Confessioni di una mente pericolosa

di shilyss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Giovani principi ***
Capitolo 3: *** Si apre la caccia ***
Capitolo 4: *** In fondo alla prigione ***
Capitolo 5: *** Amici di penna? ***
Capitolo 6: *** In mancanza d'aria ***
Capitolo 7: *** Primi passi ***
Capitolo 8: *** Nessuna coincidenza ***
Capitolo 9: *** Strane trappole ***
Capitolo 10: *** Doveri ***
Capitolo 11: *** Concessioni ***
Capitolo 12: *** Invenzioni e nascondigli ***
Capitolo 13: *** Giù le carte ***
Capitolo 14: *** Precipitando ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


PROLOGO
 
Il fortuito ritrovamento del carteggio di Loki Laufeyson è certamente da intendersi come una scoperta davvero eccezionale, di cui tutta Asgard beneficerà negli anni futuri. Come ragiona una mente acuta e lucida anche nella prigionia come quella del dio degli inganni? Quali processi mentali è in grado di sviluppare, come si creano le connessioni brillanti che tanti danni e altrettanti trionfi hanno portato alla nostra Asgard?

Purtroppo, come molto spesso avviene per le opere del passato, il carteggio ci è giunto incompleto. Il principe Loki, probabilmente, distrusse personalmente tutte le lettere che ricevette e non aveva intenzione di far arrivare fino a noi le sue memorie, sebbene alle volte nel testo sembra emergere una volontà differente. Quest’opera raccoglie solamente le rare risposte che il dio degli inganni concesse a Re Thor e a una ristrettissima cerchia di persone. Nonostante l’incompletezza della raccolta, emerge comunque in maniera vivida la complessità di una mente senz’altro geniale, ma pericolosa.

Prima di lasciare il Lettore alla documentazione rinvenuta, è doveroso avvertirlo e ricordare che Loki Laufeyson è sempre stato abile nel manipolare a suo piacimento la realtà. Nel suo carteggio spesso mente, a volte è sincero, altre ancora si contraddice. Prendete dunque con le dovute precauzioni ognuna delle parole che ci ha consegnato.

 
Lettera 1
 
Tutti sostenete che io non faccia altro che mentire. Mi chiamate il dio degli inganni, il fabbricante di bugie, lingua d’argento. Mi accusate di distorcere gli eventi, piegare al mio volere i discorsi, ordire continuamente trappole per farvi cadere, povere vittime innocenti, nelle mie trame perverse. Vi sbagliate. Anzi mentite, voi stessi per primi. E ve lo posso dimostrare. Molti mi chiedono, mascherando la curiosità dietro la comprensione, com’è che sia diventato così come sono. Perché scelgo sempre il lato oscuro, mi crogiolo nella beffa, rido delle altrui disgrazie. Credono che ci sia qualcosa, nel mio passato, di oscuro e irrisolto. Qualche torto fatto nell’infanzia, un trauma sepolto nella memoria. Sono convinti, poveri sciocchi, che se io mi concentrassi sui miei ricordi, se mi sforzassi di raccontarli in modo onesto, distaccandomi dagli eventi vissuti, come se fosse possibile davvero fare ciò, se io, dicevo, mi impegnassi nel rievocare quelli che sono stati i tratti salienti della mia vita, potrei rappacificarmi anche con il presente.

Ad essere sincero – perché è proprio questo che volete da me, dico bene? – credo che tutto ciò sia una patetica idiozia. Ma voglio dimostrarvelo, voglio che siate certi innanzi tutto voi, che me lo state proponendo, di quanto sia fallace questo vostro piano idiota. Il fatto è, amici cari, e spero che coglierete l’ironia delle mie parole, che io non sempre mento, ma le verità che vi propongo non vi piacciono: quando le udite, torcete il collo via da me, perché graffiano le vostre anime come artigli di bestie feroci, mostrandovi tutte le meschinità di cui siete capaci, le contraddizioni in cui vi impelagate, i desideri beceri che vi fanno agire. E quando ciò accade, vi allontanate in fretta e mi chiamate bugiardo. A me, beninteso, sta bene. Mi diverte, e sono sincero mentre lo dico, vedere i vostri volti deformarsi dalla rabbia, la scintilla della consapevolezza accendersi per un momento nei vostri occhi – perché voi sapete quando dico la verità, in cuor vostro voi lo sapete, sempre.

Il fatto è, lettori affezionati, che non volete vedere veramente né voi stessi, né il mondo che vi circonda. La verità è spesso scomoda e brutta, se non c’è niente che l’addolcisca, che ce la renda più piacevole, più accettabile. Mentiamo affinché le nostre speranze non vengano tradite, i nostri cuori non debbano soffrire: è una necessità, sostengo io, che lo faccio sempre con lucidità e cognizione di causa. Allora, vi chiederete voi, come mai hai deciso di accettare questa farsa, di metterti a raccontare la tua vita? Beh, mi pare evidente: a me piacciono queste messe in scena, e sapete bene quanto mi diverta anche parlare e vantarmi di me stesso; non a caso mi chiamano lingua d’argento. Ebbene sì, la superbia è un mio difetto. Vedete? Sono stato sincero. C’è chiaramente anche un’altra ragione. L’ho detto anche poco fa. Voglio dimostrare a Thor, il dio del tuono che si ostina a chiamarmi “fratello” quando conosce benissimo le mie origini, che il suo tentativo di recupero nei miei confronti è uno sciocco e stupido desiderio da bambini.

Si è convinto, lui per primo e per ragioni a me ignote, dicevo, che io non sia stato sempre così. Ecco, questo è un esempio lampante di come stia raccontandosi una valanga di menzogne per proteggersi da verità scomode, mettendo su questo teatrino patetico e divertente al tempo stesso. Perché vedete, sarebbe consolante sapere che se io sono il dio del caos e degli inganni è per qualche torto fattomi in passato, che ha annerito la mia natura altrimenti gentile; che in fondo la mia anima è solo sporca d’inchiostro, e basterebbe pulirla perché ritorni allo splendore e possa avvicinarmi alla grandezza degli altri Asi, come Balder, come Thor stesso. Ma la verità, vi dicevo, non è questa: è cruda, senza orpelli, senza tenerezze, piena di meschinità: ed è che io sono esattamente come dovrei essere; che la mia natura è precisamente questa, il mio fine, chiaro e lampante, è di scatenare il Ragnarok e uscir fuori da questa prigione comunque, nonostante tutto. A proposito, ormai l’avrete capito. Se sono costretto ad assecondare i desideri infantili del dio del tuono, è per i ceppi pesanti che ho stretti intorno alle caviglie, per le mura possenti della mia prigione. Non vi avevo mentito sulla mia condizione, l’avevo solo omesso.
Per concludere, vi dimostrerò che Thor sbaglia. Vi racconterò tutto, così come lo ricordo, con la massima sincerità. E se mentirò, sappiate che lo farò non più di voi, che vi ammantate di ipocrisia e vi battete il petto.
 
Lettera 2
 
Gli altri prigionieri non guardano mai verso la mia cella. Solo appena giungono qui sotto, nei sotterranei, cercano con ansia morbosa il mio sguardo; poi, una volta che l’hanno incrociato, volgono rapidi il capo dall’altra parte, né mai più osano rialzarlo. Io lo so, perché. Temono i miei occhi. Dicono che trapassino le anime, carpiscano i segreti degli uomini, confondano le menti. Credo che il primo che abbia avuto paura delle mie occhiate sia stato il grosso Val. Di lui ricordo la forza bruta con cui abbatteva la sua mazza sul mio stomaco, gli occhi porcini e il sapore di terra in bocca. E quello, fratello mio, so che lo ricordi anche tu, sebbene l’abbia assaggiato assai meno spesso di me. Il sangue, mescolato al fango, è qualcosa che ti resta attaccato al palato, nelle narici, sotto la pelle. Ogni volta che penso a quei tempi, vedo me stesso esattamente com’ero per la maggior parte del tempo. Dolorante, con le ossa mezzo fracassate, steso in una pozza di fango, sconfitto da un gigante idiota il cui unico pregio era il braccio poderoso con cui mi atterrava. Intorno a me, a fare da contraltare alle mie sconfitte, le tue fragorose risate di scherno. Non mi sto lamentando né dico che le tue parole mi facevano soffrire. Infuriare semmai, questo sì, come era inconcepibile per me che a gettarmi nel fango fosse quel bestione di Val. Io, un principe di Asgard, il cui destino avrebbe dovuto brillare come la più bella stella del firmamento, atterrato da una creatura con l’intelligenza di un pecorone. Inammissibile.

Val, dunque, temeva i miei occhi e, per evitare che lo guardassi troppo a lungo, si sbrigava a colpirmi in fretta. E io tentavo di sfuggirgli, armeggiando con la spada che era stata tua. Mi avrebbe preso, alla fine, e atterrato nella polvere, come faceva ogni volta, e io avrei sentito la puzza del suo fiato corto e affannato sopra di me e sarei stato troppo esausto per levare la mia spada contro di lui. Fu Vili a porre fine a quel ciclo orribile di sconfitte. Ero ancora steso nell’arena, quando si avvicinò. Tirò giù due o tre maledizioni, mi ordinò di tirarmi in piedi. Poi mi squadrò con occhio disgustato. “Perché ti ostini a voler usare una spada troppo pesante? Con le armi giuste, oggi avresti potuto vincere.”

Gli dissi che quella era la stessa spada che usavi tu. E Vili scosse la testa, e rispose quello che per lui – e per tutti – era un’evidenza, che solo io continuavo ad ignorare. “Tu non sei come Thor. Lui ha una forza eccezionale, ed una corporatura possente. Diventerà un grande guerriero, come lo fu vostro padre.”
“Anche io sono figlio di mio padre,” risposi, “e se mio fratello usa questa spada anche io devo usarla.” Vili parve soppesarmi, poi ricordo che mi parlò con lentezza. “Odino è molte cose, Loki. Non solo un guerriero. Usa la magia, è astuto e intelligente e, soprattutto, sa riconoscere i propri punti di forza e sfruttarli. Questo devi fare. Tu sei rapido, Loki, e resistente. La velocità e la resistenza saranno tue alleate.” Fu così che mi spiegò che si può ferire e far male anche se si stringe tra le mani un singolo pugnale; che se conficcato nel punto giusto, un tagliacarte può fare più danno di una mazza chiodata. Fu per rendermi degno agli occhi del Padre di Tutto, che iniziai ad essere ciò che oggi sono.

I nostri percorsi sarebbero stati diversi, noi eravamo diversi. Guardandomi allo specchio non c’era traccia di te, in me, né viceversa. E non era solamente perché tu ti ubriacavi trionfante a qualche banchetto mentre io contavo le mie ferite; i nostri caratteri erano opposti, le nostre preferenze pure. Mentre osservavo il mio occhio nero, il labbro spaccato, il braccio appeso al collo, registravo con occhio critico la mia magrezza, presi consapevolezza che l’unico modo per essere il principe degli Aesir che bramavo essere, era staccarmi dalla tua pesante eredità. Gli occhi di tutti si posavano estasiati sul primo figlio di Odino, dotato di una forza smisurata, seconda solo alla sua resistenza alle bevute, e nessuno badava, se non con una smorfia un filo disgustata, il secondo figlio. Troppo esile – ero forse malato? – troppo debole, troppo affascinato dalla magia – dovevo fare il guerriero, non la maga -, decisamente inquietante a causa della mia abilità innata di mutare la forma, di raggirare il mio prossimo con i miei discorsi.

Affrontai di nuovo Val. Ricordo che entrai nell’arena con arrogante sicurezza e un sorriso sornione sulle labbra. Ma dentro di me, non ti nascondo che tremavo. Il Padre di Tutto era venuto ad osservare i progressi dei suoi figli e fissava, con le mani incrociate dietro la schiena e l’occhio annoiato, i nostri allenamenti. Strinsi tra le dita l’elsa leggera della mia nuova spada, sottile e affilata, e mi posizionai al centro dell’arena. Fu il mio trionfo. Val mi si gettò contro con l’identica foga, e io evitai ogni colpo. L’importante, come al solito, era che non mi prendesse; se mi avesse colpito, mi avrebbe malmenato come suo solito sino a farmi svenire. Dagli spalti, tu e gli altri allievi mi incitavate, invece, a confrontarmi direttamente col bestione. Così fanno gli Aesir. Si scontrano col nemico con incosciente intraprendenza, senza riflettere sulle reali capacità di sopravvivenza. Fa parte del retaggio del tuo popolo, figlio di Odino, gettarsi nella mischia di una battaglia senza piani né strategia, confidando nella forza bruta soltanto. E io, che pure ero stato allevato, come te, a quei principii sconsiderati, quel giorno davanti a Val li ricusai. Dovevo vincere, e basta. Dimostrare a Odino, che a stento tratteneva un sorriso soddisfatto quando ti guardava combattere, che anche io ero il figlio degno. E non m’importò nemmeno allora di quali mezzi avrei dovuto avvalermi, per portare a casa la vittoria. Qualunque fosse stato il prezzo per sconfiggere Val, l’avrei pagato.

Per Val ero troppo veloce. Presto il bestione si stancò, si adirò. I suoi colpi erano sempre più imprecisi, la guardia che teneva con salda destrezza si abbassò più volte. Tentava di acciuffarmi, gridava maledizioni e insulti alla mia persona. Non m’importò, finché non capii che il momento aspettato con tanta ansia era arrivato. Lasciò il fianco scoperto, e io, con rapidità felina, mi gettai su di lui, ferendolo. Urla di sorpresa si levarono dagli spettatori, assieme a battute poco lusinghiere nei confronti di Val, e oscene rivolte a me. Alzai il capo trionfante, cercando l’approvazione nell’occhio intransigente di Odino, nel suo volto. Ma tuo padre non mi guardò, e quando lo fece, non vidi sul suo viso la soddisfazione che nutriva per te. Mi fissò, invece, con l’occhio assorto, come se stesse decidendo che valutazione dare al mio comportamento. Non era soddisfatto nemmeno quella volta. Avevo sconfitto Val, ma non era abbastanza. E come poteva esserlo, mi dissi, se tu lo avevi già abbattuto infinite volte?

Ora mi rendo conto che ottenere l’approvazione di Odino, così come la desideravo allora, era impossibile. Tentare di inseguire te, anche. Reputarti la ragione per cui il Padre di Tutto non mi notava abbastanza, sciocco e vero solo a metà. Ma è così che la pensavo, allora. Oggi guardo a quei tentativi disperati di attenzione con pietà e disgusto, forse i medesimi che albergavano anche nel cuore di Odino, quando mi vedeva. Decisi che avrei trasformato quelle occhiate meditabonde e assorte in sorrisi carichi di soddisfazione. Non ci sono mai riuscito.

Non è semplice essere un principe degli Aesir. A terra, nell’arena, finii ancora molte volte. Ma mi vendicai di ogni colpo che mi era stato inferto. Dicevate che usavo la magia, per evitare i gli attacchi. Bugie. Ero più veloce di voi, più intelligente, e se non avevo la vostra forza bruta, vi avrei vinto con la velocità e la destrezza, con l’astuzia e la perspicacia. E così, fu assaggiando il sapore del sangue e del fango mescolati assieme, che imparai cosa volesse dire davvero, essere un’Ase. Fu lo stordimento che seguiva il colpo tremendo che mi aveva atterrato, e il dolore, a insegnarmi che prezzo avesse la nostra supremazia. Furono le labbra spaccate, le ossa contuse, i lividi evidenti e neri che spiccavano sulla mia pelle, a insegnarmi la fierezza e l’arroganza proprie della gente che mi ha cresciuto. E quando mi rialzavo, ogni volta, ero più fiero di appartenere alla stirpe degli intrepidi e spietati Aesir. Del resto, Asgard stessa è stata fondata su una terra selvaggia e terribile, stupenda e fredda, inospitale e rude, eppure tanto bella da mozzare il fiato.

Io l’ho amata, Asgard fatta di alte torri. Ogni volta che tornavamo da un’impresa, osservavo dai vetri della nostra nave i profili affilati delle montagne che svettavano ricoperte di nevi perenni e nascono dal mare, creando fiordi di impareggiabile bellezza. E così ammiravo il verde, intenso, vivace, che ricopre le dolci colline, contrastando col blu profondo dell’acqua sempre ghiacciata. Sarei stato un re degno, per Asgard. Un sovrano intelligente e oculato, attento e determinato a far prosperare il mio popolo. Sarei stato saggio, e giusto. Ma la possibilità di divenirne il sovrano, insinuata così tante volte nelle nostre teste di bambini fino a diventare quasi un’ossessione per entrambi, per me, in realtà, non c’è mai stata. La gara era truccata, fratello. L’erede designato sei sempre stato tu.

E mentre tu ti perdevi tra risse e gozzoviglie, io passavo notti insonni a progettare astronavi più veloci; tu e i tuoi patetici amici andavate a caccia di cervi e cinghiali, mentre io controllavo il progetto di qualche diga. Voi facevate a gara di sputi o di tiro con l’arco, che so, mentre io mi annoiavo a morte ascoltando le sedute del Consiglio di qualche popolo codardo e infido, tentando di convincere creature che dovevano solamente baciare il terreno dove passavamo per la considerazione offerta, che le nostre proposte commerciali o di difesa, erano ottime, vantaggiose. E ci riuscivo, sempre. Allora mi avete chiamato Lingua d’Argento, ma c’era un misto di ironia e paura nei vostri occhi, come se la mia abilità retorica fosse frutto del seidr che non potevate né capire né controllare. Quando tornavo, Odino pareva soddisfatto. Non era entusiasta come quando tu entravi nella sala del trono con un cervo od un cinghiale in spalla, chiaramente. Scrutava critico i progetti di cui mi occupavo, scorreva con le sopracciglia accigliate i trattati stipulati, battendo ritmicamente le dita sul suo scranno.

Gli accordi erano sempre vantaggiosissimi, più per noi che per loro. Avrebbero portato ricchezza e prosperità alle nostre terre, senza danneggiare gli altri. Eppure, il Padre di Tutto trovava sempre qualcosa da ridire. “Fin troppo buono per noi,” diceva alle volte, spiazzandomi. Perché dunque mi aveva mandato a trattare, se non era l’eccellenza quello che voleva? E se non desiderava benefici così grandi, allora perché trattare? E allora mi allontanavo adirato verso sentieri noti a me soltanto, confondendomi tra la gente, sparendo e vagando per i Nove Mondi, lontano dagli occhi severi e spietati del Guardiano del Bifrost, in cerca di un modo, uno soltanto, per suscitare la soddisfazione di Odino.

 
Lettera 3
 
Nessuno regge il mio sguardo. Tranne lei. Ha gli occhi del colore delle nuvole d’inverno, i capelli d’oro, e quando passa tra le celle dispensa sorrisi gentili ad assassini e mostri come non ce ne sono in tutti i Nove Regni. Sorride persino a me. Mi fa la riverenza, mi chiede come sto. Io la guardo, ma non le rispondo. Lei aspetta qualche istante davanti al vetro della mia cella, come in attesa, poi si gira e se ne va.

Ogni tanto, mentre porta conforto a creature che tutto meritano meno che la sua pietà, la osservo. Si muove con grazia estrema, e talvolta, credendo che nessuno vi faccia caso, getta qualche occhiata nella mia direzione. L’ha fatto anche oggi, e sarebbe stato esattamente uguale agli altri giorni che passo rinchiuso qui, se non avessi colto nel suo sguardo un’apprensione nuova.

Si ferma davanti alla mia cella, come tutte le volte, per l’ultima tappa del suo giro pietoso. Fa il consueto, elegante inchino, mi rivolge quel sorriso carico di cordiale dolcezza. “Come state, altezza?” domanda, come sempre.

E io, come sempre, la guardo e non rispondo. Lei batte le ciglia scure, attende. Ma stavolta qualcosa la agita. Si sfiora un ciuffo che le cade sulla fronte, liscia le inesistenti pieghe della gonna. Si sta trattenendo più del solito. Infine espira e parla ancora.

“Vi guardavo da lontano. Vi ho guardato per così tanto tempo, principe.” Io non la ricordo. E se anche il suo volto mi fosse familiare, avrebbe senso, dirlo adesso? Abbassa lo sguardo, finalmente, lunghe ciglia nere che coprono i suoi occhi chiari, e la sua voce freme. “Avrei voluto avere il coraggio di dirvelo prima.”

Sorrido, ghigno, chissà. E le racconto come sarebbe stato, se mi avesse parlato. Come l’avrei guardata, fuori di qua. E lei resta ad ascoltarmi, con occhi gonfi di lacrime, tormentandosi la collana che porta al collo, mentre le si bagnano le guance e immagina che possa stringerla al mio petto, sfiorare le sue labbra. E non importa che le dica che sarebbe durato solo una notte; che non avrebbe scalfito alcuna corazza, redento nessuna anima. Alla fine, le dico, saremmo finiti ugualmente a questo punto. Solo che io ti avrei spezzato il cuore, aggiungo.

Allora scappa Sigyn, scappa lontano, e posso sentire, dalla mia cella, il suo pianto.
Non so se tornerà.

 
Lettera 4
 
Oggi, nelle prigioni, c’è stato un grande tumulto. Le guardie del Padre di Tutto, sempre così impassibili e severe, erano agitate, maggiori nel numero. Ogni tanto, qualcuna si affacciava di fronte alla mia cella, lanciandomi occhiate di sottecchi, come se volesse davvero accertarsi che il terribile dio degli inganni fosse ancora imprigionato. Allora mi sono alzato dalla poltrona, che dovrebbe rendere più comoda la mia condanna, e ho chiesto quanto gravi fossero le ferite che ti erano state inferte.

Il secondino è impallidito, ma che dico: è quasi svenuto dal terrore, ed è scappato, gridando ai suoi compagni che il principe perduto degli Aesir, nonostante sia rinchiuso e guardato a vista nei sotterranei di Asgard, è riuscito persino a tramare contro il suo nobile fratello. Ora so che succederà. Verranno a prendermi, mi metteranno i ceppi, mi condurranno da Odino: lui mi interrogherà, per capire come sapessi cosa ti fosse successo; io nicchierò, risponderò con vaghezza, scherno. Lui si adirerà, mi maledirà, ancora e di nuovo. Ma senza prove non potrà condannarmi, e i suoi corvi fedeli gli sussurreranno all’orecchio che io nulla c’entro con la tua disavventura. Allora, ancora più infuriato per la mia ennesima beffa, mi farà condurre di nuovo nelle fredde e tristi prigioni.
Forse, mentre scenderò assieme alle guardie le centinaia di scalini che portano nei sotterranei, uno dei soldati abbasserà la guardia, rilassato dal falso allarme.

Forse penserà alla fidanzata lontana, o alla voglia che avrebbe di una bella pinta di birra; forse me ne accorgerò, e ne approfitterò per fuggire, e stasera, quando ti consegneranno questo scritto, sarò già lontano, perso nell’Universo. Non esiterò un istante, di fronte a una via di fuga. Non mi fermeranno le guardie di Odino, le lacrime di nostra madre, la spada di Sif. E nemmeno tu. Perché il fine giustifica sempre i mezzi, fratello, e tu lo dovresti ricordare. Ma prima di perderci di nuovo nei nostri ricordi felici, soddisferò la curiosità che certamente ora si annida nei tuoi occhi.

Come avrò mai fatto a indovinare cosa ti è successo senza esserne coinvolto? Facile, facilissimo anzi. Se fosse capitato qualcosa a Odino o a Frigga, saresti sceso personalmente nei sotterranei. Non avresti lasciato che una guardia mi avvisasse. O forse sì, chissà. Ma Padre Tutto non ha la tua medesima pietà, né sente di dovermi dare informazione alcuna su voi tutti. Ecco, dunque, come so che lui e la regina stanno bene. Che sia tu, tra i nostri fratelli, colui che ha avuto la sventura di incontrare il ferro nemico, anch’essa è una deduzione scontata: che bisogno hanno, Balder o Hoder, di combattere, se c’è già il prode e coraggioso dio del tuono a difendere i preziosi confini di Asgard? Perché lasciare la casa sicura, quando ci sei tu che rischi la pellaccia in giro per i Mondi? È così che cadi persino tu, nonostante il prodigioso martello, la forza notevole, se non c’è qualcuno di previdente a guardarti le spalle.

Dimmi, fratello, mentre ancora le tue ferite non sono rimarginate, dov’era la coraggiosa Sif, quando il ferro nemico si levava contro di te? Perché non ha incrociato la sua spada, sempre così letale, per difenderti? Dov’era, invece, il corpulento Volstagg, che ai banchetti si vanta, ubriaco, di essere il tuo più fedele braccio destro, mentre si versa la birra sulla barba fulva e aggrovigliata? Dov’era Fandral, con le sue battute insipide come la sua spada fiacca, come confermano con disgusto tutte le prostitute di Asgard? Dove, i tuoi nuovi amici, buffoni mascherati buoni soltanto a pensare grettamente a se stessi? Dimmi, Thor, dov’erano mentre il ferro nemico ti lacerava la cotta di maglia, penetrava nella tua carne, tagliava i tuoi muscoli? Dov’erano i tuoi fratelli di sangue, così nobili e valorosi, che siedono ai banchetti accanto a Odino, che chiamano le loro armi mai macchiate di sangue nemico con nomi inutili e altisonanti? Quante volte saresti morto, figlio di Odino, se non ci fossi stato io a gridare, parare, pensare?

Avrei potuto lasciare che accadesse. Sarebbe bastato che esitassi, di poco, nell’avvertirti. Che recitassi i miei incantesimi con meno rapidità, e saresti caduto a terra, morto. Un freddo corpo irrigidito che avrei visto allontanarsi disteso su una pira. Allora, forse, il trono sarebbe stato mio. Quante volte ci ho pensato. Adesso sgranerai gli occhi, forse avrai già smesso di leggere queste righe. O forse no, ma ti starai domandando, con orrore, com’è possibile che il fratello con cui sei cresciuto e hai condiviso ogni cosa, sia capace lucidamente di pensare una cosa così orribile. Che creatura malvagia devo essere, per crogiolarmi all’idea della tua morte?

Ed ecco, a questo punto, che faccio quello che mi accusate sempre di non fare. Ti dirò la verità, Thor. E non ti piacerà. Credi forse che i nostri giovani fratelli non abbiano mai riflettuto, con un misto di sgomento e di eccitazione insieme, che se tu fossi morto in battaglia, con me rinnegato e rinchiuso, il trono di Odino sarebbe finito senza sforzo in mano loro? Non dico che nei loro animi si annidi il seme di chissà che malignità; è un pensiero normale, che si affaccia alla mente, egoista e pungente. È una voce che si insinua nella tua testa: un ragionamento secco. E tu lo soffochi, con la ragione e l’affetto, perché mai vorresti che la tua gloria si edificasse sulle ossa sbiancate di tuo fratello, ma sei pure un principe degli Aesir e sai che, se accadesse, dovresti essere pronto a subirne l’onere e l’onore. Non è una calunnia, questa.

È accettare la nostra natura che, per quanto ammantata di dorata superiorità, non fa di noi che grette, meschine e vili creature, non dissimili, in fondo, dai midgardiani che tanto ami. Nemmeno tu sei esente da questa logica crudele, fratello mio. E, se avrai pazienza di leggere ancora queste mie righe, te lo spiegherò. Tu ora fremi di rabbia, per le mie parole. Ma guarda nel tuo cuore, guardaci attentamente: la mia presenza, in questa cella, non ti disturba? Non sarebbe stato meglio, per l’equilibrio tuo, della tua famiglia e dei Nove Regni tutti, se la mia caduta dal Bifrost fosse stata letale?

Avevo espiato le mie colpe. Il guiderdone era stato giusto, avevo offerto la mia vita, e ora voi potevate essere liberi di piangermi e perdonarmi. Ma sono tornato, e il mio capo non era cosparso di cenere, la mia indole nient’affatto mutata. Cosa fare, dunque? Assolvermi e cancellare il male antico e quello nuovo? O condannarmi per il bene dei regni, e dimenticare l’amore e l’amicizia nutriti verso di me? Il Padre di Tutto è un grande sovrano, e ha scelto con piglio severo e grande razionalità. Ma l’erede designato, il figlio prediletto, cosa avrebbe fatto, se fosse stato seduto su quel trono? Sarebbe stato altrettanto lungimirante e riflessivo, o avrebbe lasciato che il cuore prevaricasse? Mi avrebbe liberato, infine, oppure avrebbe dimostrato di tenere saldo il suo potere? Guardati allo specchio, figlio di Odino, e rispondi sinceramente a questa domanda.

Di fronte alla mia, di natura, io mi trovo fin troppo spesso. La prima volta che mi sono scontrato con le ombre cupe che tanto evocate quando parlate di me, fu a causa tua, e tua soltanto. Ti guardai le spalle, come ero solito fare, e vidi un pericolo mortale per te. E ti salvai, come mille altre volte.
 

 
Lettera 5
 
Perché lasci che sia lei, a portarmi le tue missive piene di farneticazioni? Perché insisti nel volerle dare un compito che turba il suo cuore, fa tremare la sua mano? Mi consegna i tuoi fogli pieni di domande sciocche e accuse vecchie e nuove, e aleggiano, tra di noi, le sue parole. Non fugge il mio sguardo, lo sostiene, ma leggo nei suoi grandi occhi chiari che avrebbe preferito non dichiararsi mai. Tu, mio crudele fratello, le ricordi ogni giorno l’errore che ha commesso. Anche se non lo sa, lei mi porta notizie dal mondo di fuori, che non posso più vedere. Quando piove, tiene i capelli raccolti in due rigide trecce fissate sulla nuca; se c’è il sole e il tempo è bello, la treccia è sciolta sulla schiena, tra la sua chioma dorata scorgo piccoli fiori. Se ad Asgard si attendono ospiti importanti, non indossa il vecchio scialle scuro con cui scende sempre qui sotto, ma un mantello di velluto, e fa sfoggio di qualche delicato gioiello.

È stato mentre mi consegnava la tua ennesima, sconclusionata lettera, che ho notato l’anello. Un cerchietto d’oro, sottilissimo, che le fascia il dito esile. Ha abbassato gli occhi, seguendo il mio sguardo, e li ha rialzati con me. Sarà senz’altro un matrimonio felice, il suo. Suo padre ha scelto per lei un buon uomo. Fedele, giusto, coraggioso. Certo, forse un giorno lo guiderai in battaglia, assieme a moltissimi altri, e creperà, cadendo in mezzo al sangue e al fango, ma questo è il destino degli Aesir, e sarebbe una buona morte.

Ma lei aggrotta le sopracciglia, soffoca a stento un singhiozzo. Non è questo che avrebbe voluto, ma disobbedire non è nella sua natura. Ma trasgredire a cosa? Che alternative ha, questa dolce ragazza?

“Sarà un’unione felice,” le dico. E lei arcua appena le labbra sottili in un mesto sorriso e risponde con parole che mi aspettavo dicesse. “Voi mentite.”
“E tu non puoi prevedere ciò che hanno filato per te le Norne,” ribatto.

“Non ne ho bisogno,” risponde lei. “Io conosco l’uomo che sposerò. Non è coraggioso né gentile, ma ama la sua terra e i suoi abitanti. È fiero di indossare l’armatura dei guerrieri Aesir, e quando la sera mi incontra, non manca mai di portarmi in dono un fiore. Ma io non attendo il tramonto con ansia. Non aspetto alla finestra che la sua sagoma si stagli all’orizzonte. Non mi batte il cuore quando giunge alla mia porta, non arrossisco quando mi guarda.”
 Potrei chiederle quand’è che, invece, sente il cuore batterle nel petto, ma forse conosco la risposta. E allora le dico, con tono leggero, che forse legge troppi poemi pieni di dame sognanti e cavalieri intrepidi. E lei non risponde, anche se è tentata di farlo, perché non può scoprirsi ancora, e se ne va, salutandomi con una riverenza aggraziata.
 
Lettera 6
 
Ho riso fratello, ho riso a lungo leggendo la tua ultima lettera. Dimmi, ti prego, che è stata la tua donna mortale a insegnarti le frasi che hai scritto. Se così non fosse, e le parole sdolcinate fossero le tue, sarei tentato di leggerle ad alta voce, qui, nei sotterranei, affinché i miei compagni di cella possano divertirsi assieme a me sentendo come il possente dio del tuono scriva come una ragazzina innamorata. E farei vergognare i secondini, costretti assieme a noi a vivere nell’oscurità, constatando come si è spenta dentro di te la fiamma feroce che ha reso la stirpe degli Aesir quella che è. Che ti inventi, figlio di Odino? Di quale dolce lirismo parli? Ti incanta a tal punto, il mio modo di scrivere, che confondi l’abilità retorica con l’ispirazione amorosa? Credi dunque, sul serio, che io ricambi i sentimenti di quella ragazza? Davvero, Thor?

È ovvio che guardi con interesse la sua figura. È graziosa, e io sono rinchiuso dentro una cella sotterranea. Le uniche cose che vedo, oltre lei, sono le brutte facce di criminali catturati in giro per i Nove Mondi o quelle, molto poco effeminate, dei soldati che ci controllano. Non mi pare strano, dunque, che la fissi con insistenza, o che trovi la sua presenza piacevole. Mi ricorda quanto sono belle le donne.

Se fossi libero, probabilmente, dato l’ascendente che ho su di lei, l’avrei corteggiata e sedotta. Sarebbe stata una facile preda, come lo sono state tante altre, per me come per te. Ma questo non significa che la ami, mio povero, ridicolo, ingenuo fratello. Significa solo che non sono indifferente ad una ragazza carina che scende nelle carceri dove sono rinchiuso e mi fa gli occhi dolci.
 
Lettera 7
 
Se non fossi rinchiuso in questa putrida cella, che pure se è arredata riccamente sempre fetida e buia rimane, è evidente che non sprecherei il mio tempo e la mia vista a scriverti. E nemmeno a parlarti. Ma devo vincere la noia, ingannare il tempo che scorre con inesorabile lentezza e, come se non bastasse, debbo anche limitare la portata delle mie richieste in fatto di libri. Per questo sono costretto a dilungarmi con l’unico interlocutore che mi è stato concesso in ciarle inutili. L’episodio che ti è stato riferito, innanzitutto, è stato distorto. La mia fama, qui sotto, è quasi immeritata, fratello. Ogni lampada che si spegne, ogni cosa che si perde, ogni alito di aria che ogni tanto giunge persino qua sotto, pare essere causato da me. Ma se io fossi il responsabile di ogni cosa, vorrebbe dire che il mio potere si estende oltre la mia cella. E se il seidr mi permettesse di influenzare l’esterno, credi davvero che rimarrei chiuso nei pochi metri che mi avete concesso?

Ma torniamo a noi. Il fatto è che lei è ingenua, tremendamente ingenua. A volte, mi sembra dimentichi un po’ troppo facilmente dov’è e cosa sta facendo: si è avvicinata ad un orco che lamentava inesistenti malesseri, e quello l’ha afferrata e l’ha quasi trascinata dentro la sua cella. Evidentemente, era difettosa. Io, chiaramente, non l’ho salvata. Sono state le guardie, a farlo. E nemmeno è vero che sono riuscito ad utilizzare la mia magia sull’orco. Se potessi lanciare incantesimi oltre il vetro della mia prigione, chiaramente li indirizzerei verso le guardie io per primo, e me la darei a gambe. Ti concedo che, forse, mi prenderei un ostaggio, tanto per vivacizzare un po’ il tutto. Ma se ancora non ho realizzato questo piano è perché non posso farlo, mi pare ovvio.

Quello che c’è stato e che ha tanto terrorizzato tutti i prigionieri e fatto letteralmente pisciare sotto dal terrore le guardie, è stata una semplice illusione creata all’interno della mia cella. Un trucco di una banalità disarmante, lo stesso in cui sei caduto tu più volte, non ultima su Midgard. Ho finto di aver aperto la cella e di avere, dietro di me, qualche creatura terrificante. Ho minacciato l’orco di una brutta e colorita morte – cosa che avrei fatto a prescindere da lei, dato che la sua cella mi è proprio davanti e mi disgusta immensamente vedere come mangia – e ho chiamato le guardie. Ti pare che dovevo lasciare che l’unica gonnella che gira qua sotto rimanesse traumatizzata da una bestiaccia del genere?

L’ultimo, ma non meno importante dettaglio, riguarda ciò che le avrei detto. Devi partire dal presupposto, già più volte espletato, che qui nei sotterranei non è che ci si diverta in modo particolare. Solo io ho il privilegio di poterti scrivere e di ricevere libri. Gli altri passano le loro vite fissandomi, fissandosi, fissando le guardie, fissando lei. Ah, ogni tanto mangiano – in maniera disgustosa – e dormono – rumorosamente – ma, per la stragrande maggioranza del tempo, si limitano a fissarci inebetiti. Poi, chiaramente, se potessero uscire e tagliare la gola a tutti gli Aesir possibili, sarebbero strafelici e, probabilmente, dietro ai loro sguardi ebeti si nasconderà pure qualche mente acuta che sta elaborando chissà che piano, ma tant’è. Nella noia generale che regna sovrana, dunque, capita che i prigionieri travisino ciò che vedono. Poiché è davvero misero, lo spettacolo che viene offerto loro, lavorano, com’è logico, di fantasia. Inventano di sana pianta discorsi e male interpretano toni e gesti, riempiendo così quei vuoti che credono debbano essere colmati. La loro fiaba preferita, al momento, siamo io e lei.

Ad ogni modo, non le ho detto di stare attenta con voce preoccupata. Era, semmai, scocciata, perché l’orco fingeva, bene ma fingeva. E prima che potesse tirarla dentro, l’ho distratto, perché era proprio di fronte alla mia cella, nel modo che già ti ho spiegato. E qui chiudo, prima che ti inventi ancora che riempio le mie lettere di frasi su di lei. Sei tu che chiedi con morbosa insistenza, e io ti rispondo solo per cortesia.  Anzi, obbligo.
 
Continua...

Caro Lettore che sei arrivato fino a qui,
Grazie per il tuo tempo. Ti sarei infinitamente grata se mi lasciassi un pensiero di qualsiasi tipo su queste mie paginette. Non pensare di dovermi scrivere necessariamente venti righe di testo super profondo e descrittivo o che non mi accontenterei di una semplice frase. Ti giuro che sono molto alla mano. Qualcosa tipo “Guarda ti leggo, aspetto il prossimo capitolo, la storia mi è piaciuta/non mi è piaciuta” o “ho letto la tua storia, mi ha tenuto compagnia mentre aspettavo il treno,” o un più stringato “storia carina/non carina, questo Loki mi è simpatico/antipatico,” vanno già no bene, benissimo. Non pensare neanche vabbé, ma perché aggiungere un mio pensiero che conta 0, che se ne fa? Me ne faccio, me ne faccio, e non conta 0 neanche per niente. Altra cosa che non devi pensare? Se le scrivo la disturbo nella sua Torre dello Scrittore Inavvicinabile e Altera. Se avessi voluto fare l’eremita non avrei postato! J
Insomma, Silente Lettore, ogni volta che non recensisci una storia, la Fatina dell’Ispirazione perde un po’ della sua magia e un capitolo o una fanfiction ne risentono e non verranno mai create o saranno interrotte. A tal proposito, dedico “Confessioni” a E., a S e A. che mi hanno spinto a dare un senso a questo file parcheggiato nel mio pc all’incirca dal 2015.

S.

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Capitolo 2
*** Giovani principi ***


Cap. 2 Giovani principi
 

Lettera 8
 
Sigyn. Sigyn è il suo nome. L’ho scritto. Anche l’ultimo baluardo è caduto, e ora dovrai inventarti qualcos’altro a sostegno della tua ridicola tesi. Sigyn, che da due giorni non scende qui sotto. E tutti gli sguardi si posano su di me, come se io fossi la causa, o conoscessi la ragione, della sua assenza. Ma io non so perché lei non è qui. Giorni fa è scesa col consueto scialle e i capelli raccolti, come sempre. Nei suoi occhi grigi, però, c’era una traccia, ombre scure le velavano lo sguardo. Quando ha terminato il suo giro consueto mi ha portato i tuoi saluti, mi ha chiesto come stavo. Senza attendere una risposta da parte mia, ha posato la mano inanellata sul collo lungo ed elegante, si è sfiorata la pelle bianca e morbida e mi ha ringraziato.
Solo che io, a quel punto, sarei dovuto rimanere in silenzio, e invece non l’ho fatto. Per cosa, le ho detto. Ringrazia le guardie, loro ti hanno tirato fuori di là*.

“Ma voi l’avete distratto, avete preso tempo, e sempre voi le avete chiamate,” ha insistito. Le si era arrossato il collo dall’agitazione, la mano piccola e delicata tremava appena. E, scorgendo quel turbamento che ben conoscevo, non ho potuto fare a meno di affondare la lama nel fianco scoperto che mi porgeva. Le ho sorriso, e ho cambiato agilmente discorso. “Questa è l’agitazione che vorresti provare col tuo promesso?” ho domandato.
“Vi prego,” ha mormorato, “non lo fate,” e sotto le ciglia scure i suoi occhi grigi ardevano.

“Cosa, non dovrei fare?” ho insistito.

Ha esitato, Sigyn. Doveva scegliere le parole adatte. “Rendere tutto più difficile,” soffia, sperando che nessuno possa sentirla. Non le ho risposto. Credo che persino le guardie mi abbiano guardato con disapprovazione, dopo.

Ci separa un vetro. Spesso, infrangibile. Filtra tutto, quella parete di cristallo. Deforma appena le voci, copre completamente gli odori. È sottile, non più di qualche millimetro, ma la distanza che pone tra noi è invalicabile e terribile. Eppure, questa lastra trasparente che mi isola dal mondo in un certo senso protegge entrambi. Senza di essa, non avrebbe mai osato confessarmi l’interesse che ho sempre suscitato in lei. E io, chiuso qui, sono costretto a notarla, a prestarle attenzione.

Sì, ho esultato, di fronte al suo sgomento, al suo tremore. Perché è stata l’ennesima prova che mi ha dimostrato come abbia in mano il suo cuore. Durante il giorno, mentre cavalca o ricama, la notte quando, seduta di fronte alla toletta, si scioglie l’acconciatura sofisticata da cui comunque sfugge sempre qualche ciocca ribelle, e la massa dei suoi capelli color dell’oro le ricade sulle spalle esili in un modo che posso solo immaginare, è a me che lei pensa.
 

 
Lettera 9
 
 
Mi chiedi di rievocare gli anni spensierati della nostra giovinezza. Non sempre siamo stati un mago e un guerriero, tu dici. È esistito un tempo in cui eravamo solamente ragazzi, e il trono maledetto non rappresentava ancora un’ossessione distruttiva, ma un sogno infantile. C’è stato un tempo in cui Odino non era il padre severo che scrutava senza enfasi i nostri progressi, ma un genitore come tanti, che ci cercava in giro per il palazzo o nei boschi circostanti, maledicendo le Norne con l’apprensione di un uomo che si occupi dei suoi bambini troppo vivaci. Sostieni che il nostro futuro era lontano, insondabile. Io non sono d’accordo, fratello.

Già si scorgeva, in noi, l’ombra di quello che saremmo diventati. Io, ad esempio, non ho memoria della prima volta che ho scoperto la capacità che ho, innata, di mutare forma a mio piacimento. Sono tempi lontanissimi, quelli che mi chiedi di rammentare. E dolorosi. Rievocare anni spensierati, pieni di speranza, ora che passerò secoli e secoli qui, rinchiuso, è come versare sale su delle ferite aperte, fratello. Ma tutti i libri che mi hai portato sono accatastati in un angolo della mia cella, e osservare le facce idiote dei miei compagni di prigionia è ancora più desolante che scriverti.

Ricordo che il primo figlio di Odino era un irresponsabile, arrogante attaccabrighe anche quando era ancora poco più di un bambino. Prima agivi, poi pensavi. Forse. Non so quante volte avrò pronunciato le fatidiche frasi “Thor, aspetta,” o “Thor, non farlo.”

Parole al vento, tu non mi ascoltavi mai. Sono il maggiore, dicevi, e so quel che faccio. Bugie. Non avevi la benché minima idea di cosa stavi per fare, dove ti saresti andato a immischiare. Come non ce l’hai tutt’ora. Ma all’epoca, eravamo comunque una squadra perfetta. È sceso un nuovo prigioniero. È un troll. Incrocia il mio sguardo, mi bestemmia contro. Ci dobbiamo essere già incontrati, da qualche parte, oppure gli avrò fatto qualche grave torto di cui non mi pento. Sorrido alle sue imprecazioni: se un giorno uscirò da questa maledetta cella, saprò vendicarmi per oggi. Oppure, potrei convincere qualche guardia a fargliela pagare al posto mio, data la condizione in cui mi trovo. Chissà. Non credere Thor, che questa prigione mi fermerà ancora a lungo; non pensare che non mi libererò, prima o poi. Troverò il modo, come l’ho sempre trovato, di fuggire. E quando ci riuscirò, risolverò le questioni che ho in sospeso, una per una. Fino al Ragnarok. Allora, mi troverò faccia a faccia anche con te.

Adesso che ci penso, anche la prima evasione l’ho fatta con te. Quasi ogni cosa, la prima volta, l’ho fatta con te. O nella stanza accanto. Ad ogni modo, la prima volta, in una cella, ci sono finito con te. Ovviamente a causa tua.

La cosa divertente, ripensandoci, fu il come e il dove. Midgard. Ebbene sì. Da qualsiasi altra parte ci avrebbero riconosciuti senz’altro, ma in quella terra di cretini passammo inosservati. O quasi. Com’è che andò Thor, te lo ricordi? Midgard era un possedimento dimenticato. Teatro di passate battaglie con gli Jotnar, Odino aveva lasciato che il ricordo degli Aesir svanisse**. Quando noi calpestammo per la prima volta le verdi terre del tuo pianeta adorato, ancora ci idolatravano come fossimo divinità. Presto, ci avrebbero dimenticato. Avevamo l’età incerta della primissima giovinezza. Non eravamo più bambini, ma ancora nemmeno uomini. Sapevamo utilizzare una spada, ma non eravamo mai stati portati in battaglia. Le ragazze ci sorridevano, ma noi preferivamo ancora giocare a fare gli eroi, e ricordo come il tuo viso fosse ancora glabro.

Midgard, dunque, ci accolse con una bella giornata d’estate. Atterrammo nei pressi di un fiordo e, subito, scorgemmo le navi. Galleggiavano placide sulle acque fredde e scure, con le prue aguzze tese verso occidente. Ci sembrarono subito primitive e ridicole. Ricordavano vagamente, con le loro forme sinuose e appuntite, le bellissime lance Aesir, ma erano di legno, seppur ben fatte***.

Che fare? Se ci fossimo fatti riconoscere, loro si sarebbero messi ad alzare le loro suppliche a nostro padre ed Heimdall, il maledetto, le avrebbe senz’altro intercettate. Nascondere la nostra identità e mantenere un basso profilo era l’unico modo per passare inosservati e divertirci un po’, senza conseguenze. Peccato che sperare di farti tenere un comportamento discreto fosse una mera utopia. So cosa mi risponderai quando leggerai queste mie righe. Dirai che la cattiva fama che ho presso i midgardiani è assolutamente meritata. Che la sequela di disgrazie che incontrò la povera nave su cui salimmo, derivarono dalla mia malsana idea di vedere come navigavano quelle buffe imbarcazioni di legno. Ti dimentichi della voglia matta che avevi di andare a menare le mani e di seguire i guerrieri nelle loro razzie. Dirai anche che io ti impedii di utilizzare la tua forza e che per questo ci catturarono, e che io, invece, riuscii a utilizzare la magia. Anche su questo dissento vigorosamente. Utilizzai pochi incantesimi, i necessari per non farci ammazzare o scoprire in modo tanto stupido.

Ma l’umida cella di Midgard, con i suoi ceppi pesanti e il suo odore nauseabondo, non è un ricordo infelice. Se torno con la mente in quel luogo fetido e buio, alla paglia gettata sul pavimento, al cibo disgustoso servito in ciotole di legno, non riesco a provare rabbia, vergogna o disgusto. Devo essere diventato folle, perché un sorriso nostalgico mi affiora alle labbra – possibile? – e il ricordo della prigionia si fa dolce nella memoria. Ricordo che litigammo, litigammo furiosamente, ma ridemmo anche, e molto. E, nottetempo, fuggimmo: provai un singolare piacere nel forzare e far scattare il meccanismo semplice eppure efficace che ci imprigionava le gambe; e poi uscimmo, ridendo o litigando ancora, o forse facendo entrambe le cose, come spesso è accaduto, e ci fermammo a osservare il cielo trapunto di stelle, così diverso da quello, magnifico e immenso, che potevamo ammirare dal palazzo. E in quel momento esatto provammo entrambi nostalgia di Asgard, perché gli astri che osservavamo non erano quelli a noi tanto cari. Stringemmo le pupille, cercando un punto di riferimento in quel cielo sconosciuto, una via che ci indicasse dove fosse casa, e la cercavamo ancora quando Odino, più vecchio di come appariva ad Asgard, vestito di stracci e con un cappello floscio posato sulla testa, ci venne a prendere****.

Io ne ho visti, di cieli, fratello. Nel mio esilio ho ammirato migliaia di galassie, osservato stelle e costellazioni di qualsiasi tipo. Ogni volta che ho posato il mio sguardo su quelle luci straniere e distanti, non ho potuto fare a meno di cercare le nostre, seguendo inconsciamente l’abitudine antica. Dentro a questa cella lugubre, non ho nemmeno una feritoia per poter osservare un pezzo di cielo. Così fisso il soffitto, e provo a ricordare. Allora, la volta di pietra si tinge di blu, s’illumina di stelle, e posso vedere le luci a noi care che seguivamo nelle cacce notturne, quando, in silenzio nel cuore della notte, abbassavamo gli archi e volgevamo il capo al cielo; o quelle, non meno care, che ci hanno visti sussurrare parole dolci a dame innamorate che stringevamo tra le braccia, o tornare, barcollanti e ciarlieri, nei nostri letti, con la mente annebbiata dal troppo vino. Ma è solo un’illusione. Basta un gesto, il movimento di una mano, e il cielo trapunto di stelle svanisce per lasciare il posto, di nuovo, alla grigia pietra.

E tu, quando leggerai queste righe, stringerai la pergamena fin quasi ad accartocciarla e ti avvicinerai alla finestra, figlio di Odino: e soffrirai per me, rinchiuso qui sotto, a languire. E il vino nel tuo corno ti parrà meno dolce, il letto scomodo come fosse un giaciglio di fortuna, la carne secca e senza sapore. Condividerai, allora, parte del mio dolore: soffrirai per me, anzi, stai già soffrendo, hai iniziato nel momento in cui i tuoi occhi si sono posati su queste righe vergate in fretta – come se, di tempo, non ne avessi abbastanza – e forse, chissà, ti convincerai a scendere qui sotto, a osservare il tuo fratello rinnegato. Forse. Ma aspetta, fratello, mio ingenuo e sciocco fratello.

L’erede di Odino non può lasciarsi incantare dai pietosi lamenti d’un rinnegato bugiardo. Rifletti, Thor, avanti. Prova a osservare meglio le mie parole. E se mentissi? Se le nostre vicissitudini passate non suscitassero in me alcun sorriso nostalgico? Se fossero ricordi e basta, senza alcuna venatura dolciastra? Certo, le mie parole sono belle, liriche: plausibili, persino. E crederci sarebbe facile, e consolante. Lo capisco. Ma se così non fosse? Se, semplicemente, mi sentissi particolarmente ispirato a parlare del cielo di Asgard o delle nostre passate avventure, e inventassi sentimenti e sensazioni che in realtà non provo? Confonderesti, in quel caso, l’abilità retorica, la capacità narrativa, l’invenzione, con il passato, il ricordo. Ma cos’è il ricordo, davvero? Se raccontassimo entrambi l’episodio della prigionia di Midgard, in perfetta buona fede, a un terzo ascoltatore ignaro, racconteremmo inevitabilmente due storie diverse.  E nessuna delle due dovrebbe essere per forza vera o falsa. Semplicemente, non esiste una sola, univoca realtà, ma infinite, come infiniti sono gli occhi di chi guarda. E allora io posso essere sia un rinnegato traditore che un eroe che sconta una pena ingiusta; Odino un sovrano dispotico e violento, o il protettore dei Nove Mondi tutti.

E, allo stesso modo, io posso mentirti, rievocando ricordi che so essere per te importanti, o forse sono sincero, e questa è solo una delle molte maschere che indosso. O magari, non è vera né la prima ipotesi né la seconda, perché, in me, come in chiunque, potrebbero persino convivere entrambe. Allora, Thor, ci sarebbe sia la velata nostalgia che la bieca indifferenza, sia l’amore che l’odio, sia la luce che la tenebra, dove brancoliamo, inermi e persi, alla ricerca di un punto fermo in mezzo alla tempesta, che non c’è.

 
Lettera 10
 
 
Sono due giorni che non scende qui sotto. Si deve essere sposata. Avrà scelto un abito candido, sciolto i capelli dorati. Chissà se ha esitato, mentre pronunciava i voti. Chissà se aveva fiori tra le ciocche chiare, o avrà ballato, la sera. E poi, la notte, lui le avrà fatto scivolare a terra la camicia di seta, avrà toccato la sua pelle morbida. Ne avrà inspirato l’odore, constatato la morbidezza. E l’avrà carezzata e attirata a sé, e forse sarà stato gentile e paziente, forse rude e violento, ma saprà, adesso, che sapore hanno le sue labbra, quanto dolci sono le sue curve. E io qui, rinchiuso tra queste mura, resto a immaginarlo.

Mi dirai com’era il suo volto, mentre stringevano il patto che li ha legati fino alla morte? Se era scolorito dall’emozione o dalla tristezza? Mi dirai se hai visto, mentre col Mjollnir benedivi la loro unione, qualcosa nei suoi grandi occhi chiari, come l’immagine di un’ombra? Quando leggerò la descrizione che forse farai mi chiederò cosa avrei fatto, se fossi stato libero. Avrei fermato la cerimonia? L’avrei presa e portata via, fuggendo con lei attraverso mondi sconosciuti e affascinanti? Oppure mi lascerei andare alle recriminazioni di un passato che ormai c’è stato e non si può cambiare? Pensa, fratello, quante volte ci saremo incrociati, io e lei, nel tempo in cui ancora ero certo di essere figlio, come te, del Padre di Tutto. Posso immaginare la scena. Sigyn, che mi osserva assieme ad altre dame, confusa in mezzo a loro, e io che le passo accanto senza vederla: forse a cavallo, con negli occhi già l’eccitazione della battaglia, oppure a un banchetto, tra canti e risate. Quand’è che mi ha visto, osservandomi da lontano? Perché non ho incrociato il suo sguardo, allora?

Tu scrivi che io e lei abbiamo una relazione. Fatta di brevi frasi, sguardi e desideri. Tu affermi che è tanto evidente quanto più io mi sforzo di negarlo, e fai una considerazione insolitamente giusta per i tuoi canoni: se non mi interessasse, non avrei bisogno di ribadirlo con forza ogni volta. Ciò che mi lega a Sigyn, è il desiderio. Non posso averla, e allora il solo pensiero di lei si sublima, ammantandosi della perfezione degli ideali e dei sogni. Il vetro che ci separa, che malediciamo a denti stretti, in realtà acutizza la nostra disperazione, gonfia i nostri cuori*****.

Ma perché scrivi ancora di lei? Cosa importa al figlio di Odino, se il fratello rinnegato e perduto si crogiola in pensieri che lo distraggono dalla prigionia infelice ed eterna cui l’avete costretto? Dove vuoi arrivare? Credi forse di potermi controllare, attraverso lei? Speri di suscitare in me tanta disperazione da spingermi a implorare il perdono presso Odino, come se potesse bastare a placare il suo rancore, a rimangiarsi la sua condanna? Se Sigyn fosse un trucco escogitato da te, dovrei ricredermi sulla tua scarsa perspicacia. Ma, se così dovesse essere, credo che, come al solito, tu abbia avuto solo una fottuta, sfacciata fortuna Thor. Ti dico com’è andata. Effettivamente, la ragazza mi notò, al tempo. Chi non l’avrebbe fatto? Ero il figlio di Odino dalla cattiva reputazione, il principe scapestrato che non riusciva proprio a mollare i suoi scherzi e il suo comportamento, come dire, differente rispetto a quello di voialtri: un bello e dannato, direbbero sulla tua preziosa Midgard. E tu, sei venuto in un modo o nell’altro a conoscenza di questo importante dettaglio, e l’hai sfruttato a tuo vantaggio. L’hai mandata qui sotto, da me. Poteva essere il mio tipo, avrai pensato, così bionda e delicata. E hai sperato che, nella solitudine forzata, mi incaponissi con lei, di lei. Che potesse essere un balsamo sulle mie ferite, o sale su di esse. O entrambi. Oppure, forse, è stato il caso e basta, e io ho solamente bisogno di uscire da qui, o di dormire. Il sonno in questo luogo non giunge più a farmi visita.
 
Lettera 11
 
 
Fammi uscire, fratello. Te ne prego. Portami via di qui, lascia che sparisca in qualche anfratto dell’Universo. Oppure abbi il coraggio di scendere nell’oscurità e di porre fine a questa insopportabile prigionia. Per l’amore che millanti di aver provato nei confronti del tuo miserabile fratello, ti imploro. Poni fine a tutto questo. Mi manca l’aria, qui sotto, né riesco più a sopportarne la puzza maleodorante. È rarefatta e asfissiante, diversa da quella fresca e carica di profumi che sferzava sui nostri visi quando galoppavamo verso l’orizzonte. Mi manca lo spazio, rinchiuso in questa scatola crudele di venti passi per diciotto. Li conto e li riconto con ossessiva, maniacale ripetitività, come se, compiendo sempre lo stesso gesto, potessi scoprire che i passi non sono diciotto, ma diciannove, non venti, ma ventidue. Quale sorpresa sarebbe, accorgersi che lo spazio si è dilatato! Devo uscire, Thor, e rivedere la luce del sole, sentire la pioggia sul viso, calpestare l’erba, la sabbia, la terra, la neve. Ho bisogno di sapere quando è notte e quando, invece, è giorno. Sentire il canto degli uccelli che annunciano l’alba, il frinire delle cicale la notte. Corri da Odino, fratello, tirami fuori da questa gabbia crudele, dove mi pare di essere rinchiuso già da mille anni, e il conto dei giorni mi riesce sempre più difficile. Per l’affetto che ci lega, per tutti i giorni in cui abbiamo riso, scherzato, combattuto, bevuto assieme, vai da Odino, vacci ora: se è il figlio prediletto che lo supplica di liberare il prigioniero maledetto, forse il suo cuore si intenerirà.

Vai da lui, Thor, e piangi lacrime amare, ricordando i nostri pomeriggi passati a cacciare: ricordi la volta che perdemmo i cavalli, e dovemmo camminare a piedi per tutta la notte, prima di ritrovarli? E le cose che ci dicemmo, camminando sotto la luna e le stelle, sognando la nostra futura grandezza? Ricordi quando fuggimmo di corsa dal palazzo del Re degli Elfi Chiari, ancora mezzo svestiti e con gli stivali in mano? Ti aveva sorpreso con le braghe calate assieme a sua figlia, e nemmeno le mie parole riuscirono a placarlo. Fu la mia magia, a farci scappare, tra le risate e con ancora il sapore dei baci delle graziose Elfe sulla pelle. Ricordi quando finimmo in quel pozzo oscuro, imprigionati per tre giorni e tre notti, senza che nessuno ci trovasse? Io sì, non ho dimenticato un solo istante, ed è per quell’affetto che allora ci legava, che ancora ci lega, che ti prego di farmi uscire da qui, prima che la mia mente finisca di vacillare per cadere, infine, nel baratro di una follia che già si insinua nelle mie notti insonni e tormentate. Ma sono davvero notti?
 
Lettera 12
 

Quando una guardia viene assegnata per la prima volta ai sotterranei, i suoi compagni veterani la costringono sempre, inevitabilmente, a portare il pranzo o la cena ai prigionieri più pericolosi o, addirittura, a entrare in una delle celle. È un rito crudele, ma necessario. Solo dopo aver affrontato questa prova, inizia ad essere trattato come un commilitone. Capita, spesse volte, che la nuova leva sia solo un ragazzo inesperto, che abbia paura persino di avvicinarsi ai vetri spessi che ci separano dal mondo. Non è raro che lo scherzo sia cattivo e il ragazzo pianga, o rischi di essere aggredito da un prigioniero in attesa di un secondo di distrazione per fuggire. Alcuni degli ospiti del sotterraneo partecipano con gusto sadico al perfido rito, facendo di tutto per spaventare il novellino. Tuttavia, nonostante la disponibilità a terrorizzare gentilmente offerta da orchi e banditi, sembra che la creatura più spaventosa di tutte le prigioni di Odino sia io. Sono soddisfazioni.

Il fatto è che al loro gioco io non partecipo, e questo mi rende, ovviamente, la loro attrazione principale. L’ultima prova che deve affrontare un guardia per poter lavorare qui sotto ed essere trattata con rispetto, è rompere le palle a me. Stamattina è toccato a un ragazzo fresco d’accademia, guadagnarsi l’amicizia dei suoi compagni. Oh, Thor, avresti dovuto vederlo! Non capisco come abbia fatto, a superare l’addestramento ed essere una guardia, davvero. Era così terrorizzato solamente dall’idea di avvicinarsi al vetro della mia cella, che i suoi compagni l’hanno dovuto spingere in avanti. Io leggevo, proprio seduto sull’intelaiatura che regge il cristallo resistentissimo. Hanno paura di me, temono i miei occhi, le mie parole, i miei sorrisi. Li spaventa la gentilezza delle mie richieste, la cortese benevolenza con cui mi rivolgo a loro. Sono entrato qui come quello che sono, un principe che doveva diventare Re, e come tale continuerò a comportarmi fino a che le Norne non taglieranno il mio filo. Se questo deve essere l’unico regno concessomi dalla sorte, ne accetterò di buon grado il dominio e lo governerò con responsabilità e premura, misurando instancabilmente la distanza che corre tra una delle pareti della mia cella e l’altra. Fammi avere altri libri, non sopporto di dover leggere di nuovo gli stessi.*****
 

 
Lettera 13

 
Non mi accontento affatto del mio regno, se così si può chiamare. Faccio solo quello che mi hai chiesto, che mi hai costretto a fare ricattandomi. Ti informo sulla mia vita, mantengo il contatto con la realtà. Direbbero così, su Midgard? Credi che sia un metodo efficace per controllarmi? Le tue paure sono offensive e chiunque, al posto mio, avrebbe fatto lo stesso. La vita degli Asi è troppo lunga per consumarsi in un’attesa che si protrarrà per migliaia di anni. Avreste dovuto avere la pietà e la sensibilità di comprenderlo quel giorno, invece non l’avete fatto e adesso mi ritrovo a dover mangiare senza posate, una conquista di Vanheim che certo tu e i tuoi amici non avete mai apprezzato, ma che io riconoscevo e utilizzavo con piacere. Piacere, sì. Una parola che adesso è legata al passato non grazie a me, che cercavo vendetta per essere stato tradito e ingannato, ma per merito di nostro padre, che nasconde sbagli ed errori sotto il tappeto. Esilia, bandisce e imprigiona chiunque lo scontenti senza dare spiegazioni perché niente esiste, se il suo occhio non lo vede. È questa che chiami giustizia, fratello? Crescermi come figlio suo, facendomi allungare le dita verso il trono quel tanto che bastava per desiderarlo, senza poi darmi la possibilità di ottenerlo? Dici che il potere mi ossessiona e che l’Hlidskjalf è maledetto. Forse è vero, te lo concedo, ma per colpa di chi? È stata solo la mia ambizione a condurmi qui? Come potevo lasciare impunito un simile affronto, come avrei potuto guardarmi allo specchio sapendo di non aver tentato nemmeno per un istante di ribellarmi a qualcosa che ritenevo ingiusto? L’orgoglio è un mio difetto, lo so: un aspetto che condivido con gli Asi, un popolo fiero che ama il combattimento sopra ogni cosa e desidera primeggiare, sempre. C’è un fuoco che ci divora dall’interno e ci spinge a superare i nostri limiti e a non abbassare la testa di fronte a niente e a nessuno.

Ora ti vedo, stai scuotendo la testa e pensi al Titano che, da qualche parte, mi aspetta e non pensa ad altro che a un modo per vendicarsi della mia sconfitta. Permettimi di ricordarti che Thanos non è un essere comune. È un mostro, un distruttore, un pazzo. Ho chinato la testa al suo cospetto, lo ammetto, ma l’ho guardato diritto negli occhi, e quello che ho visto non mi è piaciuto. Non scelsi di incontrarlo, fratello. Caddi dal Bifrost – ricordi? – caddi per milioni di chilometri attraversando le ere e il tempo e finii in uno dei suoi regni. Si sorprese accorgendosi che ero ancora vivo e le mie ferite, invece di condurmi nell’oltretomba, guarivano. Disse che avevo una tempra così robusta che sarebbe stato eccitante vedere come e in che modo si sarebbe spezzata. Parlò con una voce strana, carica di una cupidigia che mi terrorizzò, lo ammetto. Mi mostrò il potere vero, quello delle Gemme dell’Infinito che tu stai cercando invano e che lui tenta di recuperare da millenni.

Ho fatto delle cose, per il Titano, il cui ricordo mi opprime e insegue persino in questo sotterraneo squallido e maleodorante. Le vedo danzare nel buio davanti a me e non c’è perdono né assoluzione neanche nella consapevolezza che non avevo scelta. Non mi pento di quello che ho fatto, questo è il punto. Provare rimorso sarebbe consolante, nella mia condizione. Io invece so esattamente che rifarei ognuna delle bassezze compiute per il Titano perché l’alternativa sarebbe stata una morte orrenda e inutile. Un altro avrebbe fatto quello che mi si comandava di fare, e allora perché sacrificarsi? Trovi il pensiero troppo cinico, egoista, vile persino? Mi sta bene, ma lascia che ti dica una cosa: la mia paura non è nascosta dall’ipocrisia, e le mie righe sono state molto più schiette delle mille frasi retoriche di cui Fandral e Volstagg si sono sempre riempiti la bocca. Quel “Per Asgard”, che gridano in continuazione e ripetono mentre si ubriacano nei bordelli e si sciacquano la bocca con l’idromele, significa davvero che il loro spirito indomito sarebbe pronto a dare ogni cosa per la città degli Asi e il loro mondo? O non è, piuttosto, la vanità a spingerli a desiderare una morte gloriosa affinché possano brindare nel Valhalla con i grandi guerrieri?

A me non spetterà il Valhalla, fratello, e non solo perché creperò dentro questa cella. Brindare con voi priverebbe la grande sala degli dèi della sua piacevolezza. Io non sarei ben accetto e voi vi trovereste a disagio in mia compagnia, e l’Aldilà degli Eroi non deve essere una festa malriuscita, ti pare? No, a me non spetterà il Valhalla e credo non mi importi più, ma avrei fatto ogni cosa per rendere Asgard grande. Il Titano l’aveva guardata, la nostra città che si stende oltre il ponte color arcobaleno, e io ho distolto il suo sguardo dalle guglie d’oro del palazzo reale dicendogli che non era nulla, un insignificante puntino scuro nella vastità dell’Universo. La mia voce avrebbe dovuto tremare come le mie mani mentre parlavo e spiegavo, invece risuonò sicura nella sala privata di Thanos e lui mi guardò e alla fine acconsentì a dimenticarsi del mondo retto dall’Yggdrasill, il frassino sacro. Eccolo, il mio tributo per Asgard. Non ho avuto bisogno di gridarlo, anche se avrei voluto farlo. È stato decisamente meno teatrale di quanto avrei voluto, ma senz’altro efficace. Invece Asgard mi ha rinchiuso e condannato a una vita che è una farsa, la recita triste che offro al mio popolo di derelitti e disgraziati: lo spettacolo di un Re ingabbiato, privato dei suoi poteri, dimenticato. Racconto storie, alla mia gente. Spiego i miti e le leggende che ci hanno resi grandi, e descrivo le battaglie che Odino e Bor prima di lui hanno fatto affrescare sui soffitti a volta del palazzo reale. Loro mi ascoltano, non riescono a resistere, e non importa che siano secondini spaventati e compiacenti o delinquenti e nemici degli Asi. Per un momento il vetro della prigione sembra sparire quando racconto, ma alla fine della storia l’incanto svanisce e io non sono più nei campi di battaglia o perso in mille esplorazioni, ma torno qui, in questa cella maledettamente piccola di nemmeno venti passi per lato. E allora perché mi biasimi per aver cercato soltanto di migliorare la mia condizione? E tanto per la cronaca, come faccio a mantenere il contatto fottuto con la maledetta realtà dentro una gabbia dove nemmeno posso vedere il sole?
 

 
Lettera 14

 
Non me ne può fregare un cazzo di meno di Asgard. Ora che te l’ho scritto mi lascerai in pace? Gli sguardi ansiosi dei secondini che mi riveriscono come fossi ancora il loro principe non scalfiscono il mio disinteresse. Vorrebbero parlare, dirmi che nella città di Odino è successo qualcosa di grave: li fisso, li sfido a dirmi cosa è successo e a chi. Le loro labbra tremano, gli occhi si puntano in basso, la mia Corte di straccioni e condannati a morte ghigna soddisfatta e io dico solo una cosa: “Chiamate Thor, chiedete aiuto al primo figlio. Lui ha il Mjollnir.”

Mi rispondono che sei lontano e non puoi tornare e allora rido. “Balder il Buono non è in grado di risolvere i vostri problemi? Il giovane Hoder forse non ha un’ottima mira ed è poco più di un bambino, ma nelle sue vene non scorre il sangue di Odino? ****** Perché mi fissate come se io avessi la risposta?”

C’è fermento nei sotterranei fratello, ma a me non interessa. Leggo e traduco i poemi antichi dei nostri antenati e degli Elfi e vivo in un altro luogo, in un altro tempo. Qualsiasi ombra abbia offuscato l’Hlidskjalf non mi riguarda più da mesi, anni, però non ti nascondo che sono rimasto sorpreso quando è scesa Sif, in compagnia dei tre deficienti, ovviamente. Sei davvero lontano, se non hai impedito loro di venire qui. Lei in particolare si aspettava che le parlassi, e questo è davvero ironico perché c’è stato un tempo in cui io l’ho pregata di fare la stessa cosa e Sif mi ha rifiutato persino uno sguardo. Adesso avrai aggrottato le sopracciglia e colto senz’altro il riferimento o forse è troppo poco e devo aggiungere altro alla mia spiegazione. Lascia che ti dica com’era il suo viso quando mi ha visto: pallido, teso, sgomento, tanto da darmi una misura precisa di quanto debba apparire tetra e oscura la mia figura qui sotto. Saranno stati i capelli scarmigliati o i segni scuri sotto gli occhi, a spaventare la nostra fiera amica? Non le ho parlato, ma mi sono avvicinato tanto da sfiorare quasi il vetro della mia gabbia e l’ho guardata nei suoi occhi scuri per capire se le piacesse lo spettacolo.

Lei si è ripresa dal momentaneo smarrimento e si è messa a controllare se la mia prigione fosse davvero sicura come sembrava. Asgard trema per colpa di qualcosa che non sono io, ma a me non interessa, non frega niente di meno. Io e lei abbiamo avuto una breve relazione, lo sapevi? Provava vergogna allora come ne prova adesso, e pare quasi che il cedere qualche notte alla solitudine abbia macchiato per sempre il suo animo nobile e intrepido*******.

Mi ha riempito di domande, ma io non ho risposto. L’ho guardata dall’alto in basso perché se lei ancora non è venuta a patti con se stessa e con le sue azioni passate, per me non è più niente e questa è una mia vittoria. Mi interroga e io non rispondo e allora non siamo più un prigioniero e la fiera guerriera di Odino, ma un Re e la sua suddita che chiede senza ottenere. La poltrona su cui siedo qui sotto è il mio trono e queste mura umide sono la mia Corte, anche se ammetto che non è sontuosa e salubre come la Sala dove ci nascondevamo da bambini. Di questo regno sotterraneo io sono il signore e il padrone e lei non può far niente. Mi tempesta di domande e io le concedo nient’altro che l’ombra di un sorriso canzonatorio che la irrita ancora di più, perché le ricorda quello che entrambi sappiamo e che lei non ci tiene a far sapere – che abbiamo scopato, e dimostra come lei e la sua spada non abbiano alcun potere qui dentro. Sollecita i secondini e le guardie impettite, ma loro fanno finta di non ascoltarla nemmeno.

Posso non risponderle. Il giorno dopo no, sono stato tirato fuori dalla mia cella e portato in un’ala dei sotterranei che certo non conosci, e lì mi hanno ficcato la testa in un secchio d’acqua chiedendomi come avessi fatto e se c’entravo qualcosa. Mentre riprendevo fiato, con le mani legate dietro la schiena, una guardia mi ha bisbigliato all’orecchio che la sorella di Sigyn è scomparsa all’improvviso, e neanche Heimdall riesce a trovarla. Poi mi ha chiesto perdono, ha detto “Vostra Altezza solo pochi secondi stavolta, mi spiace” e di nuovo mi sono ritrovato con la testa nell’acqua.


Continua...

*Volutamente è un discorso indiretto.
**Come nel prologo del primo film Thor.
***Loki qui descrive un drakkar, le vere navi vichinghe.
****Così è descritto Odino nell’Edda quando si manifesta sulla Terra.
*****Come forse sai, o forse no, questa fanfiction è la sorella maggiore della mia breve storia “Sposami, Sigyn”, già postata su questo sito qualche mese fa.
******Hoder è un Ase cieco, nel mito. 
*******Hai presente quello sguardo che si lanciano Sif e Loki in Thor: The dark world? Appena li ho visti ho pensato “questi due se la sono spassata”. Ad assecondare il tutto ci pensa, come sempre, la mitologia: nella Lokasenna il nostro eroe dichiara di essere andato a letto, tra le altre, proprio con lei.
 Giuro, la prossima volta metto i numeri alle note!

Deliri dell'Autrice
Caro Lettore presente o silente, grazie mille per il tempo che hai voluto dedicarmi leggendo queste mie righe. La fatina dell’ispirazione ringrazia. Posso rubarti qualche altro istante? Come vedi/intuisci, la piega della storia inizia ad assumere contorni foschi e decisamente thriller, come nell’avviso. Le tematiche delicate saranno presenti, ma solo accennate (del resto Loki sceglie i suoi argomenti o risponde a delle domande e certe cose, semplicemente, non ha bisogno di spiegarle). Ricorda sempre che Loki è il dio dell’inganno. Ingannerà anche te che leggi. Potrebbe scrivere una lettera assolutamente falsa, completamente vera, o parzialmente vera/falsa J
Come sempre, mi farebbe piacere ricevere un tuo pensiero su queste righe e i motivi sono principalmente 2:
  • Le recensioni sono un po’ la mia personale “indagine di mercato” nei tuoi confronti. Non la vedere come un’ingerenza. Si scrive partendo sempre da una necessità interiore, ma quando si posta e si condivide, la storia appartiene in un certo senso anche a chi legge e la immagina. Tu leggi, ma ti piace?
  • “L’indagine di mercato” è un indice utile per capire quale storia postare, a quale dare la precedenza, se nel cassetto ho già pronto qualcosa che potrebbe far felice te, che mi leggi. Magari vorresti una fanfiction dove succede X e Y e forse io l’ho già scritta, ma se non ci parliamo non lo sapremo mai.
Cosa posterò prossima settimana? Una shot che mi hanno richiesto due malandrine…
Tua, S.

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Capitolo 3
*** Si apre la caccia ***


Capitolo 3 – Si apre la caccia

Lettera 15


 
Brindiamo al caos che ha fatto tremare le torri di Asgard e alla paura che attanaglia Odino! Padre Tutto sta davvero invecchiando, se teme che le sue prigioni non riescano più a contenere il male. Ha così paura di me, tiene tanto in considerazione il mio potere, da fantasticare che possa minacciare la vita in superficie. Mi fa ridere questo, immensamente, quindi non è vero quello che ti hanno raccontato. È stato un incidente. Non puoi pretendere di catturare un lupo e lasciare che sopporti la cattività senza tentare di liberarsi e scappare, qualunque cosa significhi. La mia Corte mi guarda spaventata oltre questo vetro infrangibile, eppure non resiste alla tentazione di fissarmi. Gli altri prigionieri sono in attesa e vogliono godersi lo spettacolo, la scena madre: come posso biasimarli? La caduta di un dio è qualcosa di affascinante e, per molti dei miei sudditi, noi Asi siamo questo, dèi condannati a vivere migliaia di anni, costretti a impazzire, schiavi come chiunque di desideri e passioni, vizi e bassezze, colpe e vittorie. Lei è scesa e questo non lo avevo previsto. Non voglio sapere se è stata mandata da te, da Odino o se è venuta di sua spontanea volontà. Non è un dato che potrebbe essere rilevante. Conta il resto, piuttosto. Non te ne ho parlato perché non era importante e, del resto, se a te importasse davvero saresti qui, davanti a me. Avresti il coraggio di guardarmi negli occhi.

Non le ho parlato, all’inizio. Mi sono preso il mio tempo per osservarla, scrutare ogni dettaglio del suo viso mentre lei guardava l’illusione della mia sagoma coricata nel letto. Invece ero lì, a pochissimi centimetri dalla sua bocca, vicino alle sue labbra. Se solo non ci fosse questo fottuto vetro, fratello, sarebbe mia anche solo per una notte. Solo che le Norne hanno deciso diversamente, e così non posso fare altro che spiare il modo in cui si protegge la gola con lo scialle e l’anello che le brilla al dito. Non è ancora sua ma non potrà mai essere mia, e questo è crudele come abbandonarsi a pensieri viziosi mentre lei si tormenta dalla disperazione.

Non è stato facile scendere qui sotto, e non solo perché ha confessato di amarmi col peggiore dei tempismi di sempre, ma per sua sorella. Maggiore, suppongo, cui era legatissima. I suoi occhi gonfi di pianto e straziati dalla stanchezza me l’hanno detto, i capelli acconciati con meno grazia del solito l’hanno confermato. Sigyn non dorme, non mangia, non respira quasi, da quando il mantello di sua sorella è stato ritrovato vicino a una taverna. Non aggrottare le sopracciglia, ti prego. Qui nei sotterranei non passa la luce del sole, ma le chiacchiere corrono veloci e si trasformano in storie diverse e più scure di quanto non sarebbero in superfice. Puoi biasimarci, per questo? Sigyn ha sfiorato con la sua mano bianca e sottile il vetro come se volesse svegliarmi. Non le avrei mai dato la soddisfazione di mostrarmi vigile perché mi ha negato la sua vista per giorni. Anche io sono vittima della noia, e la mia Corte di disperati non mi offre certo una vista piacevole. La sua gonna colorata e leggera mi racconta che è estate e c’è il sole, da qualche parte; la sua vita stretta sottolinea il suo corpo sottile e ben fatto, la scollatura né ampia né castigata concede e nasconde quel tanto che basta da darmi qualcosa di interessante cui pensare prima di addormentarmi. E poi la pelle, fratello. Perfetta, morbida, bianca, da toccare e baciare. Ho smesso di ragionare con la testa, lo ammetto. La volevo e ho avvicinato anche io la mano al vetro e lei ha sentito qualcosa e ha visto il riflesso del sangue.

Si è messa a strillare, la cretina. È saltata come un leprotto e ha cacciato una serie di urli insopportabili e isterici tanto che la guardia si è spaventata e ha aperto la cella e si è precipitata dentro e lei appresso a lui. I due deficienti si sono resi conto con un secondo di ritardo cosa hanno fatto. Va bene, lo ammetto. C’erano dei precedenti (1) che hanno spinto Bjorn a entrare: lei aveva detto che c’era sangue, ma lui non doveva lasciare che lo seguisse; quello è stato un errore imperdonabile e lo sai pure tu, fratello. Cos’era, dormiva quando all’Accademia spiegavano come si gestisce un prigioniero? Mi cadono le braccia, davvero.

Ad ogni modo, non appena hanno varcato la soglia della cella l’incanto è svanito e mi hanno visto. Era meno grave di quanto ti hanno raccontato. Per riprendermi dalle premure di nostro padre ho colpito il muro con un pugno con i risultati che sai. Non ho bendato la mano perché non me ne fregava niente, ma non è questo il punto, maledette Norne. È il resto. Sono stato più veloce di loro. Ho disarmato Bjorn, gli ho rotto il naso e ho preso Sigyn. L’ho afferrata per la vita, ho sentito la pelle morbida e calda sotto il vestito leggero che indossava, ho respirato l’odore dei suoi capelli, di lei. Ha sentito quanto la volevo? Temo di sì perché era rigida e spaventata, mentre la tenevo ferma e dicevo a Bjorn che se era così che difendeva Asgard c’era poco da stare tranquilli. E mentre lui si scusava, io mi sono inebriato del profumo di Sigyn annusandole il collo e le guance e avrei continuato, se i suggerimenti osceni di quel branco di depravati attorno alla mia cella non mi avessero ricordato che stavo comportandomi da bestia anch’io. Le ho porto le mie più sentite scuse – le avevo anche macchiato di sangue l’abito -  e lei ha accennato una lieve riverenza e si è detta preoccupata per la mia mano, ma era sconvolta e tremava.

Le ho detto che è pericoloso entrare nella tana di un animale feroce, e che avrei potuto rapirla e usarla come scudo prima, ostaggio poi. Sigyn ha iniziato a piangere in silenzio e io non ho potuto fare a meno di dirle quello che era necessario sapesse: non è vero che mento continuamente, fratello. Molto spesso dico la verità, anzi, sono il solo che abbia la forza di farsene carico, ma non viene accettata.

“Non dovresti piangere per me, Sigynella, e non dovresti più nemmeno cercare lei.” Ho scosso la testa, ma ho continuato a guardarla perché bisogna avere il coraggio delle parole che si pronunciano, sempre. “Lei è morta. L’hanno uccisa poche ore dopo averla presa. Scappare e occuparsi allo stesso tempo di un ostaggio è difficile.”

È impallidita, ha sgranato gli occhi. “Tu non lo puoi sapere,” ha sussurrato e poi l’ha gridato sempre più forte finché le altre guardie non l’hanno trascinata via. Sia chiaro, Thor: non me la sarei mai scopata lì dentro come ha affermato qualcuno. Sarebbe stata una barbarie, un atto indegno di me e del mio retaggio, eppure affondare il naso nei suoi capelli e sfiorare con le labbra la sua pelle è stato simile a com’era vivere. Qui sotto il vino non ha sapore, il sonno non ristora, l’acqua non disseta, il cibo non sazia, la lettura non appaga. La cella si è richiusa.
 

 
Lettera 16
 

Punto uno: sono stati dei pazzi incauti e idioti loro, non io.

Punto due: lasciatemi crepare in pace.

Punto tre: non ci vuole una mente geniale per capire che era morta. A che pro rapire la sorella di Sigyn, per farsene cosa? Suo padre è un notabile come ce ne sono a decine, sua madre un’ancella minore della nostra. È gente semplice che possiede qualche rendita e una casetta in campagna, oltre a quella ad Asgard. Come lo so? Dalla stoffa con cui è stata realizzata la gonnella della biondina, un filato di media fattura, non certo di pregio. E allora che cosa farsene di una ragazza che senz’altro avrà avuto mille qualità, ma certo non era ricca e non era utile per un riscatto? Fidati fratello, se continuassi questo discorso offenderei la mia intelligenza e la tua, posto che tu ne abbia. Ora, per favore, non far precipitare qui quell’invasata di Sif o uno dei tre deficienti: non ho nessuna voglia di stare a sentire i loro starnazzi inutili né vorrei un altro fastidioso incontro con la giustizia di nostro padre. Non mi sono ancora del tutto ripreso dall’ultima volta, capisci?

Punto quattro: io non vedo il futuro(2) e non ho modo di interferire con il mondo di sopra. Se potessi farlo sarei fuggito da qui. Ho solo ragionato con i pochi dati a mia disposizione, valutando quanto mi hanno raccontato le guardie. Per quanto riguarda Bjorn, gli ho consigliato cosa regalare alla fidanzata per il loro anniversario e gli ho porto le mie più sentite scuse, ma davvero quel ragazzo ha bisogno di allenarsi e svegliarsi un po’, tiene la guardia troppo bassa. Non è pietà la mia, beninteso: si è comportato da deficiente e chiunque altro lo avrebbe ammazzato senza pietà, ma io sono un principe magnanimo e, qui sotto, lui è più suddito mio che tuo, te l’assicuro. Concedimi almeno la mia Corte di derelitti, dato che non hai mosso un dito per me davanti a nostro padre. Come hai preso la notizia della mia tortura, dimmi: ti sei andato a lagnare, hai protestato? Oppure te ne sei fregato dimenticando tutte le belle parole che hai speso quando mi hai visto l’ultima volta? La mano va migliorando.


P.S.
Trovo indelicato porgerle direttamente le mie condoglianze, ma sarebbe scortese non farlo. Dubito che scenderà nuovamente qui sotto dopo quello che le ho fatto.
 

 
Lettera 17
 

Brindo ad Asgard, che trema perché un nuovo mostro gira indisturbato per le sue strade. Brindo ai nostri fratelli più giovani (3), che brancolano nel buio dimostrando di avere il sangue annacquato, brindo a te che sei lontano e te ne freghi di questo posto, brindo a Odino che mi ha interrogato tutta la notte e a Heimdall, che non sa guardare dove dovrebbe(4). Con cosa? Con l’idromele di primissima scelta che papà mi ha mandato per scusarsi del pessimo trattamento, per la mano rotta e il senso di colpa di vecchio che lo tormenta. O sei stato tu? Non me ne importa un accidenti, purché me ne mandi qualche altra botte. Giuro che non farò niente di irresponsabile, prometto.

Nostro padre si è cimentato in una sequela di domande trabocchetto da antologia, davvero, preso com’è dall’idea che io possa nuocere al suo prezioso regno. Non gli ho dato nessuna soddisfazione. Non so quale fosse il punto, se desiderava sfruttare le mie intuizioni per catturare l’uomo che ha ucciso la sorella di Sigyn o fosse realmente convinto che io sappia chi è. Gli ho detto quello che vado ripetendo in giro da giorni – che ho solo troppo tempo libero –, e che le mie erano semplici supposizioni dettate dal buon senso.

D’accordo, potrei essere stato volutamente ambiguo e forse ho scherzato un po’, ma non puoi pretendere la serietà da uno che è stato giudicato pazzo, ti pare? In fondo, ti scrivo per questo motivo e nient’altro: i guaritori hanno detto che sarebbe stata una buona terapia e tu hai colto la palla al balzo e mi ha posto davanti a un becero ricatto. Libri e beni di servizio in cambio di lettere che non fossero solo un elenco di insulti. Peccato Thor, era liberatorio scrivertele.
 

 
Lettera 18

 
Sei tu un fottuto idiota che si nasconde dietro a un pezzo di carta. Tira fuori le palle e vieni a dirmelo in faccia qui sotto, avanti. Ti aspetto. Cos’è, hai paura di scendere? Ti fa male il cuore a immaginarmi qui? Sei patetico e debole. Credi di fare il tuo dovere scrivendomi suggerimenti e consigli, ma non osi nemmeno farmi visita e parlare a quattr’occhi. Tu mi hai incarcerato e devi prenderti la responsabilità delle tue azioni: non vuol dire questo, essere Re? Invece l’erede designato, il difensore dei Nove Regni non riesce a scendere le scale nere della prigione neppure per vedere il fratello di cui sente così disperatamente la mancanza. Non hai avuto il coraggio nemmeno di venirmi a trovare dopo l’incidente. Non che me ne freghi qualcosa, beninteso. Questa non è una scenata di gelosia perché mi hai lasciato solo – cogli l’ironia della frase, te ne prego. È un grido disperato perché non puoi lasciarmi senza libri. Cosa dovrei fare, mettermi a stringere amicizia con i miei sudditi cenciosi? Dovrei provare a socializzare con il troll che provò a sgozzare Sigyn e che mastica a bocca aperta, cui Asgard fornisce posate che a me sono state negate? O con l’Elfo Nero che crede di essere un Nano e racconta di voler andare a lavorare in una compagnia teatrale? Questo posto fa schifo: è umido, puzza di muffa e ci manda fuori di testa.

D’accordo, so cosa vuoi. Avevo consegnato la lettera, ma ho chiesto al secondino la cortesia di farmi aggiungere altre due righe. Nella mia Corte dei Miracoli l’educazione ha una certa rilevanza, che credi. Ovviamente ho notato che lei non indossa più l’anello e naturalmente le ho chiesto il motivo, anche se mi ero fatto una certa idea, ma la sua richiesta non posso nemmeno prenderla in considerazione. Sigyn è sconvolta dal dolore e crede erroneamente che io sappia qualcosa su quello che è capitato a sua sorella o, peggio ancora, riesca a rispondere alla domanda fondamentale: chi e perché l’ha uccisa. Non comprende che il male a volte esiste e basta, e che io ho usato non il seidr né qualche magia oscura per capire che era stata uccisa, ma un pizzico di acume e basta.

Ovviamente non mi ha creduto: sono stato il primo a dirle che Astrid non sarebbe tornata e a lei tanto basta. Si è aggrappata all’idea che io riesca, in un modo o nell’altro, a trovare il nesso, la ragione, il movente: di più, vuole che le consegni il colpevole. Ma io sono solo un prigioniero, e non ho i mezzi né l’interesse a risolvere questa faccenda. So benissimo che questa spiegazione non ti basta. Tu vuoi che ti racconti com’è andata, che ti faccia accedere ai miei pensieri. Vuoi sapere se lei è la chiave di volta per una mia redenzione o un’arma che puoi rivoltarmi contro quando ne avrai voglia, o forse questo è un piano di nostro padre, del potente Odino così ipocrita e crudele da seppellire ogni problema sottoterra e poi buttare la chiave.

Vuoi che ti dica che l’ho trovata bella? Lo era, ovviamente. Ho desiderato levarle di dosso l’abito nero che indossava nell’attimo stesso in cui è scesa. Adesso il racconto si è fatto più intrigante e succoso. I capelli erano acconciati in una treccia ordinata, ma la sua massa folta e bionda ha qualcosa di caotico dentro che le impedisce di tenere la sua capigliatura a bada. C’è sempre un ciuffo fuori posto leggermente ondulato che le spunta dal viso o si incastra sulle sue spalle. Si è avvolta in un lutto serrato che dovrebbe mortificare la sua bellezza, invece esalta il colore della sua carnagione tanto da farla splendere. Gliel’ho detto.

“Sei un raggio di luce in queste prigioni, Sigyn, anche se i tuoi occhi sono così tristi.” Poi, prima che potesse rispondermi, mi sono scusato di nuovo per averla spaventata, ma ho precisato che avrei mentito se avessi aggiunto che ero pentito per ciò che avevo fatto. Le ho guardato l’anulare finalmente sgombro e poi sono risalito cercando i suoi occhi grandi, liquidi, animati da una luce disperata.
“Astrid era il tuo centro, non è vero? Ma l’hai persa e ora tu non sai più dove andare.” Gliel’ho detto calcando ogni sillaba affinché ascoltasse, interiorizzasse, si rigirasse in bocca e nello stomaco la mia frase. L’ho vista stringere le mani bianche e sottili, sostenere coraggiosamente il mio sguardo peggiore. Sono stato crudele e non me ne sono pentito, perché non si può scendere fin qua e pensare che non abbiano un prezzo, le mie parole. La soddisfazione non è nella mia natura, ti ho detto qualche volta in passato, ma ci sono certe cose che me la fanno sfiorare, accarezzare. Era a disagio e io ho sorriso.

“Tu sei l’unico che lo sapeva.” Di nuovo il mio sguardo corse sull’anulare libero finendo poi per indugiare sul resto – Sigyn è nelle mie ovvie fantasie erotiche, tanto da farla arrossire, indietreggiare.

“Com’è successo?” ho domandato a bruciapelo, per sorprenderla e impedirle di alzare le sue difese e inventare una bugia qualsiasi. Mi ha guardato offesa, e ha spiegato con quattro parole che la morte di sua sorella ha messo in crisi un rapporto che già aveva basi precarie, come forse ricordavo. Ho riso e ho sentito la necessità di infierire e inserire il dito nella piaga perché non potevo oltrepassare quel vetro e lei, suo malgrado, ha riempito la mia fantasia. Non la amo, ovviamente, ma come già ti ho scritto è l’unica donna che scende qui sotto e il suo profumo è dolce e invitante, un insieme di vaniglia, miele e fiori.

Ho riso e le ho detto che so riconoscere le bugie, quando le ascolto, e le ho ricordato com’è che è andata davvero. Il suo ormai ex promesso sposo che le portava sempre fiori si è stancato di aspettare una donna fredda che non si voleva nemmeno far toccare. Ha resistito per mesi in attesa che la sua timida fidanzata gli concedesse qualcosa di più, invano. Si è ripetuto che il suo virginale pudore era indice di un’indole sensibile anche quando gli hanno detto che alzava le sue lunghe ciglia nere su di me. Ma io non sono più una minaccia né per Asgard né per il signor nessuno in questione e quindi ha lasciato correre. Solo che poi Astrid è stata rapita e poi è morta e Sigyn non solo non voleva più sentir parlare di nozze, ma cercava vendetta e ricordava come io le avessi predetto la triste fine della sorella. Gli ha confessato che avrebbe chiesto il mio aiuto, di nuovo. Questa decisione, mescolata al categorico rifiuto di non mettersi in ginocchio e slacciargli i pantaloni, ha convinto il nostro uomo che le due pecore e le tre vacche della dote di Sigyn non rappresentavano una svolta economica significativa né avrebbero contribuito al riassestamento delle sue finanze.

Invitandola a fare a me ciò che si era schifata di compiere su di lui, l’ha lasciata. Confesso di aver fatto lo stronzo e di aver esagerato. L’ho vista impallidire e sobbalzare e i suoi occhi si sono velati di pianto. Ho colto nel segno con troppo vigore, ma ormai era tardi per rimediare. A denti stretti, mi ha detto che non aveva mai desiderato sposarsi né col suo promesso né con altri, e che le sue nozze servivano ad aiutare la sua famiglia e le erano state imposte, la sua dote consisteva in un palazzo in città e in numerosi campi, ma qualcuno nel passato recente si deve essere sorbito davvero poco più di un paio di pecore, perché il riferimento l’ha davvero ferita. Poi si è voltata verso l’uscita e lì è successo qualcosa di increscioso.

I nostri spettatori affamati di storie e disperati quanto me hanno iniziato a fare chiasso, a suggerire e ipotizzare scenari scandalosi, a gridarle oscenità. Uno si è calato le braghe mostrando la scarsa – è il caso di dirlo – dotazione. La mia corte di delinquenti è formata da pessimi soggetti, fratello. Alle volte male interpretano i miei gesti e le mie azioni e credono di fare la mia volontà. Ecco, il decerebrato in questione deve aver pensato che il suo ripugnante gesto potesse essere inserito nel novero delle goliardie da prigione. Si è clamorosamente sbagliato e l’ho minacciato di una morte orrenda e tristemente lenta se non si fosse immediatamente ricomposto, e mentre lui obbediva ho richiamato Sigyn. Li ho dovuti zittire ben due volte, ma il disagio di lei era tale che la mia natura signorile – non è ironica questa frase – si è sentita in dovere di concederle qualcosa come un’inutile consolazione, una verità che non potrà rendere meno gravoso il suo lutto.

“Il loro comportamento è imperdonabile e offensivo. Non volevo umiliarti.” Non mi ha risposto, segno evidente che non credeva fossi sincero, e allora sospirando ho proseguito. “Io ero l’unico che avesse ragionato. Era una supposizione, la mia. Nient’altro.”
Il riferimento alla sorella morta l’ha riscossa e convinta a fissarmi nuovamente negli occhi. “Da quando il brillante dio degli inganni si schermisce dalle sue intuizioni?”

È stata acuta, glielo concedo. Ho abbassato la testa e riso tra me e me, compiacendomi della risposta pungente, della verità che mi metteva davanti. “Mi piace questo di te,” le ho detto, “e mi sarebbe piaciuto anche fuori. Non sei solo carina, Sigyn. Sei sincera, ma non in modo stupido.”

Ha chiesto cosa volessi dire non perché ci tenesse a sentire la mia opinione, ma nella speranza che le dicessi ancora qualcosa di Astrid. Era infuriata, livida in volto. Le ho spiegato che essere sinceri non significa vomitare sul prossimo supposizioni e pensieri senza alcun tipo di filtro: vuol dire ragionare, valutare, scegliere. La schiettezza di certe affermazioni è apprezzabile, la mancanza di tatto o di intelligenza imperdonabile. Sigyn, ancora sconvolta, non ha potuto fare a meno di cogliere l’opportunità che le stavo offrendo, così è rimasta ad ascoltarmi e io l’ho messa alla prova. Non era forse quello che voleva quando è scesa qui sotto? Non desiderava che le parlassi e spiegassi, incantandola con una soluzione che non c’è, non esiste?

“Cosa vedi quando mi guardi, Sigyn?” Il vetro ci separa, ma acuisce i nostri sensi, ci offre la possibilità di guardarci negli occhi, di spogliarci idealmente, perché ci è proibito toccarci e il suo profumo è un ricordo vibrante e nient’altro. Questa cella esaspera desideri che altrimenti si perderebbero. Lei ha aggrottato le sopracciglia e distolto lo sguardo poiché il modo in cui la guardo la turba, le ricorda l’innamoramento fugace che provava per me quando calpestavo con i miei stivali le strade della bella Asgard.

“Cosa c’entra con mia sorella?” Dopo che ha confessato il suo amore per me, prova disagio nel parlarmi di certi argomenti e questo pensiero mi diverte. Mi sono sporto ancora più verso di lei mantenendo una posa studiatamente altera.

“Sei scesa qui in cerca di risposte. Vuoi sapere come potevo essere a conoscenza di cosa le fosse capitato. Ti sto offrendo la possibilità di capirlo, a patto che tu sia onesta.”

“È difficile,” mi ha risposto, e i suoi occhi grigi si sono velati di lacrime e non solo per l’infelice sorte della sorella. Aveva capito quello che le avevo chiesto e non desiderava parlarne, perché altrimenti avrebbe finito per confessarmi come mai è scesa per settimane, mesi, qui sotto. Lo spirito di guaritrice mancata che credevo la pervadesse è solo una delle motivazioni; la più giusta e la più pura probabilmente, ma non la meno intensa. Non la biasimo per questo: conosco la nostra natura e so quanto le buone azioni siano spesso animate da sentimenti meno nobili o, semplicemente, egoistici. Il suo difetto è l’incrollabile speranza, la fiducia che ha nel destino che filano le Norne.

“Lo so,” le ho risposto, ma ho insistito, ancora. “Cosa vedi, Sigyn?” (5)

“Questa prigionia ti consuma, Loki di Asgard.” Le sue dita delicate hanno sfiorato incautamente il vetro, la sua voce si è velata di nostalgia. Ha descritto quello che tu non vuoi vedere e che io non riconosco, ma che ha smosso Odino tanto da concedermi una buon barile del migliore idromele. Dimmi Thor, credi davvero che se adesso ti scrivessi la sua dolorosa descrizione farebbe bene alla mia presunta guarigione? Non soddisferebbe piuttosto la morbosa curiosità tua e di quelli cui passi le mie missive? Non ha importanza, credo. Non ho il diritto ad avere un dialogo privato con lei o con altri, e mezza prigione ci ha sentiti parlare: prima che tu possa travisare, ti racconterò com’è andata, affinché tu possa ascoltare anche la mia voce e non lasciarti abbindolare dalle fantasticherie di un gruppo di secondini rintontiti dalla noia e da un mucchio di avanzi di galera e tagliagole.

Occhi segnati dalla stanchezza, pallore, sintomi di qualche tara mentale acuita dall’insonnia, una tosse fastidiosa merito senz’altro dell’aria umida e insalubre di questo dannato sotterraneo di merda. Le ricordo un animale in gabbia, e io ho pensato immediatamente al bellissimo lupo che regalarono a nostro padre quando eravamo bambini: lo ricordi? Era un animale fantastico, fiero e potente che la cattività rese pazzo. Amavo nutrirlo, ma lui sentiva la nostra puzza nel cibo che gli offrivamo e rifiutava sdegnosamente il pasto. Non c’era bisogno che la bella biondina facesse la sua analisi puntuta perché rievocassi la storia del lupo (6): ci penso da quando mi hanno rinchiuso, credo, ma le sue parole me lo hanno fatto rivedere una volta di più com’era nella sua gabbia esibita, esposta. Almeno questo mi è stato risparmiato. Non è stata compassionevole né sciocca. Nelle sue parole ho letto qualcosa che già avevo riconosciuto da tempo, ma è stata solo un’analisi ben fatta e non un’accorata dichiarazione d’amore. Quella me l’ha fatta settimane o mesi fa – il tempo si sbrindella e confonde, qui dentro – e adesso l’unica cosa che conta, per lei, è capire chi le ha portato via sua sorella e per quale ragione.

E sia, se l’è meritato il mio aiuto. Prima di capire perché Astrid è morta occorre dire quando. Le ho esposto nuovamente la mia idea secondo cui il rapimento e l’uccisione sono avvenuti entrambi nel giro di poche ore. Un concetto straziante da accettare, me ne rendo perfettamente conto: implica che le ricerche durate settimane non hanno portato a niente, che le preghiere e le speranze erano vane. Quello che so di com’era quando l’hanno trovata, ha avvalorato ancora di più la mia tesi che credo i guaritori confermeranno. Le notizie che mi sono arrivate qui sotto sono vaghi e imprecisi racconti, ma non è importante, adesso.

“Heimdall non ha visto,” ha mormorato. “Perché? Com’è possibile?” Ho sorriso incrociando le mani dietro la schiena e fissandola con comprensiva tristezza. Ecco il punto, il nodo e il motivo per cui Sif venne da me a chiedere spiegazioni. Sono stato interrogato come un volgare delinquente per questo solo particolare, e se tu non fossi in giro a cazzeggiare per i Nove Regni o le Norne sanno dove, avresti potuto dimostrarmi che le tue non sono solo parole e agire.

“Non è poi così difficile gabbare il vecchio Heimdall,” le ho spiegato.

“Uno solo può vantarsi di averlo fatto: tu,” ha insistito. Quanti giorni erano già passati dal funerale di Astrid? Due settimane? Un mese? Il colore aveva abbandonato il guardaroba di questa ragazza così giovane da tanto tempo? Chiamare la sorella di Sigyn con il suo nome non mi aiuta, come dovrebbe, a stabilire chissà che compassione: non nascondiamoci dietro a inutili ipocrisie. La sua fine è stata orrenda e dolorosa, e una certa inquietudine assalirebbe chiunque pensando come la mano che ha agito in quel modo sia ancora libera, ma tutta la mia pietà si riversa nello sguardo di preda braccata di Sigyn: quando ironizzavo sul suo matrimonio privo di passione, i suoi begli occhi grigi erano più dolci e sereni. C’è sempre, in lei, un’inquietudine dolorosa e antica, ma adesso è stata sopraffatta dal dolore. Il punto è che Sigyn aveva bisogno di essere consolata sì, ma con delle risposte. Si può spiegare il male, Thor?
“Come fai a vedere il mondo? Con cosa mi stai guardando?”

Presa alla sprovvista ha esitato un momento prima di rispondermi, quasi non credesse che fossi così magnanimo da offrirle ciò che mi ha chiesto, dando un senso alla vergognosa vista che ha dovuto sopportare. “Con gli occhi,” ha risposto infine. Brava la mia ragazza, ho pensato.

“E Heimdall, da dove attinge il suo potere di Guardiano?” ho insistito, dicendole con parole più gentili quello che ho confessato a Padre Tutto.

“Io credo… dagli occhi,” ha deciso. A te avrei dovuto fare un disegno, temo.

“E dove li avete tutti e due i vostri begli occhi?” Ci stava arrivando, pian piano, occorreva solo metterla sulla giusta strada. Spiegarle come si ragiona, cosa si fa quando si hanno tra le mani una serie di dati, informazioni, aspetti.

“Che significa? Sul viso,” ha risposto confusa. Le mie domande sono troppo semplici, come la verità che spesso è più banale e insignificante di quanto non ci si aspetti. Ho ghignato – la metto sempre in difficoltà quando sorrido, perché si sforza probabilmente invano di capire quando scherzo e quando, invece, sono mortalmente serio. In fondo, io e Sigyn ci conosciamo appena, nonostante ricordi nitidamente il suo profumo.

“Riesci a vedere quello che stanno mimando dietro di te i miei compagni di cella?”

“No,” ha soffiato voltandosi di scatto. Le ho sorriso. “Nemmeno Heimdall. La spiegazione più semplice generalmente è quella giusta, Sigynella. Usa la logica.”

“Ma questo vuol dire che…”

“Che Heimdall era distratto da qualcos’altro. L’assassino di tua sorella non è un balordo ubriaco, ma uno che conosceva il momento in cui il Guardiano sarebbe stato, come si dice, in altre faccende affaccendato. Questo restringe un po’ il campo, no?”
Quando mi ha chiesto di aiutarla ulteriormente, le ho voltato le spalle e le ho detto di andare via. Farlo non migliorerebbe la mia condizione e dedicarmi alla giustizia di Asgard non mi diverte più come un tempo. So benissimo che mi dirai che lo dovrei fare per lei, ma tra noi non c’è niente: Sigyn è la mia finestra sul mondo preferita, ma non rappresenta niente più di questo. Lo sai.
 

 
Lettera 19
 
 
Thanos mi ha fatto visita, stanotte. Ho aperto gli occhi ed era lì, seduto sulla mia poltrona, di fronte al mio letto. Da regolamento dovrebbe essere una branda, ma mi è stato concesso un letto, sì: lo sapresti, se ti fossi degnato di portare qui sotto le tue chiappe. Vedi, la mia massima aspirazione in queste tediose giornate che si susseguono le une alle altre, è averti a portata di vista e dirti che sei il solito deficiente.

Ti hanno fatto il culo su Midgard? Ti sta bene, perdente. Le notizie corrono veloci, grazie a quel vecchio spione incapace di Heimdall, che quando serve è sempre con la testa per aria a impicciarsi delle vicende altrui. Oh, come vorrei aver potuto assistere al momento, memorabile, in cui ti sei reso conto che la tua combriccola di saltimbanchi litiga tra sé e non è che la parodia di una vera squadra. Non mi crogiolo delle tue disfatte perché ho l’animo cattivo: sono solo razionale, un concetto che per te è troppo astruso, lo so bene. Che pensavi, di vincere tutte le guerre roteando il tuo martello – una sorta di inutile appendice, te l’hanno mai detto che hai un rapporto morboso con quell’affare? Devi sopperire forse qualche mancanza?! -  e gridando come un pazzo “per Odino?” (7) Dato che, ad ogni modo, sei resistente come una pianta infestante, occupiamoci in questa lettera di qualcosa di decisamente più rilevante: me.

Non ho intenzione di farmi visitare dal tuo guaritore elfico del cazzo. Chiuso il discorso. La mia non era un’allucinazione e nemmeno un sogno: Thanos era lì e abbiamo parlato. Ho riconosciuto il suo odore, ho visto i segni che ha lasciato sulla mia poltrona e sul mio braccio. Non me lo sono inventato. Ovviamente è sparito quando le guardie sono accorse, ma non sono stato io. Qualunque cosa fosse, era davvero nella mia stanza-prigione. Mi piacerebbe che la tua solerzia nel raccattare ciarlatani e portarli di fronte al vetro della mia cella a sparare idiozie, si tramutasse in una maggiore rapidità nel trovare i libri che chiedo. Ci si annoia a morte qui sotto, e non mi venire a dire che in tutta Asgard non c’è un solo essere, a parte Sigyn, in grado di consultare un catalogo e tirare giù due volumi da uno scaffale.


Continua...


Caro Lettore,
Grazie mille per essere arrivato fin qui. La Fatina dell’Ispirazione sbatte le sue alucce glitterose e ti ricorda che ogni pensiero è gradito, perché la tua opinione conta. Un caro abbraccio a tutti coloro che, finora, hanno supportato questo simpatico delirio. Grazie!
Ma veniamo al tuo pensiero: forse ti stai chiedendo quali lettere siano false e quali vere, quando Loki menta e quando no. Ti rovinerei la sorpresa e il divertimento se te lo dicessi, ma qualche piccola suggestione te la voglio dare lo stesso.
E se Thor non cercasse la verità da Loki? Non è importante quello che il dio dell’inganno dice, ma cosa, a chi, come e quando. E la sua reticenza su determinati argomenti.
  1. Nello scorso capitolo, Loki si lamentava di non poter mangiare con le posate.
  2. “Non sono uno stregone, non vedo il futuro” è un omaggio a una battuta pronunciata in Thor: Ragnarok. Nel testo sono presenti anche altre frasi Loki prese, in questo caso, da TDW (chi mi ha incarcerato/la soddisfazione non è nella mia natura). C’è pure una battuta del primo Avengers, l’hai riconosciuta?
  3. Balder e Hoder, già citati. Nel mito norreno, Balder sarà l’effettivo erede di Asgard dopo il Ragnarok. Tornerà da Hel, luogo in cui era finito perché, in soldoni, il cieco Hoder lo uccide con una freccia. Chi ha dato un arco a non vedente? Neanche a dirlo, è stato quel buontempone di Loki, che ha pure preso la mira. In questa fiction Hoder non è cieco fisicamente, ma è ottuso, quindi cieco spiritualmente.
  4. “Brindo a te, vergine…” è un’iconica battuta di uno dei film horror più belli di sempre: Profondo Rosso di Dario Argento.
  5. Questo dialogo è ispirato a una delle scene più iconiche del film “Il silenzio degli innocenti” che valse ad Hopkins l’Oscar. E niente, Loki assomiglia a Odino più di Thor, lo dice anche Hela!
  6. La storia del lupo di Odino l’ho inventata per la fiction “Sposami, Sigyn”: qui te la ripropongo. Come? Non hai letto/recensito quella fanfic? Ma insomma!
  7. Lo fa nei fumetti e nei cartoni, sic.
Ci vediamo giovedì sera, ;) con qualcosa legato alla saga del "Ponicorno"... 

S. 

 

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Capitolo 4
*** In fondo alla prigione ***


Capitolo 4 – In fondo alla prigione

 

Lettera 20

 Avanti Thor, non dirmi che sei sorpreso. Non ci credo: quello che è successo era assolutamente prevedibile, auspicabile persino. Cosa ti aspettavi facessi, sentiamo? Una giovane Asinna è stata offesa da un volgare delinquente davanti ai miei occhi, uno che certo non aveva senso sfamare e che mai si sarebbe redento – ti ricorda qualcuno, per caso? – e io non ho fatto altro che suggerirgli una via di fuga che non scontentasse nessuno e, soprattutto, appagasse me. Sono un figlio della corona come te e non tollero di vedere certi atteggiamenti, specie se la scortesia in questione è stata fatta alla mia ospite. Questo è il mio piccolo regno privato, ricordi fratello? E ora passiamo all’altra questione. Senza libri e altri sollazzi, la bisca mi è sembrata un ottimo modo per godere della mia presunta ora di libertà. Altrove si usa, non fosse altro che per vedere un quadrato misero di cielo, ma qui ad Asgard su certe cose siamo all’avanguardia, dico bene?

Del pagliaccio elfico non voglio nemmeno parlare: è un idiota e l’ho detestato dal primo istante in cui l’ho visto. Non me ne frega un cazzo di sapere cosa pensa di me o crede di aver compreso. Non capisco quale convinzione malata ti abbia convinto che avrei perso il tempo che mi avanza tediandomi in sua compagnia, davvero. Ora, ad ogni modo, ti si prospettano più di un paio di soluzioni e sono certo che, come al solito, farai la scelta sbagliata: punirmi perché secondo te a causa mia un prigioniero è passato a miglior vita, negarmi il conforto della lettura perché ho allestito una divertente attività ricreativa o per aver fatto scappare a gambe levate il tuo cerusico squilibrato. Che caso, tutte le soluzioni portano sempre allo stesso risultato.

Sai benissimo che Sigyn non è più scesa qui sotto e, del resto, non vedo perché dovrebbe farlo. Bjorn mi ha informato che sta ancora cercando di capire perché la sorella sia stata uccisa e voleva tentare di parlarmene, dato che un suo cugino è il vicino di casa della nonna delle due ragazze, e allora si è quasi sentito in dovere di descrivermi la povera morta, ma a me non può fregare di meno. Qui sotto ogni cosa perde di rilevanza, sbiadisce, scolora. Solo l’ombra di Thanos era vera e reale, ma non ti parlerò di quello che mi ha detto né ti metterò a parte di quanto successe quando caddi dal Bifrost. Non capiresti. Non ci sono parole per descrivere l’abisso né il suo regno, e non voglio certo ricordarle in questo posto fetido e umido, malsano.

 

Lettera 21

 

Avanti Thor, non te la sarai presa davvero, spero? Era solo uno scherzo – un riuscitissimo trucco che mi ha strappato qualche risata e che resterà negli annali di questa divertentissima prigione. Al prossimo banchetto, anziché raccontare per la milionesima volta di quando abbiamo fatto “chiamate aiuto” (1) e poi il drakkar che avevamo requisito ha iniziato davvero a colare a picco – e lì ci è toccato chiamare aiuto per davvero, rallegrerai i tuoi ospiti con questo momento di spettacolare ilarità. Ma chiudiamo questa allegra parentesi e veniamo a noi due.

Il mio umore migliora quando la gonnella di Sigyn si palesa qui sotto? Può darsi. Ti ho già detto che il mio dirimpettaio mangia in maniera disgustosa e ha uno scarso senso dell’igiene? Ti ricordi che lei è una buona lettrice e mi trova sempre testi interessanti? Non credo sia necessario dire altro, così come ci tengo a ribadire che non me ne frega assolutamente niente dell’opinione del tuo ciarlatano elfico. Ti avrà detto le solite cose: che sono un pericolo per me e per gli altri, che la sorveglianza nei miei confronti deve essere costante, che soffro di allucinazioni e manie persecutorie. Devo proseguire?

Sai Thor, quello che non mi è chiaro è perché tutti vi preoccupiate tanto assiduamente per me, ma non vi passi mai per l’anticamera del cervello che è questo tugurio scuro, il mio problema. Se potessi vedere un pezzo di cielo vero, anziché doverlo ricreare tramite il seidr, starei certamente meglio. Adesso non venirmi a dire che me la sono cercata. Sai meglio di me che la giustizia di Odino è severa, implacabile e ingiusta: non ti bandì da Asgard per aver tentato in buona fede di proteggerla? Fu una mia trappola, certo, che aveva come solo obiettivo quello di oscurare te e mettere in una luce migliore me; non me ne pento, ma ha avuto un alto prezzo. Curioso come le disgrazie di uno si riflettano sull’altro, non trovi? Esiliato su Midgard, l’arrogante Thor trovò se stesso e un presunto nobile scopo. Nel tentativo di mostrarmi degno di un trono che le mie qualità avrebbero dovuto farmi ottenere senza sforzo, io scoprii la menzogna in cui ero cresciuto e la vera natura mia e di nostro padre. Ho visitato Jotunheim, durante la tua assenza. Non con chissà che intenti melanconici, o animato dallo spirito patetico dell’orfanello che voglia ritrovare le sue origini. Non c’è niente da capire, nella mia vicenda, e di Laufey ho solo il nome. Non ero in cerca di motivazioni o giustificazioni; la mia era solamente una curiosità scientifica, niente di più e niente di meno. È una terra spaventosa, estranea, gelida. Non è priva di una certa selvaggia bellezza, ma è inospitale in maniera inaudita. Ti strangola con il suo freddo implacabile e nella sua oscurità senza ritorno proliferano creature di cui si può solo immaginare l’esistenza. È severa, gigantesca, onirica.

 

Lettera 22

 

La fantasia e l’immaginazione dei secondini Asi colpisce ancora! Alcune delle nostre guardie scelte dovrebbero proprio mollare lo scudo e la spada e dedicarsi alla carta e alla penna, tanto fervida è la loro mente. Da dove inizio? Lei è scesa, stretta nel suo ormai consueto lutto, reggendo tra le mani una serie di carte, plichi, testi. Ha lo sguardo stanco e deciso di una che ha passato tutta la notte a studiare, ma questo non ha intaccato la sua bellezza, anche se qui sotto facciamo tutti un po’ più schifo del solito. Dunque, come dicevo, lei è scesa e la prima cosa che ha chiesto è stata dove fossero i miei libri. Gli ho raccontato dello scherzo fatto al cerusico elfico e a quel demente di Balder il Beota e della gentile punizione che mi è toccata in sorte.

Lei ha sospirato scuotendo sconsolata la testa, e mi ha parlato con la sua solita voce gentile condita però da un pizzico di familiarità assolutamente inappropriata, te lo concedo, ma certo il suo tono non assomigliava per niente al modo in cui una maestra carina rimprovera l’alunno disobbediente, come ti hanno invece riferito. Non mi ha affatto parlato come se avessi cinque anni, te lo posso garantire. Si è dimostrata dispiaciuta che le mie tediose giornate debbano passare senza poter leggere, raccontando storie a un gruppo di avanzi di galera abbrutiti, non immaginando neanche che in questo mio sotterraneo regno ho trovato mio malgrado un pubblico e un palco sempre pronto – o costretto, dirai tu – ad ascoltarmi, e mi ha contraddetto dicendo che avrei dovuto accettare dal cerusico il rimedio per la raucedine che mi affligge. Non tosse stizzosa, banale raucedine. Sai dove ve lo dovete ficcare tutti, lo sciroppo?

Ma torniamo a me.

“Dato che non hai libri con te, forse potresti distrarti leggendo questo.” Tramite il porta vivande mi ha passato i plichi e le carte. L’ho guardata con attenzione – non desiderio, brutto idiota, attenzione, e ho dato un’occhiata veloce ai fogli.

“Voglio la tua opinione. Le guardie scelte dicono che è opera di un balordo,” ha aggiunto abbassando le ciglia nere e lunghe.

Ti concedo che potrebbe lusingarmi il fatto che desideri conoscere il mio parere, perché la sua richiesta di aiuto mi ricorda quello che ero e sono, il principe degli Asi ma, allo stesso tempo, immischiarmi in questa disgraziata vicenda acuirebbe ancora di più la consapevolezza di essere sepolto vivo qui sotto. A costo di sembrare scortese, le ho detto che avrei letto per necessità le sue carte, ma che non si doveva aspettare da me alcun tipo di aiuto. Non riceverei nulla in cambio. Il concetto di riportare ad Asgard la giustizia di Odino mi offende e ferisce enormemente, e aiutarla da qui sarebbe comunque una perdita di tempo. Per cosa, poi? Forse è davvero un balordo che, per puro caso, è riuscito a farla franca perché Heimdall guardava da un’altra parte; molto spesso la soluzione è a portata di mano ed è semplice, la cosa più semplice che si possa immaginare. Le ho detto che capisco benissimo il suo desiderio di trovare un perché al male che ci capita, ma le ho ricordato come alle volte una spiegazione non c’è, punto. Io sono uno dei pochi fortunati che può dire tranquillamente di conoscere il motivo delle proprie sventure, ma alle volte la sfortuna e le disgrazie sono semplicemente il frutto di una serie di coincidenze che ci portano a vedere connessioni dove non esistono.

Lei ha protestato con veemenza a questa mia lucida e coerente analisi, segno evidente che è ben lontana dall’aver superato il suo lutto. “Ti chiedo solo di leggere. Cosa vuoi, in cambio?” ha detto fiera.

C’era solo il vetro a separarci: senza la lastra sottile e indistruttibile, i nostri nasi avrebbero quasi potuto sfiorarsi, le mani toccarsi. Questo è vero, come i suggerimenti affettuosi giunti dagli spalti. I nostri spettatori, dopo l’ultima volta, sono diventati quasi dei veri gentiluomini, ma non hanno mancato di dare la loro romantica visione di come io e la biondissima Sigyn dovremmo far evolvere la nostra relazione. L’interferenza ha bruciato il momento, neanche a dirlo, e così non senza un certo imbarazzo ci siamo accomiatati con la promessa di riprendere quanto prima il discorso. Non mi farò visitare un’altra volta dal tuo ciarlatano, ma prenderò la vostra ridicola pozione. Ora, per cortesia, puoi far sì che abbia di nuovo i miei libri? Ti allegherò l’elenco dei testi che voglio e non piantarmi un casino perché sono troppi: non li leggerebbe nessun altro a parte me.

 

Lettera 23

 

Lo sapevi e non mi hai detto niente, vero? Ti diverte questo giochetto? Sono sepolto qui sotto, e non basta una pila di libri ogni tanto a farmi trascorrere serenamente l’eternità: la mia cella dorata è sempre una prigione priva di finestre e con tre lati fatti di un vetro infrangibile, che mi rende uno spettacolo magnifico e inquietante o di patetica desolazione, a seconda del mio umore. In mezzo a tutto questo ci sono le tue paturnie e le battute idiote che mi regali.

Ho letto i documenti che mi ha fatto avere Sigyn, ovviamente. Potrei dirti che li ho studiati e non sarebbe affatto un’esagerazione. A lei dirò che non se ne deve occupare e farebbe bene ad andarsene per un periodo da qualche parente in campagna. A te, dico di portare le tue chiappe qui e tenere bene gli occhi aperti, perché c’è un’intenzione perversa nel modo in cui quel pazzo ha ridotto il corpo e non solo per quello che si è portato via, ma per il modo in cui ve l’ha fatta ritrovare. Non mi sembra un raptus, ma una vendetta, solo che ho troppi pochi elementi per poter capire chi è davvero. Astrid lo conosceva? Difficile dirlo. Quello su cui potrei giurare è che sapeva di agire indisturbato e che Heimdall non lo avrebbe visto, e partendo da questo discorso potrei essere d’accordo su quanto detto, che certi dettagli li ha fatti per sfregio. Solo che qualcosa non torna. Se avessi potuto vedere il corpo, sarei riuscito a togliermi certe curiosità, ma così non è stato e quindi facciamocene tutti una ragione. Del resto, non era un compito che amassi particolarmente svolgere anche quando me ne occupavo per conto di Odino. Non mi ha mai esaltato come incarico, sebbene non ti nascondo che provavo un certo sottile brivido di divertimento, nel dare la caccia a qualcuno, carpirne la volontà, leggere le intenzioni. So cosa stai pensando, ma la risposta è no: non me ne frega comunque un cazzo.

Finiscila anche di insistere con Thanos, già che ci sei. La mia permanenza nel suo mondo e all’interno dell’entourage che ha creato è una parentesi fortunatamente chiusa della mia esistenza. Non ho alcun piacere nel rivangarla, come ti ho detto. Non so niente neanche del resto, quindi arrangiati.

 

Lettera 24

Eri qui, l’altra notte. Ti ho visto. Mi guardavi, sei sceso, hai riso, hai parlato delle nostre passate battaglie. Davvero mi stimavi, fratello? Hai rievocato Nornheim e Vanheim dicendomi che ti fidavi di me. Veramente credevi che avremmo combattuto insieme per l’eternità? (2) Forse anch’io l’ho pensato qualche volta, di ritorno da un campo di battaglia, con le ossa ammaccate dai combattimenti e il sapore dell’idromele della vittoria sulle labbra. Dopo no, le nostre strade si sono divise perché non poteva che essere altrimenti. La vita adulta non è come ce la immaginavamo quando giocavamo a conquistare terre e mondi armati soltanto di due spade di legno: è lo smarrimento che provavamo quando ci perdevamo nei boschi intorno ad Asgard e, prima di ritrovare la via, ci guardavamo spaesati l’un l’altro e poi fissavamo gli alberi minacciosi dalle cime lontane e i rami contorti. Ieri eri qui, ma non ricordo di averti risposto. È come se fosse stato un sogno o una visione. Davvero sto diventando pazzo, dentro questa cella. Mi basterebbe poter guardare un pezzo di cielo protetto dal reticolo di una grata e respirare dell’aria pulita e fresca, ma non scriverò a Odino chiedendogli la grazia o un trattamento migliore. Sarebbe indegno di me e conosco abbastanza bene il suo cuore da sapere che non si scioglierà, se il figlio adottivo gli chiederà qualcosa. Anzi. Nemmeno lui ha mai avuto il coraggio di scendere, e non mi importa sapere che ogni tanto ha chiesto di me alle guardie: non basta, fratello, non basta. È solo un modo per lavarsi la coscienza.

Sigyn è tornata, oggi. Nei suoi occhi ho letto uno smarrimento nuovo, lo stesso tuo credo. Lo spettacolo che le ha offerto la mia cella non è dei migliori, ne convengo, ma non fingete stupore quando mi vedete: dovevate aspettarvelo. La bestia feroce ogni tanto scalpita, si infervora, prende coscienza della sua condizione: allora la maschera si crepa e potete vedere gli effetti delle sagge scelte che sono state prese da Padre Tutto e anche delle mie azioni, forse sì. Non mi sto pentendo, fratello. C’è una sola alleanza che non rifarei, ma che comunque non mi lasciò la possibilità di decidere e da cui fuggii, come ben ricordi. Ma lasciamo da parte questi deliziosi dettagli e concentriamoci sul resto.

Lei ti ha già raccontato tutto, credo. Mi ha detto che volevi conoscerla per vedere negli occhi la ragazza per cui ho speso tante righe, dimenticando come tuo solito che non è amore ma desiderio, quello che me la fa inevitabilmente sognare la notte. Lei fissava spaventata il disordine improvviso cui non era affatto abituata, comprendendo una volta di più la misura della mia disperazione. Dimmi fratello, quale particolare l’ha sconvolta di più? I vestiti sporchi di sangue, i mobili distrutti, il segno delle unghie sui muri, cosa? Il mio aspetto dimesso? Gli occhi segnati dalla stanchezza, il pallore? Non le devo apparire più come il principe affascinante che non la guardava, il figlio cadetto del re per cui nessuna cosa era impossibile. Avrà avuto vergogna di essersi invaghita di quell’immagine passata e di aver aperto il suo cuore a questo – al mostro da cui le madri mettono in guardia i bambini, dal gigante di ghiaccio che mente persino sul suo vero aspetto. Ho dimenticato anche io dove inizia l’incanto e dove finisce, o forse non l’ho mai saputo. La mia forma reale qual è? Quella di Laufey da cui sono nato, della donna che, partorendomi, deve avermi trasmesso l’abilità di mutare forma, un dettaglio davvero inquietante sebbene divertente, o l’aspetto che ho assunto quando Odino mi ha preso in braccio? Nostra madre mi disse, una volta, che Padre Tutto le raccontò di non aver usato nessuna runa per donarmi l’aspetto di un Ase: fui io ad adattarmi al colore della sua pelle. In fondo, la mia figura rappresenta ciò che dovrei essere, che sono, e il volto che vedo riflesso nello specchio o nel vetro della prigione, qualunque cosa sia, sono io.

Sigyn è tornata oggi, e forse ti ha detto che non scenderà qui sotto da sola mai più, o che non la posso aiutare anche se potrei. Invece verrà di nuovo: lo farà perché ha bisogno di capire quanto so di questa storia anche se è spaventata dai miei modi. Non riesco a essere cavalleresco come dovrei, con l’unica gonnella che scende qui sotto. Sono stato crudele e lo ammetto e lei, certamente, abbassando quelle sue lunghe ciglia nere, ti domanderà con voce esitante qualcosa di me, girando attorno al problema senza rivelarlo. L’ho turbata, stasera, e non solo per quello che ho lasciato trapelare, ma per l’altra battuta: quella che ti confesserà con un riso nervoso e un gesto rapido della mano, che le tornerà in mente quando si adagerà nella vasca piena d’acqua calda della sua stanza.

Concedimi di indugiare in queste fantasie, fratello. Fuori di qui non l’ho mai notata e ora lei ha il sapore e il gusto delle cose proibite, negate. Compatiscimi, avanti. Divertiti alle mie spalle, sorridi della mia disperazione. I piegamenti che faccio ogni mattina – quando capisco che è giorno, perlomeno, servono a non far atrofizzare i miei muscoli, gli altri esercizi sono un modo per non farmi venire le piaghe. Ho finto che le pergamene portatemi da Sigyn fossero dei pugnali affilati come quelli che usavo. Potrei aiutarla per ingannare il tempo e soffocare la noia? Forse, probabilmente. Questa morte assurda e francamente disgustosa in verità non stimola così tanto il mio intelletto da rappresentare un valido passatempo mentale, anche se l’idea che riguardi lei mi rende meno indifferente alla cosa. Il che non significa che nelle mie scorse lettere ti ho raccontato una serie di palle e di lei mi importa, ma che il mio menefreghismo non è totale. Non è per lei, i suoi begli occhi o le sue curve sinuose e invitanti, ma per quello che c’è scritto nei documenti che mi ha portato. Non è che manchino i tasselli per ricostruire tutti gli elementi della morte di Astrid, è che sono stati assemblati male e quindi il quadro che si è venuto a creare è vago, incompleto, imperfetto in una maniera disturbante.

 

Lettera 25

 

Anche questo era senza occhi? I secondini non hanno saputo dirmelo, o forse credevano che certi dettagli non dovessero essere divulgati. Certo che c’è un sistema in quello che fa e uno scopo che vuole raggiungere o ha già raggiunto. Mi sembra ovvio. Balder si è rialzato? Buon pro gli faccia. Odino è preoccupato? Indovina? Non me ne può fregare di meno. Per quanto riguarda lei, puoi scopartela, fate quello che vi pare.

 

Lettera 26

Non voglio che siate vicini. Non ho intenzione di immaginarvi insieme, detesto l’idea che collaboriate. Una risata, una battuta, un evento fottutamente ridicolo come una pioggia improvvisa e un solo mantello, ed ecco che vi trovereste improvvisamente troppo vicini. Ho creato decine e decine di situazioni simili e altre si sono verificate senza che mi ci impegnassi troppo. Io non sono più quello che amava da lontano. Guardami, fratello. Scendi qui un’altra volta ancora e fissa il nemico di Asgard negli occhi. Dite che sono pazzo, temete le mie azioni sconsiderate, mi biasimate e giudicate ancora adesso, ma trovate più conveniente scrivermi quattro righe su un pezzo di carta che affrontarmi a viso aperto. Credi che non sappia perché?

Rispondendomi per iscritto, avete tempo per pensare una risposta adeguata per ogni mia frase, ma se foste ora davanti alla mia cella ampia ed elegante, la vostra lingua esiterebbe e non saprebbe ribattermi con giudizio e accortezza. Tu risponderesti in maniera arrogante e impulsiva perché questa è la tua natura, io ti rigirerei contro ogni pensiero e considerazione seguendo la mia. Così sarebbe. Con lei è stato diverso e so perché non scende, anche se vorrebbe farlo, ma non le chiederò scusa. Respiro il suo profumo, ammiro il mio trofeo, ricordo il suo smarrimento e anche se la soddisfazione non è nella mia natura e questo, ovviamente, non può certo bastarmi, fingo di crogiolarmi in una vittoria apparente. Che altra verità vuoi che ti serva, Thor? Cosa ti soddisferebbe? Conoscere i palpiti del mio cuore? Provo pena per te e per la morbosa attenzione che dedichi alle farneticazioni di un pazzo, perché questo sono, dico bene? Sostieni che ho passato sotto silenzio certi piccoli dettagli del nostro ultimo incontro, ma sai una cosa? Io davvero non li ricordo, quindi fammi internare in una cella ancora più buia, perché mi sono svegliato da un sogno e non c’era un singolo arredo che fosse intatto, e anziché spaventarmi ho riso fino alle lacrime perché l’ho trovato divertente, immensamente divertente. Chiedi a Bjorn (3), che era di guardia, chiedi a chi cazzo ti pare. Non hai bisogno delle mie lettere bugiarde per sapere quello che succede qui: la mia corte estasiata provvede a tessere le mie lodi.

 

Lettera 27

 

Ha pianto per me? E tu le hai asciugato le lacrime con le labbra, l’hai baciata, cosa? Nei giorni in cui non ti ho scritto ho cercato di trasformare la mia corte di dementi in un gruppo di persone assennate, pentite dei loro errori e acculturate, persino. Le storie degli Asi li affascinano, li conquistano meglio e più intensamente di quanto non abbiamo saputo fare con le spade e le lance. Li incantano le nostre arguzie, i piani audaci, le gesta eroiche. Vorrebbero assaggiare l’idromele che conserviamo nelle nostre botti, al sicuro nelle cantine, e levare le loro voci sgraziate lodando Odino. Non facciamo solo questo, ovviamente. Alle guardie solerti insegno qualche trucco per vincere a dadi o a carte, allo sventurato Bjorn suggerisco le parole d’amore da mormorare quando smonterà dal suo turno alla fidanzata da riconquistare. Il naso rotto ha dato personalità al suo volto e figurati, lei finalmente gli ha concesso un appuntamento. Lui, in cambio, mi ringrazia omaggiandomi come mi spetta dato il mio rango e procurandomi quel poco che mi è concesso. Vuoi toglierci anche la bisca? Dopo i libri anche questo? (4)

Bjorn ovviamente mi ha informato della paura che attanaglia i tuoi futuri sudditi. Siamo a tre, e Astrid non era la prima. Temo ce ne saranno altri – che imperdonabile frase fatta – e che tu ti stia agitando pigramente con vane parole e non faccia niente per risolvere il problema.

 

Lettera 28

 

Chi mi ha incarcerato? (5) Chi mi costringe a respirare muffa qui sotto? Sai già cos’è successo, te lo ha raccontato lei. Perché devo ripetertelo io, che gusto c’è a scriverti una storia che già conosci, che supponi falsa e per quale fottuta ragione dovrei dirti la verità? Quale bisogno soddisfi? Chiami questa farsa ridicola “cura”, mi obblighi a mantenere un legame con te, affermi che se non ti scrivessi avrei di nuovo le visioni, ma il punto non è questo, nient’affatto: non voglio essere compatito da te. Vivo in una cella angolare che ha tre lati fatti di vetro: nessuna delle mie parole viene udita solo da un paio di orecchie. Non ho diritto a una vita privata né a una vita. Devo espiare una condanna che credo smisurata e ingiusta e, in tutto questo, ti ci metti tu. Che non mi servi davvero a un cazzo se non a farmi impazzire davvero. Ieri sera vi hanno visto parlare tutto il tempo e la voce è giunta fin qua sotto, non priva di una certa ironica compassione nei miei confronti, come se lei fosse la mia donna o cosa. Mi hai tolto anche questo, il suo sospiro, fratello. Complimenti.

 

 

Lettera 29

 

La tua offerta di pace mi ha sbronzato, ma questo già lo sai. Mi congratulo e mi compiaccio per la tua ottima scelta, fratello: hai dei gusti francamente proprio di merda, ma di alcool ne capisci, te lo concedo. Le ho chiesto di sposarmi per vederla sobbalzare, tremare, soffrire persino. È bella e intelligente e questo anche fuori di qui. Era la cosa giusta da dire per la tensione che si era creata – qualcosa di vero, palpabile, che l’ha stretta come una morsa allo stomaco e l’ha fatta sentire viva, donna. Hai intuito questo, nei suoi occhi?

Venne da me, giorni fa, stretta nel suo lutto ad eccezione di una sciarpa color primavera: una sfumatura di viola, per l’esattezza. Voleva sapere che ne pensassi delle carte che mi aveva consegnato. L’unica ragione per cui ti riporto ciò che ricordo di quel dialogo è perché tutti, anche lei, ti avranno riferito quasi esclusivamente quella battuta estemporanea e necessaria, lo “sposami, Sigyn” che ho detto quasi ridendo, e non si soffermeranno sul resto. Perché quello è l’importante Thor, soprattutto adesso che le vittime sono tre. Ci sono una serialità e una sfilza di coincidenze che non puoi fingere di ignorare. Io sì, le riconosco, ma a me non frega un cazzo perché sono lo squilibrato chiuso dentro la cella, ricordi?

Ad ogni modo torniamo a parlare di Sigyn, della mia Sigyn che non posso sfiorare, dell’unica donna che mi fa visita qui sotto. Mi ha chiesto cosa ne pensassi, delle carte. Credo di aver alzato un sopracciglio dubbioso e averle detto che conoscevo il guaritore incaricato di redigere le analisi sulla povera Astrid: un uomo meticoloso, uno scienziato di coscienza. Morta poco dopo essere stata presa, tentò di difendersi. Perché dovevo nasconderle la circostanza che era viva, quando le hanno cavato gli occhi? È un indizio importante, anche se doloroso. Sigyn si è piegata in avanti come se fosse stata colpita e mi ha chiesto di continuare.

Dicono di me che sono il dio degli inganni e che la verità dal mio punto di vista sia un concetto labile, sfumato, grigio. Non è una descrizione accurata: mento e tramo per un fine preciso, un obiettivo. La biondina non aveva bisogno dell’ennesima persona che le dicesse quale tremenda disgrazia fosse capitata all’amata sorellina: le serve un volto e un nome e un perché. Io potrei aiutarla, solo non voglio, eppure quel giorno l’ho fatto a mio modo e dopo, nemmeno la mia corte di devoti disperati era disposta ad appoggiarmi. Temono i miei sguardi, assecondano i miei bisogni, restano invischiati nei miei racconti, ma non riescono a tollerare la perfidia di certe trovate che metto a punto quando mi assale la noia o la disperazione. Sigyn ha voluto che andassi avanti, e io le ho proposto un gioco.

Cosa ti hanno raccontato, a quel proposito? Che l’ho guardata con fare altero, incrociando le mani dietro la schiena, sporgendomi verso di lei? Confermo, è vero. Vedi, c’è un altro motivo per cui non è opportuno che io mi invischi nelle disgrazie di Asgard: questa è una lotta contro il tempo. Tre vittime chiamano necessariamente delle altre, perché l’artefice ritiene di poter agire senza essere scoperto e vive in un delirio di onnipotenza. Può fare ciò che vuole, dato che ha trovato il modo per non farsi scoprire da Heimdall e tutti gli Asi brancolano nel buio. A me, invece, il tempo qui sotto avanza: è una maledizione fottuta, una catena in più che mi tiene vincolato qui sotto. Io posso aspettare che commetta un passo falso e dare così un volto a colui che mi ha rubato il mio primato di mostro, ma voi no, non potete permettervi che tutti i Nove Regni vedano un uomo solo gettare in subbuglio la meravigliosa Asgard, di nuovo.

Lo so, tu non vuoi sentire questi ragionamenti: starai imprecando lamentandoti per la mia verbosità, per l’insistenza con cui giro attorno al punto, perché per te il tempo scorre, anche se sempre secondo i canoni degli Asi.

“Ti dirò la verità su ciò che ho scoperto, a patto che tu risponda alle domande che ti farò,” le ho detto. Sigyn è rimasta sorpresa, un sottile disagio l’ha convinta a fare un passo indietro.

“Che verità?” ha domandato in allerta. Le ho spiegato che le mie considerazioni valevano il prezzo di un gioco e che mi sarei accorto se mi avesse mentito: lo avrei visto nei suoi occhi, ascoltato nel tremore della sua voce, intuito dall’esitazione mostrata nel rispondere a una domanda diretta. Ecco qual è il prezzo della conoscenza: aprirsi a me, spogliarsi come non poteva fare di fronte ai miei occhi eppure, allo stesso tempo, rivelarsi più che se si fosse tolta i vestiti. Ho sorriso. “Concedimi un passatempo divertente e avrai le tue risposte.”

Nessuna costrizione dunque, né allusione. Lei ha acconsentito perché il pensiero che sua sorella sia sottoterra e il suo assassino libero le è intollerabile e non riesce a dimenticare com’era quando l’hanno ritrovata, ma io non sono il responsabile dei mali del mondo e della sua tristezza: potrei risolverli, forse, ma poi Asgard dovrebbe concedermi qualcosa, perché non accetterò mai le parole di quell’idiota di Balder il Beota: io non sono in debito con gli Asi. Sto scontando per le mie presunte colpe marcendo qui dentro: il conto si è azzerato, la bilancia della giustizia del buon Odino è assolutamente allineata. Il mio aiuto prevede un corrispettivo, e non me ne frega un cazzo che questa era casa mia e ho giurato di proteggerla. Non devo la mia fedeltà a Odino perché mi ha mentito e ingannato, come non devo nulla a Thanos che mi ha estorto promesse e giuramenti con la paura.

Oltre il vetro l’ho vista annuire, mentre i secondini e i prigionieri la guardavano con malcelata ansia: non è un passatempo inventato per l’occasione, lo confesso; è il modo in cui alle volte tormento i miei nemici qui sotto, perché talvolta, prima di piegarsi al mio dominio, hanno bisogno che qualcuno ricordi loro gerarchie e ruoli. Non posso dirti di non provare un certo gusto, nell’agire in questo modo; in fondo, era una delle cose che preferivo fare anche quando ero solo il figlio cadetto del grande Odino. Ad ogni modo, Sigyn ha deciso che non temeva la verità e che qualsiasi rivelazione valeva la vendetta per la sorella, così a bruciapelo le ho fatto la prima di una serie di domande cattive.

“Cosa hai provato quando sei entrata in questa cella e ti ho stretta tra le braccia?”

“Non è rilevante, credo,” ha risposto in fretta.

Non si aspettava che le chiedessi questo genere di ammissioni e si è sentita mortalmente a disagio, chiusa com’era in un sotterraneo dove ogni discorso è assolutamente pubblico, rivelato, commentato persino. Scende qui sotto da un numero significativo di mesi – anni, forse? – e una volta mi ha anche rivelato di avere un debole per me, ma adesso era diverso: io le ho chiesto di confessarmi non i sussulti del suo cuoricino innamorato, ma quelli più bassi: viscere che si attorcigliano per un desiderio fisico impossibile da consumare, questo volevo che ammettesse. L’ho sentito anche quando l’ho stretta a me. Per questo non la devi toccare. Non sarà mai mia, ma certo non può essere tua in nessun caso.

Mi aspettavo questa sua reazione, così ho finto una certa sorpresa. “Oh. Già contesti le regole così, alla prima domanda? Non ho mai detto che dovesse esserci pertinenza con l’omicidio, mi pare,” le ho fatto abilmente notare.

“Gli. È la stessa mano.”

“Ti disturba parlarne?” ho insistito ghignando e quasi toccando il vetro che ci separa. “Vuoi incrinare da subito il clima di pseudo fiducia che si è creato tra me e te in questi mesi?”

“Mi lusinghi.” L’ha detto per smarcare la mia domanda e cambiare discorso. È stato del tutto inutile, ovviamente. Si è guardata attorno come se fosse braccata, e allora lì ho affondato la lama.

“Allora rispondi. Cos’era? Eccitazione, terrore, gioia…” C’era tutto questo nel suo sguardo, e anche di più. Mi amava, te l’ho detto. Quando avevo Asgard nelle mie mani, mi voleva, mi sognava. Adesso vede l’ombra sgualcita di ciò che ero, e le faccio pena. Fuori di qua, ci sarebbe stata una notte divertente e poi più niente: qui sotto, invece, penseremo per sempre a ciò che avrebbe potuto essere; il rimpianto e l’amarezza fiaccano lo spirito come l’idromele e l’insonnia fanno scrivere sciocchezze.

Si è infuriata, ovviamente. Gli occhi le brillavano per l’ira e la vergogna. La sua voce limpida e sottile ha superato il chiacchiericcio insolente della mia banda di tagliagole ed è risuonata per le mura umide e muffite del sotterraneo tutto. Sarebbe stata una regina perfetta, così fiera e nobile. Sif mi ha detto che non è aristocratica per nulla e che davvero i suoi nonni coltivavano la terra. Alzando le spalle le ho risposto che il mio lignaggio pialla gli altri. Non fa differenza, per uno che come me ha sangue di Re nelle vene, guardare una contadina, una schiava o la figlia di un conte. Non sapevi che fosse tornata a farmi visita? Divertente.

“Se il tuo gioco crudele consiste nell’umiliarmi,” ha proseguito Sigyn, “forse è perché in verità non hai nulla da dirmi. Intuiscilo dal mio sguardo cos’ho provato, ma leggi bene, dio degli inganni,” ha gridato tremando. Ho inclinato la testa da un lato per osservarla meglio e con aria critica e una voce assolutamente neutra, ho interpretato il suo sguardo. In verità, l’avevo fatto da tempo, ma così è più scenico e teatrale.

“Desiderio. Paura. Compassione.”

Ha annuito trattenendo a stento lacrime di rabbia. “Compassione. Soprattutto compassione.”

Si è allontanata e non è vero che sono quasi soffocato nel mio catarro dal dispiacere. È solo un fastidio, una leggera affezione dovuta all’aria stantia di questo cesso di prigione dove mi avete sbattuto. Andasse pure a brancolare nel buio nel vano tentativo di trovare il bandolo della matassa di questa lugubre storia, ho detto.

Ah, quasi dimenticavo. Il foulard che teneva al collo è stato un pegno che lei mi ha lasciato, non certo ho chiesto io, ma non l’ha fatto in quel momento. È ritornata correndo nemmeno due ore dopo quell’incontro, ma sai già anche questo. Suppongo di dovertelo raccontare. È quasi l’alba e non ho chiuso occhio: tanto vale continuare, non credi? Descriverti la noia delle mie giornate e i miei incontri con lei è sgradevole e irritante, ma cerco sempre di ricordarmi che se non sto al tuo ripugnante ricatto, perderò il privilegio della mia cella dotata di ogni comodità e del paravento che mi consente di espletare le mie funzioni al riparo da sguardi indiscreti. Cosa credevi, che Sigynella fosse l’unica a essere squadrata con una certa cupidigia qui sotto? Provo pena per te. E per me.

Dunque, come sanno anche i muri verdognoli e male isolati di questa cloaca fetida, due ore dopo Sigyn è corsa di nuovo nel sotterraneo e si è quasi ammazzata cadendo per le scale scivolose per tutta la serie di problematiche strutturali dei sotterranei, che mai mi stancherò di illustrarti. Io l’ho squadrata dall’alto in basso con un certo fastidio; il minimo, dopo che mi aveva carinamente urlato che prova pena per me, ma lei ha ignorato completamente la mia irritazione. Mi ha detto che era sparita una bambina, che forse c’era una possibilità di ritrovarla viva, se solo io avessi collaborato, e via di seguito. Le ho spiegato che non avevo la soluzione a portata di mano perché non leggo il futuro e non sono una strega e conosceva i termini della mia eventuale collaborazione. Si è indignata – o dovrei dire schifata? – e mi ha insultato dicendo che era vile trattare in un momento del genere.

Le ho gridato contro che era da esseri ignobili, ma del resto aveva presente o no il vetro e il sotterraneo? “Io sono rinchiuso qui con una condanna a vita, non per aver pestato la coda ai lupi di Odino. Ho seminato guerra, distruzione e morte!”

Di fronte a tanto sgarbo, la dolce ospite si è mortificata e mi ha sciolto con una frase tremante e gonfia di speranza. “Ma non sei un mostro e mi aiuterai.” Una pausa lunga, un sospiro. “Cosa vuoi sapere?” ha mormorato.

Io, con in tasca la vittoria, le ho fatto una domanda personale che nessuno oltre lei ha udito e ho ottenuto risposta. Soddisfatto, le ho spiegato ciò che avevo compreso dai documenti su cui avevo messo le mani. Non salverà la ragazzina – è persa, non c’è più niente da fare, ma forse riuscirete ad acciuffarlo prima che possa nuocere agli altri. Come muto ringraziamento o provocante pegno, devo ancora deciderne il senso, si è sfilata dal collo il foulard viola con impresso il suo profumo di donna e me lo ha passato grazie al porta vivande.

Ho alzato le spalle e finto disinteresse perché lei non è che una fantasia graziosa che non ho mai potuto nemmeno sfiorare. Le guardie si sono date il cambio, deduco che sia finalmente sorta l’alba, da qualche parte in superficie.

Lettera 30

Punto 1: certo che è una minaccia, idiota.

Punto 2: non è elegante dirti cosa ho fatto con le lettere di Balder.

Punto 3: il cerusico elfico dice solo cretinate.

Punto 4: sai che facciamo, adesso? Organizziamo un bel matrimonio qui, nelle prigioni, in questo clima di serenità collettiva, sia mai che riusciamo ad agevolare lo squilibrato che vuole decimare la popolazione. Tu mi fai da testimone e la graziosa Sigyn si occuperà della mia biancheria sporca senza poter beneficiare dei miei servigi e dei miei doveri coniugali. Certo, potrebbe consolarsi con le rendite e l’oro che forse non mi avete sequestrato, ma ritengo sia poca cosa dopotutto, nevvero? Fare la vedova bianca è la massima aspirazione della sua vita, immagino. Piantala di dire cazzate e tieni gli occhi aperti, piuttosto. E fammi avere idromele di qualità: l’ultimo andava bene per le bettole che frequenta quel fanfarone di Fandral. Hai notato la figura retorica? Non si mangia, tranquillo.

Continua....

Cantuccio dell'Autrice (Shilyss we want you!)

Caro Lettore che sei arrivato fin qui, grazie immensamente per aver letto queste mie righe. Io e la Fatina dell’Ispirazione ti saremmo grate se volessi testimoniare il tuo passaggio e farci sapere se ti è piaciuta questa storia che chiede con prepotenza di essere scritta, ma che per scintillare ha bisogno anche del tuo aiuto: perché ricorda, lettore: il tuo pensiero vale! Ringraziamo altresì di cuore tutti coloro che hanno recensito, e hanno dato un segno del loro apprezzamento. Grazie mille! 

Il titolo della fanfiction, come qualcuno avrà riconosciuto senz’altro, è un omaggio al primo film diretto da George Clooney che era, appunto, “Confessioni di una mente pericolosa.” Parla di tutt’altro. O forse no?

  

1) .  “Chiamate aiuto,” come abbiamo scoperto in Thor: Ragnarok, è l’arma definitiva degli Asi. Sic.

2) .  Queste battute sono riprese da Thor: Ragnarok. Il riferimento a Nornheim è preso dalla scena tagliata del primo Thor.

3) .   Bjorn, in onore del figlio di Ragnar in Vikings.

4)     Pesanti riferimenti a De André e alla mia fanfiction “Sposami, Sigyn.”

5)   “Ti agiti pigramente” è un omaggio di The Avengers; “Chi mi ha incarcerato” a Thor: the dark world, ovviamente. Riferimenti ai film di Thor, a De André, ad Avengers e al film “Il silenzio degli innocenti” sono sparsi ovunque nel testo tanto che, se ve li indicassi tutti, la fic sarebbe illeggibile.

Un saluto e a presto, con il nostro solito appuntamento ;)

Shilyss <3

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Capitolo 5
*** Amici di penna? ***


Confessioni cap. 5

Capitolo 5 – Amici di penna?

 

Lettera 31

Allora, cerchiamo bene di stabilire una serie di linee guida, d’accordo? Non ti aspettare nomignoli deficienti o incipit particolarmente melensi. Sono del tutto inutili. La nostra è una collaborazione, niente di più e niente di meno. Non ritengo opportuno rivelare a voce tutte le strategie e teorie su cui sto meditando; la mia Corte di derelitti è pur sempre un manipolo di tagliagole, dico bene? Non mi fido eccessivamente neanche delle guardie: i secondini dei sotterranei non vengono scelti personalmente da Odino o dai vertici dell’esercito Asi. Controlla sempre che il sigillo sia intatto. Altra cosa che ti ordino di fare: una volta lette, brucia tutte le mie missive. Niente nascondigli sotto al cuscino. Capito, Sigyn? Cerca di interrogare i parenti delle vittime e vedi se esisteva un legame, qualsiasi legame, con tua sorella o Heimdall. Potrebbe essere una vendetta nei suoi confronti, ma questa soluzione troppo semplice non mi soddisfa. Sbrigati.

 

Lettera 32

 

Credo che la questione con gli Elfi Chiari sia stata gestita in maniera tutto sommato soddisfacente. Non potevamo fare di più. Ti pregherei anche di mantenere uno stretto riserbo – molto stretto – sulla diagnosi. Anche se non condividi la mia scelta, è doveroso che almeno tu la rispetti. Non ho intenzione di prostrarmi di fronte a nostro padre piagnucolando che non riesco a sopportare la prigionia. Qui nessuno ha manifestato problemi del genere, e molti sono rinchiusi da più tempo di me. Strano che tu mi chieda di approfittare dell’occasione: Thor, il nobile erede di Odino, che suggerisce all’opportunista dio degli inganni di tramare e supplicare affinché mi sia concesso cosa, fratello? Un pezzo di cielo? Una stanza più grande? Ricordati del lupo che quel cacciatore regalò a nostro padre, quando ti vengono in mente queste brillanti idee. La cattività lo aveva reso pazzo e triste e rifiutava persino il cibo che mi ostinavo a portargli: era una bestia bellissima e fiera, ma non riesco a ricordare come morì. Non ti sembra strano, fratello? Ricordo che la notte ci intrufolavamo nel giardino dove era stata eretta la sua gabbia e ci avvicinavamo terrorizzati per vedere i suoi occhi scintillanti nel buio; mi torna in mente l’odore dell’erba umida, la paura, la sensazione della stoffa che si inumidisce a contatto con la terra e il rumore dell’animale nervoso che ci fiutava oltre le sbarre, eppure non riesco a ricordare l’ultima volta che lo vedemmo vivo e come lasciò questo mondo. (1)

 

Lettera 33

 

Suvvia, ma ti pare davvero che avrei iniziato la nostra corrispondenza con uno sdolcinato Cara Sigyn? Le nostre non sono lettere d’amore piene di sospiri: trattano temi orrendi, soddisfano la curiosa morbosità di due spiriti che hanno deciso di interrogarsi su perché esiste il Male. Non possiamo chiamarci “Caro” l’un l’altra. Collaboriamo per un fine più grande – trovare chi mi ha rubato il primato di signore del Caos, ad esempio. Andiamo con ordine, esaminiamo i fatti, guardiamo gli indizi, cerchiamo il filo comune, Sigyn. Non si uccide in quel modo in maniera casuale: c’è un piano sotto.

Noi siamo i cacciatori che devono inseguire una preda che a sua volta caccia. È ironica la sorte, non trovi? L’altro giorno ti ho detto che dovevi trovare dei legami e ti ho indicato gli indizi che gli stolti non hanno visto. Le mani, le hai guardate? Osserva le unghie, le labbra i polpastrelli. Soffermati sui dettagli, chiediti qual è il fine, l’obiettivo. Chi caccia ha l’abitudine di riservarsi un trofeo e sceglie le proprie vittime: non punta l’arco a caso. Seleziona un posto, osserva, aspetta e poi, quando il momento è propizio, incocca la freccia e mira. Ma come fa il nostro a sapere che Heimdall guarderà inevitabilmente da un’altra parte mentre lui agisce? Come riesce a celare le intenzioni del suo cuore, oltre che della sua mano? Lo sa perché non è un vagabondo come si vocifera persino qui nei sotterranei, ma qualcuno che ha accesso ai piani alti del potere, che sa o intuisce il momento in cui quel pedante del Guardiano ha gli occhi puntati altrove. Allora, agisce. Se fosse un pazzo senza criterio le guardie lo avrebbero già trovato, invece lui studia e attende paziente che le sue vittime si trovino nell’esatto punto in cui sa che potrà prenderle. Che fantastico intreccio! Che mente geniale, oltre che crudele! Mi dispiace, dolce Sigyn: spiava Astrid da tempo.

Asciugati le lacrime che so stai versando, contieni il dolore: c’è una cosa cattiva che devo dirti. So che sei carica di ansia per quella ragazzina, ma lascia che ti ripeta la verità, per quanto insopportabile: arriverai tardi, questa volta. Non ti illudere che la salverai, non giocare una partita persa in partenza. Non c’è già più niente da fare, lo abbiamo visto le scorse volte. Stringi i denti piuttosto, prendi questa tragedia come una sfida delle Norne, trasformala in un’occasione: così ho vinto molte delle mie battaglie. Quand’ero libero manipolavo gli eventi a mio piacimento, dicevano, ma questa definizione io l’ho sempre trovata in un certo qual modo scorretta, ingiusta. Non lo dico per vanità o vanagloria, né per rievocare il tempo perduto, ma per aiutarti. Hai detto che saresti stata le mie mani e i miei occhi, mi hai guardato con gentilezza in mezzo alle ombre dove tutti mi temono. Te lo devo, piccola leale Sigyn. A un altro non farei questi discorsi perché non mi è mai importato nulla di spiegare, ma tu sei coraggiosa e non nascondi la tua dolcezza: ne vai fiera, e io l’apprezzo. L’unica boccata d’aria fresca che rischiara una prigionia che durerà per troppo tempo. (2)

Quand’ero libero, dicevo, sfruttavo ogni occasione cercando di cogliere, in ogni evento, l’opportunità. Bisogna avere una coscienza fluida, una forte dose di spavalderia e un pizzico di sarcasmo per far crollare un impero intero da soli, senz’altra arma che la propria testa. Così feci in uno dei Regni che confinavano con le estreme propaggini della terra dei Nani. Furono loro a vendermi ai miei nemici: c’è uno strano rapporto tra me e quel popolo di abili fabbri e gioiellieri: entrambi amiamo costruire macchine e forgiare oggetti di grande valore, eppure c’è qualcosa che li disturba, di me, e viceversa. Ci capiamo solo di fronte a un progetto o davanti alla fucina, ma dopo tutto è complicato. Forse è perché i loro maestri sono taciturni e scostanti e temono che rubi con gli occhi la loro perizia, l’abilità nascosta nelle loro mani grandi e nodose. Non lo nego, l’ho fatto – ma questa è un’altra storia. (3) Mi vendettero, ma li pregai io di farlo: la mossa brillante di un piano geniale. Senza altre difese oltre alle mie parole e a un pugnale nascosto, scalzai il tiranno. Così l’ho sempre raccontata, persino a mio padre e a mio fratello, ma non ti ingannare. Il piano mutò infinite volte, rischiai la pelle altrettante. Il sovrano voleva uccidermi e mancò l’obiettivo per un soffio. Il terrore non mi abbandonò mai, anche se lo mascherai più o meno bene dietro a un sorriso sicuro, protervo.

Capii come avrei fatto a liberarmi quando in cella qualcuno nominò il labirinto. Allora domandai e chiesi e mi fu risposto, e con quel mucchio di informazioni stantie buone solo per non far dormire i bambini la notte (4), pensai che la via di fuga e la salvezza erano a portata di mano. Ecco quello che devi fare. Getta la lettera nel camino non appena finirai di leggerla.

 

Lettera 34

 

Io vorrei davvero capire con che faccia mi hai fatto recapitare qui sotto quattro dolcetti e uno stinco di prosciutto. È stato uno dei momenti più brutti della mia esistenza, te lo giuro. Umiliante, persino più di tutti i “chiamate aiuto” in cui mi hai lanciato come un sacco di patate facendomi sfracellare contro guardie idiote, soldati distratti, balordi ubriachi e puzzolenti, persino (4). Bjorn, quel deficiente nato, ha intonato una canzone di auguri e si è fermato solo quando l’ho minacciato brutalmente. Ti concedo che l’idromele era buono, ma posso giurarti che la prossima volta spaccherò questo vetro a calci e ti prenderò a badilate sui denti. Tra l’altro, se eri qui e ci tenevi così tanto al mio genetliaco potevi pure alzare le chiappe, lasciare il banchetto e portarmeli di persona. Ma il grande e possente Thor si mortifica, all’idea di scendere nelle segrete buie e puzzolenti di Asgard per vedere il fratellino preferito rinchiuso come un animale, vero?

 

Però ti compiaci nel descrivermi la festa. Non sei un bravo scrittore e le tue battute sono goffe e altalenanti come la tua prosa, ma una cosa te la devo riconoscere, fratello. Sai descrivere. Che posso dire? Che devo dire? Se fossi stato al tuo fianco, con un corno stretto tra le dita, avrei riso delle tue battute e tu delle mie come in mille altre occasioni; ci saremmo beffati del volgare Theoric con lo spirito tronfio e crudele di chi si creda padrone del mondo. Ma noi non siamo più così, non è vero? Noi abbiamo visto la dignità e la fierezza negli occhi del lupo ormai pazzo che si lasciava morire, e un soldato strapparsi una lancia dal petto per dare da bere a un cavallo ferito (5). Conosciamo la pietà e la tragedia, la caduta e l’ascesa, e non possiamo più divertirci come dei ragazzini viziati e troppo sicuri di se stessi. Il tuo ritratto di Theoric è rozzo e giusto in una maniera singolare, e mi amareggia leggerlo. In una delle tue passate lettere, mi hai ricoperto di insulti per aver immaginato una tua relazione con Sigyn. L’hai definita la mia ragazza in un modo che, francamente, qua sotto mi ha fatto sorridere non per il senso delle parole in se stesse – non è mia né mai lo sarà, e lo sai, ma per la loro funzione colloquiale, quotidiana. Avresti potuto dirmelo mentre strigliavamo i nostri cavalli o tornando da una taverna, invece lo hai dovuto scrivere perché mi hai fatto rinchiudere qui sotto, e questo è crudele e fa male, ma mai quanto le tue parole. Non sapevo che avesse quell’aspetto né che fosse così tanto più vecchio, e se fossi stato presente certo gli avrei fatto passare la voglia di dar fastidio a una ragazza con un bel pugnale piantato sotto la cintura.

 

Riconosco che la tua delicatezza mi ha stupito. Se fossi intervenuto tu sarebbe stato come se lo avessi fatto io, e Sigyn non ha bisogno di questo, ma lasciare che la trascinasse fuori per ballare è stato comunque sgradevole e non mi consola che Sif sia andata cautamente ad accertarsi che tutto fosse a posto. Stasera va meglio e non ho visto tracce. Ti invito a essere discreto con chiunque.

 

Lettera 35

 

Mia dolcissima Sigyn, forse mi stai seducendo? Quel riferimento allusivo a te che leggi le mie lettere immersa nella vasca mi ha veramente colpito, stupito, sorpreso. Sii sincera, era un inganno: la piccola trappola che hai messo appunto in modo tale che iniziassi con un incipit più sfacciato, la vendetta gustosa per le confessioni che ti ho strappato, il colpo di grazia per la proposta indecente che ti ho fatto? O un regalo tardivo, l’unico che puoi farmi qui sotto? L’immaginazione ci lega: l’ipotesi di un futuro che non c’è né ci può essere, la frenesia per un passato in cui ci siamo sfiorati senza incontrarci. In un mondo parallelo a questo siamo stati amanti e io non sono rinchiuso in una prigione finché l’ultimo respiro non mi sarà uscito dal petto. Così hanno predetto le Norne. Sono andato fino ai confini del regno di Hela, per scoprirlo.

 

Noi saremmo diventati amanti, cara Sigyn, ma conosco la mia indole e le mie ambizioni. Se fossi ancora libero, ti corteggerei in maniera serrata e, dopo averti avuta una notte o forse due, ti lascerei non perché tu non sia degna di me, ma perché solo se si è liberi e senza legami si può giocare come faccio io con il destino e le parole. Te l’ho detto a voce spezzandoti il cuore e te lo scrivo affinché tu non ti lasci mai incantare dalla mia voce. Sono rinchiuso nei sotterranei di Asgard, Sigyn. Non uscirò mai e, se lo facessi, dovrei fuggire lontano e tu non saresti comunque con me.

 

So quanto deve essere stato difficile interrogare e domandare alle famiglie stremate dal dolore dettagli e particolari della morte dei loro cari; Odino mi ha rinchiuso nel suo serraglio, nascondendomi come fa con tutto ciò che offende la sua vista, e alle volte devo confessare che la sua punizione non è del tutto priva di fondamento, anche se è sproporzionata alle colpe, ma non mi manca l’empatia come non difetta a te. È grazie a questa capacità di comprendere le persone che lo prenderemo: una brava ragazza di buona famiglia, la prima ritrovata ma la terza vittima, un mercante con problemi finanziari, un marinaio beone senza legame alcuno, un’altra ragazzina – una povera lavandaia, stavolta. Tu non vedi ancora il filo, ma c’è.

 

Soddisfa un bisogno, Sigyn, perché vedi, quello che è terribile dei mostri è che alla fine desiderano e odiano e amano esattamente come noi. Desiderano, sì. Catturare l’attenzione, compiere una vendetta, realizzare ciò che per loro è un sogno e per gli altri un incubo. Gli sfregi che lascia, ad esempio, non sono casuali: fanno parte di un disegno – sono antiche lettere, Sigyn. Il che ci riporta immediatamente a un’altra considerazione. Non è mentre giri per le strade sudicie del porto che devi avere paura, ma quando passeggi nei giardini assolati che circondano Asgard e i quartieri dei ricchi. La nostra preda è colta, ha studiato, frequenta la biblioteca persino. Quando andrai a prendere altri libri per me, consulta il registro e appunta i nomi di coloro che la visitano abitualmente.

 

Mi domandi come mi liberai quando i Nani mi vendettero. I miei aguzzini si vantavano di aver rinchiuso dentro il labirinto intricato un mostro dalle orride fattezze che, tempo prima, aveva seminato panico e morte. Quando fui giudicato, sputai in faccia all’altezzoso re e ottenni come premio di essere condotto immediatamente dall’essere. Fui calato in un pozzo profondo e oscuro: lì c’era la bestia. La ammansii con la promessa di una libertà immediata e la possibilità di vendicarsi e quella mi credette: assunse la forma bestiale con cui aveva soggiogato il regno e spezzò grazie al mio aiuto le catene. Invece di sbranare me, come doveva, mise a ferro e fuoco la patria che lo aveva rinchiuso. Thor e le sue armate giunsero poco dopo. Brucia la lettera, dopo che l’avrai letta.

 

Lettera 36

 

Le missive di Balder sono un’accozzaglia mal scritta di idiozie di stampo bucolico, buonismo di pessimo gusto e considerazioni politiche miopi e degne di un bambino di cinque anni. Anche se qui dentro il tempo di leggere mi avanza, non voglio rendere più gravosa la mia prigionia mortificandomi con una lettura tanto ignobile. Asgard trema e lui mi parla della primavera che colora i campi. Io dico, è deficiente?

 

A nessuno frega della piccola lavandaia, del marinaio ubriacone e del mercante fallito, ma la ragazza di buona famiglia li ha sconvolti. Eppure hanno già dimenticato tutto, presi come sono dalle loro vite indaffarate. Considera se non avevo ragione, quando ti dicevo che non volevo immischiarmi in questa faccenda: molte rogne e nessun beneficio. La gentile Sif non ha mancato di farmi sapere che Odino vuole interrogarmi di nuovo, perché è ovviamente girata la voce che mi sto interessando di tutto questo o forse i corvi che gli defecano sulla spalla e imbrattano di guano la sala del trono gli hanno mormorato che Sigyn va in giro facendo domande (6). Il fatto che mi interessi dei delitti senza la sua plateale approvazione deve averlo irritato mortalmente, motivo per cui potrei non essere in grado di scrivere nei prossimi giorni. La nostra guerriera preferita ha anche sentito il bisogno di darmi una notizia che certo tu avrai ritenuto troppo insignificante perché mi fosse riferita e questi smidollati dei secondini non hanno avuto il coraggio di darmi: bene, adesso lo so.

 

Non ho intenzione di commentare in altro modo qualcosa che, a ben pensarci, era inevitabile e scontato, data la situazione. Avevo compreso che c’era qualcosa che non andava: Sigyn non mi ha scritto né detto nulla del ballo e l’altro giorno, quando è scesa qui sotto, l’ho vista tesa e poco loquace. Il nostro gioco si è svolto sul filo del rasoio e io non ho voluto infierire: è nei miei sogni necessari Thor, ma non come pensi tu o spera lei. La desidero perché è l’unica che vedo. Sigyn si sforza di ricordarselo, ma alle volte nei suoi occhi grigi scorgo uno smarrimento nuovo che certo non le fa bene. Colpa mia. Mi prendo la responsabilità delle sue illusioni e delle false speranze che mio malgrado instillo; quando le scrivo, la penna nella mia mano traccia frasi eloquenti e accorate: così sfogo il desiderio che ho di lei, ma Sigyn con le dita tremanti si sforza, nella solitudine della sua stanzetta, di separare il grano dal loglio, la verità dalla finzione. Colpa mia, che anche ieri l’ho guardata diritto negli occhi per farle quella proposta assurda ma necessaria proprio perché irrealizzabile. Ho avvicinato il naso al vetro, le ho sorriso appena col più affascinante e obliquo dei miei ghigni studiati e, sfiorando la lastra come se fosse la sua guancia senz’altro morbida l’ho fatto, gliel’ho chiesto. Ti lasceresti baciare, Sigyn?

 

Quattro parole che valgono uno scherzo, cui avrebbe dovuto rispondere alzando le spalle e ridendo. E invece, Thor, ha sgranato gli occhi e, confusa, si è affrettata a dire che non potevo amarla e la mettevo a disagio e, e, e.

Che senso ha questo gioco? So che te lo stai chiedendo. Scuoti la testa credendo che io menta, sperando forse in cuor tuo che l’interesse sia vero o valutando se hai il campo libero. Non è il tuo genere di ragazza, lo hai già detto, ma quando gareggiavamo per il trono ci siamo contesi qualsiasi cosa, anche le donne, e non mi stupirebbe se me la portassi via, né potrei avercela con lei per questo, ma che sia una simile nullità, a farlo, questo no. Dici che è una questione di debiti, di affari, di accordi pregressi, ma ciò non toglie che sia comunque qualcosa di squallido. Ha il doppio dei suoi anni, per le Norne, se non di più. Non devo spiegarti che su questo fronte non possiamo fare assolutamente niente. Offrirle aiuto e sostegno non sarebbe impossibile, dato che non mi sono stati tolti i miei beni, ma l’offenderebbe di certo e io questo non lo voglio. Il suo sguardo è sempre stato libero dalla pietà e dalle costrizioni, quando è scesa qui sotto, e le devo il rispetto che mi ha sempre portato. Potremmo provare a convincere il padre, però. Verrà da te, prima o poi, o chiederà udienza presso il nostro. Ha già perso una figlia, non vorrà perderne un’altra. Potrebbe essere una buona occasione per fornirgli i mezzi per liberarsi di Theoric senza dover cedere Sigyn.

Per quanto concerne l’ultima questione di cui mi scrivi, come già sai non ci sono stati che sporadici miglioramenti. Tento di nascondere segni e fazzoletti, in modo tale che nemmeno le guardie sappiano con esattezza, ma a volte la tosse mi sconquassa e mi sveglia nel sonno. Il rimedio del tuo ciarlatano elfico, come immaginavo, vale il tempo di addormentarmi e basta; il suo effetto si affievolisce nel giro di poche ore. Non ho intenzione di assumerne dosi più massicce: sarebbe del tutto inutile.

 

Lettera 37

 

Non piangere, Sigyn. Non è colpa tua. Non c’era niente da fare. Ha infierito, stavolta. Era un messaggio per noi, per me. Non è più una beffa verso Heimdall, se mai lo è stata, ma nei confronti di Asgard in generale e mia, persino. Mi propone una sfida di intelligenza e intanto ti offende. So che è stato terribile stavolta, entrare nello studio del guaritore, sollevare il lenzuolo e guardare. La pietà, il dolore, l’orrore persino, non sono sentimenti estranei al mio spirito: non si nasce guerrieri nemmeno tra gli Asi, neanche alla corte di Odino. Ci si illude di allenarsi per tutta la vita fino al giorno in cui, quando ancora non si è altro che ragazzini senza barba e col moccio al naso, si viene spediti su un campo di battaglia. Quello che tu hai visto oggi io l’ho osservato nelle tende allestite sul campo dai guaritori al seguito dell’esercito, ci sono inciampato in mezzo durante gli assalti e le ritirate. Soldati più abili e forti e grandi di me morivano falciati dalle armi nemiche e io, sperduto e incapace, sopravvivevo alle loro spalle grazie alla benevolenza momentanea delle Norne. Dicono che ci si abitui, alla fine. Non è del tutto vero, anzi non lo è affatto. È come una cicatrice rimarginata che talvolta prude: ti chiedi perché non è toccato a te, ti svegli la notte zuppo di sudore credendo che, da un momento all’altro, le trombe ti sveglieranno. Non è facile essere un guerriero Asi, e anche se la promessa per taluni è il Valhalla, la verità che nessuno ammette è che ci impegniamo tutta la vita per creare una corazza abbastanza spessa da proteggerci dagli incubi che ci tormentano e, alla prima occasione, scopriamo che i nostri sforzi sono stati vani ed esistono crepe troppo evidenti e profonde per essere riparate.

A te, però, non deve rimanere addosso alcun senso di colpa. Stai seguendo le mie direttive in maniera pedissequa, seria, compita. Sei stata brava, Sigyn, davvero. Non preoccuparti per due colpi di tosse: è solo l’aria viziata di questo schifo di cella.

 

Lettera 38

 

Sono davvero curioso di sapere come intendi procedere, dato che è arrivato a quattro. Aspetterai che massacri mezza Asgard? Non ho i mezzi per poter indagare come vorrei, e sinceramente non vedo perché dovrei impegnarmi più di quanto faccia. Sigyn ha stilato una lista di tutte le persone che leggono in biblioteca resoconti di medicina o politica. Per il momento, sono gli unici indizi che abbiamo. Il nostro pazzo squilibrato, il Cacciatore, mentre noi siamo qui a mandarci inutili bigliettini, si fa beffe di noi. Da un lato, credo fermamente che sia un bene: nel delirio di onnipotenza che lo pervaderà a breve – che forse già lo consuma –, senz’altro commetterà l’errore fatale che ce lo farà prendere. Dall’altro, mi inquieta la sua precisione e la sua morbosità. Sigyn è stata male, dopo l’ultimo ritrovamento. Ho pensato di esonerarla da questo compito, ma avrei avuto l’effetto contrario: avrebbe continuato a indagare per suo conto, di nascosto.

Come stai facendo tu su un’altra questione. Sono pochi i campi di battaglia che non abbiamo attraversato insieme, fianco a fianco, per cui immagino che tu non sia rimasto affatto stupito, nel vedere e nell’osservare cosa è rimasto di quelli che hanno provato a opporsi al Titano. E a me. Mi hanno trovato in una taverna in preda al delirio, scosso dalla febbre, ferito e ammaccato. Raccontavo le storie degli Asi, spiegavo i molti inganni di Odino: come fece a far erigere le mura di Asgard dai Giganti di Ghiaccio, come sottrasse lo Scrigno degli Antichi Inverni agli stessi, come rapì l’erede di Laufey che doveva morire abbandonato nella neve per farne il proprio burattino. La gente, incantata, mi stava a sentire senza poter discernere la realtà dalla finzione. Ho dipinto te come un arrogante sbruffone, Freya come la baldracca che è, Odino come il viscido sovrano bugiardo e crudele che ha schiacciato la libertà di Otto Regni sotto la vuota parola pace. E tu chi eri, Loki? Il principe offeso e pieno d’orgoglio ferito o il buffone di corte, il delinquente bandito ma fiero o il disgraziato che sputa nel piatto dove ha mangiato e si discolpa da ogni accusa? (7)

Thanos mi guardò con disgusto e mi chiese perché la compagnia di teatranti cui certo appartenevo mi aveva abbandonato lì, a racimolare elemosina e a ubriacarmi. Risposi che ero sobrio e i denari ai miei piedi rappresentavano i tributi versati dai miei sudditi. Dissi di essere un principe di sangue e di aver perso il mio trono. Non si rese conto, mentre parlavo e mi ascoltava, che gli avevo sottratto un’arma a lui molto cara. Quando se ne accorse, fratello, mi volle tra i suoi. È una bella storia, non trovi?

 

 

Continua...

L’angolo di Shilyss

Cari Lettori, bentrovati con il nostro consueto appuntamento settimanale. Come forse ricorderete, nel primo capitolo annunciavo che le lettere di Loki erano indirizzate a Thor e a una ristretta cerchia. Eccola, finalmente. Il fatto che il dio degli inganni scriva talvolta anche a Sigyn, vi permetterà di capire meglio il modus operandi del nostro e individuare i suoi piani. Questo capitolo è un po’ di transizione, ma se lo avessi fatto più lungo o avessi inserito la lettera 39 avrei messo troppa carne al fuoco, davvero.

Sono lieta di presentarvi Loki in modalità primo incontro con Thanos. Il suddetto non avviene in un giorno di pioggia, ma per caso con Andrea e Giul… no, ok, questa è un’altra storia anche se Thanos per me aveva i capelli come quello dei Bee Hive, Satomi. Ve lo dico: Loki straccione e derelitto lo ritroverete in altri lidi, un po’ perché l’unica serie che sto seguendo al momento è Shameless, un po’ perché ho trovato un fumetto dove dorme dentro un cartone, un po’ perché prendere quell’arrogante sbruffone e coprirlo di stracci mi emoziona come una bimbetta. Vedrete anche una versione alternativa di codesto incontro in Giochi Pericolosi, che ha subìto una momentanea pausa post Infinity War ma tornerà sui vostri schermi.

Come sempre, grazie per essere giunti fin qui e per avermi dedicato parte del vostro tempo. Fatemi sapere se volete che le lettere indirizzate a Sigyn siano segnate in qualche modo e… donate un po’ di luce e gioia alla Fatina dell’Ispirazione lasciandomi un vostro pensiero. Io rispondo sempre con grande celerità e partecipazione perché il vostro pensiero vale!

Recensioni are a writer’s best friend! Pure i diamanti, ma penso vi costi meno, nevvero? Oh, se poi avete questo brillocco da millemila carati che vi fa schifo, io e la Fatina ce lo facciamo bastare! XD

A giovedì e domenica!

 

1 Per maggiori info su questa storia, come sempre vi rimando alla mia fic Sposami, Sigyn.

2 Il cambio di registro di Loki potrebbe apparire forzato: si tratta, tuttavia, di una lettera consolatoria che l’ingannatore offre alla sua “dipendente/galoppina” in un momento particolare (una bambina è stata rapita e Loki, brutalmente, le sta dicendo che le ricerche sono inutili). L’arte manipolatoria del nostro antieroe si manifesta a mio avviso anche con una sporadica e studiata gentilezza. È la tecnica del bastone e della carota, praticamente.

3 Nell’Edda, il testo mitologico dei norreni, viene raccontato come Loki si fece costruire dai Nani numerosi artefatti magici da donare agli Asi e ai Vani. Uno dei Nani, Brokk, pretese la testa dell’Ase e ottenne di cucirgli le labbra per punirlo.

4 Citazione dai film.

5 Citazione di Robin Hood, principe dei ladri. Quello con Kevin prima che facesse lo spot del tonno.

6 Huginn e Muninn, i corvi di Odino che gli riferiscono quello che succede nei Nove Regni.

7 Di nuovo torna Loki come narratore, come in Sposami, Sigyn: alcune delle cose che il nostro eroe racconta sono volutamente distorte: nel mito è Loki a imbrogliare per far erigere le mura. Altre sono vere e prese dalla Lokasenna (Edda poetica) e dai film (Ragnarok e il primo Thor, di nuovo in maniera distorta).

Shilyss

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Capitolo 6
*** In mancanza d'aria ***


Capitolo 6 – In mancanza d’aria

 

Lettera 39

 

Ma guarda! E così nostro padre è stato laconico, avaro di notizie riguardo il nostro ultimo incontro. Curioso, perché è durato quasi tutto il pomeriggio e non saprei davvero da dove cominciare. Bugia, lo so perfettamente. Non eravamo soli, ovviamente. Non lo siamo stati mai. C’erano altri membri del Consiglio, c’era il padre di Sigyn, persino. Un uomo modesto – di lei ha gli occhi – che si è spaventato, vedendomi. L’ho trovato ironico, sai? Un tempo, non molti anni fa, mi avrebbe guardato in modo diverso: ieri temeva che potessi far del male alla figlia adorata, allora si sarebbe raccomandato verso le Norne che io mi avvicinassi a lei con le peggiori intenzioni.

Quante ancelle di nostra madre ci hanno presentato le loro ragazze con un filo di emozione nella voce, gettandocele praticamente tra le braccia? A quante è stato detto di sbattere le ciglia e sfoggiare un abito particolarmente scollato affinché i nostri sguardi si posassero sulla pelle scoperta? Anche quest’uomo avrà fatto un ragionamento simile, forse lo fa persino adesso. Se solo non fossi il figlio disgraziato e reietto, che immensa fortuna sarebbe, che abbia deciso di nascondere il foulard della sua preziosa Sigyn nella mia umida cella! Ieri, invece, mi ha guardato con terrore e io non lo biasimo per questo. Mi hanno lasciato i ceppi alle caviglie e ai polsi e io, da parte mia, non ho avvertito la necessità di sfoggiare un abbigliamento elegante. Una tunica chiara piuttosto ampia, i soliti pantaloni, stivali comodi. Dignitoso, ma con quel pizzico di trasandatezza che gli ha fatto ricordare la mia posizione, il ruolo che ricopro. Avresti dovuto vedere nostro padre: era a disagio, e sarebbe stato evidente persino a un cieco come temesse di parlarmi. Forse nemmeno verso questo atteggiamento sarebbe giusto che mostrassi biasimo. I nostri ultimi dialoghi sono stati una serie di accuse crudeli gettate l’una in faccia all’altro, affilate lame retoriche che non hanno nessuno scopo apparente se non quello di rendere più profondo il baratro che ci separa. La sua giustizia per me non è tale, il mio tradimento per lui è la mossa inaccettabile di un ingrato che ha perso il senno. Ma ieri no, non eravamo ai ferri corti, o meglio, non potevamo permetterci di esserlo. Troppi occhi ci spiavano, in attesa di un passo falso, e nostro padre, come me, è troppo accorto per regalare gratuitamente uno spettacolo tanto volgare. Ma assistere all’interrogatorio del figlio imprigionato, lasciare che anche quando ti è seduto davanti lo stringano pesanti catene, non è in fondo lo stesso?

Il suo occhio rapace mi scrutava, avido di notizie che non poteva chiedermi, ma che certo non gli sono nuove: l’affezione che causa il mio pallore, l’aria sovreccitata e folle che anima il mio volto, erano per lui fonte di preoccupazione, era evidente, come è palese che tu non sei affatto in grado di mantenere un segreto. Non ho la forza di infuriarmi per questo, adesso. Fregare Padre Tutto non è uno scherzo, lo so bene, l’ho imparato a mie spese e tu con me, non è forse vero?

Il padre di Sigyn era lì in veste di parte doppiamente lesa: ha perso sua figlia e teme per l’altra. È andato da Odino supplicandolo di allontanarla da me, che metto a repentaglio la sua integrità fisica, mentale, morale persino. Questo non me lo ha detto in faccia, ma l’ho letto nei suoi occhi. Odino non mi ha messo alle strette per farmi confessare qualcosa che non posso aver commesso; stavolta è stato decisamente più morbido e ragionevole e mi ha proposto una sorta di accordo. Una serie di benefici in più di cui potrei godere all’interno della mia bella cella se mi impegnerò in maniera costante e, soprattutto, proficua, nella caccia al cacciatore. Buffo, vero? Metterà a mia disposizione guardie, libri, documenti, referti. Quasi tutto ciò che voglio.

Gli ho fatto presente che indagare in pochi metri quadrati di spazio non è solamente avvilente, ma anche scomodo e che non mi fido di nessuno. Un’affermazione ragionevole, l’ha definita, soprattutto considerando che il Cacciatore – continuiamo a chiamarlo così, fa colore – agisce indisturbato con sommo scoramento del nostro caro Heimdall. “Allora,” ha deciso Odino, “scegli tu un collaboratore; non mi importa chi, purché tu riesca a risolvere il problema.”

 

Non è andata così, ovviamente. Ho infarcito il racconto di qualche menzogna. Siamo stati soli prima che entrassero gli altri gentili ospiti. Lui era già seduto, in attesa, ma davvero il suo occhio rapace mi fissava in cerca delle risposte alle domande che non mi avrebbe mai fatto. I secondini, a disagio, mi hanno chiesto di accomodarmi e hanno iniziato ad assicurare le manette alla sedia. Mentre armeggiavano, nostro padre si è stizzito. “È capacissimo di liberarsi anche così,” ha tuonato, “assicuratele al tavolo e basta, senza perdere altro tempo!”

Che lusingante riconoscimento delle mie abilità, eh? Ci siamo scambiati quattro frasi in croce sul Cacciatore, poi ha lasciato che entrassero i membri del Consiglio, il padre di Sigyn. Un uomo sinceramente distrutto, preoccupato, ansioso. Il suo sguardo vagava da un punto all’altro della stanza, domandandosi muto se davvero avremmo dato una risposta a perché il Cacciatore si fosse accanito così sulla figlia maggiore. L’inconsolabile dolore si sommava ovviamente a quello per la testarda Sigyn. C’era, in lui, una mancanza di fede che mi ha stupito: non crede, nel profondo del suo cuore, che il pazzo maniaco venga prima o poi acciuffato, anche se il suo stesso sovrano ha deciso di occuparsene non dico personalmente, ma quasi. E allora, fratello, nostro padre ha sfoggiato una volta di più la sua grande abilità retorica e gli ha fatto un lungo discorso su quanto impegno metta ogni soldato di Asgard in questa caccia: e qui, Thor, è scattato il suo brillante piano. Se lo avessi ideato io, mi avrebbe guardato con aperto biasimo e certamente non si sarebbe lasciato scappare la possibilità di criticare la mia durezza, ma l’ha partorito la sua mente e allora era perfetto. Usa due pesi e due misure, come sempre. Ma andiamo avanti: la penna oggi è pesante da tenere in mano.

 

Quest’uomo di cui ora mi sfugge il nome, come ben sai, appartiene alla classe media: rovesci e disgrazie economiche lo stanno riportando nel buco da cui è emersa la sua stirpe nelle ultime generazioni: per questo la più carina delle sue figlie doveva sposare quell’ubriacone di Theoric: la classe dei cavalieri cui appartiene – a proposito, lo ricordi per qualche gesta in particolare, tu? Per quanto mi sforzi, io ho il vuoto, davvero – dicevo, l’ordine equestre garantirebbe a tutta la famiglia una posizione di invidiabile rispetto anche economico che non è per nulla da sottovalutare. Ti vedo, fratello. O meglio, immagino esattamente la faccia schifata che hai adesso. Il figlio di Odino non deve preoccuparsi di una cosa volgare come la sopravvivenza, dico bene? Che cosa poco aristocratica che è, fare i conti in tasca a un mercante che si è comprato la toga e che presto dovrà tornare a zappare la terra! (1) Ma la gente, caro il mio futuro re, vive con tali pensieri. Per la famiglia di Sigyn questi sono i problemi veri, reali, presenti. A loro non interessa di meno delle miniere dei Nani o della salute degli Elfi; Midgard è un punto lontano nel cielo che non saprebbero riconoscere, Svartlfheim un posto dove ambientare le fiabe da raccontare ai bambini, la sera. Ha senso l’oggi e quante monete sonanti tintinnano nel loro portafoglio di pelle. Sigyn non è la sola, oltretutto. Ha fratelli e sorelle più piccole che dovranno trovare una sistemazione in questo mondo. Ma perché ti parlo di questo? Non essere impaziente, adesso ci arrivo, promesso: i racconti hanno bisogno del loro tempo, devono cuocere come un piatto gustoso.

Nostro Padre ha rassicurato i membri del Consiglio: Asgard non brancola nel buio preda di un mostro. Ha un asso nella manica, una mente acuta che vigila già da qualche tempo sulla terribile minaccia: me.

“Cosa mi darà Asgard se l’aiuterò a liberarla dall’incubo?” Glielo avevo domandato quando eravamo ancora soli, cercando di non tossire, augurandomi di non lasciare segni. Nostro padre mi aveva guardato con attenzione scegliendo con cura ogni parola.

“Dipende. Cosa chiedi? Quanto tempo pensi di impiegarci?” Abbiamo trattato prima che orecchie indiscrete ci ascoltassero, lo confesso.

“Un pezzo di cielo,” gli ho risposto. “Più libri. La libertà è troppo, non me la daresti né io l’accetterei, forse. La possibilità di illudermi di vivere secondo il mio rango. Un’aiutante scelto da me. Altri, non ne voglio, non mi fiderei.”

 

Ha concesso tutto senza particolare enfasi, ovviamente. Teme quello che succederà – anzi, temeva quello che sarebbe potuto succedere se, per liberarsi da un mostro, ne avesse chiamato uno ben peggiore. Da re molto attento al consenso e all’immagine qual è, non ha potuto che decantare con parole gonfie di ammirazione i passi da gigante fatti in questi concitati mesi da me con l’aiuto della ragazza. Ha sottolineato come, nonostante fossimo privi di aiuti esterni, io e Sigyn avessimo già notato dettagli che i guaritori avevano trascurato, come la terra sotto le unghie, le asportazioni quasi chirurgiche, la coincidenza degli omicidi con eventi politici. Nostro Padre ha volutamente evitato di dire come il mio aiuto sia stato concesso non ad Asgard, ma a Sigyn, e solo in virtù di uno scambio non troppo nobile. Non era importante.

Mi hanno fatto molte domande e io ho risposto in maniera precisa, ma secca. Via ogni orpello retorico, bandite spiegazioni inutili: i membri del Consiglio, preoccupati e incuriositi, hanno potuto beneficiare soltanto di una manciata di frasi laconiche.

Al padre di Sigyn che chiedeva giustizia e protezione, nostro padre ha offerto sicurezza e tranquillità. Avresti dovuto vederlo, fratello! Quell’uomo era lì in rappresentanza di tutte le famiglie delle vittime ed è stato comprato, raggirato, irretito dal suo re in una maniera totale e inevitabile. Gliel’ho detto, sai? Non ho potuto resistere, a costo di dovermi beccare un’occhiata malevola del nostro augusto genitore. Il discorso del mercante è stato onesto, accorato. Per Astrid non c’era più niente da fare, ormai: le Norne avevano tagliato il suo filo in maniera atroce, ma Sigyn, la secondogenita, era una ragazza che ancora poteva essere felice e superare quest’incubo.

 

Odino gli ha parlato di responsabilità, di destino e di forze già in moto: come avrei potuto spiegare, gli ha detto, a un’altra persona il modo in cui indagavo? Quanto tempo avremmo perso se Sigyn, a metà dell’opera, avesse lasciato il suo lavoro da aiutante che lei stessa aveva caldeggiato? Povera ragazza: in verità l’investigatrice è lei e io mi limito ad essere nient’altro che un consulente, ma questo è un dettaglio che sembra non importare a nessuno.  Avrei potuto difendere i suoi molti meriti, ma sarei incappato nel rischio di far sembrare le mie parole più gentili di quanto non dovrebbero. Ad ogni modo ha concluso con classe, nostro padre, veramente: gli ha fatto l’elemosina risolvendo con uno schiocco di dita tutti i suoi problemi economici. Aveva proprio bisogno di un uomo fidato per certi suoi affari, gli ha detto, e così gli ha infiocchettato un’elargizione di beni e proventi che altrimenti sarebbe sembrata offensiva. Il brav’uomo non capiva e ringraziava il suo re genuflettendosi e io, maledicendo la mia tosse selvaggia e inopportuna, mi sono tolto la soddisfazione di portare un po’ di verità in quella stanza. Come potevo esimermi? Quello diceva: “e mia figlia, Maestà, la mia povera bambina deve comunque continuare a vedere questi orrori?”

Capisci? Cercava di convincerlo, fratello, e allora non ho potuto trattenere le risate e gli ho spiegato cosa stesse succedendo.

“Ci sta comprando,” gli ho detto. Mi sono sporto verso di lui, oltre il tavolo. “Compra te, compra me e compra Sigyn.”

L’attacco di tosse improvviso non mi ha impedito di spiegare. Nostro padre era illividito, il mercante ha aperto la bocca senza riuscire ad articolare una sola frase, per la paura, forse, di sentirsi apostrofato dal dio degli inganni in persona: uno di cui non ci si può fidare, che gioca e mente e, da troppo tempo, è rinchiuso dentro una prigione. Ha scosso la testa confuso e allora io ho insistito – che altro potevo fare?

“A te ha promesso la sicurezza che deriva da un impiego stabile e redditizio, a me una serie di benefici tra cui la presenza di Sigyn. Lei l’ha presa per me,” ho spiegato. Di fronte al suo smarrimento – o orrore? – mi sono sentito in dovere di puntualizzare una verità ovvia. “Ma non possiamo dirgli di no, dico bene? Ci compra e compra per noi ciò che vogliamo; non ci resta da fare altro che dire sì e rispondere grazie tante.”

 

Ha annuito, il buon padre di famiglia, non perché non ami Sigyn né perché desideri lasciarmela, ma per il buonsenso di mercante che certo non gli manca. Non gli ho reso il compito facile. Non ho l’aspetto che avevo un tempo, quando ero libero e fiero e camminavo per la mia Asgard come se mi spettasse di diritto: i ceppi mi stringono i polsi e le caviglie, i capelli sono spettinati e il mio viso è pallido e segnato dalla stanchezza. Ho un’aria selvaggia che mi appartiene naturalmente e che ho sempre cercato di mascherare con l’ordine: ma io, in fondo, non sono che il signore del caos e forse dovrei accettare che la mia immagine manifesti la mia natura. Il caos non è trasandatezza, se è questo che ti stai chiedendo, ma è qualcosa che il padre di Sigyn ha riconosciuto e di cui ha avuto paura: mi ha fissato come un tempo le guardie del palazzo spiavano il lupo di nostro padre quando, esasperato e furente, ficcava il naso oltre le grate e annusava il loro odore, la loro paura, e cercava di liberarsi dalla sua prigionia per fare l’unica cosa per cui era nato e che dava un senso alla sua esistenza: cacciare.

Ma torniamo a noi: nostro padre ha rimediato in fretta alla mia scomoda verità, promettendo quello che non può garantire, confermando cose che mi pareva avesse negato.

“Loki è sempre un membro della mia famiglia,” ha spiegato al padre di Sigyn, “e si comporterà con onore con tua figlia, come ha sempre fatto con qualsiasi donna. Vuole lei e gliel’ho concessa,” ha ammesso, “perché di lei sola si fida.”

“Sono solo parole, non ci crede,” ho riso. (2) Padre Tutto mi ha afferrato per una spalla; ho sentito la sua stretta calda e mi sono domandato quanto tempo fosse passato, dal nostro ultimo contatto. Ci prendeva in braccio da bambini, ci rimboccava le coperte quando c’era brutto tempo, ci faceva sedere sulle sue ginocchia durante i banchetti e ci consolava in quello stesso identico modo quando eravamo ragazzi, con quella stretta potente ed energica, eppure l’avevo dimenticato. Non mi si è risvegliato dentro alcun amore filiale, non credere. Il mio è lo stupore di chi ricordi all’improvviso qualcosa, punto.

“Non sono solo parole,” ha detto. “Tu non farai niente che possa nuocerle.”

 

Che ho annuito e accettato, questo forse te lo dirà. Che mentre lo facevo non ho potuto controllare la tosse, anche. L’attacco è stato violento e il fatto di aver cercato di trattenere gli spasmi, unito all’improvviso cambio di aria, deve avermi messo al tappeto. Annuivo e soffocavo. Al primo fiotto di sangue, ho cercato di coprirmi la bocca con le mani, ma invano: erano legate al tavolo. Ho perso i sensi, alla fine: l’unica cosa che ricordo è la voce di nostro padre che chiamava un guaritore.

 

Dicono che ho un piede nella fossa, o nella pira, a seconda dei punti di vista. Sono stato in bilico tra la vita e la morte, e non posso negarti di aver accarezzato l’idea di abbandonarmi a lei, a un certo punto. Credo che qualcuno mi abbia vegliato: forse nostra madre, o tu o Sigyn, o almeno così mi è sembrato. Non ha importanza. Ho i polmoni molto più malati di quanto non sospettava il tuo ciarlatano elfico. Un’affezione grave, potenzialmente letale. Per sopravvivere mi servono aria, riposo, sole. Tutte cose incompatibili sia con la mia attuale prigione, sia col pezzo di cielo che ho appena estorto. Mi serve qualcosa di più.

 

Nostro padre si è palesato poche ore fa. Mi è sembrato stanco. Dice che ci sono notizie del Cacciatore, ma che me le darà quando sarò in grado di pisciare da solo e non dentro a una sacca. Mi ha fatto ridere, sembrava preoccupato. Ha detto di aver dato ordine di sistemare per me la vecchia stanza dei bambini dove stava con i suoi fratelli, Vili e Ve (3). Il motivo è che ha un solo accesso, un ponte stretto che connette la zona nuova del palazzo reale con quella vecchia. Gli ho risposto che sapevo esattamente dov’era e che si trattava di una topaia. Ha replicato che nostra madre la sta rendendo vivibile e che ha una vista magnifica e un grande terrazzo. Ho domandato perché non avesse fatto costruire una gabbia più grande per il suo magnifico e fiero lupo. Non ha capito, né ricordato: gli ho dovuto raccontare di nuovo tutta la storia fin dove la ricordo, e quando finalmente è riuscito a ricollegare le mie frasi, ha scosso la testa. “Il lupo voleva morire,” ha detto. “Se anche gli avessi dedicato un bosco intero, non avrebbe mangiato né corso.”

 

Credo che dopo siamo rimasti in silenzio per ore, giorni, secoli persino, finché ha parlato di nuovo. Devo proprio dirtela, fratello, la sua frase è stata irripetibile e non ammetterà mai di averla pronunciata, ma invece l’ha pronunciata e tu devi sapere. “Non è a causa mia che morirai. Io ti ho condannato e imprigionato, ma sei tu che hai fatto il resto.”

Fanne quello che vuoi. Giudicala tu, rigiratela in gola come ho fatto io, ancora immobilizzato in questo letto e guardato a vista. La penna è diventata mortalmente pesante e ora devo riposare.

 

 

Lettera 40

 

Sai che non amo gli incipit melensi, Sigyn. Se mi fossi cara non avrei bisogno di scrivertelo su un pezzo di carta. Te lo direbbero i miei occhi e i miei gesti, non trovi? Il tuo ex fidanzato ti chiamava cara e diceva che eri la più bella del reame ogni volta che ti vedeva, ma quando è morta tua sorella si è slacciato i pantaloni e ti ha chiesto di provvedere. Un gentiluomo. Mi ha mandato un biglietto in cui farneticava che chiederà a Odino in persona di intervenire e punire la mia intromissione nel vostro splendido rapporto. Non aver paura: il mio augusto genitore adottivo stravede per te e ritiene che la tua presenza possa far bene alla mia salute, oltre che alle indagini. Continua a cercare. Abbiamo trovato un legame flebile tra due delle vittime, ma potrebbe essere un falso indizio messo appositamente in giro dal Cacciatore per depistarci. Con Heimdall parlerò direttamente io o, se non vorrà farlo, spedirò mio fratello con un elenco puntato e una serie di domande già scritte. Ti raccomando solo tre cose: non deprimerti venendo qui un’altra notte, non ne ho bisogno, fai molta attenzione e non parlare con nessuno e, soprattutto, dai fuoco a tutta la nostra corrispondenza. Io lo faccio.

 

 

Lettera 41

 

Sei un idiota senza speranza fratello, e Balder con te. Non so da dove cominciare e scrivo anche in una posizione fottutamente scomoda: in un letto, con una guaritrice con i baffi che fa l’uncinetto e mi guarda malissimo. Sigyn è appena andata via. Quando si è presentata contro i miei desideri, ieri, mi ha risposto soave che la mia opinione per lei contava moltissimo, ma che aveva chiesto il permesso di visitarmi a Odino in persona. Lui le ha dato il suo benestare e indovina? Eccola qui. Non può avvicinarsi al mio letto e con tutta questa gente intorno a noi dobbiamo necessariamente parlare in codice. Solo che non possiamo inventarci un linguaggio segreto di fronte a due guaritrici baffute e tre secondini mezzo addormentati, e io sono ancora troppo debole per elaborare. Così cerchiamo di essere neutrali e laconici. So benissimo che effetto le fa vedermi così. Si sente in colpa per non aver indovinato il mio male ed è in ansia per il Cacciatore.

È a disagio, ovviamente. Senza il vetro a proteggerla, si sente vulnerabile, esposta, in pericolo. Un conto è chiedere aiuto a un prigioniero rinchiuso che non potrà mai sfiorarti, tutt’altra cosa è sedersi a pochi centimetri dal suo letto. Protetto da una serie di rune in grado di attivarsi se solo metto un piede fuori posto, ma c’è tutto il resto, Thor. L’odore. La possibilità di toccarsi. La paura, persino. Non ha mai avuto il coraggio di farsi avanti, quando ero libero. Le ancelle di nostra madre ci presentavano le loro figlie brave a civettare, ammiccanti e seduttive e lei si nascondeva dietro una colonna, in mezzo alla folla. Avremo attraversato lo stesso corridoio mille volte nello stesso momento: se solo avesse alzato gli occhi per guardarmi, se avesse avuto il coraggio di rallentare il passo e lanciarmi un sorriso, forse le avrei risposto. Invece è facile confessare il proprio amore a qualcuno che non può rispondere se non evocando il tempo passato in maniera nostalgica e rabbiosa, pensando a ciò che si è perso, abbandonandosi a un rimpianto che non per forza deve essere una storia d’amore. Dicono che la mia vita sia appesa a un filo; io sostengo, a differenza, che nei sotterranei ero morto, per questo lì Sigyn aveva il coraggio di guardarmi.

Tutto il contrario di quando indaga per mio conto, non ti pare? Lì la ritrosia scompare, la timidezza diventa spavalderia. Sono colpito dall’insistenza con cui conduce le ricerche, davvero. Si diverte a raccontarmi l’aria spaventata e inquieta che assumono le persone quando, senza nascondere una punta di soddisfazione, dice che agisce in mia vece. Godo ancora di una certa autorità tra la mia gente, interessante. Forse è proprio questa grande considerazione ad aver scatenato questo piccolo terremoto, ti pare? Sono in attesa del risultato, dovrà arrivare tra qualche giorno, e allora sapremo meglio che strategia adottare.

Intanto, pensiamo al buon vecchio Heimdall. Il nostro guardone preferito è nei guai, ma per quanto non possa negare una certa soddisfazione nel vederlo nei casini, sono assolutamente certo sia della sua buona fede che della sua onestà. Questo non significa, però, che tu non lo debba interrogare: non nutro sospetti su di lui, ma voglio capire perché stanno cercando di tirarlo in mezzo. Solamente io avrei saputo fare di meglio – o peggio, a seconda dei punti di vista –, quindi obbedisci alla mia richiesta e fagli quelle cazzo di domande. Tutte, anche la 19.

 

 

Lettera 42

 

Sono le medicine, deficiente. Dopo aver sigillato la mia ultima lettera ho scoperto di stare di nuovo male e ho passato la notte a delirare. La domanda 19 non era volta a insultare quel ficcanaso permaloso, ma a capire perché la vittima numero 5 è stata ritrovata proprio a casa sua. Scusa, ma è una coincidenza brutta. Sigyn non è la mia balia e non passa tutti i pomeriggi qui. Viene quando ha qualcosa da dirmi o da portarmi. Non ritengo che, date le circostanze, la nostra conoscenza debba varcare determinati confini.



L’angolo di Shilyss

Cari Lettori,

Eccoci finalmente a uno dei capitoli più importanti della fic, dove qualche velo ha iniziato finalmente a sollevarsi. Ero così impaziente di farvi leggere questo capitolo, non ne avete idea! Cosa sarà successo al nostro Loki? Pare proprio che la sua malattia fosse vera, ma di cosa si tratterà? Come sempre, vi ringrazio per gli apprezzamenti che state dimostrando verso questa storia. Ringrazio infinitamente coloro che stanno recensendo regalando alla Fatina dell’Ispirazione momenti di giubilo e dandomi una misura del loro apprezzamento. In particolare grazie a Myrose, Makochan, Avareil, Sildoryl, Lightning, MaxT.

Quella ghiottona della Fatina spera ovviamente che qualche altro silente si manifesti, ma ad ogni modo grazie per essere semplicemente qui.

Per il nostro consueto appuntamento, ci si vede domenica!

1 Nobiltà di spada e di toga sono due modi distinti per definire la nobiltà. Banalizzando tantissimo, quella di spada è più antica e “nobile”, quella di toga è appannaggio di gente ricca che acquista la nobiltà pagandola.

2 Una citazione dal primo Avengers.

3 Effettivamente nell’Edda Odino ha altri due fratelli che hanno, appunto, questi nomi.

 

Shilyss


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Capitolo 7
*** Primi passi ***


Confessioni 7

Capitolo 7 – Primi passi

 

Lettera 43

 

Cos’è che non ti è chiaro, Thor? Sono ancora inchiodato al letto e, come immaginerai senz’altro, questo non aiuta affatto il mio umore. Come la risposta alla domanda 19. Sei un cretino e Heimdall un uomo senza fantasia. Le mie condizioni migliorano, si fa per dire. Non rischio di crepare da un momento all’altro, se è questo che intendi, ma stare bene è un’altra cosa. Fatico ancora a tenere in mano la penna. Ad ogni modo, hai frainteso il mio rapporto con questa ragazza lasciando che le frasi prendessero il sopravvento sulla ragione e non hai valutato fattori come la noia, la mia naturale propensione a mentire e, non ultimi, i miei impulsi costretti ad appagarsi con una sola presenza. La letteratura, fratello, è finzione, nient’altro.

Vivevo in una gabbia senza finestre. Lei mi sorrideva e, quando lo faceva, la cella diventava inevitabilmente meno grigia. Mi hanno rinchiuso, ma continuavo ad avere esigenze, bisogni, speranze, persino. Non l’avrei potuta avere mai. Per questo ci adoravamo. Il vetro attutiva l’uno i difetti dell’altra. Sospirare di fronte a un miraggio non ha implicazioni, fratello. La mente galoppa libera verso scenari fantastici, stuzzicata da una scollatura più intrigante, da un rossore che, se solo non ci fosse la lastra a dividerci, potrebbe essere il punto d’inizio di qualcosa, qualsiasi cosa.

È stata la mia amante mille volte, nei miei sogni, ma le Norne non hanno incrociato i nostri destini. Si sono permesse di far vibrare i fili delle nostre vite per un momento, uno solo, ma non ci siamo sfiorati né mai lo faremo. Sarebbe stata una delle tante e, come molte, si sarebbe illusa che un paio di notti di follie in un letto avrebbero scatenato chissà che risultati. Le avrei spezzato il cuore e mi sarei tolto uno sfizio. Questo siamo, saremmo stati. Solo che nel buio di una prigione mi è parsa più bella di quanto non sia in realtà: senza l’aria marcia dei sotterranei, lei è solo una ragazza che mi ha chiesto aiuto per compiere una sua vendetta, dolore che sto sfruttando per ottenere un maggior beneficio per me. Sto riducendo ai minimi termini una storia che già conosci. So benissimo quello che ti ho scritto nelle mie precedenti comunicazioni, né c’entra niente la promessa che nostro padre crede gli abbia fatto; non gli devo la mia lealtà per un discorso di mera coerenza. Se gli fossi stato fedele non sarei rinchiuso e non c’è ragione per iniziare adesso: non fa una piega, non ti pare?

Certo, per tornaconto potrei, dovrei, ma sai una cosa? Sono stanco, tremendamente. Di cercare il suo consenso, di compiacere un popolo che si esalta fin troppo facilmente. Stai tremando, Thor? Credi che possa di nuovo eludere ogni sorveglianza per fuggire in modo definitivo e tremendamente scenico? Potresti non essere così fortunato, stavolta: io, in compenso, otterrei la libertà e mi rimarrebbe addosso persino la soddisfazione di vedere il tuo smarrimento per avermi fatto riempire centinaia di metri di carta scritta fitta praticamente invano.

 

 

Lettera 44

 

È consolante la tua bella epistola zeppa di insulti. Due o tre errori di sintassi in meno e l’avrei definita una vera e propria opera poetica. Così adesso la gara è tra me il Cacciatore. È un gioco a chi è più furbo? Una gara di velocità stuzzicante? Devo ammetterlo, fratello: conosci alcuni dei miei punti deboli, anche se ti inganni tragicamente su molti altri. Stamattina è stato un giorno molto importante, per me: ho guadagnato in completa autonomia il gabinetto. Le infermiere mi hanno definito un eroe e hanno voluto chiamare nostra madre per renderla edotta sul notevole progresso. Mi ha parlato per mezz’ora di lavori di ristrutturazione e altre amenità simili e io ho finto di ascoltare, ovviamente. Una cella, per quanto bella, è pur sempre una cella, non credi?

Giocherò a renderla un quartier generale, però. Allestirò un tavolo e una stanza intera per raccogliere e rendere immediatamente visibili gli indizi e le supposizioni raccolte. Ci spia, Thor. Ci osserva e attende il momento migliore per colpire. Quattro persone che non si conoscevano ma avevano legami con la Corte di Asgard. Cinque morti che sono una tragica beffa nei confronti di Odino, Heimdall, me persino. L’amico d’infanzia di Odino caduto in disgrazia, il mercate; la sorella della dolce fanciulla che fa visita al mostro, Astrid; la ragazzina che doveva la sua vita al guardiano, la piccola lavandaia salvata dal Guardiano; il marinaio beone. Mi sfugge il legame di uno degli sventurati, ma non temere: lo troverò non per Asgard né per i suoi begli occhi né per nostro padre, ma per me. Non è l’unico cacciatore, qui.

 

Lettera 45

 

Cosa vuoi che ti scriva oggi, fratello? Un buon piano deve contenere una dose generosa di rischio, solleticare il destino e la fortuna, comprendere quella piccola variabile di caos e genio. Mi risponderai “non mi aspettavo che lo facessi così presto.” Il tempo ci scivola dalle dita e ha smesso di essere qualcosa di inconsistente, per me. Ha una scadenza, adesso: non sono più cinquemila anni circa di noia e tedio da passare dentro a una scatola di vetro sepolta nella terra, ma una sfida contro una bestia che mi divora dall’interno. Nostra madre ha chiesto e ottenuto che le analisi fossero rifatte altre due volte, perché non si fidava del risultato. È venuta a dirmelo di persona, non voleva che fossi costretto a mascherare il disappunto di fronte a un estraneo, e nostro padre gliel’ha concesso, ma senza accompagnarla. Presto diventerai re perché lui non è più in grado di fissare a testa alta i risultati delle sue decisioni.

Quando eravamo bambini, mi infastidivi tutto il tempo al primo raggio di sole primaverile, non appena cadeva un fiocco di neve. Stracciavi i miei appunti, mi strappavi di dosso i libri trascinandomi fuori dalla stanza. Volevi giocare ad essere Thor e pretendevi che io fossi Loki l’aiutante. Volevi vivere nella favola audace che ti avrei raccontato e distruggere a colpi di spada i nemici inventati dalla mia fantasia eccessiva, febbricitante, resa ancora più vivace dai testi polverosi che sottraevo dalla biblioteca privata di nostro padre. Libri proibiti, non adatti a un bambino, ma quel divieto che mi imponeva di non toccarli li rendeva i volumi più preziosi al mondo, vere e proprie reliquie. Cosa c’è di più eccitante che violare un ordine? Questo libro non è per te (1), mi dicevano, e io subito lo desideravo fino a provare una fitta dolorosa allo stomaco. Così mi inventavo ogni sorta di trucco per sottrarlo, rubarlo, nasconderlo. Alle volte, ti trascinavo nelle mie trame raggirandoti con poche, semplici mosse.

 

Altre, eri tu che mi offrivi l’occasione per ingannarti. Creavi il contesto, esponevi il fianco. Allora certe mie abilità ti incantavano ancora: mutare aspetto non era una trasformazione inquietante, ma l’elemento che rendeva più efficaci i nostri pomeriggi passati a immaginare un futuro glorioso, di guerrieri. Solo che nei campi di battaglia non abbiamo trovato proprio quello che ci aspettavamo, non credi? Ci hanno imbottito la testa di una retorica vuota e ridondante, raccontandoci che i Nove Regni erano il giardino prezioso che dovevamo coltivare e proteggere, hanno detto che combattere per Asgard era un onore e un privilegio, e poi ci hanno sbattuti nel fango, nella polvere, nella furia concitata delle battaglie. E noi nascondevamo la paura dietro a un sorriso fanfarone, stringevamo con più forza le nostri armi per nascondere le mani che tremavano.

Non sto dicendo che la politica espansionistica di Asgard sia errata, attenzione: alcuni interventi li ho caldeggiati io stesso perché solo il caos può portare l’ordine, e chi ha osato alzare la testa verso gli Aesir era necessario che pagasse il prezzo della sua arroganza. È semplicemente un modo per spiegarti cos’ho fatto anche se, a ben guardare, probabilmente sto sopravvalutando le tue abilità di comprensione del testo. Bisogna sporcarsi le mani per ottenere un risultato, Thor. Non possiamo permetterci di bruciare l’unica pista che può condurci da qualche parte. Occorrerà solo fare attenzione. Questa farsa non peggiorerà le mie condizioni, e mi offre il vantaggio strategico di stare un passo avanti al mio sfidante. Non ho la benché minima intenzione di immolarmi sull’altare di Asgard: Padre Tutto ci ha già cavato il sangue e non verserò più una sola goccia per lui.

 

 

Lettera 46*

 

Non fraintendere, Sigyn. Non commettere l’imperdonabile errore di credere che l’improvviso mutamento della mia condizione significhi qualcosa di diverso: ci sarà sempre una lastra di vetro, a dividerci. Ciò che ieri hai visto e sentito non è che una parentesi strana messa fuori dal tempo di cui tu hai solo colto un frammento. Non sono più il figlio di Odino che ghignava ai banchetti e se la spassava con le ancelle, né il giovane tronfio che incrociavi per i corridoi del palazzo. Quello che hai visto ieri sera, sono io. Non intendo compatirmi né giustificarmi. Non rinnego uno solo degli atti che ho compiuto, delle alleanze che ho stretto. Se tornassi indietro, rifarei ogni cosa nello stesso identico modo: presterei solo attenzione a non farmi prendere.

 

Ad essere onesti, cara Sigyn, anche in quell’occasione ho agito in modo tale da essere esattamente dove sono: solo, ho creduto che la scure della giustizia di Odino si abbattesse con meno violenza sul mio capo. Un pessimo errore di valutazione, lo ammetto, ma la fine che mi spetta, per quanto lunga e straziante, sarà certamente migliore di quella che mi avrebbe atteso con il mio passato signore. Gli Asi non sono gli esseri viventi più potenti di tutti i Mondi, mia bella Sigyn: l’universo è immenso e nella sua vastità noi siamo riconosciuti per essere un popolo robusto e fiero, ma non certo per la nostra invincibilità. Un altro ha questo nome, uno presso cui io trovai asilo tempo fa. Una certa educazione dovrebbe vietarmi di farti parola delle circostanze in cui mi trovò e com’ero ridotto. Vedi Sigyn, e anche adesso non ho intenzione alcuna di giustificarmi, io non andai da lui di mia volontà. Mi trovò. Ero ferito, spezzato, confuso e con il cuore gonfio di vendetta. Ho visto un potere nuovo e spaventoso, ho fatto cose, per inseguirlo, che qui ad Asgard sono irripetibili. Il prezzo della mia fuga, però, è il terrore che non mi abbandona mai. Lo tengo a bada durante il giorno, mascherandolo sotto a un sorriso sprezzante; lo nascondo dietro una battuta affilata o divertente, ma c’è, sempre. La notte sguscia via dalle catene in cui lo frena la coscienza ed emerge prepotente invadendo i miei incubi. Mi cerca ancora, forse, e lo farà fino alla fine dei tempi non perché rappresenti una minaccia per il suo impero, ma perché ho avuto l’ardire di trovare una via di fuga e infilarmici.

 

Ieri sei entrata nella mia stanza e io non ti aspettavo e hai visto quello che non era necessario osservassi: il terrore sordo, la febbre che attanaglia la ragione, il lamento per una sofferenza fisica che rallenta le nostre indagini e mi squassa. Non provare pena per me, Sigyn: non ne ho bisogno. Non guardarmi con quei tuoi occhi profondi e dolci, non lo merito. Quando avrai la tua vendetta, dovrai lasciare questo posto e inseguire altri sogni, altri amori e avventure. A me, restano solo i racconti di quelle che ho passato e metà delle storie che la mia mente evoca sono false, manipolate, distorte dalla mia personale visione. Succede così a tutti, Sigyn. Tu, ad esempio, ricordi di avermi sentito invocare il nome di mio fratello e ti sei avvicinata per posarmi sulla fronte una pezza bagnata e stringere le mie mani gelide tra le tue. Il tuo errore è stato guardarmi con occhi innamorati. Credi di aver visto un guerriero sconfitto, ma non piegato, un principe costretto a pagare per le sue ambizioni smodate, un uomo su cui non hai smesso un giorno di fantasticare, nemmeno quando Odino mi ha costretto in ceppi a dirigermi per sempre verso i sotterranei. Dovresti guardare il resto: certe cicatrici che non mi sono state inflitte in battaglia che sicuramente ieri sera, con i polpastrelli, hai sfiorato. La pelle pallida di chi sta perdendo la battaglia contro una malattia feroce e debilitante, la follia di un condottiero ossessionato dal passato, divorato dal rancore.

Credi che ti stia aiutando per i tuoi begli occhi e confondi la cortesia che ti devo per educazione e lignaggio con un innamoramento che nasconderei ad arte. Non è così. Il Cacciatore mi ha consentito di trattare con Odino condizioni migliori della mia prigionia; un vantaggio che, nel lungo periodo, potrebbe rivelarsi fondamentale perché nessuna cosa è immutabile, nemmeno le decisioni di Padre Tutto. Ti giustificherai dicendo che sai tutto, ogni cosa: non ti illudi che io sia migliore di come mi descrivono i miei molti nemici e detrattori, sai bene che il principe che ti affascinava si è tramutato in un traditore che ha minacciato il trono. Spiegherai in una lunga lettera che mi hai preso la mano e accarezzato la fronte in un gesto non d’amore, ma di pietà, e ti pentirai per aver scelto quel termine perché non desideri né riesci a compatirmi: io lo so. Cerca di guardare il mondo con più disincanto, Sigyn. Estrapola la verità dalle confessioni dei tuoi interlocutori, distaccati dagli eventi e cerca di trovare le connessioni giuste tra le vittime e il Cacciatore. Lui le sceglie, le seleziona, le segue e, infine, le prende. Ricorda che cercare legami è un gioco che la maggioranza delle volte ti porterà fuori strada, ma in un’unica occasione potrebbe rivelarsi fatalmente utile, decisivo. Brucia questa lettera.

 

 

Lettera 47

 

Di cosa hai paura, fratello? Che possa approfittare della guardia bassa di Asgard tutta per fuggire? Già ci pensa l’indomita Sif a nutrire questi sospetti, e io sorridendo non posso smentire né avallare la sua ipotesi. Cogliere le opportunità che mi si presentano davanti è omaggiare la mia natura, assecondare la trama filata per me dalle Norne. Chi sceglierebbe di scontare una pena lunga fino al proprio ultimo respiro, se fosse a conoscenza anche solo di un modo per scappare? Te lo dico io: nessuno. Anche il fiero lupo di nostro padre la pensava così. Si muoveva instancabilmente nel suo recinto fiutando tracce e pensando alle vie di fuga per poi fissarci con i suoi occhi gialli, selvatici, solenni. Credo di aver pianto per giorni, quando è morto.

 

Non è il momento di parlare di questo, adesso. Il lupo, la fuga, il passato, sono ombre che è opportuno accantonare da un lato. Credo che il fulcro di tutto sia sempre Astrid, fratello: la prima a essere ritrovata, la terza a morire. C’è un nesso che mi sfuggiva e che la mia assistente non riesce a sviscerare. Le ricerche si sono arenate, da quando sono costretto a letto, e questo non va bene non perché, come credi tu, mi interessi particolarmente questa caccia, ma per una ragione più pratica ed egoista. Senza passi in avanti tangibili, nostro padre nella sua sfavillante giustizia, troverà il modo di trasformare a mio danno i privilegi che mi ha concesso e che, ironia della sorte, avrebbe dovuto accordarmi ugualmente. Heimdall è venuto a trovarmi, ieri. Una visita sgradita e inaspettata, ma non infruttuosa, lo devo ammettere. Mi ha fissato a disagio, guardingo, come se potessi balzare fuori da questo fottuto letto e tirargli qualche scherzo che certo meriterebbe, ma che non mi dò la pena di infliggergli. Certe sfide sono divertenti e gustose solo se si svolgono ad armi pari, altrimenti hanno un retrogusto amaro. E tu la pensi come me.

“La tua fibra è sempre stata robusta,” ha detto osservandomi, “non avrei mai pensato di vederti deperire così.” Ho riso, ma questo te lo racconterà lui, come ti riferirà quello che ci siamo detti e le analisi hanno finalmente confermato. Il mio aspetto inganna, lo ha sempre fatto: se non hai una forza bruta devi puntare sull’agilità, la destrezza, la velocità. I miei colpi dovevano essere precisi e se mi toccava prenderle, occorreva che mi rialzassi in fretta. Non sarei mai stato come te – né lo desideravo –, ma avrei reso degno nostro padre, forse. Il riconoscimento tardivo di Heimdall e il suo sguardo assorto mi fanno pensare a ciò che è stato più di quanto non sia lecito. Inseguiamo un’idea azzardata, rischiosa, che non ti piacerà affatto, ma non potrai fare a meno di appoggiare.

 

Di questo, come di altre cose, parleremo a voce quando mi degnerai di una tua visita. Mi chiederai di lei, adesso, e della pista che riconduce ad Astrid. La dovevo vedere. Le descrizioni di Sigyn sono velate dall’amore e dalla nostalgia per sua sorella, non poteva aiutarmi. Per questo l’ho fatto. Mi dirai che è stata una scorrettezza, date le circostanze, ma con la mia bionda aiutante credo di aver chiarito ogni cosa sia per iscritto che a voce e adesso non mi importa più, davvero, se quell’uomo riuscirà prima o poi a sposarla.

Perché dovrebbe, in fondo? Sarebbe opportuno che si allontanasse da me, piuttosto, e andasse a convivere con il suo lutto lontano da qui, in un luogo dove potrebbe farsi una famiglia sua. Ecco perché ho chiesto udienza a nostro padre. Non avevo nulla da dirgli circa il Cacciatore, e non mi andava di condividere le supposizioni acerbe che sto ancora valutando. Lui si è fatto attendere per ben due giorni. Si è astutamente presentato di sera, quando sapeva che la febbre si sarebbe rialzata: gli ho chiesto di affibbiarmi chiunque altro al posto suo, persino quell’idiota senza fantasia del buonissimo Balder. Mi ha guardato compiaciuto con quel suo occhio gelido e rapace, soppesando la mia giusta richiesta. A lui non cambierebbe nulla, anzi. Dimostrerebbe a tutta Asgard come è riuscito a piegarmi per l’ennesima volta – questo è ciò che crede, almeno – e non dovrebbe più preoccuparsi di dover giustificare le mie azioni. Io, da parte mia, potrei torturare quell’idiota fino allo sfinimento e sarebbe divertente. Me l’ha negato, ovviamente. Mi ha rigirato contro le stesse frasi usate con il padre di Sigyn.

Sai che non desidero scriverti di lei: se te ne parlo, è perché mi metti nella fastidiosa condizione di doverti spiegare le mie giornate da prigioniero con questa tua inutile idiozia del dirci continuamente cretinate e, soprattutto, per evitare che la tua mente fantastichi appresso a cose di nessuna rilevanza. Tuttavia, l’indagine che entrambi seguiamo per ragioni differenti si interseca con Sigyn, e allora sono costretto a raccontare, puntualizzare, precisare, affinché tu non scambi o travisi un rapporto che fuori dalla mia prigionia non esiste. Vedi fratello, l’immobilità costringe a pensare, a valutare, a grattare via orpelli e considerazioni lasciando la verità nuda, esposta. Strano che io ne parli, non trovi? L’ingannatore imprigionato che si arrovella per risolvere un mistero e scoprire la verità. Curioso, per uno che non ha mai creduto che ne esistesse una sola.

 

Il fulcro è Astrid, la prima che ci ha fatto trovare. Potrei elencare a memoria tutto quanto si è detto di lei nelle settimane concitate che sono seguite alla sua sparizione e al ritrovamento dei suoi poveri resti martoriati. Più graziosa delle sorelle, ottima musicista, buona conversatrice, gentile con tutti. Una serie di luoghi comuni che la rendono la perfetta vittima da piangere disperatamente. Quanto sono state ingiuste le Norne, strappandocela così presto! Avevo bisogno di altro, però. Di un viso, un gesto, un contesto in cui inserire questa figura quasi evanescente. L’ho detto a Sigyn. È facile, per lei, prendermi la mano quando la febbre mi lacera: più difficile è rimanere in questa stanza d’ospedale con me senza un vetro a separarci. È abbastanza coraggiosa da fissarmi negli occhi, ma vedo in lei la paura, la cautela, il dubbio. Le velano lo sguardo, rendono incerta la sua voce. Io non la aiuto affatto a rilassarsi, anzi.

Perché dovrei, in fondo? La mia amante immaginaria dovrà pur soddisfarmi in qualche modo, non credi? Ora che c’è una finestra, per quanto piccola, nella mia stanza, deve offrirmi qualcosa di più che la sua presenza e il suo profumo di fiori e miele. Se solo fossi nobile come te, fratello, se soltanto le Norne mi avessero donato un briciolo dell’integrità morale del figlio di Odino, non avrei mai fatto niente. Mille remore mi avrebbero dovuto fermare, non fosse altro che per la dolcezza con cui ha poggiato per una notte intera una pezza gelida sulla mia fronte. E invece. La sua figura sottile e flessuosa è scivolata oltre la porta; con dispetto ho notato che aveva acconciato i capelli in una spessa treccia, mentre io li preferisco spettinati, sciolti e ribelli come se si fosse appena alzata dal mio letto. Mi ha portato solerte tutto ciò che le ho chiesto: documenti, referti, testimonianze. Un plico di carte che mi ha teso con una certa ansia.

“È sparita un’altra ragazza,” ha detto.

Non le ho volutamente prestato troppa attenzione. Sfogliavo lentamente le pagine scritte fitte. Ha iniziato a dirmi che è successo stamattina, al mercato, affrettandosi nel riportarmi una serie di voci concitate, contraddittorie, irritanti.

“Non è che ogni persona che manca per sei ore da casa è stata presa dal Cacciatore,” le ho fatto notare. “Perché tanta ansia? La conoscevi?”

Ha risposto di no, ma la sua espressione era sbalordita. Come facevo a restare così calmo e impassibile? Cosa avremmo fatto, se davvero fosse stata rapita?

“Se”, ho ribattuto laconico. Posando finalmente il mucchio di fogli, mi sono finalmente degnato di guardare il suo bel viso pallido e stanco. “A me non interessa salvare questa disgraziata sfortunata, Sigyn, ma solo di prendere il nostro amico. Un bravo predatore sa attendere il momento giusto, per lanciarsi sulla preda. Ecco, lui è la mia preda. Non mi serve un colpevole da esibire, ma l’indizio giusto. Non importa quanto ci vorrà.”

Era delusa, sconvolta dal mio cinismo, forse persino turbata dall’analogia che ho creato tra me e il Cacciatore.

“L’indizio che mi serve è racchiuso nella vicenda di Astrid,” le ho detto senza alcuna emozione. “La devo vedere.”

“È sepolta, tu non puoi uscire.”

“Non mi serve vederla dal vivo. Basti tu.” Avevo appena catturato la mia, di preda. Ha fatto un passo indietro trattenendo il respiro, quasi il solo inalare la stessa aria che respiravo potesse nuocerle e forse è vero. Se ci fosse stato un vetro spesso, a separarci, avrebbe riso sicura, mi avrebbe negato il suo aiuto, perché quello che le ho chiesto è stato davvero crudele. Se le avessi ordinato di spogliarsi e soddisfare le mie voglie sarebbe stato meno doloroso, invasivo, spietato, perché entrare nella testa di qualcuno come Sigyn e poi frugare, è un atto violento.

Avrei dovuto spiegarle cosa significava, prepararla all’ingerenza. Riesco ad alzarmi, adesso, e per quanto sia ancora debilitato, resto ugualmente un guerriero Asi e lei una ragazzina esile e minuta. Che le Norne mi maledicano, Thor, l’ho afferrata all’improvviso e le ho messo una mano sulla fronte prima che lei potesse anche solo gridare. (2)

Non me lo perdonerà mai.

Non è consolante dirti che ci avevo visto giusto, per niente. Violare la sua mente, calpestare i suoi ricordi e scoprire la parte più nascosta della sua essenza è stato esaltante, terribile, doloroso, sconvolgente, proficuo, eccitante. Astrid era la chiave, e adesso che lo so non ho più bisogno che mi aiuti nelle ricerche, anzi: se mi servisse il suo aiuto ora sarebbe lei a negarmelo, e nemmeno nostro padre con tutta la sua autorità potrebbe costringerla. Povera Sigyn. Avrei dovuto raccontarle che ogni sera portavo al lupo rinchiuso e furioso la cena, ma che lui mi ringraziava con un ringhio basso e spaventoso, tentando ogni volta di azzannarmi. Non mangiava nulla, ovviamente, e per non cadere nella tentazione di assaggiare la carne che puzzava di prigione ci defecava sopra. Che magnifica bestia, che era. Sotto la polsiera, ho ancora il segno dei suoi denti, sulla pelle. Per questo quando sbranò Tyr strappandogli una mano, alzai le spalle. Era stato incauto.

Ho visto più cose di quante non ne avessi volute. Trascinato dal seiðr, ho osservato ciò che non dovevo, e non mi aiuta scriverti che Astrid è la chiave e che conosceva l’assassino. La sua morte è stata orrenda e priva di senso, ma adesso il disegno è più chiaro e nitido di quanto non fosse ieri. È già passato un giorno da quando Sigyn ha capito sulla sua pelle quanto meritata fosse, la mia prigionia. La sua adorata sorella, la terza vittima, non era priva di macchie, tutt’altro. Quegli occhi, quel naso, quella bocca. Non posso essermi sbagliato. Devi tornare.


Continua...


L’angolo di Shilyss

Cari lettori,

Mi sono portata avanti con Confessioni perché il mio stato fisico rasenta quello del principe Loki. Ebbene sì, ho l’influenza e qualche altro acciacco collaterale. A giugno, sì. Scrivo con la coperta addosso. La Fatina dell’Ispirazione è molto mesta per questo, sappiatelo. Come avrete intuito, pare che il nostro stesse proprio male per davvero, ma con l’ingannatore non si può mai dire. Grazie a chi ha recensito e a chi recensirà, a chi leggerà e a chi ha inserito la storia tra le ricordate/seguite/preferite.

1 citazione da La storia infinita.

2 come in Thor: Ragnarok fa con Valchiria.

 

Ci vediamo domenica (se sopravvivo)

Shilyss


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Capitolo 8
*** Nessuna coincidenza ***


Capitolo 8

Nessuna coincidenza

 

Lettera 48

 

Sigyn non sa niente, ovviamente, ma ora tutto ha un senso. Vedo la stortura, solo non so come raddrizzarla e ogni soluzione mi appare audace e spaventosa allo stesso tempo.

 

Lettera 49

 

C’era una sola cosa che ieri ti avevo chiesto di non fare, ricordi? Io sì, ma lascia che ti rinfreschi la memoria, perché forse avevi bevuto un corno di idromele di troppo. Sei arrivato qui e abbiamo parlato di Astrid e io ti ho spiegato perché era importante che Sigyn non sapesse che la conoscevamo. Ci sei fin qui? Se la risposta è sì, barra con un segno di croce su “sì, ho capito.”

Se hai spuntato (come spero) la casella giusta, potresti per favore di dirmi cosa ti ha detto il cervello? No, perché a me sfugge completamente il ragionamento mentale che ti ha convinto a recarti da lei, a casa sua, per dire davanti ai suoi genitori che cosa, per le Norne, cosa? La verità tu non la puoi dire. Aprirebbe ferite enormi in una famiglia già provata, in nostra madre. Di lui no, non mi interessa. Avrebbe potuto dirmelo in mille occasioni – o dirlo a te, a questo punto sarebbe stato uguale – invece ha preferito tacere, mistificare, cancellare con un colpo di spugna quello che è stato. Chi è l’ingannatore, il bugiardo, adesso? Come laverà la sua colpa? Oh, lo so, lo sento: adesso tu ti metterai a blaterare che ho ragione in teoria e non in pratica e giocherai a fare il buon re. Scimmiotterai certe mie idee, sostenendo come la ragion di Stato possa portare a occultare fatti ed eventi in nome di qualcosa di più nobile e importante: il popolo – anzi i popoli – che ci siamo impegnati a proteggere e che, per inciso, non ci hanno mai chiesto niente se non la libertà. Quella che invoco anche io, ma in maniera diversa.

Ma adesso parlare di questi concetti è inutile e fuori luogo. Sigyn non tornerà perché ho guardato nella sua testa e ho visto quello che vuole, desidera, spera. Come potrebbe avvicinarsi a me sapendo che so cosa si lascerebbe fare? È persa, e il punto è che temo possa andare a investigare da sola, sfruttando le informazioni elaborate insieme. Questo potrebbe rovinare le nostre indagini, rendere vano il mio piano e inutili i rischi che sto correndo. Quindi fammi il favore, fratello. Porta le chiappe qui anziché andare a chiacchierare con il padre di Sigyn.

 

Lettera 50

 

Come hai potuto permettere che mi insultasse in questo modo?

 

Lettera 51

 

Sai dove devi ficcartela, la tua offerta di pace?

 

Lettera 52

 

Lo devo ammettere, Thor, sono colpito. Ho aperto la tua lettera chiedendomi chissà quale altro gesto deficiente avresti compiuto per farmi incazzare, ma stavolta hai superato le mie aspettative. Mi hai stupito. Allora, da dove vuoi che cominci?

Non chiederò la grazia a Odino, non mi pentirò di quello che ho fatto. Ho sputato sangue e non l’ho chiesta, sono svenuto davanti a lui e non gli ho detto una sola parola, al riguardo. Odino, non padre. Non lo è, non ci lega alcun vincolo di sangue, né mai si è comportato come un genitore dovrebbe, neppure adesso. Mi ha fatto gentilmente portare dai sotterranei all’infermeria per non dover spiegare al suo popolo una mia eventuale morte, ma soprattutto perché ora gli servo, Thor. Faccio gratuitamente ciò che altri non sono in grado nemmeno di pensare pur ricevendo un corrispettivo. Per questo la costringerà a tornare.

 

Lo so, non ci arrivi. Non cogli il nesso tra la volontà del tuo re di risolvere presto il caso e la sua pretesa che Sigyn torni a ronzarmi intorno. Non puoi farlo. Ti dovrei scrivere che sei troppo idiota per comprendere, ma non è esatto come termine, no: direi che sei ingenuo, ecco.

Vedi, fratello, il buon Padre Tutto sfrutta Sigyn per costringermi a occuparmi della questione ma, soprattutto, per farlo a modo suo. La polvere che ha nascosto sotto il tappeto va fatta sparire, la parete affrescata deve essere coperta – a proposito, chissà se c’è qualcosa, sotto la volta che lo ritrae e celebra la sua famiglia e i suoi successi? (1) E dimmi Thor, il mio ritratto l’ha già fatto cancellare? – rispondimi pure sinceramente, a me non importa, non interessa più da molto, molto tempo. Ma torniamo a noi: Padre Tutto verrà da me e dirà che io e lui siamo uguali, che i nostri desideri sono simili, puntano nella stessa direzione, quindi come posso io accusarlo, se sono coinvolto e invischiato quanto lui? Affermerà sprezzante che non posso giudicarlo, ma solo proteggere il suo nome per il fottuto bene di Asgard e, soprattutto, per lei che non merita altro fango addosso. La userà per controllare me. Da chi pensi abbia imparato a raggirare il mio prossimo, sentiamo?

 

Maledizione, la morte di Astrid avrebbe dovuto liberarci tutti e invece ci ha invischiato in una storia sgradevole e tremenda. Ecco perché non dovevi andare da Sigyn e mentirle a quel modo. Ora che ti ho svelato tutti i retroscena non mi resta che rispondere a lei. Grazie Thor, grazie tante.

 

Lettera 53*

 

Sigyn, ovviamente non ho assolutamente dato incarico a quell’idiota di mio fratello di porgerti le mie scuse. Nessuno sano di mente affiderebbe un messaggio delicato e importante all’irruente dio del tuono, nemmeno se fosse confinato in una noiosa infermeria. Questo non vuol dire che mi rimangerò con questa missiva il senso del messaggio di quel caprone (2). Quello che ho fatto è stato crudele, fidati lo so, ma necessario in una maniera che tu ancora non puoi comprendere. A ferirti non è sapere che io abbia visto Astrid, ma il resto. Non c’è giustificazione che tenga, per questo. Ci sono mali necessari – e quello non lo era – esistono compiti che vengono svolti con disgusto, e mentirei se ti dicessi che per me è stato così. Sono il dio dell’inganno, questo è il nome che mi hanno dato. Porto il caos ovunque, anche dentro di te. Potrei dirti che non userò ciò che ho visto per manipolarti. Suonerei pateticamente bugiardo a qualsiasi orecchio. Semplicemente, non meritavi tutto questo e capisco perché non mi vuoi più vedere, comprenderò se affiderai la tua vendetta a qualcun altro, anzi. Ti invito a fare esattamente questo. Ignora i discorsi sul senso del dovere di Thor, di tuo padre, del tuo re, persino. Il primo è un ingenuo, i secondi ti stanno usando. Sono quasi certo che, stavolta, brucerai questa lettera.

 

Lettera 54

 

Sai qual è l’ironia della sorte, Thor? Adesso che la mia cella misura un po’ più di diciotto passi per venti io cammino a malapena, mi stanco immediatamente e rimpiango un po’ che il gabinetto sia a trentaquattro passi dal mio letto. Nostra madre ha reso quella che era una soffitta spaventosa e con il tetto sfondato un appartamento confortevole e ben arredato: la mia gabbia, adesso, è bellissima. Affaccia sul bosco, si intravede uno scorcio del fiordo che circonda il palazzo. Devo confessare di aver provato un moto di felicità e stupore improvvisi, vedendo l’acqua blu e scintillante. Ci sono libri, tappeti, poltrone, un camino, strumenti per fare esercizio fisico persino, ma non posso uscire, resto un prigioniero e non l’ho dimenticato, non posso. Mi chiedi se rimpiango la compagnia del mio pubblico di tagliagole. Ho chiesto ai secondini che bivaccano nella mia anticamera cosa ne pensano di questa tua affermazione, e loro mi hanno risposto che di quel gruppo di delinquenti se ne può tranquillamente fare a meno e si sono arrischiati a domandare, con infinita esitazione, se potevo fargli la grazia di insegnargli uno dei miei trucchi per vincere a carte. Il portavoce del gruppo ovviamente è il buon Bjorn (3). Si è anche premurato di raccontarmi, qualora a me interessasse, di essersi ufficialmente fidanzato con la ragazza che corteggiava e di averne incontrato i genitori. Sono rimasti molto impressionati dal fatto che io l’abbia picchiato, lo considerano un grande onore. Gli ho fatto presente che non me ne può fregare di meno della sua vita privata e, come regalo di nozze, gli frantumerò tutte e dieci le falangi, solo a patto che non mi tedi mai più con queste cretinate.

 

Lettera 55

 

Come il lupo, esattamente. In fondo, la modalità con cui risolve i suoi problemi è stata collaudata in anni e anni di macchinazioni e depistaggi. Mi usa, ci usa, concede per poi sottrarre, ricatta in maniera subdola. Promette e poi circonda il percorso di paletti. Potrei farti ricordare quando, il giorno della tua incoronazione, decidesti di vendicarti degli Jotnar: era una scelta impulsiva, la tua? Probabilmente sì e il tuo piano, non dimenticherò mai di dirtelo, era davvero stupido e incauto, tuttavia c’era un fondo di giustizia nella tua pretesa. L’idea era orribile, ma il principio che lo animava lecito e corretto. Eppure non gli è importato, ti ha punito in modo esemplare con il banno.

Peccato che, a noi, i suoi metodi tirannici non stupiscano più di tanto. Ci abbiamo fatto il callo, dico bene?

 

 

Lettera 56

La sincerità è un lusso che non voglio concedermi, un’illusione cui non voglio aggrapparmi. Non è un valore né è assoluta. Io non devo essere leale con te o con Sigyn, soprattutto con lei. Non le devo niente, non ho intenzione di restituirle una goccia, un sussurro di quello che le ho strappato, perché era utile e necessario. E tu lo sai. Non è la mia donna, né mai lo sarà. Nostro padre tenta di gettarla nel mio letto per accusarmi di un vizio che appartiene più a lui che a me, e lo fa in maniera subdola, spietata, che non posso fare a meno di ammirare, lo ammetto. Le concede di entrare nella mia stanza al calare delle tenebre, quando le guardie che mi tengono d’occhio sono stanche e affamate. Vuole che restiamo soli, così che il lupo imprigionato scelga di mangiare, anziché mostrare il ghigno carico di sfida e lasciarsi crepare.

 

Bel modo di stanarla, davvero. Degno di lui. Lo avevo sottovalutato, mi ero concentrato sulla possibilità che tu o qualcuno dei nostri incapaci fratelli spifferasse a destra e a manca la ragione delle rughe nuove che solcano il viso di nostra madre, e invece è stato lui. Ha messo a repentaglio tutto il mio piano e la mia stessa vita, condividendo con lei parte della mia strategia. Ovviamente Sigyn ha frainteso. Mi ha urlato contro parole sul sacrificio, il coraggio, la pazzia. Le ho fatto presente, non celandole affatto un certo fastidio per il tono e la sua irruzione improvvisa, che aveva azzeccato solo la pazzia, caratteristica che senza dubbio mi appartiene. Tutto il resto sono vane parole. Non ho scelto io, di essere un bersaglio. Mi sono ritrovato in questa fastidiosa condizione e non sono nemmeno certo che i delitti siano collegati con la mia particolare vicenda. Potrebbe tranquillamente essere il piano di un qualche nemico vecchio o recente, non ha importanza, che sta cogliendo al balzo l’occasione offertagli dal caos di queste ultime settimane per agire passando indisturbato. Io avrei fatto così, farei così.

 

Come al solito, le nostre visite sono la valvola di sfogo dei miei secondini. Ti informo che stanno abbassando la guardia, fratello. Credono che il loro principe gli sia amico e non rappresenti più un pericolo solo perché deve fermarsi a riprendere fiato ogni dieci passi e ha un tavolo pieno di intrugli e medicamenti. Si illudono che, siccome un paio di volte ho concesso loro di bere il mio idromele e mi sono divertito a giocare a carte insieme, mi farei degli scrupoli a tagliare loro la gola da un orecchio all’altro. A metterli fuori strada è il fatto che io stia apparentemente lavorando per Asgard. Dormi sonni tranquilli, fratello. (4)


Continua...



L’angolo di Shilyss

Caro Lettore,

Vuoi più Shilyss nella tua vita?

Ogni settimana ti domandi quale storia aggiornerò interrogando i tarocchi, i fondi del caffè o le Rune? Vorresti sapere con precisione il momento in cui posto?

Ti piacerebbe conoscere anteprime e curiosità, sapere quali altre trame sto elaborando e come immagino il mio mondo con foto eccetera, ma non vuoi interagire su questa piattaforma?

Ebbene, forse ho un presente per te. Shilyss approda sui social. Vinci la timidezza e seguimi in questo magico mondo delirante ricco di avventure! Potrai avere accesso a contenuti inediti e specialihttps://www.facebook.com/Shilyss/

Voglio come sempre ringraziare i coraggiosi recensori (Stella Cadente, MaxT, Avareil, Sildoryl, Makochan, Lightning, LadyStarkiller98, Myrose e Detective per aver nutrito la buona Fatina dell’Ispirazione e ringrazio tutti coloro che preferiscono, seguono e ricordano questa mia storia. Vi adoro tutti. Vincete la timidezza e ditemi che ne pensate, mi raccomando!

 

1 Il riferimento, qui, è alla scena presente in Ragnarok dove Hela mostra la volta originale della sala del trono di Odino (per voi due, Makochan e Light, so che apprezzerete ♥).

2 Nell’Edda Thor va in giro su un carro velocissimo tirato da… caproni.

3 Credevate che avrei dimenticato Bjor? Puah!

4 Mi rendo conto che questa lettera è, più delle altre, particolarmente criptica perché non è chiaro il motivo per cui Sigyn è tornata da Loki nonostante quello che ha subìto nel capitolo 7. Siccome non mi va di farvi stare 14 giorni con il dubbio amletico, voglio espletarvi il passaggio: Odino convince Sigyn a tornare rivelando qualcosa che Loki e Thor sanno (il sacrificio) e che potrebbe far parte della strategia di Loki; qualcosa che la ragazza non condivide e che la spinge, nonostante tutto, a tornare da Loki.

A presto! (Per sapere quando, usate facebook, ma lo sapete, sono una creatura abitudinaria…

Un caro saluto,

 

Shilyss


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Capitolo 9
*** Strane trappole ***


Confessioni 9

Capitolo 8 – Strane trappole

 

Lettera 57

 

Sai invece cosa esaspera me, davvero? Stare qui dentro e scriverti queste lettere ridicole. Vai a sfogare le tue frustrazioni e repressioni su Midgard o in qualche buco perso nella galassia! E ricorda che mi devi due botti del migliore idromele di Vanheim. Non ho barato, ieri sera hai semplicemente perso perché non sai giocare. La tua manifesta incapacità nel partecipare e vincere a qualsivoglia gioco sociale certo non dipende da me. Quindi, dato che sbandieri all’Universo tutto quanto sei di parola, leale, onesto e chissà che altro vai vanamente blaterando in giro, paga i tuoi debiti. E la prossima volta che ti azzardi a dire che mi lagno e sparo minacce per avere la tua compagnia, giuro sulle Norne che ti ritrasformo un rospo e ti schiaccio, stavolta. (1)

 

Lettera 58

 

Oggi mi sento magnanimo.  Ho dormito una notte filata senza espettorare gli occhi come mio solito, pensa. L’eccitante progresso è stato rovinato mentre spalmavo il miele sulla mia consueta fetta di pane croccante. Beh, mi pare ovvio che le mie presunte illazioni abbiano trovato una conferma più o meno evidente. Nel senso, il Cacciatore si prende gioco di noi, di me, mostrando quello schifo in quel modo. Ci si è messo d’impegno per farmi capire che conosce il mio problema. Le ipotesi sono due, a questo punto. O lo ha scoperto o ne è la causa. La prima ipotesi pone, per assurdo, la mia bionda assistente nel novero dei sospettati assieme a papà, mamma, te, quei due deficienti dei nostri fratelli, i secondini, il guaritore elfico del cazzo, tre medici Asi e due infermiere racchie, gentilmente concessemi da Odino affinché continuassi a fantasticare su Sigyn. Ah, dimenticavo, anche io ed Heimdall, meglio abbondare. La seconda, è che lui sia l’artefice del mio avvelenamento e che ci tenga a farmelo sapere con questo simpatico e macabro ritrovamento. Il che presuppone anche, qualora non ti fosse chiaro, che sa benissimo come il mio trasferimento sia dovuto al fatto che necessito di cure. Ipotesi fantastica, quest’ultima, perché allargherebbe il giro dei sospettati in maniera spaventosa. (2)

 

Questa bella consapevolezza non ha intaccato il mio buonumore, ad ogni modo. Ci ha pensato tuo padre, piuttosto. Le sue visite sono rare e mai gradite. È rimasto solo pochi minuti, il tempo necessario a rovinarmi la giornata. Il suo nome pronunciato da lui è qualcosa di insopportabile. È tutta colpa tua, fratello. Se non fossi andato da Sigyn porgendole le mie inesistenti scuse, lei sarebbe partita, avrebbe trovato un posto nuovo dove dimenticare sua sorella. Invece è rimasta, ha contravvenuto alle mie direttive e si è lasciata influenzare e manipolare da Padre Tutto. E si è precipitata qui urlando.

 

Non è come pensi tu e spera lui. Non ci sono andato a letto. Le guardie ci hanno lasciato soli, sono rimaste nel corridoio fuori la mia bella cella sopraelevata, bloccando l’unico passaggio che collega il palazzo alla mia stanza. So che lei hai interrogate e ti hanno detto che lei è uscita all’alba. Ci hanno sentiti litigare, hanno ascoltato le frasi che ci siamo gridati contro e, a un certo punto, c’è stato un silenzio così strano da far pensare che ci fossimo abbandonati alla passione. Fantasticano, ovviamente. Non è la mia amante, ed è talmente sconvolta e fuori di sé persino per i miei canoni, che non potrei mai iniziare una relazione di quel tipo con lei. Senza il vetro di una cella a dividerci le cose diventano più complicate e vere. Non è più un sogno irrealizzabile, ma un’ipotesi che porterebbe a delle conseguenze nient’affatto positive. Non voglio coinvolgimenti con questa ragazza, e non solo perché a nostro padre farebbe piacere se lo facessi. Non ho niente da offrirle in più rispetto a qualche settimana fa, quando ero chiuso nei sotterranei. Ha dormito nelle mie stanze, in soggiorno. Si è addormentata singhiozzando per me che mi lasciavo avvelenare pur di catturare la mia preda, per se stessa e le scelte pessime che fa, per il fidanzato che la tormenta ancora e a cui forse un po’ di bene voleva, per la sorella morta senza un perché – così lei pensa, e ci tengo continui in questa direzione – e non c’è altro da aggiungere, davvero. (3)

 

Lettera 59

 

Da dove nasce il tuo cinismo, Loki? Bella domanda, bella davvero. Potrei cominciare da Alfheim, suppongo. Direi che è lì che siamo diventati davvero adulti, non trovi? Piove come allora, oggi. La pioggia lava via polvere e lordura dal tetto della mia cella sontuosa, ticchetta sul davanzale su cui mi posso affacciare, mi scivola addosso. Avevo dimenticato cosa significasse, sentire le gocce sulla faccia, e allora ho pensato ad Alfheim e a quello che ho fatto credendo di agire per il bene dei Nove Regni: in verità, esattamente come adesso, soddisfacevo semplicemente la vendetta di Padre Tutto. Sono abbastanza certo che ricordiamo quei giorni in maniera uguale eppure differente. Presso gli Elfi Chiari, tu scopristi di essere un guerriero eccezionale, capisti che la tua forza era qualcosa che fuori Asgard era davvero prodigiosa. Dopo, iniziasti a parlare della responsabilità che avevamo nei confronti degli altri regni. Era una parola ancora vuota, in verità: ti sciacquavi la bocca masticando un termine più grande di te, di cui percepivi l’importanza, ma non coglievi l’essenza. Oggi, forse, le cose sono diverse, ma a me non interessa appurare. Mi dispiace, fratello.

Ad Alfheim scopristi che il sacrificio è parte essenziale della natura di un guerriero e che bisogna mantenere la posizione anche quando gli altri fuggono spaventati. Nella tua ingenuità, iniziasti a capire cosa significasse davvero essere un Ase. Quando da Alfheim tornammo ad Asgard, non facesti altro che tempestarmi di domande per tutto il tragitto. Io ero stanco. Mi si chiudevano letteralmente gli occhi e forse, durante il viaggio, ho persino dormito mentre il mio cavallo seguiva docilmente il tuo. A qualcuna delle tue curiosità ricordo di aver risposto in maniera vaga, divertita, noncurante. Ad altre, non ho risposto mai. Quando entrammo nei possedimenti Aesir, Heimdall mi scrutò con i suoi occhi gialli e mi chiese come stessi. Nemmeno a lui risposi, per una volta mi mancarono le parole da dire. Tu pensasti che l’improvvisa attenzione del guardiano nei miei confronti mi avesse semplicemente lasciato a bocca aperta, e non ti domandasti il prezzo della mia sopravvivenza, o forse sì e non me lo hai mai detto.

Da Alfheim tornasti vincitore, e nostro padre rimase così colpito dalle tue imprese che ti concesse di provare a impugnare il famoso martello. Molti dissero che ti guardai sollevarlo con invidia. Aggiunsero come la mia faccia fosse livida, i miei occhi gelidi. Altri annunciarono che la gara verso il trono poteva dirsi conclusa. Avevano torto e ragione assieme: non c’è mai stata alcuna competizione, Asgard doveva andare al legittimo figlio, non a quello trovato. Nostra madre direbbe scelto, aggiungerebbe frasi consolatorie, ma la verità è che Padre Tutto mi ha salvato la vita per tenere per le palle gli Jotnar. Qualcosa a metà strada tra la reliquia e l’ostaggio, il punto nascosto sotto una carta coperta, l’arma affilata da sfoderare contro Laufey qualora fosse servito. Se nelle mie vene non scorresse il sangue di quel mostro, mi avrebbe salvato, secondo te? Mi sono fatto questa domanda così tante volte da toglierle qualsiasi importanza. Ad Alfheim ho imparato che il male, spesso, è necessario. (4)

 

Lettera 60*

 

Quello che è successo l’altra notte, Sigyn, o non è successo, appartiene a noi e basta. Non mi sono pentito mai di niente, non rimpiangerò neanche questo. Terrò il pegno che mi hai lasciato, in ricordo di quello che avrebbe potuto essere e non è stato, e sarò forse più geloso quando ti rimetterai con il tuo promesso sposo. La soddisfazione non è nella mia natura e passerò l’esistenza a domandarmi cosa potrò fare per ottenere di più. Fuggirò da questa cella, prima o poi accadrà, e allora riprenderò il mio peregrinare attraverso le galassie in cerca di obiettivi da superare, troni da conquistare. Forse il segreto della felicità sta nell’accontentarsi di quello che le Norne hanno filato per noi.

Ma cambiamo argomento, dedichiamoci a qualcosa di più importante, adesso. Non so dirti con assoluta precisione se sia stato lui, a far sì che il mio corpo mi tradisse. La nostra caccia potrebbe avere non una, ma due prede: il mio avvelenatore e l’assassino di tua sorella e delle altre vittime. L’unico modo per risolvere questo enigma è tenere, per il momento, tutte le strade aperte. Scorrendo la lista delle persone che frequentano la biblioteca non ho riscontrato alcun indizio particolare. La maggior parte dei lettori abituali è gente che ho conosciuto di vista, altri sono nomi assolutamente oscuri. Tenerli d’occhio tutti comporterebbe un dispendio di energie semplicemente inutile, oltre che enorme. Dunque, cosa fare? Aggirare il problema in un altro modo – ne parleremo a voce, quando stasera verrai qui.

 

Lettera 61*

 

Andiamo Sigyn, non ho nessuna voglia di crepare né di immolarmi per Asgard, Odino o chiunque altro. Tutto è maledettamente sotto controllo. È nel cibo, lo so. Contrasto gli effetti con antidoti e medicine, ma non posso permettermi di troncare immediatamente la somministrazione. Chi mi ha fatto questo se ne accorgerebbe, e sarebbe da pazzi perdere l’unico vantaggio che ho: quello di conoscere il modo in cui vuole ammazzarmi. Se non fossi corsa via come se ti mancasse il terreno sotto ai piedi, ti avrei spiegato che la Natura ha creato sostanze micidiali e potentissime. Ci sono sostanze che fermano il cuore, altre che invece paralizzano gli arti, fanno impazzire chi le ingerisce, rovinano i polmoni. I sotterranei certo non sono la zona più salubre dei Nove Regni, e sicuramente non mi ha aiutato respirare la stessa aria malsana per mesi e anni, ma era il veleno a farmi sputare sangue, non la muffa della mia cella.

 

Lettera 62

Non va bene niente Thor, faceva schifo anche la colazione, stamattina, e vuoi sapere qual è il motivo? Balder il Beota. Se c’è un essere vivente, nei Nove Regni, che mi irrita è questo imbranato senza appello. Come ovviamente sai, era importante che mi tirasse giù dal letto all’alba per rendermi edotto della simpatica trovata del nostro Cacciatore: devo essere sincero, Balder non ha proprio fatto schifo. È stato attento ai limiti della pedanteria nel portarmi tutto quello che poteva essermi utile e poi è rimasto in attesa di qualcosa. Una mia frase, una parola di gratificazione, un attestato di stima. Voleva una pacca sulla spalla e qualcuno che gli dicesse bravo. Non l’ho fatto fratello, non ha più l’età per queste cose. Alla sua età io tornavo con te da Alfheim ed ero un uomo.

Non iniziare a minacciare ritorsioni e vendette, non negarmi i testi che chiedo. Ti concederò Alfheim, quando sarà il momento. Oggi no, non è giornata, bisogna che mandi Sigyn dai guaritori a cercare quello che i suoi occhi ormai sono in grado di scorgere. Ha gli incubi, fratello. Non dorme più. Quello che vede e mi riferisce le entra dentro, si insinua nella sua testa e torna a farle visita la notte. Non la commisero, beninteso: voleva la sua vendetta e questo è il prezzo, però c’è qualcosa, nel suo sguardo, che mi preoccupa. Ha l’aria di chi si sente braccato, e così in effetti è. Intuisce che le sto nascondendo qualcosa, e anche questo è vero. Teme per la mia vita, ed è sciocco. Quando mi tocca inavvertitamente – o deliberatamente, come oggi – vorrei ci fosse il vetro, a separarci. Mi ha sfiorato i polsi, ho sentito le sue dita sulla cicatrice bianca e lei mi ha guardato dritto negli occhi e ha sussurrato, come posso fidarmi, Loki?

“Non puoi,” le ho detto. Ho aggiunto che la fiducia è qualcosa che nasce spontanea da un cuore saldo. Mi ha sorriso, finalmente. “Esiste davvero un cuore saldo, privo di dubbi, esitazioni, incertezze? Mi vuoi far credere questo, Lingua d’Argento?”

La sua voce era improvvisamente diventata giocosa, lieve, come se l’ombra di terrore che avevo riconosciuto pochi minuti prima fosse scomparsa per sempre, ma c’era, fratello, io lo so. Dovrei convincerla ad abbandonare questo incarico, spingerla a rimettersi col suo promesso sposo onesto, ma volgare. In fondo, cosa le chiedeva? Attenzioni, nient’altro, le stesse che pretenderei io se lei fosse sul punto di diventare mia moglie o prima, decisamente prima, se avessi una storia con lei. Solo che Sigyn non lo ama, non come dovrebbe una compagna, almeno; si è illusa che buttare la sua esistenza dietro una vendetta che non le porterà altro che amaro in bocca sia ciò che vuole. Spaventata com’è, crede che innamorarsi disperatamente del dio degli inganni condannato a una reclusione a vita possa salvarla dall’incertezza di una quotidianità che sente estranea. Può andare via quando vuole, ma io non le indico la porta e lei rimane. Si rannicchia sul divano in mezzo alle scartoffie piene zeppe di elucubrazioni, analisi e prove, si allenta leggermente il corsetto e si addormenta mentre gioco l’ultima mano a carte con i secondini ossequiosi, lieti di aver lasciato il sotterraneo. Ridotto come sono, non posso fare altro che guardarla e cercare di non turbare il suo sonno trattenendo i colpi di tosse. Che ironia, eh?

 

Lettera 63

Certo che a suo padre e a Odino va bene. Il nostro augusto genitore stapperebbe l’idromele migliore, se solo avesse la certezza che abbiamo diviso il letto. Scommetto che sta già preparandosi il discorso per incastrarmi. Le sorelle hanno qualcosa che ha colpito entrambi, così è stato filato. Non potrei accusarlo di niente, perché se lui ha avuto Astrid, io non avrei fatto di meglio con Sigyn. E se Padre Tutto vuole arrivare a questo punto – e noi sappiamo benissimo che è così –, credi davvero che non sia capace di convincere un nobiluccio sommerso dai debiti a chiudere un occhio? In fondo, questa è pur sempre una cella sorvegliata a vista. Non esiste luogo, ad Asgard, più sicuro e ben difeso di questa incantevole soffitta. Bjorn mi ha detto che l’ex fidanzato di Sigyn protesta vivamente per la libertà concessale, ma le sue sono chiacchiere al vento, lamenti fatti al mercato che non trovano orecchie disposte a udirli.

 

Lettera 64

Mi aspettavo da tempo una lettera del genere. Mi chiedevo quando l’avresti scritta e avevo la risposta già pronta da darti. Da Padre Tutto ho imparato a raggirare il prossimo, mentire, prevedere i problemi e pararmi le spalle, anche se adesso tu dirai che quest’ultima arte non l’ho appresa alla perfezione. Te lo concedo, Thor. Non sono ancora nella posizione di smentirti. E nemmeno la tua ultima missiva, posso definire come calunniosa.

Quello che so è più di quanto abbia ammesso? Possibile, ma no, non credo che tutto questo sia un gioco divertente. Dicono che abbia smarrito da tempo il senso della realtà, ma non è vero. Capisco e comprendo la gravità della situazione e non ho appreso con gioia cos’è successo al funerale dell’ultima vittima. Se il mio piano non scatta è perché manca ancora qualcosa. Ti devi fidare, non puoi fare altro. Sif è tornata chiedendomi un nome, nient’altro che quello. Era furiosa. Non le ho concesso altro che una risata, ciò che merita. Non avrà gloria né onore grazie a me. Quando ci rivestivamo in fretta dandoci le spalle, eravamo perfettamente coscienti che non c’erano obblighi né vincoli, tra di noi. Su Midgard ci definirebbero in un modo particolare, credo di aver sentito qualcosa al riguardo (5), ma non ricordo il termine esatto, come avevo dimenticato se mi piaceva baciarla. Mentirei, se ti dicessi che l’ultima volta che è successo aveva ancora quei magnifici capelli biondi. C’è cascata di nuovo, reiterando senza logica un comportamento che sa benissimo essere dannoso. È impetuosa come sempre, in questo non è cambiata. Non le ho tagliato i capelli perché mi aveva sconfitto in un allenamento, come va dicendo in giro da secoli. Non fu l’invidia, a spingermi verso quel gesto, ma la gelosia. Mi sputò in faccia che ti amava disperatamente e per te sarebbe morta, e io, di fronte all’assoluta e totale ipocrisia e infedeltà che nascondevano le sue parole, le ho riservato la punizione che si infligge alle adultere. Questa è la versione ufficiale. Quella ufficiosa è che i capelli Sif se li è tagliati da sola di fronte a me che la sfidavo a farlo, perché una volta le avevo detto che erano belli. Si tinge per lo stesso motivo. Ecco perché è di pessimo umore. Ora che abbiamo svelato l’arcano, torniamo a parlare di cose serie.

Lascia perdere la tua assurda ricerca: nessuno ha mai riunito le Gemme e chi ci ha provato è cibo per vermi in fondo a un fosso. Del tuo futuro non me ne può importare di meno, ma se tu crepassi in un crepaccio – peccato che tu non possa capire il gioco retorico – l’eredità di Padre Tutto finirebbe nelle incapacissime mani di Balder il Beota. Ti immagini che tristezza sarebbe, Asgard? L’idiota chiuderebbe bische e bordelli, imporrebbe i limiti di velocità nelle gare sui drakkar, darebbe un potere sproporzionato a quell’impiccione di Heimdall. Verrebbe a trovarmi, persino. Non puoi permetterti di schiattare finché io non sarò fuggito. E poi, se davvero credi che sappia già chi è il Cacciatore, perché resti lontano dalla tua casa, figlio di Odino? Hai paura di affrontarmi, di dirmi ciò che sospetti? Te l’ho già scritto: le tue minacce mi fanno sorridere anche se sventolassi il Mjollnir sotto al mio naso. L’hai fatto già, del resto, su Midgard, e io non sono indietreggiato né ti ho supplicato di fermarti. Ricordi quando i Chitauri si sono gettati sulla tua preziosa Terra, sul protettorato che ignori e consideri solo quando ti serve? (6)

 

Lettera 65

 

Sigyn non è bionda com’era Sif da ragazza. Il colore delle sue ciocche è più caldo e vira al castano. È l’esatto punto di biondo che hanno migliaia di altre Aesinne. I suoi “occhioni”, permettimi di citarti, sono grigi come almeno altre dieci persone che conosco. Se non fossi chiuso qui dentro, ti direi che è una ragazza carina come tante altre. Puoi dirle che ho trascorso qualche momento di distrazione con la nostra amica guerriera, non devo la mia fedeltà a nessuno. Lei stessa è libera di fare ciò che crede della sua esistenza. Io non mi contraddico, idiota. Io passo il tempo.

 

Lettera 66

Quante ne ha? Quali ha? Sei andato fino ai confini dell’Universo per scoprire che anche le galassie hanno una fine. C’è qualcosa di poetico e bellissimo in questo ragionamento, non trovi? Ho appena ricevuto la tua lettera, è notte. Il cielo è limpido, sereno, una trapunta di stelle che illumina e protegge il nostro mondo e gli altri. Riguardo la tua lettera, osservo la tua grafia alla luce della candela. Non è che un biglietto, in verità, un messaggio breve dove trapela l’orrore e la paura che puoi confidare solo a me. Forse sono un pessimo fratello (7), ma resto l’unico confidente in grado di scrutare le ombre dietro i tuoi occhi azzurri e franchi senza tremare. Il solo a cui puoi confessare di sentirti come nient’altro che un granello di polvere, di fronte a lui. Non posso pronunciare il suo nome in questa prigione sopraelevata. Lei dorme sul divano, con una coperta addosso. Respira tranquilla, con le ginocchia rannicchiate verso il petto. Sembra una bambina. Lo era quando Astrid cantava. Ecco perché non l’ho mai notata.

La tua lettera è un messaggio disperato, e forse dovrei risponderti, credo di doverlo fare. Impugno la penna, cerco la carta, mi muovo per evitare di fare rumore. Nella notte i pensieri si affastellano gli uni agli altri e si trasformano in incubi. Il buio regala ai ricordi particolari inquietanti, aumenta le nevrosi, fa tremare il cuore. Soffoco un colpo di tosse, lei si agita, si gira e torna a dormire. La osservo. Non le somiglia poi tanto. Forse le labbra, la forma del naso. So cosa vuole fare Thanos, solo speravo non ci riuscisse. L’ho scoperto per caso. All’inizio, non mi interessavano i suoi progetti. Non mi importava di niente. Essere scaraventati giù dal Bifrost è un’esperienza che non definirei elettrizzante. È spaventoso, un incubo agghiacciante che si realizza, una caduta verso l’oblio in cui il terrore aumenta a dismisura a mano a mano che il tempo passa. Posso immaginare la tua faccia, adesso. Ti vedo bestemmiare, scuotere la testa. Conosco la storia, la ricordo, adesso. Abbiamo distrutto il ponte d’arcobaleno e stavamo per cadere giù e io, io ho lasciato la presa. Di mia volontà. Tradito, ingannato, sconfitto, ho visto nel buio eterno sotto di me l’unica via per liberarmi. Raccontiamola in questo modo, non mi dispiace come versione. È abbastanza epica, come trovata. A ogni modo, non importa come e perché sia caduto. Conta quello che è successo dopo, quando mi sono risvegliato con un taglio sulla fronte e la testa confusa. Lei ha aperto gli occhi, mi ha cercato.

 

Continua…


 

L’angolo di Shilyss

Un ringraziamento particolare va a quanti seguono, ricordano e preferiscono questa storiella. Mille grazie a Myrose, Avareil, Sildoryl, MaxT, Makochan, Lightning e LadyStarKiller98 per avermi lasciato i loro pensieri e… tu o silente, non aver paura! Fammi sapere che ne pensi, farai felice me e la Fatina dell’Ispirazione!

A tal proposito… Vuoi più Shilyss nella tua vita?

Ogni settimana ti domandi quale storia aggiornerò interrogando i tarocchi, i fondi del caffè o le Rune? Vorresti sapere con precisione il momento in cui posto?

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Ebbene, forse ho un presente per te. Shilyss approda sui social. Vinci la timidezza e seguimi in questo magico mondo delirante ricco di avventure! Potrai avere accesso a contenuti inediti e specialihttps://www.facebook.com/Shilyss/

 

1 Come forse avevo accennato a qualche lettore nelle recensioni, chiaramente Loki scrive a Thor quando Thor non c’è. Qui vediamo come finalmente sia tornato ad Asgard. La minaccia del dio dell’inganno non è vana, ma si riallaccia al mito in cui, appunto, in un’occasione Loki trasforma il tonante in un… rospo.

2 Meglio abbondare… è una traduzione della locuzione latina Melius est abundare quam deficere.

3 Surprise! Ecco finalmente svelati gli altarini.

4 In questa lettera l’uso del passato remoto serve a sottolineare la distanza che Loki mette tra sé e gli eventi narrati e conclusi, ovviamente.

5 Chiaramente, amici con benefici. Qui la mia interpretazione della relazione tra Loki e Sif, che è canone nell’Edda poetica, dato che Loki ammette di aver “fatto spuntare le corna a Thor.” (Sil, questo è per te, sallo!)

6 Se all’inizio del capitolo Thor era tornato, adesso sappiamo che è ripartito e Loki, come al solito, non è mai, mai contento!

7 Citazione da “Infinity War.”

Shilyss


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Capitolo 10
*** Doveri ***


Capitolo 9 - Doveri

 

Lettera 67

 

Letto, divano, che ti importa? Non sono affari tuoi fino a questo punto, fratello. Ora ti chiedi se mento? Settimane fa hai scritto che non ti importava: basta che tu scriva, Loki. Questo hai detto. Racconta, parla, sfogati, prendimi in giro, divertiti, inventa: me lo farò bastare, purché tu non agisca più in maniera sconsiderata e non precipiti di nuovo nel tuo inquietante silenzio. Mi commuovo solo a scriverla, questa tua frasetta smielata, sai? Adesso, invece, vieni meno ai patti, mi inganni, cambi improvvisamente le regole del gioco: pretendi la verità, minacci e inveisci, ipotizzi e prometti vendetta. Dimentichi il mio nome; sono il dio dell’inganno, riuscirò sempre a farti guardare dalla parte sbagliata. E se mai il trucco mostrerà qualche crepa, ti confonderò con una delle molte verità che esistono, e tu non saprai dove guardare. E tutto questo per cosa, Thor? L’onore di Sigyn è intatto: non dirò mai diversamente. Avrai ciò che hai chiesto – la mia voce –, e basta. Cerca dentro le mie parole la verità, scovala. Gratta sotto gli aggettivi, osserva in controluce i verbi, lambiccati il cervello tra una virgola e l’altra. E intanto roditi il fegato, perché non saprai di Alfheim né delle Gemme e di Thanos.

 

 

Lettera 68

 

L’ho dovuto fare, Thor. Questa è un’altra di quelle cose di cui non mi pento affatto. Era semplicemente giunto il momento, credo. Altre due vittime. Padre Tutto è appena uscito dalla mia prigione di lusso. Si guardava attorno, alludendo a qualcosa che le sue bestiacce (1) hanno intravisto, ma non distintamente. Gli ho chiesto dove avessero puntato i loro occhi neri e cattivi, se sulle strade insicure di Asgard o nella mia elegante e confortevole dimora.

“Entrambi,” ha risposto. Poi ha parlato di Frigga e di quanto questa situazione la devasti e il futuro non si mostri a lei. Non è la confessione di un marito preoccupato verso il figlio adulto e consapevole, questa, ma di un vecchio colpevole di fronte al suo unico accusatore. Ho incrociato le mani dietro la schiena e ho atteso. Vedi Thor, mi ha incarcerato e condannato a una vita che non è più tale, ma le sue catene tintinnano quanto le mie. Eppure, oggi non è venuto qui per parlare dei molti torti che mi ha fatto, né per chiedermi di salvare ciò che resta della sua famiglia distrutta. È qui per proteggere se stesso, fratello, per il suo nome che deve rimanere intonso. Se parlassi, la nuvola del sospetto coprirebbe persino lui. Il suo stratagemma è sempre più palese, ché il Re degli Asi tutti non può certo mettersi a supplicare quel pazzo bugiardo di suo figlio. Adottivo, ovviamente. Il resto lo sai, non c’è bisogno che aggiunga altro.

 

Lettera 69

 

Sigyn è la mia amante. O meglio, lo è quasi stata. Non è successo la notte in cui le guardie ci hanno sentiti litigare, sarebbe stato banale. In quell’occasione, semplicemente, ci siamo ritirati ognuno nel suo angolo, in silenzio. È capitato le sere successive. Non vuole essere toccata, lei, non dopo che le sono entrato dentro la testa. Dice questo ad alta voce, ma pensa altro, io lo so. Solo che è difficile far scoccare la passione se il tavolo è ingombro di referti medici scopiazzati, mappe e dettagli macabri. Rimane una tensione nell’aria, però, il sottile desiderio insoddisfatto che si attacca ai vestiti, alla pelle, alle labbra. Mi aveva chiesto di Astrid, del perché avessi voluto guardare il suo viso, di cosa significasse per me il suo nome. C’era una punta di adorabile gelosia, nella sua voce. Astrid, Astrid. Padre Tutto le rivolgeva nomignoli cretini, quella volta che sono entrato. Ma veniamo a Sigyn. L’ho afferrata per i fianchi, l’ho sollevata sul piano finalmente sgombro, ho tirato su la gonna irrimediabilmente nera, l’ho baciata, finalmente. Ci cerchiamo la pelle sotto i vestiti, le nostre labbra si incontrano con la disperazione di chi ha aspettato troppo tempo. L’irreparabile non avviene perché le bisbiglio che è così, in questa posizione decisamente compromettente, che ho sorpreso sua sorella e nostro padre. Quindi mi godo il suo stupore e la bacio, altro non faccio. C’è qualcosa di perverso, nel modo in cui a volte imito Odino. Mi riesce terribilmente bene il suo lato peggiore. Lei è sconvolta, ma si infilerà nel mio letto. Lo farà con adorabile timidezza, con un candore virginale squisito. Ti piace questo racconto, fratello? Soddisfa il tuo ego, scatena la tua virilità?

Sigyn non è la mia amante. È una ragazzina infelice che sta superando un lutto. Approfittarsene sarebbe da vili. Mi ha chiesto di Astrid e io gliel’ho detto. Le ho raccontato di come l’avesse notata quando era al tuo fianco, dell’improvvisa e squallida passione che l’ha colto. Eravamo uno di fronte all’altra, seduti sul tavolo ingombro di referti copiati, mappe, appunti. Lei ripeteva che non era possibile, che sua sorella non poteva aver fatto una cosa così assurda.

“Assurda?” Le ho sorriso, ma senza cattiveria. “Una ragazza di una modesta famiglia viene notata dal Re degli Asi in persona. Un uomo affascinante, sicuro, capace, potente. Meno vecchio di quanto non sia adesso. Thor, al suo confronto, non è che uno spaccone arrogante, io neanche esisto. Lei è giovane. Si illude sia amore. E se anche non si fosse ingannata, tu credi davvero che avesse scampo?”

Sigyn ha alzato il capo verso il mio. Stava piangendo in silenzio. Sapeva che avevo ragione.

A quale storia vuoi credere, fratello? (2)

 

Lettera 70 (3)

 

Ad Alfheim ho ingannato, tradito, ucciso. Mi sono vendicato di chi ci stava pugnalando alle spalle. Come? Li ho colpiti prima io, ovviamente. Sono andato a cercarli nei loro letti, mentre dormivano. Non è un atto da guerrieri Asi, mi dirai. Queste sono imboscate, trucchi orrendi. Pensala come ti pare, Thor. Siamo vivi e tanto basta.

Ad Alfheim, tu comprendesti che la pace dei Nove Regni dipendeva dalla nostra capacità di sedare le rivolte. Quando tornasti ad Asgard, Padre Tutto ti offrì la possibilità di stringere tra le dita il martello e tu riuscisti nell’impresa: eri degno. Io non tentai nemmeno, lo confesso. Impugnando Mjollnir, tu diventasti il dio del tuono, padrone della folgore e della tempesta, difensore di Asgard, ma anche io ottenni un tributo, un riconoscimento. Ho sempre avuto insita la capacità di mutare forma, scherzi e bugie erano il mio modo di migliorare la realtà che ci circondava. Tu esultavi con la reliquia in mano e Padre Tutto mi osservò cupo. Me ne accorsi e ci scambiammo un lungo sguardo.

“Sei il dio dell’inganno, Loki.” Lo disse a bassa voce, con lentezza, tanto piano che solo io potei udirlo.

“Perché non lo annunci agli Asi tutti?” chiesi. Sentivo sulle spalle tutta la stanchezza del mondo. La mia domanda potrà sembrarti ingenua o terribilmente puntuale. Scegli tu l’interpretazione migliore.

Odino sospirò. “Alcuni lo sanno già, altri lo capiranno. Certe cose non devono essere annunciate. Esistono e basta.”

Sentii qualcosa, dentro. L’ombra nera che mi avrebbe offuscato la vista in futuro, il seme del rancore che sfogai seguendo i sogni contorti di Thanos. Rabbrividii.  “Non hai una reliquia preziosa da dare anche a me, Padre?”

Non rispose.

 

Lettera 71

 

Avanti Thor, di che ti lamenti? Era un ottimo epilogo. Lascia che sfoghi la mia vena creativa, in questa soffitta acchittata come un appartamento reale. Avrei voluto proseguire, per quello che vale, davvero: sono sincero. Il problema è che mi hanno interrotto sul più bello. Quello stronzo di Fandral assieme a Sua Noia Abissale Balder il Beota. Asgard cadrà, semmai quel deficiente diverrà re. Sono entrati nelle mie stanze pieni di boriosa arroganza, sventolandomi sotto al naso la confessione del presunto Cacciatore. Rettifico. Fandral ha con me dei conti in sospeso di cui solo lui conosce l’origine, e il buon Balder è un gregario manipolabile, che potrei rigirarmi come un calzino se solo volessi. Ma che ti devo dire, fratello: non è un boccone succulento. Come il lupo di nostro padre, anche io disdegno le prede moribonde o malate o deboli. Non mi danno alcuna soddisfazione.

Ma torniamo a noi. Asgard è in festa e tributa onore e gloria a Fanfaral (4) e al piccolo principe, e tutti si chiedono come abbia fatto io a non sospettare niente. Il processo inizierà tra tre giorni da adesso. Oh, avrei voluto che ci fossi anche tu, davvero. Fanfaral ha iniziato a prendersi gioco di me, insinuando che il mio non è stato altro che un piano, una messinscena per poter estorcere da te e da Padre Tutto un trattamento di favore. Forse, dice, ho finto persino il mio avvelenamento e nessun Cacciatore sta tentando di farmi la pelle. Gli ho chiesto se questa sua prospettiva lo tranquillizzasse. Se dormisse sonni sereni, adesso che il male era stato arginato. Ho preso in mano la copia che mi hanno portato della confessione del presunto omicida – il loro trofeo – e l’ho letta rapidamente. Un’ammissione di colpevolezza in piena regola, che non lascia adito a nessun sospetto. Non ho risposto alle accuse di Fandral. Mi sono rifiutato persino di commentare le lamentose recriminazioni di Balder su quanto sia stato un ingrato bastardo a prendermi gioco di tutti voi. Mi sono comportato come un Re offeso, non concedendo ai miei detrattori null’altro se non il mio sorriso più ambiguo. Che credano ciò che vogliono.

 

Lettera 72*

 

Sigyn, devi fare una cosa per me. Mio fratello non tornerà prima di domani notte, credo, e io ho bisogno di te. Adesso. Dovrai seguire le mie istruzioni passo dopo passo, in maniera precisa ed esatta. Ne va della tua vita.

C’è un passaggio segreto, nel palazzo. Si trova vicino alla Sala del Trono. C’è un’anticamera ampia e spaziosa e un grande affresco con Bor vittorioso. Premi il corno destro di Bor e spingi: si aprirà un passaggio segreto. Percorrilo tutto. Prima che tu me lo chieda, sì: troverai ragnatele e schifezze di ogni genere, quindi indossa un paio di stivali e mettiti il cuore in pace. A un certo punto, il tunnel presenterà due biforcazioni. Vai a sinistra. A destra c’è lo scolo della fogna, dovresti anche avvertirne l’odore. A un certo punto, troverai delle scale: percorrile tutte e arriverai all’archivio del Thing. (5) Lì troverai i fascicoli sul Cacciatore. Voglio che tu li prenda per me, Sigyn. Non c’è bisogno di dirti che questa lettera devi memorizzarla e farla sparire nelle fiamme, esattamente come le altre. Non mi deludere.

 

 

Lettera 73

 

Non trovi che adesso Fanfaral assomigli più a un guerriero che a un cicisbeo? Il mio tocco gli ha regalato un profilo decisamente più virile e probabilmente, così conciato, ha rimediato anche qualche scopata a buon mercato. Si atteggia a nobile sofisticato, ma gli piace sfogarsi nei bordelli più malfamati e il motivo, fratello, fossi in te me lo chiederei. Asgard non è fatta solo di luci, canali e piazze ben ordinate: ha un’anima nascosta grassa e maleodorante. Nei quartieri dove il buon Odino non si degna di passare (6), c’è una massa di persone brulicanti fatta di uomini e donne che sopravvivono giorno per giorno affogando nella loro mediocrità, annaspando per non affondare. Fandral beve con il mignolo tirato su alla tavola di Padre Tutto, ciarla con dame e principesse millantando il suo valore, poi si va a infilare nelle bettole: perché? (7)

Ma sto divagando, Thor. Mi lascio trasportare dalla mia penna lungo sentieri sconosciuti ai più (8), distraendoti per non affrontare la domanda che mi hai fatto: perché gli ho deturpato per sempre il profilo. Da quando Asgard sente di essersi liberata dal male, molti guardano con sospetto alla mia posizione. Ritengono, a metà strada tra l’offeso e l’ammirato, che io abbia cavalcato l’onda di terrore generata dal Cacciatore volgendola a mio totale favore. Un atteggiamento da sciacallo che, però, una volta di più dà alla gente la misura del mio genio. A questa adorazione feroce e cattiva io sono abituato, lo sai bene: lei no. La chiamano la mia puttana, sostengono sia la mia complice e aiutante. Per me non è forse arrivata a spezzare un fidanzamento, del resto?

Lei non si è confidata con me riguardo questo argomento. È stato Bjorn a dirmelo. Sigyn me lo ha confermato senza volerlo, con i suoi gesti. Nella lenta gravità con cui piegava una coperta, nell’arco delle sopracciglia particolarmente corrucciato, nella smorfia improvvisamente severa delle labbra, ho riconosciuto il suo dolore. Si guarda attorno circospetta e quando lascia la mia soffitta ben protetta, si stringe nel mantello vergognandosi del nome che porta, del cedimento folle di sua sorella, della benevolenza che Frigga le dimostra.

Fandral era qui e l’ha punzecchiata alla sua maniera idiota, trattandola con sufficienza. Le ha ordinato di prenderle una caraffa di idromele come se fosse nell’ultima delle bettole vicino al porto e io gli ho detto di alzare il culo e prendersela da solo. Non è la mia serva né la sua. Sigyn ha risposto che sapeva difendersi da sola. Il resto, puoi ben immaginarlo. Non ho ancora il diritto di usare le posate, ma certo mi è per forza necessaria una penna.

Per una volta, Odino si è dimostrato benevolo nei miei confronti. Nostra madre mi ha raccontato che Fandral è venuto a lamentarsi del mio gesto sfoggiando il suo naso orrendamente fasciato. Ha chiesto che fossi internato di nuovo nelle segrete, ipotizzando che forse è mia la mente dietro il Cacciatore. Padre Tutto, incredibilmente, gli ha sorriso. “Conosci Loki,” pare gli abbia detto.

Sussurri incerti sono arrivati fino a me raccontando addirittura, che Padre Tutto si è fatto una grassa risata. “È mio figlio, Fandral. L’ho cresciuto per essere un re; davvero pensavi che avrebbe lasciato correre un’offesa fatta nella sua casa?”

Ha riso come fece quando il suo lupo staccò una mano al dio della guerra, il tronfio Tyr. “È il mio lupo,” disse, “e tu hai tentato di catturarlo. Di più, l’hai scambiato per un cane. Che ti aspettavi facesse?”

Quella bestia magnifica mi guardava, Thor, mi fissava con sfida come se sapesse che avremmo condiviso un destino simile, e io mi avvicinavo alla sua gabbia fino a sentirne il ringhio basso e lento, l’odore selvatico. Dici sempre che dovrei ricordarmi cosa successe, come morì. Non voglio.

 

Lettera 74 (9)

 

Ti dici deluso, mi chiami pazzo e bugiardo. Niente di nuovo, insomma. Ho riletto due volte la tua lettera, e non solo perché sei del tutto incapace di scrivere qualcosa di sensato, ma per capire da dove iniziare a risponderti. Ti sei illuso che stessi bene semplicemente perché non mi sono messo a raccontarti delle notti in cui tossisco finché non mi fa male lo sterno, della febbre che sale fino a farmi tremare. A me, che ho sangue di Jotunn nelle vene. Credevi che io e Sigyn ci intrattenessimo in una fosca convivenza in cui non era ben chiaro se andassimo anche a letto insieme, invece hai scoperto che mi dorme accanto perché Frigga è troppo esausta per vegliarmi ogni notte, e allora lei le dà il cambio. Avremmo potuto diventare amanti, se io non avessi i polmoni malati e lei non fosse distrutta da un lutto tragico, presumo.

Sei entrato nei miei appartamenti di gran carica, credendo di trovarmi tronfio e ghignante: che atroce delusione deve essere stata, vedermi pallido e smunto. La verità non esiste, fratello. C’è solo l’immagine alterata che ferisce i nostri occhi, parziale e irreale come un sogno, cui diamo il senso che vogliamo. Tutto è inganno. I miglioramenti sono costanti, ma lenti, e il fatto che continui ad assumere veleno non aiuta la mia tempra robusta. E poi, preferisco che il Cacciatore si senta sicuro del fatto suo. Non ho idea di chi abbia rubato i fascicoli del processo. Sebbene mi paia strano, può darsi che abbia dei seguaci, imitatori o persone all’interno del palazzo che lo aiutino. Oppure lavora lui stesso nel Thing, chi può dirlo.

 

Lettera 75

 

Certo che ho letto la sua confessione. In un’altra occasione, ti avrei detto che avrei voluto guardarlo negli occhi mentre ammetteva e spiegava e raccontava. Perché? Ma per trarlo in fallo, ovviamente. Per metterlo sotto pressione e indagare, scavare nella sua testa e capire come, dove, quale bisogno ha soddisfatto. Ma stavolta, fratello, non c’è alcun bisogno che io veda, e francamente non ho alcuna voglia di tornare nella stanza dove Odino ha permesso che mi torturassero. Me ne lavo aristocraticamente le mani, lascio lo scettro del comando al piccolo principe e al suo aiutante fanfarone. Loro hanno liberato Asgard, stavolta: che imparino a conoscerne il prezzo come abbiamo fatto noi.

Io ho camminato in lungo e in largo per la sala del Thing spiegando tesi, svelando intrighi e menzogne. La mia voce risuonava sotto le volte di legno e pietra del Tribunale alta e sicura, nonostante la mia faccia fosse segnata dai lividi e dalle cicatrici delle recenti battaglie. Quante volte ho presieduto zoppicante o con un braccio al collo? Quante, ho soffocato il dolore pur di mostrarmi all’altezza del compito che mi aveva affidato Padre Tutto? Pensavo fosse l’allenamento di un re: scambiavo il Thing per la palestra dove avrei imparato a esercitare una giustizia in cui non ho mai creduto ciecamente, ma che reputavo indispensabile affinché Asgard, la magnifica Asgard, prosperasse. Mi sbagliavo: era il tirocinio di un politico zelante, del fedele consigliere che Odino sperava di affiancare al vero erede, al figlio della sua vecchiaia abbastanza degno da impugnare Mjollnir. Sono stato anche dall’altra parte della barricata, sul banco degli imputati. Tu non c’eri, ti trovavi su Midgard o a fanculo chissà dove, e non hai voluto ascoltare la condanna né vedere la faccia di Padre Tutto divenire una maschera d’odio. Ti è mancato il coraggio, fratello, così come ieri sera, quando sei venuto qui, non hai avuto la forza di rinfacciarmi quello che hai visto nel tuo ultimo viaggio. Dovresti ricordarlo, le voci corrono in fretta. So dove sei stato.

Cos’ho fatto, per Odino? Partiamo da questo. Ricordo di aver abbandonato a metà banchetti festosi e divertenti dove tu cantavi e raccontavi le nostre imprese, per andare a rileggere per la centesima volta un referto, analizzare ogni parola di una confessione, parlare fino all’alba con un guaritore che aveva dissezionato il cadavere di una povera vittima in cerca di prove o, semplicemente, per dormire e non presentarmi sfatto e con i postumi di una sbronza davanti agli uomini riuniti nel Thing. Serve solo il seiðr per estirpare la verità dalle bocche e dagli occhi degli imputati? Non sempre, fratello. L’incantesimo che mi consente di toccare una persona e scrutare nella sua testa è complicato, debilitante e, come ben sai, malvisto (10). L’abilità sta nell’utilizzare l’altra maniera. Individuare i microscopici cambiamenti che si manifestano nel viso di un uomo quando mente, raccogliere la pausa troppo lunga che serve al malfattore per inventarsi una bugia adeguata, rintracciare qual è la realtà e quale la menzogna dentro una confessione (11). Nella sala dove mi hanno torturato, ho fatto tutte queste cose. Sono arrivato a perfezionare persino qualche tecnica, e sai qual è l’ironia? Hanno provato a rigirarmi le mie stesse armi contro. Ma come si dice, fatta la legge, trovato l’inganno. Dalle mie trappole io ho sempre saputo come liberarmi o, perlomeno, ho avuto la misura di quanto a fondo nella buca da me stesso scavata sarei precipitato.

Mentre io lavoravo per Asgard giorno e notte, tu e il fanfarone mi pigliavate per il culo, ricordi? Anche questa è una circostanza affascinante che certo nella nostra corrispondenza non possiamo non rievocare. Lo scribacchino di papà, il segretario di Asgard, il topo di biblioteca. Eri geloso che non passassi tutto il mio tempo con te a idolatrarti, come quegli idioti che ti seguono da anni? Non capivi e allora, nell’ignoranza in cui pascolavi, aggredivi l’ignoto?

 

Lettera 76

 

Non ero d’accordo con il piano di Thanos, per quello che vale. Era una terra fiorente, bellissima, ricca di risorse minerarie, circondata da splendidi fiumi. Le sue città erano di marmo. Appena conquistata, mi concessi alcune ore di libertà per attraversare le sue strade, nonostante tutto ordinate e pulite. Ero attorniato da architetture mirabili, statue e monumenti grandiosi, prodigi dell’arte frutto di un amore incondizionato per il bello. Camminavo e attorno a me c’era solo il silenzio e la meraviglia di una civiltà spezzata che aveva raggiunto elevatissimi gradi di conoscenza. Ma delle gemme, fratello, nessuna traccia, e allora ha ordinato di appiccare il fuoco e distruggere ogni pietra, scultura, casa, tempio, palazzo. “Risparmia almeno la biblioteca,” gli ho detto, “conterrà informazioni utili.”

Ha risposto che era inutile e allora ho osservato con le lacrime agli occhi la città incantata bruciare, corrompersi, svanire. Il rogo più grande e intenso era al centro della città, dove i devoti abitanti avevano scelto di custodire la loro sapienza, nell’edificio più grande e bello di tutti. Le dita mi bruciavano per le ustioni lievi che avevo riportato, sotto al braccio stringevo i libri e le pergamene che ero riuscito a portare via. Mi ha chiesto se stessi soffrendo. Gli ho risposto che la pietà non era nella mia natura e che appartenevo a un popolo di fieri pirati e guerrieri. Ha domandato se mi riferissi ai Giganti di Ghiaccio o agli Asi.


L’angolo di Shilyss

Cari Lettori,

Questo capitolo doveva essere postato a settembre, ma una serie di circostanze mi spingono a condividerlo adesso. Dedico questo capitolo a una cara Lettrice che ama come me il buon vecchio Fëdor e compie gli anni in questi giorni. Questo è per te! ;)

Ringrazio ovviamente tutti voi che recensite e preferite e ricordate e seguite. Illuminate d’immenso me e soprattutto la Fatina e… le vacanze per me significano anche scrittura, quindi poveri voi, non vi libererete della sottoscritta!

 

 

Vuoi più Shilyss nella tua vita?

Ogni settimana ti domandi quale storia aggiornerò interrogando i tarocchi, i fondi del caffè o le Rune? Vorresti sapere con precisione il momento in cui posto?

Ti piacerebbe conoscere anteprime e curiosità, sapere quali altre trame sto elaborando e come immagino il mio mondo con foto eccetera, ma non vuoi interagire su questa piattaforma?

Ebbene, forse ho un presente per te. Shilyss approda sui social. Vinci la timidezza e seguimi in questo magico mondo delirante ricco di avventure! Potrai avere accesso a contenuti inediti e specialihttps://www.facebook.com/Shilyss/

 

 

1)Hugin e Munin, i corvi di Odino.

2) Una citazione del bellissimo film “Vita di P.”

3) L’uso dei tempi verbali in riferimento a questo episodio, è volto a mettere più distanza possibile tra Loki e gli eventi raccontati.

4) Fanfaral è una giocosa contrazione di Fandral + fanfarone. C’è rispetto e simpatia, sì.

5) Thing è il nome dell’Assemblea vichinga dove si prendevano le decisioni e si amministrava la giustizia.

6) Calco de La città di vecchia di De André.

7) Secondo le regole del Galateo, quando si beve il mignolo non deve essere mai alzato. Loki, che è un principe e un uomo di mondo, ovviamente conosce questa regola, Fandral (che NON mi è simpatico), no.

8) Citazione da “Thor: The dark world.”

9) Come vedete, Thor è finalmente tornato e ha incontrato Loki. Chiaramente i nostri eroi parlano solo ed esclusivamente di cose che conoscono.

10) Loki si riferisce all’incantesimo visto in Ragnarok che, in questa fiction, ha usato anche con Sigyn.

11) Un omaggio alla serie tv “Lie to me”.

 

Shilyss


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Capitolo 11
*** Concessioni ***


Capitolo 11 – Concessioni

 

Lettera 77

 

Alla Suprema Maestà di Padre Tutto Odino figlio di Bor, dio delle Forche e della Poesia, Signore di Asheimer, servo dei servi di Asgard, protettore dei Nove Regni, Custode della Sapienza di Mimir, Capo e Generale degli Asi tutti, io, Loki Laufeyson, dio degli inganni e del caos, principe di Asgard e legittimo erede di Jotunheim, conte dei confini nord di Asheimer (1), maestro delle rune e del seiðr, avvocato del Thing in veste di accusatore.

Chiedo ufficialmente

Che la mia assistente, Sigyn Iwaldottir, sia ammessa in mia vece in veste di uditore presso il Thing durante il processo al presunto Cacciatore. I motivi che mi spingono a inoltrare questa richiesta sono molteplici. I miei titoli mi danno libero accesso al Thing poiché, nonostante sia stato condannato a una pena a vita, non sono stato destituito ufficialmente da nessuna delle mie cariche. Anche se ciò dovesse avvenire oggi stesso, del resto, per il processo a carico dell’uomo conosciuto come il Cacciatore rimarrei nell’ambito delle mie funzioni perché la destituzione, com’è noto, non è retroattiva. Ai tempi di Bor era uso e consuetudine che un membro del Thing potesse, in casi eccezionali, delegare una persona degna di fides. A questa antica norma io mi appello augurandomi che venga rispettata così come è sempre stato. Dama Sigyn figlia di Iwaldi potrà fare domande e interrogare il prigioniero secondo la prassi stabilita.

Rimanendo in attesa delle decisioni che vorrà prendere la Corona, pregherò le Norne affinché possano tessere un destino luminoso e fortunato per Asgard e i suoi domini tutti. Con la presente porgo i miei rispettosi omaggi,

Loki Laufeyson, principe di Asgard, conte del Nord, maestro delle rune.

 

Lettera 78

 

Certo che l’ho fatto, idiota. Gli ho scritto una lettera inappuntabile, perfetta sotto tutti i punti di vista. Mi ha fatto aspettare tre giorni e mi ha risposto con un biglietto che gli avrei ficcato volentieri in gola, se solo me lo fossi trovato davanti. Si è degnato di rispondermi con una cazzo di mezza riga. “Scrivimelo come se fossi mio figlio,” ironizza. Può andarsene affanculo, Thor, e tu con lui. Non mi piegherò a recitare nel suo fottuto teatrino la bella favoletta della famiglia felice. Lo fa per umiliarmi, lo stronzo, e se credi che questo sia alto tradimento ti prego: esponi questo tuo dubbio ad alta voce e liberami da questa penosa condizione.

 

Lettera 79*

 

Thor dentro il Thing a fare domande? Cos’è l’inizio di una storiella demenziale? Tipo ci sono un elfo, un nano e un gigante su una barca? Per piacere, Sigyn, non ti ci mettere anche tu.

 

Lettera 80**

 

Mi chiedo perché tu voglia questa lettera. Mancano poche ore all’inizio del processo e dovrebbe essere tua cura far sì che ad Asgard regni la giustizia. La runa che indica questo concetto, non ha lo stesso significato di “prendi il primo sfortunato che ti si para davanti e impiccalo solo perché la folla vuole vedere il mostro penzolare.” La colpevolezza deve essere oltre ogni ragionevole dubbio, com’è stata a suo tempo per me. Balder sente già l’Hlidskjalf sotto le chiappe ed è spinto da Fanfaral a cercare una rapida soluzione al processo, ma questo è un errore, e tu lo sai. Ecco cosa non ti perdono.

Scrivimelo come se fossi mio figlio,” dici. Attento a quello che desideri, recita un antico adagio: potresti ottenerlo. Il sonno che spesso ti coglie e getta Asgard tutta nel caos che io rappresento, potrebbe non salvarti da una verità scomoda uscita dalla bocca del dio dell’inganno, il fabbricante di bugie, il figlio che hai raccolto su un picco di ghiaccio e che hai permesso cadesse, si perdesse.

Padre, perché mi hai torturato? Cominciamo dagli ultimi torti, te ne prego. Non ero forse tuo figlio, quando hai permesso che, per interrogarmi, fossero usati sistemi decisamente poco ortodossi? I miei carcerieri mi hanno chiesto perdono mentre riprendevo fiato e hanno cercato di essere rapidi; in taluni casi, hanno fatto del tutto perché non vedessi gli strumenti. Lascia che ti dica che hanno avuto più pietà di quanta non ne abbia dimostrata tu.

Padre, perché ti ostini a farmi trascorrere del tempo con quella ragazza? La tua sagacia è venuta meno, ignori quello che a chiunque altro appare evidente o è un modo particolarmente subdolo per continuare a torturarmi? Vuoi dei nipoti nati da un genitore in cattività o ti sollazzi nel mostrarmi ciò che ho perso e a cui tu non hai rinunciato?

Padre, perché non sei sceso nei sotterranei per vedere la mia cella e hai impedito a tua moglie di fare altrettanto? Ti ho visto assistere decine di volte a pene atroci come l’aquila di sangue (2) senza muovere un solo muscolo e non ti nego che, qualche volta, ho temuto che avresti condannato anche me a un supplizio così crudele. Un vero Ase, per essere tale e morire con onore, non dovrebbe emettere un solo sospiro durante tutta la pena, ma non temere quell’orrore è follia. Cosa ha trattenuto l’impassibile Padre Tutto dal posare il suo occhio fin qua sotto? Ricordo che visitavi il lupo tutte le sere. Al termine di una riunione o di un banchetto incrociavi le mani dietro la schiena e raggiungevi la sua cella – gabbia, perdono – e lo osservavi ringhiare e sfidarti. Io e Thor ti spiavamo.

Padre, perché mi hai condannato? C’è stata forse una mia parola davvero sbagliata, nell’arringa che ti ho fatto quando le guardie mi hanno trascinato al tuo cospetto legato come un animale? (3) In quanto figlio di re non mi spetta forse un trono? E Asgard sulle ceneri di cosa è stata costruita, Padre? Dalle miniere di quale paese viene l’oro che ricopre persino le pareti del tuo palazzo? Ho cercato di prendermi con la forza ciò che tu mi hai negato perché non sono degno, ricordi? Me lo hai detto mentre oscillavo nella vastità dell’abisso, oltre il Bifrost. Non ero abbastanza. (4)

Padre, perché mi hai ingannato? Hai passato una vita lunga secoli a farmi allungare le dita verso il trono, spingendo me e Thor a fare ogni cosa in nostro potere per poter meritare la corona ai tuoi occhi – perdono, al tuo unico, crudele occhio – e poi, d’improvviso, non eravamo abbastanza. Mio fratello era troppo presuntuoso, violento, rozzo, io eccessivamente bugiardo, falso, malvagio, debole, intrigante e chissà cos’altro. Allora lo ripeto: perché ci hai ingannato? Hai cambiato idea? Il tuo cuore di vecchio è diventato fiacco e lo spirito del guerriero in te si è placato?

Padre, perché non mi hai cercato? Hai allestito un funerale pomposo, mi dicono, hai fatto cantare lai in mio nome, ma la speranza nel tuo petto grinzoso si è affievolita. Il potere per cui sei famoso non ha lasciato che la mia presenza fosse avvertita oppure, semplicemente, ti è convenuto non cercarmi?

Padre, se il mio destino era crepare su un picco di ghiaccio, lasciato a morire di freddo, stenti o divorato dalle bestie, perché mi hai salvato? Qual era il tuo scopo? Aggiungere una reliquia alla tua collezione ignobilmente vasta, sfruttarmi come una marionetta per soggiogare Jotunheim, un giorno, estorcere favori a Laufey? Il piano iniziale non era dare un fratello al figlio maschio appena arrivato, ma accrescere il tuo potere e quello degli Asi. Nient’altro. Risponderai pietà, a questa domanda. Chiamerai in causa l’innocenza di un neonato, la stanchezza della guerra, l’affetto che sopraggiunge inevitabile quando si raccoglie il cucciolo di qualsiasi cosa. Sono fatti per ispirare tenerezza, i piccoli delle varie specie. Hanno un aspetto gradevole e paffuto e grandi occhi per far nascere nell’adulto che li trova un istinto di protezione. Mi sono salvato per questo, padre, perché alla fine ti sei affezionato?

Padre, stai commettendo una sciocchezza con quel processo: macchierà il tuo nome. Lascia che la ragazza che non sarà mai mia assista e possa riferirmi quanto accadrà.

 

Lettera 81

 

Non c’è niente di peggio che rimanere qui ad aspettare, ovviamente. Siamo uomini d’azione, guerrieri abituati a prenderci la responsabilità della nostra vita e di quella degli altri. Oh Thor, non farlo, non dirlo. Non ripetere quello che hai osato dire ieri sera. Avevo intere ali dell’esercito di Odino al mio comando. (5) Guidavo negli assalti truppe fatte di veterani come di ragazzi appena usciti dall’Accademia e mi sono sempre preoccupato di farne tornare a casa il più possibile. Midgard annulla tutto ai tuoi occhi, certo. Lei e il mio lungo periodo con Thanos. Abbiamo combattuto spalla contro spalla per secoli, ho iniziato a difendere i Nove Regni quando ancora avevo le guance lisce come una ragazza, eppure quello che mi definisce, oggi, è la manciata di anni passati ad abbassare lo sguardo quando il Titano mi si avvicinava.

Vorresti il racconto di un fiero eroe che non si è mai piegato, non è vero? Ti piacerebbe, in fondo al tuo cuore, che ti dicessi come la gemma che splendeva sulla sommità del mio scettro mi abbia reso un burattino inerme nelle mani del mostro che insegui senza successo. Sarebbe consolante, suppongo. Ma non è il momento di parlare di quel pazzo, adesso. Lo abbiamo già fatto ieri sera, ricordi? Quando mi sono messo a spiegarti, come se avessi cinque anni, cosa ti succederebbe nel dettaglio se ti avvicinassi troppo a lui. Non gettare alle ortiche i miei preziosi suggerimenti, fratello. Ti hanno salvato la vita più volte, in passato, tienilo sempre a mente – o dovrei dire, piuttosto, in quella zucca vuota che le Norne ti hanno concesso.

 

Lettera 82*

 

Piccola Sigyn, non capisci? Avevano già deciso tutto. Serviva una vittima da immolare, uno spauracchio che esorcizzasse l’orrore. Odino, lo spietato dio delle forche, doveva mostrare quanto sia ancora efficiente e celere la giustizia di Asgard e anche promuovere le gesta del figlio minore. Thor è un irresponsabile che si è messo a cacciare chimere, io sono rinchiuso con una condanna a vita. Il trono di Asgard deve dimostrarsi saldo in qualsiasi frangente. Nessuno è davvero indispensabile, ad Asgard, nemmeno il mio nobile e valoroso fratello. Se si dimostrasse indegno di stringere Mjollnir, Padre Tutto troverebbe immediatamente un altro difensore dei Nove Regni. E quest’ultimo potrebbe essere persino Balder, figurati. Tu hai fatto del tuo meglio, e fidati delle mie parole: se mi fosse stato riferito diversamente, non avrei esitato a rendertelo noto. La clemenza e la gentilezza albergano nel mio spirito, contrariamente a quanto taluni pensano, ma è dispensata con cura e attenzione. Detesto gli incapaci, gli stolti, coloro che agiscono senza riflettere. Hai fatto del tuo meglio, ma Odino aveva già deciso che quell’Erik dovesse penzolare dalla forca. Mi dispiace.

 

Lettera 83

 

Te lo dico io che cazzo è successo: quel vecchio orbo crudele ha messo a morte l’uomo sbagliato e non sono sicuro che sia una tecnica per far sentire più al sicuro il vero Cacciatore. Raramente ho visto eseguire una condanna così rapidamente e questo, lascia che te lo dica, mi ha disgustato. Chi è il mostro, adesso? Sigyn ha raggiunto lo status di puttana pazza del dio degli inganni e ha avuto una crisi di pianto qui, ieri sera. Mi è toccato consolarla come fosse una bimbetta. Siamo proprio una bellissima coppia, noi due: entrambi distrutti – io nel corpo, lei nello spirito – e inascoltati. Bjorn ci ha sorpreso così, mentre ci stringevamo. Sigyn singhiozzava piano sul mio petto, io le accarezzavo i bei capelli biondi.

Che immagine succosa e interessante, non trovi? Quell’idiota ha balbettato qualcosa e lei si è scostata in fretta, ma mi è rimasta accanto. Confusa, rossa in volto, con gli occhi lucidi. Bjorn era venuto a riferirmi il messaggio di Heimdall e no, non ne sono rimasto affatto sorpreso.

 

Lettera 84

 

Gettala. Gettala via, falla sparire, ficcala in fottuto buco nero. Non la cercare, non la inseguire, Thor. Ti troverà e vorrà la sua vendetta. L’arma che sottrassi al Titano in quella bettola senza nome, aveva una gemella. La possiede ancora, credo, sua figlia – un’abile guerriera con cui sarebbe interessante scontrarsi, forse. Thanos non si accorse immediatamente del furto (6). Tornò nel suo accampamento, s’infilò nella sua tenda, e solo allora, quando si tolse le placche dell’armatura, si accorse che il fodero era vuoto. Dicono che s’infuriò tanto che le vene del collo gli si gonfiarono a dismisura. Che sradicò alberi a mani nude e che minacciò di distruggere quell’eremo insignificante di cui nemmeno ricordava il nome. C’è chi racconta che uccise metà dei suoi sottoposti per riportare l’ordine e l’equilibrio, e che fu solo dopo aver compiuto quell’inutile massacro, che gli tornai in mente io.

Mi chiamano il dio degli inganni, fratello, tu lo sai. Dicono di me molte cose, troppe, forse. Alcune voci le ho alimentate io stesso per testare la curiosa morbosità degli uomini di conoscere, sapere, parlare di ciò che li affascina e, allo stesso tempo, li spaventa. Come la storia del cavallo che, su Midgard, è diventata persino una curiosa quanto improbabile leggenda. A volte, come ad Alfheim, mi muovo nell’ombra e colpisco prima che il mio avversario se ne accorga, cogliendolo alle spalle. Altre, invece, faccio sfoggio delle mie abilità alla luce del sole, armato solamente del mio acume e di un occhio attento. Non ho atteso che fosse il Titano a venirmi a cercare. Fui io ad andare da lui. Mi fermai ai margini del suo accampamento sontuoso e decadente e osservai le astronavi scintillanti, le tende montate con accurata perizia, i cadaveri ammucchiati gli uni sugli altri. Non è stato lo stupore e il terrore che la morte aveva congelato sui loro volti, a farmi rabbrividire, ma il capriccio privo di senso e scopo che si nascondeva dietro quel massacro osceno. Ho attraversato mille e mille campi di battaglia, al tuo fianco. Ho visto la morte negli occhi di un soldato già esanime, ho assistito a fini gloriose e ad altre miserande, ho camminato nel fango e nel sangue facendomi largo tra i cadaveri, ho posato il mio sguardo su di loro. Alcuni avevano sacrificato la loro esistenza in nome di un fine ritenuto alto e nobile, meritevole. Altri, avevano lottato fino allo stremo spinti dalla fame e dalla leva obbligatoria, ed erano morti sapendo a malapena il nome del sovrano per cui avevano dato ogni cosa. Anche le guerre più giuste nascondono motivazioni luride e sporche, fratello. Io tutto questo l’ho saputo sempre o l’ho capito troppo presto, non ricordo, eppure nell’accampamento di Thanos, tutti quei cadaveri mi hanno colpito. Il Titano mi parve come un bambino gigantesco e infinitamente stupido che sfogava la sua frustrazione sugli uomini con cui avrebbe dovuto lottare fianco a fianco. Per lui quelli non erano sudditi né tantomeno guerrieri da comandare, ma giocattoli da distruggere all’insorgere del primo disappunto.

 

Lettera 85

 

Il Cacciatore penzola ancora dalla forca, e già Asgard si chiede che ne sarà di me. Potrei perdere i privilegi ottenuti fino a ora e crepare sputando sangue. È una possibilità che ho preso in considerazione, sì. Nascondere la Gemma è stata la cosa più stupida che tu potessi fare, Thor. Davvero. Ti avevo detto di sbarazzartene, di gettarla in qualche buco nero del cazzo, e invece tu che fai? Decidi di tenertela. Pagherai per non avermi ascoltato, pagheremo tutti. Io, forse, prima degli altri. Lei non si è fatta vedere. Sono due giorni che non la vedo – due giorni in cui i corvi di Odino non hanno fatto altro che volare senza sosta sul cielo grigio di Asgard. Spero davvero che abbia abbandonato la città a favore dell’isolata e mite campagna. Lui è ancora in giro e potrebbe decidere di cercarla. Non lo hai ancora capito, Thor? Allora sei più sciocco di quanto credessi. Porta le tue chiappe qui, dobbiamo parlare.

 

Continua…

 

L’angolo di Shilyss

Cari Lettori che siete arrivati fin qua,

Ecco finalmente l’undicesimo capitolo di questa long! Vi ho fatto aspettare un’eternità, ma non temete! Mai più così tanto tempo! Voglio ringraziare tutti coloro che hanno recensito, preferito, ricordato e seguito questa storia. Grazie davvero, ogni riga è per voi ♥: vi invito, anzi, a utilizzare le liste di Efp. Per voi è solo un clic, per noi Autori una grande soddisfazione **

La Fatina dell’Ispirazione necessita sempre delle vostre cure per poter spandere i suoi glitter! Per ulteriori info e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Che Loki si occupi di giustizia e sia conte è un mio headcanon che difenderò nelle sedi opportune con le unghie e con i denti.

1)      Loki conte del Nord e con un ruolo politico è un MIO headcanon.

2)      L’aquila di sangue è un’orrenda punizione vichinga che non vi descriverò per decenza.

3)      Riferimento a TDW.

4)      Riferimento al primo film Thor.

5)      Anche questo è un mio headcanon.

6)      Mi riferisco alla lettera 38/Capitolo 5 di questa long.

Prima di lasciarvi, vi informo che a giorni aggiornerò anche un’altra long! Vorrei inoltre consigliarvi di leggere altre due mie storie: sto parlando dell’AU Tesori, whisky e ossessioni, che non toglie nulla al personaggio di Loki, e alla minilong ispirata al mito “Fino alla fine del tempo.”

Grazie per essere arrivati fin qui,

Shilyss

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Capitolo 12
*** Invenzioni e nascondigli ***


Capitolo 12 - Invenzioni e nascondigli

 

Lettera 86

 

Goditi questo momento, fratello, perché dubito che ti ricapiterà tanto presto l’occasione di utilizzare contro di me le mie stesse battute. È ovvio che io e il guardone ficcanaso dobbiamo essere davvero disperati, per essere costretti a scambiarci le informazioni[1]. La cosa fa già ridere di per sé, oltretutto. Il dio bianco capace di vedere ogni cosa che deve chiedere aiuto a me. Non ti nascondo che ho provato un brivido di soddisfazione, quando è venuto nel mio grazioso studio sopraelevato. Mi sono crogiolato del suo disagio, ho fatto pesanti allusioni alla mai abbastanza maledetta ironia delle Norne. Lui, con tutta probabilità, deve averti raccontato che l’ho accolto al mio solito, tronfio, modo: stravaccato su una poltrona con un sorriso di scherno sulle labbra e l’aria strafottente di chi crede che tutto sia un gioco, uno scherzo. Così ha detto, vero?

Heimdall ha un cuore puro: troppo, per i miei gusti. La sua volontà è retta solamente dal desiderio che Asgard prosperi e che nulla possa turbarla, ma se dovesse scegliere tra te e il nostro vecchio e glorioso padre, chi pensi seguirebbe? I suoi occhi gialli, a mio modesto parere, oscillerebbero verso la speranza racchiusa nella giovinezza[2]. Mi detesta perché gli porgo queste domande schiette e crudeli e lui non sa cosa rispondermi, dilaniato tra il senso del dovere e la rettitudine che lo spingono a essere sincero in qualsiasi circostanza, anche con me. So di metterlo a disagio; è abituato a usare i suoi poteri per tenere d’occhio i Nove Regni tutti, ma io riesco a sfuggirgli, a nascondermi, a tessere magie tanto potenti da celarmi al suo sguardo impietoso. Lui non conosce le mie ombre o, perlomeno, non era riuscito a distinguerle quando avrebbe dovuto farlo e io questo lo so – lo sappiamo entrambi. Ha fallito.

Si muoveva a disagio, il guardiano. Non gli piaccio, non gli sono mai piaciuto; troppo mutevole, caotico, ingestibile, ma ieri sera tu non c’eri e lui aveva bisogno di ripristinare l’ordine e proteggere gli Asi. A chi rivolgersi, se il tonante è assente, lontano, alla ricerca di un potere che condannerà tutti a morte? Al secondo in comando, ovviamente. A colui che crea e, allo stesso tempo, risolve i problemi di Asgard. Al principe bugiardo e malfattore. Ho accolto Heimdall come se lo aspettassi perché, in effetti, ero certo che, prima o poi, sarebbe passato da me. Ha inghiottito il suo orgoglio in nome dell’Yggdrasill, si è convinto a darti retta. È il tuo primo ammiratore, temo. I convenevoli che ci sono stati tra noi sono serviti unicamente a studiarci l’un l’altro. Parole vuote, senza un reale significato. Mi ha chiesto come stessi e non ha mancato di ringraziarmi per aver sostenuto la sua innocenza quando il sospetto si era abbattuto persino su di lui. Il fatto che il corpo di una delle vittime fosse proprio a casa sua lo ha offeso e indignato: il dio bianco è troppo retto e giusto per commettere un crimine, non ti pare? Eppure, nei suoi occhi gialli, ho letto anche altro: l’ombra del sospetto che io sappia più di quanto non ammetta. Come facevo a essere così sicuro che lui era innocente? Perché lo avevo difeso con forza, io, che ero e sono il dio della menzogna e dell’inganno e che avrei potuto vendicarmi del suo disprezzo anche solo rimanendo neutrale?

Gli ho risposto che si trattava del potere. Potevo salvarlo e l’ho fatto. Sono un principe lungimirante e benevolo, gli ho detto col peggiore dei miei sorrisi. Lui mi ha guardato a lungo, con severità.

“Ti servo, Loki.” Questo mi ha detto.

Non è poi così sciocco il nostro caro guardiano, non trovi?

 

 

Lettera 87*

 

Non eri tenuta a farmi avere tue notizie.

 

 

 

Lettera 88

 

Moriremo, per quello che abbiamo fatto. La tua cieca speranza nella vittoria mi appare come nient’altro che l’illusione di un bambino. Ti stai crogiolando in un sogno che renderà solamente più doloroso il risveglio.

Moriremo, e io spero solo di farlo lontano da queste quattro, insopportabili mura. L’universo intero dipende dall’efficacia del nostro nascondiglio, dalla potenza d’un incantesimo che non dovrà essere rivelato nemmeno sotto tortura. Quello che mi hai chiesto di fare è proibito in così tanti modi e con tali e tante leggi che violarle tutte, lo ammetto, è stato quasi divertente. E poi, diciamolo: cosa c’è di più tremendamente ironico del nobile dio del tuono che chiede al fratello maledetto, al figlio ingannato, alla reliquia rubata, al traditore di Asgard, di collaborare come ai vecchi tempi in nome di un fine più alto? Siamo davvero in una condizione disperata, fratello. La nostra unica speranza è che non riesca a trovare un veicolo, un oggetto magico capace di contenere, canalizzare e gestire tutte le pietre. C’è un solo luogo, in tutto il cosmo, dove questo potrebbe essere costruito[3].

 

 

Lettera 89

 

Ti sbagli, Thor. Sei totalmente, disperatamente, tristemente fuori strada. Non guardare a me come la fida spalla che sono stato, come l’alleato che ti ha salvato da mille battaglie. Secoli di combattimento spalla a spalla non significano più niente. Soffoca la speranza che ti ha animato nell’ultima lettera. Ancora non lo comprendi? Di me non puoi fidarti e io ho sacrificato troppo alla causa di tuo padre per decidere di mettermi alla tua destra e aiutarti a riportare l’ordine nel caos. Sono il lupo che ringhiava e rifiutava il cibo, il trofeo, esibito ed esposto che testimonia l’ennesima, crudele, vittoria del dio delle forche, il grande Odino. Non confondere il mio aiuto come il segno di chissà che pentimento: prendi esempio dal buon vecchio Heimdall, che non si illude delle mie intenzioni e continua a essere cieco di fronte all’ombra che si è abbattuta su Asgard e ora, silenziosa, tace. Nessuno mette in dubbio che sia stato giustiziato un innocente e l’apparente tranquillità che regna ad Asgard fortifica questa patetica quanto miope considerazione. Padre Tutto, ovviamente, non è di questo avviso. Vedo le rughe che gli segnano il volto farsi ogni giorno più profonde.

 

 

Lettera 90

 

Bjorn è il solito idiota. Gli ho chiesto di portarmi il diciassettesimo volume di Storia della magia e dell’oreficeria nanica e lui, per ben due volte, ha sbagliato. Avrei dovuto prenderlo a calci, altro che[4]. Gli ho dato un solo compito – uno solo, per le Norne – e lui è stato capace di confondersi, di sbagliare, di scontentare il suo principe. Il diciottesimo volume o il diciannovesimo non sono il diciassettesimo; persino tu dovresti capirlo. Ovviamente, lei non si sarebbe sbagliata, mai. Qualora disgraziatamente il volume non fosse stato reperibile, si sarebbe adoperata per cercarlo in qualche collezione privata e mi avrebbe fatto avere prima che glieli chiedessi altri testi sull’argomento. Non offendere la mia intelligenza con altre domande sul perché non desidero più che venga qui. Il Cacciatore deve credere di essere al sicuro, ritenere di avermi sconfitto.

 

Lettera 91

 

Non ho la benché minima intenzione di giustificare con te le mie azioni. Non sei il mio re, Thor. Non avrai la mia eterna fedeltà, non ti presterò omaggio. Circondati dei saltimbanchi che ti accompagnano nelle tue avventure e che si beano del riflesso della tua gloria. Fatti aiutare da Fanfaral, da quell’ubriacone di Volstagg, dall’imperscrutabile Hogunn o dalla nostra cara Sif, che non disdegna l’idea di frequentare entrambi i nostri letti. Le tue accuse scivolano su di me come acqua piovana sui tetti, le tue minacce mi fanno ridere. Non impicciarti ulteriormente dei miei affari. Ciò che ho fatto per te con la Gemma non significa niente; non fare in modo che debba ripeterti questo concetto un’altra volta. È nel mio interesse che il Titano non diventi ancora più potente. L’ho deluso, ho intralciato i suoi piani smarrendo qualcosa che gli era caro, ho perduto un’intera armata. Tu credi che mi perdonerà, dopo questo? Cosa mi faresti, al suo posto? Quale punizione infliggeresti al servo incauto che ti ha provocato un danno? La clemenza non è nella mia natura e gli insegnamenti del nostro ipocrita padre forse hanno finito per attecchire persino nel tuo petto indomito.

Le mie azioni sono meschine e riprovevoli, dici? Allora girati, non guardare, torna a occuparti di questioni lontane e irrisolvibili, anziché mettere bocca negli affari della terra che ti spetta di diritto governare, ma che, in fondo, non ti interessa quanto dovrebbe. Come Midgard, del resto. La tua presenza su quel mondo esposto e delicato ha provocato una moltitudine pressoché infinita di problemi: come puoi definirti il protettore dei suoi abitanti? Con che faccia ne calpesti la terra ora fertile ora brulla, tu che hai portato, come me, come gli Asi tutti, guerra, distruzione e morte? Ciò che faccio di Sigyn e con Sigyn non ti deve importare.

 

 

Lettera 92

 

Mi pare ovvio che mi facciano ancora male la mano, la spalla e persino le costole, se proprio ci tieni a saperlo, motivo per cui non mi sento affatto in colpa per il tuo piccolo incidente. Del resto, era abbastanza scontato che prima o poi sarebbe successo, non credi? Bjorn, vedendoci litigare, ha spalancato la bocca tanto che ho creduto gli si sarebbe staccata la mascella, povero il mio sciocco carceriere che spesso si trasforma in tirapiedi.

Sono convinto del fatto che Padre Tutto e nostra madre non siano rimasti particolarmente colpiti dal nostro allegro diverbio. Piuttosto, immagino che l’avranno considerato un ritorno ai cari, vecchi tempi, quando ogni scusa era buona per azzuffarci. Quanti banchetti abbiamo rovinato con le nostre intemperanze? Per lo sguardo ambiguo di un’ancella o uno scherzo non gradito ci siamo presi a pugni infinite volte, in un’occasione persino nella stanza antistante il trono – anche se, a essere sinceri, quella avremmo proprio potuto risparmiarcela, considerato quanto si inferocì con noi Odino. Ecco perché non ho mai avuto paura di scontrarmi con te. Lo abbiamo sempre fatto, lo faremo sempre. Fa parte di noi stessi e della nostra natura. Non temo né la tua ira né il tuo martello perché li conosco, so cosa possono fare.

Tu, invece, guardi con sospetto alla mia magia. Te l’ho letto negli occhi e non solo ieri sera. La prima volta che ho mutato forma davanti a te, eravamo ancora bambini: mi hai rivolto un sorriso sdentato e hai battuto le mani, entusiasta, ma dopo, quando la mia abilità nel manipolare il seiðr si è accresciuta, nel momento in cui ha assunto tinte inquietanti, ho sentito sulla mia pelle il tuo sguardo severo, accigliato. Il seiðr è qualcosa di antico, di oscuro, di potente e difficilmente controllabile. Che non ti apparteneva né lo avrebbe fatto mai, sebbene, in fondo, anche reliquie come Mjollnir ne siano profondamente intrise. Quando la mia capacità di pronunciare le giuste rune e di evocare il potere che tanti ha spaventato si è manifestata in tutta la sua devastante potenza, qualcosa è cambiato, in te.  Di fronte ai miei incantesimi, a volte sei stato tentato di indietreggiare, dio del tuono. L’ho visto, come ieri notte ho scorto il tuo volto impallidire di fronte alla mia trovata. Ammettilo.

Passando a discorsi senz’altro più utili, sai bene che rivelare cosa abbiamo fatto non è nei miei piani. Sarebbe una mossa stupida, che peggiorerebbe notevolmente la mia già spiacevole e fastidiosa condizione. O credi che questa soffitta dalla vista incantevole mi faccia dimenticare che sono imprigionato per aver preteso ciò che mi spetta di diritto?

Ora devo lasciarti: nostra madre ha deciso di allietarmi donandomi un divertente gioco di strategia elfico, uno di quelli composto da un piano su cui si muovono le pedine colorate. L’altra sera abbiamo giocato insieme, io e lei, e devo dire che è stato piacevole. Ho tentato di insegnarlo a quella zucca vuota di Bjorn, ma con scarsi risultati, visto che per fare la mossa sbagliata che porterà me all’ovvia vittoria in sole tre mosse, ci sta mettendo più del tempo utilizzato da me per scriverti questa lettera. Cielo, forse ce l’ha fatta! Siano ringraziate le Norne, ha mosso!

 

Lettera 93

C’è ancora veleno nel mio cibo, fratello. Lo dice il guaritore di fiducia di nostra madre, lo dice il sangue che mi è rimasto sulla mano stamattina dopo un colpo di tosse particolarmente violento. Si tratta di un peggioramento leggero, lievissimo, ma che non ci sarebbe stato, se il Cacciatore fosse morto. Invece è vivo, da qualche parte. La mia improvvisa ricaduta ha limitato nuovamente la già precaria libertà di cui godevo, ma, soprattutto, ha avuto come conseguenza che quell’idiota di tuo fratello è venuto a tediarmi con la sua insopportabile presenza. Non c’è niente che il nobile Balder desideri di più che sentirmi affermare come il mio avvelenamento sia opera di un terzo soggetto che ha sfruttato la questione del Cacciatore per colpirmi. Del resto, Asgard pullula di gente che avrebbe più di un motivo per vendicarsi della mia persona, ti pare? Persino lei, la mia esca dai capelli d’oro.

 

Continua…

 

L’angolo di Shilyss

Cari Lettori che siete arrivati fin qua,

Avevo promesso un aggiornamento in tempi umani, e invece… perdono! Davvero, amo questa long e non ho nessuna intenzione di abbandonarla o lasciarla incompleta. Come avrete avuto modo di notare, poi, l’ultima parte del capitolo ha un colpo di scena abbastanza succoso, eh eh eh.

Voglio ringraziare tutti coloro che hanno recensito, preferito, ricordato e seguito questa storia. Grazie davvero, ogni riga è per voi ♥: vi invito, anzi, a utilizzare le liste di Efp. Per voi è solo un clic, per noi Autori una grande soddisfazione. **

La Fatina dell’Ispirazione necessita sempre delle vostre cure per poter spandere i suoi glitter! Per ulteriori info e un po’ di divertimento… c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Che Loki si occupi di giustizia e sia conte è un mio headcanon.

 

Shilyss



[1] La battuta è presente in TDW, ovviamente.

[2] La storia è un TDW alternativo, quindi Loki non sa che Heimdall sarebbe in grado di seguire Thor anziché Odino, come il dio bianco in effetti fa.

[3] Loki si riferisce al fatto che, negli scorsi capitoli, Thor ha trovato una gemma e gli ha chiesto aiuto per nasconderla. Il riferimento al Guanto dell’Infinito credo vi sia noto, giusto?

[4] Non ha valenza di esclamazione affermativa, dunque va scritto così.

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Capitolo 13
*** Giù le carte ***


Capitolo 13

Giù le carte

 

Lettera 94

 

Sigyn gioca discretamente a dama elfica. Perde, ovviamente, ma lo fa con più grazia e muove con maggiore sveltezza le sue pedine rispetto a quell’idiota di Bjorn. Non che ci volesse poi molto, in verità. Ogni volta che le mangio un pezzo, alza su di me i suoi occhi grigi e mi dice che sono un baro e la inganno. Che questo gioco soddisfa il mio ego smisurato e una serie di altre cose carine che ti risparmio. È tornata col chiaro intento di farmela pagare e manifesta un atteggiamento a metà strada tra l’eccessivamente serio e lo sdegnoso che mi diverte moltissimo, con suo gran dispetto. Appena entrata ha salutato calorosamente Bjorn abbracciandolo. È stata una scena spassosa: lui era terrorizzato. Teme, chissà perché, una mia brutta vendetta fatta a freddo. Lei mi ha guardato perché desidera farmi scontare il mio comportamento scostante, ma avrà pan per focaccia, te lo garantisco. Il suo ritorno mi è sgradito perché complica il mio piano, ovviamente. So che detesti te lo dica, ma sono ancora certo che occorreva solo avere un briciolo in più di coraggio e pazienza e avremmo avuto il Cacciatore a portata di mano. Il mio peggioramento, invece, ha reso necessaria, agli occhi di Frigga e a quello, malvagio, del tuo caro padre, la sua presenza. E lei, ovviamente, è corsa di nuovo da me, sottolineando che è per dovere. La mia ultima missiva l’ha offesa.

A proposito del nostro luminoso e caro re: mi ha sorpreso con uno dei suoi trucchi, perché non sono certo il solo e l’unico a manipolare a mio piacimento la realtà. Dunque, sa che ho lanciato un incantesimo, ma non ha idea di cosa abbia fatto e perché. Fossi in te, lascia che ti dia un suggerimento, gli renderei nota la tua strategia e smetterei di andare in giro a cercare le Gemme. Continuando così, il rischio è quello di un nuovo bando da Asgard, o peggio. E allora chi difenderà questa terra, custode di Mjollnir?

 

Lettera 95

 

Mi hanno dato così tante medicine, fratello, che ogni cosa appare ancora sfocata e a malapena reggo la penna. È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ho avuto il dispiacere di scriverti e no, non mi mancava affatto il nostro carteggio, con le tue lettere imbarazzanti e dalla prosa banale e spesso dubbia. Mi chiedi come sto: scrivo dal letto e ho sputato una quantità tale di sangue che lei si è spaventata e le ho macchiato persino la gonna.

 Ha aumentato le dosi di veleno. È impaziente di vedermi crepare. Forse teme – e in questo caso avrebbe maledettamente ragione – che presto scoprirò il suo gioco, e l’effimera vittoria del nostro ingenuo fratello si rivelerà l’abbaglio che è. Potrebbe essere un bene per me – per noi. Se si sentirà braccato, commetterà di sicuro un passo falso, quello che sto attendendo da quando ha sfidato la mia intelligenza. Non ricordo cos’è successo con precisione prima che la tosse mi soffocasse, e così ho dovuto chiamare Heimdall e farmelo raccontare. Lui si è seduto di fronte a me e ha iniziato a tediarmi con delle ovvietà un po’ melense, dicendo che se lo aspettava e che ciò che sto facendo è per Asgard e la sua gente. Gli ho risposto che i tuoi sudditi – i vostri sudditi – non mi hanno mai restituito nulla.

 

Lettera 96

 

Ho sperato con tutta l’anima che il nostro fitto epistolario, fatto di esempi di retorica e pura poesia (le mie missive) e carta straccia degna del camino (le tue) fosse finalmente concluso, ma purtroppo i miei gloriosi propositi – o dovrei dire i nostri, fratello? – sono malamente scivolati nell’abbondante scia di sangue che il Cacciatore ha di nuovo lasciato dietro di sé, a sfregio. Ha lasciato che trascorressero mesi, dall’ultima volta. Mi hai chiesto un giudizio analitico e spassionato. Beh, eccotelo. Sono ammirato. Ha pazienza e ha scelto con cura il momento in cui agire. Quello in cui io ero più debole, tu lontano, il credito di entrambi verso Odino scarso, la gloria del piccolo Balder al suo picco massimo. Asgard si sente sicura? Ma bene, ecco il momento giusto per sferrarle un colpo che non dimenticherà. Inondiamola con altro sangue innocente che ne imbratti le sue strade tirate a lucido. Facciamolo con le interiora di una povera levatrice, usiamo i suoi resti martoriati per mostrare la parte più squallida del regno di Padre Tutto. Mi riferisco alla sua ipocrisia, al manto d’oro che ricopre il fango: basta grattare con l’unghia la superfice luccicante per trovare la vera natura di ogni cosa, per svelare l’inganno. E chi meglio del dio dell’inganno, malato e forse pazzo, può ridere fino a perdere il respiro mentre il suo giovane fratellino, sconvolto e balbettante, descriveva la scena?

Non ho riso perché ho compreso chi sia, Thor. Balder non ha indovinato nemmeno questo. La mia risata era l’amara constatazione – e il buon vecchio Heimdall sarà d’accordo con me, te lo garantisco – che due indizi cominciano a essere una prova robusta. Vedi, fratello, il Cacciatore, con questa sua mossa, si è esposto come ha fatto solo quando ha ucciso la bella Astrid. Il suo intento è screditare Padre Tutto, è offendere il suo presunto buongoverno, è minare le fondamenta di una casata tra le più antiche e potenti dei Nove Regni. E di fronte a tanta maestria, non posso evitare di pensare che chi ha sospettato di me, dopotutto, non mi ha fatto un torto. C’è del metodo nel modo in cui il Cacciatore mi sta avvelenando con lentezza, nella scelta di mostrarci una vittima dopo l’altra, spiazzandoci. E così, adesso, Asgard trema in preda al disordine generato da un mostro ignoto che credeva di aver trovato e giustiziato e guarda di nuovo in alto, verso la mia prigione illuminata dal bagliore lontano delle candele. Mi invoca temendomi, domandandosi fino a che punto sia estraneo a queste morti turpi e spaventose. Non ero io a professare i vantaggi del caos e della libertà? Il Cacciatore, in fondo, sembra aver fatto propri i miei proclami.

So che dirai adesso: sono così pieno di me che mentre elogio l’intelligenza del nostro avversario incenso me stesso, la mia intelligenza. Non lo nego. Ma ora è tardi, la penna è diventata pesante. Se ci saranno notizie degne di esserti riferite, ti scriverò domani. Ora affiderò la lettera a Bjorn assicurandomi che arrivi a te e a te soltanto – il motivo dovrebbe esserti chiaro.

Lettera 97

Una levatrice. Anziana, esperta, discreta. Chiediti che segreti nascondeva, anzi: di chi. E che senso può avere avuto l’ucciderla, dato che lei non avrebbe mai parlato. Una donna del genere si sarebbe fatta impiccare, anziché rivelare i dettagli del suo mestiere – non lo ha mai fatto, ecco perché tante donne, nobili e meno nobili, l’hanno voluta accanto a loro nelle difficili ore del travaglio. Dalle tue parole mi è sembrato, fratello, che la mia insinuazione, come l’hai chiamata, sia stata qualcosa di estremamente sconvolgente, per te. Mi chiedo come mai. Tutti i re dei Nove Regni hanno avuto amanti, concubine e relazioni anche durature che sono state fertili. Per Odino avrebbe dovuto essere diverso solo perché Frigga meritava uno sposo leale, capace di amarla in maniera incondizionata?

Ma torniamo al Cacciatore: la fedeltà di Padre Tutto non è qualcosa che dovrebbe riguardare solamente la più saggia delle regine – impossibile, a ogni modo, che lei non abbia mai saputo nulla. Riguarda tutta Asgard, tutti gli Æsir. Odino è un sovrano il cui corpo e sangue sono sacri, la cui parola è legge. Quello che accade nel suo studio decide il destino di Asgard, certo, ma anche quello che accade nel suo letto: se non avesse avuto eredi, l’intero futuro del regno sarebbe incerto. Il Cacciatore cosa sa più di noi riguardo alla voglia di gioventù di cui si è macchiato Padre Tutto?

Lettera 98

Lui ci osserva, Thor. Ci ha guardati mentre mentivamo a Padre Tutto circa il nostro gioco con le gemme del Titano e tu e l’indomita Sif vi stuzzicavate cercando di recitare la parte dei quasi fidanzatini, quando Sigyn ha commesso l’errore fatale di varcare di nuovo la soglia della mia prigione per sfidarmi a dama. Ma hai ragione, non è stata solo lei a sbagliare – io non dovevo consentirle di venire da me, specie sapendola così esposta. Vincolata. Condannata. Se è vero quello che penso, mi potrei essere macchiato di più colpe di quante non me ne siano state imputate, temo. Ci sono regole ancestrali che nessuna dispensa o sotterfugio possono annullare[1]. A tale proposito, sono costretto a chiederti di non fare parola con lei di quanto sospetto. Capirai bene che questa storia l’ha già messa abbastanza alla prova senza che un dettaglio del genere (l’ennesimo) debba rovinarle l’esistenza.

Bjorn, che è un fottuto sentimentale, lo so, specie adesso che ha commesso l’imperdonabile errore di riprodursi perpetuando il suo sangue rozzo, ti ha riferito di un nostro presunto riavvicinamento che potrebbe stonare con quello che ti ho riferito. Non posso dire che Sigyn abbia perdonato la mia intrusione nella sua testa, ma in queste settimane ha cercato di accettarne la necessità. Lo ha fatto senza smettere il suo penoso lutto – non cederà fin quando sua sorella non sarà vendicata, temo. Per distrarre quell’idiota del mio secondino dallo spettacolo che io e Sigyn rappresentiamo quotidianamente per lui, ho pensato di riciclarlo come spia, sull’onda dell’antico adagio che necessità fa virtù. Gli ho chiesto di tenere d’occhio sia Fanfaral che quella disgrazia su due gambe di Balder il buono. Sospetto che stiano agendo per loro proprio conto nel tentativo di riparare al danno fatto impuntandosi nel voler far condannare un uomo innocente. Inutile dirti che non ho fiducia in loro – come so che non ce l’hai tu.

 

Lettera 99

 

So che fine ha fatto il lupo di nostro padre. L’ho ricordato o sognato – gli intrugli dei guaritori hanno il potere di calmare i sussulti del mio petto e di indurmi un sonno pesante come quelli che le streghe scagliano nelle fiabe, ricco di visioni. E lei, stanca eppure incantevole, invocava le Norne con la sua voce bassa e cantilenante, quando mi sono svegliato. Sono state settimane buie. Giorni in cui questa fottuta prigionia si è rivelata più pesante di quanto potessi sopportare. E ho lasciato che si prendesse cura di me.

Non ci si abitua mai a dover misurare con i passi la propria cella. Certo, adesso ho una dozzina di finestre ampie e luminose, una terrazza e degli appartamenti che, se non fossero protetti da una fitta serie di rune incise sui muri e sigillati da una porta che nemmeno io con la mia magia posso infrangere, potrebbero farmi credere di essere di nuovo libero. Ma la mia pena non si è mitigata, anche se vivo in una cella arredata con gusto. Vivo un’illusione che non m’inganna. E lei, che mi assisteva fin da quando tossivo nelle segrete sotterranee di Asgard, lo sa. Mi osserva, mi porge un bicchiere d’acqua, mi asciuga la fronte, in silenzio. So cosa pensa – cosa ha pensato, ma anche lei ha imparato a riconoscere qualcosa di me.

Il fatto è che Sigyn ha iniziato a farmi delle domande. L’ho istruita troppo bene, abbiamo studiato le testimonianze e i documenti che riguardavano il Cacciatore senza considerare le ragionevoli distanze che avrebbero dovuto essere mantenute tra noi. Le nostre teste si sfioravano, le dita anche. Ora lei analizza i miei silenzi. Applica i miei metodi. Se non osa arrivare alla verità è perché non le conviene farlo – non potrebbe sopportarla. All’inizio non sapevamo, nessuno dei due lo sapeva, ma ora? La colpa va condivisa, come la conoscenza.

Lettera 100

Anche a me è giunta la notizia che la levatrice è stata seppellita oggi. Padre Tutto si ostina a voler tenere ogni cosa sotto stretto silenzio. Porgi i miei saluti a Brokk[2]: digli pure che spero la sfortuna si abbatta su di lui e sulla sua gente. Sono abbastanza certo che nessun altro potrebbe forgiare un artefatto capace di incanalare il potere delle gemme, ma non sottovalutare il Titano. Non ha paura di nulla e non ha quasi niente da perdere, temo.

Lettera 101

Lo ammetto. Abbiamo ecceduto con l’idromele, quando Bjorn ha annunciato ufficialmente che presto sarebbe diventato padre. Io ho avuto il privilegio immenso di essere la prima persona al mondo a cui la coppietta ha deciso di rivelare la lieta novella e sì, può essere partita da me l’idea di organizzare un piccolo rinfresco per rendere edotte anche le altre guardie della splendida novità.

 A mia discolpa, posso dire che mai i guaritori avevano accennato al fatto che nelle mie condizioni non dovessi bere – e, se lo hanno fatto, devo proprio averlo dimenticato – e che quello sciocco del mio tirapiedi travestito da carceriere ci teneva moltissimo a offrirmi dell’idromele abbastanza decente. Non come quello delle cantine di Odino, beninteso, ma accettabile. Ha avuto il buongusto di portare anche qualcosa da mangiare di sicuro e di non avvelenato. Credo che la mia compagnia gli faccia bene, dopotutto. Da quando l’ho picchiato per la prima volta, Bjorn è passato dall’essere una guardia tonta e inconcludente a diventare un discreto giocatore di carte, un pessimo compagno di bevute e una ributtante spia con margini di miglioramento scarsi, ma presenti. Allo stesso modo, la poderosa accelerata sulla sua vita sentimentale, un tempo inesistente, si deve al prestigio della mia persona, come sappiamo bene.

Ammetto che c’era anche Sigyn, ma di lei ti avrà già parlato quell’idiota, pertanto non ti concederò nessun altro dettaglio né risponderò alle tue considerazioni – provocazioni. Sostieni che tutti sanno, vedono, hanno capito. E allora, mi domando, perché parlarne?

Lettera 101*

Sembra proprio che i nostri timori siano abbastanza fondati. Portami i libri che ti ho chiesto. Ho pensato a una soluzione – temo non ti piacerà, ma ne parleremo a voce. Brucia questa lettera, Sigyn. Non sono mai messaggi d’amore, i nostri.

Lettera 102

Flagranza, doveri, responsabilità; la tua lettera, Thor, era veramente noiosa e pedante oltre che mal scritta, come tuo solito. Hai citato il primo termine sette volte, quindici il secondo e diciassette il terzo. Esistono i sinonimi, fratello. La tua lingua madre ne è piena. Ma ignorando la forma pietosa dei tuoi messaggi e badando solo ed esclusivamente alla sostanza, d’accordo. Te lo concedo: una maggiore cautela sarebbe stata provvidenziale e abbiamo bevuto troppo, tutti e due, ma andiamo! Chi poteva immaginare che quell’idiota di Balder sarebbe venuto a disturbarmi nel cuore della notte? Tuttavia la febbre e le pozioni che mi somministrano per cercare di abbassarla non offuscano i miei pensieri a tal punto da preoccuparmi come fai tu. Per cosa, poi? Per la reputazione della mia graziosa assistente personale, di quella che chiamano già da tempo la mia puttana o mia moglie, a seconda che nutrano nei miei confronti disprezzo o terrore? È arrivata anche a me l’intera descrizione della presunta scena – le fiamme del camino acceso, le gonne sollevate, le mani intrecciate, i sospiri, una scena inequivocabile – ma l’unica cosa che farò è trincerarmi in un elegante silenzio. L’ennesimo.

Le guardie che vigilano nelle celle segrete di Asgard dicono di noi che quando lei scendeva le scale che conducevano alle prigioni io non le staccavo gli occhi di dosso; i miei patetici tirapiedi e i guaritori che mi seguono qui sostengono che la tenga in grande considerazione e mi rivolga a lei come fosse la padrona delle stanze che io abito. Colgono sguardi e sorrisi che non ho mai negato – che sia bella e l’abbia desiderata è cosa nota, legittima, prevedibile, giusta. Mi sono limitato a spogliarla con gli occhi o   ho usato le mani, per slacciarle i numerosi nastri di raso nero del corsetto, per liberarla dalle gonne lunghe e pesanti, per assaggiare le sue labbra per la prima o la millesima volta? Avrei dovuto rinunciare a lei per via del lutto che faceva risaltare i suoi capelli d’oro? Costringermi a immaginarla come ogni bravo prigioniero sogna l’unica ragazza che gli si profila davanti – spinto dalla noia, dalla curiosità, dalla nostalgia, da quell’impulso che ci distingue dai vecchi?

Lettera 103

Non è che parliamo sempre delle stesse storie. È che tu – tutti – insistete sempre con quelle vecchie, spinti dalla morbosa curiosità di sapere, dalla voluta ambiguità delle mie parole. Ho negato? Ho confermato? Balder ha frainteso una situazione o ha visto fin troppo bene? E cosa saremmo allora, io e lei? A ogni modo, nostro fratello mi ha disturbato per nonnulla e ha dato l’occasione a Odino per tediarmi con la sua presenza. Lui mantiene ancora un atteggiamento serafico circa le mie presunte intemperanze con Sigyn. Più siamo legati a doppio filo, minore è il rischio che scelga di tradirlo. Ne ho approfittato per sondare il terreno e domandargli della levatrice, però. La sua vaghezza nelle risposte è stata encomiabile, il suo controllo magnifico, degno del grande re che è. Perché io, fratello, non ho mai negato che Padre Tutto fosse tutto quello che un sovrano deve essere. Persino in questa scomoda circostanza, in cui la sicurezza della gente di Asgard si lega a doppio filo col corpo stesso del suo re, lui mantiene una fermezza e una lucidità che rappresentano un fulgido esempio per tutti noi. Devo confessarti, però, che è vero quello che ti hanno detto: non è stata una conversazione amabile. C’è stata una lite, l’ennesima, non troppo esplosiva giusto per le mie condizioni precarie. E perché la sua furia, se si abbattesse ancora su di me, troverebbe solo due ragionevoli vie: la sala delle torture o il ceppo delle esecuzioni. Voleva sfruttare la storia che Balder ha raccontato a chiunque per obbligarmi in una direzione in cui non posso di certo andare. Gli ho proposto un’onorevole alternativa – la medesima che offrì alla povera Astrid, presumo. Sai com’è finita.

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore ♥ ♥!

Con che faccia si aggiorna una storia ferma da febbraio 2019? Vale come scusa che ero presa da altre storie, che poi ho dovuto rileggerla tutta, che in mezzo si è messa la real life? Non avete idea delle volte in cui qualcuno mi ha chiesto che fine avesse fatto, se l’avrei, un giorno aggiornata, e così via.

È con un certo disagio che ve la ripropongo, perché mi rendo conto che chi la seguiva al tempo neanche se la ricorderà più.

Tuttavia, la dedico a chi è rimasto. A chi l’ha lasciata nelle liste, a chi la ricorda con affetto, a chi mi segue dopo tanto tempo e non si è mai fatto vivo e a chi la leggerà per la prima volta, a chi è sempre presente e chi è presente quando può. A Emi ♥ perché è un giorno importante, a Sil, perché Bjorn for president e a C., che qualche giorno fa mi ha scritto su fb una cosa tenerissima proprio su questa storia.

Per quanto concerne Loki e Sigyn in questa storia… leggete tra le righe. Una delle cose che adoro di più di questo carteggio è che Loki sia testardo e si ostini a non sbottonarsi nei confronti di Thor, ma sappiate che Thor si fa delle grasse risate quando legge i deliri del fratello.

Ringrazio con tutto il cuore chi listerà, recensirà o semplicemente leggerà questa storia: a parte gli scherzi (lokini) siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco.

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non ha una sorella di nome Astrid nella realtà, ho scelto il nome Astrid perché è il primo con la A che mi è venuto in mente e, per praticità, lo uso in tutte le mie storie. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe, come questa) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Lo stesso vale per il Thing, per le cariche che Loki ricopre in questa Asgard. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

Vostra,

Shilyss



[1] Per dispensa si intende un corrispettivo delle nostre dispense papali: queste ultime venivano concesse per consentire, previo studio del caso, di violare in parte o in tutto uno o più regolamenti imposti dalla religione. Questa lettera è particolarmente oscura, ma col senno di poi sarà tutto chiaro ^^.

[2] Negli scorsi capitoli, Loki suggeriva a Thor di cercare chi potesse fabbricare un oggetto in grado di incanalare le gemme dell’infinito. Coerentemente col film Ragnarok, costui è il nano Brokk di Nidavellir. Questo personaggio nel mito scaldico ha un pessimo rapporto con Loki – è lui a cucirgli le labbra.

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Capitolo 14
*** Precipitando ***


Capitolo 14

Precipitando

 

Lettera 104

Thor, a volte mi chiedo se hai notato quel piccolo, insignificante dettaglio circa la mia cattività. Non posso uscire da qui. Non c’è perdono nelle intenzioni di Padre Tutto. Non mi libererà. Se guarissi, non sono nemmeno certo del fatto che mi lascerebbe vivere in queste stanze. E lo dico a ragion veduta, nonostante stia facendo il suo gioco, indagando per lui, per Asgard che mi ha rifiutato. Giudichi la mia proposta ignobile, ed è divertente e spassoso, lo dico davvero, vedere come certe parole cariche di disprezzo vi riempiano la bocca, ipocriti che non siete altro, tu e tutti gli altri. È onorevole – e in molti lo hanno fatto, non c’è bisogno che mi ripeta – offrire privilegi e pagare ricche doti alle proprie concubine, amanti o ex spose ripudiate, desiderose di rifarsi una vita – e bada che non sto ammettendo niente. Nostro padre non si è esposto pubblicamente con la famiglia di Sigyn e di Astrid, all’epoca. Non voleva che, favorendoli, la sua relazione diventasse di dominio pubblico, ora lo sappiamo, ma io non ho niente da perdere e mi sembra corretto – non ridere, l’ho scritto per davvero – che Sigyn abbia una ricca dote da parte mia, una che le consenta di essere la felice sposa di chi voglia. Che alternative ha? Nessuna. L’oro la renderebbe appetibile e libera, ripulirebbe l’onore che dite le ho sporcato, le garantirebbe una vita al riparo da me, da Asgard, dal Cacciatore.

Pare, però, che la mia logica stringente vi abbia profondamente offesi tutti. L’ho notato dalla valanga di insulti che mi hanno investito in questi ultimi giorni. Da Sigyn mi aspettavo una reazione particolarmente vivace, ovviamente, sebbene mi abbia stupito la sua ottima mira, degna di un arciere. Ti confesso che ho fatto una certa fatica a evitare il libro che mi ha lanciato contro. Ma proprio questa sua passionale – deliziosa – rivolta alla mia volontà è il segno che si deve pur fare qualcosa per il suo futuro. A prescindere da ciò che quell’impiccione maledetto di Balder va blaterando, siamo stati comunque troppo vicini, e lei, sebbene non abbia mai evitato di alzare i suoi begli occhi su di me, quando mi guarda vede non solo il figlio del suo re, il principe dannato di Asgard, ma l’uomo che ama. E riconoscere l’uomo e dimenticare il dio è pericoloso, per lei. Così, offesa dal mio senso pratico, diserta la torre da alcuni giorni e, per non farmi preoccupare, mi fa avere sue notizie per mezzo di Bjorn e di sua moglie.

 

Lettera 105

Le tue insinuazioni, al solito, sono irritanti, fratello. Persino la tua calligrafia sbilenca mi indispettisce. Io non mi crogiolo nella mia romantica cattiva fama, come l’hai definita tu. Constato. E sia chiaro che non ti sto rispondendo a stretto giro perché sento il bisogno di correggerti e discolparmi – sanno le Norne se non mi prudono le dita di fronte a certe schifezze che scrivi, ma solo per via della fastidiosa insonnia che mi fa rimanere sveglio fin quando non iniziano a cinguettare tutti i volatili di Asgard, che pare abbiano trovato convegno proprio sopra il mio tetto. Quindi, dato che non ho niente da fare perché continuo a essere un pericoloso nemico di Asgard, inganno il tempo vanificando il senso dei tuoi scarabocchi, ammesso che ne abbiano mai avuto uno.

E, soprattutto, faccio quello che dovrebbe fare Balder il Beota anziché seguire piste fantasiose e brancolare (o brucare) nel buio più fitto. È per questo che ho chiesto quei registri, ben conscio che le informazioni che vi troverò saranno false. Ma a me non interessa questo: mi importa di trovare una corrispondenza vaga e capire se c’è un altro erede o meno, magari abbandonato o nascosto. La sua nascita potrebbe essere stata camuffata e spostata di qualche giorno o settimana – mesi persino, chi capirebbe la differenza? Ho smosso anche, grazie ai miei goffi tirapiedi (ma sai come si dice; si lavora con quello che si ha), un po’ del torbido che c’è nei bassifondi di Asgard. Heimdall continua a ripetere quello che già sappiamo. Era a conoscenza dell’interesse del nostro austero genitore nei confronti di della graziosa Astrid, ma non ha idea se ci sia stato un figlio o meno. Allo stesso modo, non sa dire se l’ipotetico principino sia vivo oppure morto – ma immagina che divertimento sarebbe, se fosse proprio lui il cacciatore. Oh, lo so bene, è un’ipotesi così blasfema e irriverente che commetto tradimento solamente a scriverla, ma del resto non ho quasi più niente da perdere – e rischiare, alle volte, fa sentire vivi. No, non stracciare la lettera e continua, fidati di me: ti strapperò senza dubbio qualche risata. Pensa a quanto le nostre posizioni risalirebbero, se il buon Odino scoprisse che l’arrogante primogenito che ha già bandito una volta e che ha osato mettersi in cerca delle Gemme dell’Infinito e il figlio adottivo attualmente incarcerato per aver tradito Asgard in svariate occasioni – ma cos’è, il tradimento, in fondo? Una questione di punti di vista – non sono il peggio che è uscito da lui. Immagina come sarebbe disorientato e furioso se avesse generato una simile disgrazia, capace di offuscare le due che ha già[1]?

Lettera 106

Vedi Thor, sulla sintassi c’è da lavorare e anche sulla povertà semantica delle tue lettere. Le figure retoriche che utilizzi sono o troppo vecchio stile o inefficaci e, nel complesso, le tue frasi non sono per niente musicali. Come se non bastasse, spesso riscontro una punteggiatura distratta. Per quanto concerne l’altra questione, invece, sapevo che saremmo andati a parare sempre sulle solite recriminazioni che, ogni tanto, fingi di aver accantonato per sempre. Com’è che dite, tu e Sif? Che godo del male altrui, che provo una malefica soddisfazione nel veder soffrire chi mi è accanto. E questo anche quando immagino e fantastico su teorie irrealizzabili e strampalate, perché un presunto figlio di Astrid, se ci fosse stato e se fosse vivo oggi, avrebbe la metà degli anni di Balder l’idiota – quindi pochi, decisamente troppo pochi per escogitare un piano così complesso che prevede anche il mio avvelenamento. Essere il figlio naturale di Odino, come dovresti sapere bene tu, non vuol dire necessariamente possedere un lasciapassare valido per sedersi al tavolo degli intelligenti, tutt’altro. Quindi le mie della scorsa lettera erano nient’altro se non oziose, ironiche fantasticherie, che, purtroppo, tu non cogli.

Lettera 107

Sigyn le avrebbe colte, sì, così come avrebbe, se fosse stata qui, capito al volo che un bambino non può essere il Cacciatore.

 

Lettera 108

Ad Asgard piove ininterrottamente da almeno tre giorni e il vento di Jotunheim – freddo e implacabile come l’acciaio, rende tutti più nervosi e intolleranti, persino Bjorn, che nasconde malamente l’impazienza muovendosi di continuo. Ammetto, perché sono estremamente magnanimo e so immedesimarmi negli altri, sebbene tutti voi mi abbiate tacciato recentemente di malvagità e mancanza di empatia, che il suo turno era già finito da un’ora, quando ho acconsentito ad adempiere allo snervante compito che è lo scriverti. Ma non m’importa se ha fame, ha sonno ed è stanco. La sua sofferenza nell’attendere che lo mandi via non è nemmeno la metà del tedio e del fastidio che provo io nello scriverti banalità. E, in fondo, è bene che rimanga qui, visto che nelle locande si vanta del fatto che lo chiamo per nome. Questo è il prezzo per essere cosa, esattamente? Più che un secondino a me sembra un domestico.

Prima che tu me lo chieda, questa lettera non conterrà informazioni rilevanti per il Cacciatore o per le Gemme per la semplice motivazione che non ho niente da dirti. È per questo che non ti scrivevo, Thor, credevo che questo fosse il tacito patto. Ma la maledizione che mi insegue fa sì che le persone che mi sono attorno si agitino sia quando parlo che le volte in cui scelgo la saggia via del silenzio – anzi, a volte pare che il non sentire la mia voce li inquieti ancora di più. La verità è che non ho trovato nulla di rilevante nelle carte che ho esaminato. Niente che valga la pena di essere riferito nelle ciarle tediose di Balder, che ha avuto la malaugurata idea di rovinare la mia giornata palesandosi per dirmi ovvietà. Una su tutte, che ad Asgard corrono strane voci su tutti noi. Roba da non prendere sonno la notte, ti pare?

 

Lettera 109

Se Sigyn tornasse, finirebbe per perdersi definitivamente. La voglio lontana da questa torre, libera da una storia che puzza di sangue e di morte. È vero quello che dici: ha sempre cercato la mia compagnia e, forse, se non fossi stato rinchiuso nelle segrete di Asgard, lei non avrebbe insistito per scendere le strette scale che portano fino alle prigioni. Mi rivolgeva la parola guardandomi negli occhi ed era, allo stesso tempo, esitante e spavalda. Ammiravo – ammiro – anche questo, di lei. Il coraggio che ha dimostrato nel raccontarmi il suo amore per me senza pretendere nulla in cambio, neanche la gentilezza. E so di non essere stato gentile, con lei, mai. Ho cercato di non esserlo e forse, pensandoci, alla fine questo è stato il mio errore. Vedi, fratello, l’ha presa come una cortesia nei suoi riguardi. Deve aver creduto che mostrarle il lato peggiore di me sia stato un modo contorto per proteggerla, per non illuderla. Nella durezza delle mie parole, nel sarcasmo esibito e tagliente, ha rintracciato una flebile luce cui si è attaccata, che ha seguito. Avrei dovuto allontanarla quando sono stato trasferito in cima a questa torre isolata e desolata, ma non ho voluto. È un mio terribile difetto, il voler rendere reali talune illusioni – fantasie.

Immagino che Bjorn non abbia potuto fare a meno di dirti che lei, dopo molti giorni, mi ha scritto, ma, per fortuna, il resto della mia corrispondenza non è affare tuo.

 

Lettera 110

Il potere affascina, intriga, ammalia. E questo non riguarda solamente chi lo stringe tra le dita e chi vorrebbe farlo, ma anche chi osserva lo scintillio delle armature, la finezza dei tessuti, lo splendore dei gioielli, le schiene diritte e gli occhi sfavillanti e immagina, sogna, invidia. Sembra sempre tutto magnifico a chi ammira un’acconciatura elaborata e un’unione che pare perfettamente assortita. Lo scopo del Cacciatore era quello di svelare i segreti più ignobili di Padre Tutto. L’ho già scritto e lo ripeto anche qui, in questa lettera. Bjorn si è offerto di scrivere sotto dettatura, al posto mio. Se ne avessi le forze, ti giuro, lo picchierei per quest’affronto, ma non posso e persino recitare le rune è faticoso, oggi. Siamo nati per essere re e condottieri, non per mostrare incapacità o dolore. Bjorn osserva lo sforzo che faccio per tracciare ogni runa e deglutisce, a disagio. Si morde le labbra, perché ha capito che la sua gentilezza è risultata offensiva ai miei occhi. Si è ricordato di quanto detesti la commiserazione e l’altrui pietà – si è rammentato che un principe di Asgard non teme né la fatica né la sofferenza; una lezione che io e te abbiamo imparato molto bene, ma che altri, nati in anni di pace, non hanno appreso altrettanto a fondo. Presumo sia il prezzo dell’ordine.

Il Cacciatore ha aumentato le dosi del suo veleno. Magari desidera che Sigyn torni e riallacci con me ogni rapporto, gettandosi alle spalle la terribile scoperta della quasi parentela esistente tra noi due. Del resto, qualsiasi colpa è già stata consumata. Acquisita per via di quel figlio morto a poche settimane dalla nascita che avrebbe potuto riscrivere le sorti di Asgard, di quel nostro fratello le cui spoglie, anziché essere tumulate insieme agli altri membri della casa di Odino, giacciono in un anonimo campo, insieme alle ossa estranee dei contadini che ne hanno lavorato la terra fino allo sfinimento. So che Heimdall ti ha già raccontato il come e il dove. So anche che trovi tutto questo terribile, ipocrita e ingiusto, ma non rifilarmi la menzogna che ne sei stupito, te ne prego. Non adesso, non a questo punto. Non dopo tutto quello che Padre Tutto ha fatto a me. Una simile ingenuità da parte tua è l’ennesima conferma del fatto che sei inadatto al governo di qualsiasi cosa – non ti affiderei nemmeno un drakkar mezzo affondato, fratello[2].

 

Lettera 111*

Preferisco rispondere alle tue lettere a voce, guardandoti in viso. Ma se tornerai, se non riuscirai a resistere al desiderio di ascoltare quello che ho da dirti – ma lo vuoi davvero sapere? – rimarrai intrappolata, di nuovo, nei contorti intrighi di Odino. Come me. Ma mentre io sono condannato a una prigionia lunga tutto il resto della mia vita e, allo stato dell’arte, mi è impossibile andarmene, tu sei libera di dimenticare e di lasciarti tutto alle spalle. Di accettare i miei doni che non hanno nulla di sconveniente e molto di pratico, anche. Agisci come devi, brucia questa lettera e presta attenzione a tutto quello che ti circonda, mia cara Sigyn.

 

 

Lettera 112

In qualcuna delle lettere che ti ho scritto nei mesi passati – ma a volte sembrano anni – ti ho detto che, alla fine, ho ricordato la fine del magnifico lupo di nostro padre. La memoria funziona così, va coltivata ed evocata in mezzo al groviglio composto dal nostro passato e dalla somma dei giorni che si sono confusi gli uni con gli altri. Da quanto dura la mia prigionia, Thor? Astrid è morta mesi o anni fa? A volte lo dimentico, fratello, e mi sembra di essere rinchiuso qui da secoli. Quelle sere in cui mi avvicinavo lentamente e con la massima cautela alla gabbia fissando gli occhi gialli e feroci di quella magnifica bestia, del lupo inferocito che sfidava l’autorità di mio padre, avrei dovuto sapere – e forse, in una qualche recondita parte di me, ne ero già vagamente cosciente – di stare osservando nient’altro che il mio destino. Le Norne, Thor, sono beffarde quanto abili: a volte, si divertono nel mostrarci, sotto altre spoglie, la trama che stanno già filando per noi. A vederlo da questo cupo punto di vista, il malessere che provavo fissando la cattività del magnifico e spaventoso lupo non era altro che il presentimento della prigione che, a sua volta, attendeva me. Gli ingranaggi della trappola che mi avrebbe rinchiuso si erano già messi in moto, la promessa del trono su cui solo il più meritevole tra di noi si sarebbe potuto sedere aveva cominciato a invadere i nostri sogni di ragazzini. Il lupo non si è lasciato morire di fame, sebbene rifiutasse coraggiosamente il cibo. È una delle mie colpe, un’altra delle molte che mi impediscono di sollevare Mjollnir ed essere degno. Presumo che non sia considerato onorevole liberare un feroce lupo – mi ha guardato fino alla fine e solo in quel momento lo ha fatto senza alcun rancore. Forse, vedeva già in me il prigioniero che sarei stato – che sono.

Sai che lei è tornata anche se non avrebbe dovuto farlo. La scusa che ci siamo raccontati è che voleva conoscere l’ubicazione esatta della tomba dov’è sepolto il nipote che non sapeva di avere – il nostro fratellastro. Heimdall sostiene che se non fosse nato sarebbe stato tutto più semplice, ma che la sua morte non fu affatto voluta. Se n’è andato come capita a volte agli infanti, ma il sospiro che ha strappato dal petto di Odino è stato, con tutta probabilità, di dolore e di stupore. Le Norne lo hanno favorito eliminando un erede scomodo, più ingiustificabile di quanto lo sono stato io. Perché io, Loki di Asgard, ho meritato quest’appellativo. Me lo sono guadagnato sputando sangue nei campi di battaglia, consumandomi gli occhi sulle pergamene rosicchiate dai topi che contenevano i segreti degli incantesimi che, poi, ho imparato a padroneggiare. Quando le mie vere origini sono state rivelate, ero già il principe degli Æsir che comandava la marca settentrionale[3] – che scelta oculata e inevitabile, quella di nostro padre, non ti pare? Assegnarmi il feudo che sapeva confinante con quello del padre che mi generò e che ha vissuto considerandomi troppo debole per vivere.

Lei è tornata e il lutto non le dona, anche se l’oro dei suoi capelli splende di più, se le ciocche scendono e si arrotolano sulla seta scura e sul velluto color tenebra. Il veleno che mi corrode, quella sera, era tenuto a bada da uno dei medicamenti di nostra madre. Per una volta, è stata lei a raccontare, a parlare del tumulo semi nascosto che si confonde in mezzo all’erba alta. La sua voce non palesava nessuna particolare inflessione, come se si fosse svuotata di ogni tristezza, ma io sentivo – vedevo, percepivo, il lavoro che deve aver fatto su sé stessa. Ha ricostruito assenze e menzogne. Col senno del poi, capire che sua sorella si era allontanata dalla famiglia perché incinta e che i suoi genitori hanno coperto la gravidanza e il parto è stato palese. Si è sentita ingannata, usata. Bjorn ti dirà che l’ho trovata bella e che l’ho consolata.

 

Lettera 113

Sigyn è tornata da me senza accettare i miei doni, senza ascoltare le mie parole. Te l’assicuro, fratello. Mi ha chiesto di tacere e di lasciare che fosse lei a spiegare. Ha la compostezza e la nobiltà di una grande dama e lo spirito infuocato di una guerriera, sotto quello strato di dolcezza che è un balsamo per me – eppure, se è qui, è per colpa mia, solo mia. E non me ne pento, anzi. Non sopporta la lontananza, dice, non sopporta gli altri, che la fissano con quegli sguardi di disapprovazione che io conosco così bene. Niente è definito, tra noi, tutto è rimasto sospeso, cristallizzato, imprigionato. Come sono io, come siamo noi.

Padre Tutto è venuto a farmi visita, interrompendo meno cose di quanto Bjorn o tu immaginiate, ma più di quanto è lecito che sappiate. Non è stato un incontro piacevole, chiaramente, ma credo che tu, di questo sia stato avvertito già. Non fingere con me di essere stupito e non piantarmi le tue solite sequele di recriminazioni – a me, dico, a me! – su quello che avrei o non avrei dovuto dire a Odino. Come se tu non avessi mai risposto in maniera insolente e inopportuna al tuo venerabile re e padre – l’ordine col quale li ho scritti non è casuale, no, per nulla. Prima siamo sudditi, generali piegati ai suoi ordini e poi, solo in seconda battuta, figli.

Abbiamo parlato di quel fratellastro forse più fortunato di me e di te. L’ho guardato nel suo occhio così spietato e gli ho chiesto come ha potuto negare al sangue del suo sangue una sepoltura degna. Ho insinuato anche altro. Ho sollevato colpe, gettato ombre, immaginato soluzioni. E lui mi fissava senza rispondermi, fratello, con un sorriso triste e beffardo sul suo viso segnato dalle rughe. “Conosci la mia testa molto bene, ma non il mio cuore,” ha replicato, e l’ha fatto con disprezzo o disincanto, non so decidermi. Gli ricordo il lupo che non è riuscito a piegare, lo sappiamo entrambi. Ma mentre io ho dimenticato come morì quella bestia, lui ci ha pensato continuamente da allora. Dite spesso che ci assomigliamo. Lo sostieni tu quando desideri ferirmi, lo borbotta tra i denti Balder sperando che io non lo senta, lo sospira nostra madre. Ma in realtà, io e Padre Tutto non ci capiamo. Forse è un difetto di questa presunta somiglianza, come quando, nel tentativo di vedere più chiaramente un oggetto, lo avviciniamo troppo ai nostri occhi finché quest’ultimo perde contorni, colori, significato. Ha minacciato di farmi tornare nelle celle sotterranee di Asgard, giurato che non mi libererà mai, sostenuto che la mia irriverenza corrisponde a un tradimento. Gli ho detto che ha ragione e non ho saputo resistere alla tentazione di dirgli che è lui l’obiettivo, la causa, lo scopo del Cacciatore. È evidente che non sono l’unico a conoscenza delle sue colpe, delle molte ipocrisie che nasconde sotto l’immagine del sovrano giusto. E lì, fratello, sono certo di aver colto un bagliore, nel suo sguardo, una consapevolezza che solo le recenti riflessioni hanno reso limpida. Te ne parlerò a voce, quando saremo soli.

 

Lettera 114

L’idea di rimettere in piedi il cifrario che usavamo quando eravamo due ragazzini è senz’altro molto poetica e nostalgica, ma temo che sarebbe comunque una mossa poco accorta, da parte nostra. Quando eravamo poco più che bambini le nostre malefatte non destavano tanta preoccupazione quanta ne solleverebbero oggi. Al tempo non avevamo ancora sfoggiato il nostro potenziale, sebbene un occhio attento avrebbe già potuto rintracciare quello che saremmo diventati. La tua forza prodigiosa si era, se ben ricordo, già ampiamente mostrata nelle gare di lancio del tronco, di sollevamento dei massi. La mia intelligenza veniva messa in luce dai piccoli incantesimi che già riuscivo a controllare e a modificare a mio piacimento e da qualche scherzo davvero divertente e ben piazzato. Ma, in fondo, che potevamo mai fare? Prendere i cavalli e inoltrarci nella foresta? Andare a caccia senza permesso? Qualche scorribanda nei regni vicini, fatta al solo scopo di esplorare, conoscere, stupirci di cose nuove? In fondo, eravamo innocui e inoffensivi. D’accordo, in alcuni casi le nostre ragazzate si sono rivelate un po’ più difficili da gestire dal previsto, ma in fondo siamo nati per essere re, giusto? Tornando a noi, oggi, se Padre Tutto intercettasse qualcosa di cifrato, se venisse a sapere da una delle guardie che mi controllano che la tua tanto amata corrispondenza è meno limpida di quanto dovrebbe, cosa credi che farebbe? Appunto.

 I miei secondini bevono e giocano a carte con me e si comportano più come dei domestici servili che come dei carcerieri, ma non mi fido di loro a tal punto da affidargli quello che ho da dirti. Del resto, credo che tu possa tornare ad Asgard senza che l’ira di Odino si abbatta con troppa violenza su di te. Nascondere la gemma è stato un gesto legittimo e lungimirante, lo sa anche lui. E finché resta irraggiungibile, da qualche parte, è lontana anche dalle grinfie del Titano. Per certi versi, la mia prigionia è quasi una fortuna. Se mi sapesse libero non esiterebbe a chiedermi di saldare i molti conti che abbiamo in sospeso. Ho visto come agisce, conosco la logica della sua mente disturbata.

 

Lettera 115

Il veleno mi debilita, ma non fino al punto di impedirmi di cercare un rimedio efficace, un siero, una cura in grado di ridarmi le forze. A sfiancarmi nei pochi giorni che sono intercorsi dalla tua partenza è stato Balder il Beota, con le sue inutili lagne. A me non può importare di meno che si senta in colpa per non avermi dato retta, anzi. Merita di sentirsi uno straccio. Se avesse atteso, se si fosse fidato della mia capacità di giudizio – delle mie intenzioni, a lui, non deve interessare – quel poveraccio non sarebbe morto invano e il Cacciatore non avrebbe riso della vostra stupidità. Ed è questo quello che mi fa infuriare di più. Balder, dicevo, mi ronza attorno inviato da Padre Tutto, che desidera spiarmi per poi piegarmi. Le mie prese di posizione non gli sono piaciute e temo che il mio soggiorno in questa torre così arieggiata e assolata sia a rischio. Ma il piacere di dirgli in faccia quasi tutto quello che penso non aveva prezzo, Thor.

Nel tentativo di trovare il rimedio che i cerusici di Asgard non sono riusciti a rintracciare, mi sono venuti in mente un po’ di posti dove il Cacciatore potrebbe rifornirsi; oscure botteghe di speziali, sedicenti veggenti e un considerevole numero di cialtroni più o meno dichiarati affollano i mercati vicino al porto del fiordo. E se il nostro assassino, che ha accesso alle sale più splendenti del palazzo del re degli Æsir e riesce a mettere del veleno nel cibo o nell’acqua dell’ingannatore, si rifornisse proprio dai più sudici tra i venditori di erbe, medicamenti e unguenti? Non appena le mie condizioni si sono rivelate in tutta la loro criticità fu dato ordine, questo è vero, di controllare con discrezione la provenienza degli ingredienti atti a creare simili veleni mortali, ma io stavo troppo male per poter agire in prima persona, la notizia che ero stato colpito dall’assassino andava tenuta nascosta il più possibile e l’indagine fatta non è stata svolta con la perizia con cui l’avrei condotta io, non foss’altro perché mancavano, all’appello, alcuni degli ingredienti del veleno stesso. Senza la ricetta completa della pozione che mi ha avvelenato per settimane o mesi, chi può dirlo, capire chi poteva approvvigionarsene, dove e in quale modo era praticamente impossibile. Ma adesso, finalmente, so cosa mi è stato dato e so chi potrebbe aver visto o aiutato il nostro assassino.

 

L’angolo di Shilyss

Care Lettrici e cari Lettori del mio cuore ♥ ♥!

Sono passate troppe, troppe settimane dal mio ultimo aggiornamento in generale e quindi eccomi qui, sempre con loro e deliziata dalla visione di What if. Spero che sia rimasto qualche lettore paziente che sopporta i miei lunghi silenzi – ah, che tempi quelli in cui aggiornavo tutte le settimane in maniera costante! – ma la real life è la real life e, talvolta, per scrivere c’è bisogno di un momento di calma e di tranquillità.

Siamo quasi alle battute finali di questa storia, nel senso che Loki pare aver raccolto diversi indizi in questi ultimi due capitoli. Chi sarà ‘sto benedetto Cacciatore?

Ringrazio con tutto il cuore chi listerà, recensirà o semplicemente leggerà questa storia: a parte gli scherzi (lokini) siete importanti e sappiate che leggo tutti i vostri commenti e non vi mangio. Spesso non rispondo pubblicamente, ma se vi palesate lo faccio e sono molto alla mano, ecco.

Ricordo che il personaggio di Sigyn, tolto quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia, è una mia personale interpretazione/reinterpretazione/riscrittura. Non ha una sorella di nome Astrid nella realtà, ho scelto il nome Astrid perché è il primo con la A che mi è venuto in mente e, per praticità, lo uso in tutte le mie storie. Non vi autorizzo a ispirarvi o peggio a questa versione o alle altre storie da me postate né qui né altrove (peggio mi sento con le fiabe, come questa) e lo stesso vale per gli headcanon su Vanheim, su Loki o su Asgard stessa. Lo stesso vale per il Thing, per le cariche che Loki ricopre in questa Asgard. Creare un mondo con usi e costumi non è uno scherzo.

A presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose, vi si lovva (e spero voi lovviate me).

Vostra,

Shilyss



[1] Loki volutamente non cita Balder, che nella mitologia è il figlio bravo e assennato di Odino e che, dal suo punto di vista di fratello maggiore, è un inetto.  

[2] Una citazione vaghissima al mio universo “Tutte le tue bugie”, dove Loki e Thor idolatrano un drakkar da corsa ereditato da Odino.

[3] Questo dettaglio, già espresso nella long, è un mio headcanon.

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