Parte II
L’orologio batté le due, Lena si guardò attorno con il cuore che correva
veloce.
Dov’era? Aveva detto che sarebbe venuta, quella strana, dolce, adorabile
ragazza aveva detto che sarebbe venuta. Ne era sicura, eppure erano le due e
cinque minuti e nessuna ragazza dai biondi capelli, gli occhi azzurri più belli
che avesse mai visto e il sorriso più dolce e contagioso del mondo, si stava
facendo avanti per incontrarla.
Lena fece ruotare l’ombrellino verde, torturandosi il labbro con i denti.
Vi era un dubbio, un dubbio assurdo che però, ogni minuto che passava, si
faceva più forte. La ragazza, di cui non sapeva il nome, ma che avrebbe
riconosciuto tra mille, aveva detto una cosa molto strana…
“Miss Luthor, posso esserle d’aiuto?” L’uomo,
un amico di suo padre, si sfiorò il cilindro in un gentile cenno di saluto.
“Grazie, signor Hunter, sto aspettando una persona.” Disse e il signore
alzò appena un sopracciglio.
“Miss… siete giovane per rimanere da sola in un luogo pubblico,
permettetemi di accompagnarvi a casa o…”
“Mister Hunter, mia sorella non è sola.” Lex
fece un sorriso a Lena e all’uomo che chinò il capo davanti all’erede dei Luthor.
“Ne sono rassicurato, scusate la mia ingerenza, allora.”
“Siete gentile a preoccuparvi.” Rispose Lex.
“Ma, come vedete, mia sorella non ha bisogno di chaperon.”
“Ma certo, ma certo.” L’uomo chinò di nuovo il capo sfiorandosi il
cappello e poi si allontanò, in imbarazzo.
“Lena…” Iniziò Lex, abbandonando l’aria sicura
per una preoccupata.
“Non è venuta… non…” Abbassò il capo, mentre il fratello le posava una
mano sul braccio.
“Vedrai che scopriremo cos’è successo.”
“Lex e se fosse… se avessi capito bene? Se lei
fosse…” Lex la guardò con uno sguardo addolorato che
però sostituì subito con uno deciso. “Lo sai che io e te assieme possiamo fare
qualsiasi cosa, vero? Siamo dei Luthor! Troveremo un
modo per risolvere anche questa…”
“Non è qualcosa che può essere risolto!” Esplose lei, attirando lo
sguardo di un’elegante coppia di signori.
“Tutto può essere risolto. Troveremo un modo.” Nei suoi occhi brillò una
tale determinazione che Lena gli credette e il suo cuore osò sperare.
Cinque anni dopo Lex Luthor
era sulla stessa scalinata, ed era solo. Aveva perso i capelli e gli occhi che
si posavano su di lui erano ostili e pieni di sospetto, ma Lex
non vi badava, mentre osservava i suoi operai staccare l’orologio dalla parete
della biblioteca.
I suoi brillanti occhi azzurri si muovevano rapidi nel valutare l’oggetto
che aveva davanti.
“Molto bene, portatelo a casa e chiamate il mio avvocato.”
Quando arrivò a casa di Alex fu Sam
ad aprile. La giovane non le chiese nulla, invece la fece entrare e sistemò su
di lei una coperta quando vide che si raggomitolava sul divano.
Alex arrivò una ventina di minuti
dopo, lanciò uno sguardo alla compagna e poi a lei. Kara tirò i piedi verso il
ventre lasciando alla sorella lo spazio per sedersi.
Rimasero in silenzio per un lungo
istante, poi la più giovane delle Danvers parlò.
“Ricordi quando ti ho raccontato del
Sogno Condiviso?”
“Certo.” Le rispose, come si poteva
dimenticare il fiume in piena che era stata Kara nelle due ore che erano
passate da quando si era svegliata a quando erano giunte sotto l’orologio?
“Ricordi che ti ho detto che…” Si
interruppe un istante, Alex attese e la ragazza proseguì. “Lei… lei aveva quel
modo adorabile di parlare un po’…” Una lacrima scivolò lungo il viso di Kara e
Alex si morse un labbro affranta.
“Antico?” La aiutò e Kara annuì.
Ricordava bene le ipotesi di Kara sul linguaggio forbito ed elegante usato
dalla sua anima gemella.
“So come si chiama.” Alex sgranò gli
occhi, sorpresa dalla brusca rivelazione.
“Davvero? Ma allora… l’hai trovata?
Le è successo qualcosa?” Chiese, incapace di trattenersi ora che sembrava che,
finalmente, quel mistero durato cinque anni stesse per essere svelato.
“Lena Luthor.”
Alex sbatté gli occhi sorpresa. Ricordava quel nome, era annotato tra gli
appunti di Kara, scritto in grande, cerchiato in rosso, non le era sfuggito
quando vi aveva buttato uno sguardo in biblioteca, solo poche ore prima.
“Lena Luthor?
Ma…”
“Ho visto un suo dipinto, ho
conosciuto suo fratello.” Disse la giovane con tono piatto.
“Non ha senso. Lex
dovrebbe avere…”
“Centoventisei anni.” La informò Kara
che doveva aver avuto il tempo di fare i calcoli.
“Nessuno può vivere tanto a lungo.”
Decretò allora Alex, ma la minore sembrava decisamente convinta visto che non
tentò neppure di spiegare la sua affermazione.
“Ho visto un dipinto di… era un po’
più vecchia, ma l’ho sentito, dentro di me l’ho sentito: era lei.”
“Non può essere… vorrebbe dire che…”
“Davanti a quell’orologio, quel
giorno, io aspettavo qualcuno che era sparito novantacinque anni prima.”
Kara si tirò a sedere e fissò la
sorella, ora il suo viso era asciutto. “Lei avrà aspettato qualcuno che doveva
nascere ottantacinque anni dopo?”
“Kara…” Alex non sapeva cosa dire,
era mai successa una cosa simile? Anime gemelle nate in epoche diverse? Era…
possibile?
“È finita. Ora so la verità, suo
fratello me l’ha mostrata, non so perché adesso invece che subito, ma quello
che importa è che è successo. Non posso fingere di non crederci, perché… perché
lo so.” Si portò le mani al petto e strinse, come se volesse soffocare il
dolore semplicemente comprimendolo con la forza.
Guardò sua sorella e la sua maschera
di indifferenza si ruppe.
“Perché? Perché fa ancora così male?”
Lena entrò nella bara di vetro con il cuore che batteva veloce.
“Sei sicura?” Le chiese Lex, avevano costruito
quel macchinario assieme, cinque anni di pianificazione, studio,
sperimentazione ed erano giunti a quel momento, ma lui, per la prima volta,
esitava.
Lena gli prese la mano e la strinse, un sorriso dolce sulle labbra,
quell’aria triste negli occhi, un’espressione che lui aveva immortalato solo
pochi giorni prima, dipingendola. Quella tristezza era stata una costante in
quei cinque anni, qualcosa che, malgrado ridesse o scherzasse, non
l’abbandonava mai.
“Lex, ti voglio bene, sei il mio fratellone,
ma… una vita senza di lei…” Scosse la testa sorridendo ancora un poco. “Vedrai
che funzionerà, sei un genio, tu hai creato il gas che inalerò e io mi fido di
te, pienamente.”
“Il mio gas non basterà se la camera di stasi che hai creato non
funzionasse.” Ritorse lui.
“Stai mettendo in dubbio il mio lavoro?” Domandò con aria divertita.
“No, certo che no… ma non voglio perderti.”
“Funzionerà.” Assicurò lei.
“Se anche funzionasse… quando potrò risvegliarti sarò un uomo vecchio e
questo sperando che io riesca a far funzionare quel siero per allungare la vita
che per ora è solo un’idea vaga nella mia mente! Perché non aspettiamo ancora
un po’? Due anni, massimo tre e potremmo essere più sicuri…”
“Lex.” Lena ora era seria e gli strinse
entrambe le mani. “Ogni giorno, ogni giorno è un giorno in cui lei aspetta.
Potrebbe smettere di attendere, potrebbe stufarsi e…”
“Oh, Lena… se ti ama tanto quanto tu ami lei allora aspetterà per
sempre.” Ora l’espressione triste era sul viso del fratello, lui che non aveva
mai sperimentato quell’amore totale che legava due anime gemelle.
La ragazza gli accarezzò il viso con delicatezza, gli occhi che si
riempivano di lacrime.
“Anche se volessimo tornare indietro, non possiamo, abbiamo già inscenato
la mia scomparsa, dobbiamo andare avanti con il piano, cinque anni sono già
così tanti…”
Lex annuì, non le disse delle voci che
stavano accusando lui per quella sparizione, non le disse degli sguardi ostili,
del sospetto. Lena avrebbe esitato, avrebbe voluto far tacere quelle voci, si
sarebbe sacrificata per lui, ma era Lex il maggiore
era lui che doveva occuparsi della sua sorellina.
Quando annuì una seconda volta vi era della decisione sul suo viso.
“Andrà tutto bene.” Disse e Lena sorrise.
“Io e te, assieme, possiamo fare qualsiasi cosa.”
“Siamo Luthor.” Aggiunse lui e poi lasciò
andare le mani della sorella e sigillò la camera di stasi che si riempì di gas.
“Addio, sorella.” Mormorò, non avrebbe più sofferto. Chiuse gli occhi e
aspettò.
Pochi minuti e il cuore di Lena smise di battere. Con attenzione chiuse
la bara di vetro in una di legno nero, poi chiamò gli operai affinché l’orologio
fosse rimesso al suo posto, fermo, esattamente come il cuore di Lena.
Erano passate tre settimane e Kara
era tornata a scuola, la routine era di nuovo quella di sempre, i corsi, gli
amici, sua sorella, solo una cosa era cambiata: le sue pause pranzo, ora, le
passava in mensa o al parco.
Non era più passata davanti
all’orologio, perché farlo? Non aveva più senso, era qualcosa del passato, in
ogni senso possibile.
Quando aveva detto ad Alex che
avrebbe accettato l’invito di uno dei ragazzi privi di anima gemella aveva
mentito, non poteva neanche immaginare seriamente di uscire con Mike, James, Winn… o chiunque altro. Sapeva chi amava e quanto, nessuno
avrebbe mai potuto reggere il confronto e non sarebbe stato giusto, ma vi era
altro nella vita, il lavoro e lo studio per esempio.
“Ehi, Ponytail?”
Si voltò verso il suo insegnante di giornalismo, sorpresa.
“Sì, signor Carr?”
“Tieni.” L’uomo, sempre brusco, le
tese una lettera, lei la prese incuriosita.
“Di cosa si tratta?” Chiese e lui le
lanciò uno sguardo da sopra gli occhiali.
“Non ti hanno insegnato a leggere?”
Domandò secco e lei fece ruotare gli occhi, per poi allontanarsi.
Mentre usciva dalla classe aprì la
busta e lesse le poche righe. Si bloccò stupefatta a metà corridoio quando
giunse alla fine e riconobbe la firma del mandante.
“Ti rendi conto? Cat
Grant! La regina dei media!”
“Ho capito, Kara.” Il tono di sua
sorella era divertito più che esasperato.
“È un’occasione unica!”
“Sì, anche questo lo hai già detto
cinque o sei volte.”
Alex si infilò in bocca un pezzo di
pizza, mentre guardava Kara che camminava su e giù per il suo appartamento.
“Una volta nella vita può succedere
una cosa simile. Cat Grant… lavorare per lei è sempre
stato il mio sogno! Pensavo che non mi avrebbe risposto, figurarsi, deve
ricevere mille lettere simili, ogni settimana e invece…”
“Già.” Commentò lei, sorseggiando il
vino rosso.
Kara tornò a fissare la lettera che
stringeva tra le mani e che non aveva abbandonato da quando il suo professore
gliel’aveva consegnata quel pomeriggio.
“Cosa c’è che non va?” Le chiese
Alex, notando la titubanza che prima la ragazza aveva mascherato con un
eccessivo entusiasmo.
“Cat Grant
vuole che io lavori a Metropolis da… subito.” Disse,
finalmente Kara.
“Beh… hai sempre voluto passare del
tempo con Clark, lui e Lois saranno felici di accoglierti fino a quando non
avrai trovato una sistemazione tua e, di certo, potranno anche darti dei
consigli.”
Kara annuì, ma si stava
mangiucchiando un dito, pensierosa.
“Lo so che ti mancherò, ma Sam vola
spesso a Metropolis per lavoro, potrei
accompagnarla.” Le fece l’occhiolino e lei sorrise, ma era evidentemente che
aveva dell’altro in mente.
“Per i corsi…” Disse allora Kara.
“L’università di Metropolis
non avrà difficoltà ad accoglierti, ti basterà fare un cambio di sede, Sam lo
ha fatto, bastano un paio di moduli e un paio di telefonate.”
Alex lasciò che la ragazza
riflettesse in silenzio, poi si alzò, la raggiunse e le posò una mano sulla
spalla, cercando il suo sguardo.
“Credo che sia giunta l’ora di
lasciarla andare.” Le disse e Kara alzò lo sguardo su di lei.
“Sì.” Disse soltanto, stringendo il
foglio tra le mani. “Sì.”
Tutto era diverso, i colori, i suoni,
persino l’aria che respirava. Lisciò con la mano la corta giacca che indossava,
osservando allo specchio il proprio riflesso. Era agitata, spaventata, forse
persino terrorizzata, ma aveva aspettato anche troppo: tre settimane le erano
occorse per imparare di nuovo a muoversi, a parlare, semplicemente per
ricordarsi chi fosse.
“Stai bene?” Era strana la voce di Lex, così vecchia… lei la ricordava fresca, giovane, piena
di forza e vitalità.
“Sì.” Mentì.
“Hai paura, non è vero?” Chiese
allora lui, forse erano passati decine di anni, ma suo fratello sapeva ancora
cogliere i suoi stati d’animo.
“È tutto così… diverso.” Disse, ruotò
su se stessa e osservò Lex cercando nei suoi occhi
l’uomo che conosceva, andando oltre quell’aspetto anziano e fragile.
“Ti abituerai, hai sempre avuto un
animo da esploratrice. Ricordi quando avevi quattro anni e sei arrivata a casa
dall’Irlanda? Abbiamo giocato a scacchi e poi ti ho letto un libro.”
“Mille leghe sotto i mari di Verne.”
Ricordò lei, sorridendo.
“Sì, non volevi credere che fosse
solo finzione, volevi costruire il Nautilus e andare tu stessa sotto il mare
per scoprire tutto ciò che nascondeva e poi…”
“La Luna e lo spazio.” Disse lei,
annuendo.
“Passata la fissa per il mare, troppo
facile da raggiungere, volevi costruire un razzo e andare nello spazio.” Lex sorrideva. “Alla fine hai fatto un viaggio che nessun
essere umano crederebbe possibile: hai viaggiato nel tempo.”
“Eppure ho paura, non si tratta più
di una fantasia, ma della realtà.” Rimasero in silenzio, Lex
sembrò valutare qualcosa poi sospirò.
“Ho conosciuto la ragazza di cui hai
parlato per ore mentre guidavo la vettura verso la biblioteca e l’orologio che
avevi scelto come luogo di incontro.”
“Cosa?” Lena sgranò gli occhi
scioccata da quella rivelazione, tre settimane e non glielo aveva detto?
Perché?
“Volevo essere sicuro che fosse la
donna che tu credi che sia.”
“Lex! È la mia anima gemella!” Sbottò lei,
frustrata. “Abbiamo fatto tutta questa follia e tu ancora non sei convinto che
sono innamorata di lei?” Arrossì nel dire quelle parole che non aveva mai detto
apertamente.
Lex si strinse nelle spalle.
“Non consegnerò la mia sorellina
nelle mani di una donna qualsiasi.”
“Quando fai così sei uguale a nostra
madre!” Si lasciò sfuggire e vide l’anziano irrigidirsi sulla sedia. “Mi
dispiace.” Disse subito.
“Non importa, è morta tanti anni fa.”
Lex scosse la testa. “Quello che importa è che ho
incontrato la ragazza e…”
“Come si chiama?” Non riuscì a
trattenersi dal chiedere Lena. “Mi ha aspettata? Dove posso trovarla?” L’uomo
sospirò alle sue domande.
“Non… devi scoprirlo da sola.”
“Andiamo, Lex!
Perché?”
“Perché, due anime gemelle trovano
sempre un modo, giusto?” Lena corrugò la fronte nel sentirsi ripete la frase
che lei stessa si era detta così spesso nei cinque anni passati a trovare un
modo per raggiungerla.
“Le hai dato un appuntamento, molti
anni fa, vediamo se non lo ha dimenticato.” Concluse Lex,
gli occhi che brillavano. “Io credo che, per quanti ostacoli possa mettere tra
di voi, vi troverete lo stesso, tu, non credi?”
Lena prese un profondo respiro, poi
annuì.
Era giunto il momento di incontrarla.
Kara brindò con il sorriso sulle
labbra, Alex e i suoi amici erano lì, attorno a lei, Clark le aveva detto che
sarebbe stato felicissimo di averla a casa con lui e Lois le aveva detto che
sarebbe venuta a prenderla l’indomani all’aeroporto, per prepararla su Cat Grant, qualsiasi cosa volesse dire. Eliza
poi le aveva detto che era fiera di lei e che era felice che avesse spiccato il
volo verso il suo destino.
“Ci mancherai tantissimo!” Dichiarò Winn. “Dovrai venirci a trovare tutte le volte che hai
delle vacanze.” Continuò e lei sorrise.
“Certo che verrà, noi siamo i suoi
migliori amici!” Rincarò la dose Mike, che aveva già esagerato con l’alcool.
Dopo una serata passata a
chiacchierare era ora di partire, aveva le valige in macchina e James stava
facendo ruotare le chiavi tra le dita, segno che era impaziente di mettersi al
volante.
“Fate i bravi…” Disse lei osservando
i due ragazzi. Erano stati dei buoni amici, malgrado tutto.
“Certo.” Assicurarono, sorridendo. Winn era chiaramente commosso, ma nascose le lacrime dietro
ad un sorriso.
Kara annuì ancora, poi si voltò per
andarsene.
“Ehi, Kara!” Tornò a voltarsi
fissando Mike che l’aveva richiamata. “Mi sono dimenticato di dirti! Sai cos’è
successo oggi quando sono passato davanti alla biblioteca?”
Il cuore di Kara si strinse, Winn fece una smorfia e James strinse le labbra, mentre
Alex lanciava uno sguardo di fuoco al ragazzo che, come sempre, mancava
totalmente di sensibilità e non aveva colto che era un argomento che andava
accuratamente evitato.
“Il tuo orologio funzionava! Le lancette
funzionavano e tutto! Strano, no?” Chiese e sorrise completamente ignaro del
gelo che aveva creato.
Kara rimase immobile per un lungo
istante, poi si obbligò a sorridere.
“Non è il mio orologio…” Disse, si
voltò e uscì nell’aria tiepida della sera.
Lena osservava le lancette muoversi
rapide. Il mondo attorno a lei era cambiato, ma quel dettaglio no, l’orologio,
ora che era tornato a funzionare, si muoveva regolare come un tempo.
Lex aveva voluto che si fermasse, così
come il suo cuore, che, come per lei, il tempo smettesse di scorrere e che
riprendesse solo quando lei avesse ripreso a vivere.
Eppure, osservando l’orologio, sola
su quella scalinata, come tanti anni prima, Lena si chiese se non avesse fatto
un terribile errore.
Forse era troppo tardi, forse la sua
anima gemella aveva deciso che cinque anni fossero troppi, che quell’attesa non
aveva senso, forse era andata avanti. E se non poteva aspettare cinque anni,
allora, che senso aveva?
Ricordava ancora le parole di suo
fratello, molti anni prima per lui, ma solo un istante, per lei: lei aspetterà
per sempre. Così aveva detto.
Eppure… eppure era sola davanti
all’orologio.
“Va tutto bene, miss? Le chiamo un
taxi o…?” Le chiese l’inserviente della biblioteca, doveva averla vista ferma
lì dalle due di quel pomeriggio, ferma a fissare l’orologio.
“No, la ringrazio, signore. Va tutto
bene.” Assicurò anche se non era vero.
Rabbrividì malgrado l’aria di
National City fosse tiepida anche adesso che il sole era tramontato.
Era stata una follia quella sua e di
suo fratello? Avrebbe dovuto vivere in un mondo che non conosceva da sola?
Senza la consolazione di scoprirlo con accanto la donna di cui si era
innamorata?
Aveva viaggiato nel tempo, chiusa in
una capsula di stasi, sfidando ogni legge della fisica e della chimica solo per
poi rimpiangerlo?
No.
Per l’ennesima volta quel giorno
strinse i pugni e decise che non avrebbe ceduto allo sconforto. Avrebbe atteso,
ignorando il maggiordomo di Lex nella berlina nera,
fino a quando lei non sarebbe arrivata, perché, quella era la regola: le anime
gemelle trovavano sempre un modo, sempre.
James guidava in silenzio. Alex non
aveva potuto accompagnarla a causa di un corso notturno e James si era
proposto. Kara guardava la città scorrere sotto i suoi occhi, ma la sua mente
era altrove.
Aveva deciso di andare avanti, eppure
quella sera sentiva qualcosa tirarla inesorabilmente verso l’unico posto in
città che voleva evitare.
“James…” Disse, voltandosi verso il
ragazzo.
“Sì?”
“Portami alla biblioteca.”
“Non credo sia una buona idea.” Le
rispose lui, teso adesso.
“Lo so, è una pessima idea, ma non
importa. Devo vederlo, un’ultima volta.”
“Dobbiamo andare all’aeroporto.”
Insistette lui.
“James. Lo so che non capisci, lo so
che reputi tutta questa storia un’assurdità, ma io… l’amo e non riesco a dirle
addio. Forse dovrei, ma non ci riesco.”
“Forse dovresti provare a lasciarla
andare, una volta per tutte.” Insistette lui.
“Tu lasceresti andare la cosa più
bella che possiedi? La più preziosa? La più unica? Quella destinata a completarti
e che tu sei destinato a completare? La lasceresti andare così facilmente?”
“Sono passati cinque anni. Cinque
anni hai aspettato sotto quell’orologio, cosa credi che possa essere cambiato?”
“Le lancette si muovono.” Rispose
lei, quasi bisbigliando. “Non può essere un caso, tutta questa storia, non può
essere priva di senso. Devo… devo vederlo, con i miei occhi, devo sapere che
lei non è lì ad aspettarmi.”
“Hai detto che è morta, cento anni
fa!” Le ricordò lui.
“È scomparsa… solo scomparsa e suo fratello
è ancora vivo.”
“Vuoi dirmi che vorresti vederla?
Anche se fosse una centenaria?” Kara ruotò lo sguardo su di lui e lo fissò
senza parole.
“Stai scherzando? Credi davvero che
mi importi? Poterla vedere di nuovo, anche solo per un’ora, per un minuto mi
basterebbe. Oh, mi spezzerebbe il cuore doverle dire addio, ma, non importa, mi
sono innamorata di lei in un sogno, cosa credi che proverei nel vederla
davvero? Nel stringere le sue mani, nel guardare nei suoi meravigliosi occhi?”
James scosse la testa.
“Va bene.” Disse alla fine, ma era
evidente che non capiva, era evidente che non avrebbe capito mai.
Una decina di minuti e l’auto si
fermò davanti alla bianca scalinata.
Kara scese di corsa, chiuse la
portiera e si bloccò. Il suo cuore fece una capriola e tutto il sangue sembrò
fluirle in testa per poi abbandonarla lasciandola con la testa leggera.
Sbatté gli occhi più volte cercando
di dare un senso a quello che vedeva, stava forse impazzendo? Stava forse
inventando?
Fece un passo avanti e poi un secondo,
la figura era di spalle, ma lei non poteva sbagliarsi, no, quella era…
Lena si voltò, attirata come un
magnete. Le sue pupille di dilatarono, mentre lei si ritrovava ad osservare una
ragazza dallo sguardo sconvolto.
“Sei… com’è possibile? Io credevo che
tu…” Kara balbettava, se ne rese conto, ma non riuscì a smettere.
“Sì.” Disse soltanto lei e la sua
voce era piena di emozione. Ed era lei, lei! La sua folle, assurda idea, la sua
pazzesca speranza era risultata vera!
Era lei, ogni parte del suo corpo
glielo stava urlando ed era così intenso, così folle e al contempo sicuro.
Sorrise e vide la ragazza imitarla.
Era il più bel sorriso che avesse mai visto, esattamente come lo ricordava,
esattamente come lo amava.
Tese la mano e la giovane la afferrò.
Tremava un poco e lei sorrise un po’ di più.
“Lena.” Si presentò. “Lena Luthor, nata nel 1903.”
“Oh.” Le disse la ragazza, sembrava
sconvolta, incredula eppure tenacemente aggrappata a quel momento. “Io… ehm, io
sono Kara Danvers e sono nata nel 2003.”
Cento anni. Cento anni a dividerle
eppure ora erano lì, una di fronte all’altra e si sorridevano.
“Ricordate…?” Chiese e la ragazza
annuì.
“Certo. Come potrei dimenticare?”
Si sentiva al sicuro, al caldo, a… casa. Si guardò attorno lasciando che
quella sensazione di benessere la cullasse.
“Ciao.” Disse soltanto, quando seppe di non essere più sola.
“Salve.” Rispose una voce femminile. Kara sorrise, una donna dunque, ad
Alex sarebbe piaciuto.
“Mi chiamo Kara.” Si presentò, cercando con lo sguardo la figura della
sua interlocutrice, non la vide, ma non se ne preoccupò, stava così bene in
quel posto.
“Siete una ragazza.” Disse perplessa la giovane di cui non conosceva
ancora il nome. “Lex ne sarà divertito.”
“Lex?” Chiese ruotando piano su se stessa,
sapeva che era lì, da qualche parte.
“Mio fratello. Avete fratelli o sorelle?”
“Una sorella: Alex.” Il silenzio si protrasse, poi Kara vide un’ombra
davanti a lei. Sorrise.
“Il mio nome è Lena.” Disse, infine, la giovane e comparve davanti a lei.
Il cuore di Kara batté veloce: era bella. La pelle chiara, il viso dalle
linee decise, gli occhi che brillavano di emozione, malgrado la postura
composta, i capelli scuri, raccolti in un chignon.
“Sei molto bella.” Affermò e nel vedere le guance della giovane
imporporarsi un poco arrossì a sua volta. “Scusa…” Mormorò abbassando il capo.
“Era un complimento e, a meno che voi non abbiate mentito, non dovreste
scusarvi.” La voce della giovane era spigliata e sicura, anche se parlava in un
modo un po’ bizzarro. Kara si chiese se fosse straniera, chi altri poteva dare
del voi al suo interlocutore se non uno straniero? Magari era inglese, magari
era nobile…
“Non ho mentito.” Assicurò, tenendo per sé le sue considerazioni.
“Bene, perché anche io non mentirò nel dire che trovo voi molto bella.”
Gli occhi della giovane cercarono i suoi e Kara si ritrovò a sorridere
come una sciocca.
Si avvicinarono una all’altra un sorriso felice sulle labbra.
“Ditemi, parlate sempre così schiettamente?”
“E tu dai sempre del voi alle persone?” Ritorse Kara.
“Prima voi.” Gli occhi di Lena brillarono di divertimento.
“Sì… no… non lo so, dipende. A volte la mia bocca dice cose che
dovrebbero restare solo nel mio cervello e altre volte tengo chiuse nel mio
cuore cose che dovrebbero, invece, giungere alla mia bocca.” Era così facile
parlare in quel luogo, con lei. “Per esempio non ho mai detto ad Alex quanto io
sia felice di averla come sorella.”
Lena la ascoltava, attenta.
“Sono stata adottata… all’inizio ci odiavamo, ma ora non potrei
immaginare la mia vita senza di lei. Vorrei dirglielo, ma poi… mi sembra
sciocco.”
“È una cosa bella, non sciocca.” Affermò Lena, erano sotto un cielo
stellato ora, sedute tra l’erba calda e confortevole. Parlarono, parlarono e
parlarono, sembrava che non ci fosse nulla che non potessero condividere della
loro vita. Il tempo sembrava non passare in quel luogo di assoluto benessere.
Più volte Kara si chiese come potesse essere così fortunata, come fosse
possibile che la sua anima gemella fosse così speciale, così unica, intelligente,
brillante, generosa, divertente, bella… oh, così bella. Un refolo di vento
giocò con i capelli scuri della giovane e Kara alzò la mano spingendo la ciocca
ribelle dietro all’orecchio di Lena. La giovane ruotò lo sguardo, i suoi occhi
brillavano, un sorriso decorò le sue labbra.
Kara desiderò baciarla e quel pensiero le fece battere veloce il cuore.
Arrossì e distolse lo sguardo, fissando il cielo.
“Mi piace che arrossiate per me.” Mormorò Lena e Kara, questa volta,
sentì le guance bruciare.
“Parli sempre così?” Domandò, perché era la prima cosa che le venne in
mente e la ragazza non aveva ancora risposto.
“Sì, mia madre non permetterebbe mai che io mi esprima in forma non
adeguata alla mia famiglia.” La linea della mascella della giovane si era
indurita. Kara allungò la mano posandola su quella della giovane.
“Mi piace.” Assicurò e la giovane la guardò sorpresa. “Sì, fa tanto…
ottocento. Di certo non duemiladiciotto!” Sorrise, ma
Lena alzò un sopracciglio perplessa.
“Cosa intendete dire?” Chiese, poi ruotò il capo. Sotto le dita di Kara
la mano della giovane divenne solo più ombra.
“No, non te ne andare, non ancora!” Disse, agitandosi. La giovane si
voltò verso di lei, alzò la mano e Kara la imitò, le loro mani si incrociarono
a mezzaria, senza però toccarsi.
“Sotto l’orologio, alle 14.00. Ci sarete?”
La voce della giovane era solo più un lontano eco, la sua forma solo
un’ombra. Kara si spinse avanti cercando di afferrarla, di trattenerla tra le
proprie braccia, anche solo per un istante.
“Sì! Sì!” Urlò, ma era sola, abbassò la mano e aprì gli occhi.
Lena alzò la mano e Kara la imitò
all’istante, intrecciando le loro dita, come quella notte, come nel sogno, ma
questa volta incontrando un corpo caldo e solido.
Per un istante rimasero entrambe in silenzio,
poi le loro dita si strinsero e le due ragazze caddero una nell’abbraccio
dell’altra.
“Pensavo di averti persa per sempre.”
Osò dire Kara con lacrime di gioia che scendeva lungo il viso.
“Mi dispiace avervi fatto aspettare.”
Rispose Lena e Kara scosse la testa, distanziandosi da lei e guardandola in
viso.
“No, no, avrei aspettato ancora… io…”
Scosse di nuovo la testa. “Stavo per cedere, ma ti avrei portata per sempre nel
mio cuore, nessuno, mai, avrebbe potuto prendere il tuo posto.”
Lena arrossì un poco e Kara, come nel
sogno, la imitò.
“Parlo sempre troppo, vero?”
“No, siete perfetta.” A quelle parole
il suo viso si imporporò ancora, ma Lena non distolse lo sguardo. “Lex ha voluto testarvi, ancora una volta, non era sicuro
che voi foste degna di me… per questo vi ha detto solo parte della verità.”
“Mi ha fatto credere che tu fossi
morta.” Disse, con una punta di rabbia nella voce.
“Ma siete venuta qua lo stesso.”
Puntualizzò Lena. “Questo voleva lui, non ha mai sognato la sua anima gemella
e, malgrado tutto, è un uomo di scienza, non crede se non vede, in più ha
sempre avuto un’inclinazione per le macchinazioni e immagino che con l’età non
sia migliorato.” Sorrise nel pensare al fratello e Kara sentì la rabbia
svanire, dopo tutto erano lì, adesso.
Rimasero
in silenzio, gli occhi che scrutavano l’altra, curiosi, in parte ancora
increduli, le loro mani erano strette, le loro dita intrecciate.
“Mi
racconterai mai come può, una ragazza nata più di cento anni fa, stare davanti
a me, bella come quando aveva quindici anni?”
“Ne
ho venti adesso.” Precisò lei, sorridendo al complimento, poi il suo sguardo si
addolcì. “Ci sarà tempo per i dettagli, ora ho molto da scoprire.”
“Un
intero mondo, certo, sarai curiosa…” Acconsentì Kara, ma Lena scosse la testa,
un sorriso sulle labbra.
“Non
il mondo: voi. Solo voi.”
Kara
arrossì, mentre Lena alzava la mano libera dal loro intreccio di dita e le
accarezzava il viso.
“Ho
dormito a lungo, ma solo un sogno ha occupato la mia mente: voi. Ho dimenticato
persino il mio nome, ma non le linee del vostro viso.” Le sorrise ancora, gli
occhi che brillavano di emozioni, intelligenza e ora anche di divertita ironia.
“Ho molto da scoprire su di… te, Kara Danvers.”
Sorrise
al nuovo modo di parlare. Una ciocca di capelli sfuggì al suo chignon, e Kara
fu rapida a raccoglierla, spingendola dietro al suo orecchio, la sua mano esitò
nell’accarezzarle la guancia, mentre provava lo stesso desiderio provato nel
sogno, cinque anni prima. Allora aveva esitato, credendo di avere un’intera vita
davanti per farlo, ma ora non esitò.
Con
deliberata lentezza si avvicinò al viso di Lena, poi chiuse gli occhi e la
baciò.
Lo avevano rincorso, ma ora era
stretto tra le loro mani: Kara e Lena avevano raggiunto il loro destino.
Note: Fine!
Sì, non resisto, si amano e si
trovano anche in questa storia! Neanche il tempo può qualcosa contro l’amore di
Kara e Lena.
Questo era il prompt:
A BRIDGE ACROSS TIME (SoulmateAU/TimeTravel): A e B sono destinate l’una all’altra, ma
vivono in due epoche diverse.
Non so cosa
ne pensiate voi, ma coniugare una soulmate con una
time travel sulle prime, mi sembrava davvero
difficile, perché? Avrei potuto creare una storia sul viaggio nel tempo, far
incontrare Kara e Lena e farle innamorare, facile, ma come inserire la postilla
soulmate? Oppure il contrario, avrei potuto creare
Kara e Lena come anime gemelle in un mondo di anime gemelle, ma come poteva
funzionare se erano divise dal tempo stesso?
Sono convinta
che vi siano infiniti modi per venire a patti con questo prompt,
io stessa ho scritto metà di un’altra storia prima di propendere per questa
quindi… ma, sì, non era così semplice come al solito.
Spero che la
mia soluzione vi sia piaciuta, fatemi sapere!
Grazie mille
per essere giunte alla fine, ho un’altra piccola storia in attesa di essere
revisionata e pubblicata, quindi… a presto!