Chi l'avrebbe mai detto?

di Rebi_7_24
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ci sono anch'io ***
Capitolo 2: *** Chiamatemi Frisk ***
Capitolo 3: *** Pensieri ***
Capitolo 4: *** Solo Michael ***
Capitolo 5: *** Neverland, casa mia ***
Capitolo 6: *** Come un fiore ***
Capitolo 7: *** Se ci sei tu ***
Capitolo 8: *** Part of your world ***
Capitolo 9: *** You little warrior ***
Capitolo 10: *** La fine o solo il principio? ***
Capitolo 11: *** What to believe? ***
Capitolo 12: *** Forte ***
Capitolo 13: *** Determinazione ***
Capitolo 14: *** La vera impazienza ***
Capitolo 15: *** Brava ***
Capitolo 16: *** Casa? ***
Capitolo 17: *** Grazie ***
Capitolo 18: *** Promesse ***
Capitolo 19: *** Chi? ***
Capitolo 20: *** Dylan: la pazienza ***
Capitolo 21: *** Helýas: il coraggio ***
Capitolo 22: *** Elohir: l'integrità ***
Capitolo 23: *** Dàeron: la perseveranza ***
Capitolo 24: *** Sàiram: la gentilezza ***
Capitolo 25: *** Idryl: la giustizia ***
Capitolo 26: *** Frisk: la determinazione ***
Capitolo 27: *** Le stelle dall'America ***
Capitolo 28: *** Un nuovo amico ***
Capitolo 29: *** Un po' di cultura ***
Capitolo 30: *** Sconfitta ***
Capitolo 31: *** Prigioniera ***
Capitolo 32: *** Quante domande ***
Capitolo 33: *** Play with words ***
Capitolo 34: *** Un fiore, quel fiore ***
Capitolo 35: *** Vero pericolo ***
Capitolo 36: *** Destino ***
Capitolo 37: *** Angelo ***
Capitolo 38: *** Amici ***
Capitolo 39: *** Sfida ***
Capitolo 40: *** Un'altra alleata ***
Capitolo 41: *** Abitudine ***
Capitolo 42: *** Ne vale la pena? ***
Capitolo 43: *** Chiarezza ***
Capitolo 44: *** Una ragione in più ***
Capitolo 45: *** Make the difference ***
Capitolo 46: *** ...Or maybe not ***
Capitolo 47: *** Perdono ***



Capitolo 1
*** Ci sono anch'io ***


La folla era immensa, gente proveniente dall’intera Londra per avere la possibilità di ritrovarselo davanti agli occhi anche solo per un secondo.
“Basterebbe per tutta la vita.”
Questo pensava Frisk, una ragazzina di nove anni che, una volta rimasta quasi del tutto da sola, aveva trovato in un’unica persona un riparo, una via d’uscita, un distacco dal mondo. Ed era strano, non si trattava di certo di una presenza in carne ed ossa. Ma stavolta era diverso. Lui era diverso.
La sua musica, le sue parole, la passione che metteva in ogni suo gesto, tutto ciò che faceva le trasmetteva amore. E quell’amore, si era promessa, avrebbe fatto in modo di guardarlo dritto in faccia almeno una volta.
Voleva che lui sapesse. Doveva sapere che, tra l’infinità di gente che lo acclamava, che lo supportava e lo amava, c’era anche lei.
Si faceva strada tra i corpi insieme alla persona che aveva reso possibile tutto ciò.
“Facciamo in tempo, vero?” le chiese.
“Certo che facciamo in tempo”, le sorrise Diana, tenendola sotto braccio per non perderla tra migliaia di estranei.
Raggiunsero la ringhiera che separava il pubblico dal palco, e Frisk strinse la foto del suo eroe tra le mani, con le braccia avvinghiate attorno alle sbarre di metallo e il visino schiacciatoci contro. Diana la guardava con un misto di tenerezza e soddisfazione. Le aveva promesso che prima o poi l’avrebbe portata da lui, e finalmente aveva trovato l’occasione di tener fede alle sue parole.
Infinite voci squarciarono l’aria quando Michael Jackson fece la sua comparsa da dietro le quinte. Oltre ai soliti occhiali da sole, che mise via giunto alla postazione del microfono, e i suoi abiti iconicamente eccentrici, indossava come sempre il suo miglior sorriso. Lo stesso immortalato nella stampa in bianco e nero che la bambina aveva portato con sé.
Le mancava il fiato, non poteva credere di essere davvero lì, insieme a lui. Spesso le star sono percepite quasi inevitabilmente come immagini astratte, ammirabili soltanto dallo schermo del proprio cellulare, di un pc o un televisore. Ma ognuno di loro esiste, è reale, e Frisk adesso poteva sentire a pieno la concretezza di ciò che da sempre bramava.
Il Re del Pop fece l’ultimo di una lunga serie di saluti con la mano, dopodiché accennò una prima frase al microfono, col suo fare timido e completamente opposto a ciò che mostrava nello spettacolo.
Alla sua voce seguirono tutte le altre, in coro, che però si calmarono poco dopo così da lasciarlo iniziare.
Frisk lo ascoltava incantata, rapita. Era un sogno ad occhi aperti. L’argomento principale era il concerto che avrebbe tenuto il giorno dopo alla 02 Arena, prima di tornare in America.
Tra spiegazioni, ringraziamenti e “I love you” in italiano, il discorso giunse al termine e il cantante salutò tutti per poi ritirarsi.
La folla iniziò a disperdersi, molto lentamente, ma Frisk non si muoveva.
Era andata lì con un obiettivo preciso, e finora l’aveva raggiunto solo a metà. “Tesoro, non possiamo farlo, te l’ho già detto tante volte”, fece la ragazza dai capelli dorati, nella speranza di distoglierla da quella fissazione purtroppo impossibile da soddisfare.
Ma mancava ancora una cosa, e lei si rifiutava categoricamente di tornare indietro senza. Diana sospirò, rassegnata ad aspettare che si stancasse da sola.
Attesero minuti su minuti, forse passò mezz’ora, ma quando finalmente gli ultimi gruppetti di persone si allontanarono, la bambina oltrepassò la ringhiera dirigendosi verso le scalette laterali del palco. Alla più grande per poco non venne un colpo.
“Frisk!” Scavalcò la recinzione, raggiungendola.
La piccola ignorava i suoi richiami, e avanzava lenta, ora che c’era quasi.
Sapeva che non avrebbero dovuto trovarsi lì. Ma non aveva avuto scelta, si era convinta di questo. Diana le mise un braccio davanti per fermarla.
“Che hai intenzione di fare? Non si può stare qui!”
“Ma io-“
 “Ma che- Ehi voi!”
Le due si pietrificarono sul posto, e la bionda mormorò tra sé e sé una delle famose parole che Frisk non doveva dire.
Un uomo di colore, alto e un po’ in carne le raggiunse, visibilmente nervoso.
“Cosa state facendo? Questa è un’area privata.”
“Chiedo scusa, signore”, esordì Diana. “La bambina qui si è emozionata un po’ troppo. Stavamo per andarcene”, spiegò imbarazzata.
Lui puntò lo sguardo sulla bimba che invece teneva la testa bassa, gli occhi fissi sulla foto che, ormai era certo, sarebbe rimasta soltanto una foto.
“Beh”, riprese, ma con tono più calmo, intenerito da quella scena, “Mi dispiace, davvero, ma non posso far nulla al riguardo.”
“Qualcosa non va, Bill?” Domandò qualcuno avvicinandosi, e Diana quasi si strozzò con l’aria. Anche Frisk sgranò gli occhi. Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille altre.
“Signor Jackson”, rispose l’uomo senza scomporsi. “Va tutto bene, le stavo mandando via.”
“Oh, non importa. Sono da sole, falle restare”, disse sorridendo, rivolgendosi poi alla maggiore delle due intruse. “Come ti chiami?”
Lei boccheggiò per un istante, ma poi prese fiato. “I-Io.. Mi chiamo Diana.”
“Piacere di conoscerti! E tu, piccola?”
Per la prima volta, i loro occhi si incontrarono.
“Io.. Eh?” Mormorò disorientata.
“Come ti chiami?” le ripeté l’amica.
“Oh, ehm.. Frisk”, disse indicandosi da sola.
“Ma che bel nome!” Commentò allegro, e andò avanti a conversare con Diana, che gli spiegava come ci erano arrivate lì. La ragazza si sciolse subito nel parlare, sembrava una normalissima chiacchierata tra amici.
Michael si rabbuiò, però, quando venne a sapere da dove venivano quelle due.
“Faccio volontariato nel suo orfanotrofio da qualche anno”, spiegò la bionda, quasi sottovoce. “Le avevo promesso da tempo di portarla ad incontrarti.. Ed eccoci qui”, concluse con un sorriso, che il cantante ricambiò.
“Ah sì?”, le rispose, e guardò Frisk. “Allora ditemi, a questa signorina piacerebbe passare un po’ di tempo assieme?”
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Chiamatemi Frisk ***


Un’auto nera dai vetri oscurati avanzava per le strade di Londra, diretta nel luogo in cui si sarebbero svolte le ultime prove dell’imminente concerto.
Accanto al Re del Pop sedeva  Frisk, che finalmente aveva ricevuto il suo tanto agognato autografo e ora chiacchierava allegra con il suo idolo, insieme a Diana.
Lui venne a sapere dei suoi amici in orfanotrofio, del suo legame con la ragazza che era con lei, del fatto che il suo vero nome non era Frisk, bensì Rachel.
Come spiegazione a tale cambiamento, la bambina rispose semplicemente che l’originale non le piaceva. Una piccola bugia bianca per evitare un discorso che non tirava fuori da tanto, tanto tempo.
A sua volta, Michael le raccontò di Neverland, dei suoi figli, della vita da popstar e di quando suo cugino aveva chiuso il suo supermercato per permettergli di fare la spesa come una persona comune.
Anche Bill, dal posto di guida, aveva fatto conoscenza con le loro ospiti, per poi tornare a concentrarsi sulla strada indicata dal navigatore. Il resto dello staff viaggiava dietro di loro con altre auto.
I tre sui sedili posteriori si facevano domande su domande, incredibilmente presi gli uni dagli altri, e diventava sempre più evidente un certo feeling tra Michael e Frisk. Venne fuori che la piccola aveva un sacco di cose in comune con sua figlia Paris, oltre alla stessa età. Più di una volta, il cantante aveva affermato che un po’ gliela ricordava, e gli sarebbe tanto piaciuto se ci fossero stati anche lei e i due fratelli, Prince e Blanket, a conoscere le sue nuove amiche.
L’auto parcheggiò in un parcheggio privato al coperto, e la meta finale si rivelò essere una sala prove inaspettatamente modesta, semplice. Era insonorizzata, con diversi strumenti, impianti audio e un piccolo palco rialzato. Ma scoprirono le due che il lavoro di quel giorno consisteva soltanto in prove del suono e organizzazione di alcuni effetti speciali tramite computer.
Michael si scusò per la sua temporanea assenza, e raggiunse una decina di uomini, tra cui Bill, che lo attendeva per cominciare.
Frisk e Diana si sedettero sul rialzo del palco, e si scambiarono un perfetto sguardo di intesa. Entrambe avevano in testa lo stesso identico pensiero: “Oh. Mio. Dio.”
Era assurdo, non poteva star succedendo davvero. Cioè, non a loro! Quel genere di cose si vedeva soltanto nei libri che leggevano insieme, a volte in qualche film o al massimo potevano riguardare persone estranee. Ma roba simile non si viveva MAI in prima persona!
Diana prese il cellulare per avvisare del loro ritardo, poi tornò a guardare la sua amica, compiaciuta.
“Allora, ho mantenuto la mia promessa?”
 
[***]
 
Passò circa una mezz’oretta, e il cantante tornò da loro.
“Scusate l’attesa, credo di aver finito ora”, dichiarò sorridente, sedendosi insieme a loro. Chiacchierò ancora con Diana per qualche minuto, quando Frisk, rimasta in silenzio fino ad allora, gli toccò un braccio.
“Mi insegni il moonwalk?” Gli chiese quasi sottovoce, e lui non si fece attendere nel rispondere. Si alzò e le porse la mano per aiutarla. Lei accettò di buon grado, e tutti e tre si posizionarono al centro del palco. Ebbero quindi inizio le lezioni di danza.
Andarono avanti tra spiegazioni, prove, risate e qualche caduta. Michael aveva insegnato loro diversi altri passi, dopo quello iniziale.
Frisk non si divertiva così da… Nemmeno lei ricordava da quanto. Ma tutto quel divertimento stava essendo stancante, e quando si fermarono per una pausa lei non perse tempo a trovare posto sulle gambe di Diana, che la accolse tra le braccia consapevole che di lì a poco sarebbe crollata. E così fu.
Gli altri due ne approfittarono per parlare più comodamente.
Trascorso qualche minuto, Michael chiese delle condizioni dell’orfanotrofio. Era accogliente? I bambini erano accuditi correttamente? Da quanti anni Frisk si trovava lì? E perché? Stava bene? Era felice? Perché nessuno l’aveva ancora presa con sé?
Diana non rispondeva a tutto, ma lui continuava a far domande.
Era sua abitudine visitare orfanotrofi e ospedali pediatrici, per far sorridere quei bambini sfortunati anche solo per un giorno. Gli portava dei regali, parlava e giocava con loro. Ma c’era qualcosa in lei che non riusciva a spiegarsi, e che lo spingeva a volerla conoscere meglio, a cercare di scoprire di più sul suo conto.
Tra domande e risposte, domande e risposte, altre domande e altre risposte, giunse il momento di rientrare, seppur a malincuore. Michael si offrì di accompagnarle in auto, e portò in braccio lui stesso la piccola che non voleva saperne di alzarsi.
 
[***]
 
“Grazie per tutto, è stato un onore passare del tempo con te”, Diana salutò il cantante sorridendo, con un velo di malinconia negli occhi ma felice e molto soddisfatta della giornata trascorsa. Le dispiaceva di non essere riuscita a svegliare Frisk, ma dopo alcuni tentativi Michael aveva proposto di lasciarla dormire.
“L’onore è stato mio, ci vediamo”, le disse, prima di ripartire e lasciarla all’entrata dell’orfanotrofio.
Diana si soffermò un attimo su quel saluto. Cosa significava? Loro non si sarebbero di certo rivisti. Poi però lasciò perdere, probabilmente anche lui era stanco dopo tutto l’accaduto.
Sospirò, diretta alle camerette. Era stata un’esperienza splendida, avrebbe avuto molto da raccontare.
Michael, dal canto suo, quella sera rientrò in hotel con un pensiero in testa.
Credeva nel destino, da sempre. E l’incontro di quel giorno non era stato un caso.
 
 
 

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Capitolo 3
*** Pensieri ***


Un fascio di luce entrò dalla finestra e si posò sul viso della bambina che, strizzando leggermente gli occhi, si voltò dall’altra parte ormai sveglia. Era intenzionata a non far niente per tutto il giorno, inoltre quella notte aveva fatto un sogno incredibile, e non le sarebbe dispiaciuto riaddormentarsi per continuarlo.
Mentre rimuginava sul decidere se andare in bagno o meno, la porta della camera si aprì e fece capolino la testa dorata di Diana. Era appena arrivata.
“Ehi,” disse entrando. “Ancora a letto?”
“Mmmh…” fu la prima risposta. “Perché?”
“La signora Hannah mi ha detto che sta venendo qui una persona importante, devono prepararsi tutti.”
“Chi viene?” Domandò, aprendo gli occhi.
“Non lo so, l’ho vista molto emozionata. Comunque, se ti sbrighi, magari avremo un po’ di tempo per parlare di ieri”, le propose con un sorriso.
“Mh… Ho fatto un bel sogno.”
“E che hai sognato?”
“Eravamo con Michael Jackson, eravamo amici.”
“Ah sì? Wow, dev’essere stato niente male”, commentò Diana con una punta di sarcasmo. “Per caso siamo state in macchina con lui?”
“Mh-mh..”
“Che bello.. E ci ha insegnato a ballare?”
“Sì, ma tu che ne sa-…” La sua espressione mutò gradualmente. “No.”
“Sì!”
“Come??”
“Non lo so!”
Frisk si mise a sedere. Finalmente aveva collegato. Le sue labbra si estesero in un sorriso.
“Dai, alzati”, le fece Diana. “Dopo ne parleremo con calma.”
 
[***]
 
Stava finendo di vestirsi, quando un gran baccano si fece strada fino a lei, nonostante la porta chiusa. Doveva essere arrivato l’ospite misterioso. Si infilò la maglietta giusto in tempo per vedere Diana piombare nella stanza. Aveva un’aria sconvolta. Le due si guardarono in silenzio per qualche secondo.
“Cosa?” Chiese alla fine Frisk.
“Vieni. Subito.”
Raggiunsero gli altri nel grande giardino sul retro dell’edificio. I bambini erano tutti ammucchiati intorno a qualcuno, e quel qualcuno si voltò poco dopo per sorridere alle due appena arrivate, che ricambiarono il gesto per poi unirsi a loro.
Era davvero una bella scena, con tutte quelle risate e quei visi gioiosi. Molti di loro non sapevano neanche della sua fama, ma già lo trattavano come un amico, come qualcuno a cui volevano bene.
Era questo che gli piaceva tanto dei bambini. Con loro non doveva essere perfetto, non doveva preoccuparsi di essere giudicato, e non aveva l’obbligo di soddisfare le mille aspettative nutrite nei confronti del celeberrimo Re del Pop.
Con loro poteva essere Michael, solo Michael. E ‘solo Michael’ piaceva ai bambini, esattamente così com’era. Lui che anche crescendo era sempre rimasto un po’ bambino. Questo Frisk e Diana lo sapevano, così come tutti i fan che lo apprezzavano per ciò che era, non solo per ciò che faceva.
La mattinata passò così, fin quando il cantante non dovette salutare tutti per andare a lavorare sui preparativi per il concerto di quella sera. Ma prima chiamò Diana in disparte, in fondo si trovava lì per un motivo.
Frisk non venne inclusa nella conversazione, e più li guardava parlare, più moriva dalla voglia di avvicinarsi a far domande. Ma si trattenne, e attese di vedere la ragazza tornare da lei con un sorriso enorme stampato sul volto.
 
[***]
 
Dopo pranzo, Frisk e Diana salutarono la signora Hannah ed uscirono, dirette nel luogo prestabilito dove le attendeva la stessa auto del giorno prima. Bill era stato incaricato di andare a prenderle per condurle al concerto al quale erano state invitate come ospiti d’onore. Quella storia stava diventando surreale.
Frisk ascoltava, senza prestare davvero attenzione, la conversazione della sua amica con il conducente, e intanto osservava scorrere la strada dal vetro oscurato del veicolo. Ripercorse più volte gli avvenimenti di quelle due giornate, e ancora non si capacitava di come fosse effettivamente possibile tutto ciò. Alla fine, però, decise che non aveva importanza il come, o il perché. Stava accadendo, e stava accadendo a lei. Non era fondamentale ricevere una spiegazione logica, doveva solo godersi quel sogno ad occhi aperti fino alla fine. Ma fu quest’ultimo pensiero a farla riflettere davvero.
Punto della situazione: era andata ad un evento pubblico di Michael Jackson, si era intrufolata in un’area con divieto di accesso per chiedergli un autografo, era stata fermata da uno dei suoi uomini e lui, anziché mandarla via, l’aveva portata con lui, era diventato teoricamente suo amico ed era tornato da lei per invitarla personalmente al suo concerto. Certo nella sua testa non c’era stato proprio questo ragionamento, aveva pur sempre l’età che aveva. In ogni caso, il concetto era: tutto bellissimo, sì, ma sarebbe finito. Il cantante avrebbe fatto il suo concerto, e poi sarebbe tornato a casa sua, e ognuno per la propria strada. Era impensabile che tornasse ancora a Londra per andare a trovarla, no? E in ogni caso-
“Frisk?” la chiamò Diana, per la terza volta.
“Eh?”
“Bill chiede se ti piace il succo di frutta.”
“Ah, ehm.. Sì”, annuì guardando l’uomo alla guida, che le sorrise di rimando.
Una volta arrivati, scesero dalla macchina e Bill le guidò fino a dietro le quinte, dove c’era un mini frigo con dentro acqua e bevande varie. Fece scegliere alla piccola il gusto che preferiva, e lei optò per l’albicocca, mentre Diana ne prese uno all’ananas. In quel momento arrivò Michael. Le salutò allegro, scompigliando i capelli a caschetto di Frisk e rivolgendo un bel sorriso alla ragazza. I preparativi per il concerto erano quasi terminati, ma degli ultimi particolari se ne sarebbero occupati altri. Nel frattempo, il cantante portò le sue ospiti sul palco, dove mostrò loro i macchinari per gli effetti speciali e gli strumenti, scoprendo con piacevole sorpresa della passione di Diana per la chitarra elettrica. Su richiesta degli altri due, improvvisò un pezzo su una manciata di note base, arrossendo in seguito ai complimenti di lui.
“Frisk”, le si rivolse la bionda, “Ti va di dirgli di come sei brava a cantare?”
“Ma non è vero”, ribatté lei. Ma l’amica stava già raccontando di come cantavano insieme con l’accompagnamento della sua chitarra.
Beh, di certo non era a chissà quali livelli, ma era intonata, e aveva un suono piacevole.
“Magari un giorno canterai su un palco come questo”, commentò Michael con tono incoraggiante. E ci credeva davvero. E intanto quel pensiero si faceva più pressante, e non era sicuro di cosa sarebbe stato meglio fare. Forse doveva lasciar perdere. Una cosa così significativa e al contempo così improvvisa, sarebbe stata a dir poco destabilizzante. Però… non riusciva a spiegarselo, era una sensazione strana.
Anche stavolta, comunque, si erano dimenticati dell’orologio. Fuori si era fatto buio, e intorno al palco si era radunato già un centinaio di persone. Doveva andare a cambiarsi.
“Okay, io devo andare. Spero che il concerto vi piaccia”, disse alle due con un sorriso, e si voltò diretto al camerino. Ma quell’idea continuava a martellargli la testa, e doveva pur esserci un motivo se era così insistente. Lo pensò e se ne convinse.
“Diana?”
La ragazza, che stava uscendo dalle quinte con Frisk, si fermò a guardarlo. “Sì?”
“Io.. Vorrei parlare con te più tardi.”
“Oh, certo. Va tutto bene?”
“Sì, solo.. Stavo pensando una cosa. Ti dirò dopo il concerto.”
Lei annuì, e portò fuori la bambina per trovare posto tra la folla, che era già raddoppiata.
 
[***]
 
Il concerto fu stato incredibile, spettacolare. La voce, gli strumenti, gli effetti speciali, le luci, erano un tutt’uno tra di loro, una combinazione perfetta di elementi che insieme erano pura arte. E nell’ammirare quell’ammaliante performance, Diana dimenticò temporaneamente che il cantante le voleva parlare. Ma qualsiasi cosa avesse immaginato, non sarebbe stata comunque pronta a ciò che si sentì dire alla fine.
I tre si trovavano in macchina con Bill, sulla strada per l’orfanotrofio. Michael chiacchierava con Frisk, Diana invece stava in disparte, a fissare le luci esterne rese opache dal vetro oscurato. In quel momento non le importava di essere accanto al Re del Pop, si era in realtà già abituata alla sua presenza. Ma ciò che le aveva detto.. Diamine… Era assurdo. Meraviglioso, ma assurdo. Perché sì, era una bellissima notizia, ma le dinamiche complessive lo erano un po’ meno. Era davvero la cosa giusta per lei? Sarebbe stata felice così? Avrebbe dovuto parlargliene quella sera? Oppure lasciare che fosse una sorpresa per il giorno dopo? Non c’era tempo, non ce n’era. Doveva pensare in fretta a cosa-
“Diana?”
“Sì tesoro?”
“Siamo arrivati”, la informò la piccola, con un velo di malinconia negli occhi. Quella era l’espressione di chi sapeva che il bello era giunto al termine.
Scesero tutti, Bill compreso che, in quei due giorni, si era affezionato a loro tanto quanto Michael.
“Quindi..” Azzardò quest’ultimo, un po’ esitante. “Tu che cosa ne pensi?” C’era speranza nel suo tono, era la voce di qualcuno che credeva davvero in ciò che diceva.
“I-Io…” Diana guardò Frisk, che a sua volta guardava da un’altra parte. Aspettava solo di dover dare il suo ultimo saluto a quella persona per lei tanto speciale, per poi doversi rassegnare a non vederla più. E fu proprio la vista di quella scena, ad illuminare la mente della ragazza. Fissò gli occhi in quelli di Michael, e sorrise. “Sì.”
 

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Capitolo 4
*** Solo Michael ***


La mattina seguente, Frisk venne svegliata per prima, incredibilmente presto. Tutti gli altri bambini dormivano, e Diana l’aveva fatta alzare e preparare quasi in punta di piedi. Ad ogni sua domanda, la ragazza si ostinava a risponderle: “Ora vedrai”.
Era pronta. Si era lavata e vestita in fretta, perché prima avrebbe finito, prima avrebbe scoperto cosa stava succedendo. Ma qualsiasi cosa si sarebbe aspettata meno che, una volta giunta in segreteria con la sua amica, di vedere lui seduto di fronte alla signora Linda, la quale sembrava essere decisamente al settimo cielo.
“Perché lui è qui?” Domandò a Diana.
“Ora vedrai”, le disse lei, per l’ultima volta.
“Rachel”, le si rivolse la donna, che non la chiamava mai con il suo nuovo nome. “Ti ricordi di lui, vero?” Le chiese sorridente, mentre Michael la guardava con la stessa espressione. Lei annuì.
“Bene, ho una splendida notizia per te, tesoro.”
Seguì del silenzio, probabilmente in attesa di una risposta da parte sua. Ma al momento davvero non le veniva nulla da dire, anche se la sua mente aveva già formulato un certo pensiero. Un’idea che scacciò subito, non era possibile.
“E’ tornato qui perché vorrebbe portarti con sé!” Annunciò Hannah, forse con un po’ troppa enfasi. Frisk sgranò gli occhi.
“Eh??” Guardò la donna, poi Michael e poi Diana. Tutti la fissavano in ansia. Tutti aspettavano di sentire cosa ne pensava, se le sarebbe piaciuto andare con lui, se era felice di una scoperta simile. Inutile puntualizzare sul fatto che un’occasione del genere non sarebbe capitata più in mille anni, e forse anche di più. Sbatteva gli occhi in silenzio, le sembrava troppo surreale. Per fortuna, Diana intervenne in suo aiuto.
“Sono sicura che ne sia più che felice, ha solo bisogno di metabolizzare. Posso chiedervi un minuto?”
I due adulti acconsentirono, e la ragazza si diresse in bagno con la bambina per mano. Chiuse la porta e la fece sedere sul coperchio del gabinetto, accovacciandosi di fronte a lei.
“Che ne pensi?”
“Ma è vero?”
“So che è strano, anzi è incredibile. Ma sì, è vero. Magari-“
“Allora sì!” Scattò Frisk, di colpo euforica. Quando l’aveva visto lì, quella era la prima cosa a cui aveva pensato, ma mai avrebbe creduto che potesse essere davvero così. Perché mai avrebbe dovuto rifiutare? Finalmente qualcuno era venuto a prenderla e, ancora meglio, quel qualcuno era Michael Jackson! Decise di non chiedersi come fosse possibile che accadesse proprio a lei, si limitò ad alzarsi e tornare in segreteria con la sua amica. Michael fu felice di vederla rientrare con quel sorriso, significava che aveva accettato.
“Allora, vuoi andare?” Le chiese comunque la signora Hannah. Lei annuì.
“Perfetto! Diana, puoi aiutarla a prendere le sue cose? Prendi una valigia dallo sgabuzzino. Signor Jackson, lei dovrebbe firmare un paio di carte.”
Tutto si svolse abbastanza in fretta. Frisk fece i bagagli, e si prese qualche minuto per salutare i suoi amici, tralasciando di specificare con chi stava andando via. Il maggior lasso di tempo venne impiegato da lei e Diana per passarlo insieme. Naturalmente si sarebbero sentite al telefono, anche ogni giorno. La ragazza le lasciò il suo numero di cellulare e, quando non restava ormai che partire, fece una cosa che aveva sempre voluto fare, anche se non si aspettava una circostanza simile. Abbracciò Michael, ringraziandolo per tutto ciò che aveva fatto in così poco tempo. Erano stati tre giorni incredibili, e non avrebbe potuto desiderare un futuro migliore per la sua piccola amica
 
[***]
 
Durante il tragitto in auto, Michael fece del suo meglio per far sentire la bambina a proprio agio. Era scontato che in quella situazione, la confidenza sarebbe stata un po’ diversa inizialmente. Ma non fu troppo difficile.
“Posso farti una domanda?” Gli chiese Frisk. Lui annuì.
“I tuoi figli… Loro lo sanno?”
“Sì, lo sanno. Ieri sera li ho chiamati per sapere cosa ne pensassero. Hanno detto che non vedono l’ora di conoscerti.”
 “E se poi non gli piaccio?”
“Non preoccuparti, gli piacerai.”
Seguì del silenzio, in cui entrambi stavano pensando la stessa cosa.
“Ascolta”, esordì Michael. “Vorrei mettere in chiaro che non ho alcuna pretesa verso di te.”
“Che vuol dire?”
“Vuol dire che anche se ti ho adottata, non devi per forza chiamarmi ‘papà’. Quello che mi interessava era darti una casa, e ci sono riuscito. Ma io sarò tuo padre solo se sarai tu a volerlo.”
Questo piacque molto a Frisk, che sentì come di tornare al giorno prima, quando erano semplicemente amici.
“Allora va bene se ti chiamo solo Michael?”
Lui non lo disse, ma a sua volta sperava in tale risposta.
“Va bene”, le sorrise. “Solo Michael.”
 
 

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Capitolo 5
*** Neverland, casa mia ***


Il jet privato atterrò su una vasta distesa di cemento, dov’erano presenti molti uomini a controllo della zona.
Il volo era durato circa dieci ore e mezza, ma Frisk non chiuse occhio neanche per un minuto, nonostante Michael le avesse consigliato più volte di provare a dormire.
Non che non avesse tentato, ma l’eccitazione era troppa, e così l’impazienza di arrivare.
Bill e gli altri trafficavano con valigie e attrezzature varie, mentre il cantante si occupò del modesto bagaglio della bambina. Caricarono quindi la macchina, diretti alla celebre residenza del Re del Pop.
 Le strade, i palazzi, i quartieri americani erano un altro mondo rispetto all’Italia. Era tutto così.. Grande. E Frisk non aveva ancora visto niente.
Ci volle un po’, ma dopo 30-40 minuti di strada, l’auto imboccò un sentiero immerso nella natura, leggermente in salita, fino a raggiungere un grande cancello nero con decorazioni dorate e sopra la scritta ‘Neverland’ del medesimo colore.
Il veicolo frenò di fronte all’entrata, quindi i vari passeggeri scesero con i rispettivi bagagli. Bill si offrì di portare la valigia di Frisk, ma lei lo ringraziò dicendo di voler fare da sola stavolta.
Varcarono la soglia, e la piccola da quel momento rimase in silenzio: era troppo occupata a meravigliarsi di tutto il verde che la circondava. Ad eccezione della stradina sterrata che stavano percorrendo, c’erano dappertutto alberi e fiori d’ogni tipo e colore. Prevalevano comunque margherite e papaveri, querce e alberi da frutto.
In lontananza si udiva un’allegra melodia accompagnata dallo scorrere dell’acqua di alcune fontane. I suoni si facevano sempre più forti, fin quando la piccola si ritrovò davanti ciò che aveva sempre potuto ammirare solo dalle foto di internet. Neverland!
Teatri, altalene, scivoli, piscine, ristoranti, giostre, attrazioni di ogni genere, il tutto circondato da un’immensa distesa di prato curatissimo che sembrava espandersi all’infinito.
Michael osservava divertito l’espressione estasiata della sua amica: non credeva che degli occhi potessero aprirsi a tal punto!
Continuavano a non parlare, ma in quel momento non erano necessarie parole che esprimessero le emozioni che la bambina dimostrava con il solo tenere la bocca spalancata, mentre stritolava la mano del cantante.
Non le sembrava vero. Quella adesso era casa sua. Sarebbe potuta andare in quello splendido luna park tutti i giorni. Avrebbe potuto correre e rotolarsi in quei meravigliosi tappeti d’erba ogni qual volta l’avesse voluto. Lei viveva lì.
Senza che se ne fosse accorta, erano giunti alla meta finale: una villa di due piani, in mattoni rossi, bianchi e grigi. Era preceduta da una composizione di siepi ed aiuole, al centro della quale era situato un enorme orologio funzionante di veri fiori e con sopra la scritta ‘Neverland’, anch’essa fatta di siepi. Alle spalle dell’abitazione si intravedeva una collinetta sulla destra, che scendeva dolcemente fino a formare una pianura sul lato opposto, che ospitava un’altra distesa di alberi.
Michael salutò Bill e gli altri suoi uomini, mentre Frisk non aveva ancora spiccicato parola.
Riusciva solo a pensare: “Questa è Neverland, casa mia”.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Come un fiore ***


Michael era impaziente di portarla dentro. Chissà come l’avrebbero presa loro? Ma li conosceva fin troppo bene, ed era certo che sarebbero stati felicissimi di avere una nuova amica.
“Allora,” si rivolse a Frisk. “Vogliamo entrare?”
La bambina stava ancora ammirando la composizione floreale di fronte alla casa, ma sorrise in direzione del cantante ed annuì.
Insieme si avviarono su per delle scale delimitate da due siepi lungo tutto il percorso, fino a raggiungere la porta d’ingresso.
Non era chiusa a chiave, Michael si limitò a girare il pomello e spingere, per poi entrare seguito dalla piccola.
Frisk si guardava intorno estasiata: era bellissima. I muri bianchi con angoli e spigoli coperti da assi di legno scuro e liscio, stesso materiale che costituiva gran parte dell’arredamento, con grandi finestre che illuminavano a pieno l’intero spazio.
Di fronte a lei e ad entrambi i lati si aprivano entrate che portavano ad altre zone della casa. Inoltre, sempre davanti a lei, c’erano due scalinate che, partendo dagli angoli delle pareti, si incontravano in cima, dove si intravedeva  un corridoio allungarsi in entrambe le direzioni laterali.
Proprio da lì sopra si sentirono delle voci in lontananza. Erano…bambini? I figli di Michael! Prince, Paris e… Blanket? Sì, si chiamava così.
“Papà!” Sentiva ripetere da quelle voci, e vide i tre ragazzini correre giù per le scale.
Michael si abbassò per abbracciarli.
Frisk si era fatta da parte per osservare la scena, con in testa lo stesso pensiero che aveva formulato prima della partenza: e se non gli fosse piaciuta? Se non l’avessero trovata simpatica? Se non l’avessero voluta con loro?
Cominciò a mordersi le labbra, uno dei suoi vizi peggiori, che non riusciva a controllare quando era nervosa, agitata o qualsiasi altra cosa che non fosse “tranquilla”.
Fu allora che Paris, ancora tra le braccia del padre, la guardò. “E’ lei?”
La bambina si rilassò leggermente nel non vedere alcuna ostilità negli sguardi degli altri tre, ma solo curiosità.
La piccola Jackson, per niente timida a differenza dell’altra, si piazzò davanti alla nuova arrivata.
“Ciao! Io sono Paris”, disse allegra.
“Io mi chiamo Frisk.”
Paris chiamò i suoi fratelli, che non ebbero il tempo di parlare prima che lo facesse lei per loro.
“Lui è Prince, e lui Blanket.”
Frisk annuì sorridendo, poi Prince si rivolse al fratellino.
“Blanket, dì ‘ciao’.”
Il piccolo iniziò a giocherellare con i lunghi capelli neri, e fece ciao con la manina. Frisk ricambiò il gesto.
Allora Paris afferrò la mano dell’altra.
“Vieni, andiamo in camera mia!” E la trascinò su per le scale, seguita dagli altri due.
La bambina quasi non inciampò a causa della valigia, e lanciò uno sguardo a Michael, che la salutava sorridente.
I quattro si precipitarono nella stanza prima annunciata, dopodiché iniziarono a farsi domande a vicenda, impazienti di conoscersi meglio.
Paris aveva 9 anni come Frisk, Prince ne aveva 10 e Blanket 3. Parlarono dei loro colori e cibi preferiti, musica, fiori e così via.
Erano le 17.45, mancava ancora un po’ all’ora di cena, ed era maggio, quindi restava del tempo prima dell’arrivo del buio. I bambini decisero allora di andare a giocare in giardino.
Scesero le scale fuori dalla villa, passando accanto alla stessa composizione floreale che Frisk aveva tanto ammirato quand’era arrivata. Casualmente, i suoi occhi passarono su un fiore rosso piegato verso il basso e un po’ danneggiato.
“Aspettate!” disse, e i tre fratelli si voltarono mentre lei indicava la piantina.
Le due bambine si guardarono, e si lessero nel pensiero. Paris si sfilò un elastico colorato dai capelli, e si chinò sul terreno mentre l’altra raccoglieva un rametto. Quindi, insieme, raddrizzarono il fiore e lo fissarono con quei due oggetti, e Prince e Blanket, che intanto erano rientrati a prendere un bicchiere d’acqua, tornarono da loro per versarlo ai piedi dello stelo. Fatto ciò, ripresero ad andare dandosi il cinque a vicenda. Quello sarebbe stato l’inizio di una fantastica intesa.
I quattro corsero nel prato a sinistra della casa. Giocarono a rincorrersi, a rotolarsi nell’erba, a far volare il piccolo Blanket che rideva entusiasta. Paris provò ad insegnare la ruota a Frisk, senza successo, ma riuscendo a farle quasi fare una verticale, con l’aiuto di Prince che le teneva le gambe, beccandosi per poco un calcio sul naso.
Erano le 18.30, quando gli impianti d’irrigazione si attivarono, bagnando il grande strato di verde e i bambini che vi erano distesi sopra, i quali si alzarono subito ridendo e scappando dal getto.
Tutti ad eccezione del più piccolo, che correa allegro sotto l’acqua e talvolta inciampando sui suoi passi.
“Blanket!” Lo richiamava la sorella, inutilmente.
I tre più grandi si guardarono e, con un’alzata di spalle, seguirono il minore imitandolo.
Quando Michael uscì per farli rientrare, si fermò a guardare i suoi bambini, tutti i suoi bambini. Erano una gioia per gli occhi.
Ma durò poco, non poteva restare lì fermo. Lui adorava i giochi con l’acqua e corse per unirsi a loro.
Rientrarono circa venti minuti dopo, bagnati fradici, e Michael spedì quei quattro scalmanati a sistemarsi, andando a sua volta a mettersi qualcosa di asciutto.
Prince e Blanket dormivano nella stessa camera, Paris aveva invece una stanza tutta sua, che da quel giorno avrebbe condiviso con la nuova arrivata.
Prese a frugare nei vari cassetti, mentre l’altra apriva la valigia. Facendo a turno per il bagno si cambiarono e scesero per mangiare, così come tutti gli altri.
 
[***]
 
Quando fu ora di dormire, era abbastanza tardi. Solitamente i piccoli Jackson andavano a letto prima, ma stavolta papà Michael aveva concesso loro di restare alzati per più tempo.
Nella stanza di Paris venne fatto spazio per un altro letto, separato dal suo da un comodino bianco, che lei stessa aveva personalizzato con brillantini colorati e sticker della Disney, in particolare Trilli di Peter Pan, Tinker Bell in inglese. Era molto affezionata a quel personaggio, perché era così che spesso la chiamava suo padre.
Il nuovo letto venne sistemato e preparato per la notte, alla quale ne sarebbe seguita un’altra, e un’altra ancora, per sempre. Perché quel letto sarebbe rimasto lì. Anche tra uno, cinque, dieci anni, Frisk avrebbe sempre avuto un posto in quella casa che ora era anche la sua, in quella famiglia che ora era la sua.
Le bambine si infilarono sotto le lenzuola e spensero la luce, restando illuminate solo dalla lampada sopra il comodino. Quando anche quella fu spenta, si diedero le spalle a vicenda.
Il silenzio riempiva la cameretta, fasciata dalla fioca luce lunare che attraversava la finestra con le tende spalancate.
Ma nessuna delle due dormiva, e quasi all’unisono si voltarono, ridacchiando.
Paris riaccese la lampada. “Avviciniamo i letti?”
Frisk annuì, e le due si alzarono per spostare il comodino che le separava.
Una volta tornate sotto le lenzuola, Paris allungò una mano fino a prendere quella della sua nuova amica, che fu piacevolmente sorpresa da quel gesto, e finalmente chiuse gli occhi, addormentandosi quasi subito.
Frisk, invece, si prese del tempo per pensare al fiore che avevano salvato quel pomeriggio. Quel fiore non stava malissimo, col tempo sarebbe tornato ad avere una vita normale come gli altri fiori. Ma quel tempo era stato diminuito da qualcuno corso in suo aiuto.
Come lei. Lei si sentiva come quel fiore.
Lei non stava malissimo, col tempo sarebbe tornata ad avere una vita normale come le altre persone. Ma quel tempo era stato accorciato da qualcuno corso in suo aiuto.
Come un fiore, sarebbe sbocciata a nuova vita.
Come un fiore, sarebbe cresciuta con l’amore di chi si sarebbe preso cura di lei.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Se ci sei tu ***


La bambina reprimeva le risate accucciata dietro l’albero in fondo al giardino. Non doveva fare rumore, altrimenti l’avrebbe trovata.
“Questa volta sarò io a vincere”, pensava, mentre sporgeva di poco la testa oltre il grande tronco per controllare la posizione del suo avversario.
Niente. Solo gli altri bambini che giocavano, di lui neanche l’ombra.
Tirò un sospiro e fece per poggiare nuovamente la schiena al suo nascondiglio, ma sobbalzò nel ritrovarselo proprio davanti a lei.
“Trovata!” Esclamò l’altro per poi cadere a terra, nel tentativo di acciuffarla. Non la prese per un soffio: si era dileguata un attimo prima.
“Ehi! Così non vale!” Le urlò alzandosi per correrle dietro.
Ottenne in risposta solo una risata persistente da parte della più piccola, che sfrecciava tra i vari gruppi di bambini, seguita agilmente dall’altro.
Frisk era sicura di avere la vittoria in pugno: prima o poi si sarebbe arreso, no? No! Lui non era tipo da arrendersi così facilmente. Anzi, non era tipo da arrendersi e basta.
Poco ci volle prima che si ritrovasse con le spalle al muro e lo vedesse, con un sorriso beffardo in volto, fiondarsi su di lei e circondarla con le braccia per non farla scappare.
“Non è giusto!” smise di ridere lei incrociando le braccia, “Vinci sempre tu!” Ma non riuscì a tenere il broncio per più di qualche istante, contagiata dall’allegria dell’altro che intanto le scompigliava i capelli.
“Prima o poi ce la farai, piccola guerriera.”
 
[***]
 
 Era ora di dormire. Tutti i bambini dell’orfanotrofio si trovavano nelle rispettive stanze, compresi loro due che condividevano la stessa. Era la loro ‘base’, la chiamavano così, in quanto non ospitava altre persone.
Si trovavano ognuno nel proprio letto, quello di lui sotto la finestra, quello di lei attaccato al muro opposto.
Erano soliti, la sera, parlare fino all’addormentarsi di uno, seguito successivamente dal secondo. Ma quella volta Frisk taceva e lui ci fece naturalmente caso. Gli dava le spalle, rivolta verso la parete, ma sapeva che non dormiva.
“Ehi,” iniziò dunque, “pensi ancora a quella cosa?”
Non gli rispose, ma la vide annuire sul cuscino.
Erano già ricaduti varie volte su quel discorso. Aveva cercato di tranquillizzarla in tutti i modi, ma non c’era verso: era terrorizzata dall’idea che, un giorno, avrebbero potuto doversi separare.
Effettivamente era una possibilità da non sottovalutare, perché avrebbero potuto venire adottati da un momento all’altro, anche la mattina seguente, lui lo sapeva. Tuttavia, decideva sempre di ignorare ciò per non farla preoccupare ulteriormente. Era consapevole che non fosse la scelta più giusta, ma la reputava la migliore per fare in modo che lei fosse felice il più a lungo possibile.
Nel frattempo lo rassicurava la certezza che, se ciò fosse accaduta, lei non sarebbe rimasta da sola: Diana non l’avrebbe mai abbandonata.
Era ogni giorno più grato a quella ragazza, così affezionata a loro due e ovviamente ricambiata. Si adoravano, erano un trio fantastico.
Era molto maturo per la sua età, tutti se ne accorgevano: aveva 8 anni, sembrava un quindicenne. Una mente adolescente nel corpo di un bambino.
“Dai, vieni qui”, accennò un sorriso, scostando la coperta per farle spazio.
Lei non se lo fece ripetere due volte, e in un attimo si fiondò tra le sue braccia. Era un po’ più alto di lei, si sentiva sempre al sicuro con lui, si sentiva protetta.
“Lo sai che io non me ne andrò mai, vero?” Cominciò con tono pacato, quasi sussurrando.
“Mh-mh”, annuì lei contro il suo petto, sommersa fino al naso dalla coperta.
“E che staremo sempre insieme, sì?”
Annuì di nuovo.
“E che.. Anche se dovesse succedere-“, sentì stringere la presa sulla sua maglia.
“NO!” Lo interruppe tirando fuori la testa. Aveva gli occhi lucidi. “No.. Io non ci voglio stare senza di te.”
Posò la fronte contro di lui, tornando alla precedente posizione, in modo da non doverlo guardare, il tono rotto dal pianto ormai giunto sul suo viso.
“Io non sono felice…” Fece una pausa. “Se tu non ci sei…”
Lui era davvero distrutto, non aveva mai sopportato vederla anche solo un po’ malinconica, figuriamoci in quello stato.
Ancora una volta, non ebbe scelta.
“Non fare così. Io non me ne andrò mai, te lo prometto.”
“Sicuro?”
“Sicurissimo. È una promessa.”
Lei smise di tremare, si accucciò ancora di più contro l’altro e, allentando la presa dalla sua maglia per abbracciarlo, chiuse gli occhi in attesa di prendere sonno.
Lui, intanto, adagiò una guancia sulla sua testa, lo sguardo perso nel vuoto.
Le aveva mentito. Di nuovo.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Part of your world ***


Passarono circa tre mesi dal trasferimento di Frisk. I Jackson le volevano bene e la trattavano come una di casa, quale ormai era.
Tuttavia, c’era qualcosa dentro di lei che ancora le impediva di sentirsi parte integrale di quel mondo.
Forse c’entrava l’essere dall’altro lato del pianeta; forse era il fatto di essere l’unico membro non biologico della famiglia; magari la lontananza da determinate persone le procurava disagio.
Eppure amava quelle persone, le amava davvero, e amava Neverland.
E allora perché?
Aveva girato tutto il ranch, con il permesso di Bill che acconsentì a farla uscire, ma del cantante nessuna traccia. Conosceva quel paradiso terreno a memoria, ma sentiva di aver dimenticato qualcosa.
Poi ricordò: c’era un posto che non aveva ancora controllato.
Raggiunse il teatro e, aprendo lentamente la porta, sentì la base di ‘Jam’ fuoriuscire a basso volume dalle casse. Al centro c’era lui, intento a seguire la musica con i suoi movimenti.
Avrebbe dovuto pensarci subito. Michael aveva l’abitudine di passare ogni domenica almeno un paio d’ore là dentro.
Ancora non l’aveva vista, e lei ne approfittò per entrare del tutto e poggiarsi contro il muro subito accanto. Lo guardava incantata, come se fosse la prima volta in cui lo vedeva ballare.
La canzone terminò, venendo sostituita immediatamente da ‘Smooth criminal’, ‘Bad’, ‘Thriller’, tutti pezzi fra i più conosciuti. Si chiedeva perché utilizzasse soltanto i maggiori successi, ma probabilmente era per il ritmo.
La musica si fermò, lasciando spazio al sonoro applauso di Frisk, che colse l’altro di sorpresa.
“Da quanto sei qui?” Le chiese divertito.
“Da un po’.. Volevo parlarti di una cosa, ma non importa. Voglio ballare anche io così!”
“Ti avevo già insegnato qualcosa, o sbaglio?”
“Sì, ma io voglio imparare tutto.”
Michael sorrise. “Vieni.”
La bambina non se lo fece ripetere.
“Allora... Da dove potremmo riprendere..?” Domandò più a sé stesso, guardando un punto indefinito della sala.
“Anzi,” si girò verso di lei. “Perché non mi fai vedere qualcosa di quello che già sai?” E stava per far ripartire la musica, quando si sentì tirare per la manica.
“Ma non posso ballare con così pochi passi.”
“Potresti provare a fare qualche passo nuovo.”
“Cioè devo inventarli io?”
“Sì! Anch’io faccio sempre così, sai? Quando balli non devi andare a ritmo delle note, sono le note che devono ascoltarti e fare ciò che dici. Tu devi diventare la musica e la musica deve diventare te. Quando ti muovi, non pensare. Pensare è il peggior errore che possa fare un ballerino.”
La bambina pendeva dalle sue labbra. Aveva già sentito i suoi discorsi nelle interviste che Diana le faceva vedere dal cellulare, ma dal vivo era tutta un’altra cosa.
Uno dei suoi migliori sorrisi si fece strada sul suo viso.
“Ok!” E si posizionò al centro della sala mentre l’altro armeggiava con l’impianto stereo.
Partì la base di ‘Beat It’ e la piccola azzardò qualche movimento, ma non era molto sicura su come proseguire.
Stava pensando, ecco l’unico sbaglio. Ma come smettere di pensare? Chiuse gli occhi, provò a concentrarsi su altro. Doveva dimenticare di essere lì. Doveva dimenticare di essere osservata da Michael. Doveva dimenticare per un po’ anche la melodia che riempiva lo spazio intorno a lei. Doveva dimenticare tutto ciò che era presente fisicamente, e focalizzare la sua attenzione su qualcosa che potesse aiutarla a concretizzare le sue emozioni.
Aveva deciso di pensare, ma in modo diverso, così da non commettere nuovamente lo stesso errore.
Pensò alla sua stanza, nell’orfanotrofio, e a quanto di fosse sempre sentita al sicuro al suo interno. Cominciò a muovere le gambe.
Pensò a Diana, al giorno in cui la vide per la prima volta, e a come ne rimase affascinata. Non aveva mai visto una ragazza tanto bella.
Una serie di passi prese a dare forma ad una coreografia improvvisata.
Pensò ai suoi compagni di stanza, a quando vennero trasferiti nella sua stessa camera al posto della sua precedente compagnia, e a come avevano cercato di avvicinarsi a lei fin da subito.
Riaprì gli occhi, evitando di guardare Michael.
Infine pensò a lui, al giorno in cui se n’era andato, al vero motivo per il quale non si faceva chiamare Rachel, ma Frisk.
E ormai ballava, e ballava bene. Era tutt’uno con la musica, non pensava ai passi successivi, concretizzava i suoi pensieri come le era stato detto. Allora lo guardò di nuovo, sentendosi felice alla vista della sua espressione soddisfatta.
Di tanto in tanto aggiungeva anche le mosse imparate qualche giorno prima, ma principalmente era una danza sua.
La canzone cessò, lasciando riecheggiare nel silenzio l’applauso di Michael, che si complimentò sinceramente con lei per poi avvicinarsi.
“Adesso che ti sei scaldata, possiamo procedere con la seconda lezione.”
E da quel momento non ebbe più alcun dubbio: aveva davvero trovato il suo posto nel mondo.

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Capitolo 9
*** You little warrior ***


“No! Io lo sapevo!!” L’ennesimo oggetto fu scaraventato a terra, la bambina era nel mezzo di una crisi isterica.
“Frisk, smettila! Calmati!” Le ripeteva Diana, che era stata costretta a far uscire dalla stanza l’altro bambino.
“Come faccio a calmaemi?!? Eh?? Come??” Continuava a sbraitare facendo avanti e indietro, lo sguardo basso e le mani tra i capelli.
“Adesso basta!” La ragazza le si parò davanti. “Così non farai altro che peggiorare la situazione. Credi che lui sia contento di doversene andare, sapendo che tu rimarrai qui?”.
La piccola iniziò ad avvertire gli occhi lucidi. Abbassò la testa, sentiva che le gambe avrebbero potuto cedere da un momento all’altro.
“Me l’aveva promesso…. ME L’AVEVA PROMESSO!!!” Prese a singhiozzare. Un pianto disperato, che nessuno avrebbe potuto placare. Come una tempesta, i cui tuoni non erano controllati neanche dal fenomeno stesso, e l’unica cosa da fare era aspettare, e sperare in una fine non troppo lontana.
Diana non poté far altro che, stringere a sé la bambina, che premette il viso sul suo petto piangendo più forte.
Nel frattempo, dall’altra parte della porta c’era proprio lui, seduto a terra con la schiena contro il muro opposto all’entrata della stanza. Anche lui attendeva la calma dopo la tempesta, e non solo quella di lei. Anche lui piangeva a dirotto, ma in silenzio, e anche lui si chiedeva perché. Perché mai non era riuscito a guardare pienamente in faccia la realtà? Perché non aveva mai reso davvero visibile tutto ciò anche a lei? Avrebbe dovuto dirle che non era impossibile, avrebbe dovuto aprirle gli occhi ed aprirli lui stesso, ma no. Aveva preferito nascondere ogni ovvietà, a chi dei due di preciso se lo chiedeva tutt’ora. Ed ecco il risultato.
Ma non poteva starsene lì a far niente. Aveva poco tempo, doveva sfruttarlo bene.
Si asciugò le lacrime, sventolando leggermente le mani davanti al viso per alleviarne il rossore, e si alzò.
Per un attimo si bloccò dinanzi alla porta chiusa. Non sentiva più rumori provenire dall’altra parte, il che avrebbe probabilmente facilitato il tutto.
Aprì. Le trovò a terra, la più piccola nascosta nelle braccia di Diana, che lo guardava preoccupata, anche lei prossima alle lacrime.
Prese il posto della ragazza, la quale se ne andò lasciando loro tempo e spazio per metabolizzare ciò che sarebbe a breve accaduto.
Il bambino si sedette a gambe incrociate di fronte a lei, che intanto era ancora in ginocchio con i piedi verso l’esterno, i pugni stretti tra le cosce.
La chiamò piano, sentendola poi sussurrare qualcosa di incomprensibile e incrociando finalmente il suo sguardo.
Le sorrise dolcemente. Un sorriso debole, ma pieno di speranza, e incoraggiante, tanto da strapparne un mezzo anche a lei.
“Puoi farcela..” disse con un filo di voce appena sufficiente a farsi udire.
“Sei una piccola guerriera..” Continuò. Lei scosse lentamente la testa, e fece per guardare di nuovo in basso, ma venne fermata dall’altro che le prese una mano, reindirizzandola verso di lui e facendo intrecciare le loro dita.
“Sì che lo sei..” Le prese anche l’altra mano. “Ce la farai.”

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Capitolo 10
*** La fine o solo il principio? ***


Che bella la vita a Neverland, ogni giorno un’avventura!
Ogni giorno divertimento, felicità e tanto, tanto amore.
E intanto gli anni passavano, Frisk aveva raggiunto i 13 anni, era sempre più vicina al diventare una splendida ragazza insieme alla sua ormai migliore amica Paris.
Prince iniziava a mostrare tratti più maturi; anche Blanket cresceva bene, restando comunque il piccolo del gruppo e, di conseguenza, il più coccolato.
In quanto all’istruzione generale, i quattro erano seguiti da insegnanti privati all’interno del ranch. Tuttavia, a grande richiesta da parte di tutti e tre i più grandi, Michael aveva acconsentito finalmente ad iscriverli ad una scuola pubblica, a patto di attendere l’inizio del liceo.
Ogni sera venivano riservati dieci minuti alla quotidiana telefonata con Diana, che adesso frequentava l’University College di Londra ed era sempre più vicina alla sua laurea in scienze umanistiche.
Frisk si allenava duramente nella danza e, a detta del cantante, aveva raggiunto un livello di bravura davvero impressionante. Prince e Paris, dal canto loro, prendevano da anni lezioni di, rispettivamente, pianoforte e chitarra.
Oltre a questo, le sorprese riservate dalla preadolescente non finivano qui. Da un paio di settimane, affermava di star scrivendo una canzone tutta sua e di non vedere l’ora di farla ascoltare ai suoi amici, i quali non aspettavano altro che il completamento del pezzo.
Insomma, questa oramai non più tanto nuova vita era decisamente una favola. Già, una meravigliosa favola in grado di far invidia alla migliore storia in stile Disney tra i maggiori successi mondiali.
Ma, come ben sapranno tutti, ogni favola che si rispetti prima o poi giunge al termine. O, se proprio non vuole saperne di interrompersi, in ogni caso trova sempre un modo per prendere una piega non più tanto piacevole. E a quel punto spetta al protagonista decidere del suo destino, battersi per la sua felicità, prendere in mano la propria vita e modellarla a suo favore come meglio riesce. E per farlo ci vogliono coraggio, perseveranza, integrità, pazienza. Ma soprattutto c’è bisogno di tanta, tantissima determinazione.

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Capitolo 11
*** What to believe? ***


"Papà....Vieni a vedere..."
 
[***]
 
Frisk era sempre stata una gran dormigliona ma, quel giorno, nonostante il gelo di fine Novembre, alle sette di mattina era già in piedi e passeggiava per Neverland.
Le basse temperature non l'avevano mai disturbata troppo, la sua pelle tendeva ad avere costantemente un calore minimo, anche in estate. Questa era un'altra cosa che spesso le ricordava lui che, al contrario, era sempre stato estremamente caldo.
Non si era coperta molto, giusto l'indispensabile: un maglione azzurro a righe fucsia, degli shorts di jeans con sotto delle calze marroni, medesimo colore degli anfibi che aveva ai piedi.
Nel corso degli anni, aveva continuato a mantenere i suoi iconici capelli a caschetto che, accompagnati dalla sua bassa statura e dal suo fisico esile, la portavano molte volte ad essere scambiata per una bambina più piccola.
Era fuori già da un paio d'ore, durante le quali era passata anche per lo zoo del ranch, dando da mangiare e da bere ai vari animali, facendo loro di tanto in tanto qualche carezza.
Comunque, si erano fatte le nove e mezza, probabilmente gli altri erano svegli. Avevano programmato, la sera prima, di fare un picnic al laghetto più vicino, sempre all'interno dell'immenso parco. Doveva aiutare a preparare tutto, quindi si avviò lungo la strada del ritorno.
 
[***]
 
Si chiuse la porta alle spalle e, sentendoli parlare, si diresse verso le voci.
Li trovò nel salone, ad eccezione di Blanket, con gli occhi puntati sullo schermo della tv. La scena la lasciò piuttosto perplessa, non li aveva mai visti così seri.
"Ehi," li richiamò. "Che succede?"
I tre si voltarono. Michael era sul punto di piangere e infatti, alla sua vista, cominciò a versare lacrime. Una dopo l'altra, non sembravano volersi fermare.
Era sempre più confusa. Prince la guardava con odio, con tanto odio.
Paris le andò incontro, il fuoco negli occhi.
"Tu!" Le si parò davanti urlandole in faccia. "Sei stata tu, non è vero???"
Frisk la fissava completamente spaesata.
"Ma certo che sei stata tu, chi altro potrebbe essere?"
Continuava a gridare sotto lo sguardo smarrito dell'altra.
"Cosa..? Cos'ho fatto?"
"Guarda tu stessa!!" Intervenne Prince, e la strattonò portandola dinanzi al televisore, per poi alzare il volume.
"L’accusa rivolta al celeberrimo Re del Pop è attualmente in attesa di una conferma. Non ci sono prove concrete della sua colpevolezza, ma il mittente della denuncia sembra deciso ad andare fino in fondo. Per quanto riguarda-”
Michael spense l'apparecchio e abbassò la testa, tenendola tra le mani, con i gomiti poggiati sulle ginocchia.
Sospirò pesantemente massaggiandosi il viso, per poi alzarsi e rivolgersi ai ragazzi.
"Vedrò di capirci qualcosa. Voi non discutete, per favore, io torno tra poco", e si allontanò.
Frisk parlò di nuovo, seriamente preoccupata.
"Prince, io... I-Io continuo a non capire.. Di che accuse state parlando? E cosa c'entro io?"
"Cosa c’entri tu?!?" Paris riprese ad urlare, ma venne fermata dal fratello, il quale procedette con tono calmo, ma che grondava astio e rabbia.
"Nostro padre è stato denunciato per abusi sessuali da uno dei ragazzi ospitati a Neverland. E in base a questo, tu sei la prima a venire in mente."
"C-che cosa..? Voi credete che sia stata io?"
"E' inutile girarci intorno, siamo convinti che sia stata tu."
Li guardò attonita, non sapeva che dire. Come potevano anche solo ipotizzare che lei potesse essere in grado di simili azioni? E come potevano basarsi unicamente su una semplice teoria? Con tutti i ragazzini che spesso venivano ospitati a Neverland, poi! Questa era la loro fiducia nei suoi confronti?
La tensione era palpabile. Era in corso una gara di sguardi, alcuni furiosi, altri impauriti, tra i tre ragazzi.
"Io non riesco a crederci.." Frisk ruppe il silenzio. "Voi.. Tu.. Prince, tu pensi davvero che io possa fare una cosa del genere? Eh?? Rispondi!!" Alzò la voce e fece per avvicinarsi a lui, ma in un attimo di ritrovò a terra, spinta con violenza da quella che doveva essere la sua migliore amica.
"Non ti avvicinare!!"
"Paris..." Cercò di richiamarla, inutilmente, il fratello.
"Paris..." Ripeté in un sussurro l'altra, sull'orlo del pianto.
"Zitta! Mio padre non è un pedofilo! Non so cosa tu abbia in mente di fare, ma sta' pur certa che non ci riuscirai."
"Cos'è un pedofilo?"
"Blanket..!" Il tono della sorella si addolcì di colpo. Si avvicinò a lui e gli si accucciò di fronte per raggiungere la sua altezza.
"E' una persona cattiva, che si diverte a far male ai bambini, e qualcuno qui pensa che papà sia uno di loro."
"Perché l'hai spinta?" Indicò la ragazza sul pavimento.
La più grande le rivolse un'occhiataccia prima di rispondere.
"Perché è lei quel qualcuno."
"Paris, ascolta-"
"Non voglio sentire nulla da te!!”
"Blanket, non è vero”, insisté lei. “Io non farei mai del male a nessuno di voi... Voi.. V-Voi siete la mia famiglia.." Giunsero le prime lacrime.
"Hai davvero il coraggio di chiamarci 'famiglia'?"
"Ma perché non volete credermi?!?"
"Adesso basta!" Prince si mise in mezzo. "Credo che sia ora che tu te ne vada."
La ragazza sbiancò.
"Prince, senti-"
"No. Tu non meriti di stare qui. Non dirmi che speri di restare dopo quello che hai fatto."
Lo stava implorando con gli occhi.
"Potremmo trovare una soluzione", azzardò a proporre, ma lei era la prima ad essere a corto di idee.
"Ce l'ho io la soluzione”, esordì Paris, con uno sguardo truce verso l'ex migliore amica. "Tu adesso ti alzi, ti giri, esci da quella porta, te ne vai e non ti fai più vedere", portò il suo viso a pochi centimetri da quello dell'altra. "Che ne dici?"
Blanket iniziò a piangere, quella storia non gli piaceva per niente.
Frisk si sentì morire alla vista delle sue lacrime. Guardò di nuovo Prince, implorante.
"Perché non mi credi?"
Il ragazzo fece per dire qualcosa, ma la sorella lo interruppe ancora.
"Perché non sei minimamente credibile. E adesso vattene."
"NO!" Urlò il più piccolo. "Non te ne andare!"
Frisk fissò gli occhi sul pavimento, con la testa momentaneamente altrove. Aveva già vissuto quella scena, anni prima, ma stavolta il suo ruolo era diverso.
Rivolse un ultimo sguardo ad ognuno di loro, dirigendosi poi alla porta. Prima di andarsene definitivamente, però, si girò un’ultima volta a guardarli, come per imprimersi nella testa le loro immagini. Quindi sparì dalla loro vista, come le era stato ordinato.
 
[***]
 
Correva. Non aveva più fiato da un pezzo, ma correva.
Correva e piangeva. Piangeva e gridava.
Neverland non le era mai sembrata così piccola, tant'è che le pareva di raggiungere il cancello principale in meno di due minuti.
Aveva superato l'incrocio davanti al sentiero che portava al ranch, attraversato interi isolati e confuso un paio di volte i vicoli di un grande quartiere.
Senza accorgersene, si era ritrovata in un'immensa distesa di verde, avente delle colline sparse qua e là, oltre ad un rilievo più imponente.
Fu allora che si fermò, buttandosi sulle ginocchia per la fatica.
Prese del tempo per osservare il paesaggio, in particolare la montagna maggiore, la quale non le era nuova. Ci mise un po’ a collegare quell’immagine, ma alla fine la riconobbe. Più volte Diana le aveva mostrato le foto e raccontato il mito che le girava attorno. Lei ci credeva, e col tempo il suo entusiasmo l'aveva contagiata.
In tutti quegli anni, il pensiero che il Monte Ebott si trovasse proprio in California non l'aveva neanche sfiorata. Eppure si era ripromessa più volte, prima di incontrare Michael, di andare ad esplorarlo un giorno, quando sarebbe stata più grande.
Lei e la sua amica ne parlavano molto spesso, quando la maggiore scopriva qualcosa di nuovo su internet.
La leggenda le era rimasta impressa nella mente, parola per parola, anche se, anziché come roba mitologica, la vedeva come un fatto del passato, quale era convinta che fosse. Un po' come nei libri di storia.
Chissà perché a scuola non era incluso nel programma?
Ripresasi dalla corsa e asciugatasi le ultime lacrime, decise di andare in fondo a tutto ciò e, quindi, di dare un'occhiata di persona. Tanto ormai aveva tutto il tempo del mondo.
Il monte non era altissimo, infatti non ci mise troppo a raggiungere la cima. Effettivamente c'era un'enorme burrone dinanzi a lei, e pareva anche abbastanza profondo.
Calciò un ciottolo, facendolo cadere nello strapiombo, e tese l'orecchio.
Niente.
Fece lo stesso con un sasso più grande.
Niente.
Eppure doveva esserci qualcosa lì sotto, ogni singolo particolare era perfettamente fedele al racconto. Voleva assolutamente scendere a vedere, ma come?
Avanzò, posizionandosi quasi sul ciglio del vuoto, ma non era sufficiente a poter scorgere qualcosa, magari un appiglio che permettesse di raggiungere il fondo senza ammazzarsi.
Un altro passo, per sporgersi ulteriormente, ma non fece in tempo ad affacciarsi che una spessa radice le ostacolò il piede destro, facendole perdere drasticamente l'equilibrio.
Fu un attimo, e si sentì precipitare nel nulla.
Urlò, tirò fuori tutto il fiato che aveva in corpo.
Era la fine, ne era sicura. Sarebbe morta così.
Non percepì altro che il violento impatto col terreno, poi il buio.
 
 
 
 
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"Tanto tempo fa, due razze popolavano la Terra: Umani e Mostri.
 
Un giorno, scoppiò una guerra tra le due.
 
Dopo una lunga battaglia, gli umani ne uscirono vittoriosi.
 
Rinchiusero i mostri nel sottosuolo con un incantesimo, all'interno del Monte Ebott.
 
Si dice che coloro che ci salgono non fanno più ritorno."
 
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Capitolo 12
*** Forte ***


La valigia era quasi pronta. La bambina se ne stava seduta sul suo letto a guardare il futuro ex compagno di stanza, mentre quest’ultimo si muoveva da una parte all’altra in cerca degli ultimi oggetti da aggiungere al bagaglio.
Ascoltava in silenzio il rumore dei vari spostamenti, e seguiva con lo sguardo ogni sua mossa, anche la più insignificante.
Di tanto in tanto, lo vedeva puntarle gli occhi addosso ma, stranamente, non aveva idea di quali emozioni lo stessero accompagnando.
Era sempre stato un libro aperto per lei, e la cosa era reciproca, tuttavia in quel momento le dava quasi l’impressione di non star provando nulla.
Ripose nel grande contenitore anche l’ultima maglietta, per poi posizionarsi accanto all’altra che ora fissava la finestra al capo opposto della camera.
Si avvicinarono abbastanza da unire le spalle, lui la destra e lei la sinistra, ma ancora non si guardavano.
“Come farai a dormire da solo?” Gli chiese.
“Non lo so.”
“Pensi che ti piacerà lì?”
“Non lo so.”
“E poi, se vai in America, quando ci vedremo di nuovo?”
“…”
“…”
“..Non lo so…”
La porta si aprì, Diana si affacciò all’entrata.
“Sono arrivati”, li informò con un lieve sorriso. Era felice per lui, ma le dispiaceva doverlo salutare. Inoltre, sapeva quanto i due bambini si volessero bene, e poteva solo immaginare come si stessero sentendo.
Il più grande annuì e, dopo aver rivolto all’altra un ennesimo indecifrabile sguardo, si alzò dal materasso.
La ragazza prese il suo posto, avvolgendo con un braccio le esili spalle della piccola, che adagiò la testa sul suo seno.
Nessuna delle due disse nulla. Mantennero quel contatto per un paio di minuti, mentre un’unica lacrima veniva assorbita dalla camicia della bionda.
 
[***]
 
All’esterno dell’edificio, in giardino, la futura nuova famiglia del bimbo aspettava impaziente di vederlo, insieme a quello che era non il marito ma bensì suo fratello. Dopo il divorzio della donna, lui l’aveva presa in casa sua, e da un po’ si erano messi in testa di prendere un bambino, che avrebbero cresciuto come una madre e uno zio, naturalmente. E si decisero finalmente a farlo andando a trovare dei parenti a Londra. Erano stati da loro qualche giorno, essendo molto lontani da casa, e nel mentre avevano contattato l’orfanotrofio così da ripassarci prima del rientro.
Non si somigliavano molto. I lunghi capelli corvini e i dolci lineamenti del viso di lei non avevano nulla a che vedere con l’aspetto quasi intimidatorio dell’uomo.
Tale impressione venne immediatamente smentita proprio da quest’ultimo che, alla vista del piccolo, sorrise e si abbassò alla sua altezza presentarsi con fare amichevole.
La donna fece lo stesso, mentre il minore si limitava a guardarli non sapendo esattamente come comportarsi.
Nel frattempo, alla porta d’entrata si erano fermate Frisk e Diana, ma la cosa non durò: la ragazza dovette unirsi ai tre per aiutarli nel dialogo.
La piccola rimase al suo posto, da sola, ferma e in silenzio. Come se stesse assistendo alla scena di un film.
Lo vedeva, di tanto in tanto, passare gli occhi su di lei, rispondendo nel frattempo alle traduzioni postegli dalla più grande.
Da una parte, si sentiva felice per lui: avrebbe iniziato una nuova vita, in un luogo diverso, senza dubbio più conveniente della condizione attuale.
Ma, dall’altra, che ne era di tutte le sue promesse? Quante volte le aveva dato la sua parola? Le sue insistenti rassicurazioni l’avevano portata a considerare tale evento come lontano, molto. Quasi inverosimile. E ora?
Ora lui era lì, pronto a partire. E lei era anch’essa lì, ma per niente pronta a lasciarlo andare.
Li vide tutti voltarsi nella sua direzione, e poi avvicinarsi guidati dal più piccolo.
Se lo ritrovò di fronte, a un passo da lei, e improvvisamente si sentì ancora più vulnerabile.
Percepì gli occhi farsi di nuovo lucidi.
Le guance del bambino erano leggermente arrossate, anche lui sembrava sul punto di crollare, ma Frisk sapeva che non lo avrebbe fatto.
“Stavolta non ti prometto niente. Ti dico solo che cercherò di sistemare tutto. Tu aspettami.”
La vide annuire, dopo aver tirato su col naso, e i due si abbracciarono.
I due adulti e la ragazza osservarono la scena impotenti, fin quando l’uomo non toccò delicatamente la spalla sinistra del bambino.
“Devo andare..” Disse quest’ultimo.
Frisk distolse appena lo sguardo, annuendo, poi il silenzio.
Lui guardava lei, lei guardava altrove, ma nessuno dei due sembrava avere intenzione di lasciare la presa, finché la bambina non si staccò poco a poco.
Quasi sincronicamente, entrambi fecero un passo indietro, per poi assistere all’aumentare della distanza mentre il maggiore si allontanava accanto alle persone che da quel momento si sarebbero prese cura di lui.
Diana si chinò di fronte a Frisk, accarezzandole un braccio e abbozzando un sorriso benevolo.
“Sei forte”, le disse. “Sei molto forte.”
Si tirò su e la condusse delicatamente verso la porta dell’edificio, mentre lei guardava da sopra la spalla l’auto che adesso stava svoltando l’angolo.
 

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Capitolo 13
*** Determinazione ***


Lentamente, la ragazza aprì gli occhi. A poco a poco, immagini dapprima confuse presero a farsi sempre più nitide, accompagnate da una fioca luce che diminuiva con l’aumentare dello spazio.
Sapeva di aver fatto un bel volo ma, per qualche motivo, non sentiva dolore. Senza muoversi, spostò lo sguardo da una parte all’altra del suo campo visivo, mentre stringeva debolmente con le dita i morbidi petali dorati sui quali si trovava distesa.
Trascorse diversi minuti in quel modo, ripercorrendo con la mente l’accaduto che l’aveva condotta lì. Che disastro…
Già, un vero e proprio, totale disastro.
Non si poteva definirlo altrimenti. La giornata era iniziata come qualsiasi altra, mai avrebbe immaginato qualcosa di simile. Ora i Jackson la odiavano, per giunta a causa di fatti che non la riguardavano minimamente, e Neverland non era più casa sua. Se la caduta avesse comportato conseguenze normali, avrebbe comunque sofferto di meno.
Solo ora si stava rendendo conto di cos’aveva fatto. Ma come le era saltato in mente? Si era deliberatamente andata a sporgere su un burrone profondo, ad occhio, almeno un centinaio di metri, rischiando inoltre la vita. E per cosa poi? Per scoprire se un’insulsa leggenda diceva la verità. E se così non fosse stato? Sarebbe stata bloccata lì fino a quando avesse resistito senza cibo né acqua, dopodiché sarebbe morta sola, lontana dal resto del mondo, con nessuno in grado di raggiungerla o anche soltanto al corrente di dove fosse.
Dopo un tempo indefinito passato a rimuginare riguardo tutto ciò, decise di metter da parte ognuno di quei pensieri. Stando attenta ad evitare movimenti bruschi, in quanto l’impatto poteva aver causato distorsioni o altro, si alzò.
Una volta in piedi, volse gli occhi verso l’alto, ritrovandosi ad osservare l’enorme apertura dello strapiombo.
Sospirò, riportando lo sguardo alla sua altezza.
Intorno a lei solo pareti spoglie, l’unica forma vitale era costituita da quella macchia di fiorellini gialli che non superava la zona illuminata dal sole sovrastante.
Forse la leggenda era un’invenzione. I mostri non esistevano. La magia, quella descritta dai racconti sul Monte Ebott, non esisteva. Il Sottosuolo non era altro che un dirupo che non portava da nessuna parte.
Questo pensava Frisk mentre eseguiva un lentissimo giro sul posto per ispezionare al meglio tutto, quando si fermò di botto.
No, aspetta! Non finiva lì.
Un corridoio si estendeva alla sua sinistra, buio e privo di qualsiasi particolare come l’area circostante.
Con passo insicuro, si avviò lungo la stretta e, nonostante la scarsa illuminazione, scorse in lontananza una grossa apertura affiancata da due colonne di ordine ionico, sovrastate a loro volta da un sottile architrave posto a sostegno di un frontone ad arco con sopra raffigurato uno stemma di dubbio significato.
Dopo quell’entrata, seguiva ulteriore oscurità con in mezzo, però, una piccola zona luminosa simile a quella in cui si era trovata poco prima, ma con un praticello senza fiori.
E se, oltre a quello, ci fosse stato davvero qualcosa? Che la leggenda dicesse il vero? Che ci fosse sul serio vita lì sotto? Per un attimo, la ragazza abbandonò il pensiero dell’accaduto. Dimenticò Neverland. Dimenticò Michael. Dimenticò Prince, Paris e Blanket. Dimenticò le accuse e tutta la famiglia Jackson. Dimenticò Diana, la signora Linda, i suoi amici. Difficile da credere, ma dimenticò momentaneamente persino lui.
Quella stanza, poteva vederlo da lì, arrivava ad un’altra porta che conduceva chissà dove… Che l’avrebbe condotta chissà dove.
Adesso c’era solo lei, con davanti un’avventura che non aspettava nessun altro. Lei avrebbe scoperto cosa si celava nell’ombra di quella montagna. Lei avrebbe svelato, portato alla luce la verità dietro la leggenda. Era pronta a fare il possibile, e anche di più, per spingersi fino in fondo.
Mosse un piede, fece il primo passo. Il primo di innumerevoli altri che l’avrebbero guidata attraverso un altro mondo. Un intero mondo totalmente sconosciuto, strapieno di meraviglie e nuove rivelazioni.
Spostò l’altro piede, stava per varcare l’entrata principale del famosissimo Sottosuolo che nessuno aveva mai avuto l’interesse o il coraggio di cercare. Fu scossa da un brivido di impazienza. Anzi no, non era questo.
Già, si sbagliava, era qualcos’altro.
Sì: quella che ora le scorreva nelle vene, la sentiva.. Era determinazione.

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Capitolo 14
*** La vera impazienza ***


Avanzando verso lo spruzzo di verde, arrivò a poter vedere un unico fiore, dello stesso colore degli altri ma di dimensioni maggiori. Non l’aveva notato dalla porta, forse perché circondato dall’erba.
Era curioso: un fiorellino isolato nel mezzo di un minuscolo spazio fertile. Aveva l’aria di esser stato piantato lì appositamente.
Si avvicinò ancora e… Aspetta, c’era qualcosa di strano in quel fiore: quello era per caso…. Un volto?
Non ebbe neanche il tempo di pensarci, che una vocetta stridula si fece largo nel silenzio.
“Ehilà! Io sono Flowey. Flowey il fiore!”
La ragazza balzò all’indietro per lo spavento. Quel coso parlava! Ma com’era possibile??
Era visibilmente disorientata, ma lui proseguì come se niente fosse, con la sua espressione allegra.
“Mmmh… E’ la tua prima volta nel Sottosuolo, vero?”
Sottosuolo??? Allora era vero!! La leggenda non era un’invenzione! E quindi quello di fronte a lei era…UN MOSTRO?!?
“Cavoli, dovrai essere molto confusa. Qualcuno dovrebbe dirti come funzionano le cose da queste parti! E credo che sarò io a farlo.”
In che senso? Che intendeva dire? Stava per chiederglielo ma venne interrotta sul nascere.
“Pronta? Iniziamo!”
Improvvisamente si sentì strana, come più… Esposta..? Non era il termine esatto, ma non aveva idea di come descrivere quella sensazione.
Un lieve bagliore le giunse agli occhi dal basso. Portò lo sguardo in direzione della luce: al centro del suo petto, era apparso un cuore luminoso, del rosso più intenso che avesse mai visto.
 “Vedi quel cuore? Quella è la tua anima, il culmine della tua essenza!”
Anima? Le anime avevano dunque una forma? E un colore? Erano tutte dei cuori rossi? Un’infinità di domande le giravano per la testa in quel momento, ma ancora una volta non poté aprir bocca che lui continuò per conto suo.
“La tua anima ora è debole, ma diventerà più forte guadagnando amore.”
Amore? In che senso ‘guadagnando amore’?
“Ma che-“
“Vuoi un po’ di amore, vero? Non preoccuparti, ne condividerò un po’ con te!” Le fece un veloce occhiolino.
Non riusciva a comprendere. Parlava d’amore come se fosse una cosa materiale. Forse alcune cose erano diverse tra i mostri. A parte la magia e l’aspetto fisico, naturalmente.
Alle spalle di Flowey (si fa per dire) comparvero quattro.. No, cinque piccoli… Semi rotanti?
“Quaggiù, l’amore si condivide tramite piccoli… ‘Petali bianchi dell’amicizia’.”
Ok, erano petali.
“Pronta?” I petali iniziarono a venirle incontro.
“Avanti, prendine più che puoi!”
Si avvicinarono. Non sembravano pericolosi, e lui era così gentile. Allungò un braccio per afferrarne uno.
Sentì un forte dolore nel punto colpito e un ulteriore male concentrarsi su quella che era, a detta del fiore, la sua anima. Con una smorfia, si piegò un poco in avanti portandosi la mano sana al petto.
Flowey cambiò espressione. Ora sul suo volto si estendeva un sorriso malato, con uno sguardo vuoto che irradiava odio, rabbia e sì, la sua era proprio quello, impazienza. Lo percepiva dai suoi occhi, ne era sicura, impazienza per cosa stava per accadere. Impazienza di portare a termine ciò che aveva iniziato. Impazienza di farla fuori. 

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Capitolo 15
*** Brava ***


“Idiota. In questo mondo è uccidere o ESSERE uccisi. Perché mai qualcuno dovrebbe darti un’opportunità come questa!?”
In un attimo si ritrovò completamente circondata da quegli strani petali.
L’espressione di Flowey mutò di nuovo, in un sorriso ancora più malato, con occhi neri illuminati solo da minuscole pupille bianche.
“Muori.”
Il cerchio prese a stringersi attorno a lei, e presto l’avrebbe raggiunta. Pensava disperatamente ad un modo per scappare, mentre il fiore la osservava in attesa della sua fine e intanto rideva, rideva di gusto.
Cosa si poteva trovare di tanto divertente della sofferenza altrui? Se lo chiedeva da sempre. Ma era la sua ora, stavolta sul serio, non aveva dubbi. Si accucciò a terra, facendosi più piccola che mai, chiudendo gli occhi aspettandosi il peggio.



Errore suo, o ci stava mettendo troppo?
Sbirciò davanti a sé, appena in tempo per vedere una palla di fuoco colpire Flowey che, scaraventato da tutt’altra parte, svanì.
Al suo posto, si ritrovò di fronte un altro mostro, con sembianze molto più umanoidi. Pareva una… capra… una capra antropomorfa. Era una donna, lo si capiva dai lineamenti del viso. Indossava una lunga veste viola, con rifiniture bianche, maniche del medesimo colore e al centro, sul petto, lo stesso simbolo che aveva visto sulla porta, anch’esso bianco.
Era…molto bella.
Si sorprese a fissarla incantata, fin quando non la sentì parlare.
“Che creatura orribile, prendersela con una povera innocente come te..”
La vide avvicinarsi e tendere una mano verso di lei. Istintivamente si ritrasse, ma la donna le sorrise.
“Ah, non aver paura, bambina mia. Io sono Toriel, custode delle Rovine.”
 
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“Come ti chiami?”
“I-Io.. Mi chiamo Diana.”
“Piacere di conoscerti! E tu, piccola?”
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“Passo di qui ogni giorno per vedere se qualcuno è caduto giù, tu sei la prima umana a venire qui dopo tanto tempo.”
 
 
……………………………………………………………………………………………………………...
“Che bel nome!”
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“Vieni! Ti guiderò per le Rovine”, le porse nuovamente aiuto per rialzarsi e Frisk si lasciò tirare su.
“Da questa parte”, Toriel si voltò e si diresse verso una nuova porta, quasi identica alla precedente.
 
 
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“A questa signorina piacerebbe passare un po’ di tempo assieme?”
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In silenzio, la ragazza la seguì.
Giunsero in un enorme atrio con mura in mattoni e, più avanti, due scalinate laterali che andavano ad unirsi in cima, dov’era situata un’altra porta ancora. Ogni cosa richiamava svariati toni del viola.
 
 
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I muri bianchi con angoli e spigoli delimitati da assi di legno scuro e lucido, stesso materiale che costituiva gran parte dell’arredamento.
Di fronte a lei e ad entrambi i lati c’erano entrare che portavano ad altre zone della casa. Inoltre, sempre li davanti, vedeva due scalinate che, partendo dagli angoli delle pareti, si incontravano in cima, da dove si intravedeva un corridoio estendersi in entrambe le direzioni.
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In alcune zone del pavimento erano ammucchiate delle foglie rosse. Toriel era già accanto alla prossima soglia e l’aspettava per proseguire.
Stava per prendere una delle gradinate, ma la sua attenzione cadde su una piccola luce tra le due. Era molto intensa, e non sembrava provenire da qualcosa, come se avesse un’origine propria.
Incuriosita, tese la mano fino a toccarla e, non appena lo fece, si sentì pervasa da una strana energia. Si sentì come…’ricaricata’.
In ogni caso, Toriel l’attendeva di sopra, quindi si affrettò a raggiungerla.
La stanza a seguire appariva piuttosto spoglia, tralasciando delle specie di pulsanti grigi a terra e una leva dorata sul muro di fronte.
“Benvenuta nella tua nuova casa.”
 
 
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Riusciva solo a pensare: “Questa è Neverland, casa mia”.
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“Consentimi di istruirti sul funzionamento delle Rovine”, la donna camminò su alcuni dei tasti formando una sequenza, dopodiché spostò la leva verso il basso e la porta affianco si spalancò.
“Le Rovine sono piene di puzzle. Si tratta di antiche combinazioni tra passatempi e apri porte. Bisogna risolverli per muoversi di stanza in stanza. Ti chiedo, per favore, di prenderci la mano.”
Si ritrovarono in un altro spazio, stavolta continuo verso destra.
“Per poter proseguire, dovrai attivare molti interruttori. Non preoccuparti, ho evidenziato quelli giusti.”
Passarono per un piccolo ponticello su un vascone d’acqua e Frisk tirò una leva indicata da frecce gialle disegnate attorno ad essa; degli spuntoni in ferro che ostacolavano il passaggio si abbassarono.
“Splendido! Sono fiera di te, tesoro. Andiamo nella prossima stanza.”
 A seguire, vi era solo un manichino (ovviamente non umano).
“Essendo un’umana nel Sottosuolo, i mostri potrebbero attaccarti. Devi essere preparata per questa situazione. Ma non preoccuparti! È un processo semplice. Quando incontri un mostro, entri in battaglia. Quando sei in una battaglia, intraprendi un discorso amichevole. Guadagna tempo, verrò io a risolvere il conflitto. Allenati a parlare con questo manichino.”
La ragazza non sembrava molto convinta ma, d’altronde, chi era lei per sapere come funzionasse da quelle parti? Si piazzò di fronte alla figura. Apriva e chiudeva la bocca, provando a dire qualcosa ma ripensandoci subito dopo. Non aveva idea di cosa dire ad un oggetto inanimato. Guardò Toriel in cerca di un consiglio.
“Ha bisogno di trovare un argomento di conversazione?” Lei annuì.
“Beh, di solito io chiedo ‘come va?’ Gli puoi domandare dei suoi libri preferiti… E le battute sono utili per rompere il ghiaccio. Ascolta questa… Qual è il colmo per uno scheletro?... Avere un amico per le ossa!”
Frisk rimase un po’ perplessa. Adorava le battute tristi, ma quella era davvero pessima. Accennò comunque una risatina per farle piacere, ma la sua vera impressione fu evidente alla donna.
“…Beh, credevo fosse divertente”, sorrise imbarazzata e le indicò nuovamente il manichino.
La ragazza vi tornò davanti e mise insieme qualche parola secondo i consigli di Toriel, che ne fu soddisfatta.
“Ah, bravissima! Sei molto brava.”
 
 
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“Mi insegni il moonwalk?” gli chiese quasi sottovoce, e lui non si fece attendere nel rispondere. Si alzò e le porse la mano per aiutarla. Lei accettò di buon grado, e tutti e tre si posizionarono al centro del palco. Ebbero quindi inizio le lezioni di danza.
Andarono avanti tra spiegazioni, prove, risate e qualche caduta. Michael aveva insegnato loro diversi altri passi, dopo quello iniziale.
Frisk non si divertiva così da… Nemmeno lei ricordava da quanto.
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Passarono oltre.
“C’è un altro puzzle in questa stanza… Mi chiedo se riuscirai a risolverlo da sola…”
Vide davanti a lei una lunga distesa degli stessi spuntoni trovati poco prima. Era quello?
“Questo è il puzzle, ma… Prendi la mia mano per un attimo.”
Delicatamente, circondò le dita della ragazza con le sue.
 
 
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In quel momento non erano necessarie parole che esprimessero le emozioni che la bambina dimostrava con il solo tenere la bocca spalancata, mentre stritolava la mano del cantante.
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La guidò attraverso il puzzle seguendo un preciso percorso, nel quale i ferri si abbassavano al loro passaggio, e arrivarono all’altra sponda.
“I puzzle sembrano essere un po’ troppo pericolosi per ora.”
Il prossimo era un lunghissimo corridoio vuoto.
“Sei andata benissimo fin qui, tesoro. Però… Ho una richiesta difficile da farti. Vorrei che camminassi fino alla fine di questa stanza da sola. Perdonami”, Toriel si voltò e schizzò via, tanto che Frisk la perse di vista in un istante.
Ma non era niente di che passare per un corridoio, quindi semplicemente iniziò a muoversi.
Avanzando, vide un’unica colonna di marmo alla sua sinistra e dalla quale venne fuori la donna. Per poco non urlò dallo spavento.
“Bambina mia, non preoccuparti. Non ti ho abbandonata. Sono stata dietro questa colonna per tutto il tempo. Grazie per esserti fidata di me. Comunque, c’è una ragione importante per questo esercizio. Dovevo testare la tua indipendenza”, Frisk annuì.
“Ho del lavoro da fare, e dovrai stare da sola per un po’. Rimani qui, per favore, è pericoloso esplorare da soli.”
Prima di andarsene, si voltò di nuovo.
“Ho un’idea. Ti darò un cellulare. Se hai bisogno di qualcosa, chiamami.”
Le consegnò quello che Frisk avrebbe considerato tutto meno che un cellulare. Sembrava più primitivo del fisso dell’orfanotrofio.
“Fai la brava, va bene?” E si allontanò.

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Capitolo 16
*** Casa? ***


Era seduta contro il muro accanto alla colonna da circa mezz’ora, e di Toriel ancora nessuna traccia. Aveva trascorso il tempo armeggiando con quello strano telefono, provando anche a comporre il numero di Diana senza ricevere risposta: probabilmente il segnale esterno non raggiungeva il Sottosuolo.
Sospirò. Non le sembrava il caso di rimanere ulteriormente lì ferma, tanto valeva fare un giro. E poi, se fosse stata scoperta, avrebbe sempre potuto inventare qualche scusa: con tutte le volte in cui le era successo con Bill, ormai era un’esperta.
Si alzò ma, superato il corridoio, il cellulare squillò.
“Pronto? Sono Toriel. Non hai lasciato la stanza, vero? Più avanti ci sono dei puzzle che devo ancora spiegarti, sarebbe pericoloso provare a risolverli da sola. Fai la brava, va bene?”  E riattaccò.
La ragazza accennò un sorriso, un po’ per divertimento, un po’ per incredulità: tutto ciò era assurdo.
Davanti a lei, in mezzo ad un ennesimo mucchio di foglie rosse, vide una luce come la precedente e la toccò, sentendone quasi il bisogno. Provò esattamente la stessa sensazione.
Adesso c’erano due vie da prendere, e le controllò entrambe. La prima portò ad una stanza con ai lati un paio di vasconi d’acqua e, in fondo, un piedistallo di marmo con sopra una ciotola piena di caramelle e un cartello: “Prendine una.”
Lo fece, solo una, e se ne andò.
 
[***]
 
Camminò per quasi una mezz’ora, seguendo il consiglio di Toriel riguardo l’evitare gli scontri. Aveva inoltre scoperto di essere particolarmente portata per i puzzle che, tra l’altro, la divertivano parecchio.
Aveva sempre avuto un ottimo senso dell’orientamento, e ciò le permise di non perdersi in quei corridoi che parevano tutti uguali.
Alla fine si ritrovò in quello che sembrava essere un giardino. Davanti a lei c’era un albero spoglio, con altre foglie rosse ai suoi piedi, e di un insolito colore nero.
Stava per avanzare, quando udì la voce di Toriel.
“Oh mamma, ci ho messo più tempo del previsto.”
La vide quindi a lato del grande tronco, intenta a fare una telefonata che arrivò proprio a lei. Subito, allo squillo, la donna le si fiondò di fronte.
“Come ci sei arrivata qui, tesoro? Ti sei fatta male?”
Frisk la rassicurò.
“Non hai un graffio… Impressionante! Ma comunque… Non avrei dovuto lasciarti da sola, è stato irresponsabile”, si scusò, invitandola poi a seguirla.
“Vieni, piccola mia!” Si recò in un’abitazione che la ragazza notò solo al momento. La seguì, ma non prima d’aver toccato un’altra di quelle lucine.
 
[***]
 
L’interno era interamente in legno molto chiaro, un bel distacco da tutti quei mattoni viola. Un odore invitante le giunse alle narici.
“Senti questo profumo? Sorpresa! È una torta di cannella e caramello.”
Quindi era questo che era andata a fare.
“Pensavo di celebrare come si deve il tuo arrivo. Voglio che tu viva bene, qui. E non ho fatto la classica torta di lumache.”
Lumache? Frisk storse un po’ il naso. Ma, a parte ciò… Toriel aveva parlato di ‘vivere lì’. Significava forse che… Aveva di nuovo una casa?
“Vieni, ho un’altra sorpresa per te”, la prese per mano, e la condusse in un lungo corridoio, di fronte alla prima di tre porte.
“Eccoci qua… Questa stanza è per te. Spero ti piaccia!”
La sua espressione mutò quando sentì la donna accarezzarle i capelli. Quel tocco… Così affettuoso… Le ricordava….
 
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La ragazza prese il suo posto, avvolgendo con un braccio le esili spalle della piccola, che adagiò la testa sul suo seno.
Nessuna delle due disse nulla. Mantennero quel contatto per un paio di minuti, mentre un’unica lacrima veniva assorbita dalla camicia della bionda.
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“Sto bruciando qualcosa? Ehm, mettiti pure comoda!” Detto ciò, schizzò via lasciandola di fronte alla porta.
Esitò un po’ ma, alla fine, la aprì e… Wow. Era bellissima, tutta sui toni de rosso e del rosa antico. A destra vi erano un letto singolo con accanto una lampada e ai piedi due grandi peluche e una cesta con dei giocattoli. A seguire, verso sinistra, un armadio, un mobile con una cornice vuota e impolverata insieme ad altri oggetti, una scatola piena di scarpe per bambini di svariate misure, il disegno di un fiore attaccato alla parete e, all’angolo, uno sgabello con un’altra lampada. Inoltre, enorme in mezzo al pavimento, un tappeto che sembrava ricamato a mano.
La prima cosa che fece fu spegnere la luce e mettersi sotto le coperte, rendendosi conto solo allora di quanto fosse stanca.
Ma prima di addormentarsi, la sua mente vagò per qualche minuto. Fu allora che realizzò pienamente cos’era successo. La sua famiglia l’aveva cacciata di casa, la odiava. E non poteva tornare indietro. O chiamare Diana, o Bill. E ancora, dopo anni di attesa, continuava a non avere idea di dove lui fosse, se stava bene, se era felice, se la stava cercando o si era arreso.
I suoi occhi si inumidirono, e li chiuse per non dover guardare in faccia la realtà, almeno per quel poco tempo in cui avrebbe dormito.
 

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Capitolo 17
*** Grazie ***


Quando Frisk si svegliò, accanto al suo letto c’era un piatto con una fetta di quella che doveva essere la torta di Toriel. Aveva un aspetto invitante, ma la ragazza si trattenne dal divorarla subito. La prese e si recò nell’area della casa dove aveva visto correre la donna, e la trovò seduta su una poltrona con un libro vicino ad un caminetto acceso.
Non appena la vide, le sorrise mettendolo via.
“Già sveglia? Eppure sembravi stanchissima, prima sei crollata in un attimo.”
Lei alzò le spalle, lasciando cadere l’argomento.
“Volevo ringraziarti per… Beh, per tutto quello che stai facendo. Insomma, per avermi portata qui e..”
“Oh, ma figurati piccola. Devi essere parecchio disorientata, è il minimo che possa fare. E poi non mi dispiacerebbe un po’ di compagnia. Ad ogni modo, vedo che non hai ancora mangiato la torta. Per caso non ti piace? Posso fartene un’altra diversa.”
“Ah, no no, assolutamente. Solo.. Pensavo di mangiarla con te.”
Toriel sorrise e si alzò.
“Allora vieni, mettiamoci di qua”, si spostò ad un tavolo contornato da quattro sedie.
 
[***]
 
Parlarono del più e del meno per quasi un’ora, e Frisk si complimentò svariate volte con Toriel per la sua bravura in cucina: quella torta era deliziosa!
Le raccontò poi della sua vita fino ad allora, di tutto ciò che le era successo e di come fosse finita nel Sottosuolo, del quale già conosceva l’esistenza grazie alla leggenda. Lei la ascoltava con enorme interesse, interrompendola talvolta per delle domande.
“Voglio che tu sappia che sono molto felice di averti qui. Ci sono così tanti libri che voglio farti leggere. Voglio mostrarti un sacco di cose! Potrei anche prepararti un percorso educativo. Ho sempre desiderato essere un’insegnante. Sono lieta di averti con me”, ripeté alla fine.
“Per me è lo stesso. Ti sono davvero grata, per ogni cosa. Sono stata fortunata ad incontrarti..” Ma si fermò, ora più seria, e la donna capì. A tal proposito, sviò subito il discorso nel tentativo di distrarla. Riprese quindi il volume di prima.
“Vuoi sapere di cosa parla il libro che sto leggendo?”
Lei rialzò gli occhi, accennando un sorriso. “Perché no?”
Toriel non esitò allora a metterglielo davanti.
“Si chiama ’72 usi delle lumache’.”
Ma era una fissa quella delle lumache?
“Sapevi che le lumache… Non sono adatte per creare lacci di scarpe?”
“Oh… Interessante”, commentò poco convinta, ma di nuovo sorridente. Iniziava già a sentirsi meglio.

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Capitolo 18
*** Promesse ***


“Io non ci credo”, disse il bambino, poco convinto.
“Come no?” Replicò Frisk, quasi indignata. “Guarda, c’è anche la foto!” Strappò via il libro dalle mani di Diana e glielo parò davanti. “Guarda!”
Lui lo scansò. “E’una montagna normale.”
La ragazza intervenne sorridendo. “Lascialo stare, dai. In fondo è difficile credere a cose del genere.”
“Ma… Ma..”
“Niente ma. Non ci credo. Punto”, ribadì lui. Poi però, di fronte all’espressione frustrata dell’altra, rise.
“Non mi prendere in giro!”
“Non ti sto prendendo in giro.”
“Sì invece!”
“Scema, falla finita.”
Frisk sbuffò.
Erano le tre del pomeriggio, e Diana aveva un impegno fissato a breve. Si alzò per salutare i due bambini, e lasciò loro il libro. Lei stessa ci credeva, e sperava che il piccolo avrebbe cambiato idea prima o poi.
 
[***]
 
Notte fonda, tutti dormivano compreso lui, ma Frisk non se ne curò e si arrampicò sul suo letto.
“Ehi..” Sussurrò, scuotendolo.
“Mmh.. Che c’è..?”
“Adesso ci credi?”
Un sospiro. “Ancora..?” Iniziava a spazientirsi. Aveva insistito con quella domanda per tutto il giorno. “No, non ci credo.”
La sentì scendere e fece per rimettersi  comodo, ma la luce si accese. Aprì gli occhi: Frisk era davanti a lui con il libro in mano.
Un altro sospiro, stavolta con un accenno di divertimento. Il bambino si tirò su facendole spazio.
“Guarda”, gli disse, prendendo la pagina con la foto della montagna e indicando la didascalia allegata, “Il monte Ebott sta in California, e noi ci potremo andare da grandi! Saremo amici di tutti i mostri, e magari-“
“Perché sei così fissata?” Lui alzò la voce, facendole spostare lo sguardo dall’immagine, sorpresa.
“Perché… Perché io ci credo.”
“Beh smettila di crederci. E’ una storia inventata. E adesso fammi dormire.”
 La rabbia, la frustrazione, la paura per il loro futuro, stavano prendendo il sopravvento, e la stanchezza non stava aiutando di sicuro.
“Ma... La California-“
“Non ci andremo in California! Hai capito? Forse ancora non ti rendi conto di dove siamo!”
La vide lì ferma, impalata, con un’espressione indecifrabile sul viso. Mai aveva alzato la voce con lei, ma in quel momento era troppo agitato per ricomporsi. Sbuffò.
“Adesso vattene. Lasciami in pace”, si rimise sotto il lenzuolo, dandole le spalle, e aspettò che si allontanasse.
 
[***]
 
Trascorse un’ora circa, forse poco di più, e il bambino ancora non riusciva a riprender sonno. Voleva scusarsi. Voleva e doveva. Solo perché lui preferiva essere realista, non significava che lei non potesse sognare.
Il fatto era che aveva paura. Era spaventato da cosa Frisk avrebbe trovato, prima o poi, a seguito di tutti quei sogni.
Era sul punto di alzarsi, quando percepì un avvicinamento al letto. La piccola vi si era inginocchiata accanto, le manine sul materasso. Non sapeva se star zitto o meno, ma il silenzio lo ruppe lei.
“Lo so che sei sveglio”,  sussurrò. “Ti muovi sempre quando dormi.”
Quasi non respirava per non interromperla. Voleva sentirla parlare.
“So anche che non sei arrabbiato con me, non mi devi chiedere scusa.”
Quelle parole lo fecero commuovere.
“Però il monte Ebott esiste, e io voglio conoscere i mostri. E magari li farò anche uscire dal Sottosuolo.”
Stavolta non la fermò, se ci credeva erano affari suoi. In fondo era piccola, avrebbe avuto tempo per capire.
“Io ci andrò, un giorno. Se tu non vuoi venire con me va bene. Ma quando tornerò con tutti i mostri, ci dovrai credere per forza”, si percepiva un sorriso dalla sua voce.
Era di nuovo seria. “Io te lo prometto, anche se non ci credi. E lo prometto a loro, anche se non lo sanno. E se ci sarà un’altra guerra, io combatterò per difenderli.”
Sospirò. Ne aveva di fantasia.
“Gli umani sono stati cattivi, hanno fatto male ai mostri. Io non sono cattiva. Io li salverò, anche se loro all’inizio avranno paura di me.”
La sentì sbadigliare.
“Farò vedere ai mostri che non tutti gli umani sono cattivi. Diana non è cattiva. Tu non sei cattivo. Michael Jackson non è cattivo. Li porterò ad un suo concerto, e verrete anche voi. Promesso.”
Frisk si strofinò un occhio, e si alzò. Fece per tornare a riposare, ma prima si voltò un’ultima volta.
“Io lo so dove siamo. Me l’ha spiegato Diana. Noi staremo qui finché una famiglia buona non verrà a prenderci, così poi avremo una vera casa e tu non avrai più paura.”
Ci fu una pausa.
“Non devi avere paura, noi staremo sempre insieme”, detto ciò, andò anche lei ad infilarsi nel suo letto, e pochi minuti dopo già dormiva.
L’altro guardò fuori ripercorrendo le sue parole, poi chiuse gli occhi. Quella sera era stata lei a consolarlo, con le sue stesse parole. Con la differenza che lei, usandole, non sapeva di star mentendo.

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Capitolo 19
*** Chi? ***


 
Trascorsero due mesi dall’arrivo di Frisk nel Sottosuolo. Toriel ricopriva la ragazza di amore e di attenzioni ogni giorno, come una madre fa col proprio figlio. Ed era così che lei iniziava a sentirsi, tanto che una volta l’aveva chiamata ‘mamma’ per sbaglio.
Conosceva ormai a memoria le Rovine, ed era diventata amica di tutti i mostri che le abitavano. Il primo era stato Napstablook, un fantasma con la sua stessa passione per la musica.
Toriel aveva tenuto fede alle sue parole: oltre che da ‘madre’, le stava facendo anche da insegnante. E non era affatto male! Con lei studiare era quasi un gioco, e più andava avanti più aveva voglio di continuare ad imparare.
Nel tempo libero, se ne andava in giro a risolvere i vari puzzle delle Rovine, anche se ultimamente non la soddisfacevano più allo stesso modo, erano sempre gli stessi.
Era davvero un bel posto, il Sottosuolo. Ovunque ci si girasse si trovava  amore e gente pronta ad accogliere tutti con un sorriso.
Ciononostante, c’era qualcosa che non tornava. Possibile che il popolo dei mostri fosse tutto lì? E che il monte Ebott racchiudesse solo quei pochi corridoi? Aveva accennato la domanda a Toriel un paio di volte, ma lei aveva sempre sviato il discorso.
Che le nascondeva qualcosa lo sapeva. Ma cosa?
Non aveva dubbi che c’entrasse in primo luogo il seminterrato della casa, al quale si accedeva tramite delle scale all’ingresso, ma che per lei erano off limits. Fin dall’inizio le era stato proibito di addentrarsi lì sotto, ma mai aveva ricevuto una motivazione in merito.
La tentazione di disobbedire fu forte quando, un giorno, la ragazza si svegliò non trovando nessuno in cucina.
Era presto, forse Toriel stava ancora dormendo. Era la sua occasione, ma non voleva rischiare di essere scoperta. Si posizionò davanti alla stanza chiusa della donna, e aprì appena la porta: non c’era. Evidentemente era nel mezzo del suo solito giro: tutte le mattine si recava al luogo dove aveva trovato Frisk, per controllare se qualcun altro fosse caduto e per prendersi cura dei fiori dorati sui quali l’umana era atterrata.
Alzò le spalle e richiuse, tornando con la mente a quelle scale che continuavano a chiamarla. Si ritrovò a fissarle, immobile, valutando se scendere o meno. Aveva l’opportunità di togliersi finalmente tutti i suoi dubbi, e stava quasi per andare… Ma si fermò.
Pensò alla fiducia che Toriel riponeva in lei, a come si fidasse al punto da non prendere nemmeno delle precauzioni per accertarsi che la ragazza non le disobbedisse. No, non poteva farlo. L’ultima cosa che voleva era deludere quella donna tanto buona che l’aveva presa con sé come una figlia.
Andò in camera sua a raccogliere un foglio, una matita e dei colori, dopodiché si sistemò sul tavolo in sala da pranzo, prendendosi anche una fetta di torta avanzata dal giorno prima.
Un’altra abitudine che aveva sviluppato in quei due mesi era il disegno, e Toriel la incoraggiava malgrado la sua scarsissima bravura. Aveva tappezzato la casa con tutte le sue creazioni, come una mamma fa con gli scarabocchi del proprio bambino.
Stavolta, però, Frisk voleva stupirla. Voleva superarsi, benché non ci volesse poi tanto, e tirar fuori qualcosa di sorprendente persino per se stessa. Avrebbe dovuto risultare assurdo pensare che fosse opera sua.
Sì! Toriel sarebbe rimasta a bocca aperta!
Diede un morso alla torta e si mise al lavoro.
 
[***]
 
Aveva quasi finito, non stava venendo niente male. Forse, in fondo, non si era mai impegnata davvero nel disegno.
Comunque, aveva bisogno di una matita dal tratto differente per gli ultimi ritocchi alle sfumature, e magari un temperino per i colori da ripassare.
Andò a cercarli, ma scoprì di aver finito tutte le matite più leggere, oltre ad aver perso di nuovo il temperino.
Sbuffò. Com’era possibile? Non l’aveva neanche usato quei giorni.
Ad ogni modo, forse Toriel ne aveva uno in camera sua.
Entrò, diretta alla scrivania, e raccolse ciò che le serviva dalle pagine di un quaderno aperto. Il suo sguardo passò su una frase, l’ultima scritta: Io la proteggerò.”
Lesse la riga prima: “Non perderò anche lei.”
Si soffermò su quelle parole. A chi si riferiva?

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Capitolo 20
*** Dylan: la pazienza ***


“C-Chi c’è là? Non.. Non ti avvicinare!” Intimò, puntando davanti a sé un coltello di plastica. La donna non avanzò. Quella ragazzina era terrorizzata.
“Non temere tesoro, non voglio farti del male”, la rassicurò gentile.
“Come faccio a fidarmi? Chi sei?” Ma intanto abbassò ‘l’arma’.
“Mi chiamo Toriel, sono la guardiana di questo posto.”
“Gua… Guardiana?”
“Sì”, si percepiva un sorriso nella sua voce. “Passo di qui ogni giorno nel caso qualcuno sia caduto giù, come te.”
“Oh.. Succede spesso?”
“In realtà no, tu sei la prima dopo tanto tempo. Posso avvicinarmi ora?”
“…Non mi farai del male?”
“Certo che no, piccola. Voglio aiutarti, io sono tua amica.”
A quel punto le due finalmente si ritrovarono faccia a faccia, e la ragazza non poté contenere un lieve sussulto di sconcerto alla vista dell’altra.
“Come ti chiami? Sei molto giovane.”
“Ho 13 anni.. Mi chiamo Dylan.”
“Davvero un bel nome”, commentò Toriel. “Perché non mi racconti un po’ di te mentre andiamo?”
“Dove?”
A casa.”
 
[***]
 
La ragazza crollò sul letto della sua nuova stanza poco dopo essere entrata, era proprio sfinita. E come biasimarla? Un simile cambiamento nella sua vita, così improvviso poi, doveva essere davvero uno shock. Chissà i suoi genitori, gli amici, e la cugina… Già, soprattutto lei. Perché Dylan prima di cadere stava badando alla sua cuginetta, che aveva insistito per andare a giocare in cima al monte. Il coltello di plastica che le aveva puntato contro era suo.
Naturalmente, nessuna delle due era a conoscenza della storia celata dietro a quel luogo, altrimenti non si sarebbero di certo avvicinate.
Pensava a quella bambina rimasta da sola, a cosa stesse facendo adesso. Preoccupazione che le impediva di concentrarsi a pieno sul dolce che stava preparando in attesa che Dylan si svegliasse.
Si costrinse però a scansare le immagini correnti nella sua testa. Ora doveva solo prendersi cura della ragazza, non poteva permettersi un altro errore.
 
[***]
 
Un paio d’ore più tardi, Dylan si presentò in soggiorno, dove trovò Toriel a leggere su una poltrona accanto a un camino acceso.
“Hai dormito bene tesoro?” Le domandò senza alzare gli occhi dalle pagine.
“Mh-mh”, annuì lei, avvicinandosi.
“Prima mi hai fatta preoccupare, temevo non ti sentissi bene”, chiuse il libro con un sorriso, dopo aver messo il segno. “Ma forse avevi solo bisogno di riprenderti.”
“Non è proprio una cosa da tutti i giorni..” Ribatté la ragazza con una punta di sarcasmo. Se pensava a sua cugina rimasta sola lì sopra, sentiva ancora gli occhi bruciare.
“So che non dev’essere facile per te”, Toriel divenne più seria. “Posso solo immaginare cosa significhi veder cambiare la tua vita in questo modo. Ma vorrei davvero riuscire a dartene una altrettanto bella. Possiamo essere felici qui. Possiamo fare così tante cose. Io posso prendermi cura di te, permettimi di farlo.”
Dylan non replicò subito, lasciando credere che fosse dubbiosa su cosa decidere. Ma abbassò lo sguardo, poi lo riportò su Toriel, e sorrise.
“Di cosa parla quel libro?”
 
[***]
 
Non era facile essere un umano nel Sottosuolo: dati gli eventi passati, l’ostilità e la diffidenza nei confronti della ragazza erano all’ordine del giorno. La sua prima settimana di permanenza fu un continuo evitare conflitti con ogni mostro che incontrava girando per le Rovine. Ci mise un po’ a farseli tutti amici, alcuni erano più convinti degli altri della minaccia che rappresentava.
Tuttavia, nessuno la vide mai perdere il controllo, né stancarsi di ripetere sempre lo stesso discorso, divenuto ormai quasi meccanico, con il quale rassicurava chi aveva davanti e si presentava come una persona buona, non intenzionata a far del male a qualcuno.
Toriel era molto soddisfatta di come Dylan si approcciava a quel mondo, e in poco tempo il suo giro mattutino si trasformò in uno schematico rispondere a tutta la gente che incrociava per strada, che le chiedeva di lei.
Alle volte Napstablook andava a trovarla a casa loro. Capitava che i due si chiudessero ore intere in camera ad ascoltare musica sdraiati a terra. Cosa ci fosse di così emozionante nello stare sul pavimento, non l’aveva ancora capito. Dicevano che dava un senso di pace, specie se fatto tenendo gli occhi chiusi. Ci aveva anche provato, constatando però di preferire di gran lunga il letto.
 
[***]
 
La amavano tutti. Viveva con loro da circa un anno e sembrava esserci sempre stata. Si era fatta tanti amici, praticamente l’intera popolazione delle Rovine.
Quella casa, pensava Toriel, non sarebbe stata più la stessa senza di lei.
Purtroppo, ciò non rappresentava solo una supposizione: da qualche settimana, Dylan chiedeva spesso cosa si trovava al di là della grande porta in fondo al seminterrato. Era scesa lì sotto una sera, in sua assenza. Quando rientrò, non vedendola da nessuna parte, le venne subito in mente quello e la raggiunse appena in tempo per riportarla su per un braccio.
Fu la prima volta che la sgridò.
 
[***]
 
“Ti ho detto di smetterla con questa domanda.”
“Perché non puoi semplicemente rispondermi?”
“Perché semplicemente non c’è una risposta.”
“In tal caso non faresti così tante storie.”
Discutevano da un quarto d’ora. O meglio, Toriel discuteva. Era l’unica agitata tra le due. Dylan non dava il minimo segno di nervosismo, come sempre d’altronde. Non che la donna fosse solita a risultare aggressiva o altro, ma nella sua testa volteggiava attualmente un turbine di immagini passate che sperava di non rivedere più.
“Basta Dylan. È l’ultimo avvertimento.”
“Ma te lo sto chiedendo per favore.”
“E io ti ho già detto di no.”
“Ormai so che c’è qualcosa di importante là dietro.”
“Non ho intenzione di ripetermi.”
“Non ha senso tenermelo nascosto.”
“Ne ha ancora di meno dirtelo.”
“Ma se solo tu-“
“Basta con questa storia Dylan! Io so cosa è meglio per te! E che ti piaccia o meno, tu vivi qui! E qui valgono le mie regole! Non voglio più sentire una sola parola su quella porta! Spero di esser stata chiara!”
Calò il silenzio. Un silenzio assordante.
La ragazza la guardava stupita e un po’ scossa: non l’aveva mai sentita alzare la voce. E Toriel se ne rese conto.
“Senti.. io-“
Ma non ebbe il tempo di aggiungere nulla. Dylan se ne andò in camera sua.
 
[***]
 
“Tesoro.. posso entrare?” Chiese la donna dopo aver bussato. Era lì dentro da mezz’ora.
 “Sì”, rispose lei dall’altra parte.
La trovò sul letto sdraiata in avanti. Giocherellava con un peluche a cui aveva tolto un nastro colorato per legarselo al polso. Quando la vide spostarsi un po’ per farle spazio, le si sedette accanto.
“Mi dispiace per prima.. non avrei dovuto urlare.”
“Non fa niente, può succedere”, le sorrise. “Sarebbe impossibile non arrabbiarsi mai.”
Toriel sorrise a sua volta. “Tu ci riesci benissimo, mi sembra.”
Dylan alzò le spalle, mettendosi seduta. “Sono un caso a parte.”
 “…Se non voglio dirti cosa c’è dietro quella porta, è solo per proteggerti. Lo capisci, vero?”
La ragazza annuì, evidentemente rassegnata.
“…Però non posso neanche impedirti di sapere.”
E finalmente, Toriel parlò.
 
[***]
 
“Devo fare qualcosa.”
“No, è pericoloso. Per favore non cominciare.”
“Ma non posso starmene qui ferma dopo aver saputo tutto questo.”
La discussione proseguì per alcuni minuti, finché Toriel cedette.
“Starai attenta?”
“Che domande.”
“E tornerai da me?”
“Sempre.”
“…D’accordo.”
E per quella sera, il discorso sfumò via.
 
[***]
 
“Sei ancora sicura di voler andare?” le domandò di nuovo, speranzosa in un cambio d’idea, ma lei annuì.
Erano davanti alla porta che dava all’esterno delle Rovine.
“Bambina mia..” La strinse tra le braccia, era sul punto di piangere. “Fai la brava, va bene? Io sarò qui ad aspettarti.”
“Non dovrai attendere a lungo,” affermò decisa la ragazza, e attraversò la grande soglia che si richiuse alle spalle.
Ma Dylan non avrebbe mai più rivisto le Rovine.
 

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Capitolo 21
*** Helýas: il coraggio ***


Helýas: il coraggio

 
“Mi basteranno 5 minuti.” Affermò il ragazzo, mentre si legava la bandana in testa.
“Tu sei sicuro, eh?”, lo sfidò uno degli amici.
“Assolutamente sì.” Rispose, completando il nodo.
“Facciamo così”, intervenne un altro, rivolto al resto del gruppo, “Se Helýas ce la fa, sarà automaticamente il vincitore”.
Tutti acconsentirono, qualcuno fece partire il timer, e lui schizzò via.
Era una gara, la loro. Una prova a turni di coraggio, con luogo di svolgimento il famoso monte Ebott, oggetto di una leggenda tanto intrigante quanto inverosimile.
La sfida consisteva nella ricerca di un oggetto nascosto. Il primo ad andare doveva portare con sé qualcosa, e posizionarla al posto di qualcos’altro trovato lì sul momento. Se, per esempio, veniva nascosto un libro dopo aver raccolto un sasso, quel sasso avrebbe dovuto essere portato al concorrente successivo, il quale avrebbe fatto la stessa cosa e così via.
Helýas voleva nascondere la bandana che portava in testa, e al suo posto doveva rinvenire uno dei loro guantoni da box.
Il ritrovamento dell’oggetto era la prova di essere stati davvero in esplorazione sul monte. Lui era il penultimo.
Le regole iniziali non prevedevano un vincitore: avrebbero vinto tutti coloro che avessero portato a termine la sfida. Quel cambiamento però era alquanto invitante, ed Helýas continuò a correre, avvicinandosi sempre di più alla cima. Non era molto alto in effetti, e ciò aumentava l’inattendibilità della leggenda: come poteva esserci un intero popolo sotto una montagnetta di appena 300 metri? Sorrise a se stesso, era praticamente arrivato. Era sicuro che l’avrebbe trovato lì, quel guanto. Conosceva il suo amico, poteva scommetterci tutto.
Ecco, ancora un attimo e-… Uoh…
Si congelò sul posto, fermo sul ciglio dello strapiombo, che a quanto pareva esisteva veramente.
“Questo sì che è alto..”, mormorò. Ma la sua attenzione cambiò subito soggetto. Passò al famoso guanto, appeso a un rametto che sporgeva a qualche metro da lui. Sorrise, soddisfatto del suo intuito, e si spostò di alcuni passi. Il ramo spuntava dalla parete del burrone, più in basso rispetto al bordo. Si inginocchiò, accucciandosi a terra, e allungò un braccio. Era lontano. Ma come ci era arrivato a metterlo lì? Si sporse ancora, e ancora, e ancora, e lo raggiunse. Ma con tutto il corpo.
 
[***]
 
Schiuse gli occhi. La testa gli doleva. Per qualche istante non ricordò nemmeno cosa fosse successo. Gli ci volle un po’ per realizzare di non essere della propria stanza… Dov’era?
Guardò su, c’erano metri e metri di altezza a separarlo dalla luce del cielo.
“Salve!”.
Saltò a sedere. “Chi ha parlato?”.
“Più giù, campione”, gli suggerì la stessa voce amichevole. Obbedì. Era… un fiore. Non si spaventò, non sembrava neanche scosso da tutto ciò.
“Wow, quindi la leggenda era vera”, disse tra sé e sé. “Tu chi sei?”.
“Io sono Flowey. Flowey il fiore.” Non gli diede neanche il tempo di rispondere. “E’ la tua prima volta nel Sottosuolo, qualcuno dovrà pur spiegarti come funzionano le cose qui. Sarò felice di essere io a farlo!”.
“Oh, beh, grazie”, disse Helýas, sorridendo. “Ma vedi, io adoro l’avventura. E c’è più gusto a scoprire le cose da soli. Ti dispiace se rifiuto?”.
Seguì un breve silenzio, poi Flowey annuì.
“D’accordo, capisco.” Poi la sua espressione cambiò. “Ma vedi”, ripeté le sue parole. “Io ADORO dare lezioni ai ragazzini su come si vive qui, o come si muore”. Sopra di lui apparvero quelli che sembravano semi, tutti bianchi.
Helýas iniziò a preoccuparsi.
“Mi piace vedere le loro espressioni terrorizzate”, i semi lo circondarono, “quando realizzano che stanno per morire”.
Il ragazzo non parlava. Stava riflettendo su cosa fare. lasciarsi prendere dal panico non sarebbe servito a niente.
“Avanti, mostrami la tua”, lo incitò Flowey.
Ma Helýas non lo soddisfò. Raccolse da terra il guanto da box caduto insieme a lui, e senza pensarci due volte prese la mira e lo scagliò contro il fiore, il quale ritirò l’attacco, disorientato. Fece appena in tempo a ritrarsi nel terreno, che il piede dell’altro colpì violentemente il punto dove si trovava poco prima.
Stava per tornare su, ma ci ripensò quando l’umano corse verso le Rovine.
Avrebbe aspettato l’occasione giusta.
 
[***]
 
Era stato divertente esplorare quel posto. L’unico pensiero nella mente di Helýas era: “Finalmente qualcosa di nuovo!”
Ora si stava avvicinando a un grande albero completamente nero, privo di tutto il rosso delle foglie che gli giacevano sulle radici esposte. Sui suoi rami ne crescevano a vista d’occhio, ma subito si staccavano cadendo leggiadre insieme alle altre.
“E tu come ci sei arrivato qui?”
Si girò, era la voce di una… donna? Non era sicuro di che cosa fosse. Cioè, sì, era un mostro, ma era indiscutibilmente diversa rispetto al fiore di prima, a Flowey. Sembrava… più umana.
“Sei caduto, non è vero?”, domandò avvicinandosi. Helýas annuì.
“Oh, povero piccolo”, commentò, prendendogli gentilmente il viso tra le mani per scovare eventuali segni di ferite.
“Sto bene, sto bene”, la rassicurò lui, un po’ a disagio.
“Devi essere molto disorientato”.
“Veramente io-“.
“Chissà che paura, arrivare fin qui tutto solo”.
“Ma guarda, non-“.
“Vieni con me tesoro, mi prenderò cura io di te. Sarai al sicuro”. Lo prese per mano e si diresse verso la casa alle spalle dell’albero. Helýas rinunciò ad obiettare, e tra sé e sé sorrise. Che carina. Non sarebbe stato male stare con lei… anche perché non aveva alternativa.
 
[***]
 
“Ma Toriel, capiscimi! Non posso restare per sempre fermo qui a non fare niente! Non ora che so tutto questo!”
“Tesoro, per favore. Tu non sai cosa c’è là fuori.”
 
“E proprio per questo voglio andarci. Sarebbe un’avventura fantastica! E poi non ho paura di Asgore. Anzi, sono sicuro di poterlo battere. Vi libererò tutti, troverò il modo di distruggere la barriera. Magari lo farò ragionare, e ci lavoreremo insieme.”
Insisteva con quel discorso da quando aveva scoperto la realtà oltre le Rovine. Gliene avevano parlato alcuni degli amici che si era fatto in quelle due settimane, e da allora non aveva smesso un attimo di pensarci.
Ma Toriel vedeva una luce particolare negli occhi del ragazzino, ed una altrettanto insolita si accese nei suoi: speranza.
Non se lo sapeva spiegare, ma sentiva che c’era qualcosa di diverso in lui, una capacità che altri non avrebbero avuto. Era interdetta sul da farsi, doveva decidere con giudizio.
Era coraggioso, Helýas, non si sarebbe fatto intimorire da niente e nessuno, mai, lei lo sapeva… Ma allora cos’era quella strana sensazione?
“Sei proprio così convinto di potercela fare?”
“Sì”, fu la risposta.
“Mi prometti che tornerai da me?”
Lui annuì.
Toriel chiuse gli occhi, inspirando lentamente. Poi si voltò, diretta al seminterrato della casa.
“Vieni con me, bambino mio”. E in quel momento, si chiese se quella fosse davvero la scelta giusta.

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Capitolo 22
*** Elohir: l'integrità ***


“Oh, andiamo, e fattela una risata!” La schernì uno di loro, mentre un altro le strappava dalle mani la borsa della scuola di danza.
“Che c’è qui dentro?” Fece un’altra ragazza, infilandoci un braccio. Un attimo dopo, ne vennero fuori due ballerine.
“Belle!” Commentò la stessa, guardando poi Elohir. “Che dite, la facciamo ballare?”
Tutti acconsentirono, naturalmente, e poco importava cosa ne pensasse la diretta interessata.
“Mettitele.”
“Ma io-“
“Mettitele!”
La poverina non ebbe scelta se non obbedire.
Si allontanò di poco sotto lo sguardo attento degli altri, che abbassarono la guardia quando la videro sedersi su un grande sasso per cambiarsi le scarpe. Esattamente ciò che lei aspettava.
Si alzò di colpo per correre via, ma fece l’errore di dirigersi verso la cima del monte ai piedi del quale si trovavano. Ormai però doveva continuare, se si fermava era la fine. Li sentiva urlare, li sentiva dietro di sé, ma proseguì al massimo della sua velocità, annaspando tra gli alberi che sembravano quasi volerla aiutare, magari tirandola su, al sicuro tra i loro rami, e per un momento Elohir sperò che accadesse davvero, come per magia. Ma non sarebbe successo. “La magia non esiste.”
 
[***]
 
E per lei, non esisteva neanche la fortuna.
L’avevano raggiunta. L’avevano presa. Erano in cima al monte, ed ora si trovava di nuovo ai suoi piedi… Ma dall’interno.
L’avevano buttata giù. Per sbaglio, ma l’avevano fatto. Volevano spaventarla spingendola verso lo strapiombo, ma lei era scivolata, precipitando sotto gli sguardi pietrificati di tutti.
Come facesse ad essere viva, non lo sapeva. Né aveva idea di come fosse possibile non provare dolore dopo una simile caduta. Ma poco importava, voleva solo andarsene da lì.
Anche perché quel fiore che la fissava cominciava ad essere davvero inquietante.
 
[***]
 
“Perché non ti difendi mai?” Le chiese Napstablook, mentre la riaccompagnava a casa. Lei alzò le spalle.
“Non vorrei rischiare di dire qualcosa di offensivo”, disse lei semplicemente, ed era vero. Elohir aveva sempre ragionato così. Considerava la celebre Regola d’Oro un autentico stile di vita, che aveva da anni fatto proprio. Le piaceva l’idea di essere costantemente una persona buona, nel giusto, che non facesse mai nulla per ferire anche solo involontariamente qualcuno, né tantomeno che lo desiderasse, nemmeno nei momenti di rabbia.
Era la sua etica in superficie, con tutti, e lo era anche nel Sottosuolo, con ogni singolo mostro. Anche con quel tipetto che fin dall’inizio aveva teso ad essere alquanto sgradevole con lei. A questo si riferiva Napstablook con la sua domanda.
 
[***]
 
“Tesoro, non capisco. Sei qui da così tanto.. perché adesso hai tutta questa voglia di uscire?”  Toriel era in difficoltà. Dopo due anni senza il minimo accenno a tale argomento, era arrivata a credere che Elohir fosse diversa, che lei sarebbe restata, ma…
“Io voglio fare qualcosa. Blooky mi ha raccontato di questa Dylan.”
Toriel sentì una morsa al cuore.
“Ha detto che era la sua migliore amica.”
La donna abbassò lo sguardo. “Sì…lo so.”
“Mi ha raccontato tante cose di quando c’era lei, e…di come è finita”, l’ultima parte la disse sottovoce. “E ha parlato anche di un altro ragazzo, qualcosa come… Elia?”
“Helýas, sì..”
“Wow… davvero ci sono stati altri umani prima di me? E sono solo loro?”
Toriel indugiò. “…Sì”, un sospiro. “Fammi indovinare. Vuoi uscire dalle Rovine per riuscire dove loro hanno fallito.”
Elohir si zittì. In effetti, il concetto che aveva in mente era quello.
“Non.. sei d’accordo?”
“No, finisce sempre allo stesso modo. Considera la questione chiusa”, si diresse in cucina per preparare il pranzo. “Per favore, non insistere.”
E per quel giorno andò così.
 
[***]
 
Niente da fare, Elohir era irremovibile, e Toriel era stanca di discutere. Non voleva alzare la voce come in passato.
“Ma ti prego, promettimi che tornerai.”
E ancora una volta, quella richiesta fu la chiusura dell’ultima conversazione della guardiana con qualcuno di molto, molto importante per lei.
 
 

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Capitolo 23
*** Dàeron: la perseveranza ***


 
“Ci sono quasi. Sto per portare alla luce la verità sul più grande mistero mai esistito nella storia.”
La sedicenne si sistemò meglio gli occhiali, e subito riprese a scrivere, mentre le sue gambe la conducevano verso la cima dell’enigmatico monte Ebott.
Era il suo hobby. Lo era sempre stato. Fare ricerche sui quesiti più insoliti e andare a scoprirne l’autenticità di persona. Lo faceva da sempre, e annotava tutto nel suo prezioso taccuino, che non lasciava mai incustodito.
Aveva avuto a che fare con ogni genere di storia, ma quella… Oh, quella le batteva tutte. Un luogo sotterraneo abitato da creature magiche! Era qualcosa di assurdo e così affascinante, e la più inverosimile delle legende, eppure… Era fondata. Se lo sentiva.
Stava giusto pensando, sempre con gli occhi puntati sulla carta, che doveva essere di sicuro arrivata, quando i suoi piedi non percepirono più il contatto con il terreno.
Distratta. Troppo distratta. Ed ora pagava con la vita.
Sì, perché quella non era una caduta di qualche metro, e le sue urla riecheggiavano in modo impressionante nell’enorme burrone nel quale si era praticamente tuffata. Il suo ultimo pensiero fu il fatto che, perlomeno, aveva constatato l’esistenza di quel famosissimo strapiombo.
 
[***]
 
E invece era viva. Viva e perfettamente intera. E da circa cinque minuti stava assillando il povero Flowey con le sue storie e con il suo taccuino.
Il fiore aveva anche rinunciato ad attaccarla, un po’ perché era divertente, un po’ perché non riusciva a concentrarsi con tutte quelle chiacchiere in sottofondo.
“Senti, ragazzina”, sbottò infine. “Io ne ho abbastanza, non ho intenzione di perdere altro tempo”, aveva anche lasciato perdere l’idea di ucciderla, era troppo nervoso, non voleva neanche sprecare della magia con lei. Avrebbe aspettato che morisse nel viaggio che, era certo, avrebbe intrapreso. “Addio”, e sparì.
 
[***]
 
Gli abitanti delle Rovine ci avevano messo un po’ ad abituarsi alla parlantina di Daeron, ma col tempo era arrivata a risultare anche piacevole, fatta qualche eccezione.
Toriel, dal canto suo, era entusiasta di aver trovato una compagna di dialogo tanto risoluta, e non perdeva occasione per farsi raccontare una delle sue avventure, anche quelle già sentite (praticamente tutte ormai).
Conoscerla, però, le aveva anche permesso di intuire che quella ragazza era forse più perseverante degli altri nel portare avanti i suoi piani. Ed era sicura che tra questi ci fosse anche attraversare il Sottosuolo.
Fu proprio la donna a tirar fuori il discorso, chiedendole se fosse effettivamente così. La risposta, come previsto, fu positiva.
Andò esattamente come le altre volte.
 

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Capitolo 24
*** Sàiram: la gentilezza ***


La bontà d’animo gliela si leggeva negli occhi, ed era la stessa che l’aveva spinto a salire sul monte. Gli era stato chiesto un favore, una foto dello strapiombo situatovi in cima. Ma la profondità era troppa per scorgere il terreno. Ciononostante, il ragazzo aveva voluto provarci ugualmente, e si era sporto. Troppo. Ed era caduto.
Era caduto e aveva trovato un fiore sorridente e dall’aria gentile ad accoglierlo. Già.. Dall’aria. E quella piacevole apparenza lo ingannò, perché la stessa creatura lo assalì poco dopo con quelli che lui definiva petali, ma che in realtà sembravano ed erano tutt’altro.
“Aiuto!” Aveva gridato, ma nessuno pareva star arrivando, fin quando..
 
[***]
 
“Grazie ancora”, ripeté per la quindicesima volta a chi l’aveva tirato fuori da quella situazione, e che ora lo stava portando via da lì. Aveva detto di conoscere una persona che si sarebbe presa cura di lui.
“Non devi ringraziarmi, davvero. Non ho fatto granché..”
“Stai scherzando? Mi hai salvato la vita!”
Non gli rispose. Sembrava a disagio.
“Ehm… qualcosa non va?”
“Mh? Oh no, nulla. È solo che… Mi ricordi un paio di persone.”
“Ed è.. una cosa negativa?”
“Sì.. Cioè no..”, un sospiro. “Dipende.”
“Da cosa? Erano brutte persone?”
“Affatto, erano tutti fantastici, è solo che-“, ma il ragazzo intervenne con una lieve risata.
“Beh, allora è una cosa positiva. Grazie del complimento!”
Finalmente entrambi sorrisero.
“Comunque, come ti chiami?”
“Napstablook.”
 
[***]
 
Quando decise di andarsene, ciò che più gli doleva era dover lasciare uno dei più grandi amici che avesse mai avuto, oltre che colei che era diventata ormai quella che lui riconosceva come una madre.
Lo consolava, però, la consapevolezza che il motivo per cui lo faceva era liberarli tutti.
“Certo che tornerò”, disse rassicurante alla donna. “Vi porterò via da qui, è una promessa.”
Ma Sàiram, quel giorno, sorrise per l’ultima volta al suo amico fantasma.
 

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Capitolo 25
*** Idryl: la giustizia ***


Cosa c’era da dire? Era stanca. Era esausta. Non ne poteva più, Toriel, di dannarsi l’anima per cambiare il destino di quelle di altri. Ciò non significava che avesse provato meno dolore nel lasciare andare anche lei, ma questa volta neanche ci provò. Non disse nulla. Annuì, la prese dolcemente per mano e la condusse lungo il corridoio sotterraneo che portava all’uscita delle Rovine. Impedì a quel flebile barlume di speranza di mettere radici in lei, e disse addio a un’altra dei suoi bambini.
A proposito, ecco qualche informazione su Idryl (poca roba, davvero, lei se ne andò quasi subito).
Dedita fin da piccola alla difesa di ciò che è giusto, la ragazzina era cresciuta con sani e precisi valori nel cuore. All’età di 15 anni, venne a conoscenza della tanto antica quanto inverosimile legenda del popolo dei mostri, rinchiusi da ormai secoli in un regno sotterraneo, nei pressi del monte Ebott.
Caso volle che esso si trovasse proprio in California, paese d’origine della giovane Idryl, che non ci pensò due volte a buttarsi a testa bassa in quella vicenda, in tutti i sensi.
Sì, perché lei in quel burrone ci saltò volontariamente, armata della pistola di suo padre e con in testa il cappello che quest’ultimo le aveva lasciato prima di partire per una spedizione, un paio d’anni prima, dalla quale non era più tornato. Era il rischio del mestiere, lui andava in soccorso di popolazioni minori nei luoghi più disparati, e spesso in quei viaggi si incontrava la guerra.
L’aveva preso da lui, Idryl, il senso della giustizia. Gliel’aveva sempre detto, fin dalla sua nascita, che la vita l’avrebbe dedicata a lei, a sua madre, e a tutti coloro che non ne avevano una altrettanto fortunata.
Lei avrebbe seguito le sue orme. Aveva sempre desiderato essere come lui. Quale occasione migliore di questa? Salvare un popolo privato della propria libertà, ridargli i diritti che fino ad allora gli erano stati negati.
Avrebbe voluto che suo padre fosse lì, a sostenere sua figlia che finalmente aveva trovato il modo di mettere in pratica ciò che le aveva sempre insegnato. Chissà che orgoglio, chissà che fierezza.
Ma lui non era lì, e anche per questo doveva riuscire in quella missione. Per fare giustizia a tutti gli eroi caduti nello stesso intento. Ce l’avrebbe fatta.
 
[***]
 
Flowey fu colto alla sprovvista da quell’umana, quando la sentì affermare di voler liberare i mostri dal Sottosuolo, di essere lì per questo, di sapere esattamente dove si trovava. Fu talmente sorpreso da non attaccarla nemmeno, incoraggiandola anzi a proseguire, a mettercela tutta, mascherando nel mentre un ghigno d’eccitazione. Sarebbe stato uno spettacolo da non perdere.
E lei, lì sotto, durò più di tutti gli altri.
 

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Capitolo 26
*** Frisk: la determinazione ***


Man mano che proseguiva nella lettura, trovava sempre meno parole a raccontare di quei ragazzi. Anche la qualità della scrittura regrediva, come se Toriel fosse stanca di farlo, di ripercorrere sempre la stessa storia.
Perché non le aveva mai detto di loro?
No, che domande, era ovvio. Non voleva che succedesse di nuovo, ma… Adesso era inevitabile. Non voleva lasciarla, ma sentiva di dover fare qualcosa, ora che sapeva. Ed era un vantaggio conoscere il passato dei mostri. Cioè, di sicuro c’era di più, molto di più, ma quel piccolo frammento di storia era ciò che le serviva per poter ragionare. Non era mai stata grata a Diana come in quel momento. Doveva sfruttare ogni informazione, doveva trovare il modo di agire. Non-
“Sono tornata!”
“Cavolo.”
 Toriel era a casa, ma non poteva dirle nulla. Non ancora, almeno. Prima aveva bisogno di un piano. Doveva poterle spiegare esattamente cosa aveva intenzione di fare, e soprattutto mostrarsi sicura di sé, o non l’avrebbe mai lasciata andare. Afferrò i tanto agognati strumenti da disegno e uscì dalla stanza, trovando la donna in sala da pranzo ad ammirare il disegno.
“Wow! L’hai fatto davvero tu?”
“Cercherò di prenderlo come un complimento”, scherzò Frisk, facendola ridere. Ma lei non aveva alcuna voglia di ridere. Stava poco a poco realizzando la grandezza di ciò che aveva scoperto, e la sua fame ne stava risentendo. Male. Era quasi ora di pranzo, e lei mangiava sempre con notevole appetito. Poteva dire di non sentirsi bene, ma così Toriel le sarebbe stata intorno tutto il giorno per controllarla, e Frisk aveva bisogno di stare da sola.
La vide andare in cucina, e la seguì come suo solito. Doveva sembrare tutto normale.
“Pensavo di preparare uno stufato di verdure oggi”, affermò posando un paio di buste sul piano cucina. La aiutò a sistemare il contenuto all’interno di credenza e frigorifero, mentre acconsentiva allegra. Perfettamente coerente, considerando che lei AMAVA lo stufato di verdure di Toriel.
“Va’ pure a finire il tuo disegno. Ti chiamo appena è pronto per apparecchiare.”
Frisk annuì sorridente e si dileguò. Raccolse disegno, colori, matite e tutto il resto, e corse nella sua stanza per schiarirsi le idee.
 
[***]
 
Il pranzo trascorse in un insolito silenzio, e Frisk toccò appena cibo.
“Tesoro, ti senti bene? Non parli, non mangi, è successo qualcosa?”
Lei scosse la testa, e si alzò per sparecchiare, pregando che non le facesse altre domande, in quanto non aveva alcuna scusa pronta all’utilizzo.
Piegò distrattamente la tovaglia e buttò tutte le stoviglie nel lavandino.
“Forse sono solo un po’ stanca, mi sono alzata presto oggi. Credo che andrò a riposare.”
Non attese nemmeno una risposta da parte sua, e sparì nel corridoio.
 
[***]
 
Faceva avanti e indietro su quell’enorme tappeto da almeno dieci minuti, senza però pensare effettivamente a qualcosa.
“Aaaaah!” Si gettò sul letto, affondando la faccia nel cuscino. Così non andava, doveva darsi una mossa, ma non riusciva a focalizzarsi su niente che non fosse il fatto che non aveva idea di dove sbattere la testa.
Si girò sulla schiena con un sospiro. Forse il problema stava nel cercare di fare tutto insieme, di saltare direttamente alla fine. Stava cercando una soluzione a qualcosa che neanche aveva chiaro in mente. Un passo alla volta, quindi. Primo step: la legenda. Cosa diceva?
Dunque… Il libro parlava di otto… No, sette stregoni. Che con l’uso della magia avevano creato una barriera per sigillare i mostri sottoterra.
Bene, fin qui tutto lineare. Toccava ai mostri. Loro erano rimasti chiusi lì sotto senza mai fare niente. O meglio, niente che funzionasse. Di sicuro non erano molto felici di vivere così. Perciò probabilmente avevano provato a contrastare la barriera, ma senza risultati. Questo significava che i mostri non erano in grado di interagire con essa…. A differenza di coloro che l’avevano creata, e cioè gli umani! E a quel punto entravano in gioco proprio gli umani caduti prima di lei che, beh, non avevano concluso granché, ma non erano neanche tornati da Toriel… Quindi erano morti..
Ma perché ucciderli? Anche considerando la rabbia che poteva esserci verso la specie in generale, non aveva comunque senso, perché solo loro erano in grado di fare qualcosa, e da quanto aveva letto nel diario era proprio questa la loro intenzione. E allora perché..?
Frisk si massaggiò le tempie, ora seduta. Le scoppiava la testa, troppe cose da tenere a mente. Forse sarebbe stato d’aiuto scrivere, fare uno schema per non confondersi. Prese un foglio con una matita e si mise a scrivere, stesa sul pavimento.
Ok, gli umani e la barriera. Quei ragazzi volevano romperla, e i mostri sapevano che solo loro potevano farlo. Ciononostante li avevano uccisi. Questo perché…. Forse in realtà non ne erano in grado? Poteva avere senso, ma a quel punto perché non potevano?
Allora, un passo indietro. I creatori della barriera.



Ma certo! La magia! Quelli erano umani, sì, ma capaci di usare la magia! Avevano usato la magia per creare la barriera, e nel mondo attuale questa non esisteva!
Quindi c’erano davvero persone con doti magiche, non erano solo superstizioni le streghe condannate al rogo di tanti secoli prima… Beh, stando sempre al libro, gli umani di allora avevano imparato la magia proprio dai mostri, tutto si collegava.
Ciò però ancora non spiegava il fatto che quei ragazzi erano stati uccisi. Va bene, non erano utili allo scopo, ma farli fuori era stato eccessivo. Doveva per forza esserci una ragione valida, i mostri non erano affatto cattivi.
“Rifletti, che altro diceva il libro?”
Pensa, pensa, pensa. Pen- LE ANIME! Il libro parlava di anime umane! La barriera poteva essere attraversata solo da un’anima umana, e-… Già.. E?
Non diceva altro, solo questo. Sbuffò.
Ok, doveva ragionare su questo. Se un mostro non poteva attraversare la barriera, ma un umano sì, ciò significava che se un mostro avesse posseduto l’anima di un umano, avrebbe potuto farlo.
“Mmh.. Non lo so…”
Le sembrava forzata come teoria. Cioè, di per sé aveva senso, ma era possibile prendere l’anima di qualcuno?



Ah, ma dai! Era precipitata in uno strapiombo profondo centinaia di metri senza farsi nemmeno un graffio. Era stata quasi uccisa da un fiore parlante e salvata da una donna capra antropomorfa. Aveva visto la sua anima brillarle sul petto e aveva fatto amicizia con un fantasma. Di tante cose accadute lì sotto, questa era la meno assurda, quindi sì, aveva senso. Se era così allora, stando a tale ragionamento, quegli umani erano stati uccisi per poter avere le loro anime. Ma qualcosa ancora non quadrava. Perché per far uscire dal Sottosuolo ogni singolo mostro, sarebbe servita un’anima umana per ciascuno di loro, ma in quel modo non ce l’avrebbero mai fatta. Non sarebbero mai caduti così tanti umani quanti erano i mostri, che indubbiamente erano molti di più di quelli che aveva conosciuto lei finora. Doveva esserci per forza un altro modo, dovevano avere un piano differente.
Beh, le cose erano due: o si lavorava sui singoli mostri, o si agiva direttamente sulla barriera. Di quest’ultima si sapeva che era accessibile solo agli umani e che era stata creata dagli stessi… Anzi! Da SETTE umani! ECCO! CENTRO! Sette umani! Sette stregoni, uguale sette anime umane! Sette anime umane erano necessarie per distruggere la barriera, in corrispondenza dei sette umani che l’avevano generata! I ragazzi venuti prima di lei erano stati uccisi per raccogliere il giusto numero di anime mancanti, e stando alla matematica, sempre se la sua teoria era esatta, ora restava da prenderne solo una… La sua.
 
[***]
 
“Tesoro, finalmente! Sono passate tre ore. Stai meglio?”
Frisk si avvicinò lentamente, così seria in viso che anche Toriel cambiò espressione.
“Io.. Io devo parlarti.”
Partì dall’inizio, da quando si era svegliata, spiegando del disegno, del temperino e la matita, del diario e delle sue teorie e, mentre parlava, Toriel si faceva sempre più cupa. Frisk ci aveva preso in pieno.
“E questo è tutto… Ho finito.”
“Quindi, mi stai dicendo che vuoi andartene.”
“Non voglio andarmene. Voglio portare a termine quello che loro hanno cominciato. Loro non avrebbero potuto farlo a prescindere. Nessuno di loro. Perché le anime non erano sufficienti. Ma io sono l’ultima mancante, la mia anima può fare la differenza. Magari c’è un modo in cui posso rompere la barriera senza dover morire. Potrei prendere le altre anime, tutte, e farlo da sola. Sento di potercela fare. So che può funzionare.”
“…..”
“Toriel..?”
Silenzio. La ragazza inspirò e parlò lentamente.
“So che è difficile crederci, dopo tutte le volte che hai sentito un discorso del genere. Anzi, è impossibile. Lo so. Ma questa volta è davvero diverso. Capisci?”
In un primo momento, Toriel non rispose. Poi, d’improvviso si alzò dalla poltrona dove poco prima era seduta a leggere.
“Devo fare una cosa. Rimani qui.”
 
[***]
 
Ovviamente lei non rimase lì. Adesso stavano percorrendo il tanto misterioso seminterrato.
“Vuoi sapere come uscire da qui, vero?”
Silenzio.
“Davanti a noi c’è la fine delle Rovine. È l’unica uscita per il resto del Sottosuolo.”
Forse l’aveva convinta? “Quindi-“
“La distruggerò.”
Cosa??
“Nessuno potrà mai più andarsene.”
“Ma che stai di-“
“Adesso fai la brava e vai di sopra”, e proseguì senza aspettarla.
“Toriel, ferma! Aspetta!” La raggiunse di nuovo. Ora era più difficile starle dietro.
“Tutti gli umani che cadono quaggiù fanno la stessa fine. L’ho visto ancora e ancora.”
“Questo lo so, ma-“
“Arrivano. Se ne vanno. Muoiono.”
“Non deve andare per forza così.”
“Ingenua… Se lasci le Rovine… Lui… Asgore… Ti ucciderà.”
“Chi è Asgore?”
“Ti sto solo proteggendo, capisci?”
“E te ne sono grata, davvero! Ma voglio portarvi fuori da qui! Voi meritate più di questo!”
“…”
“Toriel!”
“…Vai in camera tua.”
Ma non poteva obbedire. Avrebbe distrutto l’uscita. Sembrava irremovibile, sembrava che nemmeno la ascoltasse. Sentiva la frustrazione salirle ai polmoni e alla gola. Era soffocante.
Svoltarono un angolo, e Frisk le afferrò una manica.
“Non provare a fermarmi. È l’ultimo avvertimento.”
E camminando ancora, finalmente eccola: l’uscita. Quella singola porta la separava dalla possibilità di cambiare il futuro dei mostri. E tra lei e la porta c’era Toriel. Fece un altro passo. Lei le dava le spalle.
“Desideri così tanto andartene?”
“Non è così, te l’ho detto.”
“Hmph. Sei come tutti gli altri.”
“Toriel, per favore..”
“C’è solo un modo per uscire da questa discussione. Provamelo. Provami che sei abbastanza forte per sopravvivere.”
Non fece in tempo a chiedere che intendesse con quello, che lei si voltò e le scagliò contro un’enorme palla di fuoco. Sgranò gli occhi, lanciò un urlo e si gettò a terra, appena in tempo per schivarla, ma sentì addosso un calore tale che sembrava l’avesse presa. Doveva fare qualcosa. Doveva parlarle, ma cosa avrebbe potuto dire? Stava preparando un altro attacco. Sembrava quasi che non le importasse. Non l’aveva mai vista così. Faceva paura.
Altro fuoco, altro calore. Un altro tuffo sul pavimento e stavolta fece male.
“Toriel! Fermati!”
Niente.
Continuò a schivare, non sempre con successo. Si era chiesta, qualche volta, cosa si provasse a toccare il fuoco. Se facesse davvero così male, se la pelle cambiasse colore come il legno, o se si consumasse istantaneamente come la carta. Ebbene, ora lo sapeva. Aveva i vestiti danneggiati, strappati così da scoprire la pelle livida che emanava odore di bruciato. Dolore. Dolore. Dolore. Ma come poteva farle questo?
La vide esitare, ma ancora non parlava. E lei era stanca, andavano avanti da un tempo del quale aveva perso la cognizione. Cinque minuti? Un quarto d’ora? Trenta secondi? Non lo sapeva, ma voleva che finisse.
“AHH!”
Un altro colpo. Stavolta l’aveva presa in pieno. Versava lacrime, piegata in due, ma non cedeva.
“Cosa stai facendo?”
Frisk la guardò sorpresa.
“Attacca o scappa!”
Ma lei non fece niente. La guardava dal basso, tenuta in piedi da due ginocchia tremanti, come il suo respiro.
“Cosa vuoi provare?”
Silenzio. Non riusciva a parlare. Quel poco fiato che aveva le serviva per non crollare al suolo.
“Combatti o vai via!”
Ma lei non si muoveva.
“Smettila.”
Di fare cosa?
“Smettila di guardarmi così.”
Quello di Frisk era lo sguardo di chi dice ‘so che non vuoi farlo davvero’.
“Vai via!”
La ragazza si ritrasse alla vista di nuove palle di fuoco. Serrò gli occhi, pronta a ricevere gli ultimi colpi che probabilmente l’avrebbero uccisa. Non voleva arrendersi, ma non riusciva quasi a muoversi. Avrebbe potuto farlo. Avrebbe potuto dirle che andava bene, che sarebbe restata, e tutto sarebbe finito, ma non voleva. Non l’avrebbe fatto.
Allora, però, non avrebbe avuto senso rassegnarsi e mollare. Riaprì gli occhi, pronta a schizzare via dai prossimi attacchi, ma si guardò attorno confusa, vedendo che il fuoco l’aggirava anziché colpirla.
Toriel a quel punto fece un passo avanti.
“So che sei convinta di poterci riuscire, ma… Ti prego, va’ di sopra adesso”, sorrise lievemente. Un sorriso triste, consapevolmente sconfitto. “Ti prometto che mi prenderò cura di te, qui. So che non abbiamo molto, ma… Potremmo vivere felici, qui.”
Con le poche forze ancora in circolo, Frisk mormorò: “Potremmo vivere ancora più felici, fuori da qui”, e le si avvicinò, anche lei sorridendo. Solo che il suo sorriso, nonostante le sue condizioni, era caldo, rassicurante. Quello di Toriel scomparve.
“Perché mi rendi le cose difficili? Per favore, vai di sopra.”
Frisk ridacchiò debolmente. “Sai che non lo farò.”
Silenzio, poi anche Toriel rise piano.
“Patetico, vero? Non riesco a salvare neanche una singola bambina.”
“Ma tu non devi salvarmi, non più”, rispose lei, dolce. “Sono grande, sono forte, e conosco più cose di prima, adesso. Posso farcela, davvero.”
La vide sul punto di ribattere ancora, ma evidentemente ci ripensò, perché…
“No, capisco. Saresti triste, intrappolata qui. Come tutti noi. Le Rovine sono davvero piccole, una volta che le hai conosciute. Non sarebbe giusto farti crescere in un posto come questo.”
Il cuore rosso sul petto di Frisk scomparve.
“Se desideri davvero lasciare le Rovine… Non ti fermerò.” Tese una mano verso la ragazza, e guarì le sue ferite con un altro tipo di magia. Una magia curativa.
“Ma una volta uscita… Non tornare, per favore.
Quelle parole, fecero tornare le lacrime negli occhi dell’umana.
“Spero che tu capisca.”
Non disse di sì. Non disse di no. Non disse niente. Non fece niente.
Neanche quando la donna si chinò per abbracciarla.
“Addio, bambina mia.”
E dopo essersi guardate per quella che Toriel credette sarebbe stata l’ultima volta, le due si separarono.
 
[***]
 
Al di là della porta, la ragazza fu accolta da Flowey. Non se l’aspettava, e sussultò.
“Astuta. Mooolto astuta.”
Se l’avesse attaccata di nuovo, stavolta non ci sarebbe stata Toriel ad aiutarla.
“Credi di essere furba, vero? In questo mondo, è uccidere o essere uccisi. Hai giocato con le tue regole… Salvando la vita di una persona.”
Di nuovo quell’espressione sadica..
Flowey rise. Ora aveva uno sguardo sarcastico.
“Scommetto che ti senti alla grande. Stavolta non hai ucciso nessuno.”
“St-stavolta?”
“Ma cosa farai quando incontrerai un assassino implacabile?”
“Che cosa?”
“Morirai, morirai e morirai.”
“Che significa?” Scherzava? Quante volte pensava che potesse morire?
“Fino a quando non ti stancherai di riprovarci.”
“Riprovarci? Ehi aspetta-“
“E dopo cosa farai? Ucciderai, presa dalla frustrazione?”
“Ma che significa??”
“O abbandonerai completamente i tuoi piani… Lasciando A ME il controllo di tutto? Sono io il futuro di questo mondo.”
Frisk smise di provarci, a fare domande. Non sembrava che la stesse ascoltando.
“Non preoccuparti, mia cara monarca, non voglio ucciderti. Guardare le scelte che farai sarà mooolto più interessante.”
E con una sonora e stridula risata che le fece gelare il sangue, Flowey scomparve nel terreno, lasciandole libero il passaggio fino ad un’ultima porta, la quale avrebbe dato inizio a tutto.
 
 
 

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Capitolo 27
*** Le stelle dall'America ***


Un giorno. Era passato un giorno.
Lui era da un lato. Lei dall’altro.
Lui andava a dormire. Lei spegneva la sveglia.
Lui piangeva. Lei anche.
“Voglio tornare indietro”, pensava lui.
“Volevo andare con lui”, diceva lei.
Lei chiudeva le tende per non vedere il sole. Lui le apriva per guardare le stelle. Lo faceva anche lei? Erano le stesse, sembrava tutto uguale. Ma niente lo era. Non le aveva mai guardate da quella finestra. E non era mai stato in una casa come quella. Lì le case erano tutte così. In Inghilterra, abitazioni del genere erano considerate vere e proprie ville. Ma in quella parte di mondo era la normalità. Ne aveva viste un’infinità durante il tragitto in macchina, mentre le persone che l’avevano preso con loro gli parlavano lentamente, nella speranza che anche lui dicesse qualcosa. Sarebbe stata questione di tempo, certo. Ma al momento neanche ci provava. Non era nemmeno sicuro di aver capito come si chiamassero. Lei aveva un nome strano. Iniziava con la C, o forse con la K. E lo stesso valeva per il secondo, che non era il marito ma suo fratello. Vivevano insieme.
 
[***]
 
Due giorni. Erano passati due giorni.
Lui non riusciva a dormire. Lei non voleva svegliarsi.
Lui aveva la fame nervosa. Lei non toccava cibo.
Lui stava sempre in giardino. Lei si chiudeva in camera.
Lui la pensava. Lei anche.
Il telefono dell’orfanotrofio non poteva ricevere chiamate da paesi stranieri. Era molto vecchio.
Quella sera, la bella donna che ora era sua madre era andata da lui prima di mettersi a letto. Aveva con sé un peluche, un draghetto azzurro. Fu la prima volta che lui le disse qualcosa. Parlarono per tutta la notte.
 
[***]
 
Una settimana. Era passata una settimana.
Lei leggeva. Lui disegnava.
Lei ascoltava musica. Lui guardava cartoni.
Lei parlava con Diana. Lui parlava con sua madre.
Stavano meglio. Lui soprattutto. Quell’uomo meraviglioso che ora era suo zio lo portava ogni giorno in un posto nuovo. La California era davvero bella.
 
 [***]
 
Un mese. Era passato un mese.
Lei dormiva di meno. Lui di più.
Lei mangiava di nuovo. Lui più regolare.
Lei sorrideva. Lui anche.
Lei stava quasi bene. Lui anche.
Aveva conosciuto la sua vicina di casa. Aveva la sua età. Portava gli occhiali. Era carina. Gentile. Simpatica. Non camminava. Spesso la spingeva in giro per le stanze, per il giardino, e quando li portavano al parco giocavano a rincorrersi. Lui andava piano, si faceva prendere. Era divertente anche il nascondino. Era sempre lui a nascondersi, e lì davvero era più brava lei.
Però non andava sempre tutto bene. A volte dovevano fermarsi, perché lei non respirava e le servivano le sue medicine. Poi stava meglio, e tornavano a giocare come se niente fosse. Era normale.
 
 [***]
 
Un anno. Era passato un anno.
Lei era cresciuta. Lui era comunque più alto di lei.
Lei leggeva libri più complessi. Lui guardava serie tv.
Lei non ne parlava più. Lui aspettava di essere abbastanza grande per poter mantenere la sua parola.
Voleva cercarla, voleva andare a prenderla. Le avrebbe mostrato così tante cose. L’avrebbero portata al parco con loro. Avrebbero fatto dei pigiama party tutti insieme. Le avrebbe insegnato a disegnare. Avrebbe anche accettato di andare a vedere quel monte della legenda sui mostri. In fondo era lì che si trovava. In California.
Sarebbero stati felici. Lo sarebbero stati. Stavolta davvero.
Un anno. Era passato un anno.
Lei aveva un nuovo album musicale da ascoltare.
Lui si era abituato a guardare le stelle dall’America.
 
 

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Capitolo 28
*** Un nuovo amico ***


L’ultima porta che attraversò la fece ritrovare di fronte ad una distesa innevata, una strada delimitata da una foresta tanto fitta da essere impenetrabile anche per lo sguardo.
Faceva freddo. Molto freddo. Troppo anche per lei. E aveva solo un maglione, delle calze e degli shorts. Gli stessi vestiti che indossava quel giorno.
Doveva trovare un posto dove fermarsi a riflettere, lì sarebbe morta di freddo.
Iniziò a camminare. In lontananza vedeva una specie di costruzione in legno. Era già qualcosa, magari c’erano delle indicazioni.
Si guardava di continuo intorno. Si sentiva osservata, eppure non c’era nessuno… Vero?
Le sembrò di sentire dei passi, ma continuava ad essere sola.
Crack.
“Chi c’è??” Si girò di scatto, ma niente.



Quel rametto a terra… Era rotto anche prima?
Si voltò di nuovo, e prese a correre. Finalmente raggiunse la strana struttura. Era un ponte con sopra delle sbarre, come per bloccare la via. Solo che ci si passava benissimo. Stava sopra a quello che sembrava un punto vuoto, per quant’era profondo. A occhio, un percorso di giusto un metro e qualcosa, ma comunque pericoloso in caso di disattenzione.
Non c’erano cartelli, doveva andare oltre. Vi mise un piede, e fu allora che sentì di nuovo quei passi, gli stessi di prima. Si pietrificò. Continuavano a farsi sempre più ben udibili. Chiunque fosse, si stava avvicinando.
Più vicino. Più vicino. Più vicino.
“umano.”
Non riusciva a muoversi, gli occhi sbarrati fissi avanti a lei.
“non sai salutare un nuovo amico? girati, e stringimi la mano.”
Frisk deglutì, e obbedì lentamente. Quasi saltò all’indietro quando lo vide. Non che fosse sorpresa, sapeva di essere nel mondo dei mostri, ma ancora non aveva mai visto uno scheletro. I suoi occhi erano illuminati da due pupille bianche. Era più alto di lei, aveva indosso una felpa blu, e il suo braccio sinistro era ancora teso in attesa di una sua risposta. Esitò, ma gli prese la mano, sforzandosi di non rabbrividire al contatto con le ossa, e la strinse. L’espressione di entrambi cambiò al riecheggiare nel silenzio il suono di un… Peto..?
Lei perplessa, lui visibilmente divertito.
“hehe… il vecchio trucco del cuscino per peti funziona sempre, ed è SEMPRE divertente. comunque, sei un umano, giusto?”
Frisk finalmente si rilassò, e sorrise.
“Umana”, lo corresse, e lui annuì.
“esilarante”, commentò, facendola ridacchiare.
“Se lo dici tu.”
“io sono Sans. Sans lo scheletro.”
“Beh, lo vedo”, disse lei, squadrandolo.
“tecnicamente ora dovrei essere a caccia di umani. ma sai.. non mi interessa catturare nessuno.”
“Oh, ehm, meglio così suppongo.”
“ma mio fratello, Papyrus.. è un FANATICO di questa cosa.”
“Aspetta, che?”
“ehi, credo che sia lui quello là in fondo.”
Lei si voltò agitata. “Eh? Dove?”
“ho un’idea. attraversa questa specie di cancello. ci passi benissimo, mio fratello ha fatto le sbarre larghissime.”
Ah ecco, ora si spiegava.
“E se mi vede?”
Ma Sans non le rispose, e la spinse avanti con lui. Si intravedeva qualcuno ad una decina di metri da lì.
“presto, nasconditi dietro quella lampada.”
“Quella che?” Seguì il suo sguardo, e vide infatti una lampada. Era piuttosto grande, dalla forma insolita. Evitò di fare domande sul perché si trovasse lì, e ci si piazzò dietro. Proprio in quel momento, arrivò un altro scheletro. Era più alto di Sans, e vestiva di arancione. Precisamente una sciarpa, dei guanti e degli stivali. Pareva nervoso.
“che succede, fra’?”
“SAI BENE CHE SUCCEDE, SANS! SONO PASSATI OTTO GIORNI E NON HAI ANCORA… RICALIBRATO. I TUOI. PUZZLE!”
Puzzle? Quindi erano diffusi in tutto il Sottosuolo, non solo nelle Rovine. Interessante. Frisk adorava risolverli, ma aveva smesso un po’ alla volta dato che erano sempre gli stessi lì dentro.
“NON FAI ALTRO CHE ANDARE A ZONZO! MA SI PUO’ SAPERE CHE STAI FACENDO!?”
Wow, ma urlava sempre così? Il suo tono era l’esatto opposto di quello di Sans.
“guardo questa lampada. è fichissima. vuoi guardarla anche tu?”
Cosa?? Ma era impazzito?? O forse.. L’aveva fatto apposta..?
“NO!! NON HO TEMPO DA PERDERE!! E SE UN UMANO PASSASSE DI QUA!?!”
In un altro momento, a Frisk sarebbe venuto da ridere.
“VOGLIO ESSERE PRONTO!!! VOGLIO FARLO! DEVO FARLO! CATTURERO’ UN UMANO! DOPO IO, IL GRANDE PAPYRUS… AVRO’ TUTTO QUELLO CHE MI MERITO! RISPETTO. POPOLARITA’.”
Ehm…
“FINALMENTE ENTRERO’ NELLA GUARDIA REALE! TUTTI MI CHIEDERANNO DI ESSERE LORO AMICO! MI FARO’ IL BAGNO IN UNA VASCA DI BACI OGNI GIORNO!”
Ok, questo qui era… Particolare.
“hmm… forse questa lampada potrebbe esserti d’aiuto.”
“Sans! Così non mi aiuti!”
“SANS!! COSI’ NON MI AIUTI!! PIGRONE!! STAI SEMPRE SEDUTO A PERDERE TEMPO! DIVENTI PIGRO OGNI GIORNO DI PIU’!!!”
“ehi, sei tu che sgobbi troppo. guardati, sei stanco. stanco morto”, concluse con un occhiolino.
Frisk lo guardò storto. Lei rischiava di essere ammazzata, lui stava cercando di farla scoprire, e faceva pure battute??
Neanche Papyrus sembrava molto entusiasta.
“SANS!!!”
“eddai. stai sorridendo.”
“LO SO E MI ODIO PER QUESTO!” Poi sospirò. “PERCHE’ UN GRANDE COME ME DEVE FARE COSI’ TANTO SOLO PER AVERE POPOLARITA’?”
Non stava più urlando adesso.. Quindi quella era proprio la sua voce?
“wow, ti consiglio di non lavorare troppo… o ti ridurrai ad un sacco d’ossa.”
Frisk soffocò una risata. Questa era carina.
“UGH!! VADO A CONTROLLARE I MIEI PUZZLE… AVRO’ MAI L’ONORE DI VEDERTI LAVORARE? DOPO AVERCI PRESO LA MANO NON E’ POI COSI’ STANCANTE… PERCHE’ TI CI FAI LE OSSA! NYEHEHEHEHEHEHEHE!”
Ehm… No, questa non era granché. Però la sua risata era divertente.
Comunque Papyrus se ne andò, e lei tirò un sospiro di sollievo, benché non le sembrasse un gran pericolo dopotutto.
“ok, puoi uscire”, la chiamò Sans. Era come se sapesse che sarebbe andata così. Ciò significava che non le aveva teso una trappola. Questo la fece sentire meglio, perché le stava già simpatico.
“dovresti muoverti, potrebbe tornare. e se lo facesse… dovrai sopportare altre delle mie esilaranti freddure”, le disse complice con un occhiolino. Lei rise. “Non erano male invece.”
Fu il turno di Sans di essere sorpreso.
“davvero?”
Lei annuì. “Spero di poterne sentire altre in futuro. Mi farai quest’onore?”
E a quel punto risero entrambi.
“senz’altro”, acconsentì, e Frisk fece per proseguire.
“ehi.. non voglio infastidirti, ma mi faresti un favore?”
“Mh?”, tornò a guardarlo. Sembrava esitante. “Certo, che ti serve?”
“vedi.. mio fratello è un po’ giù ultimamente.. e non ha mai visto un umano, ma se ne vedesse uno sarebbe felicissimo.”
“Ho già capito. Beh… Penso si possa fare. Credo..”, ma non ne era proprio così sicura.
“non preoccuparti, non è un tipo pericoloso. anche se cerca di esserlo.”
“Mi sono fatta un’idea al riguardo. Comunque, se me lo dici anche tu è ancora meglio. Quindi sì, va bene”, gli sorrise, e lui fece lo stesso.
“grazie mille. ci vediamo più avanti.”



 
 
 
 
 

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Capitolo 29
*** Un po' di cultura ***


Erano state ore interessanti, le ultime due. Non perché avesse percorso poi così tanta strada, ma per tutto il tempo aveva avuto a che fare con decine di mostri che le bloccavano la strada attaccandola. Non si fidavano, era un’umana. Ed era comprensibile. Ma non una singola volta si era mostrata ostile verso di loro, e alla fine anche i suoi avversari cambiavano idea su di lei, e la salutavano con un sorriso.
Era soddisfatta di come stava andando.
Nel tragitto, poi, si era ritrovata a chiacchierare con Sans, ancora e ancora. Sembrava essere ovunque. Ma come faceva?
E poi Papyrus. Oh, era adorabile! Con quella vocetta stridula e il suo fare quasi infantile, era veramente un amore. E poi non tutti i suoi puzzle erano un disastro, solo che gli unici davvero interessanti erano anche gli unici a non funzionare. Una cosa che proprio non si sarebbe aspettata era stata trovare un tavolo con degli spaghetti al pomodoro… Erano completamente congelati. Per forza, con quel clima. Ma accanto c’era un microonde inspiegabilmente funzionante, data la mancanza di una presa elettrica. Probabilmente ‘andava a magia’. C’era anche un biglietto:
 
“UMANO!! GODITI PURE QUESTI SPAGHETTI.
(PICCOLO AVVISO: GLI SPAGHETTI SONO UNA TRAPPOLA… PROGETTATA PER RALLENTARTI!!! SARAI COSI’ IMPEGNATO A MANGIARLI… CHE NON TI RENDERAI CONTO DI STAR PERDENDO TEMPO!
SOGGIOGATO ANCORA UNA VOLTA DAL GRANDE PAPYRUS!!!)
NYEH- HEH- HEH, PAPYRUS.”
 
Sorrise, emettendo un sospiro divertito. Poi guardò il piatto. Beh, in fondo lei non andava di fretta, quindi perché non dargli un po’ di soddisfazione?
Accese il microonde e scaldò il cibo, per poi assaggiare.
….
…..
……..
“Piccolo appunto per il futuro: non accettare mai più cibo da Papyrus.”
...

“E magari dirgli che sono una femmina.”
 
[***]
 
Era giunta all’entrata di una specie di mini città. Un cartello diceva: ‘Benvenuti a Snowdin’. Era bellissima, luminosa e piena di persone sorridenti, nessuno che la guardasse con ostilità. Sembrava un villaggio di Natale.
In tutto ciò, però, si era quasi dimenticata di quanto sentisse freddo, e inoltre iniziava ad avere anche una certa fame. Non aveva idea di che ora fosse, ma probabilmente era ora di cena. A confermarlo fu il brontolio del suo stomaco.
Il cartello di benvenuto era seguito da due edifici collegati, fatti di legno. Il primo aveva un’insegna con su scritto ‘Negozio’, il secondo ‘Locanda’. Non avevano una gran fantasia con i nomi. Comunque entrò nel primo, accolta da un calore completamente opposto al gelo di là fuori e da una donna coniglio.
“Ciao! Benvenuta a Snowdin! Non riesco a ricordare quand’è stata l’ultima volta che ho visto una faccia nuova, qui.”
Frisk le sorrise, e ricambiò il saluto.
“Da dove vieni? Dalla capitale?”
“La capitale? Ehm, no no, sono.. Ehm.. In visita! Sì, sono di passaggio.”
“Non sembri una turista. Ti sei persa?”
“In effetti non sono mai stata qui prima. Non direi proprio persa, ma mi sarebbe d’aiuto un consiglio su cosa posso fare al momento.”
“Beh, Grillby ha il cibo, e la libreria ha informazioni… Se sei stanca, puoi andare a riposare alla locanda. È proprio qui affianco, è di mia sorella.”
“Capisco, ma in realtà io-“
“E se ti stai annoiando, puoi sederti fuori e guardare quei due scheletri bizzarri.”
“Scheletri?”
“Ce ne sono due. Sono fratelli, credo.”
“Sans e Papyrus? Sì, li ho conosciuti.”
 “Si sono fatti vedere un giorno e… Si sono inseriti bene. La città è molto più interessante da allora.”
“Ah, non sono stati sempre qui?”
La donna scosse la testa.
“E riguardo la città, già che ne hai parlato?” Non era ciò che le serviva, ma voleva sapere il più possibile sui mostri, sul loro passato, la loro storia, la loro vita lì sotto.
“Non eri attenta durante le lezioni di storia, eh?” Scherzò lei, e Frisk alzò le spalle. Era complicato da spiegare.
“Tanto tempo fa, i mostri vivevano tutti quanti nelle Rovine. Poco dopo, decidemmo di abbandonarle ed esplorare la fine della caverna. Durante il tragitto, a un tizio è piaciuto il clima di questo posto e si è accampato a Snowdin.”
“Wow”, ed era un commento sinceramente sorpreso.
“Oh, e non credere di poterle vedere…”
“Le Rovine?”
“Già. La porta è chiusa da anni. Quindi, a meno che tu non sia un fantasma, lascia perdere.”
“Capisco”, decise di non dirle dei mesi con Toriel.
“E di voi che mi dici? La vostra vita qui, intendo.”
“La vita è sempre la stessa. ‘Claustrofobica’, dato che siamo rinchiusi qua sotto da un bel po’…”
Dire ‘un bel po’’ era un eufemismo.
“Ma.. Dentro il nostro cuore sappiamo che la libertà è vicina. Finché abbiamo questa speranza, potremo ancora tirare avanti, giorno dopo giorno”, la donna sorrise. “E’ questa la vita, no?”
Frisk sorrise a sua volta.
“Sì, senza dubbio. E sono sicura che non manca molto. Anzi, so per certo che è così.”
Seguì un breve silenzio.
“Ma senti.. Qui vedo un sacco di cose, avresti però qualcosa da mangiare? E magari dei vestiti pesanti, almeno un po’ più dei miei.”
“Per i vestiti, purtroppo non posso aiutarti. Per il cibo, eccome se posso!”
A Frisk fu messo davanti un panino alla cannella.
“E’ una mia ricetta, devo ancora trovare qualcuno a cui non piaccia.”
“Uh, la prendo come una sfida. Quanto viene?”
“Oh, per te è gratis tesoro.”
“Ma-“
“Niente ma, insisto. Mi piaci, e poi hai l’aria di una che al momento non ha un soldo in tasca.”
“Oh.. Ehm.. In effetti, non ci avevo pensato”, ammise imbarazzata, e finalmente accettò. Diede un morso al panino, e..
“Wow! E’ buonissimo!”
“Te l’avevo detto.”
Le due non parlarono per circa due minuti, il tempo che servì alla ragazza per spazzolarselo tutto.
“Ok, hai decisamente vinto la scommessa.”
“Tu mi ricordi qualcuno che è venuto qui tempo fa. Molto tempo fa. Un ragazzo squattrinato come te.”
“Ah sì?”
 
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“Ti va bene uno scambio? Non è nel mio stile, ma non ho proprio soldi.”
“Mh.. Sì, si può fare. La bandana che porti in testa, posso chiederti quella?”
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“Già, ma non l’ho più visto da allora.”
“Era uno di loro…”
“Cosa?”
“No, niente, scusa. Adesso però credo sia meglio che vada. Grazie ancora, ci vediamo!”
“Certo, arrivederci! Torna pure quando vuoi.”
 
[***]
 
In quella città c’era un grande albero di Natale ancora decorato. Forse avevano perso la cognizione del tempo. O forse gli piaceva semplicemente tenerlo lì. Frisk sperava che fosse la seconda.
Comunque, non dovette proseguire molto per giungere alla fine di Snowdin. Si ritrovò a camminare lungo un sentiero così nebbioso da non vedere quasi dove metteva i piedi, e il freddo iniziava ad essere veramente insopportabile.
A un tratto, però, ecco che intravide una figura davanti a sé. Era..
“UMANO.”
Ok, era Papyrus. Fece per salutarlo, ma…
 
 
 
 
 

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Capitolo 30
*** Sconfitta ***


“UMANO. PERMETTIMI DI PARLARTI DI ALCUNI SENTIMENTI. SENTIMENTI COME… LA GIOIA DI TROVARE UN ALTRO AMANTE DELLA PASTA.”
Frisk sorrise al pensiero di quel piatto congelato.
“L’AMMIRAZIONE PER L’ABILITA’ NEL RISOLVERE I PUZZLE.”
“Ho avuto modo di allenarmi.”
“IL DESIDERIO DI AVERE UNA PERSONA FICA CHE TI DICA DI ESSERE FICO.”
L’ultima frase la fece ridere.
“QUESTI SENTIMENTI… DEVONO ESSERE QUELLI CHE STAI PROVANDO ORA.”
…..Eh? Quindi parlava di sé stesso?
“Ehm.. Ok?”
“PER ME E’ DIFFICILE IMMAGINARE COME CI SI SENTA.”
E lo era anche per lei in effetti. Si stava sforzando di non ridacchiare di nuovo. Era troppo tenero!
“PERCHE’ IO SONO GRANDISSIMO. NON MI SONO MAI CHIESTO COME CI SI SENTA AD AVERE MOLTI AMICI. HO PIETA’ DI TE, UMANO SOLITARIO…”
Ma davvero non si capiva?
“MA NON PREOCCUPARTI!!! NON SARAI PIU’ SOLO!”
Sì, doveva assolutamente dirglielo.
“IO, IL GRANDE PAPYRUS, SARO’ TUO…”
Ma si bloccò. Stava per dire ‘amico’, Frisk ne era sicura. Perché si era fermato?
“…NO… NO, NON PUO’ ESSERE! NON POSSO ESSERE TUO AMICO!!! TU SEI UN UMANO! DEVO CATTURARTI!!!”
“Che cosa??”
“E POI POTRO’ REALIZZARE IL MIO SOGNO!!! POTENTE! POPOLARE! PRESTIGIOSO!!! QUESTO E’ PAPYRUS!!! IL NUOVO MEMBRO… DELLA GUARDIA REALE!”
“Stai scherzando??” L’anima di Frisk comparve sul suo petto, e Papyrus le sbarrò la strada.
“Papyrus, che stai facendo?? Perché??”
“NON VUOI COMBATTERE… ALLORA VEDIAMO COME TE LA CAVI CON IL MIO ATTACCO BLU!”
Sans gliene aveva parlato, e alcuni mostri ne avevano già usati di quel tipo. In poche parole, se le veniva scagliato contro un attacco blu, doveva rimanere immobile, e quello l’avrebbe attraversata senza farle un graffio. Non era difficile, poteva affrontarlo. Sans aveva detto anche che Papyrus tutto sommato non era pericoloso.
Eccole, delle ossa azzurre. Ferma, Frisk. Ferma. Gli attacchi le passarono attraverso, mentre lei non si muoveva. Poi, però, sentì una strana sensazione nel petto, nell’anima. Come una specie di bruciore, e…
“AH!!”
Un urlo di dolore riecheggiò nell’aria. Quello di Frisk. D’un tratto si sentì più pesante. Molto più pesante. Cadde a terra. Il suo corpo non rispondeva, non del tutto. Provò a muoversi, era faticosissimo. E in quel momento un altro attacco, stavolta normale, le venne scaraventato addosso. La colpì. Un altro grido. Guardò la sua anima. Ora non faceva più male, ma era…
“SEI BLU ORA! E’ QUESTO IL MIO ATTACCO! NYEH HEH HEH HEH HEH!!!”
Alzò gli occhi smarrita. Sans non le aveva parlato di una cosa del genere. Con uno sforzo sovrumano, riuscì ad alzarsi. Aveva il fiato corto, e una mano premuta sul petto. Altri attacchi le si avvicinarono, ma c’era da dire che non erano nulla in confronto a ciò che aveva affrontato fino ad allora. L’unico problema era schivare in quelle condizioni.
“GUSTO GIA’ LA MIA FUTURA POPOLARITA’!”
“Papyrus! Smettila!”
Altre ossa uscirono dal terreno e le vennero incontro. Una le sfiorò un braccio, ma quasi non la sentì. Forse era il freddo.
Lo scheletro, dal canto suo, era completamente assorto nei suoi sogni di gloria.
“PAPYRUS, CAPO DELLA GUARDIA REALE!”
Frisk schivò ancora. Faceva meno fatica, adesso. Ci stava prendendo la mano.
“PAPYRUS, SPAGHETTISTA INCOMPARABILE!”
“Su questo avrei da ridire..” Mormorò la ragazza, ma lui non la sentì.
“UNDYNE SARA’ MOLTO FIERA DI ME!”
Non aveva idea di chi fosse, ma il suo sesto senso già la metteva in allerta riguardo questa Undyne.
L’ennesimo attacco, e stavolta venne colpita. Non fece molto male, ma fu abbastanza forte da buttarla a terra, da dove non si rialzò. Non poteva, non riusciva. Era stanca e aveva freddo. Non aveva mai tremato tanto, e il contatto con la neve non aiutava per niente.
“SEI DEBOLE! E’ STATO FACILE CATTURARTI!”
Fu l’ultima cosa che sentì, mentre i suoi occhi, prima di chiudersi, davano anch’essi un ultimo sguardo alla sua anima, ora di nuovo rossa.
 
 
 
 

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Capitolo 31
*** Prigioniera ***


 
Quando Frisk si risvegliò, la prima cosa che percepì fu l’immediato ritorno del freddo, e subito dopo la scarsa morbidezza di qualcosa sotto di lei. Si tirò su a fatica e guardò in basso. Era… Su una cuccia? Squadrò con gli occhi tutta la stanza. C’erano un osso di gomma, una ciotola con dei croccantini e delle sbarre così larghe da poterci far passare chiunque. Peccato che a seguire ci fosse una porta chiusa a chiave.
La rabbia iniziò a farsi sentire. Frisk si alzò del tutto e si fiondò alla porta, accanendocisi contro.
“EHI!” Tirò un pugno sul legno. “FAMMI USCIRE SUBITO! NON SONO UN CANE, HAI CAPITO?? APRI, IMMEDIATA-“ Il suo sguardo incrociò un biglietto adagiato sul pavimento.
“SCUSAMI, MA DEVO TENERTI CHIUSO QUI FINO ALL’ARRIVO DI UNDYNE. FA COME SE FOSSI A CASA TUA!!! HO PROVVEDUTO PERSONALMENTE A PROCURARTI VITTO E ALLOGGIO. NYEH HEH HEH. PAPYRUS.”
Un particolare in quel messaggio la fece infuriare ancora di più. Colpì ancora la porta, ora con un pugno, ora con un calcio, e poi un altro.
“E SONO UNA FEMMINA, MALEDIZIONE!”
Purtroppo, o per fortuna, non poté continuare a lungo. Non si sentiva affatto bene. Malgrado tutto quel movimento, non si era scaldata per niente. Aveva freddo, e le faceva male la testa. Doveva avere la febbre. E poi.. Cavolo, che fame. E la sete era anche peggio. Quanto tempo era passato? Se non l’avessero tirata fuori, ci sarebbe crepata lì. Ma in fondo, anche se fosse uscita, che cosa sarebbe cambiato?
Tossì un paio di volte, poi uno starnuto. Ci vedeva sfocato. I rumori esterni le giungevano ovattati. Poggiò la schiena al muro, e in quel momento la porta si aprì. Dovette coprirsi gli occhi per la troppa luce, e la nuova ondata di freddo le fece girare la testa, tanto da farle cedere le gambe, mentre ancora una volta si sentì svenire.
Quando perse nuovamente i sensi, però, il suo corpo non raggiunse il pavimento.
Qualcuno la sorresse.
 

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Capitolo 32
*** Quante domande ***


“-me ti è saltato in mente??”
…..
….
………
“beh, non è questo il modo di-…”
……
……….
….
“MA UNDYNE-“
“Undyne se ne farà una ragione. adesso basta con questa storia.”
…….

……
“-ndo si sveglierà andrai subito a-…”
….
……
……………………
 
[***]
 
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
“E’ colpa tua, non è vero?”
“No..”
“L’hai fatto per rovinarci.”
“No..!”
“Sei stata tu.”
“No!”
“Sì, sei stata tu!”
“NO-”
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
 
 -O!!”
Si svegliò urlando, con il respiro pesante e la testa che ancora un po’ le girava.
Si guardò intorno. Non era più in quel magazzino, ma in una stanza. Sotto di lei c’era un divano verde, ed era avvolta da una coperta di lana colorata. Ma faceva comunque freddo, e lei continuava ad avere fame.
Quello però divenne l’ultimo dei suoi problemi al riaffiorare di un pensiero. Quel pensiero.
Loro… Chissà che stavano facendo adesso? La pensavano ogni tanto? Avevano trovato il vero colpevole? Le volevano ancora bene?
Si rimise giù, la coperta stretta tra le mani a celarle il corpo tremante fino ai capelli. La pelle del viso umida di lacrime, un pianto silenzioso che più volte le aveva fatto compagnia al giungere di quei ricordi.
Le mancava Neverland. Le mancava Michael. Le mancavano Prince, Paris, Blanket. Le mancava casa, la sua famiglia, i suoi amici.
Ripensò a Diana. Si sarebbe preoccupata non sentendola più chiamare o rispondere ai suoi messaggi. Avrebbe pensato che non le importava più di lei? Quanto le sarebbe piaciuto essere che fosse lì in quel momento.
Le vennero in mente i suoi compagni di stanza. Vivevano ancora in orfanotrofio? Che voglia di parlarci, adesso.
Toriel.. Stava bene? Era triste? Si dava la colpa perché le aveva permesso di andarsene? Ce l’aveva con lei?
Pensò a lui. Lui. In che parte del mondo era? Era felice? Era in salute? Sentiva ancora freddo la notte in estate? Anche lui la sognava?
Quante persone si era lasciata dietro. Avrebbe più rivisto qualcuno di loro? E se non fosse riuscita a liberare i mostri? Non stava iniziando bene. Avrebbe deluso Toriel, o l’avrebbe fatta sentire ancora più responsabile della morte di tutti quei ragazzi. E chi le sarebbe stato accanto, per dirle che lei non c’entrava niente?
E se avesse portato tutti fuori, senza però avere un posto dove andare? Se Toriel avesse cambiato idea sul tenerla con sé? A Neverland non la volevano, e a Londra non poteva tornarci.
Come l’avrebbero presa gli umani? Ci sarebbe stata una guerra? Avrebbe dovuto combattere? E in tal caso, ne sarebbe stata in grado? E chi avrebbe vinto? Avrebbero raggiunto un accordo? O si sarebbero ammazzati tutti a vicenda?
E poi chi era stato a portarla lì? Di chi era quella casa? E perché?
Che situazione assurda. Ma come ci era finita? Smise di piangere, poco a poco. Non sarebbe servito a nulla. Quando si ha un problema, è sempre inutile soffermarcisi. Non porta mai a niente.
Pensa alla soluzione. Pensa alla soluzione.
Si asciugò le lacrime, e riprese ad osservare l’ambiente circostante. A sinistra c’erano delle scale, a destra un’altra stanza che però da lì non vedeva. Davanti a lei un televisore spento.
Udì un rumore dal piano di sopra. Una porta. Si rimise giù e chiuse gli occhi. Chiunque fosse, stava scendendo le scale.
Più vicino. Più vicino. Più vicino.
“ehi.”
Sans?
“sei sveglia?”
Ricordava la sua voce. Era davvero lui.
“ancora niente, eh? ah..”
Era stato lui a portarla lì? Era in casa sua?
Si sentiva osservata, e percepì uno spostamento. Poi un leggero tocco sulla fronte. Un contatto delicato, gentile. Lui sospirò di nuovo, e si rialzò. Doveva aprire gli occhi?
Un altro rumore di porta. Se n’era andato. Frisk guardò: era di nuovo sola. E la porta che si era aperta e poi richiusa era quella principale. Sans era uscito.
 
[***]
 
Al suo rientro, lo scheletro trovò la ragazza seduta sul divano.
“oh, ciao.”
I due si sorrisero lievemente, mentre lei ricambiava il saluto e lui si avvicinava.
“come ti senti?”
“Sto bene, credo.”
“sicura? quando avete la fronte calda non vuol dire febbre?”
“Mh?” Frisk si toccò la fronte, come aveva fatto lui prima. “Oh, ehm, sì. Forse.”
Sans accennò di nuovo un sorriso. “dai, mettiti giù. aspettami qui.” Si diresse nell’altra stanza del piano terra, e ne tornò con una ciotola d’acqua fredda e qualche pezza. “posso?” Le chiese, indicando il divano. Lei annuì, facendogli spazio per sedersi. Lo osservò bagnare le stoffe, che poi le adagiò sulla fronte e attorno ai polsi. Le avrebbe fatto abbassare la febbre, l’aveva visto fare qualche volta in superficie. Che Sans avesse avuto a che fare anche con gli altri ragazzi caduti?
“allora”, esordì lui, appoggiandosi allo schienale. “vai, ti ascolto.”
“Cosa?”
“andiamo, hai la faccia di una che ha un sacco di domande. spara, sono pronto”, affermò strizzandole l’occhio. Lei ridacchiò.
“In effetti. Ok, ok. Dunque… Perché?”
“perché ne ho abbastanza di vedere gente morire per gli errori di qualcun altro. il passato non può continuare a ritorcersi sul presente.”
I due si guardarono. Si erano intesi alla perfezione.
“Solo per questo?”
Sans alzò le spalle. “no.”
“Che altro?”
“sei simpatica. e ti piacciono le mie battute.”
“Pft- Sul serio? Per questo?”
“prossima domanda?”
“Come fai a sapere della febbre, di come si misura e come si cura? Negli umani, intendo. Per caso-”
“ho vissuto in superficie, tempo fa.”
“Tempo fa? Ma sono passati secoli!”
“beh, ero piccolo allora. avevo qualche amico.”
“E quanti anni hai adesso?”
“è complicato, ragazzina. ma fai conto che ne abbia 21.”
“E Papyrus?”
“13.”
“Solo? Ed è complicato anche per lui o-“
“no, ne ha 13 normali.”
“Ma in che senso i tuoi non sono normali? E perché proprio 21?”
“se te lo dico, cerchi di starmi dietro?”
Frisk annuì.
“quando siamo arrivati qui, io avevo 8 anni. come probabilmente già saprai, i mostri utilizzano la magia. ognuno di noi ne ha un tipo particolare, la mia ha a che fare con il tempo.”
“Puoi viaggiare nel tempo??”
“non esattamente. comunque, il tempo per me scorre in base a come scorre per ciò e chi ho attorno. qui giù tutti hanno un’idea approssimativa di che anno, mese, giorno o che ora sia, ma nessuno lo sa con certezza. abbiamo perso il conto. secondo i miei calcoli, dovremmo essere più o meno nel-“
“2009..”
“già, a quanto pare ci ho preso. ad ogni modo, io vivevo con i miei genitori in un’altra città del Sottosuolo. siamo stati noi tre per molto tempo, ma per loro questo tempo scorreva come per tutti, e quando scadde io andai a stare con degli amici di famiglia, e poi da altri, e altri ancora. ma non ne potevo più di vedere persone su persone diventare polvere, così un giorno, 13 anni fa, decisi di tornare nella mia vecchia casa, e restarci da solo. arrivato lì iniziai a sistemarla, dato che era stata trascurata per secoli, come dici tu. stavo svuotando alcuni mobili, quando trovai nell’armadio dei miei uno strano contenitore. emanava una strana aura, non avevo mai visto una magia di quel tipo. accanto c’era un biglietto, era di mia madre.”
 
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Sans, sono la mamma. Se stai leggendo la mia lettera, probabilmente è passato molto. Io e papà lo sappiamo che per te il tempo scorre in modo diverso, per questo speriamo che arriverai qui il più tardi possibile, più vicino alla liberazione. Perché tu uscirai da qui, piccolo, non dubitarne mai. Nella scatola c’è un regalo per te. Hai sempre voluto un fratellino, vero? Il suo nome è Papyrus. Abbine cura amore mio, ti amiamo. Vi amiamo entrambi.   Con affetto, mamma e papà.
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“Quando la toccai, quella cosa si illuminò, e al suo posto restò un bambino, un neonato.”
“Papyrus..!”
Sans annuì.
“da quel momento, ricominciai a contare i giorni. il tempo ricominciò a scorrere in modo concreto, e io ricominciai a crescere, come cresceva Papyrus. lui non ne sa nulla, quindi non dirglielo per favore.”
“No.. Certo che no..”
“ehi, su col morale! te l’avevo detto che era complicato, via quella faccia!” Scherzò lui, mentre le cambiava le stoffe. “e invece, di te che mi dici? come ci sei arrivata qui?”
ma nel vedere l’espressione di Frisk, Sans capì che non era proprio l’argomento più adatto.
“ok, domanda sbagliata. allora, ehm… che ti piace mangiare?”
 

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Capitolo 33
*** Play with words ***


“SEI SICURA DI STARE BENE, UMANA?”
“Sì Paps, te l’ho già detto”, ridacchiò lei. “Sto bene, davvero.”
Andava avanti così da ore. Papyrus era rientrato mentre suo fratello e la ragazza chiacchieravano, e da allora non aveva smesso un attimo di scusarsi con lei per l’accaduto. Frisk non serbava rancore, e inoltre era riuscita finalmente a dirgli che era una femmina.
La mattinata trascorse così, e arrivò per loro il momento di mangiare qualcosa. Era ora di pranzo.
Papyrus si offrì di cucinare della pasta per tutti, e Frisk dovette costringersi a reprimere una reazione potenzialmente offensiva.
Per sua fortuna, Sans propose altro.
“vado a prendere qualcosa da Grillby, ok?”
“Grillby?”
“E’ il tipo di locale che voi chiamate fast food, il migliore del Sottosuolo. vedrai, ti piacerà.”
“Oh, d’accordo!” La ragazza già fremeva al pensiero di qualcosa di buono da mandar giù. Non mangiava praticamente da un giorno.
 
[***]
 
A tavola, i tre non parlarono molto. Frisk era troppo impegnata a godersi finalmente un pasto completo, che non fosse un minuscolo panino alla cannella. I due fratelli, invece, la osservavano curiosi, quasi affascinati. Papyrus non aveva mai visto un umano prima di allora. Sans non poteva fare a meno di pensare a quelli che aveva conosciuto in passato. Non somigliava a nessuno di loro.
“se posso azzardarmi a riproporre la domanda.. tu da dove vieni?”
Frisk alzò lo sguardo, e mise giù il suo hamburger già quasi finito.
Beh, prima o poi avrebbe dovuto comunque rispondere.
“Inghilterra”, lo disse quasi con fierezza. “Londra.”
“interessante.”
“Sai dove si trova?”
“ehi, anch’io sono andato a scuola.”
“Ahah, scusa, hai ragione.”
“ma noi qui siamo in America, quindi… come?”
“Ecco.. Questa è un’altra storia.. Una lunga storia. Possiamo rimandare?”
Sans alzò le spalle, annuendo.
Poco dopo, alla ragazza tornò in mente un nome che aveva già sentito un paio di volte, e qualcosa le suggerì di informarsi al riguardo.
 “Chi è Undyne?”
L’espressione di Sans cambiò.
“OH, UNDYNE E’ LA GUERRIERA PIU’ FORTE DI TUTTO IL SOTTOSUOLO! TUTTI VORREBBERO ESSERE COME LEI! E’ IL CAPO DELLA GUARDIA REALE DI RE ASGORE!”
Anche Asgore non le era nuovo.
“SARESTI ONORATA DI INCONTRARLA. LEI E’ FORTE, CORAGGIOSA, E IL RE LE HA AFFIDATO IL COMANDO DELLA CA-“
“Paps, basta così”, lo interruppe Sans.
“MA SANS-“
“ho detto di no. non è il caso.”
“Che vuoi dire? Il comando di cosa?” Domandò lei.
“non è importante, lascia perdere.”
“Magari mi sarebbe utile saperlo.”
“ragazzina, dimenticatene.”
“Ma perché? Qual è il problema?”
Silenzio.
“Sans..?”
“sono stanco. vado in camera”, quindi si alzò, e sparì su per le scale.
 
[***]
 
Frisk e Papyrus erano rimasti a chiacchierare in salotto, sul divano.
“Dai.. Perché non me lo dici tu a questo punto?”
“ECCO, IO.. NON LO SO. SANS HA DETTO DI NO, QUINDI…”
La ragazza si ricordò di quanti anni avesse. Non voleva metterlo in difficoltà.
“Va bene, tranquillo. Non c’è problema”, gli sorrise, e lui ricambiò.
Comunque erano trascorsi tre quarti d’ora, i due si erano raccontati a vicenda un po’ di aneddoti per passare il tempo, quando Papyrus sbadigliò e mise su un’espressione strana, quasi triste.
“Qualcosa non va?”
Papyrus alzò le spalle.
“E’ QUASI ORA DI ANDARE A LETTO.. E SANS MI LEGGE SEMPRE UNA STORIA PRIMA CHE MI ADDORMENTI..”
Ma certo.. Ed ora Sans non c’era. Povero.. Frisk sorrise di nuovo.
“Ehi, ma questo non è un problema. Posso farlo io, se vuoi.”
“DAVVERO? MA NON VOGLIO DISTURBARTI..”
“Va tutto bene, mi piace leggere”, si alzò. “Su, andiamo.”
 
[***]
 
Papyrus era a posto, Frisk andò a bussare alla stanza accanto.
Sans aprì di poco la porta, il minimo indispensabile per lasciar intravedere metà del suo viso.
“quale parte di ‘sono stanco, vado in camera’ non ti è stata chiara?”
“Non hai detto che avresti dormito”, ribatté lei con un sorriso innocente, che lo fece ridere.
“tu giochi con le parole”, si chiuse la porta alle spalle. “allora, cosa c’è?”
“Prima sei stato strano. Va.. Tutto bene?”
“me lo chiedi perché ti interessa, o perché vuoi sapere di cosa parlava Paps?”
Frisk alzò le spalle. “Entrambi”, ammise, e lui rise di nuovo.
“sto bene, sto bene. e riguardo quel discorso… forse è meglio se ci sediamo”, quindi la guidò giù per le scale, diretto al divano.
Si misero comodi, lui con un sospiro, e prese il via una lunga spiegazione su cosa fossero le anime, la differenza tra quella di un mostro e di un umano, il loro collegamento con la barriera, e ciò che stava cercando di fare il re.
Frisk ascoltò tutto in silenzio, fu solo alla fine che disse qualcosa.
“Ah, ma era solo questo.”
“eh?”
“Scusa, è che già lo sapevo.”
“te l’ha detto qualcuno?”
“No, ci sono arrivata da sola.”
“come hai fatto?”
“Non è importante ora. Ma.. Dato che entrambi sappiamo come stanno le cose, direi che possiamo parlarne normalmente.”
“parlare di cosa esattamente? che altro c’è da dire?”
“Io sono la settima. La mia anima è l’ultima necessaria a rompere la barriera. Forse stavolta potrebbe andare diversamente.”
“che intendi?”
“Se fossi io a prendere le altre anime, potrei farlo da sola. Senza dover combattere con nessuno.”
“Asgore potrebbe non fidarsi. tutti potrebbero non fidarsi.”
“Per questo ti chiedo di essere il primo a farlo.”
I due si guardarono in silenzio per qualche secondo. Neanche Sans si fidava pienamente, e lei lo sapeva, ed entrambi sapevano di esserne consapevoli.
“Fuori di qui, io non ho un posto dove tornare”, continuò Frisk. “Quindi che senso avrebbe andarmene da sola?” Gli sorrise speranzosa.
Sans distolse lo sguardo, un pensiero gli martellava la testa da quando l’aveva incontrata.
“Per favore.”
Lei era diversa dagli altri. Tutti si erano diretti al castello del re con lo stesso obiettivo, lo stesso di Frisk, ma erano i motivi di contorno ad essere differenti. Chi per vivere un’avventura, chi per dimostrare qualcosa, chi per poter tornare semplicemente a casa. Li aveva conosciuti tutti, e per quanto fossero nobili le loro intenzioni, c’era sempre qualcosa in più che li spingeva a farlo. E la differenza stava nel fatto che lei non ce l’aveva, un secondo fine.
Ma chi gli garantiva che non avrebbe cambiato idea andando avanti? Sarebbe stato frustrante avere tutti contro, dover combattere per la vita ogni volta che avesse incontrato qualcuno lungo la strada.
Era stata una buona idea accettare quella richiesta?
“…Ho letto a Paps la storia della buonanotte”, aggiunse lei, quasi sottovoce, come se quella fosse la ciliegina sulla torta per guadagnarsi la sua fiducia una volta per tutte. I loro occhi si incontrarono.
“tu giochi con le parole”, le disse una seconda volta, ma poi le sorrise.
“tifo per te, ragazzina.”
 
 

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Capitolo 34
*** Un fiore, quel fiore ***


“spero di rivederti”, le disse Sans. “viva, intendo.”
“Sì, l’avevo capito. Non preoccuparti, ce la farò. Usciremo da qui tutti insieme”, gli rispose decisa lei, ed uscì dall’abitazione.
Passò nuovamente nel luogo in cui Papyrus l’aveva affrontata, strizzando gli occhi per farsi strada tra tutta quella nebbia. Ma mentre camminava quasi alla cieca, le sorse un pensiero: ce l’avrebbe davvero fatta?
Papyrus era solo un ragazzino, eppure non ci aveva messo molto a sconfiggerla. Cosa avrebbe fatto se avesse incontrato qualcuno di più forte? Chiunque lì avrebbe potuto decidere di vederla come una minaccia e attaccarla, e inoltre Undyne le dava la caccia. Chissà che aspetto aveva.. Ma da ciò che aveva sentito su di lei, sembrava veramente pericolosa.
Scacciò quei pensieri. Se ne sarebbe preoccupata sul momento, adesso era inutile.
Giunse alla fine di quel sentiero, e si ritrovò in un ambiente totalmente diverso. Niente più nebbia, niente più freddo e nessuna traccia di neve. Ma c’era un fiume che seguiva il suo stesso percorso, ed un susseguirsi di cascate provenienti da un piano superiore. Proseguendo, vide delle persone, tra cui un bambino che aveva già visto a Snowdin. Era una specie di draghetto giallo… Senza braccia. Quando la vide, la salutò sorridente.
“Ehi! Anche tu sei uscita di soppiatto da casa per vederla?”
“Vedere chi?” Ma poi si ricordò di Undyne. Papyrus le aveva parlato dell’ammirazione che tutti avevano nei suoi confronti. “Oh, parli di Undyne? Ehm, certo!” Disse poco convinta. Meglio non destare sospetti.
“Fantastico…” Commentò lui. “E’ proprio fichissima, vero!? Voglio essere proprio come lei da grande!”
Frisk annuì in segno d’appoggio, poi fece per andarsene, ma venne richiamata un’ultima volta.
“Ehi, non dire ai miei genitori che sono qui”, ridacchiò il bambino, quindi si salutarono.
La ragazza posò gli occhi su un’altra di quelle strane lucine, e anche stavolta sentì l’impulso di avvicinarsi, di toccarla. Ma la vedeva soltanto lei? Nessuno sembrava farci caso, com’era possibile? Era così magnetica…
Più avanti c’era una piccola capanna di legno, simile ad altre che aveva già visto in precedenza. E dentro c’era Sans! Si piazzò davanti a lui con espressione confusa. L’aveva appena lasciato a casa sua, come faceva ad essere lì?
“cosa? non hai mai visto nessuno fare due lavori, prima d’ora?”
“Non credo sia questa la cosa strana”, pensò lei.
“fortunatamente, ciò significa anche dover prendere due pause. sto andando da Grillby, vuoi venire?”
“Di nuovo?”
Sans annuì.
“Oh beh, perché no.”
“beh, se insisti… abbandonerò per un po’ il mio posto di lavoro…”
“Ma sei stato tu a-“, ma Sans le fece l’occhiolino, e lei rise. “Ok, ok, andiamo.”
“di qua. conosco una scorciatoia.”
Fecero qualche passo, e senza che Frisk se ne rendesse conto, erano già nel locale. Non ricordava neanche di esserci entrata.
“Come-“
“scorciatoia piuttosto veloce, eh?”
“Io-… Ah, non importa.”
“ciao a tutti”, disse Sans ai presenti, evidentemente suoi amici.
“Ehi Sans, non eri qui a fare colazione cinque minuti fa?”
“nah, non mangio da almeno mezz’ora. e ora non ci vedo più dalla fame.”
Per qualche motivo, tutti scoppiarono a ridere. Frisk non aveva nemmeno capito che fosse una battuta.
“vieni, siediti qui. mettiti comoda”, la invitò battendo la mano su uno degli sgabelli al bancone. Ma quando la ragazza prese posto, un rumore insolito si fece largo tra le voci dei presenti. Frisk tirò fuori da sotto di lei una sacchetta di gomma.
“Ma…”
“ops, guarda dove ti siedi. a volte dei tipi strani mettono dei cuscini per peti sulle sedie.”
“’Tipi strani’ comprende anche te?” Domandò sorridendo, e lui alzò le spalle.
“comunque, ordiniamo. tu che vuoi?”
“Mh.. Vada per delle patatine, prima ho mangiato solo un hamburger.”
“hmm, bella scelta. Grillby, prendiamo una doppia porzione di patatine fritte.”
Un uomo di fuoco sparì in cucina, mentre Sans si passava sulla testa un… Pn pettine. Frisk non ci fece caso, ormai era strano persino stupirsi di qualcosa, lì sotto.
“allora, che ne pensi di mio fratello?”
“Oh, beh, è molto tenero”, commentò sinceramente. “O come direbbe lui, è proprio fico!”
“certo che è fico. anche tu lo saresti se indossassi sempre quei vestiti.”
“Credo che passerò.”
“lui se li toglie solo se deve farlo per forza.”
“Almeno vuol dire che li lava.”
“stavo per dirlo anch’io. e con questo voglio dire che li indossa anche sotto la doccia.”
“….Ah”, entrambi risero, e in quel momento arrivarono le loro ordinazioni.
“vuoi del ketchup?”
“No, grazie”, preferiva di gran lunga la salsa barbecue, ma non sembravano averla.
“beh, ce n’è di più per me allora”, detto questo, si scolò direttamente l’intera bottiglia come fosse acqua.
“comunque, fico o no, devi ammettere che ce la mette tutta.”
“Senza dubbio.”
“soprattutto per entrare nella Guardia Reale. un giorno andò a casa del capo, e la pregò per entrare a farne parte. ma lei gli chiuse la porta in faccia perché era mezzanotte.”
“Non sono sicura che sia stato l’unico motivo..”
“ma il giorno dopo, lei si svegliò e vide che era ancora lì. notando la sua perseveranza, decise di addestrarlo nel combattimento. c’è ancora da lavorarci su.”
Frisk annuì pensierosa, mettendosi in bocca un paio di patatine.
“ah già, volevo chiederti una cosa”, Sans si fece di colpo più serio.
“hai mai sentito parlare di un fiore parlante?”
La ragazza per poco non si strozzò col cibo.
“Sì… Perché?”
“quindi già li conosci.”
Li conosci?? Ce n’erano altri come lui??
“i fiori dell’eco. si trovano tutti alle cascate. se gli dici qualcosa, la ripeteranno continuamente.”
Quelle parole la rassicurarono da una parte, perché voleva dire che di ‘Flowey’ ce n’era solo uno. Ma dall’altra… Sans non sapeva della sua esistenza.
“Perché me lo dici?”
“Papyrus mi ha fatto sapere una cosa interessante. a volte, quando non c’è nessun altro in giro, appare un fiore… gli fa complimenti, gli dà consigli, incoraggiamenti… e gli dice anche delle predizioni.”
Frisk sbiancò. “Oh mio Dio..”
“strano, eh? qualcuno starà usando un fiore dell’eco per prenderlo in giro. ma tu tieni comunque gli occhi aperti, ok?”
Lei annuì, e Sans si alzò.
“beh, è stata una pausa piuttosto lunga. non riesco a credere che sia stato così tanto senza lavorare.”
Doveva dirglielo?
“oh, comunque… sono senza soldi, puoi pagare tu?”
“…Scusa? Ma hai capito da dove arrivo?”
“stavo scherzando. Grillby, metti tutto sul mio conto.”
Sans si voltò e si diresse verso l’uscita, ma poi la guardò di nuovo.
“e comunque… volevo dirti una cosa, ma me la sono scordata.”
“Io-“, ma non fece in tempo a parlare, che già se n’era andato.
 
 
 
 
 

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Capitolo 35
*** Vero pericolo ***


Lasciato il locale, Frisk ripercorse la strada fino al luogo in cui aveva incontrato di nuovo Sans, e da lì proseguì, passando davanti ad una grande cascata che portava con sé qualche roccia a cui dovette stare attenta.
Giunse ad un campo d’erba molto alta, più di lei, ma era l’unica via per proseguire quindi iniziò a farsi strada nel verde. Si bloccò nell’udire la voce di una ragazza. Proveniva dall’alto, dalla cima del grande muro di roccia accanto a lei.
“Di solito risponde al primo o secondo squillo… Che gli sta succedendo?”
Poco dopo, sentì invece Papyrus, sempre lì sopra.
“C-CIAO, UNDYNE! SCUSA IL RITARDO, AVEVO… COMMISSIONI DA SVOLGERE! SI’… COMUNQUE, RIGUARDO L’UMANO PER CUI TI AVEVO CHIAMATO PRIMA…”
Undyne? Quindi era lei? Non poteva vederli da lì sotto. Chissà che aspetto aveva.
“L’hai affrontato?” Le sentì chiedere, con tono fermo.
“BEH… SI’! CERTO CHE SI’! HO COMBATTUTO VALOROSAMENTE!”
“L’hai catturato?” Domandò poi, come se dovesse essere qualcosa di ovvio. Papyrus esitò
“BEH……….… NO.”
“….Cosa?!?”
“CI HO PROVATO! CE L’HO MESSA TUTTA, UNDYNE! DEVI CREDERMI! E’ SOLO CHE, SAI… COSE CHE SUCCEDONO… COSE CHE CAMBIANO… SAI COM’E’, NO?”
Undyne sospirò nervosa.
“Se vuoi che una cosa sia fatta bene, devi fartela da solo.. Gli spezzerò le ossa. Gli strapperò l’anima io stessa!”
“M-MA.. NON C’E’ BISOGNO CHE TU LO FACCIA! VEDI… CI HO PENSATO, E… BEH… IO.. IO HO QUALCOSA DA DIRE…”
“Con la sua anima possiamo andare a casa! Finalmente questa battaglia sarà vinta!!”
“IO… CAPISCO, E’ SOLO..”
“Risaliremo in superficie, e distruggeremo ogni singolo umano! E se hai un problema con questo, forse la Guardia Reale non fa per te.”
“IO… TI AIUTERO’ UNDYNE. IN TUTTI I MODI POSSIBILI.”
“Bene! Sapevo di poter contare su di te. Mettiti in moto!”
Papyrus se ne andò, e Frisk lo ringraziò mentalmente per aver cercato di prendere le sue difese, anche se l’ultima parte della conversazione non la convinceva molto.
“Mi senti umano?” Gridò Undyne. “E’ stagione di caccia! E io non perdo MAI la mia preda!”
La ragazza si paralizzò, e alzò lo sguardo vedendola sporgersi dalla parete di roccia, mentre nella sua mano compariva una luminosa lancia azzurra. Per dieci secondi Frisk non respirò, e quando Undyne sparì, per poco non lanciò un urlo all’arrivo dello stesso ragazzino di prima.
“Ehi.. Hai visto come ti stava guardando..? E’… E’ stato ASSURDO! Sono TROOOOOPPO geloso! Cos’hai fatto per avere la sua attenzione? Dai! Andiamo a vedere come picchia i cattivi!” Detto ciò corse via, inciampando, e lei rimase di nuovo da sola.
Ecco un’altra di quelle lucine. Rispose al desiderio di toccarla, e proseguì.
Qualche minuto dopo, il telefono che le aveva dato Toriel il giorno del suo arrivo squillò. Forse era lei!
“PRONTO! SONO PAPYRUS!!! COME HO FATTO AD AVERE IL TUO NUMERO…? FACILE!!! HO CHIAMATO OGNI NUMERO DALL’ELENCO PER CONTATTARTI!!!”
Frisk ridacchiò per incoraggiarlo, ma intanto continuava a guardarsi intorno. Era terrorizzata.
“QUINDI… UHM… COSA STAI INDOSSANDO…?”
“Cosa? Perché?”
“UN… UN’AMICA LO VORREBBE SAPERE.”
“Ah.. Un’amica..”
“LEI DICE DI AVERTI VISTA CON UNA MAGLIA A RIGHE. E’ VERO?”
“NO!” rispose lei, agitata.
“QUINDI NON STAI INDOSSANDO UNA MAGLIA A RIGHE… OKAY! SEI MIA AMICA, QUINDI MI FIDO AL 100%! GRAZIE MILLE!” e riattaccò.
Frisk non riusciva neanche ad essere arrabbiata con lui, tanta era la paura.
E non poteva neanche permettersi di lasciarsi prendere dal panico. Aveva uno scopo, doveva portarlo al termine. E per farlo doveva restare lucida. Fece un bel respiro, e riprese a camminare.
Passò per un corridoio pieno di fiori azzurri, i fiori dell’eco, e si lasciò tenere compagnia dai loro sussurri mentre andava.
“Tanto tempo fa, i mostri esprimevano dei desideri guardando le stelle. Se lo desideravano con tutto il cuore, il desiderio si avverava. Ma ora, tutto quello che abbiamo sono delle pietre luccicanti sul soffitto…”
Frisk alzò gli occhi. Era vero.
“I desideri di migliaia di persone diverranno realtà! Soprattutto grazie all’aiuto del nostro re.”
Probabilmente parlava dell’essere liberi…
“Dai, sorellina! Esprimi un desiderio!”
Sorellina…
“Desidero di vedere le stelle con mia sorella, un giorno…”
Frisk scosse la testa. No, non era proprio il momento di pensarci.
Il corridoio con i fiori terminò, lasciando posto ad un altro luogo, pieno di scritte sui muri.
“Perché gli umani attaccarono? Perché sembrava che non temessero nulla. Gli umani sono molto forti. Dovremmo prendere l’anima di quasi tutti i mostri, solo per eguagliare la forza di una sola anima umana.”
Era davvero così tanta la differenza?
“Ma hanno anche un punto debole. Ironicamente, è la forza della loro anima. Questo potere le permette di vivere fuori dal corpo umano, anche dopo la morte.”
Questo lo sapeva già, era ciò che insegnava la rua religione, il cattolicesimo. Ma perché doveva essere una debolezza?
“Se un mostro sconfigge un umano, può prendergli l’anima. Un mostro con un’anima umana… E’ una creatura orribile con una forza inarrestabile.”
Quindi se fosse morta lì sotto, avrebbe messo in pericolo anche tanta altra gente..
Alla fine del muro, c’era un disegno. Era un mostro, ma ben diverso da quelli che aveva visto finora. Era… Molto disturbante. Quindi se fosse stata sconfitta avrebbe dato vita a qualcosa del genere?
Giunse ad una distesa d’acqua, e trovò una piccola zattera. Ci salì sopra, con l’intento di nuotare con le braccia, ma questa si mosse da sola, e la portò dall’altra parte nel giro di pochi secondi.
Alzò le spalle, era stato facile.
Ma i terrore tornò sul suo viso, e in tutto il suo corpo, quando davanti a lei vide il pavimento venir trafitto da una lancia azzurra. Undyne era a pochi metri da lì, e ne stava facendo comparire altre, una dopo l’altra, e gliele scagliava contro. Frisk correva, le sue gambe quasi si muovevano da sole. Il suo respiro affannato era coperto dal rumore del legno lacerato dietro di lei. Giunse ad un’altra distesa di quell’erba, e lì inciampò. Voltandosi, la vide venirle incontro e tendere un braccio per afferrarla. Ma quello che prese non fu lei…
Quel ragazzino era di nuovo lì! Allora era vero che seguiva Undyne dappertutto! Lei lo mise giù, e se ne andò. Forse non l’aveva vista in mezzo a tutte quelle piante. Si portò una mano al petto, aveva il cuore a mille. Per la prima volta stava realizzando la serietà della situazione. Non era un gioco, non erano pericoli astratti. Le persone che aveva contro facevano sul serio, lei rischiava davvero di morire.
Uscì dalla distesa verde, e venne seguita a ruota dal mostriciattolo giallo, di cui si era già dimenticata.
“Ehi… Hai visto!?”
Certo che aveva visto, e stava per rassicurarlo, quando..
“Undyne mi… MI HA TOCCATO! Non mi laverò mai più la faccia..!”
“Oh mio Dio..” Pensò lei. Ma era contenta che non fosse spaventato.
“Cavoli, sei davvero sfortunata. Se solo fossi stata un pochino più a sinistra..!”
Non poteva ribattere, ma avrebbe tanto voluto.
“Ehi, non preoccuparti! Sono sicuro che la rivedremo presto!”
“Già.. Che gioia”, mormorò Frisk, mentre lo guardava correre via, inciampando di nuovo.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 36
*** Destino ***


Proseguendo lungo la strada, ecco che Frisk si imbatté di nuovo in Sans, stavolta in piedi accanto ad un telescopio.
“Non è che mi stai seguendo?”
Lui ignorò la domanda con un’alzata di spalle, sorrise e la salutò con la mano, prima di allontanarsi nella direzione opposta alla sua.
Più avanti, la ragazza trovò un nuovo sentiero affiancato da un canale d’acqua luminosa, così come le particelle che rilasciava nell’aria.
Il suo telefono squillò.
“PRONTO, SONO PAPYRUS! TI RICORDI QUANDO TI HO CHIESTO COSA INDOSSAVI?”
“Sì..?”
“BEH, L’AMICA CHE VOLEVA SAPERLO… NON HA UNA BUONA OPINIONE SU DI TE… NON APPREZZA IL FATTO CHE TU… RESPIRI.”
“Oh, davvero..?” Frisk cercò di reprimere il sarcasmo.
”BEH, TRANQUILLA UMANA! PAPYRUS NON TI TRADIRA’ MAI! DICESTI CHE NON STAVI INDOSSANDO UNA MAGLIA A RIGHE. QUINDI, OVVIAMENTE, LE HO DETTO CHE LA INDOSSAVI!”
Frisk spalancò occhi e bocca. No, non era possibile.
“Papyrus, tu-“
“MI HA FATTO MALE DIRE UNA BUGIA COSI’ ECLATANTE. MA SICCOME NON STAI INDOSSANDO UNA MAGLIA A RIGHE, SICURAMENTE NON TI ATTACCHERA’! QUINDI ORA SEI SANA E SALVA.”
“Papyrus, aspetta-“ Ma la chiamata si interruppe. “Oh mio Dio..”
Adesso era ufficiale, doveva darsi una mossa. Proseguì, mentre leggeva al volo un’ultima scritta sul muro.
“Il potere di prendere le loro anime. E’ questo il potere di cui gli umani avevano paura.”
 
[***]
 
Frisk entrò in una zona diversa di quell’enorme grotta che era il Sottosuolo. Lì pioveva.
Era triste. I mostri avevano avuto un destino triste, e usavano la magia per continuare a godere in qualche modo di ciò che avevano perso. La neve, la pioggia, le stelle…
C’era un cesto con degli ombrelli, quindi ne prese uno. L’ultima cosa di cui aveva bisogno ora era ammalarsi.
“Ehi, hai un ombrello?”
La ragazza saltò sul posto. era di nuovo quel bambino.
“Oh, ehm.. Sì.”
“Grande!” Quindi si sistemò al suo fianco. “Andiamo!”
Frisk alzò le spalle, non le avrebbe fatto male un po’ di compagnia.
“Cavolo, Undyne è fichiiiiiiissima!”
“Certo.. E’ fantastica”, dire qualcosa contro di lei avrebbe sicuramente creato problemi.
“Le dà sempre ai cattivi e non perde MAI.”
“Mai hai detto?”
“Se io fossi un umano bagnerei il letto ogni notte, sapendo che prima o poi arriverà lei a suonarmele!”
Frisk rabbrividì. Chissà se quel ragazzino sarebbe andato da Undyne, se avesse capito chi era.
“Una volta, facemmo un progetto a scuola nel quale dovevamo prenderci cura di un fiore.”
“Heh, ne so qualcosa”, gli rispose con un sorriso, ripensando al fiore che aveva tirato su il giorno in cui era giunta a Neverland. Il bastoncino l’aveva tolto, ma l’elastico colorato era ancora avvolto attorno allo stelo.
“E il re, che dovevamo chiamare Signor Dreemurr, si offrì per donare i suoi fiori. Quindi venne a scuola e ci parlò anche di responsabilità e altre cose noiose.”
“E’ stato un bel gesto”, osservò lei.
“Quello mi fece pensare..”
“Mh?”
“Quanto sarebbe figo se Undyne venisse a scuola!? Le darebbe a tutti gli insegnanti!!”
Frisk ripensò a Toriel, che amava tanto l’insegnamento. Se l’avesse portata fuori di lì, avrebbe potuto realizzare il suo sogno.
Raggiunsero uno spazio infinitamente più ampio, e la ragazza si trovò davanti una vista mozzafiato. Sotto quel ‘magico cielo stellato’, al di là di un fiume, vi era un’immensa distesa di prato verde smeraldo, che si estendeva fino all’orizzonte, dove sfoggiava il suo splendore un enorme castello che sembrava uscito da un film Disney. Ma di fiabesco non aveva proprio niente. Quello era il luogo della resa dei conti. Lì si sarebbe deciso il suo, di destino: distruggere la barriera e portare i mostri in superficie, oppure morire nell’ignoto di quel posto dimenticato dal mondo. Si chiese se Asgore sapesse che stava arrivando.
 
 
 
 

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Capitolo 37
*** Angelo ***


“Gli umani, impauriti dalla nostra forza, ci dichiararono guerra. Ci attaccarono all’improvviso, senza alcuna pietà.”
“Non poteva nemmeno essere chiamata ‘guerra’. Uniti, gli umani erano troppo forti, e noi mostri troppo deboli. Non fu presa neanche un’anima, ma molti mostri furono ridotti in polvere…”
Questo recitavano le parole delle ennesime scritte murali.
Frisk era rimasta di nuovo sola, e la prossima tappa consisteva nell’attraversare delle passerelle di legno, e fin qui nulla di pericoloso… Tranne per il fatto che fossero sospese in aria. Frisk deglutì. A quell’altezza una caduta le sarebbe stata fatale. Si fece però coraggio, doveva solo stare attenta e alla larga dai bordi privi di ringhiere.
Ma non ci volle molto prima che la sua mente venisse occupata da ben altre preoccupazioni: il pavimento attorno a lei si illuminò di azzurro, e da quella luce spuntarono le lance di Undyne.
Non disse nulla, non si guardò intorno. Sapeva esattamente cosa doveva fare: correre.
Saettava a destra e a sinistra, tornava indietro, accelerava, si fermava e poi ripartiva, come fosse una marionetta controllata da quelle luci cianotiche che la spingevano di qua e di là. E proprio quando pensava di essersi salvata di nuovo, ecco che si ritrovò davanti il vuoto. Un vicolo cieco, con unica possibilità quella di saltare giù. E fu esattamente ciò che accadde, quando Frisk si voltò e vide Undyne a pochi metri da lei, che con una lancia più grande di quelle che le aveva sferrato contro recise senza sforzi il pavimento di legno, facendola precipitare.
 
[***]
 
Si risvegliò su un mucchio di fiori dorati senza neanche un graffio. Ora non c’erano dubbi: erano quelli ad attutire le cadute. Si chiese se fossero magici di loro, o se fossero frutto dell’ennesimo incantesimo. Alla fine alzò le spalle, e si alzò. Doveva smetterla di stupirsi per tutto lì sotto, o ne sarebbe uscita matta.
“Se ne uscirò..” Le venne da pensare, ma scacciò subito quelle parole dalla sua testa. Aveva un obiettivo, ed era determinata a conseguirlo.
Si fece strada nell’acqua sporca, incurante delle montagne di spazzatura che la circondavano. Doveva essere una discarica.
Proseguendo, passò davanti a delle abitazioni, e vide anche qualche mostro passeggiare. Ciò la rassicurava, la faceva sentire meno inquieta.
“Welà! Ho tanta robaccia in vendita!”
A parlare era stato un… Vecchietto tartaruga, che la guardava con un sorriso sdentato in attesa di una sua risposta.
“Ehm, salve!” Gli sorrise a sua volta, era bello vedere un volto amichevole. “In effetti.. Ha mica da bere o da mangiare? O entrambi?”
L’ometto le schiaffò davanti un piatto di.. Qualcosa. E subito dopo le porse una tazza… Di qualcos’altro.
Non gli chiese cosa fossero, non era sicura neanche di volerlo sapere, ma erano entrambi ottimi. Lo ringraziò, ingoiando i primi bocconi. Tra lance magiche, fiori parlanti e ragazzini che inciampavano, non si era resa conto di star morendo di fame.
“Posso farle delle domande?”
“Che vuoi sapere?”
“Ecco.. Riguardo Undyne.”
“Undyne? Sì, è un’eroina locale. Con grande determinazione, è riuscita da sola a diventare il capo della Guardia Reale. A dirla tutta, è passata di qua poco tempo fa. Cercava una persona molto, molto simile a te… Fossi in te starei attenta.”
“Sì.. Ne sono al corrente. E.. Che mi sa dire invece di Asgore?”
“Il Re Cucciolotto? È un tipo amichevole e simpatico…”
“Cucciolotto?”
“Se continui ad andare in giro, probabilmente lo incontrerai. Lui adora passeggiare e parlare con la gente.”
“In realtà è proprio da lui che sto andando. Ma come mai quel nomignolo?”
“Eh? Perché lo chiamo Cucciolotto? Oh, è una bella storia!”
“…?”
“…Ma non me la ricordo.”
“Ah.”
“Ma se torni fra un bel po’, sono sicuro che me la sarò ricordata!”
“Beh.. Ci farò un pensiero”, disse mentre mandava giù l’ultimo sorso di quella strana bevanda, ma poco dopo le cadde l’occhio sulla parete alle spalle del vecchietto. Era lo stesso simbolo ricorrente nelle Rovine.
“Ehm, mi scusi. Posso chiederle che cos’è quel disegno lì dietro?”
Il mostro diede uno sguardo, e la guardo sorpreso.
“Non sai cos’è?”
Lei scosse la testa.
“Cosa insegnano a scuola, di questi giorni..?”
“Sarebbe troppo lunga da spiegare”, borbottò Frisk.
“Quella è la Runa Delta, l’emblema del nostro regno. Il Regno… Dei Mostri”, una risata. “Bel nome, eh? E’ proprio come dico io. Il nostro re ha l’immaginazione di un tubero!”
“Oh, ho capito. E questa.. Runa Delta, ha un significato in particolare?”
“Quell’emblema esiste da ancora prima che la storia fosse scritta. Il suo significato originale è stato perduto nel tempo… Tutto quello che sappiamo è che i triangoli raffigurano i mostri, e il cerchio alato raffigura… Qualcos’altro.”
“Qualcos’altro?”
“Tutti dicono che rappresenti ‘l’angelo’ della profezia…”
“Che profezia?”
“La leggenda dice che un angelo che ha visto la superficie, scenderà qui e ci libererà tutti. Dopo, la gente ha cominciato a dare significati diversi al simbolo, chiamando per esempio il cerchio alato ‘l’Angelo della Morte’. Un messaggero della distruzione, che aspetta di ‘liberarci’ dal nostro corpo. Io invece, quando vedo quel cerchietto, penso solo che sembra bello!” Terminò il vecchietto ridendo ancora.
“Signore.. Lei da quanto si trova qui?”
“Sono qui da tanto tempo. Forse troppo. Studiare storia è più facile se l’hai vissuta in prima persona!”
“La guerra..”
L’uomo annuì, con un sorriso più lieve.
“Dev’essere stato orribile.”
“Lo è stato. Ma ormai sono passati tanti anni.”
“Stiamo parlando di secoli. I mostri non meritavano tutto questo.”
“Forse no, ma ormai c’è poco da fare.”
“Cos’è quello?”
“Mh?” Il vecchietto si voltò. “Oh, me l’ha lasciato tempo fa una persona. Doveva essere giusto un po’ più grande di te.”
Frisk si vide porgere un taccuino firmato. “Daeron”.
“Questo.. Questo è.. Oh mio Dio..”
Quel quaderno apparteneva a una degli umani caduti prima di lei!
“Mi disse che dove stava andando probabilmente non le sarebbe servito, e che in caso sarebbe tornata a riprenderselo. Come puoi immaginare, non è stato così.”
“Io-…” Frisk sospirò. “Io devo andare, grazie dell’aiuto.”
“Fa’ attenzione là fuori, ragazzina!”
La ragazza si allontanò velocemente, con le mani che ancora le tremavano, mentre ripercorreva mentalmente ciò che diceva la profezia.
“Io..? Un angelo..?”
 
 

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Capitolo 38
*** Amici ***


“Feriti e spaventati, ci arrendemmo agli umani. Sette dei loro più grandi maghi ci rinchiusero nel Sottosuolo con un incantesimo. Tutto può entrare in questo sigillo, ma solo qualcuno con un’anima forte può uscirne.”
“C’è solo un modo per superare questo incantesimo. Se una grande forza, equivalente a sette anime umane, attacca la barriera, questa sarà distrutta.”
“Ma questo posto maledetto non ha né entrate né uscite. Un umano non potrà mai venire qui. Rimarremo intrappolati qui sotto per sempre.”
Le parole delle pareti rocciose accompagnarono ancora Frisk fino ad un luogo più buio, dove solo pochi piccoli sentieri erano schiariti da erba luminosa. Questo fino ad arrivare ad una strada nuovamente visibile, con un unico fiore dell’eco. La ragazza si avvicinò.
“Dietro di te.”
Si voltò, e la vide: Undyne. A pochi passi da lei, c’era la persona che più di tutte la voleva morta in quel momento.
“Sette. Sette anime umane. Col potere di sette anime umane, il nostro re… Il re Asgore Dreemurr… Diventerà un dio. Con quel potere, Asgore distruggerà la barriera, e torneremo finalmente in superficie. Dove restituirà agli umani tutta la sofferenza e il dolore che loro ci hanno inflitto. Capisci, umano? Questa è la tua unica opportunità di redenzione. Dammi la tua anima, o te la strapperò via io.”
Frisk tremava, immobile davanti all’ennesima lancia che Undyne fece comparire nelle proprie mani per puntargliela contro. Fu allora però che, ancora una volta, comparve lui, sbucando fuori da un cespuglio.
“Undyne!!! Ti aiuterò a combattere!!!”
Poi il ragazzino si accorse di lei. “Ehi!!! Ce l’hai fatta!!! Undyne è proprio davanti a te!!! Hai un posto in prima fila per vederla combattere!!!”
Possibile che davvero non se ne rendesse conto?
“…Aspetta. Contro chi combatterà???”
Ecco, appunto..
Evidentemente, Undyne non ne poteva più di ritrovarselo sempre davanti, dato che lo trascinò letteralmente via di lì.
“E-Ehi! Non dire niente ai miei, ti prego!”
E Frisk rimase di nuovo sola, in compagnia dei racconti dell’immensa grotta.
“Ma… C’è una profezia. L’Angelo… Colui che ha visto la superficie… Lui ritornerà. E il Sottosuolo si svuoterà completamente.”
 
[***]
 
Quando raggiunse la fine di un ponte di legno, sentì una voce alle sue spalle.
“Ehi!”
Era Monster Kid, così aveva detto di chiamarsi.
“Ehi, lo so che non dovrei essere qui, ma… Voglio chiederti una cosa.”
“Dimmi.”
“…Cavoli, non l’ho mai chiesto a nessuno.. Umm… Ehi, sei un umano, giusto?”
“Sì… Beh, un’umana”, lo corresse lei, e lo vide sorridere.
“Cavolo! Lo sapevo!”
“Lo sapevi?”
“Beh.. Lo sapevo perché… Undyne mi ha detto: stai alla larga da quell’umano. Quindi, umm.. Credo che questo ci renda.. Nemici?”
“I nemici dovrebbero odiarsi tra di loro.”
“Ma non sono bravo ad odiare le persone. Puoi dirmi qualcosa di brutto, così che io possa odiarti? Per favore?”
“In realtà non penso sia il caso, no.”
“Allora devo insultarti prima io? Hmm.. Ehi, io… Odio la tua pancia.”
“Ehm…”
“…Cavolo, sono… Sono proprio un imbranato. Vado.. Vado a casa ora.”
“Guarda che non dobbiamo odiarci per forza. Noi non siamo nemici.”
Ma Monster Kid si voltò per andarsene. Caso volle però che inciampasse proprio in quel momento, finendo per aggrapparsi alla roccia per non cadere.
“Ehi, a-a-aspetta! Aiutami!”
Nello stesso istante, Undyne comparve dall’altro lato del ponte. Andare ad aiutare Monster Kid significava avvicinarsi a lei.



Ah, ma che gliene importava?? Corse da lui, e lo tirò su con un po’ di fatica. Subito dopo, il ragazzino le si piazzò davanti, facendole come da scudo, e si rivolse ad Undyne.
“E…E-Ehi.. Se.. Se v-vuoi far del male alla mia amica… Dovrai prima vedertela con me.”
In risposta, lei si allontanò, sparendo dalla loro vista. Era giusto, lui non c’entrava nulla.
“E’ andata via…”
“Sì.. Grazie.”
“Ehi, mi hai davvero salvato la pelle.”
“Beh, anche tu. Direi che siamo pari.”
“Credo che alla fine sia meglio non essere nemici. Meglio essere amici”, constatò Monster Kid, ridendo.
“Hai ragione, va benissimo così.”
“…Cavoli, devo correre a casa, scommetto che i miei sono preoccupatissimi per me! A dopo!” Quindi se ne andò, e Frisk prese la strada opposta, per allontanarsi il più velocemente possibile da lì.
 
 
 
 

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Capitolo 39
*** Sfida ***


“Sette. Sette anime umane, e il re Asgore diventerà un dio.”
Ripeté Undyne, come la volta prima, dalla cima di un’imponente montagna. Frisk sentì che questa era la volta definitiva. In fondo sapeva che non avrebbe potuto fuggire in eterno.
“Sei. Ecco quante ne abbiamo prese finora. Capisci? Con la tua settima e ultima anima, questo mondo sarà trasformato.”
Sarebbe stato inutile tentare di spiegarle le sue intenzioni.
“Ma prima, visto che sei arrivata fin qui, ti narrerò la tragica storia del nostro popolo. Cominciò tutto tanto tempo fa…”
“…”
“…No, ma cosa sto facendo? Al diavolo! Perché dovrei raccontartela, quando stai per morire!?”
Si tolse l’elmo, scoprendo un viso dai tratti simili a quelli di un pesce, con la pelle azzurra e dei capelli rosso fuoco. Dei suoi occhi gialli, uno era coperto da una benda nera.
“Tu! Tu stai intralciando le speranze e i sogni di tutti! Leggendo i libri di Alphys, credevo che gli umani fossero forti… Con tutte le loro invenzioni e tecnologie. Ma tu.. Tu sei solo una codarda! Sfruttare quel ragazzino per scappare ancora una volta da me! E non dimentichiamoci di tutte le altre cose che hai fatto! Che ora non ricordo, ma sono sicura che sia stata tutta opera tua!”
Parte di quel discorso non aveva il minimo senso. Anzi, probabilmente l’intero insieme di parole che quella donna stava mettendo in riga, era completamente priva di fondamento. Ma Frisk era pietrificata dal terrore, non riusciva a muoversi, a malapena respirava. Figuriamoci se sarebbe riuscita a dire qualcosa.
“Sai cosa sperano tutti? Che tu muoia!!! Esatto umano! Anche solo la tua esistenza è un crimine! La tua vita è l’unica cosa che ci separa dalla libertà! Riesco a sentire i cuori di tutti battere come se fossero uno solo! Tutti stavano aspettando questo momento! Ma non siamo affatto nervosi. Perché sappiamo che non perderemo, se saremo tutti uniti! Ora, umano! Facciamola finita, qui e subito. Ti mostrerò quanto noi mostri possiamo essere determinati!”
Le sue parole erano pesanti, ma Frisk non ebbe il tempo di pensarci, perché Undyne saltò giù dalla montagna per atterrandole proprio di fronte. Non erano mai state così vicine. La sua anima le comparve sul petto, e poco dopo si colorò di verde. Questo… Che significava?
“Undyne, io non voglio combattere! Voglio solo-“
Una lancia azzurra le comparve tra le mani, e la rossa non le rispose.
“Quando sei verde, non puoi scappare!” Le disse soltanto. Frisk provò a spostarsi: era vero. Non poteva muoversi se non sul posto.
“Ma che..”
“Se non impari ad affrontare il pericolo, non durerai neanche un secondo contro di me!”
Le sue gambe tremavano, la presa sull’arma che le era stata data vacillava. Aveva paura, paura da non reggere.
Davanti a lei comparvero delle nuove lance che le vennero incontro, e allora Frisk capì a cosa serviva quella che aveva in mano.
“Niente male! Ma come te la cavi con questo!?”
Ne giunsero altre, stavolta più veloci. Frisk barcollò all’impatto. I suoi occhi volavano da una parte all’altra, in attesa dei prossimi attacchi, mentre Undyne continuava a sputarle addosso parole d’odio puro.
“Per anni, abbiamo sognato di uscire da qui”, ringhiò, sferrando un pugno al suolo. “E ora, il nostro sogno sta per avverarsi!”
I colpi erano sempre più potenti, Frisk aveva il fiatone.
“Non ti permetterò di mandare tutto a rotoli!”
Undyne, invece, sembrava non avvertire la minima fatica.
“Ah! Basta col riscaldamento!”
Riscaldamento? La ragazza sentiva già di non potercela più fare!
Tra le varie cariche magiche, una le urtò una spalla. Lei urlò, e un istante dopo la sua anima tornò rossa. Troppo tardi si accorse dell’enorme lancia che le passò dietro, bruciandole la pelle della schiena. Non aveva mai provato un dolore simile, faceva più male del fuoco di Toriel.
Cadde in ginocchio, era stanca. La sua arma pesava, e le ginocchia rispondevano a tratti. Doveva andarsene. Benché il suo orgoglio le intimasse di restare, non poteva permettersi di morire. Aveva fatto delle promesse. Aveva promesso a Toriel, e a tutti i mostri, che li avrebbe liberati. Aveva promesso ai suoi amici a Neverland, nella sua testa, che si sarebbero rivisti una volta risolta la storia delle accuse. Le era stato insegnato a mantenere la parola data.
Lui… Lui avrebbe fatto l’impossibile pur di tener fede alla sua, di promessa, quella di ritrovarla. Non si era arreso, ne era sicura. Lui stava ancora cercando il modo di tornare da lei, quindi… Lei doveva fare in modo di poter essere trovata. E per essere trovata, doveva uscire da lì.
La sua anima era ancora rossa, non era più bloccata. Frisk lasciò la sua lancia a terra e si alzò, per correre via con tutte le forze che aveva in corpo.
“Ehi!” Undyne scattò dietro di lei, e quando fu abbastanza vicina rese di nuovo la sua anima verde, fornendole nuovamente la sua arma. “Non mi scapperai stavolta!”
Nuovi attacchi giunsero da ogni lato.
“In realtà, ti sto facendo un favore.”
Un altro colpo andò a segno, la sua gamba destra cedette sotto il suo peso.
“Nessun umano ha mai superato Asgore. Ucciderti ora è un atto di pietà!”
Frisk parò le lance da per terra, ma la loro forza era troppa e la sua troppo poca. Il contraccolpo dell’ultima la fece distendere sulla schiena, e cacciò un gemito per il bruciore della ferita ancora fresca. La maglia vi aveva aderito per il sangue.
E in quel momento, si rese conto di essere stufa. Stufa di sottostare alle decisioni e alle volontà degli altri. Stufa di farsi andare bene qualsiasi cosa, sempre.
Lui le era stato portato via? Andava bene.
La sua famiglia l’aveva cacciata di casa per qualcosa che non aveva fatto? Andava bene.
Doveva lottare per la sua vita nonostante la stesse già mettendo in gioco per tutti loro? Andava bene!
Una sola volta aveva deciso di fare di testa sua, ed era finita a Neverland!
Con quel pensiero, Frisk si rialzò, mandando a quel paese il dolore delle ferite, e della storta che si era presa cadendo.
“Avanti! Provaci ancora!” Urlò in preda alla rabbia. In quel momento, l’odio di Undyne era pienamente ricambiato. Perché doveva farle questo? Lei non c’entrava niente con il passato, e per di più era lì per aiutarli. Non era giusto che subisse un tale trattamento, ma attualmente non voleva neanche più provare a spiegarglielo. No, adesso voleva solo godere della sua frustrazione mentre tentava inutilmente di farla fuori.
“Forza!! Sono qui!! Che aspetti!?”
Undyne stava diventando una furia. “E smettila di essere così resistente!”
Un attacco, un altro e un altro ancora, colpi su colpi che venivano prontamente contrastati dal loro bersaglio, e quando l’effetto verde svanì di nuovo dall’anima di Frisk, quest’ultima fu pronta a schivare la stessa lancia che la volta precedente le aveva procurato quella ferita che continuava a sanguinare.
“Allora! Non volevi la settima anima umana?? Sono io, ammazzami!!”
Sentiva l’adrenalina percorrerle tutto il corpo, e quasi le venì da ridere vedendo la faccia di Undyne.
“Coraggio, vieni a prendermi!” Quindi corse di nuovo via. Non doveva perdere di vista il fatto che le sue energie erano nettamente inferiori rispetto alle sue, e che non avrebbe potuto continuare a difendersi in eterno. Quindi, insieme a quella piccola soddisfazione, doveva pensare anche ad andarsene in qualche modo.
Undyne non si fece pregare, e in pochi secondi le fu di nuovo addosso.
“Mi sei sfuggita per l’ultima volta!”
“Ultima come l’anima che non riesci a prendere!” E nel dirlo non riuscì a reprimere un enorme sorriso di scherno, che non fece che aumentare l’ira della guerriera.
“Alphys mi disse che gli umani sono molto determinati…” Constatò Undyne, sferrando ancora i suoi attacchi. Di questi, però, quello finale colse Frisk di sorpresa, in quanto la sua direzione cambiò improvvisamente, colpendola su un fianco. Forse era stato un errore istigarla in quel modo. Ormai, però poteva solo che continuare.
“Ah sì?” Si raddrizzò con un po’ d’affanno, premendo la maglia sulla nuova ferita per assorbirne la fuoriuscita di liquido rosso, e sorrise di nuovo. “Beh, la tua amica non sbagliava.”
“Ora capisco cosa intendeva! Ma anch’io lo sono!”
“Tu? Determinata? Senza dubbio lo sei, ma non basta”, Frisk assottigliò gli occhi. “Per vincere ci vuole astuzia.”
Undyne non ci vedeva più dalla rabbia.
“E infatti voglio distruggerti ora!”
“Avanti, fammi vedere!”
La ragazza si era già abituata agli attacchi invertiti, e si stava adattando alla forza con cui glieli sferrava contro. Stava diventando quasi un gioco… Stava giocando con la sua vita.
Inaspettatamente, Undyne iniziò ad avere il fiato corto.
“Che c’è? Non ce la fai?” La prese in giro. “Mi aspettavo molto di più, dal capo della Guardia Reale.”
“Tu… Ngahhh!!! Muori, maledizione!!!”
Per la prima volta, la sferzata di colpi fu composta unicamente da attacchi invertiti. Frisk non era preparata a questo. Una ferita, una seconda, un’altra, e ancora, ancora, ancora. La ragazza cadde a terra, nuovamente di schiena, e riaprì gli occhi giusto in tempo per spostarsi dalla traiettoria di una lancia che andò a conficcarsi proprio dove si trovava lei un attimo prima.
“No, non lo accetto!” Gridò Undyne, e ne fece comparire altre, che fortunatamente furono schivate. Un altro colpo e per Frisk sarebbe finita. Aveva esagerato.
E nonostante tutto, alla donna non era sfuggito il fatto che quella ragazza si rifiutava di attaccarla. E questo non faceva che aumentare la sua furia.
“Tu non mi risparmierai!”
Frisk scappò ancora.
Mentre correva, il suo telefono squillò. Pregò con tutta se stessa che fosse Toriel.
“HEY! COME VA!?”
Papyrus? Adesso??
“Posso assicurarti che non è proprio il momento migliore!” Urlò affannata, mentre controllava che Undyne fosse ancora lontana.
“STAVO PENSANDO…”
“Tu pensi??”
“TU, IO E UNDYNE DOVREMMO USCIRE INSIEME! SONO SICURO CHE SARESTE GRANDI AMICHE!”
“Che cosa!?”
“INCONTRIAMOCI A CASA SUA, DOPO!”
“Eh!? Papyrus, aspetta-“ Ma le riattaccò in faccia.
“Oh mio Dio..”
“SMETTILA DI SCAPPARE!!!”
“Ma mangia la polvere!”
Non riusciva a raggiungerla, anche lei doveva essere allo stremo. Inoltre, iniziava a fare piuttosto caldo, e Frisk capì presto il motivo. Dopo la neve, e dopo l’acqua, ecco il fuoco. Si trovavano su un altissimo terreno rosso, ai piedi del quale vi era un mare di lava.
Distolse gli occhi, e vide un altro di quei gabbiotti di legno, anch’esso con dentro…
“Sans!! Sans, aiuta-“
Ma lo scheletro dormiva, e lei non aveva il tempo di svegliarlo. Con un verso di frustrazione proseguì, e si ritrovò davanti qualcosa di terrificante. Uno strapiombo che portava dritto a morte certa, e come unico passaggio per l’altra parte c’era una passerella di legno senza bordi a cui tenersi.
Guardò indietro, Undyne stava arrivando. Non aveva scelta, doveva passare. Per fortuna, il ponte era rigido, e arrivare sul lato opposto fu più semplice del previsto. Stava per riprendere a correre, quando…
“L’armatura… E’… Bollente…” Undyne si trascinava lentamente verso di lei. “Ma non p-posso… Arrendermi…”
Proprio a seguito di quelle parole, la donna cadde distesa a terra, e per un attimo Frisk ebbe paura che stesse per precipitare nella lava.
“Ehm… Ehi, tu.. Stai bene?” Si avvicinò, ma la rossa non si muoveva. “Undyne..?”
Niente. Frisk si guardò intorno, in cerca di un’idea. Per quanto l’avesse detestava fino a qualche minuto prima, vederla in quelle condizioni non le faceva piacere. E poi… Aveva promesso di portare via da lì tutti i mostri.
Caso volle che lì vicino vi fosse un distributore d’acqua, di sicuro mantenuta fredda dalla magia. Probabilmente era lì per coloro che non erano abituati a tali temperature. Frisk si tirò su le maniche, sventolandosi il viso. Riempì un bicchiere e tornò da Undyne, accovacciandovisi di fronte. Non poteva farglielo bere in quelle condizioni, l’unica alternativa che le venne in mente fu quella di svuotarglielo in faccia. Lì per lì non sembrò funzionare, ma ecco che la guerriera si tirò su tutto a un tratto. Frisk, ancora a terra, alzò gli occhi in attesa di sapere se dovesse riprendere a fuggire, ma lei la guardò per qualche secondo e, senza dire nulla, se ne andò.
La ragazza alzò le spalle, pensando di non avere tempo per cercare spiegazioni. Adesso doveva trovare un modo per sistemare quelle ferite, non poteva certo affrontare Asgore così.
Più avanti, non molto lontano, scorse un edificio. Sull’entrata c’era scritto ‘Laboratorio’.
 
 
 
 
 

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Capitolo 40
*** Un'altra alleata ***


Entrando nell’edificio, Frisk si ritrovò quasi completamente al buio. Vedeva quel tanto che bastava per riuscire a seguire il percorso lineare di un corridoio che lasciava intravedere, più avanti, una luce un po’ tremolante. Procedendo, essa si rivelò provenire da un grande schermo sulla sinistra. Frisk si coprì gli occhi con un braccio, che però riabbassò poco dopo una volta resasi conto che l’apparecchio stava trasmettendo la sua immagine, che puntualmente si mosse insieme a lei.
Quella.. Quella era una trasmissione in tempo reale! Qualcuno la stava osservando! Che significava??
Quel posto adesso le faceva paura.
Trasalì quando sentì il rumore di quella che sembrava essere una porta scorrevole. Si girò in direzione del suono, e si paralizzò alla vista di un’ombra che ora le stava venendo incontro. Ma ecco che la struttura si illuminò di colpo, rivelandosi essere una specie di laboratorio. Davanti a lei c’era un mostro giallo dalle sembianze di un draghetto, o qualcosa di simile. Portava gli occhiali e un camice bianco. Era alto poco più di lei, e parve sorpreso nel vederla lì.
“Oh. Mio Dio. Non pensavo saresti arrivata così presto!”
Dalla voce, Frisk constatò che si trattava di una donna. E quello che le aveva appena detto non le era piaciuto.
“In che senso, scusa?”
“Puzzo, sono vestita a malapena, è tutto in disordine, e…”
“Ehi, calma! Chi sei tu?”
“…”
“…”
“Umm… E-E-Ehilà!”
“Ciao..?”
“Sono la dottoressa Alphys. La scienziata reale, assunta da Asgore!”
“Asgore, eh..?” Ripeté lei, visibilmente contrariata. Poi improvvisamente si ricordò di averla già sentita nominare. “Aspetta, tu sei quella di cui parlava Undyne!”
Alphys si agitò di nuovo.
“M-M-Ma, ehm, non sono una tua nemica! Infatti, fin da quando sei uscita dalle Rovine, io ti ho… Ehm…”
“Mi hai spiata??” Ecco, l’aveva detto! Il suo pensiero su quello schermo era esatto!
Alphys però non sembrò dar peso al suo disappunto.
“…Ti ho ‘osservata’”, la corresse. “Per tutto il viaggio dal mio computer.”
“Certo.. Perché così cambia qualcosa”, replicò infastidita.
“Le tue battaglie, le tue amicizie… Tutto!”
“Oh mio Dio.. Ma mi stai almeno ascoltando?”
“Tecnicamente, avrei dovuto fermarti, ma.. Ho iniziato a fare il tifo per te”, terminò, con un sorriso timido.
“…Ah”, questo fu tutto ciò che Frisk riuscì a dire. Di certo non se l’aspettava.
“Q-Quindi, ehm, ora voglio aiutarti!”
“Aiutarmi?”
“Con le mie conoscenze, ti farò superare Hotland facilmente!”
Dato il clima esterno, la ragazza dedusse che Hotland fosse il nome del luogo in cui si trovava adesso. Sembrava giusto.. Dopo la neve e la pioggia, il fuoco e la lava. Alphys interruppe i suoi pensieri.
“Conosco una strada per farti arrivare al castello di Asgore!”
“Oh, ecco.. Se è così ti ringrazio”, Frisk si sforzò di farle un sorriso. Non era sicura di che idea farsi su di lei.
“…Ma, ecco, uhm, c’è solo un piccolo problemino”, aggiunse la scienziata.
“Non sarebbe il primo.. Dimmi.”
“Tanto tempo fa, creai un robot di nome Mettaton. L’idea iniziale era farlo essere un robot di intrattenimento. Sai no? Tipo una star robotica della TV.”
“D’accordo.. Ma?”
“Ma recentemente ho deciso di renderlo più utile. E quindi… L’ho modificato un pochino.”
“Credo di sapere dove andrai a parare.”
“…L’ho trasformato in una macchina anti-umani.”
“Fantastico..” In tredici anni, non era mai stata tanto sarcastica come in quelle ultime ore.
“M-Ma quando ti ho vista arrivare, decisi immediatamente di farlo tornare come prima!”
“E quindi qual è il problema?”
“S-Sfortunatamente, ho fatto un errorino in questo processo! E, uhm..” Alphys si fece piccola piccola, e terminò la frase quasi sussurrando. “Ora è una macchina assassina che ha sete di sangue umano..” Seguì una risatina imbarazzata, che si spense gradualmente sotto lo sguardo attonito di Frisk.
“Ma, uhm, speriamo solo di non incontrarlo mai!”
Proprio in quel momento, si udì un tonfo che fece tremare il pavimento. Poi un altro, e un altro ancora. E la parete del laboratorio crollò.
Alphys aveva la faccia di chi sapeva esattamente cosa stava succedendo. “Oh no”, sussurrò a bassa voce.
“OHHH SI’!” Le rispose una voce metallica. “SIGNORE E SIGNORI, BENVENUTI… AL QUIZ SHOW DI OGGI!!!”
Dal muro distrutto comparve un robot dalla forma a scatola, con uno schermo e dei tasti sulla facciata frontale, due braccia di cui una teneva in mano un microfono, e infine un’unica ruota alla base come sostegno e mezzo di spostamento. Quello doveva essere Mettaton.
Lì per lì, Frisk non si sentì intimorita da lui. Non aveva un’aria minacciosa.
Delle luci colorate comparvero attorno a loro. Probabilmente facevano parte della sua magia, dato che in principio si trattava di un intrattenitore.
“OH MAMMA! SENTO CHE QUELLA DI OGGI SARA’ UNA PUNTATA FANTASTICA! FATE TUTTI UN APPLAUSO PER LA NOSTRA BELLISSIMA CONCORRENTE!”
Come richiesto, un applauso si fece strada nell’aria, e alla ragazza venne da sorridere. Un po’ per il complimento, un po’ per la situazione in generale.
“NON HAI MAI GIOCATO PRIMA, CARA?”
“I-Io? Ecco, io.. No, non credo.”
“TRANQUILLA! E’ FACILE! C’E’ UNA SOLA REGOLA! RISPONDI CORRETTAMENTE… O MORIRAI!!!”
“Che cosa??” Il solito cuore rosso si illuminò sul suo petto, e allora fu riportata alla realtà. La realtà in cui lei era un’umana in un mondo di mostri. La realtà in cui si trovava lontana da casa, da sola contro chiunque volesse farle del male. La realtà in cui la sua anima era l’ultima di una collezione che avrebbe portato tutti fuori di lì. La realtà in cui ancora una volta doveva combattere per la sua vita.
Sentì delle lacrime di frustrazione pizzicarle gli occhi.
“COMINCIAMO CON UNA DOMANDA FACILE!!”
Davanti a lei comparvero delle scritte.
“Cosa vinci se rispondi correttamente?”
  1. Soldi
  2. Pietà
  3. Macchina nuova
  4. Altre domande
Vicino alle opzioni, c’era un countdown che si avvicinava allo zero in modo alquanto rapido.
25… 24… 23…
La ragazza lesse velocemente, e a rigor di logica la risposta più sensata le sembrò a prima vista la B. Mettaton aveva detto che una risposta sbagliata equivaleva a morire, quindi…
16… 15… 14…
Ma quando allungò la mano verso la “Pietà”, vide Alphys sbracciarsi dietro il robot. Faceva cenno di no con le braccia e con la testa, e si mise a mimare con le dita la lettera D.
Frisk si bloccò. Poteva fidarsi di lei?
5… 4… 3…
Non c’era tempo. Toccò la risposta suggerita.
La scritta si illuminò di verde, e il resto scomparve sotto il suono di nuovi applausi. Alphys aveva detto la verità, voleva davvero aiutarla!
“ECCOTI LA PROSSIMA DOMANDA!”
Frisk annuì decisa, un occhio sulle scritte successive, e l’altro sulla scienziata.
“Di cosa sono fatti i robot?”
  1. Speranze e sogni
  2. Metallo e magia
  3. Ambarabà
  4. Ciccì e coccò
Decise di non far caso alle ultime due opzioni, e seguì le indicazioni di Alphys che la portarono a scegliere la risposta B. Le due si sorrisero, potevano farcela.
“Qual è il nome completo del re?”
Ma stavolta non comparvero le quattro opzioni. Al loro posto, c’era una tastiera come quelle dei computer. Doveva.. Scrivere la risposta? Digitò velocemente il nome che già conosceva, e poi guardò agitata Alphys, che faceva segni su segni mentre lei cercava di decifrarli.
D… R… E…
“AH!!” Una violenta scossa le attraversò il corpo, il tempo era scaduto.
“CHE PECCATO! SE SOLO ALPHYS POTESSE AIUTARTI.. MA ECCOTI UN’ALTRA DOMANDA!”
“Due treni, Treno A e Treno B, partono simultaneamente dalla Stazione A e dalla Stazione B. la Stazione A e la Stazione B distano 252,5 miglia l’una dall’altra. Il Treno A si muove a 124,7 km/h verso la Stazione B, e il Treno B si muove a 253,5 km/h verso la Stazione A. Se entrambi i treni partono alle 10:00 e ora sono le 10:08, fra quanto tempo i treni si incontreranno?”
  1. 31.054 minuti
  2. 16.232 minuti
  3. 32.049 minuti
  4. 32.058 minuti
Frisk sbiancò. Non aveva tempo neanche per leggerla tutta quella roba, e Alphys non si muoveva. Fissava le scritte completamente immobile.
15… 14… 13…
Non poteva nemmeno chiamarla, o Mettaton le avrebbe scoperte.
8… 7… 6…
Era spacciata.
5… 4…
Mettaton l’avrebbe uccisa.
3… 2…
D!!!! Alphys stava mimando la D!!!
1…
Frisk ci si buttò letteralmente sopra, e la risposta si illuminò di verde.
“INCREDIBILE!!! SONO SENZA PAROLE!! MA NON ‘CONTARE’ SULLA TUA VITTORIA…”
Davanti a lei comparve un barattolo di vetro, con dentro degli insetti.
“Quante mosche ci sono dentro questo contenitore?”
  1. 54
  2. 53
  3. 55
  4. 52
Le due si guardarono spaesate. Qui nemmeno la genialità di Alphys poteva fare qualcosa. Doveva sparare a caso. Decise di non pensarci neanche troppo. Toccò la A, preparandosi ad un’altra scossa. Ma questa non arrivò, e al suo posto altri applausi. Ci aveva preso!
“ADESSO ANDIAMO CON LE ARMI PESANTI!”
“Nel videogioco di simulazione di appuntamenti ‘Mew Mew Kissy Cutie’ qual è il cibo preferito di Mew Mew?”
Le opzioni però non comparvero, perché Mettaton si fermò ad ascoltare Alphys che prese ad urlare.
“OH! OH! QUESTA LA SO!! E’ IL GELATO DI LUMACHE!!!!!! NEL QUARTO CAPITOLO VANNO IN SPIAGGIA E LEI COMPRA IL GELATO PER TUTTI I SUOI AMICI, MA E’ AL GUSTO DI LUMACA E LEI E’ L’UNICA A CUI PIACE!!! E’ UNA DELLE MIE PARTI PREFERITE DEL GIOCO PERCHE’ E’ UN GRANDE messaggio sull’amicizia e… Ehm…”
Frisk la guardava attonita, mentre Mettaton se la rideva beatamente.
“ALPHYS, ALPHYS, ALPHYS. NON STARAI MICA AIUTANDO LA CONCORRENTE, VERO? OOOOH!!! AVRESTI DOVUTO DIRMELO. FARO’ UNA DOMANDA… ALLA QUALE TU SAPRAI SICURAMENTE RISPONDERE!”
“Di chi è innamorata la dottoressa Alphys?”
  1. Undyne
  2. Asgore
  3. Dell’umana
  4. Non so
Sul serio? C’era davvero la possibilità di dire ‘non lo so’? Alphys, lì dietro, era terrorizzata. Era davvero innamorata di Asgore o di Undyne? Formulò velocemente qualche teoria al riguardo. Undyne aveva parlato di lei, quindi si conoscevano. Asgore invece l’aveva assunta come scienziata reale, quindi lavorava per lui. Mmmh…
7… 6… 5…
Doveva sbrigarsi, non c’era tempo per certe idiozie. Ma non voleva rischiare con uno dei due. Optò per il buttarsi di nuovo sulla fortuna.
‘Non so’.
…Verde!!
“GIUSTO. LA DOTTORESSA ALPHYS E’ INNAMORATA… DI UNA PERSONA IGNOTA. VEDI, ALPHYS CREDE CHE CI SIA QUALCUNO, LA’ FUORI… CHE LA GUARDA”, spiegò Mettaton sotto lo sguardo omicida della donna. “QUALCUNO CHE LEI CREDE SIA ‘CARINO’ E ‘INTERESSANTE’. CIAO, PERSONA IGNOTA. LA DOTTORESSA ALPHYS TI AMA. PECCATO SOLO CHE TU NON ESISTA”, il robot rise, e la ragazza si dispiacque del fatto che anche lei dovette reprimere un sorriso divertito.
“E-Ehi, ho fatto delle ricerche!” Si difese Alphys. “Ci sono un sacco di universi paralleli! U-Un giorno, f-forse, lo incontrerò…”
“HAI DETTO LA STESSA COSA SU ‘MEW MEW KISSY CUTIE’, MA TI DARO’ IL BENEFICIO DEL DUBBIO. TIZIO, SE ESISTI… PERCHE’ NON CI MANDI UN SEGNO?”
Seguì del silenzio, in attesa di un segnale di esistenza di questo fantomatico spasimante. Ma nulla.
“BEH, ORA NON CI SONO PIU’ DUBBI!” Constatò Mettaton, per poi tornare da Frisk.
“BENE BENE BENE. SE LA DOTTORESSA ALPHYS TI AIUTA… LO SHOW NON HA LA GIUSTA TENSIONE DRAMMATICA! NON POSSIAMO CONTINUARE COSI’!! MA. MA!!! QUESTO ERA SOLO IL PRIMO EPISODIO!! NEL PROSSIMO CI SARA’ PIU’ DRAMMATICITA’! PIU’ AMORE!!! PIU’ SANGUE!!! ALLA PROSSIMA, SIGNORE E SIGNORI!!!” Quindi Mettaton si dileguò, lasciandole da sole.
Frisk guardò la scienziata, che le sorrise.
“Beh, abbiamo fatto un bel lavoro di squadra”, le disse, e la ragazza annuì. L’aveva senza dubbio salvata da qualcosa di simile alla sedia elettrica, e le era grata per questo.
“N-Non avrebbe dovuto… F-Farti quell’ultima domanda…”
“Immagino. Comunque.. Grazie per l’aiuto, davvero. Adesso è meglio che vada, sono abbastanza sicura che il castello sia ancora lontano. Se tutto va bene, ci rivedremo più avanti.”
“Aspetta, aspetta!”
“Mh?”
“Lascia che ti dia il mio numero di c-cellulare! C-Così… M-Magari… In caso avessi bisogno di aiuto… Potrei…”
Mentre balbettava, Alphys mise gli occhi sull’aggeggio preistorico che le aveva dato Toriel.
“Da dove hai preso quel cellulare!? E’ vecchissimo!”
“Ecco.. E’ una lunga storia.”
“Non puoi nemmeno messaggiare. A-Aspetta un attimo, per favore!”
Le strappò il telefono dalle mani, e si dileguò al piano di sopra. Prese a trafficare con… Qualsiasi cosa potesse provocare un baccano simile, e poco dopo tornò da lei.
“Ecco qua, te l’ho migliorato! Ora puoi messaggiare, e gli ho messo un portachiavi. Ti ho anche iscritta al social network numero 1 del Sottosuolo!”
“Oh, ehm.. Grazie!”
“Adesso siamo ufficialmente amiche!”
“Suppongo di sì”, confermò lei con un sorriso.
Detto ciò, le due si salutarono, e Frisk lasciò il laboratorio giocherellando con il portachiavi a forma di rana che Alphys le aveva attaccato al telefono, mentre metabolizzava mentalmente che ora c’era una persona in più a volerla fare fuori.
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 41
*** Abitudine ***


Ci mancò poco che Frisk cadesse nella lava, trasportata di qua e di là da delle piattaforme mobili di metallo. Facevano da collegamento tra le varie zone di Hotland, e spostarsi da un terreno all’altro era quasi più pericoloso che fronteggiare Undyne.
La ragazza continuava a chiedersi perché diavolo non c’erano delle ringhiere lungo i bordi, mentre si tirava su le maniche del maglione e si alzava i capelli per farsi arrivare un minimo di aria sul collo. Quel luogo non aveva niente a che vedere con l’ammaliante bellezza delle cascate.
Si bloccò sul posto quando si ritrovò davanti l’ennesimo strapiombo, con un’unica differenza: non c’era un ponte a raggiungere l’altra sponda, bensì il vuoto. Non c’era nulla, solo una grata in ferro sul pavimento, dalla quale fuoriusciva aria calda e con sopra una freccia lampeggiante.
Non aveva modo di proseguire, poteva soltanto ammirare terrorizzata la possibile causa della sua morte. Aveva sentito dire che bruciare vivi fosse la cosa più dolorosa in assoluto. Chissà se includeva anche lo squagliarsi letteralmente nella lava.
Fece un paio di passi, giusto per accertarsi che davvero non ci fosse una soluzione per andare avanti. Ed effettivamente non sembrava esserci, ma..
“AAAAAAHHH!!!” Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, quando la grata sulla quale era salita la scaraventò in aria verso la direzione indicata dalla freccia. Atterrò rovinosamente sul terreno vicino, e non si alzò per diversi istanti, come se non fosse sicura di essere davvero ancora viva.
Alzò lo sguardo con il respiro affannato per lo spavento, e vide a seguire altre piattaforme come quella, ognuna con una propria direzione.
“Oh no…” Doveva davvero proseguire così?
Ingoiò un po’ di saliva, e si rimise in piedi. In fondo, anche quella era roba magica, teoricamente non c’era pericolo di cadere giù.. Vero? Di certo i mostri non morivano dalla voglia di finire nella lava di un vulcano, quale si era rivelato essere il monte Ebott.
Si fece coraggio, non aveva scelta. Inoltre, doveva iniziare a farci l’abitudine: da quando era lì sotto, aveva rischiato la vita in continuazione. Quella era solo una delle tante volte, e sicuramente non sarebbe stata l’ultima.
Si posizionò sulla seconda grata, che le mosse i capelli con l’aria che gettava fuori, e urlò di nuovo quando venne sparata qualche metro più in là. Stavolta l’atterraggio fu un po’ meno violento. La traiettoria era incredibilmente precisa, c’era senza dubbio la magia di mezzo. Questo la tranquillizzò abbastanza da riuscire a rialzarsi in pochi secondi.
Era tutto ok. Doveva solo andare avanti.
Un altro salto, senza urla e con un arrivo più sicuro. Poi un altro, e un altro ancora. Frisk rise, quando i suoi piedi raggiunsero prontamente il suolo per la settima volta. Iniziava ad essere divertente.
Proprio sul più bello, però, le grate terminarono, e al loro posto trovò delle scie di luce arancione. Erano.. Sembravano dei raggi laser.
Ring… Ring…
Come aveva fatto il suo telefono a non caderle dalla tasca? Alzò le spalle prendendolo, e rispose.
“Uhh! C-Ciao!”
Era Alphys.
“Allora, i laser blu…”
“Mi stai ancora spiando?” Le domandò, ma con un sorriso. “Comunque sono arancioni.”
Ancora una volta, Alphys ignorò la sua risposta.
“I laser blu non ti faranno del male se non ti muovi!”
Frisk collegò l’informazione agli attacchi blu di Papyrus. Conosceva il meccanismo, un problema in meno.
“E quelli arancioni?” Insistette guardando il colore davanti a lei.
“Quelli a-arancioni, uhm… Muoviti e…”
“Sì?”
“Uhm, non ti, um…”
Perché era sempre così agitata?
“Ehi, calmati però. Dai, spiegami. Cosa fanno i laser arancioni?”
La sentì prendere un bel respiro.
“Non ti faranno niente se ti muovi!” Disse infine.
“Quindi funzionano al contrario? Mi ci devo muovere attraverso?”
“Esatto.”
“Va bene, grazie.”
“Ciao!”
Click.
Frisk si rimise il telefono in tasca, e si avvicinò alla prima scia luminosa. Doveva solo passarci attraverso. Lo fece senza problemi, superandone un paio, e si destreggiò abilmente anche con il laser azzurro che trovò a seguire. Questo si muoveva avanti e indietro, quindi attese il suo passaggio per poi continuare. E così via.
Le tornarono in mente i puzzle nelle Rovine. Toriel aveva detto che si trovavano un po’ ovunque nel Sottosuolo, e la cosa non le dispiaceva poi così tanto. Certo, questi erano più pericolosi, ma in fondo per lei ogni cosa era pericolosa lì sotto, quindi tanto valeva divertirsi un po’ quando ne aveva la possibilità.
Al termine del percorso laser, trovò un interruttore che probabilmente serviva a spegnere tutto. Lo premette, e i raggi colorati sparirono. Non che le fosse molto utile ormai, ma decise di non riaccenderli.
 

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Capitolo 42
*** Ne vale la pena? ***


Lungo la strada, Frisk trovò un ostacolo dopo l’altro, e non si trattava di tutti gli intricatissimi puzzle che aveva dovuto risolvere. Mettaton aveva continuato a perseguitarla con le sue ‘sfide televisive’, e come se non bastasse si era imbattuta in una ragazza-ragno fissata con i dolci e uno strano tè viola, che aveva cercato di ucciderla sotto commissione. Gli indiziati erano naturalmente Asgore, Undyne e Flowey. Ma Undyne non sembrava più essere una minaccia, e Asgore probabilmente non sapeva nemmeno della sua esistenza.
Iniziava ad essere frustrante, tutta quella gente che la voleva morta. Aveva anche provato a spiegare le sue intenzioni, ma quei pochi con i quali l’aveva fatto non le avevano creduto, come in fondo si aspettava.
E poi quel caldo stava diventando davvero insopportabile, aveva sete e un disperato bisogno di fermarsi a riposare. Ma non poteva restare per un po’ di tempo nello stesso posto, che subito veniva scovata da qualcuno che puntualmente l’attaccava. E allora di nuovo in piedi, sull’attenti, pronta a difendersi e a scattare via alla prima occasione. Un ritmo frenetico e incessante che doveva mantenere per tenersi stretta la sua vita. La sua anima.
E intanto il Core era sempre più vicino. Lei era sempre più vicina al suo obiettivo. Alphys le aveva spiegato in breve di cosa si trattava.
Il Core non era altro che una specie di centrale elettrica che, anziché ad elettricità, andava a magia. L’intero Sottosuolo ricavava la sua energia da lì. Case, negozi, il laboratorio di Alphys, persino il palazzo reale. Tutto dipendeva da quella singola struttura.
Chiuse gli occhi, inspirando l’aria calda di quel luogo che attentava alla sua incolumità anche solo esistendo, e salì delle scale sorvegliate da due guardie corazzate che però non le prestarono attenzione, troppo impegnate a parlare tra di loro.
In cima, l’ambiente cambiò totalmente aspetto. Niente più lava o rocce incandescenti. Era l’esterno di quello che sembrava essere un hotel, e anche alquanto raffinato. Sopra la grande entrata in vetro c’era un’insegna dorata con scritto “MTT”, con raffigurato Mettaton su entrambi i lati. Alphys le aveva parlato anche di un certo Mettaton Resort. Doveva essere quello, ed era esattamente ciò che cercava. Perché era da lì che doveva passare per raggiungere il Core, essendo i due edifici collegati.
Si sentì pervadere da una strana adrenalina, un misto di impazienza di raggiungere Asgore e desiderio di non arrivare mai.
Solo allora si accorse di Sans vicino ad un grande vaso decorativo.
“ehi. ho sentito che sei diretta al Core.”
“Sì, mi hanno detto che ci si arriva da qui. Ma tu come lo sai?”
Sans alzò le spalle, con le mani in tasca.
“voci. ormai sei famosa. ma che ne dici di cenare con me, prima?” Indicò il resort con un cenno della testa. Frisk sorrise.
“Volentieri”, aveva proprio bisogno di un po’ di distrazione, prima di proseguire. Sans le sorrise a sua volta, quindi si diresse a lato dell’edificio.
“di qua. conosco una scorciatoia”, le disse, e per la seconda volta Frisk non si accorse nemmeno del cambio di scenario.
Si trovavano ora nel ristorante dell’hotel, seduti l’uno di fronte all’altra ad un tavolo per due. Nella sala c’era giusto una manciata di persone. Era tutto molto curato, lì dentro.
“beh, eccoci qua.”
“Non potevamo usare la porta?”
“l’obiettivo era entrare, no?”
“Sì ma..” Frisk rise. “Ok ok, non importa.”
Un cameriere ben vestito portò loro una brocca d’acqua e un cestino con del pane, in attesa degli ordini che qualcun altro avrebbe preso a breve.
“allora…” Esordì Sans, mentre la ragazza era impegnata a soddisfare la sua sete.
“il tuo viaggio è quasi finito, eh?”
Frisk mise giù il bicchiere, e per un attimo abbassò lo sguardo sul suo tovagliolo. “Beh.. A quel punto inizierà il vostro, di viaggio. Fuori da qui, intendo.”
“vorrai davvero tornare a casa”, disse lui, attento e sottovoce. Sapeva che era un tasto dolente, quello, ma sperava che finalmente gli spiegasse qualcosa. Frisk lo guardò, con in viso un’espressione indecifrabile, e la sua risposta si fece attendere per un po’.
“Sì, lo vorrei. In realtà, ci sono tante cose che vorrei fare.”
“ma?”
“Ma…” Un sospiro. “Ma purtroppo non è possibile.”
“mi piacerebbe sapere perché.”
“E’ complicato. E’…”
Frisk puntò lo sguardo su un vaso in fondo alla sala, poi tornò a lui.
“Sai quando una cosa è talmente assurda, da farti pensare che raccontandola non ti capiresti neanche da solo? Quando non hai voglia di parlarne, ma allo stesso tempo vorresti buttare fuori tutto, senza fermarti. Quando vorresti far sapere come ti senti, ma non sai nemmeno se ne varrebbe la pena perché, in ogni caso, la maggior parte di quello che pensi non lo sapresti spiegare e quindi rimarrebbe soltanto nella tua testa.”
Avrebbe anche continuato, se Sans non l’avesse interrotta.
“ehi. so come ci si sente, credimi.”
In quel momento Frisk si ricordò di ciò che le aveva raccontato a casa sua, e pensò che sicuramente c’era tanto, tanto altro che aveva omesso per le sue stesse ragioni.
“comunque… credo che a volte sia meglio accontentarsi di quello che si ha.”
“Che vuoi dire?”
“quaggiù hai già da mangiare, da bere, degli amici… quindi, la mia domanda è… ne vale davvero la pena?” Il suo sorriso si affievolì.
“Tornare in superficie? Ti riferisci a questo?”
Silenzio.
“Sans, tu…”
Lui sospirò, guardando altrove, e tornò alla sua espressione iniziale.
“ah, fa’ come se non avessi detto niente.”
“No, aspetta.”
“sono solo preoccupato per te, ragazzina.”
Di nuovo silenzio.
“ehi.”
“Ehi..”
“lascia che ti racconti una storia.”
“Una storia?”
“ricordi che sono una sentinella di Snowdin, vero?”
“Sì.”
“mi siedo nel bosco a controllare se passano degli umani. è molto noioso.”
“Immagino..”
“ma fortunatamente, nascosta nella foresta, c’è una gigantesca porta chiusa, ed è perfetta per gli scherzi tipo ‘toc toc, chi è?’”
Frisk si irrigidì. Era l’entrata delle Rovine. Lei arrivava da lì.
“un giorno, mentre mi esercitavo a fare giochi di questo tipo… busso alla porta e dico ‘toc toc’. e all’improvviso, dall’altra parte, sento la voce di una donna. ‘chi è?’”
“Dio…”
“e io, ovviamente, le rispondo: ‘Franco’. ‘Franco chi?’ ‘francobollo’”, concluse con un occhiolino, lo scheletro.
“e lei scoppia a ridere. come se fosse la più bella battuta che abbia mai sentito. quindi ho continuato a sfornarne altre, facendola sempre ridere. lei è stata il miglior pubblico che abbia mai avuto.”
Continuava a parlare di questa donna misteriosa, mentre Frisk si rendeva finalmente conto del perché Toriel scendesse ogni giorno in quel seminterrato.
“dopo una dozzina di mie battute, lei bussa e dice: ‘Toc toc!’. io dico: ‘chi è?’. ‘Dina!’. ‘Dina chi?’. ‘Lampadina!’”
“Wow..”
“inutile dire che era una persona fantastica.”
“Lo so”, pensò Frisk, che non sapeva se dirglielo o no.
“ci siamo detti battute del genere per ore, fino a quando non fui costretto ad andarmene. Papyrus non riesce a dormire senza una favola della buonanotte.”
“So anche questo.”
“ma lei mi disse di tornare, e così feci. ancora e ancora. ci vado sempre da allora, e ci diciamo battute da dietro la porta. ci divertiamo un sacco.”
Una pausa.
“ma un giorno, notai che lei non rideva più di tanto, e le chiesi quale fosse il problema. lei mi rispose in maniera strana. ‘Se mai un umano uscirà da questa porta… Potresti promettermi una cosa, per favore?’”
Frisk tornò sull’attenti.
“‘Tienilo d’occhio e proteggilo, va bene?’”
“Che cosa..?” La ragazza si raddrizzò sulla sedia.
“io odio fare promesse, e non so nemmeno il nome di questa donna. ma…”
“Ma? Continua”, il tono della ragazza era secco, grave. Sans se ne accorse.
“non puoi dire di no, ad una persona che apprezza così tanto le battute squallide”, le fece un altro dei suoi occhiolini.
“Ovvio che no”, disse lei ironica.
“capisci?” Continuò Sans, chiedendosi il perché di quell’espressione.
“sai cosa ti sarebbe successo, se lei non mi avesse mai detto nulla?”
“Dimmelo tu”, lo sfidò la ragazza.
“…ragazzina… saresti morta da un pezzo.”
Frisk sbatté le mani sul tavolo, alzandosi. “Ecco, l’hai detto!”
Sans la guardò sorpreso. “che cosa?”
“Che cosa? Davvero?”
“ehi, ma che ti prende?”
“Quando ero chiusa nel vostro capanno, perché mi hai tirata fuori?”
“come perché? saresti morta se non l’avessi fatto.”
“E quindi saresti venuto meno alla tua promessa!”
“Frisk, ascoltami”, era la prima volta che la chiamava per nome.
“Ah, quindi lo sai come mi chiamo!”
“mi spieghi cosa c’è che non va?” La voce di Sans si alterò leggermente, quel tanto che bastava a far capire che si stava agitando.
“E tutte quelle volte che ti ho incontrato in giro non sono state un caso, vero? Tu mi stavi seguendo!”
“per controllare che stessi bene!”
“Dimmi una cosa Sans, dimmi. Io cosa sono per te?”
“in che senso? cosa vuoi sentirti dire?”
“La verità. Voglio sapere se per te sono un’amica, una persona di cui t’importa almeno un po’, o soltanto una promessa da mantenere.”
“credo che tu mi abbia frainteso”, anche lui si alzò, e lei dovette sollevare la testa per guardarlo negli occhi.
“Sì, ti ho sicuramente frainteso”, Frisk spostò la sedia, indietreggiando. “E giusto per fartelo sapere, non stai facendo un buon lavoro. Da quando sono qui avrò rischiato di morire come minimo quindici volte.”
Tutta quella rabbia, in realtà, non era neanche dovuta a Sans. In altre circostanze, la ragazza avrebbe affrontato la conversazione con calma e diplomazia. Ma quella era la goccia mancante a riempire un vaso pieno di paura, tristezza e frustrazione, che ora si stava riversando completamente su di lui.
“se tu mi lasciassi spiegare..”
“Ne ho abbastanza delle vostre spiegazioni.”
“mie e di chi?”
“Di tutti voi qua sotto! Tanto dite sempre la stessa cosa! In un modo o nell’altro, il concetto è sempre uguale! Io sono un’umana! Sono un’umana in un mondo di mostri! E’ normale e soprattutto lecito che chiunque incontri provi ad ammazzarmi, dato che in passato la mia razza vi ha fatto del male! Dico bene? Non è così?”
“Frisk..”
“A nessuno importa chi sono, da dove vengo, perché sono qui. A nessuno! Io sono solo la chiave per aprire quella porta che è la barriera, nient’altro! E allora lasciami fare il mio lavoro di chiave!”
“ragazzina, stammi a sentire.”
“Rifiuto la tua offerta di rimanere, tanto ho più probabilità di crepare qui che da Asgore. E a proposito, puoi stare tranquillo. Manterrai la tua promessa, perché io non morirò. Non qui sotto.”
La ragazza si allontanò di qualche altro passo e Sans fece per andarle dietro, ma si fermò quando la vide voltarsi a guardarlo, adesso di nuovo calma.
“Mi avevi chiesto se ne valesse la pena. Ebbene, la mia risposta è sì. Anch’io ho delle promesse da mantenere.”
Quindi lo lasciò lì, da solo con il cameriere che era arrivato già da un po’ per prendere le ordinazioni, ma che si era fatto da parte intuendo che non fosse il caso di intromettersi.
Frisk uscì dal ristorante, ritrovandosi in un grande atrio illuminato, con una fontana-Mettaton nel mezzo e diverse persone in fila per un ascensore che doveva portare alle camere da letto.
E alla fine di un corridoio, finalmente, eccolo: l’ingresso per il Core.
Frisk fece un respiro profondo, ancora calda per la sfuriata di poco prima, e si avvicinò alla soglia, che attraversò ignorando le lacrime che le rigavano le guance.
Piangeva di nostalgia, per le tante persone che si era lasciata dietro e che adesso le mancavano come non mai.
Piangeva di rabbia, per la sua famiglia che le aveva voltato le spalle senza neanche permetterle di difendersi da un’accusa oltretutto falsa.
Piangeva di paura, per la morte che stava andando a sfidare a testa alta ma con le gambe tremanti.
Piangeva di rimorso, per la frustrazione che aveva sfogato ingiustamente su qualcuno che forse non avrebbe nemmeno più rivisto.
Senza armi, senza scudo, senza alcun tipo di protezione e senza la minima idea di cosa dire o fare una volta arrivata, Frisk avanzava verso un’entrata di metallo emanante una luce azzurra.
Ring… Ring…
Il telefono squillò. Era Alphys.
Ma lei non rispose.

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Capitolo 43
*** Chiarezza ***


Frisk non ne poteva più di perdersi tra tutti quei corridoi. Il Core era un labirinto di ingranaggi, luci a LED e, naturalmente, mostri che lavoravano lì e che la fermavano ogni trenta secondi data la sua razza.
Alphys continuava a chiamarla, ma senza ricevere mai risposta. Sentiva che se avesse preso in mano il telefono, avrebbe ceduto alla tentazione di correre tra le braccia di quella persona tanto gentile che più di una volta le aveva salvato la vita a Hotland.
Sì, perché senza di lei ad intervenire dal suo laboratorio, Mettaton le avrebbe dato non pochi problemi. Le aveva spiegato che quel robot era sfuggito al suo controllo nel momento in cui aveva apportato le ultime modifiche anti-umano, e da allora cercava un modo per collegarsi a lui da lontano, così da riprogrammarlo.
Inoltre, le aveva permesso di superare un sacco di puzzle, facendole risparmiare tempo e fatica. Era stata davvero utile.
Ora che ci pensava, Alphys era l’unica che non si era mai comportata in modo strano. L’aveva sempre e solo aiutata, fin dall’inizio. Nessuna domanda, nessun dubbio, nessun secondo fine. Alphys stava dalla sua parte, perché le voleva bene. Ciò che stava facendo, lo doveva soprattutto a lei.
In ogni caso, ormai ci era dentro fino al collo, aveva bisogno di stare da sola. Non poteva permettersi distrazioni o ripensamenti. Il suo futuro e quello dei mostri dipendevano da lei, era lì per quello.
Un’altra fonte di luce, il solito senso di attrazione. Frisk la toccò, e ancora una volta il suo corpo si riempì di quella strana energia che la faceva sentire come ricaricata. Oltrepassando l’ennesima porta, si ritrovò ad attraversare un corridoio scuro e poco illuminato. Giunse in uno spazio più grande, e ad accoglierla c’era…
“OH SI’. ECCOTI QUI, CARA.”
“Mettaton?”
“E’ ARRIVATA LA RESA DEI CONTI.”
“Stai scherzando spero”, nella sua voce non c’era paura, né rabbia, né fastidio. Era stanca, solo questo.
“ORA DOVRAI FERMARE IL ROBOT ‘MAL FUNZIONANTE’.”
Frisk ripensò alle parole della scienziata.
“Non ho intenzione di combattere. Se mi lasci passare, non ci sarà più bisogno della tua… Modalità anti-umano. Alphys potrà riprogrammarti, e allora anche tu starai meglio!“
Seguì del silenzio, era quasi imbarazzante.
“…IO??? RIPROGRAMMATO? PER FAVORE.”
“Ma Alphys ha detto che quelle modifiche hanno dato dei problemi. Se ti facessi aiutare, potremmo risolverli.”
“NON E’ VERO. E’ TUTTA UNA FARSA.”
“Che vuoi dire?”
“ALPHYS TI HA PRESA IN GIRO PER TUTTO QUESTO TEMPO.”
Frisk si sentì crollare il mondo addosso.
No. Non anche lei.
“Che… C-Che significa? No! Lei mi ha aiutata ad arrivare fin qui! L-Lei..”
“PIU’ TI GUARDAVA SULLO SCHERMO, E PIU’ ERA PRESA DALLA TUA AVVENTURA. COSI’ TANTO CHE DECISE DI FARNE PARTE, IN QUALCHE MODO. QUINDI HA DECISO DI INSERIRSI NELLA TUA STORIA.”
“Come faccio a crederti?”
“LEI HA RIATTIVATO I PUZZLE. HA DISATTIVATO GLI ASCENSORI. MI HA ORDINATO DI TORMENTARTI. COSI’ DA POTERTI SALVARE DA TUTTI QUESTI PERICOLI CHE IN REALTA’ NON ESISTONO.”
“No… No, tu menti”, cercava di convincersi di questo. Non voleva credere di essere davvero completamente da sola lì sotto. Toriel le aveva detto di non tornare, Papyrus l’aveva quasi fatta morire assiderata, Undyne aveva cercato di ucciderla non si sa quante volte, Sans aveva mostrato interesse per lei solo per una maledettissima promessa e, alla fine del Sottosuolo, Asgore non aspettava altro che prendersi finalmente la sua anima, cosa che l’intera popolazione dei mostri bramava dal momento in cui aveva messo piede lì sotto. In superficie, se mai ci fosse tornata, non c’era la sua famiglia ad aspettarla perché qualcuno aveva fatto una cosa orribile, di cui lei era stata accusata. Non era maggiorenne, non poteva tornare a Londra da Diana, e lui era ancora chissà dove e lei non sapeva neanche se la stava davvero cercando.
“TUTTO PER FARTI PENSARE CHE LEI FOSSE UNA BRAVA PERSONA… CHE INVECE NON E’”, continuò Mettaton, risvegliandola dai suoi pensieri.
“Mi stai dicendo… Che prima del mio arrivo, tutti quei puzzle erano spenti?” Ripensò alle fiamme artificiali, ai laser azzurri e arancioni, alla puzza di bruciato che si era portata addosso per tutta Hotland.
“E ORA, CI SARA’ IL SUO MOMENTO PIU’ BELLO. ORA ALPHYS STA ASPETTANDO FUORI DALLA STANZA.”
“E’ qui fuori!?” Strinse i pugni, ignorando il dolore delle unghie contro la pelle delle mani, che le tremavano per la rabbia.
“DURANTE LA NOSTRA ‘BATTAGLIA’, LEI IRROMPERA’ QUI DENTRO. FARA’ FINTA DI ‘DISATTIVARMI’, ‘SALVANDOTI’ UNA VOLTA PER TUTTE.”
“Ma davvero!?” Gridò ironica.
“COSI’ FACENDO, LEI SARA’ L’EROINA DELLA TUA AVVENTURA. LA TUA STORIA LE MANCHERA’ COSI’ TANTO CHE TI PREGHERA’ DI RIMANERE, CONVINCENDOTI.”
“Di questo ne dubito fortemente!”
“…FORSE”, aggiunse Mettaton, ripensandoci.
“Perché me lo stai dicendo solo ora?” Frisk fece un passo avanti.
“VEDI, NE HO AVUTO ABBASTANZA DI TUTTA QUESTA FARSA. IO NON VOGLIO FARE DEL MALE AGLI UMANI.”
“E-Eh? Davvero?” La ragazza si calmò di colpo. Tra le tante cose che avrebbe potuto dirle, questa era quella che si aspettava di meno.
“IL MIO UNICO SCOPO E’ QUELLO DI INTRATTENERE.”
Giusto, Mettaton era stato creato per la televisione del Sottosuolo.
“DOPOTUTTO, IL PUBBLICO MERITA DI VEDERE UN BELLO SPETTACOLO, NO?”
La ragazza abbozzò un mezzo sorriso, gli occhi colmi di un’improvvisa grinta. “Giusto”, gli rispose.
“E COSA SAREBBE UN BELLO SPETTACOLO… SENZA UN COLPO DI SCENA?”
Un rumore metallico riecheggiò nell’aria, e da lontano si udì la voce di Alphys.
“E-Ehi!!! C-Cos’è successo!? La porta si è chiusa da sola!”
La stanza si illuminò di colpo con colori accesi e vivaci, mentre Mettaton tirava fuori un microfono alzando al cielo il braccio libero.
“SCUSATEMI, AMICI! ORA NON SI SEGUIRA’ PIU’ IL VECCHIO COPIONE!!!”
Urlò rivolto ad una telecamera da lì non visibile, mentre Frisk lo guardava con espressione divertita, energica, piena di determinazione.
“MA ASSISTERETE AD UN FINALE CHE VI FARA’ IMPAZZIRE!!”
Il pavimento si sollevò, iniziando a salire, salire, salire. Frisk non si fece domande sull’immensità di quello spazio. Era fantastico, era incredibile… Era magico.
“VERA DRAMMATICITA’!! VERA AZIONE!! VERO SANGUE!! TUTTO QUESTO NEL NOSTRO NUOVO SPETTACOLO!!!”
Non le importava del pericolo, di affrontare un ennesimo scontro, di rischiare di farsi male o addirittura di morire. Non aveva fatto altro fino a quel momento, con la differenza che stavolta si sarebbe divertita. Doveva dare spettacolo? Molto bene, l’avrebbe fatto.
Mettaton iniziò ad attaccarla, con magie diverse da tutte quelle che aveva visto prima di allora, e Frisk schivava con destrezza, ignorando il suono del suo telefono per le continue chiamate di Alphys.
“SONO STATO IO A SCAMBIARE I PEZZI DEL CORE.”
“Niente di più facile, rimetterli a posto.”
La ragazza pensò ai puzzle che aveva dovuto completare per riattivare l’ascensore che l’aveva portata lì.
“SONO STATO IO A DIRE A TUTTI DI UCCIDERTI!”
“Hanno fallito uno dopo l’altro”, annunciò beffarda. Schivò ancora.
“MA QUELLO FU UN PIANO CHE SCARTAI QUASI SUBITO. INFATTI, SAI COSA SAREBBE CENTO VOLTE MEGLIO?”
“Che cosa?”
“CHE TI UCCIDESSI IO!!”
“Avanti, provaci!” Il suo sorriso era un chiaro invito a mettercela tutta, senza risparmiarsi. Mettaton non si fece pregare.
“SENTI, CARA. TI HO VISTA COMBATTERE. SEI DEBOLE.”
“Io debole? Nessun umano ha mai fatto quello che ho fatto io. Ti sfido a negarlo.”
“SE ANDRAI AVANTI, ASGORE PRENDERA’ LA TUA ANIMA.”
“Potrei sorprenderti.”
Un altro attacco.
“E CON QUELLA, DISTRUGGERA’ L’UMANITA’. MA SE PRENDESSI IO LA TUA ANIMA, POTREI FERMARLO!”
“Un tentativo di negoziazione? Tu?” Lo schernì la ragazza.
“POTREI SALVARE L’UMANITA’!”
“L’umanità si rovinerebbe comunque da sola.”
Un colpo andò a segno. Frisk si ritrasse.
“POI, CON LA TUA ANIMA, SUPERERO’ LA BARRIERA, E DIVENTERO’ LA STAR CHE HO SEMPRE SOGNATO DI ESSERE! MILIONI DI UMANI MI GUARDERANNO!”
“Perché non vieni con me, invece? Porteremo tutti fuori, e tu avrai un pubblico ancora più numeroso!”
“OFFERTA ALLETTANTE!” Ammise il robot. “MA CHI MI ASSICURA CHE MANTERRAI LA PAROLA?”
“Nessuno! E’ qui che entra in gioco il tuo talento nel riconoscere una vera opportunità!”
Il telefono di Frisk accettò autonomamente l’ennesima chiamata, con sorpresa di entrambi gli sfidanti.
“N-Non posso vedere cosa sta succedendo, ma… N-Non arrenderti, okay!?” Gridò Alphys in vivavoce.
“Arrendermi? E chi si arrende?”
“C-C’è un modo per sconfiggerlo!”
“Per sconfiggerlo, o per farti divertire ancora di più?” Domandò acida Frisk.
“I-Io.. Io c-credo che non sia il momento p-più adatto per parlarne! Ma sai perché Mettaton non ti dà mai le spalle??”
La ragazza guardò il robot. Non ci aveva mai fatto caso.
“Perché?”
“Perché ha un interruttore, dietro.”
“E che cosa fa questo interruttore?”
“Se lo premessi… Lui s-sarebbe vulnerabile.”
“Vulnerabile hai detto?” Frisk mise giù, e sistemò meglio il telefono nella tasca. “Hey, Mettaton! Ti sei già stancato forse? Coraggio, fammi vedere quest’azione di cui parlavi! Non vorrai deludere i tuoi fan!”
Il robot rise, e la attaccò di nuovo. Poi ancora, ancora e ancora. E Frisk colse esattamente il momento giusto per scattare dietro di lui, trovandogli sulla schiena un pulsante, come diceva Alphys. Lo premette, e lui si bloccò.
“HAI. PREMUTO. IL MIO INTERRUTTORE?”
Il robot prese ad agitarsi, a fare rumori strani, e iniziò ad emanare una luce sempre più forte, sempre più forte, sempre più…
“Oh ooooh”, fece una voce molto meno metallica, e Frisk riaprì gli occhi ritrovandosi davanti qualcosa di totalmente diverso da ciò che aveva visto fino a poco prima. Mettaton era… Un robot dalle sembianze umane! Aveva il viso incorniciato da luminosi capelli corvini, e i colori del suo corpo si alternavano in nero, rosa e grigio perla.
“Il fatto che tu l’abbia premuto, può significare solo una cosa”, disse il nuovo Mettaton. “Vuoi vedere in anteprima il mio nuovo corpo. Che maleducata… Fortunatamente, mostrarlo a tutti era già nei miei piani. Quindi… Come ringraziamento, ti darò un premio. Renderò i tuoi ultimi attimi di vita… Assolutamente fantastici!”
L’aria si riempì di musica techno sparata a palla, mentre Mettaton si esibiva in pose artistiche e passi di danza. Accanto a loro comparve un numero che segnava gli spettatori in tempo reale: 3887.
“Forza, cara. Fammi vedere cosa sai fare!”
“Sei sicuro?” La ragazza accennò una mossa. “Potrei farti sfigurare.”
I due si lanciarono uno sguardo di sfida misto ad intesa.
“Luci! Motore! Azione!”
Ebbe così inizio una vera e propria gara di ballo, la prima vera occasione di Frisk per mettere a frutto gli anni di lezioni ricevute a Neverland. Ma non era a questo che pensava adesso. L’unica cosa che voleva adesso era vedere quel numero fluttuante salire, salire, salire!
3950… 4097… 4276.
Entrambi si dimenavano a ritmo di quella musica assordante, ma che trasmetteva energia come pochi pezzi sapevano fare. E intanto Mettaton la attaccava e lei schivava senza mai smettere di danzare. A volte la colpiva, e faceva male. Ma era un gioco, nient’altro che un gioco. Pericoloso, sì, ma a lei non importava.
4330… 4400… 4781…
Non le importava se era pericoloso. Non le importava se stava perdendo tempo.
4900… 5116… 5450….
Tanto nessuno l’aspettava, poteva gestirsela come voleva.
5640… 5876… 6238…
Aveva passato una vita ad attendere gli altri. Attendere cambiamenti. Attendere decisioni. Attendere risposte.
7840… 8670… 8955…
La rottura della barriera, la liberazione dei mostri, il ritorno in superficie.
Per quella volta, sarebbe stata lei farsi attendere.
“Stiamo davvero dando il meglio di noi, cara.”
“E questo è solo l’inizio!”
9115… 9200… 9380…
In quel momento, però, successe una cosa inaspettata. Le braccia di Mettaton saltarono via. Letteralmente!
“Mettaton, le tue braccia!” Urlò Frisk un po’ per la sorpresa, un po’ per farsi sentire sopra la musica.
Ma il robot non sembrò dargli molto peso.
“B-Braccia? C-Chi ha bisogno di braccia, con delle gambe così?” Quindi riprese a ballare, incurante del problema.
9500… 9621… 9690…
“Vincerò io! Forza..!” Esclamò, scagliando un altro attacco contro la ragazza, che non ebbe scelta se non continuare con la sfida.
9700… 9734… 9750…
“Sei sicuro di star bene?”
“Mai stato meglio. Non posso fermarmi!”
Ma era debole, i suoi movimenti erano meno rapidi. Eppure continuava, non voleva arrendersi.
“Basta! Vuoi davvero che l’intera umanità perisca!?” Le gridò.
9780… 9800… 9823…
“Io troverò una soluzione! Asgore non ucciderà nessuno!” Gli rispose lei.
“Credi davvero così tanto in te stessa?”
“Qualcuno dovrà pur farlo!” E si rese conto di quanto fosse vero.
9850… 9868… 9871…
Mettaton rise. “Come sei motivata! Beh, cara! A noi due! Anche se credo che sappiamo già entrambi chi vincerà.”
“Non ne sarei così sicura”, ribatté la ragazza in tono di sfida.
Mentre finiva la frase, le gambe del robot fecero la stessa fine delle braccia. La musica si abbassò, e lui si fece di colpo più serio.
“…Quindi… Sei tu la star? Puoi davvero proteggere l’umanità?”
“Non ho mai detto questo”, disse Frisk, avvicinandosi. Ma dovette ritrarsi subito, perché Mettaton si ostinava ancora ad attaccarla, nonostante la sua debolezza. E lei già non sentiva più il dolore delle poche ferite che le aveva procurato.
9978… 9984… 10146…
“Oh, guarda che ascolti!!!” Esclamò Mettaton entusiasta. Frisk guardò il numero. Wow… Non aveva idea che i mostri potessero essere in una tale quantità.
“Non ho mai avuto così tanti spettatori!!! E’ il record dell’ultimo millennio!”
“Ti ricrederesti, in superficie”, commentò la ragazza, con un sorriso. “Ma sì, bel traguardo.”
“Ed un fortunato spettatore avrà la possibilità di parlare con me!... Prima che io lasci il Sottosuolo per sempre!! Sentiamo chi è!”
Si udirono un paio di squilli, e qualcuno si collegò.
“Ciao! Sei in televisione!” Lo accolse Mettaton. “Hai qualcosa da dire nella nostra ultima puntata???”
Ci fu del silenzio, poi Frisk riconobbe la voce di Napstablook.
“Oh….. Ciao, Mettaton…. Adoro guardare il tuo programma, la mia vita è piuttosto noiosa…. Guardarti in TV.. Mi ha fatto vivere tante emozioni…. Quindi, questo… E’ il tuo ultimo episodio..? Mi mancherai, Mettaton….”
L’espressione del robot cambiò radicalmente.
“No, aspetta! Aspetta-“ Ma la chiamata si interruppe. Mettaton restò zitto per qualche secondo, poi sembrò riprendersi di colpo, tornando a sorridere. “Potete chiamare ancora!!!”
Un altro squillo, un’altra voce.
“Mettaton, il tuo programma ci diverte un sacco!”
E un’altra.
“Mettaton, non saprei cosa guardare senza di te.”
E un’altra.
“Mettaton, non andartene.”
Le telefonate vennero interrotte, e Frisk era ancora lì in piedi, ferma ad osservare il robot che ora pareva tutto meno che felice, di quella sua scelta.
“Ah… Io…Capisco…” Fece, quasi sottovoce. Poi sorrise. “Grazie… Grazie a tutti”, quindi guardò la ragazza. “Cara. E’ meglio… Che io rimanga qui per un po’… Gli umani hanno tante star e tanti idoli, ma i mostri… Hanno solo me. Se me ne andassi, il Sottosuolo perderebbe la sua unica stella. Lascerei un buco che non potrebbe mai essere colmato”, concluse con espressione sofferente.
Ok, qui si stava scendendo nel melodramma, ma… In fondo, chi era lei per giudicare i pensieri di qualcuno che viveva segregato sottoterra da secoli?
“Quindi”, continuò il robot. “Credo che dovrò rinviare il mio grande debutto.”
Frisk sorrise. “Non preoccuparti. Farò in modo che tu possa arrivare a splendere anche in superficie.”
Mettaton ricambiò il sorriso. “Comunque. Hai dimostrato di essere molto forte. Forse… Abbastanza forte da superare Asgore. Sono sicuro che proteggerai l’umanità”, le disse sicuro.
“Beh, detto da una grande star come te significa tanto.”
Il robot fece una lieve risata. “Ti auguro il meglio.”
“Lo stesso vale per me”, fece lei, sincera.
“La mia batteria si sta scaricando, tra non molto mi spegnerò.”
“Beh, basterà ricaricarti, giusto?”
“Giusto, e non dovrò neanche aspettare molto. Probabilmente Alphys è ancora qui fuori.”
“Già.. A proposito, grazie per avermi detto la verità, prima. Sei uno dei pochi ad averlo fatto.”
Mettaton le rivolse uno sguardo incoraggiante. “Stendili tutti, cara. E grazie a tutti. Siete stati un pubblico fantastico!” Dopodiché, si spense.
La piattaforma tornò a terra, e la porta si sbloccò.
“Sono riuscita ad aprirla! Cosa sta su-…” Alphys si avvicinò. “Oh mio Dio.”
La scienziata corse dal robot, chinandosi accanto a lui. “Mettaton!”
“Sta bene. Devi solo ricaricarlo”, la rassicurò Frisk. “E magari riattaccargli gli arti.”
“Grazie a Dio. Se lui fosse… I-Io…” Alphys si girò verso l’altra. “V-Voglio dire.. Nessun problema. E’ solo un robot. Se si fosse rotto, avrei potuto… C-Costruirne un altro.”
“Alphys… Tutto a posto?”
“…Perché non vai avanti?” Le disse, tornando a guardare Mettaton. “Ho… Ho solo bisogno di un attimo.”
D’un tratto, tutta la rabbia che la ragazza provava nei suoi confronti si affievolì. Quella donna… Sembrava molto sola.
Ora che ci pensava, le aveva dato questa impressione fin dal primo incontro.
Quel laboratorio enorme, ma vuoto. La sua insicurezza nel parlare. Le sue continue telefonate e la sua insistenza nell’affermare che erano amiche. Erano tutti segni di solitudine. E che fosse stata proprio quella solitudine, a spingerla ad intromettersi così tanto nel suo percorso?
“Alphys…” Frisk fece un passo avanti. “Tu… Non hai costruito Mettaton per lo spettacolo, vero?”
La vide sussultare.
Ma certo… Era così ovvio. Alphys non voleva creare una star. Lei voleva solo un amico. Qualcuno con cui parlare, con cui trascorrere il tempo.
E tutte le bugie che le aveva detto, le modifiche anti-umano e l’aiuto con i puzzle, non erano altro che un mezzo per avvicinarsi a lei. Per farsi accettare come compagnia.
“Oh, Alphys..” Frisk la fece voltare, e si chinò per abbracciarla. “Non c’era bisogno di tanta confusione, io sarei stata tua amica in ogni caso”, le disse gentilmente, e la donna ricambiò la stretta con gli occhi lucidi.
“M-Mi dispiace”, sussurrò.
“Tutti sbagliano, va bene così”, quindi si staccò. “Adesso vado da Asgore, e metto a posto questa storia. E poi finalmente sarete liberi, d’accordo?”
Alphys sorrise, e annuì.
“Okay”, Frisk indietreggiò di un paio di passi. “Allora corri a sistemare Mettaton, vi voglio entrambi carichi per quando la barriera sarà distrutta!”
“A-Agli ordini!” Esclamò Alphys, accingendosi a raccogliere i vari pezzi del robot, mentre la ragazza si dirigeva alla prossima porta, felice di aver trovato un nuovo amico, e di averne recuperata un’altra.
 
 
 
 

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Capitolo 44
*** Una ragione in più ***


Una ragione in più

 
Grigio. Era tutto grigio.
Le pareti, il pavimento, il soffitto di quel corridoio che sembrava scorrere a rallentatore.
Il silenzio attorno a lei sapeva di grigio, come se l’aria racchiudesse qualcosa rimasto in sospeso. E in un certo senso, era proprio così.
Anche lei si sentiva grigia. Non sapeva esattamente cosa stesse provando. Non aveva paura, non era felice, non provava la rabbia che l’aveva riempita fino a poco tempo prima. Quel luogo così neutro, tranquillo, privo di pericoli, le dava una sensazione di stallo, di pace momentanea.
E voleva godersela, quella quiete. Perché sapeva che presto sarebbe finita. Sapeva dove stava andando, chi c’era ad attenderla alla fine del suo percorso e cosa doveva prepararsi ad affrontare. Allora sì, che avrebbe avuto paura.
Svoltò l’angolo, e adesso camminava lungo una stradina di una cittadella, anch’essa interamente nei toni del grigio. Ma non c’era più la precedente calma. Era pieno di mostri, che passeggiavano e conversavano tra di loro, ma nessuno le dava attenzione, a parte qualche bisbiglio al suo passaggio.
Si era sparsa la notizia del suo arrivo. Era famosa, aveva detto Sans. Scacciò il suo pensiero, non voleva agitarsi prima del tempo.
Un uomo molto anziano le si avvicinò.
“Sei l’umano che sta andando da Asgore, vero?”
“Umana”, lo corresse Frisk. “E… Sì”, concluse.
“Somigli molto un’altra, sai?”
“L’altra?”
“La prima umana arrivata qui.”
“Dylan..?”
“Dylan? Mai sentita. No… Si chiamava Chara.”
“Chara?” Non c’era sul diario di Toriel.
“Tanto tempo fa, cadde nelle Rovine.”
“Tu sai delle Rovine?”
“Sono vecchio quasi quanto quel luogo, ragazzina.”
“Cos’è successo a… Chara?”
“Il figlio del re, Asriel, la trovò e la portò nel castello.”
“Un figlio..?”
Girarono a destra, poi a sinistra. L’uomo la stava accompagnando alla sua meta.
“Col passare del tempo, Asriel e l’umana divennero come fratelli. Il re e la regina la trattavano come una figlia. Il Sottosuolo era pieno di speranza.”
Non aveva mai sentito parlare di una regina.
“Poi, un giorno, l’umana si ammalò gravemente. Aveva solo una richiesta: vedere i fiori del suo villaggio. Ma non c’era niente che potessimo fare.”
“Oh…”
Qualcuno lungo la strada si unì a loro, per ascoltare la storia. In breve divenne un racconto di gruppo, ognuno aggiungeva qualcosa andando avanti.
“Quando l’umana morì, Asriel assorbì la sua anima, e si trasformò in un essere con un potere incredibile.”
Frisk pensò all’immagine che aveva visto alle Cascate.
“Con la sua anima, Asriel attraversò la barriera, e portò l’umana in superficie. Precisamente, nel suo vecchio villaggio.”
Non riusciva ad immaginare la California come un semplice villaggio. Chissà quanto tempo era passato..
Raggiunsero una piccola piazza, e altra gente si avvicinò.
“Asriel andò al centro di esso, e posò l’umana su un mucchio di fiori dorati.”
Come quelli su cui era atterrata Frisk.
“All’improvviso, si sentirono delle urla. Gli umani videro Asriel che teneva il corpo di Chara, e pensarono che l’avesse uccisa lui. Lo attaccarono con tutto ciò che avevano, e lui aveva il potere di ucciderli tutti… Ma non lo fece.”
I bambini le sorridevano, le ragazze la guardavano curiose. Era strano esser circondata da mostri che non la attaccavano.
“Tenendo stretta l’umana, Asriel sorrise, e andò via. Tornò a casa a fatica, entrò nel castello e crollò, e le sue ceneri si diffusero nel giardino.”
“Le sue ceneri?” Domandò Frisk.
“Quando i mostri muoiono, diventano subito polvere”, le spiegò una donna. La ragazza non seppe cosa rispondere.
“Il regno cadde nella disperazione. Il re e la regina persero due figli in una sola notte. Gli umani ci portarono via tutto, ancora una volta.”
“I-Io…” Frisk iniziava a sentirsi a disagio.
“Il re decise di porre fine a tutta questa sofferenza. Ogni umano caduto quaggiù doveva morire, e con abbastanza anime avremo potuto rompere la barriera.”
Tra la folla creatasi, si alzò un brusio. Alcuni mostri mormoravano tra loro, mentre altri si rivolgevano a lei.
“Non manca tanto.”
“Asgore ci libererà.”
“Asgore ci ridarà la speranza.”
“Asgore ci libererà tutti.”
Frisk deglutì. Le sembrava di marciare verso la sua esecuzione. Anzi, era letteralmente ciò che stava facendo.
“Anche tu dovresti sorridere”, le disse qualcuno. “Non sei emozionata?” Aggiunse. “Non sei felice? Sarai libera.”
“L-Libera? Io?”
“Certo! Tu uscirai da qui con noi! Non è per questo che sei qui?”
“Chi ve l’ha detto?”
“Un ragazzo di Snowdin. Ha detto di non aver paura, e di non attaccarti, perché sei una brava persona. Ha detto di essere un tuo amico.”
Amico? “Sans…”
Proseguirono diritti, fino ad un sentiero isolato e spoglio. Alla fine di questo, vi era l’entrata di un grande palazzo. L’aveva trovato.
Salutò i mostri che l’avevano guidata fin lì, ringraziandoli con un sorriso sincero. Quella gente credeva in lei. Credeva davvero che ce l’avrebbe fatta, e la voleva con sé nel ritorno in superficie.
Una bambina, che le arrivava appena ai fianchi, le abbracciò le gambe. “Fai presto!” Esclamò allegra. “Noi aspettiamo qui.”
Frisk le carezzò la testa, quasi commossa, e si voltò attraversando l’entrata. Adesso aveva una ragione in più per farlo.
Un senso d’inquietudine l’avvolse quando si rese conto dell’impressionante somiglianza dell’interno con la casa di Toriel.
No, ma quale somiglianza… Era tutto identico.
Le stanze, la cucina, il salone… Il seminterrato. Doveva andare lì, ne era sicura. Percorse il lungo tratto sotterraneo in silenzio, col passo leggero. Sentiva il cuore picchiare forte contro il petto, e si concentrò sul flebile suono del respiro che entrava e usciva dalle sue labbra semiaperte.
Salì delle scale, e fu di nuovo fuori, su un passaggio esterno, in cima al castello, da dove poteva vedere che la folla che si era lasciata alle spalle era ancora lì, ad aspettarla. Come promesso.
Un’altra porta, e si ritrovò in un’immensa stanza dorata, con un grande colonnato ed enormi finestre ad illuminare lo spazio.
Troppo impegnata ad ammirare ciò che aveva attorno, solo alla fine si accorse di chi l’attendeva in fondo all’ambulacro.
“ehi, ragazzina..”
“Sans..?” Era più una domanda rivolta a se stessa, come se non fosse sicura di vederlo davvero. Ma come ci era arrivato lì?
“prima che tu dica qualcosa… lascia che parli io.”
Era serio, e fece un passo avanti. Anche adesso, teneva le mani infilate nelle tasche della sua felpa azzurra. Frisk sollevò lo sguardo per incontrare il suo.
“so in che situazione ti trovi, e posso solo immaginare come sarebbe stare al tuo posto. e mi dispiace non essere riuscito a spiegarmi bene prima.”
Silenzio. I due sospirarono nello stesso momento.
“quando ho detto che saresti morta, se quella donna non mi avesse detto di te, intendevo che senza di lei non avrei saputo del tuo arrivo, e non mi sarei aspettato di vederti passare. probabilmente non ci saremmo neanche incontrati, perché sarei stato distratto, e in quel capanno ci saresti rimasta. e se ti ho seguita in giro, è perché volevo essere sicuro che stessi bene, nient’altro.”
“Sans…”
“no, fammi finire. è vero che all’inizio la mia preoccupazione principale era mantenere la promessa, ma quando ti ho conosciuta le cose sono cambiate. ed era ovvio che sarebbe accaduto, era inevitabile.”
“I-Io..” Un lieve pizzicore raggiunse gli occhi di lei. Si sentiva così male per ciò che aveva detto al ristorante. Avrebbe dovuto lasciarlo parlare prima.
“per rispondere alla tua domanda, sì. noi siamo amici, certo che lo siamo. io ci-“
Ma Sans non riuscì a terminare la frase, perché Frisk gli gettò le braccia al collo, con i primi accenni di pianto nella voce.
“Perdonami! Non dovevo reagire così, mi dispiace.. Mi dispiace tanto.”
Lo scheletro ricambiò la stretta, togliendo finalmente le mani dalle tasche.
“ma allora è un vizio, quello di interrompermi mentre parlo”, scherzò, facendola staccare. “prima che mi saltassi addosso, stavo per dire un’ultima cosa.”
Frisk rise, asciugandosi le lacrime. “Che cosa?”
“che ci tengo a te. davvero.”
“Anche io, tanto. E… Grazie.”
“per cosa?”
“Per aver creduto in me”, la ragazza si riferiva all’aver parlato di lei in città, e lui lo sapeva.
“tifo per te, ragazzina”, le strizzò l’occhio, mentre lei varcava l’ultima soglia che la separava dal re dei mostri.
Adesso, pensò Frisk, aveva ancora un’altra ragione per farlo.

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Capitolo 45
*** Make the difference ***


 
Un altro corridoio grigio venne dopo l’ambulacro dorato. Tutto quel neutro iniziava a farle rivoltare lo stomaco, la faceva sentire come fuori dalla realtà.
Varco la soglia di una stanza anch’essa grigia, che ospitava una serie di strutture in pietra. Erano sette. Erano bare.
Frisk si avvicinò, ognuna di esse aveva disegnato sopra un cuore… Un’anima, ciascuna di un colore diverso. E sotto un nome.
Camminava lentamente, facendo scorrere lo sguardo sulle varie incisioni, mentre il suo respiro si faceva momentaneamente assente, come quello di chi abitava quelle tombe da chissà quanti anni.
Un’anima celeste: Dylan.
Una arancione: Helýas.
Una blu: Elohir.
Una viola: Dáeron.
Una verde: Sáiram.
Una gialla: Idryl.
……Una rossa: senza nome.
Frisk deglutì. Asgore sapeva di lei. La stava aspettando, e le aveva tenuto il posto caldo. Era stato sicuramente Flowey, ad informarlo del colore della sua anima. A tal proposito, ora aveva una risposta al quesito che più di una volta si era posta: le anime umane potevano avere diversi colori. Chissà in base a cosa.
Durante il suo viaggio aveva appreso che, durante uno scontro, tra le anime si creava una specie di connessione, e ciò le provocava ogni volta una sensazione strana, come se fosse più vulnerabile, scoperta, raggiungibile. Probabilmente i mostri c’erano abituati, ma lei non aveva smesso un attimo di domandarsi se ci fosse altro dietro quell’energia, che somigliava tanto alla stessa che percepiva quando toccava quelle fonti di luce che, era giunta finalmente alla conclusione, era l’unica a vedere.
Diede le spalle alla bara ancora vuota, ed uscì dalla stanza. Il resto del corridoio la condusse quindi davanti all’entrata di una grande sala, il cui pavimento era ricoperto di fiori dorati, gli stessi su cui era atterrata a seguito della sua caduta. C’era un uomo lì, un mostro. Asgore. Le dava le spalle, non si era accorto di lei. La ragazza inalò lentamente, e si costrinse a fare un passo avanti, causando un lieve rumore che bastò a far voltare il re. L’espressione di entrambi variò alla vista l’uno dell’altra.
Asgore era tristemente consapevole, era preparato all’arrivo della settima umana.
Frisk era sorpresa, perché quella persona era robusta, con le corna e aveva barba e capelli biondi… Ma era esattamente come Toriel.
Ci fu silenzio, in un primo momento, come se entrambi volessero rimandare il più possibile l’inizio (o la conclusione) di tutto.
Alla fine, Asgore sospirò.
“Vorrei tanto poter dire: ‘Ti va una tazza di tè?’ Ma… Sai com’è.”
Altro silenzio. Il volto del re si fece ancora più addolorato.
“Sai bene cosa dobbiamo fare. Quando sei pronta, vieni nella prossima stanza”, quindi si allontanò, lasciandola lì da sola.
Non voleva farle del male, Frisk lo capì subito. Forse sarebbe stato più facile del previsto.
Quando lo raggiunse, si ritrovò davanti qualcosa di mai visto. Sembrava di trovarsi in un immenso ed infinito tunnel, che scorreva, scorreva, scorreva. E intanto il suo colore variava gradualmente, velocemente, dal bianco al nero. Bianco, nero. Bianco, nero. Bianco, nero. Era ipnotico. Era destabilizzante. Era…
“Ecco la barriera”, le disse Asgore, dandole le spalle. “E’ questa che ci tiene intrappolati tutti nel Sottosuolo. …Se… Se hai dei conti in sospeso… Va’ a risolverli ora. E se non sei pronta, lo capisco”, una pausa. “Anch’io non sono pronto.”
Solo allora Frisk si accorse dei sei contenitori di vetro accanto a loro. Ognuno brillava di una luce di un diverso colore. Ognuno conteneva una delle sei anime umane.
“Maestà”, la ragazza si schiarì la voce. “Permettete una parola?”
Lui si voltò, attendendo in silenzio.
“Io credo.. Credo di avere..” Si schiarì nuovamente la voce, riformulando. “Io ho un’alternativa. Sono venuta qui per esporla a voi.”
Il re non rispose, quindi Frisk continuò.
“Ogni umano caduto prima di me, aveva le mie stesse intenzioni: liberarvi tutti. Ma nessuno di loro avrebbe potuto farlo davvero, perché le anime non bastavano. Io però sono l’ultima. Sono la settima anima umana. Io posso fare la differenza, se tu… Se voi, me ne deste la possibilità, io potrei prendere le altre sei, e rompere la barriera da sola.”
Asgore non batté ciglio per qualche secondo. Frisk si chiedeva se stesse riflettendo, o se stesse solo aspettando il momento giusto per coglierla di sorpresa e attaccarla. Ma alla fine…
“….Dammi del tu, per favore. Non sono un sovrano degno di tanto rispetto.”
“Maestà, ti chiedo di fidarti di me. Io posso davvero cambiare le cose. Sono qui per questo!”
“Per un mostro, contenere una sola anima umana rappresenta uno sforzo enorme… Come puoi pensare di poterne sopportare sette?”
“Io sento di potercela fare.”
“Chi mi assicura che tu non voglia soltanto andartene? Come faccio a sapere che farai davvero ciò che dici?”
“Io…” Frisk lo osservò per un attimo, e decise di tentare la sorte. “Toriel si è fidata di me.”
Asgore cambiò immediatamente espressione, i suoi occhi divennero lucidi. La ragazza aveva pensato bene: Toriel era davvero la moglie del re!
“Ricordo bene il giorno dopo la morte di mio figlio”, l’uomo distolse lo sguardo. “Il Sottosuolo era senza speranza. Il nostro futuro ci fu rubato ancora una volta dagli umani. Preso dalla rabbia, gli dichiarai guerra. Dissi che avrei ucciso ogni umano che fosse caduto qui. volevo usare le loro anime per diventare come un dio… E liberare tutti da questa terribile prigione. Poi, avrei distrutto l’umanità… E avrei lasciato che i mostri vivessero in pace, in superficie. Presto, le speranze della gente tornarono. Mia moglie, però, fu disgustata dalle mie azioni. Lasciò questo posto e non la vidi mai più.”
“Io potrei portarti da lei”, disse Frisk, lentamente.
“Onestamente… Io non voglio il potere. Io non voglio far del male a nessuno. Volevo solo dare delle speranze alla mia gente… Ma… Non ce la farò ancora per molto. Voglio solo rivedere mia moglie. Voglio solo rivedere mio figlio. Per favore… Questa guerra è durata fin troppo. solo tu puoi porvi fine… Prendi la mia anima, e lascia questo posto maledetto.”
Frisk sorrise, e si avvicinò. “Ti ho già detto che io non voglio andarmene.”
“Preferisci rimanere qui e soffrire… Invece di vivere felicemente in superficie?”
Frisk scosse la testa. “Preferisco uscire da qui, con tutti voi.”
Il re teneva in mano un grosso tridente di colore rosso. La ragazza glielo sfilò gentilmente dalle mani, posandolo in terra.
“Fuori di qui, io non ho un posto dove tornare”, continuò, usando le stesse parole che aveva rivolto a Sans. “Quindi che senso avrebbe andarmene da sola?”
“Che significa questo? Da dove vieni, umana?”
“Sarebbe lunga da spiegare”, disse lei, ignorando la morsa allo stomaco, e tese una mano verso l’uomo. “Mi chiamo Frisk.”
Asgore fu riluttante per un attimo, poi gliela strinse delicatamente. In confronto alla sua, era minuscola.
“E’ un vero piacere, Frisk.”

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Capitolo 46
*** ...Or maybe not ***


“E’ un vero piacere, Frisk.”
Il re dei mostri aumentò la stretta attorno al polso della ragazza, mentre lentamente si abbassava a recuperare il suo tridente.
“…Per questo mi addolora ancora di più, ciò che sta per accadere.”
“Che cosa??”
Asgore si voltò, con gli occhi chiusi, e se la portò più vicina puntandole l’arma contro.
“Aspetta! Che stai facendo?? Fermo!!” Gridava lei, strattonando il braccio chiuso nella salda presa dell’uomo. “Perché?!”
“Gli umani non possono assorbire altre anime umane”, spiegò piatto il re, sempre evitando di guardarla. “Solo i mostri possono farlo. Quello che dici è irrealizzabile.”
“Non lo sapevo! Possiamo trovare un altro modo! Lasciami!!”
“….Addio, umana”, e fece per infilzarla, ma la mancò per un soffio. Frisk riuscì a liberarsi un istante prima, scalciandosi via con entrambe le gambe. Finì a terra, ma si rialzò subito. Giusto in tempo per schivare un altro colpo di tridente.
Chiamò Asgore, lo chiamò per nome, ma lui non rispose. Non le parlava, non la ascoltava, e non la guardava negli occhi. Si muoveva semplicemente in modo meccanico nella speranza di concludere il tutto il più rapidamente possibile.
E in quel momento Frisk si ricordò di quando Alphys le aveva spiegato che una singola persona, per oltrepassare la barriera, doveva possedere un’anima umana e quella di un mostro. Asgore poco fa non la stava invitando ad andarsene da sola, voleva convincerla a combattere contro di lui.
Schivò un attacco di fuoco, identico a quelli di Toriel, ma visibilmente più potente.
“Ma quale diavolo è il tuo problema!?” Gli urlò contro, quasi perdendo l’equilibrio. “Mi sto offrendo di aiutarti! Sono qui per questo! Non per farmi ammazzare!!”
“Vorrei tanto poterti dare ascolto”, le rispose lui, mentre un’altra enorme fiamma gli partiva dalla mano destra.
“Allora fallo, maledizione!!!” Inaspettatamente, quando Frisk si scansò per non farsi colpire, l’attacco magico cambiò direzione, seguendola. Colpendola. Urlò al momento dell’impatto del fuoco sulla sua schiena, e cadde in avanti.
Ansimò sonoramente, con le lacrime agli occhi. Non aveva mai provato un dolore simile.
“Ti prego…” Sussurrò con un fil di voce, perché di più non riusciva a fare.
Si alzò appena in tempo per evitare di essere trafitta, e nella fretta del movimento andò a sbattere contro il muro. Alla sua sinistra c’erano i contenitori delle anime. Vi si piazzò dietro.
“Li spacco!!” Tuonò, con tutte le sue forze. “Hai capito?? Toccami un’altra volta e li faccio a pezzi!!!”
In risposta, Asgore scagliò la sua magia contro le capsule, che Frisk utilizzò come riparo, ma… Non si ruppero.
“Ma che..” Quello non era normale vetro. La ragazza si diede della stupida, era ovvio che fosse così.
Sgranò gli occhi e si abbassò, quando vide il tridente del re avvicinarsi velocemente, e ancora una volta scampò alla morte con una gran fortuna. Ma ciò al prezzo di altro dolore, ben più atroce del precedente.
Gli spuntoni dell’arma si conficcarono nel retro del suo maglione, lacerandole la pelle già ustionata della schiena. Non avrebbe mai pensato di poter tirar fuori tanta voce, né di poter provare una simile sofferenza fisica.
Venne agganciata così, e si sentì trascinare di nuovo davanti al mostro, che ora pareva di nuovo riluttante.
Ma lei non riusciva a muoversi, non riusciva a respirare. Non schivò la fiamma successiva che le andò a colpire stavolta la gamba destra. E quella che le fece ritirare un braccio, nemmeno la vide arrivare.
Non le sfuggì però che, per quanto atroci potessero essere, nessuno di quegli attacchi stava essendo definitivo. Come se Asgore volesse rimandare il più possibile il momento cruciale dello scontro.
Frisk abbassò gli occhi, guardò la sua anima brillarle sul petto, e la odiò. Quella era la causa di tutto. Quella, nient’altro. Avrebbe voluto strapparsela via, lanciarla ad Asgore e dirgli che se la poteva tenere, se ciò non avesse significato morire.
Lui continuava a colpirla, a intervalli irregolari, e lei si limitava a sopportare quella tortura, a resistere al dolore. Anche se definirlo dolore era un enorme eufemismo. E intanto piangeva. Piano, sommessamente. Perché anche il minimo sussulto le faceva male.
“Aiuto…” Supplicava, inerme. “Vi prego…”
Stava morendo. Non ce la faceva più. Il suo respiro si limitava a lievissimi e brevi sospiri. E al contrario della sua anima, ancora luminosa, si sentiva spegnere ogni secondo di più.
Non voleva finire così, non voleva dire addio alle sue persone, al mondo, alla vita. Ma era forte la tentazione di chiudere gli occhi, di lasciarsi andare, di riposare. Era stanca, faticava a restare sveglia. Ma se si fosse concessa di addormentarsi, quello sarebbe stato il suo ultimo sonno.
Proprio quando stava prendendo in considerazione l’idea di arrendersi, però, vide con la coda dell’occhio il re dei mostri venir scaraventato lontano, via da lei. Spostò lo sguardo, e le nuove lacrime che versò dopo erano il pianto di chi sentiva di essere appena ritornato in vita.

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Capitolo 47
*** Perdono ***


Si lasciò andare, la ragazza, ad un pianto liberatorio, ancora inerme sul pavimento mentre tutti i suoi amici accorrevano a circondarla.
La regina non perse tempo ad usare la sua magia curativa su di lei, e non ci vollero che pochi secondi per guarirla completamente.
Frisk si tirò su lentamente, gli occhi incollati al suo stesso corpo di nuovo intatto. Non sentiva più dolore, non odorava più di bruciato, non emetteva più fumo nero. E respirava bene, non era più stanca, era… Era viva. Toriel la strinse tra le braccia, scossa dai singhiozzi, mentre il resto del gruppo si limitava a scambiarsi occhiate di sollievo.
Si guardò intorno, incredula. Com’era possibile che fossero tutti lì? Da dove arrivavano?
“Li ho chiamati io”, le disse Sans, come se l’avesse letta nel pensiero.
“C-Come? Quando?” Domandò lei, che non aveva ancora detto nulla. Era passato troppo poco tempo da quando si erano lasciati nella stanza dorata, come aveva fatto a…
“Conosco delle scorciatoie”, lo scheletro alzò le spalle, e le sorrise strizzandole l’occhio. Decise di risparmiarle il racconto della sua caccia agli amici, della quasi litigata con Undyne per convincerla a venire, le continue rassicurazioni dovute fare ad Alphys e Papyrus, e la sua sorpresa nello scoprire che la donna misteriosa era in realtà la regina scomparsa da anni.
“Io… Io non so che cosa dire.”
“Credo che dovremo rimandare”, fece Sans, indicando Asgore che si era appena rimesso in piedi, a pochi metri da loro. “Ora abbiamo un altro problema.”
“Toriel…” Mormorò, con lo sguardo incredulo fisso sulla moglie.
“TU!” Tuonò lei di colpo, fiondandosi verso l’uomo. “Carogna maledetta! Essere spregevole!!” Gli scagliò contrò una palla di fuoco, che lui schivò per un soffio.
“Tori..”
“NON CHIAMARMI COSI’!” Si avvicinò ancora, dandogli uno spintone. “Sei una canaglia! Avrei dovuto fare BEN ALTRO anziché andarmene, anni fa!”
Continuava ad insultarlo, a sputargli addosso il suo odio sotto gli sguardi un po’ perplessi, un po’ preoccupati, di tutti gli altri.
“Se avessi voluto davvero liberarci, avresti oltrepassato la barriera DA SOLO, con UNA SOLA anima umana! Avresti preso le altre sei, e poi saresti tornato! Ci hai fatti vivere nella disperazione per anni! Nella speranza che nessun altro cadesse qui per evitare le conseguenze delle tue scelte! Sei patetico!!” Un'altra spinta. “Mi fai ribrezzo!!!”
Dal canto suo, Asgore ritraeva il volto della mortificazione.
“Hai ragione… Sono un miserabile…”
Il re fece un passo avanti.
“Non chiederò il tuo perdono. E neanche il vostro”, disse al resto del gruppo. Poi si avvicinò a Frisk, la quale si ritrasse verso Sans, che le mise davanti un braccio, come a proteggerla. “Né tantomeno il tuo, piccola umana. Per quel che può valere, sono felice che mi abbiano fermato.”
Il viso della ragazza era contratto in una strana, indecifrabile espressione. Fissava Asgore in silenzio, mentre questo le dava le spalle per allontanarsi, sotto lo sguardo corrucciato di tutti.
“…Ehi”, lo richiamò, d’un tratto. Lui non si voltò.
“So che non avresti voluto farlo”, gli disse, spostandosi lentamente nella sua direzione. Parlava piano, cauta, attenta. “L’ho capito nel momento in cui ti ho incontrato, era così chiaro..”
Adesso era dietro di lui, ad un paio di metri di distanza. Nessuno a parte lei osava fare un fiato.
“Non dev’essere stata una scelta facile, anche se dovuta alla rabbia. Posso solo immaginare il peso che ti porti dentro. Il rimorso, il senso di colpa… Tu ti odi per questo, vero?”
Il re non rispose, non si mosse, non fece nulla. Ma la sua schiena era scossa da lievi tremiti. Loro non potevano vederlo, ma aveva gli occhi lucidi e il respiro spezzato. Nessuno prima aveva mai pensato al suo, di dolore.
“Tu…” Continuò l’umana. “Mi sembri una persona tanto triste”, disse, per poi aggiungere: “…E anche una persona tanto buona.”
Non provava rancore verso di lui. Non provava più rancore in generale. La rabbia e la frustrazione se n’erano andate nel momento in cui i suoi amici erano giunti in suo soccorso, perché si era resa conto che, nonostante tutto, c’era qualcuno che le voleva davvero bene. E se aveva dato una seconda chance a Sans, ad Alphys, a Mettaton e ad Undyne, allora poteva farlo anche con Asgore.
“Io ti perdono”, gli disse, spostandosi di fronte a lui che adesso piangeva. “Cerca di perdonarti anche tu”, concluse, rivolgendogli un sorriso gentile.
E a quel punto il re non riuscì più a resistere. Scoppiò in lacrime, davanti a tutti, e si lasciò cadere sulle ginocchia coprendosi il volto con una mano, mentre con l’altra arrivava a prendere quella della ragazza, stavolta con immensa delicatezza. Quel contatto gli diede la certezza che era viva, che era lì, che ciò che stava accadendo era reale… Che non era uno dei tanti sogni che la notte lo tormentavano.
Frisk ricambiò la stretta, e si chinò a consolarlo. Un essere così imponente che veniva rassicurato da una creatura tanto piccola.
Fu Sans a farsi avanti per primo, raggiungendoli.
“tu ti fidi di lui, ragazzina?”
Frisk lo guardò. “Tutti meritano fiducia, almeno una volta”, rispose, sottolineando l’ultima parte.
Lo scheletro sospirò. “tu giochi con le parole”, le disse, e alla fine sorrise, suscitando in lei la stessa reazione.
“ehi, gente”, richiamò il resto del gruppo. “venite a dare il cinque a questa disgraziata.”
E allora tutti si fiondarono da loro, Undyne compresa, per salutare come si deve la loro amica, ora che era in grado di rispondere. L’unica a restare indietro fu Toriel, che si fece avanti per ultima facendo calare di nuovo il silenzio.
“Bambina mia… Sei sicura di ciò che fai?” Domandò, riferendosi al marito.
Frisk non esitò ad annuire. “Sì.”
La donna inspirò lentamente, poi buttò fuori l’aria tutta insieme.
“Allora suppongo di doverti ascoltare”, quindi guardò Asgore. “Tu, alzati.”
L’uomo non se lo fece ripetere. “Toriel… Io-“
“Avrai tempo per farti perdonare, adesso il problema è un altro.”
Come se avesse già parlato, tutti si voltarono verso le sei anime. Dovevano trovare un modo per utilizzarle insieme a quella di Frisk, ora che il suo piano si era rivelato inconseguibile.
 

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