Rime Incatenate

di ToscaSam
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il ritorno non desiderato ***
Capitolo 2: *** allusioni ***



Capitolo 1
*** il ritorno non desiderato ***


 
La serata era tranquilla: il sole stava sfumando verso un rosso contagioso, che macchiava tutto l'orizzonte circostante. I campi, silenziosi e profumati, trasudavano l'idea della fatica: serre, viti e pertiche innalzate con cura, a cui si arricciavano piante di pomodoro; file ordinate a perdita d'occhio di fagioli, zucchine, peperoni; ciuffi verdi di cipolle; alberi da frutto, carichi di faticosi figli pronti per la raccolta.
Erano giunti sin là due uomini vestiti di nero. Uno dei due, Alfredo, ammirava con poco interesse lo spettacolo agreste tutt'intorno: non era felice di rivedere il podere di Santa Luce. L'altro uomo, il suo superiore, il caposquadra Gioacchino Rifredi, pareva parimenti turbato.
C'erano stati i soliti convenevoli, sulla porta.
Alfredo si era aspettato anche quella sorpresa, che complicava ogni cosa irrimediabilmente. Che sciocca donna. E che uomo svergognato!
Ma non poteva pensare a questo, non adesso.
Tutti si stavano disponendo nella sala da pranzo.
Lorella, la giovane padrona di casa, veleggiava con gioia verso il Rifredi, per raggiungerlo e salutarlo a dovere, in quanto ospite più illustre. La sua figura era più o meno come la ricordava: certo, quel dettaglio rigonfio che spuntava dal vestito estivo, non era presente alla prima visita.
Alfredo notò come uno degli abitanti del podere, che non ricordava di aver visto lì in precedenza, la trattenne per un braccio. Sembrava che non volesse farle raggiungere Gioacchino.
Interessato dalla scena, il vice caopsquadra si voltò impercettibilmente per scrutarli:
« Mario ma che ha oggi?» lo rimbeccò Lorella con voce leggermente stridula.
Lui fu costretto a lasciarle il braccio, tanto la padroncina di casa aveva strattonato.
È strano, pensò Alfredo. Perché gli dà del lei? Non era un suo cugino, quello?
Ripensò alle presentazioni vaghe e veloci avvenute un attimo prima sulla soglia: si, avevano detto che c'era anche un cugino.
Lorella dava del tu alla cognata, Norma, anch'essa non presente alla cena di mesi prima. Alfredo ricordò di conoscere certa gente che dà del voi ai genitori, ma quella giovane Lorella gli sembrava troppo frivola per badare a queste costumanze.
Era una cosa da niente, in realtà. Alfredo non sapeva nemmeno perché ci stesse facendo caso. Forse non aveva voglia di impegnarsi in futili cortesie o sorrisi di circostanza in una casa di contadini. Non c'era niente da ridere, al momento. C'era una guerra là fuori e frotte d'uomini capaci combattevano per la Causa.
Il giovane uomo di cui Alfredo aveva già scordato il nome non aveva risposto alle accuse di Lorella, anzi si era ritirato da lei balbettando e arrossendo. Un comportamento poco mascolino e del tutto fuori luogo.
« Amore, perché non vai a badare alle pietanze? Credo che i signori non vedano l'ora di un po' di rifocillo, dopo aver viaggiato»
Disse infine Gualtiero Masi, padrone di casa.
Lui, invece, se lo ricordava bene.
« Ammirevole conclusione, amico mio»
lo incoraggiò lo sfacciato Gioacchino, che senza invito sfilò dal tavolo una sedia e vi si accomodò con gran rumore. Alfredo detestava la prepotenza immotivata del suo superiore, dunque cercò di sedersi con quanta più educazione gli riuscì. Ringraziò i due bravi mezzadri italiani che provvedevano alla loro salute.
« il duce ammira molto i buoni lavoratori come voi, signor Masi. Egli ha molto a cuore le fatiche degli italiani che rendono l'Italia produttiva e indipendente».
Il Masi gli rispose con un sorriso un po' fiacco, ma del resto quell'uomo era fiacco in tutta la sua natura. Alfredo provava commiserazione per lui. Non poteva non leggergli negli occhi la disgrazia che lo aveva colpito e di cui lui era ignaro.
Per evitare di pensare ancora a quel che aveva visto sei mesi prima, proprio in quel podere, dedicò la sua attenzione alla terza donna presente nella stanza: gli abiti ordinati e meticolosamente alla moda, l'acconciatura perfetta e la montatura di tartaruga le davano un'aria da cittadina.
C'erano però dei rammendi, sapientemente nascosti con artificio da mani di sarta, che ne tradivano l'origine umile. Doveva essere l'insegnante di campagna, la maestra Righi.
Era lei che doveva tenere ben d'occhio. Lei era la chiave di quella serata. Senza la sua soffiata, non ci sarebbe stato un ritorno a Santa Luce e lui e Gioacchino non sarebbero dovuti prestarsi a quell'imbarazzante supplizio.
La Righi era una brava attrice: non dava segno di intesa con i due fascisti e si dimostrava garbatamente a suo agio nella situazione. L'unico sintomo di nervosismo, forse, si evinceva dalla posa rigida delle gambe, incollate con eleganza ferrea l'una sull'altra.
Alfredo buttò un occhio a Gioacchino, ma se ne pentì subito: era chiaro che il suo caposquadra non aveva ancora studiato i commensali; si versava da solo il vino casereccio e tracannava senza riguardo ancor prima che la cena fosse servita.
Un altro importante ospite della serata era Osvaldo Bernardini. Il reverendo. Dalla sua sedia accanto ad Alfredo, si dimostrava discreto. Non avrebbe parlato di quell'affare di cui solo loro due sapevano; non finché l'occasione non fosse giunta. Ecco un'altra persona intelligente, pensò Alfredo.
C'erano due persone molto astute – o almeno così pareva – lì dentro: la maestra e il prete. Il prete era un suo uomo, ma la maestra andava tenuta d'occhio.
Di tutto questo, Gioacchino non si preoccupava. Beveva e si innervosiva da solo in un circolo vizioso di autodistruzione.
« Eccomi con la cena! In tempi di guerra vanno serviti prima gli ufficiali, in ordine di grado. Ha visto Gioacchino? Ha visto che ho studiato bene, per lei e il suo compagno?»
« Di “compagni”, mia cara, non ce ne sono proprio a questa tavola. O almeno, me l'auguro»
rispose Gioacchino sgarbato, senza guardarla.
Lorella cinguettò: « Non si arrampichi sugli specchi. Vedrà che un buon sorso di brodo la metterà di buon umore».
Gualtiero Masi, con triste cipiglio, guardò la sua giovane moglie che sfrecciava tutta contenta in direzione del caposquadra. La ragazza ebbe anche l'ardimento di sfiorare una spalla del militare con una grazia un po' sfacciata, malamente dissimulabile con la cortesia di un'ospite di casa.
« Ecco a lei, sergente. Assaggi e mi dica se il brodo è buono o no. L'ho fatto io con le mie mani, per lei».
Alle strette, Gioacchino dovette obbedire. Prese il cucchiaio di argento, un po' vecchio, lo intinse nel brodo e soffiò, poi portò il contenuto alle labbra.
« Si può mangiare di meglio che le brodaglie, ma va bene» concluse.
Lorella fu estasiata dal triste complimento. Alfredo avrebbe tanto voluto tirare un sospiro, ma Gioacchino l'avrebbe notato. Si contenne e tornò ad osservare la strana riunione: Gualtiero Masi, pover'uomo, sembrava onesto; un lavoratore, di quelli semplici che piacevano al duce. Sfortunato destino, quello che gli aveva fatto sposare l'infausta fanciulla, quella sciocchina di Lorella, che tanto si compiaceva nel mostrarsi al sergente. Quel pancione di madre, che stonava sul suo volto da bambina capricciosa, nascondeva un bel mistero, oltre che a un bambino.
La sorella del Masi, Norma. Giovane ancora, sebbene bruttina e con carattere schivo. Bruna, come il fratello, portava una pezzola in capo, come una vecchia. Si prosternava ad aiutare la cognata Lorella, nel servire le pietanze (non che la padroncina di casa le avesse permesso di servire il primo boccone all'ospite d'onore!).
La maestra, Nedda Righi, con le sue gambe accavallate, strettissime. Sorrideva con cortesia a tutti gli estranei. Se lo immaginava solo Alfredo quel sorrisetto soddisfatto?
Il prete, il reverendo Bernardini, con cui Alfredo aveva dei discorsi segreti da condurre. Il prete se ne stava in silenzio, gioendo del cibo che i padroni di casa gli mettevano sotto il naso.
Quel Mario, quello strano cugino, che arrossiva ogni volta che Lorella rivolgeva sguardi languidi al sergente e cercava di trarla lontana da lui. Un tipo silenzioso quanto palese, a detta di Alfredo.
Si divertiva a categorizzare tutti. O meglio, non poteva farne a meno. Non sarebbe mai riuscito a sedersi e bere vino, come Gioacchino, senza aver la più pallida idea di chi fossero quelli che gli stavano intorno e cosa potessero pensare.
Il brodo fu servito anche ad Alfredo, che assaggiò e ne constatò la buona qualità. Fu poi il turno del sacerdote, che non si perse in complimenti e si dedicò con immediatezza alla consumazione del pasto.
Alfredo sapeva che era arrivato il momento della pantomima. Probabilmente, almeno questo doveva averlo capito anche Gioacchino. Sicuramente anche la maestra lo sapeva.
Toccava a uno di loro due iniziare il discorso, l'imbarazzante finzione. Alfredo sperava che la sua inferiorità di rango servisse ad esentarlo da questo peso, ma temeva anche che l'autorità di Gioacchino gli imponesse il contrario.
Si era creata una connessione di consapevolezza fra i due. Gioacchino aveva lanciato uno sguardo rapido al sottoposto, che di rimando lo aveva fissato quasi interrogativo. “Devo parlare io?” Diceva l'occhio azzurro di Alfredo. Quello di Gioacchino rispondeva: “ dobbiamo veramente cominciare questo discorso?”. Si, dovevano, altrimenti la loro venuta al podere di Santa Luce era perfettamente inutile. Alfredo avrebbe preferito mille volte trovarsi sul treno per il fronte, piuttosto che in quel podere dimenticato da Dio nel cuore dell'agricola Toscana.
Gioacchino non si decideva. Era il sergente più ridicolo con cui un sottoposto avesse mai dovuto fare i conti. Inutile, mascalzone, prepotente e neghittoso. Un concentrato di difetti, incastonati in un corpo forte e robusto dalla faccia sprezzante ma piacente. Uno di quei delinquenti trasformati in milizia, senza motivazione che non fosse violenta, senza ideale che risiedesse nella verità profonda dell'animo, senza alcuna idea di come sia il mondo all'infuori della propria testa. Gioacchino aderiva al fascio per amor della violenza, senza alcun orgoglio più profondo.
Alfredo disgustava il podere di Santa Luce solo per colpa di Gioacchino. Sia per quello che era successo alla loro prima visita, sia perché Gioacchino non pareva così turbato come avrebbe dovuto, alla luce dei fatti.
Profondamente indignato, Alfredo si schiarì la gola, prese fiato e disse:
« Cittadini, sapete bene che siamo qui per un motivo ufficiale, nonostante vorrei dirvi che si tratta soltanto di una cena di piacere – non che il servizio non sia ottimo, per carità – ».
Gioacchino aveva già tirato un sospiro di sollievo per l'iniziativa del suo sottoposto. Era più facile per lui annuire, che parlare.
« Il mio sergente ed io siamo stati rimandati qui dalla commissione letteraria, cui la cara Lorella ha inviato le sue poesie alcuni mesi or sono. Dunque venimmo noi in gennaio, infelice occasione, in cui eravamo portatori di cattive notizie: le poesie della suddetta signora Masi venivano allora rifiutate dalla commissione letteraria fascista, in quanto poco aggraziate, poco letterate, poco coerenti e poco comprensibili. Un giudizio ...» “accurato” avrebbe voluto dire Alfredo, ma si trattenne. Continuò: « … rivalutato e totalmente cambiato. La commissione ha adesso deciso che la giovane Lorella merita l'attenzione che le spetta. Le sue poesie sono state inviate a contatti più alti che continueranno l'esame delle stesse e provvederanno alla futura e quasi certa pubblicazione» “quasi certa” era proprio una bugia. Quelle poesie non solo non sarebbero mai state lette da comitati poetici rilevanti, ma avevano la possibilità di pubblicazione pari a quella che avrebbe avuto il poema scritto da una formica.
Lorella, ad ascoltare le parole di Alfredo, si era fatta tutta rossa ed emozionata. Il volto giovanile, che emanava speranza anche solo dal colore roseo delle gote, sembrava risplendere di luce propria. Gli occhi erano come due stelle; unico elemento limpido in quel volto oscurato da una sporcizia irremovibile, di terra, sole e fatica, che l'acqua non avrebbe mai lavato.
Povera banale creatura, pensava Alfredo. Quanto è portata a credere nelle frottole; forse non sperava in altro: frottole, favole. Voleva sentirsi dire quello e nient'altro. Le bastava che qualcuno le dicesse che le sue poesie forse sarebbero state pubblicate, per pensarle già in vendita in libreria. Magari già stava pensando al vestito da indossare alle conferenze che avrebbe tenuto.
Alfredo provava profondo rammarico nel mentire a una donna giovane, che stava per donare un figlio all'Italia, che ne avrebbe – forse – donati altri e avrebbe eseguito il proprio ruolo di madre ed educatrice.
La maestra, la scopritrice del “talento poetico” di Lorella, non sembrava esultante nemmeno un po'. Sembrava solo furba, compiaciuta. Lei sapeva che la storia delle poesie rivalutate era tutta una farsa, perché era lei la mandante di tutto. Una donna molto interessante …
Nessuno sembrava molto convinto del discorso di Alfredo: non certo Gualtiero, il marito di Lorella. Sembrava addolorato. Non il cugino Mario, dubbioso e guardingo. Non Norma, la sorella apatica, che si era risvegliata dall'espressione di torpore per manifestare incredulità.
Solo Lorella ci credeva davvero.
Se quella serata non finiva presto, Alfredo rischiava di diventarci matto.
Guardò il fumo vorticante del brodo, per evitare lo sguardo di Lorella, così felice e commosso da risultare fuori luogo.

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Capitolo 2
*** allusioni ***


 
Faceva molto più freddo, l'altra volta.
Era gennaio. L'oceano di campi su cui galleggiava Santa Luce erano aridi, allora. Pieni di sterpaglie ammassate ai lati, di rami secchi caduti dagli alberi, di crepe nella terra sterile.
Nemmeno quella volta era stato un piacere per Alfredo Nespi prendere littorine, farsi dare indicazioni dai passanti, macchine, centinaia di metri a piedi. Non era fatto per la campagna, nossignore. Il suo pollice verde si limitava al giardino decorativo davanti casa propria. Lui e sua moglie coltivavano gerani e tulipani.
Sua moglie e suo figlio non avevano idea di cosa fosse la campagna, né a parere di Alfredo v'era bisogno che lo sapessero. Lui adorava il rumore delle auto, il vociare indistinto dei cittadini, l'odore di tabacco lasciato dalla pipa di un passante, mischiato a quello di pesce della bottega, di inchiostro dei giornali e di calcina da costruzione.
La sera si sedeva spesso in veranda, cullandosi su una sedia a dondolo di legno, talvolta col bimbo in braccio. E poi si accendeva un sigaro, socchiudeva gli occhi e non pensava assolutamente a niente.
Il silenzio, a Santa Luce, pareva assordante.
Lo era stato quella fredda notte di gennaio, lo era adesso.
L'altra volta aveva udito un unico eco, nella notte: un vociare lieve, che si era fatto man mano più forte in direzione del granaio.
Adesso, che era piena estate, il concerto dei grilli gli ricordava quell'avvenimento che avrebbe tanto voluto dimenticare.
Cricricricri. Per niente piacevole. Sembravano un trapano perforatore dentro le orecchie.
I grilli cantavano; gli unici esseri in grado di dir qualcosa.
Lorella era sopraffatta da una gioia palpabile. Non riusciva a proferir verbo. Le guance rosee e ingenue si tingevano sempre più di vermiglio.
 
« Ne sarete felici, immagino»
disse Alfredo, incapace di tollerare oltre quel silenzio cadenzato dai grilli.
Le sue parole gli parvero dette a un volume altissimo.
Che pessimo attore che sono, pensava. Eppure la donna c'era cascata. Come diavolo poteva pensare che quelle poesie avessero un valore? Alfredo giurava di non aver mai sentito niente di più ridicolo o sgrammaticato. Certo, non rientrava nelle qualità di una contadinella, il saper scrivere in versi. Questa qui si credeva davvero una nuova Saffo! Che ridicolaggini! Che speranze ed energie sprecate.
Se tutto fosse proceduto nel migliore dei modi, l'inganno si sarebbe estinto prima che il sole sorgesse. Lorella si sarebbe squarciata dal dolore per tutta la notte, piangendo fra le braccia del marito, lamentandosi che i fascisti l'avevano usata (e a detta di Nespi non era nemmeno la prima volta!); lui e Gioacchino sarebbero tornati alla base con un dissidente politico in catene.
Ecco cosa stavano cercando: un comunista.
Qualche giorno prima, una lettera di una certa maestra Nedda Righi era pervenuta ai superiori del Nespi e del Rifredi. Ecco che mentre si dichiarava guerra alla Gran Bretagna e alla Francia, mentre ci si preparava a vincere per ordine del duce nella Battaglia delle Alpi Occidentali, il superiore prendeva i due squadristi da parte e diceva: “voi due conoscete il podere di Santa Luce?”.
Alfedo era sbiancato, mentre Gioacchino si era limitato ad annuire in modo vago. Che delinquente! Lo sapeva che quella storia ki avrebbe perseguitati ancora. “una certa signora Righi, che fa la maestra ai poverelli campagna, dice che ha scoperto un nucleo di dissidenti attivisti, laggiù”.
Alfredo aveva tirato una specie di sospiro di sollievo: non c'entravano niente i fatti di gennaio; era un'avventura tutta nuova. Ma perché di nuovo in quel maledetto podere?
“La maestra è bene informata della vostra precedente visita laggiù” diceva il capo mentre leggeva la lettera della Righi: “questa lettera è spedita direttamente a voi. Dice che è stata lei a inviare le poesie di quella donna … quella giovane contadina, all'attenzione della commissione”. Bel talento, aveva pensato Alfredo.
“la signora suggerisce che voi due torniate laggiù, perché potrebbe indicarvi con certezza il capo sobillatore di quei rossi schifosi. Una donna ardimentosa, non c'è che dire! Se ci sono dei comunisti laggiù, sarà vostro compito consegnarli alla giustizia”.
 
*
 
Nedda Righi sorrideva con le labbra stirate in una smorfia compiaciuta:
« Visto Lorella? Che brava! Che ti avevo detto! Non t'ho sempre confortato, io?»
Lorella le fu in un attimo fra le braccia, le lacrime di felicità che scorrevano giù per il viso. Un comportamento indecente, da bambina.
« Lorella, amore, non dovresti fare tutti questi movimenti … il bambino … »
« Oh sta' zitto te!» Rimbeccò la mogliettina al povero marito. « Lo sento da me se c'è qualcosa che non va. E ora non mi posso trattenere! Oh! Maestra! Le nostre poesie … pubblicate
« Le tue, mia cara. Le tue. Prenditi il merito delle cose che fai»
« E fai molte altre cose, non è vero?» Sussurrò il prete, un po' troppo forte.
In un attimo tutti si voltarono verso di lui.
Sorseggiava ancora il brodo, ma un'aria furba gli si arricciava con gli angoli della bocca.
« Ebbene?» chiese Mario, il cugino elusivo: « che voleva dire con questa fola?».
Perbacco che temperamento inaspettato, pensò Alfredo. Si era rivolto con una sgarbatezza quasi violenta verso un bravo ecclesiastico, quel giovanotto. Se l'intera situazione non l'avesse interessato di più, Alfredo gli avrebbe fatto una ramanzina sul rispetto da portare alle autorità religiose.
« Oh, niente, niente. Ricordo solo molto bene la Lorella qui, quando veniva al catechismo. Te lo ricordi il catechismo, vero bambina?».
Lorella era rossa, sia per l'emozione delle poesie, che per qualche ricordo che il prete le voleva cavare dalla memoria.
« Ma si … non parliamo a sproposito. Che non escano dalla mia bocca parole poco legittime … così come uscirà dal suo ventre quel bambino, altrettanto poco legittimo, a mio dire… ».
Ci fu un colpo sonoro: le mani di Mario e di Gualtiero avevano picchiato forte sul tavolo.
« Reverendo, lei non può venire così in casa mia e dire queste cose!» gridava irato Gualtiero.
Mario non diceva nulla. Aveva già ritirato la mano dal tavolo, come se si fosse vergognato di aver esplicitato la propria rabbia.
Alfredo lanciò un rapido sguardo a Gioacchino, per studiarne la reazione: il suo sergente guardava i convitati con aria burbera, irritata, come se tutto quello che accadeva fosse fastidioso.
« Lei è buono solo a dir messa! Sa a sai lei di cosa faccio io!» cercò di difendersi Lorella, con un broncio molto bambinesco.
« Oh, lo so, lo so, cosa fai. È meglio che io taccia! Gualtiero non sembra contento. Povero ragazzo, ma che t'è preso di sposare questa qui, a te?»
« Reverendo non tollererò una parola di più su mia moglie!» tuonò il padrone di casa, che si rivelava capace di toni minacciosi. Chissà se anche la sorella, Norma, sotto provocazionea, riusciva a incutere così timore.
« Non turbiamo il sergente con queste sciocchezze!» cinguettò Lorella, cercando di riacciuffare le lacrime (fresche di dispetto e anche quelle antiche di commozione) e di ricomporsi. Lasciò l'abbraccio della maestra, poi prese a sparecchiare.
« Oh, mia cara, non sarà mica sergente per sempre!» gongolò il parroco, che ormai si beava del protagonismo. Aveva le orecchie infiammate di rosso, tanta era l'emozione di trovarsi al centro dell'attenzione.
Come Alfredo aveva subito immaginato, il Rifredi si agitò:
« Prete, cosa dici?!»
Lorella gli saltò di fianco e gli carezzò di nuovo la spalla, con dolcezza. Pensava che la stesse difendendo, la stupidina. Il Rifredi non ci pensava nemmeno, a lei.
« Niente, mio caro sergente. La Lorella ha detto di non turbare il sergente, ma immagino che nella sua vita, lei non sarà sergente in perpetuum. Quindi se fra un po' non sarà più quel che è adesso, pare irrilevante turbare quel che lei è ora, giacché è destinato a scomparire. Lei potrebbe ricoprire cariche diverse, più importanti … mi sembra un giovanotto in forze!».
Gioacchino, confuso, percependo un alone di scherno ma senza esserne del tutto convinto, borbottò:
« Veda di tenere a freno la lingua, prete».
 
Norma Masi si stava occupando del piatto vuoto del sergente, ma Lorella glielo strappò di mano. Era stato Mario a spingere Norma affinché sparecchiasse per prima il Rifredi.
« Mario! Perché si comporta così, stasera? Mi vuol sempre stare fra i piedi!»
criticò una seconda volta Lorella.
Mario era di nuovo rosso e schivo: i capelli ricci, castani, gli conferivano un'aria innocua. Sembrava un balocco con i boccoli crespi di lana. Sulle guance gli si erano cuciti due rossellini di stoffa purpurea.
Provò a replicare, vergognoso:
« Perché … ecco … non fai sparecchiare solo Norma? Magari … ora come ora non ti sembra di sentire la fatica, ma poi il bambino ne risente. Ecco, vieni, siediti qui fra me e Gualtiero … »
« È proprio strano, oggi! Gualtiero, perché fa così?»
« Ti dà buoni consigli, amore. Riposati, su. Non c'è Norma apposta, per aiutarti nelle faccende?»
Alfredo colse uno spiraglio di conversazione e ci si tuffò:
« Ecco! Mi pareva proprio che la signora Norma non fosse presente, al nostro scorso ritrovo. È qui da quando sua cognata è incinta?».
Norma parve spaventata. Guardò il fratello, da sotto la pezzola, come per ottenere il permesso di rispondere.
« Si» disse poi, piano: « così Lorella non si affatica troppo»
« Mi sembra un'occupazione onorevole, la sua! Occuparsi dei propri familiari! Dunque la giovane Lorella dev'essere incinta da poco dopo la nostra dipartita … di quanti mesi è, mia cara?»
« Sei!» cinguettò Lorella, a capo vuoto.
« Sei!» le fece eco Alfredo, lanciando un occhio colpevole al suo sergente. Gioacchino ricambiò con un'aria poco amichevole.
« Ma tu e Gualtiero non siete sposati da un po'?» la voce del prete, che di nuovo sovrastò tutte le altre, trasudava malizia: « com'è che avete procreato solo ora?».
Lorella si fece gonfia d'orgoglio. Si toccava il pancione, fiera e innamorata della creatura che vi risiedeva: « Si … con Gualtiero sono sposata da quatt'anni. E lei se lo dovrebbe ricordare, visto che ci ha sposati lei! Il figliolo è venuto quando è venuto … non lo posso mica decidere io»
« Certo, certo ...» la liquidò il reverendo, mettendosi a sorseggiare il vino rosso. Aggiunse: « ma in questa casa si mangia solo brodo?»
« Oh, no, no. Io e la Norma andiamo a vedere se la frittata di cipolle è cotta giusta»
« Vi portiamo un po' di verdurine lesse, nel frattempo. E poi ci s'hanno anche le fave fresche, che ha raccolto la Lorella stamani»
« … come suo solito, allora …» concluse il prete, sussurrandolo così piano che forse solo Alfredo lo sentì.

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