Horror Vacui

di Il_Signore_Oscuro
(/viewuser.php?uid=847858)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 15-03-2018 - I colori del vuoto ***
Capitolo 2: *** 18-03-2018 Una notte al museo ***
Capitolo 3: *** 21-03-2018 Ipotesi di un delitto ***
Capitolo 4: *** 22-03-2018 La verità dei folli ***



Capitolo 1
*** 15-03-2018 - I colori del vuoto ***


15 marzo 2018 – Diario di Mario Salieri
Archeologo per conto del Clio - Museo di Storia di Carciavia


Mi sono svegliato nel cuore della notte, strappato ai miei incubi confusi e al sonno leggero da quest’inquietudine che mi porto addosso da tre giorni a questa parte. Dacché sono bambino ho sempre avuto l’abitudine di riportare i miei pensieri, le mie ansie, le mie paure sulla carta. Trovo sia l’unico metodo efficace per esorcizzarle e avere finalmente requie dalla loro morsa.
Non so perché abbia aspettato tanto, non so perché ho affrontato le mie inquietudini notturne nel mio letto, sforzandomi di dormire. Non so perché ho lasciato che mi rigirassero con un dito, invece di mettere fin da subito mano alla penna. Ma infine ho ceduto, eccomi qui.
Elisa è di là che dorme un sonno profondo e tranquillo, beata lei. Ho rimboccato le coperte alle bambine, prima di scivolare nel mio studio, e accendere la lampada che osserva ricurva il piano della scrivania.
Sono pronto, eccomi qui, cara mia inquietudine…

“Horror Vacui”

Questo il nome del tomo rinvenuto in uno scantinato nascosto, dietro a una botola nella sala da pranzo del Palazzo Managramo, alla periferia di Carciavia. Il libro era contenuto in una cassa di quercia scura, sprovvista dei consueti rinforzi in metallo e con il lucchetto ridotto ormai a una poltiglia rugginosa.
Anche il legno della cassa non era in condizioni migliori, consumato e sfibrato com’era dalla muffa e dai vermi che sgusciavano bianchicci da ogni asse. Del guardiano di quel forziere, o meglio, dell’uomo che un tempo era stato, adesso non restavano che le orbite vuote di un teschio e le dita scheletriche senza più un filo di carne addosso.
Ammetto di essere rimasto a un tempo affascinato e turbato da quella visione, offerta nella più totale oscurità dal fascio di luce della torcia al propano. Cavolo, mi sentivo come Indiana Jones in uno dei suoi film! Il sogno di ogni archeologo… della mia età, perlomeno.
Come è immaginabile non ho avuto alcuna esitazione nell’aprire la cassa, impaziente com’ero di scoprire cosa fosse celato al suo interno, e quando l’ho fatto, beh, ciò che mi è saltato all’occhio sono stati i riflessi di luce argentina, rifratti sulle squame nero pece del tomo.
La cosa mi ha destato confusione, in un primo momento: non mi era mai capitato, nella mia pur lunga carriera, di trovarmi di fronte a un libro rilegato in pelle di rettile. Ma le stranezze, mio caro diario, erano soltanto all’inizio.
Dando una rapida occhiata, ho notato sin da subito l’ottimo stato di conservazione della rilegatura e delle pagine, persino l’inchiostro, che tende normalmente a scolorirsi con il passare degli anni, era invece di un nero vivido e lucido. Quasi fosse stato appena vergato.
Aprendo la prima pagina ho avuto modo di leggere il titolo del tomo “Horror Vacui” e la frase che subito sotto lo accompagnava

“Perché nella filigrana di cui è intessuto il mondo, alcuni anfratti sono rimasti vuoti e inesplorati. Questa è la chiave per dischiuderne i molteplici sensi e discoprire fino all’ultimo dei cangianti colori dell’ignoto”

Una frase che mi ha catturato e che mi ha creato una grande aspettativa, invogliandomi a proseguire nella lettura di quel tomo, resistendo agli strani segnali che il mio corpo andava lanciando e di cui parlerò più in là. Con mia somma delusione gli unici elementi scritti in una lingua a me comprensibile erano il titolo e il sottotitolo. Il resto del tomo era, ahimè, vergato con caratteri assimilabili a delle rune…
Adesso, immaginando di star rivolgendomi a un qualche ipotetico interlocutore, costui potrebbe facilmente obbiettare che data la fama del Conte Managramo, signore del palazzo Managramo e noto per essersi millantato potente stregone e sapiente di antichi misteri, non dovrebbe sorprendermi la presenza di un trattato di magia all’interno della sua abitazione. Un trattato magari stilato in un codice criptato, affinché solo pochi eletti potessero comprenderne il contenuto. Tale interlocutore reputerebbe dunque sciocca e insensata la mia paura… ma tralasciando l’inspiegabile stato di conservazione del manufatto (mentre ogni cosa intorno ad esso marciva e andava in pezzi) e chiarendo che non sono mai stato persona facilmente impressionabile. Posso dire che con tutta sicurezza che la mia paura, la mia inquietudine, s’è destata nel momento stesso in cui ho preso quel libro fra le mani. Non è facile spiegare con precisione ciò che ho provato, quali demoni mi si siano arrampicati dentro: per i primi istanti credo di aver provato un brivido di freddo, sì, un brivido che mi si arrampicava lungo la spina dorsale sino a pizzicare la noce del collo; passato qualche secondo potevo avvertire ogni singolo pelo sulla mia pelle irrigidirsi, mentre la sensazione di essere osservato da cento e più occhi, in quella fonda oscurità, prendeva lentamente piede. Mi sono messo sull’attenti, voltandomi a destra e a manca per verificare se il tutto fosse frutto di una mia suggestione, o se qualcuno mi avesse davvero seguito in quello scantinato.
Ma tutto ciò che il fascio di luce della torcia è stato in grado di rivelarmi, erano le silenti pareti di roccia nuda e le orbite vuote del teschio, rotolato più in là dopo che avevo scoperchiato la cassa su cui vegliava.

Era passato qualche minuto, ed io, forse provato dai brividi e dallo sgradevole sentore d’essere osservato, ho cominciato a sentire vertigini: prima uno sbandamento, crescente in una straordinaria difficoltà nel muovere un passo dinanzi l’altro, e la paura irrazionale che il pavimento sotto i miei piedi potesse cedere da un momento all’altro lasciandomi cadere in un vuoto senza fondo. Il respiro aveva preso ad affannarsi. L’aria, normalmente inconsistente e leggera com’è nella sua natura, aveva assunto la densità dell’acqua e i suoi artigli, gelidi come ghiaccio, mi graffiavano le narici e la gola, ogni qual volta ispiravo o espiravo.
E infine qualcosa nel mio profondo cominciò a cadere, scivolando debolmente attraverso una perenne discesa, diretta in un precipizio che si esauriva nel nulla: un nulla affamato, crudele e terribile.
Solo in quel momento mi sono finalmente deciso a richiudere il libro e riporlo nella sacca.
Affinché i malesseri che avevano stretto la loro morsa attorno al mio corpo si quietassero, ho dovuto attendere cinque minuti buoni. Cinque minuti che invero trascorrevano lenti e pesanti, come se ogni secondo recasse sulla schiena un macigno che ne accorciava il passo.
È da allora che non ho più voluto sfiorare con un dito quel maledetto tomo, e ho altresì vietato ad ogni singolo membro della mia equipe di maneggiarlo, fosse anche solo per studiarlo. Quanto prima ho provveduto a stilare le specifiche del manufatto nel mio rapporto al Clio, dopodiché l’ho consegnato nelle mani del direttore Monsone, perché si occupasse della sua esposizione al pubblico.

Gli effetti del tomo sul mio corpo sono svaniti quasi immediatamente, come già scritto, ma esso ha lasciato tracce nella mia psiche, più restie ad abbandonarmi. Solo questa confessione, fatta a un foglio di carta, è riuscita a mitigare un poco quell’inquietudine e ora le palpebre mi pesano sugli occhi, insperatamente grevi.
Almeno per questa notte credo che dormirò…
forse fra qualche tempo darò un’altra occhiata all’Horror Vacui, durante una delle nostre gite mensili al museo, con Elisa e le bambine. Sì, lo guarderò, a debita distanza e con una teca di vetro a frapporsi tra noi.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 18-03-2018 Una notte al museo ***


18 marzo 2018 – dal cellulare di Lucio Alfieri
guardia giurata presso il museo Clio di Carciavia


Lucio:
Ehi amore, ancora sveglia?
Daniela: Sìsì, sto guardando un film in tv mentre mangio qualcosina, e tu? Sei al lavoro?
Lucio: Eh, oggi purtroppo mi tocca, anche se vorrei essere lì con te in questo momento… cosa prevede il menù stasera?
Daniela: Amore, ma quanto sei dolce? Vedrai che presto recupereremo. Comunque niente di che, era avanzato un po’ di gelato e ci sto dando fondo.
Lucio: È che mi manchi, tutto qui. Questi turni di notte sono di un massacrante… ti giuro, non vedo l’ora di avere la serata libera
Daniela: Quando sarà, speriamo presto, qualcuno riceverà una bella sorpresa, eheh.
Lucio: Che genere di sorpresa?
Daniela: Non è una sorpresa se te lo dico, stupidino! Comunque almeno ti pagano bene per fare i turni di notte.
Lucio: Ci mancherebbe, ahahah. Però, sai, non me lo spiego… perché mettere della sorveglianza notturna in un museo in cui non c’è quasi nulla di valore? Manco fossimo al Louvre…
Daniela: Di recente non hanno trovato un qualche genere di libro antico?
Lucio: Capirai, chi si starebbe a prendere tutto ‘sto sbattimento per fregarsi un libro? Comunque non l’hanno ancora esposto, è in magazzino. Quello che dico è: al posto di assumere guardie giurate, mettete una bella porta blindata e un sistema di allarme decente.
Daniela: Su, non ti lamentare, con quei soldi in più ci facciamo una bella vacanza solo io e te! In ogni caso, tutto tranquillo da quelle parti?
Lucio: Affermativo, la solita noia mortale.
Daniela: Che ti aspettavi? Non sei mica Ben Stiller.
Lucio: Un po’ ci speravo.
Daniela: Scemo che sei…
Lucio: Gne gne, comunque amore, torno fra un attimo.
Daniela: Va bene.
[Passano dieci minuti]
Daniela: Ehi ma tutto bene?
Lucio: Sìsì, scusami, io e Giulio ci abbiamo messo più del previsto.
Daniela: Che è successo?
Lucio: Niente di che, era entrato un corvo ahahah. Evidentemente l’inserviente si era dimenticato di chiudere una finestra da qualche parte
Daniela: Ahahah
Lucio: Assurdo comunque, mai visto un uccello così grosso!
Daniela: Conoscendoti a questo punto mi sarei aspettata una battuta delle tue.
Lucio: Amore, non abbiamo più quindici anni, dai…
Daniela: Eppure di ‘ste battute ne fai ancora, non negarlo!
Lucio: Touché
Daniela: Ecco a voi Lucio Alfieri: l’uomo che invecchiava solo da fuori, ma rimaneva adolescente dentro.
Lucio: Andiamoci piano con le parole, giovincella. Ho solo trent’anni, portati benissimo tra l’altro.
Daniela: Come siamo permalosi stasera…
Lucio: Lo sai che scherzo.
Daniela: Lo so, lo so, tranquillo.
Lucio: Maledizione, un’altra volta, stanotte mi sa che non avremo pace.
Daniela: Cosa?
Lucio: Un’altra stupida cornacchia. Se andiamo di ‘sto passo bisognerà chiedere al direttore di montare uno spaventapasseri nell’androne.
Daniela: Non ci starebbe male, sai? Questo fatto mi ricorda quel piccione che girava nei corridoi dell’università, quando frequentavamo.
Lucio: Che storia quella!
Daniela: Comunque amore, io sto spegnendo tutto che fra un po’ me ne vado a nanna.
Lucio: Va bene, piccola.
Daniela: Ti auguro buon lavoro e soprattutto sappi che ti amo!
Lucio: Ti amo tanto anche io amore, buonanotte.
Daniela: A domani.
[Passano due ore, è ormai l’una di notte]
Lucio: una chiamata senza risposta
Lucio: due chiamate senza risposta
Lucio: Dani, lo so che stai dormendo, ma ti prego… rispondi a questo maledetto telefono! Ho bisogno di sentire la tua voce
Lucio: tre chiamate senza risposta
Lucio: Amore, ti ho lasciato un messaggio in segreteria. Ho una paura fottuta… qualcuno è entrato nel museo e qui sta succedendo il bordello. Ho bisogno di sentire la tua voce. Giorgio e Giacomo non rispondono al walkie. Se dovesse succedermi qualcosa, sappi che sei stata tu il mio ultimo pensiero… sappi che ti amo, ti amo piccola.
[Passa un’altra ora]
Daniela: Amore scusami, stavo dormendo e non ho sentito il cellulare. Ma che è successo? Cosa sono questi messaggi?  
Daniela: una chiamata persa  
Daniela: Non fare questi scherzi del cazzo, non mi sto divertendo! Dai, rispondi!  
Daniela: due chiamate perse
Daniela: Amore mi sto davvero preoccupando, ti prego… mi sta venendo da piangere. Rispondi a questo cazzo di telefono!
Daniela: tre chiamate perse     

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 21-03-2018 Ipotesi di un delitto ***


21 marzo 2018 – post sul Creepy Forum
postato da Ludovica Ventura, medico legale


Ciao ragazzi!
Come molti di voi già sapranno (dato che non è la prima volta che scrivo su questo forum) il mio nome è Ludovica, lavoro come medico legale presso la stazione di polizia di Carciavia. Esatto, proprio il paesino che ultimamente è sotto i riflettori dei media per il massacro al museo Clio, avvenuto qualche giorno fa. Com’è nel mio stile, eccovi un paio di succulente chicche riguardo il caso, per voi amanti del macabro…
Iniziamo subito: le tre vittime sono le guardie giurate Lucio Alfieri, Giulio Landriscina e Mirko Gambelli. Come ampiamente riportato dai telegiornali, sono stati uccisi per il tramite di profonde lacerazioni alla gola, inflitte con un’arma da taglio particolarmente affilata. Ma scendiamo un po’ più nel dettaglio: le ferite sono state inferte con una precisione che non stenterei a definire chirurgica, tanto che gli inquirenti non escludono che l’autore del delitto sia una persona affine all’ambito medico-sanitario. Per intenderci, io stessa non avrei saputo fare un lavoro più pulito.
Oltre alle ferite che son state loro fatali, ci sono altri piccoli segni che solo un medico legale può notare e che mi hanno suggerito cosa sia accaduto durante il massacro. Giulio Landriscina, ad esempio, presentava in viso e sul dorso delle mani un gran numero di escoriazioni, compatibili, pensate un po’, con dei graffi. Erano ferite superficiali, okay, di quelle che puoi farti con una piccola caduta, ma come se le sarà fatte? Che Landriscina abbia tentato la fuga, fallendo miseramente? Per quanto riguarda Mirko Gambelli, lui aveva delle contusioni sulle nocche della mano destra. Lividi abbastanza vistosi da suggerire una colluttazione con uno degli assalitori, finita male per il pover Gambelli.
Altra chicca: dalle tracce di polvere da sparo, rinvenute sulle mani e sugli abiti delle guardie, sembra che vi sia stato uno scontro a fuoco. Tuttavia la scientifica non ha rivenuto tracce di sangue (oltre, ovviamente, a quello delle vittime) sulla scena del delitto. Questo ha portato la polizia a fare alcune supposizioni, tra l’altro molto più che plausibili visti gli eventi: l’attacco è stato condotto non da una persona singola, bensì da un commando di professionisti. Per intenderci: uomini che sapevano come muoversi e come lasciare meno tracce possibili dietro di sé. Inoltre questi uomini dovevano essere necessariamente muniti di giubbotti antiproiettile ed elmetti. Ragazzi, se volete sapere la mia, questa gente è stata pagata! Pagata per sottrarre qualcosa dal museo ed eliminare chiunque si frapponesse fra loro e il loro obbiettivo!
La domanda a questo punto sorge quasi spontanea: cosa ci sarà mai stato nel museo di tanto prezioso? Cosa poteva avere un valore tale da giustificare l’impiego di tutte queste risorse?
È la stessa cosa che si sono chiesti in centrale, e, difatti, hanno chiesto al personale del museo se per caso mancasse qualcosa dai loro magazzini. E indovinate un po’? Manca il famoso tomo rinvenuto qualche tempo fa nel Palazzo Managramo.
Chi, come me, è di Carciavia, saprà sicuramente a cosa mi riferisco. Altrimenti, beh, c’è Google ahahah.
Chi sarà mai il mandante della strage? Voglio sentire la vostra opinione ragazzi…
Per adesso è tutto, dovessero esserci delle novità vi aggiornerò!

Un bacio,
Ludo V.           

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 22-03-2018 La verità dei folli ***


22 marzo 2018 – trascrizione interrogatorio a Giuseppe Baldini
presunto testimone del massacro al Clio

Investigatore Corradini:
Dov’era alle ore 23 del 18 marzo, quando si sono svolti i fatti?
Baldini: Io, ecco, quella sera avevo alzato un po’ il gomito, sai com’è. Mi piace bere quando ne ho la possibilità, non è mica una cosa che mi capita tutti i giorni. E sai, quella mattina un signore tanto gentile mi aveva mollato una venti, quindi, sì, insomma mi sono ubriacato per bene. E sai, quando bevo troppo poi mi viene sonno, e niente, me ne sono andato al parchetto Garibaldi. Che lì, lì c’è sempre una panchina libera la sera. Non c’è mai nessuno al parchetto a quell’ora, e sì, mi piace dormire quando c’è silenzio intorno.
Corradini: Mi perdoni, si riferisce al parchetto antistante il museo Clio?
Baldini: Io, ecco, credo di sì. Sìsì è quello!
Corradini: Prego, continui pure.
Baldini: Uhm, senti, si può fumare qui dentro? Sì? Fumare mi fa stare più, più tranquillo ecco. Sì, tranquillo.
Corradini: Certo, fumi pure.
Baldini: Ehm, sì, ha una sigaretta? P-perfavore? Uhm, sì, grazie. Come stavo dicendo, vado al parchetto Garibaldi e mi sdraio sulla mia panchina. Quella sera si stava un sacco bene, non faceva nemmeno freddo.
Corradini: E poi? Cosa è accaduto? Si è addormentato?
Baldini: Oh, no, no, al meglio che stavo per chiudere gli occhi vedo spuntare un uccellaccio, sì, uno bello grosso. Una grossa cornacchia che si era piazzata su un ramo. Sì, uno dei rami di quell’albero. Quell’albero sotto cui mi ero appisolato, sì. Io lo ignoro, ovviamente, non mi dava nessun fastidio per carità. Gli uccelli possono stare dove più gli pare a loro. Nono, non c’era problema. Allora io chiudo di nuovo gli occhi e mi sto per addormentare, quando, ecco, sento gracchiare. Ovviamente apro gli occhi di nuovo e mi chiedo che diavolo sta succedendo. Sì, beh, quando li riparo vedo un’altra cornacchia, grossa e nera quanto la prima.
Corradini: Non si agiti perfavore, va tutto bene. Rimanga tranquillo.
Baldini: Sì, sì, scusami. È che, beh, sì, capirai quando ci arriverò. Dicevo, vedo queste due cornacchie e un po’ la cosa mi fa cagare sotto. Penso che forse era meglio dormire da qualche altra parte o che, beh, avevo bevuto troppo quella sera e quindi adesso ci vedevo doppio. Quando faccio per alzarmi, arriva in volo un’altra cornacchia uguale alle altre due e si mette a gracchiare con le altre lì sull’albero. Penso che era una cosa strana, che facevo meglio ad andarmene da lì.
Neanche un passo faccio in tempo a fare, che le cornacchie mi diventano quattro, poi cinque, sei, sette insomma uno stormo di uccellacci neri.
Corradini: Mi perdoni, ma questi eventi cosa hanno a che fare con quanto accaduto nel museo?
Baldini: Aspetta, aspetta, ora ti spiego. Ora ti spiego! Insomma, quando vedo che questi si moltiplicano manco i conigli, io inciampo e me ne vado con il culo per terra. Quelli prendono a gracchiare più forte. Sembrava che ridevano di me, cazzo, sì, che mi prendevano in giro. E io pensavo, sì, che non dovevo bere più così tanto, che poi vedevo cose assurde, cose che non potevano esserci. Ehm, ce l’ha un’altra sigaretta? Oh, grazie, sì, grazie davvero!
Corradini: Vada al punto perfavore.
Baldini: Oh, sì, scusa e che sono ancora un po’… com’è che si dice? Ah, sì, sconvolto! Sì, è quella la parola. Beh, insomma, questi corvi prendono a volare tutto intorno all’albero, poi, poi si ammucchiano in questa cosa. In questa cosa nera che non- non so come, il tempo di chiudere e riaprire gli occhi era diventata una persona!
Corradini: Ehm, una persona?
Baldini: Sì! Sì, un- un uomo insomma. Sulla trentina penso. Sì, doveva essere sulla trentina.
Corradini: Mmh, mi può descrivere quest’uomo?
Baldini: Certo, certo, me lo ricordo bene, sì, non penso me lo dimentico più. Era- era alto, ma molto alto ti dico. Con due spalle che sembrava un armadio. E poi, poi aveva la pelle che, sì, sembrava grigia per quanto era pallida.
Corradini: Ricorda com’era vestito?
Baldini: Io, io ricordo che aveva un impermeabile nero e anche vecchio, cioè, sì, insomma sembrava tanto rovinato. E poi, poi aveva un paio di stivali pieni così di polvere, di quelli che ti durano tanto tempo. Ma- ma in verità io non li ho visto subito i vestiti, io la prima cosa che ho visto erano- erano-
Corradini: Resti calmo, è al sicuro qui dentro. Ecco, bravo, beva un po’ d’acqua.
Baldini: Oh, sì, sì grazie. Devi scusarmi, è che tremo ancora se me lo immagino. Quello lì aveva due occhi, due occhi rossi, sì. Ma due occhi rossi che… che brillavano, sì, brillavano anche al buio e le pupille. Mio dio le pupille… non erano come le mie o le tue, no! Sembravano quelle di un animale. Io me la sono quasi fatta addosso quando si è avvicinato, anche perché aveva queste unghie strane quello là. Erano lunghe lunghe, ma non come quelle delle femmine, no, sembravano degli- degli artigli. Come quelli degli animali, sì, uguali a quelli.
Corradini: Uhm, e quest’uomo le ha fatto del male?
Baldini: Beh, io pensavo di sì, che era un diavolo o qualcosa del genere. Ma lui, lui si è avvicinato, ha annusato l’aria e mentre lo faceva mi guardava fisso. E poi, poi, ecco se ne è andato.
Corradini: E dove se ne è andato quest’uomo di cui mi ha parlato?
Baldini: Io, ecco, l’ho visto che andava verso il museo e volevo fermarlo, te lo giuro! Ma avevo troppa paura, troppa paura… non riuscivo a muovermi tanto avevo paura. E poi, poi è entrato nel museo e io lì ho incominciato a sentire delle urla e quindi sono scappato, correndo il più lontano possibile da lì. Me la sono fatta addosso tanto ero spaventato. Ma poi, ecco, io ho sentito parlare di quello che è successo laggiù, laggiù al Clio. E vedi, io dovevo dire quello che sapevo. Sì, quello che avevo visto. Era giusto… era giusto.
Corradini: (sospira profondamente) Molto bene, la ringrazio per la sua deposizione e il contributo che essa apporterà alle indagini. Terremo conto della sua testimonianza, si ricordi di firmare prima di uscire.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3754563