Tutte le donne del comandante

di Marauder Juggernaut
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Yuma del Regno Ryugu, parte 1 ***
Capitolo 2: *** Yuma dal Regno Ryugu, parte seconda ***
Capitolo 3: *** Kalliope della tribù dei Gambelunghe, parte prima ***



Capitolo 1
*** Yuma del Regno Ryugu, parte 1 ***


Doverose - doverosissime - note iniziali: 
Dovete sapere che non ho resistito; l'idea iniziale era di pubblicare domani questa storia, ma la verità è che non ho saputo trattenermi e ho voluto pubblicarla stasera. Questa storia avrebbe persino dovuto avere un banner, ma dopo il sesto tentativo ho rinunciato perché sono negata con la grafica.
Perché questa storia per me è importante. Come mai? Io ho una grande avversione verso i cosiddetti original character, sviluppatasi e ingigantitasi quando mi sono ritrovata sotto occhio tante, tantissime fanfiction contenenti personaggi originali perfetti. I tristemente famosi Mary Sue e Gary Stu, senza difetti, belli e dannati, a cui nessuno dei personaggi dell'opera sa resistere e con cui intrecceranno relazioni travagliate ma dall'happy ending.
E da questo mucchio non mi tiro fuori, perché ho sempre avuto l'impressione che se avessi creato un personaggio originale non sarebbe stato tanto diverso; per questo motivo praticamente tutte le mie storie hanno come protagonisti i personaggi veri dell'opera.
Open Window è stata l'eccezione, ma il personaggio là descritto era davvero qualcosa di talmente evanescente da passare in realtà in secondo piano, lasciando posto al vero protagonista della storia.
Qui è diverso, più o meno. I personaggi originali saranno presenti in dose consistente, co-protagoniste dell'opera. E io in questa storia, qualora abbiate voglia di commentare, vi chiedo di essere davvero critici; di dirmi se i personaggi scivolano nell'essere perfette oppure ho saputo dare la giusta dose di qualità e difetti che ogni personaggio, di ogni opera in generale, merita e possiede. Perché non si può mai migliorare davvero nella scrittura se si resta nella comfort zone e non si superano i limiti che si è imposti a se stessi in questo campo.
Marauder Juggernaut

Ps. Il titolo dell'opera è la -banale- citazione a un film. Vediamo se lo conoscete.

 





Tutte le donne del comandante 
 
 
 
La donna è nata dalla costola dell'uomo. Non dai piedi, per essere calpestata,
non dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale, 
sotto il braccio per essere protetta, accanto al cuore per essere amata.
(William Shakespeare)



Non fare domande di cui non si vuole sapere la risposta.
Una regola non detta, una legge non scritta, un dogma che era implicitamente entrato nell’inconscio di tutti i fratelli Charlotte. Magari il quesito si trovava propria sulla punta della lingua, premeva contro i denti e contro le labbra per uscire, ma il fiato si spezzava in gola e restavano solo non detti.
Cracker, come ti sei fatto quella cicatrice?
Perospero, perché sei così forte eppure non sei un Dolce Comandante?
Amande, perché sei così sanguinaria?
Tutte domande che non avrebbero trovato mai risposta perché nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di porle ai diretti interessati.
Katakuri, perché non sei sposato?
Questa in particolare lasciava spaesati parecchi fratelli. Erano in molti, in realtà, a non essere sposati nella famiglia Charlotte, ma Katakuri era il mistero più grande. Era un bell’uomo, era protettivo e dannatamente potente; solerte nel proprio lavoro. Perospero raccontava che era stato proprio Katakuri a dire alla madre, dopo aver ottenuto la carica di Dolce Comandante, che non si sarebbe più sposato.
“Sono la lama più affilata di questa famiglia. Devo mantenermi tale in ogni momento. Non avrò tempo per una moglie.”
Flambé era contenta di questo. Si mangiava con gli occhi il fratello maggiore e godeva dell’idea che non ci sarebbe mai stata una donna che avrebbe occupato il cuore di Katakuri. Ma Flambé aveva trentatré anni in meno del secondogenito maschio e non sapeva cosa era successo prima; anche perché la famiglia non ne parlava – e quando accadeva, lo faceva velatamente, per doppi sensi.
Forse perché la storia era quasi patetica da ascoltare – avrebbe macchiato la perfetta icona del terzogenito Charlotte; forse perché Katakuri stesso non voleva che si sapessero in giro i fatti propri.
Perché di Charlotte Katakuri di donne ne aveva avute.
E aveva amato ciascuna di loro. Appassionatamente, ferocemente, dolcemente, fino a perdere tutto il fiato che aveva in corpo e tutta la fiducia che aveva in quella vasta porzione di futuro che non riusciva a prevedere.
Ma il vero problema – che pochi conoscevano – era sempre stato lo stesso.
 
 
 Yuma dal Regno Ryugu, parte prima
 

La prima in assoluto fu Yuma.
Una sirena direttamente dall’Isola degli Uomini Pesce, quando Katakuri aveva solo sedici anni. Era più grande di lui di tre anni, ma il terzogenito Charlotte possedeva già la fisionomia di un uomo più adulto e maturo.
Yuma aveva i capelli turchesi legati in una corona di trecce e una coda grigia talmente grossa e lunga da far passare la proprietaria per un mostro marino, se vista nuotare un poco al di sotto della superficie. Cosa che era capitata a Katakuri; l’aveva arpionata col proprio tridente, ma l’urlo che ne era susseguito aveva fatto intuire al pirata che ciò che aveva colpito era più umano di quanto immaginasse. Il sangue aveva colorato l’acqua di un inquietante scarlatto e, capendo il madornale errore, il giovane uomo si era tuffato in mare per provare a porvi rimedio in qualche modo.
L’aveva presa e trascinata sulla terraferma, la sirena tremava tra le sue braccia e la ferita non accennava a smettere di sanguinare. Katakuri si sentiva quasi in colpa mentre Compote, compresa la situazione, risolveva la questione con delle medicazioni e delle bende sommarie. Lei non diceva una parola, paralizzata dal dolore e dalla paura di cosa sarebbe accaduto dopo. Non si fidava dei pirati.
«Ti avevo scambiato per un mostro marino» giustificò Katakuri una volta che la sorella maggiore ebbe finito.
Sul viso affilato della sirena passarono prima lo sconcerto e poi lo sdegno. Nulla la fermò dal tirare due schiaffi sul viso del pirata, prima con una mano e poi con l’altra. Il giovane uomo rimase spiazzato a guardarla mentre, incurante della ferita, lei si ributtava in acqua.
«Te li sei meritati entrambi». Quello fu l’unico commento di Compote che aveva osservato stupita la scena.
 
Katakuri non aveva ancora sviluppato haki della percezione abbastanza da prevedere le intenzioni degli altri, ma gli era sufficiente per avvertire tutte le presenze sull’isola su cui si trovava stanziata la ciurma di Charlotte LinLin in quel momento; anche quella che si era rintanata in un’insenatura che si restringeva in una grotta fra le rocce della costa frastagliata.
La ferita non smetteva di sanguinare.
«La ferita sta andando in suppurazione» fece notare Katakuri una volta che l’ebbe trovata. Era attrezzato con bende pulite, farmaci e strumenti chirurgici: il medico della ciurma e la sorella maggiore gli avevano insegnato qualcosa a riguardo.
«Temo l’abbia già fatto…» ribatté lei e il giovane uomo aveva poté godere della sua voce per la prima volta; era rauca per il dolore e lo sforzo.
«Sono qui per aiutarti.»
«Non ne ho bisogno». Una testardaggine e un orgoglio che stavano cominciando a dare fastidio a Katakuri.
«La realtà dei fatti dice altro». Fece un nuovo passo in avanti sul pavimento umido di quella grotta invasa per metà dal mare.
Lei strisciò indietro. «Non ci guadagni nulla nell’aiutarmi».
«E tu muori se non ti aiuto». La prospettiva così reale della morte abbatté quel muro di diffidenza che la sirena si era costruita intorno. Distese la lunga coda e le bende sfibrate che aveva applicato qualche giorno prima Compote ondeggiarono fradice e pesanti.
«Sai come si usano quelle cose che hai in mano?» chiese scettica dopo aver esposto la delicata ferita alle mani inesperte di Katakuri.
«Più o meno» rispose l’altro, guadagnandosi un’occhiata spaventata e poi imbufalita.
Lei gli strappò il bisturi di mano. «Dà qua. Tutto da sola mi tocca fare.» Guardò il ragazzo che a sua volta la stava fissando con un’espressione che diceva a chiare lettere “E adesso?”.
«Io chirurgo, tu infermiera» decretò, pronta a incidere la propria stessa carne. La lama del bisturi si avvicinò alle scaglie brillanti, prima di bloccarsi terrorizzata.
Katakuri sbuffò divertito, contento di essere ancora una volta dalla parte della ragione e rovistando alla ricerca di una bottiglia di vetro marrone. Guardò ancora la sirena. «Se vuoi, faccio io e tu ti bevi il rhum».
L’altra valutò valutare quell’offerta allettante, con ancora il bisturi sollevato a pochi centimetri dalla coda di pesce. «Quanto rhum hai?»
«Quanto basta» spiegò, mostrando altre bottiglie.
«Affare fatto» confermò, tendendogli il bisturi e afferrando la bottiglia, attaccandosi direttamente al collo. Aveva cambiato idea in fretta e per Katakuri sarebbe stato meglio avere un corpo senza sensi su cui lavorare. O che come minimo non avrebbe sentito il dolore dettato dalla sua inesperienza.
 
«Il mio nome è Katakuri Charlotte» si presentò una volta finita quella penosa operazione di drenaggio. Si stava asciugando le mani dal misto di sangue e altri fluidi corporei. Aveva cambiato le bende e applicato delle pomate antibiotiche, sperando che ciò bastasse a rimediare a tutto.
Chinata su una pozza di acqua marina, la sirena alzò la testa dopo aver tentato in tutti i modi di non rimettere anche lo stomaco in seguito a tutte le bottiglie di rhum che si era bevuta per sopportare l’operazione di un medico incapace.
Si lasciò cadere sulla schiena, con un rivolo di bile che le colava dalla bocca, ma abbastanza cosciente da saper mettere in ordine delle frasi sensate. «Non serve che me lo dici, bimbo. Li leggo gli avvisi di taglia…» bofonchiò, concentrata sul soffitto roccioso della caverna per non farsi prendere dai capogiri.
«Io non ho avuto l’onore di leggere il tuo» ribatté sarcastico, buttando da una parte il panno sporco e voltandosi ancora verso di lei che non si accennava a muoversi.
«Né lo avrai mai. Yuma, dell’esercito di Re Nettuno» affermò, prima di addormentarsi colma di alcool e stanchezza.
 
«Perché sei ancora qui?» domandò sorpreso Katakuri, tornato alla grotta giorni dopo, avendo avvertito ancora una volta la presenza lì. A onor del vero, la presenza da quella caverna non se ne era mai andata.
Yuma gli scoccò un’occhiata disinteressata, ma almeno si degnò di rispondergli: «Non sono così matta da cominciare una nuotata fino al regno di Nettuno con la coda in queste condizioni».
«Non ti ha però impedito di andartene alla svelta dopo avermi preso a schiaffi» le ricordò piccato.
Lei sembrò offendersi; la sua bocca si aprì in una perfetta “o” di puro smacco. «Mi hai dato del “mostro marino”, era il minimo che ti meritassi…».
«La tua coda è enorme, è stato un errore pienamente giustificabile».
La sirena, dopo quella frase, si raggomitolò su se stessa, avvolgendo le braccia attorno alla propria coda argentata, come per proteggerla. Il suo viso si contrasse in una smorfia in parte di dolore per la posizione assunta e in parte di sdegno e voltò la faccia con un gesto di stizza pur di non guardare in faccia Katakuri.
«È un difetto difficile da nascondere…» ribatté semplicemente e il secondogenito maschio della famiglia Charlotte avvertì la morbida sciarpa che portava attorno al collo farsi più pesante del piombo.
«Non ho detto che era un difetto» provò a giustificarsi e per la prima volta nella vita Katakuri sentì la propria voce abbassarsi fino a venire meno. Resistette in silenziò all’occhiata dubbiosa che Yuma gli stava lanciando. Lei distese nuovamente la coda: probabilmente il dolore si era fatto più forte.
«Forse per te no, ma per altri è stato motivo di divertimento. Non ci sono così tanti tritoni o sirene dalla coda a ventaglio così grande e lunga. E inoltre impedisce i movimenti nelle zone strette o non del tutto sommerse» si lamentò lei, dando dei colpetti dove ci sarebbe stata la coscia.
«Ti rende una preda facile» osservò, avvicinandosi di un altro passo.
Lei lo squadrò diffidente. Gli occhi erano di un intenso blu oltremare, tremendamente limpidi ed espressivi da renderla leggibile come un libro aperto.
«Sì, proprio così…». Sembrava sentirsi minacciata dalle parole del giovane pirata, che si immobilizzò  e alzò le mani con un gesto involontario, come a voler dimostrare di non avere cattive intenzioni.
Lei si ricompose subito. «Faccio il soldato proprio perché non sia troppo facile». Katakui non disse nulla, si limitò a studiarla per un’ennesima volta, come se non conoscesse già a memoria ogni fossetta del suo viso, tutti i tratti del suo collo, ognuno dei particolari della sua armatura.
«Perché non togli l’armatura? Deve essere pesante…». Yuma arrossì scandalizzata e Katakuri solo in quel momento realizzò cosa le aveva effettivamente chiesto; avrebbe dovuto formulare meglio la proposta.
«Vuoi un altro schiaffo?» ironizzò senza nascondere l’offesa, stringendo le braccia al petto come per nascondersi, come se non bastasse la robusta armatura che tintinnò a contatto coi suoi bracciali.
«Ho espresso male il concetto».
«Hai espresso molto male il concetto» lo corresse lei, strisciando indietro e urtando con le spalle la parete della caverna. Un animale in trappola.
Katakuri fu colto da un dubbio. Fece un passo in avanti; come a confermare le sue tesi, la sirena si mise in guardia con la serietà e la rapidità di un lupo e, impercettibilmente, tremò. Per un istante le spalle venivano scosse da un brivido ogni volta che il terzogenito Charlotte si muoveva.
Il giovane pirata corrugò la fronte. «Hai paura di me perché sin da subito hai capito il divario di forza tra di noi. Questo l’ho capito…» spiegò, facendo un altro passo in avanti; e un altro ancora. «Quello che non ho capito è cosa temi che ti faccia». Si inginocchiò di fronte a lei, ormai premuta contro l’umida parete della roccia senza alcuna via d’uscita; il suo sguardo blu era pieno di tensione scalpitante.
Katakuri continuò: «Che ti uccida? Che ti violenti? Che ti venda a mercanti di schiavi?».
Era palese che lei volesse unicamente spingerlo via per scappare – strisciare – fino all’insenatura marina e nuotare più lontano possibile da quel luogo; ma era chiaro persino a lei che, anche se ci avesse provato, quella sua lunga e scomoda coda sarebbe diventata un ostacolo e non sarebbe arrivata all’acqua prima che Katakuri la catturasse.
«Sei un pirata» rispose solamente; un titolo che poteva legittimare le intenzioni che Katakuri stesso aveva elencato. Non si sarebbe fidata lui.
Il giovane uomo non si mosse dalla propria posizione, ma anzi i suoi occhi si fecero più seri e penetranti e fu quasi tentato di avvicinarsi ancora. «Non farò nulla di quello che immagini» la rassicurò con tono basso, anche se ciò non sembrò calmare la sirena che stava ancora sull’attenti.
«Perché sei venuto qui, oggi?» chiese Yuma diffidente; il tono duro cercava di dissimulare inutilmente il tremore della voce.
«Fare conoscenza».
 
 
«Così tua madre vorrebbe creare una famiglia dove tutte le razze del mondo vivono in armonia?» domandò sorpresa Yuma, la punta della sua enorme coda sommersa nell’acqua per sfuggire a quella insopportabile calura dell’estate.
Katakuri annuì. «Il sogno sarebbe quello» confermò, sentendo il sudore colare lungo la tempia e dietro la nuca, scorrendo sul collo. Una vampata di calore lo colpì in pieno e sentì davvero il bisogno di buttarsi in acqua per trovare un minimo di refrigerio. Anche solo togliersi la…
No.
«E ci sta riuscendo?». La curiosità di Yuma pareva davvero ingenua.
Katakuri rifletté per un istante, alzando gli occhi al soffitto. Radunare tutte le razze che vivevano sulla Rotta Maggiore, in ogni mare e nel Nuovo Mondo, ci stava riuscendo; piccoli passi alla volta, non razzie di specie contro la loro volontà. Quello sì.
Sull’armonia, Katakuri avrebbe avuto da ridire per colpa della madre. Era solita riempirsi la bocca di belle parole sull’amicizia e l’affetto che ognuno in quella ciurma avrebbe dovuto provare nei confronti degli altri. Katakuri amava i suoi fratelli; non poteva dire lo stesso della madre nei confronti dei figli. Le cicatrici che portava sulle guance gli fecero male per un singolo istante, un dolore fantasma.
«Più o meno». Non indorò la pillola e quella sua schiettezza rese diffidente la sirena che lo fissò storto per alcuni secondi. Il suo sguardo fisso non accennò ad attenuarsi mentre si faceva un poco più vicina, strisciando sulla coda.
«Katakuri, ma non hai caldo con quella sciarpa?».
Come contrasto, a sentire quelle parole il giovane uomo gelò. Sarebbe stato da ingenui credere che Yuma non notasse quel particolare; lo sarebbe stato meno sperare che non facesse mai domande a riguardo.
«Sto bene così» il tono risultò più duro di quanto in realtà volesse. Yuma sembrò capire l’antifona e rimase immobile, sebbene fosse chiara sul suo volto la voglia di chiedere di più a riguardo. Perlomeno sapeva cosa fosse la discrezione e Katakuri le fu davvero grato per questo.
All’improvviso un ghigno apparve sul suo volto affilato e il pirata sapeva di non doversi aspettare nulla di buono; si mise in guardia, diffidente.
La voce di Yuma si trasformò in un miagolio divertito e sornione. «Eppure mi sembri parecchio accaldato, Charlotte Katakuri. Quello che sto per fare è tutto per il tuo bene…».
«Cosa hai intenzione di…» non ebbe il tempo di concludere la frase che un’onda d’acqua proveniente dalla pozza lo travolse in pieno. La sua irritazione fu però dissipata dalla risata divertita della sirena, che agitava la grossa coda appena usata come secchiata impropria.
Katakuri provò a fare un passo nella sua direzione, ma questa si era già immersa completamente in acqua allontanandosi verso chissà dove e lasciando al giovane pirata per quel pomeriggio nient’altro che l’ipnotica eco della sua risata.

 

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Capitolo 2
*** Yuma dal Regno Ryugu, parte seconda ***


Note autrice: Non ci sto credendo nemmeno io.


 
Yuma dal Regno Ryugu, parte seconda
 


«Mama, ma sai che Katakuri avrà una moglie?». Il secondogenito maschio sentì davvero il bisogno di strozzare Cracker in quel momento. Lo freddò con uno sguardo che fece rimpiangere al fratellino di aver parlato – o di essere nato in generale.
Ma ormai il danno era fatto. La piratessa si voltò sorpresa verso il secondogenito maschio, squadrandolo con disappunto da capo a piedi.
Rise, con un tono di sufficienza. «Cosa vuol dire questo, Katakuri?».
Il pirata si fece serio, sostenendo lo sguardo curioso e indagatore della madre; ma prima che potesse rispondere, Perospero si intromise con un sorriso malizioso che rendeva la sua bocca ancora più grande e agghiacciante. «Katakuri sta corteggiando una sirena che ha inavvertitamente colpito col proprio tridente poco più di un mese fa, perorin».
A sentire di quella nuova razza da aggiungere alla collezione famigliare, Charlotte LinLin si fece più interessata, uno sguardo languido che infastidiva Katakuri.
Non la stava corteggiando. Non era interessato a quello, non del tutto forse. Cercava solo una discreta compagnia al di fuori di quella famiglia che sembrava sul punto di allargarsi sempre di più: sua madre era nuovamente incinta e ciò significava che Katakuri sarebbe stato il maggiore di altri fratelli ancora.
Il capitano rise. «Chi avrebbe pensato che proprio tu tra tutti trovassi qualcuno…» insinuò poco velatamente la madre, riferendosi con un non detto alla sua bocca deforme.
Katakuri avvertì la bile risalire dallo stomaco per la rabbia. Mai come in quel momento aveva sentito la voglia di attaccare la propria madre; attaccare per fare male. Strinse la presa sull’impugnatura di Mogura fino a far sbiancare le nocche, mentre la pirata continuava con i propri vaneggiamenti.
«Dovrai portarla alla famiglia un giorno o l’altro…».
«È molto schiva ed essendo dell’esercito regolare del Regno Ryugu, non è auspicabile per lei farsi vedere in compagnia di pirati, al momento…» si giustificò rapidamente Katakuri, sperando che, nel contraddire la madre in quel modo, fosse stato comunque rispettoso del suo ego.
«Un soldato, eh? Meglio ancora, non dovremo spiegarle l’arte del combattimento!» esclamò estasiata il capitano al pensiero sempre più concreto di aggiungere alle proprie fila la razza delle sirene grazie a uno dei propri figli. Charlotte LinLin sorrise avida e zuccherosa. «Vedi di non fartela scappare, Katakuri!».
Il figlio non rispose. Si limitò a fissarla e a fare un cenno del capo, nascondendo dietro la calma l’incontenibile voglia ammutinarsi al proprio capitano.
 
«La tua coda sta guarendo…» notò Katakuri osservando come la carne oltre le squame si stesse ricompattando, lasciando cicatrici come ricordo del macabro incontro.
Yuma esaminò lei stessa le tracce delle punte di Mogura rimaste sulla coda; allungò la mano per andare a sfiorarle con le dita, sobbalzando appena quando avvertì la parte molle della cicatrice. «Fa ancora un po’ male, ma nulla di insopportabile: fra alcuni giorni tornerò al Regno Ryugu e darò notizia che non sono morta come sicuramente penseranno…».
Katakuri chiuse gli occhi, ma non negò a se stesso l’esistenza di quel macigno che si era aggravato nel suo petto quando lei aveva confermato la propria partenza. Era ormai indiscutibile quanto lui stesse bene quando era in compagnia di Yuma, come non avvertisse il peso della responsabilità della famiglia, sentendosi più leggero, svincolato da qualsiasi obbligo.
Si sentì osservato: alzò la testa e la sirena era ancora lì a guardarlo di sottecchi, come se non capisse cosa lo stesse affliggendo. I suoi occhi blu erano più vasti e brillanti del mare a mezzogiorno. Non sarebbe stato male affogarci dentro.
Si stupì da solo per quel pensiero assurdo e incoerente.
«Voi Charlotte quanto resterete ancora su quest’isola?» chiese, ma probabilmente solo per riempire quel silenzio che si era creato e protratto troppo a lungo, che aveva portato inavvertitamente Katakuri ad avvicinarsi ancora un poco a Yuma; perché erano settimane che la sirena non si allontanava più quando Katakuri le si faceva vicino; perché erano giorni che quando si sedevano vicini, a separarli c’era solo un alito d’aria.
«Un mese ancora al massimo … poi ci dirigeremo verso la prossima isola» rispose serio Katakuri, smettendo di guardarla per rimettere in sesto i propri pensieri che avevano preso una piega indesiderata ma allo stesso tempo fortemente voluta.
«Che sarà..?» e lasciò a Katakuri il compito di concludere la frase.
«Il capitano non ha ancora deciso» rispose secco, chiudendo il discorso; creando un altro silenzio carico di un’aspettativa di niente. Quelle assenze di parole colme di un qualcosa di indefinibile si erano fatte troppo ricorrenti negli ultimi giorni.
Fuori dalla grotta, il sole al tramonto tingeva di corallo il mare più calmo del solito, piatto come una tavola.
Il giovane pirata sospirò, chiudendo gli occhi. Era ora di tornare dalla famiglia.
Si alzò lentamente, mettendosi in spalla il tridente, ma delle dita sottili lo afferrarono per il polso prima ancora che lui potesse allontanarsi. Katakuri si voltò a guardare la sirena: Yuma era entrata in acqua e al di sopra della superficie c’era unicamente la metà umana che si sporgeva per fermarlo; l’enorme coda era deformata dal riflesso del liquido mentre si agitava per tenere a galla la proprietaria.
Gli occhi blu della sirena fissavano con tremenda serietà il giovane pirata; si mordeva le labbra, come se fosse sul punto di dire qualcosa di scomodo che non sarebbe piaciuto a Katakuri.
«Non ti ho ancora ringraziato adeguatamente per avermi … salvato la vita…». Sembrava le costasse ammettere di aver avuto bisogno di qualcuno; Katakuri aveva già capito dal loro primo incontro che in quel corpo esile e in quella lunga coda si nascondesse un orgoglio ampio quanto il cielo.
«Prego» rispose semplicemente il pirata, ma inginocchiandosi per essere alla sua altezza.
Yuma arrossì vistosamente e per un istante Katakuri temette di aver appena detto qualcosa di sbagliato.
«Vorrei ringraziarti in modo … più concreto…». La sua voce si era fatta quasi un pigolio mentre stava facendo un evidente sforzo per tenere alto lo sguardo e non abbassare gli occhi, nonostante la vergogna sembrasse pressante.
Il pirata capì e fu davvero combattuto tra l’allontanarsi e l’esporsi completamente a lei, convinto che si potesse davvero fidare.
«Yuma, non serve che…».
«Non vuoi?». I suoi occhi blu erano pieni di aspettative deluse, convinti di aver frainteso ogni gesto, ogni parola che si erano scambiati negli ultimi tempi. Katakuri davvero voleva rassicurarla dicendogli che sì, voleva, con ogni fibra del suo essere bramava quello che Yuma voleva dargli. Ma non poteva, lei non avrebbe capito del tutto, era troppo diverso quello che lui…
«Sì, voglio».
Katakuri passò un braccio dietro la sua vita, tenendola sollevata con disarmante facilità. Lasciò che abbassasse la sciarpa, lasciò che si avvicinasse e gli regalasse quel bacio leggero e tiepido che entrambi desideravano da giorni ormai. La schiena di Yuma era filiforme sotto le sue dita, le sue labbra morbide come schiuma. E Katakuri fu davvero, davvero grato che lei, per rispetto dei suoi segreti, avesse tenuto gli occhi chiusi per tutto il tempo. La lasciò andare dopo alcuni secondi, sentendo che risollevava a sciarpa per nascondere ancora la sua bocca.
I grandi occhi di Yuma erano liquidi come l’acqua dello stesso mare. Katakuri sentì le sue mani premersi di più contro la sua schiena, come se non volesse allontanarsi da lui per nessun motivo al mondo.
«Katakuri…»
«Yuma…» la sua voce si sovrappose a quella di lei, costringendo entrambi a zittirsi. Il pirata la fissò in silenzio. La sua gola secca non riusciva ad articolare nessun’altra parola che il nome di lei.
«Katakuri» lei si umettò le labbra e deglutì un groppo di saliva, a disagio «verrai qui, stanotte?».
«Come…» mai? Oh… «…desideri».
 
Era uscito di soppiatto dalla nave ammiraglia mentre tutti stavano finendo di cenare; purtroppo la ronda lo aveva sorpreso: Cracker, di vedetta sul pennone dell’albero maestro, era sceso di fronte a lui con un balzo e un sorriso incuriosito. «Vai da qualche parte, fratello Katakuri?» domandò con un ghigno; quella derisoria piega delle labbra aveva fatto fremere Katakuri dalla voglia di prenderlo a pugni, di metterlo a dormire per un po’, giusto il tempo per andare e tornare, convincendolo di non essersi mosso dalla nave quando si sarebbe svegliato.
«Ricognizione sulla terra ferma» spiegò con freddezza, senza staccare gli occhi dal viso del minore. Questi sembrava particolarmente divertito di aver colto il fratello con le mani nel sacco – o meglio, con un piede in fuga – e dal suo sguardo si vedeva benissimo che alla storia della ricognizione non credeva neanche un po’: Cracker non era così stupido da riuscire a fare due più due, unendo la storia della sirena con il suo sgattaiolare via in una notte calda.
«Vai a raccont…»
«Cracker, Mama richiede la tua presenza sottocoperta. Vuole che tu dia il cambio di guardia a Daifuku. Subito» lo interruppe Perospero comparendo da chissà dove, con un’espressione seria; Cracker lo guardò per alcuni secondi con espressione scocciata, prima di allontanarsi sottocoperta borbottando qualcosa.
Katakuri fissò il fratello maggiore con aria interrogativa mentre quest’ultimo si avviava per salire sul pennone. Perospero non si girò nemmeno per rispondere a quel muto interrogativo che Katakuri aveva in mente.
«Ho appena allontanato con una scusa chi era di guardia sul ponte stanotte, come minimo devo prendere il suo posto» spiegò annoiato, voltandosi solo in quel momento.
Katakuri lo fissò per alcuni secondi senza dire una parola, squadrando da capo a piedi il suo corpo longilineo. «Perché lo hai fatto?» domandò diffidente, facendo un passo avanti.
Perospero sorrise malizioso – molto malizioso – deformando la bocca e mostrando la lingua. «Perché tutti hanno il diritto di diventare grandi senza avere intorno nessun ficcanaso» ridacchiò, continuando a salire sul pennone.
Katakuri ringraziò la notte, la sua sciarpa e il suo temperamento gelido che lo fermarono dall’arrossire e surriscaldarsi come una pentola sul fuoco.
 
Le labbra di Yuma erano appena tiepide, per nulla timide, come se sapesse come muoverle sulla pelle di un amante e probabilmente era anche vero. Era Katakuri che non sapeva davvero come usare le mani, come accarezzare il suo corpo, come avere davvero un amplesso con una sirena.
Le dita del giovane uomo vagavano ora sul ventre candido, ora sulle spalle eburnee di lei senza avere davvero coraggio di scendere sui suoi seni, ora denudati della sua armatura come Yuma stessa aveva promesso.
Katakuri, nonostante fosse ancora giovane, già aveva affrontato battaglie che lo avevano lasciato sul filo del rasoio tra la vita e la morte, uscendone vincitore. Ma mai si era trovato tanto in difficoltà come quando Yuma prese i suoi polsi con un sorriso dolcissimo e rassicurante per portarli senza timore sui propri fianchi.
Katakuri deglutì rumorosamente, spostandosi indietro, insicuro.
La sirena sbuffò quasi intenerita, prima di prendere nuovamente l’iniziativa, dando un bacio leggero sullo zigomo del pirata così imbarazzato da essersi quasi bloccato. La sciarpa gli copriva ancora la bocca e, nonostante avvertisse il calore corporeo salire, non aveva intenzione di toglierla.
Lei respirò leggera sulla sua pelle, guardandolo con occhi privi di malizia. «Sdraiati qui con me, Katakuri…» disse tranquilla, picchiettando col palmo il terreno accanto a lei.
Katakuri si sentì un fallito nel fare anche le cose più semplici, ma ubbidì stendendosi accanto alla sirena; questa ridacchiò quando notò che il giovane si era messo a una decina di centimetri di distanza da lei.
«Non lì» chiarificò, avvolgendo le sue spalle con le braccia per trascinarlo contro il proprio petto «Qui».
Il pirata trattenne il respiro, avvertendo il suo petto vicino al viso, sentendo il suo corpo caldo che si stringeva al proprio in un’intimità che non aveva mai potuto provare prima.
«Agitato?» domandò lei quasi divertita, passando una mano tra i suoi capelli come per calmarlo. Sortì l’effetto sperato.
«Mi prendi in giro?» in quella domanda c’era meno risentimento di quanto Katakuri avesse voluto imprimere; stava facendo la figura del bambino che deve essere guidato e a cui devono essere spiegate le cose. Non era del tutto vero: Katakuri sapeva perfettamente cosa doveva fare, cosa doveva usare, come doveva comportarsi. Che poi l’imbarazzo e l’inesperienza lo fermassero era un’altra questione.
«Non ti sto prendendo in giro. Capisco la tua situazione…» mormorò con voce dolce Yuma nell’orecchio del pirata, accarezzandogli le labbra con le dita. Quel tono rassicurante calmò lo spirito agitato di Katakuri che - con un’audacia che non credeva di avere – posò una mano sul seno morbido della sirena. Lei esalò un respiro più forte impregnato di un’onda di piacere.
«Davvero?» mormorò più calmo il giovane pirata.
«Sì. Sei giovane, è comprensibile l’inesperienza» il suo tono era diventato ora un sussurro delicato e assuefante e Katakuri si domandò se era quella la voce delle sirene di cui si parlava nelle leggende, che incantava i marinai e li induceva nell’oblio degli abissi.
Katakuri avrebbe voluto lasciarsi trascinare con estremo piacere, come si stava facendo persuadere a farsi spostare la mano con un carezza fino al solco dell’anca, sulla cresta iliaca lì dove in una donna sarebbero iniziate le gambe. La sirena tremò tra le sue braccia, prima di alzargli il mento con un dito, forzandolo a guardarla negli occhi con delicatezza.
Il giovane pirata deglutì, ma già sentiva i propri movimenti più sicuri. Strinse nella mano il suo fianco, sentendo le formi simili a quelle di una signorina.
«Non mi devi dimostrare nulla, Katakuri: non la tua fierezza o la tua mascolinità. Adesso devi solo divertirti» lo rassicurò con dolcezza.
Katakuri inciampò con le dita sul suo corpo, respirò troppo vicino alla sua pelle, morse con bollente fervore la sua carne, ma non ebbe più dubbi.
 
Il sole cominciò a librarsi in volo al di sopra della linea perfetta dell’orizzonte: prima un arco, poi uno spicchio che crebbe in un semicerchio.
Katakuri era rimasto sul ponte della nave, appoggiato alla balaustra, ad osservarlo sorgere, ma senza guardarlo davvero, troppo impegnato a rivivere ogni secondo della nottata. Non si voltò nemmeno quando sentì dietro di sé la presenza di Perospero; si degnò di guardarlo solo quando il fratello maggiore gli mise una mano sulla spalla con fare fraterno e uno sguardo malizioso e insieme orgoglioso.
Katakuri sorrise, abbastanza soddisfatto di sé, ma non disse nulla.
«Stai bene, fratello?» gli domandò il maggiore senza staccargli gli occhi di dosso, come se cercasse curioso sul suo corpo una qualche traccia della notte che aveva appena trascorso.
Il minore sbuffò divertito: avrebbe dovuto togliergli la giacca per vedere i graffi, sollevargli un poco la sciarpa per notare i succhiotti.
«Sto bene».
«E lei sta bene?» gli chiese Perospero, suonando genuinamente interessato e inclinandosi un poco in avanti.
Katakuri sbuffò di nuovo, abbassando lo sguardo. Preoccupato. Intenerito. Innamorato. «Sì. È partita dopo stanotte: l’aspetta un lungo viaggio verso il Regno di Ryuugu…» rispose calmo, sfilando da sotto la sua sciarpa un foglietto quadrato che posò sul legno del parapetto della nave. Il pezzo di carta si mosse con un fruscio verso Sud-Ovest.
Perospero comprese con un’occhiata vivida e divertita. «Lei ha la tua, immagino…». Katakuri annuì, riponendo la vivre card di nuovo sotto la sciarpa proprio mentre il resto della ciurma cominciava a fuoriuscire da sottocoperta per iniziare la giornata; Katakuri invece avrebbe voluto solamente rintanarsi nella sua cabina per tornare a dormire.
«Non vedo l’ora di conoscerla» commentò infine il maggiore, allontanandosi per cominciare i suoi doveri per la ciurma.
Il secondogenito chiuse gli occhi: lui non vedeva l’ora di rivederla.
 
Cinque settimane.
Katakuri rimase impotente a guardare la vivre card che bruciava lentamente nel suo palmo per giorni, che si anneriva e si ricostruiva sula sua mano, urlando e ammutinandosi contro il suo capitano e la sua ciurma perché lo lasciasse andare, perché lo lasciasse correre da lei che si stava consumando nelle sue dita.
Non era un mistero cosa stava accadendo sull’Isola degli Uomini Pesce.
Pirati. Mai Katakuri aveva odiato tanto la sua stessa razza.
Probabilmente il secondogenito non avrebbe mai perdonato la madre che lo aveva confinato sul ponte della nave, temendo il suo impeto quando sul posto era arrivata già un’altra ciurma a proteggere l’Isola. L’urlo del pirata Barbabianca che giurava di proteggere fino alla morte il Regno di Ryuugu era risuonato troppo tardi: sulla mano di Katakuri era rimasta solo la cenere.

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Capitolo 3
*** Kalliope della tribù dei Gambelunghe, parte prima ***


Note autrice: un ringraziamento speciale alla Tana dell'Elfo che mi ha fornito il nome dell'alcolico.
M.J.


 
Kalliope della tribù dei Gambelunghe, parte prima



 
La seconda fu Kalliope.
I suoi capelli erano fiamma pura: una cascata di boccoli ramati che scendeva sulle spalle fino alle natiche; le cosce poi erano prorompenti, ginocchia forti e polpacci possenti; un quadro che sembrava stonare con le caviglie quasi sottili.
Katakuri aveva venticinque anni quando incontrò Kalliope per la prima volta, scoprendola tra i pirati delle ciurme alleate; vide i suoi occhi verdi, le sue lentiggini che coprivano il naso e scendevano poi sul collo e sul petto, quel sorriso rovinato e insieme raffinato dalla fessura tra gli incisivi. Una risata sguaiata che si poteva sentire dal ponte di ogni nave.
Era della tribù delle GambeLunghe, come Smoothie. Forse era proprio associarla alla sorella minore che lasciava Katakuri dubbioso sul versante sentimentale.
Tutti i suoi ripensamenti andarono ben presto in fumo perché Katakuri sapeva fare tante cose, ma non comandare al proprio cuore che aveva solo buoni sentimenti nei confronti di una donna che poteva guardarlo negli occhi e non vacillare, complice anche l’altezza quasi simile che li portava a essere faccia a faccia un po’ troppo spesso e mai abbastanza.
Quella donna poi sembrava divertirsi molto nello stuzzicare il ministro della farina, si passava la lingua su labbra e denti in modo troppo malizioso quando parlava con lui.
Cracker, in merito, diceva che Katakuri non poteva lamentarsi di ricevere segnali ambigui: non c’era nessun doppio senso nascosto dietro i gesti di Kalliope, volevano proprio dire quello che Katakuri pensava.
 
«Lei … Lei beve troppo poco, ministro Katakuri» osservò Kalliope agitando il boccale di birra, facendola spillare oltre l’orlo. Rumorosa, non abbastanza per sovrastare lo spropositato chiasso della taverna, ma a sufficienza per attirare su di sé tutta l’attenzione di Katakuri.
Non che le servisse: il pirata non le staccava gli occhi di dosso, uno sguardo che scandagliava ogni centimetro di corpo che andava dagli occhi verdi e furbi fino al ventre coperto in parte dal tavolo rotondo a cui si erano accomodati.
Era stata Kalliope a invitarlo a bere sull’isola di Liqueur, conosciuta in tutta Totland per i distillati potenti, zuccherosi e afrodisiaci. Katakuri non aveva avuto voglia di dirle di no.
E in quel momento se ne stava lì a sorseggiare senza dare nell’occhio dell’Ambrosia, quel vino liquoroso che scaldava lo stomaco e tirava una fiocinata al cervello e per cui Compote forniva le migliori viti di Fruits; il buon senso gli suggeriva di non lasciarsi troppo andare, per questo aveva ancora diverse dita di vino nel suo primo bicchiere. Kalliope, invece, era già a metà del terzo boccale e ciò la rendeva particolarmente incurante di quello che le accadeva attorno.
Non che a Katakuri dispiacesse vedere il limite del coletto di lei spostarsi e posarsi ben oltre la sua spalla, lasciando scoperto buona parte del decolté. Tanto a Kalliope non sembrava importare (o semplicemente le faceva piacere essere suo oggetto di attenzione).
«Da quando la formalità, Kalliope?» domandò curioso e ironico Katakuri, prendendo tra le dita il proprio bicchiere e facendo girare liquido denso lungo le pareti di vetro, prestando attenzione a non spanderlo sul tavolo.
«Beh, da quando tua madre ti ha nominato ministro dell’isola di Komugi» ribatté lei ovvia, guardandolo con quelle iridi intense e spalancate. Si voltò poi verso la platea indifferente degli avventori del locale, portando una mano vicino alla bocca per amplificare la propria voce. «Ehi, tutti voi! Il qui presente Katakuri Charlotte è appena diventato Ministro della farina! Su i boccali per un bel brindisi!»  incitò la folla gettando occhiate divertite a Katakuri che si massaggiava le palpebre con un sospiro sconsolato, ma un sorriso nascosto dalla sciarpa.
Tutti i presenti urlarono eccitati, sollevando i boccali e sbattendoli tra di loro come una gara a chi faceva più casino, alimentando ancora di più la confusione e presto si dimenticarono di loro, tornando a far festa come se quel momento di celebrazione non ci fosse mai stato.
Kalliope continuò la propria birra, svuotandola ancora di più.
«Sono sempre io, Kalliope…» smorzò la questione Katakuri, celandosi dietro la sciarpa per bere un altro goccio di Ambrosia, cercando di non pensare a quante responsabilità in più avrebbe portato il titolo di ministro.
«Certo che sei sempre tu, per questo ti ho invitato fuori a bere» confermò lei, facendo le spallucce e sbilanciando maggiormente la stoffa sbilenca sul suo petto, rivelando sempre più porzioni della costellazione di lentiggini che la ricopriva. Quanto avrebbe voluto Katakuri esplorare quella galassia, sfilando la stoffa strato dopo strato fino a lasciarla nuda davanti ai propri occhi.
Gli sarebbe piaciuto farlo ed era certo che Kalliope gliel’avrebbe lasciato fare.
«Allora non usare più la terza persona, soprattutto quando hai una gamba sopra le mie…» disse Katakuri, osservando scettico ma divertito la lunga gamba destra di Kalliope, buttata prontamente sulle sue cosce sin dalla seconda birra di lei. A Katakuri non aveva dato fastidio, non le aveva fatto notare nulla e lei non si era degnata di spostarla per tutto il tempo.
Fino a quel momento, dove lui la guardava con un sopracciglio sollevato e lei sorrideva sorniona.
«Potevi spostarla quando volevi» gli fece notare, senza smettere di sorridere mostrando quella fessura tra i denti che le faceva fischiare qualche consonante.
E perdermi lo spettacolo?” pensò Katakuri, ma non lo disse; lo sguardo che lanciò alla gonna sollevata ben oltre la metà coscia fu comunque abbastanza eloquente. E interessato.
Sperando che quegli istanti di audacia che gli stavano facendo bruciare il petto e solleticare le mani non scomparissero presto, il Ministro delle farina trangugiò tutta l’Ambrosia che aveva nel bicchiere (scostando la sciarpa per meno di un secondo) davanti allo sguardo sorpreso di lei e posò la mano sulla sua coscia, lì dove l’orlo della gonna terminava, accarezzando sensualmente la sua pelle e spostando sempre di più la stoffa.
Non seppe dire se lei fosse arrossita (per una volta nella vita) oppure si fossero solo soffuse le luci nella taverna.
«Oh-oh, coraggioso da parte tua, Katakuri» gli concesse l’altra, sollevando un poco l’angolo della bocca. «Ma se credi davvero di ottenere così in fretta ciò che vuoi,» lo ammonì severa e maliziosa, prendendo la sua mano e spostandola più in su, a contatto con la pelle lì dove la coscia incontra l’anca; le dita di Katakuri fremettero, ma quelle di Kalliope rimasero ben salde sulla presa, vietandogli di scivolare sull’interno coscia «ti sbagli di grosso».
Katakuri mollò la presa per lo stupore, guardandola sbigottito come se non avessero passato gli ultimi mesi a danzarsi intorno pronti a fare il passo finale nella camera da letto.
«Non si direbbe, ma io sono una signorina per bene». Non lo sembrava proprio e il tono sarcastico con cui l’aveva detto lasciava ben intendere che stesse scherzando su quel fronte, almeno in parte.
«Non si direbbe proprio infatti» commentò Katakuri, concentrandosi sugli avventori della taverna.
La gamba di Kalliope scattò; il Ministro della farina ebbe giusto il tempo di prevedere il movimento e spalancare le ginocchia per evitare che i tacchi della Gambelunghe facessero uno spiacevole incontro con i suoi genitali. I movimenti delle gambe di Kalliope erano talmente precisi e veloci da mettere in difficoltà anche quella capacità di prevedere il futuro che stava apprendendo piano piano. Forse anche per questo le piaceva: quella donna era una sfida continua.
Kalliope mosse il piede sulla seduta della sedia, divertita da come il suo gesto lo aveva messo in guardia. La sua caviglia gli accarezzò il cavallo dei pantaloni, il suo ginocchio talmente alto da minacciare il mento di Katakuri.
«Voglio essere corteggiata» dichiarò decisa, finendo la propria birra.
Katakuri sollevò un sopracciglio. «Stai scherzando?»
Non stava scherzando.
 
 
Katakuri la fissò, infastidito dalla sua incredulità. Lei, in ogni caso, non smetteva di essere sorpresa e lo stupore storpiava i suoi lineamenti, ma non tanto da renderla non piacevole agli occhi. Lei non smetteva di essere bella. E rumorosa; dannatamente rumorosa, con una risata che si poteva sentire in ogni anfratto dell’isola.
«Stai scherzando…» sospirò lei sbalordita, continuando a camminare per le strade di Komugi.
Quello doveva essere un’uscita insieme; lei aveva preteso un corteggiamento e Katakuri era cresciuto con un’indole da gentiluomo che gli impediva di negargliene uno. Che avesse poche idee su dove portarla, era un’altra questione.
Si era quindi limitato per il momento a una passeggiata romantica per le strade dell’isola a cui la madre lo aveva messo a capo, per fargli vedere quell’appezzamento di terra che era ormai un suo possedimento; poi avrebbe sperato in un miracolo perché gli venisse in mente qualcosa da fare fino all’ora di cena. Era un gran sperare perché gli orologi sulle alte torri della città indicavano a malapena le 2:50 del pomeriggio.
Inizialmente aveva creduto che il tour dell’isola avrebbe impiegato più tempo, ma aveva mal considerato l’ampiezza della falcata e la velocità del passo di entrambi. Non che avessero finito il giro, ma non mancava così tanto da vedere da occupare tutto il tempo fino all’ora di cena.
«Non sto scherzando» affermò serio.
La questione in corso, comunque, sembrava per Kalliope ben più interessante delle bellezze che poteva offrire Komugi.
«Mi stai dicendo che il secondo figlio di Charlotte LinLin … sai, no quella Charlotte LinLin che ogni tre per due ha attacchi di fame da dolci improvvisa da distruggere intere isole, … in quanto? Venticinque anni non ha mai assaggiato una ciambella?».
Katakuri roteò gli occhi al cielo, esasperato: quella discussione stava andando avanti da fin troppo tempo ormai.
«Sì, è vero … è così strano?» chiese leggermente irritato. Nemmeno ricordava più come fosse saltata fuori quella questione, ma stava occupando fin troppi minuti.
«Considerando il fatto di chi sia tua madre e che tu sia il Ministro della farina? Sì, decisamente…».
Il pirata scrollò le spalle, indifferente alla sua stranezza. Le strade non erano poi così affollate, ma tutti i ristoranti, i café, le case da te e i bar ai lati della strada erano aperti e c’erano clienti un po’ dovunque.
«Sarò strano allora» confermò allora lui stesso senza smettere con al propria indifferenza e fermezza.
La sua facciata impassibile crollò per un istante quando un peso non indifferente lo bloccò per un braccio; Katakuri si voltò sorpreso mentre Kalliope avvolgeva le braccia muscolose attorno al suo e lo fissava con i due occhioni verdi e luminosi.
«Visto che ci troviamo a un appuntamento insieme, direi che è ora di rimediare» disse Kalliope con un tono che non ammetteva un “no” come risposta.
Prima che potesse impedirlo, Katakuri si ritrovò trascinato per lunghi tratti verso il café più vicino, facendosi accomodare su un tavolino troppo piccolo dalla presa decisa della Gambelunghe che lo fissava divertita.
Katakuri sentì le ginocchia urtare il piano del tavolo; nemmeno Kalliope sembrava stare particolarmente comoda, ma ciò non le impediva di fare un sorriso a trentadue denti con quella fessura disarmonica in mezzo agli incisivi.
«Sono quasi le tre, è ora di fare merenda!» esclamò, cercando di mettersi più comoda sulla sedia minuscola.
Katakuri non poté che sollevare un sopracciglio, perplesso da quel nuovo vocabolo utilizzato che sembrava implicare l’aggiunta di un nuovo pasto a quelli tre abitudinari della giornata.
«Che sarebbe?». Kalliope fece una smorfia fintamente scandalizzata come risposta alla domanda, portandosi una mano al petto generoso.
«Davvero non lo sai? Lascia che ti racconti» disse lei, provando ad accavallare le gambe. «Devi sapere che…»
«I signori desiderano ordinare?» si intromise un cameriere che risultava anche troppo minuscolo messo a confronto con loro due. Nonostante la statura, non sembrava a disagio tra i due titani.
«Prima che il Ministro qui presente possa fare il suo ordine…» si intromise Kalliope scoccando un’occhiata a Katakuri «io proporrei un vassoio con assortimento di ciambelle … ah, e del tè bianco al mango» richiese lei, mettendosi di nuovo comoda, per quanto possibile contro quello schienale minuto, dopo che il cameriere se ne era andato.
Era stata un po’ troppo veloce: Katakuri era riuscito a capire tramite il proprio molto sviluppato haki che Kalliope aveva intenzione di prendere l’iniziativa, ma non gli era stato possibile capire cosa.
Si domandò quanto fosse possibile migliorare ancora.
«Allora, cos’è questa merenda?»
«Ah, giusto!» Rammentò all’improvviso lei, ormai dimenticato che stava spiegando qualcosa a Katakuri prima dell’interruzione. «Devi sapere che nel Mare Meridionale è usanza avere un pasto tra il pranzo e la cena, intorno alle tre o quattro del pomeriggio, dove di solito si consumano dolci di pasticceria. Questo pasto si chiama appunto merenda».
Katakuri batté le palpebre, interessato. «Un altro pasto come scusa per mangiare altri dolci, eh?» domandò curioso, soppesando quella novità, alquanto intrigato.
Kalliope mise su un finto broncio adorabile. «Non descriverlo come se fosse solo una scusa per ingurgitare zuccheri, Katakuri» ridacchiò, spostandosi un poco di lato per lasciare spazio al cameriere di posare le ordinazioni.
Il Ministro della farina guardò quei tondini col buco al centro, coperti di glassa dai vari colori; erano davvero invitanti, non riusciva davvero a trovare un motivo per cui non li avesse mai assaggiati in tutti quegli anni.
«Sembrano buone» commentò, prendendo il filtro dell’infuso per inserirlo nella teiera che avrebbero condiviso.
«Sono più che buone, fidati» affermò lei sicura, posando il viso sul palmo della propria mano e scoccando uno sguardo a Katakuri. «Magari questa è la volta buona che riesco a vederti senza la sciarpa» disse candida, non accorgendosi di come si fosse fermato il respiro di Katakuri.
Non sarebbe mai riuscita a notarlo, come stoico lui lo nascondeva dietro la sciarpa incriminata.
Non si permise di seguire il filo dei propri pensieri un secondo di più: non era quello il momento, ci avrebbe pensato a tempo debito e l’avrebbe tenuto nascosto fino a quando non lo avrebbe ritenuto opportuno.
Ma in quel momento, aveva una prelibatezza da gustare.
Con la sua solita fulmineità, riuscì ad agguantare una delle ciambelle e a gustarsela ben prima che Kalliope potesse davvero capire che stesse succedendo. E quando lo face, fu troppo tardi: Katakuri era riuscito già a ritirarsi su il bordo morbido della sciarpa e a gustarsi tranquillo quel sapore soffice e zuccherino.
Sgranò gli occhi. Erano buone; buone davvero.
Probabilmente aveva un’espressione sbalordita in faccia, perché Kalliope gli rispose subito. «Allora che ti avevo detto?» sbuffò compiaciuta, prendendo la teiera e servendosi un po’ di tè. «Per questa volta lascio correre, ma prima o poi vedrò cosa nascondi lì sotto» promise certa, nascondendo un sorriso sornione dietro il bordo della tazza.
Katakuri sospirò silenzioso. Prima o dopo sarebbe giunto il momento di dirglielo.

 

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