Lucky Charm

di Shainareth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***





CAPITOLO PRIMO




Tutto iniziò un giovedì mattina.
   Scendendo dall’auto che lo aveva accompagnato a scuola, scorse Marinette attraversare la strada e decise di aspettarla davanti all’ingresso. Vide comparire sul suo volto un’espressione sorpresa ma felice, un leggero rossore sulle guance piene ed un sorriso che gli scaldò il cuore. La giornata era iniziata nel migliore dei modi. Fu questo che pensò Adrien quando, affiancandosi a lei e chiacchierando del più e del meno, attraversò il cortile interno della scuola per raggiungere insieme l’aula al primo piano.
   Quando giunsero a destinazione rimasero entrambi stupiti di trovare Chloé seduta sulla cattedra, le gambe accavallate e il busto leggermente all’indietro, una mano posata sul ripiano a sorreggere il peso del corpo. «Sono certa di ciò che dico», stava sostenendo in direzione di altri loro compagni di classe, «perché mi sono trovata più e più volte in pericolo e loro mi hanno salvata.»
   D’istinto, Adrien irrigidì la schiena: Chloé stava forse parlando di lui e di Ladybug? Il sorriso compiaciuto che stava per dipingersi sulle sue labbra, tuttavia, si congelò quando Alya, braccia conserte, decise di fronteggiare la figlia del sindaco. «E allora lo vedi che ho ragione io? Ti hanno salvata. Tutti e due.»
   L’altra scosse il capo, facendo oscillare la lunga chioma bionda dietro di sé. «In realtà è sempre stata solo Ladybug», ci tenne a precisare. «Chat Noir, in soldoni, non serve a niente.»
   Fu come una stilettata in pieno petto, per il giovane. Davvero Chloé era ancora convinta che lui non fosse all’altezza della sua collega? Serrò le mascelle e strinse i pugni, ma non fece in tempo a fare altro perché, accanto a lui, Marinette si fece avanti con espressione visibilmente stizzita. «Non dire idiozie!» fu dunque il buongiorno che la ragazza diede alla sua eterna rivale. «Chat Noir non è affatto inferiore a Ladybug.»
   Chloé la fissò con aria oltraggiata. «Nessuno ti ha insegnato a non intrometterti nei discorsi degli altri?»
   «Sono obbligata a farlo, se si getta discredito su qualcuno per pura cattiveria», ci tenne a precisare Marinette. Adrien si domandò se quella dell’amica fosse una reazione dovuta all’antipatia per la compagna di classe o se piuttosto lei credesse davvero in ciò che stava dicendo. «Conosco Chat Noir meglio di te», fu ciò che seguì nel discorso in sua difesa, «e ti assicuro che vale quanto e forse persino più di Ladybug.»
   Sgranò gli occhi verdi, fissando Marinette del tutto attonito. Che lui l’avesse incontrata più volte nei panni di Chat Noir era vero; ed era vero anche che lei lo conoscesse meglio di Chloé, perché si erano soffermati a parlare di cose personali non troppo tempo prima. Che però addirittura lo facesse più in gamba di Ladybug… questa era un’autentica novità, per Adrien.
   «Dimentichi che è sempre Ladybug a salvare la situazione?» replicò Chloé, per nulla convinta di ciò che diceva Marinette.
   «Solo perché i suoi poteri le consentono di farlo», rimbeccò lei, le mani sulle anche e lo sguardo determinato. «Ma senza Chat Noir, Ladybug non avrebbe risolto neanche la metà di quelle situazioni di cui parli», aggiunse subito dopo, senza neanche dare all’altra il tempo di ribattere. «Io stessa sono stata salvata da lui più volte. Mi ha protetta a costo di farsi male e mi ha sempre portata al sicuro.» Anche questo era vero, dovette riconoscere Adrien, sentendo il suo orgoglio tornare a palpitare e a ricordargli che sì, lui e Ladybug avevano un rapporto alla pari. «E ti dirò di più, Chloé», stava continuando Marinette, guadagnandosi tutta la sua riconoscenza. «Chat Noir è senza dubbio la persona di cui mi fido di più al mondo.»
   Calò il silenzio. Soprattutto da parte di Adrien che, oltre a trattenere il fiato, di nuovo si ritrovò a fissarla con tanto d’occhi: sul serio contava così tanto, per Marinette? Il cuore gli si riempì di gioia ed un sorriso enorme gli illuminò il volto quando si lasciò scappare: «Ti adoro, Marinette!» Diverse paia d’occhi si volsero nella sua direzione con palese stupore. Quando si accorse che la sua amica era arrossita per quelle parole, Adrien vacillò e corresse il tiro. «Voglio dire… adoro il modo in cui difendi la tua opinione. Lo fai con ardore… con passione.»
   «Questo, evidentemente, perché la nostra Marinette s’è presa una bella sbandata per Chat Noir», affermò Chloé che, non avendo gradito per nulla il solito affiatamento fra lei e Adrien, aveva deciso di puntarle il dito contro.
   «Cosa?!» esclamò la ragazza, imbarazzata non tanto da quell’accusa infondata quanto dal fatto che fosse stata mossa proprio in presenza del giovane di cui era realmente innamorata. Avvertì lo sguardo rovente di Adrien su di sé e si sentì morire.
   «Spiegami allora per quale motivo dovresti essere così generosa nei confronti di quel bell’imbusto», insistette l’altra.
   «Si chiama gratitudine», tornò a prendere parola Alya, intervenendo subito in soccorso dell’amica. «Cosa di cui tu, evidentemente, ignori il significato.»
   Chloé la fissò in tralice. «Non dirmi che sei davvero della sua stessa opinione.»
   «Lo sono eccome!» chiarì l’altra, ferma nelle proprie convinzioni. «Anch’io ho avuto a che fare con i nostri amati eroi… e ci ho anche collaborato!» asserì con una luce scintillante negli occhi scuri. Se si riferisse a quella volta che li aveva aiutati quando monsieur Damocles s’era messo in testa di fare il supereroe o se alla sua avventura nei panni di Rena Rouge, non aveva davvero importanza. «E poi dimentichi che seguo continuamente le loro apparizioni», proseguì indomita, premendo la punta del pollice contro il petto formoso. «Sono pur sempre la creatrice del Ladyblog, e posso assicurarti che Ladybug e Chat Noir sono una squadra sotto tutti i punti di vista.»
   «Lo penso anch’io», esclamò allora Adrien, felice di sapere che Marinette non era l’unica a pensarla in quel modo. Ciò nonostante, erano state le sue parole a colpirlo di più, per via di quella cieca e incondizionata fiducia che la ragazza aveva deciso di riporre su di lui senza neanche sapere la verità. Il suo ego si gonfiò, per questo, in una maniera che non avrebbe mai creduto possibile. E no, non per pura vanagloria, quanto perché ci teneva davvero tanto all’opinione di Marinette.
   Chloé gli lanciò uno sguardo imbronciato e forse fu sul punto di controbattere; tuttavia fu costretta a tacere quando la professoressa Bustier si palesò sulla soglia dell’aula. Subito scese dalla cattedra e, come anche gli altri suoi compagni, si affrettò a raggiungere il proprio posto, occhieggiando un’ultima volta in direzione di Adrien che, dall’altra parte del corridoio che separava i loro banchi, continuava ad avere sulle labbra un sorriso meravigliosamente soddisfatto, quasi come se avesse vinto chissà quale ambito premio.
   Non vista, alle sue spalle Marinette continuava a sentire il cuore martellarle in petto con prepotenza: benché avesse cercato di riparare all’istinto che lo aveva lasciato pronunciare quelle parole, Adrien aveva detto chiaro e tondo che la adorava. Aveva forse capito male? Aveva inteso una cosa per un’altra perché, oltre che le lentine rosa, l’amore le aveva anche foderato le orecchie con soffici batuffoli d’ovatta? Rivolse uno sguardo ad Alya che, seduta accanto a lei, le strizzò un occhio con fare complice. «Non sarà amore, ma… direi che ci siamo vicini, no?» le sussurrò mentre la professoressa iniziava a fare l’appello.
   Quindi non l’aveva sognato! Adrien l’adorava! Marinette iniziò a gongolare così tanto che, quando mademoiselle Bustier pronunciò il suo nome, neanche se ne accorse. Ma che importanza poteva avere, un richiamo da parte di un’insegnante, se Adrien l’adorava? «Posso morire felice…» le sfuggì di bocca, in tono sognante ma abbastanza alto da poter essere udito da buona parte dei suoi compagni di classe.
   «Possibilmente fra cent’anni», intervenne allora la professoressa, portandosi le mani sulle anche con fare paziente. «Ora però concentrati sulla lezione o sarò costretta a spedirti dal preside.»
   Complice anche il colpetto al braccio che le diede Alya e le risatine degli altri, Marinette finalmente si riebbe e si strinse nelle spalle con fare vergognoso, arrossendo e balbettando: «C-Chiedo scusa!»
   Il resto della mattinata passò senza altri incidenti di sorta, ma per lei fu comunque difficile riuscire a mantenere desta l’attenzione perché alla mente continuavano a tornarle non soltanto le parole di Adrien, ma anche l’espressione di gioia che gli aveva scorto in volto mentre le pronunciava. Ci teneva così tanto, alla sua opinione? Su Chat Noir, poi? No, probabilmente, come lei, era rimasto sorpreso dal fatto che entrambi la pensavano allo stesso modo riguardo ai supereroi di Parigi. Chissà cos’avrebbe detto, Adrien, se avesse scoperto che una dei due era proprio lei!
   I loro occhi si incrociarono più volte nell’arco della giornata, sorridenti e timidi, ma non fu loro concesso di scambiarsi altre parole e Marinette vide il giovane scivolarle via dallo sguardo quando, alla fine delle lezioni pomeridiane, fu inghiottito dall’auto di famiglia, che lo portò via da lì. Rassegnata ma comunque felice per quanto accaduto, la ragazza salutò Alya e Nino e si diresse a passo leggero verso casa.
   Adrien la seguì con la coda dell’occhio fino a che l’auto non svoltò. In tutta onestà, non capiva la ragione per cui suo padre si ostinasse a far scomodare la sua guardia del corpo e Nathalie per accompagnarlo durante il tragitto da casa a scuola e viceversa: la villa in cui abitavano era ridicolmente vicina all’istituto Françoise Dupont e lui avrebbe benissimo potuto percorrere la strada a piedi. Di più, gli dava noia la consapevolezza che, in auto, avrebbe sempre dovuto passare davanti a Le Grand Paris, con il rischio di essere intercettato da Chloé e bloccato da uno dei suoi capricci. A piedi, invece, avrebbe di sicuro percorso una strada diversa, costeggiando Place de Vosges dall’altro lato e, magari, avrebbe potuto persino fare tappa alla boulangerie dei genitori di Marinette, che sfornava i dolci migliori di tutta la città.
   Quel pensiero gliene fece venire in mente un altro e subito si rivolse a Nathalie, che se ne stava seduta al suo fianco. «Hai mai avuto la piena e incondizionata fiducia di qualcuno?»
   La donna sollevò un sopracciglio scuro, senza tuttavia mutare espressione. «Me lo ha chiesto davvero?» volle sapere in tono retorico.
   Adrien si sentì uno sciocco. «Domanda idiota, hai ragione», mormorò quindi, quasi ridendo di sé. Nathalie era pur sempre l’assistente di suo padre, l’unica di cui lui si fidasse e alla quale aveva persino affidato l’educazione del suo unico, prezioso figlio. Ciò nonostante, per Adrien non era la stessa cosa, perché quello era più che altro un rapporto di lavoro fine a se stesso. La fiducia che invece Marinette riponeva in lui – o meglio in Chat Noir – era decisamente di natura diversa. Avrebbe voluto farle sapere quanto lo aveva reso felice e orgoglioso con quella sua dichiarazione, ma temeva che, facendolo, la ragazza avrebbe finito per sospettare qualcosa circa la sua doppia identità.
   L’idea gli venne dopo cena, quando, lanciando uno sguardo al cielo al crepuscolo oltre i vetri della grande finestra della sua stanza, vide sorgere la luna, bella e piena per oltre tre quarti, ma pallida come se dovesse ancora acquistare le forze per la lunga veglia notturna sulla città. Alla mente gli tornò il plenilunio del mese appena passato, che gli aveva addolcito i pensieri e ingentilito il cuore, portandolo a prendere una delle decisioni più significative della sua vita: dichiarare il proprio amore a Ladybug. Non era andata come aveva sperato, proprio no; ma almeno aveva scoperto di essere ugualmente importante per lei. Non solo: quella sera aveva anche aperto il proprio animo ad un’altra persona, l’unica a cui avesse mai confidato i suoi sospiri più segreti. Anche lei col cuore a pezzi, Marinette era stata ad ascoltarlo, gli aveva fatto compagnia e, soprattutto, aveva cercato di risollevargli il morale nonostante fosse la prima ad aver bisogno di qualcuno che le facesse dono di un sorriso. Non c’era ragione per cui Adrien non si sentisse in qualche modo debitore nei suoi confronti, specie dopo quanto la sua amica aveva affermato con decisione quella mattina.
   Attese che il buio scendesse su Parigi e, complice il suo costume scuro e l’agilità da gatto, dopo aver richiamato il potere del proprio miraculous, saettò fuori dalla finestra e fuggì sui tetti vicini, fino a che non fu su quello di casa di Marinette. Le luci del suo balcone erano accese anche quella sera, ma lei non c’era. Cercando di fare il meno rumore possibile, Chat Noir si acquattò sulla facciata del palazzo e sbirciò attraverso il vetro della piccola finestrella che dava sul letto della ragazza. Era vuoto, ma la stanza era illuminata, a testimonianza che lei doveva essere lì da qualche parte. Se ricordava bene la struttura della sua camera – Adrien c’era stato due volte, ma solo in un’occasione aveva avuto abbastanza tempo e testa per guardarsi attorno – la finestrella a cui si era affacciato doveva essere quella posta sul soppalco. Lì sopra al letto, da qualche parte, doveva esserci la botola che introduceva all’interno, ma probabilmente era chiusa e in ogni caso lui non voleva risultare invadente fino a quel punto. Riflettendoci bene, lo era già stato, spiando la sua amica in quel modo. Vergognandosi di se stesso, tornò ad issarsi sul tetto dell’edificio. Forse non era stata una grande idea presentarsi lì all’improvviso, eppure Adrien non aveva alcuna intenzione di abbandonare il proposito che si era fissato quella sera. Saltò di nuovo sul balcone e, prendendo un bel respiro, bussò alla botola con fare educato.
   Aspettò diverso tempo, ma Marinette non diede segni di vita. Che non lo avesse udito? In caso contrario, non poteva biasimarla se aveva deciso di non fidarsi di quell’intrusione inaspettata, soprattutto se non sapeva che si trattava di lui. Ma in che altro modo avrebbe dovuto avvertirla del suo arrivo? Come poteva contattarla senza destare in lei sospetti di vario genere? Rimuginando su questo, Chat Noir si lasciò cadere a gambe incrociate sul balcone, la mano sinistra sul ginocchio, il gomito alto, e le dita della destra che tamburellavano sul mento a sottolineare l’espressione pensierosa. Prima ancora che potesse giungere ad una qualsivoglia conclusione, compresa quella di lasciar perdere e tornare a casa, la botola davanti a lui si schiuse e due grandi occhi azzurri apparvero attraverso la fessura, guardinghi.
   «Marinette!» saltò su il giovane, spalmandosi sul pavimento per farsi vedere meglio da lei, un sorriso enorme ad illuminargli il volto mascherato. La vide sgranare le orbite con fare sorpreso e sollevare di più il portello per affacciarsi meglio. Indossava ancora gli abiti da giorno, ma aveva i capelli sciolti che le incorniciavano il viso rotondo, rendendola più graziosa di quanto già non fosse. Adrien non riuscì ad evitare di divorarla con lo sguardo, sentendosi ancora più allegro di prima. «Spero di non disturbarti.»
   Lei lo fissò stordita, le labbra socchiuse e mille domande che le si affastellavano in testa. «Chat Noir…»
   «Hai tempo per me?» le chiese lui, tornando a sedere composto. «Avevo bisogno di vederti.»
   Marinette s’irrigidì appena, incapace di credere a ciò che aveva appena sentito. «Di vedere me
   L’altro annuì con vigore. «C’è un posto in cui devo assolutamente portarti.» La confusione sul viso della ragazza fu tale che Adrien fu costretto a smorzare il proprio entusiasmo e a tornare con i piedi per terra. «Hai ragione, perdonami. Vengo qui e ti travolgo senza neanche darti il tempo di ragionare», ricominciò allora, rivolgendole un sorriso di scuse.
   Lei ridacchiò, rilassando le spalle e posando i gomiti sul pavimento davanti a sé, come se fosse serenamente appoggiata al davanzale di una finestra. «È successo qualcosa?»
   «Forse», fu la risposta sibillina che le diede Chat Noir, lasciandola volutamente in sospeso. Se non poteva dirle la verità, poteva almeno stuzzicare la sua fantasia. «Lo so che non ero atteso, ma, sul serio, c’è una cosa che vorrei mostrarti», tornò a dire con fare più serio.
   «Come mai?»
   «Quando un eroe mascherato viene a bussare alla tua porta, non dovresti mostrarti tanto restia ad accettare il suo invito, sai?»
   Marinette rise di nuovo. «Dammi un minuto e sono da te», promise allora, sparendo oltre la botola e richiudendola dietro di sé per precauzione. Sedette sul letto e rivolse uno sguardo interrogativo alla piccola Tikki che era rimasta nascosta lì accanto per qualunque evenienza. Il kwami, però, scrollò le spalle minute, a conferma che neanche lei aveva la più pallida idea del perché Chat Noir fosse tornato sul suo balcone a distanza di qualche settimana. Marinette poteva fidarsi? Certo, che domande. Tuttavia la curiosità aveva iniziato a divorare entrambe e questo indusse la ragazza a recuperare la borsetta che era solita portare a tracolla e a farci entrare la sua amica insieme ad un paio di biscotti per le emergenze. Quindi, dopo aver dato una fuggevole occhiata al proprio riflesso sullo specchio, tornò ad arrampicarsi sul soppalco e poi sul letto, uscendo di nuovo all’aria aperta.
   Chat Noir, che l’aveva aspettata seduto sulla ringhiera del balcone, si volse nella sua direzione e si rallegrò di vederla ancora con i capelli sciolti. Era una novità, per lui, e aveva deciso che gli piaceva molto. «Sei pronta?» le domandò, porgendole il palmo della mano proprio come aveva fatto la volta precedente. Marinette sorrise e accettò il suo invito; un attimo dopo, si sentì sollevare da terra mentre allacciava le braccia attorno al collo del giovane e si abbandonava completamente a lui. Ecco la conferma che non aveva mentito, quella mattina, quando aveva affermato a gran voce di fidarsi ciecamente di Chat Noir. Fu questo che pensò Adrien con soddisfazione, balzando sul tetto del palazzo e portandola via con sé nell’oscurità. «Chiudi gli occhi», le sussurrò, sentendo il dolce peso della sua testa contro la spalla, il respiro caldo sul collo che si confondeva con l’aria fresca della sera.
   Marinette obbedì e non fece domande, lasciando che lui la conducesse in quel posto speciale in cui aveva deciso di portarla. In tutta onestà, dentro di sé si chiedeva quale fosse la vera ragione per cui Chat Noir era tornato da lei, a quasi un mese di distanza dall’ultima volta che si erano incontrati in circostanze analoghe. Aveva forse mancato di nuovo nei suoi confronti mentre vestiva i panni di Ladybug? Non ricordava di averlo fatto e sperò di tutto cuore che la memoria non la ingannasse; anche e soprattutto perché, dopo essersi resa conto di quanto fosse stata ingiusta nel giudicare il suo amico mascherato senza curarsi di conoscerlo davvero, si era preoccupata di essere più premurosa e meno superficiale con lui. E anche se così non fosse stato, cosa mai poteva spingerlo a cercare di nuovo Marinette anziché Ladybug? A meno che Chat Noir non avesse scoperto la verità… possibile che fosse quella, la ragione che lo aveva spinto a bussare al suo tetto?
   Rimase con quella curiosità fino a che non si fermarono. «Ora puoi guardare», si sentì dire con voce rassicurante. Sollevò di nuovo le palpebre e quel che vide la lasciò senza parole: Chat Noir l’aveva portata in cima alla Tour Eiffel. «Con molta probabilità avrai già visto questo panorama in altre occasioni», e invero una di queste l’aveva creata lui stesso, accompagnandola lì per farla sfuggire all’attacco che Papillon aveva sferrato il giorno del suo compleanno, dopo aver akumizzato sua nonna. «Però non credo che tu abbia avuto la fortuna di ammirarlo di sera.» Invece Marinette lo aveva fatto, molte volte, e sempre insieme a lui. Chat Noir però non poteva saperlo, perché lei aveva sempre indossato la maschera di Ladybug. «Era questo che volevo mostrarti: la bellezza della Ville Lumière.»
   A ben guardare, il giovane aveva ragione: mai le era capitato di ammirare quello spettacolo con la dovuta calma, ma sempre e solo di sfuggita, nei concitati momenti di questa o quella battaglia, senza mai godere davvero di quell’incanto. Senza che potesse evitarlo, Marinette sorrise come una bambina mentre gli occhi le si riempivano di meraviglia. «È splendida.»
   Felice che lei avesse apprezzato la sua idea, Chat Noir la mise infine giù con estrema cura e la lasciò scivolare via dal suo abbraccio. La vide avvicinarsi al parapetto e volgere lo sguardo all’intera città con espressione estasiata. Le si fece vicino e poggiò i gomiti sulla ringhiera, volgendo anche lui lo sguardo alla città sottostante. Con i suoi trecento metri e più di altezza, la Tour Eiffel sovrastava Parigi in modo impressionante, dando quasi la sensazione di osservarla dalle nuvole. Di sera, però, quello spettacolo diventava ancora più suggestivo, con quelle innumerevoli luci che da quasi due secoli rischiaravano le strade cittadine.
   «Posso chiederti cosa ti ha spinto a portarmi qui?»
   La voce di Marinette lasciava trasparire tutta la sua curiosità e Adrien non ebbe cuore di tenerla ancora sulle spine. «Volevo ringraziarti.» Lei corrucciò la fronte, voltandosi a guardarlo. Le sorrise. «Per quella sera, quando mi hai permesso di rimanere in tua compagnia e hai cercato di tirarmi su di morale.»
   La ragazza stese le labbra a sua volta, addolcendo i tratti del viso in un’espressione che lui raramente le aveva visto: quando parlavano a tu per tu, a scuola o durante i pochi incontri che avvenivano al di fuori delle lezioni, Marinette sembrava sempre in preda all’ansia e alla timidezza, lasciandolo perciò del tutto all’oscuro di qualcosa che invece le veniva naturale mostrare a Chat Noir. «A dire il vero, sei stato tu il primo a regalarmi un sorriso, mostrandomi la sorpresa che avevi preparato per Ladybug.» Quella, invece, era tutta per lei, per Marinette. Quella consapevolezza le fece battere il cuore con gioia.
   «L’ho mostrata anche a lei, dopo», le raccontò il giovane, distogliendo lo sguardo. Lei ne osservò il profilo, soffermandosi sull’espressione dei suoi occhi e sulla linea della sua bocca. Non sembrava triste per il rifiuto che era stata costretta a dargli nei panni dell’eroina, quanto sereno o, forse, soltanto rassegnato. «Mi ha detto che mi considera un buon amico.»
   Incapace di rispondere, Marinette calò le ciglia sul viso con aria mortificata e si morse il labbro inferiore, avvertendo il battito del cuore scemare di nuovo d’intensità. «Anche lui ha detto la stessa cosa», confessò allora, volendo pareggiare i conti. Sapeva che Chat Noir non avrebbe potuto ricollegare il suo lui a quello di Ladybug, ma voleva comunque che sapesse.
   Il giovane tornò a sollevare lo sguardo su di lei, questa volta con aria stupita. «Ti sei dichiarata?»
   L’altra scosse il capo. «Alle volte quasi non riesco a parlargli, figurarsi dirgli quello che provo…» borbottò amareggiata. «L’ho sentito mentre lo diceva a qualcun altro», sospirò poi, sollevando gli occhi al cielo notturno e a quella grande, bellissima luna, ancora una volta unica testimone dei loro segreti più intimi e di quell’amicizia che stava sbocciando come una rosa preziosa.
   «È comunque un buon punto di partenza», affermò Chat Noir, con decisione.
   Marinette sorrise con tenerezza. «Non ti arrendi?»
   «Tu sì?»
   «Mai.»
   «Neanch’io ho intenzione di farlo.»
   Sentirglielo dire la commosse e le fece male al cuore al tempo stesso. Era lei la principale causa dei patemi d’animo di quel giovane innamorato, ma non c’era davvero nulla che potesse fare per alleviare le sue sofferenze. Avrebbe voluto dirgli che le dispiaceva, che non meritava di stare male a causa sua e che avrebbe dovuto rivolgere i propri sentimenti altrove, eppure… eppure Marinette aveva capito che Chat Noir era come lei, qualcuno di speciale che la capiva e che condivideva la sua medesima concezione dell’amore. Il destino sapeva essere davvero crudele.












Rieccoci qui, con una nuova long. Anticipo che sarà breve, di appena quattro capitoli (tutti già scritti). In verità avrei potuto tranquillamente pubblicare l'intera storia come shot, ma tempo fa qualcuno aveva già protestato per la lunghezza di Sogni, quindi ho preferito evitare altri malcontenti (e poi, in effetti, in questo modo anche a me viene più facile rivedere con calma il tutto).
Non credo di avere molto da dire, a parte che questa sarà una fanfiction molto più leggera di Limiti, perché si concentra unicamente sul romanticismo, ma anche sulla fiducia e sull'amicizia incondizionate.
Ringrazio per i consigli e il betaggio sia Florence che RaffyChan e vi do appuntamento al prossimo capitolo, fra circa una settimana.
Buona giornata! ♥
Shainareth





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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***





CAPITOLO SECONDO




«Marinette…» Tentennò, distogliendo lo sguardo con fare impacciato.
   Non abituata a quel genere di atteggiamento da parte sua, lei lo trovò adorabile. «Cosa?» lo incoraggiò in tono dolce, mentre tornava a posare le piante dei piedi sul balcone di casa.
   A dispetto della differenza d’altezza, Chat Noir la lasciò andare e la fissò di sottinsù. «Ti darebbe noia se tornassi a trovarti?»
   E si era intimidito per una cosa del genere? Con lei? Marinette sorrise, sempre più intenerita da quella piacevole novità. «Certo che no. Vieni pure quando vuoi.»
   Il giovane tornò a ringalluzzirsi e si batté la mano chiusa a pugno sul petto. «Eviterò di assillarti, promesso.»
   «Come mai questa precisazione?» ci tenne a chiedergli l’altra, intrecciando le braccia sotto ai seni e fissandolo sorniona. Come Ladybug sapeva perché lui l’avesse detto, ma se doveva mantenere le apparenze, era costretta a fingersi ignara del suo lato più turbolento.
   «Temo che prima o poi lo scoprirai da sola», fu l’onesta risposta che ottenne e che le strappò un risolino divertito. «Alla prossima, allora», disse Chat Noir, avviandosi di nuovo verso la ringhiera del balcone.
   «Chat Noir?» Si volse a guardarla ancora volta e, occhi negli occhi, Marinette gli fece dono di un ultimo sorriso. «Grazie.» Lui si portò due dita alla tempia in segno di saluto e, infine, si sporse oltre il parapetto, lasciandosi ricadere all’indietro e sparendo nella notte. La ragazza si affacciò con l’intento di seguirlo con lo sguardo, ma l’eroe era già filato via.
   Sentì lo scatto della chiusura della borsetta che si apriva e un attimo dopo Tikki le fu accanto. «È davvero un bravo ragazzo.»
   «Su questo non ho mai avuto dubbi», affermò l’altra, avvertendo un senso di vaga soddisfazione nell’animo. «Non sapevo, però, che fosse anche così dolce. E timido, addirittura…» Sulle sue labbra tornò ad affiorare il sorriso. «Quel suo modo di fare, poco fa, mi ha quasi ricordato Adrien.» Tikki le rivolse un’occhiata incuriosita, ma non fiatò. La vide chinare il capo fra le spalle con aria quasi sconfitta e udì il suo sospiro. «Mi sento un verme, però…»
   «Non è certo colpa tua, se non ricambi i suoi sentimenti», le fece notare il piccolo kwami.
   «Oh, lo so bene», rispose Marinette, ruotando su se stessa e scivolando a sedere sul pavimento, la schiena contro la ringhiera. «Altrimenti dovrei avercela con Adrien perché non riesce a provare per me nient’altro che amicizia… Ma no, non era a questo che mi riferivo», spiegò dunque, accogliendo la creaturina fra le mani poste a coppa. «Ciò di cui mi rammarico è il fatto che lui si confidi con me in questo modo, ignorando che sono proprio io la causa del suo cuore spezzato. Mi sembra di tradire la sua fiducia.»
   «Puoi sempre dirgli la verità», le suggerì Tikki, guardandola con quei suoi occhioni azzurri e profondi che sembravano scrutarle l’anima. «Nessuno ti vieta di farlo.»
   «Lo so, ma… temo che ormai sia tardi e che, se lo facessi, lui finirebbe col provare risentimento nei miei confronti. Non voglio perdere la sua amicizia. Chat Noir è troppo prezioso, per me. Gli voglio bene quanto ne voglio ad Adrien, anche se in modo differente.»
   Quelle parole smossero il suo cuore e la indussero a sorridere con affetto all’amica. «Marinette, Chat Noir non potrebbe mai arrabbiarsi seriamente con te.»
   «Dici?»
   «Ne sono certa.»

Quando Adrien la rivide, Marinette aveva di nuovo i capelli legati nei i suoi soliti codini. Le conferivano senz’altro un’aria più sbarazzina e infantile, ma al tempo stesso gli riportavano alla mente quelli dell’amata. Marinette in qualche modo le assomigliava.
   La salutò con lo stesso, gentile sorriso di sempre e la seguì con lo sguardo mentre andava a sedersi nel banco dietro al suo. Quella appena trascorsa era stata una serata piacevole, più della prima che li aveva visti in giro per i tetti di Parigi sotto la luna piena. Questo perché nessun akumizzato aveva cercato di rompere l’idillio, lasciando che loro potessero discorrere in modo tranquillo e a mente più serena, senza urgenze o cuori spezzati di fresco. Adrien aveva scoperto di avere diverse cose in comune, con Marinette, molte più di quanto avesse immaginato. Confrontarsi con lei era stato confortante e persino istruttivo, sotto certi aspetti, e un po’ si sentiva in colpa per aver ottenuto delle confessioni di cui lei forse non lo avrebbe mai messo a parte, se lui non avesse indossato quella maschera nera a celare la sua vera identità. Con Adrien, Marinette era sempre piuttosto riservata, mentre con ChatNoir era riuscita a lasciarsi andare e a parlargli con il cuore in mano.
   Ed era in effetti con un senso di liberazione che la ragazza si era presentata a scuola, quella mattina, benché fosse offuscato dalla consapevolezza di essere stata in parte disonesta con il suo amico e compagno di avventure: gli aveva confidato i suoi sentimenti più remoti, mentre lui le parlava dell’amata senza sapere di averla accanto. Ciò nonostante, il pensiero di poter parlare liberamente con qualcuno che la capisse fino in fondo le scaldava l’animo e la faceva sentire meglio… e peggio al contempo, poiché sapeva cosa significava avere il cuore in frantumi e la dilaniava il pensiero di ridurre Chat Noir allo stesso modo.
   «Mi stai ascoltando?» La voce di Alya la riportò con i piedi per terra e lei batté le palpebre più volte con aria confusa. Vide l’amica scuotere il capo e sussurrarle: «Stavi di nuovo fantasticando sul tuo grande amore? Sarebbe meglio che tu imparassi a controllarti almeno quando lui è nei paraggi.»
   Quel bonario rimprovero la fece arrossire. Alya aveva ragione, era davvero il caso che lei la smettesse di sognare ad occhi aperti o, come in questo caso, di pensare ad altro almeno quando era a scuola. «Scusa… Che stavi dicendo?»
   «Più tardi ti va di andare insieme da qualche parte? Sono rimasta bloccata a casa a fare da babysitter alle mie sorelline per tre pomeriggi di seguito, ho davvero bisogno di rilassarmi.»
   Lo sguardo di Marinette scivolò su Nino, impegnato a mostrare qualcosa sul cellulare ad Adrien. «Pensavo avresti preferito vederti con lui…»
   «Una cosa non esclude l’altra», ammiccò Alya, un sorriso sornione sulle labbra. Si sporse in avanti e richiamò l’attenzione dei due ragazzi. «Se più tardi siete liberi, vi va di andare a prendere un gelato dopo la scuola?»
   Non aspettandosi un risvolto del genere, Marinette s’irrigidì tutta e fissò gli occhi su Adrien che a sua volta spostò i propri su di lei, facendola avvampare all’istante quando distese le labbra in un’espressione che le fece battere il cuore all’impazzata. «Volentieri!» rispose di getto. Un istante dopo si ricordò di avere delle catene che lo tenevano bloccato in casa e il suo sorriso si smorzò notevolmente.
   «Tuo padre ti lascerà venire?» gli domandò Nino, facendosi portavoce delle loro amiche.
   Adrien si strinse nelle spalle. «Lo spero», balbettò, frustrato al pensiero di non essere libero di fare ciò che voleva come gli altri. Non erano poche le volte in cui suo padre aveva accondisceso alle sue richieste, ma erano molte di più quelle in cui gli aveva espressamente vietato di prendere parte alle uscite con gli amici – e in quelle occasioni lui aveva sempre finito per fuggire sotto le spoglie di Chat Noir, assaporando e godendo della meravigliosa sensazione di libertà che gli dava correre sui tetti della città. Avrebbe pagato oro pur di poterlo fare ad ogni ora del giorno e della notte, senza vincoli e senza dover necessariamente ricorrere al potere del miraculous.
   Ad interrompere il triste filo dei suoi pensieri ci pensò l’arrivo di Kim che, tutto pimpante, iniziò a distrarre lui e Nino con delle chiacchiere che Marinette neanche ascoltò, troppo presa dal riflettere a sua volta sulla situazione non proprio felice dell’amato. Avrebbe voluto fare qualcosa per lui, per risollevargli l’umore e, soprattutto, per risolvere almeno una minima parte dei suoi problemi. Se solo il padre di Adrien fosse stato meno testardo…
   «Se Adrien riuscirà a venire con noi, oggi, dobbiamo fare di tutto per farlo divertire.» Quella di Alya quasi le parve una minaccia, vista la determinazione con cui la pronunciò. A Marinette venne da ridere, ma la guardò con gratitudine: Adrien aveva dei buoni amici, poteva contare su di loro. «E tu, signorina, farai bene a dare il massimo per evitare figuracce.»
   «Sai bene che ne farò almeno una», rispose con rassegnazione, a dispetto del sorriso che le incurvò le labbra verso l’alto. «L’ultima volta che io e lui ci siamo visti al di fuori delle lezioni scolastiche, sono andata in giro tutto il giorno in pigiama. E mi hanno pure taggata in tutti i social possibili e immaginabili in quelle dannate condizioni.»
   Alya rise. «Sì, ma almeno ci hai anche guadagnato qualcosa», le ricordò, dandole un colpetto scherzoso sulla fronte con la punta di un dito. «Ora tutti pensano che tu sia la sua ragazza», aggiunse con tenerezza, facendola arrossire.
   «Quella voce è già stata smentita», ci tenne a precisare Marinette, più per evitare di dare problemi al giovane che di illudersi inutilmente. «Credo sia anche per questo che Chloé non me l’abbia ancora fatta pagare.»
   «Forse», le concesse l’altra, «ma resta il fatto che hai destato comunque interesse e sospetto nelle sue fan, e non mi pare ci siano state ritorsioni da parte loro. Anzi, hai suscitato persino ammirazione.»
   «Sii seria, Alya… Chi potrebbe mai credere che Adrien Agreste esca con una svitata che se ne va in giro in pigiama?» la mise sul ridere Marinette, scacciando l’idea con un gesto della mano. «Va bene così, davvero», aggiunse poi, stringendosi nelle spalle. Sapeva di essere soltanto una buona amica, per lui, ma almeno la consolava il pensiero che Adrien si fosse fidato di lei, chiedendole aiuto e cercando persino protezione. Bastava quello a renderla felice.

C’erano delle volte, però, in cui il destino sembrava cospirare contro anche quelle sue piccole, fondamentali conquiste. Non soltanto il padre di Adrien non aveva acconsentito a farlo uscire, dopo la scuola; anche Nino, alla fine, aveva dovuto dar loro buca a causa di un altro impegno familiare di cui si era completamente dimenticato, facendo sbuffare Alya.
   «Non è mica colpa loro», li difese prontamente Marinette, mentre salivano in camera per tornare a prendere le borse con i libri che avevano lasciato lì prima di fare un giro per le vie del centro.
   «Non è con loro che me la prendo, infatti», ribatté la sua amica in un borbottio infastidito. «È ormai da un po’ che non riusciamo a vederci tutti e quattro insieme.»
   «Ci rifaremo presto, vedrai», la consolò l’altra. Fuori iniziò a tuonare e lei sollevò lo sguardo alla botola che dava sul balcone, ricordando solo in quel momento di averla lasciata aperta per far arieggiare la stanza. Visto il sole di quella mattina, mai avrebbe pensato che il cielo potesse annuvolarsi a quel modo. Salì sul soppalco e poi sul letto per chiudere il portello, ma non appena fece capolino oltre l’apertura, sobbalzò: accucciato in un angolo del terrazzino, Chat Noir la fissava con un enorme sorriso in volto. «Ciao!»
   Marinette lanciò uno sguardo furtivo di sotto, pregando che Alya non avesse sentito, e subito sgattaiolò fuori dalla botola, chiudendosela alle spalle. «Che ci fai, qui?» chiese a bassa voce, avvicinandosi carponi al giovane.
   Quello inarcò le sopracciglia bionde. «Me lo hai detto tu che potevo tornare a trovarti», rispose in tutta tranquillità. Sapeva che lei sarebbe stata impegnata con Alya, quel pomeriggio, ma era giù di morale perché suo padre come al solito gli aveva vietato di uscire con i suoi amici. Per questo aveva aspettato un po’ prima di trasformarsi e di fuggire dalla sua camera per andare dritto a casa di Marinette. Vedendo la botola aperta, si era anche affacciato di sotto e l’aveva chiamata sottovoce, ond’evitare di essere udito dai genitori di lei; quando però si era reso conto che la ragazza non era ancora rientrata, aveva subito fatto dietrofront ed era rimasto lì fuori ad aspettarla.
   «Scusa…  non è un buon momento…» mormorò Marinette, maledicendo il tempismo dell’eroe. «C’è una mia amica e…»
   «Scusami tu», la interruppe Chat Noir, afferrando al volo la situazione e dandosi dello stupido per non aver tenuto conto dell’eventualità che Alya potesse fermarsi lì ancora per un po’, essendo venerdì pomeriggio. «Tolgo subito il disturbo», affermò, alzandosi in piedi e facendo per andarsene.
   Marinette allungò un braccio e lo agguantò per la cinta che fungeva da coda al suo costume da gatto, bloccando la sua fuga sul nascere. «Puoi tornare più tardi, se ti va», gli propose, un sorriso gentile tutto per lui sulle labbra.
   Adrien avvertì quel familiare, confortante calore che solo la dolcezza di Marinette sapeva dargli. «Se non piove, sarò da te.»
   «Marinette?»
   La voce di Alya anticipò di un soffio l’apertura della botola e Chat Noir sfuggì alla presa dell’amica appena in tempo per balzare sul tetto, trattenendo il fiato: era stato visto?
   «Si può sapere che fine hai fatto?» sentì chiedere a Marinette, che intanto occhieggiava ripetutamente nella sua direzione con fare nervoso. Sperò che questo non li tradisse. «Guarda qua», riprese Alya, mostrandole qualcosa sul cellulare. «Sui social c’è ancora qualcuno che crede che tu sia davvero la ragazza di Adrien.»
   I diretti interessati drizzarono la schiena e Chat Noir si fece tutto orecchie, mentre Marinette arrossiva vistosamente. «C-Che assurdità!» balbettò in preda all’ansia.
   «Te lo avevo detto, no?» insistette l’altra, tutta contenta. «Vedrai che prima o poi anche lui si convincerà che sei l’unica degna di tanto onore.»
   «T-Torniamo dentro!» esclamò Marinette a voce innaturalmente alta, spingendola verso la botola. «Sta iniziando a piovere!»
   «Va bene, va bene…» rise Alya, obbedendo senza opporre resistenza. «Però devi ammettere che questa storia potrebbe essere una buona occasione, per te.»
   «Alya!» la pregò ancora la sua amica, cercando di farla tacere una buona volta.
   «Ma che diavolo ti prende?»
   Fu questa l’ultima cosa che udì Adrien prima che la botola venisse chiusa con un tonfo, lasciandolo da solo. Il giovane rimase immobile dov’era, fissando il punto in cui le due ragazze erano sparite, senza tuttavia vederlo realmente. Né si accorse subito delle prime gocce di pioggia che avevano iniziato a cadere giù dal cielo ombroso, preso com’era da quell’inaspettata, sconcertante rivelazione: Marinette era innamorata di lui.
   Di lui.
   Ed era sempre di lui che lei gli aveva parlato la sera prima, quando gli aveva confidato che mai e poi mai avrebbe rinunciato ai suoi sentimenti, che non si sarebbe arresa nonostante fosse ben consapevole che lui la considerasse soltanto una buona amica. Gli aveva persino detto che non riusciva a parlare con il ragazzo che amava a causa dell’agitazione, e Adrien finalmente comprese quale fosse la ragione per cui Marinette appariva sempre così timida e goffa nei suoi confronti.
   Si lasciò cadere seduto contro la canna fumaria e alzò il capo, osservando la pioggia che scendeva placida sulla città. Nella mente un unico, sconfortante pensiero: era un gran cretino.
   Di sotto, intanto, per quanto Alya chiacchierasse allegramente di Adrien o del Ladyblog o dell’ultimo pettegolezzo udito a scuola, Marinette non riusciva davvero a prestarle la dovuta attenzione. Chat Noir aveva ascoltato tutto? Aveva quindi scoperto chi era la persona che le faceva palpitare il cuore d’amore? Certo era impensabile che lui potesse ricollegare Adrien al ragazzo amato anche da Ladybug, ma rimaneva il fatto che Marinette avrebbe voluto tenere quel segreto per sé, come se rivelarglielo avesse reso Chat Noir più vulnerabile di quanto già non fosse. E, dopotutto, non lo stava già facendo soffrire abbastanza, non ricambiando i suoi sentimenti?
   Il maltempo imperversò su Parigi fino a tardi e lei diede per scontato che il giovane fosse ormai andato via. Dopo che Alya tornò a casa, Marinette volle comunque affacciarsi di nuovo sul balcone e provò a chiamarlo, senza tuttavia ottenere alcuna risposta. Sospirando sconsolata, levò lo sguardo al cielo cupo: quella notte nessuna luna avrebbe illuminato i loro pensieri.

Adrien si concesse quel sabato mattina per riflettere a fondo sulla faccenda. Poteva anche darsi che avesse capito male, no? Pertanto avrebbe approfittato di quei due giorni di vacanza per cercare di capire in che modo comportarsi con Marinette da quel momento in poi.
   Le voleva bene. Tanto. Anzi, lui la adorava. Aveva un’altissima opinione di lei, pensava che fosse la persona migliore che conoscesse, l’amica più fidata – sì, persino più di Nino. Marinette aveva innumerevoli talenti, era gentile con tutti e aveva un cuore d’oro. Anche quando sbagliava nei confronti di qualcuno o si intestardiva su qualcosa, in un secondo momento era capace di riconoscere i propri torti e di chiedere scusa con sincerità. E poi Adrien apprezzava il suo spirito combattivo, la sua determinazione e il suo ingegno. Sotto molti aspetti, Marinette gli ricordava proprio lei, forse il solo motivo che gli impediva di ricambiare quei sentimenti d’amore: Ladybug.
   Non voleva perderla per nulla al mondo e sapeva che non sarebbe successo, anche nel caso lei fosse riuscita a trovare il coraggio di dichiararsi e lui l’avesse rifiutata. Dio, il solo pensare di infliggerle una pena del genere lo faceva star male… Adrien ci era passato per primo, appena un mese addietro, e sebbene non avesse perso la speranza di conquistare la sua bella, c’erano comunque momenti no, durante i quali lo sconforto lo pervadeva e lui si sentiva il ragazzo più triste del mondo.
   Marinette, per fortuna, non era stupida e aveva già capito che lui la considerava soltanto un’amica. Avrebbe lo stesso cercato di confessargli i suoi sentimenti? Nel frattempo, lui come avrebbe dovuto comportarsi? Non voleva cambiare il proprio modo di rapportarsi con lei: se si fosse mostrato più gentile del solito per via dei sensi di colpa, avrebbe corso il rischio di illuderla; d’altro canto, se avesse cercato di prendere le distanze per non illuderla, avrebbe finito per fare del male ad entrambi, compromettendo la loro bella amicizia. L’unica cosa che Adrien poteva fare, dunque, era fingere di non sapere nulla, in modo da non ferirla ulteriormente.
   Quel fine settimana capitava a fagiolo, gli avrebbe dato il tempo di calmarsi e, soprattutto, di cercare di capirne di più. Odiava l’idea di prenderla in giro, ma in che altro modo avrebbe potuto sperare di parlare con Marinette senza problemi di sorta? Fu per questa ragione che, non appena scoccarono le dieci, Chat Noir scivolò nel buio della sera per balzare su quella manciata di tetti che lo separavano dalla casa dell’amica.
   Trovò di nuovo la botola che portava di sotto spalancata e lo prese quasi come un invito ad entrare. Non volendo risultare troppo invadente, si annunciò con un colpo di tosse e poi si affacciò a testa in giù dall’apertura. «Marinette?»
   Udì un grido sommesso, un tramestio e infine vide la ragazza correre a chiudere l’altra botola, quella che conduceva al piano di sotto. Quindi, dopo aver tirato un sospiro di sollievo, lei alzò lo sguardo verso l’intruso e non seppe quasi cosa dire. Chat Noir l’osservò attentamente: inginocchiata sul pavimento, Marinette indossava già il pigiama, lo stesso che aveva quando erano stati al cinema insieme, e portava di nuovo i capelli sciolti sulle spalle. Adrien quasi si beò di quella visione, perché, in tutta onestà, riteneva che la sua amica fosse una delle ragazze più carine che lui avesse mai conosciuto.
   Abbozzò un sorriso allegro, dimentico di ogni imbarazzo dovuto a possibili coinvolgimenti sentimentali da parte di Marinette. «Scusa, non volevo spaventarti», esordì anzitutto. «La prossima volta verrò a grattare alla tua porta come un qualsiasi gattino educato.»
   Riuscì a strapparle una risatina e seguì il movimento sbarazzino con cui si portò una ciocca di capelli dietro all’orecchio destro. «Più che altro, mi sarebbe difficile giustificare la tua presenza qui con i miei genitori», spiegò lei con voce insicura, alzandosi in piedi.
   «Puoi uscire?» le chiese l’altro.
   Marinette si guardò attorno alla ricerca di Tikki, senza però riuscire a trovarla: sicuramente si era nascosta non appena aveva avvertito la presenza di Chat Noir. «Ho già avuto la mia bella avventura in pigiama non troppi giorni fa», sospirò poi, tornando a prestare attenzione al proprio ospite.
   «Sì, l’ho saputo», ammise lui, senza tuttavia mettere il dito nella piaga. «Quindi parliamo così? Io quassù e tu di sotto?»
   «Come Romeo e Giulietta», annuì la ragazza, prendendosi in giro da sola.
   «Sarei una pessima Giulietta», replicò Adrien, facendo una smorfia. «Non so starmene al posto mio.»
   «Neanche lei ci riusciva granché…»
   «Odio metterti fretta, ma… mi sta andando il sangue alla testa e rischio di svenirti sul letto da un momento all’altro.»
   «Hai ragione, scusa! Salta giù», disse subito Marinette, avvicinandosi alla scala che portava al soppalco mentre dava uno sguardo panoramico alle tante foto del suo grande amore disseminate per la stanza. Ormai Chat Noir sapeva dei suoi sentimenti per Adrien, pertanto era inutile tentare di nascondergli ancora la verità.
   Stupito da quell’invito inatteso, lui non si lasciò pregare oltre e balzò sul letto dell’amica. Lei lo raggiunse un attimo dopo e prese a gattonare sul materasso, sotto al suo naso, facendolo irrigidire all’istante: conciata in quel modo, oltretutto, Chat Noir la ritenne uno spettacolo illegale. D’accordo, era innamorato di un’altra, ma non era cieco e l’adolescenza gli giocava brutti scherzi già da un po’. Certo che lei non l’avesse fatto di proposito, scosse il capo per scacciare dalla mente ciò che aveva appena visto e si concentrò sul resto.
   Marinette si era seduta alla testa del letto, poggiando le spalle contro il grosso cuscino a forma di gatto e circondando con le braccia le ginocchia che aveva issato al petto. Il giovane seguì il suo sguardo mogio e finì col posarlo su una bacheca di sughero posta alla parete lì accanto, e sulla quale erano appese diverse foto. Fra tutte, ne spiccava una, quella che lei aveva sistemato con maggior cura: la sua.
   «È… lui?» La ragazza annuì, ma non parlò. Chat Noir si sistemò meglio, sedendo in posizione più comoda e occhieggiò nella sua direzione, senza fissarla per non destare in lei eventuali imbarazzi. «È belloccio», commentò soltanto, quasi volesse farle una concessione. Lei gli rivolse uno sguardo che lo fece ridacchiare. «Beh», aggiunse allora, puntandosi il pollice al petto, «io sono più affascinante.»
   Marinette si lasciò andare ad un verso scettico e derisorio al contempo. «Nessuno è più bello di lui», precisò quindi con fervore, facendolo arrossire senza averne l’intenzione. «Adrien è… meraviglioso
   Era senza dubbio lusinghiero sentirla parlare in quel modo, ma era comunque strano: non era abituato a ricevere quel genere di complimenti da parte sua. Quasi il cielo volesse contraddirlo, alla mente di Adrien riaffiorò il ricordo di quella volta, alle selezioni di scherma, in cui Marinette aveva affermato che era bellissimo senza sapere di stare parlando proprio con lui; prima ancora, lo aveva definito geniale e persino un sogno, quando le aveva chiesto com’era stato collaborare con Chat Noir, dopo che l’aveva salvata dall’akuma che aveva assalito Nathaniel; e volendo andare ancora più indietro nel tempo, durante la sfida di velocità fra Kim e Alix, Marinette gli aveva detto chiaro e tondo che era fantastico. Si portò una mano davanti al volto, cercando di mascherare l’imbarazzo e, soprattutto, lo sconforto: come diavolo aveva fatto a non cogliere tutti quei segnali, prima di quel momento?!
   «Ad ogni modo, non è per quello che mi piace.» La voce della ragazza lo fece tornare al presente e, sbirciando attraverso le dita, lui si accorse che stava sorridendo, gli occhi incollati alla foto. «A dirla tutta, quando ci siamo conosciuti, lì per lì neanche ci ho fatto caso, al suo aspetto.» Neppure per un secondo Adrien mise in dubbio quelle parole: come poteva dimenticare quel primo, tragico giorno di scuola, quando lei gli era praticamente saltata addosso accusandolo di aver attaccato una gomma da masticare sul suo sedile? Era stata capace di tenergli il muso a lungo e si era ricreduta nei suoi confronti solo quando, pur con qualche riserva, lui le aveva raccontato la verità. Inoltre, Adrien sapeva che Marinette non era una ragazza superficiale e che non sarebbe certo bastato un bel faccino a farle perdere la testa.
   «Cosa… ti ha fatto innamorare?» Era una domanda azzardata e persino sleale, ma se ne rese conto soltanto dopo averla pronunciata. «N-Non sei obbligata a rispondere, se non vuoi!» si affrettò subito a dire, abbassando lo sguardo con aria mortificata.
   Tuttavia, ormai Marinette non aveva più voglia di nascondergli nulla. Non aveva alcun senso, soprattutto se lui non poteva ricollegarla a Ladybug. «La sua gentilezza», spiegò allora in tono dolce, inducendolo di nuovo ad alzare gli occhi ed incrociando quelli di lei: mentre parlava di lui erano così luminosi che Adrien ne rimase quasi folgorato. «E anche il suono della sua risata», aggiunse Marinette, per amor di onestà.
   Il giovane rimase spiazzato. Completamente. Ricordò allora anche un altro dettaglio di fondamentale importanza, cioè la ragione per cui lei gli piaceva tanto: pur senza volerlo, era stata Marinette a regalargli quella risata, sotto la pioggia, la prima a cui lui si era lasciato andare spontaneamente, di tutto cuore, dalla scomparsa di sua madre. Come poteva non volerle bene? Come poteva rimanere indifferente davanti a quella meraviglia?
   «L’altra sera mi hai chiesto se mi ero dichiarata e… beh, a dire il vero una volta l’ho fatto», proseguì la ragazza, rilassandosi contro il cuscino e stendendo le gambe davanti a sé. Aveva voglia di parlare, di rivelare tutto ciò che aveva dentro, i propri rimpianti, le proprie frustrazioni, ogni singola emozione. Chat Noir non poteva prendersela a male, giusto? Era innamorato dell’altra lei, non di Marinette.
   Il giovane corrucciò la fronte: questo, ne era certo, non era mai avvenuto. «Quando?» volle sapere, temendo di essersi perso qualche altro pezzo per strada.
   «A San Valentino.»
   Trattenne il fiato. Quello era il giorno in cui Ladybug lo aveva baciato. Dopo aver scoperto l’accaduto grazie allo show in prima serata di Nadja Chamack, Adrien aveva subito chiesto spiegazioni a Plagg che, fra un boccone di formaggio e l’altro, aveva ribadito ciò che la sua partner gli aveva già rivelato: non era stato un bacio vero e proprio, quanto un tentativo disperato di farlo tornare in sé dopo che Dark Cupido lo aveva colpito con una delle sue frecce d’odio. Non ricordava niente dell’accaduto, proprio niente. Eppure sapeva che non era possibile che Marinette lo avesse avvicinato in quella circostanza, poiché lei si era dichiarata ad Adrien e non a Chat Noir.
   «Gli ho scritto un biglietto, ma ho dimenticato di firmarlo», soffiò la ragazza in tono demoralizzato, portandosi le mani davanti al viso e dandosi della stupida per l’ennesima volta. Con tutta probabilità, quel biglietto doveva essere finito in mezzo a tutti gli altri che gli erano arrivati dalle sue fan. Fu questo che concluse Adrien, cercando di ricordare un qualsivoglia dettaglio che potesse ricondurlo a quello ricevuto da lei. «E dire che Alya si era data tanta pena per trovarne uno adatto.»
   «Lo aveva scelto lei?» Questo gli sembrò strano e anche un po’ brutto. Insomma, se voleva dichiarargli con sincerità i suoi sentimenti, perché affidarsi al gusto di un’amica? Marinette non avrebbe dovuto sceglierne uno da sola, seguendo il cuore?
   «Sì, era a rosa, a forma di cuore.»
   Adrien tornò a sgranare gli occhi. «Cosa… ci avevi scritto?»
   Un calcetto lo colpì sul ginocchio. «Certo che sei davvero invadente», fu il bonario rimprovero che ricevette, mentre la ragazza intrecciava le braccia al petto con fare indispettito.
   Aveva ragione lei, si disse il giovane. Però… però lui aveva bisogno di sapere, perché quel biglietto lo ricordava eccome. Ed era sempre stato convinto che a scriverglielo fosse stata Ladybug. A pensarci adesso, dopo il rifiuto da lei ricevuto, quella sua certezza ormai non stava più in piedi ed era destinata a crollare rovinosamente su se stessa. Sì, si disse cercando di recuperare la calma, era assai più probabile che la poesia che aveva ricevuto fosse opera di Marinette. «E… gli hai fatto altri regali?» domandò, deciso fino in fondo a quella storia.
   «Un portafortuna», rispose la ragazza, arrossendo lievemente. «Lo porta sempre con sé e questo mi fa sentire importante, benché sia consapevole che da parte sua non ci sia altro che semplice affetto.» Adrien avrebbe voluto gridare, dirle che il suo non era semplice affetto, ma qualcosa di molto, molto più profondo. Non poteva definirsi amore in senso stretto, certo, però era ugualmente grande e forte. Serrò i pugni. «Per il suo compleanno, invece», riprese Marinette, distraendolo da quella frustrazione che rischiava di farlo esplodere da un momento all’altro, «gli ho regalato una sciarpa.»
   Ancora una volta, Chat Noir aggrottò la fronte. «Una… sciarpa?» L’unica che aveva ricevuto quel giorno gliel’aveva data suo padre.
   La vide annuire, abbassando lo sguardo sulle mani di nuovo abbandonate in grembo. «L’avevo realizzata apposta per lui, avevo scelto il colore della lana e tutto il resto, ma… non so come, si è convinto che fosse un regalo da parte di suo padre, perciò…» Marinette si strinse nelle spalle con fare impotente, lasciandolo del tutto senza parole.
   Una secchiata d’acqua gelida, forse, sarebbe stata meno dolorosa. Fu questo che si disse Adrien quando fu in grado di formulare di nuovo un pensiero di senso compiuto. Tirò su col naso e si umettò le labbra. «E tu perché… perché non gli hai detto la verità?» domandò a stento, la voce roca e tirata.
   «Perché era felice», fu la semplice risposta che ottenne, mentre sulle labbra della ragazza tornava ad aleggiare il sorriso. «Va bene così», affermò ancora Marinette con voce serena, alzando lo sguardo su di lui. «La sua felicità è più importante della mia.»
   Adrien non resse oltre e agì d’impulso. Si sporse nella sua direzione, deciso a dirle la verità, ma lei lo bloccò senza rendersene conto. «Accidenti, mi dispiace!» la sentì esclamare, mentre tornava a coprirsi il volto con le mani. «Ti ho raccontato cose che magari neanche ti interessavano, scusami…» Chat Noir fece per parlare, ma un tuono coprì la sua voce. Alzarono entrambi gli occhi al cielo scuro che si intravedeva dalla botola lasciata aperta e Marinette sospirò. «Un altro temporale estivo… Conviene che torni a casa, se non vuoi rimanere bloccato qui.»
   Lui fu quasi tentato di ribattere che sì, in quel momento voleva davvero rimanere con lei fino a che non avesse smesso di piovere, ma si costrinse a tacere. Doveva calmarsi, pensare con lucidità, cosa che in quel momento gli risultava troppo difficile. «Torno domani», disse soltanto.
   Marinette rimase colpita dal suo sguardo, lucido e serio; sembrava volesse trapassarle l’anima. Non fece in tempo a salutarlo che lui balzò sul balcone, sparendo alla sua vista. Si sentiva un’egoista ad aver monopolizzato l’intera conversazione, parlando soltanto di Adrien. Promise a se stessa che l’indomani, se davvero Chat Noir fosse tornato a trovarla, lo avrebbe ascoltato senza pronunciare il nome dell’amato neanche per sbaglio.












Ed eccoci al primo colpo di scena. Siccome la storia sarà breve, sarebbe stato inutile perdersi dietro a mille chiacchiere.
Sono sempre qui a chiedermi come reagirà Adrien quando saprà che Marinette è innamorata di lui e, almeno per il momento, questo è uno dei possibili scenari che ho immaginato.
Non ricordo se l'ho già detto in calce al primo capitolo, ma lo ripeto anche qui: benché questa si presenti come una Marichat, in realtà è anche altro. Quando scrivo, in effetti, non mi baso mai su una coppia specifica perché mi piace più di un'altra; mi regolo unicamente sull'esigenza del momento, a seconda della trama e/o della scena che devo raccontare. Inoltre ormai non faccio davvero più distinzione fra Adrinette, Ladynoir, Marichat e Ladrien: per me sono tutte uguali e le amo a prescindere. ♥
Detto ciò, vi ricordo che siamo a metà storia e che il prossimo aggiornamento avverrà fra circa una settimana.
Grazie a tutti i lettori, a chi ha la gentilezza di commentare e a chi ha già inserito questa fanfiction fra le preferite/ricordate/seguite.
Buona giornata a tutti! ♥
Shainareth





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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***





CAPITOLO TERZO




Sciolse la trasformazione mentre stava ancora attraversando la finestra della sua camera, riuscendo ad attutire la caduta senza ripercussioni di sorta. Sordo alle proteste di Plagg, che lo accusava di essere un autentico incosciente, Adrien avanzò spedito verso la scrivania e prese a cercare tra le cose che vi aveva lasciato su, fino a che non prese fra le mani un quaderno. Fra quelle pagine, per evitare che si rovinasse, aveva conservato gelosamente il biglietto a forma di cuore che aveva ricevuto a San Valentino. Lo aprì e scorse le righe che Marinette aveva vergato di proprio pugno, con tutto l’amore che provava per lui. Rileggendole ora, da una diversa prospettiva e non più accecato dai propri sentimenti per Ladybug, gli si strinse il cuore.
   Portando il biglietto con sé salì la scala a chiocciola e raggiunse gli scaffali sui quali erano posti i suoi preziosi DVD, i videogiochi, i libri, i fumetti e i CD musicali che aveva collezionato fin da bambino, e si mise alla ricerca dell’ultimo lavoro di Jagged Stone. Quando lo trovò, esitò un momento e fece scorrere la punta del dito contro la costina, prima di prendere fiato ed estrarlo dal ripiano. La copertina di quel CD l’aveva realizzata Marinette e lui, che era rimasto come sempre ammirato dalle sue abilità, le aveva chiesto un autografo, lo stesso che adesso stava fissando con occhi ormai consapevoli: sebbene la ragazza avesse scritto il proprio nome con un corsivo sensibilmente differente, la grafia era davvero la medesima che si poteva leggere sul biglietto.
   Deciso a verificare anche un’ultima cosa, Adrien scese a rotta di collo la scala, tornando di sotto e sfilando a tutta velocità sotto lo sguardo allibito di Plagg. «Si può sapere che diamine stai facendo?» Non rispose, troppo concentrato sul suo nuovo obiettivo: l’armadio. Lo spalancò e ci si tuffò dentro, rovistando con foga fra i propri indumenti. Quando le sue dita toccarono la morbida lana celeste con cui era stata confezionata la sciarpa che gli era stata regalata per il suo ultimo compleanno, Adrien inspirò a fondo per farsi coraggio e, infine, ispezionò ogni singola fibra di tessuto alla ricerca di qualcosa che doveva essere per forza sfuggito ai suoi occhi fino a quel momento: il nome di Marinette. Il giovane sapeva bene che, perfezionista com’era, la sua amica non lasciava mai una sua creazione senza la propria firma. A differenza dei biglietti di San Valentino, a quanto pare… Quel pensiero quasi lo fece sorridere, ma subito fu distratto dal piccolo ricamo blu che trovò in un angolo della sciarpa, lo stesso che confermò la veridicità delle confessioni che Marinette gli aveva fatto quella sera.
   Rimase per diversi istanti a fissare quelle minuscole lettere scure con una sensazione indecifrabile nel petto, la mente del tutto svuotata e un morso non indifferente alla bocca dello stomaco. Quindi, tornò lentamente sui propri passi e si lasciò cadere seduto sul letto, il biglietto e il CD in una mano e la sciarpa nell’altra.

«Credo che mi farò crescere i capelli», fu la prima cosa che disse Adrien appena sveglio, la mattina seguente. Se ne stava ancora steso sul letto, con il solo lenzuolo a coprirlo per metà e gli occhi fissi al soffitto. Pur intontito dal sonno, Plagg socchiuse le palpebre. «E poi mi metterò un bel fiocco in testa», continuò l’altro, facendolo sensibilmente preoccupare per la sua sanità mentale. «Così almeno questo ruolo di Alice nel Paese delle Meraviglie mi calzerà meglio.»
   Il kwami sbadigliò come un gatto pigro e tornò a posare la testolina fra le zampette. «Dormi», biascicò.
   «Non posso», sospirò il ragazzo, che non era riuscito a riposare granché, quella notte. «Mi sento davvero un pesce fuor d’acqua. Un idiota. Non ho mai capito un accidenti. Me ne andavo in giro per il mondo, respirando la sua stessa aria, senza rendermi conto di quanto stessi facendo male ad una delle persone migliori che io conosca. Non merito il suo amore. Non merito nemmeno di essere suo amico.»
   «Se hai la forza per fare il melodrammatico a quest’ora del mattino – di domenica, per di più – ce l’hai anche per alzarti e andarmi a prendere del buon camembert fresco per colazione», mugolò in tono indolente Plagg, nella speranza che si zittisse una buona volta e lo lasciasse dormire.
   «Non so come risolvere questa cosa», continuò imperterrito Adrien, seguendo il filo del proprio rimuginare notturno ed ignorando bellamente la sua richiesta. «Oltretutto mi sento un verme: ho ingannato Marinette e mi sono approfittato della fiducia che nutre in Chat Noir per farle confessare cose che altrimenti non mi avrebbe mai detto.»
   Rassegnato all’idea di non poter continuare ad oziare a letto, Plagg sospirò pesantemente. «Allora va’ da lei e dille la verità.»
   «Non posso, mi ucciderebbe.»
   «Non ucciderebbe mai il ragazzo che ama.»
   «Le spezzerei comunque il cuore più di quanto non abbia già fatto, pur senza rendermene conto.» Questa era una delle colpe più grandi che Adrien si dava e, sul serio, non riusciva a capacitarsi di quanto fosse stato cieco nei confronti dell’amica. Volse il capo verso sinistra, lì dove aveva lasciato la sciarpa e il biglietto che lei gli aveva regalato. Alla fine ci aveva dormito accanto, reputandoli comunque due doni preziosi, benché le sue convinzioni fossero di colpo crollate: Ladybug e suo padre non c’entravano nulla, era solo merito di Marinette. Voltandosi sul fianco, il giovane allungò una mano per aprire il biglietto e rileggere ancora una volta la poesia che lei gli aveva dedicato: se sulle prime gli era parsa una risposta a quella che lui aveva scritto per Ladybug in classe e che poi aveva cestinato, adesso era certo che lo fosse per davvero. Forse Marinette lo aveva visto gettare via il foglio e lo aveva recuperato e letto. Forse aveva persino pensato che fosse destinato a lei; un errore più che giustificabile, dal momento che, come Ladybug, anche lei poteva essere associata alla fanciulla descritta in quelle righe. Si assomigliavano molto, quelle due, e Adrien davvero non si capacitava di quanto fosse beffardo il destino per averlo cacciato in quella situazione assurda.
   Lasciando scivolare via il biglietto, spostò le dita sulla sciarpa, carezzandone la trama morbida e calda con i polpastrelli. Quanto doveva averci lavorato, Marinette? Di sicuro almeno un intero fine settimana. Forse più. Nessun altro aveva mai avuto tante attenzioni per lui, non da quando sua madre era scomparsa. Fece scorrere ancora la mano, fin sotto al cuscino, e da lì tirò fuori il portafortuna che lei gli aveva regalato la prima volta che era stato a casa sua e dal quale lui non si separava praticamente mai. Solo pochi giorni prima lo aveva definito il Lucky Charm di Marinette, mostrandoglielo come fosse stato un tesoro prezioso. Lo aveva pensato davvero e ne era ancora convinto, perché da quando lei glielo aveva dato, gli sembrava che le cose gli andassero meglio. O si trattava di mera suggestione? Qualunque fosse la verità, le sue giornate erano migliorate grazie a lei. E chissà quanto doveva averla resa felice, quando glielo aveva confessato! L’aveva illusa? Probabilmente un po’, benché lei fosse consapevole di non essere ricambiata. Meritava di sapere la verità, anche se questo le avrebbe fatto male. Ma non voleva più nasconderle nulla, non era giusto, perché si fidava di lui sia come Adrien sia come Chat Noir.
   Stringendo fra le dita il portafortuna, il giovane scattò a sedere sul letto. «Vado a parlarle.»
   «Le dirai anche che sei Chat Noir?»
   Si tuffò di nuovo supino sul materasso, sbuffando e coprendosi il volto con le mani. «Quello non posso farlo: rischierei di metterla in pericolo. E poi sarebbe Ladybug ad uccidermi.»
   «Neanche lei ti ammazzerebbe mai», gli assicurò Plagg, tirandosi su e stropicciandosi gli occhi con le zampine. «Anche se una strigliata non ti farebbe male.»
   «Ne sono consapevole.»
   «Soprattutto perché non mi hai ancora portato il camembert.»
   Portando pazienza, Adrien rotolò di nuovo sul fianco e cercò di darsi la spinta psicologica che gli consentisse di mettersi in piedi una buona volta. Ce la fece, sia pur lentamente, ma rimase seduto ad osservare il vuoto davanti a sé. «Credo che l’unica cosa che io possa fare, sia metterla in condizioni di dichiararsi una volta per tutte», ragionò, una mano davanti alla bocca, l’altra che ancora stringeva con affetto il portafortuna. «In questo modo potrei dirle che non posso ricambiare i suoi sentimenti non tanto perché la considero una buona amica, quanto perché sono già innamorato di un’altra.»
   «Anche perché non si guarda un’amica nel modo in cui l’hai guardata tu, ieri», gli ricordò Plagg, fungendo da voce della coscienza, una volta tanto.
   Adrien arrossì fino alla punta delle orecchie e chinò il capo fra le spalle con aria sconfitta. «Non è colpa mia… ho quattordici anni… cosa ti aspetti, che rimanga indifferente a certe cose?»
   «Quella ragazza ti piace», insistette a torturarlo il kwami, indispettito per l’essere ancora a stomaco vuoto.
   «Certo che mi piace!» ammise l’altro, innervosendosi. «Ma non è Ladybug!»
   «Dovresti lasciar perdere questa storia di Ladybug: ti ha già detto che è innamorata di un altro.»
   Fu l’ennesima stilettata al petto e Adrien uggiolò come un cane bastonato. Avrebbe davvero dovuto infliggere quello stesso dolore a Marinette? L’alternativa sarebbe stata continuare a tacere e lasciarla tribolare nell’eventuale, falsa speranza che un giorno lui l’avrebbe guardata con occhi diversi. Non sarebbe successo, era impensabile: lui amava Ladybug e, checché ne dicesse Plagg, non avrebbe mai e poi mai rinunciato a lei.

Era stata una rapina degna di un film. Approfittando del giorno di chiusura, un gruppo di malviventi aveva messo a segno un colpo ad uno degli istituti di credito principali della città, un piano che doveva aver preparato per forza con l’ausilio di qualcuno interno alla banca. L’allarme però era comunque scattato, la polizia era accorsa subito sul posto e ne era nata una sparatoria che aveva causato alcuni feriti e tanto, troppo spavento. Si era concluso tutto solo grazie all’intervento degli eroi parigini che, proprio come le forze dell’ordine, non conoscevano la parola riposo.
   «Non ci lasciano in pace neanche di domenica, ti rendi conto?» si lamentò Chat Noir, seguendo con lo sguardo l’ultimo dei criminali che veniva trascinato di peso dentro una delle auto della polizia.
   «Ringrazia che non ci sia scappato il morto, piuttosto», cercò di farlo ragionare Ladybug, aggrappandosi poi al suo braccio quando si accorse che, scampato pericolo, la stampa stava infine oltrepassando i confini tracciati precedentemente dagli agenti per tenere alla larga i curiosi. «Conviene sparire di qui, prima che comincino come al solito a farci mille domande», suggerì all’amico.
   Lui allargò le labbra in un sorriso enorme. «Sei matta? Questa è la parte più bella!» esclamò, liberandosi dalla sua presa soltanto per agguantarla per le spalle e trattenerla ferma dov’era. La ragazza protestò, ma non fece in tempo a sfuggirgli che già il primo dei microfoni li raggiunse. Si lasciò andare ad un verso esasperato e sospirò rassegnata, rimanendo in balia delle telecamere.
   A differenza di Chat Noir, lei non era troppo entusiasta di apparire in televisione; ciò nonostante, comprendeva benissimo la necessità di rilasciare un’intervista, di tanto in tanto, soprattutto per rassicurare quei cittadini che riponevano in loro la speranza di avere una città sempre più sicura. Assecondò perciò le curiosità dei giornalisti ancora una volta, senza tuttavia poter contare sui loro miraculous: non era stato necessario l’uso né del Cataclisma né del Lucky Charm, pertanto nessuno dei due eroi correva il rischio di trasformarsi davanti alle telecamere. Marinette si ripromise di registrare il suono dei suoi orecchini, così da poterlo utilizzare in situazioni d’emergenza come quelle e mettere in atto una fuga. Al momento, però, non c’era modo di fermare le domande che Nadja Chamack stava rivolgendo loro e questo le stava facendo venire un forte mal di testa.
   Sempre attento alle sue esigenze e ai suoi stati umorali, fu Chat Noir ad accorgersi della sua insofferenza. «Devi scusarci, Nadja», disse allora d’un tratto, impossessandosi per un momento del microfono. «Il mio superudito di gatto sta captando il grido d’aiuto di qualcuno, perciò non possiamo trattenerci oltre», buttò lì senza stare a pensarci un secondo di più. Ignorò sia la curiosità morbosa della giornalista, sia l’espressione stupita di Ladybug, presa in contropiede proprio come tutti gli altri. «Alla prossima!» salutò il giovane, tornando ad afferrare la partner prima di spiccare un prodigioso balzo che li portò via da lì nel giro di pochi attimi, tra gli ultimi flash e l’eco delle domande che ancora la stampa continuava a porre loro.
   «Siamo sufficientemente lontani, direi che puoi mettermi giù», esordì dopo alcuni minuti Ladybug, quando ormai erano nei pressi del Musée Rodin. I giardini lì erano pieni di turisti, perciò Chat Noir cercò un tetto sicuro su cui fermarsi e accogliere la richiesta della collega. «Grazie», disse lei, quando finalmente tornò a reggersi sulle proprie gambe. «Soprattutto per avermi liberata da quella tortura.»
   «Credevo che ormai ti ci fossi abituata, alle telecamere», commentò lui, le mani sulle anche e la schiena ben diritta. Si rivolgeva a lei con quella solita espressione allegra, benché dentro di sé qualcosa continuava a torturarlo senza tregua. «Dovresti prenderla con più leggerezza.»
   «Che è successo?» lo prese in contropiede la ragazza, lasciandolo a bocca aperta.
   «A che ti riferisci?»
   «Non fare il finto tonto», cominciò allora, incrociando le braccia al petto e fissandolo da sotto in su con aria indagatrice. «So che c’è qualcosa che non va. Credi che non mi sia accorta che hai rischiato di farti seriamente male, nello scontro di prima?»
   Chat Noir abbozzò un sorriso. «Oh, quello…» ridacchiò, mettendosi una mano sulla spalla e ruotando il braccio che aveva battuto in modo violento durante l’intervento alla banca. «Semplice distrazione.»
   «Beh, non dovrebbe accadere», lo rimbrottò con gentilezza lei, preoccupata per la sua incolumità. «Quando siamo in missione non possiamo concederci altri pensieri.»
   Lo vide abbassare lo sguardo, mentre l’entusiasmo sul volto del compagno si smorzava appena. «Ne sono consapevole, ma…» Tacque e sospirò. Marinette continuava ad essere un chiodo fisso nella sua mente, proprio non riusciva a scacciarla. Nemmeno ora che aveva davanti a sé la persona più importante della sua vita.
   «Chaton?» lo richiamò dolcemente Ladybug, inclinando il capo per cercare di incrociare di nuovo i suoi occhi. Il giovane tornò a guardarla, ma il turbamento che lei lesse sul suo viso la mise in allarme. «È successo qualcosa? Con me puoi parlarne, lo sai…»
   «Fa… male, vero?» domandò quasi in un sussurro Chat Noir, non sapendo bene come affrontare il discorso. L’altra aggrottò leggermente la fronte, non capendo a cosa si riferisse, e lui continuò: «Credevo che facesse male soltanto sentirsi rifiutati dalla persona che si ama, ma… fa male anche il pensiero di dover infliggere a qualcun altro la stessa pena.» Ladybug calò le ciglia sul viso, mortificata. «L’ho capito solo adesso e… diventa straziante, quando l’altra persona è qualcuno a cui tieni davvero tanto.»
   Nessuno dei due parlò per qualche istante. Poi, il giovane piegò le ginocchia e sedette sul bordo del tetto, le gambe penzoloni nel vuoto e la fronte rivolta al sole ormai al tramonto. «Ho scoperto da poco che una ragazza… una mia cara amica… è innamorata di me», spiegò allora, più nel dettaglio. L’eroina sussultò, come se un campanello d’allarme volesse metterla in guardia per qualcosa. «Io l’adoro, le voglio un bene matto, ma…» Chat Noir sospirò amareggiato e mosse una mano al fianco, dove aprì la zip della tasca per frugarvi dentro. Ciò che si intravide appena, fece gelare il sangue nelle vene della sua collega che rimase pietrificata dov’era. «Oltretutto mi sento in colpa perché è a Chat Noir che ha fatto quelle confessioni, senza sapere che in realtà le faceva anche al ragazzo che le piace.»
   Stavano davvero così, le cose? Marinette stentò a crederci. Anzi, si rifiutò di farlo. Strinse le labbra e serrò i pugni, mentre cercava con occhi febbrili una qualsivoglia somiglianza fra il suo partner e Adrien. I capelli biondi di Chat Noir le sembravano un po’ più lunghi e di una tonalità differente rispetto a quelli del suo compagno di classe, mentre aveva dato per scontato che il colore verde dei suoi occhi potesse essere dipeso dal visore della maschera che indossava. Adesso, tuttavia, non era più sicura di nulla, anche perché l’altezza e persino la corporatura del giovane che le era accanto le ricordavano fin troppo quelle di Adrien. Avvertì un fremito al cuore e quasi barcollò per un capogiro improvviso.
   Schiuse le labbra e boccheggiò a vuoto per qualche attimo prima di riuscire a pronunciare parola, pur con voce tremula. «Non… dovresti raccontarmi queste cose…» Chat Noir si volse a guardarla con aria stupita e lei avvertì un dolore sordo all’altezza del petto, sul quale portò entrambe le mani, quasi come se fossero uno scudo dietro al quale cercare riparo dalla sconcertante verità che l’aveva appena travolta. «Lo sai che non dobbiamo sapere nulla l’uno dell’altra.»
   Lui però già non l’ascoltava più. Si alzò in piedi, tornando a mettere al sicuro il suo tesoro prezioso e si avvicinò di nuovo alla compagna, afferrandola per le spalle e sostenendola con fare premuroso. «Stai bene?»
   Anziché rimanerci male per quella sua chiusura, per quell’ennesimo muro che la sua partner aveva deciso di innalzare fra loro, Chat Noir – Adrien? – si preoccupava invece per lei. E per Marinette. Come sempre. La ragazza avvertì gli occhi farsi lucidi per il pianto e il naso pizzicare con prepotenza. Non riusciva a guardarlo in volto – e come avrebbe potuto farlo?
   «My lady?» la chiamò lui con dolcezza, quasi si fossero invertite le parti. La sentiva fremere fra le sue dita, non ne capiva la ragione e questo lo inquietava non poco. Aveva detto o fatto qualcosa di sbagliato, che l’aveva resa nervosa? L’aveva ferita in qualche modo? Se sì, come? Non credeva che menzionare un’altra ragazza l’avrebbe sconvolta tanto… dopotutto, Ladybug non era innamorata di lui, quindi non c’era alcuna possibilità che potesse provare gelosia per ciò che lui le aveva appena confessato. Giusto?
   Poi, all’improvviso, lei si slanciò nella sua direzione, gli circondò il busto con le braccia e lo strinse a sé con forza, nascondendo il viso contro la sua spalla e lasciandolo del tutto spiazzato. Chat Noir s’irrigidì talmente tanto da non riuscire ad avere neanche la prontezza per ricambiare quell’abbraccio inaspettato – ed insperato. «Mi dispiace», mormorò soltanto Ladybug, la voce che ancora tradiva il suo reale stato d’animo. Non aggiunse altro e scappò via, sparendo dalla sua vista prima che lui avesse il tempo di reagire.
   Travolto da un uragano. Fu così che si sentì Adrien quando si rese conto di essere rimasto solo come un idiota. Cos’era successo, esattamente? Soprattutto, perché la sua buginette si era scusata con lui? Per cosa?
   Aveva bisogno di un attimo di respiro, si disse poi, portandosi una mano all’altezza del cuore e stringendo le dita attorno al materiale di cui era fatta la sua tuta nera. Le donne lo avrebbero ucciso, prima o poi.

Rannicchiata sul letto in posizione fetale, Marinette aprì con timore il pugno in cui stringeva ancora ciò che aveva furtivamente sottratto a Chat Noir: non c’era alcun dubbio, quello era davvero il portafortuna che lei aveva regalato ad Adrien tempo prima, lo stesso che lui portava sempre con sé. Si sentiva sporca per aver abbracciato il giovane solo per recuperare l’oggetto dalla sua tasca, ma era l’unico modo che aveva per scoprire la verità. E adesso che la sapeva, sentiva il cuore pesante come un macigno, lo stomaco chiuso e il desiderio di rimanere lì per ore intere, arrovellandosi attorno a quella situazione paradossale: era innamorata di Adrien, che però non poteva ricambiare i suoi sentimenti perché amava un’altra… che era sempre lei. Di più, per sua stessa ammissione, anche lui si sentiva in colpa per non averle detto la verità, ma su quello Marinette poteva anche sorvolare: l’identità di Chat Noir avrebbe dovuto rimanere segreta, e se lei l’aveva appena scoperta era stato solo per puro caso – e un pizzico di ingenuità da parte del suo partner. E se proprio doveva attribuirgli un torto, quello poteva essere ricercato nel non averla messa a tacere quando aveva iniziato a parlargli di ciò che provava e dei regali che gli aveva fatto. Eppure Marinette era certa che Adrien aveva ceduto alla tentazione di ascoltarla non per prendersi gioco di lei, quanto per via dello stesso motivo che l’aveva spinta a rubargli il portafortuna: cercare di capire. Capire meglio la persona che aveva davanti e alla quale voleva un bene dell’anima, nonostante tutto. Capire come comportarsi, nella speranza di non ferirla, di non farle del male. Lo aveva detto lui stesso: il pensiero di doverle spezzare il cuore faceva male a lui per primo.
   Cosa avrebbe dovuto fare, ora? Dirgli che le loro sofferenze erano finite, perché in realtà erano innamorati l’uno dell’altra? Che erano due stupidi? Era così che si sentiva lei, una grande, colossale stupida.
   «Tikki…» mormorò con voce ancora provata dalle devastanti emozioni che la stavano dilaniando. «Tu lo sapevi?»
   Accucciata sul cuscino accanto al suo volto, la creaturina la fissò con sguardo acquoso, manifestando in quel modo tutta la propria empatia per l’amica. «Sì», ammise. «Non potevo dirtelo. Perdonami.»
   «Anche se tu lo avessi fatto, probabilmente non ti avrei creduto», la rassicurò Marinette, continuando a tenere gli occhi sul portafortuna. Avrebbe dovuto restituirlo ad Adrien. O a Chat Noir? Dopotutto, non avrebbe fatto alcuna differenza. Avrebbe potuto farlo come Ladybug, dopo l’ennesima emergenza cittadina che li avrebbe richiamati ai propri doveri, oppure come Marinette, prima o dopo le lezioni scolastiche. In entrambi i casi, avrebbe potuto dirgli semplicemente che gli era scivolato dalla tasca e che lei lo aveva trovato da qualche parte. «Non mi sento ancora pronta», soffiò d’istinto, stringendo le dita attorno all’amuleto e nascondendo il viso contro il cuscino.
   «Non sei obbligata a dirglielo, non ora», la fece ragionare Tikki, da buona amica. «Prenditi il tempo che ti serve. Sono certa che lui capirà.»
   Tacquero per diversi minuti. Infine, quel silenzio carico di tensione fu rotto da due colpi contro il soffitto. Marinette scattò a sedere sul letto, trattenendo il fiato e sperando in cuor suo che l’udito le avesse giocato un brutto scherzo. Altri due colpi. «Marinette?»
   Chat Noir. Adrien.
   Era lì da lei. Per lei.
   Come aveva promesso la sera prima.
   Per dirle cosa? Le avrebbe detto la verità? Avrebbe taciuto?
   Di una cosa Marinette era sicura: quell’incontro avrebbe finito per far del male ad entrambi. Si sentiva ancora troppo scossa per affrontarlo in quel momento, mentre lui si sentiva ancora troppo in colpa per averla ingannata senza alcuna vera malizia. Non poteva vederlo, non in quelle condizioni. Tuttavia, non voleva neanche lasciarlo così, senza una parola, magari a tribolarsi perché in pensiero per lei.
   In un attimo, nascose il portafortuna in tasca e si diede due grossi pizzichi sulle guance per scacciare il pallore, ricacciando indietro le lacrime che ancora non era riuscita a versare. Infine, ignorando il furioso battere del cuore, aprì la botola e l’aria fresca della sera le riempì i polmoni, infondendole un coraggio che credeva di avere ormai smarrito.
   Già accanto alla ringhiera, in procinto di saltar via, Chat Noir si volse nella sua direzione con aria sorpresa. «Allora ci sei!» esclamò poi, sorridendole con sollievo.
   Marinette ricambiò quell’espressione affettuosa, sentendosi immediatamente meglio. E come poteva essere altrimenti, se era insieme all’amore della sua vita? Adrien, che si preoccupava per lei, che non voleva farle del male e che l’amava con tutto se stesso, sia pure senza rendersene conto.
   «Scusa, non volevo farti aspettare», disse in tono sereno, raggiungendolo e guardandolo dritto negli occhi, gli stessi che la facevano arrossire e le mandavano il cuore in tumulto ogni volta che si posavano su di lei. «Come stai?»
   Lo vide portarsi una mano dietro la nuca con fare impacciato, proprio come faceva sempre a scuola, quand’era imbarazzato per qualcosa. «Posso avere una domanda di riserva?» Sospirò e si strinse nelle spalle con aria mogia. «Temo di aver perso qualcosa di molto importante. Non so come sia potuto succedere, perché fino ad un’ora fa lo avevo in tasca e…» Tornò a rovistare nelle aperture della sua tuta nera, senza successo, e sospirò di nuovo.
   «Sono certa che salterà fuori, prima o poi», lo rassicurò Marinette, decisa a restituirgli il portafortuna la mattina seguente, a scuola.
   «È che sono abituato a portarlo con me», spiegò Chat Noir, demoralizzato. «Senza, mi sento… inquieto
   Ci teneva così tanto, a lei? Sì, e quella era l’ennesima prova. Non che alla ragazza ne servissero ancora, ma quella consapevolezza le scaldò il cuore e contribuì a darle la forza e il coraggio di accettare la verità. Volse le spalle alla ringhiera e si lasciò scivolare a sedere sul pavimento, fissandolo da sotto in su e porgendogli la mano in un chiaro invito a seguire il suo esempio. «Ieri sera ti ho rintronato di chiacchiere», disse poi in tono di scuse. «Oggi, però, prometto che resterò in silenzio, ad ascoltare tutto ciò che vorrai condividere con me.»
   Il giovane la guardò dall’alto, stupito da quelle parole e dal gesto di lei. Avrebbe davvero dovuto sorprendersi per la gentilezza innata di Marinette? Sorrise e accettò la sua mano, stringendola nella propria con tenerezza mentre si lasciava cadere al suo fianco. «Ti avverto subito: sono un gran chiacchierone.»
   «Lo avevo intuito», commentò la ragazza serafica, sistemandosi meglio e posando la testa contro la sua spalla, le dita intrecciate alle sue e la luna quasi piena che iniziava ad affacciarsi all’orizzonte. «Non importa. Ti ascolterò lo stesso. Sempre.»












Secondo colpo di scena andato. Il terzo sarà nel prossimo ed ultimo capitolo.
Più penso all'intera situazione, più mi convinco che questi due tontolotti siano davvero poco fisionomisti... oltre che tonti, ma l'ho già detto.
Il prossimo aggiornamento sarà lunedì prossimo, se tutto andrà per il meglio. Nel frattempo vi auguro un buon inizio di settimana e vi ringrazio di tutto cuore per l'entusiasmo (davvero insperato) che state manifestando per questa semplice, breve long.
Un abbraccio! ♥
Shainareth





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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***





CAPITOLO QUARTO




Quella sera Adrien rientrò a casa di buon umore. Certo non aveva dimenticato che Ladybug gli era sfuggita di mano in preda ad una strana crisi emozionale, dovuta a qualcosa di non meglio specificato, né che lui aveva perso il portafortuna di Marinette. Era proprio grazie a quest’ultima, però, che adesso si sentiva meglio. La sua vicinanza lo faceva rilassare e riusciva a distrarlo dai problemi con suo padre e dai turbolenti batticuori che gli procurava Ladybug con la sua semplice esistenza.
   Marinette era il suo portafortuna formato gigante. Gli bastava un suo sorriso per sentire il benefico effetto che gli faceva. Era stata ad ascoltarlo per tutto il tempo, mentre lui si lasciava andare spontaneamente alle riflessioni più disparate, senza fare nomi che potessero smascherarlo in qualche modo agli occhi dell’amica – che però, sapendo la verità, aveva compreso ogni singola confidenza senza che lui potesse sospettarlo. Prima di salutarsi, oltretutto, Marinette aveva voluto renderlo partecipe di una decisione molto importante: «Non credo che dirò nulla, ad Adrien. A meno che non sia lui a chiedermelo esplicitamente, non gli dichiarerò i miei sentimenti. So già quale sarebbe la risposta che mi darebbe, al momento, e non ho alcuna intenzione di metterlo in difficoltà.»
   «Ne sei sicura?» le aveva domandato lui, preoccupato che questo potesse nuocerle in qualche modo.
   «Sì», aveva risposto lei, sorridendogli con serenità. «Va bene così, aspetterò che lui sia pronto.»
   Quell’ultima frase e il modo in cui Marinette lo aveva guardato gli avevano fatto sussultare il cuore, facendogli quasi credere che lei avesse capito più di quanto gli aveva dato ad intendere. Ciò nonostante, Adrien si sentiva più rilassato e ottimista. Forse era egoistico, da parte sua, sperare che Marinette mantenesse davvero il suo proposito, ma a conti fatti quello era l’unico modo per evitare ad entrambi di farsi del male, rischiando persino di compromettere almeno in parte quella meravigliosa amicizia – ma avrebbe potuto ancora godere della sua compagnia nei panni di Chat Noir, di questo bisognava comunque tenerne conto, anche se sarebbe stato disonesto da parte sua.
   «Come farai con il portafortuna che hai perso?» s’incuriosì Plagg, mentre Adrien finiva di prepararsi per la notte.
   «Domani proverò a cercarlo ancora», rispose lui. «È probabile che mi sia caduto da qualche parte, lungo il tragitto fra il Musée Rodin e casa di Marinette.»
   «E se lo trovasse qualcuno prima di te? O se lo avesse già trovato…»
   La sola idea gli faceva rimescolare lo stomaco. «In quel caso… sarò costretto a dirle la verità, cioè che l’ho perso», sospirò con aria mogia, sprimacciando il cuscino prima di tuffarci dentro il viso. «Spero non si arrabbi, per questo», aggiunse poi, allarmato per l’idea che potesse accadere.
   «È geneticamente incapace di arrabbiarsi con te», lo rassicurò con un enorme sbadiglio Plagg, rannicchiandosi accanto a lui.
   Adrien sorrise e, coccolato da quel dolce pensiero, si abbandonò infine al sonno senza ulteriori preoccupazioni.

Marinette ci aveva riflettuto su tutta la notte.
   L’aver scoperto che sotto la maschera di Chat Noir si nascondeva nientemeno che lo stesso Adrien aveva scombussolato non poco il suo cuore, rivoltandolo e scuotendolo come fosse stato su una giostra. Le aveva fatto male? No, non proprio. Questo perché Chat Noir era sempre stato molto importante, per lei, soprattutto dopo averlo conosciuto meglio. Era davvero l’amico più fidato che avesse, e continuava ad esserlo anche adesso, nonostante lui non si fosse comportato in modo del tutto corretto; ma anche lei non lo aveva fatto, sin dall’inizio. Era forse una stupida a giustificarlo e a concedergli il beneficio del dubbio? No, affatto. Adrien era un ragazzo di cuore, gentile e buono come pochi altri al mondo. Aveva confidato a Ladybug di essere dilaniato dal pensiero di doverle fare del male, di respingerla e farla soffrire così come soffriva lui. E a Marinette, invece, aveva dichiarato che il portafortuna che lei gli aveva dato era così importante che, senza di esso, si sentiva addirittura inquieto. Non potevano non contare nulla, quelle dichiarazioni, anzi.
   Adesso, a mente più fredda, aveva pensato anche a come comportarsi con lui quella mattina, quando l’avrebbe rivisto a scuola. Anzitutto si era persuasa a ridargli l’amuleto. Doveva ancora stabilire in che modo, però. Forse nascondendolo nella sua borsa come aveva fatto per il cellulare che gli aveva sottratto qualche tempo prima? No, non avrebbe avuto senso: Adrien era convinto di averlo smarrito mentre era nei panni di Chat Noir. Avrebbe dovuto farglielo recapitare a casa in un pacchetto anonimo? Sarebbe stato troppo strano. E se glielo avesse portato Ladybug? Sì, così poi gli avrebbe lasciato capire che lei sapeva la verità. In effetti, era davvero necessario tacere ancora?
   Fu rimuginando su questo che uscì di casa, il portafortuna stretto nella mano destra e quello che le aveva regalato Adrien in quella sinistra. Glielo aveva dato per il compleanno e per lei era stato il più prezioso dei doni: lui, che avrebbe potuto regalarle il mondo con i soldi di suo padre, aveva invece preferito per lei qualcosa di meno pretenzioso, ma dal valore inestimabile, poiché aveva scelto accuratamente gli elementi con cui comporre il portafortuna e lo aveva confezionato con le proprie mani con tutto l’affetto che provava per lei. Marinette sorrise, ancora una volta commossa per quel gesto, e alzò lo sguardo alla strada quando scattò il semaforo. Attraversò e proprio in quel momento vide l’auto della famiglia Agreste svoltare l’angolo e fermarsi poi davanti all’istituto. La ragazza esitò un istante, infine prese coraggio e, dopo aver messo in tasca entrambi i portafortuna, raggiunse l’amico che stava già per mettere piede sul primo gradino della scalinata d’ingresso.
   «Buongiorno», esordì con voce calma, senza balbettare.
   Adrien fu stupito da quella novità, ma l’accolse in modo più che positivo: sarebbe stato meraviglioso se Marinette avesse iniziato a non farsi prendere dalle emozioni quando erano a tu per tu. Sarebbe stato proprio come quando si trasformava in Chat Noir e parlava con lei di tutto e di niente, ridendo e scherzando insieme come due vecchi amici. «Buongiorno», rispose allora, constatando soprattutto una cosa che gli aveva fatto sussultare inaspettatamente il cuore: quella mattina Marinette si era presentata a scuola con i capelli sciolti.
   Era la prima volta che lo faceva e Adrien non poteva che ricollegare quella scelta ad una frase che le aveva detto la sera addietro, sia pure nei panni di Chat Noir, quando lei si era tolta gli elastici dalla chioma con fare stanco, dandogli l’impressione che, dopo un’intera giornata, le facessero male. Per questa ragione, lui aveva colto la palla al balzo e le aveva detto senza troppi giri di parole che stava meglio così, con i capelli sciolti che le incorniciavano il viso e le davano un aspetto più grazioso. Marinette era arrossita vistosamente in seguito a quel complimento, aveva distolto lo sguardo con fare imbarazzato e aveva persino tartagliato parole di ringraziamento proprio come se, anziché Chat Noir, quelle dichiarazioni le avesse fatte Adrien.
   Ed ora eccola lì, con un cerchietto fra i capelli ed il sorriso più dolce del mondo tutto per lui. Ciò nonostante, il giovane non parlò della cosa né le fece complimenti espliciti mentre insieme percorrevano la distanza che separava l’ingresso della scuola e l’aula di scienze. Tenne per sé quei pensieri e ingoiò tutte le parole carine che gli vennero in mente per timore di illuderla inutilmente. Dal canto suo, Marinette apprezzò quella premura, convincendosi una volta di più che, che ricambiasse o meno il suo amore, Adrien le voleva bene per davvero.
   Per tutta la mattinata rimase nel dubbio su quale fosse il momento migliore per restituirgli il portafortuna e alla fine decise di farlo alla fine della giornata scolastica, raggiungendolo quando era ormai in procinto di salire in auto per andar via. «Adrien, aspetta!» lo chiamò appena in tempo, lasciando in sospeso Alya all’ingresso della scuola con un saluto frettoloso. Lui si volse a guardarla con aria stupita e Marinette tentennò un’ultima volta prima di inspirare a fondo e tirare fuori dalla tasca ciò che gli apparteneva. La vista del portafortuna fece sgranare gli occhi al giovane, che li alzò di scatto sui suoi con aria smarrita. La ragazza accennò un sorriso incerto, sperando di non infliggergli un colpo troppo duro quando spiegò: «L’ho trovato ieri.»
   Adrien spostò il peso del corpo da un piede all’altro e sistemò meglio la tracolla della borsa dei libri sulla spalla. «Dove?» le domandò, quasi con timore.
   «Nella… tua tasca», ammise Marinette, temendo il peggio. Lo vide sbiancare, difatti, e fu subito costretta ad aggiungere: «Lo so, sono stata scorretta a prendertelo, ma… avevo bisogno di accertarmi che fosse proprio quello che ti avevo regalato io… Per questo… Per questo l’ho preso prima di scappare via senza darti alcuna spiegazione.»
   Adesso Adrien la fissava con occhi vacui e la bocca socchiusa. Sembrava sul punto di avere un collasso e la ragazza si sentì tremendamente in colpa per essere stata così diretta. Abbassò lo sguardo, mortificata. «Prenditi tutto il tempo che ti serve per metabolizzare la cosa. In fin dei conti… io ho avuto tutta la notte, per farlo.» Detto ciò, esitò un’ultima volta prima di mettergli in mano il portafortuna e di voltare le spalle per tornare a casa, lasciandolo lì da solo, sconvolto e disorientato proprio come aveva fatto il giorno precedente, seppur nei panni di Ladybug.
   Quasi non fece in tempo a muovere un passo che la mano di Adrien le ghermì un polso, bloccando la sua fuga strategica e inducendola di nuovo a guardarlo in viso. La fissava ancora con aria frastornata, ma sembrava almeno aver ripreso colorito. «Tu…» annaspò, non riuscendo ad articolare un discorso di senso compiuto. Si erano davvero invertite le parti? Adesso era lui quello incapace di parlarle, quello a cui il cuore sembrava voler esplodere da un momento all’altro, quello a cui stavano tremando le gambe al pensiero di avere davanti a sé la persona che amava con tutto se stesso? E l’aveva avuta sempre lì, a portata di mano, sotto ai suoi stupidi occhi ciechi…
   Riprese il controllo di sé, o almeno ci provò, e chiuse con uno scatto secco lo sportello dell’auto, facendo sì che nessun altro, all’infuori di loro due, potesse udire il resto del discorso – neanche Nathalie e il suo autista. «Marinette… sei… davvero tu?» domandò infine, cercando di aggrapparsi a quella speranza. Perché sì, di colpo il suo cuore aveva capito che era quello ciò che voleva: che dietro la maschera di Ladybug si nascondesse proprio lei, l’unica ragazza capace di scuoterlo al punto da tenerlo sveglio la notte.
   L’altra trovò a stento il coraggio di reggere il suo sguardo e si impose di non cedere. Annuì. «Mi spiace non avertelo detto ieri sera… dopo che avevo capito che tu eri…» Si fermò per prudenza, temendo che qualcuno potesse comunque cogliere quelle parole. «Avevo bisogno di… realizzare… e capire… e…»
   Le dita di Adrien scesero dal polso alla sua mano, stringendola con calore e quella che le parve addirittura possessione. «Vengo da te. Subito.»
   «Hai lezione di scherma, oggi», gli ricordò lei, che teneva a mente ogni suo singolo impegno e non voleva in alcun modo che l’amato potesse venir meno ai propri doveri a causa sua.
   Lo vide stringere le labbra con fare stizzito prima di sentirlo ribattere: «Chi se ne importa della scherma?!»
   «Adrien», tentò di farlo ragionare Marinette, ricambiando la stretta di mano con sincero affetto e guardandolo negli occhi con tenerezza. «Riflettici su, prima. Avremo modo di riparlarne. Anche stasera, se lo vorrai. Ma, ti prego, non dire o fare nulla adesso. Non hai avuto il tempo per assimilare la cosa.»
   «Neanche tu lo hai avuto, ieri», le fece notare il giovane, addolcendo di nuovo i tratti del volto. «Non te ne ho lasciato. Ho continuato ad importi la mia presenza anche se…» Tacque, dispiaciuto di essersi comportato slealmente, con lei.
   «Attento a non farti bucherellare, durante la lezione di oggi», scherzò invece lei, distogliendolo da quei pensieri nocivi.
   «Non sarà facile evitare distrazioni…»
   «Lo so, perdonami. Ma volevo sapessi la verità e avessi il tempo per ragionarci su.»
   «Grazie. Per la fiducia, soprattutto.»
   «Ti aspetto.»
   «Verrò sicuramente.»
   Non aggiunsero altro, ma fu quasi con dolore che lasciarono andare l’uno la mano dell’altra.

Quello fu un pomeriggio a dir poco travolgente, per Adrien.
   Tornò a casa apparentemente perso fra i suoi pensieri e ascoltò a malapena ciò che gli venne detto da Nathalie, prima, e da suo padre, dopo. Fu sordo a tutto, non perché volesse estraniarsi dal resto del mondo, quanto perché non riusciva a rimanere con i piedi per terra. Aveva la netta sensazione di sentirsi molto più che un pesce fuor d’acqua, molto più confuso di Alice nel Paese delle Meraviglie. Avvertiva un vuoto abissale nella mente ed un profondo qualcosa nel cuore.
   Provò a decifrarlo durante la lezione di scherma, finendo per distrarsi e facendo magre figure davanti a tutti. Non poteva farci nulla, davvero. Nella testa continuava a ronzargli un solo pensiero, lo stesso che lo assillava da giorni; gravato però da una nuova consapevolezza: Marinette era Ladybug. Cosa gli aveva procurato, esattamente, quella rivelazione? Sconcerto? Assolutamente. Più volte si era ritrovato ad associare le due, ma mai aveva creduto per un attimo che fossero la medesima persona. Anche Marinette doveva senza dubbio essere rimasta scioccata dalla scoperta che lui era Chat Noir, e adesso Adrien si spiegava la reazione avuta dalla collega in seguito al loro ultimo incontro. Non era solo questo, però, che gli rimescolava lo stomaco. C’era dell’altro. Molto altro.
   Sollievo? Diamine, sì! Perché adesso non aveva più senso che lui si preoccupasse tanto di scoprire la vera identità della sua buginette. E se anche aveva detto a se stesso che non gli importava chi si nascondesse dietro quella maschera, la verità era che aveva a lungo temuto di rimanerne deluso. Lo aveva capito quando Alya aveva messo in giro la voce che forse Ladybug era nientemeno che Chloé. Adrien era rimasto scottato da quell’esperienza e da allora era stato sempre sul chi va là. Adesso però sapeva, e più ci ripensava, più si rendeva conto che non avrebbe potuto sperare in qualcosa di meglio. Chi altri, se non lei, poteva essere la sua Ladybug?
   Questo pensiero, questa realizzazione, fu quasi l’interruttore che riuscì a riaccendere il suo sistema operativo. Il sorriso tornò ad illuminargli il volto e i suoi occhi riacquistarono la loro naturale lucentezza. Si sentì di colpo rinvigorito: Marinette era Ladybug, ed era innamorata di lui. Di lui e di lui solamente.
   Schivò, avanzò e affondò. Punto. E ancora e ancora, fino a che il suo avversario non fu costretto a indietreggiare così tanto da ritrovarsi con le spalle al muro. «Adrien!» lo chiamò, sperando che quello tornasse in sé. Lo vide fermarsi e fu allora che si azzardò a sollevare la maschera da schermidore dal volto. «Hai deciso di umiliarmi del tutto?»
   Adrien abbassò finalmente il fioretto e scoprì il viso a sua volta, mortificato per quanto aveva appena fatto. «Scusa! Mi dispiace, ero sovrappensiero e…»
   «Me ne sono accorto…» borbottò l’altro, tirando un sospiro di sollievo. «Almeno adesso mi spiego perché poco fa sono stato sul punto di batterti…»
   Il giovane gli rivolse un sorriso e gli porse la mano per aiutarlo a riguadagnare una posizione più dignitosa. «Non dovresti sottovalutarti in questo modo. È vero, ero distratto, ma sei uno dei migliori, qui.»
   «E nonostante questo, mi hai fatto a pezzi», gli fece notare il suo compagno, accettando di buon grado l’aiuto con rassegnata ammirazione nei suoi confronti. «So che sei sempre impegnato», cominciò poco dopo, allorché monsieur D’Argencourt dichiarò la lezione terminata, «ma mi chiedevo se non ti andasse di andare a bere qualcosa insieme.»
   Stupito da quell’invito, Adrien si domandò se davvero il portafortuna di Marinette non fosse stato ricaricato della sua positività grazie al semplice fatto che lei lo aveva tenuto con sé tutta la notte. «Mi piacerebbe molto», rispose allora, sinceramente felice di avere l’opportunità di provare ad imbastire una nuova amicizia. «Oggi però non posso davvero.»
   «Un altro impegno di lavoro, immagino», disse l’altro, seguendolo verso lo spogliatoio maschile.
   «Un’amica», gli rivelò lui, con un certo orgoglio. Aveva davvero senso continuare a chiamarla in quel modo? Adesso che Adrien sapeva la verità, gli sembrava troppo riduttivo. Si accorse che il suo compagno aveva preso a fissarlo con espressione sorniona e arrossì, capendo di essere stato sgamato in pieno. «Sì, beh…»
   «Fammi indovinare: è la ragazza con cui sei stato fotografato giorni fa? O è una nuova?» iniziò allora a tempestarlo di domande l’altro, entusiasta di essere il primo a cui Adrien aveva fatto quella confidenza. O forse il primo non era, ma non gli importava granché: era pur sempre una prova di fiducia, giusto?
   «Sempre la stessa, ovviamente!» esclamò il giovane modello a voce un po’ troppo alta, non sapendo se ridere o indignarsi per l’essere considerato un possibile playboy.
   «È la tua ragazza? Da quanto tempo state insieme?»
   «Cos…?»
   Quelle domande furono udite anche dagli altri loro compagni, già attirati dal tono non più confidenziale che aveva preso la conversazione. Subito si incuriosirono e cominciarono ad interessarsi alla cosa, circondando il povero Adrien in attesa di risposte e di succosi particolari riguardo la graziosa moretta con cui il rampollo della famiglia Agreste era stato avvistato per le vie di Parigi non troppi giorni prima.
   Marinette mi ucciderà, pensò fra sé il ragazzo, alzando gli occhi al cielo ed implorando al suo Lucky Charm personale di dargli soccorso il prima possibile. Funzionò ancora una volta poiché, allarmato dal fatto che Adrien si stesse attardando troppo dopo la fine della lezione, la sua guardia del corpo fece irruzione non soltanto nella scuola, ma anche all’interno dello spogliatoio, lasciando tutti esterrefatti. «Non sono mai stato tanto contento di vederti…» sospirò il giovane, affrettandosi allora a raggiungere il proprio armadietto e a recuperare la roba per cambiarsi e fuggire via da lì il prima possibile – il tutto mentre il suo salvatore teneva alla larga gli altri ragazzi, rei di essere tanto, troppo curiosi della sua vita privata. Quella, però, apparteneva a lui soltanto. E, ora, anche a Marinette.

«Credi che abbia fatto la cosa giusta?» aveva domandato a Tikki quando erano tornate a casa. L’aver rivelato la verità ad Adrien un po’ le metteva ansia: Marinette avvertiva costantemente la paura che si scoprisse ogni cosa e che le loro famiglie e le persone a cui volevano bene potessero poi pagarne lo scotto.
   Il piccolo kwami aveva sorriso con fare rassicurante. «Lo hai detto tu stessa che Chat Noir è la persona di cui ti fidi di più al mondo, no?» le aveva ricordato, quasi ridendo con tenerezza del suo timore del tutto immotivato. «E se Chat Noir è Adrien, direi che puoi davvero dormire sogni tranquilli.»
   Rincuorata da quelle parole, Marinette aveva allora indossato il portafortuna che lui le aveva regalato, allacciandolo al polso come un braccialetto, e lo aveva rimirato a lungo con amore, sperando che, fatta sua l’informazione che lei gli aveva dato nel pomeriggio, Adrien tornasse a bussare alla sua camera anche quella sera – foss’anche solo per un chiarimento riguardo le loro doppie identità.
   Erano ormai le nove e mezza, però, e di Chat Noir neanche l’ombra. Possibile che ci fosse rimasto così male? Che quella rivelazione lo avesse deluso tanto? E, dopotutto, aveva appena scoperto che Ladybug, il suo grande amore, altri non era che una delle sue migliori amiche, una ragazza per la quale non provava altro che affetto fraterno. Magari, anzi, non era neanche attratto fisicamente da lei, a dispetto del complimento gratuito che le aveva fatto la sera prima e che l’aveva persuasa a presentarsi a scuola con i capelli sciolti solo per lui.
   Seduta sul letto, poco sotto la botola aperta dalla quale sperava che il giovane entrasse da un momento all’altro, Marinette se ne stava con le ginocchia issate al petto e le braccia conserte su di esse, lo sguardo al cellulare lasciato lì accanto. L’avrebbe prima chiamata? Le avrebbe mandato un messaggio per avvisarla che non sarebbe passato? Che voleva chiuderla lì, con le sue visite serali? Che aveva solo bisogno di tempo? Lei gli avrebbe lasciato tutto quello che gli serviva, le bastava solo un segnale, una parola da parte sua, che l’aiutasse almeno a sciogliere il nodo d’ansia che le si era aggrovigliato all’altezza del petto, rendendole quasi difficile respirare.
   Poi, d’un tratto, il display del suo telefono si illuminò, facendola sussultare e facendole battere il cuore all’impazzata. Fu solo quando lesse il nome del mittente del messaggio che le era arrivato che il suo entusiasmo si smorzò: Alya, che le chiedeva cosa diamine stessero combinando lei e Adrien. Marinette sospirò, certa che la sua amica ci fosse rimasta male per quanto accaduto all’uscita di scuola, quando lei l’aveva abbandonata lì di colpo per correre dietro al loro compagno di classe. Iniziò a scriverle un messaggio di scuse, ma subito gliene arrivò un altro, questa volta con allegato: lo screenshot di un post di un social network. Le dita della ragazza si immobilizzarono quando lei lesse ciò che c’era scritto e la sua mente si svuotò di colpo, lasciandola assente così tanto che non si accorse di avere ospiti se non quando il materasso sobbalzò sotto al peso di Chat Noir. Spaventata, le scappò un grido strozzato e si voltò giusto in tempo per vedere il giovane che, atterrato accanto a lei sul letto, la fissava con i suoi profondi occhi verdi.
   Aveva bramato così tanto il suo arrivo, ma ora che lui era lì, la prima cosa che Marinette fece fu piazzargli lo schermo del cellulare davanti al naso. «Che diavolo è, questo?!»
   «Eh…?» balbettò Adrien, preso del tutto in contropiede da quella reazione. Si era aspettato di trovarla in sua adorante attesa, e invece eccola che quasi lo aggrediva armata di smartphone. Prese quest’ultimo fra le dita artigliate e lesse: qualcuno dei suoi compagni di scherma aveva avuto l’infelice idea di spiattellare online che lui aveva un appuntamento con la sua ragazza, la stessa con cui era già stato paparazzato in giro per la città. «Non ho mai detto che era un appuntamento! E non ho mai detto che sei la mia ragazza!» le assicurò a quel punto, imbarazzato per la piega tragicomica che stava prendendo la cosa. Marinette si era arrabbiata? Lo avrebbe preso a ceffoni per non averla prima consultata? Perché sì, forse lei avrebbe perdonato qualunque cosa ad Adrien, ma avrebbe fatto lo stesso con Chat Noir? «Marinette, credimi, non ho mai…»
   «Certo che ti credo!» ci tenne subito a chiarire lei, portandosi una mano al petto a mo’ di giuramento, i grandi occhi azzurri spalancati, quasi come se fosse rimasta stupita dalle sue parole. «Mi dispiace solo che tutti abbiano di nuovo frainteso il nostro rapporto», spiegò poi, cercando di recuperare un minimo di lucidità.
   Il giovane sorrise, rassicurato e persino tentato di farle sapere che no, a lui non dispiaceva affatto che il resto del mondo pensasse a loro come ad una coppia. «Lasciamo perdere i pettegolezzi, per ora», ricominciò, gettando il cellulare sul materasso alle proprie spalle. «C’è una cosa che vorrei anzitutto chiarire.» Marinette avvertì tutta la tensione del momento e si spostò per sedere meglio di fronte a lui, un lieve rossore sul viso che Adrien trovò delizioso. Come tutto il resto che la riguardava. «Oggi mi hai aperto un mondo», ci tenne anzitutto a farle sapere, appropriandosi gentilmente della sua mano e scorgendo solo in quel momento il braccialetto che lei aveva attorno al polso. Il cuore gli si scaldò e a lui parve sul punto di esplodere da un momento all’altro. «Quando l’altra sera ho detto che non avrei rinunciato a Ladybug per nulla al mondo, dicevo la verità. C’è una cosa, però, che non ti ho detto», proseguì, ormai pronto a confessarle ogni più intimo pensiero. «Dentro di me, vivevo nel timore di ricevere una delusione, scoprendo chi si nascondeva dietro alla sua maschera. E no, non mi riferisco certo ad una delusione dovuta a mere questioni estetiche.»
   «Non… ci ho pensato neanche per un secondo», volle tranquillizzarlo Marinette con un filo di voce, troppo emozionata e sulle spine per riuscire a muoversi. Rimaneva semplicemente lì, davanti a lui, in balia di quegli occhi magnetici e delle parole e dei gesti che lui le avrebbe rivolto. Era del tutto alla sua mercé: Adrien avrebbe potuto fare di lei ciò che voleva, Marinette lo avrebbe assecondato senza opporre la minima resistenza.
   Lo vide portarsi la sua mano alle labbra, baciandone il dorso con tenerezza. La ragazza si sentì avvampare, mentre un fremito caldo la percorreva da capo a piedi. Era consapevole, Adrien, di quello che le stava facendo? «Confesso, però», riprese il giovane con voce roca, quasi in un sussurro, «di essere più che sollevato davanti alla realtà dei fatti.» Quindi non era rimasto deluso? Quindi era contento che fosse lei, la sua Ladybug? Marinette avvertì gli occhi farsi umidi per la gioia che quelle parole avevano portato con loro. «Di essere felice… di ciò che si nasconde dietro quella maschera.»
   Non resse oltre e la prima lacrima crollò giù dalle sue ciglia scure, spiazzando Adrien. «Ehi…» lo sentì mormorare, dispiaciuto e intenerito a un tempo, mentre lei si portava la mano libera davanti al viso per non farsi vedere in quelle condizioni. Sentiva il cuore battere come un tamburo, quasi volesse scoppiarle in petto, e ogni fibra del suo corpo anelava ora una cosa soltanto: un abbraccio. Non tardò ad arrivare, perché le braccia calde e protettive del giovane l’avvolsero con amore, stringendola con fare gentile e possessivo a un tempo. Avvertì la sua bocca sulla fronte, poi sulla tempia, fino a che non scese a baciarle gli occhi. Marinette alzò appena il viso e i loro sguardi innamorati si incrociarono, lasciandoli incapaci di dire alcunché. E, d’altra parte, cos’altro c’era da dire? Si sorrisero a vicenda, timidi e bisognosi di un ultimo gesto che parlasse per loro. Adrien si chinò sulle sue labbra, ghermendole con tenerezza ed infondendo infine a Marinette quel coraggio che la spinse a circondargli il collo con le braccia e a non negarsi oltre a quel giovane che l’amava con tutta l’anima. Unica testimone di quel momento d’amore, la luna piena che vegliava su di loro attraverso la botola del soffitto.












E anche questa è conclusa. Ripeto, poteva tranquillamente essere una shot, molto lunga, d'accordo, ma pur sempre una shot. Ho preferito dividerla in capitoli sia per non creare problemi ai lettori, sia per non crearli a me correggendo l'intero testo tutto d'un fiato. I miei occhi (e anche i vostri, suppongo) ringraziano.
Ed io ringrazio voi, di tutto cuore, per l'entusiasmo mostrato anche per questa storia (e non me ne aspettavo affatto, giuro... di certo non in questa misura), e spero di potervi intrattenere ancora, in futuro, con qualche altra fanfiction.
Concludo con un affettuoso pensiero soprattutto per Florence e Raffy Chan, che hanno letto in anteprima e mi hanno dato dei preziosi consigli per migliorare.
Un abbraccio a tutti e a presto, spero!
Shainareth
P.S. Ci sarà qualcuno, al Comicon?





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