L’orologio

di Najara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


L’orologio

 

 

Parte I

 

Kara rientrò a casa perché non stava bene. L’insegnante di chimica le aveva lanciato uno sguardo, aveva sorriso e poi le aveva detto che avrebbero chiamato a casa per farla rientrare prima. Il suo cuore batteva veloce, mentre preparava lo zaino e usciva, e non notò neppure gli sguardi invidiosi dei compagni.

Aveva mal di testa, stava sudando e non era ben stabile sulle sue gambe, ma non era mai stata più felice.

“Stenditi Kara, a quindici anni è un po’ presto, ma non ti devi preoccupare.” Eliza le accarezzò il viso con emozione. “Alex è stata tardiva, mi sembra giusto che tu, invece, sia precoce.” Malgrado le sue parole vi era una ruga di preoccupazione sulla sua fronte.

“La vedrò, non è vero?” Chiese, il cuore che batteva di nuovo veloce.

“Sì, la tua insegnante aveva ragione.” Confermò Eliza, accarezzandole la fronte. “Ora, davvero, stenditi.”

Kara obbedì e si coricò nel letto. Sorrise, mentre chiudeva gli occhi.

Era giunto il grande giorno! Finalmente!

“Bevi questo.” Eliza era tornata e le tese una tazza fumante. Kara ne sorseggiò il contenuto apprezzandone il sapore dolce e il retrogusto di miele. La sua madre adottiva si sedette sul letto accanto a lei, un sorriso felice e al contempo teso sulle labbra. “Ora lascia che il sonno arrivi, rilassati, lasciati trasportare.”

“Sì, mamma.” Disse. Ora provava un po’ di paura. Aprì gli occhi e fissò la donna. “E se non gli piaccio?”

“Oh, tesoro…” Eliza le accarezzò di nuovo i capelli biondi, un’espressione dolce sul viso. “Ti amerebbe al primo sguardo, anche se non foste destinati e… lo siete, piccola mia, questa è una certezza.”

Kara annuì piano, lasciando che il calore dell’infuso si espandesse dal suo stomaco all’intero corpo.

“Andrà bene.” Ripeté la donna. “Solo non fare come Alex, scegli un posto carino in cui incontrarlo e non un poligono di tiro!”

“A Sam non è dispiaciuto…” La sua voce era impastata, Kara cercò di aprire gli occhi, ma sentì una mano fresca posarsi sulla sua fronte.

“Dormi, piccola mia.” Sentì dire da una voce ovattata. “Vai ad incontrare la tua metà.” Mormorò ancora sua madre e lei sorrise.

La sua anima gemella: finalmente l’avrebbe incontrata.

 

“Sotto l’orologio, alle 14.00. Ci sarete?”

La voce della giovane era solo più un lontano eco, la sua forma solo un’ombra. Kara si spinse avanti cercando di afferrarla, di trattenerla tra le proprie braccia, anche solo per un istante.

“Sì! Sì!” Urlò, ma era sola, abbassò la mano e aprì gli occhi.

 

Salì le scale di corsa, il cuore che batteva veloce nel petto, alzò lo sguardo e fissò l’antico orologio, poi, ricordando che era fermo, controllò l’ora sul suo cellulare, era arrivata in tempo.

Si guardò attorno, gli occhi che brillavano di gioia.

Attese.

E attese ancora.

Quando Alex salì la grande scalinata bianca per venire a prenderla, sei ore dopo, vi erano lacrime che brillavano sulle sue guance.

“Non è venuta.” Singhiozzò quando incontrò lo sguardo addolorato della sorella adottiva, non reggendo più il dolore. “Non mi vuole, non le sono piaciuta.”

“No, no, no… deve essere successo qualcosa…” Cercò di consolarla Alex, stringendo la sorella più piccola tra le braccia.

“Non vado bene per lei, non sono abbastanza.” Gemette tra le lacrime e Alex non poté fare altro che stringerla di più a sé, consapevole che non vi era nulla che potesse dire o fare per consolare il cuore spezzato di Kara. “Era così bella, così elegante, così intelligente e divertente! Sono sicura che ci ha ripensato, che ha capito che potrebbe avere di meglio…”

“No, no, non è possibile…” Tentò di contraddirla.

“Non è venuta! Devo aver detto qualcosa di sciocco, deve aver capito che…” Si interruppe incapace di continuare, le lacrime e i singhiozzi che sconquassavano con troppa forza il suo petto.

“Vedrai, andrà tutto bene…” Riuscì solo a dirle poi rimase in silenzio, lasciando che Kara piangesse.

Non era mai successo. Mai. Le anime gemelle riuscivano sempre a trovarsi dopo il Sogno Condiviso.

Non vi era nulla che potesse impedire il ricongiungimento.

Eppure Kara aveva mancato il suo destino.

 

***

 

 

Kara salutò con la mano l’inserviente della biblioteca e raggiunse l’ampia scalinata bianca, si sedette sorridendo al sole ed estrasse dallo zaino il suo pranzo, addentando con soddisfazione l’enorme panino che si era preparata quella mattina.

“Ciao, sorella.” Con uno sbuffo, Alex, si lasciò cadere accanto a lei.

“Cos’hai in faccia?” Le chiese subito, per poi sfilarle gli occhiali prima che la maggiore potesse protestare. “Ehi! Hai un occhio nero!” Esclamò, attirando lo sguardo di due o tre persone che, come loro, si godevano il sole del primo pomeriggio sulla scalinata della biblioteca.

“Lo so!” Sibilò Alex lanciandosi uno sguardo attorno e recuperando gli occhiali neri.

“Chi te lo ha fatto?” Chiese, scioccata, Kara.

J’onn…” Ammise lei. “Dovevo solo muovermi più in fretta.” Fece una smorfia, mentre si sistemava meglio sugli scalini, mostrando che l’occhio nero non era l’unico livido sul suo corpo. “Come fai a mangiare qua tutti i giorni? Non ti viene male alla schiena?”

Kara distolse lo sguardo e Alex strinse le labbra, rendendosi conto dell’errore. Alzò gli occhi verso l’orologio fermo e sospirò.

“Scusa…” Mormorò. Kara le fece un sorriso, ma era evidentemente solo una pallida imitazione.

Non tutti avevano un’anima gemella, alcuni suoi amici non avevano mai avuto il loro Sogno Condiviso ed erano felici così: James, Mike, Winn… ma Kara… Kara aveva sperimentato l’intensa gioia di conoscere la propria metà, aveva provato quel profondo, intenso ed immediato innamoramento che ogni Sogno Condiviso portava con sé e poi era rimasta sola. Per mesi aveva atteso, sperando in un miracolo, ma nulla era successo. La ragazza di cui le aveva tanto parlato nella loro folle corsa in macchina da Midvale a National City, non si era presentata. Le aveva dato un appuntamento e poi non si era fatta vedere.

Kara non si era arresa, aveva solo un’età e una vaga descrizione, nessun nome superava un Sogno Condiviso, ma, assieme ad Alex o Eliza, aveva cercato in tutti gli ospedali della città, controllando persino i necrologi. Non avevano trovato nulla… alla fine anche Kara aveva smesso di crederci, eppure… eppure ora che studiava a National City andava tutti i giorni a mangiare sotto a quel maledetto orologio spento.

“Mi piace qua.” Mormorò Kara, lo sguardo perso, il panino dimenticato tra le mani.

Rimasero in silenzio, Alex ripensò ai mesi successivi al proprio Sogno Condiviso, era arrivato tardi, tanto tardi che aveva avuto il tempo di conoscere Maggie e Sam aveva avuto il tempo di avere una bambina, ma trovare la sua anima gemella, sognarla, aveva cambiato tutto. Lei era stata la cosa più bella e importante della sua vita e i primi mesi dopo il sogno erano stati folli di gioia per entrambe. Ancora adesso sorrideva ogni volta che pensava alla donna che amava e la aspettava a casa con la loro piccola bambina.

Una risata femminile ruppe il placido silenzio e la testa di Kara scattò alla ricerca della fonte, per poi scuotere la testa nel vedere una coppia di giovani ragazze.

“Come va la scuola?” Le chiese allora Alex, cercando di distrarla da pensieri che la incupivano e che la facevano soffrire.

“Bene, almeno io non prendo pugni.” Le rispose sua sorella, lanciando di nuovo uno sguardo al suo viso.

“Non è nulla, solo normale addestramento.” Agitò una mano e dovette nascondere una smorfia nel sentire i muscoli dolere. Entrare nel corpo d’élite del FBI non si stava dimostrando una passeggiata. “E questo pomeriggio ho il corso sulle armi.” Gli occhi di Alex brillarono e Kara ridacchiò.

“Sei incorreggibile.” Commentò, tornando a mangiare il suo panino.

Dopo un po’ di morsi Kara iniziò a raccontarle della sua giornata.

“Questa mattina il nostro professore di giornalismo contemporaneo ci ha fatto un’intera lezione sull’importanza del non intervento. Insisteva nel dire che un giornalista non deve mai interferire, ma ti sembra giusto? Io credo che…” L’infervorato discorso che Alex era pronta a sentire si interruppe. Kara scattò in piedi e Alex ruotò su se stessa, stupita.

“Cosa stanno facendo?” Chiese la minore, osservando due operai che sistemavano una scala sotto l’antico orologio della biblioteca.

Consapevole che l’argomento era delicato e volendo evitare un altro scivolone Alex non rispose.

Kara corrucciò la fronte quando vide uno dei due uomini salire verso l’orologio con una cassetta di attrezzi al fianco.

“Forse devono solo pulirlo…” Tentò Alex.

“Cinque anni e nessuno si è mai avvicinato.” Rispose Kara. “E quelli non sono operai del comune.” Alex annuì, non aveva torto, avevano entrambi sulla schiena il logo di una ditta privata.

Aprì la bocca per esprimere la sua seconda opinione, ma poi la richiuse, dire a Kara che, forse, l’orologio stava per essere rimpiazzato da uno più moderno non era una buona idea.

“Vado a vedere.” Dichiarò Kara e prima che Alex potesse fermarla era già ai piedi della scala.

“Cosa state facendo?” Proruppe le mani sui fianchi. L’uomo la guardò perplesso.

“Dobbiamo portarlo via.” Disse e Alex che li aveva raggiunti posò una mano sulla spalla di Kara di cui aveva immediatamente percepito la tensione.

“Portarlo via?” Chiese, infatti, la giovane.

“Sì.”

“Chi lo ha ordinato? Questo è un orologio storico, appartiene alla città, non avete il diritto di…”

“Signorina, noi facciamo solo il nostro lavoro.” La interruppe l’uomo, agitando le mani e alzando lo sguardo verso il collega alla ricerca di aiuto.

“Kara, forse dovremmo lasciarli lavorare…”

“E, comunque, questo orologio non appartiene alla città.” Ci tenne a precisare l’operaio. “Ma ad una società privata.”

Kara fu sul punto di ribattere, ma Alex la prese per il braccio, fece un sorriso di scuse all’uomo, e tirò lontano sua sorella.

“Kara, non puoi aggredire in questo modo le persone, loro non…”

“Andrò al fondo di questa faccenda! Non permetterò loro di portarlo via!” Dichiarò però, Kara, combattiva, gli occhi che brillavano di decisione.

“Quell’orologio non è lei!”

“Mi aiuterai?” Le chiese di netto Kara, ignorando le sue parole. Alex chiuse gli occhi poi annuì.

“Certo.” Acconsentì, avrebbe fatto qualsiasi cosa per la sua sorellina.

“Bene.” Kara afferrò lo zaino e il pranzo dimenticato e si diresse verso la biblioteca con passo sicuro.

“Il tuo piano?” Chiese Alex, camminandole accanto.

“Scoprirò tutto quello che c’è da sapere su quell’orologio, impedendo a chiunque di toglierlo dal suo posto.”

Alex sospirò, quella faccenda poteva riaprire ferite mai chiuse, anzi, probabilmente avrebbe solo creato nuova sofferenza.

“Credi che sia una buona idea?” Domandò, cercando di far ragionare Kara.

“Assolutamente sì. Quell’orologio appartiene alla città, è un monumento storico, e alla città deve rimanere.” Dichiarò la sorella e Alex evitò di contraddirla, non sarebbe servito a nulla.

 

“Come sarebbe a dire: non c’è nulla che riguardi l’orologio?” Erano due giorni che Kara faceva ricerche, aveva trovato molte immagini con l’orologio, fermo sempre alla due, ma niente di specifico sulla sua storia. Ora era nel vecchio archivio del municipio e guardava con aria esasperata l’archivista.

“Mi dispiace, signorina, l’unica cosa che so dirle è che due giorni fa è arrivata la comunicazione che l’orologio sarebbe stato prelevato dalla sua sede storica.”

Kara sbuffò esasperata, questo lo sapeva benissimo, lo aveva visto estrarre e impacchettare con i suoi stessi occhi. L’ingranaggio per essere spostato aveva richiesto l’intervento di una gru e cinque uomini.

Vi era persino un uomo in un completo nero che aveva diretto ogni spostamento chiedendo più volte agli operai di agire con prudenza e delicatezza.

Alex le aveva impedito di interrogarlo e forse era stato un bene… vedere l’uomo posare le mani sul suo orologio l’aveva fatta infuriare.

“Questo mi è già stato detto, quello che voglio sapere è chi è questo fantomatico proprietario.” Cercò di stare calma, pensando alla voce di sua sorella che le intimava di essere diplomatica.

“Vediamo…” Borbottò l’uomo battendo i tasti sulla tastiera con esasperante lentezza. “No… non abbiamo nessuna informazione neanche rispetto a questo dato, ma non tutti i dati presenti nell’archivio sono stati digitalizzati.”

Kara strinse i pugni.

“Sì, anche questo mi è stato detto, ma se potessi accedere all’archivio cartaceo, forse potrei scoprire…”

“Serve l’autorizzazione.” L’uomo estrasse un modulo e glielo passò. “Deve fare la richiesta.” Kara osservò il foglio e scosse la testa.

“Ci vogliono due settimane per ottenere il permesso… io ne ho bisogno subito…” Il suo tono aveva perso l’aggressività di prima, era disperata, le sembrava che l’ultima cosa che la legasse alla donna che ancora sognava, le stava sfuggendo dalle dita. “Non potrebbe… lo so che non dovrei chiederglielo, ma non potrebbe fare un’eccezione? Potrebbe venire con me nell’archivio e controllare che io non faccia niente di sbagliato…” Tentò.

L’uomo scosse la testa.

“Mi dispiace, ma abbiamo una politica molto severa al riguardo e…”

“Si tratta della mia anima gemella!” Sbottò allora Kara. L’impiegato dell’archivio alzò gli occhi stupito. Kara sentiva le lacrime pungerle gli occhi. “Io l’ho sognata, ma non l’ho mai incontrata e… se solo potessi sapere qualcosa su quell’orologio, forse capirei perché… non lo so, è sciocco ma…”

“Signorina.” L’uomo si alzò, l’aria seria. “Venga con me.” Disse e aprì la piccola porta che li separava. Kara sbatté le palpebre confusa, poi obbedì, veloce, incapace di credere di aver ottenuto quel piccolo strappo alla regola.

L’archivio era enorme, ma l’impiegato la condusse verso uno scafale preciso, poi estrasse un paio di faldoni e li posò su di un tavolino.

“Qua vi sono tutti gli atti che riguardano la biblioteca, fin dalla sua creazione nel 1887, se da qualche parte in questo archivio si parla dell’orologio allora l’informazione è qui.”

“Grazie.” Disse Kara e l’uomo le sorrise.

“Ho perso la mia anima gemella due anni fa… ma non dimenticherò mai cosa si prova nel trovarla.”

Detto questo la lasciò ai polverosi fascicoli.

Due ore dopo, Kara scattò in piedi, un ampio sorriso sulle labbra. Finalmente aveva un nome!

Salutò l’archivista con un bacio sulla guancia e poi corse via, gli occhi che brillavano. Tornò in biblioteca lanciando solo uno sguardo allo spazio vuoto lasciato dall’orologio, ma percependo comunque una stretta decisa al cuore, e si diresse con sicurezza alla sezione che conteneva le diapositive dei giornali più antichi.

Ora che aveva un nome trovò subito quello che cercava, era chiaro che si trattava di una famiglia ricca e influente in città.

“Allora?” Saltò sulla sedia nel sentire la voce di sua sorella così vicina.

“Alex! Mi hai spaventata.” La sgridò, ma la donna si strinse nelle spalle e lei fece roteare gli occhi tornando a rileggere un articolo particolarmente interessante.

“Kara, mi hai lasciato un messaggio in segreteria, blaterando di un nome…”

Luthor.” Le disse allora, staccò la testa dal lettore di diapositive e sorrise.

Luthor?” Chiese Alex, perplessa.

“Sì, erano piuttosto conosciuti nell’ottocento: il primo articolo che ho trovato è del 1840, parla di Liobert Luthor, un uomo di scienza che ha rivoluzionato il sistema di trasporti della città. Poi ci sono stati i fratelli Leander e Lionel Luthor che, insieme, hanno reso la famiglia una delle più potenti e influenti della città e dell’intero paese, li ho visti citare molte volte, Leander è stato anche sindaco due volte.”

Alex ascoltava in silenzio e Kara continuò.

“C’era anche una via Luthor, ma ora non c’è più.” Kara fece una smorfia.

“Come mai?” Chiese Alex, perplessa.

“La storia della famiglia Luthor diventa decisamente più cupa nel 1923 quando Lex Luthor viene accusato di aver ucciso la sorella. Gli articoli di maggio di quell’anno parlano della questione quasi ogni giorno: prima la ragazza sparisce e tutti la cercano, poi l’accusa cade sul fratello.”

“Ed era stato lui?” Chiese Alex che sembrava più interessata alla faccenda ora che si parlava di crimini.

“Non lo so…” Mormorò Kara tornando a guardare i suoi appunti. “Aveva la ricchezza della sua famiglia alle spalle, era il figlio di Lionel e dunque il nipote di un ex sindaco… la giustizia potrebbe essere stata corrotta e lui essere scampato all’accusa, si da il caso che la ragazza non è mai stata trovata e Lex Luthor è sparito dalla vita pubblica. Per questo noi non conosciamo il nome dei Luthor.”

“Curioso.”

“Le uniche tracce di lui parlano di un uomo folle che fa richieste degne di un pazzo, come quando ha chiesto di fermare l’orologio della biblioteca donato dai Luthor anni prima.” Spiegò Kara. “E qui le cose si fanno ancora più interessanti: due giorni fa una misteriosa compagnia che guarda caso ha come insegne due L, ha ritirato l’orologio.” Disse Kara gli occhi che brillavano di nuovo. “Deve trattarsi di un erede dei Luthor.”

“Va bene… ha senso, ma, tu, cosa vuoi fare al riguardo?”

“Andrò da lui o lei e chiederò che rimetta l’orologio al suo posto.”

Alex fece una smorfia.

“E credi che sia possibile?”

“Sì! Ho materiale a sufficienza per un articolo, dirò che voglio intervistarlo e se non acconsente a restituire l’orologio dirò che porterò alla luce tutta l’oscura faccenda di Lex Luthor, gettando fango sulla sua compagnia.”

“Non mi sembra giusto.” Kara sbuffò alla risposta della sorella.

“Non lo farò per davvero! È solo il mio piano B.”

“Il tuo piano B è una minaccia? Kara, tu non sei così, non fai questo genere di cose.” Il tono di Alex era calmo, serio e Kara sentì la rabbia salire.

“Tu cosa faresti per Sam?” Sbottò e Alex scosse la testa. Kara si morse la lingua, non avrebbe dovuto dire una cosa simile.

“Kara, quell’orologio non è lei.” Si ritrovò a ripeterle. Quella faccenda non aveva senso, Kara si era legata ad un oggetto che, probabilmente, non aveva nulla a che vedere con la sua anima gemella.

“Lo so!” Sbottò lei.

“Non voglio che tu ricada di nuovo nel…”

“Non lo farò, quei giorni sono passati.” Alex scosse la testa, era mortalmente seria e Kara seppe che stava per dire o fare qualcosa che le avrebbe impedito di portare avanti il suo piano. “Questa è l’ultima cosa che farò.” Anticipò. “L’ultimo tentativo. Se non arriverò da nessuna parte smetterò di cercarla, accetterò l’invito a cena di Winn o James o persino di Mike e svolterò pagina.”

“Ne sei convinta?” Chiese Alex e Kara seppe che avrebbe ceduto.

“Sì, ne ho bisogno, devo essere sicura di aver fatto tutto il possibile per trovarla, di aver seguito ogni possibile pista e, se non succederà nulla, beh, non potrò essere più delusa di quello che non sono già, non credi?”

La maggiore delle Danvers sospirò, poi annuì piano.

“Va bene, ma, per favore, non fare nulla di cui poi ti pentiresti.”

Kara sorrise.

“Non farò nulla di stupido, promesso!” Esclamò. “Ora devo solo trovare un indirizzo.”

 

La casa davanti a lei era leggermente inquietante. Il quartiere era ricco, viali alberati, giardini curati, facciate eleganti, ma questa, quella a cui avrebbe bussato, era antica, probabilmente ottocentesca e attorniata da un aurea di nobiltà. Forse era l’imponente cancello in ferro battuto, forse le tende tutte tirate… ma Kara dovette ammettere che avrebbe preferito permettere ad Alex di accompagnarla invece di dirle che doveva farlo da sola. Dopo un lungo minuto in cui controllò l’indirizzo due volte, si decise a suonare al campanello.

Senza che le fosse chiesto nulla il cancello si aprì e lei proseguì lungo il giardino fino all’imponente porta di legno massiccio che si aprì non appena lei posò il piede sul primo scalino.

“Buongiorno, miss Danvers, si accomodi.” Era lo stesso uomo che aveva visto prelevare l’orologio.

Kara fissò l’elegante figura con aria stupefatta.

“Come…?” Iniziò a dire, il maggiordomo, perché dall’abbigliamento non vi erano dubbi sul suo ruolo all’interno della casa, si spostò di lato per invitarla ad entrare.

“Il signor Luthor la sta aspettando.”

Kara esitò ancora un istante, poi annuì ed entrò, aveva deciso che sarebbe andata fino alla fine di quella storia e fino alla fine sarebbe andata! Case e persone spaventose comprese!

Mentre camminava dietro all’uomo Kara si guardò attorno, alle pareti vi erano numerosi dipinti, sotto i suoi piedi i tappeti erano magnifici, vasi e sculture decoravano l’ambiente, in quella casa si respirava un’aria di antica nobiltà, ma, per quel poco che conosceva Kara, anche di raffinata eleganza.

Fu introdotta in un piccolo e deserto studio.

“Il signor Luthor mi ha chiesto di scusarsi per l’attesa, pochi minuti e potrà riceverla.”

“Va bene…” Accettò Kara.

“Posso portarle qualcosa da bere o da mangiare?”

“Ehm… no, grazie.” Avrebbe di certo mangiato qualcosa… ma in quel posto le sembrava di essere fuori posto.

“Magari un libro o una rivista da leggere?” Chiese ancora con la solita pacata gentilezza il maggiordomo.

“No, grazie mille.”

“Molto bene, se le serve qualsiasi cosa non esiti a chiamare.”

Lei annuì e l’uomo chinò il capo prima di andarsene. Rimasta sola Kara scrisse un messaggio ad Alex, qualcosa di semplice: se non ti scrivo entro trenta minuti vieni a prendermi!

Aggiunse una faccina, così che la sorella non si preoccupasse troppo.

Si sedette sul divano e si guardò attorno per un po’, quando era sul punto di alzarsi e dire di sì a quella proposta di cibo, la porta si aprì e un uomo entrò nella stanza.

Non si era aspettata un signore così anziano. La sedia a rotelle era elettrica e si mosse da sola in assoluto silenzio.

“Buongiorno, miss Danvers.” Le disse l’uomo, il suo viso era ricoperto da rughe, ma i suoi occhi azzurri brillavano d’intelligenza e la sua voce, seppur anziana, conteneva un nota di forza che di solito non apparteneva ad un uomo di simile età.

“Salve… ehm… come fa a conoscermi?” Chiese, Kara, incapace di trattenere la curiosità.

“Oh!” L’uomo sorrise, piegando un poco il capo, osservandola divertito. “Diciamo che poche cose che riguardano l’orologio sfuggono alla mia conoscenza.”

Kara corrugò la fronte, chiedendosi come prendere quell’informazione.

“Dunque siete qui perché lo volete indietro, non è vero?” Aggiunse l’anziano Luthor e Kara annuì. “Molto bene.” Disse solo lui e lei lo fissò, stupita. Sarebbe stato così facile? L’uomo ridacchiò.

“Volete seguirmi, per favore?” Le chiese, la sua sedia ruotò silenziosa sul pavimento e si mosse verso la porta che si aprì davanti a lui.

“Ehm… certo.”

Quello era l’incontro più strano di sempre.

“Posso farvi una domanda?” Chiese Kara, seguendolo.

“Ma certo.” Accettò lui.

“Perché avete preso l’orologio?”

“Perché era giunto il momento.” Rispose l’uomo, semplicemente.

“Cosa significa?”

“Conoscete la storia dell’orologio?” Le chiese allora l’anziano Luthor, entrando in un piccolo ascensore e facendole un cenno affinché lo imitasse.

“So che è stato installato dalla vostra famiglia sul muro della biblioteca e che Lex Luthor ha ordinato di fermarne l’ingranaggio nel 1923.”

“Alle due precise.” Mormorò l’uomo. “Sì.” Le porte dell’ascensore si aprirono e Kara sgranò gli occhi davanti al cambiamento di decoro, adesso si trovavano in un laboratorio moderno, con luci al neon, pavimenti e pareti perfettamente bianchi, superfici in metallo e strumentazione che avrebbe fatto brillare gli occhi a Winn.

“Sapete perché?”

“No…” Ammise lei, ma tutte le domande si bloccarono sulle sue labbra quando si ritrovò a osservare l’orologio e il suo ingranaggio, sistemati su di un banco da lavoro. Le sue mani corsero a sfiorarlo, ma poi esitarono e lei tornò a guardare l’uomo che la fissava con occhi attenti.

“Perché lo avete preso?” Domandò di nuovo.

“Il suo ingranaggio doveva ripartire. Sono passati esattamente 100 anni da quando…” L’uomo distolse lo sguardo e alzò una mano, sfiorando la cassa di legno nero che doveva racchiudere parti degli ingranaggi. “Tanti anni… e finalmente è giunto il momento.”

“Non capisco.” Kara si chiese se l’uomo non fosse matto.

“No, certo che no.” Lo sguardo dell’anziano signore si fece di nuovo attento. Ritirò la mano dall’orologio e mosse le leve per spingere la sedia a rotelle verso una porta chiusa. “Venite.” Disse e Kara, suo malgrado, lo seguì. La porte si aprì e lei si ritrovò ad osservare un piccolo studio, i suoi occhi però non si soffermarono sul mobilio o l’arredamento, ma corsero veloci al dipinto che dominava un’intera parete, il suo cuore prese a battere veloce, mentre seguiva le linee decise del viso, osservava quegli occhi chiari, dal colore indefinito, tra il verde e l’azzurro, così brillanti, anche nel dipinto e poi le linee del collo, decise e al contempo delicate, le spalle, mostrate dall’abito dal taglio ottocentesco, appena accarezzate dai capelli scuri.

Lei.

Fece un passo indietro, la mano che correva a coprirle la bocca. Vi era dolcezza in quegli occhi, ma anche una lontana sofferenza, la stessa che vedeva ogni mattina nei propri. Scosse la testa, incredula, incapace di comprendere, di accettare quello che il suo cuore aveva afferrato all’istante.

“Mia sorella.” Disse l’uomo alle sue spalle, ma lei lo ascoltava appena, mentre continuava a frugare tra le linee e i colori del disegno cercando l’incongruenza, l’errore.

“Lena Luthor.” Specificò l’anziano e allora lei si voltò a fissarlo, incredula. “Sì, sono Lex Luthor e lei, è la tua anima gemella.”

 

Kara stava correndo. Sentiva le lacrime raffreddarsi scorrendo orizzontali sul suo viso, mentre lei correva più veloce che poteva, allontanandosi da quella casa, allontanandosi da quella verità, una verità che non poteva accettare, a cui non poteva credere.

 

 

Note: Prima parte di una storia divisa in due, come sempre già interamente scritta e solo in attesa di essere pubblicata.

Kara e Lena anime gemelle separate dal tempo. Lo avevate immaginato, sospettato?

Fatemi sapere se questa prima parte vi è piaciuta, se questa storia di anime gemelle vi intriga, se credete che, anche questa volta, le nostre fanciulle troveranno un modo, oppure se vi rendete conto di quanto, la sfida lanciata dal destino, sia davvero impossibile da sconfiggere.

 

La storia è una doppia sfida, prima di tutto una sfida posta dall’iniziativa “Easter Egg” del gruppo “LongLiveToTheFemslash”, a cui partecipa, e in secondo luogo una sfida da colei che ha scelto per me il prompt (ve lo mostrerò alla fine della seconda parte) più difficile su cui ha posato lo sguardo. Grazie Anna! ;-)

 

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Capitolo 2
*** Parte II ***


Parte II

 

L’orologio batté le due, Lena si guardò attorno con il cuore che correva veloce.

Dov’era? Aveva detto che sarebbe venuta, quella strana, dolce, adorabile ragazza aveva detto che sarebbe venuta. Ne era sicura, eppure erano le due e cinque minuti e nessuna ragazza dai biondi capelli, gli occhi azzurri più belli che avesse mai visto e il sorriso più dolce e contagioso del mondo, si stava facendo avanti per incontrarla.

Lena fece ruotare l’ombrellino verde, torturandosi il labbro con i denti. Vi era un dubbio, un dubbio assurdo che però, ogni minuto che passava, si faceva più forte. La ragazza, di cui non sapeva il nome, ma che avrebbe riconosciuto tra mille, aveva detto una cosa molto strana…

“Miss Luthor, posso esserle d’aiuto?” L’uomo, un amico di suo padre, si sfiorò il cilindro in un gentile cenno di saluto.

“Grazie, signor Hunter, sto aspettando una persona.” Disse e il signore alzò appena un sopracciglio.

“Miss… siete giovane per rimanere da sola in un luogo pubblico, permettetemi di accompagnarvi a casa o…”

“Mister Hunter, mia sorella non è sola.” Lex fece un sorriso a Lena e all’uomo che chinò il capo davanti all’erede dei Luthor.

“Ne sono rassicurato, scusate la mia ingerenza, allora.”

“Siete gentile a preoccuparvi.” Rispose Lex. “Ma, come vedete, mia sorella non ha bisogno di chaperon.”

“Ma certo, ma certo.” L’uomo chinò di nuovo il capo sfiorandosi il cappello e poi si allontanò, in imbarazzo.

“Lena…” Iniziò Lex, abbandonando l’aria sicura per una preoccupata.

“Non è venuta… non…” Abbassò il capo, mentre il fratello le posava una mano sul braccio.

“Vedrai che scopriremo cos’è successo.”

Lex e se fosse… se avessi capito bene? Se lei fosse…” Lex la guardò con uno sguardo addolorato che però sostituì subito con uno deciso. “Lo sai che io e te assieme possiamo fare qualsiasi cosa, vero? Siamo dei Luthor! Troveremo un modo per risolvere anche questa…”

“Non è qualcosa che può essere risolto!” Esplose lei, attirando lo sguardo di un’elegante coppia di signori.

“Tutto può essere risolto. Troveremo un modo.” Nei suoi occhi brillò una tale determinazione che Lena gli credette e il suo cuore osò sperare.

 

Cinque anni dopo Lex Luthor era sulla stessa scalinata, ed era solo. Aveva perso i capelli e gli occhi che si posavano su di lui erano ostili e pieni di sospetto, ma Lex non vi badava, mentre osservava i suoi operai staccare l’orologio dalla parete della biblioteca.

I suoi brillanti occhi azzurri si muovevano rapidi nel valutare l’oggetto che aveva davanti.

“Molto bene, portatelo a casa e chiamate il mio avvocato.”

 

 

Quando arrivò a casa di Alex fu Sam ad aprile. La giovane non le chiese nulla, invece la fece entrare e sistemò su di lei una coperta quando vide che si raggomitolava sul divano.

Alex arrivò una ventina di minuti dopo, lanciò uno sguardo alla compagna e poi a lei. Kara tirò i piedi verso il ventre lasciando alla sorella lo spazio per sedersi.

Rimasero in silenzio per un lungo istante, poi la più giovane delle Danvers parlò.

“Ricordi quando ti ho raccontato del Sogno Condiviso?”

“Certo.” Le rispose, come si poteva dimenticare il fiume in piena che era stata Kara nelle due ore che erano passate da quando si era svegliata a quando erano giunte sotto l’orologio?

“Ricordi che ti ho detto che…” Si interruppe un istante, Alex attese e la ragazza proseguì. “Lei… lei aveva quel modo adorabile di parlare un po’…” Una lacrima scivolò lungo il viso di Kara e Alex si morse un labbro affranta.

“Antico?” La aiutò e Kara annuì. Ricordava bene le ipotesi di Kara sul linguaggio forbito ed elegante usato dalla sua anima gemella.

“So come si chiama.” Alex sgranò gli occhi, sorpresa dalla brusca rivelazione.

“Davvero? Ma allora… l’hai trovata? Le è successo qualcosa?” Chiese, incapace di trattenersi ora che sembrava che, finalmente, quel mistero durato cinque anni stesse per essere svelato.

“Lena Luthor.” Alex sbatté gli occhi sorpresa. Ricordava quel nome, era annotato tra gli appunti di Kara, scritto in grande, cerchiato in rosso, non le era sfuggito quando vi aveva buttato uno sguardo in biblioteca, solo poche ore prima.

“Lena Luthor? Ma…”

“Ho visto un suo dipinto, ho conosciuto suo fratello.” Disse la giovane con tono piatto.

“Non ha senso. Lex dovrebbe avere…”

“Centoventisei anni.” La informò Kara che doveva aver avuto il tempo di fare i calcoli.

“Nessuno può vivere tanto a lungo.” Decretò allora Alex, ma la minore sembrava decisamente convinta visto che non tentò neppure di spiegare la sua affermazione.

“Ho visto un dipinto di… era un po’ più vecchia, ma l’ho sentito, dentro di me l’ho sentito: era lei.”

“Non può essere… vorrebbe dire che…”

“Davanti a quell’orologio, quel giorno, io aspettavo qualcuno che era sparito novantacinque anni prima.”

Kara si tirò a sedere e fissò la sorella, ora il suo viso era asciutto. “Lei avrà aspettato qualcuno che doveva nascere ottantacinque anni dopo?”

“Kara…” Alex non sapeva cosa dire, era mai successa una cosa simile? Anime gemelle nate in epoche diverse? Era… possibile?

È finita. Ora so la verità, suo fratello me l’ha mostrata, non so perché adesso invece che subito, ma quello che importa è che è successo. Non posso fingere di non crederci, perché… perché lo so.” Si portò le mani al petto e strinse, come se volesse soffocare il dolore semplicemente comprimendolo con la forza.

Guardò sua sorella e la sua maschera di indifferenza si ruppe.

“Perché? Perché fa ancora così male?”

 

 

Lena entrò nella bara di vetro con il cuore che batteva veloce.

“Sei sicura?” Le chiese Lex, avevano costruito quel macchinario assieme, cinque anni di pianificazione, studio, sperimentazione ed erano giunti a quel momento, ma lui, per la prima volta, esitava.

Lena gli prese la mano e la strinse, un sorriso dolce sulle labbra, quell’aria triste negli occhi, un’espressione che lui aveva immortalato solo pochi giorni prima, dipingendola. Quella tristezza era stata una costante in quei cinque anni, qualcosa che, malgrado ridesse o scherzasse, non l’abbandonava mai.

Lex, ti voglio bene, sei il mio fratellone, ma… una vita senza di lei…” Scosse la testa sorridendo ancora un poco. “Vedrai che funzionerà, sei un genio, tu hai creato il gas che inalerò e io mi fido di te, pienamente.”

“Il mio gas non basterà se la camera di stasi che hai creato non funzionasse.” Ritorse lui.

“Stai mettendo in dubbio il mio lavoro?” Domandò con aria divertita.

“No, certo che no… ma non voglio perderti.”

“Funzionerà.” Assicurò lei.

“Se anche funzionasse… quando potrò risvegliarti sarò un uomo vecchio e questo sperando che io riesca a far funzionare quel siero per allungare la vita che per ora è solo un’idea vaga nella mia mente! Perché non aspettiamo ancora un po’? Due anni, massimo tre e potremmo essere più sicuri…”

Lex.” Lena ora era seria e gli strinse entrambe le mani. “Ogni giorno, ogni giorno è un giorno in cui lei aspetta. Potrebbe smettere di attendere, potrebbe stufarsi e…”

“Oh, Lena… se ti ama tanto quanto tu ami lei allora aspetterà per sempre.” Ora l’espressione triste era sul viso del fratello, lui che non aveva mai sperimentato quell’amore totale che legava due anime gemelle.

La ragazza gli accarezzò il viso con delicatezza, gli occhi che si riempivano di lacrime.

“Anche se volessimo tornare indietro, non possiamo, abbiamo già inscenato la mia scomparsa, dobbiamo andare avanti con il piano, cinque anni sono già così tanti…”

Lex annuì, non le disse delle voci che stavano accusando lui per quella sparizione, non le disse degli sguardi ostili, del sospetto. Lena avrebbe esitato, avrebbe voluto far tacere quelle voci, si sarebbe sacrificata per lui, ma era Lex il maggiore era lui che doveva occuparsi della sua sorellina.

Quando annuì una seconda volta vi era della decisione sul suo viso.

“Andrà tutto bene.” Disse e Lena sorrise.

“Io e te, assieme, possiamo fare qualsiasi cosa.”

“Siamo Luthor.” Aggiunse lui e poi lasciò andare le mani della sorella e sigillò la camera di stasi che si riempì di gas. “Addio, sorella.” Mormorò, non avrebbe più sofferto. Chiuse gli occhi e aspettò.

Pochi minuti e il cuore di Lena smise di battere. Con attenzione chiuse la bara di vetro in una di legno nero, poi chiamò gli operai affinché l’orologio fosse rimesso al suo posto, fermo, esattamente come il cuore di Lena.

 

Erano passate tre settimane e Kara era tornata a scuola, la routine era di nuovo quella di sempre, i corsi, gli amici, sua sorella, solo una cosa era cambiata: le sue pause pranzo, ora, le passava in mensa o al parco.

Non era più passata davanti all’orologio, perché farlo? Non aveva più senso, era qualcosa del passato, in ogni senso possibile.

Quando aveva detto ad Alex che avrebbe accettato l’invito di uno dei ragazzi privi di anima gemella aveva mentito, non poteva neanche immaginare seriamente di uscire con Mike, James, Winn… o chiunque altro. Sapeva chi amava e quanto, nessuno avrebbe mai potuto reggere il confronto e non sarebbe stato giusto, ma vi era altro nella vita, il lavoro e lo studio per esempio.

“Ehi, Ponytail?” Si voltò verso il suo insegnante di giornalismo, sorpresa.

“Sì, signor Carr?”

“Tieni.” L’uomo, sempre brusco, le tese una lettera, lei la prese incuriosita.

“Di cosa si tratta?” Chiese e lui le lanciò uno sguardo da sopra gli occhiali.

“Non ti hanno insegnato a leggere?” Domandò secco e lei fece ruotare gli occhi, per poi allontanarsi.

Mentre usciva dalla classe aprì la busta e lesse le poche righe. Si bloccò stupefatta a metà corridoio quando giunse alla fine e riconobbe la firma del mandante.

 

“Ti rendi conto? Cat Grant! La regina dei media!”

“Ho capito, Kara.” Il tono di sua sorella era divertito più che esasperato.

È un’occasione unica!”

“Sì, anche questo lo hai già detto cinque o sei volte.”

Alex si infilò in bocca un pezzo di pizza, mentre guardava Kara che camminava su e giù per il suo appartamento.

“Una volta nella vita può succedere una cosa simile. Cat Grant… lavorare per lei è sempre stato il mio sogno! Pensavo che non mi avrebbe risposto, figurarsi, deve ricevere mille lettere simili, ogni settimana e invece…”

“Già.” Commentò lei, sorseggiando il vino rosso.

Kara tornò a fissare la lettera che stringeva tra le mani e che non aveva abbandonato da quando il suo professore gliel’aveva consegnata quel pomeriggio.

“Cosa c’è che non va?” Le chiese Alex, notando la titubanza che prima la ragazza aveva mascherato con un eccessivo entusiasmo.

Cat Grant vuole che io lavori a Metropolis da… subito.” Disse, finalmente Kara.

“Beh… hai sempre voluto passare del tempo con Clark, lui e Lois saranno felici di accoglierti fino a quando non avrai trovato una sistemazione tua e, di certo, potranno anche darti dei consigli.”

Kara annuì, ma si stava mangiucchiando un dito, pensierosa.

“Lo so che ti mancherò, ma Sam vola spesso a Metropolis per lavoro, potrei accompagnarla.” Le fece l’occhiolino e lei sorrise, ma era evidentemente che aveva dell’altro in mente.

“Per i corsi…” Disse allora Kara.

“L’università di Metropolis non avrà difficoltà ad accoglierti, ti basterà fare un cambio di sede, Sam lo ha fatto, bastano un paio di moduli e un paio di telefonate.”

Alex lasciò che la ragazza riflettesse in silenzio, poi si alzò, la raggiunse e le posò una mano sulla spalla, cercando il suo sguardo.

“Credo che sia giunta l’ora di lasciarla andare.” Le disse e Kara alzò lo sguardo su di lei.

“Sì.” Disse soltanto, stringendo il foglio tra le mani. “Sì.”

 

Tutto era diverso, i colori, i suoni, persino l’aria che respirava. Lisciò con la mano la corta giacca che indossava, osservando allo specchio il proprio riflesso. Era agitata, spaventata, forse persino terrorizzata, ma aveva aspettato anche troppo: tre settimane le erano occorse per imparare di nuovo a muoversi, a parlare, semplicemente per ricordarsi chi fosse.

“Stai bene?” Era strana la voce di Lex, così vecchia… lei la ricordava fresca, giovane, piena di forza e vitalità.

“Sì.” Mentì.

“Hai paura, non è vero?” Chiese allora lui, forse erano passati decine di anni, ma suo fratello sapeva ancora cogliere i suoi stati d’animo.

È tutto così… diverso.” Disse, ruotò su se stessa e osservò Lex cercando nei suoi occhi l’uomo che conosceva, andando oltre quell’aspetto anziano e fragile.

“Ti abituerai, hai sempre avuto un animo da esploratrice. Ricordi quando avevi quattro anni e sei arrivata a casa dall’Irlanda? Abbiamo giocato a scacchi e poi ti ho letto un libro.”

“Mille leghe sotto i mari di Verne.” Ricordò lei, sorridendo.

“Sì, non volevi credere che fosse solo finzione, volevi costruire il Nautilus e andare tu stessa sotto il mare per scoprire tutto ciò che nascondeva e poi…”

“La Luna e lo spazio.” Disse lei, annuendo.

“Passata la fissa per il mare, troppo facile da raggiungere, volevi costruire un razzo e andare nello spazio.” Lex sorrideva. “Alla fine hai fatto un viaggio che nessun essere umano crederebbe possibile: hai viaggiato nel tempo.”

“Eppure ho paura, non si tratta più di una fantasia, ma della realtà.” Rimasero in silenzio, Lex sembrò valutare qualcosa poi sospirò.

“Ho conosciuto la ragazza di cui hai parlato per ore mentre guidavo la vettura verso la biblioteca e l’orologio che avevi scelto come luogo di incontro.”

“Cosa?” Lena sgranò gli occhi scioccata da quella rivelazione, tre settimane e non glielo aveva detto? Perché?

“Volevo essere sicuro che fosse la donna che tu credi che sia.”

Lex! È la mia anima gemella!” Sbottò lei, frustrata. “Abbiamo fatto tutta questa follia e tu ancora non sei convinto che sono innamorata di lei?” Arrossì nel dire quelle parole che non aveva mai detto apertamente.

Lex si strinse nelle spalle.

“Non consegnerò la mia sorellina nelle mani di una donna qualsiasi.”

“Quando fai così sei uguale a nostra madre!” Si lasciò sfuggire e vide l’anziano irrigidirsi sulla sedia. “Mi dispiace.” Disse subito.

“Non importa, è morta tanti anni fa.” Lex scosse la testa. “Quello che importa è che ho incontrato la ragazza e…”

“Come si chiama?” Non riuscì a trattenersi dal chiedere Lena. “Mi ha aspettata? Dove posso trovarla?” L’uomo sospirò alle sue domande.

“Non… devi scoprirlo da sola.”

“Andiamo, Lex! Perché?”

“Perché, due anime gemelle trovano sempre un modo, giusto?” Lena corrugò la fronte nel sentirsi ripete la frase che lei stessa si era detta così spesso nei cinque anni passati a trovare un modo per raggiungerla.

“Le hai dato un appuntamento, molti anni fa, vediamo se non lo ha dimenticato.” Concluse Lex, gli occhi che brillavano. “Io credo che, per quanti ostacoli possa mettere tra di voi, vi troverete lo stesso, tu, non credi?”

Lena prese un profondo respiro, poi annuì.

Era giunto il momento di incontrarla.

 

Kara brindò con il sorriso sulle labbra, Alex e i suoi amici erano lì, attorno a lei, Clark le aveva detto che sarebbe stato felicissimo di averla a casa con lui e Lois le aveva detto che sarebbe venuta a prenderla l’indomani all’aeroporto, per prepararla su Cat Grant, qualsiasi cosa volesse dire. Eliza poi le aveva detto che era fiera di lei e che era felice che avesse spiccato il volo verso il suo destino.

“Ci mancherai tantissimo!” Dichiarò Winn. “Dovrai venirci a trovare tutte le volte che hai delle vacanze.” Continuò e lei sorrise.

“Certo che verrà, noi siamo i suoi migliori amici!” Rincarò la dose Mike, che aveva già esagerato con l’alcool.

Dopo una serata passata a chiacchierare era ora di partire, aveva le valige in macchina e James stava facendo ruotare le chiavi tra le dita, segno che era impaziente di mettersi al volante.

“Fate i bravi…” Disse lei osservando i due ragazzi. Erano stati dei buoni amici, malgrado tutto.

“Certo.” Assicurarono, sorridendo. Winn era chiaramente commosso, ma nascose le lacrime dietro ad un sorriso.

Kara annuì ancora, poi si voltò per andarsene.

“Ehi, Kara!” Tornò a voltarsi fissando Mike che l’aveva richiamata. “Mi sono dimenticato di dirti! Sai cos’è successo oggi quando sono passato davanti alla biblioteca?”

Il cuore di Kara si strinse, Winn fece una smorfia e James strinse le labbra, mentre Alex lanciava uno sguardo di fuoco al ragazzo che, come sempre, mancava totalmente di sensibilità e non aveva colto che era un argomento che andava accuratamente evitato.

“Il tuo orologio funzionava! Le lancette funzionavano e tutto! Strano, no?” Chiese e sorrise completamente ignaro del gelo che aveva creato.

Kara rimase immobile per un lungo istante, poi si obbligò a sorridere.

“Non è il mio orologio…” Disse, si voltò e uscì nell’aria tiepida della sera.

 

Lena osservava le lancette muoversi rapide. Il mondo attorno a lei era cambiato, ma quel dettaglio no, l’orologio, ora che era tornato a funzionare, si muoveva regolare come un tempo.

Lex aveva voluto che si fermasse, così come il suo cuore, che, come per lei, il tempo smettesse di scorrere e che riprendesse solo quando lei avesse ripreso a vivere.

Eppure, osservando l’orologio, sola su quella scalinata, come tanti anni prima, Lena si chiese se non avesse fatto un terribile errore.

Forse era troppo tardi, forse la sua anima gemella aveva deciso che cinque anni fossero troppi, che quell’attesa non aveva senso, forse era andata avanti. E se non poteva aspettare cinque anni, allora, che senso aveva?

Ricordava ancora le parole di suo fratello, molti anni prima per lui, ma solo un istante, per lei: lei aspetterà per sempre. Così aveva detto.

Eppure… eppure era sola davanti all’orologio.

“Va tutto bene, miss? Le chiamo un taxi o…?” Le chiese l’inserviente della biblioteca, doveva averla vista ferma lì dalle due di quel pomeriggio, ferma a fissare l’orologio.

“No, la ringrazio, signore. Va tutto bene.” Assicurò anche se non era vero.

Rabbrividì malgrado l’aria di National City fosse tiepida anche adesso che il sole era tramontato.

Era stata una follia quella sua e di suo fratello? Avrebbe dovuto vivere in un mondo che non conosceva da sola? Senza la consolazione di scoprirlo con accanto la donna di cui si era innamorata?

Aveva viaggiato nel tempo, chiusa in una capsula di stasi, sfidando ogni legge della fisica e della chimica solo per poi rimpiangerlo?

No.

Per l’ennesima volta quel giorno strinse i pugni e decise che non avrebbe ceduto allo sconforto. Avrebbe atteso, ignorando il maggiordomo di Lex nella berlina nera, fino a quando lei non sarebbe arrivata, perché, quella era la regola: le anime gemelle trovavano sempre un modo, sempre.

 

James guidava in silenzio. Alex non aveva potuto accompagnarla a causa di un corso notturno e James si era proposto. Kara guardava la città scorrere sotto i suoi occhi, ma la sua mente era altrove.

Aveva deciso di andare avanti, eppure quella sera sentiva qualcosa tirarla inesorabilmente verso l’unico posto in città che voleva evitare.

“James…” Disse, voltandosi verso il ragazzo.

“Sì?”

“Portami alla biblioteca.”

“Non credo sia una buona idea.” Le rispose lui, teso adesso.

“Lo so, è una pessima idea, ma non importa. Devo vederlo, un’ultima volta.”

“Dobbiamo andare all’aeroporto.” Insistette lui.

“James. Lo so che non capisci, lo so che reputi tutta questa storia un’assurdità, ma io… l’amo e non riesco a dirle addio. Forse dovrei, ma non ci riesco.”

“Forse dovresti provare a lasciarla andare, una volta per tutte.” Insistette lui.

“Tu lasceresti andare la cosa più bella che possiedi? La più preziosa? La più unica? Quella destinata a completarti e che tu sei destinato a completare? La lasceresti andare così facilmente?”

“Sono passati cinque anni. Cinque anni hai aspettato sotto quell’orologio, cosa credi che possa essere cambiato?”

“Le lancette si muovono.” Rispose lei, quasi bisbigliando. “Non può essere un caso, tutta questa storia, non può essere priva di senso. Devo… devo vederlo, con i miei occhi, devo sapere che lei non è lì ad aspettarmi.”

“Hai detto che è morta, cento anni fa!” Le ricordò lui.

È scomparsa… solo scomparsa e suo fratello è ancora vivo.”

“Vuoi dirmi che vorresti vederla? Anche se fosse una centenaria?” Kara ruotò lo sguardo su di lui e lo fissò senza parole.

“Stai scherzando? Credi davvero che mi importi? Poterla vedere di nuovo, anche solo per un’ora, per un minuto mi basterebbe. Oh, mi spezzerebbe il cuore doverle dire addio, ma, non importa, mi sono innamorata di lei in un sogno, cosa credi che proverei nel vederla davvero? Nel stringere le sue mani, nel guardare nei suoi meravigliosi occhi?”

James scosse la testa.

“Va bene.” Disse alla fine, ma era evidente che non capiva, era evidente che non avrebbe capito mai.

Una decina di minuti e l’auto si fermò davanti alla bianca scalinata.

Kara scese di corsa, chiuse la portiera e si bloccò. Il suo cuore fece una capriola e tutto il sangue sembrò fluirle in testa per poi abbandonarla lasciandola con la testa leggera.

Sbatté gli occhi più volte cercando di dare un senso a quello che vedeva, stava forse impazzendo? Stava forse inventando?

Fece un passo avanti e poi un secondo, la figura era di spalle, ma lei non poteva sbagliarsi, no, quella era…

 

Lena si voltò, attirata come un magnete. Le sue pupille di dilatarono, mentre lei si ritrovava ad osservare una ragazza dallo sguardo sconvolto.

 

“Sei… com’è possibile? Io credevo che tu…” Kara balbettava, se ne rese conto, ma non riuscì a smettere.

“Sì.” Disse soltanto lei e la sua voce era piena di emozione. Ed era lei, lei! La sua folle, assurda idea, la sua pazzesca speranza era risultata vera!

 

Era lei, ogni parte del suo corpo glielo stava urlando ed era così intenso, così folle e al contempo sicuro.

Sorrise e vide la ragazza imitarla. Era il più bel sorriso che avesse mai visto, esattamente come lo ricordava, esattamente come lo amava.

Tese la mano e la giovane la afferrò. Tremava un poco e lei sorrise un po’ di più.

“Lena.” Si presentò. “Lena Luthor, nata nel 1903.”

“Oh.” Le disse la ragazza, sembrava sconvolta, incredula eppure tenacemente aggrappata a quel momento. “Io… ehm, io sono Kara Danvers e sono nata nel 2003.”

Cento anni. Cento anni a dividerle eppure ora erano lì, una di fronte all’altra e si sorridevano.

“Ricordate…?” Chiese e la ragazza annuì.

“Certo. Come potrei dimenticare?”

 

Si sentiva al sicuro, al caldo, a… casa. Si guardò attorno lasciando che quella sensazione di benessere la cullasse.

“Ciao.” Disse soltanto, quando seppe di non essere più sola.

“Salve.” Rispose una voce femminile. Kara sorrise, una donna dunque, ad Alex sarebbe piaciuto.

“Mi chiamo Kara.” Si presentò, cercando con lo sguardo la figura della sua interlocutrice, non la vide, ma non se ne preoccupò, stava così bene in quel posto.

“Siete una ragazza.” Disse perplessa la giovane di cui non conosceva ancora il nome. “Lex ne sarà divertito.”

Lex?” Chiese ruotando piano su se stessa, sapeva che era lì, da qualche parte.

“Mio fratello. Avete fratelli o sorelle?”

“Una sorella: Alex.” Il silenzio si protrasse, poi Kara vide un’ombra davanti a lei. Sorrise.

“Il mio nome è Lena.” Disse, infine, la giovane e comparve davanti a lei.

Il cuore di Kara batté veloce: era bella. La pelle chiara, il viso dalle linee decise, gli occhi che brillavano di emozione, malgrado la postura composta, i capelli scuri, raccolti in un chignon.

“Sei molto bella.” Affermò e nel vedere le guance della giovane imporporarsi un poco arrossì a sua volta. “Scusa…” Mormorò abbassando il capo.

“Era un complimento e, a meno che voi non abbiate mentito, non dovreste scusarvi.” La voce della giovane era spigliata e sicura, anche se parlava in un modo un po’ bizzarro. Kara si chiese se fosse straniera, chi altri poteva dare del voi al suo interlocutore se non uno straniero? Magari era inglese, magari era nobile…

“Non ho mentito.” Assicurò, tenendo per sé le sue considerazioni.

“Bene, perché anche io non mentirò nel dire che trovo voi molto bella.”

Gli occhi della giovane cercarono i suoi e Kara si ritrovò a sorridere come una sciocca.

Si avvicinarono una all’altra un sorriso felice sulle labbra.

“Ditemi, parlate sempre così schiettamente?”

“E tu dai sempre del voi alle persone?” Ritorse Kara.

“Prima voi.” Gli occhi di Lena brillarono di divertimento.

“Sì… no… non lo so, dipende. A volte la mia bocca dice cose che dovrebbero restare solo nel mio cervello e altre volte tengo chiuse nel mio cuore cose che dovrebbero, invece, giungere alla mia bocca.” Era così facile parlare in quel luogo, con lei. “Per esempio non ho mai detto ad Alex quanto io sia felice di averla come sorella.”

Lena la ascoltava, attenta.

“Sono stata adottata… all’inizio ci odiavamo, ma ora non potrei immaginare la mia vita senza di lei. Vorrei dirglielo, ma poi… mi sembra sciocco.”

È una cosa bella, non sciocca.” Affermò Lena, erano sotto un cielo stellato ora, sedute tra l’erba calda e confortevole. Parlarono, parlarono e parlarono, sembrava che non ci fosse nulla che non potessero condividere della loro vita. Il tempo sembrava non passare in quel luogo di assoluto benessere. Più volte Kara si chiese come potesse essere così fortunata, come fosse possibile che la sua anima gemella fosse così speciale, così unica, intelligente, brillante, generosa, divertente, bella… oh, così bella. Un refolo di vento giocò con i capelli scuri della giovane e Kara alzò la mano spingendo la ciocca ribelle dietro all’orecchio di Lena. La giovane ruotò lo sguardo, i suoi occhi brillavano, un sorriso decorò le sue labbra.

Kara desiderò baciarla e quel pensiero le fece battere veloce il cuore. Arrossì e distolse lo sguardo, fissando il cielo.

“Mi piace che arrossiate per me.” Mormorò Lena e Kara, questa volta, sentì le guance bruciare.

“Parli sempre così?” Domandò, perché era la prima cosa che le venne in mente e la ragazza non aveva ancora risposto.

“Sì, mia madre non permetterebbe mai che io mi esprima in forma non adeguata alla mia famiglia.” La linea della mascella della giovane si era indurita. Kara allungò la mano posandola su quella della giovane.

“Mi piace.” Assicurò e la giovane la guardò sorpresa. “Sì, fa tanto… ottocento. Di certo non duemiladiciotto!” Sorrise, ma Lena alzò un sopracciglio perplessa.

“Cosa intendete dire?” Chiese, poi ruotò il capo. Sotto le dita di Kara la mano della giovane divenne solo più ombra.

“No, non te ne andare, non ancora!” Disse, agitandosi. La giovane si voltò verso di lei, alzò la mano e Kara la imitò, le loro mani si incrociarono a mezzaria, senza però toccarsi.

“Sotto l’orologio, alle 14.00. Ci sarete?”

La voce della giovane era solo più un lontano eco, la sua forma solo un’ombra. Kara si spinse avanti cercando di afferrarla, di trattenerla tra le proprie braccia, anche solo per un istante.

“Sì! Sì!” Urlò, ma era sola, abbassò la mano e aprì gli occhi.

 

Lena alzò la mano e Kara la imitò all’istante, intrecciando le loro dita, come quella notte, come nel sogno, ma questa volta incontrando un corpo caldo e solido.

Per un istante rimasero entrambe in silenzio, poi le loro dita si strinsero e le due ragazze caddero una nell’abbraccio dell’altra.

“Pensavo di averti persa per sempre.” Osò dire Kara con lacrime di gioia che scendeva lungo il viso.

“Mi dispiace avervi fatto aspettare.” Rispose Lena e Kara scosse la testa, distanziandosi da lei e guardandola in viso.

“No, no, avrei aspettato ancora… io…” Scosse di nuovo la testa. “Stavo per cedere, ma ti avrei portata per sempre nel mio cuore, nessuno, mai, avrebbe potuto prendere il tuo posto.”

Lena arrossì un poco e Kara, come nel sogno, la imitò.

“Parlo sempre troppo, vero?”

“No, siete perfetta.” A quelle parole il suo viso si imporporò ancora, ma Lena non distolse lo sguardo. “Lex ha voluto testarvi, ancora una volta, non era sicuro che voi foste degna di me… per questo vi ha detto solo parte della verità.”

“Mi ha fatto credere che tu fossi morta.” Disse, con una punta di rabbia nella voce.

“Ma siete venuta qua lo stesso.” Puntualizzò Lena. “Questo voleva lui, non ha mai sognato la sua anima gemella e, malgrado tutto, è un uomo di scienza, non crede se non vede, in più ha sempre avuto un’inclinazione per le macchinazioni e immagino che con l’età non sia migliorato.” Sorrise nel pensare al fratello e Kara sentì la rabbia svanire, dopo tutto erano lì, adesso.

Rimasero in silenzio, gli occhi che scrutavano l’altra, curiosi, in parte ancora increduli, le loro mani erano strette, le loro dita intrecciate.

“Mi racconterai mai come può, una ragazza nata più di cento anni fa, stare davanti a me, bella come quando aveva quindici anni?”

“Ne ho venti adesso.” Precisò lei, sorridendo al complimento, poi il suo sguardo si addolcì. “Ci sarà tempo per i dettagli, ora ho molto da scoprire.”

“Un intero mondo, certo, sarai curiosa…” Acconsentì Kara, ma Lena scosse la testa, un sorriso sulle labbra.

“Non il mondo: voi. Solo voi.”

Kara arrossì, mentre Lena alzava la mano libera dal loro intreccio di dita e le accarezzava il viso.

“Ho dormito a lungo, ma solo un sogno ha occupato la mia mente: voi. Ho dimenticato persino il mio nome, ma non le linee del vostro viso.” Le sorrise ancora, gli occhi che brillavano di emozioni, intelligenza e ora anche di divertita ironia. “Ho molto da scoprire su di… te, Kara Danvers.”

Sorrise al nuovo modo di parlare. Una ciocca di capelli sfuggì al suo chignon, e Kara fu rapida a raccoglierla, spingendola dietro al suo orecchio, la sua mano esitò nell’accarezzarle la guancia, mentre provava lo stesso desiderio provato nel sogno, cinque anni prima. Allora aveva esitato, credendo di avere un’intera vita davanti per farlo, ma ora non esitò.

Con deliberata lentezza si avvicinò al viso di Lena, poi chiuse gli occhi e la baciò.

Lo avevano rincorso, ma ora era stretto tra le loro mani: Kara e Lena avevano raggiunto il loro destino.

 

 

Note: Fine!

Sì, non resisto, si amano e si trovano anche in questa storia! Neanche il tempo può qualcosa contro l’amore di Kara e Lena.

 

Questo era il prompt: A BRIDGE ACROSS TIME (SoulmateAU/TimeTravel): A e B sono destinate l’una all’altra, ma vivono in due epoche diverse.

Non so cosa ne pensiate voi, ma coniugare una soulmate con una time travel sulle prime, mi sembrava davvero difficile, perché? Avrei potuto creare una storia sul viaggio nel tempo, far incontrare Kara e Lena e farle innamorare, facile, ma come inserire la postilla soulmate? Oppure il contrario, avrei potuto creare Kara e Lena come anime gemelle in un mondo di anime gemelle, ma come poteva funzionare se erano divise dal tempo stesso?

Sono convinta che vi siano infiniti modi per venire a patti con questo prompt, io stessa ho scritto metà di un’altra storia prima di propendere per questa quindi… ma, sì, non era così semplice come al solito.

Spero che la mia soluzione vi sia piaciuta, fatemi sapere!

 

Grazie mille per essere giunte alla fine, ho un’altra piccola storia in attesa di essere revisionata e pubblicata, quindi… a presto!

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