quando uso il proverbiale cipiglio altezzoso e freddo di Narcissa Malfoy, scappano e smettono di infastidirmi. Ammetto che un po' mi diverte» gongola alla frase finale, sogghignando proprio come suo padre.
«Posso immaginarlo» commento, seppur non sono esattamente propensa ad incoraggiare questo suo atteggiamento.
«Adesso però so molte più cose e sarà diverso, suppongo. Non lo so, sono un po' confusa» 
«Prenditi tutto il tempo che ti serve» le dico, accarezzandole piano la testa e poi i capelli «Vuoi che ti metta la collana?»
Annuisce in un sorriso, mi passa il regalo che le ho fatto e si volta, spostandosi i capelli su di una spalla. Delicatamente, le chiudo il gancetto del ciondolo e la lascio andare. Quando si volta nuovamente dalla mia parte, la guardo per qualche secondo e gli occhi mi si inumidiscono appena: è cresciuta ed ora è anche più consapevole. 
Lux abbassa il volto e guarda quel piccolo fiocco di neve delicatamente poggiato sul suo petto; le arriva appena sopra al seno. Si perdere per qualche secondo e mi piacerebbe chiederle cosa stia pensando, ma so che ha bisogno di spazio per accettare questa nuova versione di suo padre appena raccontata.
«Grazie per avermi parlato di lui, mamma» mi sorride alzando gli occhi; adesso mi guarda più serena.
«E' un tuo diritto conoscere la verità» le sorrido «Però sei in punizione per aver schiaffeggiato tua sorella: niente telefono o corrispondenze con i tuoi amici per una settimana, chiaro?»
«Me lo sono meritato» risponde rassegnata alzando le spalle «Posso andare in camera mia a leggere?»
«Sì, vai» sospiro condiscendete, guardandola mentre si alza «Dopo verrò a prendere il telefono, Lux!»
«Va bene, mamma»
La fisso oltrepassare la soglia del salotto e ascolto i suoi passi sulle scale che la porteranno nella sua camera. Chiudo gli occhi e sospiro forte, darò il tempo a mia figlia di avvisare i suoi amici che per un po' sarà irreperibile e poi mi comporterò da madre. 
Riapro gli occhi e mi alzo, guardo attenta fuori la finestra, lungo il viale di Godric's Hollow, godendomi il silenzio del tardo pomeriggio e i deboli raggi del sole che non è ancora del tutto tramontato. Mi perdo tra i pensieri, rivivo tutto il racconto fatto a mia figlia e ogni momento trascorso con Draco mi fa sorridere, lasciandomi una sensazione di dolce malinconia. Ogni volta che ripenso a lui, ritornano in mente solamente i momenti belli vissuti insieme e gli occhi iniziano a bruciare. Una parte di me terrà sempre al padre di mia figlia; quel giovane uomo che mi ha dato speranza in un momento in cui il mondo era avvolto dalle tenebre. E Lux è stata davvero la luce che ha rischiarato quella oscurità in cui tutti ancora versavano dopo la guerra; è stato il suo ultimo regalo per me. Non potrò mai dimenticarlo, anche se la mia vita è andata avanti e il mio cuore è pieno d'amore per Ron. 
Una piccola parte di me, amerà per tutta la vita e incondizionatamente Draco Malfoy.

 
FINE🌹

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