The last shot

di _Gilestel_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


 

Erano da poco passate le quattro di mattina quando finalmente arrivò in quella che per anni era stata la sua casa, una piccola villa in una zona residenziale nel sud del Canada. 

Parcheggiò l’Audi nel vialetto fuori dal garage, prese la valigia dal portabagagli e si avviò verso la porta d’ingresso. Quando aprì la porta trovò tutto come lo aveva lasciato: il salone con il divano bianco, il caminetto con il profilo nero, sulla sinistra la cucina perennemente immacolata. O per lo meno che lo era stata per sette anni, tranne in due casi, e non certo per merito suo.  

Lo stile di quella casa rispecchiava la sua essenza: lineare, semplice e con un tocco classico. Peccato che la sua vita non fosse affatto così. Salì in camera da letto e lasciò la valigia contro una parete, poi si avvicinò al letto e sfiorò con le dita il copriletto color tortora. I ricordi l’avrebbero sopraffatta se fosse rimasta, così decise che quella sera avrebbe dormito nella camera degli ospiti. Passò un’ora buona a girarsi nel letto prima che il sonno la degnasse della sua presenza e quando la sveglia suonò si rese conto che non si sentiva per nulla riposata. 

 

Arrivò agli studios poco prima delle nove, in mano la seconda tazza di caffè della giornata. Per sentirsi un minimo viva avrebbe dovuto prenderne almeno un’altra, nonostante fosse ben consapevole che quella bevanda non l’avrebbe per niente aiutata con l’ansia che la perseguitava da due giorni. E come se non bastasse, quello sembrava essere un giorno da emicrania. Sarebbe stata fortunata se fosse riuscita ad arrivare al tramonto viva. 

Prese un bel respiro e aprì la porta della sala dove avrebbero effettuato la lettura dell’ultimo copione, le sembrò di trattenere il fiato come se stesse per tuffarsi in una vasca, probabilmente piena di squali. Gli squali, alcuni dei quali erano in realtà diventati suoi amici, erano sparsi per la stanza. Alcuni già seduti, altri ancora in piedi al tavolo del buffet, tutti intenti a chiacchierare amabilmente. Alla sua comparsa, si voltarono verso di lei e la salutarono con un piccolo coro, l’entusiasmo che gli americani sembrano provare per qualsiasi cosa. Eppure alcune di quelle persone Jen le avrebbe prese a schiaffi, una in particolare. 

Ginni e Josh le si avvicinarono e li abbracciò caldamente, lo stesso fece con Colin. L’abbraccio che riservò a Adam e Eddy fu molto più sbrigativo. 

“Oh, caffè!” Disse scostandosi dal corpulento Adam per andare a riempire la tazza. Aveva dato solo un rapido sguardo attorno alla sala ma era certa che ci fossero ancora alcuni assenti, due in particolare. Le interessate entrarono un paio di minuti dopo, sorridenti e chiassose come loro solito. 

“Scusate il ritardo” disse Lana illuminando la stanza con il suo sorriso. 

“È tutta colpa sua, ha voluto fare l’entrata alla Evil Queen ma direi che non le è riuscita per niente” dichiarò Rebecca con il suo spiccato accento inglese e suscitando l’ilarità generale. 

Perfino Jen sorrise alla sua battuta, poi gli occhi si posarono sull’altra donna e la connotazione del suo sorriso cambiò, ma decise di dare colpa di quel sapore amaro al caffè. Quando invece lo sguardo di Lana incrociò il suo, decise di dare la colpa la colpa per la stretta allo stomaco.

Fece in tempo ad afferrare una ciambella e a darle un morso prima di sentire la sua voce. 

“Ciao Jen” la salutò con un sorriso nervoso. 

“Lana, ciao!” riepose Jen riuscendo a vincere il premio di essere socialmente imbarazzante. 

“Come stai?” le chiese Lana strofinando leggermente le mani sulle cosce coperte da un paio di jeans neri. 

In questo momento di merda, avrebbe voluto rispondere. 

“Non male,” disse invece, “tu?”

“Abbastanza bene, nonostante tutto.”

Ah già, il divorzio. 

“Ho sentito, mi spiace molto.”

Lana si strinse nelle spalle, poi arrivò Rebecca a salvarle da loro stesse. 

“Bambola, è un piacere vederti!” la salutò abbracciandola e Jen ricambiò con un leggero imbarazzo. Tutti sapevano che non amava il contatto fisico, ma non riusciva ad arrabbiarsi con Rebecca: era una forza della natura e Jen non riusciva a non volerle bene. 

La donna la afferrò per le spalle e la scrutò con i suoi penetranti occhi azzurri. 

“Mio dio, sei uno straccio!” 

Jen rise, non riusciva a non adorare nemmeno la sua schiettezza disarmante. 

“Non ho dormito molto” confessò spostando il suo sguardo su Lana. “È stato un lungo viaggio.”

La rossa riprese a parlare a raffica ma Jen non riusciva a prestare attenzione ad altro che a quei profondi occhi color del cioccolato. Era sicura che quelle due settimane sarebbero state un inferno

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


“Miss Swan, non hai idea di che cosa sono capace!” affermò la mora con sguardo di fuoco. 

“Lo stesso vale per te, signora sindaco!” rispose Emma con altrettanto fervore. 

“Eeee... stop! Controlla il girato” disse Eddy dalla poltroncina del regista, consentendo ad attori e staff di rompere i ranghi.

“Non posso credere che abbiano scritto davvero una cosa simile” borbottò Lana alzando gli occhi al cielo mentre una truccatrice le incipriava il naso. 

“Sarebbe molto toccante se non fosse ridicolo” concordò Jennifer, suscitando il sorriso di Lana e della parrucchiera che le stava sistemando i boccoli. “E la cosa pazzesca è che queste due scene nemmeno le terranno.”

“Proprio come hanno fatto con le altre... quante saranno? Dieci?” sbuffò leggermente Lana. 

“Più o meno” confermò Jennifer spostando il peso sull’altra gamba mentre aspettavano che il piccolo demonio chiamasse il ciak per ripetere la scena. 

Passarono un paio di minuti a guardare ovunque tranne che nella direzione dell’altra donna, finché una delle due non cedette. 

“Mi mancherà, però” mormorò Lana. 

“Già. Ti sembrerà assurdo ma a me manca da un anno.” La guardò negli occhi confessando che a mancarle non era il lavoro. E Lana capì. 

“Anche a me” rispose con un sorriso amaro. 

“Ragazze, era molto buona, ma ora ho bisogno che facciate vedere a quelle bimbette di che cosa siete capaci.”

 

Jennifer si svegliò in uno stato di piacevole torpore: il suo corpo era leggermente indolenzito, come dopo una lunga sessione di yoga, ma dietro di sé c’era una fonte di calore che le dava una strana pace dei sensi. Socchiuse gli occhi e vide che era nella sua stanza. Voltò il capo e in mezzo secondo fu aggredita da una lingua ruvida che le lavò la faccia. 

“Lola!” esclamò nascondendosi sotto le coperte, ma il cane si alzò e cercò di raggiungerla graffiando le lenzuola. 

Dopo nemmeno un minuto Jennifer si arrese e abbracciò la cucciolona, che subito si stese contro di lei. 

“Sì, anche io ti voglio bene” le disse e Lola rispose con uno sbuffo soddisfatto. 

Scesero qualche minuto dopo, trovando la cucina in disordine per la terza volta da quando Jen l’aveva affittata. 

“Che profumino!” 

Lana si voltò, rivolgendole un radioso sorriso e facendole bloccare per un istante il cuore, prima che questo riprendesse a battere più velocemente. 

“Buongiorno” le disse semplicemente e Jen penso che lo era davvero. Poi la mora si rivolse al quadrupede. “Buongiorno anche a te, principessa! Hai svegliato Jen? Ma che brava!”

“Non mi ha solo svegliata, mi ha anche fatto la doccia” commentò la bionda. 

“Il vantaggio di avere un cane” dichiarò Lana impiattando dei pancake per lei e altri per Jen. 

“Ti ricordo che io ho un cane” rispose questa fingendosi indignata. 

“Ava non è un cane, è un peluche vivente” affermò la mora sedendosi al tavolo con nonchalance, e Jen non seppe se essere lusingata o offesa. Anche perché il viso privo di trucco di Lana, così dolce e al tempo stesso sensuale, riusciva a distrarla senza sforzo. E quella cicatrice la chiamava letteralmente. 

“Sciroppo?” le chiese Lana riscuotendola dai suoi pensieri. 

“Grazie” rispose facendo scivolare il piatto sul tavolo. “Mi ci vorranno almeno 15 km di corsa per smaltire tutto questo ben di dio.”

“Sono solo due pancake” disse l’altra ridendo. 

In quel momento Lola attirò l’attenzione di Jen dandole delle vigorose zampate sull’avambraccio. Jen tagliò un pezzetto della sua colazione e la allungò verso il muso dell’animale, che la prese di buon grado. 

“Non darle nulla, lo sai che non voglio!” la rimproverò Lana. 

“Sono solo due pancake!” le fece il verso lei, guadagnandosi un’occhiataccia. 

 

“Non posso credere che tu non abbia ancora visto Supergirl!” esclamò Lana. 

“Mi basta sapere che questa Salvatrice è una brutta copia della mia” rispose Jen sedendosi accanto a lei sul divano e passandole un bicchiere di vino. 

“E sia la prima che la seconda coprotagonista sono brutte copie di Regina” aggiunse l’altra allungando le gambe sulle sue cosce. 

“Ci credo che non ci sia voluto molto a ribattezzarle le nuove Swan Queen” borbottò Jen. 

Lana, il braccio appoggiato allo schienale e la tempia contro il palmo della mano, la osservò per qualche secondo prima di chiederle: “Potendo, avresti scelto di sviluppare la storia in modo diverso?” 

Jen bevve un sorso prima di rispondere. “Molto probabilmente dalla terza stagione. All’inizio sembrava avere senso, poi mi sono persa.” Si voltò verso di lei e le rivolse un sorriso leggermente tirato. “Tu invece? Come ti sei sentita a dirigere un episodio?” le chiese sinceramente interessata. 

Lana liquidò l’esperienza con poche parole. “Mi sono limitata a chiedere a Bex di dare la sua interpretazione.” Ma Jen sapeva che in realtà ne era fiera. 

“Ora sei anche tu una regista” le sorrise sfoggiando le fossette che ogni volta scioglievano il cuore di Lana. 

“Attenta,” le rispose lei, “potrei rubarti la poltrona!”

Jen rise amaramente. “Fa’ pure, tanto sono bloccata.”

“Peccato, metà delle visualizzazioni di Wild Wild Horses sono le mie.”

Questa volta la bionda rise di cuore. “Ti è piaciuto?” le chiese. 

“Molto. L’ho trovato in qualche modo... autobiografico.” 

Jen inarcò un sopracciglio “Giusto un tantino.”

Lana fissò i suoi grandi occhi color cioccolato in quelli verdi di Jennifer, mostrando tutta la sincerità di cui era in possesso. “Ora siamo solo noi due.”

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


 

Regina era seduta sul letto della bambina che giaceva sotto le coperte. In grembo teneva un pesante libro dalla copertina di pelle aperto sulle ultime pagine. Lucy ascoltava con attenzione. Sua nonna Regina era la sua narratrice preferita, addirittura più apprezzata di suo padre, che alcune di quei capitoli li aveva scritti. Ma c’era qualcosa nella voce di sua nonna che la ammaliava. 

“E vissero tutti felici e contenti” disse Regina chiudendo il pesante tomo e accarezzando la scritta dorata sulla copertina. 

“Stooop!” urlò Eddy. “Bravissime, ragazze! Era perfetta” aggiunse suscitando gli applausi di tutto lo staff. 

Lana sorrise alla piccola Alison, che subito si buttò fra le sue braccia. La donna la strinse per qualche minuto, gli occhi lucidi per l’emozione. Non l’aveva vista crescere come era accaduto per Jared, ma non era riuscita a non affezionarsi a lei, a quello sguardo dolce e ancora puro, a quel broncio che le ricordava tanto il proprio, e in un certo senso, nonostante fosse passato meno di un anno, aveva assistito a una fase della sua vita che certamente implicava una crescita. 

E poi sentì i singhiozzi. 

“Tesoro, non piangere, o farai piangere anche me!” le disse sbattendo le palpebre e liberando le lacrime. 

“Mi mancherai” mormorò la bambina con il volto ancora sepolto nel suo grembo. “Mi mancheranno tutti.”

“Anche tu mi mancherai, piccola, ma ti sbagli se pensi che potrai liberarti di me! Ricordati che mi devi ancora una A+ in storia.”

Finalmente Alison si scostò ridacchiando tra le lacrime. 

“Va bene,” acconsentì, “ma promettimi che non ti arrabbierai se sarà una A.”

“Cercherò” le sorrise Lana. 

In quell’istante comparvero Andrew a Dania, che abbracciarono a turno le due attrici. 

“Non posso credere che sia finita!” disse lui.

“Mi mancherete così tanto!” disse Dania accarezzando i capelli della bambina fra le sue braccia.

“Non potrò fare la nonna bella e giovane per sempre” dichiarò Lana suscitando l’ilarità del gruppetto. 

Dal fondo del set, Jennifer sorrise alla scena: era davvero come vedere Regina con un Henry cresciuto, ormai sposato e padre di una bellissima bambina. Era una scena stranamente familiare, che le scaldava il cuore, ma in un certo senso si sentì estraniata, quasi esclusa. Anche Emma faceva parte di quella famiglia, ma chissà per quale motivo era stata esonerata, proprio come lo era stata lei. 

 

“Ti giuro che Hugo è molto più impegnativo di quanto lo sia mai stato Oliver” disse Ginnifer prendendo il bicchiere di prosecco che la cameriera le stava porgendo e ringraziandola velocemente. “A volte penso che ci abbiamo messo troppa energia nel concepirlo.”

Jennifer rise di gusto poi prese a sua volta un bicchiere e sorrise alla ragazza che le guardava con occhi sgranati. Probabilmente era la prima volta che lavorava in un party con dei vip. Vip non esattamente di serie A, pensò Jennifer, ma comunque di un certo rilievo. 

“Sono così felice di aver trovato Samantha! Josh e io vogliamo proporle di trasferirsi con noi a LA.”

“Davvero?” le chiese la bionda alzando le sopracciglia. 

“Sì, con i bambini è fantastica. E poi è ancora giovane, Los Angeles è la città ideale per una ragazza.”

“Beh, forse è un po’ troppo ricca di... distrazioni?” 

“Oddio, Jen, non è che voglia iniziarla all’uso di droghe, dovrà pur sempre badare ai miei bambini. È solo che Los Angeles ha molte opportunità da offrire a una giovane ragazza.”

“Perdonami Ginny ma non ho capito: vuoi che la ragazza faccia la baby sitter o che spicchi il volo?” chiese Jen. 

“Voglio che faccia la baby sitter ma dovrò pure convincerla ad allontanarsi da casa in qualche modo!”

Jen scosse il capo. Voleva davvero molto bene a Ginny ma a volte faceva fatica a capirla. 

In quel momento dietro la sua amica comparve Lana, che si intrufolò nella conversazione cingendo con un braccio la vita della collega. 

“Mi spiace interrompervi, ma Josh mi manda a dire di non esagerare con le bollicine” disse sorridendo. 

“Lo stesso vale per lui” rispose Ginny indirizzando lo sguardo verso il marito che la stava osservando dall’altra parte della sala e sollevando leggermente il bicchiere in segno di saluto. 

“Quindi partite già domani?” chiese Lana. 

“Sì, abbiamo l’aereo domani sera” confermò l’altra. “Giusto per precauzione ho preso un biglietto in più.”

Lana chiese la motivazione e la collega si prodigò nella spiegazione di quello che era il suo progetto per la baby sitter. Jen si estraniò per qualche secondo, l’outfit della mora era molto più interessante: indossava un abito nero dalla spalla larga che scendeva in un profondo scollo a v e che si trasformava in una minigonna blu con due strisce verticali nere sul davanti, ai piedi portava degli stivali che le arrivavano sopra il ginocchio. Jen pensò che quegli stivali le piacevano molto e che le piacevano molto su Lana. L’immagine che le invase la mente subito dopo fu quella di Lana con indosso solo della lingerie e quegli stivali. Si schiarì la gola per cercare di fare lo stesso con i pensieri, poi si portò il bicchiere alle labbra. Ginny interpretò quel gesto a modo suo e decise di lasciare le due donne da sole. 

“Vado ad assicurarmi che Josh sia ancora in grado di guidare” disse prima di allontanarsi. 

Lana le sorrise, poi si voltò verso Jen.

“Com’è il vino?” le chiese e, senza nemmeno darle il tempo di rispondere, afferrò il suo bicchiere, indugiando per qualche istante nel contatto delle loro dita. 

“Non male” rispose la bionda invidiando con tutta se stessa il bicchiere che aveva la fortuna di toccare quelle labbra. “Tu invece quando hai intenzione di partire?” 

“Fra qualche giorno. Devo finire di imballare alcune cose poi credo che prenderò un aereo per New York.”

“Ancora nulla di deciso, quindi?” domandò Jen con un tono quasi speranzoso. 

“No, non ancora.”

“Ragazze, stanno portando la torta” le informò Bex con la sua voce squillante, prima di portarsi via la sua amica. 

Jen rimase immobile, avrebbe voluto lanciare un’occhiataccia alla rossa ma il suo sguardo finì irrimediabilmente sul fondo schiena di Lana, così quasi si spaventò quando si ritrovò Bex al suo fianco. 

“Smettila di fissarle il culo e vieni a mangiare la torta” le bisbigliò all’orecchio. “La sua torta potrai mangiarla dopo.”

 

Come aveva previsto Rebecca, quella notte finirono di nuovo a letto insieme. Il vino aveva inebriato i sensi di entrambe, facendole gravitare una attorno all’altra per tutta la sera, scambiandosi sguardi e sfiorandosi continuamente, in maniera quasi spavalda per il loro standard. Alcuni componenti del cast erano nuovi e non avevano assistito ai loro primi mesi, ma le due sapevano che anche loro sapevano. Tutti sapevano. 

Non c’era stato bisogno di dirsi nulla, alla fine del party Lana era tornata a casa e cinque minuti dopo Jen aveva parcheggiato nel suo vialetto, trovandola fuori con Lola, che subito le era corsa incontro a reclamare qualche carezza. Dopo aver coccolato la cucciolona, Jen si era alzata e non aveva resistito all’impulso di baciarla, lì fuori, in mezzo alla strada, in quella fresca notte di marzo. Era stato rapido ma c’era stato. Per la prima volta Jen l’aveva baciata in uno spazio aperto, dove avrebbe potuto essere bersaglio di sguardi indiscreti. 

Erano salite in camera, chiudendosi la porta alle spalle e Jen le aveva preso il volto tra le mani, dandole un bacio appassionato e liberatorio. Avevano fatto l’amore in modo frenetico, senza fermarsi fino alle prime luci dell’alba. 

 

Jen si svegliò poco prima di mezzogiorno, e di nuovo si ritrovò in un letto vuoto. La porta della camera era chiusa quindi immaginò che Lana volesse darle un po’ di tranquillità ed evitare che fosse svegliata dalla belva feroce. 

Scostò le lenzuola e si alzò, dirigendosi verso la cassettiera, da cui estrasse una maglia e un paio di leggings. Nonostante odorassero di bucato, avevano il profumo di Lana. 

Scese in cucina e la trovò vuota. Sbirciò in soggiorno ma nemmeno lì trovò nessuno, solo qualche scatola di cartone contro le pareti e i mobili ormai vuoti.  Di sicuro, se ci fosse stato qualcuno in casa, Lola le sarebbe corsa in contro, così concluse che Lana doveva essere fuori con la bambina pelosa.  

Tornò in cucina e decise di preparare un buon tè. Cercando nei vari scomparti della credenza trovò l’infusore di marca che le aveva spedito dalla Francia un paio di anni prima. 

Sentì la porta dell’ingresso aprirsi e qualche istante dopo fece capolino la mora, addosso una giacca nera, da cui spuntava il cappuccio di una felpa, e dei jeans. 

“Buongiorno, bella addormentata!” disse Lana con un sorriso. 

“Non è colpa mia se questa mattina ero distrutta” rispose Jen con un ghigno compiaciuto. Lana non disse nulla, si avvicinò e la baciò. “Sto preparando il tè, ne vuoi un po’ prima di pranzo?”

“Sì, grazie. Scegli pure tu il gusto” disse sedendosi sullo sgabello dell’isola. 

Rimasero in silenzio per qualche istante, Jen che mescolava lo zucchero, mentre Lana stringeva la tazza con le mani. La stava guardando da qualche minuto ma la bionda, dannata dal costante bisogno di non sentirsi minacciata, continuava a fissare il liquido che vorticava tra quelle pareti di ceramica. 

“Quanto tempo ci rimane?” le chiese. 

Jen finalmente alzò lo sguardo e la fissò. Non sapeva cosa rispondere perché non ne aveva idea. Non aveva programmi nell’immediato futuro, se non quello di tornare a casa, o meglio in una delle sue case. Non aveva preso biglietti perché detestava volare e, non avendo faccende urgenti da sbrigare, era arrivata in auto, con l’intenzione di usarla per il rientro. Magari sarebbe passata a salutare i suoi a Chicago e poi?

“Vieni a casa con me” disse Jen senza pensarci. 

Lana scosse la testa, presa alla sprovvista da quella domanda. “A casa? Intendi qui a Vancouver?”

“No, a New York. Vieni con me a New York.”

“Devo ancora finire di impacchettare tutto, devo aspettare il furgone dei traslochi...”

“Quando arriva?” domandò Jen. 

“Domani sera.” 

“Allora partiamo domani sera. O il giorno dopo se preferisci” disse come se fosse la cosa più semplice del mondo. “Passiamo da Chicago e poi andiamo a New York. Un bel viaggio in auto per qualche centinaia di chilometri, noi due da sole, come Emma e Regina.”

Lana sorrise a quell’ultimo paragone. Non era un’amante dei lunghi viaggi in auto: erano scomodi e noiosi, senza contare che lungo la strada, lungo le interminabili e deserte strade degli immensi territori americani, poteva capitare qualsiasi cosa. A differenza di lei, Jen era abituata a fare quel viaggio, spesso da sola. Per un certo verso quella proposta la spaventava perché rappresentava un’incognita e al tempo stesso qualcosa di definitivo: uno strano giro di boa dopo il quale il percorso sarebbe stato completamente sconosciuto. Eppure aveva anche il sapore dell’avventura, di un ritorno agli anni in cui la sconsideratezza era sinonimo di ingenuità e innocenza. 

“Allora,” mormorò Jennifer riscuotendola dai suoi pensieri, “pensi di poter stare sola con me per tutto quel tempo?”

La sua era una domanda idiota, ma meritava comunque una risposta. 

“Aiutami con le ultime scatole,” le disse con tono malizioso, “così possiamo riposarci un po’ prima della partenza.”

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


 

Il camion dei traslochi ripartì attorno alle tre del pomeriggio con quasi tutti gli effetti personali di Lana. Rimase sul portico per vederlo partire verso New York e provò uno strano senso di distacco: con quelle scatole se ne andava un pezzo della sua vita. Ora che Once Upon a Time era finito, doveva trovare un altro progetto in cui immergersi, e possibilmente più di uno. Aveva ricevuto un paio di offerte ma nulla di interessante, nemmeno la sua manager si era mostrata troppo entusiasta. 

Fu lì, ferma sul portico, che la trovò Jennifer quando, venti minuti dopo, parcheggiò davanti a casa sua. Scese lentamente dall’auto e la osservò per qualche secondo, poi infilò le mani nelle tasche del cappotto e si avvicinò. Sapeva che cosa stava provando l’altra donna e avrebbe fatto di tutto per aiutarla, aiutarla a svuotare la mente, a trovare un nuovo lavoro, un nuovo manager se fosse servito. Salì i tre gradini e finalmente ottenne l’attenzione della mora, gli occhi umidi e due lacrime che le percorrevano lentamente le guance. La strinse a sé, senza proferire parola ma dicendole molto. Rimasero così per alcuni istanti, poi Lana si scostò, il capo chinato. Jennifer le prese il volto fra le mani e la baciò dolcemente. 

Caricarono in auto le due valigie di Lana, poi poggiarono una coperta sui sedili posteriori e fecero salire Lola, felice di potersi andare a fare un bel giro con la sua padrona. 

“Hai preso tutto?” chiese Jennifer. 

“Ho le valigie, ho Lola,” disse lanciando uno sguardo al cane dallo specchio del parasole, poi si voltò verso la bionda e dopo una breve pausa aggiunse “ho tutto quello che mi serve.”

Erano da poco entrate nel territorio americano quando la radio si spense e sul display comparve il nome della manager, ormai più che altro assistente, di Jennifer. Questa emise un sospiro e rispose. 

“Pronto?”

“Jen, tutto bene?”

“Sì, siamo sulla I90, finora tutto bene.”

La donna dall’altro capo della linea esitò qualche istante. Probabilmente si era appena ricordata che Jen stava facendo quel viaggio con Lana, o forse sperava che Jen potesse parlarle in privato e sentendo il vivavoce voleva evitare di dire cose che potessero essere sentite anche da lei. A Lana quella donnina perennemente imbronciata e priva di qualsiasi forma di fascino era sempre stata sulle palle, e Jen lo sapeva. 

“Volevo solo ricordarti che il quattro aprile sei a Washington per Her Lead e il sei hai l’intervista per la CNN.”

In quel momento Lana la odiò ancora di più. Quella brutta stronza doveva proprio chiamare per ricordarle che Jennifer aveva mille impegni?

“Tranquilla, tra un paio d’ore ci fermiamo a riposare, per domani sera conto di essere a Chicago e dopo domani sarò a New York” assicurò la bionda. 

“Bene,” rispose l’altra, “ci sentiamo domani.”

La comunicazione si interruppe e Rita Ora riprese a cantare Lonely Together. Lana trovò la cosa ironica: “sole insieme” era esattamente la loro condizione attuale. Si voltò verso Jennifer, che si accorse dello sguardo e le sorrise. 

“Grazie” le disse semplicemente. 

“Grazie a te per avermi accompagnata” rispose la bionda. “A te e a Lola, ovviamente” aggiunse lanciando uno sguardo allo specchietto retrovisore. Il cane era comodamente disteso sui sedili, il muso appoggiato sulle zampe anteriori e gli occhioni marroni che si spostavano da una donna all’altra. Sentendo chiamare il suo nome, la coda sbatté un paio di volte sulla coperta, manifestando la sua approvazione. Jennifer sorrise, adorava quel cane. 

 

Erano le undici passate quando arrivarono a Missoula. Si fermarono in un hotel dove era solita fermarsi Jennifer durante le sue traversate. Lo staff dell’albergo la conosceva e sapeva che amava la discrezione, così, quando la videro entrare con Lana e un cane, la ragazza alla reception cercò di non sgranare troppo gli occhi e si limitò a dare il benvenuto alle ospiti. 

“Buonasera, Ms Morrison” disse educatamente. 

“Buonasera, Alice. Deve esserci una prenotazione a mio nome.”

“Esattamente, la sua camera è pronta per lei.”

“In realtà siamo in due, ti spiacerebbe far portare un altro accappatoio in camera?”

“Certamente, avviso subito” rispose la ragazza sorridendo. 

Poi Jen indicò Lola. “Ah, e anche una ciotola, per cortesia.”

In realtà Lana aveva le ciotole, ma Jennifer sembrava aver preso a cuore il compito di far capire a tutti che avrebbero passato la notte insieme. 

Entrarono nella stanza trainando i trolley, e subito Lana liberò Lola, che cominciò ad annusare qua e là. 

“Ti va di mangiare qualcosa?” domandò Jennifer. “Chiedo di portarci qualcosa in camera?”

“Va bene,” rispose Lana, “nel frattempo mi faccio una doccia, se non ti dispiace.”

“Certo!”

Era appena entrata nella doccia quando sentì la porta del bagno aprirsi, si voltò e rimase a guardare Jennifer che si spogliava dall’altra parte del vetro. Quando anche lei entrò, la tirò a sé e la baciò, muovendo le mani lungo la sua schiena bagnata, mentre Jennifer le afferrò i glutei, premendo il bacino contro il proprio. Qualche istante dopo, Lana invertì la loro posizione, spingendo la bionda contro la parete e facendola sibilare per il contatto con le fredde mattonelle. Scese a baciarle il collo e, mentre la mano sinistra le massaggiava un seno, la destra si insinuò fra le sue cosce. In quel momento aveva bisogno di lei, non di parole dolci o di sguardi compresivi, ma del suo desiderio e del suo piacere, di gemiti e ansiti che la rassicurassero sulla sua presenza. Aveva bisogno di sentirla accanto a sé, attorno a sé. 

Cenarono sul divano del salottino, in silenzio e con calma, avvolte dall’accappatoio, poi Lana si alzò e si inginocchiò tra le gambe dell’altra. Si era prefissata come missione quella di possedere Jennifer e lo fece, prendendola in diversi modi, su quel divano e a letto, godendo del suo piacere, fino a quando il sonno non si impadronì di entrambe. 

 

Ripartirono all’alba e Jennifer fu felice di vedere che Lana era di umore più sereno rispetto al giorno prima, tanto che le raccontò addirittura dei figli di Fred e del fatto che non si sentissero più perché il padre glielo aveva proibito. 

“Forse è meglio così,” disse Lana, “portare avanti dei rapporti destinati a finire fa solo male.”

“Perché dici questo?” chiese l’altra. “Tu volevi bene a quei ragazzi.”

“Volere bene non basta” fu l’unica risposta. 

E Jennifer pensò che in fondo aveva ragione. Quando aveva creduto di aver perso per sempre Lana, ogni loro incontro, ogni frase scambiata era una vera tortura. Non vederla l’aveva fatta stare meglio, ma non l’aveva fatta stare bene. Pensava a lei almeno una volta al giorno, e all’immagine del suo volto si aggiungevano i rimpianti per non aver tentato. Ed ora era lì per tentare. 

In quel momento Lana prese lo smartphone e scattò una foto di lei e Lola. 

“Che cosa fai?” le chiese con la fronte corrugata. 

“Aggiorno Instagram” rispose l’altra picchiettando sullo schermo. Poi, notando lo sguardo dietro gli occhiali da sole, aggiunse: “tranquilla, nessuno sa che siamo insieme.”

“D’accordo” mormorò la bionda. 

Lana la guardò e un sorriso malizioso le si dipinse in volto. 

“Che c’è?” domandò Jen. 

Lana non rispose, si slacciò la cintura, si avvicinò a lei e cominciò a scattare selfie a raffica, facendo facce buffe, poi si inginocchiò sul sedile, si protese fino a baciare la guancia di Jen e immortalò anche quel momento. 

“Spero vivamente che tu non abbia intenzione di pubblicare queste foto” esclamò Jennifer con tono fintamente serio. Sapeva che Lana non avrebbe mai fatto una cosa così plateale. 

“E se fosse esattamente la mia intenzione?” scherzò la mora. 

“Allora esigo che venga postata una foto con un bacio vero” rispose togliendosi gli occhiali da sole. Si voltò leggermente verso di lei, continuando a mantenere gli occhi sulla strada. 

Sul volto di Lana si allargò un magnifico sorriso. Questa le prese il viso con una mano, mentre con l’altra aggiustava l’angolazione del telefono, poi la baciò. Jennifer approfondì il bacio e mantenne il contatto per qualche secondo prima di tornare a guardare la strada, che tuttavia era dritta per centinaia e centinaia di metri. 

“Vuoi smetterla di distrarmi?” 

“E abbandonare la mia principale fonte di divertimento?”

“Quindi è questo che sono per te? Una fonte di divertimento?”

“E di piacere sessuale” aggiunse la mora. 

“Mi sembra ovvio” rispose Jen, non riuscendo a mostrarsi minimamente offesa. Non vedeva Lana sorridere così da giorni, e sapere di esserne la responsabile, la riempiva d’orgoglio. 

 

Un paio d’ore più tardi si fermarono a un distributore, l’ultimo che avrebbero incontrato per chilometri. Jennifer fece rifornimento e Lana ne approfittò per sgranchirsi le gambe e far fare un giro a Lola, prima di usufruire dei bagni della tavola calda, un vecchio locale i cui mobili erano stati rinnovati almeno vent’anni prima. Mentre ordinava gli hamburger e le patatine che avrebbero mangiato in auto, Jennifer andò in bagno e vi rimase qualche minuto. Lana uscì e si accomodò sul sedile del passeggero, la portiera aperta, piluccando qualche patatina in attesa del ritorno della sua compagna. Quando questa salì in auto sbattendo la portiera, capì che doveva essere successo qualcosa. 

“Tutto bene?” chiese chiudendo la propria portiera. 

La risposta arrivò qualche secondo dopo. 

“Ero al telefono con i miei genitori.”

“Capisco” disse Lana con una punta di sarcasmo. I genitori della bionda la consideravano una sgualdrina, un’adescatrice che aveva portata sulla cattiva strada la loro adorabile figlia. Solo perché non sapevano che prima di lei ce n’erano state altre. 

“Non penso che tu capisca” borbottò Jennifer. 

“No, in effetti non capisco come possano mettere in discussione la tua vita amorosa.”

“A mia madre non importa, è mio padre che fa storie.”

“Eppure è un insegnante, dovrebbe avere una mentalità aperta. Cosa fa se scopre che un suo studente è gay? Lo prende di mira?”

“Non ha problemi con i suoi studenti” rispose seccamente Jennifer. 

“Ma certo, i suoi studenti facciano quello che vogliono, l’importante è che la sua principessa non vada a letto con un’altra donna.”

Jennifer non rispose, ma strinse con forza la mascella e le mani sul volante. 

“Hai quasi quarant’anni, com’è possibile che tu non ti sia ancora liberata del pensiero degli altri?” il tono di Lana era adirato: detestava vederla soffrire così a causa delle persone che dovevano amarla di più. 

“Perché sono i miei genitori.”

“Proprio perché sono i tuoi genitori dovrebbero supportarti sempre. Mia madre non è cresciuta nel più liberale degli ambienti, ma non ha mai avuto problemi con chi frequentavo, e sono sicura che sarebbe lo stesso anche per mio padre, se fosse vivo.”

“Beh, purtroppo il mio non è ancora morto” urlò Jennifer facendo sobbalzare Lana. “Scusami,” disse con tono leggermente più calmo, “ma non è colpa mia se sono una donna affettivamente orfana. Erano fieri di me solo quando ottenevo dei riconoscimenti.”

“Ma quella era gratificazione, non affetto” mormorò Lana. 

“Lo so,” rispose con le lacrime agli occhi, “ma convincermi che lo fosse è stato l’unico modo per andare avanti.” 

Ormai la Jennifer stava piangendo e a Lana si strinse il cuore nel vedere quella donna così forte in quello stato. 

“Accosta” le disse con gentilezza, senza però che le desse retta. “Jen, accosta un attimo” ripetè posandole una mano sulla coscia. 

Questa volta Jen obbedì e non appena Lana la abbracciò, affondò in viso nel suo collo e si abbandonò ai singhiozzi. Le mani che le accarezzavano la schiena e i capelli l’aiutarono a calmarsi un po’, fino a quando non si sentì graffiare il braccio. Alzò lo sguardo e vide Lola che la osservava con occhi preoccupati. Scoppiò a ridere tra le lacrime e allungò la mano ad accarezzarle la testa. Adorava quel cane, quasi quanto adorava la sua padrona.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


You make a fool of death with your beauty, and for a moment
I forget to worry


 
Quella notte si erano fermate poco fuori Chicago. Lana aveva detto che avrebbe aspettato in albergo, se Jen avesse voluto passare a salutare i suoi, ma a Jen non importava. Ripartirono l’indomani all’alba, dirette verso New York.
“Quante puntate avete già girato?” chiese la mora riferendosi al nuovo telefilm in cui doveva recitare l’altra.
“Cinque, ma ora ci prendiamo una pausa in attesa di vedere come andrà il Pilot.”
“Sei emozionata?”
“Abbastanza,” rispose la bionda con un mezzo sorriso, “anche se non è la prima volta che interpreto un personaggio che fa parte delle forze dell’ordine.”
“Credo che sia un ruolo che ti calza a pennello. Eri molto sexy nei panni dello Sceriffo Swan, anche se i muscoli del tenente White non mi dispiacevano affatto” commentò Lana con un sorrisino malizioso.
Jennifer non riuscì a trattenersi e sfoggiò quelle adorabili fossette per cui Lana moriva ogni volta.
“Beh, anche tu non eri niente male come militare, e anche il camice ti donava molto, ma il ruolo che più preferisco rimane quello di Regina.”
“Solo Regina o anche la Evil Queen?” domandò Lana genuinamente curiosa di sentire la risposta.
“Per me sono la stessa persona. Non fraintendermi, sei riuscita a caratterizzare entrambe molto bene, ma la nuova Regina e la vecchia Regina sono una l’evoluzione dell’altra” spiegò Jennifer in maniera concisa ma professionale. “Anche se devo ammettere che recitare di fronte alla Evil Queen mi aveva fatto eccitare non poco” mormorò poi mordicchiandosi il labbro inferiore.
“A me sembravi più che altro spaventata.”
“Spaventata che mi si leggesse in faccia quello che volevo farti” ammise la bionda suscitando la risata di Lana.
“Mi spiace deluderti, tesoro, ma alcune persone hanno notato i tuoi sguardi fin dalla prima stagione.”
“Perché, credi che i tuoi siano passati inosservati?” ribatté Jennifer con un sopracciglio alzato.
“Ma io interpretavo il ruolo della lussuriosa Regina Cattiva.”
“E del lussurioso sindaco, e della lussuriosa mamma single…”
“Smettila!” la rimproverò dandole una piccola sberla sul braccio. Scoppiarono a ridere entrambe e quando la risata scemò, rimasero in armonioso silenzio per qualche minuto. Poi Lana prese il cellulare e si mise a messaggiare per qualche minuto. “Mia madre ti invita a cena” esordì a un certo punto lasciando l’altra a bocca aperta. “Vieni?”
“Io… emh…” balbettò Jennifer.
“Che c’è? È solo una cena informale con mia madre.”
“Appunto, con tua madre.”
“Probabilmente sarà presente anche mia sorella, ma le conosci già, che problema c’è?”
“Beh… le ho incontrate, non è che le conosca” disse la bionda stringendosi nelle spalle.
“Avanti, ti adorano entrambe!” la spronò Lana. “O meglio, mia madre ce l’ha un po’ con te perché hai permesso che sposassi Fred, ma non ti odia di certo.”
“E tua sorella?”
“Pensa che sia stata una sciocca a sposare Fred, ma non mi odia di certo” rispose con tono leggermente amareggiato.
Jennifer le prese la mano. “Tutti commettiamo errori, siamo esseri umani.”
“Riusciremo mai a imparare da essi?” chiese Lana.
“Non ne sono sicura, ma posso garantirti che ce la sto mettendo tutta.”
 

Arrivarono a New York la sera e, poco dopo le otto, parcheggiarono di fronte alla casa della madre di Lana, la stessa in cui l’attrice era cresciuta. Quella zona di Brooklyn era piuttosto tranquilla a quell’ora: per le strade giravano poche auto, sui marciapiedi c’erano solo alcune coppiette e qualche runner che probabilmente sarebbe arrivato a Central Park nel giro di un’ora. Mentre Lana metteva il guinzaglio ad un’iperattiva Lola, Jen le tolse le valige dal portabagagli. Poi alzò gli occhi alla porta e si immobilizzò.
“Andrà tutto bene, tranquilla!” la rassicurò Lana accarezzandole dolcemente la schiena prima di afferrare la maniglia di un trolley.
Jennifer fece un respiro profondo e poi la seguì.
La porta si aprì prima ancora che la mora potesse suonare il campanello.
“Tesoro, siete arrivate!” la accolse la madre stringendola in un caloroso abbraccio.
“Come stai, mamma?” chiese Lana dandole un sonoro bacio sulla guancia.
“Molto meglio ora che sei qui.” Poi la sua attenzione fu attirata da Lola. “Ma certo, bellezza, sono felicissima di vedere anche te!” disse abbassandosi per accarezzarle le orecchie.
Quando la donna si alzò, Jennifer allungò la mano verso di lei. “È un piacere rivederla, signora Parrilla.”
La donna prima le sorrise, poi le strinse la mano e con il braccio sinistro le cinse le spalle attirandola a sé in un mezzo abbraccio. “Anche per me è un piacere, ma ti prego, chiamami Dolores.”
 

“Queste lasagne sono buonissime!” si complimentò Jennifer finendo il proprio piatto. Erano nella sala da pranzo, attorno al tavolo erano presenti anche Deena, la sorella di Lana, e suo figlio minore.
“Dovresti provare quelle di zia Maria,” disse la padrona di casa riferendosi alla parente italiana che aveva incontrato l’anno prima, “quelle sì che sono vere lasagne.”
“Assolutamente,” concordò Lana, “un’esperienza mistica. Peccato che poi non rimanga spazio per nient’altro.”
“Quando siamo state in Italia lo spazio l’ho trovato. Sono ingrassata di tre chili in pochi giorni, ma ne è decisamente valsa la pena” disse la madre facendo sorridere le altre donne.
“Sappiate che non vi ho ancora perdonate per non avermi portata” commentò Deena con delle finte occhiatacce.
“L’anno scorso mi ci ha portata Lana, quest’anno se vuoi puoi essere tu a regalarmi un bel viaggetto, tesoro” fu la pronta risposta della madre.
“Solo se paga Lana!”
“Grazie tante, sorellona!” esclamò questa fingendosi indignata.
“Ad ogni modo anche le sue lasagne sono molto buone, signora” commentò di nuovo Jennifer.
“Dolores” la corresse la donna.
“Dolores” acconsentì la bionda con un sorriso.
“Sarò anche nonna, ma non sono anziana, vero Bryce?”
“Certo, nonna, tu sei giovanissima” rispose il ragazzino ingurgitando un’altra forchettata di pasta e provocando l’ilarità generale.
 

Erano quasi le dieci di sera quando, dopo aver mangiato il dolce ed essersi profusa in una buona dose di complimenti, Jennifer si alzò da tavola per congedarsi.
“Sono stata davvero molto bene, grazie infinite per l’invito, Dolores” disse riuscendo finalmente, nonostante il leggero imbarazzo, a usare il nome di battesimo della donna.
“Il piacere è stato mio, Jennifer, spero di rivederti presto” la salutò l’altra con un abbraccio.
Lana guardò la scena con un sorriso sulle labbra. Sua madre era sempre stata molto cordiale con tutti i suoi amici, ma aveva notato quanta premura avesse usato nei confronti di Jennifer durante la serata. Conoscendone il carattere, e alcune problematiche, dai racconti della figlia, era stata ben attenta a farla sentire ben voluta senza però esagerare nelle dimostrazioni d’affetto, tanto che, se il primo abbraccio era risultato un po’ forzato, quello di commiato era stato ricambiato senza problemi dall’altra attrice, se non addirittura con un’espressione distesa.
“Ti accompagno” disse Lana ringraziando la madre con uno sguardo. Si diressero verso l’ingresso in silenzio, una accanto all’altra.
“È stata davvero una splendida serata” disse Jennifer orami sulla porta, “grazie mille per l’invito.”
“Grazie a te per averlo accettato” mormorò Lana avvicinandosi pericolosamente a lei. “Che programmi hai per la notte?” domandò poi.
“Credo che arriverò a casa, farò una doccia e mi metterò a letto a leggere un libro. Sono stanca per il viaggio, ma sai com’è quando sei così stanca… il sonno tarda ad arrivare” rispose con una punta di malizia nella voce.
“Capisco” rispose la mora con uno sguardo complice.
“E tu invece?”
“Credo che farò una bella doccia e poi mi metterò a letto.”
“Capisco” rispose Jennifer di rimando. “Beh, allora buonanotte.”
“Buonanotte.” Si avvicinò e la baciò sulle labbra per qualche secondo, prima di scostarsi e di rivolgerle l’ennesimo sorriso. “Ci vediamo presto.”
Jennifer rispose dandole un bacio leggero, poi aprì la porta e la salutò con un cenno della mano.
 

Meno di un’ora dopo, Lana passò dal salotto dove si trovava sua madre.
“Mamma, io esco” le disse a bassa voce per non disturbare Bryc, che dormiva sul divano accanto alla nonna. Era consuetudine che il nipote si fermasse per la notte almeno una volta a settimana.
“Ma tesoro, sei appena tornata” mormorò la donna con un uno sguardo triste che spezzò il cuore di Lana.
“Mi spiace, ma avevo promesso ad alcune amiche di passare a salutarle.”
“Ho capito,” sospirò sua madre, “e immagino che non rientrerai stanotte.”
“No, non credo.”
Sul volto della donna si dipinse un mezzo sorriso rassegnato; non era delusa, era solo un po’ triste che la figlia non passasse molto tempo con lei, ma era anche vero che aveva superato i quarant’anni e che non poteva pretendere di averla sempre al suo fianco. Era comunque fortunata ad avere una figlia amorevole e premurosa come Lana.
“Allora divertiti, tesoro” furono le sue parole.
“Grazie, mamma” rispose Lana voltandosi.
“Ah, e di’ a Jennifer che è la benvenuta quando vuole.”
Lana la guardò ma non rispose, riuscendo a mala pena a trattenere la risata per essere stata scoperta da sua madre.
 

Il taxi si fermò davanti al palazzo, Lana pagò per la corsa, afferrò la borsa e scese dall’auto. Percorse i pochi metri che la separavano dall’ingresso e spinse la pesante porta a vetri, salutò il portiere, che ricambiò cortesemente, e si diresse in fondo all’atrio, verso gli ascensori.
Salì al tredicesimo piano e quando le lucenti porte di acciaio si aprirono, uscì e svoltò a destra, percorse il lungo corridoio e bussò all’ultima porta. Sentì avvicinarsi uno scalpiccio e quando la porta si aprì non poté fare a meno di sorridere.
“Spero di non averti svegliata.”
“Tranquilla, non riuscivo a dormire” rispose l’altra appoggiandosi allo stipite.
“Sai, conosco un ottimo modo per prendere sonno” disse Lana con voce sensuale.
“Sempre pronta a correre in mio aiuto, come sono fortunata!”
Si scambiarono un altro sorriso, poi Jennifer si scostò per far passare Lana, che cominciò a sbottonare la giacca, mentre lei chiudeva la porta alle loro spalle.



NDA
Un grazie di cuore a chi ha letto, recensito e seguito questa storia. 
Grazie per avermi sopportata in quest'avventura breve ma intensa.
A presto!

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