Reach out for my hand

di Fanelia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un rientro forzato ***
Capitolo 3: *** Ancora tu ***
Capitolo 4: *** Legilimens ***
Capitolo 5: *** Piccoli sporchi segreti ***
Capitolo 6: *** La mia peggior nemica ***
Capitolo 7: *** Errore di valutazione ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Reach out for my hand
 

...Prologo...



Hermione Granger si rigirò sullo scomodo materasso pieno di gobbe, impossibilitata a prendere sonno, strozzata dai pensieri, incapace di offrire conforto a Ginevra. Sdraiata sul letto accanto al suo, l’amica singhiozzava ormai da minuti interminabili, irritata, ferita e stanca. All’improvviso, la udì alzarsi di scatto, asserendo di avere bisogno di Harry. Se ne andò, lasciandola sola e lei per un istante fu quasi grata ai fondatori di Hogwarts. Avvolta nella semi oscurità della notte, la Mente del trio non ebbe però il tempo di sospirare per il sollievo, perché la porta si aprì di nuovo e nel sottile cono di luce regalato dalla luna, Ronald Weasley fece la sua apparizione. Le rivolse una tacita richiesta e lei, battendo la mano sul ruvido lenzuolo, acconsentì, sentendosi quasi in trappola e, al contempo, egoista e sporca.

Smarrita di fronte alla propria impotenza, avvertì la necessità di aggrapparsi all’unica scintilla che le illuminava il cuore: il bacio con Ron era la sua sola incerta sicurezza, in quel mondo post guerra, affogato nel dolore, nella morte e in una alonata felicità, chiazzata di rosso sangue e nero morte. Fu strano condividere il letto con lui, piacevole intrecciare le dita con le sue, ed ebbe la prepotente impressione che Ron, in quel gesto, fosse alla ricerca di un conforto che forse la sua pelle calda era in grado di regalargli. Hermione non pronunciò una singola sillaba, si nascose dietro al silenzio, in attesa che fosse lui a parlare. Non si sorprese però che il ragazzo non dicesse una sola parola. Se non fosse stato per i loro respiri e gli scricchiolii del legno, di cui la struttura del letto era fatta, che rimbombavano nella camera, niente avrebbe spezzato l’assenza assordante di rumore.

 

 

Le luci dell’alba segnarono il momento del distacco da Ron. Lui sciolse con calma l’intreccio fra le loro dita che tremavano, le sussurrò un ringraziamento e se ne andò, lasciandola sola e immersa in un vortice confuso di pensieri.

 

Hermione si alzò, scostò le tendine usurate, e constatò, suo malgrado, che fosse un giorno come un altro. Il sole, nascosto da una spessa coltre scura di nuvole, si divertiva a prendersi gioco di tutti loro. Celandosi per poi uscire allo scoperto come se stesse giocando a nascondino, regalava sporadici, dolci raggi tiepidi che in qualche modo parevano tentare di scaldare il cuore di coloro che avevano pernottato alla Tana quella notte.

Il giorno del funerale di Fred era arrivato e quella macchia scura, in un tempo che scorreva su di un tela nera, a Hermione sembrò quasi surreale. Incontrando George era riuscita a cullarsi nella vana speranza che lui fosse l’altro fratello, il ragazzo che non avrebbe mai più rivisto, ma dopo l’addio non avrebbe più potuto farlo. Sorrise amaramente, ricordando quante volte lo avesse sgridato durante il loro ultimo anno a Hogwarts, sotto il dominio della Umbridge, mentre i gemelli tentavano di concludere i loro esperimenti per poter lanciare il negozio, la stessa attività che ora George mandava avanti da solo.

 

Si osservò nello specchio e l’immagine che esso le restituì non le piacque. Non poteva essere triste, lo doveva non solo alla memoria di Fred ma anche a Ginny, Ron e l’intera famiglia Weasley che l’aveva accolta come una figlia. Doveva essere forte e offrire loro una spalla su cui piangere.

Aggiustò la camicia nera che aveva deciso di indossare, seguendo le abitudini babbane, ma non mancò di adornare i capelli con un cerchietto colorato, come a spezzare il grigiore e l’oscurità che sembravano albergare e aver preso possesso di casa Weasley. Fred non ne sarebbe stato felice: lui sapeva a cosa stava andando incontro, lui credeva nella causa per cui aveva perso la vita. Non sarebbe stato giusto riempire il giorno del suo estremo saluto con le lacrime, lui non sarebbe stato d’accordo e, forse, se avesse potuto, avrebbe architettato qualche scherzo pur di cancellare le espressioni tristi e inconsolabili che Hermione vedeva dipinte sui volti di tutti.

«È ora di andare.» Ginny aprì la porta e l’avvisò che l’ora per la cerimonia era giunta. Hermione avvertì un groppo formarsi in gola, al pensiero che avrebbe potuto esserci lei al posto di Fred, oppure una delle persone cui voleva bene.

Si fece forza, mosse il primo passo verso le scale e discese sino al piano inferiore, dove incontrò un impacciato Ron. La fissava con sguardo perso e lei non impiegò molto a capire come dovesse sentirsi; probabilmente tutti loro si sentivano alla stessa maniera: in colpa per non essere riusciti a difenderlo, salvarlo, in colpa per essere ancora vivi. Si accostò a quello che era uno dei suoi migliori amici -sì, perché sebbene si fossero baciati, non avevano avuto certo modo di affrontare il discorso- e lo abbracciò, cercando a modo proprio di trasmettergli tutto il suo supporto e l’affetto che da sempre nutriva per lui.

 

Ron rimase rigido per qualche istante, prima di rilassarsi fra le braccia dell’amica a lasciarsi cullare da quella stretta confortante e sicura. Inspirò a fondo il profumo della ragazza per cui forse provava qualcosa -che definire fraterno era davvero riduttivo- poi le prese la mano e, a coppie, tutti i presenti si materializzarono nel luogo in cui si sarebbe svolto il funerale.

Terminata la cerimonia, dopo che ciascuno aveva lasciato un omaggio sul feretro,  l’intero gruppo si allontanò con calma, preferendo passeggiare, per non doversi rintanare in casa, dove l’atmosfera era piuttosto irrespirabile.

Alla ricerca di un fazzoletto, Hermione si rese conto di aver smarrito la bacchetta e, allarmata, ma non volendo fare preoccupare Ron, inventò una scusa per assentarsi qualche istante, senza essere seguita.

Corse col cuore in gola, impensierita dalla possibilità di aver perso la bacchetta, ma quando fu vicina al cumulo di terra smossa, una presenza a lei sgradita catturò la sua attenzione.

***

Rimase impietrito sul posto, colto alla sprovvista, celato, per sua fortuna, dalle enormi e cariche fronde dell’albero dietro cui aveva trovato riparo. Si immobilizzò, come bloccato in un istante ghiacciato e cristallizzato del tempo. Lei si trovava lì, a pochi metri di distanza, sebbene lui, Draco Lucius Malfoy, non avesse nemmeno osato sperare di poterla rivedere. Lo indispettiva che lei stringesse le dita di Lenticchia fra le sue, che gli rivolgesse uno sguardo carico di amore e apprensione. I suoi occhi, velati dalla patina scura della sofferenza, erano ricolmi di una dolcezza che forse non aveva mai colto in quelle iridi profonde e lo mandava su tutte le furie la certezza che, se lo avesse scorto, quei cerchi del colore delle castagne autunnali sarebbero stati illuminati dall’ira e dal livore.

Di tutti gli abitanti del mondo magico, forse lui era l’unico a non avere diritto a piangere i morti, a presenziare a quel funerale, ma nonostante tutto era fuggito e stava rischiando grosso. Era stato facile eludere la sorveglianza di quel gruppo di Auror inetti che lo guardavano a vista: gli era bastato studiarne orari e abitudini e il piano era andato materializzandosi fra i suoi pensieri senza il minimo sforzo.

Draco non capiva fino in fondo i motivi che lo avevano indotto a scappare e unirsi a quel cordoglio che sentiva lontano, che non gli apparteneva e che non comprendeva, ma che ciononostante gli lacerava le viscere e non gli permetteva di respirare. Avvertì l’aria mancargli, come se fosse fatta di fuoco, e i polmoni annaspare alla ricerca di ossigeno, ma le sue iridi rimasero puntate su di lei, la cui immagine non era in grado di abbandonare, dimenticare. Eppure a breve sarebbe partito e di lui non sarebbe rimasto che un ricordo infangato e sbiadito dallo scorrere incessante e ineluttabile del tempo, mentre i ricordi di lei gli sarebbero rimasti scavati nel cuore, come incisi nel sangue.

La vide andare via, mano nella mano con Weasley, e nemmeno mentre si allontanava per sempre da lui trovò il coraggio, quello che gli era sempre mancato, di dirle addio. Aveva paura che lei lo insultasse, timore che gli rinfacciasse il disgusto che provava nei suoi confronti e, solo quando fu certo di essere del tutto solo, uscì dal buio, suo alleato perpetuo, e si avvicinò al tumulo di terra fredda e smossa.

Percepì qualcosa di strano pungergli gli occhi, una sensazione desueta aggrapparsi allo stomaco e infine si ritrovò con le guance bagnate. Incapace di accettare che fossero lacrime, guardò il cielo alla ricerca di nuvole. Non ne scovó e, ancora una volta, si nascose dietro la sua proverbiale codardia, raccontandosi che doveva essergli entrata della polvere negli occhi. Draco Lucius Malfoy non era in grado di accettare che fossero stille quelle che gli rigavano le gote e che la sensazione di atterrimento senza scampo, di schiacciamento privo di via di fuga, altro non fosse che la certezza di aver partecipato a uno scempio e di esserne in parte colpevole.

La sua fuga rappresentava l'unico modo di dire addio alla persona che aveva denigrato e deriso per anni pur di negare e cancellare -vana speranza la sua- ciò che si era accorto di nutrire per lei. Perché nonostante il suo sangue sporco, benché mancasse di eleganza, anche se era amica di Potter e gli aveva preferito quella feccia con le lentiggini e lo Sfregiato, lui era irrimediabilmente e perdutamente innamorato di lei. Contro logica e regole, amava con ogni fibra la persona che gli era proibita e che avrebbe continuato a insultare e fingere di detestare, per il resto dei suoi giorni da esiliato. Draco Lucius Malfoy era innamorato di lei, Hermione Granger e, proprio mentre il nome della ragazza sorse leggiadro fra i suoi pensieri carichi di ombre, il destino decise di farsi beffe di lui.

 

***

 

«Malfoy?!» Quando si sentí chiamare era troppo tardi per scappare, troppo tardi rimediare. Non gli restó che asciugarsi il viso, sperando che lei non lo avesse sorpreso a cancellare le tracce salate che gli deturpavano il volto.

Aveva pronunciato il suo  nome, senza il disprezzo che si sarebbe aspettato. Il tono della Granger aveva assunto una sfumatura strana: non era quello squillante e saccente che aveva imparato ad amare e odiare, gli ricordava solo l’eco sbiadita e stanca della voce che conosceva. Guardandola negli occhi velati di tristezza, brillanti per le lacrime versate, si chiese se anche lei, in lui, potesse scorgere la stessa stanchezza. Una stanchezza fatta di notti insonni, di parole non dette, di timori laceranti.

«Che ci fai tu qui? Non eri stato esiliato?» Si rivolse di nuovo a lui e Draco scartabelló fra i pensieri alla ricerca di una risposta plausibile. Poi un rumore di materializzazione di intromise fra loro e per un istante una scintilla di coraggio gli brillò nell’anima.

Le sfioró le labbra in un gesto incomprensibile, almeno tanto quanto il fatto che lei non si ritraesse schifata, e la salutò per sempre.

«Addio, Sanguesporco

In un secondo, di Draco Lucius Malfoy non rimase che il profumo e il calore ormai sbiadito del contatto con le labbra di lei.

 

***

Hermione cancelló con rabbia le lacrime che le rigavano il volto, non appena si accorse che qualcuno stava sopraggiungendo. La paura che si trattasse di Ron, che notasse i suoi occhi lucidi, la spinse a dipingersi il suo miglior sorriso sulle labbra. Voltandosi, si trovò a faccia a faccia con George e non le servirono parole inutili per capire che aveva visto. D’istinto si passò di nuovo la mano sulle labbra e le sfregó, come a volerle pulire: quel dannato furetto le aveva rubato il sapore di Ron, l’aveva sporcata!

«Hermione, tutto bene?» La domanda del gemello la riportò alla realtà.

«Io…» Avrebbe dovuto rispondere di sì, ma era ancora troppo scossa.

«Tutti hanno il diritto di piangere i morti. Odio i Malfoy e tutti coloro che hanno appoggiato Voldemort, ma non credere che le scelte da compiere siano sempre così nitide e nette.» La maturità da lui espressa, la calma che trapelava dal suo tono erano quasi incomprensibili.

«Torniamo dagli altri.» suggerì lei, cercando di ritrovare almeno un po’ della serenità macchiata di tristezza, intrinseca di quel periodo.

«Non dirlo a Ron. Non servirebbe a nessuno.»

Hermione annuì incerta. Non era sicura che fosse la scelta migliore, ma raccontare a Ron dell’incontro e di quel bacio insensato avrebbe distrutto il ponticello di mattoncini sconnessi che la legava al ragazzo di cui era innamorata da anni. Almeno su questo, non aveva dubbi.

 


Note stonate d'autore:
Ciao! Intanto, buona fine dell'anno, spero che sia una bella giornata e che trascorriate una serata tranquilla.
La storia... non tiene conto di TCC che non ho letto, sebbene sappia che alcune cose, per puro causo, coincidano. Questa storia è stata pensata anni fa, ma solo di recente ho iniziato a scarabocchiare parti e dialoghi.
Il prologo... leggetelo e scordatelo, tanto il discorso verrà archiviato a lungo. Sono partita, anche con questa storia, dalla famosa diceria che Draco abbia sempre provato interesse per Hermione... lei ovviamente lo odia.
Mi auguro che siate pronte e abbiate voglia di seguirmi in questo lungo viaggio. Non so ancora di quanti capitoli si comporrà la storia, non so quanto durerà, ma per come ho pensato la trama, sarà una long. Mi farebbe davvero piacere se la vostra partecipazione si sentisse: mi sono sentita abbandonata mentre postavo I still, non so se forse la storia non meritasse, questo sta a voi dirlo, ma ricevere pareri, che siano positivi o negativi,  aiuta chi scrive, ve lo assicuro.
Be', buona lettura :)
 

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Capitolo 2
*** Un rientro forzato ***


Un rientro forzato
 

Il taxi si era avvicinato lento all’aeroporto, zigzagando fra le auto, avanzando a scatti tra le strade ricolme di traffico della caotica ed eclettica New York.

Mise piede nel terminal, avvolto da una commistione di sensazioni contrastanti che gli toglievano il respiro.

Stava lasciando la città che gli aveva offerto riparo negli ultimi sette anni, il luogo dove il suo piccolo e prezioso figlio era nato.

Scorpius era irrequieto e in cerca di attenzioni: desiderava che loro -la mamma e il papà- lo facessero volare e per questo aveva ripetuto la stessa parola diverse volte.

«Ancola

Draco lo osservò ridere felice, dopo che aveva espresso la sua richiesta, racchiusa in quella parola pronunciata male.

«Scorpius, fa’ il bravo, tuo padre sta portando la valigia.»

Draco guardò la moglie e scosse la testa. Non gli era mai piaciuto che sgridasse il figlio a quella maniera. Capiva che seguisse l’unico modello di educazione da lei conosciuto, la stessa educazione che le era stata impartita, ma non per questo doveva condividerlo.

«Non essere così severa con lui. Non voglio che cresca come noi.» Il suo fu un tentativo di ricordarle quali fossero i loro accordi. Quante notti avevano discusso, alzando il tono, in uno scontro di vedute acceso?

«Sono stanca. Io mi siedo un momento.»

La osservò sedersi. Lasciò l’unico bagaglio che stavano portando con loro -il resto era stato spedito- e avvertí un moto di stizza irrigidirgli il viso.

«In blaccio.» Prese il figlio in braccio e gli depositò un bacio sulla fronte, pensando che Scorpius rappresentasse l’unico reale motivo per cui una minuscola parte di lui avrebbe sempre voluto bene ad Astoria e gli avrebbe impedito di odiarla davvero.

I sentimenti nei confronti di sua moglie avevano rappresentato una costante confusa nella sua vita, sin dal momento in cui gli era stata promessa in sposa: non erano mai stati chiari, dai contorni ben definiti, ma torbidi, perché sporchi, incapaci di tramutarsi in sentimenti sinceri e puliti.

«Andiamo a fare il check in, così poi potrai riposarti.» Le offrì il braccio, sorridendole. Si era ripromesso di essere gentile, di non mancarle di rispetto, per quanto Astoria cercasse di farlo innervosire.

«Va bene.»

La vide alzarsi, appoggiarsi a lui e sorridergli in maniera tirata.

Draco camminò per il terminal storcendo il naso: per quanto ormai fosse abituato ai babbani -che si erano rivelati redditizi per i suoi affari- era più forte di lui, la sua espressione facciale palesava ancora il disprezzo che a lungo aveva nutrito nei loro confronti. Era come un riflesso automatico, come se il suo sangue nobile si sentisse in dovere di manifestarsi e i suoi lineamenti fossero l’unico mezzo per farlo.

Strinse la mano di Astoria, che in un gesto all’apparenza affettuoso intrecciò le dita alle sue, in una tacita rivendicazione di possesso che lui tollerava poco. La sua signora procedeva impettita, rigida come se fosse di pietra eppure al contempo sinuosa ed elegante.

Col braccio libero Draco sosteneva e stringeva a sé quell’esserino tanto importante, quella parte di sé senza cui non sapeva immaginarsi.

Scorpius aveva compiuto da poco tre anni e lui non era in grado di rammentare un singolo istante in cui guardare il suo bambino non lo avesse reso felice, ricolmo di una sensazione che non aveva mai davvero provato e che, in fondo, lo stava cambiando lentamente.

Non si poteva negare che il piccolo fosse figlio suo, nonostante a tratti ricordasse molto la madre. Bastava scorgere i suoi vispi occhi grigi e i capelli di quel biondo particolare per indovinare la sua discendenza.

«Per di qui.»

Astoria scrutava con evidente spossatezza lo scorrere frenetico del mondo che la circondava.Solo dopo aver effettuato il check in e, dopo aver presentato i documenti e lasciato la valigia, la donna tornò a sedersi.

«Accomodati pure.» Draco si sforzò di sorriderle. «Ti prendo una tisana e prendo qualcosa da mangiare a Scorpius.» La sua era una offerta gentile, motivo per cui non si aspettava di sentire la moglie sbottare.

 

«Draco Lucius Malfoy, non voglio la tua pietà. Non la sopporto!» Terribilmente infastidita, Astoria ringhiò quasi a denti stretti, come se ciò potesse contenere la sua frustrazione, ma il suo risultò solo un vano tentativo di regolare e controllare il tono della voce. Voleva sfogarsi, ma non era suo desiderio che tutti i presenti facessero da spettatori all’ennesimo e pietoso show in cui la sua debolezza prendeva il sopravvento.

 

Draco la fissò incerto, inspirando, prima di adagiare Scorpius su di una sedia, prendere posto accanto a lei, farle adagiare il capo contro il petto per tranquillizzarla.

«Le tue carinerie forzate mi fanno sentire come una condannata a morte. Non hai mai avuto tanti riguardi nei miei confronti, forse nemmeno per la nascita di Scorpius.» Nella sua voce livore e amore per quel ragazzo, ormai uomo, si mischiavano in maniera confusa, rincorrendosi e strattonandosi.

«Non sono uno da gesti eclatanti. Ho dovuto imparare come si dimostri l’affetto e sai bene che lo trovo ancora innaturale e difficile. Hai sempre saputo com’ero, come sono stato cresciuto. Sai che non mi appartiene per quanto, per Scorpius, mi stia sforzando.»

«É proprio perché ti sforzi! Non sarai mai naturale e io avrei meritato di più.» Si scostò dal petto del marito e prese il figlioletto fra le braccia. Lo strinse a sé e Draco approfittò di quella tregua momentanea per allontanarsi e riprendere fiato.

Mentre camminava pensò di essere arrabbiato con Astoria per il modo in cui gli aveva risposto, ma in fondo al cuore sapeva che lei aveva ragione. Tempo addietro avrebbe reagito come un cane bastonato, come aveva appena fatto, o le avrebbe risposto per le rime? Quante volte l’aveva trattata come se fosse solo una bella donna, un vuoto involucro, priva di sentimenti e di un cervello funzionante?

Allontanatosi da lei, si fermò in un angolo, si adagiò contro la parete e chiuse gli occhi: era stato ingiusto nei suoi confronti? Avrebbe potuto comportarsi meglio? Astoria avrebbe potuto avere di più?

Conosceva le risposte a quelle domande e, se riusciva a essere sincero con se stesso, avrebbe ammesso di non riconoscere più il modo che aveva di relazionarsi a lei.

L’ira malcelata di sua moglie era giustificata, ma lui cosa doveva fare?

Astoria gli era stata vicina, era rimasta al suo fianco. Lo aveva amato e aiutato come nessuno prima di allora. Gli aveva dato un figlio, l’unica e immensa fonte della sua gioia e per il quale le sarebbe stato grato in eterno. E aveva ragione lei ad asserire che non fosse cambiato poi molto, nonostante Scorpius. Non sino al giorno in cui il suo universo era stato squarciato a metà. Per la prima volta dopo anni si era sentito indifeso, piccolo e impotente. Non l’intero patrimonio dei Malfoy lo avrebbe protetto o salvato da ciò che stava accadendo.

«Signore, si sente bene?» La voce premurosa di una babbana lo costrinse ad aprire gli occhi. La liquidò con freddezza per averlo strappato al limbo oscuro e senza fine nel quale, per un istante, si era concesso di indugiare.

Raggiunse un bar, si mise in fila e mentre attendeva udì il cellulare squillare. Aveva sempre odiato quel mezzo babbano, per quanto si fosse rivelato utile e comodo in diverse occasioni.

«Nott, che succede?»

«Volevo solo dirti che qui procede tutto al meglio. E sapere se hai ottenuto il permesso di partecipare a qualcuno dei concerti.»

«Non credo. Sai che ci sono delle restrizioni, ma proverò a perorare la causa. Non possono certo pretendere che smetta di lavorare.» Non voleva chiedere favori né dover sottostare a stupidi ricatti inespressi, fonte di guai e innescatori di promesse da mantenere.

Draco si accorse che era giunto il suo turno per ordinare, quindi salutò Theo. Quando ebbe ottenuto una tisana per la moglie e preso un pacchetto di biscotti per il suo bambino, tornò da Astoria. L’immagine che vide, mentre si appropinquava loro, gli fece male: la donna stringeva Scorpius a sé con tutte le sue forze, come se volesse imprimergli nella memoria il suo abbraccio, il suo calore. Come se tenendolo così vicino potesse non scivolare via.

«La tua tisana.» Tentò di sorriderle, ma quel compromesso con se stesso gli costava molto.

«Mi ha chiamata Theo. Daphne verrà in aeroporto con i miei genitori.» Il tono era freddo e quasi assente.

«Bene, io andrò a firmare i documenti. Non voglio che Scorpius venga turbato dal nostro rientro, spero che almeno su questo saremo d’accordo.» Non intendeva irritarla, ma dallo sguardo di fuoco che lei gli rivolse, comprese di aver fatto un pessimo lavoro.

«Sei proprio sicuro che tu non possa stare con noi a Greengrass Manor?» Provò a chiederglielo un’altra volta, anche se era certa della sua risposta.

«Lo sai che non dipende da me. Tu e Scorpius starete dai tuoi, se otterremo il permesso, magari riuscirò a venire a dormire con voi. Sai bene quale sarebbe l’alternativa e sei tu a non essere d’accordo.» Tagliò corto perché non voleva litigare. Avevano discusso a lungo della questione, ma lei non voleva soggiornare a Malfoy Manor e mai e poi mai lui avrebbe scelto una dimora che non fosse quella di famiglia. Stava ancora ponderando se dormire dai Greengrass, ma sperava con tutto se stesso di convincere la moglie.

«Potrei stare di giorno dai miei e la sera potremmo venire a dormire al Manor, Vìvisto che tu starai fuori tutto il giorno e durante i weekend potremmo alternarci.»

Ebbe la strana impressione che Astoria fosse ammattita: si erano scontrati a lungo e ora, finalmente, conveniva con lui su quella soluzione e gli offriva un dannato compromesso?

«Sei sicura?» Voleva essere certo di aver capito bene e che quello non fosse l’ennesimo stratagemma per ricattarlo.

«Scorpius sentirebbe la tua mancanza e anche io. E poi deve vedere anche i nonni paterni.» Aveva deciso già da qualche giorno di scendere a più miti consigli e se aveva atteso quel preciso momento per informare il marito, era solo per ripicca. Le loro urla e i litigi erano stati inutili, Astoria sapeva che non l’avrebbe spuntata e si maledì per la debolezza a cui si era inchinata ancora una volta. Avrebbe sentito la mancanza di Draco, nonostante tutto. Lo amava così disperatamente e con la stessa intensità lo detestava. E odiava se stessa perché non era in grado di lasciarlo andare, nemmeno ora che le cose le stavano sfuggendo di mano. Stavano rientrando a Londra e, lo sapeva, prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con il suo fantasma personale: sapeva che l’avrebbe rivista, ne aveva la certezza matematica, così come era sicura che lui non l’avesse mai dimenticata, che lei non sarebbe mai riuscita a cancellarla dal suo cuore. Non era stata in grado di farlo in quei lunghi anni in cui Draco non aveva potuto vederla, come poteva sperare di liberarsi della sua rivale ora che avrebbero trascorso del tempo insieme?

«Andiamo, è giunta l’ora dell'imbarco.» Draco le porse la mano e lei la guardò per qualche istante. Inspirò e poi adagiò le dita sul palmo del marito, appoggiandosi a lui. Si alzò, prese Scorpius per mano e con la sua piccola e finta famigliola felice si avviò verso l'imbarco. Il livore per quel rientro, per se stessa, per tutto ciò che stava arrivando l’avrebbe consumata, ne era certa. Ma non era pronta né disposta a cedere, per nulla al mondo. Voleva vincere e non si sarebbe arresa, mai.

 

***

 

Il viaggio in aereo si rivelò un supplizio e Draco tirò un sospiro di sollievo quando il velivolo toccò terra: sebbene fosse nervoso per l’imminente incontro che lo aspettava e per quel ritorno brusco a una realtà che gli avevano sottratto, l’umore altalenante di Astoria lo aveva quasi esasperato. Con in braccio Scorpius discese lungo il tunnel, senza curarsi della moglie e degli sguardi che i curiosi rivolgevano loro. Avrebbe volentieri cruciato tutte quelle persone che li scrutavano con una punta di morbosa invidia.

Una volta presentati i documenti e ritirato il bagaglio, Astoria gli rivolse la parola. «Ci vediamo non appena hai finito. Cerca di non metterci troppo, già sarà stressante per Scorpius, vorrei che ci fossi.»

Per quanto la sua signora avesse ragione, sapeva bene che lui aveva da fare e non certo per sua scelta. «Farò in fretta, ma se non ti sta bene credo che potrai presentare le tue rimostranze al colpevole di persona.» esclamò non appena le porte a vetro si aprirono e i suoi occhi incontrarono quelli della persona che lo stava aspettando.

«Pensavo che potessi cavartela da solo, non credo tu voglia l’aiuto di una donna.» Era più forte di lei, mascherare il livore nei confronti del marito era difficile, anche se era cosciente di riuscire solo ad allontanarlo così.

Draco non le badó, troppo intento a studiare il suo nemico di sempre.

«Malfoy.»

Detestava il modo in cui aveva pronunciato il suo nome, non sopportava la pietà che trapelava dal suo tono.«Potter.»

Harry Potter lo osservava dai suoi occhiali rotondi, nascosto dietro a quella montatura che Draco aveva sempre ritenuto inadatta e dozzinale.

«Se vuoi salutare tuo figlio o i tuoi suoceri, posso attendere.»

In realtà, per qualche bizzarro motivo, il Bambino sopravvissuto gli sembrava impaziente di andarsene e, quando realizzó che fosse domenica, capì. Con ogni probabilità la Weasley lo stava aspettando e magari avevano anche litigato per quell’impegno che di certo aveva scombussolato la loro stupida e povera routine.

«Preferisco andare, non ho bisogno della tua compassione. Però mi sbellicherei dalle risate se ti facessi perdere un po’ di tempo, giusto perché tu giunga tardi al pranzo e la tua mogliettina lentigginosa ti possa sgridare.» Lo studió per un istante, prima di procedere con un ghigno dipinto in volto. «In quella topaia dei Weasley?» Stentava a credere che abitassero ancora in quel porcile.

«Ho un'auto parcheggiata questo fuori. Possiamo firmare lì, ti darò i vostri documenti di riammissione al mondo magico e la carta d'identità magica per Scorpius.» Stava tentando di mantenere la calma. Aveva scommesso tutto su Malfoy, sebbene lo odiasse e non pensasse che fosse in grado di cambiare, ma proprio lui che li aveva difesi e aveva collaborato per scagionarli, non aveva potuto rimanere impassibile quando era giunta quella richiesta nel suo ufficio

«Va bene, andiamo.» Lo seguì sino alla vettura e nessuno dei due aggiunse una sola parola.

Fra loro scorrevano troppi anni di odio, di invidia e di cattiverie perché la questione venisse appianata così, su due piedi e Draco, nonostante tutto, non aveva assolutamente intenzione di ringraziarlo o di piegarsi, anche se senza Potter, con ogni probabilità, non avrebbe mai più rivisto l'Inghilterra.

 

***

 

«Ti aspetto domani, ore otto e trenta, devi spaccare il secondo.» Potter lo guardava con un’espressione talmente risoluta da sembrargli ridicola.

«Come se avessi scelta.» La sua risposta fu breve. Non aveva intenzione di discutere né voleva ringraziarlo per avere interceduto.

«Ho messo a rischio la carriera e il mio matrimonio, non farmene pentire e non ti lagnare come una ragazzina.» Harry voleva sbrigarsi e tornare a casa. Aveva promesso a Ginny che si sarebbe presentato puntuale per pranzo e immaginava già le urla con cui lo avrebbe accolto e ricoperto qualora fosse stato in ritardo.

«E perché l’hai fatto, di grazia? Sappiamo entrambi che quando la menzogna scoppierà, tu ne uscirai pulito e come il San Potter che sei sempre stato. Intonso e pio, da vero ipocrita.» berció Draco infastidito

Per lui l’azione di Potter non era disinteressata e trasudava per l’appunto ipocrisia da tutti i pori. «Se fosse venuto fuori e ti fossi rifiutato…» Lasció la frase in sospeso, con quella insinuazione che penzolava con prepotenza fra loro, ma Potty decise di non raccogliere.

«Il pomeriggio terrai lezioni di Pozioni avanzate, Occlumanzia e Legilimanzia. La mattina sei affidato a un tutor, seguirai un corso speciale per Auror.» Gli rinfrescó la memoria con gli accordi, sottoponendogli i fogli sui quali doveva apporre la firma.

«Che fortunato che sono!» Draco sfoggiò il suo scetticismo per quella situazione e quanto poco gli andasse a genio. Scarabocchió un autografo e sbuffando gli restituì i fogli.

«Malfoy, io…» Harry Potter era a corto di parole. Non era mai stato un abile affabulatore, nemmeno quando le occasioni lo avevano richiesto e non sembrava in grado di smentirsi.

«Non mi interessa e non osare fissarmi così.» Lo trucidó con lo sguardo e poi si congedò. «Se abbiamo finito, me ne andrei. Salutami la femmina con le lentiggini.» Al cenno del capo di Potty, Draco Lucius Malfoy si smaterializzó.

Quando rimise i piedi per terra, inspirò per calmare la sensazione di nausea: da quanto tempo non poteva smaterializzarsi? Possibile che il suo sangue puro, intriso di magia, si fosse disabituato senza tante cerimonie a qualcosa che per lui doveva essere naturale?

Si guardò attorno, adagiò gli occhi sul maestoso cancello di ferro battuto e mettere a fuoco Malfoy Manor gli fece brillare gli occhi di lacrime inespresse , a cui mai avrebbe permesso di solcargli le candide e delicate gote.

Avvolto nella sua giacca nera dalla fattura pregiata, mise mano alla bacchetta che teneva in tasca e compì il primo passo. Col cuore immobile, cristallizzato nel ghiaccio, si avvicinò all’ingresso. Si sarebbe potuto materializzare nella villa, non aveva certo bisogno del permesso di nessuno, ma d’improvviso decise di andarsene. Pensò a un luogo che nonostante tutto gli era molto caro e lì si ritrovò.

L’immagine del castello, in quella giornata di un pallido sole, era contornata da una lieve aura dorata.

Socchiuse le palpebre, inspirò a fondo il profumo di erba bagnata e quell'aroma di aghi e resina che veniva dalla foresta, sull’orlo della quale ascoltava in silenzio religioso il chiacchiericcio e il ritmo della vita che giungeva dalla scuola di magia più famosa.

Hogwarts aveva rappresentato un palcoscenico per lui, il luogo dove aveva sfoggiato la sua boria, la sua ricchezza, una codardia mascherata di coraggio e il razzismo che il suo status di sangue puro consacrava. Aveva trascorso anni a farsi burla di tutti, a odiare Potter, il Trio delle meraviglie+1, tutto ciò che li circondasse e i Grifondioti, dai colori rosso coraggio e oro prezioso.

Draco Malfoy cercò con lo sguardo e col cuore il salice, in riva al Lago Nero, dove spesso l’aveva vista studiare, mentre si mordeva il labbro, concentrata a sottolineare o ad appuntare qualcosa. L’aveva disprezzata con tutto se stesso quando aveva capito di non poterla avere e su di lei aveva incentrato odio e cattiverie, come se potessero bastare a cancellargliela dal cuore.

Un rumore di passi, uno scricchiolio di foglie lo costrinse a voltarsi. Un centauro lo fissava con attenzione. Draco Malfoy strinse le dita attorno alla bacchetta, incerto. I centauri non erano soliti mostrarsi, poteva esservi un motivo dietro quella apparizione?

«Un nome di stelle, grandioso nel firmamento potrebbe brillare. Ma c'è sempre una tempesta prima del sorgere del sole.» La voce era profonda, sicura e stranamente tranquillizzante. Draco sgranò gli occhi e si chiese se potesse osare rivolgergli un quesito: i centauri erano enigmatici e molto noti per la loro conoscenza che andava oltre i limiti terreni dello scorrere del tempo.

«Segui una strada che sia la tua, trova la forza che è nel tuo nome.» Il centauro sparì, com’era arrivato, senza permettergli di indagare.

Incredulo e confuso, rivolse di nuovo gli occhi verso il salice e per un istante pensò di essere impazzito. Sbatté le palpebre e quando le rialzò era sicuro di non trovarla: invece lei era lì, seduta sull’erba, con un libro in grembo. L'aveva rivista, dopo tanto di quel tempo, proprio là dove tutto era cominciato. Avrebbe voluto sapere perché si trovasse lì, ma mise a tacere la curiosità. La guardò ancora per qualche istante, si riempì della sua immagine e nel silenzio più assoluto sparì, andando incontro a uno dei propri fantasmi del passato.

 

Quando fu di nuovo stabile sulle gambe, realizzò che un elfo domestico lo scrutava intimorito. «Draco Lucius Malfoy.» Non che avesse bisogno di presentazioni in casa sua.

La creatura sbatté la testa al muro diverse volte, consapevole di aver sbagliato e lui lo lasciò fare: non li avrebbe mai capiti e non gli interessavano. Erano delle bestiole inferiori, nate per servirli e di sicuro lui non si sarebbe arruolato nel C.R.E.P.A., per quanto avesse imparato a fare a meno di quei piccoli esseri bizzarri.

« Draco!» La voce di sua madre per un istante tradì l'emozione che rivederlo sveglió in lei.

La vide accennare dei passi veloci, lungo l’ampia scalinata di marmo italiano che imponente spadroneggiava nell’atrio. La guardò camminare con celerità e rallentare nell'istante in cui forse si rese conto di aver perso il suo regale e rigido contegno.

 

La donna lo strinse a sé con delicatezza, inspirando il profumo del figlio che le era mancato molto.

«Dove sono Scorpius e tua moglie?» Narcissa era riconoscente a quella ragazza che aveva accolto il suo Draco nel cuore, nonostante tutto. Non glielo avrebbe mai detto, nemmeno in quel momento, ma le era grata e lo era ancora di più per Scorpius.

«Volevo invitare i Greengrass per il tè.» Il suo tono non tradì il fastidio che nutriva. Non provava interesse alcuno per i suoceri e di certo non era entusiasta all’idea dell’atmosfera pesante che avrebbe respirato.

«Avverto gli elfi. Ho preparato la tua vecchia camera, ma se ne preferisci un’altra…»

Draco scosse la testa. «Fate preparare una camera matrimoniale e avrei bisogno di un lettino per Scorpius.» Si accorse che la madre lo scrutava con stupore. «Mi pare normale che la mia famiglia dorma dove pernotto io. Di giorno staranno dai suoi, ma la sera, al mio rientro, pretendo di trovarli qui.» Non era tutta la verità, ma non voleva tediare la madre con il racconto delle infinite discussioni fra lui e la sua sposa.

«Ti faccio portare il pranzo in camera?» Narcissa si chiese perché il marito non facesse il suo ingresso, non poteva non essersi avveduto che il figlio fosse arrivato. Possibile che non volesse vederlo?

«Va bene, a dopo.» Draco si congedò e poi si incamminò, tenendo la giacca adagiata al braccio. Avrebbe potuto lasciarla agli elfi, ma avendo vissuto nella New York non magica, in qualche modo si era quasi disabituato ai loro servigi, per quanto fosse certo che avrebbe impiegato poco a riabituarsi.

Proseguì lento lungo la scala, indugiando non appena giunse fuori dallo studio del padre. Non gli era passato inosservato che non si fosse affacciato per salutarlo e, sebbene non si aspettasse diversamente, si sentì irritato dal poco rispetto che il genitore gli mostrava. Si era fatto carico di tutte le ingiurie, di tutte le colpe dei Malfoy solo per proteggere Narcissa. Si era addossato anche i crimini del padre, perché non finisse ad Azkaban, quindi avrebbe dovuto almeno essergli riconoscente.

Adagiò la mano sul pomello dorato e lucido, ma non trovò il coraggio di aprire la porta di mogano.

Proseguì, ammettendo, almeno a se stesso la verità: in fondo, se ne era andato anche per preservare la propria sanità mentale. Da codardo, non era pronto né si sentiva in grado di affrontare sguardi accusatori e carichi di disprezzo, nei confronti di chi, poi? Di un ragazzo che aveva sì avuto una scelta, ma una scelta obbligata. Una strada già tracciata, un percorso che non avrebbe potuto portare da nessun'altra parte sin dalla culla.

Aprì la porta della sua stanza e una strana sensazione si impadronì di lui non appena notò la sua divisa di Quidditch, in una teca di vetro, insieme alla sua fidata scopa. Si tolse le scarpe, il maglione e si gettò sul letto. Chiuse gli occhi e sbuffò: era solo l’inizio della sua nuova vita ed era già esasperato. Ce l’avrebbe fatta a mantenere intatta la maschera di algida noncuranza dietro alla quale si era spesso difeso?


Note stonate d'autore: Buon 2018!
Un grazie a chi è passato, a chi ha recensito, a chi ha inserito la storia fra seguite, ricordate, preferite.
Sì, che barba, c'è Astoria... ma abbiate fede... lo sapete che io sono una lentona e i miei personaggi impiegano secoli a scoprire i propri sentimenti... pazientate con me e intanto mi auguro che la storia vi piaccia. Come lo trovate il mio Draco, cresciuto un po'? È lievemente cambiato e a questo punto non se ne posso ancora capire appieno i motivi, ma vi prometto che verranno fuori.
Spero di non essere andata troppo OOC e, ora che me ne accorgo, vado a segnarlo fra gli avvertimenti che non si sa mai.
Nel prossimo capitolo troveremo Hermione, che abbiamo lasciato sotto al salice. Che ci farà ad Hogwarts?

 

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Capitolo 3
*** Ancora tu ***


Reach out for my hand

Capitolo tre

 
Ancora tu
 
 

Si era appena disteso sul letto, accanto alla moglie che aveva insistito affinché Scorpius dormisse con loro. Nel suo pigiama blu, di morbida e profumata seta, non provò alcun conforto al pensiero di essersi liberato del tè con i suoceri e di aver incontrato il padre senza incidenti diplomatici. Lucius lo aveva ignorato fino a quando gli era stato concesso e, una volta arrivati i Greengrass si era impegnato in quella recita ipocrita alla quale anche lui, Draco, aveva finito per prendere parte. Non nutriva desiderio alcuno di scontrarsi con il padre, né di farlo davanti ai genitori della moglie, sebbene fosse consapevole che la recita fosse nota a tutti.

«Pensi a lei?» Astoria si era resa conto di quanto fosse assente il marito, benché lui fosse abile a dissimulare. L’aveva infastidita profondamente e non solo per gelosia: non riusciva a tollerare che il marito non fosse concentrato sul figlio se Scorpius era nei paraggi.

All’inizio della loro relazione, diversi anni prima che rimanesse incinta, aveva trascorso un lungo periodo ad attendere che Draco voltasse pagina, poi forse si era illusa di averlo conquistato, ma le era bastato guardarsi a fondo nel cuore per capire di non avergliela fatta dimenticare, non del tutto.

«Astoria, non cominciare.»

Lo sentì sbuffare, avvertí la sua irritazione dal tono secco e duro.

«Non neghi.» Lo affermó mordendosi un labbro per impedirsi di aggiungere altro, anche se il cuore nel petto era un buco nero di dolore.

«Dormiamo, domani comincia la nostra nuova vita.» Draco realizzò troppo tardi quanto poco opportune fossero le sue parole, ma ormai le aveva pronunciate e non poteva certo riavvolgere il tempo.

«So che la vedrai e non posso sopportarlo. Fingi che di lei non ti importi! Non voglio che entri fra le pareti di questa stanza, non voglio che si insinui fra noi! Mentimi, ma non lasciarmi pensare che a lei sono rivolti i tuoi pensieri!»  Dalla sua supplica, o ordine, trapelava una disperazione malcelata e Draco non se la sentí di infierire.

«Ricordati che sei tu la moglie di Draco Lucius Malfoy, è te che ho scelto di sposare.» Si auguró che lei non controbattesse, poiché sapevano entrambi dove stesse la verita, una verità che faceva male e che non c'era bisogno di palesare.

Astoria non aggiunge nulla, strinse la manina di Scorpius e ricacció indietro le lacrime. Non poteva cambiare la realtà e lottare richiedeva energie di cui lei, in quel momento, non disponeva.

 

***

Draco si destó non appena i primi raggi del sole filtrarono dalle pesanti tende scure. Si mosse cauto nel letto, stanco per non aver dormito molto. Il solo pensiero di dover cominciare quel suo percorso di espiazione gli grattava nel petto, rendendogli impossibile liberarsi della bizzarra sensazione che lo avvolgeva tra le proprie spire. Controllò Scorpius, gli diede un bacio leggero sulla fronte e, prima ancora che la sveglia suonasse, si alzò. Raggiunse il bagno già caldo, dove la sera prima aveva preparato i vestiti. Si fece una doccia e permise al tepore dell’acqua di accarezzargli il collo e sciogliere i muscoli tesi, poi si avvolse in un telo di morbida spugna candida e si asciugò. Si vestì con cura, alla ricerca maniacale di una perfezione che sembrava essere in grado di cancellare l'imperfezione fatta di sbagli di cui la sua vita era disseminata.

Raggiunse il salone, dove colazione era già stata predisposta sul tavolo finemente apparecchiato. Una piccola elfa di cui non conosceva il nome si presentò con una tazza di caffè nero, fumante, e l'adagió davanti a lui. Infine la creaturina si esibì in un lieve inchino prima di sparire.

Poi Draco avvertì il ticchettio delle scarpe di sua madre e, mentre prendeva un sorso della bevanda calda, vide Narcissa entrare.

«Buongiorno. Scorpius dorme ancora?»

La fissò: sapeva di cosa volesse parlargli, ma speró che capisse che lui non desiderava intavolare il discorso.

«Come state?» Narcissa era preoccupata, anche se tentava con tutta se stessa di dissimulare.

Le speranze di Draco svanirono in una nuvola di fumo.  Inspirò, morse il muffin ai mirtilli e si chiede cosa sua madre volesse sentirsi dire. «Bene, ma se vorrete scusarmi, ora andrei. Di Scorpius e Astoria si occuperanno Theo, Blaise e Daphne. Mia moglie e mio figlio verranno riportati qui per il tè.» Fu lapidario. La salutò, per poi congedarsi. Infilò la giacca e si smaterializzò. Grazie a quel piccolo diversivo, per un attimo la sua mente divagó, ma poi si trovò la realtà sbattuta in faccia e si sentì smarrito. Rimise immediatamente la maschera e si nascose ancora una volta, pronto alla recita. O forse no.

***

Quando l’avvisarono che era arrivato, Harry si maledisse. Sapeva che la settimana stava per cominciare nel peggiore dei modi e in parte era anche colpa sua. Era stato evasivo quando c’erano risposte da fornire e aveva avuto molte occasioni per chiarire, ma aveva finito sempre per tergiversare.

«Malfoy, vieni pure.» Fece accomodare il suo nemico e vecchio compagno di scuola, incerto sull’esito di quella improbabile collaborazione, sicuro che a breve i guai si sarebbero affacciati nella sua vita.

«Potter.» Draco si impose di essere educato, per quanto vedere lo sfregiato non rientrasse fra i suoi desideri.

«Stamattina vorrei presentarti la persona che ti farà da tutor e che tiene alcune lezioni per il corso di Auror.» Harry tentò di essere professionale e diplomatico, di dimostrare che ormai erano lontani dai tempi di Hogwarts, ma il lieve disprezzo che trasudava dagli occhi dell’ex serpeverde, in qualche modo, riusciva a metterlo a disagio e farlo sentire come se non avessero mai abbandonato il castello.

 

Draco ascoltó Potter con vago disinteresse. Non gli importava di conoscere la sua futura balia, non gliene fregava nulla del corso di Auror. L’unica cosa a non procurargli fastidio era l’idea di insegnare Occlumanzia e Legilimanzia, oltre che Pozioni Avanzate, poiché in fondo sarebbe stato divertente piegare le menti dei suoi alunni e leggerne i segreti.

«Sono pronto.» Fu breve, cercò di non lasciare trasparire nulla che non fosse la propria boria e,  quando vide Potter sorridere sotto ai baffi, si chiese cosa ci fosse di tanto divertente.

Harry spiegò velocemente a Malfoy come si sarebbero svolte le sue giornate, cosa si aspettavano da lui e gli diede degli appunti, da lui scarabocchiati, con i quali gli suggeriva come cominciare le lezioni.

Draco lo vide alzarsi, fargli cenno, e lo seguì lungo i corridoi, sommerso e soffocato dagli sguardi curiosi altrui. Gli scavavano la nuca, come se potessero bucargli il cranio e leggergli fra i pensieri e, per un istante, fu tentato di abbassare le barriere e lasciare che i curiosi venissero fagocitati dal buio che gli viveva nel cuore.

«Siamo arrivati. Ti prego di essere civile.»

Non fece in tempo a rispondergli perché Potter spalancò la porta, entró, salutò e nel petto Draco avvertì il battito morire.

***

«Harry, perché volevi parlarmi?» Hermione si era svegliata di pessimo umore quella mattina. Aveva dormito poco perché Harry aveva annunciato di volerle parlare del lavoro, ma poi si era rifiutato di fornirle ulteriori dettagli e lei odiava brancolare nel buio.

«Volevo farti conoscere la persona di cui sarai responsabile, non che il nuovo insegnante di Occlumanzia, Legilimanzia e Pozioni Avanzate.» Non sapeva che reazione aspettarsi dalla sua migliore amica, ma era certo che si sarebbe arrabbiata e lui non poteva fare altro che mentirle. Non poteva svelarle la verità, per quanto propinarle una menzogna rappresentasse davvero un peso.

 

Hermione sgranò gli occhi confusa e quando intravide la zazzera biondo platino, si morse il labbro per non sbottare.

«Draco Malfoy è rientrato in Inghilterra. Solo tu puoi fargli da tutor e sei l’unica persona cui lo affiderei.» Se Harry pensava di abbindolarla con le sue lusinghe, si sbagliava di grosso.

«Granger, respira, prima che ti scoppi la testa. Di sicuro non sono io a insozzare l’aria qui dentro.» Draco la colpì, con una stoccata veloce e inattesa.

«Dimmi che è uno scherzo o giuro che do le dimissioni!» Hermione ignorò Malfoy per concentrarsi su Harry. Lo aveva accettato come suo capo, lo aveva sempre rispettato, ma non poteva obbedire a quell'ordine.

«Granger, non sei un po’ esagerata? Hai paura di un redento Mangiamorte o che il mio sangue puro ti infetti un po’?» Il tono derisorio di cui aveva intriso le sue parole fece brillare gli occhi alla ragazza che aveva amato con tutto se stesso. E quando lei ridusse le distanze fra loro, costringendolo a respirare il suo profumo alla vaniglia, si sentì smarrito.

Hermione si avvicinò a quel borioso, gli puntó un dito verso il viso e trattenne lo schiaffo che gli avrebbe volentieri tirato.

«C'è in ballo una promozione…» Harry si era arrabbiato quando glielo avevano detto. Si era battuto a lungo affinché lei potesse ricoprire una carica di maggior prestigio, come meritava, eppure la società magica sembrava aver tratti maschilisti.

Hermione avvertì gli occhi inumidirsi. Se desiderava ricevere la promozione doveva vivere un incubo. E non era la presenza di Malfoy in sé a destabilizzarla, non le aveva mai fatto paura né la impensieriva, ma quel piccolo ricatto con cui veniva tenuta in scacco. Era certa che non potesse essere colpa di Harry, ma non riusciva a tollerare la discriminazione che le avevano riservato.

«Io vi lascio. Lo accompagni in aula e poi vieni da me?» Potter si disse che era meglio andarsene prima che Hermione lo tempestasse di domande.

***

Hermione uscì dalla porta sbuffando come un drago arrabbiato, senza degnare il suo migliore amico di una risposta. Camminó veloce lungo il corridoio, quasi come se avesse fretta e stesse sfuggendo a qualcuno.

«Hermione, dove vai così di fretta?» Il quesito di una collega la spinse a fermarsi. Si voltò e si accorse che il furetto non la stava seguendo.

«Ho bisogno di un caffè.» Sorrise alla collega, dopo averle mentito, e appellandosi a tutte le sue forze, tornó indietro.

Infilò la testa nella stanza dove Malfoy era rimasto in piedi, contratto e con un'espressione schifata sul volto. Reprimendo un moto di stizza, gli urlò contro: «Sbrigati, che non ho tempo da perdere! Seguimi.» Prima di avviarsi di nuovo lungo il corridoio si accertó che lui la stesse seguendo e, quando lo vide ghignare, pensó di non averlo mai detestato tanto in vita sua.

Lo accompagnò sino all'aula dove si teneva lezione il lunedì mattina, gli indicó quella che sarebbe stata la sua nuova prigione e, stava per andarsene senza dirgli nulla, ma poi cambiò idea.

«Vedi di comportarti in maniera civile e non crearmi grattacapi.» Poi gli voltò le spalle e si allontanò, impedendogli di ribattere. Lo sentì sbuffare e imprecare, ma non gli diede retta. Irritata si recò da Harry e quando entró nel suo ufficio era pronta a mangiarselo vivo.

«Dimmi come ti è passato per la testa e perché io non ne sapessi nulla!» Tuonó, incapace di contenersi. Aveva passato un pessimo week-end e aveva erroneamente sperato che la settimana lavorativa potesse essere migliore, ma l’inizio non prometteva certo bene.

«Draco Malfoy ha ottenuto il permesso di rincasare solo a patto che non combinasse guai e così è stato deciso che tenerlo impegnato con il corso di Auror e con le lezioni fosse un modo per sorvegliarlo senza farlo sentire in gabbia.» Harry non sapeva cosa inventarsi, ma che volesse e dovesse tenerlo sotto controllo, e che quello fosse il modo più semplice, era vero.

Hermione lo fissò confusa perché davvero non riusciva a capacitarsi di come tutto ciò fosse possibile. «Draco Malfoy è sfuggito ad Azkaban grazie a te.»

Harry la interruppe. «Eri d'accordo anche tu che fosse troppo giovane e soprattutto che in qualche modo fosse stato costretto a seguire suo padre.»

«Non sto dicendo il contrario. Ma se proprio volevate concedergli la grazia, non avrei voluto essere chiamata in causa. Voi decidete e io devo subirne le scomode conseguenze.» Era adirata, ma si sentì ingiusta quando vide l’espressione colpevole sul viso di Harry.

«Lucius e i Greengrass hanno fatto pressioni. Non ti sto dicendo che sono contento della situazione, ma questi sono i fatti.»

Dal tono del suo migliore amico trapelava una vena calma che secondo lei stonava con l’intera situazione, ma lasciò perdere.

«Cosa comporta che lo supervisioni?» Si arrese all'evidenza.

«Devi solo accertarti che segua il corso, che faccia lezione e che la sera sia a casa appena dopo il lavoro. Se vuole uscire, ha bisogno di un permesso firmato da te e da me, ma è a nostra discrezione se acconsentire o meno.» Harry aveva cercato di ottenere che non gli venissero imposte troppe regole, troppi vincoli, ma non era riuscito a guadagnare un po’ di libertà per il suo nemico di sempre. E non aveva tentato solo per pietà, ma perché non voleva che un bambino piccolo subisse le conseguenze degli errori compiuti dagli adulti.

Hermione annuì, poco convinta. Non capiva perché mai Malfoy avesse accettato delle condizioni tanto indecorose e restrittive. Si disse che di certo negli Stati Uniti doveva essere libero di condurre una vita normale e non riusciva a credere che gli mancasse casa al punto da farsi umiliare e imprigionare. Perché in fondo le condizioni imposte lo privavano della libertà.

«Vado a sbrigare delle pratiche, fra un’ora ho lezione.»

«Hermione!» Harry la richiamò indietro e la vide voltarsi e alzare gli occhi al cielo. Sapeva di averla spazientita. «Vorrei che seguissi le sue lezioni. Quelle tenuto da Malfoy, non dimenticarti che ha imparato da Piton ed è stato alla corte di Voldemort.»

«È un obbligo?»

L'amico scosse la testa. «Non lo è, ma io parteciperò e vorrei che lo facessi anche tu per dare l’esempio.»

Si fermò a riflettere per qualche istante, poi annuì, prima di sparire oltre la porta di mogano. Non aveva annuito per confermare a Harry che avrebbe presenziato, ma solo perché aveva capito cosa intendesse. Era troppo scossa e infuriata dalla situazione frustrante per prendere la decisione più giusta. Raggiunse la macchina del caffè, inserì le monetine e selezionó un caffè nero, lungo con tanto zucchero. Non che le avrebbe risollevato lo spirito, né calmato i nervi, ma in quel momento non poteva tornare nel suo ufficio e starsene seduta sulla sedia. Semplicemente non poteva.

***

Draco giunse al termine della mattina, esausto. La lezione con la Granger lo aveva prosciugato: cercare di prestare attenzione, di non mostrarsi annoiato e di non dirle che raccontava scemenze era stato un compito difficile cui assolvere. Eppure ce l’aveva fatta e ora aveva un’ora libera, durante la quale poteva consumare un pasto. Potter  gli aveva illustrato gli orari pomeridiani e come si sarebbero svolte le lezioni che lui avrebbe tenuto.

Per fortuna non tutti i giorni sarebbe stato impegnato e quando era libero, poteva rincasare prima.

Draco si sentiva sulle spine, come se stesse ballando a piedi nudi sui carboni ardenti. Era stato pesante lasciarsi scrutare da tutti, ma ancor peggio sarebbe stato introdursi in una stanza, pronto a tenere lezione, e ritrovarsi a fissare dei banchi vuoti. Non ne aveva fatto parola con il Santo-protettore-di-Hogwarts e ora, mentre si avviava verso la mensa, si chiese se non stesse pretendendo troppo da se stesso. Poi, giunto sulla soglia del refettorio, inspirò a fondo. Dai vetri poteva notare il personale e i cadetti Auror mangiare attorno a grossi tavoli, divisi in gruppi. C'erano diverse sedie libere e lui avrebbe potuto accomodarsi ovunque, ma poi individuò la chioma indomita della Granger e per un istante s’immaginó mentre si avvicinava e prendeva posto davanti a lei.

«Allora, cosa le do da mangiare?»

Draco fu riportato alla realtà da quelle parole. Non c'era nulla di suo gradimento, era sicuro che  il cibo fosse scadente, ma alla fine rispose: «Zuppa di farro, arrosto e patate. E una fetta di torta di carote.» La donna gli diede quanto richiesto e Draco cercò di concentrarsi per escludere il brusio che, era conscio, aveva causato lui con il suo ingresso e doveva essere l’eco rumorosa delle maledizioni che gli stavano scagliando contro.

Alzò lo sguardo e d'improvviso la folla si zittí. Un silenzio irreale caló nello stanzone e Draco sfiló con eleganza e superbia sino al tavolo da dove Potter, la Granger e altri loro ex compagni di scuola lo scrutavano.

«Che ci fai qui?» La Granger lo fulminò con lo sguardo e lui avvertì uno squarcio nel petto. Non lo avrebbe mai perdonato, non lo avrebbe mai considerato una persona qualsiasi e quindi che senso aveva trattarla diversamente?

«Per quanto il cibo sia improponibile, devo sustentarmi anche io.» Si sedette, prendendo posto proprio davanti a lei.

«Te ne vai tu o mi devo alzare io?» Hermione non aveva intenzione di sopportarlo più del dovuto.

«Tu hai terminato e io mi sono appena seduto.» Era sicuro che lei non avrebbe avuto nulla di sensato da controbattere, ma che avrebbe replicato comunque pur di non farlo vincere.

«Harry e Seamus non hanno ancora finito.» Lo detestava. Perché non se andava? Perché non lasciava che terminassero il loro pasto in pace?

«Non ho chiesto loro di andarsene.»

Per quanto lo detestasse, Potter era stato il meno odioso nei suoi confronti e, sebbene sapesse che era una facciata, in fondo gli faceva comodo. Potty Poo rappresentava un biglietto di sola andata per un po’ di pace e, per quanto gli pungesse lo stomaco al pensiero di starsene lí, seduto col suo nemico di sempre, la serpe che c'era in lui prese il sopravvento e gli impose di restare. A tempo debito si sarebbe preso una rivincita, ma il momento non era arrivato.

«L’arrosto è buono, ma io odio la zuppa di farro.»

Hermione si voltò, sgranò gli occhi e fissò Harry, incredula. Perché gli stava tendendo la mano? Non riusciva proprio a capirlo. Non che lei non fosse propensa a concedere una seconda chance, ma Malfoy restava un Malfoy e il suo atteggiamento sprezzante era la riprova di come nemmeno la punizione inflittagli lo avesse cambiato.

«Potter, non so che sei abituato a mangiare tu, ma a Malfoy Manor ti posso assicurare che si mangia bene. Perfino mio figlio, e ha solo tre anni, saprebbe cucinare meglio.» Draco si pulí la bocca e si ritrovò gli occhi di Hermione fissi su di sé. «Granger, non guardarmi così! È ovvio che un Malfoy non cucinerebbe mai.» Indossare la maschera e fingere ancora e sempre, con lei. Non permetterle di scorgere oltre, quale faticoso e ingrato compito. Eppure Draco sapeva che non avrebbe avuto senso comportarsi diversamente.

«Hai un figlio?»

Draco si perse negli occhi sorpresi e confusi di Hermione Granger e lei, dal suo canto, ebbe l'impressione di non aver mai saputo nulla di lui. Certo, chiunque era in grado di concepire un bambino, Malfoy aveva una moglie e… perché mai non l’aveva sfiorata la possibilità che avesse un figlio e quella notizia la destabilizzava a tal punto?

Draco capì che non lo sapeva, anche se la sua espressione sbalordita era fuoriluogo. «Non che siano affari tuoi» imboccò un cucchiaio di zuppa, deglutí e poi riprese, stranito dal fatto che lei non gli rispondesse male. «Scorpius Hyperion Malfoy ha tre anni.»

Hermione non disse nulla. Rimase in silenzio, poi si alzò di scatto, porto via il vassoio e con velocità, dopo averlo riposto sugli appositi ripiani, se ne andò.

Una volta giunta nel suo ufficio, e dopo essersi chiusa la porta alle spalle, si concesse di ammettere la verità. Solo lei e Ron avevano fallito, si erano lasciati e non avevano avuto figli. Persino un essere abbietto e dalla morale discutibile era riuscito a sposarsi, a tenersi una moglie e ad avere un figlio. Draco Lucius Malfoy, con tutti i suoi limiti e difetti, era riuscito laddove lei non era riuscita. Aveva una famiglia, doveva essere felice e circondato da persone che l'amavano, mentre lei era sola. Sola.

 

***

Durante il pomeriggio si tenne impegnata per non permettere alla mente di vagare: Harry l’aveva invitata caldamente a partecipare alle lezioni di Malfoy, ma lei non era pronta a concedere il suo tempo a quel furetto indisponente.

Rigirò una matita fra le labbra e riprese a mordicchiare l’estremità posteriore di quel pezzetto di legno.

Mentre leggeva distrattamente un documento, d'un tratto si rese conto che ogni singolo giorno avrebbe dovuto accompagnare a casa Draco Malfoy. Certo, si potevano materializzare ed era un'operazione veloce e semplice, ma non per questo si sentiva meglio.

Si alzò, a passo svelto raggiunse l’aula dove lui avrebbe tenuto lezione. Appoggiò la mano sulla manopola, inspirò e prima di poter aprire la porta, si girò sui tacchi e se ne andò. Forse era un’ipocrita, ma dimenticare cosa Bellatrix le avesse fatto era impossibile e Draco Lucius Malfoy nelle sue vene aveva lo stesso sangue. Come avrebbe potuto anche solo pensare di tollerare il figlio di un Mangiamorte e nipote di una pazza scriteriata?

Hermione scosse la testa e si disse che, nonostante tutti gli anni di fatica, forse avrebbe potuto rinunciare alla promozione. Arrendersi non era da lei, ma lasciarsi umiliare, piegare e infliggersi una tale sofferenza solo per una migliore posizione forse non valeva la pena.

Si riconcentró sulle sue carte e pregò che la giornata terminasse presto. A breve sarebbero tornati anche Ron e Dean da una spedizione speciale e lei non osava immaginare come avrebbero reagito quanto avessero scoperto la notizia. O come avrebbe reagito la famiglia Weasley, per non parlare della moglie di Harry Potter.

Trattenne a stento una risata al pensiero di Ginny e di quanto si sarebbe arrabbiata: era certa che l'ora di Ginny rappresentasse la giusta punizione per la situazione in cui Harry l’aveva cacciata.

***

 

Uscì dalla stanza cercando di non sbuffare: l’idea di Potter era ridicola! Era ovvio che non si sarebbe presentato nessuno alle sue lezioni e infatti così fu. Sbatté la porta alle sue spalle e vafó lungo il corridoio, ricordandosi che non sapeva dove stesse andando.

Poi si sentì prendere per un braccio e si specchió nello sguardo confuso del suo tormento personale.

«Non vorrei tornare a casa senza di me?» Hermione lo aveva visto camminare veloce e sconvolto e non aveva resistito. Qualcosa l’aveva spinta a fermarlo, ma la sua domanda aveva assunto un tono ridicolo e sembrava quasi che gli stesse chiedendo altro.

«Granger, che piattola!» Draco cercò fra i meandri della sua calma serafica ormai in pezzi e quando trovò la maschera, la indossò ancora una volta. Era salvo, almeno per quel momento.

«Scappavi? I tuoi studenti volevano mangiarti?»

«Malfoy, quanto Merlino corri! O forse sono io che non corro abbastanza!»

Hermione si specchió negli occhiali rotondi di Harry e si rese conto che le mancava qualcosa.

Draco sgranò gli occhi e speró che il Bambino Sopravvissuto non volesse affrontare davanti alla  ex-Grifona zannuta quanto appena accaduto.

Harry colse lo stato di agitazione di Malfoy e se ne meraviglió: forse per la prima volta da quando lo aveva incontrato a Hogwarts, negli occhi del rampollo aveva scorto qualcosa di diverso dalla sua indolente boria.

«Hermione, dacci cinque minuti che definiamo una cosa è poi lo puoi scortare a casa.»

Draco chiuse gli occhi, sollevato ,ma quando li riaprì la certezza che venire accompagnato a Malfoy Manor dalla Granger lo avrebbe messo nei guai, fece centro. Avrebbe litigato con Astoria, non aveva dubbi al riguardo, e non poteva certo raccontare a Potter la verità. Lo seguí nel suo ufficio e si predispose a colpire.

«Vuoi scusarti per la tua pessima idea? E ammettere che sia tale?» Lo punzecchió per primo.

«No. Volevo solo dirti che domani non ti sarà concesso di lasciare l’aula. Farai lezione, anche se ci saremo solo io e Seamus.» Harry sperava ardentemente che gli altri cambiassero idea, lui non aveva intenzione di desistere.

«Almeno concedimi di tornare a casa da solo! Non ho bisogno della balia!» Il suo tentativo di liberarsi della Granger venne effettuato con stile.

«Non posso. Ringrazia che non la mandi anche a prenderti la mattina, ma se dovessi saltare il corso sarà costretta a venire a prelevarti.» Il suo tono era stanco, Harry se ne rese conto.

«Non credi che la Granger non gradisca di tornare al Manor?» Forse era pessimo a rammentare l’accaduto, ma si auguró di colpire nel segno.

Vide Potter passarsi una mano sul volto e si chiese cosa gli frullasse per la testa, ma poi si disse che non gli interessava.

«Non posso farci nulla. Tu non farla entrare, mi basta che ti lasci al cancello.» Non voleva sembrare insensibile, ma non poteva cambiare le cose.

«Davvero? Cioè, non te ne frega nulla di una tua amica? Alla faccia dello spirito altruistico grifondiota!» Draco suppose che colpirlo potesse aiutarlo a raggiungere lo scopo, ma poco dopo si rese conto di sbagliare.

«E tu ti preoccupi per una sangue sporco?» Non voleva certo offendere la sua migliore amica, ma ricordare a Malfoy come stessero le cose.

«Potter, nemmeno se fosse l’unica mia ancora di salvezza. Continuo a credere che chi non ha sangue di mago nelle vene non meriti di essere chiamato mago.» In realtà qualche eccezione, col tempo, aveva cominciato ad accettarla, ma di fondo per lui rimaneva una distinzione abissale tra uno nato dall’unione fra due famiglie magiche e una persona che non potesse vantare natali come i suoi.

Harry scosse la testa e lo liquidó. «Ora va’, prima che mi penta di averti affidato a Hermione e ti affidi a qualcun altro.»

Draco si mosse verso la porta e prima di aprirla gli rivolse ancora la parola. «Non ti azzardare a peggiorare le cose, Potter. E non ti azzardare a raccontare nulla a nessuno o giuro che te la farò pagare.» Sbatté la porta uscendo, rendendosi conto di quanto incoerente dovesse sembrare. Poi si specchió nelle iridi della Granger e il suo mondo per un momento assunse i toni del nocciola e il profumo della vaniglia.



Note stonate d'autore: buonasera! Allora, come va? Sì, vi ho fatte attendere chiedo venia... sono molto impegnata e la storia mi sta facendo ammattire perché Draco fa' troppo di testa sua :)
Che ne dite, si inizia a capire qualcosa? La trama e i problemi cominciano lentamente a delinearsi: quali sono le vostre supposizioni? Sono curiosa!
Io spero che vi stia piacendo, se vi va' fatemi sapere, sia in positivo che in negativo.
Grazie a chi si è imbarcato con me in questa nuova avventura! Grazie per la fiducia!
 
 

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Capitolo 4
*** Legilimens ***


Capitolo tre

 

Legilimens

 

«Io per oggi ho finito.» Voleva tornare a casa -o forse no- e il pensiero di portare la Granger al Manor lo tormentava. Avrebbe preferito che Potter gli offrisse un’altra soluzione, ma non era successo.

«Ok, usciamo dal Ministero e poi ci smaterializziamo.» Nascose il tremito che voleva percorrerle la voce. Non tornava sul luogo del misfatto da... sì, da quel giorno, e la sola idea di dovervisi recare le faceva accapponare la pelle.

Per fortuna almeno Malfoy non sembrava sul piede di guerra e la seguì senza dire nulla, ma quando si trovarono al di fuori delle mura del Ministero, fu costretta a rivolgergli la parola.

«Sei pronto?» Ebbe l’impressione che lui la stesse fissando in maniera strana e si domandò che gli passasse per la testa e per un solo istante le venne il dubbio che anche lui avesse… poi scosse il capo e si disse che non era possibile, figurarsi se lui si potesse fare alcuno scrupolo al riguardo.

Draco agì d'impulso, certo di beccarsi un ceffone. La prese per il gomito, pensò al Manor e, avvolti in un turbine confuso, rimise i piedi per terra solo per capire meglio le parole che lei gli stava sbraitando contro.

«Ma ti sei rincitrullito?» sbottò, irritata. Non solo si permetteva di prendere l’iniziativa ma l'aveva toccata.

D'improvviso si liberó dalla stretta di Malfoy, cercando di ricomporsi.

«Sono a casa, ora puoi andare.» Era stato bello toccarla di nuovo, anche troppo, e se lei non se ne fosse andata, era sicuro che avrebbe commesso una pazzia. Starle vicino e percepire il suo profumo rappresentavano una tentazione troppo forte per la sua anima spezzata, ma non poteva e non lo avrebbe fatto, non l’avrebbe oltraggiata a tal modo.

«Posso ritenere concluso il mio compito solo dopo averti lasciato a casa.» Hermione alludeva a doverlo scortare sin dentro la villa, anche se sospettava che Malfoy fosse restio, remora che non riusciva a capire.

«Potter ha detto che non ce n'è bisogno e io prometto solennemente di andare dritto a casa.» Non voleva confessarle il motivo per cui la stesse cacciando, preferiva fingere di non ricordare, ma se lo avesse costretto, l’avrebbe trattata male al sol fine di convincerla ad andarsene.

«A me non ha detto nulla.» In effetti Harry non era stato preciso al riguardo, ma si ripromise di verificare.

«E non posso pretendere che tu ti fidi della parola di un Malfoy, ovviamente.» Il tono fu più sarcastico e scocciato di quanto avrebbe voluto, se ne rese conto dallo sguardo perplesso che lei gli rivolse.

Hermione tentennó prima di rispondergli. Le stava offrendo un'occasione per andarsene e uno spiraglio per sfuggire da non sapeva nemmeno lei cosa, ma era da codardi filare via.

«Non è questione di fiducia, ma di mansioni e rispetto dei propri compiti.» In fondo era vero, per quanto non tenesse affatto a mettere piede in quella dannata casa.

Si girò verso la stessa e la fissò: era una dimora elegante, ma le dava i brividi. Si perse a guardarla e, per la prima volta dopo tanto tempo, avvertì le lacrime colmare gli occhi. Si sentì come se fosse tornata indietro negli anni, tra le spire di quell’incubo che l'aveva perseguitata a lungo.

«Non c'è più.» Malfoy le si avvicinò da dietro e osò quasi estinguere la distanza fra loro. Era così vicino da percepire il calore del corpo di Hermione, il suo profumo, ma non tanto da toccarla.

«A che ti riferisci?» chiese confusa.

«Sai che non puoi materializzarti nel Manor senza invito?» Era una cosa a cui Potter non doveva aver pensato e lui la volle sfruttare a proprio vantaggio.

«Allora mi inviterai, ma non  cambiare discorso.»

«La stanza. L’ho chiusa con un incantesimo così potente che nessuno potrà mai riaprirla. Non voglio che Scorpius ci entri. E quando il Manor sará mio, raderò al suolo quell’area.»

Prima che lei riuscisse a farfugliare qualcosa di sensato udì il suono di una materializzazione e seppe di essere rimasta sola. Immersa nel freddo della sera, rimase immobile per qualche istante, immersa nella confusione più totale.

Lui aveva chiuso quella stanza. Draco Malfoy avrebbe raso al suolo il luogo in cui lei era stata torturata. Per un breve frangente Hermione si chiese se crescendo fosse diventato umano o se fosse solo un rimorso postumo, una codardia sconfinata ad averlo indotto a prendere quella decisione.

Con il dubbio ad attanagliarle la mente torno in ufficio e si diresse da Harry.

***

«Non ti preoccupare, sono certo che sia andato a casa, non credo che rischierebbe per una sciocchezza.» Harry sapeva tante cose che non poteva condividere con Hermione, motivo per cui era abbastanza tranquillo.

«Quindi non aveva mentito, e io che pensavo mi volesse ingannare.» Era sorpresa e diede voce ai suoi dubbi. «Immagino che volesse comunque liberarsi di me il prima possibile.»

Harry ridacchiò appena e lei lo guardò in tralice. «Ti diverte?»

Scosse la testa. «Malfoy potrebbe anche essere cresciuto un po’, non ti pare? Ormai ha un figlio.»

Trasalì al ricordo di quella informazione che aveva ignorato per ben tre anni. «Ma tu sai che ha fatto in questi anni? Che lavoro svolgeva, se ha conseguito i Mago…» D’improvviso si rese conto di aver espresso delle curiosità, anche se poi di Malfoy non le importava molto.

«So che ha un business, ma non mi sono informato. Chiedilo a lui domani. E, se volessi cambiare idea e venire a lezione…»

Hermione si sentì quasi a disagio, le parole di Harry non fecero che aumentare la sua sensazione. «Mi ha detto che raderà al suolo la stanza dove…» non terminò la frase, certa che non ve ne fosse bisogno.

«Non mi sembra una cattiva idea.» Harry era stupito, ma non del tutto. In quella stanza si era consumata una barbarie ai danni della sua migliore amica ed era abbastanza certo che, nonostante la sua codardia potesse esserne il motivo principale, le urla di Hermione dovessero aver tormentato anche i sogni di Malfoy. Non poteva esserne certo, ma per quel poco che ci aveva avuto a che fare, ne aveva ricavato la netta sensazione che la vita lo avesse cambiato.

«Lo fa per suo figlio.» riportò a Harry  le motivazioni addotte da Malfoy e scrutò l’espressione del Bambino Sopravvissuto, ormai fattosi uomo.

«Non ho mai pensato che lo facesse per te.» Fu sincero e vide Hemrione ridere. Era ridicolo anche solo pensare che potesse fare qualcosa per lei.

«Già è tanto che non mi abbia chiamata sangue sporco.» Quell’appellativo non la toccava più, forse non l’aveva mai sfiorata davvero.

Harry sbuffò rumorosamente, riportandola alla realtà.

«Che succede?» chiese lei, curiosa.

«Non ho trovato i biglietti dei Red Heads per Ginny ,non è bastata tutta la mia influenza nel Mondo Magico, figurati in quello Babbano.»

«Immagino che ci rimarrà male, eh.» Ridacchiò cercando di nascondersi, certa che la sua amica, quell’uragano dai capelli rossi, avrebbe presentato le sue rimostranze al marito.

«Infatti, ora tento l’ultima carta. Ho sentito dire che la medimaga Daphne Greengrass potrebbe conoscere il manager dei Red Heads, anche se mi scoccia chiedere alla cognata di Malfoy.»

Hermione annuì: capiva bene quanto gli costasse domandare a qualcuno di intercedere per lui, specie per un così futile motivo, ma era certa che Harry avrebbe fatto di tutto per rendere felice sua moglie.

«In bocca al lupo, allora. Io andrei a casa, a domani, ma ricordati che devi obbligare Malfoy a darmi accesso alla sua reggia o non potrò mai scortarlo sin dentro casa.» Stava per andarsene, ma si fermò. «Ron quando rientra di preciso?»

«Venerdì e devo ancora dirgli di Malfoy.»

Lo vide passarsi la mano sul volto, sporcando gli occhiali.

«Non ti invidio, ma sono certa che capirà.» Gli fece un cenno con la mano e se ne andò, domandandosi con quanta poca convinzione avesse pronunciato la sua ultima frase. Se lei era andata in escandescenza quando aveva scoperto del furetto, non osava immaginare la reazione di Ron. E per un istante, si chiese se Gin lo sapesse e cosa avesse detto, perché i rotocalchi sembravano all’oscuro del rientro del rampollo, come se di proposito fosse stato nascosto loro. Si ripromise di chiedere a Harry, imboccando l’uscita dal Ministero.

 

***

«Papà!» Scorpius gli corse incontro e si avvinghiò alle sue gambe. Draco lo sollevò e lo strinse a sè, baciandogli la guancia.

«Hai fatto il bravo?» Guardò il figlio negli occhi, in quei due cerchi di nuvole cariche di pioggia, riflesso dei suoi.

«Bavissimo! Egalo?» domandò battendo le manine, entusiasta. Draco sorrise ed estrasse dalla tasca un lecca-lecca.

«Però non mangiarlo ora, va bene?» Allungò Scorpius verso sua madre.

«Lo riporto da Astoria.» disse lei, prima di lasciarlo solo.

Draco raggiunse la camera che condivideva con la moglie senza sentire la necessità di salutarla

Più stava distante da lei e meglio sia sentiva, inoltre era ancora scombussolato da quanto aveva ammesso davanti alla Granger. Che diavolo gli passava per la mente? Non poteva concederle di sbirciare nella sua realtà, non voleva che lei scoprisse, mai e poi mai e nemmeno per tutto l’oro del mondo, cosa nutrisse nei suoi confronti.

Mentre toglieva la giacca, avvertì bussare alla porta. Sbuffò, innervosito, prima di invitare chiunque lo stesse disturbando, a entrare.

«Come è andata la prima giornata?»

Draco si specchió negli occhi chiari di Blaise.

«Tu non dovresti essere con Theo ad assicurarti che tutto funzioni alla Wembley Arena?»

«Sì, ora vado. Volevo solo raccontarti che Potter ha chiamato mia moglie per avere i biglietti dei Red Heads, io le ho detto di rispondere di no…» Blaise gli sembrava nervoso e Draco non colse il motivo del suo atteggiamento agitato, ma sorrise appena di quella succulenta occasione che uno dei suoi migliori amici gli aveva porto su di un piatto d’argento.

«Glieli darò io, così non potrà dirmi di no quando gli chiesero di poter essere libero di seguire i miei affari. La MagicMusic del resto è soprattutto mia.»

Zabini annuì. «E grazie alla tua idea i nostri capitali si sono triplicati. La nostra casa discografica è una bomba e ora scappo.» Diede una pacca sulla spalla del cognato e con un pop si smaterializzò.

Draco finì di spogliarsi, si recò in bagno e aprì l’acqua della doccia. Stava giusto per uscirne quando sentì sua madre urlare e corse, col solo asciugano attorno alla vita e i piedi bagnati, a controllare cosa stesse accadendo. Scorpius piangeva e teneva la mano della sua mamma, riversa sul pavimento, col viso segnato dalle lacrime e dal dolore.

«Porta via Scorpius» ordinò a suo padre che obbedì, pur di scappare via.

«Astoria, che hai?» Le strinse la mano e lei sbattè appena le palpebre. «Che le succede?» domandò a Narcissa, confuso, ma lo sguardo interrogatorio della madre gli confermò che non lo sapeva.

«Portami in stanza, per favore.» Astoria lo pregó di portarla nella loro camera e Draco la sollevò, stringendola a sè. Era preoccupato e spaventato, smarrito di fronte a quella realtà che davanti ai suoi occhi aveva preso consistenza.

Adagiò Astoria sul materasso, la coprì e con la bacchetta accese il camino. «Dimmi cosa posso fare per te.»

«La borsa che mi ha mandato Daphne. L’ha portata Blaise prima.» La voce uscì come un sussurro strozzato e Draco si guardò attorno, evitando di posare gli occhi sul volto stravolto di Astoria. Poi individuó una borsa e quella che sembrava una pozione.

«Che Salzar è questo?»

«Un elisir per calmare il dolore.» spiegò, mordendosi appena il labbro. Allungò la mano, sperando che lui le desse la ampolla senza discutere. Dovette guardarlo ancora per qualche istante, reprimendo a stento una smorfia dl dolore, poi Draco sembrò convincersi, le porse la pozione e lei la bevve direttamente dall’ampolla. Il gusto dolce e al contempo piccante le bruciò la gola, ma avrebbe ingoiato persino del veleno per placare i dolori. Era da soli pochi giorni che erano diventati così forti e, per sua fortuna, Daphne era stata in grado di farle ottenere un preparato proibito. Risollevò le palpebre e lo fissò: la stava guardando, con un cipiglio arrabbiato e confuso.

«Non ricordi cosa ci avevano detto, Draco?»

Stava per scuotere la testa, come se ciò potesse allontanare i pensieri, la nebulosa che non gli permetteva di mettere a fuoco quell'informazione così importante ma che pareva aver scordato. Poi, come un fulmine a ciel sereno, rammentó e lo sgomento si impadronì di lui.

«Ma come è possibile, io…» Si sedette accanto a lei e le prese la mano, ma la moglie lo interruppe.

«Perché non eri e non sei mai in casa, come se la mia presenza ti fosse indigesta. O forse è perché stare con me non ti permette di accantonare il pensiero che rimarrete soli.» Gli strinse le dita, senza fermare le lacrime, e per un istante vide le iridi grigie di Draco riempirsi di pioggia.

«Vorrei poter fare qualcosa. Perché non mi hai detto dei dolori?»

«Siamo quasi al capolinea, Draco.» La pozione compiva miracoli con i dolori, ma non era in grado di arrestare il decorso irrefrenabile della malattia. Le restava forse un mese e poi sarebbe finita, per sempre, e se non avesse avuto l’aiuto della magia, forse sarebbe già ammattita, stordita dalla sofferenza, annebbiata dai danni al cervello.

«Come farò?» Draco fissò sua moglie e la vide così piccola e indifesa. La giovane ragazza che gli era stata accanto, dedicandogli tutta se stessa stava sbiadendo e presto di lei non sarebbe rimasto che Scorpius.

«Ti farai forza, per nostro figlio. Gli vorrai bene e sarai il miglior padre che si possa desiderare.» Era il solo desiderio che le fosse rimasto e lo espresse, sapendo di dover pungolare l’unico uomo che avesse mai amato.

Draco le accarezzò la mano, le asciugò le lacrime e trattenne il nodo che gli serrava la gola: la vita era stata ingiusta con lui, con Astoria ma, soprattutto, lui era stato il peggior incontro che sua moglie potesse fare. Era tardi per tornare indietro e fare ammenda, ma non avrebbe commesso gli stessi errori col suo piccolo.

«Te lo giuro.» Si portò la mano di Astoria alla bocca e la baciò.

«Voglio essere cremata e le mie ceneri sparse nel Tamigi. Promettimelo.» Lo vide indurire la mascella.

«E Scorpius?»

«Gli basterà guardare il cielo per trovarmi. Non voglio finire in una cassa, sotto terra.» Avvertì le lacrime solcarle di nuovo le guance e il marito annuì, concedendole una muta promessa.

«Vado a prenderti qualcosa da mangiare, torno subito.» Draco si alzò dal letto e, prima di andare a prendere la cena per la moglie, passò a tranquillizzare il figlio. Narcissa gli riferì di aver origliato una conversazione fra Daphne e la sorella, e Draco strinse al petto il suo prezioso bambino, chiedendosi che ne sarebbe stato di loro.

***

Andare in ufficio, il giorno seguente, non fu semplice e quando vide Potter, Draco avvertì l’istinto di chiedergli il permesso di assentarsi.

«Volevi parlarmi?»

«So che cercavi questi. Spero ti siano utili.»

Harry sgranò gli occhi davanti ai biglietti, introvabili, dei Red Heads. «Mi prendi in giro?»

«Astoria è peggiorata. Potrei aver bisogno di non presentarmi per qualche giorno.» Non voleva confidarsi con Potter, ma dirgli la verità era l’unico modo di non ficcarsi nei guai e, per Scorpius, avrebbe rischiato anche di sorbirsi la pietà del Santo protettore del Mondo Magico.

«Mi spiace. I dottori che dicono?» Guardò Malfoy incerto su cosa dire. Stava per perdere sua moglie e, sebbene non sapesse che tipo di rapporto intercorresse tra loro, poteva non essere dispiaciuto? Una giovane vita stava per spegnersi, poco importava che fosse la figlia di un Mangiamorte.

«Ieri mi ha confidato che è giunta la fine. Non so di preciso se si tratti di giorni o qualche settimana, non lo sa nemmeno lei, non lo sa nessuno.» Si interruppe poiché si rese conto del tono irritato, arrabbiato e al contempo affranto.

Non avrebbe permesso a Pottypoo di scorgere le sue debolezze, non intendeva esporsi.

«Mandami un gufo se non vieni e se ti servisse qualcosa, qualsiasi cosa...»

Draco gli stava ancora porgendo i biglietti e Harry si chiese se fosse giusto accettarli.

«Prendili, sono posti in prima fila.»

«Grazie. Ginny sarà felice.» Li accettò, ma non gli chiese come li aveva ottenuto. Poi lo osservò andarsene e gli parve che il suo nemico di sempre fosse schiacciato da un peso insostenibile. Avvertì la sua segretaria che doveva raggiungere il San Mungo e sobbalzò quando alle sue spalle udì la voce di Malfoy, della cui presenza non si era avveduto.

«Vengo con te.» Non era una richiesta, Harry ne era consapevole, ma non capiva cosa Malfoy volesse fare in ospedale, inoltre temeva che si arrabbiasse quando avrebbe scoperto per quale motivo lui vi si recava.

«Devo parlare con Daphne e non voglio che Astoria senta.»

«Volevo parlarle anche io, ma so che non sono affari miei.» Harry si sentì in dovere di giustificarsi.

«Non sono affari tuoi, infatti, ma immagino di non poterti proibite di porle delle domande.» Lo seguì mentre raggiungeva l’uscita. Non sapeva se essere irritato o se arrendersi. Draco Lucius Malfoy aveva sempre lottato, strisciando nel fango, ma le forze gli sarebbero servite ad altro.

«Smaterializziamoci.»

Viaggiarono insieme, per la prima volta, e in pochi istanti si trovarono nell’atrio del presidio medico.In silenzio, raggiunsero l’ufficio della Greengrass e, quando mezz'ora dopo ne uscirono, Harry concesse a Draco di tornare a casa. Era sconvolto da quanto udito e con quale coraggio avrebbe potuto allontanarlo dalla moglie?

«Non voglio la tua pietà né alcun trattamento di favore!» sbottò arrabbiato, accendendosi una sigaretta.

«E io vorrei che ti occupassi di tuo figlio. Non devo certo dirti io che la perdita della madre lo segnerà per sempre!» Chi meglio di lui poteva saperlo? Lo aveva sperimentato sulla propria pelle, capiva benissimo cosa significasse non avere al proprio fianco la persona più importante per un bambino.

«Oggi vengo al lavoro. Domani si vedrà.» Draco si smaterializzò veloce e poi entrò al Ministero, senza aspettare Potter. Lo avrebbe preso a schiaffi per la stupida comprensione che gli aveva mostrato. Non voleva sopportare la falsità delle persone, non poteva tollerarla.

Una volta messo piede nel corridoio centrale, il destino parve farsi beffe di lui.

«Stavo giusto per segnalare la tua assenza!» Hermione Granger, con le mani sui fianchi e il tono da maestrina, lo fissava nervosa.

«Buongiorno anche a te. Perché non trovi qualcuno che ti scopi, Granger, così ti rilassi un po’.» La punse sul vivo, se ne rese subito conto. In effetti doveva essere un boccone amaro da mandare giù di essere l’unica single. Perfino uno come lui si era sposato, anche se lei ignorava tante cose, ed era certo che la Saccentona lo trovasse ingiusto.

«Va’ in classe o ti schianto!» Hermione, furiosa, gli puntò contro la bacchetta. Non ce l’aveva con lui, non avrebbe voluto trattarlo male, ma l’aveva indisposta ed era esplosa.

«Agli ordini, sergente.» Draco si allontanò, raggiunse l’aula e ringraziò Merlino per le chiacchiere inutili dell’insegnante. Blaterava e quel suono gli permetteva di escludere il rumore dei propri pensieri, almeno fino a quando la Granger non fece il suo ingresso.

«McFarlane è ammalato, quindi oggi lo sostituisco io.» Draco si ritrovò a maledire tutti i fondatori di Hogwarts e pregò che giungesse presto l’ora di pranzo. Avere l’oggetto del suo desiderio costantemente sotto agli occhi era un supplizio cui non era in grado di sottostare, non in quel momento in cui il suo autocontrollo era già minato.

Era infuriato con Blaise -e non appena si fosse presentata l’occasione gliene avrebbe cantate quattro- e con Daphne per avergli mentito e per avergli nascosto che stavano somministrando ad Astoria una pozione proibita. Era infuriato con Astoria perché lo aveva escluso e tenuto all’oscuro di tutto e, nel profondo abisso del suo cuore, ce l’aveva con se stesso perché nemmeno lungo l’ultimo miglio che la moglie stava percorrendo, era stato in grado di starle davvero vicino.

Guardando Hermione Granger scarabocchiare qualcosa alla lavagna, si chiese se avesse mai amato Astoria. Se anche solo per errore, in un momento di distrazione o amarezza, avesse concesso al suo bizzarro affetto nei confronti della donna di assumere delle sfumature diverse, e si arrese, storcendo la bocca davanti alla risposta che conosceva bene. Non aveva mai smesso di amare Hermione Granger, nonostante la lontananza, nonostante non l’avesse vista per anni. Gli era entrata nel cuore e non c'era stato verso di cacciarla via. E Draco si sentì in colpa e sporco perché sua moglie stava morendo e lui pensava alla Granger.

 

***

 

Tenere la lezione pomeridiana si stava rivelando un supplizio insostenibile: si era presentato qualche alunno in più, forse costretto, magari minacciato da Potter o, chissà, forse sotto il ricatto di qualche ricompensa, ma a Draco non importava nulla. Lei non c'era, non avrebbe mai seguito le sue lezioni, non lo riteneva di certo degno o capace di insegnarle qualcosa e, da uomo adulto, ora poteva capirla ed evitare di biasimarla. Da ragazzo si era trovato a chiedersi perché non gli avesse mai porto una mano, perché lo avesse sempre disprezzato e, per quanto consapevole di averle destinato solo livore e cattiverie, in cuor suo alcune volte si era trovato a sperare che intelligente come era, potesse scorgere oltre quella maschera. Ora capiva di aver preteso troppo e di aver passato il limite del non ritorno tanto, troppo tempo fa. Il segno nero che gli deturpava la pelle nivea avrebbe rappresentato e ricordato sempre al suo possessore il motivo per cui agli occhi di lei non sarebbe mai stato degno. Non contava il suo casato, il cognome altisonante e il sangue purissimo che poteva vantare, perché a nulla di ciò mirava l’incorruttibile Hermione Granger e a nulla sarebbe valso tutto ciò per redimerlo ai suoi occhi.

«Potter, in Pozioni sei ancora scarsino. Il colore non è pieno come dovrebbe, l’odore troppo tenue.» Un ghigno gli si dipinse sul viso mentre pronunciava il suo parere. Non stava calcando la mano, era la semplice verità e non si era mai divertito tanto a essere sincero.

«Non sono mai stato un eccelso pozionista, ma mi accontento di sapere che non è male.» Harry non se la prese per quel commento, anche perché voleva dare il buon esempio, e in quel giorno in particolare, doveva essere grato a Malfoy o sua moglie gli avrebbe rifatto i connotati. Lo guardó procedere, soddisfatto che altri cadetti Auror alla fine si fossero degnati di presentarsi a lezione. Il cigolio della porta lo distrasse e si voltó verso l’ingresso, rimanendo stupito quando intravide la figura oltre la soglia.

 

***

 

«Granger, devi aver sbagliato aula.» Era quasi caduto nella trappola di quella illusione, ma non si fece accalappiare.

«Sono in ritardo, ma c'è ancora l'ora di Legilimanzia e Occlumanzia, no?» Aveva deciso di partecipare perché la frase pronunciata da Malfoy la sera prima l’aveva tormentata.

«Allora siediti e per il ritardo togliamo dieci punti a Grifondoro.» Draco vestì i panni del prefetto per un frangente e, quando udì Harry ridere, si lasciò trascinare per un istante dai ricordi.

«Se fossimo a Hogwarts e tu fossi il professor Piton…»

Vide sul viso del Bambino Sopravvissuto un sorriso carico di amara nostalgia e a fatica trattenne nascose le proprie emozioni.

«Granger, prendi posto o vuoi essere tu la prima a chiedere la mente?» La stuzzicò, perché solo il tormento che lei rappresentava lo faceva sentire vivo e lo assorbiva talmente tanto da far perdere i contorni al resto del mondo, problemi inclusi.

«Perché no! Vediamo cosa sai fare.» Si avvicinò a lui così tanto da percepire il profumo dell’uomo che aveva di fronte e si chiese di quando in qua lei notasse certe cose.

«Pronta a mettere i lucchetti?»

Hermione sorrise, sicura di sé, convinta che Malfoy non sarebbe mai riuscito a entrarle fra i pensieri. E, per la prima volta dopo tanto tempo, la Mente del trio commise un errore di valutazione.

Si ritrovò in ginocchio, con gli occhi spremuti così forte da vedere chiazze di colore dietro le palpebre, mentre Malfoy la osservava sul pavimento del Manor, nel momento in cui Bellatrix l’aveva torturata.

Poi avvertì la mente vuota, libera dalla presenza opprimente di Malfoy e, dopo averlo fissato negli occhi, uscì dalla stanza per non urlargli contro. Non si era aggregata agli studenti con cattive intenzioni, ma lui aveva esagerato e, prima di esplodere e rendersi ridicola, si allontanò di fretta.

Draco Malfoy vide la porta chiudersi, ne udì il tonfo e, poco dopo, la domanda di Potter risuonò nell’aria, in attesa di una risposta.

«Cosa è successo?»

Draco lo guardò, ma non disse nulla.

«Vado a vedere cosa…» Harry non riuscì a finire la frase perche l’altro lo interruppe.

«È compito mio, in questo momento l’insegnante sono io.» Lasciò i suoi pochi alunni confusi a scrutare la lavagna scarabocchiata; solo i suoi ex compagni di scuola lo fissarono sorpresi, basiti e a corto di parole.

Harry Potter si chiese se il mondo si fosse capovolto, ma non seppe rispondersi.


Note stonate d'autore: Ciao a tutte e buona domenica... pian piano cominciamo a svelare le carte e, nel prossimo, avremo un bel confronto fra Draco e Hermione, inoltre Harry lancerà un criptico messaggio alla sua migliore amica che la metterà un po' in crisi. Sapete che le mie dramioni sono lente, vi chiedo di aver pazienza e di fidarvi di me. Spero che la storia comunque vi stia piacendo. Buona lettura.
Un ringraziamento speciale a BarbaraK e Norway che capitolo per capitolo mi fanno sapere che ne pensano: lo apprezzo molto, davvero.

 

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Capitolo 5
*** Piccoli sporchi segreti ***


Capitolo quattro

Piccoli, sporchi segreti


Sentì chiudersi la porta e alzò gli occhi, certa di trovarsi di fronte Harry: rimase a bocca aperta quando si perse negli occhi grigi di Malfoy. Si morse il labbro prima di imprecargli contro, cercando di controllarsi, ma fallì miseramente.

«Non ti era bastato e volevi un bis? Ti sei divertito?» Gli puntò il dito verso il volto, iraconda.

«Moltissimo, Granger.» Il sarcasmo dietro la sua risposta non venne colto dalla sua interlocutrice, Draco ne era consapevole, perciò non si stupì di udire quella parola uscire in un sibilo velenoso dalle labbra che avrebbe voluto baciare.

«Che bastardo.» Hermione lo odiava, lo detestava per aver frugato fra i suoi ricordi, per essersi soffermato proprio su quel giorno di marzo e aver osservato ancora una volta la scena.

«Pensa quello che vuoi, io torno a lezione.» Avrebbe voluto poterle spiegare, ma era certo che lei non avrebbe capito, che non gli avrebbe mai e poi mai creduto, così uscì da quella stanza col cuore pesante e la testa vuota.

Tornò in aula, terminò la lezione e, quando alla fine della stessa vide Potter sparire, sapeva dove si stava recando. Lo vide tornare qualche minuto dopo, con la fronte corrugata e un'espressione stanca.

«Oggi torni a casa con me.»

Malfoy non disse una parola, si limitò ad annuire e lo seguì. Solo giunti al cancello del Manor, udì ancora la voce di Potty.

«Per quale motivo lo hai fatto? E non dirmi che ti sei divertito, perché non ci credo. Perché se ci credo, vuol dire che tu non sei cambiato e che non c'è speranza, che è inutile lottare.» Harry si passò le mani sul viso tirato dalla stanchezza.

«Potter, voglio tornare a casa.» Malfoy tentò di liberarsene, ma l’altro gli afferrò un braccio.

«Perché?»

Draco si morse l’interno guancia e con poche parole lo liquidó. «Ti svegli mai in preda agli incubi, Potter? Nonostante tutto, nonostante sia passato quasi un decennio.» Inspirò e lo guardò annuire.

«E fra i tuoi incubi peggiori, quelli che ti tormentano, non riguardano le persone che conoscevi?»

«Avrò rivisto centinaia di volte Sirius morire.» ammise, tristemente.

«Ci sono facce di sconosciuti che mi vengono a cercare in sogno, ma i volti delle persone che conosco, conoscevo, sono un tormento e non trovo pace.»

Harry non fece in tempo a fissarlo negli occhi, capire se fosse serio e sondare cosa gli passasse per la testa, perché Draco Malfoy si smaterializzò, sottraendosi al suo sguardo inquisitorio

Stupito che gli avesse regalato un pezzo dei propri pensieri senza prenderlo in giro, senza riservargli la sua solita boria e astio, invece che seguirlo, tornó in ufficio e provò a parlare con Hermione. Era certo di non potersi essere sbagliato a tal punto e sorrise fra sé e sé di una piccola vittoria.

«Speravo di trovarti qui.» Osservò Hermione scarabocchiare con nervosismo qualcosa su un pezzo di carta.

«Harry, ti voglio bene e sto bene, non ti preoccupare.» Decise di mentire al suo migliore amico per preservarlo e non dargli ulteriori motivi di preoccupazione. Era scossa da quanto accaduto, ma a lui lo avrebbe celato, così come gli avrebbe taciuto che non desiderava avere più niente a che fare con quel verme dal sangue puro.

«Volevo solo dirti che forse hai frainteso il gesto di Malfoy.» Sapeva che si sarebbe specchiato nel suo sguardo furioso e così fu.

«Dimmi, per caso sei sotto Imperio?» Per la prima volta il suo tono rasentó il derisorio e un istante dopo se ne pentí. Non poteva e non voleva riversare su Harry la rabbia provata.

«Anche lui era solo un ragazzino quando è successo, codardo a tal punto da rimanere a guardare, vigliacco a tal punto da chiedere un occhio per non vedere.»

Hermione scosse la testa incredula: lo stava forse difendendo? E perché poi? «Se devi dirmi qualcosa, sii chiaro.»

«E va bene. Non essere prevenuta e non avere la presunzione di sapere, di capire perché fa qualcosa. Ti assicuro che potresti sbagliarti.» Non avrebbe aggiunto altro, non stava a lui raccontarle i segreti e i fantasmi di Malfoy, ma nel suo piccolo almeno una breccia, nel muro che Hermione sembrava aver alzato, voleva aprirla.

«A volte mi pare che tu sappia cose che ignoro.» Hermione faticava a credere alle proprie orecchie.

«Forse, sono solo meno rancoroso di te, se è rancore quello che provi verso di lui.» Le sorrise bonariamente. «Credevo che fosse acqua passata ma temo di aver sottovalutato la questione.»

Hermione si arrotolò una ciocca dei lunghi capelli attorno al dito, rimuginando sulle parole appena udite. Era ancora arrabbiata con Malfoy? Lo biasimava per la guerra? Poi scovó la risposta fra i suoi pensieri. Salutò Harry, congedandosi, e si gettò sulla sedia, ridendo a crepapelle, come se fosse ammattita: lei ce l’aveva con Draco Malfoy per quel bacio privo di senso che le aveva rubato quasi un decennio prima! Quanto sciocco e immaturo da parte sua poteva essere? Reagiva in maniera esagerata per le ore insonni che aveva passato a domandarsi i motivi reconditi nascosti dietro a quel bacio, a odiare il contatto fra le loro labbra, a mentire a Ron, sentendosi in colpa.

Frugando fra le sue debolezze, però, Draco Malfoy si era comportato in maniera meschina e non glielo avrebbe perdonato, ma si proibí di prendersela di nuovo con lui per quell’insignificante bacio che ormai era acqua passata.

***

«Sei di umore pessimo?» chiese Blaise, versandogli un bicchiere di whiskey.

«No.»

«Draco, non ti preoccupare per il lavoro, ci pensiamo noi.» Theo glielo ripetè, certo che non ce ne fosse bisogno, ma incapace di aggiungere qualcosa di sensato. Astoria si stava spegnendo, il suo più caro amico avrebbe perso la moglie e la madre di suo figlio, e lui si sentiva impotente perché non sarebbe bastato tutto il loro sangue puro a cambiare l’esito della situazione.

«Ho combinato un casino.» Ammise senza trovare il coraggio di guardare nessuno dei due amici negli occhi. Aveva bisogno di confrontarsi con qualcuno, di sfogarsi, perché rischiava di esplodere e che la situazione gli scivolasse tra le dita, non potendo impedirlo.

«È venuta a lezione, per Merlino! Non poteva continuare a ignorarmi? Dovrei spezzare il collo a Potter per questo oltraggio!»

Blaise si permise di ridacchiare ma era un gesto dettato dal nervoso e non di certo dall’ilaritá, inesistente, della situazione.

«Sapevi che avresti avuto a che fare con lei.»  Sancì Theo in un tono così secco da non esigere nemmeno una risposta.

«E potevo evitare di praticare un Legilimens proprio su di lei e di andare a riguardare la tortura, dandole l’impressione di uno spettatore morboso?» Draco si adagiò le mani ai lati del viso con così tanta forza da dare l’impressione che si stesse prendendo a schiaffi. «Ditemi che la situazione mi sta bruciando il cervello, che forse bevo troppo whiskey perché io non…»

«Perché tu l’ami.» La voce di Astoria gli giunse come un sussurro così surreale che credette di esserselo immaginato.

Theo e Blaise si defilarono, una volta capito di essere di troppo, preoccupati dalla piega che avrebbe preso quella discussione, sorpresi che lei lei paresse così calma mentre lo asseriva.

«Non dire scemenze. Non dovresti essere a letto?» Draco raddrizzò il tiro, addolcendo il tono. Non lo gratificava ferirla né essere scortese con lei.

«Scorpius mi voleva…»

«Ti scorto in camera, se te la senti di scendere per cena ti vengo a chiamare.» Le offri il braccio, ma lei temporeggio.

«Draco, quando non ci sarò più, quando non sarò più un ostacolo, perchè non cerchi di vincere il suo cuore?» Le faceva male dirglielo, ma che senso avrebbe avuto proibirgli di rifugiarsi da lei. In quegli anni insieme si erano fatti così tanto male, perché non volerlo felice? Lei lo amava ancora, così disperatamente, che in un momento di debolezza come quello, spingerlo fra le braccia della sua eterna nemica era un gesto estremo di amore, anche se il pensiero che la sostituisse con una sangue marcio la infastidiva.

«Non permettere a Scorpius di chiamare mamma nessuna donna. Me lo prometti?» Si adagiò al suo braccio, mentre lui la osservava con gli occhi sgranati, incastrato in uno stato di afasia atipico per un Malfoy.

«Non sporcherei mai il mio sangue puro e, Astoria, nessuna prenderà il tuo posto. Nessuna.»

Rise, sua moglie, mentre raggiungevano la loro stanza e Draco glissó, domandandosi se stesse impazzendo. Non ci trovava nulla di divertente e non capiva come, proprio lei, potesse ridere.

***

Quella stessa notte la situazione degenerò.

Daphne fu chiamata e corse al capezzale della sorella: aumentò la dose che le somministravano di quel preparato proibito e, nascondendo le lacrime, cercò di assisterla come meglio poteva.

Narcissa cullava Scorpius che piangeva disperato e, quando Draco uscì dalla camera e vide suo figlio in lacrime, avvertì una strana sensazione dilaniargli il petto.

«Astoria vorrebbe parlarti, dà Scorpius a me.» Il piccolo si gettò fra le sue braccia, asciugandosi il naso sul pigiama del padre, di tessuto pregiato. Draco lo tenne stretto a sè e cercò di tranquillizzarlo, anche se riuscire nell'impresa non era semplice. Aveva visto la madre contorcersi dal dolore e urlare, come poteva cancellare l’angoscia e quell’immagine dalla sua memoria?

«Latte.»

«Vuoi un bicchiere di latte caldo?»

Scorpius annuì, stringendo la sua maglietta tra le piccole dita.

«Andiamo a prepararlo? Papà ti fa vedere una magia.» Portò il bambino in cucina e con qualche piccolo trucco cercò di distrarlo. Avrebbe potuto chiamare un elfo domestico ma tenersi impegnato e distrarre Scorpius era molto più importante che evitare di abbassarsi a fare lavori destinati a quelle piccole creature orecchiute.

Poi suo padre gli comparve alle spalle. «Do io il latte a Scorpius, va da tua madre.» Draco notó lo sguardo preoccupato e teso e, dopo aver baciato il capo del figlio e avergli promesso che il nonno gli avrebbe mostrato qualche altra magia, sparì, camminando veloce lungo i corridoi.

«Astoria sta…»

«Pensi che non lo sappia?» Urlò, anche se non serviva a nulla prendersela con la madre.

«Faccio chiamare i suoi genitori.» Lo avvisó e lui annuì, arrabbiato e confuso. Che doveva fare? Non poteva fare nulla, se non rimanere a guardare, inerte, mentre la vita scorreva lontano da quegli occhi chiari che lo avevano supportato sempre e che, nonostante tutto, gli erano stati vicini.

La porta della camera si aprì e Draco vide uscire Daphne. Fece a malapena in tempo a impedirle di cadere, allugandosi verso di lei un istante prima che si sentisse male.

«Daphne, respira.» La prese in braccio e la portò nella camera accanto a quella a loro dedicata.

La adagiò sul letto e attese che riaprisse gli occhi. «Puoi chiamare Blaise? È rimasto a casa con River, ma lo vorrei vicino. E chiama i nostri genitori.»

Draco annuì e non solo fece chiamare Blaise ma anche Theo. Quando furono tutti riuniti, si sedettero in salotto. Il fuoco scoppiettava in maniera rumorosa nel camino e Lucius suggerì di bere del whiskey. I genitori di Astoria e Daphne erano esausti e il piccolo River si incolló al seno della madre, addormentandosi.

«Portò Scorpius nella nostra camera.» Narcissa cercò il consenso del figlio. «Lascio un elfo con lui.»

«Che mi avvisi se si sveglia. Non voglio che venga traumatizzato più di quanto già non lo sia.»

«Posso portare anche River?» domandò Daphne, sperando che Narcissa cogliesse che voleva parlarle.

«Certo, vieni con me.» E quando si furono allontanate, Daphne le parlò liberamente.

«Mia sorella insiste per vedere la Granger. Lei fa da tutor a Draco, forse vuole dirle la verità, sperando che sia clemente…» Astoria in realtà le aveva confessato le sue intenzioni, ma non spettava a lei spifferare i segreti di Draco, né tanto meno tradire la fiducia della sua amata sorella.. Era stato uno shock per lei scoprire dei sentimenti di Draco per la Granger e lo aveva odiato a lungo per non essere mai riuscito ad amare sua sorella, ma se era desiderio di Astoria di parlare con la sua nemica, non si sarebbe opposta.

«Non capisco che senso abbia. È Potter che ha garantito per Draco.» Le rispose, facendole strada. Aprì la porta della camera, adagiò Scorpius sul letto e River accanto a lui. «Bonnie!» Chiamò l’elfa domestica e le affidò i bambini e prima di tornare nel salone, terminarono il discorso.

«Dovremo trovare un espediente per fare venire qui la Granger il prima possibile.» Inspirò per poi proseguire, mentre una lacrima le rigava la guancia. «Rimane poco tempo.» Si asciugò la gota, riguadagnando contegno, prima di rientrare nel salone. Non avrebbe mostrato il proprio dolore a nessuno, era il momento di essere forti e lei doveva dare il buon esempio.

 

***

Passò un intero giorno prima che Harry l’avvertisse che Malfoy si sarebbe assentato per qualche giorno. Hermione, che aveva atteso lui, rischiando per non aver denunciato l’assenza del furetto, si chiese cosa le stessero nascondendo, ma Harry la liquidò, asserendo che si trattava solo di un raffreddore. Quando poi Hermione ricevette un gufo da Daphne Greengrass che le chiedeva di poterla vedere quella sera stessa, non tergiversò e le rispose affermativamente, spinta dal desiderio di vederci chiaro. Qualsiasi cosa avesse architettato Malfoy per tornare, per far tacere i giornali e per convincere Harry a garantire per lui, l’avrebbe scoperta, a ogni costo.


Note stonate d'autore: Ciao! Pian piano i nodi stanno venendo al pettine... ho già cominciato a scrivere il confronto tra Astoria e Hermione, anche se è impegnativo e spero vivamente di riuscire a riprodurre al meglio l'incontro che mi sono figurata per notti intere.
Nel prossimo capitolo tornerà Ron, i sospetti di Hermione si faranno sempre più intensi e be', cambieranno alcune delle carte in tavola.
So che è una dramione lenta, ma sapete anche come la penso sull'avvicinamento, e mi auguro comunque che sebbene non stiano ancora insieme e non siano ancora innamorati, la storia sia comunque interessante. Ringrazio tutti quelli che mi stanno leggendo e in particolare un grazie a chi mi lascia un parere.
A presto, spero.
 

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Capitolo 6
*** La mia peggior nemica ***


Capitolo cinque

La mia peggior nemica

 

Si era tinta i capelli di quel biondo innaturale solo per convincersi di appartenergli almeno un po’. Si era nascosta dietro la falsa illusione che le sarebbe bastato per entrare a fare parte di quella famiglia, per portare sulle spalle il peso e l'onore di quel cognome che in realtà non l’avrebbe mai abbracciata o rassicurata nelle freddi notti invernali. E mentre sistemava i biondi boccoli perfetti, ottenuti con una pozione, un’espressione di amara delusione le strinse la gola. Lui l’aveva fissata con il suo solito sguardo di ghiaccio, con quegli occhi che non la vedevano mai davvero e poi un sorriso carico di sdegno aveva contaminato le labbra che lei amava, che solo qualche ora prima avevano profanato la sua pelle.

Ricordava ancora il dolore che le parole pronunciate dal mai suo Draco le avevano causato: un dolore acuto, perforante, stridente. Non aveva pianto, non si addiceva a una donna del suo  rango. Aveva ricacciato indietro le lacrime e si era ripetuta che pur di stargli accanto aveva sopportato ben altro e ora, solo per Scorpius, avrebbe agito come ci si aspettava da una madre degna di essere chiamata tale. Del resto, non si sarebbe venduta l’anima al diavolo pur di averlo, anche sapendo che il cuore di Draco era sempre appartenuto a un’altra? Non aveva mai scambiato la sua cortesia per affetto, il suo affetto per amore, la sua educazione per gentilezza. Non aveva mai pensato al sesso consumato fra le lenzuola candide e profumate come a fare l’amore. Allacciò l'ultimo bottone della camicetta, là, dove l’incontro fra i seni forma un solco, osservando i propri occhi scintillare di straziante rimpianto. Nonostante tutto riusciva a biasimare solo se stessa per non essere stata in grado di conquistarlo. Se persino una lurida Sanguesporco gli era rimasta impressa nel cuore e lei non era stata capace di scalzarla, di attutirne il ricordo, di cancellarne il sapore, be’ lei doveva rappresentare un fallimento su tutta la linea: unico barlume di rivincita il suo piccolo principe, il solo amore della sua vita che l’avesse mai ricambiata. E lei lo stava per affidare alla sua peggior nemica. Ma, salendo sulla carrozza si ripromise di mettere da parte l'orgoglio, di pensare al bene del figlio ricordandosi che, in fondo, la sua unica e vera nemica era stata sempre lei stessa e la sua incapacità di accettare che Draco Malfoy non l’avrebbe mai amata. Amava Scorpius e questa consolazione doveva bastare, si ripeté, mentre la carrozza correva veloce ed elegante fra le strade del mondo magico.

Forse avrebbe perso Draco per sempre -si può perdere qualcosa che non si è mai avuto?- ma non gli avrebbe permesso di smarrirsi. Lo faceva per Scorpius, ma non solo. Lo faceva per l’uomo che non l’aveva mai amata: la vita poteva essere breve e ricca di imprevisti e lei non gli avrebbe concesso di morire col più grande rimpianto che possa bruciare il cuore di una persona: quello di non aver nemmeno provato a conquistare la donna che gli prendeva anima e corpo e della quale, nelle notti perseguitate da sogni di memorie passate e violente, aveva udito il nome sussurrato dalle di lui labbra.

Fissò Daphne e il suo piccolo principe che sbirciava estasiato fuori dal finestrino della carrozza e le immagini della notte scorsa le passarono veloci davanti agli occhi: aveva quasi supplicato suo marito di amarla per quella che forse sarebbe stata l’ultima volta e, anche se lui non aveva rifiutato, la certezza che fosse stato per pietà ora le faceva male, graffiandole l’anima.

«Se Draco scopre che non ti sto portando in ospedale per ciò che pensa lui, mi ucciderà» disse Daphne, sospirando. Per sua sorella avrebbe fatto qualsiasi cosa, come convincere Narcissa a coprirle in modo che potessero uscire. Non avevo saputo opporsi al volere di Astoria, anche se le aveva dovuto somministrare una dose ingente della pozione illegale, anche se l’aveva dovuta aiutare con un incantesimo per restituirle un aspetto perfetto.

«Gli dirai che avevi una cosa da fare per il bene di Scorpius, non avrà niente da dire. Puoi dirgli che eri sotto Imperio, se vuoi.» La voce le usciva flebile, parlare era faticoso e tagliò corto, risparmiando le forze per l’incontro per il quale cercava di prepararsi.

«La Granger ci aspetta nel mio studio al San Mungo, speriamo solo che…» si interruppe, prima di riprendere. «Sei sicura?» Daphne si rese conto che la sua domanda era stupida, ma non era riuscita a non porla.

«Non pensare che le stia consegnando mio marito a cuor leggero. Voglio che Draco sia felice perché è l’unico genitore che rimarrà al mio bambino.» Accarezzò i capelli di Scorpius che le si avvinghiò addosso.

«Non voglio giudicare, davvero. E ti stimo, perché non sono certa che potrei chiedere a un’altra di amare Blaise o River.»

Astoria annuì benché fosse certa che chiunque nella sua posizione si sarebbe comportata così.

Per il resto del tragitto il silenzio l’avrebbe fatta da padrone se Scorpius non avesse tentato di mettere insieme un po’ di parole sconnesse in quella lingua che solo i bambini sanno parlare, capace di cogliere la strana atmosfera creatasi,troppo giovane per capirla.

***

Giunte al San Mungo, Astoria si adagiò alla sorella che teneva Scorpius in braccio. Camminarono lente, dando l’impressione di un'eleganza d’altri tempi, dietro la quale si nascondeva la fatica che quell’azione le costava. Poi entrarono nello studio di Daphne, stupendosi di trovare la Granger accomodata su di una sedia.

«Mi sono permessa di entrare perché mi avevi chiesto di essere discreta. In corridoio avrei attirato l’attenzione.» Hermione era nervosa e incuriosita. Non capiva il motivo di quella richiesta, così come non aveva capito perché il ritorno di Ron fosse slittato e nessuno volesse condividere il motivo. Persino Ginny aveva fatto la vaga, irritandola e non poco.

«Ti ringrazio per essere venuta.» esordì Astoria rivolgendosi alla Granger. Poi, voltandosi verso la sorella aggiunse: « Lasciaci da sole per qualche minuto.»

Daphne annuì e Hermione la fissò confusa: perché mai doveva lasciarla da sola con la moglie di Malfoy? Non fece in tempo a chiederlo che la donna in questione le rivolse la parola.

«Non sono impazzita, Granger, né simpatizzo per coloro di rango inferiore.» Rimarcarlo forse non era astuto, ma non avrebbe chinato la testa.

«Se sei venuta per insultarmi puoi tornartene nella tua bella villa.» Per un istante aveva soppesato di chiamarla casa di un Mangiamorte, ma poi si era morsa la lingua.

« Vorrei dirti una cosa, Granger. Lui è Scorpius, mio figlio. Il figlio che ho avuto con Draco.»

Hermione lo guardò, pensando che fosse il bambino più bello che avesse mai visto, con gli stessi occhi plumbei del padre, ma pieni di vita e gioia.

«È molto bello» fu sincera, sorridendo al bambino con gentilezza. Lui la fissò curioso, nascondendosi dietro la gambe della madre.

«Vorrei che mio figlio crescesse qui, che conoscesse l’amore della famiglia, dei nonni, dei cugini.»

Hermione si chiese perché mai glielo stesse dicendo, come mai condividesse con lei il suo desiderio. Non era certo in suo potere permetterle di rimanere, anzi, lei era una mera pedina.

«Vorrei che aiutassi Draco a diventare un bravo Auror. Lui è pozionista come non se ne trovano più, oltre a essere un abilissimo Legilimens e Occlumante.»

«Questo credo di saperlo e di poterglielo concedere, ma…» le stava chiedendo troppo. Gli aveva perdonato di essere stato un Mangiamorte, capendone i motivi, una volta conosciute le ragioni che lo avevano spinto in quella direzione, ma aiutarlo, lei? Lui continuava a disprezzarla, lui aveva osato baciarla, lui come un morboso bastardo l’aveva osservata, ancora una volta, venire torturata.

«Non dirmi che ti chiedo troppo. Ti sto solo domandando di pensare a Scorpius. Se mi succedesse qualcosa e tu sapessi che la permanenza di Draco qui fosse nelle tue mani, che faresti?»

«Perché mai dovrebbe…»

« Tu rispondimi, Granger? Ho sentito parlare della grande Hermione, la mente del trio, non voglio credere che tu non sappia perdonare e non sappia mettere da parte antichi rancori per il bene di un bambino. Se fosse tuo figlio, eh?» Astoria la incalzò, mettendola alle strette.

«Non devo dimostrare a te chi sono. E trovo ingiusto che tu voglia sfruttare tuo figlio così. Malfoy paga per gli errori della sua famiglia, è stata una sua scelta.»

«E a te che parli di giustizia eterna, ergendosi a paladina della stessa, sembra giusto? Ha pagato per dieci anni, Scorpius non è potuto nascere nella nostra terra, io ho rinunciato a tutto…» fece una pausa, interrompendo la sua arringa. Fissò la Granger negli occhi, scavando alla ricerca della sua anima, affondando poi un altro colpo. «Tu non conosci Draco e ti ostini a etichettarlo, a dargli addosso, non lo conoscerai mai e non puoi condannarlo e fargli rivivere gli errori del padre.»

Hermione rise, scuotendo la testa perplessa: non le interessava conoscere Malfoy e se davvero era cambiato, buon per lui.

«Scolpius, in blaccio» Hermione fissò il bambino che, con le braccia aperte, le chiedeva di sollevarlo. Titubante, guardò Astoria prima di procedere. Lo prese fra le braccia, lo udì ridere e per un istante si chiese quanto bello dovesse essere diventare madre.

«Sei proprio un bel bambino.» disse impacciata.

«Magia?!» chiese lui, battendo le mani emozionato.

«Adora la magia. È curioso e adora suo padre.»

Hermione ascoltó Astoria e notò come il tono si fosse addolcito.

«Magia?» insistette il piccolo e lei non seppe dirgli di no. Senza dire una parola, fece comparire degli uccellini che svolazzarono per qualche istante attorno a Scorpius. Lui rise, felice, emozionato, con gli occhi che gli brillavano, gli stessi cerchiolini grigi che ricordavano terribilmente Draco Malfoy, pur essendo così diversi da quelli dell’uomo.

«Blava Enge»

«Hermione» gli disse lei con gentilezza.

«Mione» ripetè con la sua vocina e lei sorrise, domandandosi chi fosse per ergersi a giudice e condannare quel bellissimo miracolo a una vita lontana dagli affetti.

«Proverò ad aiutarlo, ma non garantisco. Sai meglio di me quanto mi disprezzi ed è inutile che ti dica che non facciamo che litigare.»

Astoria avrebbe riso della cecità della Granger se solo l’occasione fosse stata diversa.

«Non posso costringerti a essergli amica, ma guarda Draco negli occhi e non ti fermare al cognome Malfoy. Te lo chiedo per favore.» esponendo quella supplica si domandò se sembrasse disperata, ma in fondo lo era. E non le importò, in fin dei conti, di umiliarsi per Scorpius, perché per suo figlio avrebbe dato la vita, la stessa vita che le stava sfuggendo dalle dita e non le avrebbe permesso di vederlo crescere.

«Stiamo cercando di educarlo diversamente. Di insegnargli che siamo tutti uguali. Draco ci tiene molto.»

Quella confessione la sorprese e rimase senza parole per un istante. «Non me lo sarei mai aspettato, non da lui.» ammise sincera e spiazzata.

«E se gli starai vicino, capirai tante cose. Se…» Astoria si interruppero, alla ricerca delle parole migliori per essere più diretta, senza esserlo troppo. «Se per sfortuna non fossi presente, mi piacerebbe che a crescere Scorpius e stare vicino a Draco ci fosse qualcuno con degli ideali solidi, sinceri e puliti. Ma sto farneticando, da quando sono madre mi preoccupo troppo.» Rise, cercando di stemperare la tensione. «Ora noi andiamo, Granger. Non dire a Draco che sono venuta, per favore, mi metteresti nei  guai. E grazie per avermi ascoltata.»

Hermione la osservò andarsene via con quel piccolo angelo, così scombussolata e confusa da quell’incontro, dalle parole prive di senso di Astoria, da quella ammissione, da rimanere impalata, incapace di ribattere o di aggiungere una qualsiasi cosa.

Rincasando, quella sera, avvertì lo stomaco talmente chiuso da non riuscire nemmeno a cenare. Per quanto le fosse sembrato a dir poco bizzarro, l’incontro con la Greengrass l’aveva toccata nel profondo, forse più a fondo quanto avesse pensato. Perché non era in grado di togliersi dalla testa quelle parole che stridevano in maniera consistente con la figura altera, snob e classista che era l’immagine da lei associata a Malfoy. Draco Malfoy era un padre premuroso e stava insegnando al figlio che non ci sono differenze di classe. Draco Malfoy insegnava al figlio che sangue sporco e maghi sono uguali. Incredibile, inconcepibile e, soprattutto, non da Draco Malfoy. Ma cosa ne sapeva lei, di lui? Conosceva, poco, il ragazzino viziato che era stato e, dalla descrizione di Astoria, realizzò di non sapere nulla dell’uomo in cui pareva essersi trasformato. E forse non importava come si comportasse con lei, magari c'era davvero un altro Draco e lei col suo comportamento ottuso non gli aveva concesso di emergere. Ammesso che lui volesse farsi scoprire perché, per come si era comportato fino ad allora, non era quella l’impressione che le aveva dato.

Gettandosi sul divano color sabbia, Hermione si chiese se il mondo si stesse capovolgendo e se fosse poi così strano scoprire di Malfoy che era un bravo padre. Perché avrebbe dovuto essere diversamente, in fondo?

 

Note stonate d'autore: chiedo venia per il ritardo... chi mi conosce e mi segue su Faceebook sa che ho avuto una super tendinite e che mi sta torturando da oltre un mese. Ora va un po' meglio, ma non sto ancora bene... cmq, spero di riuscire a darvi il prossimo capitolo entro domenica, l'ho già cominciato. Se dovessi ritardare, sarebbe per un nuovo picco di tendinite e non perché non intendo finire la storia.
Grazie a DragonFly, Gab, Barbara, Norway, Riflessi, Nuvola per aver recensito. Lo apprezzo davvero molto.
Vi anticipo che nel prossimo capitolo ci sarà un giro di pensieri e di pov su quanto sta accadendo. A partire da Draco, passando per Hermione e Ron... si arriva Ron.
A presto.
 

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Capitolo 7
*** Errore di valutazione ***


Capitolo cinque

Errore di valutazione

 

Se ne era andata e non c'era nulla che il suo sangue puro avrebbe potuto fare per rimediare a quella assenza. Un conato di vomito lo prese alla sprovvista e si ritrovò a liberarsi del caffè nero che aveva bevuto. Si guardò allo specchio, pulendosi la bocca, scrutando i suoi occhi grigi carichi di malcelato dolore. L’aveva trattata così male, umiliandola persino quando ormai non le rimaneva molto.

E non avrebbe voluto, non dopo averla 'amata’ un’ultima volta, ma lei aveva ricominciato a recriminare e a sbattergli in faccia che era stato incapace di amarla, per colpa di una sangue sporco, e lui era sbottato, ammettendo cose che avrebbe preferito tenere per sé.

Si lavó i denti, strinse il nodo della cravatta e tornó nel salone. Entrando, Scorpius gli corse incontro, piangendo e chiedendo dalla mamma.

In una sola settimana da quel primo attacco forte, Astoria Greengrass Malfoy si era spenta e ora toccava a lui rimettere insieme i pezzi. La notizia era rimbalzata sulle varie testate del mondo magico, insieme ovviamente a quella del suo rientro, e per un istante Draco si domandò se lei l'avesse letta. Non si era recato al Ministero nemmeno una volta in quei giorni e, per quanto si sentisse sporco a deviare i suoi pensieri e spingerli sino alla Granger, non era in grado di scordare il loro ultimo confronto.

***

Ronald Bilius Weasley aveva fatto a malapena in tempo a rimettere piede in Inghilterra che era stato travolto da alcune novità a dir poco sconcertanti.

Non solo Draco Malfoy aveva fatto ritorno a casa, ma studiava per divenire Auror e Harry James Potter gli aveva fatto da garante. Ron mandó giù l’ultimo boccone di torta, prima di rispondere al suo migliore amico.

«Stai scherzando, spero? State davvero andando al funerale della moglie di un Mangiamorte?» chiese, sbalordito e incredulo.

«E verrai anche tu, anche solo per sostenere Hermione e Harry.» Ginny lo fissava con le mani sui fianchi. Non riusciva a essere così dura e intransigente con Draco Malfoy, non da quando era a conoscenza del motivo per cui avesse fatto ritorno. Lo odiava ancora, almeno in parte, ma sapere che voleva restare per suo figlio, per riempire il vuoto lasciato dalla madre con gli affetti familiari, le inteneriva il cuore. Quel povero bambino aveva appena perso la madre: chi era lei per ergersi a giudice e condannare Malfoy a tornare negli Stati Uniti? Non aveva intenzione di diventargli amica, era ovvio, ma non sarebbe stata lei a puntare il dito e, ne era certa, anche Harry doveva pensarla alla stessa maniera.

«Verrò, ma non perché mi interessi. Verrò perché me lo chiedete, ma non me ne frega nulla di Malfoy, né del figlio di un Mangiamorte.»

Ron si sarebbe risparmiato volentieri quel supplizio, ma sapeva che indispettire la sorella, incinta e con gli ormoni impazziti, sarebbe stato solo un grattacapo.

«Hermione, tu più di tutti dovresti capirmi.»

Hermione scosse la testa distrattamente, facendo roteare il caffè nella tazza. Da quando aveva saputo di Astoria non aveva fatto che ripensare al loro incontro e le parole della donna avevano finito con l’assumere significato, anche se faticava a capirne il senso.

«Io e Hermione andiamo. Ron, tu non sei obbligato.» George accarezzò la gamba di Hermione sotto il tavolo e lei si girò, fissandolo. Per una frazione di secondo si chiese se stessero pensando entrambi a quell’episodio di molti anni prima e senza sapere il perché ebbe la consapevolezza di non sbagliarsi. Né lei né George avevano mai raccontato nulla di quel momento strano, di quell’incontro sul feretro di Fred, e ora che si ritrovavano a restituire il gesto, lei comprese quanto difficile dovesse essere stato per Malfoy.

«Andiamo o faremo tardi.» Si attaccò al braccio che George gentilmente le offriva e insieme si smaterializzarono, seguiti da Harry e Ginny.

Rimessi i piedi per terra, sulla soglia del cimitero magico, Hermione avvertì la colazione risalire l’esofago e un senso di oppressione e inadeguatezza.

«Con che coraggio ci presentiamo?» chiese a George, parlando così a bassa voce che Ginny e Harry non colsero.

«Perché è giusto, semplice. La guerra è finita da secoli, stiamo solo restituendo un gesto gentile. E non mi interessa nemmeno sapere perché lui lo fece. Io lo faccio perché credo sia giusto.» La prese per mano, cercando di incamminarsi, ma lei non sembrava volersi muovere.

Hermione lo fissó, incerta. «Non sai cosa gli ho detto l’ultima volta che l’ho visto.» Anche se lui aveva sbagliato, a posteriori, le sue azioni assumevano altre sfumature. Non che gli avrebbe perdonato di aver sbirciato nei suoi ricordi, ma forse c'erano dei motivi che lei ignorava.

«Non ci noterà nemmeno, su.»

Mosse il primo passo sulla ghiaia polverosa, camminando con lentezza come se ciò potesse procrastinare il momento e, giunta nei pressi dove un capannello di persone giaceva in piedi, in un evidente stato di composta commozione, i suoi occhi cercarono e trovarono la chioma biondo platino.

«Miseriaccia, ha la solita faccia da schiaffi» disse Ron al suo orecchio, infastidendola.

«Abbi un po’ di rispetto, Ronald.» sussurrò per non disturbare e non farsi sentire, ma come se avesse colto le sue intenzioni e suoi tentativi di non dare nell'occhio, per colpa di un bizzarro destino, Draco Malfoy si voltò. Non c'era stupore né fastidio sul suo viso, solo un’ombra di malcelato dolore e nessun segno di rabbia o irritazione per la sua presenza. I suoi occhi spessi e freddi come una lastra di ghiaccio non sembrarono nemmeno avvedersi di lei.

***

Le scorse in mezzo alla folla e, anche se avrebbe dovuto avere cuore, occhi e mente solo per quanto accadeva davanti a lui, si lasciò distrarre, ma non si scompose. La trapassò con un sguardo gelido che nascondeva un miscuglio di emozioni così intenso da scuoterlo.

Poi Scorpius gli tirò la mano e fu quasi grato al figlio per quel gesto che lo costrinse a immergersi di nuovo, annegando, nella realtà della vita vera che gli stava scorrendo inesorabile sotto al naso, davanti agli occhi.

Seguì la cerimonia con fare composto e al contempo altezzoso, alla ricerca di una distaccata rigidità che non gli apparteneva fin in fondo, non in quel momento.

Con le parole dell’officiante e dei tributari a stordire la marea dei pensieri, si perse nei pochi frammenti di ricordi che gli schizzarono nel cuore.

Aveva perso l’unica donna, oltre sua madre, che l’aveva amato sempre, al di là delle sue scelte discutibili, senza avere pretese. Aveva tollerato a lungo il suo essere distante e scostante, aveva sopportato il suo sentimento per la Granger e l’aveva amato comunque. Gli era rimasta accanto nonostante tutti i difetti, i dolori e le delusioni che le aveva inferto e gli aveva fatto un dono importante.

Sì, aveva cercato di prendersi il posto nel suo cuore senza mai riuscirci. Certo, aveva recriminato, frustrata, per non essere ricambiata, ma non se ne era mai andata. Non gli aveva voltato le spalle e lui, per un illusorio e fuggevole, brevissimo istante, aveva quasi sperato di saperla amare. Invece non vi era mai riuscito, aveva fallito anche in quello.

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Rimase in silenzio per l’intera durata della cerimonia, confusa dalle parole della Greengrass che tornavano con forza a rimbombarle in testa. Quel loro incontro sembrava assumere una nuova sfumatura alla luce di quanto accaduto, ma cosa doveva realmente leggerci? Astoria le aveva chiesto di concedere a Malfoy il beneficio del dubbio, forse quasi pretendendo che lei si comportasse come se non si fossero mai conosciuti prima. E non poteva farlo, scordare quanto accaduto… il passato era tale e non intendeva rivangarlo, ma dimenticare sarebbe stata un'offesa nei confronti di chi aveva sacrificato la propria vita.

Rivolse un ultimo sguardo al piccolo Scorpius, incapace anche solo di immaginare cosa dovesse significare quella perdita per lui e, mentre si allontanava con George, facendo cenno agli altri, si promise che non sarebbe stata lei a segnare per sempre la vita di quel bambino. Non le importava di chi fosse figlio, di quali orrori si fossero macchiate le mani dei genitori, dei nonni, quale onta gravasse su quel cognome. Scorpius Hyperion Malfoy era solo un bambino senza colpe e aveva il diritto di vivere felice.

«Ce ne torniamo alla tana? Ho una fame!» Ron sbadigliò, annoiato, beccandosi uno scappellotto da parte di Ginny.

«Come fai, eh?» La infastidiva che fosse così poco empatico e, anche se conosceva il fratello e non doveva stupirsi, forse perché era mamma anche lei, chissà, non riuscì a trattenersi.

«Tu sei la solita manesca! Io vado!» Ron schizzò via, smaterializzandosi senza concedere al resto del gruppo il tempo di replicare.

«Lo seguo, andiamo?» Harry era dispiaciuto per come Ginny aveva trattato Ron, anche se era certo che il suo migliore amico non fosse del tutto pronto a perdonargli di essere il garante di Malfoy. Inoltre, temeva che ora che anche Arthur e Molly lo sapevano, be’ temeva che potessero arrabbiarsi con lui.

«Arrivo fra un momento, andate pure.» Hermione non trovava la bacchetta e, scuotendo la testa, ripercorse la strada che portava al feretro.

Non si era nemmeno accorta che, lentamente, tutti si erano dileguati, forse perché a disagio con quel dolore e con la manifestazione del quale non sapevano come comportarsi.

Poi gli occhi si poggiano su di lui e, per un istante, le parve di vedere le sue spalle alzarsi e abbassarsi a un ritmo costante: il ritmo di chi piange e singhiozza. Sconvolta, stupita, stordita non realizzò di aver estinto la distanza tra loro avvicinandosi, invadendo quel momento così privato. Prima che potesse fare dietrofront, dietro al padre vide sbucare Scorpius e capì di essersi messa nei guai da sola.

«Granger, ho sentito il tuo aroma sin da prima che i tuoi piedi calpestassero la ghiaia.» La fissò, sorpreso di vederla lì, lievemente infastidito per quella sua presenza che non comprendeva. Perché era tornata indietro? Voleva forse insultarlo ancora per il Legilimens?

«Ho perso la bacchetta.» Sembrò uno stupido tentativo di giustificarsi e si preparò a venire offesa, ma il sorriso che veloce, così veloce da indurla a dubitare di averlo visto, corse sulle labbra di Malfoy, lasciandola perlomeno perplessa.

«Anche questa volta? Dovresti stare più attenta.»

Lo vide mormorare qualcosa e, un istante dopo, si ritrovò la bacchetta fra le mani. Gliela porse, fissandola e Hermione non seppe cosa trovare in quegli occhi.

«Enge, magia» guardò il piccolo e si chiese se accontentarlo, se parlargli non avrebbe fatto altro che irritare Malfoy.

Non voleva battibeccare, offenderlo e farsi deridere, non in quel momento.

«Granger, non puoi deludere un bambino.»

Glissó sulle lacrime che gli aveva visto asciugare lesto, avviluppato da una strana sensazione di indefinito. Draco Lucius Malfoy aveva pianto, e perché poi la cosa la stupisse tanto era davvero mistero. Che piangesse la moglie, la madre del figlio, era una cosa normale. Ma era normale anche per lui?

«Aguamenti» sperò che in rivolo d’acqua fosse sufficiente e quando Scorpius scoppiò in lacrime, si sentì morire.

«Voglio la mamma.»

Lo vide aggrapparsi al braccio di Malfoy che lo sollevò e lo strinse a sè, cullandolo.

«Scusa, io non…» non sapeva che dire, non capiva perché il suo incantesimo avesse intristito il bambino.

«Era l’incantesimo che gli faceva sempre anche Astoria.» Non seppe perché glielo disse, forse per farle capire, magari perché lo sguardo colpevole e costernato di lei gli faceva male al cuore. «Dobbiamo andare.» La guardò per un secondo e poi,con un pop, sparirono.

Hermione rimase con la bacchetta fra le dita, interdetta e sconvolta da quanto appena accaduto.

Aveva fatto piangere un bambino, ma non solo, lei e Draco Malfoy avevano parlato senza che lui la insultasse. L’aveva trattata quasi come una persona qualsiasi, senza dedicarle tutto il suo odio. Possibile che Astoria Greengrass avesse ragione? Che oltre lo spocchioso e antipatico essere viziato che aveva avuto la sfortuna di incontrare, magari perché padre, Malfoy avesse davvero imparato a essere migliore?

Con una stranissima sensazione a scorrerle nelle vene, rientrò alla tana e, non appena le fu possibile, ritagliò un momento di pace per lei è Ginny e raccontò alla sua migliore amica tutte le cose strane successe in quel periodo.

«Non ho mai amato la Greengrass ma magari il suo discorso davvero aveva un fine. Credi che sarebbe venuta da te, “un’inferiore e mente del trio”, che si sarebbe umiliata a cercarti se non fosse stato importante?»

Hermione comprese che non intendeva offenderla e, sorseggiando il tè, le rivolse un’espressione dubbiosa, alzando le sopracciglia per poi concentrarsi sulla bevanda calda e i cerchiolini che in essa si formavano, mentre muoveva la tazza con un movimento cadenzato, al ritmo della sua confusione.

«Mi darei della pazza anche io se mi sentissi dire una cosa del genere, ma lascia che ti dica una cosa.» Ginny pauso e attese che la guardasse negli occhi. « La guerra ci ha cambiati in un modo che non credevo possibile estirpare. Ma un figlio riporta la luce nelle tenebre e non posso né voglio escludere che persino a uno come Draco Malfoy questo possa essere successo.»

Hermione la fissò, stupita, chiedendosi perché tutti riuscissero a immaginare che lui potesse davvero essere cambiato mentre a lei sembrava impensabile. E poi si disse che forse le faceva più comodo credere che non fosse cambiato, altrimenti avrebbe dovuto ammettere di essersi approcciata a lui nel peggiore dei modi.




Nda: ciao a tutte e buona lettura. Mi spiace per il ritardo, ma sono rimasta senza computer... e fino a quando non ne avrò uno solo mio, mi tocca scrivere nei ritagli di tempo. Spero che il capitolo vi piaccia. Buona domenica

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