Ci
vogliono anni per costruire la fiducia, secondi per romperla ed
un’eternità per ripararla.
Lui e Aoko erano stati
inseparabili sin dal loro primo incontro. Migliori amici per anni,
anche quando
lui avrebbe voluto diventare qualcosa di
più.
Ma quando aveva
scoperto il segreto di suo padre e aveva scelto di assumersene il peso
indossando il mantello di Kid, non ne aveva fatto parola con lei.
Era diventato un ladro,
un ladro che lei odiava.
Aveva mille ragioni per
non dirglielo, ma nessuna di queste teneva conto dei suoi sentimenti.
Durante
l’ultimo anno
del liceo Aoko l’aveva scoperto.
Kaito, il suo migliore
amico, la persona di cui più si fidasse al mondo…
le aveva mentito
continuamente per due anni. Aveva preso in giro lei e suo padre.
Ma soprattutto, ed era
questo a ferirla di più, non si
era
fidato di lei.
Lei, dal canto suo, si
era fidata anche troppo.
Il loro rapporto
andò
in pezzi, Aoko non riusciva neanche più a guardarlo.
Tuttavia, e questo stupì
molto Kaito, lei non lo denunciò.
Mantenne il segreto che
lui non aveva voluto confidarle, anche se non era tenuta a farlo.
Lo fece
perché
nonostante lui l’avesse tradita,
nonostante nessuno l’avesse mai fatta soffrire in quel modo
prima, Aoko non
poteva impedirsi di amare Kaito. Era un amore fraterno, o forse
qualcosa di
anche più forte; fatto sta che l’idea di averlo in
prigione, di avercelo a causa sua,
la faceva star male quasi
quanto il suo essere Kaito Kid.
«Oi,
Kuroba. Ci sei stasera?»
Kaito
alzò, infastidito, lo sguardo dallo schermo del suo
pc.
Aveva lasciato i
panni di Kid da ormai sette anni. L’aveva
fatto per Aoko. Aveva sperato di riconquistare la sua fiducia in quel
modo.
Non era stato
facile, ma dopo un po’ di tempo lei aveva
ricominciato a parlargli. Gli aveva dato una possibilità.
Voleva redimerlo,
Kaito questo l’aveva capito. Ma aveva
capito anche che le cose non sarebbero mai tornate come prima; lo
sguardo della
ragazza era diverso ora, più disilluso,
e pensare che la colpa era unicamente sua lo faceva impazzire.
Si adattò
a quella situazione, però. Sapeva che non avrebbe
mai amato qualcuno come aveva amato Aoko, come anche allora
l’amava.
Per il suo perdono,
però, la ragazza aveva posto una
condizione.
Kaito doveva entrare
nella polizia: quella sarebbe stata la
sua redenzione.
Lui non aveva osato
opporsi, dopo la laurea aveva dato gli
esami necessari ed era entrato nelle forze dell’ordine.
Non era stato
l’unico, sfortunatamente. Si era ritrovato Saguru
Hakuba come collega; nonostante quest’ultimo non gli desse
più la caccia da
anni, la sua voce restava nell’elenco di cose che
più l’infastidiva.
Quindi ora anche
quella semplice domanda, “ci sei stasera?”,
pronunciata da lui lo mise di cattivo umore.
«Ci sono
dove?» chiese, non realmente interessato. Non aveva
certo intenzione di andare in un posto dove sapeva con certezza di
trovare
Hakuba.
«Al raduno
con la classe del liceo» spiegò Saguru
pazientemente. «Non ti è arrivata la mail?
L’appuntamento è stasera alle 21,
dopo cena. Beviamo qualcosa e ci raccontiamo le novità degli
ultimi anni».
La mail forse gli
era anche arrivata, ma o non l’aveva letta
o l’aveva presto dimenticata. Non rispose al collega, ma lui
insisté.
«Ti
farebbe bene», disse; suonava sinceramente preoccupato.
«Sei sempre giù, Kuroba. Sembra che tu ti spenga
ogni giorno di più. È così da
quando…» lì Hakuba si interruppe. Forse
aveva notato qualcosa nell’espressione
di Kaito – il ragazzo non si preoccupava nemmeno
più di mantenere la sua
proverbiale poker face. Non voleva
parlare dei suoi problemi, sicuramente non con il detective di Londra.
«Insomma,
pensaci» concluse Saguru, prima di uscire e
lasciarlo finalmente solo.
L’ex ladro
del chiaro di luna tornò a lavorare sul pc. Da
quando Hakuba si preoccupava dei suoi affari?
Da
sempre, a
ripensarci, ma sui suoi affari di cuore non aveva mai osato metter
bocca. Mai
prima d’allora, almeno.
Aveva ragione,
comunque.
Sapeva benissimo
cos’avrebbe voluto dire il detective. “Da
quando hai smesso di essere Kid”, o “da quando sei
entrato a lavorare qui”.
Il problema non era
il lavoro in sé. Non capiva nemmeno lui
quale fosse esattamente il problema, sapeva solo come si sentiva.
Oppresso.
Aveva intrapreso una
carriera che da solo non avrebbe
scelto, e l’aveva fatto per Aoko.
Loro due vivevano
insieme da tre anni.
L’amava e
sapeva di esserne ricambiato.
Allora
perché..?
Perché si
sentiva così dannatamente oppresso?
Perché
anche dopo tutti quegli anni loro due non riuscivano
ad essere sereni insieme, non completamente?
Non stavano male; i
momenti migliori della sua vita Kaito li
aveva passati tutti con Aoko.
Tutti, tranne quelli
da Kaito Kid…
Sì,
bravo, rimpiangi
l’errore che ti ha rovinato la vita,
pensò amaramente.
La verità
era che nessuno dei due era riuscito a seppellire
il passato.
Non lui, che a volte
ancora si tormentava per aver
semplicemente lasciato perdere.
L’aveva fatto per un buon motivo, o così si
diceva, ma questo non cambiava che
si fosse arreso. Non aveva
più saputo
nulla degli assassini di suo padre, aveva rinunciato per stare vicino
ad Aoko,
per cercare di vivere il presente. Ma era rimasto inesorabilmente
incatenato al
suo passato.
Né
l’aveva dimenticato lei. Si sforzava di non farglielo
pesare troppo, voleva davvero credere al suo cambiamento, ma la
delusione era
stata troppo forte per poterla ignorare. Non riusciva a fidarsi
completamente
di Kaito, tendeva a controllarlo, anche senza rendersene conto. Se lui
diceva
d’essere stato, ad esempio, ad indagare da qualche parte con
Hakuba, vedendo quest’ultimo
le veniva istintivo chiedergliene conferma.
Non era tanto questo
comportamento a ferire Kaito, comunque.
Era il suo sguardo.
Nel suo sguardo
leggeva sempre
– a volte più chiaramente di altre, ma in
profondità era sempre lì – un tacito
rimprovero. Come se Aoko volesse dirgli che era solo colpa sua se aveva
sofferto, se era cambiata in quel modo. Se aveva dovuto mentire a suo
padre per
coprirlo.
Anche quando
l’aveva appena scoperto, Aoko quell’accusa non
gliel’aveva mai mossa – non esplicitamente.
Ma lui sapeva di
averla fatta soffrire, e i suoi occhi glielo ricordavano ogni volta.
Non era in grado di
guardare la donna che amava negli occhi
senza sentirsi tremendamente in colpa.
Di affrontare
l’argomento apertamente, del resto, non se ne
parlava nemmeno.
Era diventato una
specie di tabù per loro; che c’era da
dire, d’altra parte? Andava bene
così.
Tornato a casa dopo
il lavoro, Kaito non trovò Aoko ad
attenderlo.
Un bigliettino
attaccato al frigo con un magnete l’informò
che era andata a trovare suo padre.
Ricordò
che l’ispettore stava male, si era preso
un’influenza o qualcosa del genere. Probabilmente la figlia
era andata a
preparargli la cena.
Era da solo, quindi.
Guardò i
fornelli svogliato. Già normalmente non sprizzava
gioia, quel giorno poi la mezza predica di Hakuba gli aveva
completamente
affossato l’umore.
Infilò
nuovamente la giacca, e – dopo nemmeno dieci minuti
che era rientrato – uscì.
Voleva fare due
passi, distrarsi; tutto, pur di non restare
a casa solo con i suoi pensieri.
Girò per
un paio d’ore. Se gli avessero chiesto dov’era
stato non avrebbe saputo rispondere.
Tornando a casa vide
un ragazzo e una ragazza dall’altra
parte della strada, a pochi metri da lui. Scherzavano e ridevano,
sembravano
ignari di tutto ciò che succedeva intorno a loro. Sembravano
felici.
Gli ricordarono lui
e Aoko com’erano una volta, prima che…
Scosse violentemente
la testa e girò su una stradina poco
frequentata. Avrebbe fatto un altro giro, già che
c’era.
Non si accorse di
aver raggiunto Il gatto blu, il pub
dove la sua classe teneva i raduni da anni,
finché non vi si trovò davanti. E allora era
già troppo tardi.
«Guarda
chi c’è! Kuroba!» sentì
esclamare alle sue spalle. Oh no.
Essere circondato fu
questione di secondi.
«Non ti
vedevo da una vita!»
«Non vieni
mai! Sei così impegnato?»
«Che
combini ultimamente, Kuroba? E Nakamori come sta?»
Tutte quelle domande
gli fecero girare la testa. Riuscì a
sfoggiare un sorriso abbastanza realistico e rispose a qualcuno,
desiderando
solo d’essere lasciato in pace.
Non vedeva alcuni di
loro da anni… ma non poteva dire che
gli importasse.
Un po’ in
disparte dal gruppetto che gli si era formato
intorno distinse Hakuba. Quando quest’ultimo lo vide,
sorrise. Un sorriso vero,
diverso dal suo, che a quella vista s’incrinò.
Voltò le
spalle a Saguru e disse che andava a prendersi
qualcosa da bere. Entrò nel pub.
Nessuno lo
seguì dentro; probabilmente pensavano che, una
volta ordinato, li avrebbe raggiunti ai tavolini fuori. Lui, invece, si
sedette
al bancone.
Quella giornata
continuava a peggiorare, aveva
dell’incredibile.
Mandò
giù la birra in un unico sorso, cercando conforto
nell’alcool.
Posò il
bicchiere e sorrise amareggiato. Si era fatto tardi,
Aoko con tutta probabilità era rientrata. Chissà
cos’avrebbe pensato non
vedendolo; lui non le aveva lasciato alcun biglietto.
Sospirò,
immaginandosela chiamare Keiko per confermare la
sua versione, quando le avesse detto dov’era stato.
Ordinò un’altra birra e
tirò fuori il cellulare. Sarebbe stato meglio avvisarla.
Il barista gli
passò la birra, lui stava per passargli i
soldi ma qualcuno lo anticipò. «Offro
io», annunciò una voce.
Non la sentiva da
tempo, ma capì subito a chi apparteneva.
Può
andare peggio di
così?
«Non
saluti, Kuroba Kaito?» mormorò la ragazza seduta
accanto a lui. Anche senza vederla, Kaito seppe che stava sorridendo.
Non si
voltò.
«Potrei
anche offendermi», continuò lei. Con la coda
dell’occhio la vide sorseggiare un drink
dall’inquietante colore rosso. Lo fece
pensare al sangue… ma forse era solo suggestione.
Non aveva ricordi
proprio piacevoli legati ad Akako Koizumi,
l’unica persona dotata di vera magia che conoscesse.
Nonché
una psicopatica che aveva tentato per anni di
conquistarlo – o meglio, asservirlo.
«Che vuoi,
Akako?» le chiese, girandosi finalmente verso di
lei.
Era diventata
veramente bella, in quegli ultimi anni. Lo era
sempre stata, ma adesso aveva un’aria più matura e
sensuale. Non c’era da
meravigliarsi che cadessero tutti ai suoi piedi.
Il suo sorriso
divenne più sottile. «Voglio scambiare due
chiacchiere con un vecchio compagno», disse.
«C’è qualcosa di sbagliato?»
«Non ho
né il tempo né la voglia di stare ai tuoi
giochetti»
chiarì lui seccato. Vuotò in pochi secondi anche
il nuovo bicchiere.
«Non so di
che giochetti parli», ribatté lei tranquilla.
Finì il suo drink e l’osservò come se
volesse mangiarselo. «Perché sei qui? Ti
si legge in faccia che preferiresti essere da tutt’altra
parte».
«Questi
non sono affari che ti riguardino».
Akako rise, una
risata inquietante ma allo stesso tempo…
attraente?
Rendendosi conto
dell’assurdità di quel pensiero, Kaito
considerò che forse prendere
due birre
a stomaco vuoto non era stata un’idea proprio brillante.
«Hai
litigato con Nakamori?»
Kaito
s’irrigidì. «No. Stanne fuori»
le ordinò. L’ultima
cosa che voleva era che la strega si immischiasse nella vita di Aoko.
Avevano
già abbastanza problemi senza il suo contributo.
Akako
avvicinò il suo volto a quello del ragazzo. «Ma
guarda, sembra ci abbia preso…»
Vedendo il cipiglio
minaccioso di Kaito si allontanò e rise
ancora.
«Puoi
stare tranquillo, non la toccherò» disse, ma per
qualche motivo il ragazzo non si sentì affatto rassicurato.
Si alzò.
«Mi gira la testa», mormorò, senza
sapere bene
perché. Non le doveva una spiegazione.
«Non
sapevo non reggessi l’alcool. Ti aiuto», disse
Akako,
alzandosi a sua volta. Lo prese per un braccio e lo aiutò ad
uscire dal locale
senza che lui potesse opporsi. Non che ci fosse niente di male.
Una volta fuori
quasi tutti i loro ex compagni si voltarono
a guardarli.
Iniziarono a
bisbigliare, ma Kaito non poteva sentire cosa
dicevano.
«Kuroba?
Che hai, stai male?»
Kaito prima
avvertì il fastidio, poi identificò chi aveva
parlato con Hakuba.
«Non sono
affari tuoi» rispose brusco. Perché si sentivano
tutti in dovere d’intromettersi nella sua vita?
«Voglio
solo aiutarti».
«Be’,
non farlo» ribatté. «Sul serio,
l’ultima cosa che voglio
è il tuo aiuto» affermò. Non avrebbe
saputo dire che ruolo giocasse l’alcool in
quell’affermazione, ma dopo averlo detto si sentì
soddisfatto.
Saguru stava forse
per aggiungere qualcosa, ma Akako lo
anticipò.
«Hai
sentito, no? Kaito non vuole il tuo aiuto»
rimarcò.
«Vieni Kuroba, ti porto via da qui» disse,
trascinandolo via per un braccio.
Lui la
lasciò fare, forse perché voleva allontanarsi dal
detective, forse per l’alcool. Forse per un altro motivo
ancora. Non lo sapeva,
e non lo seppe neanche dopo. Era successo e basta.
Akako lo
portò a casa sua e lui semplicemente la seguì.
Con lei era facile;
l’aveva respinta talmente tante volte
che aveva perso il conto, eppure non si stancava mai di cercarlo. In
più di
un’occasione l’aveva anche aiutato – non
le aveva chiesto di farlo, ma in fondo
le era grato. L’infastidiva molto meno di Hakuba, nonostante
tutti i problemi
che gli aveva dato con i suoi strampalati piani per sedurlo.
Negli ultimi sei
anni non ci aveva mai provato, comunque.
Perché
con Aoko non era così facile?
In fondo, aveva
commesso un solo errore nei suoi confronti…
«Sembri
stanco, Kuroba. Andiamo a letto?» propose Akako, un
sorriso malizioso sulle labbra.
Quella proposta non
lo stupì particolarmente.
Ciò che
lo stupì, invece, fu scoprirsi a rispondere di
sì.
Lo voleva, si rese conto.
Voleva stare con
Akako, passare una notte senza problemi e
sensi di colpa…
Era stanco, troppo
per pensare. Si sentiva la testa pesante.
Si diresse verso il
letto e quel che accadde dopo,
semplicemente, successe.
Kaito si
svegliò in un letto che non era il suo, ma non se
ne accorse immediatamente.
Aveva
un’emicrania lancinante. Si tirò su, sedendo con
la
schiena appoggiata al cuscino.
Quando
realizzò dove si trovava sbiancò. Che
diamine ho fatto…
I ricordi della sera
prima erano piuttosto fumosi, ma
un’immagine piuttosto ricorrente c’era, e non lo
rassicurava per nulla.
Il
volto sorridente e
vittorioso di Akako.
Trovarsi in un letto
che non conosceva con indosso solo un
paio di boxer non lo rassicurò affatto.
Uscì dal
letto in preda al panico e per poco non svenne,
colto da un giramento di testa. Si era alzato troppo bruscamente. Si
riappoggiò
al letto. Non appena ebbe recuperato un po’ di
lucidità, vide i suoi vestiti
ammucchiati sul pavimento e si affrettò a recuperarli.
«Ben
svegliato» in cucina lo accolse Akako. La sua
espressione soddisfatta era fin troppo chiara; Kaito non chiese nulla.
«Dovresti
mangiare, se non vuoi svenire in mezzo ad una
strada. Ieri non hai cenato».
«Devo
tornare da Aoko» disse, allacciandosi la giacca.
Riusciva ad immaginare fin troppo bene l’espressione con cui
lei l’avrebbe
accolto a casa. Ammesso che lo facesse entrare.
«Per farti
rimettere il collare?» il bel volto dell’ex
compagna fu deformato da una smorfia.
Lui non rispose, ma
quella domanda lo ferì. Suonava
spaventosamente corretta.
Aprì la
porta.
«Ti
preferivo quand’eri Kid», scandì la
strega. «Anche se
allora non ti saresti mai concesso a me».
Anch’io,
gli
suggerì il cervello a tradimento. Strinse le labbra.
«Addio, Akako».
Lei non lo
fermò; Kaito aspettò di essere in strada per
sospirare di sollievo. Non sapeva se avrebbe potuto resistere ad un
approccio
più insistente.
I ricordi della sera
prima, sebbene un po’ confusi,
iniziavano a tornargli. Sentì vivida l’eccitazione
che aveva provato, ricordò
come si era sentito nel dominare la ragazza.
Si era sentito libero
e potente come non gli capitava
ormai
da molto. Da troppo, probabilmente.
Come dubitava di
potersi sentire con Aoko. Provò ribrezzo
per sé stesso.
Era giusto
così, era la sua punizione. Doveva, voleva
scontarla.
Allora
perché si era lasciato sedurre da Akako..? Dare la
colpa all’alcool era ridicolo, aveva bevuto solo due birre.
Sicuramente i suoi
freni inibitori avevano allentato la presa, ma Kaito si rese conto che
il rapporto
con la strega lui l’aveva realmente voluto.
L’aveva fatto sentire bene.
Si sarebbe preso a
schiaffi, ma nulla poteva cambiare quel
fatto.
Ho
tradito Aoko… e
l’ho fatto consciamente.
NdA
Ciao a tutti!
Questa storia, scritta per un contest, sul mio pc è
già completa. Sono 3 capitoli in tutto, il terzo
è una sorta di epilogo più che un capitolo vero e
proprio.
Penso di postare il secondo venerdì.
Che dite..? Come reagirà Aoko?
Tra parentesi, io amo questi due. Mi dispiace averli messi in questa
situazione, ma... di necessità virtù (?). E
vabbè.
Se mi lasciate un parere vi sarò davvero grata <3
Mari
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